Ny början di Silvar tales (/viewuser.php?uid=65403)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La Peggior Condanna ***
Capitolo 2: *** Specchi Onirici e Illusioni ***
Capitolo 3: *** Nodi Sciolti ***
Capitolo 4: *** Nubi su Högar ***
Capitolo 5: *** I Fiori Notturni ***
Capitolo 6: *** La Volubilità del Fato ***
Capitolo 7: *** Cicatrici di ghiaccio ***
Capitolo 8: *** Riverbero ***
Capitolo 9: *** Le Porte di Niflheimr ***
Capitolo 1 *** La Peggior Condanna ***
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början
.¤.
La Peggior Condanna
Le
mani legate dietro la schiena, la
bocca bloccata da un laccio fin troppo stretto, le braccia e le gambe
prive di sensibilità.
Ecco il potente Loki, lo stolto che
voleva essere il re, divenuto d'un tratto impotente, meno offensivo di
un bambino. Eccolo umiliato e gettato senza alcun riguardo sul fondo
di una cella sterile e nera, che nulla aveva da spartire con l'oro e
l'azzurro di Asgard. Non c'erano finestre dalle quali potesse cibarsi
della luce del sole, ma non gliene importava. Loki si ambientava bene
tra le tenebre, la sua pelle pallida e i suoi occhi chiari ne erano
come testimoni.
L'accusa che pendeva sulla sua testa
era pesante: tradimento. Risuonava come il più efferato dei
crimini,
tra le mura di Asgard. Tradimento da parte del casato reale, che si
era arrischiato ad accogliere al suo interno un subdolo ibrido, uno
straniero, un figlio del demonio.
Dunque la colpa ricadeva anche su
Odino, e le accuse verso l'anziano padre riempivano di rabbia il vero
erede al trono. Per guadagnarsi la stima dei suoi futuri sudditi,
Thor avrebbe dovuto uccidere nel peggiore dei modi il fratellastro, e
ne era consapevole. La gente voleva il suo sangue, Thor voleva
divenire un capo amato.
Loki sarebbe morto, dato in pasto alla
folla.
Doveva solo pazientare, e attendere la
sua condanna. Perché non sarebbe arrivata presto.
Intanto, chiuso nella sua tomba, Loki
non spiccicava parola. Sapeva di essere osservato attraverso qualche
specchio nero, qualche dannato angolo cieco che lui, immobilizzato
com'era, non poteva scorgere. Sapeva, immaginava il suo destino. Ma
non gli importava.
Aveva fallito, aveva fatto il fatidico
passo più lungo della gamba, stavolta. Nessun rancore,
nessun
rammarico. Era nell'ordine delle cose. Era sempre andata
così, fin
dall'inizio. A lui spettava l'umiliazione, la sconfitta, a Thor la
gloria e il trono. Non c'era modo di cambiare le cose. D'altronde, se
ci fosse stato un modo, Loki avrebbe smesso di lottare già
da quel
tempo.
Invece continuava a tramare, ad
inventare, a usare il cervello. Proprio perché in cuor suo
non
vedeva margini di vittoria.
«Tu
manchi di convinzione».
La
sua era la natura di un titano. Avrebbe perso, qualunque cosa
tentasse di fare, ma vincere non era il suo obiettivo reale. Quello
che veramente voleva Loki, arrivato a questo punto e sbolliti gli
spiriti caldi dell'adolescenza, era finire la sua storia a testa
alta.
Ma
prima aveva un altro compito da svolgere.
Passò
tre giorni, avvolto nella calma e nel silenzio. Tre giorni in cui
mangiò normalmente, liberato per quel breve lasso di tempo
che gli
occorreva dal bavaglio d'acciaio.
Passò
tre giorni a studiare la fuga. Una fuga temporanea, breve. Non
pretendeva certo di fuggire da Asgard. Qualche diavoleria lo aveva privato dell'uso dei suoi poteri, non poteva smaterializzarsi, né varcare i
confini
dello spazio aperto. La pressione l'avrebbe schiacciato.
Quella
modifica appurata al suo dna era sicuramente un'invenzione terrestre,
ideata per tenerlo confinato per sempre ad Asgard, vivo o morto.
Perché
Odino e Thor non avevano dovuto prendere accordi di pace solo con i
loro abitanti, ma in primis con il popolo leso: i terrestri.
Ma
benché fosse cosciente del suo confinamento forzato, Loki
necessitava di uscire, per un'ora o due. E l'avrebbe fatto a
qualunque costo.
*
«Padre».
Thor
si avvicinò cauto al letto di Odino, che assomigliava
maggiormente a
una nicchia di morte.
Il
vecchio era schiacciato dal dolore, dalla terribile situazione che,
con la stanchezza dei suoi anni, doveva affrontare. Uccidere colui
che aveva sempre considerato un figlio, e che aveva amato.
Vedere
i due fratelli combattersi, odiarsi, senza apparente via d'uscita.
«Thor,
affido a te la situazione. Hai amato Loki, forse più di
quanto
l'abbia mai fatto io, perciò a te spetta la
responsabilità maggiore
dello sbaglio».
Il
principe, a quelle parole, deformò il suo viso in una
smorfia
incredula, e si portò una mano sul petto possente.
«A
me? Sarebbe mio lo sbaglio maggiore? Padre, se tu non
l'avessi...»
«Non
rinfacciare a me ciò che feci», disse minaccioso
il monarca,
alzando un dito tremante verso il figlio. «Al contrario di
te, io so
quali sono le mie responsabilità, e le mie colpe. Ho accolto
Loki
come un figlio. Gli ho dato eguale amore ed eguale fiducia. Credevo
di poterlo crescere come un asgardiano, ma mi sbagliavo». La
mano
ammiccante cadde sulle lenzuola, provata dallo sforzo. Odino
respirava lentamente, emetteva profondi rantoli, come le esalazioni
di un morente. Terminò così il suo terribile e
cieco discorso:
«Loki è sempre stato diverso. La
mostruosità e la perversione dei
giganti di ghiaccio non poteva essere cancellata. Avrei dovuto
ucciderlo con le mie mani, subito, appena lo raccolsi nel tempio.
Vedi invece ora, figlio mio, che barbarie ho causato, che
carneficina? Ho immesso un traditore nella mia casa, ho scatenato
l'ira dei miei sudditi, e il tuo odio. Ho messo in pericolo la mia,
la tua, la vita di tutti noi».
Thor
trattenne il fiato, ascoltando le flebili parole del padre, che
stavano assumendo contorni deliranti.
«Sono
stato uno stolto a crederlo, per un po'», concluse infine il
vecchio
re con un filo di voce, per poi abbandonarsi al sonno.
Il
ragazzo stette immobile per alcuni istanti, recuperando fiato come se
avesse corso. Si accorgeva del tremendo dolore che attanagliava
Odino, e questo non faceva che aumentare il suo odio per Loki,
annientando quasi ogni briciola di amore e di compassione che gli era
rimasta.
«Fratello,
se tu fossi stato riconoscente come avresti dovuto essere, ora non
causeresti un tale dolore a nostro padre» sussurrò
Thor
all'indirizzo del re dormiente, ma in verità rivolgendosi a
se
stesso.
Poi,
lo colse un presentimento. Come una minaccia, penetrata
all'improvviso entro le difese del palazzo. Una minaccia che da poco
aveva imparato a conoscere come tale.
Non
sapeva esattamente cosa glielo suggerisse, ma era sicuro che Loki
fosse riuscito ad eludere la sorveglianza della propria prigionia.
Abbandonò
in fretta il capezzale del padre ed uscì dalla stanza,
cercando di
essere il più silenzioso possibile. Attraversò in
fretta e furia il
palazzo, scendendo fino ai piani inferiori che davano sui balconi
delle Cascate spioventi. Istintivamente prese con sé Mjöllnir,
facendolo rabbiosamente vibrare di campi magnetici. Loki conosceva
meglio la reggia, l'aveva esplorata più a fondo e con
più
circospezione. Strinse i denti, dilaniato dalla rabbia crescente e
dal dispiacere.
Era
sicuro che non avrebbe trovato il fratellastro dove l'aveva lasciato.
Giunse
in un batter d'occhio alle vicine stanze di prigionia, appena
incassate sotto lo scalino di roccia. Irato chiese alle guardie che
vigilavano la cella di Loki se avessero notato qualche strano
movimento. Queste gli fecero immediatamente di no con la testa,
irrigidendosi sotto lo sguardo tempestoso del dio.
Per
nulla convinto, Thor aprì la porta di sicurezza antecedente
alla
guardiola della prigione, e ne guardò precipitosamente
l'interno.
Ad
una prima occhiata, Loki era lì, seduto per terra, con la
schiena
dritta e lo sguardo volto verso il basso. Ma poi, la sua figura
svanì, smaterializzandosi sotto lo sguardo di Thor.
Quest'ultimo,
per nulla sorpreso di fronte ai trucchetti del ragazzo, si
lasciò
sfuggire un ringhio.
Ordinò
in fretta e furia una punizione esemplare per le due guardie,
sbigottite da quell'inaspettato rimprovero, e si diresse verso gli
scantinati della servitù.
Sapeva
dove trovarlo. Lo sapeva in base a un semplice e futile motivo: Loki
aveva sempre amato nascondersi in quei luoghi, quando giocavano
insieme da bambini. Quei meandri fatti di soffitti bassi e muri
umidicci erano dei nascondigli labirintici perfetti ed efficaci.
Dopo
aver velocemente setacciato le prime tre sezioni,
s'intrufolò nel
magazzino dell'armeria, seguendo le indicazioni di qualche testimone.
Dovunque fosse diretto, Loki aveva certamente fretta di raggiungere
quel luogo. Non si era curato di far smarrire le sue tracce, gli
serviva solo tempo.
Thor
spalancò la porta dell'ultimo deposito di armi e finalmente
vide, in
fondo all'esigua camerata, la figura esile di Loki girato di spalle.
Appena entrò il dio sussultò visibilmente,
stranamente spaventato.
Non azzardò a girarsi, nemmeno per controllare
l'identità
dell'intruso - anche se non ne avrebbe avuto bisogno. Stava
nascondendo qualcosa. Un'arma,
pensò d'istinto Thor, stringendo più ferocemente
il martello nel
pugno, pronto allo scontro. Era sicuro che Loki aspettasse il momento
giusto per voltarsi e per attaccarlo, con minor
prevedibilità
possibile.
«Secondo
te un condannato al patibolo può andarsene in giro quando e
dove più
gli aggrada?»
Le
spalle di Loki s'irrigidirono a quelle parole fredde. Tremarono un
poco, sussultarono impercettibilmente, come se si sforzasse di
mantenere il controllo.
Thor
invece, perse definitivamente quel poco che gli era rimasto.
Avanzò
come una furia verso il fratello, ringhiando come una belva affamata.
«Disgraziato!
Lo sai che dolore rechi a mio
padre? Lo sai che inferno stai rendendo i suoi ultimi giorni di vita?
Sei un ingrato!»
Afferrò
Loki per le spalle, lo costrinse a guardarlo in faccia. Il suo volto
era più pallido e remissivo del solito, il verde dei suoi
occhi era
spento e velato. Nessun sorriso di sfida, nessun sguardo ingannatore.
Solo un muto viso, stanco e vagamente spaventato.
Il
dio degli inganni affrontò a viso pieno l'ira del fratello,
ma
rimase immobile. Immobile nella sua posizione, vulnerabile a
qualsiasi attacco; rimase così, con i palmi appoggiati ai
bordi
dell'enorme cassa dietro di sé, rimase così pur
di non abbandonare
quella che pareva una postazione di guardia.
Thor
aggredì senza pietà il fratello, sovrastandolo e
minacciandolo con
l'arma che recava. Non si curò di trattenere uno schiaffo,
bruciante
su quel viso bianco e su quell'espressione arrendevole, che non
mutò.
Poi,
nel ritirare la mano, il dio scorse qualcosa.
Un
movimento, oltre la schiena del fratello.
Dentro
la cassa.
Tra
le lenzuola che servivano ad avvolgere le armi.
Loki
abbassò lo sguardo verso il pavimento, e fu incapace di
trattenere
un sommesso gemito di dolore. Sentiva gli occhi inumidirglisi e
bruciargli vedendo che l'attenzione di Thor era ormai stata
catturata. Ormai aveva visto.
Il
dio del tuono scavalcò l'ormai inutile sorveglianza del
fratello, e
scostò le lenzuola con cautela. Rivelò la testa
ricoperta di
capelli neri di un bambino, poco più che neonato. E un paio
di occhi
verdi, vispi e attenti, vogliosi di accogliere il mondo dentro di
loro.
Non
appena fu scoperto dal lenzuolo, il bimbo singhiozzò piano,
allargando ulteriormente le pupille alla luce. La sua incredibile
somiglianza con Loki era inequivocabile.
Un
dolore lancinante colse l'erede al trono di Asgard. Si portò
la mano
destra alla bocca, come se avesse appena compiuto un delitto atroce.
«L-Loki,
tu non sai cosa...»
Senza
neanche avere il tempo di formulare una frase sensata, Thor si
ritrovò scaraventato contro la parete, immobilizzato dallo
sguardo
del fratellastro, colmo d'odio, di disperazione e di umiltà
allo
stesso tempo. E in quel preciso istante, realizzò che il
ragazzo
sarebbe stato disposto a far qualsiasi cosa pur di salvare quel
bambino.
«Non
lo toccherai, non gli farai del male, hai capito, Thor?»
Suonava
più come una supplica che come una minaccia. Loki che
supplicava, e
stavolta non per finta. Non poteva accadere niente di più
assurdo.
Ma
il dio degli inganni lesse dissenso e freddezza negli occhi glaciali
del fratello. Sapeva che quella sarebbe stata la sua prima e ultima
sentenza.
«THOR!»
Si lasciò andare ad un urlo furioso e cadde in ginocchio,
scuotendo
le regali vesti del fratello.
Era
finita. Era veramente finita.
A
nulla sarebbero valse le più intime suppliche. La decisione
era
stata presa. Anzi, era il metodo ideale per Thor. Uccidere il
bambino, punire in modo esemplare il traditore, non ripetere l'errore
del padre, e al contempo risparmiare
Loki.
Risparmiare
il fratellastro, a lungo odiato, ma anche profondamente amato.
Loki sapeva che Thor si
sarebbe macchiato di un sangue innocente, piuttosto che rendere
esecutiva la sua condanna a morte. Non aveva mai avuto intenzione di
ucciderlo, ma se prima non aveva scelta, ora che gli si presentava
un'occasione alternativa non poteva farsela fuggire.
«Loki,
sai alla perfezione come funziona la nostra legge».
«TACI!»
gridò il dio degli inganni, a pezzi, fissando stravolto e
incredulo
la fredda impassibilità del fratello. «Taci. Io le
leggi le
conosco, e molto più a fondo di te e credimi, sarebbe stata
la prima
cosa che avrei cambiato una volta re, fermare questa barbara regola
di troncare la vita dei traditori uccidendo i loro figli! Asgard
è
un reame assetato di sangue e maledetto!»
Il
suo volto, stremato dallo sforzo, dal tentativo di proteggere il
bimbo dal volere del fratello, era rigato di lacrime. Lacrime di
rabbia.
Il
dio del tuono, colpito dolorosamente da quelle ingiurie,
tentò di
strappare il neonato dalle braccia di Loki. Quest'ultimo raccolse le
ultime briciole di sangue freddo che gli erano rimaste e respinse
Thor con un calcio ben assestato, tentando poi di avvelenarlo con la
forza innata della sua stirpe. Velocemente avvolse di ghiaccio la
lancia che brandiva nella mano destra, afferrata tra la
confusione dell'armamentario. Ma Thor schivò prontamente la
colonna
ghiacciata, e senza sforzo fece rovinare Loki per terra, ormai privo
di alcun potere e di alcuna forza.
Gli
prese il neonato dalle braccia, confondendo un momento il fratello
tramite una leggera scossa trasmessagli nel corpo.
Non
appena se ne rese conto, Loki tentò nuovamente di assalire
Thor,
invano. Ormai, privato dei suoi poteri più letali, era del
tutto
innocuo, inoltre nel frattempo erano arrivati i rinforzi.
Un
manipolo di guardie asgardiane fece irruzione nello scantinato e
circondò il traditore, impedendogli in tutti i modi la fuga.
«Vigliacco!
Sei un vile e un codardo, Thor!» gli urlò
avvelenato Loki,
arrancando in ginocchio verso di lui. Ma una delle guardie lo
immobilizzò con un forte colpo alla nuca e altre due si
affrettarono
a legargli le mani e ad imporgli il bavaglio.
Thor
rivolse un ultimo sguardo al fratello, carico di falsa pietà.
«Asgard
non è un regno di traditori. Non è il regno che
hai descritto tu
poc'anzi. È proprio perché non gli hai mai
portato rispetto,
fedeltà e riconoscenza che ora devi scontare questa pena. Se
non
fosse stato per mio padre, se non fosse stato per Asgard, tu a
quest'ora saresti morto, e non ci sarebbe nessun bambino».
Dette
queste poche ultime parole uscì dal deposito con il bambino
in
braccio, cercando di calmarne il pianto. Ordinò in fretta al
corpo
di guardia speciale di condurre Loki in cella, e di triplicare le
misure di sicurezza.
Il
dio degli inganni si lasciò condurre nella stanza sudicia di
prima,
senza più un filo di vigore in corpo. I carcerieri lo
gettarono sul
pavimento, e lì restò, immobile, con gli occhi
spalancati e rossi.
Incapace di piangere.
continua...
.¤.
Note
di Silvar: se
vi state chiedendo dove sia
il pairing, beh, abbiate fede. Arriverà.
Grazie per
essere arrivati fin qui! ♡
|
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Capitolo 2 *** Specchi Onirici e Illusioni ***
Specchi
Onirici e Illusioni
«Thor...»
un visetto curioso spuntò da dietro l'elegante teca di
vetro. «Thor,
vieni qui. Secondo te che cos'è?»
Il
bimbo si alzò curioso sulla punta dei piedi, appendendosi al
sostegno in ebano.
«Loki
non mi seccare proprio ora, sto cercando di battere il
simulatore».
Un
mostro di ferraglia brandiva una mazza ferrata e si muoveva in
automatico verso il bambino biondo che aveva innanzi, cercando di
colpirlo con stoccate poco decise. Thor le schivava agilmente per poi
attaccare di rimando, con più forza.
Loki
gonfiò le guance, rimirando affascinato quello strano
martello
antico. Pareva logorato dal tempo, come se avesse combattuto mille e
più battaglie, come se avesse attraversato ere millenarie.
«Che
razza di arma poco pratica e inusuale», disse fra
sé e sé.
Sotto
la teca era inchiodata una targa: Mjöllnir.
«Mjöl-lnir»,
scandì a fatica Loki, strizzando gli occhi per mettere a
fuoco le
parole scritte in piccolo.
Ad
udire quel nome, Thor interruppe miracolosamente il suo allenamento.
«Hai
detto Mjöllnir?» Si volse verso il fratello, che gli
annuì di
rimando, con pochi cenni della testa.
Il
bambino biondo si avvicinò a quell'imponente martello,
osservandolo
ora con un certo ardore negli occhi. «Dunque è
questo!» Fece
eccitato, non riuscendo a trattenere un piccolo salto di gioia e un
sorriso largo da orecchio a orecchio.
«Questo
cosa?» Domandò Loki annoiato.
«L'arma
che mi spetta, la più potente di tutta Asgard! Anzi no, di
tutti
quanti i Nove Mondi!»
Loki
lo assecondò con un sorrisetto accennato, non troppo
entusiasta.
«E...
come fai a sapere che spetterà proprio a te?»
«Me
l'ha detto papà, mi ha raccontato tutto riguardo
Mjöllnir, sapevo
anche che era da qualche parte, nella reggia. Ha detto che chi ha il
potere di brandire quest'arma diventerà Re di Asgard, e io
lo
diventerò!»
Loki
non se la sentiva di smontare l'entusiasmo del fratello, per cui si
limitò ad annuire ed a sorridere, nel modo più
sincero che potesse
fare.
«Papà
non mi ha mai raccontato questa storia...» iniziò
a bassa voce, ma
Thor gli aveva già voltato le spalle ed era tornato alla sua
attività con il simulatore.
Portò
allora la sua attenzione sul martello, rimirandolo con un pungente
desiderio nascosto, sebbene prima l'avesse trovato brutto ed
ingombrante.
Chi
ha il potere di brandire quest'arma diventerà Re di Asgard,
e io lo
diventerò!
Se
era vero che entrambi erano nati per salire sul trono, come mai suo
padre non gli aveva raccontato la leggenda di Mjöllnir?
«Thor,
Loki!» la musicale voce di Frigga invase l'atrio, richiamando
all'attenzione i due fratelli. Loki corse ad abbracciare la madre, la
quale lo accolse benevolmente al proprio seno, sollevandolo in
braccio. Thor invece rimase concentrato sul simulatore, non degnando
nemmeno la nuova arrivata di un saluto. «Thor»,
iniziò lei offesa,
«ora basta giocare con questo aggeggio, è ora di
cenare!»
Stavolta
toccò al maggiore esibirsi in uno vistoso sbuffo.
«E
va beeene», si arrese, gettando sul pavimento la spada e
scrollando
le spalle. Frigga sorrise benevola, posò a terra Loki e
diede un
buffetto sulla guancia a Thor.
«Sei
sempre così leggero Loki, dovresti mangiare un po' di
più. Ora
andate!»
I
due bambini si scambiarono un sorriso complice, pronti a scalpitare per il loro giocoso rituale.
«Facciamo...
a chi arriva prima!»
Come
al solito Thor scattò prima del tempo, e come al solito Loki
prese
ad inseguirlo lungo i corridoi del palazzo, tra le sottane delle
serve, tra le colonne dorate. A nulla serviva cercare scorciatoie,
percorsi alternativi, tentare di allungare il passo di quelle esili
gambe che si ritrovava: Thor sarebbe sempre arrivato primo.
*
In
uno strano stato di semi coscienza, sospeso tra il sonno e la veglia,
Loki udì le voci del sogno appena trascorso mescolarsi con i
rumori
appartenenti alla propria realtà.
Altre
voci, grezze e chiassose, che rimbombavano oltre la guardiola. Il
prigioniero aprì faticosamente gli occhi. Aveva dormito per
un tempo
imprecisato sdraiato su quel pavimento d'acciaio, aveva il viso e le
guance freddi e umidi, gran parte del corpo immerso nel torpore.
Mise
a fuoco l'ambiente, strizzando dolorosamente gli occhi. Era notte,
probabilmente notte avanzata. I guardiani ingannavano il tempo e il
sonno conversando in compagnia di buon vino.
«Hanno
già terminato l'esecuzione?»
Dei
passi, e giunse una terza voce: «sì».
«È
ciò che si merita, il figlio di questo lurido traditore
Jotun».
Scoppiò un coro di risate volgari, squillanti di ubriachezza.
Loki,
che nel frattempo si era alzato in piedi per cogliere meglio le
parole, si dovette appoggiare alla parete con una mano,
perché le
ginocchia non lo ressero più.
La
realtà gli cadde addosso con tutta quanta la sua
insopportabile
atrocità; era talmente dolorosa che l'aveva rimossa,
sperando
inconsciamente di affogarla nel sonno.
Tremava
di rabbia, d'incredulità, di spavento, di panico improvviso.
Quand'era successo? Com'era successo?! Per quanto aveva dormito, uno,
due, tre giorni?
Dov'era
il suo piccolo Liar? Possibile che fosse già morto, senza
che lui se
ne fosse accorto? Possibile che il suo cervello si fosse spento di
propria volontà, incapace di sostenere il dolore?
«Tu
credi di sapere cos'è il dolore...»
Assurdo
che in una situazione simile ricordasse quelle parole, pronunciate da
esseri che tanto disprezzava. Eppure, dovette ammettere che furono
profetici. Loki non sapeva cos'era il dolore, non l'aveva mai
sperimentato veramente, fino a quel giorno.
Non
aveva mai desiderato di morire, fino a quel giorno. Tentò
più e più
volte di dar voce ai suoi muti singhiozzi, di dare un senso alla sua
sofferenza, una manifestazione visibile. Niente.
Le
lacrime erano invero un bene consolatorio, quello in cui era caduto
era un baratro dal quale non sarebbe riuscito a risalire. Non
esisteva consolazione a un male simile.
Si
accasciò nuovamente sul pavimento, in preda ai brividi
febbrili.
Boccheggiò come un pesce fuor d'acqua, incapace di incassare
aria a
sufficienza a causa della costrizione che gli premeva sulla bocca.
Allora chiuse gli occhi, accogliendo deliranti immagini dietro le
palpebre. Un bambino rideva nella sua testa, ma non era Liar. O forse
sì?
Forse
è come sarebbe dovuto essere una volta cresciuto, forse era
solo la
proiezione di se stesso. Forse attendeva il suo carnefice, forse
l'aveva appena sconfitto.
Una
cantilena di sottofondo gli coprì le orecchie, la magica
voce di
Frigga che era solita allettare entrambi i leggendari fratelli, la
sera. Ella cantava come una sirena, sembrava tessere le lodi e i
fasti di un antico passato, definitivamente perduto.
«Se
dovete star qua a festeggiare, è meglio che andiate altrove,
subito». Una voce altisonante richiamò all'ordine
i carcerieri
molesti. Loki, seppur avvinghiato e alienato com'era nel suo pianto
invisibile, drizzò le orecchie, riconoscendo una voce
familiare.
D'un tratto sentì la vita scorrergli di nuovo nelle vene.
Thor.
Una
sensazione dolce e confortante, come se improvvisamente avesse
trovato la soluzione. Un
sentimento di vendetta.
Udì
la porta scattare, la serratura aprirsi. La sagoma del futuro re di
Asgard si stagliava imperiosa, ma allo stesso tempo timida, sulla
soglia della prigione. Loki lo squadrò dall'alto al basso,
con
saettanti occhi verdi. Si sentiva come se centinaia di cavalli gli
scalpitassero nel petto. Sentiva ogni vena pulsare, ogni nervo
emergere e soffrire, la pelle tirata, il respiro corto. Ogni
centimetro del suo corpo era pronto ad esplodere, pronto ad esaurire
ogni briciola di forza per distruggere, per annientare l'uomo che
aveva di fronte.
Ancora
un passo, ancora un altro. Le distanze tra loro si accorciavano
progressivamente.
«Fratello,
non...» In un attimo il dio degli inganni si
avventò sul
fratellastro, raggiungendolo con un debole pugno che venne
prontamente deviato. Benché avesse impiegato tutte le sue
forze, non
aveva fatto i conti con la sua inevitabile debolezza. Non mangiava da
quattro giorni, era stato privato dei suoi poteri innati, aveva il
cuore e l'animo a pezzi.
D'un
tratto si rese conto che nulla poteva contro Thor. E che, anche se
l'avesse distrutto, non avrebbe cambiato le cose.
Infine
piangeva. Il suo viso, rosso tremante e rigato di lacrime si
specchiò
negli occhi azzurri di Thor, che lo fissavano con pietà e
dispiacere. Stavolta pareva sincero.
Il
dio del tuono gli mise con cautela due mani dietro al collo,
liberandolo delicatamente dal bavaglio.
«Ti
odio», sussurrò Loki, continuando a riversare
fuori dagli occhi
lacrime salate.
«Io
invece ti amo fratello, ti ho sempre...» una mano
frenò la lingua
oltraggiosa del semidio. Loki lo guardava con odio profondo e scellerato,
non c'era più traccia di lucidità nel suo sguardo.
«Taci...
TACI!» Urlò con tutto il fiato rimastogli, anche
se con voce
spezzata dal pianto.
Thor
lo guardò invece con severità ed impazienza,
mentre gli slegava
anche il laccio che gli costringeva la caviglia destra.
Adagiò la
schiena del fratellastro alla parete, lasciò che scivolasse
per
terra e lo sovrastò delicatamente. Loki scosse la testa
più e più
volte, disgustato e confuso. Non voleva delicatezza e premure da
Thor, voleva odio, un odio che ricambiasse adeguatamente il suo.
«No,
ora sei tu quello che deve tacere».
Thor
gli posò le labbra sul collo umido e lo coinvolse in un
abbraccio
titubante, ma forte. L'altro accolse inerme quel contatto improvviso,
un contatto che erano abituati a scambiarsi.
«Non
sei tu il Re di Asgard».
«Credi
che possa importarmene qualcosa, ora?»
Loki
costrinse il fratello a guardarlo negli occhi, lasciandogli leggere
la sincerità e l'arrendevolezza che aleggiavano in essi.
«Sei
cambiato fratello».
«Anche
tu. Non avrei mai creduto che il tuo cuore debole, così
facilmente
corruttibile, fosse capace di cose simili». Il dio degli
inganni
stava rovinando ancora una volta nella pazzia. D'altro canto, come
biasimarlo? Le lacrime avevano ripreso ad allagare i suoi occhi
verdi, le labbra avevano ripreso a tremargli, il volto a diventare
più livido del solito. Pareva in preda a una crisi
terribile e affannosa, a un
collasso, a una morte apparente. Mai Thor avrebbe creduto il
fratellastro capace di tenere a una persona in modo così
tenace.
«Ascolta,
Loki...» Thor tentò di allungare una mano ad
accarezzargli i
capelli, ma l'altro gliela respinse con un sonoro schiaffo.
«Tutto
quello che ti chiedo è di uccidermi. Sì, prenditi
la mia vita, ma
non farmi passare per il traditore che è tornato sui propri
passi.
Non concedermi pietà solo dopo la morte, giacché sembra che questa sia diventata la nobile usanza di Asgard, in questi ultimi tempi.
Odiami
fino alla fine, come io farò con te. Io non
cederò mai, Asgard è
maledetta».
«Stai
delirando fratello...»
«Io
non sono tuo fratello, Thor! Devi chiamare le cose con il loro nome,
altrimenti finisci per confonderle». Il dio del tuono si
lasciò
sfuggire un ringhio, colmo d'irritazione e di esasperazione.
Inaspettatamente,
Loki si alzò in piedi, sferrando un potente calcio all'uomo
ancora
inginocchiato per terra. Approfittò poi di quei suoi pochi
secondi
di spaesamento per tentare di infilzare un'affilata lama di ghiaccio
nella sua gola, ma anche quest'ennesimo tentativo fu platealmente
stroncato. Thor schivò prontamente il colpo e si
alzò in piedi a
sua volta, sovrastando il fratellastro.
«Basta!»
Loki incassò due pugni allo stomaco, e trattenne a stento un
conato
di vomito. Più psicologico che altro, dato che non avrebbe
potuto
avere niente nello stomaco.
«Loki,
voglio che tu mi ascolti...»
«NO!»
Urlò lui, ormai fuori di sé. «Non
scambierò una parola di più
con te!»
«Tu
devi ascoltarmi...»
«Perché,
tu mi hai ascoltato quando mi hai portato via Liar? Hai ascoltato il
suo pianto quando l'hai stroncato?»
«Basta
Loki, non dire una parola di più! Tuo figlio vive
ancora».
Ridicolo,
quasi scherzoso, osservare l'espressione sul volto del fratello
mutare con rapidità indicibile. È come se un
focolaio di nuova
speranza accendesse i suoi occhi, rinnovando la loro luce verde e
asciugando le lacrime incastratevi.
Ma
fu solo per un attimo, perché poi Loki scosse la testa,
sorridendo
maligno.
«No,
tu mi stai prendendo in giro».
Thor
assunse l'espressione più seria potesse assumere, e
tentò di
riavvicinarsi al fratello, ponendogli una mano sulla spalla.
«Io...
ti stai solo divertendo ad illudermi!» Loki si ritrasse
d'istinto,
esitante nel dargli corda. Tuttavia gli risultava parecchio
difficile, in quel momento, mascherare l'immensa gioia e speranza che
l'avevano invaso; se era soltanto una bugia per alimentare
ulteriormente il suo dolore, allora era stata pianificata alla
perfezione. Ma in fondo non credeva Thor capace di una tale
freddezza.
Quest'ultimo
sembrava provato da un grande sforzo, e da un grande dolore. Come se
fosse attanagliato nel profondo da un terribile senso di colpa.
Tuttavia si limitò a scuotere la testa, ed a sorridere al
fratello.
«Loki,
io vorrei che tu... ritornassi nella tua vecchia stanza. Ricordi? La
nostra stanza».
Il
dio degli inganni gli restituì uno sguardo incuriosito, poi
ridiede
voce alle sue priorità. «Voglio vedere
Liar».
Thor
scosse energicamente la testa. «Mi dispiace ma non
è possibile. Ho
dovuto mandare tuo figlio fuori dai confini di Asgard, in un altro
mondo. Sta' tranquillo, ti posso assicurare che è in mani
premurose».
«Come
puoi pretendere che io mi fidi di te?»
«Piuttosto,
come faccio io a fidarmi di te, fratello, visto che sei un traditore
e ti sto dando l'offerta di dormire nelle stanze reali, in un letto
comodo, in una stanza arieggiata, soleggiata al mattino e ventosa la
sera...» la sua voce andava sfumando. Con gli occhi cercava
di
catturare l'attenzione di quelli lucidi di Loki, di nuovo colmi
d'acqua.
Con
estrema cautela gli prese una mano, senza sentire la sua stretta in
risposta.
«Ti
prego», disse in un sussurro.
*
L'alba
saliente sul regno di Asgard era forse uno degli spettacoli
più
incantevoli dei Nove Mondi. Manifestava tutta quanta la dolcezza
della natura mescolata all'artificiosità divina, risaltava
ulteriormente lo splendore della loggia d'oro, della mitica
roccaforte che si ergeva sopra il pelo dell'acqua. Era un paesaggio
imponente, imperioso e molle e delicato allo stesso tempo.
Loki
aprì gli occhi, lentamente, e vide sontuosi tappeti rossi,
pareti
gialle e lucide, un elegante comodino, un recipiente colmo d'acqua
cristallina. La sua camera.
Riconosceva
anche alcuni giocattoli che aveva avuto da bambino, lasciati intatti
e al loro posto. E soprattutto i suoi innumerevoli libri, racconti,
favole, leggende, impilati ordinatamente in un piccolo scaffale di
legno pregiato.
Dopo
un primo sguardo dato alla stanza, si rese conto dell'effettiva
situazione in cui si trovava.
La
testa gli pesava, le orecchie gli fischiavano e la fronte era gelata.
Il
suo corpo nudo era adagiato tra candide e morbide coperte, e un
braccio muscoloso gli cingeva fastidiosamente la vita. Tentò
di
alzare leggermente il busto, ma le fitte lancinanti che gli pervasero
le tempie e una silenziosa protesta di Thor lo fece desistere.
Il
fratello mugolò piano nel sonno, trattenendo Loki al suo
fianco,
cingendolo ulteriormente con le braccia forti.
Loki
sospirò dolorante, allungò una mano verso il
mobile vicino e bagnò
un fazzoletto di stoffa nella bacinella d'acqua profumata; premette
l'impacco sulla fronte, cercando di dare un temporaneo sollievo
all'emicrania.
Doveva
ricostruire gli avvenimenti, com'era arrivato dalla sua cella a quel
sontuoso appartamento?
Con
suo rammarico, non riusciva a ricordare. Aveva cancellato un nesso
importante.
Intanto,
il dio del tuono che giaceva al suo fianco si mosse tra le lenzuola
bianche, smorzando uno sbadiglio.
«Ti
sei svegliato?»
Loki
rivolse un'occhiata disprezzante al fratello, che intanto aveva preso
a toccargli i capelli.
«Lasciami».
Rispose freddamente il dio, cercando di divincolarsi dalla sua
stretta, tuttavia senza provarci davvero. «Mi disgusti, Thor.
Evidentemente sono tuo
fratello solo quando
ti fa comodo. Non mi sembra che da bambini usassimo questo letto per
simili attività».
«Non
la pensavi allo stesso modo, ieri sera».
Loki
sussultò visibilmente, colto nel vivo. Si maledisse; non
ricordava
nulla della sera appena trascorsa, ma non poteva aver desiderato
carnalmente Thor.
«Smettila
di dire scioc...» si fermò nel suo tentativo di
alzarsi in piedi, e
ritornò seduto sul letto con una smorfia dolorante in viso.
«Che
ti succede?» Fece Thor divertito.
«Niente»,
ringhiò Loki a denti stretti, facendo un secondo tentativo.
«Con il
tuo permesso, ho bisogno urgentemente di una bagno caldo, poi mi
dirai in quale regno vive ora mio figlio».
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Capitolo 3 *** Nodi Sciolti ***
Nodi
Sciolti
Schegge
di vetro e un baratro ricolmo di stelle, ecco quello che rimaneva
dell'arcobaleno bifrost.
Se
Loki avrebbe voluto fare di quel ponte il suo trofeo di vittoria
sugli Jotunheim, Thor ne aveva fatto il santuario della propria
eroicità, e del proprio spirito di sacrificio. Due
qualità
convenienti a un Re.
«Thor,
Loki come sta?» A fianco del proprio vero figlio Frigga
fissava il
cielo nero, fingendo di essere interessata alle nebulose che vi
vorticavano placide. Ma Thor la vedeva chiaramente preoccupata per il
figlio adottivo, che aveva sì scampato la morte, ma era
stato
condannato a un destino ben peggiore; lei, come madre, poteva bene
intuirlo. Il dio del tuono, in risposta, scosse le spalle, simulando
un'espressione dispiaciuta.
«Non
vuole parlarmi, mi maledice per la morte di suo figlio ma non sembra
intenzionato a lasciarsi morire. Secondo me sta progettando la fuga,
e la vendetta su Asgard». Cercò di formulare una
scusa che
risultasse il più convincente possibile, cercando di
immedesimarsi
nel fratellastro. Se suo padre avesse scoperto che Loki non era
rinchiuso nella sua cella, ma bensì nelle più
sontuose stanza
reali, e che il piccolo Jotun era ancora vivo, stavolta Thor avrebbe
davvero rischiato la condanna a morte. Pregò dentro di
sé che Loki
fosse abbastanza acuto e riconoscente da non uscire dalla sua camera
e da non farsi scoprire fuori dalla cella dove avrebbe dovuto essere.
Frigga in compenso credette ciecamente alla bugia, e si
asciugò gli
occhi diventati improvvisamente umidi.
«Madre...»
«Come
siete arrivati a questo, Thor?» La sua voce stanca era
tremolante di
pianto. Il principe scosse la testa in segno di dissenso.
«Non
devi incolparti. Loki... è fatto così. Voi gli
avete donato tutto
l'affetto che potevate dargli».
«Ti
sbagli Thor», Frigga serrò ulteriormente le labbra
fino a farle
diventare bianche, e così continuò la sua
confessione, incatenando
gli occhi a quelli del figlio. «Abbiamo cercato, ma non siamo
mai
riusciti ad amarlo come amiamo te». A quelle parole, Thor
sentì un
intruglio di emozioni invaderlo. Non sapeva se essere felice e
orgoglioso per quella speciale dose d'affetto, oppure irato per
l'incapacità dei genitori di amare Loki come un figlio. D'un
tratto
si rese conto di molte cose, molti frammenti di passato gli
ritornarono alla mente, pezzi di una collana che gradualmente
ricompose: i suoi genitori non avevano mai avuto particolare
attenzione nei sentimenti di Loki. Lo amavano, lo accettavano, lo
accoglievano come un figlio, ma dietro le loro moine e i loro sguardi
gentili nascondevano inconsciamente l'antico rancore verso gli
Jotunheim, verso un popolo straniero, verso una razza mostruosa.
«Vorrei
vederlo». Le parole ferme della madre distrassero Thor dai
suoi
pensieri, e dalla sua momentanea contemplazione dello spazio aperto.
«Cosa?»
«Vorrei
vedere Loki. Dove si trova?» Ripeté la regina, con
più decisione.
Il
ragazzo sentì la paura invaderlo, e un attimo di panico
improvviso
gli offuscò la mente.
«Ne-nelle
prigioni ovest, ai limiti della distesa boschiva di
Azüle» pensò
in fretta al primo luogo che gli veniva in mente, che fosse il
più
distante possibile dalle Cascate Spioventi e dalla reggia. Doveva
guadagnare tempo.
«Purtroppo
non posso accompagnarti madre, devo raccogliere il rapporto delle
guardie sensitive per una questione importante. Pare che sia stato
individuato un collegamento spazio-temporale simile al bifrost, in
uno dei Nove Mondi. Questo potrebbe eventualmente costituire una
minaccia per Asgard».
Frigga
alzò una mano in un gesto sbrigativo, e si lasciò
andare in un
dolce sorriso fiero e materno.
«Va'
figlio, non mancare ai tuoi doveri».
Detto
questo chiamò le sue serve che la scortassero sino al
promontorio di
Azüle, dov'era situato il vecchio carcere.
Nel
frattempo, immerso nell'eleganza degli ambienti reali, il dio degli
inganni cercava di alleviare un poco i suoi tormenti.
Loki
inspirò i soavi vapori che aleggiavano nella stanza da
bagno,
rievocando involontariamente nel profumo dei balsami e degli oli
alcuni sprazzi di passato, nemmeno troppo distante. Lui e Thor
avevano giocato innumerevoli volte immersi in quella vasca, che
all'epoca pareva gigantesca. Thor, irruente e vivace come al solito,
si divertiva a spruzzare l'acqua fuori dai bordi o addosso a Loki,
mentre quest'ultimo preferiva inventare storie, collage delle
innumerevoli leggende che divorava ogni sera, sempre ambientate sulle
rive di quell'ampio lago col fondo di piastrelle.
Il
ragazzo immerse i capelli mossi nell'acqua calda, passò le
dita in
mezzo alle ciocche per districare i nodi. Con la bocca immersa appena
sotto il livello dell'acqua, soffiò, facendo gorgogliare la
superficie di bolle.
Ma,
nonostante cercasse in tutti i modi di distrarsi e di rilassarsi un
momento, non riusciva a non pensare ai mille dubbi che
l'attanagliavano. Primo fra tutti, doveva scoprire cos'era successo a
Liar. Thor non gli aveva detto tutto quello che avrebbe dovuto
dirgli, ora a mente fredda se ne rendeva conto. Come mai i carcerieri
avevano affermato senza nessuna esitazione che l'esecuzione
era
avvenuta? Il fratellastro gli stava quindi mentendo sulla
sorte
del bimbo, allo scopo di tenerlo sotto ricatto e approfittare della
sua sottomissione?
Al
solo pensiero, Loki serrò rabbioso i pugni sul bordo della
vasca,
digrignando i denti come una belva spaventata. Ma poi
rifletté più
lentamente, e con più lucidità. Thor non avrebbe
avuto motivo di
portarlo con sé negli appartamenti reali, se gli avesse
raccontato
una tale bugia. Anzi, si sarebbe approfittato di lui all'interno
delle sbarre e poi l'avrebbe lasciato al suo destino. No, Thor non
era così falso. Non sarebbe mai stato capace di una menzogna
di una
simile gravità, era troppo ottuso e smaliziato.
Ma
allora, qual era l'esecuzione effettivamente avvenuta?
Senza
che ebbe occasione di pensarci oltre, sentì la serratura
della
camera scattare, e la porta del bagno aprirsi precipitosamente. Un
Thor affannato e ansante si stagliò sulla porta, liberando
all'esterno la densa nuvola di vapore che aleggiava nella stanza.
«Devi
immediatamente tornare nella tua cella».
«Cosa?
E perché?», fece il dio degli inganni con grande
rammarico; aveva
appena iniziato a rilassarsi, e inoltre aveva tantissime domande da
porre al fratellastro.
«Non
c'è tempo fratello. Se ti scoprono qua io sono
morto».
Onde
evitare ulteriori repliche, Thor sollevò il ragazzo di peso,
sottraendolo a quelle acque calde e profumate. Lo avvolse in fretta e
furia in un telo sontuoso, il primo che aveva trovato sottomano, e
gli frizionò al volo i capelli scuri. Odoravano ancora della
pungente fragranza dei balsami.
«Come
osi trattarmi come un infante!» Protestò Loki
cercando di
scostarlo, ma l'altro lo ignorò spudoratamente. Gli
aggiustò meglio
il telo sulle spalle bagnate e lo portò con sé
fuori dalla camera.
«Aspetta
Thor... non cacciarmi via così. Ci sono tante cose che
dobbiamo
chiarire», disse in un soffio Loki al fratellastro, mentre
percorreva a passo spedito i corridoi guardandosi intorno ad ogni
angolo. «Ho come l'impressione che tu stia evitando
l'argomento. Ho
sentito le guardie parlare dell'esecuzione di mio figlio e... insomma
a chi devo credere, dato che non ho ancora visto Liar vivo?»
«Loki,
ma ti pare il momento?» Thor era infatti impegnato a scovare
una via
alternativa che aggirasse i due blocchi di sorveglianza, ma sembrava
piuttosto incline a sviare la domanda.
«Sì,
mi pare il momento. Voglio sapere cos...»
«Tuo
figlio sta bene, ti basti sapere questo».
Infine
riuscirono ad infiltrarsi nella zona di detenzione senza essere
visti, anche se evitarono per un soffio due pattuglie. Thor rinchiuse
nuovamente Loki dentro la sua cella; d'altronde, la carcerazione a
vita era la pena che per legge spettava ai traditori, aggiunta alla
condanna a morte dei loro figli.
Loki
si raccolse contro le proprie ginocchia, tremando visibilmente per il
freddo di quella prigione d'acciaio. Un soffio gelido sferzava sulla
sua pelle bagnata, protetta solo da un sottile strato di seta.
«Credo
che la nostra nobile madre verrà a farti visita.
Più tardi ti
porterò dei vestiti».
Loki
sbuffò e distolse lo sguardo dagli occhi fieri di Thor.
«Come
faccio ad essere sicuro che Liar sia ancora vivo?» chiese in
tono
quasi implorante.
Il
dio del tuono allora, in tutta risposta, gli diede un veloce bacio
sulla fronte, non dandogli nemmeno il tempo di rendersene conto.
«Fidati
di me fratello».
«Non
sono tuo fratello, Thor, smettila!»
Ma
lui gli aveva già voltato le spalle, e lesto s'era chiuso la
porta
blindata dietro i suoi passi.
Loki
perse anche l'ultimo spiraglio di luce proveniente dall'esterno e
rimase chiuso nell'oscurità e nel freddo della sua cella,
tremante,
bagnato e infreddolito.
Con
orrendi fantasmi che gli infestavano la mente.
*
Frigga
era troppo invaghita del suo primogenito per sospettare anche
minimamente di lui. Così, quando arrivò al
distretto di Azüle
e i carcerieri la indirizzarono verso la zona detentiva delle Cascate
Spioventi, cadde ciecamente nell'inganno e tornò sui suoi
passi.
Dopotutto
Thor, a causa dell'indisposizione di Odino, era parecchio impegnato
in quei giorni; era possibile che gli sfuggisse qualche cosa.
Arrivata
nei pressi delle prigioni, congedò le serve che la
scortavano ed
entrò sola nel loculo dov'era rinchiuso il proprio figlio
adottivo,
Loki di Jotunheim.
Lo
trovò raggomitolato su se stesso nel tentativo di
proteggersi dal
freddo, avvolto maldestramente in quel lenzuolo troppo elegante in un
contesto simile, con le spalle, i capelli, le gambe bagnati.
Patetico
per essere un Gigante di ghiaccio.
Non
appena il prigioniero sentì la serratura scattare,
cercò di
assumere una posizione più decorosa drizzando la schiena e
aggiustandosi meglio il telo addosso. Strizzò gli occhi
assonnati e
riconobbe l'esile profilo della madre, che con la sua camminata
gentile veniva verso di lui.
«Loki!»
D'istinto ella aprì le braccia verso di lui, ma poi
ritirò
l'abbraccio, rammentando in che posizione si trovava ora il
figliastro, e in che posizione si trovava lei.
Agli
occhi di Loki Frigga faceva parte di coloro che avevano mandato al
patibolo il suo bambino, era certa che non l'avrebbe accolta
benevolmente.
Eppure,
con grande sorpresa della donna, Loki accettò quel contatto
intimo.
Anzi, in verità era l'unica cosa di cui aveva bisogno in
quel
momento, oltre a sciogliere i nodi dei fatti avvenuti recentemente.
Ma la madre avrebbe potuto venire incontro anche a quest'ultimo suo
bisogno.
«Madre,
ti prego dà una risposta agli orrendi sospetti che mi
corrodono,
voglio sapere dov'è mio figlio, ora! Non posso
più sopportare il
dubbio!»
Frigga
guardò con compassione il ragazzo riconoscendo per un
attimo, in
quegli occhi verdi e lucidi, il bambino che era, con il pallore della
debolezza sulle guance, con gli occhi vivaci affamati di storie e
leggende.
La
donna scosse la testa, cacciando quei nostalgici pensieri.
«Oh
Loki, perché a me affidi una tale responsabilità,
perché il
destino ha voluto gettare sulla mia vecchiaia un peso così
gravoso?
È forse questo il compito di una madre, annunciare al
proprio figlio
la morte del suo?»
Loki
impallidì, se possibile, ancora di più.
Frigga
si sentì morire. Serrò le labbra e le palpebre,
cercando di
cacciare indietro le lacrime. Non ricordava di aver mai provato un
simile dolore, forse nemmeno quando Thor era stato bandito da Asgard,
o quando Loki era svanito nello spazio profondo.
«Dunque...
morto?» Il tono di voce del dio degli inganni era calmo,
arrendevole. Sebbene non ne desse segno, dentro al suo petto montava
una furia inaudita e una disperazione abissale.
«Thor
lo ha affogato nelle acque del puro Fridsam, e ora giace in una tomba
degna all'esterno delle mura. Ti prego, non nutrire ulteriore rancore
per tuo fratello, egli ha a stento sopportato il dolore di dover
essere l'artefice di un tale delitto».
«Eppure
mi pare l'abbia sopportato. Madre, come puoi chiedermi una cosa
simile!» Loki affondò le mani nei capelli, ancora
grondanti
d'acqua.
Dunque
Liar era morto. E Thor, l'infame, gli aveva mentito, l'aveva portato
nel suo letto con l'inganno! Uno sporco, meschino, crudele inganno.
Non poteva che dare più credito alla versione di Frigga che
a quella
del fratellastro, dato che la madre gli aveva fornito dettagli
più
esaustivi.
«Come
puoi chiedermi di non odiare Thor...» bisbigliò
velenoso il
ragazzo.
«Ti
sto chiedendo di non attribuire la colpa alla persona
sbagliata».
Loki
alzò incredulo lo sguardo verso quello della madre,
diventato d'un
tratto freddo.
«E
a chi dovrei dare forse la colpa, a te, madre, che non hai fatto
nulla per impedire questo scempio? Ad Odino, mio nobile padre, che ha
reso esecutivo l'ordine? Alle barbare leggi di Asgard, ai venerabili
legislatori?»
Frigga
allora bloccò le parole impetuose del figliastro, ponendogli
una
mano sulla spalla e guardandolo severamente.
«A
te stesso».
Loki
spalancò gli occhi per la sorpresa, e si sentì
invadere di rabbia
mista a delusione e tristezza.
Scosse
la testa, come se non accettasse le parole che aveva appena sentito
forti e chiare.
«Loki,
io continuo ad amarti come un figlio...»
«Bugiarda»,
sibilò il dio con gli occhi ridotti a una fessura.
Frigga
assunse uno sguardo ferito da quell'ingiuria, che mutò poi
in
apprensione e dispiacere.
«Eppure
conoscevi le rigide regole di Asgard! Perché hai deciso di
voltare
le spalle al nostro mondo, figlio mio... Soffro a vederti
così,
soffro davanti al vostro odio».
«Io
non ho mai voltato le spalle ad Asgard, io amo Asgard più di
quanto
l'amiate voi, ero pronto a prendere lo scettro per essa! Ma
Thor...»
caricò disprezzo su quel nome, «Thor è
sempre stato il più
valoroso, il più adatto, il più forte ai vostri
occhi. Non avete
mai nemmeno pensato a me come erede al trono, e questo solo a causa
della mia natura! Solo perché appartenevo al popolo degli
Jotun...»
Frigga era arrivata al limite del dolore, a sentire quei rimproveri.
Soprattutto perché si rendeva conto che quelle che le
venivano
rivolte non erano calunnie infondate.
«Loki,
ti prego... Sai bene che non avrei potuto impedire il volere di tuo
padre! Il tuo odio abbia almeno pietà di me».
Loki
la guardò con risentimento, tuttavia non riuscendo ad
odiarla
veramente. Frigga era sempre stata per lui una figura protettiva,
dolce, che sapeva valorizzarlo anche al confronto con Thor. Nutriva
ancora un affetto infantile per lei, perché l'aveva aiutato
a
crescere, e tuttavia aveva provato con tutta se stessa a donargli
amore al pari del suo vero figlio.
«Va',
ora rivolgo a te la mia preghiera. Lasciami solo».
Frigga
allora acconsentì mutamente, donando un'ultima carezza sulla
guancia
umida del figlio adottivo, venendo prontamente respinta.
«Come
preferisci». Detto questo, la regina voltò le
esili spalle al
ragazzo, ed uscì dalla prigione. Loki, che aveva trattenuto
le
lacrime fino a quel momento, nascose il viso tra le braccia e pianse,
silenziosamente.
Passarono
ore interminabili, in cui il prigioniero ebbe modo di sfogarsi nel
sonno e nelle lacrime. Ma poi Thor mantenne la sua promessa. Sul fare
del tramonto le doppie porte di sicurezza vennero nuovamente
sbloccate e l'aitante erede al trono di Asgard comparve nell'esiguo
loculo dov'era rinchiuso il fratellastro. Recava con sé un
cambio di
vestiti accuratamente ripiegati.
«Mi
hai mentito». Loki lo accolse con queste parole colme di
disprezzo e
risentimento.
«E
su cosa ti avrei mentito?»
«Raccontami
con quale soddisfazione annegasti Liar nel Fridsam, e dimmi anche
dove lo seppellisti, così che io possa morire ammazzandoti
sulla sua
tomba!» A stento pronunciò queste parole tenendo
salda la voce,
anche se i suoi occhi lucidi lo tradivano.
«Cosa
ti ha detto nostra madre?»
«Ooh,
non hai avuto il tempo di accordarti con lei per raccontarmi la
stessa storiella senza contraddirvi?»
«Basta
Loki, non una parola di più! Possibile che tu sia tanto
cieco da non
capire?»
Thor
portò una mano a nascondersi il viso, e si permise pochi
attimi di
riflessione. Era arrivato il momento di dirgli la verità.
Loki era
tutto fuorché stupido, non avrebbe creduto oltre alla debole
versione presentatagli per mascherare
quel
particolare.
«Ebbene,
ti dirò la verità. O meglio, una parte di
verità che non ti ho
detto, fratello».
A
questa premessa Loki decise di dare ascolto, seppur con poca
convinzione, alle parole di Thor. In verità non aveva ancora
abbandonato quel fievole barlume di speranza, non aveva ancora
gettato via la possibilità che Liar fosse vivo.
Thor
quindi, assicuratosi di essere ascoltato, l'aiutò ad alzarsi
in
piedi per poterlo guardare meglio negli occhi, e prese a vestirlo
lasciando scivolare a terra il lenzuolo che lo copriva.
«È
vero, un bambino è morto nelle acque del puro Fridsam, e
sì, ora
giace sotto una lapide che reca il nome di Liar, figlio di Loki dei
Giganti di ghiaccio. Ma egli non è tuo figlio».
Per
la seconda volta, Thor vide l'espressione del fratellastro colorarsi
di sorpresa.
«Non
avrai...»
«Ti
assicuro, fratello, che sto rischiando la tua medesima sorte per
quello che ho fatto».
Loki
si portò una mano alla bocca, e diede le spalle
all'asgardiano. I
conti tornavano.
D'improvviso
si voltò con impeto rabbioso verso Thor, e lo
aggredì verbalmente.
«Stolto!
Tu eri l'unico a sapere dell'esistenza di Liar, se non l'avessi detto
a nostro padre a quest'ora non sarebbe morto nessun bambino!»
«Ma
avrei perso te».
Thor
allungò una mano verso il viso esausto e umido del fratello,
gli
toccò i capelli e la guancia, e lo guardò con
profondo affetto. Il
suo tono calmo e deciso riuscì a zittire la parlata
affannosa del
dio degli inganni. I suoi occhi azzurri erano colorati di una luce
tenue, seriosa, piena di rammarico ma anche di profondo rispetto.
«E
non mi stava bene».
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Capitolo 4 *** Nubi su Högar ***
Nubi
su Högar
Passarono
giorni di prigionia, paradossalmente felici. Loki aveva deciso di
credere alle parole di Thor, anche perché egli sembrava
sempre
portare un peso immane dentro di sé. Un senso di colpa
mostruoso che
tuttavia era disposto a sostenere, pur di salvare la vita e l'amore
del fratello.
Loki
inizialmente era stato condannato a morte, poi, alla scoperta di suo
figlio, la sua pena era stata trasferita sul bambino, una punizione
che avrebbe ucciso psicologicamente il traditore. Thor aveva deciso
di sfruttare la seconda pena prevista dalle leggi di Asgard per
salvare la vita di Loki, ma in tal modo egli l'avrebbe odiato per
sempre e non avrebbe mai avuto modo di recuperare l'antico affetto
che li univa. Allora il principe decise che avrebbe salvato la vita
di entrambi.
Loki
era consapevole che la sua temporanea felicità si reggeva su
un
delitto orribile, e questo a volte lo gettava nello sconcerto e nel
malumore. Ma nulla riusciva a scalfire la sua gioia di sapere Liar
vivo. Nemmeno la lunga ed agonizzante prigionia che credeva lo
aspettasse sarebbe riuscita a scalfirla.
Dopo
alcuni giorni di solitudine nel buio profondo della sua cella, Loki
vide comparire sulla porta la sagoma del fratellastro; egli
avanzò a
grandi passi nel loculo ed afferrò con forza il prigioniero
per un
braccio, issandolo in piedi.
«Svelto,
Loki. Andiamo!»
«Ma...»
Thor
non gli diede il tempo di ribattere. Lo portò fuori dalla
zona
detentiva, approfittando della temporanea assenza di sorveglianza
durante il cambio della guardia. Ben presto si trovarono nei lunghi e
dorati corridoi della reggia, colorati della luce rossastra del
tramonto.
«Scusami
se arrivo solo ora, ma avevo una faccenda importante da sbrigare a
Vanaheimr».
«Si
può sapere perché rischi tanto per me?»
Ma il dio non ricevette
risposta. Thor si limitò ad aprire furtivo la porta della
loro
vecchia camera, quando vi furono di fronte.
«Ricordi?
Io sono il maggiore. Devo badare a te».
«Tu
non sei mio fratello», borbottò Loki volgendo lo
sguardo a terra.
Le sue guance riprendevano colorito alla luce del sole morente, lo
smeraldo dei suoi occhi risaltava sulla pelle chiara. La sua bellezza
e il suo chiarore non si erano affievoliti, era più bello e
giovane
che mai, e lo sarebbe stato per centinaia d'anni ancora.
«Smettila
di dire sciocchezze, tu lo sarai sempre», ribatté
Thor mentre si
toglieva la scomoda armatura. «Stanotte dormi qui».
Loki
trattenne a stento una risata di scherno. «E vuoi farmi anche
credere che non pretendi nulla in cambio?»
Inaspettatamente,
il dio del tuono scosse la testa. «Sì, vorrei
qualcosa in cambio.
Vorrei che placassi il tuo odio, vorrei che tutto tornasse come
prima».
«Tsk»,
Loki digrignò appena i denti, colto nel vivo del suo
orgoglio.
«Chiedi davvero troppe cose, Thor». Tuttavia,
sebbene il dio degli
inganni si ostinasse a fare lo schizzinoso, quella notte non volle
per nessun motivo tornare nel freddo e nella solitudine della sua
cella. Prese posto con una certa raffinatezza tra le coperte
dell'ampio letto, al fianco di Thor, e non sembrava affatto
dispiaciuto di trovarsi dov'era.
«Forse
mi sono sempre sentito estraneo a questa casa».
Loki
parlò senza preavviso, con voce soffusa, mentre era
apparentemente
impegnato a contemplare il soffitto. Thor, spiazzato, fissò
la sua
figura nella luce viola del crepuscolo, ma non colse nessuna
espressione particolare nel suo viso. Si stava sforzando
di
apparire insensibile e indifferente.
«Loki...»
l'asgardiano prese ad accarezzargli i capelli, cauto, atteggiandosi
in modo da non venir respinto. Riuscì nel suo intento
iniziale:
Loki, seppur tenne ferma la testa come in una morsa di ghiaccio e non
sciolse il collo dalla sua rigidità, non fece neanche nulla
per
impedire quel contatto. Dunque Thor, incoraggiato dall'apparente
accondiscendenza del ragazzo, tentò di baciarlo sulle
labbra, ma
Loki, con un gesto calmo della mano, gli scostò il viso,
freddandolo
con uno sguardo.
«Ascoltami
fratello», il respiro del dio del tuono s'era fatto
più pesante,
ansioso per un momento di possedere quel corpo così debole
da essere
completamente sottomesso al suo volere. Loki intuiva con largo
anticipo le sue intenzioni, e ne era disgustato, per cui non
riservò
nessun tono di riguardo nei confronti del fratellastro. Non aveva
ancora ottenuto il suo rispetto.
«Io
ho compreso i miei errori, ho veduto ciò che per anni era
stato
oscuro ai miei occhi», accarezzò languidamente il
viso del giovane
Jotun, «non ho mai fatto caso all'amore che i miei genitori
ti
negavano, e me ne dispiaccio!»
«Eri
troppo impegnato a pavoneggiarti!» Esclamò
velenoso l'altro
ragazzo, alzandosi col busto e avvicinando di molto i loro visi.
«Eri
troppo impegnato degli elogi che ti venivano rivolti, per chiederti
il perché io rimanessi costantemente al tuo fianco, eppure
costantemente nascosto dalla tua ombra». Loki
abbassò lo sguardo,
divenuto riflessivo e nostalgico. Ma fu solo per un attimo,
perché
subito dopo si preparò ad aggredire nuovamente Thor. Si
protese in
avanti, deformò per un secondo il suo bel viso in una
smorfia
rabbiosa. Solo per un secondo, perché Thor lo
bloccò toccandolo
nuovamente sul viso, sulle guance.
«Voglio
che mi racconti di lei».
Anche
al buio, poté giurare di aver visto Loki arrossire. E Loki
poté
giurare di aver colto una spiccata nota di gelosia nella voce del
fratellastro.
«Lei
chi?»
«La
donna che ami».
«Io
non amo nessuna donna» concluse sbrigativo il dio degli
inganni,
abbassando torvo lo sguardo.
Thor
sorrise dolcemente di fronte all'infantile imbarazzo del fratello.
Poi decise che avrebbe rimandato il discorso; una piccola parte di
lui non si sarebbe persa per nulla al mondo le espressioni impacciate
e i rossori di Loki alla luce del sole, sollevare un simile argomento
nella semioscurità del crepuscolo sarebbe stato uno spreco.
«E
che mi dici di te? Perché mai non ritorni a spassartela con
quell'umana e mi lasci in pace?» La voce del dio si faceva
sempre
più sarcastica e velenosa, ma Thor non sembrò
particolarmente
offeso dal tono con cui Loki parlava di Jane. Anzi, si
limitò ad
alzare le spalle.
«Evidentemente
il mio ardore per lei si è affievolito. Come accadde con
Sif,
ricordi?» Si curò bene di caricare di rimprovero
quelle ultime
parole riguardanti la nobile guerriera asgardiana, tanto che Loki
arretrò di qualche centimetro, rimembrando i sensi di colpa
e la
bruciante punizione subita.
«Sì,
ricordo vivamente. Come fosse oggi».
«In
ogni modo fratello, io non voglio più portarti rancore. Per
quanto
mi riguarda, hai pagato a sufficienza i tuoi debiti».
«Dì
pure hai reclamato a sufficienza i tuoi diritti»,
borbottò
sarcastico Loki.
Seguirono
alcuni minuti di silenzio, disturbati dai canti dei grilli e dai
versi dei rapaci notturni. Il vento fresco si infilava con prepotenza
nella stanza, gonfiando le tende di lino e scuotendo di brividi la
chiara pelle del giovane Jotun. Thor gli portò il lenzuolo
fin sopra
le spalle, e in quell'atto s'incantò - come spesso faceva -
a
rimirare i suoi occhi verdi, ingannevoli, eppure così
sinceri.
«Lo
sai, a volte vorrei baciarti...»
Loki
restò un attimo in silenzio, deglutendo. Il suo sguardo era
diventato fuggitivo, quasi timido.
Poi
riacquistò la suo lucidità e scosse la testa,
sorridendo di
scherno.
«Sei
impazzito forse?»
Ma
Thor ignorò le sue parole, e rimase come ipnotizzato sul suo
sguardo. Accarezzò debolmente il fratello sotto il collo, e
man mano
che si avvicinava al suo viso lo accarezzava dietro le orecchie,
toccandogli di nuovo i capelli sottili. Sfiorò la sua
guancia con il
naso, come volesse annusarlo, prima di baciarlo delicatamente,
catturandogli poco alla volta piccoli lembi di labbra, toccandole
lievi, quasi con timore.
Le
labbra di Loki erano fredde, sottili, remissive. Il giovane
abbassò
un poco le palpebre sugli occhi, ma rimase passivo a quel gesto.
Solo, quando Thor pose fine a quel casto bacio, si limitò ad
inspirare profondamente, e quando parlò lo fece con voce
tremante.
«Non
ti vergogni? E poi pretendi di chiamarmi fratello?» Detto
questo si
passò una mano sulla bocca, come avesse appena detto
un'orribile
atrocità.
«Di
cosa dovrei vergognarmi? Tu ti sei già concesso a
me!»
L'espressione
inorridita di Loki sarebbe stata quasi comica, in un contesto
diverso.
«Come
hai osato violarmi in modo così meschino?» La sua
voce si era quasi
ridotta a un piagnisteo.
«Mi
hai... mi hai praticamente ricattato!»
«E
intendo farlo ancora».
Il
dio degli inganni fissò l'altro per alcuni lunghi secondi,
di
sottecchi. Il suo sguardo era incomprensibile, misto tra il furioso,
lo spaventato, l'eccitato e il divertito.
«Se...
se credi di sottomettermi in tal modo ti sbagli di
grosso...!»
Sibilò in un ringhio, stringendo i pugni all'inverosimile. E
Thor
non riuscì a trattenere una risata.
«Sapevo
che avresti detto così!» E continuò a
ridere. Cos'era,
aveva forse intenzione di prendersi gioco di lui?
Loki
inarcò un sopracciglio, irritato dal fare scherzoso del
principe.
Detestava non essere preso sul serio. Detestava essere prevedibile.
Detestava quella risata irritante.
D'improvviso
scese da letto, scostando i veli che lo avvolgevano, e
s'alzò in
piedi.
Il
riso di Thor sfumò all'istante, e un'espressione sbigottita
gli si
dipinse in faccia.
«Che...
che fai?»
Tentò
di afferrarlo per un polso, ma Loki, sfuggevole e sinuoso come un
gatto, evitò con facilità la sua presa. Tuttavia
non fuggì, una volta prese le distanze, si volse verso il
fratellastro con calma
estenuante e lo fulminò con fieri occhi liquidi.
«Ora,
con il tuo permesso, vorrei fare un bagno. E poi mi
concederò a te,
se tu lo desideri».
Thor
registrò quelle parole come non fossero reali. Loki poteva
per
davvero aver detto una cosa del genere? Mi
concederò a te, se tu
lo desideri?
No,
certamente qualcosa stonava in quelle parole. E non sarebbe stata la
prima volta che cadeva nei subdoli intrighi del dio degli
inganni.
D'altronde, quel nome non gli era stato affibbiato a caso.
Eppure,
Loki sembrò onesto. Passò poco tempo immerso nei
vapori della
vasca, giusto per godersi fino in fondo il bagno che gli era stato
così brutalmente negato la volta precedente. Poi, silenzioso
e
avvolto pudicamente in un elegante telo, era tornato nella camera.
Thor
lo guardava con affetto, sdraiato sui cuscini. Sorrideva come avrebbe
potuto sorridere a un vecchio amico, tornato dopo
un'eternità. Loki
manteneva, nonostante tutto, il suo cipiglio regale ed il suo
orgoglio, camminava leggero e disteso, il suo viso era rilassato e
riflessivo anche se non c'era traccia della sua caratteristica aria
beffarda. Solo in quel momento, incrociando il suo sguardo
apparentemente distaccato, Thor capì lo stato d'animo del
fratello.
Loki
si sentiva incastrato, si sentiva in debito, si sentiva ricattato. Se
le cose stavano così, Thor avrebbe fatto di tutto pur di
fargli
comprendere che si sbagliava.
Con
inebriante sensualità mischiata ad un velo di timidezza, il
dio
degli inganni avanzò con cautela verso il fratellastro e si
piegò a
cavalcioni sul suo corpo, raggiungendo la sua bocca con un bacio, se
possibile ancor più casto del precedente. Chiuse gli occhi
mentre a
tratti toccava quelle labbra ruvide con le proprie, mentre Thor gli
accarezzava il collo e la testa e gli sfilava il telo bagnato,
scoprendo le sue cosce di un rosa dorato, risaltate dal chiarore dei
lumi.
«Cerca
di non farmi male», esalò in un soffio Loki,
sussultando appena
sotto i suoi tocchi. Poi, sussurrò qualcosa
d'incomprensibile,
qualcosa come non mi merito questo da te.
Thor
capovolse le posizioni e allargò appena le lunghe gambe del
ragazzo,
ancora restio a concedersi senza pudore. Gli sorrise dolcemente,
toccandogli un poco il viso come se avesse a che fare con una bambola
di porcellana. Loki, puntualmente, si curò di recuperare il
suo
orgoglio, sottraendosi a quel tocco e inarcando le sottili
sopracciglia in verso di rimprovero.
Thor
decise di ignorare i modi scorbutici del fratello, non poteva
pretendere oltre dalla fierezza e dall'orgoglio di Loki, per cui si
accontentò.
E
quella notte lo fece suo, per la seconda volta. Lo prese in
estenuanti abbracci, senza fine. Fu una notte dolce, piena di carezze
e languori. Entrambi sapevano trattarsi con riguardo, entrambi si
conoscevano profondamente.
La
parte complicata era definire il sentimento che li univa.
*
Il
giorno successivo l'alba sorse con troppo anticipo. Il sole, ancora
debole, ferì gli occhi chiari di Thor, che si
destò da un lungo
sonno. Subito prese coscienza del ragazzo accanto a sé,
girato di
spalle, infagottato in un mare di lenzuola. Ancora addormentato.
Separò
le gambe dalle sue, bollenti. Al contrario, le spalle e le braccia
così come la schiena nuda, accarezzate dal vento mattutino,
erano
gelide. Thor si curò di coprire meglio il corpo del
fratello,
tirando più che poteva quel groviglio di coperte fin sopra
la sua
testa. Non perse l'occasione per baciargli il collo, e la guancia.
Dormiva ancora. Gli occhi verdi erano ancora ben celati dietro le
palpebre, la bocca era leggermente aperta, e catturava ogni
più
fievole filo d'aria.
Pareva
un bambino, alle prese con i propri sogni. Sembrava impossibile che
Loki avesse già un figlio, con il simile splendore giovanile
che
recava.
Alla
dolcezza del risveglio si sostituì ben presto lo sconforto;
il sole
era appena sorto, ma i tempi erano già corti. Loki avrebbe
dovuto
far ritorno nella sua cella al più presto, non poteva
rischiare di
venire scoperto fuori dalla sua stanza di prigionia.
A
malincuore, Thor dovette interrompere il sereno riposo del fratello.
Lo scosse leggermente, donandogli un altro furtivo bacio sulla bocca.
Lo chiamò cercando di essere il meno brutale possibile.
«Loki,
Loki! Devi alzarti».
Il
dio rispose al suo nome ed aprì lentamente gli occhi,
stiracchiando
la schiena ed esibendosi in un rispettoso sbadiglio. I suoi occhi
lucidi incontrarono quelli vispi di Thor, chino su di lui. Alla vista
del suo viso, in un baleno tutti i ricordi della notte precedente gli
passarono davanti agli occhi, facendolo arrossire lievemente. In
fondo ne serbava un bel ricordo, il retrogusto non era amaro; certo,
era stato ancora una volta sottomesso, ma era anche convinto del
fatto che fosse impossibile e innaturale per lui dominare Thor in un
rapporto di quel genere. Tralasciato quel piccolo particolare,
ciò
che rimaneva di quella notte era un affetto di cui, doveva ammettere,
necessitava da sempre.
Uno
stupido bisogno infantile soddisfatto.
«Thor,
ma che ore sono...?» Chiese sfregandosi gli occhi. Il dio del
tuono
rivolse lo sguardo altrove, maledicendosi per quello che stava per
dire, e per fare. «Non ha importanza, è
già sorto il sole ed è
fin troppo tardi. Devo riportarti nella tua cella».
Un
velo di rancore offuscò per un attimo gli occhi chiari di
Loki, ma
poi egli si distese in un'espressione cedevole, e decise di
assecondare subito il volere del fratello. Si liberò dalle
lenzuola
e si alzò su gambe ancora affaticate, coprendosi con un
lembo di
coperta.
«I
miei vestiti», disse con una certa severità
voltando appena la
testa verso l'altro dio, che nel frattempo aveva già
iniziato a
rivestirsi. Thor gli diede un completo nuovo, appena lavato, di tinta
scura ovviamente. Loki lo indossò in silenzio, rimanendo
girato di
spalle.
Con
la stessa destrezza cui avevano raggiunto la camera, ritornarono
nella zona di detenzione. Thor abbandonò il fratellastro nel
buio e
nell'umido di quell'orrenda cella, non mancando di fargli avere del
buon cibo e dei guanciali. Dopo la notte appena trascorsa si sentiva
un traditore a lasciarlo lì in quella tomba scura, a
chiudere le
doppie porte di sicurezza e a voltargli le spalle, mentre andava ad
occupare il trono con ancora il suo calore intrappolato tra le gambe.
Mai
come in quel momento comprendeva i sentimenti del fratello, e si
malediva di averli compresi così tardi.
*
Loki
che rideva. Gli pareva un miraggio.
Erano
adagiati sul pendio di una collina, seduti uno accanto all'altro, su
un tappeto di foglie secche. Il cielo era bianco e nebuloso, ma non
sembrava intenzionato a liberare pioggia. Il bosco li riparava dagli
sguardi altrui, inoltre quel luogo non era frequentato, si
raccontavano storie su di esso per nulla rassicuranti.
In
realtà, la sua brutta fama era dovuta al fatto che, in
gioventù,
Odino aveva nascosto in quella zona una bestia proveniente da
Niflheimr, uno strano ibrido squamato munito di corna e pinne che
necessitava di vivere in un luogo umido di nebbie, a causa del suo
paese di provenienza; e quella zona recintata da basse colline era
spesso offuscata da una coltre di nebbia, a causa delle vicine
paludi. La creatura, battezzata Fenan Fin, strillava le notti in cui
nel cielo appariva Niflheimr, nulla più che un punto
luminoso che
faceva capolino dalla nuvolaglia, talvolta. Corrosa dalla nostalgia e
dalla solitudine, gridava mostruosamente all'indirizzo di quella
stella lontana, e attorno alle colline Högar s'erano snodate
le
leggende popolari più fantasiose.
Le
grida s'erano quietate da due secoli ormai, Fenan Fin non viveva
più
da allora.
Quella
mattina Thor aveva portato Loki a vedere la grotta dove Odino la
rinchiudeva, ricordandosi che era sempre stato suo desiderio da
bambino, ma il padre aveva sempre proibito loro di andare a cercare
l'antica dimora della bestia.
«Ecco,
è qui». Thor aveva indicato al fratello un'ampia
voragine sotto la
roccia, a forma di cupola. All'interno della grotta c'erano ancora i
lacci di ferro e le catene arrugginite, sporche del sangue del povero
animale. Chissà quanto aveva lottato per liberarsi.
Chissà quanto
aveva guardato l'immenso blu del cielo soprastante, sognando che
fosse un mare per poter navigare con le sue pinne fino a casa. Loki
aveva guardato malinconico quella tetra gabbia di roccia, e il suo
sguardo s'era riempito di rancore represso. Non si sentiva poi molto
diverso da Fenan Fin, anche lui non era stato nient'altro che un
trofeo di guerra, rubato a una stella lontana, confinato per anni ad
Ásaheimr.
«Andiamo
via, per piacere», aveva detto Loki a denti stretti, fattosi
serioso
tutto d'un tratto.
S'erano
poi seduti sul pendio, così da spaziare con lo sguardo;
davanti a
loro si distendevano lunghe pianure brillanti d'acqua, e in
lontananza si ergeva la città di Asgard, in tutto il suo
splendore.
Avevano
parlato serenamente, come non facevano da tanto tempo. Thor poteva
giurare che le silenziose risate del fratello erano autentiche; gli
sembrava davvero di riaverlo con sé, gli sembrava davvero
che nulla
fosse cambiato. Forse gli era semplicemente grato, Thor stava
rischiando la vita per lui, o come minimo il trono e l'esilio. Forse
Loki aveva un particolare potere di simbiosi con la natura, tanto che
era come se, a contatto con essa, ritrovasse la sua felicità
originaria.
O
forse era solamente quella libertà illusoria, contrastante a
tal
punto con lo squallore della prigionia, che bastava di per se
stessa a rasserenarlo.
Ora
parlavano da fratelli, seduti l'uno a fianco dell'altro. Il giovane
Jotun giocherellava con le foglie ingiallite che ricoprivano il
terreno, sbriciolandole tra le dita. Un vago sorriso gli colorava le
labbra sottili. Allorché Thor decise di risollevare
l'argomento.
«Loki,
ti va di parlarmi... chi è la madre di Liar? Se non sono
troppo
indiscreto».
A
quella domanda, il dio degli inganni non mutò espressione,
abbassò
solamente lo sguardo per poi rialzarlo e tornare a fissarlo con
serietà davanti a sé. Ora s'era accigliato.
Mosse
più volte le labbra, come volesse dire qualcosa, ma rimase
zitto,
turbato.
«Va
bene, fa niente», si arrese il dio del tuono, non volendo
insistere
oltre.
«Si
chiamava Sygin». Thor poté giurare di non aver mai
visto Loki così
scoraggiato e malinconico; il suo viso era inespressivo ma contratto,
segnato da un ferita indelebile, seppur invisibile.
«Perché
si chiamava?»
Loki
annuì con un impercettibile cenno della testa, e si decise
finalmente ad incontrare gli occhi azzurri del fratellastro.
«Lei
era un'Aesir, di provenienza pura e perciò fragile, non ha
potuto
sostenere nel suo ventre il bambino di uno Jotun».
Thor
pendeva dalle sue labbra, avvertiva una tensione sempre crescente, e
un brivido che gli tormentava la spina dorsale; gli occhi del
fratello si riempivano di lacrime, che tuttavia cercava di
trattenere. Le labbra gli tremavano.
«Io
non sapevo di esserlo».
Il
vento freddo e il mugolio del cielo temporalesco ruppero il silenzio,
e alcune gocce cominciarono a bagnare il terreno.
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Capitolo 5 *** I Fiori Notturni ***
I
Fiori Notturni
«Il
tempo si sta rabbuiando, è meglio se torniamo a
palazzo».
Thor
fece per alzarsi ma Loki lo trattenne per un braccio; si
alzò in
piedi con fare risoluto togliendosi dal riparo degli alberi,
incurante delle gocce che cadevano copiose.
«Io
questa notte non ci torno in quell'orrenda buca».
Il
dio del tuono non poté fare a meno che sorridere a un Loki
che
s'impuntava, neanche fosse un bambino. Ma il suo sorriso era
malinconico, intristito da quegli occhi lucidi traboccanti d'acqua.
Il fratello gli stava mutamente urlando aiuto.
Forse
per convincerlo, forse per rubargli un briciolo d'affetto, il ragazzo
prese l'iniziativa e baciò Thor sulle labbra, cogliendolo
totalmente
alla sprovvista. Si lasciò prendere dalle sue braccia forti,
intenerendo
ancor di più il bacio: le loro labbra si sfioravano
più che
toccarsi.
«Ti
prego, non lasciarmi solo questa notte». Non si
curò di simulare
con false pose la sua fragilità, ancor più viva
in quel momento;
non si curò di ostentare indifferenza. D'altra parte con
Thor ogni
posizione e maschera d'orgoglio sarebbe stata ridicola, dato che
nessuno lo conosceva meglio di lui.
«Andiamo».
L'asgardiano lo cinse per la vita, trasportandolo con sé
fino alla
dimora reale. Era ben conscio del pericolo che stava correndo, ma
l'affetto per Loki aveva la precedenza su ogni cosa.
Il
dramma che il fratello sopportava dietro quei suoi occhi verdi era
immane, la responsabilità che gravava sul Padre degli
dèi lo era
ancora di più.
Ora
capiva i suoi sentimenti. Li capiva come se gli appartenessero.
Sentiva il suo dramma.
Lo
condusse nuovamente attraverso i corridoi della cittadella, ora resi
freddi dalla nuvolaglia e dalla notte incalzante. Il cielo
brontolava, il vento scuoteva le tende bianche degli ampi balconi.
Presto quella pioggia innocua si sarebbe tramutata in un impervio
temporale. In un contesto simile l'accogliente camera dei principi
assumeva ancor più le confortevoli sembianze di un dolce
rifugio.
Le
luci erano spente, il grigio di un crepuscolo precoce predominava su
ogni colore.
Thor
lasciò che Loki si accomodasse sul letto, meticolosamente
rimboccato
dalla servitù, e chiuse le porte finestre sigillando gli
eleganti
vetri decorati.
«Asgard
sembra sovrastata da una minaccia, è come se una scure
impietosa
pendesse sulla nostra terra».
Loki
s'era rannicchiato tra le coperte, tremante. Parlò a scatti,
tra i
brividi febbrili: «Asgard è sempre stata cieca di
fronte ai suoi
nemici. Ecco quel che vi manca, un briciolo d'intuito».
Thor
si chinò sul fratello, aiutandolo a spogliarsi degli scomodi
indumenti regali che indossava.
«Dici
così solo perché voi siete
per natura più maliziosi».
«Per
favore, Thor, non parlare di me come se fossi un estraneo. Giusto o
ingiusto che fosse, io sono cresciuto tra gli asgardiani, e sono
vissuto con le vostre leggende. Tutte quante di parte,
ovviamente».
Entrambi si lasciarono sfuggire un magro sorriso sulle labbra, colmo
di malinconia.
«Sai...»
Thor prese posizione al suo fianco, iniziando ad accarezzargli i
capelli e i lineamenti spigolosi. «Forse per molto tempo sono
stato
accecato dall'oro di Asgard. Forse non vedevo ciò che c'era
dietro
la sua bellezza e la sua sfarzosa tradizione».
Loki
si lasciò spogliare. Era avvezzo ad essere servito, questo
pareva
ovvio. Ma non era nemmeno nella condizione di imporsi contro le
eccessive premure di Thor.
L'asgardiano
tuttavia non s'impose oltre qualche carezza e qualche bacio soffiato
a fior di pelle. Fu Loki a cercarlo, con il suo corpo sinuoso e
bollente di febbre. Aveva bisogno di distrarre la mente, aveva
bisogno di rifugiarsi nel corpo e nel cuore dell'altro, oltre che
nella sua stanza.
Quella
notte fecero l'amore.
Dolcemente,
delicatamente, quasi per gioco.
Ma
l'estasi terminò ben presto, e sopraggiunse il vuoto, un
dolore
vivido e tenace.
Loki
non si curò di mostrarsi debole davanti al fratello e si
sfogò in
un sommesso pianto, fatto di singulti mal trattenuti, occhi rossi e
lacrime secche.
Non
ce l'avrebbe fatta, nella solitudine della sua prigione, a
riaffrontare un simile dolore. Il sostegno di Thor era fondamentale;
anche se non l'avrebbe mai ammesso ad alta voce, dentro di
sé gli
aveva dedicato un muto grazie,
mentre veniva accolto dal suo abbraccio. Rozzo e semplice, eppure
rassicurante quel tanto che bastava. Le sue mani percorrevano la sua
schiena nuda, percossa dai brividi e dai singhiozzi soffocati. Ogni
centimetro del suo corpo scottava quasi come fosse esposto alla
canicola, eppure l'ambiente era freddo. La febbre doveva essere alta.
Non
passò molto prima che Loki si lasciasse andare al sonno,
ancora
sorretto dalle braccia del fratellastro, instancabili di accudirlo.
Il suo viso pallido era ancora umido di lacrime.
Thor
lo guardò con dolcezza e con immenso dolore, cogliendo una
tormentata sofferenza nel suo viso dormiente. Si rimproverò
per non
essere stato in grado di scacciare i fantasmi dalla sua testa, per
quella notte. Allora, quasi come fosse un risarcimento, gli
accarezzò
piano la guancia, per poi baciarla lieve.
«Spero
che Sygin entri nei tuoi sogni, così che tu possa almeno
darle
l'addio che non hai potuto dedicarle».
Sussurrò
queste poche parole, prima di accoccolarsi al suo fianco. Loki
istintivamente nascose il viso nel suo petto, chiudendosi nel proprio
mondo onirico.
*
Un
calice s'infranse a terra, scaraventato contro il pavimento in un
iroso gesto.
Odino
tremava; fulminò con occhi imperiosi le guardie che,
timorose, gli
stavano innanzi. Inutilmente s'imponeva la calma, inutilmente cercava
di ripetersi che quei ragazzi eseguivano soltanto gli ordini, e non
meritavano di subire la sua rabbia.
«Come
sarebbe a dire sparito?»
Tuonò, mentre percorreva inquieto
la stanza, avanti e indietro, senza riuscire a darsi pace.
«È
così mio re, ma abbiamo sorvegliato la prigione
ininterrottamente,
fino a quando...» la giovane guardia tentennò,
rimembrando l'ordine
del figlio di Odino: vi proibisco di dire a chicchessia di
avermi
visto.
«Fino
a quando? Ti ordino di parlare e di dirmi la verità,
subito!»
Ma
d'altronde una richiesta da parte del Padre degli dèi aveva
la
precedenza su un ordine impartitogli dal nobile principe.
«Fino
a quando vostro figlio non ci ha congedati!»
Affermò a gran voce la
seconda guardia, con un tono talmente deciso da risultare quasi
irrispettoso.
«Sì,
proprio così».
Thor.
Un
lampo doloroso attraversò la mente del vecchio re. Non era
possibile
che Thor avesse aiutato Loki a fuggire, non poteva arrivare a
rischiare tanto per lui, soprattutto alla luce dei nuovi avvenimenti.
Inoltre conosceva le leggi, il codice d'onore di Asgard. Loki aveva
deliberatamente violato tutto questo, era giusto che pagasse il suo
debito, com'era stato giusto un anno prima l'esilio forzato di Thor
su Midgard.
«Dov'è
mio figlio ora?»
«Quale
dei due, signore?» Azzardò una guardia.
«Il
mio erede, Thor!»
Proprio
in quell'attimo i grandi portoni della sala si spalancarono. Un uomo
rovinò ai piedi dell'anziano monarca, incalzato da quattro
militi
asgardiani che lo circondarono all'istante. Era vestito poveramente,
e sebbene non dimostrasse più di trent'anni il suo corpo era
visibilmente segnato dalle fatiche dei lavori manuali.
«Padre
degli dèi, ti scongiuro... Non intendevo offendere la tua
casa!»
Alzò una mano tremante all'indirizzo di Odino, chiedendo la
sua
pietà; ma le guardie che l'avevano condotto fin
lì lo minacciarono
con le loro lance dorate, ringhiando come mastini.
«Le
tue sono ingiurie belle e buone, villico!»
«Basta!»
Odino, con un sol gesto della mano, fermò all'istante le
angherie
delle guardie e le guardò con severità.
«Ora voglio che mi
spieghiate cosa vi autorizza a trattare in tal modo un libero
cittadino di Asgard, e spero per voi che abbiate un giusto
motivo!»
Le
guardie s'irrigidirono all'istante, freddate da quel minaccioso
rimprovero. Dopo alcuni istanti di tensione, il milite più
anziano
s'azzardò a parlare: «ma signore, quest'uomo ha
espresso gravi
calunnie sulla vostra nobile casa».
«Posso
parlare?» Supplicò quasi in lacrime il paesano.
Odino lo guardò
con apprensione e l'invitò ad alzarsi, cercando di metterlo
a suo
agio.
«Parla
dunque».
Un
barlume di sollievo guizzò negli occhi dell'uomo, che fu
finalmente
libero di esporre le sue ragioni. «Mio re, nobile Padre degli
dèi»,
principiò con profonda reverenza, facendo omaggio di un
inchino al
vecchio monarca, «mi scuso se ciò che sto per dire
può sembrare
calunnia, ma siete veramente sicuro che il figlio del traditore Jotun
sia stato giustiziato?»
Odino
si accigliò, una preoccupazione atroce gli
attraversò la mente,
come se fino a quel momento avesse tralasciato un particolare
importante.
«Queste
sono accuse molto gravi. Stai oltraggiando l'onore di mio figlio,
Thor, e di conseguenza il mio. Cosa ti spinge ad avanzarmi un dubbio
di tale peso?»
Le
guardie si scambiarono un'occhiata trionfante, sollevate di aver
evitato una probabile punizione.
Gli
occhi dell'uomo erano diventati freddi e duri, pazzi di un dolore
celato. Ma le parole che pronunciò a denti stretti furono
ferme e
decise, prive di timore e colme di rancore:
«perché ho ragione di
pensare che ci sia mio figlio sepolto sotto quella tomba».
«Cosa
vi avevo detto signore! Ingiurie, ingiurie e calunnie sul figlio di
Odino! Meriteresti la forca, villano!»
Ma
il vecchio re non sembrava dare segni d'ira; piuttosto, pareva fosse
pervaso da un orrendo conflitto interiore, come se un'onda l'avesse
travolto.
Il
povero paesano, intanto, s'era lasciato andare in un pianto cupo e
sommesso, in preda alla disperazione. «Come puoi dire
questo?»
Domandò infine Odino, cercando di dosare il tono della voce.
E
l'uomo gli raccontò di come, nella notte, un manipolo di
uomini
avesse approfittato della sua assenza per rapire suo figlio, ancora
in fasce, dalle braccia della madre. Ella era morta pochi giorni
dopo, per il troppo dolore, ma tra i balbettii deliranti era riuscita
a fare un nome. Thor.
«È
il volere del dio del tuono, è il volere di Odino, e io
l'accetterò,
ma ora muoio. Furono le ultime sue parole. Io non capivo,
è
tutto avvenuto troppo velocemente. Ma poi compresi... compresi lo
scopo del rapimento di mio figlio! Egli aveva le vaghe fattezze del
principe Loki... Occhi verdi, capelli scuri, un viso fine e magro.
Non può essere un caso! Il giorno seguente è
stato giustiziato un
bambino, la cui esecuzione ho potuto solamente osservare dalle basse
finestre degli appartamenti della servitù. E posso giurare
di aver
sentito il pianto di mio figlio, e di averlo riconosciuto».
*
Frammenti
di passato, ricordi confusi, brandelli di memoria affollavano la
mente tormentata di Loki. Gli si ripresentavano immagini che credeva
di aver dimenticato, rivedeva momenti lontani, sfocati nella
dimensione onirica del sogno.
Quello
era uno dei rari momenti in cui Odino non occupava il proprio trono,
il veggente seggio di Hlindhskyalf.
Quasi
stesse in appostamento giorno e notte, il piccolo Loki si accorgeva
subito di quando la sala reale rimaneva vuota. Allorché
chiamava
concitato Thor e insieme si divertivano ad emulare il ruolo del
nobile padre, sotto gli occhi divertiti della guardia prediletta del
re. I bambini la chiamavano Ulf, storpiando il nome - troppo
complicato - della sua fratellanza. Ulf era loro complice, non aveva
mai fatto la spia e anzi, assisteva piacevolmente ai loro giochi.
Loki
si arrampicava fin sul trono, si metteva un elmo in testa - troppo
grande per lui - e usava una spada di legno come scettro.
«Inchinati
suddito, al Re di Asgard!» Faceva con voce imperiosa, non
riuscendo
a trattenere le risa. Thor s'inchinava, ridendo anch'egli, subendo
ogni volta assurde condanne o svariate nomine.
«Ti
nomino guardiano di Ydalir, ti nomino re delle formiche, ti condanno
a macellare Sohrminir!» Sohrminir era il leggendario
cinghiale del
Valhalla, che resuscitava ogni volta che lo si uccideva per
cibarsene.
Il
gioco si ripeteva, fino a quando cominciava a diventare noioso.
Allora Loki ignorava del tutto il fratello, faceva l'imbronciato e si
divertiva a pavoneggiarsi, provava diverse posture, capricciose o
altere, cercava in tutti i modi di immaginarsi su quel trono, adulto,
re. Sembrava una damigella alle prese con il proprio guardaroba di
vestiti e gioielli.
Ma
quando Thor gli chiedeva di fare cambio, ossia di prendere lui le parti del re e Loki quelle del suddito, il fratello voleva sempre cambiare
gioco.
«Non
mi va più», anche stavolta sbuffò
corrucciato, scendendo dal trono
e abbandonando Thor nella sala. Il fratello maggiore, noncurante come
al solito, non diede troppo peso ai capricci dell'altro e prese
posizione sul seggio dorato, imitando senza sforzo le espressioni e i
gesti del padre.
«Tu
sì che sembri il Re di Asgard!»
Quelle
parole pronunciate da Ulf nell'orecchio del primogenito, quando Loki
aveva già voltato loro le spalle, rimasero impresse nella
sua mente
di bambino.
Facevano
male, perché gli rivelavano ciò che la gente
pensava di lui: non
era rispettato quanto suo fratello, quasi era trattato come se non
fosse un asgardiano, e soprattutto a tutti era molto chiaro che, per
qualche motivo che invece a lui era oscuro, non avrebbe mai potuto
salire al trono.
Sì,
è vero, preferiva un libro a una battaglia, era
più ingannevole che
coraggioso, mangiava poco. Aveva un corredo di caratteristiche
singolari per gli abitanti di quel pianeta, era diverso. Ma il suo
cuore era rivolto alla devozione per la Città Eterna,
apparteneva
alla stirpe reale! Aveva tutte le carte in regola per divenire erede
di Asgard. Perché la gente sentiva a pelle ciò
che lui non si
rendeva conto di essere?
Il
bambino varcò le porte dell'ampia sala reale, passandosi una
mano
sul viso bagnato.
Il
sogno cambiò.
Il
suo corpo s'era allungato, il suo viso sfilato, la voce era diventata
più profonda. Era un ragazzo, il ragazzo che in quel
momento, tra le
braccia di Thor e tra le lenzuola calde del suo letto, stava
rievocando in sogno quelle immagini.
Era
felice, rideva, provava una strana sensazione, l'eccitazione che si
prova quando si fa qualcosa di proibito, quando - ad esempio - ci si
aggira per i corridoi nel bel mezzo della notte, con una dolce
fanciulla per mano. Quando si è innamorati per la prima
volta.
«Possibile
che tu sia così timorosa, Sygin?» Loki le rivolse
un sorriso, ma
lei gli rispose con uno sguardo di rimprovero, scuotendo la testa. I
capelli lunghi e dorati le ondeggiarono attorno al capo, come la
criniera di una fiera cavalla. Era ancora titubante a seguire
ciecamente il principe negli appartamenti privati del Padre degli
dèi.
«Devi
comprendere la mia soggezione! Io non dovrei essere qui...»
Si
guardò timorosa attorno, come se il soffitto dovesse
crollare da un
momento all'altro.
Varcarono
porte, passaggi segreti, scorciatoie incassate nel muro. Un paio di
volte Loki dovette distrarre gruppi di guardie in pattuglia notturna,
confondendole con uno dei suoi incantesimi. Questo era uno dei casi
in cui essere uno stregone risultava molto più utile che
essere un
ariete senza cervello.
«E
poi...» Il tono di voce di Sygin stava diventando quasi
isterico. La
ragazza era sempre più inquieta, ad ogni minimo rumore
sospetto si
guardava freneticamente attorno. Era evidente che temeva di incorrere
nell'ira di Odino dato che, fino a prova contraria, non avrebbe
dovuto mettere piede negli appartamenti dei re. «E poi si
può
sapere perché proprio qua? Nelle stanze di tuo padre? Con
tutti i
luoghi che ti potevano venire in mente...!»
Nel
frattempo erano arrivati sul retro della rocca dorata, sotto un lungo
porticato in pietra chiuso da enormi drappi, bianchi e rossi.
«Perché
solo qua ci sono i giardini di Salh». Il ragazzo
scostò la tenda di
un'arcata, rivelando oltre questa un incantevole paesaggio, un
giardino di fattezze talmente sublimi da risultare quasi surreale.
Sygin,
a quella visione, spalancò gli occhi e la bocca, estasiata.
Nemmeno
il Valhalla avrebbe potuto competere con una tale bellezza.
Un
intreccio di rose e rampicanti, siepi curate in maniera maniacale,
fiori di mille tipi e di mille colori che s'aprivano col chiarore
lunare, e profumavano l'aria. Cascate verdi e magri ruscelli
serpeggiavano tra i solchi del terreno, tra l'erba; le falene
svolazzavano attorno alle tenui luci delle torce, tutto quanto era
immerso nel torpore e allo stesso tempo in una vitalità
silenziosa.
Era
una visione talmente spiazzante da sembrare un artificio dello stesso
dio degli inganni, o un parco coltivato da una creatura demoniaca...
ma in quel momento nulla importava a Sygin, ad eccezione del suo
principe e dell'ennesimo tesoro di cui, quella notte, egli le aveva
fatto dono: una serata da trascorrere nel giardino degli
dèi. E non
sarebbe stato l'ultimo dono da parte del dio degli inganni, quella
notte.
La
ragazza camminava silenziosa al suo fianco con il rossore che le
imporporava le guance, nascosto dalla luce bluastra della notte. Loki
camminava silenzioso anch'egli, con passo regale, le labbra piegate
in un sorriso raffinato.
Giunsero
a un piccolo promontorio, circondato da una balconata color avorio
assalita da rampicanti fioriti. Le stelle erano nelle loro mani.
Gli
aromi, l'atmosfera notturna, i canti dei grilli... l'ambiente stesso
profumava a tal punto di afrodisiaco che ai due giovani
sembrò
naturale sciogliersi in un bacio privo d'ogni timidezza, privo d'ogni
pudore.
Dopo
alcuni minuti di dolci effusioni, gli amanti si appoggiarono fronte
contro fronte; i capelli scuri di Loki s'intrecciavano ai fili biondi
di Sygin. Anche lei aveva le fattezze di una nobile asgardiana,
capelli d'oro, occhi blu... Eppure era diversa. Non era volgare come
Sif, né casta e sottomessa come la maggior parte delle donne
di
Ásaheimr. Era brillante, aveva la dignità di una
regina e la
naturale dolcezza di un'umile paesana, e soprattutto condivideva la
più grande passione di Loki: l'amore per i libri.
«Mi
spiace Sygin, io non potrò mai donarti un seggio regale.
Eppure lo
meriteresti più di ogni altra donna in questa
città».
L'espressione
del ragazzo, da dolce e serena che era, s'era indurita. Solo con
Sygin parlava apertamente dei suoi desideri, solo con lei si sentiva
libero di sfogarsi. Ma possibile che non riuscisse mai ad abbandonare
la sua ossessione per il trono?
La
giovane gli accarezzò il viso, scostandogli i capelli scuri
e
alzandosi in punta di piedi per donargli un bacio sulla guancia. Loki
la guardò di traverso, osservandola con un enigmatico
sguardo di un
profondo smeraldo.
«Io
non lo voglio il tuo trono. Possibile che tu non possa fare a meno di
invidiare ogni cosa che tuo fratello ha e che a te manca?»
Loki
si voltò verso di lei, così da guardarla meglio
negli occhi. «Ma,
mia dolce Sygin...» principiò sorridendo,
«pensavo fossi dalla mia
parte!»
«Lo
sono infatti, e per il tuo bene ti dico: smettila di confrontarti con
Thor. Tu sei quello che sei».
Le
si allargò in volto un sorriso semplice e confortante,
infinitamente
sincero. L'esatto contrario di quelli di Loki. Il dio degli inganni
la toccò sulla guancia, cingendole la vita e donandole un
altro
bacio.
«Amo
la tua saggezza».
Trascorsero
quasi tutta la nottata nell'incanto dei giardini di Sahl; cacciarono
le ranocchie che gracidavano liete nei fontanazzi, cavalcarono i
pendii erbosi in groppa a dei nobili purosangue rubati dalle vicine
scuderie reali, s'inseguirono tra i ghirigori scuri dei labirinti di
siepe.
Intimamente
pregarono che quella notte magica non avesse fine. Eppure, l'alba
sorse puntuale e raggiante; i fiori si richiusero, feriti dall'arsura
del giorno nascente, e i due amanti dovettero abbandonare
quell'angolo di mondo idilliaco.
Loki
allora condusse Sygin nelle proprie stanze, dove la prese dolcemente,
per la prima volta. Entrambi erano pieni di insicurezze, ma ogni cosa
accadde in modo istintivo.
Come
fu istintivo per il giovane lasciarsi andare, riversare il proprio
seme nel ventre della ragazza, poiché era sicuro di amarla e
non
temeva nessuna conseguenza.
Sygin
lo accolse con un profondo respiro, per poi adagiarsi su un fianco,
esausta.
Loki
rimase sveglio, indossò una leggera veste di seta verde
smeraldo e
uscì sul balcone, lasciando che il vento mattutino gli
scompigliasse
i capelli. In volto aveva ancora stampata l'espressione euforica
dell'orgasmo, ma nel cuore pensava alla fanciulla addormentata nel
suo letto, al suo candore e alla sua bellezza degni di una dea.
L'immagine
del suo viso, addormentato e sereno, fu l'ultima che serbò
di lei.
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Capitolo 6 *** La Volubilità del Fato ***
La
Volubilità del Fato
Ogni
bel sogno ha il suo risvolto negativo, come il momento in cui
svanisce e soccombe alla realtà.
Loki
si destò piegando le sottili labbra in una smorfia dolorosa.
Sentiva
le lacrime incalzare dietro le palpebre chiuse, avvertiva la fronte e
le tempie bagnate, rivoli ghiacciati gli colavano tra i capelli e
lungo il collo. Tentò di aprire gli occhi, ma la luce era
troppo
forte, gli provocava immani fitte alla testa, lo accecava. D'istinto,
portò un braccio sopra al viso, cercando di riparare gli
occhi
chiari da quella prepotente luce solare.
«Ti
prego... accosta quella tenda!» Chiese alla cieca, non
sapendo
nemmeno se ci fosse qualcuno ad ascoltarlo. Ma la richiesta venne
prontamente esaudita, e il ragazzo tirò un sospiro di
sollievo che
sfumò troppo facilmente in un singhiozzo. La febbre non gli
si era
ancora abbassata.
«Ora
cerca di stare calmo fratello, non stai per niente bene».
Un
fazzoletto imbevuto d'acqua fredda gli venne applicato sulla fronte,
mentre una mano grande e calda gli accarezzava appena il viso. Dunque
Loki aprì gli occhi, incontrando quelli azzurri di Thor. Era
ancora
nella sua stanza, e il sole era già alto. Il suo primo
impulso fu
quello di alzarsi e tentare di scendere dal letto, ma il dio del
tuono lo bloccò immediatamente, costringendolo a rimanere
sdraiato.
«Lasciami! Devo tornare alle prigioni... non vorrai farmi
ammazzare
vero?»
«Sei
troppo debole! Non posso lasciarti tornare nel freddo e nell'umido di
quella cella, moriresti comunque se la malattia degenerasse».
Loki
tentò comunque di divincolarsi dalla stretta del fratello,
finendo
solo per aumentare esponenzialmente il dolore alla fronte e alle
tempie. Le ossa gli dolevano, faticava a respirare e, come se non
bastasse, un fastidioso martellante fischio gli inquinava i timpani.
Thor aveva ragione, era debole, più debole che mai, anche se
ancora
non si capacitava del motivo di tale peggioramento.
Si
abbandonò esausto sul letto, sconfitto, in preda ai tremori
e ai
brividi.
«E
poi...» continuò Thor, distogliendo lo sguardo dal
fratello e
dandogli le spalle, «non dovresti fare brutti pensieri. Non
fai
altro che aggravare la tua condizione. Dovresti cercare di essere
più
sereno».
Loki
spalancò gli occhi, incredulo.
«E
questi brutti pensieri di cui parli, sarebbero forse i miei sogni su
Sygin?»
«Hai
fatto il suo nome», si difese Thor, alzando appena le spalle,
cercando di scusarsi per la sua impudenza.
«La
tua palese gelosia mi disgusta! I tuoi sono i sentimenti di un
infante!» Lo accusò velenoso Loki, ma fu costretto
a calmarsi
immediatamente, poiché una fitta al petto gli
troncò il respiro in
gola. Allora si lasciò andare sui morbidi cuscini, sotto gli
occhi
compassionevoli del fratellastro. Quella situazione snervante lo
stava uccidendo.
Una
volta sdraiato, riprese fiato e parlò con più
calma, resosi conto
di aver ingiustamente aggredito Thor.
«Tu...
non hai il diritto di intrometterti nei miei sogni».
Thor
alle volte era davvero incomprensibile, benché sembrasse un
ragazzo
dalla gamma di emotività piuttosto semplice. Prima augurava
a Loki
di sognare Sygin, poi ad augurio avverato si rimangiava tutto
perché
tormentato da un assurdo senso di gelosia?
«Cos'è
stato?» Dei passi, fuori dalla stanza, in rapido
avvicinamento.
«Loki,
l'illusione è ancora attiva, vero?»
Il
ragazzo si esibì di nuovo in una delle sue classiche
smorfie. Perché
Thor non allenava anche il cervello di tanto in tanto, oltre ai
muscoli?
«È
possibile che con la febbre alta non sia più riuscito a
controllarla... Inoltre ti ricordo che il mio potenziale magico
è
parecchio indebolito. Sono già stato bravo a mantenerla
mentre
mi...»
«Va
bene, va bene», tagliò corto Thor mentre si alzava
per controllare
la situazione all'esterno, ma non fece nemmeno in tempo a raggiungere
la porta che questa si aprì con irruenza, andando a sbattere
contro
la parete come se un'improvvisa folata di vento fosse entrata nella
stanza.
Purtroppo
però, l'inaspettato visitatore che si stagliò
sulla soglia era ben
più temibile di un innocuo uragano.
Il
ragazzo trattenne a stento un'imprecazione quando si trovò
davanti
il venerabile padre, alto e minaccioso come non lo era mai stato. I
suoi occhi cerulei scintillavano d'ira, incutevano un terrore acerbo
e profondo, esigevano rispetto ed obbedienza assoluti.
Thor
avvertì distintamente la spiacevole sensazione adrenalinica
percuotergli la spina dorsale. Loki, nasconditi sotto al
letto,
smaterializzati, fa' qualcosa!
Come
se il dio degli inganni ne fosse stato in grado nelle sue condizioni
attuali.
«Padre...»
«Padre!»
Gli fece eco Loki, alzandosi allarmato per poi ricadere malamente tra
le coperte, ansante e in preda alle convulsioni e agli spasimi
datigli dalla saliente temperatura corporea. Rivedere l'anziano re
gli aveva suscitato uno strano surrogato di sensazioni, come se per
tutto il tempo si fosse convinto di non essere suo figlio, ma poi,
dinnanzi alla sua figura, non riuscisse a convincersene davvero.
«Thor,
mi hai disubbidito». Odino era stato un padre di buon cuore,
sapeva
dedicare le attenzioni necessarie ai propri figli, o quantomeno a
Thor, poche volte aveva perso le staffe e, quando le perdeva, era
sempre per un buon motivo. Ora la sua pericolosità era tale
che il
dio del tuono ritenne opportuno arretrare di qualche passo al suo
cospetto.
«No
padre, ascoltami... Mio fratello è gravemente malato, per
questo
l'ho portato qua, sarebbe morto in quella cella...!»
«Taci!
La tua disobbedienza va molto oltre». Odino pareva stremato
dal peso
di un dolore troppo grande. Sapeva che, come re, c'era solo un
compito al quale avrebbe dovuto adempiere, ma prenderne
consapevolezza gli straziava il cuore. Preferiva mantenere il
distacco con il proprio figlio adottivo, non voleva neppure guardarlo
in faccia, sebbene quella fosse la prima volta che lo vedeva dopo un
anno di lutto. Temeva che, al primo sguardo, tutti gli antichi
sentimenti fossero tornati vividi e dinamici, e gli avrebbero
inevitabilmente impedito di agire. No, non poteva perdere la ragione
e soccombere al sentimento, aveva ben chiaro ciò che era
giusto fare
e ciò che invece era ingiusto, e in quanto sovrano esemplare
di
saggezza avrebbe dovuto perseguire la giustizia ad ogni costo.
«Thor,
non avrei mai creduto che dopo la tua cacciata da Asgard mi avresti
deluso ancora, in modo ancor più oltraggioso! Le antiche
leggi di
Asgard ti vogliono morto, è questo il destino che spetta ai
traditori. E tu ti sei macchiato di alto tradimento, hai compiuto un
delitto orribile e imperdonabile, soprattutto nella tua
posizione».
Le
parole del Padre degli dèi vibrarono nell'aria come
coltellate,
inflitte senza pietà alcuna.
Dunque
era stato scoperto.
Thor
sentì come se il peso di tutte le azioni compiute gli
ricadesse
addosso con più violenza. Aveva perso per sempre la fiducia
del
padre, e peggio dei suoi futuri cittadini. Sentì le lacrime
pizzicargli gli occhi con prepotenza. Doveva dunque aspettarsi una
condanna, oltre all'eterno rimorso psicologico che già
recava
appresso?
Incapace
di sostenere oltre lo sguardo del dio, il ragazzo abbassò la
testa,
lasciando sfuggire una goccia solitaria dalle ciglia. Fu allora che
Odino riprese il suo rimprovero.
«Vergogna,
e tu saresti il futuro re di questa città? Ma a te
penserò più
tardi, ora è bene che qualcun altro paghi,
finalmente».
In
meno di un secondo, sotto lo sguardo incredulo e attonito di Thor, il
padre avanzò verso il letto e direzionò il
potente scettro che
ancora brandiva verso Loki, indifeso, ormai completamente stremato
dalla malattia. Thor realizzò con orrore ciò che
stava accadendo,
ma se ne rese conto troppo tardi.
«No,
NO!» estrasse il pugnale dalla cintola e si frappose tra il
padre,
ormai fuori di sé e intenzionato ad uccidere Loki, e il
fratello.
Nel trambusto che ne seguì, nella confusione di quei pochi
attimi
che si susseguirono troppo velocemente, il pugnale affondò
nel corpo
di Odino, penetrando con fin troppa facilità nella carne del
petto
stanco. Thor se ne accorse soltanto quando vide le sue vesti dorate
macchiarsi di rosso. Sentì la stretta del padre allentarsi,
le sue
gambe cedettero, il colore glaciale degli occhi si imbrunì.
«Thor,
che cosa hai fatto...» sussurrò Loki, ancora in
uno stato di semi
coscienza, assordato dal pulsare del proprio cuore e del proprio
respiro affannoso.
Il
dio del tuono, terrorizzato, fissò il padre che cadeva ai
suoi
piedi, quasi domandasse pietà.
Ma
ormai il suo destino si era compiuto.
«P-padre...
No... Io...»
No.
Non volevo questo. Non doveva andare
così.
Pareva
che una coltre di nebbia si addensasse attorno alla mente del
semidio, il suo autocontrollo andava svanendo, così come la
sua
lucidità. Pian piano, o incredibilmente veloce, Thor veniva
investito dagli eventi. Odino, Padre di tutti gli dei, signore
indiscusso di Asgard, suo nobile genitore, riversava a terra con gli
occhi sbarrati e il respiro troncato. L'arma del delitto, un pugnale
freddo, nero di sangue, era ancora stretto nella mano tremante del
semidio. Presto, l'oggetto scivolò a terra con un sordo
clangore,
attutito un poco dai morbidi tappeti. Le dita tremanti non riuscivano
più a trattenerlo.
Thor
allungò quelle mani incerte verso il corpo del padre,
cercando
disperatamente dei segni di vita, chiamandolo con gemiti strazianti,
incapace di sfogarsi nelle lacrime per il troppo dolore, per
l'assurdità dell'orribile accaduto.
In
un attimo, egli aveva perso tutto. Il padre, la dignità, il
trono,
la vita, l'onore.
Aveva
sacrificato tutto questo per la vita di Loki.
Non
lo accettava, la sua mente non voleva accettarlo. Aveva reagito
d'impulso, perché sapeva di amare Loki più di
tutto ciò che aveva
appena perso. Ma ci sarebbe dovuto essere un altro modo, se solo
avesse ragionato a mente fredda, senza agire d'istinto, avrebbe
trovato un altro modo!
Fuori
di sé, il semidio si lasciò andare in un urlo
straziato, che
finalmente lasciò spazio anche alle lacrime.
Loki
cercò a fatica di alzarsi dal suo giaciglio, ma il dolore
che
provava era lancinante, bastava ad ostacolargli il più
futile
movimento. Anch'egli aveva poca lucidità per rendersi
pienamente
conto di quel ch'era successo. Sapeva con certezza che per un attimo
aveva rischiato di morire, ma che Thor aveva deciso di salvarlo.
«Thor...
Smettila di urlare, ti prego...» Ogni suo grido era una
tortura per
Loki, i suoni gli si infilavano a forza nei timpani, gli penetravano
con prepotenza nella testa e lì rimanevano, ronzanti e
amplificati.
Contrasse il viso in una smorfia di dolore, e si portò due
mani alle
orecchie.
Nel
frattempo, nella stanza fece irruzione un gruppo di guardie
asgardiane, allarmate dai lamenti di Thor. Alla loro vista il
ragazzo, ancora riverso sul corpo esanime del padre, perse del tutto
ogni lume rimastogli. Si alzò deciso in piedi e
gettò addosso a
Loki, ancora frastornato, sofferente, e soprattutto inconsapevole di
ciò che stava accadendo, il pugnale incriminato.
Il
ragazzo rivolse uno sguardo smarrito al fratellastro, non capendo il
perché di quel gesto. Le guardie intanto, alla vista del
corpo
dell'anziano padre chiaramente privo di vita, si erano arrestate
sulla soglia della camera, atterrite. Seguirono pochi attimi di
smarrimento, una sensazione che si dileguò ben presto quando
esse
videro Loki accasciato tra le coperte del letto e, soprattutto,
libero dalla sua prigionia. Credettero quindi di aver compreso
all'istante ogni cosa, e il loro sospetto trovò credito
nelle
deliranti parole del nobile asgardiano.
Thor
si alzò deciso in piedi, i pugni serrati e i denti
digrignati. Una
rabbia e una frustrazione cieche lo invadevano. Puntò un
dito contro
il fratellastro, ancora seminudo e tremante tra le pesanti coperte,
quasi incosciente a causa della febbre molto alta.
«Arrestate
immediatamente questo infido traditore!»
«C-cosa?»
Tentò di dire il dio degli inganni, ma solo un
impercettibile filo
di voce riuscì ad uscire dalla sua bocca. All'istante venne
bloccato
da un paio di militanti, che senza alcun riguardo gli legarono le
mani dietro la schiena. Loki si guardò intorno smarrito,
cercò di
divincolarsi, senza alcun risultato. Poi, la realtà dei
fatti lo
sommerse come un cruento maremoto. In quell'istante si rese conto di
essere stato incolpato dell'assassinio del padre.
Ecco
la soluzione per Thor, era ovvio che nessuno avrebbe avuto dubbi su
chi addossare la colpa di un tale gesto.
Loki,
lo Jotun adottato che si è vendicato della morte del figlio,
e della
menzogna in cui è vissuto. Non faceva una piega.
Così
Thor avrebbe avuto salva la vita, il trono, l'onore. Del resto, una
coscienza non gli occorreva per governare.
«Fratello,
fratello!» Un grido di pietà. Era tanto che Thor
non sentiva quella
parola uscire dalla bocca del ragazzo. Aveva deciso di giocare la sua
ultima carta?
Anche
se non siamo fratelli di sangue, siamo stati allevati insieme,
abbiamo giocato insieme, abbiamo combattuto insieme.
Come
puoi farmi questo?
Ma
il dio del tuono si rifiutò di incrociare gli occhi
imploranti di
Loki, mentre gli addossava quest'orribile colpa che non aveva
commesso, e che mai sarebbe stato in grado di commettere.
Ecco
in un attimo di follia frantumato il legame di una vita. Ma era
l'unica via di salvezza per Thor, e in quella pazzia momentanea in
cui si era visto scivolare ogni cosa dalle dita aveva deciso di
percorrerla.
«Portatelo
via, egli ha assassinato mio padre».
*
Le
guardie lo scaraventarono con violenza sul pavimento della sua cella.
Ormai
il dio degli inganni era finito. Stremato da una sconosciuta
malattia, privato dei suoi poteri, distrutto psicologicamente.
Sconfitto sotto ogni punto di vista.
Riverso
sul freddo piastrellato di metallo, incapace di muoversi, il ragazzo
incassò le prime angherie da parte dei suoi carcerieri.
«Sappi
che quella faccenda del bambino verrà affossata, e tu avrai
finalmente la punizione che meritavi fin dall'inizio». Detto
questo,
l'uomo sferrò un paio di calci al corpo indebolito del dio,
imitato
subito dopo dal suo compagno.
«Oh,
ma non una semplice condanna a morte, se è questo che
speravi».
Loki
fremette dietro le palpebre chiuse, stando ben attento a non lasciar
traboccare nemmeno una lacrima dagli occhi. La paura cominciava ad
invaderlo. Immaginava a quale destino stesse andando incontro, giorni
e giorni di torture ideate dai peggiori sadici di Asgard.
Sempre
se non fosse morto prima, dato che la febbre non accennava ad
abbassarsi, e l'umidità e il freddo di quella prigione non
erano
condizioni favorevoli per una possibile guarigione.
«Attendici
prima di domani mattina, sporco Jotun».
Le
due guardie si chiusero alle spalle le doppie porte di sicurezza,
sghignazzando grettamente.
Prima
di domani mattina... poteva immaginare le loro intenzioni.
Loki
cercò di non sprofondare totalmente nello sconforto. Si
arrampicò
con immensa fatica fino a raggiungere un recipiente colmo d'acqua
poggiato su una sedia. Era imbarazzante ed indegno bere a quel modo
senza ricorrere all'aiuto delle mani, come fosse un animale, ma
dell'orgoglio se ne faceva ben poco, arrivato a quel punto. Dopo che
ebbe soddisfatto la sua prima necessità, i dolorosi eventi
appena
trascorsi reclamarono all'istante la sua attenzione.
Thor,
non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui, non avrebbe mai dovuto
addolcirsi e cedere ai vecchi sentimenti solo perché il
fratellastro
aveva salvato la vita di Liar.
Si
sforzò di pensare al figlio, e pregò che la furia
di Asgard non
arrivasse fino a lui.
Poi
gli si affacciò alla mente il dolce volto di Sygin,
ricordò le
immagini del sogno, e non fu in grado di trattenere oltre le lacrime.
Era un debole.
Si
impose di cessare immediatamente il suo vergognoso pianto e si
rannicchiò contro la parete.
Il
laccio che gli costringeva le mani era stato annodato in fretta e
furia, non era ben stretto, poteva liberarsene. Dopo vari tentativi
riuscì a sfilare le mani dalla morsa, e su entrambi i polsi
si
delinearono due pulsanti solchi rossi, causati dalla frizione.
L'acqua gli aveva attenuato il bruciore alla gola e in qualche modo
l'aveva rinvigorito; tuttavia, avvertiva una strana sensazione
all'altezza dello stomaco. Erano giorni che ci pensava, e ogni
momento che passava i suoi dubbi si rafforzavano sempre più.
Si
toccò cauto il ventre, sentendolo freddo ma gonfio.
Per
trovare un'ulteriore conferma ai suoi sospetti, portò una
mano sopra
la pancia, ma senza toccarla. Chiuse gli occhi, cercando di
concentrarsi e raccogliere quanta più energia possibile. Il
suo
potenziale magico era flebile, tuttavia ne aveva a sufficienza
perché
potesse tentare una piccola maledizione su di sé, a quella
distanza
e senza trovarsi nella foga di un combattimento.
Sussurrò
poche parole, formule antiche imparate a memoria e apprese durante la
prima gioventù, una frase apparentemente priva di senso, in
lingua
arcaica, che evocava una leggera fattura.
Un'aura
nera e fumosa scaturì dalle sue dita aperte e s'imprimette
sulla
pelle scoperta del suo ventre. Per un attimo parve che le rune della
formula si disegnassero sulla cute pallida, rendendo così
attivo il
sortilegio. Ma poi, il fumo scuro di dissolse, venne inspiegabilmente
respinto e si dileguò nell'aria.
Loki
sussultò, i suoi occhi verdi si dilatarono per la sorpresa,
e per il
momento di panico che lo invase. Una protezione. Il suo corpo l'aveva
eretta automaticamente, e il mago ben sapeva in che occasioni
accadeva una cosa del genere.
Senza
che se ne rendesse conto, il suo corpo prese per un momento le
sembianze femminili. I pantaloni, se prima gli erano stretti, ora
diventarono leggermente larghi e non fasciavano più a dovere
le sue
gambe snelle. I capelli gli ricaddero lunghi e setosi sulle spalle e
oltre, gli coprirono i morbidi seni che ora facevano parte di un
torace non più dritto e secco, ma morbido e rientrante.
Loki
gemette, avvertendo un dolore travolgente avvolgerlo. Non doveva
restare in quella forma, se avesse ricevuto la visita dei suoi
aguzzini, per lui sarebbe stata la fine.
Ma
la trasmutazione durò solo qualche istante per via del
bassissimo
potenziale magico che il ragazzo possedeva, e Loki si
ritrovò ben
presto nelle sue consuete sembianze maschili.
Stremato
e frastornato dalla furia degli eventi, si raccolse contro il muro e
tentò di riflettere a mente lucida. Stava assistendo alla
manifestazione dei suoi peggiori incubi.
*
«...E
così, il valoroso esercito dell'antica loggia di Ásaheimr
rigettò nell'abisso i malvagi e mostruosi demoni delle lande
ghiacciate, riportando il cosmo intero a una lunga e serena pace».
Loki
terminò così le pagine del libro che, dopo lunghe
notti insonni,
aveva interamente narrato al fratello maggiore. Il bambino
osservò
per un attimo l'illustrazione finale, un corpulento combattente
rivestito dell'oro di Asgard che massacrava un essere dalle parvenze
demoniache: occhi rossi come il sangue, pelle bluastra solcata da
strane incisioni, l'esatta antitesi di un asgardiano giusto e saggio.
Non era particolarmente difficoltoso distinguere il buono dal
cattivo, in quel disegno.
«Cosa
c'è fratello?»
Loki
chiuse allora il piccolo volume rilegato in pelle, lo
appoggiò sul
comodino e si rigirò tra le pesanti coperte, sistemandosi
meglio al
fianco di Thor. Entrambi si misero, capo contro capo, ad ammirare il
cielo notturno che li sovrastava, attraverso un'ampia vetrata che
squarciava il soffitto.
«Niente,
questa era una delle mie storie preferite. Ma mi domando, questi
Giganti di ghiaccio paiono davvero i fautori di ogni male che
affligge l'universo».
«Perché
lo sono!» Intervenne Thor con entusiasmo. «Sono dei
veri mostri,
sono meschini e pericolosi, e andrebbero sconfitti una volta per
tutte. Ma puoi dormire tranquillo fratellino, qui non arriveranno
mai. E nel caso arrivassero, ci penserò io a
proteggerti!»
Loki
non riuscì a trattenere un sorrisetto di fronte
all'eccessivo
spirito protettivo del fratello. D'altronde non poteva nemmeno negare
che egli lo rassicurava, anche se avrebbe potuto ben poco contro uno
Jotun. Rabbrividì al solo pensiero che uno di essi potesse
eludere
la sorveglianza di Heimdall, entrare nella loro camera e vendicarsi
di tutte le angherie subite dalla loro stirpe.
«Spegni
la luce, Loki. Lo sai che nostra madre non vuole che dormiamo
insieme».
«Già»,
rispose con un sospirone il bimbo, gonfiando le guance e soffiando
sul lume che baluginava sul comodino. «Mi chiedo
perché. A volte
sembra quasi che vogliano tenermi lontano da te».
Thor
si corrucciò a quelle parole, si alzò confuso a
mezzo busto per
guardare meglio in viso il fratello, anche se nel buio faticava a
distinguerne l'espressione.
«Non
dire così Loki, perché mai dovrebbero volere una
cosa simile?»
Chiese turbato.
«Non
lo so il perché, è questo il punto».
«Stai
pensando male, come al tuo solito. Come sei malizioso,
fratello!» Lo
accusò Thor, scuotendo la testa e adagiandosi nuovamente tra
i
soffici guanciali di seta. Trascorsero alcuni imbarazzanti attimi di
vibrante silenzio. Loki si dispiacque all'istante delle sue parole
vedendo Thor così irato, quasi offeso. Perché
tutte le volte che
provava a comunicare il suo disagio, finiva sempre così?
Sentì le
guance avvampare, quando sussurrò un sommesso
«scusa», guardandolo
timido.
A
questo punto, Thor avrebbe dovuto cambiare espressione, mutare il
broncio in un sorriso raggiante, abbracciarlo e rassicurarlo che no,
non importa, come faceva di solito.
Invece
stavolta andò diversamente.
Il principino biondo
si voltò di spalle, sbuffando e coprendosi meglio col
lenzuolo. «No,
non ti perdono Loki. Tutte le volte è sempre la stessa
storia, non
cambi mai».
A
quelle dure parole, Loki sentì un fastidioso nodo bloccargli
la
gola, e un pizzicore amaro pungergli il cuore.
Forse
è sempre la stessa storia perché non mi hai mai
ascoltato...
«No
fratello non fare così, mi dispiace per quello che ho
detto...»
Gli
toccò la spalla nel tentativo di farlo voltare, ma venne
respinto
con sgarbo.
«Questa
non è camera tua, o sbaglio?» Disse solo Thor, con
un chiaro invito
ad andarsene.
Già,
quella non era la sua camera. Lui non aveva quell'immensa finestra
sul soffitto che permetteva la vista di una buona porzione di cielo,
anche se l'avrebbe sempre desiderata. Un balcone su un mondo
sterminato, un'apparente via d'uscita da quella gabbia d'oro che era
Asgard. A volte si sentiva talmente diverso e deriso che voleva
scappare, evadere, come se fosse estraneo al mondo cui apparteneva,
al mondo in cui era cresciuto.
Loki
abbassò la testa, triste. Era riuscito a rovinare quella
serata iniziata così serenamente.
Cercando
di essere il più silenzioso possibile sgusciò
fuori dalle coperte
del letto, recuperò il libro dal comodino e lo strinse
gelosamente
al petto, come fosse un'ancora di salvataggio in quell'improvviso
mare di malinconia che l'aveva investito.
Thor
non gli rivolse una parola di più e lo lasciò
andare. Era ovvio che
non avrebbe voluto scacciarlo a quel modo.
Il
bambino chiuse cauto la porta, cercando di non far rumore. Silenzioso
come un fantasma, salì lesto fin sul terrazzo, sotto il
porticato
in pietra antecedente al loro pittoresco giardino privato. Si sedette
a ridosso di una colonna e aprì il libro sulle ginocchia. Un
po'
leggeva, un po' guardava la sterminata volta celeste, brillante di
stelle e pianeti. Le costellazioni erano tutte quante visibili, non
una nuvola annebbiava il cielo. Le nebulose, rosse e verdi,
vorticavano placide, le stelle pulsavano come se stessero
singhiozzando.
Aprì
a caso una pagina del libro Le Imprese di Firij, e
si soffermò
su una curiosa illustrazione: una figura femminile dal doppio
aspetto, una metà del viso presentava il candore e la
fierezza
tipici delle leggendarie fate di Ásaheimr, l'altra
metà invece era
orrenda e deforme, la pelle era bluastra, gli occhi colorati di un
inquietante rosso, le dita affusolate avvolte da crisalidi di
ghiaccio.
Incuriosito,
il bambino iniziò a leggere un paragrafo a caso del capitolo
a
fianco:
I
barbari Giganti di ghiaccio rapirono la leggiadra principessa
Vår,
un tempo nobile e raffinata dama di Asgard. La traviarono con le loro
leggende e i loro costumi rozzi e animali, e quand'ella fece ritorno
alle mura della Città Eterna, nessuno la riconobbe. Il suo
sposo la
rinnegò, accusandola di essersi unita con un mostro Jotun,
il padre
e la madre la rinnegarono, non ritrovando più in ella i
sacri valori
che le avevano impartito, Asgard la rinnegò, vedendo nella
sua
deviazione un'alleanza con il nemico. Vår, disperata,
optò per il
suicidio, ma la sua morte non scosse più di tanto gli animi
dei
suoi cari, giacché essi la piangevano già dal
tempo del suo
ritorno...
Loki
non riuscì a terminare il capoverso che le lacrime gli
sopraggiunsero agli occhi, e via via si accavallarono sempre
più
numerose, così che non riuscì a trattenerle e
sfogò tutte quante
le batoste prese quel giorno in un colpo solo, in un pianto fatto di
singhiozzi silenziosi. Lasciò cadere il volume tra l'erba
molle e
nascose il viso tra le braccia, raccogliendosi più stretto
attorno
alle ginocchia.
Non
sapeva perché, ma quelle storie avevano il potere di
gettarlo nello
sconforto e nella malinconia. Forse perché non riusciva a
sentirsi
del tutto dalla parte degli asgardiani, forse perché una
parte di
lui si identificava con il diverso.
Il
vento era freddo e ostile, e lui si sentiva più solo che
mai, in
quella roccaforte regale che pareva tanto calda ed accogliente, ma
che in realtà sapeva diventare gelida e minacciosa. Si
sentiva solo,
più solo che mai...
«Loki...»
Allarmato,
il bimbo alzò la testa dalle braccia, ma non fece in tempo a
guardarsi intorno che un pesante mantello rosso gli cadde sulle
spalle e sulla testa. Thor si accovacciò al suo fianco,
volgendo
anch'egli lo sguardo all'immensità del cielo notturno. Loki
lo
guardò confuso, non curandosi di nascondere le lacrime che
ancora
gli rigavano le guance.
«Sei
proprio un piagnucolone».
Thor
sorrideva ma non lo guardava in faccia, conscio del fatto che il
fratello non volesse esser visto con il viso sporco di lacrime. Loki
sorrise rincuorato, come se d'improvviso un'ala fosse calata a
proteggerlo. E si rese conto che, finché avesse avuto il
perdono di
Thor, non sarebbe mai stato solo. E Thor l'avrebbe sempre perdonato, in
questo stava la sua più grande dimostrazione di affetto.
Gli
si sedette più vicino, donandogli un lembo dell'ampio
mantello,
offerta che venne accettata di buon grado. Insieme tornarono a
rimirare la vastità del cielo, immaginandosi storie,
leggende su
lontani mondi, ridendo e scherzando, inventando le più
strampalate
avventure che forse, un giorno, avrebbero vissuto davvero.
Ma
per ora, rimanevano solo fantasie relegate ad un passato remoto.
*
Senza
alcun riguardo, i due uomini lasciarono cadere Loki sul pavimento.
Era talmente stremato da non avere nemmeno la forza di reggersi in
piedi. Gli gettarono addosso una misera coperta e un cambio di
vestiti. I pantaloni che indossava prima erano ormai inservibili,
stracciati e gettati in un angolo, testimoni della violenza appena
consumata.
Ecco
che fine faceva la giustizia di Asgard, si ritrovò a pensare
amaramente il ragazzo, mentre con estrema fatica raggiungeva il
recipiente dell'acqua. L'umiliazione subita quella notte era talmente
bruciante da restargli impressa a fuoco sulla pelle, come un marchio.
Immaginava di come Thor si stesse dannando in quel momento, seduto
finalmente sul suo trono, e questo riusciva a provocargli un leggero
sollievo. Tuttavia del tutto insufficiente.
Pianse
lacrime amare mentre, con la poca acqua che aveva a disposizione,
cercava di pulire le ferite, di lavare il suo corpo dall'odore del
vergognoso amplesso. Si passò le mani sulla pelle con
violenza,
quasi volesse punirsi per la sua stupidità, per il suo
fallimento,
per la sua impotenza.
E
intanto si chiedeva se avrebbe resistito psicologicamente per altre
due settimane, prima della sua condanna a morte.
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Capitolo 7 *** Cicatrici di ghiaccio ***
Cicatrici
di ghiaccio
Giunse
l'alba del decimo giorno di reclusione.
I
segni dello scempio erano presenti ovunque in quella buia cella di
prigionia, era sufficiente entrarvi ad occhi chiusi e odorare l'aria,
era sufficiente ascoltare le grida e gli ansiti che si consumavano e
venivano soffocati in laceranti spire di pianto.
Alcuni
strumenti di tortura erano appesi alle pareti della cella e
oscillavano come spettri in attesa di essere adoperati. Altri invece,
usati di recente, giacevano sparpagliati sul pavimento.
Due
dei più ricercati esecutori di Asgard lavoravano attorno al
corpo
inerte di Loki.
Le
punte acuminate d'acciaio scavavano nella pelle come sanguisughe
affamate, bucavano brutalmente la cute che rispondeva a quelle
insostenibili violenze ricoprendo di uno strato ghiacciato la parte
lesa. Un estremo sforzo autodifensivo che il corpo Jotun del giovane
Loki metteva in atto, ma a che prezzo...
Il
Signore degli Inganni trattenne a malapena un grido mentre avvertiva
l'ennesimo sperone acuminato scavargli la carne sottile del
ginocchio, rompere le fragili cartilagini e i legamenti. Le braccia,
ridotte a due rami nodosi, erano appese alla parete retrostante,
strette nella morsa di polsini irti di sottili aghi. Del suo corpo,
nudo e devastato dalle emorragie, sembrava rimanesse solo lo
scheletro. La tecnica di autodifesa peculiare della sua razza aveva
il difetto di essere estremamente inefficace e autodistruttiva sul
suo esile fisico, non certo possente come quello di un Gigante di
ghiaccio. Il suo corpo richiedeva immani quantità di
nutrimento ed
energie, e non trovandole nei normali pasti quotidiani, le strappava
dalla carne dei muscoli superflui.
Loki
infatti non riusciva più a mangiare, qualsiasi cosa
ingerisse la
rigettava immediatamente. Forse perché faticava a mantenere
la
consueta sembianza divina conferitagli da Odino e il suo metabolismo
Jotun assimilava malvolentieri il cibo di Ásaheimr, o forse
per il
disgusto causatogli dalle terribili torture cui, ormai da parecchi
giorni, era sottomesso.
Uno
dei due asgardiani, quello che pareva più giovane e
più crudele,
gli liberò i polsi dalla morsa, sanguinanti e pieni di
minuscoli
fori. Loki si accasciò a terra, privo di forze, e
un'improvvisa
fitta all'addome gli stroncò il già debole
respiro.
Qualcos'altro
reclamava a gran voce la sua porzione di nutrimento.
Portò
una mano a toccarsi il ventre, cercando di zittire l'impellente
bisogno di quel bolo famelico.
Ormai
non c'era più dubbio.
Dentro
di sé cresceva il figlio illegittimo della stirpe reale di
Asgard.
«Portami
la mistura acida che ti avevo fatto preparare...»
I
suoi due aguzzini si atteggiavano da freddi professionisti, badavano
bene a non sporcarsi le mani del suo sangue, si dedicavano con
perfezione maniacale alle procedure ideate da chissà quale
sadico,
trattando la loro preda come fosse un comunissimo oggetto inanimato,
privo di coscienza alcuna. Non l'avevano certo malmenato o
violentato, quello era il compito che, la sera, spettava alle guardie
notturne. Ai miseri che volevano abbattere la loro inettitudine su
chi era più debole e miserabile di loro.
Un
intruglio simile ad olio bollente gli venne cosparso su tutto il
corpo: era freddo, e non gli provocava alcun male, apparentemente.
Loki
alzò lo sguardo smarrito verso l'asgardiano che gli stava
riservando
quel trattamento, che lo toccava con riluttanza e gli cospargeva
quell'insolita mistura sulle braccia, sulle gambe, sull'addome... Ma
il dolore giunse pochi attimi dopo.
L'unguento,
se a primo impatto pareva freddo, ora era divenuto insostenibilmente
caldo. Ardeva e sfrigolava come le fiamme di Múspellsheimr,
s'insinuava nelle cavità sanguinanti delle ferite senza
alcun
attrito e scavava più a fondo, bruciando la carne e
sciogliendo
all'istante le deboli foglie ghiacciate che avevano tentato di
rimarginare le gravi lesioni.
Loki
venne tramortito da quell'inaspettata violenza e si premette con
forza una mano sulla bocca, cercando di non urlare. Non era un acido
che corrodeva e sfigurava, come si sarebbe aspettato, ma era un
intruglio che bruciava, senza tuttavia lasciare segni di abrasioni
sulla pelle.
Era
evidente che Thor non volesse vedere il corpo del suo bel fratellino
irrimediabilmente rovinato.
Le
lacrime gli si fermavano sugli occhi, non riusciva a piangere. Il suo
corpo cercava di trattenere dentro di sé anche la
più piccola
goccia di liquido, in reazione alla terribile arsura cutanea.
E
mentre veniva consumato da quell'orribile punizione, assisteva alla
preparazione della sua prossima tortura.
L'inferno
durò fino a sera tarda.
Improvvisamente
e senza preavviso venne il silenzio: i due esecutori lasciarono la
cella e tutto finì, o almeno per quel giorno. Loki si
rannicchiò
contro la parete, coprendosi con la solita coperta sporca. Quando i
carcerieri entrarono a reclamare la loro parte, il dio non ci fece
nemmeno caso. La tortura aveva avuto fine, e non era lontanamente
paragonabile al trattamento che gli avrebbero riservato le due
guardie. Solo, non appena esse entrarono, rivolse loro uno sguardo
deciso e regale, di sufficienza, e si stupì di parlare come
parlava
un tempo ai servitori.
«Quanto
manca?»
«A
cosa?»
«Alla
mia condanna a morte».
I
due asgardiani si guardarono un momento per poi scoppiare a ridere
malignamente, credendo che quella richiesta fosse dettata dalla
paura.
«Quattro
giorni. Non tanto in verità».
E
Loki trovò la forza di sorridere. Non tanto.
*
L'atmosfera
a palazzo era tutt'altro che serena.
Thor
sedeva sul trono, ma non riusciva certo a rallegrarsene. La madre era
ancora immersa in un lutto silenzioso, non aveva mai manifestato
apertamente il suo dolore, ma proprio per questo le pene che
l'affliggevano diventavano più evidenti e pesanti.
Nonostante ciò,
il fatto che Thor fosse sul trono e che Loki stesse pagando per le
sue nefandezze riusciva a rassicurarla sul domani.
Un
sentimento impervio e oscuro stava prendendo vita nel cuore della
nobile asgardiana, un sentimento d'odio forse, nei confronti del
figlio adottivo.
Ma
poi, non appena questo timore prendeva forma, ella s'impegnava di
scacciarlo dalla mente.
«Madre,
non darti pensiero», le sussurrò Thor prendendo
una sua esile mano
e baciandola, tuttavia con labbra tremanti. Lei scosse la testa,
rifiutando quel contatto e indietreggiando per guardare meglio la
figura tormentata del figlio.
«Io
sono fiera di te Thor, e sono felice di vederti a capo di Asgard, di
Ásaheimr, e di tutti i Nove Mondi. So che sarai all'altezza
di tuo
padre, e noi riponiamo in te tutte le nostre speranze».
Thor
le restituì uno sguardo incredulo, come non credesse alle
proprie
orecchie. Dopo tutto quello che era successo, era innaturale sentire
simili parole uscire dalla bocca di sua madre. Thor non era portato
per la menzogna, la copertura gli stava stretta, e l'enorme senso di
colpa presto sarebbe accresciuto fino a diventare insostenibile per
la sua coscienza.
Dette
queste poche ma incisive parole, Frigga
abbandonò la grande
sala regale, non lasciando al figlio nemmeno il tempo di ribattere di
fronte a quell'eccesso di fiducia. Egli, per la frustrazione,
digrignò i denti e si lasciò andare in una
manifestazione rabbiosa,
sferrando due possenti pugni ai braccioli dorati del seggio.
Quattro
giorni.
Tra
quattro albe suo fratello sarebbe morto, e Thor non aveva alcun modo
di impedirlo senza danneggiare se stesso. Avrebbe dovuto scegliere
tra la sua vita e quella di Loki, e anche se questa era una scelta
che aveva già fatto, non era stato capace di rispettarla.
Non era
coerente con sé stesso, si chiedeva in che modo avrebbe
potuto
esserlo nei confronti dei suoi cittadini.
In
quell'attimo, quasi in concomitanza con l'uscita della regina, fecero
irruzione nella sala Sif, Volstagg, Hogun e Fandral interrompendo gli
intricati pensieri del re.
«Thor!»
Contenti di rivedere un caro amico, sfoggiarono un sorriso sincero,
che però non poté essere ricambiato adeguatamente
dal semidio.
«Amici
miei, mi fa piacere rivedervi!» Li accolse aprendo loro le
braccia,
lasciando il trono per venirgli incontro. «Quali notizie da
Vanaheimr?»
I
quattro guerrieri erano infatti tornati da poco dal regno degli
dèi
Vani, in qualità di ambasciata pacifica di
Ásaheimr. Un'ambasciata
pacifica pronta tuttavia a combattere in caso di fallimento dei
negoziati.
Parlò
Fandral: «a detta loro, sono in lutto per il grande Odino, e
pongono
gli omaggi alla tua nomina ma...»
Lo
spadaccino si bloccò, guardando confuso gli altri, come se
non si
volesse addossare la responsabilità delle sue parole.
Continuò
allora Hogun: «...ma noi abbiamo il sospetto che vogliano
approfittare di questo periodo di vuoti di potere per imporre la loro
supremazia sui Nove Mondi, per minare l'egemonia di Asgard. Il tuo
nome, Thor, non fa ancora paura quanto il nome di Odino».
«Allora
lo farò diventare temibile tanto quanto quello di mio
padre»,
asserì il semidio, mosso da un improvviso moto d'ira
all'idea di non
essere rispettato. Lo stavano sottovalutando, Vanaheimr si faceva
beffe di lui, e assieme a Vanaheimr chissà quanti altri
mondi a
partire da Jötunheimr tramavano di rovesciarlo.
Immerso
in pensieri molteplici, uno più tormentato dell'altro, Thor
si
diresse verso l'uscita della sala, deciso a liberarsi della presenza
di coloro che aveva sempre considerato degli ottimi compagni e
confidenti, nonché amici. Ma stavolta non avevano fatto
altro che
aumentare le sue preoccupazioni.
«Dove
vai?» Chiesero all'unisono, confusi davanti alla reazione del
dio
del tuono.
«Lady
Sif, vieni con me», disse soltanto Thor, lasciandosi alle
spalle
l'indesiderata compagnia e uscendo dalla stanza dei ricevimenti.
La
giovane seguì il re senza alcuna esitazione, raggiungendolo
lungo i
corridoi illuminati dalle torce. Poteva intuire - sebbene in modo del
tutto distorto - i suoi sentimenti: odio e rancore verso Loki, dolore
e tristezza per la morte di Odino, timore di sostenere il nuovo
incarico affidatogli. Era del tutto normale che si comportasse in
modo strano e diverso dal solito, in un modo che non gli si addiceva.
«Senti
Thor, io posso capire come ti senti, ma ora dovresti cercare di
riordinare le idee e iniziare a governare. I tuoi sudditi nutrono una
grande fiducia in te, e anch'io sono sicura che saprai eguagliare, se
non addirittura superare tuo padre».
Thor
tentennò un momento a quelle parole e si bloccò,
tuttavia
continuando a dare le spalle a Sif.
Fiducia,
fiducia... possibile che tutti gli asgardiani nutrissero questo
smisurato sentimento di amore e fiducia in lui? Forse aveva ragione
Loki, Asgard era un popolo di stolti che non sapeva riconoscere i
suoi nemici.
«No,
tu non puoi capire come mi sento», disse prima di continuare
a
percorrere i lunghi corridoi dorati, lasciando che il viso di Sif si
colorasse di delusione.
Una
delusione tuttavia che sarebbe svanita di lì a poco. Thor la
portò
nei suoi alloggi, nel giardino dove, da bambini, lui e suo fratello
passavano gran parte del tempo. Un esiguo stagno verde d'alghe
gracidava sommesso, e le libellule ronzavano contente della frescura
notturna. Il semidio si fermò tra la ghiaia, guardando
pensoso la
luna e i pendii boscosi di Azüle che si scorgevano in
lontananza,
tra le nuvole. E finalmente si decise a voltarsi verso la ragazza.
Le
mise due forti mani sulle spalle e le rivolse uno sguardo
indecifrabile. Non vi era più né rancore,
né tristezza né paura
nei suoi occhi chiari, vi era solo caos, confusione, indecisione.
La
bella combattente provò allora ad aprir bocca, ma Thor si
affrettò
a bloccare le sue parole con un bacio profondo e violento. Un bacio
che nulla aveva a vedere con quelli casti e soffusi che si scambiava
con Loki.
Gli
occhi castani di Sif si dilatarono per la sorpresa, poi, resasi conto
di quel che stava accadendo, li chiuse appagata e trionfante. Thor
non aveva smesso di pensare a lei.
Dopo
alcuni turbinosi attimi, il semidio lasciò le labbra gonfie
e
bagnate della ragazza, e la guardò deciso.
«Io
ti voglio come mia regina».
I
suoi occhi si accesero di stelle.
Le
lune assistettero silenziose e distanti a quelle parole, la natura
circostante continuò nel suo moto perpetuo, i profumi, i
suoni, i
colori, ogni cosa era come prima.
Eppure
nel cuore di Lady Sif era scoppiata una tempesta.
Chi
l'avrebbe detto che sarebbero bastati dei vecchi sentimenti e dei
buoni propositi per domare un'amazzone.
*
Loki
non riusciva a prendere sonno, sebbene sul suo corpo gravasse una
stanchezza immane. Una guardia giaceva al suo fianco, addormentata,
provata dall'amplesso. Guardò il suo viso con disgusto e
altezzosità, con un cipiglio regale che, nonostante tutto,
gli era
rimasto. Gli venne naturale chiedersi a che limiti potesse arrivare
la meschinità di Asgard.
In
quell'inferno l'unica luce incorrotta pareva essere quella creatura
che lottava disperatamente tra la vita e la morte, nel suo ventre,
ignara che il luogo in cui cresceva, apparentemente sicuro, sarebbe
stato annientato di lì a poco.
Avrebbe
dovuto odiare quel bambino? No. Non ci sarebbe riuscito nemmeno se
avesse voluto. Era parte di sé, e dopotutto era stato
concepito in
una notte d'amore. Inoltre per uno Jotun ermafrodita era impossibile
riuscire ad odiare il proprio figlio, la condizione ambigua di Loki
rafforzava il proprio affetto materno. Era una sensazione che da un
lato lo spiazzava, non aveva mai sperimentato nulla di simile, anche
se sapeva di essere dotato di tali capacità; dall'altro,
trovava la
cosa del tutto naturale, conforme alla sua indole.
Mentre
era così immerso nei suoi pensieri, giunse l'alba. Un
pallido raggio
s'insinuò attraverso uno spiraglio della guardiola:
incominciava un
altro giorno di torture.
Il
dio degli inganni acuì i suoi sensi e si mise sulla
difensiva, come
una gatta minacciata protegge i propri piccoli. La notte era stata
più breve del previsto.
Le
porte di sicurezza si aprirono con uno scatto, e gli venne portato il
primo pasto. Stavolta il ragazzo si sforzò di ingurgitare
qualsiasi
cosa gli dessero di commestibile, cercando di non vomitare. Deglutire
gli provocava un dolore immenso, come se avesse l'esofago lacerato da
mille ferite pulsanti, ma doveva cercare di mangiare.
Forse
fu il leggero recupero di forze a farlo tornare, per la seconda
volta, nella sua forma femminile.
Cauto
e spaesato, toccò quell'insolito corpo di donna, i fianchi
più
larghi adatti per dare alla luce un bambino, il seno più
gonfio del
previsto, i capelli lunghi e mossi. L'unica parte del corpo che
riconosceva come propria erano le gambe, lunghe, snelle, glabre.
Spaventato
che gli esecutori tornassero da un momento all'altro e lo scoprissero
in quello stato, Loki si rannicchiò ancor di più
contro la parete
per nascondere le sue fattezze. Forse era solo un'impressione, ma gli
pareva che il feto vivesse meglio in quel corpo. Per portare avanti
la gravidanza nei migliori dei modi, probabilmente avrebbe dovuto
cercare di rimanere il più possibile in quella forma.
Ma
per il momento, tutti questi pensieri erano vani. Tre giorni
più
tardi sarebbe morto, e con lui il bambino che portava in grembo.
Accecato
dall'ira, non si accorse nemmeno di essere tornato nella sua consueta
forma maschile. Era una cosa che sfuggiva dal suo controllo, che non
poteva decidere razionalmente, e questo lo allarmava non poco.
Pochi
minuti più tardi, la porta di sicurezza si aprì
nuovamente.
Ansante
e spaventato, Loki fissò negli occhi i suoi due aguzzini che
entravano nel loculo.
«Sei
già sveglio, tanto meglio».
Alle
parole tonanti dell'asgardiano, si ridestò anche il
carceriere
addormentato. Scattò goffamente in piedi e rivolse uno
sguardo di
scusa ai due nuovi arrivati, prima di dedicare un ultimo sprezzante
calcio al condannato. Quest'ultimo strinse i denti e
sopportò,
deciso a non mostrare segni di debolezza davanti a simili
vigliaccherie.
«Scusate,
questa feccia Jotun mi avrà incantato con qualche
stregoneria».
Detto questo, la guardia lasciò in fretta e furia la stanza,
seguito
dallo sguardo pieno di risentimento di Loki.
I
due carnefici iniziarono a preparare con impensabile freddezza la
prossima tortura: un cilindro di vetro con un ago
all'estremità,
riempito di un liquido color elettrico per nulla rassicurante. Loki
cercò di esaminare la sostanza osservandone il colore e la
consistenza: probabilmente era un debole veleno che gli avrebbe
potuto provocare contrazioni, spasmi, bruciori intensissimi. O forse
era una droga, una sostanza stordente.
Dopotutto
lui era condannato a morte, era possibile che gli somministrassero
una mistura che l'avrebbe ucciso a lungo termine, o comunque qualcosa
di altamente pericoloso.
«Ora
cerca di calmarti», disse in tono autoritario uno dei due
asgardiani
mentre, con braccia forti, gli bloccava i movimenti. L'altro
avvicinò
la siringa alla sua pancia magra e scoperta, per iniettargli la
sostanza nel corpo nel modo più efficace possibile.
Fu
in quel momento che, per la prima volta, il panico investì
Loki
tutto d'un tratto, come un turbine che gli annebbiava la ragione, e
l'istinto gli ordinò di ribellarsi.
«NO!»
Scosse
forte la testa e tentò inutilmente di divincolarsi, di fare
resistenza alla morsa ferrea della guardia, ma a nulla valevano i
suoi sforzi. Non era mai stato dotato di particolare forza fisica,
nemmeno in condizioni normali. L'unica via d'uscita che gli restava
era la supplica, o l'astuzia.
«No,
ti prego, fermati...»
Loki
chiuse gli occhi e strinse le labbra; tremava, i brividi lo
avvolgevano. Se quell'ago fosse penetrato all'interno del suo ventre
e avesse rilasciato quella sostanza proprio a contatto con il
bambino, l'avrebbe sicuramente ucciso. Infine comprese che l'unica
speranza alla quale poteva aggrapparsi era dire la verità.
«Dite
al vostro signore Thor che...»
Si
bloccò, non riconoscendo la propria voce. L'esecutore si era
fermato, ed ora lo guardava attonito, mentre l'altro aveva allentato
d'istinto la presa.
«E...
e tu chi sei?» Balbettò spaesato uno dei suoi
carnefici.
Il
dio degli inganni allora si rese conto con terrore che aveva
nuovamente acquistato fattezze femminili.
Ecco spiegato lo smarrimento dei due aguzzini e il
cambiamento
di voce. Il fisico gli si era affusolato, ristretto in alcune parti e
dilatato in altre, secondo un criterio che, nelle sue condizioni, non
riusciva a controllare. Quel corpo era fastidioso, e se possibile
ancor più vulnerabile. Loki cercò di raccogliere
le gambe per
nascondere la propria intimità, ma ottenne il solo risultato
di
scivolare maldestramente sul pavimento bagnato; i piedi e le caviglie
si costellarono di schegge di vetro.
Tuttavia
tentò di non perdere il controllo, e ripeté
deciso ciò che aveva
cercato di dire pochi attimi prima.
«Dite
al vostro signore Thor che suo figlio cresce dentro di me, almeno che
sia consapevole di aver stroncato non una ma due vite».
I
due esecutori si alzarono in piedi, prendendo le distanze da quel
fragile corpo di donna ch'era comparso sotto le loro mani. Uno di
loro s'azzardò a parlare, puntando un dito tremante contro
Loki in
verso accusatorio.
«Tu...
che storia è questa? Credi forse di salvarti dalla morte
raccontando
simili menzogne?»
«E
credi forse d'incantarci con quel grazioso aspetto? Infido
serpente!»
Il
ragazzo ricevette un calcio ben assestato sull'addome, e
urlò
d'istinto, circondando con le braccia la parte dolorante.
Pregò che
quel debole cuore che batteva nel caldo del suo ventre non si
spegnesse.
«Ebbene
sia, racconteremo al figlio di Odino quest'interessante storiella, e
provvederà egli stesso ad allungarti i giorni di tortura per
le tue
sporche bugie!»
Loki
alzò appena il capo per scorgere i suoi aguzzini che
lasciavano la
cella, irati, intimoriti e confusi.
Una
volta che la porta fu chiusa, il ragazzo raggiunse a carponi il
recipiente d'acqua e vi lavò il viso sporco di lacrime.
Alcune
ciocche si bagnarono, galleggiando come fili di seta sulla superficie
dell'acqua assieme ai granelli di polvere e ad alcuni insetti.
Cercando di non farci caso, raccolse i lunghi nastri castani dietro
il capo; era disabituato a gestire capelli così lunghi.
Si
toccò timoroso la pancia, cercando inutilmente dei segni di
vita.
Non aveva modo di capire se il bambino stesse bene o meno, ma
qualcosa gli diceva che, se fosse morto, l'avrebbe saputo.
Se
invece esisteva ancora una speranza di salvarlo dalla
crudeltà di
Asgard, allora avrebbe dovuto pensare ad un nome appropriato.
*
Le
pareti della stanza di Thor brillavano alla luce del sole mattutino,
così come l'intera rocca di Asgard. I drappi rossi e bianchi
ondeggiavano come murene, sospinti dal vento leggero; il profumo dei
fiori e delle piante grasse si insinuava nella camera, fondendosi con
l'odore delle candele spente; un
allegro rumore d'acqua si alternava al canto degli uccelli e al
fastidioso squillo delle trombe in lontananza.
Gli
ambienti sfarzosi del palazzo di Odino meritavano a pieno il nome di
dimora degli dèi.
Lady
Sif giaceva addormentata, con la testa adagiata sul forte petto di
Thor. Le coperte aggrovigliate, i vestiti sparsi, piccole tracce di
sangue sulle lenzuola, molti particolari in quella camera erano
testimoni della notte passionale consumatasi da poche ore.
Forse
per la stanchezza, forse per la serenità in cui era immersa,
la
guerriera asgardiana era ben lontana dal risvegliarsi. Anzi, il suo
inconscio era impegnato a rievocare momenti passati, sepolti ormai da
molto tempo. Forse erano stati i rumori, i profumi a richiamare nel
presente quel ritaglio dimenticato.
Il
mondo onirico prendeva forma, rielaborava immagini reali e sbiadite,
raccontava i tormenti della psiche come solo un libro aperto poteva fare.
Erano
sedute su un ponte lucente, un'arcata che sovrastava uno stagno zeppo
di pesci e ranocchie.
Lady
Sygin rimirava l'acqua verde e di tanto in tanto gonfiava le guance,
osservando indispettita il proprio riflesso. Lady Sif pettinava i
suoi lunghi capelli biondi, di cui andava tanto fiera, ma allo stesso
tempo puliva le armi sotto una gorgogliante cascatella. Al contrario
dell'altra, ella aveva un'indomabile spirito guerriero,
perciò non
si limitava certo alle indegne mansioni di una comune fanciulla.
Quale, a dire di Sif, era Sygin.
«Io
vi ammiro Lady Sif, per il vostro coraggio intendo. Nessuna donna di
Asgard è valente come voi».
Sif
sorrise, sinceramente grata alla ragazza.
«Grazie».
Inavvertitamente, urtò col ginocchio una daga, che cadde
nell'acqua.
Senza commentare, si alzò la veste fino alle cosce e
entrò nello
stagno per recuperare l'arma. L'imprevisto diede a Sygin l'occasione
di cambiare argomento.
«Ma
anche voi desidererete qualche attimo di riposo, talvolta».
Sif
guardò turbata l'altra fanciulla, issandosi nuovamente sul
ponte.
«Che intendi dire? Oh, guarda...»
Non
molto distante, tra le siepi fiorite e i vialetti di ghiaia,
passeggiava Loki, inconfondibile per il portamento regale e
distaccato e soprattutto per la chioma scura, rara tra gli
asgardiani. Era diretto alla grande serra di vetro, probabilmente in
cerca di ingredienti mistici.
Lady
Sygin percepì distintamente il cuore accelerare e le guance
acquistare un poco di colore in più.
«Mi
mette i brividi. Nessun asgardiano sarebbe capace degli intrighi e
delle bugie di cui è capace lui, inoltre quando combattiamo
in
gruppo egli è l'unico a non eccellere nell'arte della
guerra, non
capisco perché Thor si ostini a volerlo portare con
sé. È falso,
ha l'animo nero di un traditore».
Le
parole di Sif erano colme di astio e disprezzo, così com'era
colmo
di disprezzo e sufficienza il suo sguardo. Sygin sentì come
poche
volte un'immensa rabbia montarle nel petto, un desiderio di difendere
la dignità e l'onore di Loki, anche se egli non aveva certo
bisogno
di difensori, tutt'al più deboli come lei.
«...inoltre
non ha rispetto, né per i suoi compagni né
tantomeno per suo
fratello. È un codardo, preferirebbe scappare piuttosto che
affrontare una battaglia dalle sorti incerte. Come può
sperate di
poter scavalcare Thor nella linea di successione? È un folle
anche
solo a pensarlo».
Sygin
non fu più in grado di tenere a freno la lingua, e
fissò gli irati
occhi azzurri in quelli scuri dell'altra ragazza, cercando di
comunicarle in un solo sguardo tutta la sua disapprovazione.
«Sei
tu quella che manca di rispetto! Come ti permetti di parlare
così
del tuo principe? Egli è degno del trono tanto quanto
Thor!»
Sif
impallidì, confusa e stupefatta dinnanzi all'inaspettata
reazione di
Lady Sygin.
Trascorsero
alcuni attimi d'imbarazzante silenzio, in cui si udirono solo il
cinguettare dei pennuti e il gorgogliare dell'acqua, fin quando Sif
ritrovò la voce per controbattere.
«Ma
che dici? Chiunque preferirebbe Thor». In segno di scusa per
la sua
impudenza, la guerriera afferrò una mano esile e pallida
dell'altra
giovane, cercando di farla ragionare, ma ella rifiutò quel
contatto
e si fece pensosa. Si alzò in piedi e fece pochi passi sul
ponte,
dando le spalle a Sif. Si scostò i capelli biondi dal viso e
diede
un fugace sguardo al vicino Arcobaleno Bifrost.
L'aria
mattutina era fresca e piacevole sulla pelle, s'insinuava giocosa tra
le ciocche, le accarezzava il viso, la confortava e la rattristava
contemporaneamente.
«Evidentemente
conosciamo due persone diverse. Loki con me è sincero,
gentile,
dolce. E mi ha sempre portato rispetto».
Sif
fu evidentemente sorpresa a quelle parole, non pensava certo che
Sygin conoscesse intimamente il principe, ecco il perché di
quella
reazione, insolita da parte sua. Amareggiata, si morse la lingua,
pentita di aver espresso in tutta libertà ciò che
pensava.
«Io,
ecco, non pensavo che Loki...»
«Sygin!»
Le
due giovani si voltarono entrambe, e videro in piedi davanti a loro
il ragazzo di cui avevano parlato fino a quel momento. Sul volto di
Sygin si allargò un sorriso colmo di gioia, era come se una
luce
calda e rassicurante l'avesse investita. Ecco come le appariva Loki,
luminoso e confortante, esattamente il contrario di come egli
appariva di fronte agli altri asgardiani.
La
fanciulla non si vergognò di palesare il tipo di relazione
che la
legava al dio degli inganni, e noncurante si lasciò
circondare dalle
sue braccia. Stettero interminabili secondi semplicemente stretti,
abbracciati l'uno all'altra, comunicandosi in un sol gesto ogni
sentimento o paura si potesse dire a parole.
«Loki...»
Mormorò Sygin a fior di labbra, chiudendo gli occhi e
appoggiando la
testa contro il suo torace.
La
vista di Sif s'infranse, gli occhi le si annebbiarono.
Razionalmente
non comprendeva il motivo della sua tristezza, ma l'istinto le
suggeriva una sola cosa: l'invidia.
Nonostante
tutto, Loki amava Sygin, mentre lei, Sif, non avrebbe mai ottenuto il
cuore di Thor.
Rassegnata,
li guardò mentre se ne andavano legati e furtivi.
Due
sagome nere controluce.
*
«Sif...»
Una voce ruvida e calda la ridestò dai propri sogni. Una
mano le
toccò i capelli, dolcemente, andando poi ad accarezzarle la
guancia.
Sif
aprì gli occhi ancora pesanti di sonno, e
incontrò quelli azzurri
di Thor, colmi di un'amore simulato. Colmi di falsità.
O
forse erano solo le innumerevoli preoccupazioni che lo affliggevano
ad annebbiare il suo sguardo?
«Mia
amata Sif, buongiorno».
Ma
la giovane si sottrasse dal suo abbraccio e si alzò in
piedi,
incurante di mostrarsi in tutta la sua avvenente nudità.
Thor seguì
i suoi movimenti con uno sguardo perplesso e interrogativo, che Sif
si fosse ricreduta? Impossibile, anche nel caso assurdo che non
l'amasse, non poteva rinunciare al richiamo del trono.
Ma
i suoi dubbi vennero smentiti all'istante dal sorriso che si
aprì
sul volto della ragazza, che si piegò fino a raggiungere le
labbra
dell'altro per baciarle.
«Ho
bisogno soltanto di riflettere Thor, pazienta un momento e asseconda
i tempi di una donna innamorata».
Egli
le sorrise di rimando, simulando un'espressione serena e felice
finché la giovane non uscì nel giardino
retrostante alla loro
stanza.
Solo
allora poté sfogare tutta la sua rabbia e il suo rancore
represso
sferrando due pugni al cuscino.
Solo
uno stolto come lui poteva continuare in modo così palese a
fare la
cosa sbagliata, pur sapendo che fosse sbagliata.
La
bella guerriera si lasciò andare nella contemplazione del
paesaggio, anche se la limpidezza del cielo era minacciata da una
coltre di foschia. Le ritornarono alla mente i momenti della notte
scorsa, come epifanie sbiadite: gli abbracci carnali ed estenuanti, il
corpo forte di Thor, il suo calore. Tuttavia, l'ombra del senso di
colpa minava i suoi rosei pensieri.
Loki
era rinchiuso in una cella, e tra poco sarebbe stato condannato a
morte. Sygin era morta da molto tempo ormai, mentre Sif giaceva
indegnamente tra le grazie di
Thor.
Ma
infine era lei a vincere, lei che sarebbe diventata regina, a fianco
di un vero asgardiano. A fianco di Thor Odinson.
La
forte luce solare di mezzogiorno le diede sicurezza, e le venne
naturale sorridere trionfante, e scacciare tutti i fantasmi che le
oscuravano la mente.
.¤.
Note di Silvar: commento su questo capitolo? Lo so, è terribile, lo odio. Mi piace zero, e non lo dico per dire (ad esempio, ammetto che il 4 e il 5 mi piacevano, ma ultimamente non so più scrivere!). La mia speranza è sempre la stessa, che non vi disgusti troppo.
Giusto un piccolo appunto, poi corro a scrivere la mia prima oneshot su
Star trek (quando l'ispirazione colpisce bisogna
assecondarla).
Il Loki di questa
bellissima fan art segnalatami da Destroya è piuttosto
fedele al Loki che mi sono immaginata per questa fanfiction, ancora
meno "maschile" di com'è in Avengers (d'altronde il fatto
che Loki sia effeminato - caratteristica tra le altre cose che adoro -
è presente sia nel mito che nel fumetto, suppongo).
Effettivamente, un mio errore di coerenza in questa storia è
stato averla ambientata in un contesto post-Avengers, ma con un Loki
che ha tutte la caratteristiche pre-Avengers. In ogni modo, mi
impegnerò ancora per migliorare la caratterizzazione dei
personaggi, ancora Loki non mi convince...
E grazie Shania, per il tuo disegno! ♥ Loki
può andare fiero dei suoi figlioletti leggendari, anche se
ora ha da pensare ad altri due nuovi marmocchi.
E no, non mi sono dimenticata di Liar, non temete.
Grazie
di cuore a tutti coloro che mi seguono, Ny Början
è ancora ben lontana dall'essere terminata.
|
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Capitolo 8 *** Riverbero ***
Riverbero
L'imponente
porta di ebano vibrò sotto rintocchi affrettati e calcati,
l'apparente quiete della camera venne spezzata come un ramoscello
secco. Thor si alzò circospetto e posò l'orecchio
sul legno, invaso
tutto d'un tratto dai timori. La sua inquietudine era giustificabile:
aveva la coscienza tutt'altro che pulita.
«Chi
è?» Per un attimo pensò persino di
richiamare Mjöllnir,
tutte quelle storie di complotti a Vanaheimr
l'avevano messo in allerta; per quanto ne sapeva, un sicario avrebbe
potuto bussare alla sua porta da un momento all'altro.
«Si
tratta di vostro fratello, Sire!»
Si
diede dello stupido, erano solamente le due guardie cui aveva
affidato Loki. Lo stress psicologico di quei giorni lo stava facendo
impazzire.
«Entrate!
Spero non sia nulla di grave».
Si
affrettò ad aprire la porta per poi richiuderla con un certo
nervosismo.
Sif
udì il tonfo dal giardino e acuì l'udito, come
una cerbiatta alza
le orecchie allarmata dell'arrivo dei cacciatori. Thor aveva ricevuto
visite.
Era
preoccupata per lui, temeva che potesse fare qualcosa di azzardato se
consigliato dalla voce sbagliata. Ma dopotutto egli era forse il
guerriero più temibile dei Nove Mondi, non aveva nulla da
temere per
la sua incolumità, piuttosto, per quella di Asgard.
«Cosa
avete detto?»
Pallido
e spaventato, una condizione che non si addiceva al dio del tuono.
Non
poteva dar credito alle parole dei due esecutori, non poteva dar
credito alle parole di Loki, che per tirarsi fuori dai guai avrebbe
escogitato qualsivoglia menzogna. Eppure, il timore che avvertiva,
come un formicolio fastidioso all'altezza del petto, significava che
quello che aveva appena sentito poteva essere vero.
«Sono
ovviamente delle bugie, mio Signore».
Nel
frattempo, Sif s'era affacciata sulla porta della camera, e alla
vista delle due guardie si era affrettata ad aggiustarsi la veste.
«Cosa
succede?»
«Taci
Sif», si affrettò a zittirla Thor,
«questa non è una faccenda che
ti riguardi».
Ignorando
completamente la guerriera, il re uscì dalla stanza seguito
dalle
due guardie, deciso a voler chiarire la faccenda di persona.
«Le
bugie di Loki non vi tormenteranno ancora a lungo mio re».
«È
vero, il giorno della sua condanna non si farà attendere
molto!»
«Silenzio,
silenzio!» Intimò Thor alle due guardie moleste.
Capiva che i loro
tentativi di tranquillizzarlo rientrassero nei loro doveri, ma vi
leggeva dietro anche un odio insito verso Loki che mal tollerava.
«Siete fin troppo loquaci. Spetta a me il compito di
giudicare se
quel che dice mio fratello è o no menzogna, e se non
è di mio
diritto decidere le sorti di Loki, posso quantomeno deciderne i
tempi».
Si
lasciò condurre fino alla cella in cui Loki abitava ormai da
un
mese, nascosta tra gli umidi cunicoli scavati sotto il balcone delle
Cascate Spioventi, un precipizio immenso di oltre ottocento metri dal
quale la grossa mole d'acqua del Fridsam saltava nel Grande Lago
Imut. I corridoi erano illuminati da una tetra luce verde, l'aria era
stagnante e pregna d'umidità. Era un luogo in cui persino i
topi e i
pipistrelli disdegnavano di vivere.
Trovarono
Loki ben sveglio, rannicchiato come al solito contro la parete, con
una sola coperta strappata a coprirlo. I suoi occhi erano stanchi ma
vigili.
«Eccolo
qui, il menzognero più talentuoso dei Nove Mondi»,
iniziò spavaldo
Thor, deciso a recitare la propria parte fino in fondo.
Loki
non seppe da quale angolo del suo cuore trovò la forza di un
simile
gesto, ma piegò le labbra in un sorriso beffardo; nonostante
riversasse in una palese condizione di debolezza, riacquistò
la sua
abituale posizione di superiorità e parlò in tono
ironico e
beffeggiatorio.
«È
curioso che sia proprio tu a conferirmi questo titolo, mio re»,
disse, caricando di disprezzo le ultime due parole.
Lo
sguardo di Thor si fece sfuggente, riluttante ad incontrare quello
del fratellastro, anche se il pericolo che egli riuscisse a far
valere le proprie ragioni era pressoché inesistente.
Ora
c'era invece un altra cosa da verificare.
«Che
fantasiosa storiella hai raccontato alle guardie! Come potevi anche
solo sperare di essere creduto?»
Il
prigioniero inarcò le sopracciglia e il suo sguardo si fece
freddo,
freddo e adirato nello stesso tempo.
«La
tua ottusità ha raggiunto livelli inimmaginabili,
è evidente che
avresti dovuto studiare anche sui libri oltre che sul campo di
battaglia. Casomai non te ne fossi ancora accorto, io non sono un
asgardiano, sono uno Jotun! Sai che significa?»
Dannazione,
quello sarebbe stato il momento adatto per acquistare sembianze
femminili. Loki digrignò i denti, proteggendo istintivamente
la
pancia con una mano. La paura di non essere creduto cominciò
ad
invaderlo. Un dolore lancinante lo investì all'improvviso,
diramandosi dall'addome in tutto il corpo, obbligandolo a piegarsi a
terra.
«Thor,
non sto mentendo!»
Il
dio del tuono, impietosito, si rivolse allora alle guardie che fino a
quel momento erano rimaste in religioso silenzio.
«Non
c'è modo di verificare s'egli stia o no dicendo la
verità?»
«L'unico
modo è aspettare».
«No,
è impossibile», Thor si affrettò a
declinare l'idea e si avvicinò
cauto al fratellastro, ancora dilaniato da forti dolori. Loki si
lasciò sfuggire una lacrima, tramortito dall'eccessiva
violenza di
quel male che l'aveva sorpreso senza preavviso.
Senza
che se ne accorse, Thor gli posò una mano sul ventre
credendo di
cogliere un segno, un rigonfiamento, un fremito, qualcosa che gli
provasse l'esistenza effettiva di quella creatura. Il giovane Jotun
colse l'occasione di quella vicinanza per catturare lo sguardo
dell'altro, svelando il suo privo di ombre menzognere, e per
parlargli a mezza voce senza essere udito dalle guardie.
«Thor, ti
sto dicendo il vero. Ricordi la seconda notte che mi portasti in
camera? Il bambino è tuo, è nostro. Non
è una bugia per evitare la
condanna, come potrei sostenere a lungo una menzogna del genere?
Permettigli di nascere e uccidimi dopo, se ciò ti
soddisfa!»
Lo
sguardo di Thor mutò, da adirato e autoritario a spaventato
e
freddo. Ritrasse d'improvviso la mano, come se si fosse scottato:
aveva sentito qualcosa, forse nulla più che un sussulto, uno
spasmo,
ma unito a ciò che Loki gli aveva appena detto lo convinse
della
veridicità delle sue parole. Si alzò in piedi e
arretrò di alcuni
passi, puntandogli un dito contro. La pazzia sembrava essersi
impadronita nuovamente di lui, come era accaduto pochi giorni
addietro.
«T-tu...
era un tuo piano fin dall'inizio, non è così? Mi
hai sedotto per...
contaminare con la tua sporca origine la pura e incorrotta linea di
discendenza di Asgard! Ma sappi che io non riconoscerò
questo figlio
bastardo! Io non lo voglio, e anzi, mi hai presentato un motivo in
più per giustiziarti a breve!»
La
sua voce vibrò insicura e rabbiosa nell'aria stagnante. Loki
accolse
quella sentenza delirante abbassando la testa, sconfitto. Le
insinuazioni di Thor erano così assurde che persino i
carcerieri lo
guardarono turbati, non c'era un briciolo di lucidità in
quelle
parole.
«Andiamo,
vi ordino di cessare le torture. Tra due giorni egli
morrà».
Con
le lacrime che gli imperlavano gli angoli degli occhi, Thor
voltò le
spalle al fratellastro, incapace di sostenerne oltre lo sguardo
affranto; il suo ampio mantello dorato ondeggiò imperioso,
piegandosi in morbide curve. Le guardie lo seguirono, evidentemente
deluse da come il loro re aveva deciso di risolvere la questione. Due
giorni in meno di tortura significavano due giorni in meno di
divertimento.
Loki
rimase nel buio della sua cella. Un orribile sentimento prese
velocemente forma dentro di lui, la paura, la frustrazione, la
rabbia. Le mani e le gambe gli tremavano, anche se le fitte l'avevano
abbandonato. Era tramortito di fronte a una tale mancanza di
pietà.
Ormai non c'era più speranza di salvezza, né per
sé né per il suo
secondo figlio, a meno che Thor non ritornasse a fare appello alla
sua umanità.
Con
un immane peso nel cuore, Loki si drizzò nuovamente a sedere
e
respirò affannosamente. Era madido di sudore, e perpetui brividi
freddi lo
tormentavano.
Stavolta
nemmeno il dio degli inganni avrebbe potuto trovare una via d'uscita.
*
Thor
non poté tenere a bada ancora per molto la
curiosità di Sif. Non
appena mise piede nella Sala del trono, ella era già
lì ad
aspettarlo, esigente di spiegazioni.
«Se
devo essere la tua regina, allora non puoi tenermi all'oscuro di
tutto!»
Il
dio del tuono raggiunse con immenso sforzo il seggio, e una volta
sedutovi fece un profondo respiro, solo allora poté dare
orecchio
alla calda voce della ragazza. Poggiò la fronte su una mano,
come un
vecchio stanco della vita.
«Hai
ragione Sif, ma non puoi aspettare che riordini le idee? Non credo
neanch'io a ciò che sto per dirti!»
La
guerriera lo guardò confusa, poche volte aveva visto Thor
così
sconvolto e insicuro.
«Riordinare
le idee? Ma certo. Con la sua lingua biforcuta Loki riuscirebbe a
confonderle anche al più erudito dei saggi».
A
quelle parole, Thor scattò in piedi e si erse in tutta la
sua
altezza. I suoi occhi fiammeggiavano, il suo sguardo ricordava quello
di suo padre. Era temibile, incuteva soggezione e rispetto.
«Ora
basta Sif! Tieni a freno la lingua!» Sbraitò
adirato, tanto che la
ragazza indietreggiò al suo cospetto. «Non voglio
più udire
maldicenze gratuite su mio fratello».
Sif
trattenne il respiro, intimorita, poi abbassò la testa in
segno di
scusa e deglutì, mortificata.
«M-mi
spiace di averti offeso, mio signore».
«Non
è me che hai offeso, ma Loki. Loki è condannato a
morte. Credo che
sia sufficiente».
Thor
si sedette nuovamente, fece un lungo respiro e cercò di
riacquistare
la calma. Era inutile arrabbiarsi con Sif, se ella ora gli stava
appresso e lo assillava più del solito la colpa era
unicamente sua.
Sua e delle sue promesse di carta.
«Se
posso, mio signore, volevo dirvi che è stato profondamente
ingiusto
scegliere di uccidere quel bambino. Dopotutto, egli era anche figlio
di lady Sygin, e lei ha dato la vita per metterlo al mondo».
Thor
ascoltò le parole di Sif come fossero un'eco distante, e si
perse a
fissare un punto imprecisato oltre le sue spalle.
«So
che era ingiusto. Per questo ho deciso di salvarlo».
«Cosa?»
«È
così. Non ti dirò nulla più».
«E
non mi dici nemmeno il motivo del tuo turbamento?»
Sif
lo guardò speranzosa e implorante, cercando un segno, un
indizio,
qualcosa che l'assicurasse di godere della sua fiducia. Ma in
quell'attimo, le grandi porte della Sala reale si aprirono, e sulla
soglia comparve Frigga, la vecchia regina. Come il proprio figlio,
sembrava mossa da inquietudine e tormento, come se un'ombra oscurasse
la luminosità del suo viso.
«Madre,
non dovresti essere a pranzo?»
«E
tu, dove dovresti essere? Quando inizi a saltare i pasti, Thor,
allora sì che devo preoccuparmi». La donna si
avvicinò al trono a
grandi passi, volendo guardare in viso il figlio.
«Suppongo
sia normale, madre», fece Thor scostante. Suo padre era morto
e suo
fratello avrebbe fatto la stessa fine tra due giorni, come poteva
pensare allo stomaco!
«Thor,
è stata presa una decisione. Il compito di giustiziare Loki
spetta a
te».
A
quella notizia, il ragazzo sentì il cuore saltargli in gola
e la
testa girargli, come se improvvisamente venisse pervaso dalle
vertigini e rischiasse di cadere a terra. Sif, indignata, non
riuscì
a non esprimere il proprio disappunto. «Ma è
crudele, crudele e
insensato! Regina, perché avete approvato
una decisione del genere?»
«Perché
è stata una mia decisione», rispose Frigga con
severità. Sif si
zittì all'istante e guardò preoccupata Thor,
ch'era diventato
pallido e tremante.
«Come
puoi chiedermi questo, madre?»
La
donna lo guardò dispiaciuta, cercando di fargli capire il
suo
profondo rammarico. Gli prese le mani con forza, stringendole nel
tentativo di rassicurarlo.
«Ti
sei già sporcato le mani del sangue di suo figlio, credo che
così
sia meglio per tutti. Anche per Loki».
«Ma...»
Sif tentò nuovamente di controbattere, ma venne zittita
all'istante
dalle sommesse parole di Thor.
«E
sia, lo farò io. Ma ora voglio che mi lasciate solo, tutti
quanti».
Le
due donne non osarono proferir parola, preoccupate e nervose
guardarono Thor alzarsi dal seggio e dirigersi verso i propri
appartamenti, in cerca di solitudine.
Il
peso che portava e che avrebbe dovuto portare sulle spalle era
immane, e non era nemmeno la minima parte di quello che loro
immaginavano.
Una
volta immerso nella semioscurità della sua stanza, chiuse la
porta a
chiave e si lasciò andare alle lacrime. Un pianto amaro, una
gola
nera senza uscita, un tunnel, un enigma senza soluzioni. Non era da
lui, stava sperimentando una debolezza che non gli era concessa, che
non aveva mai provato in modo tanto devastante. Si trovava a un
bivio, ora più che mai era costretto a scegliere una strada.
Strinse
il lenzuolo nei pugni fino a lacerarlo, e soffocò i gemiti
premendo
il viso contro il materasso. In quel momento più di ogni
altro
avrebbe avuto bisogno di una guida, di un consiglio valido.
Tra
gli occhi lucidi e lo sconforto, scorse la vecchia libreria di Loki,
dov'erano riposte con cura favole da bambini, leggende, ma anche
formulari e vecchi libri di magia, zeppi di appunti e scritte a
matita, nonché intere monografie dedicate alla geografia
dell'universo, alla fauna e flora di Asgard, ai sapienti di Midgard,
al popolo Jotun...
D'un
tratto gli tornarono alla mente le parole di Loki: avresti
dovuto
studiare anche sui libri oltre che sul campo di battaglia.
Spinto
dalla curiosità, si asciugò le lacrime indegne
con il dorso della
mano e afferrò la monografia dedicata ai Giganti di
ghiaccio. Era un
volume grosso e consumato, costellato di appunti, con le orecchie
sulle pagine e la copertina spellata. Era stato sfogliato tante
volte.
Con
il cuore in gola iniziò a leggere, conoscendo per la prima
volta le
usanze, la struttura fisica, le caratteristiche di quel popolo che
aveva sempre disprezzato.
L'idea
che nel grembo di Loki stesse davvero crescendo un bambino, il
suo
primo bambino, cominciava a prendere forma nella sua mente, e lo
sconvolgeva. Dunque era possibile; pagina dopo pagina, in quel libro
ne trovava la conferma.
Avrebbe
dovuto essere più prudente, ma perché mai Loki
non gli aveva detto
una cosa così importante? Forse per vincolarlo in futuro,
per
ricattarlo, per avere una controffensiva. Eppure, qualcosa gli diceva
che le cose non erano andate così. Il fratellastro sembrava
avere un
debole per i bambini, per la loro innocenza e ingenuità.
L'aveva
dimostrato con Liar, e anche ora sembrava disposto a qualunque cosa
pur di salvare la vita di quella nuova creatura, persino a costo di
compromettere se stesso. Forse era a causa del (lesse dal libro
pilotando la riga con il dito) famoso istinto di
sopravvivenza
Jotun e del loro innato spirito materno.
Era scritto nel
loro corredo genetico, anche involontariamente Loki aveva il
primordiale scopo di prolungare la propria specie, per cui
inconsciamente, durante un atto sessuale di qualsivoglia natura,
ricercava con ingordigia ogni più piccola goccia di vita,
impiantandola subdolo nel proprio ventre per dare così
inizio a una
gravidanza. Era un istinto che sarebbe stato opportuno saper
controllare, e Thor poteva giurare (a giudicare dagli imbarazzanti
appunti presi a bordo pagina) che Loki aveva cercato il modo di
tenerlo a bada.
Come
fosse stato colpito da una folgore, l'asgardiano richiuse velocemente
il volume alzando uno sbuffo di polvere dalle sue pagine ingiallite.
La realtà lo investì come un fiume in piena.
Due
giorni ancora, e Loki sarebbe morto.
Due
giorni, e avrebbe commesso la più grande vigliaccheria, il
più
grande errore della sua vita.
*
Dunque
tra due giorni avrebbe conosciuto la morte. Cosa misteriosa era
l'oltrevita, anche per gli stregoni più potenti. Alcuni
avevano
sperimentato misticamente il viaggio nell'aldilà,
ritornandone poi
con ricordi confusi, non veritieri ed estremamente scivolosi.
Erano
ore che Loki cercava di trovare una via d'uscita, senza tuttavia
farsi prendere dal panico quando le strade gli si presentavano tutte
impercorribili.
Forse,
utilizzando in un sol colpo tutte le energie di cui disponeva, che su
punto di morte aumentavano esponenzialmente, sarebbe riuscito ad
aprire un varco spaziale e a fuggire attraverso di esso. Ma
innanzitutto non aveva modo di eliminare la costrizione che gli
impediva di mettere piede nello spazio aperto, inoltre non avrebbe
mai disposto di sufficiente potenziale magico.
Loki
strinse i pugni e digrignò i denti, cercando con tutte le
sue forze
di ignorare quella povera creatura che reclamava disperatamente altro
nutrimento. Erano cessate le torture, ma anche le razioni di cibo
giornaliere. Il pasto della sera non era ancora arrivato e ormai il
cielo, nelle parti lasciate scoperte dalle nuvole, si macchiava di
stelle e polveri. Loki sbirciò la volta scura dell'universo
che
s'intravedeva attraverso uno squarcio nel soffitto, danneggiato dalle
infiltrazioni d'acqua e prontamente riparato da uno scudo trasparente
d'energia.
Non
c'era niente di meglio che osservare il cielo prima di morire,
tenendo una mano ben premuta sull'addome in ascolto del più
piccolo
singhiozzo. Come fosse uno scherzo della sorte, gli capitò
sotto gli
occhi il baluginio di un pianeta che ben conosceva:
Jötunheimr, la
sua amata e odiata patria.
Fu
inevitabile per Loki paragonarsi a Fenan Fin, l'infelice bestia di
Niflheimr esiliata ad Asgard. Eppure la sua di permanenza ad
Ásaheimr
non sarebbe stata infelice, se gli Asi e tutti gli abitanti della
Città Eterna l'avessero accolto come uno di loro. Da adulto
tali
discriminazioni grezze e ignoranti lo facevano solamente sorridere,
ma la sua infanzia così come la sua adolescenza erano state
difficili e sofferte.
«Anche
le creature della notte hanno un nome, ma il tuo rievocherà
la luce
di Asgard, giacché morirai sotto le sue leggi. Si
ricorderanno di
aver ucciso non solo uno Jotun, ma un Asi. Uno di loro».
Era
prorompente a tal punto la rabbia che sentiva in corpo che avrebbe
potuto sfondare le pareti della cella con la sola forza di
volontà.
Era un mago, uno dei più potenti dei Nove Mondi, e non
poteva fare
niente. Non aveva la forza di salvare un bambino in fasce né
il feto
che nuotava nel suo ventre.
D'improvviso, sentì la serratura della porta blindata scattare, e il
suo filo
di pensieri s'interruppe bruscamente. Immaginava che sulla soglia
comparisse una guardia con del cibo o con degli strumenti di tortura,
immaginava di vedere sua madre con le solite lacrime finte, avrebbe
potuto immaginare di veder comparire persino Odino redivivo, ma mai
avrebbe detto che a fargli visita fosse il suo fratellastro, Thor.
Era
sicuro che egli temesse di parlare direttamente con lui, data la sua
indecorosa vigliaccheria e irresponsabilità.
«Cosa
ci fai qui?» Sibilò velenoso il dio degli inganni,
alzandosi con
uno sforzo immane a mezzo busto. Nell'atto improvviso fu pervaso da
un forte dolore all'addome, e dovette sfruttare nuovamente il
sostegno della parete retrostante.
Thor
ignorò il tono ostile del fratello ed avanzò
imperterrito verso di
lui con aria severa e minacciosa.
«Non
parlare Loki».
S'inginocchiò
al suo fianco ed estrasse un coltello affilato dalla cintola. Loki si
ritrasse d'istinto, spaventato e convinto che il fratellastro volesse
ucciderlo quella notte, lontano da occhi indiscreti e testimoni.
«C-cosa
vuoi fare?»
Thor
cercò con tutto il cuore di ignorare quell'acuta nota di
terrore che
aveva colto nelle parole dell'altro, e diresse la lama verso la sua
spalla, cercando di non spaventarlo ulteriormente.
«Cerca
di stare fermo», disse soltanto, mentre apriva un taglio
sulla cute
pallida del fratellastro fendendo con precisione i tessuti, spingendo
il coltello in profondità finché, a un certo
punto, non toccò una
placca in metallo. Dunque si fermò.
Loki
non emise un gemito, si limitò a guardare sospettoso la
ferita che
gli si apriva sulla spalla sinistra e il sangue che gli colava lungo
il braccio, raccogliendosi sul gomito per poi gocciolare a terra. La
macchia scura che andava formandosi sul pavimento si amalgamava
indistintamente alle altre.
Thor
prese dall'armamentario lasciato a terra uno strumento che
rassomigliava a una piccola tenaglia, che Loki aveva sperimentato a
lungo sulla sua stessa pelle. Si avvicinò con gli occhi alla
lesione
e allargò con le dita i due lembi di pelle lacerata, per
vedere
meglio in profondità. Una volta scorto, afferrò
con le tenaglie
quel dischetto di metallo incassato tra le due masse muscolari e
tirò.
Loki
strinse i denti, tuttavia continuando ad osservare con attenzione i
movimenti del fratello.
«Che
cos'è?» chiese, una volta che Thor
riuscì ad estrarre quella
piccola placca metallica, sporca del suo sangue.
«Ricordi
la costrizione che ti venne applicata? Non fu una modifica al tuo
dna, tutto consisteva in questo dischetto che ti venne impiantato nel
corpo mentre non eri cosciente. Non ti abbiamo detto la
verità
perché non volevamo che tu cercassi di estrarlo, conoscendo
la tua
testardaggine ti saresti dissanguato pur di ottenere la
libertà».
Loki
lo guardò storto, cercando nel frattempo di tamponare
l'emorragia
con una mano. Se era vero che la placca era la costrizione spaziale
che l'aveva impedito fino a quel momento, perché quello
stolto
gliene aveva privato? Forse non tutto era perduto.
«Perché
hai fatto questo?»
Thor
tenne basso lo sguardo e s'impegnò con tutte le sue forze di
non
guardarlo negli occhi. La bugia che stava per dire era grossa, ed era
sicuro che Loki non sarebbe stato così stupido da cascarci.
«Il
compito di ucciderti è stato destinato a me. Lo
farò colpendoti con
un fulmine richiamato da Mjöllnir,
e temo che il campo magnetico emanato da quest'affare possa
interferire con la mia scarica elettrica».
Loki
cercò le iridi del fratello, chiare come stelle
nell'oscurità. Gli
alzò il viso con una mano e fece una cosa che mai e poi mai
si
sarebbe aspettato di fare. Lo baciò, toccandogli
delicatamente le
labbra con le proprie, a tentoni, cercando di risvegliare in lui
l'attrazione che li univa. Lo scopo era uno solo: inganno e
compassione.
Lo
faccio per te, Vald. Per la tua salvezza, per la tua vita.
Si
toccò il ventre caldo e si fece coraggio, ma proprio in
quell'attimo
Thor lo respinse, non cedette alla morbosità di quel gesto.
«Tu
non riusciresti ad uccidermi fratello! Hai intenzione di liberarmi,
non è forse così?»
Thor
si alzò in piedi e gli diede le spalle, tremava. Era un
debole, ed
era corroso dall'indecisione, lo si capiva solo guardandolo negli
occhi.
«Continua
a sperarlo Loki».
Sulle
labbra sentiva ancora il sapore salato e ferroso di quel bacio, un
sapore elegante e focoso allo stesso tempo, una fusione di
raffinatezza ed eros di cui solo il dio degli inganni in persona
poteva essere capace. Il suo cuore era spaccato a metà,
fremeva e
sanguinava, e presto una delle due parti avrebbe prevalso sull'altra,
se non con la riflessione, con il tempo. L'amore per Loki, o l'amore
per la propria vita?
«Si
chiama Vald».
Le
parole ferme e impassibili del giovane Jotun sferzarono l'aria come
un giavellotto scagliato, e congelarono Thor sulla soglia della
prigione. Il bambino.
Quasi
se n'era dimenticato, tanto la cosa gli sembrava assurda e costruita
per doppi fini.
Il
dio del tuono chiuse le dita in una morsa, stringendo i pugni
all'inverosimile. Maledetto.
Come
avrebbe potuto prendere una decisione usando la ragione, ora?
«Volevo
che tu lo sapessi, Thor, prima di dirci addio. Sarebbe diventato un
asgardiano migliore di quello che sei tu...»
Non
voleva suscitare compassione stavolta, non aveva dimenticato il suo
obiettivo: finire la sua storia a testa alta.
Gemette,
cercando di tamponare con un lembo di stoffa il sangue che continuava
a sgorgare dalla ferita aperta sulla spalla. Nei suoi occhi verdi e
stanchi guizzò un'ultima ombra canzonatoria.
«...perché
avrebbe avuto il mio cervello».
Ma
Thor se n'era già andato.
*
L'ultima
notte.
Quella
notte nessun componente della famiglia reale avrebbe chiuso occhio.
Frigga
si aggirava inquieta tra le sue stanze, cercando di affogare le
innumerevoli lacrime in un fazzoletto di seta premuto contro la
bocca, ormai inzuppato all'inverosimile.
Il
dio del tuono continuava a rigirarsi tra le dita quella placca
metallica nera di sangue, come se in essa vi fosse la soluzione di
quell'orrendo enigma. Era sdraiato sull'ampio letto della loro camera
e guardava le stelle, attraverso l'enorme squarcio nel soffitto.
Sif
non aveva nemmeno provato a cercarlo, probabilmente intimorita dalla
severità del suo ultimo ordine. Inoltre doveva aver preso
coscienza
del fatto che non gli sarebbe potuta essere d'aiuto.
Ancora
non capiva perché la madre gli avesse affidato un compito
così
gravoso. Che sospettasse di lui?
Cercando
di ignorare quei pressanti timori, si affrettò a scacciare
dalla
mente questi pensieri inopportuni, soprattutto a quell'ora di notte.
Scosse forte la testa come per risvegliarsi da un incubo.
L'indomani
avrebbe compiuto il suo dovere. Avrebbe fatto ciò che gli
asgardiani
si aspettavano dal loro re, null'altro.
Loki
invece, chiuso nel poco spazio che gli era concesso, dormiva. Forse
per la prima volta dopo settimane era caduto in un sonno profondo e
sereno, libero da lontane rimembranze o da inquietudini e tormenti,
limpido come l'acqua di torrente. Era insolito, la notte prima della
sua condanna a morte.
Ma
l'alba sorse puntuale la mattina seguente, sorse gialla e radiosa.
Non vi erano nuvole in cielo e le bestie uscivano dalle tane,
affamate di luce. Era, per così dire, una bella giornata.
Loki
era stato svegliato da un paio di guardie corpulente che non aveva
mai visto prima d'ora ad Asgard, forse erano appartenute al corpo di
guardia speciale di Odino.
L'avevano
messo in piedi senza troppi complimenti, scuotendogli di dosso le
ultime briciole di sonno. Lui non le aveva neppure degnate di
un'occhiata sprezzante, tale era ormai il suo disgusto per qualsiasi
asgardiano - eccetto Sygin ovviamente, ma ella era appartenuta ad
un'altra epoca.
Un
ultimo, folle pensiero gli attraversò la mente come un lampo
mentre
veniva trascinato fuori da quei corridoi ammuffiti: la fuga. Se non
per sé, almeno per riuscire a donare la vita a quella povera
creatura che portava in grembo.
Ma
benché le sue ginocchia fossero già pronte a
scattare e le braccia
a dimenarsi, l'ipotesi sfumò immediatamente, rimanendo ad
aleggiare
nella sua testa come un velo di nebbia. Impossibile.
Non
vi era possibilità di fuga, non vi era
possibilità di salvezza
all'infuori della clemenza di Thor.
Con
lo sconforto nel cuore, Loki si lasciò condurre fin sul
patibolo,
sulle distese verdeggianti della riva del fiume Fridsam, lì
dov'era
stato sepolto quel povero bambino al posto di Liar.
All'interno
di una conca gommosa di muschio ed erbe era stata posta una scarna
piattaforma di ferro, ottimale per condurre al meglio
l'elettricità.
Thor stava ritto in piedi di fronte ad essa, vestito di nuovo e
congelato come una statua di sale.
Alle
sue spalle, una folla astante di asgardiani si accalcava per
assistere all'esecuzione.
Frigga
si ergeva livida al fianco di lady Sif e delle sue ancelle, timorosa
di incontrare anche solo per un momento lo sguardo del figlio
adottivo. Loki, che odiava questo genere di vigliaccherie,
cercò in
tutti i modi di catturare gli occhi della madre, ma ella continuava
imperterrita a guardare terra, piangendo fiumi di lacrime finte.
Non
gli aveva nemmeno detto addio, non era venuta a porgergli un saluto.
L'amarezza
e la tristezza pesarono come macigni insostenibili nel suo cuore,
pesarono più che mai di fronte all'indifferenza della regina.
Fandral,
Volstagg e Hogun stavano ritti in piedi uno a fianco dell'altro, con
un'espressione neutra in volto. Loki avrebbe potuto giurare che, nel
silenzio e nel profondo dei loro cuori, gioivano, così come
gran
parte degli spettatori. Era sempre stato malvisto nel gruppo, la sua
era sempre stata una figura nefasta e inaffidabile agli occhi degli
Asi. Le sue scarse abilità militari e il suo modo di
combattere
ingannando e sfuggendo l'avversario, invece di affrontarlo a viso
aperto, suscitavano diffidenza e antipatia nei suoi compagni. I
rapporti si erano poi definitivamente deteriorati quando essi vennero
a conoscenza delle sue vere origini. Il leggendario odio degli
Asgardiani verso gli Jotun riemergeva sempre, soprattutto nelle menti
più grossolane, quelle più facili da soggiogare.
Ma
ormai questi pensieri perdevano di importanza, sfumavano ad ogni
passo, si assottigliavano sempre di più.
Le
guardie che lo scortavano strinsero con forza la sua veste di pelle
nera, posizionandolo con sgarbo sul suo punto d'arrivo.
In
un baleno Loki si trovò con i piedi che poggiavano sulla
piattaforma, il forte sole del mattino gli pungeva gli occhi chiari.
Dalla bolgia si alzavano male parole, insulti, sporadiche
acclamazioni, e il bisbiglio cresceva come una brezza si tramuta in
uragano.
Thor
era solo di fronte a Loki, nella mano destra stringeva Mjöllnir,
ma la sua presa non era salda, tremava ancora.
Così
non va,
sorrise il dio degli inganni, inclinando la testa. Hai
ucciso tanti Jotun senza nemmeno pensarci un attimo, Thor.
Perché
questa volta dovrebbe essere diverso?
Chiuse
gli occhi, cancellò la folla, Frigga, Thor dalla sua
visuale, e
cercò di immaginare per un momento Liar e Vald assieme,
grandi,
cresciuti. L'ultimo suo desiderio era che almeno Liar, figlio di
Sygin, venisse salvato.
Era
consapevole che da quell'attimo in poi ogni suo respiro poteva essere
l'ultimo.
Il
chiacchiericcio e l'aspettativa si fecero più incalzanti;
Loki
riaprì gli occhi e li rivolse al cielo, colto all'improvviso
da una
punta di panico.
Thor
gli aveva rivolto Mjöllnir
contro, il pubblico scalpitava.
«Loki,
tu sarai sempre mio fratello», disse semplicemente il neo re
di
Asgard, con voce rotta da un pianto silenzioso.
Loki
gli restituì uno sguardo irritato e terrorizzato allo stesso
tempo.
Aveva pochi secondi di vita, e lui si dava ai sentimentalismi? Ormai
le parole erano vane, erano polvere nel vento, erano foschia nel
cielo. Ora il poco spazio rimasto era destinato ad altre cose, a cose
più importanti.
«Thor,
salva l'altro». Le parole gli uscirono involontarie,
sfuggirono dal
suo controllo.
Salva
Liar, ti prego, risparmialo.
Se
solo avesse avuto abbastanza forza per attuare un contatto
psichico...
Thor
esitò un momento, poi capì, e fece un breve cenno.
Non
scorsero più lacrime sul suo viso, quando arrivò
il momento. Le
trombe di morte squillarono, fenderono l'aria limpida come un fulmine
nero, il vento cessò, l'aria si fece stagnante.
Loki
era pronto a chiudere gli occhi sul mondo, ora che si era assicurato
che Liar sarebbe rimasto in vita.
Gli
parve di sentire Vald singhiozzare. Che storia triste sarebbe stata
la sua, ucciso dal suo stesso padre, senza il piacere di assaggiare
la vita.
Liar
invece sarebbe sopravvissuto, avrebbe conservato la tenacia di Sygin,
la freddezza e la bellezza di Loki, il loro amore per le storie, i
racconti, i libri. Chissà in quale terra cresceva ora,
ignaro di
essere di sangue reale, di sangue Jotun.
Questi
ultimi pensieri invasero la sua testa come un'ultima bellissima ed
impetuosa esplosione, il poco tempo che gli rimaneva non gli bastava
neppure per rimembrare a dovere la dolcezza del viso di Sygin.
Passarono
uno, due, tre secondi interminabili.
Il
tempo era impossibile da giudicare, fuggiva via o restava immobile?
Loki
aprì gli occhi con immane sforzo, abbassò la
testa e guardò
nuovamente davanti a sé.
Non
appena il riverbero accecante gli lasciò tregua,
riuscì a
focalizzare la figura imponente di Thor.
Si
era fermato.
Sussultava,
corroso dai brividi, ed era più pallido che mai, come se si
trovasse
di fronte ad una spaventosa fiera che non riusciva a fronteggiare.
Mjöllnir
giaceva ai suoi piedi, abbandonato tra l'erba.
|
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Capitolo 9 *** Le Porte di Niflheimr ***
Le
Porte di Niflheimr
La
folla era astante, la tensione e l'aspettativa erano tali da
elettrizzare l'aria. Decine di occhi seguivano minuziosamente ogni
più piccolo movimento di Thor, decine di cuori palpitanti
attendevano.
Non
aspettavano altro che la devastante forza di Mjöllnir
si abbattesse sul condannato.
Quell'arma
letale e temuta da tutti i Nove Mondi era ora puntata contro il petto
inerme di Loki; stavolta l'astuto dio degli inganni sarebbe morto per
davvero. Non aveva alcuna via di scampo, non aveva alcuna
possibilità
di redimersi. Di lì a poco avrebbe ascoltato i terrificanti
latrati
di Garmr e avrebbe vagato tra le acque putride del Gjöll, per
poi
giungere ai piedi della sua nuova padrona: Hela.
Bastava
l'eco del suo nome a far inchinare al suo cospetto bestie, uomini e
dei, a far tremare di paura anche il più valoroso dei
guerrieri come
fosse un bambino alle sue prime armi.
La
sua dimora era terribile e bellissima come la sua regnante.
«Ora
Thor, fallo ora...» bisbigliò Frigga con labbra
livide e occhi
rossi, vedendo che il figlio prediletto tentennava. Ma la
volontà di
Thor era ormai compromessa.
Mjöllnir
divenne d'un tratto pesante e scivolò senza alcuna fatica
dalle sue
dita, cadendo sull'erba sottostante.
Dal
pubblico si levarono bisbigli di stupore e d'impazienza. Lady Sif
strinse con forza la mano della regina; ormai le due donne avevano
capito che Thor non avrebbe avuto il coraggio di uccidere il tanto
amato fratellastro, ma non si aspettavano certo che gli eventi si
capovolgessero come invece successe di lì a poco.
Il
neo re di Asgard si voltò verso i suoi cittadini, prendendo
definitivamente il coraggio a due mani e affrontando le proprie
responsabilità a viso aperto. Proprio come tempo prima
riacquistò
la fiducia del padre, ora si riappropriava della sua
identità. Gli
pareva di risvegliarsi da un incubo.
«No
madre, non lo farò. Non ho un cuore così
crudele».
Le
lacrime secche che gli rigavano il viso ripresero a scorrere, ma le
sue intenzioni e le sue parole stavolta erano ferme e decise.
No,
non l'avrebbe data vinta a Loki. Non era il vigliacco che lui
pensava.
Frigga
trattenne il respiro mentre Thor si denudava il capo dell'elmo e
s'inginocchiava al suo cospetto, al cospetto di tutta quanta Asgard.
«Sono
io che merito questa pena. Il padre degli dei è caduto per
mano
mia».
Fu
come se per un momento i rumori della natura, lo scroscio dell'acqua,
i respiri, i movimenti dei pianeti, l'eco cosmico si quietassero,
creando un silenzio innaturale e pressante. Poi, come uno sciame di
cavallette affamate, i brusii della folla accrebbero fino a diventare
strepiti, e i pianeti ripresero a compiere le loro orbite.
Frigga
si protese verso il proprio figlio chino sull'erba, come se volesse
dire qualcosa, ma non ci riuscì e si ritrasse, in silenzio.
Pareva
che dovesse avere un mancamento da un attimo all'altro.
«Ma
che cosa stai dicendo figlio mio?»
Loki
riaprì cauto gli occhi e rincontrò la luce del
sole. Era ancora
vivo.
Sorrise
malizioso: come pensava, Thor era stato vinto dai ripensamenti e dai
sensi di colpa. Un'anima fragile e onesta come la sua non avrebbe
potuto sostenere l'ombra della menzogna, era una cosa che solo il dio
degli inganni in persona sarebbe riuscito a fare brillantemente.
«N-no
Thor, io non posso crederci... perché l'avresti fatto?
Cos'è
accaduto?» balbettò la regina sollevando il viso
del ragazzo e
circondandolo con braccia febbrili. Ma Thor si costrinse con tutte le
sue forze di guardare a terra.
«Cos'è
accaduto?» ripeté Frigga lasciandosi sfuggire un
acuto isterico
nella voce. Afferrò con più veemenza le spalle
del figlio, come
volesse risvegliarlo da un oblio tenace.
Loki
inclinò il collo all'indietro e osservò la scena
con cipiglio
altezzoso e trionfante; vedere il fratello nei guai gli donava un
impagabile brivido di soddisfazione.
Thor,
non potendo più evitare lo sguardo della madre, non potendo
più
tirarsi indietro dopo aver compiuto un passo simile, si alzò
in
piedi davanti a lei e davanti tutta quanta Asgard. Riusciva a
malapena a scorgere il mare di teste che aveva di fronte, tanto era
forte la luce solare che gli feriva le palpebre.
La
folla, che prima nutriva benevolenza, si tramutò ora in un
branco di
lupi affamati.
Buffo,
di come il carnefice si trasformasse con tale facilità nella
vittima, da un momento all'altro, con la velocità di un
lampo.
Thor,
il più amato tra gli dei, il più amato tra i
figli di Odino, venne
condannato dalla stessa gente di cui aveva appena avuto il plauso.
Cercò
di ignorare le suppliche di Frigga, gli sguardi attoniti e rancorosi
delle persone che lo circondavano, quelli stupiti e confusi dei suoi
amici, e si lasciò condurre dalle guardie in una cella che
ben
conosceva, senza opporre resistenza. Subito dopo anche Loki lo
raggiunse, scortato da un manipolo di carcerieri armati fino ai
denti. Frigga venne allontanata, così che in un primo
momento non
potesse parlare con i suoi due figli, intrappolati nuovamente in
quella cella buia sotto le cascate.
Thor
sedette in silenzio, riluttante ad incontrare anche solo per un
momento lo sguardo trionfante del fratello che gli perforava la nuca.
Le
porte vennero chiuse e la stanza sprofondò nella penombra.
Dall'esterno si udivano provenire passi affrettati e schiamazzi, tra
i quali spiccava un'acuta voce di donna.
Thor
abbassò la testa e strinse i denti, cercando di sigillare la
rabbia
e la frustrazione dentro di sé, il dolore per aver deluso e
sconvolto la propria madre, il proprio regno, per aver perduto in
eterno la loro fiducia.
Una
risata sommessa interruppe bruscamente il suo raccoglimento.
«Oh,
immagino che madre non l'abbia presa bene, ti aspettavi
diversamente?»
Loki
circondò la figura china di Thor con larghi passi, come un
avvoltoio
vola intorno alla propria preda; il suo tono era cauto e suadente.
«Zitto
fratello».
Ma
il dio degli inganni non si lasciò zittire; si
piegò elegantemente
verso il fratellastro con il chiaro intento di provocarlo,
avvicinandosi in modo che la sua voce bassa fosse alla portata del
suo orecchio.
«Così
hai ceduto», sibilò con la stessa maestria di un
serpente, «per
chi l'hai fatto? Per me, per Vald... o forse per te?»
Le
sue parole ferivano più del veleno, i suoi occhi verdi e
maliziosi
scrutavano con perizia ogni più piccolo spasmo, ogni minima
sfumatura nel viso dell'asgardiano.
E
videro benissimo che da sofferente, il suo sguardo divenne furioso.
Loki aveva il dannato talento di saper scrutare dentro l'anima
altrui, di indovinare i sentimenti delle persone che aveva di fronte,
di mettere a nudo le loro debolezze, i loro scheletri nell'armadio.
Thor sapeva benissimo che il fratellastro aveva la chiara intenzione
di stuzzicare la sua ira, ed era un gesto che non poteva più
tollerare, non dopo quanto era successo.
«Ora
basta!»
In
un momento si voltò e afferrò con ben poca grazia
il suo viso tra
le mani, non curandosi di fargli male, di graffiargli le guance.
Benché
la ragione gli ordinasse tutt'altro, lo baciò con irruenza,
un bacio
che non assomigliava in nessun modo ai precedenti. Le loro labbra si
incontravano riluttanti e desiderose allo stesso tempo, si cercavano
e si respingevano.
Loki
subì, com'era abituato a fare. Non si stupì di
quel gesto, Thor era
un uomo così impulsivo e prevedibile che era uno scherzo
intuire le
sue reazioni. Sogghignò piuttosto, pensando dentro di
sé a come
sarebbero cambiate le cose, ora.
«Maledetto,
mi porterai all'inferno! Mi guarderesti bruciare e agonizzare tra le
tenebre di Hel con il sorriso sulla faccia!»
Le
mani tremanti del dio del tuono scuotevano le vesti del fratello con
forza, avanti e indietro, come fossero combattute tra il volerlo
avvicinare o il volerlo allontanare.
Loki
lo guardò attonito, spiazzato da quel comportamento in
solito. Non
l'aveva mai visto così fuori di sé.
«Thor...
fermo! Che fai?»
Tramortito
dalla sua forza, il dio degli inganni venne sbalzato all'indietro sul
pavimento, un urto che in condizioni normali avrebbe benissimo
ingoiato senza conseguenze, ma ora le piaghe e le ferite ancora
aperte, reduci dalle tremende torture, pulsarono e tirarono
più che
mai.
Gemette,
tramortito da quell'inaspettata quanto involontaria violenza, e si
rannicchiò su se stesso portandosi le mani alla pancia,
costringendosi con tutte le sue forze a non urlare dal dolore.
Ancora
quella sensazione, pensò stringendo i denti e
grondando sudore
freddo, paia che lo stomaco mi venga preso a morsi!
Thor
si rese immediatamente conto dell'azzardo commesso. Pentito,
osservò
le innumerevoli ferite che intravedeva sulle braccia e sul collo di
Loki, nei lembi di pelle scoperta, e si lasciò mangiare dai
sensi di
colpa.
Immaginava
come doveva essere dilaniato il bel corpo del fratello, sotto quella
veste nera e lucida. Immaginava le cicatrici e i buchi lasciati da
quegli stessi strumenti arrugginiti che ora ingombravano il
pavimento. Tutto questo si sarebbe potuto evitare se solo lui avesse
avuto un briciolo di coraggio in più, se solo avesse detto
la verità
fin dall'inizio.
Forse
molte delle maldicenze che Loki era solito dire su Asgard e sugli
asgardiani non erano infondate; Thor stesso era fermamente convinto
che il fratello venisse odiato non per le sue bugie, ma per le sue
verità.
La
gente le percepiva, e lo detestava per questo. Perché non
aveva
problemi a mettere a nudo ciò che gli altri non dicevano e
non
volevano sentirsi dire.
Loki,
il dio del chaos.
Loki
e la sua lingua da donna.
«Loki,
fratello...» con il chiaro intento di aiutarlo, il dio del
tuono si
protese verso la misera figura del giovane Jotun, ma un fatto
alquanto strano lo bloccò e lo riempì di stupore.
Loki
stesso, pervaso da sorpresa e allo stesso tempo dal panico,
sentì i
capelli crescergli tra le dita e piegarsi in morbide onde, il viso
assottigliarsi - se possibile - ancor di più, le labbra
divenire un
poco più formose, il corpo snellirsi.
Con
terrore realizzò ciò che era accaduto alzandosi a
mezzo busto,
puntellandosi con i palmi delle mani e avendo modo di notare che
anche le dita e le braccia erano divenute più sottili e
deboli. I
lunghi capelli corvini gli caddero davanti al viso, impedendogli di
incrociare lo sguardo attonito dell'asgardiano.
«Loki,
ma cosa...»
Di
nuovo, quest'inutile forma continua a manifestarsi nei momenti meno
opportuni! ringhiò adirato lo Jotun, realizzando
con orrore che
i vestiti, ora divenuti larghi e scomodi, gli calzavano in modo a dir
poco ridicolo.
Con
un movimento del capo scostò i capelli dal viso e
guardò Thor con
decisione, sapendo che avrebbe provato disgusto quasi quanto lui
udendo il suono della sua voce, ora più acuto e delicato.
«Occorre
che te lo ripeta, asgardiano? Io non faccio parte del tuo mondo, sono
uno Jotun!»
Il
dio del tuono si ritrasse quasi intimorito di fronte all'ira che
trasmettevano i suoi occhi verdi e penetranti.
Strano,
normalmente non avrebbe mai dovuto provare paura davanti ad una
qualsiasi intimidazione del fratello, ma questi erano occhi di donna.
Di gran lungo più letali, e molto meno fascinosi.
«Io...
non ero preparato a questo. Perché mai hai assunto questa
forma?»
chiese, osservando turbato quel nuovo grazioso aspetto.
Loki
gemette nuovamente, nell'atto di rizzarsi a sedere e appoggiarsi con
la schiena contro la parete.
«Non
è una cosa che io possa controllare. Per quanto io sia un
mutaforma,
per quanto io ben conosca le arti magiche, questa è una cosa
che non
posso controllare». Chinò il capo,
attendendo ad occhi serrati
che il dolore scemasse.
Vald,
so che ora stai meglio. Abbi pazienza. Tuo padre ti ha protetto, ha
finalmente fatto la sua parte, ma la battaglia non è ancora
vinta.
«Non
credevo dimostrassi un tale coraggio. Tu sei tipo da affrontare senza
paura una battaglia, ma non offriresti mai volontariamente la tua
vita in sacrificio».
Gli
occhi dei due fratelli si incontrarono, comunicandosi affetto e astio
allo stesso tempo.
«Ebbene,
non mi conosci abbastanza Loki», ribatté Thor
risentito. Dopotutto,
tempo fa, anche lui si era offerto al folle volere del fratello per
salvare la vita di Jane e degli umani, anche se in quel caso sapeva
che Loki non gli avrebbe fatto del male.
«Ora
cosa accadrà? Cosa faranno al grande Thor?»
«Merito
quello che fecero a te, immagino. Sarò condannato a morte e
a
torture».
«E
invece io sono pronto a scommettere che la legge di Asgard non si
rivelerà uguale per tutti».
Gli
occhi di Loki e le sue lunghe ciglia erano così vicini e
trasparenti
da lasciar vedere tutti i pensieri che vi navigavano all'interno.
In
cuor suo, Thor sapeva che il fratello aveva ragione.
«Lo
vedremo, calunniatore».
Non
doveva lasciarsi ingannare da quell'aspetto fragile, Loki era sempre
Loki, e la sua lingua biforcuta sibilava sempre verità e
maldicenze.
E
raramente le une si distinguevano dalle altre.
*
Nella
grande sala del trono non vi era mai stata più agitazione.
Frigga
si trovava da sola a dover combattere a favore del figlio, a doverlo
difendere quando non vi erano modi di difenderlo. Innanzitutto
bisognava chiarire il perché di quell'azione, e soprattutto
bisognava chiarire se Thor non avesse detto una menzogna per salvare
il fratello, ipotesi improbabile ma non impossibile. Ma se Loki era
stato accusato ingiustamente, perché mai non aveva detto
niente in
sua discolpa?
C'era
qualcosa che sfuggiva agli occhi della regina e degli asgardiani,
sfuggiva a tutti tranne ai pochi, a quelle poche guardie fidate che
erano a conoscenza del vero agire di Thor.
«Prima
di dar voce a qualsiasi sentenza intendo parlare con mio figlio e con
Loki, e chiarire fino in fondo questa faccenda!»
Le
parole imperiose della regina vennero accolte con rispetto.
Dopotutto, lei ora era la più alta autorità ad
Asgard, dato che i
due principi eredi difficilmente avrebbero recuperato il diritto di
salire al trono dopo quanto era successo.
Frigga
si congedò dunque da quel tramestio, lasciandosi alle spalle
voci
per nulla fiduciose da parte dei suoi cittadini. Ormai era chiaro che
la regina non parlava più per il bene di
Ásaheimr, ma fremeva per
l'incolumità del proprio figlio.
La
situazione stava precipitando.
Asgard,
senza una guida valida, era vulnerabile a nemici e a guerre interne.
Se le cose non si fossero sistemate in fretta, si prospettava un
periodo buio per gli Asi, destinato a durare a lungo.
La
regina attraversò velocemente i corridoi che portavano alle
prigioni
sotto le cascate, tormentandosi nervosa i lunghi capelli ramati.
Thor
le stava nascondendo qualcosa. Le sfuggiva il motivo per cui egli
avrebbe dovuto assassinare il padre degli dei, ed era sicura che Loki
avesse un ruolo chiave in quel misfatto.
Quando
giunse davanti alla cella, rimase stupita dall'ingente corpo di
guardia che era stato posto a sorveglianza dei due principi.
Dopotutto i loro poteri non erano certo da sottovalutare e, anche se
Mjöllnir era stato requisito a Thor e posto sotto stretta
sorveglianza nella sala delle reliquie, non avrebbero potuto
impedirgli di usarlo. Infatti, il potente martello rimaneva sotto il
controllo del dio del tuono, ed egli avrebbe potuto richiamarlo in
qualsiasi momento, in qualunque luogo si trovasse.
«Desidero
parlare con i miei figli, e non potete impedirlo alla regina di
Asgard».
Le
guardie si scambiarono un'occhiata tentennante, poi ottennero il
permesso dal loro maggiore e permisero a Frigga di passare.
Non
appena vide la madre entrare, Thor scattò in piedi e si pose
davanti
al fratello, come si sentisse minacciato.
Frigga
lo guardò con il cuore a pezzi, vedendo eroso il suo ruolo
di madre,
di fonte di conforto. Ora tutta quanta la responsabilità di
Ásaheimr
era riversa sulle sue spalle, non poteva più sacrificare
tutto
quanto per il bene del figlio.
«Non
farete del male a Loki! Ha già scontato la sua condanna a
sufficienza!»
La
donna fece cenno a Thor di calmarsi. Il dio allora, rassegnatosi, si
sedette al fianco del fratello e notò che egli aveva
riacquistato le
sue normali sembianze.
Tirò
un sospiro di sollievo. Almeno il loro segreto era salvo. Non
immaginava la reazione di Frigga se avesse saputo.
«Non
sono qui per condannare Loki, ma per far luce su alcune cose. Non mi
basta che tu, davanti a tutta Asgard, dica di essere l'assassino di
tuo padre!» le lacrime iniziarono a sgorgarle dagli occhi
stanchi,
riversandosi sulle guance pallide. «Io, in quanto tua madre,
e in
quanto moglie di Odino, voglio sapere perché Thor,
perché
l'hai fatto!»
Il
dio del tuono abbassò la testa, dilaniato dai sensi di colpa
e dal
dispiacere. Non seppe quale fu la forza che gli permise di trattenere
le lacrime e di ragionare a mente fredda, eppure riuscì a
mantenere
il controllo di sé. Sapeva che Loki lo stava osservando con
la coda
dell'occhio; forse per la prima volta in vita sua, il dio degli
inganni provava pena. Pena per il fratellastro, che doveva ancora
imparare molto dalla vita. Doveva ancora imparare a crescere.
Odino
custodiva un grande segreto, quindi erano svariati i motivi per cui
Thor era stato inconsapevolmente spinto ad ucciderlo. Voleva
proteggere Loki, è vero, ma forse prima di qualsiasi altra
cosa
voleva proteggere il suo onore. Se gli asgardiani fossero venuti a
conoscenza del fatto che aveva immolato un Asi per salvare il figlio
bastardo di Loki e Sygin, avrebbe rischiato il linciaggio. E comunque
la sua credibilità sarebbe colata a picco, così
come la sua
aspirazione di diventare un buon re, saggio, leale, giusto, e
soprattutto amato dai suoi sudditi.
Frigga
attendeva ancora una risposta.
«Padre
aveva perso la ragione. Sorprese Loki fuori dalle sue celle, e
credendo che volesse architettare un nuovo complotto e una nuova
vendetta contro Asgard, tentò di ucciderlo». Thor
si fermò un
momento, prendendo un profondo respiro. Non fu facile confessare una
seconda volta il vergognoso fatto commesso.
«Cercai
di proteggere Loki, ma nel farlo colpii mortalmente Odino. Egli cadde
a terra prima che io potessi rendermi conto di ciò che avevo
fatto.
Così andarono questi tristi fatti».
Trascorsero
alcuni secondi di silenzio. La versione di Thor non era del tutto
credibile, mancava quell'anello fondamentale. Odino che
perdeva la
ragione? Frigga conosceva abbastanza bene il marito da
trovare
strano un fatto del genere. Perché il padre degli dei aveva
preso
l'avventata decisione di uccidere Loki?
«Le
cose sono andate così, Loki?»
Il
dio degli inganni deglutì, ritrovando per la prima volta
dopo tanto
gli occhi della madre, quegli occhi che l'avevano evitato per tanto
tempo, quegli occhi che si rifiutavano di guardarlo in faccia mentre
moriva. Provò dolore, ma non poté non provare
anche affetto.
Un'ombra di un amore passato, ma tenace, anche se privo di senso
ormai.
«Sì
madre, le cose sono andate così», disse annuendo,
sentendosi
stranamente in soggezione.
Sperarono
con tutte le loro forze che Frigga si accontentasse di quella
versione degli avvenimenti, e accettasse il fatto che il proprio
figlio fosse un assassino non solo di Giganti di ghiaccio, ma anche
di Aesir. Del più potente e venerabile tra gli Aesir, del
padre
degli dei in persona.
Dopo
un lungo e amareggiato sospiro, la donna trovò finalmente la
voce
per rispondere.
«Figlio
mio, farò il possibile per alleviare la tua pena, Asgard non
si
prenderà la tua vi...»
«CHE
COS'HAI DETTO?»
Come
se fosse stato travolto da un fiume in piena, Loki scattò in
piedi e
si scagliò contro la madre, ma venne bloccato dalle catene
che gli
rodevano le caviglie e i polsi. Frigga, che era già in
procinto di
andarsene, si voltò verso il figlio adottivo, turbata dal
suo
furibondo tono di voce.
«Maledetta
asgardiana! Mi fai ribrezzo solo a sentirti parlare! Sei una bugiarda
schifosa! Ogni tuo sguardo, ogni tua parola trabocca della
falsità
più meschina!»
«Loki
smettila! Che ti prende?» disse Thor allarmato
dall'inaspettata
furia del fratello, cercando di calmarlo come fosse un cavallo
selvaggio. Nei suoi occhi smeraldo era contenuto l'odio più
puro, un
odio che mai aveva rivolto verso la madre. Nessuno si sarebbe mai
aspettato di udire simili parole uscire dalla sua bocca e additate
verso la regina.
«Dunque
per Thor diventa possibile commutare la pena, eh? Dunque la vita di
Thor può essere salvata, mentre la mia, quella di mio figlio
no!
Eppure non sei sempre tu mia madre? Non dovresti amarmi allo stesso
modo, a quanto dicono le tue belle parole?»
Ecco
rivelati in pochi secondi tutti i dubbi, tutti i tormenti che Loki,
l'ingannatore, aveva avuto nel corso della sua vita. La sua costante
paura di non essere accettato, di non essere compreso, di non essere
amato come i suoi fratelli.
«Sono
curioso di sapere quanto ti sei prodigata per me con il padre degli
dei! A quanto mi dicesti, avevi fatto il possibile. Dunque per Thor
riesci a fare anche l'impossibile, non è vero, regina?
»
caricò di particolare disprezzo l'ultima parola, che
già di per se
stessa costituiva un insulto. Loki non aveva mai chiamato regina
la propria madre.
Ma
quello che più fece addolorare la donna, furono le lacrime
che
rigavano il viso del ragazzo, che le ricordavano ulteriormente tutte
le sue mancanze, una per una, con più peso.
«Loki,
ti prego, cerca di comprendermi! Su me ora non incombe più
l'ombra
dell'autorità di tuo padre...»
«Non
è mio padre! Non osare chiamarlo in quel modo! E non cercare
scuse,
sappiamo benissimo entrambi che l'autorità più
grande è quella di
Asgard, sono le dicerie del popolo asgardiano!»
Frigga
non seppe più come controbattere. D'altronde era stata una
sciocca a
sperare di poter competere a parole con Loki. Scosse la testa,
affranta e rassegnata di fronte alle lacrime rancorose del figlio, di
quel figlio che non aveva mai saputo accettare come tale.
«Mi
dispiace», disse soltanto, prima di dedicargli un ultimo
sguardo
colmo di dolore e voltargli le spalle.
«Osi
anche andartene in questo modo, dopo quel che è accaduto,
tu...!»
«Fermo
Loki smettila, basta!»
Thor
intervenne per calmare il fratellastro, ma egli si era già
accasciato per terra, ansante di rabbia.
Loki,
il non amato. Loki, il maledetto.
Voci
insidiose gli ronzavano in testa da molto tempo, ma in quel momento
era come se fossero esplose tutte quante insieme, come se si fossero
incarnate in un idolo di carne. I suoi timori trovavano finalmente
conferma nelle parole di Frigga, era finita. Qualsiasi speranza di
conquistare l'amore degli asgardiani era andata in frantumi.
«Loki...»
Thor
gli mise una mano sulla spalla, facendo un cenno alla madre di
lasciare la stanza. Frigga obbedì, ugualmente desiderosa di
abbandonare quella scena pietosa. Cercando di tamponare le
innumerevoli lacrime, si diresse verso la reggia, e mentre percorreva
quegli ampi e sfarzosi corridoi ebbe modo di riflettere. Il destino
non era certo stato generoso con lei, checché Loki la
ritenesse una
stupida privilegiata e manipolatrice. Non era facile, in quel
frangente, ricoprire il suo ruolo. Come avrebbe dovuto agire, come
madre o come regina?
«Lasciami
fratello».
Loki
rifiutò le premure di Thor, scacciandolo con un gesto irato
della
mano. Il dio allora si allontanò con il cuore in pezzi.
Guardandolo,
gli ritornava alla mente il bambino che era, pieno di paure e di
servilismo. Sembrava fosse sempre spaesato, anche quand'era seduto a
banchetto con la sua famiglia e i suoi amici, anche quando gli
organizzavano una festa a sorpresa, anche quando giocava con gli
altri bambini. Ritrovava se stesso quando si immergeva nelle storie,
nei libri, o quando ascoltava Frigga che gliele raccontava.
Allorché
gli occhi gli si accendevano di una luce nuova, e iniziavano a vagare
in altri mondi.
Thor
non se n'era mai accorto, era come se suo fratello fosse
costantemente in esilio, anche quando sorrideva, anche quando pareva
essere in pace con se stesso e con il mondo che lo circondava.
Non
sapeva di aver assistito alla crescita e alla presa di consapevolezza
del dio degli inganni, della sua vera natura. Perché altro
non si
trattava che la sua natura, era una cosa che Loki stesso non riusciva
a controllare e a sottomettere, e tantomeno potevano riuscirci gli
asgardiani.
«Non
più lacrime per Loki, figlio di Laufey. Questa gente non le
merita.
Le lacrime di un dio sono preziose».
Basta
mordere polvere, basta inginocchiarsi, basta subire umiliazioni e
torture. Basta soffrire per Asgard e per le sue malignità.
Il
ragazzo si alzò in piedi, riacquistando forza e
lucidità. Mosse le
dita e il collo, e sentì il sangue scorrergli nelle vene.
Disegnò
alcune rune a mezz'aria, liberando all'istante uno sbuffo di fumo
verde che serpeggiò per un poco prima di scomparire.
Era
vivo, era nel pieno delle forze, aveva il pieno controllo delle arti
magiche. Ora doveva solo liberarsi di quelle catene.
«Thor,
cerca di dimenticare questa parte di me».
Le
sue emozioni, i suoi veri sentimenti li aveva esternati solo una
volta nella sua vita, solo di fronte ad una persona.
Thor
non avrebbe potuto prendere il suo posto.
*
Passò
un mese.
Mani
sorse e morì per trenta volte, il Naudhiz brillò
incessantemente
tra le altre costellazioni.
Il
dio del tempo era all'opera, e la terza radice del frassino
Yggdrasill continuava ad attingere alla fonte del destino.
Lì,
ove non arrivava occhio di dio o di uomo, lì tra le tenebre
più
cupe, qualcuno si accontentava di dominare le ombre.
«Mia
signora Hela...»
Ganglöt,
ricurvo come uno storpio e tremante (ancora, dopo
un'eternità
passata a servire la dea), intraprese il discorso. La donna, se tale
poteva definirsi, era intenta ad osservare i dolori e le fatiche dei
prigionieri di Hel, coloro che non erano degni di vedere la luce del
Valhalla. Un sorriso a dir poco malefico le attraversava la
metà di
faccia visibile, l'altra metà era avvolta da una costante
penombra,
pareva nera, carbonizzata da un'antica ustione.
«Sai
benissimo che di te non mi fido. Ebbene Ganglati, che cosa
c'è?»
Il
povero Ganglöt deglutì, tormentandosi le mani
piagate e ingiallite.
«Ganglati
non è qui, mia signora. Sta obbedendo all'ultimo incarico
che gli
avete affidato».
La
regina allora si voltò, lentamente, fissando il suo
servitore con
quei terrificanti occhi stretti e vuoti. I capelli le si arricciarono
attorno alla testa come serpenti, il suo volto era sottile e bianco
come la falce lunare, la sua sola figura sembrava personificare la
morte, e tutti i mali che affliggevano il mondo.
«La...
la costruzione di Naglfar è quasi ultimata, ma serviva
qualcuno che
supervisionasse i lavori, ricordate? E dato che di me non vi
fidavate...»
Hela
sciolse per un momento quella sua espressione tesa e terrificante,
come se prima avesse dimenticato un particolare fondamentale. La sua
risata sgraziata risuonò in tutte le sfarzose sale di
Éljúðnir,
smarrendo i corvi e facendo gemere le anime che subivano le sue
torture.
«Certo,
certo... abbiamo ricevuto traditori e assassini in abbondanza
ultimamente, sarà una mia impressione o Ásaheimr
e Vanaheimr hanno
ricominciato a litigare?»
«Non
so dirvi di Vanaheimr, però so per certo che Thor, figlio di
Odino,
e Loki, figlio di Laufey dei Giganti di ghiaccio sono stati esiliati
qui, sulla nostra superficie! A Niflheimr!»
La
dea, dalla sorpresa, lasciò cadere lo specchio che aveva in
mano, il
quale si frantumò ai suoi piedi. Noncurante di tagliarsi,
calpestò
i cocci pur di avanzare con fare stupito verso Ganglöt, come
se
volesse studiarlo da vicino per assicurarsi che non stesse mentendo.
Le catene che le pendevano lungo le gambe nude emettevano un clangore
agghiacciante, bastava da solo ad incutere timore ed ad alimentare
gli strepiti dei dannati.
«Mio
caro Ganglöt, ne sei proprio sicuro?»
domandò, fissando con occhi
perlacei il suo servitore, terrorizzato da quell'inaspettata
vicinanza. «Thor e Loki a Niflheimr, Thor e Loki in esilio...
ebbene, Loki non mi stupisce, dato che è mal tollerato ad
Ásaheimr,
questo è risaputo, ma Thor! Pensavo che dopo l'episodio su
Midgard
avesse imparato la lezione... a quanto pare così non
è».
Le
sue parole sfumarono in una risata raggelante.
Stolti
dei, che si affaccendavano tanto a combattersi tra loro e ad
assicurarsi una linea di discendenza incorrotta. Non avevano ancora
compreso che, alla fine, lei sarebbe stata la vincitrice indiscussa
di ogni battaglia.
«Dunque
quel vecchio stupido di Odino si è fatto ammazzare, in un
modo così
deplorevole per giunta, tra le sue mura! I due principi di Asgard
sono condannati, non c'è forse un collegamento tra i due
fatti?» si
rivolse Hela al suo servitore, mentr'ella continuava a volteggiare a
mezz'aria per le lugubri sale del suo palazzo, avvolta in un'aura
nera come la pece.
«E,
se posso permettermi mia regina, nessuno ci ha informati della morte
del grande Padre, abbiamo dovuto scoprirlo da noi...»
«Stupido!»
lo rimproverò lei, alzando una mano come volesse punirlo.
«I vivi
non entrano con facilità ad Hel! Nessuno arriverebbe fin qui
solo
per recapitare un messaggio! E poi Garmr ha l'ordine di divorare i
messaggeri, ricordi?»
«S-sì
mia regina...»
La
dea, divertita dai balbettii impauriti del suo servo, si
calmò
all'istante e ritirò la mano.
Amava
inebriarsi del terrore che incuteva sugli altri, aveva tutte le loro
vite nelle sue mani artigliate e poteva trattare a piacimento con
coloro che arrivavano fin nelle profondità dell'universo per
riportare alla luce i loro cari. Poteva ricattarli, proporre
condizioni impossibili, alzare il prezzo ancora e ancora solo per
vederli lottare e divorarsi tra loro per qualcosa che non potevano
riavere indietro.
Era
una sensazione di onnipotenza impagabile.
Per
questo era subito stata grata ad Odino per averle conferito quel
trono.
Sotto
lo sguardo timoroso di Ganglöt, si
fermò presso un antica ara di marmo, nella quale crepitava
un fuoco
fatuo. Vi scrutò dunque all'interno come se vi leggesse
antiche
storie, versi di poesie arcaiche, come se attraverso quelle fiamme vi
fosse una finestra sul mondo esterno.
«E
poi, Loki...»
Era
al corrente della sua recente impresa su Midgard finita miseramente,
e si aspettava che il dio intendesse farle visita dato che era stata
lei ad indirizzarlo dai Chitauri, quando era stato bandito da
Ásaheimr. Eppure qualcosa sembrava frenare la sua
volontà nefasta.
Thor gli era accanto, Thor condivideva la sua stessa pena. Erano
vicini.
«Che
cos'hai in mente, dio del chaos?»
Le
fiamme rimasero silenti.
*
Sotto
uno sperone di roccia e ghiaccio, al riparo dai venti e dal gelo
tenace della pianura, vi era una misera costruzione di legno e ferro
incassata a ridosso di una parete, sul fondo di un'ampia caverna. Una
tana vulnerabile ed eretta alla meno peggio, una dimora alquanto
insolita per due dei, due principi abituati all'oro e agli agi di
Asgard.
Ma
Loki, dei Giganti di ghiaccio, e Thor, figlio di Odino, erano avvezzi
anche ad affrontare ambienti inospitali e selvaggi, non avevano
ancora la tempra dei vecchi re, in loro non si era ancora estinto il
fuoco della gioventù.
«Detesto
Asgard».
Loki
alzò la testa dal suo giaciglio, sorpreso da
quell'inaspettata
affermazione.
«La
detesto per averti lasciato qui, a partorire tra i ghiacci».
Il
dio degli inganni soffiò divertito, lasciandosi sfuggire una
mezza
risata.
Sfregò
tra loro le mani nel tentativo di riscaldarle e gettò
un'occhiata
alla notte, oltre il vetro della finestra. Le stelle brillavano come
pozze d'acqua, il limpido cielo artico era chiuso dal tetto nero
della spelonca, e la neve continuava imperterrita a ricoprire ogni
cosa.
«Thor,
io ci sono nato tra i ghiacci».
La
grigia terra di Niflheimr era silenziosa e bellissima, era un luogo
perfetto dove morire, e sarebbe stato anche un luogo perfetto in cui
nascere.
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