Mi sarà sufficiente che in un angolo del mio mondo ci sia tu

di Griph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***


Sequel
M i   s a r à   s u f f i c i e n t e   c h e   i n   u n   a n g o l o   d e l   m i o   m o n d o   c i   s i a   t u

Capitolo I


- Gin, sai per caso che succede di sopra? -.
Ginevra Weasley si voltò verso Harry Potter con un'espressione più che chiara: non aveva idea di cosa stesse succedendo al piano superiore. Si limitò a guardarlo, senza dargli alcuna risposta.
- Perché non sali e controlli? -.
- Rischierei di beccarmi in faccia il pezzo di una sedia -.
- Magari ha qualche problema. Vai a vedere -. Sbuffando e con una certa esitazione, Ginny si diresse verso le scale, salendo piano piano quel tot di gradini che l'avrebbero portata dinanzi la porta della stanza della sua migliore amica.
Una volta arrivata a destinazione potè sentire il baccano che si sentiva di sotto doppiamente amplificato.
Bussò, sicura che non avrebbe ricevuto alcuna risposta.
Bussò una seconda volta, più forte rispetto a prima.
- Chi è? -. Le arrivò una voce ovattata dall'interno, alla quale si affrettò a rispondere.
- Herm, sono io. Ginny. Posso entrare? -.
Tre, due, uno... la porta davanti a lei si spalancò e, da quella che non sembrava più affatto una stanza, uscì Hermione Granger, studentessa modello, la strega più brillante della sua età e Caposcuola di Grifondoro, socchiudendosi la porta alle spalle.
- Che stai combinando là dentro, Hermione? Sembra che ci sia la Seconda Guerra magica, in camera tua! -.
- Pulizie -.
Ginny la guardò tra l'incredula e il divertita. - Pulizie? -.
- Esatto -. Hermione aveva i capelli arruffati, le guance arrossate, i primi bottoni della camicia sbottonati, la cravatta allentata ed era a piedi scalzi.
Si portò le mani ai fianchi e spostò il peso su un piede, guardandola incuriosita. - E pulisci con la divisa addosso? -.
- Sì, perché? C'è qualche problema? -.
Ginny la guardò dall'alto verso il basso. -No, mi sembra strano che tu faccia pulizie il due di marzo, alle cinque e mezzo del pomeriggio, invece che studiare -.
- Oh, domani non vado a lezione. Per questo non studio -. Lo disse con una tale tranquillità che sembrava non ci fosse nulla di strano in quella frase.
- E non vai nemmeno a lezione! Herm, che ti succede? - le poggiò una mano sulla fronte - hai, per caso, l'influenza? -.
Hermione si scrollò dalla testa la mano della sua migliore amica e la guardò come se tutto andasse splendidamente, come se non ci fosse alcun problema. - No, Gin. Sto benissimo, puoi stare tranquilla -. Le sorrise.
- Allora perché ti comporti in modo così strano? -.
- Come mi sto comportando? -.
- Dici di stare facendo pulizie, ma ci credo poco, non studi e domani ti salti volontariamente le lezioni! Dimmi tu sei non è un comportamento strano! -.
- No, non è un comportamento strano -.
- Lo è per Hermione Granger -.
- Ho una cosa da fare, domani. E' di massima urgenza, non può aspettare -.
Sii convincente,
pensò.
Ginny la guardò di sottecchi. - Farò finta di crederti solo se mi dici cosa stai facendo lì dentro -.
- Te l'ho detto. Pulizie -.
Sii convincente.

***

"Non sai mentire, mia piccola Mezzosangue".
"Questo lo dici tu, Furetto".
"Oh, no. Lo dicono in molti, invece".
"Ah, sì? E chi lo dice?"
"Io, ed è quanto dire".

***

- Facciamo così, quando vorrai dirmelo me lo dirai -. Vedendo che non dermodeva, e sapendo che non l'avrebbe fatto, quella era l'unica cosa che le restava da dire.
- Okay -. Restarono qualche secondo a fissarsi, senza dire niente. Poi Ginny si girò e scese le scale, mentre lei tornò in camera per smontarla una terza volta.
- Cosa ti ha detto? -.
Si sedette a terra, appoggiando la schiena alle gambe di Harry. - Dice che sta facendo pulizie -.
- Ma ci sono gli elfi per quello! -.
Infatti.
- Faglielo capire -.

Non riusciva a trovarla.
Non riusciva a trovarla da nessuna parte.
Non poteva essere sparita nel nulla.
Non poteva averla persa...
Aveva cercato ovunque senza nessun risultato ed era decisamente disperata.
... La sua foto.
Si fermò un secondo a pensare, stremata da tutto quello spostare, alzare, risistemare e spostare di nuovo.
Non si capacitava del fatto di averla persa, anche perché non era uscita da lì dentro, da quella stanza. Era sempre stata appesa a quel muro, non l'aveva mai staccata da quella parete, nemmeno per stringersela al petto, per guardarla più da vicino, per sfiorare quel viso che le sorrideva.
Non aveva mai fatto una cosa del genere, anche se più volte ci aveva pensato, e adesso era sparita.
L'incantesimo di Appello era servito a ben poco, all'interno di quelle quattro mura. Era ovvio che lì non c'era, altrimenti sarebbe stata tra le sue mani già da un bel pezzo, ormai.

***

"Sei sempre così disordinata, Granger!". La guardava divertito dal suo letto sul quale sedeva a gambe incrociate e con il suo immancabile ghigno stampato in volto.
"Io non sono disordinata, Malfoy. Concepisco sempliemente l'ordine in una maniera diversa da come la concepisci tu".
"Sì, ma io non perdo mai niente".
"Perché?", tirò la testa fuori dall'armadio, "ti sembra che abbia perso qualcosa?".
"Direi di sì. Una maglietta che stai cercando disperatamente da più di mezz'ora".
"Hai detto bene, la sto
cercando, ma questo non vuol dire che io l'abbia persa".
"Oh, quindi tu la staresti
cercando da più di mezz'ora in questo ammasso di indumenti che hai garbatamente steso per terra?". Vederla, adesso, buttata sul pavimento che rovistava tra maglie e pantaloni, volati fuori dal mobile che stava ispezionando qualche secondo prima, era molto più divertente che vederla praticamente dentro l'armadio.
"Sorvolo sull'ironia della frase, comunque sì. E' proprio quello che sto facendo".
"Essere ordinati richiede..."
"Guai a te se lo dici, altrimenti giuro che ti crucio seduta stante, Malfoy".
"Perché? Cosa stavo per dire?".
"Che, cito,
«essere ordinati richiede ordine mentale»".
"Hai fatto, a mia insaputa, pratica con la Legilimanzia?". Era decisamente stupito.
"No, Malfoy. Conosco soltanto a memoria le tue illuminanti citazioni filosofiche".
"Hai una penna prendi-appunti, ammettilo".
Fece un suono con la bocca in segno di diniego. "Ritenta".
"Ripeto: hai preso lezioni di Legilimanzia".
Sbuffò, esasperata. "Ho soltanto una buona memoria, Malfoy. Cosa che tu, evidentemente, non hai".
Stettero qualche minuto in silenzio. Lui continuava ad osservarla, lei a rovistare tra le sue cose.
"Diciamo che siamo pari".
"Nel senso?".
Ridacchiò. "Io non sono ordinata e tu non hai memoria", poi alzò gli occhi verso di lui e rispose a quel sorriso meraviglioso che lui le rivolgeva.

***

Adesso avrebbe volontariamente ucciso qualcuno pur di vedere di nuovo quel sorriso... tutto per lei, come una volta.
Le mancava averlo vicino a sé, sentire il suo respiro sul suo viso, la sua bocca sulla sua, le sue mani su di lei. Le mancava la protezione che provava quando l'abbracciava, i brividi che le scorrevano lungo la schiena quando le sussurrava qualcosa all'orecchio.
Anche le sue battute le mancavano, quell'intimità che avevano raggiunto. Le mancava tutto di lui. Poterlo osservare senza preoccuparsi di apparire inopportuna nel caso in cui l'avesse scoperta, poter scherzare con lui, sfiorargli la mano quando si trovavano in una stanza piena di gente sicura che nessuno, in quella confusione, si sarebbe accorto di un gesto così semplice ma estremamente insolito, in quanto si trattava di Hermione Granger e Draco Malfoy.
E adesso era tutto finito. Era svanita quell'intimità, adesso doveva stare attenta a non farsi scoprire quando lo guardava più del necessario, non poteva più sfiorarlo tra la gente, non poteva abbracciarlo e si sentiva persa senza le sue braccia che l'avvolgevano.
Si sentiva vuota.
E in quel momento si sentiva una povera pazza che girovagava per i corridoi in cerca di qualcosa che era sicura non potesse essere lì dove la stava cercando, su quei pavimenti calpestati ogni giorno da centinaia di studenti, ma che, per stupidità forse, o per semplice ingenuità magari, si ritrovava a percorrere sull'orlo della disperazione, setacciando ogni angolo, ogni fessura di quelle pareti.
E ogni angolo svoltato era una nuova delusione.
Ti giuro che questa volta sono stata ordinata, pensò.
- Accio foto -. Niente.
Prevedibile.
Quello che trovò fu solamente tanta polvere e boccette varie che non destavano il suo interesse, al momento.
Dove sei? Dove sei? Dove sei?
Aprì decine di porte, dentro alcune trovò anche qualche professore e dovette scusarsi inventando qualcosa al momento.
Scese di qualche piano ed entrò dentro altre aule.
Poi ne aprì una, una che non era utilizzata da tempo, e raggelò sul posto quando vide chi vi era all'interno.
Era per terra, seduto a gambe incrociate, su un tappeto vecchio e impolverato posto al centro della grande stanza. Il camino alle sue spalle era acceso e le tende, leggermente strappate in basso, erano completamente tirate non facendo penetrare nessun raggio del bel sole che splendeva al di là di quelle finestre. Quei pochi banchi che si trovavano ancora lì dentro erano addossati disordinatamente alle pareti e su uno di quelli era poggiata la sua borsa, affiancata dalla sua bacchetta. Davanti a lui solo un semplice libro, grande, dalla copertina in cuoio, con le pagine gialle e consunte.
Il suo preferito, l'unico che sarebbe riuscito a leggere in una notte soltanto.
Malfoy.
Il calore della stanza la travolse completamente nell'istante in cui spalancò violentemente quella porta e il naso, freddo e rosso per il freddo dei corridoi, provò immediatamente sollievo per quel magnifico calore.
Non aveva sussultato quando era entrata nella stanza sbattendo la porta contro la parete e adesso la guardava impassibile, con il volto sollevato verso di lei, qualche ciuffo che gli ricadeva sugli occhi, una mano ancora poggiata sulla pagina dalla quale aveva alzato lo sguardo per posarlo sul suo viso.
La bocca le divenne secca, la vista le si appannò, sentiva il suo cuore battere all'impazzata, le mani le divennero più fredde di quanto già non fossero, cominciò a sudare e le gambe iniziaro a tremarle.  
Che devo fare?
- Granger -. Un sussurro, la sua voce.
Non aveva la forza di rispondere, ma non aveva nemmeno la forza di schiodarsi da lì e andarsene.
Nel frattempo
lui si alzò e cominciò lentamente ad avvicinarsi.
Lei entrò nel panico.
La sua mano si trovava ancora attorno alla maniglia della porta e aveva cominciato a stringerla talmente tanto forte che le nocche le divennero bianche.
Era l'unica cosa alla quale poteva aggrapparsi in quel momento e ne aveva bisogno, perché senza quel misero appoggio sarebbe caduta per terra, in ginocchio, davanti a lui, e non le sembrava per niente il caso.
- Ti serviva qualcosa? -. Era a qualche passo di distanza da lei. Le sembrava fatto più alto. O forse era solo un'impressione?
- Granger - fece altri due passi verso di lei - ti senti bene? -. Era... preoccupato?
-
No... cioè, sì... non... -
- Sei pallida, dovresti andare in Infermeria -. No, non era un'impressione. Era fatto più alto, e sì, si stava preoccupando per lei.
- No, sto bene. Ora... Adesso devo andare -. Riuscì a uscire da quello stato d'immobilità e a mollare quella maniglia sulla quale era rimasta la sua impronta e che Malfoy si ritrovò ad osservare finché non svanì del tutto.
Come i ricordi fantasma di qualcosa che adesso non c'era più.
Gli diede le spalle e prese a camminare velocemente per sfuggire al suo sguardo, che aveva agognato di avere di nuovo su di lei per tanto, troppo tempo. E adesso fuggiva. Fuggiva da lui, da quegli occhi di ghiaccio, scrutatori.
Poteva cogliere l'occasione, chiedergli come stava e come aveva passato quell'ultimo mese. Avrebbe potuto intavolare una conversazione innocente, senza secondi fini. Così, solo per parlargli, per sentirlo di nuovo parlare, parlare con lei. E invece era scappata.
Qualcuno avrebbe potuto definirla stupidità.
Lei preferiva chiamarlo istinto di autoconservazione, ma era servito a ben poco scappare.
Così come svoltò l'angolo le lacrime che attendevano di uscire dai suoi occhi erano ormai libere e le laceravano il viso, perforandolo, sfigurandolo così come avrebbe fatto dell'acido a contatto con la sua pelle.
Tirò un pugno alla parete dietro di lei e non poteva fare cosa più sbagliata. Quella non era il suo letto, che picchiava ogni qualvolta sentiva il bisogno di sfogarsi contro qualcosa, ma della dura pietra che adesso le aveva distrutto le nocche.
Si lasciò cadere lungo quello stesso muro, con la mano che pulsava e qualche graffio insanguinato, e appoggiò la testa alle ginocchia che aveva tirato su.
Adesso doveva realmente andare in Infermeria.
Doveva fare più attenzione a dove andava, a quali porte apriva.
Non aveva pensato che quello era il loro piano, che quella era la stanza, la loro stanza. E non aveva fatto caso che lui era proprio lì dentro, quando sarebbe potuto andare in qualsiasi altra aula, sino a quel momento.

***

- Fai l'amore con me -. Tra un gemito e l'altro riuscì a dire quelle poche parole.
Tra un bacio e l'altro riuscì a pronunciare quel piccolo pensiero.
Tra le tante scosse di piacere riuscì ad articolare una frase di senso compiuto, senza tentennamenti, con voce sicura.
Quattro parole, un significato, una preghiera nascosta.

Il ragazzo riemerse dal collo di Hermione, gli occhi annebbiati dalla lussuria, dal desiderio.
I capelli gli ricadevano sugli occhi e questi tardarono a fissarsi in quelli della Grifonforo.
Nelle iridi della ragazza si celava una richiesta che sperava venisse accettata, ci sperava davvero tanto.
Piccoli, leggeri baci le posò sulle guance. Una scia di fuoco le tracciò fino all'orecchio. - Tu... vuoi? -. Con voce rauca, incredula, le chiese se veramente lo volesse. - Sei sicura? -. Hermione si ritrovò ad annuire.
- Qui? -.
Annuì un'altra volta.
Bastò uno sguardo e, dopo quella concessione, iniziarono una danza dettata solo dal piacere, dal bisogno di completarsi a vicenda, che andava a ritmo dei loro baci e dei loro ansiti, per poi concludersi con un amplesso che non lasciò spazio alle parole.
Solo a un profondo scrutarsi e a delle frasi silenziose.

***

- Fai di nuovo l'amore con me -.

E lui la sentì.










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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


II capitolo
M i   s a r à   s u f f i c i e n t e   c h e   i n   u n   a n g o l o   d e l   m i o   m o n d o   c i   s i a   t u


Capitolo II

Si svegliò di soprassalto, ancora reduce da quel sogno che l'aveva scossa talmente tanto da svegliarla.
Era così reale che le sembrava di trovarsi realmente lì, mentre era tutto soltanto frutto della sua mente.
Guardò l'orologio. Le cinque del mattino.
Maledizione. Cosa faccio, adesso?
Prese la bacchetta dal comodino e la portò all'interno delle tende completamente tirate del letto a baldacchino.
- Lumos -. La luce accecante che apparì dalla punta della bacchetta le causò un leggero dolore agli occhi e ci mise qualche secondo prima di abituarsi. Quando si rese conto di riuscirli a tenere aperti senza alcun tipo di problema, scostò una tenda e uscì il braccio per illuminare la stanza. Fuori era ancora buio e nella sua stanza, così come in tutto il Dormitorio, regnava il più assoluto silenzio.
E' normale. Non sono tutti così stupidi d'alzarsi alle cinque del mattino come me.
Nonostante la pozione che Madama Chips le aveva dato, la mano le faceva ancora male e la contusione non sarebbe passata prima di dodici ore, almeno. Pulsava ancora sotto la fasciatura, ma non pensarci forse sarebbe stato meglio.
Rimanere a letto era completamente inutile. Provare a riaddormentarsi l'avrebbe soltanto innervosita, non ci sarebbe riuscita e sarebbe finita lo stesso per alzarsi. Quindi, perché non farlo ora?
Mise i piedi a terra e un brivido di freddo la percorse tutta, però non ci fece caso e scese dal letto dirigendosi verso l'armadio, dal quale tirò fuori una felpa e un jeans. Niente di più pratico, niente di più comodo.
Una volta indossati, si diresse verso la porta e scese in Sala Comune, che, com'era normale che fosse a quell'ora, era vuota.
Si sedette nella poltrona preferita di Harry, quella vicino al camino, che era perennemente acceso. Non aveva portato nessun libro con sé e, nel caso in cui non avesse preferito parlare da sola con i soprammobili, ne sarebbe dovuta andare a prendere uno. Quindi si alzò, ma non appena arrivò alle scale si fermò. Più che leggere, avrebbe preferito camminare.
Uscì dal ritratto, ma fu costretta a fermarsi non appena oltrepassò la soglia di quest'ultimo.
Che ci fai tu qui?
Lo guardò lì a terra, con il volto che poggiava su una spalla, la bocca leggermente aperta, le gambe incrociate.
Perché Malfoy dormiva davanti la sua Sala Comune?
Che faccio, ora?
- Malfoy -. Provò a chiamarlo, anche se non era sicura che con quel piccolo sussurro si sarebbe svegliato. Aveva il sonno dannatamente profondo, quel ragazzo. - Malfoy -. Provò alzando di qualche tono la voce, ma non ottenne nessun risultato.
Gli si avvicinò e si abbassò alla sua altezza. Le sembrava un peccato svegliarlo. Avrebbe potuto sedersi lì, accanto a lui, e guardarlo dormire finché non si fosse svegliato, come aveva fatto tante volte... ma quella, se ne rendeva conto, non era una di quelle volte. Gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla e lo scosse leggermente. - Malfoy. Malfoy, svegliati -. Lentamente aprì gli occhi e s'inumidì le labbra. Una volta resosi conto di dove si trovasse, e che non era solo, si voltò verso Hermione.
- Granger -.
- Che ci fai qui a quest'ora della notte, Malfoy? -.
- Cazzo... -. Si portò una mano al volto, chiudendo gli occhi. - Che ore sono? -.
- Le cinque -. Lo osservò, non sapendo bene se sarebbe dovuta andar via oppure restare lì e capire perché dormiva davanti il ritratto della sua Casa. Lo vide alzarsi e seguì con lo sguardo ogni suo movimento misurato, elegante, nonostante si fosse appena svegliato dopo aver dormito per chissà quanto tempo su un pavimento di pietra duro e freddo.
Rimase fermo ad osservarla. Quei suoi occhi addosso la stavano mettendo un po' a disagio.
- Da quanto sei qui, Malfoy? -. 
- Da un po' -. Aveva la voce impastata dal sonno.
- Da un po' tipo...? -.
- Che hai fatto alla mano? -. Tipico di Malfoy. Cambiare argomento per non rispondere alle domande.
Ma lei non avrebbe ceduto. - Tu rispondi alla mia domanda che io rispondo alla tua -.
Qualche secondo di silenzio, durante il quale si appoggiò, poco distante da lei, con una spalla al muro, incrociando le braccia al petto, poi... - Qualche ora -. Lei annuì. - Ora rispondimi -.
Lo guardò senza sapere se avrebbe dovuto dirgli la verità oppure una bugia.
Optò per la seconda.
- Mi è caduto un libro sulla mano. Un libro... pesante -.
Notò un piccolo sorriso che piano piano si stava facendo strada tra le sue labbra. - Quante volte ti devo dire che non sai mentire, Mezzosangue? -.
Sentirsi chiamare in quel modo la spiazzò e non poco. Non sentiva quel soprannome da... non si ricordava più da quando.
Lui non la chiamava così da tempo, ormai. 
Accasò il colpo e si rese conto che ogni volta che provava a dirgli una bugia era fondamentalmente inutile.
Nel frattempo il sorriso sul suo volto sparì e, per la gioia di Hermione, parlò di nuovo... - Quindi? Che hai combinato? -... Anche se avesse preferito che le rivolgesse una domanda diversa.
O glielo dico di mia spontanea volontà o me lo tira fuori con la forza.
- Ho tirato un pugno contro il muro -.
Malfoy annuì ed Hermione sperò con tutto il cuore che non fosse tanto perspicace da capire che il motivo per cui l'aveva fatto era proprio lui.
- Capisco -. Non aggiunse altro.
Forse perché sapeva.
Le sembrò decisamente insolita quella situazione. Stavano parlando, nel cuore della notte, come se fossero due amici che non si vedevano da parecchio tempo. Stavano parlando come se tra loro non fosse successo niente, o almeno niente d'insolito.
Lei gli stava parlando come se tutto fosse normale, quando non era riuscita quasi a proferire parola quello stesso pomeriggio.
- Adesso puoi rispondere alla mia altra domanda -.
La guardò confuso. - A quale domanda ti riferisci? -.
- Alla prima che ti ho rivolto. Perché eri qui? -.
- Volevo vedere come stavi -. Schietto, come sempre.
Perché doveva essere sempre così sincero? Lui sapeva mentire benissimo. Perché, allora, non le diceva una bugia, di tanto in tanto? Una menzogna non l'avrebbe fatta riflettere tanto quanto una verità.
- Addormentandoti sul pavimento? -.
- Aspettavo che uscissi -. Quella volta fu il suo turno di guardarlo con un'espressione strana stampata sul viso.
Aspettava me?
- Volevo vedere come stavi e a quanto pare ci sei andata, in Infermeria, anche se per un altro motivo -. Indicò la sua mano fasciata con un dito.
- Già, una stupidaggine -.
Continuava a fissarla, imperterrito, e si sentiva talmente a disagio in quel silenzio che era sceso all'improvviso.
Aveva una voglia incredibile di allungare una mano e accarezzargli il volto, ma non si sarebbe sognata mai e poi mai di fare una cosa del genere e utilizzò tutta la forza che aveva in corpo per tenere le mani al loro posto.
Alzò gli occhi su di lui, senza sapere cosa dire.
Perché non parlava? Lui aveva sempre qualcosa da dire. Perché adesso se ne stava in silenzio?
Dì qualcosa, ti prego.
Avrebbe voluto urlarlo ma, purtroppo, non poteva farlo.
Poi fece un passo verso di lei e quello bastò per smuoverla.
- Devo rientrare, adesso -. Indietreggiò quanto bastava per non commettere azioni stupide.
- Non è necessario che rientri così presto -. Lui, nonostante tutto, continuava ad avanzare.
- Invece, sì, devo -. Si voltò e percorse quei pochi passi che la separavano dall'entrata.
Porprio mentre stava aprendo il ritratto sentì un'improvviso calore alla schiena.
Chiuse gli occhi e lottò contro se stessa per non girarsi e stringerlo a sé. - Malfoy... -.
- Resta ancora un po', Granger -.
Quelle poche parole sussurrate nel suo orecchio, quel brivido che le percorse la schiena in tutta la sua lunghezza, il suo respiro sul collo, le sue mani che cercavano quelle di lei.    
"Resta con me". Le stava chiedendo questo?
Poteva sentire il suo profumo fresco, fresco come quello del muschio subito dopo un temporale.
Inebriante.
- Non posso... -. Anche i suoi erano sussurri.
Poggiò la sua fronte sulla sua testa e da quel semplice gesto le parve così indifeso... ma non poteva cedere.
- Sì che puoi -.
Non gli negò nessun movimento e lasciò che le dita di lui s'intrecciassero con le sue.
- No, invece, Malfoy -.
- Perché? -.
Quelle dita carezzevoli che vagavano sulle sue mani erano così delicate che vi si sarebbe abbandonata anche subito.
- Perché ho paura -.
Non si era mosso, niente era cambiato, le sue mani continuavano ad accarezzarla, lui era ancora appoggiato su di lei, il ritmo del suo respiro non era cambiato, ma era sicura che dentro di lui si stava scatenando una tempesta di emozioni.
Rimpianto, rabbia, tristezza, frustrazione... 
- Di me? -.
... Paura...
- Che tu possa abbandonarmi di nuovo -.
... Paura che non l'avrebbe mai più perdonato.
Quella volta non ottenne risposta ed era realmente arrivato il momento di andare via da lì.
Si allontanò da lui. Lentamente, ma lo fece.
Si liberò dalla sua stretta con una dolcezza inaudita. Nessun gesto brusco o veloce.
Niente che potesse turbarlo più di quanto già non fosse.
- Buonanotte, Malfoy -.
Non aspettò neanche una sua risposta.
Pronunciò di nuovo la parola d'ordine e sparì dietro il ritratto.
- Buonanotte, Mezzosangue -.

La sua voglia di fare una passeggiata in piena notte, per i corridoi del castello, era sparita magicamente.
La prima cosa che fece quando tornò in camera fu aprire la finestra. Aveva bisogno d'aria. All'improvviso si sentiva come se tutto l'ossigeno del mondo fosse scomparso.
Si sedette sul letto ed era come se fosse entrata sistematicamente in uno stato di catelessi. Il freddo che entrava dalla finestra non la scomponeva minimamente, anzi le faceva piacere; il rumore della pioggia, che era cominciata nel frattempo a cadere, non la disturbava; il rombo dei tuoi non la facevano spaventare come al solito; la luce dei lampi che illuminavano la stanza non le recavano alcun fastidio.
Cos'è successo prima?
Già, cos'era successo? Non sapeva spiegarselo. Aveva avuto una conversazione con lui, una conversazione lunga o, quanto meno, relativamente lunga.
Quelle mani... quanto le mancavano. Si era dimenticata cosa significasse avere le sue dita intrecciate con le sue, averlo così vicino. Anche se per poco, quel vuoto che sentiva da giorni era sparito, in quei brevi istanti non ce n'era stata traccia. E adesso, invece, era tornato, puntuale come un orologio svizzero.
L'avrebbe voluto lì, accanto a lei, nel letto, che dormiva. In quel modo avrebbe potuto osservarlo quanto voleva, avrebbe potuto accarezzare quel viso tranquillo finché non si sarebbe stancata. Avrebbe osservato il suo petto alzarsi e abbassarsi tranquillamente durante quelle innocenti ore di sonno, i suoi capelli su quella fronte che tante volte aveva spostato per guardare meglio i suoi occhi.
Oh, quegli occhi! Si sarebbe volentieri persa, in quelle iridi grige.
Appoggiò la testa al cuscino e guardò il vuoto accanto a sé, tentando d'immaginarselo di fianco a lei, con un braccia dietro la sua schiena e uno sul suo ventre e con la bocca, - oh, magnifica bocca -, leggermente schiusa.
E con quella gradevole visione si addormentò.

Un rumore estremamente fastidioso veniva dalla fine della stanza, un rumore di nocche battute contro il legno, contro la sua porta di legno.
- Herm! Stai ancora dormendo? -.
Ginny. Qualche volta l'avrebbe strozzata.
Aprì gli occhi e puntò gli occhi sull'anta della finestra che per tutto il resto della notte era rimasta aperta. Nonostante si gelasse in quella stanza, preferì andare, prima di tutto, ad aprire la porta alla sua migliore amica, perché, se non l'avesse fatto, da un momento all'altro l'avrebbe buttata giù a furia di bussare.
- Arrivo, arrivo -. Fece scattare la serratura e finalmente le aprì.
- Alleluia! Ma dov'eri? -. Senza bisogno che venisse invitata, Ginny entrò nella stanza e si fiondò sul letto disfatto. - Dio, si gela qui dentro -. Poi lanciò uno sguardo al letto sul quale si era appena seduta. - Non dirmi che dormivi -.
Hermione chiuse porta e finestra e si girò verso di lei. - Esattamente -.
- Tu non stai bene, è ufficiale -. Incrociò le gambe, incurante del fatto che aveva indosso le scarpe e che lì sopra Hermione ci dormiva.
- Perché ho dormito un po' di più? Devo ricordarti che io vivo per dormire? -. Si diresse verso la scrivania e tirò fuori la sedia, sulla quale si accomodò.
- E' mercoledì, mia piccola Hermione, e tu, il mercoledì, a quest'ora, solitamente sei a Erbologia -.
- Te l'avevo detto, ieri. Oggi le avrei saltate perché avevo una cosa urgente da fare -.
- Sì, ma non mi sembra che ti stia precipitando a farla. Sono le dieci del mattino e sei ancora qui dentro a poltrire sul tuo letto -.
- Veramente tu sei sul mio letto. Io sono su una sedia -.
- Sono dettagli irrilevanti, questi. E' il significato che conta -.
- Tu perché non sei a lezione? -.
- Vitious malato equivale a un'ora di buco. Niente di più bello -. Poi si voltò verso la finestra e la sua espressione, da entusiasta, si tramutò a sconsolata. - Qualora ci fosse un tempo decente, naturale -.
Hemione si alzò dalla sedia e si avvicinò alla finestra, sedendosi sul davanzale. Adorava dormire tanto quanto adorava osservare la pioggia e, mentre Ginny parlava di qualcosa che al momento non le interessava, lei si perse nell'osservare le decine di goccioline che sbattevano sul vetro e che lì restavano, unendosi tra di loro e scivolando giù. Poi guardò oltre quel vetro e vide quella fitta pioggia scendeva da dei neri nuvoloni e che se sbatteva sul viso ti procurava un leggero pizzicorio che, per quanto le riguardava, non le dava tanto fastidio come invece succedeva a molta gente.

***

- Vieni a letto, Mezzosangue. Si gela fuori dalle coperte -.
- Due minuti e arrivo, promesso -. Si voltò a guardarlo e sorrise a un Draco Malfoy completamente sotterratto sotto il piumone dell'enorme letto a baldacchino della Stanza delle Necessità.
- Ti piace così tanto? -. Aveva sentito il fruscio delle coperte che venivano spostate e di un paio di boxer che venivano tirati su. Poi, un paio di braccia, da dietro, le circondarono le spalle e potè sentire la fredda pelle del ragazzo dietro di lei attraverso il leggero tessuto della camicia che indossava e che apparteneva proprio a quest'ultimo.
Aprì leggermente la finestra, lasciando un piccolo spiraglio aperto.
- Chiudi gli occhi e ascolta -.
- Cosa? -.
- Fallo, su -.
Malfoy chiuse gli occhi come le aveva detto e restò in ascolto. - E adesso? -.
- Shh, ascolta -.
Nessuno dei due parlò per qualche secondo.
- Mezzosangue? -.
Quel sussurro la fece sorridere. - Ti aiuta a pensare, ti rilassa quando ne hai bisogno. Basta che chiudi gli occhi e il gioco è fatto -. Lui nel frattempo gli occhi li aveva riaperti e la stava osservando. Aveva gli occhi chiusi, la testa leggermente piegata verso destra e un mezzo sorriso sulle labbra. Lei, intanto, continuò a parlare. - Ascolti quest'acqua che sbatte contro il suolo, contro il vetro, contro l'acqua stessa delle pozzanghere, e riesce a fermarti senza che tu riesca a opporti. Ti coinvolge completamente -. Gli piaceva osservarla quando parlava di quello che le piaceva. Era completamente assorta come quando parlava dei libri e cercava di spiegargli il motivo per cui riusciva a leggere per ore e ore senza riuscire a fermarsi. A lui piaceva leggere, ma lei era di un altro mondo. Per lei, i libri, erano la sua Bibbia, ognuno importante a suo modo, ognuno assolutamente intoccabile.
Era bellissima quando voleva renderlo partecipe delle sue passioni.
Era bellissima, in quel momento.
- Adesso hai capito perché mi piace così tanto? -. Aveva aperto gli occhi, mostrandogli le sue iridi color miele, dolci e profonde, che ti tentavano proprio come quel dolce lussurioso.
- Oh, sì. Ho capito perfettamente -.
- Davvero? -. Sorrise, radiosa.
- Puoi scommetteci -. Le sorrise di rimando.
Aveva davvero capito.
Aveva capito che lei era bellissima e che lui, senza di lei, era soltanto un corpo vuoto senz'anima e che questa la stava tenendo proprio tra le sue braccia.
La sua ancora di salvezza in un mare sconosciuto.

***

Ginny la riscosse dai suoi pensieri. - Ehi, Herm, mi stai ascoltando? -.
Si voltò a guardarla. - Come? -.
- Mi stai ascoltando? -.
- Oh, assolutamente -. Provò a sorrdierle, ma probabilmente quello che era venuto fuori era più simile a una smorfia che a un sorriso.
Lei parve lasciar perdere e le si avvicinò.
- E' passato un mese, lo capisci, vero? -.
La sua espressione cambiò di colpo e, per non guardarla negli occhi, si rivolse di nuovo verso la finestra. - Sì, lo so -. Non riuscì a capire se quell'affermazione era in risposta alla domanda di Ginny o era più rivolta a se stessa.
Ginny era l'unica che sapeva di quella cosa insieme a Blaise Zabini.
Lei e Draco ne avevano parlato, una sera. Entrambi i loro migliori amici li conoscevano fin troppo bene per non riuscire a capire che c'era qualcosa sotto i loro strani comportamenti e, nel caso in cui lo avessero scoperto, cosa che sarebbe successa, non se la sentivano di mentirgli. Quindi glielo dissero, raccomandandogli di tenere la bocca chiusa.
Erano persone affidabili, loro due, e sapevano che potevano contare su di loro. Come sempre, del resto.
- Ti manca? -.
Si limitò ad annuire. Se avesse parlato non sapeva cosa sarebbe successo.
Una cosa che adorava? I momenti come quelli, quando era tra le braccia della sua migliore amica che la consolava. Quale Dio doveva ringraziare per averle mandato un angelo del genere?
Una lacrima le scese lungo la guancia e si affrettò ad asciugarla prima che Ginny la vedesse. Non stava poi così male, c'erano stati momenti che era stata peggio, e non voleva che si preoccupasse inutilmente.
Quando si staccarono, Ginny lanciò un urlo che la fece saltare letteralmente sul posto.
- Sono le dieci meno un quarto! Devo sbrigarmi! -.
- Che lezione hai? -.
- Divinazione, ed è dall'altro lato del castello! -. Le diede un bacio veloce e le scompigliò i riccioli ribelli. - Devo scappare, Herm! - si fermò davanti la porta e si girò a guardarla, con un dolce sorriso stampato in volto - mi raccomando, non pensarci. Non farmi stare in pensiero! - e uscì di corsa dalla stanza.
Si guardò intorno e tirò un profondo respiro. Era rimasta sola, di nuovo.
Si alzò da lì e si diresse verso lo scrittoio per rimettere a posto la sedia, quando notò qualcosa sul ripiano.
Era una busta.
Se la rigirò tra le mani, non c'era scritto niente né davanti né dietro. Così l'aprì.
Impossibile! Impossibile...
Non era possibile, non poteva crederci.
Dentro quella busta c'era... c'era...
... La mia foto.
E quando era potuta arrivare? Nessuno era entrato lì dentro, non almeno nelle ultime... cinque, sei ore.
Nessuno che...
Aspetta. La finestra!
Un gufo, magari? Era l'unica spiegazione.
Ma chi poteva essere stato?
La guardò attentamente, cercando qualche segno, qualcosa che potesse suggerirle la verità.
Era pulita.
Era rimasta intoccata.
Il cuore le batteva freneticamente. Non sapeva perché. Forse perché l'aveva ritrovata, forse perché voleva sapere chi l'aveva presa, forse perché non sopportava il fatto che qualcuno l'avesse potuta vedere.
Aveva bisogno di camminare e quella volta doveva stare attenta a non incontrare nessuno.
S'infilò la foto in tasca e, con gli abiti di quella notte, oltrepassò di nuovo il buco del ritratto, come qualche ora prima.
Si assicurò che i corridoi fossero vuoti e uscì fuori dal grande portone d'ingresso.
Il freddo pungente d'inzio marzo la colpì in pieno viso, ma non se ne curò. Prese a camminare sotto i portici che circondavano il cortile davanti l'entrata e nell'ultimo si fermò, appoggiandosi con i gomiti al muretto che univa le due colonne.
Si guardò le mani nel mentre che tentava di capire qualcosa in tutta quella strana situazione. Era sicura che quando si era svegliata, alle cinque di quella mattina, non c'era niente sulla scrivania. L'avrebbe notata, sicuramente.
Si rese conto che la mano non le faceva più male e ne dedusse che ormai era tutto a posto. Slegò, quindi, la fasciatura e, una volta che l'ebbe completamente tolta, allungò la mano fuori dal portico e con la bacchetta la fece evanscere. Quando la rientrò era leggermente bagnata e un'idea folle le balenò in testa.
Si sarebbe presa un malanno, ma questo le importava poco, al momento.
Scavalcò il muretto e subito la pioggia le cominciò a bagnare i capelli, la felpa, il viso. Tutto.
Si mise al centro del cortile, alzò il volto verso il cielo, chiuse gli occhi e aprì le braccia.
Era una sensazione fantastica e voleva farlo sin da bambina.
Un sorriso si fece strada tra le sue labbra e non poté fermarlo. La sensazione era troppo forte, per quanto poteva sembrare un'azione stupida e priva di senso, ma non la stava facendo pensare a niente e in quel momento era proprio quello che ci voleva.
Ci fu il rombo di un tuono, seguito da un piccolo fulmine in lontananza.
La natura si stava scatenando al di sopra della sua testa ed era una sensazione terribilmente appagante.
Ma quell'attimo di spensieratezza non durò a lungo, perché i suoi problemi, ovunque andasse, erano sempre pronti a seguirla.
- Che stai facendo? -. La voce dietro di lei dovette gridare per farsi sentire, perché il rumore della pioggia, insieme ai tuoni, non permettevano di utilizzare un tono di voce normale.
Presa alla sprovvista si voltò di scatto e il sorriso che prima albergava sul suo viso scomparve.
Non era protetto da nessun incantesimo e la pioggia stava bagnando anche lui.
Le si avvicinò e si fermò proprio a un passo da lei. - Che stai facendo, Granger? - le ripeté.
- N-niente -.
- Allora perché sei qui fuori? Devi rientrare o ti ammalerai! -. Le si accostò e le mise una mano dietro la schiena, spingendola verso una zona riparata. Ma lei si oppose.
- No, Malfoy. Voglio rimanere qui -. Si allontanò da quella mano.
Lo guardò e notò che anche lui portava gli abiti di quella notte. 
Quante cose non capiva, quante risposte che voleva.
- Sotto la pioggia? Sei fuori di testa? -. Provò di nuovo ad avvicinarsi, ma questa volta lei fu più veloce e si spostò prima che riuscsse ad afferrarla.
Una rabbia improvvisa l'assalì. Non capiva perché lui fosse lì con lei, perché l'avesse seguita, nonostante si fosse assicurata di non essere vista da nessuno, perché le stesse dicendo quelle cose, perché si comportava in quel modo dopo un mese di silenzio, di completa assenza. - Perché fai così, Malfoy? -. Gli si avvicinò giusto un po'. - Perché? -.
Di colpo lui si fermò. - Come mi comporto, Granger? -.
- Come se te ne importasse ancora qualcosa. Dici che ti preoccupi per me, ma perché adesso? Perché proprio ora? -.
Lui non le rispose.
Si portò indietro i capelli bagnati ricaduti sugli occhi e guardò oltre di lei. Uno sguardo triste, malinconico, alla ricerca di qualcosa che ormai non si trovava più tra le sue mani, alla ricerca della sua anima.
Cosa poteva dirle? La verità? Quella poteva aspettare un altro po', non era ancora arrivato il momento.
Il suo silenzio la spazientì e la rabbia aumentò. Gli poggiò i palmi sul petto e lo spinse, facendolo indietreggiare leggermente, urlandogli contro. - Rispondimi, Malfoy! Perché ora, dannazione? Rispondi! -.
Malfoy le prese i polsi e li allontanò dal suo petto per evitare che continuasse ancora a colpirlo. - Lasciami -, provò a lottare contro quella leggera stretta, ma non ottenne un gran risultato. Nonostante tutto continuò, finché finalmente lui reagì e la trascinò sotto il portico, al riparo, e la spinse contro il muro bloccandole ogni via d'uscita allungando le braccia ai lati del suo corpo e appoggiando le mani al muro.
Finalmente la guardò negli occhi, ma solo per poco. Dopo abbassò la testa, mostrandole solo i suoi capelli scuriti dalla pioggia.
Vederlo così vulnerabile la spiazzò. Era abituata al Draco Malfoy forte, imperturbabile, che non mostrava la parte debole di sé. Aveva imparato a interpretare i suoi silenzi, quello che c'era scritto nei suoi occhi. Aveva imparato a leggerlo, sotto quel punto di vista, a capirlo.
Non era abituata, invece, a vederlo in quel modo.
All'improvviso tutta la rabbia che aveva provato prima sparì, lasciando il posto a una voglia sfrenata di consolarlo, di farsi dire cosa c'era che non andava.
La rabbia non c'era più, ma lei voleva ancora delle risposte.
- Malfoy -. Del tono di voce alto, della ferocia con cui gli aveva parlato non era rimasto più niente, solo un piccolo bisbiglio.
- Ti ho seguita, l'altra giorno -. Continuava a tenere la testa bassa e lei non poteva vedere il suo volto, i suoi occhi. Se fosse riuscita a perdersi dentro di questi, forse sarebbe riuscita a trovare le risposte che cercava. Forse ci sarebbe riuscita come ci riusciva tempo fa.
Non osò proferire parola. Primo, perché voleva vedere cosa aveva da dirle, secondo, sapeva quanto gli veniva difficile parlare di deternimate cose.
- Mi sembravi troppo... sconvolta -. Finalmente alzò la testa, guardandola. - E in un certo senso sapevo perché lo fossi -.
E in un certo senso sapevo perché lo fossi, e in un certo senso sapevo perché lo fossi. Continuò a ripetersi a mente quella frase non riuscendo a capirne il senso.
Che fosse sconvolta probabilmente era vero, ma lo era solo per un motivo e lui come faceva a saperlo?
Come poteva sapere della... della... della foto?!
Infilò una mano nella tasca dei pantaloni e tirò fuori quell'immagine quasi completamente zuppa d'acqua. La guardò e la girò. Adesso, nel retro, c'era un'iniziale, in basso a destra. Un'iniziale che prima non c'era. Era una semplice "D", tracciata da una mano tranquilla, da una persona dalla calligrafia estremamente ordinata. E lei sapeva di chi fosse, lo sapeva. La conosceva bene.
Alzò gli occhi su di lui, che adesso sembrava più svuotato.
- Tu -.
Annuì.
- Ma come... -.
La interruppe. O glielo diceva adesso o non gliel'avrebbe mai più detto. Si era sbagliato, prima.
Il momento era arrivato.
- Lo sapevo quanto ci tenevi e... non lo so perché l'ho fatto, però sapevo che appena te ne saresti accorta saresti entrata nel panico -.  
Sì, sono entrata nel panico, pensò.
Si staccò dalla parete, ma rimase davanti a lei, lì, vicino. - Ti ho vista entrare in quella stanza e tutto è andato in pezzi. Tutto -.
Cosa? Cosa era andato in pezzi? - Co... -.
Prese un lungo respiro. - Tutto quello che mi ero prefissato di ricominciare a ignorare, tutto quello che mi ero gettato alle spalle, tutto quanto -.
- Quindi, me? -. Quelle parole la colpirono.
Annuì, di nuovo. - Sì, te -.
- E allora perché mi hai seguita? -.
Ritornò alla posizione precedente e il suo profumo la invase. - Perché ormai non me ne importava più niente. I miei sforzi non erano serviti a nulla. Tu eri sempre presente. Più cercavo di dimenticare, di dimenticare tutto, più tu tornavi, mi seguivi ovunque. E' stato come un segno, quello -.
- E adesso perché sei qui? -.
- Per lo stesso motivo -.
- Sarebbe? -.
La guardò dritta negli occhi. - Per questo -. In un secondo, il tempo di un battito di ciglia, e si ritrovò le labbra di Malfoy sulle sue. Calde, morbide come le ricordava. In un primo momento non sapeva cosa fare, l'aveva colta alla sprovvista, non se l'aspettava. Ma fu un attimo. Infilò di fretta e furia la foto nella tasca della felpa e rispose al bacio, circondandogli il collo con le braccia.
Le mani di Malfoy volarono sulla sua schiena e la prima cosa che fece fu stringersela al petto.
- Dillo -. Quando si staccarono per riprendere fiato quella fu la prima cosa che le disse, ancora con gli occhi chiusi.
- Cosa, Malfoy? -.
- Dillo, Granger. Per me -.
Inizialmente non comprese a cosa si riferisse. Poi capì.
Fece scivolare una mano sul suo viso e finalmente poté accarezzarlo. - Già lo sai, Malfoy -.
- Voglio sentirtelo dire -.
Lo fece aspettare qualche secondo, poi lo accontentò. - Fai l'amore con me -.
Fu lì che aprì gli occhi. - Devi dirlo come quella volta, Mezzosangue -.
Un brivido le percorse la schiena, e non per il freddo, e subito dopo parlò, senza esitare. Tutto pur di riaverlo con sé. - Fallo, Malfoy. Fai di nuovo l'amore con me -.
Le sorrise.
Adesso si sentiva a casa.
Entrambi lo erano.







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Capitolo 3
*** Capitolo III ***


III capitolo
M i   s a r à   s u f f i c i e n t e   c h e   i n   u n   a n g o l o   d e l   m i o   m o n d o   c i   s i a   t u

Capitolo III


Mani tremanti per l'emozione percorrevano il suo corpo per intero, senza tralasciare alcun lembo di pelle. Nessuno sarebbe scampato alle sue mani vellutate, dolci, leggere, fredde ed esitanti. Ma non erano solo le sue mani a tremare. Il corpo di Hermione Granger tremava come una foglia troppo esposta al vento, ma non poteva farci niente. Era tutta colpa di quelle mani che non le permettavano d'imboccare una via di fuga, ma non era quella che lei stava cercando. Era lui, piuttosto, quello che cercava da troppo tempo e finalmente l'aveva ritrovato. Era lì, sopra di lei, che la baciava, l'accarezzava, la stringeva, la bramava.
Le depositava baci dolci e carichi di passione lungo il collo, sulle spalle, sui seni, sulla schiena, sul suo ventre. Lasciava scie roventi che ripercorreva voglioso.
E lei intanto gemeva. Oh, come gemeva.
- Quanto mi sei mancata, Mezzosangue -.
Ed era musica per le sue orecchie, quella.
Come aveva fatto a sopravvivere senza quel corpo, quegli occhi, quelle labbra, quel profumo?
Era rimasto in astinenza troppo a lungo, un'astinenza lunga e dolorosa alla quale, però, stava ponendo rimedio.
Le strinse i seni, ormai nudi e privi di qualsiasi vincolo, tra le mani.
- Draco... -. L'aveva sempre fatto e sapeva che gli piaceva, che lo faceva impazzire. Quei sussurri pronunciati a qualche millimetro dal suo orecchio avevano la capacità di fargli perdere il controllo, ignorando, invece, la forza che stava utilizzando per mantenerlo a tutti i costi, per far durare quel momento un'eternità.
Lei sapeva anche che amava quando lo chiamava per nome. Lo diceva con talmente tanta dolcezza da farlo sempre sorridere, perché non credeva che una parola, apparentemente così inutile e comune, potesse essere tanto bella come quando lo era pronunciata dalle sue labbra.
Spostò una mano sulla sua coscia e la risalì finché non arrivò al suo interno, dove cominciò ad accarezzarla sopra l'intimo che ancora portava... anche se per poco.
Hermione gli cinse il collo con le braccia, aggrappandosi a quel corpo forte che la stava facendo impazzire. Glielo baciò, glielo morse fino a lasciare dei segni rossi sulla sua pelle diafana.
Lui sulle sue labbra, lui sul suo seno, lui lì, sempre più giù.
- Gemi, Granger. Gemi per me -. E lei lo fece, senza vergogna, senza riluttanza.
E poi dovette sforzarzi di non svenire, di non perdere i sensi proprio in quel momento, quando, dopo così tanto tempo, l'aveva di nuovo dentro di lei.
Rimase fermo qualche secondo, per assaporare quell'istante. - Mi senti, Granger? -. Cercava di mantenere la calma, come sempre, e gli veniva estremamente difficile con lei, così piccola, così indifesa, così piena di fascino, sotto di lui.
- Oh, Draco... -.
- Mi senti? -, le ripetè.
- Sì, sì. Ti sento -.
E lentamente cominciò a muoversi, in quel mare di piacere, caldo e accogliente che era il suo corpo.
E sentiva le sue mani, che stringevano le sue braccia, e le sue unghie, che affondavano nelle sue spalle, che lo graffiavano, e la sua bocca, che gli mordeva la spalla.
Con la fronte imperlata dal sudore, le mani che cercavano quelle di lei, le braccia tremanti per lo sforzo di reggersi, affrontava quegli ultimi momenti che di lì a poco sarebbero sfociati in quel breve attimo di godimento che li avrebbe lasciati stremati l'uno di fronte all'altra.
E quando arrivò si fermò, tenne gli occhi chiusi e le dita intrecciate a quelle di Hermione, ascoltando il suo respiro irregolare che lei soffiava sul suo viso.
La baciò con trasporto, come se quello che avevano appena fatto non l'avesse lasciato soddisfatto.
Pensò a tutti i momenti che avevano passato insieme e si rese conto che non ne aveva mai abbastanza di lei, non si saziava mai di lei, di starle vicino, di dormire con lei. Provava un sentimento costante di tenerezza e desiderio nei suoi confronti, che aveva bisogno di nutrire più volte al giorno. Veniva pervaso da uno strano dolore fisico quando lei si allontanava. Quel suo desiderio camuffato da timidezza, quella dolcezza quasi opprimente e la sua vulnerabilità gli laceravano il cuore. Non gli aveva mai negato nulla, era stato sempre accontentato in tutto e non perché lei non voleva deluderlo o evitare che diventasse triste. No, ma perché voleva farlo, era quello che si sentiva di fare, perché lo amava.
Oh, se lo ricordava quel giorno, in cui glielo disse. Era terrorizzata dalla possibilità che lui si arrabbiasse, si spaventava di essersi esposta troppo, di averlo messo in difficoltà. Invece gliene fu grato, perché lo fece rendere conto che non era l'unico che aveva perso la testa innamorandosi di lei. Sapeva che Hermione non aveva altro desiderio che quello di donarsi totalmente a lui, perché non conosceva altro modo di amare. L'amore e la devozione che nutriva erano incancellabili, connaturati, e proprio quel suo aprirsi e donarsi completamente l'avevano fatto innamorare di lei.
Quindi, in nome di tutto quello che provava, non si capacitava del fatto di essersi allontanto da lei, di non averla avuta per scelta vicino a sé. Si chiese come avesse fatto a sopravvivere. Come? Come ho fatto?
- Sì, anche tu mi sei mancato -.
Quelle parole gli rimbombarono in testa per infiniti secondi, durante i quali si stese accanto a lei. Hermione ne approfittò e si accucciò nell'incavo del suo braccio, godendosi il calore di quella pelle e la stretta che non tardò ad arrivare.
Si sentiva estremamente felice, come se tutta la malonconia e la nostalgia che aveva provato in tutte quelle settimane non l'avessero mai perseguitata.
Svuotò la sua testa da qualsiasi pensiero e si godette quel momento.
Malfoy prese ad accarezzarle il braccio, sentendo la pelle d'oca sotto il suo tocco leggero.
Il profumo dei capelli di Hermione lo stava completamente inebriando.
- Mi dispiace -, disse all'improvviso. Sentiva il bisogno di pronunciare quelle due parole, gli premevano sulla lingua da troppo tempo e adesso doveva assolutamente farle uscire, liberarsi dal quel groppo che aveva perennemente in gola, doveva farsi perdonare, in qualche modo.
- Di cosa? -. La sua voce era tranquilla.
- Di... averti respinta -. Quella di lui tormentata, dispiaciuta, pentita.
- Oh... -, adesso capiva. - Non fa niente, adesso sei qui -. Gli baciò una spalla e tentò di sorridergli.
In realtà voleva sapere.
In cosa aveva sbagliato? Aveva fatto qualcosa che non doveva fare?
Quelle erano le domande che l'avevano tormentata per tutti questi giorni.
- No, invece devo spiegarti -. Le sollevò il viso e la guardò, pronto a liberarsi di quel peso che lo attenagliava giorno e notte.
- Se non te la senti non fa niente. Posso capire... -.
- Mezzosangue, non interrompermi, altrimenti non ne usciamo più -. Era incredibilmente serio, ma non arrabbiato. Questo era un buon segno. Non voleva che si arrabbiasse.
- Okay, ti ascolto -. Si mise comoda e tese le orecchie, raccomandandosi di non interromperlo, proprio come lui le aveva chiesto.
Malfoy prese un lungo respiro, poi parlò. - Non credevo possibile che tra noi potesse instaurarsi un tipo di legame come questo, soprattutto dopo tutto quello che avevamo passato negli anni precedenti. Sai, i miei pregiudizi e, di conseguenza, il tuo odio verso di me. Però è successo e, il mio, non era di certo un buon periodo. Quindi, tutta quella situazione non mi dispiaceva affatto. Mi faceva stare bene, non mi faceva pensare a niente -. S'interruppe qualche secondo, ma poi ricominciò. - All'inizio pensavo che sarebbe stato uno dei tanti rapporti che avevo avuto, breve e insignificante, ma non avevo fatto i conti con chi avevo a che fare. Così, con il tempo, cominciai a... provare qualcosa, ed era una sensazione completamente nuova per me. Però mi abituai e ci presi gusto. Mi piaceva stare con te, parlarti, starti vicino. Poi provai qualcosa di più e mi sentii completamente perduto. Ti stavi prendendo qualcosa che nessuno aveva mai neanche osato chiedere. Tu invece lo stavi facendo senza porti alcun tipo di problema -. Abbassò lo sguardo sulle sue mani e lei non osò chiedergli di sollevare gli occhi e fissarli nei suoi. - Quando qualcuno ci scopriva a parlare o particolarmente vicini vedevo come ti guardavano... e non mi piaceva. C'era chi ti guardava languidamente, chi ti guardava con disprezzo o chi ti guardava e basta. Tu eri sempre stata quella amata da tutti, quella a cui chiunque chiedeva consiglio, che concedeva ogni goccia del suo tempo per aiutare gli altri e proprio per questo eri amata da tutti. Ma quando ha cominciato a girare quella voce che noi ci frequentavamo tutto è cambiato. Non sopportavo chi ti guardava con odio solo perché era possibile che tu stessi con me o che ti consideravano... una sgualdrina per lo stesso motivo. Pensai che tutta quella situazione era colpa mia -. Lì Hermione capì e nonostante avrebbe voluto abbracciarlo più di qualunque altra cosa, restò ferma dov'era. Lo vide aggrottare la fronte e capì che stava facendo uno sforzo disumano raccontandole la verità. - Tu sembravi non rendertene nemmeno conto oppure non lo davi a vedere. Comunque non potevo sopportarlo, ma, più di tutto, non potevo sopportare che tu venissi odiata a causa mia... quindi cominciai ad allontanarti. Ero convinto che non avresti sopportato quello che ero costretto a sopportare io tutti i giorni, non eri abituata all'odio e credevo che in quel modo ti avrei evitato di soffire per qualcosa che non volevi, ma che più che altro non avevi causato tu... -.
- Basta, fermati -, lo abbracciò, non poteva più aspettare. - Ho capito -.
- Non... -.
- Draco -, si staccò da lui e si fece guardare dritta negli occhi. - Ascoltami. Non c'è bisogno che mi spieghi nient'altro. Hai già detto tutto e non voglio sentire più niente. Credimi, è tutto apposto, adesso -. Gli sorrise e poi lo baciò. - E' tutto apposto -. Gli parlò sulla bocca, passandogli le dita tra i capelli.
E poi fecero di nuovo l'amore, addormentandosi l'uno tra le braccia dell'altro.
Quando Hermione si svegliò Draco ancora dormiva. Attenta a non svegliarlo, si mise in una posizione più comoda in modo da poterlo osservare meglio.
Ripensò alla conversazione che avevano avuto qualche ora prima e un moto di tenerezza la invase. L'aveva fatto soltanto per proteggerla dagli altri, perché era preoccupato per lei.
Era vero, aveva ragione, lei non se ne rese mai conto di tutti quegli strani sguardi che gli altri le rivolgevano, perché quando era in sua compagnia non esisteva nient'altro che non fosse lui. Se fosse stato per lei, avrebbero potuto continuare a guardarla, avrebbero anche potuto urlarle contro che era una traditrice. A lei non sarebbe importato, perché accanto aveva lui, l'unico di cui veramente le importava.
Probabilmente l'aveva allontanata anche per mettere a tacere una volta e per tutte quelle voci che cominciarono a girare, del resto volevano vivere la loro relazione nella più completa tranquillità. Ma, anche in quel caso, avrebbero potuto parlare quanto volevano. Lei avrebbe continuato ad averlo al suo fianco, tutto il resto non contava.
Non lo condannava per averla abbandonata e adesso, nella sua testa, stava ritirando tutto quello che aveva pensato in quel periodo. Non lo accusava di tutto il male che le aveva causato perché non aveva agito con cattive intenzioni, ma, al contrario, con buone, buonissime intenzioni. Si abbassò e gli diede un piccolo bacio sulla testa. Poi si alzò e, con un lenzuolo addosso, si diresse verso la finistra. Si rese conto che si fece buio e che ancora non aveva smesso di piovere. Quindi aprì leggermente l'anta e chiuse gli occhi.
Pensò a tutto quello che Malfoy le aveva detto, a tutto quello che le aveva dato e a tutto quello che lei aveva dato a lui.
Gli si era donata, in tutti i modi in cui una persona poteva farlo.
L'amava, l'aveva scoperto ormai da diverso tempo.
Conoscerlo fino a quel punto, entrare nella sua vita fidandosi di lui, garantendogli che anche lui si poteva fidare di lei... doveva dargli ragione anche in questo. Non pensava che una cosa del genere sarebbe mai potuta accadere, non tra loro due.
Non ci fu un momento in cui pensò che tutto quello che stavano facendo fosse sbagliato. Lei era una di quelle persone che facevano quello che si sentivano di fare, al diavolo quello che gli altri pensavano, che era tutto sbagliato perché "non è la persona giusta per te".
Quando stava con lui si sentiva libera, spensierata. Riusciva a farla ridere, a farla stare bene. Cosa poteva esserci di sbagliato in tutto quello? Una persona che ti fa sentire le farfalle nello stomaco, che non vedi l'ora di vedere, che con il solo semplice sorriso ti fa sorridere a tua volta, non è forse la persona perfetta per te? Che con piccoli gesti ti fa saltare il cuore nel petto, che ti fa sentire al sicuro con la sua sola presenza.
E quindi, affidandosigli, lasciò che il suo cuore si fidasse di lui e che lo nominasse suo unico proprietario.
Il suo cuore ormai era suo, e lui lo sapeva. Poteva vivere senza il suo cuore?
Non aveva forse fatto bene a donarglielo?
Sì, ho fatto bene, pensò.
Si girò verso il letto, per controllare se Malfoy stava ancora dormendo, e lo trovò che l'osservava.
- Da quanto sei sveglio? -.
- Da un po'. Cosa stai facendo? -.
- Penso -.
- A cosa? -.
Inspirò il profumo della pioggia. - A te -.
- Oh, e a cosa pensi? -. Si alzò dal letto e s'infilò i pantaloni. Poi le si avvicinò e l'abbracciò da dietro.
- Alla fortuna che ho ad averti al mio fianco -. Lo guardò dal riflesso del vetro.
- Davvero pensavi a questo? -. Lei annuì.
Restarono un attimo in silenzio. Poi le venne in mente della foto e gli chiese: - come hai fatto a prendere la foto? -.
Lo vide sorridere. - Un semplice incantesimo. Niente di che -.
Sorrise a sua volta. - Beh, allora devi insegnarmelo, perché non penso di conoscerlo -.
Quella volta rise, e di gusto. - Hermione Granger che non conosce un incantesimo? Questa me la devo segnare -.
Gli diede un pizzicotto sul braccio. - Non prendermi in giro, Furetto -.
- Touché -.
Le baciò delicatamente il collo e lei chiuse di nuovo gli occhi.
- Non lasciarmi più, va bene? -.
- Non lo farò -.
- Promettimelo -.
La guardò negli occhi. - Ti prometto che non oserò mai più abbandonarti, perché il pensiero di averti lontana da me mi uccide -.
Lo baciò. - Quindi questo periodo di lontananza ti è servito -.
- Mi ha aiutato a capire che il masochismo non fa per me -.
Risero entrambi.
- La prossima volta, prima di fare qualcosa di avventato o di stupido, parlane con me. Di qualsiasi dubbio che ti affligge -. Fece una pausa d'effetto. - Altrimenti giuro che ti castro -.
Lì smise di baciarla e la guardò serio. - Non ci riusciresti -.
Quella sua espressione la fece scoppiare in una fragorosa risata. - Non provocarmi, Malfoy -.
- Altrimenti? -.
Lo guardò come se la cosa che stava per dire era alquanto ovvia. - Perderesti -.
La baciò e poi... poi si amarono in tutti i modi in cui una persona può amare.
Si desiderarono, si rincorsero, si divertirono, giocarono, risero e recuperarono il tempo sprecato.
Quello era il loro giorno, la loro notte. Quello erano loro, due persone che si odiarono per anni e che adesso si amavano come un bambino può amare il cioccolato: era un amore che non vedeva l'orizzonte, un amore che non sapeva neanche cosa fosse, l'orizzonte.
E, forse, era meglio così.






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