Storia di mare

di Mattimeus
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***




Dedicato a coloro che amano



Storia di mare

Mentre la nave entrava nel porto, venimmo accolti da un caloroso benvenuto di profumo di pane. Quello non era certo l'unico odore che aleggiava intorno alla nave, anzi, a me pareva che la puzza di acciughe e di sartie bagnate soverchiasse tutto il resto. Eppure i marinai sono ormai abituati a tutto questo e apprezzano particolarmente una città come Portovivo, dove il forno del panettiere è spesso sopravento ai moli. Ma io non ero un marinaio, ero un mozzo, e al tanfo delle casse di merluzzo marcio non ci ero ancora abituato.

Mentre l'equipaggio manovrava la nave per l'attracco, io abbracciai con lo sguardo la città, che mi era diventata tanto cara nonostante non riuscissi ancora ad apprezzare le fragranze del fornaio: era qui infatti che viveva lei, Agave, nel viottolo ciottolato accanto al droghiere. Mi stava aspettando. Mi aveva aspettato per tutto l'autunno, mentre la nave faceva rotta verso sud e verso affari migliori; mi aveva aspettato per tutto l'inverno, mentre la nave era rimasta nelle acque più calde e più prolifiche di guadagno; e mi aveva aspettato per tutta la primavera, mentre la nave finalmente tornava in queste acque per restarci tutta l'estate. Portovivo è una città molto trafficata, molte rotte commerciali passano di lì, cosa che mi consentiva di fermarmi qualche giorno ogni settimana per stare con Agave. Erano passati quasi dieci mesi da quando ci eravamo visti l'ultima volta. I marinai parlano spesso di un anno come se fosse un attimo. “Passerà prima che tu te ne accorga” dicevano. Sembravano avere molta esperienza in queste cose, eppure a me sono sembrati un'eternità. Figuriamoci poi un anno intero. Tutto ciò naturalmente non aveva fatto altro che accrescere la mia ansia di rimettere piede in città: mai una nave mi è sembrata così lenta come in quel momento.

Finalmente la nave attraccò e l'equipaggio si sbrigò, dopo aver ricevuto la paga, ad andare a divertirsi in città. Naturalmente noi mozzi rimanemmo a bordo a pulire. In tre, ci volle fino a sera per concludere. La paga di un mozzo non è certo quella di un marinaio, ma consente un soggiorno decoroso nei brevi periodi di vita a terra.

Appena finito il lavoro, animato dal pensiero di rivederla, praticamente saltai giù dalla nave, lasciai indietro i miei due stanchi colleghi e corsi tra le luci delle osterie fino al mercato, poi a destra verso il droghiere. Giunto a casa sua, non vidi nessuna luce dentro le finestre. La sua porta era al primo piano. Salii le scale con reverenza, arrivai alla porta e bussai. Aspettai ancora, poi bussai ancora, ma ancora nessuna risposta. Mi sedetti contro la ringhiera che dava sulla strada, pensando che forse la stanchezza degli altri due mozzi era condivisibile. Poi passò di lì Piombino, il più giovane dei due, e mi urlò dal basso che loro si erano sistemati da Baffiunti. Gli urlai in risposta che a breve li avrei raggiunti, poi, appena trovai la forza di alzarmi, mi avviai all'osteria.

Baffiunti era un nostro vecchio amico; l'estate scorsa io e Piombino avevamo alloggiato praticamente sempre da lui e, per inciso, era lui che mi aveva fatto conoscere agave. Appena entrai nella sua osteria mi lanciò un saluto rumoroso dal bancone:

-Pesce! Razza di zuccone! Ci avrei scommesso che saresti andato a casa sua ancora prima di venire a salutarmi! Forza, avvicinati. Se fossi passato prima da me ti avrei avvisato: non è a casa, è andata nell'entroterra a fare una commissione per il droghiere. Ma voi marinai siete tutti uguali, se avete in testa una cosa nemmeno con il martello ve la si può schiodare-.

-Io non sono un marinaio, sono un mozzo. Se fossi stato un marinaio la prima cosa che avrei fatto sarebbe stata venire qui ad affogarmi nella tua ottima birra, come effettivamente ha fatto tutto l'equipaggio-.

-Ma che dici! Tutti non ci sarebbero stati qui dentro: un po' sono andati alla vecchia taverna dei moli. Ma non è questo il punto. Agave è tanto importante per te da essere la prima cosa a cui pensi quando scendi dalla nave?-

-In realtà non ho mai smesso di pensarci... e se non ti sta bene avresti dovuto riflettere meglio quando me l'hai presentata-.

-Non potevo non presentarvi. Con tutte le forniture che mi procura prima o poi avreste finito per presentarvi da soli e io questo non potevo permetterlo, o avrei perso tante notizie di voi due in anteprima-.

-Sei peggio di una vedova pettegola-.

-Ovvio, questa è una regola di ogni oste che si rispetti. Tu piuttosto sembri un marinaio abbastanza atipico-.

-Questo perché continui a confonderti. Io sono un mozzo-.

-Comunque Agave non tornerà prima di domani pomeriggio. Tu quando riparti?-

-Non ce l'hanno ancora detto-.

-Bene! Allora ti rimpinzerò con la tua zuppa preferita, dato che stai diventando un bel fusto e bisogna mettere tanta legna nella stufa-.

-Guarda che è la tua zuppa preferita-.

-Tanto per stasera offre la casa, quindi zitto e mangia. Vai a sederti laggiù con gli altri, tra poco vi porto la sbobba-.



Circa a metà della zuppa, quando ancora nessuno di noi aveva parlato – troppo stanchi e intenti a mangiare – entrò nell'osteria l'Irlandese. Anche l'Irlandese era una conoscenza dell'anno precedente, non stretta come Baffiunti ma comunque buona. E non avrebbe potuto essere altrimenti: l'Irlandese suonava il violino in maniera divina. Appena Piombino lo vide entrare, si staccò dalla zuppa e mi disse: -Hai visto, Pesce? Te l'avevo detto! Suona ancora! Vedi? Ha portato il violino, l'ha portato!-.

Quando iniziò a suonare, il centro dell'osteria diventò una pista da ballo. L'Irlandese era... incredibile. Il suo violino era sempre intonato. Dovunque andasse, dovunque suonasse, aveva il potere di far ballare chiunque. Era il tipo di uomo dalle cui labbra pendevano sempre tutti, soprattutto le donne. Lo si vedeva spesso in compagnia di qualche giovane avvenente. Era magnetico. Così andai anch'io a battere piedi e mani al ritmo di uno dei suoi famosi reel, finché la stanchezza mi rapì alla musica per portarmi a letto. I miei ricordi riprendono la mattina dopo.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Storia di mare – capitolo 2

Nella stanza inondata di luce, fui io il primo a svegliarmi, mentre Piombino e Pistacchio russavano ancora di gusto. Mi infilai i calzoni e la camicia e scesi ancora assonnato le scale che separavano le camere dall'osteria. Usciva già del fumo dalla cucina, accompagnato dai primi odori del pranzo.

    -Ma che ore sono?- gridai a Baffiunti stropicciandomi gli occhi.

    -È quasi ora di pranzo- mi rispose dalla cucina.

    -Di già?-

    L'oste uscì dalla cucina con un piatto su cui stavano due fette di pane imburrato che pose sul bancone davanti a me.

-Di già. In teoria è troppo tardi per fare colazione, ma se devi diventare marinaio una colazione per antipasto non ti può certo nuocere-.

-Perché ti ricordi che sono un mozzo solo quando ti fa comodo?-

-Zitto e mangia- disse tornando in cucina.

-Mi farai diventare grande come una botte se continui così- dissi, ma dalla cucina nessuna risposta.

Sorridendo, presi il piatto e andai a fare colazione fuori, sui gradini della piazza. Il sole era davvero già alto e i gabbiani facevano baldoria con gli avanzi del mercato, mentre il mare luccicava indifferente.



Mentre mangiavo, vidi passare per la piazza una ragazza con i capelli leggermente spettinati e una borsa contenente vestiti alla rinfusa. Mi sembrava che fosse la stessa ragazza che era in compagnia dell'irlandese la sera precedente. Non potei fare a meno di notare che qualunque fosse la ragazza che si portava a casa l'irlandese, era sempre una ragazza bellissima. Continuai a pensarci anche dopo che lei ebbe imboccato una viuzza, finché, poco dopo, arrivò sbadigliando lo stesso irlandese.

-Ti sei svegliato da poco?- lo salutai.

-Pesce! Ti ho visto ieri che ballavi come un tarantolato. Non sei migliorato molto dall'anno scorso-.

-Anche tu ti svegli sempre all'ora di pranzo-.

-Non sono io che mi sveglio tardi, ma voi che vi svegliate troppo presto-.

-Questo non ha nulla a che fare con la ragazza che ho visto passare poco fa?-

-Non confondiamo le cose. Mi sarei svegliato a quest'ora anche se fossi stato da solo. E poi a quanto vedo dalla tua colazione non sei certo sveglio dall'alba-.

-Io fino a ieri ero imbarcato. Tu più che suonare e accalappiare ragazze non fai-.

-Ha parlato il giovane innamorato! Dai, raccontami qualcosa-.

-Lei torna oggi pomeriggio, quindi ne so quanto te-.

-Oh, quindi ti tocca aspettare ancora un po'-.

-Sinceramente non ne posso più di aspettare-.

-Perché tu non sai goderti la vita. Attesa è solo un modo di chiamare il tempo, che, se lasciato vuoto, è come se non ci fosse mai stato-.

-Facile dirlo, per te che non hai nessuno da aspettare. Ogni volta che ti vedo hai una ragazza nuova. Come si chiamava l'ultima?-

-Non ne ho idea, l'ho conosciuta ieri sera-.

-Vedi? È questo che intendo! Per me invece il tempo si ferma quando sto con lei. Non c'è nulla nel passato e nulla nel futuro, conta solo il presente. Quando invece lei è lontana, i secondi ricominciano a precipitare e davvero mi sembrano sprecati-.

-Come sei ingenuo, mi ricordi me alla tua età. Ma è un'ingenuità deliziosa e indispensabile, guai se non esistesse-.

-Se non ti conoscessi non potrei concepire qualcuno capace di dire queste cose-.

-Fortuna che mi conosci, allora. Goditela, finché dura- disse mentre se ne andava.

-Durerà per sempre!- gli risposi io.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Storia di mare – capitolo 3

Pistacchio e Piombino si alzarono dopo pranzo e insistettero per andare agli scogli a tuffarsi. Nonostante le mie reticenze – Agave sarebbe arrivata a breve – e soprattutto grazie all'insistenza di Baffiunti, andai con loro. Secondo lui questo avrebbe dovuto distrarmi da lei, invece, mentre gli altri si divertivano, io stavo appollaiato su un masso fissando il vuoto. Ripensavo ad ogni momento passato con lei, a tutte le sfumature che poteva assumere il suo viso, al suo profumo... ritornavo su ogni istante, lo rivivevo con affetto commosso: cercavo di riscoprire la sensazione delle mie labbra quando le avevo baciato la mano e quella del mio braccio quando l'avevo sfiorata. Cercavo di immaginare quando l'avrei sfiorata di nuovo e nella mia mente nulla era mutato dall'anno prima, né il suo volto, né i suoi capelli, né la sua voce; mi immaginavo che tutto sarebbe stato come prima e io l'avrei baciata ancora e ancora e anche lei mi avrebbe baciato... ma sapevo che stavo correndo con la fantasia: per ora rimanevo inchiodato su quello scoglio, in ansia per cosa sarebbe successo. Mentre infatti avevo un'idea molto chiara su come avrei voluto che andasse, non avevo la minima idea di come mi sarei comportato o di come sarebbe andata realmente. Lei era cambiata nel frattempo? Chissà se anche lei non vedeva l'ora di rivedermi. Sicuramente non era in preda all'ansia come lo ero io. Magari si era dimenticata di me. Magari per lei quel bacio dato appena prima che ripartissi non aveva alcun valore. No, non era possibile, non era da lei. Lei manteneva sempre le...

Con mia grande sorpresa, mi ritrovai in volo e subito dopo in acqua. Quando riemersi, Pistacchio e Piombino sghignazzavano sullo scoglio dove ero seduto poco prima.

-Stai diventando noioso, Pesce!- mi urlarono.

-E voi quando smetterete di fare scherzi idioti?-

-Ma senti chi parla! Di solito tu sei il primo a farli-.

-Non credo proprio! Ultimamente siete così infantili...-

-E tu sei noioso!- urlò Pistacchio tuffandosi, seguito subito da Piombino.

-Ah, è così?-

A quel punto mi lanciai in uno dei miei tuffi migliori, che mi avevano reso un'attrazione anche tra i marinai. In questo modo prese inesorabilmente il via una gara molto agguerrita, cosa che ebbe il potere di distrarmi fino al tardo pomeriggio, quando ormai Agave doveva essere arrivata. Mi rimisi le braghe e la camicia e, lanciando un saluto agli altri, corsi verso la casa di Agave.

Giunto nei pressi della piazza, mi fermai, feci un gran respiro e ripresi la strada camminando, un po' per frenare l'ansia e la fretta, un po' accertarmi che il momento che stavo vivendo fosse reale. Passai vicino a Baffiunti, che era fuori a sonnecchiare sui tavolini dell'osteria. Quando mi vide m fece un cenno ed io capii che era arrivata e che mi stava aspettando. Mi si scaldò il cuore. Questa era la vera differenza tra me e Piombino e Pistacchio: avere qualcuno da aspettare e da cui essere aspettato, qualcuno che non ti faccia badare solo a te stesso. Un legame che valga come l'intero mondo.

La trovai affacciata alla finestra, che osservava il vicolo in attesa di vedermi comparire. Era sì cambiata, ma si era fatta ancora più bella. Era candida, luminosa, era tutto. Mi sorrise. Corsi su per le scale ed arrivai alla sua porta col fiatone. Lei era già lì. La baciai, e pareva che fosse lo stesso bacio di un anno prima, pareva che fosse la sua naturale continuazione. Tutte le mie ansie, tutte le mie idee erano scomparse. Sembrava che fosse tutto facile e naturale. Chiusi gli occhi. In quel momento per me il mondo finiva sulle sue labbra, se fossi morto in quel momento sarei di certo andato in paradiso, perché al paradiso quel momento somigliava. Nulla era cambiato, nulla sarebbe mai cambiato: io l'amavo, lei mi amava. Null'altro importava.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Storia di mare – capitolo 4

Eravamo entrati in casa. Lo sapevo non per aver guardato, ma perché avevo ritrovato l'odore a me carissimo della sua casa. Appena lo percepii, il mio cuore cominciò a respirarlo e a indovinarlo: c'era l'odore della salsedine di Portovivo, che in quella stanza sembrava entrare con riverenza; c'era l'odore del sole e della luce e del bianco, che alla sera diventava arancione e poi rosso, per poi tramutarsi nell'aureola di due candele quando il sole spariva; e poi c'era il profumo silvestre del mobile di cedro, e l'odore di vimini delle ceste che teneva sotto la finestra... no, quell'odore non c'era, e nemmeno altri, che il mio cuore conosceva così bene. La casa era cambiata: al posto delle ceste, un baule. Poi un nuovo tappeto, e il mobile aveva cambiato posto. E, soprattutto, un quadro stava appeso alla parete. Io non ne capivo nulla di arte, ma di certo non era un capolavoro: era mediocre, un comune paesaggio come se ne trovano appesi in ogni casa. Ma tanto bastò a ghiacciarmi le viscere. Quel quadro mi era estraneo, era la cosa più lontana da me che si potesse immaginare, ed era nella sua casa. La consapevolezza che la maggior parte della sua vita non mi comprendesse mi raggiunse come uno schiaffo. Come aveva ottenuto quel quadro? Perché aveva cambiato i mobili? Che cosa aveva fatto in quei dieci mesi? D'improvviso una folle gelosia verso l'ignoto mi spinse a cercare risposte al torrente di domande, finché giunsi ad un'altra consapevolezza: che non erano affari miei.

Cercai di non far trapelare nulla del mio tumulto interiore, ma naturalmente lei se ne accorse.

-Cos'hai?- mi chiese con una dolcezza che in quel momento avevo dimenticato. Lottando per sciogliere il nodo che avevo in gola, le risposi:

-Sono stato via troppo tempo...-.

-Ma sei tornato-.

-Già...-

-Questo è già molto, sai? Una donna che stringe un legame con un marinaio non sa mai se lui ritornerà, ma tu sei tornato-.

-Come puoi aver messo in dubbio il fatto che sarei tornato? Non conosci la forza... di ciò che mi ha fatto tornare?-

-La conosco troppo bene. L'amore ti ha fatto tornare, ma l'amore non ne ha fatti tornare molti altri-.

-Di chi stai parlando?-

-Di quello che mi ha regalato quel quadro, ad esempio. È stato qui pochi giorni soltanto, con la promessa di ritornare la settimana successiva. Non l'ho più rivisto-.

-Non posso crederci...-

-Non sei l'unico ad essere tornato, ma sono felice che tu l'abbia fatto-.

-Ma io ti amo! Hai idea di cosa significa per me sentirmi dire quello che mi stai dicendo adesso? No, non ce l'hai. Perché non sei innamorata-.

-Una volta lo sono stata, e anche una seconda, e una terza, e come tutte le donne di Portovivo e di tutti i mari del mondo. Poi si impara come sono fatti i marinai, tutti con una donna in ogni porto-.

-Ma io non sono un marinaio, sono un mozzo! Non ho idea di come si comportino i marinai e non mi interessa nemmeno. So solo che ti amo, e che tu non ami me-.

-Mi dispiace. Pensavo... pensavo che lo sapessi, che fosse chiaro-.

-Dispiace anche a me- dissi mentre aprivo la porta. L'aria fresca della sera mi confermò che non stavo vivendo un sogno. Non ebbi il coraggio di chiudermi la porta alle spalle, una volta uscito, ma me ne andai correndo, per evitare che potesse seguirmi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Storia di mare – capitolo 5

Non avevo voglia di tornare da Baffiunti, perché avrei rivisto lui e gli altri, ma non avevo altro posto dove andare. Così, a malincuore, entrai nell'osteria piena di luce e musica.

L'irlandese era già nel pieno della sua esibizione, così dovetti farmi largo tra la platea puzzolente che ingombrava il locale. Sia Baffiunti che Piombino che Pistacchio sapevano che ero andato da Agave, quindi non mi avrebbero cercato. Sgusciai fino alle scale ed entrai in camera. Improvvisamente mi accorsi di non sapere cosa fare. Di certo non sarei riuscito a dormire. Di colpo mi salì agli occhi un grumo di lacrime, che riuscii a trattenere. Accesi un lume, per cacciare l'oscurità dalla stanza; levate le scarpe, mi sdraiai sul mio letto. In quel momento mi sentivo molto lucido e razionale, mi sembrava che nulla fosse successo. In realtà il mondo mi era crollato addosso, sgretolatosi alle fondamenta, ma ancora non me ne ero reso conto. Tanto che, cosa di cui mi stupii la mattina dopo, riuscii ad addormentarmi.



Mi svegliai all'alba. Appena vidi Pistacchio e Piombino profondamente addormentati sui loro letti, mi chiesi cosa avessero pensato trovandomi qui con il lume ancora acceso. Mi rimisi le scarpe e uscii tentando di fare il minor rumore possibile. Solo gli equipaggi delle navi in partenza erano già svegli, il resto della città era avvolto nell'ovatta. Sperai che anche Baffiunti fosse ancora addormentato, invece lo trovai già in cucina ad accendere i primi fuochi. Dovetti impegnarmi parecchio per non far scricchiolare la scala dalla quale stavo scendendo. Una volta a terra, mi abbassai sotto il livello del bancone per fare in modo che Baffiunti non mi vedesse dalla cucina, quindi gattonai fino alla porta. Sarebbe stata una cosa imbarazzante se qualcuno mi avesse visto, ma non potevo permettere che Baffiunti mi salutasse, si domandasse che ci facessi già in piedi e mi chiedesse della sera precedente.

Una volta uscito, tirai un sospiro di sollievo e attraversai la piazza senza una meta precisa. Trovai poco più avanti un vicolo dove c'era una panchina che dava sul mare. Mi sedetti e lo osservai. Lui era sempre lì, grande e blu. Non cambiava mai: quando lo guardavo e provavo a parlarci, ero sempre io ad avere qualcosa di nuovo da raccontare. Spesso gli avevo raccontato di Agave. È più giusto dire che pensavo spesso a lei quando mi trovavo a guardarlo, ma a me piaceva pensarla così. Lui conosceva di certo di gente e un sacco di coste e di certo ne sapeva molte più di me. In fondo, perché tutto il mare di storie, incontri e parole del mondo, perché avrebbe dovuto curarsi della mia vita? A tradimento, le lacrime tentarono nuovamente di bagnarmi gli occhi, senza successo.

Iniziavo a rendermi conto. Se avessi perso l'amore, avrei perso tutto. Cercai di fare una rassegna di ciò che avevo oltre ad Agave: pensai al fatto che tra qualche anno sarei diventato marinaio, pensai agli amici, pensai a cose che mi parevano senza la minima importanza. La mia stessa vita, i miei ricordi, i miei pensieri, i miei gusti, le mie scelte, tutto mi sembrava di una deprecabile normalità tale da rendermi solo una cifra nel numero di tutte le genti sparse per il mare.

Tutto, tranne una piccola cosa luminosa che non avevo notato al primo elenco. Era calda e mi dava un insospettato senso di pace. All'agghiacciante certezza che Agave non mi amasse avevo per scontato di averla persa. Eppure scoprii che quel tepore viscerale che ormai non mi abbandonava da quasi un anno non aveva intenzione di lasciarmi. Il pensiero di Agave, infatti, che ancora non avevo avuto il coraggio di sondare, mi consolò con la stessa dolcezza della sera precedente, come se nulla fosse accaduto. Davvero sembrava che nulla fosse cambiato, perché ancora quel sentimento coincideva con la vita stessa, con la sua più intima scintilla. Come era stato nei mesi in cui ero imbarcato, il desiderio di vivere, di essere qualcosa in questo mondo, equivaleva al desiderio di riabbracciarla o anche solo di vederla.

Giunsi dunque ad un nuovo, vibrante proposito: sarei tornato da lei. Le avrei detto che non mi importava che non mi amasse, ma solo che potessi starle vicino.

Sapevo che Agave usciva di casa presto per sbrigare i suoi affari, così mi misi a correre come avevo fatto solo poche ore prima: ancora una volta attraverso la piazza, vicino al mercato e poi oltre il droghiere. La trovai che era appena scesa in strada dopo aver chiuso la porta. Quando mi vide, mi accorsi che sperava di non rivedermi.

-Pesce...- disse con fare triste.

-Agave!- Risposi io ancora col fiatone per la corsa.

-Pesce, io non...-

-Ci ho pensato, Agave. Non mi importa se non mi ami, se credevo che fosse un'altra cosa, a me importi solo tu-.

In quel momento non ero triste, né preoccupato, né felice, non ero nulla fuorché sincero. Quella che stavo pronunciando era infatti l'unica verità che in quel momento nessuno avrebbe mai potuto mettere in dubbio.

-Io non posso- rispose lei, con una tristezza che contrastava la mia sicurezza.

-Non puoi che cosa?-

-Non posso farti vivere un'illusione-.

Lei fece per andarsene per la sua strada, ma io ero talmente pietrificato che non pensai nemmeno di ribattere o di fermarla. Compresi che l'illusione c'era stata, e si era rotta. Avrebbe potuto forse andare avanti ancora se non avesse saputo che la amavo.

Dunque era finita. Eppure il tepore viscerale rimaneva, rafforzato dall'irraggiungibilità e tinto da allora in avanti di dolore.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Storia di mare – capitolo 6

Mi veniva da vomitare e mi sentivo completamente senza forze.

Molto tempo dopo che Agave se ne era andata io ero ancora seduto sul selciato davanti a casa sua. Stavo male, avevo l'acuta percezione della mia anima che andava in pezzi dentro al mio corpo, lacerandomi le interiora. Non avevo mai considerato la possibilità, mai avevo pensato che potesse essere presa in considerazione, eppure in quel momento saggiai il desiderio di morire. Ad un tratto la morte non sembrava di alcuna importanza, come la vita. Quanto sarebbe stato facile affogarsi, o impiccarsi, o buttarsi da qualche parte? Senza nessuna preoccupazione, sarebbe stato addirittura interessante.

Un conato di vomito mi fece contorcere e abbandonare quegli assurdi pensieri. Nel mio stomaco non c'era nulla, così rimisi solo pochi succhi gastrici dall'odore nauseabondo. Dovevo andarmene di lì, o quell'odore mi avrebbe fatto stare peggio.

Di andare verso la piazza non avevo la minima intenzione, né tanto meno verso il mare, che in quel momento mi sembrava di un'ipocrita imperturbabilità. Decisi di risalire fino alle colline alla spalle della città, dove il rischio di incontrare qualcuno era minimo. La strada finiva ai piedi della salita, dove iniziava un sentiero stretto e tortuoso immerso nella calda vegetazione costiera. Ormai la mattina stava finendo e il sole era alto già da un po', così la scarpinata mi costò una sudata e il fiato grosso. Già prima di arrivare sulla cima, i rumori del porto di erano smorzati e rimaneva solo il suono del vento. Il vento è amico del mare, pensai, ed io col mare non ci volevo avere niente a che fare.

-Buon giorno. Che stai facendo? -

Sobbalzai. Ero arrivato sulla cima da un po', ma non avevo notato la presenza di nessuno. Davanti a me c'era una persona che etichettai come... un vecchietto.

-Io? Beh... non sto facendo nulla.-

-E sei venuto fin qui per non far nulla?-

-No, ehm... non volevo rimanere laggiù.-

Dal colle si dominava tutta Portovivo.

-Allora stai scappando.-

-No, non sto... sì, forse.-

-Ragazzo, io ho già visto i tuoi occhi!-

-Non ci conosciamo. Ne sono sicuro.-

-Non mi hai capito! Tu sei innamorato.-

-Cosa!?-

-Ho detto che sei innamorato!! Sei sordo per caso?-

-Sì, ho capito, è solo che... come cavolo fa a saperlo?-

-Io ho gli occhi e li uso, ragazzo. Difatti, io sono quassù per il panorama. Non è bellissimo?-

-Almeno la città è lontana.-

-È una donna quella da cui stai scappando?-

-Anche...-

-Passerà, ragazzo, vedrai!-

-No. Non passerà. Non voglio che passi. È l'ultima cosa che mi rimane.-

-Guarda cosa ti rimane, ragazzo! Guarda la città, guarda il mare!-

Quel vecchietto mi aveva davvero dato sui nervi.

-Arrivederci- dissi mentre mi avviavo al sentiero per scendere.

-Arrivederci- disse il vecchietto.



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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Storia di mare – capitolo 7

Forse l'irritazione per l'incontro col vecchio mi aveva distratto dalla mia agitazione. Forse non avrei dovuto irritarmi. Ma non ero riuscito a non rispondere in modo sgarbato: sembrava volerne sapere a tutti i costi più di me, come se quello che è capitato a me capiti a chiunque.

A pensarci bene è la stessa cosa che mi irrita dell'irlandese. A lui viene tutto facile! È impossibile che abbia vissuto il mio stesso... caso. Per lui di ragazze ne esistono infinite, per me una sola. Eppure sembrava saperne di più ugualmente. Sembrava che ci fosse già passato...

Decisi di andare da lui. Era già tardi, quindi era praticamente impossibile che non si fosse ancora svegliato. Ma se così non fosse stato, l'avrei svegliato. Così imparava a dormire troppo.

Arrivato sotto casa sua, lo chiamai dalla finestra spalancata.

-Irlandese! Sei sveglio?-

Lui si affacciò, rigorosamente a torso nudo.

-Pare di sì,- disse -c'è qualcosa che non va?-

-Posso salire?-

-Vieni...-



La casa in cui alloggiava l'irlandese tradiva la sua vita. Era una camera in affitto di cui era palese che lui non si occupasse molto. C'erano vestiti sparpagliati un po' dovunque, tanto che l'armadio non sembrava essere stato aperto di recente. Il suo violino era adagiato con cura su una sedia, assicurato nella sua custodia rigida.

-Pesce, che ti è successo?-

-Io... non so più cosa fare.-

-In che ambito?-

-Nel senso che non so più cosa fare qui, a Portovivo, né che fare di me, né che fare domani...-

-È per Agave?-

-Sì.-

-Ma su, Pesce! Questa volta è andata male, ma il mondo gira ancora... solo il mare sa quante ragazze ti rimangono ancora da conoscere!-

-Io no sono te, irlandese.-

-Questo è certo. Tu sei un marinaio, conosci il mare molto meglio di me.-

-Non sono un marinaio.-

-Ma lo diventerai presto.-

-Voglio stare lontano dal mare.-

-Perché mai? Il mare è vasto, è una grossa perdita escluderlo tutto.-

-Dovrei imbarcarmi tra quattro giorni, ma non voglio. Non voglio nemmeno rimanere qui, però.-

-Ah, Pesce, rifiuti la tua natura.-

-Tu quando intendi lasciare Portovivo?-

-Tra due settimane, ho un lavoro nell'entroterra.-

-Puoi portarmi con te?-

-Ahahah! Pesce, mi piaci sempre di più.-

-Puoi farlo o no?-

-E in queste due settimane cosa farai?-

-Io...-

-Ti capisco, davvero. Eppure secondo me stai commettendo uno sbaglio, comportandoti così. Ma non spetta a me decidere, quindi, se ne sei convinto, ti porterò con me. Possiamo partire anche domani: devo essere lì tra due settimane, ma possiamo arrivare anche in anticipo.-

Lo guardai senza sapere che dire. Da un lato ero incredulo che stessimo per partire, dall'altro consideravo se e quanto l'irlandese mi ritenesse stupido.

-Domani? Dici sul serio?-

-Sì.-

-Beh... grazie.-

-Ora torna da Baffiunti, vorrà sapere che fine hai fatto. Sono curioso di sapere come gli dirai che te ne vai.-



Entrai dalla porta sul retro. Sul retro, direttamente nella cucina.

Baffiunti ci mise pochi secondi a notarmi e a mettersi a sbraitare:

-Pesce! Ma dove diavolo ti eri cacciato?- Piombino e Pistacchio ti stanno cercando da tutta la mattina.-

-Sì, scusatemi... volevo stare da solo.-

-Agave mi ha raccontato. Mi dispiace.-

Sapere che avevano parlato mi provocò una lieve contorsione alle interiora. Probabilmente tra loro due esisteva una confidenza che io non avrei mai avuto. Allontanai quel pensiero con livore.

-Ragazzo mio, mettiamo in chiaro che non mi interessa come stai, devi mangiare.-

-Non ho fame.-

-Non discuto.-

Ci guardammo per un momento negli occhi.

-D'accordo, mangerò. Ma ad una condizione.-

-Sarebbe?-

-Mi permetterai di aiutarti, questo pomeriggio. In cucina o in qualunque altra cosa di cui tu abbia bisogno.-

-Pesce, dovresti essere in pausa dal lavoro. Dovresti goderti questi pochi giorni.-

-Domani parto con l'irlandese.-

-Cosa!? Per dove?-

-Non lo so. Non mi interessa. Da qualche parte nell'interno.-

-Ho possibilità di dissuaderti?-

-No. Allora, mi lasci lavorare o no?-

-Va bene. Ma adesso mangia!-



Mi feci trovare pronto alla partenza sotto casa dell'irlandese, l'indomani mattina presto. Probabilmente ero in anticipo e altrettanto probabilmente l'irlandese sarebbe sceso in ritardo. Ma ero stufo di rimanere nel letto a fissare il soffitto, così mi ero vestito, avevo preso la sacca che avevo preparato la sera prima e mi ero fiondato fuori.

Cercando di non pensare ad Agave, pensai a Piombino e Pistacchio.

Li avevo salutati la sera prima, ma nella confusione dell'osteria non sembravano aver capito. Forse nemmeno io capivo quello che stavo facendo. Piombino era triste, Pistacchio era quasi arrabbiato. Avevamo parlato spesso di cosa avremmo fatto, di dove ci saremmo imbarcati dopo. Pistacchio aveva un talento per l'orientamento e voleva studiare per diventare ufficiale di rotta, mentre piombino fantasticava ancora sul ruolo di capitano. Qualunque fosse il futuro che immaginavamo, eravamo insieme. Anch'io mi immaginavo con loro, per questo mi faceva paura lasciarli, perché temevo che fosse uno sbaglio enorme. Avevo provato a dirgli che non era necessariamente un addio, che avremmo potuto ritrovarci su qualche altra nave, ma nemmeno io lo credevo. Quante probabilità ci sono che le stesse tre persone si imbarchino sulla stessa nave?

L'irlandese, uscendo di casa, mi distolse da quei pensieri. Era in ritardo.

-Sei in ritardo- gli dissi.

-Siamo in anticipo di due settimane, rilassati- mi disse sorridendo e sbadigliando. Certo, dovevo rilassarmi, ma come potevo? Stavo lasciando il mare, stavo lasciando la possibilità di rivedere Agave per andare in un posto di cui non sapevo nulla. Non riuscivo proprio a rilassarmi.

-Scusa, ma dov'è che stiamo andando?-

-A Montealto, al castello del Re.-

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Storia di mare – capitolo 8

La strada per Montealto è tutta in salita. Superate le colline che circondano Portovivo, seguimmo la via maestra per il castello. Ovviamente viaggiavamo a piedi.

L'irlandese camminava davanti a me, come a farmi da guida. La strada che avremmo seguito era larga ed evidente e sarebbe stata praticamente tutta dritta fino al castello: non c'era possibilità di perdersi. Ma io mi ostinavo a camminare dietro di lui, fissando il terreno. Spesso provava a girarsi e iniziare una discussione, ma le mie risposte per lo più monosillabiche finirono per dissuaderlo.

Viaggiammo per tutta la giornata e alla sera ci fermammo in una delle tante anonime stazioni di posta lungo la strada. Non ero per nulla abituato a camminare così a lungo, avvezzo com'ero alla vita di bordo, così quella sera ero talmente stanco da voler saltare la cena.

-Non vorrei sembrarti Baffiunti- disse l'irlandese -ma devi mangiare. Se non altro per riuscire a camminare anche domani.-

Di malavoglia, mi lasciai convincere. Quando ci sedemmo insieme al tavolo, mi sembrò strano vederlo seduto con me, e non in centro alla sala a suonare.

-Pesce, non mi interessa se non vuoi chiacchierare con me. Ma dovevi dirmi che eri in difficoltà.-

-Andava tutto bene.-

-Balle. Non pensare sempre di saperne più degli altri. Ti si leggeva in faccia che eri esausto.-

Strano che la pensasse così. Era infatti proprio l'impressione che lui ne sapesse più di me che, che ne avesse viste molte di più di me, che mi irritava. Pensavo che avesse capito la mia situazione, pensavo che sapesse che ero innamorato. Quello che mi disse poi mi fece pensare a questo ancora di più:

-A lungo andare l'amore, senza nessuno a riceverlo, diventa solo un fuoco nel petto e si riduce alla sola sensazione di questo. Ma se non c'è nessuno ad alimentarlo, il fuoco si estingue pian piano. Puoi alimentarlo tu, ma non potrà andare aventi in eterno. Prima o poi, finirà. Nonostante tu non lo creda possibile, finirà come è finito per tutti, come è finito per me.-

Non sapevo cosa sarebbe stato giusto dire, così non dissi nulla. Finii la cena in silenzio e andai dritto a letto.



Il giorno successivo camminammo ancora, lui davanti e io dietro. Ma continuavo a pensare a quello che aveva detto la sera prima. Possibile che anche lui fosse stato innamorato? Proprio lui, che non sembrava avere alcun rispetto per l'amore e che non frequentava la stessa ragazza per più di due giorni? Non mi sembrava possibile. L'amore che portavo in petto, pur non ricambiato, era una cosa a me sacra. Se davvero era destinato ad estinguersi, mai l'avrei tradito comportandomi come l'irlandese. Ma come aveva potuto farlo lui? Erano pensieri di cui proprio non riuscivo a venire a capo, tanto che la curiosità mi spinse camminare al suo fianco per potergli porre la domanda.

-Com'era lei?-

Lui mi guardò.

-Bellissima. Ma questo già lo immaginavi, vero?-

-Credo di sì.-

-Lavorava con me in un'osteria. Io suonavo già allora, mentre lei faceva la cameriera. Nel vivo della serata, smetteva di servire ai tavoli e dava il via alle danze, sulla mia musica. Mi innamorai di lei la prima sera di lavoro, la prima volta che la vidi ballare. Alla fine del reel, ero madido di sudore per il terrore di sbagliare le note, ma lei aveva ballato divinamente nonostante questo.-

-E poi? Cosa è successo?-

-Lavorammo insieme per tre mesi. Sono stati il periodo più bello della mia vita. In tre mesi, non trovai il coraggio di dirle che l'amavo. Poi seppi che sarebbe partita dopo pochi giorni, e allora riuscii a parlarle. Mi disse che sarebbe andata con suo padre in America, dove io non potevo seguirla. E mi disse che anche lei mi amava. Partì tre giorni dopo.-

-Ma ti amava... ed è partita lo stesso! Perché?-

-Pesce, l'amore è forte, ma il mondo è grande.-

In quel momento non capii cosa intendesse, ma mi resi conto che era una domanda indelicata, così tacqui. Parlò lui:

-Non rimasi in quell'osteria dopo che lei se ne era andata, non ci riuscii. Così abbandonai l'Irlanda e iniziai a viaggiare. Come hai voluto fare tu.-

-Ma tu mi hai detto che sto commettendo uno sbaglio!-

-Lo sbaglio non è partire, è non avere motivi per ritornare. Lo sbaglio è fuggire.-











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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Storia di mare – capitolo 9

C'era un profumo rosso nell'aria, sulla strada, il giorno seguente. Si era fatto notare forte e rotondo una volta che l'odore di salsedine del mare si era attenuato. Ora dei geranei fioriti d'azzurro contornavano la via e il vento sembrava più freddo. Gli alberi cominciavano a farsi più scuri e più alti e frusciavano al vento.

Nei momenti in cui non parlavo con l'irlandese, ascoltare il silenzio mi attaccava addosso quella sensazione secca di freddo. Era piacevole. Ormai anche le montagne si vedevano bene; l'irlandese prevedeva che saremmo arrivati l'indomani mattina, magari anche quella sera stessa. Non facevo neanche più caso al dolore alle gambe.

Intanto, con l'avvicinarsi del castello, sulla strada vedevo gente sempre più strana. La maggior parte vestiva con buffi copricapi e abiti sgargianti e altezzosi, quasi esotici. Ad un certo punto ci imbattemmo in una piccola carovana di tre carrozze, che ci superò al trotto. Notai che esibivano tutte la stessa insegna; l'irlandese mi spiegò che dovevano già essere gli invitati per la festa.

-Quale festa?- gli chiesi.

-Quella alla quale devo suonare.-



Arrivammo quella sera. Salendo per la strada pulita e ordinata, rumori di zoccoli e fruscii di passi rimbalzavano duri sulle pietre delle case. Il castello era costruito sulla sommità di un colle e lo stesso colle era ricoperto dalle case e dalle vie del borgo. La città di Montealto era fremente di luci e spazzata dal vento. Camminavo in silenzio, col naso per aria. Non avevo mai visto edifici così: alti, grandi, decorati. Tutto in quella città appariva bello. Le scalinate pulite, i portoni dipinti... il vento si sarebbe portato via qualunque cosa avesse disturbato quel quadretto.

Arrivammo davanti al castello; l'irlandese andò a chiedere qualcosa ad una guardia, poi tornò e mi disse:

-Per questa notte alloggeremo in città. Domani andremo al castello.-

Stavo ancora osservando la città intorno a me e non feci molto caso a quello che aveva detto. Cominciavo a sentirmi strano, fuori posto. Tutti i passanti che vedevo, tutti quelli di Montealto sembravano avere qualcosa di importantissimo da sbrigare: camminavano svelti e silenziosi, ognuno di loro sembrava che mi chiedesse perché anche io non avessi qualcosa di importantissimo da fare. Che cosa avevo da fare io, in quel luogo?



Ci presentammo in mattinata al castello. Le guardie ci lasciarono entrare senza alcun problema, mentre io mi limitavo a seguire l'irlandese. Entrammo in una porta, proseguimmo per un corridoio e poco illuminato e arrivammo nelle cantine.

-Sono in anticipo!- urlò l'irlandese. Un tizio pelato si girò.

-Guarda chi c'è!- urlò quello in risposta. -Vecchia volpe irlandese! Questo significa che devo comprare altre botti di vino?-

-Quanto ne hai?-

-Milleduecento litri, in dieci botti.-

-Direi che bastano.-

-Non se inizi a suonare questa sera. Con tutta la gente che fai ubriacare dovrei averne almeno altri duecento litri, o non basteranno per la festa.-

-Tranquillo, per questa settimana sono ancora in visita.-

-Beh, peccato. Chi è il giovanotto qui? Che cosa suona?-

-Lui è un amico marinaio, non suona.-

Loro risero.

-Giovanotto, hai davanti a te mastro Bottediferro, sovrano di queste cantine.-

-Buongiorno...- dissi con poca convinzione.

-Vado a finire i saluti e a presentarmi a Piumablù, ci vediamo.- disse l'irlandese a Bottediferro.

Usciti dalle cantine, lo seguii mentre andava a salutare il capo delle guardie e il giardiniere. Dal giardino quindi doveva attraversare un porticato e raggiungere il capo della servitù, Piumablù.

-Vado a presentarmi ufficialmente. Rimani qui un momento.-

-Certo- dissi d'impulso, ma non avevo la minima idea di cosa avrei fatto, lì da solo.

Lui sparì nell'ennesima porta e io rimasi a guardarmi intorno, in piedi impalato sulla ghiaia del vialetto. Era un giardino immenso, curato e artificioso come dovevano essere quei giardini. Notai delle panchine di pietra: forse era il caso che mi sedessi. Risultavo parecchio stupido, lì imbambolato.

Feci per sedermi, ma mi ricordai dell'ultima volta che mi ero seduto su una panchina, pochi giorni prima. Vedevo il mare, ero a Portovivo. Ero innamorato. No, maledizione, lo ero ancora, anche in quel momento. Nonostante lei era lontana, irraggiungibile. Lo sarei stato per sempre. Come poteva il mondo non accorgersi di questo? Come poteva quel sentimento esistere solo per me? Mi sedetti con la testa tra le mani, cercando ancora una volta di frenare il pianto.

Feci caso a dei passi sul vialetto.

-... per me non suona affatto. Per me canta.- bisbigliò una voce. Alzai la testa e vidi due ragazze vestite di giallo e arancione passeggiare sotto un ombrellino parasole. Mi stavano osservando, parlando di me con un tono di voce con cui riuscivo ad udirle. Non sapevo se facessero di proposito o meno.

-Secondo me invece suona il flauto. Riconosco un musicista quando lo vedo.-

Continuarono, passando oltre. Rallentarono l'andatura, come se attendessero qualcosa. Vedendo che non le raggiungevo, quella più bassa, vestita di giallo, si rigirò verso di me.

-Scusa, hei! Ti abbiamo visto con l'irlandese. Sei suo amico?-

-Suoni il flauto o canti?- chiese l'altra.

-Beh, veramente...- stavo ancora cercando le parole per rispondere quando tornò l'irlandese. Quelle si voltarono subito a salutarlo con grande enfasi. Lui rispose cortese:

-Mandorla, Vaniglia, è un piacevole onore incontrarvi di nuovo.-

-Chi è questo tuo amico così carino?-

-Suona il flauto o canta?-

-Lui è il mio amico Pesce, e si dà il caso che non faccia nessuna delle due cose.-

-Oh cielo, vuoi dire che è un pianista?-

-Oh, ma non abbiamo un pianoforte nella sala da ballo! Dobbiamo dire a nostro padre di procurarne subito uno!-

Tutte entusiaste, si diressero all'interno del castello senza attendere risposta.

-Vi aspettiamo al ballo, ragazzi! Non vediamo l'ora di sentirvi suonare!-

-Soprattutto tu, Pesce. Oh, sono curiosissima!-

Detto ciò, scomparvero all'interno del castello. Ero alquanto perplesso.









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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Storia di mare – capitolo 10

-Hem... irlandese...-

-Dimmi.-

-Mi spiegheresti almeno qualcosa di quello che sta succedendo?-

-Ahah certo! Ricordi che ti ho parlato della festa, vero?-

-Ovviamente. Qui tutti non sembrano parlare d'altro.-

-Hai idea di chi fossero quelle ragazze?-

-Assolutamente no.-

-Erano le figlie del re. Le principesse Mandorla, la maggiore, e Vaniglia, la minore.-

Ne fui abbastanza sorpreso.

Tra due settimane si terrà la festa per il loro compleanno. Sono nate a pochi giorni di distanza, così festeggiano insieme, in modo da avere più invitati, più balli e più distrazioni.-

-E noi che c'entriamo?-

-L'anno scorso capitai qui per caso in questo periodo, subito dopo che voi vi imbarcaste nuovamente da Portovivo. Avevano bisogno di musicisti, perché un'intera compagnia non era arrivata. Così, come altri, colsi l'occasione di suonare a quella festa, davanti a tutti quei nobili cialtroni. E mi hanno chiesto di tornare l'anno seguente.--

-Ah- dissi. Ero sempre più convinto che quello non era un luogo adatto a me.

-Non ti vedo convinto.- Mi diede una spintarella di gomito. -Sei rimasto colpito dalle principesse, eh?-

Mi staccai da lui, indignato.

-Ma come ti viene in mente!?-

-Ahah ho fatto centro!-

-Ho detto di no!-

-Pesce, ascolta. In qualunque altra situazione ti avrei sostenuto, ma loro sono le figlie del re e vanno lasciate perdere.-

-Non mi provocare! Non farlo più!- sbottai urlando. -Pensavo che mi avessi capito, pensavo che ti ricordassi com'è essere innamorato. Questo amore è l'unica cosa di una qualche importanza che mi sia rimasta, assieme al ricordo che mi rimarrà di lei. Pensi davvero che mi importi di qualcun'altra?-

L'irlandese si rabbuiò.

-Devi fartene una ragione. Dimenticala, lasciala andare, rinuncia.-

-Non posso rinunciare a quel sentimento! Non voglio che sia possibile rinunciarvi: sarebbe come ammettere che questo sentimento non è tutto, che non è la vita stessa. Rinunciare e darmi per vinto suonerebbe come la sconfitta dell'amore, ma l'amore che conosco io non può vedere sconfitte.-

-No, Pesce. Tu non vuoi rinunciare perché l'amore ti rende migliore agli occhi di te stesso e degli altri. Tu sei l'innamorato, e questo ti permette di distinguerti dalla massa, ti rende nobile.-

Mi feci piccolo piccolo, tentando di abbandonare quella conversazione, ma lui continuò:

-E non hai nemmeno i coraggio di ammettere che hai paura! Paura che questo non possa ripetersi, paura che comunque non sarà mai più come ora. Non vuoi lasciare la certezza per l'incertezza, anche se la tua certezza è dolorosa. Lascia il tuo amore meraviglioso e nobile! Scommetti sulla vita: credere che essa non abbia più niente da offrirti è il più grande errore che tu stia facendo. È atto di superbia verso il mondo, perché il mondo è molto più grande ti te.-

A quel punto me ne andai passo svelto tra le alte siepi di quel giardino. Lui non mi seguì.







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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Storia di mare – capitolo 11

Mi vergognavo, per questo quella era quasi una fuga. Non volevo più sentirgli dire quelle cose, ma più di tutto non volevo urlare più. Addentrandomi in quel giardino mi pareva possibile trovare un minimo di pace. Non feci che pochi passi che arrivai ad una fontana immersa nel verde. Volevo addentrarmi di più, quasi per perdermi e non dover tornare dell'irlandese, in quella città assurda. Mi fermai un momento ad ascoltare il rumore dell'acqua, poi ripresi a percorrere il vialetto. Ma venni fermato dalla voce di un vecchio:

-Ragazzo, non dovresti urlare in questo giardino. C'è chi cerca il silenzio, qui.-

Lo guardai. Era lo stesso vecchio che avevo incontrato sulla collina a Portovivo. Aveva sentito tutto quello che avevo urlato poco prima, cosa che mi impacciò nell'imbarazzo.

-Hem, sì, chiedo scusa...-

Mi resi conto del fatto che non aveva alcun senso che quel vecchietto fosse lì.

-Ci siamo già incontrati a Portovivo, vero?-

-È vero, ragazzo. E tu non sei migliorato per niente in questi giorni.-

-Ma... ma lei era solo pochi giorni fa a Portovivo. Come ha fatto ad arrivare qui in così poco tempo?-

-Oh, per me non è affatto difficile trovare una carrozza. Ragazzo, in questo luogo dovresti darmi del voi.-

-Non capisco...-

-Dunque, che te ne pare delle mie figlie?-

-Voi... voi siete il re?-



Mi invitò a fare una passeggiata. Il re aveva sentito praticamente tutta discussione tra me e l'irlandese, ma non ne sembrava affatto turbato.

-Conosco il tuo amico irlandese. Ma di te non so nulla. Cosa ti porta in questa città?-

-Veramente ora me lo chiedo anch'io...-

-Come immaginavo. Ragazzo, non ho molto elementi per affermarlo, ma posso dire che sei un idiota.-

-Perché?-

-E me lo chiedi anche! Forza, non mi hai ancora detto cosa ne pensi di Mandorla e Vaniglia.-

-Hem... sono molto... cortesi.-

-No, ragazzo, non essere imbarazzato. Non ti sto chiedendo quello. Ti sto chiedendo che pensi del loro atteggiamento.-

-Cosa intendete?-

-Oh, te ne sarai accorto anche tu, nonostante la tua aria da idiota. Con l'avvicinarsi della festa, si fanno disinibite e civettuole. Darebbero qualunque cosa per un'avventura fuori dal casello. Credi che se ne avessero l'opportunità, non scapperebbero con il primo che passa? Conoscendole, sposerebbero a prima vista il violinista irlandese, perfino te, magari.-

-Non so... non credo.-

-Te lo sto dicendo io, ragazzo! In che mondo credi che vivano? Sognano l'amore, sognano il principe azzurro, ma non sanno nulla della vita. E tu ti ostini a vivere nel loro stesso mondo!-

-Io non...-

-Non dovresti contraddirmi per principio, dato che sono il re, men che meno adesso che ho ragione. E tu sai che ho ragione, che anche il tuo amico violinista ha ragione, ragione da vendere! O non te ne saresti andato con la coda tra le gambe. Vieni, da questa parte.

Eravamo arrivati al muro del giardino, in un angolo della cinta dal quale sorgeva una torre. Il re tirò fuori un mazzo di chiavi arrugginite, aprì la porta e prese a salire.

-Muoviti a seguirmi!- mi disse già sulle scale.

Arrivammo in cima.

-Guarda, cosa vedi?-

Mi voltai. Nella foschia si vedeva la campagna collinosa, la strada maestra che avevamo percorso, le case, le stazioni di posta.

-Vedo il regno.-

-Più in là!-

Guardai più in là. Quelle potevano essere le colline dietro Portovivo, ma non ne ero sicuro. Dietro di esse, una linea azzurra.

-Il mare.-

-Il mare! Ragazzo: il mare! Mi vuoi spiegare cosa accidenti ci fai qui, lontano dal mare, in un posto che non ti si addice, per un motivo che non conosci? Per una ragazza? Ma fammi il piacere! L'amore non è una ragazza. L'amore non è quella ragazza. Finisci di fare l'imbecille e dai retta al tuo amico, che la sa lunga. E se non ti ho ancora convinto, pensa alle mie figlie. Sono frivole e superficiali, ma non sono stupide. Loro lo sognano in continuazione il mare, anelano la vita con ogni fibra della loro anima. La vita vera, non farsa che conducono qui a corte. E non l'avranno mai, saranno sempre incagliate in una città come questa a sognare l'amore, e neanche quello l'avranno mai. E tu? Tu cosa vuoi? Vuoi consacrare la tua vita al nulla?-

-No, non...-

-Dammi una risposta decisa, una volta tanto!-

-No. Non lo voglio.-

-E cosa vuoi?-

-Voglio il mare. Voglio sentire di nuovo la realtà delle sue onde, il salato dei suoi sbuffi. Non questo vento secco che non ha odori. Voglio poter amare di nuovo, veramente.-

-E allora torna al mare, ragazzo.-

-Lo farò.-









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