Il collezionista

di Cat in a box
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** The beginning of a nightmare ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Il collezionista
 
Salve a tutti! Mi chiamo Alessandra o Ale-chan per chi preferisce abbreviare e sono la fan-writer di questa storia. ^^ Era da un po’ che rimuginavo a scrivere una fiction su Hellsing. Ci ho pensato alle superiori, dopo la maturità, dopo l'esame di ammissione all'università e ora, in questo periodo frenetico di tirocinio, ho deciso di raccogliere la mia forza di volontà e di pubblicare finalmente il mio lavoro! :) Dunque, questa è ufficialmente la mia prima fiction su Hellsing e ho deciso di affidarmi al manga per cercare di mantenere i personaggi il più possibile in character, anche se alcuni di loro (tra cui Integra Helsing e Alucard) potranno mostrare nuove sfaccettature che nella serie manga, anime e OAV non c’erano. Ho preferito mantenere il linguaggio “colorito”, in particolare di Alucard, allo scopo di non uscire fuori dal personaggio. In quanto alle mie fonti d’ispirazione, per scrivere questa storia mi sono lasciata un po’ influenzare dalle mie manie per i film horror e in particolare da “Il collezionista di occhi” di Gregory Dark e da “Jeepers Creepers” di Victor Salva. Questa fiction può considerasi un prequel sulla base degli eventi che si succedono nel manga e infatti, mancheranno alcuni personaggi, tra cui Seras Victoria e gli antagonisti delle serie anime e manga. Sono sempre graditi commenti, correzioni e critiche costruttive. Grazie per aver letto le note della scrittrice e buona lettura! ^^
 
Prologo 
 
 
Tac...
         Tac...
                   Tac...
 
 
Era il suono regolare e continuo di una goccia che cadeva sul pavimento sudicio di un obitorio. La goccia aveva formato una piccola pozzanghera scura di un liquido dalla consistenza viscosa e dall’odore ferroso. Sul tavolino dove venivano praticate le autopsie ai cadaveri erano rimasti i ferri che il medico legale aveva appena terminato di adoperare. Era rimasto solo il tecnico che stava terminando i punti di sutura al cadavere di una prostituta, a quanto stabilito dal medico, morta affogata nel Tamigi. 
 
Prima di uscire il medico gli aveva detto con noncuranza «ripulisci questo schifo!» e dopo se ne era andato via con l'anticipo di ben quindici minuti sull'orario di lavoro. 
 
In fin dei conti, a lui non dispiaceva che se ne andasse sempre in anticipo, almeno poteva fare le cose con più calma e come voleva. Quella donna doveva essere stata una fumatrice accanita per molti anni, pensò tra sé e sé, poiché i polmoni erano completamente anneriti. 
 
«Che esemplare anatomico di scarso interesse…» aggiunse a tono basso, come se volesse farsi sentire solo dal cadavere. Aveva lavorato per molti anni in quel obitorio e si era occupato di numerose “persone”, ma raramente capitavano casi interessanti. 
 
Si chiamava Jack, o almeno, questo era il nome che stava scritto sopra al proprio tesserino di riconoscimento. I suoi colleghi lo trovavano strano e ad alcuni di loro incuteva pure timore. Questo lo divertiva molto...ma a parte questo, nessuno aveva ancora capito come mai fosse lì. Nessuno era rimasto per più di due anni in quel posto, ma lui si ostinava a restare e sembrava pure che non gli dispiacesse affatto. 
 
Chi era realmente Jack non lo sapeva nessuno e nessuno se lo sarebbe mai chiesto. Portava sempre nella sua borsa in pelle, vissuta ormai da chissà quanti anni, un volume con la storia originale di Frankestein di Mary Shelley. Quel libro era diventato la sua ossessione. Da molti anni, infatti, aveva iniziato a coltivare un hobby segreto nel seminterrato dell'obitorio. Voleva dare vita alla sua creatura, ma gli servivano costantemente pezzi di ricambio...ovviamente, li rimediava dai cadaveri. Alla sua opera mancava solo una componente, assai rara da trovare perfino al mercato nero degli organi. Voleva un cuore destro.
 
Si era documentato in letteratura medica di casi di individui con un cuore "fuori posto", e sui pochi studi condotti sui casi, le ricerche avevano dimostrato il coinvolgimento da parte di un gene che dava quella malformazione e comportava anche la comparsa di una inconfondibile striatura giallognola nell'iride. Meno dello 0,1% della popolazione mondiale era portatrice di questa mutazione genetica e tutti quei casi, si erano verificati in Regno Unito. 
 
Una volta, per puro caso, gli capitò un uomo di 45 anni deceduto a causa di un incidente stradale. Non sembrava un caso interessante, fino a quando non lo esaminò durante l'autopsia con il medico. Il torace era stato perforato dalle ferraglie dell'auto e dovevano estrarre i detriti lasciati dall'incidente. Fu in quel momento che videro che il cuore era posizionato a destra, anziché a sinistra. 
 
Il cuore era stato perforato per una buona porzione da un grosso frammento di vetro triangolare. Era rigido e duro come la pietra. L'aorta e la vena cava avevano subito ingenti danni e purtroppo, Jack dovette ammettere con sé stesso che quel cuore non avrebbe mai potuto dare vita alla sua creatura. 
 
Il corpo fu cremato dopo qualche ora, secondo il volere dei parenti. Jack non sopportò l'idea di aver atteso per così tanto tempo quel cuore e chissà quanti anni avrebbe dovuto ancora attendere un'occasione simile, così decise di indagare sulla famiglia di quell'uomo.
 
Il suo nome era Richard Strandfor Willengton. Non servì investigare neanche più di tanto, perché il giorno in cui i suoi parenti vennero a ritirare la salma dall'obitorio, tra tutta quella folla in lutto, vide i suoi due figli. Abigail e Raphael. Avevano poco più di 7 anni quel giorno e tutti e due avevano ciò che lui bramava. Ma Jack voleva un cuore adulto per la sua creatura. Non aveva fretta. Poteva aspettare e tra più o meno dieci anni, sarebbe tornato a prendersi un cuore. 
 
 
Il suo lavoro era terminato per quella giornata. 
 
 
Si sfilò i guanti e li gettò nel bidone. A quell'ora poteva star sicuro di non trovare anima viva nell'obitorio e con poca discrezione, si allontanò verso il piano sotterraneo. Raggiunse una porta, accanto alla quale vi erano i quadri elettrici e gli interruttori generali e la aprì con una chiave. La stanza era buia, ma per lui non era mai stato un problema vedere nell'oscurità. 
 
Riposta su scaffalature di metallo vi era la sua più grande collezione: dentro barattoli, sotto alcool o formalina, vi erano occhi dalle colorazioni più rare, orecchie, mani, dita, organi, ossa e talvolta anche ciocche di capelli. Una collezione che contava più di 40'anni di estenuante lavoro. Erano tutti per la sua creatura. 
 
Si adagiò su una vecchia poltrona piena di polvere, che pareva un pezzo di antiquariato comprato a distanza di chissà quanti anni in un mercatino delle pulci. Si guardò attorno per ammirare le sue cere anatomiche, che erano nientemeno che organi ricoperti di cera bollente e mantenuti in quello stato da decenni. 
 
«Né e passato di tempo... » pensò «...ormai, Abigail e Raphael saranno cresciuti abbastanza.... » sogghignò tra sé e sé, mostrando due canini lunghi e affilati. 
 
«Chissà quale cuore mi prenderò…» .

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Capitolo 2
*** The beginning of a nightmare ***


The beginning of a nightmare
 
Era una tipica giornata londinese: il mattino aveva preannunciato una giornata calda e soleggiata, che intorno all'ora di pranzo si era guastata con l'arrivo di un temporale. 
 
Abigail non faceva altro che sbuffare davanti alla finestra, lasciando un alone di vapore sul vetro ogni volta che espirava. -Non riuscirò mai ad abituarmi all’Inghilterra…- pensò, mentre posava la penna dopo aver scritto qualche riga di riassunto sulla vita di Coleridge per la sua ricerca di letteratura inglese che avrebbe dovuto presentare tra due giorni. 
 
Sbuffò annoiata, mentre si attorcigliava una ciocca castana di capelli attorno alle dita e osservava il suo riflesso alla finestra. La sua pelle era molto chiara, quasi bianca e pareva essere stata a lungo incontaminata dal sole. Alcune piccole lentiggini le costellavano il naso e le zone sotto agli occhi, mentre le linee del viso si componevano delicatamente e due labbra rosee e sottili ne formavano la bocca. Gli occhi color nocciola non avrebbero presentato alcuna particolare eccezione, così pensava lei, se non fosse stato per una piccola striatura gialla nell’occhio sinistro. 
 
 
 
Si era trasferita insieme alla sua famiglia da una placida cittadina americana della Louisiana dove aveva trascorso la sua adolescenza, nei pressi della grigia e rumorosa città di Londra. 
 
L'idea di andare a vivere a Londra era stata una scelta di sua madre, che per ragioni di lavoro aveva trasferito la sede del suo ufficio nella grande metropoli inglese e sperava così anche di poter passare più tempo coi figli, ma le cose non erano andate esattamente come aveva progettato.
 
Tra l'altro, la scelta di venire a Londra era stata contestata molto da Raphael. Loro padre era morto 7 anni fa in un incidente d'auto, su una strada principale a qualche chilometro dalla grande città. Dal giorno del funerale, Raphael si era chiuso molto in sé stesso.
 
Raphael poteva considerarsi il classico tipo di ragazzo piacente e misterioso, ma il suo peggior difetto era nel carattere.
 
Dopo la morte del padre, era diventata una persona fredda, schiva e introversa. Aveva rotto i contatti con gli amici, aveva smesso di studiare e di andare a scuola. Abigail, da quel momento, aveva iniziato a stargli più vicina. 
 
Sin dall'inizio, tra i due, c'era stato sempre del gran attrito. Il classico rapporto tra fratello e sorella. Da quel giorno, però, la situazione si era completamente rovesciata. Erano diventati quasi inserapabili e di proposito avevano deciso di frequentare la stessa scuola, ma in classi diverse. 
 
 
Abigail richiuse il quaderno degli appunti e decise di accantonare la sua ricerca di letteratura per quel giorno.
 
Il tempo non era affatto migliorato e sembrava che sarebbe dovuto piovere ancora. Raphael si trovava in camera sua e stava ascoltando un cd dei Metallica, mentre risolveva alcuni esercizi di matematica. 
 
Abigail scese le scale del secondo piano e andò in cucina a godersi la vista del giardino dalla finestra. Vivevano in una casa molto grande. Troppo grande, pensava Abigail, per solo tre persone. Era una villa con un enorme giardino all'inglese, come aveva voluto sua madre, e un laghetto di carpe koi. 
 
Tirò fuori dal frigo del succo di pomodoro e lo versò in un bicchiere. Lo sorseggiò, continuando a guardare fuori dalla finestra. Riprese a piovere a catinelle. Dei lampi illuminarono il cielo per qualche secondo e in quel momento, tra quei bagliori, le sembrò di vedere un'ombra scura in fondo al suo giardino.
 
Appoggiò il bicchiere sul tavolo e si avvicinò alla finestra, strabuzzando gli occhi. In fondo al giardino, c'era veramente qualcuno. Era una persona, vestita completamente di nero, con la pelle molto chiara e i capelli corti. Sembrava essere un uomo. 
 
Se ne stava immobile, come una statua e sembrava che avesse lo sguardo fisso proprio sulla finestra della cucina. Quell'impressione si rivelò reale: la stava guardavando. Abigail si spaventò.
 
«Raphael!!» gridò per chiamare suo fratello. 
 
«Raphael!!!» ma lui non la sentì. Abigail non perse tempo e corse di sopra, piombando nella camera di suo fratello come un fulmine a ciel sereno.
 
Lui abbassò le cuffie e la guardò stranito.
 
«Che c'è?»
 
«Ho visto un uomo nel nostro giardino!» 
 
Raphael appoggiò le cuffie sulla scrivania e afferrò la mazza da baseball che nascondeva dietro la porta.
 
«Non ti sembra di esagerare?» lo fermò Abigail.
 
«Ho solo la mazza di metallo, quella di legno l'ho venduta su ebay...» rispose sarcastico.
 
Abigail sospirò. Gli sfilò la mazza dalle mani e lo spinse fuori dalla stanza. 
 
«L'ho visto dalla cucina...» gli spiegò «...era infondo al giardino e sembrava che mi stesse guardando.»
 
Una volta in cucina, Raphael si affacciò alla finestra ed esaminò il giardino, ma non vide anima viva. 
 
«Forse è andato via...» disse lui.
 
«Si sarà solo spostato da qualche altra parte, io non sono sicura che se ne sia andato!»
 
«Le porte erano chiuse a chiave?»
 
Abigail annuì. 
 
«Adesso vado a dare un'occhiata in giardino e se non vedo nessuno...domani andremo a comprare il tuo primo camicione di forza.» 
 
Sorrise lui, nel tentativo di rassicurarla, mentre usciva in giardino.
 
Abigail si strinse le spalle e sentì un brivido scorrerle lungo la schiena. Non le piacque l'idea di dover restare da sola a casa ad aspettarlo e si pentì in quel momento di non avergli nemmeno lasciato portare la mazza. 
 
-Sei una fifona!- si rimproverò mentalmente. Era un po' paranoica, a causa del fratello che la obbligava a guardare insieme a lui una tale moltitudine di film horror. 
 
«Aspettami! Vengo con te!» disse, raggiungendolo in giardino.
 
 
I due fecero la ronda attorno a casa e in giardino per almeno 15 minuti, finché non riprese a piovere a catinelle. Del tizio che Abigail aveva visto prima, non era rimasta nemmeno l'ombra. 
 
«Sei sicura di non aver avuto le allucinazioni?» chiese lui in modo scherzoso. 
 
«Non ci sarebbe da stupirsi con tutti gli horror che mi hai fatto vedere!» 
 
«Vedila in questo modo: guardare film di paura tempra il fisico.» disse lui, con fare da saputello.
 
«Ah sì? E da cosa?» rispose Abigail, con una nota di falso entusiasmo.
 
«Pensa se zombie e vampiri esistessero realmente! Tu saresti avvantaggiata rispetto alle altre ragazze e saresti in grado di cavartela.»
 
«Credo che il camicione di forza serva anche a te!» Raphael le sorrise.
 
 
 
Più tardi, verso sera, Abigail si trovava nella sua stanza e stava facendo mente locale di quello che avrebbe dovuto fare l'indomani. Sua madre le aveva lasciato numerose faccende da sbrigare. Non sarebbe tornata prima di tre settimane dal suo viaggio in Giappone. Organizzava sfilate di alta moda e amava molto il suo lavoro, ma non si poteva dire che col trasloco avesse risolto i suoi problemi di tempo. Raramente trascorrevano insieme delle giornate e per lo più, si sentivano per telefono. 
 
Non era mai stato un problema occuparsi della casa, delle spese e delle bollette. Lei e Raphael avevano imparato a cavarsela molto bene da soli. Abigail, in particolare, aveva un forte senso di indipendenza e un carattere deciso, che molte ragazze alla sua età non avevano.
 
D'un tratto sentì bussare alla porta.
 
«Avanti.» rispose lei.
 
Raphael aprì la porta ed entrò nella sua stanza.
 
«Già in pigiama?» domandò lui sbigottito.
 
«Vado a dormire prima stasera. Domani mi fermerò in biblioteca a terminare la mia ricerca.»
 
«Avevo noleggiato tutta la serie di Venerdì 13 solo per stasera!» Disse, mostrando orgoglioso i DVD che reggeva tra le mani. «Non mi puoi abbandonare!» 
 
«Oh sì che posso!» annunciò lei con grande convinzione, infilandosi sotto le coperte e fingendo già di dormire.
 
«Ti credevo più temeraria, ma a quanto pare sei una fifona lunatica.» disse lui per provocarla, senza ottenere alcun risultato. 
 
«Di tanto in tanto, vorrei chiudere occhio la notte.» terminò lei, spegnendo la luce e girandosi dalla parte opposta.
 
«D'accordo, allora buona notte!» si arrese lui, chiudendo la  porta e avviandosi nel soggiorno.
 
 
Quella sera, Abigail aveva più sonno del solito. Normalmente, andava a letto almeno due o tre ore dopo, ma ora si sentiva così stanca che poteva anche addormentarsi in piedi. L'unica cosa che non le faceva ancora chiudere occhio, era il presentimento di sentirsi osservata da qualcuno. 
 
Il sonno stava diventando via via sempre più forte e faceva fatica a trattenere le palpebre, che sembrava lottassero contro di lei per chiudersi. Il corpo si stava addormentando velocemente e si sentiva come paralizzata. Si guardò intorno e le sembrò di vedere un'ombra materalizzarsi davanti alla sua finestra. 
 
Voleva chiamare Raphael, ma le parole le rimasero bloccate in gola. Udii un bisbiglio provenire da dentro la sua stanza. Era molto debole. -Che mi sta succendendo?- si domandò tra sé e sé. La figura fuori dalla finestra era diventata più nitida e intravide due occhi rossi lucenti. Il bisbiglio si fece più forte e intenso, così tanto che ora riusciva a sentire le parole, come se le rimbombassero nella testa.
 
«Lasciami entrare...Abigail.» disse quella voce.
 
-Chi sei?- pensò lei, non riuscendo ancora a parlare.
 
Sentì una risata e poi di nuovo la voce le disse «...se mi lasci entrare, ti prometto che non farò del male a tuo fratello.»
 
-Che cosa vuoi da me?-
 
Si sentì rispondere con una risata divertita.
 
-Rispondimi!-
 
«...voglio soltanto prendere il tuo cuore...me ne serve soltanto uno...tu e tuo fratello avete entrambi ciò che voglio, ma ho un debole per le ragazze...»
 
-Vattene!-
 
«Se mi mandi via ora, strapperò il cuore dal petto di tuo fratello e poi verrò a prendere anche te!»
 
-Tu non prenderai proprio un bel niente!-
 
«Come vuoi...Abigail...dopo che avrò divorato tuo fratello, ti violenterò e mi prenderò anche il tuo cuore!»
 
L'ombra alla finestra sparì all'improvviso. Si sentì formicolare le braccia e le gambe: il suo corpo si stava risvegliando. Anche gli occhi riuscivano a stare aperti. 
 
 
 
Accese la luce e si alzò dal letto. 
 
 
 
-Era un sogno...soltanto un brutto sogno...- provò a rassicurarsi. Dei brividi avevano iniziato a correrle lungo la schiena, facendole accapponare la pelle. C'era silenzio in casa. Uno strano e inquietante silenzio.
 
In quel momento, avrebbe dovuto sentire il rumore della televisione accesa dal soggiorno. Indossò velocemente la vestaglia e a piedi scalzi, si avviò verso il soggiorno al piano terreno. 
 
Avanzò nel corridoio buio, tastando le pareti in cerca dell'interruttore della luce. Non appena lo trovò, premette il pulsante, ma la luce non si accese.
 
-Merda!- pensò -Va bene, niente panico...c'è una torcia elettrica nel cassetto della cucina.- si rassicurò. 
 
Andò in cucina. Era buio pesto anche lì. Provò a cercare a tastoni i cassetti, ad aprirli uno ad uno e a ravanare dentro in cerca di quella torcia. -Eccola!- si sentì sollevata, quando la trovò. 
 
La accese e si diresse verso il soggiorno. Sentì una folata di aria fredda sul viso. La portafinestra del soggiorno che dava sul giardino, era spalancata. 
 
«Raphael! Raphael!!! Dove sei!?» Gridò, senza ricevere alcuna risposta. Forse, Raphael era andato in giardino a controllare il contatore elettrico, subito dopo che era saltata via la luce. Pensò di raggiungerlo in giardino, quindi si avvicinò alla portafinestra, quando improvvisamente inciampò su qualcosa. La torcia le volò via dalle mani e lei atterrò sul tappeto.
 
Riprese la torcia e illuminò per terra. 
 
«Raphael!!» suo fratello si trovava steso a terra, incosciente e aveva il viso ricoperto di sangue.
 
Abigail provò a girarlo e a metterlo seduto, facendogli appoggiare la schiena alla sponda del divano.
 
«Mi senti fratellone?» gli diede una scrollata, ma lui a malapena riuscì ad aprire gli occhi.
 
«Che cosa ti è successo?»
 
«Io...io non...me lo ricordo bene...» disse esitante lui, ancora in stato catatonico. 
 
Si guardò intorno, illuminando la stanza con la torcia. Se fossero entrati dei ladri in casa avrebbero perlomeno rubato qualcosa dal soggiorno e dalla cucina, ma non mancava niente. Sembrava tutto tranquillo. 
 
«Sei scivolato? Che cosa ti è successo Raph?» gli domandò ancora, cercando di tenerlo cosciente il più possibile.
 
«Credo di...essere stato morso...» rispose con voce flebile, mostrandole la ferita sul collo che lo stava dissanguando.
 
«Oh cielo!» 
 
Abigail si strappò la manica della vestaglia e la usò per tamponare la ferita. 
 
«Vado a prendere il telefono e chiamo un'ambulanza. Tornerò subito!» stava per andarsene, quando Raphael le afferrò un braccio per trattenerla.
 
«Lui è ancora in casa...stai attenta!» disse con voce sempre più debole.
 
«So badare a me stessa.» tentò di rassicurarlo. Lui le lasciò il braccio e Abigail corse al piano di sopra a prendere il telefono. Compose il numero e si portò la cornetta all'orecchio. Tornò in soggiorno in un baleno.

Raphael non c'era più.
 
«Raphael!?» lo chiamò disperata, la l'unica cosa che aveva lasciato era la manica sporca di sangue della sua vestaglia, che lei aveva usato per tamponare la sua ferita. -Ma che diavolo sta succedendo qui?-
 
Spinse il tastino rosso del cordless e digitò il numero della polizia. Il suo incubo era appena iniziato.
 
 
 
La polizia non tardò ad arrivare. Era venuta anche la polizia scientifica e avevano appena iniziato ad esaminare le chiazze di sangue in soggiorno.
 
Era venuto persino l'ispettore della polizia e aveva appena terminato di interrogare Abigail sui fatti accaduti prima che Raphael sparisse.
 
«Vediamo se ho capito bene...» ricapitolò l'ispettore «...prima che suo fratello venisse aggredito, lei è stata minacciata quando si trovava in camera sua da un uomo che lei ha descritto come un'ombra scura e con gli occhi rossi che sembravano due fari. Questo l'ha minacciata dicendole che voleva prendersi il suo cuore e se lei non lo avesse fatto entrare in camera sua, avrebbe ucciso suo fratello e sarebbe tornato a prendere anche lei. Conferma questi fatti?»
 
«Sì.» rispose lei con voce tremante.
 
«Sa dirmi altro su questo aggressore?» domandò l'ispettore, quasi con fare scettico.
 
«Credo si tratti dello stesso uomo che ho visto stamattina nel mio giardino...dalla cucina...»
 
«Continui...» la esortò.
 
«Era completamente vestito di nero e aveva la pelle molto chiara. I capelli erano corti...era troppo lontano per vederlo bene. Mi ricordo che mi aveva fissata...»
 
«E' possibile che si tratti di uno stalker. Ha ricevuto telefonate da uno sconosciuto di recente?»
 
«No, nulla.»
 
All'improvviso un agente si avvicinò a loro e richiamò con un cenno l'attenzione dell'ispettore.
 
«Finiremo l'interrogatorio alla centrale.» Suggerì l'ispettore, facendole cenno di entrare in macchina «...aspetti lì dentro.»
 
Abigail eseguì l'ordine e in tanto l'ispettore si allontanò.
 
«Che cosa avete trovato?»
 
«Abbiamo trovato piccole macchie di sangue un po' ovunque. Sembra che il sangue sia schizzato fuori da una grossa arteria e se la ragazza ha detto che era ferito al collo, è probabile che si trattasse della carotide...»
 
«Continua.»
 
«...quello che non ci è chiaro, è di come abbia fatto il fratello a sparire in così poco tempo e senza lasciare alcuna traccia. Non c'erano segni di strisciamento per terra e nessuna impronta di scarpe. Inoltre, deve essere stato trascinato fuori dall'assassino, visto che con una ferita del genere si perde conoscenza nel giro di pochi minuti.»
 
«Può bastare agente...» lo fermò l'ispettore, quando vide arrivare anche il commissario. «...dica agli uomini di prepararsi per tornare alla centrale.»
 
Il commissario gli si avvicinò e l'ispettore rispose con un cenno e abbozzò le labbra ad un sorriso.
 
«Qual è la situazione ispettore Harris?»  
 
«Fratello e sorella. Il padre è morto 7 anni fa e la madre si trova in Giappone per lavoro e non tornerà prima di tre settimane. Il ragazzo è stato ferito al collo con un morso e poi rapito. La ragazza ha riferito di aver ricevuto delle minacce...»
 
«Da chi?»
 
L'ispettore Harris, per un momento, sembrò esitare «...un vampiro.»
 
«Questi maledetti freak!» borbottò il commissario, mentre sfilava dal pacchetto una sigaretta e se la portava alla bocca «...queste cose non dovrebbero neanche accadere e l'Hellsing lo sa molto bene!» si accese la sigaretta e aspirò la prima boccata di fumo. 
 
«Questo caso non è alla nostra portata. Harris, le affido a lei l'incarico di contattare quella donna e di farla venire alla centrale, questa notte stessa.»
 
«Che cosa ne sarà della ragazza?» domandò l'ispettore.
 
«Lei non ci riguarda più e tu lo sai molto bene. Si occuperà l'Hellsing di lei.»

 

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