Sette giorni per l'eternità

di desme
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo giorno ***
Capitolo 2: *** Secondo giorno ***
Capitolo 3: *** Terzo giorno ***



Capitolo 1
*** Primo giorno ***


Fandom: Supernatural.

Pairing: Castiel/Dean

Rating: Giallo.

Charapter: 1/8.

Beta: nessuna

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico, Malinconico, AU.

Warning: Sesso descrittivo, Slash, descrizioni macabre, linguaggio abbastanza forte.

Words: 7792

Summary: uno è diabolicamente astuto e terribilmente affascinante. L'altro è divinamente bello e altruista. I loro Capi li metto l'uno contro l'altro. La posta in gioco? Il destino dell'umanità...

Desclamers: Questa storia è stata scritta basandosi sullo stupendo libro di Marc Levy "Sette giorni per l'eternità". I personaggi che utilizzo non appartengono a me, ma al telefilm Supernatural, ai suoi autori e a tutti gli aventi diritti. Io non ricavo nulla da questo.

Note: è la prima storia in assoluto che scrivo su Supernatural e spero di non fare un completo disastro. Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di ortografia. Ogni commento sarà estremamente gradito e sono ben accette anche le critiche, purché costruttive.

Dedica: Ringrazio la mia sorellina per spronarmi continuamente a scrivere e il mio fratellino per essere il mio sostegno continuo. Questa storia la dedico a voi due, che siete le mie rocce.

Sette giorni per l'eternità

Primo giorno

Disteso sul lussuoso letto, Dean guardava lo schermo del suo cellulare lampeggiare freneticamente. Chiuse il libro e lo appoggiò accanto a sé, estremamente soddisfatto. Era la quarta volta in settantadue ore che rileggeva sempre la stessa storia e a memoria d'inferno nessuna lettura lo aveva mai divertito così tanto.

Accarezzò la copertina con la punta delle dita. Questo Verne stava diventando il suo autore di culto. Riprese l'opera in mano, era molto felice che un cliente dell'albergo lo avesse dimenticato nel cassetto del comodino e con un gesto lo lanciò nella valigia aperta dall'altro capo della stanza. Guardò l'orologio sul suo polso destro, si stiracchiò e infine si alzò.

"Su, alzati e cammina", si disse allegro.

Davanti allo specchio dell'armadio aggiustò la camicia che indossava, indosso la sua giacca di pelle preferita, afferrò gli occhiali da sole dal tavolino di legno pregiato posto vicino alla televisione e li mise. Il cellulare che aveva riposto in una tasca dei suoi jeans non aveva ancora smesso di vibrare. Richiuse con un piede la porta dell'armadio e si diresse verso la finestra. Scostò la tenda di pesante tessuto rosso e rimase immobile ad osservare con attenzione il cortile interno. Non c'era vento che potesse allontanare l'inquinamento che stava invadendo la parte sud della città, fino al TriBeCa, a sud di Manhattan.

La giornata si presentava estremamente rovente. Dean amava il sole, e chi più di lui poteva sapere quanto fosse nocivo? Non era forse grazie a lui che proliferavano i germi e batteri nelle terre aride? Non è forse lui il più inflessibile nello sciogliere le debolezze dei forti?

"E la luce fu!" disse mentre si avvicinava al telefono della camera per chiedere alla reception di preparare il conto, il viaggio a New York era stato più breve del previsto, poi lasciò la stanza.

Alla fine del corridoio, scollegò l'allarme della porta dell'uscita di sicurezza. Giunto nel cortile, recuperò il libro prima di liberarsi della valigetta in un cassonetto della spazzatura e s'inoltrò nel vicoletto.

Sulla strada di SoHo con il selciato tutto sconnesso, Dean spiava con occhio pieno di brama un balconcino di ferro battuto, che nonostante la sua vecchiaia continuava penosamente a resistere alla tentazione di cadere grazie a due ribattini estremamente arrugginiti. Gli inquilini del terzo piano, un uomo molto grosso di circa quarant'anni e una giovane modella bionda, ignari di tutto si erano stesi su delle sdraio, ed era perfetto così.

Era sicuro che nel giro di pochissimi minuti i rivetti avrebbero finalmente ceduto e quelle due ignare persone si sarebbero trovate distese quattro piani più in basso, con i corpi completamente distrutti.

Il loro sangue sarebbe fuoriuscito dalle orecchie e sarebbe colato negli interstizi del selciato sottolineando il terrore impresso sui loro volti, che sarebbero rimasti paralizzati in quell'espressione finché non sarebbe giunta la decomposizione dentro casse di pino dove la famiglia l'avrebbe rinchiusi, prima di lasciarli per sempre sotto lastre di marmo e qualche litro di inutili lacrime.

Una cosa da nulla che avrebbe a malapena riempito poche righe scritte malissimo del quotidiano locale e che sarebbe costato un lungo e devastante processo al gestore del palazzo.

Un responsabile tecnico del comune avrebbe preso il suo posto, uno dei superiori avrebbe insabbiato il caso, con la conclusione che l'incidente sarebbe stato molto più drammatico se alcuni passanti si fossero trovati sotto il balcone. Il che dimostrava che c'era un Dio su questa terra e questo era il vero problema per Dean.

Quindi la giornata sarebbe iniziata bene se quella maledetta oca non fosse rientrata e quello stupido omuncolo non l'avesse seguita all'interno dell'abitazione.

Strinse i denti e le mascelle cigolarono con forza, come le ruote del camion della spazzatura che stava scendendo nella sua direzione facendo tremare la strada al suo passaggio. Con uno schiocco secco delle sue dita il balcone si staccò dalla facciata del palazzo e precipitò. Al piano inferiore scoppiò una finestra polverizzata da un pezzo del parapetto. Molte putrelle di ferro arrugginito, abitazione di colonie di batteri di tetano, si abbatté sul selciato. L'occhio di Dean si illuminò di nuovo quando vide una trave di metallo dirigersi a tutta velocità verso il suolo.

Contento che non tutto era perduto, si diresse con noncuranza sulla carreggiata, costringendo il conducente della benna a rallentare. La puntarella attraversò la cabina del camion della spazzatura conficcandosi con forza nel torace del conducente e il camion sbandò. I due spazzini, appollaiati sulla piattaforma nel retro, non ebbero nemmeno il tempo di gridare, uno fu afferrato dalla gola spalancata della benna e immediatamente stritolato dalle mandibole che aspettavano imperturbabili, l'altro fu catapultato in avanti scivolando inerte sulla strada, dove l'asse anteriore del camion gli passò sulla gamba.

Durante la sua folle corsa l'automezzo si era scontrato con un lampione scaraventandolo per aria. I fili elettrici ormai scoperti ebbero la grande idea di scodinzolare fino alla canaletta, completamente impregnata di acqua sporca. Una fontana di scintille fu il preludio al meraviglioso cortocircuito che coinvolse tutto l'isolato.

Nel quartiere i semafori si misero a lutto, neri come la giacca di Dean. Da lontano si poteva sentire il rumore delle prime collisioni che avvenivano negli incroci abbandonati a se stessi. Quando i terribili incidenti smisero di verificarsi, l'aria intorno fu invasa da un silenzio di morte.

Dean si aggiustò la giacca, mentre contemplava il magnifico disastro che si dipanava davanti a sé. Erano appena le nove del mattino e, alla fine, quella che stava iniziando sembrava veramente una bella giornata.

La banchina numero 46 del porto commerciale di San Francisco era completamente deserta. Castiel riagganciò il ricevitore e uscì dalla cabina telefonica. Con i suoi stupendi occhi blu socchiusi per la luce forte, guardò il molo di fronte. Una moltitudine di uomini era indaffarata intorno ai giganteschi container, che dovevano essere preparati prima della loro partenza verso la Cina. Castiel sospirò, perché anche se era armato delle migliori intenzioni non poteva fare tutto da solo. Aveva dei dono, ma quello dell'obliquità gli mancava.

La foschia aveva già coperto il piano stradale del Golden Gate, solamente la sommità dei piloni riusciva a superare la spessa coltre che stava invadendo progressivamente la baia. A causa della scarsa visibilità, l'attività del porto sarebbe cessata. A Castiel, felice nei panni dell'ufficiale addetto alla sicurezza, restava poco tempo per convincere i caposquadra del sindacato a fermare gli scaricatori pagati in cottimo.

Se solo fosse stato capace di arrabbiarsi!

La vita di un uomo doveva contare ben più di qualche cassa caricata rapidamente. Ma gli uomini non si possono cambiare così in fretta, altrimenti non avrebbe avuto bisogno di essere lì.

Castiel amava molto l'atmosfera dei Docks. Aveva sempre moltissime cose da fare quando era lì. Tutta la miseria del mondo si dava appuntamento ai vecchi depositi. I senzatetto vi avevano istituito il loro domicilio, protetti appena dalle piogge autunnali, dai venti freddi che il Pacifico portava in città al sopraggiungere dell'inverno, e dalle pattuglie della polizia a cui non piaceva affatto avventurarsi in quest'ostile universo in qualsiasi stagione.

"John, li fermi!"

L'uomo dalle grosse spalle muscolose fece finta di non vederlo. Sul bloc-notes che teneva sul ventre annotava il numero di matricola di un container che era stato alzato con l'ausilio di una gru.

"John, non mi costringa a stendere un verbale, prenda la radio e li faccia smettere, ora!" continuò Castiel deciso. "La visibilità è inferiore a otto metri e lei sa bene che sotto i dieci avrebbe già dovuto fischiare lo stop."

Il caposquadra John siglò la pagina e la tese al giovane controllore che lo aiutava. Con un gesto della mano gli fece segno di allontanarsi.

"Non resti là sotto, è una zona di caduta. E quando si stacca non perdona!" Disse l'uomo più anziano.

"Si, ma non si sgancia mai. John, mi ha sentito?" Insiste Castiel.

"Non ho un visore laser nell'occhio che io sappia," borbottò l'altro grattandosi l'orecchio.

"La sua malafede è più precisa di qualunque telemetro! Non cerchi di guadagnare tempo, fermi subito questo porto, prima che sia troppo tardi."

"Sono quattro mesi che lavora qui e la produzione non è mai stata così bassa. Darà lei da mangiare alle famiglie dei miei ragazzi alla fine della settimana?"

"Non sono io, è la nebbia. Deve solo pagare meglio i portuali. Sono sicuro che i figli saranno più contenti di rivedere stasera i loro padri piuttosto che riscuotere il premio dell'assicurazione sulla vita del sindacato. Si muova John, fra due minuti vi citerò in tribunale e andrò personalmente a presentare istanza dal giudice."

"A forza di giorni non lavorativi, finiremo per chiudere."

"Non faccio io il bello o il cattivo tempo, John, vi impedisco solo di ammazzarvi. La smetta di fare quella faccia, non sopporto quando è arrabbiato, le offro un caffè e uova strapazzate se richiamerà i suoi uomini."

Allora John alzò le spalle e afferrò il walkie-talkie e si rassegnò a dare l'arresto generale. Dopo i due uomini si diressero al Fish's Dinner, il miglior locale di tutto il porto. E lì lavora come cameriera una giovane donna di circa vent'anni dai lunghi capelli biondi.

E quando la porta si apre, Jo riconosce subito chi sta entrando e lo accoglie con un sorriso.

"Castiel! Tavolo 8! Sbrigati, mancava solo che mi sedessi sopra per tenertelo, vi porto subito un po' di caffè."

Castiel si sedette in compagnia del caposquadra che nel frattempo continuava ancora a brontolare.

"Queste regole che si affanna tanto a far applicare sono stupide, i miei ragazzi sanno ancora lavorare con cinque metri di visibilità, sono dei professionisti."

"Gli apprendisti sono il 37% della forza lavoro, John..."

"Appunto, gli apprendisti sono qui per imparare!"

Il volto di John si fa più dolce quando Jo li interrompe per servirli.

"Uova strapazzate con il bacon per lei, John. Tu, Castiel, immagino che non mangerai come al solito. Ti ho portato lo stesso un caffè che non berrai con del latte senza schiuma. Pane, ketchup, ecco c'è tutto!"

John la ringrazia con la bocca già piena. Dopo Jo si rivolge a Castiel per chiedergli se la passerà a prendere a fine servizio. Con un sospiro la cameriera scompare tra la folla e mentre Castiel chiacchierava tranquillamente con John, il suo cellulare cominciò a squillare e quando il ragazzo vide chi lo stava chiamando si congedò dall'uomo anziano e lasciò il locale.

Il ragazzo si diresse verso la sua auto aziendale. Non appena chiuse la portiera accese il motore che si mise in moto al primo colpo e filò tranquillamente lungo i depositi. Castiel non sembrava minimamente disturbato dalla fitta nebbia. Correva in uno scenario spettrale, intrufolandosi tra le gru, facendo allegramente lo slalom tra i container e le macchine immobili. Gli bastarono solo pochi minuti per raggiungere l'ingresso dell'aria commerciale. Rallentò solo al posto di controllo e dopo riprese la sua corsa.

Castiel risalì la Terza Strada, costeggiando la zona portuale. Dopo aver attraversato il bacino cinese, la Terza deviava verso il centro della città. Castiel guidava imperturbabile attraverso le vie deserte. Il cellulare suonò di nuovo e lui protestò ad alta voce.

"Faccio quello che posso! Non ho le ali e ci sono dei limiti di velocità!"

Aveva appena finito la frase che un lampo immenso diffuse un alone di luce folgorante. Risuonò un tuono che fece tremare tutti i vetri. Castiel spalancò gli occhi mentre il piede schiacciava un po' più forte sull'acceleratore e l'ago del tachimetro si spostava leggermente. Rallentò mentre attraversava Market Street e s'immerse sulla Kearny. Ancora otto caseggiati lo separavano dalla sua destinazione.

Da lontano, solo l'ultimo piano della maestosa torre piramidale del Transamerica Building emergeva dalla spessa nube scura che ricopriva la città.

Dopo aver lasciato il luogo dell'incidente, Dean si diresse all'aeroporto di la Guardia. Ed ora sprofondato nella poltrona in prima classe, il biondino ammirava dall'oblò lo spettacolo diabolico di una bellezza divina. Odiava prendere gli aerei, ma se voleva raggiungere la sua destinazione in fretta era l'unico modo.

Ora il Boeing 767 sorvolava la baia di San Francisco, in attesa di un'ipotetica autorizzazione all'atterraggio. Impaziente Dean tamburellava sul cellulare, che non aveva ancora smesso di lampeggiare.

Quando finalmente l'aereo si decise di atterrare, Dean esasperato si sganciò la cintura di sicurezza, alzò gli occhi al cielo, guardò l'orologio e si diresse verso l'uscita anteriore.

L'intensità della nebbia era raddoppiata. Castiel parcheggiò la macchina lungo il marciapiede sotto la Torre. Abbassò il parasole scoprendo un contrassegno che sfoggiava le lettere CIA. Uscì correndo, si frugò nelle tasche e inserì nel parchimetro l'unica moneta rimasta. Quindi attraversò il piazzale e le tre porte girevoli che portavano nell'atrio principale dell'edificio. Il cellulare cominciò a vibrare di nuovo e Castiel alzò gli occhi al cielo.

"Mi dispiace, ma il marmo bagnato è molto scivoloso! Lo sanno tutti, tranne forse gli architetti..."

Costeggiò il muro dell'edificio fino a una lastra che identificò per il colore più chiaro, appoggiò la mano alla parete e un pannello si mosse sulla facciata, Castiel si intrufolò e il pannello si rimise a posto.

Dean era sceso dal taxi e camminava con passo sicuro sul marciapiede che Castiel aveva lasciato qualche istante prima. Dalla porta opposta della stessa Torre, appoggiò come aveva fatto l'altro la mano su una pietra. Una lastra, più scura delle altre, scivolò e Dean entrò nel pilastro ovest del Transamerica Building.

Castiel non fece fatica ad abituarsi alla penombra del corridoio. Dopo uno zigzag arrivò in un ampio atrio di granito bianco sul quale si aprivano tre ascensori. L'altezza del soffitto dava le vertigini. Nove globi monumentali e di grandezze diverse, sospesi grazie a delle funi delle quali si potevano vedere i punti di aggancio, diffondevano una luce opalina.

"Buongiorno Bobby, come sta?"

L'affetto di Castiel verso colui che da sempre vegliava sugli ascensori era palese. Ogni ricordo del passaggio attraverso le porte così ambite era legato a quell'uomo un po' brontolone, ma sempre disponibile.

"Negli ultimi tempi c'è molto lavoro." Disse Bobby. "L'aspettano."

"Grazie. Ci vediamo dopo." Rispose il moro dopo essere salito sull'ascensore che lo avrebbe portato al luogo desiderato.

Nel pilastro opposto della Torre, il neon del vecchio montacarichi, che stava trasportando Dean, sfrigolava. Il ragazzo una volta raggiunto il piano desiderato, uscì dal montacarichi e si diresse verso una porta di legno scuro. Dopo averla attraversata, il biondo trovò un hostess ad attenderlo, che lo condusse in un tranquillo salottino dove lo pregò di accomodarsi sul divanetto, posto al centro della stanza ed aspettare di essere ricevuto.

Una volta giunto a destinazione, Castiel vide che Gabriele lo stava aspettando e il suo viso s'illuminò immediatamente. A Castiel amava profondamente il suo padrino.

"Che bello rivederti! Mi hai fatto chiamare tu?"

"Si, cioè no, resta qui," disse Gabriele, "verranno a prenderti."

L'uomo dai cappelli neri un po' lunghi, aveva l'aria molto tesa. Ed era davvero strano, dato che lui era sempre allegro anche nelle situazioni più complicate.

"Che succede?"

"Non ora, te lo spiegherò più tardi, ma tu per favore aspettami qui." Detto questo l'uomo se ne andò lasciando un Castiel molto confuso, che non riusciva a capire cosa stava succedendo.

"Ah, no, non Parigi! Sono sempre in sciopero...per te sarebbe troppo facile...quasi ogni giorno c'è una manifestazione...non insistere...anche per poco...non me li vedo che si fermano per farci una corrtesia." Una breve pausa nella conversazione incoraggiò Gabriele ad alzare il braccio per bussare alla porta e dopo aver avuto il permesso entrò nella stanza.

Nella stanza il Signore camminava avanti e indietro, con le mani dietro alla schiena e l'aria corrucciata. Di tanto in tanto si fermava per guardare fuori dalle grandi finestre. Diede uno sguardo indispettito all'immenso tavolo per le riunioni che occupava gran parte della stanza e si sedette su una sedia.

"Vecchio! Tutto è vecchio è polveroso! Vuoi sapere quello che penso? Questa candidature sono canoniche! Come vuoi che vinciamo?"

"Ma si tratta dei nostri migliori agenti..."

"Non importa. Non vanno bene lo stesso. Gabriele per vincere abbiamo bisogno di un'agente fuori dagli schemi."

"E chi, padre?"

"Castiel."

"No, lui è troppo giovane."

"Si, lo è. Ed è per questo che è perfetto." Rispose sicuro il Signore. "Dov'è?"

"Qui fuori che aspetta per entrare."

"Allora fallo passare, forza."

Gabriele uscì dall'ufficio e andò da Castiel. Prima di entrare nella stanza, Gabriele gli fece tutta una serie di raccomandazioni. Castiel stava per incontrare il principale e l'avvenimento era talmente straordinario che il suo padrino aveva paura per lui...e Castiel sarebbe dovuto rimanere in silenzio durante tutto il colloquio. Si sarebbe accontentato di ascoltare salvo che il Signore non gli facesse qualche domanda alla quale il padrino da solo non sarebbe stato in grado di dare una risposta. Era proibito guardarlo negli occhi. Gabriele riprese fiato e proseguì:

"...e non dimenticare quello che ti ho detto, sii te stesso! In fondo è quello che preferisce. In fondo è per questo che ti ha scelto! Sono sfinito!"

"Scelto per cosa?"

"Lo saprai, vai ora, respira a fondo ed entra...questo è il tuo grande giorno!"

Castiel entrò nella stanza e la persona che vide non rispecchiava nessuna delle sue fantasie. Infatti si trovò di fronte un uomo sui trentacinque, con una barba corta e corti capelli neri. Sembrava un uomo buffo e normale e non l'uomo imponente che aveva sempre immaginato potesse essere Dio.

Il Signore lo invitò a sedersi e cominciò a guardarlo attentamente, perché stava per affidargli una delle missioni più importanti mai capitate all'Agenzia da quando era stata istituita.

"Gabriele ti procurerà i documenti e le istruzioni necessarie per il perfetto svolgimento delle operazioni delle quali sarai il solo responsabile..."

Non aveva margine di errore e il tempo era contato...

Aveva sette giorni per portare a termine il suo compito.

"..Devi dare prova di immaginazione, di talento, ne hai parecchio, lo so. Dovrai essere molto discreto, so anche che sei molto efficiente."

Nonostante la sua immagine, Dio sapeva essere un uomo profondamente imperioso, non era mai successo che un'operazione esponesse così tanto l'Agenzia. Lui stesso non ricordava in che modo si fosse lasciato coinvolgere in una sfida così incredibile.

"Sì, credo di saperlo!" Aggiunse.

Tenendo conto della gravità della situazione avrebbe avuto come unico referente Gabriele e, in caso di estrema necessità o della sua indisponibilità, avrebbe dovuto rivolgersi direttamente a lui. Quello che stava per rivelargli non sarebbe dovuto uscire da quella stanza. Aprì il cassetto e gli porse un testo scritto a mano in calce al quale apparivano due firme. Erano elencati in dettaglio gli estremi della strana missione che l'aspettava:

Le due forze che regolano l'ordine universale non hanno mai smesso di affrontarsi dalla notte dei tempi. Constatando che nessuna delle due arriva a influenzare il destino dell'umanità secondo la propria indole, ognuna si riconosce ostacolata dall'altra nel perfetto compimento della propria visione del mondo...

Dio interruppe Castiel durante la lettura e commentò: "dal giorno cui gli è andata di traverso la mela, Lucifero non riesce ad accettare che affidi all'uomo la terra. Non ha mai smesso di dimostrarmi che la mia creatura non è degna."

Gli fece segno di continuare e Castiel ricominciò:

...Le analisi politiche, economiche e climatiche dimostrano che la Terra sta diventando un inferno. Il concetto di umanità è radicalmente diverso a seconda dei due punti di vista . Dopo eterne discussioni abbiamo accettato l'idea che l'avvento del terzo millennio debba consacrarsi con una nuova era libera da antagonismi. Da sud a nord, da est a ovest è arrivato il momento di sostituire la nostra coabitazione forzata con un modus operandi più efficiente. Per questo invieremo tra gli uomini per sette giorni colui o colei che consideriamo i migliori tra i nostri rispettivi agenti. Colui che riuscirà a traghettare l'umanità verso il bene o il male porterà la vittoria alla sua parte, preludio all'unione delle nostre istituzioni. Al vincitore sarà rimesso il potere di amministrare il mondo.

Il testo era firmato da Dio e il Diavolo.

Castiel alzò lentamente il capo. Avrebbe voluto rileggere tutto dall'inizio per capire il perché del documento che aveva tra le mani.

"E una scommessa sciocca," disse Dio, un po' confuso. "Ma ormai quel che è fatto è fatto." Castiel riprese la pergamena ed Egli colse lo stupore che tradivano i suoi occhi.

"Considera questo scritto come fosse la postilla al mio testamento. Anch'io invecchio. Per la prima volta sono impaziente, quindi fai in modo che il tempo passi velocemente," aggiunse guardando fuori della finestra, "non dimenticare che è contato, lo è sempre stato, è stata la mia prima concessione."

Gabriele fece segno a Castiel che era arrivato il momento di alzarsi e andarsene. Castiel eseguì immediatamente, ma vicino alla porta non poté frenare il desiderio di voltarsi.

"Signore?"

Gabriele trattenne il fiato, Dio voltò lo sguardo verso il ragazzo e il viso di Castiel si illuminò.

"Grazie," disse.

Dio gli sorrise.

"Sette giorni per l'eternità...conto su di te!"

lo osservò mentre lasciava la stanza.

Rimasto solo, Dio si sedette in fondo al tavolo e fissò il muro di fronte. Si schiarì la gola per annunciare con voce squillante: "siamo pronti!"

"Anche noi!" rispose beffarda la voce di Lucifero.

Dondolandosi sulla sedia sotto l'occhio attente del Presidente, Dean aveva appena letto lo stesso documento di Castiel. Benché le tende fossero tirate, Lucifero non si era tolto gli spessi occhiali da sole che gli mascheravano lo sguardo. Lo sapevano tutti, ogni minima luce gli occhi un tempo bruciati dai troppi raggi.

Circondato dai membri del gabinetto, il Presidente dichiarò sciolta la seduta. Poco prima che anche Dean lasciasse la stanza, Lucifero gli fece segno di avvicinarsi e gli mormorò qualcosa che nessun altro poté udire. Appena uscito dall'ufficio, Dean fu raggiunto da Meg, che era una specie di responsabile della comunicazione, che lo accompagnò agli ascensori.

Durante il tragitto verso l'uscita, Meg raccomandò Dean di tenerla costantemente aggiornata sulla missione, cosa che lui non avrebbe fatto per nessuna ragione al mondo. Poi, poco prima di separarsi, la donna porse al biondo una carta platino e li disse: " piano con la nota spese, non te ne approfittare!"

Con un gesto veloce e provocatorio, Dean si impadronì del rettangolino di plastica e fece per andarsene, ma Meg lo fermò e gli chiese di rivelargli ciò che gli aveva detto il Presidente, ma quest'ultimo la squadrò con disgusto e se ne andò senza rispondere.

Dopo essere usciti dalla stanza delle riunioni, Castiel e Gabriele si diressero in una piccola saletta e qui dopo che si furono seduti intorno ad un tavolino, il ragazzo al padrino tutti i suoi dubbi.

"Dimmi, da dove pensi che debba cominciare questa missione?"

"Parti con un piccolo svantaggio, Cassie. Guardiamo in faccia la realtà, il male è ormai ovunque e quasi altrettanto invisibile di quanto lo siamo noi. Tu giochi in difesa, il tuo avversario in attacco. Per prima cosa, devi identificare le forze che coalizzerà contro di te. Trova il luogo in cui comincerà ad agire. Forse è meglio lasciarlo muovere per primo, in modo da cercare di capire quali sono i suoi progetti. Solo quando lo avrai neutralizzato avrai l'occasione di mettere in atto il tuo progetto. La tua carta è la conoscenza del territorio. Hanno scelto San Francisco come teatro delle operazioni...e per puro caso."

Appena Castiel ebbe finito di ascoltare il suo padrino, lo guardò dritto negli occhi e gli assicurò che non lo avrebbe deluso. Poi i due uscirono in corridoio, Gabriele lo accompagnò fino all'ascensore e prima che le porte si richiudessero gli sussurrò: "Per loro la scommessa può essere solo un'altra battaglia, ma per noi è questione di sopravvivenza. Contiamo su dite."

Qualche istante più tardi, il ragazzo, riattraversò l'atrio. Bobby guardò i monitor di controllo, la strada era libera. La porta si aprì e Castiel si ritrovò di nuovo sulla strada.

Nello stesso momento, Dean usciva dall'altra parte della Torre. Un ultimo lampo strisciò il cielo, lontano sopra le colline di Tiburon. Dean chiamò un taxi e salì in fretta sull'auto che si era fermata davanti a lui.

Sul marciapiede opposto, Castiel correva verso la sua auto mentre un vigile le stava facendo una contravvenzione.

"Bella giornata, tutto bene?" Disse Castiel alla donna in uniforme.

La donna voltò lentamente la testa per assicurarsi che Castiel non la stesse prendendo in giro.

"Ci conosciamo forse?" Chiese l'agente Tolm.

"No, non credo."

Con aria molto dubbiosa, mordicchiava la penna guardando Castiel. Staccò il biglietto dalla matrice.

"E lei sta bene?" Chiese la donna mentre sistemava la contravvenzione sotto il parabrezza.

"Si, grazie." Rispose Castiel prendendo il foglio.

Mentre il moro stava aprendo la portiera per entrare, il vigile lo fermò e gli chiese: "non cerca nemmeno di negoziare la multa?"

"No."

"Lo sa che dall'inizio dell'anno coloro che guidano le auto governative devono pagarsi da soli le multe."

"Si, credo di averlo letto da qualche parte. Dopotutto mi sembra logico."

"A scuola sedeva in primo banco?"

"Francamente non me ne ricordo...ora che mi ci fa pensare credo che fossi seduto un po' dove capitava."

"E' sicuro di stare bene?"

"Stasera ci sarà un tramonto meraviglioso, non se lo perda! Dovrebbe vederlo con la sua famiglia. Da Presidio Park lo spettacolo sarà abbagliante. Ora la devo lasciare, mi aspetta molto lavoro," disse Castiel salendo in macchina.

Quando la Ford fu lontana, l'agente sentì un brivido scorrerle lungo la spina dorsale. Ritirò la penna ed estrasse il cellulare dalla tasca. Lasciò un lungo messaggio sulla segreteria telefonica del marito. Gli domandò se avrebbe potuto ritardare di una mezz'ora l'entrata in servizio mentre lei avrebbe fatto il possibile per rientrare prima. Gli propose una passeggiata al tramonto a Presidio Park, sarebbe stato bellissimo! Glielo aveva detto un impiegato della CIA. Aggiunse che lo amava e che da quando vivevano con gli orari sfasati non aveva trovato il momento per dirgli quanto le mancasse.

Qualche ora più tardi, mentre faceva la spesa per un picnic improvvisato, si rese conto che se stava per fare qualcosa di romantico con suo marito, dopo tanto tempo, lo doveva a quello strano agente.

Castiel parcheggiò l'auto lungo il marciapiede. Salì gli scalini della bella casa vittoriana affacciata su Pacific Heights. Aprì la porta e incrociò la proprietaria.

"Sei rientrato dal tuo viaggio, come sono contento," disse la signora Milton.

"Sono uscito solo in mattinata!"

"Sei sicuro? Mi sembrava che ieri non ci fossi. Oh, lo so che m'impiccio in affari che non mi riguardano, ma non mi piace quando la casa è vuota."

"Sono rientrato tardi e lei già dormiva. Ho semplicemente lavorato più del solito."

"Tu lavori troppo! Alla tua età dovresti pensare a divertirti."

"Devo cambiarmi, ma prima di andare, passerò a salutarla, Anna, promesso."

E dopo aver saluta la sua padrona di casa, Castiel salì al primo piano e fece girare la chiave del su appartamento, chiuse la porta con un piede e gettò il mazzo sulla mensola. Buttò la giacca nell'atrio, si tolse la camicia nel salottino, attraversò la camera da letto togliendosi i pantaloni ed entrò in bagno. Aprì i rubinetti della doccia e le tubature cominciarono a gorgogliare. Diede un colpo secco sul pomello e l'acqua gli inondò i capelli. Dall'abbaino aperto sui tetti che scendevano fino al porto arrivava il suono delle campane di Grace Cathedral che annunciavano le sette di sera.

"No, di già!" disse.

Uscì dalla stanza che profumava di eucalipto e ritornò in camera. Aprì l'armadio, prese una camicia verde scuro e un paio di vecchi jeans. Mise il cellulare nella tasca e s'infilò un paio di scarpe da ginnastica saltellando verso l'entrata per tirare le stringhe senza doversi abbassare. Prese il mazzo di chiavi, decise di lasciare le finestre aperte e scese le scale.

"Torno tardi stasera. Ci vediamo domani, se avesse bisogno di qualcosa può chiamarmi sul cellulare, d'accordo?"

Miss Milton borbottò qualcosa che Castiel sapeva ben interpretare, qualcosa tipo: "lavori troppo, mio caro, si vive una volta sola."

Era vero, Castiel lavorava continuamente per il prossimo, le sue giornate erano senza sosta, neppure una minima pausa per mangiare e per bere, visto che gli angeli non si nutrono mai. Per quanto generosa e intuitiva, Anna non poteva certo immaginare quella che Castiel stesso faticava a chiamare la mia vita.

Imbottigliato nel traffico del quartiere finanziario, Dean sfogliava una guida turistica. Aspettava che l'autista riuscisse finalmente a raggiungere Nob Hill, in modo che potesse prendersi una meritatissima suite al Fairmont.

Quando finalmente il taxi raggiunse la sua meta, il biondo scese e si diresse all'albergo, dove chiese la suite lusso.

Le pesanti campane suonarono il settimo e ultimo rintocco. Grace Cathedral, arroccata sulla sommità di Nob Hill, era proprio di fronte alle finestre della suite di Dean.

Questi s'alzò dal divanetto posto di fronte alle finestre, si aggiustò i vestiti, infilò la giacca e uscì dalla camera.

Scese i gradini della scala della scala che conducevano al maestoso ingresso, fece un'ammiccante sorriso alla receptionist e lasciò l'albergo.

Prese un taxi e chiese al conducente di potarlo alla banchina numero 46. Li ne avrebbe rubata una di suo gusto.

Appena arrivato al porto mostrò al guardiano un tesserino e la barriera a righe si alzò. Si diresse al parcheggio e lì si procuro una bellissima Chevrolet Impala nera del 1967.

Dean scelse una chiave dal suo mazzo e come per magia l'auto si aprì e dopo esserci salito sopra la mise in moto. L'auto risalì il viale centrale attraversando tutte le pozzanghere che si erano formate in ogni buca. Sporcò ogni container che si trovasse da un alto o dall'altro della sua strada rendendo tutte le matricole illeggibili.

Alla fine della strada tirò il freno a mano con un colpo secco e l'auto scivolò di traverso e si fermò a qualche centimetro dell'entrata del Fish's Dinner.

Dean uscì fischiettando, salì i tre gradini in legno dell'ingresso e spinse la porta d'entrata. La sala era quasi vuota. In genere gli operai si dissetavano qui dopo una lunga giornata di lavoro ma oggi, per via del cattivo tempo che aveva imperversato per tutta la mattina, cercavano di recuperare le ore perdute. Questa sera avrebbero finito tardi, rassegnandosi a lasciare le macchine al turno di notte che non avrebbe tardato ad arrivare.

Dean si sedette, fissando Jo che asciugava i bicchieri dietro il bancone. Turbata da quello strano sorriso, lei si affrettò ad andare a prendere l'ordinazione. Dean non aveva sete.

"Vuole mangiare, magari?" Chiese.

Solo se lei gli avesse tenuto compagnia. Jo declinò l'invito con gentilezza, le era proibito sedersi in sala durante l'orario di lavoro. Il biondo aveva tempo, non aveva fame e la invitò in un altro locale, diverso da questo che trovava terribilmente ordinario.

A Jo il fascino di Dean non la lasciava indifferente. Inoltre, in quella parte della città era raro vedere persone che indossavano vestiti di marca.

"Lei è molto gentile." disse la donna, nello stesso istante udì due colpi di clacson. "Ma non posso accettare. Stasera esco con un mio caro amico. Ha appena suonato il clacson. Sarà per un'altra volta."

Castiel entrò ansimante e si diresse verso il bancone dove Jo era tornata al bancone facendo finta di niente.

"Scusa il ritardo, ho avuto una giornata assurda," disse Castiel, sedendosi su uno degli sgabelli di fronte a lei.

Una decina di uomini del turno di notte entrarono nel locale, e la cosa diede fastidio a Dean. Uno degli scaricatori si fermò vicino a Castiel, dicendogli che senza uniforme lo trovava molto bello. Lui arrossendo lo ringraziò e poi si voltò verso Jo alzando gli occhi al cielo.

La cameriera si sporse verso l'amico per chiedergli di guardare con discrezione il cliente con la giacca nera, seduto in fondo alla sala.

"L'ho visto...lascia perdere!"

"Subito parole grosse!" Bisbigliò Jo.

"Jo, la tua ultima avventura in ordine di tempo ti è quasi costata la vita, questa volta se potessi evitarti una cosa anche peggiore, sarei più contento!"

"Non capisco perché tu dica così."

"Perché la cosa peggiore è proprio quel genere lì."

"Quale genere?"

"Chi fa lo sguardo tenebroso."

"Tu spari veloce, eh! Non ti ho nemmeno visto caricare la pistola!"

"Ti ci sono voluti sei mesi per disintossicarti da tutte le schifezze che il tuo ex divideva generosamente con te! Vuoi mandare in rovina la tua seconda occasione. Hai un lavoro, una stanza, e sei pulita da diciassette settimane. Ci vuoi già ricascare?"

"Il mio sangue non è pulito."

"Datti un po' di tempo e prendi le medicine."

"Quel tipo è davvero carino, però."

"Si, ma se guardi oltre la bellezza sembra un coccodrillo davanti ad un succulento filetto!"

"Lo conosci?"

"Mai visto prima."

"Allora perché questo giudizio a prima vista?"

"Dammi retta, il mio è un dono."

All'improvviso la voce affascinante di Dean gli soffiò severa nell'incavo del collo e Castiel sussultò.

"Dal momento che ha prenotato la serata della sua graziosa amica, sia così gentile da accettare che le estenda l'invito in uno dei migliori ristoranti della città, nella mia Chevrolet ci si sta comodi in tre!"

"Lei è molto intuitivo. Infatti nessuno è più gentile di Castiel!" Sottolineò Jo, nella speranza che l'amico fosse accomodante.

Castiel si voltò con l'intento di ringraziare e congedarsi, ma improvvisamente fu gelato dagli occhi che lo stavano osservando. I due si guardarono a lungo senza riuscire a dirsi una parola. Dean avrebbe voluto parlargli ma dalla bocca non usciva nessun suono. In silenzio, scrutava i tratti di quel viso sconvolgente e nello stesso tempo sconosciuto. Castiel aveva la bocca completamente asciutta e cercò il bicchiere a tentoni, mentre l'altro appoggiava la mano sul bancone. Un incrocio di gesti maldestri fece rovesciare il bicchiere che, dopo essere scivolato sul piano, cadde al suolo rompendosi in soli sette pezzi. Castiel si abbassò per raccogliere con cautela tre pezzi di vetro e Dean si inginocchiò per aiutarlo e si appropriò di altri quattro pezzi. Anche mentre si rialzavano i loro sguardi non si erano lasciati un secondo.

Jo li aveva osservati a turno e, infastidita, intervenne dicendo: "prendo la scopa!"

"Togliti il grembiule e andiamo. Siamo molto in ritardo," rispose Castiel distogliendo lo sguardo.

Salutò Dean con un cenno del capo e senza riguardo trascinò fuori l'amica. Nel parcheggio, Castiel accelerò il passo.

Dopo aver aperto la portiera a Jo si sedette e partì in quarta.

"Che ti prende?" Chiese Jo interdetta.

"Niente!"

Jo ruotò lo specchio retrovisore.

"Guarda la tua faccia e ora ridimmelo!"

Dopo un momento di silenzio, il ragazzo si decise a rispondere con un sussurro: "quell'uomo è estremamente grave!"

"Ne ho conosciuti di grandi, grossi, belli, brutti, buoni e cattivi. Ma di 'gravi' mi lascia interdetta."

"Allora ti chiedo di avere fiducia in me, non so nemmeno come spiegarlo a me stesso. È triste e sembra tormentato...non ho mai..."

"Ecco vedi, è il candidato perfetto per te, che vai matto per salvare le anime in pena."

"Non essere sciocca!" Esclamò Castiel contrariato.

Il resto del viaggio dei due amici continuò in un pesante silenzio.

"Se lei alzasse la mano potrei ripulire il banco!"

il padrone del Fish's Dinner risvegliò Dean dai suoi sogni ad occhi chiusi.

"Scusi?"

"Ci sono dei vetri rotti sotto le sue dita, se non sta attento si taglierà."

"Non si preoccupi per me. Chi era?"

"Una donna piuttosto carina."

"No, non ha capito. Non mi interessa la ragazza, voglio sapere chi era il ragazzo che è venuta a prenderla."

"Mi spiace ma non do informazioni che riguardano il mio personale. Se vuole sapere chi era il suo amico torni domani e lo chieda direttamente a lei. Il suo turno inizia alle dieci."

Dean battè la mano sul bancone e i pezzi di vetro si frantumarono. Il barista indietreggiò.

"Me ne frego della sua politica di rispetto della privacy. Mi dica chi era il ragazzo che andato via con la sua stupida cameriera."

"E' un suo amico, lavora al porto, al servizio di sicurezza, è tutto quello che so."

Con un gesto brusco, Dean sfilò il canovaccio dalla cintura del proprietario e si ripulì la mano, che stranamente non aveva alcun graffio. Il proprietario del locale lo guardò perplesso e allora il biondo rispose: "non preoccuparti vecchio mio, c'è il trucco, come camminare sui carboni ardenti!"

Poi andò verso l'uscita e si diresse verso la macchina che aveva rubato. Aprì la portiera e da fuori tolse il freno a mano. La splendida macchina si mosse lentamente verso il bordo della banchina e precipitò. Quando la gente si radunò per vedere i fari posteriori dell'Impala che si inabissavano, Dean era già lontano sul viale, con le mani in tasca.

"Credo di aver trovato una perla rara," mormorò allontanandosi. "Se non vinco, è colpa del diavolo."

Castiel e Jo, dopo aver fatto pace dopo la discussione in macchina, stavano tranquillamente cenando in uno stupendo locale, gestito dal suo amico Balthazar, sito di fronte alla baia,

quando il viso tranquillo del ragazzo si trasformò. Afferrò il polso dell'amica, sollevandola quasi di peso dalla sedia.

"Esci di qui, corri verso l'uscita!" Urlò Castiel.

Jo era paralizzata. Dagli altri tavoli, gli avventori sconvolti fissavano Castiel che urlava, guardandosi intorno, a caccia di una minaccia fantasma.

"Uscite tutti, fate più in fretta possibile e allontanatevi di qui, presto, muovetevi!"

La gente lo guardava esitando, e domandandosi il perché di uno scherzo di così cattivo gusto. Il gestore corse incontro a Castiel con le mani giunte in gesto di supplica, ma Castiel lo afferrò energicamente per le spalle e lo supplicò di fare evacuare la sala, senza indugiare oltre.

Lo scongiurò di avere fiducia in lui e poiché Castiel non aveva mai fatto scenata del genere si fidò e fece evacuare la sala. Mentre la sala si stava svuotando, Balthazar rimase al centro della sala che si stava svuotando, Castiel cercò di trascinarlo verso una delle uscite con lui, ma l'uomo oppose resistenza indicando Jo, pietrificata poco lontana da loro. Non si era mossa.

"Esco per ultimo," disse Balthazar nello stesso istante in cui l'aiuto cuoco correva fuori dalla cucina urlando.

Un'esplosione di una violenza inaudita squassò il locale.

Il monumentale lampadario si spostò per l'onda d'urto che aveva devastato la sala e cadde pesantemente a terra.

Il mobilio sembrava essere stato aspirato dalla vetrata i cui frammenti polverizzati si sparpagliarono al suolo. Migliaia di frammenti colorati piovvero sulle macerie. Il fumo acre che aveva invaso la sala da pranzo si alzò in spesse volute sulla facciata spalancata. Al boato che aveva accompagnato l cataclisma seguì un silenzio soffocante. Parcheggiato in strada, Dean chiuse il finestrino dell'auto nuova che aveva rubato solamente un'ora prima. Odiava la polvere e ancor di più che le cose non andassero come aveva previsto.

Castiel spinse via la pesante credenza che si era coricata su di lui. Guardò il disordine che regnava tutto intorno. Sotto lo scheletro del lampadario, ormai completamente distrutto, giaceva il proprietario del ristorante.

Cstiel si precipitò verso di lui. Balthazar si lamentava, stravolto dal dolore. Castiel lo pregò di tenere duro.

"Sei davvero inestimabile, Castiel." Sussurrò Balthazar. "Grazie di tutto, ma smettila di preoccuparti di me e cerca la tua amica."

L'angelo si guardò intorno ma non vide traccia di Jo né di altri corpi.

"Vicino alla porta sotto la piattaia," mormoro Balthazar.

"Come fai a saperlo?" Chiese Castiel mentre l'uomo stava lentamente morendo.

"Lo scoprirai tra un attimo." Il viso dell'uomo morente si rasserenò un'ultima volta e poi prima di morire sussurrò: "grazie per la fiducia."

Castiel accarezzò un'ultima volta la fronte di Balthazar , poi raggiunse la sua amica incosciente e aspettò accanto a lei fino a quando non furono raggiunti dai soccorsi.

Nel frattempo Dean che era rimasto fuori a guardare tutto, seguì con attenzione l'ambulanza che trasportavano Castiel e Jo.

"Se la caverà?"

Per la seconda volta in una sera la voce di Dean lo fece sobbalzare.

"Lo spero," rispose, squadrandolo da capo a piedi. "Ma chi è lei esattamente?"

"Dean, dispiaciuto e nello stesso tempo felice di conoscerla," disse tendendogli la mano.

Era la prima volta che Castiel sentiva la fatica abbandonarlo. Si alzò per dirigersi verso il distributore di caffè.

"Ne vuole uno anche lei?"

"Non bevo caffè," rispose Dean.

"Nemmeno io," disse, guardando la moneta che si rigirava in mano. "Che ci fa qui?"

"Quello che fa lei, sono venuto a vedere come vanno le cose."

"Perché?" Chiese Castiel rimettendo la moneta in tasca.

"Perché devo stendere un rapporto e, per il momento, nella casella vittime ho messo il numero 1. Così devo verificare se sia il caso oppure no di correggere l'informazione. Mi piace stillare i resoconti giornalmente, detesto essere in ritardo."

"E' quello che dico sempre anch'io."

"Avrebbe fatto bene ad accettare il mio invito a cena. Non saremmo qui!"

"Lei è privo di tatto."" Rispose indignato l'angelo.

"Non uscirà dalla sala operatoria che ha notte inoltrata, una forchetta per anatre fa dei danni seri se piantata in un filetto umano. Per ricucire ci vorranno delle ore, posso invitarla alla caffetteria qui di fronte?"

"No, certo che no!"

"E va bene, come vuole, aspetteremo qui, è meno accogliente ma se desidera così...che peccato!"

Erano seduti schiena contro schiena, sulle sedie della da d'attesa da più di un'ora quando il chirurgo apparve in fondo al corridoio e Castiel gli corse subito incontro per avere notizie di Jo.

Il dottore gli disse che Jo era fuori pericolo, l'arteria non era stata toccata. La radiografia aveva messo in evidenza un trauma cranico e due fratture non scomposte, una alla gamba destra e una al braccio sinistro. Ci sarebbe voluto un po' di tempo, ma Jo si sarebbe rimessa completamente. Castiel più tranquillo, prima di congedarsi, diede al dottore il suo numero di cellulare.

Uscendo, il moro passò di fronte a Dean, senza nemmeno guardarlo, gli comunicò che non c'era bisogno di rettificare il verbale. Sparì nella porta girevole. Dean lo raggiunse nel parcheggio deserto mentre cercava le chiavi.

"Se lei la smettesse di spaventarmi gliene sarei molto grato," disse.

"Credo che abbiamo cominciato male," esclamò Dean con voce suadente.

"Iniziato cosa?"

"Diciamo che qualche volta sono un po' tropo diretto, ma sono sinceramente contento che la sua amica stia bene."

"Almeno abbiamo condiviso qualcosa oggi, il che dimostra che tutto è possibile! Ora se lei fosse così gentile da lasciarmi aprire la portiera..."

"E se le offrissi di dividere un caffè?"

Castiel rimase senza parole.

"Brutta scelta!" Proseguì Dean. "Lei non beve e neppure io! Magari un tè? Qui di fronte c'è un bar specializzato."

"Mi spiega perché a così tanta voglia di dissetarsi in mia compagnia?"

"Perché sono appena arrivato in città e non conosco nessuno. E non mi interessa bere, voglio solo conoscerla meglio. Le ho detto la verità. Sarebbe carino da parte sua accettare."

Castiel guardò l'orologio esitante. Sorrise e accettò l'invito. Attraversarono la strada ed entrarono nel bar.

Il piccolo locale era molto tranquillo e carino. Si sedettero di fronte alla vetrata ed pordinarono. Castiel non mangiava ma guardava Dean, perplesso. Aveva ingurgitato sette dolci in meno di dieci minuti.

"Tra i peccati capitali la gola non la spaventa a quel che vedo!"

"La storia dei peccati è così ridicola...

Rispose lui succhiandosi le dita, "roba da eremiti. Una giornata senza dolci è peggio di una giornata di bel tempo!"

"Non le piace il sole?" Domandò Castiel stupito.

"Ma certo! Scottature, cancro alla pelle, gli uomini che crepano di caldo strangolati dalle cravatte, le donne terrorizzate all'idea che il trucco si sciolga per colpa dei condizionatori che alimentano il buco nell'ozono. Ah, no mi scusi! Il sole non è proprio l'invenzione di chi crediamo noi."

"Lei ha uno strano concetto delle cose."

Castiel si interessò con più attenzione agli argomenti di Dean quando questo disse con voce grave che bisognava essere onesti quando si definivano il male e il bene. L'ordine dei termini incuriosì Castiel. Più volte Dean aveva detto il male prima del bene...mentre di solito la gente faceva il contrario.

A Castiel venne in mente che potesse essere l'Angelo Verificatore venuto a controllare il buon svolgimento della missione. E più Dean parlava più l'ipotesi sembrava verosimile, tanto era provocatorio. Sul finire del decimo dolce, a bocca piena, annunciò che avrebbe voluto rivederlo. Castiel sorrise.

Il biondo pagò e uscirono dal locale. Arrivati al parcheggio Dean alzò la testa.

"Fa fresco, ma c'è un cielo meraviglioso, non trova?"

Castiel aveva accettato un invito a cena per il giorno dopo. Se, per qualche strano gioco del destino lavoravano per la stessa agenzia, colui che era venuto a testarlo avrebbe avuto quello che desiderava. Contava di darsi alla pazza gioia.

Castiel prese l'auto e rientrò.

Parcheggio di fronte a casa e fece attenzione a non fare rumore mentre saliva i gradini. Non c'era luce in entrata e la porta di Anna Milton era chiusa.

Prima di entrare alzò gli occhi, in cielo non c'erano né nuvole né stelle.

E fu sera e fu mattino...

Continua...

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Capitolo 2
*** Secondo giorno ***


Fandom: Supernatural.

Pairing: Castiel/Dean

Rating: Giallo.

Charapter: 2/8.

Beta: waytotheend

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico, Malinconico, AU.

Warning: Sesso descrittivo, Slash, descrizioni macabre, linguaggio abbastanza forte.

Words: 5362

Summary: uno è diabolicamente astuto e terribilmente affascinante. L'altro è divinamente bello e altruista. I loro Capi li metto l'uno contro l'altro. La posta in gioco? Il destino dell'umanità...

Desclamers: Questa storia è stata scritta basandosi sullo stupendo libro di Marc Levy "Sette giorni per l'eternità". I personaggi che utilizzo non appartengono a me, ma al telefilm Supernatural, ai suoi autori e a tutti gli aventi diritti. Io non ricavo nulla da questo.

Note: è la prima storia in assoluto che scrivo su Supernatural e spero di non fare un completo disastro. Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di ortografia. Ogni commento sarà estremamente gradito e sono ben accette anche le critiche, purché costruttive.

Dedica: Ringrazio la mia sorellina per spronarmi continuamente a scrivere e il mio fratellino per essere il mio sostegno continuo. Questa storia la dedico a voi due, che siete le mie rocce.

Sette giorni per l'eternità

Secondo giorno

Jo si era svegliata all'alba. Durante la notte era stata trasferita in una camera già impregnata di noia. Da quando era riuscita ad uscire dal tunnel della droga, grazie all'aiuto indispensabile di Castiel che lei chiamava angelo custode, l'iperattività era stato l'unico rimedio che aveva avuto per non correre il rischio di ricaderci. Il neon che crepitava sopra la sua testa le faceva ricordare le lunghe ore trascorse a lottare contro il mostro dell'astinenza che a poco a poco sembrava sempre volerla divorare.

A questo pensava, quando Castiel spinse la porta della camera.

"Giusto in tempo,"disse appoggiando un mazzo di iris sul tavolino da notte.

"Per cosa?" domandò Jo.

"Entrando ho visto il tuo volto, il meteo del tuo morale stava volgendo al variabile, tendente a pioggia."

"Non è niente, solo vecchi ricordi."

"Ricordi tristi, vero?" chiese l'amico preoccupato.

"Un po', ma passerà presto," rispose la ragazza con un sorriso.

"Bene, sono contento. Adesso vado a chiedere alle infermiere un vaso."

"Resta con me," disse la bionda con voce molto flebile.

"Gli iris hanno bisogno d'acqua per sopravvivere. Non muoverti, torno subito."

Castiel ritornò in poco tempo, nella stanza, con un secchio pieno d'acqua. Lo posò vicino al comodino e poi ci mise dentro il mazzo di fiori. Poi prese una sedia e si sedette vicino al capezzale della sua amica e sorridendole le disse, "E' tutto quello che hanno, ma non è un problema, non sono dei fiori snob."

"Sono quelli che preferisco."

"Lo so," rispose Castiel, mentre sistemava meglio i fiori nel secchio. Quando ebbe finito si girò di nuovo verso l'amica e osservò la sua gamba e il suo braccio ingessati. Jo incrociò il suo sguardo.

"Non sono stata molto fortunata,vero?" disse la ragazza con voce leggera. "Ma cosa è successo esattamente? Non ricordo praticamente nulla. Mentre stava parlando ti sei alzato, io no, e poi un immenso buco nero."

"E' stata solo una fuga di gas nella controsoffittatura. Quanto tempo devi stare qui?"

I medici avrebbero fatto tornare Jo a casa anche il giorno dopo, ma non aveva nessuno che la potesse aiutare e nello stato in cui si trovava non era autonoma.

Quando Castiel si preparò ad andarsene, l'amica tentò di fermarlo.

"Non lasciarmi qui da sola, ti prego. Questo odore di disinfettante mi fa impazzire. Ho il terrore di ricascarci e non sono abbastanza forte per riprendermi di nuovo. So di essere solo un peso per te, ma ti prego, Castiel, portami via da qui, ora."

Castiel tornò al capezzale di Jo e le accarezzò la fronte per far calmare un po' il dolore che tanto l'agitava. Promise di fare del suo meglio per trovare una soluzione al più presto e le disse che sarebbe ripassato verso sera.

Uscendo dall'ospedale l'angelo si diresse verso il porto, avrebbe avuto una giornata piena. Il tempo trascorreva veloce e lui doveva portare a termine la missione e aveva qualche protetto che non poteva permettersi di abbandonare. Andò a trovare un suo amico vagabondo, Adam, un ragazzo con tantissimi problemi che un giorno aveva deciso di lasciare la sua tranquilla vita per cominciare a vagare per l'America e che senza sapere come, era arrivato all'arco numero 13 della banchina 46 e lì aveva stabilito la sua dimora. E nonostante i continui tentativi di Castiel di portarlo in un luogo migliore, Adam non aveva mai voluto lasciare il porto.

Castiel vide la cicatrice che fuoriusciva dallo strappo del pantalone logoro del suo amico. "Adam, devi farti medicare la gamba!"

"Non ricominciare per cortesia, la mia gamba va benissimo così com'è."

"Se la ferita non verrà pulita, andrà in cancrena in meno di una settimana e tu questo lo sai."

"Ho passato di peggio e tu lo sai e se anche morissi, che avrei da perdere? A volte penso che sarebbe la cosa migliore che mi potesse capitare."

"Chi ti mette in testa queste idee così stupide?" chiese Castiel indignato.

"Nessuno, ma c'è un ragazzo che gira da queste parti che è perfettamente d'accordo con me. Mi piace parlare con lui è un buon ascoltatore e poi ha una giacca di pelle davvero fica. Io gli parlo del bene e lui ribatte i miei discorsi parlando del male. Barattiamo un po' e così io mi distraggo."

Adam non aveva una casa, ne qualcuno da odiare, nessuno che gli portasse del cibo e nemmeno delle sbarre da segare. La sua condizione era peggiore di quella di un prigioniero. Sognare qualcosa, qualsiasi cosa, può essere un lusso quando si lotta ogni giorno per la propria sopravvivenza.

"Ti porto in ospedale!"

"Pensavo che lavorassi per la sicurezza, non per l'esercito della salvezza!"

Castiel cercò con tutte le sue forze di convincere Adam ad andare da un dottore, ma lui non voleva proprio saperne. Poi, dopo molta insistenza, Castiel riuscì a convincere il giovane barbone a salire nella sua macchina e a farsi portare in ospedale.

Dopo aver affidato il passeggero alle cure dei medici, Castiel ritornò verso il porto. Svoltò per andare a trovare Miss Milton perché doveva chiederle un grosso favore. La trovò sulla soglia di casa. Anna, infatti, doveva fare delle commissioni, ma la sua fobia del mondo rendeva il tutto molto difficile. Quindi fu molto felice di vedere Castiel e di andare con lui.

Strada facendo Castiel parlò con Anna che accettò di ospitare Jo per tutto il periodo della convalescenza. Ora, però, era necessario trovare un modo per portare la ragazza infortunata fino al primo piano e ci volevano anche qualcuno che aiutasse Castiel a recuperare il letto di ferro dal solaio.

Comodamente seduto al bar '666' di Market Street, Dean scarabocchiava su un fazzoletto di carta qualche calcolo, mentre ripensava a quanto fosse stato facile, per lui che era uno specialista dell'inventarsi nuove identità, prendere possesso dell'impiego all'interno del più importante gruppo immobiliare della California.

Stava inzuppando nella cioccolata calda il settimo cornetto alla crema che era gustoso quasi quanto il suo deplorevole piano machiavellico mentre si dilettava anche con l'appassionante racconto su come si fosse formata la Silicon Valley.

La sera prima, nella sua camera dall'albergo, era stato folgorato dalla lettura dell'articolo sul San Francisco Chronicle a proposito del gruppo immobiliare Metropolis*, la figura grassa e untuosa del vicepresidente si offriva senza ritegno all'obiettivo del fotografo. Zaccaria Smith eccelleva nell'arte di pavoneggiarsi nelle interviste e conferenze stampe, vantando senza tregua l'apporto incommensurabi8le che la sua agenzia aveva portato allo sviluppo dell'intero Stato.

Proprio per fare pubblicità alla Metropoolis che Mr Smith si recò all'annuale apertura ufficiale della pesca al granchio. Ed è proprio lì che Dean lo aveva incontrato e l'elenco impressionante di nomi influenti con i quali il demone aveva riempito la conversazione, gli era valso l'importante ruolo di consigliere alla vicepresidenza, creato sul momento apposta per lui. Ed entrò la fine della mattinata Zaccaria lo avrebbe presentato al suo socio, Uriel Vandier, il presidente del gruppo.

Dean esitò un momento prima di rinunciare all'ottavo cornetto e, allora, fece scoccare le dita per ordinare un'altra deliziosa cioccolata. Rosicchiando la stilografica dorata, esaminò con attenzione i fogli che gli aveva consegnato Smith e continuò a riflettere. Le statistiche che era riuscito ad ottenere erano estremamente eloquenti.

Alla fine, dopo aver optato per un delizioso pasticcino alla nocciola, concluse che fosse impossibile affittare, vendere o acquistare qualsiasi immobile o pezzo di terreno in tutta la valle senza avere a che fare con il gruppo che lo aveva assunto. L'opuscolo immobiliare e il suo ineffabile slogan 'L'immobiliare intelligente' gli avrebbe permesso di mettere in atto tutti i suoi diabolici piani.

La Metropolis era un'entità con due teste e il tallo d'Achille si trovava proprio nell'unione dei due colli dell'idra. Bastava semplicemente che i due cervelli dell'agenzia inspirassero la stessa area per soffocarsi a vicenda. Se Zaccaria e Uriel si fossero contesi il timone del comando, il gruppo non avrebbe tardato ad andare inevitabilmente alla deriva.

L'improvviso naufragio di un'agenzia tanto importante come la Metropolis, avrebbe acceso presto gli appetiti dei grandi imprenditori californiani, causando una imponente destabilizzazione del mercato immobiliare in cui gli affitti era il pilastro dell'intera realtà economica. Le reazioni delle piazze finanziarie non si sarebbe fatte attendere e le imprese della regione sarebbero state, inevitabilmente, asfissiate.

Dean riesaminò con attenzione i dati in modo da poter formulare un'ipotesi molto accurata. Per il momento, la più probabile era che un gran numero di imprese non sarebbero riuscite a sopravvivere all'aumento degli affitti e al contemporaneo calo delle quotazioni.

I calcoli del demone, a voler essere pessimisti, lasciavano prevedere che almeno ottomila persone avrebbero perso il posto di lavoro ed era una cifra sufficiente a fare implodere l'economia di tutta la regione provocare la più bella ed eccitante embolia che si potesse immaginare, quella del polmone informatico del mondo.

Gli ambienti finanziari, per proteggersi, avrebbero avuto solamente bisogno di una costante cautela. E tutto questo avrebbe portato all'inevitabile conseguenza che tutti gli allettanti miliardi, che ogni giorno, si giocavano a Wall Street sul mercato dell'alta tecnologia si sarebbero volatilizzati in poche settimane, infliggendo, così, Zaccaria Smith, , un mortale infarto al cuore del paese.

"C'è qualcosa di buono nella globalizzazione!" disse Dean alla cameriera che gli stava servendo la terza cioccolata calda.

"Perché?" Chiese la donna dubbiosa, ma Dean non le rispose poiché aveva già ripreso il corso dei suo catastrofici pensieri.

Poiché una teoria fisica affermava che un semplice battito di farfalla poteva creare un devastante ciclone, il biondo avrebbe dimostrato che lo stesso teorema poteva essere efficacemente applicato all'economia. La crisi americana non avrebbe tardato a propagarsi per tutta l'Europa e poi in Asia. E per il demone, la Metropolis sarebbe stata la farfalla, Zaccaria Smith il battito d'ali e il deposito merci del porto della città sarebbe stato il teatro della sua trionfante ed inevitabile vittoria.

Dopo aver gettato tutti i fazzoletti sporchi nel cestino, Dean uscì dal caffè e girò dietro al palazzo. In strada trovò parcheggiata una splendida porche nera elettrico alla quale forzò la serratura. Quando arrivò di fronte al guardiano dei suoi nuovi uffici, gli fece segno di aspettare mentre faceva finta di parlare con un interlocutore immaginare a cui confidò che di aver sorpreso Zaccaria Smith a dire a una giornalista che lui era la vera testa del gruppo e il suo socio era solo le gambe! Dean scoppiò a ridere, aprì il finestrino e porse le chiavi al ragazzo e poi se ne andò sicuro che la sua mossa fosse andata bene a segno. Dopo il demone si sarebbe recato al porto per parcheggi8are la sua aiuto nuova in un posto tranquillo.

Castiel aveva accompagnato Anna a fare compre e poi la riportò a casa e le promise che sarebbe tornato entro due ore a controllare che tutto fosse a posto. Aveva giusto il tempo di tenere la sua lezione settimanale di letteratura inglese al centro di formazione per non vedenti. Gli allievi si erano già alzati quando il moro attraversò la soglia.

"Senza complimenti, per favore, in questa classe sono io il più giovane!"

L'assemblea aveva eseguito prontamente con un gran mormorio, Castiel ricominciò la lezione da dove l'aveva interrotta l'ultima volta. Poi aprì il libro in braille e cominciò a leggere quella scrittura che adorava per la sua insolita caratteristica di rivelarsi solo sotto la punta delle dita e dove le frasi e interi testi prendevano vita nell'incavo della sua mano.

Al suono della campana, aveva finito la lezione e dato appuntamento agli studenti per la settimana successiva. Aveva ripreso l'auto ed era andato da Anna per tranquillizzarla. Poi aveva di nuovo attraversato la città per riaccompagnare Adam dall'ospedale al porto.

"Hai l'aria preoccupata," disse il vagabondo.

"No, sono solo pieno di cose da fare."

"Sei sempre impegnato, avanti ti ascolto."

"Adam, ho raccolto una strana sfida. Se tu dovessi fare qualcosa di incredibilmente buono, qualcosa che fosse in grado di cambiare il corso del mondo, che cosa sceglieresti di fare?"

"Se fossi un ragazzo utopista e credessi che i miracoli possono accadere, ti dico che cancellerei la fame nel mondo, annienterei tutte le malattie, farei in modo che nessun animale potesse più attentare alla dignità dei bambini, riconcilierei tutte le religioni, soffierei un forte vento di tolleranza su tutte le popolazione della terra e credo che farei sparire la terribile piaga della povertà. Ecco, si, se fossi Dio, farei tutto questo!"

"Ma ti sei mai chiesto perché invece Lui non lo fa?"

"Lo sai meglio di me, Castiel. Non dipende dalla sua volontà, ma da quella degli uomini a cui affidato la terra. Non esiste un bene immenso che si possa fare vedere, semplicemente perché, a differenza del male, il bene è invisibile. Non si può calcolare, né si può raccontare senza togliergli eleganza e senso. Il bene è fatto da una miriade di piccole azioni, che sommate tra loro, un giorno tra molto tempo, probabilmente riusciranno a cambiare il mondo. Se non mi credi, prova a chiedere a qualcuno dieci nomi di persone che hanno migliorato il mondo e, sono sicuro, che risponderanno con difficoltà. Se invece gli chiedi i nomi di altrettanti dittatori, sapranno rispondere senza nessuna esitazione. Inoltre, pensa, anche, al fatto che tutti conoscono nomi delle malattie, ma pochi quelle delle cure. Il punto culmine del male di cui tutti temono l'avvento non è altro che la fine del mondo, ma sembra che tutti quanti ignorano che l'apice del bene ha già avuto luogo nel giorno della Creazione."

"Ma allora, Adam tu che cosa faresti per realizzare il bene?"

"Tutto quello che fai tu! Darei alle persone che mi sono vicine la speranza. E tu Castiel senza saperlo, prima hai fatto per me una cosa meravigliosa."

"Che cosa avrei fatto?"

"Passando di fronte al mio arco mi hai sorriso. Dopo un po' tutte le persone che passano da queste parti mi guardano con aria arrabbiata e con disgusto. E quando se ne vanno io li guardo sempre imitando il tuo sorriso e loro se ne vanno ricambiando il sorriso. Con un po' di fortuna lo avranno trasmesso a tutte le persone che gli sono vicine. Capisci l'importanza di ciò che hai fatto? Hai inventato una specie di vaccino contro l'istante di infelicità. Se tutti lo facessero anche solo una volta al giorno, regalare un sorriso, immagini che incredibile contagio di buon umore si espanderebbe sulla terra? Allora, vinceresti la tua sfida."

Dopo aver detto queste parole incredibilmente sagge per un ragazzo di appena vent'anni, il vagabondo tossì. "Va be', ti ho detto di non essere un utopista. Quindi mi accontenterò di ringraziarti per avermi fatto curare e per avermi riportato a casa."

Adam scese dall'auto e si diresse al suo solito posto e voltandosi fece un cenno a Castìel con la mano.

"Qualunque domanda tu ti ponga, fidati del tuo istinto e continua a fare ciò che fai."

Castiel lo guardò perplesso.

"Adam, che cosa facevi prima di arrivare qui?"

Ma il ragazzo sparì sotto l'arco senza rispondergli.

Castiel, dato che era l'ora del pranzo, andò al Fish's Dinner sicuro che John si trovasse lì. Quando lo trovò, il caposquadra non aveva ancora toccato il piatto e l'angelo ne approfittò per chiedergli un favore.

"Non mangia la sua cotoletta?"

John si sporse e gli sussurrò: "quando non c'è Jo, il cibo non ha sapore."

"Ecco, infatti sono venuto a parlarle proprio di lei."

Castiel uscì dal porto una mezz'ora più tardi in compagnia del caposquadra e di quattro portuali. Passando davanti all'arco numero 13 si fermò di colpo. Aveva riconosciuto l'uomo vestito di nero che fumava una sigaretta vicino ad Adam. I due scaricatori che erano seduti con lui nell'auto e anche quelli che lo seguivano su un pick-up gli domandarono per quale motivo avesse frenato così bruscamente. Castiel accelerò senza rispondere e corse via verso l'ospedale.

Castìel aveva organizzato l'uscita anticipata di Jo. La ragazza firmò il certificato di dimissioni e dopo che ebbe raccolto tutte le sue cose, con la aiuto dell'angelo, entrò nella pick-up e i due insieme ai portuali si diressero verso la dimora Milton.

Giunti lì i portuali trasportarono il letto metallico dalla soffitta fino al salotto di Castiel. John lo spinse fino alla finestra e sistemò il tavolino in modo che fungesse da comodino. Quindi iniziò la lenta discesa di Jo, che gli uomini trasportarono fino al piano sotto l'occhio vigile di John.

Quando Jo fu adagiata sul letto, il moro per ringraziare gli uomini che li avevano aiutati li invitò al pranzo a casa sua, ma loro declinarono gentilmente l'invito e lo pregarono di riportarli al porto.

Dopo aver lasciato il porto, Dean si diresse all'agenzia Metropolis per partecipare ad importante riunione al termine della quale avrebbe saputo con certezza se le cose stavano andando come si immaginava.

E alla fine il biondo fu molto felice di come erano andate le cose. Infatti il vice presidente era riuscito a seminare uno scompiglio senza precedenti tra i dirigenti del gruppo e la confusione non avrebbe di certo tardato a propagarsi nei piani bassi.

Inoltre, la cosa che più rendeva il demone euforico era che, la sera stessa, Zaccaria avrebbe avuto un incontro con una giornalista che doveva scrivere un articolo su di lui per un importante quotidiano e aveva fissato l'appuntamento senza avvertire il suo più fidato collaboratore. E tutto questo non avrebbe fatto altro che incrementare le voci che già circolavano sul conto di Mr. Smith.

Infine, le cose andarono ancora meglio per Dean quando il suo nuovo capo gli chiese la cortesia di andare all'appuntamento con la giornalista al suo posto, poiché lui aveva un impegno improvviso al quale non poteva mancare.

E Dean, non volendo certo sprecare questo incredibile colpo di fortuna, decise che si sarebbe presentato alle 21 al lussuoso ristorante 'Medusa' per poter portare al passo successivo il suo diabolico piano.

Dopo che Castiel riuscì a portare a termine tutti i suoi impegni ritornò a casa per vedere se Jo e Anna stavano bene. E mentre stavano tranquillamente bevendo unte e mangiando qualche biscotti, qualcuno, all'improvviso, suonò al campanello.

Il ragazzo andò ad aprire e si trovò di fronte un fattorino che gli consegnò uno stupendo mazzo di ortensie. L'angelo prese il mazzo e vide che aveva un biglietto, lo prese e cominciò a leggerlo:

Con mio immenso rammarico, uno spiacevole e irrimandabile imprevisto mi obbliga a dover rinviare la nostra cena di questa sera. Per farmi perdonare, di questa mia irrispettosa mancanza, le do appuntamento alle 19:30 al bar 'il timone' di Hide Street per un aperitivo. La prego di venire, perché la sua compagnia mi è indispensabile.

Il biglietto era firmato Dean. Castiel lo accartocciò e lo gettò nell'immondizia. Poi tornò in salotto.

"Allora chi era?" Chiese Jo.

Castiel ignorò la domanda dell'amica, gettò i fiori sul tavolino e si diresse verso l'armadio. S'infilo un maglione bianco e un paio di jeans, , afferrò le chiavi che erano sul tavolino in entrata e, prima di uscire, si voltò verso Anna e Jo dicendo loro che era felice che stessero diventando amiche, che in cucina c'era tutto l'occorrente per preparare un buona cena e che lui aveva da fare e sarebbe rientrato tardi. Fece un inchinino un po' forzato e uscì.

Le due donne sentirono un"buona serata" glaciale provenire dalla tromba delle scale, prima che la porta d'ingresso si chiudesse.

Il rumore della Ford sparì qualche istante dopo. Jo guardò Anna senza riuscire a trattenere un sorriso.

"Crede che si sia offeso?"

"Tu hai mai ricevuto un'ortensia?" Chiese la Milton.

Nel frattempo, Castiel guidava a strappi, accese la radio e borbottò.

"Quindi mi ha preso per frigido!"

All'incrocio della Terza Avenue colpì rabbiosamente il volante, azionando il clacson senza volerlo. Un pedone gli fece segno che il semaforo era ancora rosso. Castiel sporse la testa dal finestrino e gli urlò:

"Mi spiace ma i frigidi non prestano attenzione!"

Svoltò a tutta velocità in direzione delle banchine.

"Uno spiacevole e irrimediabile imprevisto!" brontolò, "ma chi si crede di essere!"

Non appena Castiel arrivò alla banchina numero 46, il custode uscì dalla guardiola. Aveva un messaggio per lui da parte di John che voleva vederlo urgentemente. Guardò l'orologio e marciò verso la direzione. Entrando nella stanza, l'espressione di John gli suggerì che era successo qualcosa di grave. Infatti lui gli confermò che uno stivatore di nome Rufus era caduto, forse a causa di una scala difettosa, e si era gravemente ferito.

Castiel non era in servizio al momento dell'incidente, ma non per questo si sentiva meno responsabile. Dal momento del dramma era nata una forte tensione tra tutti gli uomini del porto e non si era più fermata. Per raffreddare gli animi John aveva promesso di mettere sotto sequestro l'imbarcazione dove era avvenuto l'incidente e, inoltre, avrebbe fatto partire un'inchiesta per accertare le cause di ciò che era avvenuto. Nell'attesa, per cercare di sventare la concreta minaccia di uno sciopero, John aveva invitato a cena per la sera stessa i tre capi di sezione del sindacato dei portuali. Con aria seria l'uomo scarabocchiò l'indirizzo del ristorante su un pezzetto di carta che strappò dal bloc-notes.

"Sarebbe bello se potessi unirti a noi, ho prenotato per nove."

Porse il foglio a Castiel e poi lo congedò.

Dopo che ebbe raggiunto la sua macchina, Castiel tentò di metterla in moto, ma lei non collaborò. Allora l'angelo scese sbattendo la portiera con violenza e si diresse verso la guardiola. Un quarto d'ora dopo un taxi lo lasciò all'entrata del 'Timone' e lui salì di corsa i gradini dell'ingresso.

All'interno decise di voler dirigersi al tavolo di fronte alla vetrata in modo da poter guardare fuori, ma quel posto era già occupato da Dean.

Il biondo chiuse la carta dei cocktail e chiamò il cameriere schioccando le dita. Il moro chinò la testa e il demone sputò il nocciolo che stava facendo meticolosamente rigirare sulla lingua.

"Hanno dei prezzi assurdi, ma ne vale la pena." Disse mangiando un'altra oliva.

"Si, ha ragione." Rispose Castiel sedendosi.

Dean tirò fuori la lingua e incrociò gli occhi cercando di vederne la punta, prese il nocciolo ripulito, lo abbandonò su una coppetta e concluse: "fa buio non è vero?"

il cameriere posò con una mano tremante sul tavolino un Martini Dry con due cocktail di gamberi e se ne andò di fretta.

"Non le sembra un po' teso?" Chiese il moro indicando il cameriere che fuggiva via.

Dean lo aveva aspettato per dieci minuti e quando era arrivato lo aveva pesantemente rimproverato.

"Mi creda, visti i prezzi, si ha tutto il diritto di essere esigenti!"

"Immagino che lei abbia una carta di credito oro," rispose pronto l'angelo.

"Certamente! Come fa a saperlo?" Chiese il demone con aria stupita e lusingata allo stesso tempo.

"Di solito rendono arroganti. E lei l'ho è moltissimo. E mi creda il costo dei drink non è di certo commisurato allo stipendio dei camerieri."

"In effetti è un punto di vista," accusò il colpo Dean masticando l'ennesima oliva.

Da quel momento, ogni volta che il cameriere gli portava qualcosa si preoccupava di dire grazie e quando lo faceva sembrava che qualcosa gli bruciasse la gola.

Allora, Castiel si preoccupò che non si sentisse bene e lui scoppiò a ridere. Andava tutto per il meglio, nel migliore dei modi possibili e Castiel era felice di averlo incontrato. Diciassette olive più tardi, pagò il conto senza lasciare la mancia. Uscendo dal locale, Castiel fece scivolare con discrezione una banconota da cinque dollari nella mano del ragazzo che era andato a recuperare la macchina di Dean.

"Dove l'accompagno?" Chiese il biondo.

"No grazie, prendo un taxi."

Con un gesto teatrale Dean aprì la portiera dalla parte del passeggero.

"Salga, l'accompagno!"

La porche correva veloce. Il demone fece rombare il motore e con un sorriso stupendo sulle labbra prese la carta di credito Platino dal taschino e la sventolò.

"Certamente, riconoscerà che non hanno imperfezioni!"

Castiel lo osservò per qualche secondo e poi gli sfilò di mano velocemente il pezzo di plasrica e lo gettò fuori dalla finestra e disse: "sembra addirittura che le rifacciano in ventiquattro ore!"

L'auto frenò bruscamente provocando lo stridere dei pneumatici, Dean scoppiò a ridere.

"Il tuo senso dell'umorismo è irresistibile!"

Quando arrivarono davanti alla stazione dei taxi, Castiel scese chiudendo con delicatezza la portiera.

"E' sicuro che non vuole che la riaccompagni a casa?"

"La ringrazio, ma ho un appuntamento." Disse il moro e poi cominciò ad indietreggiare, ma il biondo gli prese il polso.

"Ho trascorso una serata incantevole."

Il demone lo pregò di accettare un nuovo invito a cena, perché desiderava conoscerlo meglio.

Nel tono che aveva usato c'era del fascino e, allora, accettò di pranzare con lui, niente di più. Poi si girò e andò a prendere un taxi che l'avrebbe portato alla cena di lavoro.

Il taxi si fermò lungo il marciapiede di fronte al 'Medusa' e Castiel, puntualissimo, entrò nel locale. Richiuse il menù che restituì alla cameriera e bevve un sorso d'acqua, deciso ad entrare nel vivo della discussione ed a trovare una soluzione accettabile per tutti ed evitare che scoppiasse uno sciopero che avrebbe portato ad un terribile blocco delle imprese di noleggio.

"Anche se voi sostenete che i dipendenti non riusciranno a resistere per più di una settimana senza paga. Se si ferma l'attività, anche solo per poco tempo, i cargo non faranno altro che ormeggiare dall'altra parte della baia. E in questo modo il porto morirebbe. E tutto questo è già successo a New York e a Baltimora, può succedere anche a noi." Disse Castiel deciso.

"Non crede di esagerare?" Domandò John scettico.

"Questa è la teoria del battito di ali di farfalla," insistette Castiel.

"Che centrano adesso le farfalle?" Domandò John.

L'uomo con la giacca scura che cenava al tavolo dietro di loro si voltò per intervenire nella discussione e il sangue nelle vene di Castiel si gelò quando vide che l'uomo era Dean.

"Si tratta di un principio geofisico che afferma che il movimento di ali di una farfalla in Asia possa generare ripercussione dopo ripercussione, un tornado in grado di devastare le coste della Florida.

I delegati sindacali dubbiosi delle parole dell'uomo, si guardarono l'un l'altro in silenzio. E John rispose: "Allora quando siamo andati in Vietnam avremmo dovuto uccidere tutti i bruchi, almeno non ci saremmo andati inutilmente."

Il biondo li salutò e poi si voltò verso la giornalista che lo stava intervistando. Il volto di Castiel divenne tanto rosso da far preoccupare gli altri che stesse male. Il moro, dopo che ebbe pregato i suoi commensali di pensare a fondo prima di prendere una decisione, si alzò per andare via e mentre passava accanto al tavolo di Dean si sporse verso la donna che lo stava intervistando e, fissandola dritta negli occhi.

"Deve essere molto simpatica perché le lasci il posto di fronte al panorama! Sarà perché ha dei lunghi capelli mori! Auguro a entrambi una meravigliosa serata professionale!" Detto questo Castiel si diresse verso il guardaroba con passo deciso. Dean si precipitò dietro di lui e, afferrandolo per un braccio, lo forzò a voltarsi.

"Che le è preso?"

"Niente, assolutamente niente. Vi ho semplicemente augurato di passare una buona serata 'professionale'"

"E' una giornalista."

"Si anch'io lo sono, solitamente la domenica mattina quando ho il tempo di trascrivere sul mio diario le cose interessanti che mi capitano durante la settimana."

"Lisa è davvero una giornalista!"

"E il governo deve essere molto occupato a parlare con Lisa in questo momento!"

"Certo, e non parli forte altrimenti la mia copertura salterà."

"Quella del giornale, suppongo?"

"La mia, accidenti!"

"Ho che notizia incredibile! Ho incontrato il cugino scemo di James Bond è non lo sapevo neppure. Devo subito correre da tutti i miei amici e raccontare l'incontro straordinario di cui sono stato partecipe!"

"La smetta, adesso! A quello che ho potuto vedere neanche lei era a cena con degli amici!"

"Affascinante, lei è davvero affascinante. Come la sua ospite del resto," disse Castiel. "Ha una dolcissima testolina su un perfetto collo e di certo non sembra essere frigida, come qualcuno potrebbe, erroneamente ci tengo a sottolinearlo, pensare di me!"

"C'è forse qualche riferimento ai fiori che le ho mandato? Non le sono piaciuti?"

"Ma al contrario! Mi sono sentito profondamente lusingato ad essere sottilmente definito frigido! Ma lasci perdere le mie folli farneticazioni e vada dalla sua ospite. Dovrebbe sapere che una donna non ama restare da sola ad una tavolo di ristorante ad aspettare il suo accompagnatore!" Detto questo il moro si girò e lasciò il ristorante senza voltarsi indietro. Dean alzò le spalle e tornò dalla sua accompagnatrice per poter andare avanti con il suo progetto.

Castiel salì i gradini di casa silenziosamente perché era molto tardi e la porta di Anna era già chiusa. Ma quando entrò in casa vide che Mrs Milton era rimasta a vegliare sul sonno di Jo e appena lo vide si alzò e gli fece segno di seguirla. Una volta giunti nella cucina la donna gli chiese:

"Ti piace quest'uomo, vero?"

"Chi?"

"Non fare lo sciocco! L'uomo che ti ha mandato i fiori!"

"Abbiamo solo bevuto un drink insieme, nient'altro. Perché?"

"Perché non mi piace!" Esclamò la donna.

"Le assicurò che non piace neanche a me. E' un essere terribilmente odioso!"

"Allora, quello che dico è vero!"

"Ma no, assolutamente no. E' presuntuoso, arrogante, pieno di sé e volgare."

"O mio dio! Tu sei già innamorato!" Esclamò Anna alzando le braccia al cielo.

"Ma non dica assurdità!"

"Saranno pure assurdità, ma il mio istinto di donna mi dice che tu sei innamorato e che la persona che ami è malvagia. Ti prego, Castiel, promettimi solo di stare attento"

"Va bene, prometto, starò attento. Ma adesso vada a letto che è tardi."

"Si, va bene, ma ricordati le mie parole." Rispose Anna prima di congedarsi per la notte seguito, poco dopo, dal moro che si diresse nella sua camera.

Le due coppe di Champagne tintinnarono in un gentile tintinnio di cristalli. Dean, comodamente seduto del divano della sua camera, guardava Lisa bere. Con voce incredibilmente suadente ed affascinante lui le confessò di essere geloso dell'alcolico liquido che le lambiva le splendide labbra. Lei, allora, cominciò a passare, giocosamente, la sua lingua sulle labbra e, allora, quella del biondo scivolò sulle labbra della donna, prima di decidere di avventurarsi oltre, decisamente molto oltre.

Castiel, giunto nella sua camera da letto prima di coricarsi, decise di non accendere la luce. Attraversò la stanza nella penombra e giunse alla finestra che aprì lentamente. Si sedette sul davanzale e cominciò a guardare il panorama per poteri rilassare. In cielo non brillava nessuna stella.

E fu sera e fu mattino...

Continua...

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Capitolo 3
*** Terzo giorno ***


Fandom: Supernatural.

Pairing: Castiel/Dean

Rating: Giallo.

Charapter: 3/8.

Beta: waytotheend

Genere: Angst, Introspettivo, Romantico, Malinconico, AU.

Warning: Sesso descrittivo, Slash, descrizioni macabre, linguaggio abbastanza forte.

Words: 5785

Summary: uno è diabolicamente astuto e terribilmente affascinante. L'altro è divinamente bello e altruista. I loro Capi li metto l'uno contro l'altro. La posta in gioco? Il destino dell'umanità.....

Desclamers: Questa storia è stata scritta basandosi sullo stupendo libro di Marc Levy “Sette giorni per l'eternità”. I personaggi che utilizzo non appartengono a me, ma al telefilm Supernatural, ai suoi autori e a tutti gli aventi diritti. Io non ricavo nulla da questo.

Note: è la prima storia in assoluto che scrivo su Supernatural e spero di non fare un completo disastro. Chiedo scusa in anticipo per eventuali errori di ortografia. Ogni commento sarà estremamente gradito e sono ben accette anche le critiche, purché costruttive.

Dedica: Ringrazio la mia sorellina per spronarmi continuamente a scrivere e il mio fratellino per essere il mio sostegno continuo. Questa storia la dedico a voi due, che siete le mie rocce.

N.B: Chiedo infinitamente scusa per non aver aggiornato per tanto tempo, ma ho avuto un anno difficile pieno di cambiamenti, abbandoni, tradimenti e studio, tantissimo fino a non poterne più. Adesso che sembra essere tutto passato, ho deciso di riprendere questa storia che ormai mi è entrata nel cuore.

Inoltre ringrazio noncisonopoteribuoni2, Chartatraux e nakashima per aver recensito la storia.
Vi ringrazio per i complimenti e per i suggerimenti, che sono sempre i benvenuti. Ho provato a rendere più chiari i passaggi tra i vari punti di vista, mi auguro che adesso sia tutto più chiaro e che questo capitolo vi piaccia.

Buona lettura a tutti!!!!

Spero che i prossimi capitoli possano piacervi. Buona lettura!!!!



Sette giorni per l'eternità

Terzo giorno

POV DEAN

Desiderava prendere il lenzuolo, ma la mano lo cercava in vano. Dean aprì un occhio e guardò il display della sveglia che segnava le sei e mezza. Di fianco a lui, il cuscino stropicciato giaceva solitario. Si alzò e si diresse nel salottino, nudo come un verme. Lisa, avvolta nel lenzuolo, sgranocchiava una mela, pescata dal cesto della frutta.

“Ti ho svegliato?” Domandò.

“In un certo senso, sì. C'è del caffè?”

“Mi sono presa la libertà di ordinarlo al servizio in camera, faccio una doccia e me ne vado.”

“Ti pregherei di farla a casa tua, perché sono molto in ritardo.” rispose il biondo.

Lisa restò interdetta. Si diresse nella camera e si vestì in fretta per poi dirigersi verso l'ingresso. La testa di Dean sbucò dal bagno.

“Non vuoi il caffè?”

“No, lo prendo da me, grazie per la mela!”

“Figurati. Se ne vuoi un'altra, prendila pure.”

“No, sto bene così. Grazie per la bella serata. Ci vediamo.” Rispose la donna mentre spostava la catenella di sicurezza e girò la maniglia. Dean le si avvicinò.

“Posso farti una domanda?”

“Dimmi.”

“Quali sono i tuoi fiori preferiti?”

“Dean, tu hai molto gusto, peccato che il tuo gusto risulti pessimo per il resto del mondo. Abbiamo passato una bella serata, ma finiamola qui.”

“Si, va bene, ma prima di andartene dimmi qualcosa dei fiori!”

Visibilmente esasperata, Lisa respirò profondamente e poi disse: “non si chiedono questa cose all'interessata e tu dovresti saperlo!”

“Certo che lo so, ma non sei tu l'interessata!” Rispose il demone con l'aria di un monello.

La donna si girò e andò via e il biondo dal fondo del corridoio la sentì urlare: “un cactus così ti ci puoi sedere sopra!”



POV CASTIEL

“Non hai chiuso occhio, stanotte.”

“Dormo sempre poco.”

“Castiel, che cosa ti preoccupa?”

“Niente, Jo. Sta tranquilla.”

“Non mi inganni! Su sputa il rospo!”

“Ho troppo lavoro, e non so nemmeno da che parte cominciare ed ho una tremenda paura di non essere all'altezza di quello che ci si aspetta da me.”

“E' la prima volta che ti sento così insicuro di te!”

L'angelo decise di non rispondere, ma andò nella cucina per preparare la colazione per entrambi. Poi tornò nel salotto e mentre stava mangiando sbottò dicendo: “Ieri sera ho rivisto il tizio dell'orchidea!”

“Oh, non riuscite proprio a stare separati!”

“Non essere sciocca. Per un puro caso, stavamo cenando nello stesso ristorante e lui era pure in compagnia di una donna.”

“Che genere di donna?”

“Una mora.”

“Si ma che tipo?”

“Del genere sono qui e sono tutta tua e credimi passerai una notte indimenticabile con me.” Disse il moro ironico e l'amica scoppiò a ridere.

“Vi siete parlati?”

“Più o meno. Ha detto che era una giornalista.”

Castiel raccolse le sue cose e stava per uscire, quando la voce di Jo, dopo che aveva aperto il giornale, lo richiamò: “non ha mentito!”

“Che cosa stai dicendo?” Chiese Castiel ritornando verso la bionda.

L'amica gli porse il giornale che conteneva l'intervista di Dean con la giornalista e una foto che ritraeva entrambi.

“Questo non cambia il fatto che sia un completo idiota!”

“No, certo. E non cambia neanche il fatto che ti piace.” Rispose Jo sorridendo.

Il moro sbuffo e si girò per uscire, quando la voce dell'amica lo bloccò: “quando lo rivedrai?”

“Oggi a pranzo. Non fare quella faccia, mi ha estorto la promessa di uscire con lui. E mantengo sempre le promesse che faccio.”

“Certo.” Rispose la ragazza sorridendo, e ogni altra sua parola fu fermata dal rumore di un clacson dalla strada.

Castiel, allora si affacciò e vide che era arrivato Dean e dopo aver salutato la sua amica, scese rapidamente le scale e poi raggiunse la macchina dove l'altro si tolse gli occhiali da sole e gli rivolse un sorriso smagliante.

Castiel non aveva fatto in tempo a chiudere la porta della Porche che Dean si era già lanciato all'assalto delle colline di Pacific Heights. L'auto entrò in Presidio Park, lo attraversò e si lanciò sulla bretella che conduceva al Golden Gate. Dall'altra parte della baia, le colline di Tiburon emergevano appena dalla nebbia autunnale.

“La porterò a pranzare in riva al mare!” urlò Dean nel vento. “Nel ristorante dove cucinano i granchi migliori della zona! Le piacciono i granchi, vero?”

Castiel annuì educatamente. Il vantaggio, quando non si ha nessun bisogno di nutrirsi, è che si può scegliere senza problemi quello che non si mangerà.

L'aria era incantevolmente calda, l'asfalto si srotolava sotto le ruote della vettura e la radio trasmetteva una musica ammaliatrice. Quell'attimo di presente assomigliava così tanto a un pezzetto di felicità da trarre in inganno. Non rimaneva altro che restare al gioco. L'automobile abbandonò la superstrada e imboccò una strada stretta le cui curve si snodavano fino al porto peschereccio di Sausalito. Dean parcheggiò di fronte al molo.

I due uscirono dall'abitacolo e cominciarono a camminare sul marciapiede che costeggiava il mare. Quando giunsero di fronte al ristorante, scelto dal biondo, entrarono e furono guidati da una cameriera verso un tavolo sulla terrazza. Dean invitò Castiel a sedersi di fronte al mare e ordinò del vino, mentre l'altro prese un pezzetto di pane per lanciarlo a un gabbiano appollaiato sulla balaustra che lo spiava con lo sguardo. L'uccello acchiappò il boccone al volo e si lanciò nel cielo attraversando la baia a grandi colpi di ali.



POV ADAM

Nel frattempo, a qualche chilometro di distanza, sulla riva opposta, Adam misurava a grandi passi la banchina. Aveva l'aria turbata come i flutti, il suo umore era altrettanto agitato. Un'auto della polizia che risaliva il porto a sirena spiegata e si stava dirigendo verso la città, lo distolse dai suoi tristi pensieri. A Chinatown una rissa era degenerata in una sommossa e tutte le unità erano state chiamate in aiuto.

Adam aggrottò la fronte, borbottò e tornò sotto il suo arco. Seduto su una cassa di legno, rifletteva per cercare di capire che cosa lo contrariava. Un foglio di giornale portato dal vento si fermò su una pozzanghera proprio di fronte a lui. Il foglio si impregnò d'acqua e poco a poco la foto di Dean apparve in trasparenza, al contrario. A Dean non piacque affatto il brivido che gli percorse la schiena.





POV DEAN E CASTIEL

La cameriera appoggiò sul tavolo una pentola fumante piena di granchi. Dean servì Castiel e gettò una rapida occhiata ai bavagli che accompagnavano lo sciacquadita. Ne offrì uno a Castiel, ma lui rifiutò. Anche Dean rinunciò a legarsene uno al collo.

“Devo convenire che il bavaglino non è un accessorio che dona molto. Lei non mangia?” chiese Dean.

“No, credo proprio di no.”

“Non sarà vegetariano!”

“Ammetto che l'idea di mangiare dei poveri e innocenti animali mi atterrisce.”

“E' nella natura delle cose.”

“Già.” sussurrò Castiel poco convinto.

“Tutte le creature della terra ne mangiano delle altre per sopravvivere.”

“Si, ma i granchi non hanno fatto nulla di male. Sono desolato.” rispose Castiel mentre allontanava da sé il piatto che lo turbava.

“Lei si sbaglia, è la natura che vuole così. Se i ragni non si nutrono di insetti, sarebbero gli insetti a nutrirsi di noi.”

“Appunto, i granchi sono come dei grossi ragni, quindi bisogna lasciarli in pace.”

Dean non rispose, ma si girò per chiamare la cameriera. E quando arrivo le chiese di portare la carta dei dessert e, molto gentilmente, disse che aveva terminato.

“Non vorrei impedirle di mangiare.” Disse Castiel arrossendo.

“A questo punto, mi ha convinto ad appoggiare la causa dei crostacei!”

Dean aprì il menu e indicò un dolce al cioccolato. E questa volta Castìel si sforzò di mangiare almeno questo.

Poi, curioso di verificare la sua teoria a proposito degli Angeli Verificatori, Castiel cominciò ad interrogare Dean sui suoi reali compiti, ma egli eluse la risposta. C'erano altri argomenti che Dean sperava di dividere con l'altro, come ad esempio cosa facesse quando non lavorava al porto o come trascorreva del tempo libero.

A Castiel l'espressione tempo libero sembrava molto strana, forse perché lui non ne aveva mai avuto.

Infatti, al di fuori delle ore al porto, lui collaborava con diverse associazioni, insegnava ai bambini non vedenti, si occupava dei bambini ricoverati in ospedale e delle persone anziane. Adorava passare le sue ore con gli anziani perché secondo lui le rughe della vecchiaia formavano le più belle scritture della vita, quelle sulle quali i bambini imparano a leggere i loro segni.

Dean lo guardò affascinato.

“Veramente fa tutto questo?”

“Si!”

“Ma perché?”

Castiel decise di non rispondere a questa domanda. Dean trangugiò l'ultimo sorso di caffè e ne ordino un altro. Impiegò molto tempo a bere perché non voleva che la loro conversazione avesse fine, non adesso, non ora. Per questo propose a Castiel di andare sulla spiaggia a fare due passi e l'altro accettò.

I due stavano passeggiando tranquillamente sulla spiaggia deserta a causa del cattivo tempo che da poco aveva deciso di travolgere la tranquillità del cielo, mentre un gigantesco gabbiano sembrava correre sull'acqua alla ricerca dello slancio per spiccare il volo.

Castiel rimase affascinato dal gabbiano e non si accorse nemmeno che l'aria carica di spruzzi d'acqua lo stava frustando sul viso e quando se ne rese conto, cominciò a ridere di gusto.

“Perché ride?” domando Dean incuriosito.

“Non lo so:”

“Allora, la prego di non smettere. È una cosa che le dona molto.”

“E' qualcosa che dona a tutti.”

Una pioggia fine incominciò a cadere, bucherellando la sabbia di piccoli crateri.

“Guardi, non sembra di stare sulla luna?” chiese Castiel sorridendo.

“Si, un po'”

“Sembra triste, tutt'a un tratto.”

“E' solo che vorrei che il tempo si fermasse.”

Castiel abbassò lo sguardo, profondamente colpito da queste parole, e continuò a camminare.

Dean si girò su se stesso per camminare guardandolo. Continuò a procedere all'indietro, precedendo i suoi passi. Castiel si divertiva a posare i piedi esattamente sulle sue orme.

“Non sono capace di esprimere certe cose,” disse Dean con il tono di un bambino.

“E allora stia zitto."

All'improvviso il vento si alzò e Castiel cominciò a tremare leggermente per il freddo. Dean, allora, si tolse la giacca di pelle e dopo avergli chiesto il permesso glie la fece indossare.

“È buffo, di colpo sembra essere diventato timido.” disse l'angelo sorridendo.

“ Non me ne sono reso conto.”

“Allora non smetta, è una cosa che le dona molto.”

Dean si avvicinò a Castiel e l'espressione dei loro volti cambiò.

Castiel avvertì nel profondo del proprio petto qualcosa che non gli apparteneva, un sottile pulsare che rimbombava sino alle sue tempie. Le dita di Dean tremavano delicatamente mentre si trattenevano sulla guancia di Castiel con la promessa di una fragile e timida carezza.

“Vorrei rivederla,” disse Dean.

“Anch'io, forse in un luogo più asciutto, ma anch'io,” rispose Castiel.

Dato che il tempo continuava a peggiorare, i due tornarono al ristorante e si rifugiarono sotto le tegole della tettoia della terrazza e guardarono insieme l'acqua che tracimava dalla grondaia.

“Quando potrò rivederla?” domando Dean.

“Lei da che mondo viene?”

L'altro esitò un istante, ma poi rispose: “qualcosa tipo l'inferno!”

Castiel esitò a sua volta. Poi lo scrutò con attenzione e sorrise.

“È quello che dicono arrivando qui tutti quelli che hanno vissuto a Manhattan.”

Il tempo stava peggiorando sempre di più, era in arrivo una forte tempesta e loro per capirsi dovevano gridare. Poi Castiel prese la mano di Dean e dolcemente disse:

“Presto mi contatterà. Mi chiederà come sto e nel corso della conversazione mi chiederà un appuntamento. Allora le risponderò che devo lavorare e che sono occupato, quindi mi suggerirà un altro momento e io le dirò che va bene perché avrò appena annullato qualcosa.”

Un altro lampo oscurò il cielo ormai diventato completamente nero. Sulla spiaggia il vento soffia a raffiche. Sembrava la fine del mondo.

“Non vuole che cerchiamo un posto più sicuro?” domandò Castiel.

“Come sta?” fu l'unica risposta di Dean.

“Bene! Perché?” domando l'altro stupito.

“Perché avrei voluto invitarla a trascorrere il pomeriggio con me...ma lei non è libero, ha del lavoro, è molto occupato. Forse potrebbe vedermi questa sera a cena?”

Castiel sorrise, mentre Dean lo trascinò verso la macchina. Il mare ingrossato sfiorava ormai il marciapiede deserto. Il rumore assordante della tempesta si soffocò quando loro furono finalmente al riparo e si misero in marcia sotto la pioggia battente. Dean accompagnò Castiel davanti ad un garage, per ritirare la sua macchina e poi dirigersi al porto, come lui gli aveva chiesto. Prima di lasciarlo, guardò il suo orologio, mentre Castiel si affacciò al finestrino.

“Per stasera avrei un impegno, ma cercherò di annullarlo, la chiamerò sul cellulare.”

Dean sorrise, fece manovra e Castiel lo seguì con lo sguardo, fino a quando la macchina non fu sparita nel flusso di Van Ness Avenue.



POV DEAN

“Devo parcheggiare la sua auto, signore?”

Dean sobbalzò e alzò la testa, vide che il ragazzo del parcheggio lo stava fissando in modo strano.

“Perché mi guarda in quel modo?” Chiese Dean stizzito.

“È stato fermo immobile nella sua auto per cinque minuti e allora mi sono detto...”

“Che cosa si è detto?”

“Ho creduto che non si sentisse bene, soprattutto quando ha appoggiato la testa sul volante.”

“Le consiglio di non credere, si risparmierà moltissime delusioni!”

Dean uscì dalla macchina e lanciò le chiavi al giovane.

Entrò nell'edificio e si diresse verso l'ufficio del vicepresidente Smith, che lo accolse a braccia aperte.

Mio caro Dean, incontrarla è stata proprio una benedizione!”

“Se vuole chiamarla così,” disse Dean caustico mentre chiudeva la porta dell'ufficio, per poi avanzare verso il vicepresidente e sistemarsi su una poltrona. Smith gli agitò davanti il giornale della mattina.

“Faremo grandi cose insieme.”

“Non ne dubito.”

“Non si sente bene?”

Dean, a quelle parole, sospirò e Zaccaria avvertendo la sua esasperazione decise di sorvolare sulla questione e cominciò ad agitare allegramente di nuovo il giornale su cui era pubblicato l'articolo di Lisa.

“Questo articolo è formidabile! Non avrei potuto fare di meglio.”

“È già stato pubblicato?”

“Questa mattina! Come mi aveva promesso la giornalista. È deliziosa non trova? Deve aver lavorato praticamente tutta la notte.”

“Praticamente, sì.”

Poi i due uomini lasciarono perdere l'articolo e il vicepresidente raccontò a Dean come era andata la cena di lavoro della sera precedente e di come aveva comunicato ai suoi collaboratori che aveva l'intenzione di creare all'interno del Gruppo un nuovo settore che si sarebbe chiamato Divisione Innovazione e il fine di questa unità sarebbe stato quello di mettere a punto degli strumenti commerciali inediti per conquistare nuovi mercati. E proseguendo il discorso, Zaccaria fu felice di puntualizzare che la competizione che inevitabilmente si sarebbe venuta a creare con il suo socio non avrebbe fatto del male all'azienda, anzi sarebbe servita per rimodernare il tutto.

Sentendo queste parole Dean penso che sicuramente Giuda non invecchierà mai...dato che sa persino moltiplicarsi.

“Lei condivide il mio discorso, Dean?”

“Pienamente,” rispose lui annuendo.

Dean era al settimo cielo, perché le intenzioni di Smith andavano molto al di là delle sue speranze e lasciavano presagire l'ottima riuscita del suo piano.

Ora, all'ambizioso vicepresidente mancava solo un mercato prestigioso che lo avrebbe aiutato ad ottenere il potere e il prestigio che tanto sognava. Allora, Dean passò all'uomo il dossier che aveva portato con sé e che spiegava che la zona migliore dove poter agire era il porto.

“Dove vuole arrivare?” domandò Zaccaria.

Dean sorrise maliziosamente e spiegò un foglio dove leggeva 'Porto di San Francisco, Dock 46'.

“All'attacco dell'ultimo baluardo!”

Il vicepresidente voleva un trono e lui gli offriva una consacrazione!

Poi, Dean cominciò a spiegare il suo piano nei dettagli, che consisteva nell'approfittarsi della situazione precaria in cui attualmente versavano i Dock.

“Nella busta blu troverà una dettagliata scheda informativa sul progetto e sull'uomo giusto che può aiutarci a portare dalla nostra parte gli uomini che lavorano al porto. Cerchi di ottenere al più presto un incontro tra me e lui. Scelga un luogo molto riservato e mi lasci fare il resto.” Disse Dean, alla fine della sua lunga spiegazione, poi si alzò e si diresse verso la porta e uscì dall'ufficio, non aspettando nemmeno la risposta di Smith.

Raggiunse l'ascensore, che era già al piano, ma Dean lo lasciò ripartire a vuoto. Tirò fuori il cellulare, lo accese e compose febbrilmente il numero della segreteria telefonica.

“Non ci sono nuovi messaggi.” ripeté due volte la voce metallica del telefonino.

Riattaccò e cercò sul menù la voce SMS, ma non c'erano nuovi messaggi. Rimise a posto il cellulare ed entrò nell'ascensore, che era ritornato al suo piano. Quando uscì nel parcheggio, si rese conto che era tormentato da qualcosa che non riusciva ad identificare, un sottile pulsare dal profondo del suo petto che rimbombava fino alle tempie.



POV CASTIEL

La riunione con i vertici dei Dock andava avanti da più di due ore, poiché le ripercussioni dell'incidente del giorno prima stavano assumendo delle proporzioni inquietanti, anche a causa del fatto che l'uomo era ancora in rianimazione. Ogni ora, John telefonava all'ospedale per informarsi sulle sue condizioni, sperando che lo scaricatore non morisse, altrimenti nessuno avrebbe potuto più controllare la rabbia che si sarebbe abbattuta sulle banchine.

Quando il capo dei sindacati si alzò per prendersi un caffè, Castiel ne approfittò per lasciare discretamente la sala in cui si svolgeva il dibattito. Poi, dato che il tempo era finalmente migliorato, uscì dall'edificio e si allontanò di qualche passo per nascondersi dietro ad un container. Al riparo da sguardi indiscreti, compose un numero sul cellulare. L'annuncio sulla segreteria era breve e coinciso: “Dean” seguito immediatamente dal bip.

“Sono Castiel, questa sera sono libero, mi richiami per dirmi dove ci incontreremo. A presto.”

Riattaccando, guardò il suo telefono e, senza una ragione, sorrise.

Al termine del pomeriggio, i dirigenti insieme ai delegati del sindacato avevano finalmente preso la loro decisione ad unanimità. Avevano bisogno di più tempo per vederci più chiaro. La commissione di inchiesta avrebbe reso nota la causa dell'incidente solo a notte fonda e i dottori aspettavano di vedere quali sarebbero state le condizioni dello scaricatore il mattino successivo, per decidere se l'uomo sarebbe sopravvissuto.

In conseguenza di tutto ciò, la seduta fu tolta e rimandata all'indomani. John avrebbe convocato i membri della commissione appena avesse ricevuto i due rapporti, e immediatamente dopo si sarebbe svolta un'assemblea generale.

Castiel aveva bisogno di prendere un po' d'aria e allora si concesse qualche minuto di pausa per camminare lungo la banchina. E Mentre passeggiava fu raggiunto da Adam, che sembrava stare meglio.

“Come va la tua gamba?”

“Meglio.”

“Sei andato a farti medicare?”

“E tu come stai?”

“Diciamo che questa riunione, che non finiva più, mi ha fatto venire mal di testa. Ma non cercare di cambiare discorso, ora vado a prendere la macchina e ti porto a fare la medicazione.” disse Castiel, per poi andare a prendere la macchina e portare Adam all'ospedale.

Dopo aver riaccompagnato il vagabondo al porto, Castiel si diresse verso casa. Con una mano guidava e con l'altra cercava il cellulare. Doveva essere caduto nella sua borsa dei documenti. Appena riuscì a ritrovarlo, vide che c'era un messaggio di Dean, che gli comunicava che sarebbe passato a prenderlo a casa alle sette e mezza. Lui guardò l'orologio e si accorse che gli restava solo mezz'ora per arrivare a casa, salutare le sue amiche e cambiarsi.

Avrebbe dovuto correre.





POV DEAN E CASTIEL

Dopo essersi preparato di corsa, Castiel si mise al volante della sua macchina e si diresse verso il luogo del suo appuntamento, poiché Dean gli aveva inviato un messaggio nel quale gli diceva di essere dispiaciuto, ma non poteva andare a prenderlo e lo pregava di raggiungerlo verso le 20 all'ultimo piano dell'edificio della Bank of America su California Street.

Castiel abbandonò l'auto all'ingresso del parcheggio e ringraziò il fattorino in livrea rossa che gli tendeva un biglietto. Poi Castiel si diresse verso l'atrio, dove, dopo la chiusura degli uffici, solo i bar e il ristorante erano aperti.

Si diresse con passo sicuro verso l'ascensore, quando avvertì una sensazione di aridità invadergli la bocca. Per la prima volta in vita sua, Castiel aveva sete e non sapeva spiegarsi la ragione.

Guardò l'orologio per sapere che ora era e vedendo che era in anticipo decise di dirigersi verso un bar prima di salire al ristorante, ma quando stava per entrare, riconobbe il profilo di Dean, seduto ad un tavolino, impegnato in una conversazione con il direttore del settore immobiliare del porto. Turbato, fece marcia indietro e ritornò all'ascensore.

Poco più tardi, il maitre del ristorante guidò Dean al tavolo in cui Castiel lo stava aspettando, il quale si alzò non appena lo vide arrivare e, allora, Dean lo invitò a sedersi di fronte alla vetrata panoramica. Durante la cena, Dean gli pose cento domande alle quali Castiel rispose con mille altre.

Uno apprezzava il menu e mangiava molto, mentre l'altro non toccava quasi nulla, spostando delicatamente le pietanze ai quattro angoli del piatto.

Nel frattempo, le interruzioni del cameriere che portava le varie ordinazioni sembravano durare un eternità per entrambi. E quando si avvicinò ancora, munito di una spazzola e di una paletta per raccogliere le briciole. Dean andò a sedersi vicino a Castiel e soffiò vigorosamente sulla tovaglia.

“Ecco, adesso è tutto pulito! Ci può lasciare soli, grazie di tutto!” disse al ragazzo.

La conversazione riprese subito. Il braccio di Dean si appoggiò lungo il bordo del divanetto, Castiel sentì vicino alla nuca il calore della sua mano.

Il cameriere si avvicinò di nuovo con disappunto di Dean. Depositò di fronte a loro due cucchiai e una porzione abbondante di profitterol al cioccolato e poi il ragazzo se ne andò con discrezione. Poi Dean si sporse verso Castiel e disse:

“Non ha mangiato niente.”

“Mangio molto poco,” rispose abbassando la testa.

“Assaggi questo per farmi piacere, il cioccolato è un pezzo di paradiso in bocca.”

Castiel provò a protestare, ma l'altro non gli lasciò scelta, prese un cucchiaino lo immerse nel dolce e poi lo portò fino alla bocca di Castiel e deposito il cioccolato sulla sua lingua.

Nel petto di Castiel i battiti divennero più forti e lui nascose la sua paura in fondo agli occhi di Dean.

Quando ebbero finito di mangiare il dolce, un cameriere con del vino stava passando vicino al loro tavolo, quando gli cadde una bottiglia che si ruppe in solo sette pezzi. I due ignorarono l'accaduto troppo concentrati nello stare insieme.

Castiel aveva ancora due domande da porre a Dean, ma prima pretese che lui gli promettesse di rispondere senza giri di parole e lui promise.

“Che cosa stava facendo in compagnia del direttore immobiliare del porto?”

“ È strano che me lo domanda.”

“Avevamo detto risposte dirette!”

Dean guardò Castiel, aveva posato la mano sul tavolo, lui avvicinò la sua.

“Era un appuntamento di lavoro.”

“Non è una vera risposta, ma anticipa la mia prossima domanda. Qual è il suo mestiere? Per chi lavora?”

“Possiamo dire che sono in missione.”

“Che genere di missione?” chiese, allora, Castiel.

Gli occhi di Dean abbandonarono Castiel un istante, qualcosa aveva distolto la sua attenzione. Infatti, in fondo alla sala aveva riconosciuto Meg, che aveva la bocca piegata in un sorriso maligno.

“Cosa succede? Non si sente bene?”chiese Castiel, che si era accorto che Dean aveva avuto un improvviso cambiamento.

“Non mi chieda nulla,” disse Dean. “Vada al guardaroba, prenda il suo cappotto e rientri a casa. La contatterò domani, non posso spiegarle niente adesso, sono desolato.”

“Che cosa le succede?” disse Castiel interdetto.

“Vada via, ora!”

Allora, Castiel si alzò e attraversò la sala, andò al guardaroba e corse verso gli ascensori. Poi, una volta in macchina, mentre si dirigeva verso casa, cominciò ad avvertire un intenso brivido di malinconia.



POV DEAN

Quando Meg si sedette al posto lasciato vuoto da Castiel, Dean strinse i pugni.

“Allora, come vanno i nostri affari?” chiese la donna giovale.

“Che cavolo ci fai tu qui?” Chiese Dean arrabbiato, ignorando la domanda dell'altra.

“Sono la responsabile delle comunicazione e devo sapere come procede la missione. E quindi sono qui per comunicare con te.”

“Non devo renderti conto di nulla.”

“Dean, Dean, andiamo! Chi sta parlando di contabilità? Sono qui per informarmi della salute del mio pupillo e quello che ho visto mi ha fatto molto piacere.”

“Se è tutto quello che dovevi dire. Ora puoi anche andartene.”

“Vi ho osservati per tutta la sera e ho visto come l'hai incantato con le tue romanticherie. E devo riconoscere che al momento del dessert ero impressionata! Perché lì hai sfiorato il genio! Ho capito il tuo piano e approvo in pieno.”

“Cosa vuoi dire?”

“Che sono d'accordo con la tua tattica di irretire e far innamorare l'agente del nostro nemico. E se continui così, riuscirai a stordirlo talmente bene, che non si accorgerà nemmeno della pugnalata, che sono sicura, gli infliggerai al momento giusto!” disse la donna con gli occhi che le brillavano di malvagità. Poi Meg continuò dicendo: “sono venuta anche per dirti di riaccendere il cercapersone. Ti hanno cercato! La persona che hai incontrato poche ore fa desidera concludere l'affare questa sera stessa.”

Dopo che ebbe ascoltato l'orrenda Meg, Dean si alzò e se ne andò non riuscendo più a sopportarla.



POV CASTIEL

Castiel decise di dirigersi alla Torre, perché aveva bisogno di parlare con il Signore, ma lui era molto impegnato e quindi sarebbe dovuto passare più tardi. Allora, il ragazzo decise di dirigersi al parco del Golden Gate e fare una passeggiata per schiarirsi le idee.

Lì, venne raggiunto dal suo capo, che si sedette affianco a lui su una panchina.

“Hai chiesto di vedermi?”

“Non volevo disturbarla.”

“Tu non disturbi mai. Allora cosa vuoi chiedermi?”

“Passiamo il nostro tempo a predicare l'amore, ma noi angeli abbiamo solo teorie. Allora, Signore, io vorrei sapere che cos'è veramente l'amore sulla terra?”

Egli guardò il cielo e poi rispose alla domanda di Castiel.

“ È la cosa più bella che abbia inventato! L'amore è una particella di speranza, l'eterno rinnovarsi del mondo, il sentiero della promessa. Ho creato la differenza affinché l'umanità coltivi l'intelligenza, un mondo omogeneo sarebbe triste da morire! E poi la morte non è che un momento della vita per colui o colei che ha saputo amare ed essere amato.”

“Allora la storia del Bachert è vera?” chiese Castiel.

“Una bella idea, vero? Che colui o colei che trova la sua metà diventi l'essere più completo dell'intera umanità. L'uomo non è completo da solo, ma diviene completo solo quando scopre l'amore. D'altronde se fosse stato completo da solo, ne avrei creato uno, non miliardi. Forse ha ragione chi dice che la creazione umana è imperfetta, ma non c'è nulla di più perfetto di due persone che si amano.”

“Adesso ho capito,” disse Castiel sorridendo.

Allora, il Signore si avvicinò lentamente a Castiel e poi gli posò la mano destra sulla testa e gli disse dolcemente e con tono paterno:

“Ti confido una gran segreto, la sola e unica domanda che mi pongo dal primo giorno è questa: sono stato veramente io a inventare l'amore o è l'amore che mi ha inventato?”

Poi dopo aver sorriso dolcemente al suo protetto, Dio si alzò e borbottando sparì nel nulla. Allora Castiel rimase ancora un istante a guardare il punto dove era scomparso suo padre, dopo di che raggiunse la macchina e lasciò il parco. Nel frattempo sulla collina di Nob Hill, una campana suonava undici rintocchi.



POV DEAN

Dopo aver lasciato il ristorante, Dean si diresse al porto. Fermò la macchina e scese lasciando la portiera aperta. Rimase fermo immobile, sospirò profondamente e rinunciò. Con la testa che girava, si allontanò di qualche passo. Si sporse sopra l'acqua e vomitò.

“Non ha l'aria di andare tanto veloce!”

Dean si rialzò e vide il giovane barbone che gli porgeva un fazzoletto. Dopo aver esitato un secondo, Dean lo prese e si ripulì la bocca.

“Stomaco in subbuglio?” domando Adam.

“No!” rispose Dean.

“Allora qualche contrarietà?”

“E tu? Come va la gamba.”

“Come tutto il resto, alla grande!”

“Allora vai a farti fare la medicazione, prima che si infetti,” disse Dean mentre si allontanava.

Adam lo guardò dirigersi verso i vecchi stabilimenti a un centinaio di chilometri da lì. Dean salì i gradini della scala e avanzò lungo la facciata del primo piano ed entrò nell'unico ufficio presente in quel piano.



POV CASTIEL

Castiel non aveva voglia di rientrare a casa, perché aveva bisogno di stare da solo. Allora decise di dirigersi al porto. Una volta giunto a destinazione, cominciò a camminare tra le banchine e si diresse verso il luogo dove era avvenuto l'incidente e una volta lì venne raggiunto dal suo amico Adam.

“Ci sono affezionato a questo vecchio rottame, stiamo qui dallo stesso giorno.” disse Adam.

“Non ho niente contro di lui, ma se le sue scale fossero state più solidi mi piacerebbe di più!”

“Il materiale non centra in questo incidente.”

“Come fai a saperlo?”

“Qui hai dock si sa sempre tutto di tutti. E la notizia dell'incidente a fatto il giro del porto in pochissimo tempo e se si mettono insieme le cose sentite di qua e di là, il quadro alla fine risulta molto chiaro.”

“Allora sai cosa è successo?” chiese Castiel sorpreso.

“È tutto lì il mistero. Se si fosse trattato di un ragazzo, sarebbe stato facile credere ad un momento di distrazione, ma Rufus era un veterano qui e quindi nessuno crede che lui sia precipitato da solo.”

“E se avesse avuto un malore?”

“Possibile, ma resta comunque da capire perché avrebbe dovuto averlo.”

“Tu ti sei fatto un'idea, non è vero?”chiese Castiel.

“Forse, ma comincio ad avere freddo, che ne pensi se ci spostiamo ed andiamo verso gli uffici, lì il clima è più mite.”

Castiel annuì e i due si rifuggirono sotto la tettoia che costeggiava il palazzo che ospitava gli uffici. Adam si spostò di qualche passo per piazzarsi proprio sotto l'unica finestra illuminata a quell'ora tarda.

“Ecco, qui si sta benissimo,” disse Adam, “si sta molto meglio di dove stavamo prima.”

Si sedettero ai piedi del muro e Castiel richiese ad Adam la sua teoria sull'incidente dello scaricatore.

“Io non so niente ma, se ascolti, è possibile che questa leggera brezza ci racconti qualcosa.”

Castiel aggrottò le sopracciglia, ma Adam gli posò un dito sulle labbra. Nel silenzio della notte Castiel udì la voce profonda ed inconfondibile di Dean risuonare nell'ufficio sopra le loro teste.



POV DEAN

Smith era seduto su una sedia vicino ad un tavolo in formica dell'ufficio Jim Caravel, direttore immobiliare del porto, e spinse un piclo davanti al direttore, che era seduto davanti a Dean.

“Un terzo ora, un terzo quando il vostro consiglio d'amministrazione avrà votato l'espropriazione dei dock e un terzo al momento in cui firmerò il documento che mi dà l'esclusiva sui terreni,” disse il vicepresidente.

“Siamo d'accordo che i vostri amministratori dovranno riunirsi prima della fine di questa settimana,” aggiunse Dean.

“C'è pochissimo tempo!” gemette l'uomo che non aveva ancora preso il pacchetto.

“Le elezioni sono vicine! Il sindaco sarà entusiasta di annunciare la trasformazione di una zona inquinata in una di lusso. Sarà come un dono caduto dal cielo!” rincarò Dean, spingendo il pacchetto nelle mani di Caravel. “Il suo lavoro non dovrebbe essere così complicato!”

Dean si alzò per avvicinarsi alla finestra che sbatacchiava e aggiunse: “e dal momento che presto non avrà più bisogno di lavorare potrà anche rifiutare la promozione che le offriranno per ringraziarla di averli fatti arricchire...”

“Per aver trovato una soluzione ad una crisi, che scoppierà inevitabilmente.” disse il direttore mentre passava una busta bianca a Smith. “In questo documento è elencato il valore di ogni lotto, se aumenterà il prezzo del dieci percento gli amministratori non potranno rinunciare.”

“E sia.” rispose Zaccaria.

“Allora, al più tardi di venerdì li avrò riuniti.” rispose Caravel mentre prendeva la busta con i soldi.

Lo sguardo di Dean che vagava sul vetro fu attratto dall'ombra leggera che fuggiva in basso. Quando Castiel salì sull'auto, gli sembrò che lo guardasse dritto negli occhi. Le luci posteriori della Ford svanirono lontani e Dean abbassò la testa.

“Non ha mai dei rimorsi, Caravel?”

“Non sarò io a provocare questo sciopero!” rispose lui lasciando l'ufficio.

Dean declinò l'invito di Zaccaria ad accompagnarlo e rimase solo.

Le campane della cattedrale batterono la mezzanotte, mentre Dean indossava la giacca e fece scivolare le mani in tasca. Aprendo la porta, accarezzò con la punta delle dita la copertina di un piccolo libro che aveva trovato per caso e che qualcosa nascosta dentro di lui gli impediva di abbandonarlo. Sorrise, contemplò le stelle e recitò:

“Che ci siano delle luci nel firmamento per separare il giorno dalla notte...e che servano come indicazione per separare la luce dalle tenebre.”

Dio vide che questa era cosa buona.”



E fu sera e fu mattino....



Continua....



































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