Il serpente e l'uccellino.

di cranium
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Lista capitoli:
Capitolo 2: *** Prologo: Rose e spine. ***
Capitolo 3: *** La stanza azzurra. Capitolo I ***
Capitolo 4: *** Benvenute all'inferno. ***
Capitolo 5: *** Neve e Ricordi. ***
Capitolo 6: *** Natale. ***
Capitolo 7: *** Mostro. ***
Capitolo 8: *** Egoista. ***
Capitolo 9: *** Wren e Draco. ***
Capitolo 10: *** Uomo. ***
Capitolo 11: *** Innamorato. ***
Capitolo 11: *** Neville e Neville. ***
Capitolo 12: *** The end. ***



Capitolo 2
*** Prologo: Rose e spine. ***


Scusate ma c'è un problema con il capitolo successivo.
Per visualizzarlo dovete cercarlo nei capitoli e non con le freccette  >>.
Scusate ancora.

Il serpente
e l’uccellino.

Rose e spine.
Prologo.

L'impatto con il mondo è sempre forte per chi vorrebbe solo farne parte.”

Luciano Ligabue, Quando canterai la tua canzone.

 
La primavera di quell’anno era stata uggiosa e piovosa e le speranze di sole e caldo ricadevano sull’estate imminente.
Le villeggiature estive per la società magica nobile di Londra erano il modo perfetto per ogni famiglia di ostentare la propria ricchezza nel modo più palese possibile e per scappare dal caldo che opprimeva la città Inglese.
Le tenute di campagna erano aperte e un immane numero di elfi domestici era inviato a sistemare le stanze prima dell’arrivo dei padroni: c’era da lucidare l’argenteria, cambiare aria alle camere da letto dei signori e degli ospiti,  mettere fiori profumati nei vasi e strigliare i purosangue per le passeggiate.
L’estate del 1670 per Elaine Williams si prospettava veramente entusiasmante.                                                                
Non solo sarebbe entrata in società, ma avrebbe finalmente conosciuto l’uomo che suo padre le aveva destinato per il matrimonio.
Elaine  con i suoi sedici anni dell’amore sapeva ben poco, anche perché gli unici uomini che aveva mai conosciuto erano suo padre e suo fratello, ma era ben convinta che fosse come lo descrivevano i romanzi che tanto adorava.                      
  Principi azzurri, balli, castelli,carrozze e carezze, e rose. Rose rosse come le guance che si imporporano ad un piccolo complimento, un fiore così bello, che fiorisce in maggio il suo mese preferito, così puro, ma aimè anche provvisto di abbondanti spine.
L’estate del 1670 per lei fu l’inizio e la fine, ma questo non lo sapeva ancora.
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Dalla carrozza non riusciva a vedere altro che uno sterminato insieme di campi e Bestie.
Le Bestie come li chiamava il padre si riscuotevano dalla loro attività, attirati dal lusso e dallo sfarzo del mezzo dei Williams, per togliersi il cappello e chinare il capo in segno di ossequioso rispetto verso loro che con le loro mani mai avevano toccato la terra, mentre altre si rassettavano la gonna lunga e lercia tirata su fin poco sotto il ginocchio per ingombrare meno durante il lavoro.
La strada non sterrata le rendeva difficile il sonno, così era stata costretta a rimanere sveglia.
-Sudici babbani- ripeteva da un buon quarto d’ora Richard Williams, guardando fuori dal finestrino con un fazzoletto al naso –puzzano!-
Elaine non capiva di che stesse parlando il padre, lei sentiva solo profumo di quel fresco a cui non era abituata chiusa nella sua residenza invernale tra quadri e arazzi senza mai poter mettere il naso fuori se non per una breve passeggiata con la madre nel bel giardino adiacente alla villa.
Ma ora tutto sarebbe cambiato.
-Smettila di agitarti!- la sgridò la madre.
Come poteva non agitarsi? La sorella maggiore le aveva parlato tanto dei balli e delle feste che si davano in società e lei era sempre così invidiosa quando la vedeva arrivare la sera tardi e spesso si trovava a provare i suoi vestiti che le stavano parecchio grandi e a volteggiare per la camera quando nessuno la poteva vedere.                                                
   Continuava a battere il piede e a contorcersi le mani in grembo e nemmeno la madre sarebbe riuscita a calmarla.
-Madre un po’ di comprensione, è normale che sia agitata, ormai è un anno che non vediamo Marie.- sentì dire al fratello che le strizzava l’occhio prima di rigirare il capo verso il finestrino  -Sembra che siamo arrivati.-
Scesi dalla carrozza si trovarono di fronte a un lungo viale alberato e a una giovane coppia che li aspettava.
Marie Williams in Rogers, ventidue anni, era da quattro sposata con un ricchissimo uomo dell’alta società londinese di alcuni anni più vecchio della congiunta. Era sempre stata bellissima con i suoi capelli corallo e gli occhi verdi e sbarazzini, ma da quando aveva avuto il suo primo pargolo che quell’anno poteva vantare oltre che due anni anche una corporatura robusta e una salute di ferro, sembrava più radiosa e felice della vita coniugale che le era stata imposta.    Con un carattere molto più forte e frizzante della sorella minore, aveva mandato a monte il primo matrimonio e tutti pensavano che ormai non avesse più possibilità di sposarsi quando a sorpresa durante una festa Alfred Rogers aveva chiesto la sua mano al padre che era stato ben felice di accettare.                                                                                
Lord Rogers era un uomo che tutti temevano e rispettavano per la sua vicinanza al trono e la sua smisurata conoscenza di Arti Oscure, fattori che lo avevano portato ad avere una cattiva reputazione tra le lingue maligne e gelose del suo cospicuo patrimonio, ma loro padre non si era lasciato influenzare più di tanto e in tre mesi aveva organizzato il matrimonio del secolo.
Dalle lettere che inviava alla sorella durante i primi mesi di matrimonio si diceva stufa e annoiata del carattere cupo e riservato del marito che adorava stare chiuso in biblioteca ore e ore, ma poi si trovò ad apprezzare la sua intelligenza e le piccole attenzioni di cui lui la riempiva. Dalla prima volta che Elaine lo aveva visto era cambiato molto, probabilmente grazie alla buona influenza della moglie, sembrava molto più rilassato e non aveva più le occhiaie violacee sotto gli occhi e anche gli occhi scuri sembravano più vispi e vivi. Li accompagnarono attraverso tutta la proprietà, non dimenticando di farli notare tutte le bellezze che i  grandi giardini offrivano, le siepi curate e le rose che, incantate, avevano ritardato la fioritura per sbalordire gli ospiti.
-I Malfoy sono già arrivati, stasera daremo un ricevimento e un ballo così avrete il modo si salutarli.-
-Pensavo arrivassero domani sul far di sera.- si lamentò il padre.
-No sono riusciti a liberarsi degli affari e ci hanno potuto raggiungere prima.-
-C’è anche il figlio vero?-
-Sì, adesso è a cavallo.-
-Sbrigati Elaine entra dentro prima che ti veda in queste condizioni!- la intimò la madre.
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Da piccoli lei e i suoi fratelli amavano recitare qualche piccola parte per rallegrare i genitori, era il loro piccolo divertimento, ma lei lo adorava specialmente. Amava truccarsi, vestirsi e poi sorridere, piangere, saltare o buttarsi a terra durante una scena, era una piccola attrice. Ma adesso era cresciuta e certe cose non poteva più farle.
Adesso doveva prepararsi per incontrare l’uomo con cui avrebbe condiviso la vita e non sapeva che maschera delle sue indossare. Un grido di dolore le sfuggi mentre l’elfa domestica le allacciava il corpetto del vestito.
-Non respiro se me lo stringi così tanto Viki!-
-Scusate padroncina, ma la signora ha detto stretto stretto perché adesso va di moda stretto stretto.-
Viki, l’elfa, con le sue orecchie grandi che ricadevano sul muso appuntito, era stata contenta quando il padrone le aveva detto che non avrebbe più fatto da serva alla moglie, che, con modi rudi accentuati dalla superiorità che si sentiva in obbligo far pesare alla povera sfortunata, era la peggior padrona che si potesse desiderare, ma avrebbe cominciato servizio con i pargoli dei coniugi. Marie era una ragazza sbarazzina che con la sua esuberanza l’aveva spesso cacciata nei guai, Trevor, il secondogenito, era, al contrario della maggiore, un ragazzo tranquillo e mite e questo gli aveva scatenato contro gli scherzi e le beffe della sorella, poi era arrivata Elaine, senza togliere nulla agli altri, lei era la sua preferita.
-Come fai a capire quali nastri devi allacciare?-
-Oh perché quando li allacciavo alla signora padrona ogni volta che sbagliavo mi chiudeva le orecchie nel cassettone.-
-Ti faceva tanto male?-
-No signorina- mentì –la signora lo faceva perché così imparavo!-
Si guardò allo specchio.
La madre le aveva fatto confezionare cinque abiti nuovi alla moda che vigeva in Francia a corte e quello che indossava era il suo preferito. Celeste pastello, con una profonda scollatura squadrata, le spalline a sbuffo e le maniche strette, ma che si allargavano ampiamente sul polso, la gonna ampia e lunga con uno spacco ripreso ai lati che lasciava vedere la sottoveste panna decorata con ricami dorati.
-Padroncina sedetevi che vi sistemo i capelli.- le disse premurosa.
Una crocchia alta e due boccoli lasciati liberi, una pettinatura semplice e composta, un paio di orecchini semplici e un punto luce sul collo: era pronta.
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Baciamani e inchini, tutto sembrava una favola ad Elaine che era sempre vicina e attaccata al fratello.                           
La sorella, che aveva lasciato a Viki il piccolo che a quell’ora già dormiva, salutava tutti gli ospiti che si congratulavano per la bellezza sua e della villa e glieli presentava uno ad uno.                                                                    
Tende, broccati e così tanta gente che non si sarebbe mai potuta immaginare, ma i suoi occhi cercavano un segno, un qualcosa che le facesse capire chi fosse il ragazzo che doveva sposare.                                                                      
 Poi il padre decise che era il momento di toglierle questa curiosità, si fece largo tra gli invitati con la figlia sottobraccio e la condusse vicino al grande tavolo sotto le porta finestre dove tre uomini stavano parlando e scherzando.
Il primo era Mister Rogers, marito della sorella, gli altri due erano molto somiglianti probabilmente padre e figlio.          
Il più giovane sulla ventina stava ritto e rideva alle battute dell’uomo che gli stava accanto, le gambe lunghe erano fasciate nelle braghe verde scuro, il petto stretto nel panciotto dello stesso colore, la camicia bianca larga sulle braccia e la giubba nera che lo incupiva ancora di più.                                                                                                           
 Iniziò ad agitarsi, probabilmente era Malfoy.
Credeva che le ginocchia non potessero più sostenere il peso di quel momento, e mentre veniva letteralmente trasportata dal padre verso il tavolo vide il ragazzo voltarsi verso di loro e sorridere tranquillo e questo la rassicurò un poco.           
Notò subito dallo sguardo del ragazzo, così fiero e misterioso, come le spine delle rose che ti attirano, ma poi ti feriscono.
-Mr. Malfoy, che piacere trovarvi, vi fermerete ancora molto in nostra compagnia?- disse il padre rivolgendosi al ragazzo.
-Vostro genero mi ha invitato a restare fino alla fine del periodo estivo, mi sembrava scortese rifiutare, soprattutto se la compagnia è così gradevole.- finì posando il suo sguardo su Elaine che subito arrossì e abbassò gli occhi.
-Che sbadato, non vi ho ancora presentato, Mister Malfoy questa è mai figlia.-
-Piacere di conoscervi Miss Williams.- disse inchinandosi leggermente.
-Piacere mio.-
-Spero che mi concediate almeno un ballo prima della fine della festa.-
-Non ne dubitate.-
Cercava di darsi un tono, ma era solo una bambina spiazzata che quasi non riusciva a respirare davanti a quel ragazzo che non conosceva neppure, ma che la stava conquistando un pezzo alla volta solo con quel sorriso smagliante e i capelli biondi più corti che ricadevano un po’ scomposti sulla fronte non troppo alta.
Così leggera, così bella, tra le sue braccia, durante quella danza che sembrava infinita, con la sua mano poggiata sul fianco mentre l’altra intrecciata, con gli occhi bassi perché era consapevole che tutti gli sguardi erano puntati su di loro, su quella coppia che era stata unita probabilmente dalla nascita, ma che sembrava così affiatata che tutti avrebbero giurato di vedere solo sorrisi stampati sui loro volti mentre volteggiavano tranquilli sul pavimento lucido che li rifletteva.
-Siete molto bella Miss Williams, vi stanno ammirando tutti questa sera.-
-Grazie, siete molto gentile.-
-E voi molto timida.-
-Abbastanza.-rispose con gli occhi bassi.
-Beh sinceramente non vedo nulla in voi di cui ci si possa vergognare.-
-Così non migliorate di certo la situazione.-
-Quando arrossite siete ancora più carina.-
Quella sera si gettò sul letto ancora vestita con il sorriso sulle labbra e quello del ragazzo ancora stampato fisso nella testa.
°                                                                                                                                                                       °
L’avrebbe rivisto a colazione, ne era certa.                                                                                                                  
Lo aveva detto la sera prima no?                                                                                                                            
Sarebbe rimasto tutta l’estate come ospite dai Rogers insieme alla sua famiglia, quindi lo avrebbe rivisto a colazione sicuramente.                                                                                                                                                                                         
A sedici anni ci si innamora così, delle piccole certezze che ci fanno sentire grandi:
“Lo rivedrò a colazione, e mi dirà ancora che sono bella.”
Perché Elaine si sentiva così adesso: bella. Perché glielo aveva detto lui, e degli occhi così belli non possono che essere sinceri. Scese le scale rapidamente per arrivare il più presto possibile nella sala da pranzo, ma prima di entrare si rassettò la gonna e si ravvivò i capelli. Però tutta la sua premura non venne premiata, Mister Malfoy non era presente a tavolo dove i commensali già presenti si stavano gustando una ricca colazione all’inglese.
-Era ora Elaine, iniziavamo a pensare che ti fossi persa.- le disse il padre distogliendo lo sguardo dalla pancetta che aveva davanti.
-Mi dispiace, mi sono svegliata tardi.-rispose mesta mentre si sedeva nel posto vicino a quello del fratello e si serviva una fetta di dolce alle pesche.
-Tranquilla Laine è normale, era il tuo primo ballo ti sarai stancata a danzare tutta la sera e poi devo dire che ci siamo lasciati con gli ospiti parecchio tardi.-la rassicurò Marie.
La colazione proseguì quasi in totale silenzio per Elaine che rispondeva solo a monosillabi alle domande dei coniugi Malfoy che si volevano informare su come aveva passato il suo debutto in società la ragazza.
-A proposito ho notato che avete passato molto tempo con mio figlio, che ve ne sembra?-
La torta quasi le andò di traverso:
-Oh è un.. un ragazzo veramente intelligente Mrs. Malfoy.-
Intelligente, perché poi aveva usato quella parola così poco interessante quando ce ne potevano essere mille e mille per descriverlo?                                                                                                                                                         
Bello, affascinante, e persino attraente anche se non sapeva bene neppure quale fosse la differenza tra queste parole così strausate nei romanzi, ma che per lei adesso avevano un significato nuovo, fresco, un nuovo volto.
Il suo.
-Sì devo dire che come intelligenza il nostro caro Bruto ha pochi rivali tra i giovani della sua età, a Hogwarts è stato promosso con il massimo dei voti, e poi adora leggere, oh se adora leggere.- lo adulava la madre.
Intanto Elaine si dimenava sotto il tavolo, dondolando le gambe colpì non volendo la sorella che subito capì il motivo dell’agitarsi della sorella.
-Vostro figlio è andato a cavalcare questa mattina signora Malfoy?-
-Oh sì, si scusa molto di non essere potuto venire, ma adora andare a cavallo di mattina, lo so che è molto maleducato..-
-Ma certo che no, il tempo è perfetto sarebbe un peccato sprecarlo, ditegli se lo vedete che se ha fame le cucine sono aperte per lui.-
-Aveva detto che sarebbe arrivato in tempo per salutarvi prima della fine della colazione, dove sarà finito.-
-Laine perché non vai a cercarlo? Tanto hai finito di mangiare no?-
-Io?-
-Certo tu, vai vedrai che è sul sentiero.-
-Subito.- rispose mentre si accomiatava dai commensali.
Uscì dalla villa velocemente mentre si sistemava i capelli con la mano  e si avviò per il sentiero.                                   
Quando lo trovò lui era ancora in lontananza che camminava tranquillo accarezzando il muso di un grosso cavallo nero, quando la vide aumentò il passo per raggiungerla.
-Miss Williams cosa ci fate tutta sola di mattina presto?-
-Vostra madre mi ha mandato a cercarvi, mi dispiace di aver interrotto la vostra cavalcata.-
-Tanto stavo tornando indietro, ho saltato la colazione per caso?-
-Sì, ma mia sorella ha detto che potete chiedere agli elfi domestici se avete fame o bisogno di qualcosa.-
-In effetti non mangio da ieri sera è meglio che metto qualcosa sotto i denti, non è che potete accompagnarmi? Non ho la minima idea di dove siano le cucine.-
-Certo.- rispose contenta.
Mentre si avviavano verso la villa il giovane notò che Elaine era intimorita dalla presenza del cavallo.
-Non è cattivo, si chiama Heath, l’ho portato dalla mia tenuta nel Derbyshireperché è il miglior cavallo del mondo, vero bello? Perché non provate ad accarezzarlo?-
-Ho molta paura dei cavalli, sono così grandi e..-ma non fece in tempo a rispondergli che Bruto le aveva già preso la mano e l’aveva posata sul muso del cavallo.
-Vedete non è poi così male.- le sorrise.
“No affatto”avrebbe voluto rispondergli mentre le si imporporavano le guance, le loro mani unite le facevano battere il cuore così forte che aveva paura che lui lo sentisse, lui che adesso la guardava e che sorrideva tranquillo.
-Che maleducato, non vi ho mai chiesto come vi chiamate?-
-Il..il mio nome?-balbettò.
-Sì il vostro nome di battesimo.-
-Elaine, Elaine.-ripeté.
-È un nome bellissimo Miss Williams.-
-Non mi è mai piaciuto molto sinceramente.-
-Significa faro, luce, lo sapevate questo?-
-No.-
-Voi lo sapete qual è il mio nome?-
-Sì, me lo ha detto vostra madre questa mattina.-
-È un nome un po’ particolare.-
-Io lo trovo magnifico.-
-Beh se lo dite voi non può essere che vero.-e le sorrise.
Capì adesso di essersi persa, persa in qualcosa che non conosceva, ma che il suo cuore gridava “amore”, persa nei suoi occhi così chiari e profondi, nelle sue labbra che si stiravano in un sorriso quando lei parlava e la guardava.
Passavano i giorni e i momenti per stare assieme sembravano scarseggiare, Elaine  doveva stare tutto il tempo con la madre che si era ammalata e aveva bisogno di compagnia e durante i pasti non riuscivano a parlare molto.
-Certo che è una vera sfortuna prendere la febbre in questo periodo dell’anno, vero cara?-
-Non vi dovete preoccupare non è neppure una settimana che state male, tra poco guarirete, lo ha detto anche il medimago Jones.-
-A quel medimago da due zellini! Non vale nulla secondo quello che mi ha riferito Mrs. Carter! E ci dobbiamo fidare di quell’uomo?-
-Beh se Mrs. Carter vi ha detto così perché avete insistito tanto per mandare un gufo a lui?-
-Perché è un uomo discreto, non voglio mica far sapere a tutti che sono riuscita ad ammalarmi in villeggiatura!-
-Ma se stasera non vi vedranno lo capiranno comunque.-
-O per Merlino! Me ne ero completamente dimenticata.-
Elaine, al contrario di lei, erano tre giorni che ci pensava, perché sperava proprio di poter partecipare, poiché aveva già saltato quello nella villa degli Smith, però probabilmente non avrebbe potuto a  causa dello stato in cui si trovava la madre. In quel momento però alla porta bussò Viki l’elfa che portava una lettera per lei ma, che la madre aprì prima del consenso della figlia e iniziò a leggere:

“Miss Williams,                                                                                                                                                 
spero di non risultare troppo impertinente se vi chiedo di incontrarci nel bellissimo roseto di vostra sorella.                  
    B.M”

-Laine! Chi è questo B.M?!-
-B.M Bruto Malfoy madre.-
-Oh cielo! Cara vai subito!-
-Non vuoi che io ti assista ancora un po’?- disse questo più per cortesia che per un reale interesse verso la madre che già cercava di sistemarle i capelli.
-No, certo che no! Ora vai, non vorrai far aspettare Mr. Malfoy!-
La ragazza non se lo fece ripetere due volte.
Il roseto di villa Roberts era tra i più belli che quella campagna poteva offrire: non solo le rose sbocciavano in estate invece che a maggio, ma erano presenti un gran numero di varietà di quel fiore importate da tutta Europa. Ora seduto su una panchina stava Bruto Malfoy, con una rosa in mano e la bacchetta nell’altra intento a togliere le spine da quel delicato fiore.
-Buongiorno.-
-Buongiorno anche a voi Miss Williams, vi sembrerei scortese se vi chiedessi di sedervi vicino a me?-
-Nient’affatto.-
-E allora vi prego, sedetevi.-
Elaine si accomodò vicino a lui, ma il silenzio stava diventando imbarazzante e lei non poté che domandarsi la ragione che lo aveva spinto ad invitarla in quel posto.
-Le piacciono molto le rose Mr. Malfoy?-disse per incalzare una conversazione.
-Abbastanza, sono molto belle in fondo-rispose rigirandosi il gambo del fiore ormai privo di spine tra le dita –non lo pensate anche voi?-
-Sono il mio fiore preferito, adoro le rose rosse.-
-Sapete perché sono rosse? Perché un giorno Afrodite correndo cadde e si punse con una loro spina. Allora loro arrossirono per la vergogna e da allora rimasero rosse. Vedete-disse porgendole il fiore –sono timide quanto voi.-
°                                                                                                                                                                       °
Quella sera Elaine la ricordò per il resto della vita, qualcosa era cambiato nello sguardo di Malfoy e anche nella presa che esercitava sul suo fianco.
°                                                                                                                                                                       °
Era già un po’ di tempo che era ospite della sorella e ancora non aveva ancora fatto visita alla grande biblioteca della villa, che suo cognato le aveva messo gentilmente a disposizione, perché si sentiva a disagio dalla presenza quasi costante di Mr. Rogers nella sala e una mattinata approfittando di una battuta di caccia alla quale gli uomini stavano partecipando, decise di entrare per cercare qualcosa da leggere.
Arrivò subito alla conclusione che quello che dicevano sul cognato era vero, aveva la più grande collezione di libri sulla Magia Oscura che lei avesse mai visto, maledizioni, pozioni e incantesimi tutti tomi ricoperti da una spessa copertina di pelle scura con le lettere incise bronzee e d’oro: De Potionibus letalibus, De Arte obscura, De Carmenibus pericolosus, tanti titoli che davanti ai suoi occhi sembravano tutti uguali.
Si sentiva attratta e allo stesso tempo aveva paura, ma la battaglia nella sua testa venne vinta quasi subito dalla parte irrazionale del suo cervello e questo la portò a togliere il libro più interessante che le sembrava scorgere: De Exsecrationibus compositisdalla copertina rosso intenso.
“Sia ringraziato Merlino e l’inglese!”
Si trovò a pensare quando, apertolo, vide la prefazione nella sua lingua madre.
“Le maledizioni complesse sono una branchia della Magia Nera che non tutti possono capire.                                 
Alcune menti ristrette e deboli ritengono che debbano essere proibite come le Maledizioni Senza Perdono, ma da sempre esercitano un fascino non indifferente su chi, come me, sa o vorrebbe carpirne ogni minima sfumatura.                        
In questo tomo ho racchiuso tutta la mia esperienza, stampato in sole venti copie, è un vero pilastro della Magia Oscura.

Spero che saprete apprezzarlo e farne buon uso.
Crux Black.”
Sfogliò velocemente alcune pagine per farsi un idea del lavoro dell’autore.
In effetti era veramente notevole: tutte le maledizioni in ordine alfabetico,ognuna con le sue note a fondo pagina e le istruzioni per le eventuali pozioni che bisognava creare per dare modo alla maledizione di funzionare. Più leggeva e più rimaneva sconcertata: come poteva un uomo racchiudere in unico libro la sua vita e come poteva un uomo immolare la sua vita alla ricerca e alla trascrizione di qualcosa di così orribile?
Ma più leggeva e più capiva che di orribile tra quelle pagine c’era veramente poco.
 “Effettuare una maledizione complessa, su di sé o su di un altro soggetto, non è cosa facile. Oltre a delle capacità magiche non indifferenti bisogna capire che questo tipo di magia non è adatto a chi non intende correre rischi. Infatti molte maledizioni risucchiano l’energia magica dentro il fattucchiere fino a portarlo alla perdita di conoscenza momentanea o nei casi più gravi alla perdita della memoria, del senno e anche della vita.”
E ancora:
“Ogni tipo di maledizione richiede un alto grado di volontà, da parte del mago o della strega, nel compierla. Anche dopo una lunga preparazione psicologica e mentale, che è quello che viene richiesto da alcuni tipi di maledizione, la volontà è tutto quello che conta come in quelle Senza Perdono.
La volontà è il punto di partenza e la fine per la riuscita del vostro intento. Quindi se non siete del tutto pronti a compiere un incanto di questa portata è preferibile non incominciare neppure.”
-Interessante non trovate?- una voce bassa la riscosse dal torpore della lettura.
-Mr. Rogers pensavo foste a caccia con mio padre e i signori Malfoy.-
-La caccia non è un passatempo che mi diverte molto, preferisco la lettura.-
-Non ne dubitavo Mr.-
-Che leggete Miss Williams?-
-Ho trovato questo libro e..-
- De Exsecrationibus compositisscelta interessante, un libro difficile da comprendere, se non se ne hanno gli strumenti mentali necessari.-
-Lo trovo molto affascinante.-
-Come tutte le Arti Oscure d'altronde, molti vorrebbero bandirle, ma io mi chiedo perché? Probabilmente hanno paura dell’influenza che queste hanno sulle persone.-
-Voi avete mai usato una maledizione su qualcuno?-disse senza timidezza.
-Mai, non so se per mancanza di coraggio o più per mancanza di occasione.- le sorrise.
Quel l’uomo le stava iniziando a piacere: non solo non la stava giudicando per la scelta della lettura, ma si stava aprendo tranquillamente senza problemi e pensava che avrebbe potuto chiedergli qualsiasi cosa e lui le avrebbe risposto sinceramente, una dote singolare per le persone di quel tempo.
-Miss Williams spero che non vi facciate scrupoli ad usare questa biblioteca anche in mia presenza, so di essere un uomo taciturno, vostra sorella me lo ha rinfacciato parecchie volte, però sono anche molto silenzioso, cosa molto utile in un compagno di lettura, e sono anche un abile ascoltatore, se avete bisogno di me sapete dove trovarmi.-disse Mr. Rogers.
Lo ringraziò con un cenno cordiale della testa e uscì dalla sala per tornare nella propria stanza .
-Miss Williams, non trovate che è parecchio che non passiamo un po’ di tempo assieme.- la ammonì la voce di Bruto Malfoy alle sue spalle.
-Mr. Malfoy scusatemi, ma la biblioteca di mio cognato è davvero straordinaria.-
-Un libro è sempre straordinario.-
-Sì è proprio così.-
-Che ne dite di accompagnarmi nella mia camera, è un posto più tranquillo per parlare.-
-Ne nella vostra camera?-balbettò incerta.
-Non vi fidate di me Miss Williams?- sorrise malizioso.
E lei si fidò di quel sorriso del quale si era innamorata perdutamente, seguì quegli occhi che adorava, si lasciò prendere la mano e si fece accompagnare all’inferno.
°                                                                                                                                                                       °
Rabbia, dolore, rabbia, lacrime.                                                                                                                                   
Di lei non restava che un piccolo involucro vuoto, dentro non c’era più nulla.                                                               
 Usata.                                                                                                                                                                        
Si era fidata e era stata usata.                                                                                                                                      
Si era approfittato della sua ingenuità e del suo amore e l’aveva fatta sua nonostante lei non volesse e gli urlasse di lasciarla stare.                                                                                                                                                        
Vergogna, su di lei e sulla sua famiglia.                                                                                                                      
Sarebbe potuta andare dal padre e dal fratello a chiedergli vendetta e loro l’avrebbero ucciso, lei lo sapeva, ma la vendetta che bramava lei era un’altra, la morte non sarebbe bastata a cancellare l’affronto che adesso lei portava come un marchio indelebile nelle viscere.                                                                                                                                 
Alzò la testa dal cuscino bagnato e si diresse verso la toilette.                                                                                   
Una sciacquata al viso e un tocco di cipria chiara: nessuno l’avrebbe vista piangere o disperarsi, lei era una Williams non una strega qualsiasi.                                                                                                                                                         
Era ora di entrare in scena: questo sarebbe stato il suo ultimo spettacolo, ma il migliore di sempre.
°                                                                                                                                                                       °
Passavano le settimane e non era riuscita ancora a trovare nulla, nulla che in quella dannata biblioteca potesse in qualche modo aiutarla.                                                                                                                                                     
Saltava i balli, le passeggiate, e a volte si era ridotta a saltare i pasti, tutto pur di vendicarsi, tutto pur di liberarsi da quel peso, da quell’angoscia. Un conato di vomito la costrinse fuori dal comodo letto sul quale tentava di mettere in ordine le poche idee che aveva.                                                                                                                                                               
Erano quattro giorni che la mattina le si rovinava in questo modo.
-Viki controlla se hopreso qualche virus strano.-
-Subito padroncina.-rispose l’elfa.
Dopo averla fatta sdraiare di nuovo sul letto, iniziò a tamburellare le sue lunghe dita sul ventre di Elaine e a stento trattenne un urlo.
-Signorina, signorina, lei aspetta un figlio!-
Vergogna, doppia vergogna.                                                                                                                                                                
Messa incinta da un mostro, nella sua pancia un altro mostro, e nella sua testa ancora un altro che continuava a divorare quel poco di sano che c’era ancora in lei.                                                                                                                      
Ingoiò le lacrime che le pizzicavano gli occhi, si morse il labbro che tremava.
-Non devi dirlo assolutamente a nessuno, capito!?-urlò a Viki.
Percorse i corridoi velocemente con la bacchetta in una piega della fascia che teneva sulla vita.                                                        
Per sconfiggere quei mostri doveva diventare anche lei una di loro.
°                                                                                                                                                                       °
-Ho assoluto bisogno del vostro aiuto Mr. Rogers, è una faccenda piuttosto delicata.-
L’uomo si riscosse e alzò lo sguardo verso la ragazza: era così diversa da sua moglie, con quei capelli bruni e sempre a posto, la statura leggermente più bassa e il seno appena evidente sotto i merletti del vestito. L’unica cosa che le due sorelle avevano in comune erano gli occhi verdi che, come in tutti i Williams, erano grandi e brillanti, oggi quelli di Elaine erano offuscati da qualcosa, che a prima vista poteva sembrare una lacrima, ma che guardando meglio era certamente odio.
Non un odio normale, si intende, era qualcosa di più, di più intenso, qualcosa di viscerale che non fa dormire, che ti prende dentro e che non ti lascia finché non ti sei finalmente liberato di ciò che ti opprime.
-Miss Williams, sono a vostra completa discrezione.-
Era curioso, sì, una delle poche volte nella sua vita in cui la curiosità prese il soppravvento sulla sua indole razionale e calcolatrice, perché l’odio è un sentimento profondo, e voleva sapere cosa aveva turbato quegli occhi così belli.
-Quindi posso contare sul vostro aiuto e soprattutto sulla vostra discrezione?-
-Assolutamente sì.-
-Ho bisogno di un incantesimo, nel caso specifico di una maledizione.-
-Pensavo che il suo interesse sul libro del signor Black fosse puramente accademico.-
-Diciamo che alcuni avvenimenti hanno alzato il mio livello di interesse.-
-Ne ero certo, ditemi che cosa cercate e io cercherò di aiutarvi.-
-Esistono delle maledizioni che proseguono di padre in figlio? Non so se mi spiego.-
-Maledizioni che si mantengono di generazione in generazione?-
-Sì.-
-Beh si che esistono, ma sono molto più difficili da evocare.-disse mentre che, con una scala, saliva a cercare un libro nello scaffale centrale.
-In che senso?-
-Ci deve essere un se.-
-Che significa?-chiese impaziente.
-Penso che voi abbiate chiaro come si evoca una maledizione.-
-Più o meno.-
-Ecco, durante il pronunciamento del vincolo che legherà la vittima alla maledizione si deve dare anche una condizione per la quale l’incantesimo si scioglierà.-
-Quindi non possono durare in eterno?-disse delusa.
-No, a meno che il vincolo non venga rotto, ah, e poi serve un oggetto attraverso il quale il vincolo possa agire.-scese velocemente dalla scala porgendole il De Exsecrationibus compositis –Il vostro amico vi sarà molto utile, ma ricordate, evocare una maledizione richiede un prezzo, soprattutto se si tratta di una maledizione così potente.-
°                                                                                                                                                                       °
“Mister Malfoy,
spero di non risultare troppo impertinente se vi chiedo di incontrarci nel bellissimo roseto di mia sorella.
E.W”
Come tutto ha avuto inizio così ha avuto fine.
°                                                                                                                                                                       °
-Miss Williams, buongiorno.-
-Buongiorno a lei Mr. Malfoy.-
- È parecchio tempo che non vi vedo alle feste..-
-Diciamo che lo studio sta riempiendo molto le mie giornate.-
-Lo studio è molto importante.-
-Assolutamente.-
-Posso chiedervi perché mi avete chiesto di raggiungervi qui?-
Elaine non rispose subito, iniziò a camminare per il roseto.
Doveva farlo, era il momento giusto, niente avrebbe potuto fermarla; ingoiò le ultime resistenze del suo cervello come fossero saliva ed estrasse la boccetta che teneva in una piega della gonna e versò tre gocce del contenuto sul petalo della rosa che si trovava davanti a lei, poi si chinò per annusarne il profumo.
-Mr. Malfoy penso che dobbiate sapere una cosa, sono incinta.-disse tranquilla.
-Incinta?- ripeté.
-Credo di non dovervi spiegare come le donne rimangono incinta.-
-Dobbiamo anticipare il matrimonio!-
-Forse qualcosa vi sfugge, state supponendo che io voglia voi e il bambino.-
-Forse sono io a non volere voi.-disse irato.
-Oh Mr. Malfoy, e vostra vi ritiene un giovane intelligente, perché non cogliete questa rosa per me?-
Non capiva, dov’era finita la ragazza ingenua e timida che aveva conosciuto due mesi prima? Cos’aveva adesso davanti? Camminò velocemente fino alla pianta che la ragazza gli aveva indicato.
Iniziò a recidere la rosa attento alle spine.
-Non credo che le spine siamo ciò di cui dovete preoccuparvi.-e iniziò a ridere sguaiatamente.
Si girò verso di lei, non capendo il motivo di tale ilarità, ma un dolore forte alla mano lo fece urlare: la rosa stava penetrando nella sua mano.
Elaine si accovacciò e iniziò a giocare con i sassi, li impilava, li buttava giù e poi rideva e continuò così fino a che le urla del ragazzo si fecero più forti e insistenti: la rosa era entrata tutta nel palmo della sua mano e ora di quella restava solo una voglia bordeaux.
Malfoy era pallido, aveva la fronte imperlata di sudore e il fiato corto:
-Che mi hai fatto strega!-le urlò.
Lei gli sorrise come se nulla fosse successo, ora mancava solo la parte più facile, pronunciare il vincolo che avrebbe maledetto lui e tutti i suoi discendenti.
-Genererete solo un erede, un maschio, che porterà avanti il vostro cognome insieme alla maledizione che ora sto pronunciando. Nessuna donna vi amerà mai, nessuna riuscirà a provare amore nei vostri confronti, a nessuna capiterà di innamorarsi di un Malfoy, nessuna farà mai più il mio errore.- prese un lungo respiro–A meno che non riesca andare oltre al mostro che siete e che saranno i vostri figli, perché voi siete un mostro, un mostro senza anima e senza cuore, un verme viscido.- e gli sputò sulla faccia.
Ora fu il ragazzo a ridere.
-Oh, Miss Williams, e io che stavo iniziando ad avere seriamente paura! Non ve lo ha insegnato nessuno che l’amore non esiste?
La ragazza però gli aveva già voltato le spalle e si stava allontanando.
-Allora non avete di che preoccuparvi.-
°                                                                                                                                                                       °
Un foglio, porta la data 13 settembre 1679.
C’è un nome scritto velocemente: Elaine Williams.
In: Isolamento.
Da: Lesioni celebrali permanenti.
Tra le note: La paziente è stata prima sedata e poi portata in isolamento; è un soggetto pericoloso, ha tentato di cavare gli occhi all’infermiera che le ha portato il pranzo con una forchetta.
Non si capisce che cosa le abbia provocato il trauma che l’ha portata a una perdita di senno così forte. Non chiede di vedere ne il marito, ne il figlio. Riaprendo la scheda che era state redatta quando la paziente aveva partorito ho letto che si è rifiutata di allattarlo.
San Mungo
Medimago
Malcom Forest.
°                                                                                                                                                                       °
Cacciò un urlo dalla bocca.
Che era successo?
Draco Malfoy alzò la testa dal cuscino fino a portarsi a sedere sul letto: aveva fatto un incubo, ma l’immagine della ragazza era così vivida nella sua testa che per un attimo ebbe paura di trovarsela dentro l’armadio. Aveva il fiato corto e la fronte madida di sudore freddo.
Si mise su un fianco e cercò di riaddormentarsi, in fondo era stato solo un sogno. 

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Capitolo 3
*** La stanza azzurra. Capitolo I ***


Il serpente e
l’uccellino
.


Capitolo I
 La stanza azzurra  aaaa..

 
A Caterina, che mi sopporta sempre.
 

“Questa è la mia vita, se entri chiedimi il permesso.”

Luciano Ligabue, Questa è la mia vita.

 
 
La notte, dopo quell’incubo, era stata tranquilla.
Dopo pochi minuti era riuscito a riaddormentarsi e nulla lo aveva turbato oltre.
L’aveva svegliato il continuo cinguettio di un uccellino che cantava tranquillo sul davanzale della sua finestra e la luce insistente che filtrava attraverso le tende. Adorava svegliarsi presto di mattina, vedere come tutto intorno a lui si destava e il vento placido che passava a togliere la rugiada dalla foglie degli alberi.
Aveva ancora fisso nella mente il viso magro della ragazza, ma decise di non pensarci, almeno per il momento.
Dopo una lunga doccia per rischiararsi le idee si sentì subito meglio.
Si vestì rapidamente prendendo a caso quello che trovava nell’armadio.
La sua stanza non era molto grande, infatti conteneva solo il letto a baldacchino con le coperte bianche sempre fresche e l’ampio armadio, ma poteva contare su una camera adiacente, con una piccola scrivania e una branda dove andava a riposare dopo aver studiato e un piccolo bagno, alla quale si poteva accedere solo grazie a una porta nel muro della sua stanza.
Scese le scale per arrivare nella sala da pranzo dove già lo stavano aspettando.
Adorava mangiare con i suoi genitori, quella quiete che traspariva dalla schiena rigida della madre, dal suo modo di portarsi la forchetta alle labbra, il padre che ogni tanto chiedeva qualcosa alla moglie e al figlio, persino le forchette che cozzavano contro i piatti sembravano voler stare in religioso silenzio, tutto diverso dal forte trambusto che facevano i suoi compagni di scuola, i Grifondoro che schiamazzavano irriverenti, i Corvonero che vociavano e i Tassorosso, che come gli altri non riuscivano a stare un secondo zitti, al contrario i Serpeverde con la loro classe innata riuscivano a mantenere un contegno, se non totale almeno decente, anche durante i pasti.
-Buongiorno madre.- e si avvicinò per darle un leggero bacio sulla guancia.
-Buongiorno a te caro.- le rispose la madre dolcemente.
-Buongiorno padre.-
-Buongiorno Draco.-
Quella mattina c’era qualcosa a turbare l’aria, forse era Lucius che ogni tre minuti si sincerava se il figlio stesse bene o le occhiate penetranti e significative che Narcissa lanciava al marito, e Draco sapeva bene che se qualcosa turbava la sua famiglia questa cosa avrebbe turbato anche lui.
Ma al momento aveva altre cose per la testa, come scoprire se il suo sogno era stato solo frutto della lauta cena precedente che gli era rimasta sullo stomaco o di qualcosa di più forte.
-Potrei avere le chiavi della camera azzurra?- chiese, ma di certo non si aspettava che quella fosse la reazione alla sua richiesta: il padre quasi si strozzò con il bacon, alla madre scivolò la forchetta dalle dita e sussurrò flebilmente un -Lucius-.
-Certo figliolo.-rispose non senza fatica il padre che ancora annaspava e tossiva mentre con una mano cercava le chiavi nella tasca della giubba.

Draco percorse velocemente lo spazio che c’era tra lui e la stanza nella quale desiderava entrare.
I Malfoy avevano comprato quella villa nel 1628.
La famiglia aveva dovuto restaurare più volte la vecchia residenza, ma da quell’anno non si erano spostati di lì. In effetti la casa era proprio bella con i suoi tre piani e la scalinata in marmo, la biblioteca e l’ampio giardino con i pavoni bianchi che sua madre adorava così tanto.
Una delle poche stanze che non aveva subito la ripercussione di generazioni e generazioni era la stanza azzurra, chiamata così dal colore sfavillante delle pareti, che incantate, in quasi quattro secoli non avevano mai avuto bisogno di ritocchi e rifiniture.
Era una sala bassa che stava sotto il piano terra, vicino ai sotterranei, era piuttosto ampia a discapito dell’altezza e questo faceva sembrare agli avventori di stare per essere schiacciati dal soffitto decorato, Draco però non capiva come mai la stanza fosse sempre chiusa.
In quella stanza grande era racchiuso uno dei più importanti tesori dei Malfoy: la famiglia stessa e il loro sangue.
Sul soffitto infatti, racchiusi in cerchi argentati, stavano in pose rigide e impettite i ritratti magici di quei Malfoy che avevano abitato la villa. Linee a forma di serpente congiungevano ogni mago o strega al congiunto e ai genitori.
C’era entrato anni prima, il giorno dopo della morte del nonno paterno, il padre lo aveva portato a vedere il ritratto del defunto:

-Chi c’è più in là?- gli aveva chiesto curioso.
-Il padre di tuo nonno-
-E ancora più in là?-
Il padre si era chinato all’altezza del figlio.
-Più in là ci sono tutti i Malfoy che hanno abitato nella nostra villa.-
-Possiamo andare a vederli?-
-Un giorno ti ci porterò, promesso.-
 

 

Percorse quella parte della stanza che non era ancora stata dipinta fino a trovare due ritratti famigliari: quello di Lucius e quello di Narcissa che lo guardavano con un misto di dolcezza e malinconia che non riusciva a comprendere.
Seguì la linea che partiva dalla testa bionda del padre che lo ricondusse a Abraxas, poi continuò.
Una sola linea.
Una sola linea.
Una sola linea.
“Genererete solo un erede, un maschio, che porterà avanti il vostro cognome insieme alla maledizione che ora sto pronunciando.”
Una sola linea.
Seguì così fino a un ritratto che non avrebbe mai voluto trovare: Bruto Malfoy.
Cosa avrebbe trovato al suo fianco?
Una purosangue, magari bionda, con gli occhi scuri e spenti, accondiscendente e tranquilla, e forse i Malfoy avevano preferito avere un solo erede per mantenere intatto il patrimonio come facevano tante famiglie, e che fossero tutti maschi probabilmente si doveva alla fortuna e alla forza del loro gene maschile.
Si rassicurò un poco, ma appena spostato lo sguardo l’unica cosa che vide furono due occhi verde smeraldo e due labbra che si muovevano a sussurrargli qualcosa: “Maledetto”.
Subito indietreggiò spaventato, adesso Elaine Williams era reale, come lo erano le urla, le risa, i pianti, come lo erano i suoi occhi e le sue parole:
Maledetto.
Non riusciva a concentrarsi, a cavare un pensiero che non fosse confuso dalla sua testa.
Sentì una mano che si poggiava sulla sua spalla:
-Draco, vieni devo dirti una cosa.-
.
Lo studio del padre era quanto di più misterioso ci fosse in casa Malfoy.
Vi era entrato solo due volte prima di allora.

Quando era arrivata la lettera da Hogwarts, un mese prima del suo undicesimo compleanno, il padre lo aveva convocato nel suo studio privato per la prima volta. Era stato così orgoglioso del figlio quando quel giorno,  non volendo prendere lezioni di piano, continuava a chiudere con la magia il coperchio dello strumento nero che stava nel salotto.
All’inizio aveva pensato di mandarlo a Durmstrang nell’est Europa, dove era certo che il figlio avrebbe ricevuto un educazione più selettiva e rigida rispetto all’aperta e calda Hogwarts, che non solo accettava figli di babbani tra le fila delle sue case, ma cercava di farli integrare anche con chi, come molti purosangue, non volevano che i loro figli e la loro educazione fossero associati a certi soggetti.
Ma Narcissa lo aveva fatto desistere.
Lei riusciva sempre a fargli cambiare idea su tutto.
-Figlio, alla fine di questa estate prenderai il treno per Hogwarts. So che a undici anni l’ingenuità prende spesso il sopravvento sulla razionalità e sull’intelligenza, infatti voglio metterti in guardia su certe cose: non dubito che tu finisca nella casa di Serpeverde, come tutti i Malfoy prima di te, sarei molto scontento se non fosse così, ne vale il nostro onore, e tu sai che è molto importante.
Sono contento che tu sia nello stesso anno di Gregory, Vincent e Theodore, le loro sono buone famiglie, legate alle tradizioni, ottima gente, ma non saranno tutti così Draco, devi imparare a scegliere da subito lebuone e le cattive compagnie. Il preside, Albus Silente, è dell’opinione che tutti i suoi studenti siano uguali e speciali, ma per Merlino, tu non sei uguale agli altri! Tu sei un Malfoy, devi andare fiero del tuo cognome come del sangue puro che scorre nelle tue vene! Non sei uguale a quei sudici sanguesporco che piacciono tanto al preside, e neppure ai traditori del loro sangue.-
-Certo padre.-aveva risposto. Ma lui in fondo che ne sapeva di ciò che era giusto e ciò che era sbagliato?
Lui aveva imparato ad apprezzare quelli che suo padre chiamava purosangue e sapeva di essere uno di loro e
che poteva vantarsi di questo, e aveva iniziato a disprezzare coloro che non erano come lui, i traditori del loro sangue che consideravano i babbani delle persone uguali e loro, i sanguesporco che erano persone nate da babbani che avevano per qualche scherzo del destino poteri magici e i mezzosangue nati da un genitore mago e uno no.
Cosa avessero di diverso da lui e dalla sua famiglia non lo sapeva e non gli interessava saperlo, se il padre diceva che una cosa era sbagliata doveva essere per forza così.
La seconda volta era stata tre settimane prima.
Il suo quarto anno a scuola era appena finito e non si poteva dire che era stato un anno tranquillo: Potter che riusciva ad accedere al Torneo Tre Maghi e sconfiggeva un drago, il Ballo del Ceppo, il suo primo bacio con Pansy Parkinson, la Granger che ballava con Viktor Krum, campione bulgaro di Quidditch, Potter che sopravviveva agli avvincini, Rita Skeeter, Potter che vinceva il Torneo Tre Maghi, la morte di Cedric Diggory e il ritorno del Signore Oscuro.
Proprio di quest’ultimo il padre voleva parlare:
-Figlio, spero che tu capisca la situazione in cui ci troviamo, il Signore Oscuro è tornato finalmente tra noi, e noi ci siamo schierati di nuovo dalla sua parte, ma non si fida ancora completamente di noi, è normale visto che abbiamo sbagliato a non cercarlo quando credevamo fosse morto, ma lui nella sua infinita magnanimità ci ha concesso di tornare con lui, di tornare con il più forte.- prese un respiro –Tutti i nostri gesti e le nostre azioni sono strettamente controllate, un solo passo falso e siamo di nuovo fuori dal giro, ma questa volta le conseguenze saranno molto gravi.-

 

E adesso si trovava di nuovo seduto al di là della grande scrivania di mogano mentre suo padre tamburellava nervosamente le dita contro una cartella verde acido.
-Draco, ti ricordi quando ho fatto quella donazione al San Mungo prima della finale della Coppa del Mondo di Quidditch ?
-Sì, quando il Ministro ci ha invitato.-
-Esattamente, vedi non è stata una donazione senza secondi fini, infondo che cosa ho mai fatto nella mia vita che non ha avuto un secondo fine.-si corresse mesto –volevo avere una cosa e sono riuscito ad averla.-
Porse al figlio la cartellina che la aprì frenetico, sapeva che cos’era, ne era certo, solo la parola San Mungo gli aveva acceso un ricordo nel cervello: le sue aspettative erano giuste.
Il documento che aveva sognato era lì tra le sue mani e insieme a quello altri fogli e certificazioni che riguardavano tutte la solita persona: Elaine.
-Ho cercato e ricercato un punto debole, un anello fragile in questa catena maledetta, ma quella ragazza si è davvero impegnata molto.-
Draco non capiva, il padre si preoccupava di quello che per lui era solo un incubo che lo aveva svegliato la notte e che continuava a tormentarlo durante il giorno, nulla di più, niente di palpabile, di reale, che cos’è l’amore? Si stava chiedendo.
Perché preoccuparsene infondo, è solo un sentimento, e neanche tanto importante, è l’odio che fa paura, e ne aveva tra le mani una prova evidente, l’odio corrode e lacera.. L’amore cosa fa?
L’amore accarezza, scalfisce, ma non ferisce, quindi non è pericoloso.
-Quindi la mamma non ti ama.- fu l’unica cosa che riuscì a dire, l’unica cosa che lo toccò, perché se c’era una cosa di cui poteva essere certo era l’amore tra i suoi, lo spaventò più questo del fatto che nessuna avrebbe mai amato lui.
Il padre abbassò la testa, rimase così per alcuni secondi, poi guardò il figlio e sorrise:
-No.-
-L’amore non esiste.- perché a quindici anni si da per nullo o inesistente tutto ciò che ci sembra troppo grande e forte, perché a quindici anni si vive in castelli di sabbia che le onde buttano giù senza fatica e altrettanto velocemente noi li ricostruiamo su più forti per farci sentire meno fragili e insicuri, perché Draco in quel momento era così, anche se lui non lo sapeva, e nascondeva dietro la sua maschera di indifferenza e menefreghismo tutto ciò che avrebbe voluto sputare fuori e urlare.
-Sei troppo piccolo per capire, quando avrai la mia età potrai decidere cosa esiste o no, e ti assicuro che l’amore esiste.- gli disse triste –puoi andare.-
Aveva toccato il tasto dolente, il cuore pulsante che sotto le costole preme per scoppiare, sua moglie non lo amava, non lo avrebbe amato mai, lui l’aveva privata di una vita felice, magari sposata con qualcuno che sarebbe riuscita ad amare col tempo, per puro egoismo, per vederla tutti i giorni girare per le stanze della villa, per ascoltarla mentre suonava il piano come un uccellino che nella sua gabbia d’oro canta di libertà e amore.
Lui era solo un mostro.
Il figlio uscì dalla stanza e nello stesso momento entrò lei, che probabilmente aveva aspettato fuori per non disturbare la discussione e per parlare con il marito.
Si mise dietro di lui e gli poggiò una mano sulla spalla:
-Sei un uomo meraviglioso Lucius, lo sai, sei un padre fantastico e il marito migliore che io avessi potuto immaginare.-
L’uomo le prese la mano e se la portò alle labbra.
Lo so che menti” le avrebbe voluto dire “ma sono contento che capisci quello che provo, quanto ho sofferto e quanto continuo a soffrire.”.
Quello che non sapeva era che Narcissa quelle cose le pensava sul serio.
Ne era convinta nel profondo, e nessuno sarebbe riuscito a farle cambiare idee.
Sapeva di essere amata incondizionatamente dal marito, e sapeva che lui amava loro figlio, e che tutto quello che faceva lo faceva per loro due, per la sua famiglia.

Dai sogni a volte non riusciamo a svegliarci, soprattutto dagli incubi.
E a Draco sembrava tutto così poco reale da sfiorare il confine tra sogno e realtà.
La Londra babbana puzzava di viltà, inutilità e di quei vapori grigiastri che uscivano dalle code degli starni mezzi con cui quegli esseri inferiori andavano a lavoro.
Nonostante fosse estate il cielo prometteva pioggia, Londra era così, le stagioni per lei non contavano, il tempo si decideva nell’arco di un secondo, prima pioggia, poi sole.
Il Paiolo Magicoera sempre lì, con la sua insegna lercia e suoi avventori brilli o in procinto di esserlo, i suoi tavoli sgangherati e le sedie che volavano da una parte all’altra del locale.
-Una burrobirra.-
-Subito.-
Tom, con i suoi pochi capelli e la sua grande voglia di parlare e pettegolezzi, si chiedeva come mai il giovane Malfoy si aggirasse da quelle parti tutto solo, ma non fece uscire parola dalla sua bocca raggrinzita, di quei tempi era meglio non far domande.
Nonostante giornali e politici affermassero che Lord Voldemort fosse polvere nell’aria, in pochi ci credevano veramente. Magari la versione di Harry Potter sul suo ritorno era un po’ forte e azzardata, ma perché quel ragazzo doveva mentire? Era già così famoso, e l’unica pubblicità che si era procurato era molto negativa, in quei tempi dove faceva comodo mettere sugli occhi le pagine della Gazzetta del Profeta che però erano ricoperte di sue foto e smentite.
Propaganda anti-panico” l’ aveva chiamata un uomo che lavorava al ministero che era venuto a bere con i colleghi.
Stronzate” le chiamava lui.
Ma il suo lavoro era quello del barista, non quello del pappagallo e quindi preferiva stare zitto e tenersi la sua vita tranquilla.
Dopo aver toccato i mattoni che nel muro permettevano l’accesso a Diagon Alley, Draco, si ritrovò immerso nel suo mondo, sì il suo mondo, maghi e streghe che camminavano con i loro mantelli colorati che strusciavano a terra, la Farmacia con i suoi ingredienti per le pozioni, il Serraglio Stregato dal quale provenivano gli schiamazzi dei gufi e delle civette con il gracidare borioso dei rospi e il miagolio dei gatti, le botteghe, le panchine e Olivander che giù infondo alla strada era il miglior artigiano di bacchette di tutta l’Inghilterra.
Non necessitava di tranquillità in quel momento, ma di qualcosa che lo distraesse un poco dagli avvenimenti del giorno, e quale cura migliore che sentire le vecchie streghe che si consultavano sul miglior modo di preparare la pozione Anti Cellulite e i maghi che leggevano la Gazzetta in cerca di qualcosa di interessante.
Prese una viuzza secondaria, quando la sua attenzione fu catturata da qualcosa o meglio da qualcuno: una ragazza si guardava attorno come persa e continuava a girare la testa come se aspettasse disperatamente qualcuno, con un bastone di legno chiaro nella mano sinistra, poi ad un tratto si inginocchiò per terra e iniziò a tastare le pietre di cui era composta la strada, a qualche centimetro dalla mano la sua bacchetta.
Perché non la raccoglie?”
Resto così a fissarla per un poco poi decise che probabilmente era arrivato il momento di aiutarla, si chinò anche lui e le porse la bacchetta, solo quando fu vicino a lei si accorse di una cosa: la ragazza era cieca.
La aiutò a rialzarsi.
-Quanto sei stato a guardarmi prima di aiutarmi?- disse alterata la ragazza.
-Scusami io..-
-Ti scuso solo se mi accompagni dove devo andare.-
-Dove devi andare?-
-Al Ghirigoro.- rispose impettita.
-Okay ti accompagno.-
Fece per prendere la mano della ragazza per aiutarla, ma la ragazza strinse la bacchetta e la puntò davanti a se e sussurrò: -Indico.- e iniziò a camminare tranquilla.
-Scusa, ma se non hai bisogno del mio aiuto perché vuoi che ti accompagno?-
-Perché mi serve qualcuno da cui farmi portare le borse a casa, sono fin troppo impacciata così.-rispose mentre con il bastone tastava la strada.
-Quindi ti aspetti che io porti i tuoi acquisti fino a casa tua?-
-Non solo, mi aspetto anche che tu mi offra un gelato.- e sorrise.
 
 
 
 
NdA: Pensavo di metterci molto di più a finire il capitolo, ma sono stata abbastanza veloce no?
Grazie a flor99 per la recensione e a chi ha messo la storia tra le seguite.
Allora chi è questa ragazza misteriosa? Dovrete aspettare il prossimo capitolo mi dispiace.
Ho deciso di inserire l’OOC perché non sono sicura di come si evolverà il personaggio di Draco in seguito perché la Rowling non ce lo ha mai descritto innamorato.
Nel prossimo capitolo parlerò un poco della figura di Narcissa, che secondo me è molto interessante.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
 
cranium.   

 

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Capitolo 4
*** Benvenute all'inferno. ***


Per la visualizzazione del capitolo successivo è neccessario cercarlo nell'indice dei capitoli. Scusate il disturbo.
  Il serpente e l’uccellino.
Capitolo II: Benvenute all’inferno.


“Le donne lo sanno
c'è poco da fare
c'è solo da mettersi in pari col cuore.”
Luciano Ligabue.

 

La casa in quel periodo era parecchio vuota.
L’autunno era finito lasciando posto al gelo dell’inverno, che portava il vento freddo di Novembre e una timida prima neve che imbiancava leggermente il paesaggio fuori dalla finestra del salotto.
Forse per la mancanza delle due sorelle o per la tristezza della stagione arrivata, Narcissa Black, si sentiva sola.
La secondogenita, Bellatrix, si era sposata ormai da un paio d’anni e viveva con suo marito, mentre la maggiore un anno prima aveva annunciato il suo matrimonio imminente con un uomo che la sua famiglia non conosceva, il nato babbano Ted Tonks, tradendo così, non solo tutti gli ideali che le erano stati inculcati in quella testa troppo ribelle e troppo indipendente per accettare quello che gli altri volevano per lei, ma anche la famiglia e il suo sangue.
Eppure non riusciva ad essere arrabbiata con lei, non come suo padre Cygnus Black, che ogni volta che qualcuno pronunciava il nome Andromeda in casa rompeva qualcosa, se sua sorella era felice anche lei doveva esserlo.
Ormai con i suoi venti anni, Narcissa, aveva voglia di amore e di una famiglia tutta sua, e non biasimava la sorella, anche se il suo amore era sbagliato, o almeno lei credeva che lo fosse.
Lei era l’unica a sapere del loro amore proibito che andava avanti da molto tempo, lo aveva conosciuto tre anni nella Londra babbana, era un po’ più grande della sorella, con dei capelli scuri e lunghi e gli occhi grandi che guardavano Andromeda con sguardo innamorato ricambiato da lei.
Era molto diversa dalle sue sorelle Narcissa: lei con i capelli biondi della madre Druella Rosier, alta e con le labbra fini, Bellatrix con gli occhi scuri come tutti i Black e i capelli corvini e lisci, Andromeda era più bassa delle altre e i capelli piuttosto crespi.
-Cissy!-
-Bella, come mai sei qui?- le chiese, nascondendo il suo stupore nella sua visita.
-Ho una grande notizia da darti.-
L’ultima volta che la sorella le aveva detto così aveva arrotolato la manica del vestito e aveva mostrato il suo Marchio Nero, e lei ne era rimasta scioccata, ma suo padre era così orgoglioso di avere una figlia tra i prediletti del Signore Oscuro che anche lei venne contagiata dall’entusiasmo della famiglia.
Poco dopo sposò Rodolphus Lestrange, un altro Mangiamorte, non per amore, di questo era certa, perché sua sorella amava, o meglio venerava, un altro uomo: Lord Voldemort.
Le aveva parlato spesso di lui, di come fosse contento del suo operato, delle sue idee e del suo essere “dannatamente affascinante”.
-Ho trovato l’uomo giusto per te, sono sicura che a nostro padre andrà benissimo.-
-E cosa ti fa pensare che andrà bene a me?-le chiese esasperata.
-Il fatto che provenga da un ottima famiglia e che sia un Mangiamorte come me.- le rispose tranquilla.
-Chi sarebbe questo giovane?-
-Lucius Malfoy.-
Narcissa lo aveva già incontrato parecchie volte: era un bel giovane, alto, con gli occhi chiari e i capelli biondi, il portamento elegante e molto intelligente.
-Sai Cissy mi chiede sempre di te, “come sta tua sorella?”, “porta i miei saluti a Narcissa”..-
-È un caro giovane.-
-Perfetto, oggi verrà a mangiare qua.-
-Cosa? Bella! Me lo dici così? Su due piedi?-
-Volevi che ti mandassi una lettera?-
-Oddio devo andare a cambiarmi!-
 
Il pranzo trascorse tranquillo tra vino italiano e pudding, quando a un certo punto Lucius le chiese di uscire nel giardino per parlare, e lei accettò tranquilla.
Nel grande giardino di villa Black, i due giovani passeggiavano tra le siepi curate e i cespugli di fiori che tanto le piacevano:
-Sentite Narcissa, non so cosa vi abbia detto vostra sorella, ma dovete sapere che io vi stimo molto: siete una giovane discreta, dolce, di buona famiglia e anche molto graziosa.- iniziò a dire mentre la ragazza arrossiva.
-E ecco, volevo chiedervi se potevo avere l’onore di frequentarvi per conoscervi meglio, non credo che la vostra famiglia avrà nulla da ridire a riguardo.-
Anche se di qualche anno più grande Lucius Malfoy conservava l’ingenuità dei ragazzini alla prima cotta, dalla prima volta che l’aveva vista e l’aveva conosciuta si era accorto di provare una certa ammirazione nei confronti della sorella minore con i suoi capelli biondi e gli occhi scuri come la sorella, ma molto più grandi e espressivi.
-Siete molto gentile.-
-Spero che sia un sì.-
-Certamente.-
Lucius quella sera ritornò nella villa contento.

Dopo soli tre mesi Lucius chiese la sua mano a Cygnus che accettò ben volentieri il fidanzamento tra sua figlia e uno dei Mangiamorte più vicini alla cerchia del Signore Oscuro, la cui famiglia non solo aveva il sangue puro come il suo, ma anche un conto in banca alla Gringott da fare invidia.
Narcissa però non era in preda all’euforia che pensava.
Certo aveva acconsentito subito quando Lucius le aveva detto che aveva intenzione di sposarla, presa probabilmente più dal momento magico che si era creato quando lui si era inginocchiato davanti a lei e le aveva mostrato un bellissimo anello che da un reale sentimento.
Non sapeva come mai, ma quando stava con lui era come se il suo cervello si dividesse, e la parte che di solito vinceva era quella che diceva di non fidarsi dell’uomo che aveva vicino, di non cedere alle lusinghe e al suo corteggiamento, e se all’inizio aveva cercato di zittire quella vocina fastidiosa che le corrodeva le meningi adesso si ritrovava ad aver paura di aver fatto la scelta sbagliata, quella che l’avrebbe portata alla distruzione.
Probabilmente capì che il suo matrimonio non avrebbe contemplato alcun sentimento, almeno da parte sua, il primo giorno di primavera.
Quel pomeriggio Lucius l’aveva invitata per una passeggiata a Diagon Alley e lei, incoraggiata dalla madre, aveva deciso che avrebbe accettato.
La giornata si prospettava bella e serena, probabilmente il cielo si era sfogato abbastanza, e la coppia camminava sottobraccio per la via:
-Cara che giorno hai scelto per il matrimonio?-il passaggio da voi al tu era stato fortunatamente veloce e senza timidezza.
-Avevo pensato a maggio, sai è il mese delle rose.-
-Perfetto.-
-Quante persone pensi dovremo invitare.-
-Tutte le necessarie.-
-Sai i Black sono tanti, dove li mettiamo tutti?-sorrise.
-Te l’ho mai detto che hai un sorriso bellissimo?-
Di lui questo non si poteva dire, poche volte spuntava un sorriso tra le sue labbra fini, al massimo di derisione.
Ad un tratto un ombra scura gli attraversò la strada.
-Che modi!- esclamò la giovane.
-Hai visto chi era?-chiede preoccupato.
-Mi sembrava Sebastian Crug, sai quell’uomo basso che lavora a Nocturn Alley, ha una faccia che non mi piace.-
-Torno subito, aspettami qua.-
E si allontanò per la via che aveva preso l’uomo prima di lui velocemente.
Narcissa intanto pensava dove aveva già sentito il nome dell’uomo, glielo aveva nominato Bellatrix, di questo era certa, ma quando e come?

 

-Bella, che ti prende?- le chiese una sera, poiché quest’ultima la era venuta a trovare.

-Niente Cissy, c’è un uomo che sta dando un po’ di problemi al nostro Signore, è Sebastian Crug, doveva passarci delle informazioni su l’Ordine della Fenice invece è solo un piccolo bastardo doppiogiochista!-e si era alzata dalla poltrona furente.

-Il Signore Oscuro lo vuole morto! Ma nessuno riesce a trovarlo quel maledetto.-

 

Il cuore perse un battito o due.
“Lo vuole morto”.    
Lucius lo stava cercando per ucciderlo.
Non ci aveva pensato prima, o almeno non aveva dato troppa importanza alla cosa: Lucius Abraxas Malfoy era un Mangiamorte.
Lucius Abraxas Malfoy era un burattino dai fili annodati in mano del burattinaio più spietato che la marionetta potesse trovare: Lord Voldemort.
Lucius Abraxas Malfoy era un assasino.
Lucius Abraxas Malfoy stava uccidendo un uomo in questo momento.
-Narcissa.-
La sua voce le arrivò distante, ovattata. Non poteva essere reale, la promessa sposa di un assassino, futura moglie di un sicario.
Non vedendola reagire Lucius tentò di prenderle la mano preoccupato:
-Non mi toccare!-gli urlò.
La mano di Malfoy era una mano maligna, un emissario di morte e distruzione, uno strumento di tortura, lasciarsi prendere, toccare, sfiorare era essere complice, era una mano che aveva ucciso, uccideva e avrebbe ucciso.
Ma non era solo questo, era la repellenza che provava nel vedere un uomo ridursi così, era un formicolio a pelle che aveva sempre provato nei suoi confronti, era le paura dei suoi occhi freddi di metallo, di una tempesta che non si sarebbe fermata, ma che si sarebbe rovesciata tutta su di lei.
Mostro”.
Non riuscì a trattenersi, si smaterializzo con un –crac- che sapeva di una promessa di addio che non avrebbe potuto mantenere.
Tornò a casa verso sera, bagnata di una pioggia che non era piovuta, sola con la gola secca e le dita che si tormentavano provando a contorcere un anima che non trovavano neppure nelle viscere.
Aveva sbagliato a trattare così Malfoy, sua sorella era come lui, ma non l’aveva mai giudicata, perché adesso si permetteva di giudicare lui? Figlia di Black che di nero non avevano solo il cognome, ma il cuore, e anche il suo era così, nero di delusione verso se stessa, nero di rabbia, rimorso.
Entrò nella villa e non si stupì nel vedere tutta la famiglia e Lucius che l’aspettavano impazienti, era solo colpa sua se erano rimasti in pensiero.
L’uomo appena la vide le corse incontro.
-Mi hai fatto preoccupare.- era ancora preoccupato, lo vedeva dagli occhi che erano ansiosi di dirle un qualcosa che ancora non poteva sapere.
-Mi dispiace veramente.-
-Dobbiamo parlare, è importante.-
Nel salottino c’erano solo loro adesso, e mentre Lucius camminava consumandosi suola e tempo lei era seduta in attesa del momento giusto per scusarsi.
-Una donna, qualche secolo fa, lanciò una maledizione sui Malfoy, una maledizione potente, nessuna donna ci potrà mai amare. Perché siamo dei mostri, Narcissa, mi dispiace di non avertelo detto prima, non ti biasimo se vorrai annullare il matrimonio e allontanare me dalla tua vita, però ti devo dire una cosa: ti amo, sì ti amo, so che questo sentimento non potrà mai essere ricambiato , ma mi premeva dirtelo, anche se non potrà mai cambiare le cose tra noi.-
Maledetto, maledetto, allora non era il suo cervello a respingerlo, ma qualcosa che non conosceva, qualcosa di troppo forte per essere spezzato. Non avrebbe mai amato Lucius Malfoy, ma lo avrebbe sposato.
Sì perché i suoi sentimenti erano sinceri, perché il suo cuore era puro, almeno nei suoi confronti, lui l’amava e l’avrebbe resa felice, e lei avrebbe reso felice lui. I suoi sentimenti erano disarmanti e lei era ceduta, ma sapeva che cedere al cuore non portava solo rose e fiori, ma anche spine, e lei le avrebbe accettate tutte finché Lucius sarebbe stato con lei.
Si alzò anche lei e si avvicinò a lui, gli accarezzò la guancia.
-Lucius io voglio sposarti, se ancora tu mi vuoi, il comportamento di oggi da parte mia è stato inammissibile, me ne vergogno tanto.-
-Non potrò mai renderti felice.-
-Questo lo posso sapere solo io.-
Si erano sposati e avevano avuto un bambino, Draco, identico al padre, e Narcissa aveva insistito perché avesse anche il nome di Lucius.
Lo amava? No. Lo stimava, lo rispettava.
Era felice? Tantissimo.
 
 
-Ciao Marcus, è arrivato il libro?-chiese appena arrivata al Ghirigoro.
Le alte librerie di legno chiaro e un po’ marcio erano zeppe di tomi dai più grossi ai più piccoli, dai più nuovi con le copertine ancora fiammanti a quelli vecchi un po’ consunti dalle pagine ingiallite o strappate.
-Ehilà!-salutò il magi-commesso quando emerse dal bancone ricoperto di carte.
-Allora è arrivato?-chiese di nuovo impaziente.
-Certo che è arrivato! Cosa credi? Te lo avevo promesso no?-e da sotto il bancone prese un libro piuttosto grosso con la copertina colorata e lo mise nella borsa scura che la ragazza gli stava porgendo.
-“Grandi Maghi del Ventesimo secolo” in braille, non sai che fatica ho fatto per trovarlo!-
-Sei il migliore Marcus!-gli disse raggiante.
-Perché non lo dici al principale? Così mi da una promozione. Se vuoi te lo porto io a casa quando finisco il turno.-
-No, oggi ho preso un assistente.- rispose.
Marcus squadrò il ragazzo che accompagnava la sua amica, i capelli biondi, l’incarnato pallido e un paio di occhi freddi: un Malfoy.
Lo aveva già visto qualche anno prima quando un signore dai capelli rossi si era attaccato con il padre del ragazzo. Aveva sentito le parole forti che il ragazzino dodicenne aveva usato per insultare una ragazzina della sua età solo perché nata babbana, e un'altra perché veniva da una famiglia povera. Come poteva una persona così giovane essere così meschino nei confronti degli altri. Sapeva quello che stava dicendo? Assolutamente no, secondo lui.
Cosa ci faceva con quella ragazza?
-Okay, tra due settimane mi arriverà una nuova sorpresa per te.-
-Sei il mio angelo!-
-No tu sei il mio angelo, torna a trovarmi!-e le sorrise raggiante.
“Magari con un altro assistente”pensò.
Uscirono dal negozio e la ragazza iniziò a camminare davanti a lui.
Era la persona più strana che avesse mai visto: forse per i calzini spaiati, uno nero e uno rosso, o forse per  la maglietta che indossava di un color verde pisello spento, ma poco discreto o probabilmente per i capelli molto scompigliati tenuti in una strana posizione dalle molte mollette colorate che provavano a tenere giù quei fili disordinati e annodati che aveva su quella testa castano scuro.
Ma a lei non importava, si vedeva dalla sicurezza con cui zampettava veloce e incurante del pericolo che correva nel camminare così spedita tra le pietre mosse della strada.
Iniziò ad aumentare il passo per starle vicino:
-Quanti anni hai?-chiese col fiatone.
-Sei ancora qui? Pensavo di averti perso davanti al Ghirigoro! Comunque quattordici, tu?-
-Quindici.-
“Solo un anno più piccola.”
Non parlarono più fino a quando arrivarono da Florian Fortebraccio, il gelatiere di Diagon Alley, si sedettero in un tavolino fuori e ordinarono due gelati.
-Come ti chiami?-chiese Draco.
-Non te lo dico, mi prenderesti in giro.-rispose testarda.
-Non può essere più strano del mio, dai dimmelo.-
La ragazza sbuffò infastidita poi rispose:
-Mi chiamo Wren contento?-
-Ti chiami scricciolo?-e scoppiò a ridere, più per l’espressione buffa che aveva fatto la ragazza che per il nome. Infondo le si addiceva: aveva le spalle strette e era piuttosto minuta, ma il carattere non era quello di un timido uccellino.
-Adesso mi dici come ti chiami tu.-
-Draco, mi chiamo Draco.-
-Sì hai ragione è strano.-
-Senti chi parla.-
Malfoy si accorse che il gelato della ragazza era quasi finito mentre il suo era integro, non aveva molta fame infondo, allora scambiò le coppette e quando Wren affondò il cucchiaio nella sua si accorse dello scambio e gli sorrise.
-Vai a Hogwarts?-
-Sì, tu dove studi?-
-A casa, il Ministero mi da il permesso di usare la magia anche se ho solo quattordici anni.-
-Beata te.-
-Io uso la magia solo per le piccole cose, so proteggermi, ma non so disarmare, schiantare e altre cose che tu sai fare.-
-Come mai?-
-Perché queste cose non mi serviranno mai.-
Poi si alzò dalla sedia e Draco pensò volesse andarsene, ma lei si sporse molto sul piccolo tavolino tondo e bianco e avvicinò il viso magro a quello del ragazzo che le stava di fronte e gli sorrise serena:
-Tu.. tu profumi di gelsomino!-
Il ragazzo rimase stupito dal comportamento della ragazza, così semplice e spensierato e subito iniziò a sentire caldo alle gote a cui saliva quel sangue puro di cui andava così fiero, si ricordò così della domanda più importante che avrebbe dovuto porle.
-Mia madre li adora.- si giustificò, grato che la ragazza non potesse vedere lo stato in cui lo aveva ridotto.
-Tuo padre dove lavora?- sapendo che tutto dipendeva dalla risposta alla domanda.
-Ministero, è un Auror.-
-Come si chiama che magari l’ho già sentito nominare?-
-Edmund Gray.-
“Edmund Gray, meno male”pensò tra se e se, sperava proprio che Wren non fosse una Mezzosangue.
Conosceva di fama il padre, non un Auror da tre zellini, si intende, uno di quelli che nel proprio lavoro ci mette il cuore, che ha negato alla famiglia, si diceva che spesso dormisse in ufficio per risolvere un caso o restasse giorni fuori casa se c’era da prendere un criminale.
Eppure, gli aveva detto Lucius, il Ministero gli concedeva molte ore da passare con la figlia, che si diceva avesse dei problemi, ma lui non ne usufruiva mai. La moglie era morta di parto e lui aveva venduto l’anima e il corpo alla seconda cosa che amasse di più al mondo, il suo lavoro, abbandonando la figlia a crescersi da sola.
Parlare del padre non doveva piacerle molto.
Ma Wren era Purosangue e nulla lo avrebbe reso più felice quel giorno.
-Mi accompagni a casa?-disse ad un tratto bloccando il flusso dei suoi pensieri.
-Andiamo.-
Arrivarono fino ad Olivander poi presero una viuzza secondaria che portava all’interno di Diagon Alley, dove uno ammassato all’altro stavano palazzotti di sasso.
Si fermò davanti ad un portone di legno:
-Grazie mille Draco.-gli disse prima di chiudersi la porta alle spalle.
-Aspetta! Domani ci possiamo rivedere?-disse paonazzo in viso.
-Certo!-rispose lei raggiante.
Passavano così le settimane, e si vedevano quasi tutti i giorni.
Andavano a prendere un gelato, camminavano e camminavano tra le vetrine dei negozi e tra i passanti che li osservavano con sguardo vacuo mentre lei non osservava niente con i suoi occhi spenti.
Continuava a portarlo al Ghirigoro per prendere i libri che il commesso le faceva arrivare da chissà dove e da chissà chi.
-Tu e il magi-commesso state per caso assieme?- le chiese un pomeriggio di sole.
-Sei geloso?- richiese con il sorriso limpido e genuino di una bambina.
-No!-
-Certo come no, no non stiamo assieme.-
-Bene.-
-Bene.-
-Bene.-e si poteva dire felice.
Ormai mancava poco più di una settimana al suo ritorno ad Hogwarts e già in casa il sentore di pergamena e incantesimi si sentiva febbrilmente, c’era il baule da preparare e tante cose da fare.
-Caro quest’estate non ti ho visto molto a casa.- chiese la madre una mattina a colazione mentre l’elfo domestico prendeva i piatti dalla tavola e li riportava in cucina.
-Ho passato molto tempo a Diagon Alley.-rispose abbassando la forchetta.
-Non credo che tu abbia comprato tutte le cose che ti servono per Hogwarts vero?
-No le prenderò oggi.-
-Vuoi che ti accompagni?-
-No, grazie madre, posso fare da solo, adesso devo andare, non mi ricordo dove ho messo la lettera da Hogwarts e il mio distintivo da prefetto.-e si alzò.
Quando fu fuori dalla portata del suo orecchio Narcissa disse:
-Sai Lucius, secondo me tuo figlio si è trovato una fidanzatina.- e sorrise.
“Spero proprio di no”pensò lui.
 
-Quindi sei un prefetto.-chiese Wren tra un Gelatina Tutti i Gusti Più Uno e un’altra.
-Esattamente.-disse fiero.
-E cosa devi fare in poche parole?-continuò in quel momento mentre giocava con il suo distintivo.
-Devo controllare i corridoi, posso mettere in punizione gli studenti e togliere i punti alle altre Case.-
-E tu di che Casa fai parte?-
-Te lo avrò detto mille volte.-
-Mi piace sentirtelo ripetere.-
-Serpeverde, la Casa migliore, dove sono stati tutti i Malfoy, dove è stato anche Merlino¹, e tutti i maghi più forti e potenti, siamo astuti e intelligenti, o almeno la maggior parte.-disse pensando a Tiger e Goyle.
-Quindi mi stai dicendo che siete dei brocchi.-
-In verità stavo dicendo tutto il contrario.- disse esasperato.
-Non arrabbiarti però, adesso cosa devi prendere?-chiese.
-Devo andare da Madama McClain perché la divisa dell’anno scorso mi è piccola.-
-Adoro quel posto! C’è sempre tanta stoffa da toccare e la padrona è molto gentile con me, mi regala sempre dei cioccolatini.-disse raggiante mentre sussurrava alla bacchetta la nuova meta.
-Ovunque andiamo ti regalano caramelle e cioccolatini.-
-Sarà perché io sto simpatica alla gente al contrario di te.-
-Quindi non starei simpatico a nessuno secondo te.-
-Non proprio a nessuno nessuno, a me stai simpatico.-
-Mi basta questo.-
 
 
NdA: Per prima cosa ringrazio quelli che hanno commentato ho hanno messo la storia tra le seguite: siete i miei angeli.
Seconda cosa: un augurio speciale a Caterina che si è iscritta! Mi hai promesso che pubblicherai presto!
Capisco che la parte di Narcissa e Lucius sia molto più bella dell’altra, almeno secondo me, questo perché Draco e Wren avranno molto spazio nei capitoli che verranno (speriamo bene), a discapito, a volte, dei coniugi.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, prometto di aggiornare presto.
 
¹: Merlino è stato un Serpeverde come me, l’ho saputo grazie alle informazioni che la Rowling ha messo su Pottermore.
Un bacione.
 
cranium.

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Capitolo 5
*** Neve e Ricordi. ***



Il serpente e l’uccellino.
Capitolo IV: Neve e Ricordi.

"Non desidero una rosa a Natale più di quanto possa desiderar la neve a maggio:
d’ogni cosa mi piace che maturi quand’è la sua stagione.”

William Shakespeare, Pene d'amor perdute
 

Tornato a Hogwarts riprese anche la sua routine.
Adorava fare il Prefetto: mettere alle strette qualche piccolo Grifondoro o Tassorosso era inebriante quasi quanto vedere la paura stampata sulle loro faccette, la cui unica colpa era, magari, quella di star per arrivare in ritardo per l’ora di Trasfigurazione a aver corso per i corridoi.
La nuova insegnante di Difesa Contro Le Arti Oscure gli piaceva molto, se non fosse stato per la bassa statura, la bocca larga, il sorriso inquietante e la non moderata passione per tutto quello che avesse le tonalità del rosa e che facesse “miao”, sicuramente si sarebbe recato più volte nel suo studio come lei molte volte lo invitava a fare.
Dolores Umbridge, la cui bacchetta tozza era nulla in confronto alla stazza che le portava ad avere la maggior parte delle volte un portamento sgraziato e innaturale, era Sottosegretario Anziano del Ministro della Magia e membro del Wizengamot.
Aveva già avviato precedentemente al suo arrivo ad Hogwarts una spietata e al quanto sensata, almeno secondo Draco, campagna contro Harry Potter, il bambino che era sopravvissuto a Colui che non deve essere nominato, ma che sembrava annaspare contro un rospo rosa che cercava di smontarlo sia nella carriera scolastica sia psicologicamente.
La Umbridge era famosa per i suoi metodi non del tutto consoni con i provvedimenti che normalmente il Ministero prendeva, ma che, riscuotendo molto successo, erano spesso approvati mentre alcuni chiudevano un occhio o due, e Draco non voleva immaginare che cosa subisse Potter durante le punizioni che la signora in rosa gli infliggeva particolarmente volentieri e in modo compiaciuto.
Lucius era dannatamente contento che il Ministero iniziasse a metter bocca e mano negli affari di Hogwarts soprattutto se ciò andava a suo favore.
Non avendo mai potuto sopportare Albus Percival Wulfric BrianSilente, che da molti anni vantava la carica di Preside, nonché guarda spalle di Potter, Malfoy era in estasi all’idea che finalmente qualcuno lo mettesse in riga, e se questo qualcuno era Dolores Umbridge tanto meglio.
Un mattino di Agosto Narcissa gli disse di tornare a casa per il the delle cinque perché lei e il marito avevano una persona da presentargli.
Draco non aveva molta voglia di passare la serata con qualche vecchio rintronato dalla barba bianca e dalla voce resa innaturalmente alta e squillante dalla sordità quasi totale, o trovarsi davanti all’intero club di signore che sua madre frequentava tanto volentieri, ma di sicuro non si aspettava di trovarsi quella che si era presentata come sua nuova professoressa di Difesa Contro le Arti Oscure.
-Dolores- disse sua madre dopo aver appoggiato la tazzina di uno dei servizi che amava tanto sul tavolinetto che le stava di fronte –non so se ne eri a conoscenza, ma in molti sostengono che la cattedra della tua materia sia, come dire, un po’ sfortunata.-
-Personalmente Narcissa ritengo che gli insegnanti che la scuola ha avuto prima di me, soprattutto quelli degli ultimi anni, siano stati scadenti e mediocri, totalmente incapaci di insegnare, e senza un programma ministeriale per giunta! Uno scrittore scriteriato che ora è ricoverato al San Mungo senza memoria e un briciolo di senno, un lupo mannaro che avrebbe potuto aggredire uno o più studenti e un povero pazzo che ha avuto il cattivo gusto e l’ardire di provare Maledizioni Senza Perdono davanti a quei poveri pargoletti indifesi, cosa che il Ministero nel corso degli anni ha cercato di scoraggiare e poi vietato definitivamente.-

Poi si girò completamente verso di lui, con il suo completino rosa e il cerchietto in tinta sulla testa grigia e riccia, e Draco vide in quegli occhi acquosi una sadicità, un animo malato di regole, pizzi e merletti, una donna che credeva di poter davvero migliorare le cose e che non si sarebbe fermata davanti a niente e nessuno e che avrebbe raggiunto il suo scopo in qualunque modo.
“Il fine giustifica i mezzi.”
Lo lesse sulla sua fronte corrugata.
Lo lesse nel suo respiro calmo, ma che aveva qualcosa di irregolare.
Lo lesse tra le sue mani che stavano unite e composte sulla gonna rosa.
Lo lesse su quelle labbra fini che si stavano aprendo piano in un orrido sorriso da anfibio velenoso qual’era.
-Draco caro, quest’anno le cose cambieranno di molto.-
 
Come previsto le cose erano cambiate parecchio: da semplice professoressa era diventata ad un tratto Inquisitore Supremo.
Cosa fosse poi un Inquisitore Supremo pochi lo capivano anche se era da un po’ che aveva assunto la misteriosa carica che adesso investiva, solo una cosa era chiara: stava dando filo da torcere a molti altri suoi colleghi che non erano d’accordo con lei o che non erano molto preparati.
La professoressa Cooman non era di certo una Veggente, anche se lei amava convincere e convincersi di esserla, e l’uniche cose che prediva regolarmente con una certa costanza e con un certo ardore erano sciagure, predizioni nefaste e morte al povero Potter che ingoiava tutto questo mentre gli altri ridevano sotto i baffi per queste cose.
Questa sua poca bravura non era apprezzata dal nuovo regolamento scolastico che puniva tutto ciò, e quindi era stata messa sotto torchio dalla Umbridge, che la controllava costantemente e la metteva sotto pressione, questo non aiutava la povera professoressa che nella sfera non riusciva a vedere neppure il suo riflesso per gli occhiali appannati.
Anche la professoressa McGranitt stava subendo le ripercussioni del nuovo Inquisitore, ma con il suo carattere forte e determinato da vera Grifondoro non si sarebbe fatta mettere alla porta tanto facilmente, sì sa, i leoni i rospi come lei se li mangiano a colazione e avrebbe difeso il suo posto, i suoi studenti e il suo Preside sempre e comunque.
Piton sembrava non essere d’accordo con la presenza della donna durante le sue lezioni, ma lui non avrebbe avuto problemi, anche perché molti genitori di ragazzi Serpeverde si sarebbero battuti per il loro professore preferito.
L’altro che, invece, sembrava avere gli stessi problemi della professoressa di divinazione era il guardiacaccia Rubeus Hagrid, professore di Cura delle Creature Magiche, che, oltre ad essere arrivato a scuola dopo l’inizio dell’anno scolastico e quindi messo in allerta la donna, non era molto simpatico a molti studenti, soprattutto ai perfidi Serpeverde la cui opinione sembrava importare molto all’Inquisitore Supremo.
Nonostante questo la vita per lui non era cambiata molto.
Pozioni era la materia in cui andava meglio, seguita a ruota da Difesa Contro le Arti Oscure.
Trasfigurazione gli aveva sempre creato qualche problema, così come Erbologia, ma non gli interessava più di tanto.
Suo padre e sua madre gli scrivevano regolarmente per essere informati sul suo rendimento e su quanto e come si stesse dando da fare con la scuola.
Wren ormai era una storia vecchia storia, ormai il vento novembrino se l’era portata via come aveva portato via le foglie dall’Albero Picchiatore. Probabilmente per la distanza che li allontanava o forse per l’impossibilità di comunicare o forse per le attenzioni di Pansy, Draco se l’era dimenticata, o almeno così pensava.
Pansy aveva insistito per baciarlo di nuovo e lui indietro non si era tirato.
La Sala Comune di Serpeverde era illuminata dalla luce pallida e verdognola che filtrava dall’enorme vetrata che dava sul fondale del Lago Nero, dal quale i lunghi tentacoli della piovra gigante salutavano agitandosi nell’acqua salmastra.
Con la testa appoggiata sulle gambe di Pansy, che lentamente gli accarezzava i capelli lisci e biondi, Draco Lucius Malfoy si era quasi completamente dimenticato dell’estate trascorsa e della maledizione che a suo padre bruciava ogni ora della giornata.
La porta di sasso che bloccava l’ingresso alla Sala Comune cigolò nervosa, qualcuno stava entrando.
Theodore Nott, dalle lunghe gambe e dai capelli corvino, era di quanto più simile ad un amico Draco avesse: avevano passato l’intera infanzia assieme e il resto della vita a farsi inculcare in testa teorie e congetture  dai padri, e adesso dividevano il dormitorio con altri ragazzi del loro anno.
-Draco in guferia c’era il tuo barbagianni, probabilmente voleva portarti la lettera domani mattina a colazione, ma ho pensato che potevo dartela io tanto dovevo tornare in dormitorio.- e gli consegnò una busta che portava l’indirizzo di casa sua.
-Grazie Theodore.- ringraziò mentre l’altro con un cenno del capo si congedava.
-Chi ti scrive Draco?- chiese curiosa Pansy.
-I miei.- rispose portandosi a sedere per leggere meglio.
“Caro Draco,
io e tuo padre ci siamo trasferiti momentaneamente nella nostra residenza di campagna nel Wiltshire, ne ho approfittato per andare a trovare mia madre e le ho portato i tuoi saluti più sentiti, penso che la vita di campagna le faccia veramente bene, è molto più colorita, e è sempre in giardino a curare le sue piante che tanto adora.
Ho saputo da Severus che hai preso un Eccezionale nell’ultimo compito di Pozioni e che svolgi i tuoi doveri di Prefetto diligentemente, inutile informarti di quanto io e Lucius siamo fieri di te, Dolores ha preso molto sul serio il suo nuovo incarico ho sentito dire.
Ti ho scritto, in particolar modo, per informarti che al nostro recapito della villa fuori Londra è arrivata una lettera per te, probabilmente il mittente non ha informato il suo gufo che ti trovi a scuola in questo momento, informa chi te l’ha inviata di questo, mi raccomando.
Comunque l’elfo domestico che abbiamo lasciato là ci ha mandato la busta e io te l’allego alla mia missiva.
Non ho sbirciato nel contenuto, ma non ho potuto non leggere il nome di chi te l’ha inviata, un certo Scricciolo.

Narcissa.”
 

Una lettera da Wren.
Il suo cervello si scollegò per un attimo: Wren gli aveva scritto, in qualche modo ma gli aveva scritto, e lui non l’aveva pensata neppure un poco ultimamente.
Certo all’inizio era stato difficile abituarsi alle ragazze in divisa che camminavano con la cartella sulla spalla e non vedere più i pantaloni verde acido che lei adorava mettere e il suo bastone di legno chiaro, mangiare zuppa calda invece che i rinfrescanti gelati di Florian Fortebraccio, ma con il passare dei mesi aveva deciso che i capelli lisci e neri di Pansy meritassero più attenzione di quelli ribelli, un po’ crespi e di un colore scontato di Wren.
Ma adesso tutto cambiava improvvisamente: il sorriso della ragazza si sovrapponeva a quello della Parkinson che gli scuoteva il braccio perché voleva sapere chi fosse il misterioso mittente della lettera dal nome così buffo.
Si alzò di scatto e con la lettera in mano corse a chiudersi nella camera di quelli del quinto anno e si buttò sul letto.
Con il sorriso da ebete stampato in faccia aprì velocemente la lettera e si gustò il contenuto;
“Caro Serpeverde dei miei stivali,
se non ci fossi io, con il mio cervello elaborante, non avresti mai trovato tu tutto da solo il modo per sentirci, vero?
Bene io l’ho trovato, perché sono di un’intelligenza troppo superiore, Marcus mi scrive tutto quello che gli chiedo e così posso sentirti, mi chiedo come tu non ci sia arrivato prima, mio ingegnoso, ottuso, Draco Lucius Malfoy.
Beh spero che tu non ti stia crogiolando nel tuo brodo, ma che ti stai impegnando sul serio, con i tuoi compiti in classe e con il tuo lavoro come prefetto perfetto.
Qui le cose vanno bene, mio padre ieri è venuto a casa prima di cena e ha cucinato per noi, strano è? E mi ha chiesto pure come mi andava la vita, cosa che non mi chiede da almeno tre anni, io avrei voluto rispondergli che starei molto meglio se avesse lasciato che la signora Burkin cucinasse come fa sempre invece di preparare quel coso che ha chiamato cena, ma non volevo rompere quel momento magico che non si rivedrà per i prossimi dieci anni, tanto lo sai, ci sono abituata, ormai la sua presenza non-presenza non mi fa ne caldo ne freddo.
Marcus ha, finalmente, ricevuto la promozione, ci teneva tanto che te lo dicessi, adesso è addetto agli ordini esteri o qualcosa del genere, lui è molto contento e io per lui, e oltre a qualche galeone in più a fine mese ci guadagna anche alcune ore in meno di lavoro che gli io puntualmente gli sottraggo costringendolo a passarle con me.
Torni per Natale vero? Lo spero per te. Ho già trovato il regalo giusto per te e non vedo l’ora di dartelo, vedrai ti piacerà.
Vergognati per non avermi scritto prima.
Con poco affetto.

Mia Wren.”

Rilesse un’altra volta la lettera che teneva tra le mani.
Lei gli aveva pensato, gli aveva già trovato un regalo per Natale, lui invece aveva scordato i momenti che avevano passato assieme.
Cosa provasse per quella ragazza ancora non lo sapeva, ma sicuramente era qualcosa di forte.
Prese la carta da lettere nel comodino e iniziò a scrivere.
Però le parole non gli arrivavano nel momento giusto e nel modo giusto e il cestino si riempì presto degli scarti della sua immaginazione che andava a scatti, che gli bruciavano le meningi.
Anche se poco soddisfatto della riuscita del suo intento decise che le avrebbe inviato quello che era riuscito a scrivere. Corse sulle scale a chiocciola che portavano alla guferia dove alloggiavano parecchi uccelli per il trasporto delle lettere, fortunatamente il suo barbagianni era ancora a riposarsi sul trespolo e non era ancora tornato a casa, lo svegliò con un leggero buffetto e gli legò la lettera alla zampa, pregò che il contenuto arrivasse presto alla destinataria:
“Cara Wren,
se avvertissi il tuo gufo che io sono a Hogwarts, magari apprezzerei meglio e in tempo le tue idee geniali.
Per tua informazione ho la media dell’Oltre Ogni Previsione, che mi sembra giusta e buona.
Il lavoro da Prefetto va benissimo, mi faccio rispettare dai ragazzi più piccoli delle altre case.
Sono contento che tuo padre cerchi di restaurare il rapporto che c’è tra di voi, dovresti ammirarlo per questo, sta solo cercando di farti capire che a te ci tiene molto, anche se non riesce a dimostrartelo molto bene, non puoi biasimarlo per questo.
Per Natale sarò a casa, quasi sicuramente, anche io non vedo l’ora di darti il tuo regalo.

Draco.”

Il problema era che Draco non aveva la più pallida idea di cosa regalarle.
Decise che probabilmente un consiglio femminile lo avrebbe aiutato di più, Pansy era al momento non-consultabile, e di altre non ne conosceva molte, la Greengrass non aveva di certo gli stessi gusti di Wren, e neppure la Buldstrode, e allora a chi poteva chiedere?
Camminò per i corridoi velocemente per tornare ai sotterranei dove sicuramente avrebbe trovato qualcuna a cui chiedere un consiglio, ma si scontrò con l’alta figura della professor Piton.
-Signor Malfoy!-
-Mi scusi professore.-
si scusò frettolosamente.
-Spero che abbia una giustificazione per la sua distrazione.-
-Ecco io.. stavo cercando una ragazza!-
-Oh tutti cercano una ragazza alla sua età, poi la troverà stia tranquillo.-
-No io cerco una ragazza a cui chiedere un consiglio.-
-Beh, non ho quindici anni e non sono proprio una femmina, ma se serve un aiuto io potrei aiutarla.-
-Devo comprare un regalo.-
-Mi segua nel mio ufficio.-

Adesso i guai erano due, non aveva un regalo e quello che le avrebbe comprato con l’aiuto del professore sarebbe stato un disastro.
Lo seguì per i sotterranei fino alla porta scura che celava tutte le scorte per le pozioni e la scrivania di Piton e si accomodò nella sedia davanti all’uomo.
-Devo comprare un regalo per una mia amica.- disse tutto di un fiato.
-E questa sua amica sarebbe la signorina Parkinson.-
-No, è una ragazza che non studia a Hogwarts, studia a casa, lei è purosangue
.- disse come giustificazione per il suo interesse.
-Capisco e questa signorina quanti anni ha?-
-Quattordici.-
-Perché non le prende un libro?-
-Perché lei legge solo il braille, e l’unica libreria che li ordina è il Ghirigoro, ma ci vuole più di un mese per farli arrivare e a me serve per Natale!-
-Non è forse la signorina Gray, la figlia dell’Auror?-
-Sì è lei.-

-Ragazza molto sveglia, peccato per il padre che non la considera abbastanza. Perché non va a Hogsemeade? C’è una bottega molto interessante, il proprietario si chiama Albert, Albert Tale.-

Severus continuò a camminare per il suo studio tra alambicchi e boccette.
Draco si stava innamorando, di questo era certo. Conosceva Lucius e era a conoscenza del suo cruccio, della sua maledizione, sapeva che anche per Draco era così e non voleva vederlo soffrire.
Innamorarsi senza possibilità di essere ricambiato è la cosa più straziante che un uomo possa auto-infliggersi, e lui lo sapeva bene.

Aveva conosciuto Wren Gray una mattina di Agosto due anni prima, quando, con il professor Silente si aggirava per Diagon Alley che era in preda al panico per l’apparizione del Marchio Nero alla finale della Coppa Mondiale di Quidditch, ma Albus sembrava tranquillo come un’altra figura che camminava qualche metro davanti a loro, il preside aumentò il passo per raggiungerla.

-Ciao cara!- le disse mentre posava una mano sulla sua spalla –Sono il professor Silente.-

La ragazza si girò, portava un vestitino a scacchi bianchi e rossi, manco fosse una tovaglia, e sulla testa un grosso fermaglio a forma di farfalla che scintillava colpito dal riverbero del sole estivo, il naso piccolo e i lineamenti dolci e i capelli sbarazzini di un castano comune, ma la cosa che lo colpì di più, oltre alle borse appese al braccio dove tendeva la bacchetta tesa neanche dovesse attaccare qualcuno, fu il lungo bastone di legno che portava nell’altra mano: la ragazza non ci vedeva.

-Salve professore.- rispose con un sorriso aperto e sincero.
-Hai bisogno di aiuto con le borse?-
-No, no, grazie ce la faccio.-
-Insisto, il mio amico Severus sarà felice di aiutarti.-

Piton si avvicinò.
-Ciao!- salutò Wren.
-Salve anche a te.- rispose cordiale.
-Allora signorina- iniziò il preside mentre si incamminavano verso casa della giovane –come va il mio caro Edmund?-

-Glielo direi se lo sapessi, sono due giorni che non si fa vedere.-

-La signora Burkin ti aiuta a casa?-

-Oh sì, se non ci fosse sarei morta di fame, oggi le sono andata a prendere delle erbe in Farmacia, non so cosa ci debba fare, però hanno un buon profumo.-
 

Edmund Gray, lo conosceva, era un ex membro dell’Ordine della Fenice, dopo la “morte” del Signore Oscuro il gruppo si era sciolto. Aveva visto morire amici, amiche e un anno dopo anche l’amata moglie che si era portata via un pezzo del suo cuore.
Wren non assomigliava al padre tranne che per la carnagione chiara e la forma del naso, mentre il viso, le labbra, gli occhi erano della madre, della bella e adorabile Anastasia Gray, anche il carattere era suo, dolce e imprevedibile, con un misto di orgoglio che traspariva anche così ad un occhiata veloce.
Silente le aveva detto che se fosse andata a Hogwarts avrebbe ricevuto tutto l’aiuto possibile, ma lei gli aveva risposto, con una determinazione e intelligenza che non era di un’undicenne, che era sicura che non sarebbe riuscita a seguire il programma e che avrebbe preferito studiare a casa con l’aiuto della sua vicina che era un ex professoressa della scuola scozzese.
Silente l’aveva capita e aveva deciso che l’avrebbe aiutata in ogni modo possibile, gli aveva insegnato un incantesimo per orientarsi e essere più autosufficiente e aveva provato a parlare con il padre per chiedergli di essere più presente nella vita della figlia che aveva bisogno del suo aiuto.
Draco, comunque, sembrava averla presa molto in simpatia.
 
Hosmeade, con i suoi tetti lignei innevati e le strade strette, era un insieme di poco più che una trentina di case compresi i negozi.
Con Pansy alle costole era difficile allontanarsi per trovare la bottega che gli aveva indicato il professore.
-Draco, mi porti da Madama Piediburro?- chiese mentre gli altri sghignazzavano alle loro spalle.
-No Pansy, devo fare una commissione.- rispose.
Quel posto era davvero inquietante, ma alle ragazze piaceva molto, con i servizi di porcellana e i tovagliolini ricamati la Sala da The di Madama Piediburro era il posto preferito dalle coppiette che amano il profumo tiepido dei pasticcini appena sfornati; Wren lo avrebbe ucciso anzi che farsi portare in un posto simile.
Era una ragazza strana, a volte se lo ripeteva nella testa, o almeno lui non ne aveva conosciute di simili, lei amava i sapori decisi e gli odori che pungono le narici, il cozzare dei bicchieri al Paiolo Magico, non il tintinnio dei cucchiaini che mescolano lo zucchero.
Non che avesse dei particolari esempi a cui paragonarla: sua madre, Narcissa, che molti consideravano altezzosa e dal cuore di ghiaccio, era solo una donna che amava la sua famiglia, ma dal carattere un poco indecifrabile.
Sua nonna Druella la vedeva una volta all’anno e non gli era mai piaciuta un granché.
Chi restava se non le sue tre compagne Serpeverde?
Millicent Bulstrode, prima ragazza che da oltre settant’anni riusciva a superare il provino per la squadra di Quidditch di Serpeverde, era alta con un fisico forte e un po’ maschile, Daphne Greengrass dai capelli oro, era una tipica ragazza purosangue con le sue convinzioni che non avrebbe smentito neppure sotto tortura e poi c’era Pansy che aveva scoperto una nuova dieta e erano tre giorni che mangiava solo carote.
Wren era unica e speciale.
Venne distratto dalla risata acuta della Parkinson che gli indicò con la mano un qualcosa-qualcuno a terra in quindici centimetri di neve.
-Sanguesporco impara a camminare!-
-Se tu non mi avessi fatta inciampare!-
rispose una Hermione Granger dai capelli più crespi del solito per colpa dell’umidità.
-Dove li hai lasciati Potter e Weasley? Si sono stancati anche loro di perdere il loro tempo con una come te?- continuò.
-Tranquilla, ma se fossi in te starei attenta ai tuoi di amici, magari sono loro che non hanno tempo da sprecare con una come te.-
si alzò e iniziò a scrollarsi la neve dai guanti e dal cappello bordeaux.
-Come osi!- Pansy sguainò la bacchetta e la Granger fece lo stesso, mentre Blaise Zabini cercava di tenere tranquilla la Serpeverde.
-Mi sta prendendo in giro! Questa sudicia!- gridava isterica mentre il moro la teneva ferma con le braccia.
-Non ne vale la pena.- gli rispondeva calmo lui.
La Granger intanto aveva ripreso la sua strada ignorando Pansy che si dibatteva come un cane in una gabbia e si avviava verso il pub la “Testa di Porco”, posto orribile quanto il nome affibbiatogli; in quel momento gli venne in mente quello che gli aveva detto Piton:
-Vicino alla Testa di Porco, non farti ingannare dall’insegna, è un posto molto interessante.-
Prese a camminare velocemente nella direzione della ragazza e la fermò:
-Granger mi serve il tuo aiuto.-
-Malfoy gira al largo, non ho tempo per i tuoi scherzi, vai dal tuo cagnolino
.- rispose acida lei.
-Fermati un attimo.-
-Che vuoi?-
chiese non ancora molto convinta lei.
-Devo comprare un regalo a una ragazza e non so cosa può piacerle.-
-Non so se te ne sei accorto, ma io e la Parkinson non siamo proprio sulla stessa lunghezza d’onda.-
-Non è per Pansy.-

 
 
 
NdA:
  • Allora, per prima cosa qualche spiegazione: scusate se ho dilungato il capitolo un po’ sulla Umbridge, ma a me piace un sacco, non la vorrei mai come professoressa sia chiaro, ma secondo me ha un carattere affascinante. Non vedevo l’ora di inserirla da qualche parte, volevo pure farla parlare un po’ con Draco, ma il mio buon senso mi ha fermata.
  • I Malfoy hanno una villa di campagna nel Wiltshire, non so se è la loro residenza ufficiale, ma per ragioni di logistica li ho dovuti trasferire in una casa fuori Londra.
  • A Hogsmeade non esiste, almeno per quello che so, alcun negozio appartenente a un certo Albert Tale, ma è un personaggio che inserirò un po’ nel prossimo capitolo, Tale significa racconto e mi sembrava un nome giusto per un uomo che adora parlare del passato.
Ringrazio tutti voi, animi gentili, per aver letto il mio sproloquio insensato.
Questo è tutto gente.. spero che vi sia piaciuto.
 
Un bacio
cranium 

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Capitolo 6
*** Natale. ***


Il serpente e
l’uccellino.

Capitolo: Natale.

 Natale è quando provi nostalgia di casa,

anche quando sei a casa.
anonimo.

 .
La neve candida iniziò a cadere copiosa e dovettero tirare i cappucci scuri dei mantelli sulle loro teste, tanto meglio, nessuno gli avrebbe riconosciuti coperti in quel modo, nessuno sarebbe riuscito a vederli assieme per sua e loro fortuna.
Farsi vedere in giro con la Mezzosangue, la Granger, in giro per Hogsmeade, era proprio quello che suo padre chiamava “passo falso”, ma in quel momento aveva proprio bisogno di aiuto, dell’aiuto della persona che più sembrava simile alla sua amica.
Chissà che avrebbero detto gli amici di lei se la avessero vista con lui per i vicoli del paesino.
Camminarono veloci fino alla via secondaria dove si trovava la Testa di Porco, la taverna più  sporca di, forse, tutta la Scozia, nella quale bevevano e bazzicavano alcuni dei tipi più loschi e meno raccomandabili di tutto il circondario.
La triste insegna, con una testa di cinghiale mozzata dalla quale il sangue rosso intenso gocciolava su un panno bianco candido, penzolava tetra al dondolio del vento freddo, ma non vedeva nessuna bottega vicino e nessun’altra insegna strana nei dintorni, poi la Granger gli indicò una piccola casetta di legno e pietra dalle cui finestre mandavano una luce calda, ma debole.
Si avvicinarono e Hermione pulì con i suoi guanti una piccola trave di legno scuro vicino alla porta d’ingresso, anch’essa dello stesso materiale, sulla quale c’era una scritta a lettere d’oro brillanti e intense:
“…”
-Strano è? Non c’è scritto nulla, solo tre puntini.-chiese la ragazza.
-Entra Granger, sbrigati non perdiamo tempo.-
La porta cigolò tetra e un odore caldo di cannella raggiunse le loro narici infreddolite, ma a quello che gli si presentò davanti non erano assolutamente preparati: un’unica stanza dal colore forte che però quasi non si vedeva a causa delle centinaia di cose ammassate.
Vetrinette, scaffali e mensole stipati di oggetti e cianfrusaglie di tutte le dimensioni, forma e colore, come avrebbe mai potuto fare per trovare un regalo originale per il suo scricciolo in quella specie di mercatino delle pulci?
-C’è nessuno?-chiese cauta la Granger intontita dal caos e dal disordine che regnava in quel piccolo luogo.
Niente, nessuno rispose alla domanda.
-C’è qualcuno qua dentro!?-chiese un leggermente alterato Malfoy.
-Ehi non occorre urlare.-rispose una voce.
-Dove saresti tu?-continuò Draco.
-Eccomi, eccomi.-
Dalla scrivania in fondo alla stanza, da dietro libri e carte, spuntò un omiciattolo basso quasi come il Professor Vitious, con quel che basta di gobba per far si che la sua postura risultasse brutta e sgraziata, capelli bianchi raccolti in una coda bassa e gli occhi verdi, arzilli e vispi che spuntavano da dietro gli spessi occhiali tondi.
 -Posso esservi di aiuto?-chiese ingenuo il vecchio.
-Mi sembra logico.-
-Scommetto che voi bella signorina non siete così acida come il vostro amico.-e le strizzò l’occhio complice.
-Sto cercando un regalo.-si intromise Draco.
-Scommetto che è per questa affascinante ragazza, ma no, sennò non l’avrebbe portata con lei. Mi dica che cosa cerca di preciso, è per la ragazza che le piace? È per sua madre?-
- È per un’amica.-rispose poco cortese lui notando la Granger che se la rideva tranquilla.
 –Solo per un’amica.- continuò.
-Ma certo.. solo per un’amica.- disse divertito lui –Qui ho tutto quello che lei può immaginare: cintura di squame di Kappa? Cappello che fa sparire i capelli? Smalto per denti e dentiere? Ho anche un bellissimo mappamondo incantato, che ascoltato il nome della persona che vuoi ti dice dove si trova, oh si quello è proprio un oggettino interessante, me lo ha portato uno straniero dal nome strano, perché non viene a provare?-
E si avvicinò zampettando a uno scafale, prese una scala e si arrampicò su di essa e frugò finché non tornò giù con l’oggetto in mano: era un semplice mappamondo, con i Paesi tracciati piuttosto approssimativamente tutti di colori vivaci e allegri, mentre il mare era di un bianco latteo sul quale le onde dai contorni azzurrini si spostavano placidamente, tutto normale se non fosse stato per le due orecchie da gatto fulvo che spuntavano dal freddo Mar Glaciale Artico che si muovevano per togliere la polvere che le copriva.
-Su provi!-lo incitò il vecchio sistemandosi meglio gli occhiali sul naso.
-Narcissa Malfoy.- disse titubante, ma non successe nulla.
-Più forte! Sa per essere un gatto è un po’ sordo.-disse tutto sorridente.
-Narcissa Malfoy.-quasi strillò e pochi attimi dopo si illuminò di una luce soffusa l’isola dell’Inghilterra.
-Visto?-chiese esaltato–Funziona! Riprovi coraggio.-
Sicuramente non sarebbe stato il regalo perfetto per Wren, ma suo padre Lucius non avrebbe di certo disprezzato un oggetto così interessante.
-Wren Gray.-e subito l’Inghilterra verde smeraldo si riaccese.
-Mi scusi signore, non pensa che un mappamondo del genere potrebbe essere pericoloso nelle mani di persone sbagliate?-chiese la Granger un po’ preoccupata.
-Avete per caso intenzione di nascondere Potter nel Kazakistan? Perché se è così avete tutto il mio appoggio.-rispose Draco.
-Oh sì ricordo il signorino Potter, è venuto un paio di volte nel mio negozio, sapete? Un po’ di anni fa. Con quei suoi amici così simpatici. Voleva comprare un pensierino per la ragazzina che gli piaceva.. come si chiamava? Lilian, Lily forse? Una volta le aveva preso un profumo che aveva la proprietà di non svanire mai, ma lei non doveva aver apprezzato molto, una settimana dopo è tornato per chiedere se avevo un antidoto perché quella ragazza glielo aveva tutto versato addosso. Io gli avevo risposto che bastava correre in vestaglia sotto la luna piena, ma mi ha avvertito che durante la luna piena è meglio non uscire troppo.. che caro ragazzo.-disse stralunato.
-Signore è rimasto un po’ indietro, si sono sposati, e hanno avuto un figlio.- lo avvertì gentilmente Hermione che quasi aveva le lacrime agli occhi per quello che le aveva raccontato il proprietario del negozio.
-Oh, sì ne ho sentito parlare, Harry Potter, un nome ordinario direi, ma un figlio, che bella cosa, anche io ne ho uno sa? Però adesso lui abita a Londra, a Natale lo vado a trovare.. Cosa mi aveva chiesto cara signorina prima?-
-Se non ha paura che quel mappamondo possa finire nelle mani delle persone sbagliate.-
-Non c’è da preoccuparsi molto, risponde sempre Inghilterra.-rispose alzando le spalle ricurve.
-Bene adesso mi potrebbe aiutare?- chiese Draco alterato.
-Ma certo, certo, cos’è che le serviva mi scusi?-
-Un regalo per una mia amica.-sbuffò impaziente, sicuramente i suoi amici già lo stavano cercando, e non era il caso di rimanere ancora molto, perché il coprifuoco per il ritorno a Hogwarts sarebbe scattato tra solo due ore.
-Certo, certo, allora vediamo un po’.- e iniziò a frugare per i cassetti –cosa può piacerle?-
-Io non ne sono sicuro.-rispose incerto.
-Che ne dici di un braccialetto? Alle ragazze piacciono queste cose.-disse Hermione mentre girovagava per il negozio.
-Sì, un braccialetto, ottima idea signorina, aspettate, aspettate.-e sparì dietro qualche scaffale polveroso.
Rimasero in un silenzio tombale interrotto da qualche cigolio prodotto dal rumore dei cassetti che si aprivano e chiudevano ad un ritmo incalzante e veloce, dopo qualche minuto il vecchio tornò con i capelli tutti scompigliati, la coda semi disfatta e con molta polvere sul viso come se avesse infilato la testa in qualche baule vecchio e consunto.
In mano teneva una scatolina di velluto scuro.
-Signorino guardi se le piace.-saltellò contento e aprì sul bancone, che aveva liberato con una bracciata dai fogli da cui era coperto, la scatola: dentro un braccialetto fine di metallo, era formato da tanti cerchietti uniti da piccole sferette nere alle quali erano attaccati dei campanellini che continuavano a suonare mossi dalla mano un po’ tremante dell’uomo.
-Il richiamo degli angeli.-sussurrò la Granger.
-Cosa?-chiese Draco che ancora fissava il braccialetto.
-I babbani li chiamano “richiami degli angeli” i bracciali con le campanelle.-
-Perfetto, è assolutamente perfetto, lo prendo.-dichiarò Draco, quel regalo sarebbe piaciuto molto al suo scricciolo.
 
La neve aveva smesso di scendere dal cielo cupo quando uscirono dal negozio.
La Granger lo aveva salutato non molto cordialmente e si era avviata per la sua strada, e lui decise di raggiungere i suoi amici ai Tre Manici di Scopa.
Arrivato li trovò seduti a un tavolo vicino alla grande finestra, che dava sulla strada principale, intenti a bere una calda burrobirra, si avvicinò piano e rispose al cenno di Theodore che lo aveva salutato, prese una sedia dal tavolo dove erano seduti dei ragazzi del terzo anno di Tassorosso e si portò vicino ai suoi amici.
Ordinò anche lui la bevanda calda e si unì alla conversazione.
-Non ci posso credere, Potter non si vuole proprio arrendere, mi hanno detto che è riuscito a farsi rimettere in punizione, di nuovo, dico io! Capisco l’orgoglio, ma così si esagera, non potrebbe lasciarle dire quello che vuole? Cosa gli costa tapparsi la bocca.- disse Zabini.
-Il problema di Potter è che deve per forza mettersi in mostra, ha bisogno di sentirsi adulato, non sopporta di stare un minuto senza essere il centro dell’attenzione, il Bambino che è Sopravvissuto, il Bambino che ha sconfitto il più grande Mago Oscuro di tutti i tempi.. La Gazzetta che lo nomina un giorno si e uno no, anche negativamente, ma è tutta pubblicità, soprattutto è tanta pubblicità, e lui si crogiola nella sua celebrità.- continuò Nott.
-E quegli imbecilli che gli girano attorno neanche fosse il centro del loro universo?- chiese Pansy.
-Lui è il centro del loro universo, cosa sarebbe Weasly senza il suo miglior amico? Solo un pezzente, ma con Potter al suo fianco può almeno credere di non essere un rifiuto umano. La Sanguesporco si atteggia tanto, ma se io passassi sui libri la metà del tempo che ci passa lei avrei i suoi stessi voti, poi chi è che possiamo aggiungere alla lista? Ah sì, quel Canon, che lo venerà neanche fosse un dio sceso in terra.- rispose Blaise.
-Ridicoli.-
-Sudici sanguesporco e traditori del loro sangue.-continuò la Parkinson.
-Dovrebbero stare al posto che gli si conviene, non ad Hogwarts con quelli come noi.- finì Theodore.
-A proposito Draco, che fine avevi fatto? Sei sparito dietro la Granger e non ti abbiamo più visto, Pansy voleva seguirti, ma abbiamo cercato di fermarla, e siamo venuti ai Tre Manici di Scopa perché fuori si ghiacciava.- chiese Goyle.
-Che vuoi! Non sono affari tuoi stupido scimmione!- sputò acido Malfoy che aveva appena finito la sua burrobirra.
-Sarà andato a prendere un regalo per il suo scricciolo.- lo punzecchiò la Parkinson alla quale questa cosa non era andata giù mentre Daphne e Millicent cercavano di reprimere le risate.
-Ah ecco il misterioso destinatario della lettera che hai mandato.- osservò Nott un po’ incuriosito dal comportamento dell’amico.
-Una ragazza Draco?- chiese Blaise sorridendo.
-Fatevi gli affari vostri!-
-Ehi, non agitarti troppo.-lo fermò Millicent.
-Ah quindi hai la ragazza!-si svegliò Parkinson come se non avesse ascoltato il resto della conversazione.
-Non è la mia ragazza!-
-E allora perché le hai preso un regalo?-
-Chi ha detto che le ho preso un regalo!-  rispose Draco sfiorando con la mano il pacchetto sotto il mantello.
-Visto io lo sapevo che c’era una ragazza!-
 
L’Espresso per Londra partì puntuale dalla stazione di Hogsmeade .
Gli scompartimenti erano quasi tutti occupati, ma Draco riuscì a trovarne uno vuoto, quell’anno un gran numero di studenti stava tornando a casa per le festività, strano perché di solito tutti smaniavano per restare a gustarsi il magnifico banchetto che la scuola, e i suoi elfi, offrivano, ma passare un Natale con la Umbridge doveva aver fatto andar già di traverso il cibo a molti se in così tanti vi rinunciavano.
Si gettò quasi di peso sul sedile buttando la borsa da una parte: non vedeva l’ora di arrivare.
Aveva proprio bisogno di staccare, di riposarsi qualche giorno dal ritmo frenetico che le sue giornate stavano prendendo ultimamente: il carico di compiti era aumentato tantissimo a causa dei G.U.F.O che si avrebbero dovuto sostenere quasi alla fine dell’anno scolastico e i professori volevano far arrivare i loro studenti preparati e soprattutto stressati al massimo agli esami.
C’erano già stati molti episodi di ragazzi che non riuscivano, o non pensavano di rimanere al passo con lo studio e le nuove merendine marinare dei gemelli andavano alla grande tra gli studenti soprattutto tra quelli del quinto e settimo anno, anche se erano del tutto vietate dal regolamento scolastico modificato dall’Inquisitore Supremo e anche sconsigliate dal senso razionale e della ragione.
La porta dello scompartimento si aprì con un cigolio e l’immagine alta e longilinea di Theodore fece capolino dall’uscio con gli occhi scuri e intelligenti; non si erano più parlati da due settimane, dall’ultima uscita a Hogsmeade.
-Draco posso parlarti?-chiese mentre entrava e si accomodava di fronte a lui.
-Io e Blaise siamo dispiaciuti per quello che è successo l’altro giorno, non volevamo essere indiscreti.-
Lo sapeva Draco, ma aveva bisogno di sentire le loro parole di scuse, quello stupido orgoglio che lo frenava sempre.
-Lo so Theodore, tranquillo.-
Rimasero in silenzio un poco poi Nott chiese con un sorriso furbo:
-Ma almeno è più carina di Pansy?-
-Sì lo è.-rispose copiando il sorriso.
 
Aveva smesso di nevicare da poco meno di mezz’ora e le vie di Diagon Alley erano ancora imbiancate da neve fresca e non calpestata, le sue erano le uniche orme che rovinavano il manto candido, chi altro si sarebbe avventurato con quel freddo e a quell’ora per le vie deserte? Neppure chi era in ritardo con i regali da comprare. Tra undici ore sarebbe stato Natale, lo avrebbe passato con i suoi come tutti gli anni, ma il pomeriggio della vigilia sarebbe stato tutto il tempo con Wren.
Bussò al portone del palazzo di sasso e venne ad aprirli dopo qualche secondo una donna sulla sessantina dai ricci orinati e grigio intenso, le labbra screpolate dal tempo e dal freddo, ma le mani erano lisce come la seta, doveva essere la signora Burkin, la vicina.
-Salve tu devi essere un amico di Wren.- lo salutò cordiale sistemandosi le pieghe della gonnellona verde pastello.
-Sì io ecco..-si passò una mano tra i capelli biondi e lunghi.
-Vieni.- e lo prese per un braccio portandolo su per le scale di legno un po’ scricchiolanti
 –Vedi qui abito io.- e indicò una porta verde scuro che spiccava sulle pareti bianche, e continuò ad accompagnarlo.
-Qua invece abita lei, su avanti bussa, bussa.- lo invitò mentre lei spariva già giù per le scale lasciandolo solo davanti alla porta rossa.
Subito il portone si aprì e la figura minuta di Wren gli sorrise:
-Ti sei fatto attendere, spero che tu mi abbia preso almeno un regalo decente.- lo avvertì.
-Dipende tutto dal tuo.- e lei lo tirò dentro casa.
Attraversarono la piccola cucina dai mobili di legno chiaro, e le pareti di un radioso e delicato pesca li accompagnarono fino alla camera di lei.
La grande finestre riempiva la stanza di una luce intensa, l’armadio aperto traboccava di vestiti, pantaloni e magliette colorate che spuntavano qua e là.
Lo fece sedere sul letto dalle coperte di un arancio sfolgorante mentre gli porgeva un pacchetto ben confezionato:
-Buon Natale Draco-e si sedette vicino a lui mentre impaziente scartava il regalo che conteneva una camicia dei toni dell’ azzurro del cielo nelle mattine di primavera.
- È molto bella.-le disse.
-Ho scelto io la stoffa, senti come è morbida Draco.-è gli portò una manica del capo a contatto con la pelle sensibile del viso che subito rabbrividì a causa del tessuto freddo e delicato.
-Adesso tocca a me.- e da sotto il mantello tirò fuori la scatolina di velluto scuro che aprì, le prese il polso e delicatamente le allacciò il braccialetto, poi le scosse piano la mano e lei sorrise al suono dei campanelli che risuonavano.
Lo abbracciò di scatto portandogli le braccia al collo:
-Te l’ho mai detto che profumi di gelsomini.-
Draco ci pensò solo in seguito, ma quello sarebbe stato il momento adatto per baciarla.
 
 
NdA:Non odiatemi, questo capitolo non convince tanto neppure me.
È anche piuttosto corto per i miei standard -.-“.
Il prossimo capitolo sarà migliore, promesso, parlerà della fine del quinto anno e il sesto anno di Draco e le sue conseguenze, lui che diventa un Mangiamorte ecc..
Ma voi non sapete cos’ho intenzione di far capitare alla povera Wren tra due o tre capitoli! Io sì e vi assicuro che non è molto piacevole, per lei almeno.
Avete presente la storia La Bella e la Bestia?
Non vi dico nient’altro! J
Ringrazio chi continua a seguirmi, chi ha messo la storia nelle Seguite, chi tra le Preferite, e chi si prende sempre il tempo per lasciare una sua recensione.
Siete fantastici.
 
Un bacio
cranium. 

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Capitolo 7
*** Mostro. ***


Il serpente e
l’uccellino.

Capitolo VI: Mostro.

Sono qui per l’amore,

per le facce curiose che fa.

Ligabue, Sono qui per l’amore.
 

 
Le nostre azioni hanno sempre conseguenze, ma anche quelle degli altri spesso ricadranno su di noi o su chi ci sta vicino.
Suo padre aveva commesso un errore sottovalutando Potter e i suoi amichetti, che anche se stupidi scolaretti, che il loro amato Preside imboccava di sogni su un mondo di pace-amore-fratellanza, erano riusciti a mettere nel sacco degli adulti vaccinati e esperti nella Arti Oscure, ma non molto sani mentalmente, lui come gli altri Mangiamorte che erano stati scelti per quella missione, ma lui, Lucius, era il capo, quello che avrebbe dovuto portare a casa la vittoria, la profezia e tutto ciò che essa comportava e avrebbe comportato per Lord Voldemort.
Il Signore Oscuro non perdona, almeno non due volte, non la stessa, identica persona.
Era già stato graziato, suo padre, per non averlo cercato quando tutti credevano che fosse scomparso, ma il male non diventa polvere così facilmente, si incanala, scompare per un poco, ma alla fine torna, se non sempre quasi, e circa due anni prima era riuscito a tornare in vita e a radunare di nuovo i suoi seguaci, che lo  avevano seguito senza esitazioni per paura delle forti ripercussioni.
Questa volta era finito ad Azkaban, tra le spesse mura di quella alta prigione su uno scoglio in mezzo all’oceano, protetto dall’ira del suo Signore e padrone, e Voldemort non aveva potuto sfogare la sua vendetta su di lui, ma l’aveva sfogato su chi più gli era vicino, su chi gli assomigliava di più, su il suo unico figlio: Draco.
E ora Draco si trovava con la mente confusa da mille e un problema e un tatuaggio tracciato a fuoco sul braccio sinistro, il suo Marchio, il Marchio Nero, nero come i suoi occhi e il suo cuore, se mai ne avesse avuto uno.
Gli aveva promesso la gloria, il potere, ma poi a che servivano queste cose se non era felice?
Anche se i Dissenatori, le guardie della prigione, assetate dei pensieri e dei ricordi felici di chiunque passasse per le loro grinfie, erano passate definitivamente dalla parte di Voldemort e vagavano tranquille per tutta l’Inghilterra, Azkaban non era proprio un posto di svago e divertimento .
Lui aveva un compito, un compito impossibile o almeno tutti pensavano che lo fosse, uccidere Silente forse il più grande mago della loro generazione e lui era solo un ragazzo, giovane e impaurito, ma avrebbe dovuto farlo comunque, ci sarebbe dovuto riuscire non solo per lui, ma per tutta la sua famiglia che ne avrebbe pagato le conseguenze.
Si rigirò tra le lenzuola finché decise che preferiva alzarsi e sgranchirsi un po’ le gambe.
Spalancò la finestra e respirò a pieni polmoni tutto ciò che l’aria tiepida e frizzante di agosto gli poteva offrire, l’odore dei frutti appesi ai rami degli alberi intorno alla villa gli solleticò le narici e lo calmò per un poco, mentre il suo sguardo divagava tra le stelle così luminose del cielo come se cercasse qualcosa, magari un aiuto, una scappatoia, ma niente arrivava e così si ributtò a letto.
Non era quasi mai uscito di casa quell’estate, sua madre gli diceva sempre di essere forte, di non mostrare la sua debolezza a chi gli voleva male, di continuare a camminare a testa alta nonostante le persone che li giudicavano e disprezzavano, ma in fondo lui era debole, loro erano deboli, fragili più che mai, loro senza Lucius erano il nulla.
Abituato a vestire un cognome importante che lo faceva sentire al sicuro, protetto, avvolto nella sua bambagia perfetta, in quel momento era nudo come un piccolo verme che veniva attaccato  all’amo, e lasciato ad affogare lentamente nell’acqua putrida e gelida, ad aspettare,  in attesa che il grosso pesce dagli occhiali a mezzaluna abbocchi definitivamente e che il pescatore possa gioire e congratularsi con se stesso per sua vittoria.
Si sa, è così, il pescatore vince, e attacca alla parete del salotto il suo bel trofeo mentre l’esca viene e va sacrificata.
Per un bene superiore” sentiva dire spesso.
Chiuse gli occhi, ma quando credeva di riuscire ad addormentarsi, un rumore assordante al piano di sotto lo riportò alla realtà.
Zia Bellatrix” pensò subito.
Non faceva bene a nessuno averla in giro per casa, ne a sua madre che si vedeva la casa mezza distrutta un giorno sì e uno no e che doveva tenere sotto controllo la sorella, e neppure a lui che a ogni pasto e a ogni ora era costretto a sorbirsi il ripetuto e straziante monologo su quanto fosse orgogliosa del suo nipotino preferito (l’unico senza contare Ninfadora, la figlia di Andromeda), e di quanto doveva esserlo lui perché il Signore Oscuro lo aveva fatto entrare tra le sue grazie, lo aveva scelto e ammesso tra le sue fila, le fila dei vincitori, e come se non bastasse gli aveva affidato un compito della massima importanza che non avrebbe di certo assegnato al primo ragazzino venuto.
Certo perché nessuno proverebbe, tenterebbe o anche solo penserebbe alla sola possibilità uccidere Albus Silente, tranne un povero disperato che viene minacciato e che tiene almeno un poco propria famiglia e alla propria pellaccia.
Si rigirò ancora, ancora e ancora, finché i suoi occhi chiari non furono distolti dal loro vagare irrequieto senza destinazione per la stanza  illuminata solo dalla fiocca luce di due candele, da una busta chiara sul comodino al lato del letto.
Era arrivata quasi un mese prima e lui non aveva neppure avuto il tempo-coraggio di leggerla o anche solo aprirla, di darle un’occhiata, o solo una piccola sbirciatina.
Era un masochista se decideva di leggerla adesso, di certo era l’ultima cosa che gli avrebbe potuto conciliare il sonno, in una notte così: una lettera di Wren.
“Sicuramente non vuole più vedermi” si ripeteva ogni volta che provava la tentazione di aprirla e questa certezza vinse anche sulla curiosità, sul desiderio, ma non sulla voglia di non buttarla tra le braci del caminetto.
La aprì con mano decisa, tanto peggio della sue aspettative non sarebbe potuta essere.
Draco,
ho saputo di tuo padre.
Mi dispiace molto.
Se hai bisogno di parlare sai dove trovarmi.
Wren.
Sotto il timbro che assicurava che la busta era stata controllata da un funzionario del Ministero molto diligente, come tutto in casa sua praticamente.
Deficiente, sono un solo deficiente!
E con questo pensiero si lasciò cullare tra le braccia rassicuranti di Morfeo.
 
-Mi dispiace molto.- balbettò sulla porta che la ragazza aveva appena aperto.
Si era precipitato a casa sua il giorno dopo, il più presto possibile, ma la ragazza non sembrava volerlo accogliere calorosamente..
-Sono uno stupido.- continuò visto che la ragazza non accennava a voler proferir parola.
-E mi dispiace di non essere venuto prima.-
Gli dispiaceva veramente sapere tutto il tempo che aveva perso da solo, a rimuginare, tempo che avrebbe potuto spendere a farsi consolare, anche se odiava lo sguardo falso degli altri che lo guardavano e gli ripetevano “io posso capirti”, nessuno lo poteva capire, e per questo non avrebbe accettato la pietà di nessuno, forse solo quella di Wren.
-Potevi almeno scrivermi.- rispose arricciando le labbra infastidita.
-Il Ministero mi controlla la posta.- si giustificò lui.
-Volevi scrivermi delle cose davvero brutte se ti sei preoccupato di questo.-
-Lo sai che non è quello.-
-E allora cos’è?-
-Che sono uno stupido.-
-Questo lo sapevo già.-
-Non mi vuoi proprio perdonare eh?-
-Non lo so.- rispose celando un sorrisetto –Me li hai portati dei cioccolatini?-
-Io.. ecco, no.-
-Torna quando li avrai.- e chiuse la porta.
 
Diagon Alley era grigia come non lo era mai stata, o almeno non era così da quando lui se la poteva ricordare.
Florian Fortebraccio era scomparso, preso dai Mangiamorte, neppure lui sapeva che fine aveva fatto quell’uomo che faceva i gelati migliori di tutta Diagon Alley, e adesso la sua bottega era chiusa, sigillata, si diceva in giro che fosse un Sanguesporco, ma questo da solo non avrebbe potuto giustificare la sua scomparsa.
Olivander aveva fatto la stessa fine, così come il suo negozio di bacchette.
Ovunque le vetrine, i negozi, erano tappezzati da foto viola e ingrandite dei Mangiamorte in fuga che il Ministero stava cercando.
 Draco cercava di camminare nel mezzo della strada, non perché volesse gli sguardi della gente su di se, cosa che naturalmente non mancava, ma perché quelle foto erano davvero inquietanti, come se non bastasse avere quella gente, in carne e ossa, per casa spesso, volentieri e senza motivo.
I commercianti guardavano guardinghi gli avventori delle loro botteghe per paura di finire come i loro colleghi, solo un negozio sembrava avere vita propria rispetto alla lugubre via: Tiri Vispi Weasley.
Perché hai paura di Tu-Sai-Chi?
MEGLIO aver paura di
NO-PUPU-NO-PIPI
La Sensazione di Occlusione che Stringe la Nazione.
Brillava sulla vetrina viola.
Di pessimo gusto, ecco cosa pensava Draco, quei straccioni dei Weasley anche con qualche galeone in più alla Gringott sarebbero rimasti dei pezzenti, non importa dove lavorassero, erano solo Traditori del loro sangue, e alla fine il sangue è la cosa più importante.
Il sangue si porta per tutto dove si va *” gli diceva sempre suo nonno.
E infatti era così.
Si lasciò alle spalle quelle luci abbaglianti ed entrò in un negozietto che faceva angolo per comprare ciò che gli serviva.
 
-Chi sei?-l’uomo davanti a lui lo guardava minaccioso.
La giacca scura non serviva certo per farlo sembrare più piccolo, ma se era così ci riusciva ben poco: Marcus Gray, con i capelli scuri come gli occhi, gli stava impediva l’accesso alla casa con la sua notevole stazza posizionandosi sull’uscio.
Era la prima volta che lo vedeva così da vicino, o almeno era la prima volta che lo vedeva a casa sua, di solito passava il giorno e molte notti al Ministero o a cercare qualche evaso.
-Sono un amico di Wren.-rispose senza scomporsi.
-Io so chi sei, tu sei il figlio di Malfoy, sei il figlio di Lucius.-si passò le dita lunghe tra l’accenno di baffi poco curato.
-Sì, ora se non le dispiace vorrei parlare con sua figlia.-
-Piccolo insolente, anche tuo padre lo è sempre stato, ma quando lo abbiamo portato ad Azkaban ha cambiato decisamente atteggiamento.. Secondo te io berrei questa bugia? Come fa mia figlia a conoscerti? Sono tutto orecchi.- lo sbeffeggiò.
-Se fosse più presente nella vita di sua figlia magari lei le avrebbe parlato di me, sa ci conosciamo da un po’ di tempo.-  
-Brutto..-
-Draco!- lo raggiunse Wren da dietro il padre con il bastone in mano –Cosa ci fai ancora qua? Li hai presi i tuoi appunti, non dovevi tornare al lavoro?- disse a questo.
-Fino a prova contraria questa è casa mia, e decido io quando andarmene e se andarmene.-
-Ne sono assolutamente consapevole.-
-Ho portato i cioccolatini!-la informò Draco che stava ancora fuori dalla porta.
Lei gli sorrise mentre il padre la guardava incerto come per scoprire i segni di una pazzia imminente sul viso della figlia che non lo degnava di spiegazioni.
-Come fai a conoscerlo?- non c’era neppure una nota di rancore nella sua voce, solo incredulità
Io non ne sapevo nulla.- continuò.
-Scusami se conosco delle nuove persone senza il tuo permesso, ma sai la compagnia di Mrs. Burkin per quanto sia una donna veramente intelligente, a volte non mi basta.-al contrario la sua invece trasudava di risentimento e astio nei confronti del padre.
-Non ti ho mai impedito di conoscere nuove persone.-
-Mi hai solo impedito di conoscere te, giusto?-
 
-Sei stata dura con tuo padre.- le disse.
-Se lo meritava.- rispose seduta a gambe incrociate sul letto.
-Sarà.-
La stanza era come se la ricordava: un insieme di colori accesi, che lei non poteva vedere, e il disordine completo sul quale lei regnava.
Solo lei era cambiata, almeno in parte.
Era cresciuta, non solo in altezza, e il viso si era raffinato un poco, il naso sempre piccolo ed equilibrato pronto a cogliere ogni più piccola sfumatura, i capelli si stavano pian piano allungando, da quella che lei amava chiamare “la grande sforbiciata” che glieli aveva ridotti a una massa informe tenuta da cerchietti e mollettone, ma ancora adesso non si potevano dire ne lisci, ne ricci, solo lucenti.
Era diventata più carina con il viso addolcito e le gambe più lunghe e lui si perse ad indugiare con lo sguardo su quella ragazza.
Cosa provava per lei?
Non lo sapeva, sapeva solo che spesso il suo pensiero durante il giorno veniva rapito dal colore della sua pelle e da quello che sentiva quando la toccava, dalla sua vita sottile, dalla sua voce calma, e da quel sorriso dolce che gli regalava sempre.
Sapeva che avrebbe voluto tenere le mani di lei tra le sue solo per vederla arrabbiata mentre gli diceva che non aveva bisogno del suo aiuto e prendeva a camminare stizzita e più velocemente.
Sapeva che gli piaceva abbracciarla perché l’odore dei suoi capelli cambiava ogni volta che decideva che lo shampoo non la soddisfava.
-Draco?-lo richiamò alla realtà.
-Sì.-
-La tua voglia di conversare si è così ridotta?-
-No, è che ti stavo osservando, te lo hanno mai detto che mangi troppo in fretta?-disse osservando la scatola di cioccolatini che si era già ridotta oltremodo.
-È più di un mese che aspetto questi cioccolatini! Lasciameli gustare in santa pace.-
-Forse devo darti delle spiegazioni.-
-Non sono necessarie se tu non vuoi parlare.-
-Devo spiegarti.-
E incominciò a parlare di suo padre, della loro situazione, di come si sentisse lui senza la figura paterna che lo aveva sempre accompagnato, di come sua madre piangesse tutte le notti e di come lui non sapesse come consolarla, di come avesse paura, tanta paura di deludere chi gli stava intorno e di come si sentisse solo e di come la gente lo guardasse anche solo se camminava per strada.
-La gente non capisce, tu sei buono Draco, non devi farti condizionare da quello che dice la gente, loro non sanno, loro non ti conoscono, tu sei buono.- gli disse, ma inavvertitamente gli toccò il braccio sinistro, quello con il Marchio e lui si ritrasse un poco.
Lei non capiva, e come poteva capire quello che lui provava? Nessuno poteva e si era illuso che Wren fosse diversa, ma a lei lui non importava, non le importava come lui sperava.
-E tu che ne sai, non mi conosci neanche bene, non sai chi sono veramente io, magari non sono buono come pensi tu, magari sono cattivo eh?
 Magari sono come mio padre, magari ti sto prendendo solo in giro, magari sono un Mangiamorte come quelli che il tuo paparino porta ad Azkaban tutti i giorni..-
-Se stanno così le cose non vedo il motivo della tua presenza qui.-rispose lei senza lasciarlo finire.
Le tremavano le labbra anche se lei tentava di nasconderlo mordendosele dall’interno, ma non funzionava.
Aveva esagerato questa volta, non doveva trattarla così, infondo stava solo provando a stargli vicino e era l’unica che lo aveva fatto.
-Tu non sai come consolare tua madre, io non l’ho mai avuta una madre! E neppure un padre a cui pensare! Pensi che la gente non mi guardi quando passo per strada? Pensi che non sappia cosa dicono? “Guarda come è vestita, guarda i suoi capelli, suo padre la lascia così sola poverina”.. pensi che a me piaccia essere compatita?
Pensi che mi diverto quando gli altri tentano di consolarmi perché non vedo? Quando mi dicono che sono fortunata perché non vedo le cose brutte che ci sono in giro? Io vorrei vederle anche se sono brutte! Capisci?! Vorrei vederle anche io come te e gli altri! Ma non sto tutto il giorno ad auto-commiserarmi okay? Perché non serve a nulla! E se qualcuno tenta di starmi vicino lo accetto! Anche se mi dirà le cose più stupide e usate del mondo, perché vuol dire che almeno un po’ quella persona ci tiene a me, che ci prova a capirmi.-gli gridò con tutto il fiato che aveva in gola.
-Mi dispiace.-provò a giustificarsi, si avvicinò un poco, ma lei lo scansò in malo modo.
-Vattene!-
-Wren ho esagerato, non volevo dirti quelle cose, ho sbagliato perdonami.-
-Sì certo, mi sembra che in un giorno te ne devo perdonare un po’ troppe, giusto? Se non vuoi essere mio amico bastava che me lo dicessi!-
-Per favore parliamo un attimo.-
-Ho detto che te ne devi andare!-
Ormai era finita e lui lo sapeva, non avrebbe potuto rimangiarsi quelle parole taglienti come lame che gli si erano ritorte contro, era troppo tardi.
-Wren..-
-Sei un mostro.-sussurrò come fosse un segreto.
-Lo so, avrei solo voluto che tu lo capissi il più tardi possibile.-
 
 
 
NdA: sempre più corti ‘sti capitoli è?
Sarà che sento l’estate nel sangue e avrei voglia di spaccare il mondo, sarà che a scuola non ho più nulla, si spera, da fare, ma avrei voglia di scrivere tutto in un unico capitolo e liberarmi un po’ questo cervellino, ma non posso perché verrebbe un pasticcio xD
Comunque povero, stupido Draco! Ne combinasse una giusta ragazzi! Mi verrebbe voglia di tirargli un vaso dietro, ma spaccherei il computer e questa non è una buona cosa, no no!
Mah questi ragazzuoli che ci fanno dannare! Senza di loro però non sapremmo come fare però :)
Oddio sto divagando.
Nel prossimo capitolo finalmente, forse, si scoprirà cosa Draco combinerà alla povera Wren! Tutte a lei devono capitare.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
*Alessandro Manzoni, Promessi Sposi.
 

Un bacio
cranium. 

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Capitolo 8
*** Egoista. ***


A Divina che è il mio angelo.

Il serpente e l’uccellino.

Capitolo VII: Egoista.
L'egoismo non consiste nel vivere come ci pare
ma nell'esigere che gli altri vivano come pare a noi.
Oscar Wilde.

L’amore di una madre è incondizionato.
La fedeltà di una moglie è totale.
Il buonsenso di una donna è universale.
Narcissa Malfoy in ogni momento doveva essere oltre le aspettative di tutti per non dimostrarsi debole e sola.
Narcissa Malfoy doveva combattere con le unghie e con i denti affinché la sua vita non diventasse quell’inferno che tanto scacciava dai incubi.
Doveva dare il meglio di se per non cadere nel baratro che aveva davanti i piedi.
Con il marito ad Azkaban non era facile tenere in piedi gli affari di famiglia, nessuno voleva fare affari con dei Mangiamorte, nessuno voleva avere qualcosa a che fare con loro, ma Narcissa non era una donna qualunque: sarà stato quel veleno in corpo che tutto i Black possiedono, sarà stata la determinazione e l’ingegno dei Malfoy che ormai aveva ereditato, ma niente e nessuno l’avrebbero mai fermata, infatti riuscì a mantenere in piedi la baracca, o così si può dire.
Era ancora casa sua dopotutto e riusciva a tenere sotto controllo tutto da vera “Regina”, nessuno le avrebbe tolto quel poco che ancora la legava al mondo, niente le avrebbe impedito di mantenere il suo maniero rispettabile.
C’era qualcosa di strano in quei giorni a Villa Malfoy, il via vai di Mangiamorte si stava facendo più intenso e meno controllato e tutti confabulavano sottovoce qualcosa che non era ancora riuscita a captare.
Era una sera ancora troppo fredda per essere di primavera inoltrata, tutti gli alberi erano in fiore e nell’aria c’era quel dolce profumo di petali e polline, quando sua sorella la raggiunse veloce e affannata.
Era sempre stata bellissima Bellatrix, con i suoi occhi scuri e i capelli neri lucidi e sempre perfetti, ma dopo il soggiorno in prigione si era sciupata e i suoi bei lineamenti ne avevano risentito parecchio, da quando era tornato il suo Signore sembrava rinata come una Fenice.
Bellatrix era sempre stata una Fenice da quando se la ricordava, ammirata da tutti, sfavillante come il sole a mezzogiorno, adorata come una signora, ma adorante solo uno, poi lo perse e arse viva come su un rogo di distruzione e disperazione per poi rinascere dalle sue stesse ceneri più bella e forte per Lui.
<< Draco ce l’ha fatta! >> le gridò i preda all’euforia più totale.
Per un attimo per i suoi occhi grandi passò, come un tuono che rimbomba nella notte buia, la felicità per il successo e per la conquista del figlio, poi d’un tratto arrivò il lampo e allora la consapevolezza di quello che poteva succedere al suo ragazzo si fece palese e forte.
<< Vengo anch’io. >>
<< Il Signore Oscuro non vuole, pensa che tu sia troppo.. coinvolta! >> le disse senza troppi giri di parole.
<< Sono sua madre Bella! Come potrei non essere coinvolta! >> non l’avrebbero tenuta a casa a preoccuparsi per il figlio, aveva il diritto di aiutarli.
<< Hai avuto un grande onore Cissy! E tu lo sai. Offrire tuo figlio alla Sua causa, sai benissimo che se avessi avuto un figlio lo avrei fatto da tempo! >>
<< E avrò anche l’onore di vedere mio figlio morto? >>
<< Sarà un eroe! >>
<< È solo un ragazzo.. >> continuò con le lacrime agli occhi.
<< Sarà, ma il mio Signore ha detto che se tu vai lo ucciderà Lui stesso. >>
E poi fuggì in un sinistro –crac- e l’ombra del suo mantello nero fu l’ultima cosa che vide.
Aveva paura Narcissa, rannicchiata nella con le gambe al petto come una bambina in cerca di conforto, mentre cercava il profumo di Lucius tra le pelle e le rifiniture della poltrona preferita dal marito.
Perché la paura è infima e crudele e ci fa tornare indietro nel tempo, a quando andavamo a nasconderci dietro la gonna della mamma alla prima occasione, a quando guardavamo sotto il letto e soprattutto a quando ci facevamo guardare gli altri, quando tremavamo la notte sotto le coperte perché le finestre battevano e qualcosa nel soffitto scricchiolava, e rimaniamo impietriti a soffocare nelle nostre ansie.
Le lacrime ormai scendevano copiose perché erano mesi che le tratteneva e ora che tutto stava andando male non trovavano più ostacoli e scendevano per il suo viso magro e smunto.
Le madri hanno un sesto senso.
Lo sanno quando il figlio ha freddo anche senza sentire i denti che tremano.
Lo sanno quando il figlio ha fame senza sentire il suo stomaco che brontola.
La sanno quando il figlio ha bevuto senza sentire l’odore dell’alcool.
Nessuno sa come facciano, probabilmente recidere il cordone ombelicale non serve a smorzare l’unione tra loro e neppure le esperienze, la scuola e la divisione, o forse nei loro occhi c’è solo il loro pargolo con le sue esigenze e i suoi bisogni e, avendo occhi solo per lui è difficile che non riescano a cogliere quello che prova.
O forse lo sanno e basta.
Narcissa quella sera che suo figlio non sarebbe tornato quella notte.
E anche quando lui varcò il portone d’ingresso gettandosi tra le sue braccia che lo stringevano forte al petto lei capì, guardandolo negli occhi grigi, che in verità non era lì, lui non c’era.
Quella notte non era tornato.

L’egoismo è una brutta bestia, più della gelosia e del rancore messi assieme, sì perché questi due brutti sentimenti ci logorano dentro, ma alla fine fanno male solo a noi, invece l’egoismo pone il nostro “io” di fronte alle esigenze e ai problemi degli altri.
Pensiamo di fare la cosa giusta, ma non pensiamo alle conseguenze.
Pensiamo solo di meritarci qualcosa di più di quello che abbiamo e decidiamo che calpestare qualche mano e qualche testa non potrà far del male a nessuno, ma ci sbagliamo, perché infondo non facciamo male che a noi che marciamo dentro per riuscire ad espiare le colpe che non riusciamo a perdonarci neppure noi.
Di una cosa era certo: lui non era un egoista, ma ci andava molto vicino.
Lo aveva fatto per lei, ma sapeva che non era assolutamente vero, era solo per lui.

Circa tre ore prima.
La sua sala da pranzo da qualche mese era diventata un grande riunioni.
Il Signore Oscuro non era ancora arrivato quella sera, e tutti lo stavano aspettando impazienti.
L’attacco a Potter di qualche settimana, che doveva essere “il piano migliore di tutta la storia” o almeno così aveva detto sua zia Bellatrix, era stato un fallimento, e nessuno voleva parlarne, nemmeno Lui.
Arrivò spalancando le porte portando con se odore di morte e disperazione, non era felice, glielo si leggeva in quelle fessure nere e così pericolose, si sedette a capotavola, vicino a Piton:
<< Abbiamo un problema. >> disse.
E quando mai non avevano problemi?
Potter era ancora vivo, qualcuno metteva in discussione il Suo potere, un Mangiamorte aveva fatto qualcosa che non doveva fare, ah e dimenticava: Potter era ancora vivo.
<< Qualcuno di voi conosce Marcus Gray? L’auror? >>
Molti annuirono, quasi tutti.
<< Ci sta creando non poche difficoltà, potrebbe da un momento all’altro rientrare nell’Ordine, e noi non vogliamo che succeda, vero? Avete delle idee? >>
No nessuno” pregava Draco nella sua testa, perché necessariamente qualsiasi cosa che sarebbe capitata al padre, si sarebbe ritorta su sua figlia, e lui non voleva che succedesse.
 << So che ha una figlia, potrei pensarci io. >> ringhiò Greyback ridestandosi dalla sua breve calma.
<< No! >> sussurrò Draco.
Dove trovò il coraggio di alzarsi da quella sedia non lo seppe mai.
L’adrenalina probabilmente ebbe la meglio su tutto il resto.
Suo padre lo fissava stranito, sua madre aveva la compassione negli occhi: aveva capito tutto, non c’era da meravigliarsene.
 << Cosa suggeriresti tu Draco? >> rise perfido Voldemort mentre gli altri lo seguivano a ruota.
<< Vorrei avere il permesso di occuparmene io vi non le dispiace. >>
Lui lo squadrò e dal sorriso che gli si stampò sulle labbra intuì che aveva capito, perché nonostante tutto lui non aveva bisogno della Legilimanzia per leggere nella mente delle persone, appena ti guardava negli occhi capiva cosa pensavi.
<< Bene Draco, hai tutto nelle tue mani. >>

Lui non era un egoista, non lo faceva per averla vicina, per vederla tutti i giorni, lo faceva perché altri avrebbero potuto farle di peggio, perché Greyback l’avrebbe minacciata in modo peggiore.
Alla fine non lo sapeva nemmeno lui perché, ma appena Marcus Gray gli aprì la porta, lui si calò il cappuccio nero dalla testa e alzò la bacchetta per puntargliela al petto, capì che lo faceva solo per egoismo, puro e semplice egoismo.
<< Lo sapevo che non eri un ragazzo di cui fidarsi. >>
<< Voi non sapete perché sono qui. >>
<< Oh sì che lo so Malfoy, vuoi minacciarmi? Tornerò con l’Ordine e un ragazzino non può farci nulla. >>
<< Il Signore Oscuro vuole una garanzia che questo non succeda. >> inghiottì le ultime remore.
Perché il coraggio è ingannevole, prima ti senti un leone, ma poi le gambe iniziano a tremare e la salivazione si azzera, ma ormai di tirarti indietro non hai più possibilità.
<< Deve lasciarmi Wren. >>
<< Sei venuto per portarle dei cioccolatini? >> lo schernì l’uomo.
<< La uccideranno se non fa come vogliono loro! >> gli urlò con tutto quel poco che gli rimaneva dentro.
<< Ti tiri indietro è pivello? Hai lasciato che quel bastardo di Piton uccidesse Silente e adesso parli di “loro”. >> gli indicò il braccio sinistro << Anche tu sei loro adesso. >>
<< Preferiva Greyback a me? Io voglio solo proteggerla, non le farei nulla di male, non penso che gli alri Mangiamorte direbbero la stessa cosa. La uccideranno per causa sua! Riuscirà mai a perdonarselo?  >>
Era sbiancato, dov’era andato l’uomo spavaldo di prima?
Dov’era andato l’uomo che lo aveva bloccato fuori dalla porta un anno prima?
<< Cosa intendi fare. >>
<< La porterò a casa mia. >>
<< Non te lo permetterà mai. >>


NdA:
Scusate, lo so che il capitolo non è bello e neppure lungo, ma vi prometto che il prossimo sarà migliore.
Sono anche in ritardo!
Ero senza ispirazione per questo capitolo e non è venuto come desideravo.
Nel prossimo tornerà Wren e tutto ciò che questo comporta.
Spero si non avervi delusi.

P.S: qualcuno di voi segue il fandom di Hunger Games? Se sì fatemelo sapere.
P.S2: Luna dimmi se è meglio così la scrittura :) mi sembra più grande, ma sto usando un programma nuovo e non so usarlo xD
Ringrazio ancora chi mi segue sempre :)

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Capitolo 9
*** Wren e Draco. ***


Il serpente e l’uccellino.

Capitolo VIII: Wren e Draco.

È indubbio che l'amore abbia un carattere

diverso dall'amicizia: quest'ultima non ha

                                                                                                                                                         mai mandato nessuno in manicomio.

Charles-Louis de Montesquieu,

 

La sua seconda missione come Mangiamorte.

Con la complicità degli infiltrati al Ministero Voldermort era riuscito a prendere tutto il potere.

Lui c’era, c’era quando il suo Signore aveva torturato il Ministro per chiedergli di Potter, ma lui non aveva proferito parola.

Era questa la lealtà che i Grifondoro decantavano tanto?

Questo il sentimento che li legava e li faceva lottare come un unico corpo?

Infondo Rufus Scrimgeour ad un leone un po’ ci assomigliava con i suoi capelli folti e la sua voce possente, ma nell’agonia neppure la sostanza ti salva e la sua voce si era trasformata in quella di un micetto mentre tentava di trattenere le urla mordendosi le labbra.

Si erano smaterializzati in fretta, sperando che la notizia del cambio di governo non fosse già giunta alla loro destinazione, arrivati però si accorsero che era così.

Nel bagliore argenteo di un Patronus che si dissolve la gente scappava.

Chi poteva si smaterializzava, altri cercavano i propri figli o i membri più anziani della famiglia che non potevano fuggire senza di loro, i più coraggiosi si erano schierati compatti per affrontare qualcosa che non era ancora lì.

Nei loro vestiti dalla festa i loro visi contratti sembravano ancora più rabbiosi, persino la sposa aveva la bacchetta in mano per difendere quelli che non erano ancora fuggiti, per permettere la fuga a chi sapevano loro.

Si avvertì un –crac-, Potter, la Granger e Weasley non c’erano già più.

 

Le sue unghie si erano ridotte a dei moncherini senza spessore e forma, i denti esigevano il loro tributo, o le unghie o la lingua, e le prime, se morse, erano meno dolorose.

Passò a mordicchiare l’interno della guancia finché non avvertì il sapore ferroso del sangue fresco.

A volte ci sono cose che bruciano più del dolore fisico, il rimorso, per esempio, la coscienza che ci infiamma lo stomaco per far capire che abbiamo sbagliato, finché l’incendio interno non arriva alla gola e cerchiamo di spegnerlo con qualcosa di forte, ma non facciamo altro che peggiorare la situazione.

Mai mescolare alcool e fuoco se non vuoi finire senza un sopracciglio.

Ma infondo bere aiuta, no?

Cosa c’è di meglio che dimenticare i propri errori sotto l’ebbrezza di qualche grado?

Probabilmente non averli commessi, ma quando prendiamo una decisione non sappiamo mai che effetti avrà, o meglio, lo sappiamo, ma facciamo finta di nulla.

Era lì, sdraiato nella camera adiacente alla sua che sarebbe diventata la dimora di Wren, con un bicchiere in mano, se sua madre lo avesse visto lo avrebbe di certo sgridato, anche se ormai maggiorenne, ma le madri non vedono il loro cucciolo che cresce, per loro è sempre il piccolino da allattare al seno, e non si accorgono che magari il figlio ha bisogno di altro al posto del latte materno.

Oramai la decisione era stata presa e non si sarebbe potuto tirare, non adesso, non per la sua vigliaccheria.

Prese dalla sedia il mantello nero e se lo infilò prima di uscire, tirò su il cappuccio e si smaterializzò nella sera, mentre l’odore dei gelsomini all’ingresso lo accompagnava verso la sua destinazione.

Diagon Alley lo investì con i suoi colori spenti da imminente dittatura, le vetrine vuote e buie, con le sue persiane e serrande chiuse o sbarrate, con le sue strade vuote neppure ci fosse stato il coprifuoco, con il suo clima gelido.

Si addentrò per i vicoli che oramai conosceva come le sue tasche se non meglio, fino a trovarsi davanti al portone di legno scuro che era la sua meta.

Bussò, ma lo trovò già aperto.

Salì per la scala ripida attento a non attirare l’attenzione della signora Burkin che avrebbe potuto sentirlo, continuò a arrampicarsi sugli scalini, e ad ognuno che scavalcava con passo lento e controllato, perdeva un briciolo di sicurezza in quello che stava facendo.

Perché a diciassette anni non ci si rende conto di quello che si fa, almeno finché non ci si sbatte contro, finché non si vede il danno effettivo sulla pelle ancora giovane e non consumata, finché non ci si trova davanti all’alto baratro e pochi secondi prima si aveva l’intenzione di gettarcisi, finché le gambe non percepiscono il pericolo e costringono alla ritirata il cervello.

Ma l’ostinazione e l’egoismo sono più forti delle gambe, e in un certo senso anche l’amore.

Marcus Gray gli si parò davanti in tutta la sua mole e il suo odio profondo e viscerale che si poteva leggere negli occhi scuri dell’uomo.

Gli stava portando via la figlia, una figlia che si era dovuta crescere da sola, che aveva dovuto combattere contro tutto senza poter vedere il suo nemico, ma che era l’unica persona che gli era rimasta al mondo.

Ora lo vedeva, si sarebbe dato in pasto alle fiamme dell’inferno per lei, ma lo aveva capito da troppo poco per avere la fiducia della figlia e il suo amore, troppo tardi, anche per lui.

Erano uguali sotto quell’aspetto, nessuno dei due era riuscito a far capire a Wren quello che provavano, che fosse stato l’amore di un padre, sia l’affetto profondo di un amico.

Tutti e due l’avevano tradita, chi con il lavoro, chi con l’egoismo.

Lei odiava tutti e due.

-Ti aspettavo.-

Sulla soglia, insieme a lui, anche un baule e Wren che il padre teneva stretta nella sua presa.

Niente guance rosse per la rabbia, niente denti serrati come una animale che vuole difendere i propri diritti, solo Wren, con la schiena diritta e i capelli lunghi e ribelli, le calze perennemente spaiate e le labbra rosse quasi come la sua maglia.

-Sei un pezzo di deficiente, lo sai?- disse lei e Draco pensò che si stesse rivolgendo a lui perché si era accorta che la stava fissando.

-Lo faccio solo per te, lo vuoi capire?!-

-Sì certo, come no.-

-Non voglio perdere anche te..- tutta la disperazione di un uomo in quelle poche parole.

Cosa voleva dire per una persona perdere prematuramente la moglie e poi lasciare la figlia in mano a un Mangiamorte?

Cosa voleva dire aver capito troppo tardi quello che provava per sua figlia?

-Ti  sempre interessato così tanto vero? Non è che sta storia  non è una scusa per non avermi più tra i piedi?-

-Come ti permetti ragazzina.-

La delusione di vedere la figlia che anche in un momento così delicato gli stava dando contro.

-Senti tu.. sì tu- e lo punzecchiò con il bastone –hai così tanto tempo da perdere?-

-Io?- rispose lui, ma non si accorse dei muscoli di Wren che si erano irrigiditi al suono della sua voce, per poi rilassarsi accompagnati da un movimento della testa.

-Perspicace direi.-

-Sì in effetti dovremo andare.- ma Marcus sembrava non voler lasciare il braccio della figlia, che invece se ne liberò con uno strattone, per lasciare che lo prendesse lo sconosciuto per facilitare la smaterializzazione.

Perdere una figlia in un –crac-.

Ritrovare una amica in un –crac-.

L’odore dei gelsomini li sorprese di botto, quando i loro piedi non erano ancora pronti all’atterraggio e nemmeno i loro stomaci.

 

-Tu!- gli gridò lei appena arrivati alla camera –Devi starmi veramente lontano se non vuoi che ti faccia male sul serio.-

-Ah sì?- la sbeffeggiò lui per sdrammatizzare l’atmosfera, ma lei lo prese di striscio col bastone e fu costretto ad allontanarsi.

-Sì!-

-Non voglio farti del male.-

-Io non posso dirti la stessa cosa.-

-Senti magari se mi conoscessi meglio..- avrebbe voluto abbracciarla, dirle che era uno stupido, che era lui, che era Draco, che non le avrebbe mai fatto del male.

-Chi ti dice che io voglia conoscerti.-

-Sono l’unica persona con cui parlerai per molto tempo.-

Sembrò pensarci un attimo, con la mano cercò il materasso dietro di lei e vi si accovacciò con le gambe al petto.

Si erano completati per così tanto tempo, lei tranquilla e sbarazzina lui nervoso e calcolatore, che anche adesso riusciva a pacarla.

Perché lei sapeva cos’era la solitudine, e ne aveva la giusta paura, lei sapeva cosa voleva dire non avere nessuno con cui parlare, nessuno con cui confidarsi.

Anche lui era così, sotto la scorza di vecchia serpe burbera, era solo un ragazzo.

Sapeva cosa la rendeva felice, sapeva cosa la spaventava e sapeva di mancarle, in un modo o in un altro.

-Come ti chiami?- gli chiese appoggiando il bastone in segno di resa.

-Neville.- rispose con il primo nome che gli era saltato in mente.

-Non è un nome da cattivo sai?- e accennò un sorriso tra le ginocchia che teneva ancora al petto.

Quanto gli era mancato il suo sorriso, quanto le era mancata lei.

-Wren non mi sembra un nome da ragazza che prende a bastonate le persone!-

-Bisogna adeguarsi nella vita.-

E lui lo sapeva bene, si stava adeguando a una vita che non era la sua, a una maschera di ferro che gli stava troppo piccola e che lo soffocava giorno dopo giorno, ora dopo ora,

Si stava adeguando a un nome troppo grande, che invece, gli stava così largo da poterci nuotare dentro per trovare una via d’uscita impossibile da trovare, per trovare quel lembo fragile dal quale scappare per trovare la luce che da tanto cercava.

E forse l’aveva trovata.

Lei con i suoi occhi spenti, che di luci non ne aveva mai vista, il suo corpo esile e fragile da stritolare in un abbraccio, le sue spalle minute che riuscivano a sollevare il mondo senza aiuto di altro che della sua forza.

-Dalla voce non sembri neppure vecchio.-

-Infatti non lo sono.-

-Vuoi farmi credere che adesso anche i ragazzini diventano Mangiamo..- si frenò di scatto e si morse il labbro storcendo il naso –sarà perché il mondo è pieno di idioti, ecco perché.- continuò.

-Devo andare, ti porterò qualcosa da mangiare.- disse lui sbrigativo mentre usciva dalla stanza.

“Neville! Proprio Neville mi doveva venire in mente?”

 

Tornò dopo nemmeno un’ora da lei, voleva recuperare tutto il tempo che aveva perso, anche se lei sembrava riluttante anche al solo pensiero.

Chissà cosa pensava di lui, di quel mostro dalla maschera scura che l’aveva portata via da casa sua, dalle sue cose, dalla sua piccola quotidianità.

Per un attimo i suoi pensieri cupi vennero interrotti da un lampo di luce solitario nella sua notte eterna, prima lei aveva pensato a lui, lui Draco, ne era certo.

 

 

NdA:

capitolo corto, scusate.

Il prossimo sarà più lungo e incentrato su Wren principalmente, e forse torneranno Lucius e Narcissa..

Wren è arrivata a villa Malfoy ed è adesso che incomincia la vera “storia” se possiamo chiamarla così.

Ringrazio chi continua a seguirmi, siete fantastici tutti, grazie mille.

Serpeverde ha vinto la Coppa delle Case!

 

cranium

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Capitolo 10
*** Uomo. ***


 

Avviso: questo capitolo è un po’ particolare per l’intreccio tra i POV di Draco e Narcissa, non cambio colori o stile di scrittura perché sono molto facili da riconoscere e alternati.

 

Il serpente e l’uccellino.

      Cosa ci fai in mezzo a tutta questa gente?

Sei tu che vuoi o in fin dei conti non ti frega niente?

Luciano Ligabue.

 

Tutte le sere finiva così.

Lui tentava di parlarle, di starle vicino e nonostante all’inizio, per poco, riusciva a oltrepassare un poco la sua porta di diffidenza e rabbia, ma alla fine lei lo chiudeva sempre fuori sbattendogliela in faccia.

Erano irrimediabilmente soli tutti e due, senza nessuno, nessun appiglio nella loro vita cui aggrapparsi, sentivano entrambi il bisogno di parlare, di confidarsi con qualcuno, di condividere un po’ della loro quotidianità, ma nessuno lo voleva ammettere per primo, nessuno voleva dare all’altro la soddisfazione di farsi compatire, di farsi vedere fragile, di essere il primo a chiedere aiuto ad allungare la mano per farsi prendere.

C’era qualcosa che però li differenziava: lei alla solitudine c’era abituata, lui era riuscito ad alleviarla, ma per  poco tempo.

Lei sapeva cosa volevano dire le lunghe sere passate in compagnia solo di un libro, le giornate vuote, le lunghe assenze delle persone e anche le sue, sapeva cosa voleva dire avere la pazienza di aspettare.

Lui no, perché aveva sempre avuto qualcuno intorno, da quando aveva memoria non gli erano mai mancati ne affetto ne sostegno, che fossero i suoi genitori o gli amici e i compagni di scuola, e quindi fu il primo a cedere.

Perché la solitudine in due diventa più sopportabile, si affronta meglio, perché in due non è più solitudine.

Perché aveva bisogno di qualcosa che lo scaldasse, qualcuno che gli facesse staccare un po’ la mente da tutto quello che stava attraversando, perché aveva bisogno di lei più di qualsiasi altra cosa al mondo.

 

Sterile.

La terra intorno alla sua villa era morta.

Non cresceva più nulla, le piante quell’agosto non avevano dato i frutti aspettati, le foglie si erano subito ingiallite, e a settembre già cadevano staccate dal vento freddo che ghiacciava gli animi oltre che le piante.

Il terreno era asciutto e persino l’erba, un tempo verde e rigogliosa, sembrava secca, sembrava stanca, quasi quanto lei.

Il bianco dei pavoni spiccava maggiormente in quel giardino brullo e senza vita, tanto da sembrare, da lontano, dei piccoli cumoli di neve, sparuti, a dare luce.

Impossibile, perché si sa, sotto la neve l’erba è fresca.

Tutto moriva, si spegneva, e piano piano anche lei e la sua famiglia.

Suo marito vagava per la villa senza motivo, passando da una stanza all’altra senza un perché preciso, non parlando quasi mai, fermandosi ad osservarla di tanto in tanto, da dietro una porta, mentre lei leggeva, suonava, curava quel poco che era rimasto del giardino.

Quella gioia che aveva sempre avuto negli occhi si stava estinguendo e Narcissa non sapeva come mantenerla viva, è più facile spegnere un fuoco che riaccenderlo di nuovo.

Avevano sempre portato insieme il peso di quello che accadeva alla loro famiglia, ma sembrava che lui volesse prendere il peso solo sulle sue spalle e lei non glielo avrebbe permesso.

Perché in due è più facile, perché in due il carico si dimezza e diventa più sopportabile.

 

La notte trascorreva lenta tra le lenzuola di seta chiara, rigirarsi, ancora e ancora, non aiutava di certo il sonno che non era ancora arrivato ad accoglierlo tra le sue braccia dolci e calde.

La finestra aperta portava, con una brezza tranquilla, il verso inquieto e inquietante dei barbagianni che avevano il nido nelle rientranze scure degli alberi.

Nient’altro.

Il rumore di un qualche animale che camminava intrepido sulle tegole del tetto, qualcuno che sbatteva la porta d’ingresso, un elfo domestico che correva da una stanza all’altra per accontentare gli ospiti strascicando i piedi grandi fuori misura, gli risultava tutto così ovattato da fargli credere che niente di tutto ciò succedesse.

Tutto lontano, a mala pena percettibile, distante, senza sostanza e forma.

L’unica cosa che sentiva vicino, palpabile, era il respiro tiepido di Wren nella stanza accanto.

Non che lo sentisse veramente, ma ormai era così abituato ad ascoltarlo che gli era rimasto in testa e pensava di udirlo ovunque.

Pensare che c’era lei, e che li separava solo una parete poco spessa, ma che non poteva avvicinarsi, lo mandava in bestia e di certo non conciliava il sonno.

Si alzò barcollando per la stanchezza per raggiungere l’armadio e con il buio che regnava nella stanza quasi vi cadde dentro mentre apriva le ante cercando di non far rumore.

“Lumos”.

Con la luce scaturita dalla bacchetta non fece molta fatica a trovare quello che stava cercando.

 

La loro era l’unica camera della villa che manteneva almeno una candela accesa durante tutta la notte.

Non che avessero paura del buio, loro, che le tenebre le conoscevano meglio di chiunque e le vivevano da sempre.

Lo aveva chiesto Narcissa, perché suo figlio sapesse che c’era sempre qualcuno se lui avesse voluto parlare, se non fosse riuscito a dormire là nel suo letto freddo da solo, se scegliesse di passare un po’ da loro.

Lucius glielo aveva detto che non sarebbe mai venuto, che era troppo grande, che era troppo orgoglioso anche solo per venire a chiederle aiuto, che non aveva senso quello che stava facendo.

Lei non la pensava così, bastava il pensiero, la certezza della loro costante presenza, una luce per salvarlo dall’oscurità che lo stava avvolgendo, strappandolo a loro.

La loro luce sarebbe rimasta accesa, il resto non aveva alcuna importanza.

Basta poco per rischiarare l’oscurità, così poco che a volte non gli diamo importanza, perché la via facile non è sempre quella giusta, ma la maggior parte delle volte sì.

Un libro sul comodino, un altro tra le dita lunghe che sfogliavano i fogli delicatamente, con sapienza, una carezza amareggiata di chi lascia una pagina come abbandona un amico.

Una volta.

Un’altra ancora.

Finché la pelle lavorata non prese il posto della carta e il tempo di perdersi tra le amate storie finì come era iniziato.

Apatia totale dopo quell’attimo di libertà, finché Lucius la raggiunse sotto le lenzuola e lei ebbe la certezza di non essere sola, anche se lui era così distante.

 

Si avvicinò cauto, finché non sentì il legno striato sotto le dita, mentre la luce forte emanata dalla bacchetta lo aiutava ad abbassare la maniglia.

Si avvicinò e si sedette sul bordo del letto per non disturbarla.

Il suo respiro era come lo sentiva nella sua stanza, lento, regolare, gli sembrò, per un attimo, di essere tornato nel suo letto, e così cullato, di poter finalmente prendere sonno.

Mosse la mano per spostarle i capelli che le cadevano sulla fronte, ma non fu abbastanza delicato, perché lei se ne accorse e scattò sulla difensiva come un gatto prendendo velocemente la bacchetta che teneva sotto il cuscino.

Wren sussurrò qualcosa e la bacchetta di lui si spense improvvisamente.

Erano così diversi loro: lui, per sentirsi al sicuro, accendeva una luce, per vedere meglio, per non essere circondato dalle tenebre, lei, per sentirsi al sicuro, spegneva le luci degli altri, per far si che non potessero vederla, perché lei dalle tenebre era sempre circondata.

A lei la luce non serviva, a lui sì.

-Sono io.- disse per tranquillizzarla, ma era più agitato di lei.

-Lo avevo capito- rispose stropicciandosi gli occhi con il dorso della mano –lo sai che ore sono? Non ti hanno insegnato che ci sono momenti in cui alla gente non piace essere disturbata?-

-Non riuscivo a dormire.- rispose quieto, riaccomodandosi sul materasso, sperando che lei facesse lo stesso, invece Wren, riprese le lenzuola e se le tirò fino sotto il mento.

-E quindi hai deciso di non far dormire neppure me, molto gentile da parte tua.- lo ammonì girandosi dall’altra parte, verso la parete.

-No, non volevo disturbarti, ma tu ti sei svegliata..- cercò di spiegarsi lui.

-Adesso puoi anche andartene allora.- disse arricciando le labbra visibilmente irritata.

-In verità volevo qualcuno con cui dividere questa cioccolata, ma se proprio non vuoi..-

-Ho sedici anni, non mi faccio di certo corrompere con della cioccolata!- disse rigirandosi verso il ragazzo e tirandosi a sedere come per difendersi da qualcosa.

-Non voglio corromperti! Voglio solo qualcuno con cui condividere le mie giornate. Pensi davvero che il mio mondo sia bello? Pensi che mi piaccia tenerti chiusa qui?- e si alzò per raggiungere la porta –Ma forse tu sei troppo ottusa per capirlo.-

Si avvicinò all’uscio, ma la voce della ragazza lo fermò:

-Spero almeno che non sia fondente, io odio il fondente.-

Nulla avrebbe potuto renderlo più felice.

 

Si accomodò vicino a lei, avvicinandosi per lasciarle un bacio veloce sulla tempia.

Il rituale di tutte le sere per loro, come dettato da una legge stupida da seguire ripetutamente, riutilizzando l’affetto delle sere precedenti per colmare un vuoto che li risucchiava.

“Sii forte, fallo per Lucius, per Draco” come un mantra, ogni mattina appena sveglia, si dava coraggio da sola, aspettando una mano da parte del marito che non arrivava.

Non lo biasimava, quello che aveva passato solo lui poteva saperlo, prima Azkaban, poi la casa occupata, il figlio Mangiamorte, ma non poteva farlo cadere, lei non lo avrebbe abbandonato.

Chiuse il libro che teneva ancora tra le mani con un colpo secco, lo appoggiò sul comodino accanto e si sedette meglio invitando il marito a fare lo stesso per poter parlare.

-Non ce la faccio, Lucius… non posso essere forte per tutti e due, non riesco a vederti in questo stato, se non vuoi farlo per te, ci siamo io e tuo figlio, e non possiamo farcela da soli.-

Si aspettava un’espressione stranita, un piccolo sussulto da parte del marito, ma rimase immobile, consapevole, colpevole.

Si portò solo le mani al viso, come per nasconderlo dagli occhi della moglie.

-Narcissa, chi sono diventato? Cosa sono diventato? Non sono neppure più un uomo, non mi sento tale, non riesco a definirmi tale, come potrei?

Sono un peso, per te e per gli altri.-

-No, non lo sei Lucius.- cercò di rassicurarlo la moglie.

-Non ho neppure la bacchetta… uomo, che uomo sono se non posso proteggere la mia famiglia, quelli che mi stanno più cari neppure dalla notte per portarli nel torpore della luce? Che uomo sono se son prigioniero a casa mia, tra le mura che i miei avi hanno contribuito a costruire?-

-Sei il mio uomo- lo interruppe prendendogli la mano -ed è il momento che inizi a comportarti come tale. Sei un Malfoy, non un qualunque garzone trovato su un marciapiede! E da domani non voglio più vederti perso come un bambino. E adesso buonanotte.- concluse posandogli un bacio sulle labbra che erano rimaste socchiuse dall’impatto che le sue parole avevano avuto su di lui.

 

 

Angolo del cranio:

Oh come sono contenta di questo capitolo *-*

Probabilmente perché c’è Narcissa, Wren, e i barbagianni (che odio).

Il prossimo capitolo sarà molto più movimentato, uno dei miei preferiti, tra quelli che ho pensato.. non vedo l’ora di postarlo.

Grazie mille a chi continua a seguire la mia storia.

 

Un bacione

cranium

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Capitolo 11
*** Innamorato. ***


Il serpente e l'uccellino.

Dicembre era arrivato e con lui quell’aria frizzante che precede le grandi nevicate, e le nuvole bianche e dense che riempivano il cielo rendevano piacevole affacciarsi dalla finestra a cercare i merli che si rifugiavano tra i rami sicuri degli alberi nodosi davanti alla villa.

Con le loro ali scure proteggevano il nido dalle intemperie della stagione fredda che si insinuava tra le loro piume fitte.

Narcissa si sentiva un po’ come loro, con le penne smosse e sgualcite dalle forze esterne che cercavano di tirarla giù dalla sua casa.

Lucius stava meglio, ma le sue forze cedevano sotto il peso di responsabilità crescenti che andavano dal salvare suo figlio, all’amare il marito, a preservare la serietà di casa sua.

Un’ombra cupa comparì nella porzione di giardino che riusciva ad intravedere dalla finestra del grande salotto tra i suoi cespugli preferiti di rose selvatiche.

Bellatrix si rivelò come l’ala nera di un corvo e lei da colomba si avvicinò.

La invitò ad entrare e le offrì una tazza di the.

-Il Signore Oscuro è tornato- la informò con voce febbrile  –spero che il suo viaggio sia stato fruttuoso.-

-Lo spero anche io sorella, come sta Rodolphus?-

-Come una qualsiasi ameba che sguazza nella sua brodaglia.- rise la sorella.

-Non dovresti essere così dura con tuo marito Bella.-

-E tu forse dovresti esserlo di più, troppo tempo sei stata indulgente, non vedi che ti riempie di vergogna?-

-Non credo abbiamo la stessa idea di ciò che vergogna significhi…-

Un tonfo sordo si intromise nella loro conversazione.

Al piano di sopra era successo qualcosa.

-La ragazza.- sussurrò Bellatrix come un animale che rimugina sulla preda che ha davanti.

Era una cacciatrice lei, e non erano i capelli da fiera o gli occhi che si riducevano a fessure di fronte a ciò che le sbarrava la strada, era piuttosto il sangue che aveva sulle mani e che niente avrebbe potuto lavare, erano le unghie affilate che si passava sulle labbra rosse e le guance scarne.

-Bella.- cercò di fermare la sorella che stava già salendo le scale, ma era troppo tardi e l’unica cosa che poté fare era seguirla.

-Per favore fermati!- la incitò, ma niente.

Ormai la camera di Draco era vicina e dalla risata della sorella Narcissa intuì quanto aspettasse di vedere la figlia di Gray.

-Suo padre è l’uomo che mi ha portato in prigione Cissy! E qui, dietro questa porta, c’è lei! Sua figlia.-

-Bella! Non puoi… il Signore Oscuro… lui non la vuole morta.- le disse per calmarla, ma la cosa non fece mutare il sentimento della sorella.

-È solo un cruciatus, ho solo voglia di…-

Non lo sapeva neppure lei, lì con le mani nei capelli per la voglia di sfogare la sua frustrazione.

Capiva ciò che provava, molti odiavano quell’uomo, anche lei, e chissà in quanti provavano rancore verso l’Auror, tutti in quella casa, ma suo figlio provava qualcosa per la ragazza dietro quella porta e lei non avrebbe permesso a niente e nessuno di toccarla.

-Bella, smettila.- la pregò la sorella prendendole le mani per calmarla, ma nulla, lei si libero dalla presa della sorella e si fece spazio fino ad arrivare all’altra camera.

Wren era a gattoni sul pavimento chiaro.

-Neville sei tu? Sono inciampata e non riesco più a trovare il mio bastone, puoi aiutarmi per favore?- disse muovendosi a tastoni.

Narcissa di avvicinò lentamente a lei, ma la ragazza non sembrava turbata dalla presenza di due estranee.

Non ci vedeva.

La consapevolezza di ciò la colpì al petto, senso di colpa, aveva permesso che quella ragazza fosse tenuta segregata lì in casa sua, sotto il suo stesso tetto, una giovane così fragile, e le spalle talmente strette che persino lei avrebbe potuto stritolare.

Avrebbe parlato con suo figlio quella sera.

Intanto fuori iniziava a piovere.

 

Lucius era nel suo ufficio quella sera.

Si avvicinò alla scrivania che era coperta da carte e pergamene varie dietro le quali spuntava la sua testa china intenta a leggere e scrivere.

-Lucius.- un richiamo al quale l’uomo non poteva che rispondereon incontrò gli occhi della moglie.

-Dimmi Narcissa.-

-Lo sapevi che la figlia di Gray non vede?- chiese tentando di essere indifferente, ma il tono le riuscì molto impaziente.

-Avevo sentito dire che aveva dei problemi di salute.- rispose un poco sorpreso.

-L’ho vista un’ora fa.- camminava avanti e indietro come se sperasse di consumare le suole delle scarpe.

-Non possiamo farci molto.-

-Possiamo chiedere al Signore Oscuro di rimandarla dal padre, penso che si sia spaventato abbastanza, è una ragazzina così gracile, gli parlerò io.-

-Pensavo fossimo d’accordo che certe responsabilità spettano ancora a me, e parlerò anche a Draco, non credo la prenderà molto bene.- vide la moglie sorridere e si riempì della forza che gli serviva.

Narcissa uscì lasciando Lucius solo con i suoi pensieri.

Non poteva permettere che suo figlio si innamorasse, non voleva che soffrisse.

Sarebbe riuscito a farlo ragionare in tempo Draco o avrebbe sentito il suo cuore spezzarsi come al tempo aveva fatto il suo?

Probabilmente la seconda, ma era così giovane che tutto si sarebbe risolto in poco, e poi aveva intenzione di proporgli da un po’ di tempo un matrimonio con la sorella piccola della Greengrass, Asteria.

Un buonissimo partito.

Lo fermò appena lo sentì i suoi passi fuori dallo studio con la scusa di dovergli parlare, che poi una scusa vera e propria non la era.

-Draco.-

-Padre .-

-Io e tua madre abbiamo riflettuto assieme, vorremmo chiedere al Signore Oscuro la possibilità di rimandare Wren da suo padre. Non sapevo fosse non vedente, avrei preferito mi avvertissi tu invece che tua madre che l’ha scoperto per caso… e poi tu ti stai innamorando e non è un bene, tu lo sai.-

Il cuore gli batteva così forte che per un attimo ebbe paura di vederlo uscire dalla cassa toracica per andare a passeggio.

Si stava innamorando?

Forse era il battere ritmico del bastone di lei sul pavimento che lo avvertiva che non riusciva a dormire la notte, o quella volta che si era stretta a lui perché aveva paura dei tuoni, o il sentirsi invincibile quando riusciva a trovare la nuca della ragazza sotto quella massa di capelli, il non poterle farle capire quanto bello fosse il suo sorriso, il vederla tutti i giorni, non c’erano più dubbi.

-Io  sono innamorato! Come tu lo sei di mia madre, non ci vedo nulla di male in questo.-

-Lei non ricambierà mai.-

-Non lo posso sapere finché non ci provo… forse sarò io quello che riuscirà a spezzare la maledizio…-

-Non ci sono riuscito io in tutti questi anni, tu come pensi di riuscirci?  Non essere egoista Draco, quella ragazza non sa neppure il tuo vero nome, come pensi di istaurare il vostro rapporto, se mai ce ne sarà uno? Su una menzogna? Vuoi continuare a tenerla chiusa in gabbia?-

-È quello che tu stai facendo con mia madre!-

Il colpo arrivò secco sul viso, ma non era stato Lucius che guardava la scena sbalordito, ma Narcissa che stava ascoltando la conversazione.

-Non permetterti di parlare così! Sei troppo giovane per capire.-

Draco non se l’aspettava, non da sua mamma, non dall’unica donna che lo capiva, si allontanò indietreggiando per poi correre via.

Via da loro che lo consideravano un’egoista, da loro che lo consideravano un illuso, per raggiungere Wren.

Correva per togliersi da quella situazione assurda, via da tutto quello che lo asfissiava e appena trovò la ragazza soffocò tutto con un bacio.

Sperava la ragazza ricambiasse in qualche modo, che la cosa la cogliesse di sorpresa e che non lo allontanasse, ma non fu così.

-Neville, ma cosa…- sussurrò staccandosi da lui, ma non era già più lì.

 

-Draco.- sussurrò.

Le cucine erano riservate agli elfi, nessuno andava mai a controllare ed era per quello che suo figlio fin da piccolo andava a nascondersi lì.

Era troppo fiero per mostrare la sua tristezza, persino a sua madre, ma appena lei lo raggiungeva nel cantuccio che si era costruito tra l’orgoglio e le pentole si sfogava in un pianto liberatorio.

-Oramai è diventato troppo stretto per tutti e due.- e si accucciò davanti a lui.

-Spero non significhi che il mio lavoro da madre è finito, so che hai bisogno dei tuoi spazi, ma vorrei poter ritagliare sempre un piccolo cantuccio per me nella tua vita, anche se stai crescendo.-

A quelle parole Draco si scostò per permetterle di sedersi vicino a lui.

-Me lo ricordavo più grande.- cercò di scherzare, ma il volto del figlio rimase impassibile.

-Non mi ama.- sussurrò amaro.

-Lo so, ma questo non significa che tu non puoi amare lei, amare rende molto felici, vedi le cose molto più belle di quello che sono realmente, e se poi non sei ricambiato avrai sempre il cuore pieno.-

-Ma tu non ami mio padre, non puoi capire.-

-È vero- sospirò -ma non c’è giorno che io non veda riflesso nei suoi occhi tutto quello che prova per me, e non c’è niente di più bello.-

-Belle parole, ma Wren non vede.-

-Draco, e io che ti reputavo un ragazzo intelligente, hai altri quattro sensi a disposizione, sbizzarrisciti!-  

 

 

NdA: Ringrazio chi continua a seguire la storia nonostante i miei ritardi colossali.

Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento. Al prossimo.

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Capitolo 11
*** Neville e Neville. ***


Il serpente e l’uccellino.

 

A volte poco può significare molto.

Un piccolo gesto può risultare più efficace di uno grande, e era quello che cercava di fare Draco: piano, piano riavvicinarsi, in modo silenzioso, ma costante.

Ma c’era qualcosa che la frenava da fare lo stesso, un muro contro cui andava a battere tutte le volte che provava ad aprirsi con lui.

Era una sensazione strana quella che provava, un misto tra paura e ribrezzo che si mitigava un poco al suono della sua voce calma, un formicolio sotto pelle cha l’avvertiva del pericolo, perché infondo, anche se poteva non sembrare, lui era pericoloso, un Mangiamorte, un servo dell’Oscuro Signore e lei una povera stupida.

Capiva più di quello che lasciava a trapelare, non era ottusa, e anche se gli occhi non la potevano aiutare gli altri sensi erano così vigili da non lasciarla dormire a volte.

Quella camera sapeva spesso di chiuso, poi arrivava lui a spalancare le persiane e allora sentiva i gelsomini che dovevano crescere pochi metri sotto quelle finestre e si perdeva in essi come in un vecchio consunto ricordo.

A lei piacevano tanto quei fiori così piccoli e delicati al tatto, ma che allo stesso tempo riuscivano ad emanare una fragranza così decisa e forte.

Sapevano di casa, di quella dalla quale era stata portata via, quella che rimpiangeva, non spesso, le ricordavano quella volta che era entrata in camera del padre a aveva rotto non volendo una boccetta di profumo che a quanto aveva capito apparteneva alla madre e per due mesi il cassettone e il tappeto avevano profumato di gelsomini.

Andava lì spesso, avvicinava il naso al comò per sentire l’odore di quella madre che non aveva mai conosciuto finché suo padre non la vide e per mettere fine a quella “strana abitudine” aveva ripulito tutto con la magia.

Ma lei ne aveva così tante di “abitudini strane” che non sarebbe bastata tutta la magia del mondo a cancellarle.

Amava andare in Farmacia per aiutare nelle commissioni la signora Burkin perché quel posto era la casa degli aromi più incredibili dall’olio di rosa alle radici di aconito, poi tornata casa sedeva sul tavolino e dondolava le gambe facendo finta che suo padre fosse lì a parlava, parlava a vuoto, parlava al vuoto.

In quel momento aveva Neville con cui parlare, ma il vuoto era ancora un amico troppo caro a cui rinunciare e a volte preferiva la compagnia di nessuno a quella del ragazzo.

Perché la sua presenza non le faceva bene.

La porta si aprì di scatto.

-Guarda che ho trovato! Era tutta sola e spaventata vicino ad un cespuglio in giardino, sembrava chiedermi “portami da Wren”… non ho saputo resistere.-

La ragazza non fece in tempo a domandargli che cosa lo rendeva così euforico che un affarino peloso scivolò dalle mani di lui sul grembo di lei, e vi si accoccolò non prima di aver emesso un miagolio di assenso.

-È un gatto.- sussurrò lei.

-È una micia!-

Il pelo si intrecciava con le sue dita, mentre il naso umido dell’animale le sfiorava il palmo della mano.

-Come si chiama?-

-Non lo so… perché non le dai un nome tu?-

Intanto la piccola e morbida senza nome continuava a farsi le unghie sui suoi pantaloni e il sorriso sulle labbra di Wren sembrava indelebile.

-Si chiama Neville!- l’illuminazione la colpì.

-Ma è una femmina!-

-È un nome che le piace un sacco, sai? Vero Neville?- infatti la micia sembrava davvero apprezzare il nuovo appellativo e con un piccolo balzo saltò giù dalle gambe della ragazza per strusciarsi su quelle dell’omonimo ragazzo.

Aveva due Neville e probabilmente uno l’avrebbe aiutata a sopravvivere alla convivenza forzata con l’altro.

-meow- reclamava le attenzioni dovute.

-È tua la gatta, puoi chiamarla come vuoi.- rispose il ragazzo sedendosi sul letto vicino a lei.

Una frazione di secondo e il profumo di Draco si fece più vicino, insistente.

Una frazione di secondo e la mano del Mangiamorte si posò sull’ala del piccolo uccellino.

Wren tremò a quel contatto e Draco ritirò la mano come scottato dalla paura della ragazza.

-Scusa.- mormorò e in quella parola Wren sentì tutta la tristezza del mondo, tutte quelle attenzioni che, nonostante tutto lui le riservava, tutti i battiti di un cuore innamorato.

Il fastidio e la paura erano più grandi della compassione e della pena.

-No, scusami tu, non ho sentito che ti avvicinavi.-

Draco sospirò: -Si che lo hai sentito Wren…ci vediamo più tardi se vuoi.- e lasciò la stanza.

Come dopo aver chiuso una finestra l’odore dei gelsomini se ne era andato lasciandola sola.

 

Quella notte qualcosa non la lasciava dormire e probabilmente non erano il temporale primaverile o il vento che batteva forte sulla sua finestra.

Erano i sensi di colpa.

Quelli si che non fanno dormire, non lasciano che il sonno colga i corpi stanchi e spossati, non danno tregua alle menti fragili, e lei era fragile.

Aveva paura che lui approfittasse di quella pecca per farle del male, doveva stare attenta ad ogni sua mossa, ma a volte la cosa migliore è riuscire a lasciarsi andare.

“Non  farò amicizia con un Mangiamorte!”  pensava, ma Neville aveva tutt’altro in mente e lei lo sapeva.

Dopo quel bacio non c’era stato più niente tra loro se non un muro molto alto, ma a lui sembrava non importare della barriera che lei costruiva per cercare di dividerli.

Aveva sedici anni Wren e una pazienza per crescere che non era della sua età.

Le ragazze a sedici anni parlavano di ragazzi, di vestiti, di capelli, ma lei era diversa, era singolare le dicevano.

“Ho un problema, non sono speciale.”

A quattordici anni le altre ragazze davano il loro primo e imbranato bacio al dinoccolato, brufoloso compagno di scuola, muovendo le labbra in modo disordinato e patetico, alzandosi sulle punte come ballerine per rendere il tutto più speciale.

Lei a sedici anni aveva dato il primo bacio ad un probabile omicida dalle labbra fredde e più che un bacio le era sembrata una testata poco dolorosa visto che non gli aveva dato il tempo per approfondire che lei lo aveva allontanato da se.

Si rigirò del letto scatenando i miagolii di dissenso della micia che dormiva accanto a lei.

“è solo un ragazzo innamorato!”

“Ti sta usando, vuole farti soffrire, è una persona orribile.”

Due fazioni opposte nella sua testa lottavano, ringhiavano, e entrambe avevano delle ragioni inattaccabili, ma ormai aveva deciso: non importava, la sua coscienza veniva prima di tutto e lei non si era comportata bene quindi avrebbe trovato il modo per farsi perdonare da Neville, sia da quello che dormiva nella camera accanto sia da quella che aveva svegliato e non riusciva più a prendere sonno.

 

 

NdA:Il capitolo è quanto di più demenziale io avessi in mente, ma sarete d’accordo con me che Neville è un nome perfetto per una gatta u.u

Nella storia in alcuni punti Draco viene chiamato Neville e in altri no, quei punti sono legati ai pensieri della ragazza che lo ritiene Neville e non Draco, dopo quando tutto ritorna generale Draco ritorna Draco J

Magari può non sembrare, ma in questo capitolo si parla dei sensi, dell’olfatto, del tatto e dell’udito e ho tralasciato volontariamente il gusto per il prossimo capitolo.

Ormai la storia sta per giungere alla sua conclusione e in questo spazio dell’autore vorrei lasciare “spazio” a voi che mi avete seguito, letto e recensito.

Ringrazio per aver inserito la storia tra le preferite/ricordate/seguite: BekkaMalfoy, Calia, Dandelian, Eliana Lilian Piton, imperialdolly, Luna KIra Malfoy (hai cambiato nick e non ti trovavo più xD) Malika, Strix, _KHPromincence_, Maya92, valepassion95, Ali96, FallInLoveWithYou, flors99, Fred_Deeks_Ben, Gabrielle Pigwidgeon, JuOn, Kelis, Neverland333, Sandyblack94, _montblanc_, _Runawaylove_.

Un bacio a presto

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Capitolo 12
*** The end. ***


IL SERPENTE E L'UCCELLINO.

Le gambe gli cedevano mentre tentava di salire le scale.

La testa gli doleva, il naso aveva ripreso a sanguinare e con la manica della camicia già sporca tentava di fermare l’emorragia.

Aveva pochi metri da percorrere prima di potersi riposare, prima di gettarsi a letto e cercare di dimenticare quella giornata.

Perché aveva mentito?

Perché, forse, si aspettava qualcosa di più della vita che gli si prospettava sotto Voldemort, perché voleva vivere normalmente, o voleva vivere e basta.

Perché aveva protetto Potter e i suoi amichetti?

Perché era un vigliacco, un vigliacco calcolatore.

Perché aveva chiuso gli occhi mentre sua zia torturava la Granger?

Perché le ricordava tremendamente Wren e quel suo braccialetto che tintinnava costantemente al polso.

E perché la ragazza continuava a tenerlo nonostante lei e Draco avessero litigato?

Al momento non gli era dato saperlo.

Spinse la porta con quel briciolo di forza che gli rimaneva per avvicinarsi a tastoni al letto, ma lo trovò già occupato.

-Neville.-

Non voleva parlarle, non in quel momento, con la voce incrinata dal dolore e dalla stanchezza, la bocca impastata dal sangue e dalla vergogna.

-Neville.-

Non si infilò neppure sotto le coperte, si sdraiò così, vestito e sporco.

-Neville ti ho sentito urlare.-

“Hai sentito Wren? Anche i Mangiamorte piangono. Anche io sono una povera vittima come te in questo gioco che mi ha rapito. E ho trascinato qui anche te, come ha fatto mio padre con mia madre, ma lei ha capito. Capirai tu?

Sarò davvero così egoista da tenerti qua con me?

Sono davvero una così orribile bestia?”

-Lumos.- pronunciò Draco e la sua bacchetta si illuminò tenuamente per illuminare i piedi della ragazza a pochi centimetri dal suo viso.

-Porti ancora i calzini spaiati Wren, anche la prima volta che ci siamo visti li avevi.- sussurrò.

-Neville non ho capito… posso dormire qui con te stasera?-

-Sì.-

E la luce si chiuse come si chiusero i loro occhi.

 

Ci si aspetta, di norma, che dopo un aprile grigio che il maggio sia più roseo che mai, ma quell’anno non si prospettava così.

Certo la speranza è l’ultima a morire.

Di certo però, la morte, riempì i primi di maggio come poco altro aveva fatto nel mondo magico.

L’amore sboccerà o appassirà come una rosa a cui è negata l’acqua?

 

“Vorrei poter rinnegare tutto quello che ho fatto nella mia vita fino ad adesso, Narcissa, lo vorrei solo per poter essere amato.

Tra queste mura avvizzisci tu quanto sono avvizziti i nostri cuori stanchi.

Vorrei poterti lasciare andare, ma non ho il coraggio, sono debole e lo sai, perché senza di te sono il nulla più vuoto.

Vorrei poterti riscaldare con tutto l’amore con cui ti amo, ma sentiresti solo il gelo che può darti il mostro che sono.

Non sono degno di te, della tua pazienza e della tua bellezza che nonostante gli anni che avanzano rimane la stessa se non migliora.

Sei la luce che tira avanti le mie giornate Narcissa, se ti lasciassi andare andrei alla deriva brancolando nel buio, e io ho paura.

Paura perché sono io il buio amore mio, ho paura di me stesso, della mia follia che trascina giù anche te, sempre più in fondo, finché non ci manca l’aria e siamo costretti a lasciarci andare per poter respirare, per riprendere fiato, ma tu sei leggera, come un petalo, e ritorni a galla, mentre io sprofondo nel mio squilibrio.”

Un’altra lettera, come tutte le altre, accartocciata e nascosta nel cassetto della scrivania e lei, da ladra scaltra, l’aveva rubata come faceva tutte le volte.

Non meritava un uomo così, ne era certa.

Ormai, di quella che un tempo era Narcissa Black, era rimasta una Malfoy stanca, costretta a vivere tra le parole di un marito che la cullavano come su una barriera di sicurezze fragili e irrequiete, le parole di un marito che non riusciva ad amare nonostante tutto.

“Chi è più un mostro tra noi due Lucius?”

 

La mattina del due maggio 1998, per Draco Malfoy era soltanto un altro giorno all’inferno, non poteva sapere quello che da lì a poche ore sarebbe capitato.

Da bravo carceriere portò la colazione alla sua piccola prigioniera, era il momento della giornata che preferiva.

Wren che si sporcava le labbra con il succo di zucca, che cercava le uova nel piatto perché la pancetta le piaceva tenerla per ultima, e il sorriso che le spuntava quando trovava anche una striscia di cioccolato vicino alle posate.

Quella mattina ne aveva messe due, come se sospettasse che per affrontare la giornata le sarebbe servita una doppia reazione di carburante, e si era stupito molto quando la ragazza gli aveva offerto la seconda.

Poi era successo tutto all’improvviso: il marchio sulla pelle aveva iniziato a bruciare, sempre più forte, tanto da mozzargli il fiato.

Corse al piano di sotto cercando di non inciampare nei suoi stessi piedi per la fretta, ad attenderlo seduto nel suo salotto neppure fosse il padrone il Signore Oscuro lo attendeva trepidante.

-Devi andare ad Hogwarts Draco, necessito della tua presenza là, ho un brutto presentimento stamani.-

 

Non c’era tempo da perdere.

Neppure un minuto.

-Che stai facendo Neville?-

-Faccio la tua valigia Wren.-

-E per quale motivo?-

-Ti riporto a casa.-

Neppure il tempo di lasciarla sospirare di sollievo o malinconia, che, presa per un braccio, la portò fino alla porta del maniero approfittando dell’assenza degli altri Mangiamorte.

-Tieniti forte.- le sussurrò e si smaterializzarono nella nebbia insolita di quel mattino.

 

La libertà, se a così lungo desiderata, può portare ad un attimo di smarrimento.

Non solo perché non ci si aspetta una così grande sorpresa, ma anche perché la realtà può essere più cruda di quel che ci si aspetta.

All’uccellino al quale si apre la gabbia rimane quel briciolo di incertezza prima di volare e Wren si sentiva proprio così.

Perché la libertà è un tuffo al cuore in tutti i sensi, e quel cuore oppresso, sconvolto dagli avvenimenti, si sentiva liberato da tutte le catene pronto per respirare di nuovo.

Ma a quell’aria che tornava a respirare mancava qualcosa, qualcosa di importante, era l’ossigeno che alimentava le sue giornate che scarseggiava, che non le permetteva di godere di quel momento.

Non pensava che Neville le potesse fare quell’effetto.

Era come se potesse vederlo davvero, lontano da tutto quel buio che la sovrastava in continuazione.

Era come se la corazza ruvida al tatto che si era creato si sciogliesse davanti a lei per liberare Draco, non Neville il Mangiamorte, ma solo Draco.

Le venne spontaneo ammettere un -Ti amo- davanti al portone di casa sua, quella a Diagon Alley, lontana dai gelsomini di casa Malfoy e dalle ripercussioni delle catene della prigionia.

Lì dove era libera di tornare a vivere capì che vivere senza di lui sarebbe stato una privazione immensa per entrambi.

Lì lui la baciò per la prima volta, di nuovo, e non fu un bacio maldestro, ma uno di quelli che si aspettano da tempo, di quelli agognati fino all’ultimo secondo, ma si accorse che c’era qualcosa di sbagliato in quel momento che sembrava perfetto.

-Non è vero che mi ami, ami Neville, e io sono Draco.-

-So che sei Draco.-

-Tornerò allora, te lo prometto.-

-So anche questo.-

 

Suo figlio era nelle mani del lupo e lui ce l’aveva condotto senza aprire bocca.

Oltre che un pessimo marito era anche un pessimo padre, non c’era che dire.

Narcissa consumava la suola delle scarpe senza smettere di passeggiare davanti alla scrivania e lui faceva finta di controllare dei documenti della massima importanza mentre osservava sua moglie e i suoi vagabondaggi per la stanza.

Suo figlio era partito da poco, ma lei era già preoccupata e a nulla erano valsi i suoi tentativi di calmarla.

-Se fosse successo qualcosa il Signore Oscuro ci avrebbe chiamati.- le diceva, ma lei non gli dava ascolto.

Ad un tratto un grido cupo si levò dai sotterranei del maniero.

Non c’erano prigionieri, Potter gli aveva portati tutti via.

Proveniva da qualcosa di più profondo, di più viscerale della cosa, era come se le fondamenta avessero preso voce di donna e avessero iniziato ad implorare per un male che le stava attaccando.

-La stanza azzurra.- sussurrò Narcissa e prima che l'altro dei due potesse ribattere si catapultò nella stanza.

Lì, tra i ritratti di famiglia, quello di Elaine, la donna che aveva lanciato la maledizione sui Malfoy, tremava schiumante di rabbia, mentre gli altri si scostavano fino alle cornici  per nascondersi da quell’orrore.

Qualcosa si ruppe e non si capì se per prime furono le catene del cuore di Narcissa o l’incantesimo lanciato sulla famiglia, fatto sta che la donna scoppiò a ridere e si gettò tra le braccia del marito.

Lucius la strinse a sé come non aveva mai fatto per poi baciarle dolcemente la fronte e le labbra.

Non serviva che Narcissa gli dicesse di amarlo, era già tutto scritto lì.

 

NdA: Che dire adesso…

Potrei prolungarmi in ringraziamenti a chi mi ha sempre sostenuto nonostante i miei momenti di grande blocco che mi hanno portato a scrivere capitolo orridi, chi mi ha convinto ad andare avanti nonostante volessi solo buttare tutto via, ma alla fine credo che basti un solo GRAZIE A TUTTI a cornice del quadro.

Un bacione alla prossima.

Se vi interessa questo è il mio profilo facebook: Cranium Marie Lestrange

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