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Laura
stava per varcare per la prima volta l’entrata della True Cross Academy, dove era
riuscita a farsi ammettere grazie al duro lavoro che aveva portato avanti
studiando tutti i giorni per dodici ore nell’ultimo mese.
Doveva
molto quell’ammissione anche alla sua migliore amica Rea, che, pur di non
lasciarla sola lontana da casa, l’aveva seguita all’accademia.
Erano
rimaste in silenzio e tese fin da quando erano salite sul treno che le avrebbe
portate alla scuola. Quel silenzio le stava uccidendo, aumentava la loro
agitazione.
“Allora ci siamo, eh Rea?” domandò Laura per
smorzare l’atmosfera.
“Già. Siamo proprio sicure di voler stare in un’accademia?
Insomma, non sarà come una specie di convento dove non possiamo fare
niente?”
“Speriamo di no!”
“Magari è un castello enorme dove ci sono i demoni e i
fantasmi!” scherzò la sua amica, mettendole una certa
apprensione.
“Smettila, lo sai che ho paura dei demoni!” la
riprese l’altra.
Aveva
quella paura fin da piccola, da quando aveva visto in televisione uno speciale
in cui una ragazza veniva posseduta da uno di essi. Al solo pensiero
rabbrividì.
“Ehi, credo che ci siamo” disse Rea.
Quando
uscirono dalla galleria si aprì davanti ai loro occhi un mondo nuovo: non era
una semplice scuola, era un vero e proprio paese!
Le
ragazze rimasero a bocca aperta, incapaci di parlare.
La
montagna sulla quale si ergeva la scuola aveva alla base una città che si
estendeva per qualche chilometro, circondata da quello che Laura pensò essere il
mare, o un lago.
“Non… non mi sembra proprio un convento, sai Rea?”
disse.
L’altra
annuì, ancora troppo stupita.
L’interno
della True Cross era enorme, talmente grande che ci si
poteva perdere da un momento all’altro.
Spaventate
e insicure, le due ragazze rimasero vicine fin quando il preside tenne il
discorso.
“Le lezioni inizieranno la prossima
settimana, così potrete ambientarvi e sistemarvi per bene. Benvenuti alla True Cross Academy, ragazzi!”
disse.
Era un
tipo strano: vestito di bianco con buffe calze a righe rosse, portava una tuba
dello stesso colore del vestito e un foulard rosa a pois.
Laura
lo fissò rapita fin quando Rea non la prese per mano e la
scosse.
“Ma che guardi?” le chiese. La ragazza arrossì
violentemente.
“Niente, niente” disse vaga.
Seguendo
la traiettoria del suo sguardo, l’amica trovò il bersaglio e spalancò la
bocca.
“Non pensarci nemmeno!” proibì.
“A cosa? Chi stava pensando? Ti sembro
il tipo che pensa?”
“Laura, non dirmi che ti piace il preside, ti prego non
dirmelo!” implorò disperata Rea. Si stavano dirigendo verso le loro
stanze. Sarebbero state in camera insieme.
“Possiamo parlarne una volta
sola?”
“Sei un’idiota, ricordatelo, ma va bene”
Tirando
un sospiro di sollievo, Laura si guardò attorno: l’ampio ingresso era dipinto di
bianco, e ovunque c’erano scale mobili e scalinate varie.
“Ma tu sai dove dobbiamo andare?” chiese dopo un
po’ che camminavano.
“No, ma seguo la folla.
Il nostro appartamento è questo, vedi?” le spiegò mostrandole un
foglietto.
“E se tutta questa gente andasse da un’altra
parte?”
“Vorrà dire che torneremo
indietro”
Circa
venti minuti dopo, riuscirono a trovare l’alloggio. Era una piccola stanza in
un’ala della scuola, dalla parte del dormitorio femminile. I letti erano messi
uno da un lato e uno dall’altro della camera, e sotto le finestre (che si
trovavano di fronte alla porta) c’erano le scrivanie.
“Finalmente!” disse Rea gettandosi su uno dei due
letti. Le loro valigie erano già là.
“Questo posto è gigantesco!
Sei sicura che non ti perderai?” insinuò Laura,
sogghignando.
Il
senso dell’orientamento dell’amica era paragonabile a quello di un cieco in un
labirinto.
“Cosa vorresti dire?
Guarda che potrei dirti la stessa cosa!” rispose lei arrabbiata.
“No, non puoi.
Io so orientarmi molto meglio di te e lo sai benissimo” ribatté Laura sedendosi sull’altro
letto.
“Ah sì?
Ora la paghi!” le disse Rea,
catapultandosi dall’altra parte della stanza e stendendo Laura sul
letto.
Iniziò a farle il solletico sui fianchi, dove sapeva che l’amica soffriva
moltissimo.
“No! No, ferma, no! Ahahahahah, smettila, ti prego!”
“Chiedimi scusa! Chiedimi subito
scusa!”
“Ok, ok, mi arrendo.
Scusa!” disse l’altra tra le
lacrime.
“Mmh… forse posso perdonarti… ma ad una sola condizione!”
concesse Rea continuando a bloccare Laura.
“Cioè?”
“Cosa stavi guardando prima?” domandò minacciosa
puntandole un dito contro.
La
ragazza sbiancò.
“Niente! Te l’ho già detto!”
“Tu non me la racconti giusta, Hachi!” (NOTA PER LAURA: SCUSAMI, MI E’ NATA
SPONTANEA! HACHI CI STAVA TROPPO BENE!!!) rispose
dubbiosa Rea.
“Fidati!
Ero solo curiosa perché il nostro preside è molto…
particolare, ecco”spiegò Laura.
“In effetti, è proprio un tipo
buffo.
Hai visto com’era vestito? Eccentricità a mille!” rise l’altra.
“Vero. E il cappello?”
“Vogliamo nominare l’ombrello?”
“O le scarpe a punta!!”
Continuarono
così per un po’ di tempo, poi la stanchezza per il viaggio e per la grande
eccitazione le fecero crollare. Si addormentarono poco dopo e dormirono fino al
mattino successivo.
Rea
eraleggermente più alta di Laura,
aveva gli occhi scuri e i capelli ramati e la faccia piena di lentiggini.
Laura,
al contrario, era piccola e bionda, con gli occhi verdi che potevano diventare
celesti a seconda del sole. Il suo sguardo era dolce e incerto. Quando conosceva
una persona ci metteva un po’ per abituarsi, ma poi riusciva tranquillamente a
starci insieme.
Durante
tutta la settimana di vacanza che avevano passato, le due si erano ambientate
piuttosto bene: avevano conosciuto alcuni ragazzi che frequentavano i loro
stessi corsi ed erano riuscite a farci amicizia. Inoltre avevano ottenuto una
mappa della scuola tramite uno degli insegnanti e così adesso non avevano più il
problema di perdersi.
La sera
prima dell’inizio dei corsi, stavano cenando da sole in
camera.
“Come credi che sarà il primo giorno di scuola?”
chiese Laura.
“Sinceramente, non lo so. Non pensavo neanche che avrei mai dovuto tornare a fare la studentessa dato che
avevamo finito il liceo, però devo dire che questo posto ha qualcosa di magico.
Mi attira molto l’idea di passare i prossimi tre anni qui” (NOTA: HO UNITO LE NOSTRE ETA’ CON LA SCUOLA
GIAPPONESE, CHE TI FA FARE TRE ANNI DÌ UNIVERSITA’ UNA VOLTA FINITO IL LICEO.
ABBIAMO COMUNQUE 18 ANNI)
“Già, è una scuola molto particolare. Chissà se ha qualche
segreto” ipotizzò Laura.
“Tipo incantesimi e magie o tipo mostri e
spettri?”
“Entrambi, credo”
“Forse questa scuola è nata secoli fa per combattere il
male!”
“Sarebbe meravigliosose
fosse così!” sospirarono insieme.
Fin da
piccole erano state molto particolari, entrambe: avevano sempre la testa tra le
nuvole e non facevano altro che sognare. Di sicuro non le aiutava il fatto che
passassero metà del loro tempo leggendo fumetti, guardando cartoni e sfogliando
libri di ogni genere. Nonostante si conoscessero solo da quattro anni, in
qualche modo era come se si conoscessero da sempre. Erano più o meno
inseparabili.
“Mi fa quasi paura questa nuova avventura,
sai?”
“Perché?”
“Pensaci un secondo: dobbiamo ricominciare da capo, farci
nuove amicizie, creare un nuovo giro per uscire, non possiamo tornare a casa quando vogliamo, siamo lontane dai nostri
genitori…”
“Laura, forse questo è un bene, no? Insomma, dobbiamo
riuscire a conquistare un po’ di sicurezza in noi stesse, di
indipendenza” le disse Rea.
“E se non ce la faccio?”
“Perché non dovresti, scusa?”
“Non lo so. Forse è solo la paura che mi fa parlare,
dopotutto” rispose ridendo
Laura.
Nonostante
le parole rassicuranti dell’amica, però, quella notte Laura non riuscì a
chiudere occhio. Aveva mille dubbi, mille ansie, mille paure che l’assillavano
insistentemente.
E poi
c’era anche qualcos’altro… una specie di sesto senso che le diceva che in quella
scuola c’era più di quanto non pensasse.
“Magari sono solo io che mi faccio troppi problemi. Ora è
meglio se dormo un po’” pensò cadendo in un
sonno profondo.
Quando
entrarono in classe il mattino seguente rimasero a bocca aperta: era un’enorme
stanza, lunghissima, molto più della loro vecchia aula. C’erano grandi finestre
da un lato, e una lavagna in fondo. I banchi erano disposti in file orizzontali,
in ognuno dei quali potevano sedersi due
persone.
“Ma questa è una classe o sono due?” esclamò Rea
mettendosi a sedere.
Laura
prese posto vicino a lei.
“Credo sia una.
Credo” rispose
l’altra.
Entrò
un insegnante dall’aspetto austero e intransigente, che iniziò subito la
lezione, senza troppi preamboli. Non ci volle molto perché la ragazza perdesse
attenzione e cadesse in uno stato
semi-dormiente.
Mentre
guardava fuori in cerca di qualcosa che la distraesse, vide un piccolo cane
bianco col pelo lungo ed un enorme fiocco rosa a pois attorno al
collo.
“Rea, l’hai visto anche tu?” domandò sottovoce
all’amica che, come lei, non riusciva a seguire una sola parola di ciò che il
professore stava dicendo.
“Che cosa?”
“C’era un cagnolino che correva in
cortile!”
“Può darsi.
In fondo, non hai visto tutte le case che sono qua intorno? Magari si era perso”
ipotizzò l’amica.
“Già, forse si era solo perso” ripeté Laura, poco
convinta.
Quel
cane aveva un’aria familiare.
Nessuna
delle due ebbe il tempo di pensarci, perché terminata la lezione dovettero
correre verso un’altra aula per partecipare a quella successiva, e così
ininterrottamente fino all’ora di pranzo, quando andarono alla
mensa.
“Questo posto è enorme, e non è semplice riuscire ad
arrivare da una parte all’altra dell’edificio in soli cinque minuti!” si
lamentò Laura.
Rea
sbuffò.
“Cosa vuoi farci?
C’est la vie”
rispose.
Erano
sfinite, ma nel pomeriggio avevano ancora due corsi da dover
seguire.
“Voglio tornare in camera e dormire fino a domani!”
“Mi basterebbe un’ora per riposarmi come si deve”
“No, troppo poco” la pausa pranzo durava un’ora e
loro ebbero il tempo di rifocillarsi e riposarsi. C’era una vista mozzafiato dal
cortile, che si apriva sulla baia. L’odore dell’acqua le raggiungeva fino a lì.
In lontananza sentirono la campanella, e sospirarono.
“Forza, dobbiamo rientrare.
Non mi pare il caso fare tardi il primo giorno” disse sconsolata Rea. Non
aveva notato che l’amica era rimasta ferma, così aveva iniziato ad andare avanti
per raggiungere l’aula.
Quando
Laura si rese conto di essere rimasta da sola, fu assalita dal
panico.
“Rea?
Rea?” iniziò a chiamare, ma
senza risposta. C’era
troppa gente intorno a lei, e non riusciva a vedere niente. Si mise a camminare
senza sapere bene dove andare: il foglietto con il numero dell’aula l’aveva
l’amica!
Passò
mezz’ora e non era ancora riuscita a ritrovare la via, quando notò di nuovo il
cagnolino bianco di quella mattina. Stava correndo verso l’aperto, per strada.
Le sue gambe si mossero da sole, lei non si rese nemmeno conto di star correndo
per raggiungere l’animale. “Tanto non ho niente da
perdere” si disse continuando a inseguirlo.
La
bestiolina non pareva essersi accorta di lei, ed aveva continuato imperterrita
la sua passeggiata fino a quando un boschetto non comparve alla sua sinistra.
Senza esitare, il cagnolino si tuffò al di là della
staccionata. “Ma che fa?” si chiese Laura,
spaventata per il cane. Rallentando un po’ vide che c’era un’altra strada al di
sotto di quella, con una grande porta di legno. “Chissà cosa c’è lì. Forse è un’altra ala della
scuola!” pensò. Scavalcò a
sua volta la staccionata e si calò leggiadramente al di sotto, atterrando senza
far rumore. Cercò con gli occhi il cagnolino, ma di lui non c’era traccia. Provò
allora ad aprire la porta, ma senza successo: era chiusa a chiave. Decise quindi
di aspettare che qualcuno uscisse da lì per chiedere aiuto, ma nessuno si fece
vivo e lei, dopo un po’, iniziò ad avere freddo. Non sapeva come fare per
arrampicarsi di nuovo fino alla strada, ma doveva riuscirci per tornare
all’accademia. Aveva saltato ben due lezioni per la sua disattenzione. “E questo è solo il primo giorno” pensò
scoraggiata. Vide un albero con i rami grossi che arrivavano fino in cima alla
strada e provò ad arrampicarcisi. Dopo qualche caduta riuscì a tornare fino in
cima.
“Oh, meno male che ce l’ho fatta” esclamò.
A quel
punto doveva solo rientrare alla True Cross e
raggiungere il suo alloggio.
“Rea mi uccide, stavolta” pensò mentre camminava.
Ma
aveva fatto tutta quella strada anche all’andata? Erano almeno tre chilometri
fino all’accademia! “Forza e coraggio” si
disse. Il problema era che stava imbrunendo e lei aveva paura a rimanere fuori
da sola di notte, soprattutto in un posto che non conosceva come quello. Si mise
a correre di nuovo, con l’adrenalina che scorreva veloce nel sangue. Riuscì ad
arrivare all’edificio poco prima che il buio avvolgesse completamente il paese.
Una
volta varcato il cancello si fermò a riprendere fiato, con una mano sul petto.
Improvvisamente sentì un rumore strano dietro di sé, e in contemporanea vide un
lampo di luce blu elettrico, ma quando si voltò non c’era più
niente.
Decise
di tornare di corsa alla camera.
“Dove sei stata?” le chiese Rea non appena fu entrata
nella stanza.
“Mi sono persa!” si scusò Laura riprendendo fiato.
“Sei completamente idiota?
Non sapevo come scusarti, i professori ti hanno già
segnata!” la riprese.
“Mi dispiace ma dopo il pranzo ti ho persa di vista e poi
ho seguito il cane…”
“Quale cane?”
“Quello bianco di stamani!” spiegò lei,
angelicamente.
Rea
rimase basita.
“Tu… hai passato la giornata a inseguire un cane?”
chiese incredula.
“Più o meno” annuì Laura, sentendosi
stupida.
“Non ho parole.
Cosa hai fatto alla gonna? Sembra bruciata” le fece notare l’amica.
In
effetti, il retro della gonna era nero in fondo. Laura lo guardò
stupita.
“Non lo so proprio” rispose.
“Sei un caso perso.
Dai, lavati e andiamo a dormire: è tardi” le ordinò Rea.
Nel
letto, quella sera, le venne in mente la luce elettrica che aveva visto dopo
aver varcato i cancelli. Magari era colpa di quella se aveva la gonna bruciata.
Ci avrebbe pensato il giorno dopo: gli occhi le si chiusero e lei cadde in un sonno
profondo.
La
mattina dopo Laura domandò alla professoressa di lingue dove poteva trovare
un’altra uniforme. All’inizio dell’anno erano state date due uniformi a
studente, nel caso che una delle due si fosse sporcata, ma nessuno aveva
menzionato la possibilità che si potesse bruciare.
Dopo
averci pensato un po’ la donna scosse la testa.
“Mi dispiace, ma non è mai capitato a nessuno di dar fuoco
ai vestiti” spiegò.
“Io non ho dato fuoco ai vestiti” protestò Laura
sconsolata.
“Comunque, l’unica cosa che posso consigliarti è di andare
dal preside a sentire se c’è la possibilità di averne un’altra, anche se non
credo che ci saranno problemi” le disse. Al pensiero di rivedere il
signor Pheles il cuore di Laura accelerò. Nemmeno lei sapeva perché, ma
quell’uomo le aveva fatto una certa impressione già dal primo giorno.
Ora che
ci pensava, non era mai uscito dal suo studio da quando erano iniziate le
lezioni, per quanto ne sapeva.
“Grazie per la disponibilità, professoressa” si
congedò.
Rea la
stava aspettando fuori dall’aula.
“Allora che ti ha detto?” domandò mentre si avviavano
insieme a lezione.
“Che dovrei chiedere una nuova uniforme al
preside”
“Al preside? A quel clown vestito male,
intendi?”
“Non è un clown vestito male. È un uomo
con gusti particolari, ecco”
“Quelli non sono gusti particolari, quella è cecità unita a
idiozia e ad un po’ di sano masochismo, ecco cos’è” commentò Rea.
Laura
sbuffò.
“Smettila!
Se gli piace vestirsi in quel modo perché devi
giudicarlo?” chiese.
Nei
corridoi non c’era nessuno, anche perché l’orario di inizio lezione era passato
da un pezzo. Rea si bloccò in mezzo alla strada e fermò Laura, costringendola a
guardarla negli occhi.
“Lui ti piace!” esclamò. L’amica arrossì violentemente
e abbassò lo sguardo.
“No di certo! Ma ti pare? E poi è il preside, chissà
quanti anni avrà!”
“Fase uno: negazione!”
“Ma smettila!
Invece di vaneggiare corri, che siamo in ritardo anche oggi ed
è solo il secondo giorno!” le disse cambiando
discorso.
“Tu non mi piaci, biondina!”
“Non chiamarmi così!
Lo sai che non lo sopporto proprio” si lamentò Laura mentre Rea
rideva.
“Ti piace il clown, ti piace il clown”
cantilenò.
“Shh!
Abbassa la voce! In classe gli altri stanno facendo
lezione!” la sgridò
l’amica.
“Non vi sembra inappropriato andare in giro per la scuola
quando dovreste essere in classe, giovani studentesse?
Non si addice a fanciulle come voi gridare così per i
corridoi” disse una voce alle loro
spalle.
Le
ragazze si voltarono lentamente.
“Ehm…” balbettò Rea. Il preside le stava guardando
sorridendo. C’era qualcosa di sinistro nel suo sorriso, come se ci fosse un
mistero dietro a quella faccia.
“Signor Pheles, ci scusi,
noi…”
“No, no, no, niente scuse.
Andate in classe, su!” ordinò
spingendole verso l’aula.
“Aspetti, io le devo chiedere una cosa!” protestò
Laura.
“Vieni nel mio ufficio più tardi, cara, adesso c’è la
lezione.
Nel pomeriggio sarò nel mio studio a sbrigare delle noiose faccende
burocratiche, non farti scrupoli a venire. A dopo!” le salutò scomparendo dietro
l’angolo.
Rea
fissò il punto in cui l’uomo era un attimo prima.
“Ma quello è tutto matto!” esclamò qualche secondo
dopo.
Laura
rimase in uno stato di eccitazione tutto il pomeriggio. Si sentiva nervosa al
pensiero di dover andare a trovare il preside nel suo studio, ma non sapeva
spiegarsi il perché.
“Ma tu hai davvero intenzione di andare da quel
pagliaccio?” le domandò Rea mentre faceva i compiti. Aveva due quaderni
aperti e un libro in mano, e non riusciva comunque a capire una sola parola di
ciò che c’era scritto.
“Mi serve un’altra gonna! Hai visto com’è ridotta la mia,
sembra che io le abbia dato fuoco per davvero” si lamentò Laura. Poi
guardò l’amica con occhi imploranti.
“Immagino sia inutile chiederti di accompagnarmi,
vero?” le chiese supplicando.
“Devo finire questi compiti, lo sai benissimo, e visto che
passerai metà pomeriggio cercando lo studio di quel clown devo immaginare che
poi copierai ciò che ho fatto, per cui ti conviene che io rimanga qui” le
spiegò. Laura sospirò.
“Hai ragione, come sempre. Allora ci vediamo più tardi,
porto la gonna con me. Buono studio!” le augurò prima di uscire dalla
stanza.
Era la
prima volta che girava da sola per il castello, se si escludeva il giorno in cui
si era persa. Non aveva idea di dove fosse l’ufficio del preside, e nessuno
pareva saperlo. Aveva chiesto ad un sacco di alunni, ma la risposta era sempre
la stessa: non lo so.
Alla
fine riuscì a trovare un ragazzo che seppe aiutarla.
“L’ufficio
del signor Pheles è in alto, all’ultimo piano. Non puoi sbagliarti, si riconosce
benissimo” le disse.
“Grazie mille, mi hai salvato la vita!” rispose
lei.
Dovette
fare molte rampe di scale per arrivare fino in cima a quell’enorme castello, ed
era stanca morta quando raggiunse l’ultimo piano. Come le aveva detto quel
ragazzo, l’ufficio era impossibile da sbagliare. Prese un enorme respiro, cercò
di calmare i battiti e alzò la mano per bussare alla porta, ma poi sentì delle
voci e si bloccò.
“Amaimon, non ho intenzione di tornare a casa” sentì
dire dal preside. Silenzio.
“Perché per un bambino prodigio come me questa è la miglior
scatola giochi del mondo” Laura, incapace di staccarsi dalla porta, si
avvicinò e ascoltò con più attenzione, riuscendo a distinguere anche l’altra
voce.
“Mephisto, i nostri fratelli e nostro padre Satana ci
aspettano” disse.
Laura
credette di aver sentito male.
“Proprio per questo adesso è meglio se torni a casa.
Inoltre non voglio che qualcuno ti veda, lo sai che qui ad Assiah non puoi
venire, il tuo posto è a Gehenna”
“Cosa farai se verrà a cercare Rin? È un demone come noi,
dopotutto” chiese l’altra voce.
“D’accordo, allora. Ci vediamo fratello” concluse
l’uomo che Laura non conosceva. Silenzio. Laura era rimasta con il pugno alzato
e la gonna in mano, paralizzata. Cosa doveva fare? Come doveva
comportarsi?
Mentre
formulava quei pensieri la porta si aprì e un paio di calze a righe si
materializzarono di fronte a lei.
A
quella vista alzò lo sguardo e vide il preside che la
fissava.
“Oh, ma che bella sorpresa! Tu sei la fanciulla che oggi mi
cercava! Hai ancora bisogno di me, cara?” le chiese. Fissando i suoi
occhi Laura si dimenticò di tutto il resto e sentì il cuore leggero, leggero.
Annuì lievemente.
“Ma vieni, entra pure! Che maleducato che sono, ti lascio
aspettare sulla soglia. Vuoi una tazza di tè?”
“N-no signore, grazie” lo studio aveva la forma di
un semicerchio, molto grande. Le grandi vetrate aprivano la visuale su tutta
True Cross. La scrivania, posta vicino alle finestre, era di legno con due
grandi poltrone rosse. Lì vicino c’era un piccolo
tavolino.
Il
preside si sedette dietro la scrivania e Laura prese posto davanti a
lui.
“Allora, in che cosa posso esserti utile?” domandò
gentilmente. Il suo tono di voce la faceva sentire ipnotizzata. La mente di
Laura ci mise qualche minuto per riuscire a ricordare il motivo per cui era lì:
lui era diventato il suo unico pensiero. Poi sentì il tessuto bruciato della
gonna tra le dita e si ricordò.
“Sono venuta perché avrei bisogno di un’altra uniforme.
Questa si è bruciata in fondo, vede?” spiegò porgendo la gonna all’uomo.
Mephisto prese quel capo con una delicatezza che si riserva solo ai fiori e la
guardò attentamente.
“Dov’è che si è sciupata?”
“Non lo so. Ieri stavo camminando per la scuola e quando
sono tornata in camera avevo la gonna in quello stato. Mi dispiace” disse
a capo basso.
“Mmmh…” rifletté l’altro. Scese un silenzio
imbarazzante tra i due e Laura attese chelui dicesse qualcosa.
“Quindi io… avrei bisogno di un’altra uniforme. Sempre se
non è un problema” chiese di nuovo.
“Certo, certo. Ti sarà portata in camera domani”
concesse Mephisto. Laura sorrise raggiante.
“Grazie mille, signor Pheles. Posso
andare?”
“Sì, vai pure, solo… posso tenere questa? È per spiegare il
motivo della sostituzione, sai”
“Certamente, a me non serve più” annuì la ragazza.
Il preside la guardò sorridendo.
“Benissimo allora. Vieni, ti accompagno alla porta!”
le disse.
“Buonanotte, tesoro” la
salutò.
Laura
uscì felice e sorridente dallo studio, ma, una volta che la porta si chiuse
dietro di lei, le ritornò in mente il discorso che aveva sentito. La paura si
impossessò di lei, che iniziò a correre a perdifiato nell’esatto istante in cui
le tre parole chiave rimbombarono nella sua testa: satana, papà e demoni. Quella
scuola nascondeva più di quanto voleva far credere, ne era certa, ma era
terrorizzata. Se solo non avesse mai sentito quelle parole! Se solo avesse
potuto dimenticare! Non desiderava altro, lei era spaventata a morte dai demoni
e dai mostri. Non voleva parlarne con Rea, sapeva che l’amica non le avrebbe
creduto, ma con chi poteva sfogarsi? Non c’era nessun altro alla True Cross con
cui era in confidenza.
Quando
arrivò davanti alla porta della sua camera si fermò a riprendere fiato: non
poteva farsi vedere sconvolta, non doveva. Si sentiva tanto stanca e
affaticata.
“Buonasera! Com’è andata? Ti daranno la nuova
uniforme?” la accolse Rea con un sorriso. I libri erano aperti sulla
scrivania, ma lei era distesa sul letto a leggere un fumetto, segno che aveva
già finito i compiti e li aveva lasciati sul tavolo a disposizione di
Laura.
“Sì, non ci sono stati problemi” disse l’altra. Le
girava la testa, aveva bisogno di riposarsi.
“Ehi, stai bene?”
“Sì, credo di sì… io mi sento solo un po’… stanca”
riuscì a dire Laura. “Voglio dimenticare, voglio
dimenticare” pensava.
Lei
allungò la mano per toccarlo, ma questo tirò fuori gli artigli e la graffiò.
Nell’esatto istante in cui la ferita comparve sul braccio di Laura, una miriade
di esseri simili a quello apparve intorno a lei. Si mise a gridare,
impaurita.
“Laura!
Laura, svegliati!” la scuoteva
Rea.
La
ragazza aprì gli occhi, confusa.
Si
trovava in un posto che non conosceva, in un letto che non era il
suo.
“Dove sono?” fu la prima cosa che chiese.
La sua
amica si sedette in fondo ai suoi piedi.
“Sei in infermeria.
Ti ricordi? Sei svenuta ieri sera appena rientrata in
camera” le spiegò.
“Perché, dov’ero andata?”
“Laura?
Ci sei? Dovevi chiedere una nuova uniforme al preside dato che la tua l’hai
bruciata! A proposito, è stata portata in camera stamani, è
sul tuo letto” le
disse. Più
si sforzava di ricordare più le faceva male la testa.
“Non ricordo niente.
Le ultime immagini nella mia mente sono quelle di me e te in corridoio che andiamo dalla professoressa”
ammise sconsolata.
“Probabilmente è la stanchezza, non
preoccuparti.
Adesso riposa. I professori sanno che sei qua e per oggi sei giustificata, ma io
no e devo andare a lezione, purtroppo. Ci vediamo più tardi, nel pomeriggio.
Sei hai bisogno fammi chiamare” si raccomandò Rea uscendo
dall’infermeria.
Rimasta
sola, Laura si mise a pensare. Quand’è che era uscita di camera? E perché era
svenuta? Era successo qualcosa? Se sì, cosa?
Più ci
provava, più otteneva solo un gran mal di testa. Si addormentò poco dopo,
confusa.
Nonostante
l’inizio un po’ burrascoso, quando Laura si riprese e uscì dall’infermeria riuscì finalmente a
frequentare regolarmente la scuola.
Non
aveva più pensato a ciò che era successo quella sera nello studio di Mephisto, anche perché appena provava a ricordare qualcosa
la testa iniziava a farle malissimo e lei si sentiva debole. Era come se ci
fosse un blocco nella sua mente che le impediva di accedere a determinati ricordi.
La
nuova uniforme le stava a pennello, quasi meglio di
quella vecchia: la gonna rosa le arrivava leggermente sopra il ginocchio; la
camicetta bianca risaltava le sue forme e la snelliva; le calze bianche le
coprivano gran parte del polpaccio; la giacca color crema le teneva caldo ed era
ornata da una cravatta che lei aveva legato a forma di fiocco. Si sentiva
proprio bene vestita a quel modo.
La
settimana successiva all’incidente passò molto velocemente. Dovette recuperare
le spiegazioni che aveva perso sia per distrazione che
per malattia e si impegnò con tutta sé stessa per non rimanere
indietro.
“Complimenti!”
le disse un giorno Rea a pranzo battendo le mani.
Laura
la guardò senza capire.
“Ma
che dici?”
“Hai
appena trascorso una settimana senza perdere lezioni! Hai battuto il tuo
record!!”
la festeggiò. Laura sbuffò.
“Ma
sta’ zitta! Solo perché i primi giorni di scuola sono andati un po’ peggio del
previsto non significa che devi fare in questo
modo!”
la sgridò.
“Come
siamo permalosi. Sei sicura di stare bene?”
“Certo,
perché dovrei stare male?”
“Non
saprei. Quant’è che non vedi
il tuo amore?”
le domandò sogghignando.
Laura
le lanciò un pezzo di pane.
“Smettila!
Non sono innamorata del preside, se è questo che intendi”
Sentirono
in lontananza la campanella di fine pausa pranzo e si
alzarono.
“Forza,
muoviamoci. Non vorrai mica arrivare in ritardo?” disse
Rea facendo la linguaccia.
Laura
si gettò verso di lei, che scansò abilmente l’affondo e si mise a
correre.
“Muoviti
lumaca!”
le gridò.
Anche
lei iniziò a correre ridendo, cercando di prenderla, ma le persone che erano in
mezzo alla strada erano troppe e la perse di vista.
“Tanto
ti recupero dopo”
pensò rallentando. In quel momento vide qualcosa luccicare in terra.
“Cos’è?”
si chiese abbassandosi.
Una
chiave dorata era abbandonata nel mezzo del corridoio. C’era troppa gente per
capire a chi apparteneva, così la mise in tasca ripromettendosi di cercarne il
proprietario una volta terminate le
lezioni.
“Sono
esausta! E dobbiamo ancora fare un sacco di compiti per
domani! Forza, andiamo in camera”
disse
sconsolata Rea al termine delle lezioni.
“Io
devo fare una cosa, prima. Tu precedimi, arrivo subito!” le disseLaura scappando via.
“Cosa?
Ehi fermati! Niente da fare. Mi sa che dovrò farla copiare anche
stavolta”
La
ragazza non sapeva da che parte iniziare per trovare il proprietario della
chiave. Non aveva mai visto una cosa del genere, era
particolare. L’unica cosa utile che le venne in mente di fare era andare di nuovo dal preside a consegnarla.
Al
solo pensiero il cuore le batteva forte.
Mentre
saliva le scale che aveva già percorso in precedenza (anche
se non se ne ricordava) vide un cagnolino bianco correre nella direzione
opposta.
“Ehi,
quello è il cane dell’altro pomeriggio! Fermati!”
gridò, ma l’animale non pareva averla sentita.
Proprio
come la volta precedente, le sue gambe si mossero da sole e lei iniziò a
correre. Non ci mise molto a perdere di vista la bestiola, ma sapeva dove doveva
andare.
Il
sole stava tramontando e, nonostante la sua paura dei demoni, Laura non si fermò. Voleva arrivare alla porta e vedere se
si apriva. La curiosità la stava logorando.
Una
volta giunta alla staccionata si guardò intorno. Nessuno. Prese un grosso
respiro e si calò nella strada sottostante, dove c’era la porta. La fissò a
lungo, col cuore in tumulto.
“Forse
non dovrei essere qui. Forse sarebbe meglio se tornassi alla
True Cross”
pensò. Un rumore dietro di lei la fece voltare. Svelta inserì la chiave e girò:
la serratura scattò.
Mephisto
era nel suo studio e si era messo comodo in kimono.
Stava
mangiando dei takoyaki quando sentì che qualcuno stava entrando nell’ala degli
esorcisti. Si voltò verso le finestre.
Era
notte, chi mai poteva essere tanto idiota da entrare in un covo di demoni a
quell’ora? Sbuffando si alzò e si cambiò.
Forse
era meglio se andava a dare
un’occhiata.
Una
volta entrata dentro, Laura si trovò in un lungo
corridoio buio. Non c’erano finestre o luci accese e questo le mise un po’ d’apprensione. Forse non avrebbe dovuto essere
lì, in fondo se era una porta chiusa ci doveva essere
un motivo.
“C’è
nessuno?”
domandò ad alta voce. Non ricevette risposta.
Era
un silenzio inquietante quello che era in quel posto.
Decise
di entrare nella stanza alla sua destra.
Socchiuse
leggermente la porta e sbirciò all’interno: era una classe, un po’ più piccola
di quella dove studiava lei, con una decina di banchi. Nemmeno lì c’erano finestre.
“C’è
nessuno?”
chiese di nuovo. Anche stavolta nessuno rispose. Decise
di entrare.
Trasformatosi
in cane, Mephisto stava correndo alla stanza. Se lo sentiva nelle ossa da demone che aveva che chiunque era
entrato nell’ala nascosta non era un esorcista. Accelerò
l’andatura.
Laura
sentì un brivido correrle lungo la schiena e decise di uscire. Non c’era niente
di interessante lì.
Si
girò e fece per muovere la gamba, ma qualcosa la bloccava. Abbassò lo sguardo ma non c’era niente in terra. Provò di nuovo a
spostare la gamba, stavolta strattonandola, e sentì un dolore acuto. Un graffio
si materializzò sul suo polpaccio, profondo e grande. Sentì le lacrime salirle
agli occhi.
In
quell’istante un suono la fece voltare: un enorme
essere rotondo con grossi occhi verdi come quelli dei gatti e zampe enormi e
affilate apparve davanti a lei.
Laura
gridò spaventata, cercando di fuggire, ma la gamba le faceva troppo male e cadde
a terra. Strisciando tentò di allontanarsi dal mostro, che le fu sopra in un
attimo.
“NO!
AIUTO!”
urlò, sapendo che era inutile: non c’era nessuno in quel
posto.
Il
mostro si preparò ad attaccare e Laura chiuse gli
occhi attendendo il colpo.
“Tsè,
tsè, tsè. Come sei
maleducato, non si trattano così le giovani fanciulle”
disse una voce alle sue spalle.
La
ragazza si girò e rimase paralizzata.
“Oh,
no!”
disse sottovoce.
Il
preside era apparso sulla soglia e teneva in mano l’ombrello rosa che aveva
sempre con sé. Sospirò e mosse l’indice a destra e a
sinistra.
“Un
gentiluomo non fa così. Le donne vanno trattate con
dolcezza” affermò.
Il
mostro lo guardava fisso, aspettando una sua mossa. Laura sentiva la tensione crescere.
“Mi
dispiace, amico, ma dovrò punirti”
lo avvertì. Sorrise e alzò lo sguardo su di lui.
“Eins”
si gettò correndo verso il demone con l’ombrello sguainato a mo’ di
spada.
“Zwei”
saltò sopra di lui con un balzo e si preparò a colpire.
“Drei!”
fendette l’aria con un colpo secco.
Con
una capriola atterrò dolcemente a terra in ginocchio.
Dietro
di lui il mostro si dissolse in una nube di fumo nero, lasciando la stanza nel
silenzio.
In tutto quel tempo Laura era rimasta a guardare con la bocca
aperta.
Mephisto,
con un gesto elegante, si alzò e si aggiustò il cappello sorridendo
soddisfatto.
“Dobogoblin…
che noia”
esclamò. Poi si ricordò della presenza della ragazza e la fissò. Lei
arrossì.
“E
tu che cosa ci faresti qui tutta sola di notte?”
le chiese galantemente.
“Io…
io… ehm… sì, insomma…”
stava annaspando.
Notando
il suo disagio Mephisto si abbassò e la guardò negli
occhi. Erano verdi, ma avevano una sfumatura gialla.
“Facciamo
così: ne parliamo più tardi. Adesso devo medicarti la ferita alla gamba,
altrimenti rischi di morire. Andiamo nel mio ufficio, ti
va?”
propose.
Senza
aspettare risposta la prese in braccio e uscì dalla stanza.
Laura
sentiva il rumore del suo cuore che batteva veloce nel petto
mentre lui la stringeva. Tutte quelle emozioni la facevano
confondere.
Per
tornare a scuola passarono da una strada che Laura non
aveva fatto all’andata. Non uscirono mai all’aperto,
rimasero sempre all’interno del corridoio buio.
Nonostante
l’attacco appena subito, si sentiva protetta tra le braccia del
preside.
“Mi
dispiace allungare la strada, mi rendo conto del fastidio che posso provocarti,
ma spero che tu capisca che il preside non può andare in giro portando in
braccio una studentessa come se niente fosse. Hai qualche problema se passo da
una strada secondaria?”
le domandò.
“Oh,
no. Si figuri. Mi dispiace che mi debba portare in
braccio, se vuole provo a camminare”
si offrì lei, ma il preside scosse la
testa.
“Non
solo sarebbe inutile, ma perderemmo un sacco di tempo. Tu sta’ tranquilla e
goditi il viaggio, ci penso io a portarti in salvo”
le promise. Quelle parole la confusero ancora di più.
Come avrebbe dovuto prenderle? Erano un invito?
“Tieniti
forte”
si raccomandò l’uomo, distogliendola dai suoi pensieri. Aprì una porta e si
catapultò verso la finestra.
“Preside,
cosa…? Attento!”
gridò vedendo che non si fermava. Con un salto agile e veloce, Mephisto si gettò dalla finestra.
“Oddio!”
esclamò Laura.
Gli
istanti che precedettero il momento in cui lui poggiò i piedi a terra furono di
puro terrore per la ragazza, che si strinse alla giacca del preside e vi nascose
la faccia. Sentì un rigonfiamento sotto la camicia, ma era troppo impaurita
per pensarci.
“Stai
tremando, cara?”
le chiese gentilmente.
“Questo
è un sogno, io sono nel mio letto e non a dieci metri da terra”
si ripeteva lei. Mephisto rise.
Quando
si posarono a terra lui continuò a correre come se nulla fosse, raggiungendo in
pochi istanti il suo ufficio.
“Madamigella,
la carrozza è giunta a destinazione. Se vuole scendere,
il castello la sta aspettando”
le disse facendola mettere in piedi.
Una
volta dentro, Laura si sedette sulla poltrona e fissò
il preside cercare delle cose nell’armadietto.
“Allora,
cosa faceva una fanciulla come te nell’ala degli
esorcisti in piena notte? Non sai che è pericoloso giocare con i
demoni?”
le domandò mentre frugava tra alcune
bottiglie.
“Non
volevo curiosare, mi dispiace. Ho trovato questa oggi
pomeriggio in corridoio e volevo portarla a lei per ritrovare il padrone, solo
che ho incontrato un cagnolino e mi sono messa a
inseguirlo. Anche quando l’ho perso di vista ho continuato a correre, non lo so
come mai, ma mi sono improvvisamente ricordata di una porta che avevo visto la sera in cui la mia gonna si era bruciata,
fuori dalla True Cross, e ho pensato che potevo
provare ad aprirla con questa chiave. Sono spiacente” spiegò
mortificata.
“Mi
descriveresti il cane che hai visto?”
la pregò alzandosi. Si voltò verso di lei con un piccolo contenitore rotondo in
mano.
“Era
piccolo, tutto bianco, con un grosso fiocco rosa a pois come il suo”
rispose prontamente lei.
“Mmmh…
mi faresti vedere la chiave che hai trovato?”
disse posando il barattolo sulla scrivania. Laura
gliela porse.
“Dove
hai detto di averla presa?”
“Era
a terra, in corridoio. Volevo portarla qui, lo
giuro!”
si mise sulla difensiva. Avrebbe passato dei guai?
“La
terrò io e vedrò di riconsegnarla al proprietario, tranquilla. Stringi i denti, cara”
l’avvertì.
Si inginocchiò di fronte a lei e le alzò la gamba,
abbassandole le calze. C’era un segno profondo sul polpaccio, ricoperto di
sangue. Il respiro lieve di Mephisto sulla sua ferita
la fece rabbrividire.
“Adesso
brucerà un po’”
le disse. Prese un po’ di unguento e lo spalmò sulla
ferita. Laura strinse i denti.
“Che
cos’ha sotto la camicia, signor Pheles?”
domandò per non pensare al bruciore che stava provando.
“Sotto
la camicia?”
ripeté lui confuso.
“Sì.
Prima ho sentito una specie di rigonfiamento sul petto” spiegò
lei. Poi arrossì.
“Mi
scusi, sono stata troppo impertinente”
“No,
tranquilla. Probabilmente era solo spiegazzata la maglietta e si è piegata sotto
la giacca, provocando il rigonfiamento”
spiegò lui pacato.
“Ecco,
l’unguento dovrebbe aver fatto effetto. Adesso ti fascio la
ferita” le disse.
Era
molto gentile anche nelle azioni, le toccò la gamba con una delicatezza che fece
palpitare Laura.
Quando
ebbe finito ripose i medicamenti e si mise a sedere alla
scrivania.
“Immagino
che tu abbia qualche domanda da farmi”
suppose.
“Intanto…
insomma, cos’era quel coso che mi ha attaccata?”
chiese.
“Un
semplice dobogoblin. È un demone, uno dei più facili
da sconfiggere in realtà”
mentre
diceva quelle parole un criceto si arrampicò sulla sua testa, sedendosi sul
cappello. Laura sgranò gli
occhi.
“Che
carino! Non sapevo avesse un animaletto domestico”
“Già,
nemmeno io”
rispose l’altro sbuffando. Lo prese tra le mani e lo posò sulla scrivania,
fissandolo male.
“Come
si chiama?”
“Amaimon,
credo”
quel nome non le era nuovo. Dov’è che lo aveva già
sentito?
“Torniamo
a noi. Quel goblin ti ha graffiato la gamba e questo
ti ha permesso di vederlo. A causa della mashou, la
ferita che infliggono i demoni, gli esseri umani
possono vederli. Questo spiega perché si è materializzato solo dopo il
graffio”
spiegò.
“D-demoni?”
“Già.
Tu adesso potrai vederli ovunque vai. Ti stupiresti
nello scoprire quanti sono nel nostro mondo”
“Sta
scherzando?”
“No.
Qui ad Assiah ci sono persone in grado di vederli e
persone in grado di sconfiggerli. Questi ultimi sono
gli esorcisti”
“Mi
prende in giro?”
“Non
lo farei mai! Non è garbato prendersi gioco delle fanciulle”
sorrise Mephisto. Laura era
sbigottita.
“Ora,
dato che tu puoi vedere i demoni, direi che se volessi
potresti diventare un’esorcista, soprattutto perché da ora in poi c’è il rischio
che tu venga attaccata”
“Non
se ne parla! Io non sconfiggo mostri!”
“Demoni”
la corresse lui.
“Quello
che sono”
sbuffò Laura. Era surreale.
“Hai
altre domande?”
chiese il preside. La ragazza annuì.
“Lei
è un demone?”
domandò a bruciapelo. Non sapeva perché lo aveva chiesto, ma per qualche motivo
da quando era entrata in quella stanza il dubbio la assillava. Mephisto si mise a ridere.
“No
di certo. Sono un po’ eccentrico, ma non sono un mostro”
le rispose. Laura arrossì,
cosciente della sua stupidità.
“Mi
scusi”
disse. L’uomo la guardò comprensivo.
“Ascoltami,
io, se vuoi, posso darti tempo fino a domani per decidere se diventare
un’esorcista. I corsi sono iniziati due settimane fa, ma sono il preside e posso
fare un’eccezione. Va bene?” le
propose.
La ragazza lo fissò come se avesse due teste. Lei? Combattere demoni? No di
certo!
“Grazie
per l’offerta, ma credo di doverla respingere
subito”
rifiutò. Aveva troppa paura.
“Non
importa, la mia proposta è valida fino a domani sera.
Adesso ti riporto in camera, si è fatto buio e non vorrei ti succedesse qualcosa”
annunciò.
“Posso
andare da sola, grazie”
provò lei, ma Mephisto fu irremovibile.
La
prese di nuovo in braccio e si mise a correre nel
corridoio.
Quando
furono davanti alla porta della stanza di Laura, il
preside bussò.
“Ah,
ti sei degnata di tornare finalmente! Ti sembra l’ora di rientr…”
Rea aveva iniziato a sgridarla prima ancora di aver aperto, e si bloccò quando si trovò davanti il preside in
persona.
“Signor
Pheles, cosa ci fa qui?”
chiese sorpresa.
“Mi
dispiace per aver fatto fare tardi alla giovane Laura”
si scusò inchinandosi.
“Sono
venuto a portarla salva
a casa. Adesso, con permesso, me ne vado e torno alle mie stanze”
disse quando la ragazza fu
entrata.
“Grazie,
signor Pheles. Di tutto”
gli disse.
“Di
niente, fanciulla. Ci vediamo
domani!” la salutò
scomparendo nel corridoio.
Laura
rimase ferma qualche istante a fissare il vuoto.
“Domani?
Lo vedrai anche domani?”
le domandò Rea curiosa.
“Così
pare”
rispose lei, chiudendosi la porta alle spalle.
“Allora?”
disse Rea con le braccia incrociate guardando Laura di
traverso. “Cosa?”
domandò la ragazza, facendo la finta tonta. “Come cosa?
Cos’è successo? Dove sei stata? Perché eri col clown? Come mai sei tornata tanto
tardi? E poi… cos’hai fatto alla gamba?” la mitragliò di domande. “Respira!” “Rispondimi!”
le disse minacciosa puntandole un dito contro. Laura si trovò messa alle
strette: non le aveva mai mentito in anni che si conoscevano, non era mai stata
in grado di farlo. Cosa poteva inventarsi?
In
quel momento bussarono alla porta. “Cosa
c’è ancora?”
sbuffò Rea aprendo.
Per
la seconda volta in dieci minuti si trovò davanti il preside sorridente.
La
ragazza era incredula “Chiedo
scusa per l’ulteriore disturbo, ma mi sono dimenticato di dire una cosa a
Laura.
Se è un problema posso tornare domattina” spiegò. “No, no, nessun
disturbo.
Mi dica, signor Pheles”
lo accolse lei, sorridente. Si conquistò un’occhiataccia da parte
dell’amica. “Perdona
la mia disattenzione, ma mi sono scordato di dirti che domani l’infermiera che
ti ha fasciato la gamba vuole rivederti per cambiare le medicazioni”
le disse.
Laura
lo fissò senza capire. “L’infermiera?”
domandò confusa. “Sì,
ha detto che ti aspetta nel suo studio”
la informò. Poi fece un profondo inchino. “Buonanotte
madamigella”
si congedò.
Laura
non riusciva a capacitarsi del fatto che lui le avesse detto di andare di nuovo
nel suo ufficio. Si voltò sorridente, con uno di quei sorrisi ebeti che non ti
spieghi perché è sul tuo viso ma non sei capace di toglierlo.
Si
bloccò vedendo lo sguardo indagatore di Rea, che con le mani sui fianchi la
stava squadrando. “Io
ti odio!”
le disse. “Ehm… stai
tranquilla, ora ti spiego.
Ecco, stamani, dopo pranzo, ho trovato una chiave in corridoio e quando sono
uscita oggi pomeriggio stavo per portarla dal preside e dirgli di cercare il
proprietario. Era la cosa più logica da fare, no? Solo che mentre camminavo mi
sono ferita con un ferro ad una gamba e sono quasi svenuta. Il
signor Pheles, per fortuna, mi ha trovata e mi ha
portata in infermeria, dove mi hanno medicata e fasciata” le spiegò.
Rea si avvicinò con occhi minacciosi. “Stiamo
per arrivare alla fase due”
annunciò dopo averla guardata per qualche secondo. “Che
stai dicendo?” “Tu sei innamorata
persa!
Sei completamente andata ormai! Siamo quasi alla fase due” sospirò Rea. “Dai, non
esagerare!
Lo stimo, mi piace come preside, ma non ne sono
innamorata!” negò ridendo
istericamente.
“Non
ancora, almeno”
pensò.
L’amica
spense le luci e si coricò. “Solo… Laura, sta’ attenta.
Rischi di farti del male” si
raccomandò. La
ragazza si stese sul letto e rimase ad occhi aperti a fissare il soffitto.
Sapeva che si stava infilando in un enorme problema, eppure voleva rischiare.
Quando Mephisto le aveva chiesto se voleva diventare
esorcista tutto ciò le sembrava assurdo, però… adesso, passato lo stupore
iniziale, non le sembrava più così inconcepibile. Magari poteva provare, vedere
se le piaceva e, in caso contrario, rinunciare.
“Forse
tutto questo lo stai facendo solo per entrare nelle sue grazie”
sussurrò una vocina maligna nella sua testa. Scacciandola con forza, Laura
chiuse gli occhi
La
mattina dopo non c’era lezione e Laura si svegliò presto, dopo aver passato metà
della notte insonne. Continuare a provare a dormire era pressoché inutile,
perché aveva troppi pensieri in testa per riposare. Mosse la gamba per vedere
quanto era in grado di sforzarla senza farsi venire le lacrime agli occhi. Il
resoconto non fu così terribile, aveva ampia mobilità tutto sommato. Si alzò
e si vestì piano, attenta a non fare rumore per non svegliare Rea. Voleva andare
dal preside a sentire se la proposta di diventare esorcista fosse ancora valida…
e poi voleva rivederlo.
Mise
una mano sulla maniglia della porta e sospirò: poteva anche negarlo con Rea, ma
negarlo con sé stessa era del tutto inutile. In quel momento sentì un rumore
dietro di sé e si girò lentamente. “Dove
diavolo stai andando?”
le chiese Rea con le braccia incrociate e lo sguardo minaccioso. Batteva il
piede in terra e sembrava che volesse strozzarla. “Oh!
B-buongiorno! Come stai
stamani?” rispose lei, cercando di far finta di
niente.
La
ragazza si avvicinò di un passo. “Non ti azzardare a cambiare
discorso!
Rispondimi!” le
ordinò.
Probabilmente
aveva tirato troppo la corda, pensò Laura. “Stavo andando a farmi cambiare le
fasciature.
Ricordi? Me lo ha detto ieri sera il signor Pheles” rispose
lei.
Era una mezza verità. “Ascoltami
bene, tu: da quando siamo arrivate qui non hai fatto altro che scomparire
regolarmente per poi ricomparire, sempre in qualche modo legata a quel
tipo!
Non è giusto!” protestò
Rea.
Si sentiva ferita e abbandonata. “Ehi,
stai tranquilla, vado solo a cambiare medicazione!”
rise Laura. “Torno
subito, promesso”
giurò uscendo dalla stanza.
Si
sentiva sempre più in colpa nei confronti della sua amica, che non aveva tutti i
torti ad essere arrabbiata. Si rendeva conto del fatto che la lasciava sempre
sola, ma forse poteva rimediare. Doveva farlo.
Capitolo 11 *** Esorcista? Prima lezione! pt 2 ***
Una
volta davanti all’ufficio del preside il cuore le batté forte, come ormai faceva
sempre più spesso.
“Non
posso fare così tutte le volte, però!”
si rimproverò. Bussò. “Avanti!”
le disse Mephisto.
Quando
entrò vide un ragazzo in piedi in mezzo alla stanza, alto e slanciato con gli
occhi scuri e il fisico asciutto. Aveva uno sguardo impertinente e
arrogante. “Oh,
buongiorno Laura! Prego, accomodati! Lui è Okumura Rin, un alunno della True
Cross”
lo presentò. “Piacere”
disse lei. “Stamani
ho invitato qui anche lui perché, vedi, la chiave che tu hai trovato ieri
appartiene a lui”
spiegò. “Oh!”
esclamò lei sorpresa. Il ragazzo sorrise. “Finalmente
l’ho ritrovata!”
disse felice. “No,
Rin, no, Laura l’ha ritrovata. Tu sei solo uno sbadato”
lo rimproverò. “Uffa,
quante storie!”
si lamentò lui. “Ragazzo
mio, sei un caso perso. Comunque, adesso che hai di nuovo la tua chiave,
potresti lasciarci soli? Dobbiamo discutere di alcune cose importanti, tra le
quali una mashou”
gli disse. “Una
mashou? Sei stata attaccata da un demone?”
chiese curioso Rin. “Più
o meno”
rispose lei. “Wow!
Devi essere entrata nell’ala segreta allora, anche perché qui nella scuola i
demoni non possono entrare. Credo che sia stata colpa mia, mi spiace”
si scusò. “Rin,
potresti scusarti più tardi? Tanto probabilmente vi vedrete alla scuola di
preparazione. Adesso vattene” “Scusa,
Mephisto, non avevo capito che fosse tanto importante il vostro
incontro”
sogghignò il ragazzo. “Cosa
vorresti dire?” “Io?
Niente! Ci vediamo più tardi, Laura! E grazie ancora per la chiave”
si congedò Rin, uscendo dalla porta. “Cos’era
quell’affare che aveva sulla schiena?”
domandò la ragazza. “Oh,
niente. Una spada”
rispose il preside con indifferenza. Si alzò dalla poltrona e andò
all’armadietto per prendere le medicazioni nuove. “Vediamo
come va questa ferita. Alza la gamba, per favore”
la pregò. Lei ubbidì in silenzio. “Ecco,
adesso non muoverti, farò in un momento”
le promise.
Le
tolse le fasciature con gesti morbidi e guardò la ferita. “Sembra
che si rimargini piuttosto in fretta. In un paio di giorni, tre al massimo,
dovrebbe scomparire del tutto”
le disse.
Laura
annuì, incapace di parlare: il respiro fresco dell’uomo le stava accarezzando la
gamba e questo le faceva venire i brividi. Con mosse semplici e veloci le
fasciò di nuovo la ferita e si alzò. “Allora…
quando iniziamo?”
le chiese. Laura lo guardò senza capire. “A
fare che?” “Ma
come? Non sei venuta a dirmi che hai intenzione di diventare
un’esorcista?”
disse lui stupito. “Oh!
Ecco, in realtà ha quasi ragione”
ammise. Lui batté le mani e sorrise. “Bene!
Andiamo allora!”
esultò. “No,
aspetti. Prima avrei delle domande da farle”
lo frenò lei.
Mephisto
si sedette alla scrivania e incrociò la mani sotto il mento. “Dimmi
tutto”
la invitò.
Laura
iniziò a toccarsi nervosamente i capelli. “Sono
solo curiosità, le mie”
gli assicurò. “La
mia decisione l’ho già presa, solo vorrei sapere cosa succede se durante il
corso mi accorgo di non voler continuare, di voler smettere”
domandò. “Non
hai neppure iniziato che già vuoi finire? Non mi sembra un proposito molto
positivo”
le rispose.
Laura
arrossì. “Scusi,
è che non sono molto abituata a… beh, in realtà io credevo che questa fosse una
scuola normale, non una scuola per esorcisti”
ammise.
Mephisto
rise. “Ma
questa è una scuola normale! Non tutti gli studenti stanno studiando per
prendere il diploma da esorcista, però ce ne sono alcuni che vogliono diventarlo
e abbiamo istituito dei corsi apposta. Comunque, per rispondere alla tua
domanda, non essendo obbligatorio puoi lasciare l’addestramento quando vuoi.
Ovviamente, devo chiederti di non fare parola con nessuno di quello che avviene
all’interno dell’ala speciale. Non vorrei che qualcuno si spaventasse, spero che
tu capisca”
si assicurò.
Tanti
cari saluti all’idea di dire tutto a Rea. “Certo,
ovviamente”
annuì Laura. “C’è
altro?” “No,
credo che sia tutto… per il momento”
l’uomo si alzò e chiuse la porta dello studio a chiave, intrappolando Laura al
suo interno. “Che
sta facendo?”
chiese lei, titubante. “Ti
faccio vedere una magia”
rispose facendo l’occhiolino. “La
chiave che hai trovato tu ieri è una chiave particolare: ovunque ti trovi, se
apri con essa una qualsiasi porta che ti trovi davanti, apparirai sempre nel
corridoio dove ti sei persa. Sta’ a vedere”
spiegò. Inserì l’oggetto nella fessura e girò. Si sentì un clack.
“Et
voilà! Ecco a voi l’ala segreta”
disse con un profondo inchino.
Laura
si avvicinò tremante. L’uomo la fermò con un braccio. “No,
aspetta, devo prima fare una cosa”
annunciò. “Eins,
zwei, drei!”
declamò schioccando le dita. Al suo posto apparve un cagnolino, anzi… IL
cagnolino!
La
ragazza era impressionata. “Tu?”
chiese incredula. “Già!
Adesso possiamo andare”
disse, ma lei non si muoveva. Aveva gli occhi sgranati e la bocca
aperta. “Vuoi
rimanere lì per sempre?”
le domandò inclinando la testa.
Ricomponendosi,
Laura sospirò. “Eppure,
ormai, non dovrei più stupirmi di nulla”
si rimproverò.
Capitolo 12 *** Esorcista? Prima lezione! pt 3 ***
Il
corridoio era sempre lo stesso che aveva percorso il giorno prima: anche se
stavolta le luci erano accese le faceva comunque paura. “Io
non posso”
disse bloccandosi. Stava tremando, letteralmente.
Il
cane la guardò senza capire. “Perché?”
le chiese infatti. “Non
sono abbastanza forte. Se vengo attaccata di nuovo o se si fa vedere qualche
demone io… io non credo di riuscire a controllare il terrore che ho provato
ieri. Mi dispiace, signor Pheles, ma non posso fare
l’esorcista, ho già cambiato idea”
rispose. Sorrideva, ma aveva gli occhi tristi mentre fissava il
cagnolino. “So
che non è normale decidere una cosa e smentirla subito dopo, ma non pensavo che
sarei stata così terrorizzata”
si scusò.
Fece
per voltarsi, ma una mano la fermò. Senza dire una parola, Mephisto la trascinò verso la classe, ignorando i suoi
tentativi di ribattere. “Mi
lasci! Mi lasci subito!”
protestava.
Aprendo
la porta con la mano libera, l’uomo la gettò in mezzo alla stanza, tra lo
stupore di tutti. Laura cadde a causa della forza della spinta e si ritrovò ad
essere fissata da dieci paia d’occhi.
Imbarazzata,
si alzò velocemente e si nascose dietro a Mephisto. “Signor
Pheles, che piacere!”
lo accolse l’insegnate. Era un tipo giovane, carino e solare. “Mi
scusi per la brusca interruzione, professor Okumura,
ma devo presentarvi una nuova studentessa. Ragazzi, accogliete tutti Arikushi Laura, la vostra nuova compagna di
classe”
la presentò. Spostandosi diede modo agli altri di vederla. Il professore le
sorrise, vedendo il suo imbarazzo. “Benvenuta
tra di noi, Arikushi. Mettiti pure a sedere dietro a
Rin, c’è un posto. Io sono il
professor Okumura e insegno come curare le ferite dei
demoni” la accolse
l’insegnante.
Laura
pronunciò un flebile “Buongiorno
a tutti”
e corse a nascondersi dietro al ragazzo. Notò con tristezza che il preside era
scomparso. “Ciao!
Felice di rivederti!”
la salutò Rin sorridente. “Ciao”
rispose lei. Si sentiva morire. Quella fu la lezione più assurda a cui aveva
mai assistito in vita sua: non sentì parlare d’altro che di demoni, veleni,
unguenti, erbe strane e ferite infette per più di due ore. Alla fine la sua
testa stava per scoppiare. Quando suonò la campanella ringraziò che quella
tortura fosse terminata. Si alzò e fece per uscire, ma il professore la
fermò. “Arikushi,
aspetta. Ascolta, dato che sei rimasta indietro col programma, prendi questi
quaderni: potrebbero esserti utili nello studio”
le disse porgendole quattro libri. Al solo vederli Laura si sentì male: ma
perché si era fatta coinvolgere? “Grazie,
professor Okumura, li terrò con cura”
assicurò uscendo.
Una
volta fuori, sospirò rassegnata. “Potevo
portare direttamente la chiave in presidenza, ieri, e invece ho voluto fare la
ficcanaso! Ma guarda tu in che guaio sono andata a infilarmi”
si disse ad alta voce. “Parli
da sola?”
le chiese una voce. Si girò ma non vide nessuno. “Ho
anche le visioni, adesso!”
si rimproverò. “Guarda
che sono quaggiù!”
la informò. Abbassando lo sguardo, la ragazza vide il cane. “Signor
Pheles?!”
chiese stupita. “Shh!
Sono in incognito quando assumo la forma animale, vuoi farmi perdere la
copertura?”
la rimproverò. “Ops,
scusi. Che cosa sta facendo qui?”
domandò iniziando a camminare. L’animale le trotterellava a
fianco. “Volevo
essere sicuro che tu non ti facessi male o, peggio, ci ripensassi. Credo che tu
possa avere molte possibilità, ma non puoi rinunciare subito”
le spiegò. Laura sorrise. “Grazie
mille! È molto gentile da parte sua”
lo ringraziò. Lui tossì imbarazzato. “Laura!”
si sentì chiamare. Vide Rin che correva verso di lei
salutandola. “Ciao!
Volevo scusarmi per quello che ti è successo ieri, mi sento in colpa se ti sei
fatta male, in fondo se non avessi perso la chiave non saresti entrata
qua”
le disse. “Oh,
no non devi scusarti, è colpa mia. Se non fossi così curiosa non mi sarei fatta
quasi uccidere da un mostro” “Demone”
la corresse il cane. Il ragazzo si accorse solo in quel momento della sua
presenza. “Mephisto?
Cosa ci fai tu qui?”
gli chiese curioso. “Ho
voluto accompagnare Laura al primo giorno di lezione, proprio come ho fatto con
te”
gli spiegò senza guardarlo. Rin ci pensò su un
attimo. “Io
ero un caso a parte, c’era un motivo dietro alla tua presenza, ma dato che Shiemi è venuta da sola a lezione la prima volta devo
dedurre che c’è un motivo più… personale, dietro al tuo
interessamento”
insinuò. “Cosa
stai dicendo, ragazzino?”
si arrabbiò lui, voltandosi minaccioso. “Niente!
Solo mi chiedevo quanto questa ragazza ti stesse a cuore, se
ti sei disturbato per accompagnarla” rispose Rin.
Laura
aveva ascoltato questo scambio di battute in silenzio, col battito
accelerato. “Comunque
non ero venuto qui per litigare con Mephisto”
disse il ragazzo ricordandosi all’improvviso il motivo del suo
interesse. “Volevo
chiederti se avevi bisogno di qualcosa. Mi sento comunque in
colpa per la tua ferita” le
propose.
Avevano
continuato a camminare fino ad arrivare alla porta della camera di
Laura.
“Sì,
potresti spiegare tu a Rea che sono stata a lezione di esorcismo? Sai com’è,
magari non mi crede. Anzi no, meglio: chiedile di non arrabbiarsi per il mio
ritardo”
pensò, tremante al pensiero di come l’amica avrebbe reagito quando fosse entrata
in camera. Non ebbe molto tempo per chiedersi ciò che avrebbe dovuto aspettarsi:
in quel momento Rea aprì la porta.
Il
suo sguardo era più eloquente di mille parole: rabbia,
delusione, dolore, tristezza… erano tutte concentrate nei suoi
occhi. “R-rea…”
balbettò Laura. “Me
lo avevi promesso! Avevi giurato che almeno oggi non mi avresti lasciata da
sola, e invece sei scomparsa per tutta la mattinata! Sei una bugiarda e una
traditrice”
la attaccò. “No,
fammi spiegare. Io ho dovuto fare delle cose, che…”
e adesso cosa poteva inventarsi? Rea sbuffò. “Risparmiami
le tue idiozie, non voglio farmi prendere ancora in giro. Visto che tu sei stata
in giro a fare delle cose adesso me ne vado io. Divertiti con
i tuoi amici” le disse
sorpassandola.
Laura
le vide le lacrime agli occhi, ma non sapeva cosa fare: non poteva spiegarle
della classe di esorcismo, non poteva dirle del cane-Mephisto che era lì con lei ma non poteva nemmeno
continuare a inventare bugie. “Forse
è meglio se me ne vado”
le disse Rin. “Scusa
per aver assistito a questa scena. So che sei mosso solo da buone intenzioni, ma
sì, è meglio se te ne vai. Ho bisogno di rimanere da sola” rispose lei.
Si
sentiva svuotata. Entrò in camera e si gettò sul letto. “Scusa
l’intrusione, ma mi sembrava poco appropriato rimanere fuori sulla soglia della
camera”
le disse l’animale, recuperando il proprio aspetto umano.
Laura
sobbalzò: si era del tutto scordata della sua presenza! “Signor
Pheles! Oddio, mi dispiace, non mi ero accorta che
fosse ancora qui!”
si scusò. L’uomo si sedette sul letto accanto a lei. “Non
preoccuparti, posso comprenderti. Ti va di sfogarti?” le propose.
Non
si era mai sentito in dovere di consolare qualcuno, ma lei gli faceva scattare
qualcosa dentro, una specie di meccanismo a domino che provocava più di una
reazione. Voleva aiutarla, sinceramente per una volta nella sua
vita. “Non
credo che servirebbe, io… io sono una pessima amica e lei… lei adesso mi
odia”
singhiozzò Laura. Era la prima volta che piangeva davanti a qualcuno di diverso
da Rea. Vederla sciogliersi in lacrime lo fece sentire impotente. Si mosse
senza pensare e l’abbracciò. Nonostante lo stupore iniziale, la ragazza si
strinse a lui e continuò a piangere senza sosta per un po’. Quando finalmente si
fu calmata, tirò su con il naso e si staccò. “Mi
scusi, signor Pheles, io non sono solita a lasciarmi
andare alle emozioni. Giuro che non ricapiterà più” disse.
Porgendole
un fazzoletto che aveva tirato fuori dalla manica della giacca lui
sorrise. “Non
preoccuparti, va tutto bene. Sono sicuro che sistemerete. E, a proposito:
chiamami Mephisto”
le disse. “Grazie
Mephisto”
I
giorni passarono veloci per Laura, tra le lezioni da esorcista e i corsi
scolastici “normali”. Il termine “normale” ormai aveva perso significato per la
ragazza, che si era abituata, nelle ultime settimane, a non considerare assurdo
il mondo degli esorcisti. Erano per lei frequenti i discorsi su “Come affrontare
un demone” oppure “I dieci tipi di veleni più pericolosi” o ancora “Per la tua
salvezza impara la Bibbia”.
Non
faceva più nemmeno caso alla stranezza di questa situazione. L’unica cosa a
cui non riusciva ad abituarsi era l’idea che Rea non le parlasse più.
Le
diceva solo il minimo indispensabile per una convivenza civile, ma non arrivava
mai a più di tre parole in una frase. La vedeva poco a causa degli impegni doppi
e, quelle poche volte in cui era in camera (occupata a studiare) l’amica se ne
andava.
Dove,
non le era dato saperlo.
Ormai
era rimasta sola, l’unico con cui aveva legato un po’ di più era Rin, che, però, al di fuori della Scuola di Preparazione era
sempre introvabile. Un pomeriggio, dopo i corsi, si stava dirigendo a testa
bassa verso la sua camera, quando andò a sbattere contro
qualcuno. “Mi
scusi, io non l’avevo vist… oh, signor Pheles!”
esclamò sorpresa. Le tornò subito il sorriso. “No, non ci siamo Laura.
Ti ho detto di chiamarmi Mephisto” la sgridò
bonariamente. “Scusa,
Mephisto”
si corresse lei.
Vederlo
l’aveva messa di buonumore, anche perché lui l’affiancò e si mise a camminare
con lei. Non era mai successo, se escludiamo le volte in cui era in forma
canina. “Ecco, adesso va già
meglio.
Quindi ricominciamo: buonasera Laura! Com’è andata la lezione
oggi?” le chiese.
Lei
rise, divertita dalle maniere retrò di quell’uomo. “Bene, inizio adesso ad ambientarmi un
po’.
Sono riuscita a recuperare le lezioni perse e a mettermi in
pari con i miei compagni” rispose
lei.
Lui
fece l’occhiolino. “Perfetto,
allora.
Posso chiederti come va con la tua amica?” s’informò.
Laura si rabbuiò. “Non molto
bene, temo.
Non mi rivolge la parola da due settimane, non fa altro che evitarmi e, per
aggiungere la beffa al danno, sembra che non sia arrabbiata. Insomma, di solito
lei esplode, urla, ti offende anche, ma non si era mai chiusa in un silenzio
così ostentato. Mi fa male questa situazione” ammise lei. “Su, su!
Alla tua età non puoi permetterti di essere triste. Infatti sono venuto qui per darti una bellissima notizia:
domani ci sarà la prova da tamer! Ta-daan!” le annunciò felice. “Tamer?”
chiese lei, senza capire. Mephisto rimase senza
parole. “Non sai cosa
sia?
Nessuno ti ha parlato dei cinque diversi campi in cui un
esorcista può specializzarsi?” le domandò
allibito.
Per quanto ne sapeva era la prima cosa che un ragazzo imparava. “No,
non che io mi ricordi”
rispose lei.
L’uomo
sospirò. “Allora
aspetta, forse è meglio che ti faccia una lezione avanzata, prima però fammi
trasformare: non voglio che qualcuno mi veda andare a spasso con una
studentessa”
le disse.
Laura
si fermò e attese che il preside diventasse il piccolo cane bianco col
fiocco. “Che
cosa stavo dicendo?”
“Mi
stavi parlando dei cinque campi di specializzazione di un esorcista” “Ah, sì.
Per diventare exwire si deve
scegliere una delle cinque diverse categorie di esorcismo: c’è il dragon, che
utilizza armi da fuoco speciali; l’aria, che pronuncia versi della bibbia
appositi per uccidere i demoni; il doctor, colui che
cura le ferite con gli unguenti e le erbe; knight, che
sa utilizzare spade e affini; e infine il tamer, colui
che, grazie ad un particolare sigillo e al suo sangue, può evocare un demone ed
usarlo in battaglia” le
spiegò. “Però per diventare tamer non si può studiare sui libri, è una dote innata che
appartiene solo a poche persone e gli insegnanti sottopongono gli studenti ad
una prova per vedere se siete adatti.
Capito?”
terminò.
Laura
annuì. “Chi
è che mi esaminerà?” “La
professoressa Kirigakure”
la ragazza tirò un sospiro di sollievo. “Almeno
lei mi piace”
disse. Mephisto la guardò. “In
che senso?” “Non
sono molto emozionata all’idea che potrei avere un demone che mi gira sempre
attorno”
rispose. “Sei
l’unica persona che conosco che non vuole diventare tamer” “Forse
perché non mi piacciono i demoni”
suggerì lei.
Il
cane si zittì, impegnato a fissare un punto di fronte a lui.
Laura
attese qualche minuto che rompesse quel silenzio, poi parlò. “Tu
sarai a vedere la prova con la professoressa?”
gli domandò.
Preso
alla sprovvista, l’animale sobbalzò. Era la prima volta in tutta la sua vita che
si ritrovava senza nulla da dire e non avrebbe saputo spiegarne il motivo. Si
stupì di sé stesso. “Come?”
esclamò senza sapere cos’altro poter dire. Laura rise. “Niente, non è importante, lo vedrò
domani da sola.
Adesso sono arrivata, è meglio se torno in camera. Grazie per
avermi accompagnato anche oggi” gli
rispose.
Una
volta che si fu chiusa la porta alle spalle il cane rimase a
fissarla. “Grazie
a te”
disse sottovoce.
Mephisto
era un uomo molto particolare: la sua stranezza si notava non solo nel modo di
vestire ma anche nei discorsi che faceva e nei suoi comportamenti. Spesso era
incomprensibile il suo modo di agire, almeno per i più, ma ogni volta c’era un
motivo ben preciso per ciò che decide di fare. Nonostante ciò, stavolta
nemmeno lui riusciva a capire il perché di alcune azioni che si era trovato a
fare negli ultimi tempi: non gli era mai successo di accompagnare in camera una
studentessa, nemmeno con Rin quando era arrivato alla
True Cross, e adesso, invece, aspettava Laura quasi
tutti i giorni. Inoltre, mentre camminava verso il suo ufficio, si ritrovò a
pensare con fastidio alle parole della ragazza.
“Forse
perché non mi piacciono i demoni”
aveva detto.
Quindi
non le piaceva nemmeno lui? Oppure lei parlava solo di quelli cattivi? Non
trovava una risposta al fatto che gli desse noia che lei odiasse i mostri, e
questo lo faceva arrabbiare. “Mephisto!
Ehi, aspettami!” gridò Rin dal corridoio.
Arrivò veloce al fianco del cane e sorrise. “Non è molto usuale vedere il preside che si aggira per la
scuola.
Che stai facendo?” gli chiese
riprendendo fiato.
L’animale riprese a camminare. “Sto
tornando nel mio ufficio, come puoi vedere”
rispose altezzoso. “Provo
ad indovinare: eri con Laura?”
insinuò il ragazzo. “Anche
se fosse, perché tanto interesse?” “Credo che sia solo pura
curiosità.
È strano vedere come uno come te si stia lentamente
innamorando di una comune mortale” “Che cosa hai
detto?
Io non mi sto innamorando! Rimangiatelo subito,
ragazzino!”
si arrabbiò il cane.
Rin
rise, divertito dal comportamento dell’uomo. “Calmati,
calmati, stavo solo scherzando”
lo tranquillizzò. “Spero per la
tua incolumità che sia vero.
Piuttosto, mi stavi cercando per un motivo particolare?” si ricordò.
Il ragazzo sembrò imbarazzato. “No, cioè, sì… è una storia lunga in realtà, non voglio
rubarti tempo prezioso.
Scusa per il disturbo, ciao Mephisto!”rispose correndo
via. “Ehi,
fermati!”
gli gridò dietro l’uomo, ma invano: il ragazzo non poteva già più sentirlo.
Sospirò e riprese le sue fattezze umane. Quando fu nel suo studio, da solo,
si mise a pensare alla scrivania.
“E’
strano vedere come uno come te si stia lentamente
innamorando di una comune mortale”
gli aveva detto Rin.
Si
stava sbagliando, in fondo era solo un moccioso. Però Laura gli faceva davvero
un effetto strano, qualcosa che non sapeva spiegare a parole: era come se
vederla lo facesse stare bene e quando lei stava male si sentiva in dovere di
farla sorridere. Scacciò quei pensieri con forza e convocò la professoressa per
la prova dell’indomani.
“Cos’è
che dovrei fare, io?”
chiese Laura, scandalizzata.
Si
trovava nella classe di esorcismo per fare il test da tamer, ma non era intenzionata a sostenerlo. “Te lo ripeto per l’ennesima volta: ti
devi bucare l’indice con questo ago e versare una goccia di sangue sul foglietto
che hai in mano.
Sei un po’ dura per diventare esorcista, ragazzina” le spiegò scocciata Shura.
Lei
scosse con forza la testa. “Non
se ne parla: io ho paura degli aghi e delle punture!”
si rifiutò.
La
donna sospirò, ormai al limite della sopportazione. “Mi
vuoi spiegare perché vuoi fare parte di questa classe se non sopporti nemmeno
una stupida puntura su un dito?”
le domandò.
Mephisto,
che aveva insistito per prendere parte al test, stava assistendo in silenzio.
Kirigakure si voltò verso di lui. “Non
credo che sia necessario sostenere la prova: una deboluccia come lei non può
essere tamer, andrebbe contro ogni logica!”
gli disse. “Non
posso farci niente se gli aghi mi spaventano!”
si arrabbiò Laura.
Mephisto
mise una mano sulla spalla della donna. “Fai
provare me, Shura”
le propose.
Prese
l’ago che la professoressa teneva tra le dita e si diresse verso
Laura. “Volta
la testa e non guardare”
le ordinò.
La
ragazza iniziò a tremare. “Che
vuoi fare?”
chiese incerta. “Fa’ come ti ho detto.
Fidati: andrà bene” le
assicurò.
Titubante,
lei chiuse gli occhi e girò il capo.
Mephisto
le prese la mano e la aprì, con i palmi in alto, poi infilò l’ago nell’indice
tremolante. Laura ritrasse la mano per la puntura, ma una goccia di sangue cadde
sul foglio che il preside aveva prontamente messo sotto di
essa. “Mi
hai fatto male!”
si stava lamentando lei quando il pezzo di carta si mise a brillare: dal centro
ne uscì un piccolo essere buffo, con gli occhi vivaci e dolci. Aveva la testa
tonda con un copricapo giallo a forma di M stondata
con dei cerchi alle estremità di esso; al collo teneva legata una sciarpa
celeste con due fiocchi; al centro del corpo c’era un altro cerchio, anch’esso
giallo, della stessa forma di quello in fondo alla coda. Per il resto, l’esserino era bianco. “Kutoku!”
esclamò vedendo Laura. Lei lo prese in mano: era alto non più di venticinque
centimetri. Dimenticandosi subito del dolore al polpastrello, la ragazza si mise
a ridere. “Sono
una tamer!”
esclamò sorpresa. “Non
è possibile!”
disse la professoressa. “Non
giudicare mai dalle apparenza, Shura, o ti ritroverai molto male nella vita”
l’avvertì Mephisto.
Sapere
che Laura era una tamer lo aveva fatto sentire
leggero.
La
verità, che nemmeno lui riusciva ad accettare, era che aveva voluto assistere al
test solo per paura: se lei non avesse posseduto un famiglio come avrebbe potuto
farle cambiare idea sui demoni? La guardò giocare con il
piccolo essere appena nato e sorrise. “Kutoku!”
disse di nuovo quello. “Ti
chiamerò… Kuto!”
decise la ragazza.
Mephisto
si abbassò il cappello e uscì dalla classe.
Dato
che aveva paura degli aghi, Laura decise che non avrebbe ripetuto l’esperienza
della puntura, così non strappò il foglietto che aveva usato per evocare Kuto.
Lo mise in tasca per evitare di perderlo.
“Adesso ti porto in camera, così ti puoi riposare”
gli disse sorridendo.
Il
demone la guardò incuriosito.
Incurante
degli sguardi allibiti di chi la vedeva passare parlando da sola, Laura continuò
a discutere con il suo nuovo amico. Non le era passato nemmeno vagamente per la
testa che gli altri non potessero vederlo dato che non avevano la mashou.
Kuto
era molto carino e dolce, e la ragazza si mise a ridere quando si accorse che
esclamava “Kutoku!” ogni volta che gli diceva
qualcosa.
Quando
arrivarono davanti alla porta di camera, Laura vide Rin occupato a
bussare.
“Ciao! Che ci fai tu qui?” gli chiese agitando una
mano in segno di saluto. Quando il ragazzo si accorse di lei
impallidì.
“Oh! Laura, come… come stai? È un po’ che non ci si
vede” la salutò.
La
ragazza lo guardò con il capo inclinato.
“Rin, stai bene? Eravamo a lezione insieme anche
ieri!” gli fece presente. Lui abbassò gli occhi.
“Che succede? Avevi bisogno di me per qualcosa?”
gli domandò.
“No, io in realtà… io, ecco…” stava annaspando,
letteralmente. Laura notò il quaderno che teneva in mano.
“Quello è di Rea” sussurrò. Il ragazzo sospirò e
annuì.
“Perché hai un suo libro? Che significa? Voi vi
conoscete?”
“Sì, più o meno. Mi ha prestato il quaderno stamani in classe
ed ero venuto a riportarglielo. Di solito è in camera a quest’ora”
spiegò, per poi mordersi la lingua un attimo dopo.
“Di solito? Cosa significa di solito? Quante volte sei
stato nella mia stanza?” gli chiese allibita. Possibile che Rea non le
avesse detto che aveva un ragazzo?
“Non saprei. Setto o otto, credo” rispose lui
pensandoci un attimo.
“No, voglio capire una cosa. Voi state insieme?”
Rin avvampò e la guardò negli occhi.
“No! Siamo amici ma non c’è niente di più!” le
assicurò.
“Siete amici? Amici quanto? Tanto da dirle
dell’esorcismo?” gli domandò incrociando le braccia al
petto.
“Ecco, in realtà…”
“In realtà non sono fatti tuoi se io mi facci degli
amici” disse una voce alle sue spalle. Vide Rea arrivare dal corridoio,
con lo sguardo fisso su di lei. I suoi occhi erano
glaciali.
“Certo che sono affari miei! Io e te siamo amiche, non
dovresti nascondermi niente!” si lamentò Laura. L’altra rise
tristemente.
“Sarei io quella che nasconde le cose? Ne sei sicura? Pensaci
un attimo e dimmi quante storie hai inventato perché non ti fidavi di me”
rispose.
“Io… io…” Laura si trovò messa con le spalle al
muro.
Che
cosa sapeva Rea che lei non le aveva detto? E soprattutto, dove aveva scoperto
le sue bugie?
“Grazie per avermi riportato il quaderno, Rin, spero che ti
sia stato utile” disse rivolta al ragazzo. Lui guardò il piccolo libro e
glielo porse.
“Sì, grazie a te. Ci vediamo domani, mio fratello mi
aspetta” la salutò andandosene. Come se niente fosse, Rea entrò in
camera.
Ancora
basita, Laura la seguì con Kuto tra le mani.
“Da quanto tempo è che frequenti Rin?” la assalì
una volta chiusa la porta.
“Da quanto voglio. Non sono affari tuoi” rispose
l’altra sedendosi alla scrivania. Appoggiando il demone sul letto, Laura si
voltò e fronteggiò l’amica.
“Adesso basta! Ormai è passato quasi un mese da quando
abbiamo litigato, non ne posso più di questa situazione! Sono stanca dei tuoi
silenzi e dei tuoi segreti, sono sola perché tu ti rifiuti di parlarmi! Voglio
risolvere!” la implorò.
“Proprio tu me lo dici? Ho passato i primi dieci giorni in
questa scuola senza di te perché eri impegnata a scomparire ogni dieci minuti e
a riapparire con quella sottospecie di pagliaccio e ogni volta inventavi una
cavolo di scusa pur di non dirmi la verità. Hai idea di come mi sentissi? Di
quanto tu possa avermi ferita?” rispose Rea di rimando. Capendo
all’improvviso la sofferenza dell’amica, Laura abbassò lo
sguardo.
“Scusa, mi dispiace veramente, ma mi era stato detto di
stare zitta e non potevo dirti niente”
“Se avessi voluto avresti potuto, lo sai benissimo. Adesso
sono stanca, voglio dormire, scusami” le disse iniziando a mettersi in
pigiama.
“Dì al tuo amico lì sul letto di girarsi, devo
spogliarmi” le ordinò.
“Per passare da page a exwire dovrai sostenere un esame a
breve.
Non è solito che un allievo lo faccia da solo, anche perché va
contro ogni regola che un esorcista combatta contro un demone in solitaria, ma
abbiamo deciso di fare un’eccezione” le stava
spiegando Mephisto-cane mentre, come solito, la accompagnava in
stanza.
“Ok, dimmi solo quando ci sarà” rispose lei
apatica. Non riusciva a togliersi di dosso la sgradevole sensazione che qualcosa
le stesse sfuggendo dalle mani. Era da quando aveva
parlato con Rea che sentiva che c’era un particolare che le mancava, ma non
capiva quale.
“Ci sono dei problemi?
Ti vedo spenta oggi” s’informò
lui.
“Sempre i soliti: sono stanca per lo studio, i demoni mi
spaventano, ho litigato violentemente con Rea ieri pomeriggio” iniziò a
elencare.
“Sono sicuro che il tuo stato d’animo non sia causato dalla
scuola, ma è solo una mia supposizione” insinuò Mephisto
sorridendo.
“Non ha importanza.
Adesso me ne devo andare, preferirei che non mi accompagnassi fino in camera,
posso andare da sola. Grazie comunque” gli disse lei,
andandosene.
Quando
fu tornato nello studio e ebbe ripreso le sue sembianze, la professoressa
Kirigakure bussò alla sua porta.
“Mephisto, noi siamo pronti.
Possiamo procedere?” gli
chiese.
Preoccupato
per lo stato d’animo in cui si trovava Laura, l’uomo esitò. E se non fosse stata
pronta? Se ci fosse stato qualche problema? Era in grado di sostenere un esame
di quel livello per di più da sola?
“Mephisto?” lo chiamò Shura. Contro il suo
buonsenso, l’uomo annuì.
“Hai sentito qualcosa, Kuto?” domandò Laura al
demone. Lui la fissò confuso. Non stava guardando dove andava e solo adesso si
rese conto di essere in un corridoio che non aveva mai percorso
prima.
“Mi sa che abbiamo sbagliato strada,
sai?
Forse è meglio tornare indietro” disse.
Quando si voltò un rumore la fece sobbalzare e un enorme essere mostruoso le si
parò davanti: era alto più di due metri, con braccia lunghe e spigolose. Aveva
le sembianze di una specie di scimmia, tutto ricurvo con le braccia lunghe che
toccavano terra. Dalla testa si vedevano esalazioni di miasma, da cui era bene
stare alla larga. Era tutto nero, con la pancia grigia. Gli occhi erano rossi e
malvagi.
“Aah!” gridò indietreggiando. Era un demone? Quello
sferzò l’aria con un colpo, evitando la ragazza per un
pelo.
“Questo mi ammazza!
Aiuto!” iniziò a urlare, ma
non c’era nessuno nei dintorni. Si
costrinse a riflettere.
“Vediamo, cosa si deve fare in questi
casi?
Cosa mi ha detto il professor Okumura?” si disse.
Mentre schivava i colpi che il mostro tirava alla cieca le venne in mente che
Kuto era il suo famiglio e, di conseguenza, avrebbe dovuto
proteggerla.
“Tu!
Tu puoi combattere, ma certo! Sono una tamer, giusto? Vediamo…. Tu sai cosa dovrei fare a questo punto?” gli domandò.
Kuto
ricambiò lo sguardo, fissandola come a dire “A me lo
chiedi?
Il capo sei tu!”
“Sì, immaginavo che avresti risposto così”
Mephisto
stava osservando la scena dall’alto, nascosto in una specie di botola sul
soffitto, ma non era per niente tranquillo. Più di una volta si era costretto a
star fermo, a sopprimere l’impulso di andare giù e portarla in salvo. Respirò
profondamente.
“Aspetta, ho ancora il foglio magico in
tasca.
Magari può essermi d’aiuto!”
si ricordò Laura.
Nell’esatto istante in cui lo tirò fuori dalla gonna il demone la colpì con
forza, strappando il piccolo pezzo di carta. Kuto scomparve, lasciandola in
balìa di quell’essere.
“Stai fermo, stai fermo, stai fermo…” si ripeteva
Mephisto. Non doveva interrompere l’esame, era contro le regole. Quando vide
Laura cadere e Kuto scomparire, però, il suo autocontrollo venne meno. “Adesso basta” disse.
Laura
era a terra, inerme. La paura la bloccò: cosa doveva fare? Era senza difese,
senza armi e senza idee. A causa del colpo che aveva ricevuto si era rotta un
braccio, solo spostarlo le faceva venire le lacrime agli occhi. Mentre tentava
di muoversi per evitare che il demone la colpisse, questo la prese tra le
mani.
“No!
No, lasciami!” si dimenava la
ragazza, tirando pugni al mostro, che non sembrava nemmeno notare che lei
provava a liberarsi. Del
miasma le cadde addosso e le fecero girare la testa. Le esalazioni di
quell’affare erano velenose, se non si allontanava subito rischiava di morire.
“Cosa stai facendo?” gli chiese Shura.
Mephisto
si era messo in piedi e stava per lanciarsi verso Laura, che stava gridando in
cerca di aiuto.
“La vado a salvare!
Non vedi che la uccide?”
spiegò lui. La
donna tentò di fermarlo, ma invano: il preside era già balzato nel
corridoio.
Il
demone la stava letteralmente stritolando, non riusciva più nemmeno a respirare.
Lo
sguardo le si fece appannato, stava iniziando a perdere i
sensi.
“A-aiuto” disse con le
ultime forze. Vide una macchia bianca apparire nel suo campo visivo e sentì la
presa del demone sul corpo diminuire fino a scomparire. Cadde a terra, a faccia
in giù, con il respiro affannato e le ossa doloranti. Quando riuscì a definire
per bene i contorni intorno a lei distinse Mephisto in
piedi che stava combattendo contro il demone. Un secondo dopo, il mostro
scomparve.
“Stai bene?” le chiese senza quasi
voltarsi.
“Credo… credo di sì, anche se devo essermi rotta
qualcosa” rispose lei, tremante.
Non le
sembrava vero che tutto quello fosse finito, che quel demone fosse stato
sconfitto.
“Cos’era?” domandò.
Sospirando,
Mephisto la guardò: era a pezzi, con l’uniforme a
brandelli e graffi in tutto il corpo. Gli si strinse il
cuore.
“Era il tuo esame da exwire” le disse. Laura trattenne il
respiro.
Quando
vide che i professori che avevano assistito all’esame stavano andando da lei per
curarla, il preside se ne andò: non riusciva a guardarla in quelle condizioni
per un attimo di più.
“Che cosa stai architettando,Mephisto?” lo aggredì Shura il mattino dopo.
Era
piombata nel suo studio con una violenza inaudita, senza nemmeno dire
“Buongiorno”.
“Che cosa intendi dire?” le chiese senza degnarla di
uno sguardo.
“Quella ragazza, Mephisto… che
cosa vuoi da lei? Perché le sei sempre attorno? E soprattutto, perché hai
interferito con l’esame? Doveva farcela da sola!”
“Io non voglio niente da nessuno, mi incuriosisce e
basta.
Non capita tutti i giorni che da un momento all’altro chi non sa niente
dell’esistenza di esorcisti e demoni decida di entrare nel mondo dei mostri.
Infine, se non fossi intervenuto sarebbe morta: le emissioni di miasma la
stavano avvelenando e, come se non bastasse, il suo corpo era stato scambiato
per una specie di peluche di gomma. Se non avessi agito
subito, sarebbe stato troppo tardi” rispose
lui.
Shura batté
le mani sulla scrivania.
“Io non mi fido di te, e questo lo sai benissimo, ma non
fa differenza: Laura è una ragazza normale, non ha particolari poteri o forza
sovrannaturale e mi è ancora oscuro come una come lei
sia tamer, ma non lascerò che tu la danneggi in
qualche modo” lo avvertì.
Mephisto si
mise con le mani incrociate sotto al mento e la fissò
incuriosito.
“Mi stai per caso sfidando,Shura?” le chiese divertito.
“Finché puoi ridi, ma ricordati che io farò in modo che
non le accada niente, ricordatelo bene” lo minacciò.
Quando
se ne andò, l’uomo sospirò e fissò fuori dalla finestra: forse Kirigakure non aveva tutti i torti. Lui era un demone, della
peggior specie per giunta, e stava mettendo in pericolo Laura. L’unico modo che
aveva per riuscire a salvarla era farle terminare il corso da esorcista. Col
cuore pesante, Mephisto andò dalla
ragazza.
Laura
stava studiando. Aveva un braccio ingessato, cerotti e bende in tre quarti del
corpo e si era dovuta tagliare un dito per convocare nuovamente Kuto, che la stava fissando triste.
“Non è colpa tua se sono in queste condizioni, smetti di
guardarmi con gli occhi pieni di lacrime, non riesco a studiare!” lo
sgridò. Il demone si voltò e iniziò a piangere.
“Scusa, scusa, non volevo.
Però anche tu capiscimi: ho un sacco di roba da fare per domani e non sono
nemmeno a metà. Facciamo pace?” gli chiese porgendo la
mano.
Kuto ci
salì sopra, tirando su col naso.
“Adesso fammi un bel sorriso!” gli ordinò.
Lui
sorrise felice e lei si illuminò.
“Bravo, adesso mi piaci!” gli disse. In quel
momento bussarono alla porta.
“Avanti, è aperto!” disse senza voltarsi. Nessuno
rispose.
“Sarà stato uno scherzo” suppose. Una seconda volta
si sentì qualcuno bussare.
“Ho detto che è aperto!
Ma che giochi idioti fate?” chiese spazientita andando ad aprire. Quando si affacciò sul
pianerottolo vide il cane che aspettava pazientemente. Entrò senza dir nulla e
attese che lei richiudesse.
“Mephisto?
Che cosa ci fai tu qui?”
domandò sorpresa.
Dopo
l’esame del giorno precedente non si sarebbe mai aspettata di vederselo
comparire sulla soglia di camera. Recuperando il suo aspetto, l’uomo fece un
grosso inchino.
“Sono venuto a portare notizie dell’esame” le
annunciò.
“Non dovevi disturbarti, so già come andrà a finire: dovrò
ripeterlo, vero?” rispose sconsolata. L’uomo non rispose
subito.
“La verità è che non dovrai affrontare nuovamente
l’esame” disse dopo qualche secondo. La ragazza lo guardò
stupita.
“Ah no? Significa che sono
passata?”
“No, in realtà significa che ho deciso che non seguirai più
i corsi da esorcista.
Da questo momento torni ad essere una semplice allieva della
True Cross”
spiegò.
Faceva
male dirle quelle cose. Laura rimase un attimo
intontita, senza sapere cosa rispondere.
“Stai scherzando, vero?” chiese poi, sicura di aver
capito male.
Mephisto scosse
il capo.
“Perché non sono passata all’esame mi espellete dalla
Scuola di Preparazione?
Non è giusto, può capitare di sbagliare!” si ribellò. Non
potevano buttarla fuori così, non dopo tutto il suo
lavoro.
“No, non è per quello.
Io sono sicuro che avresti passato il test senza
problemi, con le giuste condizioni emotive, però non posso permetterti di
rischiare la vita! Ti sei fatta trasportare dalle emozioni e dai sentimenti che
provavi e ti sei fatta prendere dal panico. Non posso vederti
ancora in rischio di morte!” spiegò lui,
abbassando lo sguardo. Non
riusciva nemmeno a reggere la vista di lei fasciata, figuriamoci saperla di
nuovo in pericolo.
“Tu non puoi farmi questo, non dopo tutto ciò che ho fatto per seguire i corsi!” lo
attaccò. Mephisto la guardò,
incredulo.
“Sei stata utilizzata come pignatta umana da un
demone!
E nemmeno da uno dei più pericolosi! Non ti permetto di
frequentare i corsi da esorcista, mi dispiace!”
le impedì. Lei
si mise di fronte a lui, con la mano sana sul fianco. Nonostante la differente
altezza era in grado di fronteggiarlo senza problemi.
“Voglio un’altra possibilità, la
esigo.
Se non funziona, me ne andrò da sola dalla Scuola di
Preparazione, ma fammi provare un’altra volta!”
gli chiese.
“Laura…”
“Ti imploro!” disse lei, interrompendolo. Vedendo
che lui tergiversava ebbe un’idea.
“Va bene, facciamo un patto: io proverò di nuovo l’esame,
dopo che mi sarò rimessa, e sarai tu ad allenarmi.
Se anche stavolta non riesco a passare potrai buttarmi fuori dalla True Cross stessa, altrimenti continuerò il corso. Ci stai?”
propose. Non
vedeva altra scelta, non le era venuta in mente altra
idea. Mephisto ci pensò su un attimo e sorrise: forse
questa cosa poteva essere vantaggiosa per entrambi.
“Va bene, ti preparerò io, e se non passi te ne
vai.
Affare fatto?” disse
porgendole la mano. Sorridendo, Laura la strinse.
Col
fatto che aveva dovuto passare la notte in ospedale a causa delle varie ferite
che le erano state inferte, Laura non aveva ancora visto Rea. Quando era
rientrata in camera lei non c’era, come sempre, e inizialmente la ragazza aveva
tirato un sospiro di sollievo: avrebbe avuto un po’ di tempo in più per pensare
a cosa dirle.
Nonostante
si fosse già fatta il discorso in testa e avesse trovato una scusa per tutte
quelle fasciature, tutto ciò che aveva pensato si cancellò nell’esatto istante
in cui l’amica entrò in stanza.
“Laura?
Di solito non sei in camera a quest’o… o santo cielo, che cosa
ti è successo?” esclamò quando la
vide.
Poteva
dirle una scusa, poteva inventarsi qualsiasi cosa, eppure non riuscì nemmeno ad
aprire bocca: nel momento in cui Rea entrò, Laura si gettò tra le sue braccia,
piangente.
“E alla fine gli ho detto che voglio a tutti i costi
frequentare i corsi e che non è giusto che mi butti fuori per un semplice
errore, così abbiamo fatto un patto: lui mi preparerà e, se io riuscirò a
passare, rimarrò alla Scuola di Preparazione”
spiegò.
“Cosa succede se non superi l’esame?” chiese titubante l’altra.
“Me ne andrò dalla True
Cross” rispose. Forse non era stata una buona idea, dopotutto. Rischiava
di perdere ogni cosa per cui aveva lavorato con tanto impegno. Rea
sospirò.
“Non è stata una trovata molto intelligente, stai giocando
con uno che mi sembra sapere il fatto suo, ma se fare l’esorcista è ciò che vuoi
io non posso fermarti” le disse.
Laura
si era aspettata qualsiasi reazione da parte della ragazza: paura, rabbia,
incredulità, scetticismo, sorpresa, curiosità… tutto, tranne che rimanesse
impassibile alla scoperta che nell’accademia c’erano corsi nascosti per
esorcisti e che demoni e mostri esistevano.
“Tutto qui?” domandò
impressionata.
“Che cosa intendi?” rispose l’altra, confusa.
No, non
poteva essere la prima volta che Rea sentiva parlare di quel
mondo.
“Niente, mi stupisce che tu non sia confusa o
stranita”
“Beh, perché dovrei?
E comunque spiegami una cosa: perché non hai usato il demone nascosto dietro di
te? Tu non dovresti essere una specie di arma?” domandò rivolgendosi a Kuto.
Questo arrossì e abbassò gli occhi.
“Che cosa hai detto?”
“Che lui doveva proteggerti!
È il tuo famiglio, è a questo che serve” ripeté lei.
In quel
momento il tassello mancante andò al proprio posto.
“A causa della mashou, la ferita
che infliggono i demoni, gli esseri umani possono vederli” le aveva detto
Mephisto tempo prima. Kuto,
benché lei non lo vedesse come tale, era un demone. Uno buono, certo, ma pur
sempre un demone!
“Come fai a vederlo?” le chiese. Rea la guardò
senza capire.
“Chi?”
“Kuto!
Lui è un demone, senza mashou non
puoi vederlo, quindi tu sei stata ferita!”
dedusse.
“Ah… già” balbettò l’amica in
risposta.
“Da quanto tempo è che sai tutto?” sospirando Rea
decise di vuotare il sacco.
“Da quando abbiamo litigato la prima volta” ammise.
Laura
cercò di ricordare quel pomeriggio.
“Cioè da…”
“Quando ho conosciuto Rin,
esatto” terminò.
“Com’è successo?”
“Beh, dopo che eri tornata in camera e io ti avevo urlato
dietro in quel modo sono scappata via e mi sono nascosta. Avevo trovato un
passaggio per il tetto nelle ore in cui tu non eri con me e mi sono rifugiata
lì. Dopo un po’ di tempo, non so quanto fosse passato, è arrivato anche Rin. Lì per lì non sapevo come comportarmi, e anche lui era
piuttosto imbarazzato, poi ci siamo messi a parlare del più e del meno e abbiamo
fatto tardi”
“E senza conoscerti ti ha detto di esorcismo e
demoni?”
“No, quello è successo dopo che mi sono ferita, ma non posso
dirti come. Questo non è un segreto che coinvolge me, io non dovrei saperne
niente in realtà, quindi non me la sento di parlartene, ma sono sicura che,
quando diventerai esorcista, te lo diranno”
“Però non è giusto!” ribatté Laura.
Rea le
prese una mano.
“Fidati di me, se potessi parlerei.
Non voglio più litigare con te, sono stata troppo male nelle ultime settimane.
Facciamo pace?” le chiese
sorridendo.
“Allora, da oggi inizia il tuo corso di preparazione
speciale.
La professoressa Kirigakure ha insistito per essere
presente alle lezioni, ma mi ha promesso che non interferirà con ciò che faremo.
È un problema per te?” chiese
Mephisto.
Laura
scosse la testa.
“Assolutamente no Me… ehm, volevo dire, Signor Pheles” rispose
lei.
Durante
la notte non aveva quasi chiuso occhio perché era emozionata al pensiero di
passare ore intere con il preside a fare lezioni di potenziamento. La sua mente
aveva viaggiato fino quasi all’alba.
“Perfetto, allora.
Cominciamo”
disse. Si
mise di fronte ad un armadietto e sorrise.
“Questo è un nido di goblin.
Al livello a cui sei non dovresti incontrare problemi a sconfiggerli. Sono più o
meno una decina. Pronta?”
chiese. La
ragazza annuì.
“Via!” annunciò aprendo lo sportello.
Dieci
demoni uscirono dall’armadietto e andarono contro di lei, che si mise le mani
davanti alla faccia per evitare che le cavassero un occhio.
“Pensa, Laura, pensa” si disse. Kuto spuntò dalla tasca della
camicetta.
“Non ho idea di come fare, però aiutami!” gli
disse.
Quando
i goblin tornarono all’attacco dalla pancia del demone
si materializzò uno scudo luminoso. I nemici furono
accecati.
“Bravissimo!
E adesso… ehm…”
balbettò. Non
aveva attacchi, né tanto meno armi.
“Mephisto, ferma tutto” disse Shura. Si era messa a sedere sulla cattedra con le gambe
incrociate.
“Perché?” le chiese lui.
“La ragazza non ha nemmeno un’arma offensiva, come puoi
pretendere che sconfigga dei demoni?
Dalle almeno una pistola!” gli
fece presente. Laura scosse la testa.
“Niente armi da fuoco, mi spaventano” disse
risoluta. La donna sospirò.
“C’è qualcosa che non ti faccia paura?” domandò
spazientita. Mephisto ci pensò un
attimo.
“Posso darti degli spray speciali che sconfiggono i
demoni” le disse.
“Ecco, quelli mi piacciono già di più” annuì
felice. Si sentiva più tranquilla con in mano delle
bombolette che con delle pistole.
Una
volta che ebbe ricevuto gli spray, l’allenamento ricominciò.
Quando
i goblin si avvicinavano troppo Kuto alzava una barriera protettiva che li stordiva e Laura
li colpiva con il liquido.
Dopo
due ore, sfinita ma felice, la ragazza si mise a sedere. Aveva sconfitto circa
trenta demoni.
“Basta, vi prego.
Sono esausta”
disse.
Mephisto chiuse
il terzo armadietto della giornata, che aveva fatto comparire dal cappello
(Laura aveva smesso di chiedersi come facesse) e lo fece
sparire.
“Sì, direi che possiamo anche smettere per
oggi.
Ci vediamo domani alla stessa ora” la
avvertì.
“Grazie, signor Pheles.
A domani, professoressa Kirigakure!” salutò uscendo
dalla classe. Kuto si era accasciato sulla sua spalla, ansimante.
“Sei stato bravissimo.
Come premio stasera puoi mangiare il mio dolce” gli promise. Il
demone sorrise.
Mentre
percorreva la ormai familiare strada, l’altrettanto familiare cagnolino le si
affiancò.
“E tu?
Credevo fossi impegnato” lo
accolse lei, sorridendo. Le
erano mancate le loro passeggiate nei giorni in cui era stata in camera per
guarire dalle ferite.
“Io sono sempre impegnato, ma alcune faccende sono più
importanti di altre” rispose senza guardarla.
“Non credo di aver capito” disse Laura,
confusa.
“Non preoccuparti, roba da
presidi. Allora, come è andato secondo te il primo
allenamento?” le
chiese.
“Credo bene.
Sono stanchissima, ma almeno sono riuscita a difendermi” esultò. Era
una grossa conquista non essere stata salvata: si era sentita mortificata
quando, durante l’esame, Mephisto aveva dovuto
sconfiggere il demone per lei. Non voleva essere sempre l’indifesa, voleva
combattere.
“Sono contento che questo allenamento ti piaccia, ma da
domani faremo sul serio.
La professoressa ha consigliato che vengano accelerati i
tempi, quindi dovrai impegnarti molto di più” la
avvertì.
“Non mi importa, io voglio
diventare esorcista. So di non essere partita bene con la Scuola di
Preparazione, ma da adesso in poi metterò tutta me stessa in questa impresa.
Non voglio deluderti” gli
disse. Il cane fu colpito da tanta
decisione.
“Ne sono felice.
Significa che non mi farò scrupoli nel creare ostacoli sempre
più difficili” rispose
divertito.
“Allora ti farò vedere che posso
farcela!
Adesso vado a riposarmi un po’, non riesco più a reggermi in piedi. Buonanotte, Mephisto” gli disse.
Gli
allenamenti durarono più o meno due settimane. In quel tempo Laura aveva
imparato ad essere più sicura di sé stessa e, grazie all’aiuto di Mephisto, si era impegnata fino in fondo. Era diventato una
parte importante della sua vita, poteva negarlo quanto voleva ma era
così.
Un
pomeriggio, dopo le lezioni, Shura la
fermò.
“Arikushi, posso parlarti un momento?
Da sole?” le chiese, lanciando
un’occhiata truce verso il preside, che stava uscendo dalla
classe.
“Certamente, professoressa Kirigakure, mi dica” acconsentì Laura.
La
donna esitò, soppesando bene le parole.
“Non starò a girarci troppo intorno, non è nel mio stile,
quindi ti farò una domanda secca e diretta”
l’avvertì.
“Va bene” rispose la ragazza, insicura. Lei le
piaceva, ma le incuteva anche un po’ di timore.
“Perché passi tanto tempo con Mephisto?” domandò.
“Non ho capito” disse Laura. Cosa doveva rispondere
a una domanda simile?
“Vorrei sapere come mai tu e il preside siete sempre
insieme. Ne sei innamorata, vero?”
“Che cosa?
Ma no! Mi hai aiutata quando sono stata ferita dal dobogoblin e ha seguito i miei progressi, ma niente di più!
È un professore come un altro, in fin dei conti” rispose imbarazzata.
“E non ti sei mai chiesta come mai lui, il preside di
tutta la True Cross, sia tanto interessato a passare
con te tanto tempo?
Nemmeno una volta ti è passato per la testa che potrebbe avere un secondo fine
dietro a questa… come posso chiamarla? Amicizia?” insinuò.
“Che cosa vuole dire,
professoressa?”
“Io conosco Mephisto, molto bene
anche.
È un doppiogiochista che ha sempre un secondo fine in testa, non fa mai nulla
per nulla. Devi stare molto attenta” la avvertì.
I suoi
occhi le fecero capire che non scherzava, ma Laura scosse la
testa.
“Io mi fido del preside.
È stato carino e gentile, con me, e si è mostrato comprensivo e disponibile fin
da subito. Non ho paura di lui e, ad essere proprio sinceri,
forse sì, un po’ mi piace, ma se questo a lei non va bene io non posso farci
niente” ribatté.
La
sicurezza che trapelava da quella frase fece vacillare Shura. Vedendo la sua esitazione, Laura si voltò verso la
porta prendendo la cartella.
“La ringrazio per il suo interessamento, ma non si
preoccupi: so badare a me stessa” le assicurò
uscendo.
Mephisto era in
yukata e pantofole quando Shura entrò nel suo studio. Per la seconda volta non si
degnò neanche di bussare, aprì la porta come una furia e si parò davanti alla
scrivania. “E tanti cari saluti alla mia
tranquillità” pensò l’uomo.
“Buonasera, Shura.
A cosa devo la tua visita?” le
disse. La
donna lo fulminò.
“Devi allontanarti subito da lei!” gli
ordinò.
“Da chi, scusa?”
“Da Laura!” spiegò. Mephisto vacillò un secondo.
“Sentiamo, perché mai dovrei farlo?” chiese divertito.
“Quella ragazza è innamorata di te, non lo
capisci?” disse.
L’uomo
credette di aver capito male. Si mise a
ridere.
“Sei molto simpatica, Shura,
ma…”
“Non sto scherzando,Mephisto! Può sembrare che non le
importi niente, ma lei è innamorata di te!” lo interruppe. Per una volta,
l’uomo non seppe ribattere.
“Io ti avverto: allontanati subito da lei, prima che si
faccia troppo male, altrimenti dopo te la vedrai con
me. Sono stata chiara?” lo
minacciò.
Senza
aspettare risposta, Shura se ne andò sbattendo la porta, lasciando Mephisto
confuso e senza parole.
Dopo
ciò che gli aveva detto Shura, Mephisto aveva iniziato a
stare con Laura il meno possibile. Anche se poteva non sembrare, in fin dei
conti si era affezionato molto alla ragazza e costringersi a starle lontano
stava diventando quasi un dolore fisico, però aveva deciso di farlo anche per il
suo bene. Se la donna avesse avuto ragione tutta quella faccenda si sarebbe
complicata inevitabilmente: non solo avrebbe significato doverle dire tutto
quanto, ma avrebbe anche messo a rischio la sua posizione dentro l’Ordine. Non
poteva permetterselo, assolutamente.
Nonostante
questo, le lezioni di Laura avevano dato ottimi frutti. La ragazza aveva
acquistato una fiducia in sé stessa che non credeva avrebbe mai potuto avere,
come se ogni goblin sconfitto fosse una goccia in più
alla sua autostima. Ormai riusciva a padroneggiare Kuto perfettamente, come se fossero stati insieme per anni,
e questo solo grazie a Mephisto. Si era resa conto
che, ormai, negare le proprie emozioni era da pazzi, tanto non cambiava niente:
lei era innamorata di lui. Ne aveva avuto la conferma quando aveva parlato con
la professoressa Kirigakure. Si era accorta del fatto
che non poteva rinunciare a lui e questo l’aveva spronata a dare il meglio di sé
per riuscire a rimanere alla True Cross. Quello era
diventato il suo principale obbiettivo.
Un
pomeriggio, finite le lezioni, Mephisto si trovò solo
con Shura.
“Credo che possiamo procedere con il secondo esame”
disse lei, sicura. Aveva fiducia nelle potenzialità della ragazza, dopo averla
vista in azione negli ultimi giorni. L’uomo titubò: sapeva che aveva ragione,
ormai loro non potevano più fare nulla per aiutarla. Ma se non fosse passata?
Se, per qualche motivo, avesse di nuovo bocciato l’esame? Se ne sarebbe dovuta
andare e lui non era disposto a perderla. Si rese conto solo dopo qualche minuto
che Shura aveva continuato a
parlare.
“Vai a prenderla e portala da qualche parte dove non c’è
nessuno, così il demone potrà attaccarla.
Va bene?” gli
chiese.
Mephisto annuì.
“Da quand’è che una ragazzina può darmi
ordini?” si domandò uscendo dalla classe.
Laura
stava facendo allenare ancora Kuto. Da quando aveva
iniziato l’allenamento speciale si era messa ogni pomeriggio al rientro dalla
Scuola di Preparazione a fare scudi per vedere fino a che punto era in grado di
resistere. Aveva iniziato con cinque minuti e adesso era arrivato a più di
dieci. Laura era orgogliosa di lui come una madre.
Sentirono
bussare alla porta e la ragazza si alzò.
“Riposati, per oggi basta, io vado ad aprire
intanto.
Sei stato bravissimo” gli
disse dandogli un bacio sulla testa. Kuto si accasciò sul letto, sfinito.
“Sto arrivando!” gridò. Quando aprì vide Mephisto-cane che la fissava.
“Ma guarda!
Era da un pezzo che non venivi qui. Vuoi entrare?” gli chiese.
L’animale
continuò a fissarla, e lei iniziò a sentirsi un po’ a
disagio.
“Mephisto?” lo chiamò. Il cane si voltò e iniziò a
zampettare lungo il corridoio.
“Ehi, aspetta!” gli gridò dietro. Lo vide girare
verso un corridoio che non aveva mai percorso e questo la mise in soggezione.
Ebbe solo un secondo di esitazione e poi decise: tornò in stanza, prese Kuto e seguì l’uomo.
“Fermati!” urlò. Iniziò a corrergli dietro, ma era
più veloce.
“Mi vuoi aspettare?
Non ce la faccio a starti dietro!” si lamentò, ma il cane non aveva intenzione di
starla a sentire.
Qualche minuto dopo Laura dovette fermarsi, incapace di proseguire. Aveva il
fiatone e le facevano male le gambe.
“Quel… quel cane non… uff… non è
normale.
Poteva aspettarmi”
disse.
Quando ebbe ripreso fiato si guardò intorno. Non era mai stata
lì.
“Ehi, Kuto, tu non hai una
terribile sensazione di dejà vu?
Questo posto non mi piace, andiamocene” decise. Aveva
già avuto una brutta esperienza una volta, non voleva
ripeterla.
Mentre
si girava udì un suono minaccioso dietro di sé, una specie di ringhio basso che
la fece immobilizzare.
“Oh, no!” sussurrò.
Nel
buio vide due enormi occhi gialli e minacciosi che la guardavano.
Un
secondo dopo tutto il demone apparve: era una specie di enorme lupo arancione,
con grosse zampe affusolate. Gli artigli erano affilati e irregolari; la coda
era molto folta, colorata di giallo, rosso e bianco e si muoveva minacciosa; il
corpo, molto più alto di Laura, era ricoperto di pelo ispido; la testa era
appuntita, con grosse orecchie da lupo e le zanne che uscivano dalla bocca,
gocciolando liquido scuro. Nel complesso era un demone dei più inquietanti che Laura avesse mai visto anche sui
libri.
“Io questa scena l’ho già vissuta” sussurrò la
ragazza, in preda al panico.
Per la
seconda volta veniva attaccata senza preavviso.
“Stavolta non mi farò sconfiggere” disse, più a sé
stessa che al demone.
Aspettò
che questo attaccasse: aveva imparato che non serviva a niente essere i primi a
fare la prima mossa, ti metteva solo in svantaggio.
Quando
il lupo iniziò ad avanzare veloce, Laura si voltò verso Kuto.
“Stai pronto.
Al mio…”
disse.
Appena
il demone fu ad un passo da lei, gridò.
“VIA!”
Kuto si
mise in mezzo creando una barriera luminosa che coprì completamente la ragazza,
il lupo fu respinto con forza e cadde a terra.
“Adesso lo spray” si ricordò, frugando nelle
tasche.
“Non… non c’è!” esclamò disperata. Era uscita
talmente in fretta che lo aveva dimenticato in camera. E
adesso?
“Kuto, dobbiamo fuggire.
Sarebbe da folli rimanere qui senza un’arma, finiremmo come la
carne da macello, andiamo!” gridò al piccolo
demone, che si rifugiò sulla sua spalla.
“No!
Stavolta tu rimani qui!” disse
Shura.
Stava
tenendo d’occhio Mephisto da quando era iniziato
l’esame, memore della prima prova.
“Fammi andare,Kirigakure!” ordinò lui, in preda al panico.
La
donna gli puntò la spada alla gola e lo costrinse a stare
fermo.
“Non mi costringere a farlo, non mi va di essere
processata per causa tua” lo avvertì. L’uomo non poté fare altro che
rimanere immobile, a guardare.
Laura
aveva iniziato a correre verso l’uscita. Una volta fuori da lì avrebbe chiesto
aiuto. Intanto il lupo si era rialzato e si era messo ad inseguirla, poteva
sentire il suo passo.
“Devo sbrigarmi, oppure mi prenderà” si disse la
ragazza. Adesso riusciva a percepire anche il suo respiro. Accelerò l’andatura,
ma fu inutile: un secondo dopo sentì un colpo sulla schiena e cadde a terra con
la pancia in giù.
Kuto rotolò
qualche metro più là, stordito dalla botta.
Laura
sentiva il sangue scorrere sulla sua schiena, aveva un profondo graffio sulla
pelle. Rimase qualche secondo senza riuscire a vedere, gli occhi le si erano annebbiati.
“Non di nuovo, non di nuovo” si disse.
Il lupo
la fece girare sulla schiena e lei gridò per il dolore.
“Lasciami passare, Shura, non
farmi pentire delle mie azioni!” intimò Mephisto alla donna. Lei non abbassò la
spada.
“Devi farle fare l’esame da sola!” cercò di farlo
ragionare, ma lui non voleva sentire ragioni: la colpì allo stomaco facendole
perdere la presa sull’arma e gliela tolse di mano.
“Mi dispiace essere stato tanto rude, ma non mi hai
lasciato scelta.
Non vedi che è nei guai? Se si fa qualcosa io… io…” nemmeno lui poteva spiegarlo, non ne era in
grado.
“Ma non capisci?
Se vai in suo soccorso prima che possa dimostrare che può farcela non riuscirà
mai a diventare esorcista. Tu vuoi che lo diventi, giusto? Lasciale terminare l’esame, brutto idiota!” disse Shura con voce
tremante.
La
botta nello stomaco era stata molto forte.
Mephisto
vacillò e si mise a sedere.
Sentiva
l’alito caldo del lupo sulla faccia. Il liquido nero che gli colava dalle zanne
le aveva bruciato la camicetta e adesso rischiava di ferirle anche il corpo. Il
demone mise una zampa sulla sua gola e iniziò a premere.
“L-lasciami… non… non respiro” disse lei soffocando.
Cercò
di liberarsi, di muovere le mani, ma lui le era sopra e la bloccava. Iniziò a
perdere i sensi.
“Non ce la faccio più!” sbottò Mephisto. Ormai aveva perso il controllo di sé. Shura sospirò.
“Quando ti ci metti sei peggio di Rin.
Ti sta proprio molto a cuore quella ragazza, eh?” gli disse. Lui
non fu in grado di rispondere.
Nello
stato di semicoscienza in cui versava, Laura vide i due scontri precedenti con i
demoni: in entrambi i casi Mephisto era dovuto
intervenire per salvarla. Non voleva fare sempre la preda, non voleva che tutte
le volte dovessero andare a soccorrerla, voleva anche sapersi
difendere.
“Kutoku!” esclamò una voce vicino a lei.
Aprì
gli occhi e vide l’amico che cercava di farla svegliare. Allungò una mano e lo
toccò.
“U-usa… usa lo scudo, Kuto”
gli ordinò. Il piccolo demone non se lo fece ripetere: utilizzando tutta
l’energia che aveva in corpo creò una barriera protettiva che respinse il lupo e
lo mandò a sbattere contro il muro.
Recuperando
fiato, Laura riuscì ad alzarsi.
“Io non voglio fuggire, non di
nuovo.
Io posso farcela!” gridò
rivolta al nemico.
In
quell’istante Kuto s’illuminò: dal cerchio sulla sua
pancia si creò un fascio di luce che accecò la ragazza per qualche secondo.
Quando riaprì gli occhi davanti a lei c’era una spada bellissima: la lama era
leggermente ricurva, con qualche cerchio dorato dalla parte dell’impugnatura;
dove lama e elsa si incontravano questa formava una specie di S orizzontale, con
dei disegni, anch’essi dorati; in fondo all’impugnatura c’era una specie di
nastro che formava un fiocco; alla fine della spada si formava una
sfera.
“Che diavolo è questa?” chiese Laura, stupita. La prese in mano e sentì una forza innaturale
pervaderla da capo a piedi.
“Ma l’hai fatta comparire tu?
E io che dovrei farci?”
domandò rivolta a Kuto. Il
demone la guardò male.
Intanto
il lupo si era rialzato ed era arrabbiato, molto, molto arrabbiato. Fregò una
zampa a terra per prendere la rincorsa e balzò verso la ragazza, che non ebbe
neanche il tempo di pensare: quando vide che le era
sopra brandì la spada in aria. Un cerchio di luce apparve nel punto in cui lei
aveva sferzato l’aria e si abbatté contro il lupo, che si dissolse nell’aria.
Nel corridoio cadde il silenzio.
“Ce l’abbiamo… fatta?” sussurrò incredula Laura.
Aveva ancora la spada in mano, ma adesso pesava terribilmente. Cadde a terra,
stremata.
“Ce l’ho fatta, Kuto, ce
l’abbiamo fatta!” esultò.
Vide
Mephisto che si calava dal soffitto, con il mantello
che svolazzava nell’aria. L’uomo batté le mani.
“Brava!
Mi congratulo con te per l’ottimo lavoro svolto, questo era il tuo esame da
exwire. Sei promossa!” le disse, orgoglioso.
Era
riuscito a recuperare un po’ di padronanza di sé e sembrava non essere rimasta
traccia della crisi che aveva passato. Laura sorrise.
“Ma tu non sei capace di entrare come ogni persona
normale?” gli disse divertita.
Le
bruciava terribilmente la schiena. Era come se avessero messo dieci litri
d’alcool nelle sue vene.
Aprì
gli occhi stordita e riconobbe l’ormai familiare ospedale.
Era la
terza volta che ci finiva.
“Ben svegliata, giovane exwire” la saluto una voce.
Si
voltò e vide Mephisto seduto con le gambe accavallate
sul letto accanto al suo.
Fece un
debole sorriso in risposta.
“Ce l’ho fatta, sono passata.
Potrò rimanere all’accademia”
disse flebilmente.
L’uomo
le sorrise.
“Già, mi hai dovuto proprio fare bugiardo” sospirò.
Era divertito.
“Come mai mi trovo di nuovo in ospedale?” chiese
lei. Non riusciva a ricordare.
“Hai una profonda ferita sulla schiena, sei stata colpita
dal miasma del lupo e sei svenuta davanti ai miei
occhi.
Mi sembrava opportuno portarti qui” le spiegò.
“Ricordo tutto in modo molto confuso, ma qualcosa riesco a
focalizzare” ammise lei.
“Meglio così, allora.
Adesso ti chiedo scusa, ma devo andarmene. Ho una marea di scartoffie da
controllare. Quando ti dimetteranno, tra qualche giorno,
gradirei che venissi nel mio ufficio: ho delle cose di cui parlarti” le chiese.
“Certo, nessun problema”
“Allora buona guarigione, dolce Laura” si congedò
con un grosso inchino.
Rimasta
sola la ragazza vide apparire Kuto sul
comodino.
“Ciao piccolo.
Sei stato bravissimo prima, se non fosse stato per te
non sarei nemmeno viva” lo
ringraziò. Il demone si mise su una sua mano e si
accoccolò.
“Già, forse è meglio se dormiamo un po’ entrambi, ce lo
siamo meritato.
Dormi bene” gli sussurrò
baciandolo sulla testa.
Laura
rimase in ospedale una settimana intera stavolta. Le ferite si rimarginarono
piuttosto velocemente, tutto sommato, ma lei si annoiava a rimanere lì senza
fare niente. Le uniche distrazioni erano le storie di Rea, che andava a trovarla
ogni pomeriggio.
“Certo che tu non sei capace di passare due settimane senza
farti male” le disse un giorno per scherzare. Laura
sbuffò.
“Lasciamo perdere, mi sento un’imbecille a finire sempre
in ospedale così.
Qualche novità?” chiese,
desiderosa di non pensare ai suoi problemi. Rea
scosse il capo.
“Nemmeno una” rispose sconsolata. Sentirono in
lontananza la campanella di inizio lezioni.
“Mi dispiace, ma devo lasciarti.
Paura pranzo finita, purtroppo. Rimettiti, ciao!” la
salutò.
Laura
rimase sola con Kuto.
“Siamo sempre tu ed io, vero piccolo?” gli
disse.
“Kutoku!” esclamò lui.
“Come sei bravo a farmi tornare il sorriso” si
complimentò accarezzandolo sulla testa.
Una mattina andò da lei Shura.
“Si può?” chiese facendo capolino dalla porta.
Aveva in mano un mazzo di fiori e sorrideva.
“Professoressa Kirgakure, buongiorno” la salutò Laura. Non
tentò nemmeno di mettersi seduta: le ferite sulla schiena le facevano venire le
lacrime agli occhi appena si muoveva.
“Buongiorno a te.
Come stai oggi? Va un po’ meglio?” s’informò la donna. Mise
i fiori in un vaso che era sul comodino e si accomodò nel letto vicino (quello
in cui, come ricordò Laura sorridendo, aveva trovato Mephisto quando si era svegliata il primo
giorno).
“Sì, le ferite mi fanno meno male e riesco quasi a
muovermi” le rispose. Shura
sospirò.
“Mi dispiace che tu ti sia ridotta in queste condizioni,
sotto un certo aspetto è colpa mia” confessò. Laura scosse la
testa.
“Credo che sia stato meglio così.
Se non mi fossi trovata quasi in fin di vita non avrei tirato fuori il meglio di
me e non sarei riuscita a far uscire appieno i poteri di Kuto. Per cui, grazie di tutto” le disse. La
donna sospirò sollevata.
“Sono felice che tu la pensi in questo modo”
ammise.
“Comunque sono venuta a farti una domanda”
“Certo, dica”
“Volevo di nuovo chiederti cosa provi per Mephisto” le disse. Laura
esitò.
“So che è una domanda che non dovrei farti, ma non riesco
a star fuori a guardare, è più forte di me.
Giuro che non mi intrometterò, né ho l’intenzione di
dissuaderti, non dopo l’esame comunque” le
assicurò. La
ragazza ci pensò un secondo.
“Io credo di essermi innamorata di lui” confessò
alla fine. Era la prima volta che lo diceva ad alta voce e questo le diede una
sensazione di benessere. Era come essersi tolti un peso terribile dallo
stomaco.
“Sì, lo sospettavo. Non posso farci niente, i gusti son
gusti, però posso almeno sapere come mai proprio Mephisto? Con tanti bei ragazzi che ci sono in giro perché
una bella ragazza come te si innamora di un… un… non ho una definizione adatta
per lui, almeno non una che non sia offensiva”
“La verità è che non lo so.
Ci ho pensato molto e sono arrivata alla conclusione che non c’è niente di
particolare che mi piace in lui perché è il complesso ciò di cui sono
innamorata. Scegliere una cosa che mi piace più di un’altra è
impossibile: a partire dal suo modo particolare di vestirsi per arrivare al suo
buffo linguaggio, sono completamente persa”
ammise.
Shura la
fissò per qualche secondo: quella ragazzina era proprio
strana.
“Beh, direi che io non posso fare
niente.
Voglio solo dirti di stare attenta: dietro al suo modo di comportarsi c’è un
uomo molto pericoloso, non vorrei che tu ti facessi male. Rimettiti presto, Laura” la
salutò.
Fissando
la porta la ragazza pensò ad una cosa sola: non aveva capito una sola parola di
ciò che la professoressa le aveva detto.
La
prima cosa che fece una volta dimessa dall’ospedale fu, come promesso, andare
dal preside. Passò solo un secondo in camera per cambiarsi e poi andò nel suo
ufficio.
Si
sentiva leggera e felice mentre percorreva la strada che la portava fino in cima
alla scuola. Le risuonavano in testa le parole di Shura.
“Dietro al suo modo di comportarsi c’è un uomo molto
pericoloso, non vorrei che tu ti facessi male” cosa aveva voluto dire?
Con lei Mephisto era sempre stato gentile e dolce,
come se tenesse davvero a lei, ma forse aveva solo interpretato male i suoi
comportamenti.
Bussò
alla porta.
“Avanti!” disse una voce da dentro. Lei entrò,
visibilmente a disagio. Perché tutto quell’imbarazzo ora?
“Sono venuta come mi avevi chiesto, Mephisto” disse mettendosi a sedere. Sentiva il cuore
pulsare nelle orecchie. L’uomo sorrise alzando gli occhi dalla
scrivania.
“Laura!
Quanto tempo! Sono felice di vederti” la accolse.
Per la
prima volta da quando si conoscevano, lui si alzò e si mise a sedere su una
poltrona vicino a lei.
“Allora, come stai?
Le tue ferite sono finalmente guarite?” le chiese.
Perché
tutta quella premura?
“Sì, quasi tutte.
Quella sulla schiena fa ancora un po’ male, ma adesso riesco a
non piangere quando mi muovo” rispose
lei.
Sentiva le guance andare a fuoco.
“Beh, io ti ho convocata per parlare dei nuovi corsi che
seguirai.
Saranno più intensi e più difficili. Ho già parlato con i professori, che ti
seguiranno individualmente. Hai perso molte lezioni, sia perché hai iniziato
tardi con i corsi sia perché non hai passato l’esame la prima volta, così
affronterai la scuola da sola, almeno fin quando non recupererai. Per te è un problema?” le
chiese. Si
avvicinava con il volto a lei ogni secondo di più.
“Io credo… sì, credo di sì” balbettò lei, incapace
di parlare.
Non
capiva perché tutt’a un tratto le sembrava che la stanza andasse a fuoco, era
come essere dentro a un forno.
“Perfetto!
Direi che puoi iniziare domani, se per te non è un
problema” le disse allontanandosi
all’improvviso. Laura
riprese a respirare normalmente.
“No, no, figurati, domaniva
benissimo” rispose.
Se le
stava lontano le era più facile ricordarsi di respirare, soprattutto perché non
sentiva il suo profumo. Le faceva girare la testa.
Lui si
alzò.
“Ti va una tazza di tè?” le chiese. Laura
annuì.
“Volentieri” rispose.
Mephisto si
alzò e andò a preparare il bollitore, poi tornò a sedersi.
“Allora, giovane fanciulla, qualche novità?”
domandò.
“Nessuna che tu non sappia già” gli assicurò. Si
sentì il rumore del vapore che usciva.
“Con permesso” si scusò lui. “Tranquillizzati, non guardarla negli occhi, non farti
trasportare, devi contenerti” si diceva. Quando tornò a sedere e le porse
la tazza di tè, notò i suoi occhi verdi e i capelli che le ricadevano sul collo.
Voleva toccarli più di ogni altra cosa.
Stettero
qualche minuto in silenzio a bere, ognuno perso nei propri pensieri. Una volta
finito, la ragazza gli porse la tazza e attese che lui la riponesse. Intanto si
spostò i capelli dalla gola e li fece passare dietro la spalla.
Quel
gesto gli fece perdere qualsiasi buon senso.
“Adesso passiamo a cose più… piacevoli” disse lui.
Si alzò
e la bloccò alla poltrona, andando vicinissimo al suo viso. Aveva le mani
appoggiate ai braccioli della sedia e la faccia a pochi centimetri dalla
sua.
“Volevo parlarti di una questione più privata, se per te
non è un problema” affermò. Laura deglutì, incapace di
rispondere.
“Ecco, mi sono reso conto di una cosa importante: quando
sei vicina a me è come se una scossa elettrica mi partisse dalla testa…”
iniziò toccandole con un dito una tempia.
“Fermandomi il respiro in gola” proseguì sfiorandola
lungo il profilo per fermarsi sul collo. La ragazza tremò.
“Mephisto, che diavolo stai facendo?
Sei impazzito?” gli
chiese. Non
si era mai comportato così!
“No, non sono impazzito, però ho bisogno di un favore da
parte tua” ammise.
La
stava fissando negli occhi, senza mai staccare lo sguardo. Era come una
calamita.
“Che genere di favore?”
“Ho bisogno di provare una cosa.
Mi permetti?” le
chiese.
Arrivò
a pochi centimetri dalle sue labbra e si fermò. Il cuore di Laura accelerò
impazzito.
“So che tu sei attratta da me tanto quanto io lo sono da te, quindi vorrei vedere fino a che punto
arriva quest’attrazione. Posso?” domandò. Lei non era in grado
di rispondere e lui prese il suo silenzio per un invito. Si avvicinò lentamente
e posò le labbra sulle sue.
Per
un secondo Lauracredette di
sognare. Com’era possibile che lui, il preside della scuola, un uomo grande e
forte, la stesse baciando? Non solo era surreale, ma
anche assurdo. Appurato questo, si abbandonò contro di lui. Aveva un sapore
fresco, dolce, un gusto buono e invitante. Gli mise le mani intorno al collo e
lo attirò a sé. Dal canto suo, Mephisto le passò le
mani dietro la schiena per alzarla, ma il contatto con la ferita la fece
sobbalzare. Quel dolore le aprì gli occhi.
“NO!” disse staccandosi violentemente. QUELLO era
un enorme errore.
Più
stupito di lei dal suo comportamento, Mephisto si
allontanò.
“Questo non era nei miei piani” ammise.
Stava
iniziando a rendersi conto di ciò che era appena successo.
Laura
aveva il fiato corto e le guance in fiamme.
“Non credo sia una buona idea, è sbagliato” gli
disse.
“Lo so, scusami.
Io non posso innamorarmi di te, sei solo una ragazzina in fondo, e io sono il
preside. Essendo anche un uomo di grande importanza
all’interno dell’Ordine non credo che sarebbe salutare per la mia reputazione se
si sapesse che ho baciato una studentessa” le
rispose.
“No, non volevo dire questo.
Ok, forse volevo dire anche questo, ma intendevo che…
che…” che cosa
intendeva?
Nemmeno lei lo sapeva.
“Tu sei solo una bambina, in
fondo.
Non hai ancora quella maturità che fa provare sentimenti
profondi e sinceri, lo so da solo, non preoccuparti” le assicurò.
Quelle
parole furono uno schiaffo in pieno viso per Laura: non solo confermavano che
aveva capito male ciò che lui provava, ma le dicevano chiaramente che per lui
non era altro che una semplice studentessa. Si sentì
un’idiota.
“Non era per quello che lo stavo
dicendo.
Sei uno stupido se credi che intendessi dire che non provo
niente per te, Mephisto, ma mi pare che non abbia
importanza, giusto?”
esclamò.
Senza
attendere risposta si alzò e se ne andò, sbattendo la
porta.
Il
preside non aveva programmato niente. Quella mattina Shura era andata da lui per dirgli che aveva parlato con
Laura e che i suoi sospetti sul fatto che fosse innamorata di lui erano fondati,
era stata lei stessa ad ammetterlo. Ci aveva pensato tutto il giorno, finché non
era giunto alla conclusione che doveva averne la prova da solo.
Nella
sua testa il loro incontro avrebbe dovuto essere meno violento: si sarebbe solo
avvicinato per vedere la sua reazione e poi l’avrebbe mandata via.
Un’azione
semplice e indolore, che non avrebbe fatto male a nessuno. O almeno così
credeva.
Quando si era messo sulla poltrona e si
era lentamente avvicinato il suo autocontrollo era stato messo a dura prova.
Aveva
dovuto allontanarsi di scatto per resistere all’impulso di baciarla subito.
Poi
l’aveva vista recuperare il respiro quando l’aveva lasciata libera e il suo
istinto di demone si era risvegliato: era come impazzito, non aveva ragionato e
si era solo lasciato trasportare dalle emozioni, cosa che non accadeva mai.
Lui non
si poteva permettere di abbandonarsi alle sensazioni, era MephistoPheles, figlio del grande
Satana, preside della True Cross e capo della
divisione Giapponese dell’Ordine, diamine!
Eppure
non era stata una brutta esperienza… no, doveva essere sincero: voleva
ripeterla.
Nello
sguardo di Laura aveva letto delusione e tristezza, ma solo perché aveva male
interpretato le sue parole: lui non voleva dire che lei non era importante, ma
stava solo cercando di recuperare un po’ di autocontrollo!
Doveva
chiarire, non poteva lasciarla andare via così! Si trasformò in cane e corse
verso camera sua, intenzionato a parlarle.
Laura
tornò in camera in lacrime. Ringraziando che le lezioni durassero ancora per un
paio d’ore, si buttò sul letto e si strinse al cuscino.
Kuto le
andò accanto e le sfiorò il viso.
“Kutoku?” chiese. Lei lo fissò con gli occhi
rossi.
“Sono una stupida, una terribile stupida” disse.
Pianse
per almeno un’ora prima di riuscire a calmarsi e ragionare lucidamente. Tirò su
col naso e si mise a sedere.
“Credevo che lui ricambiasse, almeno in parte, i miei
sentimenti, e invece mi ritrovo con una frase da film della serie sei troppo
piccola. Ma ti sembra
giusto? Con tutto quello che ho fatto per diventare exwire, per fargli vedere che posso farcela, per lui in
definitiva. Quanto tempo sprecato” disse all’amico, che le era salito sulle ginocchia e
si era stretto alla sua vita per
consolarla.
“Come sei piccolo, mi piacerebbe che tu fossi a grandezza
naturale per stringerti e piangere con te.
Ma sai una cosa? Mi piaci anche così” gli assicurò baciandolo sulla
testa. Il
demone arrossì.
“Kutoku” rispose
imbarazzato. Laura rise e decise di alzarsi.
“Piangersi addosso è inutile, tanto vale essere
costruttivi.
Mi do una bella sistemata e poi inizio a studiare” annunciò.
Aveva
ragione: se ci fosse stata troppo male non avrebbe risolto niente, meglio
affrontare la cosa di petto. Si sciacquò la faccia, si fece la coda di cavallo e
si mise a sedere alla scrivania. In quel momento si sentì bussare alla
porta.
“Aspettavi qualcuno?” chiese ridendo a Kuto.
Quando
aprì davanti a lei c’era l’unica persona che in quel momento non voleva
assolutamente vedere.
Che ci
faceva lì? Cosa voleva da lei? Non le aveva già fatto abbastanza
male?
“Vattene!” disse senza nemmeno farlo entrare.
Fece
per sbattere la porta ma una sua mano la bloccò entrando con
prepotenza.
“Ma come, non mi dici nemmeno ciao?” le rispose
divertito.
Lei lo
guardò incredula.
“Mephisto, io non voglio che tu rimanga qui, mi hai fatta
piangere fin troppo”
“Mi dispiace, davvero, non era mia intenzione, però adesso
vorrei parlarti”
“Io, invece non voglio. Devi andartene di qui,
adesso!” gli ordinò.
Riaprì
la porta e gli fece segno di uscire. L’uomo rimase fermo.
“Non hai capito: io non me ne vado” rispose lui
sorridendo. Iniziava quasi a farle paura. Si avvicinò a lei e chiuse gentilmente
la porta, rimanendo con una mano appoggiata al muro, quasi bloccando Laura. La
ragazza si allontanò da lui.
“Hai paura di me, per caso?”
“Che cosa vuoi, Mephisto?” chiese lei, spazientita.
Doveva
mandarlo via prima che fosse troppo tardi.
“Tu ed io non avevamo finito quando te ne sei andata dal
mio studio”
“Sì che avevamo finito: mi hai detto che sono troppo
piccola, che tu sei troppo importante e che non è possibile una storia tra di
noi. Cos’altro vuoi aggiungere?”
“No, io non ho detto questo. Ho detto che io non potrei
permettermi di avere una storia con te, non che non voglio. Non direi mai una
bugia a una giovane ragazza come te” rispose divertito.
Iniziò
a camminare lentamente verso di lei, che si era messa in piedi davanti alla
scrivania.
“E quindi? Cosa vorresti da me adesso?” domandò.
Più si
avvicinava più lei sperava in un aiuto.
Quando
fu a un paio di passi di distanza Kuto si mise in mezzo.
“Kutoku!” disse. Stava cercando di proteggerla.
Mephisto rise.
“Ma guarda, un piccolo eroe. Potresti farmi passare? Ho
urgente bisogno di parlare con la tua amica” gli chiese galantemente. Il
demone scosse la testa.
“Allora dovrò usare le maniere forti. Mi dispiace,
piccolo” si scusò.
Lo
colpì con la mano e lui rotolò sul letto, lontano da Laura. Approfittando di
quel momento di distrazione l’uomo si avvicinò velocemente a lei e la bloccò
alla scrivania.
“Adesso facciamo in modo che lui non ci disturbi
più” le disse.
Allungò
lentamente una mano verso la tasca della sua gonna e prese il foglietto delle
invocazioni che ci teneva nascosto. Lo accartocciò e lo strappò, così che Kuto
scomparisse.
“Ora siamo solo io e te” le sussurrò. La posizione
in cui erano poteva sembrare molto equivoca: lei era praticamente seduta sulla
scrivania e lui le stava con le mani appoggiate ai lati, per
bloccarla.
“Mi piace rimanere così, è molto… eccitante” le
disse con la voce roca. Si era piegato verso di lei per parlare e Laura poté
sentire il suo respiro sul collo.
“M-Mephisto, ti prego vattene…” rispose lei, al
limite delle proprie forze.
“No” decise semplicemente lui.
Non era
andato lì con l’intento di sedurla, ma ormai era già abbastanza compromesso,
peggio di così non poteva andare, giusto? E poi la voleva, la
desiderava.
“Ascoltami, sei stato chiaro prima, non mi farò più
illusioni sul tuo conto, però adesso torna nel tuo studio. Se Rea rientrasse e
ci vedesse così…”
“Sai benissimo che la tua amica non finirà le lezioni prima
di due ore e che di solito poi si intrattiene con Rin per un po’. Direi che
abbiamo tutto il tempo per divertirci” le sussurrò all’orecchio.
Laura
rabbrividì e sentì le gambe cedere.
“Ascolta, devi andartene da qui, ti prego. Hai detto che
non sei disposto a stare con me, quindi dammi una sola buona ragione per cui non
dovrei respingerti” lo sfidò. Gravissimo errore. Avvicinando la sua
faccia a quella di lei, sorrise.
“Perché mi desideri con tutta te stessa” le rispose.
Posò le
mani sui suoi fianchi e l’attirò a sé.
“Se non vuoi che ti baci, dillo subito. Non mi fermerò, ma
almeno saprò che questa sarà l’unica volta, altrimenti io non smetterò di
sedurti neanche se mi implori” la avvertì.
Laura
non riusciva a respirare, aveva le gambe tremanti e la volontà ormai
annullata.
“Ultima chance” le ricordò.
Le loro
labbra erano a pochi millimetri di distanza quando lei si ricordò di ciò che
stava facendo. Lo spinse via con forza, prendendolo alla
sprovvista.
“NO!” gridò.
Voleva
averlo, lo voleva con tutto il corpo, ma era sbagliato.
“No?” domandò lui infuriato.
“No!” ripeté lei.
Gli
occhi di Mephisto s’infiammarono e tornò alla carica, più convinto di
prima.
“Voglio sentirmi dire che non mi vuoi, che non mi desideri,
che ti sono indifferente” la sfidò. Iniziò a baciarle il collo con
delicatezza, come si bacia un fiore. Laura deglutì.
“Io non… i-io… non…” non riusciva più a ragionare.
Quando
lui passò alle sue labbra, le gambe cedettero completamente. Sentì i ginocchi
piegarsi e si resse alla camicia dell’uomo, che la prese tra le braccia
facendola sedere sulla scrivania.
“Ripetilo adesso, se ci riesci”
sorrise.
Non poteva riuscirci, non era fisicamente
possibile che riuscisse a ripetergli no. Le era costato una fatica assurda la
prima volta, figuriamo adesso.
“Questo è… terribilmente sbagliato” affermò con
fatica. Aveva il respiro corto e gli occhi semichiusi.
“A me piace sbagliare” le confidò.
Mise le
mani sulla sua vita e la attirò a sé, poi iniziò a togliersi il mantello e il
cappello.
“Sai, prima pensavo che avremmo solo parlato ma direi che
questa soluzione è molto più… piacevole, per entrambi” disse.
Aveva
iniziato ad aprirsi la camicia, slegando lentamente il foulard intorno al
collo.
“Che stai facendo?” chiese lei tra un bacio e un
altro.
“Ma non è chiaro, mia cara?” rispose lui provocante.
Aveva
la maglietta completamente sbottonata, si potevano vedere gli addominali che
nascondeva al suo interno.
Laura
perse completamente il controllo di sé: lo prese per la sciarpa e lo attirò a
sé, utilizzando una mano per accarezzargli il petto.
“Adesso mi piaci molto di più” ammise lui.
Iniziò
a sfiorarle la vita, per poi scendere sui fianchi. Aveva le mani leggere e
esperte e la fece tremare subito.
Si
staccò da lei e scese lentamente con la bocca, baciandole la gola, il petto,
sempre più giù. Laura ormai boccheggiava.
Mentre
con le mani le apriva la camicetta, con le labbra continuava a baciarle la pelle
scoperta.
“Mephisto… io…” cercava di dire, ma non riusciva a
far nulla: era diventata una bambola nelle sue mani. L’uomo sorrise, sapendo di
averla in pugno.
“Non mi puoi scappare, non devi nemmeno provarci, tanto
ormai sei mia” le disse. Quando ebbe aperto completamente la sua camicia,
gliela sfilò gettandola a terra con gli altri vestiti, poi passò al reggiseno.
La fece sdraiare sulla scrivania e le tolse anche quello. Ormai dalla vita in su
erano completamente nudi.
“Posso suggerire di spostarci sul letto? Credo sia molto
più comodo per certe cose” le chiese, senza smettere di baciarla sul
corpo. Laura annuì e si strinse a lui mentre la prendeva in braccio e la posava
delicatamente sulle coperte.
A quel
punto fu la ragazza a prendere l’iniziativa: accarezzandolo sul petto scese con
la mano fino a trovare l’apertura dei pantaloni. Armeggiò un paio di secondi e
glieli slacciò, per poi sfilarglieli lentamente di dosso. Lui fece altrettanto
con la sua gonna, lasciandola solo con le mutandine
addosso.
“Posso?” chiese prima di toccarla nel suo punto più
intimo.
Forse
non l’aveva sentito o forse era troppo emozionata per parlare, ma Laura stette
zitta e lui prese il suo silenzio come un invito: scese con la mano fino alla
biancheria e la spostò leggermente. Quando la sfiorò, lei gemette, reprimendo
l’impulso di urlare.
“Puoi gridare, se vuoi, non ti sente mica nessuno”
le assicurò.
Laura
scosse il capo, ma Mephisto voleva sentirla mentre provava piacere, così entrò
dentro di lei con un dito.
“Mephisto!” esclamò lei, impaurita. Lui la zittì
con un bacio. Continuando a muovere la mano, la sentiva soffocare gemiti sotto
le sue labbra e accelerò i movimenti. Quando tremò, si staccò da lei e la
guardò. Poi la ragazza si accasciò sul letto.
“Adesso, se mi permetti, è il mio turno” le disse.
Si
tolse i boxer e si aggiustò per bene sopra di lei.
“Ripensamenti?” chiese.
Laura
scosse la testa. Lentamente lui la penetrò. La ragazza
gridò.
Quella era l’esperienza più assurda,
imprevista, impensabile, insensata mai avuta. Se ci avesse pensato solo un’ora
prima non ci avrebbe creduto. Lui si stava muovendo veloce sopra di lei, e ormai
sentiva che stava per giungere al culmine. Dopo pochi minuti entrambi tremarono.
Si inarcò con la schiena e sentì una scossa, molto più forte della prima,
pervaderla da capo a piedi, poi si accasciò sul letto, con lui sopra di lei.
Mephisto rotolò su un fianco, per riprendere fiato.
“Tu… tu… tu…” balbettò Laura, indignata.
Non
solo era andato lì senza motivo, ma l’aveva anche sedotta!
“Non era nei miei piani, ma direi che posso accettare un
piccolo imprevisto come questo” ammise lui,
sorridendo.
“Perché sei venuto?” gli chiese, rendendosi conto
del doppio senso di quelle parole. L’uomo non parve farci caso (o forse non
disse nulla per gentilezza).
“Volevo chiarire un punto con te: non ho mai detto che non
provo niente. Prima cercavo solo di farti capire che questo –e indicò
loro due stesi sul letto- è sbagliato”
spiegò. Laura chiuse gli occhi, stanca sia fisicamente che emotivamente. Iniziò
a sentire le palpebre farsi pesanti.
“Tu non sei normale, sei pericoloso” affermò
sbadigliando.
Mephisto
sorrise e le diede un bacio sulla fronte.
“Ne parliamo quando ti sveglierai, d’accordo? Adesso
riposati” le disse.
La
ragazza si addormentò dolcemente, abbracciata al suo
petto.
“Mephisto, i nostri fratelli e nostro padre Satana ci
aspettano”… voci confuse… “Cosa farai se verrà a cercare Rin? È un demone come noi, dopotutto”… non aveva senso ciò che
sentiva…
Laura
aprì gli occhi con fatica, senza ricordare dove fosse o perché. Sentiva le
lenzuola sulla pelle nuda. “Come mai non ho niente
addosso?” si chiese. Quando fu in grado di mettere a fuoco ciò che aveva
intorno si rese conto che quello che stava vedendo non aveva senso. Si mise a
sedere sul letto, con gli occhi sgranati: di fronte a lei c’era Mephisto, ancora mezzo nudo, che si stava aggiustando la
coda. LA CODA?
“Oddio… cosa… cosa diavolo è quella?” domandò in
preda al panico.
Preso
alla sprovvista, l’uomo fece del suo meglio per nasconderla, ma ormai il danno
era fatto.
“No, non… non è vero” balbettò lei.
Una
specie di pulsante fu premuto nella sua testa e una serie di ricordi le
tornarono in mente a cascata: la gonna bruciata, lei che andava nell’ufficio del
preside, i discorsi ascoltati da dietro la porta, il bisogno fisiologico di
dimenticare…
“Calmati, non è niente” rispose lui, mettendosi a
sedere accanto a lei e allungando una mano per accarezzarla. Laura lo spinse
via, alzandosi dal letto e cercando i vestiti.
“Tu sei un demone!
Io lo sapevo, ora ricordo tutto!” esclamò, sull’orlo di una crisi
isterica.
“Ricordi?” domandò lui confuso.
Quando
si fu rivestita la ragazza iniziò a camminare nervosamente su e giù per la
stanza.
“Quella sera, quando sono venuta da te per la gonna
bruciata avevo sentito delle cose da dietro la porta.
Non so con chi tu stessi parlando, Amaimon o qualcosa di simile, ma ora mi ricordo nitidamente
di avergli sentito dire che tu sei un demone… che tu sei il figlio di
Satana” rispose in un
sussurro.
“E anche Rin”
aggiunse mentalmente.
“Ecco, forse tu l’hai sentito ma magari hai capito
male” provò lui, ma lo sguardo di Laura lo fece zittire.
Stavolta
finiva male sul serio.
“So benissimo ciò che ho sentito e non ho frainteso
assolutamente niente.
Tu ti sei preso gioco di me! Aveva ragione Shura a dirmi che sei pericoloso, che non ti dovevo stare
intorno” urlò.
Si
avvicinò alla porta e l’aprì.
“Voglio che tu te ne vada, e lo voglio subito” gli
disse, con una calma glaciale.
“Laura, se tu mi ascoltassi…”
“Vattene!
Ora!” ordinò
lei.
Non lo
voleva ascoltare, adesso basta
davvero.
Con la
testa alta come sempre ma una disgustosa sensazione nel petto, Mephisto uscì dalla porta. Quando questa si richiuse,
sbattendo, alle sue spalle, si voltò a guardarla: per qualche strana ragione si
sentiva un verme.
Prese
la sua forma animale e tornò con la coda tra le gambe e la testa bassa nel suo
studio.
Si era
reso conto del pericolo che lei vedesse la coda solo DOPO tutto ciò, quando lei
si era mossa nel sonno e l’aveva quasi sfiorata con la mano.
“Idiota! Se se ne rende conto è la fine!” si disse.
Era
sceso dal letto, attento a non svegliarla, e si era messo a cercare i vestiti.
Il mantello era finito sotto la scrivania, la sciarpa sopra; i pantaloni erano
in fondo alle coperte, i boxer… dove erano? Ci aveva messo dieci minuti a
notarli tra le pieghe delle lenzuola, ma quando li aveva presi era tardi: Laura
aveva aperto gli occhi e aveva visto la coda, nonostante la sua velocità nel
nasconderla dietro la schiena. Si era sentito gelare il sangue nelle vene.
Adesso,
seduto sulla poltrona nel suo studio, ripensava a quello che gli aveva detto:
“Quella sera, quando sono venuta da te per la gonna
bruciata avevo sentito delle cose da dietro la porta… mi ricordo nitidamente di
aver sentito dire che tu sei un demone… che tu sei il figlio di Satana”.
Come
aveva potuto essere tanto incauto? Si ricordava quella sera, nitidamente:
Amaimon era venuto per parlare di Rin e per convincerlo a tornare a casa, ma lui
aveva rifiutato.
Era
stato quando l’aveva vista per la prima volta.
In
tanti secoli di vita non si era mai trovato nella condizione di incapacità
totale come adesso. Sospirò, disperato.
Laura
era rimasta a terra con le gambe strette al petto per almeno un’ora prima che
Rea tornasse. Tremava fino alla punta dei capelli, un po’ per paura e un po’ per
disperazione.
“Sono tornata! Ti ho portato un po’ di dolce, spero che… ehi,
che è successo stavolta?” domandò. Aveva in mano un piatto con un pezzo
di torta al cioccolato.
“Mephisto… io e lui… e lui è… sono una stupida!”
balbettò la ragazza in risposta.
Rea si
mise in ginocchio accanto a lei e la fissò.
“Non ho capito una sola parola di quello che hai detto, a se
vuoi sono a tua disposizione per sfoghi e affini. Vieni, sediamoci sul
letto” la confortò. Le mise una mano dietro la schiena e la aiutò ad
alzarsi, dato che le pareva molto instabile.
Quando
furono riuscite a mettersi comode sulle coperte Laura smise di singhiozzare e
provò a respirare normalmente.
“Calmati, ho tutto il tempo del mondo per te” le
assicurò Rea.
“Mephisto…” iniziò a dire.
“Sì, avevo intuito vagamente che c’entrasse il
pagliaccio” sospirò l’altra.
Laura
le raccontò tutto, dalla litigata a quando erano finiti a letto insieme,
passando anche per quando aveva strappato il foglietto di Kuto e lei aveva
provato a mandarlo via. Quando terminò, fissò l’amica in cerca di qualche
reazione.
“Tu… hai fatto… sesso… con Mephisto?” le domandò
incredula.
“Non ci voglio credere. Sei più schifata per questo che
per il fatto che lui sia un demone?” esclamò l’altra alzandosi.
Poi le
venne in mente una cosa.
“Tu sapevi già di Rin, vero? È stato lui a ferirti, la
mashou l’hai avuta da lui!” le disse. Rea la fissò: da quando erano
entrate all’accademia Laura si era fatta più furba.
“Sì, in effetti è così” ammise.
“E questo non ti dà noia? Non ne sei spaventata? Come fai
a rimanere così impassibile ogni santissima volta?” chiese spazientita.
Era
arrivata al limite massimo di sopportazione.
“Beh, all’inizio non ci credevo nemmeno io. Rin mi ha ferita
per sbaglio quando eravamo sul tetto: io ero stanca, avevo pianto molto e non
avevo mangiato niente e, quando mi sono alzata per tornare in camera, la testa
ha iniziato a girarmi. Rischiavo di cadere e lui mi ha afferrata, graffiandomi
leggermente a un polso. Ho iniziato a vedere mostriciattoli neri ovunque a giro
per strada e mi sono spaventata. Tieni conto del fatto che io non credevo che
lui fosse un demone, a te non parlavo, quindi ero sola. Poi ci siamo rivisti e
si è sentito talmente in colpa da dirmi tutto quanto. Anche se lì per lì era un
po’ strano, poi mi sono resa conto che non mi importava, lui per me è solo
Rin” le spiegò.
Laura
non seppe come ribattere.
“Senti, sinceramente se il mio migliore amico è un demone, un
mostro, un gatto o una gallina non mi interessa, quello che davvero importa è
come io sto con lui, giusto?” chiese innocentemente.
Shura
era sempre stata una donna schietta e poco sensibile: se doveva dire qualcosa la
diceva senza mezze misura, mettendo spesso a disagio il suo interlocutore.
Quella volta non fece eccezione: finita la lezione, dato che Mephisto non era
andato ad assistere come al solito, aveva bloccato la porta e aveva messo Laura
alle strette.
“Che cosa sta succedendo, Arikushi?” le aveva
chiesto.
Da
qualche giorno aveva notato disattenzione e tristezza nella ragazza, che di
solito era volenterosa d’imparare e allegra.
Non si
era fatta delle domande, non subito almeno, ma poi, per sbaglio, aveva sentito
una conversazione, il pomeriggio precedente, tra lei e Mephisto. Non voleva
origliare, ma la curiosità, si sa, è donna.
“Se tu mi ascoltassi solo un secondo…” tentò di dire
lui.
“No! Tu non solo mi hai mentito quando, prima di iniziare
i corsi, ti avevo chiesto se eri un demone, ma hai anche avuto il coraggio di
fingere che t’importasse qualcosa di me venendo a ricercarmi! Non ho motivo di
star qui ad ascoltare le tue stupidissime scuse!” lo aggredì lei.
Shura
si arrischiò a guardare: l’uomo prese Laura per un polso, per bloccarla, ma lei
strattonò il braccio e lo guardò con occhi infuocati.
“Non voglio mai più parlarti, vederti, anche solo
pensarti! Tu sei… sei un mostro, ecco!” gridò scappando via.
Dal suo
nascondiglio, la donna poté vedere nitidamente la tristezza sul volto del
preside. Possibile che stavolta si fosse innamorato sul serio?
Voleva
vederci chiaro e l’unico modo che aveva trovato era parlarne con la diretta
interessata.
Laura
la guardò senza capire.
“Tu ed io adesso parliamo un po’, siediti” le
ordinò.
La
studentessa si mise comoda ad un banco e Shura si sedette a gambe incrociate
sulla scrivania.
“Tra te e Mephisto che cosa è successo?” domandò di
nuovo.
Laura
sgranò gli occhi.
“Come… cosa sa?” chiese in preda al
panico.
“Vi ho sentiti litigare, ieri. Se volevi un po’ di privacy
dovevi urlare un po’ meno” rispose facendo spallucce.
La
ragazza abbassò lo sguardo, imbarazzata. Quanto poteva
rivelarle?
“Ecco, io ho scoperto delle cose sul suo conto che lui mi
aveva nascosto. Non sono cose da poco, e non voglio stare a sentire le sue
scuse. Tutto qui” disse velocemente.
Shura
la squadrò.
“Non me la bevo, ragazzina. Cosa hai scoperto?”
Laura
sbuffò, ma poi si arrese.
“Tra di noi, ultimamente, il rapporto si era fatto più
stretto, e ci siamo avvicinati molto. L’altro giorno è successa una cosa molto…
intima…” spiegò.
“Vi siete baciati?”
“Sì, diciamo di sì. Quando io mi sono lasciata andare a
lui e ho aperto il mio cuore mi sono resa conto che lui aveva… lui aveva la coda
e ho fatto il collegamento” disse.
“Hai capito che è un demone” capì Shura.
Laura
annuì.
La
donna rifletté un attimo.
“Come hai fatto, però, a vedere la sua coda? La tiene
nascosta nei vestiti, e… oddio, no! Ti prego dimmi che non avete…” non
riusciva nemmeno a dirlo ad alta voce.
La
ragazza tossì imbarazzata.
“Ma che schifo!” esclamò.
“Non mi pareva che fosse questo il punto focale della
questione” tentò Laura, cercando di sviare il
discorso.
“Sì, hai ragione, ma mi fa un po’ senso pensare che voi…
che orrore! Comunque qual è il problema?” le chiese. Lei ci pensò un
attimo.
“Intanto che mi ha mentito quando gliel’ho chiesto poco
prima della mia prima lezione da page; poi che non solo mi aveva trattata male
nel suo studio poco prima di sedurmi, ma ha anche avuto il coraggio di dirmi che
ci teneva a me. È un bugiardo e un falso” disse.
“Beh, non potevi pretendere che ti dicesse subito che era
un demone, non eri altro che una semplice studentessa allora, giusto?”
Laura annuì.
“Inoltre, benché io non appartenga al Mephisto fan club,
per una volta mi trovo costretta a prendere le sue parti: durante i tuoi esami
da exwire abbiamo litigato a causa del fatto che lui voleva venire a salvarti
subito, mentre io volevo aspettare e vedere cosa eri in grado di fare. Lì per lì
non avevo capito come mai si comportava in questo modo, ma credo (e sono certa
di non sbagliarmi) che tu per lui sia molto più importante di quanto non faccia
vedere” ammise a malincuore.
“Non vedi che è nei guai? Se si fa qualcosa io… io…”
le aveva detto.
Adesso
capiva cosa intendeva: vedere la persona di cui siamo innamorati in pericolo di
vita ed essere incapaci di agire deve essere frustrante.
“Sì, però...” la ragazza adesso era confusa. Sia
Shura che Rea le avevano detto che non doveva preoccuparsi, ma lei non riusciva
a pensare ad altro.
“Ascoltami, forse sarebbe meglio se tu ci parlassi, ma se
il tuo cuore ti dice che non ne vale la pena allora semplicemente smetti di
stare male e segui le mie lezioni con attenzione, per favore” la implorò
spazientita.
La
ragazza rise. Shura la guardò con affetto.
“Abbiamo finito, Arikushi, puoi
andare”
Laura
camminò per molto tempo, pensando a tutta quella situazione. Le sembrava di star
vivendo in un sogno. Da quando era entrata alla True Cross Academy le si era
stravolta la vita: aveva incontrato demoni di ogni sorta, aveva affrontato dei
corsi di esorcismo, si era fatta amica un famiglio evocato con proprio sangue,
aveva rischiato di morire, si era lanciata da una finestra, aveva fatto l’amore
con un uomo non solo molto più grande di lei ma che era anche il preside e si
era innamorata. Non innamorata della serie “sì, mi piaci” ma innamorata davvero,
da stare male anche la notte e non dormire.
Inconsciamente
si ritrovò di fronte allo studio di Mephisto. Esitò un secondo prima di bussare:
che cosa poteva dirgli? “Tanto peggio di
così” pensò.
Quando
alzò la mano per picchiare sulla porta, questa si aprì e lei si ritrovò davanti
il preside in persona, con tanto di cappello bianco.
“Laura!” esclamò sorpreso. Lei si ritrovò spiazzata
e incapace di parlare.
“Come mai sei qui? Che cosa succede?”chiese lui
preoccupato.
“Sono venuta per parlarti,
Mephisto”
“Di cosa?” domandò.
“Di te, di noi… di tutta questa storia!” rispose
lei d’un fiato. Voleva chiarire?
“Vieni, entriamo dentro, ti offro una tazza di tè”
le propose lui.
“L’ultima volta che ho bevuto qualcosa da te la situazione
è degenerata” ricordò lei, sorridendo di nascosto.
Qualche
minuto dopo, con un po’ di bevanda calda davanti e meno ansia addosso, Laura
prese coraggio.
“Tu sei un bugiardo” iniziò.
“Non volevo mentirti, io…”
“Fammi finire. Mi hai risposto negativamente quando ti
domandai se eri un demone, ma questo posso anche capirlo, in fondo non ci
conoscevamo ancora. Mi sei stato vicino dalla prima all’ultima lezione di
esorcismo, hai fatto in modo che non mi tirassi mai indietro, né quando ero
spaventata dopo il primo attacco del demone né quando dovevo fare il test da
tamer, e ti sono grata con tutta me stessa di ciò. Non contento, hai voluto
complicare le cose baciandomi e già questo mi ha messa in difficoltà: cosa
significava per te? Quanto ti stavo a cuore davvero? Poi hai voluto uscirtene
con quelle frasi idioti del tipo sei
piccola eccetera, eccetera” disse lei.
“Quella è stata una brutta idea, effettivamente”
ammise lui.
“Trovi?” domandò sarcastica la
ragazza.
“Comunque quando sei venuto in camera mia non potevo
pensare che mi avresti sedotta, né che avrei visto la tua coda un’ora dopo,
eppure è successo. Perché? Come mai non mi hai detto niente
prima?”
“Non potevo! È già pericoloso che tu lo abbia saputo per
sbaglio, figuriamoci se te lo avessi detto io” le rispose. Sospirò e si
appoggiò alle mani.
“Devi sapere che per il fatto che io sono un demone la mia
posizione all’interno dell’Ordine è già piuttosto compromessa. Come ci si può
fidare di un mostro per sconfiggere i demoni, in fondo?” ammise. Laura
annuì.
“Tu sei entrata per sbaglio nella mia vita: prima con la
gonna, poi con la chiave, e infine con il corso da esorcisti. Non credo che tu
sappia la lotta combattuta nella mia testa quando hai sostenuto i tuoi due esami
da exwire: vederti in quelle condizioni era straziante per me” confessò.
Gli
fece un certo effetto dire tutto ciò ad alta voce.
“Comunque io non volevo nasconderti niente, e mi piacerebbe
che tu non mi evitassi” terminò.
“Cos’era la luce blu che mi ha dato fuoco alla gonna la
prima sera?” domandò Laura.
“Era quell’idiota di Rin. Stava combattendo contro un
nemico e si è fatto prendere un po’ troppo la mano” rispose lui a denti
stretti. Quella cosa gli bruciava ancora. Laura esitò un
attimo.
“Essendo tu un demone, però, sei immortale,
giusto?” chiese titubante.
La
risposta la spaventava.
“Purtroppo sì” annuì Mephisto.
Ci
aveva pensato molto anche lui e non riusciva a trovare la soluzione per rimanere
con lei.
“Quindi tra di noi non può esserci nulla?” comprese
la ragazza.
“Potrebbe, ma non sono disposto a vederti morire tra
sessanta o settant’anni” confermò lui. Rimasero in silenzio per un po’,
cercando di trovare una soluzione.
“Io non rinuncio” decise infine lei.
Si alzò
e gli andò davanti, fissandolo negli occhi.
“Ho combattuto contro demoni, contro la mia paura, contro
Rea (e fidati che è peggio degli altri due messi insieme se ci si mette) e
contro il buonsenso per starti vicino! Non posso arrendermi ora!”
esclamò.
Mephisto
la guardò un secondo e poi sorrise.
“Sei una sorpresa continua”
ammise.
“Posso essere ciò che vuoi, ma io non rinuncio a
te!” disse decisa.
Come
per sottolineare il fatto che non se ne sarebbe andata di lì senza una soluzione
per stare insieme, lo baciò attirandolo a sé.
“Questo mi sembra un motivo più che sufficiente”
rise lui.
La
allontanò un po’ da sé e si prese un minuto per pensare. Aveva più di cinque
secoli, che diamine, un modo per fregare le regole doveva esserci! Poi ebbe il
lampo di genio.
“Tu potrai rimanere con me e vivere in quest’accademia per
i prossimi tre anni, nei quali godrai di ogni cosa che una studentessa può
ottenere. Se in questo periodo sarai in grado di diventare esorcista a pieno
titolo allora potrai avere in dono l’immortalità: vivrai finché vivrò io e non
avrai nessun problema. Altrimenti la tua vita sarà mia” le
propose.
“Sarebbe un patto?” chiese
lei.
“Chiamalo come vuoi” disse Mephisto. Laura ci pensò
un attimo.
“Affare fatto!” decise.
L’uomo
schioccò le dita e fece apparire un contratto: anche se non era nelle sue
abitudini, voleva fare le cose per bene.
Quando
entrambi ebbero firmato, si fissarono negli occhi per un lunghissimo momento,
poi lui le prese il mento e le alzò la faccia. Stavolta il bacio che si
scambiarono fu dolce e lento, si prese tutto il tempo di cui aveva
bisogno.
“Adesso torna in camera, dolce Laura” le disse
l’uomo.
Lei
annuì, felice e leggera come una piuma. Sentiva che non poteva andare storto
niente, stavolta.
Aveva
appena sbattuto sulla scrivania dello studio di Mephisto il suo certificato da esorcista. Ce l’aveva fatta
davvero!
“Che cos’è?” domandò lui,
distratto.
“Questo, mio caro, è la prova del fatto che ho
vinto” lo informò lei.
L’uomo
fissò il foglio che giaceva sul piano e poi la guardò, sorridendo sotto i baffi.
Aveva partecipato attivamente ai corsi della ragazza, che negli ultimi tre anni
si era impegnata anima e corpo per raggiungere il suo obbiettivo.
L’aveva
vista faticare, piangere dallo sforzo, cadere e rialzarsi ogni volta per
riuscire a diventare esorcista e ora ce l’aveva fatta realmente.
Laura
si mise a sedere sulla poltrona su cui, ormai, si trovava molto a suo agio:
aveva passato interi pomeriggio lì con lui, mentre gli altri studiavano, a
ripassare i fondamenti delle tecniche di esorcismo. Le era più facile ricordare
le cose tra un bacio e un altro, piuttosto che china sui libri in camera
sua.
“Non so, secondo me ci deve essere qualcosa che non
torna.
Io non perdo quasi mai le mie scommesse” considerò.
La
verità è che, comunque fosse finita, lui avrebbe vinto: quando, tre anni prima,
aveva deciso di proporle di fare quella scommessa, aveva proposto l’accordo in
modo tale che entrambi i risultati sarebbero andati a suo vantaggio. Se avesse
preso il diploma entro tre anni le avrebbe dato la vita eterna, al contrario, se
non fosse riuscita nell’intento, la sua vita le sarebbe appartenuta e, in quanto
tale, ci avrebbe potuto fare ciò che voleva. Lei era sua, ora e per
sempre.
“Guarda che io mi sono impegnata!
Me lo sono guadagnato questo certificato!” si arrabbiò Laura, battendo i pugni sulla
scrivania.
In tre
anni, pur di vincere la scommessa con Mephisto, aveva
rinunciato anche a dormire la notte per studiare. Shura, di nascosto, le aveva dato una mano quando nessuno
era nei dintorni dell’ala speciale. Aveva il sospetto che il preside lo sapesse,
anche perché altrimenti non si spiegava come potesse aver saputo, anni prima,
che lei era entrata nel corridoio segreto.
Comunque le sembrava ingiusto, adesso,
che lui mettesse in dubbio il suo impegno.
“Rimangiati subito quello che hai
detto!
Rimangiatelo!” gli
intimò.
Mephisto rise
di gusto, divertito.
“Beh, in secoli di vita e inganni non ho mai, e intendo
dire proprio mai, perso una scommessa.
Non mi piace sentirmi vinto, sai? Cosa ci ho guadagnato in
tutto ciò, in fondo?” chiese guardandola con
occhi curiosi.
Le
faceva battere ancora forte il cuore quel suo sguardo di
sfida.
“Hai me, non ti basto?” rispose lei. Si sporse
sopra la scrivania e lo guardò dritto nelle pupille.
“Io ho fatto la mia parte, adesso sta a
te.
Sei disposto a darmi la vita eterna e a sopportarmi finché,
come si suol dire, morte non ci separi?” gli chiese.
Con un
sorriso a mezza bocca lui ricambiò la sfida.
“Sei disposta a stare con un demone per il resto della tua
esistenza?
Guarda, che è molto tempo, non vorrei che tu ti annoiassi” la avvertì.
Laura
si alzò e girò intorno al mobile, sedendosi a cavalcioni sulle gambe di Mephisto, che si stupì di tanta
iniziativa.
“Mai stata più sicura” confermò. Lo baciò, per
sottolineare che quello che aveva detto era vero.
Stavano
finendo di imballare gli ultimi scatoloni per lasciare libera la
stanza.
“No che non lo è!
Non ci stiamo dicendo addio, ma solo arrivederci” le assicurò Laura. Dopo
tanti anni di amicizia e vita insieme erano tristi nel
separarsi.
Quando
ebbero finito di togliere le ultime cose si misero a guardare quella camera. Lì
avevano pianto, litigato, scherzato, riso. Lì avevano entrambe trovato
l’amore.
“Mi mancherà così tanto questo posto” disse
Rea.
“Già, mette un po’ di tristezza vederla adesso, così
spoglia” annuì Laura.
Era
rimasta d’accordo con Mephisto che, una volta che la stanza fosse stata
liberata, lei sarebbe andata da lui e le sarebbe stata assegnata un’altra
stanza.
Quale
lo ignorava.
“Sai, quando siamo venute qui, il primo giorno, avevo una
paura da matti.
Mi mancava casa mia, i miei genitori, ma più di tutto temevo che non saremmo riuscite a rimanere insieme, stando tanto a
contatto, eppure, adesso, non faccio altro che chiedermi cosa sarebbe successo
se non fossimo entrate alla True Cross”
ammise la bionda.
Non lo
aveva mai detto ad alta voce, però doveva molto all’amica tutto il suo coraggio:
se fosse stata sola non sarebbe stata in grado nemmeno di affrontare la prima
lezione di scuola normale, figurarsi l’esorcismo!
“Non voglio che ci separiamo” le confessò Rea.
Aveva
le lacrime agli occhi per quell’arrivederci, si sentiva triste e depressa. Laura
l’abbracciò.
“Io ci sarò sempre per te” le
promise.
“Lo so, ma non ci vedremo più ogni giorno, tu avrai i tuoi
corsi di esorcismo, io vivrò in città e sarò impegnata con il ristorante tutto
il tempo.
Come farò senza di te?”
chiese. Ormai
singhiozzava visibilmente.
“Forza, Rea, sapevi che doveva succedere prima o
poi.
Abbiamo ventuno anni, siamo entrambe fidanzate e felici, è il momento di
prendere le nostre strade. Ci saremo sempre l’una per l’altra, cadesse il mondo
sappiamo che se avremo bisogno ci potremo chiamare. Non ci
stiamo dicendo addio” le
assicurò. Ci
mise altri venti minuti per smettere di piangere ed avere la forza per prendere
gli scatoloni.
“Lui ti sta aspettando?” chiese
Laura.
“Sì, è fuori all’entrata.
Porterà lui tutte le mie cose”
rispose.
“Salutalo da parte mia” si raccomandò.
Rea la
fissò senza capire. Chiuse la porta dietro di sé e poi si
girò.
“Non mi accompagni?” domandò triste. L’altra scosse il
capo.
“Devo andare, Mephisto mi aspetta” le spiegò.
L’amica le sorrise e l’abbracciò.
“Ti voglio bene, Laura” le
disse.
“Anche io” rispose lei.
Avevano
entrambe gli occhi lucidi quando si separarono, ma stavano bene. Non era un
addio, giusto?
“Avanti!” disse una voce da dentro. Laura fece
capolino dalla porta dello studio, sorridente.
“Sono arrivata.
La stanza è libera, se n’è andata anche Rea” gli disse entrando.
“Dove sono tutte le tue cose?” gli chiese, vedendo
che non aveva niente in mano.
“Oh, beh dato che erano pesanti li ho lasciati in
corridoio.
Shura mi ha
dato una mano a portarli fin qui, adesso è fuori a bere una birra” spiegò.
“Com’è andato il tuo saluto a Rea?” le chiese,
facendola sedere sulle sue ginocchia. Stringendosi a lui si accoccolò sulla
poltrona.
“Triste, ma non quanto avevo pensato. Siamo state abbastanza brave nel dirci arrivederci” ammise.
“Rin era giù ad aspettarla,
vero?”
“Sì, all’entrata per aiutarla a traslocare”
confermò lei.
Senza
farsi vedere,Mephisto lanciò
un occhiata alla sua camicetta. Più passava il tempo, più il suo corpo
l’attraeva.
“Adesso che succede?” domandò lei mentre pensieri
poco gentili affioravano nella testa dell’uomo.
“Come?” disse, certo di aver capito
male.
“Io ho vinto la scommessa,
giusto?
Quindi ho da ritirare un premio. C’è una specie di iniziazione
o una qualche cerimonia particolare per celebrare questa cosa?” lui rise rumorosamente.
“Vuoi una festa di ufficializzazione della tua entrata nel
mondo immortale?” le chiese sarcastico. Laura
arrossì: nella sua testa non suonava così stupido.
“Beh, se lo dici così sembra una cosa idiota” si
lamentò.
“Cosa vorresti che facessi?
Che dicessi a tutti che negli ultimi tre anni sono stato fidanzato con una
studentessa e che non solo l’ho sedotta più volte (con grande piacere,
aggiungerei) ma che le ho anche promesso che vivrà finché vivrò io? Non mi sembra una cosa molto saggia da fare” le fece presente.
“Peccato.
Quindi hai altre idee per festeggiare?” gli domandò strusciandosi un po’ a
lui.
“Forse un paio” rispose
baciandola.
“Allora, giovane esorcista, come stai?” la salutò
Shura un pomeriggio.
Laura
si era trasferita nell’ala di Mephisto e aveva una
stanza tutta sua in cima alla True Cross, da dove
aveva la visuale su ogni parte dell’accademia e dintorni.
“Sto bene, grazie.
Tu? Come procede con la classe di Preparazione?” rispose lei.
Negli
ultimi tre anni si erano avvicinate tanto da darsi del tu senza problemi,
scavalcando le formalità del “Professoressa” e “Arikushi”. Laura si sentiva molto più a suo agio in questo
modo.
“Non mi piace parlare del mio lavoro al di fuori della
scuola, lo sai.
Mephisto si comporta bene? Se ti fa soffrire ancora
vieni da me e ci penso io, d’accordo?” siraccomandò facendole
l’occhiolino.
“Sarò il tuo incubo, allora” scherzò
Laura.
Si
congedò e tornò in camera. Doveva finire la domanda all’Ordine per entrare a
farne parte e diventare un’esorcista a tutti gli effetti.
Quando
aprì la porta si rese subito conto che qualcosa non andava.
Si
precipitò come una furia nello studio di Mephisto.
“Dove diavolo sono tutte le mie cose?” lo aggredì.
Era
l’unico che sapeva dove lei stava e che aveva la chiave della sua
stanza.
“Non so di che stai parlando” le rispose lui
innocentemente.
Laura
sbatté una mano sulla scrivania e lo guardò fisso.
“Non raccontarmi balle, sai che le
odio.
Dove hai portato tutta la mia roba?” gli domandò di nuovo. Lui
sorrise e si dette un minuto per contemplarla, poi si
alzò.
“Vieni con me” le disse
porgendole una mano. La ragazza la strinse.
“Dove mi porti?” chiese
titubante.
“Fidati di me e seguimi”
le ordinò.
Uscirono
dallo studio e Mephisto aprì una porta con una delle
sue chiavi particolari. Entrarono in un corridoio buio e stretto, ma Laura non
aveva paura se stava con lui.
“Adesso chiudi gli occhi” le disse. Lei li
chiuse.
“Al mio tre riaprili, va bene?” la ragazza annuì.
Lui la
fece sedere su qualcosa di morbido e la strinse a sé.
“Eins, zwei, drei” contò.
Lei
aprì gli occhi: stava guardando la True Cross
dall’alto.
“Oddio!” esclamò, aggrappandosi a Mephisto. Erano seduti su una poltrona che stava veramente
volando.
“Cos’è questo?
Com’è possibile?” chiese lei
in preda al panico.
“Eppure dovresti sapere che con me la monotonia non
esiste.
Questa è la tua casa, di qui inizia la tua nuova vita” le spiegò.
“E cosa c’entra con le mie
cose?”
“Le ho fatte portare nella mia camera” le rispose.
Quando lei comprese lo guardò con gli occhi sgranati.
“Significa che…”
“Tu ed io vivremo insieme nel termine stretto della parola,
sì” terminò lui.
Lei si
lanciò ad abbracciarlo.
“Come mai questa decisione?” domandò quando ebbe
finito di baciarlo.
“Tu volevi un modo di festeggiare la tua entrata nel mondo
immortale ed ho pensato che, dato che dobbiamo passare un’eternità insieme,
tanto valeva iniziare subito, giusto?
Per cui eccoci qua”
rispose.
“Non ci credo, è una pazzia”
esclamò.
“Che ci vuoi fare?
Io sono un pazzo per natura e da quando ti ho conosciuto sono peggiorato. Forse sei tu a farmi impazzire, chissà” suppose. Lei
rise.
“Senti, ma adesso che succede?” gli chiese
stringendosi a lui.
Stava
bene tra le sue braccia.
“Direi che ora iniziamo la nostra vita insieme”
“Cioè?” Mephisto la baciò
con passione.
“Abbiamo un’eternità per pensarci, perché non ti godi
questo panorama?” le propose. Facendosi piccola si accoccolò su di lui.
Perché preoccuparsi subito, in effetti? Adesso c’era solo lui e questo le
bastava.
“A che pensi?” le domandò qualche minuto dopo. Laura
rise.