Skins: Season 7th

di HighByTheBeach
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Everyone ***
Capitolo 2: *** 2. Keith ***
Capitolo 3: *** 3. Demy&Emma ***



Capitolo 1
*** 1. Everyone ***


Capitolo 1: Everyone

Dunque, si potrebbe iniziare con un misero “c’era una volta”, ma quello è per le favole. E questa storia può essere tutto, fuorché una favola. Si, perché  le favole non sono altro che mera finzione, con un lieto fine talvolta fin troppo lieto, così lieto da farti venire il diabete.

No, questa storia non è nulla del genere. Perché qui siamo a Bristol, non nel mondo delle favole. Nulla va come vorresti, e non sempre c’è il lieto fine. Non è un bosco incantato, ma una savana nella quale sopravvivere.

 

Quel giorno, il sole splendeva. L’Estate stava finendo, e quelli erano gli ultimi giorni di sole in vista dell’autunno, che non avrebbe tardato ad arrivare, puntuale quanto un orologio svizzero.

La sveglia sul comodino di Christine iniziò a trillare impetuosa, non appena furono le 7:00. Un suono a dir poco irritante. Si sentii qualche mugolio provenire dall’ammasso di coperte sul letto, dal quale spunto un braccio, che andò a schiantarsi su quell’aggeggio infernale, desideroso di spegnerlo. Non appena ci fu riuscita, la ragazza ricacciò  il braccio sotto le coperte, per nulla intenzionata ad abbandonare quel tepore. Purtroppo, però, questa sensazione non durò che per pochi istanti. Era il primo giorno di scuola, e Christine non poteva mancare. Non lei. Non una Queen Bee come lei. Con un gesto seccato si sbarazzò del piumone, scoprendo il suo corpo, vestito soltanto da una camicia da notte color rosa tenue. Dopo pochi secondi, la giovane sentì la voce della madre chiamarla per la colazione. Christine sbuffò, odiava sentire la voce della madre di prima mattina. Si fece una doccia fredda veloce, come di consueto. Se si fosse lavata con l’acqua calda avrebbe rischiato di lasciarsi andare a quella piacevole sensazione, e quindi di fare tardi. Dopodiché torno in camera, si liberò dell’asciugamano, e indossò un paio di jeans strappati in più punti, con una maglia a righe bianche e nere scollata. Lasciò i capelli rosso scuro sciolti sulle spalle, e scese al piano inferiore. A tavola c’erano già tutti, compreso Keith, suo fratello. Beh, Keith era sempre stato leggermente più preciso di lei.

In realtà i due, pur essendo gemelli, erano completamente diversi, sia fisicamente che psicologicamente. Christine era alta, bella, snella, popolare, dal carattere forte ed estroverso. Keith, invece, era si alto, ma non si poteva proprio definire un ragazzo attraente. Fin da bambino aveva avuto complessi di inferiorità, dovuti al fatto che fosse, come dire… Cicciotello? Diciamo pure così. Si odiava, odiava il suo corpo, odiava il suo essere timido, introverso. Odiava l’idea di bellezza che ogni giorno la società ci propina. Lui aveva dei capelli castano scuro, quasi neri, mossi, che odiava, poiché indomabili. E due occhi marroni, anonimi. Niente a confronto degli occhi azzurri della sorella.

Pur essendo l’uno l’opposto dell’altra, tuttavia, tra i due c’era un legame fortissimo, inscindibile. Fin da piccoli, Christine aveva sempre difeso Keith da coloro che si prendevano gioco di lui, lo aveva sempre difeso dal padre, che ogni giorno non perdeva occasione per ribadire il suo disprezzo per un figlio così diverso da lui, un figlio così diverso da ciò che avrebbe desiderato.

 

- Allora, pronti per il primo giorno? – chiese la madre, la signora Margaret Jefferson.

- Certo, come sempre! – rispose Christine, con un sorriso allegro.

- Già… - aggiunse Keith, sbuffando.

Il ragazzo non poteva certo dirsi felice quanto la sorella. Quest’ultima aveva tutti i motivi per essere felice al Roundview, ma lui no.

La colazione proseguì in silenzio, e alla fine di essa, i due gemelli uscirono di casa, avviandosi verso il Roundview College.

 

- Cristo, potresti mostrare anche un po’ di allegria… In questa scuola ci divertiremo un casino, andremo a tante feste, e… -

- Chris, basta, ti prego… So che per te sarà così, lo è sempre stato. Non cercare di illudermi, grazie –

Christine guardò in alto, sconsolata. Aveva sempre tentato di far “svegliare” il fratello, di farlo diventare più aperto. Ma, purtroppo, il passato non si può cancellare.

 

I due giunsero presto davanti all’istituto. Osservarono l’enorme affluire di adolescenti, doveva davvero essere un istituto rinomato. Christine scorse in lontananza un volto conosciuto: Rose. La rossa, trascinandosi Keith dietro, la raggiunse. Rose, non appena la vide, esplose in un sorriso felice, come anche Christine. Le due erano sempre state migliori amiche, fin da bambine. Avevano trascorso ogni anno scolastico insieme. Rose era una ragazza dai capelli lunghi e neri, che portava sempre ricci, o  al massimo mossi. Aveva due occhi neri, ed una carnagione chiara, e inoltre era leggermente più bassa di Christine. Le due si abbracciarono, quando ad un certo punto alle spalle della rossa sopraggiunse un ragazzo, che le coprì gli occhi.

 

- Chi sono? – chiese.

- Shawn, so che sei tu. – rispose la ragazza, senza troppo entusiasmo.

I due si salutarono con un bacio che aveva ben poco di casto. Erano fidanzati da svariati mesi. Shawn era alto, dai capelli biondi, e dagli occhi verdi. E, come se non bastasse, aveva un fisico davvero niente male. La coppia perfetta, no? Proprio come nelle favole, o almeno così sembrava.

Non appena Keith lo aveva visto, aveva cambiato direzione. Si era allontanato dai tre, recandosi verso l’ingresso del Roundview. Il fidanzato della sorella lo turbava, mettiamola così. Nei corridoi c’erano parecchi avvisi, nei quali vi era scritto che i nuovi arrivati, dovevano recarsi nella palestra, dove la nuova preside avrebbe tenuto una specie di discorso di inizio anno.

Keith, dunque, si recò alla palestra, dove c’erano gia parecchi studenti. Il ragazzo, però, preferì sedersi in un punto in cui gli spalti fossero vuoti. Conosceva la mentalità dei ragazzi del College, sapeva, o meglio temeva, che si sarebbero presi gioco di lui, se fossero stati troppo vicini. Si, Keith era un ragazzo decisamente paranoico. Attese vari minuti, dopo i quali due ragazze gli si avvicinarono. Dai sorrisi che notò sui loro volti, fu sicuro che quelle due avessero l’intenzione di deriderlo un po’, giusto per iniziare bene l’anno.  Una delle due era alta, di colore, e dai capelli neri ricci, mentre l’altra era bassina, dai capelli biondi, e minuta (nda: no, non è Cassie xD), dagli occhi grigi. Fu la ragazza di colore a parlare per prima:

- Che ci fai qua tutto solo? – chiese sorridente. Keith, però, non percepì, a primo acchito, una nota di malizia ne di cattiveria nella sua voce. Soltanto allegria.

- Non conosco nessuno – si limitò a rispondere, con un’alzata di spalle.

- Beh, ora conosci noi! Io sono Demetra, ma chiamami Demy – rispose la ragazza di colore, stringendogli la mano.

- Io invece sono Emma – rispose la biondina, anch’ella sorridente.

- Keith – aggiunse il ragazzo, concludendo le presentazioni.

Dopodiché le due ragazze gli si sedettero accanto. Keith si chiese da dove provenissero quelle due, soprattutto Demy, così briosa, allegra. Si chiese dove trovasse la voglia di essere così sprizzante di gioia il primo giorno. Erano da invidiare, sul serio.

 

-Keith! – il ragazzo si sentì chiamare da lontano, dall’ingresso della palestra. Si voltò, e vide che era Christine, insieme a Rose e Shawn. I tre si avvicinarono, e…

- Si può sapere dov’eri? Mi hai fatto venire l’ansia… -

- Non sono un bambino Chris, non rischio di perdermi eh. –

-Lo so, però… Hey, chi sono quelle? – chiese la rossa, leggermente accigliata.

- Io sono Demy, lei è Emma, piacere – disse la ragazza, porgendo la mano alla sorella di Keith. Quest’ultima, però, la ignorò completamente, limitandosi a sedersi tra Rose e Shawn.  Ormai gli spalti erano quasi completamente pieni, quasi tutti gli studenti vi erano accorsi. Ad un certo punto, due ragazzi, si sedettero proprio davanti a Christine e Rose. Uno di loro era alto, dai capelli neri, e gli occhi del medesimo colore. L’altro era leggermente più basso, dai capelli castano chiaro, e gli occhi color marroncino chiaro. Fu proprio il primo, che si voltò leggermente indietro, fissando per un istante le due ragazze, soffermandosi però su Rose. Questo particolare non sfuggì a Christine che, schiarendosi la voce, richiamò l’attenzione del ragazzo su di se. Quest’ultimo la fissò per un istante, ma poi si voltò nuovamente in avanti. La rossa rimase per qualche istante ad osservarlo, così come Rose.

- Che stai guardando? – chiese Shawn, rivolto alla sua ragazza.

- Niente – si limitò a rispondere quest’ultima.

Keith, seduto accanto a Rose, con la quale aveva tra l’altro un buon rapporto, aveva notato lo sguardo della sorella rivolto a quel ragazzo. Poi, per un attimo, il suo sguardo si incrociò con quello di Shawn. Il fratello di Christine però lo distolse subito, tornando a parlottare con Demetra ed Emma, per non guardare nuovamente il fidanzato della sorella. Si chiedeva ancora come facesse Christine a non accorgersi del fatto che il suo fidanzato non la amasse affatto.

 

Ad un certo punto, dall’ingresso della palestra, sopraggiunse una donna. Era  di media statura, sulla trentina, sui 35 anni anzi. Aveva lunghi capelli castani che le scorrevano lungo le spalle, e per l’occasione aveva indossato un elegante tailleur color panna. Fin troppo elegante, forse, viste le circostanze.

- Questa crede di essere ad un matrimonio? – si chiese Christine tra se e se, con aria saccente.

La donna, munita di un microfono, si accinse a parlare, con un sorriso allegro stampato sul volto.

 

- Buongiorno, studenti del Roundview. Mi presento, io sono Janet Johnson, la nuova preside. E costui al mio fianco è Jeff, il mio assistente, ossia colui che sostituirà Doug, che l’anno scorso, come qualcuno di voi sa, ha deciso di abbandonare la scuola. Bene, ora torniamo  a noi. Conosco bene il passato del Roundview, e so che è stato soggetto di molte sventure. Innanzitutto ci sono stati presidi altamente inefficienti, interessati solo ai loro scopi, e, diciamocelo, abbastanza stronzi… - Tutti gli studenti presenti scoppiarono a ridere, mentre Jeff, un uomo sulla cinquantina, dall’aspetto burbero, si strinse la cravatta, imbarazzato dalla “spigliatezza” della nuova dirigente.

- E, come se non bastasse, so che questo istituto possiede un singolare primato… E’ uno degli istituti in cui c’è il maggior numero di decessi tra studenti, ed è una cosa terribile da dire. Io vi prometto che sarete tutelati in tutto e per tutto, e… -

 

Il discorso di Mrs. Johnson stava diventando fin troppo noioso, per cui è inutile che vi racconti il seguito, no?

Il discorso della dirigente era già finito da parecchi minuti, e la maggior parte degli studenti si trovava nella sala principale, arredata da divanetti e poltrone, nella quale in genere i ragazzi passavano i momenti di pausa.

In un angolo della stanza, c’erano due divanetti, separati da un tavolino di vetro. Su di un divano c’era Christina, intenta a pomiciare con Shawn, e alla sua sinistra c’era Rose, che conversava amabilmente con Keith, Demetra ed Emma, seduti sul divano opposto. Le due ragazze, avevano già fatto amicizia con Rose, oltre che con Keith. Già, la solarità delle due era contagiosa, anche se ciò non si può dire per Christine, che continuava a guardarle con la puzza sotto il naso. E questo lasciava perplesso Keith.

Dopo un po’, sopraggiunsero due ragazzi, quelli  che in palestra si erano seduti davanti a Rose e Chris. Quest’ultima li notò subito.

- Prima siamo stati scortesi, spero che mi perdoniate. Io sono Luke, e lui è Robbie. – disse quello dai capelli neri, rivolgendosi più che altro a Rose. Tentò di porgerle la mano, ma i due furono divisi da Christine che, dopo aver interrotto bruscamente l’amoreggiamento con Shawn, strinse la mano a Luke, beccandosi uno sguardo per niente buono da parte della sua migliore amica.

Il ragazzo la guardò per un istante, per poi sorridere, anche se non del tutto convinto. Poi si sedette sul bracciolo, affianco a Rose.

- Oh, ehm, si… Io sono Robbie – aggiunse l’altro ragazzo, nonostante fosse già stato presentato da Luke.

 

Christine, Keith, Rose, Shawn, Demetra, Emma, Robbie e Luke. 8 vite, 8 storie, tutte diverse tra loro, ma che il destino si divertirà ad intrecciare. Poiché si sa, questa non è una favola, questa è la vita.

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Finito, questo era il primo capitolo. E’ breve, poiché funge da introduzione ai vari personaggi. Ho deciso di fare come la serie, ossia ogni capitolo sarà dedicato ad un personaggio. Per cui prometto che approfondirò la storia e la psiche di ognuno, anche di quelli che qui sono comparsi di meno, e nessuno sarà meno importante degli altri. Ognuno avrà il suo spessore, come in Skins (:

Vi chiedo cortesemente di lasciare qualche recensione, sono preziosissime, mi servono per capire cosa sbaglio, e cosa invece faccio correttamente, e soprattutto per sapere se la storia e la trama vi piace (:

Prossimo capitolo: Keith.

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Capitolo 2
*** 2. Keith ***


2. Keith

Il sole mattutino di Bristol, si faceva spazio attraverso le fessure degli infissi della finestra, colpendo direttamente il letto sfatto, e vuoto. Mi ero già alzato. Ero in bagno e, prima di indossare la felpa che avevo scelto di indossare quel giorno, mi guardavo allo specchio. Ma non per vanità, no. Io non mi guardavo allo specchio con compiacenza, bensì con ira, disgusto quasi. Ogni volta che passavo davanti ad uno specchio o ad una vetrina provavo un senso di disagio, soprattutto in pubblico. Strinsi con forza il pugno, che poi abbattei sulla mia immagine riflessa. Avrei voluto colpire quel vetro con più forza, avrei voluto distruggere quello specchio, e con esso mandare in frantumi anche la mia immagine riflessa. Ma sapevo che ogni piccolo frammento avrebbe seguitato a riflettermi, senza pietà alcuna. Gli specchi mostrano la verità, senza mezze misure, purtroppo.

 

Ad un certo punto sentii qualcuno sbattere forte i pugni alla porta:

- Keith!! Ti sei addormentato lì dentro?! Muoviti, mi serve il bagno, cazzo!- urlò Christine.

Sbuffai, indossai velocemente la felpa, mi sistemai i capelli come potevo ed uscii, ignorando le imprecazioni di mia sorella. Odiavo quando lei e mia madre parlavano di prima mattina, era una sensazione insopportabile. Mi chiedevo dove trovassero quella forza.

 

/---/

 

Al Roundview le prime ore erano trascorse lente e noiose, come al solito. In quell’istituto non sembrava esserci alcun insegnante sano mentalmente.  Io me ne stavo seduto su uno dei divani della sala principale del college, con un’auricolare in un orecchio, che trasmetteva le note di “Lonely Day” dei System of a Down. Affianco a me c’erano Shawn e Christine, mentre di fronte a noi c’erano Rose, Demy ed Emma. Rose si schiarì la voce, tentando di attirare l’attenzione anche di Christine e Shawn, impegnati nell’ennesima pomiciata del giorno…

- Stasera do la festa di inizio anno, tanto ho casa libera, e siete tutti invitati… -

- Ovviamente – sottolineò Christine, interrompendo quello che si stava per tramutare in un film porno – Non potrei mai mancare io, no? –

- Ehm… certo… - rispose la sua migliore amica.

- Siamo invitati anche noi? – la voce maschile che pronunciò tale frase non era di nessuno di noi. Tutti si voltarono verso  la loro destra, vedendo Luke, seguito come sempre da Robbie. Rose arrossì immediatamente

- Certo! – disse la ragazza.

- Ehm, intendi portarti anche quello sfigato? – chiese Christine, riferendosi a Robbie.

Quest’ultimo, in effetti, non passava proprio inosservato. Aveva uno stile del tutto particolare: indossava dei jeans, tenuti su da due bretelle gialle, ed una polo arancione. Discordanza totale tra i colori, peccato gravissimo per la ragazza dai capelli rossi.

- E tu intendi farti tutti gli invitati? – rispose prontamente Robbie, rivolto alla ragazza, che si alzò immediatamente. Avvicinò, irata, il suo volto a quello del ragazza, ma i due vennero divisi da Luke.

Io, che per tutto il tempo non aveva proferito parola, osservando annoiato la scena, notavo come a Shawn non potesse fregarsene di meno. Per un istante lo odiai. Cazzo, era il ragazzo di mia sorella, e non la difendeva neppure nei litigi. Ma questo era il minore dei mali in realtà, considerando gli scheletri nell’armadio del biondo. Quest’ultimo, per un attimo, si rivolse nella mia direzioni, fissandomi. I nostri occhi si incrociarono per un attimo, e io scossi la testa, alzandomi.

- Dove vai? – mi chiese Christine, con voce leggermente acida.

- A farmi un giro, ho finito le lezioni – risposi, cercando di essere più pacato possibile. Volevo davvero bene a mia sorella, nonostante tutto, ma spesso sentivo il forte desiderio di strangolarla. Era davvero complicato a volte sopportare le sue opprimenti attenzioni.

 

Camminavo per le strade di Bristol senza una meta precisa, non avevo ancora voglia di tornare a casa. Me ne andai al parco, recandomi in un posto solitario. Era un punto del parco poco visitato, e mi ci recavo spesso quando avevo bisogno di solitudine. Estrassi dalla tasca della giacca una canna, arrotolata in precedenza. Estrassi anche l’accendino, con il quale la accesi, per poi riporlo di nuovo in tasca. Aspirai il fumo, per poi buttarlo via. Socchiusi gli occhi, beandomi per un istante di quella sensazione.

- Guarda chi si vede! –

Sussultai, riconoscendo quella voce familiare. Mi voltai, e:

- Demy, che ci fai qui? Mi hai seguito? – Era strano che la ragazza di colore fosse arrivata nello stesso posto in cui ero io, per pura coincidenza.

- Sarò sincera… Si, ti ho seguito – rispose Demetra, ridacchiando, mentre si sedeva alla mia destra.

- Come mai? – chiesi, mentre eseguivo un altro tiro alla canna.

- Perché io capisco le persone, Keith. So leggere tra le righe. –

- Per questo sei venuta da me il primo giorno? Ti facevo pena? – chiesi, ironizzando.

- Mm, forse! – rispose la ragazza, ridacchiando – Comunque sembra che qualcosa ti turbi… Cos’è? –

- Oh, essere il fratello di Christine non è una cosa facile – dissi ridendo

- E’ solo quello?

A questa domanda non risposi. Non ero solito ad aprirmi, e non lo avrei fatto certamente in quel momento, pur considerando Demetra un’ottima persona e, perché no, una buona amica. Tutto sommato, la ragazza sembrò capire, e infatti non insistette, come spesso facevano gli altri. Odiavo le persone invadenti.

- Senti, ti va di venire a casa mia? – propose lei ad un tratto.

Ci pensai un istante, indeciso. Me la sentivo? In genere non declinavo quel genere di inviti, ma la conoscevo da poco, e avevo mille timori.

- Oh, andiamo! – aggiunse lei, per poi alzarsi e tirarmi con se per un braccio.

A quanto pare aveva deciso lei per me, mandando all’aria ogni mia ipotetica protesta. E, come se non bastasse, mi era caduta la canna. Quando si dice sfiga.

 

/---/

 

Eravamo di fronte al portico della casa di Demy, una graziosa villetta di periferia. La ragazza bussò al campanello, e dopo pochi secondi vedemmo una donna, anch’ella di colore, venire ad aprire la porta. Aveva i lunghi capelli neri raccolti in una coda, ed indossava un camice da cucina.

- Ciao mamma, lui è Keith, un mio amico – disse la ragazza.

- Oh, piacere Keith! Demetra, oggi Emma non viene? – la donna sembrava affabile, ma sull’ultima parte della frase aveva assunto un’aria stranamente seria. Perché si preoccupava così per Emma?

- No, sua madre l’ha chiamata per… Dei problemi – rispose Demy a sua madre. Quest’ultima non rispose, ma aveva tutta l’aria di una che ha capito cosa la sua interlocutrice volesse farle capire. Preferii non fare domande, non volevo sembrare indiscreto. Mi limitai a seguire Demetra lungo le scale che portavano al piano superiore, per poi entrare nella sua stanza.

- Devo farti vedere assolutamente una cosa! – esclamò la ragazza, stranamente euforica. Io inarcai un sopracciglio, curioso di scoprire cosa volesse mostrarmi con tanta enfasi.

Demy prese il suo portatile e lo aprì, accendendolo. Andò nella cartella video, e ne aprì uno. Quel video ritraeva lei, su una specie di palco in legno. Doveva essere in un teatro, o una cosa simile. Davanti a lei era posizionato un microfono. Ancora non riuscivo a capire qualcosa, e appena tentai di aprir bocca, Demetra mi zittì. Ad un certo punto partì una musica, una musica che era familiare.

 

 

Share my life, take me for what I am

‘Cause I’ll never change all my colours for you

Take my love, I’ll never ask for too much

Just all that you are and everything that you do…

 

 

Queste furono le parole che fuoriuscirono dalla bocca di Demetra, nel video. Demetra stava cantando “I have nothing”, di Whitney Houston. Rimasi a bocca aperta. Non mi sarei mai aspettato che Demy cantasse e, soprattutto, che avesse quella voce. Possedeva un diaframma che in poche hanno, una voce di cui solo una donna di colore può essere padrona. Cantava quella canzone in modo sublime. Durante tutta la durata del video, nessuno dei due parlò. Personalmente non avrei mai interrotto l’ascolto di quel canto soave.

Quando l’esibizione fu finita. Demetra chiuse il computer

- Tu sei una cantante! – esclamai stupito.

- Già, ci provo – disse lei, sorridendo.

 

Mi sedetti sul suo letto, sospirando. Non mi sarei aspettato nulla del genere, è proprio vero. Le persone hanno sempre sorprese in serbo. Demetra si sedette accanto a me. In quel momento avrei dovuto dirle quanto fosse brava, ma era inutile. Entrambi sapevamo che erano inutili le parole.

 

Dopo un istante di silenzio mi voltai verso la mia nuova amica, e i nostri occhi si incrociarono. Lei non disse nulla. Fu questione di un istante. Avvicinò le sue labbra alle mie, lasciando che aderissero. Rimasi smarrito per un attimo, non aspettandomi una mossa del genere. Dopo quel momento di smarrimento, riuscii ad allontanarla delicatamente. La ragazza mi guardò stranita. No, non doveva succedere questo… Perché?

- Senti Demy, io non… -

- No, non devi spiegarti, sono una scema io! Mi sono lasciata prendere, e allora, cioè, si insomma, cioè, cazzo! Io non volevo, cioè so di non piacerti, è che… -

- Demy, io sono gay –

La mia interlocutrice si bloccò immediatamente. Provò a dire qualcosa, ma non trovò le parole. E lo stesso valeva per me. Cioè, avevo appena dichiarato la mia omosessualità a lei? Per un attimo temetti addirittura che mi avrebbe cacciato di casa. Ma così non fu, almeno in quel momento. Dopo un attimo di shock iniziale, la ragazza scoppiò in una fragorosa risata. Rise, rise per interminabili minuti. Mi chiedevo davvero cosa ci fosse di così divertente in tutto ciò. Quando riuscì a calmarsi un pochino, riuscì a parlare

- Cristo, io ho un amico gay!! – disse cercando (inutilmente) di contenersi. All’improvviso iniziò a saltare per la stanza, in preda all’euforia. Io la guardavo perplesso, era davvero così eccitante quella notizia?

- Ok, devo calmarmi – disse, risiedendosi – Chi altro lo sa? –

- Nessuno, nemmeno Christine, e così deve restare. Non so nemmeno perché te l’abbia detto… -

- Tranquillo, sarò muta. Oddio, sono eccitatissima!  Cioè, chi non vorrebbe avere un amico gay?!? –

Demetra sembrava parlare più a se stessa che a me. Io, dal canto mio, preferii non smontarle l’entusiasmo. Di sicuro, se avessi parlato, avrei razionalizzato il tutto, rendendolo piatto. Per cui me ne stetti in silenzio, sorridendo leggermente.

 

/---/

 

L’acqua era caldissima. Appoggiato al muro, lasciavo che l’acqua della doccia si abbattesse su di me, lasciando che quel calore mi avvolgesse completamente, in modo tale che mi annebbiasse la mente, inibendo qualsiasi pensiero.

Dopo un po’ uscii finalmente dalla doccia, per poi indossare l’accappatoio. Mi diressi in camera, lasciando che qualche goccia d’acqua, proveniente dal mio volto bagnato, scivolasse sul pavimento. Chiusi la porta alle mie spalle, e mi liberai dell’accappatoio, dinnanzi allo specchio. Mi guardai di nuovo. Si, perché ero masochista. Volevo farmi del male. In realtà, nel profondo, la mia speranza era che, mentre mi guardavo, qualcosa mi dicesse che mi sbagliavo. Qualcosa che mi dicesse che non ero sbagliato, che non facevo schifo. Ma ogni volta, le mie speranze si rivelavano vane, inutili. E faceva sempre più male. Non riuscivo a sopportare tutto ciò. Scossi la testa, per poi gettare l’accappatoio sullo specchio, coprendone l’immagine. Dovevo andare alla festa organizzata da Rose. E già mi sentivo uno schifo all’idea di dover farmi vedere da decine e decine di persone. Dio solo sa le cose che  avrebbero pensato di me. Indossai dei semplici jeans, una maglia scura, delle scarpe da ginnastica ed un giubbotto in jeans. Anonimo. Questa era la mia parola chiave. Volevo passare inosservato quella sera, come ad ogni occasione simile. Non appena fui pronto uscii dalla mia camera. Avrei dovuto attendere Christine, per cui c’era tempo.

Ad un certo punto sentii un rumore di tacchi scendere le scale, e capii che non poteva che essere lei. Non appena la vidi sorrisi. Era bellissima, ma al contempo fintissima. Aveva indossato dei leggins di pelle lucida, con degli stivali col tacco. Poi aveva messo una maglia color oro, larga, che le lasciava una spalla scoperta. Aveva una borsetta, che spacciava per Gucci. In realtà, per strada, mi avrebbe riempito la testa sui suoi vestiti firmati. Maglietta della Dior, borsetta gucci, stivali diosacosa, ecc ecc. Ecco perché era finta. Nessuno di quegli indumenti era originale, erano vestiti comprati probabilmente al mercato. La nostra famiglia guadagnava pochissimo, nostro padre era andato in pensione troppo presto. Mai e poi mai nostra madre avrebbe speso tanti soldi. E tutto ciò a Christine non andava bene. Per lei apparire era fondamentale. Ed era ovvio che non c’era altro modo, se non quello di fingere.

Eravamo davvero uno l’opposto dell’altra.

Io avevo scelto di essere me stesso, di rappresentare la verità. Lei era solo effimera apparenza e finzione. Io la verità, lei la menzogna.

Soltanto io, però, riuscivo a capirla. Sapevo che, dietro quella maschera, c’era una ragazza fragile, e con la paura della solitudine.

 

- Allora, andiamo? – esordì.

- Certo! – risposi.

 

/---/

Eravamo di fronte alla casa di Rose, casa Perkson. Si poteva udire già da quella posizione la musica rimbombante proveniente dall’interno. La casa, sul retro, aveva un enorme giardino, con tanto di piscina. La famiglia di Rose era davvero benestante, e potevano permettersi questo ed altro. E si, lo ammetto, provavo invidia per questo. L’invidia, uno dei sette peccati capitali, uno dei peggiori. Star male per il benessere altrui, ero davvero una cattiva persona.

 

All’interno della casa, la musica trapanava i timpani. C’era gente ovunque. Sui divani, nelle stanze, sulle scale. Chi fumava, chi beveva, chi faceva sesso. Ad un certo punto vedemmo, in lontananza, Shawn. Mia sorella sorrise, e gli corse incontro. Il suo fidanzato, in realtà, la baciò con ben poca enfasi. Christine lo amava, ne ero certo. Ma ero certo anche che Shawn stesse con lei solo per il sesso. Anche se ultimamente non ero sicuro nemmeno di mia sorella, visto che nei giorni precedenti si era comportata in modo strano con Rose, da quando quest’ultima era chiaramente vittima delle attenzioni di Luke.

Mentre Chris e Shawn erano impegnati nelle loro cose, io uscii nel grande giardino retrostante. In lontananza Rose mi vide, e tutta sorridente mi fece cenno di raggiungerla, e così feci. Con lei c’erano anche Emma e Demetra. Quest’ultima mi guardò, sorridente, un sorriso che ricambiai.

Emma, invece, sembrava particolarmente giù di morale. Sembrava… fredda. Ed era strano. Emma era una ragazza vivace, sempre allegra. Mi domandai se avesse a che vedere con lo strano tono usato quel giorno dalla madre di Demetra.

Notai Rose che continuava a guardarsi freneticamente intorno.

- Che hai? – le chiesi.

- Niente, è che manca qualcuno… - capii al volo. Ovviamente era in attesa dell’arrivo di Luke.

Prima che potessi rispondere, sentii il cellulare vibrare nella tasca. Lo presi, e vidi che era arrivato un sms. Lo aprii, ed il mittente era anonimo. Il messaggio recitava: “ Camera da letto “. Rimasi interdetto. Pensai che sicuramente qualcuno aveva sbagliato, eppure avevo un dubbio che, come un serpente, strisciava nella mia mente. Non sapevo chi avesse potuto mandarmi un messaggio simile, ma l’istinto mi diceva di raggiungere quel luogo. La camera da letto. Ad un certo punto poi presi coraggio

- Ehm, io vado in bagno… - dissi, congedandomi.

Non sentii nemmeno le risposte delle ragazze, che mi recai all’interno. Salii velocemente le scale, evitando coppiette varie, e addentrandomi in qualche addensamento di fumo.

Ero sul corridoio che dava alle varie camere, mi chiedevo quale fosse quella giusta. Iniziai a sbirciare in ognuna di esse, ma erano tutte occupate da sesso sfrenato. Ce n’era una sola, soltanto una, vuota. Era quella in fondo. Dalla fessura aperta vidi che non c’era nessuno. Aprii piano la porta, e vi entrai. Avevo una sensazione strana. Ad un certo punto sentii la porta sbattersi alle mie spalle.

- Avevi capito quindi! –

 

Riconoscerei quella voce tra mille. Sospirai.

- Sai, Shawn, avevo il sentore che potessi essere tu. Che vuoi? – dissi, voltandomi verso il mio caro “cognato”.

- Non devi essere così duro, non lo eri quest’estate. – disse lui

- Senti, quello che è successo quest’estate è stato uno sbaglio. Tu eri ubriaco, io confuso. Tu stai con mia sorella, lei ti ama. –

- No, tua sorella non mi ama. E a me non importa più nulla di lei, non dopo ciò che è accaduto mesi fa. Ed ero lucido.–

- Dio Shawn, sembri uno di quei coglioni da telefilm americani. Non c’è stato proprio nulla, un fottuto bacio. –

Shawn si avvicinò pericolosamente, avvicinando il suo volto al mio.

- Beh, se fosse stato per me, avremmo potuto tranquillamente continuare. E sono certo che anche tu non disdegni, anzi. So come mi guardi. –

- Pf, la convinzione ti fotte. Pensi davvero che farei qualcosa con te? –

- Altrimenti perché saresti qui? – Già, me lo chiedevo anche io. Feci qualche passo indietro, quella vicinanza mi turbava fin troppo. Peccato che, come i penosi clichè insegnano, dietro di me ci fosse il letto, sul quale  andai a sbattere, e di conseguenza mi ci sedetti. E, come se non bastasse, Shawn accorciò nuovamente le distanze.

- Vattene, Shawn Jackson – ordinai. Manco a dirlo, non mi calcolò minimamente.

- Perché? Perché fai questo? – fui nuovamente io a parlare. Era un figo della madonna, perché cercava me? Io, che non valevo nulla, che ero zero in confronto a lui.

- L’hai detto tu, sono Shawn Jackson. – scossi la testa.

- Non farò questo a mia sorella –

- Lei ti fa di peggio. Lei è una stronza egoista, che pensa soltanto a se stessa. Pensaci, ti ha sempre oppresso con la sua presenza, distruggendo la tua autostima a poco a poco, giorno dopo giorno, ha sempre fatto di te la sua ombra. Pensaci, Keith. E’ colpa sua se ora lei non crede in te. – no, mentiva. Non era colpa di Christine. O forse si? No, no, no! Non poteva farmi questo… Shawn era uno stronzo manipolatore, e io ci stavo cascando. Ma purtroppo era riuscito ad insidiare il dubbio nella mia testa, e questo bastò perché cedessi quando toccò le mie labbra con le sue, d’improvviso. Provai qualche inutile e patetico tentativo di allontanarlo da me. Ma lui riuscì a farmi cedere del tutto, riuscendo a fare in modo che schiudessi le labbra, lasciando che la mia bocca fosse profanata dalla sua lingua, che si intrecciò con la mia.

Con una spinta, mi fece stendere sul letto, e si mise sopra di me.

Fu questione di pochi attimi. Mi ritrovai la sua testa all’altezza del mio membro. Strinsi la coperta tra le mani. Avevo la mente annebbiata. Il senso di colpa, la più infame tra le sensazioni umane. Come vile aquila arpiona le proprie prede, il senso di colpa aveva attanagliato la mia mente. Ma la mente era ormai scollegata in quel momento. Dopo un po’ vidi la testa di Shawn tornare all’altezza della mia

- Farò piano – mi sussurrò. Non ebbi tempo di capire cosa volesse dire, che mi ritrovai voltato con la pancia verso il basso. Ancora una volta avrei voluto oppormi, ma non ci riuscii, fu lui ad impedirmelo. Me lo impedì con la sua bravura. Dio, se era bravo.

 

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Ed eccoci a questo nuovo capitolo, in cui si capisce qualcosa in più di Keith. I prossimi capitoli si focalizzeranno anche sugli altri personaggi, ovviamente.

 

Invito tutti i lettori a lasciare una recensione ç_ç Ho deciso di mettere i prossimi capitoli in 1^ persona, dal punto di vista del personaggio a cui sarà dedicato ogni capitolo ^^

 

Prossimo capitolo: Demy&Emma

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Capitolo 3
*** 3. Demy&Emma ***


3. Demy&Emma

 

Outside is sunny, inside is dark…

 


P.O.V Demy

 

La musica si stava lentamente spegnendo, ed io mi beai di ogni singola nota, fino all’ultima di esse, come ogni volta che cantavo. Avevo cantato quella canzone per intero per la centesima volta, probabilmente. Avrei avuto un’audizione nei prossimi giorni, e la mia insegnante privata di canto, la signora Jodie, era davvero pignola. Voleva assicurarsi che non sbagliassi neppure una nota. La perfezione, a mio avviso, non esiste, ma per la signora Jodie io lo sono. E’ estasiata ogni volta che canto. E’ convinta che io possegga il diaframma tipico delle donne di colore, e che un giorno io possa arrivare ai livelli di persone come Whitney Houston.

 

- Sublime, mia cara! – esclamò, non appena la musica cessò. Era davvero compiaciuta del lavoro che stavo eseguendo, e mi faceva piacere. Ci tenevo davvero tanto a superare quell’audizione, che mi avrebbe permesso di entrare in uno dei conservatori più prestigiosi dell’Inghilterra. Il canto era la mia vita, e di conseguenza quel posto rappresentava per me una sorta di oasi lontana.

 

/---/

 

Mi trovavo nell’autobus, con le auricolari del mio iPhone alle orecchie, mentre ascoltavo un po’ di musica, per ammazzare il tempo. Improvvisamente la musica cessò, poiché avevo ricevuto un sms. Controllai il destinatario: Christine. L’aveva mandato a tutti. “Stasera tutti al “Life”. XOXO”. Oh, il Life era una nuova discoteca, aperta da pochissimi giorni dall’altro lato di Bristol, ne avevo sentito parlare. Chiusi il messaggio, ed aprii l’elenco di numeri telefonici salvati, scorrendo poi l’elenco fino ad Emma, che chiamai. Attesi per quattro o cinque squilli, dopodiché scattò la segreteria telefonica. La cosa mi fece preoccupare. Conoscevo Emma, e speravo davvero che non stesse capitando di nuovo. L’autobus ad un certo punto si fermò, era giunto al capolinea, e quella era la mia fermata. Scesi velocemente, per poi percorrere la breve strada che mi divideva da casa mia. Una volta arrivata, anziché entrare, andai al garage, nel quale era parcheggiato, oltre all’automobile di mia madre, il mio motorino. Vi salii in sella, e partii alla volta della casa di Emma.

 

 

P.O.V Emma

 

Sta succedendo, sta succedendo ancora. E, proprio come ogni volta, io mi sento impotente, non posso fare nulla. Posso soltanto ascoltare passivamente le urla provenienti dal piano inferiore. Mio fratello, Alex, si è ubriacato di nuovo. E no, non è una cosa normale, da adolescente. Perché lui non è un adolescente. Ha trent’anni suonati, e la cosa peggiore è un’altra. L’alcool fa triplicare la rabbia di mio fratello, che diventa un animale.

In questo momento sono avvolta su me stessa, sotto le mie coperte, in posizione embrionale, mentre sento il rumore di oggetti  che vanno in frantumi, sedie che si ­­­­­­­schiantano sulle pareti, le urla di mia madre che non ce la fa da sola. Vorrei scendere, ma la paura mi immobilizza. Sono una vigliacca, lo so. Sono una vigliacca perché, pur consapevole che mia madre è sola, ad affrontare una belva, io me ne resto lì, senza fare un cazzo. Ogni fottuta volta chiudo gli occhi, riaprendoli solo quando i rumori cessano, e tutto torna alla sua folle banalità. Ad un certo punto sento il cellulare vibrare, esso è accanto a me, ma mi preoccupo soltanto di guardare il destinatario: Christine. Non mi preoccupo di leggerlo, e lo rigetto sul letto. Dopo, però, squilla. E’ Demy, che mi sta telefonando. Lascio squillare un po’, poi decido di inserire la segreteria. Le urla di Alex e di mia madre sono troppo forti. Nonostante lei sia l’unica a sapere di ciò che accade abitualmente a casa mia, preferisco che non mi senta piangere. Si, perché io sto piangendo, come sempre. Lacrime calde e amare scivolano lungo le mie guance, ed io non posso fare altro che assecondarle. Demy, la mia migliore amica fin dai tempi delle elementari. Siamo cresciute insieme, non ci siamo mai separate, mai. Ed è l’unica, oltre sua madre, a sapere la verità su  mio fratello. Anzi, su Alex. Mi viene il disgusto soltanto a definirlo “fratello”, sangue del mio sangue. Probabilmente mio padre si starà rivoltando nella tomba a vedere il suo primogenito in quello stato. Dio, lo odio. Si può odiare qualcuno così tanto, al punto da desiderarne la morte? Si. E non ammetto di essere giudicata, no. Non lo permetto a nessuno, perché nessuno sa l’inferno che io e soprattutto mia madre, siamo costrette a subire. Il Natale, la Pasqua, e tutte le altre feste, sono puntualmente rovinate da quell’essere. Non ho mai conosciuto un giorno di festa felice, mai. Ed è per questo che odio queste feste. Dopo svariati minuti, che mi sembrarono anni, sentii che le grida erano cessate. Era finita, forse.

Mi guardai allo specchio, osservandomi. Ero gracile, non ero mai stata molto robusta fisicamente. I miei lunghi capelli biondi, in quel momento, erano tutti scompigliati, e i miei occhi grigi erano più spenti del solito. Sbuffai, asciugandomi le ultime lacrime. Non volevo che mia madre mi vedesse piangere. Versava lei stessa già abbastanza lacrime. Uscii dalla mia stanza, e scesi le scale, raggiungendo il piano terra. Lì, mia madre sedeva sul divano, fumando nervosamente una sigaretta, con lo sguardo perso nel vuoto.

- Sono riuscita a farlo addormentare… - disse, prima che aprissi bocca.

- Ti ha messo le mani addosso anche stavolta, vero? –

Non rispose. Scoppiò soltanto a piangere, segno che la mia domanda fosse fondata. Quel bastardo. Mi sedetti accanto a lei, abbracciandola. Mi sentivo terribilmente in colpa, per non esserle d’aiuto.

- Sai, vero, che dovresti chiamare la polizia? – le dissi.

- No, è fuori discussione… Sarebbe rovinato… - rispose lei, risoluta.

- Ma in questo modo siamo noi rovinate, mamma! Perché non capisci?! – stavo iniziando ad innervosirmi, come ogni volta che toccavamo quel discorso. Era troppo legata a suo figlio, e nonostante tutto non sarebbe riuscita a farlo chiudere da qualche parte. Da un lato era patetica, dall’altro comprensibile. Comunque sia, non mi rispose. Si riavviò i capelli biondi, come i miei, e si rialzò, andando poi a chiudersi nella sua stanza. Scossi la testa. Ero stufa, di quella situazione. Dovevo convivere con un fratello che per me era poco più che un estraneo, e mi chiedevo spesso perché esistesse ancora, e non fosse morto. Se esiste un Dio, da qualche parte… Perché permette certi scempi?

Non ebbi tempo di darmi una risposta, che suonò il campanello. Mi recai alla porta d’ingresso, lentamente, per poi aprirla.

- Demy! –

 

P.O.V Demy

 

- Demy! – esordì.

Avevo fatto più velocemente possibile per arrivare a casa di Emma, e quest’ultima mi aveva appena aperto la porta. Non appena la guardai in faccia, capii. Doveva essere successo, proprio come temevo. Non c’era bisogno di parole, ci conoscevamo da anni e mi bastava uno sguardo. I suoi occhi, in genere vispi e allegri, ora erano spenti. La ragazza mi fece entrare, e andammo a sederci sul divano.

- Dov’è? – chiesi.

- Dorme – rispose.

Ci guardammo per un istante, uno soltanto. Dopodiché la ragazza scoppiò a piangere, cadendo tra le mie braccia, affondando la sua testa nel mio petto. La strinsi forte a me, lasciando che si sfogasse, lasciando uscire tutte le lacrime che la opprimevano. Riusciva ad esternare le sue emozioni soltanto con me. Le accarezzai i morbidi capelli biondi per almeno mezz’ora, quando finalmente smise di piangere.

 

Parlammo all’incirca per un’oretta, di argomenti vari. Dovevo tirarla su di morale, fare in modo che il suo cervello sotterrasse gli avvenimenti di quel giorno, ed io non potevo fare altro che provarci in quel modo. Anche se sapevo, sapevo benissimo che, nonostante adesso Emma sorridesse in modo anche convincente, era solo una maschera. Emma soffriva. La sofferenza la attanagliava, la teneva legata, incatenata.

- Senti, stasera vanno tutti al Life… Se vuoi posso restare qui con te – dissi.

- No, andremo anche noi. Non ho voglia di fingere di essere forte davanti a mia madre tutto il tempo – rispose. Le sorrisi, di cuore.

 

/---/

 

Eravamo andate a casa mia, in modo che potessimo prepararci per la serata. Io decisi di stirarmi i capelli, per poi indossare un vestito nero. Ad Emma, invece, prestai una minigonna nera, con un top color bordeaux. Aveva i capelli leggermente mossi, era perfetta.

 

P.O.V Emma

 

Si prospettava una serata divertente. O almeno, è ciò che mi sforzavo di pensare. In realtà non avevo alcuna voglia di uscire, ma non volevo restare a casa mia. Ero egoista, lo so. Avevo lasciato sola mia madre, ma io ero stanca. Stanca di dover essere forte per lei, stanca di fingere. Quella sera, avrei finto che tutto andasse bene, avrei ingannato chiunque mi guardasse, tranne Demetra, probabilmente.

 

/---/

 

Eravamo all’entrata del locale. C’era una fila enorme, e già dall’esterno si sentiva una musica frastornante. Sentivo già il cranio che mi pulsava. Da lontano notammo Christine. La rossa era già alla porta di ingresso, e ci richiamava con la mano, con un sorriso che mai mi sarei aspettata nei nostri confronti. La ragazza sussurrò qualcosa all’omone di guardia, che ci permise di saltare la fila, facendo in modo che raggiungessimo la soglia dell’ingresso, dove Christine ci attendeva.

- Siete arrivate, finalmente! Gli altri sono già tutti qui! – disse, addentrandosi in quella bolgia, facendoci poi cenno di seguirla.

La musica era fortissima, e mi penetrava i timpani. Feci molta fatica a farmi strada sull’enorme numero di persone nella pista. Io e le altre due ragazze fummo raggiunte da Rose, che per l’occasione aveva rinunciato ai suoi tipici boccoli, preferendo portare i capelli mossi. Quelli di Christine, invece, erano liscissimi ed impeccabili, come sempre.

Dopo i vari convenevoli, ci avviammo verso il bancone del bar. Lì c’erano i ragazzi, ossia Keith, Shawn, Luke e Robbie. Quest’ultimo era davvero sopra le righe. Aveva indossato dei pantaloni color arancio, con delle bretelle dello stesso colore, sopra una camicia bianca con papillon verde. Sembrava davvero uscito da un cartone americano.

- Bene, ci siamo tutti! – esclamò Christine, fingendo entusiasmo. Ella osservò poi Luke e Rose, che si guardavano negli occhi.

- Balliamo? – chiese il ragazzo, rivolto ovviamente a Rose. In tutta risposta, la ragazza, annuì, ed i due scomparirono in quella selva di perdizione. La rossa non ne sembrava affatto contenta.

- Hai portato l’erba? – chiese Shawn ad un tratto.

- Certo che si – rispose Christine, non poco infastidita dalla diffidenza del suo ragazzo. Quest’ultimo le sorrise, per poi prenderle la mano e sparire insieme nella pista da ballo. Eravamo rimasti io, Demy, Keith e Robbie.

- Ma come ti sei vestito? – chiesi a quest’ultimo, leggermente divertita.

- Oh, è il mio stile, e… -

- Mi stupisco che mia sorella non ti abbia insultato nei modi peggiori – lo interruppe Keith, ridacchiando.

- Ehm, in realtà l’ha fatto… - ammise il ragazzo.

Scoppiai a ridere. Era ovvio, probabilmente Christine nemmeno lo aveva invitato. Si era semplicemente accodato a Luke, dal quale sembrava non potersi proprio dividere. Ad un certo punto Robbie venne di fronte a me e Demy:

- Una di voi splendide signorine vorrebbe concedermi l’onore di un ballo? –

- Passo – risposi io, ridacchiando, sperando che mi sentisse in quel baccano.

- Io ci sto! – esclamò invece Demetra, ridendo come una pazza. Sembrava davvero divertita dall’idea di ballare con quel personaggio così strambo. I due si avviarono, lasciando da soli me e Keith. Notai che quest’ultimo fissava nervosamente un punto impreciso della pista, mentre sorseggiava della vodka da una bottiglia di vetro. Seguii il suo sguardo, e vidi che l’oggetto del suo sguardo era la sorella, che “ballava” (o sarebbe meglio dire che si strusciava) con Shawn. Mi domandavo perché gli desse così fastidio.

- Che hai? – gli chiesi, avvicinandomi.

- Niente… -

- Li stai fissando… -

- Davvero? –

- Si. –

Il ragazzo sbuffò, per poi cedermi la bottiglia di vodka. Sembrava davvero nervoso.

- Balli? – mi chiese ad un certo punto.

- Hai delle pasticche? –

- Beh, certo… -

- Allora si –

- Hai per forza bisogno di un supporto? –

- Si, perché per ballare ho bisogno dell’umore adatto. E le pasticche me lo danno. –

- E’ successo qualcosa? – mi chiese, sospettoso. Lo guardai, ed egli capì. Mi sorrise, per poi estrarre dalla tasca una bustina, con dentro due o tre compresse.

- Gli altri le hanno prese quasi tutte. – ammise, per poi porgermi la bustina. Ne presi una e la ingerì, e lo stesso fece lui. Gli strappai la bottiglia di vodka da mano, e ne bevvi un lungo sorso, sentendo poi la gola andarmi in fiamme. Ma, non contenta, bevvi ancora, e ancora, finchè la bottiglia non fu del tutto vuota.

- Andiamo? – chiesi poi a Keith.

Non attesi risposta, e mi fiondai nella pista. La pasticca ingerita stava già salendo. Mi muovevo freneticamente a ritmo della musica, della quale non riuscivo però a distinguere più alcuna nota ne parola. Vedevo le persone attorno a me in modo confuse, come se fossero tutte parte di un ammasso informe. E la musica sembrava aumentare sempre di più, la sentivo rimbombare direttamente nel cervello. Mi entrava dentro, fin nelle viscere più profonde del mio corpo, facendo si che il mio corpo fosse attraversato da scosse adrenaliniche. Non mi importava più di nulla. Ne di mio fratello, ne di mia madre, ne di nessuno. Ora volevo soltanto fare ciò che stavo facendo. Sentii le mani di un paio di ragazzi scivolare lungo il mio corpo, e il che mi fece ridere di gusto. Ma li allontanai, facendo la preziosa. Mi sentivo viva, in quel momento. Poi, però, dopo un po’, mi sentii lo stomaco avvolgersi su se stesso.

 

/---/

 

Mi ritrovai nel bagno della discoteca. Un sudicio bagno, nel quale c’era di tutto: chi si drogava, chi fumava, chi scopava. Ed io, chiusa in uno dei cubicoli, stavo vomitando l’anima in quel disgustoso water. Non riuscivo a capire se quel tanfo fosse il mio vomito, o facesse semplicemente parte dell’ambiente. Dopo aver vomitato, mi riavviai i capelli, appoggiandomi poi con la schiena al muro. Non avevo ne la forza, ne la voglia di rimettermi in piedi. Ad un certo punto, mentre me ne stavo in pace, con gli occhi semi-chiusi, sentii delle persone entrare nel cubicolo adiacente al mio. Notai, dalla fessura in basso al muro divisorio, che erano due ragazzi. Non avevo neppure controllato che fosse il bagno dei maschi, perfetto. Poi, però, i due iniziarono a parlare tra di loro, chiusi in quel cubicolo. E quelle voci…

- Senti Shawn, quello che è successo a casa di Rose non succederà mai più! – esclamò uno dei due – E’ stato un errore, che non riaccadrà! – aggiunse. L’altro, in tutta risposta scoppiò a ridere.

- Avanti Keith, ti è piaciuto da impazzire, e sono convinto che lo rifaresti in qualsiasi momento… -

- Senti, potrebbe anche darsi, ma tu stai con mia sorella, ed io faccio schifo! Cazzo, mi sento una fottutissima troia che si scopa il ragazzo della sorella… -

- Beh, lo sei. –

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Quelli erano Shawn e Keith. Sperai fino all’ultimo che non fossero gli stessi Shawn e Keith che conoscevo io, ma purtroppo così non era.

- Comunque sia, non accadrà mai nulla del genere! –

- Ne sei sicuro? –

A questo punto vidi uno dei due mettersi in ginocchio…

- Non ci provare! – esclamò Keith.

Sentii una zip abbassarsi, e poi una serie di mugolii.

- Oh, si.. Cioè, no! Senti… Oh… Basta! – Keith riuscì a staccarsi, e l’altro, a giudicare dai piedi, si era rimesso in piedi.

- Non ci riuscirai! –

- Oh, si invece… -

Keith fu girato verso l’altro lato, e vidi i pantaloni di entrambi cadere al suolo.

- Che cazzo! –

- Shh… -

Mi portai una mano alla bocca, sconvolta. Preferisco non descrivere i suoni che percepii. Keith e Shawn. Shawn e Keith. Shawn e Christine? Sentii di nuovo il vomito salirmi lungo la gola, e mi affrettai ad affacciarmi di nuovo nel water.

Dopodiché uscii da quel cubicolo in fretta, preferendo evitare di assistere ad orgasmi vari, per poi tornare nella discoteca. Incontrai Christine, che si fermò davanti a me.

- Hey, hai visto il mio Shawn? – chiese la ragazza, leggermente preoccupata. Ero fottuta.

- Ehm, si… - risposi. – L’ho visto nei pressi del bar… -

- Ma ci sono appena stata… - diffidente la ragazza.

- Ehm, andava verso il piano di sopra infatti! –

- E se provassi in bagno? –

- Oh, no… Ci sono appena stata, ed è uno schifo totale. E non c’è Shawn! – mi affrettai a rispondere. Stavo mentendo più che altro perché volevo bene a Keith, non per altro. La coppia Christine-Shawn non mi aveva mai convinta, e adesso soprattutto. Ci avrei scommesso che Shawn fosse infedele, ma non mi sarei aspettata una cosa del genere.  Giocava sporca col suo cuore, col cuore di Christine.

- Ok, allora andrò di sopra… - rispose la rossa, non troppo convinta. Era fin troppo astuta ed intelligente, aveva capito che qualcosa non andava. Per quanto fossi brava a mentire, a quanto pare non potevo ingannare lei, la regina incontrastata della menzogna. Tuttavia, forse, ero riuscita distoglierla dal bagno. Avrei dovuto fare quattro chiacchiere con Keith.

Era il momento di tornare a casa, almeno per me. Non ne potevo più di quella serata. Non chiamai Demy, era occupata a divertirsi. Cosa che io non ero riuscita a fare altrettanto bene. Ci avevo maldestramente provato, ma avevo fallito. Avevo provato a dimenticare, per qualche istante, l’enorme fardello che mi portavo sulle spalle, ma a nulla era servita una pasticca e mezza bottiglia di Vodka. Sorrisi, vedendo come Demy, seppur strafatta come tutti gli altri, riuscisse ad essere genuina nella sua felicità. Non aveva problemi, non quanto me. Sarei tornata a casa e, da sola, avrei pianto, avvolta dalle coperte.

 

/---/

 

P.O.V Demy

 

Mi massaggiai le tempie con le dita, con la schiena appoggiata al mio armadietto. Avevo un’emicrania atroce. Avrei preferito non andare a scuola quel giorno, ma mia madre mi aveva praticamente costretta.

Camminai per i corridoi del Roundview, fino a giungere alla sala principale, dove tutti gli studenti si riposavano tra una lezione e l’altra. Notai i miei amici, e mi avvicinai a loro, sedendomi accanto ad Emma. Di fronte a noi c’erano Keith e Christine.

- Non ti ho più vista ieri sera… - dissi ad Emma.

- Si… Non mi sentivo molto bene e sono andata a casa. – rispose, fissando uno dei due ragazzi di fronte a noi, ossia Keith. Quest’ultimo aveva un’aria assente, pensierosa.

- Comunque il locale mi piace, ha spazi molto ampi. Soprattutto i bagni, c’è chi fa di tutto là dentro… - aggiunse la bionda. Non capii ciò che intendesse, ma Keith sembrò ritornare tra noi. Osservò Emma per qualche istante, per poi abbandonarsi allo schienale. Cosa cazzo mi ero persa?!

- A me non piace, è troppo scialbo, e poi fanno entrare chiunque. C’erano certi tamarri, per non parlare degli sfigati… - affermò Christine.

Dopo un po’ sopraggiunse anche Rose, che entrò dalla porta principale della sala, venendo poi da noi. Si sedette accanto a Christine.

- Divertita ieri? – le chiese quest’ultima, con tono alquanto acido.

- Si – rispose la sua migliore amica, facendo spallucce.

Mi chiedevo che problemi avesse Christine.

- Christine, oggi la tua dolce metà non c’è? – chiese ad un tratto Emma, sorridendo leggermente. Ma non era un sorriso angelico, per nulla. Emma sapeva qualcosa, e lo nascondeva. La conoscevo fin troppo bene, non poteva mentire a me.

- Oh, il mio amore oggi è assente… -

- Amore… - mormorò Keith infastidito, per poi alzarsi e andarsene, senza proferire parola.

Sua sorella lo guardò perplessa. Emma si alzò, seguendo poi il ragazzo.

- Cosa cazzo prende oggi a tutti?! – esclamai scazzata, per poi alzarmi a mia volta, uscendo da quella sala.

Mi recai al cortile dell’istituto, dove trovai Emma intenta a fumare una sigaretta, e la raggiunsi.

 

 

|---|

 

Non appena Emma sentii Demy raggiungerla, si voltò verso la ragazza.

- Mi dici che hai oggi? Mi sembri strana… - chiese la ragazza di colore.

Emma non rispose, ma si limitò a guardare in basso, con aria sconsolata.

- Sono stanca, Demetra… Sono stanca di dover fingere con tutti, sono stanca di non poter mai essere me stessa. Devo fingere di essere forte, devo fingere di non sapere le cose, devo portare dentro di me segreti troppo pesanti, sono stanca! – esclamò la bionda.

- Segreti? Quali segreti? Intendi tuo fratello? Guarda che… -

- Non è solo quello, cazzo! Il punto è che non ne posso più, perché non può andare tutto in modo normale?! Perché deve essere tutto fottutamente difficile e complicato? Perché la vita non può scorrere liscia ogni tanto?! – Emma era sempre più disperata, e le lacrime spingevano chiaramente per voler uscire, ma lei le tratteneva.

- Ascolta, Emma… La vita è difficile per tutti, non è mai facile… -

- Ma se tu hai una vita perfetta! Canti da Dio, hai solo tua madre è vero, ma non avete problemi! E… -

Emma non continuò, fu interrotta da Demetra, che le aveva appena tirato uno schiaffo.

- Cosa ne sai, eh? Pensi di essere l’unica che sta male? Solo perché io nascondo i miei problemi, non significa che non ne abbia, o che sia felice! Io piango ogni notte, pregando che mio padre, un giorno, torni! Perché mi manca, mi manca da impazzire! Ma tu cosa ne sai, del resto parliamo sempre e solo dei tuoi problemi! – urlò.

Emma la guardava, triste. Sentiva dentro di se una serie di emozioni diverse. Ma quella che prevaleva su tutte era il dispiacere. Il dispiacere per l’essere così egoista. Aveva sempre e solo pensato a se stessa, senza mai preoccuparsi che la sua migliore amica avesse dei problemi. E ora l’aveva capito, finalmente. Aveva capito che c’era qualcuno più bravo di lei, a fingere. L’allievo che supera il maestro.

Le due si guardarono per un istante che sembrò eterno, per poi scoppiare a piangere come due bambine. Si abbracciarono, tenendosi forte l’un l’altra. Loro lo sapevano. Sapevano che, nonostante tutto, la loro amicizia non sarebbe mai stata distrutta da niente e nessuno. Quel litigio, quello schiaffo, aveva rafforzato il loro legame. Si appartenevano l’un l’altra, erano in simbiosi. Si volevano bene, e questa cosa niente l’avrebbe mai cambiata.

 

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Ecco il nuovo capitolo, incentrato soprattutto su Emma. Spero sia stato di vostro gradimento, e mi piacerebbe che recensiste un po’ di più xD  Anche perché i vostri consigli sono preziosissimi <3 E, approfitto, per ringaziare  _CrazyFlying del bellissimo commento (:

 

Al prossimo capitolo, che stavolta non svelerò u.u

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