When the Snow Falls

di Angy_Valentine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1 - I'll find you ***
Capitolo 2: *** Part 2 - My heart with you ***



Capitolo 1
*** Part 1 - I'll find you ***


E che dire. Un mio primo tentativo di scrivere una Byakuya x Hisana. Amo alla follia questo pair, e... e niente, una sera l'ispirazione è venuta così. E su di loro c'è sempre così poco... quindi ho voluto provare a rimpolpare un po' il fandom di una delle coppie più belle e tristi di Bleach. Sì, lo so, dovrei andare avanti anche con Fire and Ice, ma giuro che sto scrivendo anche quello, in un paio di giorni - se tutto va bene - dovrei riuscire ad aggiornare xD Del resto, c'è poco da fare... quando l'ispirazione viene, è sempre bene approfittarne :'D In questo primo capitolo sarà Hisana a parlare, spero di averla tenuta sufficientemente IC. Al prossimo, ovviamente, la parola passerà a Byakuya. Un ultimo appunto, una piccola parte dei dialoghi è ripresa dal flashback presente in Fade to Black.
Bien, smetto di rompervi le scatole e vi lascio alla lettura. Come sempre, commenti e critiche sono sempre ben accette! :)



When the Snow falls

雪が下がると



Part 1 – I’ll find you





Riapro lentamente gli occhi, la crisi di ieri sera è stata più pesante del solito e mi ha destabilizzata più di quanto mi aspettassi. Mi ritrovo come sempre a fissare i tasselli del soffitto mentre giaccio stesa sul futon, la pesante coperta tirata su fin quasi al mento e la testa immersa nei morbidi cuscini. So già chi è stato ad aggiungerli al normale guanciale e, stupidamente, sorrido al pensiero di tale persona e della sua riguardosa premura.

Ricordo di essermi svegliata quando ho sentito la servitù togliere gli amado dalla veranda, ma la luce non era ancora così forte; seppur appena percettibile, il respiro lento e regolare del nobile Byakuya era ancora al mio fianco e, ulteriore testimone della sua presenza, la sua mano sinistra era intrecciata mollemente alla mia destra. Voltando il capo l’avevo visto ancora profondamente addormentato, o almeno così mi era parso: aveva lavorato fino a tardi e, sebbene non volesse mai dare a vedere la propria stanchezza, il suo corpo necessitava di recuperare le energie per poter affrontare il giorno che gli si prospettava davanti. Ne avevo studiato il profilo per qualche istante, seguendo con lo sguardo i capelli neri che cadevano in morbide onde scure sul cuscino, i ciuffi più corti ad incorniciargli il viso pallido, e mi ero stupita per l’ennesima volta di quanto fosse effettivamente bello.

Ad un certo punto l’avevo visto fare una smorfia nel sonno – ed intimamente ne avevo riso, lui che era quasi sempre inespressivo si lasciava andare solo mentre dormiva o quando eravamo insieme – e muovere le gambe, mugugnando per qualcosa che probabilmente stava sognando, rafforzando per pochi attimi la presa sulla mia mano. Quasi come se ciò l’avesse rassicurato su chissà cosa, aveva sospirato pesantemente e si era quietato, riprendendo a respirare in modo regolare. Con quell’immagine ancora negli occhi, avevo finito con l’addormentarmi anch’io.

Ed ora allungo piano la mano destra, orfana della sua, verso il suo lato del futon matrimoniale che condividiamo, andando a tastarne le lenzuola: sono appena tiepide, segno che il nobile Byakuya se ne è andato da poco. Anche se siamo nel bel mezzo delle festività, il mio premuroso marito ha sempre così tanto da fare… del resto, vista la carica che ricopre, so da me che non potrebbe essere altrimenti. E sarebbe terribilmente egoistico, da parte mia, pretendere che ignori anche per poche ore il proprio lavoro per stare con me.

Probabilmente lo farebbe, anche, se soltanto glielo chiedessi, delegando le varie mansioni del giorno ai suoi sottoposti. Ma so quanto è ligio al dovere, e a me va bene così. In fondo è piacevole anche stare ad aspettarlo a casa, vederlo arrivare quando meno lo si aspetta… ed avere la consapevolezza che ha fatto tutto il tragitto con lo Shunpo perché trova futile perder tempo a camminare normalmente, che ha ripreso un incedere più moderato solo quando è arrivato alle porte della residenza, e che la prima persona che ha a cuore di vedere è proprio la sottoscritta.

Come faccio a saperlo, dite? È stato proprio lui a rivelarmelo, una sera.

Era piuttosto presto, mancava poco più di un’ora al suo solito orario di ritorno quando, all’improvviso, sentii tutta la servitù accalcarsi in corridoio.

«Byakuya-sama, siete già di ritorno?» chiese uno dei servi, andando incontro all’inatteso padrone di casa «Vi sentite male?».

No, non era una battuta, quella dell’anziano servitore. Il suo tono era condito di sincera preoccupazione: non era dal mio nobile marito rientrare tanto presto, al massimo anticipava di cinque o dieci minuti. A fatica mi alzai dal futon, cercando di mettermi in piedi per poter andare ad accoglierlo degnamente.

«No, ho semplicemente concluso con largo anticipo le mansioni odierne.» stava rispondendo lui, il tono di voce che aumentava man mano che avanzava in corridoio «Tornate pure ai vostri doveri.».

Li aveva congedati così e, mentre tentavo di rendermi presentabile lisciando la stoffa del kimono con le mani, gli shoji della nostra stanza erano stati aperti quel tanto che bastava per rendere visibile neanche la metà del suo viso.

«Hisana, posso entrare…?» il suo tono era così dolce e basso, quasi temesse di disturbarmi. Non sapeva che ero così avida della sua compagnia che, anche se mi fosse stato accanto per 24 ore di seguito, la sua presenza non sarebbe mai stata un peso, anzi.

La cosa che mi sorprendeva spesso era che con me chiedeva sempre il permesso di poter fare qualcosa, fosse anche solo entrare in quella stanza che, in fondo, era anche sua. Con gli altri, chiaramente, la sua autorità non veniva mai messa in dubbio, nemmeno per scherzo: il rispetto se l’era guadagnato tramite il proprio operato, non glielo portavano solo perché gli era dovuto. Ciò talvolta mi lusingava, altre mi metteva quasi a disagio: per me era ancora inconcepibile che un uomo effettivamente potente come il nobile Byakuya mi chiedesse il permesso anche per poter entrare nella propria stanza, se anch’io ero presente. Spesso preferivo giustificare tali richieste dicendomi che, probabilmente, voleva evitare di mettermi in imbarazzo, arrivando all’improvviso.

«Byakuya-sama!» dissi, andandogli incontro a passo incerto, sorridendogli al meglio delle possibilità che la malattia mi concedeva.

Lui entrò completamente nella stanza, richiudendosi gli shoji alle spalle ed avanzando con le braccia leggermente aperte, pronte ad accogliermi. In pochi istanti, infatti, mi sentii avvolgere dal suo calore e dalle sue braccia, in una morsa gentile che mi fece posare la guancia contro la morbida e calda stoffa nera del suo shihakusho. Non potevo non adorare i momenti in cui il nobile Byakuya si lasciava andare a quelle pacate dimostrazioni d’affetto: sapevo che per lui era già parecchio difficile, avendo un ruolo che non gli permetteva di ascoltare, neppure con moderazione, le proprie pulsioni, non poteva osare comportamenti ritenuti sconvenienti e men che meno un’eccessiva passione. Era, in fondo, l’educazione che aveva ricevuto fin da piccolo, in previsione dell’importante carica che avrebbe ricoperto una volta divenuto adulto. Ecco perché la sua era una tenerezza che faceva capolino solamente quando eravamo soli, lontani da occhi indiscreti, senza la servitù attorno. E quanta delicatezza c’era ogni volta nei suoi gesti, nei suoi abbracci o nei suoi baci, come se per lui fossi tanto fragile da cadere a pezzi ad un contatto un poco più deciso.

«Non dovresti sforzarti, Hisana. Lo sai che non ti fa bene.» mormorò, le mani grandi ed affusolate che mi massaggiavano discrete la schiena, prive di qualsiasi malizia.

«Perdonatemi, Byakuya-sama. È che… volevo venire ad accogliervi per potervi rivedere il prima possibile.» risposi sinceramente, posando le mani all’altezza del suo petto «Siete molto stanco?».

«Affatto. Mi premeva molto di più rivederti, Hisana.» ammise, intrecciando le dita sulla mia vita e addolcendo lo sguardo.

«Avreste potuto fare ritorno con calma, Byakuya-sama. Sapete che io sono sempre qui ad aspettarvi.».

«Ne sono consapevole. Ma come immagino tu sappia, per certe cose la dote della pazienza non mi è di alcuna utilità.».

Con un colpo di tosse mi tiro a sedere, sfregando la stoffa del kimono da notte a livello del cuore, come a volerlo calmare e scaldare. Mi guardo attorno per pochi istanti, la stanza è illuminata dalla luce del mattino che passa attraverso gli shoji, a conferma del mio ricordo: la servitù deve aver già riposto gli amado nel tobukuro. Ieri il cielo era grigio e prometteva neve, chissà se…

Arrancando piano mi avvicino agli shoji e li apro leggermente. Non posso fare a meno di sgranare gli occhi di fronte allo spettacolo che mi si prospetta davanti: il parco e gli alberi sono ricoperti da un soffice manto bianco, che rende il tutto vagamente surreale. Rimango incantata ad osservare il giardino per diversi minuti, stringendomi sulle spalle il michiyuki per evitare che la fredda brezza invernale mi faccia peggiorare la salute più del solito. Non voglio restare un altro giorno chiusa in questa stanza. Non quando ho la consapevolezza di dover andare a cercare lei… Rukia, la mia piccola sorellina, da me stessa abbandonata in un vicolo dell’immenso Rukongai. Quasi due anni dopo quella mia riprovevole azione, a cui ho cercato, e cerco tutt’ora, di porre rimedio ogni giorno, conobbi il nobile Byakuya. Non è trascorso molto tempo, in effetti, solo sei mesi… ma sembrano passati anni da quando Byakuya-sama mi ha chiesto di diventare sua moglie…

Scuoto leggermente il capo per mettere da parte i ricordi ed infilo meglio il michiyuki, chiudendolo per bene sul petto. Mi tiro in piedi aiutandomi con il bordo dello shoji, stando ben attenta a non rovinarlo, ed esco sull’engawa, diretta alla sala da pranzo. Ho giusto bisogno di un piccolo spuntino, prima di iniziare la mia ricerca. Potrei benissimo passare attraverso i corridoi interni della casa, ma il paesaggio innevato è troppo bello e raro per potersi privare di un tale spettacolo. La differenza di temperatura con la camera è notevole, ma grazie alla veste sopra il kimono non ne soffro più di tanto. Lentamente avanzo lungo la passerella che circonda la casa, posando di tanto in tanto una mano sulla parete che mi è accanto.

«Nobile Hisana!» esclama una serva, venendomi incontro con fare concitato «Che cosa fate qui fuori al freddo? Vi prenderete un malanno!».

Ascolto i timidi rimproveri che mi rivolge, stringendomi le mani chiuse a pugno vicino al petto, così da tentare di trattenere il calore. Alla fine mi lascio convincere a rientrare e percorrere il tragitto interno, al che lei si offre di aiutarmi, porgendomi la mano ed un braccio intorno alla vita a fare da supporto. Sto per accettare di buon grado, quando una voce fa bloccare entrambe.

«Hisana.».

Riconoscerei questa voce tra mille e, se potessi, non esiterei un istante a correre incontro al proprietario di tale voce. Voltandomi incrocio il volto austero del nobile Byakuya, mentre avanza verso di noi. La serva si prodiga in un inchino, restando a capo chino fino a che lui non la invita a rialzarsi.

«Potete andare, Naoko-san.» soggiunge, con un lento cenno del capo. I tre ciuffi neri separati dal Kenseikan gli scivolano leggeri davanti agli occhi, adombrando le iridi grigie che lentamente si spostano verso le mie.

Rifuggo per un istante il suo sguardo, rivolgendomi a mia volta verso la serva che, in un gesto composto, si sta rialzando.

«Scusatemi, Naoko-san, se vi ho fatto preoccupare.» mormoro, cercando il suo viso per sorriderle «E vi ringrazio per l’aiuto che mi avete gentilmente offerto.».

«L’ho fatto volentieri, Hisana-sama. Se necessitate di qualsivoglia cosa, in qualsiasi momento, vi prego di non esitare a chiamarmi.» replica lei, ricambiando il sorriso «I miei rispetti, Byakuya-sama, Hisana-sama.» aggiunge, rivolgendoci un ulteriore inchino prima di congedarsi e sparire oltre l’angolo della casa.

Restiamo in silenzio per qualche attimo, sebbene non ci sia alcuna pesantezza nell’atmosfera che ci circonda. Lentamente il nobile Byakuya copia il gesto d’aiuto precedentemente compiuto da Naoko, accompagnandomi verso l’interno di un salottino.

«Volevi di nuovo andare al Rukongai?» chiede piano, stringendo maggiormente la presa della mano che mi ha posato sul fianco.

«Sì, mi dispiace, Byakuya-sama.» replico abbassando il capo, timorosa di averlo contrariato. L’ultima cosa che desidero è vedere quest’uomo deluso od infastidito da qualche mio gesto. Forse avrei dovuto evitare di…

«Non devi scusarti, Hisana, non sono arrabbiato.» mormora, fermandosi in mezzo alla stanza per guardarmi «Sono solo preoccupato per la tua salute. Oggi le temperature sono molto rigide, non vorrei che tu ne soffrissi eccessivamente.».

Ricambio la sua stretta, sfregando il pollice contro il dorso della sua mano e sorridendogli.

«Byakuya-sama, vi ringrazio immensamente per la vostra premura. Ho… ho avuto cura di indossare abiti sufficientemente caldi, prima di uscire.».

Lui continua a fissarmi in silenzio, costringendomi ad abbassare lo sguardo: troppa è l’intensità in quelle iridi grigie per permettermi di reggerne ulteriormente il confronto e, nonostante la mia posizione di sua sposa, mi sento sempre come se fossi una sfacciata maleducata ad osservarlo in volto anche per un secondo di troppo.

«Ti accompagnerò, Hisana.» soggiunge ad un tratto, costringendomi a rialzare il viso verso il suo, sorpresa.

La mia espressione dev’essere più eloquente delle parole che non riesco a pronunciare, infatti non perde un secondo a riprendere a parlare.

«Prenderemo uno dei cavalli nelle scuderie. Questo tempo è troppo infido per permettermi di lasciarti uscire, fosse anche con una scorta, e oggi non ho incombenze tali da…».

«Oh, no, Byakuya-sama, non potrei mai chiedervi una cosa simile!» esclamo, interrompendolo. Zittendomi di colpo mi porto la mano libera alle labbra, vergognandomi di aver osato tanto «P… perdonatemi l’avventatezza, Byakuya-sama. Ma non oserei mai chiedervi di rimandare o delegare i vostri impegni per una mia faccenda che, in confronto alle vostre, è una vera e propria sciocchezza.».

Stringo maggiormente la sua mano, avvicinandomela alle labbra, sussurrando a pochi centimetri dalla sua pelle lattea «Ve ne prego, Byakuya-sama. Vi prometto che farò attenzione, mi vestirò ulteriormente, se ciò può rassicurarvi e permettervi di assolvere i vostri doveri con l’animo in pace. Non potrei perdonarmi di sapervi lontano dalle vostre incombenze solo per un mio capriccio.».

«Non è un tuo capriccio, Hisana, ma una mia scelta consapevole.» ribatte lui, portando il braccio ad abbracciarmi le spalle per stringermi leggermente «Sai bene che non riuscirei a non pensarci, in ogni caso.».

Senza lasciarmi il tempo di replicare ulteriormente, mi volta e mi accompagna verso il corridoio, lasciando la mia mano per poter aprire il fusuma decorato. Mi lascio così condurre fino alla sala da pranzo, dove consumiamo la colazione, e non posso fare a meno di notare che le porzioni che mi vengono servite sono più abbondanti del solito. Non sono mai stata incline a mangiare molto, ma la povertà e la fame sofferta durante la mia permanenza nel Rukongai mi hanno insegnato a non sprecare mai il cibo che mi viene offerto, motivo per cui consumo diligentemente il mio pasto sotto lo sguardo attento del nobile Byakuya. So bene che presta più attenzione al cibo che lentamente diminuisce sui miei piatti, che non ai documenti che regge in mano o alla quantità di the che gli è rimasta nella tazza.

Una volta terminato raccolgo i piatti, che subito vengono portati via da una serva, ed insieme ci alziamo. La mia mente lavora ancora a briglia sciolta per trovare un modo per farlo restare. So che può suonare paradossale, quando io per prima desidero la sua compagnia, ma non voglio assolutamente che venga rimproverato per esser venuto meno al proprio lavoro per stare con me. Già il Clan non ha mai visto di buon occhio la nostra unione, se poi venisse a sapere che Byakuya-sama ha evitato i propri doveri per seguirmi nel Rukongai…

Siamo oramai alle scuderie, la neve che si è depositata sul sentiero scricchiola sotto i nostri passi. Immergo metà viso nella pesante sciarpa che Byakuya-sama mi ha fatto indossare, e di sottecchi osservo la sua schiena. A quanto pare, è fermamente deciso a fare di testa sua, questa volta, e non ci sono state parole e rassicurazioni sufficienti per fargli cambiare idea. Il fato sembra arridermi quando vedo uno shinigami avvicinarsi a passo spedito, il fiato che forma nuvolette ad ogni suo respiro.

«Capitano Kuchiki!» esclama, fermandosi a pochi passi da noi. Si piega in avanti in un profondo inchino, mentre tenta di recuperare il fiato «Le mie più accorate scuse per il disturbo, Capitano, ma ho una comunicazione urgente per voi. Il Comandante Generale Yamamoto vi manda a chiamare, chiedendovi di raggiungerlo il prima possibile nel suo ufficio.».

Il giovane allunga una lettera, che rapidamente viene letta e ripiegata. Mi stringo meglio nel michiyuki e sistemo la sciarpa, cercando di conservare il più possibile il calore donatomi dagli indumenti, prima di spostare lo sguardo su mio marito. Mi sta fissando con un’espressione così pensierosa che, metaforicamente parlando, quasi riesco a vedere il suo cervello lavorare frenetico per decidere cos’è meglio fare.

«Non fatevi attendere, Byakuya-sama.» mormoro, posandogli una mano sul braccio e sorridendogli «Se il Comandante Generale ha richiesto la vostra presenza con tanta urgenza, non avete un minuto da perdere.».

Lui mi osserva ancora con aria assorta, prima di rivolgersi al giovane Shinigami che, nel frattempo, è ancora a testa china.

«E sia. Fai ritorno al quartier generale, 5° seggio.».

Il ragazzo esclama un “Signorsì, Capitano Kuchiki!” deciso, prima di rivolgerci un ulteriore inchino e voltarci le spalle. Lo osservo correre fuori dalle mura della residenza, cercando quanto più possibile di evitare di alzare gli occhi su mio marito. Sì, perché temo quanto sta sicuramente per dirmi.

«Hisana, per cortesia, rientra.» ecco, infatti i miei timori si rivelano fondati «Non mi pare veramente il caso di lasciarti andare nel Rukongai con questo tempo.».

Stringo le mani al petto, mordendomi piano il labbro inferiore, e dopo qualche attimo di incertezza ricambio lo sguardo grigio e preoccupato che mi rivolge.

«Byakuya-sama, ve ne prego…» replico piano, insaccandomi ulteriormente nelle spalle «Come voi non riuscireste a non preoccuparvi per me, io non riuscirei a stare con il cuore in pace sapendo che dovrei essere nel Rukongai a cercarla. Perciò, vi prego…».

Senza che me ne renda conto la mia mano è salita a stringere piano il suo haori bianco da Capitano, venendo presto coperta dalla sua. La sua pelle, sempre così morbida, è anche così fredda…

«Non appena inizierò a sentirmi anche solo vagamente male farò ritorno, lo giuro.» proseguo, non volendogli dar tempo di replicare «A cavallo ci metterò molto meno tempo, ed avere gente al seguito potrebbe rallentarmi e basta.».

Mi sto giocando ogni carta a mia disposizione, snocciolando qualsiasi scusante per impedirgli di dirmi di stare a casa.

«Hisana…».

«Vi prego!» più che un’esclamazione che dovrebbe esser decisa, è quasi un singhiozzo disperato.

Tra noi permane il silenzio ancora per diversi istanti, prima che un suo sospiro infranga quella bolla ovattata che ci aveva rinchiusi.

«Giuramelo, Hisana. Non fare follie.» è il suo unico commento.

Annuendo obbediente, lo ringrazio con un gran sorriso. Un movimento appena percettibile lo porta ad inarcare verso l’alto gli angoli della bocca, in uno dei suoi leggeri e rari sorrisi, e quasi con riverenza posa le labbra sulla mia fronte, dopo avermi scostato il ciuffo nero che, ribelle, non ne vuole mai sapere di stare al suo posto. Lentamente sposta la mano dalla mia tempia al mento, sollevandolo un poco per incrociare le mie labbra con le sue. È un tocco delicatissimo, il suo, quasi reverenziale, come se donare un bacio fosse, per lui, un onore. Oh, non sa che quello è un sentimento che vale per me, ma non deve valere per lui, no.

Il nobile Byakuya mi ha raccolta dalle sudice strade del Rukongai e, oltre ad una casa, degli abiti e del cibo, mi ha fatto dono anche del suo cuore: così ambito da tante nobili fanciulle, così traboccante di dolci sentimenti, seppur repressi dalla carica che porta sulle spalle, così prezioso ed inarrivabile come le cose più belle e proibite. Per quanto mi riguarda, ricambiare al massimo delle mie possibilità i suoi sentimenti, donarmi a lui è ben poca cosa, in confronto a quanto lui stesso ha fatto per me. Il suo amore è così tanto che, talvolta, mi sconcerta, facendomi sentire impossibilitata a contraccambiarlo con la stessa intensità. Non perché non provi un sentimento tanto forte nei suoi confronti, ma perché…. oh, non so veramente come spiegarlo. È come un fiume in piena, ha la stessa forza di un corso d’acqua che, a forza di accumularsi, ha distrutto la diga che lo teneva imprigionato, ed è ora finalmente libero di scorrere senza impedimenti di sorta.

«Hisana.» la sua voce mi tira fuori a forza dai miei pensieri e, guardandolo mi accorgo che mi sta porgendo un sacchettino ricamato. Ma quando l’ha preso? Oh, non serve un genio per capirlo: ha utilizzato lo Shunpo per spostarsi «Porta questo con te, tienilo vicino al cuore. Se ti sentissi male e non fossi in grado di tornare, saprò trovarti, ovunque tu sia.».

Mi prende una mano e ci posa sopra il sacchettino di stoffa, portando le mie dita a chiuderlo nel pugno. La stringe per pochi attimi, facendomi percepire che all’interno vi è qualcosa, prima di fare un passo indietro.

«Ora devo andare. Fai attenzione, Hisana, mi raccomando.».

«Anche voi, Byakuya-sama.» replico in risposta, sorridendo ulteriormente per rassicurarlo.

Un ultimo cenno del capo, prima di vederlo voltarsi e dirigersi verso i cancelli della residenza. Aspetto di vederlo oramai oltre le mura, infine entro nella scuderia. L’ambiente è notevolmente più caldo dell’esterno, un soffuso sbuffare dei cavalli si leva non appena chiudo il portone alle mie spalle. Avanzo piano tra le due file di recinti da cui sbucano i musi incuriositi degli animali, fermandomi davanti ad uno dal manto nero, con una singola macchia bianca in mezzo alla fronte.

Quello fa per avvicinarmi il grande muso alle mani che gli ho teso, in cerca di una carezza. Sfrego piano la mano sul pelo e la criniera corvina e serica, prima di adoperarmi per farlo uscire dal recinto. So che i suoi occhi neri non mi si staccano di dosso, mentre prendo da un ripiano una delle coperte e gliela adagio, accuratamente ripiegata, sul dorso. È poi il turno della sella, di una piccola sacca che vi allego e delle redini, che afferro per accompagnare fuori l’animale.

Lo sento sbuffare quando gli zoccoli schiacciano la neve, come se non si aspettasse che fuori facesse così freddo. Lo accarezzo un’altra volta sul muso con entrambe le mani, lisciando il pelo con i palmi, per poi portarmi al suo fianco e salire lentamente. Mi chino verso il suo orecchio, mormorandogli poche parole, e insieme ci dirigiamo verso l’uscita.

Fortuna vuole che con una mano riesca senza problemi a tenere chiuso il michiyuki e la sciarpa, e con l’altra a reggere le redini del cavallo, che procede a passo abbastanza spedito, ma non al trotto.

Ben presto attraversiamo i cancelli che separano la Seireitei dal Rukongai, e la differenza tra le due parti è quasi deprimente. La zona più umile della Soul Society emana un fetore di povertà e morte che fa stringere il cuore. Le strade pulite e piastrellate della Corte vengono sostituite da strade lerce e in terra battuta, gli edifici imbiancati e lindi lasciano il posto a catapecchie in rovina. Ancora non riesco a credere di avere la fortuna di vivere nella Seireitei, sebbene io non possieda il benché minimo potere spirituale, sposa dell’uomo più buono e dolce che mi potesse capitare di incontrare, e ancora mi chiedo cos’abbia fatto di tanto giusto per meritarmelo.

Percorriamo rapidi il selciato, deviando per le strade esterne del distretto: tempo addietro mi ero fatta fare una mappa approssimativa dei più di 300 distretti che compongono il Rukongai, e ho segnato con una croce quelli già controllati. Mi dovrò allontanare un po’ di più del solito dalla Seireitei, stavolta, per cui è bene affrettarsi. Il cavallo segue diligente le istruzioni che gli do, aumentando di propria iniziativa l’andatura in maniera molto sensibile.

Di quando in quando controllo la mappa per accertarmi di non andare oltre la zona che dovrò ispezionare e, quando finalmente giungo al confine, tiro leggermente le redini per far rallentare il cavallo. Poche sono le anime che si vedono in giro, la maggior parte di esse sono raccolte a piccoli gruppi vicino a dei focolari di fortuna, pochi e leggeri stracci a proteggere i corpi denutriti e tremanti dal freddo. Rivedo tali immagini, e una volta in più mi convinco di non esser degna della fortuna che mi è capitata.

All’improvviso, da una delle stradine più strette, si leva forte e chiaro il pianto di una bambina. Mi affretto a deviare in quella direzione, il cuore che batte come impazzito mentre la voce si fa sempre più forte. Una volta svoltato l’angolo, mi trovo davanti alla sua fonte: una neonata piange disperata tra le braccia di quella che probabilmente è la madre, la quale la stringe forte in un debole tentativo di proteggerla dal freddo, sussurrandole parole dolci condite di tristezza per tentare di farla smettere. È qualcosa che mi ferisce più di una pugnalata al cuore, come se me lo stessero letteralmente strappando dal petto. Se soltanto avessi avuto anch’io un tale coraggio…

Avvicino ulteriormente il cavallo, lentamente, per non spaventarla. Lei mi guarda con tanto d’occhi, e definirla terrorizzata e sorpresa sarebbe un eufemismo. Scendo facendo attenzione, stringendomi nel michiyuki per impedire che voli via. La giovane si ritrae addossandosi alla parete che ha alle spalle, come se temesse chissà quale aggressione da parte mia.

«Perché non siete vicine ad uno dei focolari…?» chiedo piano, chinandomi vicino a loro.

La vedo stringere maggiormente il fagotto piangente che ha tra le braccia, mordendosi le labbra e lasciando scorrere le lacrime lungo le gote pallide e scarne.

«La… la bambina li infastidisce. Hanno detto che se ci avviciniamo… se…».

Oh, non c’è bisogno di dire altro. So cosa intende dire, cosa non ha il coraggio di ripetere. Se ci avviciniamo, ci ammazzano a bastonate. Quante volte ho assistito a barbarie del genere, prima di incontrare il nobile Byakuya… Poveracci che cercavano un po’ di calore da quel focolare di fortuna venivano letteralmente massacrati solo perché avevano invaso una zona che non gli apparteneva. Purtroppo, nel Rukongai non esistono leggi, a parte quella del più forte. I deboli, chi non sa o riesce a difendersi, o le donne stesse rischiano costantemente di finire schiacciati da altri. Anche nell’Inuzuri, il distretto dove ho vissuto per tanto tempo, era così.

Il pianto della bambina mi riporta fuori da quel flusso di ricordi. Lei e la madre stanno letteralmente gelando, e non hanno possibilità di avvicinarsi al fuoco. Voglio… voglio fare qualcosa per aiutarle. Mi rialzo piano e, una volta avvicinatami al cavallo, gli tolgo la coperta che ne copre il dorso. Sento gli occhi scuri dell’animale osservarmi attenti, forse con una punta di disappunto, ma non ci penso più di tanto. Il calore del suo corpo ha reso la coperta tiepida, ed è abbastanza grande da coprire entrambe senza grossi problemi. Me la acciambello tra le braccia, tornando verso la giovane che mi osserva come se avesse davanti un fantasma.

«Vi prego, prendete questa.» mormoro «Non sarà molto e mi dispiace veramente non poter fare di più, ma riuscirete a trovare un po’ di ristoro, forse.».

Lei singhiozza piangendo più copiosamente, stringendo la bambina al petto.

«K-Kami-sama, signora, ne siete davvero sicura?» farfuglia incerta «Noi non…»

«Ve ne prego. Non voglio nulla in cambio, nemmeno ringraziamenti. La mia potrebbe essere un’azione egoistica, ma per cortesia, proteggete voi stessa e la vostra piccola dal freddo, dalla barbarie di questo luogo.» allargo la coperta e gliela faccio cadere leggera sulle spalle, accucciandomi di nuovo per sistemargliela addosso ed osservarla in viso a pari livello «Va bene così, dico davvero.».

I suoi ringraziamenti si mischiano ai suoi singhiozzi, mentre si stringe nella coperta come se questa fosse calda come il fuoco. Che egoista sono. Inutilmente tento di convincermi di non averlo fatto perché una situazione analoga mi era inquietantemente familiare. Ma quel pensiero è fisso, martellante, doloroso. Sono solo una schifosa egoista che non merita certo tutta la fortuna che ha.

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Capitolo 2
*** Part 2 - My heart with you ***


Per la serie, a volte ritornano :’D un mesetto fa mi era venuta in mente la malsana idea di scrivere una ByaSana, e la prima parte con Hisana è stata anche abbastanza semplice – ma anche no – da scrivere. Poi però cascò il pero, perché Byakuya è tutto tranne che un personaggio facile da trattare, e questa parte è interamente dedicata a lui. Razza di antipatico. Che dire, questa è la seconda e ultima parte di “When the Snow falls”, è stato un progettino senza grandi pretese, giusto per sperimentare un approccio con questa coppia che, come ho già detto, amo veramente tanto. Giusto per farmi male, una sana dose di ByaSana è presente anche nella long AU che sto scrivendo, “Fire and Ice”, una crossover tra Bleach e D.Gray-Man – sarei ben felice se voleste darci un’occhiata ;) E giusto perché mi piace farmi male doppiamente, annuncio che c'è anche un sequel, "After the Snow, just the Silence". Proprio perché amo farmi male, LOL. BEh, vi lascio dunque al capitolo, badi giovani, sperando che vi piaccia come il precedente… ovviamente, commenti e critiche sono sempre ben accette, lo sapete *-*

 

 

 

When the Snow falls

雪が下がると

 

 

 

 

Part 2 – My heart with you




«Come primavera sei per me
dolce il mio regalo inaspettato
se prima di te la parola amore
non aveva più significato

Come un’alba schiudi gli occhi miei
e con i tuoi mi fai vedere il mondo
quando non ci sei vivi nei pensieri
io aspetto unicamente il nostro incontro.»

 

Lancio l’ennesima occhiata distratta al tempo che imperversa fuori, il cielo è ancora grigio e i rami secchi degli alberi vengono scossi dalla fredda brezza invernale. Nella caserma non si ode rumore di sorta, fatta eccezione per il lieve cicaleccio di alcuni seggi che passano sull’engawa della struttura.

Firmo quello che forse è il cinquantesimo rapporto della giornata, stamane sembravano essersi accatastati tutti in una volta, come se non avessi lavorato nelle passate tre settimane. Il paradosso è che è anche un periodo festivo, quindi la maggior parte degli Shinigami ne ha approfittato per prendersi una pausa, io stesso non dovrei nemmeno essere qui. Del resto, però, non posso nemmeno permettere che tutta questa burocrazia stagni sulla mia scrivania per altri due giorni.

L’ufficio è fortunatamente deserto, motivo per cui nessuno può vedere quanto effettivamente nervoso io sia. Lungi da me l’ignorare o svolgere male il mio lavoro per pensieri personali, ma non posso ignorare completamente chi ora è fuori al freddo, in chissà quale sperduto quartiere del Rukongai, in cerca di una bambina dispersa tra quei vicoli sudici. Fisso per diversi istanti la composizione di fiori che Hisana ha creato per me, piccola e semplice – modesta come lei, che non vuole mai spiccare troppo in mezzo agli altri. È stato uno dei primi doni che mi ha fatto dopo aver visitato per la prima volta il mio ufficio, allora spoglio di qualsiasi decorazione, pieno solo di registri e documenti. Mi aveva chiesto se mi sarebbe piaciuto avere qualcosa di colorato sulla scrivania, se non mi avrebbe dato fastidio – e quella sera, al mio ritorno a casa, avevo trovato quel piccolo vaso legato con un nastro azzurro chiaro sul tavolino dello studio. Fiori che, mischiati insieme, erano la sua dichiarazione d’amore più puro e genuino. Sembravano sapientemente scelti e abbinati per formare quel chiaro messaggio, non messi insieme solo per semplice bellezza cromatica – ed infatti, aveva distrattamente dimenticato il libro sui fiori aperto in camera.



«E quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto.»

Hisana non è il tipo che parla facilmente dei propri sentimenti, ha un’umiltà tale che, nei primi tempi, la famiglia la scambiava per mera e subdola accondiscendenza nei miei confronti, solo per mirare al patrimonio di famiglia. Peccato per loro che Hisana non sia affatto l’ipocrita arrivista che credono, e me ne dà riprova ogni giorno – nei più piccoli gesti, da come arrossisce e abbassa lo sguardo quando la guardo, con un leggero sorriso a piegarle le labbra pallide e fini, al fatto che io debba insistere più volte perché decida di concedersi un kimono nuovo. Ho come la vaga impressione che ritenga immeritato tutto ciò che possiede, come se quello che ha per lei sia già troppo. Mi ha parlato di una sorellina che ha abbandonato tempo fa nel Rukongai, quand’era solo una neonata – un errore che tutt’ora lei non riesce a perdonarsi. Diceva che sperava venisse accolta da qualcuno con più possibilità di lei, già indebolita dalla fragilità del suo corpo, da quella salute fin troppo cagionevole. Mi ha implorato di permetterle di cercarla, di poterla vedere ancora una volta, se è ancora viva o meno. Le ho chiesto se desiderasse venisse adottata nella famiglia, quando me ne ha parlato – era sua sorella biologica, in fondo. Sul momento non ha risposto, anzi, ha rifuggito il mio sguardo, puntandolo sulle mani che stringeva in grembo.

«Non oserei mai chiedervi una simile grazia, Byakuya-sama. Sarebbe il mio più grande desiderio sapere che potrà avere un futuro al sicuro dalla cattiveria che infesta quei quartieri, protetta dal vostro potere e dal vostro nome, ma so che siete in una posizione difficile. Non voglio mettervi contro la vostra famiglia più di quanto non sia già successo quando mi avete scelto come vostra sposa. Vi chiederei di concedermi la possibilità di… aiutarla in altri modi, fosse anche portandole abbastanza cibo ogni giorno, o donandole vestiti per proteggersi dal freddo, se non trovate sconveniente la mia richiesta.».

Come considerare arrivista una persona che rinunciava a richiedere la propria sorella in famiglia, solo per timore di ripercussioni su di me, pur desiderandolo con tutto il cuore? Quanto stava morendo dentro, mentre pronunciava quelle parole? Si era detta disposta anche ad andarsene, a tornare nel Rukongai con lei, una volta trovata – ma no, a quel punto io non gliel’avrei permesso, avrei obbligato gli anziani ad accettare quella sorellina esattamente come avevano accettato Hisana. Aveva rifiutato l’aiuto che le avevo offerto per cercarla, voleva potercela fare da sola, voleva pagare il suo debito nei confronti della sorella ad ogni costo, scontare la pena di quel rimorso anche a costo di peggiorare la propria salute. Con che coraggio gli anziani della famiglia potevano insultare alle spalle una persona che la nobiltà non l’aveva nel nome, ma direttamente nell’animo?

Anche oggi, quando le ho proposto di andare con lei, non ha avuto il coraggio di accettare la mia offerta – condannandomi così a passare più tempo a pensare a dove si trovi in quel momento, piuttosto che lavorare senza pensieri. Il Comandante desiderava ricevere adeguati ragguagli circa alcune delle ultime registrazioni fatte dal Clan Kuchiki – c’entrerà qualcosa il mondo terreno? – e, per il resto,  la brigata è stata ben felice di vedere che potevo tirare avanti le scartoffie burocratiche anche in questo periodo di festa, così da alleggerire il lavoro al nostro rientro. Firmo e metto da parte un altro foglio, ho letto giusto un paio di righe di quello che c’è scritto, più o meno come ho fatto per i precedenti sei o sette rapporti. Ma no, mi dico, se lei lo sapesse si arrabbierebbe, si sentirebbe in colpa – lavora bene anche per lei, Byakuya. Li riprendo e li leggo con attenzione, rimettendoli poi nella pila dove li avevo precedentemente depositati. Ne ho ancora parecchi che attendono di essere letti, devo restare concentrato, prima finisco e prima potrò tornare a casa. Diamine, non sono da me certi ragionamenti, lo so, se fosse un altro giorno non mi passerebbero nemmeno per l’anticamera del cervello – se poi lo venisse a scoprire il mio nobile nonno, che figura ci farei? Penserebbe di aver lasciato il casato in mano ad uno sprovveduto che si fa distrarre sul lavoro da un nonnulla – ma Hisana non è un nonnulla, non lo è mai stata, non lo è nemmeno oggi e non lo sarà mai, al contrario di quanto possano rinfacciarmi gli anziani. Sì, sottilmente continuano a sbattermi in faccia i loro pensieri, i loro rimproveri, il loro disgusto – per loro Hisana non è altro che una cosa sudicia, nemmeno si degnano di darne definizione, che infanga e porta disonore al nobile clan Kuchiki. Da un certo punto di vista hanno pure ragione, questo devo dirlo.

Hisana non era ricca, istruita, esperta di arti tradizionali o di nobili natali, non era altro che una povera disgraziata trovata per caso nel Rukongai dopo una caccia agli Hollow. Ricordo che quel giorno, quando me la ritrovai davanti inginocchiata a terra, stringeva al petto un vaso mezzo rotto con dell’acqua, salvato forse per miracolo dalle grinfie di belve molto più assetate di lei. Nel vedere il mio volto leggermente sporco di terra e sangue di Hollow, me l’aveva teso con un sorriso timido e le mani tremanti. Quella donna, coperta da un kimono rovinato e magra da far impressione, mi stava offrendo quella poca acqua che aveva trovato, dopo chissà quanti giorni senza mangiare o bere, solo perché avevo il viso sporco. Sul momento mi dissi che lo faceva solo perché mi temeva in quanto Shinigami, come uomo decisamente più grande di lei. Ma quelle iridi bluastre non erano tinte di timore, quanto di una strana… voglia di aiutarmi, di offrirmi il suo modesto aiuto. Chissà come c’era rimasta quando mi ero rialzato e le avevo voltato le spalle, mentre ancora mi tendeva la piccola anfora sbeccata, e me n’ero andato senza dirle neanche una parola. Ammetto che non so perché lo feci – avrei rifiutato comunque, ma potevo dirle pur qualcosa. “Non serve, è una sciocchezza”? “Tieni tu quest’acqua, ne hai più bisogno di me”? Avevo semplicemente preso nota di quale fosse il distretto e me n’ero andato senza pensarci più di tanto – di anime sfortunate ne avevo viste a bizzeffe, nel Rukongai, lei non era altro che una goccia nel mare della Soul Society.

Eppure non riuscii più a levarmela dalla testa, specie se guardavo attentamente gli atteggiamenti di chi mi circondava abitualmente. Da quanta ipocrisia e falso rispetto ero circondato, quanti mi adulavano solo per il nome che portavo sulle spalle? Il nome della famiglia, l’onore, il rispetto delle leggi, tutte cose che mi erano state inculcate in testa dal mio nobile nonno, una volta preso atto del fatto che sarei stato io il successivo capofamiglia, dal momento che il mio nobile padre era venuto a mancare. Non avevo mai disobbedito alle regole, non avevo passato l’infanzia a giocare con i miei coetanei – avevo solo tanto, troppo da studiare, e non potevo permettermi di perdere tempo. Accettai senza ribattere di entrare all’Accademia per gli Shinigami, di lavorare sodo per diventare un ufficiale del Gotei 13, mirando alla carica di futuro Capitano di brigata. Tutti risultati che ho ottenuto con i migliori voti, surclassando gli altri senza voltarmi un attimo a degnarli di uno sguardo.

Ma, si sa, quando si prende la carica di Capoclan, si presume ci si debba anche sposare. E, nonostante ci provassi in tutte le maniere, non riuscivo ad accettare l’idea che qualcun altro scegliesse la donna che sarebbe poi diventata mia moglie e magari madre dei nostri bambini, una donna che io avrei dovuto amare e proteggere. Avrei potuto fingere, questo è vero. Ma d’altro canto mi avevano insegnato il rispetto per l’onore delle persone, e da parte mia fingere di amare una donna, reclamarla tra le lenzuola senza provare nulla, era forse l’offesa più grave che avrei potuto arrecarle. Sperai quasi che le pretendenti scelte dalla famiglia fossero graziose e con un carattere amabile. Dire che rimasi disgustato dai loro sguardi famelici e dai loro vezzeggiamenti sarebbe ancora poco – della mia persona vedevano solo il cognome “Kuchiki” stampato a lettere cubitali dorate. Era alta nobiltà anche quella, per carità, ma non importante quanto il Clan Kuchiki. Me lo potevo pure aspettare, quanti sono i matrimoni legati da sincero amore, nell’aristocrazia? Mio padre era stato fortunato, era legato a mia madre da un sincero sentimento, sebbene si fossero conosciuti solamente ad un Omiai.

E fu allora che mi tornò in mente lei, con quei piedini sporchi di terra e il kimono rattoppato alla bell’e meglio, i capelli aggrovigliati e le braccia esili, quella donna che, senza dire nulla, mi aveva offerto un umile aiuto a proprie spese, senza chiedere nulla in cambio. Quanto tempo era passato? Un giorno, una settimana, un mese? Sarei stato ancora in grado di ritrovarla? Tornai a cercarla nel Rukongai e, una volta trovata, visto dove e come viveva, l’osservai più volte nell’arco di diverso tempo. Si prodigava per gli altri come meglio riusciva, aspettando di svoltare l’angolo e non esser vista per crollare. Non capivo, però, a cosa fosse dovuta la tristezza che vedevo chiaramente nel suo sguardo. Solo il giorno dopo le nostre nozze glielo chiesi, e lei mi raccontò tutto.



Quella fu la prima volta che andai contro le regole senza nessun rimorso. Sapevo che non era una marachella da bambini, quella che era diventata mia moglie era una donna povera e niente avrebbe cambiato questo fatto. Ma era buona dentro, e tanto mi bastava. E in questi mesi non mi sono mai pentito della mia scelta, e penso sarà sempre così. Ancor prima del nostro matrimonio Hisana si è data da fare per non deludere le mie aspettative, ha studiato per imparare le arti tradizionali come l’ikebana o la cerimonia del thè, non è mai stata invadente e non si è mai volutamente messa al centro dell’attenzione. È stata, forse, una delle scelte più giuste che abbia mai fatto.

Ah, ma sto di nuovo divagando. Concentrati, Byakuya, concentrati, o questi rapporti resteranno qui in eterno. Intingo nuovamente il pennello e firmo l’ennesimo foglio, prendendo nota su un altro di poche ma preziose informazioni. La caserma non è mai stata tanto silenziosa e, sebbene io stesso sia un cultore della calma durante il lavoro, devo ammettere che ora questo silenzio ha un ché di opprimente. Non ho neanche idea di che ore siano, da quanto sono chiuso qui in ufficio? Due, tre ore? È già pomeriggio? Non mi azzardo a controllare, in ogni caso sarebbe troppa l’angoscia che mi salirebbe a sapere con precisione da quanto tempo mi sono separato da lei. Lavora, Byakuya, lavora.

 

Quando finalmente mi riconnetto alla realtà, noto con un certo piacere che la pila di resoconti si è ridotta a due o tre fogli. Li leggo velocemente, firmando dove necessario, e finalmente poso la schiena contro la spalliera della sedia. Ora non ho veramente idea di che ore siano, ho lavorato senza sosta obbligandomi a non pensare a nulla se non ai dati che avevo davanti – ma l’orologio appeso alla parete dell’ufficio mi rende noto che è ormai pomeriggio inoltrato, la luce sta cedendo il posto ai primi stralci delle tenebre serali. È passato veramente così tanto tempo? Alla fine ho trascorso praticamente tutto il giorno qui in ufficio, le ore sono letteralmente volate. Chissà se Hisana è già rientrata a casa. Risistemo la scrivania e metto i vari fascicoli in un cassetto, lasciandomi finalmente l’ufficio alle spalle. Francamente, l’idea di tornare con calma a casa non mi garba affatto – lo Shunpo è la soluzione spontanea, non c’è nemmeno bisogno di starci a pensare.

Rallento a poca distanza dal maniero, varcando dopo pochi minuti il grande cancello. Il giardino è deserto, ancora coperto dal manto bianco della neve, intatto. Quando entro in casa i servi sono già lì ad accogliermi, inchinati per darmi il bentornato. Adocchio uno dei più anziani, Nobutsune Seike, tra i primi della fila, ed è a lui che mi rivolgo subito. Immagino sappia già cosa voglio sapere, come leggo nei suoi occhi stanchi nascosti dietro una montatura tonda degli occhiali. Però attende una mia parola, un mio accenno.

«Bentornato a casa, Byakuya-sama.» mormora con un leggero inchino «Vi attendavamo.».

«Hisana è già tornata?» non m’interessano i convenevoli, non ora. Quello che mi rivolgono è sempre lo stesso saluto ogni santo giorno da interminabili anni.

«No, signore, la nobile Hisana non è ancora rientrata.».

Ed è allora che sento un macigno crollarmi sul cuore. Di solito sta via poche ore, verso pomeriggio è già a casa che riposa – più per necessità che per sua volontà. Possibile che l’abbia veramente trovata, che si sia attardata con lei? In cuor mio spero che il motivo del suo ritardo sia questo. Eppure non ho nessuna intenzione di restare qui ad attenderla, contando i secondi che passano con l’ansia sempre più grande – al che mi volto ed esco di nuovo, mentre i servi tentano inutilmente di farmi restare con le classiche frasi di circostanza, “vedrete che tra poco sarà di nuovo qui”, “non ci metterà molto a tornare”. Parlano facile, loro. Non ho idea di come considerino Hisana, contando che poteva benissimo essere una di loro, ma ora come ora non m’interessa. Prima che riescano a dire altro sono già sparito alla loro vista – e intanto osservo attentamente ogni strada della Seireitei per vedere se sta veramente tornando a casa. Solo quando mi ritrovo ancora senza di lei davanti al cancello mi rendo conto che no, non è tornata alla Seireitei, è ancora in quel labirinto infinito del Rukongai. Tiro fuori quel piccolo dispositivo datomi dal capitano Kurotsuchi, una sorta di simil-cercapersone commisionatogli appositamente in vista di simili occasioni – c’era voluto del bello e del buono per convincerlo –, in grado di rilevare la posizione di chiunque solo mediante il battito cardiaco. Sì, lo ammetto, è stata una vigliaccata da parte mia metterle addosso quell’ambigua sottospecie di microspia, ma non voglio correre il rischio di cercarla in lungo e in largo, mentre lei magari sta male, e arrivare solo quando è troppo tardi. E se serve ad assicurarmi di poterla sempre trovare, ovunque essa sia, accetto di buon grado – o anche no – di farmi aiutare da quell’assurdo individuo che è Mayuri Kurotsuchi. Osservo i dati che quel dispositivo mostra sullo schermo e sgrano gli occhi. Hisana, quanto ti sei spinta lontana, oggi? Lo sapevo che sarei dovuto venire con te, tutti i michiyuki pesanti o gli haori caldi che puoi indossare non mi tranquillizzerebbero mai abbastanza, o le tue rassicurazioni, so che lo fai per me, Hisana, ma sono stato un vero stolto a non venire con te.


Corro, corro come se non ci fosse un domani, come se da questo dipendesse la tua vita – e forse è davvero così. Ti prego, Hisana, resisti ancora un poco. Dammi il tempo di ritrovarti e di portarti a casa, di farti stendere al caldo, di curarti, di stringerti e sentire il tuo respiro leggero, quel tuo sussurrato “va tutto bene, Byakuya-sama”, le tue mani che mi tirano la stoffa del kimono, il profumo di lavanda sui tuoi capelli – è l’odore che sento ogni volta che fai il bagno, so bene che è il tuo preferito. Voglio poter vedere ancora il tuo sorriso, quei tuoi occhi così sinceri, umili come il primo giorno in cui t’ho vista e mi offristi il tuo aiuto, voglio potermi addormentare stringendo la tua mano o, perché no, amarti come la nostra prima volta, non è stata per dovere, per concepire l’erede, per chissà che altri futili motivi – volevo solo dirti quanto ti amo in un altro modo – e poi dormire stringendoti a me, restando ad osservarti ancora addormentata il mattino dopo. Sarò anche drastico a fare subito pensieri così pessimisti, come se avessi la consapevolezza che nella nostra storia non c’è futuro, che sto per perderti, ma perdonami, Hisana, ai miei occhi sei fragile come il cristallo, d’una delicatezza tale da rischiare d’infrangerti anche solo per sbaglio, al minimo tocco un po’ più insistente.

E intanto il paesaggio desolato del Rukongai mi scorre accanto, passo sui tetti delle capanne, la neve che si è deposta non ha il tempo di scricchiolare per il mio peso, è questione di frazioni di secondo. Ormai sei vicina, Hisana, il dispositivo nella mia mano suona senza sosta, come ad incitarmi ad andare ancora più veloce. Avverto all’improvviso il nitrire di un cavallo, ti sei spinta addirittura al di fuori di questo distretto? È un campo in rovina quello che mi si presenta davanti, a parte qualche sporadico albero e un fiume lercio che scorre poco più sotto. Dove sei, Hisana? Finalmente vedo il cavallo, lo riconosco, Arashi è sempre stato il tuo preferito, vero? Ma gli manca la coperta sotto la sella, hai visto? Hai avuto bisogno anche di quella per questo freddo. L’animale scalpita nervoso, sbatte gli zoccoli sul terreno, nitrisce come per richiamarmi. Ed infatti eccoti, Hisana, rannicchiata ai piedi di uno di quei pochi alberi spogli – ma non hai addosso la coperta che manca ad Arashi, stai lì ad occhi chiusi con le braccia strette al petto. Spero solo non sia davvero troppo tardi…

Tolgo velocemente l’haori e glielo sistemo addosso con cura, cercando di coprirla il più possibile. Il suo viso è più pallido del solito, la pelle fredda come la morte. Eppure respira, respira ancora, aggrappata a quel sottile filo di vita che ancora la tiene in questo mondo. La stringo forte, più forte che posso, quasi fregandomene del fatto di poterle fare male, cercando di trasmetterle quanto più calore possibile. Mi rialzo tirandola su, lego alla meno peggio le redini del cavallo all’albero e parto di nuovo con lo Shunpo, sempre tenendo Hisana stretta tra le braccia. Per l’animale posso sempre mandare qualcun altro a riportarlo a casa, mia moglie è molto più importante, non la si può sostituire. Non mi soffermo minimamente a guardarmi intorno, oltrepasso i cancelli della Seireitei evitando il guardiano, non ho tempo da perdere per certe quisquilie. Non passo nemmeno dal portone principale della residenza, atterrando nel giardino privato su cui si affaccia la nostra camera e apro gli shoji per entrare. Non mi preoccupo di togliere i waraji, accucciandomi e scostando la coperta del futon di Hisana – e lentamente la deposito lì, lasciandole addosso anche il mio haori. Kami-sama, è così pallida, il suo respiro è quasi impercettibile. Per diversi minuti non si muove, ammetto che l'ansia mi sta divorando come un cancro. Sto per alzarmi per andare a chiamare il medico quando, grazie al cielo, la sento chiamarmi per nome.

«Byakuya-sama…».

Parla con un filo di voce, respirando a fondo e aprendo piano gli occhi – sono lucidi, quasi acquosi. Che abbia la febbre? Le sfioro la fronte con la mano, o è gelida lei o sono io che sono diventato una fornace. Solo in quel momento mi rendo conto di quanto siano sudate, le mie mani.

«Ti senti male, Hisana? Vuoi che chiami il medico?».

Lei scuote lentamente la testa, serrando le palpebre. Si sistema meglio sul futon, osservando per un attimo il bordo bianco che le sfiora la guancia.

«Il vostro haori…».

La vedo muoversi ulteriormente, quasi a volerselo sfilare. Benedetta donna, quanta pazienza ci vuole con te. Quando capirà che da lei devo essere considerato un suo pari? Probabilmente mai, ma non disperiamo. Le sfioro la guancia con la mano, stirando appena un sorriso.

«Tienilo, Hisana, ora non mi serve.».

«Ma si stropiccerà…».

«Non ha importanza. Pensa a stare al caldo, per ora. Vuoi dormire un po’?».

Scuote di nuovo la testa in senso di diniego. Spero davvero le basti un semplice riposo come questo, ma probabilmente l’ha detto per non invitarmi sottilmente ad andarmene o non farmi preoccupare. La farò comunque visitare non appena si sarà addormentata, in ogni caso. Lentamente una sua mano sbuca da sotto le coperte, cercando alla cieca la stoffa dei miei hakama – la prendo nella mia, la stringo, la scaldo. Mi piace riuscire a stringerla tanto da avvolgerla completamente, scioccamente mi dà l’illusione di essere abbastanza da riuscire a proteggerla. Ma sviste come quella di oggi non devono assolutamente ripetersi, e al diavolo ciò che penseranno gli anziani. Anche se temo che Hisana non sarebbe molto d’accordo.

«Sapete, Byakuya-sama…» riprende dopo qualche minuto «In quel campo, prima che voi arrivaste, io… ho ripensato al nostro primo incontro…».

Esattamente la stessa cosa a cui ho pensato io in ufficio. Cos’è, Hisana, una strana sorta di telepatia? È sempre strano, ma bello vedere che condividiamo anche gli stessi pensieri, almeno per quanto riguarda i nostri trascorsi.

«Il giorno in cui rifiutai l’acqua che mi offrivi? Non devo averti fatto una bella impressione, perdonami.».

«No, io… pensavo l’aveste rifiutata perché… consideraste umiliante l’idea di farvi aiutare da una stracciona come me. Non che vi colpevolizzi, se davvero la pensavate così…».

«Se l’avessi pensato davvero, mesi dopo non ti avrei chiesto di diventare mia moglie.».

Stavolta non replica minimamente, anzi, arrossisce e stira le labbra in un leggero sorriso. Sorriso che scompare, però, dopo pochi istanti. Non voglio farle quella domanda a cui, già lo so, seguirà una risposta negativa.

«Non sono riuscita a trovarla…».

E infatti. Basta quel pensiero a far adombrare il tuo sguardo, Hisana, te ne sei mai accorta? Chiude nuovamente gli occhi lasciandosi scappare un sospiro, forse raccogliendo le speranze per tentare nuovamente un altro giorno. Anche se volessi non ci sarebbero parole abbastanza convincenti da permetterle di accettare il mio aiuto – è così tremendamente testarda, a volte. È in momenti come questo che mi sento totalmente impotente, perché so già in partenza che lei non mi darà assolutamente retta, continuerà per la sua strada, cercando una sorella che non si sa nemmeno se sia ancora viva. Quel che è certo è che continuerò a starle accanto più che posso, contravverrò più che volentieri alle regole, se necessario – non sarebbero parole da me, ne sono consapevole. Ma Hisana è il bene più prezioso che ho, la piccola oasi di onesta serenità in questa casa, contro il mondo intero. In questa stanza non esistono ranghi, non esistono nobiltà e doveri, i pareri degli altri potrebbero contare quanto una goccia in un oceano, siamo solo io e lei, Byakuya e Hisana.

Le sfioro la guancia e le asciugo le lacrime con un pollice, delicatamente, mentre lei si lascia scappare qualche singhiozzo. Piange, perché per lei è stato un altro fallimento, un altro giorno in cui ha condannato la sorella a restare in quelle strade sudice, e non è insieme a lei. Piange, si sfoga silenziosa, ancora timorosa di disturbare. La sua mano esile stringe la mia, ci si aggrappa, quasi, se la preme contro il viso aggiungendo anche l’altra, come a farsi forza con quel semplice tocco. Lascia scorrere le lacrime in silenzio, finché non la sento respirare molto più profondamente – e quelle righe umide sulle guance vanno via via a seccarsi. Finalmente sembra essersi calmata, tanto da riuscire ad addormentarsi – o forse è semplicemente sfinita. Accarezzo i capelli che le coprono i lati del viso, spostandoli indietro, tranne quel ciuffo nero che ha sempre in mezzo agli occhi,  e resto lì con lei, riprendendo piano quella mano abbandonata sopra la coperta.

Intanto, in giardino, la neve ha ripreso a cadere.

 


«Perché quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto

Ti prendi di me ogni cosa e non mi togli niente
vorrei sapessi quanto sei importante
ti voglio adesso e sempre
è questa la promessa che io faccio a te
che io faccio a te.»

La Promessa - Stadio

 

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