Storia di mare di Mattimeus (/viewuser.php?uid=82908)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1 ***
Dedicato a coloro che amano
Storia di mare
Mentre
la nave entrava nel porto, venimmo accolti da un caloroso benvenuto
di profumo di pane. Quello non era certo l'unico odore che aleggiava
intorno alla nave, anzi, a me pareva che la puzza di acciughe e di
sartie bagnate soverchiasse tutto il resto. Eppure i marinai sono
ormai abituati a tutto questo e apprezzano particolarmente una città
come Portovivo, dove il forno del panettiere è spesso
sopravento ai moli. Ma io non ero un marinaio, ero un mozzo, e al
tanfo delle casse di merluzzo marcio non ci ero ancora abituato.
Mentre
l'equipaggio manovrava la nave per l'attracco, io abbracciai con lo
sguardo la città, che mi era diventata tanto cara nonostante
non riuscissi ancora ad apprezzare le fragranze del fornaio: era qui
infatti che viveva lei, Agave, nel viottolo ciottolato accanto al
droghiere. Mi stava aspettando. Mi aveva aspettato per tutto
l'autunno, mentre la nave faceva rotta verso sud e verso affari
migliori; mi aveva aspettato per tutto l'inverno, mentre la nave era
rimasta nelle acque più calde e più prolifiche di
guadagno; e mi aveva aspettato per tutta la primavera, mentre la nave
finalmente tornava in queste acque per restarci tutta l'estate.
Portovivo è una città molto trafficata, molte rotte
commerciali passano di lì, cosa che mi consentiva di fermarmi
qualche giorno ogni settimana per stare con Agave. Erano passati
quasi dieci mesi da quando ci eravamo visti l'ultima volta. I marinai
parlano spesso di un anno come se fosse un attimo. “Passerà
prima che tu te ne accorga” dicevano. Sembravano avere molta
esperienza in queste cose, eppure a me sono sembrati un'eternità.
Figuriamoci poi un anno intero. Tutto ciò naturalmente non
aveva fatto altro che accrescere la mia ansia di rimettere piede in
città: mai una nave mi è sembrata così lenta
come in quel momento.
Finalmente
la nave attraccò e l'equipaggio si sbrigò, dopo aver
ricevuto la paga, ad andare a divertirsi in città.
Naturalmente noi mozzi rimanemmo a bordo a pulire. In tre, ci volle
fino a sera per concludere. La paga di un mozzo non è certo
quella di un marinaio, ma consente un soggiorno decoroso nei brevi
periodi di vita a terra.
Appena
finito il lavoro, animato dal pensiero di rivederla, praticamente
saltai giù dalla nave, lasciai indietro i miei due stanchi
colleghi e corsi tra le luci delle osterie fino al mercato, poi a
destra verso il droghiere. Giunto a casa sua, non vidi nessuna luce
dentro le finestre. La sua porta era al primo piano. Salii le scale
con reverenza, arrivai alla porta e bussai. Aspettai ancora, poi
bussai ancora, ma ancora nessuna risposta. Mi sedetti contro la
ringhiera che dava sulla strada, pensando che forse la stanchezza
degli altri due mozzi era condivisibile. Poi passò di lì
Piombino, il più giovane dei due, e mi urlò dal basso
che loro si erano sistemati da Baffiunti. Gli urlai in risposta che a
breve li avrei raggiunti, poi, appena trovai la forza di alzarmi, mi
avviai all'osteria.
Baffiunti
era un nostro vecchio amico; l'estate scorsa io e Piombino avevamo
alloggiato praticamente sempre da lui e, per inciso, era lui che mi
aveva fatto conoscere agave. Appena entrai nella sua osteria mi
lanciò un saluto rumoroso dal bancone:
-Pesce!
Razza di zuccone! Ci avrei scommesso che saresti andato a casa sua
ancora prima di venire a salutarmi! Forza, avvicinati. Se fossi
passato prima da me ti avrei avvisato: non è a casa, è
andata nell'entroterra a fare una commissione per il droghiere. Ma
voi marinai siete tutti uguali, se avete in testa una cosa nemmeno
con il martello ve la si può schiodare-.
-Io
non sono un marinaio, sono un mozzo. Se fossi stato un marinaio la
prima cosa che avrei fatto sarebbe stata venire qui ad affogarmi
nella tua ottima birra, come effettivamente ha fatto tutto
l'equipaggio-.
-Ma
che dici! Tutti non ci sarebbero stati qui dentro: un po' sono andati
alla vecchia taverna dei moli. Ma non è questo il punto. Agave
è tanto importante per te da essere la prima cosa a cui pensi
quando scendi dalla nave?-
-In
realtà non ho mai smesso di pensarci... e se non ti sta bene
avresti dovuto riflettere meglio quando me l'hai presentata-.
-Non
potevo non presentarvi. Con tutte le forniture che mi procura prima o
poi avreste finito per presentarvi da soli e io questo non potevo
permetterlo, o avrei perso tante notizie di voi due in anteprima-.
-Sei
peggio di una vedova pettegola-.
-Ovvio,
questa è una regola di ogni oste che si rispetti. Tu piuttosto
sembri un marinaio abbastanza atipico-.
-Questo
perché continui a confonderti. Io sono un mozzo-.
-Comunque
Agave non tornerà prima di domani pomeriggio. Tu quando
riparti?-
-Non
ce l'hanno ancora detto-.
-Bene!
Allora ti rimpinzerò con la tua zuppa preferita, dato che stai
diventando un bel fusto e bisogna mettere tanta legna nella stufa-.
-Guarda
che è la tua zuppa preferita-.
-Tanto
per stasera offre la casa, quindi zitto e mangia. Vai a sederti
laggiù con gli altri, tra poco vi porto la sbobba-.
Circa
a metà della zuppa, quando ancora nessuno di noi aveva parlato
– troppo stanchi e intenti a mangiare – entrò
nell'osteria l'Irlandese. Anche l'Irlandese era una conoscenza
dell'anno precedente, non stretta come Baffiunti ma comunque buona. E
non avrebbe potuto essere altrimenti: l'Irlandese suonava il violino
in maniera divina. Appena Piombino lo vide entrare, si staccò
dalla zuppa e mi disse: -Hai visto, Pesce? Te l'avevo detto! Suona
ancora! Vedi? Ha portato il violino, l'ha portato!-.
Quando
iniziò a suonare, il centro dell'osteria diventò una
pista da ballo. L'Irlandese era... incredibile. Il suo violino era
sempre intonato. Dovunque andasse, dovunque suonasse, aveva il potere
di far ballare chiunque. Era il tipo di uomo dalle cui labbra
pendevano sempre tutti, soprattutto le donne. Lo si vedeva spesso in
compagnia di qualche giovane avvenente. Era magnetico. Così
andai anch'io a battere piedi e mani al ritmo di uno dei suoi famosi
reel, finché la stanchezza mi rapì alla musica per
portarmi a letto. I miei ricordi riprendono la mattina dopo.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2 ***
Storia di mare – capitolo 2
Nella
stanza inondata di luce, fui io il primo a svegliarmi, mentre
Piombino e Pistacchio russavano ancora di gusto. Mi infilai i calzoni
e la camicia e scesi ancora assonnato le scale che separavano le
camere dall'osteria. Usciva già del fumo dalla cucina,
accompagnato dai primi odori del pranzo.
-Ma
che ore sono?- gridai a Baffiunti stropicciandomi gli occhi.
-È
quasi ora di pranzo- mi rispose dalla cucina.
-Di
già?-
L'oste
uscì dalla cucina con un piatto su cui stavano due fette di
pane imburrato che pose sul bancone davanti a me.
-Di
già. In teoria è troppo tardi per fare colazione, ma se
devi diventare marinaio una colazione per antipasto non ti può
certo nuocere-.
-Perché
ti ricordi che sono un mozzo solo quando ti fa comodo?-
-Zitto
e mangia- disse tornando in cucina.
-Mi
farai diventare grande come una botte se continui così- dissi,
ma dalla cucina nessuna risposta.
Sorridendo,
presi il piatto e andai a fare colazione fuori, sui gradini della
piazza. Il sole era davvero già alto e i gabbiani facevano
baldoria con gli avanzi del mercato, mentre il mare luccicava
indifferente.
Mentre
mangiavo, vidi passare per la piazza una ragazza con i capelli
leggermente spettinati e una borsa contenente vestiti alla rinfusa.
Mi sembrava che fosse la stessa ragazza che era in compagnia
dell'irlandese la sera precedente. Non potei fare a meno di notare
che qualunque fosse la ragazza che si portava a casa l'irlandese, era
sempre una ragazza bellissima. Continuai a pensarci anche dopo che
lei ebbe imboccato una viuzza, finché, poco dopo, arrivò
sbadigliando lo stesso irlandese.
-Ti
sei svegliato da poco?- lo salutai.
-Pesce!
Ti ho visto ieri che ballavi come un tarantolato. Non sei migliorato
molto dall'anno scorso-.
-Anche
tu ti svegli sempre all'ora di pranzo-.
-Non
sono io che mi sveglio tardi, ma voi che vi svegliate troppo presto-.
-Questo
non ha nulla a che fare con la ragazza che ho visto passare poco fa?-
-Non
confondiamo le cose. Mi sarei svegliato a quest'ora anche se fossi
stato da solo. E poi a quanto vedo dalla tua colazione non sei certo
sveglio dall'alba-.
-Io
fino a ieri ero imbarcato. Tu più che suonare e accalappiare
ragazze non fai-.
-Ha
parlato il giovane innamorato! Dai, raccontami qualcosa-.
-Lei
torna oggi pomeriggio, quindi ne so quanto te-.
-Oh,
quindi ti tocca aspettare ancora un po'-.
-Sinceramente
non ne posso più di aspettare-.
-Perché
tu non sai goderti la vita. Attesa è solo un modo di
chiamare il tempo, che, se lasciato vuoto, è come se non ci
fosse mai stato-.
-Facile
dirlo, per te che non hai nessuno da aspettare. Ogni volta che ti
vedo hai una ragazza nuova. Come si chiamava l'ultima?-
-Non
ne ho idea, l'ho conosciuta ieri sera-.
-Vedi?
È questo che intendo! Per me invece il tempo si ferma quando
sto con lei. Non c'è nulla nel passato e nulla nel futuro,
conta solo il presente. Quando invece lei è lontana, i secondi
ricominciano a precipitare e davvero mi sembrano sprecati-.
-Come
sei ingenuo, mi ricordi me alla tua età. Ma è
un'ingenuità deliziosa e indispensabile, guai se non
esistesse-.
-Se
non ti conoscessi non potrei concepire qualcuno capace di dire queste
cose-.
-Fortuna
che mi conosci, allora. Goditela, finché dura- disse mentre se
ne andava.
-Durerà
per sempre!- gli risposi io.
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Capitolo 3 *** Capitolo 3 ***
Storia di mare – capitolo 3
Pistacchio
e Piombino si alzarono dopo pranzo e insistettero per andare agli
scogli a tuffarsi. Nonostante le mie reticenze – Agave sarebbe
arrivata a breve – e soprattutto grazie all'insistenza di
Baffiunti, andai con loro. Secondo lui questo avrebbe dovuto
distrarmi da lei, invece, mentre gli altri si divertivano, io stavo
appollaiato su un masso fissando il vuoto. Ripensavo ad ogni momento
passato con lei, a tutte le sfumature che poteva assumere il suo
viso, al suo profumo... ritornavo su ogni istante, lo rivivevo con
affetto commosso: cercavo di riscoprire la sensazione delle mie
labbra quando le avevo baciato la mano e quella del mio braccio
quando l'avevo sfiorata. Cercavo di immaginare quando l'avrei
sfiorata di nuovo e nella mia mente nulla era mutato dall'anno prima,
né il suo volto, né i suoi capelli, né la sua
voce; mi immaginavo che tutto sarebbe stato come prima e io l'avrei
baciata ancora e ancora e anche lei mi avrebbe baciato... ma sapevo
che stavo correndo con la fantasia: per ora rimanevo inchiodato su
quello scoglio, in ansia per cosa sarebbe successo. Mentre infatti
avevo un'idea molto chiara su come avrei voluto che andasse, non
avevo la minima idea di come mi sarei comportato o di come sarebbe
andata realmente. Lei era cambiata nel frattempo? Chissà se
anche lei non vedeva l'ora di rivedermi. Sicuramente non era in preda
all'ansia come lo ero io. Magari si era dimenticata di me. Magari per
lei quel bacio dato appena prima che ripartissi non aveva alcun
valore. No, non era possibile, non era da lei. Lei manteneva sempre
le...
Con
mia grande sorpresa, mi ritrovai in volo e subito dopo in acqua.
Quando riemersi, Pistacchio e Piombino sghignazzavano sullo scoglio
dove ero seduto poco prima.
-Stai
diventando noioso, Pesce!- mi urlarono.
-E
voi quando smetterete di fare scherzi idioti?-
-Ma
senti chi parla! Di solito tu sei il primo a farli-.
-Non
credo proprio! Ultimamente siete così infantili...-
-E
tu sei noioso!- urlò Pistacchio tuffandosi, seguito subito da
Piombino.
-Ah,
è così?-
A
quel punto mi lanciai in uno dei miei tuffi migliori, che mi avevano
reso un'attrazione anche tra i marinai. In questo modo prese
inesorabilmente il via una gara molto agguerrita, cosa che ebbe il
potere di distrarmi fino al tardo pomeriggio, quando ormai Agave
doveva essere arrivata. Mi rimisi le braghe e la camicia e, lanciando
un saluto agli altri, corsi verso la casa di Agave.
Giunto
nei pressi della piazza, mi fermai, feci un gran respiro e ripresi la
strada camminando, un po' per frenare l'ansia e la fretta, un po'
accertarmi che il momento che stavo vivendo fosse reale. Passai
vicino a Baffiunti, che era fuori a sonnecchiare sui tavolini
dell'osteria. Quando mi vide m fece un cenno ed io capii che era
arrivata e che mi stava aspettando. Mi si scaldò il cuore.
Questa era la vera differenza tra me e Piombino e Pistacchio: avere
qualcuno da aspettare e da cui essere aspettato, qualcuno che non ti
faccia badare solo a te stesso. Un legame che valga come l'intero
mondo.
La
trovai affacciata alla finestra, che osservava il vicolo in attesa di
vedermi comparire. Era sì cambiata, ma si era fatta ancora più
bella. Era candida, luminosa, era tutto. Mi sorrise. Corsi su per le
scale ed arrivai alla sua porta col fiatone. Lei era già lì.
La baciai, e pareva che fosse lo stesso bacio di un anno prima,
pareva che fosse la sua naturale continuazione. Tutte le mie ansie,
tutte le mie idee erano scomparse. Sembrava che fosse tutto facile e
naturale. Chiusi gli occhi. In quel momento per me il mondo finiva
sulle sue labbra, se fossi morto in quel momento sarei di certo
andato in paradiso, perché al paradiso quel momento
somigliava. Nulla era cambiato, nulla sarebbe mai cambiato: io
l'amavo, lei mi amava. Null'altro importava.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4 ***
Storia di mare – capitolo 4
Eravamo
entrati in casa. Lo sapevo non per aver guardato, ma perché
avevo ritrovato l'odore a me carissimo della sua casa. Appena lo
percepii, il mio cuore cominciò a respirarlo e a indovinarlo:
c'era l'odore della salsedine di Portovivo, che in quella stanza
sembrava entrare con riverenza; c'era l'odore del sole e della luce e
del bianco, che alla sera diventava arancione e poi rosso, per poi
tramutarsi nell'aureola di due candele quando il sole spariva; e poi
c'era il profumo silvestre del mobile di cedro, e l'odore di vimini
delle ceste che teneva sotto la finestra... no, quell'odore non
c'era, e nemmeno altri, che il mio cuore conosceva così bene.
La casa era cambiata: al posto delle ceste, un baule. Poi un nuovo
tappeto, e il mobile aveva cambiato posto. E, soprattutto, un quadro
stava appeso alla parete. Io non ne capivo nulla di arte, ma di certo
non era un capolavoro: era mediocre, un comune paesaggio come se ne
trovano appesi in ogni casa. Ma tanto bastò a ghiacciarmi le
viscere. Quel quadro mi era estraneo, era la cosa più lontana
da me che si potesse immaginare, ed era nella sua casa. La
consapevolezza che la maggior parte della sua vita non mi
comprendesse mi raggiunse come uno schiaffo. Come aveva ottenuto quel
quadro? Perché aveva cambiato i mobili? Che cosa aveva fatto
in quei dieci mesi? D'improvviso una folle gelosia verso l'ignoto mi
spinse a cercare risposte al torrente di domande, finché
giunsi ad un'altra consapevolezza: che non erano affari miei.
Cercai
di non far trapelare nulla del mio tumulto interiore, ma naturalmente
lei se ne accorse.
-Cos'hai?-
mi chiese con una dolcezza che in quel momento avevo dimenticato.
Lottando per sciogliere il nodo che avevo in gola, le risposi:
-Sono
stato via troppo tempo...-.
-Ma
sei tornato-.
-Già...-
-Questo
è già molto, sai? Una donna che stringe un legame con
un marinaio non sa mai se lui ritornerà, ma tu sei tornato-.
-Come
puoi aver messo in dubbio il fatto che sarei tornato? Non conosci la
forza... di ciò che mi ha fatto tornare?-
-La
conosco troppo bene. L'amore ti ha fatto tornare, ma l'amore non ne
ha fatti tornare molti altri-.
-Di
chi stai parlando?-
-Di
quello che mi ha regalato quel quadro, ad esempio. È stato qui
pochi giorni soltanto, con la promessa di ritornare la settimana
successiva. Non l'ho più rivisto-.
-Non
posso crederci...-
-Non
sei l'unico ad essere tornato, ma sono felice che tu l'abbia fatto-.
-Ma
io ti amo! Hai idea di cosa significa per me sentirmi dire quello che
mi stai dicendo adesso? No, non ce l'hai. Perché non sei
innamorata-.
-Una
volta lo sono stata, e anche una seconda, e una terza, e come tutte
le donne di Portovivo e di tutti i mari del mondo. Poi si impara come
sono fatti i marinai, tutti con una donna in ogni porto-.
-Ma
io non sono un marinaio, sono un mozzo! Non ho idea di come si
comportino i marinai e non mi interessa nemmeno. So solo che ti amo,
e che tu non ami me-.
-Mi
dispiace. Pensavo... pensavo che lo sapessi, che fosse chiaro-.
-Dispiace
anche a me- dissi mentre aprivo la porta. L'aria fresca della sera mi
confermò che non stavo vivendo un sogno. Non ebbi il coraggio
di chiudermi la porta alle spalle, una volta uscito, ma me ne andai
correndo, per evitare che potesse seguirmi.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5 ***
Storia di mare – capitolo 5
Non
avevo voglia di tornare da Baffiunti, perché avrei rivisto lui
e gli altri, ma non avevo altro posto dove andare. Così, a
malincuore, entrai nell'osteria piena di luce e musica.
L'irlandese
era già nel pieno della sua esibizione, così dovetti
farmi largo tra la platea puzzolente che ingombrava il locale. Sia
Baffiunti che Piombino che Pistacchio sapevano che ero andato da
Agave, quindi non mi avrebbero cercato. Sgusciai fino alle scale ed
entrai in camera. Improvvisamente mi accorsi di non sapere cosa fare.
Di certo non sarei riuscito a dormire. Di colpo mi salì agli
occhi un grumo di lacrime, che riuscii a trattenere. Accesi un lume,
per cacciare l'oscurità dalla stanza; levate le scarpe, mi
sdraiai sul mio letto. In quel momento mi sentivo molto lucido e
razionale, mi sembrava che nulla fosse successo. In realtà il
mondo mi era crollato addosso, sgretolatosi alle fondamenta, ma
ancora non me ne ero reso conto. Tanto che, cosa di cui mi stupii la
mattina dopo, riuscii ad addormentarmi.
Mi
svegliai all'alba. Appena vidi Pistacchio e Piombino profondamente
addormentati sui loro letti, mi chiesi cosa avessero pensato
trovandomi qui con il lume ancora acceso. Mi rimisi le scarpe e uscii
tentando di fare il minor rumore possibile. Solo gli equipaggi delle
navi in partenza erano già svegli, il resto della città
era avvolto nell'ovatta. Sperai che anche Baffiunti fosse ancora
addormentato, invece lo trovai già in cucina ad accendere i
primi fuochi. Dovetti impegnarmi parecchio per non far scricchiolare
la scala dalla quale stavo scendendo. Una volta a terra, mi abbassai
sotto il livello del bancone per fare in modo che Baffiunti non mi
vedesse dalla cucina, quindi gattonai fino alla porta. Sarebbe stata
una cosa imbarazzante se qualcuno mi avesse visto, ma non potevo
permettere che Baffiunti mi salutasse, si domandasse che ci facessi
già in piedi e mi chiedesse della sera precedente.
Una
volta uscito, tirai un sospiro di sollievo e attraversai la piazza
senza una meta precisa. Trovai poco più avanti un vicolo dove
c'era una panchina che dava sul mare. Mi sedetti e lo osservai. Lui
era sempre lì, grande e blu. Non cambiava mai: quando lo
guardavo e provavo a parlarci, ero sempre io ad avere qualcosa di
nuovo da raccontare. Spesso gli avevo raccontato di Agave. È
più giusto dire che pensavo spesso a lei quando mi trovavo a
guardarlo, ma a me piaceva pensarla così. Lui conosceva di
certo di gente e un sacco di coste e di certo ne sapeva molte più
di me. In fondo, perché tutto il mare di storie, incontri e
parole del mondo, perché avrebbe dovuto curarsi della mia
vita? A tradimento, le lacrime tentarono nuovamente di bagnarmi gli
occhi, senza successo.
Iniziavo
a rendermi conto. Se avessi perso l'amore, avrei perso tutto. Cercai
di fare una rassegna di ciò che avevo oltre ad Agave: pensai
al fatto che tra qualche anno sarei diventato marinaio, pensai agli
amici, pensai a cose che mi parevano senza la minima importanza. La
mia stessa vita, i miei ricordi, i miei pensieri, i miei gusti, le
mie scelte, tutto mi sembrava di una deprecabile normalità
tale da rendermi solo una cifra nel numero di tutte le genti sparse
per il mare.
Tutto,
tranne una piccola cosa luminosa che non avevo notato al primo
elenco. Era calda e mi dava un insospettato senso di pace.
All'agghiacciante certezza che Agave non mi amasse avevo per scontato
di averla persa. Eppure scoprii che quel tepore viscerale che ormai
non mi abbandonava da quasi un anno non aveva intenzione di
lasciarmi. Il pensiero di Agave, infatti, che ancora non avevo avuto
il coraggio di sondare, mi consolò con la stessa dolcezza
della sera precedente, come se nulla fosse accaduto. Davvero sembrava
che nulla fosse cambiato, perché ancora quel sentimento
coincideva con la vita stessa, con la sua più intima
scintilla. Come era stato nei mesi in cui ero imbarcato, il desiderio
di vivere, di essere qualcosa in questo mondo, equivaleva al
desiderio di riabbracciarla o anche solo di vederla.
Giunsi
dunque ad un nuovo, vibrante proposito: sarei tornato da lei. Le
avrei detto che non mi importava che non mi amasse, ma solo che
potessi starle vicino.
Sapevo
che Agave usciva di casa presto per sbrigare i suoi affari, così
mi misi a correre come avevo fatto solo poche ore prima: ancora una
volta attraverso la piazza, vicino al mercato e poi oltre il
droghiere. La trovai che era appena scesa in strada dopo aver chiuso
la porta. Quando mi vide, mi accorsi che sperava di non rivedermi.
-Pesce...-
disse con fare triste.
-Agave!-
Risposi io ancora col fiatone per la corsa.
-Pesce,
io non...-
-Ci
ho pensato, Agave. Non mi importa se non mi ami, se credevo che fosse
un'altra cosa, a me importi solo tu-.
In
quel momento non ero triste, né preoccupato, né felice,
non ero nulla fuorché sincero. Quella che stavo pronunciando
era infatti l'unica verità che in quel momento nessuno avrebbe
mai potuto mettere in dubbio.
-Io
non posso- rispose lei, con una tristezza che contrastava la mia
sicurezza.
-Non
puoi che cosa?-
-Non
posso farti vivere un'illusione-.
Lei
fece per andarsene per la sua strada, ma io ero talmente pietrificato
che non pensai nemmeno di ribattere o di fermarla. Compresi che
l'illusione c'era stata, e si era rotta. Avrebbe potuto forse andare
avanti ancora se non avesse saputo che la amavo.
Dunque
era finita. Eppure il tepore viscerale rimaneva, rafforzato
dall'irraggiungibilità e tinto da allora in avanti di dolore.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6 ***
Storia di mare – capitolo 6
Mi
veniva da vomitare e mi sentivo completamente senza forze.
Molto
tempo dopo che Agave se ne era andata io ero ancora seduto sul
selciato davanti a casa sua. Stavo male, avevo l'acuta percezione
della mia anima che andava in pezzi dentro al mio corpo, lacerandomi
le interiora. Non avevo mai considerato la possibilità, mai avevo
pensato che potesse essere presa in considerazione, eppure in quel
momento saggiai il desiderio di morire. Ad un tratto la morte non
sembrava di alcuna importanza, come la vita. Quanto sarebbe stato
facile affogarsi, o impiccarsi, o buttarsi da qualche parte? Senza
nessuna preoccupazione, sarebbe stato addirittura interessante.
Un
conato di vomito mi fece contorcere e abbandonare quegli assurdi
pensieri. Nel mio stomaco non c'era nulla, così rimisi solo pochi
succhi gastrici dall'odore nauseabondo. Dovevo andarmene di lì, o
quell'odore mi avrebbe fatto stare peggio.
Di
andare verso la piazza non avevo la minima intenzione, né tanto meno
verso il mare, che in quel momento mi sembrava di un'ipocrita
imperturbabilità. Decisi di risalire fino alle colline alla spalle
della città, dove il rischio di incontrare qualcuno era minimo. La
strada finiva ai piedi della salita, dove iniziava un sentiero
stretto e tortuoso immerso nella calda vegetazione costiera. Ormai la
mattina stava finendo e il sole era alto già da un po', così la
scarpinata mi costò una sudata e il fiato grosso. Già prima di
arrivare sulla cima, i rumori del porto di erano smorzati e rimaneva
solo il suono del vento. Il vento è amico del mare, pensai, ed io
col mare non ci volevo avere niente a che fare.
-Buon
giorno. Che stai facendo? -
Sobbalzai.
Ero arrivato sulla cima da un po', ma non avevo notato la presenza di
nessuno. Davanti a me c'era una persona che etichettai come... un
vecchietto.
-Io?
Beh... non sto facendo nulla.-
-E
sei venuto fin qui per non far nulla?-
-No,
ehm... non volevo rimanere laggiù.-
Dal
colle si dominava tutta Portovivo.
-Allora
stai scappando.-
-No,
non sto... sì, forse.-
-Ragazzo,
io ho già visto i tuoi occhi!-
-Non
ci conosciamo. Ne sono sicuro.-
-Non
mi hai capito! Tu sei innamorato.-
-Cosa!?-
-Ho
detto che sei innamorato!! Sei sordo per caso?-
-Sì,
ho capito, è solo che... come cavolo fa a saperlo?-
-Io
ho gli occhi e li uso, ragazzo. Difatti, io sono quassù per il
panorama. Non è bellissimo?-
-Almeno
la città è lontana.-
-È
una donna quella da cui stai scappando?-
-Anche...-
-Passerà,
ragazzo, vedrai!-
-No.
Non passerà. Non voglio che passi. È l'ultima cosa che mi rimane.-
-Guarda
cosa ti rimane, ragazzo! Guarda la città, guarda il mare!-
Quel
vecchietto mi aveva davvero dato sui nervi.
-Arrivederci-
dissi mentre mi avviavo al sentiero per scendere.
-Arrivederci-
disse il vecchietto.
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Capitolo 7 *** Capitolo 7 ***
Storia di mare – capitolo 7
Forse
l'irritazione per l'incontro col vecchio mi aveva distratto dalla mia
agitazione. Forse non avrei dovuto irritarmi. Ma non ero riuscito a
non rispondere in modo sgarbato: sembrava volerne sapere a tutti i
costi più di me, come se quello che è capitato a me capiti a
chiunque.
A
pensarci bene è la stessa cosa che mi irrita dell'irlandese. A lui
viene tutto facile! È impossibile che abbia vissuto il mio stesso...
caso. Per lui di ragazze ne esistono infinite, per me una sola.
Eppure sembrava saperne di più ugualmente. Sembrava che ci fosse già
passato...
Decisi
di andare da lui. Era già tardi, quindi era praticamente impossibile
che non si fosse ancora svegliato. Ma se così non fosse stato,
l'avrei svegliato. Così imparava a dormire troppo.
Arrivato
sotto casa sua, lo chiamai dalla finestra spalancata.
-Irlandese!
Sei sveglio?-
Lui
si affacciò, rigorosamente a torso nudo.
-Pare
di sì,- disse -c'è qualcosa che non va?-
-Posso
salire?-
-Vieni...-
La
casa in cui alloggiava l'irlandese tradiva la sua vita. Era una
camera in affitto di cui era palese che lui non si occupasse molto.
C'erano vestiti sparpagliati un po' dovunque, tanto che l'armadio non
sembrava essere stato aperto di recente. Il suo violino era adagiato
con cura su una sedia, assicurato nella sua custodia rigida.
-Pesce,
che ti è successo?-
-Io...
non so più cosa fare.-
-In
che ambito?-
-Nel
senso che non so più cosa fare qui, a Portovivo, né che fare di me,
né che fare domani...-
-È
per Agave?-
-Sì.-
-Ma
su, Pesce! Questa volta è andata male, ma il mondo gira ancora...
solo il mare sa quante ragazze ti rimangono ancora da conoscere!-
-Io
no sono te, irlandese.-
-Questo
è certo. Tu sei un marinaio, conosci il mare molto meglio di me.-
-Non
sono un marinaio.-
-Ma
lo diventerai presto.-
-Voglio
stare lontano dal mare.-
-Perché
mai? Il mare è vasto, è una grossa perdita escluderlo tutto.-
-Dovrei
imbarcarmi tra quattro giorni, ma non voglio. Non voglio nemmeno
rimanere qui, però.-
-Ah,
Pesce, rifiuti la tua natura.-
-Tu
quando intendi lasciare Portovivo?-
-Tra
due settimane, ho un lavoro nell'entroterra.-
-Puoi
portarmi con te?-
-Ahahah!
Pesce, mi piaci sempre di più.-
-Puoi
farlo o no?-
-E
in queste due settimane cosa farai?-
-Io...-
-Ti
capisco, davvero. Eppure secondo me stai commettendo uno sbaglio,
comportandoti così. Ma non spetta a me decidere, quindi, se ne sei
convinto, ti porterò con me. Possiamo partire anche domani: devo
essere lì tra due settimane, ma possiamo arrivare anche in
anticipo.-
Lo
guardai senza sapere che dire. Da un lato ero incredulo che stessimo
per partire, dall'altro consideravo se e quanto l'irlandese mi
ritenesse stupido.
-Domani?
Dici sul serio?-
-Sì.-
-Beh...
grazie.-
-Ora
torna da Baffiunti, vorrà sapere che fine hai fatto. Sono curioso di
sapere come gli dirai che te ne vai.-
Entrai
dalla porta sul retro. Sul retro, direttamente nella cucina.
Baffiunti
ci mise pochi secondi a notarmi e a mettersi a sbraitare:
-Pesce!
Ma dove diavolo ti eri cacciato?- Piombino e Pistacchio ti stanno
cercando da tutta la mattina.-
-Sì,
scusatemi... volevo stare da solo.-
-Agave
mi ha raccontato. Mi dispiace.-
Sapere
che avevano parlato mi provocò una lieve contorsione alle interiora.
Probabilmente tra loro due esisteva una confidenza che io non avrei
mai avuto. Allontanai quel pensiero con livore.
-Ragazzo
mio, mettiamo in chiaro che non mi interessa come stai, devi
mangiare.-
-Non
ho fame.-
-Non
discuto.-
Ci
guardammo per un momento negli occhi.
-D'accordo,
mangerò. Ma ad una condizione.-
-Sarebbe?-
-Mi
permetterai di aiutarti, questo pomeriggio. In cucina o in qualunque
altra cosa di cui tu abbia bisogno.-
-Pesce,
dovresti essere in pausa dal lavoro. Dovresti goderti questi pochi
giorni.-
-Domani
parto con l'irlandese.-
-Cosa!?
Per dove?-
-Non
lo so. Non mi interessa. Da qualche parte nell'interno.-
-Ho
possibilità di dissuaderti?-
-No.
Allora, mi lasci lavorare o no?-
-Va
bene. Ma adesso mangia!-
Mi
feci trovare pronto alla partenza sotto casa dell'irlandese,
l'indomani mattina presto. Probabilmente ero in anticipo e
altrettanto probabilmente l'irlandese sarebbe sceso in ritardo. Ma
ero stufo di rimanere nel letto a fissare il soffitto, così mi ero
vestito, avevo preso la sacca che avevo preparato la sera prima e mi
ero fiondato fuori.
Cercando
di non pensare ad Agave, pensai a Piombino e Pistacchio.
Li
avevo salutati la sera prima, ma nella confusione dell'osteria non
sembravano aver capito. Forse nemmeno io capivo quello che stavo
facendo. Piombino era triste, Pistacchio era quasi arrabbiato.
Avevamo parlato spesso di cosa avremmo fatto, di dove ci saremmo
imbarcati dopo. Pistacchio aveva un talento per l'orientamento e
voleva studiare per diventare ufficiale di rotta, mentre piombino
fantasticava ancora sul ruolo di capitano. Qualunque fosse il futuro
che immaginavamo, eravamo insieme. Anch'io mi immaginavo con loro,
per questo mi faceva paura lasciarli, perché temevo che fosse uno
sbaglio enorme. Avevo provato a dirgli che non era necessariamente un
addio, che avremmo potuto ritrovarci su qualche altra nave, ma
nemmeno io lo credevo. Quante probabilità ci sono che le stesse tre
persone si imbarchino sulla stessa nave?
L'irlandese,
uscendo di casa, mi distolse da quei pensieri. Era in ritardo.
-Sei
in ritardo- gli dissi.
-Siamo
in anticipo di due settimane, rilassati- mi disse sorridendo e
sbadigliando. Certo, dovevo rilassarmi, ma come potevo? Stavo
lasciando il mare, stavo lasciando la possibilità di rivedere Agave
per andare in un posto di cui non sapevo nulla. Non riuscivo proprio
a rilassarmi.
-Scusa,
ma dov'è che stiamo andando?-
-A
Montealto, al castello del Re.-
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Capitolo 8 *** Capitolo 8 ***
Storia di mare – capitolo 8
La
strada per Montealto è tutta in salita. Superate le colline che
circondano Portovivo, seguimmo la via maestra per il castello.
Ovviamente viaggiavamo a piedi.
L'irlandese
camminava davanti a me, come a farmi da guida. La strada che avremmo
seguito era larga ed evidente e sarebbe stata praticamente tutta
dritta fino al castello: non c'era possibilità di perdersi. Ma io mi
ostinavo a camminare dietro di lui, fissando il terreno. Spesso
provava a girarsi e iniziare una discussione, ma le mie risposte per
lo più monosillabiche finirono per dissuaderlo.
Viaggiammo
per tutta la giornata e alla sera ci fermammo in una delle tante
anonime stazioni di posta lungo la strada. Non ero per nulla abituato
a camminare così a lungo, avvezzo com'ero alla vita di bordo, così
quella sera ero talmente stanco da voler saltare la cena.
-Non
vorrei sembrarti Baffiunti- disse l'irlandese -ma devi mangiare. Se
non altro per riuscire a camminare anche domani.-
Di
malavoglia, mi lasciai convincere. Quando ci sedemmo insieme al
tavolo, mi sembrò strano vederlo seduto con me, e non in centro alla
sala a suonare.
-Pesce,
non mi interessa se non vuoi chiacchierare con me. Ma dovevi dirmi
che eri in difficoltà.-
-Andava
tutto bene.-
-Balle.
Non pensare sempre di saperne più degli altri. Ti si leggeva in
faccia che eri esausto.-
Strano
che la pensasse così. Era infatti proprio l'impressione che lui ne
sapesse più di me che, che ne avesse viste molte di più di me, che
mi irritava. Pensavo che avesse capito la mia situazione, pensavo che
sapesse che ero innamorato. Quello che mi disse poi mi fece pensare a
questo ancora di più:
-A
lungo andare l'amore, senza nessuno a riceverlo, diventa solo un
fuoco nel petto e si riduce alla sola sensazione di questo. Ma se non
c'è nessuno ad alimentarlo, il fuoco si estingue pian piano. Puoi
alimentarlo tu, ma non potrà andare aventi in eterno. Prima o poi,
finirà. Nonostante tu non lo creda possibile, finirà come è finito
per tutti, come è finito per me.-
Non
sapevo cosa sarebbe stato giusto dire, così non dissi nulla. Finii
la cena in silenzio e andai dritto a letto.
Il
giorno successivo camminammo ancora, lui davanti e io dietro. Ma
continuavo a pensare a quello che aveva detto la sera prima.
Possibile che anche lui fosse stato innamorato? Proprio lui, che non
sembrava avere alcun rispetto per l'amore e che non frequentava la
stessa ragazza per più di due giorni? Non mi sembrava possibile.
L'amore che portavo in petto, pur non ricambiato, era una cosa a me
sacra. Se davvero era destinato ad estinguersi, mai l'avrei tradito
comportandomi come l'irlandese. Ma come aveva potuto farlo lui? Erano
pensieri di cui proprio non riuscivo a venire a capo, tanto che la
curiosità mi spinse camminare al suo fianco per potergli porre la
domanda.
-Com'era
lei?-
Lui
mi guardò.
-Bellissima.
Ma questo già lo immaginavi, vero?-
-Credo
di sì.-
-Lavorava
con me in un'osteria. Io suonavo già allora, mentre lei faceva la
cameriera. Nel vivo della serata, smetteva di servire ai tavoli e
dava il via alle danze, sulla mia musica. Mi innamorai di lei la
prima sera di lavoro, la prima volta che la vidi ballare. Alla fine
del reel, ero madido di sudore per il terrore di sbagliare le note,
ma lei aveva ballato divinamente nonostante questo.-
-E
poi? Cosa è successo?-
-Lavorammo
insieme per tre mesi. Sono stati il periodo più bello della mia
vita. In tre mesi, non trovai il coraggio di dirle che l'amavo. Poi
seppi che sarebbe partita dopo pochi giorni, e allora riuscii a
parlarle. Mi disse che sarebbe andata con suo padre in America, dove
io non potevo seguirla. E mi disse che anche lei mi amava. Partì tre
giorni dopo.-
-Ma
ti amava... ed è partita lo stesso! Perché?-
-Pesce,
l'amore è forte, ma il mondo è grande.-
In
quel momento non capii cosa intendesse, ma mi resi conto che era una
domanda indelicata, così tacqui. Parlò lui:
-Non
rimasi in quell'osteria dopo che lei se ne era andata, non ci
riuscii. Così abbandonai l'Irlanda e iniziai a viaggiare. Come hai
voluto fare tu.-
-Ma
tu mi hai detto che sto commettendo uno sbaglio!-
-Lo
sbaglio non è partire, è non avere motivi per ritornare. Lo sbaglio
è fuggire.-
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Capitolo 9 *** Capitolo 9 ***
Storia di mare – capitolo 9
C'era
un profumo rosso nell'aria, sulla strada, il giorno seguente. Si era
fatto notare forte e rotondo una volta che l'odore di salsedine del
mare si era attenuato. Ora dei geranei fioriti d'azzurro contornavano
la via e il vento sembrava più freddo. Gli alberi cominciavano a
farsi più scuri e più alti e frusciavano al vento.
Nei
momenti in cui non parlavo con l'irlandese, ascoltare il silenzio mi
attaccava addosso quella sensazione secca di freddo. Era piacevole.
Ormai anche le montagne si vedevano bene; l'irlandese prevedeva che
saremmo arrivati l'indomani mattina, magari anche quella sera stessa.
Non facevo neanche più caso al dolore alle gambe.
Intanto,
con l'avvicinarsi del castello, sulla strada vedevo gente sempre più
strana. La maggior parte vestiva con buffi copricapi e abiti
sgargianti e altezzosi, quasi esotici. Ad un certo punto ci
imbattemmo in una piccola carovana di tre carrozze, che ci superò al
trotto. Notai che esibivano tutte la stessa insegna; l'irlandese mi
spiegò che dovevano già essere gli invitati per la festa.
-Quale
festa?- gli chiesi.
-Quella
alla quale devo suonare.-
Arrivammo
quella sera. Salendo per la strada pulita e ordinata, rumori di
zoccoli e fruscii di passi rimbalzavano duri sulle pietre delle case.
Il castello era costruito sulla sommità di un colle e lo stesso
colle era ricoperto dalle case e dalle vie del borgo. La città di
Montealto era fremente di luci e spazzata dal vento. Camminavo in
silenzio, col naso per aria. Non avevo mai visto edifici così: alti,
grandi, decorati. Tutto in quella città appariva bello.
Le scalinate pulite, i portoni dipinti... il vento si sarebbe portato
via qualunque cosa avesse disturbato quel quadretto.
Arrivammo davanti al castello;
l'irlandese andò a chiedere qualcosa ad una guardia, poi tornò e mi
disse:
-Per questa notte alloggeremo in
città. Domani andremo al castello.-
Stavo ancora osservando la città
intorno a me e non feci molto caso a quello che aveva detto.
Cominciavo a sentirmi strano, fuori posto. Tutti i passanti che
vedevo, tutti quelli di Montealto sembravano avere qualcosa di
importantissimo da sbrigare: camminavano svelti e silenziosi, ognuno
di loro sembrava che mi chiedesse perché anche io non avessi
qualcosa di importantissimo da fare. Che cosa avevo da fare io, in
quel luogo?
Ci presentammo in mattinata al
castello. Le guardie ci lasciarono entrare senza alcun problema,
mentre io mi limitavo a seguire l'irlandese. Entrammo in una porta,
proseguimmo per un corridoio e poco illuminato e arrivammo nelle
cantine.
-Sono in anticipo!- urlò
l'irlandese. Un tizio pelato si girò.
-Guarda chi c'è!- urlò quello in
risposta. -Vecchia volpe irlandese! Questo significa che devo
comprare altre botti di vino?-
-Quanto ne hai?-
-Milleduecento litri, in dieci
botti.-
-Direi che bastano.-
-Non se inizi a suonare questa sera.
Con tutta la gente che fai ubriacare dovrei averne almeno altri
duecento litri, o non basteranno per la festa.-
-Tranquillo, per questa settimana
sono ancora in visita.-
-Beh, peccato. Chi è il giovanotto
qui? Che cosa suona?-
-Lui è un amico marinaio, non
suona.-
Loro risero.
-Giovanotto, hai davanti a te mastro
Bottediferro, sovrano di queste cantine.-
-Buongiorno...- dissi con poca
convinzione.
-Vado a finire i saluti e a
presentarmi a Piumablù, ci vediamo.- disse l'irlandese a
Bottediferro.
Usciti dalle cantine, lo seguii
mentre andava a salutare il capo delle guardie e il giardiniere. Dal
giardino quindi doveva attraversare un porticato e raggiungere il
capo della servitù, Piumablù.
-Vado a presentarmi ufficialmente.
Rimani qui un momento.-
-Certo- dissi d'impulso, ma non
avevo la minima idea di cosa avrei fatto, lì da solo.
Lui sparì nell'ennesima porta e io
rimasi a guardarmi intorno, in piedi impalato sulla ghiaia del
vialetto. Era un giardino immenso, curato e artificioso come dovevano
essere quei giardini. Notai delle panchine di pietra: forse era il
caso che mi sedessi. Risultavo parecchio stupido, lì imbambolato.
Feci per sedermi, ma mi ricordai
dell'ultima volta che mi ero seduto su una panchina, pochi giorni
prima. Vedevo il mare, ero a Portovivo. Ero innamorato. No,
maledizione, lo ero ancora, anche in quel momento. Nonostante lei era
lontana, irraggiungibile. Lo sarei stato per sempre. Come poteva il
mondo non accorgersi di questo? Come poteva quel sentimento esistere
solo per me? Mi sedetti con la testa tra le mani, cercando ancora una
volta di frenare il pianto.
Feci caso a dei passi sul vialetto.
-... per me non suona affatto. Per
me canta.- bisbigliò una voce. Alzai la testa e vidi due ragazze
vestite di giallo e arancione passeggiare sotto un ombrellino
parasole. Mi stavano osservando, parlando di me con un tono di voce
con cui riuscivo ad udirle. Non sapevo se facessero di proposito o
meno.
-Secondo me invece suona il flauto.
Riconosco un musicista quando lo vedo.-
Continuarono, passando oltre.
Rallentarono l'andatura, come se attendessero qualcosa. Vedendo che
non le raggiungevo, quella più bassa, vestita di giallo, si rigirò
verso di me.
-Scusa, hei! Ti abbiamo visto con
l'irlandese. Sei suo amico?-
-Suoni il flauto o canti?- chiese
l'altra.
-Beh, veramente...- stavo ancora
cercando le parole per rispondere quando tornò l'irlandese. Quelle
si voltarono subito a salutarlo con grande enfasi. Lui rispose
cortese:
-Mandorla, Vaniglia, è un piacevole
onore incontrarvi di nuovo.-
-Chi è questo tuo amico così
carino?-
-Suona il flauto o canta?-
-Lui è il mio amico Pesce, e si dà
il caso che non faccia nessuna delle due cose.-
-Oh cielo, vuoi dire che è un
pianista?-
-Oh, ma non abbiamo un pianoforte
nella sala da ballo! Dobbiamo dire a nostro padre di procurarne
subito uno!-
Tutte entusiaste, si diressero
all'interno del castello senza attendere risposta.
-Vi aspettiamo al ballo, ragazzi!
Non vediamo l'ora di sentirvi suonare!-
-Soprattutto tu, Pesce. Oh, sono
curiosissima!-
Detto ciò, scomparvero all'interno
del castello. Ero alquanto perplesso.
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Capitolo 10 *** Capitolo 10 ***
Storia di mare – capitolo 10
-Hem...
irlandese...-
-Dimmi.-
-Mi
spiegheresti almeno qualcosa di quello che sta succedendo?-
-Ahah
certo! Ricordi che ti ho parlato della festa, vero?-
-Ovviamente.
Qui tutti non sembrano parlare d'altro.-
-Hai
idea di chi fossero quelle ragazze?-
-Assolutamente
no.-
-Erano
le figlie del re. Le principesse Mandorla, la maggiore, e Vaniglia,
la minore.-
Ne
fui abbastanza sorpreso.
Tra
due settimane si terrà la festa per il loro compleanno. Sono nate a
pochi giorni di distanza, così festeggiano insieme, in modo da avere
più invitati, più balli e più distrazioni.-
-E
noi che c'entriamo?-
-L'anno
scorso capitai qui per caso in questo periodo, subito dopo che voi vi
imbarcaste nuovamente da Portovivo. Avevano bisogno di musicisti,
perché un'intera compagnia non era arrivata. Così, come altri,
colsi l'occasione di suonare a quella festa, davanti a tutti quei
nobili cialtroni. E mi hanno chiesto di tornare l'anno seguente.--
-Ah-
dissi. Ero sempre più convinto che quello non era un luogo adatto a
me.
-Non
ti vedo convinto.- Mi diede una spintarella di gomito. -Sei rimasto
colpito dalle principesse, eh?-
Mi
staccai da lui, indignato.
-Ma
come ti viene in mente!?-
-Ahah
ho fatto centro!-
-Ho
detto di no!-
-Pesce,
ascolta. In qualunque altra situazione ti avrei sostenuto, ma loro
sono le figlie del re e vanno lasciate perdere.-
-Non
mi provocare! Non farlo più!- sbottai urlando. -Pensavo che mi
avessi capito, pensavo che ti ricordassi com'è essere innamorato.
Questo amore è l'unica cosa di una qualche importanza che mi sia
rimasta, assieme al ricordo che mi rimarrà di lei. Pensi davvero che
mi importi di qualcun'altra?-
L'irlandese
si rabbuiò.
-Devi
fartene una ragione. Dimenticala, lasciala andare, rinuncia.-
-Non
posso rinunciare a quel sentimento! Non voglio che sia possibile
rinunciarvi: sarebbe come ammettere che questo sentimento non è
tutto, che non è la vita stessa. Rinunciare e darmi per vinto
suonerebbe come la sconfitta dell'amore, ma l'amore che conosco io
non può vedere sconfitte.-
-No,
Pesce. Tu non vuoi rinunciare perché l'amore ti rende migliore agli
occhi di te stesso e degli altri. Tu sei l'innamorato, e questo ti
permette di distinguerti dalla massa, ti rende nobile.-
Mi
feci piccolo piccolo, tentando di abbandonare quella conversazione,
ma lui continuò:
-E
non hai nemmeno i coraggio di ammettere che hai paura! Paura che
questo non possa ripetersi, paura che comunque non sarà mai più
come ora. Non vuoi lasciare la certezza per l'incertezza, anche se la
tua certezza è dolorosa. Lascia il tuo amore meraviglioso e nobile!
Scommetti sulla vita: credere che essa non abbia più niente da
offrirti è il più grande errore che tu stia facendo. È atto di
superbia verso il mondo, perché il mondo è molto più grande ti
te.-
A
quel punto me ne andai passo svelto tra le alte siepi di quel
giardino. Lui non mi seguì.
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Capitolo 11 *** Capitolo 11 ***
Storia di mare – capitolo 11
Mi
vergognavo, per questo quella era quasi una fuga. Non volevo più
sentirgli dire quelle cose, ma più di tutto non volevo urlare più.
Addentrandomi in quel giardino mi pareva possibile trovare un minimo
di pace. Non feci che pochi passi che arrivai ad una fontana immersa
nel verde. Volevo addentrarmi di più, quasi per perdermi e non dover
tornare dell'irlandese, in quella città assurda. Mi fermai un
momento ad ascoltare il rumore dell'acqua, poi ripresi a percorrere
il vialetto. Ma venni fermato dalla voce di un vecchio:
-Ragazzo,
non dovresti urlare in questo giardino. C'è chi cerca il silenzio,
qui.-
Lo
guardai. Era lo stesso vecchio che avevo incontrato sulla collina a
Portovivo. Aveva sentito tutto quello che avevo urlato poco prima,
cosa che mi impacciò nell'imbarazzo.
-Hem,
sì, chiedo scusa...-
Mi
resi conto del fatto che non aveva alcun senso che quel vecchietto
fosse lì.
-Ci
siamo già incontrati a Portovivo, vero?-
-È
vero, ragazzo. E tu non sei migliorato per niente in questi giorni.-
-Ma...
ma lei era solo pochi giorni fa a Portovivo. Come ha fatto ad
arrivare qui in così poco tempo?-
-Oh,
per me non è affatto difficile trovare una carrozza. Ragazzo, in
questo luogo dovresti darmi del voi.-
-Non
capisco...-
-Dunque,
che te ne pare delle mie figlie?-
-Voi...
voi siete il re?-
Mi
invitò a fare una passeggiata. Il re aveva sentito praticamente
tutta discussione tra me e l'irlandese, ma non ne sembrava affatto
turbato.
-Conosco
il tuo amico irlandese. Ma di te non so nulla. Cosa ti porta in
questa città?-
-Veramente
ora me lo chiedo anch'io...-
-Come
immaginavo. Ragazzo, non ho molto elementi per affermarlo, ma posso
dire che sei un idiota.-
-Perché?-
-E
me lo chiedi anche! Forza, non mi hai ancora detto cosa ne pensi di
Mandorla e Vaniglia.-
-Hem...
sono molto... cortesi.-
-No,
ragazzo, non essere imbarazzato. Non ti sto chiedendo quello. Ti sto
chiedendo che pensi del loro atteggiamento.-
-Cosa
intendete?-
-Oh,
te ne sarai accorto anche tu, nonostante la tua aria da idiota. Con
l'avvicinarsi della festa, si fanno disinibite e civettuole.
Darebbero qualunque cosa per un'avventura fuori dal casello. Credi
che se ne avessero l'opportunità, non scapperebbero con il primo che
passa? Conoscendole, sposerebbero a prima vista il violinista
irlandese, perfino te, magari.-
-Non
so... non credo.-
-Te
lo sto dicendo io, ragazzo! In che mondo credi che vivano? Sognano
l'amore, sognano il principe azzurro, ma non sanno nulla della vita.
E tu ti ostini a vivere nel loro stesso mondo!-
-Io
non...-
-Non
dovresti contraddirmi per principio, dato che sono il re, men che
meno adesso che ho ragione. E tu sai che ho ragione, che anche il tuo
amico violinista ha ragione, ragione da vendere! O non te ne saresti
andato con la coda tra le gambe. Vieni, da questa parte.
Eravamo
arrivati al muro del giardino, in un angolo della cinta dal quale
sorgeva una torre. Il re tirò fuori un mazzo di chiavi arrugginite,
aprì la porta e prese a salire.
-Muoviti
a seguirmi!- mi disse già sulle scale.
Arrivammo
in cima.
-Guarda,
cosa vedi?-
Mi
voltai. Nella foschia si vedeva la campagna collinosa, la strada
maestra che avevamo percorso, le case, le stazioni di posta.
-Vedo
il regno.-
-Più
in là!-
Guardai
più in là. Quelle potevano essere le colline dietro Portovivo, ma
non ne ero sicuro. Dietro di esse, una linea azzurra.
-Il
mare.-
-Il
mare! Ragazzo: il mare! Mi vuoi spiegare cosa accidenti ci fai qui,
lontano dal mare, in un posto che non ti si addice, per un motivo che
non conosci? Per una ragazza? Ma fammi il piacere! L'amore non è una
ragazza. L'amore non è quella ragazza.
Finisci di fare l'imbecille e dai retta al tuo amico, che la sa
lunga. E se non ti ho ancora convinto, pensa alle mie figlie. Sono
frivole e superficiali, ma non sono stupide. Loro lo sognano in
continuazione il mare, anelano la vita con ogni fibra della loro
anima. La vita vera, non farsa che conducono qui a corte. E non
l'avranno mai, saranno sempre incagliate in una città come questa a
sognare l'amore, e neanche quello l'avranno mai. E tu?
Tu cosa vuoi? Vuoi consacrare la tua vita al nulla?-
-No, non...-
-Dammi una risposta decisa, una
volta tanto!-
-No. Non lo voglio.-
-E cosa vuoi?-
-Voglio il mare. Voglio sentire di
nuovo la realtà delle sue onde, il salato dei suoi sbuffi. Non
questo vento secco che non ha odori. Voglio poter amare di nuovo,
veramente.-
-E allora torna al mare, ragazzo.-
-Lo farò.-
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