Fifteen Days

di Evilcassy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Goodbye To Romance ***
Capitolo 2: *** Since I Don't Have You ***
Capitolo 3: *** Heaven and Hell ***
Capitolo 4: *** Paparazzi ***
Capitolo 5: *** Fairies Wears Boots. ***



Capitolo 1
*** Goodbye To Romance ***


Fifteen Days.

 

Chapter 1: Goodbye to Romance

 

La valigia era aperta sul letto.

Roxanne di spalle, ferma davanti all’armadio aperto, praticamente immobile.

Gli aveva fatto una domanda a cui non era riuscito a rispondere. A dire il vero, per tutto il pomeriggio non era riuscito a trovare nulla da dire. Nulla di intelligente da dire.

Il che gettava una luce surreale su tutta la vicenda. Lui che non riusciva a trovare le parole. Con Roxanne, la sua Roxanne.

La valigia sul letto era quasi del tutto piena.

Megamind deglutì, chiudendo gli occhi verdi. I giorni che portavano alla valigia sul letto erano stati un nebuloso conto alla rovescia. Giorni in cui avrebbe dovuto essere li, con lei.

Ed invece aveva dovuto correre da una parte all’altra, passando da una sventata rapina alla Metro City Central Bank ad un fallito contrabbando di materiale tossico al Metro City Harbour.

A volte odiava davvero tutto questo.

Metrocity e la sua maledetta mancanza di fantasia che dava il proprio nome a tutti gli angoli e le attività della città.

I giorni e le notti gli erano scivolati tra le dita.

Ed ora si ritrovava con Roxanne che gli dava le spalle, davanti all’armadio della camera, con una valigia semipiena aperta sul letto.

Che incalzava la stessa domanda:

 

“Il vestito color cipria o quello verde?” Domandò nuovamente, girandosi e guardandolo con quegli occhioni azzurri che lui non avrebbe mai smesso di ammirare.

E che sarebbero stati ben presto lontani da lui.

Per quindici.

Lunghissimi.

Giorni.

“… Megs, ti senti bene?”

Non riuscì a fare uscire che un filo di voce. “Avrei bisogno di un bicchiere d’acqua, se non ti spiace.”

La ragazza lo fissò a bocca aperta. “Ma certo, tesoro. Siediti, vado a prendertelo.” Aggiunse, una nota preoccupata nella voce, mentre lo guidava a sedersi sul bordo del letto per poi scomparire in cucina.

Megamind sospirò, accarezzando il copriletto lavanda.

Quanto avevano condiviso in quel letto! Quanti momenti speciali, quanta passione, quanto amore…  

Su quel letto aveva stretto per la prima volta la felicità tra le braccia. Ne aveva gustato il sapore, aveva sentito i suoi sospiri e respirato il suo profumo.

Ed ora c’era quella maledetta valigia sul letto.

Piena di camicette, pantaloni eleganti, scarpe con il tacco (Quelle che non metteva nelle occasioni pubbliche in cui compariva vicino a lui… per carineria nei suoi confronti), il beauty del makeup con la nuova palette Naked della Urban Decay che utilizzava sempre per truccarsi...

Megs, non credi di stare esagerando un pochino?” Roxanne era comparsa sulla porta della camera, il bicchiere di acqua fresca in mano e uno sguardo di assoluto compatimento stampato sul volto. “Starò via solo un paio di settimane!”

“Quindici giorni non sono due settimane” protestò lui, prendendo delicatamente il bicchiere d’acqua tra le mani della propria ragazza, che si era seduta al suo fianco trattenendo a stento un sorriso. “Una settimana è composta da sette giorni. Due settimane sono quattordici giorni. Questo significa che quindici giorni non sono due settimane. Anche Wayne riuscirebbe a fare questo calcolo elementare.”

“E’ un viaggio di lavoro, non vado a divertirmi!”

Megamind sorseggiò l’acqua. “Roxanne, Vai a Parigi.”

“Si, lo so. Città molto romantica, ti garantisco che preferirei visitarla con te al mio fianco. Anzi, non sai quanto sia dispiaciuta dal fatto che tu rimarrai qui in città mentre io passeggerò per i champs elisee da sola.”

“Ci sarà Mahax a farti compagnia. Come posso stare tranquillo?”

Roxanne sospirò. Davvero non riusciva a farglielo entrare in quel gigantesco testone blu? “Max è sposato. Da 7 anni. E ha un figlio, Leo, di 5anni. Ha passato un severo test psicoattitudinale e ha un curriculum di tutto rispetto, essendo cameraman da 11 anni. E’ preparato, è professionale e gli stai simpatico. Non puzza come Hal, non ha una fissazione per me come Hal, non vive in una topaia come Hal e non indossa T-shirts stupide come Hal.”

“Anche lui è simpatico, mi hai detto.”

“Si. E’ simpatico. Diciamo che è un piacere lavorare con lui. Questo dovrebbe essere un valore aggiunto, Megs, non un problema. Smettila di fare il geloso, per favore…!”

“Non sono geloso. E’ che starai via per quindici giorni con un altro uomo. E’ una cosa equivucah.

“Si dice equivoca. E no, non lo è.” Gli schioccò un bacio sulla guancia, facendogli perdere per un attimo il broncio offeso che vestiva da tutto il pomeriggio. “E’ lavoro. Io non mi arrabbio perché salvi donne in pericolo.”

“Veramente hai versato addosso il tuo caffè a quella modella svedese presa in ostaggio dai rapinatori, l’altro giorno.”

“Ti ho già detto che il caffè mi è scivolato di mano. E’stato un incidente, non è colpa mia se lei era nella traiettoria del getto, così vicina a te. Ti ricordo che per fare ammenda le ho pagato anche la tintoria. Di quel meraviglioso Burberry taglia 38 che non mi entrava neppure in un braccio.” Ricordò con leggera acidità. “Ma stavamo parlando d’altro, no?”

Megamind sospirò. Di nuovo.

Amore… andiamo! Non voglio lasciarti con quel broncio chilometrico!”

“Non ho il broncio. E’ che…”Sospirò. Ancora. “E che mi mancherai. Tanto. Troppo.” Un altro sospiro, ormai ci aveva preso gusto. “Da quando stiamo insieme, da quando abbiamo passato la nostra prima notte insieme, non siamo mai stati lontani per più di Cinquantadue ore e Ventisette minuti.”

“Non ci credo. Li hai cronometrati?”

Lui fece spallucce. “E’ una cosa che mi viene naturale, cronometrare i tempi tra un evento e l’altro. A volte è un simpatico modo per passare il tempo, tipo quando sono in bagno e mi sono dimenticato le riviste da leggere mentre…

“Vai avanti, ti prego. Ci sono dettagli della tua vita privata che non sono pronta a scoprire. Neppure essendo una reporter petulante.”

“Dicevo, non siamo mai rimasti lontani per più di Cinquantadue ore e Ventisette minuti. E anche quando non ci vedevamo, eravamo comunque nella stessa città. Ci bastava un messaggino per sentirci vicini… mentre ora… ora avremo fusi orari diversi… e te lavorerai quando io dormirò, se dormirò… visto che non credo di essere più abituato a dormire senza di te.”

“Non preoccuparti, mi sono messa d’accordo con Minion per ovviare a questo problema.” Disse, ripensando al flacone di Valium che aveva rifilato a Minion quella mattina stessa istruendolo sui dosaggi. Megamind era di natura iperattiva, quel suo gigantesco cervello non staccava per giorni, se non aveva nulla che lo distraesse.

Minion le aveva confessato che più di una volta aveva usato il Knock-Out Spray, per farlo riposare qualche ora prima che collassasse. Il Valium poteva essere un’ottima alternativa. Tanto il medico lo aveva sconsigliato a sua madre, quindi perché farlo scadere nel suo armadietto dei medicinali quando poteva utilizzarlo per una giusta causa?
“Questi giorni mi sembreranno eterni senza di te. Lo so che sono solo quindici giorni, nulla in confronto ad una vita intera ma…” Sospirò. E poi era Minion il Melodrammatico? “...ma tu riempi le mie giornate, Miss Ritchi. E le mie notti. Ripensandoci, riempi le mie notti un sacco. A volte quasi esageratamente.”

Il sopracciglio sinistro di Roxanne si alzò maliziosamente: “…io?”

“Si, lei Miss VieniSottoLeCoperteTiHoTenutoIlLettoCaldo” Ridacchiò avvicinando il viso al suo. Le sfiorò gli occhi con le labbra, la punta del naso, prima di scendere sulla bocca. “Tentatrice.” Sussurrò baciandola.

Roxanne non poté fare a meno di sorridere contro il suo bacio. “Ho un’idea, Mr HoTantoFreddoAlleManiScaldamele.

“Credo stiamo dividendo la stessa idea, Lady MutandineDiPizzoBlù

Uhn, no, non credo.” La fissò incuriosito. “La mia idea è questa. Io mi impegnerò a trovarti un regalo per te, a Parigi. Qualcosa che ti stupisca. E tu… tu farai lo stesso con me. Hai tempo quindici giorni per farmi una sorpresa. Qualcosa che da te non mi aspetto e che sfati il mito della tua prevedibilità.”

Megamind rimase piacevolmente colpito. La guardò annuendo, le labbra schiuse in un mezzo sorriso. “Osi sfidare Megamind? Ohhh…. Miss Ritchi… non puoi immaginare cosa ho in serbo per te… la mia mente superiore ha già visualizzato la sorpresa che troverai al tuo rientro…

“No.” Puntalizzò decisa Roxanne.

“No cosa?”

“Non il completino di Lady Gaga del video di Edge of Glory. Quello no.”

“Ma Roxanne…!”

Megs…. Non indosserò mai, neppure privatamente, quel coso. E’ stretto, scomodo, pieno di borchie”

“Che hai contro le borchie?”

“ Mi farebbe un sedere enorme e mi appiattirebbe il seno. Decisamente no. Guai a te se lo prendi. Piuttosto te lo faccio indossare a calci.”

“Guarda che non dico mica di no, eh!”

“MEGAMIND!”

“Seriamente, Roxanne… credo che mi donerebbe.”

Questa volta fu la ragazza a sospirare. Pesantemente. Per due volte. Prima di decidere di cambiare argomento e sbottonarsi lentamente la camicia.

 

Incredibile. Sono riuscita a scrivere. Un capitolo. EHE, che credevate.

Vah che sono forte io. Entro qui, invito a rivitalizzare il Fandom, scalcio e strepito e poi mi occulto. Manco leggo e commento i lavori altrui.

Embè, potere dei periodi lavorativi carichi. Di grazia che nel mio settore esistano ancora. Al momento.

Anyway, spero di fare bella figura e di riuscire ad aggiornare presto.

Vostra sempre, comunque e dovunque,

EC.

 

 

 

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Capitolo 2
*** Since I Don't Have You ***


Fifteen Days.

 

Chapter 2: Since I don't Have You.

 

 

“Mi sono fregata da sola. Davvero.” Concluse Roxanne sbuffando, appoggiando il gomito al sedile dell’aereo per poi sorreggersi il volto con la mano. “Fare un regalo a Megamind è un’impresa pressoché impossibile: Non esiste in commercio nessun gingillo tecnologico abbastanza avanzato che lo possa interessare, quello che non possiede se lo crea da sé, ha praticamente un sarto personale… e di certo non posso presentarmi a casa sua con una di quelle sferette con la Tour Eiffel dentro e la neve. Un tempo sapevo ragionare prima di aprir bocca. Temo di aver perso questa capacità. Accidenti.” 

“Sai, anche mia moglie mi ha chiesto una sorpresa.” Confessò Max, il suo nuovo cameraman, seduto al suo fianco. Roxanne lo fissò, attendendo lumi. Max non era di certo un bell’uomo: capelli castani radi e sempre scompigliati e un naso decisamente aquilino. Però aveva un’aria simpatica che lo rendeva piacevole, era sempre disponibile e gentile e un gran chiacchierone. Non uno di quelli che parlava a vanvera di cose senza senso, come Hal: nella sua lunga carriera di cameraman Max aveva collezionato aneddoti di vario tipo, alcuni dei quali davvero esilaranti, e ciò rendeva le loro conversazioni sul più e il meno molto interessanti.

Dal lato tecnico, poi, Max era quanto di meglio si potesse trovare. Le offriva consigli, sapeva trovare la luce e la posizione giusta e riusciva a capire quando tagliare senza che lei si dovesse passare la mano sotto il mento per mezz’ora. Roxanne non doveva incalzarlo ogni secondo per accendere la telecamera e filmare questo o quello: Max era estremamente intuitivo nel suo lavoro: il tempo di rendersi conto che stava accadendo qualcosa di interessante e già aveva la telecamera in spalla, accesa e pronta all’intervento della reporter. Insomma, come collega era un sogno.

“… e dimmi, hai già qualche idea pronta per lei?”

“Certo. Scherzi? Dopo sette anni di matrimonio e quattro di fidanzamento, come potrei non sapere cosa vuole mia moglie?” Max estrasse il portafogli dalla tasca posteriore dei pantaloni e lo aprì, sfilando un foglio ripiegato: una pagina tagliata da una rivista di moda. “Soprattutto se è Danielle stessa a lasciarmi simpatici promemoria come questo nel portafogli…

Roxanne scoppiò a ridere, prendendo in mano la pagina della rivista. “Luis Vuitton, eh? Più chiara di così! Molto bella, di classe. Davvero, tua moglie ha gusto in fatto di borsette.”

“Già, le starà proprio bene addosso. Peccato si sia scordata di dirmi dove possa trovare un qualcosa del genere. Hai una vaga idea di dove vendano delle borsette a Parigi?”

“Oh si che ce l’ho. Prima di partire mi sono informata dove sono un paio di boutique interessanti…

Uhm… boutique… dal nome non credo che me la caverò con poco, eh?”

La ragazza gli restituì il foglio con un sorriso: “Eh no, Max. Temo proprio di no.”

 

I don't have plans and schemes
And I don't have hopes and dreams
I, I, I don't have anything
Since I don't have you

 

Affondò la faccia dentro al cuscino a cui era letteralmente avviluppato. Nonostante la giornata infernale (Due rapine sventate, Tre scippatori inseguiti e acciuffati, una truffa ai danni del municipio fatta fallire e sei gattini recuperati dagli alberi) non aveva per niente sonno. Si girava e rigirava nel letto abbracciato al cuscino e mugugnando parole incomprensibili, la voce di Axel Rose di sottofondo che raccontava il suo stato d’animo, come la maggior parte delle volte.

 

And I don't have fond desires
And I don't have happy hours
I don't have anything
Since I don't have you

Happiness and I guess
I never will again
When you walked out on me
In walked ol' misery
And she's been here since then

 

“Signore, io credo che sia ora di spegnere lo stereo, che ne dice?” quella di Minion non era esattamente una domanda: Fermo impalato sulla porta della camera, un bicchiere pieno in mano, gli stava scoccando uno dei suoi rari sguardi di pura disapprovazione.

“Ah, Minion… tu non puoi capire che…

“Faccia poche storie e si beva questo bicchiere.”

“Ma non ho sete.”

“Si idrati, la prego.”

 

I don't have love to share
And I don't have one who cares
I don't have anything
Since I don't have you

 

Megamind non aveva esattamente la forza per opporre resistenza. Con l’aria più desolata del suo vasto repertorio di smorfie, bevve un gran sorso dal bicchiere. “Ha uno strano sapore…” si lamentò.

“Continui ad idratarsi, signore.” Lo invitò l’assistente, spingendogli il bicchiere in bocca e tenendoglielo sino all’ultima goccia.

“Minion, non è dandomi al bere che mi sentirò meglio…” gemette Megamind.

“Non era alcool, Signore, ma non importa. E’un… come posso definirlo? Una tisana rilassante.” Megamind lo fissò scettico. “Al porro selvatico e malva della Mongolia.” Aggiunse, inventando sul momento e tentando di essere convincente. “Tra pochi secondi dormirà come un sasso.”

“Non credo di riusc…yaaawn.” Minion non poté fare a meno di sogghignare. Ottima idea quella del Valium. Come genio Miss Ritchi poteva davvero competere con il suo capo. “Come le dicevo, Signore… lei è stanco… le si chiudono gli occhi… è il caso che si sdrai lentamente…” sussurrò spingendolo non troppo delicatamente all’indietro. “E che dorma. Sogni d’oro.”

“I miei Sogni possono essere d’oro solo se c’è Roxanne, Minion…

Questa cosa inizia a darmi sui nervi. “Ci sarà sicuramente, Signore…

Megamind mugugnò riaggrappandosi languidamente il cuscino, gli occhi ormai chiusi: “Sai… non c’è neppure il suo profumo qui…

“Ma certo, Signore, ho fatto il bucato due giorni fa… e poi Miss Ritchi non si ferma spesso a dormire qui.”

“Chissà perché poi”

“Beh, il Covo non è così comodo come casa sua… in fondo anche il suo letto è un tantino piccolo e poi… beh, qui non c’è neppure un vero appartamento, solo qualche stanza più o meno utile qua e là, con troppe poche porte e troppi orecchi indiscreti.”

Gli occhi di Megamind si aprirono di colpo. Scattò in piedi sul letto, mettendosi a saltare sul materasso in preda all’esaltazione più pura.

Oh oh. Minion aveva imparato a temere quel suo stato.  Sino a qualche mese fa, era il lampo che precedeva il tifone. Solitamente finiva con Megamind dietro alle sbarre. Ora… beh, ora era difficile prevedere il finale, ma ci avrebbe giurato che difficilmente tutto ciò potesse non portare guai…

“Ma come ho potuto NON arrivarci prima!!!! MINION, SONO UN GENIO!” Gli saltò addosso, le mani sul vetro della cupola, scuotendolo. “E TU… tu sei un FANTASTICO, INCREDIBILE PESCIOLINO!”

“Le sono molto grato Signore… ora potrebbe tornare a…

Ma Megamind aveva già fischiato l’adunata ai Brainbots, che gli si accalcarono attorno impazienti delle istruzioni. “Portate i vestiti a Papino e il mio elmetto da cantiere preferito!” ordinò, saltellando fuori di sé dall’eccitazione. “Oh, Minion, questa sarà di sicuro la sorpresa più bella che mai preparerò a Roxanne!”

“Ne sono certo, Signore… tuttavia sono le tre di mattina, direi che è il caso di rimandare a domani…

“Ma cosa dici, Minion, il tempo è prezioso! Ora abbiamo solamente a nostra disposizione QUATTORDICI GIORNI, ovvero DUE SETTIMANE per il RINNOVO LOCALI!”

Minion sperò vivamente di non aver capito. “…come scusi?” domandò con un fil di voce.

“Pensaci, l’hai detto anche tu: Roxanne non passa tanto tempo qui perché il Covo è scomodo, umido, freddo e ancora un po’ oscuro e tetro.”

“Come lei mi ha sempre ordinato di tenerlo.” Precisò scocciato l’assistente.

“Certo! Prima di Roxanne, prima di diventare il Difensore di Metrocity! Ma ora la mia vita, la nostra vita è cambiata Minion, e così deve cambiare anche il nostro Covo!”

…ma se sino a due giorni fa…

“Due giorni fa sono il PASSATO, Questo è il PRESENTE e da domani ci sarà il FUTURO, Minion!”

…indubbiamente, ma…

“Nessun MA!” esclamò ridendo, mentre i Brainbots ultimavano la vestizione appoggiandogli sul cranio smisurato un caschetto da cantiere borchiato e giallo. “Doteremo il Covo di una parte abitabile. Una splendida parte abitabile, con una camera da letto immensa tutta per me e Roxanne e una stanza acquario tutta per te… come hai sempre sognato!”

Minion, che aveva già aperto la bocca per replicare si immobilizzò gli occhi sgranati:  “Una stanza acquario? Con le piante vere e la ghiaia colorata sul fondo?”

“Ma certo amico mio! E anche anfore bucate e un castello sul fondale pieno di pertugi e torrette!”

“Lo desidero da quando ero piccolo come un’unghia!” pigolo facendo vibrare tutte le pinne, commosso sino alle lacrime.

“E ora lo avrai!” Gli occhi di Megamind brillavano di una luce quasi folle. “E quando sarà tutto pronto, Roxanne sarà talmente impressionata dal nostro lavoro che…” si interruppe, guardando un punto non bene definito della stanza, sognando ad occhi aperti: “Che verrà a vivere qui, insieme a noi. Roxanne sotto questo stesso tetto, per sempre. Ci pensi?”

Minion annuì. “Ad una condizione però.” Megamind lo guardò, in frenetica attesa: “Che la vostra stanza sia insonorizzata. I Brainbots restano sempre sconvolti, quando Miss Ritchi passa le notti qui.”

 

Roxanne si lasciò cadere sul letto, il laptop in grembo. Si sentiva a pezzi. Fare lunghi viaggi in aereo, anche se in business class, le massacrava sempre la cervicale.

Ci vorrebbe un MegaMassaggio sorrise tra sé e sé, connettendosi a Skype. Non aveva intenzione di fare una lunga videochiamata intercontinentale, ma solo di comunicargli che era atterrata, che il viaggio era andato tutto bene e che gli mancavano le sue lunghe dita sul collo.

Megamind era offline. Probabilmente è fuori a pattugliare la città. Eroicamente. Tuttavia, cliccò sul suo avatar e lasciò un messaggio.

Arrivata ora in albergo, qui diluvia! Il volo è stato Ok, ma ho mal di collo. Ora dormicchio un paio d’ore e poi mi ritrovo con Max per il nostro primo servizio parigino! Un bacio.

Il tempo di una doccia rigenerante e una breve sistemata al contenuto della valigia che si trovò un messaggio di risposta.

Solo quello. Megamind forse aveva avuto giusto il tempo di connettersi e controllare i messaggi.

Torna a casa ora e ti rimetto a nuovo con un MegaMassaggio! Scherzi a parte riposati amore. Sto lavorando alla tua sorpresa. Resterai a bocca aperta. Mi manchi.

Sorridendo, Roxanne si coricò tra le lenzuola fresche. Che il suo Megs fosse in grado di stupirla, su quello ci avrebbe messo la mano sul fuoco.

 

Non sono pienamente soddisfatta del risultato, ma tant’è.

Sono invece eccessivamente galvanizzata dal vedere il fermento che c’è dentro questa sezione!!!

E’ BELLISSIMO!!! Andiamo avanti così, ragazze… portiamo il nostro Megs davanti a tutti!!!

(conquisteremo il mondo, Bwahahahaha!!!!)

A’ la prochaine,

EC

 

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Capitolo 3
*** Heaven and Hell ***


Fifteen Days.

 

Chapter 3: Heaven and Hell.

 

 

…Qui è Roxanne Ritchi, dalla sfavillante Parigi.” Concluse con un sorriso. Max indugiò per un secondo prima di spegnere la telecamera, spostando l’inquadratura dal volto della reporter al suggestivo scorcio di Notre-Dame che si affacciava sulla Senna, baciata dagli ultimi raggi del sole.

Aveva smesso di piovere giusto pochi minuti prima che iniziassero la ripresa. Un ulteriore colpo di fortuna, e il sole era spuntato dalle nuvole.

“Perfetto!” Il cameraman le sorrise soddisfatto. “Abbiamo due ore libere e poi possiamo iniziare a fare la ripresa notturna.” Estrasse una cartina dalla tasca dello zaino e la porse alla donna, mentre metteva via la telecamera. “Io direi di mangiare un boccone al Quartiere Latino, e poi cercare di andare davanti alla Conciergerie per le riprese. Che ne dici?”

Uhnm. Pensavo di più Place de la Concorde, Forse richiama più la città. Che ne dici?”

“Dico che la stragrande maggioranza degli abitanti di Metro City conosca solo la Tour Eiffel come monumento di Parigi. Però il capo sei tu e forse hai ragione, meglio Place de la Concorde. E poi la Conciergerie è troppo cupa. Andiamo a mangiare a quel ristorantino che abbiamo visto prima, poi prenderemo un taxi.”

“Un taxi? A Parigi? Scherzi, vero?” Roxanne lo fissò sbalordita: “Per nulla al mondo mi perderei una passeggiata notturna sulla Senna!”

“Sicura di riuscirci con quelle scarpe?”

“Non preoccuparti, so reggere benissimo sui tacchi alti, tu non ne hai neppure idea.”

“Va bene, Carrie Bradshaw, come vuoi. Sei tu il capo.”

 

Megamind inchiodò la HooverBike per poi scendere con un balzo. “BRAAAAINBBBOTTS!” chiamò cantilenando. “Tanto caffè per papino!” ordinò saltellando verso la sua postazione di lavoro. Prese un rotolo di carta millimetrata blu, quella che usava per i progetti, e lo srotolò sul piano di lavoro prima di sedersi in ginocchio sulla sedia e mettersi a studiarlo.

“Signore, è già al decimo caffè della giornata… non crede sia il caso di calmarsi?” Minion aveva parcheggiato l’auto invisibile di fianco al mezzo utilizzato dal capo.

“Non prima di aver finito almeno la progettazione.”

“Ma lei è in piedi da più ventisei ore… e siamo appena tornati da un estenuante pattugliamento!” protestò il suo assistente. Megamind fece segno di darci un taglio, sorseggiando il caffè che il Brainbots rosa gli aveva porto. “E’ tutto inutile e lo sai perfettamente: quando mi fisso su qualcosa, non c’è nulla che possa fermarmi o distrarmi. Non sento sonno, fame, sete, freddo, caldo o bisogni fisiologici. E’ questa l’essenza del Genio!”

Minion roteò gli occhi a palla. Frugò in uno scompartimento della sua tuta metallica e trovò il flacone di Valium. Perfettamente inutile. Sbuffò, gettandolo in un angolo della scrivania dove si aprì rovesciandosi. “Come preferisce, Signore.”

Avvicinandosi di qualche passo, si fermò a guardare uno dei progetti: Abituato com’era a schemi e disegni tecnici di armi o congegni, lo trovava di difficile interpretazione. Fissò con un sopracciglio alzato Megamind alle prese con due lavori contemporaneamente: Con la mano sinistra stava delineando un progetto, mentre la destra compilava una lunga lista.

Ne rimase impressionato: era davvero da tantissimo tempo che non lo vedeva utilizzare quel suo ambidestrismo estremo. Peccato che Miss Ritchi non fosse presente in quel momento: restava sempre affascinata dalle abilità di Megamind, di sicuro questa l’avrebbe sbalordita al punto da inserirlo in uno dei suoi reportage sul nuovo Difensore di Metro City.

O forse è già a conoscenza di questa sua abilità. Pensò, pentendosi subito di averlo fatto. Faticò a cacciare via dal suo cervello elementare tutti i possibili utilizzi dell’ambidestrismo del suo capo in presenza della fidanzata. Cercò di concentrarsi nuovamente sul progetto che teneva in mano:  aehm… Signore… io temo di non essere in grado di comprendere l’ampiezza del suo genio di progettista d’interni….”

Megamind interruppe per un attimo il suo lavoro per rivolgergli uno sguardo di compatimento:  “Certo, perché quella è la lista della spesa. E la stai leggendo al contrario.”

Se i pesci potessero far arrossire le proprie squame, quelle di Minion avrebbero assunto il colore del fuoco.

“Suvvia, Minion, posa la lista... interromperò il mio flusso creativo per spiegarti. Devi essermi grato.”

“E lo sono, Signore.”

Megamind si puntellò sulle ginocchia e si rizzò sulla sedia. Prese un respiro profondo e iniziò a spiegare: “Vedi, Minion, la mia magnanemos… magnieenimi… il mio essere magno mi ha portato a prendere in considerazione i gusti che Miss Ritchi, d’ora in avanti chiamata con il nome in codice di La Sbalordita, nel corso della nostra storia mi ha lasciato intuire. Le concedo dunque il favore di arredare la nostra abitazione –di tutti e tre intendo-  a suo piacere.”

“… come fa ad arredarla secondo i gusti di Miss Ritchi senza interpellarla?”

Megamind roteò seccato gli occhi verdi. “Ahhh! Te l’ho appena detto! Io ricordo tutto… tutto quello che Roxanne dice io lo ricordo perfettamente. Ogni sua frase, ogni sua espressione l’ho scolpita nel profondo del mio oscuro cuore non più malvagio.”

Minion sbatté gli occhi: “Che epiteto ha usato per lei quella volta che le è passato troppo vicino con la HooverBike durante una sua diretta?”

“Esagitato rompipalle. Perché?”

L’assistente scrollò le spalle robotiche. “Così, una prova. Complimenti Signore, ha davvero una splendida memoria.”

“Grazie Minion, lo so. Cooooomunque, tornando al nostro discorso… A Roxanne piacciono i caminetti. Un giorno siamo stati a mangiare in un locale vicino al porto turistico. Un localino semplice, piccolo, dove cucinavano dell’ottimo pesc…”

Minion lo fissò sgomento e allarmato.

“Pasticcio di animali bagnati.” si corresse velocemente. “In questo locale c’era un camino. Spento, c’era caldo… e Roxanne mi ha spiegato cosa fosse, aggiungendo quanto le piacessero e quanto li trovasse romantici. Perciò… nel Covo Abitabile ci sarà un caminetto in ogni stanza.”

“… Non crede che sia un po’ troppo?”

“Tu dici? Beh, ok, nella tua stanza acquario possiamo evitare di mettercelo… Anche se fossi in te non escluderei di trovare qualche pinnuta che…

“… Signore, la prego concentriamoci sui caminetti, d’accordo?”

Megamind storse la bocca, guardando il progetto sulla scrivania. “Massì, forse hai ragione. Cinque caminetti sono troppi. Possiamo metterne uno nel salotto.”

“Giusto, per farci i Marshmallows allo spiedo!”

“ESATTO! Hai ancora li la lista della spesa? Bene, segnaci i Marshmallows. Sono finiti.”  Cancellò un paio di linee dal foglio blu, e ne aggiunse delle altre. Prese una misura, decise che era inutile. Ne prese altre due e fece un elaborato calcolo mentale. “Credo che cinque chili di Marshmallows potrebbero bastare per superare l’inverno.”

Minion non obbiettò.

“E un altro camino esigo di averlo in camera. Il MegaBed sarà posizionato in modo da avercelo di fronte.” Rimase un attimo a contemplare il vuoto, poi sospirò e si lasciò andare ad un sorriso sognante e malizioso allo stesso tempo. “I Marshmallows non ci serviranno.”

“Mi permetta di ricordarle l’insonorizzazione della vostra camera da letto, Signore…

 

Ohy. Max, aspetta.”

Roxanne, perché io, con dieci chili di attrezzatura sulle spalle, cammino molto meglio di te con una borsetta di Gucci e le scarpe Prada?”

“La borsetta è di Prada e le scarpe di Gucci.” Brontolò la ragazza, torcendosi una caviglia. “Non portavo i tacchi da otto mesi.”

“Da quando ti sei messa con Megamind.”

“Gli scocciava avere la ragazza più alta di lui nelle occasioni pubbliche… Ohy ohy… mi sono abituata a camminare con le ballerine, chi si ricorda più come si fa a sopportare tutto il giorno questi trampoli?”

 “Chiamo un taxi?” Sospirò il cameraman.

Roxanne si rialzò fiera sul suo metro e sessantacinque di altezza, un moto d’orgoglio negli occhi cerulei. “Neppure per sbaglio! Per nulla al mondo mi perderei una passeggiata notturna sul lungo Senna!” Ricominciò a camminare impettita, superandolo e facendogli strada sul selciato insidioso. “Ahia. Ahia. Ahiia.”

Max sospirò. 

 

…Roxanne Ritchi, sempre dall’incantevole Parigi, vi augura una buona serata.”

Il cameraman staccò, annuendo soddisfatto. “Buona la terza, Roxanne. Togliendoti le scarpe avevi una faccia decisamente meno sofferente. Nelle prime due sembravi Maria Antonietta portata al patibolo.”

Roxanne ridacchiò, voltandosi. “Ora non ci resta che recuperare le scarpe e…” Si voltò dall’altra parte. “Max, ho messo le scarpe nel tuo zaino?”

“Certo che no Roxanne, le hai appoggiate alla balaustra.” Sistemando la videocamera, le indicò un punto della ringhiera. Vuoto.

Roxanne si precipitò imprecando.

E giù, nell’acqua melmosa della Senna, un ratto nuotava sereno con una Gucci in bocca.

Putaine.

 

 

Bon. Sto procedendo alla cieca, sappiatelo. Praticamente mi viene in mente cosa scrivere mentre lo faccio.

Parto con il dire che, cafona quale sono, non ho ringraziato ancora personalmente le ragazze che hanno commentato. Non è per cattiveria… è davvero per mancanza di tempo. Giuro, ci provo.

Anyway, ho cambiato i titoli dei capitoli sino ad ora postati con canzoni… in stile Megamind.

il 1° è diventato GOODBYE TO ROMANCE – Ozzy Osbourne.

Il 2° è SINCE I DON’T HAVE YOU – Guns’n’Roses. (che è anche la canzone nel capitol)

questo è HEAVEN AND HELL, Black Sabbath. (sempre il caro Ozzy) Pur impegnandomi, pur scartabellando nella mia discografia iTunes, pur ricorrendo a Wikipedia, non sono riuscita a trovare di meglio, fate Vobis. Mettetela cosi: Heaven sta per Megamind, che sta progettando il suo Covo Abitabile, mentre Hell… no, dai…ditemi che un ratto che nuota nella Senna con una scarpa Gucci in bocca non è un abominio sputato direttamente dall’inferno! XD

Grazie, grazie, grazie ancora!

Long Life to Megs!

A’ la prochaine,

EC.

 

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Capitolo 4
*** Paparazzi ***


Fifteen Days.

 

Chapter 4: Paparazzi.

 

Forse aveva esagerato con l’ampiezza della finestra. Il rettangolo che dava sulla Baia prendeva praticamente tutta la parete.

Certo, il suggestivo tramonto sul mare era di quanto più romantico poteva trovare per la camera da letto. Ma forse aveva dato ai Brainbots troppa indipendenza, e quelli avevano smembrato la parete di mattoni troppo voracemente.

Sospirando, Megamind appoggiò la schiena contro una colonna alle sue spalle scivolando sul pavimento coperto di polvere e calcinacci.

Incrociò le braccia, appoggiando i gomiti sulle ginocchia per sorreggersi la testa. Di questo passo non avrebbe finito in tempo. Mancavano solo Tredici giorni.

Però dovevano fare tutti una pausa.

Giusto un quarto d’ora prima aveva dato l’entusiasmante ordine ai Brainbots di maciullare la colonna a cui era appoggiato in quel momento, e solo l’intervento di Minion aveva evitato la demolizione di una delle colonne portanti dell’edificio: se non fosse stato per il suo assistente, a quell’ora sarebbero stati in guai seri.

Così aveva mandato tutti a farsi una bella pausa.

Ed era intenzionato a farla lui stesso. Solo che si era ritrovato nella stanza, a contemplare l’esagerata finestra aperta su Metro City Bay e a cercare di immaginarsi la reazione di Roxanne.

Le piacerà.

Il sole illuminava la stanza, tinteggiando i muri ancora grezzi di tinte calde. A Roxanne piacevano i colori caldi del sole.

Oltre che al blu, certo.

Però non le piaceva svegliarsi con la stanza troppo illuminata. Forse quella parete era davvero esagerata.

Le piacerà?

Avrebbe installato delle tende oscuranti elettroniche. Magari a comando vocale.

Si, ottima idea. L’annotò a matita sul progetto della camera.

E poi alle sue spalle il camino. Bene. Si posizionò nel modo in cui doveva essere sistemato il letto. Da un lato la finestra e il tramonto e dall’altro il camino.  Spostò di qualche millimetro di disegno del camino sul progetto. Decisamente meglio.

Si sfregò gli occhi. Oh, decisamente aveva bisogno di riposarsi. Si riappoggiò alla colonna:  Com’è che si faceva a dormire? Ah, si: Rilassandosi, innanzitutto.

Era sempre stato difficile per lui farlo. Con la mente sempre intenta a progettare, a realizzare e a calcolare, gli risultava difficile trovare il momento giusto per staccare la spina e dormire.

Da quando Roxanne era diventata la sua ragazza, però, era cambiato tutto.

Roxanne lo distraeva dai suoi calcoli solo passandogli vicino. Se non otteneva subito una reazione, sfiorava le sue spalle con la mano.

Un brivido saliva al solo pensarci. Poteva sentire il suo respiro sulla nuca, sulle orecchie, scendere sul collo e lì appoggiare le labbra per un bacio.

Non era capace di pensare a nient’altro quando Roxanne faceva così. Quando si era assicurata la sua attenzione, gli si sedeva in grembo, facendo domande sul lavoro su cui era chino: La carta della giornalista ficcanaso.

Giocava. Flirtava. Lo stuzzicava con la vicinanza delle sue curve e della sua voce.

Megamind non resisteva mai troppo a lungo. La sollevava di peso – mentre lei fingeva sorpresa- e la portava in un posto tranquillo, lontano dai teleobbiettivi famelici dei Brainbots.

D’ora in avanti il loro ‘posto tranquillo’ sarebbe stata quell’alcova che stava costruendo. Solo al pensiero i suoi  battiti cardiaci aumentavano.

Gli mancava. Gli mancava guardare l’orologio per scoprire che mancavano poche ore prima di poterla stringere ancora. Gli mancava la sua risata e i suoi sospiri, la sua voce che lo chiamava in tutti quei modi diversi. La sua pelle calda e morbida tra le dita.

Avrebbe dato una gamba per averla li in quel momento. Per fare in modo che comparisse dal nulla, magari da quell’esagerato buco nel muro che era la finestra, che si materializzasse davanti ai suoi occhi stanchi e semichiusi, stagliandogli addosso l’ombra che…

…aspetta.

Un’ombra c’era.

Megamind aprì gli occhi di scatto senza trattenere uno strillo acuto di sorpresa.

No. Decisamente non l’ombra di Roxanne. A meno che Parigi non l’avesse fatta diventare alta due metri e con una larghezza di spalle esagerata.

L’ombra avanzò di un paio di passi. “Scusa, piccoletto… è che dovevo parlarne con qualcuno.”

Megamind si sfregò gli occhi. “Metro Mahn?”

Music Man, semmai” Ridacchiò nervosamente l’altro, spostandosi dal raggio della luce. Vestito di un paio di jeans e di una felpa della Metro University, la barba e i capelli incolti, aveva più l’aspetto di un ex alcolista che di un ex supereroe.

Megamind doveva aver assunto una smorfia terribile, a giudicare dall’espressione imbarazzata del nuovo arrivato:  “Ma va bene anche se mi chiami Wayne, ecco.” Soffocò un’altra risatina imbarazzata. “Ecco… ti chiedo solo di smettere di fissarmi così, mi stai facendo venire i brividi.”

“Che diavolo ci fai qui? Come diavolo hai fatto a trovare il mio covo?”

Wayne Scott sbattè le palpebre, indicando il soffitto. 

“Ah, già, il finto osservatorio.”

“Volevo suonare ma… non trovavo il campanello. C’era solo uno zerbino per terra, con scritto Entrata vicino ad un muro, ma pensavo fosse una trappola, insomma… a chi verrebbe in mente di mettere di mettere uno zerbino che segnala l’entrata vicino ad un passaggio segreto?”

“A Minion. Non trovava mai la porta.”

“Oh.”

Megamind si rialzò da terra, scrollandosi stancamente di dosso la polvere. “Immagino che debba entrare in azione, vero? Sei venuto a chiamarmi perché è successo qualcosa in città?”  Sospirò, piegando la schiena all’indietro per farsela scrocchiare. “Aveva ragione Minion, avrei dovuto dormire prima… Dimmi, di cosa si tratta?”

Wayne piegò la testa di lato, grattandosi il collo. “Non hai guardato il telegiornale?”

Megamind fece spallucce. Trovava inutile guardare la televisione se non aveva la possibilità di veder comparire sul teleschermo la sua reporter preferita.

“Beh, ecco…Wayne sospirò, grattandosi il collo. Poi si accarezzò la barba e sospirò di nuovo. Megamind incrociò le braccia e gli rivolse uno sguardo scocciato. “Ecco… piccoletto…io sono vivo.”

Megamind sbatté le palpebre. Due volte. “Capitan Ovvio porta anche qualche altra notizia di cui il sottoscritto ne era all’oscuro?”

“Mi sono spiegato male.”

“No, sei solo stato banale.”

“Lo sanno tutti, che sono vivo. O, per lo meno, che lo scheletro non è il mio.”

“Fammi capire.” Le braccia di Megamind caddero lungo i fianchi. “Mi stai dicendo che, dopo quasi 9 mesi, qualche medico legale si è preso la briga di controllare che quello scheletro fosse di plastica o meno?”

Wayne sospirò, di nuovo. “Precisamente.”

“Non ho parole.”

“Neppure io, non pensavo lo scoprissero!”

Megamind stava prendendo la via della porta, ma si fermò giusto per rifilargli il più sentito sguardo di compatimento che poteva elargire: “Dopo questo tuo commento, evito di palesare la mia perplessità in merito alla capacità intellettiva degli addetti dell’ubitorio cittadino. Significa che il tuo pseudo cadavere è rimasto in un freezer per così tanto tempo?”

Wayne alzò le spalle. “A quanto pare, si.”

L’alieno scosse la testa: “Stento a credere che il grande, il fantasmagorico Metro Man non abbia avuto nessuno che reclamasse le sue portentose ossa. Men che meno riesco a capacitarmi i resti del miliardario Wayne Scott non riposino nella marmorea cripta di famiglia.”

L’uomo si grattò di nuovo nervosamente il collo: “Beh, sai com’è… i miei genitori non sono più in vita. E… diciamo che il resto della cittadinanza era sotto il tuo controllo, per pensare di organizzarmi un funerale. Si, diciamo così.” Deglutì, tormentandosi le dita delle grosse mani.

“Mi dispiace.” Sussurrò Megamind, capendo. Se a lui fosse capitato qualcosa, almeno ci sarebbe stato Minion a reclamare il suo corpo, a dargli degna sepoltura. Non sarebbe di certo rimasto mezzo ibernato in una cella frigorifera della morgue. Davvero non aveva mai intuito quanto l’unicità di Wayne Scott lo rendesse più schiavo della solitudine di quanto lui stesso fosse stato in passato?

Lui aveva Minion. L’aveva sempre avuto.  Aveva sempre avuto un amico fedele su cui contare. Qualcuno che si preoccupasse che mangiasse a sufficienza o che dormisse abbastanza, con cui condividere tutto: dalla gioia al dolore, dall’ebbrezza della vittoria alla frustrazione della sconfitta.

Metro Man era un eroe solitario. Troppo. Se ne rendeva conto solo adesso. Come poteva non esserci arrivato prima, quando Roxanne gli aveva confidato che non era mai stata la sua ragazza, per esempio?

Quanto può essere tremendo sentirsi soli in mezzo ad una folla?

“Guardando il lato positivo, questo scagiona me da ogni accusa di assassinio.”

“Dovrai parlare con un bel po’ di persone.”  Wayne si appoggiò contro una parete. “E forse sarai costretto a dire che sapevi benissimo che quello scheletro era di plastica.”

Megamind scrollò le spalle: “Mentirò.” Rispose semplicemente, causando una smorfia di disaccordo dell’altro.

“Mentire? La giustizia non è menzogna. Gli eroi non mentono!”

“Disse il difensore di Metrocity che finse di crepare nel laser della morte. Mentirò a fin di bene. Il Male per il bene. Ho già fatto una cosa simile, una volta. Non è andata esattamente come volevo, ma in fin dei conti posso dirmi soddisfatto del risultato finale. Ora sono un Eroe, questo è vero. Ma non sono la tua fotocopia. Perciò posso sentirmi libero di agire come meglio credo, per perseguire l’obbiettivo finale.”

Un sorrisetto tirato comparve sulle labbra dell’ex difensore di Metro City: “Credo tu abbia ragione. Sarai sicuramente un eroe più saggio del tuo predecessore.”

“Certo, sono più intelligente di te.”

Scoppiarono entrambi a ridere. Poi Wayne si guardò intorno: “Ristrutturazione in atto?”

Megamind si gonfiò d’orgoglio: “Una sorpresa per Roxanne. La casa dove vivremo insieme.”

“Accidenti, un bel passo avanti! Complimenti, piccoletto. Credo che verrà bene. Questa sarebbe…?”

“La camera da letto.”

“Ha l’aria di essere un posto in cui spassarsela alla grande.”

Megamind sorrise di nuovo. Poi si voltò verso la porta. “Ho bisogno di un caffè. Vieni, ti offro qualcosa. Non fare troppo casino o sveglierai Minion. Sono appena riuscito a farlo spegnere. Quel pesce non riesce proprio a staccare dal lavoro…

 

 

Roxanne aveva un paio di scarpe nuove di Christian Louboutin. Si era concessa una gita al negozio di Rue Jean Jacques Russeau a parziale rivincita del paio di Guess finiti della Senna, ed ora si fissava i piedi infilati in quel paio di splendide e costosissime scarpe blu.

Blu elettrico.

Megamind sarebbe impazzito a vedergliele addosso.

Ohh si. Si sarebbe presentata con solo quelle addosso.

Ridacchiò, lasciandosi cadere sul letto, sgambettando come una ragazzina con ai piedi il suo primo paio di scarpe eleganti.

Megs sarebbe decisamente impazzito.

Chissà cosa stava facendo in quel momento. Probabilmente era fuori per pattugliare eroicamente la città, oppure stava inventando qualcosa. Magari stava preparando la sua sorpresa.

Sorpresa che, da parte sua, non era riuscita ancora a formulare.  

Presentarsi indossando solo quelle scarpe poteva valere come sorpresa?

Uhnnn no. Forse era meglio prendersi qualche altro capo di lingerie. Stile Crazy Horse. Un corsetto blu da slacciarsi lentamente e lanciarlo addosso a Megamind.

Così poteva essere un valido piano di riserva, forse.

Si aggiustò il cuscino dietro la testa, prima di sfilarsi le scarpe e appoggiarle sul comodino. Però. Stavano bene anche così, come complemento d’arredo.

Guardò l’orologio: aveva appuntamento tra un’ora con Max: aveva un paio di interviste da fare, quel giorno.

Lottò contro la tentazione di connettersi a Skype e chiamare Megamind. Abbracciò invece un cuscino e chiuse gli occhi, cercando di immaginarselo lì.

Sorrise, pensando come quell’ora sarebbe passata molto velocemente. Si sarebbe gustata uno dei suoi MegaMassaggi al collo e alle spalle.

Quasi poteva sentire le sue lunghe dita scivolare lungo la pelle del suo collo, sulla sua schiena. Le labbra che sostituivano le dita.  Il suo respiro che la stuzzicava. Il suo corpo minuto e sodo che premeva sul suo e…

DRIIIIIIIIIIN.

DRIIIIIIIIIN.

DRIIIIIIINN!

MA CHE CAVOLO…!  Roxanne sbarrò gli occhi con un ringhio adirato. Afferrò il cellulare. Il Capo Redazione.

Ma che cavolo voleva? Il ‘PRONTO’ che aveva sibilato suonava piuttosto minaccioso.

Roxie, tutto bene? Tu non hai idea di cosa sta succedendo qui!”

Cielo… Megs?

“Hanno appena scoperto che lo scheletro di MetroMan è di PLASTICA! E’ finto, capisci? Uno scoop sensazionale!”

Cosa? Come? L’avevano scoperto solo ora? Cioè, ora che lei non era li a documentare questa incredibile notizia.

“Già, Roxanne! Non sai come mi dispiace che tu non sia qui! Al tuo ritorno voglio as-so-lu-ta-men-te un’intervista con te e Megamind. Servizio in TV, capisci? Prima serata. Il Triangolo di Metro City: tutta la verità.”

Bene, benissimo. Aveva già in mente quasi tutto. Un momento. E il servizio del TG serale, quindi a chi era andato?

 

Megamind dimostrava una certa impassibilità davanti alle telecamere. Voleva dimostrarsi sollevato, fare qualche battuta magari, in mezzo a quella schiera di microfoni puntati su di lui, davanti alla Metro City Hall, quello del KMCP era retto da una ragazza bionda con un trucco esagerato che incalzava domande idiote che lo indisponevano.

Certo, che si era tolto un peso dallo stomaco.

Il primo pensiero che ho avuto è che ce ne hanno messo di tempo per capire che era plastica, quella.

No, non lo sapevo.

E che diamine ne so io di cosa possa aver provato Metro Man?

No, non credo che questo minerà il rapporto tra me e Roxanne Ritchi.

No, Roxanne Ritchi ed io non ci stiamo sposando, non ancora.

No, Roxanne Ritchi non è incinta. Io nemmeno.

No, Minion non è in vendita. Né a Noleggio. Minion, diamine, chiariscile tu queste cose!

Per lo meno il sindaco aveva voluto tagliare corto con quella conferenza stampa. Era troppo scosso dall’apprendere che Metro Man era ancora vivo per poter sopportare a lungo i giornalisti.

Finalmente smetterà di piangere di notte sul peluche di Metro Man. Aveva commentato Minion, a bassa voce, strappando a Megamind un ghigno divertito.

Il Sindaco si era solo lasciato andare in un appello accorato: “Metro Man, se ci stai ascoltando, sappi che la città non ti ha dimenticato!

Megamind storse il naso. Certo, come no. Infatti lo pseudo cadavere del suo ex arci nemico non era stato in un obitorio per nove mesi.

“Sindaco, sono certo che Metro Man sia più che convinto di aver lasciato la città in buone mani. Altrimenti, non se ne sarebbe andato, vero?”

Il Sindaco annuì con vigore. “Oh, non voglio asssssssolutamente dimostrare ingratitudine verso di te Megamind, che anzi stai facendo un lavoro sublime per la sicurezza dei cittadini della città.  Solo vorrei… vorrei che Metro Man sapesse quanto ancora è nei nostri cuori.”

Minion e Megamind si scambiarono uno sguardo scettico. Poi fecero buon viso a cattivo gioco.

La sostituta di Roxanne fece notare che, a discapito della sua precedente affermazione, Roxanne Ritchi aveva un pancino piuttosto sospetto.

Megamind gemette.

 

“Quella troia!Escalmò Roxanne, sbattendo il pugno sul tavolo. Max la guardò scandalizzato. “Pancino sospetto? Il MIO? Sono dimagrita di tre chili! Max, ti pare che io abbia un pancino sospetto?

“Certo che no, Roxanne. Sei in splendida forma. Con quelle scarpe, poi…!”

Roxanne si allontanò dal tavolo, da dove avevano appoggiato il laptop per seguire la diretta televisiva, inveendo contro la collega e la sua incapacità di fare la reporter seria. “Sono quelle oche come lei che rovinano la categoria! Pancino sospetto. TSK! Pancino Sospetto!!!!”

“Già. Si è appena scoperto che Metro Man è vivo e lei fa domande di gossip. In effetti  è un’oca. Però…

Il Cameraman si voltò verso la collega, studiandola con sguardo indagatore:  “Però tu non ti sei scomposta granchè a questa notizia. E’ come se non ti avesse sorpreso. Roxanne, non è che….”

Roxanne deglutì. Poi fece un gesto con la mano, come per cancellare qualcosa. “Cosa stai insinuando?”

“Nulla. Solo che la tua reazione mi pare… troppo tranquilla.”

“Ho un buon sangue freddo, io.”

“Hai appena saputo che il tuo ex ragazzo è vivo. Non morto, ma vivo. Già mi è sempre sembrato strano che tu ti fossi messa con chi ha causato la sua morte… eppure accidentalmente, come avete sempre sostenuto.”

La donna scrollò le spalle. “Hey, qui le domande e le intuizioni le faccio io, se permetti. Comunque io e Metro Man, se proprio lo vuoi sapere, non siamo mai stati una coppia.”

“Oh. Cavoli. Mia moglie aveva ragione, allora.”

 

Pranto?”

Megs,sono io. Come stai?”

Roxanne! Alla grande tesoro. Immagino tu abbia saputo tutto…

“Certo. Mi ha chiamato il mio capo. Mi dispiace non essere li, adesso. Volevo rientrare subito, ma mi hanno detto che al momento non era necessario. Quando tornerò da Parigi ci aspetterà una mega intervista per cercare di dare un senso a tutta questa situazione.”

“Non ci sono problemi, tesoro. Davvero. Riesco a gestire il tutto al momento. E comunque… Wayne è stato qui. Me l’ha detto lui.”

“Ed immagino che non gli sia passato neppure per l’anticamera del cervello di andare sensatamente a ‘consegnarsi’ alle autorità e spiegare di persona cosa sia successo.”

“Mi è nuova la notizia che Wayne possegga un cervello. Figurati un’anticamera.” Ridacchiò. “E comunque vorrei fare un esposto alla KMCP per quell’ochetta che mi ha rifilato come reporter. Non si può passare dalle stelle alle stalle in un lasso di tempo così breve.”

Roxanne scoppiò a ridere di gusto. “Hai perfettamente ragione. Mi lamenterò di persona per questo trattamento iniquo nei tuoi confronti. Non è professionale.”

“Mi manchi, Roxanne.”

La donna sorrise. “Anche tu, Megs. Non faccio altro che pensarti.”

“Oh, anche io. Continuo a pensare a tutto… tutto quello che ti farò al ritorno. Vuoi un esempio?”

Rifilando il suo miglior sguardo malizioso alla webcam, Roxanne abbassò la voce di un tono. “Non chiedo altro, Megs.”

 

 

 

Bon.

A regola ci ho messo pure poco a scrivere questo capitolo.

Siamo sotto battuta con le scosse, sappiate. Si, sono Emiliana (di Parma) e fortunatamente da noi le scosse hanno solo causato… un po’ di paturnie e una crisi isterica di una mia collega.

A pochi chilometri da noi c’è il finimondo, e questo mi fa davvero riflettere sulla caducità delle cose e delle nostre vite. Insomma, non è un periodo Light. Cerco di sforzarmi di tirare fuori qualcosa di pseudo divertente e leggero per stemperare la situazione. E per non lasciare le cose incompiute, che il povero Megs non si merita questo.

Vi ringrazio da svenire per i commenti nei precedenti capitoli.

Un trilione di esagerati grazie.

A presto. Spero.

EC

PS: si, il titolo del capitolo è la canzone di Lady GaGa. Non sono nelle condizioni di trovare di meglio, evidentemente.

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Fairies Wears Boots. ***


Fifteen Days.

 

Chapter 5: Fairies Wears Boots.

 

Minion si era presentato alla webcam vestito di una salopette blu che le ricordava quella di un idraulico. Precisamente, le ricordava SuperMario. Il tutto coperto goffamente dal suo solito grembiule ‘Kiss the Cook’ rosa.

E sproloquiava imbarazzantemente, lanciando sguardi allarmati al di là del monitor, girato assurdamente verso il muro.

Che cosa stavano combinando quei due?

Decisamente, c’era qualcosa che non andava. Era piuttosto perplessa riguardo a come si sentiva in merito: Minion agitato travestito da idraulico che tergiversava davanti alla videochiamata per far guadagnare tempo al proprio padrone poteva significare qualsiasi cosa. Dall’invenzione di un nuovo raggio teletrasportante intergalattico alle prove di un nuovo Black Mamba ad un guaio involontario (…decisamente la peggiore delle ipotesi)

E giusto mentre Minion, a corto di argomenti, le stava chiedendo per la terza volta se avesse già mangiato le escargots, Megamind lo aveva scansato con poca grazia dalla poltrona e ne aveva ripreso possesso, vestendo il suo migliore sorriso eccitato e gli occhi verdi spalancati.

“Amore Mio!! Mia vita, mio tesoro mio…

Megs. Che sta succedendo?”

“…?”

“Non fare il finto tonto con me…

Roxanne, Roxanne… ti preoccupi per nieeente. Io e Minion stiamo lavorando come al solito e…

SBAMMMMM!!!

Roxanne fece un salto sul materasso del letto, facendo cadere il laptop di lato. Lo recuperò con una furia, solo per poter vedere il riquadro di Skype completamente grigio.

“MEGAMIND!”

Coff …coff… Coff…!”  La nuvola di polvere grigia si stava diradando mostrando un Megamind sporco e tossicchiante. “Ma… che cavolo…!”

“Megamind! Sei ferito? Siete sotto attacco??? Cosa sta succedendo!”

Tesoro…coff coff… niente, davvero! Stiamo tutti bene. Credo. E’ solo… un incidente di percorso… eh eh eh…. Coff coff…. Vero Minion?”

La voce di Minion tremava, mentre rispondeva un poco convinto ‘Si, Signore’.

“Megamind, per favore, spiegami cosa…

“NIENTE, tesoro, NIENTE. Te l’assicuro. Stiamo solo… bah, le solite cose!”

“Distruggere il Covo rientra nelle ‘solite cose’?”

“… Roxanne, mi hai visto fare di peggio, qui dentro.”

“Questo è vero.” Roxanne sospirò, scostandosi una ciocca di capelli dal viso. Stare con Megamind significava anche quello: Doversi aspettare l’imprevedibile in ogni cosa, accettarlo e archiviarlo nella normalità. Se si spaventasse per ogni singolo botto, colpo, esplosione o lampo accecante che vedeva li dentro, le sue coronarie non avrebbero retto ancora a lungo.

Era tutto normale, andava tutto bene. Megamind sorrideva (tossendo) e non c’era niente di grave.

Poi una voce fuori campo, che spiegava qualcosa del tipo: Abbiate pazienza, non ho mai appeso quadri in vita mia. Attirò la sua attenzione. “Chi c’è al covo? Questa voce mi pare di conoscerla…

Megamind trasalì, sbattendo le palpebre. Stava evidentemente ponderando l’idea di raccontarle o meno qualcosa. Meglio forzarlo. Megs, c’è Wayne lì con voi?”

“Wayne? Wayne chi? Metr… Music Man? E perché mai dovrebbe essere qui?”

Ancora la voce fuori campo dal tono molto allegro: “HEY, Salutami tanto Roxanne!!!”

A Megamind scappò un ringhio. A Roxanne una risatina. “Ho capito! State facendo una serata tra uomini per risollevargli il morale, ma sei troppo orgoglioso per ammettere che cerchi di aiutare il tuo ex nemico!”

Uhn? L’alieno sbatté nuovamente le palpebre prima di prendere la palla al balzo ed esclamare un “CEEEEERTO!” piuttosto sforzato. “Una serata tra di noi a base di Poker e Birra come veri uomini, eh eh eh!!!”

“Sei dolce, lo sai?”

“Davvero?”

“Si, e sono molto orgogliosa di te, zucchero…

“Oh, no, ricominciato….” La voce fuori campo di Minion suonava scocciata. Roxanne poteva immaginarselo roteare i giganteschi occhi di pesce.

“Dura molto, di solito? Perché è imbarazzante….” Questo era Wayne. “Potrei suonargli qualcosa, per creare l’atmosfera.”

“Oh, zitti voi due, fatevi gli affari vostri!” Megamind gli lanciò qualcosa. “Wayne, posa quei bongos, non ti azzardare a… No, no, quello NO! ESPLODERA’!!”

KABOOOOOOM!

Era normale. Era tutto ok. Rientrava tutto perfettamente nella solita routine. L’importante, per Roxanne, era crederci.

 

Hey piccoletto… scusa per prima… sai, volevo solo rendermi utile.”

Sgrunt.”

“Forse potrei aiutarti a dipingere la parete del soggiorno…

“No.”

“… e se invece posassi le piastrelle del bagno?”

“No.”

“Magari Minion ha bisogno di una mano a collegare la canna fumaria…

“No.”

…oppure…

“No.”

“Potrei suonare qualcosa per alleggerire l’atmosfera.”

“NO!!”

Wayne afferrò le spalle di Megamind avendo cura di non stringere troppo e lo costrinse a voltarsi verso di sé. “Megamind, davvero… io vorrei solo sdebitarmi per avermi… ehm… coperto con quella storia della finta morte… Ti prego, permettimi di onorare questo mio immenso debito con te.”

Megamind fissò intensamente gli occhi grigi del suo ex nemico mortale, studiandone l’intensità e soppesandone la determinazione:  “D’accordo.” Sospirò. “Credo proprio che in zona soggiorno i brainbots abbiano bisogno di te.”

Un largo sorriso si fece strada sul volto pronunciato di Music Man. “Ottimo!” Scattò in piedi, salendo i gradini della scala a due a due: “Quali sono le tue istruzioni?”

“Mettiti davanti alla parete appena dipinta…

“Certo!”

“E fissa la pittura. Controlla che si asciughi, d’accordo? SENZA TOCCARE!”

“Affermativo, Megamind! Non la perderò d’occhio un secondo!” cinguettò al settimo cielo.

Solo dopo venti minuti passati immobile davanti alla parete colorata ebbe il sospetto di essere stato raggirato.

Ma no, impossibile. Megamind era uno dei buoni, no? I buoni sono eroi. E gli eroi, si sa, non ingannano.

 

Music Man, Spuntino?”

“Come? Oh, no grazie Minion, ma sono impegnato a guardare la pittura che asciuga, non ho tempo. Spero tu non ti offenda.”

Minion alzò gli occhi al cielo. Dio delle Squame, quanto è cretino.  “Mi permetta di darle il cambio, resterò io a fare questo lavoro di vitale importanza, mentre lei si rifocilla.”

Wayne tentennò, prima di muoversi dalla sua posizione, girarsi verso Minion e, posandogli le mani sulle spalle, esprimere la sua più profonda gratitudine. “Sei davvero una persona d’oro.”

 

“Ma si può sapere cosa c’era nel sandwich?”

Minion alzò le spalle: “Le solite cose! Uovo sodo, insalata, tonno, burro di arachidi, cipolla, salsa worcester…

Megamind si grattò il mento. “Che sia stata la salsa worcester? Non credo che non abbia mai assaggiato gli altri ingredienti…

“La salsa worcester però è un prodotto molto popolare, signore…

“Una spiegazione ci deve essere.” Sbuffò. “Anni e anni spesi a cercare il suo punto debole e poi una banalissima salsa worcester guarda che cosa combina…

Entrambi sospirarono:  Ai loro piedi, Wayne Scott fissava un punto imprecisato del soffitto con le pupille dilatate e la bocca aperta.  Di tanto in tanto biascicava qualcosa o pareva ridacchiare tra sé e sé. Completamente assente.

Drogato.

“E’ una cosa irritante, non trovi Minion?”

“Assolutamente, signore.”

“Avrei potuto inventare un Raggio della Morte Worcester. O uno Scudo del Dominio Worcester. O un Missile del Terrore Worcester.”

…oppure un Pauroso Gavettone di Worcester.” Minion punzecchiò l’ex eroe con la punta di un bastone. Nessuna reazione.

“O un RoboWorcester.”

“Mi permetta, DinoWorcesterBot suona meglio.”

“Assolutamente, Minion.”

Con un lungo sibilo gutturale, Wayne Scott si lasciò scivolare sul pavimento, chiuse gli occhi ed iniziò a russare sonoramente.

…ed ora che ne facciamo?”

“Lo riportiamo nella sua Fortezza Solitaria. Ma prima…

 

Al risveglio, sette ore dopo, Wayne Scott non ricordava esattamente nulla. Gli girava la testa, aveva la vista offuscata e sentiva lo stomaco pesante. In più, si sentiva completamente confuso e con la gola riarsa.

“Per tutte le chele di granchio, che cosa è successo?” farfugliò alzandosi incerto dal divano.

Il suo divano. Nel suo Bunker sotto la vecchia scuola.

Un momento. Perché si ricordava di essere stato nel Covo di Megamind?

La testa girava… da quel poco che poteva capire, aveva i sintomi di un post sbronza. Se non fosse per il fatto che a lui l’alcool non faceva mai effetto, quindi non aveva mai provato l’ebbrezza di una sonora sbronza.

Quindi cos’era stato? Appoggiandosi ai vari mobili, facendone cadere svariati oggetti, coppe e trofei, si trascinò in bagno.

L’immagine che gli restituì lo specchio era davvero curiosa. Ci impiegò qualche secondo per capire che fosse realmente la sua. Sotto un casco di riccioli dorati, gli occhi gonfi erano colorati da un pesante ombretto azzurro e una riga spessa di eyeliner nero e da lunghe ciglia finte. Parte della polvere del fard rosa colorava anche la barba, mentre le labbra erano accese dal rosso fuoco di un rossetto.

Si grattò la testa solo per scoprire le unghie laccate di un colore rosa shocking.

Oh, diamine. Ma com’era conciato?

Beh, non fosse stato per la sbavatura del rossetto, non sarebbe stato neppure troppo male.

 

Roxanne fece scivolare le dita lungo il bordo di cartone della confezione. Perfetto. Max aveva avuto un’ottima idea, e Google non si era mai rivelato così utile come in quel momento, per scoprire quel negozietti di dischi in vinile che vendeva rarità. “C’est combien?”  Domandò al proprietario, dietro al bancone.

Deux Cents Euros.”

Roxanne spalancò gli occhi. Accidenti! “Il est cher!” provò a contrattare, ma l’uomo fu irremovibile.

In Inglese stentato le spiegò che quel concerto del 1970 era pressoché impossibile da trovare in vinile, dato che era stato pubblicato su larga scala solo in vhs e poi in dvd.  

La donna annuì, leggendo ancora l’elenco delle canzoni nel retro: War Pigs, Paranoid…  Andiamo, questo ne era sicura di non averlo ancora visto nella collezione di dischi di Megamind…

Che vuoi che siano duecento euro per una rarità del Black Sabbath?

 

“MINION, CE L’ABBIAMO FATTA!!!!”

“Cosa signore?”

“L’asta online!”

“Oh, me ne ero completamente dimenticato. Ci siamo riusciti?”

“Ma certo amico mio!” Davanti al monitor, Megamind sembrava eccitato quasi sino alle lacrime. “Tra una settimana sarà nelle nostre mani, ti rendi conto?”

“Mi sembra quasi un sogno…

“Anche a me Minion!” Megamind sospirò, facendo vorticare la sedia di pelle. “Il Covo è quasi pronto, Roxanne tornerà tra pochi giorni e sono il felice proprietario del Live in Paris 1970 in vinile del Black Sabbath!!!”

 

 

 

Con Calma, qui si fa tutto, eh!

Scusate il ritardo… piano piano riuscirò a rimettermi in carreggiata. Forse.

Grazie per i commenti precedenti!!!

Il titolo del capitolo è una canzone dei Black Sabbath contenuta nell’album Paranoid. L’ho messa in riferimento allo stato di Wayne: Questa canzone è nata quando Ozzy e il bassista Geezer si trovavano in un parco a farsi le canne ed ebbero la visione di fatine che ballavano in circolo vestendo scarponi. Roba buona, neh!

Buona lettura.

EC.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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