Pensieri di una ragazza suicida

di Miss_Nothing
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** giorni qualsiasi ***
Capitolo 2: *** Scelte. ***
Capitolo 3: *** Voglio un uscita in grande stile ***
Capitolo 4: *** Non era insensibilità , era autoconservazione ***
Capitolo 5: *** I miei piani fanno schifo ***
Capitolo 6: *** Ricordi di un segreto ***
Capitolo 7: *** Lei è morta fuori, io sono morta dentro. Non so cosa sia peggio ***
Capitolo 8: *** Ma che cosa vuoi da me? ***
Capitolo 9: *** Incubi ***
Capitolo 10: *** Ancora. ***
Capitolo 11: *** I don't need to be saved ***
Capitolo 12: *** The pretty reckless? Quella che canta You make me wanna die? ***
Capitolo 13: *** Oh, oh ti ho beccata Walsh ***
Capitolo 14: *** Non tu, controlli nella tua mente cosa dire per evitare che qualcuno scopra il tuo segreto ***
Capitolo 15: *** Un giorno, quasi, spensierato ***
Capitolo 16: *** Marco. ***
Capitolo 17: *** Under the water ***



Capitolo 1
*** giorni qualsiasi ***


Le persone pensano che silenzio sia sinonimo di timidezza ma la verità è che non ho nulla da dire. Ho smetto di provare interesse verso il mondo, che vorticoso gira senza fermarsi, da molto tempo. Gli psicologi mi definiscono apatica, apolare e moralmente instabile ma la verità è che ho smesso di vivere due anni fa.
3 marzo del 2007 una data che mi è stata impressa con il fuoco nel cuore. Non ho potuto decidere di non lasciarmi marchiare, è successo e ora ne porto le conseguenze. Le persone pensano che dimenticare sia facile forse perché spesso dimenticano tutto visto che vivono nel caos ma per me dimenticare è la cosa più difficile. Forse perché non voglio dimenticare. Dimenticare significherebbe stare bene e stare bene significherebbe perdere me stessa. Mi piace definirmi un paradosso. Le persone cercano coerenza ma la verità è che l’incoerenza è quella cosa che ci rende umani. La coerenza ci fa diventare macchine, macchine senz’anima, senza idee. Ma forse sarebbe meglio lasciar cadere come foglie dagl’alberi queste idee e comportarmi come una vera adolescente. È inutile camminare a testa bassa, è inutile sperare di essere invisibile se conosci Sophie. 
Prima d’incontrarla mi sentivo come un ombra, parlavo, camminavo ma nessuno mi scorgeva davvero. Ora sono come un ombra camuffata da persona, non so cosa sia peggio. Spesso mi ritrovo a sentire i sussurri di mio padre la notte mentre intona qualche canto o qualche preghiera da quando mia madre “è tornata al signore”, come gli piace dire. Lui ha venduto la sua anima a Dio. 
Nessuno conosce la mia storia, nessuno conosce i miei pensieri, rimangono silenziosi a fermentare nella mia mente pronti ad uccidermi.
Ora non faccio altro che camminare sotto a un tetto di rami intrecciati mentre lascio che il vento culli le mie urla silenziose. Mi piacerebbe urlare, gridare al mondo i miei pensieri ma chi li ascolterebbe? Sono solo una delle tante sfortunate, forse in confronto ad altre persone sono fortunata ma non m’importa, sono egoista e penso solo a me stessa, al mio dolore. A volte mi chiedo se vivrò per sempre, se rimarrò per sempre giovane come Dorian Gray e bloccata in un esistenza. Nessun segno di quello che mi è successo ha cambiato il mio corpo. Dove nasconde mio padre il mio ritratto? Sono pronta a distruggerlo, sono pronta a distruggermi.
Spesso mi guardo allo specchio e non vedo altro che un mostro dagli occhi opachi. Mia madre è morta per colpa mia e il suo spettro m’insegue mentre mi rifugio sotto i raggi argentei della luna. È rimasta la mia unica amica insieme alla notte. È vero c’è Sophie, ma non è altro che una ragazza che mi utilizza come spugna per i suoi problemi, per quanto mi diverta con lei non riesco a mostrarle la mia mente complicata. Il martedì pomeriggio pensa che io sia a piscina mentre in verità uno psicologo studia i miei pensieri, i miei sogni, senza trovare dei veri risultati. A volte mi do all’alcool per far si che pensieri e sogni vengano infranti sul nascere. È una sensazione appagante sentirli infrangersi nella mia testa. A volte mi chiedo quanto terminerà mai questa tempesta che mi governa. Spesso onde anomale mi distruggono buttandomi contro gli scogli comparsi nella mia anima, hanno sete di distruzione, di sangue e di dolore. Mi fermai di colpo lasciando che le mie dita suonassero il campanello. La porta si aprii, un varco, una luce nella notte e il biondo dei capelli di Sophie comparve. Sorrisi lasciando che il mio passato, i miei pensieri e le mie frustrazioni si sciogliessero in esso. Gli psicologi si chiedono spesso che cosa sono, la risposta è molto semplice, sono un falso.
"Sarah" mi salutò con la sua solita voce squillante per poi cominciare a parlarmi dei suoi problemi. Non mi lasciò neanche il tempo di entrare che le sue parole m’inondarono.
 
 
 
Il suono delle parole di mio padre che intonavano una preghiera mi infastidiva. Quelle parole che ringraziavano il signore, che lo lodavano mi creavano una vera e propria allergia.
Per una volta mi sentivo rincuorata nel sapere che era Martedì pomeriggio e che non mi sarei dovuta sopportare le sue invocazioni alla madonna e a tutti quei santi che a stento ricordavo il nome.
Una cosa non capisco, se ci sono tutti quei Santi perché non possono fare Santa anche me visto che mi tocca sopportare ogni giorno mio padre che li invoca?
A volte penso che mio padre chiamerà un esorcista, di certo non sembra piacergli la mia reazione allergica verso il suo Dio, le sue preghiere e le sue icone.
Scesi le scale, lo zaino in spalla, un quaderno per disegnare, qualche matita colorata non mi serviva altro. Trovavo solo pace nel disegno, peccato che mi dilettavo solo a disegnare cose inerenti alla morte, al sangue e alla distruzione. Ragione per cui mio padre insiste a mandarmi dallo specialista.
“ Io vado” borbottai senza aspettare una risposta da mio padre che era inginocchiato davanti al crocifisso con un rosario in mano. Capisco la devozione per il Cristianesimo e tutto ma ora stava esagerando ci mancava soltanto che attaccasse un poster di Gesù Cristo in camera mia.
Magari mi obbligherà a farmi monaca, come Gertrude dei Promessi Sposi. Aspetto soltanto la bambola vestita da suora.
M’incamminai con certi pensieri contro la chiesa che borbottavano in coro nella mia mente. Poco dopo mi ritrovai sdraiata su un lettino con una donna che ascoltava ogni mia parola prendendo appunti. Ogni volta mi stupisco della velocità con cui la sua mano scrive tutto ciò che gli dico.
Una volta per vedere se mi ascoltava davvero ho provato a dire che mi erano spuntate le ali e che avevo volato fino a Parigi. A quanto pare non se ne era accorta e la settimana dopo ha convocato mio padre per informarlo della mia sottile ironia. E a quanto pare questa sottile ironia oggi era decisa a colorare ogni mia parola.
“ penso che ucciderò mio padre se continua a disturbarmi con i suoi canti e le sue preghiere “ affermai ad un tratto.
L’espressione che prese posto sul suo viso fu impagabile. Le labbra rosso fuoco come quelle di un pagliaccio si spalancarono mostrando una fila di denti bianchi, i capelli sembravano essersi colorati di qualche tonalità più chiara del suo naturale biondo cenere e i suoi occhi azzurri si erano spalancati. Scoppiai in una fragorosa risata, la sua paura per la mia affermazione mi stava rinvigorendo. A volte penso che Mrs. Chamberlain -la mia psicologa- pensi che io diventerò un assassina.
“ Mrs. Chamberlain vengo da lei da quando avevo dodici anni non ha ancora capito quando sto scherzando?” chiesi bloccando la mia risata e fingendo serietà­.
Il suo viso sembrò rilassarsi ma nei suoi occhi vedevo una strana luce, non si fidava, pensava davvero che potevo uccidere mio padre se continuava a stressarmi così tanto.
Comunque ricominciai a parlare con voce apatica, non curandomi più del suo viso e cercando di formulare qualche frase senza un vero senso solo per farla contenta.
 
 
Ormai non sopporto neanche la scuola, sono al penultimo anno e anche se sono veramente brava grazie alla mia ostentata ironia i professori non mi hanno preso tanto in simpatia ma questo è solo un piccolo dettaglio.
Cosa mi serve la scuola se ho deciso di finirla qui?
Non m’interesso più di nulla, infondo per quanto durerò ancora in questo mondo?
La matita nera scorreva rapida sul foglio seguendo la mia mano.
Era una meravigliosa ballerina e i suoi passi scuri creavano dei meravigliosi incroci di linee su quel fragile palco.
Quest’oggi la mia mano e la mia mente avevano dato vita a una lapide.
Sopra vi era scritto il mio nome: Sarah Walsh e sotto vi erano la data della mia morte e della mia nascita.
 
Qui giace Sarah Walsh nata il 5 Maggio del 1995 e morta il 3 Marzo del 2007
 
Diedi un ultima occhiata veloce a spettacolo finito, si la mia ballerina aveva fatto un ottimo lavoro. Piegai il foglio per poi infilarlo nella tasca dei jeans, questo disegno era meglio non farlo trovare a mio padre.
 
 

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Capitolo 2
*** Scelte. ***


 
Erano passate due settimane, forse più. La verità era che avevo smesso di contare i giorni. Vedevo i numeri con cui erano contrassegnati sul calendario e ogni giorno vedevo un nuovo numero steso sul pavimento. Giaceva inerte simile a una foglia sul prato autunnale. 
Mancavano pochi giorni all’arrivo della primavera e i raggi pallidi del sole cominciavano a scaldarsi mentre sbalzi di temperatura caratterizzavano le giornate.
E proprio grazie a questi molte persone, tra cui professoresse, si ammalavano. Venivano a scuola con nasi gocciolanti e cinquanta pacchetti di fazzoletti, gole coperte da sciarpe e abbastanza caramelle per la gola che sarebbero bastate per l’esercito americano.
Ma come sempre io facevo da eccezione. I virus che di solito attaccano i nostri corpi nelle prime giornate primaverili non osavano neanche avvicinarsi al mio corpo. In fondo dovevo aspettarmelo, potevo camminare insieme agli altri esseri umani ma non seguivo le regole del loro mondo.
Alzai il viso verso il cielo, era stranamente azzurro. Troppo limpido, troppo blu m’infastidiva quasi come il salmo che mio padre aveva recitato con più patos del necessario.
A volte mi chiedevo se esistevano gli alieni. Forse le luci e il cosiddetto spirito santo erano qualcosa sceso dal cielo per mana loro. Magari modificavano le nostre scelte senza che noi ci accorgiamo di nulla.
Una vera risata uscii dalle mie labbra quando l’immagine di un Gesù verde, con la testa grande e le antenne si formò nella mia mente considerata fin troppo malata. Questa immagine tanto divertente avrei dovuto farla presente a Mrs. Chamberlain anche se non penso che si sarebbe divertita anzi avrebbe scritto tutto nel suo blocchetto e mi avrebbe ammonito per la mia poca serietà. Un giorno la vedo seduta a una scrivania con un timbro in mano pronta per decretare che ero un caso disperato e che dovevo essere rinchiusa.
 
Quel giorno Sophie sembrava più estroversa e più elettrizzata del solito. Forse era per il fatto che Josh gli aveva chiesto un appuntamento. Chissà quando mi elettrizzerò ancora per qualcosa. Intanto dovevo solo fingere un magnifico sorriso e urlare come una gallina mentre le saltellava con il cellulare fra le mani.
“Non è fantastico? “ mi chiese con la voce più squillante di quella di una gallinella.
“ è magnifico” urlai cercando di imitare un oca, l’unico modo per sembrare normale agli occhi della gente era sembrare una delle oche degli “Aristogatti” e naturalmente Sophie era zio Reginaldo.
Ero un ottima attrice su questo non c’era alcun dubbio, il modo in cui recitavo la mia parte nel mondo era da premio Oscar.
 
“ciao “ bonficchiai mentre sbattevo la porta dietro alle mie spalle.
“Sarah, ti unisci a me?” chiese mio padre mentre alzava gli occhi dalla sua tazza di te caldo.
Mi sedetti vicino a lui senza dire nulla. La sedia era improvvisamente scomoda o forse era così scomoda solo perché non avrei voluto trovarmi lì. Forse avrei dovuto accettare l’invito di Sophie e decidermi a uscire di casa invece avevo preferito godermi il mio libro preferito, “il ritratto di Dorian Gray”
“ Sarah che ne dici di pregare per l’anima della tua povera madre? Non lo fai da molto tempo” affermò per poi bere un lungo sorso di tè.
“porco Budda “ sbottai mentre mi alzavo in piedi e battevo le mani sul tavolo con forza.
“non vedi come sei ridotto? Sei schiavo del tuo cosidetto Signore-dissi sottolineando la parola signore non solo con la voce ma anche con una smorfia disgustata- hai venduto la tua anima a lui, non sei più tu” aggiunsi velocemente in un impeto violento di rabbia. La sentivo nel cuore, soffiava, soffiava con prepotenza mentre pensieri si spezzavano, si scioglievano. 
“ Lui ci salverà” sussurrò mio padre con voce rotta.
“ No, non lo farà. Non è un super eroe, noi siamo i super eroi di noi stessi, solo noi. Dio è solo una fottuta figura nata dalla mente umana per ricordarci di esserlo” urlai con tutto il fiato che avevo in corpo, con tutta la forza. Come se quelle parole riassumessero tutto quello che avrei voluto gridare. Corsi in camera mia sbattendo la porta alle mie spalle. Scivolai su di essa fino a quando il pavimento non fu a contatto con il mio corpo. Mi sentivo soffocare, a stanza era improvvisamente troppo piccola, il mio respiro troppo veloce e la rabbia troppo potente.
Un nuovo pensiero si fece strada nella mia mente annebbiata.
Era qualcosa a cui non avevo mai pensato, qualcosa mi avrebbe fatto tornare libera.
La fine. The End. Il grande buio. Il salto. Attraversare il ponte. O meglio nota come morte.
Forse era giusto farla finita, smettere di fingere, smettere di comportarsi da umana. Ma per morire avevo bisogno di un piano, dovevo pianificare il mio suicidio, dovevo far si di essere ricordata. 
Non volevo diventare uno dei tanti fantasmi senza volto.

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Capitolo 3
*** Voglio un uscita in grande stile ***


La cosa che possiamo definire la più terribile della scuola è la consegna dei temi.
Quella trota della professoressa ti spreme come un limone per farti dire cosa pensi realmente epoi si lamenta dicendo: “ è una visione distorta della realtà, è incoerente e bla bla bal”. Ma io mi chiedo che cosa vuole saperne lei della mia realtà? E poi scusa tema mio scrivo quello che voglio io.
Questa volta la consegna era di scrivere una lettera a questo, come si chiama? Ah si Beppe Grillo con i nostri pensieri dopo aver letto il suo stupido, questo è un mio parere, testo.
L'Odio all'adolescenza.
Odio gli adolescenti quando si svegliano alle 3 del pomeriggio guardando nel vuoto.
Odio la loro puzza di piedi dentro le Nike marce e i pantaloni sotto l'ombelico che strisciano sotto la suola delle scarpe, con le mutande in vista.
Odio i loro "cioè", "tipo" o "cosa?".
Odio il loro happy hour, gli spinelli e le 5 birre con la pizza.
Odio "questo libro è una m...a, la scuola è uno schifo".
Odio il motorino distrutto appena comprato, con sotto il sellino un mondo di cose appiccicaticce (bollo, assicurazione, lattine, olio motore e maglietta sudata).
Odio il casco appena appoggiato in testa.
Odio le facce dei professori quando dicono "è intelligente ma non si applica".
Odio il gruppo, gli amici, il branco, che conta più di qualsiasi genitore.
Odio i loro modelli, MTV e tutto quello che c'è dentro.
Odio "e allora vado via di casa".
Odio l'adolescenza che non passa, e a volte dura tutta la vita.
Ma odio soprattuto la mia generazione che gli ha tolto la speranza, la fiducia e i valori nei quali credere e per i quali è giusto crescere.
 Di Beppe Grillo
 
Ed ecco, a parer mio, il mio fantastico tema.
 
Egregio signor Grillo,
 
Lei ha parlato come un adulto ora lasci che sia un adolescente a parlare.
Lei non odia la nostra età ma il nostro mondo, il nostro modo di essere.
La colpa è tutta vostra.
Ci avete dato un mondo infame, che non funziona.
Questa è la nostra ribellione. I nostri “cioè”, “tipo” o “cosa” sono i nostri proiettili, gli happy hour le nostre bombe, il branco il nostro rifugio, gli spinelli la nostra unica via di fuga.
Noi non possiamo fare altro che combattere la nostra battaglia silenziosa mentre ci mettete in fila per trasformarci nelle vostre marionette.
Ci piazziamo in camera, cercando di scappare perché in fondo vogliamo restare bambini.
Puntate il dito contro di noi come se fossimo la causa di questo macello ma siete voi ad aver creato questo mondo. La scuola è uno schifo, è vero non funziona. Ci mandate in strutture decadenti dove i professori spesso non sanno parlare o leggono il giornale.
I nostri modelli tutti sbagliati, ma non siamo stati noi a creare la tv, le serie televisive e quegli stupidi reality.
Faccia zapping tra i canali e vedrà con cosa ci bombardano. Stimoli. Troppi per essere  capiti e quello che ci rimane in mente è solo che è importante: le feste, a droga, l’alcool.
“e allora vado via di casa” si me ne vado perché sono stanca di parlare e non essere ascoltata. Ora voglio gridare.
Ci considerate foglie spostate dal vento ma la verità è che siamo fatti di carne ed ossa e abbiamo paura.
Paura del mondo che ci circonda, una Terra fatta di pericoli, guerre, di crudeltà.
Io sono un adolescente e ora non ci sto più.
 
Lascio il tema sul tavolo, tanto mio padre non si sarebbe preso a briga di leggere qualcosa che non includeva il suo Dio. Lo vedevo già fare una piccola smorfia mentre firmava il mio bellissimo 3.
Ma non avevo tempo di pensare a questo, dovevo pianificare la mia morte.
 
Era da tre ore, come il mio magnifico voto, che fissavo il foglio bianco aspettando che le mie ballerine scrivessero qualcosa, almeno una bozza.
No, non potevo scrivere così senza informarmi su come fare, sulle varie alternative. Certo potevo sempre impiccarmi o farmi investire ma volevo fare la mia uscita in grande stile.

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Capitolo 4
*** Non era insensibilità , era autoconservazione ***


 
La cosa che mi spaventa più in assoluto? Il cimitero. Si, il cimitero, uno solo quello dove è stata sepolta lei.
E pensare che dovrei trovarli divertenti nella mia condizione, che con la mia passione per la morta ed ecc e ecc… 
Non volevo neanche pensarci. Cercavo di distruggere ogni frase che mi avrebbe ricordato lei e quel luogo. 
M’incolpavo, m’incolpavo della sua morte, del fatto che non ero andata né alla sua veglia né al suo funerale. 
Mi sentivo, non so come definire la sensazione, che mi corrodeva l’anima e il cuore come acido al solo suo pensiero.
Sentivo dentro di me la stessa agitazione che prova una bambina quando sua madre sparisce dal suo campo visivo in una strada affollata. Una corona di spine che mi stringe il cuore e artigli che squarciano la mia anima.
La mia mano stringeva il gambo spinato con forza e le spine entravano nella mia carne, ma ormai avevo smesso di provare un qualsiasi dolore fisico. Alla fine avevo sopportato abbastanza dolore da capire come renderlo estraneo al mio corpo, non era difficile, non era insensibilità , era autoconservazione.
Perché avrei dovuto ferire il mio corpo con il dolore fisico se lo tormentavo abbastanza con quello che ostentavo procurare alla mia anima? 
Ma ormai ero lì, tornare indietro sarebbe stato da vigliacchi e io avevo fatto ricorso alla vigliaccheria per troppo tempo. Ero scappata, mi ero rintanata nella mia ironia, nel mio odio verso il mondo, verso mio padre. Rimpiango molte cose, ma non sono Hermione e la mia vita non è di certo quello di un maghetto della saga di Harry Potter, non posso avere un giratempo per rimediare ai miei errori, per cancellarli come avrei voluto fare con  il mio passato.
La tomba di mia madre troneggiava con la sua lapide nuova e decorata al centro del cimitero. Mio padre aveva pagato una fortuna per renderla così. Fiori dai colori caldi la coloravano e variate lumini ? ok, non so come cavoletto si chiamano, ammetto la mia ignoranza e bla bla. Avanti a chi importa come si chiamano quelle stupide luci che non fanno veramente luce ma solo presenza? Cavolo se avrei acceso una torcia, quella avrebbe fatto una vera luce.
Mi abbassai, le mani ricoperte di caldo sangue che colava in piccoli torrenti che confluivano in un unico punto. Piccole gocce cadevano sul marmo pulito formando uniche macchie.
Spostai la rosa nella mano sana. Con le dita di quella ferita sfiorai quei petali neri come le tenebre che mi avevano inghiottito da tempo.
Spostai la mano per poi osservare lo scarlatto che imperlava i petali. Nero e rosso, sangue e tenebra, si quegli elementi mi appartenevano e potevano essere un addio. Lasciai giacere la rosa sulla tomba mentre calde lacrime impreziosivano le mie guancie. Era una delle rare volte in cui lasciavo che le lacrime osassero scorrermi sulle guancie olivastre
Mi alzai, la vista appannata, la mano insanguinata che sfiorava le mie labbra tremanti. Abbassai il capo per poi correre lontano da quel posto. Perché dovevo lasciare spazio ai miei sentimenti? Stavo così bene nella mia non vita, perché avevo voluto rovinare tutto? 
Ora più che mai desideravo morire, sparire, sprofondare nei più profondi fondali e non risalire mai più.
 
 
Note dell'autrice: lo so che è corto e che in questo capitolo si vede un altra personalità di Sarah ma è un tributo a una persona che è venuta a mancare quindi ho desiderato inserirlo.
Inoltre voglio ringraziare chi legge ancora questa storia, mi fanno capire che non sono solo parole gridate contro a un muro

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Capitolo 5
*** I miei piani fanno schifo ***


 
Erano passate qualche settimana e i miei giorni erano pieni di noia, frustrazione, pensieri. Che dire, la mia lista era ancora incompleta, non riuscivo a trovare un modo adatto.
Le scritte mi guardavano mostrandomi il mio piccolo schema
 
-Impiccagione
 
Pro: ha stile. Mi immagino già in una notte di nebbia penzolare da un albero, l’effetto è strepitoso.
Contro: Beh gli spasmi non sono una grande cosa e non voglio farmi trovare con un espressione da creatura imprigionata. Inoltre cercherei di liberarmi… quindi penso che boccierò questa idea
 
 
-Lametta
Pro: Beh riempire la vasca con il mio stesso sangue diluito in acqua mentre mi addormento lasciando la vita non è male.  E anche qui l’effetto è magnifico
Contro: non riuscirei a tagliarmi le vene, piccolo dettaglio certo
 
-Buttarsi da un edificio
 
Pro: certo proverei l’ebbrezza di volare
Contro: non voglio spappolarmi
 
Chiusi di colpo il quaderno. Sophie mi aspettava. Scesi le scale non prendendomi la briga di vedere cosa mio padre stava facendo, di certo qualcosa inerente alla sua “fede”, non salutai neppure chiusi solo la porta alle mie spalle e mi dileguai. 
Sophie aveva un ragazzo che aveva una patente così non eravamo obbligate a chiedere passaggi ai suoi genitori. I signori Perry erano una coppia dell’alta borghesia, capelli e occhi biondi, visi austeri e puzza sotto al naso. La voce di Sophie confronto a quella di tacchi nella della madre era pura musica. Il signor Perry era uno di quegli uomini che incuteva timore, nessun ragazzo si avvicinava a sua figlia se era nei paraggi. Ma ormai ero talmente abituata a stare a casa di Sophie che il suo viso duro non mi provocava nessuna sensazione.
Di certo avevo un certo rispetto verso a quel cinquantenne dal viso segnato dalle rughe, molto di più di quanto ne avevo di mio padre. E anche se i loro visi erano austeri i signori Perry si erano sempre comportanti con qualcosa di molto simile alla gentilezza nei miei confronti.
La macchina era pulita e sfrecciava sulla strada mentre Sophie lo disturbava con provocazioni e baci, erano passati solo 10 minuti e la voglia di aprire la portiera e buttarmi sulla strada ricopriva i miei pensieri. Tutte quelle moine, quei pucci pucci. Una smorfia disgustata si aprii sul mio viso.
“C’è qualcosa che non va Sa?” mi chiese Sophie.
Un sorriso tirato cancellò la smorfia.
“ nessun problema” commentai per poi appoggiare la testa al finestrino.
 
La festa era un noia mortale. La musica troppo commerciale, l’alcool troppo poco, le persone troppo snob.
L’unica nota positiva? L’alcool che mi scorreva nelle vene che ad ogni battito veniva pompato dal cuore e sparso in tutto il corpo. Sentivo i miei sensi diventare appannati, crollare in un lungo sonno. I pensieri s’infrangevano con delicatezza non lasciandomi il tempo di sfiorarli e dagli un senso. La mia gola bruciava ma quel bruciore mi rianimava, mi sentivo viva. Viva e libera dal mio passato.

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Capitolo 6
*** Ricordi di un segreto ***


Uno sparo, il rinculo della pistola che tenevo tra le mani.
L’agente Smith non mi aveva lasciata un secondo, sembrava essere interessato dal mio modo di fare molto di più di quanto lo era per quello delle mie compagne di classe che morivano sulle sue labbra. Quel laboratorio era inutile, di certo non mi sarei  mai diventata nella polizia non dopo… scossi il capo mentre mi toglievo le cuffie che proteggevano i miei timpani in quella stanza.
“ Molto brava “ commentò il poliziotto. Guardai il manichino sbalordita dalla precisione dei miei spari. Appoggiai la pistola sul tavolo mentre deglutivo. Già, molto brava.
“ Non deve essere la prima volta che sparate, signorina Walsh” commentò lui avvicinandosi anche troppo al mio corpo. Una cosa che detestavo era la vicinanza, odiavo quando le persone tentavano di toccarmi.
Allargai un falso e stirato sorriso per poi affermare “ No, mi dispiace ma è la prima volta”
“Allora è un dono naturale” commentò sorridendomi come faceva con tutte, pensava davvero che sarei caduta tra le sue braccia? Sciocco, inutile ragazzo. Mi spostai dalla pista a grandi falcate, la mia sopportazione per quel giorno era finita e non volevo toccare un'altra pistola, non ancora. Avevo un segreto, un segreto terribile che conoscevo solo io e mia madre e questa cosa mi aveva tormentata.
Guardai il professore, sembrava divertirsi a giocare al piccolo poliziotto.
“ Professore, mio padre mi ha appena scritto desidera che torni a casa posso andare?” chiesi mentre sparava un nuovo colpo tutt’altro che vicino al cuore.
“ Certo Sarah puoi uscire se colpisci il cuore della figura” commentò lui con un sorriso e la fierezza che contraddistingue gli uomini soli, che pensano che l’uomo non solo ha un ottima mira in confronto a una donna ma gli è superiore. Un vero sorriso prese forma sulle mie labbra mentre afferravo pistola e cuffie da quell’uomo sui trent’anni, forse più.
“ è una scommessa? “ chiesi mentre stringevo la pistola nella mano destra.
“ se c’è la fai, puoi andare” disse sicuro che non avrebbe perso. Misi le cuffie e chiusi un occhio per prendere la mira. Sentivo il suo peso, sentivo il mio respiro spezzarsi quando premetti il grilletto. Tolsi le cuffie come avevo fatto prima e diedi la pistola all’insegnate.
“ Centro, e ora se non vi dispiace tolgo il disturbo “ commentai per poi prendere il logoro zaino.
 
 
Guardai le assi del pavimento che avevo spostato, il mio segreto giaceva ì da anni.
Ricordavo ancora quel giorno.
 
||  Il mio cuore di dodicenne palpitava sotto la maglia sottile. Il caldo di quella giornata mi accarezzava ancora la pelle anche se era scesa la sera. La mano di mia madre era posata sulla mie      spalle minute, ancora bambine. Non mi sembrava di avere dodici anni, ogni volta che mi guardavo allo specchio mi sembrava di averne di meno. Forse era per i capelli tagliati in un orribile caschetto con un orribile frangia sopra le sopracciglia. Forse era per l’apparecchio, forse per la mia corporatura o forse per il fatto che ero piatta confronto a molte ragazze della mia età.
Mi sentivo ancora addosso otto anni, mi sentivo ancora così piccola e chiedevo ancora lo stesso trattamento. Indossavo ancora i vestiti rosa pastello e quella sera i miei lisci capelli erano raccolti in una treccia disordinata. Avevo gli orli della vestina sporchi di terra come i sandali bianchi che portavo quella sera. Un rumore lontano venne colto dal mio udito e memorizzato dal mio cervello. Un urlo, un lamento, uno sparo. Mia madre affrettò il passo mentre mi strattonava. Cercavo di vedere, volevo sapere cosa stava succedendo nel vicolo accanto con la stessa curiosità che spinge un bambino a chiedere continuamente: perché? Alla madre.
“Mamma” sbottai con il tono lamentoso di una bambina viziata attirando i suoi occhi su di me e fermando le sue gambe.
“Sarah andiamo” mi disse mentre io m’impuntavo con tutto il mio peso per non farmi trascinare.
“ E se avesse bisogno d’aiuto?” chiesi con ingenuità infantile.
“ Tesoro, devi stare tranquilla e ora cammina” mi sussurrò con dolcezza. Un altro urlo, la richiesta di aiuto. Il mio corpo che si sfilava dal suo e i miei piedi che correvano verso la ragazza in pericolo. Ma non era veramente in pericolo, in quel momento capii quanto le persone potevano essere meschine. Due braccia possenti mi presero mentre gli occhi dell’attricetta mi guardavano ridendo. Un mano mi tappò la bocca. Era inutile divincolarmi, non ero abbastanza forte.
Mia madre arrivò dopo qualche minuto che sembrò durare un eternità. Una parte di me la desiderava mentre un'altra sperava che non arrivasse.
“Sarah” il mio nome fu pronunciato dalle sue labbra con dolore, incertezza.
“Bene, bene, bene ci consegni il portafogli e i gioielli che hai indosso “ l’arroganza nella voce di lei mi fece tremare. Ma non reagii finchè l’altro uomo non toccò mia madre. Morsi la mano del mio custode e con un movimento rapido presi la pistola che teneva nella cintura. Era come essere in un film e io dovevo essere coraggiosa, abbastanza coraggiosa da sconfiggere il male.
Sparai alla gamba dell’uomo che stava facendo del male a mia madre. Il rinculo, l’odore della polvere da sparo, lo sparo stesso mi fecero invecchiare di anni e anni. Non mi sentivo più una bambina ma avrei voluto fare veramente a meno di quella crescita improvvisa. Mi sentivo tutti addosso e la mia vista era annebbiata da lacrime e dalla consapevolezza di aver sparato a un uomo. Sparai ancora, una, due, tre volte finchè i proiettili finirono. La donna era scappata mentre mia madre e gli altri due giacevano a terra. Non avevo solo sparato ai miei aggressori ma anche alla donna che amavo con tutta me stessa. Presi ad odiarmi mentre mi avvicinavo a lei.
“mamma” mormorai con voce lamentosa e rotta da singhiozzi.
“Shhh, piccola mia scappa va tutto bene” commentò e per una volta fece quello che mi disse. La pistola fra le mani nascosta dalle mie braccia. Mio padre non sarebbe tornato fino alle 23.00. ||
 
Accarezzai ancora un volta la pistola, le mie erano mani insanguinate.
 
|| L’ospedale, mia madre che rischiava la vita dopo aver perso molto sangue, la difficoltà di trovare un gruppo compatibile. Le sue menzogne per coprirmi, il tribunale, la sua morte. Mi odiai, mi odiai, era stata colpa mia, ero io la causa di quella morte e lo sarei stata anche se non avessi premuto quel maledetto grilletto, ero caduta nella trappola ||
 
L’ombra di una lacrima mi sfiorava il volto, era una delle poche lacrime che avevo versato per lei negli ultimi anni.
 
Note dell'autrice: Devo ammettere che questo capitolo è molto ambiguo e strano, la pistola, il fatto e tutto. Forse lo cambierò, è in forse. Visto che sto scrivendo ne approfitto per ringraziare non solo le persone che recensiscono ma anche i lettori silenti che seguono comunque questa storia. Grazie

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Capitolo 7
*** Lei è morta fuori, io sono morta dentro. Non so cosa sia peggio ***


 
Sentivo il peso del mondo sulle mie gracili spalle e tutte le vie d’uscita erano chiuse a chiave.
L’alba stava colorando il cielo. Mi misi seduta sul letto ancora sotto le morbide coperte, i primi raggi illuminavano la stanza. Rivolsi il palmo verso un raggio, era caldo. Quando ero piccola pensavo che i primi raggi di sole fossero la speranza delle persone, lì essi racchiudevano tutto ciò in cui credevano, poi sono cresciuta, ho perso mia madre, ho smesso di credere e sperare, ho capito che il mondo era troppo crudele per uno spiraglio di luce.
Presi tra le mani l’mp3 accendendo una qualsiasi canzone dei “The Pretty Rekclees” l’unica band che riusciva a strapparmi qualche emozioni. 
Make me wanna die partì trasportandomi con le sue note, lontano. Lontano da casa, dal mio passato, dalla mia vita. Avevo voglia di fumare. Sentivo le mie labbra, la mia gola, il mio cervello reclamare una sigaretta. Non fumavo da tre settimane, non perché mio padre mi obbligava a smettere ma perché odiavo dipendere. La dipendenza era una cosa odiosa e quando vedevo che dipendevo da qualunque cosa la eliminavo. Era una regola semplice, qualcosa che mi aiutava a sopravvivere senza lasciarmi condizionare. Ma in fondo dipendevo da qualcosa anche se non volevo ammetterlo a me stessa. Dipendevo dalle bugie, dalla menzogna e mi serviva, mi serviva per essere la persona che tutti conoscevano. Perché io non ero come Lanny-un mio compagno di scuola emo- lui era morto fuori mentre io ero morto dentro.
 
 
Vedere e sentire le lacrime di Sophie mi provocò una strana stretta al cuore. Vederla piangere nell’angolino sotto alla scrivania della sua camera da letto era una scena straziante. Vedere il suo entusiasmo essere spezzato per colpa di un ragazzo mi faceva odiare ancora di più il mondo. Mi misi carponi per arrivare vicino a lei. Mi sedetti appoggiando la schiena al muro, ci stavo a malapena e la mia testa sfiorava la scrivania.
“ Sophie non piangere, i problemi dell’amore sono qualcosa di fantastico, sono l’unica cosa vera in questo mondo” sussurrai cercando di consolarla.
Altri singhiozzi uscirono dalla sua bocca. Non  l’avevo mai vista così. I capelli biondi erano sporchi e annodati, era vestita con una tuta macchiata di cioccolato. Con una mano le sfiorai la spalla e quel piccolo tocco le diede il coraggio di voltarsi verso di me e abbracciarmi. Le lacrime colorate di nero per il mascara mi sporcavano la maglia, ma non importava.
“puoi starci male ma almeno potrai aver detto di aver conosciuto quella bellissima fetta del'amore che caratterizza l'adolescenza, t'invidio sai?Io non riesco a provare niente di tutto questo “ aggiunsi velocemente rivelandole inconsciamente la mia incapacità di provare sentimenti come l’amore. Lei non rispose, continuò ad abbracciarmi e a piangere, ma le sue lacrime non erano così insistenti. Non aveva bisogno di qualche discorso ma solo di calore ed io le regalai l’ultima scintilla che mi era rimasta in corpo.
Lei era morta fuori, io ero morta dentro. Non sapevo cosa era peggio.

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Capitolo 8
*** Ma che cosa vuoi da me? ***


 
Uno spiraglio, un piccolo spiraglio? Davvero ora stavo credendo che c’era una speranza? Per uscire dal dolore bisognava essere in due e non soli. Ed era questo che mi spaventava. Condividere qualcosa con qualcuno. Ero abituata a mentire non a dire la verità. Amavo il sapore delle menzogne che mi scoppiettava sulla lingua. Ma… ma cosa? Davvero poteva esserci una salvezza per me? Avanti non bastavano gli incubi, le notti insonni, i rimorsi? Non bastava tutto questo?
Storsi le labbra come facevo di solito mentre il sole sfiorava la mia pelle fredda. Tenevo il corpo appoggiato a un muro, le gambe che occupavano tutto il marciapiede davanti a quel parcheggio desolato. Tirai, la nicotina. La sacrosanta nicotina. Quella doveva essere venerata, ci faceva stare bene come l’alcool. Se avrei creduto in un dio quello sarebbe stato l’alcool. Per lui non c’erano guerre o momenti brutti. C’era solo lui. Quanto avevo bevuto? Qualche bicchiere. Forse. Avevo perso il contro quando ero arrivata al terzo. Ma non ero ancora ubriaca visto che riuscivo a fare ancora pensieri razionali, almeno razionali per la mia mente. Anzi chi lo diceva che la mia mente era strana? Illogica? La società?Risi, un piccola risata che mi fece tossire mentre la sigaretta bruciava lenta mischiando il suo fumo con l’aria che mi circondava. La società aveva paura, paura perché le menti considerate da loro illogiche mostravano logica. E non c’è niente che fa più paura della logica di una mente illogica. No, non ero solo contro dio. Ero contro alla società, hai suoi stupidi limiti. Che cosa me ne frega se lui è omosessuale, etero, wicca, drogato ecc… Nulla, erano vivi. Loro erano vivi e io li invidiavo per questo.
“ Cosa abbiamo qui? “ una semplice domanda mi fece risvegliare dal momento più dolce della mia domanda.
“ Il fantasma del natale passato, ora smamma “ risposi con il mio solito tono per poi prendere un altro tiro dalla sigaretta, non né rimaneva ancora tanta.
“ Sei ubriaca? “ chiese.
“ Pensi davvero che se sarei ubriaca andrei a urlarlo per i quattro venti? Anyway no. Se no ti avrei già cacciato malamente” risposi.
“ Perché quella era gentilezza? “ chiese quella voce insopportabile per poi scoppiare a ridere.
“ Non ho mai detto di essere gentile. Infatti preferisco definirmi diversamente gentile” commentai per poi alzarmi di colpo in piedi e lanciare quello che rimaneva della sigaretta sul marciapiede sporco.
“ Non si può neanche fumare una sigaretta in pace” commentai per poi alzare lo sguardo e guardare il mio scocciatore.
Lanny. Lannyl’emo? Lanny lo zombie? Davvero? Lanny che mi faceva da babysitter? Ora le avevo viste tutte.
“ Che vuoi Lanny?”chiesi esausta e irritata.
“ Non ti avevo mai vista fumare” affermò.
Alzai gli occhi al cielo.
“ oh scusa mammina non volevo che mi vedessi fumare doveva essere il mio segreto” sbottai imitando la voce di una gallinella lamentosa. Quella di Sophie insomma.
“ Non ti avevo mai vista in questi panni” affermò rimanendo completamente a fissarmi.
“ Non dovresti tagliarti le vene o fare qualcosa del genere? “ Chiesi a limite della sopportazione. Cosa voleva? Che cosa pensava? Tanto se avrebbe raccontato a qualcuno quello che aveva visto nessuno gli avrebbe creduto.
“ Non mi taglio. Almeno, non più” dichiarò con un lieve sospiro per poi deglutire
“ Ecco tu non ti tagli, io non fumo siamo tutti felici va bene?” Chiesi mettendo per scontato che mentisse.
“Sei nervosa”osservò con tono pacato.
“ Non sono nervosa, sono normale”
“ la tua normalità fa paura ma allo stesso tempo le tue reazioni sono le più vere che ho visto”
Mi fermai. La bocca aperta non sapendo cosa ribattere.
“Che c’è?” mi chiese. “ Non te ne sei mai accorta? Questo mondo è solo un grande falso. Nessuno è vero qui, nessuno si chiede perché l’altro si comporta così. Guarda me ad esempio ho una brutta situazione famigliare e quindi faccio l’emo”
“Io sto bene perché dovrei fingere?”
“ Questa è una bugia Sarah, ti ho vista lì. Non sembravi nemmeno tu, mi chiedo quanto tu sia vera”
Sorrisi, lasciai solo questo come risposta.
“ Sarah mi sento morto peggio di così non si può stare. Mia madre se ne è andata, mio padre è un alcolizzato e mia sorella continua a mettersi nei casini” Sembrava sul punto ti piangere mentre parlava. Non avevo mai visto i suoi occhi verdi prendere quella sfumatura opaca.
“ Cosa vuoi che ti dica Lanny? Che mi dispiace tanto e le solite cerimonie? Lanny le persone non vogliono sentire che le capisci tanto quanto non lo vuoi tu. Tu vuoi solo gridare cosa ti succede per non sentirti debole”
“pensavo fossi diversa ma mi sbagliavo” commentò per voltarsi.
“ Che cosa ti aspettavi?” gridai alla sua schiena.
“ Una scintilla di vita”
“non possiedo più nulla” sussurrai, speravo non sentisse, ma a quanto pare pareva avermi sentito perché scosse la testa come se non ci credesse.

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Capitolo 9
*** Incubi ***


Non so come mai ma tornarono gli incubi. Non vedevo più i miei sogni da circa due anni ma ora erano tornati. Striscianti a prendermi. Erano come ombre ma non si nascondevano sotto al letto e non uscivano quando c’era il buio. C’erano sempre. Erano lì, silenziose a fissare ogni mio piccolo movimento. Osservavano quello che restava del mio corpo vuoto. Non saprei descrive quei sogni così tremendi ma tutti finivano in modo orribile come se non bastasse il giorno a tormentarmi. Spesso e volentieri si avveravano e questa era la cosa più terribile. Ho creduto di essere veramente pazza nel periodo in cui questo succedeva e non ero l’unica a credermi tale.  Non volevo perdermi in un altro incubo a volte pensavo che un giorno di questi non sarei mai più uscita ad uscirne.
 
 
| “Sarah mi sembri piuttosto preoccupata “ affermò la Mrs. Chamberlain per poi farmi segno di sdraiarmi. Io la guardavo accarezzandomi un braccio non sapendo se raccontarle cosa mi era successo o no. Ma in fondo l’avevo chiamata io, non potevo tirarmi indietro.
“Sarah lo sai che non sono pagata per questa seduta extra che è inoltre di Domenica mattina? Dovrei essere a casa quindi ora sdraiati e dimmi tutto” aggiunse per poi sbadigliare. Quel tono, quelle parole mi sorpresero e non poco ma in fondo era la sua giornata libera ed era venuta per me.
Mi sdraiai cominciando a chiederle di non credermi pazza |


Accarezzai lentamente l’armadietto sentendo il freddo impossessarsi della mia mano. Non bastavano i sogni. Ora anche i ricordi volevano bussare alla mia porta.
“Sarah?” mi chiamò qualcuno. Mi voltai si trattava di Jenna. Una piccola ragazzina dai capelli color stoppa e le guance perennemente rosse. Non era di certo la ragazza con cui tenevo rapporti. Io uscivo di solito con quelli che di solito sono definiti “stra fighi”. E credetemi, avrei voluto lasciare il mio posto del piedistallo a qualcun altro ma ogni volta che ci avevo provato Sophie mi riportava su. Ero come una persona che tentava di non affogare e ogni volta che prendeva una boccata d’aria un onda lo riportava giù.
Appoggiai una mano al fianco aspettando che proferisse parola. Ma la vedevo lì, tremare davanti ai miei occhi grigi. Per la prima volta capì che le persone mi consideravano pericolosa quanto Sophie.
“Jenna c’è qualcosa che non va?” chiesi muovendo lievemente le labbra come quando si cerca di bisbigliare durante a una lezione.
“Sai il mio nome” affermò per poi scappare di corsa. La fissai finchè non sparì. Ora facevo scappare persino le ragazze? Sarah, Sarah che cosa sei diventata?
 
|”Sarah lo sai che puoi raccontarmi tutto, avanti” m’incitò la psicologa. Chiusi gli occhi descrivendo la distruzione e la confusione di quel sogno. Le macchie di sangue che schizzavano sul mio viso e che sporcavano quella luna piena tinta a tratti di scarlatto. Con maestria la portai in quel sogno, o meglio in quell’incubo. All’inizio era tutto normale , un prato fiorito, un leggero tepore, il profumo di rose. Ma poi quel panorama si era capovolto. Tenebre cominciarono ad avanzare e a prendere tutto ciò che trovavano sul proprio cammino. Facevano appassire i fiori, oscuravano il cielo, rendevano secca l’erba. E poi tutto si tinse di rosso, e ci fu morte, distruzione, rabbia, paura e tutto questo alimentava le tenebre fino a che un viso si riflesse su uno specchio d’acqua e fu il suo viso |
 
Mi sedetti nel mio solito banco vicino a Sophie. Quel giorno avevo l’impulso di scrivere, di lasciare un segno sulla carta mentre Sophie si truccava e la voce piatta del professore si trasformava in una ninna nanna.

  
Se il mio respiro cedesse tutti se ne accorgerebbero
Se il mio cuore cedesse tutti se ne accorgerebbero
Ma la mia anima era già caduta e nessuno se ne è accorto perché nessuno mi vede davvero
 
Anima, Anima, anima, mi hai abbandonata  lasciata
Un guscio vuoto sono, un fantasma
Il fantasma della persona che ho sempre voluto essere
 
Non sento più nulla, il nulla è dolore
Il dolore si tramuta in rabbia
La rabbia porta male dolore
È un circolo vizioso senza fine
 
La mia anima è morta
Ma io non posso fare lo stesso
Perché la morte è una bastarda  crudele
E mi regala la vita 
 
In fondo non era male quindi decisi di ricopiarla in bella copia. In fondo non avevo molto da fare in quell’ora e questa strana creatività mi dava la forza di non pensare.
 
 
 
 
Se il mio respiro cedesse tutti se ne accorgerebbero                                                                                          
Se il mio cuore cedesse tutti se ne accorgerebbero                                                                              
Ma la mia anima era già caduta e nessuno se ne è accorto                                                                   
 
Anima, Anima, mi hai lasciata
Un guscio vuoto sono, un fantasma
Il fantasma della persona che ho sempre voluto essere
 
Non sento più nulla, il nulla è dolore
Il dolore si tramuta in rabbia
La rabbia porta dolore
È un circolo vizioso senza fine
 
La mia anima è morta
Ma io non posso fare lo stesso
Perché la morte è crudele
E mi regala la vita 
 
 
Ma non appena posai la biro sul banco il ricordo si aprii ancora pronto a inghiottirmi.
 
|” Sarah era solo un brutto sogno” mi sussurrò con voce dolce.
“No, non era solo un sogno. Lui è morto il giorno dopo, lui è morto io lo sapevo” singhiozzai mentre lacrime grandi e piene di paura colavano sul mio viso. I miei occhi erano come vulcani, erano stati spenti per mesi e ora si erano riattivati e eruttavano calda, bagnata, lava
|
 
Chiusi gli occhi per poi prender un bel respiro. Stupidi incubi, pensai.
“Sarah c’è qualcosa che non va?” mi chiese Sophie continuando a mettersi la matita sugli occhi.
Le sorrisi, un sorriso grande ma spento. “Va tutto bene” risposi per poi chiedere di andare in bagno. Non potevo di certo farmi vedere debole in classe.
Ma la mia debolezza fu catturata da uno sguardo, quello di Jenna che sembrò rivelare ciò che aveva visto a Lanny.
 
 
“Sarah” mi chiamò il mio nuovo babysitter. Ma oggi erano proprio desiderosi di chiamarmi, notai.
“ Non posso aiutarti con la tua fottuta vita Lanny” affermai per poi sedermi per terra.
“Guarda, questo è stato un giocatore di football, era il mio migliore amico” mi sussurrò indicandomi il labbro gonfio e violaceo.
“E allora?” chiesi.
“Allora quanto tempo passerà prima che Sophie si accorgerà della tua stranezza e ti abbandonerà?”
Scrollai le spalle. “è questa la differenza tra me e te, io non voglio essere salvata”affermai senza pensare veramente alle mie parole.
“Allora ammetti di essere nei guai” Mi disse con tono accusatore.
“No”Commentai con un sibilo e una voce dura.
“Hai detto che non vuoi essere salvata quindi significa che qualcosa è successo in te”Notò. Cavolo Lanny, perché eri così sveglio?
“Vaffanculo.” Risposi.
“Grazie, lo prendo come un ti amo”Mi disse aprendo la sua bocca in un sorriso divertito.
Presi il pacchetto di sigarette dalla tasca della giacca per poi accenderne una in corridoio e offrirne una anche a Lanny. Non m’importava se potevo finire in detenzione. Avevo bisogno di nicotina, del sapore del fumo, del sapere che rovinavo la mia salute. Era qualcosa di vitale in quel momento.
 
Ed eccomi qui seduta a un banco nel ora detentiva. Il preside si era molto sorpreso visto la mia condotta praticamente impeccabile, senza contare qualche piccolo battibecco insegnate-alunno che capitava spesso in ogni classe.
Lanny rideva.
“La faccia del preside era fantastica, imperdibile “ commentò con voce eccitata. Feci una smorfia per poi appoggiare la sedia al muro e mettere i piedi sul tavolo.
“Tuo padre non ti rimprovererà?” mi chiese.
Scossi il capo. “ Per mio padre tutto è ok.” Risposi.
“Non è normale che sia tutto ok, non l’ho mai visto”
“Sai è un vampiro non può uscire alla luce del sole, ma non dirlo a nessuno è un segreto” Sussurrai per poi fargli un occhiolino. Non parlai molto, dovevo pensare, pensare a come suicidarmi. Mi ero distratta fin troppo.
 
 Note dell'autrice: Come avrete capito i pezzi racchiusi da || sono i ricordi di Sarah. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che continuerete a seguire questa storia. Il suo passato sta tornando a galla piano piano. E come direbbe lei:Fottuto passato perchè sei così orribile?

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Capitolo 10
*** Ancora. ***


 
Entrai in casa, lentamente, cercando di essere il più silenziosa possibile.
“Sarah, come mai sei così in ritardo?” Mi chiese mio padre seduto sulla poltrona. Era la prima volta dopo quella volta che ero scappata di casa che vedevo mio padre seduto su quella poltrona a fare il genitore.
“Sono solo le sei di sera” commentai entrando in salotto.
“Solo?” Urlò lui alzandosi in piedi. Lo guardai, conoscevo quello sguardo, lo sguardo di un punitore. Lo stesso sguardo che aveva due anni fa, lo stesso sguardo che aveva dopo aver bevuto. Presi un grosso respiro e l’odore dell’alcool mi entrò nelle narici arrivando al mio cuore che cominciò a battere veloce. Veloce come facevano di solito i cuori innamorati solo che questo era un cuore pieno di paura.
“Sarah vieni qui” mi disse con una voce terrificante come se un'altra persona si fosse impossessata di lui.
Abbandonai lo zaino per terra per poi cominciare a correre, a scappare nella mia stessa casa finchè il mostro mi prese. Il polso stretto tra un sua mano. L’altra che mi colpiva, mi sbatteva contro a un mobile, mi feriva gridando “Dio lo vuole”
 
Sotto alle mie coperte mi sentivo meno al sicuro, completamente nuda, allo scoperto. Non c’era nessuno che poteva proteggermi da quella vita. Non avevo zii o fratelli. No, una zia l’avevo, ma l’ultima volta che l’avevo vista si era divertita a maltrattarmi. A volte mi sembrava di essere un giocattolo, un giocattolo nelle mani degli adulti, un giocattolo che si divertivano a uccidere.
Mi alzai per poi guardare il mio braccio, era livido. Dipinto d’azzurro, viola e nero. Di certo non avrei potuto indossare una t-shirt quest’oggi.
 
Decisi di non andare a scuola. Mi sentivo… sola?non proprio. Inerme? Esatto. Mi sentivo debole, e io odiavo essere debole. 
Mi strinsi nelle spalle mentre tenevo un mozzicone tra le rabbia e accarezzavo il livido fremendo a ogni tocco.
Questa era la seconda volta che mi faceva male, la seconda volta che cadeva nell’alcool. Quel pomeriggio l’avrei già trovato davanti a quella sua stupida croce a pregare. Ma perché se esiste non fa qualcosa per me? Non avevo subito abbastanza? Accesi l’mp3, non potevo rimanere ancora seduta senza la mia musica, senza la mia adorata Taylor. 
Schiacciai il tasto ripetizione casuale e subito le note di Goin’ down mi inondarono.
 
All I need is someone to save me 
Cause I am goin' down 
And what I need is someone to save me 
Cause I am goin' down, all the way down 
 
Sputai il mozzicone che trattenevo tra le labbra. Questo era il mio destino, soffrire, desiderare di morire. Perché stavo cadendo in basso e ormai nessuna fune era così lunga da potermi raggiungere.
 
 
Note dell'autrice: scusate i miei capitoli cortissimi, ma visto che sono pensieri spesso non uniti tra di loro non posso rendere una scena lunghissima

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Capitolo 11
*** I don't need to be saved ***


Guardai dinnanzi a me, lo sguardo vuoto, i pensieri volanti. Quel pomeriggio sarei dovuta andare da Mrs Chamberlain. Di cosa avrei dovuto parlare? Dei miei piani? Del quadernetto che nascondevo sotto a un asse del pavimento con la prova che m’incriminava? O del mostro con cui che convivevo che non faceva altro che nascondere i suoi errori dietro una croce?
“Che succede?” chiese la voce che la mia mente aveva memorizzato e a cui aveva dato un viso.
“Buongiorno anche a te, Lanny” risposi con quel briciolo di ironia che mi rimaneva in corpo.
“Cosa è successo, Sarah?” mi richiese con una nota di preoccupazione nella voce.
“Nulla” risposi mentre nella mia mente, per qualche strano motivo vedevo le parole della canzone Miss Nothing prendere forma nella mia mente.
“Smettila di dire nulla, riconosco quello sguardo”
“I'm misused, misconstrued, I don’t need to be saved, Miss slighted, I mind it, I'm stuck in the rain” borbottai mentre mi voltavo per poi alzare un sopracciglio.
“Che cosa hai detto?” mi chiese non capendo cosa avevo appena canticchiato.
“Nulla” affermai.
“Hai lo stesso sguardo di mia sorella” mi fece notare. Si mi ricordavo di sua sorella. Era bionda con delle mesh viola che la rendevano unica. Due occhi verde acqua, nulla a confronto di quelli del fratello, e di certo soffriva di anoressia. A volte la sentivo vomitare nel bagno.
“Bene, sono i miei occhi e non posso cambiarli, mi dispiace” risposi così alla sua affermazione, con un tono seccato, amaro.
“Avanti Sarah, parla” M’incitò di nuovo, non voleva proprio darsi per vinto.
“Non ho niente” affermai scandendo bene le parole.
“Potrai ingannare Sophie, potrai ingannare tutti ma non me” Dichiarò.
“Forse sto facendo tutta questa sceneggiata per risultare interessante ai tuoi occhi e tu non te ne accorgi perché sei pronto a salvare la damigella in pericolo”proposi quell’idea così, senza averci pensato, senza averla soppesata prima di emetterla sottoforma di parola.
“No. Hai scarsa stima della tua personalità, visto che la maggior parte delle persone ti giudica una delle ragazze più interessanti, sia fisicamente che intellettualmente, dell’intero istituto” Mi disse, era qualcosa che già sapevo visto che Sophie non smetteva di ricordarmi tutti magnifici “fighi”, come lei le denominava, che mi sbavavano dietro non appena passavo.
“I’m a fake baby” dissi con un sussurro impercettibile.
“che cosa?” chiese spaesato non riuscendo a capire le parole.
“Sostengo ancora la teoria che sto cercando di attrarti” dichiarai.
Qualcosa cadde a terra, mi voltai, come una di quelle scene dei film. Jenna mi fissava il suo sguardo entrò nei milionesimi ricordi che volevo dimenticare. I suoi occhi mi fissavano, bruciavano. Bruciavano come la mia anima quando mio padre mi picchiava. Detestavo quando gli occhi mi rendevano vulnerabile, e ora gli occhi di Jenna lo stavano facendo. 
“Jenna “sussurrai mentre mi avvicinavo con una mano in avanti non sapendo davvero cosa fare. Lanny teneva una mano sul mio braccio, Jenna fissò la sua mano e poi il mio viso come se avesse visto qualcosa che potesse vedere solo lei.
Si voltò, i pugni chiusi per poi scappare in quei vuoti corridoi.
C’era qualcosa in quella situazione che mi faceva sentire male. Mi sentivo in colpa per il suo dolore, mi sentivo in colpa per averla fatta scappare e tutto solo per uno scherzo con quello stupido ragazzo che stavo cominciando a odiare per la sua eloquenza. 
 
 
 
 
 
 
Sdraiata sul lettino guardavo il soffitto che una volta doveva essere stato bianco ma che ora, era soltanto qualcosa ricoperto di sporcizia, muffa e ragnatele negli angoli.
“Dovresti pitturarlo” affermai.
“Sarah, non penso che mi paghino per parlare con te del soffitto” mi fece notare esasperata dal mio comportamento. In fondo le volevo bene, è sempre stata un punto importante nella mia vita, colei che mi aveva ripetuto di non cedere alle mi paure anche se non sapeva la storia al completo ma solo piccoli bocconi premasticati a dovere.
“Sarah vuoi parlare o vuoi restare a fissare il soffitto tutto il tempo?” mi chiese.
“Non ho nulla da dire” commentai per poi prendere il mio zaino e lasciare libera quella povera donna.
 
C’era ancora una cosa che la mia mente non capiva. Perché piacevo tanto alle persone? Ok, ero una di quelle ragazze che i ragazzi si voltavano per guardare. Bel culo, curve al posto giusto, capelli lucenti ecc.. ecc.. e gne gne gne e le solite centomila palle. Ma sinceramente non curavo il mio aspetto. Indossavo dei jeans sbiaditi e ampie felpe da uomo che potevo usare anche come vestito. Tenevo i capelli sotto al cappuccio e non mettevo nemmeno un filo di trucco. Diciamo che mi sistemavo solo al sabato sera perché mangiavo da Sophie per poi uscire con lei e il suo clan. Diciamo che ero abituata a spezzare cuori ma mi sembrava ingiusto farlo anche con quello della povera Jenna. 
Jenna era uno dei miei tanti ammiratori. Aveva ammesso la sua preferenza verso le donne un anno fa e da allora era caduta nel baratro della vita sociale. Mangiava sola, nessuna ragazza la voleva vicino e quando eravamo nello spogliatoio tutte si andavano a cambiare in bagno. Io no, me ne fottevo, poteva anche sentirsi attratta dal mio corpo, poteva guardarmi mentre mi mettevo una maglietta ma non mi pesava questa cosa ed era proprio per questo che si era infatuata di me.
A volte mi chiedo perché le persone si debbano innamorare delle persone che non possono avere. Ragazze che sbavano davanti a un attore o che si innamorano del ragazzo che ha la tipa da 3 anni e non è deciso a mollarla. Oppure ragazzi come l’ex di Sophie si sente respinto fa un filmino mentale dove riesce a conquistarla.
Io non ero di certo una di quelle ragazze che cercava l’amore, anzi tutt’altro cercavo la morte.

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Capitolo 12
*** The pretty reckless? Quella che canta You make me wanna die? ***


Ridevo mentre cominciavo a muovermi a ritmo di musica con Sophie. Era una delle sue solite canzone, quelle da ballare, quelle che piacciono alle ragazze. Non saprei dire il titolo, di certo non era la mia musica. Non mi lasciva nulla, se dovevo ascoltare una canzone doveva anche solo sfiorarmi il cuore.
Il campanello suonò segno che le nostre pizze erano arrivate, anche se in ritardo. A quanto pare il pony pizza era carino visto che Sophie si soffermò sulla porta a parlare con lui.
“Perché non vieni qui con un tuo amico più tardi magari?” chiese la voce squillante di Sophie. A volte mi chiedevo come facevo a essere sua amica se eravamo una l’opposto dell’altra. Lei era una civettuola ragazza di alto borgo con una vita perfetta, un fisico perfetto, una reputazione perfetta e con un carattere quasi perfetto mentre io ero l’incoerenza allo stato puro. Avevo una vita orribile che tenevo per me, un fisico non male ma nulla al confronto del suo e un caratteraccio che a volte mi rendeva irresistibile, per qualche strana ragione che ancora non comprendevo. Come può una persona che ti tratta a pesci in faccia essere per te qualcosa di bello e affascinante? Scossi la testa a questo pensiero, mi sembrava talmente illogico. Forse non era la mia la mente illogica ma quella della società. Perché ora bel culo significava persona magnifica. Era qualcosa di insensato eppure questa società era basata sulla bellezza del corpo, su quanta pelle si metteva in mostra e sulla corruzione. Sophie chiuse la porta per poi appoggiare la pizza sul tappeto.
“Ero un bellissimo ragazzo e sono sicura che ti piacerà almeno lui o il suo amico “ disse elettrizzata per poi aprire il cartone.
Feci lo stesso, senza la sua elettrizzazion-mi pare ovvio.
Sbuffai per poi addentare una fetta di pizza. Tanto vinceva sempre lei, aveva qualcosa, qualcosa che m’impediva di alzare il capo e evitare che mi facesse fare tutti quegli sforzati sorrisi. Forse questo stava nei suoi occhi, o forse perché era dotata di quella stupida ingenuità che ti faceva tenerezza.
Il campanello suonò di nuovo e appena entrarono i ragazzi realizzai che non ero a scuola e che portavo dei pantacollant neri con sopra una magliettina non lunghissima e aderente. Sentii le mie guancie diventare rosse, era la prima volta che mi succedeva.
“Beh grazie per l’invito abbiamo portato le birre” disse uno dei due, quello con i capelli rossicci.
Mi alzai per poi sbottare “grazie per la birra”
L’altro mi fissò, forse ero sembrata una frigida ragazza senza cuore? Forse, ma mi piaceva essere così in fondo.
Passò una mezzora interminabile dove tutti e quattro eravamo seduti sul divano a sorseggiare birra senza dire una parola. Era questo che succedeva quando non si sa se la persona che hai invitato a casa tua ha i tuoi stessi gusti.
“Beh il mio amico guarda la tua amichetta Sophie, è fida?” chiese carotino-come la mia mente aveva battezzato il rosso- a Sophie cercando di non farsi sentire. Ma per sua sfortuna ero abituata a captare le conversazioni quindi sentii la sua domanda.
“Sono lesbica” risposi per poi bere un lungo sorso di birra.
“Sta scherzando, vero Sarah?” disse Sophie mentre mi scoccava una di quelle occhiate che avrebbero potuto ucciderti se solo potessero.
“si, si sono proprio una burlona” commentai con voce apatica mentre allargavo le labbra in un sorriso tirato per poi tornare al mio broncio.
Quella stanza mi sembrava anche fin troppo piccola e ormai avevo in quadrato il signor carotino. A quanto pare doveva essere uno di quei ragazzi che si credono fighi ma che in realtà sono solo dei caproni vestiti alla moda.
“Vado a fumare una sigaretta” commentai per poi alzarmi e prendere il pacchetto che avevo nella borsa. Appena uscii sul terrazzo della camera di Sophie sospirai. L’aria intrisa di smog mi tranquillizzava. Di certo quella stanza mi stava stressando. Il silenzio, i discorsi biascicati, mi spingevano a pensare e visto che ero a un punto cieco con i piani di suicidio non era qualcosa che volevo fare. Accesi la sigaretta, la fiamma dell’accendino era calda e accese senza difficoltà la sigaretta che tenevo tra le labbra. Mi appoggiai alla ringhiera del terrazzo per poi soffiare. Il fumo si fuse alla notte, allo smog.
Qualcuno mi raggiunse, riuscivo a sentirne il respiro affannato e i passi pesanti.
“Non ti piaccio non è vero?” mi chiese mentre si appoggiava alla ringhiera. Gli lanciai uno sguardo veloce mettendo a fuoco la figura dell’amico di carotino.
“Non prenderla sul personale, non mi piace nessuno”  gli confidai senza mostrare nessuna emozione.
“Perché non dovrebbe piacerti nessuno?”Mi chiese stranito dalla mia risposta.
“Nella vita si è soli, quindi perché dovrebbe piacermi qualcuno” Spiegai.
“Però Sophie ti piace” mi fece notare mentre espiravo di nuovo il fumo.
“Beh come amica è ok” Commentai.
“Ti stai contraddicendo allora” dichiarò pensando di aver vinto quel piccolo giochetto.
“Amo l’incoerenza è qualcosa di magico” Affermai con un radioso sorriso che si era posato sulle mie labbra.
“Sarebbe anche incoerente baciarmi ora” propose con occhi brillanti.
Mi voltai per guardarlo lasciando cadere la sigaretta sulla strada.
“No, non sarebbe affatto incoerente perché tu ti aspetti che io lo faccia perché sei abituato ad avere qualunque ragazza ai tuoi piedi”
“Mi dai il tuo numero?” Mi chiese.
“Perché dovrei?”riabbattei .
“Per sentirmi” rispose con quei sorrisi sghembi che si usano per far sciogliere le ragazze.
“No, grazie passo”
“Sei proprio strana” mi confidò  ridendo.
“Sono nata sbagliata” Affermai con serietà utilizzando come battuta una canzone di J-ax.
“Come dice la canzone di J-ax”
“Esatto, come dice la canzone di J-ax”
“Che musica ascolti ?” Chiese, visto che ormai avevo aperto il discorso musica.
“J-ax, canzoni vecchie, The pretty Reckless”
“The pretty reckless? Quella che canta You make me wanna die?”
“Non esiste solo quella anche se sembra la più conosciuta”
“Me ne fai ascoltare una?”
Tirai fuori l’mp3 che tenevo in tasca per poi passargli una cuffia e far partire la canzone Zombie.
“I'm not listening to you,I am wandering right through existence. With no purpose and no drive,'Cause in the end we're all alive, alive” cominciai a canticchiare.
“Che significa?” mi chiese con una certa curiosità.
“Non ti sto ascoltando. Sto vagando attraverso l’esistenza. Senza scopo e senza grinta. Perché alla fine siamo tutti vivi, vivi” tradussi.
“Il ritmo è davvero bello, quasi quasi la faccio cantare alla mia band”
“Hai una band?” chiesi per la prima volta incuriosita di quel ragazzo.
“Si, faccio il cantante, suono la chitarra elettrica ma so fare un po’ di tutto. Sono bravo nella musica. Tu in che cosa sei brava?”
Sorrisi senza rispondere. Ero brava a mentire, ero brava a fare casini, ero brava a scappare.
“Avanti andiamo Sophie ci starà aspettando” Dissi spostandomi dalla ringhiera di ferro.
“Non mi hai ancora mai detto il tuo nome” Mi fece notare rifacendo ancora una volta il suo sorriso da sciupa femmine.
“Nemmeno tu il tuo”
“Marco”
“Sarah”
“Molto piacere Sarah” mi disse afferrandomi una mano e baciandola come si faceva un tempo. Dovevo ammetterlo ci sapeva fare con le ragazze.

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Capitolo 13
*** Oh, oh ti ho beccata Walsh ***


 
“Sarah come stai?” mi chiese mio padre passandomi una tazza di cioccolata calda. La presi bevendone un goccio. Un tempo mi faceva sempre la cioccolata quando ero triste, me la portava in camera per poi leggermi una storia ma poi, ma poi tutti quei bei sogni si erano infranti.
Non risposi e continuai a bere sporcandomi le labbra.
“Sarah rispondimi” Urlò dando una botta al tavolo.
“Non ti devo nulla” commentai lasciando la tazza mezza piena sul piano della cucina ed andarmene mentre mi pulivo le labbra con il dorso della mano.
“Sarah se esci da quella porta non ritornare a casa questa sera” mi minaccio.
“Nessun problema, questa non è casa mia” commentai prendendo lo zaino per andare a scuola.
 
La classe aveva quella atmosfera macabra come sempre ma almeno i miei compagni avevano un posto dove andare per una notte. Tamburellai le dita sul banco mentre cercavo di trovare una soluzione. Non potevo di certo andare da Sophie, mi avrebbe fatto domande. Non potevo andare da mia zia, lei era peggio di mio padre. Non avevo nonni in vita e la sorella di mia madre non aveva un vera e propria casa.
“Sarah mi sa che piaci all’amico di Jared” Mi disse Sophie mentre scarabocchiavo sul quaderno di inglese.
“Chi?” Commentai senza entusiasmo o interesse.
“quello di Sabato sera” bisbiglio aspettandosi una reazione di entusiasmo.
“Ah, ecco allora come si chiama carotino” Risposi apaticamente rivelandole il soprannome che gli avevo dato.
“Carotino, Sarah? Carotino, davvero? “Disse seccata della mia ironia. No, il soprannome non gli era piaciuto, proprio no.
Sorrisi mentre mi voltavo verso di lei per guardare la sua faccia contrariata.
“Che c’è?” Commentai.
“Non sembra una carota” Affermò convinta di quello che pensava.
“Ah no, Sophie? “ Chiesi imitando il tono di voce  che aveva usato per rimproverarmi.
“è carino” ammise arrossendo un poc.
“Puoi avere di meglio”
“anche tu puoi avere qualcuno di meglio di quell’emo che ti sta sempre intorno” Disse per poi voltarsi verso la lavagna.
“Ah, allora è questo il problema” Commentai lasciando cadere la biro.
“Sarah gli altri hanno accettato la tua ironia e i tuoi vestiti da fattona ma non accetteranno anche questo”
“Sophie, loro sono tutti falsi, Lanny è vero quindi per me può andare come amico”
“Non ti innamorerai di lui? Jenna ha detto che ci stavi provano”
“Jenna vede una visione distorta della realtà. Aspetta Sophie non è che questo da più fastidio a te che a loro?”
Lei non risposi, si guardo le unghie smaltate e cambiò discorso.
“Marco è davvero figo, hai visto come la maglietta gli evidenziava i muscoli? E poi ha una band che cosa figa” mi disse sperando di farmi interessare a lui.
Non risposi, quella discussione aveva preso un piede che non mi piaceva.
 
Il cimitero era scaldato da lievi raggi che portavano con loro il tepore famigliare della primavera. Le mie mani si muovevano sulla carta in cerca di una via di sfogo per la mia mente. Per una volta ritrai una statua. Un angelo vicino a una lapide. Era vecchio, rovinato, ricoperto da edera che nascondeva il suo antico splendore.
“Oh, oh ti ho beccata Walsh. Ti ho beccata mentre mostravi una tua dote nascosta” dichiarò una voce ridente.
“Oh, oh adesso che posso fare, Lanny? Mi hai vista bere, fumare e disegnare questi sono proprio dei crimini” Bonficchiai ridendo sotto i baffi.
Si buttò al mio fianco sull’erba verde continuando a ridere.
“Walsh, attenta a mostrarti così troppo in pubblico o cominceranno a chiederti un pezzo di te”mi disse.
“Sbaglio o hai preso la frase da una canzone di J-ax?” gli feci notare.
“Mi hai beccato. Che cosa stai disegnando?”Disse mettendosi una mano sul cuore per poi cercare di sbirciare il foglio che stringevo tra le mani.
“Un angelo” borbottai.
“Non ti credevo religiosa”
“Infatti non credo, ma trovo molto affascinanti gli angeli”
Mi strappo-letteralmente- l’album dalle mani per poi cominciare a esaminare con gli occhi e i polpastrelli i tratti lasciati dalla matita.
“Cavolo sei veramente brava”
“grazie” bonficchiai, era la prima volta che qualcuno vedeva i miei disegni.
“Cosa fai sta sera?”Mi chiese.
“Nulla” Commentai mentre il pensiero di dover passare la notte per strada mi turbava.
“Perché non vieni da me. Birra, film horror e pizza che ne dici?” propose.
“è un appuntamento Lanny?” Chiesi scherzosa.
“Anche se di solito è così, non devi pensare che tutti abbiano dei secondi fini Walsh. Almeno io cerco solo di esserti amico” affermò mettendo in chiaro il punto.
“Andata” commentai per poi buttarmi sull’erba vicino a lui.
“Brava Walsh”
“Non chiamarmi Walsh, non mi piace” gli dissi storcendo il naso.
“Walsh, ha stile”
“No” dichiarai.
“Io dico di si “
“Emo stai zitto” lo presi in giro.
“Questo non dovevi dirlo”
Si alzò di scatto per poi cominciare a farmi il solletico. Scoppiai in fragorose risate.
“Smettila, smettila” urlai mentre mi divincolavo.
“No, Walsh non la smetto visto che è la prima volta  che ti vedo ridere veramente” disse continuando a torturarmi.
Sentivo le lacrime bagnarmi gli occhi.
“Ti prego mi stai facendo morire” balbettai.
“Allora devo fermarmi o se no non ti vedrò mai più ridere”
Si fermò lasciandomi respirare e asciugarmi gli occhi ricolmi di lacrime.
“Sei uno scemo” dichiarai.
“Tranquilla Wlash tu mi batti” mi disse per poi darmi, come per consolazione, un buffetto sulla spalla.
Per la prima volta qualcosa nel mio cuore si scaldo, mi sembrava di aver trovato un amico. Per la prima volta potevo dire di aver capito cosa significa la parola amicizia.

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Capitolo 14
*** Non tu, controlli nella tua mente cosa dire per evitare che qualcuno scopra il tuo segreto ***


 
 
La serata passò tranquilla, leggera per la prima volta. Era strano pensare che poteva esistere ancora una vita. Mangiare pizza sul divano e guardare un film horror era stata un idea grandiosa. Avevo la mente libera e ridevo. Mi sembrava strano fare quella azione. Ridere veramente perché ero divertita, felice. Che cosa strana. Ho sempre cercato di allontanare Lanny perché si avvicinava troppo alla soluzione dell’enigma della mia vita e ora è proprio lui che mi fa ridere.
“Tra poco dovrebbe tornare Jenny, tranquilla non dirà niente ai tuoi amici” disse guardando l’orologio per poi guardarmi e farmi l’occhiolino.
“Che ora sono?” chiesi per poi prendere un'altra manciata di poc-corn e appoggiare le mie gambe sopra le sue, spaparanzandomi così sul vecchio-e scomodo, aggiungerei- divano.
“Sono le undici, è tardino” rispose con un sorriso.
Non so che espressione poteva aver preso il mio viso ma non era delle migliore, di certo. Riuscivo a leggere la preoccupazione nei suoi occhi come se la mia espressione avesse riattivato un vecchio campanello di allarme.
“Beh non posso lasciarti tornare a casa da sola, e se resti qui a dormire. Tanto mio padre è fuori per lavoro e a Jenny non importa chi porto a casa” Propose.
“Non saprei” Commentai. Non volevo creare disturbo e di certo dormire da Lanny… non era una buona idea.
“Avanti Walsh non devi mica fare cose oscene con me”Mi disse per poi scoppiare a ridere.   “fingi che io sia Sophie. Ok, sono molto più sexy e figo ma se ti sforzi penso che riuscirai a immaginarmi biondo. Se vuoi posso prendere una parrucca” Aggiunse provocando una mia risata mentre lo immaginavo con il rossetto e la parrucca bionda.
“Se tuo padre ti chiede qualcosa di che eri da Sophie o da un'altra amica” disse pensando che il problema del mio non saprei era mio padre.
“Tranquillo mio padre non mi chiederà nulla” sussurrai lasciandomi scappare quelle parole.
“Padre assente è?” chiese pensando di fare centro.
“Guarda ora c’è la scena del pagliaccio” Risposi con un gridolino riportando la sua attenzione al film- The hole. Presi un'altra manciata di poc-corn. Sapevo che sarebbe stata una lunga notte.
 
Ero accampata sul tappeto e stretta in un sacco a pelo. Meglio che niente no? Jenny dormiva tranquilla, era stato strano vederla arrivare e cercare le braccia del fratello. Ed era stato ancora più strano ascoltare la voce di Lanny diventare dolce e sussurrarle parole di altrettanta  dolcezza. Era come se Lanny si fosse sostituito in tutto e per tutto in una figura sia materna che paterna. Ora capivo perché si tagliava. Aveva bisogno di scappare, scappare dalla responsabilità.
“Sei ancora sveglia?” sussurrò qualcuno. Mi voltai di scatto trovandolo sdraiato vicino a me. Scattai indietro sentendo che il mio cuore si era fermato per qualche secondo. Avevo paura delle tenebre, lì c’erano mostri che non potevo combattere.
“Mi hai spaventata Lanny” bisbigliai.
“Scusa, ma non abbiamo finito il discorso di prima. Li ho visti i lividi Sarah” borbottò.
Mi voltai, non ne volevo parlare. Non con lui, non con nessun altro.
“Sarah perché non sei voluta andare a casa?” Mi chiese, voleva risposte, le bramava.
“Mi ha detto di non tornare stanotte” sussurrai con voce strozzata.
Sentii le sue braccia stringermi come aveva fatto con sua sorella.
“Se ti fa del male, vattene. Ti proteggerò io”  Bisbigliò al mio orecchio con quella sua voce da bambino ingenuo. Era come un bambino che cercava di rassicurare una madre.
Una risata amara uscii dalle mie labbra.
“Lanny ti accorgi di quello che dici?”Gli chiesi dubitando della sua lucidità in quel momento.
“Si, non parlo mai senza pensare” dichiarò convinto.
“Tutti parlano senza pensare” affermai.
“Non tu, controlli nella tua mente cosa dire per evitare che qualcuno scopra il tuo segreto”
“E quale sarebbe?” Chiesi con voce divertita.
“Che sei bloccata in una vita che non dovrebbe appartenerti, che sei racchiusa in un limbo” Mi disse e a quel punto il mio sorriso ironico si spense. Aveva fatto centro.
“Stai lavorando di fantasia” Gli dissi.
“Non sei felice, Sarah. Puoi mentire a tutti, e ci riesci anche bene ma io ti ho vista. Non ti ho solo classificato per la tua facciata ma ti ho vista davvero. “
“Lanny smettila” Commentai sentendo le lacrime arrivare e una morsa stringermi il cuore.
“No, non la smetto.” Sbottò ad alta voce rischiando di svegliare la sorella.
Mi voltai verso di lui gli occhi pieni di lacrime.
“Vuoi veramente sapere?” sussurrai.
“Si, Sarah voglio sapere”
“Mia madre è morta due anni fa per colpa mia. Mio padre è un ubriacone che si nasconde dietro a un crocifisso e quando vuole mi picchia. Mia zia ha fatto violenza su di me. La mia vita è un inferno tutti i santi giorni e mi tocca pure sentire mio padre che crede che la sua anima sia pura.” Sputai tutto, avrei voluto gridare. Gridare più forte. Non potevo più contenere quel vortice di ricordi che mi tormentava e mi distruggeva. Lanny mi strinse di più permettendomi di piangere. Mi baciò i capelli come faceva mia madre e fu come se lei fosse tornata.
“Mi prenderò cura io di te, è una promessa” mi ridisse come se quello che gli aveva detto non avesse cambiato nulla.
“Non promettere Lanny, ho una testa complicata”
“Non è che io sia il massimo della sanità mentale”
“Lanny, posso stare qui anche domani?” gli chiesi.
“Puoi restare qui per quanto vuoi”
“E a Jenny non darò fastidio?”
“Sono sicuro che tu e Jenny diventerete amiche, in fondo potete capirvi”
“Grazie” sussurrai per poi stringermi ancora di più al suo petto come una bambina. Mi dava calore, e io ne avevo terribilmente bisogno. Non so quanto tempo era passato da quanto qualcuno mi teneva stretta e mi consolava, mi capiva. Ma di certo un sacco di tempo.
 
 
 
Note dell'autrice: Visto che sto avendo dei dubbi di essere troppo banale in quello che scrivo vi chiedo se potreste darmi la vostra impressione globale della storia fino ad esso. Una piccola riflessione per aiutarmi a decidere se questa è la decisione giusta per arrivare alla fine o se devo prendere un altra strada. Grazie a chi lo fa e grazie a chi continua a leggere.

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Capitolo 15
*** Un giorno, quasi, spensierato ***


 
Aprii gli occhi. Ero sola. Che fosse stato un sogno? Forse, sapevo che hai primi raggi dell’alba mi sarei scottata. Come un vampiro, ah no ormai quelle creature magnifiche erano state rovinate da ragazzini bellocci che sbrillucicavano come lucciole. Non che i libri della Meyer non fossero scritti bene, li avevo letti tutti ma non mi piaceva pensare ai vampiri in quel modo. Li avevo sempre immaginati cupi che uscivano di notte e non si innamoravano. Ma ora perché sto facendo questa considerazione? A volte mi capita di perdermi troppo nei miei stupidi ragionamenti ma fare una considerazione sui vampiri era anche fin troppo. Mi alzai strofinandomi gli occhi con una mano togliendo così anche gli ultimi pezzi rimasti di sonno che mi annebbiavano la testa e il corpo.
Sbadigliai e poi mi accorsi di essere in un sacco a pelo. Mi alzai a sedere sussurrando “Lanny”
“Sono in cucina vuoi un pancake per colazione?” gridò da un'altra stanza.
Una ragazza rideva mentre sentivo la voce di Lanny cantare, o almeno cercare di intonare qualcosa con la sua voce stonata.
“Lanny è mattina non vorrai spaventare Sarah” urlò sua sorella cercando di coprire quei lamenti che dovevano essere la canzone di Bon Jovi: It’s my life.
“Mi alzai ancora intontita. Andai verso la cucina sfiorando i mobile e respirando la speranza di qualcosa di bello. Lanny e Jenna trasmettevano speranza insieme, insieme erano forti, e brillavano nell’oscurità.
“Lanny speriamo che non cucini come canti” borbottai mentre fissavo la sorella. Non mi ero mai accorta della sua bellezza. Forse perché era sempre cupa ma ora vedere il suo viso spoglio da quel trucco esagerato e illuminato da un sorriso la faceva apparire molto bella.
“Non dovresti truccarti molto, stai bene anche senza trucco” dissi a Jenny. Ero abituata a dire quello che pensavo, a scuola ne avevo quasi il diritto e l’obbligo.
“ummm forse” bonficchiò per poi sedersi.
“Glielo ripeto tutti i giorni ma non mi vuole dare ascolto” brontolò Lanny proprio come avrebbe fatto un padre. Risi nel vedere nella mia mente un immagine di Lanny vestito da padre e non con le sue magliette da metallaro.
“Sarah che genere di musica ascolti?” mi chiese Jenny per poi mettere in bocca un grosso pezzo di pancake.
Mi sedetti per poi guardare il pancake coperto da cioccolato fuso.
“Ascolto vari tipi di musica se vuoi quando torniamo da scuola ti faccio sentire il mio gruppo preferito. I The pretty reckless “ gli dissi per poi aggiungere “mmm sembrano proprio buoni” cominciai a mangiare. Lanny non cantava come cucinava visto che i suoi pancake erano deliziosi.
 
La scuola mi sembrò diversa. Le persone che mi venivano in contro sorridenti non mi rivolgevano la parola e si comportavano come non esistessi. Pace, finalmente. Nessun dovere, nessun obbligo, niente di niente.
Forse perché camminavo accompagnata da Jenny che teneva la testa bassa e per una volta il viso privo di trucco.
“Perché non guardi dove vai?” le chiesi.
“Questa non è la mia scuola” borbottò.
“Come non è la tua scuola? C’è un tuo banco, sei registrata, hai pure una cartella con impresso il tuo nome nell’archivio. È la tua scuola”
“Ma non sono la regina quindi devo comportarmi così”
Mi fermai di scatto. Indignata da simili parole e gli feci alzare il viso.
“ora sorridi. Brava ora sei una regina. Non importa cosa ti diranno ma non esistono sudditi perché tutti sono regine o re”
Lei mi dedicò un bellissimo sorriso, come se la mia frase l’avesse sollevata, come se gli avesse fatto scoprire un nuovo mondo. In fondo non avevo fatto nulla, le avevo solo rivelato una verità.
Sophie ci fissava, le labbra strette, gli occhi illuminati di una strana luce mentre era circondata dalla sua cerchia che lei voleva tanto diventasse anche mia.
Accompagnai Jenny in classe assicurandomi che non andasse in bagno a vomitare per poi dirigermi verso la mia. Di certo mi sarei dovuta sorbire una scenata di Sophie ma in fondo le volevo bene quindi avrei sopportato.
 
Come avevo previsto le tre ore prima dell’intervallo furono orribili. Sophie mi accusò di alto tradimento e altre miliardi di cose che non cito perché le ho già dimenticate.
“Sarah” sussurrò qualcuno afferrandomi la mano e tirandomi verso di lui.
“Marco a cosa devo l’onore?” chiesi alzando un sopracciglio.
“Umm non saprei forse perché ho saputo che potrei perderti”
“Non mi conosci nemmeno” sbottai.
“Forse, ma conosco le tue sensazione e ora vuoi saltarmi addosso” mi disse per poi leccarsi le labbra.
“ Questa tattica quante volte a funzionato?” chiesi senza interesse.
“Tutte. Vieni a sentirmi stasera in un locale?”
“varia, che cosa suonate? “ chiesi sapendo già che non ci sarei andata.
“Umm musica che potrebbe piacerti”
“Voglio i nomi”
“Coldplay, Blind guardian, Bon Jovi quel genere, e sei vieni ti dedico anche una canzone dei tuoi amati The pretty reckless” disse.
“Che offerta allettante ma credo che declinerò l’invito” sussurrai priva di qualunque emozione.
“Eddai vieni, fammi felice per una volta” Mi disse strattonandomi un poco e avvicinandomi a lui.
“ci penserò”
“prevedo già un si”
“se vengo potrei infatuarmi del batterista” gli feci notare.
“non credo non è abbastanza carino né abbastanza misterioso per conquistarti” mi disse per poi farmi un occhiolino. “Allora ci vediamo sta sera, Sophie mi ha dato il tuo numero ti scrivo per dirti tutto. Ciao Sarah” mi disse per poi darmi un bacio sulla guancia e poi scappare per evitare di vedere la mia reazione.
 
 
Attaccai l’mp3 allo stereo di Lanny.
“Questi sono i The pretty reckless” dissi a Jenny per poi far partire Just tonight.
Cominciai a muovere i capelli e la testa avanti indietro provocando una risata di Jenny che cominciò a dimenarsi a ritmo di musica.
“Sarah posso chiederti una cosa?”
“Certo Jenny”
“Perché fingi di essere come Sophie quando non lo sei?”
“Sophie mi adorava l’ho solo accontentata”
“non capisco”
“Avevamo fatto un compromesso”
“Un compresso? In un amicizia?”
“Perché fai quella faccia?i compromessi esistono sempre, l'amicizia in se è un compromesso. I compromessi non sono negativi, ci servono per vivere. Anche in una famiglia ci sono anche solo quando si deve scegliere il canale da guardare in TV” le spiegai mentre lei si avvicinò per prendere l’mp3.
Jenny non parlò e  continuò a guardare che musica avevo sul mio mp3.
“Mina? “
“Si, Mina non la conosci? Mia madre quando era in vita me la faceva sempre ascoltare”
Lei scosse la testa.
“Metti su Portami via” le sussurrai  appena lei lo fece mi sembrò di tornare bambina. Riuscivo a vedere mia madre, i capelli biondi e lunghi e gli occhi grigi come la stessa nebbia che colorava i miei.
Riuscivo a sentire la sua voce, le sue dolci parole e il suo profumo di lavanda.
Il mio telefono vibrò. Era Sophie. Aprii il messaggio.
 
Sa, so che non sei a casa di sicuro sarai con quello. Stasera vieni davanti a casa mia alle 9 che andiamo da Marco. Almeno questo non ti dovrebbe costare fatica no?
 
La freddezza del suo messaggio mi lasciò turbata tutto il giorno. Non potevo fare qualcosa che qualcuno ci rimaneva male. Non potevo accontentare tutti in fondo. Quella sera avrei fatto felice Sophie, sarei andata a quello stupido concerto. E avrei chiarito le cose una volta per tutte. Io non ero una della sua cricca che poteva comandare.
 

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Capitolo 16
*** Marco. ***


 
Arrivata a casa di Sophie mi appoggiai al muro aspettando che lei arrivasse. Nella mia mente si proponevano diverse situazioni di litigio e lei vinceva, quasi sempre. Il problema era che è quasi impossibile arrabbiarsi con lei.
“Sarah” mi chiamò con una freddezza che non le apparteneva per poi inchiodarmi al muro con un gelido sguardo fulminante.
La guardai un attimo, era vestita come sempre, alla moda. Io invece ero vestita con una canotta e una camicia di Lanny annodata sopra la vita e un paio di vecchi jeans. Non avevo neanch’ora i miei vestiti quindi mi ero accontentata di quello che avevo trovato.
“Sophie” commentai stiracchiando un sorriso sulle labbra per poi staccarmi dal muro lentamente e raggiungerla. “Non so se ti piacerà la musica che suonerà Marco” le dissi conoscendo i suoi gusti musicali.
Lei non rispose e mi fece cenno di salire in macchina. Il viaggio passò silenzioso. Solo una cosa interrompeva quello stressante silenzio, il mio cellulare che vibrava mentre Lanny mi faceva virtualmente compagnia.
I suoi messaggi erano tutti un: La vipera ti ha già mangiato la testa? La principessina è rimasta senza lingua? Oh, che ha detto quando ha visto la mia camicia? Pensa forse che io abbia la lebra e che te l’abbia trasmessa attraverso i miei vestiti?
 
Entrate nel locale Sophie scomparì per andare da carotino. Lo salutò con un bacio. Oh carotino ora era il suo fidanzatino? Che schifo. Odiavo vedere la gente baciarsi davanti a me e Sophie lo sapeva. I miei occhi si dovevano essere ridotti a due piccole fessure perché Marco mi si avvicinò e mi sussurrò“Piccola che succede? Sembri turbata”
“Tu non devi suonare?” gli chiesi mentre fissavo le persone intorno a noi. Sophie era una nota stridula posta a confronto delle altre persone. Lei così perfettina e gli altri vestiti, beh con il mio stile.
“Tra mezz’ora, vuoi venire dietro le quinte a vedere gli strumenti?” mi chiese con una strana luce negli occhi.
“Di certo meglio che stare qui” affermai per poi lanciare un'altra occhiata a Sophie.
Lo seguii tra la massa di gente che parlava di musica fino ad arrivare dietro alle quinte.
Guardai gli strumenti.
“Con cosa aprite?” gli chiesi mentre accarezzavo la chitarra elettrica.
“Con una canzone dei The pretty reckless, Zombie, me l’hai fatta ascoltare tu” mi disse avvicinandosi a me. “mi piaci, ma non so come fare a piace a te” mi disse con voce calda all’orecchio.
Deglutii “te l’ho detto le persone non mi piacciono”
“Ma ti piace quel Lanny, che cosa ha lui che io non ho?”
“prima di tutto non mi piace, è solo un amico e secondo non tenta di usare i tuoi stupidi trucchetti”
“Trucchetti?” chiese non capendo che cosa intendessi.
“Si, la voce, la musica, la canzone”
Lui rise. “allora almeno un po’ ti faccio effetto” mi disse soddisfatto per poi farmi voltare verso di lui.
“No, affatto” commentai.
Si avvicinò ancora finchè il suo corpo non aderì al mio ormai addossato alla parete a forza di indietreggiare.
Il suo viso si avvicinava al mio mentre i miei occhi guizzavano in cerca di una via di uscita. Chiusi gli occhi aspettando che quel momento finisse. Odiavo quando qualcuno mi prendeva in quel modo, sentivo il mio viso scottare di lacrime.
 
|| “Un bacio piccola mia, un bacio” mi disse la voce di mia zio mentre mi teneva addossata alla parete. Mia zia mi guardava ridendo mentre con una videocamera riprendeva il mio viso.Sentivo le lacrime colare come lava sulle mie guancie mi sentivo in trappola.
“Un bacio” sussurrò ancora lui per poi posare le labbra sulle mie e cominciare a baciarmi||
 
Mi ritrovai ancora addosso alla parete solo che questa volta non c’era Marco che tentava di rubarmi un bacio. Non sentivo più il suo corpo. Aprii gli occhi e vidi Marco coperto da un ragazzo che lo stava prendendo a pugni con tutta la forza che poteva. Sferrava colpi rabbiosi, decisi. Mi asciugai gli occhi parecchie volte prima di riconoscere Lanny.
Non avevo mai visto violento e ora vederlo in quel modo mi faceva quasi paura.
“Lanny” gridai mentre mi avvicinavo a lui e gli sfioravo un braccio facendolo fermare.
Si alzò da Marco che giaceva a terra con la faccia gonfia e violacea.
“Non toccarla, mai più” Gli disse Lanny a denti stretti per poi sputare saliva insanguinata sul suo viso. Aveva il labbro inferiore gonfio.
Sentivo le mie gambe tremare mentre ricordi sepolti si impossessavano di me.
Lanny mi trascinò fuori, in una stanza che non riuscivo a riconoscere.
“Sarah non ti ha fatto nulla sono arrivato in tempo”  mi sussurrò mentre mi attirava al suo petto. I miei singhiozzi si facevano sempre più forti.
“Come mai eri qui?” gli chiesi.
“Ero venuto a vedere come te la cavavi e ho sentito dei ragazzi ridere mentre questo ragazzo scommeteva che ti avrebbe portata a letto” mi spiegò mentre mi accarezzava i capelli.
“Perché non hai reagito Sarah?” mi chiese ma io non risposi, rimasi muta. Mi sentivo inerme come quella volta dai miei zii dopo la morte di mia madre, mi sentivo debole inghiottita dal mondo. Ma almeno c’era Lanny, lui era la mia ancora di salvataggio, lui mi stava salvando.

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Capitolo 17
*** Under the water ***


 
Note dell’autrice: vi do un consiglio, quando Sarah accende l’mp3 ascoltate la canzone dei The pretty reckless: Under the water. Ho un dubbio  sul titolo della storia: Pensieri di una ragazza suicida o Under the water?
 
 
Le mie guancie erano rigate da nere lacrime che mi sporcavano il viso. I miei occhi avevano la stessa consistenza della nebbia e il mio cervello non riusciva ad essere razionale. Era come se fossi ubriaca, ubriaca di ricordi, di dolore. Mi lavai il viso notando la mia fragilità. Prima di conoscere Lanny ero più forte, non avrei mai pianto in quel modo ma ora che non portavo più quel peso gravoso solo sulle mie spalle ero tornata ad essere un essere umano e non più un ombra. Era stato strano il passaggio da ombra a umano, strano come tutto nella mia vita. Qualcuno entrò nel bagno mentre tiravo su con il naso cercando di eliminare completamente le tracce di quello che era successo.
“Sarah, hai portato qui quel cretino?” mi urlò contro Sophie.
“Primo non è un cretino e secondo è venuto da solo” le dissi con voce tremante guardandola attraverso lo specchio. La sua voce da gallinella mi dava fastidio, era stridula in quel momento, era come le unghie che grattavano sulla lavagna. Mi faceva tremare.
“Oh lo proteggi anche? Bene diventa chi vuoi resta nell’oscurità, muori stupida leccapiedi” gridò.
Guardai i miei occhi divampare nelle fiamme che erano scoppiate dentro di me. Mi voltai di scatto prendendola e sbattendola contro al muro.
“Senti troietta da quattro soldi non mi conosci, non sai nulla di me. Ho cercato di esserti amica ma si vede che tu mi hai sempre considerata una leccapiedie questo mi fa capire quanto sei insulsa, vuota, superficiale. Non cercarmi mai più, non rivolgermi neanche più la parola. Per me sei morta da adesso in poi” Le dissi per poi lasciar cadere la mano, con cui la tenevo ferma. Se qualcuno scriverà mai una storia sulla mia vita avrebbe scritto di certo questa frase: Se ne andò, con la rabbia nel cuore sapendo che presto o tardi sarebbe diventata dolore.
 
 Quella sera dormii nella stessa stanza di Jenny, nello stesso letto a dire il vero. Sembrava un dura a scuola ma in fondo era una ragazza dolce, gentile ed era anche molto intelligente. Mi rispecchiavo in lei, forse per certe situazioni che ci erano capitate.
“Quando torna tuo padre?” gli chiesi guardando il soffitto decorato da stelle che illuminavano la stanza con la loro luce verdastra.
“Lanny l’ha cacciato, non penso che tornerà” sussurrò con la sua flebile voce.
“Ma non era al lavoro? “ le chiesi spaesata, Lanny mi aveva detto che era in viaggio per lavoro.
“No, Lanny l’ha visto obbligarmi a fare un brutta cosa e ha picchiarmi allora a reagito e dopo una lite la cacciato minacciandolo di chiamare la polizia” Mi spiegò per poi sbadigliare.
“Lanny è veramente fantastico” bisbigliai per poi sentire la sua testa appoggiarsi a me.
 
 
Mi svegliai, dovevo aver sognato visto che avevo le guancie rigate. Doveva essere stato un ricordo sottoforma di sogno. Mi alzai, Jenny dormiva come un bambina cullata dalla sicurezza di aver qualcuno che l’avrebbe protetta a ogni costo. Me ne andai in salotto e mi preparai una tazza di caffè. Amavo il caffè, il suo profumo, il suo sapore.
Una mano mi accarezzò il braccio con un movimento delicato.
“Stai meglio?” mi sussurrò Lanny.
Annuii senza troppa convinzione guardando la moca sul fornello e sentendo le narici scorgere quel profumo che mi faceva venire l’acquolina.
Il mio cellulare squillò, lo presi. In questi giorni il mio cellulare era bombardato in confronto al solito. Risposi con un lieve e poco udibile pronto. Sentivo il suo respiro pesante all’altro capo, sapevo chi fosse senza che parlasse.
“Torna a casa ora” mi disse con voce rauca mentre mi sentivo male al solo pensiero-
“No” risposi con lo stesso tono di prima.
“Devi tornare a casa ora” urlò obbligandomi ad allontanare la testa dal telefono.
“Sei ubriaco” gli feci notare.
“Sarah vieni qui, vieni qui” urlò ancora. Lanny mi rubò il telefono proprio quando il mio labbro cominciò a tremare. I suoi erano occhi freddi, duri e la sua voce li rispecchiava.
“Lei non tornerà da te, sei un mostro. Un mostro della peggiore specie e se proverà anche solo avvicinarsi a lei io la denuncerò”  chiuse la chiamata per poi abbracciarmi. Non so cosa deve aver visto nel mio sguardo ma avevo davvero bisogno di un abbraccio.
“Sono felice che non hai creduto alle mie bugie” sussurrai.
“Sono felice che ti sei fatta aiutare, in due è più facile” mi disse.
“Perché Lanny? Perché lo fai? In fondo hai già tua sorella da proteggere perchè devi complicarti la vita?” gli chiesi cominciando a parlare velocemente.
Lui si staccò un poco da me per guardare il viso.
“Ehi calma baby, se parli così veloce faccio fatica a seguirti”  Mi schernì con il suo solito sorriso.
“Ti aiuto perché anche se non vuoi ammetterlo a te stessa hai bisogno di essere salvata, quando ti ho vista in quel parcheggio ho visto un anima, un anima che stava morendo piano piano e che aveva bisogno di qualcuno che la capisse” mi spiegò per poi legarmi ancora in un altro abbraccio.
“E poi come ti ho detto la prima volta che ti ho parlato, le tue reazione sono le più vere che io abbia mai visto. Ammetto anche di essere stato un tantino curioso, questo si” aggiunse ridendo.
Lanny profumava di menta e vaniglia, era un profumo dolce, un profumo che mi dava sicurezza. Lanny non sapeva tutta la verità, non sapeva come era morta mia madre e non sapeva neanche della pistola che nascondevo ma Lanny era forse l’unico vero amico che io abbia mai avuto, era la persona di cui mi fidavo, era la persona che aveva cercato più funi per legarle insieme e per tirarmi fuori dal pozzo.
 
 
Quel giorno né io né Lanny andammo a scuola. Restammo a casa, a giocare a uno stupido gioco da tavolo e a guardare un film. Avevo bisogno di staccare e lui mi dava la possibilità di farlo. Quel pomeriggio andai dalla mia psicologa. Ero pronta per parlarle di mio padre, per dirle che me ne ero andata da casa. Arrivata allo studio di Mrs Chamberlain mi sdraiai sul lettino.
“Mrs Chamberlain” la salutai con un sorriso che non aveva di certo mai visto sul mio volto.
“Sarah questa sarà una seduta molto speciale” mi disse per poi deglutire. “Abbiamo qua con te i tuoi zii, Maria e Giorgio e tuo padre. “ mi spiegò aspettando una mia reazione.
Mi alzai subito a sedere e li vidi, tutti lì davanti alla porta. Sorridenti. Più che sorrisi quelli erano ghigni.
Zia Maria mi salutò con la mano, aveva i capelli biondi come quelli di zio Giorgio, solo che i suoi erano brizzolati. Lui mi salutò mandandomi un bacio che mi fece tremare. Ricordavo bene quelle settimane passate da loro. Ricordavo le labbra e le mani di mio zio sulla mia pelle mentre mia zia riprendeva e commentava. Ricordavo le visite di mia zia a casa mia, mi ricordava tutto, mi ricordava cosa ero successo ogni volta.
“Li mandi via, li mandi via” gridai quasi piangendo mentre prendevo a testa tra le mani.
“La prego Mrs Chamberlain non mi lasci qui con loro, li cacci “ piagnucolai per poi tirare su con il naso.
Mrs Chamberlain mi guardava a bocca aperta, non mi aveva mai visto così debole.
“Sophie mi ha raccontato tutto Sarah, mi ha detto che avete un rapporto difficile e che tu li cacci sempre via” mi spiegò la psicologa.
“Sophie” sussurrai a denti stretti per poi deglutire. Con un balzo scesi dal lettino e li fissai. No, non potevo resistere. Il mio cuore era più in tempesta del solito, lo sentivo non solo battere veloce ma anche fermarsi a volte per qualche secondo.
Corsi velocemente verso alla porta come se fossi inseguita da qualche predatore. Può esistere un predatore più spietato e pericoloso dei ricordi e del presente? Questi ti prende, vogliono, questi ti troveranno sempre . Puoi scappare se vuoi ma è inutile.
Sentii la mano di mio zio sfiorarmi il corpo in un movimento malizioso ma non mi fermai corsi, corsi più veloce che potevo. Mi avevano teso un imboscata e l’aveva proprio organizzata Sophie.
 
Non so per quanto tempo corsi ma so che arrivai al mare. Era così bello anche se in tempesta. Rispecchiava il mio cuore. Le gocce di pioggia cadevano copiose sui miei capelli, sui miei vestiti. I capelli si appiccicarono al viso e i vestiti al corpo mentre io cercavo un posto dove ripararmi. Dopo pochi minuti trovai un ombrellone, un po’ rovinato certo ma pur sempre un riparo. Avrei potuto andare da Lanny ma volevo restare sola, aveva già fatto troppo per me non volevo dargli altre preoccupazioni.
Il cielo era grigio, non azzurro, non blu grigio. Così il cielo mi andava bene.
Presi l’mp3 e premetti il tasto –riproduzione casuale-  una canzone partii. Era Taylor ma non riuscivo a ricordarmi il titolo. Mi ritrovai a canticchiarla con lievi sussurri.
“Lay my head, under the water, lay my head, under the sea”
Alzai il volto che avevo nascosto tra le gambe. Il mare si apriva davanti a me con onde impetuose. Mi chiamava come una sirena, m’intonava il suo canto. Mi alzai l’mp3 fra le mani. Mi avvicinai all’acqua e la guardai. Era dello stesso colore del cielo. Mi tolsi le scarpe per poi entrare nell’acqua. Era fredda ma mi rassicurava. Mi tolsi le cuffie e lanciai l’mp3 sulla sabbia. Cominciai ad entrare, ero già bagnata e l’impatto con l’acqua non fu forte. Le onde erano alte e il vento continuava a aumentare. Arrivata alle spalle presi un grosso respiro. Ogni passo che avevo fatto mi convinceva ad andare avanti. Forse per il ricordo di quella canzone o forse perché il mio cuore sapeva che quella era la mia fine. Mi buttai sott’acqua e le onde mi accolsero tra le loro forti braccia. Con un movimento incondizionato nuotai verso la superficie e ripresi fiato ma non servì a nulla perché un onda mi trascinò ancora verso il basso. Tutto intorno a me era scuro e io galleggiavo mentre gli ultimi pensieri si spintonavano per essere letti.
Chissà cosa dirà Lanny quando saprà che cosa mi è successo. Avrei voluto scrivergli una lettera dove gli spiegavo tutto, dove gli dicevo quanto gli volevo bene e quanto gli ero grata per aver scacciato gli spettri, che mi perseguitavano, per un po’.
“Lanny perdonami” sussurrarono le mie labbra muovendosi in modo impercettibile e facendo entrare nella mia gola altra acqua. Se avressi potuto avrei raccontato di quei mostri che mi terrorizzavano, li avrei condannati. Mi avevano tolto tutto, la libertà, la gioia, la gioventù, la voglia di vivere.
Non mi restava ancora molto tempo, mi sentivo soffocare. Era doloroso sentirsi spegnere così lentamente.
Mamma ti voglio bene, pensai mentre una lacrima cadeva e si mischiava con il mare come il fumo con l’aria. I capelli mi circondavano.
Ora non avevo più paura dei mostri, in quel momento non avevo paura di loro, non erano capaci di raggiungermi. Era questo allora il grande salto? Sentirsi in pace? Chiusi gli occhi scendendo sempre più giù e spinta da un posto all’altro dalla corrente.
Non riuscivo a deglutire ma sono sicura che l’avrei fatto. Infondo tutti prima di morire hanno qualche ripensamento.
Mi sentivo debole, o almeno la mia anima si sentiva così visto che non riuscivo più a sentire il mio corpo. Era come se non fosse più mio.
Un ultimo pensiero, avrei potuto sprecarlo per auto commiserarmi ma in fondo ne avevo usati tanti per questo.
Lo dedicai a Lanny. Ripensai a quella mattina a come c’eravamo divertiti.
Se mi hanno dato Lanny significa che esisti. Credo in te, Dio.
E questo fu il mio ultimo pensiero prima che fui inghiottita definitivamente dall’acqua. Fu il mio ultimo pensiero prima della fine. 

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