Il meraviglioso mondo di Alice di _Shantel (/viewuser.php?uid=92593)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chi non muore si rivede ***
Capitolo 3: *** Cioccolata con panna ***
Capitolo 4: *** Assemblea d'istituto ***
Capitolo 5: *** L'ultima spiaggia ***
Capitolo 6: *** Gigolò ***
Capitolo 7: *** Don't call my name ***
Capitolo 8: *** Three is better than two ***
Capitolo 9: *** Special ***
Capitolo 10: *** Come Cenerentola ***
Capitolo 11: *** Pupazzi di neve ***
Capitolo 12: *** Cade la pioggia ***
Capitolo 13: *** Set fire to the rain ***
Capitolo 14: *** Happy Valentine's Day ***
Capitolo 15: *** In un giorno qualunque ***
Capitolo 16: *** Al buio ***
Capitolo 17: *** Buon compleanno ***
Capitolo 18: *** Un passo indietro ***
Capitolo 19: *** Una notizia inaspettata ***
Capitolo 20: *** Changing ***
Capitolo 21: *** Nessun rimpianto ***
Capitolo 22: *** On the road ***
Capitolo 23: *** Temporale estivo ***
Capitolo 24: *** La differenza tra me e te ***
Capitolo 25: *** Get it right ***
Capitolo 26: *** Photographs ***
Capitolo 27: *** Viva gli sposi ***
Capitolo 28: *** Amore perduto ***
Capitolo 29: *** Epilogo - Love is a losing game ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Buongiorno
a tutti!
Rieccomi con una nuova
storia che mi ha colto durante il viaggio di
ritorno dall'università.
Una storia senza pretese
che spero possa strapparvi qualche sorriso.
Ebbene sì, anche io ho deciso di scrivere qualcosa sugli
amori adolescenziali della nostra protagonista Alice, una combina guai
di prima categoria. E infatti la maggior parte della storia si
evolverà su una sua menzogna che le sconvolgerà
la vita e la farà innamorare per la prima volta, la
farà soffrire per la prima volta, le farà sorgere
dei dubbi per la prima volta.
Spero che possa
piacervi, anche se è solo il prologo e
qualche recensione, bella o brutta che sia mi farebbe piacere!
Vi lascio al prologo in
cui si presenta la protagonista. È
abbastanza corto, ma i capitoli saranno sostanziosi.
Ora un momento di
pubblicità:
P r o l o g o
Fingere
mi risultava facile.
Forse
avrei dovuto diventare un'attrice, magari avrei dato una svolta
significativa alla mia monotona e noiosa vita. Ma, riflettendoci,
sono troppo timida per quel mestiere e soprattutto chi ha voglia di
perdere interi pomeriggi davanti ad una macchina da presa invece di
spenderli davanti al computer, ad aggiornare la pagina di internet
ogni secondo nell'attesa di una richiesta di amicizia su Facebook o
di una recensione su EFP?
Sorridevo
mentre le mie amiche, durante quella stupida assemblea d'istituto che avrebbe rovinato la mia vita, parlavano di ragazzi, di
appuntamenti, di coccole sfrenate, di quello e
quell'altro che
mandavano loro sms. Loro ricevevano messaggi in continuazione, mentre
io guardavo il mio cellulare solo per controllare l'ora. Avevo un
sacco di numeri di telefono sul cellulare, ma la maggior parte di
questi non mi ricordavo nemmeno a chi appartenessero. E per non
sembrare diversa, facevo finta di ricevere dei
messaggi, anche
se su quel maledetto display compariva sempre e solo il faccione del
mio gatto.
Annuivo
anche a sentire i luoghi comuni degli uomini, convinta, uscendo
qualche volta con Anche il mio ex lo faceva, ridacchiando
poi
come una gallina. Peccato che io non avessi mai avuto un ex! Parlavo
di cose che nemmeno sapevo, di sesso che avevo visto fare solamente
nei film romantici quando poi mi imbarazzava sentire la mia prof di
biologia parlare dell'apparato riproduttore maschile. Che, ero
sicura, avrei visto solamente disegnato su un libro di scienze a meno
di non guardarmi filmati su Youporn. Ma, no grazie! Quello lo lascio
fare a mio fratello. La cosa che mi consolava era che, almeno, ero
convincente. E se mi facevano domande sulla mia vita privata, le
zittivo contraendo il volto in una smorfia affranta dicendo Non
mi
va di parlarne, strappando
loro
qualche
Oh! Poverina
chissà come hai sofferto e
facce contrite.
Conducevo, praticamente, una doppia vita: la mia, quella squallida
fatta di Pomeriggio Cinque e barrette al cioccolato e quella
fantastica che proponevo alle mie compagne, fatta di appuntamenti e
uscite tra amici il sabato sera. Cosa assolutamente non vera. Il
sabato sera, alle 20 in punto, vestivo già il mio splendido
pigiama
e guardavo depressa le storie strappalacrime di Maria De Filippi nel
mio lettino caldo coperto dalle lenzuola di Winnie the Pooh. Ogni
giorno vivevo con la speranza che un postino in bicicletta venisse da
me con una busta enorme e mi invitasse a C'è posta per te
per poter
incontrare qualche celebrità con la quale mi facevo
un'infinità di
s*ghe mentali, a volte arrivando anche a crederci.
Se per caso volete farmi conoscere qualcuno, vi butto lì
qualche
nome: Jared Leto, Johnny Depp, Duncan James, Tom Felton, Willwoosh,
qualsiasi persona! Tanto per avere una piccola sorpresa che mi faccia
sentire importante!
Ma torniamo alla mia vita. Ero una di quelle ragazze diciottenni
sempre tappata in casa a deprimersi a guardare l'ennesimo scoop su
Belen Rodriguez, strafogandomi di schifezze ipercaloriche, facendo
credere, in realtà, di essere uscita a fare baldoria alle
quattro di
pomeriggio con una serie infinita di persone. Poi mi ritrovavo a
Giugno a dover perdere i dieci chili presi durante quell'inverno
balordo per risultare almeno presentabile durante l'estate. E quindi
sedute intense in palestra a grondare di sudore e diventare
appiccicaticcia come una donna lumaca, saune improponibili e
impacchettamenti vari nel celofan a mò di cotechino avanzato
dalla
sera di Capodanno. E le mie cosce ne risentivano, eccome! Avevo dei
crateri abnormi che mi solcavano le gambe facendomi sembrare la
crosta lunare, tanto che una volta il mio fratello imbecille mi ha
conficcato una bandierina da panino nella coscia destra, esultando
per aver conquistato il suolo lunare. Ho ancora il segno di quella
stupida bandiera!
Starete pensando che io sia un cesso grasso e brufoloso con i culi di
bottiglia al posto degli occhiali che ha tutti 10 a scuola. Partendo
dal fatto che il voto massimo che prendo è un misero sette
solo in
italiano – e per giunta sono l'unico essere vivente ad avere
il
debito in educazione fisica – non sono nemmeno
così brutta,
esteticamente parlando sono nella media. Ma chissà
perchè, nessuno
mi caga. Quelle rare volte che uscivo mi veniva detto che io ero
quella simpatica. Sinonimo del fatto che non avrei
mai visto
uno straccio di ragazzo!
Mi ripetevo, nei momenti in cui ero felice della mia zitellaggine, in
cui non transitavo nella fase depressiva per la mia solitudine, che
l'importante era che le mie compagne di scuola non sapessero nulla di
questo enorme segreto, non volevo che la mia reputazione già
abbastanza rasente al suolo andasse a finire a far compagnia alle
talpe sottoterra.
Ma le menzogne mi si erano rivoltate contro e ora tutti avrebbero
scoperto la mia doppia vita. Maledetta la bocca mia, parlo troppo!
Maledetta la mia fantasia! Maledetto Edoardo, chiunque tu sia! Sono
in un mare di gianduia! Detto più finemente sono nella
merda
fino al collo!
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo. .
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Capitolo 2 *** Chi non muore si rivede ***
C
A P I T O L O 1
Chi
non muore si rivede
Ero piegata sul tavolo con le mani nei capelli e continuavo a
guardare l'orologio per paura che l'ora più terribile della
giornata
fosse già arrivata. Mancava un minuto preciso per l'arrivo
di Carla
D'Osvalda, conosciuta ai più come lo sciacallo
per
le torture che
faceva subire alle sue vittime prima di finirle con un doloroso 2. Il
rumore insopportabile delle sua scarpe sudaticce si sentiva
già da
chilometri di distanza. Guardai impaurita la mia compagna di banco,
nonché migliore amica nell'ambito scolastico, alias
Benedetta che
contraccambiò quello sguardo.
L'avevo conosciuta il primo giorno di liceo, nell'auditorium, durante
il discorso del preside. Eravamo sedute vicine ed entrambe eravamo
terrorizzate da quel nuovo mondo che presto sarebbe diventata la
nostra quotidianità. Per fortuna, scoprimmo di essere in
classe
insieme e da quel giorno la considero la mia migliore amica, anche se
non so se sia contraccambiato. Nonostante fosse speciale per me,
nemmeno lei sapeva che in realtà ero una sfigata patentata.
Lo sciacallo entrò in classe con dei libri in mano che erano
più
grossi di lei e si posizionò dietro la cattedra che quasi la
copriva
interamente. Sembrava docile con quell'aspetto minuto, ma in
realtà
era un mostro. Le sue interrogazioni e verifiche erano molto peggiori
dei giochi sadici dell'Enigmista! E, purtroppo, sarebbe rimasta anche
l'anno prossimo, il tanto atteso quinto anno di liceo. A meno di un
malore improvviso o un incidente con l'auto di una ragazza appena
patentata che rispondeva al nome di Alice Livraghi. Stavo lavorando a
quel piano progettando il tutto durante le inutili ore di storia
dell'arte.
Carla ci osservava con quegli occhi rugosi e infuocati, scorrendo il
dito indice sul registro. Aiuto! Avevo paura! Primo perchè
non
volevo essere interrogata in matematica e secondo perchè non
volevo
diventare come lei a 45 anni, così flaccida e brutta.
«È già pezzata»
commentò Benedetta, senza farsi sentire «Come
cacchio fa a sudare così a Gennaio?!»
continuò schifata.
«Magari ha qualche problema ormonale» ipotizzai.
Benedetta, in arte Germa, per la sua straordinaria somiglianza con
Stefani LadyGaGa Germanotta, alzò entrambe le sopracciglia,
guardandomi dubbiosa. Smorzai una risata sul nascere, facendo uscire
dalla mia bocca un verso simile ad uno starnuto. Lo sciacallo
alzò
lo sguardo dal registro e mi guardò arcigna, facendomi
passare quel
breve momento di ilarità.
«Un problema ce l'ha di sicuro» riprese Benedetta
una volta che la
D'Osvalda tornò a guardare il registro «Ma non
ormonale. È da
troppo che non vede un uccello. Se lo ha mai visto»
sghignazzò
solitaria. A me non faceva ridere per nulla dato che mi sarei
ritrovata nella stessa identica situazione di Carla: 40 anni vergine.
«Visto che
ha così tanta voglia
di ridere, perchè non viene fuori interrogata signorina
Sago» tuonò
lo sciacallo, smorzando la risata di Benedetta che fu visibilmente
percorsa da un brivido di terrore. Sospirai sollevata. Mi dispiaceva
per Germa, ma come dicevano i latini mors
tua, vitas mea o una
cosa del genere. Il latino non era affatto il mio forte, non mi
piaceva perdere tempo con una lingua morta. Mi rilassai sulla sedia,
scivolando in avanti pronta a godermi quell'ora di relax, sorridendo
e sospirando beata.
«Livraghi! Crede di essere a casa sua?»
Mi irrigidii quando mi chiamò. Subito tornai a sedermi
composta e le
sorrisi bonaria sbattendo più volte le ciglia per risultare
più
dolce, adottando la strategia del gatto con gli stivali. Solitamente
con il professor Ghida, insegnante di filosofia, funzionava sempre.
Secondo Benedetta era efficace perchè quell'uomo era troppo
vittima
del fascino femminile, si accontentava di qualsiasi donna bella o
brutta che era. Il requisito minimo per passare il Ghida's test era
di avere una vagina. Io, quella volta, avrei dimostrato che si
sbagliava di grosso, che erano i miei occhioni dolci ad ammansire
qualsiasi bestia feroce, perfino la D'Osvalda.
«Venga a fare compagnia alla sua amica» mi disse
con un sorriso
tirato e finto quanto la faccia del preside Pierangelo Muccara. Ok,
funzionava solo con ghida.
Mugolai qualcosa di incomprensibile persino a me stessa e
strascicando le All-stars mi diressi alla lavagna. Incrociai le
braccia, appoggiandomi ai primi banchi mentre assistevo silenziosa e
tesa al massacro di Benedetta. Che diamine! Quella donna pretendeva
troppo da noi! Era già tanto che riuscivamo a fare due
più due.
Anche se i dubbi che qualcuno non ne fosse in grado c'era, come ad
esempio Giulio, il mio compagno di classe che aveva tutte le materie
insufficienti, soprannominato the mad per le sue uscite non proprio
normali. Una volta, interrogato in storia, si era alzato, aveva unito
le mani ai fianchi e aveva urlato Kamehameah! concludendo
la
sua performance con un rutto. Sospeso per tre giorni.
Cominciai a mangiarmi le unghie come facevo sempre in situazioni di
grandi stress. Le avevo accuratamente sistemate il giorno prima
dannazione! Una volta che decidevo di curarmi le unghie,
perchè
solitamente mi costava troppa fatica, la D'Osvaldo mi interrogava. Lo
faceva apposta, ne ero certa!
«Sago lei è un ignorante in matematica!»
esplose la professoressa
«Quattro! Vada a posto!» indicò
perentoria il suo banco.
Ecco, bene! Toccava a me. Allarme antincendio perchè non
scatti?!
Una volta che serviva un'inutile prova di evacuazione non la facevano
mai. Mi avvicinai lentamente alla cattedra in modo da rubare secondi
preziosi alla mia figura di merda. E non solo perchè mi
sarei
mostrata una capra davanti a tutti, come al solito, ma anche per
l'umiliazione che mi avrebbe propinato quella donna. Era frustrata,
di sicuro. E il fatto che quella delusione derivava da una scopata
mai fatta mi terrorizzava eccome. Sarei diventata un'acida
professoressa di matematica che sfogava la sua frustrazione su poveri
alunni innocenti e magari tra questi ci sarebbe stata un'altra Alice
Livraghi, che sarebbe diventata anch'essa un'acida e così
via. Un
circolo vizioso. Forse se avessi organizzato un incontro con il Ghida
sarebbe diventata una donna allegra e solare. Era brutta, certo, ma,
essendo donna, superava il test del professore di filosofia. Cercavo
di stare calma, nonostante mi guardasse se mi volesse sbranare e
automaticamente cominciai a indietreggiare.
«Esercizio numero 10» mi disse allungandomi il suo
libro.
Lo lessi ma ai miei
occhi
appariva arabo. Mi grattai la testa guardandomi attorno come un
cerbiatto sperduto in cerca di un volontario che mi salvasse, ma
tutti, compreso Giulio “the
mad” erano impauriti
dalla Carla. Scrissi i dati alla lavagna, come prima cosa, lentamente
e rendendo i numeri il più ciccioni possibili
così da perdere un
sacco di tempo.
«Livraghi se continua con questo ritmo la mando al posto con
un 2!»
sbraitò la frustrata.
«Relax baby!»
Appena mi accorsi di
non aver
solo pensato la frase che maggiormente adoperavo nella vita comune,
mi morsi la lingua. Lo sguardo della sciacallo era incandescente.
Parlavo troppo e a sproposito. Le sorrisi, mostrando i denti,
mormorando un imbecille Scusi
prof. Inutile
dire che
il resto dell'interrogazione fu un massacro, con domande ignote su
argomenti inesistenti, partoriti dalla mente malata della D'Osvalda
ed esercizi impossibili perfino per un neolaureato in matematica.
Sospirai quando vidi un bel tre panciuto comparire sul libretto. Una
macchia indelebile nel mio curriculum scolastico.
«Stai calma Ben!» le dissi mentre la mia amica
sosia di Lady Gaga,
anche se mora, prendeva a pugni la macchinetta.
«Mi ha fregato i soldi!» si giustificò,
prendendola a calci
«Stupida macchinetta!» gracchiò poi,
sospirando e allontanandosi.
Una delle cose che meno sopportava Benedetta era perdere le sue amate
monete per colpa di una macchinetta, tirchia com'era. Spendeva solo per
lo stretto necessario e trovava inutile lo shopping. Talmente era
attaccata ai soldi che, pur di non spendere la ricarica, mi squillava
in modo che io la richiamassi. E io non digerivo affatto questo
atteggiamento, ma avevo cominciato a sopportarlo.
Io la seguii a passo svelto verso una meta a me ignota, cercando invano
di calmarla. Benedetta si diresse verso le
scale percorrendole con velocità. Il mio essere bradipo mi
fece
perdere la sua scia e per poterle stare dietro caddi dalle scale,
prendendo una culata dolorosa e staccandomi un braccio che era
rimasto attaccato al corrimano nell'inutile tentativo di rimanere in
piedi. Già quella caduta da Paperissima era un'umiliazione
abbastanza pesante, soprattutto durante l'intervallo, ma come se non
bastasse il destino si divertiva a prendersi gioco di me. In quel
momento, in quell'esatto istante, il ragazzo più bello della
scuola,
il latin lover, il mio sogno proibito, Davide Saronno mi
passò
accanto, abbracciato alla sua nuova fiamma bionda e riccioluta. Ero
una delle tante ragazze innamorate di lui e una delle poche che lui
non cagava. Due erano le possibilità: o non sapeva che
entrambi
popolavamo quel pianeta o mi aveva scambiata per un uomo. Nonostante
il mio seno piccolo e quasi inesistente, era chiaro che fossi una
ragazza, per cui sicuramente la prima ipotesi era quella più
accreditata. Lui frequentava il quinto anno e la prima volta che lo
vidi era quando andavo il seconda liceo, durante la giornata
sportiva, che giocava a pallavolo. Fu facile scoprire il suo nome,
tutti conoscevano Davide Saronno in quella scuola.
Rise, molto probabilmente aveva assistito a tutta quella scena
comica. Mi superò e sentì quella specie di
Guendalina Blabla
chiamarmi sfigata. Stupida oca con il dono della
parola!
L'unica cosa positiva era che Davide sapeva dell'esistenza di una
goffa ragazzina ignorata fino a quel momento. Mi rialzai,
sistemandomi i jeans scuri e cercando di pulirmi dal marciume che si
annidava in quella scuola. Corsi via, imbarazzata raggiungendo
finalmente Benedetta seduta sul muretto che costeggiava la rampa per
disabili.
«Dove eri finita?» mi domandò.
«Ho avuto un incidente» deglutii, ripensando alla
mia figura di
merda
Benedetta annuii e tornò a guardare davanti a sé.
Era da quando
aveva messo piede in classe che era elettrica. Inizialmente pensavo
che la causa fosse l'interrogazione di matematica, ma ora mi stavo
ricredendo.
«Si può sapere che hai?» le domandai,
quasi scocciata.
«Ho preso un quattro in matematica»
cominciò ad elencare. Alzai le
sopracciglia. E io cosa avrei dovuto fare per quel tre? Uccidermi?!
No, per quello ci avrebbe pensato mia madre «La macchinetta
mi ha
fregato i soldi e ieri mi sono lasciata con il mio ragazzo!»
appoggiò il mento sulle mani sconsolata.
Roteai gli occhi. Perchè, dico e ripeto e sottoscrivo,
perchè si
finiva sempre a parlare di ragazzi?!
«Mi dispiace» dissi solamente, cercando di
mostrarmi interessata.
Che potevo sapere io di come si soffriva per la perdita di un amore?
Nulla. Ed ero anche la meno consigliabile per consolare un cuore
infranto.
In quel momento arrivò anche Claudia, una ragazza del terzo
anno
amica di Benedetta che conoscevo per corrispondenza, con il suo
solito panino delle undici tra le mani.
«Che ti prende Germa?» domandò con voce
cupa e roca.
«Mi sono lasciata con Marco!» le rispose
«Claudiano!»
Benedetta odiava essere chiamata Germa perchè odiava essere
paragonata alla sua sosia. Così aveva coniato il soprannome
Claudiano per la sua amica per via della sua voce mascolina. E non
aveva tutti i torti. La prima volta che la incontrai ero nel bagno
della scuola a fare i bisogni e sentivo Ben parlare con un maschio.
Ero sconvolta! Un uomo nel bagno delle donne?! Quando uscii imprecai
contro quel ragazzo che era entrato nel nostro bagno chiamandolo
maiale. Quando poi domandai dove fosse andato, Claudia alzò
la mano
facendomi capire che l'uomo in questione era lei. Le mie figure di
merda non possono contarsi sulle dita di dieci mani.
«Tempo due settimane ne hai già un
altro!» ribattè Claudia
ridacchiando.
Benedetta la guardò torva, ma il camionista non aveva tutti
i torti.
Germa cambiava uomini alla velocità della luce e non
riuscivo a
capire come lei potesse avere così tanti ragazzi ed io
essere a
quota zero. Ero molto più carina di lei, almeno con i
capelli corti
non sembravo un uomo. I misteri della vita.
«Stai per caso insinuando che sono una sgualdrina?»
domandò
Benedetta stizzita.
«Io non ho insinuato niente» ribattè
Claudia con nonchalance.
«Ma lo hai pensato!» la punzecchiò.
L'amica dai capelli rosso fuoco sorrise sorniona, seguita poi a ruota
da Benedetta, che le diede un lieve schiaffo sul braccio.
«Lo so che lo sono!» ridacchiò divertita
«Ma che ci posso fare se
amo il sesso?»
«Come darti torto!» esclamò Claudia,
quasi in estasi.
Le guardavo ridere e, poco convinta, mi unii a loro, annuendo come
una babbea. In realtà non ero affatto divertita, ma
scioccata! Come
poteva Benedetta essere così felice di essere considerata
una
passeggiatrice?! Il sesso rendeva davvero così stupidi?
Oppure era
così bello da volerne fare in continuazione? Scossi la
testa,
estraniandomi dai loro discorsi e cominciando a guardare Davide
attaccato alla colonna poco distante con me. La mia fantasia
volò.
Mi immaginavo tra le sue braccia al posto della riccioluta, che mi
baciava sensualmente, con le sue mani sulle mie natiche. Mi
immedesimai fin troppo nella parte che mi parve di sentire davvero le
sue mani sulle mie flaccide chiappe. Ma chi volevo prendere in giro?
Era impossibile perfino in una fantasia erotica che Saronno si
avvicinasse a me. Non rispecchiavo la sua donna ideale: non avevo un
gommone al posto delle labbra, niente tette gonfie e nessun culo alto
e sodo. Affranta, sospirai rumorosamente attirando l'attenzione di
Benedetta e Claudia che, terminati i loro stupidi discorsi, mi
guardarono dubbiose.
«Che sospiro!» commentò Claudia.
«Da innamorata!» aggiunse Benedetta «Sei
innamorata?» mi domandò
poi con un sorriso malizioso e un sopracciglio alzato.
Sbarrai gli occhi. Che cosa avrei dovuto rispondere? Non volevo
apparire una sfigata, così me ne uscii con una sciocchezza
enorme.
«In realtà sì» sorrisi
imbarazzata, mentre mi maledicevo
mentalmente. Anche se tutto sommato non era una vera e propria bugia.
In fondo avevo una cotta per Davide.
«Chi è?» domandò con voce
stridula Benedetta prendendomi le mani.
Sentii il mio cuore andare a trotto nel petto, era come se avessi una
carica di cavalli nel torace. Non potevo dire che ero cotta e
stracotta di Davide, sarebbe stato troppo chiaro che era solo un
amore platonico. Dovevo dare libero sfogo alla mia fantasia.
«Non lo conosci» mi limitai a dire telegrafica.
«È di questa scuola? Quanti anni ha? Come si
chiama? È bello?»
partì a raffica Claudia.
La campanella suonò e mentre tornavamo in classe dopo
l'intervallo
dovetti raccontare tutto. Tutte le bugie. Dicevo le prime cose che mi
passavano per la testa, sperando di non dimenticarmele in un futuro.
«Si chiama» deglutii, passando a rassegna qualsiasi
nome «E» mi
interruppi. Che nome cominciava con quella stupida lettera?! Edmondo,
Erasmo «Edoardo»
Mai conosciuto un Edoardo in tutta la mia vita! Avrei potuto
scegliere un nome più adatto ad un fidanzato immaginario,
sembrava
più un nome da nonno!
«Quanti anni ha?» insistette Claudia prima di
entrare in classe.
«22» tentennai.
La rossa mi guardò sospettosa con le labbra arricciate come
se
avesse capito che quelle erano solo menzogne. Poi sorrise raggiante e
mi strinse le mani.
«Poi voglio conoscerlo!» squittì,
nonostante la voce da
camionista.
Le sorrisi mentre lei entrava in classe. Sapevo che mi stavo
cacciando in un mare di guai. Presi a camminare velocemente,
raggiungendo la nostra aula. Il professor Giusti era già in
classe e
ci guardò torvo, indicando poi i nostri banchi con un cenno
meccanico del mento.
«Ma state insieme?» mi domandò Benedetta
mentre il professor
Giusti spiegava l'Orlando Furioso.
Che palle le domande! Le odio le odio le odio! Ma una tazza
di
latte e cavoli tuoi la mattina, no?! Pensai, ma non lo dissi.
Non
mi piaceva mentire, mai. Ma in questi casi ne andava della mia
immagine da adolescente! Se si veniva a scoprire il mio mondo
fantastico sarei diventata lo zimbello della scuola. Sospirai, ormai
la speranza che lei si fosse dimenticata, svanì.
«Sì, più o meno» mentii.
«Ma è bello?» continuò,
disinteressate alle occhiate dell'Umberto
Giusti Furioso.
Saperlo!
«Sì, più o meno. C'è di
peggio, ma anche di meglio» rimasi sul
vaga, in modo da non aver più problemi.
«Come vi siete conosciuti?» continuò
imperterrita.
Rotei gli occhi, sbuffando. Lei mi guardò contrariata,
arricciando
le labbra come era solita fare quando era arrabbiata od offesa per
qualcosa.
«Scusa se sono una scocciatura» cominciò
irritata «Ma tu non mi
racconti mai niente, devo cavarti le informazioni con la
forza!»
«Scusa» le dissi.
Benedetta mi accarezzò il braccio e mi sorrise, incitandomi
a
rispondere alla sua domanda.
«Livraghi, Sago volete anche un tè con dei
biscotti?!» domandò
arrabbiato Giusti.
«Non sarebbe male» mormorai, dimenticandomi
dell'udito da supereroe
del professore.
«Non faccia dell'ironia, Livraghi!»
Per il resto della lezione Ben smise di sommergermi di domande
stupide. E incomincia ad amare il professor Giusti che mi aveva
salvato dalle sue grinfie. Avrei potuto fargli una torta, ma avrei
rischiato di avvelenarlo.
Con la voce del professore in sottofondo, mi immersi nuovamente nel
mio mondo. Tanto Edoardo, ben presto, avrebbe levato le tende dalla
mia mente, come era avvenuto per Nicolò, Sebastiano e
Riccardo, i
tre miei ex fidanzati senza volto che nessuno, nemmeno io, aveva mai
visto. Dovevo trovare una scusa per sbolognarlo, una scusa credibile.
Una cosa ardua! Non sapevo perchè due potevano lasciarsi,
l'unico
che mi veniva in mente era il tradimento ma che palle! Sempre la
solita scusa! Non volevo fare la parte della povera ragazza distrutta
perchè il suo uomo era andata a letto con un'altra.
Bè, per qualche
mese avrei finto di avere questo fantomatico fidanzato, ci avrei
pensato in seguito.
All'uscita da scuola, cercai di parlare di tutto fuorchè di
ragazzi.
Trovavo interessante parlare perfino dell'Eredità! Claudia e
Benedetta mi assecondarono, stranamente. E camminavo talmente veloce
per arrivare il prima possibile nel cortile che mi domandai che fine
avesse fatto l'altra parte di me, ossia il bradipo che quando ero
piccola si era insinuato nel mio corpo e lo usava come dimora.
Sorrisi sgargiante quando arrivammo davanti allo scooter di Ben,
almeno mi sarei liberata di lei per un po'.
«Ciao ragazze» ci salutò indossando il
casco «Ci sentiamo su
Facebook»
«Ok» dissi «Ciao Germa!»
Lei mi fulminò con lo sguardo e io le feci la linguaccia.
Poco dopo
anche Claudiano mi abbandonò salendo sulla macchina di suo
padre che
tutti i santi giorni la riaccompagnava a casa. Anche io volevo andare
in auto, e invece ero costretta a prendere quel lurido vasetto di
sarde, meglio nota come Linea 30.
Raggiunsi la fermata sull'altro
marciapiede insieme ad un'altra ventina di persone, per lo
più
appartenenti alle specie di truzzi e bimbeminkia. Di loro non
conoscevo nessuno, se non Davide, anche se non personalmente, con lo
zaino portato su una spalla che rideva insieme ai suoi amici. Mi
incantai nel guardarlo in tutta la sua statuaria bellezza. Adoravo i
suoi capelli neri e quella barba da uomo vissuto. I suoi occhi
azzurri come il mare mi trafissero e cominciò a ridere,
sicuramente
mi aveva riconosciuta nella ragazzina goffa che aveva creato un
cratere nelle scale. Nascosi il viso sotto la sciarpa, troppo
imbarazzata in quel momento per continuare a camminare a faccia
scoperta.
Ballonzolavo, cercando di ricavare calore. Faceva troppo freddo per i
miei gusti, lo odiavo, a meno che non nevicava. Il gelo con la neve
era tutt'altra storia. Senza di essa, non aveva motivo di esistere.
L'autobus arrivò poco dopo, già quasi
completamente colmo di gente.
Respirai profondamente, pronta ad affrontare quell'ennesimo viaggio
come una sardina.
«Alice!» sentii urlare, ma non mi voltai.
Sicuramente si stavano
rivolgendo ad un'altra Alice. Io non conoscevo praticamente nessuno
di quella scuola.
«Alice Livraghi!» cantilenò la stessa
voce di prima, in tono scocciato.
Sbuffai e mi voltai a destra e a sinistra vedendo un ragazzo seduto
sul sedile che sventolava una mano. Mi feci strada tra la folla
cercando di non essere vittima della forza centripeta, ma, ovviamente
non avvenne. Rischiai di cadere più volte, sbattendo anche
contro
Davide.
«Scu-scusa» balbettai.
«Dovresti stare più attenta» mi disse
con un sorriso, la prima
volta che sentivo la sua meravigliosa voce.
Boccheggiai, sentendo che stranamente l'aria fredda di Gennaio stava
diventando ardente. Cercai di fare un mezzo sorriso, ma credo che ne
uscì una smorfia ridicola. Mi allontanai da lui e raggiunsi
finalmente il ragazzo biondo che mi aveva chiamato, sedendomi al
posto della sua cartella che occupava il sedile accanto a lui.
«Fede!» esclamai, abbracciandolo, riconoscendolo
solo in quel
momento. Non avrei mai potuto dimenticare i suoi biondi capelli
ribelli. Federico Abbate era stato un mio compagno delle medie, lo
avevo considerato il mio migliore amico finchè le nostre
strade non
si erano divise per via del liceo. Erano quasi cinque anni che non lo
vedevo né lo sentivo e mi fece piacere ritrovarlo su
quell'autobus.
Cambiato, notevolmente cambiato, a partire da quelle spalle larghe
che portarono la mia mente a fare dei pensieri impuri.
«Sei...» mi interruppi per guardarlo con un sorriso
e gli occhi
stupiti. Federico si passò una mano tra i capelli con fare
da figo,
credendo che gli avrei detto che era diventato l'uomo più
bello del
mondo, ma non era affatto così «Sei uguale a
Ibra!» esclamai.
Mi guardò con gli occhi ridotti a due fessure, incrociando
la
braccia.
«Hai lo stesso naso!» lo indicai eccitata.
Federico si passò le dita su quella canappia che si
ritrovava in
mezzo alla faccia e mi guardò torvo. Io gli sorrisi
dolcemente, una
sorta di perdono che lui accettò sorridendomi di rimando,
scuotendo
la testa.
«Allora, come va la scuola?» mi domandò,
cambiando argomento.
«A parte che oggi ho preso un 3, per il resto va
bene» alzai le
spalle «Tu?»
«Abbastanza bene» rispose.
Entrambi frequentavamo il liceo scientifico, solo che lui aveva
preferito quello di Milano. Dico, perchè mai farsi il mazzo
mezz'ora
tra autobus e metropolitana per andare ad un liceo che c'era anche
vicino al nostro paese? Quando lo venni a sapere, mi infuriai con lui
e chiusi qualsiasi rapporto. Sono un tipo che serba rancore e quel
gesto lo avevo vissuto come una sorta di abbandono. Avrei voluto
condividere con lui l'ebbrezza del liceo.
«Ti sei fatto di steroidi per diventare così
grande e muscoloso?»
gli chiesi poi, squadrandolo da capo a piedi. Aveva le gambe talmente
lunghe che faceva fatica a stare seduto in quel sedile stretto. Lui
scoppiò a ridere, anche se la mia domanda non era una
battuta ma un
vero e proprio dubbio. Anche perchè me lo ricordavo basso e
rachitico.
«No! Ho cominciato a fare sport» spiegò
con un
sorriso, facendo diventare la sua
bocca più larga di quanto già non fosse. Sport,
una parola sconosciuta alle mie orecchie pigre.
«Cioè?» domandai curiosa.
«Nuoto»
Un'altra parola assente nel mio vocabolario. Ero impedita in acqua,
tanto che in piscina, per non annegare, andavo in quella dei bambini o
evitavo di entrare.
Ci fu un
momento in cui
nessuno dei due parlò, un silenzio che quasi mi imbarazzava.
«Sei ancora arrabbiata con me?» mi prese alla
sprovvista con quella
domanda e soprattutto con quegli occhi color nocciola che sembravano
quelli di un cucciolo. Incrociai le braccia, mettendo il broncio,
osservando il suo sorriso spegnersi piano piano.
«Ma no!» esclamai sorridendo «Sono
passati cinque anni! Anche se
ancora non riesco a capire perchè hai scelto un liceo a
Milano, nonostante ce ne fosse uno a pochi chilometri da casa
tua» il
mio tono divenne brusco.
«Mi sembra che tu non abbia ancora superato questo
abbandono» fece
le virgolette ad una parola che avevo usato io durante il nostro
ultimo incontro, quando litigammo. Le virgolette mi irritavano e lui
lo sapeva. Se se lo ricordava.
«Non sono arrabbiata!» continuai con voce stridula
«È solo che
pensavo che tu tenessi a me!»
«Andiamo!» sbottò lui, sbattendo la sua
enorme mano sul ginocchio.
Un suo schiaffo ti avrebbe mandato all'altro mondo a fare tanti
saluti al Creatore «È solo un liceo! E se tu
tenevi tanto a me, mi
avresti cercato. Abitiamo vicini, ricordi?!» mi
punzecchiò acido.
«Nemmeno tu mi hai cercata! Abitiamo vicini,
ricordi?!» sorrisi
soddisfatta.
Lui mi fulminò, scuotendo la testa e cominciando a guardare
fuori
dal finestrino. Non era stati certo il massimo incontrarsi nuovamente
dopo cinque anni con un dialogo del genere. Incrociai le braccia al
petto, lanciandogli di tanto in tanto qualche occhiata per vedere che
cosa stesse facendo: ripeteva esattamente le mie mosse. Sorrisi
quando i nostri occhi che erano tutt'altro che arrabbiati si
incrociarono e lui fece lo stesso, facendomi poi un buffetto sulla
guancia. Mi era mancato. Tanto.
L'autobus, arrivato all'altezza di via Cavour, svoltò
avviandosi
verso la mia fermata.
«Potresti prenotare la fermata?» domandai a
Federico «Con il naso
dovresti arrivarci» ridacchiai, indicando il pulsante sul
palo di
fronte a noi. Lui mi guardò offeso, indicandomi quello che
aveva
poco sopra la testa. Cavoli, però, un po' di autoironia non
guasterebbe! Anche se io sono la prima a non ridere di me stessa,
soprattutto quando mi si fa notare che ho la cellulite. Sbuffai
contrariata, alzandomi e facendomi strada per arrivare allo
sportello, seguita a ruota da Federico che scese alla mia stessa
fermata.
Sollevai la testa guardandolo incredula, accorgendomi solo in quel
momento di quanto fosse alto. E mi sentivo a disagio a camminargli
accanto. Nemmeno con un tacco dodici avrei raggiunto la sua statura.
«Quanto cavolo sei alto?!» esclamai incredula.
«1.94» rispose, passandosi una mano tra i capelli
biondi.
«Mi presti un po' di gambe?» ridacchiai.
«Volentieri!» esclamò lui ridendo con me.
Mi cinse una spalla spingendomi verso di lui. Il mio cuore
guizzò a
quel contatto. Non ero mai stata così vicina ad un ragazzo,
escluso
mio fratello flatulento e mio padre. Annaspavo, ma cercavo di non
darlo a vedere.
«Mi sei mancata» mi confidò
avvicinandosi al mio orecchio.
«Anche tu» ammisi imbarazzata.
«E scusami per prima» continuò,
schioccandomi un bacio sulla
guancia.
Sentivo caldo, tanto caldo, troppo. Quel contatto con un essere del
mio sesso opposto cominciava a imbarazzarmi troppo e rischiava di
farmi venire un attacco di cuore. Non volevo di certo morire ad un
passo dai diciotto anni e soprattutto vergine! Lo spinsi via,
ridendo, sentendo finalmente che l'aria cominciava a rifluire.
«Stammi lontano che mi fai sentire una nana!»
esclamai, accelerando
il passo. Ma, ovviamente, non servì a nulla
perchè con le gambe
lunghe che si ritrovava, Federico mi raggiunse in un secondo.
«Ma tu sei nana!» ribattè passandomi una
mano tra i capelli e
scompigliandoli.
Arricciai il naso, facendogli una linguaccia e cercando di ricomporre
la mia zazzera mossa e di ridargli una forma decente. Alla scuola
media, le nostre strade erano destinate a dividersi nuovamente.
Già
sapevo che non lo avrei rivisto mai più dopo averlo
salutato, se non
magari tra altri cinque anni. Una cosa che proprio non mi riusciva
era mantenere le amicizie, anche se c'era stato quel riavvicinamento
inaspettato e infuocato.
«Ci vediamo!» mi disse salutandomi con la mano. Io
risposi
sventolando la mia, guardandolo tristemente entrare in un piccolo
viottolo che lo conduceva a casa.
Sospirai mentre sfregavo i piedi sullo zerbino prima di entrare in
casa. Mia madre era una fissata: se non ti pulivi le suole potevi
startene fuori sul pianerottolo a dormire comodamente sul tappetino
pungente.
«Sono a casa!» esclamai, appoggiando lo zaino e
togliendomi la
giacca.
Milky, il mio gatto bianco e morbidoso, si strofinò sulle
gambe
lasciandomi palle di pelo grosse come arance sui pantaloni neri.
«Ciao» una risposta svogliata provenne dal bagno da
cui, poco dopo,
uscì il mio fratellone-barile, occhialuto e con l'alito di
cipolle,
vestito solo con un paio di pantaloni, mostrandomi la pancia flaccida
e le braccia tatuate. I tatuaggi per lui erano come una droga. Aveva
fatto il primo a 14 anni di nascosto dai miei genitori e, ancora
adesso, a 23 anni continuava a pitturarsi il corpo. Un uomo che mi
faceva perdere la voglia di trovare un fidanzato. Si chiamava
Raffaele, ma io preferivo Smell. Era iscritto a
Farmacia, ma
erano più le volte che stava a casa che in
università.
«Come è andata?» mi domandò
anche se non era per nulla
interessato.
«Insomma» alzai le sopracciglia «Ho preso
3 in matematica»
«Somaro, somaro!» mi insultò, imitando
il verso dell'asino.
«Vorrei ricordarti, Smell, che tu avevi
NC in matematica»
sorrisi vittoriosa quando lo vidi farsi serio.
«Il pranzo è sul tavolo» disse
scocciato, grattandosi l'ombelico.
Lo guardai allontanarsi schifata andando poi in cucina dove vidi il
mio pasto reale che giaceva sul tavolo: uno stupido panino al latte
con una misera fetta di prosciutto cotto. Voleva per caso farmi
morire di fame?! Lo sollevai scoprendo un biglietto scritto con
l'orrenda calligrafia di Smell.
La tua linea mi ringrazierà :)
Appallottolai quel foglio più volte, buttandolo a terra e
calpestandolo violentemente. Odioso e stupido fratello! Afferrai il
panino e ne presi un morso. Inutile dire che ne divorai
metà. Mi
misi davanti alla porta di Raffaele sulla quale c'era un teschio con
sotto scritto Keep out. Quell'allarme era per avvisare della puzza
che aleggiava in quella stanza, puzza di fumo e chissà
cos'altro.
«Quello ciccione sei tu non io!» urlai, sorridendo
poi compiaciuta
alla porta.
Entrai poi nella mia bellissima camera insieme al mio gatto. Era
piccola, ma confortevole ed era colorata con tutte le sfumature del
rosa, il mio colore preferito. Mi spogliai, indossando la tuta, la
bellissima e comodissima tuta, spaparanzandomi sulla sedia girevole
davanti alla scrivania e accesi il computer. Nell'attesa che caricava
girai su me stessa, cosa che adoravo fare, anche se dopo sembrava che
mi fosse scolata due bottiglie di vodka. Non che io mi sia mai
ubriacata, ma credo che più o meno ci si debba sentire
così, con la
testa che piroetta e lo stomaco che vuole schizzare fuori.
Il mio appuntamento giornaliero con internet mi aspettava. La prima
cosa che feci era accedere a Facebook, anche se
già sapevo
che non avrei fatto nulla se non parlare con Germa. Ma mi stupii per
la richiesta di amicizia che mi era arrivata.
Federico Abbate voleva essere mio amico.
Sorrisi stupidamente vedendo la foto del profilo di Fede, lui a petto
nudo - e che petto- con dietro il mare azzurro a fargli da sfondo.
Non era bellissimo, anzi, tutt'altro, ma aveva un corpo dannatamente
bello. Controllai il suo status: single. E la cosa
mi rendeva
estremamente felice.
_______________________________________________________
Buona domenica a
tutti!
Allora per prima cosa devo dire che non mi aspettavo un successo tale
per un corto e scarno prologo! Davvero, sono senza parole! Grazie di
cuore ♥
Spero che i capitoli non vi deluderanno e che rispecchino le vostre
aspettative!
Come avevo annunciato il capitolo è abbastanza corposo,
spero non troppo. Se lo ritenete troppo lungo ditemelo che nei prossimi
cercherò di farli più corti.
Siamo entrati nel mondo di Alice, molto lentamente perchè
è una ragazza molto sensibile. Abbiamo avuto anche un
piccolo stralcio dei vari protagonisti che si avvicenderanno in questa
storia. E Alice ha già detto la bugia che le
sconvolgerà l'esistenza, ossia di avere questo fantomatico
fidanzato di nome Edoardo.
Passiamo ai ringraziamenti.
GRAZIE a pickwick, caramellina 20 e smilenii per la loro
recensione.
GRAZIE a chi
ha inserito la storia tra le seguite/preferite/ricordate.
GRAZIE a chi
ha letto solamente e siete in molti :)
Poi, vi ricordo che se volete avere un'idea di come mi sono immaginata
i personaggi li troverete nel mio profilo. Ovviamente, voi potete dar
loro il viso che preferite.
Un bacio a tutti, Manu ♥
|
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Capitolo 3 *** Cioccolata con panna ***
C
a p i t o l o 2
Cioccolata con panna
«Sono confusa» cominciò Benedetta,
mentre camminavamo verso
l'aula.
Strinsi le spalline
dello zaino e sospirai, facendomi forza mentalmente ad affrontare
l'ennesimo
problema di cuore della mia amica, la solita routine.
«Ieri ho
beccato Marco in metropolitana mentre andavo in centro»
esordì nervosa «Abbiamo fatto il viaggio insieme.
Fin qui tutto ok. Ma poi ha cominciato ad abbracciarmi, a darmi i baci
sulla fronte, a
stringermi la mano, a dirmi cose carine»
«Dove sta il
problema?» domandai dubbiosa, lasciando cadere la
cartella sul pavimento.
«Il problema
è che mi piace un altro e vorrei combinare qualcosa con
lui» mi guardò maliziosa «Ma se Marco fa
così mette in crisi
i miei ormoni!»
Corrugai la fronte e
mi sedetti sul tavolo per aspettare l'arrivo del
professore.
«Non mi hai
mai parlato dell'altro» ero davvero
dubbiosa. Solitamente ero la prima a sapere delle sue conquiste.
«L'ho
conosciuto in palestra» mi prese le mani elettrizzata
guardandomi con occhi dolci «È tenerissimo ed
è bello da paura!»
Sorrisi, annuendo,
anche se non mi interessava affatto sapere vita
morte e miracoli di quel palestrato da strapazzo, il tipico ragazzo
che piaceva a Benedetta. Tutto muscoli ed apparire, ma privo di
qualsiasi vita cerebrale. Non ascoltai più quello che mi
diceva anche
se davo l'impressione di farlo inframezzando il discorso di Germa con
qualche Mh di finto interesse.
Dopo poco tempo, quasi
tutte le ragazze della classe di riunirono
intorno a me, cominciando a parlottare tra di loro. Mi misi ad
ascoltare le loro storie, soprattutto avventure amorose, che mi
ingelosivano e non poco. Ero sempre quella che ascoltava aneddoti
sessuale e su biancheria intima, che rideva anche se non sapeva di cosa
si stesse parlando, senza però mettere mai becco in nulla.
Mi stupii nel sentire che anche ragazze che non credevo avessero una
vita sociale, come Francesca Lamira, 90 kg di brufoli, pelle grassa e
vanità e la faccia
rubata ad un pesce lesso, insomma, non il massimo della bellezza, in
realtà erano regine della movida e corteggiate da numerosi
ragazzi -ciechi, ovviamente. Ecco, Francesca
Lamira
aveva un fidanzato.
Lo scoprii
solo in quel momento e il mio
morale era andato a finire sotto le scarpe di Galeazzi, con lui
dentro ovviamente. Immaginatevi la sofferenza. Ero convinta che anche
lei avesse la mia stessa vita e mi consolava pensare di non essere
sola. E invece lo ero eccome. Era anche un bel ragazzo! Stava
propinando a tutte la foto del suo fidanzato, un tamarro di prima
categoria, con i capelli rasati e un fisico da urlo. Che cosa
c'entrava con Lamira?
«E tu Alice?
Cosa ci racconti?» mi domandò ad un tratto
Cristina,
la bella della classe, con i capelli
biondi e ricci e il viso
da gatta. Il suo tono era sarcastico, mi riteneva una sfigata e
sapevo da fonti certe -il mio sesto senso ipersviluppato - che rideva di me alle mie spalle.
«Una
favola?!» azzardai.
Cristina
ghignò e mi guardò nuovamente con aria di sfida.
«Sempre sola
soletta?» chiese con voce stridula.
In quel momento avrei
voluto strappargli i capelli ad uno ad uno o
anche prenderla a schiaffi a due a due finchè non
diventavano
dispari. Ma mi limitai a sorriderle alzando le spalle.
«No, non
è sola soletta!» intervenne in mia difesa
l'avvocato Sago
«Ha un ragazzo. Oh, oh, oh!» imitò la
risata di Babbo Natale.
Mi tenni la fronte con
la mano. Sarebbe stato più facile trovare
l'elisir della vita eterna piuttosto che tenere a freno la bocca di
Germa.
«Si chiama
Edoardo» continuò la mia amica «Diglielo
te!»
continuò rivolgendosi a me.
Avrei voluto sparire
sottoterra piuttosto che parlare di quel ragazzo
immaginario. Già mi trovavo in difficoltà a
parlarne con le mie due
amiche, parlarne con la iena Cristina era un supplizio. Non sapevo
che cosa inventarmi e lo sguardo felino di lei mi metteva in
soggezione.
«E
com'è?» chiese con la sua solita aria di
superiorità. Che cosa
mi trattenne dal prenderla a schiaffi non saprei dirlo.
«Bello»
sospirai.
«Bello
come?» continuò. Sapevo che lo faceva per mettermi
in
difficoltà. Cristina era sempre stata dubbiosa sui miei
immaginari
flirt, lo capivo dal tono ironico con cui mi parlava di ragazzi.
Dovevo sembrare sicura di me, sennò addio reputazione.
«È
moro, con gli occhi scuri, abbronzato e un fisico da sballo»
descrissi più o meno come doveva essere il mio ragazzo
ideale. Lo
immaginai, descrivendolo, bello davanti a me, peccato che fosse solo
un'illusione.
Cristina
sogghignò. Forse ero stata un po' troppo eccessiva e quindi
poco credibile. Anche Benedetta mi guardava dubbiosa.
«Anche quel
cesso di Lamira ha un fidanzato figo, ma nessuna ha fatto
storie»
dissi, beccandomi poi uno sguardo di fuoco da Francesca.
«Il suo
ragazzo lo conosco» ribattè Cristina a braccia
conserte
sotto il seno evidentemente gonfiato da calzini o chessò io
«Gliel'ho presentato io. Dei
tuoi fantomatici fidanzati» fece le odiose virgolette
«non ne
abbiamo visto nemmeno uno»
«Di certo
non li vengo a presentare a te, sennò diventeri
cornuta» ribattei scocciata.
Cristina mi guardò con aria di sfida, prima di tornare al
suo posto,
in fondo alla classe, a farsi la manicure, pedicure e la seduta dal
parrucchiere.
Mi ritrovai lo sguardo
inquisitorio di Benedetta addosso e già avevo
capito che, istigata da quella gallina bionda, pensava che Cristina
avesse ragione. Bene, ero stata smerdata ufficialmente.
Era la prima volta, in
quasi diciotto anni di vita, che mettevo piede
nella biblioteca del mio paese, non sopportavo il silenzio che
regnava in quel luogo ed era anche fin troppo serioso per un tipo come
me. Ma
quel giorno avevo ritenuto necessario rintanarmi in quel posto in
cerca di una tranquillità che a casa mi potevo solo sognare.
Mio
fratello aveva avuto la grande idea di invitare i suoi fantastici
e simpaticissimi
compagni di
corso, una serie di rumorosi e
fastidiosi Smell.
Anche in una
biblioteca, però, riuscivo a non studiare. Il libro di
filosofia era aperto davanti a me e Leibniz mi implorava di leggere
le sue stupide teorie. Ma non mi riusciva proprio concentrarmi su di
lui, preferivo dondolarmi sulla sedia con la matita sulle labbra
arricciate e le mani dietro la testa.
Quella stupida
Cristina mi aveva distrutto la mattinata e ora anche
Benedetta aveva cominciato a sommergermi di domande dettagliate,
tormentandomi per cercare di capire se i dubbi dell'arpia sulla mia
vita sentimentale fossero veri. Non contenta delle mie risposte, voleva
anche conoscerlo. Le avevo detto che per
il momento era solo una frequentazione e che glielo avrei presentato
più avanti. In che guaio mi ero cacciata?!
«Ciao»
sentii mormorare da dietro.
Sobbalzai e per lo
spavento persi l'equilibrio, cappottandomi con
tutta la sedia, con tanto di urlo. Uno Shhh! generale si levò
dalla biblioteca, nemmeno lo avessi fatto a posta ad urlare. Ero
caduta e mi ero anche fatta male. Sentii una risata soffocata, poi
vidi apparire sopra di me il volto sorridente di Federico.
«Stai
bene?» mi chiese, allungandomi una mano, trattenendosi a
stento dal ridere.
La afferrai e mi tirai
su pesantemente quasi fossi un pachiderma.
«Stavo
meglio prima» risposi ricomponendomi. Era più il
tempo che
passavo per terra in seguito ad una caduta che in piedi.
Tornai a
sedermi, facendo finta di nulla.
«Non pensavo
di trovarti qui» mormorò sedendosi accanto a me.
«Nemmeno
io» era più rivolto a me stessa questo commento
che a lui.
«Io vengo
sempre in biblioteca a studiare» sorrise sornione.
«Da quando
sei diventato un secchione?» domandai.
«Da quando,
l'anno scorso, ho rischiato di essere bocciato» rispose
con un sorriso «E tu, invece, cosa ci fai qui? Per giunta al
mio
tavolo personale»
«Raffaele
sta facendo baldoria e non riesco a studiare» sospirai
«E
non mi pare che qui ci sia scritto proprietà di Federico
Abbate! Se
sapevo che era il tuo posticino avrei scelto un altro tavolo»
ridacchiai divertita.
Lui mi
pungolò il fianco parecchie volte con il suo enorme dito
indice,
facendomi sobbalzare sulla sedia, mentre lui si divertiva come uno
stupido.
«Mi fai
male» piagnucolai, dandogli un leggero schiaffo sulla mano.
Federico mi strinse
per una spalla tirandomi verso di lui e facendo
combaciare la mia guancia con i suoi pettorali. I pensieri impuri su di
lui si sprecarono a sentire quei muscoli così sviluppati
sotto la mia pella. Sentivo le guance
infuocate e sicuramente il mio volto aveva assunto uno strano colore
rossastro. Il mio cuore batteva all'impazzata, voleva schizzare fuori
dal petto. O soffrivo di tachicardia, ma lo escludo anche
perchè
avevo solo diciotto anni, oppure Abbate aveva uno strano effetto su
di me. Una sua mano accarezzò delicatamente i miei capelli
scivolando lungo la mia guancia. Il suo indice andò sotto il
mento
sollevandomi il viso dal suo petto e costringendomi a guardarlo negli
occhi. Se non
morivo in quel momento, mi sarei potuta dire immortale.
Mi diede un bacio.
Sulla guancia.
Un maledettissimo
bacio sulla guancia, quando, per un momento, avevo
sperato che le sue labbra potessero sfiorare le mie.
«La mia
piccola Alice» mi disse, stringendomi più forte e
dondolandomi a destra e a sinistra.
«Come mai
queste coccole?» domandai non appena mi liberò,
mentre
mi ricomponevo. Fortunatamente il cuore aveva ricominciato a battere
regolarmente.
«Dobbiamo
recuperare gli anni di lontananza» rispose sorridendomi
«Che ne dici di chiudere Leibniz e andare nel nostro ritrovo
invernale? Almeno possiamo parlare tranquillamente» mi chiuse
il
libro davanti agli occhi.
«In
realtà dovrei studiare» obiettai, riaprendo al
capitolo, ma
lui lo chiuse nuovamente «Deduco che non fosse una proposta
ma un
ordine»
Federico sorrise con
aria furbetta. Leibniz non avrebbe apprezzato il
fatto che preferii Abbate a lui e nemmeno il mio libretto che di
lì
a poco sarebbe stato marchiato con un altro voto insufficiente. Ma
come potevo resistere agli occhi dolci di Federico? E come ai suoi
pettorali, alle sue addominali, alle sue braccia...
Smettila Alice!
I miei buoni propositi
di studiare filosofia affogarono in una
cioccolata calda. Il nostro ritrovo invernale altro non era che un
piccolo bar in piazza della Vittoria specializzata in deliziose
cioccolate. Ce n'erano di ogni gusto, alla frutta, con liquori,
bianche, rosse, verdi. Ok, sto
esagerando.
Un
ottimo modo per passare un gelido pomeriggio di Gennaio. Io e
Federico avevamo il nostro appuntamento quasi quotidiano in quel
posto, lì erano racchiusi tutti i nostri ricordi e le nostre
chiacchierate da bambini delle medie.
«Pensavo che
avesse chiuso» commentai entrando. Non era cambiato
nulla dopo cinque anni, nemmeno la proprietaria e sua figlia,
così
come i clienti scarseggianti. Sembrava che quel locale fosse stato
ibernato nell'anno 2006.
«Federico,
Alice!» esclamò Gianna, la proprietaria del
locale, una
minuta e simpatica signora dai capelli rossi.
Mi stupii che,
nonostante fossero passati anni, si ricordasse di noi, soprattutto
che avesse riconosciuto Federico, dato il suo cambiamento radicale
da ragazzo-sfigato-tredicenne-basso-rachitico-e-cesso a
ragazzo-alto-figo-con-un-fisico-pazzesco.
«Debora»
chiamò sua figlia eccitata di rivederci «Te li
ricordi?»
domandò.
La donna, che ormai
aveva superato i 35 anni, dai capelli crespi e castani, stretta in un
grembiule
evidentemente troppo piccolo per i suoi fianchi generosi, ci
guardò
roteando uno straccio nel bicchiere. Socchiuse gli occhi, mettendoci
a fuoco, scoppiando poi in un sonoro Oh! annuendo.
«Quanto
siete cresciuti!» commentò Debora.
«È
bello vedervi insieme» prese nuovamente la parola Gianna
«Avevo
sempre saputo che voi due vi sareste fidanzati» disse
maliziosa.
Mi irrigidii
all'istante al solo pensiero che io e Federico davamo
l'impressione di essere una coppia, una di quelle adolescenti che
fanno...ehm...sesso. Il sangue non mi arrivava
più al cervello,
avevo disconnesso con quello che c'era intorno a me, sentivo solo il
mio cuore che pulsava nelle orecchie e quel caldo punzecchiante e
fastidioso a
causa dell'imbarazzo.
«Siamo una
bella coppia, eh!» esclamò divertito Federico
acchiappandomi per un braccio e stringendomi a lui. Omicidio, questo
era un omicidio! Lui mi voleva morta. Mi diede un bacio dulla fronte
per poi rivolgere un altro sorriso alle due donne.
«Ma mi
dispiace dirvelo, non siamo fidanzati»
Gianna
battè le mani portandosele al petto con una faccia disperata
come se le fosse morto il gatto.
«Però
stareste bene insieme!» continuò Gianna.
«Ci
penserò» ribattè lui. Il suo tono era
inquietante. Serio,
troppo serio per essere una risposta ad una sciocchezza di una povera
donna di sessant'anni. Quel pomeriggio avrei fatto meglio a rimanere a
studiare filosofia.
Federico le sorrise,
lasciandomi
imbambolata in mezzo al locale, andando a sedersi ad un tavolo
rotondo.
«Io non me
lo farei scappare» mi sussurrò Gianna
«Hai visto come si è fatto
bello?»
Grazie signora, un
ottimo modo per farmi passare un momento di totale timidezza.
«Alice»
mi chiamò Federico «ti sei pietrificata?»
Avrei voluto
rispondere di sì,
per colpa tua,
ma mi limitai a
raggiungerlo camminando come un robot, tesa e rigida, con la faccia
rimpiazzata da un peperone rosso acceso.
«Stai
bene?» tentennò lui dubbioso, guardandomi con un
sorriso seducente che
peggiorò la situazione in cui mi trovavo.
«Sì»
risposi con voce tremante, togliendomi il giubbotto e
abbandonandolo sullo schienale della sedia.
Debora
arrivò subito a prendere le ordinazioni. Per fortuna, almeno
avrei avuto il tempo di riprendermi.
«Cosa
prendete?» domandò.
Prima che potessi
aprire bocca, una manona di Federico mi apparve
davanti al volto facendomi tacere.
«Cioccolata
bianca alle nocciole con stelline di zucchero» disse
«Ho ragione?»
Boccheggiai,
portandomi nervosamente una ciocca di capelli dietro
l'orecchio, guardando il tavolo di marmo ad un tratto interessante.
Se si ricordava una cosa del genere, dovevo essere molto importante
per lui. Dio, che imbarazzo!
Debora
segnò l'ordinazione e tornò a guardare Federico
interrogativa. Ma questa volta fui io a prendere la parola.
«Cioccolata
fondente con panna» dissi intimidita «con una
spruzzata di cannella»
La donna ci rivolse un
sorriso lasciandoci da soli. Lui mi guardò stupito, con la
bocca spalancata e le braccia aperte sul tavolo.
«Te lo
ricordi?» domandò.
Mi strinsi nelle
spalle, facendomi piccola, più di quanto già non
fossi.
«Bè,
anche tu ti ricordavi»
«Sì,
ma ti ricordavi anche il piccolo particolare della cannella»
continuò
abbassando il tono e passandosi una mano tra i fluidi capelli biondi.
«I piccoli
particolari delle persone importanti si ricordano
facilmente»
«Importante?»
balbettò.
Rise
nervosamente e io mi
unii a lui. Sembravamo due deficienti. Vederlo
cosí imbarazzato e paonazzo era come avere me stessa dopo un
incontro con Davide. E a me Saronno piaceva. Facendo un rapido
calcolo...Oddio! Qualcuno mi salvi da
questa situazione!
Debora
sembrò aver ascoltato le mie preghiere arrivando con un
vassoio con le nostre ordinazioni. Appoggiò le due
cioccolate sul
tavolo insieme ad un piattino di biscotti e si dileguò con
un
sorriso. Ne afferrai subito uno, inzuppandolo, e mangiandolo
avidamente. Ero più che convinta che questa era una vendetta
da
parte di Leibniz nei mie confronti per averlo abbandonato.
«Quanti
pomeriggi passati qui, ricordi?» finalmente Federico,
riacquistata la calma, aveva ripreso a parlare.
«Già»
risposi solamente evitando il suo sguardo.
«Ore intere
a sparlare dei nostri compagni!» si portò un
cucchiaio
di panna alla bocca, leccandosi via quella rimasta sulle labbra. In
quel momento avrei voluto essere la panna.
«Tu eri una
portinaia!» esclamai «Sapevi tutto di tutti e
spettegolavi! Sembravi una vecchiette di paese! Ti mancavano solo i
ferri e un gomitolo ed eri perfetto» risi e Federico si
unì a me.
«Tu non eri
da meno!» esclamò sorseggiando la sua cioccolata.
«Sì
ma eri sempre tu che iniziavi il discorso!» gli ricordai.
«Bè
la mia vita era talmente piatta che dovevo per forza parlare di
qualcun altro»
Bevve l'ultimo sorso e
si pulì le labbra con un tovagliolo.
«Sei ancora
una portinaia?» gli domandai.
«No»
ridacchiò «Ora ho una vita sociale, per cui mi
faccio gli
affari miei»
Quindi l'unica che
ancora doveva parlare degli altri per poter
chiacchierare con qualcuno ero io, che bello! Affogai quel mio
dispiacere in un altro biscotto e nella mia cioccolata bianca ormai
tiepida. Avrei voluto ordinarne altre due per la disperazione ma
avrei fatto la figura dell'ingorda e della depressa incallita.
«Ce l'hai il
ragazzo?» mi domandò alla sprovvista.
L'ultimo goccio di
cioccolata mi andò di traverso. Tossii cercando
di non morire soffocata, colpendomi forte al petto. Federico si
precipitò da me e stava per prendermi a schiaffoni sulla
schiena, ma
riuscii a fermarlo in tempo prima che mi sfasciasse.
«Sto
bene!» annaspai con le lacrime agli occhi
«Comunque, no, non
sono fidanzata» gli dissi, dopo essermi ripresa. Di certo non
potevo dirgli di Edoardo,
sarei stata una sciocca a farmelo scappare, come aveva detto la saggia
Gianna.
«Avrai un
sacco di spasimanti, allora» commentò.
«Sì,
un sacco» dissi in un misto tra l'ironico e lo scocciato
«E tu, sei fidanzato?» chiesi, anche se
sapevo che era single.
«Io mi sono
appena lasciato» sospirò «Ci siamo
lasciati dopo due
anni»
«E come
mai?» fu la mia curiosità a parlare.
«Cornuto!»
Avrei
voluto che il motivo per cui si era lasciato fosse stato un
altro, almeno lo avrei usato come scusa per la rottura con Edoardo.
Ma sempre e comunque c'erano di mezzo le corna.
«Avrai un
sacco di spasimanti» dissi sogghignando.
«Sì,
abbastanza» rispose soddisfatto, scoppiando poi a ridere. ma
ero sicoro che una decina di ragazze che gli morivano dietro c'erano.
Federico mi
offrì quella cioccolata e ci avviammo verso casa. Cercai
per tutto il tragitto di non capitare più sul discorso
fidanzati.
Pensavo che il voler mettere il naso nella vita sentimentale altrui
fosse una cosa da ragazze, ma mi sbagliavo. Perchè mai era
così
importante sapere se l'altro aveva o meno il fidanzato?
«Sai Alice,
c'era una cosa che volevo dirti» mi disse Federico
davanti al portone del mio palazzo. Aveva le mani nelle tasche dei
jeans e si guardava i piedoni.
«Dimmi»
incalzai.
Si morse il labbro
inferiore e si avvicinò a me. Addio mondo, mi
dissi quando lui mi strinse a sé. Gli arrivavo a malapena al
petto,
ma riuscivo a sentire il battito ipnotizzante del suo cuore.
Esitò
qualche istante, prima di dirmi...
«Ti voglio
bene» tentennò insicuro.
Uno stupidissimo
T.V.B?! Rimasi di sasso a sentirmi dire quelle cose.
Mi aspettavo che mi dicesse una cosa del tipo Sai, tu mi sei
sempre piaciuta, oppure
Sono cinque
anni che ti aspetto e
finalmente posso dirti che ti amo. Mi sarei accontentata anche di
un semplice bacio a stampo!
Mi baciò
delicatamente sulla guancia prima di andarsene. Confusa,
ero stramaledettamente confusa. Cosa dovevo pensare? Di piacergli,
visto l'imbarazzo con cui mi aveva parlato al bar,per gli abbracci e i
baci che dispensava oppure mi
considerava solo come un'amica ed ero io a vedere e sentire cose che
non esistevano?
Ero sdraiata sul letto ad accarezzare amorevolmente Milky guardando
la prima ed emozionante sfida di Amici. Avevo anche tirato fuori il
pigiama blu dall'armadio per sentirmi più vicina alla mia
squadra
preferita, cellulare sul cuscino pronta a votare. Cantavo a
squarciagola insieme ad Annalisa quando vidi il display del cellulare
lampeggiare.
«Pronto» risposi delusa di non potermi seguire la
sfida in santa
pace.
«Hai molta voglia di sentirmi noto» la voce di
Federico era
sarcastica.
Scattai seduta a gambe incrociate e tutto d'un tratto quella
trasmissione non catturava più il mio interesse.
«Per fortuna non hai cambiato numero»
ridacchiò.
«C'è qualche
problema?» domandai. Perchè mai
avrebbe dovuto chiamarmi alle 22? «Ci siamo visti oggi
pomeriggio»
«No» trillò «Volevo solo
sentirti»
«Co-me?»
«Anche se dovrei essere arrabbiato con te» disse
con tono
scherzoso.
«Perchè?»
«Mi hai fatto scendere sotto il mio record
personale» rispose.
«Tu non mi hai fatto studiare filosofia, siamo
pari!»
Ma neanche tanto. Se andavi sotto il record personale non rischiavi
di avere il debito in filosofia.
«Sì ma io non ti ho costretta a venire con
me!»
«Mi hai guardato con la faccia da cucciolo bastonato! Sai
benissimo
che funziona anche troppo con me!» ridemmo entrambi
«E spiegami
come io ti ho fatto scendere sotto il tuo record personale!»
Ci fu un istante di silenzio che mi fece credere in una morte
improvvisa di Federico.
«Ti stavo pensando» sospirò
«Pensavo a quanto fossi stato scemo a
farti scappare così. Abitavi vicino a me, avevo il tuo
numero ma non
ti ho mai calcolata. E me ne pento»
Ancora mi chiedevo come era possibile che fossi ancora viva quel
giorno e come mai il mio cuore aveva deciso di continuare a battere
nonostante i numerosi e piccoli infarti subiti.
«Cosa vorresti dire?» cercai di capire.
« Nulla» rispose Federico «Era solo un
pensiero che mi assillava.
Siamo o no migliori amici? E i migliori amici non stanno lontano
cinque anni»
Arieccolo
con quella storia del siamo
amici e blablabla. Prima mi
illudeva con frasi carine, abbracci e carezze, poi mi bastonava con i
ti voglio bene amicona
mia! Lo avrei volentieri strozzato.
«Se vuoi ti aiuto con Leibniz» mi disse poi
sogghignando.
«Non ce n'è bisogno» risposi con tono
leggermente duro.
«Domani ci vediamo in biblioteca?» mi chiese.
«Va bene» risposi in un sospiro. Ma solo per stare
con lui.
«Buonanotte Alice» mi disse dolcemente.
«Notte» risposi seccata.
Se c'era in commercio un manuale per capire gli uomini ne avrei
subito acquistata una copia. I suoi sbalzi improvvisi mi mettevano
ansia e confusione. Soprattutto questa chiamata senza senso mi
lasciava dubbiosa. Stava cercando di farmi capire qualcosa o come al
solito ero la regista di uno stupido film romantico? Solo di una cosa
ero certa: Federico Abbate
provocava tachicardia.
__________________________________________________________
Ciao a tutti!
Eccomi con il nuovo
capitolo e scusate per l'attesa. Più corto dell'altro.
Magari troppo lunghi possono essere pesanti.
Wow! Sono davvero troppo
felice per il riscontro che sta avendo questa storia! E poi mi rende
contenta il fatto che Alice vi piaccia ^^
Guai in vista per la
povera Alice e riavvicinamento con Federico. So che voi tutte state
apsettando Edoardo, anche io, devo essere sincera. Tra poco
arriverà, forse già nel prossimo capitolo la
notizia sconvolgente per Alice.
Passiamo ai
ringraziamenti.
Un GRAZIE enorme a chi ha recensito la
storia, a chi l'ha inserita nelle ricordate/seguite/preferite e anche a
chi legge e basta.
Sono davvero felice che
vi stia piacendo.
Se volete vedere le foto
dei personaggi potrete trovarle sul mio profilo Facebook.
Ci vediamo al prossimo
capitolo! Manu ♥
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Capitolo 4 *** Assemblea d'istituto ***
C a p i t o l o 3
Assemblea d'istituto
Io e Federico camminavamo lentamente lungo la strada che ci separava
dalle nostre case, solo sguardi furtivi tra di noi. Ad un tratto lui
mi prendeva la mano e mi guardava intensamente con i suoi magnetici
occhi castani, sorridendomi. Io facevo lo stesso.
Ci fermammo, uno davanti all'altro, ed io accompagnai la sua mano
sulla guancia in una carezza che mi fece rabbrividire. Si
avvicinò
d'un tratto a me e sentii il suo respiro caldo sulla pelle.
«Ho sbagliato a farti scappate così» mi
sussurrava a fior di
pelle.
Rabbrividii. Con il pollice disegnò il mio profilo.
«Posso baciarti?» domandò con fare
sensuale.
Non risposi, arricciai solamente le labbra pronto a baciarlo, il mio
primo bacio, un bacio del tutto inaspettato e quasi deludente, peloso
e bavoso. Aprii gli occhi, ritrovandomi la mia gattona sul cuscino
che mi leccava.
«Milky!» esclamai, nascondendo la testa sotto il
cuscino.
Non potevo nemmeno fantasticare in santa pace. Mi stavo davvero
emozionando e convincendo che lo stavo baciando realmente.
Sì , lo
so, sono masochista. Chi me lo faceva fare di immaginarmi una
splendida storia d'amore con un ragazzo che probabilmente mi avrebbe
vista sempre e solo come un'amica? Era peggio che prendere una
martellata negli zebedei! Anche se io non ho mai provato un calcio
nei gioielli di famiglia, pare che faccia molto male.
Sbattei più volte le palpebre osservando con interesse il
mio
soffitto, sospirando sonoramente. Federico aveva monopolizzato i miei
sogni. Ci ero uscita solo una volta e già mi immaginavo una
storia
romantica con lui. Ma era più forte di me, avevo la
convinzione che
lui sarebbe stato il mio primo ragazzo. Espirai l'aria dal naso
rumorosamente, girandomi su un fianco a guardare la parete. Avevo
pensato lo stesso di Alessio, il migliore amico di mio fratello che
mi aveva rivolto solo uno stupido sorriso; avevo creduto lo stesso di
Giorgio, uno dei numerosi amici, di Benedetta che avevo conosciuto
durante un'uscita al centro commerciale. Avevamo parlato tutto il
pomeriggio e la sera stessa lo avevo sognato, eravamo fidanzati ed io
avevo dato il mio primo bacio. Questa mia stupida convinzione fu
distrutta il giorno dopo da Germa che mi rivelò che Giorgio
aveva
una ragazza. Quel giorno lo passai deprimendomi davanti alla tv e
mangiando un intero pacco di patatine giganti. Per cui non saprei
dire perchè anche in quel momento mi tormentavo immaginando
scene
romantiche tra me e Federico, fantasticando sulla mia prima storia
d'amore. Forse per il suo atteggiamento ambiguo che non faceva altro
che peggiorare la situazione.
Sospirai affranta, girandomi nel letto e tornando a guardare il
soffitto, mentre la mia gatta miagolava e continuava a leccarmi.
Alice, smettila di vivere nel tuo mondo e torna sulla terra! mi
ripeteva costantemente il mio subconscio, ma io, invece che
ascoltarlo, lo zittivo stupidamente. Chiusi gli occhi cercando di
prendere sonno con la speranza di non sognare più Federico.
Ma,
sfortunatamente, non accadde.
Il risveglio fu traumatico e non solo perchè a chiamarmi fu
Raffaele
con la sua finezza da elefante incattivito, ma soprattutto
perchè
aveva messo fine al matrimonio tra me e e il mio futuro fidanzato.
Per giunta c'era anche Davide che urlava, disperato, “Io
mi
oppongo!” Meglio di così cosa potevo chiedere!
«Sbrigati!» mi incitò Smell, mentre io,
con gli occhi ancora
chiusi, mi rigiravo nel letto, cercando la forza per alzarmi. Era una
tortura sbucare fuori dal caldo piumone in pieno Gennaio con -10
gradi. Mi aiutò Raffaele, che rientrò nella mia
stanza come una
furia, strattonando il piumone e scoprendomi.
«Pigrona! Devi andare a scuola!» mi urlò
contro.
Mi rannicchiai, in cerca di tepore. Ma Smell aveva sempre il piano di
riserva per svegliarmi, si avvicinò al mio orecchio e sentii
subito
il suo alito flatulento mattutino. Già quello bastava anche
per
resuscitare un morto. Come se non bastasse, mi urlò
nell'orecchio,
facendomi sobbalzare e alzare di scatto, sbattendo contro la sua
testa dura e rasata.
«Stupido fratello!» esclamai massaggiandomi la
fronte mentre lui
rideva. Possibile che non avesse accusato il colpo?
Sbuffai, trascinandomi assonata e svogliata in bagno. Guardai la mia
immagine riflessa nello specchio, gli occhi socchiusi, i capelli
scarmigliati che mi facevano sembrare un leone e il viso cadente. Mi
sembrava di vedere la Carla e non Alice. Infilai lo spazzolino in
bocca e mentre sfregavo con forza ripensavo alla notte. Ero proprio
disperata se sognavo addirittura di arrivare a sposare Federico.
Eravamo solo amici ed io già volevo diventare la signora
Abbate. Ero
proprio una sfigata!
Finii di prepararmi e raggiunsi la cucina dove mia madre,
già pronta
per andare al lavoro – agguerrito avvocato divorzista
fortemente
femminista, felicemente separata da mio padre – trafficava
con
ciotole e cereali. Ogni volta che la osservavo mi chiedevo
perchè il
destino fosse stato così crudele con me. Perchè
non potevo essere
meravigliosamente bella come mia madre? Era quasi eterea e
sì, ero
gelosa di mia madre perchè avevo preso da mio padre, un
orribile
troll che, con una botta di fortuna, era riuscito a sposarsi con mia
mamma. Non che non volessi bene a mio padre, ci mancherebbe, ma era
brutto. Stupida genetica!
«Buongiorno» mi disse con un sorriso.
Rantolai una specie di saluto e mangiai i miei amati Nesquik. Mia
madre smise di trafficare in cucina, diede una pacca sulla spalla a
mio fratello e un bacio tra i capelli a me e, dopo le solite
raccomandazioni, uscì.
«Chi è Federico?» mi domandò
Raffaele curioso.
Un cereale mi si conficcò in gola e tossii per cercare di
non
soffocare.
«Fe-fe-de-ri-co?!» balbettai con le lacrime agli
occhi. In quel
momento avevo visto la mia vita passarmi davanti agli occhi. Tutta!
Due secondi bastavano per riassumerla tutta.
«Stanotte lo chiamavi ardentemente»
spiegò lui «Federico,
Federico!» disse in tono orgasmico, abbracciandosi e fingendo
di
limonare con qualcuno. Raffaele scoppiò a ridere e lo
fulminai.
Lasciai cadere il cucchiaino e mi alzai. Era la prima volta che
desideravo andare a scuola. Tutto pur di stare lontana da lui.
Ovviamente, chi fu la prima ad essere interrogata in filosofia? La
sottoscritta. Ma grazie alla mia raffinata tecnica di supercazzola,
perfezionata con il tempo, e occhi dolci riuscii a strappare al
tirchio Ghida un bellissimo sette e mezzo. Record personale,
come avrebbe detto un ragazzo di mia conoscenza. Ero abbastanza
soddisfatta del mio operato, a parte per il fatto che Cristina
Cariati, grazie alla sua super scollatura da danzatrice di lap dance
aveva preso un otto e mezzo, ma anche, e soprattutto, per Federico
che mi vagava nella testa calpestandomi i pensieri. Avrei potuto
anche pensare ai koala drogati di eucalipto abbracciati a pantere
bianche che partivano per un viaggio disperato in Madagascar, quindi
qualcosa che lo esulava a priori, ma lui mi tormentava.
FedericoFedericoFedericoFederico.
Quel nome era come un martello pneumatico nel cervello.
«Tutto bene Ali?» mi domandò Claudia,
seduta a gambe incrociate di
fianco a me sul muretto.
«No» piagnucolai abbassando il viso che venne
invaso dai miei
capelli stopposi.
«Che c'è?» chiese Germa, appoggiandomi
una mano sulla spalla.
«Problemi di ragazzi, immagino» ipotizzò
Claudia con sguardo di
soddisfazione.
«Sì» soffiai, tornando a guardare
davanti a me.
«Edo?» domandò Benedetta.
Era come una sorta di partita a ping pong tra le due mie amiche ed io
ero la rete. Quelle continue domande mi avrebbero fatto impazzire,
soprattutto perchè non potevo di certo dir loro di Federico.
«È ambiguo» risposi, riferendomi
però ad Abbate. Quel ragazzo mi
avrebbe fatto vivere il resto della mia vita in una camera
d'isolamento con una camicia di forza.
«E...» incalzò Benedetta, con occhi
curiosi.
«A me lui piace» deglutii.
Lo avevo detto veramente? Colpo di fulmine o voglia di non essere
diversa?
«Ma non riesco a capire se sono ricambiata» ripresi
con le mani tra
i capelli «È dolce, mi dice cose carine, mi
abbraccia e mi fa
credere che gli piaccio anche io. Poi se ne esce dicendo Ti
voglio
bene, Sei la mia migliore amica» pompai la voce per
renderla
maschile.
«Quindi è il tuo migliore amico»
Benedetta mi guardò accigliata
«Ieri mi avevi detto che lo avevi conosciuto alla fermata
dell'autobus» incrociò le braccia sotto il seno
quel giorno stretto
in un push up che la rendeva una tettona. Dedussi che sarebbe andata
in palestra a cuccare la sua nuova preda.
Sbarrai gli occhi e risi nervosamente, muovendo le mani da una parte
all'altra, senza riuscire a dire nulla di senso compiuto.
«Bè, sì, l'ho conosciuto alla fermata
dell'autobus tanto tempo fa
e siamo diventati amici, solo da poco abbiamo iniziato ad
uscire»
annuii convinta.
Ben continuava a fissarmi con quell'aria dubbiosa, poi si
aprì in un
sorriso. Respirai a fondo chiudendo gli occhi. Fortunatamente l'avevo
scampata.
«Secondo me è solo timido» intervenne
Claudia «Dagli tempo,
vedrai che si confesserà prima o poi»
Quel prima o poi mi preoccupava. Soprattutto il poi. Avrei dovuto
aspettare altri cinque anni prima che Federico, semmai gli piacevo,
si dichiarasse?!
«Tu invece?» mi rivolsi a Benedetta, cambiando
argomento e
indicandogli le tette gonfie «Palestra?»
Lei mi guardò con un enorme sorriso e i suoi occhi castani
luccicavano come non gli aveva mai visto fare prima d'ora. Doveva
essersi presa una bella cotta per il palestrato.
Quasi quasi
mi veniva voglia di conoscerlo.
«Sì!» cinguettò, battendo i
piedi per terra e prendendosi le
guance rosse tra le mani «Oggi dovrebbe venire per fare
potenziamento»
«Ma ci parli almeno?» sogghignò Claudia.
«Certo!» rispose indignata Benedetta «Ho
anche il suo numero» le
fece la linguaccia «Tu come va invece sul fronte
maschile?»
«Io mi sto vedendo con uno» rispose la rossa
pulendosi l'angolo
dell'occhio «Ma penso che lo lascerò
andare» continuò avvicinando
l'indice al pollice a indicare una misura di circa 2 centimetri.
La guardai confusa mentre rideva insieme a Benedetta. Che cosa stava
a significare? Cosa c'era i tanto divertente in un indice e un
pollice? Risi anche io, per non sentirmi esclusa da quel momento di
felicità.
«È bello che tu finalmente ti sei aperta
così con noi!» Benedetta
tornò a guardarmi dopo aver ridacchiato.
«Già!» esclamò anche Claudia
«Facciamo parte anche noi del tuo
mondo, in fondo. Siamo le tue migliori amiche!»
Sorrisi nervosamente. Se avessero scoperto realmente che il mio mondo
non era quello delle meraviglie che raccontavo loro, avrebbero
sicuramente smesso di ridere.
Quel pomeriggio non sarei andata in biblioteca, il nostro
appuntamento quotidiano da quasi due settimane. Quei giorni erano
passati veloci, sempre all'insegna della sua stupida
ambiguità. Non
sapeva che facendo così mi uccideva! Mi piaceva, ecco lo
avevo
ammesso. E anche tanto, da quando era solo uno sfigato di terza media
con l'asma. Fino a quel momento avevo represso quel sentimento nei
suoi confronti, ma ormai non potevo più fare a meno di
pensare che
se mi fossi dichiarata prima ora non mi sarei trovata in quella
situazione, seduta scompostamente su un divano a guardare La vita in
diretta. Avrei voluto essere fortunata come Benedetta, affascinante,
con tutti quegli uomini ai piedi, così sicura di se stessa,
talmente
tanto che era convinta che presto la sua nuova preda sarebbe caduta
nella sua rete.
Le immagini scivolavano senza senso davanti a me, quando il
campanello suonò aspettai qualche minuto, in attesa che
andasse
Raffaele ad aprire. Ma poiché dalla sua stanza non
provenivano segni
di vita se non una musica assordante, mi alzai scocciata con i
capelli scompigliati.
«Fede!» esclamai quando me lo trovai davanti a me
in tutta la sua
bellezza. Per fortuna, quel giorno, non avevo indossato la tuta
sformata.
«Il portone era aperto» sorrise.
Lo abbracciai e lui mi sollevò da terra stringendomi forte.
«Cosa ci fai qui?» domandai facendomi da parte per
farlo entrare.
Lui appoggiò il borsone che si portava dietro ai piedi del
divano e
si sedette accanto a me.
«Visto che non venivi in biblioteca oggi, ho deciso di venire
io da
te»
«Non era necessario che ti disturbassi a venire»
dissi flebilmente.
«Abito dall'altra parte della strada» sorrise.
Poi mi prese la mano e la baciò delicatamente facendomi
ribollire il
sangue nelle vene. Perfino le orecchie erano incandescenti.
«E anche se abitavo in Messico sarei venuto
comunque» mormorò.
«Fede» lo guardai dubbiosa, con le labbra
arricciate «Ci siamo
visti ieri e sentiti questo pomeriggio. Intendevo dire questo»
«Ma io volevo vederti, ecco!» obiettò
con voce da bambino,
mettendo il broncio e stringendosi nelle spalle.
«Perchè mai?» domandai con il cuore che
sussultava.
«Sto bene in tua compagnia, mi diverto con te. E poi
sei...»
«La tua migliore amica» conclusi per lui la frase.
Se il sangue prima ribolliva per l'imbarazzo, ora lo faceva per la
rabbia. Perchè continuava imperterrito con quella stupida
storia
degli amici? Mi era venuta voglia di affogarlo nella piscina in cui
nuotava. L'unica cosa che mi distolse da quel pensiero era che sarei
annegata prima io dato che riuscivo a nuotare solo ed esclusivamente
con una ciambella o i braccioli.
«Bene, mi hai vista ora ciao» dissi dura,
scivolando lungo lo
schienale e tornando a guardare il programma.
«Che acida!» commentò Federico
infastidito.
«Non sono acida» ribattei.
«Mi hai appena cacciato di casa! Perchè?»
«Non voglio stare con una specie di schizofrenico»
risposi.
«Io sarei lo schizofrenico?!» ripetè
indignato indicandosi.
«Stai insinuando che quella matta sarei io?!»
tornai a sedermi
compostamente, guardandolo, per la prima volta, dritto negli occhi.
«Non sono io quello che ha gli sbalzi di umore!» mi
imbeccò.
«E non sono io quella che illude le persone!»
Uscì di getto quella frase, un vomito di parole
incontrollate. Mi
morsi subito il labbro inferiore, tornando a guardare il televisore
perchè il suo sguardo era diventato insostenibile.
«Cosa intendi?» il suo tono si era ammorbidito.
Mi ero ammutolita e paralizzata, mi sentivo ingessata dalla testa ai
piedi. Lo guardavo sottecchi ma non riuscivo né a dire
né a fare
nulla. Federico si passò una mano tra i capelli e
scivolò verso di
me abbracciandomi. Ancora. Cercai di divincolarmi,
ma lui era
troppo forte. Sentii le sue labbra poggiarsi sulla mia fronte,
facendole scendere verso l'orecchio.
«Io non illudo mai le persone» mormorò
mandandomi in estasi.
Mi voltai lentamente trovandomi il suo viso ad una distanza troppo
ridotta per i miei gusti. Meidei, meidei! SOS, qualcuno mi
aiuti!
Mi accarezzò la guancia sorridendomi. 1 battito
perso. La sua
mano sgusciò poi verso i mie capelli e sentivo le sue dita a
contatto con la nuca che mi spingevano verso di lui. 2
battiti
persi. L'altra sua mano libera si posizionò sulla
mia coscia. 5
battiti persi. Il suo viso si avvicinava inesorabile al mio e
sentivo il suo respiro caldo misto ad uno squisito profumo fruttato.
Stavo per dare il mio primo bacio. A Federico Abbate, impossibile!
3567845 battiti persi.
Defibrillatore, stiamo perdendo la paziente!
Dischiusi le labbra pronta a quella nuova esperienza. Mi sentivo
eccitata, scombussolata, impaurita, tremante e qualsiasi altra cosa.
Eravamo a pochi millimetri di distanza, un momento che non avrei mai
voluto dimenticare. Anzi, meglio di sì.
«Che cosa succede qui?»
La voce scocciante di Raffaele si insinuò nelle mie orecchie
interrompendo il mio primo stupidissimo bacio. Federico
appoggiò la
fronte alla mia sorridendo.
«Direi di rimandare» mormorò.
Smell mi scansò violentemente sedendosi tra me e Federico
con una
mega ciotola di popcorn che appoggiò sul suo pancione
gravido,
impossessandosi anche del telecomando finendo su uno stupido show
comico, di quelli che lo facevano sbellicare dalle risate e spargere
pezzettini di patatine bavosi ovunque. Non lo sopportavo.
«Tu chi sei?» domandò d'un tratto,
squadrando Abbate con uno
sguardo assassino da fratello maggiore geloso.
«Federico» rispose timidamente.
Raffaele mi lanciò un'occhiata maliziosa, lanciandomi
bacini. Ancora
si ricordava quello stupido sogno in cui chiamavo Abbate. Lo
odiavo, punto.
«Sei il suo ragazzo?» gli domandò poi.
Federico deglutì e con gli occhi cercava il mio sguardo.
Sorrise
scuotendo la testa. Raffaele appoggiò la sua ciotola sulle
mie
gambe, alzandosi a guardarlo. Seduto era più alto di mio
fratello.
«Sicuro?» chiese ancora.
«Penso proprio di sì» rispose con le
sopracciglia aggrottate.
Raffaele socchiuse gli occhi trafiggendolo con lo sguardo.
«Sono stato sedicenne prima di te e so cosa vuoi fare con mia
sorella. Se la fai soffrire te la vedrai con la mia mazza da
baseball» lo minacciò puntandogli un dito ciccione.
«Da quando fai il fratello geloso?!» sbottai io.
«Tu non ti intromettere» mi indicò con
due wusteroni che dovevano
essere il medio e l'indice, tornando poi a guardare Federico.
«Ci vuoi solo far sesso, vero?! Sono stato quindicenne prima
di te!»
Nascosi il volto paonazzo tra le mani. Perchè mio fratello
era così
stupido?!
«Partendo dal fatto che ho diciotto anni» sorrise,
visibilmente in
soggezione Federico «Credo di non essere quel tipo di
ragazzo»
Si alzò dal divano prendendo la sua borsa e rivolgendomi un
sorriso
prima di avvicinarsi alla porta. Scattai in piedi anche io.
«Vengo con te!» esclamai.
Sarei andata perfino nel fango piuttosto che rimanere con Smell dopo
quel momento iper imbarazzante. Presi la giacca dall'appendiabiti
vicino la porta e lo raggiunsi sul pianerottolo, sotto lo sguardo
intimidatorio di Raffaele. Si era accorto di essere mio fratello
maggiore proprio nel momento sbagliato.
«Sei uno scemo» gli dissi mentre camminavamo verso
la palestra dove
si allenava il mercoledì.
«Perchè?» mi guardò dubbioso.
«Cavoli, sembri uno Yeti e hai paura del mio grasso e basso
fratello?!» sbottai.
Federico scoppiò a ridere e mi prese per mano. Ogni piccolo
contatto
con lui mi faceva avvampare, anche solo il tocco dei suoi
polpastrelli. Deglutii, cercando di mantenere il self-control, anche
se era molto più semplice pensarlo che farlo.
«Non conosci l'ira dei fratelli maggiori»
bisbigliò ridacchiando
«Una volta il fratello di una mia ex mi ha sorpresa in camera
con
lei senza maglietta. Mi ha cacciato fuori rincorrendomi con una
sedia!»
«Si sarebbe frantumata su di te» commentai
«Il fatto è che tu sei
un fifone!»
«Vero! Però anche tu avresti fatto lo stesso se ti
minacciavano con
una mazza. Quella fa male! Chissà quanti fidanzati ha
cacciato con
quell'arnese!»
«Non mi ha mai...beccata» tentennai.
«Cosa hai intenzione di fare con me in palestra?»
chiese dubbioso.
Già, non avevo messo in conto il piccolo enorme problema
della noia.
Di fare una corsa sul tapis roulant non ne avevo la minima voglia, di
ciclette non ne volevo vedere e di aerobica non se ne parlava.
«Se vuoi c'è un bar. Puoi bere qualcosa
lì. Ti posso presentare
anche qualche amica, così stai con loro» propose.
La parola amiche, associata a quel ben di Dio che
era
Federico, non mi piaceva affatto e mi faceva ingelosire, anche
troppo.
«C'è una ragazza che ti piacerà
sicuramente! È davvero
divertente!» esclamò aprendo la porta della
palestra e facendomi
entrare «Il bar è lì in
fondo» continuò indicando una serie di
tavoli e un bancone in stile americano «Aspettami
qui» e mi diede
un bacio sulla guancia.
Raggiunsi i tavoli di metallo e mi guardai intorno. No, quello non
era per nulla il luogo adatto a me. Donne toniche e magre, uomini con
muscoli da wrestler, schiamazzi. Mi sentivo spaesata e quegli sguardi
dubbiosi rivolti a me non mi piacevano affatto. Quegli occhi
sconosciuti si stavano sicuramente chiedendo che cosa ci facesse un
bradipo in una palestra.
Unii le mani dietro la schiena dondolandomi avanti e indietro sui
piedi guardando dritto davanti a me speranzosa di vedere arrivare
Federico con la sua amica. Mi illuminai quando lo vidi avvicinarsi
insieme ad una ragazza molto più bassa di lui con i capelli
neri
raccolti in una coda alta, un top rosa che mostrava la pancia piatta e
un paio di leggins grigi. Spalancai gli occhi e la bocca quando
furono abbastanza vicini da distinguere i lineamenti inconfondibili
della moretta.
«Alice!» disse sorpresa «Cosa ci fai in
palestra?!» ridacchiò.
«Ben» dissi sbalordita. Non dissi nient'altro, le
parole mi erano
morte in bocca.
«Vi conoscete?» esitò stranito Federico.
«È la mia migliore amica» rispose Germa
abbracciandomi.
Mi lasciai trasportare dall'ondeggiare della mia amica, ero
paralizzata da quella sconvolgente scoperta.
«Come è piccolo il mondo!»
osservò divertito lui.
«Un buco direi» commentai a denti stretti.
«Io vi lascio qui. Sono già in ritardo
di» prolungò quella
monosillaba «cinque minuti e sto seriamente rischiando la
vita e domenica ho una gara.»
Abbracciò Benedetta e sentivo un istinto omicida in me
crescere a
dismisura. Se il tavolo non fosse stato troppo pesante per le mie
braccia flosce lo avrei scagliato contro quei due. Appena Federico si
girò verso di me, sorrisi falsamente e credo che era anche
visibile,
dato che sembrava il sorriso di una con il volto di plastica. Si
avvicinò a me stringendomi per i fianchi. Mi
passò una mano tra i
capelli e sfregò il suo naso contro il mio. Mi strinse le
mani
dandomi un bacio sulla fronte e iniziavo a sentirmi come un gelato
abbandonato in un deserto.
«Ci vediamo dopo» sussurrò.
«Credo che questo ad Edoardo non piacerà
affatto»
La voce tagliente di Benedetta fece mutare lo sguardo dolce di
Federico in uno dubbioso e leggermente accigliato.
«Edoardo?!» ripetè indignato
«Chi sarebbe?!»
«Rischi la vita!» gli ricordai in una cantilena
spingendolo per
farlo allontanare da me.
Perchè Germa aveva la lingua più veloce del
cervello? Glielo avevo
sempre detto di collegare le due cose prima di parlare, ma ancora non
aveva imparato.
«Rispondi alla domanda. Chi è Edoardo?!»
riprese con tono duro.
Avrei fatto meglio a fingere di svenire, ma in quel momento non ci
riuscii. Annaspavo e basta, in preda ad una specie di crisi di
panico.
«Sei geloso?!» gli domandò d'un tratto
Benedetta, cingendomi una
spalla.
«Non sono geloso!» ribattè
istantaneamente Federico, rosso in
volto.
«Allora che ti importa di chi è
Edoardo?» continuò Germa ignara
del caos che stava creando in quel momento. Caos generato dalla mia
stupidissima bugia.
«Semplice curiosità» tentennò.
«Il suo quasi ragazzo» tagliò corto
Benedetta con un sorriso.
Federico si passò una mano sul mento, rabbuiandosi.
«Io vado» disse poi in tono basso lasciandoci a
passo svelto.
Avrei voluto fermarlo, ma ero congelata nella stretta di Germa, le
gambe erano diventate un tutt'uno con il pavimento. Senza rendermene
conto mi sedetti ad un tavolo insieme alla mia amica. Aveva rovinato
tutto, ma non potevo darle la colpa. Se qualcuno aveva sbagliato
quella ero io. Se non avessi detto a nessuno di Edoardo ora non mi
ritroverei in quella situazione, ma tra le braccia di Federico a
limonare con lui.
«Non si flirta in questo modo alle spalle del proprio
ragazzo» mi
rimproverò seria Benedetta «Soprattutto con il
ragazzo che piace
alla tua migliore amica»
Mi risvegliai d'improvviso quando sentii quelle parole.
«Co-come?» balbettai attonita.
«Ti ricordi il ragazzo tenerissimo e bello da
paura?» mi guardò
maliziosa.
«Federico?» chiesi, anche se la risposta era
abbastanza ovvia. E
dolorosa.
Benedetta annuì felice, stringendomi le mani sopra il tavolo.
«Non sapevo che lo conoscevi!» cinguettò
«A saperlo ti avrei
chiesto di aiutarmi a conquistarlo!»
Sorrisi non convinta. Non solo Edoardo mi stava rovinando la
giornata, ma Bendetta, la mia migliore amica, era innamorata persa
del ragazzo che piaceva anche a me e che era assolutamente incavolato
con me. Poteva esserci qualcosa di peggiore, oltre, ovviamente, a mio
fratello?! No, non credo proprio.
«Visto che è un tuo amico, che ne diresti di
mettere una buona
parola su di me?» mi fece l'occhiolino.
La mia faccia, contrita in una smorfia incredula e disperata allo
stesso tempo, si mosse al ritmo di un sì. In quel momento
capii che
ero sorprendentemente ed inevitabilmente scema.
«Grazie, grazie, grazie!» esclamò,
gettandosi sul tavolo e
abbracciandomi all'altezza del collo. Se stringeva di più e
mi
strangolava sarebbe stato meglio.
«Quanto è bello, vero?!»
«Sì» risposi flebilmente.
Bello, dolce, sensibile, simpatico e questo bellissimo pacchetto all
inclusive poteva essere mio. Mi maledissi mentalmente ogni secondo.
Non rimasi nemmeno venti minuti in quel bar perchè me ne
andai
prima, salutando senza entusiasmo Benedetta e lasciandola da sola al
suo allenamento visivo a squadrare Federico.
«Ieri mi ha riaccompagnata a casa!»
esclamò soddisfatta Benedetta
a Cristina. Come poteva andare d'accordo con quella civetta?
Io, purtroppo, mi trovavo in mezzo a quei due fuochi che non facevano
altro che parlare di ragazzi e di Federico. Il mio Federico.
Nemmeno quando l'inutile assemblea d'istituto iniziò, le due
non
smisero di ciarlare neanche un secondo. Con tutta la buona
volontà
che ci mettevo, non riuscivo a non ascoltare i loro discorsi, in
cerca di qualche particolare su Federico, semmai l'avesse baciata,
corteggiata o chessò io. Gelosa non era il termine adatto
per
descrivermi in quel momento. Ero più che gelosa! Mi imposi
di
ascoltare i rappresentanti di istituto che disquisivano sui problemi
della scuola, dalla carta igienica mancante nel bagno delle ragazze
ai preservativi disseminati in quelli maschili.
Dopo un'ora di questi discorsi, Camilla Scaramella, una ragazza del
quinto con i capelli paglierini, gli occhiali spessi e qualche chilo
di troppo prese la parola attirando su di sé l'attenzione
con un
sonoro Ehi! Il brusio che fino a quel tempo regnava
si smorzò
e anche Cristina e Benedetta smisero di parlare. Finalmente.
«Quest'anno abbiamo introdotto una novità per i
ragazzi del
terzo-quarto-quinto anno» esordì soddisfatta
«Una cosa molto
american-style»
Quel termine mi inquietò.
«Tra poco è San Valentino, giusto?!»
Un sì si levò alto
nell'auditorium all'udire quella festa da
me mai festeggiata e che quindi ritenevo assolutamente inutile, una
trovata per spillare soldi a dei poveri fessi.
«Abbiamo deciso di organizzare una festa di San Valentino,
qui a
scuola. Saranno ammesse solo ed esclusivamente le coppie! Chi
sarà
da solo non potrà partecipare!»
Erano tutti entusiasti di quella notizia. Quale ragazza, vedendo i
telefilm o i film made in USA, non aveva sognato di partecipare ad un
romantico ballo scolastico? Perfino io mi ero immaginata in una
situazione del genere insieme a Davide. Ma era ovvio che io non
potevo partecipare e la cosa non mi dispiaceva nemmeno molto. Inutile
mentire. Mi rattristava e tanto. Per prima cosa partecipare ad un
ballo sarebbe stata una bella esperienza, poi festeggiare almeno una
volta San Valentino mi sarebbe piaciuto. Perchè,
sì, la critico, ma
anche io faccio parte dei fessi. L'unica cosa è che non ho
mai avuto
l'occasione di spendere soldi.
«Un ballo!» cinguettò felice Benedetta.
«Oddio che idea fantastica!» esclamò
Cristina elettrizzata.
«Così potrò conoscere
Edoardo!» disse Germa assecondata dallo
sguardo furbo della Cariati.
«Penso proprio che non verrò» sorrisi
flebilmente. Avevo ben altri
problemi per la testa, in realtà solo uno: chiarire con
Federico.
«No!» urlò perentoria Benedetta
«Tu vieni, punto e basta»
«No davvero, non mi va e non mi sento bene» mentii.
«San Valentino è tra due settimane. Già
sai che starai male?!»
ribattè la mia amica nervosa.
«Ciclo» risposi.
«Non cercare di prendermi per i fondelli con la scusa delle
mestruazioni» si portò le mani sui fianchi
«Io e te abbiamo quasi
lo stesso ciclo. A fine mese!»
Troppo attenta ai particolari per i miei gusti.
«Forse Edoardo non può venire»
miagolò Cristina con finti occhi
dolci «Come può un principe uscire da una favola?
Non è Come
d'incanto» si stava chiaramente prendendo gioco di
me.
«Alice» Benedetta mi guardò seria,
penetrante, arrabbiata «Edoardo
esiste, vero?» sembrava quasi una supplica.
Inspirai ed espirai più volte.
«Certo che esiste!» esclamai indignata.
Subito un sorriso si disegnò sulle labbra di Benedetta e lo
sguardo
furbo di Cristina si spense. Che soddisfazione.
Il guaio era che avevo creato un bel pasticcio da cui non sapevo come
uscire.
__________________________________________________
Buona
domenica a tutti!
Capitolo di svolta! Troppo
veloce? Forse, ma non volevo perdere troppo tempo su Alice e
Federico e i loro pomeriggi in biblioteca. Penso magari che
farò qualche missing moments per questi due ragazzotti. Nel
prossimo capitolo, se non ho fatto male i conti, dovrebbe arrivare
Edoardo, finalmente. Già c'è un bel casino per
Alice: ha "litigato" con Federico e dovrà andare ad una
festa degli innamorati nonostante non abbia un fidanzato.
Vi starete chiedendo che
fine ha fatto Davide. Tornerà, anche lui avrà la
sua bella parte nella storia u.u
I soliti ringraziementi
a tutti quelli che hanno inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate, a nes_sie per la recensione e a tutti
quelli che leggono solo.
Vi ricordo, come sempre,
che le foto e gli spoiler della storia li troverete sul mio profilo di
Facebook.
Ho fatto una gif su Alice *-*
Un bacio ♥
|
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Capitolo 5 *** L'ultima spiaggia ***
C
a p i t o l o 4
L'ultima spiaggia
Speravo che quello che
era accaduto il giorno prima fosse stato solo
un brutto incubo, ma, purtroppo per me, dovetti piegarmi, a malincuore,
alla dura
realtà. E da quel giorno la mia vita sarebbe stata
sempre più in discesa, fino ad arrivare al limite e
precipitare
definitivamente in chissà quanto tempo. Avevo perso l'unico
ragazzo
di cui mi ero veramente invaghita.
Avevo sempre pensato
che fingere mi risultava facile, ma come avrei
fatto a continuare a mentire? A far finta di nulla mentre la mia
migliore
amica conquistava il ragazzo dei miei sogni, mentre lui cascava tra
le sue braccia, mentre loro due sarebbero diventati i coniugi Abbate
e a far da madrina ai loro cinque figli?!
Scossi violentemente
la testa per scacciare via quei pensieri che mi
avevano rabbuiato. Percorsi a passi piccoli il corridoio raggiungendo
la macchinetta. Alla seconda ora di lezione non c'era quasi nessuno
fuori dalle aule, tranne alcuni che erano sgattaiolati via con la
scusa del bagno, come avevo fatto io. In realtà volevo solo
bere un
cappuccino da sola. Selezionai la bevanda e attesi che fosse pronta,
accompagnata dal fruscio della macchinetta.
Se
qualcosa può andare male, lo farà
Murphy e la sua legge avevano ragione. Non solo avevo perso il ragazzo
che mi piaceva e non avevo la benchè minima idea di come
chiarire
con lui, ma si era aggiunta a questa catastrofe anche la stupida
festa di San Valentino a cui dovevo partecipare anche se non sapevo
con chi. Cosa avrei fatto, mi sarei presentata lì dicendo
che
Edoardo aveva avuto un attacco di dissenteria acuta pochi minuti
prima dell'inizio della festa?
Sorrisi. Inutile piangere e disperarsi, ormai la frittata era stata
fatta, sia con Federico che con Edoardo. Avrei dovuto dare ascolto a
mia madre e al mio parroco, Mai mentire. Primo, le
bugie hanno
le gambe corte e fanno poca strada, e soprattutto si ritorcono contro
di te, come stava accadendo.
Un fischio acuto mi avvisò che il mio cappuccino era pronto.
Alzai
lo sportello per prenderlo ma il bicchiere di plastica trasparente
era colmo, tanto che la schiuma mi ustionò i polpastrelli.
Cercai di
salvare il salvabile, girandomi di scatto per poterlo appoggiare da
qualche parte, ma, ovviamente, ci doveva essere qualcosa che andava
storto.
Se qualcosa può andare male, lo farà.
Il bruciore sulle dita era troppo intenso e ne rovesciai più
della
metà. Per terra?! No, addosso a qualcuno. E quel qualcuno
non era,
sfortunatamente Cristina o Francesca, ma bensì Davide
Saronno.
Giornata spettacolare!
«Oh mio Dio scusa!» trillai subito, portandomi la
mano libera sulla
bocca.
Il mio cuore aveva preso a galoppare e il rossore si era espanso
anche alle orecchie. Pensavo che ora questo effetto collaterale lo
procurasse solo Abbate, che ormai avevo superato la fase Saronno
perchè entrata in quella Federico. Invece, Davide continuava
ad
affascinarmi, forse per il fatto che era il ragazzo irraggiungibile,
il protagonista delle mie favole d'amore che mai si sarebbero
realizzate.
Il mio sogno proibito.
Lui si guardò la felpa verde indignato e mi
fulminò con i suoi
occhi azzurri.
«Scusa, non l'ho fatto a posta, non ti avevo visto e il
cappuccino
bruciava, volevo solo appoggiarlo...» presi a parlare e non
riuscivo
a smettere di dire parole una dopo l'altra che se riascoltate
lentamente, non formavano di certo una frase di senso compiuto.
«Ok, ok, ok!» m'interruppe Davide, socchiudendo gli
occhi quasi per
ricacciare indietro il nervoso. O per non vedermi e farsi prendere
dalla voglia di pestarmi «Taci un attimo» disse
brusco.
Mi ammutolii e mi irrigidii, assumendo un aspetto da spaventapasseri.
«Dimmi la verità» riprese subito dopo,
guardandomi con sguardo
sensuale e un sorriso di sbieco che mi fece perdere il respiro
«Stai
cercando di attirare la mia attenzione?»
Farfugliai qualcosa, qualcosa che avrebbe dovuto descrivere la mia
perplessità.
«Non fare la finta tonta, RovesciaCappuccini»
si avvicinò
di qualche passo a me «Cadi dalle scale mentre ti passo
accanto, mi
vieni addosso sull'autobus, mi macchi. È chiaro che tu stia
cercando
di attirare la mia attenzione»
Abbassai prontamente gli occhi, torturando una ciocca di capelli. In
quel momento decisi che non avrei mai più bevuto un
cappuccino, ma
solo caffè espresso. Un altro passo verso di me. Alzai di
poco lo
sguardo, qual tanto che bastava per vedere che si stava togliendo la
felpa, rimanendo in una succinta e attillata maglietta bianca che
mostrava il suo fisico sportivo e che fece piroettare, oltre alla mia
testa, anche gli ormoni.
«Le ragazze goffe hanno sempre uno strano fascino»
disse «E anche
quelle timide. Sono tutte da scoprire e sono sempre loro ad essere le
più maliziose» si leccò un labbro.
Ok, quello era davvero troppo per le mie coronarie. Scivolai via dal
suo sguardo e a passo svelto mi avviai verso la mia classe.
«Perchè scappi così, guarda che non
mangio!» esclamò,
costringendomi a voltarmi e a tuffarmi nuovamente nelle sue iridi
cristalline.
Tanto ero presa a guardare quel gran bel pezzo di ragazzo che era
Saronno, che non mi accorsi della colonna che si schiantò
contro la
mia guancia. Il sorriso che fino a poco prima mi aveva rivolto Davide
si trasformò in una risata. Quella era sicuramente l'unica
scuola al
mondo dotata di pilastri nel bel mezzo di un corridoio. Distolsi lo
sguardo rapidamente e ripresi a camminare, nell'imbarazzo
più
totale, con la guancia dolorante.
Non sapevo se quello che stavo facendo era la cosa giusta. Rimasi
davanti alla porta qualche minuto, stringendomi le mani e soffiandoci
sopra per riscaldarle. Dovevo fare finta di nulla, giusto? Entrai in
biblioteca e raggiunsi l'ultimo piano, trovandolo lì,
piegato sul
quaderno con la lingua di fuori mentre cercava di disegnare un
grafico. I suoi occhi guizzarono verso di me, poi sul quaderno e
nuovamente su di me accorgendosi solo in quel momento che si trattava
della sottoscritta.
«Ciao» disse flebilmente.
Feci due passi lunghi avvicinandomi alla sedia che stava di fronte a
lui.
«Posso?» domandai indicandomela. Lui
annuì, tornando alle sue
funzioni.
«Come va?» mi chiese scrutando a fondo l'iperbole
appena conclusa,
con tono poco interessato.
«Bene» risposi con la stessa tonalità
«Te?»
La tensione tra noi due era palpabile, eravamo come due semplici
conoscenti che dovevano parlarsi perchè erano le circostanze
ad
obbligarli.
«Bene» disse, prestando più attenzione
all'aritmetica che a me.
Sospirai, affranta e ormai priva di qualsiasi speranza di poter
ricucire un rapporto con lui. Estrassi dallo zaino il libro di
storia, anche se la voglia di studiarla era pari a zero. Sottolineai
praticamente tutto il paragrafo, non leggendo veramente quello che
c'era scritto, più interessata a Federico. Qualche volte
alzavo lo
sguardo per vedere che cosa stesse facendo, ma i suoi occhi erano
sempre puntati sui fogli quadrettati.
Dovevo farmene una ragione e basta e prestare più attenzione
alla
scuola se non volevo essere bocciata. Mi imposi di apprendere qualche
nozione storica e ci stavo mettendo tutto l'impegno possibile, quando
Federico interruppe quel momento di studio.
«Mi spieghi perchè mi hai mentito?»
domandò, guardandomi con
sguardo severo.
«Riguardo a cosa?» feci finta di non capire.
«Mi avevi detto di non avere il ragazzo»
Rotei gli occhi, tamburellando con la matita. Mi sentivo percorsa da
piccole scosse che dalla spina dorsale raggiungevano ogni minima
parte del mio corpo.
«Non ti ho mentito» dissi in un soffio.
Lui si aprì in un sorriso incredulo e mi lanciò
uno sguardo che mi
raggelò.
«A che gioco stai giocando, Alice?»
«Un, due, tre stella?!» sorrisi, sperando che anche
lui facesse lo
stesso.
Già le mie battute erano orribili e nessuno rideva mai, in
più mi
uscivano dalla bocca nei momenti meno opportuni, come quello.
«Non è il momento di scherzare» mi
guardò in un misto tra
irritazione e delusione.
«Non sto giocando a nulla» risposi, stando sulla
difensiva. Mi
sentivo come un piccolo pesce nella vasca di uno squalo pronto a
mangiarselo.
«Perchè allora non mi hai detto la
verità!» piagnucolò
guardandomi con i suoi meravigliosi occhi da cucciolo.
«Non ti ho mentito» risposi, secca, decisa per la
prima volta e
questa mia sicurezza traspariva anche dal mio sguardo.
«E allora chi è Edoardo?»
«Lasciamo stare» lo pregai.
«Perchè non mi vuoi dire chi
è!» mi supplicò con qualsiasi parte
del suo corpo.
«Senti, non ho voglia di parlarne e sarebbe complicato da
spiegare,
quindi che ne diresti di cambiare argomento?» sorrisi
falsamente.
Lui mi guardò per qualche secondo, poi annuì con
rassegnazione,
tornando a fare i compiti di matematica. Rimasi a fissarlo mentre
muoveva la penna su e giù sul foglio, senza però
scrivere nulla.
Una giornata da eliminare dal mio calendario della vita.
«Sai che Benedetta ti viene dietro?» sussurrai.
Federico, piegato sul quaderno, si limitò a scrollare le
spalle.
«Lo immaginavo» rispose monotono.
«È carina» continuai.
Ogni sciocchezza che dicevo mi affondava sempre di più verso
il
baratro dell'idiozia. Ero cotta di lui, eppure cercavo di convincerlo
della bellezza di Germa. Avrei dovuto ricevere il premio Nobel per
la scemenza, nessuno mi batteva in questo campo.
«Abbastanza» piegò gli angoli della
bocca.
«Fareste una bella coppia» azzardai, ma mi morsi la
lingua subito
dopo.
Stupida, stupida, stupida!
In un secondo annegai nello sguardo stizzito di Federico che si era
finalmente alzato da quel quaderno di matematica nei confronti del
quale stava nascendo un'insensata gelosia. Sorrise sghembo, scuotendo
lievemente la testa. Chiuse quaderno e libro con un tonfo infilandoli
nella cartella.
«Non ti capisco Alice. E non credo nemmeno di volermi
impegnarmi
troppo in un'impresa che so già che non porterò a
termine» mi
disse con rammarico, alzandosi e raccattando il suo zaino
«Ciao
Alice» mi salutò di sfuggita, prima di lasciarmi
da sola, seduta a
quel tavolo, incredula e delusa.
Perfetto!
Avevo perso per la seconda volta Federico, che si era incaponito e
non rispondeva ai miei SMS. In più non avevo la minima idea
di come
affrontare il problema Edoardo e festa-di-San-Valentino. Dovevo
trovare qualcuno che si fingesse lui, ma chi? Io non conoscevo
nessuno! Escludendo Federico a priori, avrei potuto puntare su mio
fratello, ma non glielo avrei chiesto nemmeno con una pistola puntata
alla tempia, primo perchè era un cesso assurdo, secondo
perchè
Benedetta lo aveva conosciuto e quindi sapeva che volto –
brutto –
avesse Raffaele. Quindi, sì era prorpio un brutto periodo
per me.
«Alice sei tra noi?!» domandò Claudia,
sventolandomi una mano
davanti agli occhi mentre camminavamo verso l'uscita della scuola.
«Sì, più o meno» mi affrettai
a rispondere.
«Dicevo» riprese l'amica dai capelli rossi
«che tu sei la più
fortunata perchè sei l'unica che ha un ragazzo che
l'accompagna alla
festa!» sbuffò sonoramente stringendo le spalline
dell'Eastpack.
Assottigliai lo sguardo, ammosciando le spalle sconsolata. Avrei
volentieri ceduto il mio fidanzato immaginario a loro due,
così se
la sarebbero sbrigate loro con Edoardo, che con la sua inesistenza
stava creando troppi guai per i miei gusti.
«Molto fortunata» commentai poco convinta.
«E fa anche la scocciata!» si lamentò
Benedetta spingendomi di
lato e facendomi sbattere contro la spalla di Claudia.
«Scusa, ma tu puoi chiedere a Federico» le ricordai
a malincuore.
«Non mi caga! Mi considera solo come un'amica»
ribattè.
«Bè almeno tu hai qualcuno a cui chiedere, io
nemmeno quello!» si
lamentò Claudia.
Sembrava una gara a chi fosse più sfigata de entrambe
continuavano ad
aggiungere motivi per risultare la vincitrice. Anche se quel premio,
contrariamente alle loro aspettative, toccava a me di diritto.
«Credo che non verrò»
continuò la rossa, stringendosi nelle
spalle appena messo piede fuori.
«No tu devi venire!» esclamò Benedetta,
afferrandole le mani.
«Ok, vengo, magari Charlie Brown accetta di
accompagnarmi» ribattè
sarcastica Claudia «Come posso venire?»
Germa incurvò le spalle, affranta. Poi si fermò
di colpo con aria
soddisfatta, battendo il pugno sul palmo della mano.
«Il fratello di Alice!»
«Non ti conviene!» mi affrettai a dire
«Se lo conosci ti verrà
voglia di farti suora»
Claudia sembrò non aver ascoltato le mie risposte e meditava
sulla
soluzione suggerita da Germa.
«Non è una cattiva idea!» disse con una
mano sul mento.
«No, credimi, è pessima» l'avvisai io.
«Non potrà essere mica così
orribile!» esclamò la rossa «E tanto
poi è solo una festa. Lo uso solo come
lasciapassare» sorrise
sorniona.
Alzai le braccia e le feci ricadere sonoramente lungo i fianchi. Io
avevo cercato di avvertirla, ma lei aveva preferito non ascoltarmi.
Cavoli suoi!
Benedetta sbuffò non appena guardò il parcheggio
vuoto dove
solitamente lasciava il suo motorino. Da due giorni a quella parte
avrebbe dovuto prendere l'autobus come noi comuni mortali
perchè il
suo adorato mezzo a due ruote aveva problemi ai freni. Durante tutto
il tragitto verso il cancello, nessuno di noi parlò, troppo
traumatizzate da quella inutile festa di San Valentino.
Mi fermai all'improvviso, lasciando che qualche ragazzo mi sbattesse
contro. Ma non mi importava, era molto più importante quello
che
c'era davanti al cancello. Anzi, chi
c'era. Accennai un sorriso e mi
portai una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Timidamente alzai una
mano per salutarlo e Federico, appoggiato alla sua 125, mi rispose
con un gesto della testa. Si staccò subito dopo, con il
casco tra il
braccio e l'avambraccio, avvicinandosi a me. Sapevo che non sarebbe
riuscito a stare arrabbiato con me, me lo sentivo fin dentro le ossa.
Ero pronta ad accogliere il suo abbraccio, intimidita, imbambolata
con le braccia aperte e gli occhi socchiusi. Quando, però,
non sentii
le sue mani sulla schiena, mi voltai per assistere ad una scena da
fil horror. Federico stava abbracciando una sorpresa Benedetta, che
per un primo momento era rimasta con le braccia penzoloni, per poi
ricambiare quella stretta.
«Cosa ci fai qui?» domandò al settimo
cielo.
«Oggi hanno fatto occupazione da noi e quindi niente lezioni.
Ho
pensato che venirti a prendere fosse un gesto carino» le
sorrise,
come già aveva fatto con me.
Io li guardavo, congelata, immobile, percorsa da una gelosia profonda
che si era ormai mischiata al mio sangue.
«Grazie» rispose imbarazzata Benedetta, dondolando
da un piede
all'altro.
Federico le strinse la spalla, spingendola verso la sua moto. Ad ogni
passo le schioccava un bacio tra i capelli. Mi passarono accanto e la
mia amica mi guardò entusiasta, con gli occhi lucenti. Le
sorrisi,
anche se in realtà avrei voluto urlare fino a farmi perdere
la voce.
Seguii ogni loro passo verso la moto con sguardo assassino e furioso.
Chi un giorno mi aveva detto che non illudeva le persone? Ah, si. Un
certo Federico Abbate, lo stesso ragazzo che non aveva voglia di
capirmi. Nemmeno io volevo comprendere chi fosse, ormai non mi
interessava più. Potevo benissimo capire che lui c'era
rimasto male
per il mio fidanzamento con Edoardo, ma dimenticarsi di me nel giro
di nemmeno 48 h era assurdo.
Mia madre aveva assolutamente ragione: gli uomini erano stronzi. Fino
a quel momento non capivo perchè li offendesse in quella
maniera, ma
ora che Abbate aveva appallottolato il mio cuore e ci stava giocando
a calcio, compresi il suo astio nei confronti dell'altro sesso.
Appena arrivata a casa mi fiondai nella mia stanza sotto lo sguardo
perplesso di mia madre. Mi gettai sul letto, nascondendo il viso nel
cuscino e piansi. Quella era la prima volta che piangevo per un
ragazzo, solitamente lo facevo solo per i film romantici. Ma ora, non
ero più la spettatrice, ma bensì la protagonista.
Sentii il letto affossarsi verso destra, poi una mano che mi
accarezzava i capelli.
«Cosa succede tesoro?» mi domandò
dolcemente mia madre.
«Avevi ragione» risposi con la voce ovattata.
«Su cosa?»
«Gli uomini sono stronzi»
Ormai mi ero arresa all'idea che ben presto Benedetta e Federico
avrebbero fatto coppia fissa. Ogni secondo avevo paura che il mio
telefonino squillasse ed emettesse la voce gioiosa di Germa che mi
avvisava del suo nuovo boyfriend. Oltre al fatto che la mia migliore
amica ben presto si sarebbe messa con il ragazzo che mi piaceva, la
cosa peggiore era che io avrei dovuto far finta di niente, anzi,
apparire felice davanti ai miei due migliori amici. Non so se sarei
riuscita in quell'impresa.
Per non parlare poi del problema Edoardo. Mancavano meno di 11 giorni
a quella festa ed io non avevo uno straccio di ragazzo. E se avessi
chiesto aiuto a Raffaele?
Ero accoccolata sul divano a guardare un film insieme a mio fratello
e continuavo a guardarlo in cerca del coraggio per chiedergli un
consiglio, anche se lui non era esattamente la persona adatta.
«Perchè mi fissi?» domandò
brusco.
Tentennai qualche attimo, passandomi le mani tra i capelli.
«Allora» cominciai intimidita
«È una domanda un po' sciocca, solo
una curiosità» avevo la voce tremante.
«Muoviti, che sto perdendo tutto il film» mi
incalzò svogliato.
«Ma tu, se per caso dovessi fingere di essere fidanzato, ma
in
realtà non hai la ragazza, come faresti?»
Lui mi guardò dubbioso e io gli sorrisi, cercando di
apparire il più
tranquilla possibile.
«Che razza di domanda è?!»
sbottò d'un tratto.
«Si fa per parlare!» risposi inacidita.
«Ci sono tanti argomenti di cui parlare»
«Rispondi e basta!» gridai.
Lui alzò le spalle, assumendo un'espressione di
rassegnazione. Per
fortuna che non era per nulla sveglio e non gli sarebbe minimamente
passato per la testa di pensare che io avessi bisogno di un
fidanzato.
«Pagherei qualcuno» rispose.
«In che senso?» chiesi curiosa e dubbiosa allo
stesso tempo.
«Un'accompagnatrice» spiegò con le
virgolette.
Rimasi un attimo sconcertata, quasi imbarazzata da quella proposta.
Non volevo chiamare un accompagnatore per fingere che fosse il mio
fidanzato, ma avevo un'idea migliore? No, purtroppo e quella sembrava
essere l'ultima spiaggia.
Mi alzai di scatto dal divano, nascondendomi nella mia stanza. La
percorsi tutta un centinaio di volte, riflettendo, in cerca di
qualche altra soluzione per la mia situazione incasinata. Ma
più mi
sforzavo e più quella dell'accompagnatore mi sembrava l'idea
migliore. No, non potevo farlo! Era una cosa troppo imbarazzante!
Anche se, se non avessi trovato Edoardo, potevo ufficialmente dire
addio alla mia reputazione.
Mi sedetti alla scrivania e tremante digitai sulla tastiera:
accompagnatore. Deglutii varie volte prima di
decidermi a
premere invio. Il mio dito si muoveva a rallentatore, fino a che non
lo schiacciò. Chiusi gli occhi, in panico, per paura di
chissà cosa
potesse apparire.
Accompagnatori per signore.
Entrai in quel sito con il cuore in gola, ma fortuna per me, non
c'era nulla di scabroso, se non foto di facce e fisici scolpiti.
Oddio, lo stavo facendo davvero? Ero arrivata perfino a pagare
qualcuno per una stupida bugia? Forse avrei fatto meglio a dire la
verità e al diavolo la mia reputazione. Scossi la testa,
dovevo
farlo, assolutamente, non volevo apparire come la sfigata.
Entrai nel profilo, se così si può definire, di
tale Blaine
e sfogliai la sua galleria fotografica, nella quale non si vedeva mai
il suo viso per intero, ma solo squarci di occhi castani e profondi e
profili sfuggenti in cui non si poteva apprezzare granchè.
Le
immagini del suo fisico, invece, si sprecavano. Mi sentivo accaldata
a vedere quel corpo magro e leggermente disegnato dai muscoli. I miei
ormoni, fino a quel momento assopiti, si erano svegliati e si
facevano sentire eccome. Sicuramente stavano festeggiando con limbo e
champagne dentro di me. Mi incantai nel guardarlo e mi sentivo
tremendamente scema.
«Ciao tesoro!» mia madre comparì sulla
porta, con un sorriso
enorme.
Scattai in piedi, facendo cadere la sedia per terra e parandomi
davanti al pc. Lei aveva il brutto vizio di non bussare mai prima di
entrare ed era in grado di beccarti nei momenti meno opportuni, tipo
quello.
«Cosa stavi facendo?» domandò
sporgendosi in avanti curiosa di
sapere che cosa nascondesse il desktop.
«Nulla, perchè?» risposi facendo finta
di nulla, sembrando il più
naturale possibile, anche se o miei movimenti macchinosi erano ben
altro che naturali.
Mia madre socchiuse gli occhi, dubbiosa e sapevo che la
curiosità la
stava mangiando da dentro. Ma, con il tempo, aveva imparato a non
intromettersi nella privacy altrui, anche se le costava parecchio,
ficcanaso com'era.
«Volevo solo dirti che sono rientrata» mi sorrise e
io feci lo
stesso, salutandola poi con la mano, dicendole implicitamente di
andarsene.
Raccolsi la sedia e mi ci lascia andare sopra non appena mia madre fu
fuori. Per un momento avevo creduto di morirle davanti per un attacco
cardiaco. Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Torniamo
a
noi, pensai. Afferrai il cellulare e, esitante, digitai il
numero
di cellulare di Blaine. Lo osservai a lungo, non sapevo se realmente
volevo chiamarlo. Mi sembrava una cosa così impura e sporca.
Ma,
prima che potessi decidere realmente cosa volessi fare, il mio dito
aveva schiacciato il tasto verde di chiamata.
«Buonasera, qui parla Blaine» la sua voce calda mi
avvolse
all'istante, anche se la presentazione sembrava più di un
operatore
di una compagnia telefonica.
Farfugliai, cercando di raccattare più aria che potevo e
sventolandomi con una mano per il caldo che sentivo.
«Con chi ho il piacere di parlare?»
domandò.
Le parole facevano fatica a uscirmi dalla bocca. Ero ancora in tempo
per mettere giù quella telefonata e tornare indietro,
trovare una
soluzione migliore o venire allo scoperto.
Non ero
riuscita a chiudere quella telefonata e ora ero tesa e
nervosa seduta al tavolo della cucina che lo aspettavo per
l'appuntamento che mi aveva fissato. La cosa era complicata da
spiegare al telefono, perciò avevamo deciso di incontrarci.
E la
cosa mi rendeva ansiosa, soprattutto perchè Raffaele, di
sabato
pomeriggio, era in casa. Tamburellavo l'indice sul tavolo scandendo
il tempo che lento scivolava via.
«Ma quando arriva» sbuffai elettrica, alzandomi e
vagando come
un'anima in pena per tutta la casa.
Prima arrivava, prima gli spiegavo la situazione, prima sarebbe
arrivata la festa e prima mi sarei liberata di lui.
Suonarono al citofono e mi precipitai a rispondere. Non chiesi chi
fosse, ma gli indicai solo il piano. Mi sistemai i vestiti, i capelli
e sfoggiai un sorriso dolce. Mi posizionai davanti alla porta aperta
nell'attesa di vederlo arrivare. Quando lo vidi sbucare dalle scale,
il mio sorriso si spense. Era una presa in giro, forse? Ok che dalle
foto non si vedeva molto, ma non me lo aspettavo così
orrido. Aveva
due piccoli occhi castani circondati da fini occhiali in stile Harry
Potter, i capelli radi e di uno strano arancione spento e un fisico
secco nascosto da strati di vestiti invernali.
«Oh mio Dio» mormorai.
Mi scansai per farlo entrare e chiusi subito dopo la porta
rumorosamente. Sospirai, chiudendo gli occhi e autoconvincendomi che
lui sarebbe stato il mio fidanzato. A questo punto sarebbe stato
meglio dire la verità.
«Ciao» gli dissi cercando di essere cordiale.
«Ciao» rispose insicuro lui.
«Grazie per essere venuto»
Lui mi guardò confuso, grattandosi la testa.
«Allora, la cosa è complicata» esordii
prendendolo per un braccio
e trascinandolo sul divano «Tu sarai Edoardo» gli
dissi, vedendo
che la sua espressione di faceva sempre più perplessa.
«Sei sicura di star bene?» mi domandò
con la sua voce pecorina.
Ci guardammo ed entrambi eravamo dubbiosi. Suonarono nuovamente al
citofono e, seccata, andai a rispondere.
«Sono Blaine» mi disse.
«Quarto piano» mormorai, aprendo il portoncino.
Mi volti lentamente, rimettendo a posto la cornetta del citofono.
Guardai il ragazzo seduto sul mio divano, incurvato, che si stringeva
le ginocchia.
«Tu chi sei?» gli domandai.
«Alberto, piacere» rispose alzando una mano
«Stavo cercando
Raffaele, dobbiamo studiare insieme»
Sospirai per il sollievo di aver scoperto che quell'essere non fosse
il mio accompagnatore e gli indicai la camera di mio fratello che
raggiunse poco dopo. Mi voltai di nuovo verso la porta, adottando la
stessa procedura di prima: sistemata ai capelli, ai vestiti e
sorriso. Aprii la porta ritrovandomelo davanti in tutta la sua
mediterranea bellezza: occhi scuri e profondi in cui annegare,
capelli tendenti al nero tenuti corti e una fine barba a decorargli
le guance. Lo guardai con la bocca aperta, quasi non avessi mai visto
un bel ragazzo. Sentivo le gambe molli ed ero sicura che presto mi
avrebbero abbandonata ed io sarei collassata come un sacco svuotato
dalle patate.
Mi sorrise sensualmente e io feci lo stesso, anche se il mio era
estremamente idiota.
Ero stupita. Lui era Edoardo,
esattamente come me lo ero immaginata.
__________________________________________________________
Ciao
a tutti!
Come andiamo?!
Mi scuso per il ritardo, ma ho avuto da studiare. Ho deciso che
posterò una volta a settimana (se ci riesco, ovvio xD) e
come giorno ho scelto o il sabato o la domeinca, dipende quando
riuscirò a fare la revisione finale del capitolo.
Finalmente il sesto capitolo, molto denso e ricco di avvenimenti. Primo
tra tutti, un avvicinamento tra Alice e Davide, Federico e Benedetta e
l'arrivo di Blaine. Il prossimo capitolo, ovviamente, sarà
quasi interamente dedicato a lui *____*
Spero che vi piaccia, a me non entusiasma molto, credo che sia motlo
sotto le mie capacità. Ma questo è il meglio che
sono riuscita a scrivere.
Poi, volevo fare delle precisazioni sulla storia. È
ambientata nel mio paese, in provincia di Milano, di cui
però non dirò mai il nome, così come
del liceo che è quello che ho frequentato io. La linea 30
è l'autobus che prendevo io solitamente, anche se in
realtà ha un altro nome. Infine, la cioccolateria esiste
davvero.
Passiamo ai ringraziamenti.
Grazie alle persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 6 persone che hanno
innserito la storia tra le preferite, all'unica che l'hai
inserita nelle ricordate e alle 27
che l'hanno inserita nelle seguite e a tutte quelle che leggono e basta.
Ricordo, come sempre, il mio profilo
facebook dove potrete trovare foto e anticipazioni.
Un bacio a tutti, Manu ♥
|
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Capitolo 6 *** Gigolò ***
Ed
ecco l'attesissimo capitolo interamente dedicato al nostro caro
Edoardo/Blaine.
Nulla da dirvi, se non
buona lettura.
C
a p i t o l o 5
Gigolò
Rimasi a fissarlo per un tempo indeterminato, totalmente rapita dai
lineamenti decisi del suo viso, il naso marcato, due labbra fini che
sembravano essere di velluto, le sopracciglia folte e leggermente
arcuate che rendevano ancora più seduttivi i suoi occhi
penetranti.
Mi scansai con movimenti meccanici per farlo entrare, evitando di non
continuare a squadrarlo come una ragazzina infoiata guidata solo
dagli estrogeni. Si tolse la giacca svelando un golfino blu attillato
abbinato ad una polo azzurra, che lo rendevano altamente sexy e
desiderabile. Sempre come un automa, afferrai la sua giacca
appendendola accanto alla porta.
Mi voltai, congiungendo le mani dietro la schiena, sorridendogli,
cercando di nascondere il mio imbarazzo crescente. A giudicare dalle
mani in tasca e dal suo dondolare da un piede all'altro, non ero
l'unica ad essere intimidita. La cosa mi stranì: uno
gigolò che si
imbarazzava? C'era qualcosa che non andava. Mi sorrise di sbieco e
schioccò la lingua prima di parlare.
«Cercavo tua madre»
La sua voce, già avvolgente al telefono, dal vivo era ancora
più
sensuale. Sentivo il viso rovente come se il sole torrido d'agosto
nel bel mezzo del Sahara mi stesse colpendo in pieno.
Gli sorrisi, capendo solo in quel momento la ragione per il suo
imbarazzo: non aveva compreso che la squinternata che lo aveva
chiamato ero io. Ero sempre sul punto di dirglielo, ma le parole mi
morivano in bocca per l'imbarazzo e ne usciva solo un respiro
profondo.
«Sono un suo amico» aggiunse.
Deglutii e schioccai la lingua, prima di avvicinarmi a lui
«A-Alice» balbettai.
Blaine mi guardò con occhi spalancati e stupiti. Si
grattò una
guancia, aprendo poi la mano e massaggiandosi il mento. La
lasciò
ricadere lungo il fianco e socchiuse gli occhi, indicandomi.
«Quindi...» lasciò la frase a mezz'aria,
roteando l'indice.
Annuii, prevedendo quale fosse la sua domanda, ossia Mi hai
chiamato te. Scoppiò in un risolino divertito che
mi mise a
disagio, più di quanto già non fossi. Mi strinsi
nelle spalle,
unendo le mani sotto il ventre.
«Devo ammettere che non me l'aspettavo. Di solito le mie
clienti
sono più stagionate» disse lui, ispezionando il
pavimento di
granito del salotto, scuotendo quasi impercettibilmente la testa
«Ma
tant'è» sollevò lo sguardo immergendolo
nel mio.
Mi allungò la mano e la strinsi con poca convinzione,
sentendo la
sua pelle ruvida contro la mia provocandomi un brivido lungo tutto il
braccio.
«Blaine» sorrise, mostrando i denti bianchi e
perfetti «Alias
Dario»
Appena liberò la mia mano, la ritrassi all'istante,
racchiudendola
nell'altra. Il mio rapporto con il sesso opposto era davvero
tremendo, sembrava quasi una tortura da sopportare per me e lo capivo
ogni giorno di più. Se andavo avanti di questo passo sarei
realmente
morta vergine.
Mi morsi le labbra, dubbiosa. Mi incuriosiva il fatto che avesse
usato un nome d'arte per presentarsi su quel sito, nonostante poi
dicesse alle sue clienti il suo vero nome. Ma rimasi con la mia
sviluppata curiosità ereditata da mia madre, l'unica cosa
oltre al
sesso femminile, che, sapevo, mi avrebbe tormentato ogni singolo
istante.
Dario incrociò le braccia al petto, guardandomi con uno
sguardo
infuocato e le labbra arricciate. Se non fossi stata Alice Livraghi,
ma qualsiasi altra donna, gli sarei saltata addosso e avrei consumato
con lui. Non sapevo se quello si essere me stessa era un bene o meno.
«Allora?» incalzò lui.
«Allora cosa?» domandai confusa.
Blaine, alias Dario, mi guardò turbato con un sopracciglio
abbassato.
«Avevi detto che mi dovevi spiegare una cosa, no?!»
mi delucidò.
«Ah sì certo!» caddi dalle nuvole, il
mio luogo vacanziero preferito, e risi
nervosamente.
Quel ragazzo mi aveva frastornata talmente tanto che le mie sinapsi
non riuscivano a connettersi a dovere. Con un gesto della mano gli
dissi di seguirmi nella mia camera, l'unico posto dove potevo avere
un po' di privacy. Con Raffaele in giro e il possibile rientro di mia
madre, che non si sapeva mai quando potesse capitare, il salotto era
pericoloso, un territorio neutro in cui potevo essere liberamente
attaccata. La mia stanza, invece, era terra nemica e Raffaele non
poteva sporgere nemmeno il naso dentro di essa.
Mi richiusi la porta a chiave alle spalle, appoggiandomi contro di
essa qualche secondo, sorridendo a Dario che si era accomodato sul
mio letto.
«Prima di tutto devo farti una domanda» il suo tono
di voce era
roco e basso, rendendo la sua voce ancora più sensuale. Si
allungò
sul letto, appoggiandosi ai gomiti e facendo risalire i jeans che
lasciavano ben poco all'immaginazione «Quanti anni
hai?»
L'unica cosa che riuscii a fare era continuare a guardarlo e basta.
Non riuscivo a muovermi, non riuscivo a parlare, ero semplicemente
congelata. La domanda era stata semplice e chiara, insomma, non mi
aveva mica chiesto l'inventore della pentola a pressione! Eppure, non
riuscivo a rispondergli. I suoi occhi mi incitarono, seguito da un
gesto rapido della mano.
«Di-Di» tentennai. Chiusi gli occhi e presi un
respiro profondo,
estraniandomi completamente da quella camera e immaginando di essere
da sola «Diciassette, diciotto il 13 marzo!» dissi
tutto d'un
fiato, ridendo poi soddisfatta, non riuscendo però a
riaprire gli
occhi. Ero riuscita ad entrare in un momento di pura
tranquillità
dal quale non volevo più fuggire.
Fu un attimo che sentii dita delicate solleticarmi il braccio,
percorrerlo, passando poi al collo e fermandosi all'altezza della mia
guancia. Avrei potuto aprire gli occhi, ma erano incollati. O
semplicemente quel contatto non era per nulla spiacevole. Il pollice
mi accarezzò la gota e l'altra mano di Dario andò
a finire sul mio
fianco, spingendomi verso di lui. Ad un tratto sentii il suo bacino,
compreso il suo prosperoso allegato, sfregare contro il mio. Tremavo
e il respiro era diventato affannoso e irregolare. Mi decisi ad
aprire gli occhi e a spingerlo via, dileguandomi svelta da lui,
sedendomi sulla mia sedia girevole.
«Ma sei impazzito?!» sbraitai, con gli occhi
sbarrati,
abbracciandomi come per nascondermi e accavallando le gambe in modo
pudico.
«Perchè ti sei tirata indietro?» chiese
scocciato.
Aveva anche la faccia tosta di fare l'irritato!
«Tu volevi» iniziai con tutto il fiato che avevo in
corpo, che
venne meno quando dovevo pronunciare la parola sesso, che,
ovviamente, non venne proferita dalle mie labbra
«Sì, insomma,
quello!» continuai scioccata.
«Mia cara, è il mio lavoro» sorrise
spavaldo, avvicinandosi felino
a me, slacciandosi i bottoni del golf «E tu mi hai chiamato
per
questo»
«Mi dispiace sgonfiarti l'aureola, ma non ti ho chiamato per
questo»
mi allontanai con la sedia, sbattendo più volte contro la
scrivania
e l'armadio.
«Pensavo tu volessi andare subito al sodo»
continuò, privandosi
completamente di quel golfino, scoprendo le braccia forti e un
tatuaggio su quella destra, lanciandolo sul letto.
«Al sodo?!» esplosi con voce indignata e cavernosa,
quasi fossi
stata posseduta da uno strano demone, fermandomi nel mio peregrinare
con la sedia «E cosa te lo ha fatto pensare?»
Dario mi guardò con sufficienza, facendo un gesto vago con
la mano.
«Solitamente le clienti, per
telefono, sono molto timide e non hanno il coraggio di dirmi che
vogliono andare subito al sodo, ma me lo fanno capire appena metto
piede in casa loro» mi rivolse uno sguardo provocante che mi
destabilizzò, ma cercai di non darlo a vedere, anche se il
mio corpo
parlava da solo. Mi ero chiusa nelle spalle e stringevo forte le
ginocchia, quasi a difendermi dal suo fascino ipnotizzante.
«Quando mi hai portato in camera, credevo che tu volessi fare
sesso»
«Mi dispiace, ma hai frainteso» mi affrettai a dire.
«Allora mi scuso» alzò le mani in segno
di resa e mi sorrise
deliziosamente.
Scossi la testa facendogli capire di non preoccuparsi.
«Cosa desideri fare, allora?» domandò
«Vuoi uscire con me, vuoi
sfogarti, vuoi sentirti importante» continuò con
tono basso,
affascinante «Sono qui al tuo servizio, piccola»
Mi morsi le labbra e giocai con una ciocca di capelli che mi ricadeva
sulla spalla. Avrei dovuto spiegargli la situazione, ma mi trovavo in
difficoltà e mi imbarazzava parlare ad un estraneo della mia
vita
privata. Ero sicura che se gli avessi detto la verità mi
sarebbe
scoppiato a ridere in faccia.
Il mio segreto non sarebbe stato più solo mio, ma lo avrei
dovuto
condividere con lui e questo non mi piaceva affatto. Ma dovevo farlo.
Mi sistemai meglio sulla sedia e mi schiarii la voce con un colpo di
tosse. La mia gamba destra cominciò a muoversi nervosamente
e le
pellicine delle mie mani cominciavano ad essere invitanti. Ne staccai
una, mentre Dario, con lo sguardo, mi incitava a spiegargli la
situazione.
«Mi prometti che non riderai?»
Lui annuì, baciandosi le dita unite a croce e, con un gesto
fluido
della mano, mi esortò a continuare.
«A San Valentino ci sarà una festa alla mia
scuola. Avevo detto di
avere un fidanzato che, ovviamente, non esiste e sono costretta ad
andare se non voglio risultare una sfigata» mi fermai per
prendere
fiato e mi soffermai sull'espressione interessata di Dario «E
quindi
ti ho chiamato perchè tu fingessi di essere il mio
ragazzo»
Silenzio. Lui mi contemplava senza dire nulla e dal suo viso non
traspariva nessuna emozione, era di ghiaccio. Intrecciai le dita,
torturandole e pazientando per avere un suo parere, per sapere che
cosa pensasse. Ogni secondo in cui lui non apriva bocca era un
respiro perduto.
«E perchè dovresti andarci per forza?»
ruppe finalmente quel
silenzio cristallizzato.
«Bè, perchè» esitai un attimo.
Quello era il momento in cui mi sarebbe piaciuto scivolare sotto il
letto ed esalare l'ultimo respiro, o in alternativa, trovare una
lampada con un genio per esprimere tre desideri. Per prima cosa avrei
chiesto di tornare indietro nel tempo, così da non averlo
davanti a me in tutta la sua sensualità, poi gli avrei
chiesto un
fidanzato, magari Federico Abbate, anche se il Genio di Aladdine era
stato abbastanza chiaro con le regole, tra cui figurava "Non posso fare innamorare
nessuno", ma avrei trovato una soluzione; e come terzo
desiderio, the last
but not the least, di non avere più la cellulite.
Respirai a
fondo.
«Ho sempre finto di avere dei fidanzati, ma in
realtà non ho mai
neanche dato il primo bacio. Non voglio che i miei compagni lo
vengano a scoprire» abbassai il tono, rendendolo quasi
fanciullesco.
Dario si alzò in piedi e contrasse il volto in una smorfia
incredula. Rise tra sé e sé, grattandosi la nuca
e passandosi
indice e pollice sugli occhi, i quali scivolarono in un attimo nei
miei.
«È uno scherzo, vero?» il suo tono era
estremamente serio.
Alzai le spalle, allargando le braccia e facendogli un sorriso.
«Ti prego, dimmi che è uno scherzo organizzato da
qualche mio
amico» continuò a nervi tesi.
«Vorrei dirti di sì, ma mentirei. E ho
già detto abbastanza bugie»
Dario emise un Cazzo, atono, e nascose una mano
nella tasca
dei jeans, estraendo da essa un pacchetto di Marlboro rosse.
«Ho bisogno di una sigaretta» mormorò,
avvicinandosi alla
finestra, aprendola, e piantandosene una in bocca.
Scattai in piedi e lo raggiunsi come una furia strappandogli via
quell'arnese. In camera mia era proibito fumare, non volevo puzzare
di tabacco e, soprattutto, non volevo una nuvola di olezzo nella mia
splendida camera, come in quella di Raffaele. Mi bastava quel leggero
tanfo che mi lasciava addosso mio fratello. La gettai dalla finestra
e lo guardai severa, con le mani sui fianchi.
«In camera mia non si fuma!» scandii con decisione,
sotto lo
sguardo attonito di Dario.
Tornai alla mia sedia, sedendomi a braccia incrociate e con le gambe
accavallate. Blaine rimase davanti alla finestra aperta a contemplare
i palazzi, con i gomiti sul davanzale e scuotendo varie volte la
testa, lanciandomi ogni tanto uno sguardo.
«Non ti ho mica chiesto la luna!» sbottai
indispettita, attirando
la sua attenzione «Cosa c'è di così
strano in questa richiesta?»
«Mi chiedi anche cosa c'è di strano?!»
ripetè, avvicinandosi
pericolosamente a me a braccia incrociate.
Si piegò verso di me, puntando i suoi occhi vogliosi nei
miei. Con
l'indice e il medio camminò lungo la mia coscia, aprendo poi
la mano
altezza del fianco e spingendomi con violenza verso di lui per farmi
alzare, sbattendo via con un calcio la sedia. Sbattei violentemente
contro di lui trovandomi ad una distanza davvero troppo ridotta dal
suo corpo e dalle sue labbra rosee mentre la sua mano mi stringeva
forte da dietro. Le nocche magre di Dario si posarono con delicatezza
sulla mia guancia e percorsero il mio profilo fino a sfiorarmi il
mento, che poi prese tra le sue dita virili, avvicinandomi al suo
viso. Sentivo il suo fiato caldo sul viso e le pulsazioni che,
violente, mi rimbombavano nelle orecchie e nelle tempie.
Strusciò
contro di me, facendomi nuovamente sentire quanto fosse maschio. Mi
sentivo percorsa da scosse e mi sentivo strana, mi sentivo fremere,
le gambe tremavano e avevo quasi voglia di saltargli addosso. Molto
probabilmente ero eccitata, per la prima volta nella mia vita, nel
vero senso della parola.
Ero emozionata, intimidita da lui. Ma il disagio che provavo con lui
era ben lontano da quello che mi provocavano Davide e Federico. Con
lui era più una questione fisica.
Abbassò il viso,
incastrandolo tra il collo e la spalle, soffiandoci sopra, facendomi
vibrare. Un bacio e poi ancora i suoi occhi nei miei. Le sue labbra
si avvicinarono alle mie pericolosamente e in quel momento feci un
passo indietro, ritraendomi.
Dario mollò la presa, lasciandomi libera e sorridendo
soddisfatto.
«Capito ora cosa c'è di strano» mi
disse, mettendo una mano in
tasca.
Rimasi impalata di fronte a lui, ancora scombussolata per quel gesto
inaspettato, con una mano appoggiata sulle labbra, ancora con la
spina dorsale percorsa da strani tremiti . Scossi la testa, con gli
occhi spalancati per la sorpresa e l'emozione di quel momento e lui
rise ancora.
«Come credi che gli altri credano che io e te» ci
indicò, uno dopo
l'altro «siamo fidanzati?»
Deglutii, rimanendo però nel mio mutismo e nella mia
immobilità.
«Sarebbe chiaro perfino ad un cieco che io e te siamo due
estranei»
continuò contrariato «Per non parlare poi del
fatto che tu non abbia mai dato il tuo
primo bacio» la sua voce era diventata secca e decisa
«ed è
risaputo che per una ragazza il primo bacio è importante e
che non
lo sprecherebbe di certo con un estraneo. Quindi, spiegami come
possiamo fingere di essere fidanzati?»
Mi gettai a peso morto sul letto gonfiando il petto d'aria e
sgonfiandolo poco dopo. Nemmeno l'ultima spiaggia avrebbe potuto
salvarmi e il tono adoperato da Dario nella sua filippica non aveva
fatto altro che distruggere di più il mio morale,
già a terra da
parecchio tempo.
«Non lo so» soffiai.
Dario alzò un sopracciglio e un sorriso sornione si
disegnò sulle
sue labbra. Sembrava compiaciuto della sua missione e lo avrei
soffocato col mio cuscino e ballato sul suo cadavere, se non fosse
stato che mi mancavano completamente le forze per alzarmi da
lì.
«È meglio che io vada» disse
rimettendosi il golf e avviandosi
verso la porta.
«Scusa se ti ho fatto perdere tempo» mormorai.
Il piano era: puntare sul senso di colpa. Sarebbe mai stato in grado
di abbandonare una giovane e dolce donzella in difficoltà?
«Vorrà dire che la mia adolescenza sarà
rovinata» mi sdraiai su un
fianco, dandogli le spalle «Diventerò una donna
depressa, che a
quarant'anni tenterà il suicidio perchè un
accompagnatore non ha
fatto il suo lavoro» sospirai
Silenzio. Non un movimento, non un parola, nessuna porta che si
apriva e si richiudeva. Alice Livraghi aveva fatto centro. Mi voltai
un po', il necessario per sbirciare che cosa stesse facendo Dario. Era
immobile con la mano appoggiata alla maniglia mentre l'altra vagava
incerta sulla sua nuca. Tanto che c'ero mi soffermai sul suo lato B,
assai sviluppato e tondo, da massaggiare tutto. Mi girai ancora per
poterlo squadrare al meglio, ma il bordo del letto arrivò
troppo
presto ed inaspettato, tanto che caddi con un tonfo che solo un
rinoceronte avrebbe potuto generare, o in alternativa mio fratello,
sbattendo la testa. Dario si girò all'istante, rimbalzando
il suo
sguardo tra il letto e me, accorgendosi che ero capitombolata in modo
scomposto a terra, con una gamba ancora appesa al letto. Si
affrettò
a soccorrermi, accovacciandosi alla mia altezza e porgendomi il suo
avambraccio. Lo afferrai con decisione, rialzandomi con poca grazia.
«Ma quanto pesi?!» commentò sfiatato
Blaine, alzando quel cadavere
che ero io.
«Affari miei!» ringhiai.
Appena fui sui miei piedi gli diedi un pungo nel fianco facendolo
piegare. Scoppiò poi a ridere, una risata atona,
inframezzata da
qualche acuto che contagiò anche me.
«Ti sei fatta male?» mi chiese, con le lacrime agli
occhi e senza
fiato.
«No» risposi tra uno spasmo e l'altro, anche se la
testa mi doleva
e non poco.
Respirò profondamente per cercare di smettere di ridere. Si
asciugò
gli occhi e tornò improvvisamente serio, fissandomi
profondamente.
«Ti aiuto» disse quasi sconsolato.
I miei occhi si illuminarono. Saltellai sul posto, battendo le mani e
lo abbracciai forte, quasi lo volessi stritolare.
«Grazie, grazie, grazie!» trillai felice.
«Lo faccio solo perchè non voglio avere donne
quarantenni depresse
sulla coscienza» ribattè lui, soffiandomi sul
collo e ricambiando
la mia stretta. Inaspettatamente.
Affondai il viso nel suo golfino riempiendomi i polmoni del suo odore
piacevole e penetrante, nonostante una distante nota di tabacco. Mi
lasciai cullare dal suo respiro regolare, chiudendo gli occhi per
godere a pieno di quel momento. Sarei rimasta tra le sue braccia
anche ore intere senza stancarmi, ma purtroppo era solo una stupida
fantasia.
«Mi stai stritolando» mi disse con voce stridula.
Lo lasciai all'istante, stringendo le mani dietro la schiena,
imbarazzata per quello che era appena successo. Dario fece un
risolino divertito e si adagiò nuovamente sul mio letto. Con
una
mano battè accanto a sé invitandomi a sedermi
vicino a lui.
Intimorita accolsi il suo invito, stando però il
più lontano
possibile da lui. Aveva notato il mio disagio, ne ero più
che certa,
soprattutto per il modo delicato con cui mi guardava.
«Parlami un po' di questo fidanzato immaginario, almeno mi
faccio
un'idea di chi devo diventare»
«Allora» lo guardai con occhi grandi e briosi
«Ti chiami Edoardo,
hai ventidue anni e ci siamo incontrati quattro anni fa alla fermata
dell'autobus. Da lì siamo diventati grandi amici e da
qualche tempo
hai iniziato a corteggiarmi»
Dario sogghignò, portandosi discretamente una mano davanti
alla
bocca per non farsi vedere dal mio occhio vigile.
«Perchè ridi?» domandai dubbiosa.
«Sei buffa» rispose, facendomi un buffetto sulla
guancia «Sembri
mia sorella!»
«Hai una sorella?» ero stupita.
«No» ridacchiò «Ma se l'avessi
sarebbe esattamente come te»
Scrollai le spalle. Non mi sarebbe affatto piaciuto avere un fratello
come lui perchè sarei stata l'unica sfigata a non poter
ambire ad
averlo, anche se avrei nettamente preferito essere sua sorella
piuttosto che di Raffaele.
«E da quanto tempo stiamo insieme?»
domandò «Io, Edoardo, e te»
puntualizzò.
«Facciamo due mesi?»
Dario annuì, poi battè le mani alzandosi. Si
sistemò gli abiti,
alzando i pantaloni che erano scesi lievemente. Si aprì in
un
sorriso sadico che mi spaventò.
«Le mie tariffe sono 300 euro a uscita, 420 per servizi
notturni e
480 per cose più piccanti» disse, adeguandosi al
mio modo di
parlare.
Sbarrai gli occhi, spalancando la bocca, incredula. E dove potevo
trovare una somma tale? 300 euro per il mio scarno borsellino erano
troppi.
«E dove li trovo tutti questi soldi?» piagnucolai.
Dario scrollò le spalle.
«Non è un problema mio» disse con
noncuranza.
Sospirai, prendendomi le guance tra le mani. Che cosa potevo fare?
Non potevo di certo arrendermi adesso, soprattutto dopo che c'era
stato quell'avvicinamento del quarto tipo con lui. E non volevo
ritrovarmi nella stessa identica situazione di partenza.
Come potevo pagarlo? Non avevo soldi e non potevo di certo chiederli
a mia madre, non sarebbe mai stata disposta a sborsare 300 euro ad
uscita per pagare un prostituto. Avrei potuto rubarli a mio fratello,
ma sicuramente li aveva spesi tutti tra sigarette e film porno.
Una rapina in banca? No, non volevo finire in
carcere.
Elemosina? No, sarei stata poco credibile.
Un prestito alle mie amiche? No, Benedetta sarebbe
scoppiata a
ridermi in faccia, non spendeva soldi per lei, figurarsi se me li
prestava e Claudia era senza paghetta.
«Non posso permettermelo» soffiai, demoralizzata.
«Puoi anche pagarmi in comode rate»
sogghignò divertito.
«Pensavo tu fossi un accompagnatore e non un
materasso» dissi
sarcastica.
Rise.
«Posso anche concederti un piccolo sconto, ma non troppo.
Devo pur
campare»
Lo accompagnai alla porta e avevo esattamente venti secondi per
trovare una soluzione, un tempo davvero ridotto per un problema
più
grande di me. Gli porsi il giubbotto e aprii la porta. Dario si
sistemò il colletto della polo e raggiunse il pianerottolo,
guardandomi interrogatorio, infilandosi le mani in tasca.
«Cosa hai intenzione di fare?»
Lo guardai con labbra increspate, picchiettando l'indice contro la
porta.
«Sei assunto» risposi, anche se non sapevo dove
trovare i soldi.
Dario ridacchiò. Forse Assunto non era il
termine più adatto
da usare, ma era stata la prima cosa di senso compiuto a balzarmi in
mente.
«D'accordo, allora» estrasse le mani delle tasche,
battendole
contro le cosce «Ci vediamo domani» mi sorrise
sensualmente e non
riuscii nemmeno a dire nulla, nemmeno un Ok, che lui era galoppato
via lungo le scale.
Mi richiusi la porta alle spalle e rimasi appoggiata ad essa per
qualche secondo. Quella era stata l'esperienza più strana ed
eccitante della mia vita, uno dei miei primi contatti fisici con un
uomo, la prima volta che mi ero sentita fremere tutta e con tutto
intendo anche ciò che si trovava a sud dell'equatore.
Ma come pagarlo? L'unica cosa che mi veniva in mente era lavorare.
Io, sfaticata com'ero, dovevo mettermi a lavorare?! Noia! Per
di più, l'unico mestiere che potevo fare era la baby-sitter,
o in
alternativa, la dog-sitter. Peccato che io non sopportavo i cani,
facevo parte del cat-team. Accudire i bambini mi sembrava una buona
idea, nonostante il mio rapporto altalenante con quei piccoli
diavoli.
«Chi era quel ragazzo?»
Mia madre, come un fantasma dei peggiori film horror, sbucò
fuori
dalla cucina, ancora vestita per l'appuntamento galante che aveva con
un uomo. Sobbalzai inizialmente, poi mi irrigidii quando compresi la
domanda.
«Un amico» mentii con un sorriso, dileguandomi
velocemente.
«Certo, un amico» mia madre alzò le
sopracciglia maliziosamente,
bloccandomi tra il salotto e l'anticamera.
«Esatto, mamma, solo un amico!» quasi gridai,
irritata dalla
curiosità irrefrenabile di quella donna.
«Un po' speciale, direi, visto che è uscito dalla
tua stanza» mi
fece un occhiolino complice.
Non ero sicura di dove volesse andare a parare, fin quando non mi si
parò davanti, stringendomi le spalle con le sue dita
affusolate e
guardandomi seria, dall'altro in basso.
«Credo sia arrivato il momento, tesoro, di farti un
discorso»
sospirò «Ormai sei grande, hai un ragazzo speciale
nella tua vita
con cui vorrai fare sesso...»
«Mamma!» esplosi, interropendo quel discorso
incandescente,
nascondendomi il viso paonazzo tra le mani.
«Amore mio, prima o poi dovrà capitare e lui
potrebbe essere il
ragazzo adatto a te. Come hai detto che si chiama?» mi chiese
d'un
tratto.
«Non te l'ho detto»
«E come si chiama il mio futuro genero?» chiese
sorridendo.
«Edoardo» risposi spazientita «E non
sarà il tuo futuro genero. È
solo ed esclusivamente un amico!» mi divincolai dalla presa
«A M I
C O!» cercai di essere il più categorica
possibile, mettendola a
tacere per qualche secondo.
Ne approfittai di quel silenzio per fiondarmi in camera mia. Ci
mancavano solo le fantasticherie di mia madre e i suoi discorsi
sul...sesso...campati in aria. Mi gettai di pancia e
a peso
morto sul letto, ritrovandomi con la faccia affondata nel cuscino che
odorava di lui. Eau de Blaine. Respirai a fondo e
avidamente
quel profumo che mi inebriava. In nemmeno un'ora, Dario era riuscita
ad invadermi, pervadermi, conquistarmi, sconvolgermi con i suoi occhi
e la sua semplicità.
Mi misi a guardare il soffitto riflettendo su di lui. Non riuscivo a
capire perchè un ragazzo giovane come lui faceva lo
gigolò.
Solitamente le persone che facevano quel mestiere erano disperate,
avevano problemi finanziari o dovevano aiutare familiari malati o,
peggio ancora, erano obbligati. Non volevo minimamente pensare a cose
del genere, mi sarebbe venuto un enorme magone che mi avrebbe
accompagnata per giorni interi. Povero Dario, qualsiasi cosa lo
affliggesse.
Il cellulare sulla scrivania emise la suoneria stupida e fanciullesca
che usavo per i messaggi. Mi alzai di malavoglia, strascicando,
convinta che fosse nuovamente la Vodafone con le loro inutili offerte
che a me non interessavano affatto. Era già un miracolo che
mandavo
un SMS al mese!
Aprii il messaggio e la seccatura sparì in un attimo,
venendo
sostituita da incredulità, rabbia, gelosia. Come rovinare
una
giornata che fino a quel momento era stata fantastica? Ricordarsi di
Federico Abbate, della mia cotta per lui, della mia migliore amica
che stava per avere la meglio. Anzi, l'aveva avuta. Un messaggio
lapidario, quattro semplici parole che mi distrussero nel giro di
pochi secondi.
Federico mi ha baciata.
_________________________________________________________
Salveeeeeeeeeee!
Primo giorno di vacanze, finalmente! Non ne potevo più! Tre
giorni consecuitivi in cui ho avuto lezione fino alle cinque e mezza
sono state un martirio. Un po' di riposo me lo sono meritata.
So che avevo detto che avrei postato o sabato o domenica, ma visto che
molto probabilmente non ci sarà nessuno e il capitolo era
pronto l'ho postato comunque.
Come avevo annunciato e come avete potuto leggere è arrivato
Blaine/Dario/Edoardo! Si sa ancora molto poco di lui, ma si
è già capito qual è la sua
caratteristica fondamentale: la sensualità.
Mi è piaciuto molto scrivere questo capitolo, mi sono divertita
e devo ammettere che Dario mi piace un sacco! Ma adoro anche Federico,
un po' meno Davide ma chi lo sa cosa potrà
succedere nei prossimi capitoli?
Spero sia di vostro gradimento!
Arriviamo al momento dei ringraziamenti.
Ringrazio chi ha recensito la storia, chi l'ha inserita nelle
seguite/ricordate/preferite e a chi ha letto solamente. Siete davvero
un pubblico fantastico e il motore che porta avanti questa storia.
GRAZIE davvero tante!
Vi ricordo la pagina
facebook dove troverete piccoli spoiler, foto e tanto altro
sulla nostra cara Alice.
Un bacio a tutti, al prossimo capitolo.
Un bacio, Manu ♥
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Capitolo 7 *** Don't call my name ***
Capitolo
6
Don't call my name
Rilessi quel messaggio una seconda volta, magari Dario mi aveva
offuscato talmente tanto che leggevo cose inesistenti. Ma i miei
occhi non mi avevano tirato nessun brutto scherzo, era stato il
destino a prendersi gioco di me. Abbassai il braccio lungo il fianco,
le dita divennero deboli e lasciarono cadere il cellulare. Due
lacrime mi solcarono le guance, ma le asciugai subito appena mi
accorsi che stavo piangendo. Federico Abbate non si meritava il mio
dolore, nessun uomo le meritava, come diceva sempre mia madre.
Raccolsi la sedia da terra e con lei il mio cellulare. Mi sedetti
davanti alla scrivania, appoggiandoci sopra la testa. Ero delusa,
amareggiata, arrabbiata, gelosa e tutto questo avrei dovuto tenermelo
per me, emozioni nascoste nella mia anima che mi avrebbero fatto
esplodere, un giorno o l'altro, con conseguenze catastrofiche. Era
tutta colpa mia, del mio continuare a fingere di avere un vita che
non era la mia. E adesso ne avrei pagato le conseguenze. Bacini,
abbracci, Abbate ovunque e diabete a volontà e non potevo
reagire,
ma solo dispensare sorrisi e felicità che in
realtà non mi
appartenevano.
Quella notte non riuscii a dormire, forse per l'intero pomeriggio
passato al telefono con un'eccitata Benedetta che mi aveva raccontato
per filo e per segno il loro bacio, compreso di lingue e
contro-lingue. O forse perchè, appena chiudevo gli occhi,
rivivevo
il giorno in cui stavo per baciare Federico: i suoi occhi dolci nei
miei, la sua voce delicata e le sue labbra che stavano per sfiorare
le mie. Solo un'illusione, spazzata via dal vento nel giro di poco
tempo. Sorrisi con disprezzo. Davvero avevo pensato che Federico
provasse qualcosa per me? Era un ragazzo diciottenne con gli ormoni a
palla, piacente ed era ovvio che dovevo essere solo una delle tante.
Voleva solo fare sesso con me, preda facile e incantata dal suo
fascino. E infatti, dopo nemmeno 48 h, aveva già cambiato
spiaggia.
Cretina io che pensavo sempre in positivo. Cretina io che mi facevo
un sacco di seghe mentali. Cretina io che non riesco a comprendere
gli uomini.
Passai tutta la notte a rigirarmi nel letto, ad accarezzare Milky, il
mio antistress personale, a navigare in internet nei siti
più
disparati, sola nel mio dolore che non potevo condividere con
nessuno. Decisi in quel momento che avevo definitivamente chiuso con
Federico Abbate.
Fu facile, quindi, svegliarmi quella mattina nonostante fosse
domenica. Mi alzai addirittura prima di mia madre, cosa mai accaduta
in diciotto anni di vita. Non feci nemmeno colazione, non avevo fame,
né tanto meno voglia di mangiare. Mi preparai con calma per
la
solita domenica con mio padre e mi stesi sul divano in sua attesa.
Immaginavo anche quale sarebbe stata la nostra attività: il
mercatino invernale che si teneva sempre la prima domenica di
febbraio. Ormai era un'usanza da noi. Tanto che c'ero avrei invitato
Claudia per farle conoscere mio fratello, così, per la
felicità di
Benedetta, anche lei avrebbe avuto l'onore di
partecipare alla
festa. Le scrissi velocemente un sms e sprofondai di nuovo nella mia
tristezza.
Non diedi spiegazioni a nessuno, né a mia madre che da
quando si era
svegliata mi aveva tormentata di domande sul perché fossi
sveglia
così presto e per la mia aria affranta, né a
Raffaele, meno
invasivo, che aveva reagito con uno scrollo di spalle disinteressato.
«Oggi vieni al mercatino con me e papà?»
gli chiesi, mentre si
sedeva sul tappeto a guardare la tv.
«Perchè dovrei?» domandò
scocciato.
«Ho invitato una mia amica che vorrebbe conoscerti»
spiegai.
Raffaele si voltò a guardarmi con una mano sul mento e gli
occhi a
due fessure in un'espressione sarcasticamente interessata.
«E com'è?» chiese
«Intendo...» fischiò, disegnando le
curve un
po' troppo prosperose di una ragazza immaginaria.
Alzai le spalle, curvando gli angoli della bocca.
«Decente»
«Decente come?» domandò dubbioso.
«Più o meno quanto me»
Lui arricciò il naso, allontanandosi da me e mi
guardò con la
tipica espressione schifata, emettendo poi un sonoro Bleah! A
parte il fatto che non era assolutamente una cosa accettabile la
faccia disgustata davanti ad una donna perchè tutte le donne
sono
meravigliose, in più provenisse da Johnny Depp! Gli tirai un
calcio
nel fianco con l'intento di fargli male, molto male e a giudicare
dalla smorfia contrita di dolore e il suo accasciarsi a terra avevo
portato a termine la mia missione.
«Se non ti va di conoscerla, peggio per te. Rimarrai zitello
for
ever!» gli feci una linguaccia.
«Vorrà dire che non sarai sola»
ansimò.
Stavo per sferrargli un altro calcio, ma lui mi supplicò,
sorridendo, di non farlo.
«Scherzavo, scherzavo!» si affrettò a
dire, parandosi il viso con
le mani «Verrò, visto che la folla mi
desidera!» ridacchiò mio
fratello, mettendosi nuovamente a sedere.
«Non montarti troppo la testa» lo avvisai,
scocciata, scivolando
lungo lo schienale del divano «Sei solo una copertura per la
festa
di San Valentino»
Il sorriso compiaciuto e pieno di ego maschile che fino a poco prima
solcava il viso di Raffaele si spense subito non appena
sentì quelle
parole e vide il mio viso d'un tratto soddisfatto nell'averlo
smontato in un tempo così breve. Zittire Smell non aveva
prezzo, per
tutto il resto c'era Master Card.
1 a 0 per Alice.
Ogni volta che venivo circondata dalle bancarelle di via Turati,
principalmente di dolciumi e giocattoli, tornavo bambina. Camminavo
mano nella mano di mio padre, l'uomo brutto dalla grande fortuna,
invecchiato prima del tempo, dagli anonimi occhi castani e dai pochi
capelli. Lui diceva che erano caduti per colpa dell'autunno,
esattamente come le foglie. E poi scoppiava a ridere. Era una delle
battute che propinava a tutti, sempre con scarso successo. L'unico a
divertirsi era sempre e solo lui.
Vestiva sempre in modo casual, nella speranza di apparire
più
giovane o magari perché non accettava il fatto che il tempo
passava
anche per lui.
Raffaele e Claudia ci camminavano accanto. Tutto sommato il loro
primo incontro non era stato così pessimo come credevo. Dopo
il
primo momento di smarrimento visibile negli occhi grigiastri di lei e
le battute sconvenienti di mio fratello sulla voce non proprio
melodiosa di Claudiano, avevano ritrovato l'armonia. Avevano scoperto
di avere un sacco di cose in comune, dall'amore per i tatuaggi alle
gare di rutti.
Orripilante!
Mi staccai da mio padre, raggiungendo una bancarella di vestiti.
«Qualcosa che ti piace?» mi chiese lui,
raggiungendomi con un
sorriso.
Avevo adocchiato un fantastico maglioncino bianco solcato da fini
righe blu, di quelli lunghi da indossare con un paio di leggins, il
collo blasonato e una cintura a filo color marrone che terminava in
uno splendido fiore.
Mi addentrai tra gli improvvisati scompartimenti alla ricerca
dell'oggetto delle mie brame. Afferrai la stampella al quale era
appeso il mio futuro maglione, ma questo mi venne soffiato da sotto
il naso. Chi osava impossessarsi del mio favolisissimo maglioncino?
Chiunque fosse, non avrebbe avuto vita facile. Aprii uno spiraglio
tra gli altri capi d'abbigliamento, furente.
«Scusa, ma lo avevo visto prima io!» esclamai
indispettita.
La ragazza dai corti capelli castani e sbarazzini che mi stava
davanti sorridendo spavalda aveva un viso familiare. La riconobbi
solo quando parlò, con quel tono di voce civettuolo e
insopportabile.
«Ciao Alice!» mi salutò.
Scomparve in un attimo, comparendomi davanti in tutta la sua
stupidità.
«Gaia» dissi poco convinta, lasciandomi abbracciare
da quella nana.
Mi era sempre riuscito difficile pensare che quella quattordicenne
che si atteggiava a donna vissuta facesse parte della famiglia
Abbate. Chissà se aveva realizzato il suo sogno di quando
era ancora
una bambina di otto anni, ossia fare sesso. Mi ricordavo ancora la
mia espressione quando mi disse una cosa del genere, stile urlo di
Munch. A giudicare dal suo atteggiamento, azzardai che la risposta
fosse affermativa.
«Ehi guarda Fede c'è Alice!»
squittì Gaia, tornando a sorridermi.
CazzoCazzoCazzo!
Tutti ma non Federico, soprattutto quando la sera prima mi ero detta
di dover chiudere con lui. Un po' complicato se me lo ritrovavo
davanti, in tutto il suo splendore, in tutta la sua dolcezza, in
tutta la sua lucentezza...Ok, stop! Stavo esagerando, troppo! Non
dovevo sciogliermi come gelato al sole.
Sorrisi fintamente, anche se in realtà avrei voluto scappare
nel
furgoncino cinese, ma quella ragazzina mi aveva stretto per un
braccio impedendo la mia fuga per la salvezza.
I vestiti appesi ondeggiarono al tocco con le mani di Federico,
quelle mani delicate che toccavano un'altra e non me. Cercai di
sembrare il più naturale possibile, anche se il mio sorriso
contraddiceva a gran voce gli occhi furenti.
«Ciao» mi salutò quasi con distacco.
«Ciao, Federico» scandii il suo nome a gran voce.
Gaia si staccò dal mio braccio e si allontanò,
lanciandomi un
occhiolino e un'occhiata maliziosa. Provavo compassione per quella
ragazzina, così convinta e montata. Ma prima o poi sarebbe
arrivato
qualcuno munito di cacciavite che l'avrebbe smontata pezzo per pezzo.
Sentivo il mio cuore accelerare ogni secondo di più, forse
perché
la rabbia scorreva dentro di me, o forse perchè ero
innamorata persa
di Federico e averlo davanti, nonostante la mia incazzatura, mi
faceva uno strano effetto.
«Benedetta?» domandai con una punta di
acidità della voce.
«A casa, non si sentiva molto bene» rispose.
Era imbarazzato, dondolava da un piede all'altro. La mia espressione
si addolcì e dovevo aver assunto una faccia Barbara D'urso
style. Ma
come potevo rimanere arrabbiata di fronte a quel cucciolo tenero che
era Abbate?
No!
L'altra Alice che viveva dentro di me si impose con
autorità. E
aveva ragione. Non potevo e non dovevo farmi addolcire da lui.
Indurii nuovamente lo sguardo e sono più che sicura che
Federico, in
quel momento, vedendo il mio viso contrarsi e subito dopo rilassarsi,
stava pensando che ero posseduta.
«Sarà stato il bacio di ieri che le ha fatto
salire la febbre!»
Incrociai le braccia e lo guardai con aria di sfida. Per la serie,
come non far capire ad un ragazzo di essere gelosa di lui. Federico
corrugò la fronte, osservandomi dubbioso. Dio quanto era
bello con
l'espressione perplessa, con quel sopracciglio abbassato e quelle
labbra arricciate da mordere. Scossi la testa, ricomponendomi dai
miei stupidi pensieri.
«Sei per caso gelosa?!» quella frase
suonò come un rimprovero.
Sbuffai, facendo ondeggiare le labbra e emettendo un suono simile ad
una pernacchia. Sgranai gli occhi e mi indicai quasi indignata.
«Io?!» esclamai «No!» la voce
che ne uscì fu stridula. Davvero
poco convincente.
Federico sorrise sghembo. Era teso, nervoso e ancora più
dubbioso di
prima. Già le donne erano un mistero per qualsiasi uomo e a
volte
anche per loro stesse; io ero ancora più criptica, facevo
fatica io
a capirmi, figurarsi il povero Abbate.
«Invece a me sembra proprio di sì. Avanti,
guardati! Sei
elettrica!» mi indicò goffamente con le sue enormi
mani.
«Sei così presuntuoso da pensare che tu sia il
centro dei miei
pensieri?!» lo guardai con un pizzico di felicità
negli occhi e un
sorriso soddisfatto per quella risposta pronta, tagliente.
Lui cercò di dire qualcosa, ma evidentemente lo avevo
zittito,
spento completamente, smontato, distrutto il suo ego e le sue
convinzioni. Toma castagna! Una giornata piena di
soddisfazioni, davvero.
«Sì!» rispose d'improvviso, spiazzandomi
«È vero, pensavo di
essere il centro dei tuoi pensieri. Anzi, me lo hai fatto credere
tu»
era irritato e amareggiato, lo si poteva chiaramente capire dal tono
della sua voce «A proposito» riprese, anche se
questa volta la sua
voce era ironica e irritante «Come va con Edoardo?»
accentuò con
disprezzo questo nome.
Strinsi i pugni, sentendo la rabbia e l'amarezza invadermi in
qualunque parte del corpo. Chiusi gli occhi, respirando a fondo per
regolarizzare l'affanno che il nervoso mi aveva provocato.
«Splendidamente!» gli risposi con un sorriso
«È davvero un
ragazzo incantevole e quello che prova per me è
sincero»
frecciatina nemmeno tanto implicita che Federico colse al volo. La
sua mascella si contrasse e lo sguardo si abbassò a guardare
l'asfalto.
«Tu sei pazza» tornò a incantarmi con le
sue iridi nocciola «Lo
dico seriamente. Sei arrabbiata con me, sei gelosa di me nonostante
tu abbia un fidanzato splendido»
«Non sono matta» replicai con voce ferma, celando
dietro quelle
parole il mio disagio.
«Allora spiegami come stanno realmente le cose»
aveva capito che,
nonostante il mio distacco, c'era qualcosa che gli stavo nascondendo.
«No» scossi la testa «Sei troppo ottuso e
accecato dai tuoi ormoni
per poter capire»
Abbassai lo sguardo e lo superai con decisione. Mio padre, vedendomi
uscire da quella bancarella, allargò le braccia facendole
ricadere
lungo i fianchi.
«Pensavo fossi morta!» esclamò
leggermente infastidito.
Ero troppo demoralizzata per poter discutere con lui o continuare
quella scampagnata nel paese dei balocchi. Nemmeno una frittella
grondante d'olio con la nutella sarebbe riuscita a risollevarmi da
quel malumore. Anzi, forse sì.
Il banchetto dei dolci fu l'ultimo luogo che visitai. Affogai il mio
dispiacere il quella bomba calorica, iper zuccherata che mi avrebbe
fatto venire un attacco iperglicemico, ma che mi importava? C'era
metodo migliore di combattere la tristezza se non un dolce? No, e
anche se ce ne fossero stati io non li conoscevo.
«Tesoro, mangia con calma sennò ti
soffochi!» ridacchiò mio
padre.
Scrollai le spalle e continuai a mangiare la mia frittella,
sporcandomi il piumino di zucchero. Sobbalzai quando sentii la
suoneria del cellulare. Chi diavolo interrompeva il mio spuntino
stra-grasso?
Hey piccola! Stasera si esce. Se riesci, renditi carina o
presentabile, perlomeno. Alle 20 sono da te.
Se prima ero arrabbiata, leggendo quel messaggio di Dario ero
diventata una belva selvatica pronta a sbranare qualsiasi persona mi
si presentasse davanti. Quel renditi presentabile perlomeno, che
sicuramente lo aveva fatto sbellicare dalle risate mentre lo
scriveva, mi aveva inacidita e indispettita. E non poco!
Stupido e insopportabile gigolò!
«Mamma!» sbraitai dalla mia camera «A
quanti cavoli di gradi hai
lavato questi pantaloni?!»
Feci un altro tentativo, tirando il capo superiore di quei stupendi
pantaloni bianchi che non avevano la minima voglia di superare
l'ostacolo cosce. Mi lanciai in una danza per tutta la camera,
calciando l'aria per calzare quei maledetti calzoni ristretti dopo un
lavaggio sbagliato, lanciandomi anche sul letto. Sembravo Homer
Simpson nella sua lotta quotidiana con i Blue Pants.
Mia madre si affacciò dalla porta, per poi entrare e
squadrarmi
dalla testa ai piedi con cipiglio.
«Guarda!» esclamai esasperata, indicandoli fermi a
metà coscia «Si
può sapere che cosa gli hai fatto?»
«Tesoro» mia madre mi guardò apprensiva
«Questi sono i pantaloni
della comunione di tuo cugino»
«Quindi?» la guardai con sufficienza.
«L'ha fatta quattro anni fa! E da allora non li hai
più messi!»
quell'affermazione suonò quasi come un rimprovero. Stavo per
ribattere, ma mi congelò all'istante, leggendomi nel
pensiero, come
sempre «E non dire che non hai mai avuto occasione di
metterli,
perché non è vero!»
«Sta di fatto che non mi entrano!» ululai, accecata
dal nervosismo.
I capelli, che avevo sistemato poco prima, erano diventati elettrici
e sicuramente sembravo una pazza in quel momento. A volte, mi facevo
paura da sola.
«Sei ingrassata tesoro» disse con una tale
noncuranza che peggiorò
il mio stato di sanità mentale «Mettiti
qualcos'altro. Hai un
sacco di vestiti»
E con un sorriso si congedò. Mi aveva detto che ero grassa e
lo
aveva fatto con una naturalezza tale che mi innervosii ancora di
più.
Cribbio, ero sua figlia! Ogni scarrafone non era bello a
mamma
sua? Perchè io dovevo essere l'eccezione?
Mi tolsi quei pantaloni-trappola, accartocciandoli e gettandoli con
furia sul letto. Sospirai e guardai l'armadio. La sfida tra me e lui
poteva cominciare. Mi fiondai decisa verso le sue ante, aprendole e
prendendo qualsiasi capo che i miei occhi vedessero, passandoli al
setaccio uno dopo l'altro. Pantaloni troppo semplici, maglietta
troppo scollata, vestito troppo leggero, questo non va bene, nemmeno
quello. Nulla di nulla! Presi qualsiasi cosa e la buttai a terra con
un gridolino di disperazione. Ad aver avuto quel fantastico
maglioncino!
Alla fine mi arresi ad una maglietta azzurro acqua a maniche lunghe,
lunga abbastanza da coprirmi il sedere nonostante i leggins neri. Mi
guardai il fondoschiena e le cosce allo specchio, torcendomi come
nemmeno un gufo sapeva fare, per controllare che i buchi della
cellulite non si vedessero. Se tenevo i muscoli contratti, il
territorio lunare non sarebbe comparso, perfetto.
Indossai anche le ballerine di strass nere e mi diedi un'ultima
occhiata sperando vivamente di essere presentabile,
perlomeno.
Andai ad attendere il mio accompagnatore in cucina dove mia
madre
e mio fratello mangiavano con sottofondo la parlantina di Cesara
Bonamici. Mia mamma, di tanto in tanto, alzava lo sguardo dai suoi
maccheroni e mi guardava maliziosa.
«Un amico» disse infine.
Sapevo che doveva uscirsene con una delle sue considerazioni,
conoscevo fin troppo bene il suo sguardo furbetto e quelle labbra a
sturalavandino che non riuscivano a trattenere le frasi. Rotei gli
occhi, spazientita. Sarei arrivata alla fine di quella giornata senza
avere un esaurimento nervoso? No, ne ero certa.
«La smetti?!» quasi urlai.
Lei mi guardò d'un tratto furiosa. Se c'era una cosa che
faceva
imbestialire mia madre era alzare il tono di voce con lei. Subito
tesi i muscoli del collo e la guardai dolcemente, chiedendole scusa
implicitamente, sperando di riuscire a calmarla. L'ultima volta che
le aveva risposto male non mi aveva più parlato per due
giorni.
Mamme, bah!
«Cerca di tornare presto» mi disse fredda, tornando
a mangiare i
suoi maccheroni.
Dario, help! Vienimi a prendere! Che sei anche in ritardo! pensai,
guardando l'orologio che segnava già le 20.23. Credevo che
il
ritardo fosse sotto copyright di noi donne, ma in quel momento mi
ricredetti. Dario era in ritardo di quaranta minuti e non
arrivò
prima delle 20.45.
Mi aspettava appoggiato sul cofano della macchina, un giubbino nero
con cappuccio felpato e un paio di jeans blu scuro, sempre con quel
sorriso ammaliatore stampato in faccia. Avrei voluto prenderlo a
insulti, urlargli contro, ma quando vidi i suoi occhi rimasi
pietrificata, entrai in uno stato di quiete assoluto.
«Scusa il ritardo» mi disse con un sorriso.
«Sono presentabile?» domandai indicandomi.
Lui mi osservò con occhio critico e assunse un'aria non del
tutto
soddisfatta.
«Sì, dai. Può andare»
scrollò le spalle e poi scoppiò a ridere
nel vedere la mia faccia indignata.
Dario mi raggiunse, stringendomi i fianchi e schioccandomi un bacio
sulla guancia.
«Stavo scherzando» mi disse guardandomi
intensamente.
Come al solito diventai una statua di sale e la gota su cui si erano
posate le sue labbra vellutate bruciava come non mai. Mi sorrise
ancora una vola e mi aprii la portiera. Dio santissimo, quell'uomo mi
avrebbe ucciso prima o poi. Salii su quell'Alfa Mito che profumava di
lui e mi abbandonai sul sedile, accompagnata dal rombo del motore.
Dario era sicuramente un'ottima ricompensa dopo una giornata
stressante come era stata quella.
Nessuno dei due parlava, io mi limitavo a sbirciarlo ogni tanto,
concentrato sulla strada con uno sguardo serio che lo rendeva ancora
più bello di prima mentre le sue labbra si muovevano al
ritmo di
Billie Jean. Ero dubbiosa sul suo conto, c'erano un sacco di cose che
mi tormentavano.
«Perchè mi fissi?» i suoi occhi
rimbalzavano da me al volante e un
lieve sorriso si disegnò sulle labbra fini.
«No, nulla» risposi a disagio.
«Avanti, chiedimi quello che vuoi!»
sbottò d'improvviso, come se
mi avesse letto nel pensiero.
Ero stupita e senza parole, non riuscivo ad articolare una domanda
che avesse senso. Ma quando mi guardò con sguardo languido,
mi
sciolsi e parlare mi risultò stranamente facile.
«Perchè mi hai chiesto di uscire?»
«Per conoscerci, almeno sembreremo una vera coppia»
rispose con
naturalezza «Piccola, quando io ho un incarico, cerco di
portarlo a
termine al meglio» mi guardò con malizia.
La macchina percorse gli ultimi metri, fermandosi poi, con mia
sorpresa, in una spoglia piazzola vicino ad una pompa di benzina.
Pensai che dovesse rifornire la macchina, ma quando Dario mi
osservò
con sguardo incalzante, capii che quella era la nostra destinazione.
Scesi dalla Mito scettica, molto, ritrovandomi davanti ad un
camioncino con scritte arabe che vendeva kebab. Non c'erano tavoli,
niente sedie, solo qualche ragazzino. E in più faceva un
freddo
cane. Sentivo i peli rizzarsi sotto la maglietta troppo leggera che
avevo indossato. Mi fermai subito, sorridendo nervosamente.
«Cosa c'è?» domandò Dario,
dubbioso.
«Pensavo che avremmo cenato in un ristorante, un'osterietta,
un
posto almeno fornito di riscaldamento» spiegai al limite del
mio
nervosismo, accarezzandomi le braccia per riscaldarmi.
Improvvisamente, un contatto. Dario mi aveva presa alla sprovvista,
abbracciandomi da dietro. Sentivo il suo corpo caldo su di me, il suo
petto strusciava sensualmente contro la mia schiena e il mio sedere
sfiorava il suo, per così dire, basso ventre. Il suo respiro
mi
solleticava i capelli, le sue mani accarezzavano le mie, il suo odore
mi riempì i polmoni, inebriandomi. Attorno a me, tutto d'un
tratto,
non c'era più nulla, nessun rumore, solo il mio cuore,
nessuna
persona, solo Dario.
«Hai visto che c'è il riscaldamento» mi
sussurrò nell'orecchio.
Sì, assolutamente perfetto.
Venni percorsa da brividi, ma non di freddo, ma di emozione, di
eccitamento. Avevo anche mugolato qualcosa, forse avevo anche
ansimato, ma in quel momento non capivo più nulla. Era tanto
se mi
ricordavo quale fosse il mio nome. Possibile che quell'estraneo mi
scombussolava così, con una semplice frase mormorata?
Possibile che
lui avesse un effetto ben peggiore su di me rispetto a Federico?
Mi si affiancò, stringendomi una spalla e spingendomi contro
il suo
petto. Il mio orecchio era appoggiato al suo cuore, lo sentivo
pulsare, così ipnotizzante, così tranquillo, che
chiusi gli occhi
per farmi coccolare da quel semplice suono che sembrava musica. Lo
sentii respirare a fondo, stava per dire qualcosa. Il mio cuore
accelerò la sua corsa prima di sentire ciò che
aveva da dirmi.
«Tu...»
Sì, qualsiasi cosa, sono tua!
«...ci vuoi le cipolle?»
«Ci-cipolle?» tentennai, ritornando sulla terra.
«Sì, sai quell'ortaggio a strati che ti fa
piangere» mi
sbeffeggiò, ridacchiando, Dario.
«So cos'è una cipolla!» ribattei,
infastidita, staccandomi da lui.
Di certo non potevo dirgli di esserci rimasta male perchè mi
aspettavo una strana proposta romantica da parte sua «No,
grazie.
Non voglio un alito pestilenziale»
Dario si fece pensieroso ed annuì con la fronte aggrottata.
«Hai ragione. Non si sa mai come vanno a finire queste
serate. Si
parte con un delizioso panino, poi due baci, due coccole,
due...»
«Ok, basta!» lo interruppi indignata, scatenando la
sua risata
melodiosa.
Pagò i due kebab – ci mancherebbe, con tutto
quello che dovevo
sborsare per pagarlo! - e fui costretta a mangiare quel panino
grondante di salse piccanti appoggiata al cofano della macchina.
Cercai di essere discreta nel mordere il kebab, ma il mio brutto
vizio di azzannare il cibo prese il sopravvento. Pezzettini di carne
cadevano ovunque, le mie labbra erano state contornate da un pizzetto
rossastro. Con la coda dell'occhio vidi Dario a bocca aperta, che mi
fissava incredulo.
«Che c'è?» bofonchiai a bocca piena. Il
Galateo lo avevo scordato a
casa.
«Sembra che non mangi da secoli» esclamò
stupito «È strano
vedere una ragazza che mangia così di gusto»
continuò «Solitamente
voi donne mangiate solo metà insalata scondita!»
Ingoiai un pezzo troppo grosso di panino, aiutandomi con un sorso di
coca cola.
«La mia filosofia è io pago, io mangio»
scrollai le spalle.
«In verità ho pagato io» mi
ricordò sornione Dario.
«Pignolo!» gli feci una linguaccia «E poi
devo affogare i miei
dispiaceri e il cibo è il miglior antidepressivo»
Lui sorrise, annuendo e addentando il suo kebab, innaffiandolo con un
sorso di Corona.
«E come mai sei triste?» mi domandò.
Pensai subito che me lo chiedesse solo perchè si sentiva in
dovere.
Lo facevano tutti, immischiarsi nella vita altrui senza però
avere
un vero interesse in ciò che si stava per ascoltare. Ma i
suoi
occhi, quelle due pietre preziose luccicanti, mi guardavano con una
dolcezza infinita e un vero interesse nei miei confronti. Mi sentivo
lusingata, anche se allo stesso tempo ero imbarazzata. Sospirai
affranta, ammorbidendo le spalle.
«Il ragazzo che mi piace sta con la mia migliore
amica» cominciai.
«Brutta storia» commentò Dario.
Gli raccontai tutto, per filo e per segno, dall'incontro
con Federico sull'autobus, al pomeriggio in cui stavamo per baciarci,
alla
scoperta da parte di Abbate di Edoardo.
«Ti sei messa in un brutto guaio con questo
fidanzato» osservò
Dario, una volta finito il racconto «Mentire non è
mai una
soluzione» disse poi, con una certa amarezza nella voce.
Intuii che qualcosa lo aveva scosso, ma chiedergli spiegazioni mi
sembrava troppo invadente. In fondo lui era uno gigolò, dopo
la
festa di San Valentino non lo avrei più rivisto, che cosa mi
importava sapere vita, morte e miracoli di Dario? Nulla. O quasi.
«Quanti anni hai?» gli domandai, curiosa. Almeno
quello potevo
saperlo, no?!
«23» rispose con un sorriso.
Mi prese di mano il tovagliolo che aveva racchiuso il panino
passandomelo delicatamente sulle labbra e mi sorrise soavemente. Rimasi
imambolata a sfiorarmi la bocca, mentre lui si era allonato
per gettare tovaglioli e lattine. D'un tratto,
dal camioncino arabo, un violino suonò, facendo da intro ad
una
canzone. Dario si voltò a guardarmi, malizioso,
avvicinandosi felino
a me.
«I know that
we are young and I know that you may love me, but I just can't be
with you like this anymore» disse
con voce roca e seducente.
Mi
afferrò delicatamente la mano e, posando i suoi occhi nei
miei, la
baciò.
«Alice»
aggiunse,
ancora più sexy di prima.
L'autocontrollo
che avevo mantenuto saldo fino a quel momento andò scemando
a udire
quelle parole sussurrate in quel modo. Arrossì
violentemente,
guardandomi attorno piuttosto che continuare a fissarlo.
La
stretta sulla mia mano si fece più intensa e, d'un tratto,
Dario mi
tirò verso di lui. Rimbalzai contro il suo corpo,
ritrovandomi poi
abbracciata a lui. Ormai non respiravo più, le mie gambe
erano molli
e la testa aveva cominciato a girare dandomi una visione non chiara
di quello che avevo intorno.
Il suo bacino
ondeggiò, accompagnando anche il mio in quel movimento con
le sue
mani. Volevo spingerlo via, perché non sapevo ballare,
perchè quel
contato con lui bruciava più del fuoco, ma il mio corpo era
completamente in sua balia. I suoi piedi si muovevano esperti al
ritmo della canzone, guidando anche i miei passi di danza impacciati.
Mi afferrò entrambe le mani, e mi allontanò da
lui, facendomi poi
volteggiare sotto il suo braccio. Ero imbarazzata, frastornata, ma
sorridevo divertita. Mi afferrò poi per i fianchi,
intrecciando le dita di una mano con le mie, persi ognuno negli occhi
dell'altro. Ci
spostammo di un passo a destra, uno a sinistra. Ormai mi stavo
appassionando a quella danza, mi ero sciolta e non sembravo
più un
pezzo di legno. Più o meno.
You know that I
love you boy hot like Mexico rejoice
Dario mi
strinse il fianco, spostandosi di lato e iniziò a camminare
in modo
circolare, accompagnano anche me. Fece una giravolta, trovandosi
dietro di me e mi abbracciò all'altezza della vita,
ondeggiando,
appoggiando il suo viso sulla mia spalla.
«Don't call my
name, don't call my name»
canticchiò malamente quella frase, solleticando la mia pelle
e i
miei più remoti istinti sessuali. Rabbrividii e, con un
gesto che mi
stupì, piegai il braccio all'indietro, affondando la mano
tra i suoi
capelli scuri, stringendoli ogni volta che il suo fiato mi
accarezzava il collo.
Capii in
quel
momento che c'era un altro antidepressivo, molto più
salutare, alla
mia tristezza cronica. Dario era la mia cura.
__________________________________________________________
Bon Jour!
Sì
lo so, sono assai lunatica. Più mi impongo di postare con
regolarità, più non lo faccio. Quindi,
aspettatevi aggiornamenti irregolari.
Capitolo
intenso, no?! A me piace molto. Ispirata dalla mia amata Lady Gaga e la
sua Alejandro e dalla
stupenda La cura di Franco
Battiato. Insomma, Dario fa un brutto effetto, in senso positivo
ovviamente. Ma come biasimare la povera Alice? Anche io mi sarei
sciolta con lui e non solo sciolta u.u E credo che questo non lo penso
solo io, viste le recensioni. Sono davvero contentissima che Dario vi
piaccia ^^
La
filosofia di Alice, Io
pago, io mangio, è
un omaggio ad una mia amica che adoro e che mangia in continuazione,
nonostante dice di essere sempre a dieta. Fortuna per lei che non
ingrassa. Anche io adotto la sua filosofia di vita, ma io
m'inchiattisco. Come direbbe Homer, Mangio
mangio mangio e non dimagrisco mai, com'è sta storia?
Passiamo
ora ai soliti ringraziamenti. Grazie a chi ha recensito, a chi ha
inserito questa storia tra le seguite, le ricordate, le preferite e a
chi legge silenziosamente. Siete la mia forza, vi adoro, lo sapete? :)
Sto pensando di farvi un regalo, magari scrivendo qualche missing
moments su Dario, vedremo :)
Poi,
un GRAZIE specialissimo alle ragazze del gruppo di Facebook, Le
scrittrici di EFP (vi adoro ragazze), soprattutto Neverwas
e Lily
Alison Malfoy che
pazientemente ascoltano i miei scleri petulanti e che ormai sono
diventate il mio punto fisso. Vi adoro ragazze ♥
Vi
ricordo come sempre la pagina
facebook dove
troverete spuoilers, photosss and news su Alice e nuove storie, tipo,
questa,
tadan!
Non
è ancora stata pubblicata, ma ciò
avverrà tra breve, quindi tenete sott'occhio il mio profilo
che potrebbe spuntare da un momento all'altro. È una storia
molto diversa da questa, più impegnativa e seria. Un amore
impossibile tra un ragazzo di strada, Dylan, che passa le sue giornate
tra risse, droga e sesso e una ragazza, Rachel, considerata la figlia
perfetta (anche se in realtà non lo è affatto
xD), studentessa modello di Harvard. Curiosi? La risposta
sarà no, ma amen xD
Ora
mi dileguo!
Spero
che il capitolo sia stato di vostro gradimento.
See
ya ♥
|
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Capitolo 8 *** Three is better than two ***
C a p i t o l o 7
Three is better than two
Più lo guardavo e
più mi rendevo conto che Dario era l'unica persona con cui
potevo
essere me stessa, l'unica persona che aveva conosciuto la vera Alice
Livraghi, senza bugie, senza finte vite parallele. Con lui non c'era
bisogno di fingere, con lui potevo sfogare le mie frustrazioni
provocate da Federico. Da semplice gigolò-estraneo si stava
trasformano in un punto fisso per me e il pensiero che tra meno di
nove giorni lo avrei dovuto salutare mi rattristava parecchio.
«Mi fai paura
quando mi guardi così» mi disse con un
sopracciglio abbassato.
«Temi che io
possa ucciderti in un impeto di rabbia?!» domandai sarcastica.
«Non si sa mai»
scrollò le spalle, sorridendomi.
Cavoli, quanto era
bello quando sorrideva. Lo era sempre, ma quell'aria felice lo
rendeva ancora più meraviglioso. I suoi occhi si
socchiudevano,
divenendo intensi e luminosi, così come il suo viso,
assolutamente
splendente. Mi guardai subito le scarpe, sentivo le guance infuocate,
il cuore batteva all'impazzata e respirare mi costava fatica. Dario
aveva sempre più un brutto effetto sul mio corpo, sui miei
pensieri.
Non c'era istante in cui non mi balenava in testa il suo viso,
così
come capitava con Federico. Che mi stessi...no, impossibile!
Assolutamente non poteva essere! E anche se fosse stato, mi sarei
imposta di farmela passare. Anche se quando mi imponevo qualcosa,
tutto andava nel verso opposto. In fondo, però, questa volta
mi
sarebbe andata meglio: dopo il 14 niente più Dario e niente
più
sbalzi ormonali nocivi per il mio corpo.
«Ti capita spesso
di cadere in trance?» mi domandò, sventolandomi
una mano davanti
agli occhi.
«Abbastanza»
risposi, guardandolo negli occhi e sorridendogli «Comunque,
dove mi
porti oggi?» domandai, congiungendo le mani dietro la schiena.
Dario allargò le
braccia, scuotendo la testa.
«A dire il vero
non lo so nemmeno io!» sghignazzò divertito.
Bene!
Mi invitava ad uscire e non sapeva nemmeno dove portarmi.
Organizzazione fantastica, non c'è che dire. Vagavamo
come delle anime in pena per le strade di quel piccolo paese con il
freddo pungente che si abbatteva sui nostri visi.
Avevo una domanda che rimbalzava come una pallina
impazzita nella mia mente, mi opprimeva e non riuscivo più a
tenermela solo per me.
«Perchè fai il gigolò?»
Dario s'irrigidì a
quella domanda spiazzante che, forse, non avrei dovuto fare.
Sospirò
e mi sorrise.
«Vedi, l'unica cosa che so fare è il sesso ed è l'unica cosa che mi garantisce di trovare qualcosa da mangiare»
Annuii, scossa da quelle
parole, ma soprattutto da quelle che non mi aveva sicuramente detto.
Qualcosa mi diceva che, in realtà, mi stesse nascondendo
qualcosa.
Ma mi ero intromessa fin troppo nella sua vita senza averne il
diritto, per cui misi a tacere la mia curiosità.
Riprendemmo a
camminare, silenziosi. Mi bloccai improvvisamente in mezzo al
marciapiede colta da una strana preoccupazione. Quella era
già la
seconda uscita e se contavo quella di San Valentino e mettendo in
conto anche il nostro primo incontro, avrei dovuto sborsargli 1200
euro! Uno stipendio mensile di un impiegato medio. Stavo sbagliando
tutto, non avrei dovuto affatto chiamarlo.
«Dario!» lo
richiamai, facendolo voltare «Non credo sia una buona idea
continuare ad uscire. Sai, i soldi non crescono sugli alberi»
Lui mi sorrise,
raggiungendomi con le mani in tasca.
«E quindi?»
disse con strafottenza.
«Quindi?!»
ripetei incredula «Devo sborsarli io 10.000 euro per pagare
uno
gigolò» sorrisi ironica.
Lo guardai truce
mentre scrollava le spalle. Se avesse detto Non è
un problema mio
lo avrei liquidato all'istante con un Avada Kedavra.
«Partendo dal
fatto che non sono 10.000 euro» esordì con
sufficienza e una faccia
che avrei preso volentieri a schiaffi «Tu hai voluto chiamare
uno
gigolò, non te l'ho imposto di certo io»
«Non avevo
alternativa!» esclamai nervosa.
«Invece sì»
sorrise supponente «Non mentire»
Alzai il dito
indice pronta a rispondergli, anche se non avevo una risposta da
dargli. Aveva ragione, cavoli! Tutto quel trambusto era nato per
quella stupida bugia. Se fossi stata più menefreghista e se
la mia
vita non pendeva dai giudizi altrui, in quel momento mi sarei vissuta
la mia splendida storia d'amore con Federico e sarebbe stato lui ad
accompagnarmi a quella festa. Invece no, dovevo parlare a sproposito
e San Valentino lo avrei passato con uno gigolò. Anche se,
tutto
sommato, non mi dispiaceva affatto stare con Dario, anzi, tutt'altro.
Stavo fin troppo bene con lui e questo mi spaventava.
Abbassai lo
sguardo sconsolata e preoccupata. Il lavoro di baby-sitter che avevo
trovato non mi avrebbe permesso comunque di pagarlo, a meno di non
accudire i figli di una qualche famiglia reale. Dario si
affiancò a
me stringendomi la spalla e facendomi un buffetto sulla guancia.
«Non ti
preoccupare» disse in un soffio «Queste uscite non
sono state
richieste da te, per cui non le metterò in conto»
Gli occhi mi si
illuminarono d'improvviso, stupita da quella notizia che era come un
raggio di sole durante una tempesta. Non risposi più di me.
Mi
portai davanti a lui, avvinghiandomi al suo collo e saltandogli
addosso, circondandogli i fianchi con le gambe. Dario
indietreggiò e
si lasciò andare ad un Oh! di stupore.
Inizialmente le sue
mani erano ferme a mezz'aria, poi lo sentii ricambiare il mio
abbraccio.
«Grazie!»
esclamai.
«Che entusiasmo!»
commentò Dario, la voce incrinata dallo sgomento
«Non c'è bisogno
che mi ringrazi. È giusto che sia così»
Tornai di nuovo a
terra, senza però sciogliere l'abbraccio. Lo guardavo, lui
mi
guardava. Ogni volta che lo avevo a pochi centimetri di distanza da
me, occhi negli occhi, venivo intrappolata in un altro mondo, ma non
il mio, fatto di sciocchezze e di infantilità, uno in cui
c'eravamo
solo noi due, in cui il tempo ero scandito dal ritmo del mio cuore.
Avevo una strana
ed irrefrenabile voglia di baciarlo. Mi misi sulle punte e,
deglutendo, mi avvicinai alle sue labbra. Dario mi accarezzò
i
capelli, scivolando con la mano sulla mia guancia, abbassandosi
pericolosamente verso di me. Un istante e le sue morbide dita si
posarono sulle mie labbra.
«Non sono io
quello giusto» mormorò con voce tremante.
Mi baciò la
fronte, passando la mano tra i miei capelli. Chiusi gli occhi,
godendo appieno di quel momento e cercando di imprimere nella memoria
quell'istante le sue labbra e il suo profumo.
Sciolsi
l'abbraccio, abbassando lo sguardo ad osservare il marciapiede e
torturandomi le mani per l'imbarazzo. Forse era stato meglio che non
ci fossimo baciati. Lui non sarebbe mai stato nulla per me, solo un
semplice accompagnatore e soprattutto io, per Dario, ero e sarei
sempre stata solo una semplice e stupida ragazzina che lo aveva
chiamato per un incarico fin troppo sciocco.
Non era da me un
comportamento simile. Forse era la frustrazione, la delusione di
Federico, magari la voglia di dare il mio primo bacio o
perché,
semplicemente, Dario aveva un brutto ascendente su di me.
«Io torno a casa»
mormorai, continuando a fissarmi le Converse.
Quella specie di
appuntamento, quei pochi minuti insieme, erano stati troppo intensi
per me e non sarei riuscita a continuare a stare con lui e far finta
di nulla. Non mi girai nemmeno a guardarlo, camminavo con sguardo
fisso davanti a me con l'unica voglia di tornare a casa mia e fare un
po' di chiarezza nei miei pensieri e nel mio cuore.
Nonostante tutto,
continuavo ad essere invaghita di Federico, inutile continuare a
mentirsi facendo finta che per lui il mio cuore non batteva
più. Ma
da quando era arrivato Dario mi sentivo confusa e scombussolata.
Quando stavo con lui, quando pensavo a lui, Abbate diventava come un
lontano ricordo offuscato, mi sentivo quasi un'altra, anzi, mi
sentivo me stessa. Ed ero felice.
Dario,
Federico, Federico, Dario.
Due ragazzi che mi
tormentavano e che mai sarebbero stati miei. Era assolutamente da
masochisti continuare a pensare che uno dei due, prima o poi, sarebbe
diventato il mio fidanzato, che uno dei due, prima o poi, mi avrebbe
fatto conoscere l'amore in tutte le sue sfaccettature.
Mi gettai sul
letto a guardare il soffitto. Quanto stavo diventando paranoica,
ossessiva, scassa palle?! Dov'era andata a finire l'Alice spensierata
senza ragazzi per la testa, se non i suoi immaginari? Sparita
chissà
dove, sommersa dai pensieri opprimenti di quei due ragazzi.
Chiusi gli occhi,
cominciando a pregare che San Valentino arrivasse il prima possibile,
portando via con sé questa mia stupida confusione.
Sospirai,
guardandomi allo specchio un'ultima volta prima di uscire di casa.
Ero preoccupata e nervosa, quella sarebbe stata la mia prima serata
da baby-sitter. Il fatto che dovessi badare ad un bambino
m'impauriva. E se avrebbe incendiato casa? E se avesse messo le dita
nella presa di corrente? E se avesse distrutto tutto? E se fosse
stato uno di una baby-gang? Ok, stavo esagerando, ma dovevo
prepararmi al peggio. Avevo paura di non essere all'altezza, di fare
qualche guaio, di ucciderlo per sbaglio o chessò io.
«Alice sei
pronta?» urlò mia madre dal salotto.
«Sì!» risposi.
Mi feci coraggio
da sola e uscii dalla mia stanza.
«Veloce che non
puoi arrivare in ritardo!» mi incitò mia madre,
sempre così
apprensiva.
Scendemmo
velocemente in garage, montando sulla Panda rosso fuoco di mia madre.
Appoggiai la fronte al finestrino freddo. Nulla a che vedere con la
Mito di Dario. Accidenti, ma perchè doveva sempre
intromettersi nei
miei pensieri?! Facendo così complicava ancora di
più la mia
situazione di sanità mentale precaria!
«È bello che tu
abbia deciso di iniziare a lavorare» la voce di mia madre mi
riportò
nella Panda.
«Già» risposi
poco convinta, sospirando sonoramente.
«Ma non ho capito
perchè lo fai» continuò
«È perchè il tuo ragazzo già
lavora e
quindi non vuoi essere da meno, perchè devi fargli un
regalo...»
«Esatto» la
interruppi sorridendo falsamente.
No mia cara
mamma, devo pagare uno gigolò.
«Allora ammetti
di avere un fidanzato?!» trillò mia madre
incredula.
Tradimento! Mi
aveva teso una trappola e io c'ero cascata con tutte le Converse.
Sgranai gli occhi e cominciai a boccheggiare.
«Non è proprio
il mio ragazzo» mi arrampicai sugli specchi insaponati.
Mia mamma mi
guardò con aria di sufficienza, la tipica espressione delle
madri
che pensano di aver capito tutto della vita intricata della figlia.
Ma in realtà, e mi dispiaceva per lei,non aveva compreso
assolutamente nulla di me. Però la colpa non era sua, ma mia
che non
mi confidavo con lei quasi mai.
Dieci minuti dopo
avevamo raggiunto il palazzo in cui avrei vissuto il mio inferno
personale con un piccolo Bart Simpson.
«Stai attenta»
si raccomandò mia madre «Non dire sempre
sì, alle nove e mezza
mettilo a letto, non trattarlo male e sii simpatica»
Rotei gli occhi ed
annuii, schioccando un bacio sulla guancia di mamma. Scesi dalla
macchina, ritrovandomi davanti ad una piccola palazzina dai muri
gialli che avrà avuto al massimo cinque piani, coperta sulla
faccia
laterale da rami di edera. Mi avvicinai al citofono suonando alla
famiglia Bettini. Mi rispose una dolce voce femminile che mi
aprì
subito il portoncino indicandomi il piano.
A fatica, mi
trascinai per i tre piani, affannata e sudata. Non ero per nulla
abituata al moto, soprattutto non alle nove di sera e dopo essermi
rimpinzata di panzerotti.
Una donna
estremamente bella mi stava attendendo sulla porta con un sorriso
sgargiante. Aveva dei lunghi capelli castani naturalmente mossi e
leggermente gonfi, degli enormi occhi azzurri e un corpo morbido
coperto da un leggero abito nero.
«Piacere, Paola»
mi allungò la mano.
«Alice» risposi
con un sorriso, stringendola.
Mi invitò ad
entrare in quel piccolo appartamento. Si apriva direttamente su un
salotto modesto, arredato semplicemente con un divano rosso attaccato
alla parete e un televisore davanti ad esso. Qualche quadro riempiva
le spoglie pareti bianche. Sulla parete di fronte al sofà,
un tavolo
di legno chiaro con tre sedie e nell'angolo, una piccola cucina
laccata di bianco.
Un piccolo bambino
mi apparve davanti, mentre correva, trasportando con sé un
aeroplano, emettendo con la bocca il suono del suo motore.
«Alice, questo è
Lorenzo» mi disse la signora Paola, stringendo il bambino.
Si accovacciò poi
davanti a lui, guardandolo intensamente negli occhi.
«Fai il bravo, mi
raccomando. Non fare disperare la signorina e sii educato»
Tornò poi in
piedi a guardarmi.
«È le prima
volta che lo lascio con una baby-sitter. Solitamente se ne occupa suo
fratello, ma» si interruppe sospirando «sono
più le sere che passa
fuori che in casa, oramai» scrollò la testa
«Se hai bisogno, ti ho
lasciato i numeri importanti attaccati al frigorifero. C'è
il mio
cellulare, quello di mio figlio, della nonna, del pediatra»
Quell'elenco non
fece altro che aumentare la mia preoccupazione, ma sorrisi cercando
di non far trasparire il mio disagio.
«Io tornerò
domani mattina presto» mi informò «Ma
appena torna mio figlio,
puoi tornare a casa. Ci penserà lui poi a darti i
soldi»
La signora Paola
si congedò, lasciandomi da sola in casa, insieme a quel
bambino. Lui
mi guardava con la testa alzata, sbattendo più volte le
palpebre.
Come sua madre, Lorenzo aveva dei bellissimi occhi azzurri.
«Tu chi sei?» mi
indicò, corrugando la fronte.
«Alice, piacere»
mi abbassai alla sua altezza, sorridendogli dolcemente.
«E cosa vuoi da
me?»
«Sono la tua
baby-sitter» risposi.
«Dov'è mio
fratello?»
Ancora un'altra
domanda. Cominciavo a non sopportarlo più quel bambino
troppo
curioso.
«Non lo so, ma
tornerà presto, fidati» gli passai una mano tra i
capelli.
Lorenzo mi guardò
truce, il ché mi spaventò, anche se era solo un
piccolo bimbo
indifeso di circa sei anni. Mi assestò un calcio sul
ginocchio,
facendomi lacrimare dal dolore. Trattenni un urlo, che non sapevo se
era di rabbia o per il male che mi aveva fatto quella piccola peste.
Lorenzo mi guardò di nuovo prima di cominciare a sbraitare
come una
poiana in calore. Andava ad intermittenza, i toni erano prima
più
alti e poi si abbassavano improvvisamente, stile antifurto.
«Voglio mio
fratello!» si buttò a terra, cominciando a
scalciare e continuando
ad urlare.
Mi tappai le
orecchie, cercando di avvinarmi a lui.
«Tuo fratello
arriva presto» cercai di tranquillizzarlo, ma non
servì a nulla.
Mi era impossibile
accostarmi a lui, non volevo essere di certo colpita da un altro
calcio doloroso. Come mi prospettavo, badare ad un piccolo marmocchio
capriccioso era più difficile del previsto.
«Ti prego, basta»
piagnucolai, senza sapere cosa fare, se non mettermi le mani tra i
capelli.
Proprio quella
sera il fratello di Lorenzo doveva dare buca?! Speravo con tutto il
cuore che quel ragazzo giungesse il prima possibile a salvarmi come
un supereroe.
«Ti faccio
mangiare le patatine se la smetti!» me ne uscii.
Quale bambino non
adorava le patatine? Se ce n'erano in quella casa, ovviamente.
Lorenzo smise di
urlare e di dimenarsi e mi guardò con aria furbetta. Mi
sorrise
mostrando che gli mancavano i due denti davanti. Si rialzò e
prese a
tirarmi i jeans.
«Le patatine. Le
patatine. Le patatine. Le patatine» continuava a ripetermi,
seguendomi verso la cucina. Aprii ogni scaffale mentre la voce del
bambino mi trapanava il cervello. Stavo per avere un crollo nervoso,
ma cercavo di mantenere la calma ripetendomi che era solo un moccioso
e sarebbe stato controproducente urlare con lui. Trovai un sacchetto
di patatine al formaggio e tirai un sospiro di sollievo.
«Le patatine!»
esclamò agitandosi in una specie di danza della
felicità.
Mi andai a sedere
sul divano e lui fece lo stesso. Mangiammo quei cornetti al formaggio
guardando Alla ricerca di Nemo, uno dei miei film
preferiti.
Per poco non mi misi a piangere, quel cartone riusciva a intenerirmi
ancora, come qualsiasi altra creazione Disney. Lorenzo si
addormentò
verso metà film, lasciandomi metà pacchetto di
patatine che mangiai
tutto e la libertà di frignare come una bambina alla fine
del film.
Con la maglietta e
la bocca sporche di briciole, sollevai il marmocchio che pesava
più
di un bisonte e a fatica lo portai nella sua stanza. C'era un letto a
castello appena entrati, un armadio verde e azzurro e una semplice
scrivania. Lo adagiai sul letto accarezzandogli al fronte e respirai
dopo quella faticaccia.
Mi richiusi la
porta della stanza alle spalle appoggiandomici. Un po' di silenzio ci
voleva, anche per poter permettere alla mia mente di fantasticare.
Era strano che né Paola né Lorenzo avessero
menzionato il padre, ma
solo il fratello maggiore. Poteva benissimo essere che si erano
lasciati, come i miei genitori. Ma il fatto che la signora Bettini
uscisse di casa così tardi per rincasare la mattina mi
faceva
credere che svolgesse un doppio lavoro. La conclusione migliore era
che o il marito era un viscido che l'aveva abbandonata oppure che
fosse...morto. Una morsa allo stomaco solo a
pensarci. Visto
che non sapevo farmi gli affari miei, andai nella camera da letto di
Paola, esattamente di fronte a quella di Lorenzo.
Accesi la luce per
illuminare la stanza, puntando lo sguardo subito sulla colonnetta di
fianco al letto matrimoniale. Una fotografia di un uomo affascinante
che sorrideva tenendo in braccio un piccolo bambino di nemmeno un
anno era adagiata sul comodino. Accanto alle cornice dorata c'erano
due cerini accesi, quasi del tutto consumati, però, dal loro
ardere
nel perpetuo ricordo di quell'uomo. La mia supposizione era giusta,
Paola era vedova. La morsa che poco prima avevo allo stomaco
s'intensificò, impossessandosi anche del mio cuore.
Non mi accorsi che
qualcuno aveva aperto la porta ed era entrato, beccandomi in pieno
mentre mi facevo gli affari degli altri.
«Non ti hanno
insegnato che non si ficca il naso in cose altrui?» una voce
fin
troppo familiare risuonò alle mie spalle.
Mi irrigidii a
sentirlo parlare mentre un altro attacco di tachicardia mi colse. Se
continuavo così sarei dovuta andare in cura da un cardiologo
per il
resto della mia vita. Mi voltai e gli sorrisi mestamente, dispiaciuta
e imbarazzata.
«Scusa»
mormorai, mordendomi le labbra.
Lui scrollò le
spalle e sorrise sghembo.
«Tranquilla» mi
disse con un tono di voce che non gli avevo mai sentito utilizzare.
Solitamente era
così deciso e sicuro di sé, ma in quel momento
sembrava così
vulnerabile. Anche lui era, quindi, un essere umano con dei
sentimenti, inerme e abbandonato ai sentimenti di fronte alla
fotografia di suo padre. Ero andata in apnea, non respiravo quasi
più
e il cuore era ormai guizzato via. Due ragazzi non bastavano, no!
Doveva aggiungersi anche Davide alla mia già travagliata
mente. Lo
avevo dimenticato, sicura che lui fosse solo una cotta
adolescenziale, di quelle d'obbligo per una ragazza sfigata come me.
Ma vederlo di fronte a me così mi fece capire che, no, non
lo avevo
dimenticato, anzi mi faceva sempre lo stesso effetto, se non
peggiore.
Mai avrei pensato
che Davide fosse il fratello di Lorenzo, anche perchè lui di
cognome
faceva Saronno e non Bettini. Probabilmente, dopo la morte del padre,
si erano trasferiti mantenendo sul citofono solo il cognome di Paola.
«Non dirlo a
nessuno, però» disse ad un tratto, regalandomi un
sorriso da farmi
perdere il fiato «Non voglio che si sappia. Verrebbe
sfruttata solo
per compatirmi» aggiunse.
Mi strinsi le mani
ed annuii,
«Vuoi qualcosa da
bere, RovesciaCappuccini?» mi
guardò seducente, tornando
d'un tratto il Davide di sempre.
«No grazie»
sorrisi imbarazzata.
«Dai! Non farti
pregare. Un bicchiere di succo» continuò.
Non aspettò
nemmeno la mia risposta che abbandonò la camera da letto. Lo
seguii
in salotto, osservandolo mentre riempiva due bicchieri con del succo
alla pera. Li afferrò e me ne porse uno gentilmente,
sorridendomi
ancora. E ancora il mio cuore si fermò. Bevvi tutto d'un
fiato,
nonostante la mano tremante.
«Ti ha dato
problemi Lorenzo?» mi domandò, pulendosi la bocca
con la manica
della maglia.
«Non molti. Solo
all'inizio perchè voleva stare con te» risposi,
vagando con lo
sguardo, cercando di non posarlo nel suo.
«Non è mai stato
con una persona che non fossi io o mia madre»
spiegò ridacchiando
«Però è un bravo bambino, nonostante i
capricci»
Annuii. L'unica
cosa che riuscivo a fare era annuire. Lui continuava a parlare ed io
muovevo solo la testa. Idiota! Ma era come se,
stando insieme
ad un ragazzo, le pile si scaricassero d'un tratto, non permettendomi
di dire e fare quello che volevo.
«Sarà il caso
che ci presentiamo, no?! Visto che il destino continua a farci
incontrare» il suo tono di voce era roco e seducente
«Davide»
Allungò la mano e
io l'afferrai con la mia sudaticcia.
«A-Alice»
tentennai.
«Finalmente ho
scoperto il nome di quella ragazza che mi ha conquistato con la sua
timidezza» disse Davide, spiazzandomi completamente.
Davide Saronno
aveva realmente detto conquistato riferendosi alla
sottoscritta?!
«Co-come?»
balbettai, con gli occhi spalancati.
«È da un po' che
pensavo a te. La tua dolcezza mi ha davvero spiazzato»
continuò «Ho
sempre avuto a che fare con ragazze dalla gonna corta e dal letto
facile. Ammetto che non mi è mai dispiaciuto»
sogghignò «Ma è da
un po' di tempo che desidero qualcosa di più del semplice
sesso. Ti
ho cercata a scuola, ma sei sempre così sfuggente»
Più parlava e più
le mie guance andavano a fuoco, più il mo cuore accelerava
la sua
corsa, più le mie gambe diventavano molli.
«Sono sicuro che
non è casuale il fatto che tu sia la baby-sitter di mio
fratello,
che tu abbia scoperto la mia debolezza. Tu credi nel destino,
Alice?»
Il mio nome
pronunciato dalla sua voce dolce e sensuale batteva quasi quella di
Dario. Magari ero solo condizionata da quella specie di dichiarazione
d'amore inaspettata, o forse Davide aveva ragione. Il destino.
Non ci avevo mai creduto più del dovuto, ma in quel momento
iniziavo
a ricredermi.
«Sì» risposi in
un sussurro.
La sua mano
scivolò sulla mia guancia in una carezza carica di dolcezza,
di
ardore e di passione.
«Ti dispiacerebbe
se cominciassi a corteggiarti?»
Sgranai gli occhi,
spiazzata da quella domanda. Saronno voleva corteggiare me! La
stupida e ingenua Alice Livraghi?!
Deglutii a fatica.
Mi sembrava tutto così strano, sembrava impossibile che
Davide si
fosse accorto di me così, all'improvviso e che mi dicesse
cose
simili. Ma in un momento come quello pensare mi risultava complicato
e la parte irrazionale di me prendeva il sopravvento annebbiando
qualsiasi dubbi sul suo conto. Mi strinsi nelle spalle scrollandole,
senza dare una risposta alla sua domanda. Ma a lui non interessavano,
a quanto pareva, decideva da solo, senza aspettare la conferma
dell'altro.
«Domani sera
sarei dovuto andare a pattinare ma mi hanno dato buca» mi
guardò
con un sopracciglio alzato e un sorriso da mozzare il fiato
«Ti
andrebbe di venire con me?»
Annaspavo, cercavo
in tutti i modi di respirare più aria possibile per
continuare a
vivere.
«Credo che dovrò
badare a Lorenzo» risposi.
«Domani sera mia
madre non lavora» spiegò come se fosse la cosa
più ovvia del mondo
«Allora, vieni?» insistette.
Guardai il
pavimento, dubbiosa, spiazzata, incredula per quello che stava
accadendo in così poco tempo. Deglutii e alzai la testa per
incontrare finalmente il suo sguardo oceanico. Annuii con un sorriso
timido e lui fece lo stesso. Mi prese per un braccio, trascinandomi
verso di lui e facendomi sbattere contro il suo petto. Mi strinse
forte, dondolando da una parte all'altra e schioccandomi un lungo
bacio tra i capelli.
Se quel pomeriggio
ero confusa, la sera lo divenni ancora di più. Qualche
settimana
prima nessuno mi filava, ero invisibile, mentre ora avevo tre ragazzi
che popolavano la mia mente, uno più incredibile dell'altro.
Three is better
than two.
Ma non per la me e
la mia vita fin troppo scombussolata.
Alice e Dario
>
________________________________________________________________________________
Buon
martedì pomeriggio a tutte/i!
Piaciuta
la sorpresina a fine capitolo? ^^
Che
dire?! Questo capitolo mi ha dato un sacco di problemi, colpa di Davide,
anzi, di Alice. Avevo un'altra idea n mente, ma scrivendo l'ho vista
allontanarsi sempre di più, per cui Davide ha cominciato ad
andarmi "stretto", non sapevo davvero come inserirlo. Ma, pensando e
ripensando, non dormendo la notte e durante i viaggi in metropolitana
ho rimediato ^^
Alice
è assai confusa. Inizia ad affezionarsi molto a Dario (come
non darle torto), ma sa che lui dopo San Valentino non ci
sarà più per lei, che tornerà alla sua
vita. Non avendo già abbastanza problemi, si è
ritrovata a fare da babysitter in casa di Davide, facendo una scoperta
inaspettata, anzi due: non ha più il papà e che
lui si è accorto di lei. Sconvolgente! xD
Sto
iniziando a pensare ad una piccola raccolta di Missing Moments, degli
episodi di questa storia visti però con gli occhi di Dario,
per ringraziarvi di tutto il sostegno e l'affetto che mi date. Poi,
perchè no, magari scriverò anche una storia su di
lui, ma vedremo. Ho deciso di farvi questo regalo perchè mi
è parso di capire che il nostro gigolò vi piaccia
molto e ne sono contenta. La raccolta si intitolerà In un
giorno qualunque, come la
canzone del mitico Mengoni. Poi capirete il perchè quando
arriverà la festa di San Valentino ^^
Ora,
i ringraziamenti. Allora, innanzitutto sono felice di dirvi che questa
storia ha ricevuto oltre 600 visite! Wow! So che le visite non contano
molto, ma mi rende felice comunqu :) Quindi grazie lettori silenziosi!
Poi,
Grazie alle 14 persone che hanno inserito la storia fra le preferite,
alle 6 che l'hanno inserita nelle ricordate e alle 45 che l'hanno
inserita nelle seguite, siete la mia forza :')
Grazie
anche a chi ha recensito lo scorso capitolo, siete adorabili :)
Ora,
Pubblicità!
Red
District
Pagina Facebook
Grazie
ancora e alla prossima!
Un
bacio, Manu ♥
|
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Capitolo 9 *** Special ***
C
a p i t o l o 8
Special
Ancora non
avevo metabolizzato tutto quello che era successo il
giorno prima, non avevo avuto né il tempo né la
concentrazione
giusta per realizzare. Il pomeriggio si era aperto con un quasi bacio
con Dario e si era conclusa con la dichiarazione da parte di Davide.
Mi sembrava impossibile che questo stesse accadendo ad una Alice
Livraghi qualunque. Stavo anche quasi dimenticandomi di Federico. E
invece no, perché dicendo così lo stavo pensando
in realtà.
Accidenti! Dovevo essere felice in quel momento, eppure la confusione
che si era creata intorno a me non mi permetteva di gioire.
Mi misi le mani tra i capelli, abbassando il viso verso il De
rerum natura di Lucrezio, cosa che mi fece deprimere
maggiormente. Già non sopportavo il latino e tradurlo mi
sembrava
una Mission Impossibile peggiori di quelle di Tom Cruise, per di
più
ora che la mia mente era più piena della metropolitana di
Milano
nell'ora di punta quelle parole sembravano solo linee nere senza
senso. Sbuffai sonoramente, sbattendo la testa contro il libro e
simulando un pianto, anche se la voglia di piangere e sfogarmi,
magari prendendo a pugni Raffaele, c'era eccome.
Suonarono al citofono, un suono assordante che non fece altro che
aumentare il mio nervosismo.
«Smell, vai ad aprire!» urlai poco finemente,
sembrando uno
scaricatore di porto.
Chi diavolo era alle tre del pomeriggio? Solitamente la gente a
quell'ora lavorava o faceva una pennichella, non andava in giro a
rompere le scatole. Raffaele strascicò verso la cucina,
sporgendosi
dalla porta a soffietto e guardandomi con uno strano sguardo
inquisitore. Gli sorrisi incerta, in attesa di una spiegazione.
«Chi è!?» gli chiesi poi, curiosa.
«Un tuo amico» rispose, sollevando le sopracciglia.
Si appoggiò
allo stipite, continuando a guardarmi stile Horatio Caine nel pieno
di un interrogatorio con un assassino «Hai un po' troppi
amici»
fece le virgolette «maschi»
«Sei geloso?» domandai incredula.
«Assolutamente no. Ma non è bello scoprire che la
propria sorella
si è trasformata in una poco di buono»
Sgranai gli occhi e spalancai la bocca scioccata da quella frase.
Chiusi la cerniera dell'astuccio e lo lanciai, colpendo il muro.
«Io non sono una poco di buono» sibilai
«E gli amici sono solo
amici e nulla più!» alzai di più la
voce.
Raffaele mi osservò ancora con cipiglio e sospetto,
squadrando poi
il nostro ospite che era fuori dalla porta. Mentre si allontanava
continuava a lanciargli occhiate omicide. Molto probabilmente era
molto più geloso della sua bellezza che di me.
«Che bell'aria familiare» ironizzò
Dario, strisciando la sedia
davanti a me con poco garbo e lasciandosi cadere sopra, lanciando
l'astuccio appena raccolto sul tavolo.
«Di solito è anche peggio» risposi.
Mi imposi mentalmente di non guardarlo e pensare a tradurre Lucrezio.
Dovevo far finta di nulla, ero ancora tremendamente imbarazzata per
il pomeriggio precedente. Anche se mi risultava difficile. Proprio
quel giorno Dario doveva indossare un sexy maglione grigio con scollo
a V che mi dava un piccolo panorama sui suoi pettorali, talmente
attillato da disegnarli perfettamente quel fisico scultoreo che
portava i miei ormoni alla pazzia? Non poteva starsene a casa sua a
mangiare ciambelle invece di venire a organizzare quel festino
ormonale dentro di me? Avevo declinato il suo invito preferendo
Lucrezio a lui, cercando così di non doverlo vedere. Invece
era lì
davanti ai miei occhi, così sexy che mi veniva voglia di
sbatterlo
sul tavolo e...
Alice! Contieniti!
Cavoli, mi ero perfino leccata le labbra stile ninfomane pervertita.
Speravo solo che lui non si fosse accorto di questa mia vena porca
sconosciuta perfino a me stessa.
«Non c'era bisogno che venissi» gli dissi, cercando
di sembrare
distaccata «Anche perché non ho davvero tempo da
dedicarti»
continuai, fingendo interessata al dizionario di latino. Lo sfogliai
in cerca di una parola che nemmeno io sapevo.
«Avevo bisogno di parlarti» rispose lui,
intrecciando le mani sul
tavolo.
Sollevai lo sguardo incuriosito dal dizionario, perdendomi nella
purezza di quel petrolio liquido.
«Riguarda quello che è successo ieri. O meglio,
quello che non
è successo»
Ecco, immaginavo. Abbassai subito lo sguardo a guardare libro e
quaderno, sentendomi avvampare e assolutamente stupida.
«Si fa abbastanza freddo» dissi, almeno per fargli
capire che
quell'argomento non volevo nemmeno sfiorarlo.
Dario sorrise e mi guardò intensamente.
«Sono serio, Alice»
La sua voce roca era così dannatamente sensuale che il mio
corpo
cominciò ad ardere. Sentivo caldo, come se qualcuno avesse
d'improvviso alzato il riscaldamento al massimo. Non potevo vedermi,
ma ero sicuro di avere le guance paonazze.
«Anche io ero seria» risposi incerta «Fa
molto freddo»
L'espressione di Dario si fece seria. Incrociò le braccia e
si
sporse leggermente in avanti come per vedermi meglio.
«Non tergiversare» mormorò
«Non puoi far finta di nulla.
«Da come parli sembra che siamo stati a letto
insieme» commentai
sarcastica.
«Bè, se non ti avessi fermata chissà
cosa sarebbe successo»
ironizzò con la sua solita spocchia che distruggeva sempre
quel velo
di intimità che si creava tra noi. Lo guardai con
sufficienza e
infastidita. Quel giorno dovevo sembrare proprio una battona visto
che tutti mi trattavano come tale.
«A parte gli scherzi e tralasciando la tua
permalosità» mi
sorrise, per poi tornare serio «Volevo solo chiarire quello
che è
successo ieri. So che era solo uno stupido bacio e che potevo anche
concedertelo»
Come, come?! Concedermelo?! Aveva detto veramente così? Era
talmente
presuntuoso che credeva quasi di essere fatto d'oro, che un suo bacio
era così prezioso e importante. Ma non lo era affatto. Ero
campata
diciotto anni senza le sue labbra, ne avrei campati altri cento!
Alzai le sopracciglia, sorridendo sghemba.
«Oh che uomo di gran cuore!» trillai portandomi le
mani congiunte
sul cuore «Mi avresti concesso un bacio,
che sforzo!» continui ironica «È meglio
che scendi da solo dal tuo piedistallo
perché se lo facesse qualcun altro ti faresti molto male.
Caspita, che saggezza in un unico pensiero. Mi stupii di me stessa!
Possibile che quelle fossero parole mie? Ero praticamente pronta per
un Pulitzer! Dario affondò le mani tra i capelli, scendendo
poi ad
accarezzarsi le guance.
«Quanto sei permalosa» sospirò quasi
esasperato «Bisogna stare
attenti con le parole con te»
Stavo per trovare un'utilità al mio dizionario di latino:
spaccarlo
in testa a Dario. Sorrisi soddisfatta a quel pensiero, forse la mia
espressione era anche omicida, stile serial killer.
«Avrei potuto anche baciarti»
riprese, alterato «Ma non
sarebbe stato eticamente corretto. Non volevo che tu sprecassi
così
il tuo primo bacio, con un estraneo, con uno
gigolò» il suo tono si
fece mesto, quasi facevo fatica a sentirlo «con uno come me.
Non
meritavo quell'atto così puro. Se ti avessi baciata mi sarei
dannato
a vita. So che forse sono paranoico, che un bacio in realtà
è una
sciocchezza, ma sarebbe stato il tuo primo bacio, qualcosa
di
importante, soprattutto perché hai già 18 anni e
vorrei che tu lo
riservassi per una persona davvero speciale per te. Ed io non sono
quella persona perché io non sono speciale.»
Tutto d'un tratto la mia irritazione era sparita, non potevo essere
arrabbiata dopo quel discorso. In quelle parole c'era una nota di
amarezza. Sembrava quasi che Dario non sopportasse di essere uno
gigolò, di essere se stesso. Non capivo perché
questo odio nei suoi
confronti, io lo trovavo adorabile, soprattutto quando si trasformava
in un cucciolo come in quel momento. Presi a piegare gli angoli del
quaderno, imbarazzata.
Tu sei speciale.
Avrei voluto dirgli, ma non ci riuscii, quelle parole mi morirono in
bocca.
«Scusami se ti ho messo a disagio» dissi, con il
volto chino,
chiusa nelle spalle «Non so davvero cosa mi è
preso. Ho agito
d'istinto, senza pensare» gli sorrisi.
«Nessuna donna ti biasimerebbe» rispose lui,
tornando il Dario
vanitoso e sicuro di sé «Tutte vorrebbero
baciarmi, e non solo. Se
fossi una donna farei di tutto per scoparmi»
«Modesto» commentai, facendolo ridere.
La magia che aveva creato poco prima era stata dissolta in un
nanosecondo dalla sua presunzione. Ma Dario non sarebbe stato quel
ragazzo speciale che era senza la sua boria, lo scudo che proteggeva
il suo animo dolce e che mascherava quei momenti di pseudo-sconforto
provocato da chissà che cosa. Avrei voluto che lui si
sfogasse con
me, ma sapevo che chiedevo troppo.
«Comunque, chi è l'uomo che ti ha sottratta a
me?» domandò,
fintamente irritato, aggrottando le sopracciglia.
«Lucrezio» risposi, sconsolata, appoggiando la
guancia sul libro.
Il rumore della sedia che strisciava si ripercosse sul tavolo,
facendolo vibrare, i passi di Dario lo fecero rimbombare, facendo
arrivare alle mie orecchie suoni ovattati. La sua mano si
appoggiò
accanto al libro, così abbronzata, con quelle dita
affusolate. Per
un parlare dell'avambraccio che faceva capolino dalla manica
leggermente sollevata del maglioncino, magro e con una leggera
peluria scura. Mi sentivo come se mi avessero abbandonata sul Sole,
il troppo caldo mi impediva di pensare e persino respirare. Possibile
che anche il suo avambraccio fosse così dannatamente
sensuale? C'era
qualcosa in lui che non fosse sexy? Il riporto, i piedi puzzolenti o
un'unghia incarnita?
«Se vuoi posso darti una mano»
Mi rialzai, trovandomelo a pochi millimetri di distanza, piegato sul
tavolo per leggere il testo da tradurre, con la sua guancia
praticamente attaccata alla mia. Il suo odore solleticò le
mie
narici e tutti i miei sensi, compresi il sesto, che mi permetteva di
vedere i fantasmi, e il settimo che non ho idea quale sia.
«Sai il latino?» domandai, risvegliandomi da quella
specie di
catalessi che mi provocava il suo profumo.
«Ho fatto il classico» rispose, voltandosi verso di
me e
sorridendo.
Il suo viso era troppo vicino al mio e ancora quella voglia di
baciarlo mi colse. Volevo che quelle labbra divenissero mie, sentire
il velluto solleticare la mia bocca, anche per un secondo, solo per
sentirlo mio un solo istante. Ma mi morsi le labbra e resistetti a
quella tentazione, distogliendo lo sguardo da lui e guardando le
fantastiche ortensie appassite di mia madre sul balcone.
Dario prese una delle sedie, posizionandola accanto alla mia e
sedendosi accanto a me. Fece strisciare quaderno e libro davanti a
sé, rubando poi dal mio astuccio una bic nera.
Bello, dolce, sexy, stronzo quanto bastava e anche intelligente!
C'era qualcosa di meglio di Dario? Fino a quel momento non lo avevo
ancora trovato.
Con la mano destra mi strinse la spalla, spingendomi delicatamente
verso di lui. Non me lo feci ripetere un'altra volta e accettai il
suo invito, adagiando la testa sulla sua spalla e godendo di
quell'ennesimo contatto. Dario cominciò a leggere, muovendo
le
labbra sensuali ad ogni parola, mentre mi accarezzava dolcemente la
spalla. Brividi, puri e semplici brividi lungo tutto il corpo.
Scoprii in quel momento un piccolo e forse inutile particolare di
lui: era mancino. Aveva iniziato a scrivere la traduzione sul
quaderno senza nemmeno l'ausilio del dizionario. Era un genio del
latino, chi se lo sarebbe mai immaginato!
«Non ne sono sicuro, ma la prima frase dovrebbe essere
così»
A malincuore dovetti abbandonare la sua spalla per sporgermi in
avanti e leggere ciò che aveva scritto, anche se tanto,
giusto o
meno, non me ne sarei accorta.
O miseri uomini, guardatevi bene da questa giovane donzella
permalosa.
Rimasi perplessa lì per lì, ma sentendo la
risatina divertita di
Dario capii che era una chiara presa per il culo. Contrassi la
mascella, sferrandogli una gomitata nel petto, che lo fece lamentare
per il dolore.
«Oh, scusa, non l'ho fatto apposta!» esclamai
fintamente
mortificata, guardandolo mentre si massaggiava il petto e rideva come
uno scemo.
«Non lo dico io!» alzò le mani in segno
di resa «Queste sono
parole di Lucrezio!»
«Idiota» lo liquidai irritata, incrociando le
braccia al petto e
sbattendo la schiena contro la sedia.
Altro che intelligente, era più stupido di Spongebob e
irritante
come l'ortica.
«Dai Alice, scherzavo!»
Mi schioccò un lungo bacio sulla guancia cercando di
addolcirmi. Fu
difficile resistere dal saltargli addosso e farci le peggio cose, ma
cercai di resistere con tutte le mie forze, rimanendo solida nel mio
broncio. Era vero, ero permalosa, forse troppo e odiavo che mi
venisse ripetuto in continuazione, così come mi infastidiva
che
venissero derisi i miei difetti.
Nonostante la guancia ustionata e i miei pensieri vacillanti tra
l'impuro e l'orgoglio, sollevai il mento con fastidio, guardando da
tutt'altra parte, per rincarare la dose e farlo sentire maggiormente
in colpa, insomma.
«Alice, non fare l'arrabbiata con me»
piagnucolò Dario.
Mi voltai cautamente per riuscire a vederlo almeno con la coda
dell'occhio. Mai lo avessi fatto! Aveva gli occhi spalancati, il
labbro inferiore in fuori e tremolante nella tipica espressione da
bambino in cerca di perdono. Diamine, non riuscivo a resistere agli
occhi dolci, soprattutto poi se gli occhi in questione erano quelli
meravigliosi di Dario. Ammorbidii le spalle, sospirando e sciogliendo
le braccia.
«Questa mossa è stata davvero subdola»
lo rimproverai anche se la
mia voce che avrebbe dovuto essere canzonatorio era fin troppo dolce.
Dario mi afferrò un braccio, spingendomi verso di lui e mi
ritrovai
la guancia spiaccicata sul suo petto oltremodo sviluppato. Posa
innaturale stile gobbo di Notre Dame che mi avrebbe fatto venire ben
presto una scoliosi e un imminente colpo di calore derivante dalla
troppa vicinanza con il suo fisico pazzesco a parte, ricambiai la
stretta, accarezzandogli il fianco. In un modo o nell'altro, ci
ritrovavamo sempre abbracciati, non che la cosa mi dispiacesse, anzi.
Ogni volta che mi ritrovavo tra se sue braccia mi sentivo protetta e
tranquilla e il suo odore era diventato una specie di droga,
dipendevo da quella fragranza che non sapevo bene come definire.
Come avrei fatto senza di lui dopo San Valentino? Ormai era entrato a
far parte della mia vita, sconvolgendola completamente. Era una
routine vederlo ogni giorno, finire tra le sue braccia, condividere
con lui le mie inutili mattinate a scuola e per me era quasi
impossibile rinunciare alla routine, così come mi risultava
impossibile pensare ai miei pomeriggi senza di lui. Sentivo gli occhi
pungere, riempirsi piano di lacrime, pulsare quasi volessero
esplodere da un momento all'altro. Ci mancava solo che mi mettessi a
piangere come una cretina! E poi come mi sarei giustificata con lui,
come avrei spiegato il suo maglione bagnato tutto d'un tratto?
Servizio di lavanderia Livraghi, sono 3 euro?!
Strizzai gli occhi, ricacciando indietro le lacrime, ingoiando quel
magone che mi aveva stretto la gola, quasi impedendomi di respirare.
«La prossima volta non funzionerà»
dissi, cercando di stabilizzare
la mia voce traballante.
«Alice» mormorò dubbioso Dario
«Stai» esitò qualche secondo
«Stai piangendo?»
Mi strinse le spalle, allontanandomi delicatamente da lui per potere
guardare nei miei occhi. Distolsi immediatamente lo sguardo per paura
che potesse leggermi dentro, che capisse che lui era la causa della
mia tristezza improvvisa. Guardavo le mie mani che stropicciavano
convulse e nervose il lembo della felpa, indipendenti da qualsiasi
mio stimolo cerebrale che le intimava di smettere.
«Che c'è piccola?» mi domandò
con voce zuccherosa Dario
sollevandomi il mento con l'indice.
Porca miseria! Se mi guardava con quello sguardo dolce, comprensivo
ed estremamente sexy mi era difficile riprendermi psicologicamente ed
ormonalmente!
Scossi la testa e gli sorrisi, cercando di sembrare il più
naturale
possibile. Non desideravo ricevere un terzo grado, nemmeno da un
detective figo come poteva essere Dario.
«Nulla» risposi poi.
«Non ci credo» ribatté, corrugando la
fronte.
«Non ho niente, davvero!» esclamai, sorridendo
nuovamente.
«Non prendermi in giro, si capisce che c'è
qualcosa che non va»
Mannaggia a lui e al suo spirito di osservazione. L'unica cosa da
fare in quel momento era scappare, sottrarmi dalle sue grinfie e
gettarmi dal balcone nella speranza che un supereroe mi salvi prima
che mi schiantassi al suolo, portandomi via con lui chissà
dove.
Peccato solo che le mie strategie di fuga erano solo leggermente
irrealizzabili. Invece di pensare ad una soluzione seria, me ne
uscivo con trame di film hollywoodiani.
«Riguarda il ragazzo che ti piace?»
domandò apprensivo,
accarezzandomi la guancia.
Dipende a quale ragazzo si riferiva lui dato che ne avevo tre che mi
stavano spedendo al manicomio con un biglietto di sola andata.
«No, davvero sto bene!» riprovai, senza sortire
nessun nuovo
effetto.
Era risaputo che se una donna diceva Non c'è nulla
che non va,
in realtà stava attraversando una crisi personale legata a
chissà
quale crisi paranoica e che se l'uomo non si interessava a lei era
considerato un insensibile. Quindi, ovviamente Dario, che aveva avuto
più donne che capelli, conosceva bene questo lato e non era
intenzionato a cedere fino a quando dalla mia bocca non fosse uscita
la verità. Ma me la murai, dalle mie labbra non sarebbe
uscito
nulla.
Mi guardò con un sopracciglio abbassato e un sorriso scaltro
credendo di farmi sputare il rospo così semplicemente.
«Sbalzi ormonali» me ne uscii poi, incerta.
«Lo so, la mia presenza stimola gli ormoni
femminili» disse,
convinto, appoggiando un gomito alla spalliera della sedia.
Bè, almeno si sarebbe distratto da me con la sua
vanità.
«Stupidate a parte» riprese serio, sporgendosi
verso di me, con i
gomiti appoggiati alle ginocchia «Non mi vuoi dire
cos'hai?»
I suoi sbalzi d'umore e quei repentini scambi tra il Dario vanesio e
il Dario di zucchero filato cominciavano a preoccuparmi. Era
parecchio instabile il ragazzo, mentalmente parlando.
Mi strinsi nelle spalle, posando lo sguardo su qualsiasi oggetto in
quella cucina, poi scossi con vigore la testa, sorridendogli. Lui
fece lo stesso, prendendomi una mano e portandosela vicino alla
bocca. Prima sentii il suo respiro caldo scivolare sopra le nocche
provocandomi strani tremiti lungo la schiena, poi le sue labbra si
posarono sul dorso della mia mano, baciandola delicatamente. La mia
temperatura era arrivata a toccare i 60 gradi Celsius, il mio
cervello aveva abbandonato la sua sede naturale fino a data da
destinarsi, lasciando al suo posto un cartello con scritto Torno
subito, dando così la possibilità ai
miei ormoni di governarmi.
Le sue labbra si allontanarono dalla mano e i suoi occhi affogarono
nei miei. Scivolai con il sedere lungo la sedia arrivando quasi al
bordo, avvicinandomi maggiormente a Dario pronta e vogliosa di
baciarlo, con il cuore che rimbombava in tutto il corpo e il respiro
accelerato. Lui deglutii, lo notai per il suo pomo d'Adamo, come se
fosse a disagio, ma sembrava assecondarmi. Senza mai liberare la mia
mano, si sporse anche lui verso di me.
No, no e poi no!
Il mio cervello era tornato, troppo presto! Speravo quasi che avesse
lasciato la mia testa per sempre, così magari sarei riuscita
a farmi
andare di più nei sentimenti. E invece no, era
lì, irremovibile e
doveva mettere il becco nei momenti peggiori, peggio di Smell.
Stupido cervello!
Eravamo a due millimetri di distanza, sentivo il suo alito sul viso,
le sue labbra erano a distanza di bacio, potevo sentirle sulle mie,
dare il mio primo bacio. Ma purtroppo il mio cervello era tornato sui
suoi passi, rimettendo ordine nel mio corpo come una preside severa
con degli alunni indisciplinati. Abbassai di poco il volto,
ritraendomi. Dario ridacchiò, passandosi una mano tra i
capelli,
scuotendo la testa. Notai un lieve rossore nascergli sulle guance, un
rossore che lo faceva diventare ancora più sexy, ancora
più dolce
di quanto già non fosse. Era imbarazzato e venni assorbita
anche io
in quella spirale di timidezza, tanto che il silenzio era calato
nella cucina. Solo il tic-toc dell'orologio ci ricordava di essere
ancora vivi.
«Che ne dici» ruppe quel silenzio troppo pesante
anche per lui
«Stasera usciamo?» mi domandò in un
soffio.
Mi ripresi la mano e, impacciata e imbarazzata, mi portai
più volte
la stessa ciocca dietro l'orecchio. Mi bagnai le labbra con la punta
della lingua e sospirai rumorosamente.
«Veramente stasera ho un appuntamento» ammisi.
«Con chi?» domandò prontamente Dario con
un pizzico di curiosità.
Esitai qualche istante, sorridendo nervosamente.
«Con un ragazzo»
Mi sembrava impossibile che quelle parole fossero uscite dalle mie
labbra. Io, e sottolineo io, e quindi non una stragnocca qualsiasi,
aveva un appuntamento con un ragazzo. Non uno qualsiasi, uno di
quelli anonimi che popolavano la mia scuola, ma Davide Saronno.
Possibile che quello che stava accadendo fosse reale e non frutto
magari di qualche gas esilarante respirato chissà dove?
Dario
corrugò la fronte, guardandomi dubbioso.
«E non uno qualunque» ripresi elettrizzata
«Hai presente il
classico bello della scuola? Lui! Ci credi? Io
ancora no!»
non mi resi nemmeno conto che gli presi le mani e le strinsi
«È
stata la mia prima cotta e non speravo nemmeno che lui si accorgesse
di me. E invece stasera andremo a pattinare!»
Sorridevo come una stupida, le mie guance andavano a fuoco solo a
pensare a Davide. Ero davvero incommentabile: prima fremevo per avere
un bacio da Dario, ora non avevo pensieri che per Saronno. O avevo
realmente un'anima da battona, oppure avevo solo un'irrefrenabile
voglia di amare ed essere amata.
La mia ilarità da tredicenne ormonata si spense non appena
vidi il
volto di Dario incupirsi. Era diventato serio e faceva di tutto per
non guardarmi. Sottrasse le sua mani alle mie, alzandosi poi dalla
sedia e fermandosi sulla soglia della porta della cucina. Io rimanevo
a guardarlo sgomenta, senza sapere cosa fare, senza sapere cosa dire.
«Divertiti stasera» mi disse secco.
Il suo sguardo, prima puntato verso il pavimento, si alzò
incontrando il mio. Sembrava quasi arrabbiato ed amareggiato e la
cosa mi lasciava sempre più incredula.
«Stai attenta» si raccomandò premuroso
«Li conosco fin troppo
bene i ragazzi così»
Non mi diede nemmeno il tempo di metabolizzare il suo discorso, che
si allontanò dalla cucina. Sentii la porta chiudersi con
vigore e
solo in quel momento realizzai che Dario se n'era andato via, senza
nemmeno salutarmi, lasciandomi spaesata e sgomenta e con quelle
parole che mi rimbombavano in testa, senza darmi pace.
Ero talmente agitata e ancora pensierosa per le parole di Dario che
durante il tragitto in macchina verso il forum di Assago non
spiccicai parola, se non qualche sporadico Sì
accompagnato da
un sorriso tirato. Davide era dubbioso per il mio comportamento, ma
inizialmente sembrava non essere particolarmente interessato al mio
stato d'animo. E non sapevo se questa cosa mi dispiaceva o meno. Se
me lo avesse chiesto, non gli avrei comunque risposto, ma un minimo
di interessamento accidenti.
Parcheggiò vicino alle scale dell'entrata e scendemmo
dall'auto,
abbandonando quel dolce tepore della sua Citroen. Spedita, mi
avvicinai all'entrata, con io volto basso e senza degnarlo nemmeno di
uno sguardo. Davide mi afferrò per il braccio, facendomi
indietreggiare, fino a farmi aderire al suo corpo. Mi diede un bacio
tra i capelli, appoggiando poi il mento sulla mia spalla.
«Cosa c'è che non va Alice?» mi
domandò dolcemente.
Il freddo pungente di Febbraio era ormai un lontano ricordo, il suo
abbraccio e il suo corpo avevano fatto alzare anche fin troppo la mia
temperatura, sembrava quasi di essere arrivati magicamente a Giugno.
Rilassai i muscoli tesi, sorridendo stupidamente.
«Ho litigato con un amico» risposi.
Anche se, in effetti, non avevamo litigato. Lo avremmo fatto, se lui
mi avesse dato l'opportunità di urlargli contro. Fatto stava
che ero
molto arrabbiata con Dario. Insomma, mi aveva piantata in asso come
una deficiente senza nemmeno salutarmi!
Davide mi si affiancò, abbracciandomi per la spalla,
permettendo
così alla mia guancia di aderire al suo petto.
«Amico» ripeté con un pizzico di malizia.
Ormai quella storia cominciava a darmi sui nervi. Cosa c'era di tanto
strano nel dire Amico? Perché la gente
doveva sempre
travisare le parole per cercare in tutto il doppio senso.
«No, non è il mio ragazzo se questo che vuoi
sapere» risposi
aggressiva.
«Hey, tranquilla Cappuccina!»
ridacchiò Davide «Pensavo
solo che qualcun altro ti stesse facendo la corte»
«Come scusa?»
«Sono geloso, che c'è di male?!»
Arrossii violentemente, stringendomi ancora di più al suo
petto
mentre la sua stretta sulla mia spalla si faceva più tenace.
Quelle
parole dette da Davide mi rendevano felice talmente tanto che mi
sentivo leggera, quasi fossi approdata sulla Luna. Al diavolo
Federico e soprattutto al diavolo Dario e alle sue stupide paranoie.
Sebbene le sue parole riecheggiavano nella mia mente insinuandomi
strani dubbi, non riuscivo a dargli ragione. Perché Davide
non
poteva essere realmente interessato a me, senza nessun doppio fine?
Era così strano da credere?!
«Mi riferivo al nomignolo che mi hai dato»
tentennai con voce
tremante.
«Oh!» esclamò lui, scoppiando poi in una
risata imbarazzata e
nervosa «Cappuccina, non ti
piace?»
Alzai il viso incontrando i suoi occhi oceanici e il suo sorriso
mozzafiato. Quel momento, io e lui occhi negli occhi, abbracciati in
quella serata gelida, era forse il migliore della mia vita, quello
che avevo sognato da quando avevo 15 anni e che ora si era
trasformato in realtà. Chiusi gli occhi quando le sue labbra
si
posarono sulla mia fronte, lasciandomi cullare dai suoi movimenti.
Un'attesa lunga, quasi estenuante e ormai priva di speranza, che
però
aveva dato i suoi frutti. E che frutti!
Ci fermammo di fronte ad un bancone dietro il quale stava un ragazzo
dalla pelle grassa, e non solo la pelle, con l'aria di un tricheco
assonnato, che ci consegnò quelle macchine infernali che
dovevano
essere i pattini. Già mi terrorizzavano.
Li indossai e con perplessità mi alzai, cercando di non
cadere. Come
cavolo pretendevano che camminassi su delle lame, dato che mi era
difficile reggermi in piedi anche solo con le scarpe da tennis.
Ricaddi subito sulla sedia prendendo una botta all'osso sacro che mi
fece vedere le stelle. Davide, impacciato, si avvicinò a me
ridendo
e tendendomi una mano. La afferrai e, titubanti, reggendoci l'un
l'altro, raggiungemmo l'entrata alla pista ghiacciata. Il cuore mi
batteva all'impazzata sia per la presenza di Davide che per la figura
di merda che sicuramente avrei fatto di fronte a tutta quella gente.
Saronno mi superò, entrando nella pista e rischiando di
scivolare
subito. Mi trattenni dal ridere, mentre lo vedevo dimenarsi per
reggersi in piedi. Allora non ero la sola ad essere goffa.
«Dai vieni, ti reggo io» mi disse, ondeggiando le
braccia per
reggersi in piedi.
«Sono in buone mani, allora» risposi sarcastica.
«Ti fidi di me?» domandò, allungando la
mano, simulando la scena
di Aladdin.
Sospirai, facendomi coraggio e la afferrai, raggiungendolo sul
ghiaccio. I miei piedi andavano per conto loro e nonostante tutti gli
sforzi di mantenermi in equilibrio, scivolai, cadendo come una pera
marcia sul deretano, portandomi dietro anche Davide.
«Sei una frana!» ridacchiò lui, cercando
di tornare in piedi, ma
non riuscendo nemmeno a mettersi in ginocchio.
«Da che pulpito» ribattei io sorridendo ironica
«Guardati, sembri
Mr. Bean!»
«Ah-Ah, spiritosa» mi fece una linguaccia.
Era esilarante vederlo dimenarsi come una carpa appena pescata
nell'inutile tentativo di rialzarsi. Saremmo rimasti lì per
sempre a
meno che non fosse arrivata la protezione civile. Se poi riuscivano
sollevarmi da lì dato che il mio culo stava diventando un
tutt'uno
con il ghiaccio.
Riuscì a mettersi in ginocchio e mi sorrise spavaldo,
facendomi
scoppiare a ridere. Appoggiò il piede e la mano destra,
sollevando
il sedere rotondo. Era quasi in piedi, ma scivolò di nuovo,
rimanendo steso sul ghiaccio con le gambe e le braccia aperte,
agitandosi e rischiando di farsi calpestare dagli altri.
Avevo sempre pensato che lui fosse una sorta di personaggio perfetto
dei film, di quelli belli quanto bravi in tutto ciò che
facevano.
Invece mi aveva stupita, sul ghiaccio era davvero una frana. Non mi
ero mai divertita così tanto in vita mia come in quel
momento.
Tra uno scivolone e l'altro, riuscì a raggiungere il muretto
e,
aggrappandosi a quella specie di ancora di salvezza, si
sollevò
lievemente affannato. Mi guardò sorridendo sornione,
facendomi il
segno della vittoria.
Teneramente impacciato, si avvicinò a me, pattinando
sbilanciato in
avanti, oscillando le braccia come un improbabile equilibrista in
cerca di stabilità. Mi tese un braccio, supplicandomi con i
suoi
bellissimi occhi di non farlo cadere di nuovo. Mi aggrappai,
concentrandomi per non farci cascare ancora come due pesche bacate e
fortunatamente, riuscii a rialzarmi, ritrovandomi tra le sue braccia.
«Ne ho già abbastanza di questi
pattini!» esclamò, esasperato.
«Anche io, decisamente!» risposi.
Mai più avrei messo piede in un palazzetto del ghiaccio, se
non per
vedere le comiche di Davide.
«Che ne dici di andare al bar?» propose.
Annuii. Volevo lasciare quel ghiaccio il prima possibile. Il mio
sedere ne aveva già abbastanza di lui. Ci trascinammo,
abbracciati
l'un l'altro verso l'uscita, cercando di non cadere nuovamente.
Riuscimmo ad uscirne indenni e a toglierci quelle trappole che mi
avevano fatto sudare i piedi, rendendoli dei pezzi di taleggio
ammuffito.
Raggiungemmo il piccolo bar del palazzetto e inutile dire gli sguardi
ammaliati delle ragazzine che c'erano lì. Le avrei ammazzate
se non
fosse che mi avrebbero sbattuto in carcere. E la cosa che mi dava
più
fastidio era che Davide si pavoneggiava davanti a loro, dispensando
loro sorrisi e occhiolini. Gli pestai volontariamente un piede,
costringendolo a guardare il mio sorriso irritato. Lo strinsi per un
braccio, trascinandolo ad un tavolo
«Che irruenza, Cappuccina!»
esclamò, stupito.«Hai un appuntamento con me, non
con quelle oche» gli ricordai
acida.
«Sei gelosa?» domandò, sensuale.
Annaspai, abbassando prontamente lo sguardo.
«Direi di sì, viste le guance tutte
rosse» disse Davide,
mordendosi un labbro.
Mi portai le mani sulle guance, per nascondere il volto paonazzo, ma
lui si sporse sul tavolo, afferrandomi i polsi, facendomi abbassare
le braccia.
«Non coprirti» mormorò «Sei
bellissima quando arrossisci»
Sorrisi nervosamente, mentre la sua mano scivolava sulla mia gota in
una carezza. Arrossii ancora di più e mi sarebbe piaciuto
fermare il
tempo in quel momento, solo io e Davide e quella semplice e tenera
carezza. Ma ovviamente, la cameriera ruminante doveva arrivare
proprio nel momento migliore della serata. L'avrei sbranata!
«Cosa ordinate?» cinguettò
stridulamente, mangiandosi con gli
occhi Davide e aumentando in me l'istinto omicidio.
«Cappuccino?» mi chiese con un sorriso lui.
Mi ero imposta di non bere cappuccino, anche perché poi alle
dieci
di sera non era il massimo, quindi scossi la testa.
«Ma come?! Dobbiamo ringraziarlo il cappuccino, ci ha fatti
incontrare!»
Come potevo resistere ai suoi occhi? Sospirando, annuii.
«Allora due cappuccini con il cuore»
La sgallettata segnò le ordinazioni e si
allontanò, dando un ultimo
sguardo a Davide, che sembrava apprezzare, dato gli occhi da lupo in
calore riservato al culo stile caravan di quella biondina.
Appallottolai uno dei tovaglioli che c'erano sul tavolo e glielo
lanciai per attirare la sua attenzione. Lui si voltò,
sorridendomi
come un bambino scoperto a rubare nella riserva segreta di biscotti.
Poi sospirò, succhiandosi le labbra
«È successo sette anni fa»
esordì, lasciandomi dubbiosa «Lorenzo
aveva solo sette mesi» abbassò lo sguardo per
nascondere gli occhi
lucidi.
«Non c'è bisogno che me lo racconti»
dissi titubante ed
estremamente a disagio. Anche perché non glielo avevo
nemmeno chiesto e non mi era minimamente passato per la testa di
chiederglielo.
Davide mi guardò nuovamente, sorridendomi, senza vergognarsi
di
mostrarmi alcune lacrime che ribelli gli segnavano le guance.
«Mio padre amava andare in bicicletta»
ricominciò con la voce
rotta dal pianto «La usava sempre, per andare a far la spesa,
per
andare a lavoro, per fare una semplice scampagnata. Ma il suo amore
l'ha ucciso. Stava tornando dal lavoro una sera che sembrava una
qualsiasi, una delle tante. È caduto, non so come e non
m'interessa
saperlo. Una macchina non ha fatto in tempo a frenare e lo ha
investito uccidendolo sul colpo. Quando la polizia ha chiamato ha
risposto mia madre e quando ho visto che la cornetta le scivolava di
mano ho capito quello che era successo. Quella notizia mi ha
svuotò completamente. Mio padre
era morto, non lo avrei più visto varcare la soglia di casa,
non mi
avrebbe più aiutato con i compiti. Mi son ritrovato a 11
anni ad
essere l'uomo di casa, ad essere la colonna portante di quella famiglia
destinata a crollare. Ma non sono stato in grado di fare il mio
dovere, ho solo creato danni su danni, senza fermarmi nemmeno una
volta a ringraziare mia madre per tutto quello che ha fatto e sta
facendo, per essersi addossata anche il mio dovere di uomo con il
dolore del lutto ancora vivido in lei. Sono una delusione»
Rimasi spiazzata da quella confessione inaspettata e da quella parte
così vulnerabile di Davide. Quando sentivo racconti del
genere, ogni
cosa che mi veniva in mente di dire mi sembrava così banale
e fuori
luogo, perfino il semplice Mi dispiace. Mi portai
i capelli
dietro le orecchie, boccheggiando per quel momento così
difficile
per entrambi. Allungai una mano sul tavolo, sfiorando la sua e
ritraendola subita, imbarazzata. I suoi occhi bagnati di lacrime si
posarono su di me e sembravano quasi volermi ringraziare per
quell'inutile gesto.
«Scusami per lo sfogo» riprese Davide, asciugandosi
gli occhi con
un tovagliolo «Ma è da anni che mi tengo dentro
questo dolore»
«No, tranquillo» risposi io, sorridendogli
intimidita.
«Ci conosciamo da così poco e già ti
sto rompendo con la mia vita.
Ma c'è qualcosa in te che mi dice che mi posso fidare, che
sei
speciale»
Davide mi prese la mano e mi sorrise, ma non con a solita malizia e
sicurezza. Era un sorriso naturale, tremendamente dolce, che sembrava
scaturire dal cuore e non dalla voglia di conquistare una qualsiasi
ragazza. Ricambiai, intimidita, stringendomi nelle spalle per
l'emozione, sciogliendomi piano piano come gelato.
Quell'appuntamento, le risate e la confessione a cuore aperto di
Davide mi davano la sicurezza che era lui il ragazzo speciale.
________________________________________________________
Eccomi
qui!
Scusate il piccolo ritardo, ma ho avuto problemi a scriverlo, sia di
tempo che di ispirazione.
È un po' lunghino e volevo troncarlo dopo la fine con
l'inocntro con Dario. Ma, poiché non volevo morire, ho
concluso anche l'appuntamento con Davide. Ogni riferimento è
puramente casuale, vero, Marty?! xD
Davide, Davide...mi sto piano piano affezionando anche a lui. Ero
partita odiandolo, ma vederlo nascere così teneramente dalla
mia tastiera me lo sta facendo amare. Spiego un attimo la conclusione,
perché lui non l'ha fatto u.u
Sembra molto affrettato, ma come avete potuto capire dallo scorso
capitolo lui è un tipo credulone, che crede nel destino e
palle varie, che si farebbe spillare soldi dalle veggenti. Per cui il
fatto che Alice abbia trovato la foto di suo padre l'ha interpretato
come un segno del destino, come se suo padre volesse che lei sapesse
della sua morte. Sì, è abbastanza strano come
ragazzo, lo so u.u
E si è capito da dove deriva il nome del mio gruppo su fb xD
da Saronno e il San Cappuccino che li ha fatti conoscere!
Alice e Dario hanno "litigato". Lui ha paura perché sa come
sono i liceali, soprattutto i belli e dannati essendolo stato ai tempi
che furono, ormai xD e quindi ha paura che lei soffra. Non è
tenerissimo?
Chissà se avrà ragione, boh u.u
Poi, Federico è disperso. Ho contattato Chi l'ha visto, mi
hanno detto che per il momento non è reperibile. Lo
sarà tra qualche capitolo. Secondo voi potevo dimenticarmi
di lui? Del dolcissimo migliore amico che sogno da una vita? Certo che
no! Solo che adesso Alice ha ben altri problemi, chiamati Davide,
quindi è marginale, così come Benedetta e
Claudia. Loro due torneranno in scena presto e ci sarà un
caosino caosetto xD
Diciamo che il pre-ballo è tutto incentrato sulla confusione
di Alice e quindi la parte scolastica non la sto affrontando, ma nei
prossimi capitoli tornerà anche quello. Il post ballo,
infatti, sarà un intrecciarsi contorto tra amicizia e amore.
Bene, passiamo ai ringraziamenti.
Devo ringraziare tutte le persone che leggono questa storia, a chi l'ha
inserita tra le preferite/ricordate/seguite e alle splendide ragazze
che hanno recensito il capitolo scorso. Vi amo ♥
Poi, la solita e odiosa pubblicità:
Red
District
Pagina Facebook
Cappuccino con il cuore ♥ Gruppo Facebook
Vi saluto tutti, un bacione
♥
|
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Capitolo 10 *** Come Cenerentola ***
comecen
C a p i t o l o 9
Come Cenerentola
Ormai ero certa che Davide
fosse quello
giusto, il principe azzurro che stavo cercando. Nessuna fidanzata che
fosse la mia migliore amica, nessun lavoro sporcaccione e sbalzi
d'umore improvvisi, solo e semplicemente Davide Saronno, dalla
sconvolgente bellezza e una rara incapacità sui pattini.
Solo
ripensare alle sue cadute della sera prima mi veniva da ridere e a
stento riuscii a trattenermi. Mi tappai la bocca con una mano per
soffocare le risate.
«Perché ridi?» mi domandò
perplessa
Benedetta, voltandosi d'un tratto verso di me, ondeggiando la lunga
coda castana.
Mi ammutolii subito, tossicchiando e
tornando seria. Scrollai le spalle, guardandomi intorno, facendo
finta di nulla.
«Ci nascondi qualcosa?» intervenne
prontamente Claudia, guardandomi sospettosa.
«No no» risposi, con voce squillante.
L'invadenza e la curiosità delle amiche
era una delle cose che maggiormente mi infastidiva, molto
probabilmente perché non avevo mai nulla da raccontare e
tutto
quello che dicevo ra frutto solo della mia sviluppata fantasia. Se la
mia vita fosse stata leggermente più movimentata, forse,
avrei fatto
di tutto pur di avere quella curiosità. Certo, in quel
momento la
mia vita era fin troppo frenetica, ma dovevo tenermi tutto per me.
Non potevo dir loro di Davide né tanto meno che il mio
fidanzato era
un super sexy gigolò lunatico che non si chiamava Edoardo,
ma bensì
Dario.
Mi irrigidii all'istante. Mi ero
completamente dimenticata di Edoardo e che loro sapevano di lui. Non
avrei nemmeno potuto avvicinarmi a Davide durante le lezioni, avrei
dovuto evitarlo in qualsiasi modo, prima che quello stupido fidanzato
immaginario rovinasse anche quella storia d'amore nascente.
«Alice ci ignora» sbottò Benedetta,
incrociando le braccia.
«Non vi sto ignorando!» esclamai,
rimbalzando lo sguardo sulle espressioni offese dalle mie amiche
«Sono solo pensierosa» mi giustificai.
Benedetta mi guardò con la coda
dell'occhio, con le labbra arricciate, sbattendo più volte
le
palpebre.
«C'entra Edoardo?» mi domandò,
curiosa, mantenendo però il suo broncio.
«Sì» rotei gli occhi, infastidita.
Lui c'entrava sempre, purtroppo. Tutto
quel casino era nato per causa sua. Ma, in un certo senso, dovevo
ringraziarlo. Grazie a lui avevo capito che persona fosse realmente
Federico e mi aveva dato l'opportunità di conoscere Davide.
Se non
ci fosse stato Edoardo, in quel momento, mi sarei ritrovata a
guardarlo da lontano e fantasticare su di lui, mentre ero fidanzata
con uno stronzo ambulante che si fingeva innamorato di me.
E non avresti conosciuto Dario.
La mia coscienza parlava troppo e a
sproposito. Dario avevo cercato di non menzionarlo mentalmente, per
non farmi apparire la sua immagine seducente e sessualmente
attrattiva. Era instabile mentalmente, montato come pezzi di Lego e
irritante come il peperoncino messicano negli occhi. E io
avevo anche avuto il coraggio di mettermi a piangere perché
non lo
avrei più visto. Ma ben venga! I suoi sbalzi d'umore e la
sua
supponenza mi infastidivano sempre di più e prima usciva
dalla mia
vita con le sue crisi d'identità, meglio era per me.
«Cos'è successo?» mi chiese Benedetta,
distogliendomi fortunatamente dal pensiero martellante di Dario.
«Avete litigato?» domandò a sua volta
Claudia, sedendosi accanto a me sulle scale dell'atrio.
«Più o meno» risposi.
In fondo, quella volta, non avevo
mentito. Non che io e Dario/Edoardo avessimo litigato, ma io ero
stra-incazzata con lui, anche se avevo una gran voglia di vederlo.
Sì, però per spaccargli la faccia e spingerlo
giù da quel cavolo
di piedistallo dorato su cui era salito di sua spontanea
volontà
credendosi il migliore del mondo solo perché era figo.
«Perché?» domandarono in coro le due,
dimenticandosi d'un tratto del broncio.
Si sporsero verso di me, puntando i loro
occhi inquisitori nei miei e terrorizzandomi. Mi strinsi nelle
spalle, allontanandomi da loro e sbattendo contro il gradino dietro
di me.
«Ma non vi siete lasciati, no?!» chiese
apprensiva Benedetta.
«No, non ci siamo lasciati» ridacchiai
nervosamente.
«Ti ha fatto arrabbiare?» fu il turno
di Claudia con il terzo grado.
Ormai ero talmente abituata a quella
pratica che se avessi per caso incrociato Mac Taylor dopo un
omicidio, sarei riuscita a mentire con nonchalance. Nemmeno quello di
Lie to me sarebbe stato in grado di beccarmi.
«Un sacco» risposi, annuendo e
mordendomi un labbro «Mi sottovaluta. Crede di essere
migliore di me
e di qualsiasi altra persona. Il suo giudizio è universale
perché
lui è il più figo del mondo» non mi
accorsi del tono amaro con cui
pronunciavo quelle parole e delle lacrime che premevano sulla punta
dell'occhio «È talmente presuntuoso che pensa che
il mondo giri
intorno a lui, che tutto funzioni come dice lui. Non gli importa di
ferire la gente, l'importante è che sia lui quello felice.
Non si
rende minimamente conto di quello che dice e come lo dice, di quello
che fa e come lo fa. Cioè, ieri mi ha lasciata da sola come
una
stupida senza darmi spiegazioni! E non si è nemmeno fatto
sentire
per chiedermi scusa!»
Non sapevo bene quello che avevo detto e
se le pensavo davvero tutte quelle cose di lui, ma quelle parole
erano uscite spontanee dalla mia bocca. Benedetta schioccò
la
lingua, poi mi guardò con comprensione, stringendomi una
spalla e
trascinandomi verso le sue tette strizzate in un push-up.
«Tesorino!» cinguettò, accarezzandomi
non proprio delicatamente i capelli «Non devi
prendertela!»
«Vedrai che ti chiederà scusa. Magari
aspetta che ti calmi un po'» disse Claudia, annuendo convinta
di
quello che aveva appena detto.
Sì, certo. Lei non conosceva Dario, non
mi avrebbe mai chiesto scusa perché tanto era lui ad avere
sempre
ragione. Diamine, da come ragionavo sembrava davvero che fossimo
fidanzati! Ma chi lo voleva un ragazzo lunatico, con gli sbalzi di
umore tipici della sindrome pre-mestruale, presuntuoso, arrogante ed
irritante? Alice Livraghi no di certo.
Sì, però, è bello, dolce e
premuroso nei tuoi confronti.
Il mio cervello si svegliava sempre nei
momenti sbagliati, mettendomi sempre di più in
difficoltà. Non
dovevo farmi intenerire dal suo bell'aspetto e dalla sua presunta
dolcezza. Mi aveva trattata con la sua solita spocchia e questo non
glielo avrei di certo perdonato.
«Comunque, ragazze, vi devo dire una
cosa» disse Benedetta, liberandomi dalle sue tette e
permettendomi
quindi di respirare.
Mi sistemai i capelli, riprendendo il
fiato perduto in quei lunghissimi dieci secondi e la guardai mentre
lei ci lanciava occhiate estatiche, quasi avesse visto un Santo
apparirle davanti agli occhi. Sospirò sonoramente,
prendendosi le
guance tra le mani e scuotendo la testa.
«No, non ve lo posso dire» trillò poi.
«Ormai mi hai messo la pulce
nell'orecchio» la canzonai io.
Benedetta scosse la testa, ancora
con più vigore, frustandomi il viso con le doppie punte.
«No, mi imbarazzo!» continuò,
imperterrita, nascondendo il viso nel collo del dolcevita.
«Ora tu lo dici» quell'affermazione da
parte di Claudia echeggiò quasi come una minaccia.
«Dai, che sono curiosa come una
bertuccia!» piagnucolai io.
Germa respirò a fondo, le sue guance si
colorarono di rosso e i suoi occhi vispi rimbalzavano da me a
Claudia.
«L'abbiamo fatto» confessò, con un
certo imbarazzo.
Corrugai la fronte, sorridendo come un
imbecille, non capendo, ingenuamente, a che cosa alludesse Benedetta.
«Cosa?» domandai scioccamente,
beccandomi, meritatamente, degli sguardi inebetiti delle mie amiche.
«Giocato a carte» rispose con una certa
ironia Germa «Sesso, Alice. S-E-S-S-O!»
scandì lei, come se fossi
scema.
Arrossii violentemente a udire quella
parola. Puntai lo sguardo verso le mie scarpe e arrancai
qualche secondo, prima di fare la domanda più stupida che
potesse
venirmi in mente.
«Ma tu e Federico?»
«No, io e Kronk» bofonchiò ancora
più
stupita di prima «Certo!» sbottò poi con
voce trillante «Io e
Federico, chi sennò?! È il mio ragazzo,
ricordi?» mi guardò con
una strana smorfia di incredulità, con il labbro superiore
alzato e
gli occhi sgranati.
«Alice, sei tra noi?!» ridacchiò
Claudia, prendendomi anche lei per stupida.
Regalai loro il sorriso più falso che
potessi fare, adottando la scusa del sovrappensiero, quando
in
realtà la mia ingenuità non mi aveva permesso di
capire i loro
discorsi “filosofici”. Mi
stupii del fatto che non fossi
saltata al collo di Benedetta e l'avessi strozzata per essere giunta
fino in quarta base insieme ad Abbate. Non provavo né rabbia
né
gelosia, solo una piacevole indifferenza. E questo, per me, era un
passo avanti. Mi ero praticamente disintossicata da Federico e il
merito era solo ed esclusivamente di Davide.
Anche un po' di Dario.
Porca miseria! Adesso che cosa c'entrava
quel gigolò da strapazzo? Un emerito nulla! E allora
perché il mio
stupido cervello doveva metterlo in mezzo, quasi fosse prezzemolo?!
Penetrava sempre e comunque nei miei pensieri, tormentandomi con una
fastidiosa zanzara che ronza nelle orecchie l'estate. Accidenti,
avevo davvero usato la parola penetrare? Non mi ero
nemmeno
resa conto del doppio senso utilizzato dal mio subconscio. Quel
ragazzo stava davvero risvegliando la pervertita che viveva in me da
chissà quanto tempo.
Ero talmente intenta a fare un bilancio
pornografico della mia situazione mentale, quando vidi Davide
avvicinarsi quasi a rallentatore verso di me. Sorrideva a destra e a
manca, passandosi una mano tra i capelli corvini. Mancava solo la
canzone California e sembrava la sigla di OC.
Mi irrigidii all'istante. Non potevo
farmi vedere con Saronno insieme alle mie amiche. Loro erano ancora
convinte che fossi fidanzata con Edoardo. Speravo che Davide non mi
avesse vista, che si stava dirigendo verso di me solo per salire le
scale. Mi slanciai di lato, scansando leggermente in avanti Benedetta
e nascondendomi dietro di lei.
«Ma che...» borbottò lei, sentendosi
spinta.
«Hai un sacco di doppie punte!»
esclamai io, analizzandole ciocca per ciocca i capelli.
«Alice, sei impazzita?!» sbottò lei,
afferrandosi la coda per sottrarla alle mie grinfie.
«Ti stavo solo controllando i capelli»
risposi io, cercando di risultare il più naturale possibile.
Mi sporsi un po' di lato per vedere a che
punto era Saronno. Si era fermato e si guardava intorno, poi riprese
a camminare d'improvviso.
«Vuoi un massaggio?» ripresi,
nascondendomi ancora dietro Benedetta.
Cominciai a strizzarle le spalle con poca
delicatezza, facendola mugolare per il dolore e allontanare a
scatti da me.
«Ma si può sapere che ti prende?»
domandò irritata, voltandosi verso di me.
«Ti vedevo un po' tesa» mi giustificai,
guardando oltre le spalle di Benedetta.
Incontrai gli occhi di Davide che era
praticamente davanti a noi. Mi sorrise dolcemente, salutandomi con la
mano. Con discrezione, gli risposi con un cenno del mento appena
percettibile. Fece un altro passo verso di noi e fu in quel momento
che presi le mani di Benedetta e Claudia, costringendole ad alzarsi e
le trascinai lontane da lì, lontane da Saronno. Il mio passo
era
talmente svelto che quasi correvo.
«Alice» cercò di attirare la mia
attenzione Claudia, ma facevo finta di non sentire. Volevo solo
allontanarmi il più possibile dall'atrio. Mi
richiamò un altro paio
di volte prima di stringermi il polso costringendomi a lasciare la
presa e a fermarmi in mezzo al corridoio.
«Si può sapere che problemi hai?»
sbottò la rossa, puntando le mani sui fianchi.
«Nessuno» dissi in un soffio, scuotendo
con vigore la testa.
«E allora spiegami perché ci hai
trascinate fino a qui come una furia!»
«Sembrava che avessi visto un mostro!»
intervenne Benedetta, visibilmente alterata.
Mi morsi un labbro, congiungendo le mani
dietro la schiena e dondolando come se fossi una mocciosa.
«Tra poco suona la campanella»
tentennai, cercando di risultare quantomeno credibile.
«Da quando ti interessa arrivare
puntuale in classe?» mi punzecchiò Benedetta.
Sorrisi mostrando i denti e alzai le
spalle, aprendo le braccia. Volevo scappare da lì,
nascondermi nella
stanza delle scope della bidella e magari trovarci anche Narnia o il
binario 9 e ¾, sparendo così dalla circolazione e
risolvere tutti i
miei problemi. Ma purtroppo per me dovevo affrontare gli sguardi
stupiti e canzonatori di Claudia e Benedetta e non sapevo come uscire
da quella situazione. Potevo gridare che ci fosse Robert Pattinson,
così le avrei distratte, ma mi sembrava una cosa poco
credibile.
Per fortuna, la campanella suonò,
salvandomi per qualche attimo dalla santa inquisizione
Sago&Faustini.
Indicai il cielo, con un sorriso beffardo.
«È finito l'intervallo!» dissi,
dileguandomi il più velocemente possibile da loro.
Benedetta, durante le due ore finali, mi
riservò una serie infinite di domande la maggior parte delle
quali
non avevo nemmeno ascoltato. Io rispondevo in modo criptico e, alcune
volte, riservavo risposte senza senso, una specie di supercazzola
più
che efficiente. Mi rimproverava anche il fatto di essere troppo
strana e che le stessi nascondendo qualcosa. Ovviamente l'avevo
guardata nel modo più scioccato possibile, riservandole un
“Ma
non ti nascondo nulla! Sei la mia migliore amica!” forse
troppo
enfatizzato, ma bastò a metterla a tacere e ne ricavai anche
un
lungo bacio sulla guancia.
Ero specializzata in escapologia, ormai
di quello ero sicura. In un modo o nell'altro riuscivo sempre ad
uscirne indenne da questi pasticci. Per il momento.
All'uscita da scuola dovetti usare
l'uscita anti incendio, facendo scattare per giunta l'allarme,
perché
non volevo passare dall'ingresso principale.
«Sai che non si può!» mi aveva
avvisata Claudia.
«Ma facciamo prima!» risposi io,
sorridendo.
Risultato?! Una strigliata coi fiocchi
dalla bidella che parlava una strana lingua forse marziana, mentre io
annuivo come una scema e l'autobus dell'una e cinque perso e
stra-perso, con conseguente Linea 3o delle 13.20, colma di gente
puzzolente e urla di ragazzini in piena crisi ormonale. L'unica nota
positiva di quella faccenda era che non avrei incontrato Davide
sull'autobus. Almeno per quel giorno, era salva. O almeno credevo.
Quando arrivai a casa, all'alba delle
due, trovai come pranzo un misero piatto di pasta con la panna
appiccicaticcio e freddo come un ghiacciolo, oltre che ributtante,
preparato con dovizia da Smell. Provai a inforchettare qualche
pennetta, sollevando praticamente tutto il piatto di pasta rimanendo
disgustata da quella poltiglia informe. Mi allontanai quel piatto da
davanti e mi mangiai un pacchetto di patatine alla paprika che era
nel mobiletto della cucina da chissà quanto tempo. Ma, tutto
sommato, non erano male.
Mi trascinai svogliata in camera mia con
l'unica voglia di togliermi quel maglione di lana che mi aveva
regalato nonna Maria e che pungeva più di un'istrice.
Sembrava di
indossare un cactus! Lo lanciai sul letto, rimanendo solo in
reggiseno. Mi guardai il misero decolté che Madre Natura mi
aveva
regalato notando che non riempiva nemmeno tutta la coppa. Oltre ad
avere la cellulite e i fianchi grassi, avevo una seconda scarsa di
seno, evviva!
D'un tratto, divenne tutto buio e il mio
cuore sobbalzò. Qualcuno mi aveva tappato gli occhi con una
mano,
mentre l'altra mi solleticava l'addome e mi spingeva contro il suo
corpo. Il mio cuore rimbalzava come una pallina impazzita, il respiro
era diventato irregolare e affannato. Ero pietrificata dalla paura e
non riuscivo a reagire, a pestargli un piede o piantargli una
gomitata nello stomaco. Sentii il fiato di Qualcuno
sfiorarmi
la spalla e poi un bacio rovente sul collo, mentre il mio corpo
aderiva sempre di più al suo. Appena riuscii a respirare il
suo
odore, il mio cuore smise di galoppare e i miei muscoli tesi si
rilassarono, permettendo al mio corpo e alla mia mente di godere di
lui.
«Bubu-settete» mormorò al mio
orecchio, facendomi rabbrividire.
Mi scansò i capelli dalla schiena,
solleticandomi il dorso con i polpastrelli e percorrendo il profilo
della spina dorsale. Al suo tocco, strinsi le spalle e mi morsi un
labbro, sentendo le tempie rimbombare con forza e le guance bollenti.
Si fermò all'altezza del reggiseno, giocando con il gancetto.
«Hai capito chi sono?» domandò,
stampandomi un altro bacio sul collo e leccandolo con la punta della
lingua.
Stavo per perdere qualsiasi senso e anche
l'autocontrollo, risucchiate da quelle labbra infuocate e vellutate.
Il mio corpo era tutto un bollore e i -12 gradi di quella rigida
giornata invernale erano solo un lontano ricordo.
«Dario» risposi in un soffio.
«Ormai conosci molto bene le mie mani»
sussurrò lui, mordendomi poi il lobo dell'orecchio.
Le sue dita continuavano a giocare con il
gancetto, fino a quando non lo sentii cedere e la morsa del reggiseno
indebolirsi. Spalancai la bocca e reggendomi il seno con un braccio,
mi voltai di scatto, liberandomi dalla sua trappola e gli tirai un
ceffone che gli fece vedere sicuramente tutte le costellazioni dei
Cavalieri dello Zodiaco. La mia faccia doveva aver assunto il colore
del vestito di Babbo Natale, sia per l'imbarazzo della situazione,
sia per la rabbia che sentivo crescere esponenzialmente dentro di me.
Dario mi guardava confuso, massaggiandosi
la guancia dove era stampata la forma della mia mano, come nella Hall
of Fame. Mancava solo il nome e la stella.
«Sei un maiale!» sbraitai, cercando di
allacciarmi il reggiseno con la sola mano libera che avevo.
«Cosa ho fatto?» scrollò le spalle,
guardandomi irritato.
Non solo mi stava spogliando contro la
mia volontà, ma aveva anche il coraggio di prendersela!
Prima di
arrivare a San Valentino lo avrei strangolato con le mie stesse mani.
«Il reggiseno si è slacciato da solo!»
urlai, infuriata, mentre mi contorcevo per non mostrargli il seno.
«Faccio questo effetto, non lo sapevi?!»
sorrise beffardo, riservandomi un suo prevedibile sguardo sensuale
che, quella volta, non attaccò.
«Smettila di fare l'idiota» dissi con
tono tranquillo, ma tagliente.
«Avanti, non fare la verginella!»
sbuffò Dario «Volevo solo scioglierti un
po'»
«Si vede, mio caro, che hai sempre avuto
a che fare con delle svergognate» ribattei acida
«Ah, e vorrei
ricordarle, caro il mio signor Porky Pig che io sono vergine»
continuai, con un sorriso imbarazzato e leggermente offeso.
«Si fa per dire, miss Acid Rain!»
rispose a tono lui «Non sarai mica arrabbiata?» mi
domandò poi,
dandomi la prova di quanto fosse stupido e privo di cervello. Molto
probabilmente quando Dio stava distribuendo l'encefalo, lui era in
fila per Walter.
«No, Dario» sorrisi tranquillamente
«Sono solo incazzata nera. E ora, puoi anche uscire di qui e
andare
a pornolandia»
Lui sbuffò, roteando addirittura gli
occhi spazientito e passandosi una mano su tutto il viso. Si
voltò,
incrociando le braccia.
«Sistemati» lo disse quasi come un
ordine.
«Solo se un certo estraneo di nome Dario
se ne va. Sai, non sono abituata come te a farmi vedere nuda da
chiunque»
«Credi che mi piaccia?» domandò con
voce piatta e amara «Credi che io sia fiero di quello che
sono?»
Il suo viso rimaneva puntato verso la
porta e ne approfittai per riallacciarmi il reggiseno e infilarmi
nuovamente il maglione-cactus, per sentirmi nuovamente come Willy il
coyote. Mi sedetti sul letto, con il piccolo rimorso di aver detto
quelle parole, per averlo giudicato senza sapere realmente nulla di
lui e della sua vita.
«Mi sento una merda ogni volta che una
donna varca la soglia di casa mia» scandì ogni
parola con rabbia e
disprezzo, facendomi sprofondare sempre di più in una
voragine di
sconforto «Quando mi hai detto quale sarebbe stato il mio
compito,
inizialmente, ero molto scettico. Ma più passa il tempo e
più mi
diverto con te, più mi dimentico quello che sono»
s'interruppe un
attimo, respirando a fondo «A quanto pare, però,
non sono poi così
gradito qui. Ci vediamo a San Valentino»
«A-Aspetta» balbettai, facendolo
fermare prima che se ne andasse.
Avrei dovuto farlo andare via e rivedere
la sua faccia da riempire di schiaffi solo per quella festa, ma non
riuscii a lasciarlo andare. Nonostante dei momenti di odio puro nei
suoi confronti, non riuscivo a staccarmi da lui, a non pensarlo
continuamente e far a meno delle sue mani.
«Perché» iniziai, ma mi fermai subito,
per deglutire l'eccesso di saliva «Perché sei
venuto?»
«Volevo chiederti scusa per ieri»
rispose «E per oggi» aggiunse ridacchiando
«Ma avrei fatto meglio
a non venire. Creo sempre troppi guai»
Mi alzai dal letto e lo raggiunsi,
prendendogli una mano, stringendola nella mia.
«Non andare via» quasi lo pregai con un
filo di voce. Deglutii a vuoto, annaspando e guardandomi attorno come
se quella, d'un tratto, fosse stata la camera di qualcun altro
«Scusami» dissi poi con rammarico «Non ho
riflettuto prima di
parlare. Non era mia intenzione ferirti»
La sua mano strinse con vigore la mia,
trasmettendomi, insieme a scosse di piacere, una certa malinconia. Si
voltò verso di me, sorridendo amaramente e con quegli occhi
profondi
annegati in leggera patina di lacrime.
«Volevo farmi perdonare» mi disse,
leggermente imbarazzato.
«Slacciandomi in reggiseno?!» domandai
ironica, con un sopracciglio abbassato.
Dario ridacchiò e, dopo quel momento
cupo e aspro, la sua risata risuonò come la melodia
più dolce che
un'orchestra potesse suonare. Mi sentivo felice nel sentirlo ridere,
soprattutto perché ero stata io a strappargli quel momento
di
ilarità.
«No» rispose «Quello non era in
programma. Sono un gigolò e la tua schiena nuda è
stato un invito
che non potevo di certo rifiutare» confessò.
Assunsi la mia tipica espressione
scioccata e gli pizzicai il fianco, facendolo sobbalzare, anche se,
in verità, quella confessione mi lusingava parecchio.
«Volevo farti un regalo, in realtà»
«Regalo?!» ripetei subito, attirata da
quella parola come una falena dalla luce.
Dario annuì, facendo il vago e facendo
aumentare a dismisura la mia curiosità.
«Che tipo di regalo?» domandai,
ricevendo come risposta solo uno scrollo di spalle «Ma lo hai
già
portato?» chiesi nuovamente e questa volta lui
guardò il cielo,
uscendosene con un Chissà! «Dai
non fare così!» lo
strattonai per il maglione, come una bambina.
«Basta dire la parola regalo e
voi donne dimenticate qualsiasi arrabbiatura»
ghignò.
«L'hai detto per farmi sbollire?!»
domandai stizzita.
«No. Il regalo c'è. O meglio non
ancora»
Corrugai la fronte, guardandolo dubbiosa
mentre la bertuccia curiosa che era in me scalpitava per vedere quel
dannatissimo regalo.
«Su! Basta parlare!» esclamò lui
«Andiamo!» mi incitò, dandomi una pacca
sul culo.
«D'accordo!» sbuffai io «Basta che
esci che mi cambio questo maglione che sembra carta vetrata!»
mi
lamentai, grattandomi il collo.
«Perché dovrei uscire, tanto quel poco
che c'era da vedere l'ho visto» mi sbeffeggiò,
incrociando le
braccia con la sua solita faccia spocchiosa.
«Come prego?!» domandai preoccupata e
sconvolta.
«Mentre ti dimenavi, un capezzolo ha
fatto capolino»
Cacciai una specie di urlo mentre Dario
rideva come se avesse visto le comiche in televisione. Presi il
cuscino dal letto nello stesso momento in cui lui apriva la porta per
uscire. Prima di chiuderla, mi fece una linguaccia e il cuscino che
lanciai con rabbia si schiantò contro la porta.
Furente, mi liberai del maglione di carta
vetrata e indossai una felpa rosa di cotone che mi regalò un
immediato sollievo. Uscii dalla stanza, trovandomi il maniaco
davanti con il suo sorrisino malizioso che aveva tutta l'aria
di
trasformarsi presto in una risata denigratoria. Mi prese un braccio,
trascinandomi verso di lui e baciandomi una guancia, pizzicandomi con
quella barba irresistibile.
«Sai che non sei niente male sotto
quella felpa» mormorò, facendomi diventare rossa.
«Sei un maiale» scandii, liberandomi
dalla sua stretta.
«E ti piace questo lato di me,
ammettilo» ribatté Dario, mentre ci accingevamo ad
uscire di casa.
«No, affatto!» esclamai io, infilandomi
il cappotto.
«Ma se mi mangi con gli occhi ogni
volta!» rispose lui, sicuro di sé.
«In realtà il mio è uno sguardo
omicida» sorrisi sarcastica.
Dario mi prese la mano, intrecciando le
sue dita con le mie, facendomi perdere più di un battito
cardiaco.
«Sì, certo. L'arma con cui vorresti
uccidermi è il sesso»
«Non ti rispondo nemmeno» sbuffai,
anche se in realtà non aveva tutti i torti. Se non fossi
stata me
stessa, avrei già consumato con lui chissà quante
volte.
Salimmo sulla Mito diretti a prendere il
mio regalo. Sperando che non fosse una sciocchezza, ma conoscendo
anche solo minimamente Dario quel pensiero si stava trasformando
piano piano in una realtà. Ci stavamo dirigendo verso San
Donato e
lì c'era ben poco di interessante. Sprofondai sul sedile,
sconsolata, sicura che quel regalo non esistesse e che mi stesse solo
prendendo per i fondelli, visto che sembrava fosse il suo sport
preferito.
Imboccò la rampa di un enorme parcheggio
e guardai fuori dal finestrino perplessa, vedendo i tetti degli
autobus e le scale della metropolitana. Lo seguii dubbiosa fuori
dalla macchina e raggiungemmo i tornelli per andare verso i treni.
Dario mi allungò un biglietto, sorridendomi.
«Stiamo andando in Duomo?» domandai.
«Forse» rispose vago lui, scrollando le
spalle.
Sorrisi estasiata capendo solo in quel
momento che mi stava portando in centro a comprare il mio regalo. Mi
aggrappai al suo collo e lo baciai ripetutamente sulla guancia,
mentre lui mi stringeva forte a sé. Avevamo gli occhi di
tutti
puntati addosso, alcuni vecchietti avevano anche accennato un Che
carini, prendendoci come una coppietta di fidanzatini
innamorati.
Mi allontanai imbarazzata da lui, tossicchiando.
«Facciamo scalpore» mi sussurrò
divertito in un orecchio.
Il treno arrivò dopo circa cinque minuti
e subito, gli avvoltoi, quelli che adocchiavano i posti anche a un
chilometro di distanza, occuparono tutte le sedie, bastonando
dolorosamente la mia anima pigra. Appoggiai la schiena contro un palo
giallo e Dario si sistemò davanti a me, aggrappandosi con
una mano
allo stesso, sfiorandomi il fianco. La metropolitana partì a
scatti,
rischiando di farci cadere più volte. Il rumore delle ruote
sulle
rotaie mi impediva di sentire persino i miei pensieri ed era
praticamente impossibile comunicare tra di noi. Così,
inaspettatamente, Dario mi abbracciò, appoggiando la guancia
sulla
mia spalla, dandomi, di tanto in tanto, un bacio sul collo. Ricambiai
la stretta, titubante e intimidita da quella situazione e dagli occhi
indiscreti degli estranei.
«Ti voglio bene» disse ad alta voce,
per sovrastare il rumore della metropolitana.
Sorrisi per quella confessione e lo
strinsi ancora più forte a me.
«Anche io» risposi, guadagnandomi un
nuovo bacio, questa volta più lungo e incandescente.
Quando la voce ci informò di essere
arrivati in Duomo, sciogliemmo quell'abbraccio, con rammarico. Avrei
voluto che quel viaggio fosse interminabile, saremmo rimasti
così,
io e lui uno tra le braccia dell'altro, con quei baci solleticanti e
stimolanti sul collo di cui già sentivo la mancanza.
«Dove mi porti?» domandai e questa
volta fui io a stringergli la mano.
«Non ti preoccupare, ora lo scoprirai»
Camminammo per chissà quanto tempo,
costeggiando Via Torino per metri e metri, passando davanti a negozi
di ogni genere.
«Eccoci qui» disse, fermandosi davanti
a Bershka, lasciandomi dubbiosa «Tra poco ci sarà
il ballo, no? Ti
serve un vestito, come Cenerentola» mi sorrise «E
io sarò la tua
fata Smemorina»
«S-Stai scherzando?» tentennai.
«Assolutamente no. Puoi comprare tutto
quello che vuoi. Vestito, scarpe, tutto!» esclamò
«Devi essere la
più bella alla festa, Cenerentola!» sorrise,
entrando nel negozio e
lasciandomi fuori a bocca aperta come una stupida.
Lo seguii dentro, frastornata, sicura che
quello fosse un sogno, ma ci pensò un dolcissimo manichino a
darmi
la prova che era la realtà, infilandomi una sua mano
spigolosa nel
fianco.
«Le scarpe, però, non prenderle di
cristallo»
Dario cominciò a spulciare ogni
stampella gli capitasse davanti agli occhi in cerca di un abito per
me.
«Ne sei sicuro?» domandai preoccupata,
prendendo un abito nero con spalline fini che costava più di
novanta
euro.
«Certo» rispose lui, intento ad
esaminare alcuni vestiti «E non ti preoccupare del
prezzo»
Scrollai le spalle ed iniziai a
girovagare come un'anima in pesa tra i manichini, spaesata, dato che
non avevo mai fatto shopping in vita mia se non all'OVS insiema a mia
madre. Appena
vedevo qualcosa di accettabile, lo acchiappavo, prima che qualche
ragazzina viziata me lo rubasse sotto il naso, come era successo con
il maglioncino a righe.
«Inizia a provare questi» mi raggiunse
Dario, aggiungendo tre vestiti ai due che avevo preso anche io.
Annuii e raggiungemmo i camerini. Ne
occupai subito uno, chiudendo la tendina di cotone pesante in modo
che nessuno potesse spiare e vedere le mie orribili cosce. Appoggiai
i vestiti su di un cubo e iniziai a spogliarmi per provare il primo,
un bellissimo abito bianco che arrivava sotto il ginocchio con le
maniche a tre quarti. Aprii la tendina volteggiando su me stessa e
guardandomi soddisfatta allo specchio.
«Bello, vero?» domandai, elettrizzata.
Dario mi guardò critico, passandosi una
mano sulla barba.
«Se devo essere sincero, è orribile»
mi smontò all'istante «Sembra un
prendisole!»
Contrassi la mascella e respirai
rumorosamente con il naso, emettendo un verso simile a quello del
maiale, giusto per essere in tema con Dario. Strattonai la tendina e
mi liberai del prendisole, afferrando il vestito
rosso scelto
da lui.
«Che belle mutande!» sentii esclamare
alle mie spalle.
Guardai lo specchio vedendo la faccia
sorniona di Dario comparire dalla tenda. Mi coprii con le mani,
appiccicandomi contro la parete.
«Dario!» sbraitai, sembrando una matta.
Lui scoppiò a ridere e scomparve dietro
il manto di cotone nero. Il cuore voleva guizzare via e le mie mani
avevano una gran voglia di prenderlo a schiaffi. Respirai a fondo,
cercando di ritrovare la calma e ringraziando mentalmente mia madre
che mi obbligava a fare la ceretta anche d'inverno, così
i peli
d'estate sono più deboli!
Lottai con l'abito rosso e mi contorsi
per farmelo entrare. Era un tubino che arrivava appena sotto il
sedere con il seno ricoperto di paiettes e una lunga zip sulla
schiena. Mi guardai sconvolta allo specchio, scuotendo la testa.
«Alice, sei morta?!» urlò Dario.
«Io non esco di qui con questo vestito
nemmeno se me lo chiedesse Johnny Depp in persona!» risposi
ancora
traumatizzata.
La tenda dietro di me si spostò e lui
comparì alle mie spalle e fischiò soddisfatto.
«Ti sta d'incanto!»
«Sembro una battona!» trillai
scioccata.
«Io ti trovo molto femme fatale»
commentò, girandomi intorno, sentendosi tanto Giorgio Armani
«Cellulite a parte» indicò le gambe.
Non dissi nulla, gli indicai solo
l'uscita perentoria e lo fulminai con lo sguardo e lui uscì,
smorzando quell'irritante sorriso che aveva stampato in faccia.
Accartocciai il tubino rosso e lo gettai
per terra e fu il turno dell'abito nero con le spalline fini che
costava più di novanta euro. Sul seno era stretto, facendolo
apparire più grosso di quello che era in realtà e
grigio perla con
disegni floreali neri. In vita aveva una fascia nera, dal quale poi
partiva un'ampia gonna che si fermava appena sopra il ginocchio. Mi
guardai da ogni angolazione allo specchio, innamorata ormai di quel
vestito che costava troppo. Aprii la tenda, assumendo un'espressione
non del tutto soddisfatta. Incrociai le braccia, mentre il sangue che
rifluiva verso il cervello mi annebbiava completamente la vista.
Dario era appoggiato con un gomito alla parete di fronte mentre si
pavoneggiava con una ragazzetta sedicenne, di quelle che facevano la
foto con la bocca a stura lavandino, ormai persa per Dario-landia.
Tossicchiai, attirando così la sua attenzione e gli sorrisi
infurita.
«Wow!» esclamò lui avvicinandosi a me
e lasciando culo d'oca come uno stoccafisso «Sei bellissima
Alice»
«Non attacca, provolone» ribattei
ironica.
«No, dico sul serio» disse lui, con un
lieve rossore delle guance «Non pensi anche tu che la mia
fidanzata
sia perfetta con quel vestito?» domandò a
baccalà che a sentire la
parola fidanzata accostata a Dario,
s'incupì. Credeva quella
di aver acchiappato un bel manzo!
E, no, mia cara, prego di rispettare
la fila!
Le sorrisi soddisfatta, facendole anche
una linguaccia, come una vera e propria ragazza matura di diciotto
anni. Boccheggiai, però, quando realizzai che lui mi aveva
definito la sua
fidanzata. Mi volati di scatto, per nascondere il rossore e mi
guardai allo specchio, tremolante.
«No, non mi piace» mentii,
guardandomi allo specchio, mentre il mio cervello mi diceva che lui
era quello giusto.
«Ma scherzi?! Alice, questo è perfetto
per te. Se fossi sembrata un abat-joure te l'avrei detto, lo
sai»
mi rassicurò Dario, con un sorriso mozzafiato.
«Costa troppo» dissi poi.
«Te l'ho detto che non devi preoccuparti
del prezzo. Prendilo, anche se costa 1000 euro» mi spinse
verso il
camerino e non ebbi modo nemmeno di rispondere che lui mi chiuse la
tenda.
Mi rivestii, ammassando tutti i vestiti e
prendendoli. Dario li afferrò e li sistemò nelle
stampelle, tenendo
in mano solo il vestito nero.
«No, dai, costa davvero troppo» cercai
di acchiapparlo in tutti i modi, ma lui lo difendeva con il suo
corpo.
Accelerò il passo, seminandomi e
costringendomi a corrergli dietro per riuscire a strapparglielo di
mano. Quando lo raggiunsi, era già alla cassa e aveva
mostrato
la carta di credito che, poco dopo strisciò facendosi
risucchiare
ben novantatré euro. Dario si voltò vittorioso
verso di me,
tendendomi il sacchetto.
«Per la mia Cenerentola»
Il pomeriggio precedente era
stato uno
dei più belli ed emozionanti della mia intera vita, anche se
ci
voleva molto poco ad essere eclatante, dato che non mi era mai
successo nulla in diciotto anni. L'unica nota negativa erano state le
12 chiamate senza risposta da parte di Davide. Aveva provato a
chiamarmi, ma io non gli avevo mai risposto e non perché non
volessi, ma perché ero troppo presa mentalmente dalla mia
fata Smemorina.
Per Saronno non doveva essere facile non essere considerato ed
evitato in continuazione. Ogni volta che lo vedevo, scappavo come una
bambina impaurita e non sapevo nemmeno cosa inventarmi, semmai avessi
dovuto affrontarlo.
Tirai lo sciacquone e mi riallacciai la
cintura dei pantaloni, uscendo dalla toilette della scuola. Mi
sciacquai le mani, sospirando per quel caos che piano piano mi stava
risucchiando inesorabile verso la pazzia.
Scrollando le mani, uscii dal bagno
soffermandomi a guardare il ben di Dio che c'era alle macchinette;
mancava solo la bava all'angolo della bocca e sarei stata perfetta
come sosia di Homer Simpson. Per fortuna, alla terza ora, c'era ben
poca gente per i corridoi.
«Finalmente riesco a vederti. O adesso
scappi di nuovo?»
La voce di Davide tuonò alle mie spalle
e mi fece sobbalzare. Mi voltai e lo vidi uscire dal bagno degli
uomini, irritato e contrariato nei miei confronti.
«Da-Davide» balbettai.
I muscoli del corpo divennero rigidi come
fatti di gesso e i pensieri si sovrapposero tra loro, non
permettendomi di articolare una scusa plausibile.
«Si può sapere perché scappi appena mi
vedi?!» mi aggredì subito, stringendomi un polso.
«Innanzitutto, ciao» sorrisi
ebetamente, temporeggiando.
«Perché mi eviti, Alice? Cosa ti ho
fatto?» domandò affranto.
Evitavo in tutti i modi il suo sguardo,
arrancando nel trovare una risposta alla sua semi-disperazione.
«È per quello che è successo al
palazzetto vero?! Oddio» mi liberò e si
passò le mani tra i
capelli, dandomi tutta l'impressione di aver più di una
rotella
fuori posto «Sapevo che non dovevo raccontarti di mio padre.
È per
quello, ve-vero? Perché mi sono aperto subito con
te» ridacchiò «Sì,
è
per quello, accidenti a me!»
Gli presi una mano e gli sorrisi
dolcemente.
«Non è per quello Davide. Anzi, mi ha
fatto piacere che tu ti sia fidato di me»
«E allora perché mi eviti?»
domandò
con voce tremante.
«Bè, perché» contrassi la
mascella,
deglutendo della saliva che non c'era, prosciugata lentamente da
quell'imbarazzo «Vedi Davide tu mi piaci
moltissimo» tergiversai
«Sei davvero un ragazzo speciale, sei simpatico, dolce,
sensibile»
aggiungevo aggettivi su aggettivi per dilatare il tempo e trovare
qualcosa di sensato da dire «Ma sto attraversando un periodo
particolare della mia vita, molto travagliato e turbinoso che mi sta
creando non pochi problemi e crisi...»
Smisi di parlare perché le labbra di
Davide me lo impedirono. Non mi ero nemmeno accorta che il suo viso
si avvicinava al mio, sorprendendomi con quel bacio inaspettato.
Rimasi qualche attimo scossa, con gli occhi sgranati e le labbra di
Davide appoggiate sulle mie. Le dischiuse e sentii la punta della sua
lingua contro la mia bocca serrata. Tremavo, la testa girava su se
stessa come se fossi su una giostra, il cuore era pronto ad esplodere
per quella overdose di emozioni. Chiusi gli occhi, venendo investita
da un'onda di tranquillità e aprii leggermente le labbra per
permettere alla lingua di Davide di cercare la mia. La
sfiorò, la
solleticò, cercando quasi di animarla. Titubante, lo imitai,
insinuandola tra le sue labbra e mi lasciai trasportare da quel bacio
passionale, stringendogli i capelli, mentre lui mi spingeva sempre di
più verso di lui. Non volevo più allontanarmi
dalle sue labbra,
volevo che il tempo si fermasse a quel momento magico, immobile al
mio primo bacio, per poter godere per sempre di quell'emozione.
___________________________________________________
Oddio
ragazze!
Mi
sembra davvero impossibile di essere riuscita a concludere questo
capitolo. Credevo di metterci molto poco a scriverlo, ma invece
l'università me lo ha impedito. Colpa dell'ecografo,
scusatemi.
L'unico commento che posso fare a questo capitolo è: boh. Mi
lascia perplessa perchè mi piace e non mi piace. Adoro
l'idea dello shopping e l'analogia tra Alice e Cenerentola, Dario e la
fata Smemorina. Ma il lessico e le descrizioni, questa volta, sono
davvero pietose. Non so cosa mi sia successo, sarà l'ansia
degli esami, ma questo è il meglio che son riuscita a
partorire.
Spiego subito una cosa, che nel testo non c'è. Non
è che Dario è un maniaco che ha scassinato la
porta, lo ha fatto entrare, ovviamente, Smell xD
È un po' un maialino, ma se così non fosse non
avrebbe fatto il gigolò. Quindi, com ha detto lui, la
schiena nuda di Alice gli ha risvegliato Walter, anche noto come El
Piqueton (chi ha visto le Iene potrà capire).
Federico e Benedetta l'hanno fatto, olè. E Alice,
stranamente, non è rimasta per nulla scossa dalla
rivelazione. Avrà veramente superato la cotta per Abbate o
è solo un momento? Lo scopriremo solo vivendo.
Poi,
arriviamo allo spoiler che avevo lasciato sul profilo. L'ho lasciato
volutamente senza esplicitare il nome, ma c'è un particolare
che fa capire che è Dario. Oltre alla sua bellezza, anche
un'altra cosa ha colpito Alice del nostro bel figliuolo: l'odore!
Infine,
la cosa forse più importante è stato il primo
bacio di Alice. So che tutte voi, ora vorreste uccidermi
perché Davide è quello meno apprezzato. Sorry ^^
Nonostante
tutto, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento.
Bè,
ogni giorno che passa questa storia fa sempre più successo e
questo mi rende davvero felice. Quindi, ringrazio tutti quelli che
leggono la storia, le persone che l'hanno inserita tra le
preferite/seguite/ricordate e alle splendide ragazze che
hanno recensito lo scorso capitolo.
Un
grazie speciale va a IoNarrante la mia
lover che è diventata la mia consigliera personale. Ti lovvo
♥
Faccio
un pò di pubblicità ù_ù
Red
District - Mi
scuso per il ritardo con cui aggiorno questa storia, ma ho davvero poco
tempo per scrivere.
In
un giorno qualunque -
Raccolte di shot dal punto di vista di Dario
Profilo
Facebook
Cappuccino
con il cuore ♥ - Gruppo
di Facebook
Detto
questo vi saluto e vi aspetto al prossimo capitolo.
Vi voglio
bene e anche Alice ve ne vuole ♥
|
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Capitolo 11 *** Pupazzi di neve ***
C
a p i t o l o 10
Pupazzi
di neve
Oh.mio.Dio.
L'unico pensiero che il mio cervello
riusciva ad articolare in un momento come quello era composto da tre
semplici parole monosillabiche. Già il solo pensiero di
Davide
portava ad un istantaneo suicidio di massa dei miei neuroni,
addirittura baciarlo aveva provocato la morte del mio povero e tanto
odiato cervello.
Encefalogramma piatto.
Nessun segnale di vita, se non una lingua
che si muoveva impacciata e inesperta nella bocca di Davide.
No, aspetta!
Mi era capitato un milione di volte una
cosa del genere, con qualsiasi ragazzo che attirasse un minimo la mia
attenzione, praticamente un essere del sesso opposto che mi aveva
rivolto almeno una volta un sorriso, che fosse un compagno di classe
o uno sconosciuto sull'autobus. Morfeo mi stava tirando un altro dei
suoi scherzetti con questo sogno romantico. Ero certa che mi sarei
svegliata poco dopo per l'arrivo nella mia stanza di un pachiderma
chiamato Raffaele, mettendo per sempre fine a quella splendida
illusione. Quindi l'ennesima batosta al mio lato romantico che a
furia di bastonate era andato a far compagnia al magma nel centro
della terra.
Pregavo in tutte le lingue possibili,
anche l'elfico di Tolkien, di farmi svegliare il più tardi
possibile, di potermi godere quel momento onirico ancora per qualche
minuto. Perché sì, ormai ero più che
sicura che quello che stava
accadendo non poteva essere la realtà. Davide Saronno non
avrebbe
mai baciato la timida, ingenua, sfigata Alice Livraghi. Nessuno lo
avrebbe mai fatto. Nemmeno Dario, che era un prostituto voleva
baciarmi! E il mio alito non puzzava, quindi il problema per cui
nessuno si avvicinava alle mie labbra non era l'odore di fogna che
sprigionavano le mie fauci.
Davide assaporò un'ultima volta il mio
labbro inferiore prima di appoggiare la sua fronte sulla mia e
sorridermi dolcemente. Intrecciò le dita delle sue mani con
le mie,
regalandomi piccoli e delicati quanto infuocati baci sulla fronte,
facendo palpitare il mio cuore ad ogni suo tocco. Mi morsi un labbro,
rimanendo ad occhi chiusi a fremere di quel contatto tanto atteso con
Davide. Anche se era solo un maledetto sogno, mi sembrava di sentirlo
davvero vicino a me, sentire la sua pelle sulla mia e quelle labbra
appoggiate alla mia fronte e volevo goderne il più possibile
perché
mai avrei provato tali emozioni. Mi sentivo felice in quel momento,
apprezzata e desiderata per la prima volta in diciotto anni e al solo
pensiero che di lì a pochi minuti quel sogno si sarebbe
concluso mi
si formava un groppo in gola che mi impediva di respirare.
«È stato» mormorò Davide
«strano»
aggiunse.
«Già» risposi demoralizzata.
«Ma assolutamente splendido»
«Troppo per essere vero» dissi,
riaprendo gli occhi e vedendo un'ombra di dubbio sul volto di Davide
«Adesso mi sveglierò e tu scomparirai. Ti sarai
dimenticato di me,
anzi tu non saprai nemmeno della mia esistenza e io tornerò
a
guardarti da lontano e immaginarmi che un giorno potrà
nascere
qualcosa tra di noi» spiegai con un nodo alla gola, con la
sensazione di sentire da un momento all'altro la voce da trombone di
mio fratello che mi svegliava.
Davide ridacchiò confuso e mi guardò
con un sopracciglio abbassato.
«Alice stai vaneggiando. E quello posso
farlo solo io» disse, sogghignando.
«No Davide» scossi la testa
scoraggiata, liberando le mie mani dalle sue e voltandomi per non
guardarlo «È così, solo un maledetto
sogno. Tu non perderesti di
certo tempo con una come me!»
«Con una come te?!» ripeté
«Perché,
cos'hai che non va? Sei un alieno per caso. Oppure nascondi una
sorpresa non molto gradita in mezzo alle gambe»
Sorrisi, scuotendo la testa.
«No, sono un essere umano» risposi «Ma
non il tipo di ragazza che possa piacere a te»
«Invece tu mi piaci molto di più di
quelle che sono abituato a frequentare»
Ecco, quella frase era la prova certa che
quello era solo un'illusione creata da quello stupido e bricconcello
di un Morfeo che si divertiva a prendersi gioco della sottoscritta.
Avanti, Saronno non avrebbe mai detto una cosa del genere, non ad una
come me per giunta. Sospirai e mi voltai per guardare nuovamente i
suoi zaffiri. Ormai ero in ballo e avrei ballato quella danza
finché
le mie gambe avevano forza per continuare a volteggiare. Avrei
continuato quella farsa fin quando non mi avessero svegliato.
«Non lo dici sul serio» ribattei,
imbarazzata.
«Sì invece! Se non mi piacessi, stai
sicura che non ti avrei chiesto di uscire con me né tanto
meno ti
avrei parlato di mio padre» mi rassicurò,
avvicinandosi a me e
accarezzandomi una guancia.
Sfiorai la sua mano con la mia,
accompagnandolo in quel dolce gesto che mi fece rabbrividire. Poteva
un sogno trasmettere così tante emozioni, farmi battere
così
intensamente il cuore?
«Alice!» trillò una voce alle mie
spalle.
Strabuzzai gli occhi, schiaffeggiando la
mano di Davide e facendola ritrarre da quella carezza. Mi voltai di
scatto e sorrisi preoccupata e imbarazzata al tempo stesso. La mamma
e le amiche avevano un tempismo perfetto nell'arrivare nei momenti
clou o più imbarazzanti, come se avessero un timer dentro di
loro.
«Benedetta» risposi, con una faccia da
ebete.
«Che cosa stavi combinando?» domandò
sconvolta.
«Cosa? Chi? Io? Cosa ho fatto?»
farfugliai intimorita.
Avanti Raffaele svegliami! pensai. Questo
è il momento giusto per buttarmi giù dal
letto.
«Io vengo a cercarti perché sei sparita
da dieci minuti e ti ritrovo con questo bell'imbusto a fare
chissà
che cosa!» si stizzì, puntando le mani sui fianchi.
Lo sguardo di Davide rimbalzava confuso
da me a Benedetta. Cercava di capire, una spiegazione all'esplosione
insensata di quella ragazza bassettina che era apparsa davanti a noi
come una furia.
«Cosa hai da dire in tua discolpa?»
domandò poi infilzandomi con i suoi occhi castani.
«Vostro onore, non è come credete!» mi
affrettai a rispondere.
Le afferrai un braccio, costringendola a
voltarsi di scatto e trascinandola via da lì prima che la
sua
boccaccia rovinasse tutto. Prima di sparire dietro al muro, mi voltai
per sorridere ancora una volta a Davide, sentendomi in colpa per come
lo stavo trattando. Ancora una volta mi ritrovavo a scappare da lui
come una scema.
Ero sovrappensiero per accorgermi che
davanti a me si era parato lo stupido tavolino che fungeva da
scrivania per la bidella. Mi schiantai contro di esso, infilzandomi
l'ombelico con uno spigolo e ritrovandomi distesa in una posa simile
a quella di Superman con la bidella che mi squadrava come se fossi un
strano essere sputato da qualche galassia dispersa. Le sorrisi
stupidamente, accennando un mortificato Scusa. Il
dolore
provocato da quel dannato spigolo, diventato un tutt'uno con la mia
pancia, mi fece capire che quello non era un sogno, che tutto quello
che era successo era reale e che avevo fatto la figura della demente
senza nessuna rotella davanti a Davide con discorsi insensati.
Ottimo!
Se c'era una seppur minima speranza di
poter intraprendere qualcosa di romantico con Saronno, potevo
benissimo dirle addio sventolando un fazzolettino bianco
perché lui,
molto probabilmente, aveva cominciato a sospettare che non fossi del
tutto normale, mentalmente parlando. Si dice che chi va con lo zoppo
impara a zoppicare. Bene, Dario era stato un ottimo maestro, mi aveva
insegnato fin troppo bene a zoppicare. Ero diventata psicologicamente
instabile da quando lo avevo conosciuto, ero arrivata perfino a
scambiare i sogni con la realtà. E la cosa che mi
preoccupava di più
era che l'allievo, di solito, superava il maestro. Se avessi dovuto
superare Dario in precarietà mentale sarei definitivamente
finita in
un ospedale psichiatrico e tanti saluti a tutti!
«Che diavolo stavi facendo con Saronno e
ripeto SARONNO?!» mi aggredì nuovamente Benedetta.
«No tranquilla, sto bene. Mi sono solo
schiantata contro un banchetto, ma è tutto ok. Grazie per
l'interessamento» ribattei io stizzita e dolorante.
«Non cercare di cambiare discorso,
Livraghi!» mi rimproverò la Lady Gaga dei
poveracci.
«Da quando adesso mi chiami per
cognome?!» commentai incredula.
«Enfatizza il rimprovero» spiegò
annuendo Benedetta «Comunque, non cercare di distrarmi con
queste
stupide domande. Cosa stavi facendo con Saronno?»
«Nulla» squittii, scrollando le spalle.
Mi sentivo come un topolino in gabbia,
senza possibilità di fuga se non la morte improvvisa. Ma non
volevo
lasciare il mondo, non in quel momento almeno, non quando Davide si
era accorto di me.
«Ah certo!» sorrise contrariata Germa,
incrociando le braccia «Ti accarezzava così, tanto
per. Non sapeva
cosa fare e regalava una carezza al primo che passava,
giusto?»
«Probabilmente è così»
risposi,
superandola anche se me la ritrovai davanti ancora una volta.
«Alice, devo ricordarti che sei
fidanzata? Se Edoardo venisse a sapere che tu fai la gatta morta con
un altro, cosa farebbe?»
Un bel niente, poco gli interessa di
me.
«Si arrabbierebbe» risposi seccata,
tamburellando il piede.
«Appunto! Quindi cerca di non farti
abbindolare da Saronno» mi accarezzò una guancia
come una mammina
amorevole «A proposito di Edoardo, non dirmi che devo
aspettare San
Valentino per conoscerlo»
«Credo proprio di sì. Sai lui è un
tipo timido» inventai, sorridendo nervosamente
«Fatica a conoscere
nuova gente»
Benedetta mi guardò con sospetto e annuì
non del tutto convinta. Scrollò le spalle e
sospirò, accettando
quella menzogna come la verità. Rilassai i muscoli tesi,
ringraziando qualsiasi divinità di aver fatto nascere
Benedetta così
credulona. Vidi Germa sparire dentro la nostra classe e stavo per
seguirla dentro quel luogo di noia e petulanza, quando mi afferrarono
per un braccio. Mi ritrovai subito dopo a pochi centimetri di
distanza dal viso di Davide che mi sorrideva.
«Alla tua amica non piaccio poi granché»
mi disse a fior di labbra «Credi che ci
ostacolerà?»
«Credo di sì» risposi sconsolata,
cullata dalle braccia di Davide.
«Allora sarà meglio non farci scoprire
un'altra volta. Non voglio che quella tappetta rovini tutto»
Nemmeno io. Ha già combinato
abbastanza guai.
Mi baciò ancora una volta, in modo
sfuggente, sfiorando appena la mia lingua, lasciandomi la voglia di
sentire le sue labbra ancora sulle mie. I nostri occhi si fusero in
un breve istante prima che lui mi lasciasse fuori dalla porta
dell'aula divorata da quella sensazione magica che i suoi baci mi
regalavano.
Il fatto che Davide avesse deciso che la
nostra doveva essere una relazione clandestina, in modo da non avere
sosia di cantanti a fare i grilli parlanti della situazione, mi
rallegrava. Almeno potevo uscire come qualsiasi altro studente invece
di sgattaiolare via dall'uscita anti-incendio.
Faceva freddo quel giorno e il cielo
plumbeo rendeva il vialone della scuola cupo e triste.
«Sei ancora senza motorino?» domandò
Claudia rivolta a Benedetta.
«Sì, accidenti!» esclamò
irritata «Ma
questa volta non è dal meccanico. I miei l'hanno rifilato a
mia
sorella. Lei va a scuola lontano e con l'autobus ci mette
tanto a
tornare a casa. Tu impieghi solo dieci minuti!»
imitò la voce
di sua madre.
«Quindi, Linea 30 con me?» domandai
divertita.
«Sì. Che squallore!» rispose
scocciata.
«Povera principessa sul pisello!»
commentò sarcastica Claudia.
«In te non parlerei, viziata di un
Claudiano! Tuo padre viene tutti i santi giorni a prenderti!»
ribatté stizzita Germa.
La rossa aprì due volte la bocca per
controbattere, ma non uscì nulla se non mugolii contrariati.
Scoppiai a ridere, adoravo i loro battibecchi del tutto privi di
significato. Ma smorzai subito la mia ilarità, trasformatasi
d'un
tratto in stupore e ansia.
«Oh no» mormorai senza rendermi conto.
«Che succede Alice?» mi domandò
dubbiosa Benedetta.
Germa e Claudia seguirono il mio sguardo
fino a incrociare una splendente Mito nera parcheggiata fuori dal
cancello e quel ben di Dio che era Dario appoggiato alla sua auto con
le braccia conserte e il suo immancabile sguardo seducente.
«Per Dinci!» esclamò Benedetta
incredula.
«Chi è quel bonazzo?» domandò
Claudia
maliziosa.
Quello che ci voleva in quel momento era
un'enorme voragine nell'asfalto in modo da essere risucchiata verso
il centro della terra.
«Edoardo» sospirai.
Mi guardarono incredule con la bocca
spalancata, arrancando nel vano tentativo di dire qualcosa, ma le
parole morivano loro in bocca. Rallentai il passo in modo da
raggiungerlo in più tardi possibile, sperando magari in un
fulmine
che mi colpisse facendomi perdere la memoria.
Sorrisi alle mie amiche e le salutai di
sfuggita prima di raggiungere il mio gigolò personale. Non
volevo
che quelle due ficcanaso facessero troppe domande alle quali io e
Dario non avremmo saputo dare una risposta.
«Che diavolo ci fai qui?» gli domandai,
appena me lo trovai di fronte.
«Ciao» mi sorrise lui «Sono venuto a
prenderti, mi sembra ovvio» rispose.
«E come sapevi dove studiavo?» chiesi,
mentre lui mi apriva la portiera.
Dario scrollò le spalle e piegò gli
angoli della bocca.
«Botta di culo» disse, salendo in
macchina e mettendo in moto la Mito «Questo era il liceo
più vicino
a casa tua. Ho supposto che fosse la tua scuola»
spiegò.
«E se non frequentavo questo liceo?» lo
punzecchiai.
«A una certa ora me ne sarei tornato a
casa» ribatté come se fosse la cosa più
naturale del mondo.
«Comunque non dovevi venire» sbottai
seccata.
«No, figurati, non è stato affatto un
disturbo venire fino a qui» disse sarcastico Dario
«Almeno un
grazie» mi rimbeccò lui, lievemente offeso.
«Non ti ho chiesto io di venire a
prendermi»
«Appena arrivi a casa prendi un
dizionario, lettera G e cerca la parola gentilezza, magari
così capisci perché sono qui» rispose
ironico Dario, dandomi sui
nervi con il suo continuo ribattere a tono.
Se fossi stata in tutt'altra situazione
sentimentale, lo avrei abbracciato e ricoperto di baci per avermi
salvata da quella tortura che era la Linea 30. Ma con Davide nei
paraggi non era cosa saggia salire nella macchina di un ragazzo stra
figo. E se Saronno mi avesse vista? Avrei dovuto dire addio anche a
lui come era successo con Federico e la cosa non mi piaceva affatto.
«Oddio, la tua bontà mi stupisce sempre
di più. Strano che non ti abbiano ancora
santificato» dissi
ironica, scuotendo la testa e appoggiando la fronte al finestrino
freddo.
«Si può sapere adesso che ti ho
fatto?!» domandò stizzito «Non ti ho
slacciato il reggiseno e non
ti ho abbandonata senza salutarti!» fece confuso
«Oppure devo
supporre che il tuo odio nei mie confronti è a priori. Ogni
volta
che mi vedi, mi aggredisci!» continuò il suo
soliloquio.
«Mi sei venuto a prendere» risposi in
un sospiro.
«E certo. Perché ora andare a prendere
la propria ragazza a scuola è molestia sessuale, punibile
con anni e
anni di carcere!» esclamò infastidito.
O Dario era impazzito tutto d'un tratto o
quello che mi stava accompagnando a casa era un alieno e il mio
gigolò era disperso in un'altra galassia. Aveva detto la
propria
ragazza riferito a me, senza che ci fosse un culo d'oca ad
infastidirlo. Arrossii e cominciai a torturare, imbarazzata, la
cerniera del cappotto. Lo sguardo di Dario si posò di me
furtivamente e dubbioso.
«Che c'è?» domandò.
Mi morsi le labbra, indecisa se far la
finta tonta oppure dirgli della sua svista.
«Hai, hai detto la propria ragazza» gli
feci notare, sprofondando poi nel sedile e nell'imbarazzo
più
totale.
Dario deglutì, per poi sorridere
intimidito e scuotere la testa, mentre le guance si tingevano di un
lieve rossore. Boccheggiò, visibilmente in imbarazzo, senza
riuscire
a dir nulla se non qualche strano verso.
Ero una stupida patentata. Avrei fatto
meglio a far finta di nulla. Ogni volta che mi trovavo ad un bivio,
sceglievo sempre la strada sbagliata, quella più contorta e
buia,
ritrovandomi poi in difficoltà. Il silenzio che si era
creato tra di
noi era tangibile, pesante e opprimente, quasi innaturale. Lo guardai
di sottecchi concentrato a guidare mentre si torturava il labbro
inferiore con piccoli morsi, chiaramente a disagio da quella
situazione che la mia boccaccia aveva creato. Annaspai in cerca di un
argomento per sorvolare sull'accaduto, anche se mi risultava
difficile pensare.
«Stai sbagliando strada» lo avvertii in
un sussurro, senza guardarlo.
«No» rispose lapidario.
«Saprò dove abito» ribattei
contrariata.
«Anche io so dove abiti. La strada è
quella giusta»
«A quanto pare non te lo ricordi. Stiamo
per uscire dal paese!» esclamai, guardando terrorizzata la
tangenziale apparire dal vetro del cruscotto.
«Lo so» rispose Dario, tranquillo.
Ok, avevo la prova che quello non era il
mio gigolò. Era un alieno che aveva preso le sue sembianze e
che mi
stava trasportando verso la sua astronave, dove mi avrebbe
vivisezionata per studiarmi o mi avrebbe usata come procreatrice dei
suoi figli o chessò io. Avevo il cuore che martellava il
petto e lo
sentivo chiaramente rimbombare in tutto il corpo. Nonostante la mia
fervida immaginazione, cominciavo ad avere seriamente paura che Dario
fosse impazzito e che volesse uccidermi e nascondere il mio cadavere
il più lontano possibile dal paese.
Fermò la macchina in un piccolo
parcheggio che costeggiava un tratto di tangenziale. Spense il
motore, rilassandosi sul sedile e rivolgendomi uno dei suoi sorrisi
sensuali. Ecco, era arrivato il momento della mia morte. Ora avrebbe
estratto una pistola e tanti cari saluti a tutti! Avrei preferito
morire un po' più stagionata e magari non più
vergine, con un
marito e dei bambini. L'unica e magra consolazione che avevo era di
aver dato il mio primo bacio. Almeno quello.
«Spero...» esordì e il tempo si
bloccò
in quel preciso istante.
Spero che tu non soffra, mi
stava sicuramente per dire. Strizzai gli occhi e mi strinsi nelle
spalle, impaurita.
«...che il giapponese ti piaccia»
concluse scendendo dalla macchina.
Scoppiai a ridere per la mia scemenza.
Dio, ero proprio imbecille e catastrofica! Avrei dovuto smettere di
farmi filmini mentali senza senso e impaurirmi con le mie stesse
fantasie. Lo raggiunsi fuori dall'auto dove mi abbracciò,
accompagnandomi con il tepore del suo corpo verso il ristorante.
«Non mi hai risposto» mi fece presente
Dario «Ti piace il giapponese?»
«Non l'ho mai assaggiato» ammisi.
«Davvero?» disse stupito «Beh,
c'è
sempre una prima volta» aggiunse, baciandomi la fronte.
Di
fianco alla parola Strano sul
dizionario, per dare un'idea migliore del significato della parola,
si trovava la foto mia e di Dario. Non ci poteva essere definizione
migliore per quello che stava nascendo tra di noi. Poco prima ci
stavamo scannando come due leoni inferociti e subito dopo ci
abbracciavamo come fossimo una coppietta felice. E così
apparivamo
ad occhi esterni, come due ragazzi innamorati. Ma per noi che
vivevamo quello strano rapporto,
cos'eravamo in realtà?
Amici? No,
tra noi c'era un'intimità che tra due semplici amici non
poteva
nascere.
Innamorati? Nemmeno.
Amore era una parola troppo grande per noi. E poi Dario era uno di
quelli da una notte e via, era impossibile che si potesse innamorare.
Una minuta cameriera giapponese ci fece
accomodare ad un tavolo vicino alla finestra, porgendoci i
menù con
sopra piatti dai nomi impronunciabili e non del tutto invitanti.
Ordinai le stesse pietanze di Dario, fiduciosa del suo palato. Ci
guardammo a lungo, sorridendoci, ma senza dire una sola parola,
ritrovandoci nello stesso mutismo snervante che ci aveva colti in
macchina.
«Posso farti una domanda?» ruppi il
ghiaccio. Lui annuì curioso, sporgendosi sul tavolo come se
volesse
sentire meglio la mia voce.
«Ti sei» esitai «Ti sei mai
innamorato?»
Dario s'irrigidì e si strinse le mani.
Il suo sguardo si fece sfuggente e il suo labbro venne torturato
ancora una volta. Si passò una mano sul viso a disagio per
quella
domanda che sarebbe stato meglio se fosse rimasta dentro la mia
mente.
«Domanda ovvia da fare ad un gigolò»
disse con un sorriso tirato «Tutti pensano che noi siamo solo
macchine del sesso senza sentimenti, dei mostri privi di emozioni che
cercano solo il piacere»
«Non volevo dire questo» intervenni
subito, in colpa per averlo messo in una situazione spiacevole ancora
una volta.
«Ma sicuramente lo hai pensato, sennò
non mi avresti fatto questa domanda» mi sorrise e mi
accarezzò una
mano come se volesse tranquillizzarmi «Comunque,
sì, mi sono
innamorato qualche volta. Ma sono scappate tutte e non le biasimo.
Chi vorrebbe stare con un...» tentennò
«gigolò» aggiunse a bassa
voce.
«Sei sempre stato lasciato, quindi?»
domandai, non riuscendo a tenere a freno la mia curiosità.
«Praticamente
sì. Solo una volta sono stato io a lasciare una persona. E
quello è
stato uno degli errori peggiori della mia vita»
sospirò prima di
continuare il racconto «Erano i tempi d'oro del liceo e io
ero una
specie di divinità lì dentro. Il classico bello e
stronzo della
situazione, quello che non voleva innamorarsi, ma solo divertirsi.
Eppure io ero innamorato, eccome, di una ragazza splendida,
nonostante fingessi di avere un cuore di pietra. Peccato che lei
fosse l'ultimo gradino della scala sociale in quella scuola. Avevo
due possibilità: stare con lei e fregarmene degli altri,
oppure
mollarla e farla soffrire, preservando la mia reputazione. Dato che
io pendevo dal giudizio altrui, scelsi la mia reputazione a lei. Che
stupido» concluse il discordo sorridendo amaramente e
scuotendo la
testa.
«E come si chiamava?» gli chiesi.
«Lasciamo stare» rispose in un sospiro,
ancora scosso da quel racconto «È meglio cambiare
discorso. La mia
vita non è un bell'argomento da affrontare»
Annuii, portandomi un ciocca di capelli
dietro l'orecchio imbarazzata e sorridendogli impacciata. La
cameriera giapponese accorse a servirci le prime portate, degli
spaghetti che sembravano vermi e che avevo paura potessero muoversi e
saltare fuori dal piatto, condita con pezzettini poco invitanti che
provenivano da chissà quale pianta e ignoto animale. Dario
cominciò
a mangiare con dimestichezza con quegli arnesi di legno che io avrei
usato solo e soltanto per giocare a shangai. Fortuna che i giapponesi
erano intelligenti e avevano apparecchiato anche con le forchette.
Esitai su un singolo spaghetto, schifata
da quella poltiglia che sembrava cucinata da Smell. Ma, trascinata
dall'espressione soddisfatta di Dario, assaggiai quell'esplosione di
sapori agrodolci che mandarono in visibilio le mie papille gustative
e che risvegliarono il porco a digiuno che coabitava insieme al
bradipo dentro di me.
«A proposito di vita sentimentale. Tu
l'altro giorno avevi un appuntamento» ricordò,
gustando per qualche
secondo il sapore che gli spaghetti gli avevano lasciato in bocca
«Come è andato?»
Risucchiai uno spaghetto sporcandomi la
bocca di sughetto, che leccai via, e lo ingoiai. Tossicchiai e mi
sistemai sulla sedia, sorridendogli imbarazzata.
«Bene, direi» risposi incerta «Ci
siamo divertiti parecchio. È una frana sui pattini. Sembrava
di
assistere alle comiche» ridacchiai, ripensando
all'imbranataggine di
Davide.
Il volto di Dario si contrasse in una
smorfia e il sorriso che mi regalò risultò falso
come una banconota
del Monopoli.
«Ti piace molto vero? Ti si sono
illuminati gli occhi» mi fece notare con la voce incrinata e
con un
pizzico di disillusione.
«Sì» risposi, mordendomi il labbro
inferiore e sentendomi avvampare «Oggi mi ha
baciata» gli rivelai
poi, incerta e insicura, timorosa di una sua reazione. Che non
tardò
ad arrivare. Uno spaghetto gli andò di traverso,
trasformandosi in
un serial killer pronto a strangolarlo. Cominciò a tossire,
sbattendo le mani contro il tavolo e attirando su di sé
l'attenzione
dei pochi clienti che l'ora di pranzo portava. Dopo venti minuti in
cui credevo che mi avrebbe lasciata lì da sola e che sarebbe
stato
portato via di lì in orizzontale, ritrovò il
fiato e mi guardò con
gli occhi lucidi e sgranati.
«'tacci tua!» esclamò, ripresosi da
quel momento pre-morte «Vi, vi siete baciati?»
arrancò «Lui ti ha
rubato il tuo primo bacio?»
«Non ha rubato proprio un bel niente!»
esclamai stizzita «Non mi ha costretto con la
forza!»
«Alice, avanti! Non crederai che quello
voglia una storia con te?» mi provocò con aria di
superiorità.
«Perché no?!» ribattei irritata.
«Sono stato liceale anche io» cominciò
lui, sembrando in quel momento uno Smell piacente «Ti
avrà detto
che cerca qualcosa in più del sesso, che non gli basta
più e
cazzate varie! Sbaglio?!»
No, non si sbagliava, aveva parlato
esattamente così. Ma non lo avrei mai ammesso per pompare
ancora di
più il suo ego pronto a scoppiare come un palloncino troppo
gonfio.
«Sbagli mio caro» sbottai «Non lo ha
mai detto! Sai che, non tutti in questo mondo, seguono il verbo di
Dario? Non è detto che se tu al liceo eri uno stronzo
pervertito lo
siano anche tutti gli altri!»
Lui sospirò, socchiudendo gli occhi e
mordendosi le labbra.
«Smettila di giudicarmi» ribatté con
tono pacato e serio.
«Io?!» sbraitai, brandendo il
tovagliolo che avevo sulle gambe e sbattendolo sul tavolo
«L'unico
qui che giudica dall'alto del suo metro e venti sei tu mio caro. Non
tutto va come dice Dario»
Mi alzai dal tavolo senza nemmeno finire
gli spaghetti e senza aver assaggiato il resto dell'ordinazione. La
cameriera cercò di fermarmi avvisandomi che non avevamo
consumato le
nostre ordinazioni, ma la scansai bruscamente.
«Alice, non fare i capricci!» mi
rimproverò Dario scocciato.
Sbuffò, lanciando il tovagliolo sul
tavolo e lasciando una banconota da cinquanta euro sul tavolo e mi
raggiunse. Mi strinse un braccio, facendomi fermare e costringendomi
a guardarlo negli occhi.
«Io cerco solo di aprirti gli occhi
Alice!» urlò, con un lampo di dispiacere in quegli
occhi neri come
il petrolio.
«Non mi serve il tuo aiuto» sibilai,
strattonando il braccio e liberandomi dalla sua presa.
Cos'eravamo io e Dario?
Due anime incompatibili, il bianco e il
nero, il dolce e l'amaro. Due musiche discordanti in perpetua
disarmonia.
Mi richiusi la porta
alle spalle e
sospirai.
Nonostante una doccia calda e una
barretta di cioccolato, i miei nervi erano ancora tesi più
di una
corda di violino. Dario aveva superato il limite della mia pazienza,
cosa rara visto che l'unica cosa che mi faceva uscire dai gangheri
era Smell. Mi dispiaceva per lui, ma il suo primato era stato
conquistato da Dario.
Ogni minuto che passava era un piccolo
passo avanti verso il 14 di Febbraio, il giorno che avevo sempre
odiato da quando ero entrata nell'adolescenza, che non consideravo
nemmeno come un giorno da vivere, sperando sempre che il 15 arrivasse
in anticipo. Ma quella volta fremevo perché arrivasse San
Valentino,
la festa degli innamorati, felice che si sarebbe portato via con
sé
Dario.
«Dorme?»
La voce dolce di Davide mi fece
risollevare il volto e distrarre da quel maledetto gigolò.
Annuii
con un sorriso tirato e lo superai per andare in salotto.
Non solo il pensiero di Dario e della sua
arroganza mi tormentavano, ma si era aggiunto al mio nervosismo anche
l'ansia di essere sgamata. Dovevo fare da baby-sitter ad una bambina e
mi ero lasciata convincere da Davide di far venire anche lui, di
nascosto, come succedeva nei film americani, per poter passare un po'
di tempo insieme.
Sprofondai nel divano di casa Rossi,
afferrando un cuscino e abbracciandolo come fosse un orsetto, per
ricavarne un affetto che non poteva darmi.
«Che succede, Cappuccina?» mi domandò
Davide, sedendosi accanto a me e accarezzandomi i capelli.
«Ho litigato ancora» risposi in un
sospiro, guardando dritto davanti a me.
«Sempre con il tuo amico?»
Scossi la testa, sorridendo amaramente.
«Non è mio amico» risposi
«È solo un
idiota»
La mano di Davide mi sfiorò una guancia
con una delicata carezza che non ebbe nessun effetto su di me, se non
far nascere un sorriso falso e tirato. Solitamente fremevo al suo
tocco, mi inebriavo della morbidezza della sua pelle, mi accendevo
come un fiammifero pronta a far ardere i miei sentimenti. Invece in
quel momento ero un pezzo di ghiaccio, una bambina che non desiderava
una stupida carezza, ma il suo amato giocattolo.
«Se non tenessi a lui, adesso non
staresti così male» disse Davide, stringendomi la
mano «E
soprattutto non piangeresti per lui»
Boccheggiai, incredula, asciugandomi in
fretta quelle poche lacrime che furtive e silenziose sgorgavano dai
miei occhi. Non mi ero nemmeno resa conto che stavo cominciando a
piangere mossa dall'irremovibile pensiero di Dario.
«Non, non sto piangendo per lui»
tentennai, assaporando una lacrima salata che si era fermata
all'angolo della bocca «Piango per il nervoso»
Quelle parole servivano più per
convincere me stessa che Davide. Saronno mi scansò una
ciocca di
capelli dal volto, accarezzandomi con il dorso della mano la guancia.
Mi spinse delicatamente verso di lui, verso le sue labbra e verso un
bacio dolce ed innocente, un leggero assaporarsi di labbra con un
solo accenno di lingua. Perché perdevo tempo con Dario,
perché
sprecavo le mie lacrime per lui? Quel gigolò non contava
nulla per
me, non doveva contare nulla per me così
come io per lui non
ero importante. Avevo Davide, un ragazzo che mi apprezzava e con cui
mi sentivo in pace con me stessa e con gli altri. Che mi faceva
battere il cuore e sentire speciale.
Mi sfiorò la punta del naso con la sua,
pizzicandomi amorevolmente una guancia, per poi stringermi una spalla
e avvicinarmi al suo petto. Chiusi gli occhi, coccolata da dolce
ritmo del cuore di Davide. Un battito regolare, normale, uguale a
qualsiasi altro, eppure così diverso dal suono di quello di
Dario,
così magnetico e melodioso. Respirai a fondo l'odore del suo
maglione, che però non soddisfò le mie narici
viziate ormai dal
profumo inebriante di Dario. Qualsiasi piccolo gesto, qualsiasi
minimo particolare era connesso a lui, era un termine di paragone con
tutto ciò che lo riguardava e in ogni confronto ne usciva
vincitore.
Al diavolo! Dovevo smetterla di pensarlo come se
fossi una
ragazzina innamorata. Era solo un presuntuoso, saccente, arrogante e
antipatico gigolò, il cui unico scopo era giudicare tutto e
tutti
dall'alto della sua esperienza divina e farmi innervosire ogni giorno
di più. Da quando era entrato nella mia vita non avevamo
fatto altro
che litigare e urlarci contro, eravamo quasi arrivati al punto di non
sopportarci più a vicenda. Eppure sentivo il bisogno di
stare con
lui, di vederlo accanto a me, di sentire la sua voce e la sua mano
avvolgere la mia.
«È meglio che tu vada» mormorai, prima
di staccarmi da Davide «La madre di Giorgia
arriverà a momenti»
Saronno controllò l'orologio,
constatando che fossero le diciassette passate ed annuii,
sorridendomi. Mi schioccò un bacio sulla fronte e si
alzò,
stiracchiandosi rumorosamente e strappandomi una piccola risata.
«Ciao Cappuccina, ci vediamo» mi disse,
appropriandosi poi delle mie labbra più e più
volte prima di andare
via e lasciarmi sola con i miei pensieri.
Seppur il mio cuore aveva sorvolato sulle
continue illazioni di Dario nei confronti di Davide, il mio cervello
aveva assimilato anche fin troppo quello che aveva detto. Ogni minuto
che passava mi sembrava sempre più strano che Saronno si
fosse
avvicinato a me, che potessi anche minimamente piacergli. E se fossi
stata solo una delle tante? Una da aggiungere ad una lista? Una con
cui fare sesso e poi gettarla nel dimenticatoio? La cosa mi
spaventata, non volevo perdere la verginità con un ragazzo
che non
aveva la minima considerazione di me, al quale interessava solo la
Iolanda. E soprattutto non volevo sentirmi dire dal saccente Dario Te
l'avevo detto, con un tono soddisfatto e trionfante.
Con questi dubbi avrei fatto meglio a
lasciar stare, a troncare tutto prima che la situazione si
complicasse. Ma non ci riuscivo. Dentro di me si stava consumando una
lotta tra cervello e cuore, razionalità e sentimenti senza
che nessuno ne uscisse vincitore. Temevo di sbagliare, come al solito,
qualsiasi strada scegliessi. Per cui, nonostante i dubbi e le paure,
avrei vissuto quella storia, così come veniva, trascinata
dai
sentimenti, frenata a volte dalla razionalità.
Sentii un rumore metallico e poco dopo
apparve una signora corpulenta con il cappotto nero spruzzato di
bianco, infreddolita e tremante.
«Che freddo!» esclamò, chiudendosi la
porta alle spalle «Giorgia ha fatto la brava?»
domandò la signora
Rossi.
«È stata un angelo» risposi, alzandomi
e sorridendole «Adesso sta dormendo»
La donna andò a controllare che la sua
bambina stesse bene, poi mi raggiunse nuovamente in salotto ed
estrasse dalla borsetta il portafoglio.
«20 euro per le due ore» disse,
allungandomi una banconota azzurra «E altri dieci per la
gentilezza»
aggiunse con un sorriso.
«Grazie» risposi intimidita,
afferrandoli.
«Copriti bene che fuori fa freddo» mi
avvertì «Sta perfino nevicando!»
«Nevicando?» ripetei scettica, ormai
priva di qualsiasi speranza di vedere la neve quell'anno.
«Non te ne sei accorta?» domandò
«È
da più di un'ora che sta nevicando!»
Sorrisi, felice, da buona amante della
neve qual ero. Amavo quel manto bianco che creava, amavo sentire le
scarpe affondare e i fiocchi di neve infrangersi sul mio viso.
Scesi le scale rapidamente, fiondandomi
fuori dal portone e godendo di quel cielo bianco e il candore della
neve. Aprii le braccia, girando su me stessa per farmi investire
dagli enormi fiocchi che il cielo ci stava donando. Ero stata
catturata in quell'incantesimo che solo la neve sapeva creare, quando
una palla congelata si schiantò contro la mia guancia.
«Beccata!» esclamò divertito un Davide
dal naso rosso, spuntando da dietro un albero.
«Che cosa ci fai ancora qui?!» sbottai,
pulendomi la guancia «Non dovevi essere a casa?»
«Certo! Ma quando ho visto che nevicava,
ho deciso di aspettarti per condividere questo spettacolo con
te»
«Grazie» risposi, stringendomi nelle
spalle intimidita.
Abbassai lo sguardo a guardarmi i piedi
sprofondati ormai nella neve e non mi accorsi che un'altra palla
ghiacciata stava viaggiando a tutta velocità verso di me,
infrangendosi contro la gamba. Strabuzzai gli occhi e spalancai la
bocca.
«E così vuoi la guerra!» esclamai,
raccattando un po' di neve e facendone la mia arma.
Caricai il colpo e lo scagliai contro
Davide, che riuscì ad evitarlo con un balzo.
«Non sei in grado Alice!» mi
sbeffeggiò, facendo un'altra palla di neve
«Bisogna essere veloci e
imprevedibili!» continuò, fingendo di lanciarmela.
Mi scansai
compiaciuta, credendo di aver evitato quell'ennesimo colpo, che si
abbatté sulla mia spalla poco dopo.
«Siamo tre a zero per me!» esclamò
divertito.
«Le prime due non valevano!» ribattei
io scocciata.
Mi abbassai per prendere la neve,
rialzandomi fulminea e assestare il colpo del 3-1. Lo colpii sulla
schiena, mentre lui cercava invano di evitare quella pallina. Saltai
felice, mostrandogli il segno della vittoria e subito lui socchiuse
gli occhi, guardandomi con aria minacciosa. Corse goffamente verso di
me, rischiando di cadere a causa della neve ed io cominciai ad
indietreggiare, ridendo in un misto tra divertimento e timore.
«Cosa vuoi fare?» domandai, parandomi
con le mani.
Con un urlo stile Tarzan, si scagliò
contro di me, sbilanciandomi e facendomi cadere come una mela marcia.
Me lo ritrovai disteso sul mio corpo che mi scrutava con i suoi occhi
marini e mi sorrideva in un modo che mi fece perdere il fiato.
Nonostante la neve tutt'intorno, sentivo un gran caldo e le guance,
prima gelide, stavano andando piano piano a fuoco. Mi passò
una mano
tra i capelli, senza mai liberare i miei occhi dai suoi e
avvicinò
le sue labbra alle mie, brandendole voglioso in un bacio del tutto
nuovo per me, un bacio che si allontanava dall'innocenza dei primi.
Era un rincorrersi delle nostre lingue, un momento di pura passione,
una spirale di piacere intenso che ci stava inghiottendo piano piano.
Affondai le dita nei suoi capelli corvini, spingendolo verso di me,
come se volessi di più, come se quelle labbra fossero troppo
poco
per la mia bramosia. Una mano di Davide era inabissata nella neve,
mentre l'altra lambiva ogni centimetro della mia coscia, scivolando
anche verso il sedere. La cosa strana era che non mi dava fastidio
che Davide esplorasse la mia gamba, anzi, godevo di quel contatto
ostacolato dai jeans. Il mio cuore batteva frenetico ed
irregolarmente come se fosse un tamburo suonato da qualcuno senza il
minimo senso del ritmo. Il petto si sollevava convulso seguendo il
respiro che si faceva sempre più affannoso ad ogni strofinio
delle
nostre lingue.
Il bacio di Davide scivolò lungo la
guancia, fino ad arrivare al collo, dove si fermò e
assaporando la
mia pelle con decisione, strappandomi anche qualche ansimo. La neve,
i baci e il corpo di Davide erano riusciti finalmente a liberarmi
dell'ormai opprimente pensiero di Dario e di quell'insensato senso di
ansia che le sue parole avevano fatto nascere in me. Non m'importava
di nulla in quel momento, se non Davide e quello che stava nascendo
tra noi. Non poteva essere finzione, tutto tra di noi era
così
naturale, qualsiasi gesto e qualsiasi parola, ogni sorriso ed ogni
carezza.
Davide si staccò da me, sollevandosi
sulle braccia e fondendo ancora una volta le nostre iridi e le nostre
emozioni.
«Sarà meglio alzarsi prima di diventare
dei ghiaccioli» sogghignò.
Si rialzò, aiutando anche me a
risollevarmi dal mantello gelido di neve. Lo vidi abbassarsi
nuovamente e sbuffai, pregandolo con lo sguardo di non riprendere la
battaglia a palle di neve.
«No, ti prego!» supplicai.
Davide sospirò e scosse la testa con un
sorriso. Ammassò della neve, raccattandone da ogni dove e
cominciò
a picchiettarla per darle la forma di una sfera gigante.
«Vieni anche tu a fare un pupazzo di
neve» mi invitò.
Non ero mai stata brava a fare quei cosi,
si distruggevano sempre appena cominciavo a rimodellarlo. Accettai
comunque, nonostante l'astio reciproco tra me e i pupazzi e lo
imitai, raccogliendo più neve possibile per farne il corpo.
Davide fece una palla più piccola,
sistemandola sulla sfera gigante di neve che aveva fatto e
indietreggiò per ammirare la sua creatura. Estrasse dalla
tasca due
Golia e le scartò, facendone due occhi neri.
«Servirebbe un naso, però» disse, non
pienamente soddisfatto.
«No dai, è carino» sorrisi.
Meglio del mio che era instabile e
destinato a cadere di lì a poco. Davide aggiunse gli occhi
anche al
mio pupazzo, poi si fermò a guardarli critico, uno di fianco
all'altro.
«Manca qualcosa» mormorò, grattandosi
il mento.
Il suo volto si illuminò d'improvviso e
come un fulmine scattò verso l'albero dal quale
staccò due rami
rinsecchiti. Ne piantò uno nel suo pupazzo di neve, l'altro
nel mio,
in modo che si sfiorassero, come se si stessero tenendo per mano.
Sorrise soddisfatto e si affiancò a me, intrecciando le sue
dita con
le mie.
«Hai visto, siamo noi due» esclamò
compiaciuto da quella opera.
Seppur il pupazzo Alice sembrasse la
torre pendente di Pisa e non avesse la bocca, insieme con il pupazzo
Davide sembrava felice. Strinsi ancora più forte la mano di
Saronno
e sorrisi guardando quegli innamorati di neve. Peccato solo che la
loro storia d'amore non avrebbe avuto futuro. Sarebbe bastato un solo
raggio di sole per mettere fine a quella fantastica storia. Era forse
un presagio di quello che sarebbe accaduto a noi? Destinati a
scioglierci come neve?
«Appena spunterà il sole, però,
dovranno dirsi addio» mormorai, scoraggiata.
«Speriamo che tra di noi il sole
non albeggi mai, allora»
__________________________________________________________________________
Hello to everyone!
Finalmente ce
l'ho fatta a finirlo! Non mi sembra nemmeno vero, ormai ero priva di
qualsiasi speranza di riuscire ad uscire dal decimo capitolo. Ma
eccomi, invece!
La settimana
appena trascorsa è stata un inferno, avevo il parziale di
anatomia che è andato uno schifo e che quindi mi ha
demoralizzato parecchio. Per non contare poi l'imminente esame di
fisica, una delle cose che odio di più al mondo e questo
capitolo che doveva essere totalmente diverso. Avevo ben altra idea in
mente che però non riuscivo a realizzare per una serie di
problematiche che l'episodio creava. Ma ne sono uscita e ne sono
felice! L'idea è diversa da quella che avevo in mente, ma ha
lo stesso effetto :)
Se da una parte
vediamo che il rapporto tra Alice e Davide si sta rafforzando sempre di
più, dall'altra abbiamo quello con Dario che si sta
deteriorando sempre di più. Ormai, per loro, è
una routine litigare e questo fatto sta infastidendo parecchio la
nostra cara protagonista. È comunque vero che lei lo pensi
sempre, nonostante non si sopportino quasi più a vicenda.
Il prossimo
capitolo sarà quello promesso, ossia Cade la pioggia.
Sarà molto importante per la storia e anche abbastanza
triste. Non dico altro perché non voglio rovinarvi la
sorpresa. Ci sarà anche una shot di In un giorno qualunque
ispirato a questo capitolo e alla canzone dei Negramaro..
Mi sembra di aver
detto tutto, anche perché non ho nient'altro da aggiungere xD
Per cui direi di
passare alle cose importanti, ossia ai ringraziamenti.
GRAZIE alle dieci splendide
persone che hanno recensito lo scorso capitolo (che bel numero il 10
*-* xD)
GRAZIE alle 74 persone che hanno
inserito la storia nelle seguite.
GRAZIE alle 10 che l'hanno
inserita tra le ricordate.
GRAZIE alle 29 che l'hanno
inserita nelle preferite.
GRAZIE anche a chi
legge solamente.
Davvero, dirvi
solo un grazie mi sembra poco :') Quando leggo le vostre recensioni,
quando vedo quanto è apprezzata questa storia mi si riempie
il cuore di gioia. Vi adoro tutti ♥
Infine, GRAZIE alla mia
amata Lover,
IoNarrante, la mia consigliera personale. Ti lovvo
♥
Ora, la
noiosissima pubblicità:
Come
in un sogno - scritta a quattro mani con IoNarrante
In
un giorno qualunque
Pagina
Facebook
Gruppo
Facebook
Le
999 cose che la gente non sa degli scrittori
Vi lascio! Un
bacio a tutti, vostra, Manu ♥
|
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Capitolo 12 *** Cade la pioggia ***
C a p i t o l o 11
Cade la pioggia
Eravamo
rimasti a fissare quei due
pupazzi di neve per un tempo che sembrava quasi interminabile, persi
in quel triste romanticismo che quel candore emanava. Quando la neve
aveva cominciato a scendere più fitta, decidemmo di
tornarcene a
casa prima di essere vittime di una tremenda tempesta da film
catastrofico americano. Davide mi strinse a sé,
riscaldandomi con il
suo piumino e il calore del suo corpo.
«Tra poco c'è il ballo di San
Valentino» disse lui, mentre camminavamo spediti verso casa
mia.
«Cinque giorni» risposi. Solo 120 ore e
mi sarei liberata definitivamente di Dario, finalmente.
«Non ci andrai, vero?» mi domandò a
bruciapelo.
M'irrigidii all'istante, non avendo
minimamente pensato che lui credeva che io non avessi un fidanzato.
Teoricamente era così, ma praticamente avevo tra i piedi un
gigolò
che interpretava il mio fidanzato. Era un disastro di proporzioni
cosmiche, peggiore della tempesta di neve che si stava abbattendo su
di noi. Se Davide avesse scoperto di Dario potevo dire addio anche a
Saronno e non volevo assolutamente rinunciare a lui.
«E no. Che peccato» risposi insicura.
La soluzione migliore era essere
seppelliti dalla neve, così avrei sistemato ogni mio
problema e fine
di ogni caos. Però, pensandoci, nemmeno Davide aveva la
ragazza per
cui potevo andare tranquilla. Ma dato che nella mia scuola c'erano
più pettegole che fili d'erba in un campo di calcio, la voce
del mio
“ragazzo” sarebbe arrivata a Saronno e addio!
Sayonara, a mai più
rivederci! Che cosa avrei dovuto fare? Andare a quella stupida festa
per mettere a tacere i dubbi, più che fondati, sulla mia
reputazione
e rischiare di perdere Davide, o fregarmene di me stessa e pensare
solo alla storia che stava nascendo con Saronno? Maledizione alla mia
boccaccia! Per colpa sua affondavo sempre di più in un mare
melmoso
di gianduja che mi avrebbe, ben presto, fatta annegare.
«Io credevo di sì, invece» disse, con
tono serio e cupo, cosa che mi fece rabbrividire.
Lui sapeva tutto! Qualcuno gli aveva
spifferato che avevo un fidanzato e quel qualcuno rispondeva,
certamente, al nome di Cristina Cariati. Quella pettegola, oca dalla
lingua veloce!
«E con chi?» domandai con voce
tremante.
«Con un ragazzo, ovvio!» rispose lui
«Anzi, rettifico, il tuo
ragazzo!»
Strabuzzai gli occhi e boccheggiai, prima
di staccarmi da Davide e fermarmi davanti a lui.
«Non è come credi, davvero. Posso
spiegarti qualsiasi cosa» cominciai preoccupata e con il
cuore che
sembrava un martello pneumatico pronto a perforarmi la cassa
toracica.
Lui si avvicinò a me, mi accarezzò le
braccia, scendendo fino a stringermi le mani e baciandomi a fior di
labbra.
«È bello, è simpatico, anche romantico
quando vuole» esordì, lasciandomi perplessa
«E vuoi sapere come si
chiama?»
Annuii poco convinta e lui mi baciò
nuovamente.
«Davide Saronno»
«No, hai preso un granchio, davvero»
cominciai, senza aver sentito realmente cosa mi aveva detto. Quando
realizzai che aveva pronunciato il suo nome, annaspai, deglutendo
saliva che non c'era «Cosa hai detto?» domandai,
certa di aver
sentito un nome per un altro. Lui sorrise sornione e mi
baciò il
dorso freddo della mano, dal quale si sviluppò un calore che
mi
pervase lentamente tutto il corpo.
«Era un modo strampalato per chiederti
se vuoi essere la mia ragazza» disse con tono dolce e
tranquillo.
Quelle parole arrivarono dritte al mio
cuore, facendolo esplodere di gioia ed emozione. Avevo sempre
immaginato quel momento, nella speranza che arrivasse da un giorno
all'altro, ma che in verità rimaneva sempre e solo un sogno
lontano
difficilmente realizzabile. E invece qualcuno mi
aveva davvero chiesto di diventare la sua fidanzata. Non credevo che
una semplice frase come quella potesse riempirmi gli occhi di
lacrime. Ma ero lì impalata con la bocca spalancata, con le
labbra
tremanti e lacrime di gioia che si infrangevano sul bianco della
neve.
«Ehi Cappuccina, perché stai
piangendo?» mi chiese Davide, asciugandomi le guance con i
pollici.
«Non-non me lo aspettavo» balbettai,
emozionata, fuggendo dall'acqua profonda dei suoi occhi cristallini
«Io, io non co-cosa dire»
«Mi basta un sì»
Era
semplice, un monosillabo stra-abusato che usciva con
facilità dalle
labbra di chiunque. Ma in quel momento mi sembrava fosse la parola
più difficile da dire. Forse per la paura dell'ignoto,
qualcosa che
non avevo mai provato e a cui forse non ero pronta. E poi c'era Dario
e il suo opprimente pensiero, le sue parole che rimbalzavano nella
mia mente come una pallina impazzita. Abbassai lo sguardo e mi morsi
entrambe le labbra, con il cuore che urlava quel maledetto Sì
e il cervello che si opponeva serrandomi le labbra.
«Allora?» incalzò lui, prendendomi con
decisione il viso tra le mani e costringendomi a guardarlo.
Deglutii a vuoto e respirai prima di
prendere la mia decisione. Mi alzai sulle punte, avvinghiandomi al
collo di Davide per poter gustare nuovamente le sue labbra e i suoi
baci. Avevo scacciato la voce di Dario, che lentamente svaniva dalle
mie orecchie, lasciandomi udire solo il battito accelerato del mio
cuore rimbombare nelle orecchie, quel suono che voleva solo Davide in
quel momento. Allontanai anche la sua immagine, dissolta nell'oceano
degli occhi del ragazzo che mi stava baciando in quel momento. Avevo
messo a tacere il mio cervello e avevo dato ascolto al mio cuore,
magari sbagliando, magari intraprendendo la strada più
insidiosa. Ma
in quel momento volevo vivermi Davide, volevo che fossimo solo noi
due e basta, senza nessun sole che ci ostacolasse con i suoi raggi.
Le nostre lingue si sfiorarono prima di
avvolgersi sensualmente come se non volessero più staccarsi,
così
come le nostre labbra ormai incollate a quello dell'altro, che
necessitavano
di quelle dell'altro per poter vivere con quei baci.
Davide mi mordicchiò il labbro inferiore e si ritrasse da
quel
bacio, guardandomi intensamente negli occhi. Solo le sue iridi
bastavano per farmi emozionare, per far galoppare il mio cuore verso
quel sentimento che si stava trasformando lentamente in amore.
«Questo valeva come un sì» mormorai,
sentendo le guance ardere.
Il viso di Davide si illuminò e un
sorriso crebbe a rendere ancor più meraviglioso il suo
volto. Mi
cinse i fianchi e mi sollevò, facendomi volteggiare e
strappandomi
un piccolo urlo che racchiudeva stupore e gioia. Avevo un fidanzato,
finalmente, e la cosa mi sembrava surreale. Basta ragazzi immaginari,
basta bugie, potevo essere semplicemente me stessa. E,
fortunatamente, basta Dario.
Mi
sistemai i capelli con le mani e
sospirai a lungo.
«Forza e coraggio Alice!» dissi alla
mia immagine riflessa nello specchio del bagno.
In fondo dovevo solo dire a Dario come
stavano le cose, congedarlo dal suo incarico di finto fidanzato e
basta. Una cosa semplicissima, ma che mi aveva resa tesa ed ansiosa.
La sera precedente lo avevo chiamato, appena messo piede in casa e
non avevo avuto il coraggio di rivelargli tutto. Gli avevo solo detto
che avevo urgenza di parlargli. E così mi ritrovavo chiusa
in bagno
da tre quarti d'ora in attesa che lui venisse a prendermi. Nella mia
mente avevo già il discorso pronto da fargli, ripetuto fino
alla
nausea allo specchio, nonostante sapessi che sarebbe stato del tutto
inutile. Quando me lo sarei ritrovata davanti, qualsiasi parola
avrebbe fatto fatica ad uscirmi di bocca e quel discorso si sarebbe
trasformato in fragili bolle di sapone, spazzate vie dal vento.
«Alice!» trillò mia madre dal salotto
«C'è il tuo amico!»
Il momento della verità era giunto e
ogni passo che mi avvicinava a lui era un battito cardiaco perso.
Raggiunsi il salotto dove mia madre mi tendeva il cappotto e
sorrideva maliziosa, credendo che quello sarebbe stato un
appuntamento romantico. Peccato per lei e soprattutto per me che
quella sarebbe stata una tragedia, altro che commedia rosa con il
classico Felici e Contenti.
«Stai attenta mi raccomando» disse
apprensiva mia madre «Divertiti e non fare tardi. E ricordati
che
non sei obbligata a...» lasciò la frase in sospeso
«se non vuoi.
Capirà, se tiene veramente a te»
Corrugai la fronte e la guardai dubbiosa.
Mia madre allora tossicchiò, dondolandosi avanti e indietro,
cercando di farmi capire a gesti che cosa intendeva dire. Una volta
compreso che stava parlando ancora di sesso, sgranai gli occhi e una
vampata di calore si propagò su tutto il volto.
«Mamma!» sbottai imbarazzata.
«Era così, per metterti in guardia»
ribatté vaga, scrollando le spalle.
Scossi la testa, intimidita e irritata al
tempo stesso, e la salutai brusca. Mi precipitai fuori di casa senza
attendere la sua risposta e mi catapultai al piano terra.
Già dal
portone a vetri potevo scorgere la macchina splendente di Dario con i
fanali accesi. Stranamente lui non era fuori appoggiato al cofano con
fare da figo. Deglutii, cercando di cacciare giù quel groppo
in gola
che mi si era formato non appena mia madre mi aveva annunciato il suo
arrivo.
Gonfiai il petto d'aria e la cacciai
fuori tutta insieme, infondendomi coraggio mentalmente. Feci scattare
il portone e uscii all'aria gelida di quella sera. La neve aveva
smesso di cadere quella mattina, ma i marciapiedi e le strade avevano
addosso ancora il ricordo di quel manto candido.
Ero più decisa che mai di dirgli tutto
non appena avessi poggiato le chiappe sul sedile, così me ne
sarei
subito salita in casa.
Via il dente, via il dolore.
Mi strinsi nel cappotto e sbuffai sulle
mani, prima di sentire il tepore della macchina di Dario avvolgermi. Il
suo odore, che riempiva l'abitacolo, arrivò subito a
stuzzicarmi
le narici, portando via con sé la mia sicurezza e quel
pizzico di
coraggio che avevo trovato per parlargli.
«Ciao» disse lui distaccato.
Risposi con un cenno della testa e
sorrisi lievemente. Con un rombo del motore, la macchina
partì
diretta chissà dove. In verità non pensavo
nemmeno che quello che
doveva essere un addio si sarebbe trasformato in un appuntamento da
qualche parte. Nessuno dei due parlava, si sentivano solo le ruote
della macchina lamentarsi per lo sfregare contro l'asfalto scivoloso.
Mi strinsi le mani e mi morsi un labbro, poi lo guardai pronta a
dirgli tutto.
«Senti» mormorammo all'unisono.
Dario fece un gesto della mano che mi
esortava a continuare.
«No, vai tu» dissi.
«Ok» sorrise lui, rivolgendomi
un'occhiata fugace «Volevo chiederti scusa per ieri. Mi
dispiace
averti fatto arrabbiare, non era mia intenzione. È
che» esitò un
attimo e strinse il volante «Mi sono affezionato molto a
te»
riprese con voce traballante «e ho già visto una
persona a cui
tenevo molto soffrire ed è stato orribile. Non voglio che
succeda
anche a te»
Dopo quelle parole sentii il suolo cedere
sotto i miei piedi. Mi aveva spiazzata con quella dichiarazione, con
quel tuffo inaspettato nel suo cuore e nei suoi sentimenti. Mi
sentivo una merda a dovergli dire addio, magari anche aggiungendoci
un Però ci sentiamo! Soprattutto
perché lo stavo “mollando”
per Davide, verso cui aveva un odio viscerale e insensato dettato
solo dai suoi pregiudizi.
Rimase in silenzio, concentrato sulla
strada, mentre si umettava continuamente le labbra, forse in attesa
che gli dicessi qualcosa. Ma l'unica cosa che poteva uscire in quel
momento dalla mia bocca avrebbe distrutto quell'intimità che
si era
creata tra di noi.
«Tu-tu cosa dovevi dirmi?» domandò con
un tono deluso e imbarazzato al tempo stesso.
«Nulla» risposi sorridendogli.
Avevo deciso in quel momento che avrei
affrontato quell'argomento dopo il nostro appuntamento, per poter
godere di noi ancora per qualche ora. Dario mi guardò
confuso.
«Avevi da dirmi qualcosa di urgente» mi
ricordò.
«In realtà volevo solo uscire con te»
mentii.
Lui boccheggiò qualche istante e arrossì
lievemente. Non chiese ulteriori spiegazioni e gli fui grata per
questo. Non sarei stata in grado di inventare delle scuse plausibili.
La macchina imboccò il ponte di via
Emilia, dirigendosi spedita verso la tangenziale che univa il paese a
Milano. La strada era vuota e l'asfalto veniva ravvivato solo dalle
luci arancioni dei lampioni e dei fari biancastri della Mito.
«La strada è libera» constatò
Dario,
lanciandomi un'occhiata sadica che mi spaventò
«Pronta ad una
scarica di adrenalina?»
«Adrenalina?!» ripetei preoccupata.
Ricevetti come risposta solo un sorriso
di traverso e una sgasata da far impallidire persino Alonso. La sua
mano scivolò rapida sul cambio che scattò verso
la quinta e la
macchina sembrò essere stata sbalzata in un universo
parallelo. Più
passavano i secondi e più la Mito acquisiva
velocità, tanto che ciò
che stava fuori dall'abitacolo aveva perduto qualsiasi parvenza
naturale. Non si distinguevano più sagome e colori, era un
enorme
frullato di asfalto e luci che non permetteva di distinguere
ciò
che ci circondava. Mi incollai allo schienale, stringendo con forza
il sedile, terrorizzata dall'alta velocità. Sbirciai
preoccupata il
tachimetro che sfiorava i 150 km/h e questo non fece altro che
aumentare il mio battito cardiaco.
«Ti prego Dario rallenta!» sbraitai.
Lui ridacchiò e le mie suppliche
aumentarono solo la sua voglia di adrenalina. Accelerò
nuovamente e
pensai che sarebbe decollata e avrebbe perforato l'atmosfera
terrestre diretta verso l'infinito universo. Davanti a noi si faceva
sempre più grande e vicino un enorme suv grigio metallizzato
che,
ero sicura sarebbe stata la causa della nostra morte. Dario sembrava
non volesse rallentare o volersi fermare, anzi andava spedito contro
quella macchina.
«Dario, Dario, Dario!» urlai
terrorizzata, chiudendo gli occhi e raggomitolandomi sul sedile.
Mi aspettavo di sentire da un momento
all'altro uno schianto e di essere sbalzata via, ma non avvenne nulla
di tutto ciò. Timorosa, riaprii un occhio per vedere che
cosa era
successo. Il suv davanti a noi non c'era più, si stagliava
ancora
una volta l'asfalto vuoto che dava il via libera a Dario di
riprendere la sua folle corsa.
«Non devi aver paura!» esclamò
eccitato lui «Stai tranquilla e godi di questa
adrenalina!»
Non risposi, il terrore non mi permetteva
nemmeno di articolare una frase di senso compiuto. Rimasi
rannicchiata, stretta nell'abbraccio del sedile, con gli occhi chiusi
in attesa di giungere a destinazione, pregando di arrivare fin
lì
sani e salvi. Qualcuno, fortunatamente, aveva ascoltato le mie
suppliche e poco dopo arrivammo in una strada chiusa dove c'era un
piccolo parcheggio. Appena la Mito si fermò, mi fiondai
giù dalla
macchina e mi appoggiai al cofano perché le gambe faticavano
a
reggermi. Mi portai una mano sul cuore che martellava nel petto e
respirai a fondo cercando di riprendermi da quel momento di puro
terrore.
«Non è stato fantastico?!»
esclamò
elettrizzato Dario, scendendo dalla macchina.
«No affatto!» ribattei inacidita.
«Ehi piccola, stai tremando!» constatò
lui, accarezzandomi la guancia «Hai avuto paura?»
«No! Abbiamo solo rischiato di morire!»
risposi sarcastica.
«Non volevo spaventarti» disse
mortificato, afferrandomi il polso e trascinandomi tra le sue braccia
«Devi fidarti di me!»
«Di un matto che si eccita a rincorrere
la morte?!» sbottai, ricambiando l'abbraccio «No
grazie!»
«Se l'ho fatto era perché sapevo che
non ci sarebbe successo nulla!» ribatté Dario,
accarezzandomi la
guancia.
«Promettimi che non lo farai più»
mormorai, stringendomi ancora di più a lui.
Dario mi passò una mano tra i capelli e
mi schioccò un lungo bacio.
«Promesso» sussurrò all'altezza del
mio orecchio, facendomi rabbrividire.
Puntai le mani sul suo petto e lo
allontanai con delicatezza, sorridendogli in modo sfuggente e
imbarazzato. Alzai lo sguardo e incontrai l'insegna luminosa di quel
posto.
«Bowling?» domandai scettica.
«Bowling!» ripeté Dario felice
«Quale
posto migliore per passare una serata in allegria?»
Gli sorrisi poco convinta. Io e i birilli
non avevamo mai avuto un buon rapporto. Ero stata solo una volta in
un posto del genere, con i miei compagni di classe ed era un miracolo
se la palla colpiva un birillo e non finiva nel cunicolo, per poi
sparire senza sfiorare quegli aggeggi di legno.
Dario intrecciò le sue dita alle mie e
mi accompagnò dentro quell'enorme locale luminoso e subito
fummo
investiti da musica a tutto volume e rumori di birilli che
collassavano per l'impatto con la palla da bowling. Prendemmo le
pittoresche scarpe da clown e ci fu assegnata la pista numero otto.
«Oh mio Dio, ma queste scarpe sono
orribili!» esclamò Dario, guardandosi sconvolto e
inorridito i
piedi «Sembro un deficiente!»
Scoppiai a ridere nel vedere la sua
faccia schifata e quelle scarpe azzurre con la punta rossa che
stonavano con i jeans chiari che aveva indossato quella sera.
«Cosa ridi?» mi canzonò Dario,
imbronciato.
Si alzò e si avvicinò a me,
cominciando a solleticarmi i fianchi. Mi accasciai sul divanetto,
parandomi il corpo con le mani, ma fu tutto inutile perché
le mani
veloci di Dario scivolavano dal collo ai fianchi , intrappolandomi in
quell'insopportabile solletico. La mia risata s'intensificò
e, tra
uno spasmo e l'altro, lo supplicavo di smettere. Appoggiò un
ginocchio sul divano per potermi raggiungere meglio, ritrovandosi
sopra di me.
«Ba-sta ti pre-go» dissi in preda ad
una risata ormai.
Le sue mani si fermarono sui fianchi e i
nostri occhi s'intrecciarono per un lunghissimo istante. Quelle iridi
scure brillavano di luce propria, come se fossero state spruzzate di
stelle, erano un cielo notturno in grado di farmi emozionare ogni
volta che mi specchiavo dentro di esse.
La convinzione che io e Dario fossimo due
musiche discordanti crollò in quel momento. All'inizio
poteva
sembrare disarmonia, ma, aguzzando l'orecchio, si capiva che invece
era pura armonia. Un'armonia di voci, di occhi e di corpi che io
avrei distrutto di lì a poco.
«Dolce vendetta» sussurrò soddisfatto
lui, dandomi un bacio sul naso «Ora, giochiamo
però che ho una
voglia matta di vittoria!»
Si alzò e mi aiutò a fare lo stesso
tendendomi una mano. Gli sorrisi, anche se il mio volto buio
contraddiceva le mie labbra. Fortunatamente, non se ne accorse e non
mi sommerse di domande.
La prima che doveva tirare ero io, per
cui presi una dannata palla rosa porcello che pesava più di
mio
fratello e che mi sbilanciò in avanti, e mi posizionai
davanti ai
birilli.
Concentrati Alice. Non pensare a
quello che avverrà dopo, divertiti e basta.
Presi la mira con la palla davanti al
viso come un giocatore professionista e la punta della lingua di
fuori. Due passi indecisi e lanciai la palla. E lanciare era il verbo
adatto. Invece di sganciarsi subito dalle dita e scivolare sull'olio
della pista, accompagnò il movimento della mano, ricadendo
poi
pesantemente con un tonfo sul parquet. Mi strinsi nelle spalle e
mormorai un Ops rivolto alle persone che mi
guardavano
sogghignando. La palla rosa porcello rotolò lentamente verso
i
birilli, deviando sempre di più verso destra e vani furono i
miei
soffi per farla tornare in carreggiata. Infatti si infossò
nel
cunicolo e scomparve nel buio. Sbuffai e presi una palla giallo
evidenziatore che ebbe lo stesso infausto destino del porcellino.
«Ah ah! Se devi ridere ridi» bofonchiai
rivolta a Dario che cercava in tutti i modi di trattenere
un'esplosiva risata.
«Dai non te la prendere, il prossimo
andrà meglio» disse lui, che tentava di rimanere
serio.
Mi lasciai cadere sul divanetto e
incrociai le braccia al petto, infastidita sia dalle palle colorate
che da Dario e dalla sua presunzione. Tanto anche lui avrebbe
fallito, ne ero sicura. Lo vidi concentrarsi sui birilli e poi tirare
la palla che, repentina, s'infranse sui poveri birilli. Uno Strike
scritto a caratteri cubitali apparve sullo schermo sopra la mia testa
e dopo una ragazza pon pon stilizzata che festeggiava.
«Strike al primo colpo!» esclamò
elettrizzati lui, accompagnando il tutto con il tipico gesto che
significava Ma vieni che mi fece imbestialire
ancora di più.
Dario mi porse il palmo della mano come
se volesse che battessi il cinque, ma lo ignorai completamente e mi
avvicinai alla pista, più decisa che mai di fare un
maledetto
Strike, alla facciaccia sua! Eliminato il rosa e il giallo, tentai
con una color quarzo, magari mi avrebbe portato fortuna. Ma, come non
detto, accarezzò solo un birillo che traballò, ma
non cadde, e
sparì anch'essa. Battei un piede sul quel maledetto parquet,
già
stufa di quello stupido gioco. Dario scoppiò a ridere e lo
congelai
con uno sguardo furente.
«Dai Alice, buttala sul ridere!»
«Sì, facciamoci delle grasse risate. Oh
oh oh!» imitai la voce di Babbo Natale.
Afferrai l'ennesimo macigno e,
scoraggiata, mi posizionai davanti ai birilli. D'un tratto apparvero
due splendide mani abbronzate sulle mie e l'odore di Dario mi invase
completamente. Sentivo maledettamente caldo e il fiato cominciava a
venir meno come se stessi facendo una maratona. Sfilò le mie
dita
dai buchi, fece rotolare la palla tra le mie mani in modo che le dita
della sinistra potessero scivolare nelle fessure.
«Mira bene i birilli» disse e il suo
fiato mi scompigliò i capelli «Una volta che li
hai a fuoco,
avvicinati lentamente» il suo corpo si strinse al mio e la
sua gamba
mosse la mia verso la pista «e mentre cammini, fai scendere
il
braccio e accompagna la palla verso i birilli» e mi
guidò in quel
semplice gesto. Il macigno si spostò leggermente a sinistra
per poi
urtare quegli omini di legno, di cui solo due rimasero in piedi.
«Un bellissimo split!» disse entusiasta
Dario, comparendo da dietro la mia spalla «Hai visto che
è
semplice. Ora basta che tu faccia lo stesso, ma con la mano
destra!»
continuò, regalandomi un bacio sulla guancia.
«Alice cosa ci fai qui?!» trillò alle
mie spalle una voce a me familiare.
Io e Dario ci voltammo incontrando quel
tappo di Benedetta mano nella mano con l'energumeno di Federico che,
appena ci vide, si rabbuiò. Era da molto tempo che non
incontravo
Abbate. L'ultima volta era stato al mercatino, quando avevo deciso di
cancellarlo dalla mia mente definitivamente. E credevo di essersi
riuscita. Ma a vederlo che si stringeva e si strusciava con la mia
migliore amica, bruciava eccome, forse nel ricordo di quella mia
pseudo-sconfitta con Benedetta. Cercai comunque di non mostrare il
mio disagio sorridendo e stringendo la mano di Dario.
«Tu devi essere Edoardo» disse Germa,
rivolta al mio “fidanzato”.
«That's me!» esclamò come un imbecille
lui, indicandosi.
«Benedetta» si presentò «E lui
è
Federico, il mio ragazzo»
Abbate strinse la mano di Dario e
nonostante il lieve sorriso, era chiaro che voleva farlo a pezzetti e
nasconderlo nel muro del bowling. Nonostante tutto, continuava ad
essere geloso di me e questo non faceva altro che incasinare i miei
pensieri ancora di più. Se Federico e Dario avessero fatto
un torneo
di ambiguità, sarebbe stato difficile ricavarne un vincitore.
«Che ne dite di unirvi a noi nella
nostra pista? In quattro è più
divertente» propose Benedetta.
Lei era l'unica che sembrava felice,
mentre io, Federico e Dario avevamo delle facce da funerale. Tutti e
tre scrollammo le spalle e Germa lo prese come un sì.
Sparì per
qualche minuto, tornando poi vittoriosa dopo aver compiuto la sua
missione. Anche in questo caso la prima ero io, evviva! Cercai
di mettere in pratica gli accorgimenti di Dario ed ero pronta per
tirare, quando Federico si avvicinò a me.
«Aspetta!» mi bloccò «Sbagli a
tenere
la palla»
«Ehi bislungone!» lo riprese Dario,
seduto con le gambe aperte e un gomito appoggiato allo schienale
nella tipica posa da figo a cui tutto è dovuto
«Gliel'ho già fatta
io la lezione. Tornatene pure a posto» aggiunse, con tono di
sfida.
«A quanto pare, Pisolo, non è servito a
molto» ribatté acido Federico.
Il mio sguardo rimbalzava spaesato e
confuso su quei due che si guardavano come due animali inferociti
pronti a sbranarsi a vicenda. La mano di Abbate si appoggiò
alla mia
e provai una strana scossa quando le nostre pelli si sfiorarono
delicatamente. L'altra andò a finire sul mio fianco,
inutilmente
aggiungerei. Gli occhi di Dario non si staccarono dai suoi movimenti
e contrasse la mascella quando vide la mano di Federico sul mio
bacino.
«Tieni a bada le mani, bislungone»
sibilò.
«Voglio solo aiutarla» rispose a tono
Abbate.
«Ma la mano sul fianco è superflua, non
credi?» lo provocò Dario.
«È solo per non farla spostare»
ringhiò Federico.
«Sì, certo. Tu sei furbo, spilungone.
Ci stai chiaramente provando con la mia
ragazza» ribatté,
alzandosi e avvicinandosi a noi.
Arrossii violentemente nel sentire quel
battibecco. Dario si era calato fin troppo bene nella parte del mio
ragazzo, sembrava quasi che fosse realmente geloso. Cercai con lo
sguardo Benedetta che era rimasta seduta con le braccia conserte e il
volto contrariato per quello che stava succedendo.
«Sono fidanzato, non ci proverei mai con
un'altra ragazza»
«E allora non ti dispiacerà togliere
quella tua manaccia dal fianco di Alice» disse a denti
stretti,
afferrando il polso di Federico e allontanandola dal mio fianco.
Nonostante Abbate lo superasse in altezza
di più di venti centimetri, Dario sembrava non aver paura
della
stazza del mio ormai ex migliore amico. Lo guardava dal basso
all'alto come se volesse strozzarlo con le sue stesse mani. Gli
appoggiai una mano sulla spalla, accennandogli un Stai
esagerando.
Dario fulminò nuovamente Federico con lo sguardo,
per poi
tornare a sedersi e gustarsi quella seconda lezione di bowling con
cipiglio. Ascoltai con poca attenzione quello che aveva da dirmi
Abbate, ma nonostante quello riuscii a fare il mio primo e ultimo
strike della mia vita.
«Ma andiamo!» esclamai elettrizzata.
Federico guardò soddisfatto un Dario
incupito e irritato all'ennesima potenza. Il mio finto fidanzato si
alzò e si posizionò davanti alla pista, pronto
per il suo turno.
«Non dirmi che ti piace davvero quel
tipo» mormorò Federico, sporgendosi verso di me.
Annaspai, spiazzata totalmente da quella
domanda. Era la stessa cosa che mi chiedevo anche io e che mi
tormentava da quando avevo conosciuto Dario. Che fosse un bonazzo non
c'erano dubbi. Ma quell'involucro così bello, rafforzato da
quella
finta presunzione che si trascinava dietro nascondevano un cuore
colmo di sentimenti e di rammarico. Nonostante questo, però,
i suoi
sbalzi di umore erano davvero insopportabili e invivibili.
«Ovvio» risposi quasi indignata,
mantenendo il tono basso. E non sapendo se fosse o meno una menzogna.
«Ma hai visto quanto è tamarro?!»
ribatté seccato lui «Non è per nulla
adatto a te»
«Adesso ti metti a fare anche il Cupido
della situazione?» dissi sarcastica.
«Ma quale Cupido! È solo che lui è
così diverso da te. È aggressivo e se la mena
come se lo avesse
solo lui» rispose secco e con un pizzico di gelosia.
«Sarà anche un pallone gonfiato, ma se
non lo fosse non sarebbe Edoardo. Con lui sto bene, mi sento felice.
È davvero speciale» sospirai, osservando la
schiena di Dario. La
cosa preoccupante era che quelle cose le pensavo realmente.
«Capisco» mormorò.
Federico si accontentò con amarezza di
quella pseudo confessione d'amore e mise a tacere la sua
curiosità
sulla mia vita sentimentale. Per tutto il resto della serata dovetti
subirmi le occhiatacce che i due uomini si scambiavano, la scenata di
gelosia di Germa che si era legata al dito la mano sul mio fianco e
l'intervista di Benedetta che voleva sapere vita, morte e miracoli di
Edoardo. Alle dieci e mezza appena passate eravamo fuori dal bowling,
io amareggiata per essere arrivata ultima e Dario eccitato per aver
vinto quella partita, battendo di ben trenta punti Federico.
«L'ho stracciato a quello spilungone!»
esclamò, appena fummo in macchina.
Sorrisi, anche se non c'era nulla per cui
gioire. Quello era il momento di dirgli tutta la verità e
troncare
il nostro finto fidanzamento. Avevo posticipato quel momento con la
speranza che non arrivasse mai. Invece era piombato come un macigno
sulla mia schiena e l'unico modo per liberarmene era parlargli.
«Era chiaro come il sole che ci stesse
provando con te. Dai, quella mano sul fianco...»
«Dario, ti devo parlare» lo interruppi.
Lui mi sorrise e annuì pronto ad
ascoltare ciò che avevo da dirgli. Sospirai e guardai il
vetro sul
quale s'infrangevano fitte goccioline d'acqua che venivano spazzate via
con violenza dal tergicristallo.
«Ti ringrazio per tutto quello che hai
fatto per me, per la tua gentilezza e questi magnifici appuntamenti
insieme. Mi sono divertita molto e non credevo di potermi affezionare
a te» esitai qualche secondo, prima di riprendere il monologo
«Sono
stati giorni bellissimi e porterò dentro di me questi
ricordi per
tutta la vita. È per questo che mi riesce difficile dirti
questa
cosa perché è come tradirti, in un certo senso.
Ma credo di doverti
dire addio Dario»
La macchina inchiodò tutto d'un tratto,
con uno stridio di ruote assordante. Il rumore dei clacson dietro di
noi non turbò per nulla Dario, che mi guardava spiazzato e
con gli
occhi sgranati e lucidi.
«A-addio?!» ripeté incredulo
«Cosa
significa, Alice? Mi stai prendendo per il culo?»
Scossi la testa, torturandomi il piumino
e mordendomi un labbro. Dario, infastidito dallo strombazzare degli
altri autisti, accostò a destra e attese la mia spiegazione
deglutendo più e più volte. Era un momento
delicato per me e non
poteva esserci colonna migliore per quel momento se non la pioggia
battente.
«Non posso andare alla festa di San
Valentino con te» cominciai, sentendo gli occhi pizzicare e
annebbiarsi lentamente «Ho un fidanzato» risposi
alla domanda che
Dario non ebbe il coraggio di fare.
«Co-come prego?» balbettò.
«Ieri sera Davide mi ha chiesto di
essere la sua ragazza» confessai con un tremendo groppo in
gola.
«E tu ci sei cascata?!» sbottò Dario
«Quello ti vuole solo usare. Appena si sarà
stancato di te ti
getterà via come una bambola rotta!»
«Io non credo proprio. Davide non è
quel tipo di ragazzo»
Lui sorrise sghembo e batté le mani
contro le cosce, scuotendo la testa.
«Sei un'ingenua Alice» sibilò lui
«Lui
non vuole niente se non il sesso e...»
«Ti prego non riprendere questo
discorso» lo supplicai con voce tremante «Tu non lo
conosci e non
puoi permetterti di giudicarlo»
«Fai così perché sai benissimo anche
tu che non ci si può fidare di lui» disse a denti
stretti.
«Non è così» alzai il tono
della
voce, infastidita ormai dalla sua supponenza «Sono solo stufa
del
tuo continuo giudicare gli altri»
«Sto solo cercando di non farti
scottare» ribatté seccato.
«Sono abbastanza grande da poter
prendere le mie decisioni in libertà» risposi,
sentendo le guance
bagnarsi poco a poco.
«Vedi di aprire gli occhi prima che sia
troppo tardi» mi avvertì apprensivo.
«Perché devi rovinare tutto?!» lo
aggredii, agitando nervosamente le mani «Tu e i tuoi stupidi
dubbi
mi stanno tormentando. Per una volta in tutta la mia vita che mi
sento finalmente apprezzata da qualcuno, perché tu devi
distruggere
la mia felicità?! Perché?!» sbraitai,
scoppiando in un pianto
isterico.
«Nemmeno tu ti fidi di lui, sennò non
ti saresti fatta convincere dai miei discorsi»
ribatté «E
comunque, non c'è bisogno di disperarsi così. Dai
Alice, non
piangere» aggiunse dolcemente, accarezzandomi la mano.
Con un movimento brusco del braccio, mi
liberai di quel contatto non desiderato. Se stavo singhiozzando come
un'isterica era solo colpa sua e della sua finta apprensione. Il
volto di Dario s'incupì all'istante e la sua mano rimase a
mezz'aria, tremante, anche lei incredula per la mia reazione
esagerata.
«Io non ce la faccio più! Litighiamo
sempre, costantemente. Anche quando sembra che tutto sia tranquillo
tra di noi, tu devi per forza provocarmi e farmi arrabbiare!»
singhiozzai, asciugandomi le lacrime con il palmo della mano.
«Sì certo. La mattina mi alzo e dico
Toh, oggi faccio arrabbiare Alice!»
ribatté sarcastico e
seccato «Io non ho mai voluto farti innervosire, non era
nelle mie
intenzioni. E mi fa anche male vederti così in questo
stato»
continuò abbassando la voce tremante «Sei tu,
Alice, che mi
provochi e mi aggredisci ogni santissimo giorno, senza una ragione.
Sono gentile e mi aggredisci, sono dolce e mi aggredisci. Io non so
più cosa fare!»
Non sapevo se avesse ragione o meno a
scaricarmi la colpa, in quel momento le lacrime offuscavano occhi e
mente e non mi permettevano di ragionare con lucidità.
«È stato solo un errore chiamarti.
Dovevo farmi gli affari miei» sbottai, senza riflettere su
quelle
parole pesanti.
Dario deglutì e contrasse la mascella,
ferito dalla frase che avevo appena detto.
«La prossima volta non essere bugiarda,
allora» sibilò.
«Tu non capisci!» esplosi «Tu non hai
idea di come mi sentivo io ogni giorno passato da sola come
un'idiota, mentre tutte le mie compagne uscivano con i loro
fidanzati. Mi sentivo diversa, mi sentivo disprezzata perché
nessuno
di avvicinava a me, nemmeno avessi la peste, mi sentivo
vuota» mi
sfogai «Ma tanto tu non hai mai avuto problemi. Sei bello e
amato da
tutto il mondo, non posso pretendere che tu capisca»
«Cazzo Alice mi prostituisco!» sbraitò
lui, strattonandomi un braccio e guardandomi con quei suoi occhi
affogati in un manto di lacrime «E dici che io non ho
problemi?! Tu
sai cosa sento quando scopo con una donna, quando mi innamoro e vengo
scaricato come se fossi un mostro, quando mia madre chiama e io le
devo mentire?! Una merda! Un viscido verme che non ha fatto altro che
far soffrire e deludere le persone»
«Dobbiamo star qui a discutere anche su
chi sia più sfigato?!» sbottai, nonostante le sue
parole mi
avessero commosso nel profondo e i suoi occhi erano pronti ad
esplodere in un pianto che avrei voluto asciugare con le mie stesse
mani.
«Hai iniziato tu!» urlò, puntandomi
l'indice contro «Vedi, sei sempre e solo tu che cominci a
urlarmi
contro, per poi scaricarmi la colpa! Quella instabile sei tu, non
io!»
«Anche tu, però, non ti assumi nessuna
responsabilità» sorrisi amaramente «Qui
il problema non è chi è
più instabile, il problema siamo noi, la nostra
incompatibilità.
Ormai è diventata insostenibile questa situazione»
«E cosa vuoi che faccia? Che stia zitto
mentre tu mi sbrani?» domandò sarcastico.
«Voglio solo che tu esca dalla mia vita»
Dopo che quelle parole uscirono come
coltelli appuntiti ad infilzare con violenza e senza nessun ritegno
Dario, il gelo piombò nella Mito. Ogni risposta rimase
congelata
nella sua gola. Apriva la bocca e tentava di dire qualcosa, ma il
silenzio era l'unica che usciva dalle sue labbra. Scosse lievemente
la testa, sorridendo incredulo e amareggiato per quello che gli avevo
appena detto. Nonostante mi fosse costato molto dire una cosa del
genere, sarebbe stato meglio per entrambi smettere di vederci,
dimenticarci dell'esistenza dell'altro. Magari era stata una reazione
esagerata, in fondo le persone rimanevano amici anche dopo
discussioni ben peggiori. Era stato il mio cervello a partorire una
cosa del genere, come se volesse difendere il mio cuore che iniziava
a battere troppo freneticamente quando stavo con lui.
«Va bene» mormorò poi, accendendo
nuovamente la Mito «Appena scenderai da questa macchina
potrai
dimenticarti di me»
Le lacrime ormai mi uscivano
incontrollate dagli occhi e più cercavo di autoconvincermi
che la
mia decisione fosse stata la migliore, più il pensiero che
non avrei
mai più rivisto gli occhi di Dario, che non avrei
più sentito il
suo odore, sfiorato le sue mani mi trafiggeva come tanti piccoli
spilli accuminati.
Guardai un'ultima volta il viso cupo di
Dario, che continuava a deglutire e mordersi il labbro inferiore,
beandomi della sua bellezza. Appoggiai poi la testa sul finestrino,
pregando perché a pioggia alleviasse l'amarezza di quel
momento,
che lavasse via i miei turbamenti e che mi aiutasse nell'ardua
impresa di dimenticare Dario.
La macchina si fermò senza una
motivazione, intrappolata in un serpente di macchine che sembrava non
avesse una fine. Era strano che di venerdì ci fosse
traffico,
soprattutto alle undici di sera, ma non ci diedi peso e chiusi gli
occhi. Tutti i rumori intorno a me, a poco a poco, si affievolirono,
le urla di Dario contro quell'imbottigliamento, i clacson impazziti
delle macchine, le sirene spigate dell'ambulanza. Solo il
picchiettare insistente della pioggia mi accompagnò nel
mondo dei
sogni.
Cade la pioggia e
tutto lava cancella
le mie stesse ossa
Cade la pioggia e tutto casca e
scivolo sull'acqua sporca
si ma a te che importa
Una musica ovattata
solleticò il mio
udito e mi costrinse a svegliarmi. Aprii pigramente gli occhi e ci
volle qualche secondo perché potessi mettere a fuoco
ciò che mi
circondava. Quando ogni oggetto trovò nitidezza nella mia
mente,
capii che quella non era la mia stanza. Mi voltai su un fianco e
guardai il letto accanto a me vuoto e ancora in ordine. Accarezzai la
coperta e chiusi gli occhi, percependo in quell'istante il piacevole
odore di Dario. Dovevo essere a casa sua, ma non ne capivo il motivo.
Dimmi a che serve
restare lontano in
silenzio a guardare
la nostra passione che muore in un
angolo e non sa di noi
Scrutai la stanza, ogni
angolo,
soffermandomi sulla finestra dalla quale filtrava la luce dei
lampioni, in cerca di Dario. Ma lui non era lì con me e un
senso di
vuoto mi colse. Scostai le lenzuola e mi alzai dal letto. Ero ancora
vestita, mi aveva solo tolto le scarpe. Titubante e silenziosa uscii
dalla stanza e percorsi la piccola anticamera che si apriva sul
salotto buio.
«Dario» mormorai, sporgendomi dallo
stipite.
Niente, non era nemmeno lì. A passi
piccoli e insicuri continuai la mia ricerca, stando attenta a non
sbattere contro qualcosa. Superai anche un'altra porta, ritrovandomi
in una piccola cucina anch'essa mangiata dall'ombra, con un tavolo
addossato alla parete di sinistra. E lui non c'era. C'era soltanto
uno stereo da cui proveniva la canzone che mi aveva svegliata.
Cade la pioggia e
tutto tace, lo vedi
sento anche io la pace
Cade la pioggia e questa pace è solo
acqua sporca e brace
Mi avvicinai al balcone con
una mano sul
cuore che martellava nel petto e che sperava di vederlo apparire da
un momento all'altro.
«Dario» tentai nuovamente.
Ancora nessuna risposta e il battito
cardiaco aumentò la sua corsa frenetica in quella
preoccupazione.
«Dario» dissi ancora.
Silenzio. Solo la musica dei Negramaro e
la pioggia che non accennava a voler smettere.
«Sono qui» sentii finalmente la sua
voce e tirai un sospiro di sollievo nel sapere che stesse bene.
Uscii sul balcone all'aria gelida di
quell'inverno rigido e con l'acqua che si riversava con furia sulla
città. Lui era lì, appoggiato alla ringhiera del
balcone che
aspirava del fumo dalla sigaretta, vestito con una felpa grigia e dei
semplici pantaloni della tuta.
C'è aria
fredda intorno a noi
Abbracciami se vuoi
«Rientra
che fa freddo» disse
distaccato, senza nemmeno degnarmi di uno sguardo.
«Che cosa ci faccio qui?» gli domandai,
confusa.
«La strada è stata bloccata per un
incidente e per arrivare a casa tua ci voleva troppo. Io abitavo
più
vicino» spiegò, aspirando ancora una volta la
sigaretta e
assaporando per un attimo il sapore del fumo prima di donarlo
all'aria «Ho già avvertito tua madre. Ho usato il
tuo cellulare,
spero non ti dispiaccia. Non era molto convinta, ma non ha fatto
storie» aggiunse «Ora torna dentro. Fa
freddo»
«Grazie per l'ospitalità» mormorai,
ricevendo in risposta solo uno scrollo di spalle
«È meglio che
vieni dentro anche tu. Stai tremando» constatai, vedendo la
mano che
reggeva la sigaretta traballare.
«Sto bene» rispose con un filo di voce.
Chissà da quanto tempo era su qual
balcone a patire il gelo, a riflettere, a cercare
di capire
che cosa avesse fatto di male per meritarsi il trattamento che gli
avevo riservato. Mi sistemai una ciocca di capelli dietro l'orecchio
e tentennante mi avvinai a lui, incurante delle piastrelle gelate e
umidicce del balcone. Appoggiai la testa sulla sua schiena e lo
abbracciai, stringendolo forte come per non farlo fuggire da me.
Prima volevo che sparisse dalla mia vita, poi facevo di tutto per
tenerlo il più vicino possibile a me.
Dimmi a che serve
sperare se piove e
non senti dolore
«Scusa»
dissi, affondando il viso nella
sua felpa.
«Mi chiedo perché tutte le persone che
mi circondano mi abbandonano sempre» esordì, con
voce tremante,
mentre il suo respiro si faceva sempre più affannato
«Tutti coloro
che amo, alla fine mi lasciano da solo. Prima Sole e la mia famiglia,
adesso anche tu» esitò un attimo e i flebili
singhiozzi del suo
pianto si ripercuotevano sul suo torace, facendolo rimbombare e
facendomi sentire una schifezza per averlo fatto piangere.
Tu dimmi ora che
senso ha piangere,
piangere addosso a me
che non so difendere questa mia pelle
sporca,
così sporca tanto sporca com'è
sporca questa pioggia sporca
«Forse la risposta
è che sono
sbagliato. Chiunque si sia avvicinato a me ha sofferto. Ho disonorato
la mia famiglia, ho fatto del male a Sole e ho distrutto la tua
felicità. Qualsiasi cosa io faccia, porto solo dispiacere.
Sono una
delusione, per me e per tutti»
Non seppi rispondere, mi limitai solo a
stringerlo maggiormente e quello bastò più di
mille frasi fatte e
di circostanza. Dario gettò la sigaretta e mi strinse le
mani,
continuando a piangere. Mi sottrassi alla sua presa e lo feci
voltare, ritrovandomi affogata in quel profondo mare nero. Affondai
le mani nei suoi capelli e lo spinsi verso di me, facendolo
appoggiare sulla mia spalla e cullandolo.
«Ti prego, non piangere» dissi,
cercando di non scoppiare anche io.
Dario mi abbracciò forte, stringendo con
forza il mio maglione e sfogando su di me il suo dispiacere
La nostra passione
non muore ma cambia
colore
Tu fammi sperare che piove e senti
pure l'odore
di questa mia pelle che è bianca e
non vuole colore
Alzò il viso dalla
spalla e mi guardò
negli occhi, scostando i capelli che mi ricadevano disordinati sulla
fronte. Con il pollice mi accarezzò la guancia, fino a
scender verso
il collo e insinuarsi poi tra i miei capelli. Mi spinse verso il suo
viso, verso le sua labbra. Le nostre bocche si sfiorarono quasi
imbarazzate, ritraendosi più volte dopo quel breve e
bruciante
contatto. Le labbra si dischiudevano pronte a quel bacio che non
voleva essere consumato. Ci rincorrevamo, ma nessuno dei due aveva il
coraggio di approfondirlo. Chiusi gli occhi e mi feci trasportare dal
momento, da quel dolce inseguirsi. Un istante dopo, le labbra di
Dario si arresero alle mie e finalmente raggiungemmo quel bacio che
sembrava solo una chimera. La sua bocca era come me la immaginavo,
soffice e vellutata, due petali di rosa che divennero mie per alcuni
interminabili minuti. Dischiusi le labbra, permettendo alle nostre
lingue di sfiorarsi, di stuzzicarsi e di unirsi. Immersi le dita tra
i suoi capelli scuri e lo attirai maggiormente verso di me, spinta
dalla passione di quel momento. La mano fredda di Dario
s'intrufolò
nel mio maglione, andando a solleticare la mia schiena che venne
percorsa subito da brividi di freddo e di piacere. Ansimai nel
sentire le sue mani forti e ruvide a contatto con la mia pelle.
Lambì
un'ultima volta le mie labbra, prima di scivolare sul collo dove
lasciò una scia di baci roventi. Il mio respiro si fece
affannoso
non appena la sua bocca assaporò la mia pelle e non riuscii
a
trattenere più di un ansimo che le sue labbra mi provocavano.
Gli afferrai le guance e lo costrinsi a
sollevarsi dal mio collo. Volevo baciarlo ancora, sentirlo un'altra
volta mio, volevo farmi trascinare completamente da quella passione
che ci aveva travolti. Ma sapevo benissimo che avrei sbagliato se
avessi seguito il mio istinto. Quelli erano solo baci senza nessun
senso, scaturiti da un momento di puro sconforto, nati da un momento
di intimità che il pianto e la pioggia avevano creato. La
mattina
dopo avremmo fatto finta di nulla. Io sarei tornata da Davide, forse
con un pizzico di imbarazzo per aver baciato un altro ragazzo. La
mattina dopo saremmo tornati ad essere Alice e Dario, due semplici
persone
che si sarebbero dimenticate l'uno dell'altra.
Noi due abbracciati
nella pioggia
mentre tutti correvano al riparo
e il nostro amore è polvere da sparo,
il tuono è solo un battito di cuore
e il lampo illumina senza rumore
___________________________________________
Buonasera a tutte!
Un po' in ritardo, lo so. Ma gli esami incombono e lo studio
mi impedisce di scrivere quanto vorrei.
Capitolo ricco di avvenimenti! Iniziamo con Alice e Davide che si sono
fidanzati. Lei ha accettato al volo, probabilmente perché
finalmente non si sentirà più diversa. Ma
c'è davvero da fidarsi di Davide? Oppure lui è
davvero preso da Alice? Lo scopriremo a breve. Ovviamente il
"fidanzamento" tra loro ha portato delle conseguenze. Lei non
può più andare al ballo con Dario, quindi gli
deve rivelare tutto e troncare con lui. Nonostante si siano
legati molto, le risulta difficile mantenere questa amicizia con lui.
Forse perché non è solo amicizia?!
Io amo il bowling, quindi dovevo inserirlo in un capitolo. E qui
incontra Federico e Benedetta. È il primo capitolo in cui ci
sono tutti e tre! Sia Dario che Federico sono gelosi, teneri
♥ e il nostro caro Abbate ha capito che ormai con Alice non
ha speranze, per il momento, soprattutto per quello che gli ha detto
Alice. Sarà un addio tra i due, oppure no? Anche questo lo
scopriremo tra poco.
Infine, la litigata tra Dario e Alice. Lui è sempre
più convinto che Davide sia uno stronzo, mentre lei lo
difende a spada tratta. Da qui poi tutto degenera e Alice reagisce in
modo esagerato. Poverino, lui non voleva che andasse a finire
così, che lei gli urlasse contro di uscire dalla sua vita.
Ma il destino (anzi, la Crudelia che sono io) ha fatto in modo che
passassero la notte insieme. Non pensate male, Alice non gliela smolla
xD C'è stato solo un bacio, il loro primo bacio. Doveva
essere a San Valentino, ma l'atmosfera che si era creata era perfetta e
non ho saputo resistere. Entrambi sanno che quel bacio è
stato solo dettato da quel momento "magico", o forse vogliono
crederlo. Appena avrò tempo, scriverò anche
questo capitolo dal punto di vista di Dario. A proposito del nostro
gigolò, nel prossimo capitolo conosceremo la sua famiglia e
scopriremo la verità su di lui, perché fa il
gigolò. Sempre parlando del mi amor, se
qualcuno si stesse chiedendo chi è Sole - sarebbe la ragazza
di cui era innamorato al liceo - non potete perdervi la long dedicata a
loro, scritta insieme a IoNarrante:
Sole è la protagonista
della storia della mia amata Lover, ossia Tutto
per una scommessa. Assolutamente imperdibile.
Ok, ho finito di straparlare! Direi di passare ai ringraziamenti.
GRAZIE a chi ha recensito lo scorso capitolo.
GRAZIE a chi ha inserito la storia tra le seguite/ricordate/preferite.
GRAZIE a chi legge solamente.
GRAZIE a chi mi sostiene su Facebook.
Vi adoro tutte ♥
Pubblicità:
Come
in un sogno, scritta a quattro mani con IoNarrante.
In
un giorno qualunque, raccolta di shot dal punto di vista di
Dario.
Pagina Facebook
Gruppo Facebook.
Un bacio a tutte,
spero che il capitolo vi sia picaiuto ♥
|
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Capitolo 13 *** Set fire to the rain ***
set
Ehm...Salve xD
Mi scuso per l'immenso ritardo con cui arriva questo capitolo, ma gli
esami mi stanno uccidendo! Non dico nulla, i commenti alla fine.
Voglio solo consigliarvi di leggere questo capitolo con in sottofondo Set fire
to the rain, di Adele che mi ha ispirata. Ora vado a
nascondermi per evitare linciaggio di massa xD
C a p i t o l o 12
Set fire to the rain
Mi appropriai per un'ultima
volta delle
sue labbra, prima che si allontanassero da me forse per sempre. Avevo
desiderato ed atteso a lungo quel bacio, immaginandolo come la scena
più romantica di un film d'amore. E invece non era stato
affatto
sentimentale, solo triste e malinconico, bagnato dalla pioggia
battente e da lacrime dal sapore amaro.
Ci guardammo intensamente negli occhi,
entrambi con la convinzione che quel bacio non aveva significato, che
lo avremmo dimenticato ben presto, sepolto da altri innumerevoli
ricordi.
«Scu-scusa» mormorò «Non avrei
dovuto
baciarti»
Abbassai lo sguardo, incapace di
sostenere anche per un misero istante i suoi occhi, intimorita di
affogare in quel mare nero di emozioni. Annaspai, prendendo fiato,
senza però riuscire a dire nulla. Dario percepì
la mia tensione e
il mio disagio, così si morse un labbro e mi
superò rientrando in
casa. Rimasi per un attimo da sola su quel balcone a fissare la
pioggia che, incessante e furibonda, sferzava la città. Solo
in quel
momento mi accorsi di avere freddo e che stavo tremando. Tra le
braccia di Dario sembrava tutto così dannatamente perfetto,
nemmeno
il gelo era riuscito a scalfirmi. Ma dopo che era entrato in casa,
ero stata catapultata nuovamente in quella realtà imperfetta
in cui
nulla sembrava aver senso.
Scossi la testa per cacciare via quei
pensieri. Dovevo smetterla di pensare a lui quasi ne fossi
innamorata, anche se la paura che qualcosa stava nascendo verso di
lui mi attanagliava. Rientrai in quella casa che sapeva di lui e nel
buio delle stanze, tornai in camera da letto, illuminata solo dalla
flebile luce di una abatjoure. Dario era davanti all'armadio, quasi
del tutto nascosto dall'anta, che cercava qualcosa in quel labirinto
di stoffa. Poco dopo ne tirò fuori una maglietta bianca e un
paio di
pantaloni di una vecchia tuta e li lanciò sul letto.
«Sono per te» disse distaccato «Ti
andranno un po' larghi, ma sempre meglio che niente»
«Grazie» sussurrai, rimanendo ferma
sulla porta ad osservarlo nella speranza di incontrare i suoi occhi.
Ma la sua attenzione era tutta dedicata all'armadio di ciliegio
chiaro. Aprì un cassetto dal quale tirò fuori un plaid blu
scuro e
finalmente richiuse le ante. Fece il giro del letto, passandomi
davanti, senza però degnarmi della benché minima
attenzione. La sua
indifferenza fu inaspettata ed amara, era come se mi avesse
calpestata senza ritegno. Prese i cuscini e, con loro, il plaid blu
prima di passarmi accanto per uscire dalla stanza.
«Cosa stai facendo?» gli domandai
ingenuamente.
«Vado a dormire sul divano» rispose
freddo «Buonanotte» aggiunse e non attese nemmeno
la mia risposta,
che già si era allontanato da me.
Mi morsi un labbro e dopo essere rimasta
imbambolata per alcuni secondi su quella dannata porta, entrai
definitivamente nella camera da letto di Dario. Mi cambiai
rapidamente con i suoi vestiti che mi andavano leggermente larghi,
spensi la lampada e mi infilai sotto le coperte con la speranza che
quella dormita portasse via con sé non solo i miei sogni ma
anche la
malinconia di quella serata.
Nonostante cercassi di chiudere gli occhi
e dormire, non riuscivo a prendere sonno, forse per la tensione di
quella nottata o forse per l'assenza di Dario in quella stanza. Mi
voltai verso il letto vuoto e accarezzai la coperta, illudendomi che
lì accanto a me ci fosse lui, che la mia mano stesse
sfiorando il
suo corpo. Ero stata una stupida a urlargli contro di uscire dalla
mia vita. Solo non saperlo vicino a me in quel momento era un
tormento. Ma ormai ero sicura che non si potesse correggere quello
sbaglio, premere il tasto rewind e sistemare tutto. Potevo solo
alleviare la mia tristezza godendo appieno di quelle poche ore che ci
rimanevano. Scansai bruscamente le lenzuola e mi alzai dal letto,
dirigendomi silenziosa verso il salotto. Dario era sdraiato sul
divano, rannicchiato in quella coperta e chiuso in un abbraccio.
Sembrava un bambino così, tenero ed indifeso. Mi
inginocchiai
davanti a lui e deglutii a vuoto prima di parlare.
«Stai già dormendo?» mormorai.
Dario non rispose e non sapevo se perché
fosse già tra le braccia di Morfeo oppure mi stesse
ignorando
completamente. Rimasi a fissarlo qualche istante, incantata dal suo
respiro regolare e dal suo viso che aveva perso qualsiasi parvenza di
sensualità e che mostrava tutta la sua dolcezza. Sorrisi
teneramente
e gli accarezzai una guancia delicatamente per non rischiare di
svegliarlo, semmai stesse dormendo. Mi rialzai e mi voltai per
tornare in camera da letto, quando Dario mi prese un braccio.
«Non stavo dormendo» disse, aprendo un
occhio «Ci stavo provando, però»
«Scusa, non volevo disturbarti»
mormorai imbarazzata.
«Tranquilla» rispose «Tanto non
riuscivo ad addormentarmi»
«Nemmeno io» ammisi, sorridendo.
«Il letto è scomodo?» si
preoccupò.
«No, assolutamente!» risposi subito
«È
che...insomma» esitai intimidita, arrossendo e ringraziai il
buio
che nascondeva il mio imbarazzo «Beh non so. È
meglio se torno di
là» risi nervosamente.
«Non andare via Alice»
Il mio cuore si fermò per qualche
istante dopo quelle parole, riprendendo poi con una folle corsa
irregolare. Sorrisi e mi voltai verso di lui che, intanto, si era
seduto sul divano.
«Vuoi che ti canti una ninna nanna?»
domandai sarcastica.
«Perché no» ridacchiò.
«Sono affari tuoi se poi avrai danni
irreversibili all'udito» sorrisi.
«Allora meglio di no» ribatté
sghignazzando.
Mi morsi un labbro e congiunsi le mani
sotto il ventre, dondolandomi avanti e indietro come una bambina
imbarazzata. Schioccai la lingua e sorrisi di nuovo.
«Co-cosa dovrei fare qui, allora?»
domandai.
Dario non rispose, allungò solo un
braccio verso di me spingendomi verso il divano e costringendomi a
sedermi. Mi accarezzò la guancia con il dorso della mano,
imprigionandomi in quella rete di petrolio che erano i suoi occhi.
Cercavo di liberarmi da quella stretta astratta, ma le mie iridi
erano state letteralmente soggiogate da quelle di Dario. Mi morsi un
labbro, assaporandolo in cerca del gusto del bacio che ci eravamo
scambiati sul balcone. Dario sfiorò i miei capelli, prima di
affondarci la mano e spingermi delicatamente verso di lui, verso il
suo petto e il battito del suo cuore.
«Resta con me» sussurrò,
abbracciandomi.
Affondai nella maestosità del suo petto,
stringendo la sua felpa e inebriandomi di quel suo odore che, ormai,
era entrato a far parte di me. Guidata dal suo profumo e dal mio
istinto che aveva ancora fame di Dario, alzai il viso incontrando il
suo sorriso che mi incantò e che cancellò
qualsiasi mia lucidità.
Chiusi gli occhi e mi allungai verso di lui, lambendo e assaporando
la pelle del suo collo. Al contatto con le mie labbra, la stretta di
Dario si fece più intensa, spingendomi sempre di
più verso il suo
corpo. Accarezzai con la mia bocca ogni millimetro di quella pelle
vellutata che bruciava più del fuoco.
«Che co-cosa stai fa-cendo, A-Alice?»
domandò incredulo, con la voce incrinata da alcuni sospiri.
Abbandonai il suo collo e lo guardai a
lungo negli occhi, perdendomi ancora una volta in quel mare di
petrolio e dal quale non volevo più uscirne. Gli posai
l'indice
sulle labbra, per impedirgli di dire qualsiasi altra cosa, per
impedirgli di distruggere quel momento.
«Non dire nulla» mormorai.
Inaspettata, mi impossessai delle sue
labbra, bramosa di quella bocca e del suo sapore che mi aveva resa
quasi insaziabile. Dario rimase stupito dalla mia intraprendenza,
tanto che sgranò gli occhi, incredulo. Mi strinse le spalle
come se
volesse spingermi via e frenare quel mio momento di folle passione.
Affondai le mani tra i suoi capelli per godere un unico breve istante
ancora di lui, prima di essere allontanata dall'oggetto del mio
desiderio. Ma, contrariamente alle mie aspettative, Dario
allentò la
presa e si lasciò trascinare dal mio bacio. Le sue mani
scivolarono
rapide lungo la mia schiena, lasciandosi dietro brividi di piacere
che si propagarono lungo tutto il mio corpo, e fermandosi sui
fianchi. La sua lingua s'insinuò nella mia bocca alla
ricerca della
mia per poterla sfiorare, accarezzare. La malinconia che ci aveva
colto sul balcone sembrava essere sparita, cancellata da quella
irruenta passione che infiammava la stanza. Avrei dovuto essere
spaventata in quel momento, perché non erano state le
lacrime e la
malinconia a far nascere quel bacio, ma ero stata io
a
volerlo, a desiderarlo così ardentemente. Avrei dovuto
sentirmi in
colpa nei confronti di Davide e, per quello, avrei dovuto tirarmi
indietro, combattere quella brama. Ma mi risultava impossibile
allontanarmi da Dario, sottrarmi alle sue labbra e al suo corpo che
ardevano all'unisono con me.
Senza mai interrompere il nostro bacio,
Dario mi fece stendere delicatamente sul divano e lui sopra di me,
accolto dalle mie gambe. Sapevo che stavo sbagliando, che stavo
correndo troppo velocemente e che se lo avessimo fatto mi sarei
pentita. Mi ritrovai sospesa tra il rimorso e il rimpianto, obbligata
da me stessa a dover scegliere una via davanti a quel bivio.
La mano ruvida di Dario s'intrufolò
rapida sotto la mia felpa, andando ad accarezzarmi il ventre e
facendomi fremere ad ogni suo delicato tocco. Si fermò
appena sotto
il seno, forse intimorito di quello che stava accadendo, da quello
che sarebbe potuto accadere dopo quella notte. Infilai una mano sotto
la mia maglietta e andai ad accarezzare la sua, stringendola poi e
accompagnandola verso il mio seno. Le sue dita indugiarono spaventate
e il suo bacio si affievolì come se volesse interrompere
quel
momento. Glielo impedii, stringendogli il viso tra le mani e
costringendolo quasi a non smettere di baciarmi. Accolse quel mio
bisogno di lui, mordendomi un labbro e stringendomi il seno,
strappandomi un gemito che si infranse nella sua bocca.
Afferrai i lembi della sua felpa e la
sollevai quel tanto che bastava per fargli capire che volevo disfarmi
di lei. Abbandonò per un istante le mie labbra e si
levò
quell'ingombrante indumento, mostrandomi il suo fisico asciutto che
avevo visto soltanto nelle fotografie del suo profilo.
«Alice, non credo che...» tentò di
dire, ma non m'interessava sentire il resto della frase.
Lo attirai verso di me, lambendo
nuovamente le sue labbra e facendolo aderire completamente a me. Ogni
centimetro del suo corpo combaciava perfettamente con il mio. Il suo
bacino si mosse, strofinando contro il mio inguine e facendomi
sentire quanto mi stesse desiderando in quel momento. Mi sentii
avvampare e la parte razionale di me urlava di smettere prima che
fosse troppo tardi, ma l'intero mio corpo aveva deciso di non
ascoltare il cervello, ma di farsi trasportare da quel turbine di
strane e nuove sensazioni.
Si staccò dalle mie labbra e mi guardò
profondamente negli occhi, con un sorriso sghembo da bambino pronto a
fare una marachella. Si leccò un labbro, prima di sollevarmi
leggermente a felpa e succhiare il mio ventre, mentre la sua mano
superava l'ostacolo reggiseno e stuzzicava un capezzolo. Ansimai e mi
inarcai leggermente colta dal piacere. Non immaginavo che un semplice
tocco potesse farmi godere e capii in quel momento perché
Benedetta
era una specie di ninfomane. La sensazione che si provava a fremere
sotto delle dita esperte non era paragonabile a nulla e, ad ogni suo
bacio, cresceva in me la voglia del tanto temuto sesso.
Decisi di liberarmi anche io della
maglietta, vergognandomi di mostrargli quel seno quasi inesistente.
Dario alzò lo sguardo malandrino verso di me e sorrise
malizioso,
abbandonando il ventre e scagliandosi voglioso verso il mio petto.
Sollevò il reggiseno e lambì un capezzolo,
solleticandolo con la
lingua, quasi lo stesse assaporando. Ormai la mia bocca era
indipendente e si lasciava andare a gemiti di piacere.
Ad un tratto, puntò le mani accanto al
mio viso e si sollevò per guardarmi negli occhi, senza
nessuna
traccia del bambino monello, ma solo con un viso apprensivo.
«Alice, non voglio che la tua» deglutì
«prima volta sia con me»
«Dario» esitai «non farti
desiderare»
Lui sorrise sghembo, ritrovando la sua
precedente malizia. Tornò a percorrere il mio corpo con una
scia di
baci roventi fermandosi poco sotto l'ombelico. Esitò qualche
secondo
prima di afferrare il lembo dei pantaloni per abbassarli.
Sollevò un
attimo il suo sguardo verso di me e sorrise.
«Sei pronta?»
Annuii, anche se non avevo la benché
minima idea di quello che voleva fare. Baciò un'ultima volta
il mio
ventre e scese ancora di più, affamato di me. Lentamente
abbassò il
mio orribile paio di slip e in quel momento sprofondai nella
vergogna. Forse non avrei dovuto arrivare a quel punto, forse avrei
dovuto rimanere nella sua camera da letto. Se avessi detto qualcosa
magari si sarebbe fermato, ma qualsiasi parola mi morì in
gola. Mi
coprii il viso con le mani, per nascondere anche a me stessa il mio
imbarazzo. Dopo poco, sentii il suo fiato sulle mie nocche e un bacio
a fior di labbra.
«Hai paura, piccola?»
Tolsi le mani dal viso per poterlo
guardare e gli sorrisi, mordendomi un labbro. Sentivo che c'era
qualcosa nei pantaloni di Dario che continuava a crescere e che mi
incuteva anche un certo timore. Stando alla biologia che avevo
studiato, era pronto all'accoppiamento. Ormai mi ero spinta troppo
oltre e non potevo tirarmi indietro.
«Un pochino» risposi con voce tremante.
Dario sorrise dolcemente e mi accarezzò.
Cercò nel mio sguardo l'assenso a continuare e il mio
sorriso gli
diede il via libera per le sue porcherie. Scivolò ancora
verso il
mio inguine e mi solleticò con la lingua e piccoli baci.
Subito,
sobbalzai dal piacere, da quella nuova sensazione che mi
spiazzò per
la sua irruenza. Sentivo il mio corpo surriscaldarsi e strane scosse
partire dal basso ventre e propagarsi in tutti i miei anfratti,
facendomi perdere il controllo su di me. Mi mordevo un labbro per
cercare di smorzare dei mugolii che volevano uscire troppo intensi
perché mi vergognavo, non volevo urlare per paura che gli
altri mi
sentissero, che mi sentisse Dario. Quando, però, la sua
lingua
sfiorò più in profondità la mia
intimità, nulla riuscì a
trattenere un ansimo. Il respiro cominciò a farsi sempre
più
affannoso e l'ossigeno sembrava essere sparito d'un tratto, quasi
stessi scalando il monte Everest. Tremavo e non sapevo che cosa fare,
come muovermi, impaurita di fare qualcosa di sbagliato. E intanto il
mio piacere cresceva insieme al ritmo della bocca di Dario,
così
come i miei ansimi incontrollati.
Mi strinse forte le cosce e approfondì
quel rapporto, mandandomi completamente in estasi. Chiusi gli occhi,
facendomi travolgere da quella passione e affondai entrambe la mani
tra i suoi capelli, stringendoli sempre più forte ad ogni
spasmo. La
stanza sembrava che stesse andando a fuoco e l'adrenalina di cui
aveva parlato Dario mi disorientò e sconvolse ogni parte del
mio
corpo. Ogni muscolo si contraeva al tocco di quella lingua esperta.
Arcuai la schiena e piegai la testa, lasciandomi sfuggire il suo nome
strozzato da quel godimento. Qualsiasi cosa intorno a me perse
fisionomia e mi ritrovai come sbalzata in un'altra dimensione in cui
c'eravamo solo io e Dario, lontano perfino dal ricordo delle persone
e dei luoghi della nostra vita. Era come se la memoria fosse stata
spazzata via, come se fossimo esistiti sempre e solo noi due, in uno
spazio indefinito e in un tempo inesistente.
Mi assaporò ancora, provocando ancora
quella dolce e piacevole agonia chiamata piacere, prima di percorrere
tutto il mio corpo con leggeri e sensuali baci, fino ad incontrare le
mie labbra. Strinsi il suo viso tra le mani e lo baciai ardentemente,
ansimando di tanto in tanto per lo sfiorarsi dei nostri bacini.
Sentivo il desiderio pulsante di lui espandersi dalla mia
intimità e
riempirmi, nonostante la sua bramosia crescente continuasse a
incutermi un certo timore. Scattò in piedi qualche istante e
un
sorriso tirato, quasi dolorante si dipinse sul suo volto.
«Spero non ti dispiaccia» mormorò
quasi imbarazzato calandosi pantaloni e boxer nello stesso istante.
Scossi la testa, nonostante vederlo nudo
ed eccitato mi fece sprofondare nell'imbarazzo più totale.
Tornò a
sdraiarsi su di me e riprese a baciarmi con la stessa
intensità di
poco prima, sfiorandomi con la sua eccitazione, facendomi tremare
nuovamente e ansimare nella sua bocca. Non mi sarei mai immaginata
nulla di tutto quello che stava accadendo, sia psicologicamente che
fisicamente. Ad ogni suo tocco mi contorcevo, ma quella sensazione
era la migliore che avessi mai provato, nonostante la vergogna e
l'imbarazzo.
Mentre lo sentivo muoversi sinuoso sopra
di me, non sapevo cosa fare per quello che gli stava succedendo.
Avevo il terrore che qualsiasi mio movimento fosse sbagliato, di fare
qualche sciocchezza. Fece perno su una mano e si staccò
della mie
labbra per guardarmi con quegli occhi che anche nell'ombra di quella
stanza, brillavano come diamanti preziosi e mi accarezzò
dolcemente.
Forse voleva dirmi qualcosa ma non aveva il coraggio, sembrava quasi
imbarazzato. Deglutii a vuoto e con la mano percorsi la sua schiena,
fermandomi all'altezza dell'anca, per poi proseguire verso il suo
desiderio. Appena lo sfiorai, un gemito uscì dalle sue
labbra e la
sua espressione si rilassò. Ormai ogni oggetto in quella
stanza
aveva preso fuoco, soprattutto quel divano che scottava più
della
lava. Lo sfiorai di nuovo, prima di essere più
intraprendente e
stringere quella libidine. Dario ansimò di nuovo e il
braccio su cui
si reggeva cominciò a tremare. Seppur con un certo
imbarazzo, mossi
lentamente la mano, senza nemmeno sapere che cosa stessi facendo.
Sapevo solo che lui stava gradendo ed ogni mio gesto, da quel
momento, divenne così naturale da spaventarmi. Mi muovevo
lenta,
strappandogli qualche sfuggente mugolio di piacere. Quando
intensificai il ritmo, i suoi gemiti si fecero sempre più
lunghi e
sospirati, il suo fiato si fece più pesante e il braccio
stava per
cedere sotto al peso di quel piacere che lo stava facendo godere.
Cedette quando il movimento della mia mano si fece più
deciso e
serrato e si appoggiò con un gomito, mentre strizzava gli
occhi e
ansimava intensamente
«Scusami» arrancò, tra uno spasmo e
l'altro.
Mi baciò a fior di labbra, prima di
scattare in piedi e fiondarsi fuori dal salotto. Mi misi a sedere per
guardare la porta dalla quale era uscito, sicura di aver commesso
qualche sciocchezza e di averlo fatto scappare. Sentivo qualche
ansimo ovattato e strozzato, ma non riuscivo a capire che cosa stesse
succedendo. Poi la sua voce fu sostituita da un lieve getto d'acqua,
come se si stesse facendo una doccia. Tornai a stendermi, nuda, su
quel divano e solamente in quel momento realizzai ciò che
avevo
fatto e il pensiero di Davide tornò a bussare con prepotenza
nella
mia mente. Avevo tradito il mio ragazzo solo dopo ventiquattro ore
che eravamo insieme e mi sentivo una schifezza.
Dopo poco, Dario ritornò in salotto con
i capelli ancora gocciolanti e un paio di boxer puliti. Appena lo
vidi entrare, scattai in piedi e sistemai il reggiseno, tirando su
anche slip e pantaloni, colta da un'improvvisa vergogna di mostrarmi
nuda. Dario abbassò lo sguardo e si torturò il
labbro inferiore.
«Scusami» mormorò «Avrei
dovuto
fermarmi prima. Ma non ci sono riuscito. So-sono uno schifoso
pervertito» ringhiò, mettendosi le mani tra i
capelli.
Mi avvicinai a lui e gli accarezzai una
guancia, sorridendogli.
«Non prenderti tutta la colpa. C'ero
anche io e se non avessi voluto ti avrei fermato» dissi
«Non so
cosa mi sia preso» arrancai, fuggendo con lo sguardo
«Non avrei
dovuto. Mi, mi sento...»
«Una schifezza» completò per me Dario.
Annuii. Gli occhi cominciarono a pungere
e, poco dopo, scoppiarono in lacrime. Cercai di non farmi vedere da
lui, di smorzare i singhiozzi in gola ma, come se Dario avesse
percepito la mia tristezza, mi trascinò verso di lui e mi
strinse
forte a sé. Affondai il viso nel suo petto, mentre lui mi
accarezzava la schiena amorevolmente.
«Mi sono spinto troppo oltre» mormorò.
«Ci siamo spinti troppo oltre»
lo corressi.
«No, Alice. La colpa è mia. Sapevo cosa
stavo facendo, sapevo che stavo sbagliando eppure ho continuato. Tu
sei stata spinta da me a fare quello che hai fatto»
ribatté «Dio
mio, faccio schifo!» ringhiò e mi
allontanò da lui, sedendosi poi
sul divano.
«Dario» mormorai, con le lacrime che
ancora mi solcavano il volto e mi misi vicino a lui.
«Mi è sembrato di tornare indietro nel
tempo in quella cazzo di casetta degli attrezzi. Se solo penso a
quanta sofferenza ho seminato attorno a me, mi verrebbe voglia di
picchiarmi da solo» sibilò.
Non capii a quale casetta degli attrezzi
si stesse riferendo, ma quelle parole mi avevano smosso il cuore. Non
avrei mai pensato che Dario fosse così fragile e che
soffrisse così
tanto. Lo avevo sempre visto forte e sicuro di sé e, invece,
in quel
momento aveva abbassato quel muro di spocchia che aveva costruito
attorno a lui.
«Hai fatto bene a dirmi addio» riprese
«Se avessimo continuato a frequentarci avrei fatto soffrire
anche
te. Già stai piangendo a causa mia»
Cercavo di dire qualcosa, ma il mio
cervello non riusciva a formulare una frase di senso compiuto.
Sembrava quasi avesse staccato la spina e smesso di funzionare in
quel momento, non permettendomi né di parlare né
di muovermi.
«Vai a dormire e cerchiamo di
dimenticarci questo piccolo particolare»
Chiamalo piccolo!
Di piccolo non c'era nulla, né quello
che era successo tra di noi e nemmeno il pitone di Dario. Capivo
perché aveva cominciato a fare il gigolò.
No, ok, con calma Alice, che pensieri
stai facendo?!
Mi asciugai velocemente le lacrime e
cercai di non pensare più a lui nudo sopra di me e alla mia
mano che
lo aveva toccato. Che vergogna, santo cielo! Non poteva
essere
solo uno stupido sogno?! Ancora mi sembrava di sentire la sua bocca
lì dove non batteva il sole. Si rivestì
velocemente e si stese
nuovamente su quel divano che era stato complice di quel nostro
momento di passione. Si accucciò sotto il plaid e chiuse gli
occhi,
il viso ancora amareggiato. Perché avrei dovuto dimenticare
tutto?
Non era come diceva Dario, io sapevo benissimo quello che stavo
facendo e mi era anche piaciuto. Era stata una delle cose
più
emozionanti della mia vita e non volevo, non dovevo dimenticare.
«Posso dormire con te?» gli domandai,
con un leggero imbarazzo.
Dario aprì un occhio, per richiuderlo
subito dopo e darmi la sicurezza che quello fosse un no. Si
rannicchiò contro lo schienale e batté a fianco a
sé. Sorrisi come
una scema e non esitai ad accettare quell'invito, stendendomi subito
vicino a lui.
Ci coprì con il plaid e subito mi
abbracciò, stringendomi forte contro il suo corpo. Avvampai
nel
sentirlo così vicino a me, nel sentire il suo fiato
infrangersi
sulla mia pelle e nel ricordare il suo corpo sul mio.
«Buonanotte» sussurrò.
«Bu-buonanotte» risposi.
Sentii parlottare, delle voci
che
sembravano venire da un'altra dimensione. Non riuscivo a capire se
stessi sognando o se quello che sentivo era reale. Aprii gli occhi
con la convinzione e la speranza di ritrovarmi nella mia stanza, che
quello che era successo la sera prima era stato frutto della mia
fantasia, ma i raggi mattutini del sole mi mostrarono il salotto
moderno di Dario. Mi misi a sedere e mi stropicciai gli occhi,
sbadigliando e stiracchiandomi come un gatto. Mi voltai, notando che
lui non era più accanto a me. Avrei potuto andare a
raccattare i
miei vestiti e sgattaiolare via da quella casa, troppo imbarazzata
per poterlo guardare in faccia. Ma volevo vederlo, salutarlo, sapere
chi c'era lì con lui. Mi diressi in cucina, da dove
provenivano le
voci, tentennante.
«Dario?!» esitai, rimanendo sulla
porta.
Lui mi guardò e sorrise intimidito,
mentre tre paia di occhi sospettosi mi perforarono. A capotavola
sedeva una bella donna austera e con l'aria da snob sofisticata,
tutta impettita che mi squadrava dall'alto al basso. Sul lato lungo
del tavolo stava un uomo che era la copia di Dario, se non fosse
stato per gli occhi azzurri e, subito accanto a lui, il mio caro
gigolò. Appoggiato al muro, un ragazzo alto e dalla bellezza
statuaria con degli occhi glaciali. La donna, appena mi vide
comparire, si stizzì e assunse un'aria quasi disgustata,
mentre
l'uomo si era portato una mano sulla fronte e scuoteva la testa.
«Pensavo avessi smesso» sussurrò,
rivolto a Dario.
«Non è come credi»
«Nuova città, vecchie abitudini eh,
Dario?!» ridacchiò il ragazzo dagli occhi di
ghiaccio.
«Smettila idiota» sibilò.
«Ti ricordi almeno come si chiama la tua
nuova preda?» lo provocò nuovamente.
«Fottiti, 'Ma!» ringhiò Dario, che
assumeva sempre più un'aria incupita.
«Sei incorreggibile» intervenne la
donna, stizzita più che mai.
Il mio gigolò mi morse il labbro
inferiore, abbassando lo sguardo in difficoltà, martoriato
da quella
raffica di accuse a cui non sapeva come rispondere e dal ricordo
della notte precedente. Una stretta si impossessò del mio
cuore nel
vederlo così e, d'istinto, feci un passo avanti sorridendo a
quegli
sconosciuti.
«A-Alice, piacere» mi presentai. Poi
esitai qualche istante «La fidanzata di Dario»
Mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue
gambe, baciandolo a fior di labbra, assaporandole ancora una volta e
sentendolo ancora fremere sopra di me. Gli sfiorai per un solo attimo
la lingua, prima di tornare a guardare quegli sconosciuti che mi
osservavano dubbiosi. Dario scoppiò a ridere nervosamente e
mi
strinse a sé.
«Eh già» ridacchiò
«Surprise!»
La donna e quello che sembrava Dario,
sorrisero increduli mentre il ragazzo dagli occhi di ghiaccio era
rimasto senza parole, basito con la bocca semi-dischiusa.
«Non ce lo avevi detto» esclamò felice
la donna.
«Volevo farvi una sorpresa» rispose
Dario, teso come una corda di violino.
«Da un estremo all'altro» osservò il
ragazzo appoggiato al muro «Prima un rinoceronte e adesso un
manico
di scopa» ghignò.
«Sei un bastardo, 'Ma» esclamò Dario
indispettito.
«Sei sempre il solito bambino. Quando
non sai cosa rispondere, offendi» ribatté
«Vedi di crescere. Hai
23 anni, dovresti aver attivato il cervello da qualche anno
ormai»
«Perché non te ne sei rimasto in Congo
o dove cazzo eri tu? Magari ti beccavi la malaria e ci rimanevi
secco» borbottò.
«Ti sarebbe piaciuto eh, che fossi
crepato?» lo provocò «You're a
bod bad guy, Dario»
ridacchiò «E, data la tua ignoranza, significa che
sei proprio un
cattivo ragazzo»
Dario si umettò le labbra e contrasse la
mascella, visibilmente irritato dall'antipatia di quel ragazzo.
Sembrava quasi sul punto di scattare in piedi e prenderlo a botte.
Così, gli accarezzai la guancia e lo baciai leggermente per
cercare
di tranquillizzarlo. Lui mi guardò negli occhi e
sospirò stizzito,
regalandomi poi un sorriso tirato.
«Da quanto tempo state insieme?»
domandò la donna, a disagio, come se volesse cambiare
discorso.
«Due mesi»
«Tre mesi» mi fece eco Dario.
Ci guardammo confusi e leggermente
spaventati, poi tornammo a sorridere alla donna.
«Due mesi» «Tre mesi»
esclamammo
insieme.
La signora ci guardò perplessa e
cominciai a ridere nervosamente insieme a Dario, che aveva un
colorito che spaziava dal bianco latte al rosso paonazzo.
«Sì, insomma» annaspai «Due o
tre
mesi» tagliai corto.
Lei e quello che doveva essere suo marito
annuirono con poca convinzione e un certo sospetto negli occhi.
Sorrisi come una deficiente e baciai di nuovo Dario a fior di labbra,
stringendolo poi stretto al mio seno, lasciandolo letteralmente
basito. Mi guardava stranito, come se volesse spedirmi in un ospedale
psichiatrico.
«E quanti anni hai Alice?» domandò
l'uomo.
«Diciassette» risposi.
La donna sgranò gli occhi e quasi si
strozzò con il caffè che stava bevendo, mentre lo
sguardo di suo
marito rimbalzava stupito da me a Dario. Il ragazzo dagli occhi di
ghiaccio sghignazzò e si staccò dal muro per
sedersi sull'unica
sedia disponibile.
«Carne fresca» ironizzò.
«In realtà ne ho praticamente diciotto»
risi «Tra un mese sarò maggiorenne»
La signora guardò in modo truce Dario,
che continuava a muoversi sotto di me come se la sua sedia fosse
stata piena di spilli. Era teso e nervoso, completamente a disagio e
non sapevo perché. Lei stava per aprire di nuovo bocca, ma
il mio
gigolò la interruppe prima che parlasse, terrorizzato da
altre
eventuali domande.
«Alice, non ti ho presentato la mia
famiglia» sorrise «Lei è mia madre,
Nicoletta» e le strinsi la
mano «Mio padre Salvatore. E lui è Mauro»
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi
sorrise e mi guardò con superiorità.
«Il dottor Mauro Vitrano» puntualizzò,
lanciando un'occhiataccia al fratello.
Dio mio quanto era antipatico quel tipo!
Se avesse insultato solo un'altra volta il mio
Dario lo avrei
preso a sediate sulla schiena. Nicoletta s'illuminò d'un
tratto e
sorrise compiaciuta a sentire quelle parole.
«Eh già, io mio Mauro fa il medico,
come noi due» cominciò «Centodieci e
lode! Non sai che
soddisfazione alla sua laurea. Ha preso una specializzazione in
cardiochirurgia e adesso ha deciso di fare il medico volontario in Somalia. BlaBlaBla»
Mamma che noia! Non mi interessava
assolutamente nulla di Mauro e della sua biografia. Le sorrisi ed
annuii, fingendo di ascoltare le sue lodi, nonostante mi venisse da
sbadigliare e a fatica non mi trasformai in un ippopotamo. Guardai di
sottecchi Dario che aveva cambiato espressione, incupendosi e che
guardava il tavolo amareggiato. Non sapevo perché
s'intristì così
d'improvviso, ma mi venne naturale sorridere a Nicoletta e
interrompere il suo discorso.
«Dario è un ragazzo davvero speciale,
sa? Sembra un duro, ma in realtà è un cucciolo
indifeso. Non sarà
medico, ma almeno non è Mr. Antipatia dell'anno. Ha un sacco
di
qualità e non ha bisogno di sventolare una laurea per essere
speciale» dissi e fulminai Mauro con lo sguardo.
Dario mi guardò stupito, con un mezzo
sorriso incredulo ed io lo abbracciai forte.
«S-sì» tentennò lei
«È un ragazzo
meraviglioso» disse non del tutto convinta.
Dopo le mie parole, calò come un pesante
sipario il silenzio su di noi. Nessuno incrociava gli occhi degli
altri e nessuno sembrava voler sollevare quel manto che ci aveva
sorpresi.
«Allora» la voce di Salvatore riempì
la stanza «Come va il negozio?» domandò
rivolto a Dario.
Negozio?!
Di che diavolo stava parlando? Il mio
gigolò sorrise nervosamente e boccheggiò,
torturandosi il labbro
inferiore e passandosi una mano sulla barba.
«Abbastanza bene, direi» rispose con
voce tremante.
«Gli affari?»
«Buoni»
Domande rapide e risposte ancora più
lapidarie. Nella famiglia di Dario non ci doveva mai essere stata una
grande armonia. Sembravano più che altro degli estranei
più che
parenti. E mi domandavo perché, se quei due erano medici,
quindi con
un sacco di soldi in banca, Dario facevo il gigolò.
Mauro scattò in piedi all'improvviso e
si picchiettò il polso, indicando l'orologio.
«Tra poco inizia il convegno, medici»
I due controllarono l'ora e annuirono.
Con distacco salutarono sia me che loro figlio, mentre il ragazzo
dagli occhi di ghiaccio non lo calcolò nemmeno. Quando Dario
si
richiuse la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo e
mi
sorrise.
«Grazie per quella bugia. Mi hai salvato
le chiappe!» ridacchiò.
«Nulla» dissi in un soffio.
«Vado a cambiarmi e ti riporto a casa»
Prima che se ne andasse, lo fermai e lo
invitai a sedersi sul divano. Lui, titubante, accettò quella
richiesta. Mi morsi un labbro e respirai a fondo per prepararmi a
quel terzo grado che, ero sicura, lo avrebbe messo in
difficoltà.
«Di qu-quale negozio parlava?»
Prima domanda fatta.
Dario scosse la testa e abbassò lo
sguardo verso il tappeto. Tamburellò nervosamente un piede e
credevo
mi avesse mandata a quel paese, aggiungendo un Non sono affari
tuoi.
«È ovviamente una cazzata»
ridacchiò
nervoso «Non potevo di certo dir loro che faccio il
gigolò. Già mi
odiano, figurati se scoprissero che mi prostituisco»
«Odiano?» ripetei, curiosa e intimorita
di ferirlo allo stesso tempo.
«Già» soffiò «Io
sono la vergogna
della famiglia Vitrano. Mi odiavano già prima che
nascessi» esitò
«Vuoi sapere tutta la verità?»
Annuii e mi persi nel petrolio liquido
dei suoi occhi.
«Loro non mi volevano. Un figlio bastava
per loro e farne un secondo significava sottrarre tempo al loro
lavoro. Avrai capito anche tu che sono molto legati a camice bianco e
stetoscopio» ridacchiò «Solo che una
sera hanno alzato u po'
troppo il gomito ed ecco il risultato»
Gran bell'errore, mi ritrovai a
pensare.
«Mio fratello si è visto togliere la
sua unicità. Non c'era più solo lui, ma anche un
bambino che ha
iniziato ad odiare piano piano. I miei genitori non sono mai stati
presenti con me e forse è per quello che con l'adolescenza
sono
diventato una testa calda. Certo, non tutta la colpa è loro,
alcune
cazzate potevo risparmiarle. Finché uscivo la sera e tornavo
tardi,
mi beccavo una strigliata e fine della storia. Ma quando ho iniziato
a infangare il nome dei Vitrano, la mia condizione in quella famiglia
è precipitata.
«Ho scopato con la nipote del primario
del reparto in cui lavorava mio padre. Fin lì, amen.
Purtroppo non
sono stato molto attento e quindi, fregati! Lei è rimasta
incinta e
ha rivelato tutto alla sua famiglia. Subito si è diffusa la
voce che
il figlio di Vitrano era un pervertito e il primario non si
è
risparmiato con mio padre, ovviamente»
«E lei?» domandai incredula.
«Ha abortito e l'hanno fatta andare a
studiare in un collegio» scosse la testa, prima di riprendere
il
discorso «Così tutta la famiglia Vitrano ha
cominciato ad odiarmi e
quando ho detto loro che sarei partito, subito dopo la
maturità e
che non avrei studiato Medicina mi hanno voltato le spalle. Cazzo, io
non volevo stare seduto dietro una scrivania, io volevo essere
famoso! Ero troppo bello per rimanere chiuso in uno studio.
«Ho preso i soldi che i miei avevano
depositato per pagarmi l'Università e mi sono pagato i vari
viaggi
alla ricerca dei più disparati provini per trasmissioni
televisive e
film. Ho provato a fare l'attore, il valletto, il presentatore, ma
non mi hanno preso da nessuna parte.
«Allora sono venuto qui, a Milano, con
quei pochi soldi che mi hanno permesso di prendere questa casa in
affitto. Ma avevo bisogno di un lavoro per potermi pagare le bollette
e tutto il resto. Ho fatto il cameriere per diverso periodo, ma lo
stipendio era una miseria e arrivavo a fine mese mangiando pane e
formaggio.
«Così ho mollato quel lavoro e ho
usufruito del mio talento con il sesso, facendone un lavoro»
«E quello pseudonimo?» domandai.
«È stato il primo nome che mi è venuto
in mente, Blaine. Non volevo che le donne
urlassero il mio
nome vero e non volevo che qualcuno che conosco scoprisse questo mio
segreto. Immaginati solo la vergogna della mia famiglia. Già
per
loro è abbastanza umiliante quello che ho fatto, sapere
anche che un
Vitrano si prostituisce li farebbe crollare e io sarei
definitivamente morto per loro. Sono scappato da loro e dico di
odiarli, ma non è così. Sono sempre la mia
famiglia e non la posso
rinnegare»
Dopo quel racconto non fui più in grado
di dire una sola parola. Tutto quel discorso mi aveva congelato. Non
avrei mai immaginato nulla di quello che era uscito dalle sue labbra
e ancora non riuscivo a capire come una famiglia potesse odiare un
figlio, quando poi il figlio in questione era una persona fantastica
come Dario.
«Ti ho lasciata senza parole» osservò
con un sorriso tirato.
«Non, non me lo aspettavo» risposi
scossa.
«Sono stato un incosciente. Ho fatto
delle cazzate senza nemmeno pensare alla conseguenze»
soffiò «Ormai
è inutile piangere sul latte versato»
Mi guardò e sorrise amaramente. Gli
accarezzai una guancia con il pollice e lo attirai verso di me,
abbracciandolo e facendomi inebriare ancora una volta dal suo
profumo. Sentirlo così vicino a me richiamava alla mente
tutti i
ricordi della sera precedente, quel piacere che sentivo nel sentire
le sue labbra e il suo corpo sul mio.
«Sarà meglio che ti riporti a casa»
sussurrò nel mio orecchio.
Annuii e mi allontanai da lui a
malincuore. Ormai era come se fossi legata a lui sia psicologicamente
che fisicamente, come se ci appartenessimo a vicenda. Ma dovevo
scontrami con il duro destino. Una volta uscita da quella casa, da
quel salotto che racchiudeva i nostri ricordi e i nostri gemiti, lui
mi avrebbe accompagnata a casa e ci saremmo detti addio, mentre io,
come una scema e con le lacrime agli occhi, avrei guardato per
l'ultima volta la sua macchina che lo allontanava da me.
«La camera è a tua disposizione per
cambiarti» disse, comparendo nel salotto mentre si stava
infilando
un maglione «I miei vestiti lasciali pure sul letto»
«Ok» risposi flebilmente.
Senza nemmeno guardarlo, raggiunsi la sua
stanza a passo svelto. I miei vestiti erano accuratamente piegati e
adagiati sulla coperta. Mi spogliai rapidamente e indossai maglione e
felpa, piegando alla carlona gli indumenti di Dario. Mi sedetti
qualche istante sul letto ed accarezzai la coperta, sorridendo
amaramente mentre sentivo le lacrime pulsare. Afferrai il suo cuscino
e lo annusai, riempiendomi i polmoni del suo odore, per non
dimenticarlo mai più. Presi un respiro profondo e sistemai
il
cuscino, prima di abbandonare per sempre quella camera. Dario mi
aspettava seduto sul divano già con la giacca indosso.
«Andiamo» soffiai.
Lui si limitò ad annuire.
Quando sentii la porta chiudersi dietro
di me realizzai che era tutto finito tra noi due, che non ci
sarebbero stati più sguardi intensi né il tocco
della sua mano. Le
scene dei giorni passate assieme sfilarono davanti ai miei occhi,
come se fosse un film. Il nostro primo incontro e la prima volta che
mi aveva abbracciata a lui, che mi aveva fatto sentire il suo odore.
Le nostre chiacchierate e la sua risata all'unisono con la mia. I
nostri litigi e le nostre urla. Non ci sarebbe stato più
nulla di
tutto ciò, non ci sarebbe più stato Dario.
Salii sulla Mito, sentendo rimbombare
nella testa le mie parole urlate con tanta rabbia, come se fossero
rimaste racchiuse in quella macchina tutta la notte. Nessuno dei due
parlava, entrambi non sapevamo che cosa dire. Attendevamo solo il
momento in cui l'auto si fosse fermata sotto casa mia, il momento in
cui la mia paura di perderlo si sarebbe concretizzata. Ero ancora in
tempo per rimediare, chiedergli scusa e recuperare tutto ciò
che si
era costruito tra di noi.
Avanti dì qualcosa Alice!
Lo
guardai di sottecchi, concentrato sulla strada, così bello
da essere
quasi perfetto. Boccheggiai in cerca di ossigeno e di qualcosa di
sensato da dire. Ma dalla mia bocca usciro solo dei sospiri senza
senso.
Sei ancora in tempo per sistemare le
cose.
Entrammo nel paese e soli pochi metri ci
separavano da casa mia. Dario rallentò, come se nemmeno lui
volesse
che la nostra rottura definitiva giungesse, come se stesse aspettando
che gli dicessi qualcosa. Svoltò nella mia via, i secondi
per
sistemare tutto e ammettere il mio sbaglio diminuivano, mentre il
cuore iniziò a pompare sangue irregolarmente.
Parla Alice! Sennò sarai costretta a
dirgli...
«Addio» soffia, non appena la macchina
si fermò davanti al portone.
Non ero riuscita a rimediare. Avevo
cercato di convincermi a parlare, ma la mia bocca era rimasta
sigillata, forse perché mi sentivo in colpa per quello che
era
successo quella notte, perché avevo tradito Davide e
allontanarmi da
lui era la soluzione migliore.
«Addio» rispose distaccato, senza
nemmeno regalarmi per l'ultima volta il piacere di annegare nei suoi
occhi.
Fu in quel momento che sentii il cuore
stringersi in una morsa troppo stretta, un dolore che dal petto si
espanse in tutto il corpo. Le lacrime mi annebbiarono la vista, ma
cercai di non piangere, non davanti a lui. Cercai per l'ultima volta
il suo sguardo, ma non lo trovai. Così, scesi dalla Mito e
rimasi
ferma davanti al portone con la speranza che lui mi raggiungesse per
non farmi scappare da lui. Non avvenne nulla di tutto ciò.
Il motore
ruggì e poi la macchina si allontanò,
così come avevo immaginato,
portandosi via con sé Dario.
____________________________________
Ed
eccoci alla fine di questo capitolo.
Ve lo aspettavate così? Io, sinceramente, no. La parte
iniziale
doveva essere molto diversa, ossia niente zozzerie. Ma non ho saputo
resister! Era il momento adatto per farli andare al sodo
>.< Mi
sono contenuta, nei limiti del possibile e non li ho fatti copulare,
almeno quello! Solo un piccolo assaggio per la nostra Alice del sesso.
Spero che non via abbia deluso e che non vi abbia scosso in qualche
modo, ma mi è uscito davvero di getto.
Alice, diciamo, che non si è comportata proprio benissimo
nei
confronti di Davide. Certo, non la biasimo perché anche io
avrei
ceduto con Dario, però si è fatta trasporatre
troppo,
diciamo. E la svestizione metaforica di Dario continua. Lo stiamo
conoscendo sempre di più nella sua dolcezza e
fragilità.
Addirittura in questo capitolo è intervenuta la sua famiglia
che, chi sta leggendo Mistake, avrà già imparato
a
conoscere. Avete avuto un assaggio della vita del nostro Dario e un
tuffo nel suo passato e la motivazione per la quale fa il
gigolò.
Non so davvero cosa aggiungere, sono anche io senza parole xD
Quindi
direi di passare subito ai ringraziamenti.
GRAZIE alle 12 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (mi scuso
se non ho risposto a tutti. Lo farò a breve
ç__ç)
GRAZIE alle 16 persone che hanno inserito la storia nelle ricordate.
GRAZIE alle 49 che l'hanno aggiunta tra le preferite.
GRAZIE alle 111 persone che hanno deciso di seguirla.
Siete la mia forza, davvero :') come farei senza il vostro sostegno?
Poi, un GRAZIE immenso alla Lover. IoNarrante
che legge i capitoli in anteprima e li corregge, mi consiglia e
sopporta le mie cagate giornaliere. Ti lovvo ♥
Ricordatevi,
se volete aggiornamenti, spoilers o semplicemente conoscermi:
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In più, due storielle che ho sto scrivendo a quattro mani
con la mia Lover.
Una è dedicata all'adolescenza di Dario ♥
Come in un Sogno
You're
a mistake I'm willing to take.
Un
bacio a tutti, Manu ♥
|
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Capitolo 14 *** Happy Valentine's Day ***
C a p i t o l o 13
Happy Valentine's Day
Ingoiai il magone che
l'abbandono di
Dario mi aveva lasciato, cercando di cacciare indietro le lacrime che
spingevano per poter uscire. Non potevo rientrare in casa piangendo,
sennò mia madre mi avrebbe rinchiusa nella sua stanza e non
ne sarei
uscita finché non le avessi raccontato per filo e per segno
cosa
fosse successo. E non potevo di certo parlare a mia mamma di Dario e
di ciò che era accaduto su quel divano. Sarebbe rimasto
segregato
dentro di me, come uno dei tesori più preziosi sigillato in
uno
scrigno di cui solo io possedevo la chiave.
Respirai a fondo, guardando il soffitto
del palazzo e mordendomi le labbra, prima di decidermi ad aprire la
porta. Come immaginavo, mia madre e Smell erano appollaiati sul
divano come due avvoltoi che aspettavano il mio rientro per
sommergermi di domande. Appena mi videro oltrepassare al porta, mia
madre scattò in piedi mentre mio fratello mi
fulminò con lo
sguardo, immaginando già che mi fossi data alla pazza gioia.
Beh,
insomma, di certo non era stata per nulla una nottata casta, ma non
avevo fatto nulla di quello che la mente perversa di Smell stava
immaginando.
Mia madre si fiondò letteralmente su di
me, abbracciandomi quasi fossi appena tornata da una missione in
Iraq. Mi intrappolò nel suo seno, impedendomi di respirare e
stritolandomi tra le sue braccia.
«Tesoro mio!» esclamò apprensiva
«Come
stai?!»
«Bene» risposi, allontanandola e
sentendo l'aria fluire nuovamente nei polmoni.
«Oddio, sono stata così in pena!»
«Mamma, non ero a casa di Jack lo
squartatore» sbuffai.
«Sì ma eri a casa del tuo ragazzo e...»
lasciò la frase in sospeso e mi guardò maliziosa.
«Un amico» ribattei, roteando gli
occhi.
«Sempre un ragazzo è! E tu sei stata
con lui tutta la notte» riprese, insinuando che avessi fatto
sesso
con Dario.
Scossi la testa, portando le mani ai
fianchi e mordendomi le labbra per trattenere il pianto che voleva
esplodere.
«Bella la scusa dell'incidente, Alice!»
tuonò improvvisamente Smell.
«Non era una scusa» risposi prontamente
con un sorriso tirato, al limite dell'isteria.
«Sì, come no! Quello è peggio dello
spilungone biondo! Lo ha scritto in fronte: P O R C O!»
ringhiò.
«Senti Raffaele, non ho voglia di stare
qui a discutere» scandii nervosa, passandomi una mano tra i
capelli.
Non volevo sentirlo sbraitare, non volevo
spigare nulla né a Smell né a mia madre. Volevo
solo chiudermi in
camera mia, affondare la testa nel mio cuscino, immaginando che fosse
quello di Dario e piangere fino a non avere più lacrime da
versare.
«E tu, sicuramente sarai cascata nella
rete di quell'imbusto!» continuò alzandosi dal
divano «Adesso che
gliel'hai smollata sarà più felice e ben presto
chiuderà il
capitolo Alice per aprirne un altro. Brava sorella, brava!» e
concluse con un applauso.
Scossi la testa sconvolta per
quell'affermazione e pregai con lo sguardo mia madre di intervenire
in mia difesa, ma la sua aria contrita sembrava voler dare ragione a
mio fratello. Diamine, non avevo fatto più o meno nulla e
loro ne
stavano facendo una questione di stato, neanche avessi ucciso il
presidente degli Stati Uniti.
«Non ci sono stata a letto, se è questo
che volete sapere» sbottai nervosa con voce tremante e gli
occhi
pronti ad esplodere «Lui ha dormito sul divano, io nella sua
stanza.
Non ci siamo minimamente sfiorati, OK?!»
Balla!
Ma non potevo dir loro che avevo dormito
con lui sul divano e che prima mi ero spinta verso le porte del
sesso. Mi tolsi il giubbotto, sistemandolo sull'appendiabiti e
scattai contrariata, infuriata, amareggiata verso la mia camera.
«Ed ora, scusatemi, ma vado nella mia
stanza» aggiunsi con un fil di voce.
Senza dar loro la possibilità di
obiettare, anche perché ne avevo già le scatole
piene delle loro
insinuazioni poco caste, mi segregai nel mio paradiso roseo. Mi
gettai sul letto, nascondendo il viso sotto il cuscino e scoppiando
finalmente in un pianto liberatorio.
Perché avevo mentito, perché avevo
detto di essere fidanzata? Se avessi tenuto la mia boccaccia chiusa
non sarebbe accaduto nulla, avrei continuato a vivere la mia insulsa
e amata vita da diciottenne sfigata, invece di disperarmi per un
gigolò per il quale nemmeno io sapevo che cosa provassi. Ma
forse
era stato meglio così, allontanarsi senza una ragione ben
precisa,
prima che quello che sentivo per lui fosse
diventato qualcosa
di incontrollabile, qualcosa che mi avrebbe inghiottita e fatta
soffrire. Dovevo pensare solo ed esclusivamente a Davide in quel
momento. Era lui il mio ragazzo e per giunta lo avevo anche tradito.
Dario sarebbe stato un fantasma che avrebbe infestato i miei pensieri
fino a quando il tempo non avrebbe cancellato la sua immagine dai
miei ricordi, ricucendo la piccola ma profonda ferita che quel
tagliente addio mi aveva lasciato.
Nonostante quest'opera di convincimento,
però, non riuscivo ad arrendermi all'idea che lui non
avrebbe mai
più fatto parte della mia vita, di me. Addirittura, mi
sembrava
quasi che quella stanza fosse pregna del suo meraviglioso odore e il
mio cuore ebbe un tuffo quando quella leggera fragranza di Dario mi
solleticò le narici. Mi alzai di scatto dal letto, guidata
dalla
speranza che lui fosse con me, che lo avrei visto appoggiato allo
stupite che mi sorrideva sghembo. Ma non c'era nessuno sulla porta,
se non il mio poster appiccicato malamente di Leonardo Sogno. Tornai
a sedermi a peso morto sul letto, tirando su con il naso
rumorosamente.
Alice, devi fartene una ragione. È
tutto finito. Ora puoi goderti la tua vita normalmente, senza dover
mentire su Edoardo. Hai un fidanzato vero, cosa vuoi di più?
Già, tutto finito. La mia menzogna,
finalmente, se n'era andata via insieme a Dario e potevo parlare
liberamente, senza dovermi inventare storie assurde su finti
fidanzati.
Sobbalzai quando sentii il cellulare
vibrarmi nella tasca posteriore dei pantaloni. Un sorriso ebete mi
crebbe sulle labbra, sperando che il mittente di quel messaggino
fosse Dario. Ma la mia felicità si spense in un attimo
quando lessi
Davide.
Cappuccina dove sei?! Ti ho aspettata
tutto l'intervallo, ma non ti sei fatta viva! Non dirmi che hai
ricominciato ad evitarmi?!
Mi morsi un labbro e chiusi il
messaggino, accorgendomi solo in quel momento di aver ricevuto un
altro SMS alle 8.21, quando ancora ero nel mondo dei sogni, persa tra
le braccia di Dario. Anche quello era di Davide e mi chiedeva di
vederci durante l'intervallo sul retro della scuola per stare
insieme, soli io e lui. Dio, quanto caos regnava intorno a me! E il
mio comportamento non confondeva e feriva solo me, ma anche tutti
quelli che mi circondavano, soprattutto la mia famiglia e Davide. Lui
non si meritava questo trattamento, era così dolce da non
sembrare
nemmeno vero. Sorrisi e mi asciugai le lacrime con la manica della
felpa. Basta, al diavolo Dario, il suo profumo e tutto ciò
che lo
riguardava. Nei miei pensieri ci doveva essere spazio solo ed
esclusivamente per Davide.
Mi alzai da letto e controllai l'ora sul
display del cellulare. Erano appena passate le dodici, giusto il
tempo per farsi una doccia veloce e cambiarsi prima di andare a casa
del mio principe azzurro.
Guardai di sottecchi mia madre
che, dopo
un quarto d'ora di estenuanti preghiere da parte mia, aveva accettato
di accompagnarmi a trovare Lorenzo, anche se in verità mi
importava
più di suo fratello. Era cupa in volto, molto probabilmente
a causa
della discussione che avevamo avuto poco prima. Mi umettai le labbra
e respirai a fondo, torturando il fondo del piumino.
«Senti mamma» esitai, lanciandole
sfuggenti occhiate «Scusami per prima»
Lei mi rivolse lo sguardo per un istante,
per poi tornare a guardare la strada, esattamente come faceva Dario.
Le labbra si stiracchiarono in un sorriso tirato, poi
scrollò le
spalle.
«Non importa» soffiò.
«Sei arrabbiata?» le domandai, con voce
dolce.
«No» rispose «Solo che mi piacerebbe
essere più partecipe della tua vita Alice. Non so mai cosa
ti passa
per la testa, non so mai cosa fai...insomma, sei stata a casa di un
ragazzo tutta la notte!»
«Cosa mi passa per la testa, in realtà,
non lo so nemmeno io» sospirai «Ma quello che
è successo ieri sera
te l'ho detto. Mi ha solo ospitato a casa sua e basta»
«Mettiti nei miei panni. È ovvio che io
pensi che non abbiate solo dormito. Tu hai diciotto anni, lui, magari
qualcuno in più...» lasciò la frase in
sospeso.
«Tranquilla mamma! Abbiamo solo dormito.
Sai che non ti mentirei mai» risposi.
Mia madre mi trafisse con il suo sguardo
indagatore quasi stesse cercando nel mio volto una piccola smorfia
che avrebbe smascherato la mia menzogna. Titubante, le sorrisi,
cercando di apparire il più serena e tranquilla possibile.
Non
volevo assolutamente dirle che avevo appagato un ragazzo, mi
imbarazzava solo pensarlo, figurarsi raccontarlo a mia madre.
«Ti credo» disse infine, sorridendomi,
anche se non era per nulla convinta.
Tirai un sospiro di sollievo e affondai
nel sedile, contenta e soddisfatta di aver sorvolato sul discorso
divano-da-film-porno. Mi dispiaceva mentire a mia madre, ma non
potevo dirle di Dario e nemmeno rivelarle nulla sulla notte scorsa.
Il pandino di mia madre macinò qualche
altro metro, prima di fermarsi davanti alla palazzina giallo pastello
di Davide. Non erano nemmeno le tredici, per cui avrei dovuto
aspettarlo al freddo e al gelo chissà per quanto tempo.
«È bello che tu ti sia affezionata così
tanto a quel bambino» esclamò la mamma, accostando.
Annuii, sorridendo come un'imbecille. Di
quella piccola peste non mi importava un fico secco, preferivo di
gran lunga Saronno diciottenne.
«Ciao mamma, ci vediamo più tardi»
dissi, schioccandole un bacio sulla guancia e fiondandomi fuori
dall'abitacolo.
La macchina ripartì poco dopo,
allontanandosi da me. Cominciai a dimenarmi per cercare di
riscaldarmi, provando a dimenticarmi del brontolio incessante del mio
stomaco. Non avevo mangiato, volevo farlo con Davide, sperando che
almeno mi avesse invitata a ingoiare un boccone da lui,
sennò sarei
morta di fame. Ogni tanto guardavo l'orologio, ma sembrava che il
tempo non passasse mai. Potevo suonare e salire in casa sua ed
aspettarlo lì, ma avevo paura di risultare invadente. Per
cui,
rimasi a patire il freddo e la fame per un tempo che mi
sembrò quasi
interminabile. Era peggio di una lezione della D'Osvalda, durante la
quale i cinque minuti parevano durare un'ora.
Finalmente lo vidi svoltare l'angolo, con
un cappellino di lana in testa e i suoi meravigliosi occhi incollati
al suo Ipod alla ricerca di una qualche canzone. Sorrisi nel vederlo
così assorto e bardato nemmeno dovesse andare in spedizione
al Polo
Nord. Quando alzò lo sguardo e mi notò impalata
sotto casa sua
sbarrò gli occhi e accelerò il passo,
strappandosi via gli
auricolari.
«A-Alice, che ci fai qui?» domandò
stupito.
«Sono venuta per chiederti scusa»
mormorai, stringendomi nelle spalle «Perché non ti
ho risposto al
messaggio» spiegai.
«Oh» soffiò, mordendosi un labbro e
abbassando lo sguardo.
«Oggi non sono venuta a scuola.
Stamattina non mi sono sentita molto bene e mi sono svegliata
tardi»
mentii, sprofondando piano piano nel senso di colpa.
«Se ti sentivi poco bene non c'era
bisogno che venissi qui» disse con voce leggermente tremante
«Con
il freddo che fa, poi. Mi bastava una telefonata»
«È che mi sentivo in colpa» risposi
imbarazzata «E avevo voglia di vederti»
Mi avvicinai a lui, appoggiando le mani
sulle sue spalle e alzandomi sulle punte per poter raggiungere la sua
bocca. Davide mi cinse i fianchi, stringendomi di più a lui
e
stuzzicando le mia bocca con la lingua. Il suo bacio era
così
delicato, così come le sue dita che, lente e leggere, si
muovevano
lungo la mia schiena, come la sua lingua che solleticava il mio
palato. Sembrava come se mancasse qualcosa in quel nostro contatto,
come se non ci fosse la passione che avevo imparato a conoscere con
Dario. Quando lo avevo baciato, avevo sentito il fuoco invadermi,
ogni parte del mio corpo ribolliva e desiderava anche un piccolo
contatto con Dario e ogni secondo alimentava la bramosia che avevo di
lui. Con Davide era diverso, era estremamente dolce e leggiadro,
quasi come volare sulle ali di una splendida farfalla. Forse
perché
con Dario era solo attrazione fisica, solo passione e voglia di
scoprire un mondo nuovo e forse perché con Davide non volevo
fosse
solo sesso, ma amore.
Il brontolio del mio stomaco, che pareva
il ruggito di un tirannosauro rex, spezzò quel momento di
magia,
allontanando dalle mie labbra Davide che mi guardò con un
sopracciglio abbassato, ridacchiando.
«Hai un po' di fame» osservò.
Abbassai lo sguardo e arrossii per la
figuraccia che avevo appena fatto.
«A dir la verità, anche io ho un certo
languorino» ridacchiò, stringendomi una spalla.
«Allora saliamo, che sto anche morendo
di freddo» ribattei sorridendo.
Davide si irrigidì all'istante e la sua
risata si smorzò all'improvviso. Boccheggiò,
aprendo più volte la
bocca per dire qualcosa, ma quello che ne uscirono furono solo
mugolii senza senso. Sapevo bene che Davide era strano, ma quel suo
comportamento mi rese dubbiosa.
«Me-meglio di, di no» balbettò.
Saronno che balbettava era un altro
atteggiamento sospettoso.
«Perché?» domandai, guardandolo di
traverso.
Era paonazzo, come se fosse in apnea da
più di mezz'ora e i suoi occhi cristallini sfuggivano al mio
sguardo
inquisitore.
«Non ho...» deglutì «nulla da
offrirti e non vorrei farti tornare a casa affamata»
ridacchiò,
ritrovando il suo colorito naturale e sorridendomi sghembo, tornando
ad essere il Saronno spavaldo di sempre.
Corrugai la fronte, dubbiosa del suo
atteggiamento e convinta che quella fosse una scusa campata per aria.
Ma non indagai, non volevo essere invadente. Magari aveva problemi in
casa, una nonna malata o chessò io e non voleva mettermi in
imbarazzo. Gli sorrisi anche io e mi strinsi al suo petto, sentendo
il suo cuore galoppare. Allora anche a lui il cuore impazziva, come
succedeva a me, anche lui provava per me quello che sentivo io per
lui.
Camminammo in silenzio, io persa e
coccolata dal suo tepore, fermandoci davanti ad una piccola pizzeria
gestita da arabi.
«Kebab?» mi domandò, sorridendo
sornione.
La mia felicità si spense d'improvviso.
Inevitabilmente, la mia mente volò verso il ricordo di Dario
e verso
il nostro primo appuntamento, quando mi aveva stretta a sé,
quando
avevo iniziato a capire che lui stava cominciando a far parte della
mia vita. In quel momento realizzai per l'ennesima volta che
c'eravamo detti addio e che non ci sarebbero più stati
momenti come
quelli. Tutto d'un tratto mi sentii a disagio tra le braccia di
Davide perché, invece, desideravo che al suo posto ci fosse
Dario,
desideravo fremere al contatto con le sue mani.
«Alice, cosa ti prende?» domandò
Davide, riportandomi alla realtà «Non ti piace il
kebab?»
«No, no, mi piace» risposi abbozzando
un sorriso.
«Solo che?» mi incitò lui, abbassando
un sopracciglio.
Deglutii a vuoto e guardai l'asfalto
scuro sotto i miei piedi.
Scuro come gli occhi di Dario.
«Nulla» scossi la testa «Ho avuto solo
un giramento di testa» mentii.
Davide mi guardò arricciando le labbra
in una buffa espressione dubbiosa che mi strappò una risata.
Gli
feci cenno di entrare con la testa e lui mi seguì in quel
piccolo
locale con un sorriso sornione. Dietro ad un bancone azzurro stava un
giovane ragazzo dalla pelle color caramello che, appena ci vide
entrare, ci salutò con un Ciao titubante.
«Ciao!» esclamò Davide avvicinandosi
al bancone «Prendiamo due kebab» aggiunse e assunse
un'aria
pensierosa «Tu ci vuoi le cipolle?»
Per un istante mi parve che gli occhi di
Davide non fossero azzurri, ma neri come la notte, come il petrolio
liquido e il viso di Dario si sovrappose al suo. Mi sembrò
di
vederlo lì, di fronte a me, con quel suo sorriso malizioso e
lo
sguardo seducente, davanti quel carretto in mezzo alla strada e per
un attimo sentii nuovamente il suo odore.
«Le vuoi?» domandò ancora una volta
Davide, perplesso.
Scossi la testa e quella specie di
allucinazione sparì, spazzata via dalla voce di Saronno.
Smettila Alice di pensare a Dario. Non
capisci che così soffrirai di più?!
«N-No» risposi «Non voglio un alito
pestilenziale»
«Hai
ragione. Non si sa mai come
vanno a finire queste serate. Si parte con un delizioso panino, poi
due baci, due coccole, due...»
Davide scrollò le spalle e
ordinò due
kebab, uno dei quali fu riempito di cipolle puzzolenti che mi
avrebbero tenuta lontana da lui per un bel po'. Quando furono pronti
ci avvicinammo ad un tavolino quasi più alto di me e
mangiammo
comodamente in piedi. Addentai un pezzo di panino e feci perfino a
fatica a masticarlo. Avevo completamente perso la fame e il mio
stomaco si era chiuso appena avevo pensato nuovamente a Dario.
Davide, invece, sembrava non mangiasse da un secolo e si era
avventato sul suo kebab famelico, divorandolo come se fosse un leone.
Ingurgitò un boccone troppo grosso, poi appoggiò
il suo panino nel
piatto di cartone e estrasse dalla tasca dei jeans il suo cellulare.
Digitò qualche tasto, prima di passarmelo sorridendo
imbarazzato.
«Oggi ho fatto questo» confessò.
Appoggiai anche io il mio kebab e
acciuffai il suo Samsung Corby. Sullo schermo c'era un disegno fatto
su un banco verdognolo che rappresentava un cuore panciuto al cui
interno erano state scritte in modo elegante una A e una D.
Alice e Dario.
«Alice e Davide» disse Saronno,
sorridendomi.
«È bellissimo» risposi, senza un
particolare entusiasmo.
Davide riprese il suo telefonino e mi
guardò dubbioso, sbattendo le palpebre più volte
come se stesse
cercando di leggermi nel pensiero.
«Che hai Alice?» domandò preoccupato
«Ti vedo...abbattuta»
«Niente, non preoccuparti» risposi con
un sorriso stirato e scuotendo la testa.
«Non è vero. Si vede che sei triste»
ribatté.
«No, veramente, è tutto ok!» cercai di
tranquillizzarlo, ma lui pareva non voler cedere.
«Se non fosse successo nulla non saresti
così pensierosa. Sembra che sei in un altro mondo!»
«Ho litigato con una persona importante»
ammisi, guardando il tavolino di metallo
«Pesantemente»
Saronno sbuffò e roteò gli occhi,
scuotendo la testa.
«Ancora quel tipo?!» chiese scocciato
ed io annuii mestamente «Si può sapere che ti fa
sto tizio per
ridurti così? Ad avercelo sotto mano lo
strozzerei!» ringhiò,
battendo il pugno sul tavolo.
Annaspai e mi torturai il labbro
inferiore. Avrei dovuto dirgli la verità? Che il
tizio era un
gigolò che doveva fingersi il mio fidanzato? Che Alice
Livraghi era
una ragazzina sfigata? Avevo paura a rivelargli questo segreto, ma in
fondo lui mi aveva rivelato di suo padre, mi aveva aperto il cuore e
di lui potevo fidarmi. Alzai lo sguardo e gli sorrisi imbarazzata.
«È una storia un po' complicata e per
certi versi assurda» ridacchiai e gli occhi azzurri di Davide
mi
incitarono a continuare «Però so che posso fidarmi
di te, per cui
ti racconterò tutto. Martedì ci sarà
la festa di San Valentino e,
beh, io non avevo un accompagnatore per cui ho fatto una
sciocchezza»
scossi la testa e guardai il cielo «Prima che ti conoscessi
ho
chiamato un gigolò che si fingesse il mio ragazzo. E lui
sarebbe il
tizio in questione»
Davide corrugò la fronte e rese gli
occhi a due fessure.
«E perché hai chiamato un gigolò
scusa? Non è obbligatorio andare a quella festa»
scrollò le
spalle.
«Ecco, vedi» esitai «Avevo detto di
avere un fidanzato per non sentirmi diversa» sospirai a
lungo, prima
di guardarlo negli occhi e sorridergli «Tu sei il mio primo
ragazzo
e tu mi hai dato il primo bacio» ammisi, con imbarazzo.
Le labbra di Davide si aprirono in un
sorriso comprensivo e tenero e dio mi sentii più sollevata,
quasi
più leggera. Ma, d'improvviso, Saronno scoppiò a
ridere. E non era
una risata divertita, ma di scherno che mi fece sprofondare nella
vergogna.
«Oddio!» esclamò, battendo una mano
sul tavolo «A diciotto anni non avevi dato ancora il tuo
primo
bacio?!» domandò tra un singhiozzo e l'altro,
attirando su di noi
l'attenzione dei pochi clienti di quella pizzeria.
Abbassai lo sguardo per non incontrare i
suoi occhi che stavano ridendo di me, che mi stavano mortificando.
«È da sfigati!» esclamò,
asciugandosi
una lacrima.
Presi un profondo respiro e cercai di non
scoppiare a piangere come una scema davanti a lui, sarebbe stato
capace di ridere anche per quello. Che stupida che ero stata a
credere che fosse dolce e comprensivo, a fidarmi di lui e confidargli
quell'enorme segreto.
«Molto divertente, vero?!» sibilai con
gli occhi annegati in un manto di lacrime «Usala pure come
storiella
da raccontare ai tuoi amici, così vi sganasciate alle mie
spalle»
«No, dai, scusami» disse, d'un tratto
serio, ma scoppiò di nuovo a ridere subito dopo.
Serrai i pugni e a stento trattenni il
pianto. Lo guardai per l'ultima volta, ferita dalla sua affilata
risata e me ne andai da lì, umiliata da quello che credevo
fosse il
mio principe azzurro.
Passai la domenica peggiore della mia
vita, chiusa in camera mia a disperarmi nel letto, perdendomi sia il
pranzo in un ristorante chic con mio padre, sia la puntata di
Domenica Cinque. Non mi ero mossa dalla mia stanza, se non per
mettere qualcosina sotto i denti e andare in bagno. Per tutto il
resto della giornata era stata a poltrire sul mio letto, piangendo
ogni cinque minuti, mentre Milky mi leccava per cercare di alleviare
il dolore e mia madre che tentava di capire che cosa avessi, ma
ricevette come risposta soltanto dei mugolii. Oltretutto il mio
cellulare era un continuo squillare, tra chiamate senza risposte e
messaggini di ogni genere. Davide mi aveva cercato tutto il giorno,
scrivendomi SMS smielati in cui mi chiedeva scusa e lasciandomi
messaggi nella segreteria telefonica, implorando, disperato il mio
perdono.
Nonostante avessi cercato di rimanere
impassibile e ignorarlo completamente, la sua tenerezza e quella sua
assiduità mi avevano addolcito il cuore. Non riuscivo ad
essere in
collera con lui, così, gli avrei parlato, avremmo chiarito e
avrei
messo una pietra sopra al suo comportamento.
Appena la campanella suonò per
l'intervallo, mi alzai di scatto dalla sedia e non ascoltai nemmeno
Benedetta che cercò di fermarmi. Dovevo assolutamente vedere
Davide,
poi avrei pensato alla mia migliore amica. Approfittai della porta
anti incendio aperta dalla bidella, accanita fumatrice, per andare
sul retro della scuola, davanti al campo di calcio. Speravo di
trovarlo lì, dove mi aveva dato appuntamento il sabato, che
mi
aspettava. Prima di svoltare l'angolo, sentii delle voci, una delle
quali una era quella di Saronno. Mi appoggiai al muro, sorridente, e
origliai quello che si stava dicendo con il suo amico.
«Sabato ho litigato» sbuffò Saronno.
«Con la nuova tipa?»
«Sì» rispose scocciato
«Quell'orribile
manico di scopa»
Orribile manico di scopa?!
Smisi di sorridere, quella parola fu come
una pugnalata al cuore.
«E come mai?» chiese nuovamente
l'amico.
«Ma perché è una sfigata!»
ridacchiò
«Tutto ieri ho cercato di chiamarla, ma fa la preziosa. Non
voglio
perdermi la scopata di San Valentino, cazzo!»
Ogni risposta che usciva dalla bocca di
Davide era come un proiettile che si conficcava dritto nel cuore.
Piano piano, l'immagine del ragazzo perfetto che avevo sempre creduto
che fesso, si disintegrò, lasciando spazio alla vera natura
di
quello stronzo di Saronno.
«Cavoli, stava andando tutto liscio ed è
pure più boccalona delle altre. Pendeva dalle mie
labbra»
«Hai usato ancora la scusa del papà
morto?» sghignazzò l'amico.
«Sì, con tanto di lacrima!»
scoppiò a
ridere «Da quando i miei hanno divorziato, questa storia
acchiappa
più fighe di Leonardo Sogno!»
Mi aveva anche mentito sulla morte del
padre ed io c'ero cascata con tutte le scarpe, troppo eccitata
all'idea di avere un fidanzato per accorgermi della trappola che mi
aveva teso Saronno.
«Ora cosa farai?»
«Credo che andrò a trovarla, farò il
cucciolone e la scopata è assicurata»
ridacchiò «E ti porterò
pure il lenzuolo, amico»
Ci fu un attimo di silenzio, prima che
Saronno esultasse, nemmeno l'Italia avesse vinto i mondiali.
«È vergine!»
«Togo!» esclamò l'altro, eccitato
«Sfondala!» sbraitò poi, scoppiando a
ridere insieme a Davide.
Dario aveva dannatamente ragione ed io
non gli avevo dato ascolto, anzi lo avevo allontanato perché
aveva
cercato di mettermi in guardia da uno come Davide. Ero una stupida!
Per stare con quel bastardo di Davide, avevo rinunciato al mio
Dario.
Serrai i pugni e cercai di controllare la
rabbia e l'amarezza crescente. Venni allo scoperto e fulminai Davide
con lo sguardo. I due, appena mi videro, smisero di ridere e Saronno
fece un passo verso di me.
«Chi è questa?» domandò
l'amico
pancione di Saronno.
«L'orribile manico di scopa» risposi
con voce tremante «O la sfigata che dovevi
sfondare!»
Davide sbarrò gli occhi, vedendo sfumare
nella sua mente la sua tanto sospirata scopata di San Valentino.
«A-Alice, posso spiegare!» trillò,
avvicinandosi a me a stringendomi le spalle.
Lo spinsi via, senza delicatezza, con
tutta la rabbia che avevo in corpo, facendolo barcollare
all'indietro.
«Non c'è nulla da spiegare, Davide!»
sbraitai «Sei stato abbastanza chiaro con il tuo
amico!»
«Non è come credi, Cappuccina!»
esclamò, sfoderando il viso dolce da cucciolone che mi aveva
abbindolata.
«È inutile che cerchi di arrampicarti
sugli specchi, Saronno!» urlai «Credevo davvero che
tu provassi
qualcosa per me e ho anche perso una persona importante per colpa
tua!» e senza accorgermene, delle lacrime cominciarono a
solcarmi il
viso, mentre Davide mi guardava con gli occhi sgranati e boccheggiava
«Lui diceva che non avrei dovuto fidarmi di uno come te, che
era
impossibile che ti fossi accorto di me così all'improvviso.
Ma non
gli ho dato ascolto, ho seguito il mio istinto e sono caduta come una
stupida tra le tue braccia!» tirai su con il naso e mi
asciugai le
guance con le maniche della felpa «Mi hai mentito, mi hai
ingannata
e se non ti avessi sentito con le mie orecchie, sarei caduta anche
nel tuo letto»
Davide scosse la testa e si avvicinò
nuovamente a me, accarezzandomi la guancia.
«Alice, io provo davvero qualcosa per
te. Ho detto quelle cose, così, per dire»
«Sei ridicolo, Saronno» sorrisi
amaramente «E anche uno stronzo»
Afferrai con decisione il suo polso e
allontanai la sua mano sporca dalla mia pelle. Lo guardai negli occhi
e quei suoi occhi avevano perso la loro brillantezza e la loro
precedente magia. Presi un respiro profondo, prima di schioccargli un
sonoro ceffone sulla guancia.
«Cercatene un'altra da sfondare!»
ringhiai.
Era iniziato tutto per una innocente,
seppur stupida, bugia, solo perché non volevo essere diversa
da
tutte le mie compagne. Quando avevo mentito su Edoardo, lo avevo
fatto con tenera ingenuità, senza riflettere, senza
immaginarmi le
conseguenze. In poco tempo ed inaspettatamente, tutto il mio
meraviglioso mondo fanciullesco era stato sconvolto e distrutto, ero
stata catapultata in un altro universo troppo complesso e contorto
per una ragazzina inesperta come me. Non ero riuscita a gestire le
mie emozioni, aveva agito secondo il mio istinto, senza fermarmi mai
a riflettere su quello che mi accadeva intorno, su chi mi stava
intorno, senza accorgermi di aver allontanato da me la persona
più
importante. Lo capii solo in quel momento, quando Davide si era
rivelato per quello che era, strappandomi il cuore dal petto e
calpestandolo senza riguardo.
Cuori, cuoricini,
cioccolatini, mazzi di
fiori e frasi romantiche strappalacrime. Quello era San Valentino,
una stupida ed inutile festa, talmente zuccherosa da far venire le
carie. Erano tutti eccitati, perfino mia madre che dopo anni aveva
cominciato a festeggiarla di nuovo con il suo nuovo fidanzato.
L'unica che non era in fibrillazione era la sottoscritta. Pensavo che
quella fosse stata la volta buona che anche Alice Livraghi avesse
festeggiato San Valentino, invece avrei rivisto lo stesso film degli
anni precedenti, solo più drammatico. Sarei rimasta nella
mia
stanza, mentre il mondo celebrava il suo amore, sdraiata sul letto a
rimuginare su tutto quello che era successo, su Dario e quel pezzo di
cacca ambulante di nome Davide. Solo a pensare il suo nome, mi
riempivo di rabbia e le lacrime cominciavano a spingere agli angoli
degli occhi.
Bussarono delicatamente alla porta, così
alzai il cuscino dal viso per guardare chi stesse disturbando quel
mio momento di sconforto.
«Avanti» biascicai, asciugandomi rapida
una lacrima ribelle.
La porta si aprì leggermente e il viso
di mio fratello fece capolino. Aveva i capelli pettinati
elegantemente e un sorriso raggiante che lo rendeva stranamente
bello.
«Volevo solo avvisarti che sto andando a
prendere Claudia» mi disse ed io annuii, nascondendo poi il
volto
ancora sotto il cuscino.
«Dovresti cominciare a prepararti»
esclamò «Non vorrai farti trovare in pigiama dal
tuo cavaliere!»
«Quale cavaliere?!» domandai con voce
ovattata.
«Il bellimbusto sexy dagli occhi
magnetici!» rispose sarcastico, ridacchiando.
«Ah» dissi senza entusiasmo
«Tranquillo, non c'è pericolo che mi veda in
pigiama»
Ci furono alcuni secondi di silenzio e
per un attimo pensai che Raffaele se ne fosse andato. Scostai il
cuscino, vedendo che Smell mi guardava dubbioso con la fronte
corrugata.
«Cosa stai dicendo, Alice?!»
«Non vengo alla festa» ammisi
sbuffando, mettendomi a sedere.
«E perché, scusa?»
«Non ho nessun cavaliere che mi
accompagni» risposi, inghiottendo un magone « Il
bellimbusto sexy
dagli occhi magnetici ed io ci siamo lasciati»
«Oh» soffiò Raffaele, avvicinandosi e
sedendosi accanto a me «Mi dispiace» aggiunse
mortificato,
stringendomi a lui e baciandomi tra i capelli. Fu la prima volta che
lui fosse così dolce con me, così
fraterno.
«Anche a me» mormorai «Però tu
divertiti alla festa, mi raccomando!» esclamai, sistemandogli
la
giacca nera «E dì a Claudia e Benedetta che mi
dispiace non essere
lì con loro»
Raffaele annuì e mi sorrise, dandomi un
altro bacio sulla fronte.
«Allora io vado» disse, alzandosi e
indicando la porta.
Lo salutai con un cenno della mano e lui
uscì dalla mia stanza. Rimasi a fissare la porta chiusa e lo
sguardo
malizioso di Sogno. Sicuramente anche lui, in quel momento, stava
festeggiando San Valentino con qualcuno, così come la
maggior parte
del mondo. Sospirai e mi alzai dal letto, avvicinandomi all'armadio.
Lo aprii ed afferrai la gruccia al quale era appeso l'abito che avrei
dovuto indossare quella sera, rimanendo estasiata per quanto fosse
bello. A renderlo ancor più meraviglioso era il fatto che me
lo
avesse regalato Dario, che legati a quell'abito c'erano gli splendidi
ricordi di quella giornata milanese.
Staccai con delicatezza il cartellino del
prezzo che ancora ciondolava e mi posizionai davanti all'enorme
specchio sull'anta dell'armadio, appoggiando il vestito sul mio
corpo. Rimasi a fissarmi a lungo, ondeggiando la gonna e immaginando
di essere a quella festa insieme alle mie amiche, insieme a Dario.
Sospirai e per un attimo volli veramente illudermi che sarei andata
al ballo della mia scuola. Mi spogliai rapidamente e indossai il mio
abito, piazzandomi poi davanti allo specchio per guardarmi da ogni
angolatura. Ogni tanto mi concedevo un briciolo di vanità.
Ero senza
trucco, con i capelli ancora scompigliati e gli occhi gonfi, eppure
mi sentivo lo stesso bella.
Suonarono al citofono e sentii le scarpe
eleganti di mia madre ticchettare. Il suo fidanzato era arrivato,
pronto a regalare alla mia mamma una serata romantica. Sorrisi,
pensando a quanto potesse essere felice lei che, dopo tanto tempo,
aveva trovato un uomo che l'amasse. Mi guardai di nuovo allo specchio
e sospirai.
«Buon San Valentino, Alice» dissi.
___________________________________________
*Si
nasconde per evitare di essere pestata a sangue*
Purtroppo, mie care, Dario, in questo capitolo, non c'è
stato e la sua mancanza si sente. Forse per la sua assenza questo
capitolo che la mia mente ha sfornato non è il massimo. Non
sono molto soddisfatta di questo scritto, ma pazienza.
Cosa dire? Alla fine aveva ragione Dario e molte di voi. Davide si
è rivelato essere il classico stronzo della situazione. E
non è uno stronzo qualsiasi, ma un enorme bastardo! Poco
sensibile, bugiardo, interessato solo al sesso e arrampicatore di
specchi per hobby :D Devo ammetterlo, mi dispiace averlo reso
così cattivo. Cominciavo seriamente ad affezionarmi alla
dolcezza di Saronno, ma, causa trama, lui doveva essere lo stronzo per
eccellenza. Povero! Tanto a lui ci penserà la mia Lover,
vero?! xD
Alice, ovviamente, c'è rimasta molto, molto male. Credeva di
aver trovato una persona che potesse amarla e invece ha avuto la prima
batosta dall'amore. Si è addirittura fidata di lui,
dicendogli la verità su Dario e si è sentita
umiliata quando le ha riso in faccia. È anche vero,
però, che lei non riesce a smettere di pensare a Dario e
quando Davide ha tolto la maschera dell'angioletto, ha capito di aver
sbagliato ad allontanarlo, che la persona importante non era Saronno,
ma il nostro gigolò. Ma ormai la frittata è
fatta, quindi passerà la festa degli innamorati a casa, come
al solito, mentre tutti festeggieranno.
E the last but not the least, il nostro caro Leonardo Sogno ha fatto
una piccolissima apparizione. Per chi si stesse chiedendo chi
è Leonardo Sogno, beh, ve lo mostro (attenzione alle
coronarie):
Leonardo Sogno.
E se vi stesse ancora chiedendo chi
è (a parte chi l'ha letta), è il protagonista
della storia Come
in un Sogno, long-fic scritta da me e dalla mia amata Lover, IoNarrante.
Vi ringrazio veramente di cuore per il sostegno e l'affetto che mi
state dimostrando :') Sono davvero felice che vi piaccia la mia storia.
Ringrazio tutti quelli che hanno messo al storia tra le
seguite/ricordate/preferite, chi ha recensito la storia (siamo a 103
*-* e mi dispiace se non ho ancora risposto, provvederò al
più presto) e anche chi legge solamente (2274 visite *-*).
Passiamo ora alla pubblicità:
Come
in un Sogno, storia scritta a quattro mani con IoNarrante.
You're
a mistake I'm willing to take, scritta con IoNarrante, che ha
come protagonisti Sole e Dario.
Profilo
Facebook dove troverete immagini, spoiler e
novità riguardo alle mie storie.
Gruppo
Facebook, gestito da me e dalla mia Lover ♥
Grazie ancora a tutti, un bacione a
tutti
Manu ♥
|
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Capitolo 15 *** In un giorno qualunque ***
C a p i t o l o 14
In
un giorno qualunque
«Alice!»
urlò mia madre dal salotto «Vieni un
attimo»
Sbuffai
e scossi la testa. Non avevo la benché minima voglia di
incontrare
il nuovo boyfriend di mia madre. Certo, prima o poi avrei dovuto
conoscere l'uomo che stava rendendo felice la mia mamma, ma quello
non mi sembrava il momento più adatto. Non volevo farmi
vedere da
loro così triste ed abbattuta, avrei rovinato la loro serata
romantica. Però, sfortuna per me, non potevo fingere di non
essere
in casa, visto che non mi ero mossa dalla mia camera da quando ero
tornata a casa da scuola.
«Allora
Alice, sbrigati!» mi incitò mia madre stizzita.
«Arrivo»
borbottai.
Mi
guardai per l'ennesima volta allo specchio e mi sistemai i capelli
rapidamente, almeno per non sembrare il pazzo di Psycho. Indossai le
mie pantofole rosa, che si abbinavano perfettamente al mio abito e
uscii dalla mia stanza sfoderando il sorriso più finto e
più tirato
che riuscissi a fare. Dovevo essere cortese con il fidanzato di mia
madre. Già mi presentavo in ciabatte e con gli occhi gonfi.
Se poi
mi mostravo affranta avrebbe pensato che fossi una depressa
incallita.
«Buonasera!»
trillai, entrando in salotto e sventolando la mano come una scema.
Appena
incontrai nuovamente i suoi occhi, smisi di sorridere e boccheggiai,
mentre il cuore cominciò a galoppare irregolarmente nel
petto come
se volesse schizzare fuori. Mi sembrava impossibile averlo
lì,
davanti a me e ormai avevo perso qualsiasi speranza di potermi
perdere nuovamente nei suoi occhi. Magari era solo una stupida
illusione creata dalla mia mente, magari quello era realmente il
fidanzato di mia madre. Il mio cervello ormai creava immagini
inesistenti, sovrapponeva ricordi, confondendomi. Strizzai gli occhi,
scrollando la testa, come per allontanare quella illusione ottica, ma
quando riaprii gli occhi lui era ancora lì, con le mani
nelle tasche
dei jeans e una camicia blu, che accennava un sorriso. D'improvviso,
quando realizzai che lui non era solo frutto della mia immaginazione,
mi sentii stranamente felice e lacrime di gioia mi riempirono gli
occhi.
«Vi
lascio soli» disse mia madre, avvicinandosi a me
«Vado a darmi una
sistematina al trucco» aggiunse, uscendo dal salotto.
Ci
fu un istante di silenzio, in cui ci guardammo intensamente senza
riuscire a dire nemmeno un semplice Ciao.
Dario
si morse il labbro
inferiore, poi sorrise, facendo qualche passo verso di me.
«Sei»
esitò, guardandomi con quegli occhi liquidi e lucenti
«Sei
bellissima»
Arrossii
violentemente e, imbarazzata, mi sistemai una ciocca di capelli
dietro l'orecchio.
«Non
lo pensi davvero» mormorai, guardandomi le pantofole.
«No,
Alice, dico sul serio» disse, avvicinandosi a me e
accarezzandomi le
braccia «Sei stupenda»
«Sono
spettinata, senza trucco» mi lamentai, senza avere il
coraggio di
alzare gli occhi da terra.
Dario
mi accarezzò delicatamente il viso, facendo scivolare la
mano sotto
il mento e sollevando il mio viso per far combaciare i nostri
sguardi. Il mio cuore guizzò quando incontrai le sue iridi,
mi
sentii avvampare come se fosse la prima volta, se fosse ancora il
nostro primo incontro.
«Non
importa! Sei perfetta così, senza trucco e con i capelli
scompigliati» mi sorrise e in quel momento mi domandai come
avrei
potuto essere felice senza di lui al mio fianco, senza sentire la sua
risata e senza la sua presunzione.
Ricambiai
il suo sorriso, poi gli strinsi il polso e lo attirai verso di me,
tra le mie braccia, stringendolo forte per sentire il calore del suo
corpo, per drogarmi ancora con il suo piacevole odore. Dario
ricambiò
il mio abbraccio, cingendomi i fianchi e accarezzandomi dolcemente la
schiena. Con quell'addio avevo temuto di averlo perduto per sempre,
che non ci sarebbero più stati quegli sguardi tra di noi,
quei
dolcissimi abbracci. E invece quell'unica e triste parola aveva
rafforzato il legame speciale che si era creato tra di noi, un legame
che non sapevo come definire, che non aveva nome. Era solo qualcosa
di estremamente intenso, qualcosa che cresceva incontrollabilmente,
qualcosa che ardeva dentro di noi più del fuoco.
Saremmo
rimasti così per sempre, persi uno tra le braccia
dell'altra, se il
citofono non avesse interrotto con il suo suono assordante quel
momento magico tra di noi. Ci allontanammo, quando mia madre si
precipitò in salotto e acchiappò velocemente la
sua giacca.
«Divertitevi
stasera» si raccomandò con un sorriso «E
portamela a casa ad un
orario decente, questa volta!» minacciò Dario con
un dito, prima di
scoppiare a ridere e chiudersi la porta alle spalle.
«Simpatica
tua madre» commentò «Anche molto
attraente» aggiunse, con aria
sognante.
«Dario!»
esclamai indignata, facendolo scoppiare a ridere.
«Che
c'è! È una bella donna!»
ribatté con sguardo malizioso e,
istintivamente, provai gelosia per i complimenti che stava riservando
a mia madre.
Incrociai
le braccia e tamburellai la pantofola sul pavimento, infastidita.
Dario si avvicinò a me e mi accarezzò una guancia
con il dorso
della mano, sfiorando poi le mie labbra con le sue.
«Mai
quanto te, però» sussurrò,
solleticandomi il viso con il suo
fiato.
«Smettila
di scherzare» ridacchiai, spingendolo via e fuggendo dal suo
sguardo
sensuale.
Lui
sorrise intimidito e si morse il labbro inferiore, puntando le sue
iridi color della notte verso il pavimento. Ancora una volta un manto
di silenzio ed imbarazzo calò pesantemente in quella stanza.
Dario
alzò lo sguardo verso di me e deglutì, prima di
sorridere
timidamente.
«Chissà
cosa dirà Davide quando ti vedrà.
Rimarrà abbagliato» mormorò,
passandosi una mano tra i capelli.
«Perché
sei venuto?» domandai, ignorando completamente il suo
commento su
Saronno.
«Beh,
io...» esitò imbarazzato, deglutendo
più volte «Senti Alice»
riprese con più decisione, afferrandomi le spalle e
immergendo i
suoi occhi nei miei «non devi andare con quel ragazzo. Lui
vorrà
solo portarti a letto, divertirsi e poi si dimenticherà di
te come
ha fatto con le altre»
Abbassai
lo sguardo e sorrisi amaramente nel sentire quelle parole che erano
la dolorosa verità. Dario mi strinse delicatamente le guance
e mi
costrinse a guardarlo in quegli occhi profondi in cui perdersi.
«Ti
chiedo solo di fidarti di me» mormorò, sorridendo
dolcemente.
«Dario»
sospirai, stringendo le sue mani nelle mie e scuotendo la testa.
Lui
sembrò travisare la mia espressione e contrasse la mascella,
socchiudendo gli occhi come se stesse immaginando di avere Davide
davanti agli occhi e di prenderlo a mazzate.
«Alice,
ti prego! So che tieni a lui, ma...» cominciò, ma
subito lo
interruppi, sorridendo.
«Avevi
ragione» dissi solamente, mordendomi le labbra per non
scoppiare in
un pianto isterico «Era solo uno stronzo e avrei dovuto darti
ascolto. Invece ti ho allontanato da me, ho rinunciato a te per stare
con lui, come una stupida e solo dopo che ti ho perso ho veramente
capito che avevo sbagliato. Ma non potevo più tornare
indietro...»
parlavo, senza nemmeno sapere realmente che cosa stessi dicendo, se
quello che usciva dalle mie labbra aveva un senso o meno. Dario mi
poggiò il dito sulle labbra, zittendomi e mi
baciò la fronte,
stringendomi poi a lui.
«E
invece non mi hai perso» mormorò «Sono
qui con te»
Ricambiai
il suo abbraccio, stringendo forte la sua camicia ed affondai il viso
nella sua camicia, riempiendomi i polmoni del suo odore che era come
ossigeno per me.
«Vogliamo
andare a quella festa, eh, Cenerentola?» domandò.
«Così?!»
chiesi stizzita, allontanandomi da lui ed indicandomi.
«E
come sennò?! In pigiama?» ridacchiò
«Magari mettiti un paio di
scarpe. Le pantofole non si abbinano all'abito»
«Intendevo
spettinata e senza trucco» ribattei scocciata.
«Te
l'ho già detto! Non hai bisogno né di fondo
tinta, né di altre
diavolerie cosmetiche» rispose sincero.
«Vado
a mettermi le scarpe e arrivo!» sospirai, arresa.
Mi
fiondai in camera e, prima di finire di prepararmi, mi diedi
un'ultima occhiata allo specchio. Avrei dovuto essere agitata,
impaurita di andare a quella festa con gli occhi di Davide puntati
unicamente su di me e la sua risata di scherno nei miei confronti,
con la possibilità che la mia bugia venisse smascherata.
Invece ero
tranquilla, ero felice e questo solo perché avevo Dario
accanto a
me.
Presi
un respiro profondo e strinsi forte la mano di Dario, scambiandomi
uno sguardo complice e un sorriso con lui, prima di fermarmi davanti
alla porta dell'enorme palestra dal quale proveniva una musica
assordante e schiamazzi divertiti.
«Siete
qui per la festa?» domandò la Scaramella, seduta
dietro un
banchetto a fare da supervisore. Ottimo modo per passare una serata.
Forse sarebbe stato meglio starsene a casa da soli piuttosto che
dietro ad un banco a girarsi i pollici mentre gli altri si
divertivano.
«Esatto!»
rispose Dario, sorridendo.
Camilla
si sistemò gli occhiali dalle spesse lenti sul naso e
intinse il
timbro nell'inchiostro rosso. Istintivamente, allungammo le mani e la
Scaramella ci marchiò con un piccolo cuore scarlatto.
«Buon
divertimento!» esclamò «Ma soprattutto
buon San Valentino!»
Ringraziammo
e appendemmo i cappotti agli appendini, poi entrammo nella palestra e
le nostre orecchie vennero investite all'istante da musica da
discoteca e le parole senza senso di un Deejay strampalato che si
agitava su un palchetto. La sala era gremita di persone che si
scatenavano quasi fossero impazziti, mentre alcuni pomiciavano in
ogni angolo di quel posto. Addossati alle pareti c'erano tavoli
imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande di qualsiasi tipo.
«Si
son dati da fare per questa festa» commentò
incredulo Dario,
alzando la voce per sovrastare il volume della musica
«Cerchiamo i
tuoi amici?» domandò poi.
«In
mezzo a tutta questa gente?!» ribattei
«È impossibile trovarli»
«Allora
che si fa? Stiamo qui imbambolati come delle belle statuine o ci
buttiamo in pista?» propose con un sorriso sghembo
«Oppure
preferisci starcene in disparte a slinguazzare?»
domandò,
guardandomi malizioso e spingendomi verso di lui.
Mi
accarezzò i capelli, scivolando verso la mia guancia, mentre
si
mordeva sensualmente le labbra. Abbassò il viso, andando a
lambire
la pelle del mio collo, baciandola delicatamente e facendomi
rabbrividire.
«Voto
per la prima ipotesi. Ce ne stiamo qui, fermi e aspettiamo che accada
qualcosa» ridacchiai, senza però divincolarmi
dalla sua stretta.
«E
cosa dovrebbe succedere?» domandò con tono
confuso, solleticando la
mia pelle con il suo respiro caldo «Irrompe un serial killer
con un
machete e fa una strage?»
«Spero
proprio di no!» esclamai divertita.
«Beh,
visto che non succederà nulla di eclatante»
esordì, abbandonando
il mio collo e affondando le sue iridi nelle mie «Che ne dici
di
scaldare la serata con un piccolo» e mi strinse maggiormente
a lui,
strusciando il suo bacino contro il mio «Ed
innocente» si avvicinò
alle mie labbra con le sue «bacio»
Chiusi
gli occhi e mi alzai sulle punte, deglutendo a vuoto, vogliosa di
sentire ed assaporare nuovamente le sue labbra vellutate.
«Che
ne dici di scaldare la serata con un piccolo ed innocente calcio nei
coglioni, eh?!» ringhiò una voce alle mie spalle.
Mi
voltai di scatto, fulminando con lo sguardo quel deficiente di Smell
che, per l'ennesima volta, aveva interrotto qualcosa di magico con un
ragazzo. Prima faceva tutto il tenerone, accarezzandomi e baciandomi
perché non avevo il cavaliere, dopo tornava il gelosone
decerebrato
di sempre.
«Si
può sapere che vuoi, Smell?!» sbottai.
Raffaele
mi ignorò completamente e si fiondò su Dario,
guardandolo truce e
puntandogli un salsiccione contro.
«Tieni
giù le mani dalla mia sorellina» sibilò
«So che cosa avete fatto
la notte scorsa. A quanto pare, non è stata sufficiente una
volta e
sei tornato sui tuoi passi»
«La
no-notte scorsa?» tentennò Dario, lanciandomi
sguardi che
chiedevano aiuto silenziosamente.
«Hai
osato sfiorare Alice e ora stai giocando con i suoi sentimenti. La
prendi, la lasci, poi torni da lei perché sai bene che
cadrà sempre
tra le tue braccia» ringhiò.
«Senti
amico» tentò di dire, ma mio fratello lo
interruppe all'istante.
«Non
chiamarmi amico. Io non voglio avere nulla a che fare con uno come
te»
«D'accordo,
sua maestà» rispose ironico Dario «Non
sto giocando con i
sentimenti di nessuno, non lo farei mai» aggiunse,
incupendosi.
«Ah
no?! L'hai lasciata e tu non immagini nemmeno la sofferenza di mia
sorella, rinchiusa nella sua stanza a piangere per un bastardo come
te»
Dario
boccheggiò e deglutì varie volte, mentre il suo
sguardo si muoveva
veloce da me a mio fratello che continuava a trucidarlo con gli
occhi. Raffaele si era fatto accecare dall'ira e dalla gelosia, stava
parlando a sproposito, senza nemmeno sapere come erano andate
esattamente le cose. Era certo, però, che non potessi dirgli
la
verità. Se avesse scoperto che Dario era un
gigolò lo avrebbe
strangolato con le sue stesse mani. Era anche vero, però,
che l'addio di Dario era stato molto più doloroso dello
scoprire la vera
natura di Saronno e che le lacrime che avevo versato erano quasi
tutte per il gigolò.
Cercai
lo sguardo di Dario che era diventato sfuggente, cupo e si stava
torturando il labbro inferiore perché in soggezione davanti
al dito
ciccione di mio fratello. Avrei dovuto intervenire, dire a Raffaele
di tacere e farsi gli affari suoi, ma era tremendamente a disagio di
fronte a quella situazione e qualsiasi mio tentativo di parlare si
risolveva solo in stupidi sospiri.
«Dai
Raffaele, smettila di fare il geloso!» esclamò la
voce di Claudia,
che, probabilmente, aveva ascoltato tutto il discorso, nonostante non
mi fossi minimamente accorta della sua presenza «È
il suo ragazzo!
È normale che due fidanzati litighino e che facciano pace
dopo poco
tempo» aggiunse melensa, prendendo mio fratello sotto braccio.
«Ma...»
tentò di obiettare Smell.
«Niente
ma! Fatti gli affari tuoi e lascia che si divertano!»
sbottò
indispettita.
Grazie
al cielo che era intervenuta, che era accorsa in nostro aiuto
mettendo a tacere quel demente di mio fratello.
«Che
bello averti qui!» esclamò Claudia, rivolgendosi a
me «Credevo che
non saresti venuta. E invece il tuo principe azzurro è
venuta a
prenderti con il suo cavallo bianco» aggiunse, ammiccando
verso
Dario. Allungò la mano e sorrise «Claudia, una
delle migliori
amiche di Alice»
«Dar...
ehm, Edoardo!» si presentò, stringendole la mano.
La
mia amica guardò il mio “fidanzato”
con sospetto e per un attimo temetti che avesse capito che Edoardo
non era il suo vero nome e che smascherasse la mia messa in scena.
Fortunatamente, però, scrollò le spalle e mi
rivolse un sorriso.
«Vieni
con me!» esclamò, iniziando a camminare tra la
folla «Benedetta
c'è rimasta male quando ha saputo che non saresti venuta.
Sarà
felicissima quando ti vedrà!»
Strinsi
la mano di Dario e seguii Claudia, immergendomi in quel marasma di
gente che si dimenava in goffi passi di danza. Ci fermammo vicino al
palchetto sul quale si agitava il Deejay strampalato, di fronte al
quale erano impalati a tenersi per mano e scambiarsi effusioni
Benedetta e Federico. Appena la mia migliore amica mi vide, sorrise
raggiante quasi avesse visto il suo idolo e mi corse incontro,
abbracciandomi talmente forte che credetti volesse stritolarmi.
«Alice!»
trillò «Raffaele mi aveva detto che non saresti
venuta, che avevi
litigato con il tuo ragazzo!»
«In
teoria sarei dovuta rimanere a casa» risposi con un sorriso
tirato.
«Ma
Edoardo è tornato a chiederti scusa» disse
maliziosa, facendo un
occhiolino a Dario «Guardatevi come siete belli!»
esclamò poi,
stringendo la mano del suo ragazzo «Non credi anche tu che
siano
perfetti insieme? Sprizzano amore da tutti i pori!»
Avvampai
improvvisamente e sorrisi imbarazzata. Era strano sentire la parola
amore
accostata a me e a Dario, ma, se prima mi sarei scandalizzata
nell'udire una cosa del genere, in quel momento mi sentivo solo
felice. Sarebbe stato inutile continuare a mentire, continuare a
nascondere ciò che sentivo per lui, anche se in
realtà ancora non
sapevo se si trattasse di puro amore o di una semplice infatuazione.
Ormai quello strano sentimento era esploso e non potevo più
contenerlo, anche se mi impauriva dovergli confessare quello che
sentivo nei suoi confronti, temevo di essere respinta, che lui non
provasse lo stesso e di rimanere scottata da un suo rifiuto. Come al
solito, mi ritrovai davanti ad un bivio. Una via mi avrebbe costretta
a dirgli la verità con la possibilità di avere il
cuore infranto;
l'altra diceva di tacere, di tenermi tutto dentro e di lasciarlo
andare. In qualsiasi caso mi sarei ritrovata con il cuore in pezzi,
tanto valeva confidargli i miei sentimenti e sperare che lui sentisse
lo stesso per me.
Devi
dirglielo Alice! Fatti coraggio e parla!
Continuavo
a ripetermi quelle parole, mentre Germa non accennava a smettere di
parlare prima con Federico, poi con Claudia e anche con Dario, che
continuava ad annuire, ovviamente senza ascoltare nulla di quello che
gli diceva Benedetta, con un sorriso tirato e falso come le tette
della Anderson. Il suo sguardo sfuggiva e il suo viso era cupo,
nonostante cercasse di apparire tranquillo. Qualcosa lo stava
tormentando, ne ero sicura e i pensieri che lo opprimevano erano
scaturiti dalle parole di Raffaele.
«Io
e Dario andiamo a prendere qualcosa da bere!» esclamai
all'improvviso, afferrando il braccio mio finto fidanzato.
«Chi
è Dario?!» domandò perplessa Benedetta
e solo in quel momento
realizzai da aver sbagliato nome. Boccheggiai e sorrisi nervosamente.
«Dario
chi?!» ripetei, facendo la finta tonta «Ho detto
Edoardo. Avrai
sicuramente capito male, con questa musica alta»
Le
sorrisi un'ultima volta, prima che lei obiettasse e trascinai Dario
lontano da lì, fermandomi davanti al banchetto dei viveri.
Lui
afferrò subito un bicchiere di plastica rossa e si
versò una strana
bevanda, che sembrava succo di frutta, contenuto in una brocca
trasparente. Bevve tutto d'un fiato, pulendosi poi la bocca con il
dorso della mano e sbattendo il bicchiere sul tavolo.
«Che
cosa c'è Dario?» gli domandai, sfiorandogli la
mano che subito
ritrasse.
«Nulla»
rispose brusco, respirando a fondo.
Era
nervoso, visibilmente teso e continuava a mordersi il labbro
inferiore.
«È
per quello che ha detto Raffaele?» domandai.
Dario
scosse la testa, senza rispondermi, mentre la palestra veniva invasa
dalla voce di Puff Daddy e dalle note di I'll
be missing you.
«Non
devi prendertela! È solo un deficiente che parla
troppo» ripresi,
sorridendo e cercando di prendergli ancora la mano, ma lui
scansò la
mia con un gesto secco.
Perché
dirgli quello che provavo? Il suo copro parlava da solo e non c'era
bisogno di parole. Lui non provava nulla per me, ero sempre stata
solo la ragazzina stupida che lo aveva chiamato per fingere di essere
il suo ragazzo, la ragazzina con cui trastullarsi di tanto in tanto.
Mi morsi le labbra e serrai i pugni, cercando di cacciare indietro il
magone che mi si era creato.
«Scusami
Alice» disse mortificato «Non volevo essere
così duro»
Mi
afferrò per il braccio e mi trascinò verso di
lui, tra le sua
braccia. I suoi sbalzi di umore erano così repentini che mi
confondevano sempre di più. Non riuscivo a capire se lui era
coinvolto quanto me o se, invece, per lui non contavo nulla.
«È
che continua a venirmi in mente Sole» confessò,
affondando la mano
tra i miei capelli e ondeggiando al ritmo di musica.
Era
già la seconda volta che nominava questa ragazza e non
riuscivo a
capire chi fosse e che cosa centrasse con noi. Avrei dovuto essere
gelosa di lei, che molto probabilmente era molto più bella
ed
interessante di me. Molto probabilmente era la ragazza di cui era
innamorato e io mi stavo solo illudendo di poterlo amare.
«È-è
la tua ragazza?» domandai, con voce tremante.
«No»
ridacchiò.
«È
la ragazza che ti piace?»
«È
solamente una ragazza speciale per me» sospirò
«È stata la mia
migliore amica, la sorella che non ho mai avuto e il mio primo vero
amore. L'unica che mi abbia veramente capito e l'unica che mi abbia
veramente amato»
«Ne
sei ancora innamorato?» chiesi, mentre il cuore stava per
esplodermi
nel petto.
«Sì»
rispose dopo un lungo silenzio e il mondo mi crollò addosso
in
quell'istante «Quello che c'è stato tra di noi e
che ci sarà per
sempre non potrà mai essere cancellato, nemmeno il tempo
è in grado
di farlo. Nonostante ciò, però, ho voltato pagina
e ho cominciato a
scrivere nuovi capitoli della mia vita senza di lei. E le pagine
bianche aspettano solo di essere riempite da un altro amore, magari
anche più intenso e travolgente»
Alzai
il viso, incontrando i suoi occhi profondi e il suo meraviglioso
sorriso. Stavo letteralmente impazzendo, alternando momenti di pura
felicità per una possibile storia con lui, ad altri in cui
avrei
voluto scoppiare a piangere perché non potevo averlo. In
quell'istante ero al settimo cielo, sembrava quasi che potessi
sfiorare il cielo con un dito. Mi alzai sulle punte, saldamente
aggrappata alle sue spalle, desiderosa di baciarlo, desiderosa di
lui. La voce di Puff Daddy sfumò e subito il ritmo di David
Guetta
con la sua When
love takes over
invase la palestra. Tutti intorno a noi cominciarono a dimenarsi,
alzando le braccia al cielo e battendo le mani a tempo con la musica,
mentre noi due eravamo fermi, abbracciati, occhi negli occhi, con le
labbra che quasi si sfioravano.
«Chi
si vede» sogghignò una voce alle mie spalle
«Alice con il suo
gigolò»
Mi
voltai di scatto trovandomi di fronte alle iridi cristalline di
Saronno e il suo ghigno fastidioso.
«Come
lo sa?» mi domandò Dario, nell'orecchio.
«Lui
è Davide. Gli ho raccontato tutta la verità,
fidandomi come una
stupida di lui» risposi.
Il
mio ex ragazzo si riempì un bicchiere e se lo
portò alla bocca,
sorseggiando la sua bevanda e squadrandoci da capo a piedi.
«Ti
sei calato bene nella parte del fidanzatino, eh?»
sibilò Saronno.
«Quando
ho un incarico cerco di portarlo a termine nel migliore dei
modi»
rispose pacato Dario.
«E
portare a termine vuol dire concludere la serata in una stanza di
motel?!» lo provocò.
«Non
sono stato chiamato per questo. Quindi questa serata si
concluderà
con un pagamento e tanti cari saluti»
«Non
ne sarei tanto sicuro» ribatté, appoggiando il
bicchiere sul tavolo
«Siete così affiatati che, se non avessi saputo la
verità, avrei
pensato che foste fidanzati» ridacchiò
«È come se vi conosceste
da molto, molto tempo» tornò serio e
puntò le sue iridi cerulee su
di me.
«Cosa
stai insinuando, Saronno?» domandai indispettita.
«Che
lui non è un semplice gigolò per te. Che la
ragazza con cui stavo
non è la santarellina che vuole far credere di essere, ma
è solo
una puttana come tutte le altre»
Rapido,
Dario afferrò Davide per la camicia e lo avvicinò
a lui,
guardandolo truce e pronto a prenderlo a pugni.
«Prova
a ripeterlo, razza di pervertito»
Saronno
sogghignò, per nulla intimorito dallo sguardo di Dario e
dalla sua
aggressività.
«Sarei
io il pervertito?! Non tu che sei solo uno sporco gigolò che
si
diverte con le ragazzine?»
Dario
contrasse la mascella furibondo e staccò una mano dalla
camicia di
Davide pronto a spaccargli la faccia con un cazzotto. Gli afferrai il
braccio prima di far scoppiare una rissa e lo spinsi lontano da
Saronno, interponendomi tra i due.
«Sai
una cosa, Davide?!» sbottai esasperata
«È vero, per me non è solo
un semplice gigolò, ma qualcosa di più
importante» ammisi e mi
stupii di essere riuscita a dire una cosa del genere senza
impappinarmi «E il giorno dopo un cui ti mi hai chiesto di
essere la
tua ragazza, lo abbiamo fatto. Ti ho tradito e non me ne
pento!»
Il
ghigno perennemente dipinto sul viso di Saronno si smorzò,
sostituito da una faccia incredula da baccalà. Sorrisi
soddisfatta e
mi allontanai da lui con Dario sotto braccio, lasciandolo davanti a
quel tavolo senza parole e con la faccia da scemo.
«Le
pensavi davvero le cose che hai detto?» mi chiese, fermandosi
d'improvviso in mezzo alla palestra.
«Cosa
ho detto?» dissi, sorridendo.
«Che
sono importante per te» mi ricordò.
Deglutii
a vuote e sentii le guance prendere fuoco. Quello era il momento
giusto per dirglielo, per confessare ciò che provavo per
lui. Presi
un respiro profondo e gli sorrisi, annegano per l'ennesima volta nei
suoi occhi.
«Dario,
io...» esitai ed ero pronta per aprirgli il mio cuore, ma
tutto
sembrava essere contro di me e contro il nostro sentimento quella
sera.
«Eccoti
finalmente!» esclamò Federico, avvicinandosi
sorridente a me «Ti
stavo cercano dappertutto»
«Cosa
vuoi?» domandai distaccata ed indispettita.
«Volevo
parlarti» ammise timidamente.
Avrei
dovuto dirgli di no e cacciarlo via per godermi appieno il mio
Dario, ma non riuscivo a resistere ai suoi occhi da cucciolo e quel
sorriso dolce. In fondo, gli volevo ancora bene, nonostante quello
che mi aveva fatto. Mi scambiai uno sguardo con Dario che mi
annuì
teneramente, mentre Truly
Madly
Deeply
incorniciava quel
momento.
«Posso
avere l'onore di questo ballo?» ridacchiò Federico.
Sospirai
e sorrisi, accettando quell'invito. Abbate mi cinse i fianchi ed io
ricambiai la sua stretta, lasciandomi trasportare da quella musica
lenta.
«Cosa
volevi dirmi?» chiesi.
Federico
si umettò le labbra e abbassò lo sguardo.
«Volevo
chiederti scusa» mormorò.
«Scu-scusa?»
ripetei incredula e stupita.
«Sì.
Mi sono comportato davvero male nei tuoi confronti» ammise
con
rammarico.
«Tu
dici?!» dissi ironica, ridacchiando.
«Sono
stato uno stupido, lo ammetto. Ti avevo ritrovata e invece di tenerti
accanto a me ti ho allontanata» sospirò
«Ma quando ho scoperto che
eri fidanzata sono stato accecato dalla gelosia e non ho capito
più
nulla. So che magari adesso è troppo tardi, che anche se te
lo dirò
non cambierà nulla, ma voglio solo che tu lo
sappia» esitò un
attimo e mi sorrise «Tu mi sei sempre piaciuta Alice, da
quando mi
hai colpito con la palla durante educazione fisica»
«La
prima volta che ci siamo parlati» ricordai, sorridendo.
«E
la prima volta che mi sono accorto del tuo sorriso. Quando ti ho
vista piegata su di me ho sentito il cuore palpitare e da allora sei
entrata dentro di me, nel mio cuore e non ne sei più
uscita»
«Federico»
tentai di dire, ma lui mi zittì.
«Fammi
finire, sennò mi dimenticherò quello che ho da
dirti. Ho sempre
provato qualcosa per te, ma non ho mai trovato il coraggio di
confidartelo. Ho avuto paura di sentirmi dire di no, di trovarmi con
il cuore spezzato, per cui ho preferito rimanere zitto. Che
stupido»
ridacchiò «Non avevo minimamente considerato il
fatto che qualcun
altro si sarebbe innamorato di te e che ti avrebbe portato via da
me»
«Non
ti avrei detto di no, se me lo avessi chiesto» gli confessai
«Anche
tu mi piacevi, ma ora amo un'altra persona»
Sorrisi,
stupita di aver finalmente espresso i miei sentimenti, contenta di
aver superato la paura che avevo nell'amare Dario.
«Lo
so, purtroppo» soffiò lui «So che io
adesso sono fidanzato con
Benedetta. Lei mi piace e sto bene insieme a lei, ma nel mio cuore
ci sei ancora tu. Quindi, nonostante tutto, credo che non
smetterò
mai di amarti»
Dopo
quella inaspettata dichiarazione d'amore, rimasi spiazzata ed
incredula e non riuscivo nemmeno ad aprire la bocca per dire
qualcosa. Se avesse trovato prima il coraggio di dirmi quelle cose,
in quel momento sarebbe stato lui il mio cavaliere e ringraziai il
cielo che non l'avesse mai fatto, che il suo tacere mi avesse spinto
a chiamare Dario.
Non
dovevo assolutamente commettere lo stesso errore di Federico, dovevo
parlare con Dario, infischiandomene della paura di un rifiuto.
Mi
alzai sulle punte e diedi un delicato bacio sulla guancia a Federico,
che mi sorrise dolcemente.
«Ora
puoi tornare dal tuo principe azzurro» mi disse, indicando
Dario che
ascoltava senza interesse i discorsi sconclusionati di Benedetta.
«Grazie
Fede!» gli dissi, stringendolo a me, prima i allontanarmi da
lui e
avvicinarmi al mio fidanzato.
Vedi,
si rimane in piedi anche se tu non ci credi
Dimmi
cosa vuoi sapere, cosa vuoi di questo amore
Salvai
Dario dalle grinfie di Germa e gli circondai il collo con le braccia,
mentre lui mi cinse i fianchi, accompagnandomi in una lenta e
romantica danza sulle note di Marco Mengoni.
«Grazie»
ridacchiò «Non avrei sopportato ancora a lungo la
tua amica. Ma
quanto parla?!»
«Troppo!»
esclamai, scoppiando a ridere e la sua risata si unì subito
alla
mia.
«Come
fai a sopportarla?»
«Tanta
pazienza» risposi divertita «E tanto, tanto
affetto»
Rimanemmo
in silenzio e ci guardammo a lungo. Fui completamente inghiottita da
quegli occhi di petrolio e la gente intorno a me sparì a
poco a
poco. C'eravamo solo io e lui in quel momento, in mezzo a quella
pista, stretti in un abbraccio dal quale non volevo più
liberarmi.
Anche
se non respiro e non mi vedo più
in
un giorno qualunque dove non ci sei tu
Anche
se aspetto il giorno, quello che dico io
dove
ogni tuo passo, si confonde col mio
Mai
canzone fu più azzeccata per quel momento. Ormai non ero
più in
grado di immaginare la mia vita senza di lui, perché la mia
vita
era
Dario.
«Allora,
cosa voleva lo spilungone?» domandò con un
sopracciglio abbassato.
«Nulla
di particolare» risposi vaga.
«Nah!
Lui era troppo imbarazzato e tu sembravi molto felice»
ribatté
sospettoso «Avanti, che ti ha detto?»
«Si
è dichiarato» confessai poi in un sospiro
«Una dichiarazione
d'amore romantica degna dei migliori film»
Dario
s'incupì immediatamente e interruppe il nostro contatto
visivo,
puntando il suo sguardo lontano da me e lasciandosi scappare un Oh
stupito e poco felice. Non sapevo il perché di quella sua
reazione,
ero troppo contenta per accorgermi che c'era in Dario qualcosa che
non andava.
«Vuoi
sapere cosa gli ho detto?» chiesi, sorridendo maliziosa.
«Cosa»
sospirò.
Affondai
la mano tra i suoi capelli corvini e lo spinsi verso di me, verso
quel bacio che stavo rincorrendo da tutta la sera. Sentire nuovamente
le sue labbra, dopo che avevo rischiato i perderlo per sempre, mi
fece palpitare irregolarmente il cuore e mi fece mancare il respiro.
Dario
mi strinse maggiormente a sé, facendo aderire perfettamente
i nostri
corpi che combaciavano alla perfezione. Sentii le sue labbra
dischiudersi sotto le mie e, subito, andai a cercare la sua lingua
con la mia. Appena la sfiorai, un brivido percorsa la mia spina
dorsale, espandendosi in ogni anfratto del mio corpo, facendomi
fremere di piacere. Quel bacio non era paragonabile agli altri, era
intriso di una travolgente passione e avvolta dalla consapevolezza
dei miei sentimenti.
Le
nostre lingue, come se fosse il loro primo incontro, si rincorrevano,
si solleticavano e si esploravano l'un l'altra con tocchi lenti e
sensuali. A poco a poco, la bocca di Dario si ritrasse da quel bacio,
assaporando per un interminabile istante il mio labbro inferiore, per
poi staccarsi definitivamente da me che ancora bramavo il suo sapore.
Perché
tu sarai sempre il mio solo destino
posso
soltanto amarti senza mai nessun freno
Gli
sorrisi, felice come non ero mai stata prima di allora e mi morsi le
labbra cercano in loro il gusto di quel bacio. Dario, però,
non
sembrava contento quanto me, anzi, era serio, cupo e continuava a
deglutire, mentre i suoi occhi scappavano dai miei.
«Gli
ho detto che c'è un'altra persona nel mio cuore»
ammisi sorridendo,
mentre il cuore mi rimbombava nelle orecchie e nelle tempie. Esitai
un attimo e quando ritrovai finalmente i suoi occhi, decisi di
aprirgli il mio cuore «Dario, io ti...»
Prima
che terminassi la frase, lui poggiò delicatamente il dito
indice
sulle mie labbra e il suo sguardo sembrava quasi spento.
«Non
dirlo, ti prego» mormorò.
«Non
sai nemmeno cosa voglio dirti» ribattei.
«Invece
sì. È per questo che ti ho fermata»
rispose con un filo di voce
«Ora scusa, ma devo andare»
Allentò
la presa e si allontanò, lasciandomi da sola ed incredula in
mezzo
alla pista come una scema, mentre gli altri continuavano a ballare
stretti l'un l'altra. Perché se ne stava andando? Cosa avevo
fatto
di male, se non cercare di confessargli il mio amore?
Cacciai
indietro le lacrime e mi infilai tra la folla, spingendo chiunque si
intromettesse tra me e Dario. Spalancai la porta della palestra e mio
guardai intorno, mentre la Scaramella mi squadrava dubbiosa. Mi
incamminai lungo il corridoio, con il ticchettio delle scarpe e il
mio fiatone nelle orecchie, mentre gli occhi cominciavano ad
annebbiarsi. Dovevo camminare in fretta, raggiungerlo e chiedergli
spiegazioni prima di perderlo nuovamente, questa volta per sempre.
Uscii
dalla scuola, incurante del freddo di Febbraio e imboccai il vialetto
di terriccio che conduceva al parcheggio. Appena svoltai l'angolo lo
vidi camminare spedito verso la sua macchina, con lo sguardo basso e
i pugni serrati.
«Dario!»
sbraitai e lui si fermò in mezzo alla strada, senza
però voltarsi
«Mi spieghi perché sei scappato
così?!» domandai, con voce
tremante.
«Perché
è tutto sbagliato» rispose.
«Cosa
vuoi dire?» chiesi dubbiosa ed incredula al tempo stesso.
«Non
doveva andare così. Tu non dovevi innamorarti di
me» disse con
rammarico, voltandosi per guardarmi.
«Non
mi pare che sia vietato» ribattei, sentendo il groppo che
avevo in
gola farsi sempre più opprimente.
«Alice»
soffiò avvicinandosi e me e stringendomi le spalle
«Non potrà mai
funzionare tra di noi»
«Che
cosa te lo fa pensare?!» domandai, sentendo che le lacrime
spingevano furibonde per uscire.
«Sono
un gigolò, mi sembra che come spiegazione sia più
che sufficiente»
rispose «Uno come me non ti merita»
«Mi
stai allontanando con una scusa più vecchia di mia
nonna» sbottai,
asciugandomi le guance da alcune lacrime ribelli.
«Non
è una scusa, Alice! Non capisci che stando con me rimarrai
scottata?
Che passerai nottate intere a piangere? Ed io non voglio vederti
soffrire per causa mia»
«Come
puoi dire così, dopo quello che c'è stato tra di
noi?! Secondo te,
adesso non sto male per causa tua?!» lo provocai
«Sì.
Ma è meglio dirsi addio adesso, prima che il nostro rapporto
s'intensifichi e che ci faccia soffrire più del
dovuto»
«Ho
capito qual è il tuo problema, Dario» sibilai
«Non erano le altre
a fuggire da te e dal tuo lavoro, ma sei tu che scappi dall'amore,
sei tu che non vuoi essere amato»
Lui
abbassò lo sguardo e si morse il labbro, prima di annuire e
fondere
nuovamente le sue iridi con le mie.
«Già,
hai ragione» ammise «Sono un codardo che ha paura
di fare
nuovamente del male ad una persona, che non ha voglia di riempire le
pagine bianche del suo libro perché i capitoli precedenti
sono più
che sufficienti»
«Quindi
hai intenzione di scappare ancora?» domandai con la vista
ormai
annebbiata.
«Sì»
rispose senza esitare «E lo faccio per il bene di
entrambi»
«Bene?!»
ripetei «Se te ne andrai mi spezzerai il cuore»
«Fidati,
ci sarà sicuramente qualcuno pronto a curare queste piccole
ferite
che ti ho lasciato. Qualcuno che può amarti senza timore,
che può
renderti felice»
«Questo
qualcuno, Dario, sei tu!» esclamai, con la piccola speranza
che lui
cadesse finalmente tra le mie braccia, che mi permettesse di amarlo.
«No,
non sono io» sospirò con amarezza «Io
sono in grado solo di
ferire, non di curare»
Mi
baciò la fronte e una sua lacrima si mischiò alle
mie. Si voltò di
scatto e si allontanò da me, fermandosi qualche passo
più avanti.
«Alice,
purtroppo io non so amare»
Mormorò
quelle parole, tanto che le sentii appena. Riprese a camminare,
dirigendosi spedito verso al sua auto e abbandonandomi per la seconda
volta, ma senza la speranza di poterlo rivedere ancora. Tutta la
felicità che avevo provato quando avevo finalmente smesso di
nascondere quello che provavo per lui, quando avevo capito che lo
amavo era stata distrutta da quel rifiuto amaro che mi aveva
distrutto il cuore il mille pezzi. Mai avrei immaginato che una
delusione d'amore potesse farmi soffrire così, farmi
soffrire più
di una ferita fisica. Eppure stavo piangendo, mi stavo struggendo e
sentivo l'animo lacerarsi come se fosse stato colpito da una miriade
di pugnali.
La
Mito fece retromarcia ed imboccò la strada per uscire dal
parcheggio. Non potevo lasciarla andare proprio in quel momento, non
volevo perderlo nuovamente. Iniziai a correre, ad inseguire la sua
macchina, urlando il suo nome e sperando che si fermasse. Quando la
Mito accelerò, aumentai anche io la mia corsa, ma
sfortunatamente
inciampai, cadendo carponi sull'asfalto, mentre vedevo Dario
allontanarsi insieme ai miei sogni d'amore. Rimasi immobile, in
ginocchio, con le braccia penzoloni e lo sguardo fisso davanti a me,
perso completamente nel vuoto che mi aveva colta.
«Non
te ne andare» mormorai, senza nemmeno sapere il
perché dato che
ormai lui era uscito dalla mia vita per sempre.
Il
leggero posarsi di una giacca nera sulle mie spalle, mi fece voltare
indietro. Una mano era protesa verso di me e subito incontrai due
dolci iridi nocciola e un sorriso appena accennato. Federico era
lì,
e aveva assistito a quella scena patetica.
_________________________________________
Ce l'ho fatta!
Oh, finalmente! Mi scuso se vi ho fatto attendere cos tanto, ma ho
avuto gli ultimi esami e ho avuto poco tempo! Ma alla fine l'ho
concluso. So che molto probabilmente mi vorreste uccidere, adesso come
adesso. Alice avav ritrovato Dario, ma lui è scappato di
nuovo dopo pochissimo tempo. E questa volta sembra che sia definitivo
questo addio.
Sembrava che tutto fosse ricominciato per il meglio tra di loro e Alice
aveva finalmente capito che c'era qualcosa di molto profondo tra di
loro, aveva archiviato definitivamente sia Saronno che Abbate. Si era
anche decisa a volergli dichiarare i suoi sentimenti, ma Dario ha
preferito scappare. Lui ha paura di amare e soprattutto di essere
amato. Teme che chiunque gli stia intorno, poi, sia destinato a
soffrire. È stato un codardo, ma in fondo ha fatto bene ad
allontanarsi da lei. Non è facile stare accanto ad un
ragazzo che fa il gigolò. Sarebbe stato un continuo
tradimento ed entrambi avrebbero sofferto. Anche se in questo modo si
sono fatti del male comunque :(
Io non avrei altro da aggiungere, quindi passerei ai ringraziamenti.
Oddio, siamo arrivati a 18 recensioni! Io sono senza parole *O*
davverol, un grazie immenso a tutte le splendide ragazze che hanno
lasciato una recensione.
Grazie a tutte le persone che hanno inserito la storia nelle
ricordate/seguite/preferite.
Grazie a chi legge solamente.
Grazie alle mie due Lovers, IoNarrante
e Nessie
che sopportano le mie paranoie e correggono i miei orrori grammaticali.
Vi lovvo!
Adesso, un po' di pubblicità:
Come
in un Sogno - Storia scritta a quattro mani con IoNarrante.
You're
a mistake I'm willing to take - Sempre scritta con IoNarrante.
Il protagonista è il nostro caro Dario ;)
Red
District - sta per tornare, quindi tenetevi pronti!
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Un grazie
immenso ancora a tutti e un bacione ♥
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Capitolo 16 *** Al buio ***
C a p i t o l o
15
Al
buio
Avevo
sognato l'amore, lo avevo cercato, inseguito e desiderato per lungo
tempo, immaginando che fosse il sentimento più bello e dolce
che
potesse esistere. Ovunque mi voltavo, vedevo coppie di ragazzi felici
che si scambiavano tenere effusioni, che si sussurravano parole
romantiche e si ricordavano ogni secondo quanto si amassero. Ed io
stavo lì, a fissarli, immaginando che, prima o poi, anche io
avrei
avuto un fidanzato, che anche a me avrebbero sussurrato nell'orecchio
Ti amo.
Ma
mi sbagliavo di grosso. L'amore non era né bello
né dolce, era solo
un’enorme sofferenza ed una grande cavolata, ed io solo una
stupida
che si era lasciata incantare da un romanticismo esagerato e
inesistente. Avrei dovuto capirlo fin da subito che il principe
azzurro non esisteva, che c'erano solo un mucchio di stronzi nascosti
da un'immensa e falsa dolcezza. Ti facevano vivere una favola, ti
facevano sentire la loro principessa, prima di scendere dal cavallo
bianco e spogliarsi del loro abile travestimento, rivelandosi per
quello che erano veramente. Dovevo smetterla di sognare, aprire gli
occhi e non inseguire più quella chimera
chiamata amore, cercare disperatamente un ragazzo che mi facesse
palpitare il cuore, mancare il respiro e drogarmi con il suo odore.
Dovevo solo divertirmi, smettere di illudermi una volta per tutte.
«Caffè
per la signorina e cappuccino per il giovanotto!»
esclamò una
giovane cameriera ruminante con i codini.
La
ringraziammo con un sorriso e lei si congedò da noi
sculettando.
Versai una bustina di zucchero nel caffè e iniziai a girarlo
con il
cucchiaino, senza mai trovare la voglia di avvicinare la tazzina alle
labbra.
«Allora»
sospirò Federico imbarazzato «Va un po'
meglio?».
«Sono
passati solo tre giorni» risposi scocciata «Sto
esattamente come
quella sera».
Da
quando Dario mi aveva calpestato il cuore e si era volatilizzato come
un codardo, Abbate era tornato a far parte della mia vita. Il nostro
rapporto logorato dalla gelosia reciproca si stava piano piano
ricucendo e lui era l'unico che potesse starmi accanto, accudirmi
dopo la ferita lancinante lasciata da Dario. Ancora, però,
lui non
sapeva la verità, era stato così sensibile da
tenere a freno la sua
curiosità, nonostante sapessi che fremeva per sapere che
cosa
diavolo era successo quella sera.
Federico
schioccò la lingua e distolse lo sguardo da me, puntandolo
sul suo
cappuccino schiumoso.
«A-a
proposito di quella sera» riprese titubante ed io sbuffai
infastidita «Ok, sto zitto» ridacchiò.
«Vuoi
sapere la verità, vero?» sospirai.
Lui
mi guardò a lungo e sorrise imbarazzato. Aveva assistito a
tutta la
scena e meritava di ricevere una spiegazione per quello che era
accaduto. Anche se avevo paura di rivelargli il mio segreto, paura
che anche lui scoppiasse a ridermi in faccia come aveva fatto
Saronno. Non avrei sopportato un'altra umiliazione, non da Abbate,
non da un'altra persona che credevo importante.
«È
una situazione talmente assurda» risi nervosamente,
appoggiando i
gomiti sul tavolo.
«Lui
è un alieno?» azzardò Federico,
strappandomi una risata divertita.
«No»
risposi «Ma, come avrai capito, non era Edoardo».
«Bensì
Dario» commentò, sorseggiando il cappuccino
«Mi chiedo che fine
abbia fatto questo fantomatico Edoardo».
«Non
è mai esistito» ammisi.
Federico
sgranò gli occhi e per poco non si strozzò.
Sprofondai
nell'imbarazzo e nella vergogna più totale e, purtroppo, non
ero più
in tempo a tornare indietro, a tacere e non rivelargli più
la
verità.
«In
che senso, scusa?» chiese dubbioso.
«Ecco
vedi» sospirai e mi parve di rivivere un
déjà-vu. Era come riavere
Davide davanti a me e iniziai a temere realmente che si ripetesse la
stessa scena in quella minuscola pizzeria. Presi coraggio ed,
esitante, gli raccontai tutta la verità, di come inventavo
fidanzati
inesistenti per non essere diversa, del perché avevo deciso
di
chiamare uno stupido gigolò e di come mi ero innamorata di
quel
bastardo come una cretina.
Federico
ascoltò il mio racconto in silenzio e tale rimase anche dopo
che
finii di parlare. Bevve il suo cappuccino tranquillamente come se io
non gli avessi detto nulla. Annaspai ed il mio cuore prese a battere
con irregolarità mentre attendevo che dalla bocca di
Federico
uscisse un commento, una minima parola, qualcosa che rompesse quel
silenzio imbarazzante.
«Sembra
la trama di una commedia americana» ridacchiò.
«Tutto
qui?» gli chiesi.
Abbate
mi guardò dubbioso e scrollò le spalle, alzando
un sopracciglio.
«Cosa
dovrei dire, scusa?»
«Ti
ho appena raccontato un segreto pesante da portarsi dentro e l'unica
cosa che riesci a fare è sparare battutine, peraltro non
divertenti?!» ribattei.
«Non
ci trovo nulla di male» disse pacato, raschiando il fondo
della
tazzina in cerca dello zucchero «O almeno, nella prima parte
del
racconto. Per quanto riguarda il gigolò taccio»
«Spiegati
Abbate» sbuffai infastidita.
Ormai
mi ero perfino dimenticata del caffè che era diventato
freddo e
aveva perso tutto il suo aroma.
«Nel
senso» sospirò, spazientito «Non
c'è nulla di male nel non avere
mai avuto fidanzati. Ti sei fatta troppe paranoie secondo me e hai
sbagliato ad inventarti storie d'amore inesistenti».
«Non
volevo sentirmi diversa» lo interruppi.
«Tu
lo sei già diversa, Alice» mi sorrise
«Tu non sei come le altre.
Loro cercano la storiella da una notte, da sbandierare alle loro
amiche, mentre tu desideri l'amore quello vero, quello puro ed
innocente che ti riempie l'anima di gioia. La tua visione di questo
sentimento, Alice è stupenda e non vedo perché tu
debba
nasconderla, soprattutto a te stessa. Sono sicuro che se avessi detto
la verità fin da subito, le persone a cui volevi bene
avrebbero
sicuramente capito e adesso non saresti così abbattuta di
fronte ad
una tazzina di caffè che non hai nemmeno
assaggiato».
Dio,
quanto era dolce Federico, quasi più dello zucchero filato.
Lo era
sempre stato, fin dalle medie e, per fortuna, non aveva perso quel
lato del suo carattere che mi aveva colpita fin da subito. Sorrisi
imbarazzata e mi sentii anche leggermente in colpa per aver dubitato
di lui, di averlo paragonato anche solo per un attimo a Saronno.
Dopo
quello che era successo con Dario, le notti insonni a piangere, i
miei lunghi silenzi, un po' di dolcezza era necessaria per lenire il
mio cuore spezzato. Sentire le parole di Abbate mi fece sentire d'un
tratto più leggera, come se mi fossi liberata di un peso
troppo
opprimente per me. Quel riavvicinamento con Federico fu come una
ventata fresca durante un'estate torrida. Avevo di nuovo qualcuno con
cui confidarmi, qualcuno di cui fidarmi e che sapevo non mi avrebbe
fatto mai soffrire.
Finalmente,
dopo quei lunghissimi tre giorni senza Dario, dopo settantadue
interminabili ore che mi erano sembrate un'eternità, dopo
che il suo
odore aveva smesso di inebriarmi e i suoi occhi di incantarmi,
intravidi un piccolo sprazzo di felicità.
Dario,
Dario, Dario.
Con
tutta la buona volontà che ci mettevo, non riuscivo a non
pensare a
lui. Era sempre nella mia mente, un chiodo fisso che non voleva
più
abbandonarmi. Ogni giorno speravo di incontrarlo di nuovo, di
rivederlo anche solo per un attimo dal vivo, in carne ed ossa e non
solo in foto. Come una stupida, passavo le ore davanti al computer a
fissare il sito per signore dove avevo trovato il suo numero,
scorrendo ininterrottamente la sua galleria fotografica. Al solo
pensiero che signore attempate e ragazze avvenenti potessero sentire
la sua voce, sfiorare la sua pelle, guardare nei suoi occhi e baciare
le sue labbra che ancora credevo mie, sentivo la rabbia rodermi
dentro, farmi ribollire il sangue nelle vene. Se mi fosse capitata
tra le mani una di quelle sgualdrine l'avrei strangolata.
Sbuffai
e appoggiai la guancia al pugno. La cosa migliore da fare era seguire
il consiglio di Federico, ossia smettere di passare giornate intere a
piangere dietro le sue foto, a sfiorare lo schermo nella speranza che
lui sentisse una mia carezza e di non pensare più a lui.
Solo così
i piccoli pezzi del mio cuore frantumato sarebbero tornati al loro
posto, avrebbero combaciato di nuovo per permettergli di palpitare
ancora, di innamorarmi nuovamente di qualcuno. Dovevo voltare pagina,
come si suol dire, anche se non avevo la forza di inumidirmi il dito
e girarla definitivamente.
«Tu
ci sei stasera?»
Sollevai
lo sguardo, ancora intontita da tutti i pensieri che albergavano
nella mia mente ed incontrai gli occhi intensi e verdi della Cariati
che mi sorrideva beffarda.
«Dove?»
biascicai.
La
mia classe aveva organizzato qualcosa ed ovviamente io ero sempre
l'ultima ad essere avvisata.
«Ma
come?! È da una settimana che ne parliamo!»
s'intromise Benedetta
che quel giorno sembrava più infastidita del solito.
«Sveglia!»
cantilenò Cristina, appoggiando una mano sul fianco.
«Cosa
ci sarebbe stasera?» domandai curiosa.
«Sveglia!»
si aggiunse anche Francesca Lamira con la sua odiosa voce da gallina
strozzata.
«Smettetela
con questo sveglia! Non sono scema!» sbottai infastidita
«Mi volete
dire o no che cosa dobbiamo fare stasera?!».
Benedetta
sbuffò sonoramente e mi allungò sotto il naso un
mazzetto di
mimose. Guardai quei piccoli e delicati fiori gialli e solo in quel
momento realizzai che era l'otto marzo, la festa
della donna.
Da quando Dario
mi aveva lasciata, avevo perso la cognizione del tempo, arrivando
addirittura a dimenticarmi il mese in cui eravamo. I giorni si
sovrapponevano, scorrevano lenti e uguali tra di loro, quasi come se
la mia vita non avesse più senso.
«La
festa al Limelight!»
esclamò spazientita Cristina «Una serata di sole
donne, in cui il
tuo unico pensiero sarà di non farti sopraffare da un
orgasmo».
Orgasmo?!
Ma
che diavolo si era bevuta la Cariati?! Sgranai gli occhi e scossi la
testa vigorosamente, per enfatizzare la mia disapprovazione.
«Ma
dai Alice!» intervenne Benedetta «Vieni, ti
divertirai!».
«Non
voglio partecipare ad un'orgia party!» esclamai indignata.
«Ma
quale orgia!» ridacchiò Cristina «Facevo
così per dire» aggiunse
vaga, con uno sguardo malizioso.
«E
poi hai bisogno di divertirti. Se starai a casa penserai ancora ad
Edoardo e ti deprimerai» disse Germa.
Sospirai,
roteando gli occhi. Una volta che Dario era uscito dalla mia vita, lo
aveva fatto anche Edoardo ed ora ero “single”.
Forse un'uscita
tra ragazze mi sarebbe stata utile per non pensare più a lui
e mi
sarei anche divertita. Insomma, dovevo o no voltare pagina? E quella
mi sembrava il momento migliore per farlo, per dare una nuova svolta
alla mia vita oltremodo piatta. Al diavolo l'amore, al diavolo i
sentimenti! Da quel momento in poi la parola chiava sarebbe stata
divertimento.
«Ok,
verrò!» risposi con un sorriso.
«Perfetto!»
cinguettò Cristina «Allora mi devi trenta
euro» aggiunse
allungando la mano.
«Trenta?!»
ripetei incredula «Che diavolo devi fare con così
tanti soldi?!».
«Segreto!»
trillò «Se ve lo dico, che gusto
c'è?» ed ammiccò con un
occhiolino.
La
malizia nel volto della Cariati non mi piaceva affatto. Quella
gallina stava architettando qualcosa, ne ero più che sicura.
Temevo,
una volta messo piede nel Limelight, di ritrovarmi davanti uomini
nudi con fruste e manette in mano, pronti a fare con noi le peggiori
cose. Deglutii a vuoto ed esitai prima di tirare fuori il portafoglio
e dare a Cristina i trenta euro. Beh, almeno i soldi guadagnati come
baby-sitter trovavano la loro utilità.
«Cavoli,
però» sbuffai, una volta che Cristina si era
allontanata da me «Non
ho nulla da mettermi» mi lamentai, voltandomi verso Benedetta.
Un
guizzo di furbizia balenò nei suoi occhi castani e le sue
labbra si
aprirono in un sorriso luminoso.
«Ci
penso io!» esclamò «Vieni da me, dopo la
scuola. Vestito, trucco,
parrucco e tanti, tanti pettegolezzi!».
Annuii
poco convinta, terrorizzata di indossare un abito di Germa. Io non
ero di certo Roberto Cavalli, anzi il mio gusto nel vestire era pari
a zero, ma Benedetta aveva una concezione della moda troppo
“libertina”. Minigonne, shorts, magliettine
attillate disegnate
da un dermatologo, scollature da capogiro che non si addicevano ad un
manico di scopa privo di forme come me, ma accettai comunque il suo
invito.
Quale
miglior modo di ricominciare la mia vita se non un'uscita poco casta
in discoteca con un abito succinto?
Mi
stesi sul letto morbido e profumato di Germa, con la guancia
appoggiata sulla mano e i capelli avvolti da un asciugamano.
Benedetta si sedette sul bordo, con un piede sul materasso e una
boccetta di smalto tra le mani.
«Oggi
mi sembri strana» dissi.
«Dici?!»
esclamò lei sarcastica, mentre si metteva lo smalto sulle
unghie dei
piedi «Ma la parola giusta sarebbe incazzata».
«E
come mai?» domandai con la frotte aggrottata.
«Inizia
per F e finisce per ‘ederico’» rispose
scocciata.
Strano,
pensai, Abbate non mi aveva parlato di una loro crisi di coppia, anzi
sembrava che andasse a gonfie vele tra quei due. Mi misi a sedere e
strisciai verso di lei, incrociando le gambe.
«Che
succede?» chiesi.
Benedetta
sospirò rumorosamente e chiuse la boccetta di smalto,
guardandomi
sconsolata.
«Mi
sembra assente. Lo chiamo e risponde svogliatamente, gli SMS sembra
che non li legga, ha sempre una scusa per non uscire con me»
mi
confessò «Sembra quasi che si sia stufato di me,
che abbia
un'altra».
A
quelle parole mi mancò il fiato e sgranai gli occhi. Non ero
di
certo l'amante di Federico, ma il fatto che il nostro rapporto si
stesse intensificando sempre di più, la sua dichiarazione
d'amore e
la verità su Dario mi fece credere che la presunta
‘altra ragazza’
che intasava la mente di Abbate ero io. Cavoli, non volevo essere la
causa della rottura tra loro due! Non volevo che la mia migliore
amica soffrisse, non me lo sarei mai perdonato.
«Che
c'è Alice?!» trillò dubbiosa.
«Niente,
niente!» mi affrettai a rispondere, agitando le mani
«Magari è
pieno di studio, qualche problema a casa!».
«Credi?»
cercò sicurezza nel mio sguardo.
«Ma
certo! Si vede che siete cotti l'uno dell'altra!» la
rassicurai,
stringendola a me.
«Ho
paura che mi lasci per un'altra» mormorò
«Non riuscirei ad
accettarlo!».
«Ma-ma
figurati!» esclamai esitante «Dove troverebbe una
ragazza più
speciale di te? Da nessuna parte, perché tu sei unica,
Ben!».
Lei
mi guardò intensamente negli occhi e sorrise, poi si
avvinghiò a me
in uno stretto abbraccio.
«Ti
voglio bene Alice!»
«Anche
io» risposi, accarezzandole la schiena.
In
quell'esatto momento sperai davvero che Federico fosse solo sommerso
di studio e che non pensasse a me come sua possibile fidanzata. Non
doveva fare la cazzata di lasciare Benedetta per me, nessuna delle
due lo avrebbe sopportato.
«Bando
alle smancerie!» cinguettò poi, alzandosi di
scatto ed asciugandosi
una lacrima ribelle «Pensiamo a cosa indossare per
stasera».
Aprì
il suo armadio colmo di qualsiasi capo vestiario di ogni sfumatura di
colore e mi parve quasi di vedere un arcobaleno di fronte ai miei
occhi.
«Sarà
una serata fantastica e hot»
ammiccò «Quindi direi di scegliere qualcosa di
sexy!»
Cominciò
a lanciare abiti sul letto che piano piano si accatastarono formando
un'alta montagna. Mi spaventai nel vedere il numero di abiti che
avremmo dovuto provare, non saremmo mai più uscite da quella
stanza!
«Inizia
a vedere se c'è qualcosa che ti piace» mi disse,
mentre esaminava
ogni angolo del suo armadio.
Sospirai
e passai a rassegna gli abiti che giacevano sul letto. Ce n'erano di
tutti i colori, dal classico nero all'appariscente rosa porcello, dal
semplice bianco all'inguardabile verde evidenziatore. Rimasi quasi
inorridita per la lunghezza fin troppo striminzita di quelle gonne
che avrebbero coperto a malapena le mutande.
«Beh,
non c'è nulla che ti piace?» domandò
Benedetta, sedendosi sul
letto.
«Troppo
corti per i miei gusti» ammisi imbarazzata.
«Ma
smettila! Non fare la puritana» mi canzonò
«Stasera ci si diverte,
alla faccia degli uomini!» ridacchiò «E
poi magari uno degli
spogliarellisti ti noterà!».
«Ma
che dici!» trillai avvampando «Ti pare che uno di
quelli possa
guardare un cesso come me?».
«Alice,
non dire fesserie!» mi rimproverò, guardandomi
truce «Sei
bellissima! E con l'abito giusto riusciresti a conquistare anche
Sogno» e sospirammo all'unisono, pensando a quel bonazzo di
Leonardo.
«Sei
troppo esagerata, Ben» ridacchiai «Ma mi affido a
te. Scegli tu per
me».
«Scarichi
sulle mie spalle questa enorme responsabilità?»
domandò,
abbassando un sopracciglio.
«Esatto»
sorrisi.
«D'accordo.
Ma dopo non voglio che ti lamenti»
Era
un azzardo affidarsi completamente a lei e già ero sicura
che mi
avrebbe rifilato un vestito rosso fuoco inguinale che non avrebbe
lasciato nulla all'immaginazione. Aiuto!
Perché diavolo le avevo dato la possibilità di
scegliere per me?
Sarei uscita da quella casa vestita come una
‘battona’. I secondi
passavano quasi a rallentatore mentre Benedetta scrutava uno ad uno
gli abiti, che, puntualmente, bocciava, lanciandoseli dietro la
schiena. Magari mi ero spaventata troppo presto, magari in mezzo a
quella calca di vestiti non ce n'era nemmeno uno adatto a me.
Sospirai più sollevata, rilassando i muscoli tesi delle
spalle.
«Eccolo!»
esclamò, facendomi sobbalzare e irrigidire nuovamente
«Questo è
perfetto!».
Mi
tese un abito bianco, candido come la neve. Roteai gli occhi e
sbuffai, spogliandomi rapidamente. Indossai quel vestito e appena
Germa mi vide, batté le mani entusiasta, alzandosi di scatto
dal
divano e portandomi davanti allo specchio. L'abito mi arrivava a
metà
coscia ed aveva una manica lunga, mentre l'altra era fine, fatta di
perline che si perdevano dietro la il collo a formare una
meravigliosa decorazione pendente sulla schiena nuda. Sorrisi
d'istinto nel vedere la mia immagine riflessa, stupita che Benedetta
avesse fatto centro.
«Sei
stupenda Alice!» esclamò «Gli
spogliarellisti cadranno ai tuoi
piedi ad uno ad uno come birilli».
Birilli...
bowling... Dario.
Fu
inevitabile pensare a lui. Mi morsi il labbro e scossi la testa per
scacciarlo fuori dai miei pensieri una volta per tutte. Dovevo
smettere di morirgli dietro, di ricordarlo per ogni minima cosa.
Dovevo cambiare vita e nella mia nuova esistenza lui non c'era, non
doveva
esserci.
«Grazie»
dissi imbarazzata.
«Stai
pensando ad Edoardo?» mi domandò, appoggiando il
mento sulla mia
spalla.
«Già»
risposi a malincuore.
«Lascialo
perdere, Ali!» disse «Non devi stare male per lui!
Anzi, stasera ti
divertirai, magari ti butterai tra le braccia di un altro, alla
faccia sua, tié!».
Scoppiai
a ridere e lei si unì a me. In pochi secondi ci ritrovammo
ancora
abbracciate, strette l'una all'altra, che ondeggiavamo per tutta la
stanza. Mi sentivo leggermente in colpa per averle mentito su Edoardo
e su tutte le relazioni che non avevo mai avuto. Lei era la mia
migliore amica e non era giusto ingannarla così. Per
fortuna, però,
tutto si era risolto e promisi a me stessa che non ci sarebbero mai
più stati segreti tra me e lei. Le avrei detto tutto, da
quel
momento in poi, anche le cose più stupide ed insensate.
Passammo
il resto del pomeriggio a pettinarci e truccarci, nemmeno stessimo
per andare agli Oscar.
Benedetta si legò i capelli in un'alta coda di cavallo e
scelse un
trucco molto accentuato e sensuale che si abbinava al suo vestito
inguinale blu notte, mentre io mi accontentai dei capelli mossi che
ricadevano liberi sulle spalle e un po' di matita, con dell'ombretto
rosa appena accennato.
«Edoardo
è uno sfigato!» esclamò Benedetta
«Non sa cosa si è perso a
lasciarti andare. Scommetto che ci rimarrebbe secco a vederti
così
sexy!».
Ridacchiai.
Tutto sommato, non mi sembrava un'impresa impossibile dimenticarmi di
Dario. Mi bastavano le mie amiche, Federico e magari una serata
particolarmente hot
per mettere definitivamente una pietra sopra a quel bell'imbusto
schizofrenico.
Alle
dieci e mezzo, dopo aver mangiato i manicaretti della mamma di
Benedetta e aver visto un film, il signor Sago ci accompagnò
al
Limelight che si trovava praticamente dall'altra parte di Milano.
Possibile che non ci fosse un altro locale più comodo da
raggiungere? No, Cristina aveva dovuto scegliere la discoteca
più
inculata solo per una stupidissima festa. Ci impiegammo più
di tre
quarti d'ora per raggiungerlo, tra una canzone house
e le parolacce del signor Sago rivolte al suo Tom
Tom che
aveva un pessimo senso
dell'orientamento.
«Finalmente
siete arrivate!» sbottò Cristina, appena ci vide
scendere dalla
macchina.
«Scusate,
ci siamo persi» rispose Benedetta.
«Su,
entriamo che la sorpresa ci attende» e fece l'occhiolino.
Sospirai
e mi avviai verso l'entrata, ma una macchina parcheggiata fuori dal
locale catturò la mia attenzione. Era una Mito nera,
lucente, tale e
quale alla macchina di Dario ed ebbi un tuffo al cuore nel vederla.
Possibile che ci fosse anche lui in quel locale? Rimasi per un attimo
senza fiato nel pensare che forse lo avrei rivisto.
Ci
sono un sacco di Mito in giro per Milano, non è un'esclusiva
di
Dario.
Lo
sapevo bene, ma non riuscii a non illudermi di poterlo incontrare
dopo un mese che non avevo più sue notizie. Mi avvicinai a
lei e
l'accarezzai dolcemente, quasi se potessi sentire quella carezza.
«Alice,
smettila di molestare la mia macchina» ridacchiò
Cristina «È
nuova, non vorrei che si rovinasse».
Il
mondo mi crollò letteralmente addosso e la mia speranza si
perse nel
vento insieme alle parole della Cariati.
«Scusami»
ridacchiai «La Mito è la mia macchina
preferita».
Lei
mi guardò con sufficienza ed annuì, poi
entrò nel locale
sculettando come un'oca seguita a ruota dalle altre ragazze. Appena
entrammo, fummo travolte dalla musica ad alto volume che trapanava i
timpani, dalle luci ad intermittenza e dall'ormone impazzito del
genere femminile che si beava dei muscoli tonici di alcuni
spogliarellisti.
«Ragazze,
non pensate troppo a quei pompati» miagolò
«Noi abbiamo ben altri
progetti» disse maliziosa, mentre lasciavamo le nostre cose
al
guardaroba e, subito dopo, si incamminò per tutto il locale,
fermandosi davanti ad un privé
rialzato.
«Lì
dentro, ragazze, c'è la vostra sorpresa»
cinguettò «Se siete
delle puritane verginelle» e mi guardò
sogghignando «Fareste
meglio a non entrare. Niente sesso, ma solo tanto tanto
piacere».
Un
boato si levò da parte delle mie compagne e sembrava che
l'unica ad
essere spaventata da questo “tanto tanto piacere”
fossi io.
Sorridevo nervosamente e mi mancava completamente l'aria. Avevo detto
che avrei pensato solo a divertirmi, ma l'idea di rinchiudermi in un
privè con un estraneo non mi allettava nemmeno un po'. Per
di più
non avevo la minima esperienza sessuale, se non il piccolo e focoso
incontro intimo con Dario.
«Entro
io per prima, voi intanto sbronzatevi e sbizzarritevi con gli
spogliarellisti» trillò eccitata, entrando in
quella stanza.
Molto
probabilmente sarei stata l'unica che non ci avrebbe messo piede.
Già
il solo pensiero che lì dentro ci fosse una specie di
maniaco mi
spaventava. Benedetta mi afferrò il braccio all'improvviso e
mi
trascinò in mezzo alla calca di donne in piena crisi
ormonale, verso
il bar.
«Serve
alcool» ridacchiò «Tanto alcool!
Così dimenticherai quel
deficiente di Edoardo».
«Non
ho intenzione di ubriacarmi!» esclamai stizzita.
«Oh,
Alice, avanti! Che saranno mai due o tre drink?»
«Sai,
la bevanda più alcolica che io abbia mai bevuto è
lo spumante, per
cui non saprei dirti cosa potrei combinare da ubriaca» cercai
di
convincerla.
Non
volevo assolutamente ubriacarmi, non era da Alice e soprattutto non
volevo sprecare la mia prima volta in un bagno di una discoteca con
uno spogliarellista.
«Dai!»
squittì «Almeno uno!» mi
supplicò dolcemente.
Sbuffai
ed annuii. Non riuscivo a resistere agli occhi dolci, era uno dei
miei tanti punti deboli. Benedetta batté le mani entusiasta
e
sorrise felice, chiamando con una mano il barista.
«Due
Invisibili, grazie!»
Il
nome di quel cocktail non era affatto male, sembrava anche leggero.
Il barista li preparò velocemente, trafficando con alcune
bottiglie
e completando la sua opera con ghiaccio e cannucce. Ce li porse con
un sorriso e si allontanò da noi.
«Alla
salute!» esclamò Benedetta, tendendo il suo
bicchiere verso di me.
Imitai
il suo gesto e cominciai a bere lentamente quell'Invisibile.
Una sola sorsata mi bastò per sentire la bocca e l'esofago
prendere
fuoco. Gli occhi iniziarono a lacrimare e la mia temperatura corporea
cominciò a salire. Che diavolo era quella roba disgustosa?
Una
bomba?! Per quanto la trovassi imbevibile, non riuscivo a staccare le
labbra da quella cannuccia, come se il mio cervello mi ordinasse di
ingurgitare più alcool possibile. Svuotai il bicchiere
velocemente
sotto lo sguardo sbigottito di Benedetta e, appena lo appoggiai sul
bancone, tutto intorno a me cominciò a girare. Un bruciore
intenso
che partiva dallo stomaco si espanse a tutto il corpo. Mi sentivo
stranamente leggera e la testa era come un delicato palloncino.
«Dovevi
berlo più lentamente» mi ammonì Germa.
«Già»
biascicai «Potevi dirmi, però, che era
così forte».
«Dettagli»
tagliò corto lei.
«Enorme
dettaglio. Non capisco più nulla» ridacchiai,
sentendo le guance
andare piano piano a fuoco.
«Meglio
così! Almeno quando entrerai lì dentro sarai
più disinibita»
«Sono
abbastanza lucida per non aprire le gambe con quel tipo»
arrancai.
«Lucida?!»
ripeté Germa «Alice, tu sei brilla! E fidati,
l'alcool toglie
qualsiasi freno».
«Non
dire fesserie» ridacchiai, accasciandomi sul bancone
«I miei freni
sono ancora funzionanti».
Benedetta
bevve un po' del suo cocktail annuendo e puntando lo sguardo verso il
privé dal quale stava uscendo Cristina.
«Vedremo»
mi sfidò lei, alzandosi dallo sgabello e raggiungendo la
Cariati.
La
seguii traballante, instabile su quei tacchi che sembravano essere
diventati dei grattacieli. Ogni volta credevo di cadere, ma
miracolosamente restavo in piedi. Presi un respiro profondo, cercando
di regolarizzare il respiro e riprendendo le redini del mio cervello
annacquato dall'alcool. Ripresi un minimo di stabilità e
raggiunsi
una Cristina spettinata e quasi sconvolta.
«Ragazze
lì dentro c'è il paradiso»
esclamò «Quello lì è una
macchina
del sesso! Cavoli, solo le sue mani ti fanno eccitare»
sospirò in
estasi «Comunque, a chi tocca adesso?»
Benedetta
mi spinse in avanti, sorridendo sorniona.
«Alice!»
esclamò subito.
«Prego,
tutto tuo» sospirò Cristina superandomi
«E mi raccomando, non
urlare troppo» ridacchiò.
Annaspai
e rimasi immobile davanti il privé con il cuore che
martellava nel
petto, il fiato corto e le guance che andavano a fuoco un po' per
l'imbarazzo, un po' per quel maledetto Invisibile. Ero disposta
veramente ad andare lì dentro? A farmi mettere le mani
addosso da
uno sconosciuto? Non sapevo che cosa fare, se tirarmi indietro oppure
entrare e fregarmene, lasciarmi andare. Tanto, avevano detto niente
sesso, solo e soltanto divertimento. Presi un respiro profondo e
decisi di entrare lì dentro, alla faccia di quella sfigata
di Alice
e Dario.
Il
privé era completamente buio e non vedevo nulla di
ciò che mi
circondava. Non sapevo se era piccolo o grande, dove erano i tavoli e
i divanetti, dove si trovasse il tizio che mi aspettava. Il cuore
cominciò ad accelerare la sua corsa ed ero rimasta
paralizzata,
completamente senza fiato.
«È
un po' buio qui dentro!» esclamai, ridacchiando nervosamente.
Vagai
con lo sguardo, cercando di percepire qualcosa in quella stanza, ma
il buio nascondeva con sapienza ogni minimo angolo e la musica ad
alto volume riempiva le mie orecchie. Deglutii a vuoto, in attesa che
chi fosse in quella stanza con me facesse qualcosa.
«C'è
nessuno?!» urlai, per sovrastare la voce di Rihanna.
Nessuno
rispose e pensai che Cristina ci avesse fatto uno scherzo e che
lì
dentro non ci fosse proprio nessuno. Sbuffai e stavo per andarmene,
quando finalmente qualcuno mi afferrò con decisione un
braccio. Quel
tocco mi fece sobbalzare e rabbrividire, quella mano era delicata e
ruvida, come quella di Dario. Ebbi un tuffo al cuore ripensando a
lui, immaginando che nel buio, dietro di me, c'era il mio
amato. Perché, anche se cercavo in tutto i modi di
dimenticarlo, non
riuscivo a smettere di amarlo.
Il
ragazzo si avvicinò maggiormente a me, lasciando che la mia
schiena
sfiorasse il suo torace nudo, sodo, estremamente bollente. Un leggero
odore di vaniglia solleticò i miei sensi, come se lui
fosse davvero dietro di me. Ero una sciocca ad illudermi
così, ma il
buio di quella stanza che nascondeva quello sconosciuto induceva la
mia mente a pensare a lui,
a sentire il suo odore, ad immaginare che quel ragazzo fosse Dario.
Con
il dorso della mano, mi accarezzò una guancia, affondandola
poi tra
i miei capelli, per poi spostarli su di una spalla. Il suo respiro
caldo sul mio collo precedette le sue labbra vellutate che lambirono
ogni millimetro della mia pelle. Le sue mani, intanto, esploravano il
mio corpo, scendevano leggere sulle mie braccia. Rabbrividii a
sentire quegli abili polpastrelli ispezionare con curiosità
ogni
lembo della mia pelle e il mio petto si alzava frenetico, seguendo
l'accelerare del mio respiro. Chiusi gli occhi e mi abbandonai alle
sue mani, alla sua lingua rovente che mi leccava il collo, a quel
ragazzo che la mia mente si ostinava a confondere con Dario.
Mi
fece voltare di scatto e le mani forti di quello sconosciuto
disegnarono il mio corpo, fino a fermarsi sui fianchi dove la stretta
si fece più intensa. Deglutii quel poco di saliva che mi era
rimasta
e allungai le mani verso di lui, per sentire il suo corpo scivolare
sotto le mie dita. Partii dalle spalle, larghe e forti e scesi lungo
i pettorali sviluppati, che si alzavano al ritmo del suo respiro
affannato. Sembrava emozionato, quasi quanto me e sorrisi per
quell'imbarazzo che entrambi stavamo provando. Poco dopo, raggiunsi
l'addome d'acciaio ed indugiai su quei muscoli perfetti, facendoli
scorrere sotto le mie dita, fino ad incontrare il bordo dei suoi
jeans. A quel punto, gli accarezzai il viso, spostandomi dal suo naso
marcato alle guance lisce, sfiorandogli delicatamente le labbra.
Anche al tatto, quel ragazzo mi ricordava Dario, stessa
fisicità,
stessi lineamenti marcati.
Il
ragazzo mi prese la mano che non si era ancora stancata delle sue
labbra e cominciò a baciarne il dorso, prima di perdere
ogni contatto con lui. Rimasi immobile, dubbiosa, in attesa di
un'altra sua mossa che non tardò ad arrivare. Le mani ruvide
di
quello sconosciuto si posarono sulla mia gamba. Un brivido di piacere
mi percorse la spina dorsale e cominciai a sentirmi strana,
eccitata, esattamente
come era
successo a casa di Dario. Le sue dita precedevano le sue labbra e la
sua lingua, che inseguivano quei polpastrelli lungo la mia gamba e che
mi
assaporavano. Arrivato alla coscia, le sue mani si insinuarono sotto
il mio vestito, alzandolo lievemente e subito dopo le sue labbra le
raggiunsero. Le sue mani erano vicine alla mia intimità e il
suo
respiro caldo s'infrangeva su di essa, eccitandomi maggiormente.
Alcool e gigolò erano un’accoppiata vincente per
far salire la
temperatura. Mi sentivo avvampare, era stata completamente
inghiottita da una cappa di calore che andava via via a concentrarsi
verso il basso ventre.
Le
sue mani si posarono veloci sulle mie natiche e fu un attimo che mi
sentii sollevare da terra, con quel ragazzo tra le mie gambe aperte.
Affondò il viso nel mio seno, assaggiandolo con irruenza
attraverso
la stoffa leggera del vestito. Ansimai per il piacere, alzando gli
occhi al cielo.
Non
mi riconoscevo in quel momento, completamente assoggetata all'alcool,
letteralmente abbandonata nelle
braccia forti di uno sconosciuto, mentre gli permettevo di toccarmi
in quella maniera. Ma non riuscivo a scansarlo, a fare a meno di lui,
di quel ragazzo così simile al mio amato.
Camminò,
senza mai staccare le sue labbra da me ed io affondai le mani tra i
suoi capelli morbidi che sapevano di vaniglia. D'un tratto, mi
ritrovai contro un muro, con quel ragazzo spalmato su di me e con le
sue mani strette intorno alle mie cosce.
Cercò
le mie labbra con le sue, risalendo dal collo. Appena le
trovò, mi
morse delicatamente quello inferiore, per poi succhiarlo sensualmente
e solleticarlo con la sua lingua bollente. Quella stanza stava
andando letteralmente a fuoco e la causa di quell'incendio era
l'inspiegabile passione che ci aveva travolto, nonostante non
sapessimo nemmeno i rispettivi nomi. Era come se ci già ci
conoscessimo, come se le nostre mani avessero già esplorato
il corpo
dell'altro, come se le nostre labbra di fossero già
incontrate.
Mi
baciò, assaporando alternativamente prima il labbro
inferiore, poi
quello superiore, mordendomi di tanto in tanto. Mi lasciai condurre
da lui, ormai il mio corpo era in sua balia e il mio cervello
aveva smesso di pensare, di reagire. Erano state quelle labbra a
farmi perdere qualsiasi controllo, così morbide e lisce, che
mi
sembrava già di conoscere.
La
sua lingua entrò rapida nella mia bocca, solleticando la mia
e
sfiorandomi il palato con una delicatezza così simile a
quella di
Dario che iniziavo davvero a pensare che lui fosse lì.
Le
nostre lingue si avvolsero, le punte si sfioravano eccitate e le
nostre labbra si dischiusero all'unisono. Si strinse maggiormente a
me, spingendomi ancora di più contro la parete e facendo
aderire i
nostri bacini. Il suo, iniziò a muoversi lentamente, avanti
e
indietro, strusciando i suoi jeans gonfi contro la mia
intimità
accaldata. Ansimai sulle sue labbra e mi sembrò quasi che
stesse
sorridendo.
La
stretta sulle mie gambe si fece più salda e il ragazzo
cominciò a
premere il mio bacino contro il suo, trascinandomi in quella danza
sensuale e altamente appagante. Forse stavamo esagerando, Cristina
aveva detto niente sesso e quello che stavamo facendo si avvicinava
anche troppo. I nostri sessi strusciavano, combaciavano
perfettamente, sentivo chiaramente le nostre eccitazioni scontrarsi
vogliose. Solo la stoffa dei suoi jeans e i miei slip ci impedivano
di approfondire quel rapporto.
Mi
allontanai dalle sue labbra quando il ritmo si fece più
serrato,
quando le scosse di si intensificarono, quando il piacere non
riusciva ad essere più contenuto. Appoggiai la testa al
muro, i
pugni serrati anch'essi addossati alla parete ed ansimai. Nonostante
la musica assordante riuscii a percepire anche i gemiti del ragazzo e
sentivo il suo respiro affannato infrangersi sulla mia pelle. Una
spinta del suo bacino più irruenta mi fece inarcare la
schiena e
gridare di piacere. Affondai la testa nell'incavo della sua spalla
ansante e lo sconosciuto mi baciò delicatamente tra i
capelli. Ero
stata completamente sopraffatta dal piacere, da quelle scosse e quei
brividi che solo lui
era
riuscito a farmi provare.
«Da-Dario»
gemetti, senza nemmeno rendermene conto.
Sperai
che non mi avesse sentito, di aver rotto quella passione travolgente
che si era impossessata di noi. Il ragazzo mi fece toccare di nuovo
la terra, molto probabilmente per quello che avevo appena detto. Mi
sistemai rapidamente il vestito e mi morsi le labbra. Solo in quel
momento fui colta dall'imbarazzo, dalla vergogna di avere fatto
porcherie
con uno che non conoscevo e che non avevo nemmeno visto in faccia.
Inaspettatamente, lui mi attirò verso di sé,
abbracciandomi forte e
affondando le mani tra i miei capelli.
«Sono
qui, piccola» disse.
Sbarrai
gli occhi nel sentire la sua voce, nel realizzare che non era stata
la mia mente ad ingannarmi, ma che lui era lì davvero. Ero
stretta
al mio
Dario, sentivo il suo cuore battere e ancora non mi sembrava vero di
averlo ritrovato.
«Appena
ho sentito la tua voce sono scoppiato di gioia» mi
confidò,
sussurrandomelo nell'orecchio «Mi sei mancata tantissimo, lo
sai?».
Sorrisi
amaramente. Anche lui mi era mancato, ma non potevo cadere di nuovo
tra le sue braccia come una stupida. Il suo rifiuto mi aveva spezzato
letteralmente il cuore, mi aveva fatto soffrire e, quando lui se
n'era andato, mi ero sentita quasi morire. E non potevo farmi
abbindolare di nuovo, dopo che finalmente stavo ricominciando a
vivere piano piano, grazie a Federico. Mi divincolai dal suo
abbraccio e lo spinsi via con rabbia.
«Fottiti
Dario» sibilai, cominciando a camminare in cerca dell'uscita.
«Piccola...»
tentò di dire.
«E
smettila di chiamarmi così! Non sono la tua piccola e non lo
sarò
mai!» sbottai, infuriata con lui, infuriata con me stessa per
essermi spinta troppo oltre, tastando le pareti in cerca dell'uscita.
«Alice,
mi dispiace davvero molto per San Valentino»
«Ti
dispiace?!» ripetei al limite della pazienza, con le lacrime
che
spingevano per uscire.
Chi
diavolo era Dario Vitrano?! Perché doveva essere sempre
così
tremendamente ambiguo?! Prima mi abbandonava, poi mi chiedeva scusa
convinto che lo perdonassi.
«Non
sai quanto ho pensato a te in questo mese» sospirò.
Trovai
la maniglia e aprii la porta del privé, scacciando quelle
tenebre
complici di un momento di mia debolezza.
«E
tu non immagini come io abbia sofferto!» tuonai «Ti
sei divertito
con i miei sentimenti e non credere che io ti faccia giocare
ancora!».
Uscii
da quel posto in fretta, non volevo sentirlo parlare, non volevo
vederlo ancora, perché avevo una paura folle di cedere
ancora una
volta ai suoi occhi, di non riuscire a resistere dal baciarlo ancora.
«Alice,
ti prego, aspetta!» esclamò lui, inseguendomi,
sotto lo sguardo
basito delle mie compagne di classe «Chiariamo».
«Non
c'è nulla da chiarire Dario!» sbraitai, trovando
il coraggio di
voltarmi.
Incontrai,
dopo un mese interminabile, i suoi pozzi di petrolio, il suo viso
perfetto, privo di quella barba che mi faceva impazzire. Serrai i
pugni e mi morsi le labbra. Stavo vacillando e questo non doveva
accadere. Dovevo resistere, nonostante lo amassi, perché
sapevo
benissimo che i miei sentimenti, per lui, erano solo un passatempo.
«Invece
sì!» urlò lui, stringendomi le spalle
«Non puoi scappare da
quello che c'è tra di noi, Alice».
«Ti
ricordo che l'unico che è fuggito sei tu!»
ribattei, esasperata.
«Perché
ho paura, cazzo!» sbottò, con gli occhi lucidi
«Perché non lo
vuoi capire?!».
«Perché
è assurdo! Ed insensato questo tuo timore!»
risposi «Smettila una
volta per tutte di vivere nel passato. Così facendo non
permetterai
mai a nessuno di amarti».
«Non
è facile come sembra» ringhiò.
«Beh,
provaci!» esclamai, stizzita «Prima di spezzare il
cuore a qualcun
altro».
Lo
guardai per l'ultima volta negli occhi, prima di allontanarmi da lui
a passo svelto. Ma Dario mi segui ancora, afferrandomi il polso.
«Ti
prego, Alice» mi supplicò «Lo so, ho
sbagliato e ti chiedo scusa».
«È
troppo tardi» sibilai, strattonandolo «Hai avuto un
mese intero per
scusarti, ma non ti sei fatto sentire. Se non ci fossimo incontrati
questa sera, tu mi avresti dimenticata ben presto».
«Non
potrei mai dimenticarti» mormorò «Ti
chiedo solo di aiutarmi a
chiudere con il passato, a riprendere a scrivere il libro della mia
vita».
Deglutii
a vuoto, disarmata e senza parole di fronte al suo sorriso, ai suoi
occhi. Rimuginai su quelle parole, su quella richiesta d'aiuto, sul
bisogno che avevo di lui e sulla sofferenza che aveva provocato.
«Chiedilo
a qualcun altro» risposi a denti stretti «Io non
voglio più avere
a che fare con uno psicopatico come te».
Vidi
il suo volto contrarsi ed incupirsi, gli occhi inumidirsi e a stento
resistetti dall'abbracciarlo, dal rimangiarmi quello che avevo detto.
Mi
feci spazio tra la folla ed andai a recuperare il mio giubbotto e la
mia borsa prima di uscire dal Limelight. Appena l'aria della sera mi
accarezzò i capelli, scoppiai a piangere, conscia del fatto
che
quello era l'addio definitivo, che non lo avrei mai più
rivisto e
che la parola fine era stata scritta a caratteri cubitali sul nostro
breve amore.
Cercai
il cellulare nella borsa e appena lo trovai composi un numero con
l'indice tremolante e gli occhi appannati dalla lacrime. Non mi ero
interessata dell'orario e non mi ero nemmeno posta il problema che
molto probabilmente nessuno mi avrebbe risposto.
«Pronto»
biascicò assonnato.
«Fede!»
esclamai in lacrime.
«Oddio,
Alice, che succede?!» chiese preoccupato, d'un tratto sveglio.
«Ti
prego, vienimi a prendere» lo pregai.
«Corro,
piccola! Dove sei?!» domandò con apprensione
«Al
Limelight» risposi.
«Il
tempo di vestirmi e sono da te»
«Grazie»
singhiozzai.
E
quella fu l'ennesima conferma che l'unico di cui mi potessi davvero
fidare, l'unico che tenesse realmente a me, la persona più
importante per la sottoscritta fosse Federico.
________________________________________________________
Eccomi
qui!
Come al solito dico: non mi convince >.< Ma oramai sarete
abitaute a sentirmelo dire. Non riesco a farmeli piacere, forse
perché non sono come me li immaginavo.
Vabbè! Parliamo della nostra Alice. Lei non riesce a
smettere di pensare a Dario, nonostante i suoi sforzi. Anche se mbra
che Federico le sia di molto aiuto in questo momento. I due si sono
avvicinati di nuovo, la loro amicizia si sta rafforzando sempre di
più e chissà se rimarrà tale o
diventerà qualcosa di più :)
Quindi, per non pensare a Dario, la nostra cara Alice che fa? Va in una
discoteca piena zeppa di spogliarellisti perché vuole
cominciare a divertirsi, smettere di aspettare il suo vero amore che
è convinta non esista. Cerca di lasciarsi andare, ma
è sempre timorosa, sia con la sorpresa di Cristina che con
un coktail. Beh, diciamo che non l'abbiamo mai vista sotto questo punto
di vista, che beve alcool e che si lascia convincere a fare un
appuntamento al buio con un gigolò. Subito immagina che
lì dentro ci sia Dario e un po' per questo, un po' per
l'alcool in circolo, non riesce a trattenersi e si lascia trasportare
un po' troppo. Ma la passione tra i due è talmente forte,
che non riesce a controllarsi. Ma è anche normale, no, visto
che il ragazzo è davvero Dario. E dunque un nuovo incontro
passionale con il gigolò, anche se la situazione precipita
ancora una volta. Dario torna sui suoi passi, le chiede scusa, ma
questa volta è Alice a non volerne sapere. Lui l'ha illusa e
crede che i suoi sentimenti possano essere calpetsati di nuovo da lui.
Sembra proprio che tra i due sia tutto finito e che la persona 'giusta'
per Alice sia il dolcissimo Federico :3
Beh, aspettiamo i prossimi capitoli per vedere che cosa
accadrà alla nostra Alice :)
Detto questo, passiamo ai ringraziamenti.
Ringrazio le 17 persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le 153
che hanno inserito la storia tra le seguite, le 23 che l'anno inserita
nellericordate e le 79 che la preferiscono. Sono davvero felice di
questo successo >.< Vi adoro!
Ringrazio chi legge solamente.
Un grazie speciale alle mie due pazienti lover, Nessie
(attendiamo tutte una tua storia ù.ù) e
IoNarrante. Vi lovvo <3
E, adesso, scusatemi, ma la seccante pubblicità:
Red
District
You're
a mistake I'm willing to take - scritta con IoNarrante.
Come
in un Sogno - scritta con IoNarrante
Pagina
Facebook
Gruppo
Facebook
E siamo arrivati anche qui
alla fine.
Un bacio a tutti, vi
adoro! Siete la mia forza :')
Al prossimo capitolo
<3
|
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Capitolo 17 *** Buon compleanno ***
C a p i t o l o
16
Buon
compleanno
The
end.
Tutto
era finito quel maledetto 8 marzo. La mia menzogna, il mio continuare
a fingere, le mie chiacchierate con Dario, le nostre litigate, i
baci, i momenti di pura passione. Non ci sarebbe mai stato
più un
noi…
se poi c'era mai stato
realmente un noi, ma solo un io.
Io che piangevo ogni sera, io che avevo il cuore in pezzi, io che
avrei dovuto tornare a vivere la mia insulsa vita senza di lui, io
che avrei dovuto vivere senza un pezzo di me, della mia anima che
aveva seguito Dario e che non l'avrebbe mai lasciato.
Continuavo
a ripetermi che avevo fatto la scelta giusta a lasciarlo andare, a
non ricadere tra le sue braccia, ma il mio cuore sembrava non volersi
arrendere alla triste realtà. Chissà se sarei mai
riuscita a
trovare la forza per dimenticarlo, per dimenticare il mio primo
amore, per voltare pagina e permettere al mio cuore di battere di
nuovo per un altro ragazzo, al mio corpo di provare quelle sensazioni
uniche con un'altra persona.
Sospirai
e appoggiai il mento sul palmo della mano fissando la piscina davanti
a me. Non mi interessava affatto quella gara e ben presto tutto si
dissolse, ritrovandomi a rivivere il nostro primo bacio, sul suo
balcone con la pioggia battente. Avevo assaporato le sue labbra,
sentito le sue mani sul mio corpo, con il suo respiro caldo che mi
solleticava la pelle. Forse era stato quello il momento in cui mi ero
innamorata di lui, ma molto probabilmente questo era accaduto molto
tempo prima, quando lo avevo visto varcare la soglia di casa mia.
Sì,
ne ero più che sicura. Dario era entrato dentro il mio cuore
immediatamente, non appena avevo incontrato i suoi occhi. Lo avevo
sempre amato, e lo capii solo in quel momento che ero stata vittima
del cosiddetto ‘colpo di fulmine’. Mi chiedevo se
lui avesse
provato la stessa cosa, se anche lui sentisse lo stesso per me, se mi
avesse mai amata.
Un
pollice strofinò sulla mia guancia, raccogliendo le lacrime
che
sgorgavano dai miei occhi chissà da quanto tempo. Federico,
ancora
con i capelli bagnati e il costume da bagno, si sedette accanto a me,
stringendomi la spalla e stringendomi a lui. Appoggiai il viso sul
suo petto massiccio e umido, mentre lui mi cullava con il suo
abbraccio, rimanendo in silenzio a sopportare i miei ennesimi
singhiozzi. Se non ci fosse stato Abbate, molto probabilmente sarei
impazzita. Avevo assolutamente bisogno di qualcuno che mi stesse
accanto, che sopportasse i miei piagnistei, qualcuno che mi capisse e
che mi avrebbe aiutata a dimenticare Dario. E Federico era quel
qualcuno, il mio migliore amico, colui che rendeva più
leggere
quelle giornate che, senza di lui, sarebbero state interminabili ed
insopportabili.
«Scusami»
mormorai, tirando su con il naso.
«E
di cosa?» domandò, baciandomi tra i capelli.
«Perché
piango» risposi, prendendo un respiro profondo, cercando di
non
lacrimare più.
«Non
dire sciocchezze!» ridacchiò «Piangi
pure. Hai bisogno di
sfogarti» aggiunse dolcemente.
«Dio,
son diventata una piagnucolona!» sbuffai esasperata,
allontanandomi
da lui e alzando lo sguardo al cielo.
Mi
asciugai velocemente le lacrime e respirai a fondo, ingoiando il
groppone che mi stringeva la gola e smettendo si piangere, anche se
in realtà avrei voluto continuare fino a prosciugarmi.
«Allora»
esclamai con un sorriso tirato «Hai vinto?»
domandai, cambiando
discorso.
Federico
sospirò con un sorriso sornione e scosse lievemente la testa.
«Noto
che hai seguito» sogghignò ed io sorrisi
imbarazzata «Comunque,
sì, ho vinto» disse strafottente, strofinando la
punta delle dita
sul petto «Che ti aspettavi?! Sono il migliore»
«Ma
smettila!» esclamai, tirandogli un leggero pugno sul braccio
«Hai
vinto una stupida garetta di nessun conto»
«È
sempre una vittoria» ribatté lui
«Garetta dopo garetta arriverò
alle Olimpiadi»
Lo
guardai esaltarsi con sufficienza e le braccia incrociate, sorridendo
sorniona.
«Le
Olimpiadi» ripetei divertita «Non credi di puntare
un po' troppo in
alto?»
«Forse»
scrollò le spalle e si alzò, dirigendosi verso
gli spogliatoi con
la sottoscritta al seguito «Ma ognuno ha i suoi sogni. Io una
medaglia d'oro» si fermò all'improvviso, in mezzo
al corridoio e si
voltò verso di me «Tu il grande amore»
mormorò.
Si
abbassò per raggiungere il mio viso e posò
delicatamente le sue
labbra sulle mie. Fu un piccolo bacio, un semplice sfiorarsi di
labbra, un innocente assaporarsi che mi stupì e
imbarazzò.
«Vado
a cambiarmi» sorrise.
Sparì
dietro la porta degli spogliatoi ed io rimasi immobile come una scema
a fissare la parete di fronte a me con gli occhi sgranati,
sfiorandomi le labbra con le dita. Mi aveva baciata, anche se era
stato un semplice bacio a stampo e mi sentii tremendamente in colpa
nei confronti di Benedetta. Non poteva lasciarla, non per me, non lo
avrebbe mai sopportato, così come io non sarei
più riuscita a
guardare la mia migliore amica negli occhi. Poi, non mi sarei mai
messa con lui, non con il mio migliore amico, con l'ex di Germa.
Forse,
però, è lui il tuo principe azzurro. Lui
è l'unico che ti capisce
davvero, l'unico che ti sta accanto, l'unico che ti ama davvero.
Deglutii
a vuoto, stupita dai miei stessi pensieri. Ero ancora innamorata di
Dario e forse lo sarei stata per sempre, ma questo non mi impediva di
provare a stare con Federico, di diventare la sua ragazza.
No,
no e poi no!
Abbate
era il fidanzato di Germa e non dovevo fantasticare su di lui. Lui
era solo ed esclusivamente il mio migliore amico e non sarebbe stato
più di quello.
«Ecco
qui il campione!» esultò uscendo, con il borsone
che pendeva da una
spalla e un'orribile tuta blu che sembrava un pigiama.
Mi
strinse la spalla e mi avvicinò a lui, trascinandomi verso
l'uscita
del palazzetto.
«Fede...non
credo...che sia giusto» tentennai, con lo sguardo basso a
guardare i
nostri piedi.
«Cosa?»
chiese dubbioso.
«Quello
che hai fatto prima» risposi intimidita «Nei
confronti di Germa,
intendo»
«Era
un bacio a stampo!» ribatté lui imbarazzato
«Non... non
significava nulla»
Non
era per nulla convinto di quello che diceva, il suo tono di voce era
insicuro e traballante.
«E
poi» sospirò «io non voglio
più stare con Benedetta» ammise, con
un filo di voce.
Mi
allontanai da lui e lo guardai stupita, confusa ed incredula. Quello
che temevo si stava avverando e già mi spaventava quello che
mi
avrebbe detto Abbate, cosa avrebbe fatto Germa.
«Per-Perché?!»
balbettai.
Federico
si umettò le labbra e si sistemò il ciuffo biondo
e sbarazzino che
il vento aveva scompigliato. Si guardò le scarpe e
sbuffò,
grattandosi la nuca.
«È
petulante!» esclamò, aprendo le braccia e
facendole ricadere lungo
i fianchi «È asfissiante, gelosa, sospettosa. Mi
chiama ad ogni
minuto del giorno e mi fa il terzo grado. “Dove sei, con chi
sei,
cosa stai facendo”» sospirò, scuotendo
la testa «Mi toglie
l'aria! E io non riesco più a sopportarla. È una
cara ragazza, una
buona amica, ma come fidanzata è insostenibile»
Boccheggiai
e vagai con lo sguardo, scrutando ogni centimetro dell'asfalto sotto
le mie scarpe.
«Fede,
non farlo» gli dissi, stringendogli le mani «Non
per me» aggiunsi,
sicura che quella fosse una scusa.
Abbate
si morse le labbra e sorrise imbarazzato, fondendo le sue iridi
nocciola con le mie.
«Non
l'ho sto facendo per te» sospirò «Te lo
giuro. So benissimo che
con te non ho speranze, che sei innamorata di quel ragazzo. La lascio
perché non sto bene con lei, tutto qua. Molto probabilmente
ho
sbagliato fin da subito a mettermi con Benedetta, ma volevo lasciarmi
la delusione per te alle spalle e stare con lei mi sembrava la
soluzione migliore. Credevo che, con il tempo, mi sarei innamorato di
lei, ma è davvero troppo gelosa per i miei gusti»
Guardai
in quei suoi occhi dolci, trovandoci sincerità e delusione.
Era
amareggiato per le sue stesse parole, perché il mio cuore
era stato
ghermito da Dario e pensava che non sarebbe mai appartenuto a lui. Ma
le strade del destino erano imprevedibili, così come lo era
il cuore
fragile di una ragazza ferita che aveva solo voglia di essere amata.
Rimanemmo a fissarci per alcuni secondi, mani nelle mani, occhi negli
occhi, senza proferire una sola parola.
«Comunque»
sospirò, liberandosi dalla mia stretta e riprendendo a
camminare
«Cos'è successo ieri sera? Non te l'ho chiesto
subito perché eri
sconvolta!»
Già,
non gli avevo detto nulla. Avevo pianto per tutto il tragitto in
moto, bagnando la sua giacca con le mie lacrime e lui, sensibile come
sempre, era rimasto in silenzio, non si era intromesso nei miei
sentimenti e nel mio dolore.
«Dario»
risposi in un soffio «Doveva essere una serata di sole donne,
spensierata e divertente. E invece c'è stata la sorpresa.
Era il
nostro regalo per la festa della donna e abbiamo litigato,
ovviamente. Ma questa volta è veramente tutto finito. Ho
chiuso con
lui»
«Mi
dispiace. Immagino come starai soffrendo» mormorò.
«Ho
il cuore a pezzi» ribattei, con un sorriso amaro
«Dovrei odiarlo,
invece continuo a pensarlo, ad amarlo. Sono una stupida»
«Non
è vero» disse Federico, sorridendomi
«L'amore è un sentimento
nobile e non bisogna sentirsi stupidi»
«Sarà
anche nobile, ma è più affilato di una
spada» risposi «Ferisce e
preferirei rimanere sola tutta la vita, piuttosto che soffrire
così
un'altra volta»
«Alice,
non privarti di qualcosa di così meraviglioso come
l'amore» sorrise
«Le ferite sono temporanee, si rimarginano e non devono
assolutamente condizionarti» si fermò davanti a me
e mi strinse le
spalle «Ama, Alice. Continua ad amare e prima o poi troverai
qualcuno degno di ricevere il tuo amore».
Sorrisi
a quelle parole, sentendo un minimo di conforto crescere in me.
Federico aveva ragione, perché privarmi dell'amore solo per
aver
sofferto con Dario? Il mondo era pieno di ragazzi e sicuramente ce
n'era uno che stava aspettando me, che mi avrebbe amato, apprezzato,
che sarebbe stato degno del mio amore. Io sarei stata la sua
principessa, lui il mio principe azzurro, ed avremmo vissuto la
nostra favola così come avevo sempre immaginato da quando
ero
piccina.
Magari
era Federico il ragazzo che aspettavo.
«Grazie
Fede» mormorai abbracciandolo «Non so come farei
senza di te e
senza il tuo conforto»
«È
il minimo che dovrebbe fare un migliore amico, no?»
Lo
guardai negli occhi e sorridemmo all'unisono. Mi morsi un labbro,
prima di alzarmi sulle punte e spingerlo verso di me per potergli
dare un bacio sulla guancia. Strofinai il mio naso contro la sua
canappia e poi appoggiai la fronte contro la sua.
«Ti
voglio tanto bene» mormorai.
«Se
dicessi anche io, mentirei»
«Come
va con mio fratello?» domandai a Claudia, appoggiandomi al
pilastro
nell'atrio nell'attesa dell'arrivo di Benedetta.
«Va»
scrollò le spalle, incrociando poi le braccia «Ci
frequentiamo»
aggiunse, non del tutto convinta.
Aggrottai
la fronte e sorrisi sorniona. Avevo imparato a conoscerla e quando
rispondeva con tono vago, dondolandosi da un piede all'altro voleva
dire che nascondeva qualcosa. E lo stesso valeva per Smell che, da
quel 14 febbraio, sembrava molto più felice e sorrideva in
continuazione, cosa mai successa visto che teneva sempre il broncio.
«No
ok!» trillò d'un tratto prendendomi le mani
«Raffaele è
fantastico. È così dolce, è un
cucciolotto e ci piacciono le
stesse cose. Assolutamente incredibile!»
«Sei
sicura di star parlando di Raffaele Livraghi? No, perché da
come lo
descrivi sembra un'altra persona» ridacchiai.
«Sicurissima,
mia cara» rispose con un sorriso «E devo
ringraziarti per avermelo
fatto conoscere!» cinguettò con le guance rosse.
«Oddio,
non credevo possibile che qualcuna potesse prendersi una cotta per
mio fratello» commentai sarcastica ed incredula.
«Sarà
che mi accontento di poco» ribatté e scoppiammo a
ridere «Diciamo
anche che ha delle doti nascoste».
La
guardai dubbiosa e Claudia indicò verso il basso. Ci volle
un po'
prima di riuscire a capire che stava parlando di sesso. Nono solo
quei due si frequentavano, ma erano già arrivati in quarta
base nel
giro di nemmeno un mese. Ero l'unica che non la smollava dopo il
primo appuntamento.
«Comunque,
Ben mi ha detto cosa è successo sabato al
Limelight» se ne uscì ad
un tratto ed io rimasi impietrita.
«Cos'è
successo?!» feci la finta tonta.
«Che
hai litigato con il gigolò che c'era alla festa»
sospirò «E che
quel gigolò era Edoardo. O meglio, Dario».
Incrociò
le braccia e mi guardò con sufficienza. Bene, ero stata
scoperta.
Non ci voleva molto a fare due più due, a capire la farsa
che avevo
creato. Boccheggiai e abbassai lo sguardo, fuggendo da quello
perlaceo di Claudia.
«Alice,
perché non ci hai detto la verità?! Siamo le tue
migliori amiche»
«Già»
sospirai «Avrei dovuto dirvi che non esisteva nessun Edoardo,
ma
avevo paura che mi avreste presa in giro»
«Tesoro!»
esclamò, abbracciandomi «Non lo avremmo mai
fatto!».
Ricambiai
la stretta e sorrisi. Ero stata una stupida a non fidarmi di loro.
Avrei dovuto dire subito la verità, fregarmene degli altri,
così
magari avrei anche evitato di conoscere Dario.
«Lui
ti piace, vero?» domandò, vicino al mio orecchio
«A San Valentino
eravate così affiatati e tu eri visibilmente
cotta!»
«Sì»
ammisi in un soffio «Ma abbiamo chiuso
definitivamente»
«Perché
mai?» chiese perplessa, sciogliendo l'abbraccio.
«Perché
è un idiota. Ha giocato con i miei sentimenti»
confessai con un
filo di voce.
«Umpf...
uomini!» esclamò «Sono tutti uguali.
Lascialo perdere, ne troverai
sicuramente uno migliore di lui, magari che faccia anche un altro
mestiere».
Ridacchiai
ed annuii mestamente.
«Chi-chissà
Germa» cambiai discorso, imbarazzata, soffocata ancora una
volta dal
pensiero di Dario. Non dovevo pensarlo o sennò non sarei mai
più
riuscita a dimenticarlo.
«Strano
che non sia già qui» rispose preoccupata Claudia.
Guardai
l'orologio che segnava quasi le otto e di Benedetta nemmeno l'ombra.
Iniziai a preoccuparmi di non vederla arrivare, dato che lei era
sempre la prima a mettere piede nella scuola. Se si fosse sentita
poco bene, mi avrebbe scritto un messaggio, così come se
avesse
deciso di rimanere a casa a poltrire. Ma il mio cellulare era rimasto
muto per tutta la domenica e quel lunedì mattina, per cui
cominciai
a farmi ‘i film’ peggiori. Pensai che avesse fatto
un incidente,
che un maniaco l'avesse rapita per fare un gioco sadico stile Saw
o che fosse stata uccisa da un serial killer. O peggio, era
arrabbiata con me per la bugia su Edoardo. Era sicuramente
così, era
furiosa perché le avevo nascosto la verità.
«Magari
è solo in ritardo» ipotizzò Claudia
«Direi di iniziare a salire
che tra poco iniziano le lezioni».
Annuii
e diedi un ultimo sguardo fuori dalla porta a vetri sperando di
vederla arrivare, ma di lei non c'era traccia. C'erano solo ragazzi
che fumavano e quel demente di Saronno che aveva ancora il coraggio
di salutarmi. Di tutta risposta gli alzai il medio, godendomi la sua
faccia da merluzzo sotto sale e mi incamminai verso la mia classe,
raggiungendo Claudia sulle scale.
«Ci
vediamo all'intervallo» disse, raggiunta la sua aula
«Adesso provo
a scriverle per vedere se va tutto bene»
«Ok»
soffiai e la salutai senza entusiasmo, continuando a percorrere il
corridoio.
Il
professore non era ancora arrivato a giudicare dai miei compagni che
bighellonavano. Senza nemmeno essere notata da loro, entrai in
classe, sperando di trovarvi Benedetta. Ma il suo posto era vuoto e
sentii il mondo crollarmi addosso. Non volevo perdere Germa per una
stupida bugia, per quel cretino di Dario.
Sospirai
ed andai a sedermi al mio banco. Il chiacchiericcio infernale che
c'era in quell'aula, ma soprattutto il continuo coccodè
di quelle galline delle mie compagne erano insopportabili,
perciò
acchiappai il mio Ipod per estraniarmi da quella classe, anche se in
realtà non avevo nemmeno voglia di ascoltare musica. Non
cambiai
nemmeno la modalità, lasciandolo sintonizzato su radio
DeeJay, la
stazione che ascoltava mia madre in continuazione.
Pubblicità,
noiosa pubblicità radiofonica. Programmi, prodotti di
cosmesi,
partecipa al concorso per diventare Deejay…
Sbuffai
sonoramente ed, improvvisamente, una cuffietta mi venne strappata
dall'orecchio. Alzai lo sguardo ritrovandomi di fronte la Cariati con
le braccia incrociate con l'inseparabile Lamira che imitava qualsiasi
gesto di Cristina.
«Ciao
Alice!» miagolò la bionda.
«Ciao»
risposi intimidita.
«Devi
assolutamente dirci cosa è successo sabato!»
esclamò.
Lei
e la sua stupida passione per il gossip. Sapevo che non sarei
riuscita a scappare alle sue grinfie e sapevo anche che mi ero messa
in un bel pasticcio.
«Ti
abbiamo vista scappare» intervenne Francesca.
«Niente
di che» sorrisi tesa «Ha solo allungato un po'
troppo le mani»
mentii.
«Veramente?!»
cinguettò Cristina, portandosi una mano sul cuore
«A me sembrava
che voi due vi conosceste molto bene. Conoscevi addirittura il suo
nome e lui si scusava con te»
Non
le sfuggiva proprio nulla a quella gallina. Deglutii a vuoto ed
annaspai, senza sapere che cosa rispondere.
«Una
semplice studentessa del liceo che conosce un gigolò. Che
per giunta
è lo stesso ragazzo che era alla festa di San Valentino con
te, o
sbaglio?» sorrise sorniona.
Abbassai
lo sguardo, senza fiato, senza parole per chiudere il becco di
quell'oca. In quel preciso istante avrei tanto voluto essere
risucchiata dal pavimento o essere rapita dagli alieni, piuttosto che
sostenere lo sguardo intenso di Cristina.
«Dovrà
pur significare qualcosa tutto ciò!»
esclamò, fingendo
perplessità.
«Sì,
che è una bugiarda» disse una voce alle sue spalle
e d'improvviso
apparve Benedetta, struccata, i capelli scompigliati e gli occhi
pieni di rabbia.
Mi
alzai di scatto dalla sedia e la raggiunsi, pronta a spiegarle tutto,
a dirle la verità ma non feci nemmeno in tempo ad aprire
bocca che
la mano di Germa mi colpì con furia una guancia, emettendo
un suono
sordo che zittì i miei compagni. La guardai con gli occhi
sbarrati,
massaggiandomi la gota, incredula per quello che aveva appena fatto.
«Benedetta»
mormorai tremante.
«Sei
una stronza Alice!» sbraitò, cominciando a
piangere.
«È
per Edoardo?» chiesi sconvolta.
«Non
m'importa nulla di Edoardo, Dario o come cavolo si chiama!»
rispose
mettendosi le mani tra i capelli «Tu, sei solo una
puttana» sibilò,
puntandomi un dito contro.
Ero
basita, completamente senza parole di fronte a quell'indice tremante,
di fronte a quella Benedetta in lacrime che mi offendeva con rabbia.
«Dovevo
capire che dietro il faccino da santarellina che ti ritrovi si
nascondeva una troia» ringhiò.
«Germa,
io...» tentai di dire.
«Sta’
zitta!» sbraitò così forte che la voce
le si strozzò in gola «Ti
ho vista con Federico ieri pomeriggio. Ero andata in piscina per
fargli una sorpresa, lui credeva che io fossi da mia nonna. E cosa
scopro?!» serrò i pugni e strizzò gli
occhi «Voi due che vi
sbaciucchiate!»
«No,
Ben! Hai frainteso!» esclamai e cercai di afferrarle le mani,
ma lei
le ritrasse.
«Ah
sì?! Allora spiegami perché la sera stessa mi ha
mollata» mormorò,
cercando di controllare i singhiozzi «Coincidenza?! Non credo
proprio. Tu sei l'altra, quella che ha allontanato Federico da
me»
«Ti
sbagli Ben» soffiai, quasi al limite della disperazione.
«E
non tentare di calmarmi con quelle lacrime di coccodrillo»
mormorò
«Credevo di aver trovato un'amica e invece mi hai pugnalata
alle
spalle» abbassò lo sguardo e si morse le labbra.
Era la prima volta
che la vedevo così fragile, così indifesa e la
colpa era soltanto
mia. «Ti odio Alice. Vorrei dirti di non farti più
vedere da me, ma
purtroppo siamo nella stessa classe. Per cui, vedi di ignorarmi, da
ora in poi. E non provare a cercarmi, non voglio più sentire
la tua
voce stridula»
Si
voltò di scatto e andò a sedersi in fondo alla
classe, vicina alla
finestra. Avevo gli occhi di tutti posati su di me, perfino quelli
del professore che era rimasto ad assistere incredulo a quel litigio.
Mi sentivo morire, ferita dallo sguardo pieno di rabbia di Benedetta,
logorata dentro da quelle parole.
Ti
odio.
La
mia migliore amica mi odiava. Nel giro di poco tempo avevo perso due
delle persone più importanti per me… prima Dario,
poi Benedetta. E
l'artefice di tutto quel trambusto ero io.
Benedetta,
oramai, si comportava quasi come se io fossi morta. Non un saluto,
non un cenno, nemmeno uno sguardo. Anche lei, come Francesca era
diventata una specie di caricatura della Cariati. La seguiva dovunque
andasse, rideva a qualsiasi sua battuta, si comportava da stronza
esattamente come Cristina. Ed io mi sentivo sempre più sola.
Certo,
c'era Claudia, che però doveva dividersi tra me e Benedetta,
lavoro
non semplice per lei che doveva sorbirsi i nostri piagnistei in
continuazione. Poi c'era Federico, la
mela della discordia, colui
che aveva spezzato il cuore della mia migliore amica. Forse avrei
dovuto tagliare i ponti con lui, scaricargli addosso tutta la colpa,
ma non ci riuscivo. Sapevo bene che tutto era nato per colpa mia, per
quella mia stupida bugia, per cui non potevo prendermela con Abbate.
Per
cui, ricaddi nuovamente in quella spirale di tristezza che credevo di
aver superato. Ormai, la mia infelicità era cronica. A tutto
questo
si aggiungeva il mio compleanno.
Il
diciottesimo.
Un
traguardo per tutti, da festeggiare in discoteca con migliaia di
amici e fiumi di alcool. Peccato che per me non fosse così.
Era un
giorno come tutti gli altri, monotono e triste e le uniche cose che
mi ricordavano che era il 13 marzo erano gli auguri sporadici che mi
arrivavano sul cellulare dai parenti e la torta gelato che aveva
comprato mia madre. Non mi ero mai immaginata di passare il mio
diciottesimo compleanno in un locale notturno, ma nemmeno chiusa
nella mia stanza abbracciata al cuscino.
Suonarono
al citofono e sospirai scocciata di dover abbandonare il mio
confortevole letto. Mi trascinai svogliatamente verso il citofono,
chiedendomi chi rompesse le scatole alle quattro del pomeriggio.
«Sì…»
biascicai senza entusiasmo.
«Stavo
cercando Livraghi Alice» disse una voce scura.
«So-sono
io» tentennai insicura.
«Mi
hanno detto che oggi è il suo compleanno! E di farla
scendere, che
c'è qualcuno che la sta aspettando»
Sorrisi,
scuotendo la testa, capendo solo in quel momento che a parlare era
Abbate.
«Che
vuoi Fede? Non ho davvero voglia di uscire»
«Volevo
darti il mio regalo di compleanno!» rispose
«Scendi, dai!» mi
pregò.
«Arrivo»
sbuffai.
Fortunatamente
ero ancora vestita, per cui non persi tempo e raggiunsi Federico
fuori dal palazzo. Mi sorrise e mi strinse a sé, baciandomi
tra i
capelli. Lo squadrai da capo a piedi, ma non sembrava avere con
sé
nulla, se non la sua moto.
«E
il regalo?» domandai perplessa.
«Dobbiamo
raggiungerlo» rispose con ovvietà.
Aggrottai
le sopracciglia, sempre più dubbiosa.
«Non
fare domande. Avvisa solo tua madre che tornerai per le otto a
casa»
Che
cosa diavolo aveva architettato Abbate?! Titubante, suonai al
citofono e spiegai ad un geloso Smell che sarei uscita con Federico.
Afferrai
il casco che Abbate mi stava tendendo e lo indossai, salendo sul quel
mostro a due ruote. C'ero già stata sulla moto, ma ero
troppo
depressa per potermi preoccupare della sua pericolosità.
Però
quella volta ero abbastanza lucida da impaurirmi anche solo
sentendola sgasare. Avevo timore di cadere da quel trabiccolo, di
rimanerci secca.
Non
appena la moto partì, strinsi il busto di Federico,
aggrappandomi
alla sua giacca e affondando il viso nella sua schiena. E non avevo
la minima intenzione di staccarmi da lui, di guardarmi intorno e
vedere le macchine sfrecciarmi di fianco. Avevo fin troppa paura
della velocità e se avessi visto la moto zigzagare tra le
auto mi
sarebbe venuto un infarto.
Per
tutto il tragitto mi canticchiai quasi tutta la discografia di
Tiziano Ferro per dimenticarmi di essere su una moto che viaggiava a
chissà quanti chilometri orari. Non seppi nemmeno quanto
tempo
impiegammo per raggiungere il mio regalo, avevo perso qualsiasi
cognizione.
«Siamo
arrivati» annunciò a gran voce Federico, spegnendo
la moto.
Si
era fermato su una piccola strada che costeggiava un verdeggiante
boschetto. Scesi da quel trabiccolo, guardando stranita le villette
di quel paesello. Non avevo la benché minima idea di dove
fossi, né
tanto meno cosa avesse in mente Federico. Mi tolsi il casco,
tendendolo ad Abbate, che lo sistemò dentro il sellino della
moto.
«Seguimi»
disse, trascinandosi dietro il mostro a due ruote ed inoltrandosi nel
boschetto.
«Che
cosa hai in mente, Federico?!» domandai a gran voce,
seguendolo
titubante.
«Fidati
di me!»
Insomma,
mi stava chiedendo di andare con lui in un bosco, tanto sicura non lo
ero. Se fosse impazzito tutto d'un tratto e avesse dei pensieri
sconci su di me? Se avesse voluto farmi del male? Magari era sempre
stato un maniaco ed io non me n'ero accorta.
Tutti
questi pensieri tragici vennero spazzati via non appena vidi apparire
davanti a me una distesa azzurra e cristallina. Rimasi estasiata nel
vedere quell'immenso lago nel quale si specchiavano gli alberi e il
sole. Sembrava quasi di essere dentro ad un quadro, con quei colori
tenui e romantici.
«È...
è bellissimo» mormorai, avvicinandomi alla riva.
«Il
lago di Pusiano» commentò Federico, affiancandosi
a me e
stringendomi la spalla «Mio nonno mi ci portava sempre quando
ero
piccolo»
«È
questo il mio regalo?» domandai, persa in quello spettacolo
naturale.
«Già»
rispose «Volevo che ti ricordassi questo giorno per sempre.
Aspetta
di vedere il tramonto»
«Davvero
splendido» mormorai «Grazie Fede».
Abbate
arrossì, abbassando lo sguardo e sorrise. Rimanemmo stretti
a
guardare il lago per alcuni secondi, coccolati dal vento che spirava
tra gli alberi e che increspava l'acqua.
«Ti
piace nuotare, vero?» domandai, sorridendo sorniona.
«Sì,
ovvio» rispose con le sopracciglia abbassate.
«Bene»
ridacchiai.
Gli
strinsi un braccio e lo trascinai, cercando di spingerlo dentro il
lago. Ma spostare Abbate era come cercare di muovere una montagna.
Lui puntò i piedi nel terreno e ogni mio tentativo di
spingerlo in
acqua era vano. Era immobile e rideva mentre io cercavo
disperatamente di farlo muovere da lì.
Improvvisamente,
Federico mi afferrò il polso, trascinandomi verso di lui e
mi
sollevò da terra, prendendomi in braccio. I suoi occhi
sprizzavano
furbizia, così come il suo sorriso appena accennato.
«Non
ci provare» gli intimai, puntandogli un dito contro e
ridacchiando.
«Tu
volevi buttarmi in acqua, per cui ti accontento»
ribatté,
avvicinandosi all'acqua «Però tu vieni con
me!».
Cominciai
a dimenarmi per liberarmi dalla sua presa, ma la sua stretta divenne
più forte. Non volevo finire in acqua e fare un bagno fuori
stagione, anche perché sarei sicuramente annegata.
«No,
ti prego, Fede, lasciami!» lo supplicai ridendo.
Nemmeno
gli occhi dolci lo convinsero a lasciarmi andare. Entrò in
acqua e
lo sentii tremare per il gelo del lago. Avvolsi le mani intorno al
suo collo, stringendomi ancora di più a lui
perché non volevo
assolutamente sfiorare quell'acqua che sembrava gelida. Ma le mie
preghiere furono inutili e Federico mi gettò nel lago.
Scoppiò a
ridere, mentre io annaspavo per cercare un po' d'aria ed evitare
così
di annegare.
«Federico
Abbate sei un uomo morto» sibilai, completamente zuppa.
Fortunatamente
toccavo, per cui, impacciata, mi avvinai a lui, schizzandolo.
Ridacchiai, mentre lo vedevo scappare da me con le mani davanti al
viso per pararsi dai miei schizzi. Ormai mi ero dimenticata del gelo
di quel lago, pensavo solo a divertirmi ad inseguire Federico. Come
al solito, lui riusciva a rallegrare le mie giornate, ad illuminare
con la sua gioia momenti estremamente bui. Con lui mi sentivo felice,
anche avendo il cuore infranto, anche dopo aver perduto la mia
migliore amica. Era sufficiente solo il suo sorriso perché
mi
rallegrassi.
«No,
dai, basta!» si lagnò, cercando di scappare dagli
schizzi.
«Mi
sto solo vendicando!» esclamai divertita, inseguendolo e
continuando
a spruzzarlo.
Uscì
fuori dall'acqua scuotendo la testa e si sistemò i capelli
bagnati.
Lo raggiunsi sulla riva e scoppiammo a ridere come due scemi. Mi
avvicinai a lui, con il fiatone, zuppa dalla testa ai piedi e la
pelle d'oca e Federico mi strinse a sé, strofinandomi le
braccia con
le sue mani morbide per cercare di riscaldarmi.
«Un
bel bagno fuori stagione era proprio l'ideale»
ridacchiò.
«Soprattutto
in un lago ghiacciato» ribattei, ridendo.
«Prevedo
una bella settimana di febbre»
I
nostri occhi si incontrarono e le nostre iridi si fusero all'istante.
Sentii un piccolo guizzo nel petto, come se il mio cuore stesse
riprendendo a palpitare irregolarmente per qualcuno… per
Federico.
Rimasi a fissare le sua labbra carnose ancora bagnate e sentii lo
strano desiderio di concludere quello che avevamo cominciato sul mio
divano più di un mese prima e che Smell aveva interrotto. Mi
morsi
un labbro ed affondai una mano tra i suoi capelli biondi, alzandomi
sulle punte. Federico deglutì e si abbassò verso
di me, sfiorando
le mie labbra con le sue.
Al
diavolo Dario e i suoi sbalzi di umore, al diavolo Benedetta e il suo
odio, al diavolo tutto e tutti. Quella era davvero la volta buona che
le pagine della mia esistenza cominciassero a scorrere, veloci,
lasciandosi alle spalle la mia vecchia vita alle spalle. Con
Federico, piano piano, avrei sistemato i pezzi del mio cuore, avrei
ricominciato ad amare, avrei smesso di pensare a Dario. Lui sarebbe
stato il mio nuovo inizio.
Con
la punta della lingua gli solleticai le labbra, che dischiuse subito
dopo per permettermi di entrare nella sua bocca. Le nostre lingue si
incontrarono per la prima volta e, impacciate ed intimidite, si
sfiorarono, come se volessero conoscersi. Dopo un primo momento di
esitazione da parte di entrambi, quel bacio si fece più
passionale,
quasi travolgente. Federico mi cinse i fianchi, stringendomi a lui,
facendo aderire i nostri corpi bagnati. Mi lasciai completamente
trasportare da quel bacio, mordendogli di tanto in tanto il labbro
inferiore ed esplorando con le mani il suo corpo scultoreo attraverso
gli indumenti fradici. Il mio respiro si fece irregolare e mi sentii
andare a fuoco a sentire quei muscoli quasi perfetti scivolare sotto
le mie dita. Intanto, le mani di Federico s'infilarono lentamente
sotto il mio maglioncino, percorrendo con i suoi delicati
polpastrelli la mia schiena in tutta la sua lunghezza e lasciandosi
dietro una scia di brividi che si propagarono in tutto il mio corpo.
Ero
stata travolta da quella passione, da quel bacio dolcissimo, ma non
riuscii a non pensare a Dario, alle sue labbra e al suo corpo, al suo
odore e tutto ciò che era legato a lui. Sentivo la sua
mancanza e
per un solo istante sperai che al posto di Federico ci fosse lui.
No,
no, no!
Stavo
sbagliando tutto! Dario faceva parte del mio passato, doveva
perlomeno, invece Federico era il mio presente e forse anche il mio
futuro.
Le
labbra di Abbate si allontanarono dalle mie e lui appoggiò
la sua
fronte sulla mia. Ancora una volta ci ritrovammo occhi negli occhi,
senza niente da dire, senza parole per poter descrivere quello che
era appena successo. Eravamo entrambi imbarazzati, spiazzati da quel
bacio e le nostre guance avevano lo stesso color porpora. Deglutii e
mi morsi il labbro inferiore, indecisa se dare voce ai miei pensieri
oppure tacere.
«Che»
presi un respiro profondo «Che ne dice se...»
esitai ancora
«provassimo a stare insieme» azzardai, sfuggendo al
suo sguardo e
torturandomi le labbra.
Federico
esitò qualche secondo, prima di sospirare e allontanarsi da
me,
scrollando la testa.
«No»
rispose esitante.
Sgranai
gli occhi, incredula di fronte all'ennesimo rifiuto. Credevo che lui
provasse qualcosa per me, che non mi avrebbe mai negato il suo amore
e invece mi ritrovavo di fronte ad un No
di Federico, l'unico di cui non avrei mai dubitato.
«Alice,
credimi, io vorrei tanto stare con te. È da quando avevo
undici anni
che sono innamorato di te, ma» sospirò affranto,
scuotendo la testa
«so che tu non proverai mai nulla per me. Sono solo un
ripiego»
«Non...
non è così» ribattei insicura.
«Sì
invece! Lo fai solo perché vuoi dimenticarti di quel
Damiano,
Daniele o come diavolo si chiama. E stai commettendo un grosso
errore, il mio stesso errore. Per non pensare a te, io ho fatto
soffrire una ragazza» abbassò lo sguardo e
calciò un legnetto «Ed
io non voglio soffrire e perderti di nuovo. Perché
è chiaro che tra
di noi non potrà mai funzionare. Tu non sei abbastanza presa
da me e
questo rovinerà la nostra amicizia. Preferisco averti
accanto per
tutta la vita come amica piuttosto che pochi mesi come la mia
ragazza».
Lo
guardai stupita, colpita nel profondo da quelle parole. Nonostante
cercassi di convincermi che Federico fosse quello giusto, che lui
sarebbe stato addirittura il mio futuro, sapevo bene che il mio cuore
batteva ancora per Dario e che per Abbate non provavo nulla, se non
una semplice amicizia. E mi sentii una stupida per averlo baciato,
per avergli proposto di essere il mio ragazzo senza in
realtà
volerlo davvero. Prima di tutto, avrei dovuto allontanare Dario da
mio cuore, poi avrei potuto innamorarmi di nuovo di qualcuno.
«Scusami
Fede» riuscii solamente a dire.
Lui
sorrise mestamente e scosse la testa, affondando le mani nelle tasche
dei jeans. Si voltò verso il lago, avvicinandosi alla riva.
«Il
sole sta tramontando» sospirò.
Mi
avvicinai a lui e intrecciai le nostre dita. Il sole aveva colorato
il cielo di un rosso intenso, quasi come se le nuvole avessero preso
fuoco tutto d'un tratto. Anche il lago si era tinto di scarlatto,
abbandonando per qualche minuto il suo azzurro tenue che ci aveva
accolti. Il sole che si abbandonava al lago, che sembrava venir
avvolto dalle acque era uno degli spettacoli più belli e
emozionanti
che avessi mai visto e fui felice di condividere quel momento insieme
al mio
migliore amico.
Quando
il sole calò completamente lasciando il cielo in balia del
buio che
precedeva la notte, montammo nuovamente sulla mota diretti verso il
nostro paese. Mi sentivo quasi sollevata dopo quel pomeriggio al
lago, dopo le parole di Federico. Tra di noi non ci sarebbe mai stato
nulla, se non una grandiosa amicizia. Sicuramente, lì, da
qualche
parte, c'era qualcuno che ci stava aspettando, che attendeva di
essere trovato da noi ed essere amato. Ma, nell'attesa dell'arrivo
del nostro
vero amore,
avremmo contato sul nostro supporto, sulla nostra splendida amicizia
che ero felice di aver ritrovato.
Dopo
nemmeno un'ora eravamo arrivati sotto casa mia. Scesi dalla moto e
gli tesi il casco.
«Grazie
di tutto» gli dissi, abbracciandolo «E scusami
ancora»
«Nah,
tranquilla!» esclamò lui sorridendo «Me
ne farò una ragione prima
o poi» ridacchiò ed io mi unii a lui.
«Ciao,
allora» mormorai, indietreggiando.
«Ciao»
rispose lui in un soffio «E auguri».
Gli
lanciai un bacio con la punte delle dita e entrai nel mio palazzo,
salendo in fretta le scale.
«Sono
tornata!» esclamai e mia madre uscì dalla cucina,
strofinandosi le
mani nel grembiule.
«Ciao
tesoro!» disse, dandomi un bacio sulla guancia
«Auguri alla mia
piccolina!» trillò abbracciando «Ah,
prima che mi scordi!»
esclamò battendosi una mano sulla fronte
«È venuto qui il tuo
amico, quello di San Valentino. Ti ha lasciato qualcosa in
camera».
Il
mio cuore perse un battito e rimasi senza fiato. Dario era stato a
casa mia e la cosa mi lasciò senza parole. Mi precipitai
nella mia
camera e subito notai una scatoletta sul mio letto. L'afferrai subito
e sotto vi trovai un bigliettino, scritto con una calligrafia
elegante, chiara. Prima di tutto, aprii la scatolina blu trovandovi
dentro una fine collanina di oro bianco con appeso il ciondolo di una
fatina. La strinsi nella mano, avvicinandola al cuore, sentendo
immediatamente le lacrime premere agli angoli degli occhi. Inspirai a
fondo e lessi il bigliettino, lasciandomi poi cadere sul letto con la
collana stretta al petto e quel biglietto bagnato di lacrime.
Un
regalo per la mia piccola che oggi diventa grande.
Mi
dispiace molto per come sono andate le cose, ma sono sicuro che prima
o poi tutto si sistemerà e che tu potrai finalmente sentirti
la
principessa delle tue favole. Io mi limiterò ad essere la
tua
fatina.
Un
bacio e tanti auguri piccola mia <3
PS:
I MISS YOU
__________________________________
Con un tempo da record, eccomi ad
aggiornare!
Sono accadute molte cose in questo capitolo. Prima tra tutte la
litigata tra Alice e Germa! Si sapeva che prima o poi sarebbe successo.
Benedetta è innamorata di Federico e Federico è
innamorato di Alice, un bel casotto! Quindi, un litigio del
genere era nell'aria da un bel po'. chissà se la loro
amicizia è definitivamente chiusa :3
Claudia e Raffaele fanno coppia fissa, per la gioia di voi
lettrici. E pare che vada a gonfie vele tra i due. Per di
più, Claudia ha scoperto la verità su Alice e
Dario e non l'ha presa affatto male. Era la nostra cara protagonista a
farsi le paranoie, così come le ha detto Federico.
A proposito di quest'ultimo! Alla fine si è deciso a
lasciare Benedetta. Ha capito di aver sbagliato a mettersi con lei,
forse un po' troppo tradi. Ma errare è umano! E ancora una
volta si dimostra dolce e disponibile. È davvero l'apoteosi
dello zucchero questo ragazzo >.<
Il compleanno di Alice sembrava essere triste, ma arriva Abbate in
sella alla sua moto che la porta al lago a vedere il tramonto. Che
romantico ♥ . ♥ E ci scappa il bacio!
Alice vuole dimenticare Dario e l'unico modo crede sia quello di
fidanzarsi con Federico, commettendo così lo stesso errore
del suo amico.
La bella notizia è che Federico si è fatto da
parte, con vostra immensa gioia. Quella brutta è: che fine
ha fatto Dario? Le ha regalato la collanina, ma dove sarà?
Cosa starà facendo? Tra loro, ci sarà mai
qualcosa?
Bah...Never say never :3
Ringrazio le ben 24 (ragazze, sono commossa
ç___ç) che hanno recensito lo scorso capitolo. Mi
scuso se non ho ancora risposto >.< lo farò
presto.
Grazie alle persone che hanno inserito la storia tra le preferite,
seguite, ricordate.
Un grazie specialissimo a Nessie
e IoNarrante
che mi sopportano all day long!
Un po' di pubblicità:
Red
District
Come
in un Sogno - con IoNarrante.
You're
a mistake I'm willing to take - con IoNarrante...leggetela
per sapere qualcosa in più del nostro Dario ;)
Profilo
Facebook
Gruppo
Facebook - dove troverete spoiler, foto, novità,
contest e tanto divertimento (pare la pubblicità di un parco
divertimenti xD)
Detto qusto, vi saluto. Sono un po' di
fretta, lo ammetto ù.ù Ma dovevo postarlo questo
capitolo.
Al prossimo!
Un bacio a tutte/i! Vi adoro ♥
|
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Capitolo 18 *** Un passo indietro ***
C a p i t o l o 17
Un
passo indietro
Tutto
era tornato alla normalità. O, perlomeno, quasi tutto.
Benedetta,
dopo tre lunghissimi mesi era ancora arrabbiata con me e continuava
ad ignorarmi, nonostante i miei numerosi sms di scuse e i tentativi
di ricostruire quella meravigliosa amicizia che ci aveva sempre
legate. Anche Claudia aveva iniziato ad evitarmi senza un vero
motivo. Da un giorno all'altro era diventata sfuggente, accennava
solo dei vaghi saluti, per poi scappare tra i corridoi della scuola.
Su Facebook era impossibile parlarle dato che non si connetteva mai e
il cellulare era diventato un optional. In sostanza, mi era rimasto
solo Federico con il quale passavo la maggior parte del tempo. La
nostra amicizia era tornata quella di un tempo, solida, unica e mi
ero ripromessa di non allontanarlo più da me. Avevo bisogno
di un
confidente, di una persona fidata, di una spalla su cui
piangere…
avevo bisogno di Federico.
Per
il resto, la mia vita era tornata ad essere quella insulsa di sempre,
quella del pre-Dario,
ossia
televisione a go-go,
snack vari, qualche uscita con Federico e, ovviamente, senza lo
straccio di un ragazzo che mi filasse. In quei tre mesi non avevo
conosciuto nessuno e nessun essere del sesso opposto si era fatto
avanti, per cui il mio futuro da ‘zitella acida’ si
stava via via
concretizzando. Tutto nella norma, insomma. Ero tornata l'Alice
Livraghi di sempre, con le sue fantasie stupide e i filmini romantici
su ogni ragazzo piacente che vedesse. Ero perfino riuscita a mettermi
il cuore in pace, ero riuscita a dimenticare Dario.
… Più
o meno.
Anzi,
no. Era sempre il mio chiodo fisso, ma sapevo che con la perseveranza
sarei riuscita a scacciarlo dai miei pensieri. Certo che non sarei
mai riuscita nel mio intento se ad ogni occasione mi fiondavo al
computer per vedere le sue foto.
L'ultima
volta,
mi dissi mentre aprivo
il sito per signore. Cliccai sulla lettera B
e
scorsi tutta la pagina in
cerca del suo profilo che sembrava sparito. Controllai ancora e
ancora, ma di Blaine
non c'era traccia. Mi lasciai andare sullo schienale della sedia e
rimasi a fissare il monitor del mio computer dubbiosa, confusa e
triste. Quel dannato sito era l'unico modo per poterlo vedere ogni
volta che lo desideravo, ogni volta che avevo voglia di sentirlo un
po' vicino a me. Adesso che il suo profilo era stato cancellato, che
cosa mi rimaneva? Solo il ricordo dei suoi occhi e del suo odore, che
avevo paura, però, di dimenticare da un momento all'altro.
Strinsi
il ciondolo a forma di fatina che mi aveva regalato e dal quale non
mi separavo più, chiedendomi che fine avesse fatto il mio
Dario.
Trasferito? Nuovo
lavoro? Morto...
A
quel pensiero, sentii il fiato mancarmi e gli occhi annebbiarsi. No,
non poteva essere, non poteva avermi lasciata, non era possibile che
lui non c'era più. Ero troppo tragica, ogni volta pensavo
sempre al
peggio. Presi un respiro profondo e mi alzai dalla sedia. Sicuramente
stavo esagerando anche quella volta, non dovevo temere nulla. Eppure
non riuscivo a non essere in pena per lui.
«Alice,
c'è lo spilungone!» sbraitò Smell.
Diedi
un'ultima occhiata al monitor, prima di uscire dalla mia stanza e
regalare a Federico un sorriso falso quanto la banconota da un euro.
Avvolsi le braccia intorno al suo collo e gli schioccai un lungo
bacio sulla guancia.
«Come
sta la mia piccola?» mi chiese, strofinando il suo naso
contro il
mio.
Raffaele
assunse un'espressione schifata e fece finta di vomitare, prima di
chiudersi in cucina, l'unica stanza che non era stata invasa dal
caldo fuori stagione di quel maledetto Giugno.
«Che
idiota» mugugnai «Tutto bene, tu?»
«Bene»
scrollò le spalle, sedendosi sul divano «A parte
il caldo tropicale
insopportabile» borbottò imbronciato.
«Sembra
di stare nel deserto» ridacchiai, accomodandomi accanto a lui.
Federico
afferrò una rivista dal tavolinetto di fronte a noi e
cominciò a
sventolarsi per ricavare un po' di frescura in quella bollente
giornata.
«Gossip
dell'ultima ora» annunciò d'un tratto, entusiasta.
Appoggiai
il braccio sullo schienale del divano e mi accoccolai su di esso,
sorridente, attendendo il pettegolezzo di Federico.
«Ho
conosciuto una ragazza» esclamò con un sorriso
luminoso.
La
mia bocca si dischiuse per lo stupore e tutte le parole mi morirono
in gola.
«Da-davvero?!»
riuscii a chiedere incredula, fingendo allegria.
Avrei
dovuto essere felice per il mio migliore amico, ma non volevo che
anche lui si allontanasse da me. Con la nuova ragazza, io sarei
passata in secondo piano, forse non sarei stata nemmeno più
considerata e avrei perduto anche lui. Forse era egoistico pensarlo,
ma avrei voluto che anche lui rimanesse single, così da
poterlo
avere sempre accanto a me. L'unica nota positiva di tutto
ciò era
che, finalmente, era riuscito a dimenticarmi.
«Sembra
strano, ma dopo tre mesi sono riuscito a trovare qualcuno»
ridacchiò.
«E
come si chiama?» domandai curiosa.
«Cristina»
sospirò «Dovresti vederla!
È…» esitò qualche istante,
perdendosi nella visione estatica di quella ragazza
«Bellissima. Ha
due occhi verdi che sono magici».
Cristina...
occhi verdi... Cariati.
Sbarrai
gli occhi e spalancai la bocca. No, impossibile, Federico non era il
tipo a cui piacevano le ochette senza cervello.
«Cristina
Cariati» azzardai, tanto per esserne sicura.
«Sì!»
esclamò, afferrandomi la mano «La
conosci?»
«Purtroppo
sì. È una mia compagnia di classe»
soffiai «Si può sapere come
vi siete conosciuti?»
«Sua
sorella fa nuoto nella mia stessa piscina. E un giorno è
venuta a
prenderla. Abbiamo chiacchierato un po', poi abbiamo iniziato a
vederci e da cosa nasce cosa» fece il vago, gesticolando
«ieri sera
ci siamo baciati»
«E
tu hai aspettato tutto questo tempo per dirmi che ti vedevi con una
ragazza?» chiesi stizzita, incrociando le braccia.
«Volevo
prima essere sicuro che potesse nascere qualcosa tra di noi»
ribatté, sbattendo la rivista sulle gambe.
«Beh,
io sono la tua migliore amica e voglio saperle certe cose»
alzai il
tono della voce e scivolai lungo lo schienale.
«Dai,
scusami Alice. Non credevo che te la potessi prendere così
tanto per
una sciocchezza!» cantilenò, appoggiando la testa
alla mia spalla.
«Lo
sai che tra noi non ci devono essere segreti, ce lo siamo
promessi»
bofonchiai.
Dopo
che la mia stupida bugia aveva creato quel pandemonio, avevo deciso
che con chiunque persona a cui tenessi avrei sempre rivelato tutto e
pretendevo lo stesso. Per cui, il giorno dopo il mio compleanno,
avevamo entrambi promesso che tra di noi non ci sarebbero mai stati
segreti, avremmo confessato tutto, anche le più inutili
sciocchezze.
«Ok,
ho sbagliato! Scusami» sbuffò «Pacina
fatta?» imitò la voce di un bimbo, allungando il
mignolo verso di
me.
Allontanai
la sua mano, sorridendo e scuotendo la testa. Federico, nonostante i
diciotto anni e la stazza da un lottatore di wrestling, era ancora un
bimbo, un Peter Pan rinchiuso in un involucro di muscoli.
«Pace
fatta» sospirai.
Federico
s'imbronciò e ripropose nuovamente il suo mignolo.
«Dai
su, la canzoncina» borbottò.
Scossi
la testa con vigore e scoppiai a ridere.
«Non
ci penso nemmeno! Siamo grandi per queste cose!» esclamai
divertita.
«Uffa»
bofonchiò «Vorrà dire che mi
vendicherò per questo rifiuto».
Gli
occhi di Abbate si ridussero a due fessure e sorrise sornione.
Aggrottai la fronte e ridacchia nervosamente, allungando le mani per
difendermi dal corpo di Federico che si avvicinava lentamente a me.
«Che
vuoi fare?!» domandai preoccupata.
Le
braccia di Abbate si mossero rapide in una finta che mi fece
sobbalzare e emettere un gridolino strozzato. Lui scoppiò a
ridere
ed io, da stupida, abbassai la guardia per guardarlo infastidita e fu
quando incrociai le braccia che Federico mi pungolò il
fianco,
facendomi sussultare. Lo fece una seconda volta, poi una terza,
divertito dai mie urli e i miei tentativi di pararmi da quegli
insopportabili attacchi.
«La
volete piantare?!» sbottò mio fratello, facendo
capolino dalla
cucina «Sto cercando di ascoltare la radio».
Io
e Abbate ci scambiammo uno sguardo complice di sottecchi e scoppiammo
a ridere non appena Raffaele tornò in cucina ad alzare il
volume
della radio che poteva essere sentita anche dagli abitanti del
Canada.
«Comunque»
dissi, ricomponendomi e leggermente infastidita dalla voce di Linus
«Mi spieghi cosa ti piace di Cristina? È
insopportabile!»
«Non
sarà il massimo della simpatia, ma ha molti pregi»
«Tipo?»
domandai retorica, sorridendo «A parte le tette e il culo,
ovviamente»
«Beh»
temporeggiò Federico, grattandosi la nuca e schioccando la
lingua
più volte.
«Fede,
da te non me l'aspettavo!» sbottai stizzita «Sei
uguali a tutti gli
altri, che sbava dietro solo alle gnocche»
«Non
è vero!» ribatté lui con lo stesso tono.
«Sei
solo un superficiale» ringhiai, incrociando le braccia.
«Solo
perché mi piace una bella ragazza?»
tuonò «A quanto pare non
conosci Cristina. Non è solo bella. Ha un carattere forte e
deciso,
sa quello che vuole. È la sua determinazione che mi ha
colpito, non
certo il suo fisico» sbuffò, sbattendo contro lo
schienale «Sei tu
che giudichi le persone dall'aspetto, non io».
Rimanemmo
in silenzio, entrambi imbronciati, entrambi con le braccia conserte e
lo sguardo fisso davanti a noi. Forse aveva ragione. Io non conoscevo
Cristina, non avevo mai desiderato approfondire il nostro rapporto
praticamente inesistente. Partivo dal fatto che fosse bionda e di
bell'aspetto, arrivando alla conclusione che fosse stupida. Da come
si era infervorato Federico, doveva tenere molto a lei, e lui si
affezionava molto difficilmente, che faceva fatica a relazionarsi con
le persone. Lo guardai di sottecchi e notai che lui stava facendo lo
stesso. Ridemmo e lui mi afferrò il braccio, spingendomi
contro di
lui. Appoggiai la testa al suo petto, abbracciandolo e rimanemmo in
silenzio, stretti l'uno all'altra ad ascoltare la radio di Smell.
«E
anche oggi siamo arrivati alla fine di Deejay chiama estate!»
esclamò Linus «Ora
passeremo
la linea al vincitore del concorso Diventa
Deejay, subito
dopo le notizie
in breve. Qui in redazione tutte le donne sono in subbuglio per
questo nuovo acquisto...»
Chiusi
gli occhi e la voce di Linus diventò sempre più
ovattata, fino a
sparire completamente. Mi sentivo tranquilla tra le braccia di
Federico e il battito del suo cuore mi coccolò con il suo
suono. Non
dormii più di dieci minuti perché mi alzai di
scatto, correndo in
cucina per ascoltare la radio, per accertarmi che il mio udito non mi
stesse tirando un brutto scherzo.
«Dire
che sono emozionato è poco. Non mi aspettavo minimamente di
poter
vincere quel concorso e spero di essere all'altezza di questo lavoro.
Ma, bando alle emozioni e iniziamo questa puntata. Io sono Dario e vi
accompagnerò con la mia voce per tutta l'estate»
Sorrisi
e strinsi la collana, sentendo il cuore cominciare a battere con
più
vigore, quasi avesse trovato di nuovo la forza e la voglia di
pulsare. La sua voce era ancora più bella ed avvolgente di
quanto
ricordassi e sentirla nuovamente mi fece rabbrividire. Dario stava
bene e aveva cambiato finalmente la sua vita, aveva accantonato il
suo lavoro, magari anche la sua malinconia e questo mi
rallegrò.
Magari aveva anche cominciato la sua nuova vita con un'altra ragazza
che, speravo, lo amasse più di quanto avessi fatto io, per
renderlo
felice. Anche se provavo gelosia per questa ipotetica fidanzata, non
potevo non gioire sapendolo finalmente felice.
Federico
mi raggiunse dubbioso in cucina e tentò di dire qualcosa, ma
io lo
zittii, sedendomi accanto a Smell, concentrata sulla voce di Dario.
«L'estate
è ormai alle porte, mancano solo cinque giorni al 21 Giugno
e le
vacanze sono un po' il chiodo fisso di tutti noi. Già
immaginiamo
come possano andare, che cosa fare durante le nostre settimane di
puro relax. Quali sono i vostri piani per queste vacanze, come
vorreste passarle, con chi. Insomma, parlateci un po' di come vi
immaginate questa estate»
Sospirai,
completamente rapita dalla sua voce. Lo immaginai rinchiuso in uno
stanzino dalla parete di vetro con le cuffie e il microfono davanti
alla bocca. Mi sarebbe piaciuto essere lì con lui, per
poterlo
vedere ancora una volta, per poterlo guardare negli occhi. Non
ascoltai nemmeno la canzone che Dario aveva lanciato, l'unica cosa
che volevo sentire era lui che parlava.
«I
primi messaggi cominciano ad arrivare. Giacomo dalla splendida Roma
è
al settimo cielo perché quest'anno saranno le prime vacanze
che
passerà con i suoi amici. Scrive “Finalmente, alla
veneranda età
di diciotto anni, niente genitori tra i piedi e niente serate noiose
chiuso in albergo. Quest'anno si va in Sicilia a divertirsi! Ragazze,
alcool e ore piccole! Non vedo l'ora! E tu, che progetti
hai?”»
Dario
ridacchiò, prima di riprendere la parola.
«Io
vi terrò compagnia con radio Deejay, magari da qualche
località
balneare. La cosa più importante, però,
è far capire alla ragazza
più
importante per me, la ragazza con cui passerò queste vacanze
ed
altre mille se fosse possibile, quanto sia speciale»
Mi
morsi le labbra di fronte a quella pesante verità. Non lo
aveva detto esplicitamente, ma era chiaro che lui si fosse
innamorato di nuovo ed io ero solo la stupida ragazzina che
continuava a morirgli dietro. Avevo pensato che l'importante era che
lui fosse felice, ma non ne ero più tanto sicura. Immaginare
che ci
fosse una ragazza nel suo cuore era un conto, sapere che c'era
tutt'altro. Faceva tanto, troppo male. Il mio cuore perse tutto il
suo vigore, tornando a battere quasi svogliatamente. Mi alzai di
scatto dalla sedia sotto lo sguardo dubbioso di Smell e di Abbate.
«Io
vado a stendermi. Non mi sento molto bene» mentii
«Grazie Fede per
la visita».
Non
gli diedi nemmeno un bacio, me ne andai solamente dalla cucina
rinchiudendomi nella mia stanza. Avevo sbagliato a congedare
così
Abbate, con un freddo
Grazie
e con una scusa banale. Ma volevo stare da sola a crogiolare nel mio
dolore. Essendo passati tre mesi, non credevo che la sofferenza
arrecatami potesse essere ancora così insopportabile.
Mi
gettai sul letto e baciai il ciondolo che mi aveva regalato.
«Ti
amo» mormorai, bagnando il cuscino con le mie lacrime.
Avrei
voluto dirglielo, ma sarebbe stata un'altra a farlo. Cercai di
immaginarmela, bellissima, con un sorriso da mozzare il fiato, una di
quelle ragazze da copertina sempre curate e i vestiti all'ultima
moda. Tutto l'opposto di me, insomma. Chissà come si erano
conosciuti, chissà che cosa si dicevano e chissà
se lei era la
famosa Sole che continuava a tormentarlo.
Era
arrivato il momento di farmene una ragione, anche se questo mi
logorava dentro. Dovevo trovare la forza, una volta per tutte, di
lasciarlo andare, lasciare andare anche il suo ricordo.
«Piccola,
che succede?»
La
dolce voce di Federico mi riportò alla realtà.
Abbate si sedette
sul mio letto e mi accarezzò una guancia con il dorso della
mano.
«Ho
avuto un giramento di testa» mentii.
«I
giramenti di testa non fanno piangere» mormorò.
Raccolse
una mia lacrima con il pollice, poi poggiò le sue labbra
sulla mia
guancia in un lungo bacio.
«Ti
ricordi che tra di noi non ci devono essere segreti?»
«Hai
ragione» soffiai, mettendomi a sedere ed asciugandomi le
lacrime con
il palmo della mano «Il ragazzo alla radio era
Dario»
«Il
gigolò della festa?» chiese confuso.
Annuii
mestamente, incrociando le gambe e appoggiando le guance ai pugni
chiusi.
«Non
dirmi che sei ancora innamorata di quel tipo?!»
esclamò stupito.
Rimasi
in silenzio a disegnare con il dito i contorni dei fiori stampati
sulle lenzuola. Già, lo amavo ancora e non riuscivo a
capirne il
motivo.
«Ma
sono passati tre mesi!» sbottò incredulo.
«Lo
so!» risposi con lo stesso tono, battendo le mani sul
materasso «Ma
non riesco a levarmelo dalla testa! E mi sento talmente stupida ad
amare un ragazzo a cui, di me, non interessa nulla».
Abbassai
lo sguardo, affondando le mani tra i capelli. Era passato molto
tempo, ma lui continuava ad occupare il mio cuore. Fino a quando
sarebbe stato così? Fino a quando sarei riuscita a resistere
a
quella situazione insopportabile?
Federico
mi strinse una spalla, appoggiando la testa sulla mia e sospirando
sonoramente.
«So
bene che è difficile dimenticarsi del primo amore, ci sono
passato
anche io» sogghignò «Ma devi cercare di
reagire, di andare avanti
anche senza di lui. Esci, conosci gente e vedrai che poi
sarà molto
più facile dimenticarlo»
«Ci
ho provato, ma evidentemente non ci sono riuscita» bofonchiai
contrariata.
«Perché
non hai mai voluto dimenticarlo davvero!» ribatté
con un sorriso
«E, sinceramente, uno così non si merita nemmeno
una tua lacrima.
Ti ha illuso, ingannata, ti ha fatto innamorare di lui per calpestare
il tuo cuore e i tuoi sentimenti»
«Ma
mi ha chiesto scusa e io l'ho rifiutato» ricordai quella
dannata
serata dell'otto marzo.
«Non
osare sentirti in colpa per averlo allontanato» mi
ammonì brusco
«Hai fatto più che bene, Alice. Lui non
può scappare, ferendoti in
quel modo e poi tornare quando gli pare supplicando il tuo perdono.
Immagina solo quante volte avrebbe potuto fare una cosa del genere,
tanto sapeva che lo avresti scusato! Tu ti sei dimostrata forte in
quell'occasione, sei stata superiore a lui e devi essere fiera di
come hai reagito»
«Già,
hai ragione» ammisi.
Dario
si era comportato da vero stronzo con me e dopo tre mesi era davvero
giunto il momento di dire BASTA, di uscire da quella spirale di
sofferenza nella quale mi aveva gettata con il suo comportamento. Lui
non aveva avuto scrupoli a dimenticarsi di me, a trovarsi un'altra
ragazza, ad ignorarmi quasi non fossi mai esistita, perché
io non
dovevo riuscirci? Avevo versato fin troppe lacrime per Dario, avevo
pianto troppo la notte prima di addormentarmi, sperando in un suo
ritorno, in una sua chiamata, in un suo SMS.
Illusa.
Mentre
io mi disperavo lui era a divertirsi con la sua nuova ragazza, magari
quella Sole, ridendo di quella ragazzina che lo aveva chiamato per
una insulsa festa e che si era innamorata di lui come una stupida.
«Io
ho sempre ragione» ridacchiò Federico beccandosi
dalla sottoscritta
un pugno sul braccio «Come sei violenta!» si
lagnò massaggiandosi
il bicipite.
«Ti
sta bene, spilungone» gli feci una linguaccia.
«Sto
cominciando ad odiare questo soprannome»
bofonchiò, incrociando le
braccia.
«Spilungone,
spilungone, spilungone, spilungone!» ripetei, divertendomi
nel
vedere il viso di Abbate contrarsi in un broncio.
«Smettila»
mugugnò «Se non vuoi un altro assaggio delle mie
‘mani killer’»
aggiunse, allungando le braccia verso di me con uno sguardo sadico.
«No,
ti prego, non il solletico!» lo supplicai, indietreggiando.
Federico
sorrise, ondeggiando le dita come se fossero i tentacoli di un polipo
ed avvicinandosi minaccioso a me.
«Tu
prometti che non mi chiamerai più spilungone?»
«Te
lo giuro!» esclamai subito «Spilungone»
ridacchiai.
«Te
la sei cercata, Alice!»
Puntò
un ginocchio sul mio letto, avventandosi su di me e mi ritrovai
schiacciata tra il suo corpo d'acciaio e il materasso morbido.
Federico, a cavalcioni su di me, Cominciò a solleticarmi i
fianchi
ed io scoppiai a ridere, agitando le gambe per divincolarmi da quella
tortura. Con le braccia, cercai di pararmi, ma lui, velocemente, si
spostava lungo il mio corpo, solleticando ogni centimetro della mia
pelle.
«Ti
prego» annaspai, tra una risata e l'altra
«Basta!»
«Tu
non mi chiamerai più spilungone?» chiese divertito.
«Te
lo prometto, te lo prometto!» esclamai.
Federico
smise subito di farmi il solletico e mi guardò sorridendo.
Avevo il
fiatone per le troppe risate e il mio petto si alzava frenetico
seguendo il ritmo del mio respiro accelerato. Mi umettai le labbra ed
allungai una mano verso il suo viso, sistemandogli una ribelle ciocca
di capelli biondi dietro l'orecchio. Mi afferrò la mano,
stringendola nella sua e ne baciò dolcemente il dorso,
chiudendo gli
occhi, assaporando la mia pelle. Intrecciò le sue dita con
le mie e
si abbassò verso di me. Serrai gli occhi, deglutendo a vuoto.
No,
non ancora!
Pensavo
che lui ormai avesse superato la sua cotta per me, e invece mi stava
per baciare. M'irrigidii, non sapendo come comportarmi, se scansarmi
subito o ricevere le sue labbra. Eravamo migliori amici e per lui non
provavo più nulla, se mai avessi sentito davvero qualcosa
per lui.
Sentii
il suo fiato caldo farsi sempre più vicino, fino a che le
sue labbra
non si posarono leggere sul mio naso in un lungo ed innocente bacio.
«Se
vuoi posso presentarti qualche mio amico» disse.
Aprii
un occhio e lo vidi piegato su di me guardarmi con quei dolcissimi
occhi color nocciola e sorridere. Ridacchiai nervosamente e nascosi
il viso tra le mani. Che stupida che ero! Arrivavo sempre a
conclusioni troppo affrettate, preoccupandomi inutilmente.
«Non
saprei» risposi «Per adesso sto bene da sola. Tanto
ci sono
abituata».
Scoppiammo
a ridere per la mia battuta e Federico mi scompigliò i
capelli. Si
sollevò da me e si sistemò i vestiti,
controllando l'orologio.
«Io
vado» sospirò «Ho gli allenamenti, tanto
per cambiare».
Mi
alzai dal letto ed andai ad abbracciarlo, affondando il viso nel suo
petto. Strinsi la stoffa della sua maglietta nera e mi dondolai a
destra e a sinistra, cullata dalle sue braccia forti.
«Fede,
non ti ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che fai
per me»
mormorai.
«Non
c'è bisogno che ringrazi!» esclamò lui,
accarezzandomi la schiena
«Mi fa sempre piacere passere del tempo con te»
«Ma
sono una lagna unica!» mi lamentai «Tu sei troppo
paziente. Non ti
merito»
«Ma
che dici, sciocchina!» mi strinse le spalle e mi
allontanò da lui
per potermi guardare negli occhi.
«Sono
sempre triste e non so come tu faccia a sopportarmi»
borbottai.
«Ma
ho sempre il modo per consolarti, no?!» sorrise lui
«È mio compito
strapparti qualche risata e farti divertire».
Sorrisi
di rimando, con gli occhi lucidi e lo abbracciai di nuovo, lo strinsi
a me come se volessi non farlo scappare più.
«Fede,
non te l'ho mai detto» esitai «Ma tu sei la persona
più importante
per me».
La
stretta di Abbate si fece più poderosa, sentivo il suo
respiro
scompigliarmi i capelli e il suo cuore battere frenetico.
«Anche
per me è così, Alice»
Il
sole non era ancora calato, i suoi raggi continuavano a riempire la
nostra cucina. Adoravo quella luce soffusa estiva, quella
illuminavano fiocamente gli ambienti rendendoli tranquilli e
romantici.
E mi piaceva cenare con quell'atmosfera, con quella pace e quella
serenità che solo il cielo di Giugno riusciva a darmi.
«Vero!»
esclamò Raffaele, puntando la forchetta verso Carlo Conti
che
leggeva una domanda.
«No,
è falso» ribatté mia madre, rimestando
i suoi spaghetti.
«Sono
sicurissimo, è vera!» ribadì mio
fratello, riempiendosi la bocca
di pasta.
«Staremo
a vedere» rispose sicura di sé, mangiando un
boccone.
Come
al solito, mia madre la ebbe vinta e Smell andò su tutte le
furie.
Odiava perdere ed odiava avere torto. Ogni sera si ripeteva sempre lo
stesso copione durante la cena, ossia sfida all'Eredità,
vinta ovviamente da mia madre, mentre Raffaele si innervosiva e
spazzolava la sua cena in un nano secondo per la rabbia. Ed io, che
ero la spettatrice, mi divertivo ad assistere a quella sfida
sconclusionata, ma soprattutto nel vedere mio fratello bofonchiare
contrariato.
Soffocai
una risata ed avvolsi gli spaghetti intorno alla forchetta,
portandola poi alla bocca. In quel momento, un cafone patentato
fermò
la macchina proprio sotto il nostro balcone, accendendo lo stereo al
massimo volume. Il suono di una chitarra rimbombò tra le
pareti
della nostra cucina e tutti e tre ci guardammo confusi. Il rispetto,
per certi individui, era un optional. La gente cercava di cenare
tranquillamente, ma ovviamente non poteva perché c'era
qualche
cretino che doveva disturbare con musica ad alto volume.
Un
passo indietro ed io già so
di
avere torto e non ho più le parole
che
muovano il sole
La
voce di Giuliano Sangiorgi intonò quelle parole con la sua
inconfondibile voce. Beh, almeno il cafone aveva buon gusto per la
musica e non ci aveva propinato disco-dance. Poteva andarci
sicuramente peggio. Scrollai le spalle e tornai a mangiare i miei
spaghetti, ridendo per Raffaele che si era tappato le orecchie con i
palmi delle mani.
«Tutti
insieme!» sentii urlare da fuori.
Ci
mancava solo il cafone agitatore di folle.
«Alice!»
un coro formato da numerose voci si levò fuori dal mio
balcone.
Come
sempre sei, nell'aria sei
tu
aria vuoi e mi uccidi
come
sempre sei, nell'aria sei
tu
aria dai e mi uccidi
tu
come aria in vena sei
Corrugai
la fronte e mi scambiai uno sguardo dubbioso con mia madre.
«Alice!»
urlarono di nuovo.
L'unica
Alice che conoscevo nei paraggi ero io, ma mi sembrava talmente
irreale che una folla di sconosciuti chiamasse il mio nome a gran
voce che pensai di avere le allucinazioni.
«Alice,
Alice!»
«Sei
sorda?!» sbottò indispettito Raffaele
«Ti stanno chiamando!».
Lasciai
cadere la forchetta nel piatto e, agitata e con una certa
preoccupazione, mi alzai da tavola seguita da mia madre. Uscii sul
balcone e subito abbassai lo sguardo verso la strada, sorprendendomi
di vedere un numero imprecisato di persone, molto probabilmente
raccattate nei paraggi di casa mia, urlare il mio nome. La domanda
però era perché?!
Cosa volevano questi sconosciuti dalla sottoscritta?
Scrutai
ancora tra quei volti estranei e il mio cuore perse un battito quando
i nostri occhi si incontrarono di nuovo. Dario era in mezzo a quella
piccola folla, vicino alla sua Mito dalla quale proveniva la canzone
dei Negramaro.
«Questa
canzone è per te!» mi urlò, allargando
le braccia e con un sorriso
che mi spezzò il fiato.
Mi
portai una mano traballante di fronte alla bocca dischiusa e sentii
le lacrime punzecchiarmi gli occhi. Tremavo, avevo il cuore che
sembrava volesse schizzare fuori dal petto e avevo perso l'uso della
parola. Dopo tre mesi potevo finalmente vederlo ancora e mi sembrava
ancora più bello di quanto mi ricordassi. Mi sentivo
spaesata, mi
sentivo confusa e scombussolata e mi sentivo finalmente viva.
Dario
era tornato, era lì,
sotto il mio balcone insieme a decine di persone sconosciute e
confuse, a dedicarmi una canzone.
«Te
l'avevo detto che tutto si sarebbe sistemato!»
esclamò «Dai,
scendi mia Giulietta!»
A
che servon le parole
Amore
dai, dai, dai muovimi il sole
Rimasi
ferma, paralizzata a fissare la strada sotto di me, senza sapere cosa
fare, se scendere e andare da lui, oppure tornarmene in casa ed
ignorarlo come aveva fatto lui in tutti quei mesi.
«Dai
piccola!» esclamò, incitandomi con dei rapidi
gesti delle mani.
«Scendi!»
urlò una donna bionda.
«Non
farti pregare» si aggiunse un signore pelato con una
ventiquattro
ore stretta in mano.
Deglutii
e mi morsi un labbro, continuando a fissarlo in tutto il suo
splendore. Mi era mancata la sua voce, mi era mancato il suo sorriso
e i suoi occhi profondi, ma soprattutto mi era mancato il suo odore
di vaniglia e le sue labbra sulle mie.
La
mano di mia madre si appoggiò delicatamente sulla mia spalla
e io mi
voltai di scatto, incontrando i suoi occhi sorridenti che mi
suggerivano di scendere. Mi asciugai rapidamente una lacrima con il
pollice e mi precipitai fuori di casa, giù per le scale. Non
mi
importava di cadere, volevo solo raggiungere Dario per sentire di
nuovo il suo odore, per perdermi ancora nelle sue iridi color onice.
Appena
mi vide arrivare, lui mi corse incontro, mi strinse a sé e
mi
sollevò da terra facendomi volteggiare. Il suo odore era
come
ossigeno per i miei polmoni, che vennero inondati, invasi, riempiti
da quella straordinaria fragranza. Gli circondai il torace con le
braccia e immersi il viso nella sua maglietta.
«Mi
sei mancata tantissimo» sussurrò al mio orecchio.
«Anche
tu» risposi, con al voce incrinata e ovattata dalla stoffa
della sua
maglietta.
«Ho
sbagliato tutto» ammise, stringendomi di più a
sé e appoggiando la
fronte alla mia «Io non volevo perderti».
Mi
prese il viso tra le mani e ci guardammo negli occhi. I suoi
splendevano come se il sole si riflettesse nelle sue iridi, in quel
mare scuro e nero di perdizione. Si umettò le labbra e
deglutii
varie volte prima di riprendere a parlare.
«Ti
ho allontanata da me per proteggerti, per non farti e non farci
soffrire. Non avrei mai immaginato che quell'addio potesse essere
così doloroso per me. Volevo chiamarti, ma ogni parola, ogni
discorso mi sembra inutile e privo di senso. Quando poi ti ho rivista
in quel locale, ero talmente felice di averti ritrovata, che il
destino ci avesse fatto incontrare di nuovo…»
sorrise e mi
solleticò la guancia con il pollice «Ma mi hai
negato il perdono e
mi è crollato il mondo addosso. Per l'ennesima volta. Senza
di te mi
sembrava quasi di non riuscire a respirare, la mia vita non aveva
più
senso» i suoi occhi si inumidirono e la sua voce venne
spezzata
dall'emozione «Ho capito che tu eri troppo importante, che
non sarei
riuscito a sopportare questo mondo senza il tuo sorriso.
Così ho
reagito, ho voltato finalmente pagina, ho iniziato a vivere nel
presente, lasciandomi alle spalle il mio lavoro e quello che ero
prima di conoscere te. Ho gettato le fondamenta per una nuova vita,
con quel lavoro in radio e ora vorrei che tu mi aiutassi a costruire
la mia nuova esistenza».
Ero
a bocca aperta, le lacrime sgorgavano dai miei occhi incontrollate e
qualsiasi parola mi sembrava superflua rispetto a quello che mi aveva
appena detto Dario. Quella era una dichiarazione d'amore, lui mi
aveva appena detto che io ero importante, che mi avrebbe voluto al
suo fianco. Solo in quel momento realizzai che la ragazza di cui
parlava alla radio, quella nei confronti della quale era nata una
gelosia logorante, ero io.
Dario
mi amava.
Ed
io amavo Dario.
Ma
lui era scappato da me e avrebbe potuto farlo ancora.
«Mi
hai fatto soffrire troppo» soffiai sulle sue labbra, sempre
più
vicine alle mie.
«E
mi dispiace davvero tanto, Alice» sussurrò.
«Come
posso fidarmi di te?»
Dario
boccheggiò, come se volesse dire qualcosa, ma non
riuscì a parlare.
Si morse il labbro inferiore e scosse la testa quasi
impercettibilmente, chiudendo gli occhi e baciandomi la fronte.
«Non
lo so» mormorò infine «So solo che ti
voglio al mio fianco».
Mi
sorrise e avvicinò le sue labbra alle mie, ma io mi
sottrassi a
loro, al suo bacio. L'espressione di Dario mutò
all'improvviso,
diventando confusa e cupa. Lo guardai negli occhi e lo accarezzai,
gli sfiorai le labbra ed indugiai sulla sua barba eccitante.
Non
sapevo cosa fare perché entrambe le vie che mi si
proponevano
davanti portavano alla sofferenza. Se gli avessi detto addio per
l'ennesima volta, il mio cuore si sarebbe frantumato in pezzi
talmente piccoli da sembrare granelli di sabbia. Ma se avessi scelto
di stare con lui, non avrei avuto la sicurezza di poterlo avere
sempre al mio fianco. Avrebbe potuto scappare ancora, spaventato
dall'amore e non avrei retto un suo abbandono. Mi morsi le labbra
cercando di trattenere il pianto e le poggiai delicatamente sulle sue
in un piccolo e sfuggente bacio.
«Non
credo di voler stare con te»
______________________________________
Bene, eccomi qui con l'ultimo
aggiornamento prima della mia partenza.
Non starò via molto, fino al 18, però non penso
che scriverò mentre sono a Barcellona xD Quindi spero di
finire di scrivere il prossimo capitolo così non
dovrò farvi attendere molto. Anche perché, con un
finale così, mi avrò fatto venire un colpo al
cuore xD
Ma andiamo con ordine.
Sono passati tre mesi e siamo arrivati a Giugno. Tutto è
tornato alla normalità, o quasi. Benedetta è
sempre arrabbiata con Alice, Claudia è sfuggente e non si sa
come mai (tutto a suo tempo) e Federico si è fidanzato con
Cristina! Che scoop! Sono sicura ch enessunod i voi se l'aspettava!
Ammettetolo che vi ho sorprese ù__ù
Ma non è tutto! Dario ha smesso di fare il gigolò
e ha vinto il concorso a Radio Deejay che avevo accennato nello scorso
capitolo, ma che credo nessuno abbia tenuto molto in considerazione xD
e ha anche aperto il suo cuore in radio, anche se non ha propriamente
detto le due fatidiche paroline. Alice crede che si sia innamorato di
un'altra ed invece è proprio lei la ragazza di cui lui stava
parlando! Lui è tornato con una bella sorpresa, le ha fatto
una specie di dichiarazione d'amore, ha deciso di cambiare per lei ma
Alice lo respinge ancora una volta perché oramai non si fida
più.
Cosa farà Dario adesso? Dopo tutto quello che ha fatto per
lei, si è visto chiudere un'altra porta in faccia e per
l'ennesima volta ha perso una persona importante. Tutto a tempo debito
ragazze mie. So che dopo questo capitolo vorreste uccidermi
>.<
Comunque, ringrazio molto le persone che hanno recensito lo scorso
capitolo (sto rispondendo piano piano xD), chi ha messo la storia tra
le preferite, le ricordate, le seguite. Ringrazio chi legge solamente e
chi mi sostiene su Facebook, sul mio
profilo e sul gruppo Crudelie
si nasce, in cui troverete spoilers, foto, contest e
novità riguardanti le mie storie. Inoltre, un grazie
speciale a Nessie
e Ionarrante
che mi sopportano ogni santo giorno e correggono i miei obbrobri
grammaticali.
Ora, vi lascio con un po' di pubblicità:
Red
District
Come
in un Sogno - con IoNarrante
You're
a mistake I'm willing to take - con Ionarrante
Un bacione a tutti e
grazie mille!
Al prossimo
aggiornamento!
|
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Capitolo 19 *** Una notizia inaspettata ***
C a p i t o l o 18
Una notizia inaspettata
Dario
mi guardò incredulo, muovendo le sue labbra rosee nel
tentativo di
trovare qualcosa da dire, senza riuscirci. Si passò entrambe
le mani
sul viso, abbozzando un sorriso amaro e lasciò cadere
pesantemente
le braccia lungo i fianchi, scrollando impercettibilmente la testa.
Mi specchiai nei suoi occhi colmi di delusione e di rammarico per il
mio rifiuto e sentii distintamente il suono del mio cuore
sgretolarsi. Questa volta, però, ero stata io a volerlo, ero
stata
io stessa a sferrarmi il colpo di grazia allontanandolo ancora una
volta da me. Avrei sofferto, già lo sapevo. Avrei sentito la
sua
mancanza ogni singolo istante, avrei sentito il bisogno del suo odore
di vaniglia in qualsiasi momento, avrei pregato per poter assaggiare
nuovamente le sue labbra. Ma sapevo che quella era la decisione
giusta, che tra me e Dario non avrebbe mai potuto funzionare
perché
io non mi sarei più fidata di lui.
«Ti
prego, dimmi che stai scherzando» disse terribilmente serio,
passandosi le mani tra i capelli scuri.
Abbassai
lo sguardo, incapace di sostenere il suo, incapace di resistere ai
suoi occhi che tanto amavo, che avevo sognato ogni notte da quando
lui se n'era andato. Avevo desiderato tanto il suo ritorno, mi ero
disperata immaginandomi la sua possibile fidanzata e avevo versato
tante, troppe lacrime per lui come non avevo mai fatto per nessuno.
Ma, quando me lo ritrovai davanti, nonostante le sue parole, avevo
cominciato a riflettere con mente lucida, estraniandomi per qualche
secondo dai miei sentimenti ed ero arrivata alla conclusione che era
impossibile stabilire un rapporto quando mancava la fiducia,
l'aspetto più importante in una coppia.
«Mi
dispiace Dario» mormorai, fissando le mie infradito rosa
«Ma non
riesco a fidarmi di te» diedi voce ai miei pensieri.
Lui
si avvicinò a me e mi strinse le spalle, scuotendomi
leggermente. Il
suo tocco, le sue mani ruvide sulla mia pelle nuda mi scosse e
brividi intensi di puro piacere, di quelli che solo lui riusciva a
regalarmi con un solo contatto, percorsero ogni parte del mio corpo.
Avevo
voglia di alzare lo sguardo e intrecciarlo con il suo, vedere il
meraviglioso nero della notte condensato nelle sue iridi, ma mi
frenai. Se solo avessi visto i suoi occhi, avrei rischiato di
saltargli al collo e baciarlo, e non sarei più riuscita ad
allontanarlo da me.
«Cosa
vuol dire che non ti fidi di me?!» alzò il tono e
la sua voce
delusa ed amareggiata interruppe il mio flusso di pensieri.
«Tu,
tu» annaspai, rimbalzando lo sguardo dalle mie infradito alle
Adidas
di Dario «Tu sei scappato da me, dai miei e dai nostri
sentimenti.
Sei troppo insicuro di ciò che provi per me e di
ciò che io sento
per te»
«Qual
è la tua paura?!» mi chiese.
«Non
ci arrivi» scossi la testa quasi impercettibilmente e mi
morsi le
labbra «Potresti scappare in qualsiasi altro momento e io non
voglio
che succeda»
«E
non accadrà, Alice!» esclamò con tono
più dolce «Ho fatto tutto
questo per te, per noi, per poter stare con te senza la paura di
ferirti. Adesso non c'è più il mio lavoro ad
ostacolarci e voglio
averti accanto»
«Dario,
io ti sarei stata accanto anche prima. Non m'interessava il tuo
lavoro, m'importava solo di te» ammisi con voce tremante,
senza
staccare lo sguardo dall'asfalto «Io ti amavo per quello che
eri e
al diavolo la tua professione! Ma, a quanto pare, tu non riesci a
superare gli ostacoli e alla prima difficoltà tra noi due,
tu te ne
andrai di nuovo».
Ci
furono degli attimi interminabili di silenzio, attimi in cui sentii
lo sguardo dei passanti puntati addosso, gli occhi di Dario
perforarmi l'anima, nonostante non ci fosse nessun contatto tra le
nostre iridi. Ma lo percepivo e sapevo che, in quel momento, i suoi
occhi erano immersi in una patina lucida di lacrime, senza sapere che
cosa rispondere. Molto probabilmente si stava anche torturando il
labbro inferiore e avrei voluto stringerlo a me, se non fosse che
avrei contraddetto le mie parole.
«Deduco
che tu non mi ami più» mormorò, roco.
Mi
umettai le labbra e presi un profondo respiro. Avrei mentito se
avessi detto che per lui non provavo più nulla. Lo amavo e
lo sapevo
bene. Ma, davanti a lui, non avrei potuto ammetterlo se volevo
davvero cancellarlo dalla mia vita. Scossi la testa, senza parlare.
«Dimmelo
Alice» alzò nuovamente il tono «Dimmi
che non mi ami più»
Sgranai
gli occhi e boccheggiai, d'un tratto senza fiato e cercai di
racimolare più aria possibile nonostante fosse diventata
irrespirabile. Cercai di farmi forza e far uscire quelle parole dalla
mia bocca. Dovevo mettere a tacere per un attimo il mio cuore che
urlava Ti
amo
e lasciar parlare il mio raziocinio, una volta tanto.
«Non
ti amo più» mormorai, trattenendo a stento le
lacrime.
Dario
mi afferrò il mento tra il pollice e l'indice e mi
obbligò ad
alzare lo sguardo ed incontrare la profondità senza fine dei
suoi
occhi.
«Dimmelo
guardandomi negli occhi» disse serio e deciso.
Il
mio cuore mancò di un battito prima di intraprendere una
folle
corsa… e quella sensazione mi era mancata. E mi era mancato
soprattutto guardarlo negli occhi, perdermi dentro quei pozzi neri,
abbandonarmi a quella dolce trappola che erano le sue iridi. Come
avrei potuto mentire di nuovo? Ripetere di non amarlo, quando il mio
cuore era tornato a governarmi. Allungai una mano, accarezzandogli
una guancia ispida e lui, al mio tocco, chiuse gli occhi e
appoggiò
la sua mano sulla mia, accompagnandola in quella carezza.
«Non
costringermi a dirtelo» lo pregai in un soffio.
Dario
deglutì, poi strinse la mia mano nella sua e ne
baciò dolcemente il
dorso. Mi cinse i fianchi e mi avvicinò a lui, spostandomi
una
ciocca di capelli dalla fronte ed accarezzandomi una guancia con
l'indice. I suoi occhi profondi erano intrecciati ai miei, uniti da
una catena indissolubile.
«D'accordo»
sospirò «Ma non credere che questa volta io mi
arrenda. Ti
riconquisterò, ti farò mia, ti farò
innamorare di me ancora. Ho
commesso troppi errori nella mia vita e perderti sarebbe il peggiore.
Non me lo perdonerei mai».
Sospirai
rumorosamente, passandomi entrambe le mani sul viso e trattenendo a
stento un pianto liberatorio, un pianto di gioia. Lui teneva a me,
molto probabilmente provava i miei stessi sentimenti e quelle parole
ne furono la conferma. Aveva deciso di dare una svolta alla sua vita,
di uscire dal suo guscio, di liberarsi della sua armatura che lo
proteggeva dai sentimenti e mi stava dando l'opportunità di
amarlo.
Lo guardai negli occhi intensamente, abbandonandomi completamente al
nero liquido delle sue iridi e capii che non sarei riuscita a vivere
senza quegli occhi, senza il suo tocco, senza il mio Dario.
Di
slancio, avvolsi le mia braccia intorno al suo collo, affondando le
mani nei suoi capelli leggermente più lunghi di quanto
ricordassi
per spingerlo verso di me. Lo vidi sorridere, prima di appoggiare le
mie labbra sulle sue e assaporarle nuovamente dopo un tempo che mi
era sembrato quasi interminabile. Tutto intorno a me scomparve in
quell'esatto momento perché, quando c'era Dario con me,
nient'altro
aveva importanza ai miei occhi se non lui. Mi aveva fatta innamorare
e soffrire per la prima volta, aveva scosso la mia monotona vita, era
entrato a farne parte sconvolgendo completamente la mia esistenza e
facendomi provare emozioni che non credevo potessero esistere. Avevo
gioito con lui, ma più che altro avevo pianto come mai avevo
fatto
nella mia vita e mi sembrava quasi impossibile che ci potesse mai
essere un noi,
ed
invece, in quel momento, si stava aprendo un piccolo spiraglio verso
un lieto fine, verso quello che potesse essere un per
sempre felici e contenti. Anche
se la paura che lui potesse sfuggirmi ancora non mi avrebbe
abbandonata molto facilmente.
Mi
strinse maggiormente a sé, in modo da far scontrare i nostri
corpi,
da farlo combaciare perfettamente ed insinuò una mano nella
mia
canottiera, accarezzandomi la schiena. I suoi polpastrelli si
muovevano veloci sulla mia pelle, che si era increspata in numerosi
brividi di piacere che solo le sua mani ruvide riuscivano a
regalarmi.
Le
nostre lingue s'incontrarono dopo tre lunghi mesi e si rincorsero, si
aggrovigliarono, vogliose uno dell'altra, vogliose di quel bacio
passionale e dolce al tempo stesso. Avrei voluto che quel momento non
terminasse mai, che quel bacio non avesse mai fine perché io
necessitavo delle sue labbra per vivere, necessitavo di lui, del suo
odore e del suo tocco. Senza di lui era come se non avessi vissuto,
era come se fossi stata privata di qualsiasi cosa e il mio cuore
batteva senza intensità, quasi svogliatamente e, a stento,
lo
sentivo palpitare. Ma, quando avevo incontrato gli occhi di Dario,
avevo sentito le sue labbra sulle mie, il mio cuore aveva ritrovato
la sua forza, come se una scarica elettrica lo avesse attraversato,
ridandogli vigore, riportandomi in vita. E quelle scarica elettrica
era Dario, era lui che alimentava il mio cuore, con i suoi baci e i
suoi sguardi.
Un
applauso, in pieno stile film americano, si levò dalla
piccola folla
che ci stava attorno, tranne qualcuno, sicuramente Smell, che
continuava ad urlare Bu!
Entrambi
sorridemmo, senza
però allontanare le nostre labbra, senza mettere una vera e
propria
fine al nostro bacio. Dario mi passò una mano tra i capelli
e, di
tanto in tanto, mi assaporava il labbro inferiore, staccandosi poco
dopo per riprendere fiato.
«Questo
cosa significa?» soffiò sulle mie labbra, posando
un altro piccolo
bacio.
«Che
hai un'altra possibilità» risposi, allontanando il
viso dal suo
quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, che si spalancarono
e si illuminarono ancora di più.
Adoravo
le sue iridi, così nere da sembrare un buio cielo notturno,
ma
illuminati da quel suo meraviglioso animo che risplendeva nei suoi
occhi, come stelle incastonate in quell'oscurità.
Mi
strinse ancora di più a lui, appoggiando il viso sulla mia
spalla, e
lambì la mia pelle nuda con baci umidi e bollenti al tempo
stesso.
Mi morsi un labbro per trattenere dei gemiti generati dal piacere che
le sue labbra erano in grado di procurarmi. Improvvisamente, sentii
la terra sotto i miei piedi dissolversi e mi ritrovai stretta a
Dario, mentre lui mi sollevava da terra e mi faceva volteggiare.
Urlai divertita, mentre la mia presa intorno al suo collo si
intensificava ed appoggiai la fronte sulla sua quando lui si
fermò.
Il suo sguardo liquido era talmente intenso da non permettermi quasi
di respirare e i suoi occhi stavano sorridendo, erano colmi di gioia
nell'avermi tra le sue braccia e sapere che ero stata io a renderlo
felice mi riempiva il cuore così tanto che, sembrava,
volesse
esplodere da un momento all'altro.
Quel
momento era assolutamente perfetto, il migliore della mia vita e non
sarei mai stata in grado di dimenticarlo, sarebbe rimasto impresso
nella mie mente come un tatuaggio indelebile, come un segno di quel
nostro piccolo sentimento, che, speravo, fosse destinato a diventare
un grande amore, il grande amore della mia e della nostra vita.
Lentamente,
mi rimise a terra. Appoggiai prima un piede, poi l'altro, senza mai
interrompere il nostro contatto visivo che racchiudeva in sé
emozioni e sensazioni che nemmeno le parole sarebbero state in grado
di descrivere, troppo vaghe per poter esprimerne la potenza.
«Ma
è meglio andare con calma» sospirai
«Quello che è successo mi ha
fatto soffrire molto e voglio essere sicura di te, di noi prima di
lasciarmi andare completamente. Devo imparare a fidarmi ancora di te
e credo che ci vorrà un po'» parlai senza nemmeno
riprendere fiato,
stringendomi nelle spalle.
Dario
mi sorrise e mi accarezzò con entrambe le mani quasi come se
volesse
accertarsi che non stesse sognando, che io fossi davvero lì
davanti
a lui a dirgli quelle parole.
«Farò
di tutto per riconquistare la tua fiducia!»
esclamò, con voce
incrinata dall'emozione «Aspetterò quanto vorrai,
anche cento anni!
L'importante è averti accanto»
Mi
morsi il labbro inferiore, prima di avventarmi nuovamente sulle sue
labbra, avida di sentirle ancora contro le mie, vogliosa di sentire
il suo sapore invadermi. Ero talmente felice in quel momento,
raggiante come mai prima di allora e niente e nessuno sarebbe
riuscito a rovinare quel momento di assoluta perfezione, nemmeno
quell'odioso di Smell ci sarebbe riuscito.
La
gente intorno a noi, via via cominciò ad allontanarsi,
lanciando di
tanto in tanto qualche occhiata curiosa e romantica. Molto
probabilmente le donne che si trovavano lì in quel momento
avrebbero
voluto essere al mio posto, magari anche loro desideravano una
sorpresa così dolce da parte dei loro mariti o fidanzati e
mi sentii
o onorata di essere io la fortunata ad aver ricevuto un tale gesto.
Ma, soprattutto, mi sentii fortunata di avere con me, di avere tra le
braccia un ragazzo splendido come Dario.
Rimanemmo
a guardarci negli occhi per degli interminabili istanti e, intanto,
il sole lasciava posto alla luna e il cielo si tingeva del colore
delle iridi di Dario. Avrei voluto stare tra le sue braccia per tutta
la vita, così, solo io e lui, in qualunque posto. Solo la
sua
presenza bastava a rendermi felice, a rendere qualsiasi luogo
meraviglioso.
«Credo
di dover andare» soffiai sulle sue labbra, baciandolo
ripetutamente.
«Di
già?» mi chiese lui, sfoggiando il suo tono da
bimbo e il labbro
tremulo.
«Mi
dispiace» piagnucolai, accarezzandogli le guance ispide, per
poi
stringergli il viso tra le mani e avvicinando le sue labbra alle mie
per un altro bacio, un veloce assaporarsi reciproco, un rapido
sfioramento di lingue, un piccolo assaggio dell'altro.
«Ci
siamo appena ritrovati e già vuoi scappare da me?»
mi domandò
retorico, sussurrandomelo nell'orecchio.
Amavo
sentire la sua voce roca e seducente, adoravo il suo respiro caldo
sulla mia pelle e i brividi che riusciva a provocarmi.
Appoggiò le
sue labbra sul mio collo, solleticandomi con la punta della lingua,
prima di sollevare di nuovo il volto ad incontrare i miei occhi.
«Un
attimo» mormorai, voltandomi ed alzando lo sguardo.
Mia
madre era ancora sul balcone insieme a Smell e stava quasi per
piangere, contrariamente a mio fratello che aveva una faccia
schifata. Senza che dicesse nulla, mia mamma comprese quello che
avevo da chiederle, solo guardandomi negli occhi. Annuii, con un
sorriso accennato disegnato sulle labbra morbide e mi fece intendere,
con un rapido gesto della mano, che potevo stare con Dario. La
ringraziai con un sorriso e mi volti verso di lui schioccandogli un
altro bacio sulle labbra.
«Forse
è meglio che mi vada a mettere qualcosa di
decente» ridacchiai,
guardando i miei abiti da casa, una canottiera nera e un paio di
calzoncini, che un tempo erano appartenuti alla tenuta sportiva di
mia madre.
«No»
mi sorrise «Sei perfetta così»
«Io
non voglio farmi vedere in giro conciata così!»
trillai, indignata.
«A
parte il fatto che una ventina di persone ti ha potuta ammirare
vestita così, poco prima» mi fece presente,
ridacchiando.
Assottigliai
lo sguardo e gli pizzicai un fianco, facendolo piegare per il
fastidio e facendolo ridere. Nessuna melodia, nemmeno la più
bella,
la più dolce, la più armoniosa poteva eguagliare
il suono della sua
risata.
«Adoro
quando ridi» gli confessai, con un pizzico di imbarazzo.
La
risata di Dario si smorzò lentamente e ne rimase solo un
sorriso
intimidito. Un lieve rossore cominciò a colorargli le guance
e
subito abbassò lo sguardo, quasi si vergognasse di mostrare
il suo
imbarazzo. Era raro vederlo arrossire, ma quando succedeva quel
rossore crescente lo rendeva così tenero, quasi un bambino
timido
bisognoso di coccole. Si grattò la nuca, passandosi poi una
mano su
tutto il volto e tossicchiò, dondolando da un piede
all'altro.
Sorrisi dolcemente nel vederlo così agitato per un mio
complimento.
Lui che era sempre così spocchioso e pieno di sé,
crollava di
fronte ad un apprezzamento banale.
«Comunque»
cercò di cambiare discorso ed io ridacchiai con discrezione,
portandomi una mano davanti alla bocca.
«Lo
sai che tutto rosso sei ancora più bello?» mi
morsi un labbro e lo
vidi assumere un colorito sempre più intenso.
Boccheggiò
e ridacchiò imbarazzato, nascondendo il viso sotto la stoffa
della
maglietta. Gli strinsi le mani e, lentamente, lo obbligai a mostrarmi
le sue guance rosse e i suoi occhi colmi di emozione.
«Dov'è
finito il Dario vanitoso, il seduttore che si scoperebbe
se fosse una donna?»
lo
provocai, ricordando quella sua battuta.
«Lui
è sempre con me!» esclamò stizzito.
«Ma
guardati! Sembri un peperone» ridacchiai «Il Dario
di cui parlavo
io se ne sarebbe uscito con un Lo so, io
sono sempre bellissimo!»
«Diciamo
che quella è la parte di me che presento agli
estranei» mi
confessò, stringendomi per i fianchi e avvicinandomi a lui,
alternando dei baci bollenti a leggeri morsi sul mio collo.
«Una
sorta di corazza» soffiò, strofinando il naso
contro la mia pelle
«Ma con te non ho più bisogno di difese. Voglio
che tu conosca il
vero Dario Vitrano, con le sue fragilità e le sue
insicurezze»
«Quindi,
fino ad adesso non ho mai visto chi sei veramente?» domandai
confusa.
«Non
del tutto. Quello che ti ho mostrato è il Moro»
sussurrò
sensualmente nel mio orecchio, succhiando la pelle del mio collo,
intrufolando una mano nella mia canottiera per giocare con il
gancetto del reggiseno.
«Non
so chi sia questo Moro, ma preferisco di gran lunga il Dario che
arrossisce per un complimento» dissi, allontanandolo da me,
appoggiando le mani sul suo petto.
«E
questo non può che farmi piacere» mi sorrise ed
appoggiò il viso
sulla mia spalla, stringendomi in un abbraccio.
Affondai
il volto nella sua maglietta e chiusi gli occhi, beandomi del suo
calore e del suo dolce odore di vaniglia. Quella, per me, fu una
conferma. La conferma che ciò che c'era tra noi, quello che
ci
univa, non era una semplice attrazione fisica o solo una passione
effimera, ma era qualcosa di molto più profondo, qualcosa di
talmente impetuoso e travolgente che mi faceva quasi paura. Avevo il
timore di sbagliare, di commettere qualche errore che lo avrebbe
allontanato da me, di ritrovarmi troppo coinvolta in una storia che,
forse, avrebbe avuto solo un misero futuro, di rimanere ferita da
qualche sua parola, qualche suo atteggiamento. Ma avevo ancor
più
paura di farlo soffrire. Avevo sempre immaginato che quello che avevo
conosciuto non era il vero
Dario, ma solo una maschera che cercava di nascondere agli altri chi
fosse veramente, una sorta di protezione dal mondo esterno che lo
aveva fatto soffrire troppo. E, in quel momento, lui si era spogliato
della sua armatura, era senza difese, era come del vetro usurato,
consumato dalla vita, solcato da numerose incrinature, un intreccio
di crepe causate da troppe delusioni e un mio qualsiasi tocco poco delicato lo avrebbe
letteralmente mandato in pezzi. Ed io non volevo essere una sua
ennesima delusione, una sua ennesima ferita, non volevo farlo
soffrire ancora una volta. Dovevo stargli accanto, fargli capire
quanto lui fosse importante, quanto tenessi a lui e alleviare la sua
solitudine. Sapevo che non sarebbe stato semplice, ma avrei fatto di
tutto per renderlo felice.
«Allora,
dove mi porti vestita come una trovatella?» ridacchiai,
alzando il
viso per poter vedere i suoi occhi e baciandogli il mento ispido.
«Nella
Mito» rispose con un sorriso di sbieco.
«Tu
vorresti passare la serata nella tua macchina?» chiesi
dubbiosa,
inarcando un sopracciglio.
«Sì!
I locali sono troppo affollati» esclamò
«Io voglio stare da solo
con te» addolcì il tono e strofinò la
punta del naso contro la mia
spalla «Voglio che siamo solo noi due. Niente scocciatori,
urla e
schiamazzi. Solo le nostre pomiciate»
«Ah!
Quindi il tuo piano per la serata sarebbe limonare nella
Mito?»
domandai sarcastica, scoppiando a ridere.
«Beh,
insomma» tossicchiò e, agitato, si
grattò la nuca «Diciamo che la
pomiciata è un buon ripiego»
«Ripiego
a cosa?» domandai sospettosa.
«A...
ad altre attività di coppia diciamo» rispose
titubante, con un
sorriso da mozzare il fiato «Qualcosa di molto più
appagante di un
semplice bacio» aggiunse malizioso, poi sospirò,
mordendosi le
labbra «Dio, ho una voglia di sco...»
Sgranai
gli occhi, indignata e gli diedi uno schiaffo sul braccio.
«Dario!»
sbottai, allontanandomi da lui.
«Alice!
È, è un bisogno biologico!»
esclamò lui, accarezzandomi le
braccia.
«E
sai tornato solo per questo, immagino! Per soddisfare il tuo
bisogno!» urlai, scrollandomi le sue mani di dosso.
Dopo
tre mesi finalmente ci incontravamo di nuovo e lui a cosa pensava? Al
sesso, ovviamente! L'unica cosa che gli interessasse davvero e, molto
probabilmente, mi aveva addolcita con le sue parole solo per
soddisfare le sue voglie.
«Ti
prego, non litighiamo dopo nemmeno un'ora»
supplicò lui, mettendosi
le mani tra i capelli «Non arrivare a conclusioni affrettate,
Alice»
Incrociai
le braccia, imbronciata, e con un gesto della mano lo invitai a
proseguire la sua arringa difensiva.
«Se
fosse stata solo un bisogno da soddisfare, lo avrei potuto fare con
chiunque! Praticamente tutte le donne cadono ai miei piedi»
sorrise
malizioso «Ma io voglio solo te. Voglio i tuoi baci, le tue
carezze,
i tuoi sguardi. E, sì, lo ammetto, voglio fare l'amore con
te. Ma
quello è un passo importante, per me, per te soprattutto, e
per noi
come coppia. E di certo non voglio che avvenga subito. Questa volta
voglio fare le cose per bene. Corteggiarti, portarti fuori a cena,
regalarti fiori...»
Gli
lanciai un'ultima, torva occhiata, prima di sospirare rumorosamente e
rilassare i muscoli tesi. Feci qualche passo per avvicinarmi a lui e
allacciai le braccia dietro al suo collo. Entrambi sorridemmo e le
nostre labbra si incontrarono ancora, si unirono in un altro bacio
fugace, ma che racchiudeva in sé una passione pronta ad
esplodere da
un momento all'altro. Nonostante avesse tirato fuori quell'argomento
per me spinoso dopo nemmeno un'ora che ci eravamo incontrati, le sue
parole erano state tremendamente dolci e avevano alleviato quel
sapore amaro di poco prima. Anche se, dovevo ammetterlo, avrei voluto
fare l'amore
con
lui. Desideravo con tutta me stessa che la fatidica prima volta fosse
con Dario, che lui mi accompagnasse in mezzo a quelle nuove emozioni
e sensazioni. Lo volevo da quella sera di pioggia trascorsa con lui,
su quel divano, da quando il semplice rapporto di lavoro era sfociato
in un oceano di passione. Ma, prima di fare quel passo così
importante con lui, dovevo prima tornare a fidarmi di lui, capire se
quello che provasse per me era sincero e non fosse solo un capriccio.
«Lo
pensi davvero quello che hai detto?» domandai seria, timorosa
che
quelle parole avevano l'unico scopo di addolcirmi.
Dario
abbassò per un attimo lo sguardo, spezzando il nostro
intenso
contatto visivo e il mio cuore perse un battito. Credetti che la mia
paura fosse vera, che in realtà lui non avesse pensato nulla
di
quello che aveva detto, che aveva parlato così solo
perché voleva
farmi cadere nuovamente tra le sue braccia e anche nel suo letto. Mia
madre aveva ragione quando diceva che quasi tutti gli uomini erano
uguali, che, in una relazione, cercavano solo una cosa ed era raro,
se non impossibile, trovarne qualcuno che fosse interessato realmente
ai sentimenti. Anche quello più dolce e romantico, alla
fine, si
rivelava solo un bastardo. Esattamente come era successo con Davide e
come stava succedendo con Dario.
Respirai
a fondo ed annuii, più che altro a me stessa, conscia del
fatto che
non avrei dovuto lasciarmi abbindolare dalla sua arte oratoria e
lasciarlo andare, senza permettergli di ferirmi ancora. Sciolsi
l'abbraccio ed abbassai lo sguardo, incapace di continuare a guardare
il suo volto chino e colpevole. Ero delusa in quel momento, delusa
dal suo comportamento, ma soprattutto di me stessa perché
non
riuscivo a resistergli, perché per lui avrei fatto di tutto,
se solo
me lo avesse chiesto, perché, ancora, non riuscivo a
convincermi che
tra di noi non sarebbe mai potuto esserci nulla.
Con
mia enorme sorpresa, le mani di Dario mi strinsero il viso e mi
obbligarono ad alzarlo, per incontrare il suo sorriso appena
abbozzato ed i suoi occhi annegati in un manto di emozione.
«Dovresti
saperlo, oramai» disse con tono fermo e deciso «Io
dico sempre e
solo quello che penso. Non ti mentirei mai, rischierei di perderti
ancora e mi sembra abbastanza ovvio che non vorrei mai che questo
succedesse».
Mi
specchiai a lungo nei suoi occhi, in cerca di un qualche guizzo che
potesse tradire le sue parole. Scrutai a fondo in quelle sue iridi
nere e buie e mi accorsi solo in quel momento che racchiudevano
dentro la loro oscurità tutte le sue emozioni, l'animo
fragile e
sensibile di Dario che, con la sua luce traballante ed incerta come
la timida fiamma di una candela, illuminava i suoi occhi scuri e mi
permetteva di leggere dentro di essi. E in quel momento, in quel caos
di emozioni, per la maggior parte ancora sconosciute per me, scorsi
un barlume di sincerità. Sospirai e chiusi gli occhi,
passandomi
entrambe le mani sul viso, poi tra i capelli e gli sorrisi.
«Scusami
se ho dubitato» soffiai «È
che...»
«Non
ti fidi di me, questo l'ho capito» mi interruppe scocciato
«Hai
paura che io ti faccia soffrire ancora, che da te voglio solo del
sesso e palle varie!»
«Mi
hai letto nel pensiero» dissi, arricciando il naso.
«Ormai
so tutto di te» abbozzò un sorriso malizioso.
«Il
mio piatto preferito?» lo provocai, incrociando le braccia.
Dario
si grattò la nuca ed aggrottò le sopracciglia,
tentando di dire
qualcosa che gli moriva sempre in gola. Fece ricadere le braccia
pesantemente lungo i fianchi e sbuffò, facendomi scoppiare a
ridere.
«Non
intendevo in quel senso» tagliò corto
«Volevo dire che riesco ad
intuire le tue sensazioni, quello che senti e quello che vuoi. E so
per certo che adesso vuoi delle conferme da me e del tempo per
riflettere»
«Mi
capisci più tu che io stessa» ridacchiai
«Certe volte i miei
pensieri sono talmente contorti che mi ci perdo»
Dario
sorrise, poi mi spinse verso di lui per abbracciarmi ancora.
Ricambiai con una forte stretta e mi abbandonai sul suo petto, al
battito del suo cuore e al suo respiro che mi scompigliava i capelli.
Avrei voluto rimanere nelle per sempre lì tra le sue braccia
che mi
facevano sentire protetta da qualsiasi torto ed ingiustizia, stretta
al suo corpo caldo che rendeva tutto così maledettamente
perfetto.
«Che
ne dici di salire in macchina per avere un po' di privacy? Qui ogni
persona che passa gode delle nostre smielate smancerie»
propose,
sghignazzando.
«D'accordo!»
risposi, baciandolo sulla guancia irsuta «Abbiamo
già dato
abbastanza spettacolo»
Mi
sorrise compiaciuto, prima di voltarsi ed aprire la portiera
posteriore, invitandomi ad entrare con un gesto della mano. Gattonai
lungo il sedile per raggiungere il finestrino con la musica dei
Negramaro che ancora riempiva l'abitacolo. Dario spense la radio e si
sedette accanto a me, stringendomi una spalla e facendomi appoggiare
sul suo petto.
«Ti
è piaciuta la sorpresa?» mi chiese, giocando con
una ciocca dei
miei capelli.
«Molto»
mormorai alzando lo sguardo quel tanto che bastava per poter
incontrare il suo. «Non mi sarei mai aspettata una cosa del
genere,
anche perché avevo perso qualsiasi speranza di poterti
rivedere»
aggiunsi con una certa amarezza «Perché non ti sei
fatto sentire
per tre mesi?» gli chiesi, disegnando delle figure astratte
sulla
stoffa della sua maglietta.
«Volevo
essere sicuro di poterci regalare un futuro» rispose con
estrema
calma «Ho cancellato il mio profilo da quel sito e ho
cambiato
addirittura numero, per evitare che qualche cliente mi chiamasse. Poi
ho cercato un lavoro, senza esito. Il mio curriculum fa pena e
nessuno era intenzionato a prendermi» ridacchiò
«Finché non ho
deciso di partecipare a quel concorso su Radio Deejay. All'inizio ero
un po' restio, insomma, sono sprecato in radio! Poi però mi
sono
detto Se
vuoi riavere Alice,
metti da parte la tua stupida vanità e partecipa a quel
concorso» e
mi diede un bacio tra i capelli «Così mi sono
iscritto e ho vinto,
ovviamente. Solo quando ho avuto la sicurezza di poterti donare un
futuro roseo, di poterti donare tutto me stesso sono ritornato da te.
E l'ho fatto in grande stile!»
Intrecciai
le dita con le sue e mi sollevai dal suo corpo per poterlo guardare
in viso. Stava sorridendo ed era felice. Felice di aver finalmente
cambiato vita, di avere un lavoro appagante, di condividere se stesso
con me. E questo mi riempiva di gioia.
«Tu
hai fatto tutto questo per me ed io stavo per mandare tutto
all'aria»
mi rammaricai, ricordando quello che gli avevo detto poco prima
«Hai
trovato il coraggio di chiudere con il tuo passato e mi sento
talmente in colpa per non aver apprezzato il tuo gesto».
Dario
mi strinse maggiormente la mano, mentre con l'altra mi
accarezzò una
guancia. Chiusi gli occhi, abbandonandomi a quel contatto ruvido e
dolce al tempo stesso, e un sorriso si disegnò piano piano
sulle mie
labbra. Tra noi non c'era bisogno di parole per descrivere
ciò che
sentivamo. Bastavano i nostri sguardi che si rincorrevano sempre, i
nostri tocchi delicati e le nostre labbra che desideravano
ardentemente quelle dell'altro.
«Non
devi preoccuparti Alice» mormorò, dandomi un
buffetto sulla guancia
«È già tanto che tu abbia deciso di
darmi una seconda possibilità.
Mi sono comportato da vero bastardo con te».
Sorrisi
amaramente, ricordando ciò che era successo la sera di San
Valentino
e durante quella serata in discoteca e mi sistemai i capelli dietro
l'orecchio. Le immagini della sua auto che mi abbandonava lì
sul
vialetto della scuola sfilarono davanti a me come fotogrammi di un
triste film d'amore e delle lacrime affiorarono dai miei occhi.
«Ehi,
ehi, piccola! Che ti prende?» mi chiese dolcemente,
stringendomi a
sé e cullandomi.
Strinsi
la stoffa della sua maglietta e affondai nel suo petto, riempiendomi
i polmoni e l'anima di quel penetrante odore di vaniglia che non mi
aveva mai abbandonata, nemmeno quando lui era scomparso, quando ci
eravamo detti addio. Lo avevo sentito ovunque. Sulle mie lenzuola,
tra i miei capelli o semplicemente trasportato dalla fresca brezza
primaverile.
«Ho
avuto paura di perderti» confessai, cercando di trattenere un
pianto
tanto liberatorio quanto inutile «E io cosa avrei fatto senza
di
te?»
Dario
sussultò, poi la sua stretta si fece più intensa
e le sue mani
scivolarono ad accarezzarmi la schiena per tutta la sua lunghezza,
regalandomi brividi intensi di piacere. Lui era lì con me,
mi stava
abbracciando eppure non riuscivo a non pensare al nostro triste addio
e ad un altro possibile suo allontanamento. La paura che lui non
fosse ancora pronto per amare ed essere amato, che un sentimento
troppo forte avrebbe potuto spaventarlo mi attanagliava e frenava i
miei sentimenti, la mia voglia che avevo di lui e del suo corpo.
«Ma
ora sono qui» mormorò lui e il suo respiro si
infranse tra i miei
capelli «E non ti libererai tanto facilmente di me, questa
volta»
«L'ultima
cosa che voglio è allontanarmi da te» soffiai,
alzando il viso e
trovandomi a pochi centimetri dalle sue labbra piene e rosee
«Non
sopporterei ancora una volta la tua lontananza»
«Nemmeno
io» sussurrò, succhiando il mio labbro inferiore.
Sorrisi,
mentre lui giocava sensualmente con la mia bocca, assaggiandola e
mordendola, stando attento a non farmi dl male, ma cercando solo di
eccitarmi. E ci stava riuscendo. Non sapevo come fosse possibile, ma
ogni suo gesto, ogni parola uscita dalle sue labbra, ogni suo
sfioramento era talmente sensuale da farmi perdere qualsiasi
razionalità.
La
sua mano guizzò rapida sotto la mia canottiera e i suoi
polpastrelli
ruvidi disegnarono perfettamente la curva della mia schiena. Ogni
lembo della mia pelle si increspò a sentire quel ruvido
strusciare
sapientemente sul mio corpo. Quel lento assaporarsi di labbra si
trasformò ben presto in un bacio più passionale,
in un bacio che
racchiudeva un desiderio pronto ad esplodere, un bacio che sapeva di
noi, sapeva
d'amore
misto a quel sapore dolciastro di vaniglia che aveva la sua pelle.
Le
sue dita scivolarono, lentamente, verso il mio fianco ed indugiarono
sull'elastico dei pantaloncini, prima di riprendere la loro corsa e
soffermarsi sul mio ventre. Subito, l'altra mano raggiunse la sua
compagna ed insieme risalirono lungo il mio addome, intrufolandosi
sotto il mio reggiseno e stringendo con voglia e trasporto i miei
piccoli seni. Un gemito da parte mia si infranse nella sua bocca e
ogni parte del mio corpo prese fuoco sentendo le sue dita muoversi
lente sui miei capezzoli. Sentivo la voglia che avevo di lui, del suo
corpo, di sentirlo completamento mio
espandersi,
quasi a voler
offuscare la parte cerebrale di me, a mettere a tacere il mio
orgoglio ancora sanguinante che non riusciva a fidarsi di lui. Mi
piaceva quel tocco, mi piaceva sentire le sue mani sui miei seni e mi
piaceva sentirlo ansimare sommessamente, sentire il suo respiro farsi
sempre più affannato, ma non potevo lasciarmi travolgere da
quell'ondata di emozioni, non potevo farmi sopraffare dalla passione
e dall'irrefrenabile voglia che avevo di lui.
Strinsi
con decisione le sue spalle e lo allontanai da me con uno strattone
forse troppo violento. Capì subito di aver sbagliato, di
aver
premuto un po' troppo presto sull'acceleratore e liberò i
miei seni
e le mia labbra, alzando le mani e scuotendo il capo.
«Scusami»
mormorò, affranto «Sei talmente bella
che non riesco a controllarmi».
Arrossii
all'istante e mi sistemai velocemente la maglietta, distogliendo lo
sguardo da lui. O avevo le allucinazioni o lui mi aveva veramente
definita bella.
Era
un complimento stupido e anche banale, ma detto da lui, pronunciato
con la sua voce sembrava l'apprezzamento più meraviglioso
che una
donna potesse sentirsi dire.
«Non,
non dire stupidaggini» dissi imbarazzata, appoggiando la
schiena
contro la portiera e rannicchiandomi in un angolo.
«Dico
sul serio!» esclamò lui sorridendo «Sei
bellissima. L'ho pensato
dalla prima volta che ti ho vista. Il tuo sorriso mi ha incantato fin
da subito, ha scavato dentro di me, è entrato nella mia
anima e non
ne è più uscito. È forse una delle
cose più belle che il mondo
abbia mai visto»
«Esagerato»
ridacchiai «Come mai tutti questi complimenti
sdolcinati?»
«Mi
escono naturali. Un fiume di parole incontrollate. Sei tu che mi fai
questo effetto, lo sai?» sorrise di sbieco e
gattonò verso di me,
in cerca delle mie labbra.
Sorrisi
sorniona e voltai di scatto il viso, ricevendo un bacio sulla
guancia. Dario aggrottò le sopracciglia e tentò
nuovamente di far
unire le nostre labbra, ma io sfuggii ancora, ridacchiando per
quell'inseguimento. Il suo viso fintamente irritato mi divertiva e mi
divertiva ancora di più farmi desiderare, sentire le sue
labbra
posarsi sulle mie guance, sul mio naso o sul mio collo alla disperata
ricerca di un bacio che non volevo concedergli.
«Fai
la preziosa, eh!» mi provocò lui, leccandosi il
labbro inferiore
«Non costringermi a sfoderare ancora il Moro che è
in me» sussurrò
roco, infilando un ginocchio tra le mie gambe e puntellando le mani
sul vetro del finestrino, ai lati del mio viso.
Mi
ritrovai intrappolata tra il sedile e il suo corpo caldo e sensuale,
con il suo respiro che si fondeva al mio, con i suoi occhi incatenati
ai miei. Cercavo di resistergli in tutti i modi, ma se lui mi
provocava in quel modo, spalmandosi completamente sopra di me come
aveva fatto quella sera sul suo divano, perdevo qualsiasi buon
proposito e la parte lussuriosa di me si faceva spazio, vogliosa di
venire allo scoperto e amare Dario anche fisicamente. Deglutii a
vuoto ed annaspai in cerca d'aria, di quell'aria pregna del suo odore
e della nostra bruciante passione. Non dovevo cedere, non dopo
quello che mi aveva fatto, non subito, senza nemmeno avere la
certezza dei suoi sentimenti. Mi aveva fatto capire, con le sue
parole che provasse per me qualcosa di forte e profondo, ma come
potevo sapere se quello lo sentiva realmente? Se non fosse solo
un'attrazione fisica passeggera? Se quello fosse solo un fuoco di
paglia?
Allungai
una mano verso di lui e lo accarezzai, appoggiando le mie labbra
sulle sue in un casto bacio con cui cercai di stemperare quel
dirompente desiderio che c'era tra di noi.
«Chi
è questo Moro?» domandai, distraendolo, per
qualche minuto, dal suo
sensuale gioco di provocazioni.
Un
lampo di tristezza attraversò i suoi occhi ed una patina di
ricordi,
forse spiacevoli, gli inumidì le iridi. Il suo corpo si
irrigidì
sul mio, il suo sguardo sfuggì al mio curioso e confuso al
tempo
stesso e, per un attimo, mi sentii in colpa per avergli fatto quella
domanda, per avergli chiesto qualcosa del suo passato di cui, ancora,
non voleva rendermi del tutto partecipe.
«Non
sei costretto a dirmelo» mormorai.
Dario
abbozzò un sorriso e tornò a sedersi, affondando
nello schienale
del sedile. Si passò una mano tra i capelli scuri e si morse
il
labbro inferiore. Era in difficoltà, in imbarazzo, ormai il
suo
corpo non aveva segreti per me.
«No,
tranquilla, non è niente di che» rispose, puntando
lo sguardo
davanti a lui «Moro era il soprannome che mi avevano dato
durante il
liceo» sospirò, esitando qualche istante ed io ne
approfittai per
sedermi comoda ad ascoltare ciò che aveva da dirmi.
«Mi
chiamavano così perché ero il più
bello, il più sensuale, il più
desiderato della scuola, quello che tutte le ragazze avrebbero voluto
baciare anche una sola volta. E stronzo, ovviamente, oltre che
superficiale» schioccò la lingua ed
appoggiò i gomiti sulle
ginocchia, congiungendo le mani «Ma è sempre stata
una facciata. Io
odiavo quella parte di me, quella parte che invece il resto della
gente sembrava amare. L'unico modo che avevo di farmi accettare dagli
altri era mostrare questo Moro, mostrare quello che non ero,
indossare quella maschera che proteggeva il vero Dario da quel mondo
troppo difficile da sopportare per un animo fragile come il
suo».
Si
morse nuovamente il labbro e finì il discorso, lasciando
calare su
di noi un pesante manto di silenzio. Ogni qual volta lui decideva di
raccontarmi qualcosa di lui, di mostrarmi un pezzo della sua anima,
capivo quanta sofferenza doveva aver sopportato, quanta tristezza
esasperata si portava dentro, senza potersi sfogare con qualcuno. Mi
sentivo fuori luogo in quel momento, spaesata in quella malinconia
che le sue parole riuscivano a sprigionare e qualsiasi parola di
conforto mi sembrava superflua.
«A
quel tempo mi sembrava il modo migliore di affrontare la vita.
Mostrarmi forte ed impassibile davanti a tutto e a tutti, davanti ai
miei sentimenti e alle persone che amavo. Ma ho sbagliato.
Così
facendo ho perso l'unica persona che ho amato davvero, con al quale
potevo essere me stesso senza aver paura di mostrare la mia
sensibilità»
«Sole»
soffiai e lui annuì, alzando finalmente lo sguardo.
Sentendo
quel nome un sorriso amaro si era dipinto sul suo volto. Era chiaro
che sentisse ancora qualcosa per lei, per quell'unica ragazza che era
riuscita ad amarlo e farsi amare da lui. Ero gelosa di lei,
nonostante non sapessi nulla di questa Sole, né di che
colore avesse
gli occhi, né come fosse fisicamente e caratterialmente.
Sapevo solo
che il suo ricordo opprimeva Dario, il suo cuore, che la sua memoria
si sarebbe sempre interposta tra noi due e che lui non sarebbe mai
stato in grado di amarmi come aveva fatto con lei. Se poi sarebbe
stato in grado di innamorarsi di me. Sembrava così
affezionato a
questa Sole che temevo che avrebbe amato di più il suo
ricordo che
me.
Respirai
a fondo e mi torturai il lembo della canottiera, attorcigliandolo
intorno alle mie dita.
«Se
tu potessi, torneresti indietro per sistemare le cose? Per non
commettere più quell'errore e vivere felice con
Sole?» gli domandai
con un filo di voce.
Dario
esitò e mi guardò pensieroso, prima di aprirsi in
un sorriso
luminoso.
«Se
mi avessi fatto questa domanda qualche tempo fa avrei detto Sì
all'infinito. Avrei fatto di tutto pur di riavere Sole»
sospirò «Ma
adesso non più. Quindi, no, non tornerei indietro e non
cambierei
nulla del mio passato. Tutti i miei errori, i miei rimpianti e i miei
rimorsi, tutto ciò che mi ha fatto soffrire, in
realtà, mi hanno
fatto strada, mi hanno condotto qui, a Milano, mi hanno accompagnato
da una ingenua ragazzina che mi ha rapito il cuore».
Aggrottai
le sopracciglia e lo guardai confusa, con le lacrime che premevano
agli angoli degli occhi per poter uscire. Non riuscivo a parlare,
muovevo solo la bocca senza emettere nessun suono.
«Una
ragazzina con i colpi di sole e con un sorriso meraviglioso che
è
riuscita, dopo anni, a scavare dentro di me, ad andare oltre le
apparenze, a cercare di capire chi fosse realmente Dario e ad
abbattere qualsiasi mia difesa» mi sorrise nuovamente
«Una
ragazzina che si chiama Alice Livraghi».
Le
mie labbra tremarono, così come qualsiasi mio muscolo.
Rimasi
qualche secondo a fissarlo negli occhi, a scrutare in quel mare nero
che erano lo specchio della sua anima, ancora incredula per quelle
parole che mi avevano spiazzata e che sembravano irreali. Mi pareva
quasi di vivere in un sogno, che fosse impossibile che una sfigata
come me avesse potuto trovare un ragazzo splendido come Dario.
D'improvviso, mi slanciai verso di lui e lo abbracciai, lo strinsi
forte a me e per un attimo ebbi paura che la sua immagine potesse
volatilizzarsi, diventare fumo, lasciandomi da sola con i miei sogni
e le mie fantasie. Invece lui era lì, era concreto, era
reale, era
mio
e la mia favola stava quasi per realizzarsi.
«Hai
detto delle cose bellissime» mormorai, alzandomi per guardare
il suo
viso, per imprimere nella mente ogni particolare del suo volto, per
fotografare la meravigliosa bellezza del suo sorriso e dei suoi occhi
«Mi sembra quasi impossibile che tu sia qui con me»
«A
me pare impossibile che tu abbia scelto me, il gigolò
spocchioso ed
antipatico che con la sua sola presenza ti innervosiva»
ridacchiò.
«Io
ti avevo scelto ben prima che me ne rendessi conto» ammisi
«Da
quando hai messo piede in casa mia».
Dario
sorrise imbarazzato e un lieve rossore tornò a fare capolino
sulle
sue guance.
«Vuoi
sapere la verità?» mi domandò ed io
annuii «È successa la stessa
cosa anche a me. Appena ti ho vista mi sono sentito scombussolato e
il tuo sorriso mi ha completamente destabilizzato. Ma mai avrei
pensato che potessi provare qualcosa per una mia cliente, arrivando,
addirittura, a farle una serenata!»
«Ed
io non mi sarei mai immaginata di perdere la testa per un
gigolò»
ridacchiai, mordicchiandogli le labbra.
«Con
un gigolò come me, era prevedibile»
gongolò, assaporandomi e
solleticandomi con la punta della lingua.
«Eccolo
che ritorna lo spocchioso di sempre» commentai con un
sorriso,
approfondendo il nostro contatto e trasformandolo in un bacio lento,
un inseguirsi delle nostre lingue che ormai conoscevano perfettamente
la bocca dell'altro.
«E
non ti piace molto questo lato di me, vero?» mi chiese, con
le sue
labbra ancora incollate alle mie.
«Certo
che mi piace» risposi in un sussurro, intrappolando la sua
lingua
nella mia bocca «Adoro tutto di te. Soprattutto il tuo odore.
Mi
manda in estasi»
«È
un semplice profumo di Armani» commentò lui,
sorridendo.
«Non
parlavo di profumo, ma proprio della tua pelle» dissi,
strofinando
il naso contro il suo collo e facendolo sussultare «Odora di
vaniglia» soffiai, prima di lambire un lembo della sua pelle
leggermente abbronzata e succhiandola avidamente per sentire suo
sapore solleticare le mie papille gustative.
«Ti
piace la vaniglia?» mi domandò malizioso,
stringendomi una spalla.
«La
adoro» risposi, solleticandolo con la punta della lingua.
Lo
sentii respirare a fondo e soffocare un gemito di piacere. Si muoveva
irrequieto sul sedile ed era completamente in balia delle mie labbra.
Per una volta le posizioni si erano invertite, non era lui a farmi
impazzire di piacere, ma ero io a tenere le redini. E mi
piaceva…
mi piaceva vederlo chiudere gli occhi, sentirlo fremere sotto le mie
labbra, sentire i suoi respiri farsi sempre più pesanti.
«Allora
sarà il tuo pasticcino personale»
ridacchiò «Quando vuoi, puoi
assaggiarmi»
«Se
potessi, ti assaporerei per sempre» ammisi, senza imbarazzo,
staccandomi per qualche secondo dal suo collo.
Fu
un tempo brevissimo, questioni di istanti, ma il sapore della sua
pelle era ormai penetrato dentro di me e non riuscivo più a
farne a
meno. Mi avventai ancora una volta su di lui, succhiando quel collo
foga, affamata di vaniglia, affamata di Dario. Con lui sentivo di
non avere freni. Non li avevo avuti sul suo divano e nemmeno in quel
privè. Lui riusciva a risvegliare la donna
che era in me, qualsiasi voglia assopita che giacevano negli anfratti
del mio corpo. Né con Davide e nemmeno con Federico avevo
mai
sentito un desiderio tanto dirompente farsi strada dentro di me.
Succedeva solo con Dario e non riuscivo a capirne il motivo. Forse
era il suo odore che mi offuscava la mente, forse la sua innata
sensualità capace di travolgermi, forse i suoi occhi
penetranti. Con
lui mi sentivo libera di agire, libera di lasciarmi trasportare non
solo dai sentimenti, dal mio cuore, ma anche dalla passione.
Intrufolai
una mano nella sua maglietta e sfiorai con minuziosa cura ogni suo
muscolo ben definito, sentendolo sobbalzare sotto il mio tocco
delicato. Le dita affusolate di Dario scivolarono sulla mia coscia,
stringendola con vigore ed inclinò la testa all'indietro
abbandonandosi sullo schienale, con gli occhi chiusi e le labbra
leggermente aperte dalle quali usciva qualche ansimo. Quella fu
l'immagine più erotica che avessi mai visto. Non che avessi
visto
chissà quale scena hot, ma il suo viso contratto in una
smorfia di
piacere e quelle labbra morbide appena dischiuse mi eccitarono
parecchio.
«Smettila
Alice» supplicò roco.
«Non
ti piace?» chiesi maliziosa, lasciando un bacio sulla
mandibola.
«Anche
troppo» rispose «Se continui, posso dire addio a
qualsiasi mio buon
proposito».
Sapevo
che stava alludendo ancora al sesso, ma questa volta non potevo
biasimarlo. Ero stata io a provocarlo, a farlo eccitare e mi era
anche piaciuto farlo. Accennai un sorriso, poi unii le mia labbra
alle sue in un innocente e fugace bacio.
«D'accordo»
gli dissi sorniona.
«Questo
è stato il miglior succhiotto della mia vita»
sussurrò malizioso
«Sicura che fosse la prima volta che facessi una cosa del
genere?
Non è che hai fatto pratica con quello spilungone?»
«Ma
che dici?!» trillai indignata, dandogli una leggera sberla
sul
braccio «Tra me e lui c'è stato solo un
bacio».
Dario
sussultò sul sedile, appoggiando il gomito sullo schienale
del
sedile e sgranò gli occhi, guardandomi incredulo.
«Tu
e quel nasone vi siete baciati?!» ripeté stizzito
«Lo sapevo che
quel biondino avrebbe allungato le mani, non appena io me ne fossi
andato»
«In
realtà sono stato io a baciarlo» ammisi, con un
sorriso «E gli ho
anche chiesto di diventare il mio ragazzo».
La
bocca di Dario si spalancò, assumendo la forma di una tonda
O. Poi
scrollò la testa e si passò una mano sul viso,
scuotendo il capo.
«Quindi...
no...cioè...famme capì 'na cosa»
ringhiò contrariato.
«Ma
sei di Roma?» constatai, cercando di cambiare discorso e di
non
farlo arrabbiare.
«Sì,
sono di Roma» sospirò «Ma questo non
c'entra adesso! Non farmi
perdere il filo del discorso. Quindi, tu gli hai chiesto di diventare
la sua ragazza?»
«Esatto»
ridacchiai «Tu te n'eri andato ed ero sicura che non saresti
più
tornato. Non potevo rimanere ad aspettarti tutta la vita, dovevo pur
dimenticarti e credevo che diventando la ragazza di Federico sarei
riuscita a non pensarti più»
«Non
ce sto a capì nulla» bofonchiò
«Voi due state insieme?»
«No,
tranquillo» risposi, stringendogli le mani tra le mie
«Lui non ha
accettato. Non voleva essere un ripiego»
Dario
sospirò e rilassò i muscoli tesi, abbandonandosi
al sedile. Scosse
la testa impercettibilmente e sorrise soddisfatto, felice di sapere
che tra me e Federico non ci fosse nulla.
«Vorrà
dire che lo terrò d'occhio. Quel tipo ha le mani lunghe. Non
hai
visto come ti toccava al bowling?» borbottò
contrariato.
«Cerca
di reprimere la tua gelosia. Te lo troverai tra i piedi praticamente
tutti i giorni» esclamai divertita.
«Perché?»
domandò, lievemente preoccupato.
«È
il mio migliore amico» risposi, posando le mie labbra sulla
sua
guancia.
«Annamo
bene» bofonchiò «Se osa solo avvicinarsi
a te e sfiorarti con
quelle sua manacce gli spacco la faccia e non avrà nemmeno
bisogno
di un chirurgo plastico per quel naso orribile che si ritrova»
«Non
preoccuparti» sogghignai «Tanto ha la fidanzata,
adesso»
«Che?!
Qualcuno ha avuto il coraggio di mettersi con quello
sgorbio?» si
sorprese.
«Ma
lo sai che l'aspetto fisico non è tutto?» gli
chiesi, sedendomi
sulle sue gambe «Federico è un ragazzo splendido.
È dolcissimo e
senza di lui sarei stata perduta» sospirai, ricordando tutte
le
volte che lui mi era rimasto accanto, che aveva ascoltato i miei
problemi di cuore e mi aveva consigliato, supportato e sopportato,
soprattutto. E in tutti quei momenti in cui stavamo insieme non si
era mai permesso di sfiorarmi nemmeno una volta, sebbene ciò
che
provava per me. Era fortunata Cristina ad aver trovato un ragazzo
come lui e sperai con tutto il cuore che quella gallina della Cariati
non lo facesse soffrire.
«Ehi,
frena! Quanti complimenti!» esclamò scocciato.
«Cos'è,
vuoi l'esclusiva?» chiesi maliziosa, baciandolo sul naso,
sulle
labbra, ovunque mi capitasse.
«Non
sarebbe una cattiva idea» rispose con lo stesso tono,
avvicinandomi
di più a lui.
I
nostri corpi erano stretti l'uno all'altro, combaciavano
perfettamente e mi sentivo finalmente completa tra le sue braccia. Mi
baciò una guancia, scivolando con le labbra verso la
mandibola e
fermandosi sul mio collo, dove lasciò numerosi baci carichi
di
passione ed erotismo. Strusciò il naso contro la mie pelle,
assaggiandola poi con la punta della lingua. Mi voltai leggermente,
inclinando il capo per facilitargli il compito ed, inevitabilmente,
il mio sguardo cadde sull'orologio dietro il volante.
«Oh
mio Dio!» esclamai, scattando giù dalle gambe di
Dario.
«Che
ti prende?» domandò confuso.
«Sono
le undici passate!» risposi, agitata «È
meglio che vada, sennò
quei due pensano che abbiamo fatto chissà cosa».
Mi
sistemai i vestiti e ravvivai i capelli, almeno per renderli decenti
e mi avvinai alla portiera per poter scendere.
«No,
non te ne andare così presto» mi
supplicò, abbracciandomi da
dietro e appoggiando il viso sulla mia schiena.
Mi
voltai per guardare i suoi occhi da cucciolo e baciarlo per l'ultima
volta prima di andarmene. Fu un bacio lungo, un bacio pieno di
passione che non avrebbe mai voluto avere una fine. Fosse stato per
me, sarei rimasta incollata alle sue labbra per il resto della mia
vita, avrei passato l'eternità al suo fianco. Ma, purtroppo,
non
potevo, le circostanze mi impedivano di poter passare ogni istante
con lui.
«Vorrei
restare, ma poi mi fratello e mia madre non mi lasciano
respirare»
«D'accordo»
sospirò a malincuore, lasciandomi andare.
Uscii
dalla Mito e rimasi a fuori dalla portiera aperta a guardarlo in
tutta la sua magnifica bellezza. Dario si sporse in avanti,
supplicando tacitamente un bacio, allungando le labbra verso di me.
Sorrisi e lo assecondai, baciandolo ancora una volta, assaggiando
nuovamente quelle labbra lisce come il velluto che sapevano di
vaniglia.
«Buonanotte
piccola» sussurrò a pochi millimetri dal mio viso.
«’Notte
piccolo» risposi, sorridendo.
Mi
allontanai lentamente dalla macchina, dirigendomi verso il portone,
voltandomi di tanto in tanto a guardare quella Mito. L'ultima volta
che l'avevo vista, mi aveva portato via Dario, si era allontanata con
lui dentro. Piangevo quella notte, sicura che non lo avrei
più
rivisto. Anche quella sera la Mito si sarebbe allontanata da me, ma
quella volta sapevo che lui sarebbe tornato. E non c'era stato
nessuno addio, solo un arrivederci, un buonanotte sussurrato con
dolcezza.
La
casa era vuota, c'eravamo solo io e Milky stese sul divano a goderci
la tranquillità che l'assenza degli altri ci aveva donato.
Mia madre
era in ufficio a sbrigare delle pratiche per qualche suo cliente,
mentre mio fratello era andato a studiare, miracolosamente, in
biblioteca insieme ad Alberto, il suo amico sfigato e secchione.
Sorrisi ripensando a quando lo avevo conosciuto, a quando lo avevo
scambiato per Dario quella sera di sei mesi prima. Era passato
così
tanto tempo e quasi non me n'ero accorta. Erano successe talmente
tante cose che non mi ero accorta dello scorrere del tempo. Quando lo
avevo chiamato non avrei mi pensato che potessi innamorarmi di lui,
che sarei entrata a far parte della sua vita, scombussolandola,
così
come lui aveva fatto con me. E ringraziavo il cielo, la mia buona
stella, il mio angelo custode di aver chiamato Blaine
e non qualche altro suo collega.
Sospirai,
accarezzando Milky, mentre la voce sensuale di Dario che proveniva
dalla radio riempiva la casa. Avrei voluto averlo con me in quel
momento, baciarlo ed abbracciarlo come avevo fatto la sera prima, ma
mi accontentai di sentirlo parlare, immaginandomi che mi stesse
mormorando dolci frasi d'amore.
Ero
completamente abbandonata a lui, quando il citofono squillò
facendomi sobbalzare. Sbuffando e svogliata, andai a rispondere
trovando dall'altra parte del citofono una Claudia ansiosa,
preoccupata, tesa. La feci salire e l'aspettai sulla soglia della
porta, dove arrivò poco dopo. Aveva i capelli raccolti in
una coda
improvvisata, gli occhi gonfi e stringeva tra le mani un sacchettino
di plastica. Si avventò su di me, abbracciandomi a lei,
piangendo
sulla mia spalla. Pensai subito che c'entrasse Raffaele, che magari
lei lo avesse visto con un'altra, anche se mi sembrava improbabile.
«Che
succede Claudia?» chiesi allarmata e lei si limitò
solo a liberarmi
e a dirigersi in camera mia.
La
seguii confusa e la vidi sedersi a peso morto sul mio letto,
prendendosi la testa tra le mani.
«Raffaele
in questo momento non c'è, è uscito»
dissi titubante.
«Non
lo voglio vedere» rispose secca.
«Che
ti ha fatto quel deficiente di mio fratello, sentiamo»
sospirai,
sedendomi accanto a lei.
Ma
da Claudia non provenne nessuna risposta, se non numerosi singhiozzi
che diventavano sempre più numerosi e acuti.
«Ha
detto qualcosa che non andava?» tentai e lei scosse la testa
«Lo
hai visto con un'altra? O con un altro? Ti ha picchiata?»
«No!»
sbraitò «Niente di tutto ciò»
«Si
può sapere allora che succede!» sbottai,
esasperata.
«Sono
incinta!» urlò, curvandosi per nascondere il viso
tra le ginocchia.
Ci
volle qualche secondo prima che il mio cervello recepisse quella
parola. Claudia era incinta, mio fratello sarebbe diventato padre.
Non ce lo vedevo proprio nei panni del papà amorevole, anzi,
non
avevo mai immaginato una scena simile dato che ero sicura che mai
avrebbe trovato una donna.
Quella
notizia inaspettata si era abbattuta su di me come un doccia gelata,
figurarsi poi come l'avrebbe presa Raffaele. Boccheggiai e tentai di
dire qualcosa, ma con scarsi risultati. Io non sapevo nemmeno cosa
fosse il sesso, come si facesse e mi terrorizzava il solo pensiero di
poter rimanere incinta così giovane. Ero ancora una bambina,
praticamente, senza nessuna esperienza, che aveva appena deciso di
entrare nell'adolescenza, forse con un po' di ritardo.
«Ne
sei sicura?» fu l'unica cosa che riuscii a chiederle.
«Sì,
cioè… boh! Ho un ritardo di un mese e
mezzo» rispose,
asciugandosi le guance con i palmi delle mani, come una bimba
«Qui
ho il test» disse, indicando il sacchettino di plastica
«Volevo
avere qualcuno di importante a fianco per poterlo fare».
Accennai
un sorriso udendo quelle parole. Il nostro rapporto era nato per caso
nei bagni della scuola, anche contro voglia da parte di entrambe.
Eravamo solo due ragazze accomunate dalla stessa amica, costrette a
parlarsi anche senza un vero interesse nei confronti dell'altra. Si
era rivelata, però, una grande amica, una persona di cui
potersi
fidare, con cui potersi confidare, non come quella serpe di Benedetta
che, ancora, mi odiava per qualcosa che non avevo fatto.
La
accompagnai in bagno ed attesi qualche minuto che uscisse con un
bastoncino bianco stretto in mano. Tremava e piangeva, impaurita
dall'esito di quel test. La invitai a sedersi accanto a me sul letto
e la abbracciai.
«Quando
avremo il risultato?» domandai agitata.
«Quattro
minuti di agonia, più o meno»
ridacchiò, tirando su con il naso
«Scusami se nell'ultimo periodo mi sono allontanata da te, ma
ero
spaventata da quello che mi stava succedendo»
«Stai
tranquilla» mormorai, appoggiando il viso sulla sua testa e
coccolandola «Anche se a dire il vero ci sono rimasta male.
Pensavo
ti fossi coalizzata con Benedetta»
«No,
ma va’!» sogghignò «Chi la
sente più! È diventata un'altra!
Una antipatica, vanitosa che passa da un letto all'altro con troppa
facilità per i miei gusti» sospirò
«Ma quindi, adesso stai con
Federico?»
«No,
mai stata con lui. Benedetta ha solo frainteso dei nostri
atteggiamenti. Tra me e Federico c'è solo una grande
amicizia»
risposi.
«E
Benedetta lo sa? Sa che non c'è nulla tra di voi?»
«No,
non ha voluto ascoltarmi» sospirai affranta
«Eravamo migliori
amiche e adesso mi odia»
«Tranquilla
Alice, tanto ci sono io. E ci sarò per sempre per
te» disse con
estrema dolcezza.
«Anche
io, Claudia» replicai, stringendola «Vuoi sapere
l'ultima novità?»
«Hai
fatto sesso?» ridacchiò, divertita e mi sentii
sollevata nel
vederla felice anche se per qualche secondo.
«Quello
non ancora!» esclamai, fingendomi indignata «Dario
è tornato e mi
ha fatto una serenata, con tanto di dichiarazione»
«Il
gigolò?!» domandò incredula.
«Proprio
lui» risposi al settimo cielo «Ha anche cambiato
lavoro. Adesso è
un deejay».
Gli
occhi grigi di Claudia si allargarono e un sorriso gioioso le
illuminò il viso dapprima triste e sconsolato. Mi
abbracciò ancora,
dondolandomi a destra e a sinistra, facendomi quasi venire il mal di
mare.
«Sono
davvero felice per te!» disse sincera.
«Grazie»
Si
staccò da me e prese un respiro profondo. I quattro minuti
erano
passati da un pezzo e il test di gravidanza reclamava attenzioni. La
tensione che c'era nella mia stanza era quasi palpabile e per qualche
istante mi sembrò di sentire il cuore di Claudia pronto ad
esplodere.
Strinse
maggiormente il test e chiuse gli occhi, portando quel bastoncino
bianco a pochi centimetri dal viso. Aprì una palpebra poi
l'altra e
la vidi sbiancare. Il suo braccio ricadde pesantemente verso il basso
e il test scivolò dalle sue dita.
«Positivo»
_______________________________
Sì, lo so! Il
titolo di questo capitolo è orribile, ma è il
primo che mi è venuto in mente. E, nonostante la sua
bruttezza, racchiude in sé il capitolo, o meglio, la parte
finale. Altra notizia bomba, direi! Claudia è incinta e il
burbero Smell diventerà papà! A non usare le
precuazioni succede questo, ma anche molto peggio. Non sono
qui a fare la predica, anzi, non mi dilungherò oltre con
questo discorso. Chiudo dicendo di
usare i preservativi!
Bene, detto questo, riprendiamo il commento al capitolo. Anche, se, a
dirla tutta c'è molto poco da spiegare. Dopo un iniziale
rifiuto, Alice, ancora una volta, cade tra le braccia di Dario, forse
con un po' troppa facilità, ma le parole del nostro ex
gigolò e attuale deejay sono state molto dolci *-* Comunque,
Alice decide di dare una seconda possibilità a Dario, anche
se lui dovrà fare di tutto per riconquistare la sua fiducia.
Dopo quello che le ha fatto e dopo la brutta esperienza con Davide, si
fida ben poco delle parole di un ragazzo, anche se questo è
il suo grande amore.
Da qui, direi, che iniziaerà una specie di seconda parte
della storia, una sorta di sequel che, però,
continuerò a postare qui, con lo stesso titolo ma entreranno
in scena nuovi personaggi :3 non anticipo nulla, non voglio rovinarvi
la sorpresa. Basta attendere qualche capitolo per conoscerli. Uno di
loro già avete avuto l'onore di vederlo apparire...molto
probabilmente avete capito di chi sto parlando...o forse no?!
Vabbè! Smettiamo di ciarlare e passiamo ai ringraziamenti.
Davvero, un GRAZIE immenso dal
profondo del cuore, per tutto il sostegno e per il vostro amore nei
confronti dei miei personaggi. Spero che le mie future creature, i
nuovi personaggi di altre storie (che già stanno frullando
da tempo nella mia testolina) possano piacervi ugualmente.
Comunque, GRAZIE alle 17
persone che hanno recensito lo scorso capitolo, GRAZIE a chi segue,
ricorda e preferisce la mia storia, GRAZIE
a chi mi sostiene su facebook, GRAZIE
a chi legge solamente, GRAZIE
a chi mi ha inserito tra gli autori preferiti.
E GRAZIE a Nessie,
la mia beta personale a cui dedicherò un monumento per la
pazienza e IoNarrante,
che si sorbisce ogni santo giorno le mie stupidate e mi aiuta nella
stesura.
Un po' di
pubblicità:
Come
in un Sogno - con IoNarrante.
You're
a mistake I'm willing to take - con
Ionarrante
Facebook
Gruppo
Facebook - per immagini, spoiler e novità :3
Un bacione a tutti e al
prossimo capitolo ♥
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Capitolo 20 *** Changing ***
C a p i t o l o 19
Changing
Silenzio. Dopo quella singola
parola il
silenzio piombò tra di noi. Si sentiva in lontananza solo la
voce di
Dario, provenire dalla radio ma, in quel momento, mi interessava
molto poco di lui. La mia amica aveva appena scoperto di essere
rimasta incinta a soli diciotto anni, per di più di uno
scapestrato
nullafacente senza un minimo di responsabilità di nome
Raffaele.
Come avrebbero potuto crescere un bambino loro due, che peraltro
stavano insieme solo da pochi mesi? Lei era ancora una ragazzina
vogliosa di viversi i suoi anni, di godersi la sua giovinezza. Lui
era un caso disperato, sotto ogni punto di vista. Nessuno dei due
aveva la testa e la maturità giusta per crescere un bambino.
Se
prima il sesso mi terrorizzava, in quel momento non ne volevo nemmeno
parlare. Non volevo neanche pensare a cosa avrei fatto io, se avessi
scoperto una cosa del genere.
«Come lo dirò ai miei?!»
singhiozzò
Claudia, mettendosi le mani tra i capelli «E a Raffaele?
Oddio, mi
lascerà appena lo verrà a scoprire!» si
disperò, cercando
consolazione fra le mie braccia.
Affondò il viso nella mia maglietta e mi
strinse forte a sé. Aveva bisogno di qualcuno accanto in un
momento
delicato come quello e di certo io non mi sarei tirata indietro, non
l'avrei abbandonata così fragile. Anche perché,
contro ogni mia
aspettativa era una amica, una vera amica, e non si voltavano mai le
spalle alle persone importanti. Le sarei stata a fianco in qualsiasi
momento, sia quando avrebbe dovuto dirlo ai suoi genitori, sia quando
ne avrebbe parlato con Raffaele, e le avrei stretto la mano durante
le visite dal ginecologo, semmai avesse voluto.
«Non lo farebbe mai» disse flebile «Non
ti lascerebbe, soprattutto se gli dicessi una cosa del
genere».
Claudia alzò lo sguardo per incontrare
il mio, per cercare sicurezza nei miei occhi. Sorrisi, per infonderle
forza, anche se solo un minimo, per poter reagire. Raffaele era
sì
un idiota immaturo, ma ero certa che non avrebbe mai abbandonato
Claudia in quello stato, anche perché, nonostante lui
cercasse di
fare il duro, avevo capito che era molto legato a lei, che provava
qualcosa di molto profondo. Magari non era ancora amore, ma era
qualcosa di molto simile, molto vicino a quel sentimento.
«Dici?» domandò, insicura.
«Ma certo! Raffaele tiene davvero tanto
a te, lo capisco da come ti guarda, da come si illuminano i suoi
occhi ogni volta che parla di te» le confidai, accarezzandole
una
spalla lasciata nuda dalla maglietta senza maniche.
Lei abbozzò un sorriso e si scostò una
ciocca di capelli rossi dalla fronte, stringendosi nelle spalle e
cercando di trattenere il pianto.
«Lui non mi ha mai detto nulla, non mi
ha mai fatto capire nulla. Mai una cosa carina, mai un
complimento»
e si asciugò gli occhi con il dorso della mano «E
non sono poi
così sicura di quello che prova per me»
«Raffaele fa il duro, ma in realtà non
lo è. Nemmeno a me ha mai detto Ti voglio bene
o cose simili.
Ma ci sono tanti suoi piccoli gesti, magari che sembrano inutili, che
dimostrano i suoi sentimenti. Un sorriso, uno sguardo languido, la
voce tremante» le dissi. Ed era così. Se una
persona estranea ci
avesse visto come spettatore, non avrebbe mai detto che fossimo
fratelli, anzi, avrebbe visto solo saette di odio tra di noi. Ma non
era così. Io tenevo a Raffaele, come lui teneva a me, anche
se
cercava in tutti i modi di non dimostrarlo. Forse un po' troppo, data
la sua gelosia.
Claudia scrutò nei miei occhi, scavò
dentro di me, molto probabilmente per capire se le mie parole erano
vere oppure dette solo per consolarla. Sorrise, poco dopo, un sorriso
appena accennato, ma felice.
«Stai tranquilla, quindi. Lui non ti
lascerà»
«E se non volesse prendersi le sue
responsabilità? Insomma, siamo giovani entrambi e un bambino
sarebbe
un peso per tutti e due» sospirò affranta.
«Un bambino non è mai un peso»
risposi, stringendole una spalla «È vero, non
è facile crescerne
uno, soprattutto quando si è giovani, quando piomba nella
tua vita
così all'improvviso. Ma sono sicura che questo bambino, o
bambina,
non farà altro che unirvi di più e portarvi tanta
gioia».
Inizialmente Claudia parve convinta dalle
mie parole, ma subito dopo scattò in piedi, con le guance
inondate
di lacrime e si strinse i capelli con entrambe le mani, quasi volesse
strapparseli, scompigliandoli più del dovuto.
«Queste sono solo un mucchio di frasi
fatte!» sbraitò «Adesso come
farò, cazzo! Come farò?!»
Mi strinsi nelle spalle e la guardai con
tristezza. Mi dispiaceva vederla in quello stato, vederla piangere e
disperarsi e mi rattristava ancor di più rimanere
lì, seduta, come
una stupida senza nulla di sensato da dirle per tranquillizzarla, se
non frasi imbecilli. Mi sentivo inutile in quel momento, non riuscivo
nemmeno a consolare un'amica e non avevo la benché minima
idea di
cosa dire per calmarla. Niente, nada, nella mia
testa
rimbombava solo la parola Positivo abbinata a quel
maledetto
test e non riuscivo ad articolare una frase che fosse quanto meno
intelligente.
L'unica cosa che riuscii a fare in quella
situazione fu alzarmi dal letto e fare qualche passo verso di lei per
abbracciarla e stringerla a me, per porle una spalla su cui sfogare
le sue paure, la sua tensione. Era un gesto banale, forse, ma sperai,
comunque, che lei lo apprezzasse, che capisse che le ero accanto in
quel momento, anche se non ero in grado di dire qualcosa di
intelligente, qualcosa di veramente utile. Ero immatura, inesperta,
non avevo mai vissuto appieno la mia vita, per cui ero l'ultima
persona che avrebbe potuto dare dei consigli.
«Stai tranquilla» dissi, accarezzandole
la schiena «Andrà tutto bene».
Claudia si strinse ancora di più a me,
affondando il viso nella mia maglietta e singhiozzò
rumorosamente,
coprendo addirittura il volume della radio.
«Speriamo» soffiò tristemente.
Rimanemmo abbracciate per qualche minuto,
senza dire una parola, in silenzio, con in sottofondo la musica della
radio, fino a quando la porta d'ingresso non scattò,
precedendo dei
passi pesanti come quelli di un rinoceronte. Strabuzzai gli occhi e
deglutii a fatica. Raffaele era tornato a casa, troppo presto, in un
momento in cui la sua presenza non era ben accetta.
«Sono a casa» borbottò e sentii un
tonfo sordo, segno che si era stravaccato sul divano.
Claudia si allontanò da me e mi guardò
preoccupata negli occhi, trattenendo a stento le lacrime. Atona, le
dissi di non preoccuparsi e le asciugai con i pollici le guance.
«Non devi farti vedere piangere»
mormorai e lei annuì «Glielo dirai
subito?»
«No, assolutamente no!» rispose
all'istante «Devo prima metabolizzare la notizia e trovare il
coraggio»
«D'accordo» sospirai.
«Tu non glielo dirai» mi minacciò
quasi puntandomi un dito contro «Me lo prometti?»
«Promesso» risposi, con una mano sul
cuore.
Di sorpresa, la porta della mia stanza si
aprì e il viso annoiato di mio fratello fece capolino. Senza
nemmeno
riflettere, con un gesto d'istinto, calciai il test di gravidanza di
Claudia sotto il letto, per evitare che lui lo vedesse. Ci avrei
pensato dopo a disfarmene. Entrambe gli sorridemmo, false come i
soldi del Monopoli, facendo finta che fosse tutto tranquillo, quando
invece un devastante uragano si era abbattuto su di noi...
più che
altro su Claudia.
«Ah, allora ci sei» biascicò
rivolgendosi a me.
«Certo, dove pensavi che fossi?» tentai
di rimanere il più serena possibile.
«Che ne so, magari con quell'imbecille
del tuo ragazzo» rispose contrariato.
«Punto primo, Dario sta lavorando in
quest'esatto momento» ribattei, scocciata, contando le mie
constatazione sulla punta delle dita «Punto secondo, Dario
non è il
mio ragazzo».
Parlai senza pensare, le parole erano
uscite dalla mia bocca come un fiume in piena, naturali e rimasi
sconcertata da esse. Dario non era il mio ragazzo, in fondo lui non
mi aveva chiesto nulla e nemmeno io avevo fatto lo stesso con lui.
C'era qualcosa tra di noi, e questo era fuori discussione. Qualcosa
di intenso, una certa alchimia, qualcosa che io consideravo amore ma
che non sapevo come lo avrebbe definito lui. Eppure, a sei mesi di
distanza mi ritrovai a pormi la stessa domanda.
Cosa eravamo io e Dario?
Molto probabilmente, non c'era bisogno
che lui mi chiedesse apertamente “Vuoi essere la
mia ragazza”,
magari mi considerava tale anche senza quella domanda. Ma come potevo
esserne sicura, senza una sua conferma? Ed io lo consideravo il mio
ragazzo? Cioè, lui era ritornato dopo tre mesi di assoluto
silenzio
solo il giorno precedente, avevo passato la serata più
magica e
meravigliosa della mia vita, avremmo anche potuto spingerci
più in
là di un semplice bacio ed io non sapevo se considerarlo il
mio
ragazzo o solo una persona con cui mi frequentavo.
«Seh, vabbè» bofonchiò
Raffaele «E
tu, cosa ci fai qui?» domandò a Claudia,
aggrottando la fronte.
«Non posso venire a trovare una mia
amica?» rispose lei, fingendo tranquillità.
«Mi sembri sconvolta!» constatò, ma
non si mosse da dietro la porta.
«No, è tutto ok. Non preoccuparti»
mentì «Qualche problema in famiglia, tutto
qui»
Smell arricciò il naso e annuì poco
convinto.
«Vuoi parlarmene?» domandò, sembrando
quasi, e sottolineo QUASI, tenero.
Claudia mi lanciò uno sguardo
preoccupato ed io, con discrezione, la incitai a seguire mio fratello
in salotto, almeno per farli parlare, sperando che lei trovasse il
coraggio di dirgli del bambino, anche se avevo i miei forti dubbi.
«Andate pure. Io credo che uscirò a
fare una passeggiata» sorrisi ad entrambi ed afferrai
velocemente il
mio cellulare.
Non volevo essere loro d'intralcio e
soprattutto non volevo essere la terza incomoda, per cui me ne andai,
senza però sapere né dove andare né
come passare il mio tempo. Era
mattino inoltrato, quasi l'ora di pranzo e non avevo la
benché
minima voglia di mangiarmi un panino da sola seduta su un
marciapiede. Mi fermai di fronte al portone, con il sole che tentava
di abbagliarmi e digitai velocemente un SMS. Avrei voluto pranzare
con Dario, passare un po' di tempo con lui e magari chiarire quei
miei dubbi che Raffaele aveva fatto sorgere. Ma lui avrebbe concluso
il turno in radio solo dopo un quarto d'ora abbondante, più
una
mezz'ora di viaggio da Milano al mio paese e avremmo mangiato alle
due passate. Non avrei resistito così a lungo, il mio
stomaco
borbottava già da qualche minuto. Per cui scrissi due righe
a
Federico, invitandolo a mangiare un boccone con me, nella speranza
che accettasse e non perdesse tempo con quell'oca della Cariati. La
risposta del mio migliore amico non tardò e, fortunatamente,
mi
avrebbe raggiunta sotto casa nel giro di pochi minuti. Se mi avesse
dato buca per Cristina gli avrei strappato i capelli uno ad uno.
Già
non la sopportavo, se poi mi avesse portato via anche il mio migliore
amico poteva dirsi spacciata.
Infilai il cellulare nella tasca dei
jeans e, dopo circa dieci minuti, vidi Abbate comparire sul
marciapiede di fronte al mio, vestito orrendamente con un paio di
bermuda color panna sporca e una maglietta arancione. Sembrava un
enorme evidenziatore dotato di gambe.
Mi guardai intorno, verificando che non
passassero macchine e mi precipitai sull'altro lato della strada.
«Ma come ti sei vestito?» ridacchiai,
alzandomi sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
«Ho preso le prime cose che mi sono
capitate» scrollò le spalle.
«Noto. Questi vestiti sono un crimine
per la moda» dissi ironica.
«Ha parlato...» borbottò «Tu
sembra
che ti vesti al buio»
«Come osi?» tuonai, divertita,
sgranando gli occhi e spalancando la bocca.
Federico mi fece una linguaccia e si
allontanò, astutamente, prima che la mia mano lo colpisse
con una
sberla sul braccio. Finsi di indispettirmi e cominciai a rincorrerlo,
agitando le braccia nel vano tentativo di colpirlo almeno una volta.
Ma, ahimè, ogni mia sberla sferrata si disperdeva nell'aria.
Sembravamo due bambini in quel momento, che si rincorrevano sul
marciapiede, sbraitando senza il minimo rispetto per nessuno. Le
gente, quando ci passava accanto, sembrava essere sconvolta nel
vedere una ragazzina alta poco più di un metro e sessanta
rincorrere
un bestione della stazza di Federico, soprattutto perché
eravamo
entrambi maggiorenni; eppure sembrava che gli anni non fossero mai
passati. Era come rivedere una vecchia scena, noi due ancora degli
undicenni che ci divertivamo a rincorrerci. Non era cambiato nulla
tra noi due e questo mi rendeva felice.
«Credo che mi stia venendo un infarto»
dissi con il fiatone, piegandomi sulle ginocchia.
Non ero abituata a fare sport e nemmeno a
correre, perciò fare anche solo un metro per me era
faticoso. Tutto
il contrario di Abbate, che, invece, pareva non essersi mosso. Si
avvicinò a me ed appoggiò una mano sulla mia
schiena, abbassandomi
per mostrarmi il suo sorriso sornione.
«Mia nonna avrebbe fatto più strada di
te» ridacchiò, divertito.
Arricciai il naso e gli feci una
linguaccia. Non era colpa mia se odiavo qualsiasi cosa che mi facesse
sudare, che comportasse esercizio fisico. Preferivo di gran lunga
poltrire tutto il giorno sul mio comodo divano o, in alternativa, sul
mio letto. Anche se, dovevo ammetterlo, non era molto salutare, se
poi mi abbuffavo anche di schifezze.
«Spiritoso! Sai, dovresti fare il
provino per Zelig!» ribattei, riprendendo fiato.
«Dici? So di avere un grande senso dello
humor» e si passò una mano tra i capelli,
scostandoli dalla fronte
«ma non avevo mai pensato alla possibilità di
diventare un comico»
concluse, portandosi una mano al mento e guardando il cielo, come se
stesse immaginando la sua carriera sfolgorante sul palco di Zelig.
«Ehi, comico!» lo richiamai,
sventolando le mani davanti al suo viso «Ero
sarcastica»
«No, davvero?» ed enfatizzò le sue
parole con un tono di voce di finta sorpresa
«Simpaticona»
socchiuse gli occhi e mi pizzicò delicatamente entrambe le
guance,
sballottandomi il viso «Ero sarcastico anche io»
«Idiota» lo apostrofai, stringendogli i
polsi e allontanando le sue mani dalle mie guance. Non sopportavo i
pizzichi, non li avevo mai sopportati, nemmeno quando ero bambina e
mio nonno si ostinava a strapazzarmi le guance.
Lo superai a passo deciso, sbuffando come
una pentola a pressione, diretta nemmeno io sapevo dove.
«Cosa mangiamo?» mi domandò,
affiancandomi ed affondando le mani nelle tasche dei bermuda.
«Non ne ho idea» bofonchiai,
inoltrandomi verso la fontana di Campo Verde.
«Cioè, tu mi inviti a pranzare e non
sai nemmeno dove?» sogghignò incredulo Abbate.
«Sono uscita di corsa da casa per
lasciare un po' di intimità a mio fratello e alla sua
ragazza. E non
volevo pranzare da sola, per cui, anche se non ho idea di dove
andare, ti ho invitato» spiegai «Dario, purtroppo,
è al lavoro».
Federico si fermò nel bel mezzo del
marciapiede e mi lanciò un'occhiata truce, quasi volesse
uccidermi
da un momento all'altro. Ok, forse non era stata una bella idea
mettere in mezzo Dario e farlo sentire, ancora una volta, un ripiego.
«Dario?» ripeté «Quel Dario?
Dario il
gigolò? Dario che ti ha fatta soffrire?»
«Proprio lui, in carne ed ossa»
sospirai, incrociando le braccia, aspettando la paternale.
«Sbaglio, o c'è qualcosa che non mi hai
detto?» chiese alterato «Ieri avevi finalmente
deciso di chiudere
con lui ed ora vuoi andare a pranzo con lui?»
«In effetti qualcosa che non ti ho detto
c'è» ammisi, sentendomi quasi in colpa per non
avergli detto nulla
la sera stessa.
Lui allargò le braccia e le fece
ricadere lungo i fianchi, con un'espressione allibita stampata in
faccia. Anzi, più che altro sembrava deluso da me e dalla
scelta che
avevo fatto. Presi un profondo respiro e gli raccontai tutto quello
che era successo il giorno precedente insieme a Dario, tralasciando,
solo, qualche piccolo particolare, come le sue mani sul mio seno. Se
gli avessi detto una cosa del genere, ne ero sicura, non avrebbe
esitato a cercare Dario per tutto il globo per prenderlo a
randellate.
«Oh, che gesto romantico!» esclamò
dolcemente, con un sorriso abbozzato.
Mi strinsi nelle spalle ed arrossii. Il
fatto che Federico apprezzasse ciò che aveva fatto Dario mi
rendeva
felice. Non volevo che il mio migliore amico e il mio pseudo-ragazzo
fossero in guerra tra di loro. Come avrei potuto dividermi tra loro
due?
«Santo cielo, Alice, quanto sei
stupida!» sbottò poi, serrando i pugni.
Come, come, come?! Federico mi
aveva appena definita stupida? Nessuno poteva
permettersi di
offendermi, soprattutto, poi, se si trattava del mio migliore amico.
Assottigliai lo sguardo e lo trucidai, scuotendo la testa per la
disapprovazione.
«Non osare offendermi» sibilai.
«Non ti sto offendendo. Dico solo la
verità, la triste verità!»
infierì di nuovo, facendo qualche
passo verso di me e tentando di stringermi le spalle, ma mi scansai
prima che le sue manacce si posassero su di me «Mi hai deluso
profondamente, Alice. Credevo fossi più matura»
«Mi dispiace averti deluso, ma queste
sono le mie scelte e non permetto a nessuno di giudicarle»
replicai,
alterata.
Bene! Un semplice pranzo tra amici si
stava trasformando in una faida. Litigare con Federico era l'ultima
cosa che avessi voluto che accadesse, ma il suo atteggiamento da
ragazzo protettivo e maturo non mi lasciava altra alternativa.
Diamine, mi sembrava quasi di assistere ad un replay, solo che al
posto di Abbate c'era Dario che si ostinava a volermi allontanare da
Davide. Alla fine aveva avuto ragione, Saronno si era dimostrato uno
stronzo. Ma sapevo che Dario era diverso da lui, me lo aveva
dimostrato in più di un'occasione. Anzi, lo speravo,
dato che
Davide mi aveva fatto credere di essere un santo, e sarei cascata nel
suo letto, molto probabilmente, se non lo avessi sentito con le mie
orecchie dire delle cose tanto orribili. Ecco che nella mia mente si
insinuavano altri dubbi, che si ammassavano uno sopra l'altro,
impedendomi di ragionare con lucidità.
Ok, forse anche Dario aveva adottato la
stessa tattica di Davide, ma ero libera o no di prendere le mie
decisioni, anche se sbagliate? Non volevo nessun protettore, nessun
supereroe che mi difendesse dai dolori della vita. Come tutti, avevo
il sacrosanto diritto di soffrire e crescere, fare esperienze senza
che nessuno mettesse il naso nei miei affari.
«Alice, cerca di capire. Quel ragazzo ti
ha in pugno! Basta che dice due paroline dolci, un bacino e gli
è
tutto perdonato!» tentò, invano, di convincermi.
Sbuffai, roteando gli occhi e incrociai
le braccia, mentre Federico continuava a ciarlare, continuava quel
suo discorso noioso e privo di senso.
«Qualsiasi cosa lui farà, saprà di
avere il tuo perdono in ogni caso. Tu soffrirai, mentre lui si
divertirà alle tue spalle, per poi tornare con la coda tra
le gambe,
un discorso sdolcinato e tu, bum! Cadrai ai suoi
piedi»
«Smettila con queste sciocchezze»
dissi, scocciata «Sono innamorata, non stupida. Ho voluto
solo
dargli una seconda possibilità. Ma se mi deluderà
ancora sta'
sicuro che lo manderò a quel paese»
«Credi davvero che ci riuscirai?» mi
domandò serio.
Avevo capito che lui parlava così solo
perché non voleva vedermi soffrire ancora per Dario e
apprezzavo la
sua preoccupazione, ma, accidenti, non ero più una bambina!
«Sì, ne sono più che sicura»
risposi
decisa, annuendo anche per enfatizzare il tutto.
Federico sospirò rumorosamente e sembrò
rilassarsi. Scosse al testa quasi impercettibilmente, poi mi rivolse
un sorriso.
«In evenienza, mi porterò dietro una
bella scorta di fazzoletti» ironizzò, beccandosi
una linguaccia da
parte mia.
Mi avvicinai a lui e lo presi sotto
braccio, continuando la nostra passeggiata alla ricerca di un luogo
dove mangiare.
«Si può sapere perché Dario non ti
piace? Non lo conosci nemmeno» chiesi.
«In realtà è solo
un'impressione»
scrollò le spalle e sollevò gli occhi al cielo
«E poi, vabbè, non
posso non prendere in considerazione quello che ti ha fatto»
«Lo sai, vero, che per me sarà molto
difficile dividermi tra voi due?» sospirai
«Insomma, siete le due
persone più importanti per me e mi rattrista il fatto che
non vi
sopportiate»
«Per cui, dovrei dedurre che non mi
digerisce» constatò, con un sopracciglio abbassato.
«Diciamo che, no, non gli vai molto a
genio» ridacchiai «Sai, per le tue mani 'polipose'
al bowling»
Federico roteò gli occhi e batté la
mano libera sulla coscia.
«Ma dai! Stavo solo cercando di
aiutarti!» si stizzì.
Lo guardai con sufficienza, schioccando
la lingua e lui sbuffò rumorosamente, annuendo.
«Ok, ci stavo provando!» ammise ed io,
arrossendo, abbassai lo sguardo «Ma, mi sembra, che quando ci
siamo
incontrati al bowling lui non fosse il tuo ragazzo, per cui ero
libero di provarci con te!»
«Il tuo ragionamento non fa una grinza»
ridacchiai «Ma ti ricordo che lui doveva fingersi il mio
ragazzo,
per cui ci stava che fingesse di essere geloso»
«Fidati, lui non fingeva. Era geloso! Se
avesse potuto, mi avrebbe spaccato la faccia»
ribatté lui,
fingendosi preoccupato.
«Sai che ieri sera, in macchina,
parlando di te, ha proprio detto quelle parole, che ti spaccherebbe
volentieri la faccia?» gli dissi, ricordando ciò
che ci eravamo
detti nella sua auto.
«Oddio, spero di non trovarmelo sotto
casa» ridacchiò, per nulla impaurito dalle minacce
di Dario. E
perché avrebbe dovuto? Era il doppio del mio pseudo-ragazzo,
una sua
mano sarebbe bastata per polverizzare il povero Dario.
«Non ti preoccupare. Gli darò io la
possibilità di spaccartela» sogghignai.
Federico mi guardò dubbioso, arricciando
le labbra e il suo viso a punto interrogativo bastò come
domanda.
«Gli voglio chiedere di raggiungerci, di
pranzare con noi. Almeno avrete tutto il tempo per parlare e
conoscervi. Sono sicura che diventerete ottimi amici!»
spigai, con
un sorriso.
«Non penso che sia una buona idea.
Soprattutto perché lui mi odia profondamente, anche se non
so il
perché» fece spallucce «Per cui, rimetti
in tasca il cellulare».
Mi strinse la mano che impugnava il
telefonino e me l'abbassò. Non volevo che quei due si
odiassero, non
sarei riuscita a conciliare amicizia ed amore, ne ero sicura, anche
perché ci sarebbe stato da una parte Federico che avrebbe
cercato di
convincermi che Dario fosse uno stronzo, mentre dall'altra ci sarebbe
stato il mio pseudo-ragazzo che avrebbe continuato ad essere geloso
di Abbate, lamentandosi di lui in continuazione.
«E dai, ti prego!» lo supplica,
stringendomi di più al suo braccio e facendo gli occhi dolci.
«No, è inutile! Io non ti chiedo di
essere amica di Cristina!» ribatté, soddisfatto,
come se mi avesse
inferto la stoccata finale. Ma, mio caro Abbate, ci voleva molto di
più per mettermi KO.
«Mio caro Abbate, io conosco già
Cristina. Sai, ci convivo sei ore al giorno e ti posso dire che tra
di noi non ci potrà mai essere un'amicizia, nemmeno se
pregassi in
cinese!» risposi, con ovvietà «Tu e
Dario vi siete parlati solo al
bowling e solo per cinque minuti scarsi, visto che vi siete ignorati.
Per cui, prima di fare stupide ed inutili sceneggiate, prova a
conoscerlo!»
Lui sbuffò e scosse la testa con vigore,
deciso e irremovibile nella sua decisione. Ma Alice Livraghi non
poteva arrendersi, non così facilmente, aveva un'altra arma
a sua
disposizione e l'avrebbe sfoderata. Eccome se lo avrebbe fatto. Mi
strusciai sul suo bracci e lo sentii sussultare, poi alzai lo sguardo
da cucciolo abbandonato ed indifeso verso di lui, aggiungendoci anche
un labbro tremulo, in pieno stile 'Dario'. Con me funzionava sempre
quel metodo, magari avrebbe avuto effetto anche su Federico.
«Fallo per me» colpo di grazia, detto
nella maniera più zuccherosa possibile.
Le guance di Federico si tinsero piano
piano di rosso e i suoi occhi cominciarono a rimbalzare da me alla
strada davanti a lui. Avevo ancora un certo ascendente su di lui ed
ero più che sicura che avrebbe ceduto da un momento
all'altro.
Sbattei le palpebre più volte, rendendomi più
dolce ed affabile e,
finalmente, lo sentii crollare. I muscoli del braccio si rilassarono
e si lasciò andare ad un lungo sbuffo.
«E va bene!» sbottò «Digli di
raggiungerci»
Dopo un primo momento di stupore misto a
felicità, mi avventai su di lui, saltandogli letteralmente
addosso,
con le braccia a circondargli il collo. Avrei dovuto ringraziare ogni
sera il cielo che mi aveva permesso di conoscere Federico, di avere
un ragazzo d'oro come lui come migliore amico. Dove lo avrei trovato
un altro simile a lui, con la sua stessa dolcezza e pazienza, che
sopportasse i miei sfoghi e i miei capricci?
«Cercherò di essere cordiale con lui,
ma se si comporterà male scordati che io diventi suo
amico!»
aggiunse come clausola. Superflua, per giunta, perché
sapevo, in
cuor mio, che quei due sarebbero diventati amici.
«Grazie, grazie, grazie!» cinguettai,
al settimo cielo, baciandolo ripetutamente sulla guancia.
«Mi lascio convincere troppo facilmente»
borbottò, accarezzandomi un fianco «Non
c'è nessuna speranza,
invece, che tu e Cristina mettiate da parte i rancori?» mi
domandò
speranzoso.
«Toglitelo dalla testa!» sbottai
all'istante «No, davvero, io e lei siamo su due pianeti
completamente diversi»
E parla male di me, si diverte a
prendermi per il culo alle mie spalle, ridendo con il resto del
pollaio.
Avrei voluto aggiungere anche quello, ma
lo tenni per me. Non volevo offendere la sua ragazza, anche se se lo
sarebbe meritato. Mi allontanai da Federico e afferrai di nuovo il
cellulare, cominciando a comporre il messaggio da mandare a Dario.
«Avant Garde?» proposi a
Federico, alzando per qualche secondo lo sguardo dal cellulare.
Quella era la mia pizzeria preferita.
Piccola, accogliente, con un personale simpatico ed una pizza al
trancio alta quasi due dita che era la fine del mondo. Solo a
pensarci avevo l'acquolina in bocca.
«E mangi pizza anche stasera?» domandò
dubbioso.
Aggrottai le sopracciglia e gli rivolsi
uno sguardo spaesato. Che cosa stava dicendo? La sera avrei mangiato
quello che cucinava mia madre, che non ero di certo pizza, dato che
era un'impedita nel prepararla.
«Stasera avete la pizzata di classe, da
come mi ha detto Cristina. Non lo sapevi?»
Accidenti, no che non lo sapevo! Nessuno
aveva avuto la decenza di avvertirmi. In fondo, facevo parte anche
io di quella classe. Ma non c'era da stupirsi. Non avevo rapporti con
nessuno dei miei compagni. L'unico che avevo era quello con
Benedetta, che si era andato a farsi benedire. Ma se la Cariati
pensava che così facendo io non sarei andata a quella
pizzata, si
sbagliava di grosso. La mia classe aveva organizzato una pizzata e,
cascasse il mondo, ci sarei andata. Anche se non avevo la
benché
minima idea di dove si sarebbe svolta. Avrei controllato su Facebook,
nella speranza di trovare la pizzeria in cui avevano deciso di
andare.
«Ma certo!» esclamai sorridendo.
L'ultima cosa che volevo era passare per l'emarginata della classe
che nessuno prendeva in considerazione «Mi era passato di
mente!
Comunque, non importa per la pizza. A me piace, la mangerei anche a
colazione!» vano tentativo di arrampicarsi sugli specchi. Ad
aver
saputo della pizzata, avrei scelto un altro luogo dove pranzare.
«D'accordo, come vuoi» tagliò corto
lui.
«Una mezz'oretta e sarà qui da noi»
gli dissi con un sorriso intascando il cellulare. Alla fine, avremmo
comunque mangiato per le due passate. Ma avrei fatto quello sforzo se
sarebbe servito a far andare d'accordo quei due.
«E nel frattempo, cosa facciamo?»
sbuffò Federico, annoiato.
«Beh, potremmo cominciare ad avviarci e
magari ci fermiamo un po' in piazza, che ne dici?» proposi,
con un
mezzo sorriso.
«All'una del pomeriggio? A giugno
inoltrato? Con il sole che picchia?» si lamentò.
«Se vuoi accelero il tempo, così Dario
arriva prima» dissi sarcastica, sbuffando e puntellando le
mani sui
fianchi.
«Spiritosa» bofonchiò, con una smorfia
«Possiamo cominciare ad andare lì e ordinare anche
per lui. Il
tempo di arrivare e che preparino le pizze Dario sarà
sicuramente
già arrivato».
Sarebbe stata una bella idea, un piano
perfetto, se non fosse stato che io non sapessi i gusti di Dario.
Anzi, a pensarci bene, non sapevo nulla di lui. Non sapevo cosa gli
piacesse, cosa gli desse fastidio, non sapevo il suo colore preferito
e nemmeno la sua data di nascita. Nulla di nulla e pretendevo di
definirmi innamorata di lui. Molto probabilmente non era
così.
Magari era solo una semplice attrazione fisica che io mi ostinavo a
spacciare per amore. Oppure, ero talmente disperata che mi appigliavo
ad una semplice amicizia, cercando in tutti i modi di convincermi che
era qualcosa di molto più profondo, quando, in
realtà, era semplice
affetto.
Quella giornata era iniziata con il piede
sbagliato, con la notizia sconvolgente di Claudia e sembrava non
volesse proseguire positivamente. Avevo tanti, troppi dubbi su Dario,
su di me, su di noi come coppia.
«Siamo arrivati» la voce dolce di
Federico mi riportò alla realtà e mi ritrovai
davanti la porta a
vetri della pizzeria. Non mi ero nemmeno accorta di star camminando e
di essere giunta all'Avant Garde. Era come se quei pochi minuti non
li avessi vissuti, come se il mio corpo avesse vissuto senza la mia
anima dentro. Non ricordavo nulla, talmente ero offuscata dai miei
dubbi.
«Dario ti ha risposto?» mi chiese.
Estrassi il cellulare della tasca, ma sul
display non apparve nulla, se non il faccione del mio gatto. Scossi
la testa e sospirai. Molto probabilmente non ci avrebbe raggiunto,
magari non aveva voglia di passare del tempo con me. Anzi, sperai
addirittura che non avesse letto quel messaggio. Non avevo voglia di
vederlo, di affrontare i miei numerosi dubbio.
«Che facciamo allora?» domandò
«Entriamo ed iniziamo ad ordinare?».
Annuii mestamente e lo seguii dentro il
locale. Era piccola quella pizzeria. All'ingresso c'era la cassa e il
forno a legna, mentre, sul retro, una decina di tavoli per consumare
la propria ordinazione con tranquillità.
Un giovane e cortese cameriere ci
accompagnò nella sala vuota, fino ad un tavolo per due
persone.
Ordinammo entrambi una pizza margherita con doppia mozzarella e una
bottiglia d'acqua per bere e quella fu l'unica cosa che dissi. Rimasi
in silenzio a lungo, disegnando con la punta del coltello dei
ghirigori sulla tovaglia rosa salmone, riflettendo su quello che mi
stava capitando. Avevo troppe domande che mi ronzavano in testa e che
si alternavano in maniera disordinata nella mia mente, tutte in cerca
di una risposta che io non sapevo e non volevo trovare.
Cosa siamo io e Dario?
Solo amici o qualcosa di più?
Fidarsi di lui è la cosa giusta?
Sono veramente innamorata di Dario?
La mano di Federico si allungò sul
tavolo e andò a stringere la mia. Alzai lo sguardo dalla
tovaglia,
trovando i suoi occhi color nocciola scrutarmi con preoccupazione.
Abbozzai un sorriso, così, per tranquillizzarlo, per fargli
capire
che era tutto a posto anche se in realtà così non
era. Ma lui non
sembrò convinto di quel mio tentativo e mi strinse
ulteriormente la
mano.
«Sei strana» constatò «Non mi
hai
rivolto la parola da quando ci siamo allontanati da Campo
Verde».
Bene, lo avevo anche ignorato
mentre ero persa nei meandri dei miei pensieri.
«Riflettevo» sospirai. Lui annuì e mi
rivolse un sorriso dolce per spronarmi a spiegargli ciò che
mi
attanagliava «Su me e Dario. Sai, non sono per nulla sicura
di noi
due» sospirai, affranta.
«Ma come? Prima sembravi al settimo
cielo di averlo ritrovato e ora hai i dubbi?»
«Lo so, è strano. Ma mi hai fatto
notare, implicitamente, che io non so nulla di lui! Solo il suo
nome»
scossi la testa e liberai la mia mano dalla presa di Federico,
congiungendola poi all'altra sotto la tovaglia «Come posso
dire di
amarlo se non so niente di lui? Molto probabilmente sto correndo
troppo, forse lo trovo solo affascinante, forse ho solo un disperato
bisogno di amore» parlai a raffica, senza prendere fiato e mi
ritrovai senza respiro dopo quelle parole.
«Se tu sei la prima a dubitare di voi
due, questa storia non avrà molto futuro»
parlò con un filo di
voce e trovai un po' di conforto e sicurezza nel suo sorriso tenero
«Viviti questi momenti, goditeli! E se poi non è
vero amore, pazienza! Prima o poi arriverà questo tuo
principe azzurro!»
ridacchiò e si umettò le labbra, abbassando per
alcuni secondi lo
sguardo «Capito, piccola?»
«Piccola a chi?» tuonò una voce alle
mie spalle.
Non mi servì nemmeno voltarmi perché lo
avevo riconosciuto. Dario, contro ogni mia aspettativa, era arrivato.
Anche prima del previsto. Sentii i suoi passi pesanti rimbombare
dietro di me, poi una sedia strisciare, fino a che non lo vidi
sedersi accanto a me.
«Piccola è sotto copyright»
continuò
stizzito «Ed ogni volta che lo sentirò uscire
dalla tua bocca sarà
un cazzotto sul muso» continuò, sorridendo come un
cretino.
Ecco, iniziava proprio con il piede
giusto quel mio tentativo di renderli amici. Ma, comunque, la strada
era ancora lunga e il primo passo non comprometteva l'intera corsa.
«Perché non mi hai detto che ci sarebbe
stato anche il troll?» mi domandò, sporgendosi
verso di me e
sussurrandomelo nell'orecchio.
Rabbrividii per la sua vicinanza, per il
suo respiro contro la mia pelle. Come potevo dubitare di quello che
provavo per lui? Insomma, solo il suo odore bastava per farmi
sussultare, solo il suo fiato era necessario per farmi rabbrividire,
solo i suoi occhi erano sufficienti per rendere migliore la mia
giornata. Diamine, ogni secondo che passava ero sempre più
confusa
su di noi e sul mio sentimento per lui. La soluzione 'attrazione
fisica' continuava a rispuntare, insinuandomi sempre più in
profondità il dubbio.
«Una piccola omissione» risposi e,
nonostante gli sforzi, non riuscii a sorridergli.
Dario mi accarezzò una guancia e la sua
mano scivolò dietro la mia nuca, spingendomi verso di lui.
Le nostre
labbra entrarono in contatto e la sua lingua non esitò a
cercare la
mia subito dopo, in un impeto trascinante che trasformò quel
bacio
in qualcosa di troppo passionale per una pizzeria. L'altra sua mano
scivolò sulla mia coscia, la percorse, fino a fermarsi a
pochi
millimetri dal mio inguine. Sussultai nel sentire il suo calore
così
vicino alle mie parti intime e il sangue nelle vene bollì
per
l'eccitazione.
Attrazione fisica. Semplice attrazione
fisica, continuava a ripetere il mio cervello.
«Ehm!» tossicchiò Federico e le labbra
di Dario si staccarono dalle mie «Scusatemi, so che vi
interrompo,
ma qui con voi ci sarebbe anche il troll»
«Purtroppo per noi» borbottò Dario,
guardandolo torvo «Ma perché non lo fai andare
via, così rimaniamo
solo io e te?» addolcì il tono, rivolgendosi a me
e sfiorò le sue
labbra sulle mie in un fugace contatto.
«No, Dario» risposi, spingendolo
delicatamente lontano da me «Volevo proprio che ci foste
entrambi
per farvi conoscere. Per me sarebbe davvero difficile dividermi tra
voi due» gli spiegai e il suo viso s'incupì a poco
a poco.
«Io non voglio avere nulla a che fare
con questo spilungone!» sbottò, indispettito,
sbattendo con la
schiena contro la sedia.
«Ti prego, Dario, fai un piccolo
sforzo!» lo supplicai, stringendogli la mano.
Lui si morse il labbro inferiore e sfuggì
al mio sguardo stucchevole, puntandolo verso il lampadario.
L'espressione sul suo viso era dura e sembrava irremovibile nella sua
testardaggine. Nella sua ottusa e insopportabile testardaggine.
«Dai, Dario!» tentai di nuovo,
stringendo ulteriormente la presa sulla sua mano «Per
me».
I suoi occhi neri, quei due pozzi
profondi, si posarono nuovamente su di me e un risolino incredulo lo
fece raddrizzare sulla sua sedia.
«Non puoi costringermi!» tuonò,
alterato. Lui faceva lo stizzito, quando in realtà avrei
dovuto
esserlo io. Gli stavo chiedendo un semplice favore, non di cambiare
la rotazione terrestre. Gli afferrai un braccio e lo strattonai
violentemente verso di me, in modo tale da poter parlare sotto voce,
senza farmi sentire da Federico.
«Ti sto chiedendo solo di provare a
conoscerlo, non di portarmi su una stella» mormorai.
La mascella di Dario si contrasse e
l'aria gli uscì rumorosamente dal naso. Sembrava un toro
infuriato,
pronto ad incornare chiunque gli si fosse parato davanti.
«Si può sapere che cosa ti ha fatto?
Non lo conosci nemmeno e dici di non sopportarlo» alzai di
poco il
tono. Ero arrabbiata con lui, dannazione! E in più si
aggiungevano
tutti i miei dubbi che mi rendevano alquanto nervosa ed elettrica
«Tu
e i tuoi stupidi pregiudizi»
«Non iniziare con quel discorso. Lo
abbiamo sepolto insieme a Davide» sibilò.
«E allora, porca miseria, sforzati di
essere civile con lui! Federico non ha fatto tutte queste
sceneggiate! Ha accettato di incontrarti e lo ha fatto per me,
perché ci tiene a me e alla nostra amicizia»
«Bella tattica. Puntare sui sentimenti e
il senso di colpa» replicò sprezzante
«D'accordo, ci parlo, almeno
non potrai rinfacciarmelo in un futuro».
Rimasi spiazzata e delusa da quelle
parole, ma cercai di nascondere la mia amarezza, annuendo e
sorridendo a Federico che era rimasto in silenzio a guardarci e,
molto probabilmente, aveva sentito tutto. Avrei voluto alzarmi da
quel tavolo, sbattere in faccia a Dario un bicchiere e urlare,
sbraitare fino a perdere la voce per la rabbia. Ma mi trattenni per
non mandare all'arai tutti i miei sforzi di far conciliare quei due.
«Allora» iniziò il discorso Abbate,
cercando di stemperare la tensione «Come mai sei arrivato
così
presto? Pensavo ci mettessi di più»
«Ero di strada» rispose conciso Dario,
rivolgendogli uno sguardo assassino.
«Stavi venendo a incontrare la tua
piccola?» gli chiese Federico, in un
chiaro tono
provocatorio.
Abbassai lo sguardo e mi passai entrambe
le mani nei capelli. Nessuno dei due sembrava voler collaborare ed
ero certa che sarei impazzita prima ancora di ricevere la mia pizza.
Anzi, no, fortunatamente, visto che il cameriere me la
consegnò poco
dopo, insieme a quella di Federico. Rivolse uno sguardo dubbioso a
Dario, che gli rispose senza nemmeno aver sentito la domanda.
«Non voglio niente. Mi è passato
l'appetito»
Il cameriere annuì e si congedò. Sperai
con tutto il cuore di poter mangiare in santa pace, ma sembrava che
tutto, durante quella mattinata, fosse contro di me e contro i mie
nervi, ormai tesi e a fior di pelle. Sarei esplosa per il nervosismo,
di lì a poco, ne ero più che sicura.
«Hai detto bene spilungone» Dario tornò
a rivolgersi a Federico «La mia piccola,
non la tua»
«Federico. Mi chiamo Federico, non
spilungone» ribatté acido Abbate, tagliando la
pizza con foga e
mangiandone un boccone.
«Preferisco spilungone» replicò con un
sorriso di scherno Dario «E credo che continuerò a
chiamarti così.
L'Italia è un paese libero, mi pare»
«Giusto» concordò e per poco ci fu una
meravigliosa armonia tra di noi, che ci abbandonò subito
dopo «Per
il tuo stesso ragionamento, io posso chiamare Alice piccola
quanto mi pare e piace».
Dario allargò le braccia e sogghignò
incredulo, scuotendo il capo. Poco dopo le sue mani ricaddero pesanti
sulle suo cosce e il suo viso si contrasse in una smorfia di
dissenso. Era alterato ed io non volevo che quei due litigassero, che
mandassero all'aria il mio piano. Allungai un pezzo di pizza a Dario,
cercando, così, di farlo tranquillizzare, ma lui
allontanò con poco
garbo la mia mano, troppo concentrato ad inveire contro Federico.
«Mettiti in testa una cosa, troll» e
gli puntò un dito contro con fare minaccioso «Solo
io posso
chiamare Alice in quel modo»
«E chi lo impone? La legge?» disse
ironico ed ero sicura che, se avesse potuto, Dario gli avrebbe
distrutto una sedia sulla schiena, come in un incontro di wrestling.
«Piccola è un soprannome troppo
sdolcinato per darlo ad una semplice amica»
ringhiò, alzandosi
dalla sua sedia e sbattendo le mani sul tavolo, sporgendosi verso
Abbate «Che ti credi, spilungone, che io non sappia che tu
gli
ronzerai attorno? Che cercherai di portarmela via sotto il naso? Che
ti approfitterai di lei in un momento di debolezza?»
«Mio caro nanerottolo» rispose per le
rime, alzandosi anche lui e sovrastandolo con il suo metro e
novantaquattro abbondante «Se fossi stato un approfittatore,
mi
sarei preso Alice quando tu te ne sei andato perché spaventato»
sottolineò quella parola con rabbia «E a quest'ora
lei poteva
benissimo essere tra le mie braccia e non tra quelle di un bastardo
come te» sputò con rabbia, forse troppo trascinato
dall'ira per
riflettere su quello che stava facendo.
Dario si sollevò e sorrise, leccandosi
l'angolo della bocca e passandosi una mano tra i capelli.
Borbottò
qualcosa tra sé e sé, forse stava prendendo in
giro Federico con
uno dei suoi insulti. Beh, dai, non aveva reagito così male.
In
realtà, pensavo che gli avesse spaccato realmente la faccia.
«Dai ragazzi, adesso basta» sorrisi e
mangiai un boccone di pizza, sperando di smorzare quella tensione.
Dario mi rivolse uno sguardo ed annuì,
prima di voltarsi di scatto verso Federico e sferrargli un pugno in
pieno viso. Vidi Abbate barcollare, mentre nascondeva con una mano il
naso, finché non inciampo contro la sedia e cadde con il
sedere per
terra con un tonfo degno di un pachiderma. Scattai in piedi,
lasciando cadere la forchetta con un tintinnio nel piatto e mi portai
una mano davanti alla bocca, sconvolta per quello che aveva fatto
Dario.
«Chi cazzo sei per giudicarmi?» sbraitò
Dario, guardandolo dritto negli occhi, quasi volesse incenerirlo con
quello sguardo.
Le sue grida attirarono l'attenzione del
personale della pizzeria, che comparve, curioso, sulla soglia della
porta e rimase ad osservare la scena, come se stessero vedendo un
film. Ci mancavano solo i pop corn e una bevanda.
«Smettila Dario!» mi intromisi anche io
e il mio urlo uscì strozzato e quasi a fatica. Avevo voglia
di
piangere, sfogarmi per tutta la tensione e il nervosismo che stavo
accumulando, ma mi trattenni, nonostante sentissi le lacrime spingere
per uscire. Lui non sembrò ascoltare il mio lamento e si
abbassò
verso Federico, afferrandolo per la maglietta e sollevandolo da
terra.
«Tu non sai nulla di me. Non sai perché
mi sono comportato così e non ti permetto di rovinare quello
che c'è
tra me e Alice» sibilò a pochi centimetri dal suo
viso.
«Facendo così, sei tu che rovini il
vostro rapporto» arrancò Abbate, con un rivolo di
sangue che gli
usciva dal naso.
«Vuoi un altro pungo, spilungone?»
minacciò Dario, serrando la mano come se volesse colpirlo
ancora.
Come una furia, mi avvicinai a lui e gli
strinsi il braccio, impedendo che anche quel colpo andasse ad
infrangersi sul volto di Federico. Lo strattonai, mi aggrappai
letteralmente a lui, appoggiando il viso sulla sua spalla, disperata.
Il mio tentativo di farli parlare come due persone civili erano
andati in fumo. Io non volevo che quei due litigassero per me, non
volevo che arrivassero addirittura a picchiarsi. Mi sentivo in colpa
perché ero stata egoista, perché li avevo
costretti a cercare un
punto di incontro che, a quanto pareva, non esisteva. Avrei dovuto
dare ascolto a Federico e così lui si sarebbe risparmiato un
naso
tumefatto.
«Basta Dario» lo pregai e la mia voce
uscì come un lamento straziante.
I muscoli del suo braccio si sciolsero
sotto la mia presa e lo sentii muoversi, come se avesse lasciato la
presa su Federico. Si liberò dalla mia stretta con un
delicato
strattone e, senza che me ne rendessi conto, mi ritrovai abbracciata
a lui, con il viso affondato nella sua maglietta che sapeva di
vaniglia mista a tabacco. Le sue braccia mi stringevano a lui, quasi
non volesse farmi scappare, e le sue mani si serrarono, intrappolando
la stoffa della mia maglietta.
«Scusami Alice» mormorò, realmente
dispiaciuto per quello che era successo.
Ma come potevo ricambiare la sua stretta
e far finta che nulla fosse accaduto? Star lì, nelle sue
braccia a
bearmi del suo calore e del suo odore, quando Federico era seduto
sulla sedia, dolorante? Aveva esagerato! Arrivare addirittura alle
mani mi sembrava assurdo. Ok, forse Abbate poteva risparmiarsi quel
bastardo detto tra i denti, ma la reazione di Dario
era stata
troppo violenta per i miei gusti.
Seppure avessi voluto rimanere stretta a
lui e piangere, sfogare tutta la mia tensione tra le sue braccia, lo
spinsi via da me con decisione e andai a sincerarmi delle condizioni
di Federico, che, intanto, era stato soccorso dal titolare della
pizzeria. Aveva il viso reclinato in avanti e si stava tamponando il
naso con dei tovaglioli di carta, nei quali erano avvolti alcuni
cubetti di ghiaccio.
«Stai bene, Fede?» gli chiesi,
preoccupata, abbassandomi verso di lui per poggiargli una mano sulla
spalla e scostando i capelli che ricaddero inevitabilmente in avanti.
«Stavo meglio prima» ironizzò con un
mezzo sorriso, controllando che i tovaglioli non fossero sporchi.
Sembrava che il peggio fosse passato, che
il suo naso avesse smesso di sanguinare nonostante il colore
violaceo.
«Non è rotto, vero?» mi sincerai,
rimbalzando con lo sguardo da Abbate e il titolare che lo aveva
soccorso.
«No, non credo» mi rispose Federico,
toccandosi delicatamente il naso e soffocò un urlo di dolore
«Fa
solo male, ma non è rotto» mi rassicurò
nuovamente.
«Dio, che spavento!» sospirai e mi
avvinghiai a lui, stando attenta a non urtargli il naso. Lui
ricambiò
a mia stretta, dandomi qualche dolce e delicata pacca sulla schiena.
«Stai tranquilla. È tutto a posto.»
cercò di calmarmi, ma serviva molto di più di una
semplice frase.
Un valium sarebbe stato l'ideale o una qualsiasi tisana rilassante.
Avevo il cuore che batteva all'impazzata, sembrava volesse schizzare
fuori dalla cassa toracica. Per non parlare poi dei muscoli, tutti
contratti per il nervosismo e un terribile cerchio alla testa. Un
giorno da dimenticare, non c'erano dubbi. Mai e poi mai avrei tentato
di farli riappacificare quei due. Avrei conciliato amicizia e amore.
Semmai di amore si trattasse.
Ero stretta a Federico, ma questo non
impedì al mio sguardo di andare a cercare Dario. Era
immobile, con i
pugni serrati e gli occhi colmi di tristezza, con il labbro inferiore
stretto tra i suoi denti. Scosse la testa e, forse senza nemmeno
accorgersi che lo stessi fissando, se ne andò, furioso, con
passo
svelto e deciso, scansando con poco garbo il personale della pizzeria
che ostruiva il passaggio.
Sussultai e la mia presa su Federico si
indebolì. Non potevo farlo scappare così, non
dopo aver visto i
suoi occhi neri intrisi di tanta tristezza. Dovevo raggiungerlo,
abbracciarlo, perché mi ero ripromessa che lo avrei reso
felice, in
qualsiasi istante. Ma non potevo nemmeno lasciare Federico come un
babbeo in quella pizzeria. Ero davanti ad un bivio, per l'ennesima
volta e non sapevo che strada percorrere.
Amicizia o amore?
Federico o Dario?
Qualcosa di certo o qualcosa di
confuso?
«So che vuoi seguirlo» la voce di
Federico arrivò quasi ovattata alle mie orecchie
«Non fartelo
scappare di nuovo».
Mi voltai verso di lui e scossi la testa,
mordendomi entrambe le labbra. Non potevo abbandonare così
Federico,
anche se non aveva nulla di grave, ma mi sarei sentita in colpa
comunque. Lui mi strinse le mani e mi sorrise dolcemente, con lo
sguardo pieno di comprensione.
«Non ti preoccupare per me. Io sto bene!
È solo una botta, passerà presto»
cercò di convincermi «Corri,
su!».
Sorrisi, un sorriso pieno di gioia e gli
schioccai un lungo bacio sulla guancia. Come al solito le parole di
Federico mi erano state di aiuto, mi avevano illuminato il sentiero
da prendere, la strada tortuosa che conduceva a Dario.
Corsi fuori dal ristorante, sotto al sole
cocente del primo pomeriggio, ma poco mi importava del caldo atroce.
Mi guardai attentamente attorno, cercando la figura di Dario. La
strada che conduceva a Campo Verde era desolata, così come
quella
che portava al cinema. Feci qualche passo e svoltai a destra, verso
la piazza e lo vidi immobile di fronte alla fontana, con le mani
affondate nelle tasche dei jeans, che fissava i giochi d'acqua senza
un reale interesse. Lo raggiunsi, correndo e mi avvinghiai subito a
lui, lo strinsi a me per non farlo scappare un'altra volta,
strusciando il viso sul suo braccio. Il suo odore di vaniglia mi
penetrò fino in fondo all'anima, riempì i miei
polmoni e il mio
cuore. Forse non era amore e nemmeno attrazione fisica. L'unica cosa
che sapevo era che, con lui, mi sentivo felice, che solo lui era in
gradi di farmi palpitare, di farmi sognare, di sconvolgermi con ogni
suo piccolo gesto o un suo sorriso.
«Com'è che non sei rimasta dentro con
il tuo amico?» domandò, quasi assente.
«Perché non volevo perderti di nuovo»
risposi, stringendomi di più a lui, quasi volessi che
entrasse a far
parte di me.
«Perché perdi tempo con uno come me?»
la sua voce uscì in un sussurro «Voi due siete
così affiatati...»
«È ovvio! Ci conosciamo da anni!»
esclamai, cercando, in un qualche modo, di tranquillizzarlo.
«Più di quanto lo siamo noi due»
aggiunse, abbassando il capo.
«Credi che io voglia stare con lui?»
domandai, cercando di vederlo in viso, ma mi era quasi impossibile.
«Non lo so. In realtà non so che
pensare» sospirò «Eri così
felice mentre parlavi con lui, come
non ti avevo mai vista, nemmeno con me...»
«Ehi, stupidone!» lo richiamai,
sollevandogli il viso con due dita e incontrando finalmente i suoi
occhi, quegli oceani neri in cui avrei voluto annegare «Se ti
sembravo felice era perché stavo pensando a te».
Dopo un primo momento di esitazione, le
sue labbra si stiracchiarono in un sorriso sempre più felice
e le
sue guance si tinsero di rosso piano piano. Non mi sarei mai stancata
di ripeterlo, imbarazzato era più bello del solito.
Appoggiai le
mani sulle sue guance, stringendogli quel visino dolce da cucciolo
che si ritrovava, e lo spinsi verso di me, per guardare più
a fondo
in quegli occhi che mi perforavano l'anima e mi mozzavano il fiato.
«Dario, io ho scelto te! E non mi
pentirò mai, MAI della mia decisione!» dissi in un
soffio,
riuscendo a sovrastare comunque il rumore della fontana, che era
ovattato, come se fossimo stati sbalzati in un'altra dimensione, come
se fossimo richiusi in una bolla solo io e lui.
«Ne sei sicura?» cercò di ironizzare,
con un mezzo sorriso.
«Al cento per cento. Anche se tra noi
due non dovesse funzionare, e spero tanto che non sia così,
tu sarai
sempre nel mio cuore. Nessuno riuscirà mai a farmi provare
le tue
stesse emozioni» mi ritrovai quasi senza fiato e non sapevo
se per
aver parlato senza interrompermi o solo per i suoi occhi liquidi.
«Oggi è il tuo turno con le
sviolinate?» disse sarcastico, cercando di mascherare il suo
imbarazzo, abbassando il viso e lo sguardo.
Ma io gli impedii di prolungare troppo a
lungo il nostro distacco visivo, alzandogli il volto e specchiandomi
di nuovo in quelle iridi color della notte. Sarei rimasta incantata a
fissarli per ore, senza mai stancarmi di quel turbine nero in cui
precipitavo ogni volta. Diminuii la distanza che c'era tra noi e unii
le mie labbra con le sue. Avevo il bisogno di sentirlo vicino a me,
di baciarlo e poco mi importava se quello non era realmente amore.
Con Dario tutto mi sembrava più bello, erano quasi
inspiegabili le
sensazioni che solo lui sapeva regalarmi. Nessun pittore, nemmeno il
migliore, sarebbe stato in grado di dipingere il fuoco che ardeva
dentro di me ogni volta che stavo con lui, nessuno scrittore, neanche
il più illustre, sarebbe stato capace di descrivere
ciò che sentivo
mentre stavo con Dario. In realtà, nemmeno io avrei saputo
descriverlo, le parole erano insufficienti e quasi superflui.
La sua lingua non si fece attendere, ed
andò a lambire la mia con bramosia, con una voglia
irrefrenabile,
quasi necessitasse della mia per potersi muovere. Le sue mani grandi
e calde mi cinsero i fianchi, attirandomi maggiorment
verso il suo
corpo, in cerca di un contatto bruciante tra di noi, mentre le mie
affondarono nei suoi capelli morbidi. Se il tempo si fosse fermato in
quel momento, sarei stata più che felice. Per sempre stretta
tra le
sue braccia. Per sempre unita alle sue labbra.
Per sempre io e lui.
«Mi dispiace per quello che è successo
lì dentro. Ero talmente accecato dalla gelosia che ho agito
di
istinto» sospirò, accarezzandomi il viso con
entrambe le mani «Non
volevo mi vedessi in quel modo»
«Tranquillo, è tutto passato» chiusi
gli occhi, beandomi del contatto con le sue mani «Anche se
non
voglio che accada più una cosa del genere!» gli
puntai un dito
contro e mi finsi imbronciata.
«Giurin, giurello»
ridacchiò.
«Bravo bimbo» scherzai, dandogli poi un
veloce bacio sulle labbra «E dato che sei così
bravo, piccolo
Dario, che ne diresti di tornare in pizzeria e chiedere scusa a
Federico?».
Lui aggrottò le sopracciglia e gonfiò
le guance, esattamente come avrebbe fatto un bimbo, il ché
lo rese
ancora più tenero, assottigliando lo sguardo.
«Non ci penso nemmeno» borbottò
«Lui
mi ha chiamato bastardo!»
«Lo so! E pretenderò che anche lui ti
faccia le sue scuse» replicai, appoggiando le mani sul suo
petto e
appianando le pieghe della maglietta.
Dario scosse la testa con decisione,
testardo ed irremovibile nella sua rabbia.
«Ti chiedo solo questo! Non voglio che
voi due cerchiate di diventare amici» sospirai «Ho
sbagliato a
farvi incontrare, lo ammetto sono stata egoista. Ma pensavo di
riuscire a farvi trovare un punto di incontro, che, a quanto pare,
non esiste»
«Per fortuna! Io non voglio avere nulla
a che fare con quel troll dalle mani lunghe!»
bofonchiò,
contrariato.
«Direi che Federico non sarà mai
argomento di discussione tra noi due» ridacchiai, seguita da
Dario
«Comunque. Ora rientri là, fa il civile e gli
chiedi scusa. Mi
sembra giusto».
Lui sbuffò e alzò gli occhi al cielo
spazientito, per poi mollare la presa e dirigersi verso la pizzeria
con passo lento e per nulla deciso. Sorrisi, nel vedere che mi aveva
ascoltato, almeno una volta e aveva messo da parte un attimo il suo
orgoglio.
«Lo faccio solo per te!» esclamò,
voltandosi e facendo qualche passo a ritroso.
Lo raggiunsi, con una breve corsa, con un
sorriso idiota stampato in viso ed entrammo, mano nella mano, come
due perfetti fidanzatini nella pizzeria. L'intero personale
lanciò
uno sguardo omicida a Dario, che strinse maggiormente la mia mano.
Era teso, per quegli occhi che lo giudicavano come un manesco,
puntati addosso. Strusciai la guancia sulla sua spalla, per fargli
capire di stare tranquillo, che io ero lì al suo fianco e ci
sarei
sempre stata, in qualsiasi occasione e che non lo avrei mai e poi mai
giudicato. Entrammo nella piccola sala da pranzo e Federico era
ancora lì, seduto al suo posto che si guardava le converse,
la pizza
ancora per metà nel piatto.
«Ehi, spilungone!» lo richiamò subito
Dario ed Abbate alzò lo sguardo terra, incontrando quello
del suo
'avversario'. Mi rivolse un sorriso e uno sguardo complice, seguito
da un occhiolino.
«Che vuoi? Vuoi spaccarmi
definitivamente il naso?» lo provocò, beffardo.
«Non sarebbe una cattiva idea. Almeno
hai una scusa per rifarti quell'obbrobrio che ti ritrovi in mezzo
alla faccia» rispose per le rime, sfoggiando un sorriso
soddisfatto.
«Potrei anche rifarmelo senza che
qualcuno me lo spacchi» ribatté, alzandosi in
piedi con estrema
calma «Peccato, però, che non esista la chirurgia
plastica per il
cervello. Sai, ti servirebbe».
O no! Ricominciavano quei due? Non volevo
assistere ad un'altra piccola rissa.
«Se lui mi provoca in questa maniera, mi
spieghi perché io dovrei scusarmi con lui?»
ringhiò tra i denti
Dario, rivolgendosi a me.
«Ma Federico stava solo scherzando!»
sdrammatizzai, lanciando uno sguardo torvo al mio migliore amico
«Vero?»
Abbate si aprì in un sorriso finto
quanto una moneta da cinque euro e si avvicinò a noi.
«Ma certo!» esclamò con tono pacato.
Dario non sembrò per nulla convinto,
anzi, avrebbe voluto prenderlo a pugni nuovamente, glielo leggevo
negli occhi. Ma si trattenne, per me, serrando le mani e mordendosi
le labbra, per reprimere la rabbia crescente.
«Scusami spilungone per il pugno» disse
brusco. Ed ero certa che non lo pensasse davvero, anzi, avrebbe
voluto dargliene altri cento di cazzotti, se solo avesse potuto.
Federico rimuginò su quelle parole e
schioccò la lingua, rimbalzando con lo sguardo da me a
Dario. Sapevo
bene che non sopportava vedermi con lui, dopo avermi vista
così
sofferente e credetti che volesse provocarlo nuovamente, scatenando,
ancora di più, le ire di Dario. Ma, fortunatamente,
allungò una
mano verso di lui e sospirò, a malincuore.
«Scuse accettate» mormorò «E
scusami
anche tu nanerottolo».
Scettico e dopo parecchie esitazioni,
Dario afferrò la mano e la strinse per pochi secondi, come
se
scottasse, per poi pulirsi sui suoi pantaloni, nemmeno Abbate avesse
la lebbra.
«Ma non mi piaci comunque» sottolineò
Dario, brusco.
«Ah! Sentimento reciproco. Meno ti vedo
meglio sto» rispose Federico, alzando le mani
«Diciamo solo che
siamo in tregua per Alice?».
Dario sembrò pensarci un attimo, poi
sbuffò ed annuì, passandosi una mano sul viso.
«Tregua. Ma solo per Alice»
Sorrisi, felice, guardando prima uno e
poi l'altro. Forse ero stata una sprovveduta se avevo pensato che
quei due potessero diventare amici. Ma, come si diceva, tutto
è
bene quel che finisce bene.
Dopo quel piccolo momento
felice, di
tranquillità tra quei due, Dario mi riaccompagnò
a casa. Claudia
era già andata via nel momento del mio rientro, per cui
trovai solo
Smell spaparanzato sul divano che si scolava una birra, ruttando ogni
secondo.
Dio mio, perché doveva capitare a me
un fratello del genere?
La prima cosa che feci, ovviamente dopo
aver pomiciato sotto casa con Dario per mezz'ora, non fu quella di
salutare Raffaele, poco mi importava insomma, ma fu fiondarmi in
camera mia e accedere a Facebook. Dovevo sapere dove si sarebbe
tenuta la pizzata e presentarmi lì, anche se non ero stata
invitata,
alla faccia di quell'antipatica di Cristina.
Sapevo che Facebook non mi avrebbe
tradita. Sulla bacheca di quasi tutti i miei compagni c'era scritto
Stasera, ore 20, pizzata al SottoSopra. Perciò,
mezz'ora
prima ero già pronta per quell'appuntamento al quale nessuno
mi
aveva invitata. Sarei stata un'imbucata indesiderata, ma poco mi
importava. Quella era anche la mia classe! Forse, se me lo avessero
chiesto non ci sarei nemmeno andata, tanto non mi calcolava nessuno.
Ma era stata un affronto non avvertirmi ed io avrei fatto un affronto
a loro presentandomi lì. Avrei voluto anche che Dario mi
accompagnasse, così, per spargere un po' di invidia tra
quelle oche,
ma farlo scomodare da Milano mi sembrava eccessivo, anche se sapevo
bene che lui avrebbe accettato senza fiatare. Mi avrebbe portato
anche sulla luna, se glielo avessi chiesto. Mi accontentai di Smell,
che, dopo un quarto d'ora di 'no' sbraitato, aveva acconsentito a
portarmici. Per fortuna il viaggio da casa mia alla pizzeria era
abbastanza breve, nemmeno dieci minuti, per cui mi sorbii i lamenti
di Raffaele per un tempo limitato.
Appena scesa dall'auto vidi, davanti
all'entrata, quella gallina sculettante della Cariati che civettava
allegramente con un ragazzo.
Figurarsi!
Povero Federico! Se solo avesse aperto
gli occhi si sarebbe reso contro che quella era una putt... ehm...
una ragazza di facili costumi. Gli occhi verdi di Cristina incontrano
i miei e un'espressione scocciata si dipinse sul suo volto. Tanto per
rincarare la dose, sorrisi e la salutai con enfasi, come se fosse la
mia migliore amica, anche se avrei voluto strapparle quei riccioli
biondi.
«Ciao Cristina!» esclamai,
avvicinandomi maggiormente a lei.
«Ciao» rispose contrariata e, in quel
momento, il ragazzo con cui stava civettando si voltò.
Impallidii, mi immobilizzai a pochi passi
da loro e rimasi a fissare quei due enormi occhi azzurri per un tempo
imprecisato. Davide Saronno, quel Davide, quello per cui avevo una
cotta e che aveva certi piani poco casti con me mi sorrise raggiante
e avrei tanto voluto tirargli una scarpa in faccia, piantargli un
calzino in bocca e soffocarlo.
Non dovevo assolutamente mostrarmi
nervosa davanti a lui, dovevo cercare di essere indifferente, anche
se mi risultava difficile. I suoi occhi azzurri mi ricordavano troppe
cose.
La mia prima cotta, il mio primo
bacio, la delusione nello scoprire che fosse solo uno stronzo.
Abbozzai un sorriso e ridussi le
distanze, avvicinandomi maggiormente a loro, tremante, sperando che
nessuno dei due notasse il mio disagio.
«Ero sicura non saresti venuta» prese
la parola Cristina, ravvivandosi i capelli.
«Ah, davvero?» ribattei acida «E
invece eccomi. Per tua enorme gioia»
«Sei stata l'unica che non ha risposto
al post in cui avvisavo, perciò ho dedotto che non ti
interessava»
Rimasi allibita, con la bocca dischiusa e
uno sguardo da triglia lessa. Cioè, lei mi aveva invitata ma
ero
stata io ad ignorare il suo post? Sì, probabilmente era
così! In
quel periodo ero talmente presa da Dario che non capivo più
nulla.
«Per fortuna che ho prenotato per più
persone, sennò mangiavi sulla ghiaia» aggiunse,
sogghignando.
Alla sua risata, già inascoltabile di
suo, si aggiunse anche quella irritante di Saronno. Lo guardai torvo,
assottigliando lo sguardo, quasi volessi incenerirlo con gli occhi!
Magari! Se fossi stata Ciclope, l'X-men, a quel punto sarebbe
stramazzato al suolo.
«Si può sapere cosa ci fa lui qui?»
domandai, fuori di me, indicandolo «Mi pare che lui non
faccia parte
della nostra classe!»
«Ho solo invitato un amico» fece la
vaga.
Mi afferrò per un braccio, avvicinandomi
a lei e fui subito investita da un profumo di agrumi che mi fece
girare la testa.
«In realtà l'ho invitato perché
Francesca voleva conoscerlo. Sai, si è lasciata con il suo
ragazzo e
quindi...»
Non potei non fare a meno di gioire
dentro di me. Almeno quella scema della Lamira avrebbe avuto una
bella batosta da quel dongiovanni da strapazzo. Lei non sapeva con
che stronzo aveva a che fare.
«Non sei felice di vedermi?» mi chiese,
sorridente, Saronno.
«Oh, guarda, sprizzo gioia da tutti i
pori» risposi sarcastica, con un tono brusco.
«Non mi dire che sei ancora arrabbiata
con me, Alicetta!» mi provocò e mi strinse una
spalla,
avvicinandomi a lui. Mi ritrovai spiaccicata contro il suo petto
lasciato nudo dalla camicia bianca che indossava. Avvampai
all'istante. Insomma, era sì un bastardo ma restava pur
sempre un
figo da paura.
«Certo che no, Saronno» ritrovai la mia
lucidità e lo spinsi via con vigore «Adesso mi sei
totalmente
indifferente»
«Dici?» mi provocò lui, accarezzandomi
una guancia e avvicinandosi pericolosamente a me «E allora
perché
sei tutta rossa?».
Annaspai e abbassai lo sguardo, incapace
di sostenere il suo cristallino. Diamine, perché quello
lì doveva
farmi ancora quell'effetto? Solo perché era bello e aveva
degli
occhi da mozzare il fiato? No, così non funzionava.
Dario, Dario, Dario, Dario...
E il suo viso, arrivò in mio soccorso. I
suoi occhi neri e quel sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi
ghiacciaio mi distolsero dal pensiero di Davide. Come potevo
vacillare di fronte a Saronno, quando accanto a me avevo un ragazzo
come Dario?
«Non gongolare troppo, Davide» rialzai
lo sguardo e sorrisi beffarda «Stavo solo pensando al mio
ragazzo».
Touché.
Davide aggrottò le sopracciglia e mi
guardò quasi sconvolto. Cosa si aspettava, che sarei rimasta
a
piangere in camera mia perché ci eravamo lasciati? Giammai!
«Come ra-ragazzo?»
«Hai presente il gigolò che mi ha
accompagnato alla festa?» mi avvicinai al suo orecchio e
glielo
sussurrai «Lui»
«Mi stai prendendo per il culo? La farsa
del fidanzato non regge più» fece lo spavaldo,
sfoggiando un
sorriso soddisfatto.
«È la verità. Se vuoi lo chiamo e lo
faccio venire, giusto per convincerti» gli proposi ironica
«Ah, ti
avverto, è un tipo molto geloso. Potrebbe spaccarti la
faccia. E non
è uno scherzo».
Avrei voluto immortalare la faccia di
Saronno, in quel momento: allibita, con la bocca spalancata e gli
occhi sgranati, nella tipica aria da baccalà sotto sale. Gli
lanciai
un'occhiata soddisfatta e, sotto lo sguardo confuso di Cristina,
entrai nella pizzeria. Alcuni dei miei compagni erano già
dentro,
compresa Benedetta, che non mi degnò nemmeno di uno sguardo.
«Ciao a tutti!» esclamai, ricevendo
come risposta solo dei cenni con la testa.
Che accoglienza!
Senza perdere il mio sorriso, mi sedetti,
volutamente, di fronte a Benedetta, nella speranza di poter
recuperare qualcosa con lei. Ma tutto ciò che ottenni fu
un'occhiata
glaciale che mi congelò il sangue nelle vene. Continuava ad
ignorarmi, parlava con Francesca, facendo qualche allusione velata su
di me, chiamandomi troia con una tale naturalezza
da lasciarmi
basita. Quattro anni di amicizia buttati al vento per uno stupido
fraintendimento. Forse era meglio così. Se quella che avevo
davanti
era la vera Benedetta, allora era meglio che la nostra amicizia fosse
finita così. Era cambiata, nei modi di porsi, nel modo di
parlare.
Era solo una stupida imitazione di Cristina riuscita male.
Mi sentivo esclusa. Tutti parlavano tra
di loro, tagliandomi fuori dai loro discorsi. Sarebbe stato meglio se
me ne fossi rimasta a casa, invece di voler fare un torto alla
Cariati, che poi torno non si era rivelato.
«Senti, mi dispiace davvero tanto per
quello che è successo»
Davide si sedette vicino a me, parlando
velocemente e stentai a capire che cosa aveva da dirmi. Sbuffai e
scossi la testa. Mi interessava poco e niente delle sue scuse. Per me
Saronno valeva meno di zero.
«Non importa. Ormai per me sei morto e
sepolto»
«E manderesti tutto all'aria?» mi
domandò, con una punta di tristezza nello sguardo. Ma, mai
fidarsi
di lui che era un attore nato.
«Tutto, cosa?» domandai sconvolta.
«Quello che c'era tra di noi!» esclamò
e cercò di prendermi una mano, ma glielo impedii
«Alice, eravamo
una coppia da sballo! E poi come baciavi... Cazzo, se baciavi
bene!»
«Mi prendi per il culo?» sbottai,
stizzita. Ma era stupido o cosa?! «Il nostro rapporto era
basato
solo sui delle stupide bugie»
«Ma non solo io le ho dette, Alice» il
suo tono si fece suadente e si avvicinò maggiormente a me.
Sentii
perfettamente il suo respiro caldo sulla pelle e il suo profumo di
marca solleticarmi le narici.
Vaniglia, vaniglia, vaniglia!
«Per cui siamo pari» aggiunse con un
sorriso disarmante.
Vacillavo, stavo vacillando di nuovo di
fronte a lui e non sapevo come uscirne.
«Eravamo o no una coppia bellissima?»
la sua mano scivolò sulla mia guancia e tremai a quel
contatto.
«Tu volevi solo portarmi a letto»
sibilai, tentennante «Se per te usare
vuol dire essere una
bella coppia, allora sì, hai ragione»
«Non ti avrei usata. Ti avrei amata,
Alice. E ti sarebbe piaciuto» soffiò, diminuendo
ancora la distanza
che intercorreva tra di noi «Non vorresti provare questa
sensazione?»
«Scordatelo» dissi tra i denti, nervosa
e tesa come non lo ero mai stata. Saronno era pazzo, su questo non
avevo più dubbi. Cosa voleva ancora da me? Forse le sue
numerose
ragazze si erano stufate di voler fare sesso con lui, quindi
strisciava da me in cerca di piacere?
Davide, improvvisamente, si sporse verso
di me e appoggiò le sue labbra sulle mie. Quel bacio era
totalmente
vuoto, privo di qualsiasi significato, nulla di paragonabile a quelli
di Dario. Mancava il velluto delle sue labbra, la sua tremenda
dolcezza e la sua passione travolgente. Mancava il suo sapore di
vaniglia e il suo corpo caldo. Eppure sussultai, forse
perché mi
aveva presa alla sprovvista, o solo per lo schifo che provavo per
lui. Lo scansai bruscamente, rischiando di farlo cadere dalla sedia e
scattai in piedi, guardandolo con disprezzo.
«Tu sei pazzo!» sbraitai, furiosa,
attirando su di me l'attenzione di tutti «Non osare mai
più
avvicinarti a me!».
Feci qualche passo per andarmene via da
lui, rifugiarmi in bagno, ma Davide mi afferrò per un
braccio e mi
sorrise nuovamente.
«Io voglio solo stare con te!» mi
disse, con un'enfasi che avrebbe fatto invidia ad un attore di
teatro. Mi stava prendendo per il culo, lo sapevo. Eppure non riuscii
a trattenere le lacrime, che uscirono ribelli tanto era il nervoso.
«Fottiti» sibilai e strattonai il
braccio, per liberarmi.
«Solo con te, pupa!» esclamò lui,
scoppiando a ridere, seguito a ruota dai miei compagni di classe
stupidi.
Mi voltai, senza guardarli e mi diressi
spedita in bagno, mentre alle mie spalle Davide continuava a ripetere
Sfigata, sganasciandosi dalle risate. Si divertiva a
prendermi
in giro, ero il suo passatempo. Mi chiusi in bagno e piansi,
singhiozzando, senza rendermi contro che Cristina era lì,
davanti
allo specchio, a sistemarsi il trucco.
«Oh mio Dio, Alice, che succede?»
domandò e mi sembrò seriamente preoccupata, per
me. Lei, che non mi
aveva mai calcolata «Sei disperata».
La ignorai volutamente e mi asciugai le
lacrime, cercando di sedare i miei singhiozzi da bambina isterica.
«È stato Davide?» mi chiese,
premurosa, sistemando la cipria nel beauty.
Quella lì o aveva un intuito degno di un
personaggio di Aghata Christie oppure mi leggeva nel pensiero.
Annuii, mestamente e mi morsi le labbra.
«Oddio, quanto è stupido»
commentò
lei, con uno sbuffo, controllando che il fondotinta le coprisse le
imperfezioni «Non dargli peso. È solo un
bambino»
«Si diverte a prendermi in giro» le
spiegai, con voce tremante «A prendere in giro i miei
sentimenti»
«Lo fa con tutte» disse vaga,
sistemandosi i capelli «Ma tanto prima o poi dovrà
crescere e
saranno cavoli suoi se sarà impreparato».
Tirai su con il naso e mi affiancai a
lei. Strano, c'era sintonia, tra di noi e, parlandoci civilmente, non
sembrava nemmeno una ragazza così antipatica. Si
passò il gloss
sulle labbra gonfie come canotti, poi si voltò verso di me e
mi
sorrise.
«Federico mi ha detto che ti conosce»
cinguettò.
«Già» sospirai, fissando la mia
immagine riflessa. Avevo il trucco colato e sembravo l'urlo di Munch.
Un mostro, ero un mostro!
«Non immaginavo che lo conoscessi»
continuò.
Molto probabilmente stava facendo la
carina con me solo per fare un piacere a Federico, anche se lui mi
aveva detto che non avrebbe mai nemmeno tentato di farci avvicinare.
«È il mio migliore amico»
«Ah, davvero? Non lo sapevo» commentò,
scuotendo i suoi riccioli d'oro.
No, lei non poteva stare con Federico!
Cosa avevano in comune quei due, a parte i capelli biondi? Nulla di
nulla! Erano su due pianeti differenti, parlavano due lingue
diverse... erano gli opposti ed io non avevo mai creduto nel detto
gli opposti si attraggono. Non potevo sopportarlo
che quei due
stessero insieme anche perché sapevo che lei lo avrebbe
fatto
soffrire. Per cui, parlai, senza mezzi termini.
«Perché stai con Fede?» le chiesi
«Insomma, voi non avete nulla in comune!».
Cristina sospirò e ammorbidì le spalle.
Sorrise, anche, solo a sentire il nome di Federico, il che mi confuse
ancora di più.
«Hai ragione» soffiò e i suoi occhi
verdi incontrarono i miei. Erano lucidi, pieni di gioia e,
soprattutto, sinceri «Nemmeno io credevo che mi sarei mai
messa con
lui. Insomma, non è affatto il mio tipo. Io preferisco i
ragazzi
come Davide» esitò un istante «Ma
Federico è diverso dagli altri,
da qualunque altro ragazzo che avessi mai conosciuto. Per la prima
volta, con lui, mi sono sentita apprezzata veramente, mi sono sentita
rispettata e considerata. E non perché fossi bella.
No!» sorrise e
potrei giurare di aver visto una lacrime solcarle una guancia. Anche
lei aveva un cuore, allora, un cuore che batteva per Federico
«Tutti
si sono sempre soffermati sul mio aspetto, non che mi dispiacesse!
Sempre a dirmi quanto fossi bella, a ricoprirmi di complimenti per la
mia fisicità. Mentre Federico è riuscito a
smuovere qualcosa dentro
di me dicendomi solo I tuoi occhi parlano e
mi dicono che
sei speciale. È stato il primo vero complimento,
il più bello
di tutta la mia vita».
E dopo aver detto quello, scoppiò a
piangere. Erano lacrime di gioia, lacrime dedicate a quel ragazzo che
aveva reso umana quella barbie. Sorrisi, nel vederla così
fragile e
pensai che, forse, Federico non aveva tutti i torti. Le accarezzai la
schiena e mi avvicinai a lei.
«Sembriamo la famiglia
“lacrimoni”»
ridacchiai e lei si unì a me.
«Dovrò rifarmi il trucco tutto da
capo!» si lamentò, ridendo.
«Non sei la sola» la rassicurai.
«Dio, siamo oscene!» esclamò poi
«Meglio sistemarci, sennò ci prendono per degli
zombie!»
Scoppiammo a ridere entrambe, in uno
strano clima di armonia, come se ci conoscessimo da anni, come se
fossimo amiche da tanto tempo, come se non ci fossero mai stati
screzi tra di noi. Molto probabilmente avevo sbagliato a giudicarla
troppo presto, senza nemmeno conoscerla. Oppure, semplicemente,
l'amore era talmente potente da cambiare le persone.
______________________________________________________________________
Penso di aver infranto qualsiai mio record. 19 pagine @__@ spero che
riusciate a leggere tutto senza appisolarvi xD
Sono successe
molte cose in questo capitolo, sennò non sarebbe venuto
così lungo.
Iniziamo con
Claudia che è ancorta sotto shock e che non è
riuscita a dire nulla a Raffaele. È comprensibile, comunque.
Non è facile per una ragazza così giovane
scoprire di aspettare un bambino, per di più se ha un
fidanzato come Smell xD chissà come prenderà
questa notizia.
Federico e Dario
sono gelosi l'uno dell'altro. Il primo, più che gelosia, lo
odia proprio per quello che ha fatto ad Alice, mentre Dario non
sopporta il modo sdolcinato di Federico di trattare la sua 'piccola'.
Per
cui si è lasciato andare un po' troppo e gli è
partito un cazzotto. In fondo, Dario non è uno stinco di
santo xD Alice, però, nonostante i suoi dubbi esistenziali
su lei e Dario, comunque gli sta accanto.
Un piccolo
ritorno di Davide che non è detto che non tornerà
più avanti *risata sadica*...ma la vera novità
è Cristina. Lei è veramente presa da Federico e
non è poi così antipatica come sembrava
all'inizio. Chissà che non diventi amica di Alice.
So che questi
commenti sono davvero brutti e corti, ma non ho davvero idea di cosa
scrivere ^^"
Per cui,
ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite,
seguite, ricordate. Ringrazio chi ha recensito lo scorso capitolo e chi
lo ha letto soltanto. Un grazie speciale va alla mia beta Nessie e ad IoNarrante che mi sopporta ogni
giorno.
Profilo
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in un Sogno -
con IoNarrante
Red
District
Bene, un bacione
a tutti e scusate per questo commento striminzito ^^'
Al prossimo
capitolo.
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Capitolo 21 *** Nessun rimpianto ***
C a p i t o l o 20
Nessun rimpianto
Betato
da nes_sie
La fine del mondo era vicina,
ne ero più
che sicura. Io, Alice Livraghi e lei Cristina Cariati stavamo
pranzando insieme in un centro commerciale e mi sembrava ancora
così
strano. Soprattutto perché stavamo ridendo. Avevo sempre
creduto che
Cristina fosse un'oca giuliva priva di qualsiasi attività
cerebrale,
e che mi sarei avvicinata a lei soltanto quando una mucca avrebbe
imparato a volare. Non che brillasse per intelligenza ed acume ma era
piacevole passare il tempo con lei, stranamente. Dalla sera della
piazzata era passata una settimana durante la quale avevamo trascorso
serate intere a parlare al telefono. Federico era rimasto totalmente
spiazzato da questa notizia inaspettata, mentre Dario era felice che
avessi trovato una nuova amica, anche se era leggermente geloso visto
che passavo più ore al telefono con lei che a sentire i suoi
vaneggiamenti nel tentativo di rendere la nostra conversazione un
qualcosa di hot. Ovviamente, io cercavo sempre di
cambiare
argomento ogni qual volta mi chiedesse, con fare malizioso, Che
cosa indossi?
Era chiaro, ormai, che lui volesse
spingersi oltre il semplice bacio ed anche io sentivo una certa
voglia di approfondire quello che c'era tra di noi, di sentire ancora
il suo corpo sul mio. Ma ancora non sapevo se mi sentivo pronta o
meno per un passo del genere. Insomma, nonostante quello che c'era
stato a casa sua e i quasi due mesi in cui eravamo stati insieme, lui
era tornato da appena una settimana e non eravamo nemmeno fidanzati.
Era una specie di frequentazione? Neanche io sapevo definire il
nostro rapporto.
Forse ero troppo paranoica, mi facevo un
sacco di problemi anche quando non c'erano. Un'altra ragazza non si
sarebbe fatta tanti scrupoli e lo avrebbe accolto a braccia aperte.
Anzi, a gambe aperte... Ma io non riuscivo a lasciarmi andare e non
sapevo perché.
«Per cui, alla fine, Francesca ha tirato
un bel ceffone a Saronno. Giustamente, visto che lui l'ha chiamata
balena» fu la conclusione del discorso di
Cristina che non
avevo nemmeno sentito, talmente ero assorta nei miei pensieri. Da
quel poco che avevo capito, Davide era sempre il solito cafone,
stronzo da prendere a martellate sui denti.
«Che maleducato» ribatté acida
Claudia, addentando il secondo panino del McDonald's.
Sembrava più tranquilla in quei giorni o
lo faceva credere, anche se ai suoi genitori e a Smell non aveva
ancora rivelato il suo segreto. In realtà lo sapevo solo io
e mi
sentivo orgogliosa di custodire qualcosa di così importante.
L'avevo
invitata ad uscire con noi, almeno non avrebbe pensato alla
gravidanza. Inizialmente era stata scettica, sapendo che ci sarebbe
stata anche Cristina, ma alla fine aveva accettato e sembrava andare
d'accordo anche lei con la Cariati.
«Che vi aspettavate da uno come
Saronno?» intervenni e solo nominarlo mi faceva venire
l'orticaria.
Come potevo avere avuto una cotta per un essere simile?
«È solo un po' immaturo. Si vuole
divertire e lo fa con il sesso»
«Non difenderlo Cri» la guardai di
traverso «Quello è un bastardo fatto e
finito»
La Cariati sbuffò e scosse la testa,
facendo muovere i suoi riccioli biondi e vaporosi.
«Sarà che siamo amici da quando eravamo
alle medie» e mangiò un po' dell'insalata che
aveva ordinato «Un
po' come te e Federico».
Già. Fortunatamente, però, Abbate era
un ragazzo con la testa sulle spalle e non un deficiente come
Saronno.
«A proposito» cambiai discorso perché
l'orticaria che mi dava Davide non era metaforica, dato che avevo
cominciato a grattarmi il braccio con insistenza «Come va con
Fede?»
«Bene, benissimo!» trillò eccitata
«Non mi sono mai sentita così felice. Ieri siamo
usciti, mi ha
portata al cinema» cominciò a raccontare con un
sorriso che partiva
da un orecchio e arrivava all'altro «Ma ovviamente non
abbiamo
guardato il film. Sai che mi importava di Di Caprio o chiunque fosse
il protagonista».
Non volli sapere se si fossero fermati
alla pomiciata o se avessero fatto ben altro. Immaginarmi Federico in
atteggiamenti intimi era come pensare Smell a fare certe cose:
imbarazzante. Forse un po' meno raccapricciante, visto che almeno
Abbate aveva qualche muscolo e non solo ciccia flaccida e biancastra.
«Tu, piuttosto?» il tono con cui la
Cariati mi rivolse la domanda era alquanto malizioso «Con
l'aitante
giovanotto dalle mani d'oro?».
Ormai anche Cristina sapeva tutto. Le
avevo raccontato del gigolò, omettendo però di
dirle che non avevo
mai avuto un ragazzo perché sapevo che mi sarebbe scoppiata
a ridere
in faccia. Le avevo detto di averlo assoldato per far ingelosire
Davide, anche se non era vero. Mi stupiva, però, il fatto
che
Saronno non le avesse rivelato tutto sulla mia confessione in quella
pizzeria araba. Anche lui aveva un cuore che batteva sotto i muscoli
e gli ormoni.
«Sì, infatti» le fece eco anche
Claudia, con la bocca semi piena di patatine
«Novità?»
«Nulla di particolare. Usciamo ogni
tanto il pomeriggio, ci sentiamo per telefono. Le cose che fanno
tutte le coppie normali» taglia corto. Mi imbarazzava parlare
di me
e Dario e per di più non avevo molto da raccontare. Non
facevamo
granché, solo qualche limonata di tanto in tanto, quattro
chiacchiere, delle passeggiate mano nella mano. Tutta roba noiosa,
insomma, da non utilizzare come argomento di discussione a meno che
non volessi farle addormentare.
«E com'è?» domandò Cristina
sporgendosi verso di me.
Ignorai volutamente la malizia del so
tono di voce e dei suoi occhi verdi. Tentai di sfuggire a quella
domanda facendo la finta tonta e con la speranza che lei lasciasse
perdere l'argomento S.E.S.S.O.
«Buono» annuii guardando il mio panino
grondante di salse «Anche se l'insalata pare un po'
vecchia»
«Non stavo mica parlando di quella
schifezza ipercalorica che ti stai mangiando e che andrà a
depositarsi sui fianchi in antiestetici cuscinetti di grasso»
sbottò
e io, di riflesso a quello che mi aveva appena detto, mi controllai i
fianchi in cerca della ciccia i eccesso causata da quel panino. Anche
se ovviamente ancora non aveva agito il suo potere devastante
«Parlavo di Mr Sesso».
Avvampai all'istante e bevvi lunghe
sorsate di Coca Cola ghiacciata per spegnere i bollenti spiriti.
Insomma, quel soprannome gli si addiceva parecchio anche se in
realtà
io non avevo mai provato i suoi servigi. Ma per quel poco che avevamo
fatto, avevo ben intuito le sue potenzialità. Anche
perché se non
fosse stato bravo ad utilizzare il suo corpo non avrebbe di certo
fatto il gigolò.
«L'hai visto anche tu» scrollai le
spalle mascherando l'ennesima arrampicata sugli specchi
«È...
bello».
Cristina si scambiò uno sguardo
disperato con Claudia ed entrambe sbuffarono.
«Sei proprio tonta Alice!» sbottò la
rossa.
«Io mi riferivo al sesso. Sai quella
cosa che si fa in due, in cui l'organo genitale di lui entra in
quello di lei e tutti e due urlano e si dimenano per il
piacere?» mi
spiegò, nemmeno fossi una cretina, facendomi sprofondare
ancora di
più nell'imbarazzo «Non sei rimasta alla storia
della cicogna,
vero?»
«So come funziona» sospirai, rossa più
del ketchup sulle patatine «Non c'era bisogno di quella
lezione di
biologia».
Cristina fece spallucce e bevve un sorso
di acqua naturale per poi tornare a fissarmi con i suoi occhi verdi
pieni di curiosità. Mi voltai verso Claudia e trovai la
stessa
espressione che aveva la Cariati, come se anche lei si aspettasse
chissà cosa. Sapeva che io e Dario non avevamo fatto nulla;
sarebbe
stata la prima a sapere che avevo perso la verginità.
«Beh, ecco» presi un respiro profondo
«Noi non... non lo abbiamo ancora fatto» dissi di
getto.
E due enormi occhi verdi e sgranati,
increduli, sorpresi e chi più ne ha più ne metta
mi trafissero. Non
parlava, la sua bocca era impegnata a disegnare una O quasi perfetta.
Mi sentivo in soggezione in quell'imbarazzante silenzio. Anche se di
silenzio non si trattava visto che il centro commerciale era pieno di
gente che vociava e faceva più rumore di un trattore.
«Come, come è possibile?» sembrava
più
una domanda retorica che non necessitava di risposte «Non gli
sei
ancora saltata addosso?», mentre questa una risposta la
voleva
eccome.
Era innegabile che Dario avesse un certo
fascino e che più di una volta avrei volentieri mandato a
quel paese
i buoni propositi per saltargli addosso. Ma la parte morale di me
aveva messo un freno alla Alice lussuriosa che era riuscita a
liberarsi solo sul divano e in quel privè.
«Evidentemente no» ridacchia
nervosamente spezzettando la tovaglietta all'interno del vassoio del
McDonald's «Anche se, effettivamente, ci siamo andati vicini
una
volta» mi lasciai sfuggire e in quel momento avrei preferito
essere
mangiata dal mio panino piuttosto che raccontar loro quello che era
successo tra di noi. Ma perché parlavo così
tanto? Avrei dovuto
cucirmela la bocca.
«Perché non mi avevi detto nulla?»
domandò subito Claudia.
«Vuota il sacco, Livraghi» disse
autoritaria Cristina incrociando le braccia al petto.
Avevo due opzioni: o dir loro tutta la
verità oppure alzarmi dal tavolo, scappare, trovare una
donna in
fuga dotata di auto con cui intraprendere un viaggio alla Thelma e
Louise.
«È successo un po' di tempo fa»
ovviamente la seconda ipotesi era praticamente irrealizzabile
«È
una cavolata, in realtà»
«Non tergiversare» mi rimbeccò Claudia
sempre più curiosa.
Sbuffai sonoramente e mi passai entrambe
le mani nei capelli. Fatto trenta, dovevo fare trentuno. Anche se
ricordare quell'episodio era imbarazzante. Arrossii a ripensare a lui
sopra di me mentre con la sua bocca mi faceva sfiorare picchi di
piacere inimmaginabili. Presi un respiro profondo e con le guance
tinte di rosso raccontai loro, non senza qualche esitazione, quello
che era successo su quel divano, di quello che lui mi aveva fatto e
la mia intraprendenza nel ricambiare il favore.
«Hai capito la Livraghi» disse
Cristina, sempre più incredula.
«Vi siete dati comunque da fare eh,
porcellini?» mi sbeffeggiò Claudia sgomitando.
«Non so nemmeno io perché mi sono
lasciata andare così. Non è affatto da
me» sospirai rivangando il
passato. Se ci ripensavo con lucidità non avrei dovuto
cedere in
quel modo soprattutto perché non eravamo nemmeno fidanzati.
Mi ero
fatta trascinare in una cosa più grande di me.
«Ma che ti importa!» miagolò la
Cariati «Si vede che tra di voi c'è tanta, tanta
passione. E vuoi
sapere un bel modo per tenere acceso questo fuoco?»
Si alzò di scatto dal tavolo ed afferrò
la sua borsa Luis Vuitton. Ci guardò entrambe e con un cenno
della
testa, ci invitò a seguirla. Sia io che Claudia eravamo
scettiche,
ma decidemmo comunque di andarle dietro. La guardavo sculettare per
tutto il centro commerciale finché il suo sedere non si
fermò di
fronte ad un negozio dall'insegna che mi fece gelare il sangue nelle
vene.
«Un intimo sexy» ammiccò entrando
dentro Intimissimi.
«No, no, no!» quasi sbraitai e scossi
violentemente il capo «Non ci metto piede lì
dentro!»
«Smettila di fare la puritana» sbuffò
scocciata Claudia.
«Agli uomini piace questo genere di cose
e scommetto che anche Dario apprezzerebbe» si aggiunse la
Cariati,
maliziosa.
Oddio! Volevano farmi compare lingerie
per fare sesso con Dario? Ad un tratto sentii caldo, tanto caldo,
sudavo per la temperatura equatoriale che il mio corpo aveva
raggiunto. Chiusi gli occhi e presi un respiro profondo.
Non entrare, non entrare, non entrare,
mi ripetevo.
Ma
quando aprii le palpebre mi ritrovai circondata da mutande minuscole
e reggiseni di ogni sorta. Il mio subconscio, a mia insaputa, mi
aveva fatto entrare lì dentro. Forse il mio corpo mi stava
mandando
dei segnali, mi stavano dicendo che ero pronta a fare quel passo con
Dario. Anche perché desideravo ardentemente sentirlo
pienamente mio.
E lingerie sia.
Alla fine mi arresi, anche se ero imbarazzata e rossa di vergogna.
Rimasi impalata in mezzo la negozio, declinando l'aiuto che volevano
offrirmi le commesse e guardai le mie due amiche correre da una parte
all'altra del negozio. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, spesata e
non sapevo dove voltarmi.
«Che taglia hai?» mi domandò Cristina,
fissa a guardare un completino color prugna.
Mi avvicinai lentamente a lei, di certo
non volevo che tutto il negozio sapesse che fossi una tavola da surf,
anche se era abbastanza evidente.
«Una seconda scarsa» le confidai con un
po' di vergogna.
La Cariati mi squadrò da capo a piedi
per poi tornare a far scorrere la lingerie sotto i suoi occhi.
«Un po' piccine» fu il suo commento.
«A Dario piacciono» e per la seconda
volta durante quella giornata avrei voluto tagliarmi la lingua.
Arrossii per la mia stessa affermazione e sprofondai nella vergogna.
«A beh, allora nessun problema» sorrise
e mi ammollò in mano un completo di pizzo viola.
Sculettò verso un altro scomparto
scegliendo questa volta un perizoma e un reggiseno striminzito di
pizzo nero. Assolutamente bocciato! Poco dopo arrivò anche
Claudia
con le braccia colme di lingerie e Cristina li esaminò
tutti,
scartandone uno rosso fuoco. Fortunatamente.
«Fa troppo capodanno» aveva aggiunto
con le labbra arricciate.
Li provai uno dopo l'altro e l'idea di
presentarmi davanti a Dario vestita solo con uno di quei miseri
completini mi imbarazzava. Nessuno di quelli mi donava e per di
più
era seducente come un manico di scopa. Mi sarebbe scoppiato a ridere
in faccia, ne ero più che certa. Un paio di mie mutande e un
reggiseno sarebbe stato meglio, tanto dovevano essere tolti per
consumare, quindi sarebbe stato solo uno spreco inutile di soldi.
Dopo 3
completi indossati e scartati all'istante, fu il turno di una
lingerie di un delizioso rosa pallido. Sulle coppe del reggiseno
erano ricamate delle decorazioni bianche e la stessa fantasia era
stampata sulle mutandine, un raffinato paio di slip a vita bassa che
mi lasciavano metà sedere scoperto. Tutto sommato lo trovavo
carino.
Non troppo volgare, ma abbastanza sexy da poter piacere a Dario.
Ottenni l'approvazione delle mie amiche che passarono il resto del
pomeriggio ad ammiccare e uscii da quel centro commerciale con un
sacchetto di Intimissimi e una paura folle della prima
volta che mi
sembrava sempre più
concreta.
Quando entrai in casa ai miei
occhi si
presentò una scena alquanto strana. Dario era seduto sul
divano con
le gambe larghe e le braccia distese lungo lo schienale, mentre Smell
camminava avanti e indietro percorrendo l'intero salotto lanciando,
di tanto in tanto, un'occhiata omicida a Dario.
«Ciao» esitai e per precauzione,
nascosi il sacchetto di Intimissimi dietro la schiena.
«Proprio te stavo aspettando» sibilò
mio fratello puntandomi un wusterone –
anche noto come
indice – contro.
Guardai dubbiosa Dario che scrollò le
spalle per farmi capire che nemmeno lui sapeva che cosa volesse
Raffaele. Mi accomodai di fianco al mio pseudo-ragazzo e la sua mano
scivolò dallo schienale alla mia spalla per stringermi a
lui. Il
contatto con il suo corpo mi fece rabbrividire ed arrossire al tempo
stesso, forse perché in quel momento pensavo a ben altri
tipi di
contatto, qualcosa di molto più intimo, insomma. Mi adagiai
sul suo
petto e sorrisi nel sentire la sua mano accarezzarmi. Lo volevo e se
non ci fosse stato Smell davanti e mia madre a trafficare in cucina,
avrei seguito il consiglio di Cristina, saltandogli addosso.
«Salsiccia ambulante! Lo sai, vero, che
questo è sequestro di persona?» Dario si rivolse a
mio fratello con
tono scocciato.
Guardai il mio pseudo-ragazzo con la
fronte aggrottata e lui mi sorrise sornione.
«Tuo fratello mi ha chiamato circa tre
ore fa dicendomi di venire qui di corsa perché avevi
qualcosa di
importante da dirmi» cominciò a spiegare irritato
«Quando sono
arrivato qui tu non c'eri e mi sono ritrovato il tuo caro
Smell-fratello che mi ha rinchiuso in casa per due ore e mezzo in tua
attesa» si voltò verso Raffaele e gli
riservò un'occhiata omicida
«E questo a casa mia è sequestro di
persona».
Raffaele si fermò davanti a noi con le
gambe divaricate e le braccia incrociate in una posa da duro che
doveva incutere timore ma che in realtà lo rendeva solo
ridicolo.
«Si può sapere il perché di questa
pagliacciata?» domandai acida.
«Tutto a suo tempo, sorella. Tutto a suo
tempo» disse in un sussurro per creare suspense.
«Quanto ancora dovremmo aspettare?» gli
chiese scocciato Dario, muovendo la gamba nervosamente
«Dovrei
andare a casa a farmi una doccia, cenare, fare le chiamate sconce con
tua sorella...»
Arrossii di colpo e gli diedi una
gomitata nel costato facendolo piegare dal dolore con un mugolo,
mentre Raffaele lo fissava quasi volesse saltargli al collo da un
momento all'altro e strozzarlo.
«Ebbene, è arrivato il momento di
sputare il rospo» sibilò Smell sempre
più arrabbiato. «Oggi il
tuo stupido e peloso gatto bianco» e si rivolse a me
«si è
nascosto sotto il tuo letto e non voleva uscire da lì sotto
nemmeno per mangiare. Così sono andato a
recuperarlo».
Si zittì e ci guardò entrambi,
tamburellando l'indice sull'avambraccio.
«Oh, sì! Racconto avvincente»
ironizzò
Dario irritato «Tu mi hai chiamato per la storia di un
gatto?»
«Più o meno» rispose vago Smell.
Il mio pseudo ragazzo si alzò di scatto
dal divano, incredulo e scocciato al tempo stesso, con la sola
intenzione di uscire da casa mia. Con me appresso, ovviamente. Mi
alzai anche io da divano e intrecciai le dita con quelle di Dario
guardando mio fratello di traverso. O si era ubriacato oppure era in
vena di cavolate quella sera e aveva trovato divertente far
spazientire Dario.
«Con calma, ragazzi, non ho ancora
finito» il suo tono si indurì, così
come il suo sguardo torvo che
rimbalzava da me al mio pseudo ragazzo.
«Allora potresti concederci l'onore di
sapere che cazzo vuoi?» ribatté alterato Dario.
«Solo darti quello che ti meriti»
grugnì Smell.
Fu tutto talmente rapido ed inaspettato
che non mi resi conto immediatamente che la stretta di Dario si
allentò sulla mia mano e che un pugno l'aveva colpito in
pancia. Ci
vollero alcuni secondi perché realizzassi che Smell si era
avventato
sul mio pseudo-ragazzo arrabbiato come mai prima d'allora, e non
riuscivo a capire perché lo stesse prendendo a pugni e
calci. Dario,
in tutto ciò, non reagiva forse perché non voleva
che si ripetesse
la stessa scena della pizzeria. Sapevo che se avesse voluto avrebbe
potuto fermare mio fratello con un cazzotto ma non lo faceva per me,
perché io non lo vedessi ancora sotto quella cattiva luce.
Mi
avvicinai a loro e strinsi il braccio di Smell, strattonandolo per
fermarlo, ma lui mi scansò con poco garbo e
afferrò Dario per il
colletto della polo che indossava e lo sbatté al muro.
«Ti ammazzo!» gli urlò contro
«Ti
uccido, figlio di puttana!»
«Prenderesti l'ergastolo, così» e
nemmeno in un momento come quello, con il labbro spaccato e viola,
Dario metteva da parte la spocchia e la sua voglia di provocare.
«L'importante è liberarmi di te. Non me
ne fotte se poi mi sbatteranno in galera»
«Geloso, eh, Gremlin?» ghignò
«Geloso
che sono più figo di te?»
«Tanto nella tomba la bellezza non ti
servirà, bastardo»
ringhiò mio fratello a pochi centimetri
di distanza dal suo viso.
«A quanto pare va di moda chiamarmi
bastardo» ridacchiò.
«Non è una moda. Solo la pura
verità»
Mio fratello era sempre stato un tipo
abbastanza iroso, uno che perdeva la pazienza facilmente, ma non era
mai arrivato ad usare le mani. Non mi era chiaro come mai ce l'avesse
tanto con Dario e credevo improbabile che se la fosse presa con lui
per essere tornato dopo così tanto tempo. Se avesse voluto,
avrebbe
potuto fare tutto quel casino quando era sotto casa nostra.
Smell caricò un altro colpo ma gli
afferrai il braccio prima che potesse assestare un altro colpo nello
stomaco di Dario.
«Smettila Raffaele!» urlai e le mie
grida attirarono l'attenzione di mia madre che uscì dalla
cucina
asciugandosi le mani nel grembiule.
«Ma che succede qui?» domandò
allarmata, raggiungendoci a passo svelto.
Scansò Smell e accarezzò il viso di
Dario preoccupata, premurosa come se quello che avesse davanti fosse
suo figlio. Il mio pseudo-ragazzo la tranquillizzò con un
sorriso e
così mia madre si voltò verso Raffaele ancora
furente e
scalpitante.
«Che cosa ti è preso?» gli
domandò,
puntellando le mani sui fianchi.
«Chiedilo a quei due» sbraitò mio
fratello indicandoci con le sue manone «Fattelo dire da tua
figlia».
La mamma si voltò verso di me con
espressione interrogativa, ed io scrollai le spalle. Non sapevo di
cosa Smell stesse parlando. Sotto al mio letto non c'era nulla di
così sconvolgente se non palle di pelo di Milky, acari
grandi quanto
montoni e un test di gravidanza. Nulla di che, insomma...
Oh merda, mi
ritrovai a pensare, passando a rassegna quello che avevo appena detto
a me stessa. Il test di gravidanza di Claudia, quello che avevo
calciato sotto il letto era stato appena ritrovato da Smell e lui era
convinto che fosse mio.
«Non è come pensi tu, Raffaele» gli
dissi con un sorriso.
«Ah, no?» ribatté furibondo estraendo
dalla tasca il test di gravidanza positivo e sbattendomelo
praticamente addosso.
Dario mi guardò perplesso, poi si
abbassò a raccogliere quel bastoncino bianco e lo
esaminò con
attenzione. La sua espressione passò attraverso varie fasi,
prima di
dubbio, poi di stupore fino a quella di ribrezzo.
«È... è un test di
gravidanza»
mormorò, più che altro per convincere se stesso
«Ed è positivo»
aggiunse lanciando un'occhiata di disgusto.
Mio fratello sorrise trionfale, mentre
mia madre per poco non svenne. Si accasciò sul divano con
una mano
sulla fronte e sussurrando qualcosa di incomprensibile tra
sé e sé.
Li guardai ad uno ad uno ed abbozzai un sorriso. Non potevo dir loro
che quel test era di Claudia le avevo promesso che avrei mantenuto il
segreto, ma nemmeno tacere e fra credere a tutti che ero incinta.
«Mi avevi detto di essere vergine»
commentò sconcertato, con un voce stridula quasi avesse
fatto fatica
a dire quelle parole.
«Non ti ho mentito Dario» tentai di
afferrargli una mano, ma me lo impedì.
«Seh, certo. Magari è venuto anche
l'arcangelo Gabriele a darti la notizia» borbottò
acido.
Smell ci guardò confuso, indicando prima
me poi Dario che scosse la testa, facendogli intendere che io e lui
non avessimo mai fatto nulla di intimo.
«Allora con chi...» si rivolse a me e
lasciò la frase in sospeso.
Sbuffai e alzai gli occhi al cielo. In
che situazione mi ero cacciata? Non sapevo nemmeno come uscire da
quel labirinto di accuse e occhiatacce da parte loro. Tranne di mia
madre che era ancora seduta sul divano a sventolarsi con una mano e
delirava nemmeno avesse la febbre. Sarebbe diventata nonna, ma non
grazie a me.
«Con nessuno!» trillai, battendo un
piede per terra e agitando le braccia come una forsennata
«Non ho
mai visto un uomo nudo in vita mia»
Dario mi guardò di traverso perché
quella era una piccola bugia, visto il nostro incontro focoso.
Ricambiai il suo sguardo con un'occhiata da cucciolo e mi strinsi
nelle spalle, ma lui sembrò non vacillare, anzi
scrollò la testa ed
attese una mia rivelazione con le braccia conserte.
«Il troll, non è così?» mi
chiese
brusco.
«No! Te l'ho detto che c'è stato solo
un bacio tra noi!» gli ricordai, nervosa.
«A quanto pare un solo bacio si è
trasformato in qualcosa di più» insinuò
Dario deluso da tutto ciò
che stava accadendo.
«Te lo giuro! Te lo giuro su tutto ciò
che ho di più caro che non ti ho mentito» mi
avvicinai a lui e gli
accarezzai le braccia.
«Non arrampicarti sugli specchi
insaponati» s'intromise ridacchiando Smell «Ormai
il danno è
fatto»
«Taci tu!» ribattei acida e tornai
subito ad occuparmi di Dario «Devi fidarti di me»
addolcii il tono
e appoggiai una mano sul suo viso, sfoderando lo sguardo più
dolce e
triste che potessi sfoggiare. Lui si umettò le labbra
violacee e
tentò più volte di distogliere lo sguardo dal
mio, senza però
riuscirci. Sembrò sciogliersi e credere alle mie parole,
finché non
Smell non intervenisse per buttare benzina sul fuoco.
«Magari è uno che non conosciamo»
suppose «In questi tre mesi era molto triste. Doveva
consolarsi in
un qualche modo».
E Dario diede ascolto alle parole di mio
fratello. Mi superò con lo sguardo basso e si diresse mesto
verso la
porta.
«Sei una delusione» disse tra i denti,
rivolto alla sottoscritta.
«Puoi dirlo forte!» gli diede manforte
quell'idiota di Raffaele «Se prendo quel bastardo giuro che
lo
uccido» e sferrò un pugno contro il palmo
dell'altra mano «Avanti,
dimmi chi è! Che ho voglia di spaccare la faccia a
qualcuno!»
«Ti prego, Dario! Non ascoltare mio
fratello» lo pregai, strattonandolo per allontanarlo dalla
maniglia.
«E cosa dovrei fare? Scopre un test di
gravidanza sotto il tuo letto e devo far finta di niente?»
«Non è come credi» soffiai, con in
sottofondo il borbottio di Smell.
«Hai mentito tante volte, perché non
dovresti farlo anche adesso?» disse con un filo di voce.
Aveva ragione. Dopo tutte le bugie che
avevo detto – innocenti, ma sempre menzogne – non
potevo
pretendere che lui mi credesse. Quel dannato test era sotto il mio
letto e in più ci si metteva anche Smell a insinuargli la
pulce
nell'orecchio! Rimasi in silenzio, l'unica cosa che potessi fare e
lui si scrollò di dosso la mia mano.
«Ciao, Alice» sputò quelle parole con
disprezzo ed aprì la porta, pronto ad andarsene di nuovo, di
allontanarsi da me ancora una volta forse per sempre. Non potevo
permettere che questo accadesse, non avrei retto l'ennesima
separazione da lui. Mi guardai intorno: mia madre si era stesa sul
letto con un cuscino sul viso, mio fratello dava pugni all'aria
mentre Dario stava per scendere le scale.
«Quel test di gravidanza è di Claudia!»
parlai in fretta, senza pensarci e mi morsicai la lingua dopo averlo
detto. Avevo infranto una promesso, avevo rivelato un segreto e avevo
messo nella merda la mia migliore amica.
Smell si paralizzò, con i pugni a
mezz'aria e mi guardò sconcertato. Mia madre si
rizzò a sedere con
gli occhi sgranati, mentre Dario si era voltato a guardarmi confuso.
«Di-di Claudia?» cercò conferma mio
fratello con voce tremante.
Annuii mestamente e lo vidi sbiancare,
poi cadere svenuto con un tonfo per terra.
Chiamai
Claudia dicendole di correre a casa mia perché avevo
combinato un
bel guaio e lei non tardò ad arrivare. In dieci minuti era
da me,
davanti al “cadavere” di mio fratello che giaceva
ancora per
terra, con mia madre sul divano che continuava a ripetere Sarò
nonna e Dario
appoggiato alla
parete, ancora sconvolto.
«Mi dispiace un sacco Claudia per
averglielo detto» le sussurrai.
«Mi avevi promesso che avresti mantenuto
il segreto» mi rimbeccò lei arrabbiata.
«Lo so! Ma mio fratello aveva trovato
quel test sotto il letto e credeva che fosse mio» mi
giustificai.
«E tu non lo avevi nemmeno buttato?»
Mi strinsi nelle spalle con aria
colpevole.
«Mi sono dimenticata, tra una cosa e
l'altra» mormorai.
Claudia scosse la testa e si avvicinò a
mio fratello, accovacciandosi accanto a lui ad accarezzargli una
guancia.
«Mi perdoni?» azzardai.
«Non lo so» bofonchiò lei, tentando di
rianimare Smell.
La raggiunsi e le strinsi una spalla,
baciandole una guancia. Dopo quello che era successo con Benedetta,
non volevo perdere anche Claudia.
«Ho sbagliato, lo so» sospirai «Ma ti
prego, non mi abbandonare anche tu» appoggiai una guancia
sulla sua
spalla.
Claudia sbuffò sonoramente e il suo
broncio, piano piano, si trasformò in un sorriso.
«Ti perdonerò solo se mi offrirai un
Mcflurry al caramello»
La abbracciai ancora più forte e
perdemmo l'equilibrio, ritrovandoci con il sedere dolorante per
terra. Scoppiammo a ridere ed il suono delle nostre risa
ridestò mio
fratello che si guardò intorno, spaesato.
«Ho fatto un sogno terribile» biascicò,
tenendosi la testa «Claudia era incinta».
La mia amica sospirò e diede un bacio a
fior di labbra a Smell, che la strinse a sé sorridendo.
Avrebbe
potuto tacere, tanto lui credeva di aver solo sognato, però
si fece
coraggio e lo affrontò.
«Non era un sogno» ammise «Sono
davvero incinta».
Smell deglutì a fatica e si passò una
mano tra i capelli neri. I suoi occhi erano sgranati e le labbra gli
tremavano. Sconvolta era l'aggettivo migliore per descrivere la sua
espressione. Si alzò di scatto lasciando Claudia seduta sul
pavimento e si chiuse in cucina, sbattendo la porta. La mia amica
abbassò lo sguardo e si morse entrambe le labbra.
«Hai visto?» si rivolse a me con un
filo di voce «Adesso mi lascerà».
Mia madre si alzò dal divano
scombussolata da quella notizia e barcollante, si avvicinò a
Claudia
abbracciandola.
«Tesoro! È sconvolto, tutto qui»
cercò
di consolarla «Insomma, nessuno di noi si aspettava una
notizia del
genere ed è normale che abbia avuto quella reazione. Adesso
vieni
con me» e le prese la mano per aiutarla a sollevarsi
«e andiamo a
parlare con lui»
Claudia di asciugò una lacrima ribelle
annuendo e seguì mia madre in cucina. Le lanciai un bacio e
le
sorrisi nel tentativo di tranquillizzarla. Quando le due sparirono
dietro la porta della cucina mi voltai verso Dario, guardandolo con
sufficienza ed incrociai le braccia.
«Allora?»
«E allora...» ripeté lui passandosi
una mano sulla nuca.
«Aspetto delle scuse da parte di
qualcuno che non mi ha creduto» rincarai la dose.
«Scusa» mormorò lui mortificato.
Avrei voluto tenergli il broncio ancora
per qualche tempo, magari obbligandolo a chiedermi di nuovo scusa
davanti a tutti. Ma vedendolo così conciato, con il labbro
spaccato
e un occhio livido non potei resistere. Lo presi per mano, afferrando
anche il sacchetto di Intimissimi e lo trascinai in camera mia. Lo
spinsi sul letto con poca grazia e lui sorrise malizioso.
«Dovrò farmi pestare più spesso se
questa è la ricompensa» disse seducente.
«Calma i bollenti spiriti, stallone!»
ridacchiai «Voglio solo curarti le ferite»
«Uh! Alice in versione infermiera sexy»
e si passò la lingua sulle labbra «Me
gusta».
Non persi nemmeno tempo a rispondere,
ormai ero abituata alla sua malizia e ai suoi tentativi seducenti per
fare l'amore con me. E c'era riuscito, praticamente, visto che ero
intenzionata a fare quel passo importante con lui. L'avevo sempre
saputo, in fondo, che lui era quello giusto, che era lui il ragazzo
con cui lo avrei fatto per la prima volta.
Aprii l'armadietto del bagno e presi la
cassetta del pronto soccorso, tornando subito in camera mia. Quando
entrai, trovai Dario con il reggiseno che avevo comprato quel giorno
appoggiato sul petto e le mutandine erano appoggiate accanto a lui.
Divenni paonazza e, velocemente, gli tolsi dalle mani il mio intimo.
«Questo è per me?» domandò
malizioso,
lanciandomi un'occhiata che di casto non aveva nulla.
«Se vuoi indossarlo fai pure» risposi
imbarazzata.
«Intendevo che lo indosserai tu per la
nostra... sì, insomma, prima volta»
indugiò per un attimo, ma
ritrovò subito il suo ghigno da bambino monello.
«In realtà è per mia madre»
mentii.
«Non credo che tutte le grazie di tua
madre entrino in quel reggiseno striminzito»
constatò con saccenza.
«Quindi tu guardi le tette di mia
madre?» cercai di sviare il discorso ed intanto, infilai
l'intimo
nel sacchetto e lo spinsi sotto il letto.
«Difficili non notarle» ribatté lui
«Ma preferisco di gran lunga le tue»
allungò una mano verso di me
e mi afferrò un polso «Piccole, sode e che
vogliono solo me» e mi
tirò verso di lui.
Nonostante avessi opposto resistenza, lui
riuscì comunque a farmi barcollare in avanti fino a farmi
sedere
sulle sue gambe. Mi strinse a lui ed affondò il viso nel mio
seno,
baciandolo nonostante ci fosse la maglietta.
«No, Dario, smettila!» esclamai tra una
risata e l'altra, cercando di allontanarlo da me.
«Non riesco! Poi se ti immagino con quel
completo...» alzò lo sguardo verso di me e si
allungò a sfiorare
le mie labbra in un bacio casto ed innocente.
«Immagina e basta perché non mi vedrai
mai con quella roba addosso» mentii, ma non volevo che
venisse a
sapere che quella lingerie l'avevo comprata solo per lui, per
rendermi più sexy e desiderabile.
«Sei crudele, Alice, tanto tanto
crudele» disse con un tono da bambino.
Delicatamente, mi spinse sul materasso e
lui si stese su di me con una gamba incastrata tra le mie.
Puntò le
mani sul cuscino per non far gravare il suo peso su di me e mi
baciò,
abbandonando l'innocenza e lasciando che le nostre labbra e le nostre
lingue si muovessero spinte solo dalla passione. Affondai le mani nei
suoi capelli per spingerlo verso di me, come se volessi fargli
capire, implicitamente, che avrei voluto qualcosa di più di
un
semplice bacio. Lo desideravo ardentemente, ma in casa mia una cosa
del genere non era fattibile visto che in cucina c'erano tre persone
che potevano scoprirci da un momento all'altro. Per cui mi
accontentai di quel bacio, delle sue labbra sulle mie e della sua
gamba che, involontariamente, premeva sul mio inguine. Un gemito mi
costrinse a liberare le sue braccia e ad arpionarmi alla sua
maglietta.
«Mi piace la tua voce, è...» mi
leccò
il collo e le sue mani scesero lungo il mio busto per fermarsi a
slacciare i jeans «eccitante»
«Non siamo qui per fare le zozzerie»
lo ammonii, imbarazzata e con dei pensieri poco casti che mi
aleggiavano nella mente «Devo curarti le ferite»
«'Sti cazzi!» tagliò corto lui e la
sua mano s'insinuò nella stoffa dei mie pantaloni, andandomi
a
sfiorare intimamente. Mi morsi le labbra per soffocare un ansimo e
strinsi il lenzuolo per trattenere quel piacere dirompente che le sue
dita esperte riuscivano a farmi provare.
«Ti interessano ancora le ferite?» mi
domandò, muovendo l'indice sulla stoffa dei miei slip in
modo
circolare.
Mi era impossibile parlare in quelle
condizioni, saldamente aggrappata alle mie lenzuola, con la schiena
inarcata e le punte dei piedi tesi, il respiro accelerato che mi
impediva di dire qualcosa.
«Deduco che preferisci le mie dita»
Il mio corpo che si contorceva parlava
per me. Chiusi gli occhi e non riuscii più a trattenere i
gemiti che
uscivano spontanei dalla mia bocca. Le sue dita, d'un tratto,
superarono i miei slip e le sentii ruvide a contatto con la mia
intimità. Era tremendamente bravo a far provare piacere e
poco mi
importava, in quel momento, degli altri tre che stavano in cucina. Lo
volevo, volevo sentirlo in me, volevo amarlo carnalmente. Ma il
tempismo di mia madre era noto anche agli eschimesi e scelse il
momento peggiore per apparire in camera mia. Avevo gli occhi chiusi,
per cui non mi accorsi che aveva aperto la porta e che irrotta nel
mio nido d'amore.
«Signora!» esclamò Dario, mettendo
fine a quella piacevole tortura ed io aprii la palpebre di
soprassalto, mettendomi a sedere.
«Mamma!» trillai, rossa dall'imbarazzo.
Lei era rimasta sulla porta con la bocca
spalancata e gli occhi sgranati. Richiuse la porta e la riaprii
qualche secondo dopo abbozzando un sorriso.
«Questione risolta. Sono ancora tutti e
due scossi, ma hanno deciso di tenere il bambino. Io e tuo padre li
aiuteremo, ovviamente. Ora bisognerà parlare con i suoi per
cui
domani sera andrò a cena da loro con Raffaele. Tu
vieni?» parlò
senza riprendere fiato, con le guance rosse per l'imbarazzo,
dimostrandosi indifferente.
«No! Domani ceniamo fuori» mi
precedette Dario e lo fissai interrogativa.
«D'accordo» sorrise ad entrambi e stava
per uscire dalla mia camera, ma ci ripensò e ci rivolse
un'occhiata
maliziosa «Ragazzi, cercate di fare queste cose quando siete
da
soli» ci consigliò «E tu, Dario, usa
sempre le precauzioni. Non
voglio avere due nipoti! Uno è sufficiente per
adesso»
«Tranquilla signora...» lasciò la
frase in sospeso.
«Elena»
«Signora Elena non si preoccupi.
Precauzioni sempre e comunque» sorrise, mentre io, piano
piano,
sprofondavo nell'imbarazzo più profondo.
Mia madre si congedò e Dario mi strinse
forte a sé, accarezzandomi una spalla nuda. Mi abbandonai al
suo
petto, al suo odore e l'imbarazzo, via via, andò scemando.
«Tua madre ha un tempismo da record»
constatò ridacchiando.
«Sceglie sempre i momenti peggiori»
sbuffai «È specializzata in questo»
«Tipico di quasi tutte le mamme»
commentò «Comunque, se non lo avessi capito,
domani sei invitata
ufficialmente a cena. Per cui, vestiti carina» mi
sollevò il viso
per incontrare i suoi neri in cui sprofondavo ogni volta rimanendovi
intrappolata «e magari metti anche quel completino
rosa».
Sbuffai e mi alzai di scatto dal letto.
Insomma, ormai ero sicura di volerlo fare, ma non volevo che lui lo
sapesse. Era una sorta di sorpresa che volevo fargli e lui non doveva
avere nemmeno il minimo sospetto. Se fosse stato tutto premeditato
non sarebbe accaduto con la naturalezza che io speravo di avere.
«Sei proprio fissato» borbottai
contrariata «Mi hanno obbligata a comprare quel
completino» mi
voltai dandogli le spalle e incrociai le braccia.
Dario mi si avvicinò e mi abbracciò da
dietro, appoggiando il mento sulla mia spalla. Mi scostò i
capelli
in modo da poter sfiorare il mio orecchio con le sue labbra.
«Piccola, stavo scherzando» mi sussurrò
«Insomma, non proprio» aggiunse ed io ridacchiai
«Ma comunque, io
non ho fretta»
«Grazie» mormorai, mentre le sue labbra
mi baciavano il collo e sorrisi pensando alla cena della sera
successiva. Con sorpresa, ovviamente.
Non ero mai stata in un
ristorante
elegante come il Bice che, per giunta, si trovava
in via
Montenapoleone. Le pareti erano color crema e delle lampade attaccate
ai muri illuminavano con una luce fioca l'intero locale. I tavoli
erano ricoperte da tovaglie bianche e setose, apparecchiati con
posate d'argento e calici di cristallo. Da quando avevo messo piedi
lì dentro non facevo altro che guardarmi intorno spaesata e
preoccupata al tempo stesso.
«Che c'è? Non ti piace qui?» mi
domandò Dario che, quella sera, era più bello del
solito.
Indossava una camicia bianca leggermente
attillata che metteva in risalto la sua meravigliosa pelle
abbronzata. I primi bottoni erano slacciati, così da
mostrare
l'inizio dei pettorali e le maniche lunghe erano arrotolate sugli
avambracci.
«No, no» scossi la testa «È
bellissimo! Ma ti costerà tantissimo»
«Non preoccuparti, piccola!» sorseggiò
un goccio di vino rosso che gli aveva precedentemente versato il
cameriere, dopo aver preso le nostre ordinazioni «Tu mangia e
non
pensare ai soldi» mi sorrise e il mio cuore perse un battito.
«O-ok» tentennai, anche se mi
rammaricava il fatto che dovesse spendere così tanti soldi
per me.
«Che ne dici di un brindisi?» mi
propose, versandomi un goccio di vino nel calice.
«Non credi che sia una buona idea che io
beva» sorrisi imbarazzata «Sai, mi basta un goccio
per andare fuori
di testa come è successo in discoteca» ricordai.
«Beh, allora è meglio abbondare» disse
malizioso «Ti preferisco senza freni»
«Dario» ribattei indignata, dandogli un
calcio sullo stinco.
«Che violenza!» commentò, piegandosi
per massaggiarsi dove lo avevo colpito «Stavo solo
scherzando!».
Lo guardai con sufficienza, ma bastò un
suo sorriso per farmi sciogliere. Era qualcosa di meraviglioso il suo
sorriso; lui lo era e non mi capacitavo di come potessi essere stata
così fortunata nel trovarlo. A volte non mi sembrava nemmeno
vero
che lui avesse scelto me, che lo avessi accanto e che potessi
baciarlo. Era tutto così tremendamente perfetto che quasi mi
faceva
paura, il tutto. Paura di svegliarmi da un momento all'altro e
ritrovarmi catapultata alla mia vecchia ed insulsa vita, ad oziare
sul divano con le immagini di qualche programma spazzatura che
scorrevano sotto i miei occhi. E la cosa peggiore era che Dario non
ci sarebbe stato. Non sarei più riuscita ad immaginare una
vita
senza di lui. Ormai era dentro di me, nel mio cuore, nella mia mente,
sotto la mia pelle, mi scorreva nelle vene. Lui era il mio mondo, il
mio tutto.
«Dai, su, brindiamo» riprese lui,
sollevando il suo calice.
Sospirai e lo imitai. Cosa avrebbe potuto
farmi un goccio di vino?
«A cosa?» domandai melliflua.
«Al nostro primo, vero appuntamento»
Sorridemmo all'unisono e i nostri
bicchieri si scontrarono emettendo un leggero tintinnio.
«Al nostro primo appuntamento» ripetei
e mi sembrò di sfiorare il cielo con un dito.
Ero felice. Felice di essere in quel
ristorante con lui, felice di condividere tutte quelle emozioni con
Dario e felice che la mia favola si stesse avverando, piano piano.
Magari sarebbe stato solo uno dei tanti principi azzurri che avrei
incontrato, ma per il momento era lui il protagonista perfetto per
quella favola d'amore.
Il cameriere, un uomo riccioluto e
autoritario, ci servì le prime portate dal profumo
invitante.
Appoggiai il tovagliolo sulle ginocchia e sperai con tutto il cuore
di non sbrodolarmi, come ero solita fare, sia per la figuraccia che
avrei fatto con Dario, sia perché non volevo rovinare quel
meraviglioso abitino blu di raso che mi aveva prestato Cristina. Se
glielo avessi riportato macchiato mi avrebbe uccisa.
«Buon appetito!» esclamò con
entusiasmo, cominciando a mangiare.
Feci lo stesso e per alcuni minuti
rimanemmo in silenzio, a lanciarci occhiate e sorridere sotto i
baffi. Era piacevole stare in sua compagnia, anche quando non si
parlava. Solo la presenza bastava per farmi sentire meglio.
«Dario» lo chiamai con un filo di voce
e lui alzò lo sguardo dai suoi spaghetti all'astice
«Mi imbarazza
un po' chiedertelo» appoggiai la forchetta nel piatto e
torturai la
tovaglia.
Lui mi guardò dubbioso poi si tamponò
la bocca con il tovagliolo.
«Chiedi pure, piccola» mi sorrise
bonariamente.
«Ecco, vedi. Ci conosciamo da tanto,
ormai e ora siamo in questo meraviglioso ristorante. Però io
non so
ancora quando sei nato»
Era una domanda che continuava a
rimbalzarmi in testa. Era chiaro che tra di noi ci fosse qualcosa che
magari era anche destinato a durare, ma ancora io non sapevo quando
compiva gli anni. Magari il suo compleanno era già passato e
io non
gli avevo fatto nemmeno gli auguri. Mi sarei sentita tremendamente in
colpa se fosse stato realmente così. Dario
ridacchiò e si morse il
labbro inferiore con delicatezza perché era ancora tumefatto.
«Perché dovresti essere imbarazzata? È
lecito chiedere» mi sorrise ed indugiò qualche
secondo durante i
quali mi lanciò alcune occhiate furbette «Il 25
giugno»
«Quindi sei un cancro» commentai,
bevendo un goccio di vino.
Dario sorrise imbarazzato e solo dopo
aver ingerito il liquido rosso realizzai che quel giorno era
il 25
giugno. Era il suo compleanno e io lo scoprivo solo in quel
momento. Mi sentivo una stupida e per di più non avevo
nemmeno un
regalo con me.
«Non, non so che dire» la voce mi uscì
in un rantolo incontrollato.
«Un “Auguri” sarebbe
sufficiente»
disse sarcastico.
«A-auguri» balbettai nell'imbarazzo più
completo.
«Un altro brindisi? Questa volta ai miei
ventiquattro anni?» domandò retoricamente alzando
di nuovo il suo
calice.
Questa volta, però, non feci lo stesso.
Guardai solo il tovagliolo steso sulle mie gambe. Se non glielo
avessi chiesto non avrei nemmeno saputo che fosse il suo compleanno e
avrei ignorato quel giorno così speciale che lo aveva visto
nascere
ventiquattro anni prima. Che stupida ero stata! Avrei dovuto
chiederglielo molto prima, non svegliarmi così
all'improvviso almeno
avrei organizzato qualcosa per festeggiarlo. La mano di Dario si
allungò sul tavolo e le punte delle sua dita mi sfiorarono
un
braccio ridestandomi dai miei pensieri.
«Non è mica morto nessuno»
ironizzò
ridendo.
«Lo so, ma» e respirai rumorosamente
«Non ho un regalo, non ho organizzato nulla. Avrei dovuto
chiedertelo molto prima»
«Alice non ho bisogno di regali» mi
sorrise dolcemente e mi accarezzò «La tua presenza
è già un dono,
per me».
Mi sentii lusingata nel sentirlo parlare
così e quasi sollevata. Era così dolce e
comprensivo che, a volte,
mi sentivo di non meritarmi una tale fortuna.
«E poi mi sembra che stiamo
festeggiando, no? E non potevo chiedere un compleanno migliore. Cibo,
vino e una ragazza speciale con cui passare questo giorno».
Mi sciolsi completamente e sorrisi
imbarazzata per quelle parole che mi riempirono il cuore di gioia.
Ciò che mi rese ancora più felice,
però, furono i suoi occhi neri
lucidi, brillanti come n0n li avevo mai visti che risplendevano per
l'emozione che provava quando stava con me. E le stesse di
riflettevano nei miei con maggiore intensità.
«Allora brindiamo» afferrai il
bicchiere e brindammo per la seconda volta.
Il resto della serata fu un crescendo di
emozioni. Era bello parlare con lui senza quella voglia irrefrenabile
di baciarci. Eravamo noi due seduti ad un tavolo di un ristorante e
ci scoprivamo a vicenda, ci svestivamo raccontando aneddoti della
nostra vita – io molto pochi – e concedendo un
pezzo della nostra
anima all'altro. Mi regalò perfino cinque rose, comprate da
uno di
quei venditori ambulanti e quella cena non poteva concludersi in modo
migliore. Quella era la prima volta che ricevevo dei fiori e mi
sentivo ad un passo dal cielo. Era una serata perfetta ed ero sempre
più sicura della mia scelta.
«Senti Alice, dovrei chiederti una cosa»
mi disse mentre eravamo in macchina diretti verso casa mia.
Mi voltai a guardarlo concentrato sulla
strada che picchiettava l'indice sul volante. Il cuore prese a
battere forse un po' troppo veloce ma non ci badai. Mi stava per
chiedere se volevo essere la sua ragazza, cosa potevo chiedere di
più?
«Vorresti venire con me a Roma?»
domandò invece, voltandosi verso di me per rivolgermi un
sorriso
«Mia cugina si sposa a luglio e sei invitata anche tu,
ovviamente.
Perciò volevo approfittare di questo matrimonio per
mostrarti la mia
città».
Sorrisi nervosamente e strinsi il lembo
del vestito. No, non era la domanda che mi aspettavo però
era pur
sempre un invito nella sua città, una vacanza solo io e lui
e mi
sembrava un'ottima occasione per stare insieme.
«Per me non c'è problema» risposi con
un sorriso «Dipende se mia madre mi lascia venire»
«Riusciremo a convincerla, non ti
preoccupare» mi fece un occhiolino «Però
dobbiamo fare in fretta
visto che si parte tra tre giorni»
«Potevi dirmelo un po' prima, non
credi?» bofonchia sbuffando «Ma come farai con il
lavoro?»
«Farò la diretta da Roma, semplice» mi
rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo
«Ho già pensato
a tutto, mia cara. Non sono uno sprovveduto»
gongolò con un sorriso
soddisfatto.
Ridacchiai e mi soffermai a fissarlo.
Inizialmente odiavo la sua spocchia ma, mano a mano, mi ero abituata
a quel suo aspetto e avevo cominciato a riderci su. Se non avesse
avuto quella presunzione non sarebbe stato il mio Dario.
Entrammo nel mio paese e il respiro mi si
fece accelerato. Era arrivato il momento di fermarlo prima che
arrivassimo a casa mia. Appena la Mito costeggiò la campagna
appoggiai una mano sul suo braccio per attirare la sua attenzione e
gli sorrisi.
«Possiamo fermarci un attimo?»
mormorai.
Ero tesa, nervosa e avevo anche paura, ma
il momento del grande passo era arrivato. Sentivo il desiderio di
Dario in ogni fibra corporea e non potevo ignorare questo richiamo.
«Non ti senti bene?» si preoccupò.
«Tranquillo» strinsi di più la mia
mano attorno al suo braccio «Accosta semplicemente,
lì, vicino ai
campi di grano».
Lui mi guardò perplesso, ma seguì il
mio consiglio. Quella strada era praticamente deserta di sera, poca
gente passava di lì e in qualsiasi caso, ci eravamo fermati
in una
piccola piazzola di terra battuta, nascosta da occhi indiscreti.
Dario si slacciò la cintura di sicurezza e mi
squadrò
interrogativo, scrollando le spalle. Sorrisi imbarazzata e prima che
lui aprisse bocca per parlare, gli afferrai i baveri della camicia e
lo avvicinai a me. Lo baciai di sorpresa e lui rimase immobilizzato
per qualche secondo. Dopo un po', però, si lasciò
trasportare da
quel bacio, dal ritmo che le mie labbra e la mia lingua scandiva. La
sua mano si appoggiò sul mio ginocchio e percorse la coscia,
intrufolandosi sotto la gonna del vestito e si fermò a pochi
millimetri dal mio inguine. La sua mano era calda e solo sentire il
calore delle sue dita espandersi mi fece eccitare maggiormente.
Interruppe il nostro bacio per riprendere
fiato e per guardare nei miei occhi. Non parlò, non fece
nessuna
domanda ma le sue iridi nere colme di passione erano eloquenti. Aveva
capito dove volessi arrivare, per cui i suoi occhi cercarono una
conferma nei miei. Mi morsi un labbro e imbarazzata come non ero mai
stata, annuii. Dario sorrise, un sorriso dolce, sincero e splendido e
mi accarezzò una guancia scostandomi una ciocca di capelli.
Sfiorò
di nuovo le mie labbra con le sue lasciandomi il suo sapore, un
piccolo assaggio di lui e della sua pelle.
Si alzò da sedile e, con qualche
difficoltà per via del tettuccio e del freno a mano,
andò a sedersi
nei sedili posteriori.
«Qui si sta più comodi» disse e il suo
tono non aveva nulla di malizioso, c'era solo tanta dolcezza.
Mi tese una mano che io afferrai subito e
mi aiutò a raggiungerlo. Mi posizionai sulle sue gambe con i
nostri
bacini a stretto contatto. Mi strinse il viso tra le mani e mi
baciò
di nuovo con la stessa travolgente passione di poco prima. Ero
nervosa, ma solo il suo tocco e le sue labbra riuscivano a sciogliere
quella tremenda tensione che si era impossessata di me.
Istintivamente, cominciai a muovere il bacino sopra il suo. La gonna
era talmente corta e la stoffa degli slip era talmente leggera che
ogni frizione dei suoi jeans sulla mia intimità mi provocava
scosse
di piacere che mi obbligarono a staccarmi dalle sue labbra per
ansimare.
«Alice» mormorò roco succhiando la
pelle del mio collo «ti voglio da impazzire».
Con un movimento rapido della testa
scostai i capelli dalla spalla per permettergli di assaporarmi con
più facilità. Affondai le mani nei suoi capelli
neri e mossi
spingendolo verso di me, verso il mio corpo.
«Anche io ti voglio» ammisi con la voce
strozzata dai gemiti.
I suoi occhi neri si alzarono a cercare i
miei. I nostri sguardi diventarono un tutt'uno, il castano fuso in
quel mare di petrolio, la mia anima dentro in quei meravigliosi cieli
notturni.
Racchiuse le mie labbra ancora nelle sue
ed intanto le sue mani strinsero i miei seni con delicatezza, con una
dolcezza così estrema da spiazzarmi. Avevo pensato che lui
fosse un
tipo irruento sotto le coperte, uno di quegli uomini passionali
guidati dall'istinto spinti solo dalla voglia di provare piacere il
prima possibile. Invece ogni gesto di Dario era delicato, voleva
mettermi a mio agio per la mia prima volta, voleva che fosse
speciale, che fosse dolce. E ci stava riuscendo.
C'era tranquillità intorno a noi, un
silenzio che rendeva ancora più magico quel momento. Solo
gli
schiocchi delle nostre lingue e i nostri ansimi ci riempivano le
orecchie e non avrei potuto chiedere colonna sonora migliore. Le
nostre labbra avevano bisogno di quelle dell'altro tanto che si
staccavano solo per alcuni secondi, il tempo sufficiente a riprendere
fiato. Ed intanto le sue mani erano scivolate sulle mie cosce nude e
percorrevano su e giù la mia pelle, sfiorandomi l'inguine in
un
breve e piacevole tormento. Quei tocchi, quei baci non facevano altro
che aumentare il mio desiderio, la voglia irrefrenabile che avevo di
sentirlo dentro di me. Ero adrenalinica, tutti i muscoli erano scossi
da fremiti ed ero eccitata, sentivo un calore umido nel basso ventre
che divampava ogni secondo di più.
Ancora una volta fui io a prendere
l'iniziativa e senza staccare le labbra dalle sue, cominciai a
slacciargli al camicia, bottone dopo bottone, lentamente in modo da
sfiorare il suo corpo e farlo rabbrividire.
«Ci sai fare, piccola» rantolò,
abbandonando la testa sullo schienale del sedile lasciandomi fare.
Arrossii di colpo, ma non potevo negare che tutti quei gesti erano
naturali, dettati solo dal mio eccitamento.
Ad ogni bottone slacciato seguiva uno
struscio del mio bacino contro il suo, un mio gemito e un suo ansimo.
Gli tolsi la camicia e fissai il suo torace nudo con bramosia,
leccandomi perfino un labbro. La parte lussuriosa di me, quella che
era stata relegata da qualche parte del mio animo era stata liberata
quella sera e non mi dispiaceva affatto mostrarmi così
disinibita di
fronte a Dario. Mi abbassai sul suo petto e vi appoggiai le labbra,
piccolo baci che lambivano ogni lembo di pelle e che facevano
crescere la sua eccitazione. La percepivo a contatto con la mia
intimità e contrariamente alla prima volta non mi spaventava
anzi
avrei voluto che non ci fosse quella barriera di stoffa che ci
impediva di unirci in un atto d'amore passionale come quello.
Finalmente, Dario si decise a togliermi
il vestito. Abbassò la zip velocemente e con il mio aiuto,
lo sfilò
buttandolo da qualche parte nella sua macchina e un lampo di malizia
attraverso le sue iridi scure.
«Hai messo la lingerie sexy» constatò.
«Solo per te, amore mio» dissi, senza
nemmeno pensare a quello che stavo dicendo.
Dario mi sorrise dolcemente, poi mi baciò
di nuovo, succhiando la mia lingua con avidità e la carezza
con cui
sfiorava la mia coscia si trasformò ben presto in una presa
salda.
L'altra sua mano si posizionò sulla mia schiena e, con
lentezza, mi
fece stendere sul sedile. Si slacciò i pantaloni e si
sbarazzò
anche di questi, rimanendo solo in un paio di boxer neri che
contenevano a malapena la sua eccitazione. Si stese su di me, tra le
mie gambe, con il viso a pochi millimetri dal mio. Il suo respiro mi
inebriava e quel suo intenso odore di vaniglia riempiva l'abitacolo,
rendendo il tutto ancora più dolce.
«Sei sicura, piccola?» mi domandò
preoccupato, accarezzandomi la guancia con il dorso della mano.
Annuii convinta, deglutendo più volte e
con il fiato corto per tutte quelle sensazioni che mi stavano
travolgendo. Dario mi rivolse un sorriso e mi baciò dapprima
a fior
di labbra, poi approfondì solleticandomi il palato. Ero
troppo
impegnata ad assaggiare le sue labbra che non mi accorsi che una sua
mano era sgattaiolata verso un mio fianco. Le sue dita sostarono ben
poco in quel punto. Erano vogliose di esplorarmi, di farmi godere
ancora di più, perciò si erano infilate nel mio
slip.
«Dario!» mugugnai, sentendo i suoi
polpastrelli muoversi sulla mia intimità.
«E questo è niente piccola»
mormorò
roco.
Non sapevo cosa aspettarmi finché non
sentii un suo dito scivolare lentamente dentro di me. Mi aggrappai
con una mano al sedile mente con l'altra gli strinsi i capelli. Non
era doloroso, solo molto appagante. Non mi trattenni nemmeno dal
gemere, tanto eravamo solo io e lui, anzi quasi urlai per il piacere
e dal sorriso che si dipinse sulle labbra di Dario sembrava
apprezzare.
«Dimmi se ti faccio male, piccola» mi
sussurrò ad un orecchio, mordicchiandone il lobo.
La sua falange si muoveva dentro di me
con un ritmo sostenuto, scivolando prima in profondità, poi
uscendo
quasi del tutto. Avevo la gola secca, gli occhi faticavano a rimanere
aperti e l'unica cosa che riuscivo a dire, anzi ad urlare, erano
gemiti disconnessi. Deglutii e cercai di regolarizzare il respiro
forse un po' troppo accelerato.
«No, tutto okay» fu l'unica cosa che
riuscì a dire perché un altro fremito mi scosse e
mi costrinse ad
inarcarmi.
Avevo gli occhi chiusi, per cui non vidi
la reazione di Dario. Sentivo solo i suoi baci che dal collo
scendevano verso il seno e il suo dito che si muoveva dentro di me.
Al quale, dopo qualche minuto, se ne aggiunse un altro rendendo quel
momento ancora più eccitante ed appagante.
«Oh mio Dio!» urlai e gettai le braccia
all'indietro, sfiorando il vetro appannato della Mito.
Ogni mio movimento divenne disconnesso.
Non avevo più il controllo sui miei muscoli che reagivano
solo allo
stimolo eccitante delle dita di Dario.
Lentamente lo sentii abbandonare il mio
corpo e gli slip scivolarono lungo le mie gambe, seguiti dalle labbra
di Dario che baciarono ogni lembo di pelle scoperta. Risalì
velocemente e mi cinse la vita con le braccia, sollevandomi a sedere.
«Via anche questo, che dici?» disse
malizioso, togliendomi anche il reggiseno.
Ero completamente nuda di fronte a lui e
non provai il minimo imbarazzo. Anzi mi sentivo stranamente a mio
agio. Mi fece posizionare sulle sue gambe nuovamente e le nostre
intimità strusciarono provocando ad entrambi un intenso
piacere.
Mancava davvero poco, solo un paio di boxer e finalmente lo avrei
amato completamente. Forse per l'impazienza, forse per
l'irrefrenabile voglia che avevo di lui, afferrai l'elastico delle
sue mutande e le abbassai, aiutata da Dario che si alzò quel
tanto
che bastava per poterglieli sfilare.
Eravamo nudi entrambi, eccitati e
desiderosi di diventare un tutt'uno. Più il momento in cui
lo
avremmo fatto si avvicinava, più il mio cuore accelerava la
sua
corsa. Ero felice di poter condividere quel momento con lui, ma non
potevo nascondere di avere un tantino di paura.
Dario mi passò una mano tra i capelli e
mi avvicinò alle sue labbra per un veloce contatto. Poi mi
guardò
negli occhi, serio ed emozionato al tempo stesso e la sua mano si
appoggiò sulla mia guancia. Mi sembrò quasi che
tremasse, ma non ci
diedi peso.
«Sei sicura al cento per cento?»
Mi morsi le labbra e deglutii a vuoto.
Fino a qualche secondo prima lo ero, ma ora che il momento tanto
atteso si era avvicinato cominciavo a vacillare. Scossi al testa
impercettibilmente e gli sorrisi. Non potevo farmi assalire dai dubbi
proprio in quel momento. Lo volevo e basta, non dovevo frenarmi, non
in quel momento.
«Mai stata più sicura» risposi
baciandolo ancora ed ancora. Le sue labbra e il suo sapore non erano
mai abbastanza. Più le sfioravo, più lo
assaporavo e più diventavo
famelica.
«Un secondo allora» mi disse,
appoggiando un indice sulla mia bocca.
Mi strinse forte a sé con una mano e si
abbassò alla ricerca dei suoi jeans. Li afferrò
con foga e li
appoggiò accanto a lui, rovistando in tutte le tasche
finché non
estrasse il suo portafoglio. Lo aprì e a colpo sicuro prese
un
preservativo.
«Vuoi fare tu?» e mi piazzò davanti
agli occhi quella bustina con scritto Durex.
Farfugliai qualcosa di insensato e
diventai rossa come un peperone, se non di più.
«È facile, dai» quasi mi
pregò «Ti
aiuto io».
Con un pizzico d'imbarazzo accettai e
afferrai la bustina dalle sue mani. Tremante la aprii tirandone fuori
quell'anello di lattice di cui avevo sentito parlare ma che mai avevo
visto prima in vita mia.
Dario mi strinse il polso con dolcezza e
mi accompagnò verso il suo desiderio. Posizionò
la mia mano sopra
la punta della sua eccitazione e lentamente srotolai il preservativo,
strappandogli un ansimo.
Pochi secondi, mancava solo una manciata
di secondi e avrei fatto sesso per la prima volta. Anzi, l'amore.
Dario mi afferrò i fianchi e strusciò
il naso sul mio collo.
Ero tesa e questo l'aveva percepito, ne ero sicura.
«Tranquilla, piccola, non ti farò del
male»
Mi strinsi di più a lui, allacciando le
braccia intorno al suo collo mentre mi sollevava per i fianchi. Si
aiutò con una mano a posizionarsi sotto di me e con l'altra
mi
invitava a scendere verso il suo desiderio. Seguii il suo gesto e in
pochi secondi lo sentii scivolare dentro di me, con una certa fatica.
Strizzai gli occhi e affondai le unghie nella sua carne, abbandonando
il capo sulla sua spalla. Questo sì, aveva fatto abbastanza
male.
Un lamento roco uscì dalle mie labbra e Dario mi
accarezzò la
schiena, baciandomi il collo.
«Scusa» mormorò al mio orecchio.
Aprii le palpebre e gli sorrisi
appoggiando le mie labbra sulle sue.
«E di che?» arrancai tra un ansimo e
l'altro.
Cominciai a muovermi sopra di lui, su e
giù lentamente e più mi rilassavo, più
mi abbandonavo a lui e alla
passione più il fastidio che avevo avvertito inizialmente
spariva,
lasciando il posto al piacere.
Dopo un primo momento di esitazione,
anche Dario si lasciò andare e seguì il mio ritmo
mandandomi in
estasi. Entrambi ansimavamo e nessuno dei due riusciva a baciare
l'altro senza che un gemito ci cogliesse. Tentai di sfiorare ancora
le sue labbra, ma un fremito mi colse prima di raggiungerle, per cui
mi ritrovai ad ansimare nella sua bocca, a mescolare il mio respiro
al suo, a fondere il mio piacere con il suo. Gli strinsi il viso e mi
avvicinai ad esso, così ci ritrovammo occhi negli occhi,
fiato nel
fiato, uno dentro l'altro, muovendoci la ritmo dei nostri ansimi. I
suoi neri sembravano liquidi, una distesa infinita di piacere nero in
cui quasi affogai.
Non mi importava di aver affrettato le
cose. Gli avevo detto di aspettare, che avrebbe dovuto riconquistare
la mia fiducia, ma non avevo saputo resistere. Io lo amavo,
nonostante i dubbi che mi avevano attanagliato e non potevo
più
frenare quel sentimento che provavo per lui. Non sapevo se Dario
provasse lo stesso, anche se mi aveva fatto capire che teneva a me
con le meravigliose parole che mi aveva riservato. Forse era solo un
modo per portarmi a letto e anche se fosse stato così non
avrei mai
rimpianto di essermi donata a lui per la prima volta perché
non
avevo mai provato sensazioni così forti ed intense e solo
Dario era
stato in grado di regalarmi tutte quelle emozioni.
Dario accelerò il ritmo, aumentando con
lei il piacere già quasi al massimo. I nostri gemiti si
susseguirono con intensità, strozzati e gutturali, uscendo
dalle
nostre labbra naturalmente. Eravamo entrambi ad un passo dall'apice,
si capiva dalle nostre voci, dai nostri visi contratti e dai nostri
respiri accelerati.
«A-Alice» mugugnò lui stringendo con
una mano il mio fianco e con l'altra il sedile.
«Da-Dario» lo seguii io, arpionandomi
alle sue spalle.
Un fremito, un'ultima scossa che
precedette il culmine del piacere per entrambi. Appoggiai il viso
sulla sua spalla e intanto uscì da me, abbracciandomi poi
stretta a
lui e baciandomi sul collo e agli angoli della bocca.
Avrei voluto in quel momento dirgli Ti
amo, confessargli di nuovo i miei sentimenti. Ma avevo paura
che
lui rimanesse in silenzio, che non sentisse la stessa cosa per me.
Così soffocai quella confessione in attesa di un'occasione
migliore
per dirglielo. Per il momento avrei goduto del suo abbraccio e del
suo calore, di quella sensazione di completezza che era riuscito a
donarmi.
«Auguri»
gli mormorai all'orecchio,
appoggiandomi al suo petto.
Lui mi abbracciò ancora più forte e mi
sfiorò una guancia con le labbra.
«Il miglior compleanno della mia vita»
__________________________________
Nuovo banner significa che
siamo entrati nella seconda parte della storia.
Per cui
dimenticatevi di Saronno (a lui ci penserò più
avanti con lo spin off interamente dedicato a lui :3) e di Abbate. No,
di lui no, anche perché è il miglior amico di
Alice! Ma, come già annunciato, ci saranno altri personaggi
che entreranno a far parte della storia. Per chi abbia seguito Mistake
sa già di chi si tratta, mentre che non sa nemmeno di cosa
sto parlando i due tizi nel banner non sanno nemmeno chi sono xD Ma
basta pazientare e lo capirete molto presto.
Comunque, andiamo
come sempre con ordine. Cristina Cariati è sempre la stessa
oca, ma sembra che non sia poi così antipatica. E alice
è del mio stesso avviso, tanto che ha iniziato ad uscirci.
Abbate pare proprio che abbia fatto un ottimo lavoro sulla bella
biondina. Una giornata di shopping in cui la parola d'ordine
è stata lingerie. La cara Alice si è decisa a
comprare un completino sexy per il suo amato Dario. Dico amato
perché ormai è proprio stra-cotta di Vitrano.
Parlando di
Dario...io lo adoro sempre di più! Soprattutto quando
battibecca con Smell e quando attribuisce soprannomi a chiunque. Abbate
è il troll mentre Smell gremlin xD buahahah! Che simpaticone
:3
Raffaele ha
trovato il test di gravidanza e pensa che sia di Alice. Così
decide di uccidere con le sue stesse mani Dario. Peccato solo che il
test sia di Claudia e non di Alice. È stata una doccia
fredda per Smell, ma ha capito che, comunque, è una sua
creatura per cui hanno deciso di tenerlo :)
La mamma di Alice
è troppo forte! La adoro! Che entra e li becca in
atteggiamenti intimi buahahah *ride da sola mentre gli altri la
guardano dubbiosi*
Ma la parte clou
del capitolo è la fine, la cena al Bice (che esiste
davvero). Abbiamo scoperto che Dario è nato il 25 giugno e
che ha invitato Alice proprio per festeggiare il suo compleanno, che,
sennò, sarebeb stato triste come tutti gli altri. E quale
miglior regalo se non l'amore totale di Alice? Lo so che magari
può sembrare affrettato il fatto che Alice si sia concessa a
Dario, ma ricordiamoci che sono stati "insieme" un mese da Gennaio a
Febbraio, quindi diciamo che la loro relazione è nata molto
prima che i due se ne rendessero conto.
Ebbene, Dario e
Alice lo hanno fatto per la prima volta. E lui è stato
davvero tenerissimo a preoccuparsi così per la sua piccola.
È
davvero un ragazzo splendido ♥.♥ spero che la
prima volta di Alice mi abbia emozionata tanto quanto ha emozionato me
scriverla e ha emozionato Dario e Alice che si sono amati in toto.
Bene, dopo questo
poema direi di passare ai ringraziamenti.
Come al solito
ringrazio le persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le
seguite e le ricordate. Chi ha recensito il capitolo (mi dispiace non
aver risposto ma è iniziata l'uni ed è
già tanto se riesco a respirare xD...quindi non so se
riuscirò a rispondere! spero che non vi dispiaccia). Un
grazie solo a chi legge, e siete davvero in molti. Un grazie speciale
alle ragazze del gruppo Crudelie si nasce che mi sostengono. E,
soprattutto, un GRAZIE gigante ed enorme va a Nessie, la mia adotrabile beta e
IoNarrante, la mia lover che mi
supporta e sopporta.
Ora, TADAN!
Vi posto il
trailer fatto da me medesima con tanto tanto love *_____*
Video trailer
E vi mostro, con tanto
orgoglio, anche il trailer della nuova long che potrete trovare su EFP
appena Alice sarà conclusa.
|
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Capitolo 22 *** On the road ***
Video trailer
C a p i t o l o 21
On
the road
betato
da nes_sie
La Mito di Dario si fermò davanti al
portoncino di casa mia. Avevamo fatto l'amore ed entrambi eravamo
felici che fosse successo. E avevo capito che non era solo attrazione
fisica quello che c'era tra di noi. Perché io lo desideravo
ancora,
perché ogni cosa di Dario era entrato a far parte della mia
vita e
necessitavo di lui per continuare a vivere. Lo amavo, in quel momento
più di prima, e poco mi importava se quella storia non fosse
destinata a durare, se Dario non fosse la mia vita. Volevo vivermi
quella storia appieno, godermi ogni singolo istante passato con lui e
imprimerlo nella mia mente e nel mio cuore. Forse non sarebbe stato
l'amore della mia vita, quello grande ed eterno, ma era pur sempre il
mio primo amore e non avrei mai dimenticato tutto quello, la sua
voce, i suoi tocchi, il suo odore. Per cui lo avrei amato senza
più
paranoie, senza dubbi, niente senza risposte.
Non appena il motore della macchina si
spense compresi che era arrivato il momento di separarci, seppur solo
per qualche ora. Peccato che io non avessi la minima voglia di dirgli
Ciao. Volevo stare ancora con lui, passare altro
tempo insieme
a Dario tra le sue braccia, possibilmente.
«È stata una serata splendida» disse
con un sorriso sincero «E tu l'hai resa ancora più
magica» allungò
una mano e mi accarezzò una guancia.
«Sei tu quello splendido»
Lo guardai negli occhi e vidi una
scintilla illuminargli gli occhi, una pagliuzza di felicità
farsi
spazio in quel nero profondo che illuminò le sue iridi.
Arrossì
lievemente, ma questa volta non distolse lo sguardo imbarazzato da
me. Appoggiai la mia mano sulla sua e la strinsi forte, sentendo il
suo calore invadere le fibre del mio corpo a poco a poco.
«Dico sul serio, Dario. A volte non mi
sembra nemmeno vero che tu sia con me e ho una paura folle di
svegliarmi nel cuore della notte e scoprire che è tutto un
sogno»
gli confidai quel timore con un filo di voce e lui mi regalò
un
altro dei suoi sorrisi meravigliosi.
«Anche io ho paura che sia solo un
sogno» mi confidò sporgendosi verso di me per
diminuire la distanza
che ci separava «Perché è impossibile
che tu, tra tanti, abbia
scelto me. È impossibile che, dopo così tanti
anni, io sia riuscito
ad aprirmi di nuovo con una ragazza. È impossibile che
qualcuno sia
riuscito ad amarmi di nuovo» si morse il labbro inferiore,
cercando
di non riaprire la ferita che gli aveva lasciato mio fratello. Quello
era un altro mattone del suo muro che crollava, mostrandomi
ciò che
teneva nascosto dietro di esso. Era un altro pezzo di armatura che lo
proteggeva di cui si spogliava.
«E se questo fosse davvero un sogno»
riprese, con le sue labbra che si avvicinavano pericolosamente alle
mie «Beh, allora spero di non svegliarmi mai».
Abbozzai un sorriso prima che lui mi
baciasse. E fu un bacio tremendamente dolce, sia per il sapore di
vaniglia delle sue labbra, sia per le movenze lente e calcolate della
sua lingua che solleticava la mia con fugaci e repentini tocchi. Come
potevo lasciarlo andare, anche solo per poche ore? Sapevo che non
potevo pretendere di averlo sempre al mio fianco, ventiquattro ore su
ventiquattro. Ma quella notte volevo che fosse solo nostra, volevo
trascorrerla con lui e, perché no, che fosse infinita.
«Non mi sarei mai aspetta che fossi così
dolce» ridacchiai e il suo pollice mi solleticò
una guancia.
«Sono un ragazzo ricco di sorprese»
sghignazzò e appoggiò di nuovo le mie labbra
sulle mie per il bacio
della buonanotte. Quando le nostre bocche si staccarono, Dario
sospirò ed era sul punto davvero di salutarmi, ma gli
impedii di
parlare sfiorandogli le labbra con l'indice.
«Perché non sali da me?» gli proposi e
lui si stupì di quella mia richiesta.
«Ma c'è tua madre a casa. E il gremlin
che se mi vede nel tuo letto altro che pugno. Mi fa a
pezzettini»
ridacchiò, anche se sembrava davvero spaventato da una
possibile
reazione di mio fratello.
«Smell è tutto fumo e niente arrosto»
lo tranquillizzai intrecciando le dita con le sue.
«Per forza. L'arrosto se lo sarà
sbranato nel giro di due secondi» scherzò e mi
venne spontanea una
risata, alla quale si unì lui poco dopo. In effetti ne aveva
mangiati parecchi di arrosti per diventare così
pachidermico. Ancora
non capivo cosa avesse trovato Claudia in lui. Insomma, lei era
così
bella che eclissava completamente col suo splendore quel racchio di
Smell, che non era solo brutto ma anche antipatico il più
delle
volte. Forse era vero il detto L'amore è cieco.
«Comunque, non ti farà nulla e mia
madre sembra che ti abbia preso in simpatia» cercai di
convincerlo
in tutti i modi a rimanere con me.
«Non mi sembra il caso, davvero»
sospirò scrollando la testa.
«Ti prego, Dario» addolcii il tono e
sfoderai gli occhi da cucciolo bastonato «Ho voglia di
passare
questa notte con te, tra le tue braccia» mi sporsi verso di
lui e mi
adagiai sul suo petto, accarezzandogli un fianco «Non vorrai
che io
passi la nottata a piangere» e via con il senso di colpa.
Sapevo che
con Dario avrebbe funzionato, era la stessa tattica che avevo
utilizzato per convincerlo ad accompagnarmi alla festa di San
Valentino.
«Sei subdola, Alice» sbuffò cingendomi
la vita «Sai che non resisto quando fai gli occhi
dolci»
«Allora sali?» tentai di nuovo e alzai
lo sguardo verso di lui e per enfatizzare il tutto sfoderai anche il
labbro tremulo.
«Questa è la mia tecnica persuasiva!
Non vale!» esclamò, fingendosi offeso.
«E funziona alla grande» aggiunsi io
baciandolo a fior di labbra. «Lo so»
sospirò, «Andiamo, anche
perché sto morendo di sonno» si arrese alla fine,
e io gongolai nel
mio piccolo per essere riuscita a convincerlo così
facilmente.
Scendemmo dalla Mito e mano nella mano
entrammo nell'androne di casa mia. Salimmo velocemente le scale e
appena vidi la porta del mio appartamento cominciai a cercare le
chiavi dentro la pochette. Dario mi abbracciò da dietro e mi
scostò
i capelli da una spalla all'altra per lasciare una piccola scia di
baci lungo il mio collo. Inclinai la testa, rabbrividendo e per un
attimo interruppi la mia ricerca.
«Sicura che vuoi solo dormire?» mi
sussurrò malizioso.
«Non avevi appena detto di avere sonno?»
lo rimbeccai e piegai un braccio all'indietro per sentire sotto le
mie dita i suoi capelli morbidi.
«Mi è passato, tutto d'un tratto,
ripensandoti con quel completino rosa» si morse il labbro e
si fece
ancora più vicino a me in modo da strusciare il suo bacino
contro il
mio fondoschiena «Eri così sexy»
«Sei un caso disperato» tagliai corto e
tornai a cercare le chiavi mentre il suo respiro mi solleticava la
pelle e le sua labbra infuocavano il mio collo. Dovevo cercare di
contenermi, anche se mi risultava difficile con lui che cercava in
tutti i modi di provocarmi.
«Non sono Paganini» mormorò
«Il bis
te lo concedo volentieri».
Ed io avrei accettato con altrettanto
piacere – in tutti i sensi – ma non potevo cedere,
non in casa
mia con mia madre e Smell che dormivano nelle stanze attigue alla
mia. Avrebbero sentito tutto e non volevo essere beccata mentre
facevamo l'amore. Già mia madre ci aveva scoperti mentre ci
trastullavamo, non volevo che vedesse qualcosa di ancora più
sconvolgente.
«Direi che uno spettacolo è
sufficiente» dissi e mi voltai rapidamente per dargli un
fugace
bacio sulle labbra.
Dario rimase attonito, continuando a
fissare un punto fisso sul muro del condominio mentre io aprivo la
porta di casa. Credeva che con le sue doti ammaliatrici mi avrebbe
fatto cedere a quella tentazione, ma la mia forza di volontà
era più
forte del suo sex appeal. Spalancai la porta e mi tolsi le scarpe per
non fare rumore rischiando di svegliare quei due. Dario mi
seguì,
chiudendosi la parta alle spalle e la casa fu inghiottita dal buio.
Non vedevo ad un palmo dal mio naso, per cui sarei andata a tentoni
fino in camera mia.
«Dario dove sei?» mormorai, guardandomi
intorno in cerca della sua sagoma.
«Qui» rispose criptico, adottando il
mio stesso tono di voce.
Risposta molto utile.
«Qui dove?» sbuffai e per poco non
sbottai.
«Qui» ripeté, infastidendomi.
Puntellai le mani sui fianchi ed esaminai
il salotto in cerca della sagoma di Dario, ma sembrava essere stato
risucchiato da una voragine buia. Finché, ad un certo punto,
non mi
afferrò per i fianchi e mi sollevò da terra,
caricandomi in spalla
con una certa facilità. Soffocai un grido che avrebbe
rischiato di
svegliare Smell e mia madre e uscì dalle mia labbra un suono
simile
ad uno squittio.
«Lasciami Dario» bisbigliai prendendolo
a pugni sulla schiena.
«Dove cazzo sta la tua stanza?» non mi
calcolò e vagò per il soggiorno nemmeno fosse
un'anima in pena.
«Mettimi giù» mi imposi e questa
volta, oltre ai cazzotti, si aggiunsero anche dei lievi calci sul
petto.
Ma nulla sembrava riuscisse a fermarlo.
Mi strinse maggiormente a sé, sballottandomi a destra e a
manca,
rischiando di farmi vomitare tutta la cena. Sbatté
più volte contro
il tavolinetto e al divano, alternando.
«Ma porca puttana! Come si esce di qui?»
alzò di poco il tono, ma cercò comunque di
mantenerlo a livelli
abbastanza bassa.
«Non ne ho idea» sbuffai. Ormai mi ero
arresa e mi lasciai trasportare da lui in giro per tutto il salotto
«Forse se mi mettessi giù potrei
aiutarti»
«Era una domanda retorica» puntualizzò
e la presa sul mio corpo si allentò perché una
sua mano andò a
tastare la parete in cerca della porta che si affacciava sul
corridoio.
Dopo alcuni minuti lo sentii mormorare
con tono soddisfatto Bingo, così capii
che era riuscito ad
uscire dal salotto.
«La mia camera dovrebbe essere davanti a
noi» dissi con un filo di voce e in pochi attimi la porta
della mia
stanza si spalancò.
Fece qualche passo in avanti finché non
mi sentii come abbandonata nel vuoto. Stavo cadendo, ma per fortuna
ad attutire il colpo c'era il materasso del mio letto. Non ebbi
nemmeno il tempo di realizzare di essere scesa dalla sua spalla che
me lo ritrovai steso sopra di me. Le sue labbra s'impadronirono
immediatamente delle mie e una sua mano percorse la mia coscia,
scivolando verso l'incavo del ginocchio, dove si fermò.
Sollevò la
mia gamba in modo da potersi mettere comodo e far combaciare i nostri
bacini. Quando cominciò a muoversi ritmicamente e far
strusciare le
nostre intimità con un po' troppo malizia, staccai le labbra
dalle
sue.
«No, Dario, non possiamo» lo ammonii,
seria.
«E dai!» mi supplicò lui,
accasciandosi su di me e appoggiando il viso sul mio seno
«Basta
fare piano. Anche se, in effetti, con un amatore come me è
ben
difficile»
«Stupido» bofonchiai, accarezzandogli
la nuca «Ho paura che ci scoprano».
La voglia che avevo di lui era ancora
viva in me e non mi sarei mai stancata di accoglierlo dentro di me.
Ma non potevo rischiare che uno tra mia madre e Smell ci vedesse in
atteggiamenti così intimi.
«Ma figurati» borbottò «E poi
le tue
tettine mi stanno chiamando. Le sento proprio dire Dario,
Dario»
la sua voce divenne stridula e il suo indice andò a
stringere un mio
seno «Non solo loro mi desiderano. Anche qualcuno che sta
più in
basso».
Era un idiota e proprio per quello non
riuscii a trattenermi dal ridere. Piegai la testa in avanti e con
qualche difficoltà, gli schioccai un bacio tra i capelli,
tornando
poi a coccolarlo. Stare così, uno stretto all'altro, era
già
magnifico di per sé, ma avevo la tentazione di cedere alle
sue
lusinghe e regalargli quel tanto sospirato bis. Ero combattuta, ma
alla fine riuscii a prendere una decisione, anche abbastanza
velocemente per i miei standard.
«E va bene!» mi arresi «Ma qualcosa di
veloce»
«La parola veloce non può
essere
associata al fido compagno di Dario» ribatté
malizioso.
Ridacchiai, un po' per il nomignolo che
aveva dato al suo fratellino, un po' per la barba ispida che mi
solleticava il collo.
Il tutto fu un crescendo di emozioni. Il
cuore mi batteva all'impazzata e credevo che mi sarebbe venuto un
infarto di lì a poco. E non era solo la paura di essere
scoperti che
mi aveva provocato la tachicardia, ma erano soprattutto i baci
passionali di Dario, erano le sue mani che esploravano ogni
millimetro del mio corpo nudo, era lui che scivolava dentro di me
ancora una volta con delicatezza. Le nostre voce erano flebili e
cercavamo in tutti i modi di mantenere un tono di voce sommesso in
modo do non farci sentire. Era difficile perché il piacere
che
provavamo era tanto, impregnava perfino le pareti, era come se
riuscissimo a respirarla mescolata all'ossigeno. Ma, comunque,
soffocammo i gemiti più acuti, io mordendogli delicatamente
una
spalla e lui affondano il viso nel mio seno, ovattando la sua voce
che, altrimenti, avrebbe rischiato di farci scoprire. Quella seconda
volta fu ancora più bella della prima, più
travolgente. Non ero più
nervosa come lo ero in macchina e tutto mi sembrò
più facile e
naturale.
Non appena finimmo di fare l'amore, mi
andai a dare una sciacquata veloce e indossai il mio pigiama rosa di
stoffa leggera. Lui si fece una doccia veloce e si sbarazzò
del
preservativo usato. Speravo che lo avesse gettato nella pattumiera,
sotto il resto dei rifiuti, in modo che nessuno della famiglia
Livraghi potesse scoprirlo.
“Vestito”
solo
con un paio di boxer, si stese a fianco a me, abbracciandomi stretta
a lui. Il mio letto non era grande, solo una piazza, ma riuscimmo
comunque ad incastrarci in un qualche modo. Mi accoccolai sul suo
petto e mi lasciai cullare dal suo respiro regolare e dal suo tepore.
«Buonanotte, piccola» mormorò,
rimanendo con gli occhi chiusi.
«Buonanotte» risposi, stampandogli un
bacio all'altezza del cuore.
Chiusi gli occhi e non seppi dire se mi
addormentai per qualche secondo, qualche minuto, qualche ora e
nemmeno quanto tempo fosse passato da quando lui mi aveva stretta a
sé. Ma quando riaprii gli occhi e li alzai verso il suo viso
lo vidi
dormire profondamente. Il suo respiro lento e il suo viso rilassato
mi diedero un senso di calma assoluto. Senza che riuscissi a
trattenermi, quasi spinta da una forza sconosciuta, mi allungai verso
di lui e assaporai solo per un attimo le sue labbra che sapevano di
vaniglia.
«Ti amo» gli dissi con voce flebile,
anche se non mi avrebbe sentito.
Invece,
come se avesse realmente udito quelle parole, Dario si strinse ancora
di più a me e mi stampò un bacio sulla fonte. Era
sveglio, aveva
sentito il mio Ti amo
ma non aveva detto nulla, nemmeno un sussurro da parte sua. Ma il suo
abbraccio e il suo sorriso accennato valsero più di mille
parole.
Mi
svegliai di soprassalto quando sentii un tonfo provenire dalla
cucina. Mi sedetti sul letto e mi guardai intorno spaesata, con gli
occhi a mezz'asta che avrebbero volentieri continuato a rimanere
chiusi per altre dieci ore di sonno. Misi a fuoco a fatica
ciò che
mi circondava e intanto mi grattavo la testa, quasi non capissi dove
mi trovassi. Dopo alcuni secondi le immagini della sera prima
cominciarono a susseguirsi nella mia mente. Prima la cena in quel
ristorante d'alta classe, poi noi due, io e Dario, nella sua Mito
mentre ci amavamo completamente ed infine il bis,
come lo aveva chiamato lui, in camera mia. Rabbrividii ricordando
quei momenti, ricordando le sue mani e i nostri corpi che si
fondevano, rimembrando i nostri baci e i nostri ansimi che ancora
riecheggiavano nella mia mente. Istintivamente mi voltai alla mia
sinistra in cerca di Dario, ma lui non era lì con me. Ebbi
paura, in
quel momento, quando mi resi conto che non c'era la benché
minima
traccia di lui. Scattai in piedi con il cuore che mi pulsava nelle
tempie e nelle orecchie e afferrai il mio cuscino, annusandolo. Era
impregnato di un dolcissimo odore di vaniglia e mi sentii d'un tratto
sollevata nel percepire il suo profumo inconfondibile. Sospirai e
ancora in pigiama, uscii dalla mia stanza per raggiungere la cucina
sistemandomi i capelli alla bell'e meglio con una mano. E lui era
lì,
seduto al tavolo che scherzava insieme a mia madre, con la camicia
bianca della sera prima slacciata, i capelli scompigliati e lo
sguardo ancora assonnato. Sorrisi spontaneamente e trotterellai come
una bambina a cui sono appena state regalate delle caramelle verso di
lui. Mi sedetti sulle sue gambe, distogliendo la sua attenzione dal
caffè latte che stava bevendo e dalle chiacchiere di mia
madre e
adagiai le mie labbra sulle sue. Il bacio fu innocente, sia
perché
lo avevo colto di sorpresa che per la presenza di mia madre.
«Ma buongiorno, dormigliona» mi salutò
baciandomi la punta del naso.
«Buongiorno a te, piccolo mio»
mormorai, allacciando le braccia dietro al suo collo e assaporando di
tanto in tanto le sue labbra. Il sapore di vaniglia di prima mattina
era ancora più stuzzicante e non avrei mai voluto smettere
di
assaggiare quel gusto dolciastro che mi pervadeva, mi riempiva e di
cui non mi sarei mai stancata.
«Ma ciao anche a te, Alice» disse
scocciata mia madre, sbattendo la sua tazza sul tavolo per attirare
la mia attenzione.
«Oh, ciao mamma, scusa» risposi, un po'
imbarazzata per non averla nemmeno calcolata. Forse era un po' brutto
da dire, ma quando c'era Dario non riuscivo a pensare altro che a
lui. Beh, in verità anche quando lui non c'era. Era il
centro dei
miei pensieri, il mio sole e io dipendevo dal suo calore, dalla luce
che emanavano i suoi occhi.
Mi alzai dalle sue gambe e andai a dare
un bacio sulla fronte a mia madre. Poi cominciai a prepararmi la mia
solita colazione: un caffè e una ciotola piena di cereali
Nesquik,
innaffiati da praticamente mezzo litro di latte.
«Dario me lo ha detto» esordì mia
madre e per poco non collassai sul pavimento.
Appoggiai la tazzina e la ciotola sul
tavolo e mi lasciai cadere pesantemente sulla sedia. I miei muscoli,
non appena avevano sentito quelle parole, si erano irrigiditi e
sembravo un tocco di legno. Facevo perfino fatica a tenere in mano il
cucchiaio per mangiare. Perché cavolo Dario aveva dovuto
dirle di
quello che era successo? Strabuzzai gli occhi, spaventata e una
goccia di sudore, lenta e spietata, mi colò dalla fronte,
scivolando
lungo la guancia. Lei aveva di sicuro sentito qualcosa e Dario le
aveva semplicemente spiegato la situazione. Lo sapevo, dannazione, lo
sapevo che non avrei dovuto cedere al suo sex appeal! Ma lui era
così
tremendamente convincente con i suoi modi di fare sensuali e con
quegli occhi a cui non potevo resistere.
«Che, che, che, che» sembrava che mi si
fosse incantato il disco. Deglutii a fatica mentre Dario ridacchiava
sotto i baffi, mandandomi in bestia. Non solo aveva rivelato a mia
madre che non ero più vergine, ma addirittura rideva di me e
del mio
imbarazzo.
«Che»
primo ostacolo separato «co-cosa
ti ha detto?» riuscii a completare la frase, ance se con
un'immensa
fatica.
Mia madre si alzò silenziosa dal tavolo
e raccattò le tazze sporche, mettendole nel lavello. Per
giunta,
solo per farmi stare maggiormente sulle spine, le sciacquò
lentamente, insaponandole con una meticolosità snervante.
«Allora?» sbottai impaziente.
Dario si coprì la bocca con una mano per
soffocare una risata imminente, invece mia madre sbuffò e
scrollò
le mani nel lavandino per asciugarle poi con uno straccio.
«Che vuole portarti a Roma» si decise a
rispondermi e mi sentii più leggera.
Il respiro tornò regolare così come il
battito cardiaco. Mi rilassai e scivolai lungo lo schienale della
sedia, sorridendo come una cretina. Mia madre si voltò e
appoggiò
la schiena al lavandino, incrociando le braccia.
«Ma non lo so. Insomma, state insieme da
molto poco non mi sembra proprio il caso di farvi andare in vacanza
insieme» spiegò pensierosa.
«Signora Elena» prese la parola Dario,
ma mia madre lo bloccò subito alzando una mano.
«Togli
quel Signora. Mi fa
sentire così vecchia» entrambi ridacchiarono. E
poi dicevano che
suocera e genero non andavano d'accordo. Loro non si conoscevano
nemmeno e sembrava che ci fosse già del feeling. Forse
perché mia
madre aveva un debole per i ragazzi affascinanti, dotati
di capelli e occhi scuri?
«Elena, le stavo, anzi, ti stavo
spiegando prima che saremo a casa dei miei. Per cui non saremmo
soli»
cercò di convincerla.
«Non è per quello, figurati. Mi fido di
te! Sei un bravo ragazzo anche se la tua faccia è un po' da
mascalzoncello» si avvicinò a lui e gli fece un
buffetto su
entrambe le guance.
«E allora quel è il problema?»
domandò
perplesso, appoggiando il gomito alla sedia. Con quel movimento la
camicia si spostò dando a me e a mia madre una meravigliosa
visuale
del suo corpo. Io rimasi a fissarlo, senza schiodare il mio sguardo
da lui e mi mordevo il labbro inferiore, forse alla ricerca del suo
sapore mentre mia madre rimase muta, incantata dal fisico asciutto e
dai muscoli appena accennati di Dario.
«Non è che potresti abbottonarti la
camicia?» lo invitò mia madre, leggermente
intimidita «Sai, non
vorrei saltare addosso al fidanzato di mia figlia».
Aveva
per cosa detto fidanzato? E Dario non aveva replicato in nessun modo,
ma si era solo guardato il petto imbarazzato accennando uno Scusa?
Arrossii, anche perché non era mai stato ufficializzato
nulla tra
noi due e immersi lo sguardo nel latte cioccolatoso dentro la mia
ciotola.
«È che Alice non è mai stata lontana
da casa per così tanto tempo e non mi sono mai separata da
lei»
Oh che dolce la mia mamma! Non me lo
sarei mai aspettata da lei!
«E poi dovresti chiederlo anche a tu
padre» aggiunse «Non credo che ti lascerebbe andare
con un ragazzo
in vacanza»
«D'accordo» le risposi con un sorriso
«E se lui mi darà il permesso, lo farai anche
tu?»
Mia mamma ci rimuginò sopra, tornando a
sciacquare le stoviglie finché non voltò il viso
verso di me,
sospirando.
«Okay» acconsentì.
Mi alzai di scatto dalla sedia e mi
avvinghiai a lei, baciandole ripetutamente la guancia. Ci tenevo
tanto ad andare a Roma con Dario, vedere quella splendida
città
dalla cui incantevole magia era nato lui. Avrei visto i luoghi della
sua infanzia, quello che lo avevano visto crescere e avrei conosciuto
le persone che gli erano state accanto. E con le persone intendevo
Sole. Ero proprio curiosa di sapere che tipo fosse. Se era bella,
brutta, antipatica, dolce. Sapere come e quanto lo avesse amato, se
lo avesse fatto nella mia stessa sproposita maniera o ancora di
più,
se lo amasse ancora.
«Papà è un osso duro da convincere.
Sai quanto è geloso, più di tuo fratello. E non
dirgli che andrai
con un'amica sennò non ci andrai comunque»
Intanto che mia madre borbottava, io era
già seduta sul divano con il telefono in mano. Dario mi
raggiunse
subito dopo, accomodandosi accanto a me e condividemmo la cornetta
per ascoltare quello che aveva da dire mio padre. Come al solito,
rispose dopo il terzo squillo con la voce pimpante e fin troppo
allegro, anche alle nove e trenta del mattino.
«Ti disturbo, papà?» gli domandai
subito, sospettando che fosse già in ufficio.
«No, sto bevendo il caffè» rispose
«Ma
che è successo? Di solito non mi chiami mai a
quest'ora»
«Lo so, anche perché di solito sono
ancora a letto alle nove e mezzo» ridacchiamo entrambi e
Dario mi
passò una mano tra i capelli «Ma niente di grave.
Volevo solo
chiederti una cosa»
«Una cosa cosa?» mi chiese dubbioso
«Niente cose compromettenti da scrivere in un fascicolo che
manderai
alla CIA, eh» e scoppiò a ridere da solo.
Purtroppo il senso dello humor non era il
suo forte, nonostante lui si ostinasse a propinare a tutti le sue
battute scandalose. Infatti Dario mi guardò con le
sopracciglia
aggrottate, non cogliendo, come me del resto, il divertimento in
quella frase. Scrollai le spalle e lo liquidai con un gesto della
mano. Doveva abituarsi a lui perché le perle che riservava
per le
cene di famiglia erano anche peggiori.
«No, tranquillo papà» ridacchiai,
giusto per dargli il contentino «È per una
vacanza»
«Oh» disse stupito «Con le amiche? No,
perché se è così è una cosa
fantastica Alice! Ormai sei grande ed
è giunto il momento che tu spicchi il volo, mia
cara»
«Lo so, papi. Però credo che il volo
non lo spiccherò con le mie amiche ma con il
mio...» esitai qualche
attimo, riflettendo sulla parola da utilizzare in quel momento
«ragazzo» optai per la più semplice,
infine.
E dall'altra parte della cornetta cadde
il silenzio. Rimasi in attesa di una risposta, che stentò ad
arrivare. Mio padre sembrava essere morto a sentire quella notizia,
ma un rantolo smentii i miei pensieri subito dopo.
«Allora, papà, posso andare a Roma con
il mio ragazzo?»
«Non se ne parla nemmeno!» sbraitò
«Ah! Che ti credi che ti mando da sola con il rischio che
allunghi
le mani su di te?» e lo immaginai scuotere la testa con
vigore.
Sospirai rumorosamente. Dario aveva già
allungato le mani e anche qualcos'altro ma era meglio tacere quel
piccolo particolare.
«Signor Livraghi» prese la parola
Dario, con un sorriso sornione «Non saremo soli! Ci
sarà tutta la
mia famiglia, per cui stia sicuro!»
«E dunque saresti tu il ragazzo che
vuole portarmi via la mia Alice»
«Dario, molto piacere!» esclamò
divertito. Che poi, cosa ci trovava di così divertente in
tutta la
questione? «E lei?»
«Signor Livraghi» rispose arcigno mio
padre.
Non potevo avere di certo tutte le
fortune. Era già tanto se Dario andasse d'accordo con mia
madre, ma
farlo accettare dall'uomo della famiglia sarebbe stato difficile. Era
sempre stato di una gelosia morbosa sia con me quando giocavo da
piccola con i bambini maschi al parco che con mia madre. Era stata
proprio quella la causa della rottura dei miei. E Smell aveva preso
quell'odioso lato del carattere da mio padre, sfortunatamente.
«D'accordo» sospirò Dario, passandosi
una mano tra i capelli «Comunque, se vuole, posso dimostrarle
di
essere in buona fede. Magari istallo delle telecamere in casa mia e
le mando i filmati»
«Fa' poco lo spiritoso Diego!» lo
ammonì mio padre. Ovviamente non si ricordava il suo nome,
come suo
solito. E non perché avesse problemi mnemonici ma
perché non lo
aveva nemmeno ascoltato mentre gli diceva il suo nome.
«Mi chiamo Dario» puntualizzò
«E la
mia proposta era veramente valida»
«Valida o non valida la mia risposta è
no!» ribadì brusco.
«La prego, signor Livraghi, le prometto
che starò buonino, buonino» intenerì la
voce come se così sarebbe
riuscito ad addolcire mio padre.
«Ti prego papino, ti prego, ti prego, ti
prego!» mi aggiunsi anche io.
Lo sentii sbuffare e incrociai le dita.
Ero pur sempre la sua bambina e non avrebbe resistito a lungo alle
mie suppliche.
«Ma non l'ho nemmeno mai visto...»
«Non sa che si è perso»
gongolò Dario
e io gli diedi un pizzicotto sulla coscia facendolo mugolare per il
dolore.
«Come posso fidarmi di lui?» aggiunse,
senza nemmeno considerare l'affermazione presuntuosa di poco prima.
«Ma puoi fidarti di me, papà!»
esclamai «non ti ho mai deluso e non lo farò mai.
Ti supplico,
anche in ginocchio se vuoi, fammi andare con lui!»
«Mamma che dice?»
E quando faceva quella fatidica domanda
la sua risposta sarebbe stata Sì. Sorrisi, saltellando sul
divano
come una scema sotto lo sguardo attonito di Dario.
«Mi ha dato il permesso»
«E va bene!» si arrese «Quando
partite?»
«Dopodomani» rispose per me Dario.
Rimanemmo ancora una decina al telefono
per ascoltare mio padre inveire perché il giorno della
partenza era
troppo vicino, ma né io né Dario lo ascoltammo.
L'importante era
che mi avesse dato il permesso di andare a Roma con l'amore della mia
vita. Scoppiavo di felicità e la prima cosa che feci, dopo
aver
chiuso la comunicazione, fu avvinghiarmi a lui e baciarlo, baciarlo
senza sosta e appassionatamente, quasi a voler rimanere senza fiato.
«Contenta, piccola?» mi domandò a
pochi millimetri dalle mie labbra.
«Felice come non mai» e suggellai
quelle parole con un altro bacio «E tu lo sei?».
Dario mi strinse il viso tra le mani e i
suoi occhi cercarono i miei. Ci guardammo a lungo, persi ognuno nelle
iridi dell'altro. Chissà se lui provava le mie stesse
sensazioni
quando fissavo i miei occhi, se anche a lui batteva forte il cuore e
gli mancava quasi il respiro.
«Mai stato più felice»
sussurrò.
Sorridemmo e avvicinammo di nuovo le
nostre labbra. Ma proprio quando stavano per unirsi Smell
comparì
sulla porta sbraitando come un ossesso.
«E tu che cazzo ci fai qui?»
«Sono rimasto a dormire» rispose
tranquillamente con uno scrollo di spalle.
«Con mia sorella?» Smell lo trafisse
con lo sguardo e serrò i pugni.
«No, mi sono infilato nel tuo letto»
disse sarcastico «È chiaro che ho dormito con
Alice».
Sul volto di mio fratello si disegnò
un'espressione di rabbia e credetti che volesse saltargli alla gola e
strangolarlo.
«Non ti è bastata la lezione dell'altro
ieri?» ringhiò, diminuendo le distanze e
mostrandogli il pugno con
fare minaccioso.
«Cos'è, vuoi picchiarmi ancora?» lo
provocò Dario, scattando in piedi «Ma sappi che
questa volta
reagirò e saranno guai seri per te, ciccione!»
«Non credo, perché ti ammazzo prima che
tu possa accorgertene!» sibilò duro, spingendolo
indietro.
«Si può sapere che problemi hai?»
«Sei uno stronzo, ti basta questo? O
vuoi che aggiungo che sei un bastardo, che ha spezzato il cuore di
mia sorella e che potrebbe farlo di nuovo» gli rispose con
tono
duro.
Dario contrasse la mascella e chiuse gli
occhi, respirando a fondo e mordendosi un labbro per stemperare la
rabbia crescente.
«Ho avuto i miei buoni motivi. Ma ora
sono qui e non ho intenzione di farla soffrire di nuovo»
ribatté
alterato, picchiettandogli con violenza un dito contro il petto.
Rimasi lusingata da quelle parole ma non
potevo gongolare troppo a lungo sennò quei due se le
sarebbero
suonate di santa ragione. Mi alzai anche io dal divano e afferrai
Dario per il braccio, trascinandolo lontano da mio fratello. Dovevo
cercare di non far degenerare la situazione, per cui abbracciai Dario
cercando di infondergli sicurezza e tranquillità e sorrisi a
mio
fratello.
«Come è andata la cena di ieri sera?»
gli chiesi, cambiando così discorso.
Raffaele sospirò pesantemente e abbassò
lo sguardo. Scosse la testa con decisione, ma non rispondeva alla mia
domanda. Dedussi che non è che fosse stata una gran serata.
«Una merda» disse dopo una lunga pausa
«C'è mancato poco che sua madre non svenisse e che
suo padre mi
uccidesse».
Il mio piano aveva funzionato alla
grande. Per ricordare la sera precedente aveva distolto l'attenzione
da Dario, anche se si era rattristato tutto d'un tratto. Si
lasciò
cadere pesantemente sul divano e si prese la testa tra le mani.
«Dio mio, come ho fatto ad essere così
incosciente?» domandò più a se stesso
che a noi «Come possiamo
crescere un figlio? Lei ha solo diciotto anni e io non sono in grado
di badare a me stesso, figurarsi un bambino».
Dario, delicatamente, mi allontanò e
fece qualche passo verso mio fratello. Si accovacciò di
fronte a lui
e Smell fu costretto ad alzare lo sguardo per vederlo negli occhi. Lo
fissò torvo e lo mandò a quel paese con un gesto
della mano.
Senti, so benissimo che tra noi due non
corre buon sangue. Ma permettimi di darti un consiglio» fece
una
piccola pausa e riprese subito dopo, con tono insicuro e tremante
«Non far sentire il tuo bambino come un intruso nella
famiglia, o
peggio, un estraneo. Ha bisogno di amore, tanto tanto amore».
Raffaele lo guardò confuso, aggrottando
le sopracciglia.
«Esperienza personale» sospirò
amaramente Dario, abbassando lo sguardo «Diciamo pure che
sono un
errore, esattamente come il tuo bambino. Non mi
hanno mai
accettato e non ho mai capito il perché. Ma avrei tanto
voluto
averla una famiglia che mi apprezzasse e che non continuasse a
ribadirmi che ero stato solo un disastroso incidente»
esitò e prese
un respiro profondo. Sapevo quanto soffrisse quando parlava del suo
passato, mi ricordavo ancora quando mi aveva raccontato il motivo per
cui era diventato gigolò. Era stato fragile in quel momento,
troppo
fragile così come lo era in quel momento. Mi avvicinai e mi
accovacciai accanto a lui stringendogli una spalla e Dario mi strinse
forte una mano.
«È per questo che adesso sono così.
Così stronzo, così menefreghista. Mi faccio
scivolare le cose
addosso perché non voglio soffrire, non ancora
perlomeno».
Smell sembrò scosso da quelle parole e
dal racconto del passato di Dario. Non che avrebbe cambiato opinione
su di lui. Stronzo era e stronzo sarebbe rimasto nella sua
concezione. Ma, forse, avrebbe cercato di farselo stare simpatico,
tutto sommato. O almeno lo speravo anche perché solo mia
madre
sembrava andare d'accordo con Dario.
«Grazie del consiglio» mormorò Smell
«Lo ameremo, il nostro bambino. Anche perché non
voglio avere un
insopportabile Dario in giro per casa».
I due ridacchiarono e una strana armonia
riempì il salotto. Fino a qualche secondo prima volevano
pestarsi ed
ora erano lì, uno di fronte all'altro a sbattere il pugno
contro
quello dell'altro e a sorridere sinceri. Un bambino li aveva uniti,
un bimbo che ancora era ignaro di tutto e che era stato in grado di
riappacificarli.
Eravamo in viaggio da circa
due ore e la
strada per arrivare a Roma era ancora lunga. Per fortuna,
però, il
traffico era scorrevole e non c'erano stati intoppi fino a quel
momento. Mia madre mi chiamava ogni punto ora per chiedere se stesse
andando tutto bene, dove fossimo e quanti chilometri mancassero a
Roma. Più di una volta avevo avuto la tentazione di spegnere
il
cellulare, almeno mi sarei risparmiata lo strazio di sentire mia
mamma fare sempre le stesse domande.
Appoggiai la fronte al finestrino freddo
e osservai i paesaggi dell'Italia scorrere davanti a i miei occhi.
Avevo sempre amato i viaggi in macchina, anche se non ne sapevo il
motivo e sapere che Dario fosse con me rendeva il tutto ancora
più
piacevole. Avrei voluto urlargli in quel momento quanto lo amassi,
avrei voluto farlo sapere al mondo intero e avrei tanto voluto che lo
facesse anche lui. Ma, molto probabilmente, il suo sentimento non era
ancora così forte come il mio, anche se con i suoi gesti e
le sue
parole mi faceva comprendere quanto tenesse realmente a me. Per cui
ero felice così, per il momento e avrei atteso il momento in
cui se
la sarebbe sentita di aprirmi il suo cuore.
«Che ne dici, ci fermiamo a cenare?» mi
chiese.
Guardai l'orologio e realizzai che
fossero le venti passate. Il sole non era ancora calato del tutto, ma
il cielo cominciava a scurirsi piano piano. Mi stiracchiai come un
gatto e sbadigliai sonoramente, comprendendo solo in quel momento che
mi ero appisolata.
«Quanto manca?» domandai a mia volta
guardando il suo bellissimo sguardo puntato sulla strada. Mi
regalò
i suoi occhi per alcuni secondi e uno dei sorrisi migliori.
«Poco meno di due orette»
Chiusi di nuovo gli occhi e appoggiai la
testa allo schienale. Avrei volentieri dormito per tutto il resto del
viaggio ma non potevo ignorare il richiamo del mio stomaco. Gli
lanciai uno sguardo ed annuii, massaggiandomi la pancia che
necessitava di cibo. Dario ridacchiò e alla prima stazione
di
servizio si fermò. Fortunatamente era fine Giugno e gli
autogrill
non erano pieni come durante il mese di agosto in cui era impossibile
perfino voltarsi. Riuscimmo, così, ad ordinare due panini e
nel giro
di dieci minuti fummo fuori, appoggiati alla Mito a mangiare. Mi
sembrava di essere tornata indietro nel tempo, durante il nostro
“primo appuntamento” davanti a quello stand che
vendeva kebab.
Con l'unica differenza che tra di noi non c'era più un
rapporto di
lavoro, ma qualcosa di ben più profondo. Io lo avevo capito
da
subito che c'era una strana chimica tra di noi, da quando lui mi
aveva stretta a sé in camera mia, quando aveva cercato di
baciarmi.
E inizialmente, il mio cervello non riusciva ad accettare che mi
fossi invaghita di un gigolò presuntuoso e vanesio. Ma, alla
fine,
aveva vinto il cuore e non potevo che esserne felice.
Diedi un morso al mio panino e mi voltai
a guardare Dario che aveva lo sguardo basso e la piadina in mano
ancora intatta.
«Che ti prende, piccolo?» domandai
accarezzandogli un braccio «Non hai fame».
Alzò gli occhi verso di me e sembrava
come se lo avessi svegliato da un sonno profondo. Scosse la testa ed
abbozzò un sorriso, rivolgendo una rapida occhiata al suo
cibo.
«Mi è passata»
Mangiai l'ultimo pezzo di panino e gettai
il tovagliolo in uno cestino vicino. Poi mi avvicinai a lui e lo
abbracciai all'altezza della vita, appoggiando il mento sul suo petto
con lo sguardo sollevato per poterlo vedere negli occhi. Erano
liquidi, due pozze di triste inchiostro nero.
«Ne vuoi parlare?» gli proposi
dolcemente.
Dario sospirò pesantemente e si passò
varie volte la mano sulla barba ispida. Era chiaro che fosse nervoso,
lo percepivo anche dai muscoli tesi sotto le mie mani.
«Roma si sta avvicinando» disse con un
filo di voce, alzando lo sguardo verso il cielo «E ho
paura».
Ricambiò la mia stretta e affondò il
viso nell'incavo del mio collo. Era fragile come un pezzo di
cristallo in quel momento, così indifeso che mi sentii in
dovere di
abbracciarlo ancora più forte, di fargli da scudo da quel
mondo che
lo aveva ferito troppe volte.
«È da cinque anni che non metto piede a
Roma. Cinque lunghissimi anni che non torno nella mia
città»
riprese a parlare con la voce ovattata dalla vicinanza della mia
pelle «Sono scappato da quella vita con tutte le intenzioni
di non
tornarci. E invece siamo in viaggio verso Roma, verso la mia casa e
il mio inferno. Non ho nessuno lì e non so se
riuscirò ad
affrontare la mia famiglia da solo».
Gli presi il viso tra le mani e lo
costrinsi a sollevarsi dalla mia spalla. I suoi occhi erano lucidi,
sommersi da una patina acquosa che rendeva quelle iridi ancora
più
lucenti. Solo una volta lo avevo visto così abbattuto,
così triste
ed impaurito, quella sera sul balcone quando era scoppiato a piangere
tra le mie braccia. E l'unica di cosa di cui aveva bisogno era
qualcuno che gli stesse accanto, che gli regalasse affetto e che lo
amasse. Quella persona ero io, ero io che dovevo renderlo felice e
non lo avrei deluso.
«Tu non sarai da solo perché io sarò
al tuo fianco e lo sarò per sempre» lo rassicurai
accarezzandolo
con i pollici «O almeno, finché tu lo
vorrai» aggiunsi con un po'
di tristezza.
Dario si morse il labbro, poi abbozzò un
sorriso che scacciò, per un attimo, le ombre tristi del suo
passato.
Mi diede un tenero e timido bacio e appoggiò la fronte sulla
mia. I
nostri respiri divennero una cosa sola, una sottile ed indissolubile
catena univa i nostri sguardi e le nostre labbra si sfioravano in
cerca del sapore dell'altro.
«Per sempre, piccola mia» mormorò,
accarezzandomi la schiena.
«Lo spero tanto, Dario»
«Anche io, Alice. Anche io»
Mi accoccolai sul suo petto con la sua
mano tra i capelli che mi stringeva maggiormente a lui. Se fosse
stato per me, avrei vissuto tra le sue braccia per sempre. Era tutto
così tranquillo e perfetto quando eravamo abbracciati che,
ogni
volta che scioglievamo la nostra stretta, era come essere stati
svegliati dopo un sogno meraviglioso da cui si voleva rimanere
prigionieri per sempre.
Strinsi la sua maglietta e il suo odore
di vaniglia penetrò nelle mie narici. Era chiaro che tra di
noi non
c'era una semplice amicizia, eppure ancora non mi era chiaro chi
fossimo noi come coppia. Deglutii a vuoto e presi coraggio. Dovevo
fargli quella domanda, togliermi quel peso e capire una volta per
tutte.
«Senti Dario» esordii esitante.
Feci una pausa, forse un po' troppo lunga
dato che lui mi domandò più volte che cosa ci
fosse che non andava.
Respirai a fondo e alzai lo sguardo verso di lui.
«Vorresti, ecco vedi, vorresti» compra
una vocale Alice. Chiusi gli occhi e parlai velocemente, senza
prendere fiato «diventare il mio ragazzo?»
Dario dapprima mi guardò perplesso, poi
scoppiò a ridere. Senza nemmeno sapere il perché,
mi unii a lui e
mi sentii felice nel vederlo così allegro, anche se sapevo
che quel
momento di pura gioia sarebbe durata poco. Appena avremmo messo piede
in casa sua, quella magia si sarebbe dissolta e sarebbe toccato a me
riuscire a mantenere vivo un piccolo fuoco di quella magia.
«Che domanda stupida» se ne uscì e mi
sentii un tantino offesa «È chiaro che io sono il
tuo ragazzo, non
c'era nemmeno bisogno di chiederlo!»
Mi scompigliò i capelli con una mano e
mi baciò in fronte, stringendomi forte tra le sue braccia.
In quel
momento sfiorai l'apice della gioia e non solo perché ero
ufficialmente fidanzata, come avrebbe detto Facebook, ma soprattutto
perché il mio ragazzo era Dario Vitrano e lui era il regalo
più
bello che il destino avesse potuto farmi.
Serrai i pugni intrappolando la stoffa
della sua maglietta bianca tra le mani. Erano già passato
sei mesi
da quando ci eravamo conosciuti e se ripensavo alle nostre peripezie
mi sembrava ancora strano essere in viaggio con lui verso la sua
città. Da un semplice rapporto lavorativo era nato qualcosa
di così
intenso, qualcosa che aveva un nome e che avevo cercato a lungo,
l'amore. Forse per lui non era ancora un sentimento
così
forte, ma ero certa di ciò che provassi io. Lo avevo
inseguito così
tanto, sicura di averlo finalmente trovato prima in Federico poi in
Saronno. E invece lo avevo scovato nell'ultima persona che mi sarei
aspettata. Dario, il gigolò che avevo chiamato solo per un
capriccio
e che mi aveva stregato con i suoi occhi, con il suo modo di fare e
con ogni suo gesto.
«È meglio riprendere il viaggio.
Caronte e tutto il resto della banda ci aspetta all'entrata
dell'inferno» ridacchiò per stemperare la sua
tensione, anche se la
sua ansia era ancora percepibile.
«D'accordo» acconsentii ed alzai il
viso verso di lui arricciando le labbra.
Dario non perse l'occasione e accolse il
mio invito a baciarmi. Fu un bacio semplice, ma ugualmente
emozionante, senza però quella travolgente passione che,
solitamente, ci investiva con la sua potenza come un'onda.
Salimmo in macchina e il resto del
viaggio trascorse tranquillo. Lui mi aveva stretto la coscia,
accarezzandola ogni vota che ne aveva l'occasione e staccandola dal
mio corpo solo per cambiare le marce. I nostri occhi si inseguivano
ogni secondo, cercando lo sguardo dell'altro e trovandolo
puntualmente. Il suo era qualcosa di magnifico, come sempre. Era come
se qualcuno, prima che nascesse, avesse rubato degli stralci di cielo
notturno e glieli avesse donati. Gli ultimi chilometri li percorremmo
sorridendoci, senza la necessità di dire nulla. Nel silenzio
della
Mito c'erano molte più parole che avessero potuto essere
dette.
C'era dolcezza nell'aria, c'era passione, la voglia di sentirci uno
dentro l'altro, c'era elettricità che scorreva sui fili
invisibili
che univa i nostri corpi inscindibilmente.
Erano le dieci passate da qualche minuto
quando la splendida città di Roma cominciò a
scorrere davanti ai
miei occhi. L'avevo sempre vista in foto o alla televisione, sperando
un giorno di poter vedere quella città intrisa di magia. E
finalmente, un altro mio sogno era stato realizzato. Ero a Roma,
nella città eterna, una delle mie città preferite
se non quella
che prediligevo più di tutte, più di Parigi. Non
avrei potuto
chiedere di meglio. Avevo Dario al mio fianco, due amiche splendide
come Cristina e Claudia ed ero a Roma. La fortuna sembrava aver
notato che esisteva anche Alice Livraghi e aveva cominciato a
sorridermi.
Svoltammo in alcune strade secondarie
imboccando la via di un quartiere facoltoso costeggiato da enormi
ville. Dario si fermò davanti ad una di esse, recintata da
un
cancello di metallo con decorazioni floreali a cui era attorcigliata
un'edera di un verde intenso che celava con le sue foglie
l'abitazione.
«Eccoci all'inferno» mormorò Dario
spegnendo il motore della macchina.
Appoggiai una mano sulla sua e richiamai
l'attenzione del suo sguardo che, fino a poco prima, guardava il
tappetino.
«Tranquillo tesoro. Andrà tutto bene»
lo tranquillizzai con un sorriso «Ci sono io con
te».
Lui prese un respiro profondo, poi annuì
convinto, stringendo la mia mano nella sua. Ancora quel semplice
gesto riusciva a farmi rabbrividire, a scuotermi ed ero sicura che,
anche dopo anni, non sarebbe cambiato nulla. Per fortuna
perché
adoravo quelle sensazioni che solo il contatto con la sua pelle
riusciva a trasmettermi.
Aprì la portiera e scese dall'auto ed io
feci lo stesso. Scaricò le valigie dal bagagliaio e mi porse
la mia
– ovviamente un trolley rosa – e lui
impugnò il manico della
sua. Mi si affiancò e mi strinse la mano con una certa
intensità,
rimanendo poi a fissare l'inferriata che ci divideva dalla famiglia
Vitrano.
«Per me si va nella città dolente, per
me si va nell'immenso dolore...» cominciò a
decantare, ma lo
interruppi scuotendo la testa.
«Eterno dolore» lo corressi. La Divina
Commedia era una delle poche cose che aveva catturato la mia
attenzione in quattro anni di liceo
«E per fortuna che hai fatto il
classico» sghignazzai.
«Umpf» mugugnò con sufficienza
«Sai
che mi importava di Dante. Preferivo le ragazze a lui»
«Tu pensi troppo alla Iolanda»
borbottai.
«Non sono io che cerco le Iolande, sono
loro che vogliono me» si pavoneggiò.
Scossi la testa e gli pestai la punta del
piede, facendolo piegare dal dolore. Era un idiota patentato e se ci
fosse stato il Nobel per la stupidità, lui lo avrebbe vinto
ogni
anno.
«Aio, ma perché mi tratti sempre così
male?» piagnucolò, sbattendo le ciglia folte e
nere.
«Perché sei un imbecille» bofonchiai
«E mi dà fastidio che hai in mente una sola cosa.
Il cervello lo
hai nelle mutande»
«Se fosse stato così sarei stato
Einstein, viste le dimensioni e la sua ottima
funzionalità» di
nuovo con la sua spocchia «Ma dai, non c'è da
prendertela» mi
abbracciò da dietro e si strusciò contro la mia
schiena e contro il
mio sedere «L'unica ragazza che ho adesso in mente sei
tu» mormorò
al mio orecchio, strofinando il suo cervello su di
me. Già il
clima di quella serata di fine giugno era abbastanza afosa, con lui
dietro di me e con le sue mani che viaggiavano vogliose sul mio
corpo, la temperatura raggiunse picchi troppo elevati. Sentivo
talmente caldo che pensavo di squagliarmi da un momento all'altro.
«Facciamo in fretta ad entrare in casa»
sussurrò mordicchiandomi il lobo dell'orecchio
«Vorrei mostrarti la
mia camera» ammiccò.
Non che non volessi fare di nuovo l'amore
con lui, ma non volevo che il nostro rapporto diventasse qualcosa di
troppo fisico. Lo allontanai con una gomitata e ridacchiai.
«La tua camera la useremo solo per
dormire» lo avvisai «Stasera»
«E domani?» mi provocò, accarezzandomi
il braccio nudo.
«Vedremo» lo liquidai spicciola,
afferrando il manico del trolley e posizionandomi a pochi centimetri
dal cancello.
Dario sbuffò e si avvicinò a me. Suonò
al citofono e, dopo qualche secondo, una voce maschile, calda quasi
quanto quella di Dario, rispose scocciata.
«Sì?»
«Dario» rispose lapidario.
Il cancello scattò con un rumore sordo
e, automaticamente, si aprì rivelando un enorme giardino che
circondava una grande villa a due piani di un colore giallo pastello.
Le finestre erano ampie e, nonostante le tende, poca della luce dei
lampadari filtrava verso l'esterno illuminando la piccola veranda
vicino all'ingresso. Una stradina di ghiaia, a cui seguiva una
scalinata, conduceva ad una porta bianca. Mi sembrava quasi di essere
arrivata nel paese delle meraviglie, con tutti quei fiori e quegli
alberi che coloravano il giardino.
«Wow» commentai, estasiata «Tu abitavi
qui?»
Dario ridacchiò e intrecciò le dita con
le mie. Si guardò intorno e mi parve stranamente felice,
come se
stesse ricordando qualcosa di piacevole.
«È la stessa cosa che ha detto Sole»
O qualcuno.
Sole era sempre nei suoi pensieri ed io
dovevo coabitare con lei nella sua mente e nel suo cuore. Il primo
amore non si scordava mai e Dario ne era la prova vivente. L'unica
cosa che temevo era che quella ragazza occupasse la maggior parte del
suo cuore, riservando a me solo un piccolo angolo in cui ero oppresso
dal peso dei sentimenti che lui provava per Sole. D'un tratto non mi
sentii felice come prima, anzi un peso insopportabile mi si
posizionò
tra il cuore e lo stomaco, impedendomi perfino di respirare. Quando
parlava di Sole sembrava un altro e soprattutto gioioso. Gli occhi
gli si illuminavano e un sorriso spontaneo cresceva sulle sue labbra.
E mi faceva male perché sapevo che lui provava qualcosa per
lei,
qualcosa che magari era anche più forte di quello che
sentiva per
me. Pensando a tutto ciò, mi sentii morire dentro,
lentamente e
dolorosamente. Io non sarei mai riuscita a prendere il posto di Sole
perché lei era unica, unica e irremovibile dal cuore di
Dario.
«Piccola, che te sei incantata?» mi
domandò sventolandomi una mano davanti agli occhi.
Mi ridestai da quei brutti pensieri e
abbozzai un sorriso, giusto per no fargli percepire il mio disagio.
Scrollai le spalle e strinsi di più la sua mano, appoggiando
la
testa alla sua spalla.
«Sono solo stanca» mentii.
Dario mi cinse una spalla e mi baciò tra
i capelli, cominciando ad avviarsi verso la porta d'ingresso con me
al seguito.
«La mia piccola» disse dolcemente.
Chissà se il chiamarmi piccola
era un privilegio oppure aveva usato quel soprannome anche con Sole.
Chissà se quando mi baciava, assaporava le mie labbra o
cercava il
gusto di Sole. Chissà se quando facevamo l'amore pensava a
me o
credeva di star amando lei. Forse quella di andare a Roma non era
stata una bella idea. Lì c'era Sole e non volevo
più nemmeno
conoscerla perché ero sicura che se Dario l'avesse vista
anche solo
per un minuto, sarebbe corso da lei, si sarebbe fatto abbracciare da
lei e non da me.
Il suono del campanello mi riportò alla
realtà, di fronte a quella porta e non davanti ad
un'ipotetica e
bellissima Sole. Subito quello che ricordavo essere il fratello di
Dario aprì l'uscio vestito con una canottiera bianca
talmente
aderente da mostrare ogni suo muscolo e un paio di pantaloni di una
tuta Adidas. Si appoggiò allo stipite e incrociò
le braccia. I suoi
glaciali occhi azzurri squadrarono prima il fratello, poi si
soffermarono su di me. Arrossii quando incontrai quelle iridi
azzurre, così diverse da quelle del mio ragazzo, ma che
possedevano
anch'esse una strana magia.
«Alla buon'ora» commentò con un
sorriso sghembo «Pensavo che non sareste venuti. Non che mi
sarebbe
dispiaciuto. Questi cinque anni lontani da te sono stati davvero
fantastici»
«Oh sì, anche tu mi sei mancato Mauro»
ribatté e assottigliò lo sguardo.
«E, stranamente, con te c'è anche
manico di scopa» e i suoi occhi di
ghiaccio si posarono su di
me, una stupida ragazzina intimidita dal suo sguardo
«Com'è che non
l'hai ancora lasciata dopo tutto questo tempo?»
«Sono appena arrivato e già mi rompi il
cazzo» borbottò Dario, stizzito.
«È il mio sport preferito» lo
provocò
Mauro «E non hai risposto alla mia domanda» gli
ricordò con
sufficienza «Non hai ancora finito la lista di giochetti
erotici da
fare con lei?».
Dario serrò i pugni e il suo sguardo si
indurì. Quella non era una semplice battuta, ma un'allusione
a
qualcosa che io non sapevo. Guardai confusa il mio ragazzo che
rimaneva in silenzio e sembrava volesse intraprendere una rissa con
suo fratello. C'era odio tra quei due, ma non come quello che c'era
fra me e Smell. Un odio profondo, radicato in fondo all'anima e non
mi spiegavo da cosa era dovuto.
«Smettila con questa storia» scandì
ogni parola con rabbia, puntando un dito contro Mauro che sorrideva
sadicamente.
Dario mi strinse di nuovo una mano e,
dopo aver scansato con una mano suo fratello, mi trascinò
nell'ampio
soggiorno di casa sua.
«Oh,
el señorito
è
arrivato!»
Una donna corpulenta di chiare origine
sudamericane comparve dalla cucina e ci venne incontro con le braccia
spalancate. Dario lasciò la mia mano e la valigia e le corse
incontro, abbracciandola e affondando il viso nel seno prosperoso di
quella signora.
«Consuelo!» esclamò, sbaciucchiandola
ovunque.
«Basta!» ridacchiò «Me
soletichi
tutta con todas esta barba»
Il mio ragazzo si passò una mano sul
viso e gongolò.
«Mi sta bene, 've?»
«No» rispose risoluta la donna «Pari
un vagabundo. Eri ragazzo così hermoso»
sospirò lisciando le
pieghe della gonna.
«Perché, non sono più
hermoso?»
domandò offeso il mio ragazzo.
Consuelo piegò gli angoli della bocca e
scrollò le spalle, come a farci intendere che non lo
riteneva più
così bello. Dario sgranò gli e
spalancò la bocca, fingendo
stizzito, poi scoppiarono a ridere, abbracciandosi ancora una volta.
Non sapevo chi fosse quella donna ma sembrava l'unica che lo avesse a
cuore.
«Papà e Nicoletta?» domandò.
«Tuo padre è di turno mentre la senora
è uscita con le amiche»
Dario annuì e sospirò. Poi si voltò
verso di me e mi sorrise.
«Ah, Consuelo! Lei è la mia ragazza»
mi indicò ed io feci un passo in avanti, intimidita.
«Alice» mi presentai e lei mi afferrò
la mia.
Mi guardò a lungo, quasi mi stesse
esaminando, poi scosse la testa quasi con disapprovazione.
«Es muy delgada» disse e poi aggiunse
la traduzione quando vide le nostre facce confuse «Muy magra.
Rayo
de Sol era così hermosa» sospirò.
Intuii che Rayo de Sol fosse Sole.
Anche lei pareva preferire quella a me. Sorrisi, comunque, anche se
tutte quelle parole mi stavano distruggendo piano piano.
«Anche Alice è hermosa» intervenne
Dario e mi baciò a fior di labbra.
«Oh, sì!» esclamò, annuendo
«Ma ci
vorrebbe muy carne sulle huesos!» e mi pizzicò i
fianchi «Ce
penserò yo con mis platos».
«Oh no, Consuelo, ti prego, non vorrai
che diventi un capodoglio come Sole»
Mauro ci arrivò alle spalle e si sedette
sul divano. Nonostante le mie scarse conoscenze di biologia marina,
sapevo che il capodoglio non era proprio una animale di piccole
dimensioni. Perciò l'immagine di Sole che mi ero fatta
mutò
all'improvviso. Un po' più morbida, ma ugualmente bella.
«Che cazzo c'entra adesso Sole?» sibilò
Dario, girando attorno al divano e raggiungendo suo fratello.
«Non ti scaldare» ridacchiò Mauro
allargando le braccia e appoggiandole sullo schienale del divano
«Si
fa solo per scherzare»
«No, tu non scherzi. Ti diverti solo a
veder soffrire la gente» lo aggredì Dario.
«Parli di me o di te?» lo provocò il
fratello.
L'unica cosa che potevo fare era rimanere
a guardarli mentre litigavano, non capendo le continue allusioni di
Mauro. Quella che doveva essere una bella vacanza con Dario si stava
trasformando in un incubo dal quale volevo svegliarmi presto.
«Non ti ha raccontato di Sole?» si
rivolse a me con un sorriso sghembo.
«Mi ha accennato qualcosa» mormorai e
mi strinsi nelle spalle.
«Ti ha detto che è stato l'amore della
sua vita?» mi chiese con uno sguardo troppo furbo per i miei
gusti.
Annuii, confusa e dubbiosa al tempo stesso. Mauro scoppiò a
ridere e
si alzò dal divano facendo qualche passo verso di me. Dario,
però,
fu più veloce di lui e mi afferrò per un polso
trascinandomi verso
le scale e lasciando lì le valige.
«Scappi?» chiese retorico Mauro.
«Tu non sai un cazzo! E non ti
permetterò di rovinare tutto!» sbraitò
il mio ragazzo, cominciando
la rampa di scale.
«Tanto prima o poi saprà la
verità»
esclamò Mauro per farsi sentire da noi che eravamo quasi al
secondo
piano. La verità? Che cosa intendeva con quel discorso?
Lanciai
un'occhiata curiosa al mio ragazzo che però si
limitò solo a
scuotere la testa.
«Buonanotte Alice!» disse suo fratello
e mi sorprese il fatto che ricordasse il mio nome «E stai
attenta.
Non è come credi».
E dopo quella affermazione strattonai il
braccio liberandomi della presa di Dario. Incrociai le braccia e lo
guardai sospettosa.
«Cos'è questa storia?» domandai.
«Non ascoltare quello che dice mio
fratello» sospirò Dario, passandosi una mano tra i
capelli.
«Quale verità? Cosa non mi hai detto?»
«Alice, io non ti ho nascosto nulla!»
tentò di convincermi.
I suoi occhi erano tornati ad essere
tristi come nel parcheggio dell'autogrill e mi si spezzò
maggiormente il cuore nel vederlo così. Ma Mauro
perché avrebbe
dovuto dire quelle cose, se non perché sapeva qualcosa che
Dario non
mi aveva detto?
«Per favore, Dario! Siamo appena
arrivati a Roma e già mi viene da piangere. Ma non voglio
che
accada! Voglio che sia una vacanza piacevole, godermi questi giorni
con te» dissi al limite della sopportazione «Per
cui dimmi che cosa
mi nascondi»
«Questo è il nostro momento Alice e non
voglio che Mauro lo rovini. Per cui, non ascoltarlo» quasi mi
supplicò e mi strinse le spalle «Tutto quello che
avevo da
raccontarti te l'ho raccontato. Devi fidarti di me! Non ti ho mentito
e non lo farò perché non voglio
perderti».
No, la vacanza non era iniziata con il
piede giusto. Prima Sole, poi le parole di Mauro. Ed eravamo a Roma
da nemmeno un'ora. Ma come potevo non fidarmi dei suoi occhi? Erano
liquidi, erano lucidi ed erano sinceri. Sospirai rumorosamente e mi
abbandonai nel suo abbraccio.
«Mi fido di te Dario» mormorai e unii
le mie labbra con le sue.
Non esitammo nemmeno un istante e le
nostre lingue entrarono in contatto, troppo vogliose di incontrare
quella dell'altro. Era vero, mi fidavo di lui e delle sue parole.
Eppure la voce di Mauro continuava ad aleggiare nella mia mente
insieme all'ombra di Sole e tutte le mie sicurezze cominciarono a
vacillare.
_____________________
Ma buon pomeriggio a tutte mie
carissime!
Eccomi con il nuovo capitolo! Direi di andare in ordine con i commenti,
come al solito, così non rischio di perdermi per strada.
Il capitolo si apre decisamente bene, direi. Alice e Dario sono molto
felici insieme e la loro prima volta li ha uniti ancora di
più. La più presa dei due sembra Alice che
addirittura lo invita a salire in casa perché ha bisogno di
lui, di sentirlo vicino a lei. Si è proprio innamorata la
nostra piccola. Però
anche Dario è molto preso da Alice, ormai è
chiaro anche ai muri che prova qualcosa di molto forte per lei :)
I genitori di Alice li trovo esilaranti entrambi. Il signor Livraghi
aveva fatto una sola apparizione fino ad adesso ma eccolo rispuntare
via telefono. Mi sono divertita molto a scrivere il dialogo tra lui,
Alice e Diego...ehm...volevo dire Dario! È geloso quasi
quanto Smell, ma alla fine decide di mandare la sua figliuola insieme a
Dario a Roma ♥.♥
A proposito di Smell! Anche lui ha la sua piccola parte nel capitolo.
È spaventato dalla gravidanza di Claudia, soprattutto dopo
essere stato a cena con i suoceri. Lui la ama, ma di certo non voleva
un bebè così presto anche perché lei
non è nemmeno uscita dal liceo mentre lui non ha uno
straccio di lavoro. E cè un momento in cui Dario e Raffaele
vanno d'accordo, quando il caro Vitrano apre il suo cuore anche a Smell
ricordando il suo passato. Come il figlio di Claudia e Raffaele, lui
non era voluto. Ma l'importante è dare tanto tanto amore ad
un bambino, farlo sentire parte della famiglia :)
Ed eccoli che partono per Roma. Di nuovo ritroviamo il Dario fragile
che ha paura di tornare a casa sua, dai suoi genitori. E qui
c'è una sorta di promessa d'amore tra i due che io trovo
molto molto romantica. Senza dimenticare il fatto che adesso sono
ufficilmente fidanzati, anche se Dario già la considerava la
sua ragazza.
Ma, la felicità che permea la prima parte del capitolo,
svanisce non appena arrivano nella città eterna. L'ombra di
Sole, la ex fidanzata di Dario, aleggia tra quelle vie e Alice ha paura
che lui non la ami abbastanza, che preferisca ancora Sole a lei. Poi si
aggiunge anche Mauro, uno dei nuovi personaggi che vi avevo annunciato.
Io sono follemente innamorata della stronzaggine di questo ragazzo! E
non avete ancora visto niente. Per ora ha solo messo la pulce
nell'orecchio ad Alice, ma bisognerà stare attenti a questo
affascinante ragazzo.
Bien, ho finito di blablare senza
senso xD
Direi di passare, come la solito, ai
ringraziamenti. Un grazie alle 15 splendide ragazze che hanno recensito
lo scorso capitolo (ad alcune ho risposto, per le altre mi dispiace ^^
vedrò di rimediare). Grazie alle persone che hanno messo la
storia tra le seguite, preferite, ricordate e a chi legge solamente.
Grazie alle ragazze che mi sostengono su Faccialibro e grazie a Nessie
ed Ionarrante.
Senza il loro aiuto sarei perduta.
Poteva mancare la
pubblicità? Certo che no! Eccola qui, per vostra gioia xD
Come
in un Sogno -
con IoNarrante
Pagina
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sarà felice di conoscervi :)
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che gestisco insieme alle mie amate lovers (Nessie e IoNarrante).
Troverete tanti, tanti spuoilers, fotografie da sbavo e da infarto,
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Un bacione e grazie mille a tutti
♥
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Capitolo 23 *** Temporale estivo ***
Video-trailer
C
a p i t o l o 22
Temporale estiv
o
betato da nes_sie
Era strano svegliarsi
in un
letto che non
fosse il mio, in una camera che non aveva le pareti rosa e in una
casa che era il quadruplo della mia. Sbadigliai sonoramente e mi misi
a sedere sul letto, stiracchiandomi come se fossi un gatto. La sera
precedente, appena arrivati a Roma, era stata un disastro. Speravo
solo che tutto sarebbe andato per il verso giusto, che le cose si
sarebbero tranquillizzate e che Mauro si facesse una siringa di
cavoli suoi. Non eravamo nemmeno arrivati che già aveva
iniziato a
rompere le scatole a Dario e ad insinuare in me dubbi che non sapevo
se fossero reali o meno. Ma dovevo fidarmi di Dario, o almeno
provarci. Perché avrebbe dovuto mentirmi se teneva veramente
così
tanto a me? Non aveva alcun senso! E poi mi ero ripromessa che avrei
vissuto questa storia senza paranoie, per cui non dovevo pensare
né
alle parole di Mauro né a Sole.
Mi grattai in testa ancora assonnata e
afferrai il cuscino di Dario, stringendolo forte e annusando il suo
profumo di vaniglia. Appena sveglia avevo la necessità di
inebriarmi
con il suo profumo e poiché lui era andato a lavoro, molto
probabilmente, mi sarei accontentata del suo cuscino. Anche se, in
verità, mi sarebbe piaciuto sentire il suo calore sul mio
corpo,
come era successo quella notte che avevamo dormito stretti l'uno
all'altra.
Mi alzai di malavoglia dal letto e mi
soffermai a guardare la camera di Dario. La sera precedente non avevo
nemmeno avuto il tempo e la mente di focalizzarla. Sembrava
così
lontana dal ragazzo che avevo conosciuto, con tutti quei poster di
donne semi svestite appese ai muri. Era più la camera di un
adolescente, di un Dario adolescente che aveva passato gran parte
della sua giovane vita rinchiuso nella sua stanza, magari a piangere
perché la sua famiglia non riusciva ad accettarlo.
Scossi la testa e mi avvicinai al primo
poster, quello sopra alla scrivania. Mi davano fastidio quelle
battone appese ai muri con le poppe rifatte al vento. E speravo
proprio che Dario non volesse tenerli, tanto c'ero io e non aveva
bisogno di auto soddisfarsi come faceva da giovane. Tolsi lo scotch
dagli angoli e lo staccai, trovando nascosta dietro quel poster una
foto. La afferrai, cercando di non rovinarla con uno strappo troppo
violento e la osservai a lungo. Ritraeva una ragazza con dei buffi
capelli a cespuglio, un paio di occhiali dietro i quali due occhi
color perla guardavano spaesati l'obiettivo della macchina
fotografica. Era paffuta e bellissima, nonostante non avesse nemmeno
un filo di trucco o i capelli in ordine. La voltai e, in alto, c'era
scritto qualcosa. La calligrafia era quella di Dario, ne ero
più che
certa.
Sole ♥
Una fotografia rubata alla ragazza che
mi ha rubato il cuore.
Finalmente Sole ebbe un volto
nei miei
pensieri. Era bella, come immaginavo, ma la cosa che più mi
feriva
era leggere quelle parole dietro la foto. Strinsi i bordi di quella
foto e mi venne voglia di strapparla in pezzettini minuscoli, ma per
un qualche motivo mi trattenni e la riattaccai al muro, nascosta
dietro al poster della tettona.
Serrai i pugni e mi voltai analizzando
tutta la stanza. C'erano ancora un sacco di poster e di sicuro tutti
celavano dietro di loro una foto di Sole. Mi avvicinai a quello
accanto alla porta e lo sollevai. Come sospettavo c'era un'altra
fotografia, ma questa volta erano stati ritratti entrambi. Sole aveva
un braccio allungato per scattare la foto e Dario le stringeva una
spalla. Quello che mi colpirono furono i suoi occhi neri
completamente rapiti da Sole. La guardava come non aveva mai fatto
con me, con così tanto amore che mi sentii mancare... sentii
chiaramente il mio cuore lacerarsi. La voltai e anche lì
Dario aveva
scritto qualcosa.
Il compleanno di Sole.
La prima fotografia scattata con la
Canon Reflex D500.
Sole+Dario ♥
Faceva tanto “ragazzina
delle media
stracotta del figo di turno” ed era anche abbastanza
esilarante
come cosa. Peccato che non avessi nessuna voglia di ridere, solo di
piangere. La nascosi di nuovo dietro al poster e rimasi a fissare la
parete. Dovevo solo ripetermi che quello era il passato, che Sole era
il suo passato ed io il suo presente.
«Non sapevo che ti piacessero le
ragazze» una voce maschile attirò la mia
attenzione e mi voltai
verso la porta dove il mio sguardo incontrò quello glaciale
di
Mauro. Era già vestito di tutto punto, con un completo
grigio, una
camicia azzurra e una cravatta scura. Era bello, era dannatamente
sensuale, ma era uno stronzo. Un gran bastardo che aveva fatto
soffrire il mio Dario. Solo per quel motivo lo odiavo dal profondo
del cuore e solo la sua presenza mi infastidiva.
«Volevo solo toglierli» tagliai corto e
distolsi lo sguardo da lui.
«Vuoi una mano?» domandò facendo
qualche passo verso di me.
«No, grazie. Aspetterò Dario» risposi
senza nemmeno fissarlo negli occhi.
«Come vuoi» disse lui alzando le mani
«Ma non guardarti troppo in giro. Chissà, potresti
scoprire che
persona è realmente Dario».
Seppure quelle parole mi avessero colpita
nel profondo, cercai di non darlo a vedere a Mauro. Alzai lo sguardo
indignata verso di lui e scossi la testa.
«So perfettamente chi è Dario» dissi
sicura.
«Lo conosco da più tempo di te. So di
cosa parlo» ribatté lui, affondando le mani nelle
tasche dei
pantaloni.
«Perché mi dici tutte queste cose? Non
ti conosco nemmeno e non voglio avere nulla a che fare con
te».
Mauro scrollò la spalle e sorrise
sornione.
«Oh, beh, tanto lo scoprirai da sola»
«Che cosa dovrei scoprire?» domandai
scocciata incrociando le braccia.
«Me lo dirai tu, appena la verità verrà
a galla» disse solamente, poi sparì dalla stanza.
Con uno scatto che stupì anche la
sottoscritta, mi precipitai fuori dalla stanza e mi attaccai alla
ringhiera guardando Mauro al piano di sotto prendere la sua
valigetta, salutare Consuelo e uscire di casa. Perché doveva
mettermi a tutti i costi la pulce nell'orecchio? Perché
doveva per
forza rovinare la vita di suo fratello? Perché non riuscivo
a farmi
scivolare addosso le sue parole?
Rientrai in camera, richiudendo la porta
e appoggiandomici sopra. Avevo il respiro corto, eppure avevo fatto
solo qualche passo. Avevo sempre desiderato vedere Roma, ma tutta la
sua magia si stava piano piano dissolvendo. Eravamo lì da
nemmeno
ventiquattro ore ed io sentivo la nostalgia di casa, nostalgia di noi
due a Milano senza l'opprimente peso di Mauro e Sole che mi
impedivano perfino di respirare
Mi vestii rapidamente, togliendomi il mio
pigiama improvvisato, ossia un paio di calzoncini e la maglietta di
Leonardo Sogno che mi aveva regalato mio fratello per il compleanno e
scesi le scale lentamente, raggiungendo con la stessa andatura la
cucina. Consuelo era indaffarata tra pentole e tazzine, mentre i
signori Vitrano erano seduti ai capi opposti della tavola. Lui
leggeva quella che sembrava una cartella clinica mentre la signora,
con i capelli raccolti e una vestaglia di seta color lavanda, leggeva
il giornale.
«Buongiorno» dissi intimidita.
«Hola» Consuelo fu la prima a
salutarmi, nonostante fosse tutta presa a cucinare.
Il signor Vitrano, che mi ricordavo
dovesse chiamarsi Salvatore, alzò i suoi occhi azzurri dal
fascicolo
e mi sorrise, facendo ricadere gli occhiali lungo il petto.
«Ma buongiorno anche a lei, signorina!»
esclamò con un sorriso bonario stampato in viso.
Si alzò dalla sedia e si avvicinò a me
per abbracciarmi e darmi due baci sulle guance. Mi stupì
quel suo
atteggiamento ed ebbi la sensazione che non fosse una persona
malvagia, anzi, era molto paterno, anche con me che
ero una
sconosciuta.
«Salvatore, semmai non ti ricordassi di
me» disse.
«Mi... mi ricordavo di lei» risposi
imbarazzata «Io sono Alice»
«Molto piacere. E dammi del tu, mi
raccomando» mi puntò un dito contro e
ridacchiò, tornando poi alla
sua cartella clinica «Sei la ragazza di mio figlio. Ormai fai
parte
della famiglia Vitrano».
Sorrisi imbarazzata e mi strinsi nelle
spalle. Rimasi immobile davanti al tavolo della cucina, senza sapere
che fare o cosa dire, totalmente in soggezione sia perché mi
trovavo
in casa di estranei, ma, soprattutto, per lo sguardo della signora
Vitrano che si alzava ripetutamente dal giornale per squadrarmi come
se fossi venuta da Marte. Aveva lo stesso colore degli occhi di
Dario, ma erano privi di quella luce che rendeva così
particolari e
belli quelli del mio ragazzo.
«Siediti pure» disse Salvatore
indicando una sedia vuota «La colazione di Consuelo
è davvero
eccezionale».
Accettai il suo invito e mi accomodai,
guardando in un punto fisso ed indefinito davanti a me.
«Buongiorno» si decise finalmente la
donna, ripiegando il suo giornale e appoggiandolo accanto a lei.
Prese il manico della sua tazza e se la
portò alle labbra, sorseggiando quello che sembrava
caffè e latte.
Intanto Consuelo mi servì la colazione: dei pancake
ricoperti da
nutella, un succo di frutta all'arancia e un tazza di cappuccino.
Molto probabilmente aveva attuato il piano: fai diventare
Alice
obesa.
«Come è andato il viaggio?» mi
domandò Nicoletta, distaccata.
«Bene» risposi, tagliando un pezzo di
pancake.
La signora annuì e si sistemò la
vestaglia di seta. Poi tornò guardarmi, a squadrarmi con
quelle
iridi scure che avrebbero messo in soggezione perfino Chuck Norris.
«L'altra volta non abbiamo avuto il
piacere di conoscerci» disse, senza però un reale
interesse nei
miei confronti, quasi se fosse stata obbligata a parlare con me
«Che
scuola frequenti, Alice? Dato che andrai ancora al liceo, suppongo.
Se non alle medie» alzò entrambe le sopracciglia e
mi guardò con
sufficienza. Quella era una frecciatina, ne ero più che
sicura, e
non rivolta a me, ma a Dario.
«Quest'anno frequenterò l'ultimo anno
di liceo scientifico» dissi fiera di me.
«E che media hai?» mi chiese a
bruciapelo ed io rimasi per qualche attimo interdetta. Farfugliai
qualcosa e mangiai un pezzo di pancake per posticipare il
più
possibile la mia risposta. Non ero una capra, ma non brillavo per
intelligenza.
«Del sette e mezzo» dissi imbarazzata.
Nicoletta rimase imperturbabile. Si
sistemò la crocchia e bevve un altro sorso di
caffè-latte. Quella
donna era inquietante e non ne capivo il motivo. Forse
perché
sembrava la signorina Rottermaier dieci volte più severa di
quell'arpia.
«Beh, un po' bassa» commentò brusca
«Ma sempre meglio di quella di Dario. Non che ci volesse
molto».
Non capii il motivo per cui Nicoletta
avesse messo in mezzo Dario che non c'entrava nulla nel nostro
discorso. Mi sorprese il tono di disprezzo che usò per dire
quelle
parole e iniziai a capire come avesse potuto sentirsi Dario in un
clima come quello. Spostai lo sguardo sul signor Vitrano e notai i
suoi occhi pieni di disappunto posati sulla moglie, quasi si fosse
offeso per le parole rivolte al figlio.
«E i tuoi genitori che lavoro fanno?»
chiese spostando lo sguardo torvo dal marito a me.
«Mia mamma è avvocato e mio padre
lavora in banca» risposi con timore.
«Almeno non sei una pezzente come Sole»
commentò quasi disgustata, controllandosi le unghie
«Era talmente
sciatta quella ragazza. E non sapeva nemmeno nutrirsi. Sempre a
strafogarsi di schifezze ipercaloriche, e i risultati si
vedevano».
Capivo da chi avesse preso Mauro: era la
copia sputata di sua madre. Ogni sfumatura del suo carattere la stavo
ritrovando mano a mano anche in Nicoletta, e rabbrividii al solo
pensiero che avremmo dovuto passare lì più di un
mese. Mi chiesi
cosa c'entrasse Dario in quella famiglia. Sembrava che lui fosse nato
da un'altra donna, fosse cresciuto in un'altra casa perché
un
ragazzo splendido come lui non poteva appartenere ad un girone
infernale colmo di dannati come lo era l'abitazione dei Vitrano.
«Non che tu abbia molta classe»
continuò la sua critica soffermandosi sulla mia semplice
canottiera
con le spalline fini gialla «Ma comunque... cosa vorresti
fare nella
vita? Spero proprio che non prenderai esempio da quel nulla facente
del tuo ragazzo»
«Dario non è un nulla facente»
sbottai. Poteva criticare me, poteva anche offendermi, ma non poteva
permettersi di mettere in mezzo il mio Dario
«Ha un ottimo
lavoro a Radio Deejay» le ricordai.
«Capirai» borbottò lei «Ha
venduto il
suo negozio per andare a fare uno stupido lavoro. Non ha mai avuto
voglia di fare nulla quel ragazzo. È già tanto se
non si è
prostituito» la buttò lì con una certa
disapprovazione e sgranai
gli occhi. Quella ipotesi campata per aria che l'aveva fatta
inorridire era la pura e semplice realtà. Lui era stato un
gigolò e
parte della colpa era loro. Non tutta, perché anche Dario ci
aveva
messo del suo per non costruirsi un futuro solido. Ma se solo gli
fossero stati accanto, se solo fossero stati una famiglia molto
probabilmente non sarebbe arrivato a vendere il suo corpo. Ridacchiai
nervosamente per mascherare il mio disagio e tornai a mangiare i
pancake, divorandoli nel giro di poco tempo, ingozzandomi quasi.
«Non hai risposto alla mia domanda,
comunque» mi fece presente.
In realtà quella era la prima volta che
pensavo a cosa volessi fare nella vita. Ero talmente presa dai miei
problemi di cuore che avevo dimenticato persino di essere ad un passo
dalla maturità e che l'università mi attendeva.
«Non lo so, sinceramente» risposi in
imbarazzo «Ma di sicuro nulla che abbia a che fare con
matematica,
fisica e tutte le materie scientifiche. Non fanno per me»
«Ed hai scelto un liceo scientifico»
sospirò e scosse la testa sconsolata.
Certo la mia non era stata una decisione
saggia. Quando frequentavo le medie volevo diventare un medico, ma
subito al primo liceo avevo cambiato idea. E vedendo la signora
Vitrano e suo figlio la scartai, la cancellai dalla liste delle
possibili facoltà. Non volevo diventare una donna
insensibile e
senza cuore.
«Està per iniciàr el programa del
señorito»
Consuelo interruppe
quel colloquio non proprio piacevole la ringraziai mentalmente. La
donna si spostò nell'ampio salone e andò ad
accendere lo stereo. La
voce di Dario riempì la casa, ma non fui in grado di gioire
nel
sentirlo. Tutta colpa di quelle foto che avevo visto e per le parole
di Mauro. Andai anche io in salotto e, non appena abbandonai la
cucina, sentii una sedia strisciare per cui mi fermai proprio vicino
alla porta.
«Se
tu non metti in mezzo tuo figlio non sei felice» disse
Salvatore
contrariato.
«Quel
ragazzo è un fallito» rispose sprezzante la moglie.
«E
parte della colpa è tua che non lo hai mai
accettato» la rimproverò
e mi sarebbe piaciuto agitare dei pon pon colorati per un po' di
supporto.
«Lo
sai il perché» sibilò Nicoletta
alzandosi anch'essa dal tavolo.
«No,
non lo so, in verità» ci fu una lunga pausa, poi
il signor Vitrano
ricominciò a parlare «Nemmeno io lo volevo, se
è per questo. Ma è
mio figlio e non lo abbandonerei mai come hai fatto tu»
«Ma
sentilo!» esclamò la moglie «Tu sei il
primo che lo ha lasciato a
se stesso. È stato cinque anni lontano di casa e non ti
è fregato
nulla. Quando è successo quell'incidente alla nipote di
Campanella
tu sei stato il primo a voltargli le spalle» gli
rinfacciò con
rabbia «Quindi non fare il santarellino. Anche tu hai le tue
colpe»
«Mi
ha quasi rovinato la carriera. Solo per quello mi sono arrabbiato con
lui. Ma mi sembra che chi lo abbia chiamato ogni sera fossi stato
io»
«Che
grande sforzo» ribatté Nicoletta alterata
«A te avrà quasi
rovinato la carriera, ma a me ha rovinato la vita».
Fu
l'ultima cosa che sentii perché mi allontanai, sedendomi
pesantemente sul divano. Non era stata affatto una buona idea quella
di origliare. Suo padre sembrava l'unico che si interessasse a Dario,
ma forse era solo apparenza dato che aveva anteposto la sua carriera
a suo figlio. Mentre l'odio sella signora Nicoletta era palpabile e
non riuscivo a capirne il motivo. Che tanto non avrei mai capito,
perché nessuno mi avrebbe concesso l'onore di saperlo.
Mi
abbandonai sbuffando allo schienale e chiusi gli occhi. Le tempie mi
pulsavano e mi faceva male la testa. Troppi dubbi, troppe domande,
troppe immagini, troppe parole.
Il
pomeriggio trascorse tranquillo. Passai qualche ora al telefono con
Claudia e Cristina che avevano voluto che raccontassi loro tutti i
particolari della mia prima volta. Ed io le avevo accontentate, con
un po' di imbarazzo. Poi uscii con Dario e andammo a mangiare un
gelato insieme. Non gli dissi nulla, né delle foto che avevo
trovato
dietro i poster, né del dialogo che avevo avuto sia con
Mauro che
con sua madre. Era stata un'uscita strana. Entrambi fingevamo di
essere felici, ma nessuno dei due in realtà lo era, per
motivazioni
diverse.
Cominciai
a prepararmi per scendere a cena, anche se non riuscivo a distogliere
lo sguardo dai poster appesi alle pareti. Sole era ovunque. Nei miei
pensieri, in quella stanza, nel cuore di Dario, ed ero sicura che non
sarei mai stata in grado di prendere il suo posto. E questo mi faceva
male perché Dario non mi avrebbe mai amata completamente,
perché
lui avrebbe sempre avuto in mente lei e non me. Allacciai i pantaloni
bianchi e afferrai una maglietta di raso elegante color rosa salmone.
Non feci nemmeno in tempo ad indossarla che Dario mi arrivò
alle
spalle e mi abbracciò, baciandomi il collo con una dolcezza
estrema.
La sua pelle era ancora umida e il contatto della mia schiena con il
suo petto mi fece rabbrividire. Chiusi gli occhi, ma non riuscii ad
abbandonarmi a lui completamente come mi accadeva prima di mettere
piede a Roma. Magari la causa del mio malumore era dovuta solo al
mio pessimismo. Insomma, lui mi aveva chiaramente detto di aver
chiuso con il suo passato, che Sole apparteneva alla sua vita
precedente e che ora voleva solo me al suo fianco. Eppure non
riuscivo a non pensare al fatto che avremmo potuto rincontrarla da un
momento all'altro e che lui mi avrebbe mollato per Sole.
«Scusami,
piccola» mi sussurrò riempiendomi la guancia di
baci.
«Per
cosa?» domandai confusa e svogliata al tempo stesso. Quella
sera non
ero in vena di smancerie.
«Un
po' per tutto» rispose ed appoggiò il mento sulla
mia spalla «Per
l'accoglienza, per mio fratello odioso e perché non ti sono
di molta
compagnia» sospirò.
«Ma
figurati» lo tranquillizzai e mi voltai di lato
schioccandogli un
bacio sul naso.
«Oggi
sono stato davvero una seccatura» sbuffò.
«Non
devi preoccuparti, davvero. Capisco che non dev'essere facile per te
tornare in una casa da dove sei scappato»
«No,
non lo è affatto. Immaginavo che sarebbe stato traumatico,
ma non
così tanto. E ho avuto solo il piacere di parlare con mio
fratello.
Tu pensa stasera che rivedrò mia madre» la sua
voce si abbassò,
sfiorando i toni della malinconia.
Nonostante
tutte le mie paure non potevo abbandonarlo, non dopo che avevo capito
quanto fossero stronzi Mauro e Nicoletta. Non dopo aver sentito sua
madre parlare con tanto disprezzo di lui. Mi voltai di scatto e
trovai il suo viso a pochi millimetri dal mio. Appoggiai le mani
sulle guance e annegai nel suo sguardo profondo quanto un abisso
oceanico. I suoi occhi cercavano nei miei la sicurezza, la forza per
affrontare quel covo di serpi, l'affetto che gli era venuto a
mancare.
«Ci
sono io con te. Non permetterò a nessuno di farti soffrire
ancora»
«Grazie,
Alice» il suo sorriso era disarmante, così dolce,
così triste da
allontanare dalla mia mente gli occhi di Sole che, dalle pareti, ci
stava osservando «Sul serio. Sei la mia forza. Con te al mio
fianco
mi sento invincibile».
Come
potevo dubitare di lui e dei suoi sentimenti quando mi diceva certe
cose? Era chiaro che lui tenesse a me, che sentisse qualcosa per me
ed avrei anche accettato, sopportato di essere solo la seconda nei
suoi pensieri e nel suo cuore pur di stargli accanto.
«Sarò
il tuo scudo, amore mio. Ti proteggerò sempre e comunque
perché tu
meriti di essere felice» gli dissi e quelle parole
scaturirono dal
mio cuore con tanta, troppa naturalezza.
«Anche
tu lo meriti. E farò di tutto perché tu lo
sia» mi confessò e mi
baciò lentamente succhiandomi il labbro inferiore. Il suo
sapore
solleticò le mie papille gustative e sembrava ancora
più dolce
delle volte precedenti «Per cui, niente musi
lunghi» ridacchiò «Mi
farò scivolare addosso tutto quello che diranno
perché questo è il
nostro momento, è la nostra vacanza e non voglio che venga
rovinato
né da me né da chiunque altro»
«Ben
detto» affermai fingendomi seria, poi scoppiammo a ridere.
Finalmente un momento di tranquillità tra noi due, un attimo
che era
solo nostro, senza la famiglia Vitrano e senza Sole. Solo Alice e
Dario.
Mi
appropriai delle sue labbra e lo baciai con tutto l'amore che avevo,
con tutta la passione che mi scorreva nelle vene, con la voglia di
Dario che inebriava i miei sensi. Le sue mani si muovevano lente
sulla mia schiena e le sue dita provocarono intensi fremiti che
scossero la mia spina dorsale. Percorsi i suoi fianchi,
soffermandomi sui suoi muscoli appena accennati, e scivolai verso le
anche alle quali era stato annodato un asciugamano. Di troppo, avrei
aggiunto. Cercai comunque di darmi un contegno e risalii lungo le sue
spalle forti dove mi fermai.
Un
tossicchiare appena accennato ci fece sobbalzare e ci ritrovammo
abbracciati a guardare la porta della camera di Dario dove c'era
immobile e sorridente Mauro.
«Tu
bussare mai, eh?» disse brusco il mio ragazzo.
«Mi
dispiace interrompervi piccioncini, ma la cena està
lista»
ci avvisò con un tono di voce talmente bonario che
spiazzò
entrambi «Non vorrete perdervi la sorpresa»
«Quale
sorpresa?» domandò dubbioso Dario.
«Vedrai,
fratellino mio» gli rispose dolcemente.
Ci
sorrise e sparì dalla camera da letto. Io e Dario ci
guardammo
sorpresi e ridacchiammo increduli entrambi. Non lo conoscevo da molto
tempo, ma credevo di aver inquadrato Mauro e la sua stronzaggine.
Invece era stata una sorpresa vederlo così tranquillo e
vedere quel
sorriso sincero sulle sue labbra. Perfino Dario non poteva credere ai
suoi occhi.
«Mio
fratello è ubriaco» fu il suo commento divertito.
Lo
allontanai da me con estrema delicatezza e indossai finalmente la
maglia mentre lui fece cadere l'asciugamano per terra rimanendo
completamente nudo. Rimasi a fissarlo imbarazzata, rossa più
di un
peperone ed annaspai in cerca di quell'aria che sembrava fosse
sparita.
«Che,
che stai facendo?» domandai intimidita, rigida quanto un
tocco di
legno.
«Mi
vesto» rispose con fare ovvio e tirò fuori dal
cassetto un paio di
boxer puliti.
«Ti
sei denudato davanti a me!» esclamai indignata.
«Mi
sembra che non ci sia niente qui che tu non abbia mai visto»
replicò
divertito guardando a sud dell'equatore.
In
effetti aveva ragione, ma quando avevamo fatto l'amore era stato
tutto diverso, era stato naturale e non avevo provato il minimo
imbarazzo. Trovandomelo, però, nudo di fronte agli occhi
così di
sorpresa mi spiazzò e destabilizzò. Scrollai la
testa e mi diressi
svelta alla porta, cercando di mantenere lo sguardo sul pavimento.
«Ti
aspetto giù» dissi e mi precipitai lungo la rampa
di scale.
La
grande sala da pranzo si trovava accanto alla cucina ed era di una
raffinata eleganza. Molto probabilmente quel mobilio così
bello era
stato scelto dal buon gusto della signora Vitrano. Un lungo tavolo
era posizionato al centro della sala e attorno c'erano diverse sedie,
mentre un lampadario di cristallo sovrastava il tutto. Un'enorme
finestra sul lato sinistro si affacciava direttamente sulla piscina
in giardino illuminata da alcuni faretti. Ogni volta mi sentivo come
“Alice nel Paese delle Meraviglie”. Quella casa era
qualcosa di
magnifico e tutto quel lusso mi faceva sentire sempre di più
la
protagonista di una favola.
«Buonasera»
mi salutò Mauro, alzando un calice contenente un goccio di
vino.
«Buonasera»
dissi imbarazzata e rivolsi un sorriso ad ogni commensale.
Mauro
e il signor Salvatore ricambiarono, mentre Nicoletta mi
ignorò
completamente. Mi strinsi nelle spalle e guardai a lungo le sedie
attorno al tavolo senza sapere dove accomodarmi. Finché
Mauro non
picchiettò su quella accanto a sé, invitandomi a
sedere vicino a
lui. Da stupida qual ero accettai anche se quel ragazzo era
più
urticante del peperoncino o di Davide Saronno. Ma non potevo
declinare il suo invito perché sarei apparsa come una
maleducata e
già non ero nelle simpatie delle padrone di casa.
«Com'è
andato il turno, figliuolo?» domandò Salvatore
rivolto a suo
figlio.
«Molto
bene, grazie»
«La
signora Girolamo ti ha ancora fatto la corte?» entrambi
ridacchiarono e la risata di Mauro mi sembrò così
cristallina che
mi era impossibile credere che appartenesse ad una persona cattiva
come si era mostrato. Magari anche lui mostrava solo una parte di
sé
come faceva Dario e magari era anche piacevole passare del tempo con
lui. Senza che me ne rendessi conto appoggiai la guancia la palmo
della mano e lo fissai quasi adorante. Era di una rara bellezza,
anche più bello di Dario e i suoi occhi azzurri non mi
sembrarono
poi così tanto glaciali, ma solo caldi ed avvolgenti.
«Sì.
Mi ha chiesto se voglio sposarla» rispose divertito Mauro
«Le ho
detto di sì e adesso aspetta l'anello. Spero che domani si
sia
dimenticata di questa promessa di matrimonio, anche perché
non
voglio nemmeno immaginare la prima notte di nozze con una signora di
ottantatré anni» scoppiammo a ridere tutti,
compresa Nicoletta e
per la prima volta da quando ero in quella casa mi sentii a mio agio.
Proprio
in quel momento, mentre ci stavamo divertendo con gli aneddoti
amorosi tra Mauro e la signora Girolamo, Dario entrò in sala
da
pranzo tutto sorridente e le risate cessarono di colpo.
«'sera,
family» disse e si sedette davanti a me,
lanciandomi un
bacio.
L'allegria
generale era stata sostituita da una certa tensione. Tranne da parte
mia, ovviamente, che sembravo l'unica ad essere felice che Dario
fosse arrivato. Nicoletta si sistemò il tovagliolo sulle
ginocchia,
Mauro prese il suo bicchiere e bevve un altro sorso di vino mentre
Salvatore si mise a fissare l'orologio. Il mio ragazzo capì
che la
ragione per cui era piombato il silenzio era il suo arrivo e il suo
sguardo s'incupì.
«Continuate
pure a ridere» disse con un filo di voce «Anche se
stavate parlando
di me»
«Raccontavo
solo della signora Girolamo» disse Mauro e un sorriso si
dipinse sul
suo volto «Te ne ho mai parlato, fratellino?».
Dario
corrugò lo fronte ed afferrò una fetta di pane
dal tagliere. Oramai
ero in grado di decifrare ogni sfumatura di quelle bellissime iridi
color carbone. E in quel momento, nei suoi immensi occhi neri potevo
leggere stupore dettato dallo strano atteggiamento di suo fratello.
Scosse la testa impercettibilmente ed addentò il pane.
«È
una signora tanto dolce. Si è innamorata di me e vuole
diventare la
signora Vitrano» ridacchiò e Dario con lui.
«Lo
sai, Alice, che Mauro ha fatto parte di Medici senza frontiere e che
adesso è uno dei migliori cardiologi del Gemelli?»
E
rieccola a venerare il suo adorato figlio. Proprio quando era
arrivato Dario. Cercava di metterlo in cattiva luce, ma alla
sottoscritta non importava nulla di un pezzo di carta chiamata
laurea.
«Buon
per lui» dissi con un sorriso.
«E
inoltre...» riprese, ma Mauro la interruppe subito.
«Basta
mamma. Ad Alice non importa nulla del mio lavoro» e mi
rivolse un
sorriso «Preferisce parlare del suo Dario»
Mauro
puntò i suoi occhi in quelli del fratello. Chiaro e scuro,
azzurro
nel nero. Rimase in silenzio quel tanto che bastò a Consuelo
per
servirci un invitante spezzatino, poi, finalmente parlò.
«Come
mai hai deciso di fare il Deejay?» gli chiese
«Avevi un'attività,
perché chiuderla».
Dario
cercò il mio sguardo e deglutì a fatica un po' di
patate. Era in
soggezione, soprattutto per gli occhi giudicatori della sua famiglia
puntati addosso. Sorrise nervosamente e si sistemò sulla
sedia come
se fosse fatta di carboni ardenti.
«Ho...
ho vinto un concorso» disse atono «E il negozio non
andava poi così
bene»
«Ah,
capisco» esclamò Mauro che sembrò
sorpreso. Mangiò un pezzo di
carne e lo innaffiò con del vino, poi tornò a
guardare suo fratello
e lo indicò con la forchetta. Ogni movimento di Mauro mi
metteva
ansia, così come a Dario. Era come se lui cercasse di
scoprire la
verità ed entrambi eravamo sicuri che era in grado di
tendergli un
tranello per smascherare la sua bugia.
«È
un bel lavoro quello del Deejay» disse, invece e tirai un
sospiro di
sollievo «Particolare. Insomma, non se ne trovano molti in
giro. E
sei anche parecchio bravo. Ti ascolto sempre la mattina».
Possibile
che quello fosse lo stesso Mauro che avevo conosciuto la sera prima?
L'odio che provava nei confronti del fratello sembrava sparito
magicamente, sostituito da uno strano amore fraterno che
stupì me,
ma soprattutto il mio ragazzo. Alternava degli sguardi dubbiosi verso
di me e altri più sereni a Mauro. Era come vedere due veri
fratelli
e forse Dario aveva sempre sperato che accadesse, un giorno o
l'altro, che Mauro lo accettasse e lo amasse per come era. Mi sentii
felice nel vederlo così sorridente, così in
armonia con la sua
famiglia – esclusa Nicoletta che si ostinava ad ignorarlo
– e,
tutte le parole che Mauro mi aveva detto, tutti i dubbi che mi aveva
insinuato, tutte le immagini di Sole mi sembrarono solo un lontano
ricordo. Se lui era felice, io ero felice. Era quello l'importante
per me: vederlo tranquillo e sorridente.
«Ma
di quale sorpresa parlavi prima?» domandai, inserendomi
finalmente
nel discorso.
«Quale
sorpresa?» disse curioso il signor Vitrano.
Mauro
si tamponò le labbra con il tovagliolo, poi sorrise sornione.
«Ve
la mostrerò dopo cena, quando Consuelo servirà il
dolce in salotto»
«Non
puoi darci un indizio?» indagò la madre, cercando
però di non
mostrare troppa curiosità.
Lui
scosse la testa e ridacchiò. Sembrava di buon umore quella
sera e
non sapevo proprio cosa aspettarmi da lui. Magari anche lui aveva
trovato una ragazza oppure era qualcosa legato al suo lavoro.
Fortunatamente la cena trascorse in tranquillità ed in
armonia, a
parte per le frecciatine che di tanto in tanto Nicoletta scagliava a
Dario. Ma lui, come aveva detto in camera, si fece scivolare tutto
addosso, non le diede ascolto e sembrava più felice quando
non stava
ascoltare le sue critiche. Era parte della famiglia Vitrano, dopo
tanto tempo e solo Nicoletta pareva essere stata esclusa da quel
quadretto familiare. I tre uomini parlavano tra di loro di sport e
altri discorsi poco interessanti per me. Erano in armonia, come se
con Dario non ci fossero mai stati dissapori.
Erano
le dieci quando ci spostammo in salotto dove Consuelo portò
un
vassoio con del caffè nero bollente e delle fette di torta
al
limone. Io e Dario ci accomodammo sul divano, mentre i due coniugi
sulle poltrone posizionate una di fronte all'altra. Mauro invece era
rimasto in piedi e sorseggiava il suo caffè, lanciando
occhiate ad
ognuno di noi come se stesse sondando la nostra curiosità.
«Allora?»
domandò impaziente Dario.
«Vi
ho incuriositi, eh?» disse con sguardo furbo.
Bevve
l'ultimo goccio di caffè e appoggiò la tazzina
nel vassoio. Poi
prese due piattini con le fette di torta e li diede ai suoi genitori,
lo stesso lo fece con noi. Dario mi guardò perplesso ed io
scrollai
le spalle. Nessuno di noi riusciva a capire che cosa avesse in mente
Mauro, per cui cominciammo a mangiare la torta attendendo con
trepidante attesa.
«Diciamo
che è da un po' che avevo in mente di farvi questa sorpresa.
Ma
volevo aspettare che il figliol prodigo tornasse a casa» e
puntò i
suoi occhi su Dario che ingoiò il suo boccone a fatica e mi
strinse
una mano, impedendomi di mangiare quella favolosa torta.
Mauro
estrasse dalla tasca della giacca elegante un foglio spiegazzato e lo
sventolò davanti ai nostri occhi.
«Ecco
la vostra sorpresa. L'ho trovato grazie ad una mia collega. Volevo
farle un regalo per un addio al nubilato e ora eccola qui tra le mie
mani, questa sorpresa».
Più i
secondi passavano e più gli occhi di Mauro perdevano quel
dolce
fascino che aveva durante la cena, ritornando ad essere glaciali.
Quell'innocuo foglio cominciò ad incutermi un certo timore,
anche se
non ne sapevo il motivo. E Dario era del mio stesso avviso, dato che
strinse maggiormente la mia mano. Mauro spiegò il foglio e
si
schiarì la voce.
«Età:
23 anni. Capelli: castani. Occhi: neri. Uno gigolò non
è solo un
ottimo amante, ma soprattutto un uomo in grado di ascoltare la
propria donna, di farla sentire unica anche con un sorriso, con un
tocco, con un semplice bacio...».
Piano
piano capii che cosa fosse quel foglio. Era il profilo di Dario,
quello che avevo trovato su quel sito di accompagnatori. La stretta
del mio ragazzo si fece sempre più intensa, man mano che
Mauro
leggeva quella sua presentazione. Mi sembrava strano che Mauro fosse
cambiato così da un momento all'altro. Era solo la quiete
che
preannunciava una tempesta catastrofica, che avrebbe gettato quella
famiglia ancora più nello scompiglio. Prima che Mauro
finisse di
leggere, il mio ragazzo si alzò di scatto dal divano con il
viso
contratto in un'espressione delusa e arrabbiata al tempo stesso. Suo
fratello gli aveva fatto credere di aver dimenticato i loro dissapori
durante la cena, ma solo per rendere più dolorosa la
stoccata
finale. Gli afferrò il foglio dalle mani, strappandolo e
lasciandone
un piccolo pezzo tra le grinfie di Mauro. Ma non ebbe il tempo
né di
accartocciarlo, né di dire nulla a suo fratello che
Nicoletta glielo
strappò di mano furtiva e lesse con i suoi stessi occhi,
soffermandosi sulla foto di suo figlio in cima a sinistra, mentre suo
marito si alzava dalla poltrona la raggiungeva alle spalle per
sbirciare anche lui.
«Ecco
il negozio di cui parlava» disse sprezzante Mauro, affondando
le
mani nelle tasche della giacca «Vendeva sesso» e
soffocò una
risata con un mano.
Vidi
Dario serrare i pugni e tremare, abbassare lo sguardo per non
incontrare quello della sua famiglia. Ero più che sicura che
si
stesse vergognando in quel momento, che avrebbe voluto sparire dalla
faccia della terra piuttosto che dare un'altra delusione ai suoi
genitori.
«Ti
prostituivi» disse solamente sua madre in un soffio.
«È
vero, Dario?» domandò suo padre e nel suo tono
c'era qualcosa di
dolce.
Decisi
di alzarmi anche io dal divano e raggiunsi il mio ragazzo,
abbracciandolo, stringendolo forte a me per fargli capire che io ero
lì, ero lì per proteggerlo, così come
gli avevo promesso. Lui si
appoggiò al mio petto, nascondendosi da loro e dai loro
giudizi.
«È
vero, Dario?» ripose la stessa domanda.
Tremava
tra le mie braccia e mi faceva male vederlo così ferito,
così
mortificato dagli sguardi inorriditi della sua famiglia.
Annuì, in
risposta a sua padre, senza però alzare il viso per
guardarlo.
«Non
mi sembri molto sconvolta, Alice» constatò con
disappunto Mauro,
mentre i suoi genitori si struggevano davanti a quel foglio, ma non
per il loro figlio, bensì per il cognome che portavano.
«No,
per nulla» risposi acida, affondando una mano nei capelli di
Dario e
aumentando la stretta su di lui «Lo sapevo anche senza che me
lo
rivelassi tu».
Mauro
mi guardò dubbioso e con un gesto fluido della mano mi
esortò a
continuare. I suoi occhi, quei due pezzi di ghiaccio che mi
scrutavano con freddezza mi mettevano in soggezione, sentivo perfino
il cuore battere all'impazzata. Ma non potevo ammutolirmi davanti a
lui, davanti alla famiglia Vitrano. Dovevo tirare fuori le palle e
difendere il mio Dario.
«L'ho
conosciuto proprio grazie a quel sito» spiegai con un pizzico
di
imbarazzo, dettato perlopiù dalla situazione «E
non mi è mai
importato nulla del suo lavoro», deglutii e mi sentii
perforare da
tre paia di occhi che attendevano che io andassi avanti a parlare,
anche se non avevo la benché minima idea di cosa dire. Presi
un
respiro profondo e mi feci trasportare dal mio cuore, dalle mie
emozioni, dal mio amore per Dario «Mi sono innamorata di lui
pur
sapendo quello che faceva nella sua vita. E non l'ho mai giudicato
per questo perché l'unica cosa che mi importava era lui, era
Dario,
la persona fragile che si nascondeva dietro quello stupido
pseudonimo» un discorso un po' prevedibile, forse, ma che
sperai
potesse toccare il cuore di quelle persone.
«Perché
lo hai fatto?» chiese Salvatore, senza nemmeno aver ascoltato
quello
che aveva detto.
Dario
sollevò finalmente lo sguardo dal mio petto e
guardò suo padre con
due occhi talmente tristi da frantumarmi il cuore.
«Avevo
sperperato tutti i soldi del conto corrente per
l'Università»
ammise con imbarazzo.
Nicoletta
si portò una mano sul cuore e per poco non le venne un
infarto, ma
solo perché quei soldi non erano stati usati per diventare
un medico
o un qualsiasi laureato.
«E
perché non ci hai chiesto aiuto?»
domandò con tono quasi
disperato.
«Perché
tanto ve ne sareste fregati, come al solito. Mi avreste voltato le
spalle per l'ennesima volta solo perché non ho voluto
seguire le
vostre orme. Era l'unica cosa che potessi fare per vivere» la
sua
voce si abbassò ad ogni parola, diventando quasi un flebile
soffio.
«Se
tu ti fossi impegnato» lo rimbeccò Nicoletta
«Tu immagina solo se
la gente venisse a scoprirlo. Che vergogna sarebbe per noi,
eh?»
«Il
primo che si vergogna, qui, sono io» replicò serio
Dario.
«Io
non capisco come facciate a non interessarvi a vostro figlio!
Cazzarola, quello che vi importa è solo
il vostro
dannatissimo cognome! Siete solo degli egoisti!» sputai con
disprezzo e mi ero trattenuta perché senno sarei saltata
loro alla
gola.
«Io
mi sono sempre interessato a lui!» sbraitò
Salvatore «E non
intrometterti nella nostra vita. Tu non sai nulla»
«Già,
non so nulla di voi. Ma so che lei è stato il primo a
voltare le
spalle a suo figlio per la storia di Campanella» gli
rinfacciai
soddisfatta. Ogni tanto origliare portava a dei frutti.
Salvatore
sgranò gli occhi e si ammutolì, mentre Dario tra
le mie braccia si
irrigidì. Dovevo ammettere che ero curiosa di sapere cosa
fosse
successo con tale Campanella, ma quello non era il momento di
curiosare. Lo avrei saputo solo se fosse stato lui a dirmelo, senza
che fossi io a chiederlo. Feci scivolare la mia mano lungo il suo
braccio fino ad incontrare le sue dita. Era meglio uscire da quella
casa, prendere una boccata d'aria e magari non tornarci mai
più. Lo
trascinai per tutto il salotto verso la porta di ingresso.
«Sei
una delusione, Dario» disse Mauro «E anche tu,
Alice, che ti
accontenti di un fallito come lui».
E fu
in quel momento che Dario lasciò la mia presa e si
avvicinò
minaccioso a suo fratello, con il pugno caricato pronto a colpire un
Mauro impassibile e per nulla spaventato.
«Dario,
no!» urlai. Non volevo che si arrivasse addirittura alle
mani. Il
clima era già abbastanza teso senza scazzotate.
Il suo
pugno serrato si fermò a mezz'aria e la sua mano
tremò. Rimase
fermo in quella posizione e si voltò a guardare nei miei
occhi
spaventati, nei miei occhi che lo pregavano di non spingersi troppo
oltre. Abbassò il braccio e si limitò a guardare
con rabbia suo
fratello. Poi mi raggiunse, mi prese per un polso e mi
trascinò
fuori da lì, percorrendo a grandi falcate il viottolo di
ghiaia ed
uscendo dal giardino di quell'immensa villa. Fuori dal cancello in
ferro battuto era ancora parcheggiata la Mito e per una frazione di
secondo ebbi voglia di salirci sopra insieme a Dario, tornarcene a
Milano e lasciarci alle spalle la famiglia Vitrano, chiudere per
sempre con loro e dimenticare che esistessero. Ma quell'idea fu
scacciata da un forte rumore metallico che mi fece sobbalzare. Era
stato Dario che aveva preso a calci il cerchione dell'auto e non
sembrava voler smettere. Si stava sfogando con rabbia e frustrazione
su quel pezzo di metallo, emettendo dei suoi simili a dei lamenti.
«Amore,
amore, amore» cercai di richiamarlo prendendogli il braccio
«Stai
tranquillo amore»
«Come
cazzo faccio a stare tranquillo?» sbraitò dando un
pugno alla
carrozzeria metallica.
«Non
ne vale la pena prendersela. Loro non ti hanno mai accettato in
qualsiasi caso, che tu fossi stato un gigolò oppure un
commerciante»
gli dissi con tono dolce, avvinghiandomi al suo braccio teso.
Mi
faceva male vederlo così, era più doloroso di un
coltello
conficcato in profondità nel petto. Nonostante i miei sforzi
di
farlo calmare, lui continuò a sfogarsi con rabbia contro la
sua
auto, sballottandomi senza ritegno, quasi se io non fossi lì
con
lui.
«È
sempre la mia famiglia, cazzo!» urlò.
«Come
puoi chiamarla famiglia?» dissi indignata, allontanandomi da
lui.
«Non vedi come ti trattano? Non vedi come ti disprezzano? Tu
porti
solo il loro cognome ma non gli appartieni. Avevi detto che ti
saresti fatto scivolare addosso tutto, che non gli avresti dato
ascolto». Lo accarezzai su una guancia, scivolando sotto il
mento e
alzandogli il viso per potermi specchiare in quelle distese di mare
nero.
«Ma a
quanto pare non è facile come sembra»
sibilò, serrando i pugni.
«Davvero,
Dario. Non badare a loro. Non meritano la tua rabbia, la tua
frustrazione e non meritano te» mormorai con un sorriso
«Tu sei
uno spirito libero, non hai bisogno di loro. Te la sei sempre cavata
da solo»
«No,
non è vero. Io non sono uno spirito libero»
soffiò, più
tranquillo «E non me la sono cavata per nulla. Ho scelto la
strada
più semplice e ho fatto il gigolò. Purtroppo io
non so badare a me
stesso»
«È
invece è così. Hai trovato la forza e sei
riuscito a dare una
svolta alla tua vita. E questo ti fa tantissimo onore» tutte
quelle
cose che stavo dicendo scaturivano dal cuore. Era lui che parlava in
quel momento, non il mio cervello.
«È
solo grazie a te se ci sono riuscito» disse in un soffio e
finalmente sorrise. Era solo accennato, ma era già un passo
avanti
«Sei tu che mi hai salvato Alice».
Mi
morsi il labbro e sfiorai le sue in un dolce e breve contatto. Avevo
bisogno di sentire il suo sapore anche per un solo secondo e lui
aveva bisogno di sapere che io non lo avrei abbandonato mai e poi
mai. E non lo avrei fatto perché stando con lui mi sentivo
viva, mi
sentivo finalmente completa e una vita senza Dario non poteva
chiamarsi vita.
«Siamo
noi l'importante, non loro. Solo noi e nient'altro,
capito?»
mormorai senza perdere il contatto visivo con lui «E sai
perfettamente che a me non importa se eri un gigolò. Non ti
ho mai
giudicato e non lo farò mai. Io ti amo così come
sei».
Dario
respirò profondamente, poi mi attirò verso di lui
e mi abbracciò
forte, affondando il viso nell'incavo del collo e insinuando una mano
tra i miei capelli. Ricambiai la stretta, accarezzandogli la schiena.
Entrambi avevamo bisogno di quel contatto fisico, avevamo bisogno del
calore dell'altro. Soprattutto lui che in quel momento era
più
fragile di un cristallo e il minimo urto avrebbe rischiato di farlo
andare in mille pezzi.
«Che
ne dici se andiamo a fare un giro?» gli proposi «E
stiamo un po'
lontani dalla villa degli orrori?».
Dario
ridacchiò e sciolse l'abbraccio, assaporando per un attimo
le mie
labbra.
«Andiamo»
disse con un sorriso e mi strinse la mano, accompagnandomi per le vie
della sua città, per quelle vie che racchiudevano tutti quei
ricordi
che non mi era permesso conoscere. Ma poco mi importava. Volevo stare
con lui, sentirlo accanto a me e di tutto ciò che riguardava
io suoi
amori passati non mi interessava più. O almeno cercavo di
non
farmelo interessare. Mi appoggiai alla sua spalla e chiusi gli occhi
per sentire il suo profumo.
Camminammo
a lungo, anche se non saprei dire per quanto tempo o quanti metri. Lo
spazio e il tempo quando ero insieme a lui erano praticamente
insignificanti, erano il nulla confrontati con Dario. Potevano
passare dei secondi oppure addirittura secoli che io non me ne sarei
accorta. Raggiungemmo un'enorme piazza, sovraffollata di gente e
rimasi affascinata da quella visione. Da quella fontana leggermente illuminata, da quelle eleganti sculture che la sovrastavano, dall'enorme palazzo che c'era alle sue spalle. L'avevo vista parecchie volte in tv e avevo sempre desiderato vederla con i miei occhi. Era magnifica e Dario rendeva quella visione ancora più meravigliosa. «È la fontana di Trevi» dissi estasiata.
«Vedo
che hai studiato, Livraghi» replicò fingendosi
serio.
«Certo
professore. Mi sono preparata su tutta la storia di Roma prima di
venire qui» risposi ironica.
«Oh
ma che brava alunna» esclamò divertito
«E in anatomia come è
messa?» aggiunse malizioso, sussurrandomelo all'orecchio.
Mi
schioccò un lungo bacio sulla guancia carico di passione
quasi
volesse farmi intendere che volesse più di un semplice
contatto con
la mia gota. Se non ci fosse stata tutta quella gente molto
probabilmente avremmo finito con il fare l'amore perché
anche io
sentivo la voglia di Dario sotto la mia pelle espandersi in ogni
vena, ogni arteria, mescolarsi con il mio sangue raggiungendo tutti
gli anfratti del mio corpo.
«Il
minimo indispensabile» risposi con il suo stesso tono e feci
combaciare le nostre labbra in un bacio lento, in un lungo e profondo
assaporarsi. La discussione in casa Vitrano era solo un lontano
ricordo per me e, speravo, anche per lui. C'eravamo solo noi due, il
resto non contava niente. Mauro, Nicoletta, Salvatore, Sole. Nessuno
di loro era importante in quel momento, eravamo noi i soli
protagonisti di quella storia ed eravamo sempre noi che avevano in
pugno la penna. L'avremmo scritta io e Dario quella favola, senza
l'intromissione di nessuno.
«Era
un'allusione ad un determinato apparato?» chiese con una voce
tremendamente sensuale che mi fece rabbrividire.
«Vedila
come preferisci» replicai ed ammiccai.
Dario
mi strinse maggiormente a sé e mi sollevò da
terra, affondando il
viso nel mio seno. Mi lasciai sfuggire un urlo che attirò
l'attenzione di tutti e mi imbarazzai nel vedere tutte quelle persone
che ci guardavano come se fossimo appena scesi da una navicella
spaziale.
«Dio,
quando ti voglio!» esclamò baciandomi nella
scollatura «Peccato
che ci siano tutti questi guardoni» borbottò
guardando di sbieco
alcuni ragazzi che ci passavano accanto.
«Già,
è un vero peccato» concordai e gli morsi la punta
del naso «E dato
che non possiamo fare nulla, mettimi giù e continuiamo la
passeggiata»
«Non
possiamo appartarci da qualche parte?» mi supplicò
con tono
infantile.
«No,
Dario!» ero stupida, lo sapevo. Avrei dovuto accettare
quell'invito
al volo, ma preferii una serata tranquilla tra quattro chiacchiere
piuttosto che tra “quattro ansimi”. Dario
annuì mestamente e mi
fece toccare finalmente l'asfalto. Mi strinse le mani e andammo a sederci sul bordo della fontana, di fianco ad un paio di ragazze infoiate che si erano mangiate con gli occhi il mio ragazzoAvrei voluto alzarmi e
far loro il gesto dell'ombrello, vantandomi del fatto che lui fosse
con me e non con una di loro 'bimbeminchia'. Ma il braccio di Dario
che mi cinse le spalle e mi avvicinò a lui me lo
impedì. Appoggiai
la testa al suo petto e non mi importò più di
nulla. Mi accarezzò
i capelli e mi baciò la fronte, dolcemente. Gli sbalzi di
umore in
Dario erano una costante. Prima era tutto eccitato, poi si
trasformava d'un tratto in una zolletta di zucchero.
«Ero
talmente preso dal ritorno a Roma e dalla mia insulsa famiglia da non
interessarmi a te» disse quasi affranto. Non capivo che cosa
intendesse, ma non ebbi il tempo di domandare che lui mi precedette
«I tuoi sono separati. Non ti ho nemmeno chiesto come vivi
questa
situazione».
Rimasi
spiazzata da quella frase. Non avevo mai parlato a nessuno della
separazione de i miei, solo a Benedetta. Mi faceva male ricordare il
giorno in cui mio padre se n'era andato via di casa sbattendo la
porta. Ancora avevo impressa in mente la mia immagine riflessa nello
specchio mentre piangevo per quello che credevo fosse un abbandono.
In realtà mio padre era sempre stato un genitore presente,
non mi
aveva mai fatto mancare nulla e con il tempo quella ferita si era
rimarginata.
«È
successo quando avevo dodici anni» sospirai «Era da
un po' che tra
i miei genitori non andava affatto bene. Litigavano sempre anche per
le cose più futili e la causa di tutto era l'opprimente
gelosia di
mio padre. Un pomeriggio è successo il finimondo. Una
litigata
furibonda, si sono rinfacciati di tutto e mia madre gli ha detto
Se non sono felice è per colpa tua. Così
lui ha preso la sua
valigia e se n'è andato» scrollai le spalle ed
abbassai lo sguardo.
Non credevo che parlarne di nuovo potesse farmi così male.
Ormai
erano passati sei anni, eravamo tutti contenti nonostante la
lontananza.
«Ci
sei stata parecchio male?» mi chiese apprensivo,
schioccandomi un
bacio sulla fronte.
«Sì,
tanto. Anche perché ero legatissima a mio padre e pensavo
che, una
volta uscito di casa, si sarebbe dimenticato di noi. Invece
è sempre
stato presente, ma non era la stessa cosa, ovviamente»
sospirai
affranta. «Ormai è tutto passato. Siamo felici
così, più o meno»,
alzai il viso verso di lui e gli sorrisi.
«Non
deve essere stato per nulla facile accettare quella
situazione»
disse flebilmente accarezzandomi la spalla.
Mi
faceva piacere che lui si interessasse alla mia vita, era come se
cercasse di capire la famiglia Livraghi, come se volesse entrare a
far parte della mia esistenza. Quello che non sapeva era che lui ne
era già parte integrante, che lui era la
mia vita.
«Già»
soffiai «Ma almeno io ho avuto una famiglia, nonostante
tutto, tu
nemmeno quella. Non riesco a capire perché ce l'abbiano
così tanto
con te»
«Non
lo so nemmeno io. Continuavano a ripetermi che ero un errore, ma non
ho mai capito il motivo per il quale mi trattassero che se avessi
rovinato loro la vita» rispose malinconico.
«Se
solo la smettessero di guardarti come se fossi solo un dannato
incidente, capirebbero che persona splendida sei» dissi
guardandolo
dritto negli occhi e vedendo qualche scintilla lucente illuminargli
lo sguardo.
«Tu
dici così perché sono il tuo ragazzo»
scosse la testa e sfuggì ai
miei occhi. «Insomma, loro non mi hanno mai calcolato
più di tanto
ma io non ho mai fatto nulla per farmi accettare. Anzi, ho sempre
creato un sacco di guai. Per cui mi viene da pensare di essere
davvero uno stupido errore».
Si
morse il labbro inferiore e si passò una mano tra i capelli.
Ecco!
Eravamo riusciti a ritrovare il sorriso ed io come una stupida avevo
tirato fuori di nuovo l'argomento famiglia. Ero una cretina patentata
che non riusciva a tenersi la bocca cucita!
«Ehi,
no!» lo richiamai e gli presi il viso tra le mani
«Non dirlo
nemmeno per scherzo. Tu non sei un errore, sei un dono. Il mio dono
più bello».
Dario
accennò un sorriso ed arrossì teneramente.
«Sei
esagerata» borbottò imbarazzato.
«No.
Sono innamorata, è diverso» lo corressi
soddisfatta.
Dario si morse il labbro e mi afferrò la mano costringendomi ad alzarmi. Confusa lo seguii sopra il bordo della fontana e rimanemmo uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
Confusa lo seguii verso la fontana davanti alla quale ci fermammo,
uno di fronte all'altro, con le mie mani strette nelle sue.
«Ti
va di esprimere un desiderio?» mi chiese con un sorriso
meraviglioso
indicando con il mento l'acqua azzurrognola.
«Non
dirmi che crederai a queste cavolate!» lo ripresi
ridacchiando.
«Dai,
provaci! Magari si avvera»
Senza
aspettare una mia risposta, estrasse dalla tasca dei jeans due monete
da venti centesimi e me ne porse una. Si voltò di spalle ed
io lo
imitai.
«Al
mio tre chiudiamo gli occhi ed esprimiamo un desiderio» disse
ed io
sospirai «Uno, due, tre».
Entrambi
chiudemmo gli occhi e, seppur non avevo mai creduto alla storia della
monetina, la strinsi forte nel palmo e desiderai che mi dichiarasse
il suo amore, semmai lo provasse per me. Ma tanto sapevo che non si
sarebbe mai avverato un bel nulla. Lanciai la moneta nella fontana e
riaprii gli occhi, ritrovandomi quelli di Dario sorridenti poggiati
su di me.
«Che
hai desiderato?» domandai curiosa.
«Non
si può dire, sennò non si avvera» mi
fece un occhiolino e poi mi
strinse di nuovo una mano «Ho da dirti una cosa,
Alice» disse ed
era tremendamente serio. Mi preoccupai per quel tono di voce e per
quello sguardo che mi perforò l'anima «Da sempre
ho cercato
qualcuno che mi capisse, che mi amasse così come sono, con i
miei
pregi e i miei difetti e che non badasse solo al mio aspetto, ma che
andasse in profondità. Credevo che solo Sole fosse in grado
di
farlo, ma poi ho conosciuto te e mi sono ricreduto. Da quando sono
con te mi sento immensamente bene, importante ed amato» fece
una
lunga pausa durante la quale il mio cuore si fermò per un
attimo e
si umettò le labbra «Sai, Alice, credo di
amarti».
Il
tempo si fermò in quell'esatto momento, quando Dario
proferì quelle
parole che mi penetrarono dritto nel cuore. Rimasi spiazzata, non mi
aspettavo quella dichiarazione, nonostante la stessi sognando da
tanto, troppo tempo. Niente e nessuno, da quel momento in poi,
avrebbe potuto rovinarci, soprattutto non il lontano ricordo di Sole.
Non avrei ai dimenticato quel giorno, sarebbe per sempre rimasto
inciso nel mio cuore.
29
giugno, quando finalmente quello che c'era tra di noi poteva
definirsi amore.
Mi
avvinghiai al suo collo e mi alzai sulle punte per baciarlo.
L'ennesimo bacio ma che aveva un sapore più dolce rispetto a
tutti
gli altri, aveva una carica passionale ancora più
travolgente dei
precedenti e che sapeva di noi, di Alice e Dario al cento per cento.
Quella che sembrava una stupidata come lanciare una monetina in una
fontana esprimendo un desiderio non era poi una cavolata. Quello che
avevo espresso si era avverato, anche se sospettavo che avesse fatto
quella sceneggiata perché sapeva bene che cosa avrei
desiderato.
«Ti
amo» gli dissi, appoggiando la fronte sulla sua.
«Anche
io, piccola» mi sorrise «Non sai quant
«Più
della mia vita» gli confidai con il fiato corto per tutte le
emozioni che stavo provando in quel momento.
«Più
della mia vita» ripeté lui.
Ancora
una volta le nostre labbra si incontrarono, le nostre lingue si
rincorsero, si cercarono e si trovarono poco dopo, sfiorandosi in una
maniera estremamente sensuale e dolce.
«Il
mio desiderio si è avverato» ammisi con un sospiro
«E tu che cosa
hai espresso?» tentai di nuovo, curiosa.
«Ti
ho già detto che non posso dirtelo, sennò non si
avvera!» esclamò
lui scompigliandomi i capelli.
Stavo
per ribattere, quando però una goccia di acqua gelata si
infranse
sul mio naso. Alzai lo sguardo al cielo e fu un attimo che altre
gocce si scagliarono dal cielo sulla città. Aveva cominciato
a
piovere e sembrava che volesse venire giù il diluvio
universale. Un
lampo squarciò il cielo e un suono sordo lo seguì
subito dopo. Era
un tipico temporale estivo, un temporale in netto contrasto con la
quiete che c'era tra me e Dario.
Nel
giro di pochi secondi eravamo già fradici per via di tutta
l'acqua
che scendeva rabbiosa dal cielo. Dario mi afferrò una mano e
cominciò a correre, così come tutti gli altri che
cercavano riparo.
Ma invece di seguire la folla e rifugiarsi sotto dei balconi o dei
portici, lui mi trascinò per le vie della capitale. Se fosse
stato
un qualsiasi altro momento avrei urlato come una pazza, obbligandolo
a fermarsi in un luogo che ci avrebbe protetti dal diluvio. Ma quello
era senz'altro un istante magico, reso ancora più intenso
dalla
pioggia battente.
«Dove
stiamo andando?» gli domandai, quasi urlando, per sovrastare
il
picchiettio.
«Non
lo so!» mi rispose lui voltandosi e sorridendo.
Svoltò
in una piccola via poco illuminata e proseguì a passo
svelto. A
stento riuscivo a stargli dietro e rischiai di cadere più
volte, ma
per fortuna non accadde. Nonostante tutto mi stavo divertendo a
correre sotto la pioggia, con il fiatone e il cuore che martellava
nelle tempie. Raggiungemmo un piccolo parco giochi, anch'esso
abbandonato a causa del diluvio e mi appoggiò contro il
tronco di un
albero, intrappolandomi tra il suo petto e il fusto. Aveva i capelli
completamente bagnati ed appiccicati alla fronte, i vestiti fradici
che gli aderivano perfettamente al corpo disegnando ogni suo singolo
muscolo. Era bello, e l'acqua lo rendeva ancora più
affascinante. Mi
tolse una ciocca di capelli bagnata dalla guancia e mi sorrise.
«Piove»
constatò solo in quel momento «Come quella sera,
ricordi?»
«Il
nostro primo bacio» rimembrai e mi sembrò di
rivedere quelle
immagini riflesse nelle iridi nere di Dario.
«Ma
questa volta non ci sarà un addio»
replicò lui sfiorandomi le
labbra con le sue.
«No»
scossi la testa e gli sorrisi «Questa volta nessuno ci
dividerà»
«Nemmeno
un temporale estivo» soffiò, riferendosi con
quella metafora agli
ostacoli che il destino ci avrebbe messo di fronte.
«Perché
il sole tornerà a risplendere subito dopo con più
intensità»
completai la frase e ci baciammo per l'ennesima volta. Non mi sarei
mai stancata di quelle labbra, anzi più passava il tempo e
più
sentivo la necessità di assaporarle fino a riempirmi al
bocca del
suo splendido sapore. Era come una droga, che inebriava i miei sensi
e offuscava i miei pensieri. Se quello era cominciato come quello che
sembrava il mio giorno peggiore, si stava concludendo in un modo
inaspettato, nel modo migliore che potessi sperare. Le sue mani
scivolarono al di sotto della mia maglietta, accarezzandomi il ventre
e risalendo su verso il mio seno dove le sue dita indugiarono sopra
la stoffa del reggiseno. Seppur ci fosse quell'ostacolo i suoi
polpastrelli riuscirono a mandarmi in estasi in qualsiasi caso. A
nessuno dei due importava che pioveva a dirotto, anzi l'acqua che ci
scorreva sul corpo alimentava solo la nostra passione. Avevo
l'irrefrenabile bisogno di sentirlo dentro di me, di diventare una
cosa solo con lui. Avevo bisogno di lui come se fosse acqua, come se
fosse aria, la mia aria, l'unica in grado di riempirmi i polmoni e di
farmi respirare. Le sue mani scivolarono al di sotto del mio
reggiseno e sentii la sua pelle ruvida e bollente a contatto con la
mia, le sue dita che si muovevano sinuose sui miei seni facendomi
gemere nella sua bocca ed eccitare ancora di più. Purtroppo
però la
pioggia cessò a poco a poco di abbattersi su Roma e la
città, in
men che non si dica, venne di nuovo invasa dalla gente che si era
nascosta per non beccarsi l'acquazzone.
Dario
si staccò dalle mie labbra ed appoggiò la fronte
sulla mia, ,
accarezzandomi il viso con entrambe le mani.
«Sarebbe
stato bello fare l'amore sotto la pioggia» disse con un
sorriso
tirato.
«Un
luogo vale l'altro» scrollai le spalle e gli assaporai il
labbro
inferiore «L'importante è che ci sia tu»
«Oggi
sei più smielata del solito» ridacchiò,
cingendomi i fianchi e
baciandomi di nuovo.
«E
non sei felice di sapere quanto tu sia speciale per me?»
domandai
maliziosa.
«Anche
troppo» ammise perforandomi con il suo profondo sguardo color
carbone.
Ma lo
distolse immediatamente dal mio per puntarlo sul terreno bagnato ed
interruppe il nostro abbraccio. Rimasi a fissarlo perplessa mentre la
pioggia continuava ad abbattersi su di noi senza sosta. Poco dopo
sorrise vittorioso e raccolse da terra una pietra appuntita,
avvicinandosi al tronco. Cominciò ad incidere con
facilità il legno
reso morbido dall'acqua e a poco a poco nacque una scritta irregolare
tremante.
29/06/2010
Alice
+ Dario.
«Così
tutti sapranno del nostro amore»
Fissammo
quella scritta a lungo, mano nella mano mentre la pioggia cominciava
a scemare. Quell'intaglio era una prova di quello che c'era tra di
noi, una sorta di promessa d'amore destinato a non finire mai.
Speravo perlomeno che fosse così, come speravo che
quell'albero in
cui erano racchiuse tutte le nostre emozioni e la nostra passione non
morisse mai.
«Andiamo
a casa?» mi domandò «Siamo
fradici»
«Sei
sicuro di voler ritornare lì? Non preferiresti magari stare
in
albergo?»
Dopo
tutto quello che era successo in casa Vitrano, il clima lì
dentro
non poteva essere di certo dei migliori e non ero sicura che Dario
sarebbe stato in grado di sopportare anche un'ora lì dentro.
Eravamo
finalmente felici e non volevo che quelli distruggessero quel muro di
gioia. Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Non
lo so» e mi strinse la mano ancora di più
«Tanto non cambierebbe
nulla. A casa, in albergo mi odierebbero comunque»
«Sicuro
che riuscirai a sopportare le loro cattiverie?» chiesi
sinceramente
preoccupata.
«Con
te al mio fianco posso superare qualsiasi
avversità» mi disse con
un sorriso dolcissimo, un sorriso felice e non malinconico.
Mi
strinsi a lui talmente forte che sembrava volessi inglobarlo dentro
di me. Era bagnato, i vestiti erano fradici ma non mi importava.
Ciò
che mi interessava era solo stare tra le sue braccia e godere del suo
incantevole calore, bearmi del suo dolce odore di vaniglia.
Ci
vollero pochi minuti perché arrivassimo davanti alla villa
Vitrano e
non appena vedemmo il cancello di ferro battuto rabbrividimmo
entrambi. Mi abbracciò ancora più forte e prede
un respiro
profondo, cercando il coraggio dentro di lui di varcare quella
soglia. Avevo paura, paura di quello che avrebbero detto, paura di
vederlo nuovamente triste.
«C'è
sempre l'albergo» gli ricordai, ma lui scrollò la
testa.
Citofonò
e dopo alcuni secondi sentimmo scattare il cancello. Percorremmo il
sentiero di ghiaia a passi piccoli e lenti, stringendoci l'uno
all'altro mano a mano che la distanza dalla porta bianca diminuiva.
Purtroppo l'uscio arrivò troppo presto e dietro di lei
trovammo il
signor Salvatore con un bicchiere di cognac in mano.
«Avete
fatto una passeggiata?» domandò chiudendo la porta
alla nostre
spalle.
Dario
annuì e cercò di fuggire subito su per le scale,
ma suo padre lo
bloccò per un polso trattenendolo al piano inferiore.
«Ho
bisogno di parlarti Dario» disse con tono serio.
Il mio
ragazzo cercò i miei occhi. Era smarrito e non sapeva cosa
fare. In
realtà nemmeno io sapevo cos'era meglio per lui, ma il
signor
Vitrano mi sembrava l'unico che si interessasse a suo figlio, almeno
un minimo. Annuii, lui seguì il padre sul divano.
«Ti
aspetto su» gli dissi «Buonanotte»
aggiunsi rivolgendomi ad
entrambi che mi risposero con un cenno della mano.
Salii
le scale di corsa, ma invece di raggiungere il secondo piano mi
fermai a metà rampa, accovacciandomi dietro la ringhiera per
origliare. Non era eticamente né moralmente corretto, ma non
volevo
abbandonarlo e dovevo stargli accanto.
«Devi
farmi il cazziatone?» domandò subito Dario con
tono brusco.
«No,
figliolo» sospirò suo padre «Volevo solo
parlare un po' con te»
«Di
quel maledetto foglio, immagino» borbottò
scocciato il mio ragazzo.
Ci fu
una piccola pausa ed immaginai che Salvatore avesse annuito dato il
discorso che ne seguì subito dopo.
«La
notizia ci ha davvero spiazzati. Insomma non è mai piacevole
scoprire che il proprio figlio per mantenersi si prostituisce»
«Chissà
che putiferio si sarebbe creato semmai qualcuno lo avesse scoperto.
Il cognome dei Vitrano sarebbe stato infangato per l'ennesima volta,
non è così?» rispose tagliente Dario.
«In
verità, quando ho visto quel foglio non mi sono nemmeno
preoccupato
per il cognome che portiamo, ma mi sono sentito una vera
merda» gli
confidò il padre con un filo di voce «E mi sono
sentito in colpa
perché io sono tuo padre e nonostante questo ti ho voltato
le
spalle, ho preferito la mia carriera a te. Così non mi sono
accorto
di quanto tu soffrissi e di cosa sei stato costretto a fare»
«Oh!
Dopo cinque anni arrivano i sensi di colpa. Magari avresti dovuto
pensarci prima» replicò aspro il mio ragazzo.
«Credevo
che te la saresti cavata!» alzò il tono Salvatore,
per poi
abbassarlo nuovamente ed addolcirlo «Mai, mai avrei pensato
che
saresti arrivato ad una cosa del genere»
«Scopare
è l'unica cosa che so fare nella mia vita»
sospirò Dario affranto
e avrei voluto essere lì per abbracciarlo in quel momento
«Tu non
sai come è stato degradante vendermi così. Ogni
giorno mi sentivo
una merda ed ogni istante ho immaginato questo momento, quando avete
saputo la verità. È stato umiliante,
papà! Non avrei mai voluto
che voi sapeste una cosa del genere!».
Un'altra
pausa, questa volta più lunga, così mi sporsi
dalla ringhiera e
vidi il signor Salvatore stringere forte suo figlio, accarezzandogli
la nuca.
«Immagino,
figliolo. Ma io sono fiero di te comunque. Lo sono sempre stato e non
smetterò mai di esserlo» disse con tono dolce
«Perché tu sei
davvero un ragazzo d'oro. Certo, hai fatto un sacco di marachelle, un
sacco di casini e sei malato di sesso» ed entrambi
ridacchiarono «ma
ciò non toglie che sei una persona splendida. E che sei mio
figlio e
ti voglio bene incondizionatamente»
Dario
si strinse di più al petto di suo padre e mi
sembrò di vedere un
bambino bisognoso d'affetto in quel momento. Che, fortunatamente,
trovò tra le braccia di Salvatore che sembrava l'unico,
insieme a
Consuelo, a tenere davvero a lui.
«Scusami,
papà, se ti ho deluso» mormorò Dario.
«Non
mi hai deluso, anzi! Il fatto che tu abbia trovato il coraggio di
voltare pagina, di abbandonare quel lavoro e dare una svolta alla tua
vita dimostra quanta forza di volontà tu abbia»
«Il
merito è solo di Alice» ammise e sentii il mio
cuore esplodere di
gioia «Senza di lei non sarei riuscito a combinare nulla di
buono»
«La
ami?» gli domandò a bruciapelo.
E
senza esitazione, con molta decisione e una dolcezza spiazzante,
Dario rispose «Sì».
Era
sufficiente quello che avevo sentito. Il signor Vitrano si era
dimostrata una persona splendida, così come suo figlio e le
parole
che entrambi avevano detto mi avevano toccato il cuore. Feci gli
ultimi gradini con un sorriso ebete stampato in volto. Che,
però, si
spense non appena vidi Mauro appoggiato alla porta della stanza di
Dario.
«Ha
pianto il fratellino?» domandò con un sorriso
sornione.
«Mi
dispiace per te ma, no, non ha pianto. Anzi, non gliene frega nulla
di quello che pensate voi» sputai acida.
«Wow!
Che caratterino! Dove le nascondi le unghie, eh?» disse
sarcastico
facendo qualche passo verso di me.
Indietreggiai
di conseguenza trovandomi al bordo del gradino. Rischiai di ruzzolare
giù per le scale e rompermi l'osso del collo, ma
fortunatamente mi
fermai prima di tirare le cuoia. Mauro mi sorrise ed allungò
una
mano verso di me, sapendo bene che non potevo andare più
indietro di
così se non volevo precipitare. Mi afferrò un
braccio e mi spinse
verso di lui, verso un abbraccio da parte sua poco gradito.
«Sei
tutta bagnata» disse e c'era un che di sensuale nella sua
voce
«Rischi di ammalarti, così» e
cominciò a strofinare con estrema
delicatezza le sue mani contro la pelle delle mie braccia.
Incontrollato e soprattutto inaspettato un brivido mi percorse la
spina dorsale e non per il freddo ma per il suo tocco
destabilizzante. Lo odiavo con tutto il mio cuore, lo disprezzavo per
quello che aveva fatto a Dario, eppure era tremendamente bello stare
a contatto con il suo calore, sentire le sue mani su di me, vedere le
pupille di quegli occhi azzurri dilatarsi quando mi guardava. Tentai
di divincolarmi, di liberarmi dalla sua presa ma tutti gli stimoli
cerebrali non arrivavano alle terminazioni nervose, per cui rimasi
rigida tra le sue braccia, senza sapere cosa fare.
«Non
pensare che io ce l'abbia con te. Anzi l'ultima cosa che voglio
è
vederti piangere» mormorò con un tono di voce che
sembrava
smarrito «Soprattutto per mio fratello. Non devi
perdere tempo
con uno come lui. È solo un pezzente».
E il
fatto che avesse tirato in mezzo Dario, mi fece scattare come una
molla, risvegliò i miei nervi e fui in grado di allontanarlo
da me
con una spinta.
«Smettila,
smettila di parlare male di Dario!» quasi sbraitai e lui
rimase
spiazzato dalla mia reazione «Puoi dirmi tutto ciò
che vorrai, ma
tanto io continuerò ad amarlo»
«Sei
caduta anche tu nella sua trappola» ribatté con
tono basso «Ma
come si fa a resistere a quegli occhi dolci, no? A quello sguardo
meraviglioso».
Rimasi
silenziosa ad ascoltarlo parlare e non sapevo se dubitare davvero di
Dario oppure ignorare completamente le parole di Mauro. Sapevo di
dovermi fidare del mio ragazzo, ma la voce di suo fratello era
talmente convincente, quasi affranta che mi ritrovai sospesa in un
limbo di domande senza risposta.
«Lui
mi ama» dissi con voce tremante ed insicura.
Mauro
sorrise di sbieco e affondò le mani nei pantaloni della
tuta,
voltandosi per raggiungere la sua camera.
«Non
illuderti» mi avvertì «Sarai solo
l'ennesima ragazza che uscirà
da questa casa piangendo».
_________________________________________________
Hello
to everybody!
Eccomi qui come avevo promesso con il nuovo capitolo. C'è
davvero tanto da dire qui e spero di non dilungarmi troppo ^^"
Diciamo che il capitolo non si apre proprio nel migliore dei modi dato
che Alice scopre le foto di Sole dietro ai poster. È gelosa
di lei, ovviamente e crede che Dario sia ancora innamorato di lei. Poi
a complicare le cose arrivano anche i genitori del suo ragazzo.
Salvatore non è cattivo, in fondo...diciamo che è
il male minore lì dentro anche se non è uno
stinco di Santo nemmeno lui. Infatti glielo dice anche la moglie che ha
preferito la carriera al figlio. E la signora Nicoletta è
simpatica come un cactus infilato nel di dietro ^^" è una
donna con la puzza sotto il naso e la odio xD non c'è
nient'altro da aggiungere.
Parliamo invece di Mauro. All'inizio fa tutto l'affettuoso, il carino
anche con Dario, insomma un'altra persona da quella che avevam0 avuto
modo di vedere nello scorso capitolo. Ma in realtà era solo
un modo per rendere più amaro il boccone che ha dovuto
mandare giù Dario. La sorpresa si è rivelata
essere una bastardata. Mauro ha rivelato a tutti la sua scoperta e,
come c'era da aspettarselo, la family non ha affatto gradito. E non per
il figlio ma per il cognome che portano. Ma Alice si è fatta
valere e ha difeso il suo ragazzo con tutte le sue forze.
Dulcis in fundo l'uscita alla fontana di Trevi. Questa è la
prima volta che Alice parla della separazione dei suoi genitori e non
è che l'abbia vissuta benissimo. È stato molto
tenero Dario a preoccuparsi della sua situazione famigliare e ancor
più tenero quando le ha fatto lanciare la monetina nella
fontana. La cosa più importante di questo capitolo la avrete
intuita...Dario, finalmente, si è dichiarato e le ha detto
Ti amo ♥.♥ sono in brodo di giuggiole
>.< E non solo! Ha inciso anche le loro iniziali sul
tronco di un albero. Secondo me la scena in cui corrono sotto la
pioggia è le migliore >.< è
così romantica! Ma resta comunque da scoprire che cosa ha
desiderato Dario e se si avvererà soprattutto :) Mi
piacerebbe sentire le vostre ipotesi a riguardo!
E infine, dopo il riavvicinamento da parte di Salvatore e Dario, spunta
di nuovo Mauro. LA maggior parte di voi lo odia ed è
comprensibile. Non è certo un ragazzo simpatico e fa di
tutto per fasri odiare. Ma è più odioso di
Saronno? Io amo entrambi, a dir la verità xD
Vabbè...avrà ragione Mauro a dubitare e far
dubitare anche Alice? O lo fa solo per veder soffrire suo fratello?
(oggi sono in vena di domande xD)
Come al solito ringrazio le splendide persone che seguono la mia
storia, che la preferiscono e la ricordano. Quelle che leggono soltanto
e quelle che hanno recensito lo scorso capitolo, oltre a quelle che mi
sostengono su Facebook.
Come
in un Sogno - con Ionarrante.
Profilo
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Gruppo
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You
know that - pagina in cui potrete trovare
curiosità sui personaggi delle mie storie e di quelle di Ionarrante
Le
999 cose che la gente non sa degli scrittori
Crudelia
Graphic
Ci
becchiamo su FB e al prossimo capitolo. Vi dico solo di preparare i
fazzoletti ç___ç
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Capitolo 24 *** La differenza tra me e te ***
video
trailer
C a p i t o l o 23
La differenza
tra me
e te
betato
da nes_sie
Odiavo
Mauro Vitrano con tutto il cuore e non mi era mai capitato di provare
qualcosa del genere per una persona. Nemmeno con Cristina e Benedetta
avevo provato un sentimento tanto riprovevole come l'odio
così
intensamente. Ma lui era la cattiveria fatta a persona e godeva nel
vedere soffrire suo fratello. Non capivo come potesse disprezzare
così una persona che era sangue del suo sangue, per la quale
avrebbe
dovuto provare un amore immenso. Seppur io dicessi sempre di non
sopportare Smell e viceversa, tra me e lui c'era un bellissimo
rapporto e non sarei stata in grado di immaginare la mia vita senza
Raffaele. Invece Mauro avrebbe volentieri gettato Dario tra le fiamme
se solo ne avesse avuto l'opportunità. Magari tutta la colpa
non era
da attribuire a lui, ma a sua madre, Nicoletta. Era stata sicuramente
lei a trasmettere quell'odio nei confronti di Dario, e Mauro, ancora
bambino, si era lascito influenzare e non lo aveva mai accettato, non
aveva mai cercato di capire in realtà che persona splendida
fosse
suo fratello.
Ma, a quanto pareva, l'unico suo scopo
era rovinargli la vita. Ancora, dopo due giorni dall'accaduto,
continuava a lanciare frecciatine a Dario sul suo vecchio lavoro,
seppur l'argomento gigolò fosse stato
archiviato nel cassetto
dei brutti ricordi del signor Salvatore, che aveva chiaramente
espressola sua volontà di non parlare né sentire
nulla riguardante
quella brutta faccenda. Nicoletta era stata d'accordo, nonostante
fosse ancora visibilmente preoccupata per il buon nome dei Vitrano.
E, ovviamente, non rivolgeva più nemmeno la parola al
figlio, molto
probabilmente perché non lo meritava. Meglio
così, almeno sarebbe
stata un po' zitta.
Dario, dal canto suo, cercava di non
stare con a sua famiglia troppo a lungo. O stavamo tutto il giorno
fuori casa oppure rinchiusi in camera sua a parlare e scambiarci
tenere effusioni. Praticamente vedevamo la famiglia Vitrano solo a
cena, durante la quale si parlava il minimo indispensabile. Quel
dannato foglio aveva spaccato quella famiglia ancora di più,
separandoli maggiormente da Dario. Non vedevo l'ora che si svolgesse
quello stupido matrimonio e che me ne tornassi a Milano insieme al
mio amore e vivere felici senza l'oppressione di
Mauro&Co.
Per fortuna c'era Consuelo che, ogni tanto, con le sue battute
dall'accento spagnolo strappava una risata a tutti quanti.
L'orologio segnava l'una passata e il mio
stomaco brontolava. Dovevo solo resistere fino all'arrivo di Dario e
poi saremmo andati a pranzare insieme al suo amico di sempre. Adriano
mi sembrava si chiamasse. Solo che non sapevo come ingannare il tempo
dato che la casa era vuota. I tre
porcellini-medici-con-la-puzza-sotto-il-naso erano tutti in ospedale
e Consuelo era uscita per sbrigare delle commissioni, per cui ero
sola come un cane. L'unica cosa che mi rimaneva da fare, dopo aver
sentito alla radio il programma di Dario era dare un'occhiata in giro
per quella villa immensa, anche se non era di certo molto educato
sbirciare nella casa di qualcun altro. Sospirai e mi alzai dal letto
sul quale avevo poltrito fino ad allora ed uscii dalla camera. Spinta
da una strana curiosità andai nella camera di Mauro, subito
accanto
a quella di Dario.
Era molto ordinata, con un letto a una
piazza a mezza posizionato davanti alla porta ricoperto da lenzuola
color caramello. Era chiaro che non fosse la camera di un ragazzino,
ma di un uomo ormai adulto soprattutto per la sobrietà di
quella
stanza. Quello che mi colpì maggiormente fu una bacheca in
sughero
sulla parete destra tappezzata di foto. Alcune ritraevano Mauro in
mezzo ad un gruppo di bambini e ragazzini di colore e tutti
sorridevano felici. In un'altra aveva il tipico camice da chirurgo e
stringeva tra le braccia un neonato, con la madre del bimbo accanto a
lui. Poi una fotografia lo aveva immortalato piegato in avanti con un
sorriso dolcissimo mentre una bambina con le treccine gli baciava una
guancia. Non sembrava affatto che il ragazzo nelle fotografie fosse
il Mauro che avevo conosciuto. I suoi occhi non erano freddi e tutti
quei sorrisi sinceri mi toccarono il cuore, stranamente.
«Lì ero in Mogadiscio» la sua voce mi
colse di sorpresa e sobbalzai, voltandomi di scatto verso di lui.
«Non sapevo che saresti tornato così
presto» mi affrettai a dire avvicinandomi alla porta con
passo
svelto e lo sguardo basso «Non volevo invadere la tua
privacy».
Prima che riuscissi ad uscire dalla sua
stanza, però, Mauro mi afferrò per un braccio e
mi trascinò di
nuovo dentro.
«Tranquilla, non mi dà fastidio» mi
sorrise e rividi per un attimo lo stesso ragazzo ritratto in quelle
foto.
«Scusami, comunque» dissi mortificata
sentendomi una stupida per essermi fatta scoprire mentre curiosavo in
camera sua.
«Non ho nulla da nascondere» ridacchiò
e stranamente il suo tono non sembrava quello di una tipica battutina
nei confronti di Dario.
«I-immagino» balbettai.
«Fare il medico è sempre stato il mio
sogno. Credo che avrei intrapreso questa strada anche se i miei
genitori avessero fatto tutt'altro lavoro»
cominciò a spiegare,
soffermandosi a guardare le foto nella bacheca «Ho sempre
voluto
aiutare le persone e subito dopo aver preso la specializzazione mi
sono unito ai Medici senza frontiere per poter essere utile a queste
persone»
«Questo ti fa molto onore» mormorai
affiancandomi a lui. Molto probabilmente gli sbalzi di umore erano
una costante in casa Vitrano. L'atteggiamento cangiante di Mauro non
faceva altro che confondermi, che scombussolare la visione che avevo
di lui. Un attimo prima lo avrei strangolato e subito dopo tutto
l'odio che provavo per lui spariva perché avevo accanto
tutt'altra
persona.
«Grazie» disse compiaciuto sorridendomi
e per poco non svenni di fronte alla bellezza di quel viso etereo.
Sbattei più volte le palpebre e mi imposi di guardare dritto
davanti
me. Non potevo perdere la testa ed arrossire come un pomodoro di
fronte ad un qualsiasi bel ragazzo. Credevo di aver superato quella
fase, ma evidentemente non era così.
«Quanto sei stato lì?» domandai per
spezzare il silenzio che si era creato tra di noi.
«Tre anni e mezzo» sospirò «Mi
è
dispiaciuto molto dover partire. Per me erano come una seconda
famiglia».
Allungò una mano verso la bacheca e
afferrò la fotografia in cui la bambina con le treccine lo
baciava.
Mi parve che avesse gli occhi lucidi nel vedere quella fotografia e
quel suo sguardo smosse qualcosa dentro di me, all'altezza del petto.
Il mio cuore batteva forte, troppo forte e non sapevo nemmeno
perché.
Che cosa mi stava succedendo? Avevo per caso dimenticato cosa aveva
fatto a Dario?
«Lei era Na'zyia» disse ammollandomi la
foto tra le mani «Era orfana e aveva subito un delicato
intervento
cardiaco. Mi sarebbe piaciuto portarla in Italia con me, ma non ho
potuto»
«Perché?» domandai, stupidamente.
Mauro mi guardò con sguardo vuoto
spento, poi scrollò le spalle e ripose la foto nella bacheca.
«Purtroppo è morta» disse con tono
piatto, affondando le mani nelle tasche del completo elegante e
raffinato.
«Mi-mi dispiace» risposi abbassando lo
sguardo.
«La morte fa parte della vita» replicò
ritrovando per un attimo la freddezza che lo aveva caratterizzato
«E
io ci sono abituato, ormai, a vedere le persone morire. Anche se una
parte di te muore sempre insieme a loro».
Dove aveva tenuto nascosta la parte umana
di lui? E perché si ostinava a nasconderla a suo fratello?
Le sue
parole e il suo sguardo mi lasciarono totalmente spiazzata. Era come
convivere con una specie di Dottor Jekyll e Mr Hyde e la pozione che
lo trasformava nel mostro senza cuore era Dario.
«Ci tornerai dopo l'estate?» gli chiesi
e trovai il coraggio di guardarlo negli occhi.
Mai lo avessi fatto! L'azzurro
cristallino dei suoi occhi mi avvolse e mi sembrò quasi di
essere
stata inghiottita in un oceano caldo e sconfinato.
«No. Ho deciso di rimanere in Italia per
il momento» rispose con un sorriso di sbieco che i fece
seccare la
bocca «Ho già trent'anni e abito ancora con i
miei» allargò le
braccia e ridacchiò divertito «Credo che sia
arrivato il momento di
prendermi più cura di me stesso, di trovare una donna e
creare una
famiglia»
«E l'hai trovata questa donna?»
domandai e, istintivamente gli sorrisi. Stranamente mi sentivo bene
nel parlare con lui, mi sentivo tremendamente tranquilla e la
sensazione che mi dava stare così vicina a lui era piacevole.
«Non ancora» scrollò le spalle e si
lasciò cadere sul letto «Ma magari ce l'ho sotto
il naso e non me
ne rendo nemmeno conto» e mi scoccò un'occhiata
maliziosa. Per un
attimo credetti che si stesse riferendo a me, anche se era
praticamente impossibile dato che avevo quasi la metà dei
sui anni e
non ero attraente-barra-accattivante per uno come lui. Eppure mi
ritrovai a boccheggiare, a sudare e a sentire uno strano caldo
pervadermi il viso.
«Stai bene, Alice?» mi chiese con
sguardo furbo, alzandosi dal letto e facendo qualche passo verso di
me.
«Sì, sì!» ed annuii con
vigore.
«Strano, perché hai le pupille
dilatate. E le guance rosse» spiegò e le sue
labbra si avvicinarono
pericolosamente a me. Chiusi gli occhi e indietreggiai di un passo,
ma questo non gli impedì di appoggiare le sue labbra fini
sulla mia
fronte. Io che credevo che tutti avessero doppi fini con me. Che
stupida illusa che ero.
«Sei un po' calda» constatò e mi
afferrò il polso, tastandomelo con due dita e guardando il
suo rolex
d'oro «E hai il battito un po' accelerato» aggiunse
dopo un po'.
«Sto, sto, sto bene» balbettai, non
riuscendo nemmeno ad articolare una frase di senso compiuto e lo
strattonai per riprendermi la mano. In effetti scottavo, ma non per
colpa della febbre... per il suo enorme fascino.
Fortunatamente il clacson della macchina
di Dario interruppe quel momento di puro imbarazzo per me. Abbozzai
un sorriso e lo salutai con una mano, dileguandomi velocemente dalla
sua stanza senza nemmeno dargli una spiegazione.
«Alice» mi richiamò dalla rampa di
scale e mi voltai prima di scendere l'ultimo gradino «Non
farti
mettere i piedi in testa da lui. Non commettere lo stesso errore di
Sole. Ricordati: tu non sei la sua bambola».
Strinsi d'istinto la ringhiera tra le
mani ed annuii senza proferire parola. Il tono che aveva usato per
dire quelle cose non era il solito saccente e sufficiente che
utilizzava per la maggiore, ma era tremendamente sincero. C'era
qualcosa che Dario non mi aveva raccontato su Sole, ma non avrei
fatto pressione per saperlo. Ero certa che fosse cambiato
dall'adolescente che era, bastava pensare a come si era battuto per
non farmi andare al ballo con Davide. Nonostante tutto,
però, mi
sentivo inquieta.
Eravamo arrivati in quella
piccola ed
accogliente pizzeria da almeno mezz'ora, ma del fantomatico Adriano
nemmeno una traccia. Dario controllava ansioso l'ora ogni cinque
minuti ed ero sicura che non fosse così teso per il ritardo
del suo
amico, o almeno non solo. In quei giorni era sempre nervoso a causa
di tutta quella situazione che si era venuta a creare in casa Vitrano
per via di quel foglio. Nonostante l'argomento non venisse
più
nemmeno sfiorato da nessuno, lui continuava a soffrire di quella
situazione e si vergognava ancora di quello che era stato. Allungai
una mano sul tavolo ed incontrai la sua, stringendola tra le mie dita
e facendomi pervadere dal suo incantevole calore.
«Quando cazzo arriva?» borbottò
irritato accarezzandomi il dorso della mano con il pollice.
«Vedrai che adesso arriva» lo
rassicurai con un sorriso
«È da un'ora che continui a ripeterlo»
bofonchiò contrariato «Mi viene il dubbio che si
sia dimenticato di
venire» sospirò «Sarebbe da
Adriano»
Un sorriso crebbe sulle sue labbra
morbide e finalmente rividi, dopo quasi due giorni, il Dario di cui
mi ero innamorata e non il ragazzo scontroso e nervoso come solo una
donna in pieno ciclo mestruale poteva essere. Sorrisi di rimando e
liberai la sua mano, appoggiando i gomiti sul tavolo e fissando
incessantemente la porta del ristorante. Erano le due passare e il
mio stomaco reclamava cibo, ma di Adriano nessuna traccia. Cominciai
a fantasticare su questo ragazzo. Immaginai che non fosse uno
sfigato, insomma, uno come Dario non si sarebbe mai affiancato ad un
Alberto qualunque, ma uno di quei ragazzi ciondolante che passava la
vita in discoteca, tra drink e ragazze. Rabbrividii al solo pensiero
di trovarmi davanti ad un truzzo galattico.
«Se non arriva entro cinque minuti,
ordiniamo e basta!» commentò esasperato Dario,
tamburellando il
dito sul tavolo «Me so' rotto il cazzo di aspettare. Se lo
becco gli
spacco la faccia»
E come se qualcuno lo avesse avvisato del
pericolo che correva non presentandosi, un tipo che subito capii
fosse Adriano, senza in realtà saperne il motivo,
varcò la soglia
del ristorante. Era alto, molto più di Dario, poteva
raggiungere ad
occhio e croce la stessa altezza di Federico e si stava dirigendo
dinoccolato verso di noi, lanciando qualche occhiata cerulea e
maliziosa alle cameriere che gli sfrecciavano accanto. Come
sospettavo, era un tamarro, di quelli che adorava sfoggiare le
mutande di marca e che avrebbe potuto intraprendere il viaggio in
giro per l'Italia insieme a Fiammetta Cicogna e agli altri esseri
della sua specie.
Si passò una mano tra i capelli
biondicci, facendo poi l'occhiolino ad una giovane cliente senza
minimamente interessarsi al fidanzato che le era seduto di fronte.
Dio mio! Si prospettava un pranzo lungo insieme a quel troglodita.
«Anvedi chi ce sta!» urlò, disturbando
il resto dei clienti.
Dario si alzò e si voltò non appena
sentì la sua voce, sorridendo felice di aver ritrovato il
suo
vecchio amico. Scattai anche io dalla sedia pronta per presentarmi ad
Adriano, affiancandomi al lato corto del tavolo e pensai che magari,
in fondo, non era poi male come ragazzo. Lo avevo giudicato troppo
velocemente senza nemmeno conoscerlo. Se Dario gli voleva
così tanto
bene non poteva essere un decerebrato, no?
«A bello, te davo pe' spacciato!»
continuò, abbracciando Dario e dandogli una pacca sulla
schiena.
«Che fine avevi fatto, Adrià?»
domandò
stizzito «È da n'ora che t'aspetto!»
«Che te devo di'! 'na pischella m'ha
tenuto per le palle per un po'» gongolò
soddisfatto.
No, okay, la prima impressione era quella
giusta. Come poteva Dario essere amico di un tipo come quello? Magari
c'era qualcosa in lui, qualcosa di speciale che io non riuscivo a
vedere, che forse non volevo vedere e che molto probabilmente non
avrei mai visto. Ma poco mi importava. Per me contava che Dario
fosse felice, con lui o con qualsiasi altra persona.
«Sei sempre il solito!» sospirò
ridacchiando «Quand'è che crescerai?»
«Che, mi fai la predica, paparino?» si
stizzì Adriano, sedendosi nel posto accanto a Dario
«E tu, l'hai
spaccata la città del Berlusca? Quanti culi hai sfondato,
eh?»
ridacchiò malizioso, dandogli una pacca sulla spalla.
Rimasi impietrita, in piedi, a fissare
quei due che ridevano rumorosamente parlando di sesso nel modo
più
volgare che io avessi mai sentito.
«Parecchi!» rispose divertito.
Per forza, con il lavoro che faceva!
Dedussi che Adriano non sapesse nulla della vita milanese di Dario,
anzi, che non sapesse proprio niente del suo migliore amico, se non
quello che il mio ragazzo gli aveva voluto mostrare. Lui era uno di
quelli che si era fermato alla superficie, al Moro e che non si era
addentrato nella vera personalità di Dario.
«Che hai combinato in 'sti cinque anni,
eh, fratè?» domandò al mio ragazzo
stringendogli la spalla in modo
poderoso.
«Niente di che» Dario scrollò le
spalle e sospirò «Le cose che facevo qui.
«Poi me spiegherai che cazzo t'è preso»
borbottò Adriano «Te ne sei scappato lasciandomi
qua come 'no
stronzo».
Dario ridacchiò nervosamente e si grattò
la nuca e mi resi sempre più conto di quante cose non
sapesse in
realtà Adriano del suo migliore amico. Nono lo conosceva
affatto e
magari non aveva mai avuto voglia di conoscerlo.
«Avevo bisogno di staccare un po'»
rispose rimanendo sul vago.
«Cinque anni?» disse perplesso Adriano
abbassando un sopracciglio «Ammettilo, te eri rotto li cojoni
delle
ragazze di qui e te sei trasferito per le fighe milanesi, eh, vecchia
volpe?» ammiccò sgomitando.
«Me le ero fatto tutte, qui, amico!»
rispose per le rime il suo amico che non mi sembrava nemmeno
più il
mio Dario.
Adriano strinse la mano del suo best
friend e ridacchiarono entrambi sembrando due allupati.
«E tu? Con le tipe?» gli domandò il
mio ragazzo.
Cioè, questi due non si vedevano da
cinque anni e ciò che interessava loro erano le tipe? Ero
assolutamente sconvolta e senza parole.
«Cioè, Da', non puoi capi'!»
esclamò
passandosi una mano sulla barba biondiccia «L'altra volta
stavo ar
Piper e a 'na certa una non s'avvicina a me e me dice 'Voi anna' ar
bagno?'. A me nun me scappava, quindi jo detto de no. Però
quella
'nsisteva. Alla fine ho capito che voleva che la schiacciassi come
'na spremuta!» concluse, tutto esaltato, battendosi il cinque
con un
Dario tutto fomentato.
«L'avrai spompata, a quella!» commentò.
«Puoi dirlo, fratè! Nun se reggeva in
piedi!»
Quei due, Adriano e quello che doveva
essere il mio ragazzo, scoppiarono a ridere come degli imbecilli. Da
quando aveva messo piede nel ristorante quel biondino, Dario era
diventata un'altra persona, qualcuno che non conoscevo, forse il Moro
che tanto odiava ma che ancora fingeva di essere.
«Ah, fratè! Domani pomeriggio c'è 'na
partita al campetto. Siamo a corto di uno, te va de gioca'?»
«Ok» rispose il mio ragazzo non molto
convinto, scrollando le spalle.
«Come ai vecchi tempi, amico!» esclamò
Adriano stringendolo a lui.
Tossicchiai, cercando di attirare la loro
attenzione, visto che mi stavano completamente ignorando. Appena
Dario incontrò il mio sguardo stizzito sorrise bonariamente,
mentre
Adriano mi squadrò con un sopracciglio abbassato da capo a
piedi.
«Ce porti due Martini, per ora» disse
scocciato, forse scambiandomi per la cameriera.
«Come, prego?!» mi indispettii.
«Che, nun ce senti?» urlò, indicandosi
un orecchio «D U E M A R T I N I!»
«Adrià» mormorò sommessamente
Dario,
cercando di attirare l'attenzione del suo amico, che, però,
aveva
occhi solo per me.
Infatti mi stava scrutando con le sue
iridi cerulee e confuse, non capendo perché stessi ancora in
piedi
come una cretina ad osservarli.
«Ma che cazzo vole 'sto cesso?» sgomitò
Dario e parlò a bassa voce, ridacchiando, ma lo sentii
comunque. E
la rabbia e la voglia di prenderlo a padellate in faccia cresceva a
dismisura. Mi sedetti di fronte a loro, strisciando la sedia e
incrociando le braccia al petto regalando il mio sguardo stizzito al
muro.
«'sto cesso sarebbe la mia ragazza»
rispose Dario, abbozzando un sorriso.
Adriano sbiancò tutto d'un colpo dopo
essersi reso conto della figuraccia appena fatta.
Boccheggiò,
indicando prima me e poi Dario, sgranando quegli già enormi
occhi
azzurri.
«Cioè, quindi, voi due...»
lasciò in
sospeso la frase, assottigliando lo sguardo.
«Già, stiamo insieme»
completò Dario,
allungandosi verso di me in cerca di un contatto che non gli
concessi. Mi regalò uno sguardo colpevole che,
però, non mi sfiorò
nemmeno «Alice, lui è Adriano. Adriano, lei
è Alice».
Il biondino si affrettò ad allungarmi
una mano, che afferrai con decisione e rabbia. Gliela avrei strappata
se solo avessi avuto la forza.
«Piacere» mormorò in colpa per quello
che aveva detto poco prima.
«Nessun piacere di conoscerti» risposi,
indispettita ed offesa sia da come mi aveva definita quel cafone, sia
per i suoi argomenti di conversazione molto poco interessanti.
«Eddai, stavo a scherzà»
esclamò
ridendo come uno scemo «Non sei un cesso. Sei
passabile» e scrollò
le spalle.
«Oh, ma grazie!» dissi sarcastica «Tu
sì che sei proprio un ragazzo a modo. Una ragazza, con certi
complimenti, potrebbe sciogliersi»
«'sta pischella è un po' acida»
borbottò scocciato. Poi diede una gomitata al suo compare e
si
avvicinò al suo orecchio «Peggio di un dito ner
culo» aggiunse.
Fin da quando ero piccola, avevo
sviluppato un udito molto fine per poter origliare le discussioni dei
miei genitori che, per non disturbarci e non farci preoccupare,
parlavano in toni moderati. Ma io sapevo bene che si stessero
insultando a vicenda, per cui mi appostavo dietro la loro porta per
sentire ciò che si dicevano. Cose poco carine, ovviamente. E
il
commento di quell'Adriano non fu difficile da percepire. Dire che non
lo sopportavo era troppo riduttivo. Ancora non riuscivo a capire che
cosa avesse in comune con Dario, il mio Dario, quello che avevo
conosciuto, il ragazzo fragile come un bicchiere di cristallo, il
ragazzo sensibile e romantico che arrossiva per un complimento.
Sembrava quasi che lui non ci fosse più, che avesse
indossato
nuovamente la sua maschera per nascondersi, per paura di mostrare al
suo amico chi fosse realmente. E non mi piaceva affatto questo suo
atteggiamento. Credevo che ormai avesse deciso di abbassare le sue
difese davanti a tutti, di lasciarsi finalmente andare ed invece
preferiva ridere di me insieme al suo compagno di scorribande
dell'adolescenza.
«Oh, sono davvero felice che vi stiate
divertendo alle mie spalle» dissi, ironica, richiamando con
una mano
il cameriere «Continuate pure a ridere di me»
«Ma dai, Alice» tentò di dire Dario,
asciugandosi una lacrima.
«Alice cosa?!» tuonai, stizzita.
«Su, non fare l'arrabbiata, piccola»
addolcì il tono.
«Io non faccio l'arrabbiata, io SONO
arrabbiata!» sbraitai, fuori di me, con gli occhi neri di
Dario e
quelli azzurri di Adriano puntati addosso.
«E perché mai? Cosa ho fatto?»
domandò
seriamente confuso il mio ragazzo.
«Hai anche la faccia tosta di fare
queste domande?» esclamai incredula.
Dario sbuffò sonoramente, passandosi una
mano sul viso, mentre il suo amico rideva sotto i baffi nel vedermi
così adirata. Se solo l'omicidio fosse stato legale, non
avrei perso
tempo a strangolarlo. Ma, forse, se avessero saputo che la vittima
era Adriano mi avrebbero dato una medaglia al valore per aver fatto
fuori un tipo così.
«Guarda! Lui ride di me e a te non
importa!» sbraitai fuori di me battendo una mano sul tavolo.
Scattai in piedi e mi ritrovai davanti il
cameriere che avevo chiamato poco prima. Alzò un indice come
a
volermi fermare ma io lo mandai malamente a quel paese nonostante lui
stesse cercando solo di fare il suo lavoro.
Avevo bisogno di allontanarmi da lì, di
prendere una boccata d'aria e di non vedere quei due per alcuni
minuti. Entrambi mi avevano fatto uscire dai gangheri. Adriano con i
suoi modi di fare, il suo atteggiamento arrogante e il suo orribile
modo di parlare. Ma, soprattutto, era stato Dario a farmi arrabbiare,
con quel suo nascondersi dietro qualcuno che non era calpestando se
stesso e i miei sentimenti.
Uscii dal locale sotto il sole cocente
delle due e mezza. Poco mi importava del caldo di quella giornata di
inizio luglio, l'importante era stare lontana dai quei due prima di
perdere le staffe e commettere qualche omicidio. Erano riusciti anche
a farmi perdere l'appetito. Presi un respiro profondo e tentai con
tutte le mie forze di non piangere per il nervoso. Tremavo talmente
ero tesa e credevo che da un minuto all'altro mi sarebbe venuto un
infarto.
Dei passi riecheggiarono dietro di me e
immaginai subito che quel passo così deciso appartenesse a
Dario, ma
non mi voltai non per vedere un ragazzo che non era il mio fidanzato.
«Scusami, Alice» disse mortificato
fermandosi dietro di me.
«E lei chi sarebbe?» domandai
sarcastica e brusca voltandomi quel tanto che bastava per guardarlo.
Aveva lo sguardo basso con le mani nelle
tasche dei jeans e calciava un sassolino capitato per sbaglio tra i
suoi piedi.
«Non fare la scema» mi riprese con tono
bonario.
«Io non devo fare la scema? Io?» chiesi
spazientita voltandomi del tutto e facendo ricadere pesantemente le
braccia lungo i fianchi «Sei tu che ti sei messo a ridere di
me con
quel decerebrato del tuo amico»
«Non stavo ridendo di te, piccola mia»
rispose dolcemente e mi strinse la mano nella sua. Era impossibile,
per me, rimanere arrabbiata con lui, soprattutto quando faceva il
tenero e mi guardava con i suoi enormi occhi da cucciolo spaesato. Ma
dovevo tenere il broncio ancora per un po' se non volevo risultare
una cretina «Ridevo per le sue battute. Non mi sognerei mai e
poi
mai di divertirmi alle tue spalle»
«Sì, certo» bofonchiai «Le
battute
erano su di me se non te n'eri accorto»
«Ma mi faceva ridere solo il tono con
cui diceva quelle cose, non il soggetto» rispose e mi
baciò il
dorso della mano «Io ti amo, Alice» disse in un
soffio con un
sorriso che avrebbe ammansito anche la creatura più feroce
«Mi
perdoni?»
Schioccai la lingua e alzai lo sguardo al
cielo, tamburellando il piede sull'asfalto. Non poteva fare
così
sapeva che non ero in grado di resistergli.
«Non basta un semplice Ti amo e
un Mi perdoni» mi imposi. Una volta ogni
tanto dovevo essere
ferma nelle mie decisioni. Dovevo farlo sentire un po' in colpa, poi
lo avrei perdonato.
«Non fare la cattiva, Alice» piagnucolò
e sfoderò, subdolamente, il labbro tremulo prima di
affondare il
viso nel mio petto e strusciare il naso nell'incavo tre i miei seni.
E quello fu il colpa di grazia. Cedetti come una stupida alla sua
dolcezza e lo strinsi a me baciandolo tra i capelli.
«Sai sempre come farti perdonare tu,
eh?» chiesi retorica.
Dario alzò il viso verso di me e sorrise
sornione, unendo poi le sue labbra alle mie. Mi baciò con
trasporto
e passione, abbracciandomi forte a lui come se non volesse farmi
scappare. Era conscio del fatto di aver sbagliato ed ero sicura che
era dispiaciuto per l'accaduto, soprattutto dal modo travolgente con
cui mi stava baciando. In quel contatto bruciante ritrovai il mio
amato Dario e non quel deficiente che parlava con Adriano ed ero
felice che aveva capito il suo errore. Significava molto per me anche
se era una minuzia, ma mi bastò per capire quanto lui
tenesse a me e
quanto mi amasse. Era una sensazione fantastica quella di essere
amata, soprattutto se a farlo era una persona speciale come Dario.
«Mi dispiace davvero tanto» sussurrò
sulle mie labbra e il suo fiato si infranse nella mia bocca.
«Tranquillo» dissi baciandolo a fior di
labbra «L'importante è che la smetti di fare lo
scemo»
«Promesso!» esclamò portandosi una
mano sul cuore e strofinando il suo naso contro il mio.
«Torna dentro dal tuo amico deficiente»
ridacchiai e lui mi sorrise.
«Tu non vieni?» domandò dubbioso
staccandosi a fatica da me.
«Ho bisogno di un po' d'aria. Arrivo
subito»
Dario annuì e mi baciò ancora una
volta, poi di nuovo e un altro ancora, assaporando per un solo
istante le mie labbra e sfiorando con la punta della lingua la mia.
Erano brevi contatti che bruciavano più del fuoco che
facevano
crescere in me la voglia di sentire quelle labbra unite alle mie per
l'eternità. Il fatto era che il suo sapore era una droga per
me e
sentivo la necessità costante di averlo sulle mie labbra. Si
allontanò da me, ancora con la mano stretta nella mia che
ricadde
poco dopo, quando lui rientrò nella pizzeria. Rimasi a
guardare la
porta per non so quanto tempo, sorridendo come una scema. E non era
colpa mia, ma di Dario. Era lui che mi faceva sentire così
felice e
mi veniva naturale sorridere quando ero con lui o semplicemente
quando lo pensavo.
Forse ero stata troppo precipitosa nel
perdonarlo, in fondo gli erano bastate due moine per farmi cedere. Ma
ormai ero sicura di ciò che provavame, sapevo che mi amava e
ormai
mi fidavo ciecamente di lui. Non avevo più bisogno di
certezze
perché lui era stato in grado di darmele a poco a poco,
dimostrandomi con la sua dolcezza e la sue preoccupazione il suo
amore. Sospirai ed entrai nuovamente nella pizzeria intenzionata ad
ignorare completamente Adriano. Già c'era la famiglia
Vitrano a
rovinare tutto e non volevo che quello scemo rovinasse la nostra
vacanza ancora di più. Camminai lentamente e mi fermai
qualche passo
più indietro rispetto a loro, sogghignando tra me e me.
Sarei
arrivata lì di soppiatto e li avrei fatti spaventare,
prendendomi
una sorta di rivincita. In punta di piedi diminuii le distanze tra di
noi ma mi immobilizzai non appena sentii parlare Adriano.
«Che te sei fumato, fratè?» gli chiese
con tono di rimprovero «Co' tutte le bonazze che ce stanno,
proprio
con 'na scorfana come quella dovevi metterti?».
Mi nascosi dietro un'alta pianta che
c'era un po' più indietro del nostro tavolo ed attesi la
risposta di
Dario, stritolando una povera ed innocente foglia. Non ero Megan Fox,
ovviamente, ma non ero nemmeno 'sto cesso di cui parlava Adriano.
Più
o meno.
«Che te devo dì, Adrià»
sbuffò Dario
«Me 'sta appiccicata come una cozza»
«Perché è 'na cozza!» si
sbellicò
Adriano, ma me ne importò relativamente dato quello che
aveva appena
detto il mio ragazzo. O forse avrei dovuto dire ex-ragazzo.
«Che cazzo aspetti a mollarla? Non ha
manco le tette!» ed entrambi scoppiarono a ridere come degli
imbecilli. La risata di Dario era come una coltellata nel petto, che
mi squarciò il cuore a metà.
«Per adesso sto bene così» rispose
vago Dario.
«Ma avete già scopato?»
«Ovvio! Pensavi forse che non riuscissi
a portarmi a letto una ragazzina?» rispose e il suo tono era
quasi
trionfale. Ogni sua parola era un pesante mattone che mi cadeva
addosso e che mi seppelliva lentamente. Perché diceva
così? Era
vero quello che stava dicendo al suo amico? Per lui ero solo una
ragazzina cozza che gli si era appiccicata?
«E com'è che te se alza co' quella?»
abbassò il tono come per non farsi sentire da qualcuno.
«Penso a Martina. Quella gnocca di
Martina» rispose Dario ed io mi sentii morire a poco a poco.
Avevo
le gambe molli e il cuore sembrava che non battesse più nel
petto.
Lui me lo aveva strappato in quell'esatto momento e ci stava giocando
abilmente. Dopo tutto quello che aveva fatto per me, dopo tutto
quello che mi aveva detto, perché diceva cose del genere?
Non aveva
alcun senso!
«Così sì che te viene duro!»
ridacchiò Adriano «Però
fratè, mollala prima che si innamori di
te. Poi non te la scolli più di dosso»
«È già innamorata»
sospirò Dario e
il suo tono sembrò addolcirsi momentaneamente. Era pazzo,
completamente pazzo.
«Fratè, che cazzo è quello sguardo
languido?» si stizzì Adriano «Non dirmi
che te se preso 'na cotta
per quella»
«Ma neanche morto!» esclamò indignato
il mio ragazzo «I miei l'hanno beccata a casa mia dopo che ci
eravamo divertiti, insomma ed erano convinti fosse la mia ragazza.
Così ho mantenuto il gioco. Me la sono portata appresso a
Roma per
il matrimonio di mia cugina, così la smettono di dire che
salto da
un letto all'altro»
«Oddio, Da'! Sei proprio 'no stronzo!»
esultò il decerebrato.
«Già. Sono uno stronzo»
ripeté a
malincuore.
«Me sembra quasi che stiamo a pija per
il culo quella balena di Sole!» si sganasciò e con
lui anche Dario.
«Che sfigata che era» ricordò il mio
ragazzo «Quasi quanto Alice. E tutte e due si sono innamorate
del
sottoscritto. Che fallite»
«La D'amato ti veniva dietro?» si stupì
Adriano.
«Sì. Che schifo. Solo ad immaginarla
sopra di me nuda con tutto il lardo che balla mi viene il volta
stomaco!»
Basita, incredula, schifata da tutto
quello che avevo sentito mi allontanai dalla pianta dietro la quale
mi ero appostata. Chi cavolo era quel ragazzo seduto insieme ad
Adriano? Non di certo lo stesso che avevo conosciuto io qualche mese
prima. Aveva cambiato la sua vita per me e mi aveva dichiarato il suo
amore, scrivendo addirittura le nostre iniziali su un tronco
d'albero. Non poteva avermi mentito così spudoratamente solo
per
portarmi al matrimonio di sua cugina e far credere di essere la sua
ragazza. E allora perché si comportava così?
Perché aveva
indossato di nuovo la maschera di quel maledetto Moro?
Perché,
ne ero più che certa, era lui in quel
momento. E poi come
aveva parlato di Sole, con un disprezzo spiazzante. Era stato il suo
primo amore e lo avevo capito che era stato innamorato di lei dalle
foto che aveva nascosto dietro i poster.
Era uno stronzo, aveva ragione
Adriano. Aveva detto tutte quelle menzogne solo perché si
vergognava
di me, di essere il mio ragazzo e di amarmi. E questo feriva di
più,
cento volte di più di una pallottola conficcata nel petto.
Avrei
preferito che le cose che aveva detto fossero vere, che mi trovasse
un cesso e che gli facevo schifo piuttosto che essere trattata come
il Gobbo di Notre Dame, costretta a nascondermi perché si
vergognavano di me.
Di fretta cercai di abbandonare il
locale, ma sbattei contro un cameriere facendogli cadere il vassoio.
Avevo gli occhi annebbiati e non avevo nemmeno notato che mi si era
parato davanti. Mi scusai velocemente e mi voltai incontrando gli
occhi sgranati di Dario. Aveva intuito che avessi sentito tutto,
infatti si alzò velocemente per raggiungermi. Ma io non
volevo avere
più nulla a che fare con lui, con uno psicopatico dalla
doppia
personalità. Uscii di fretta dal locale e corsi come non
avevo mai
fatto nella mia vita. Volevo e dovevo scappare da lui, da quella
città, tornarmene a Milano dai miei amici, da Cristina,
Claudia e
soprattutto Federico. Avevo una voglia infinita di vederlo in quel
momento, di sentirlo vicino a me perché lui era l'unico in
grado di
consolarmi.
«Alice!» lo sentii che mi chiamava ma
non mi voltai nemmeno. Con me aveva chiuso. Che si trovasse una
gnocca, così le sue cazzo di apparenze sarebbero state salve!
«Alice, porca puttana, fermate!»
sbraitò ancora ed io lo ignorai.
Svoltai al primo incrocio che trovai ed
era inutile dire che non sapevo nemmeno dove fossi. Tanto non mi
interessava. La priorità in quel momento era scappare,
allontanarmi
il più possibile da Dario e tornarmene a casa mia. Avevo il
fiato
corto e faticavo a respirare. Non ero abituata a correre
così tanto
e così mi fermai un secondo per riempirmi i polmoni di
ossigeno,
piegandomi sulle ginocchia. Solo in quel momento mi accorsi che stavo
piangendo per via delle lacrime che caddero sull'asfalto. Mentre ero
intenta a riprendere fiato e ad asciugarmi le lacrime, Dario mi
raggiunse.
«Vaffanculo!» urlai con quel poco di
respiro che mi rimaneva.
«Hai sentito tutto?» domandò anche lui
con la voce spezzata dalla fatica e dal dispiacere.
«Sparisci» sibilai e mi sollevai
continuando a dargli le spalle.
«Non penso nemmeno una parola di quello
che ho detto» ammise e la sua voce tremava.
Mi girai verso di lui e mi morsi entrambe
le labbra per impedire alle lacrime di uscire ancora. Era davvero
dispiaciuto, i suoi occhi erano pieni di tristezza ma questa volta
non sarei crollata di fronte alle sue iridi. Non avrei dovuto fidarmi
di lui e quella era l'ennesima conferma di quanto fossi stupida, di
quanto fossi ingenua.
«E allora perché le hai dette?»
strinsi i pugni e un groppo mi si formò in gola.
«Perché era quello che voleva sentirsi
dire Adriano» rispose allargando le braccia e facendole
ricadere
lungo i fianchi.
«Non era meglio che tu gli dicessi la
pura e semplice verità?» lo rimbeccai io alterata.
«Non potevo, Alice!» esclamò lui
mettendosi le man nei capelli e scuotendo la testa.
«Perché?» urlai fuori di me
«Perché
non sono una modella? Perché non sono bionda e non ho gli
occhi
azzurri? Perché non porto una quarta di reggiseno e non sono
una
strafiga come Martina?» elencai con un
tono di voce talmente
alto che sentii la gola bruciarmi intensamente.
Dario si morse il labbro inferiore e fece
qualche passo verso di me. Era nervoso e i suoi movimenti era
disconnessi, ma non mi importava nulla di vederlo in quello stato. Il
suo comportamento era stato riprovevole nei miei confronti.
«Adriano è l'unico amico che mi sia
rimasto e a lui non è mai importato nulla di come fossi
realmente.
Gli interessava solo la facciata e io non voglio deluderlo»
abbassò
il tono e con lui il capo.
«Ma facendo così deludi me!» sbraitai
al limite della pazienza.
«Ma cazzo, lo sai che ti amo!» urlò
anche lui e una vena serpeggiò sul suo collo. Era paonazzo
ed
arrabbiato, esattamente come me. Ma questa volta non sarei stata io
la prima a cedere.
«A questo punto non lo so più» dissi,
anche se non pensavo veramente quelle parole. Sapevo che mi amava, ma
ero troppo arrabbiata in quel momento per pensare lucidamente.
«Che cazzo devo fare ancora per
dimostrare che ti amo?» sbraitò talmente forte che
la voce gli si
strozzò in gola «Ho dato una svolta alla mia vita,
ho inciso i
nostri nomi su quel tronco, ho menato quella specie di orribile troll
perché ero geloso. Che cazzo vuoi di più? Che lo
urli al mondo
intero? Che faccia degli striscioni giganti e li appenda in tutta la
città?».
Sorrisi incredula e scossi la testa. Non
capiva, non riusciva ad arrivare a quale fosse realmente al problema.
«Non ho bisogno della tua stupida
teatralità» sputai acida.
«E allora quel è il problema?»
domandò
infuriato stringendomi le spalle e sbattendomi contro al muro.
Eravamo entrambi senza fiato, respiravamo a fatica e i nostri petti
si scontrarono più volte. I suoi occhi neri erano
attraversati da
lampi di rabbia e avevano perso gran parte della loro magnificenza.
Sembravano vuoti, non sembravano nemmeno quelli di Dario.
«Tu ti vergogni di me» sibilai a denti
stretti senza interrompere il nostro contatto visivo
«È questo il
problema. Mi ami eppure non hai il coraggio di dire ad Adriano quello
che senti per me solo perché non sono bella come
vorresti» il mio
tono di voce si abbassò e le corde vocali vibrarono,
producendo uno
suono vibrante. Il groppo in gola si intensificò,
espandendosi in
una morsa che intrappolò la bocca dello stomaco e il mio
cuore. Lo
sentivo proprio contorcersi nel petto e far male. Provavo un dolore
quasi fisico come se qualcuno me lo stesse calpestando senza ritegno.
«Ma Alice tu sei bellissima» replicò
lui con voce dolce, accarezzandomi la guancia con il dorso della
mano. Gli afferrai un polso con decisione e allontanai le dita dalla
mia gota. Il contatto con la sua pelle bruciava ancora e non potevo
rimanere indifferente al suo odore. Solo per quello lo scostai da me,
perché sennò sarei crollata di nuovo e non
volevo. Ma probabilmente
lui aveva travisato il mio gesto e si incupì, contraendo la
mascella.
«Non abbastanza per due come voi»
ribattei con il cuore in piccoli pezzi.
«Scusami, Alice» sospirò «Mi
sono
comportato da stronzo, ok? Sono un bastardo e mi metto pure in
ginocchio se serve a farmi perdonare»
«Cosa credi? Che sono necessarie sempre
due occhi dolci e un labbro tremulo per farmi cedere?»
sbottai
imbestialita «Quello che non capisci è che tu mi
hai mentito».
Dario sgranò gli occhi e mi guardò
spaesato, annaspando e senza nemmeno riuscire a farmi alcuna domanda.
«Avevi detto di odiare questo Moro ma
quello seduto al tavolo mi sembrava proprio lui» gli sputai
in
faccia quelle parole con rabbia «Superficiale, bastardo e
insensibile»
«Non ti ho mentito!» si sgolò e diede
un pugno alla parete dietro di me facendomi spaventare e chiudere gli
occhi di riflesso «Tu non sai nemmeno quanto io abbia odiato
fingere
di essere quello che non sono»
«E perché lo hai fatto ancora? Perché
ti ostini a vivere nel passato? A nasconderti dietro chi non
sei?»
urlai con gli occhi spalancati dai quali volevano uscire le lacrime.
Lui rimase con la bocca dischiusa e il
pungo ancora serrato contro la parete. Le sue iridi vagavano e
sfuggivano al mio sguardo, non riuscendo a sostenere i miei occhi
pieni di delusione nei suoi confronti.
«Come pretendi che la gente ti voglia
bene se non sa nemmeno chi sei?» continuai il mio monologo
con voce
stridula. La gola era secca, mi bruciava e faticavo anche a parlare.
«Io... io...» farfugliò e
deglutì a
fatica «Ma tu sai chi sono, è questo
l'importante»
«No, non lo so più» scossi la testa e
mi morsi il labbro lasciandomi sorprendere dal pianto. Mi faceva male
vederlo così, ma era ancora più doloroso sapere
che lui avrebbe
sempre fatto finta di non amarmi, di stare con me solo per
compassione. Lo amavo ma se per lui era più importante
l'apparenza
allora era meglio lasciarlo andare.
«Tu pendi dalle labbra degli altri e ti
interessa solo apparire figo davanti a loro» ripresi a
parlare
mentre lui mi guardava sempre più sconvolto «E pur
di non mostrarti
nella tua fragilità, calpesti te stesso e gli altri, come
hai fatto
con me e il nostro amore. Come hai fatto anche con Sole» gli
occhi
di Dario si dilatarono maggiormente, forse perché sapeva
dovevo
volevo arrivare con il mio discorso.
«Anche a te è sempre interessato il
pensiero altrui sennò non mi avresti chiamato
perché fingessi di
essere il tuo ragazzo» ribatté con voce roca.
«Ma le mie erano bugie innocenti che non
ferivano nessuno se non me stessa!» urlai e la mia voce ne
uscì
gracchiante perché la gola mi bruciava ed era un miracolo se
riuscivo ancora a parlare «Le tue, invece, fanno male e ne
hanno
fatto tanto anche in passato!»
Dario abbassò il viso scuotendo con
vigore la testa e sbatté il palmo della mano contro la
parete dietro
di me strappandosi un mugolo di dolore.
«Io non voglio perderti Alice. Ti prego,
scusami» la sua voce uscì come un lamento e mi
colpì dritto al
cuore. Sussultai e le mie gambe divennero di burro, ma mi ressi in
piedi per miracolo.
«Così facendo succederà,
Dario» dissi
con le lacrime che mi solcavano il viso «Io ti amo, ti amo da
morire. Ma io mi sono innamorata di Dario, il ragazzo fragile ed
insicuro che ha pianto tra le mie braccia sul tuo balcone e non del
Moro. Non so nemmeno chi sia e non ho intenzione di
dividere
nulla con lui»
Attesi una sua replica, una sua parola,
qualcosa da lui, ma non arrivò nulla. Mi fissava disperato e
basta
scuotendo la testa e umettandosi le labbra di continuo. Quella
vacanza era iniziata davvero male ma non avrei mai immaginato che si
sarebbe terminata nel peggiore delle ipotesi. La nostra storia ci
stava scivolando lentamente tra le mani come acqua fresca e nessuno
dei due sapeva come bloccare quell'incessante scorrere che avrebbe
portato il nostro amore alla deriva. Lo scansai con delicatezza e lui
non oppose resistenza. Mi allontanai di qualche passo e mi voltai a
guardarlo per un'ultima volta.
«Ti prego, Alice, scusami» mi supplicò
raggiungendomi e abbracciandomi forte «Mi dispiace davvero
tanto, ma
ti prego non te ne andare».
Mi baciò sul collo e strusciò il naso
contro la mia pelle. Le sue mani viaggiarono sulla mia schiena
portandosi in avanti ed intrufolandosi nella mia maglietta per
sfiorarmi il ventre.
«Dai, torniamo a casa e non pensiamoci
più» mormorò roco e seducente.
Mi stavo sciogliendo lentamente tra le
sue braccia e le sue labbra erano due carboni ardenti sulla mia pelle
che mi bruciavano e mi eccitavano da impazzire. Ma anche se vacillavo
di fronte a lui, rimasi irremovibile nella mia rabbia. Non poteva
sempre averla vinta e non potevo concedergli sempre la vittoria.
Aveva sbagliato e anche di grosso con il suo atteggiamento e mi aveva
ferito. E lui credeva che così facendo sarebbe stato in
grado di
ammansirmi. Mi tornarono in mente le parole di Mauro e lo scansai da
me con una spinta.
«No, Dario, non bastano due bacini e
qualcosa di sussurrato. Mi hai fatto molto male questa volta»
soffiai distrutta moralmente e fisicamente «Non sono la tua
bambola».
E quelle parole lo spiazzarono ancora di
più. I suoi occhi erano languidi e il nero delle sue iridi
sembrava
che si stesse sciogliendo a poco a poco. Mi amava e lo avevo ferito
con quelle parole. Ci eravamo accoltellati a vicenda e non sapevo se
queste lacerazioni sarebbero state curate o avrebbero continuato a
sanguinare.
«Mi stai lasciando?» sbraitò serrando
il pugno e stringendo con l'altra mano i suoi capelli.
Ci rimuginai sopra e non seppi trovare
una risposta. Lo amavo da impazzire, più di qualsiasi altra
cosa al
mondo e lui era il mio sole attorno al quale ruotava tutto. Ma come
potevo stare accanto ad un ragazzo che fingeva di essere ciò
che non
era? Che preferiva sotterrare i suoi sentimenti piuttosto che
renderli pubblici?
«Non lo so» risposi in un sussurro e
scrollai la spalle.
Mi distanziai ancora di più da lui con
lo sguardo basso e le lacrime che mi bagnavano il volto. Lo sentii
comunque urlare e ogni sua parola mi trapanò i timpani,
percorrendo
l'intero corpo e andando a colpire il cuore.
«Avevi detto che non mi avresti mai
lasciato!» urlava «Sei tu la bugiarda! Vaffanculo,
Alice!
Vaffanculo!».
Strizzai gli occhi e accelerai il passo.
Non sapevo dove mi trovavo e non sapevo nemmeno come tornare in
villa, anche se l'unica cosa che volevo in quel momento era isolarmi
e pensare se lasciarlo o meno, riflettere su quello che era accaduto
tra di noi. Camminai per qualche metro finché non adocchiai
un taxi
fermo poco più in là. Mi avvicinai e mi sporsi
dentro l'abitacolo
dal finestrino, dopo essermi asciugata le lacrime.
«È libero?» domandai con un filo di
voce.
Il signore dai capelli canuti e un paio
di buffi baffi bianchi mi sorrise ed annuì invitandomi a
salire con
un gesto della mano. Abbozzai un sorriso ed entrai nel taxi,
accomodandomi sul sedile posteriore.
«Dove la porto, bella signorina?»
domandò l'uomo puntando i suoi occhi verdi nello specchietto
retrovisore.
«La fontana di Trevi» rantolai e
affondai nello schienale del sedile.
Appoggiai la fronte sul finestrino freddo
e vidi la città che piano piano cominciò a
muoversi sotto i miei
occhi. Sentivo già la mancanza di Dario e un cratere
lì dove prima
doveva esserci stato il cuore. Ripensare alla nostra discussione e ai
suoi occhi sgranati che mi guardavano smarriti era come morire, era
come essere privata dell'aria a poco a poco, era come annegare
nell'oceano più profondo senza nessuna
opportunità di salvezza.
«È la prima volta che è a
Roma?» mi
chiese curioso il tassista.
«Sì» dissi a mezza voce senza
distogliere lo sguardo dalla città.
«È bella, vero?»
«Molto» gli sorrisi dolcemente anche se
non c'era nulla di cui essere felici. Avevo solo voglia di piangere e
sparire dalla faccia della terra.
«Si sente bene, signorina?» si
preoccupò l'autista, arcuando le sopracciglia folte
«Sta per caso
piangendo?»
Mi asciugai furtiva una lacrima ribelle e
scossi la testa. Cominciava ad infastidirmi l'invadenza di
quell'uomo. Volevo tenermi il mio dolore dentro e non sbandierarlo al
primo che passava. Lo rassicurai con un sorriso, ma piuttosto che
fare conversazione continuò a parlare.
«Ha litigato con il fidanzato, eh?»
Doveva essere chiaro perfino ad un
mollusco che stavo male per il mio ragazzo, che avevo litigato con
lui e che mi disperavo alla ricerca di una decisione da prendere.
Annuii flebilmente ed inghiottii un nodo che mi si era formato in
gola.
«Ah, questi ragazzi di oggi! Non sanno
come tenersi la propria donna» sospirò l'uomo
scuotendo la testa «È
stato uno stupido a farsi scappare una bella ragazza come lei»
«Grazie» dissi imbarazzata sistemandomi
una ciocca di capelli dietro l'orecchio «Ma non lo sono
abbastanza
per il mio ragazzo» tirai su con il naso ripensando a quello
che
aveva detto Dario al suo amico.
«Deve avere problemi di vista!» esclamò
divertito «Ma sono sicuro che se è vero amore
tutto si sistemerà»
«Lo spero» soffiai e mi strinsi nelle
spalle.
Il taxi si fermò vicino alla fontana di
Trevi e l'autista trafficò con il tassametro. Pagai i venti
euro
della corsa ed uscii dal taxi. Erano solo le tre di pomeriggio o poco
più, ma quel posto era comunque magico. Per di
più custodiva nelle
sue acque i ricordi della sera in cui Dario si era dichiarato per la
prima volta. Sorrisi nel ripensare a quella scena e avrei tanto
voluto sfiorargli le labbra in quel momento, baciarlo e dimenticarmi
di tutto. Peccato che non era possibile, per cui dovevo tenermi il
mio dolore e crogiolare in esso. Mi avvicinai alla fontana e guardai
le monete dentro l'acqua. Le voci dei turisti che mi circondavano si
trasformarono in silenzio in poco tempo e sentivo solo il frusciare
dell'acqua cristallina. Lì dentro c'erano anche le nostre
monete. La
mia, con la quale avevo espresso il desiderio che lui si dichiarasse
e che aprisse il suo cuore, e la sua. Ancora mi chiedevo che cosa
avesse desiderato e se si sarebbe mai avverato.
Che cosa avrei dovuto fare? Se avessi
deciso di lasciarlo avrei perso l'amore della mia vita, l'unico
ragazzo di cui mi fossi realmente innamorata in diciotto anni di
vita. Ma contrapposto a questo forte sentimento c'era la mia
dignità
e il mio orgoglio che il Moro avrebbe continuato a calpestare
soltanto perché doveva dimostrarsi di pietra davanti agli
altri. Ed
io, sinceramente, non volevo vivere accanto ad una persona instabile.
Era pur vero, però, che una volta tornati a Milano tutto
sarebbe
tornato come prima e Dario sarebbe tornato quello di un tempo, quel
ragazzo splendido di cui mi ero innamorata. Ma con i suoi amici
avrebbe continuato a mentire e magari si comportava così
anche a mia
insaputa sul posto di lavoro. Sbuffai sonoramente scocciata da tutti
quei pensieri che mi si affollavano in testa e da tutta la confusione
che si era creata. Già gli avevo dato una seconda
possibilità e il
detto diceva Non c'è due senza tre. Ma
io non ero una
bambola, come aveva detto Mauro, e Dario non aveva il diritto di
trattarmi come se lo fossi, ferendomi e tornando strisciando da me
implorando il mio perdono. Dovevo impormi, una volta tanto!
Avevo necessario bisogno di parlare con
qualcuno in quel momento, di sfogarmi ed avere qualche consiglio.
Cristina non era sicuramente la persona adatta e Claudia aveva ben
altri pensieri per la testa: ginecologi, ecografie, esami del sangue.
Ci mancavo solo io che la opprimevo con i miei problemi di cuore. E
poi c'era Federico, il mio più grande amico che
però non potevo
interpellare. Mi avrebbe detto il tanto odiato Te lo avevo
detto
io che era un bastardo e non sarebbe stato oggettivo nel
darmi
consigli, non se di mezzo c'era Dario. Per cui mi ritrovavo da sola
nella mia confusione e non sapevo che fare, che decisione prendere,
se mandare tutto all'aria o fregarmene di quello che era successo. In
fondo mi amava, era quello l'importante, no?
No, no affatto! Le parole che aveva
detto, anche se non le pensava, mi avevano lacerato l'animo e
soffrivo, stavo male nel sapere che lui continuava a mentire su chi
fosse realmente. Mi presi il viso tra le mani e scossi la testa,
passando poi le dita nei capelli. Era inutile stare davanti a quella
fontana, sarebbe stato meglio tornare in villa e rinchiudersi da
qualche parte a pensare.
Cominciai a camminare con le braccia
conserte e lo sguardo basso andando a tentoni per quelle strade
sconosciute. Feci mente locale e cercai di ricordare la strada che
avevamo percorso io e Dario per raggiungere la fontana di Trevi. Mi
risultava difficile, troppo perché continuavano ad
accavallarsi i
ricordi di lui, di noi davanti all'acqua che aprivamo il nostro
cuore. Perché l'amore doveva essere così
complicato? Perché doveva
andare di pari passo con la sofferenza? L'idea che avevo io di
romanticismo era tutto l'opposto, fatto soprattutto di gioie che di
dolori forse perché mi ero drogata di film d'amore dove
regnava
quasi sempre il solito Felici e contenti. Dovevo
cominciare ad
aprire gli occhi, uscire dal castello della principessa in cui mi ero
rinchiusa da quando ero una bambina e avevo visto per la prima volta
Biancaneve perché tanto nessun principe azzurro sarebbe
venuto a
salvarmi. L'amore era ben diverso da quello delle favole e finalmente
lo avevo capito, lo avevo provato sulla mia pelle, che bruciava
più
del fuoco e feriva più di una lama affilata.
Senza sapere come mi ritrovai davanti al
cancello di ferro battuto di casa Vitrano. Le mie gambe si erano
mosse da sole e mi avevano riportata alla villa senza l'ausilio del
cervello che era intento a fare congetture sull'amore. La Mito di
Dario era parcheggiata proprio lì fuori e realizzai solo in
quel
momento, guardando l'orologio, che erano le quattro passate. Ero
stata un'ora a fissare la fontana e non mi ero accorta dello scorrere
del tempo. Fissai la macchina per non so quanto, facendomi travolgere
dai ricordi della nostra prima volta. Era stato tremendamente dolce e
stupendo quello che c'era stato tra di noi e avrei pagato qualsiasi
cifra pur di tornare indietro nel tempo a quella sera e rivivere quei
momenti.
Poco dopo, vidi camminare verso di me,
dall'altro capo della strada, Adriano che ciondolava lento con le
mani affondate nelle tasche dei jeans. D'istinto mi nascosi dietro la
macchina di Dario per non farmi vedere dal decerebrato e lo spiai con
discrezione. Suonò al citofono e subito si
annunciò con il suo
forte accento romano. Attese qualche secondo e poco dopo Dario
uscì
dal cancello con indosso una maglietta bianca con scollo a V e un
paio di pantaloni della tuta nera.
«Ehi, fratè! M'hai lasciato come uno
stronzo in pizzeria!» sbottò Adriano indispettito
«Che cazzo di
fine avevi fatto? Che te sei appartato in bagno a scopare con la
cessa?»
«Fottiti, Adrià» sibilò Dario
accendendosi una sigaretta che gli fu subito sottratta dal suo amico.
«Che, non ti si è rizzato che sei così
nervoso?» ridacchiò divertito il biondino
aspirando del fumo.
«Non ho voglia di scherzare» replicò
atono il mio ragazzo aprendo di nuovo il pacchetto di Marlboro.
«Che c'hai, fraté?» domandò
Adriano
stringendogli una spalla.
Dario si morse il labbro e si accese la
sigaretta, aspirando avidamente il fumo da essa. Contrasse la
mascella e sospirò. Aveva gli occhi lucidi quasi gli stesse
venendo
da piangere.
«Ho litigato con Alice» ammise,
spostando il peso del corpo da un piede all'altro.
«E non sei felice?» esclamò
quell'altro dandogli una sonora pacca sulla schiena «Mollala
e non
ci pensare più»
«Credo che mi abbai già mollato lei»
sospirò malinconico Dario.
«Fratè! Te sei liberato della cozza!»
esultò Adriano, cominciando ad incamminarsi insieme al suo
amico.
«Evviva» gioì fintamente il mio
ragazzo ed abbozzò un sorriso.
Fino all'ultimo avevo sperato in una sua
confessione, che avrebbe messo da parte per un attimo la paura di
essere giudicato e che gli avesse detto la verità invece
aveva
mentito di nuovo, nonostante la sua espressione fosse eloquente.
Stava soffrendo ed io con lui. Il Moro aveva colpito entrambi con le
sue parole affilate e ci aveva ferito con la sua
superficialità e
cattiveria. Quando avrebbe capito Dario che così facendo
sarebbe
rimasto da solo? Che era inutile nascondersi dietro qualcuno che non
era? Dietro una maschera che non piaceva nemmeno a lui?
Attesi che quei due svoltassero e uscii
dal mio nascondiglio, suonando al citofono. Mi aprirono senza
chiedere chi fossi, per cui percorsi a passi lunghi e veloci il
viottolo di ghiaia ritrovandomi in casa Vitrano in men che non si
dica. Richiusi la porta bianca e appoggiai le spalle su di essa. Le
labbra mi tremavano e gli occhi mi si inumidirono un'altra volta.
Stavo scoppiando, stavo impazzendo piano piano perché non
sapevo che
cosa fare.
«Che faccia da funerale» commentò
divertito Mauro uscendo dalla cucina. Era diverso dal solito, forse
perché non indossava il suo tipico completo elegante, ma
solo una
canottiera nera e un paio di pantaloncini «La pizza di Roma
ti fa
schifo?» ridacchiò appoggiando un vassoio e un
bicchiere colmo di
succo di frutta sopra il tavolino.
Scossi la testa e accennai un sorriso.
Scappai velocemente dal suo sguardo cristallino e feci qualche
gradino, ma la sua voce mi fermò quasi a metà
scala.
«Alice, che succede?» domandò
preoccupato «Non stai bene?»
Non risposi, rimasi solo ferma, immobile
come una deficiente attaccata alla ringhiera della scala.
«Vuoi parlarne con me?» chiese
dolcemente e non riuscii a resistere al suo tono di voce, ai suoi
occhi azzurri che mi scavavano l'anima. Annuii flebilmente e tornai
giù accomodandomi accanto a lui sul divano. Avevo bisogno di
parlare
con qualcuno e l'unico disponibile in quel momento era Mauro. Non era
di certo una grande idea raccontargli di quello che era successo,
dato il suo odio viscerale per Dario. Ma necessitavo di sfogarmi e di
far fuoriuscire quel dolore che mi stava distruggendo da dentro.
«Hai litigato con Dario, scommetto»
constatò.
«Sì» risposi solamente con un filo di
voce e mi strinsi nelle spalle.
«Che ti ha fatto?» sbuffò contrariato
ed afferrò un salatino dal vassoio.
«Mi ha delusa» dissi spicciola e per
poco non scoppiai a piangere di nuovo. Ero ritornata la solita Alice
frignona che piangeva in continuazione, scocciando chiunque mi si
trovasse accanto con le mie lacrime.
«Ti ha preso in giro, vero?» domandò
con un sorriso sornione.
Sembrava leggermi nel pensiero, sembrava
che con i suoi occhi riuscisse ad entrare dentro di me e leggere che
cosa avessi dentro, che cosa stessi provando in quel momento.
«Più o meno» risposi esitante.
«Tipico di mio fratello» sogghignò e
si allungò a prendere il bicchiere di succo di frutta
«L'ha sempre
fatto, anche con Sole. Con lei faceva tutto il tenero e il dolce, ma
quando veniva qui quel deficiente di Adriano passavano tutto il
pomeriggio a prendere in giro quella povera ragazza».
Aggrottai le sopracciglia e mi stupii che
avesse usato l'aggettivo povera rivolto a Sole. Era
stato lui
il primo a prenderla in giro non appena eravamo arrivati in villa.
«Ma se tu sei il primo a darle del
capodoglio» borbottai contrariata.
«Io lo faccio apposta solo per far
innervosire mio fratello» scrollò le spalle e si
scolò l'intero
bicchiere «Non ho mai avuto nulla contro Sole. Anzi, la
trovavo
anche abbastanza simpatica».
Per fortuna che gli era simpatica. Se non
l'avesse sopportata l'avrebbe per caso seppellita viva?
«Perché si comporta così?»
chiesi e
quella domanda non era rivolta a nessuno in particolare
«Perché
nasconde i suoi veri sentimenti?»
«Perché è uno smidollato»
rispose con
disprezzo Mauro «Lo è sempre stato e non
cambierà mai. Lui non li
supera gli ostacoli, preferisce scappare come un codardo»
fece una
breve pausa e mangiò un altro salatino. Poi riprese sempre
con il
solito tono duro e brusco. «Affrontare la vita con
superficialità è
il modo più semplice e lui non fa altro che guardare il
mondo ancora
con gli occhi di un adolescente immaturo. E così facendo
ferisce le
persone che gli stanno accanto. Ma tanto lui se ne frega
perché è
un egoista, l'importante è solo lui e la sua stupida
immagine da
figo della scuola».
Rimasi in silenzio ad ascoltare le parole
di Mauro e le descrizione che aveva fatto di Dario non corrispondeva
affatto al ragazzo che avevo conosciuto io, ma a quello superficiale
che lui si ostinava a mostrare. Ma aveva ragione suo fratello. Dario
continuava a vivere all'ombra di quel Moro
perché era la via
più semplice, perché era tutto più
facile senza i sentimenti, era
più facile farsi accettare e rispettare dagli altri.
«Vuoi un consiglio, Alice?» domandò
retorico ed io annuii «Lascialo perdere. Trovatene un altro,
uno che
ti ami per davvero e che non si diverta alle tue spalle con i suoi
amici. Dario è un bambino che non ha voglia di crescere e di
maturare, di prendersi le sue responsabilità e vivere da
adulto
quale è».
Abbassai lo sguardo e guardai il
pavimento lucido sotto i miei piedi. Mauro mi stava chiaramente
dicendo di lasciarlo e una parte di me era d'accordo con lui. E non
tanto perché fosse un immaturo come diceva suo fratello
perché in
realtà sapevo che era tutto il contrario, ma solo
perché si
vergognava di se stesso. Ed io non volevo stare con un ragazzo che
aveva paura di mostrare le sue insicurezze, che piuttosto di
fregarsene dell'opinione altrui e andare fiero di chi fosse, aveva
fatto del pensiero degli altri il suo pane quotidiano. L'importante
non era Dario, non ero io e nemmeno il nostro amore. Ciò che
gli
importava di più erano le idee che la gente si faceva su di
lui.
Aveva preferito l'apparenza all'essere e
questo non mi
andava giù.
Ma se da un lato davo ragione a Mauro,
dall'altro non riuscivo ad immaginarmi senza Dario. Lui era il mio
tutto e senza di lui nulla aveva più un senso. Lo amavo
talmente
tanto che avrei dato la mia vita piuttosto che vederlo felice. Gli
avevo donato il mio cuore e tutta me stessa e dicendogli addio sarei
rimasta con il nulla, il vuoto più totale a riempirmi.
Alla fin fine, parlare con Mauro non era
servito a nulla se non a confondermi di più le idee. Anzi,
aveva
fatto qualcosa. Mi aveva fatta piangere. Ancora una volta.
«Dai, Alice» mormorò lui ed io mi
voltai vedendolo con le braccia spalancate
«Abbracciami».
Lo guardai confusa, con le lacrime che mi
scorrevano sul viso e farfugliando qualcosa di insensato perfino per
me.
«Avanti! Non sono un cannibale e non ho
un secondo fine» ridacchiò divertito
«Voglio solo stringerti. Hai
bisogno dell'affetto di qualcuno e qui non hai nessuno, se non
me».
Rimuginai su quell'invito e mi avvicinai
più volte a lui, ritraendomi poco dopo. Ero scettica e non
perché
avessi paura che ci stesse provando con me, ma perché temevo
che
quell'abbraccio potesse infondermi quel calore di cui avevo bisogno e
che stavo ricercando da quando avevo litigato con Dario. Deglutii a
vuoto e poi mi convinsi a buttarmi tra le sue braccia. Mi adagiai sul
suo petto muscoloso e le sue braccia si allacciarono dietro la mia
vita, stringendomi forte verso il suo torace. Sentivo il battito del
suo cuore, il suo respiro tranquillo e un senso di placida
serenità
mi colse. Gli circondai il torace e mi accoccolai su di lui,
lasciandomi cullare dal suono del battito cardiaco. Chiusi gli occhi
e sorrisi istintivamente, senza saperne il reale motivo. Il mio
timore era reale. Stavo bene tra le sue braccia, anche fin troppo
bene e questo mi spaventava. Il cuore mi martellava nel petto e
sentivo che l'ossigeno cominciava a scarseggiare. Solo una cosa
però
non era perfetta in quel momento. Mi sentivo coccolata, mi sentivo
scombussolata, accaldata e tremendamente a mio agio con lui e mi
piaceva anche troppo stare insieme a Mauro. Ma quelle non erano le
braccia del mio amato Dario.
______________________________________________
E
abbiamo conosciuto anche Adriano ♥.♥
non so voi ma io lo adoro! Mi fa sbellicare xD
Ma
andiamo con ordine e partiamo da Mauro. Lo abbiamo visto sotto
tutt'altra luce e, stranamente, ha mostrato il suo lato dolce ad Alice.
Avevo già accennato al fatto che Mauro avesse fatto
volontariato e abbiamo anche visto come lui ama il suo lavoro, come ha
amato far parte di Medici senza frontiere. Insomma non
è del tutto marcio questo ragazzo. Anche se, immagino,
questo non basterà a farvelo amare xD
Ma,
ovviemente, la parte più importante è il pranzo
in pizzeria con Adriano, il migliore amico di Dario. Loro due hanno
passato l'adolescenza insieme, erano praticamente inseparabili e
diciamo che Romandini è un tipo assai superficiale, come
potete notare, al quale non interessano i sentimenti ma solo le scopate
per intenderci. E Dario, purtroppo, che potrebbe sembrare il
"capo-banda", pende dalle labbra del suo amico, dal suo giudizio e ha
sbagliato a comportarsi come ha fatto dicendo quelle cose solo per non
mostrare i suoi sentimenti ad Adriano. Non lo giustifico affatto
perché è un comportamento infantile e immaturo ma
lui tende sempre a proteggere i suoi sentimenti da persone estene,
diciamo così.
E
Alice, purtroppo, ha sentito tutto ed è successo il
putiferio xD Per una volta Mauro non c'entra nulla ma la colpa
è di Dario. Questi due litigano in continuazione, come avete
potuto notare. Prima la colpa era sempre di Alice, ora tocca a Dario
sbagliare. Questa è stata abbastanza pesante e potrebbe
determinare la rottura tra i due. Poi ci si mette anche Mauro a
confondere di più le idee ad Alice e la poveretta non sa
più che fare: dare ascolto al suo cuore e quindi fregarsene
di quello che è successo oppure smettere di essere
"calpestata" così e seguire dunque il consiglio di Mauro?
Secondo voi...lo lascerà?
Commenti
un po' scarni ma non sapevo che dire xD
Il
titolo non so se ci sta bene oppure no su questo capitolo ma
è un omaggio al mio AMORE, al miio cantante preferito che
è finalmente tornato con la sua novissima e bellissima
canzone, ovviamente La differenza tra me e te....ossia TIZIANO FERRO
♥.♥ sono così happy che sia tornato!
*saltella per tutta la casa sbattendo contro lo stipite di una porta*
Vabbè
*fa finta di nulla* ho concluso vostro onore! Ringrazio tutte le
persone che hanno recensito lo scorso capitolo, quelle che hanno
aggiunto la storia alle preferite, seguite, ricordate e anche a che
legge solamente. Poi un ringraziamento alle mie Lovers e alla mia
nipotina
_Caline
♥.♥ E, ovviamente, grazie a tutte le ragazze dle
gruppo che mi sostengono!
Come
in un Sogno -
con IoNarrante
Profilo
Facebook
Gruppo
Facebook
Le
999 cose che la gente non sa degli scrittori
Crudelia
Graphic -
per le vostre richieste grafiche e pre richiedere anche fantastici
trailer per le vostre storie
Un
bacio e alla prossima ♥
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Capitolo 25 *** Get it right ***
video trailer
C a p i t o l o
24
Get
it
right
betato
da nes_sie
Non era passato nemmeno un
mese, e già
io e Dario eravamo in crisi. Fantastico! Il
fidanzamento più
breve nell'intera storia del mondo. In realtà,
però, non sapevo
ancora se troncare del tutto, se mettere fine al nostro rapporto
oppure passare oltre. Si trattava di dargli un'altra
possibilità,
l'ennesima, ed io non ero del tutto sicura di volergliela concedere.
Lo amavo, anche troppo, ma mi aveva ferito e delusa troppe volte e mi
faceva paura il fatto di dargli un'altra chance, un'altra occasione
per farmi soffrire per la milionesima volta. Ma se lo avessi lasciato
non sarebbe cambiato nulla, anzi sarei morta lentamente senza di lui,
senza il suo profumo che era il mio ossigeno e senza di lui che mi
riscaldava con le sue braccia e con il suo amore, senza i suoi occhi
che mi avvolgevano, mi imprigionavano dentro di essi.
Parlare con Mauro non mi era
stato
granché utile, dato che lui non era stato in grado di darmi
una
valida motivazione per lasciarlo. Ma avrei dovuto aspettarmelo da
lui, in fondo odiava suo fratello e vederlo soffrire per la fine di
una storia lo avrebbe solo fatto godere.
Nella mia mente regnava il
caos. E non
solo per la decisione che avrei dovuto prendere riguardo alla mia
storia con Dario, ma anche per suo fratello dagli occhi di ghiaccio.
Lo odiavo, ma allo stesso tempo ero attratta da lui. Non era una
questione fisica, anche se era innegabile che Mauro fosse uno degli
uomini più belli che avessi mai visto, perlopiù
qualcosa di
mentale, di psicologico. Era così ambiguo, così
enigmatico, stronzo
quanto dolce, che alternavo momenti di puro odio nei suoi confronti
ad altri in cui lo avrei stretto forte a me per non farlo allontanare
più.
Avevo un assoluto bisogno di
avere
accanto qualcuno che sarebbe stato disposto ad ascoltare i miei
sfoghi e magari aiutarmi a dissipare quella confusione che non mi
permetteva nemmeno di ragionare. Ma purtroppo ero in una
città in
cui non conoscevo nessuno e i miei amici erano lontani chilometri da
me.
Sospirai e sprimacciai il
cuscino,
sistemandolo per dormire. Ero in camera con Dario e il silenzio che
c'era tra di noi era quasi inquietante. Avevamo litigato molte volte,
ma mai come quella volta la tensione era palpabile. Nemmeno a cena ci
eravamo rivolti la parola, ci ignoravamo, facevamo finta che l'altro
non esistesse. E mi dispiaceva e mi feriva rincorrere il suo sguardo
e non raggiungerlo, cercare il suo sorriso e trovare solo
un'espressione malinconica. Era realmente dispiaciuto per quello che
era successo, si poteva leggere nei suoi occhi la tristezza e la
frustrazione per avermi ferita ancora una volta. Ma non potevo
cedere, farmi incantare dal suo sguardo e far finta che nulla fosse
accaduto.
Mi sedetti sul letto dando le
spalle a
Dario che se stava a fissare fuori dalla finestra con le mani
appoggiate al davanzale, le labbra serrate e la mascella contratta.
Mi dispiaceva vederlo così triste, mi dispiaceva vedermi
così
triste ma soprattutto mi dispiaceva vedere la nostra storia
naufragare. Il temporale era arrivato, ma non era quello estivo,
bensì una tempesta tropicale che avrebbe sconvolto le nostre
vite,
seminando solo tristezza. Mi legai i capelli in una coda alta e
tirai su con il naso, slacciando il gancio della collanina che mi
aveva regalato Dario e appoggiandola sul comodino. Era la prima volta
che mi separavo da lei e il fatto che avesse sentito il bisogno di
togliermela lo interpretai come un orribile segno del destino. Stavo
piangendo, come al solito, silenziosamente perché non volevo
che
Dario se ne accorgesse.
«Se vuoi vado a
dormire sul divano,»
disse con tono piatto.
«Perché
dovresti?» Risposi brusca,
infilandomi sotto il lenzuolo e stringendolo forte tra le mani. Quel
maledetto pezzo di stoffa sapeva di lui e percepire il suo odore fu
come ricevere una mazzata in testa. Avrei potuto non sentirlo
più
quel profumo, solo immaginarlo e quella prospettiva non mi piaceva
affatto.
«Semmai ti desse
fastidio la mia
presenza...» Sibilò.
«Se qualcuno deve
andare a dormire sul
divano, quella sarei io,» replicai a tono. «Questa
è camera tua,
mi sembra giusto che tu rimanga qua.»
Scostai il lenzuolo e scattai
in piedi,
indossando le mie ciabatte rosa e prendendo il cuscino dal letto. Non
ero stupida, avevo capito che la mia presenza non gli era gradita,
sennò perché dire una cosa del genere? Propormi
di lasciarmi da
sola nella sua stanza?
«Dove
vai?» Domandò dubbioso seguendo
i miei movimenti.
«Tolgo il
disturbo» Risposi acida.
«Ma quale
disturbo,» esclamò e accennò
una risata che smosse il mio cuore. «Posa il cuscino e vai a
dormire.»
«Come se non sapessi
che la mia presenza
qui non è gradita,» sbottai infastidita.
«Il tuo era solo un modo
carino per dirmi di andarmene fuori dalle scatole.» Gli feci
presente e lui aggrottò le sopracciglia, scuotendo la testa.
«Assolutamente
no!» Trillò. «Pensavo
solo che potesse darti fastidio la mia presenza, tutto qui.»
Scrollò
le spalle e deglutì a fatica, tornando a guardare fuori
dalla
finestra.
Sorrisi amaramente, mordendomi
un labbro.
La sua presenza non mi seccava, anzi. Sapere di averlo vicino anche
in un momento come quello, in un momento in cui il nostro amore era
in bilico tra il baratro più profondo e la salvezza, mi
rendeva
felice, nei limiti dell'arrabbiatura. Perché sì,
ero incazzata con
lui e stavo seriamente pensando di lasciarlo e di smettere di
soffrire, ma lo amavo troppo e volevo godere di ogni singolo istante
che avrei vissuto con lui, semmai poi la nostra storia sarebbe caduta
verso l'abisso.
«Mi dispiace Alice
per quello che è
successo.» Disse tutto d'un tratto, mentre tornavo a sedermi
sul
letto.
«Dispiace
più a me,» ribattei atona,
dandogli le spalle. «E quello che mi rammarica di
più è che tu non
abbia avuto il coraggio di dire al tuo migliore amico che cosa
provavi per me. Mi ha deluso, Dario e anche tanto, oltre ad avermi
fatto troppo male.»
«Lo so
Alice,» rispose con il mio
stesso tono.
«Perché
lo hai fatto? Non mi spiego il
motivo di questo tuo atteggiamento!» Sbottai, mettendomi le
mani tra
i capelli. Credevo di stare per impazzire o forse ero già
diventata
matta.
«Non ho scusanti per
quello che è
accaduto.» Rispose rivolgendomi uno sguardo ed era
visibilmente
distrutto. Volevo alzarmi in quel momento e stringerlo a me,
dimenticare tutto e metterci una pietra sopra, seppellire tutto in un
angolo della mia memoria. Ma non ci riuscivo, non riuscivo a
dimenticare quelle parole e, soprattutto, avevo paura che sarebbe
potuto accadere di nuovo, che lui avrebbe continuato a mascherarsi
dietro quel dannato Moro.
«No,
infatti,» ribattei brusca. «Non
ti riconoscevo mentre eri seduto lì e ti giuro che mi si
è spezzato
il cuore nel vederti lì,» continuai, con le
lacrime che premevano
per uscire. «Il mio Dario, quello che amo, a cui ho donato il
mio
cuore e tutta me stessa non c'era più.» E, dicendo
quelle parole,
scoppiai a piangere.
«Non ho riflettuto
su quello che dicevo
e ti ho ferita senza volerlo. Perché l'ultima cosa che
voglio è
vederti piangere, è farti soffrire.» Disse e
sentii i suoi passi
avvicinarsi a me lentamente.
«Ma lo hai fatto! E
potresti farlo
ancora, ed ancora!» Sbottai e mi nascosi il viso tra le mani,
per
raccogliere le numerose lacrime che stavo versando. «Non so
mai cosa
aspettarmi da te! Io ho bisogno di sicurezze, Dario. Ho bisogno di
una persona che mi stia accanto che non abbia paura di
amarmi.»
«E te le
darò le certezze, piccola,»
cercò di rassicurarmi sedendosi accanto a me. «Ho
solo bisogno di
tempo.»
«Di quanto ne hai
bisogno?» Domandai
quasi urlando. «Altri tre mesi? Così poi torni
strisciando facendo
la tua patetica serenata?»
Dario mi guardò
smarrito, poi abbassò
lo sguardo ed annaspò, mordendosi il labbro inferiore quasi
a
sangue. La sua mano cercò la mia, la sfiorò e
quel contatto mi
fece rabbrividire, mi fece palpitare e smettere di piangere per
qualche secondo. Subito dopo si allungò verso di me e mi
strinse, mi
abbracciò forte a lui ed incontrai il suo cuore che batteva
forse
più del mio. Le mie braccia si mossero istintivamente e il
mio cuore
mi suggeriva chiaramente di ricambiare quella stretta, ma il mio
cervello, la mia rabbia ebbero il sopravvento e le mie mani si
posarono sul suo petto per spingerlo bruscamente lontano da me.
«Stammi lontano!
Vattene!» Sbraitai
fuori di me e lui mi guardò con gli occhi sgranati, per poi
annuire
ed alzarsi di scatto dal letto.
«Allora è
vero. Non sono gradito qui.»
Mormorò abbattuto.
Afferrò con
decisione la maglietta che
aveva lanciato sulla sedia davanti alla scrivania e la
indossò
rapidamente. Poi prese il pacchetto di sigarette e se lo
infilò in
tasca. Se ne stava andando ed io riuscivo solo a rimanere ferma a
fissarlo, con gli occhi sgranati e lucidi e la bocca dischiusa. Vidi
vacillare il nostro amore in quel momento e sbilanciarsi sempre di
più verso il vuoto, verso il nulla, verso un buco nero.
«No, Dario,
io...» Tentai di dire ma le
parole mi morirono in bocca, soffocate da un insopportabile magone in
gola. Gli avevo urlato contro di andarsene, ma non lo volevo
veramente. Desideravo solo passare più tempo possibile con
lui, con
il suo odore, tra le sue braccia.
«Sei stata
abbastanza chiara, Alice. Non
c'è bisogno che tu aggiunga altro.» Disse a denti
stretti e, a
grandi falcate, raggiunse la porta, sbattendosela alle spalle.
Fissai a lungo la parete con
gli occhi
che mi pungevano e la consapevolezza che il baratro si avvicinava
sempre di più. Lo vedevo davanti a noi ed eravamo proprio ad
un
passo dal caderci dentro. Ed ero io a dover decidere, ero io che
avrei dovuto spingerci lì dentro oppure aggrapparmi con
tutte le mie
forse ad un appiglio per salvarci. Il fatto era che non sapevo che
cosa fare, che decisione prendere. Era forse imperdonabile quello che
aveva fatto e qualsiasi donna gli avrebbe detto addio già
quel
pomeriggio. Ma io lo amavo troppo e anche pensare la parola lasciarlo
mi lacerava il cuore.
Mi coricai coprendomi con il
lenzuolo fin
sotto il naso e quella stoffa leggera blu raccolse le mie lacrime.
Forse era destino che noi due non stessimo insieme solo per il fatto
che non riuscivamo a rendere felici l'uno e l'altra. E cominciavo
seriamente a pensare che mettermi con Dario fosse stato l'errore
più
grande della mia vita. Perché, con tutti gli sforzi che
facevamo,
finivamo sempre con il litigare e, di conseguenza soffrire.
Mi voltai verso la sua parte
di letto ed
accarezzandola mi accorsi di quanto fosse brutto cercare le sue mani
e non trovarle, sperare di sentire sotto le mie dita la sua pelle e
toccare solo un inanimato e freddo lenzuolo. Piangendo e con la testa
che mi scoppiava mi addormentai, forse per qualche ora,
finché non
sentii la porta della camere richiudersi con un leggero tonfo. Aprii
un occhio e scorsi la sagoma di Dario nel buio della stanza. Si tolse
la maglietta e i jeans, lanciandoli sulla scrivani, poi si
abbandonò
sul letto e si prese la testa tra le mani. Mi dava le spalle e avrei
tanto voluto raggiungerlo per abbracciarlo, mandare a quel paese
tutti i dubbi che avevo e amarlo incondizionatamente, amarlo
più di
quanto avesse fatto Sole, amarlo per sempre ed infinitamente. Ma
rimasi ferma, avvolta nel mio bozzolo di stoffa ad osservarlo mentre
si stendeva a fianco a me e guardava il soffitto, sbattendo le
palpebre. Si voltò vero di me e, prontamente chiusi gli
occhi così
da dargli l'impressione che stessi dormendo. Il buio più
profondo mi
inghiottì e non mi permise di vedere i gesti di Dario. Ma
stranamente li percepii, sentii la sua carezza prima che la sua mano
si appoggiasse sulla mia guancia, come se qualcosa legasse le nostre
anime a tal punto da farmi prevedere che cosa stesse per fare. Subito
dopo le sue labbra sfiorarono le mie in un casto e caloroso bacio che
mi lasciò il suo sapore di vaniglia in bocca. Avevo sentito
la
mancanza dei suoi baci in quelle ore e non appena sentii le sue
labbra sulle mie un tiepido calore cominciò a riempirmi.
Avevo
sentito l'amore che provavo per lui invadermi e sconvolgermi ancora
una volta. Semmai avessi deciso di lasciarlo, non avrei saputo come
vivere senza di lui. Perché in qualsiasi caso, lui era tutto
per me.
Era ogni mio pensiero, era il mio cuore, il mio ossigeno, la mia
vita.
«Ti amo.»
Sussurrò sulle mie labbra.
Quella notte dormimmo
abbracciati, e non
sapevo se fosse stato qualcosa di voluto o solo casuale. Fatto stava
che verso le tre mi ero svegliata per il caldo afoso di luglio
ritrovandomi tra le sue braccia e avevo sorriso. Mi era mancato il
contatto con il suo corpo, seppur fossero state solo poche ore di
“lontananza”, e solo quando lo avevo visto stretto
a me, solo
quando avevo sentito le sue braccia cingermi mi ero sentita
finalmente felice. Mi faceva arrabbiare molto spesso e la maggior
parte dei suoi atteggiamenti mi davano sui nervi, oltre che deludermi
il più delle volte. Ma con lui ero felice e tutto passava in
secondo
piano. Forse era l'amore a rendermi così stupida,
così ingenua da
pensare di dargli un'altra opportunità. Odiavo quel
sentimento che
provavo per lui, quell'amore intenso che mi vincolava a Dario, che mi
teneva legata a lui e mi offuscava la mente. Se fossi stata
più
lucida molto probabilmente sarei riuscita ad arrivare ad una
conclusione, ma fin quando c'era una lotta, un conflitto tra cuore e
cervello, tra sentimento e razionalità non sarei arrivata a
nessuna
conclusione.
Per di più non ero
nemmeno sicura che
lui fosse felice con me. A parte il fatto che raramente lo vedevo
sorridere mentre era con me, ma se fosse stato davvero così
contento
di avermi accanto non avrebbe avuto esitazione a dire quello che
provava per me al suo migliore amico. Se così fosse stato,
allora,
sarebbe stato meglio lasciarlo andare e fargli vivere la sua vita
come meglio credeva, con un'altra ragazza oppure nella continua
finzione di una vita che non era la sua.
Appoggiai il mento sul palmo
della mano,
fissando Consuelo che trafficava con vari ingredienti. Non mi
importava granché di quello che stava combinando, il mio
unico
pensiero era rivolto a Dario. Sentivo la voglia di parlare con lui,
di chiarire quella situazione che mi angosciava e mi dilaniava
lentamente, di sapere lui che intenzioni aveva se preferiva me alla
sua popolarità, se era felice con me o meno. Peccato che
fosse
uscito quella mattina per andare a lavoro e non era più
tornato.
Probabilmente non era tornato a casa perché non voleva
vedermi,
perché voleva distrarsi e aveva deciso di pranzare con il
suo amico
deficiente prima di andare alla partita di calcetto. Mi stava
evitando e ciò mi fece deprimere maggiormente. Lui mi aveva
baciato
ed abbracciato quella notte, era vero, ma forse anche lui aveva
capito che il nostro amore era già arrivato al capolinea.
«Vuoi
aiutarme?» Mi domandò
Consuelo, distogliendomi dai miei pensieri e scoccandomi un'occhiata
fin troppo furba.
«A far
cosa?» Domandai con un sospiro e
stiracchiai a fatica le labbra in un sorriso.
«Biscotti al
cioccolato,» rispose
sorridente. «Sono i favoritos del señorito.
Li
preparavo quando estava muy triste.»
Consuelo smise di mescolare
l'impasto e
mi trafisse con il suo sguardo scuro, incrociando le braccia al petto
prosperoso. Si aspettava che dicessi qualcosa, come se volesse
sentire una spiegazione, ma l'unica cosa che riuscii a fare fu
farfugliare qualcosa di insensato.
«Tu e il señorito
me sembrate muy
tristo,» constatò sospirando.
«Che è successo?» Mi chiese
infine, aggiungendo cacao al suo impasto.
Rimuginai un attimo sul da
farsi: se
parlare con Consuelo su quello che era accaduto e sommergerla con le
mie frustrazioni, oppure scrollare le spalle e far finta che tutto
andasse bene. Ovviamente optai per la prima ipotesi perché
avevo un
assoluto bisogno di qualcuno che mi stesse ad ascoltare. Presi un
respiro profondo e mi abbandonai sullo schienale della sedia,
passandomi una mano tra i capelli.
«Abbiamo
litigato.» Ammisi con un filo
di voce e con un peso opprimente sul petto.
«Esto
lo avevo intuito,» scosse
la testa e con gli occhi cercò qualcosa sul tavolo.
«Passame
le gocce de cioccolato.» Mi disse,
indicandomi con il mento
una scatolina bianca.
La afferrai senza un
particolare
entusiasmo e la osservai a lungo, come se su quella confezione ci
fosse scritta la formula della felicità.
«Ti rendi conto,
Consuelo?» Sbottai ad
un certo punto, versandomi qualche goccia di cioccolato sulla mano e
strafogandomi in un nano secondo. «Cioè si
vergogna di dire che
sono la sua ragazza! Solo perché non sono la strafiga di
turno!»
Esclamai con la bocca piena di quella schifezza ipercalorica.
«Hai conosciuto
Adriano, quindi.» Fu il
commento di Consuelo, che mi guardava con un sorriso materno e
bonario.
Annuii con la fronte corrugata
e
un'espressione dubbiosa sul volto, continuando a mangiare cioccolato.
Nuova vita, ma vecchie abitudini. Quando ero triste l'unica cosa che
riusciva a risollevarmi il morale erano le calorie.
«Ciertamente
non pensava este
parole,» disse la donna strappandomi di mano la scatola
bianca.
«Necesito di este!» Mi
rimproverò.
«Ma le ha dette
comunque!» Esclamai
nervosa. «E io non voglio stare con un ragazzo che preferisce
la sua
popolarità all'amore.»
Consuelo mi guardò
apprensiva e si pulì
le mani nel grembiule. Ciondolò verso di me e mi strinse una
spalla,
avvicinandomi a lei e al suo seno prosperoso.
«Oh, mi
niña,» sospirò.
«Dario
è un niño muy particular. Ha
solo bisogno di essere
entendido.»
«Credo di averlo
entendido anche
troppo.» Borbottai contrariata.
«Ah,
sì?» Mi sfidò la donna con
sguardo furbo.
La guardai a lungo in quei
suoi occhi
piccoli e castani e deglutii a vuoto. Ero certa che volesse una prova
che le dimostrasse quanto lo conoscessi. Nonostante l'aria di sfida
di Consuelo mi mettesse in soggezione, non mi tirai indietro.
«È un
ragazzo davvero molto fragile e
si nasconde dietro chi non è per non dimostrare le sue
debolezze. Ha
paura di essere ferito ancora una volta ed è per questo che
si è
costruito un muro attorno,» dissi compiaciuta. «Ma
sbaglia a fare
così. Per farsi accettare dagli altri indossa i panni del
bastardo
superficiale, ma non ha capito che è molto meglio per lui
mostrarsi
per ciò che è veramente, senza aver paura di
mostrare i suoi
sentimenti.»
«Hai dementecato
una cosa,» e mi
sorrise amorevolmente. Ci fissammo negli occhi per non so quanto
tempo e il mio cuore palpitava nell'attesa delle parole di Consuelo.
Era come se il tempo si fosse dilatato, come se un secondo durasse
un'eternità.
«È solo.»
Quelle quattro lettere furono
come degli
appuntiti spilloni che mi perforarono il cuore. Ero sempre stata
presa da me stessa che non mi ero nemmeno accorta della solitudine
del mio ragazzo. Ora che quella parola mi si era conficcata nel
cervello realizzai di quanto fosse vero, di quante volte lo avevo
visto triste senza saperne la motivazione. Non mi aveva mai parlato
dei suoi amici, a parte Adriano, e in quel momento avevo capito il
perché. Consuelo prese una sedia e si accomodò
accanto a me,
sistemandosi il grembiule sulle gambe.
«El
señorito è un niño così
timido que es dificile per lui aprirsi a otros e l'unico amigo que
tiene es Adriano. Diciamo que la culpa è de Romandini se
Dario es
deventato un superficial. Adriano es un hombre muy stupido,»
sospirò scoraggiata scrollando la testa. «E
il señorito pende
dalle labbra del suo amigo. Es il solo che gli è rimasto.
Una
familia non l'ha mai tenuta, amigos solo per la popolarità.
E quindi
non quiere deluderlo e perdere también lui.»
«Ma così
perderà me.» Soffiai
sconsolata, prendendomi il viso tra le mani.
«Era
così también con Rayo de Sol.»
E l'immagine di quella ragazza
tornò a
galleggiare nella mia mente, a mostrarsi davanti ai miei occhi sotto
forma di una fotografica che l'aveva ritratta insieme a Dario. C'era
così tanto amore in quello scatto che mi faceva morire solo
ricordarla.
«A scuola due extranjeri,
ma
quando erano soli... oh!» Sospirò e si
portò una mano sul cuore
esaltata. «Mucho amor! Erano così felici
juntos che li
invidiaba. El señorito era così en amor con Rayo
de Sol! Parlava
sempre di lei, la cercava e passavano tanto tiempos juntos. Oh
sì,
quello era un grande amor! Tre años è durato,
finché el señorito
non è andato a Milano.»
In quel momento mi servivano
più di una
decina di gocce al cioccolato, magari una torta glassata al cacao
ripiena di panna. Me la sarei mangiata tutta in un solo boccone
talmente ero depressa in quel momento. Avevo già capito da
sola
quanto Dario avesse amato Sole, ma vedere quell'amore, immaginarlo
grazie ai ricordi di Consuelo, mi squarciava il cuore.
«E lei come ha
reagito? Cosa ha fatto?»
Domandai, e la mia voce era talmente bassa che a malapena ero
riuscita a sentirmi.
«Rayo de
Sol era così en amor col
señorito che soffriva en silenzio,»
sospirò. «Dario non se
è mai comportato muy bien, ma lo que sentiva era sincero.
Cuando el
señorito es en amor è muy felice, muy sorridente
e da todo se
stesso. E sono certa che te ama, te ama così tanto che
morirebbe por
tigo e che farebbe todo per riaverte.»
Ebbi come l'impressione che
Dario avesse
parlato con Consuelo, che si fosse aperto con lei e che le avesse
confidato i suoi sentimenti. Già lo sapevo che mi amava, ma
non
potevo rimanere in disparte, fare finta di non esistere per gli altri
solo perché lui doveva essere figo
davanti a tutti.
«Grazie
Consuelo.» Mormorai,
demoralizzata. Ero quasi arrivata ad una conclusione e questa
decisione prevedeva due cuori infranti. Era stupido, lo sapevo. Ci
amavamo tanto, troppo, eppure la nostra storia stava per finire.
Consuelo si pulì le
mani con lo
strofinaccio, poi si diresse verso un cassetto e ne tirò
fuori una
busta. Ciondolò verso di me e me la porse.
«El
señorito me ha detto de darle
questa.»
La afferrai e la guardai a
lungo, da ogni
angolazione e non trovavo il coraggio di aprirla e vedere che cosa
contenesse. Presi un respiro profondo e la aprii con decisione. C'era
dentro un foglio piegato a metà al cui interno era stato
inserito un
biglietto di Trenitalia con destinazione Milano. Riportava la data di
quel giorno e il mio cuore perse un battito. Non era per nulla un
buon segno. Sospirai e cominciai a leggere la lettera che mi aveva
scritto Dario con la sua inconfondibile calligrafia.
Cara Alice,
un modo banale per
cominciare una
lettera, ma in un momento come questo sono le uniche parole che il
mio cervello riesce a trovare.
Stamattina sono stato
in stazione e ho
comprato quel biglietto per te. Non pensare assolutamente che io ti
voglia cacciare, che voglia mettere fine alla nostra relazione.
Quello starà a te deciderlo, e quel biglietto ti
servirà semmai tu
volessi troncare con me. Potrai tornare a Milano dalla tua famiglia,
dai tuoi amici e riprendere in mano la tua vita senza che uno stronzo
come me ti giri attorno. E magari ti beccherai da parte di tutti un
sacco di Te
l'avevo detto, non
dovevi fidarti di lui. Avrebbero tutte le ragioni
del mondo
per dirtelo. Loro ti avevano messo in guardia ma tu ti sei fidata di
me, delle mie parole e della mia promesse. Avevo detto che ti avrei
resa felice, ma non ne sono stato in grado. Molto probabilmente io
non sono stato programmato per amare. Ci provo, mi sforzo, mi lascio
travolgere ma non è mai sufficiente quello che faccio
perché
combino sempre dei grandi casini e ferisco sempre le persone che amo.
Forse è giusto che io rimanga da solo, anzi, me lo meriterei
proprio
perché sono uno stronzo, un debole che si è
lasciato soggiogare da
quello scudo che mi ero creato da solo. Credevo che il Moro
mi avrebbe difeso dalla cattiveria altrui, dalla crudeltà
delle
persone che mi hanno sempre ferito, che avrebbe protetto i miei
sentimenti in modo che questi non venissero sfruttati come punti
deboli per distruggermi completamente. Peccato che non avevo
minimamente capito che il primo da cui dovevo difendermi era proprio
il Moro,
me stesso.
L'ho compreso solo ieri quando ti ho vista piangere, quando ti ho
vista soffrire per colpa mia, quando ho visto il nostro amore
scivolare via. Mi sono sentito morire e tutt'ora sono in bilico tra
la vita e la morte, in attesa solo di un tuo colpo di grazia o della
salvezza.
Se vuoi lasciarmi,
fa' pure! Non ti
biasimerei affatto; sei più che giustificata nel farlo. E,
poiché
sono un codardo, un vile senza un briciolo di spina dorsale
preferisco che tu non mi dicessi addio. Quando tornerò a
casa, se
non ti troverò, capirò che te ne sei andata, che
sei salita su quel
treno per Milano e che hai deciso di liberarti di un peso come me.
Non nego che ho
ancora una piccola
speranza, minuscola a dir la verità, che tu mi perdoni.
Questa volta
posso chiederti solo scusa.
Niente patetiche serenate, nessun ritorno in
grande stile,
nemmeno una sorpresa. Anche perché non saprei davvero come
farmi
perdonare da te, questa volta. Vorrei solo un'altra occasione,
l'ennesima per dimostrarti quanto ti amo, quanto tu sia importante
per me e quanto la mia vita dipenda da te. Forse pretendo troppo,
forse sarebbe meglio arrendersi all'evidenza che ho distrutto il
nostro amore, la nostra storia, tutto ciò che stavamo
costruendo a
poco a poco.
Questo forse
è stato l'errore più
grave di tutta la mia esistenza. Ma ho capito che è inutile
fingere
di essere chi non si è, nascondere i propri sentimenti e
ferire,
così, tutte le persone che mi circondano.
Sta a te, ora,
decidere. Se troncare
questo amore meraviglioso ma burrascoso oppure tornare a vivere con
un sorriso, quello che non sono stato in grado di regalarti.
Ti amo piccola mia,
Dario.
Rilessi quella lettera
più e più volte
notando anche la carta increspata in alcuni punti quasi tondeggianti,
come se Dario, mentre scriveva quelle parole, avesse pianto. Mi
toccò
il cuore immaginarlo in lacrime come era successo quella sera sul
balcone e mi colpirono quelle righe scritte con una calligrafia
incerta. La ripiegai appoggiandola sul tavolo e cominciai a rigirarmi
il biglietto per Milano tra le mani. Gli occhi mi si bagnarono di
lacrime e un groppo mi si formò in gola. Quella lettera mi
aveva
colpito, aveva smosso il mio cuore. In quel foglio bianco c'era
amore, c'era dolore, c'era malinconia e anche frustrazione. Il suo
senso di colpa e la sua tristezza si percepivano anche solo da
lettere scritte su un pezzo di carta. Ma non era abbastanza per
cancellare quello che aveva fatto. Mi serviva una conferma in
più,
mi serviva parlare con lui, vederlo negli occhi mentre mi diceva
quelle cose.
«Ho, ho bisogno di
parlargli.» Mormorai
e non ero molto sicura che Consuelo avesse sentito.
«El
campetto non es muy lontano da
qui» Rispose, invece, regalandomi un sorriso
sornione.
Mi diede delle brevi
indicazioni ed io
intascai sia la lettera che il biglietto per Milano. Ancora non
sapevo che cosa avrei deciso di fare, regnava ancora il caos nella
mia mente e la mia decisione dipendeva solo ed esclusivamente da
Dario, da quello che mi avrebbe detto, da quello che avrebbe fatto.
«Me
dispiacerebbe se la vostra
historia finise,» disse con un certo rammarico.
«Non ho mai
visto el señorito mas feliz.»
Sorrisi istintivamente a
sentire quelle
parole. Sapere che Dario erta felice mi rese contenta, anche se solo
relativamente. Il nostro amore era ancora sospeso nel vuoto, era un
funambolo che rischiava da cadere in un momento all'altro senza una
rete che potesse parare la sua rovinosa caduta.
«Grazie.»
Mormorai
Corsi verso la porta di
ingresso, mossa
dalla voglia di chiarire con Dario e arrivare finalmente ad una
decisione. Arrivata davanti alle scale, però, una mano mi
afferrò e
mi spinse contro la ringhiera. Mi ritrovai in un istante intrappolata
dal torace nudo di Mauro, con il suo viso terribilmente vicino al mio
ed incredibilmente bello. Aveva un fisico pressoché
perfetto,
asciutto e con e i muscoli ben delineati. Avevo il volto in fiamme e
sentii il mio corpo invaso da intense scosse inspiegabili.
«Buon pomeriggio, niña.»
Mi
disse con un sorriso sensuale.
«Ci-ciao.»
Balbettai e cercai di
sfuggire al suo sguardo, ma i miei occhi erano incollati ai suoi
cristallini.
«Come va? Hai pianto
stanotte?» Mi
domandò apprensivo, sistemandomi una ciocca di capelli
dietro i
capelli e sfiorandomi il viso con le sue dita. Quei suoi gesti mi
sembravano alquanto ambigui e stavo iniziando seriamente a pensare
che Mauro fosse attratto da me. Ma sicuramente ero solo la mia
fantasia mega sviluppata a farmelo credere. Una volta avevo creduto
che il professore di educazione fisica mi venisse dietro in seconda
superiore solo perché cercava di farmi imparare a fare un
bagher
degno di quel nome. Ma in realtà lui era gay e lo scoprii
solo dopo
che mi ero invaghita per benino di lui.
«Ne-neanche
tanto.» Mentii imbarazzata,
con il cuore che mi rimbombava nelle orecchie e le guance che mi
andavano a fuoco.
«Avete discusso
ancora?» Mi sembrava di
star subendo un interrogatorio e non solo per le domande ma anche per
la soggezione che mi metteva addosso Mauro. Era talmente bello da
farmi perdere qualsiasi lucidità.
«No. Ci siamo
ignorati» Scossi la testa
e mi umettai le labbra. Altra menzogna solo perché non
volevo che
Mauro intervenisse nella nostra storia, confondendomi ancora di
più.
Si sporse verso di me e mi
baciò la
fronte. Era un gesto casto, innocente, innocuo, ma le sue labbra
sottili e sensuali erano bollenti, bruciavano e il contatto con loro
mi destabilizzò. Per un attimo ebbi la tentazione di
baciarlo e non
sapevo nemmeno io perché Mauro mi facesse quell'effetto. Era
innegabilmente bello, ma caratterialmente era più instabile
di suo
fratello. Però c'era qualcosa in lui, qualcosa che mi
tentava e che
mi attirava a lui come miele per le api, come l'acqua per un assetato
del deserto. E nei suoi occhi c'era acqua a volontà.
«Sei riuscita a
prendere una decisione
oppure hai bisogno ancora di sfogarti?» Altra domanda, altro
attacco
tachicardico. Beh, anche se mi fosse venuto un infarto c'era
lì il
dottor Vitrano che avrebbe potuto salvarmi.
«Dario mi ha scritto
una lettera.»
Dissi con un sorriso tirato.
Il corpo di Mauro si
spalmò
completamente addosso a me. Avevo i suoi pettorali contro il viso, i
suoi occhi di ghiaccio puntati nei miei che ardevano e che sembrava
mi desiderassero, la sua mano che mi accarezzava una guancia e che mi
faceva ribollire. Mi sentivo accaldata, sentivo le budella
contorcersi ed uno strano palpito che mi faceva battere il cuore
irregolarmente.
«Vuoi per caso
tenermi sulle spine?» Mi
chiese con tono sensuale e si leccò li labbro con la punta
della
lingua. Non sapevo se lo avesse fatto apposta oppure se fosse stato
involontario, ma comunque quel suo gesto mi mandò quasi in
estasi.
Dovevo allontanarmi da Mauro il prima possibile, prima di perdere il
controllo su me stessa. Dovevo cercare di stargli il più
lontana
possibile perché io amavo Dario, anche se ero in collera con
lui e
quello che “provavo” per suo fratello era solo
qualcosa di
insensato, di inspiegabile ed incontrollato che mi spaventava e che
temevo mi avrebbe fatto commettere qualche imperdonabile errore.
«Stavo proprio per
andare al campetto
dove sta giocando Dario,» spiegai con un sorriso tirato e
vidi
l'espressione di Mauro mutare, incupirsi e gli occhi diventare
distanti e freddi. «Ho bisogno di parlargli prima di prendere
la mia
decisione. Voglio chiarire con lui questa situazione. Lo amo troppo
per perderlo.»
Mauro contrasse la mascella ed
annuì
flebilmente, staccandosi poi da me e dandomi le spalle.
«Non dovresti
nemmeno pensarci. La
risposta è ovvia,» sibilò.
«Con Dario soffrirai e basta. E non
dire che non ti avevo avvisata.»
«Se lo
perdonerò e se poi accadrà
quello che hai predetto tu, avrai la soddisfazione di dirmi
“Te
l'avevo detto”.»
«Della soddisfazione
non me ne faccio
nulla,» disse con tono duro. «Ma la decisione
è tua. Preparerò
una scorta di kleenex.» E quell'ultima frase la disse con
cattiveria
sprezzante.
Tutta la magia che era
riuscito a creare
era stata dissolta dal suo caratteraccio e la sua malafede. Mi
sentivo così stupida ad aver vacillato di fronte a lui.
Mauro era
solo bello e niente più e non potevo comportarmi come una
cretina
davanti a tutti i ragazzi belli che incontravo. Ero fidanzata
–
forse ancora per poco – e l'unico uomo di cui doveva
importarmi in
quel momento era Dario.
Mandai mentalmente a quel
paese Mauro e
così com'ero, con addosso solo un paio di calzoncini di
jeans, una
maglietta dell'Hard Rock di Londra e le Superga bianche, uscii di
casa in fretta e furia. Volevo solo Dario in quel momento, volevo
parlare con lui e speravo che tutto si sarebbe risolto, che sarei
tornata a stringerlo... non lo avrei fatto più allontanare
da me.
L'avrei amato con tutta me stessa, amatoo come non avevo fatto e mi
sarei fatta amare da lui. Mi guardai intorno e cercai di fare mente
locale sulle indicazioni che mi aveva dato Consuelo, nonostante ci
fosse l'immagine di Mauro che sgomitava nella mia mente. Seppur non
volevo pensare al più grande dei fratelli Vitrano, lui era
lì fisso
nella mia mente nella sua ambiguità e nella sua
sensualità. Era
stronzo, era cattivo, era tremendamente intelligente e di una
bellezza sconvolgente. Sapevo che non avrei nemmeno dovuto pensarlo,
non avrei dovuto sfiorarlo e cadere in tentazione. Mauro era un po'
come il serpente biblico che cercava in tutti i modi di costringermi
a mangiare la mela. Se avessi ceduto alla sua tentazione avrei
mandato tutto a quel paese, tutto quello che stavo cercando di
recuperare con Dario. Ma fino a quando sarei riuscita a resistere dal
mordere la mela? Ero pur sempre un essere umano.
Scossi la testa e mi obbligai
a pensare a
Dario. Era il ragazzo che amavo più della mia stessa vita e
l'unica
tentazione che dovevo concedermi. Svoltai a sinistra per l'ultima
volta e feci qualche metro. Il campetto di calcio apparve
all'orizzonte così come gli schiamazzi cominciarono a
riempirmi le
orecchie. Feci gli ultimi passi e mi addentrai all'interno di quello
che sembrava un centro sportivo. Camminai lungo un corto corridoio,
passando accanto un un piccolo bar e uscii direttamente sui pochi
spalti che circondavano il campetto. C'era poca gente a guardare la
partita, ragazzi per lo più che dovevano essere gli amici
delle due
squadre che si affrontavano, una con le magliette gialle e gli
avversari vestiti di azzurro cielo.
Mi sporsi in avanti parandomi
con una
mano dal sole pomeridiano che mi colpiva il viso e adocchiai subito
Adriano con la maglietta gialla che correva da una parte all'altra,
sbracciandosi per farsi passare la palla. Ma un avversario gli si
parò davanti, marcandolo stretto per impedire il passaggio.
Il
biondo cercò di liberarsi, dimenando le mani come un ossesso
ma il
tipo vestito di azzurro non aveva intenzione di lasciarlo smarcato.
Per cui il compagno di squadra di Adriano, in possesso di palla,
salì verso la metà campo avversaria riuscendo a
saltare uno che era
entrato in scivolata. Arrivato nell'area della “squadra
blu”
passò la palla ad uno dei suoi compagni. Seguii la
traiettoria della
palla e la vidi adagiarsi sul petto di Dario e ricadere leggera
davanti a lui. Sorrisi istintivamente appena lo vidi e sentivo
distintamente il mio cuore battere così forte da rimbombare
nella
cassa toracica. Sembrava che fosse la prima volta che lo vedessi, mi
sentivo come una ragazzina capitata lì per caso che si
innamorava
del bel calciatore senza nome. Ma ogni volta che lo vedevo, ogni
volta che incrociavo il suo sguardo, ogni colta che sentivo le sue
mani scivolare su di me riprovavo le stesse emozioni di quando lo
avevo visto per la prima volta, di quando mi ero innamorata di lui,
amplificate addirittura oltremodo. Con Dario erano sempre nuove
sensazione e ogni giorno era come se mi innamorassi di nuovo di lui
sempre più profondamente. E pensare che potevo perdere tutto
quello
fu come un pugno all'altezza del petto.
Un omino blu riuscì
a rubare la palla a
Dario, anche in modo abbastanza semplice. Non mi intendevo di calcio,
lo seguivo solo per i calciatori e non per lo sport in sé,
ma
l'azione degli avversari era stata prevedibile e si poteva evitare
facilmente. Ma il mio Dario sembrava deconcentrato, sembrava
spaesato, come se si trovasse in un mondo non suo.
«Porca puttana,
Dario!» Sbraitò un suo
compagno rasato e con la faccia di un topo.
«Che stai a
dormì!» Intervenne anche
Adriano, mandandolo a quel paese con un gesto della mano.
«Cerca de
svegliarti che siamo già dietro di un gol!»
Dario alzò le mani
in segno di
colpevolezza e cominciò a correre per raggiungere la sua
metà del
campo e riprendere la palla che sembrava incollata ai piedi dell'alto
omino blu che da lontano mi ricordava molto Federico, forse per il
naso simile al becco di un'aquila. Fortunatamente il portiere
riuscì
a parare la bomba del sosia di Abbate e ad acchiapparla dopo un paio
di rimbalzi. Dario fece qualche passo verso di lui e
richiamò la
palla, deciso più che mai a farsi valere dopo il brutto
errore di
prima. Il portiere annuì e fece scivolare la palla verso i
piedi del
mio ragazzo che la stoppò con maestria. Cominciò
a correre e riuscì
a scartare un avversario, ma non andò più lontano
della metà campo
perché il sosia di Federico recuperò la palla con
una scivolata
degna di uno dei migliori calciatori. Dario rimase immobile nel punto
in cui era stato fregato per la seconda volta, con le braccia lungo i
fianchi e il volto a guardare l'erba sintetica. Era abbattuto e
demoralizzato per colpa mia e del nostro litigio. E il gol che
susseguì l'azione dell'Abbate romano non
fece altro che
buttarlo giù ancora di più.
«Che cazzo ti
piglia, fratè?» Urlò
Adriano fuori di sé.
«Sei diventato 'na
merda!» Si aggiunse
il topo.
«Andate a fare in
culo.» Li liquidò il
mio ragazzo con poco garbo.
Mi sentivo in dovere di fare
qualcosa, di
fargli sentire la mia presenza.
«Dario!»
Urlai sbracciandomi e
saltellando sul posto con un sorriso ebete stampato in volto.
Lui alzò il viso
verso gli spalti con la
fronte corrugata e cercò con aria dubbiosa chi lo avesse
chiamato.
«Sono
qui!» Sbraitai di nuovo e il suo
sguardo incontrò il mio. A poco a poco le sue labbra si
aprirono in
un sorriso e i suoi occhi ritrovarono la loro luminosità,
quella che
li aveva sempre caratterizzati e che li rendeva due stelle luminose
in mezzo ad un manto oscuro. E per la prima volta mi apparve
veramente felice, innamorato e mi sembrò quasi di rivedere
quella
fotografia appesa dietro al poster. Ma quello sguardo non era
indirizzato a Sole, bensì a me. Chiese un time-out ai suoi
compari e
agli avversari e corse verso gli spalti, sotto lo sguardo
esterrefatto e scocciato degli altri ragazzi. Scesi verso il campetto
per raggiungerlo e quando lo ebbi a pochi centimetri di distanza,
così dannatamente perfetto, sentii il sangue rifluire in
ogni membra
del mio corpo, sentii scorrere Dario nelle mie vene e ridarmi la
vita.
«Che ci fai
qui?» Domandò incredulo,
allungando furtivo una mano verso di me e ritraendola poco dopo, come
se avesse paura di sfiorarmi, che lo respingessi come la sera
precedente.
«Consuelo mi ha dato
la tua lettera.»
Dissi abbassando lo sguardo ad osservare le mie Superga.
«Oh,»
esclamò solo, grattandosi la
nuca. «Non dirmi che sei venuta fin qui per dirmi addio. Non
reggerei, io... io... morirei se lo dicessi!»
Mi morsi il labbro e scossi la
testa,
sentendo un'immensa voglia di stringerlo e di baciarlo.
«In
realtà non lo so nemmeno io cosa
voglio fare,.» sospirai e rialzai gli occhi per incontrare i
suoi
spaesati «La tua lettera è davvero triste e pare
che tu abbia
capito il tuo errore. Ma...»
«Ma ti ho fatto
troppo male,» completò
per me la frase e sospirò. «L'unica cosa che
voglio, Alice è che
tu sia felice. E se tu vorrai che io mi faccia da parte lo farei,
anche se ho bisogno di te più dell'aria.»
«Il punto
è che io sono felice con te,»
replicai amaramente. «E ti amo e so che tu provi lo stesso
per me.»
«Allora dammi
un'altra possibilità,
Alice. Io ho bisogno di te, piccola mia.» disse e mentre
diceva
quelle parole mi strinse la mano tra le sue, inginocchiandosi di
fronte a me. Gli occhi di tutti erano puntati su di noi e mi sentii
un tantino in imbarazzo. Tentai di farlo rialzare, ma nulla
servì
per farlo schiodare da lì. «Ho bisogno del tuo
sostegno, che tu ti
prenda cura di un fallito come me, del tuo amore»
Ero spiazzata da tutto quello.
Ciò che
c'era tra di noi era qualcosa di intenso, qualcosa di difficilmente
controllabile, che vacillava ma non sembrava voler cedere. E chi ero
io per poterlo spingere giù dal precipizio? Per mettere fine
a tutto
quello?
«Ma come posso
fidarmi ancora di te?»
Domandai con un filo di voce ed ero sicura che quella fosse la
domanda decisiva, quella che avrebbe segnato le sorti del nostro
rapporto.
«Senza di te sono
nulla, sono
completamente vuoto, sono un morto che cammina,» rispose,
sfiorandomi la mano con l sue labbra. «Se tu decidessi di
perdonarmi, non commetterò più cazzate simili e
rischiare di
perdere di nuovo la tua fiducia, rischiare di perdere te e la mia
vita. Dimenticati del Moro, perché lui
non esiste più. Lo
giuro!»
Fidarsi o meno? Ancora una
volta mi
ritrovavo di fronte a quel bivio. Gli occhi neri di Dario erano
sinceri, erano gli stessi di quel ragazzo che avevo conosciuto mesi
prima e che avevo amato e non quelli crudeli del Moro.
Mi
guardai intorno incontrando gli occhi di tutti e mi soffermai in
quelli azzurri di Adriano. Ci stava fissando e quando i nostri
sguardi si incontrarono, lui abbozzò un sorriso e
annuì come se mi
stesse dando la conferma che quello inginocchiato davanti a me era
Dario, il mio Dario. Mi morsi il labbro inferiore e lo tirai per la
maglietta per farlo alzare.
Annullai le distanza da noi
per poterlo
baciare. Subito il suo sapore di vaniglia mi invase e riempì
le
fibre del mio corpo. Non potevo perderlo perché sarebbe
equivalso a
non vivere più. Ogni istante che passava, ogni attimo che
passavo
accanto a lui capivo quanto lui fosse necessario ed essenziale per
me. Era l'altra metà del mio animo, l'altra metà
del mio cuore che
mi mi permetteva finalmente di vivere per davvero. Dario e il suo
amore erano le cose più importanti che avevo, erano la mia
ragione
di vita. Molto probabilmente mi ero lasciata trasportare troppo da
quella storia d'amore essendo anche la prima e stavo esagerando un
po' troppo le cose. Non per forza la nostra relazione sarebbe durata
a lungo, magari sarebbe finita anche tra pochi mesi o anche giorni.
Nulla era prevedibile in amore e lo stavo imparando a poco a poco, ma
per il momento mi sarei goduta ciò che il nostro amore ci
stava
regalando senza pensare ad un'ipotetica rottura. Era troppo doloroso
anche solo pensare di stare lontana da lui e credere che quello
potesse, un giorno, diventare reale mi uccideva.
Le nostre lingue si cercarono
nello
stesso momento e si incontrarono, si sfiorarono e si attorcigliarono
tra loro con tutta la passione che non avevamo espresso in quelle
ventiquattro ore di lontananza. Era come se le nostre bocche avessero
sentito la mancanza dell'altro e che volessero recuperare tutti i
baci che ci erano stati negati in quelle ore in cui non si erano
incontrate.
«Vuol dire che mi
perdoni?» Chiese
speranzoso muovendo il pollice per accarezzarmi la guancia.
«Diciamo di
sì.» Dissi ridacchiando.
Dario sorrise e mi
baciò di nuovo,
mordicchiandomi il labbro inferiore con delicatezza.
«Ti amo,»
disse senza staccare le sue
labbra dalle mie e il suo fiato bollente si infranse nella mia bocca.
«Anche io ti
amo.» Risposi con un
sorriso ed affondai le mani nei suoi capelli castani, avvicinandolo
di nuovo a me.
Lo avrei baciato per tutto il
giorno, lo
avrei baciato fino a rimanere senza fiato, fino a che non si sarebbe
esaurito il suo meraviglioso sapore di vaniglia. Dario mi cinse i
fianchi, passandomi un braccio dietro la schiena e avvicinò
il mio
corpo maggiormente al suo. Era caldo, era bollente e desideravo
sentirlo completamente, fondermi con lui e non lasciarlo andare
più
via. Peccato che i suoi amici erano di tutt'altro avviso e sembravano
non gradire le nostre smancerie.
«Hey, Romeo e
Giulietta!» Esclamò
Adriano infastidito con la palla sotto il braccio. «Dovete
trombare
o possiamo tornà a giocare?»
Arrossii di colpo e sgranai
gli occhi
pensando a noi due che consumavamo davanti a tutti, mentre Dario
sembrava realmente divertito dall'affermazione del suo amico. Infatti
stava ridendo e finalmente lo vidi felice, così come piaceva
a me e
così come mi ero ripromessa di farlo sentire.
«Arrivo!»
Brontolò e mi baciò ancora
a fior di labbra. «Ti amo» Disse cominciando ad
allontanarsi da me
a ritroso per non perdere il nostro contatto visivo. Gli sorrisi e
gli lanciai un bacio. Era inutile che gli dicessi Anche io,
sarei stata solo ripetitiva. Ormai sapeva quanto lo amassi, lo
sapevano tutti, dalle pareti delle nostre case che avevano guardato
silenziose il nostro amore consumarsi alla luna che ci assisteva dl
cielo, fino ad arrivare alle stelle che ci osservavano e che erano
invidiose degli occhi di Dario, della loro luminosità che
offuscava
quella degli astri.
Mi sorrise ed
allargò le braccia quando
raggiunse il campo ed i suoi amici.
«Ti amo!»
Ripeté, questa volta con
tono più forte e deciso in modo da farsi sentire da tutti.
I ragazzi che si trovavano
dietro di lui
rimasero sorpresi da quella confessione, tranne Adriano che sembrava
quasi rassegnato all'idea che il suo amico fosse un'altra persona
rispetto a quella che aveva conosciuto. Non lo dava a vedere, ma ero
sicura che fosse confuso da tutto quello che stava accadendo. A dir
la verità anche io ero rimasta piacevolmente colpita e
stupita dal
suo Ti amo quasi urlato, da quella dichiarazione
fatta davanti
a tutti. Aveva messo da parte la sua apparenza, alla quale teneva
così tanto, solo per me e fui contenta di averlo perdonato.
Magari
ero ingenua a farmi sempre abbindolare dai suoi sguardi e a lasciar
perdere qualsiasi cosa, ma poi Dario mi sorprendeva sempre
piacevolmente e non mi dava motivo di pentirmi della mia decisione.
La partita di calcetto
ricominciò e mi
sembrò di vedere in campo un altro Dario, più
sorridente e
concentrato di prima. Non badai molto alle azioni dei vari giocatori
perché il mio sguardo era stato catturato dal mio ragazzo
che
correva e si sbracciava per poter ricevere la palla. I suoi compagni,
però, sembravano restii nel dargli ancora fiducia dato gli
erroracci
che aveva fatto poco prima. Ma alla fine il topo rasato, non avendo
altra scelta passò quella dannatissima palla a Dario che la
stoppò
con il petto e accelerò la sua corsa verso la porta
avversaria.
Scartò un paio di omini blu, con qualche
difficoltà, rischiando
ancora una volta di perdere la palla e si avvicinò
pericolosamente
all'area di rigore, attirando subito l'attenzione del difensore che
gli corse incontro per evitare che segnasse. Ma Dario
approfittò di
un istante di distrazione dell'omino blu e fece passare la palla in
mezzo alle sue gambe, allungandosela ancora di più verso la
porta.
Con uno scatto che bruciò sul tempo il suo avversario la
recuperò e
caricò la gamba sinistra, lanciandola verso la rete che
l'accolse
subito dopo. Scattai in piedi e cominciai a saltellare sul posto,
urlando come una pazza per la gioia di averlo visto segnare. Sembrava
che fossi allo stadio e che avesse appena segnato Sogno, il mio
calciatore preferito ed ero sicura che i pochi spettatori che c'erano
lì mi avevano presa per scema. I compagni di squadra di
Dario gli
andarono incontro, abbracciandolo e saltandogli letteralmente addosso
per festeggiare il primo gol della squadra. Ma lui si
divincolò
dalla loro morsa e mi rivolse uno sguardo. I suoi occhi finalmente
ridevano e il temporale che ci aveva sorpresi e che avevo creduto
potesse essere catastrofico era passato, le nuvole nere si erano
diradate lasciando spazio a quel sole lucente che ora si rifletteva
nelle iridi di Dario. Mi sorrise ed unì le punte degli
indici e
quelle dei pollici mimando la forma di un cuore e lo dedicò
a me. Io
feci lo stesso, lanciandogli anche un bacio con le labbra e
urlandogli un Ti amo che avrebbe sentito perfino
chi si
trovava su Marte.
«Anche
io!» Mi urlò, portandosi poi
una mano sul cuore.
Era stato solo un fulmine che
aveva
squarciato il cielo e che aveva creato solo un grande caos con il suo
boato, che sembrava voler preannunciare una catastrofe che non era
avvenuta. Il sole aveva avuto la meglio su di lui e tutto era tornato
alla normalità, illuminato dai raggi caldi e luminosi della
nostra
stella. Quello che c'era tra di noi era troppo forte per poter essere
spazzato via con una sola folata di vento e il baratro nero in cui
credevo che sarebbe sprofondato il nostro amore scomparve a poco a
poco risucchiato dalla luce intensa di quello stesso sole che
splendeva su di noi e che ci accompagnava in quel tortuoso cammino
che era l'amore.
Nonostante il gol di Dario, la
sua
squadra perse miseramente. Quattro a Uno fu il risultato finale e la
colpa era solo del sosia di Federico che ci sapeva fare con la palla
e che avrebbe potuto avere un futuro come giocatore professionista. I
ragazzi, bottiglietta d'acqua alla mano che usarono solo per bagnarsi
e rinfrescarsi dopo la partita, si diressero verso gli spogliatoi
ridendo e scherzando tra loro. Dario si fermò poco prima di
sparire
dentro la struttura e mi sorrise.
«Ti aspetto negli
spogliatoi.» Mi
disse, indicando l'interno del centro sportivo.
Annuii con un sorriso e lo
vidi
inoltrarsi lì dentro insieme a tutti gli altri. Aspettai
dieci
minuti, durante i quali rimasi a fissare il campo inebetita con un
sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro. Tutto si era
risolto per il verso giusto e non potevo essere più
contenta. Avevo
avuto un'altra conferma di quanto mi amasse, avevo visto Dario
mettere da parte ciò che era stato e ciò che i
suoi amici
veneravano solo per me dichiarando il suo amore per me a tutti
quanti. Mi sentivo un po' in colpa, però. Lui faceva un
sacco di
cose per me ed io me ne stavo solo lì a guardare e a
ricevere delle
“sorprese” che forse non meritavo.
Mi alzai dagli spalti e mi
inoltrai nella
struttura seguendo i cartelli con su scritto “Spogliatoi”.
Si trovavano alla fine di un lungo corridoio e, appena li raggiunsi,
mi appoggiai alla parete attendendo di poter entrare. Non volevo
piombare lì dentro e magari trovarmi Adriano nudo. Non che
fosse una
brutta visione dato che il biondino non era niente male, ma sarebbe
stato molto imbarazzante. Per cui attesi ancora qualche minuto
sentendo che da dietro la porta provenivano ancora degli schiamazzi.
Rimasi immobile lì
fuori per un'altra
decina di minuti buoni, finché, finalmente, non uscirono il
topo
dalla testa pelata seguito a ruota dal Federico-romano e gli altri.
L'ultimo a chiudere la fila era Adriano che stava imprecando contro
l'acqua fredda della doccia. Quando i suoi occhi cerulei incontrarono
i miei si fermò ed abbozzò un sorriso.
«Ciao.» Mi
disse con tono basso.
Lo salutai con un gesto della
mano e
stavo per entrare nello spogliatoio, ma la voce di Adriano mi
bloccò.
«Senti,»
esordì passandosi una mano
dietro la nuca. «Mi dispiace per ieri, che t'ho chiamata cozza,
cessa, scorfana e tutto il
resto. Stavo a scherzà!»
Mi sorrise e mi diede una pacca sulla spalla che per poco non mi
smontò.
«Tranquillo. Non me
la sono presa.»
Sorrisi di rimando, anche se in realtà avrei voluto
spaccargli la
faccia per quello che aveva detto.
«Pe'
fortuna!» Esclamò passandosi una
mano sulla fronte e ridacchiando. «Non credevo che tra voi
due,
insomma, ci fosse... sì, insomma...»
«Qualcosa di
serio?» Chiesi retorica ed
Adriano annuì.
«Me parte come sex
machine e me ritorna
accoppiato,» sghignazzò, scuotendo la testa.
«Cioè, cazzo, me lo
hai rincoglionito, sore'!»
Sorrisi annuendo, anche se il
linguaggio
colorito di Adriano continuava a darmi sui nervi. Nonostante tutto,
però, non era poi così antipatico e tutti i
timori di Dario non
erano fondati. Non aveva fatto nemmeno una piega il suo migliore
amico quando aveva scoperto che era innamorato di me, a parte lo
stupore iniziale. Magari, però, era contrariato e non lo
dava a
vedere ma sembrava comunque aver accettato il nostro amore.
«Siete carini
insieme.» Disse poi con
un sorriso non del tutto convinto.
«Dovresti trovarti
anche tu una ragazza,
non credi?» Gli chiesi con un chiaro tono provocatorio.
Adriano scrollò le
spalle. «Ho
ventiquattro anni e me vojo divertì.»
«Ma dici
così perché la ragazza che ti
piace non ti fila?»
«Umpf!
Figurati,» si stizzì lui e mi
liquidò con un gesto della mano. «Se una tipa me
piace sta sicura
che me la dà.» Disse sicuro di s,é
anche se il suo tono non era
dei più convinti. Borbottò qualcosa e mi
sembrò di sentire il nome
Serena o Milena ed intuii che quella ragazza misteriosa aveva fatto
breccia nel cuore del freddo Adriano. Sorrisi soddisfatta nel vederlo
arrossire piano piano.
«Vabbè,
io vado,» tagliò corto, molto
probabilmente perché non gradiva quel discorso.
«Ci si becca,
Alice.»
Si allontanò da me
e si voltò verso
metà corridoio, indicandomi con entrambi gli indici.
«E prendite cura di
Dario. Non farmelo
frignare come 'na checca!»
«Vai
tranquillo,» lo rassicurai
ridacchiando. «È in buone mani.»
Mi sorrise per poi sparire
lungo il
corridoio. Mi voltai verso la porta e presi un respiro profondo prima
di entrare e trovarmi Dario seduto su una panchina di legno senza
maglietta e con addosso ancora i calzoncini della partita, i gomiti
appoggiati alle ginocchia larghe e il volto basso. Era ancora sudato
per cui dedussi che non aveva ancora fatto la doccia.
«Toc toc.»
Dissi per richiamare la sua
attenzione e il suo sguardo si sollevò per incontrare il
mio. Non
appena mi vide sorrise e scattò in piedi, raggiungendomi per
abbracciarmi e baciarmi. Nulla di troppo passionale, avevamo
già
dato davanti a tutti, solo qualcosa di rapido e casto ma non meno
appagante.
«Scusami davvero
tanto Alice,» disse
con un filo di voce giocando con una mia ciocca di capelli.
«Sono un
cazzone, un deficiente! Non so nemmeno io perché ho finto
con
Adriano.»
«Per fortuna che te
lo dici da solo,
così mi risparmi dal coprirti di insulti.»
Ridacchiai e lui mi
guardò con gli occhi ridotti a due fessure e il naso
arricciato.
«Me li meriterei
comunque,» bofonchiò
e si guardò le scarpe. «E se vuoi sfogarti e
riempirmi di parolacce
fallo pure.» Esclamò allontanandosi da me e
allargando le braccia.
«Tanto diresti solo la verità.»
«Smettila di dire
idiozie,» borbottai
afferrandogli un braccio e avvicinandolo a me. «Hai sbagliato
e
questo ormai è ovvio. Ma errare humano est.»
Sospirai
scrollando le spalle.
«Adesso parliamo
anche latino,»
bofonchiò. «Ho sempre odiato il latino. E anche il
greco. Colpa
dello Scempia e dei suoi perfidi due.» Straparlò
ed io non capii
che cosa c'entrassero adesso i suoi voti del liceo. Dario non aveva
tutte le rotelle a posto e di questo ne ero sempre più
convinta.
«Ma, comunque, sarà anche umano ma ne faccio
davvero, davvero
troppi di errori.» Riprese sconsolato.
«Ma si trova sempre
il rimedio ai propri
sbagli, no? O comunque, tu ci riesci.» Dissi con un sorriso.
«Solo se si ha
accanto una ragazza
paziente e comprensiva come te.» Sospirò.
«Sono ancora convinto di
non meritarti. Sei troppo buona per uno che sbaglia in continuazione
come me.»
«Che fai? Adesso
scappi di nuovo?»
Scherzai, anche se ricordare quella maledetta sera di San Valentino
era ancora doloroso.
«No, mai
più! Non da te, almeno.»
Soffiò sulle mie labbra poi le intrappolò tra le
sue,
mordicchiandole ed assaporandole. Intrecciai le braccia dietro al suo
collo e mi spinsi di più verso di lui. Il suo corpo era
caldo, oltre
che sudato ed incredibilmente sexy e appena mi scontrai con lui,
appena lo sfiorai una scossa intensa si propagò dal basso
ventre. Lo
desideravo più di qualsiasi altra cosa, ma quello non era il
momento
per fare l'amore... solo di chiarire.
«Sono io a non
meritarti.» Mormorai a
pochi millimetri dalle sue labbra.
I nostri visi erano
dannatamente vicini,
così come i nostri corpi che strusciavano l'uno sull'altro.
Ogni
contatto con il suo petto nudo era un brivido alla base della nuca
che percorreva tutta la spina dorsale e si espandeva in ogni parte
del mio corpo.
«Che te sei fumata,
Alice?» Domandò
dubbioso.
«Insomma tu fai un
sacco di cose per me
ed io invece mai nulla.» Mormorai.
«Le faccio
perché devo farmi perdonare
per le mie immense cazzate!» Mi rispose con un sorriso,
accarezzandomi la guancia.
«Sei felice con
me?» Chiesi a
bruciapelo, e Dario rimase per un attimo perplesso.
«Ma certo, piccola.
Sono più che felice
di stare con te.» Rispose senza esitazione e mi
accarezzò la
guancia.
Gli sorrisi con un pizzico di
imbarazzo e
ripensai alla foto di Sole dietro i poster, tanto che c'ero avrei
dovuto affrontare quel discorso e togliermi tutti i dubbi, anche se
la maggior parte di essi si erano dissipati.
«Come ti vengono
queste domande?»
Esclamò incredulo e mi sfiorò una gota con le
labbra.
«Beh...
perché... ti vedevo un po'
assente,» scrollai le spalle e mi morsi l'interno del labbro.
«Sai i miei hanno
scoperto che mi
prostituivo, mio fratello fa di tutto per rovinarmi le giornate e mia
madre non mi rivolge nemmeno la parola...» Lasciò
la frase in
sospeso e capii che il motivo del suo umore non ero io bensì
la sua
famiglia, come al solito. «Solo con te sono davvero felice e
non
vedo l'ora che arrivi la notte per poter stare da solo con te e
godermi finalmente un po' di tranquillità.»
Dario sarà anche
stato una capra in
latino e greco, ma con la dialettica ci sapeva fare. Le sue parole
erano sempre bellissime e mi spiazzava ogni qualvolta le sentivo
uscire dal suo cuore con così tanto sentimento. E
ciò che mi
rendeva ancora più contenta era il fatto che fossi io a
ispirarlo,
che io fossi la sua Musa.
«Come sei
tenero,» commentai,
baciandolo in fronte e facendolo arrossire. «E delle foto
dietro i
poster che mi dici?» Chiesi tutto d'un tratto.
«Che
foto?» L'espressione di Dario era
dubbiosa. «Non mi ricordo di nessuna foto.»
«Quelle con Sole...
in cui tu sembravi
così innamorato.» Gli ricordai con un filo di voce.
«Ah,
sì!» Esclamò picchiandosi una
mano sulla fronte. «È da talmente tanto tempo che
non metto piede
lì dentro che mi ero perfino scordato di quelle
foto,» ridacchiò.
«E comunque quello è il passato. Sole è
il passato. Mentre tu sei
il mio presente e il mio futuro. Sono innamorato
di te, non di
Sole.»
E quelle parole furono
liberatorie, mi
tolsero quel peso opprimente che impediva al mio cuore di battere con
tutta la sua potenza, furono come acqua durante una traversata del
deserto, come aria dopo un'immersione dalla quale credevo di non
uscire più. E non solo le parole che aveva detto, ma anche
il modo
in cui si era espresso, con così tanta dolcezza e tanto
amore mi
fecero provare quelle sensazioni di liberazione.
«Ti amo.»
Risposi semplicemente, senza
sapere che dire di fronte alla bellezza delle sue parole.
«Ti amo anche
io,» disse lui. «Ti
amo davvero, ti amo lo giuro, ti amo, ti amo davvero.»
Canticchiò la canzone di Baglioni e mi baciò
all'angolo della
bocca.
Ridacchiai e lui intanto si
allontanò da
me avvicinandosi al suo borsone e recuperando qualcosa dalla tasca.
Mi raggiunse e mi fece penzolare la collanina con la fata danti agli
occhi.
«L'ho trovata
stamattina sul tuo
comodino,» disse con un filo di voce. «La
rivuoi?»
«Certo!»
Esclamai senza pensarci su.
Quello era il suo regalo, il nostro segno d'amore, il ricordo di
tutti i mesi, i giorni e gli istanti passati insieme. Dario sorrise e
fece un passo verso di me. Sollevai i capelli e lui mi
circondò il
collo con la catenina e la agganciò. La guardai e la
sfiorai,
sorridendo al mio ragazzo che mi osservava felice.
Poi gli strinsi il viso tra le
mani e
approfondii quel contatto, lambendo la sua lingua con la mia. Un
bacio non mi bastava, volevo qualcosa di più. Volevo farmi
travolgere ancora dalla passione e sprofondare in quel turbine
lussurioso con lui. Dario sembrò del mio stesso parere dato
che,
senza perdere tempo, afferrò i lembi della mia maglietta
dell'Hard
Rock e me la sfilò. Mi passò un braccio dietro la
schiena nuda e mi
strinse di più a sé. Le sue labbra si
allontanarono dalla mia per
lambire la mia pelle, prima quella del collo, poi la clavicola ed
infine le sentii roventi tra i miei seni. Li baciava e li leccava
mentre una sua mano forte e ruvida ne stringeva uno, accarezzando con
movimenti circolari il capezzolo. Chiusi gli occhi e mi morsi
entrambe le labbra, ansimando sommessamente mentre una mia mano gli
scompigliava i capelli. Cavolo! Stavamo per fare l'amore in uno
spogliatoio, avrebbero potuto scoprirci da un momento all'altro, ma
non me ne importava nulla. Ero talmente eccitata e vogliosa di lui
che non mi interessava degli altri, non mi interessava di nessuno se
non di noi e della nostra passione. Il nostro mondo era racchiuso il
quelle quattro pareti e tutto ciò che succedeva all'esterno,
tutti
quelli che erano fuori dal nostro contesto non contavano nulla.
«Ho bisogno di una
doccia.» Mugolò sui
miei seni.
«Adesso?»
Domandai scocciata.
Le dita di Dario afferrarono
le spalline
del mio reggiseno e le fece scivolare giù lungo le spalle,
scoprendo
parte dei capezzoli ed afferrandone uno tra le labbra. Strinsi di
più
le ciocche dei suoi capelli e per poco le gambe non mi cedettero. Il
piacere che solo le sue labbra riuscivano a darmi era spiazzante, era
talmente intenso da farmi tremare e da rendere i miei arti molli come
burro.
«Tu vieni con
me.» Rispose poco dopo,
guardandomi con i suoi occhi di brace che ardevano di desiderio.
Sorrisi maliziosa e lui fece
lo stesso.
Si piegò in avanti e fece passare un braccio sotto le mie
ginocchia
per sollevarmi da terra. Avvolsi le braccia intorno al suo collo e mi
lascia trasportare verso la doccia mentre lo baciavo con gli occhi
aperti per vedere i suoi bruciare, per guardare la passione
consumarsi nelle sue iridi. Entrammo in quel box piastrellato di
azzurro non più grande di cinque metri quadrati. Era uno
spazio
piccolo ed angusto, forse addirittura insufficiente per contenere il
nostro desiderio dirompente. Fece aderire la mia schiena alla parete
fredda della doccia e Dario si spalmò su di me. Eravamo
labbra
contro labbra, cuore contro cuore, abbracciati l'uno all'altro e
pronti ad abbandonarci totalmente all'amore. Le sue mani percorsero
il profilo del mio corpo e si fermarono al bordo dei calzoncini di
jeans per spostarsi verso il bottone. Lo slacciò con una
straziante
lentezza ed abbassò la zip strusciando di proposito il dorso
della
mano contro la mia intimità. Gli morsi un labbro e mi
aggrappai alle
sue spalle larghe per non capitombolare a terra.
Riaprimmo gli occhi nello
stesso momento
e i suoi erano carichi di una malizia pronta a scoppiare,
così come
il suo sorriso di sbieco. Le sue labbra si posarono leggere
nell'incavo delle mie clavicole scendendo verso i miei seni e ancora
giù verso l'addome, solleticandomi con la punta della
lingua. Quando
arrivò al bordo dei pantaloncini alzò il suo
sguardo ardente verso
di me e si leccò un labbro. Afferrò il lembo dei
pantaloni e con
estrema lentezza li fece scendere lungo le mie gambe insieme agli
slip. Mi tolsi le Superga velocemente e le lanciai da qualche parte,
poi mi disfai definitivamente di quegli ingombranti vestiti.
Le mani di Dario si
arpionarono alle mie
cosce e la sua lingua risalì lungo la mia gamba destra,
baciandomi
ogni centimetro di pelle scoperta e arrivando fino all'inguine. Mi
baciò nell'interno coscia e poi più intimamente.
Mi addossai
maggiormente alla parete e strinsi il miscelatore della doccia per i
fremiti di piacere intenso che quel contatto mi provocava. Era un po'
come tornare indietro nel tempo, a quella sera sul divano quando non
eravamo riusciti a contenere quel desiderio reciproco che entrambi
cercavamo stupidamente di arginare. Era esploso tutto d'un tratto,
complice la pioggia e la malinconia che riempiva quella casa,
complice quel bacio che ci eravamo dati sul balcone e quella
intimità
che si era creata tra di noi non appena lui aveva varcato la soglia
di casa mia. E quella passione che credevamo fosse solo un fuoco di
paglia, in realtà mascherava qualcosa di ben più
profondo che
inizialmente nessuno dei due riusciva ad accettare, ma che alla fine
si era dimostrato più potente del nostro orgoglio e delle
nostre
paure. Ed era forse l'amore che c'era tra di noi, quella
complicità
che solo due fidanzati potevano avere e l'assenza totale di imbarazzo
che rese ancora più eccitante quel momento, molto
più di quella
sera di Febbraio.
Mi abbassai verso di lui e gli
presi il
viso tra le mani costringendolo ad alzarsi. Mi piaceva sentire le sue
labbra a contatto con la mia sensibilità, ma volevo qualcosa
di più,
volevo rendere quel momento ancora più speciale. Dario mi
guardò
dubbioso, ma non gli diedi il tempo nemmeno di farsi domande che lo
baciai con trasporto, succhiando quelle sue labbra piene dal sapore
dolce. In un impeto di passione Dario mi slacciò il
reggiseno e lo
lanciò dietro di sé, potendo così
stringere il mio seno tra le sue
mani forti.
Appoggiai le mani sul suo
ampio petto e
le feci scendere, percorrendo quei muscoli che ormai conoscevo a
memoria ma dei quali non mi sarei mai stancata, così come
non mi
sarei mai stufata di Dario in sé. Era talmente perfetto,
così bello
e con una personalità così fragile e stravagante
da farmi sentire
banale di fianco a lui, ma non con lui perché era in grado
di farmi
sentire importante tra le sue braccia, di farmi sentire unica e
desiderata. Afferrai l'elastico dei suoi pantaloncini ed imitai
quello che aveva fatto lui poco prima, sbarazzandomi di quegli
indumenti inutili e scoprendo il suo desiderio dirompente.
Liberai le sue labbra e,
ansante, scrutai
con minuzia ogni centimetro del suo corpo quasi estasiata dalla
perfezione che si celava in lui. Deglutii a vuoto e gli lasciai un
bacio all'altezza del cuore dove solo in quel momento notai un
piccolo tatuaggio che raffigurava una chiave. Non badai a quel
piccolo particolare ma proseguii per il mio cammino lungo il suo
addome e mi fermai all'altezza delle sue anche. Gli accarezzai una
coscia e rimasi a fissarlo per dei minuti interminabili. Non sapevo
nemmeno io quello che stavo facendo in realtà. Era la
passione a
spingermi in quella direzione, a guidarmi verso piaceri che ancora
non conoscevo.
«Che vuoi fare
Alice?» Mi domandò
leggermente preoccupato.
«Non... non lo
so.» Risposi, non del
tutto conscia di quello che stavo per fare.
Avevo il respiro accelerato e
il cuore
che sembrava essermi salito in gola. Stavo osando e lo sapevo bene e
forse stavo affrettando un po' le cose. Ma sentivo il desiderio di
Dario scalpitare dentro di me, lo sentivo infiltrarsi in qualsiasi
cellula e farle fremere insieme ad ogni fibra corporea. Mi sistemai
una ciocca di capelli dietro l'orecchio e dischiusi le labbra,
avvicinandomi a lui e alla sua perdizione. La circondai e la sentii
scivolare nella mia bocca con un ritmo lento che mandò in
estasi
Dario. Appoggiò con violenza una mano alla parete,
inclinandosi
leggermente in avanti e con l'altra si arpionò al
miscelatore, che
si aprì per l'irruenza con sui l'aveva stretto. L'acqua
cominciò a
ricadere su di noi come pioggia, a bagnarci e a trasportarci a quel
giorno di acquazzone in cui ci eravamo dichiarati il nostro amore.
«Porca vacca,
Alice.» Mugugnò
sorreggendosi alla parete.
«Non, non
gradisci?» Chiesi imbarazzata
ed impaurita di aver commesso qualche errore.
«No, per gradire
gradisco. Anche
troppo,» rispose in un rantolo. «Ma non voglio
farti fare passi
troppo lunghi.»
«Non sei tu che mi
costringi,» lo
rassicurai guardandolo in quegli occhi neri e liquidi colmi di
piacere .«Sono io che voglio farlo.»
Dario mi sorrise intimidito e
deglutì a
fatica. Mi umettai le labbra e strinsi il suo desiderio nella mia
mano tornando a quello che stavo facendo prima che lui mi
interrompesse. Non avrei mai creduto che una cosa del genere potesse
piacermi, anzi, quando ne parlavano le mie compagne di classe mi
schifava alquanto. Ma con Dario anche la cosa più riluttante
diventava meravigliosa. Mi piaceva il suo sapore caldo e mi piaceva
vederlo così eccitato, vedere il suo viso bagnato ed
arrossato per
il piacere.
Lambii il suo desiderio con la
lingua e
lo sentii rantolare, lo vidi incurvarsi maggiormente e mi
sembrò che
stesse per crollare da un momento all'altro. Ad ogni movimento delle
mie labbra feci corrispondere un gesto lento della mano il che
eccitò
ancora di più il mio ragazzo. Non ero di certo un'esperta in
materia, anzi ero anche abbastanza imbarazzata ed impacciata nei
movimenti che sembravano meccanici. Non avevo la benché
minima idea
di cosa stessi facendo e avevo perfino paura di fargli del male con i
denti. Per cui scivolavo lenta in modo da non creargli danni e dolori
inutili.
La mano di Dario, quella con
cui si era
aggrappato al miscelatore, affondò tra i miei capelli e mi
accompagnò in quei movimenti avanti e indietro lungo il suo
piacere.
«Dio mio.»
ansimò stringendo qualche
ciocca. «Mi... stai... facendo... impazzire.» Disse
ansante
inclinando la testa all'indietro.
Respirava a fatica, e i versi
che gli
uscivano dalla bocca erano rantoli di piacere che sembravano musica
per le mie orecchie. Avevo preso il ritmo, ormai, e tutto cominciava
ad essere naturale. Era una sensazione piacevole e anche abbastanza
eccitante. Mi sentivo tutta scombussolata, percorsa da scariche
elettriche che si fermavano al basso ventre facendomi bruciare ed
ardere, rendendomi impaziente di averlo dentro di me. Come se mi
avesse letto nel pensiero, Dario passò una mano dietro la
mia nuca e
mi accarezzò tra i capelli.
«Basta,
piccola.» Disse dolcemente ed
io mi allontanai da lui rialzandomi.
«Perché?»
Domandai ingenuamente, e lui
mi baciò la punta del naso.
«Te lo spiego quando
sei più grande,»
ridacchiò e mi sentii un tantino offesa. «Adesso
abbiamo altro a
cui pensare.»
Mi baciò con
irruenza e le sue mani mi
strinsero le cosce. Sollevò una gamba e capii che avrei
dovuto
aggrapparmi a lui e così feci. Con una piccola spinta ed
aiutata da
lui cinsi le gambe intorno al suo bacino. Dario mi sorresse con una
mano mentre con l'altra si aiutò per entrare a me che ero
pronta per
accoglierlo. Era da qualche giorno che non facevamo l'amore e mi era
mancata quella sensazione di completezza che solo lui era in grado di
darmi. Mi erano mancati i nostri ansimi surriscaldavano l'ambiente
già abbastanza bollente. E mi era mancato sentire il suo
corpo fuso
con il mio e il cuore battere all'impazzata, il fiato venire a
mancare ed il sangue ribollire per l'eccitazione.
I movimenti di Dario erano
serrati,
veloci e mi sentivo più accaldata del solito, nonostante
l'acqua
fredda che ci colpiva. Scalpitavo e sentivo le mie membra bruciare
con quella passione ardente condensata in pochi metri quadrati.
Appoggiai il viso sulla sua spalla gemendo sulla sua pelle dall'odore
dolciastro che mi inebriò i sensi. Stavo completamente
perdendo la
ragione talmente era piacevole sentirlo dentro di me così a
fondo.
Molto di più delle volte precedenti e ancora più
appagante.
«Ti amo.»
Ansimai con un filo di voce.
Stavo perdendo qualsiasi forza, prosciugate da quel piacere intenso
che stavo provando e le parole mi uscirono sospirate, in un sussurro
strozzato.
«Dimmelo
ancora.» Gemette, aumentando
il ritmo delle spinte.
Gli morsi una spalla e
affondai le unghie
nella sua schiena quando un fremito incontrollabile e smodato mi
colse, seguiti da alcuni spasmi addominali che non mi sapevo
spiegare.
«Ti amo.»
Ripetei quasi urlandolo e la
mano di Dario mi strinse un seno, toccandolo e aggiungendo piacere a
tutto quello che avevo accumulato fino a quel momento.
«Anche io ti
amo.» Disse in un gemito e
la sua mano si spostò lungo il mio corpo insinuandosi tra le
mie
gambe e solleticando la mia intimità. In quel momento gli
spasmi
muscolari si fecero più intensi e sentii il mio corpo
ribollire.
Urlai senza ritegno e senza nemmeno rendermi conto. La mia voce era
uscita spontanea dalla mia bocca incrinata dal piacere e sospettavo
che se mi avesse rimessa a terra sarei caduta sul pavimento della
doccia come un sacco di patate perché le gambe non sarebbero
state
in grado di reggermi. Non avevo idea di cosa fosse successo, ma era
stato qualcosa di talmente violento e piacevole. Dario sorrise
compiaciuto e mi baciò con foga, diminuendo il ritmo e
sorreggendosi
alla parete con la mano. Anche lui sembrava allo stremo, prosciugato
da qualsiasi forza. Dopo alcuni secondi sentii un calore avvolgermi
l'intimità, riempirmi e scivolare lungo le cosce seguito da
un
rantolo gutturale di Dario.
Il nostro amore non era
più in bilico.
Aveva sorriso a quel dannato buco nero che voleva risucchiarlo e gli
aveva voltato le spalle, beffandosi della sua ingenuità e di
lui che
aveva creduto di poter fermare qualcosa di così grande.
_____________________________
Il capitolo tanto atteso finalmente
è arrivato!
Vi ho fatto attendere parecchio, scusatemi! Ma, di tempo, ce
n'è poco in questo periodo.
Sarò sintetica, o almeno ci proverò.
Inizialmente, tra Alice e Dario c'è ancora parecchia
tensione. Lui è molto abbattuto per quello che è
successo, si sente davvero in colpa, ma questo non basta per far
sbollire Alice, ovviamente. C'è stato un momento
di tenerezza tra i due, durante la notte, si amano troppo per poter
stare lontani. Ma nemmeno questo è necessario e la scossa
arriva con la lettera che Dario ha deciso di scrivere ad Alice. Lui
è disposto a lasciarla andare, se lei lo vorrà.
È l'unico gesto d'amore che, dopo quello che è
successo, gli rimane da fare. Non mi dilungo molto su Dario,
perché domani arriverà la shot dal suo punto di
vista :3 e allora potrete entrare per un po' nella sua mente contorta.
La lettera ha smosso il cuore di Alice, che dunque decide di
raggiungere Dario al campetto per chiarire, per vederlo negli occhi
mentre le dice quelle cose. E Dario non si smentisce. È
sempre dolce con lei e ha davvero capito il suo errore, tanto che dopo
urla a tutti il suo amore. Un gesto carino, anche se magari non
è molto. Forse criticherete Alice per aver ceduto
così in fretta, magari doveva farlo patire di
più, ma avrete capito che questi due non possono stare senza
l'altro, che lei è talmente innamorata che non riesce a
lasciarlo andare.
Ed, infine, la scena hottosa nella doccia :3 durante la quale Alice si
lascia andare e esplora nuovi campi, insomma! Non credo ci sia altro da
aggiungere.
Ok! Avevo detto che sarei stata sintetica ed è stato
così! Per cui ringrazio le ben 26 persone che
hanno recensito lo scorso capitolo, tutte quelle che hanno inserito la
storia tra le preferite/seguite/ricordate. Grazie davvero di cuore
♥
Come
in un Sogno - con Ionarrante.
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Alla
prossima
♥
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Capitolo 26 *** Photographs ***
video-trailer
C a p i t o l o 25
Photographs
betato da
nes_sie
Cominciavo
a preoccuparmi. E
anche
seriamente. Quella mattina avevo provato a chiamare Cristina almeno
dieci volte, e non avevo ottenuto risposta. Ogni volta subentrava la
segreteria e così mettevo giù la comunicazione.
Lo stesso era
accaduto sia con Federico che con Claudia e cominciavo ad agitarmi, a
preoccuparmi che un mostro si aggirasse per le vie del mio paese e
uccidesse tutti i giovani ragazzi durante il sonno. Mi fece
rabbrividire solo pensare che non avrei più potuto rivedere
i miei
migliori amici, e una morsa mi strinse lo stomaco.
Entrai nella doccia di casa Vitrano e mi
feci travolgere da un'ondata di acqua tiepida. Dio come ero tragica!
A volte mi stupivo del mio spiccato pessimismo e della mia fervida
fantasia, alimentata dai troppi film visti. Figurarsi se poteva
esistere davvero un mostro informe morto in un incendio che
tormentava i giovani ragazzi del mio paese! E poi l'avremmo sentita
al telegiornale, una notizia così sconvolgente.
Mi versai del bagnoschiuma ai frutti di
bosco e cominciai a spalmarlo su tutto il corpo. Mentre mi strofinavo
un braccio, iniziai a credere che i miei migliori amici mi avessero
voltato le spalle. Nessuno di loro mi rispondeva e la cosa sembrava
essere stata fatta apposta, come se si fossero messi d'accordo ad
ignorarmi completamente. Forse perché ero andata a Roma con
il mio
ragazzo abbandonandoli al caldo afoso della provincia milanese. Ma
quando avevo detto loro della mia vacanza erano stati felici, tranne
Abbate ovviamente che ancora non riusciva a digerire Dario. Mi fermai
con le mani tra i capelli, smettendo di insaponarli, quando venni
investita da un'ipotesi sconvolgente: era stato Federico ad
allontanare Claudia e Cristina da me perché non aveva ancora
mandato
giù il fatto che avessi preferito Dario a lui e che fossi
addirittura andata con lui a Roma. La cosa non doveva stupirmi
più
di tanto, però. Abbate era sempre stato un tipo permaloso, e
non
erano state rare le volte in cui non mi aveva rivolto la parola anche
per settimane, come era successo quando aveva scoperto di Edoardo.
Chiusi l'acqua ed acchiappai i due
asciugamani che avevo già preparato. Mi asciugai rapidamente
il
corpo ed i capelli, rivestendomi con la stessa velocità.
Avrei
provato a chiamarli ancora una volta. Già era stato orribile
perdere
Benedetta, e non volevo di certo rinunciare anche alle uniche tre
persone alle quali ero veramente affezionata. Ancora con le punte dei
capelli un po' gocciolanti me ne tornai in camera da letto per
prendere il cellulare e chiamare quei tre ma appena entrai nella
camera di Dario, lo trovai impegnato a staccare dai muri i poster e
con loro anche le foto di Sole.
«Non mi ricordavo nemmeno di averle,»
disse non appena mi vide entrare con una faccia inebetita.
«Che-che stai facendo?» Domandai
frastornata lì per lì di vedere le foto di Sole
che si
accatastavano ad una ad una sulla sua scrivania.
«La caccia al tesoro,» bofonchiò
contrariato. «È ovvio, no? Tolgo queste
foto.»
«Ma non c'è bisogno!» Esclamai e mi
avvicinai a grandi falcate a lui. «Immagino quanto tu tenga a
queste
foto e non voglio che ci rinunci solo per me.»
Da quando avevo visto quelle immagini
appese ai muri ero stata invasa dalla gelosia verso quella Sole e
verso il loro amore, dovevo ammetterlo. Ma dopo tutto quello che era
successo negli spogliatoi il giorno prima, il modo in cui mi aveva
guardata, in cui mi aveva sorriso, in cui aveva urlato a tutti i suoi
sentimenti e soprattutto quella nostra passione dirompente che ci
aveva sorpresi in quella doccia mi avevano fatto capire quanto mi
amasse, quanto per lui fossi importante. E anche se Sole fosse
rimasta a fissarci dai muri non mi sarebbe importato, anzi. Sarebbe
stata lei quella volta ad essere gelosa nel vedere quanto sentimento
c'era tra di noi, quanto il nostro amore fosse intenso, magari anche
più del loro.
«Non le strappo mica,» ridacchiò.
«Le
conserverò come ricordo del passato. Ora dovrebbero esserci
le tue
foto appese alle pareti.»
«Ma non ne abbiamo mai fatte,» risposi
con un velo di tristezza. Ci conoscevamo da molto tempo ormai, e
ancora non avevamo delle foto dell'altro, delle foto insieme, nulla
che immortalasse anche per un solo istante il nostro amore.
«Provvederemo,» disse sorridendo e mi
schioccò un bacio sulla guancia. Mi sarebbe piaciuto avere
qualche
foto di lui e con lui. Non che fossi così fissata con le
fotografie,
ma lui era il mio primo amore, era il primo ragazzo con cui avevo
fatto sesso ed era l'unico che avrei sempre voluto accanto e mi
sarebbe piaciuto avere qualcosa che racchiudesse in sé i
nostri
primi mesi insieme, quegli attimi vissuti intensamente completamente
rapiti l'uno dall'altra.
Dario voltò la fotografia di Sole e ne
lesse il retro, inorridendo per quello che aveva scritto.
«Mio Dio. Quanto ero sdolcinato.»
«Guarda che lo sei anche adesso,»
ridacchiai e mi allungai verso di lui per baciarlo sulla guancia.
Dario sorrise, ma mi sembrò perso nei suoi ricordi, in quel
mondo in
cui non c'ero io ma quella sgualdrina di Sole. Guardava quella
fotografia come se volesse essere lì con lei per toccarla e
accarezzarla almeno una volta.
«Peccato che queste cose non sia mai
riuscito a dirgliele di persona,» mormorò
stiracchiando le labbra
in un sorriso e appoggiando la foto sulla scrivania.
«Se avessi avuto il coraggio, a
quest'ora ci sarebbe stata lei al tuo fianco.» Dissi
amareggiata, ma
non diedi a vedere il mio rammarico. Quando credevo di aver battuto
quella Sole, tutte le mie convinzioni si ritorcevano contro di me e
mi piombavano sulla schiena come pesanti macigni solo per farmi
rendere conto di quanto stessi sbagliando. Incrociai le braccia al
petto ed attesi una sua risposta, semmai fosse arrivata.
«Già,» soffiò annuendo.
«Ma non
avrei incontrato te.» Aggiunse con un sorriso sincero che mi
spiazzò.
Slacciai le braccia e le feci ricadere
lungo i fianchi mentre lui si avvicinava a me lentamente per
stringermi tra le sue braccia e accarezzarmi la nuca dolcemente.
«Se prima mi sarei maledetto di averla
fatta scappare, adesso sono felice di essermi tenuto tutto
dentro,»
sussurrò sui miei capelli, baciandomi la fronte di tanto in
tanto.
Ricambiai la sua stretta ed alzai il viso per guardarlo negli occhi.
Brillavano come sempre ma con un'intensità maggiore e
credetti che
quel luccichio era nato grazie a me, perché in quel momento
mi stava
guardando negli occhi. «Lei non era la ragazza giusta per me.
Sì,
era dolce, comprensiva e mi conosceva più di qualunque
altro. Ma non
eri tu.»
«Credi che quella giusta sia io?»
Domandai scettica, con un sopracciglio abbassato.
«Sì, credo di sì.» Rispose
con un
sorriso e mi sembrò di sfiorare il cielo con un dito.
«Lo spero,
almeno. Perché la mia vita insieme a te è quasi
perfetta.»
Le gambe, in quel momento, divennero più
molli del burro sciolto e credetti di cadere da un momento all'altro.
A questo si aggiungeva il cuore che scalpitava nel petto e che
sembrava pronto a schizzare fuori dal torace. Mai avrei immaginato
che Dario potesse innamorarsi di una come me. Insomma non ero niente
di speciale, ero una ragazza comune e banale, a volte anche noiosa e
piagnucolona e in confronto a lui ero il nulla più totale.
La luce
della sua stramba personalità era così luminosa
che mi abbagliava
ogni volta e mi eclissava. Per cui lui era il tutto ed io il niente e
non capivo come lui potesse amarmi. Poteva avere qualsiasi ragazza
avesse voluto, addirittura una come Scarlett Johanson, perfetto
com'era, e si era accontentato di una Alice
Livraghi
qualsiasi.
«Vedi che lo sei sempre, sdolcinato?»
Dissi con voce tremolante per alleggerire soprattutto la tensione che
si era creata in me.
«Già, mi faccio venire il diabete da
solo.» Ridacchiò divertito.
«A me piaci così tenero,» ammisi
guardandolo dritto negli occhi e li vidi sorridere. «E adoro
quando
dici che mi ami.»
Dario sorrise sornione e mi guardò con i
suoi occhi furbi. La stretta attorno alla mia vita si fece
più
intensa e il calore del suo corpo mi circondò, facendomi
avvampare,
facendomi bruciare dal desiderio. Il tempo passava, il nostro
rapporto si evolveva ma le sensazioni che mi faceva provare Dario
erano sempre le stesse, se non amplificate. Ogni volta, quando lo
avevo così vicino, le membra del mio corpo ardevano come se
un
incendio fosse scoppiato all'altezza del petto e si fosse espanso al
resto del corpo. Sentivo il cuore pompare sangue freneticamente e
avevo sempre paura che esplodesse da un momento all'altro. Per di
più
mi era impossibile pensare lucidamente. L'unica cosa che avevo in
mente era sempre e solo Dario, i suoi occhi, il suo odore e tutti i
momenti passati insieme a lui. Erano stampati nella mia mente come
tatuaggi indelebili che non mi avrebbero mai abbandonato. E tutti gli
istanti passati con lui erano i migliori in assoluto e la mia vita,
da insulsa qual era, era diventata migliore di quanto potessi
immaginarmi.
«Ti amo,» disse sogghignando e
baciandomi l'angolo della bocca. «Ti amo, ti amo, ti
amo.» Continuò
a ripetermi, solleticandomi con la sua barba ispida e ben curata,
facendomi ridere. «Ti amo,» soffiò sulle
mie labbra e intanto
cominciò a spingermi verso il suo letto.
«Ok basta! Ho capito,» sghignazzai e le
sue mani calde mi fecero rabbrividire quando oltrepassarono la stoffa
della mia maglietta.
«Mi hai detto tu che mi adori quando ti
dico che ti amo.» Si giustificò, e in quel momento
le mie ginocchia
si scontrarono contro il bordo del letto e cedettero, facendomi
cadere sul materasso. Gridai tra una risata e l'altra e Dario mi
cascò addosso. Fortunatamente non aveva la stazza di Smell
altrimenti mi avrebbe resa una sottiletta. Immediatamente si
sollevò
di nuovo, puntellando un ginocchio nel materasso e si tolse la
maglietta, slacciandosi perfino il bottone dei jeans ed abbassando la
zip. Mi sorprese la sua irruenza e quel desiderio che aveva di me
così intenso. Quella maledetta litigata, la più
terribile forse da
quando ci eravamo conosciuti, sembrava essere stata cancellata dalla
nostra memoria ed era stata rimpiazzata da un amore ancora
più forte
di prima, da un legame indissolubile, una catena invisibile che mai
si sarebbe spezzata. O almeno lo speravo.
Si avventò sulle mie labbra e le sigillò
con le sue, con un bacio che sapeva di passione e che bruciava come
carboni ardenti, come i suoi occhi che continuavano a fissarmi anche
mentre mi assaporava. La sua lingua non perse alcun tempo ed
entrò
subito nella mia bocca vogliosa di sentire il mio gusto, desiderosa
di stuzzicare la mia bramosia, anche se non ce n'era bisogno visto
che era già oltre qualsiasi limite. Nemmeno le sue mani
attesero più
del dovuto e afferrarono il lembo della mia maglietta sollevandola
quel tanto che bastava per scoprirmi il ventre e il seno.
«Ti amo,» disse di nuovo, mordendomi
delicatamente il labbro inferiore. «E ti voglio, ti desidero
in
questo momento.» Aggiunse con malizia, abbandonando la mia
bocca per
dedicarsi al mio collo. Avrei dovuto dire qualcosa, rispondere a
quello che mi diceva o addirittura fermarlo dato che erano solo le
due del pomeriggio e i suoi genitori, oppure Mauro o anche Consuelo
avrebbero potuto irrompere nella nostra stanza in un qualsiasi
momento. Ma non mi importava nulla. Io volevo Dario in quel momento,
solo lui, e nessuno avrebbe interrotto quel nostro attimo di
passione. Sollevò le piccole coppe del reggiseno e si
leccò
sensualmente un labbro. I suoi occhi mi stavano completamente
divorando e le sue guance rosse e accaldate mi fecero perdere ogni
lucidità. Le sue labbra si appoggiarono lentamente e
dolcemente su
un mio seno per assaporarlo ed esplorarlo con la sua lingua esperta
in ogni angolo, anche se ormai conosceva a memoria ogni singola parte
del mio corpo. Il mio respiro si bloccò qualche secondo non
appena
sentii la sua meravigliosa lingua solleticarmi il capezzolo e subito
dopo ne uscì un debole gemito. Ma a Dario non bastava
così poco e
quel semplice contatto non servì a placare la sete di
piacere che
aveva quella mattina. Per cui la sua mano scivolò rapida sul
mio
ventre regalandomi degli intensi, seppur brevi, brividi e
sorpassò
l'elastico dei pantaloni neri alla pescatora che indossavo,
fermandosi esattamente in mezzo alle mie cosce. Bastò solo
il suo
calore per farmi eccitare maggiormente e per farmi ardere, farmi
incendiare. Poi, quando il suo dito cominciò a muoversi
circolarmente sulla mia intimità, persi qualsiasi
autocontrollo, la
mia mente si svuotò da ogni pensiero e il mio fiato
cominciò ad
uscire irregolare dalla mia bocca insieme a qualche ansimo di puro
godimento. Strinsi il lenzuolo e mi morsi un labbro quasi a sangue
mentre la sua mano si muoveva in modo da farmi sfiorare l'estasi e la
sua lingua mi faceva arrivare a limiti di godimento che non pensavo
esistessero.
«Da... Dario.» Ansimai, anzi quasi
urlai il suo nome e le sue labbra si staccarono dal mio seno.
Sollevò
il viso per guardarmi mentre mi contorcevo per le sue dita capaci e
sorrise dolcemente.
«Sei bellissima Alice.» Mi sussurrò,
avvicinandosi al mio orecchio.
In quel momento non è che mi
interessassero molto i suoi complimenti. Fosse stata un'altra
situazione, ne sarei stata lusingata ma con le sue dita che si
muovevano su e giù sulla mia intimità, indugiando
nella parte più
sensibile di me, non ero affatto lucida per comprendere
quell'apprezzamento. Gli presi il viso tra le mani e lo avvicinai al
mio. Avevo bisogno di sentire le sue labbra, avevo bisogno dei suoi
baci per rendere quegli attimi ancora più perfetti. Le
intrappolai
subito nelle mie, succhiandole avidamente e gemendo nella sua bocca
quando il suo tocco si fece più profondo e quando il suo
bacino
sfregò contro la mia coscia. Era estremamente eccitato e
mancava
davvero poco al ripetere ciò che era accaduto in quella
doccia. A
ripensarci, non mi imbarazzavo nemmeno per quello che avevo fatto.
Era pur sempre un atto di amore, e mi era anche piaciuto contro ogni
mia aspettativa.
Le mie mani percorsero la sua schiena
nuda, i suoi muscoli dorsali contratti dal piacere che stava
dilagando anche in lui, fino a toccargli le natiche sode e tonde.
Avrei fatto tappa fissa su quei glutei scultorei. Ma c'era un'altra
parte del suo corpo che necessitava di più attenzioni e che
mi stava
facendo completamente impazzire. Mi spostai da lì seguendo
l'elastico dei suoi boxer e appena sentii le ossa delle sue anche
capii che ero arrivata a destinazione. Lo sfiorai dapprima da sopra
la stoffa e le sue labbra si allontanarono dalle mie per emettere un
gemito strozzato. Non si aspettava quel mio tocco ed era rimasto
sorpreso dalle mie dita e dal piacere. Poi sollevai un po' l'elastico
dei boxer ed vi intrufolai la mano sentendo subito il suo desiderio
rigido contro le mie dita. Lo avvolsi completamente e cominciai a
muovermi lenta su di lui. Micidiale. E la sua mano, quella che mi
aveva torturata fino a quel momento, fuoriuscì dai miei slip
e si
appoggiò con forza sul materasso per reggere il corpo di
Dario
scosso da intensi fremiti.
«Dio mio, piccola.» Mugugnò contro le
mie labbra. «Stai diventando una bomba del sesso.»
Quella specie di complimento, invece,
arrivò diretto alle mie orecchie e mi fece imbarazzare
più del
dovuto. Arrossii, non così vistosamente visto che ero
già bollente
per l'eccitazione, ma non mi fermai. Anzi continuai con dei movimenti
del polso che, via via, si intensificavano sempre di più
insieme ai
gemiti di Dario che riempivano il silenzio di quella stanza.
Udii uno strano cigolio, ma non diedi
molta importanza a quel rumore. Poteva benissimo essere il letto o
una porta che si apriva. E le mie deduzioni non erano poi del tutto
sbagliate.
«Oh mio Dio,» sentii mormorare e
indirizzai il mio sguardo verso la porta della stanza.
Era stata aperta e il faccione di
Federico aveva fatto capolino nella camera di Dario. Il suo viso era
sconvolto come se avesse visto un fantasma o uno strano mostro. Non
realizzai subito, era ancora frastornata dal piacere e tutto mi
appariva ancora confuso. Solo quando Dario si voltò a
seguire il mio
sguardo ed incontrò quello nocciola di Abbate capii che era
arrivato
il momento di smettere di far porcherie e di annegare nell'imbarazzo.
«Ma porca puttana,» ringhiò Dario,
sollevandosi da me e coprendosi il basso ventre oltremodo rigonfio
con un cuscino. Dal canto mio mi sbrigai ad abbassare il reggiseno e
coprirmi, sperando che Federico non mi avesse vista quasi nuda, anche
se lo credevo impossibile.
«Si può sapere che cazzo ci fai a casa
mia, troll?» Ringhiò il mio ragazzo alterato.
Federico farfugliò qualcosa di
insensato, rosso come un pomodoro e con gli occhi spalancati, chiusi
ad intermittenza dalle palpebre. Quella era una faccia da ebete da
dieci e lode e gli avrei fatto una foto per poi prenderlo in giro a
vita se non fosse che ero sommersa dall'imbarazzo. Se avessi potuto,
mi sarei avvolta nel lenzuolo come un involtino e non ne sarei mai
più uscita.
«Sorpresa!» Urlano in coro Cristina e
Claudia scansando con poca delicatezza un Federico ancora incredulo
dalla porta. Dietro di loro scorsi anche Smell con le braccia
incrociate e ringraziai il cielo che fosse stato Federico ad
irrompere nella camera e non mio fratello perché, in quel
caso,
Dario si sarebbe ritrovato privo di un apparato essenziale per la
procreazione.
«Mi ci hanno trascinato qui,» bofonchiò
Raffaele contrariato.
«Oh... c'è tutta la Banda Bassotti al
completo.» Borbottò Dario passandosi una mano sul
viso. «Annamo
bene...»
«Abbiamo interrotto qualcosa?» Domandò
Cristina arricciando le labbra notando il mio colorito simile a
quello di un peperone e il cuscino sulle parti intime del mio
ragazzo. La risposta era ovviamente Sì,
ma non potevo di
certo ammettere che stavo per fare l'amore con il mio ragazzo di
fronte a mio fratello che aveva già aguzzato l'udito e si
era
perfino avvicinato alla porta per vedere la situazione in cui
eravamo.
«No, no!» Esclamai subito, scattando in
piedi come una molla e ridacchiando nervosamente. «Ci stavamo
solo
riposando.»
«Già. E la prossima volta siete pregati
di bussare invece di irrompere nella mia camera nemmeno foste
l'FBI,»
brontolò Dario. «Quando riposo,
voglio farlo bene.»
Smell puntò i suoi occhi marrone spento
sul torace nudo del mio ragazzo e sul cuscino che lo copriva e lo
fulminò con lo sguardo, riservando anche a me un'occhiata
assassina.
Abbozzai un sorriso e mi avvicinai a loro spingendoli ad uno ad uno
fuori dalla camera di Dario.
«Su, su!» Esclamai. «Andiamo in
giardino, a bordo piscina così mi raccontate
perché siete qui.»
Le mie due amiche mi guardarono confuse,
magari prendendomi anche per pazza, Federico era un'ameba, ancora
pietrificato nemmeno avesse visto Platinette in lingerie, mentre mio
fratello si arpionò allo stipite della porta impedendomi di
cacciarlo fuori dalla camera.
«Tu non vieni?» Domandò sospettoso a
Dario che si irrigidì all'istante. Non poteva di certo
scendere con
quel rigonfiamento nei pantaloni, anche perché avrebbe
rischiato
l'evirazione.
«Vorrei venire,» e nella sua
voce trovai un tono fin troppo malizioso che mi imbarazzò
ancora di
più. «Ma devo mettere a posto la camera, quindi vi
raggiungo dopo.»
E rivolse a loro un sorriso falso come le monete da tre euro.
Smell gli lanciò l'ennesima occhiata
fulminante, e non sembrava aver intenzione di andarsene da
lì. Ma
Federico venne in mio aiuto spingendolo con i suoi muscoli fuori
dalla stanza e giù per le scale. Lanciai uno sguardo al mio
ragazzo
costretto a sbollire da solo il suo desiderio, e mimai un Mi
dispiace prima di raggiungere gli altri al piano di sotto e
di
accompagnarli fuori in giardino.
«Ma questa villa è favolosa!»
Cinguettò Cristina guardando adorante la piscina davanti a
sé.
«Ne ha di quattrini il tuo ragazzo,»
commentò scocciato mio fratello.
«Ed io che credevo che fosse un
pezzente,» si aggiunse anche Federico che mi
guardò in un misto tra
l'imbarazzato, per quello che aveva visto entrando senza bussare, e
il dubbioso. Lui sapeva che era un gigolò e di certo uno che
si
prostituiva non poteva permettersi una casa del genere. Anzi lo
sapevano tutti lì tranne mio fratello.
«Bello, ricco, ben dotato. Ti sei
trovata il ragazzo perfetto!» Esclamò Cristina
entusiasta.
Annuii poco convinta con un sorriso
stiracchiato disegnato sulle labbra. Ero quantomai imbarazzata e non
osavo nemmeno guardare negl occhi Federico.
«Cosa ci fate qua?» Domandai dubbiosa,
sedendomi su una sdraio e poco dopo Claudia si accomodò di
fianco a
me.
«Stiamo andando in Calabria dai miei
nonni,» rispose la rossa con un sorriso. «Facciamo
una specie di
vacanza di coppia.»
«E abbiamo fatto una piccola deviazione
per venirti a trovare,» s'intromise Cristina, seduta di
fronte a me
vicino al suo fidanzato. «E per vedere il tuo fidanzato figo.
Sai io
e Claudia ci siamo accontentate di due racchi.» Ridacchiammo
tutte e
tre, tranne i due ragazzi che non erano per nulla autoironici.
«E come avete fatto a trovare
l'indirizzo di Dario?» Chiesi sempre più curiosa
di sapere che ci
facessero lì.
«La famiglia Vitrano è molto conosciuta
in città!» Rispose Claudia. «Abbiamo
chiesto non appena entrati a
Roma e ci hanno dato subito indicazioni.»
Beh, la cosa non mi stupiva più di
tanto. I Vitrano, da quanto avevo capito, erano una delle famiglie
più facoltose in quella città, forse per la
professione che
svolgevano.
«Ma non staremo qua molto. Giusto
qualche oretta,» ci tenne a precisare Cristina che,
sicuramente, già
si immaginava stesa al mare sotto al sole. Anche io avrei tanto
voluto andare in spiaggia, ma era improbabile che per quei giorni
vedessi il mare. «Il tempo necessario che tu ci racconti le
ultime
news!» Trillò eccitata afferrandomi le mani.
Mi guardai intorno circospetta, sentendo
gli occhi di tutti puntati addosso. Quelli che più mi
spaventavano
erano ovviamente quelli di Smell, che attendeva solo un mio passo
falso per sfoderare le forbici e rendere donna il mio ragazzo.
«Non c'è poi molto da dire,»
bofonchiai cercando così di archiviare subito il discorso
Alice e
Dario. «Semmai Claudia mi dovrebbe dare qualche news. Come
sta il
mio nipotino?»
«Bene... credo,» rispose stringendosi
nelle spalle. «E spero!» Aggiunse sfiorandosi il
ventre ancora
piatto. Smell, che se ne stava in piedi dietro la sua ragazza, si
abbassò verso di lei e la strinse forte a sé,
lasciandole un tenero
bacio tra i capelli. Non lo avevo mai visto così dolce e mi
sembrava
che quello davanti a me non fosse realmente mio fratello. Lui non era
mai stato un tipo molto espansivo, anzi: odiava anche le smancerie in
pubblico. Quella era la prima volta che si lasciava andare ad una
tenerezza tale con la sua fidanzata davanti a tutti e credetti
davvero che quel bambino – o bambina – lo stesse
per davvero
cambiando, rendendolo più tenero e meno borbottone. Sorrisi
nel
vedere quella scena, e mi si riempì il cuore di gioia nel
vedere la
mia migliore amica e mio fratello così felici nonostante
quello che
stavano passando. Non che avere un bambino fosse una catastrofe, ma
in una coppia che aveva alle spalle solo pochi mesi di fidanzamento e
la giovane età di entrambi rendeva tutto sicuramente
più difficile.
«Oh sì, è tutto ok! Mangia come un
maiale,» intervenne la Cariati, quasi disgustata.
«Non mi
stupirebbe se dopo la gravidanza dovessi mettere su venti
chili.»
«Cristina!» La riprese Federico,
scuotendo la testa con disapprovazione. «Sempre a guardare le
calorie.»
La bionda scrollò le spalle con
noncuranza e guardò il suo ragazzo con sufficienza. Ancora
non
riuscivo a capire che cosa avessero in comune quei due. Federico era
dolce, comprensivo, paziente e non superficiale, mentre Cristina non
possedeva nessuna di quelle qualità. Le vie dell'amore erano
davvero
infinite.
«Comunque ho fatto la prima ecografia,»
disse Claudia con un pizzico di emozione.
«E com'è stato?» Domandai eccitata,
stringendole una mano.
«Bellissimo,» rispose Raffaele al posto
della mia amica e lo vidi davvero commosso in quel momento. Se
qualche alieno aveva preso mio fratello, era pregato di
riconsegnarmelo. Ormai mi ero abituata allo Smell scontroso ed
antipatico e cominciava anche a piacermi.
«Sono davvero molto contenta per voi,»
dissi sincera vedendo tutto quell'amore scaturire dagli occhi di quei
due.
«E con Dario?» Chiese maliziosa
Claudia, dando manforte a Cristina che non attendeva altro se non
sentire news piccanti sul mio rapporto con Dario. Di cose da
raccontare ce n'erano; bastava pensare a quello che stava accadendo
in camera sua e cosa avevamo fatto nella doccia degli spogliatoi. Ma
non ero tanto sicura di voler mettere in piazza i miei racconti
erotici, non con Abbate e Smell nei dintorni. Sorrisi nervosamente e
scrollai le spalle più volte. Ero visibilmente a disagio e
non avevo
la più pallida idea di cosa dire. Stranamente Federico
sembrò
cogliere la mia soggezione ed ero sicura che avesse anche intuito che
lui e mio fratello erano di troppo. Abbozzò un sorriso, poi
strinse
poderosamente una spalla di Smell e cominciò a trascinarlo
via.
«Sai, ho sentito un rumore sospetto
provenire dalla tua macchina,» disse mentre si dirigevano
all'esterno. «Secondo me era il motore.»
Piano piano le parole di Federico e Smell
si affievolirono fino a perdersi nel silenzio più totale.
Non
c'erano rumori se non quel leggero venticello che, di tanto in tanto,
scuoteva le fronde degli alberi.
«Bene. Adesso che quei due se ne sono
andati sei libera di parlare,» non perse tempo Cristina,
scivolando
lungo il bordo della sdraio per avvicinarsi ancora di più a
me.
«Avrai un sacco di cose da raccontarci.
È la prima vacanza con il tuo boyfriend,
chissà quante
zozzerie avete fatto.» Si aggiunse anche
Claudia, che si
strinse ancora di più a me.
Mi sentivo come chiusa in una gabbia,
impossibilitata a scappare e trafitta da un paio di occhi verdi e uno
sguardo grigiastro che non sembravano volermi dare nessuna
possibilità di fuga. Avrei potuto anche tacere e fare finta
di
nulla, inventarmi una banale scusa e dir loro che ci eravamo dati
alla castità fino al matrimonio, ma non sarebbe stato
affatto
credibile visto il lavoro che aveva fatto Dario. Per cui mi decisi a
parlare, anche se avrei preferito buttarmi nella piscina e sedare i
bollenti spiriti che mi avevano fatto andare a fuoco le guance.
«Beh, insomma... diciamo che lo...
abbiamo... ehm... fatto.» Dissi balbettante e cercando
accuratamente
di non guardare negli occhi le mie amiche.
«Questo lo sapevamo. Già ce lo avevi
detto,» rispose scocciata Cristina sbuffando.
«Non quello,» ribattei con lo sguardo
basso e le mani congiunte nemmeno stessi pregando. In realtà
non
sarebbe stato male rivolgersi a Dio o chi per lui in quel momento,
magari facendo perdere la memoria a quelle due curiosone e ficcanaso
di prima categoria. Sia Claudia che Cristina mi guardarono dubbiose,
una con la fronte aggrottata e l'altra con le labbra arricciate.
Perché dovevo per forza dirlo? Non potevano capirlo da sole
senza
mettermi così tanto in difficoltà?
«Sesso,» e fuori una. Lo dissi con
timore e arrossii vistosamente, fino alle punte dei capelli. Gli
sguardi di quelle di quelle due mi incitarono a proseguire, ma la
seconda parola mi si strozzò in gola e non sembrava voler
uscire
dalle mie labbra.
«Sadomaso?» Propose Claudia ed io
scossi la testa.
«Orale?» Susseguì subito dopo
Cristina, e a quella parola mi fece annegare nella mia stessa
vergogna. Sollevai il lembo superiore della maglietta e mi coprii il
viso fin sotto il naso talmente tanto era l'imbarazzo. Le mie due
amiche mi guardarono prima incredule poi entrambe cominciarono a
strillare come delle galline mentre deponevano le uova e per poco non
rimasi senza timpani.
«Com'è stato?» Mi chiese Cristina
eccitata.
«Ti è piaciuto?» Ed ecco l'altra.
Quelle due dovevano per forza farsi eco in continuazione e la cosa mi
dava sui nervi.
«Sì, insomma... è stato...
strano,»
dissi stringendomi nelle spalle. «Ma bello. All'inizio ero un
po'
imbarazzata ma è stato... bello.»
Già, eccome se lo era stato. E non per
l'atto in sé, ma perché con Dario ogni cosa era
così tremendamente
naturale che quasi mi faceva paura, era tutto così perfetto
che
temevo che tutta l'intensità del nostro rapporto, tutto
quell'amore
che ci legava si sarebbe ritorto contro di noi con conseguenze
disastrose.
«E poi?» Curiosò di nuovo Cristina che
non era mai sazia ma voleva qualsiasi particolare, anche il
più
intimo. Oramai mi ero abituata alla curiosità delle mie
amiche, per
cui superai quella vergogna in cui ero piombata da quando Federico
era irrotto nella camera di Dario e raccontai loro quello che era
successo nella doccia dello spogliatoio senza tralasciare il minimo
particolare. Nemmeno quella strana sensazione che avevo provato poco
prima che il nostro rapporto finisse e che mi aveva sconvolto l'animo
e il corpo. Avevo un sospetto su cosa potesse essere stato, ma non ne
ero del tutto sicura. Finché non lo sentii pronunciare da
una
Cristina incredula e anche un po' invidiosa.
«Si chiama orgasmo, Alice,» disse. «E
tu hai una fortuna sfacciata.»
«O solo un fidanzato esperto,»
ridacchiò Claudia facendomi un occhiolino.
«Io non l'ho mai provato,» mi confidò
Cristina sospirando. «Fingo e basta.»
«Idem con patate,» mormorò la rossa
appoggiando il mento al palmo della mano.
Sorrisi più che altro nel vedere le
espressioni affrante delle mie amiche. Era bello averle lì
anche
perché mi erano mancate molto in quei giorni, soprattutto
quando
avevo litigato furiosamente con Dario. Quella che mi era sempre
sembrata una vita squallida ed insulsa, si era trasformata in
un'esistenza meravigliosa. Avevo accanto degli amici straordinari,
tra cui anche la Cariati con la quale non avevo mai nemmeno pensato
potesse nascere qualcosa e avevo un il fidanzato, migliore che avessi
potuto sperare. A volte era un immaturo e il più delle volte
mi
faceva arrabbiare ma lo amavo così com'era anche con quei
suoi
enormi difetti che mi ferivano perlopiù.
Poco dopo ci raggiunsero anche Federico e
Smell, quest'ultimo borbottando perché la sua auto non aveva
nessun
problema e Abbate lo aveva fatto allontanare per nulla. Praticamente
mancava solo Dario e cominciai a pensare che si fosse perso nei
meandri di quella villa.
«Vado un attimo a cercare Dario,» dissi
con un sorriso e mi congedai per qualche attimo da loro.
Rientrai in casa e mi guardai attorno. Il
salotto era vuoto e nessun rumore proveniva dalle altre stanze. Il
signor Vitrano era di turno quel giorno, mentre Nicoletta e Mauro,
probabilmente, stavano facendo la pennichella pomeridiana. Di
Consuelo nessuna traccia e pensai che fosse andata in giro per negozi
come era solita fare. Diedi una rapida occhiata a qualsiasi angolo di
quella stanza poi mi spostai nell'enorme cucina ma lui non era
nemmeno lì. Scrollai le spalle anche perché non
poteva essere stato
sbalzando in un altro mondo o in un altro tempo. Per cui ne
approfittai per prendermi un goccio di succo di frutta. Presi un
bicchiere e lo riempii con il liquido arancione e, mentre ero pronta
per scolarmi il succo all'albicocca, qualcuno mi afferrò i
fianchi e
mi trascinò verso il bancone della cucina.
«Abbiamo qualcosa in sospeso noi due,»
mormorò Dario afferrando il bicchiere, appoggiandolo sul
ripiano e
sollevandomi per farmi sedere sullo stesso. Mi allargò le
gambe con
una mano e si insinuò tra di esse, stringendomi in un
abbraccio e
allungandosi verso le mie labbra. La sete era sparita tutto d'un
tratto colmata dal sapore dolciastro di Dario, prosciugata dalla sua
presenza. Non mi sarebbe affatto dispiaciuto concludere quello che
avevamo cominciato in camera sua ma i miei amici erano lì a
pochi
passi e non sarebbe stato difficile che ci sorprendessero in
atteggiamenti ambigui e troppo intimi.
«Non possiamo Dario,» bisbigliai
allontanandolo da me con una spinta, ma lui mi afferrò
entrambe le
mani e appoggiò sul dorso di una di esse le sue labbra,
baciandolo
sensualmente. Anche con un gesto innocuo come quello riusciva a farmi
eccitare, e stavo seriamente pensando di mandare all'aria tutti buoni
propositi e fare l'amore con lui su quel bancone.
«Chissene frega della Banda Bassotti,»
borbottò lui abbandonando le mie mani e andando a
soffermarsi sulla
pelle del mio collo. «A limite si godranno lo spettacolo. Ci
dovrebbero essere anche i pop corn, da qualche parte.»
La sua barba mi solleticò, così come il
suo magnifico odore e il suo respiro caldo su di me. Affondai le mani
nei suoi capelli e li tirai leggermente per fargli alzare il viso,
per poter naufragare qualche secondo nei suoi occhi e contemplare
quelle labbra perfette che desideravo ardentemente ogni secondo della
mia vita. Le osservai a lungo, sfiorandole con il pollice e
sentendole scorrere vellutate sulla mia pelle. Mi sconvolgeva la
bellezza di quel viso, mi sconvolgeva la perfezione di quel ragazzo e
anche l'intensità di quegli occhi. Non avevo mai visto nulla
del
genere, nulla di così meraviglioso e ogni volta che mi
specchiavo in
quelle iridi nere mi accorgevo sempre di più di quanto
fossero
scure, due pozzi bui di perdizione in cui era stato intrappolato il
mio cuore.
«Sei bellissimo,» mormorai quasi
incredula e Dario arrossì di fronte a quel complimento.
Abbozzò un
sorriso timido e strusciò la punta del naso contro la mia
guancia.
Quelli erano i momenti che preferivo tra di noi. Non che non mi
piacesse fare l'amore con lui e condividere attimi di
intimità con
Dario, ma preferivo di gran lunga quei gesti scaturiti dal cuore, che
sopraggiungevano senza quasi che ce ne accorgessimo e che ci
spiazzavano per l'immensa dolcezza che emanavano. Era un momento
praticamente perfetto, di una tenerezza quasi disarmante e che,
ovviamente, venne interrotto bruscamente.
«Oh, scusate.» Disse Federico entrando
in cucina.
«La smetti o no di interrompere i nostri
momenti romantici?» Bofonchiò contrariato il mio
ragazzo.
«Credevo che Alice fosse sola,» si
giustificò pacatamente Federico. «Volevo
parlarle.»
Dario sbatté violentemente le mani
contro il bancone e trucidò con lo sguardo il mio migliore
amico.
«Avanti, parla.» Sibilò.
«Preferirei che fosse da sola,» disse
timidamente Federico affondando le mani nelle tasche dei bermuda a
quadri.
«Devi per caso sparlare di me?» Lo
provocò il mio ragazzo, già sul piede di guerra.
Federico abbassò lo sguardo e si passò
una mano tra i capelli biondi, rimanendo in silenzio forse
perché
attendeva che Dario se ne andasse. I miei occhi rimbalzavano dal mio
ragazzo stizzito al mio migliore amico pensieroso.
«Cristina me lo ha detto,» si arrese
alla fine. «E ho anche visto con i miei occhi quello che
stavate
facendo.»
Figurarsi se la Cariati sarebbe stata in
grado di mantenere il segreto. Aveva spifferato a Federico che avevo
fatto sesso, e il mio migliore amico non sembrava poi così
felice di
quella notizia. E sapevo anche che il motivo per il quale stava per
farmi una predica era che mi fossi concessa a Dario, ad un bastardo
che, secondo lui, giocava solo con i miei sentimenti.
«E allora?» Bofonchiò il mio ragazzo.
«Tu non lo fai con la tua fidanzata?»
«Certo!» Sbuffò Federico.
«Ma...»
«E allora levati dai coglioni,» disse
poco garbatamente Dario, mandandolo a quel paese anche con un rapido
gesto della mano. «Io non vengo a scassarti le palle mentre
sei
impegnato.»
«Non era mia intenzione fermarmi
un'altra volta. Volevo solo parlare con Alice.»
Abbassò il tono di
voce e mi lanciò uno sguardo contrariato. Intuii subito che
volesse
arrivare alla predica, nella quale mi avrebbe ripetuto sempre le
stesse cose che avevo già sentito e risentito fino alla
nausea.
È un bastardo. Ti sta solo
ingannando. Soffrirai.
Era abbastanza chiaro che Federico
odiasse Dario e che lo riteneva un cattivo ragazzo, ma ero stufa dei
suoi continui giudizi, ero stufa che tutti continuassero a frapporsi
tra me e le mie storie d'amore. Prima Dario con Davide –
anche se
in quel caso il mio attuale ragazzo aveva visto giusto –, e
ora
Federico. Credevano forse che fossi una bambina da proteggere e da
rinchiudere in una campana di vetro? Avevo diciotto anni, porca
zozza, ed ero libera di prendere le mie scelte liberamente,
anche
se magari erano sbagliate. Dovevo crescere e per farlo avevo bisogno
anche di sbagliare e di soffrire. Scansai Dario dal mio corpo e scesi
dal ripiano, avvicinandomi a Federico. Ero indispettita, ma non gli
avrei urlato contro anche perché non avevo la minima voglia
di fare
l'isterica. Gli afferrai una mano e sospirai rumorosamente.
«Lo so, ho capito che Dario non ti piace
e che hai paura che stia solo giocando con me. E che sei sicuramente
contrario al fatto che io,» esitai qualche istante, bloccata
dall'imbarazzo. «Abbia perso la mia verginità con
lui,» dissi
velocemente, come se non volessi fargli capire quello che avessi
detto.
«Già, lo sono.» Rispose lui diretto e
conciso. «La notizia mi ha scioccato letteralmente. Credevo
che con
lui saresti andata con calma e invece scopro che dopo una settimana
che stavate insieme tu ti sei concessa.»
«Più di una settimana,»
puntualizzai stizzita. «Più o meno due
mesi.» Rettificai, e per
poco Abbate non mi scoppiò a ridere in faccia.
«Non vuol dire nulla Più o meno due
mesi,» disse imitando la mia voce. «Che
poi sarebbe uno, da
gennaio a febbraio, ma va be'...»
«Quanto sei pignolo, mamma mia,»
sbottai infastidita, liberandogli le mani e facendo ricadere le
braccia pesantemente lungo i fianchi. «Stavamo insieme da
un
mese, ok?»
«Lui doveva solo fingere di
essere il tuo ragazzo. A Gennaio non lo era ancora e tu sapevi a
malapena il suo nome.»
L'impertinenza di Federico cominciava a
stancarmi e farmi imbestialire. Capivo che la sua era apprensione e
che voleva solo il meglio per me. Ma ancora non aveva capito che il
meglio che potessi sognare, immaginare, desiderare era solo e
semplicemente Dario e che lo amavo più di qualsiasi altra
cosa al
mondo, più di qualsiasi altra persona su quella terra.
«È vero, hai ragione. Quando lo abbiamo
fatto per la prima volta stavamo insieme da una settimana,»
convenni
con lui irritata. «Ma sai una cosa? Non mi pento di quello
che ho
fatto e non lo avrei fatto nemmeno se mi avesse lasciata il giorno
dopo. Perché io mi sentivo pronta, desideravo farlo con lui
e l'ho
fatto con tutto l'amore che potevo.»
In quel momento Dario mi si affiancò ed
intrecciò le sue dita con le mie, accennandomi un sorriso.
Poi
rivolse un'occhiata sorniona a Federico e ridacchiò
soddisfatto.
«Scacco matto, troll.» disse
sprezzante. «Ammettilo ti rode ancora che lei abbia preferito
me a
te.»
«Ti sbagli di grossa specie di tronista
coatto,» rispose per le rime smorzando con il suo insulto il
sorriso
di Dario. Trattenni a stento una risata, soffocandola con qualche
colpo di tosse. «Io sono felice con la mia ragazza e
ciò che provo
per Alice, adesso, è solo un gran bene.»
«Vedi? È questo che non capisci Fede!»
Esclamai sorridendo. «Tu sei il mio più caro amico
e so che vuoi a
tutti i costi che io sia felice. E con Dario lo sono, esattamente
come lo sei tu con Cristina.»
Abbate abbassò lo sguardo e si guardò
la punta delle Nike, sollevando poco dopo il viso e regalandomi un
sorriso.
«Se mi aveste fatto parlare...» Disse
quasi stizzito. «Volevo dirti che secondo me è
stato avventato
quello che hai fatto e che, secondo me, avresti dovuto aspettare
ancora un po' soprattutto dopo quello che il coatto
ti ha
fatto.» E il mio ragazzo lo trucidò con lo
sguardo, stringendo la
mia mano come se al posto delle mie dita ci fosse il collo di Abbate.
«Ma, nonostante tutto, il tronista barbuto e fisicato
è stato in
grado di farti contenta. Ed è questo l'importante per me.
Vederti
sorridente e spensierata di fianco al ragazzo che ami e che ti ama.
Ti ama, no?» Chiese per sicurezza, abbassando un sopracciglio
e
rivolgendosi più a Dario che a me. I muscoli del mio ragazzo
fino a
quel momento tesi si rilassarono e il pericolo rissa era stato
sventato per fortuna.
«Sì, la amo.» Disse semplicemente
Dario con tono brusco.
«Allora spero che questa storia duri,»
commentò il mio migliore amico scrollando le spalle.
«Anche io,» rispose il mio ragazzo
accennando un sorriso.
Quella che all'inizio sembrava dover
essere un'ennesima litigata, con probabili botte, si era risolta nel
migliore dei modi, nell'armonia più assoluta e non potevo
che essere
felice del fatto che Federico avesse accettato la mia relazione con
Dario, anche se con qualche riserva, ne ero certa. Ma l'importante
era che Abbate avesse compreso quanto amassi Dario, perché
le
opinioni e i pensieri del mio migliore amico erano quasi di vitale
importanza. Liberai la mano di Dario e mi avvicinai a Federico,
cingendogli la vita ed alzandomi sulle punte per raggiungere la sua
guancia. Ovviamente nemmeno con un tacco dodici lo avrei raggiunto
per cui si abbassò verso di me ridacchiando e gli scoccai un
lungo
bacio sulla guancia, ricambiato dalle labbra di Federico. Mi strinse
a sé, accarezzandomi la schiena e ondeggiando a destra e a
sinistra.
«Lo sai che ti voglio bene?» Gli
domandai retorica.
«In realtà no,» rispose lui con un
mezzo sorriso. «Non me lo ripeti abbastanza, forse.»
«Un milione di volte non è
sufficiente?» Ribattei divertita, mentre Dario ci osservava
con le
braccia incrociate e gli occhi infuocati dalla gelosia.
«Preferisco un milione e uno.»
Ridacchiai e mi sporsi ancora verso di
lui per dargli un altro bacio. Mi sentivo fortunata ad avere un
migliore amico così e avrei dovuto ringraziare il cielo ogni
singolo
istante per avermelo fatto incontrare di nuovo sull'autobus dopo
tutti quegli anni di lontananza. Mai avrei creduto – e
nemmeno
sperato – di poter ritrovare il mio vecchio migliore amico,
quello
che mi aveva tenuto compagnia per tre lunghi anni e che mi aveva
fatto scoprire cosa fosse realmente l'amicizia. Avevo creduto che
tutto, tra di noi, fosse finito con l'inizio del primo anno di liceo.
Avevamo preso strade diverse, avevamo iniziato a frequentare scuole
diverse e le nostre strade si erano separate in un bivio che sembrava
dovesse divergere sempre di più. Ed invece lungo quella
biforcazione
c'era un altro punto d'incontro, indissolubile e quella strada
l'avremmo ripreso a percorrerla insieme.
«Basta smancerie,» borbottò il mio
ragazzo afferrandomi il polso ed allontanandomi da Federico.
«Avete
amoreggiato anche troppo.»
Ridacchiai divertita e gli regalai un
leggero e delicato bacio sulle labbra, stringendogli una mano e senza
distogliere il mio sguardo dal suo ipnotico. Sentivo sempre il
bisogno morboso di vedere quelle iridi, di specchiarmi in quelle
pozze nere e imprimermi nella memoria e nell'anima anche la
più
piccola sfaccettatura di quegli occhi così tremendamente
perfetti.
«Torniamo di là sennò credono che uno
di noi ha fatto una strage,» ironizzò Federico.
Uscì dalla cucina usando la porta
finestra e ci trovammo direttamente in giardino, di fronte alla
piscina. E davanti ad una scena che nessuno di noi si sarebbe
aspettato di vedere. Eravamo talmente presi da noi stessi che non ci
eravamo nemmeno accorti che Raffaele si era inginocchiato di fronte
ad una Claudia spiazzata e un altrettanto incredula Cristina.
«Non c'è il lume di candela e nemmeno i
violino. Non ho fiori né un anello. Ho solo il mio amore che
vorrò
donarti per il resto della mia vita. Claudia Faustini vuoi sposare
questo poveraccio, burbero e antipatico Smell?»
Possibile che mi fossi addormenta sul
bancone della cucina e che fossi in un mondo onirico? Probabile visto
che mio fratello stava facendo una proposta di matrimonio anche fin
troppo romantica. Mi diedi da sola un pizzicotto sull'avambraccio e
constatai che quello non era frutto della mia mente, che non era
stato Morfeo a mandarmi quelle immagini ma che ciò che si
stava
consumando davanti ai miei occhi era la realtà.
Claudia aveva gli occhi lucidi e la bocca
dischiusa, con le labbra che le tremavano e il corpo rigido come un
tocco di legno. Eravamo tutti spiazzati in quel momento, ma lei,
ovviamente, era la più incredula e la più
spaesata. Non sapeva se
rimanere a fissare il suo ragazzo oppure cercare i nostri sguardi.
«Io, non...» Boccheggiò deglutendo a
fatica. «...cioè, stiamo insieme da
così poco.»
«Lo so,» convenne con lei Smell. «Ma
tu sei la prima ragazza che amo davvero e non posso immaginare una
vita senza di te. Vorrei davvero che tu diventassi mia
moglie.»
«Me lo stai chiedendo solo perché sono
incinta,» ribatté Claudia con voce tremante.
Smell le afferrò una mano e la baciò
con dolcezza.
«No. Te lo chiedo perché mi sento
pronto per questo passo. Lo avrei fatto con o senza bambino.»
La
rassicurò e sembrava sincero.
Mi risultava difficile immaginare mio
fratello padre, ed era ancora più
difficoltoso immaginarlo
con un pargolo tra le braccia e addirittura sposato.
Claudia boccheggiò e si guardò intorno
spaesata, passandosi le mani tra i capelli. Era chiaro che fosse in
difficoltà, che avesse paura di dire di no e ferire i
sentimenti di
mio fratello. Se mi fossi ritrovata io in quella situazione non avrei
esitato a dire di sì a Dario,
avventandomi anche addosso a
lui per baciarlo, per stringerlo per non farlo mai più
andare via.
Ma io ero ancora immatura e non riflettevo mai prima di prendere le
mie decisioni. Il matrimonio era un passo importante e non facile,
soprattutto per lei che aveva solo diciotto anni e nemmeno un diploma
in mano.
«E se non dovesse funzionare?» Domandò
Claudia, impaurita.
«C'è sempre mia madre per il divorzio.
Potrebbe anche farci uno sconto,» ridacchiò
divertito e la mia
amica, in lacrime, si unì a lui.
«Come ci manteniamo poi? Io non sono
nemmeno uscita dal liceo!»
«Quest'anno mi laureo e non sarà
difficile trovare un osto di lavoro. Mio zio è farmacista e
sarebbe
felice di offrirmi un posto,» rispose mio fratello.
Lei si morse le labbra e ci guardò uno
per uno come se stesse cercando una qualche conferma nei nostri
sguardi. Non sapevo cosa avesse trovato nel mio, forse solo stupore
ed incredulità.
«Sì,» disse piangendo per la
felicità.
«Sì!» Ripeté con
più enfasi per ribadire il concetto.
Smell si alzò da terra e sollevò anche
Claudia, stringendola a sé per baciarla. Cristina
scoppiò a
piangere, applaudendo davanti a quella scena da film d'amore mentre
Federico la stringeva e strusciava il naso contro i capelli biondi
della sua ragazza. Io, dal canto mio, ero quanto mai sorpresa e
felice al tempo stesso per loro, nell'immaginare quel sogno d'amore
coronarsi.
«E chi se l'aspettava,» mormorò Dario,
stringendomi una mano.
«Sono così contenta per loro,»
sospirai sognando che quel momento arrivasse, prima o poi, anche per
me e Dario.
Dopo la proposta di matrimonio
di Smell e
dopo che aveva festeggiato quel momento con un bel bicchiere di
Coca-cola – poiché di spumante in casa non ce
n'era – la Banda
Bassotti, come l'aveva ribattezzata Dario, aveva ripreso il
suo
viaggio verso la Calabria. Io e il mio ragazzo, invece, avevamo
deciso di andarci a mangiare un gelato in piazza per trascorrere un
po' da tempo da soli e cercare di seppellire quella brutta litigata
che ci aveva sorpresi appena qualche giorno prima.
«Per un attimo ho pensato che tuo
fratello si fosse fatto di cocaina,» ridacchiò il
mio ragazzo,
gustandosi il suo gelato al melone.
«Anche io, in effetti.» Convenni con
lui. «Non avevo mai visto mio fratello così
sdolcinato.»
«Certo che il matrimonio è un
bell'impegno,» commentò Dario, scettico.
«Tu non vorresti sposarti?» Domandai
speranzosa.
«Certo! Ma prima di fare un passo del
genere dovrei pensare a lungo. Non è semplice mettere su
famiglia,»
spiegò pacatamente. «Soprattutto in una situazione
come la loro.
Lei non ha nemmeno finito gli studi che già si ritrova con
una
proposta di matrimonio e un bambino in arrivo.» Disse e, a
poco a
poco, la sua espressione si rabbuiò. Ormai dovevo essere
abituata a
questi cambi repentini di umore ma, ahimè, mi stupivano
sempre.
Strinsi ancora di più la presa sulla sua mano e attrai il
suo
sguardo verso di me.
«Che succede?» Domandai con un sospiro
e un sorriso accennato.
«Pensavo,» scrollò le spalle.
«Pensavo
al fatto che anche io avrei potuto ritrovarmi in una situazione del
genere. Solo che non avrei avuto ventitré anni ma
sedici,» disse
amaramente.
Inizialmente non capii di cosa stesse
parlando, ma a poco a poco le confidenze che mi aveva fatto la
mattina del nostro primo addio tornarono alla memoria, traboccarono
dai miei ricordi mostrandomi l'immagine di una ragazza senza volto
che aveva condiviso con Dario la paura di avere un bambino in giovane
età, quando ancora erano dei ragazzini non in grado di
accudire un
figlio.
«Avresti voluto tenerlo?» Chiesi con un
leggero timore di ferirlo richiamando alla sua mente quei ricordi.
«All'inizio ero spaventato e no, non
l'avrei voluto tenere.» Mi confidò con un filo di
voce. «Ma alla
fine Sole mi aveva convinto a prendermi le mie
responsabilità. Ed
ero pronto a farlo se non fosse che poi è stata costretta ad
abortire.»
Ci sedemmo su una panchina con il
silenzio che si impossessò di noi. Non era una storia facile
da
ascoltare, da metabolizzare ma doveva essere stata ancora
più dura
viverla in prima persona con tutti i timori che una gravidanza
portava con sé. Per non parlare poi della questione
dell'aborto. Non
avrei mai voluto trovarmi nei panni di quella ragazza,
perché non
era una procedura semplice, era un qualcosa che segnava l'animo di
una donna fin nel profondo soprattutto quando era una cosa non
voluta.
Finimmo di mangiare il gelato in silenzio
mano nella mano ed io appoggiata con il capo sulla sua spalla. Non
c'era tranquillità tra di noi, non dopo quel discorso che
avevamo
fatto, nonostante magari poteva sembrare sereni.
Una ragazza con due enormi occhi azzurri
che indossava una gonnellina leggera dalle stampe floreali e una
maglietta bianca si voltò a guardarci, socchiudendo gli
occhi come
per metterci a fuoco. Ad un tratto sorrise raggiante e
infilò
velocemente il cellulare con il quale stava messaggiando prima di
vederci nella borsetta di Prada.
«Dario?» Domandò indicando il mio
ragazzo e facendo qualche passo verso di noi. «Dario
Vitrano?»
Il mio fidanzato la squadrò da capo a
piedi un paio di volte prima di sorridere ed alzarsi di scatto dalla
panchina.
«Martina!» Esclamò entusiasta, andando
ad abbracciare quella ragazza. Che oltretutto era una strafiga. A
parte gli enormi occhi color dell'oceano, messi in risalto dai
capelli neri che mossi le ricadevano sulle spalle, aveva un fisico
pressoché perfetto, slanciato e con delle curve che avrei
definito
pericolose. Praticamente di fianco a lei io sparivo, mi
eclissava
completamente con la sua bellezza, e dopo alcuni secondi intuii che
lei fosse la ragazza di cui stavano parlando Dario e Adriano in
pizzeria, il sogno erotico di quei due in sostanza e non avevano
tutti i torti.
«Oh mio Dio! Da quanto tempo!» Trillò
Martina, baciando sulle guance il mio ragazzo. «Sei cresciuto
un
sacco!»
«Anche tu,» rispose timidamente Dario.
«Sei come il vino, tu.» Ridacchiò la
ragazza. «Più invecchi e più ti fai
bono.»
Quei due scoppiarono a ridere e un moto
di gelosia mi chiuse la bocca dello stomaco. Dario e Martina dovevano
essere stati amici, un tempo, e non mi avrebbe stupito se non fosse
stato solo un rapporto di amicizia ma qualcosa di più
intimo.
Insomma erano entrambi avvenenti ed era praticamente impossibile che
quei due non avessero mai fatto sesso insieme. E avevo paura che lui
potesse cascarci di nuovo con quella specie di Katy Perry
all'italiana. Era bellissima, seducente e provocante, tutto il
contrario di me, insomma.
«Dove sei stato tutto questo tempo?»
Domandò curiosa.
«Mi sono trasferito a Milano e adesso
vivo lì,» rispose Dario con un sorriso.
«Ed è lì che ho
conosciuto la mia ragazza,» aggiunse rivolgendomi,
finalmente, uno
sguardo. Mi prese una mano e mi costrinse ad alzarmi dalla panchina
trascinandomi verso di loro.
«Alice, piacere.» Mi presentai
garbatamente.
«Martina. E il piacere è tutto mio,»
rispose con un sorriso raggiante stringendomi la mano. «E
quanti
anni hai Alice?» Mi domandò perforandomi con
quello sguardo
intenso. Mi sentivo a disagio in sua presenza e forse il motivo era
che Martina era stupenda, anche più bella della Cariati e in
confronto a lei ero un cesso ambulante, uno scorfano dotato dell'uso
della parola.
«Diciotto,» risposi in soggezione
cercando di non guardarla, ma era quasi impossibile distogliere lo
sguardo da lei e nemmeno Dario sembrava intenzionato ad allontanare i
suoi occhi dal corpo morbido di Martina. Non mi avrebbe stupito se in
quel momento si stesse immaginando in un letto assieme a lei e questo
pensiero mi fece rodere di gelosia e di rabbia.
«Oh, sei ancora piccolina!» Ridacchiò.
«Per cui farai ancora il liceo, immagino.»
«L'ultimo anno dello scientifico,»
replicai con un tono di voce talmente basso che sembrava stessi
partecipando ad una funzione funebre. Martina sorrise mostrandomi i
suoi denti
bianchi e perfetti – pure quelli, aggiungerei dato che
sembrava non
avere difetti quella ragazza – ed annuì.
«Io e Dario abbiamo preferito il
classico. Anche perché, non so lui, io ero negata in
matematica.»
Sogghignò e con lei il mio ragazzo.
«Una capra,» rispose Dario tra le
risate. «Come in latino, greco, storia,
filosofia...» Aggiunse poi
sarcastico.
«Poi dovrai spiegarmi come hai fatto a
diplomarti,» bofonchiò Martina senza perdere il
suo sorriso
raggiante.
Dario scrollò le spalle con noncuranza e
sospirò.
«Enorme, gigantesca botta di culo. Sono
uscito con un misero sessantadue.» Disse poi passandosi una
mano tra
i capelli.
«Beh, l'importante è diplomarsi, no?»
Replicò la moretta regalando un sorriso fin troppo malizioso
al mio
ragazzo.
«Sì, più o meno.» Rispose
Dario non
del tutto convinto. «Immagino che tu abbia preso cento alla
maturità.» «E lode,» aggiunse
gongolandosi Martina
e piano, piano la mia gelosia si stava trasformando in puro odio nei
confronti di quella ragazza. E non perché fosse antipatica,
anzi non
sembrava così insopportabile, ma per come si mangiava con
gli occhi
il mio Dario. Sembrava quasi che volesse prenderlo
in
quell'esatto momento, sbatterlo sulla panchina e fare sesso con lui
per ore. Ed ero anche certa che, se avesse potuto, mi avrebbe
strangolata e buttato il mio cadavere in un fosso solo per poter
avere Dario tutto per sé.
«Che secchiona,» borbottò il mio
ragazzo divertito. «Ora cosa fai?» Chiese poi
curioso.
«Studio medicina, ovviamente.» Scrollò
le spalle e sospirò. «Come mio nonno e come mio
padre.»
«Anche io avrei dovuto fare quella
facoltà. I miei volevano un quarto medico in famiglia. Ma
sono
scappato prima che mi obbligassero ad indossare camice e
stetoscopio,» ridacchiò anche se il suo tono di
voce non era
affatto divertito. Ero sicura che stesse ricordando gli anni orribili
che aveva passato a Milano nella più completa solitudine e
mi venne
voglia di abbracciarlo in quell'istante ma rimasi imbambolata davanti
a Marina, incapace di muovermi e di proferire parola.
«Hai preferito lavorare in radio,» lo
anticipò Martina con un sorriso sornione. «Ti
ascolto tutte le
mattine. Quando mi è possibile ovviamente. All'inizio non
credevo
che potessi essere tu, ma la tua voce è
inconfondibile.»
«Troppo bella per poter essere
scordata,» si pavoneggiò Dario.
«Non solo quella,» disse Martina ma
subito si tappò la bocca con una mano e arrossì
di colpo.
Ok, era chiaro che quella ragazza dallo
sguardo cristallino e Dario si fossero intrattenuti insieme durante
gli anni del liceo. Anche se i conti non mi tornavano. Lui mi aveva
detto che Sole era stata la sua prima ragazza ed erano stati insieme
tre anni prima che lui partisse per Milano a diciannove anni. E
allora Martina cos'era stata per Dario? Non una semplice amica
perché
era ovvio che lei fosse ancora attratta dal mio ragazzo. Un'avventura
o un vero e proprio fidanzamento? Ero stranamente
confusa in
quel momento.
«Io, io devo, devo andare.» Balbettò
Martina affrettandosi ad abbassare lo sguardo. «Mi ha fatto
piacere
rivederti.»
«Anche a me,» mormorò Dario con un
sorriso accennato.
«Vado, allora.»
Disse cominciando a camminare
all'indietro ed andando a sbattere contro un povero signore di una
certa età. Si scusò goffamente con lui e lo
aiutò a raccogliere il
bastone che gli era caduto, lanciando qualche occhiata furtiva a
Dario. Se io non fossi stata lì quei due si sarebbero
appartati da
qualche parte e ci avrebbero dato dentro.
«Ehi Martina!» La richiamò Dario e si
avvicinò a lei. Tesi l'orecchio per ascoltare i loro
discorsi,
curiosa di sapere che cosa avevano ancora da dirsi. «Senti...
io mi
intrattengo qui a Roma per un po'. Potremmo sentirci qualche volta
per uscire insieme con Alice e gli altri.»
«Come ai vecchi tempi,» mormorò lei
imbarazzata al massimo con le guance rosse come un pomodoro.
«Perché
no.»
«Hai un contatto Facebook, Twitter o un
social network qualsiasi?»
«Facebook,» rispose lei con un sorriso
stiracchiato e uno sguardo languido che rendeva liquidi quegli
immensi occhi azzurri. «Mi trovi come Martina Campanella,
ovviamente.»
«Ti aggiungo, allora.» Gli sorrise il
mio ragazzo e lei annuì timidamente.
Dario si sporse verso di lei e le baciò
dolcemente una guancia lasciandola pietrificata in quel punto per
alcuni secondi con un sorriso idiota stampato in faccia. Quando poi
si rese conto di essere rimasta a fissare Dario come uno stoccafisso,
lo salutò rapidamente con una mano e si allontanò
rapida da noi,
scappando quasi.
Improvvisamente ripensai alle ultime
parole che aveva detto quella ragazza. Si chiamava Martina
Campanella come l'uomo di cui avevano parlato i signori
Vitrano
durante la loro litigata. Mi affiancai a Dario, che aveva le mani
affondate nelle tasche dei jeans e appoggiai il capo contro la sua
spalla, stringendo il suo braccio.
«Chi era?» Domandai con un filo di
voce.
«La mia ex ragazza,» rispose
telegrafico. Per cui i miei sospetti erano fondati e i miei dubbi
sulla complicata vita sentimentale ed adolescenziale del mio ragazzo
si intensificarono «Quella di cui stavamo parlando
prima,» aggiunse
con un filo di voce.
«La ragazza che ha abortito?» Domandai
incredula.
Dario si limitò ad annuire flebilmente e
ad abbassare lo sguardo verso l'asfalto. Non dissi nulla rispettando
il silenzio di del mio ragazzo, stringendolo solo di più a
me. Avevo
notato che ci fosse un legame tra di loro non attribuibile ad una
semplice amicizia, ma non avrei mai creduto che lei fosse la ragazza
di cui avevamo parlato fino a poco prima.
«Era da anni che non la rivedevo,»
mormorò. «È stato... strano. E mi ha
fatto piacere vederla così
felice.»
«Sei ancora attratto da lei?» Quelle
parole uscirono velocemente dalla mia bocca. Avevo visto che la
guardava come se la desiderasse, e il pensiero che un'altra ragazza
potesse attirare la sua attenzione mi faceva imbestialire.
Già c'era
stata Sole a sconvolgere per bene i primi giorni di quella vacanza,
ci mancava solo Martina a metterci i bastoni tra le ruote. Le cose
dopo la litigata si erano sistemate e il nostro amore era ancora
più
forte di prima. Non volevo che una ragazza con gli occhi azzurri
qualunque rovinasse tutto quello che stavamo costruendo, tutto quello
che piano piano si stava risanando.
«Beh, hai visto anche tu quanto è
bella. Un pensierino ce lo farei...» Lasciò la
frase in sospeso e
mi guardò di sottecchi con un'espressione divertita. La sua
era una
chiara provocazione alla quale cedetti in un nanosecondo. Mi
allontanai da lui e, accigliata, gli tirai una sberla sul braccio
talmente forte che lo schiocco si sarebbe sentito perfino a
chilometri di distanza.
«Bene, allora. Fatti soddisfare da lei.»
Ribattei stizzita, dandogli le spalle e incrociando le braccia.
«Ma dai, amore, scherzavo!» Esclamò
prontamente lui abbracciandomi da dietro e baciandomi una guancia.
«Ho visto come la guardavi,» dissi con
il broncio. «Sembrava che volessi farci sesso.»
«Piccola! L'unica che voglio sei
solamente tu,» mormorò al mio orecchio e si
appoggiò con il mento
alla mia spalla. «Martina è ovviamente bellissima
e saremo sempre
legati, in un certo senso. Stava per diventare la madre di mio figlio
o mia figlia, in fondo.»
Rimasi in silenzio con il calore del suo
corpo ad avvolgermi e il suo odore a sconvolgermi. Aveva ragione.
Erano stati sul punto di diventare genitori, avrebbero condiviso la
gioia di avere un bambino e le paure che una gravidanza in
così
giovane età comportava. Eppure non riuscivo a stare
tranquilla e a
far finta di nulla perché avevo visto lo sguardo di Martina
colmo di
un sentimento nei confronti di Dario che non sapevo definire. Nei
suoi occhi c'era qualcosa di malinconico ma anche di romantico e
avevo paura che sarebbe tornata all'attacco per riprendersi il mio
amato. Ed era chiaro come il sole che Dario poi
avrebbe scelto
Martina. Lei era bella come poche, intelligente ed era riuscita a
strappargli più risate lei in cinque minuti di conversazione
che io
in due mesi di conoscenza. Cosa aveva trovato in me? Perché
si era
innamorato della sottoscritta? Forse solo perché ero stata
l'unica a
non contattarlo per avere del sesso in cambio di soldi,
perché ero
stata l'unica ad avvicinarmi a Dario e lui, avendo bisogno di
affetto, si era arpionato a me in cerca di ciò che gli
mancava. E
probabilmente non mi amava davvero, credeva solo che fosse amore ma
magari era solo una forte amicizia che lui aveva scambiato per
qualcosa di più profondo.
«Sei sicuro che quello che provi per me
sia amore?» Domandai con un pizzico di tristezza. Ero una
folle a
fare quella domanda, ma dovevo sapere e dovevo capire che cosa fosse
quello che sentiva per me. E non mi sarei arrabbiata se mi avrebbe
lasciata. Avrei solo passato sei mesi a piangere – forse
anche di
più –, ma non lo avrei odiato. In fondo era
semplice scambiare una
profonda amicizia con l'amore, soprattutto quando si era soli e
feriti come Dario. Lui tacque disorientato dalle mie parole e, in un
attimo, mi cinse i fianchi e mi voltò verso di lui per
cercare il
mio sguardo. Era tremendamente serio in quel momento e i suoi occhi
neri come la notte mi trafissero il corpo, l'animo, il cuore.
«Alice non dubitare mai, mai di quello
che provo per te,» disse sfiorandomi il viso con la mano.
«So per
certo che ti amo. Lo so da molto tempo, ormai.»
«Da quando?» Gli domandai curiosa non
riuscendo a soffocare un sorriso che si disegnò sulle mie
labbra.
«Da quando sono scappato come un codardo
da te,» rispose imbarazzato. «Appena ho realizzato
che non ti avrei
mai più rivista ho sentito la terra cedermi sotto i piedi,
sono
sprofondato in un buco nero e un vuoto proprio qui.» Disse
afferrandomi la mano e appoggiandola sul suo cuore che in quel
momento batteva all'impazzata. Sorrisi per l'emozione e rischiai di
scoppiare a piangere, come al solito.
«Io da molto prima,» ammisi e Dario mi
guardò dubbioso. «È successo quando ti
ho visto entrare in casa
mia. Non ho capito più nulla appena ti ho visto. Mi hai
letteralmente sconvolto l'anima solo con un sorriso.» E forse
risultai una stupida per aver detto quelle cose, magari sarei
sembrata una bambina dalla cotta facile. Ma non mi importava
sinceramente anche perché era la pura e semplice
realtà. Dario
ridacchiò, rosso dall'imbarazzo e unì le nostre
labbra in un breve
ed intenso bacio. Ci guardammo a lungo come se ci fossimo sperduti
nello sguardo dell'altro in una trappola dalla quale non volevamo
sfuggire. Solo che c'era una domanda che premeva nella mia mente e
che scalpitava per uscire non facendomi godere appieno di quel
momento.
«C'è una cosa che non capisco,» dissi
dubbiosa. «Se Sole è stata la tua fidanzata per
tre anni e se vi
siete lasciati quando tu sei partito per Milano dopo la
maturità,
come hai fatto ad essere il fidanzato anche di Martina?»
Lo vidi sbiancare tutto d'un tratto e
annaspare come un pesce fuor d'acqua. Sorrise nervosamente,
grattandosi la nuca svariate volte ed estrasse dalla tasca una
macchina fotografica digitale.
«Dobbiamo colmare il vuoto sulle pareti,
no?» Disse e il suo mi sembrò un tentativo di
sviare il discorso.
«Non hai risposto alla mia domanda.»
Gli feci presente puntellando le mani sui fianchi. E proprio in
quell'istante un flash mi sorprese e la macchina fotografica
immortalò la mia ridicola espressione corrucciata.
«Oh, sei fantastica in questa foto!»
Esclamò Dario ridendo mentre riguardava ciò che
aveva appena
scattato.
Mi avvicinai lesta a lui e sbirciai sul
piccolo schermo della macchina digitale la mia immagine orribile
impressa sulla memory card. Avevo una faccia da cretina e mi aveva
immortalata mentre parlavo per cui avevo anche la bocca
semi-dischiusa. Cercai di acciuffare quell'aggeggio dalle sue mani,
ma lui si scansò prontamente allontanandolo dalle mie
grinfie.
«Cancellala immediatamente!» Esclamai
stizzita, cosa che lo fece sganasciare ancora di più.
«No, mia cara. Questa andrà dritta
dritta a tappezzare le mie pareti.» Disse scappando da me e
dal mio
tentativo di sbarazzarmi di quella immagine orribile.
«Dai ti prego! Cancellala!» Lo
supplicai, facendo gli occhi dolci. «Te ne faccio fare altre
mille,
lo prometto!»
«Non m'incanti, piccola.» Ribatté con
un sorriso sornione e fu un attimo che la macchina fotografica
scattò
di nuovo.
«Piantala di fare foto a tradimento!»
Sbottai indispettita e non volli nemmeno vedere quale obbrobrio ci
fosse impresso sullo schermo.
«Ma sono le migliori e le più
naturali!» Replicò divertito.
Era riuscito in un attimo a farmi
dimenticare quel dubbio atroce che mi aveva tormentata poco prima. In
quel momento c'era solo lui che riempiva la sua memory card con delle
mie foto. Alla fine mi arresi al suo gioco e cominciai a posare come
se fossi una modella per quel servizio fotografico improvvisato alla
quale, di tanto in tanto, si univa anche lui baciandomi sulle labbra
oppure su una guancia. Quelle erano le nostre prime fotografie
insieme e le avrei custodite gelosamente come se fossero il tesoro
più prezioso che potessi possedere. Era il nostro amore, i
nostri
momenti passati insieme, eravamo noi ed ogni volta
che le
avrei viste avrei sorriso, avrei gioito e avrei riprovato quelle
stesse emozioni dell'attimo immortalato in quella fotografia.
Appena arrivammo a casa, Dario stampò
quelle fotografie con la sua ipertecnologica HP e non tardò
a
riempire con esse le pareti della sua stanza. Erano tantissime ed
ognuna di esse racchiudeva un pezzo della nostra vita, un pezzo del
nostro amore. Una su tutte spiccava tra i nostri baci e le mie facce
da ebete. Ero io la protagonista di quella foto e stavo sorridendo
mentre guardavo il mio amato Dario. E sotto con un indelebile
argentato lui aveva scritto:
Alice – La
mia vita ♥
- __________________________________________
Scusate
il ritardo! Ma sono riprese le lezioni di anatomia e mi distruggono!
Più che
altro questo è un capitolo di passaggio...il bello
arriverà nel prossimo :3 ma non anticipo nulla!
Sentivate la mancanza
di Abbacchio (Federico) e compagnia bella? Io, un po', sì!
Soprattutto Abbate...sapete quanto io abbia adorato questo personaggio,
nonostante tutto! E, ancora una volta, si dimostra forse il
più maturo di tutta la storia. Seppur non sopporti Dario,
non lo digerisca, ha comunque accettato la sua relazione con Alice.
L'importante, per lui, è che la sua migliore amica sia
felice. E ha capito che con Dario è così.
Ma vogliamo parlare di
Smell? Del brutto, scorbutico e rozzo Smell? Sembra un'altra persona in
questo capitolo :) è stato dolcissimo con la sua Claudia..
Finalmente si è deciso a esternare i suoi
sentimenti, arrivando addirittura a chiedere alla sua ragazza di
sposarlo. Io li trovo bellissimi insieme, questi due
♥.♥
E ritorna fuori il
discorso della ex ragazza di Dario che ha davuto abortirtire. Non so se
vi ricordate nle capitolo 12 quando lui ha accennato a questo episodio
:) comunque, qui spiega più dettagliatamente come si
è sentito, quello che ha provato e per di più
Alice ha avuto l'"onore" di conoscere la ragazza in questione, Martina
Campanella. Per chi ha letto i primi capitoli di Mistake
saprà sicuramente chi è! Oltre al fatto di essere
gelosa marcia della bellezza di Martina, Alice ha anche un sacco di
dubbi, non so se lo avete notato xD ma, alla fine, i nodi non vengono
al pettine. I due piccioncini si perdono nel loro amore e scattano
delle foto che immortalino il loro sentimento. Un po' di
tranquillità per la nostra coppia :)
Mi dispiace ma non
sono riuscita a rispondere alle vostre recensioni ^^"
proverò a recuperare, ma non prometto nulla.
Comunque ringrazio le
persone che hanno recensito lo scorso capitolo, le persone che hanno
inserito la storia tra le preferite/seguite/ ricordate e anche chi
legge solamente. Siete davvero tantissimi ♥.♥ Vi
adoro!
Come
in un Sogno - con IoNarrante
Crudelie
si nasce - gruppo facebook
Profilo Facebook
Crudelie
Graphic - per le vostre richieste grafiche.
Un bacio e alla
prossima!
|
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Capitolo 27 *** Viva gli sposi ***
alice
video-trailer
C a p i t o l o 26
Viva gli sposi!
betato da nes_sie
Quella mattina c'era fermento in casa
Vitrano. Era il 15 luglio e tra poco meno di due ore, esattamente
alle quattro del pomeriggio, la cugina di Dario si sarebbe sposata.
In corridoio c'era uno snervante via vai, un picchiettare di tacchi
sul parquet e lo sbraitare continuo di Salvatore che non trovava la
sua Favolosa cravatta color cremisi. Sembrava che
tutti si
stessero preparando per il matrimonio reale di William e Kate,
talmente era alta la tensione in quella casa. L'unica che non aveva
la minima voglia di partecipare alla cerimonia ero io – e
forse
Dario che era davanti allo specchio a borbottare. E non
perché non
mi piacessero i matrimoni, anzi li adoravo. Immaginarmi all'altare
con l'abito bianco, mano nella mano del mio futuro marito davanti al
parroco per coronare il nostro sogno d'amore era una delle mie
fantasie più ricorrenti. Per di più, ai matrimoni
si poteva
mangiare come maiali affamati mandando a quel paese la dieta per
qualche ora, anche se il giorno dopo ci si sarebbe svegliati con i
sensi di colpa. Ma cosa c'era di meglio di un'abbuffata in grande
stile? Cosa c'era di meglio di un pranzo nuziale con tre primi, tre
secondi, dolci, dolcetti e stuzzichini di ogni genere?
Solo che le nozze di questa cugina, di
cui ancora non sapevo il nome, mi rendevano ansiosa e non sapevo se
fosse perché lì non conoscevo nessuno, e mi sarei
sentita un
perfetta idiota in mezzo a degli estranei, o se fosse solo il sesto
senso che mi diceva chiaramente che fosse meglio starsene a casa
invece di andare a quel maledetto matrimonio.
Sospirai rumorosamente, scuotendo la
testa e cominciando a contorcermi per entrare nel vestito azzurro
che, gentilmente, la signora Nicoletta mi aveva
fatto
comprare. Mi aveva imposto di prenderlo solo perché era un
Dolce&Gabbana, così non sarei
apparsa una pezzente in
mezzo ai suoi parenti. Per carità, era bellissimo e non
avevo mai
indossato nulla di così elegante. Era un tubino color del
cielo,
senza spalline, che mi arrivava a metà coscia –
fortunatamente
coprendo la mia orribile cellulite – ornata con quelli che
sembravano dei veri cristalli sulla parte centrale che si portavano
fino quasi a metà vestito e si concludeva con un drappeggio
di
stoffa. Stupendo, ma troppo appariscente per una come me.
Comunque, tralasciando la signora Vitrano
e i suoi odiosi vestiti griffati, non dovevo preoccuparmi e pensare
già al peggio, quando ancora non era successo nulla. Dovevo
smetterla di essere così pessimista e di vedere pericoli
ovunque,
credere che ogni singolo gesto ed ogni singola persona potesse
distruggere quello che c'era tra me e Dario. Non era semplice,
però.
Non lo era affatto. Senza di lui sarei morta; portarmelo via
equivaleva a strapparmi il cuore dal petto e distruggerlo in piccoli
brandelli, vivere senza Dario non sarebbe stato vivere.
Come
potevo esistere senza un cuore? Come potevo esistere senza un'anima?
Senza ossigeno, senza sangue nelle arterie, senza acqua che mi
dissetasse? Perché, per me, Dario era tutto quello se non di
più.
Era lui a dare senso ad ogni cosa, era lui che colorava la vita con
ogni suo sorriso e ogni suo sguardo, era lui il senso della
mia
vita. Io esistevo semplicemente perché esisteva
Dario. Se lui
non ci fosse stato Alice sarebbe stata il nulla più totale,
una
ragazza vuota senza nessun significato in quell'insignificante mondo
grigio.
«Mi aiuti ad allacciare la zip?»
domandai al mio ragazzo, scacciando quei brutti pensieri dalla mia
mente.
Dario si avvicinò lentamente a me,
ancora con la camicia sbottonata e il suo fisico bene in vista. Se
non ci fosse stato l'inconveniente matrimonio, non avrei esitato a
disfarmi di lei e anche dei pantaloni per fare l'amore con lui anche
ore ed ore. Forse non proprio in continuazione dato che
biologicamente Dario aveva bisogno di riprendersi. Avevo
una
voglia infinita di lui che cresceva giorno per giorno e che le nostre
effusioni, le nostre serate passate nella sua Mito appartati nel
garage, i nostri gemiti sommessi o quasi urlati alimentavano volta
per volta, rendendomi insaziabile del sapore inconfondibile della
pelle di Dario e del suo corpo.
Mi scansò delicatamente i capelli,
raccolti in una semplice coda alta da un elastico ornato di perline e
le sue mani percorsero la mia schiena per tutta la sua lunghezza,
regalandomi dei magnifici brividi di piacere.
«Perché tirarla su questa zip?»
domandò roco avvicinandosi al mio orecchio. «Non
sarebbe meglio
toglierlo questo vestito?» continuò retorico, e le
sue mani
abbandonarono la mia schiena per dedicarsi al mio seno. Tutti e due,
in quel momento, volevamo la stessa cosa, volevamo fare l'amore e
mandare a quel paese il matrimonio.
«Non cominciare Dario!» dissi stizzita,
stringendogli i polsi e allontanandolo dal mio corpo. Ancora un
secondo in più e mi sarei sbarazzata dei miei e dei suoi
vestiti.
Dovevo darmi un contegno, però: non potevo mica stare sempre
a
desiderare di far sesso con lui. Anche perché l'amore non
doveva
essere sempre e solo qualcosa di fisico e, nell'ultimo periodo, ci
eravamo lasciati andare un po' troppo. Praticamente, dopo la
litigata, ci appartavamo sempre nella sua Mito. Avevo paura che
così
il nostro sentimento si logorasse con il tempo e diventasse solo
qualcosa di carnale, che si riducesse solo a notti di sesso sfrenato
e nulla più. Io volevo tanto altro dal nostro rapporto,
soprattutto
emozioni e quei semplici gesti che mi stupivamo e che mi facevano
sentire amata. Questo lato era ancora vivo tra di noi, ma per quanto
tempo sarebbe durato? Quanto tempo sarebbe bastato perché il
nostro
amore si trasformasse solo in un atto carnale?
«Ma che ci posso fare se sei così sexy
con questo vestito?» ribatté lui strofinando
quella sua barbetta
seducente contro il mio collo.
«E allora se sono sexy con questo
vestito perché non lo lasciamo dove sta?» dissi, e
voltai il viso
verso di lui, sorridente.
«Ti preferisco senza,» borbottò,
mettendo il broncio.
«Per oggi accontentati di guardarmi con
il vestito sexy,» ribattei. E sollevai la coda invitandolo
tacitamente ad alzare quella maledetta zip.
Sbuffò scocciato, e il suo respiro mi
solleticò la schiena, facendomi chiudere gli occhi per quel
secondo
di piacere. Ogni cosa di lui provocava in me brividi più o
meno
intensi di godimento, dal suo semplice fiato contro la mia pelle al
suo tocco. Avevo una vera e propria dipendenza. Quel mio sentimento
così forte per lui, ne ero certa, si sarebbe ritorto contro
di me e
mi sarebbe piombato addosso come il più pesante dei macigni.
«Et voilà,»
borbottò
allacciandomi la zip e sbattendo le mani contro i fianchi.
«Grazie,» dissi girandomi verso di lui
e lasciandogli un bacio all'angolo della bocca. Avrei voluto
approfondire quel bacio, ma sarebbe stato controproducente
perché
con la voglia che avevo di lui saremmo cascati sul letto e addio
matrimonio. Per di più eravamo anche in ritardo, e Consuelo
bussava
alla porta della stanza da circa dieci minuti, imprecando in spagnolo
quando nessuno le rispondeva.
Indossai i sandali argentati – con un
odiosissimo tacco 12 che mi avrebbe distrutto i piedi – e
tutti i
vari accessori che Nicoletta mi aveva comprato per quella occasione
speciale, mentre Dario indugiava nell'abbottonarsi la camicia bianca.
«Muoviti!» Esclamai, e lui mi guardò
con il tipico sguardo da cane bastonato.
«Ma fa caldo!» si lagnò. «E lo
smoking mi fa sentire un deficiente.»
Sbuffai sonoramente e mi avvicinai
traballante a lui, con la paura di capitombolare dai quei trampoli.
Cominciai ad abbottonargli la camicia, sfiorando quel corpo che
desideravo così ardentemente.
«Come i bambini,» commentai scocciata,
più che altro per allontanare la mia mente dai pensieri
impuri che
stavo continuando a fare.
«I bambini non hanno un fisico così,»
gongolò con un sorriso sornione.
«I bambini non sono stupidi quanto te,»
risposi sarcastica e lo vidi incupirsi e fingersi offeso. Gli
allacciai l'ultimo bottone ed avvolsi le mie braccia dietro il suo
collo per unire le nostre labbra e concederci quel bacio che prima
non avevo voluto approfondire. Tutti i miei sforzi di resistergli
quel pomeriggio erano andati a farsi benedire proprio in quel
momento, quando la sua lingua cominciò a danzare con la mia
sinuosamente ed sensualmente. Non riuscivo a frenarmi quando avevo
davanti Dario. Diventavo una cretina di fronte a lui, una stupida che
non capiva più nulla e che non vedeva nient'altro se non lui.
La sua mano cominciò a risalire
pericolosamente lungo la mia coscia, sistemandosi a coppa sulla mia
natica. Fortunatamente, però, qualcuno bussò alla
porta e fermò
quel momento magico e maledettamente eccitante. L'uscio si
aprì e il
viso bellissimo di Mauro fece capolino con uno sguardo che sarebbe
stato in grado di sciogliere il polo sud e il polo nord in meno di
tre secondi.
«Invece di perdere tempo a fare le
porcate, datevi una mossa. Stiamo aspettando tutti voi,»
disse
perentorio e quando i suoi occhi si posarono su di me il mio cuore
perse un battito. Perché dovevo sentirmi sempre in
soggezione quando
lui mi fissava? In fondo era un bastardo fatto e finito, e poco
contava che avesse cercato di consolarmi quando avevo litigato con
Dario, che mi avesse abbracciata e mi avesse fatto sorridere in un
momento in cui avrei dovuto versare tutte le lacrime possibili. Lui
era solo bello, e di ragazzi attraenti ne avevo visti a bizzeffe.
Bastava anche vedere quanto fosse bello il mio ragazzo. Ma gli occhi
di Mauro erano come una calamita per me e lui era così
enigmatico da
attirarmi quasi fossi stata vittima di uno strano sortilegio. E mi
sentivo terribilmente affascinata da lui. Non potevo, però,
commettere errori. Sarebbe equivalso a perdere Dario e non volevo che
questo accadesse per una mia stupida svista.
«Arriviamo,» borbottò il mio
ragazzo.
La porta si richiuse, nascondendo
fortunatamente la figura di Mauro. Più il tempo passava e
più il
fascino che aveva su di me cresceva a dismisura. Deglutii a fatica e
acchiappai la giacca dal letto, porgendola a Dario che si stava
allacciando la cravatta.
«'Sto cazzo di pezzo di stoffa me
strangola!» si lamentò cercando di allentarsi il
colletto.
«Cerca di resistere un pochino, santo
cielo! È solo una cravatta!» sbottai nervosa.
«Mamma mia, oh! Che te s'è infilato
qualcosa nel di dietro?» borbottò Dario mettendosi
la giacca dello
smoking blu scuro ed io gli regalai uno sguardo truce. Afferrai la
pochette intonata alle scarpe ed uscii dalla stanza, seguita dal mio
ragazzo che sbuffava scocciato.
«Chissà perché, ma ho come la
sensazione che questo sarà un pomeriggio di
merda,» commentò
contrariato mentre scendevamo al piano di sotto dove tutti ci
attendevano.
E, chissà perché, il mio sesto mi
suggeriva che Dario aveva ragione.
La celebrazione del matrimonio
era stata
davvero stupenda, nonostante fossimo arrivati in ritardo, proprio
quando la sposa stava per entrare. La chiesa di San Marco era stata
decorata con dei meravigliosi e candidi fiori bianchi e rosa pallido;
le panchine erano state ornate con dei drappeggi di seta bianchi e mi
era sembrato quasi di entrare in un sogno. Più di una volta
mi ero
immaginata di essere al posto di Teresa, la cugina di Dario, fasciata
in un meraviglioso abito da sposa a sirena tempestato di Swarosky.
Ovviamente nella mia fantasia il bel ragazzo dagli occhi azzurri con
cui era convolata Teresa era stato sostituito dal mio Dario. Era
tutto così terribilmente romantico. Quasi perfetto se non
fosse
stato per il mio ragazzo che continuava a borbottare contro il povero
Renzaglia. Avevo intuito che conoscesse anche il bel ragazzo
tenebroso e che non gli andasse particolarmente a genio. «Si
può
sapere che cosa ti ha fatto questo Renzaglia?» domandai
mentre
eravamo in macchina per raggiungere il castello di Bracciano dove si
sarebbe svolto il banchetto.
«È un coglione, fuma canne e tracanna
birre di prima categoria,» rispose brusco tamburellando
l'indice sul
volante.
«Non mi ha dato l'impressione di essere
un drogato alcolizzato,» ribattei confusa. Certo, aveva lo
sguardo
un po' tenebroso, un che di misterioso in lui, ma non mi era sembrato
un pazzo squilibrato avvezzo a bevute e canne.
«Beh...ho esagerato un po',» sbuffò e
la Mito svoltò seguendo il corteo di macchine che si
dirigevano al
castello. «Ma ciò non toglie che sia un cazzone,
pezzo di merda.»
«Quanto risentimento,» borbottai
affondando nello schienale del sedile. «Ti ha per caso rubato
la
ragazza?» sghignazzai.
«Ci ha provato,» ringhiò lui.
«Stava
sempre a ronzare attorno a Sole.»
E rieccolo quel nome che odiavo
dal profondo del mio cuore uscire di nuovo dalle labbra di Dario,
uscire dal suo cuore. Era da giorni interi che
quella ragazza
non era oggetto dei nostri discorsi e mi stavo perfino dimenticando
di lei. Fino a quel momento, in cui il suo viso tondo
riaffiorò alla
mia mente. E il fatto che il suo nome fosse associato a quello di
Renzaglia mi fece contorcere lo stomaco e tutti i visceri. Erano
amici, probabilmente, e questo significava che potevo trovarmi Sole
davanti agli occhi in un qualsiasi momento, che lei poteva tornare a
minacciare quello che io e Dario stavamo costruendo a poco a poco.
«Che cazzo ci ha trovato mia cugina in
quello?» continuò a lamentarsi, ma io smisi di
ascoltarlo e iniziai
ad immaginare il momento in cui avrei incontrato Sole di persona. Che
cosa avrei fatto? Come mi sarei comportata? Le avrei dispensato falsi
sorrisi oppure gli sarei saltata subito alla gola? Ero un tipo
impulsivo, che non ragionava mai prima di agire e quindi mi sarei
potuta aspettare di tutto, anche una rissa sul tavolo della cena.
Tutto dipendeva da come si sarebbe comportata lei, che sguardi
avrebbe rivolto a Dario e, soprattutto, che cosa avrebbe fatto lui.
«Ehi, piccola, che hai?» mi domandò il
mio ragazzo, scuotendomi un braccio per ridestarmi dal mio sogno ad
occhi aperti.
«Oh, no, nulla!» esclamai e gli
sorrisi. «Pensavo che, beh, insomma... potrebbe esserci
Sole,»
dissi con un filo di voce e lo vidi deglutire a fatica. Si
umettò le
labbra e cominciò a torturarsi il labbro inferiore con i
denti.
«L'ho pensato anche io,» ammise
adottando il mio stesso tono.
«Cosa credi di dirle, se la
incontrerai?» domandai curiosa.
Dario scrollò le spalle e sospirò.
«Cosa dovrei dirle?» rispose in
evidente difficoltà. «Ciao...» E quella
parola rimase ad aleggiare
nella macchina per alcuni secondi. Dietro quelle quattro lettere si
nascondeva molto di più di un semplice saluto e lo avevo
capito da
come l'aveva pronunciato, con una malinconia che aveva riempito
l'abitacolo. Era ancora legato a lei, lo percepivo e non potevo
biasimarlo. Lei era stato il suo primo amore ed ero sicura che anche
io, semmai la nostra storia fosse finita, avrei continuato a pensare
a lui, a quello che c'era stato tra di noi. Ero ancora gelosa marcia
di Sole e non avrei ai superato quel sentimento di astio nei suoi
confronti, ma se prima avrei dato di matto e mi sarei fatta un sacco
di paranoie, in quel momento non ne sentivo il bisogno. Sapevo che
Dario mi amava, mi fidavo di lui ed era libero di pensare a Sole
senza che io dessi i numeri. Allungai una mano verso di lui,
appoggiandola sul suo braccio e Dario mi regalò uno degli
sguardi
più belli che avessi mai visto, che mi spiazzò
con la sua immensa
intensità e che mi inghiottì in pochi secondi. Mi
sorrise ed io
ricambiai. Dopo quella breve discussione su Sole, rimanemmo in
silenzio per tutto il viaggio. Lui aveva appoggiato la mano sulla mia
coscia e, ogni tanto, si voltava verso di me per sorridermi. Tra di
noi non c'erano bisogno di parole. Erano sufficienti degli sguardi,
dei sorrisi che racchiudevano nella loro semplicità il
nostro amore
travolgente.
Una decina di minuti dopo eravamo
arrivati al castello e la favola che stavo vivendo quel pomeriggio
sembrava prendere davvero vita. Prima il romantico scambio di
promesse, poi il banchetto in un vero ed autentico castello. Anche se
quello era il giorno di Teresa, mi sentivo come una principessa, e
Dario era il mio principe azzurro.
All'esterno, sotto alcuni portici, erano
stati allestiti numerosi tavoli con tovaglie bianche e rose bianche
imbanditi con ogni sorta di stuzzichino e bevande per rinfrescare gli
invitati che già si stavano rifocillando, ridendo tra di
loro. Mi
sarei avventata subito su quei manicaretti se non fosse stato che
sarei sembrata un lupo affamato e avrei fatto una figura barbina.
Dario mi trascinò verso alcuni dei suoi familiari, per la
precisione
verso suo nonno Giuseppe e i suoi zii, presentandomi a loro con un
sorriso che partiva da un orecchio e finiva sull'altro e quella
felicità mi spiazzò, mi stupì e non
potevo essere più contenta.
Scambiai qualche parola con loro, più che altro era nonno
Giuseppe
che parlava e che ricordava la sua amata moglie defunta. Quando
arrivarono gli sposi, però, l'attenzione di tutti fu
catalizzata su
di loro e l'interessantissimo dialogo con nonno Giuseppe si concluse.
«Ma guarda un po' chi c'è qui,»
gracchiò una voce fastidiosa alle nostre spalle. Io e Dario
ci
voltammo all'unisono trovandoci di fronte ad una ragazza biondi con
gli occhi azzurri e un'altra mora e riccia che ci guardava
corrucciata, con le braccia incrociate.
«Ho come l'impressione di conoscervi,»
fece il vago Dario e sentii nella sua voce una nota di disagio.
«Fai anche il finto tonto, Vitrano?»
ribatté acida la moretta tutto pepe.
«Si chiama ironia, Renn,» rispose per
le rime il mio ragazzo.
«Le merde, a quanto pare, non muoiono
mai,» disse sprezzante la riccia.
«Vacci piano con le parole, Betta,»
sibilò il mio ragazzo puntandogli un dito contro.
«Si chiama ironia, Vitrano,»
replicò acida, sorridendo soddisfatta.
Dario contrasse la mascella e prese un
respiro profondo forse per non rischiare di prendere a pugni la
moretta. Non avevo idea di chi fossero quelle due, ma di sicuro con
c'era un buon rapporto tra quei tre.
«Ti diverti ancora a illudere le
ragazzine, vedo,» continuò stizzita, e se gli
occhi scuri di quella
ragazza avessero potuto sputare fuoco, Dario sarebbe morto
carbonizzato.
«Per la cronaca, è la mia fidanzata,»
replicò brusco lui, intrecciando le sue dita con le mie.
«A-Alice,» dissi intimidita, sentendomi
chiamata in casa.
«Serena, piacere,» disse la bionda
sorridendomi.
«Elisabetta,» le fece eco quell'altra
guardandomi con sufficienza e rivolgendo subito la sua attenzione a
Dario. «Lo sai vero? Lo sai che hai rovinato la vita della
mia
migliore amica?»
«Smettila, Betta,» la riprese la
bionda, dandole una gomitata nel fianco.
La mora guardò la sua amica indispettita
e puntò un dito contro il mio ragazzo con fare minaccioso.
«Spero solo che tu soffra la metà di
quanto abbia sofferto lei,» ringhiò e, dopo aver
incenerito con lo
sguardo Dario, si allontanò a passo spedito.
Serena rimase lì a scrutarci con i suoi
occhi azzurri e ci rivolse un sorriso.
«Scusala. È da un po' di tempo che è
leggermente nervosa,» cercò di sdrammatizzare con
la sua spiazzante
dolcezza.
«No, ha ragione,» disse Dario,
abbassando lo sguardo. «Ma sono passati anni e sono diventato
tutt'altra persona,» aggiunse, guardandomi negli occhi e
sorridendomi.
«Si vede,» disse Serena sorridendo a
sua volta, fissandoci con occhi languidi. «E sono felice che
hai
deciso di lasciarti alle spalle la maschera del bello e
dannato.»
Dario la guardò perplesso, corrugando la
fronte e la bionda ridacchiò nervosamente, sistemandosi una
ciocca
di capelli che era sfuggita alla sua acconciatura elaborata.
«Ho sempre creduto che tu, sotto
quell'aria strafottente, nascondessi un cuore tenero,»
spiegò
stringendosi nelle spalle, e Dario sorrise nel sentire quelle parole.
Se Betta l'avrei volentieri strozzata, Serena era di una rara
tenerezza. Erano l'uno l'opposto dell'altra, si compensavano.
«Se vuoi...» cominciò a dire la
bionda, indicando i tavoli dietro di lei. Poi sorrise timidamente e
scosse la testa. «No, nulla,» rimangiò
quello che stava per dire e
ci rivolse l'ennesimo sorriso. «Io raggiungo Betta. Mi ha
fatto
piacere conoscerti,» mi disse.
«Anche a me,» risposi scettica. Da
quando quelle due erano arrivate non avevo aperto bocca, frastornata
dal botta e risposta di Dario e la moretta, da ciò che la
riccia
diceva. Serena alzò una mano e la sventolò,
salutandoci timidamente
e raggiungendo la sua amica al banchetto. Ancora non avevo capito chi
fossero, ma non volevo intromettermi ancora una volta nella vita
passata del mio ragazzo. Quello che doveva interessarmi era il suo
presente, quello che stava vivendo con me e non quello che era
già
avvenuto, quello che lo aveva reso la persona speciale che era.
«Vado a prendere qualcosa da bere,» mi
disse, unendo le nostre labbra in un rapido bacio. «Mi
è venuta
sete. Tu aspettami qui. Magari ti porto anche qualcosa da
mangiare,»
aggiunse facendomi un occhiolino. Annuii e lo baciai ancora una
volta, poi di nuovo impedendogli di allontanarsi da me, anche se per
pochi minuti. Lo vidi allontanarsi e andare sotto il portico,
perdendosi tra la folla. Rimasi impalata per alcuni secondi, poi
decisi di sedermi ad un tavolo insieme ad alcune persone che nemmeno
conoscevo. Mi guardarono come se fossi un alieno appena uscito da un
navicella spaziale, ed io mi limitai a sorridere loro come una povera
imbecille. Mi sentivo a disagio con i loro sguardi puntati addosso e
non avevo la minima idea di cosa poter fare, cosa poter dire. Non
potevo di certo alzarmi di scatto e scappare con una scema! Avrei
fatto una figura barbina e apparivo già abbastanza
deficiente nel
sorridere in modo così falso. Dovevo solo aspettare qualche
minuto
che Dario tornasse con qualcosa da bere e da mangiare, così
mi sarei
tolta da quell'insopportabile impiccio. Solo che i secondi passavano,
la lancetta scorreva sull'orologio e del mio ragazzo nessuna traccia.
All'inizio avevo creduto che fosse stato trattenuto da qualche suo
parente o vecchio amico, ma dopo che erano passati ben venticinque
minuti ero più che sicura che lui si fosse dimenticato di
me. Mi
alzai di scatto dalla sedia e mi allontanai dagli sguardi dubbiosi e
dal chiacchiericcio di quegli estranei, raggiungendo il portico e
immettendomi anche io in quella folla di gente chiacchierona e
rumorosa. Mi guardai intorno, vedendo tutto il ben di Dio su quei
tavoli e riconoscendo al volo Nicoletta e consorte che ridacchiavano
allegramente con gli sposi, Mauro poco più in là
che scambiava
qualche parola con alcuni ragazzi e nonno Giuseppe che si stava
strafogando di gamberetti in salsa rosa.
Camminai dinoccolata su quei trampoli
lungo quasi tutto il portico in cerca di Dario e lo trovai poco dopo
con un bicchiere di aperitivo in mano che stava parlando con due
ragazzi. Mi avvicinai ancora di più a loro, stizzita
perché il mio
ragazzo mi aveva abbandonato come una deficiente.
«Dario!» urlai e il suo sguardo
incontrò il mio.
I due ragazzi si voltarono e il sangue mi
si gelò nelle vene. Mi immobilizzai a qualche passo da loro
e rimasi
a fissarli per quelli che mi parvero secoli. Era impossibile, un
sogno, un incubo. Il mio cuore si era fermato non appena aveva
incontrato due occhi color perla e quella velata gelosia che avevo
sempre nutrito nei suoi confronti cominciò a divorarmi da
dentro, a
consumarmi non appena mi sorrise. Sole era lì, davanti a me
in tutta
la sua bellezza. In foto non rendeva come di persona. Era sì
abbondante, ma il suo corpo morbido era
tremendamente sensuale
e il suo viso era uno dei più belli che avessi mai visto.
Indossava
un vestito color lavanda che le arrivava poco sopra il ginocchio
perfettamente intonato con la sua carnagione chiara. Aveva delle
spalline fini e della stoffa si intrecciava a livello del seno fino a
stringersi in vita dalla quale iniziava una gonna ampia e vaporosa.
Era bella, santo cielo! Ed io ero solo una deficiente con un orrido
vestito di Dolce&Gabbana che sembrava un evidenziatore. L'unica
cosa che volevo fare in quel momento era scappare, anche se non ne
sapevo il motivo. Non riuscivo a reggere il suo sguardo e nemmeno il
suo sorriso troppo dolce per i miei gusti.
«Stavamo proprio parlando di te,» disse
Dario, stringendomi un polso e trascinandomi vicino a lui. Mi strinse
e mi ritrovai abbracciata a lui, con il viso contro il suo petto.
Stava tremando, il suo cuore batteva all'impazzata e tutto quello
perché si trovava davanti a Sole.
«La mia ragazza, Alice.» Mi presentò
con un sorriso abbozzato, e la ragazza mi allungò una mano
timidamente.
«Sole.»
Le strinsi la mano e un brivido mi
percorse la spina dorsale. Un brivido di timore, di paura
dell'ignoto, di quello che sarebbe potuto accadere che mi sconvolse
negativamente e che mi incupì.
«E lui è Francesco, il mio ragazzo,»
disse con voce fioca indicando il ragazzo biondo che le stava
accanto. Era bello, molto. Sembrava quasi un angelo con quei capelli
dorati e quegli enormi occhi azzurri. Lui mi salutò con un
cenno del
mento e tornò a fissare Dario come se lo volesse scuoiare
vivo, come
se lo volesse divorare quasi fosse Hannibal Lecter.
Era
fidanzata, per cui non avrei dovuto preoccuparmi. Eppure non potevo
non notare gli sguardi di intesa che quei due si stavano scambiando.
Magari ero io che mi stavo facendo le solite paranoie, magari erano
occhiate normalissime che io avevo scambiato per qualcosa di
più
profondo. Ma come potevo stare tranquilla ora che Sole non era
più
un ricordo, non era più un fotografia, ma una minaccia vera
e
propria?
«Spero che tu abbia parlato bene di me
in mia assenza,» ridacchiai rivolta a Dario, anche se non
c'era
nulla di divertente in tutta quella situazione.
«Oh, sì! Ha subito iniziato a parlare
di te e ha smesso solo quando sei arrivata tu,» prese la
parola
Sole. Qualcuno le aveva chiesto qualcosa? L'avevo per caso
interpellata? Stavo parlando con Dario, non con lei.
«Praticamente
noi non abbiamo aperto bocca,» sogghignò regalando
uno sguardo
languido al suo ragazzo che abbozzò un sorriso stiracchiato,
poi
puntò di nuovo quei suoi occhi color perla sa Dario. L'avrei
accecata, santo cielo! Solo io potevo permettermi di mangiarmi con
gli occhi Dario, solo io potevo guardarlo con quel desiderio
dirompente che era evidente nelle iridi di quel capodoglio.
«E cosa hai detto?» domandai curiosa,
alzando lo sguardo verso il mio ragazzo che però sembrava
avere
occhi solo per Sole.
«Che sei molto dolce. E anche molto
carina,» riprese lei, rivolgendomi un sorriso.
«Secondo me è stato
troppo avido di complimenti. Sei davvero bellissima Alice. E sono
anche sicura che sei una ragazza adorabile, sennò Dario non
si
sarebbe mai innamorato di te.»
Falsa. Era più falsa di Giuda,
quella lì. Mi infarciva di apprezzamenti, ma in
realtà non pensava
nulla di quello che stava dicendo, ne ero certa. Stava di sicuro
architettando un modo per togliermi di mezzo e per potersi riprendere
Dario. Faceva tutta la dolce davanti a lui solo per scioglierlo e
farlo cadere di nuovo nella sua rete. Con chi credeva di avere a che
fare? Con una poppante? Si sbagliava di grosso! Alice Livraghi era un
segugio e percepiva sempre le minacce, quando qualche baldracca
puntava il suo uomo e glielo voleva sottrarre. Mi strinsi ancora di
più a Dario, intensificando la presa attorno alla sua vita e
stritolandolo quasi. Avevo paura che scappasse, che la cara
Sole non avesse capito che Dario era solo ed esclusivamente mio.
Proprietà privata. Off limits!
«Grazie,» dissi a denti stretti
abbozzando un sorriso. In realtà le avrei voluto strappare i
capelli
ad uno ad uno.
«Siete stati entrambi fortunati,»
continuò lei, stringendosi nelle spalle. «Tu sei
davvero magnifica
e Dario è una persona splendida.»
Ipocrita. Se solo avessi potuto le
avrei spaccato i denti con un cazzotto in faccia.
«Umpf. Splendida,» borbottò Francesco.
«A Natale ti regalerò un dizionario, Sole. Ancora
non hai capito la
differenza tra splendido e bastardo.»
«Frà!» lo richiamò Sole con
un tono
per nulla autoritario.
«No, tranquilla,» sospirò Dario,
scrollando le spalle. «Ci sono abituato a sentirmelo
dire,»
ridacchiò.
«Allora non solo io ho avuto questa
impressione,» bofonchiò Francesco... anche quello
lì cominciava a
darmi sui nervi. Dario non era uno stinco di santo, anzi ne aveva
combinate parecchie anche con me, si era comportato da verso stronzo,
ma non digerivo il fatto che quel damerino biondo offendesse il mio
ragazzo senza sapere nulla di lui. Stavo già per saltargli
alla gola
e sfoderare le unghie, come accadeva ogni volta che qualcuno osava
parlare male di Dario, ma Sole, come se avesse visto nel mio sguardo
qualcosa di omicida, strinse il braccio del suo ragazzo e ci sorrise
timidamente.
«Sere e Betta ci staranno aspettando,»
disse rivolta a Francesco. «È meglio se le
raggiungiamo. Ci ha
fatto piacere conoscerti Alice. E Dario, beh...»
abbassò lo sguardo
imbarazzata e le sue gote paffute si imporporano di rosso.
«È stato bello rivederti,»
completò
la frase Dario e i due si sorrisero. Il sangue mi ribollì
nelle
vene, bruciando le mie membra e annebbiando i miei pensieri con un
fumo denso e nero. «Ci si becca in giro Sole,»
aggiunse il mio
ragazzo e sperai con tutto il cuore che quella lì stesse il
più
lontano possibile da lui, che lo evitasse per tutta la durata del
matrimonio e che rimanesse aggrappata al biondino antipatico che si
portava appresso. Se solo avesse rivolto un altro di quegli sguardi
languidi che gli aveva riservato per tutta la durata di quel dialogo
l'avrei uccisa con le mie stesse mani.
«Ciao Dario,» mormorò lei e si
allontanò abbracciata a Francesco.
E ovviamente non mi aveva nemmeno cagata.
Aveva occhi solo per Dario e la stessa cosa valeva per il mio
ragazzo, per il quale ero completamente svanita da quando si era
intromessa quella falsa tra di noi. Ero gelosa
marcia e avevo
tanta, troppa paura che dietro i loro sguardi e i loro sorrisi si
celasse molto più di un semplice imbarazzo. Dario mi aveva
più
volte detto che per Sole non sentiva più nulla, che amava
me, solo
me e nessun'altra. Ma pensare ad una persona era molto diverso dal
vederla, guardare gli occhi intrappolati in una fotografia non era
affatto come vedere due iridi risplendere alla luce del crepuscolo,
due iridi delle quali si era già innamorato e per le quali
poteva
provare ancora lo stesso sentimento.
Bruscamente mi allontanai dal petto del
mio ragazzo e mi avvicinai al tavolo del buffet. Dovevo ingurgitare
qualcosa e combattere la rabbia che stava crescendo in me. La odiavo,
santo cielo e odiavo il fatto che quei due fossero ancora legati da
un filo invisibile, ma indissolubile. Perché, quando le cose
erano
tornate tranquille tra noi due, quando potevamo finalmente goderci la
nostra storia appieno rispuntava Sole? La sorte ci era avversa e
cominciavo a capirlo. Forse era gelosa di noi o forse stava solo
cercando di avvisarmi che Dario non fosse quello giusto per me.
«Non me la ricordavo così bella,»
disse il mio ragazzo affiancandosi a me che stavo mangiando tartine
di ogni sorta e affettati stra-grassi.
«Sì, bellissima,» sibilai a denti
stretti.
«Ed è dolcissima,» aggiunse raggiante.
«Come allora.»
Abbozzai un sorriso ed annuii.
«Cavoli! Sono passati cinque anni da
quando non la vedo! E per fortuna che non è cambiata di una
virgola.
È speciale, vero?»
Mi ero persa qualcosa, forse? Ero io o
era Sole la sua ragazza? Non lo capivo più. Mi morsi la
lingua per
impedirmi di mandarlo a quel paese e convenni con lui con un cenno
del capo.
«Sinceramente credevo che Francesco
fosse più simpatico,» borbottò
riempiendosi un piatto. «Al
telefono sembrava così pacato...»
Bene... aveva avuto l'onore di
parlare al telefono con il nuovo ragazzo di Sole ed io non ne sapevo
nulla. Magari aveva anche chiacchierato con lei a mia insaputa.
«Magari non ha poi tutti i torti a
considerarti un bastardo,» sputai acida
guardandolo dritto
negli occhi. «Non è l'unica persona che ha avuto
questa impressione
di te.»
Ero stata cattiva, e lo capii solo quando
gli occhi di Dario si dilatarono e si incupirono, così come
il suo
viso. Ero talmente arrabbiata in quel momento che non ragionavo
più,
che parlavo a sproposito senza cognizione di causa. Ma era da
più di
cinque minuti che mi stava riempiendo le orecchie con questa Sole ed
era da troppo tempo che io non esistevo più nei suoi
pensieri.
«Si può sapere che cazzo ti prende
oggi?» domandò brusco stringendo tra le mani il
piatto.
«Che cazzo mi prende? Che cazzo mi
prende?» ripetei infuriata facendo qualche passo verso di lui
per
poterlo guardare negli occhi. E la luce dentro di esse sembrava aver
dato vita al nome Sole scritto a lettere cubitali.
«Già! Hai il ciclo, per caso? O sei
solo nervosa perché è da troppi giorni che non mi
urli contro?»
sbottò infastidito.
«Fai poco lo spiritoso, Vitrano,»
sottolineai il suo cognome quasi con disprezzo. «Da quanto ti
sentivi con Sole?»
Dario mi guardò in un misto tra
l'adirato e il confuso, aggrottando le sopracciglia e chiedendo
spiegazioni con i suoi occhi neri.
«Hai telefonato a Sole e anche a
quell'altro. E me lo hai tenuto nascosto!»
«È stato Francesco a chiamarmi. E se lo
vuoi sapere questa è la prima volta che parlo con Sole dopo
cinque
anni,» rispose. Ma potevo esserne sicura? «Ti avevo
chiesto di non
dubitare di me. Ti prego, non farlo. Sai bene che non ti mentirei
mai, non dopo che ho rischiato di perderti,» mi
ricordò mordendosi
il labbro inferiore.
Ancora una volta le sue parole mi
travolsero come un mare in piena, come una cascata che calda mi
ricadeva addosso avvolgendomi e scaldandomi il cuore. Ero stata
crudele a dire quelle cose e dubitare di lui ancora una volta. Ma
avevo troppa paura di perderlo, che quella baldracca me lo portasse
via con i suoi modi di fare goffi ed impacciati. Non avrei vissuto
senza di lui, sapendolo tra le braccia di quella falsona
che
si nascondeva dietro sorrisi finti quanto un anello di bigiotteria.
«Scusami,» dissi dispiaciuta.
«È che
tu mi nascondi così tante cose...» lasciai la
frase in sospeso ed
abbassai lo sguardo, incapace di sostenere il suo.
«Che intendi?» domandò dubbioso.
«Ho tanti, tanti dubbi. Sole, Martina,
questo Moro... in realtà non sto capendo
più nulla,» gli
confidai mettendomi le mani tra i capelli e scuotendo il capo.
«Con Sole è stato un rapporto
burrascoso, lo ammetto. L'ho trattata male quando non se lo meritava
solo perché ci tenevo alla mia popolarità. Tutto
qui,» mi spiegò
ed appoggiò il piatto per potermi abbracciare, stringermi a
sé e
proteggermi con il suo corpo da tutti quei dubbi che mi tormentavano.
«Allora ero uno stronzo. Forse lo sono ancora adesso un
pochino. Ma
quello era il passato, tutto quello che è successo anni fa
non è
importante e il Dario che ti sta stringendo in questo momento
è
tutt'altra persona, anche grazie a te.»
«E Alice è solo una bimba immatura che
si ingelosisce troppo facilmente,» dissi aumentando la
stretta,
infossando il viso nel suo petto ampio che risuonava al ritmo del suo
battito cardiaco.
«Non lo avevo notato,» ridacchiò
divertito, baciandomi tra i capelli. «No, comunque... tu mi
consideri davvero un bastardo?» domandò con tono
basso.
Avvolsi le braccia attorno al suo collo
ed alzai lo sguardo per incontrare il suo.
«Ogni tanto lo sei,» scherzai
baciandolo a fior di labbra. «No, amore mio, non lo
sei.» Lo
rassicurai con un sorriso e lui mi sfiorò la guancia con
delicatezza. Si abbassò verso di me e le nostre labbra si
congiunsero ancora una volta, le nostre lingue si cercarono e si
trovarono in pochi secondi bisognose di sentire il sapore dell'altro.
Non avevo motivo di essere così gelosa. Dario amava me, e la
passione con cui mi stava baciando me ne dava la conferma. Sole non
era una minaccia, Sole non sarebbe riuscita a distruggere quell'amore
che ci legava, Sole non si sarebbe ripresa Dario. Me lo stavo
ripetendo mentre le nostre lingue si attorcigliavano sinuose eppure
non riuscivo a convincermene totalmente. Continuavo ad avere una
morsa che mi chiudeva la bocca dello stomaco e che non permetteva al
mio cuore di battere a dovere, di palpitare per la vicinanza di
Dario. Era quel maledetto brutto presentimento che mi perseguitava da
quando era iniziata quella giornata. Speravo con tutto il mio cuore
che rimanesse solo un mio incubo, una mia paura e che quel giorno si
concludesse nel migliore dei modi, con noi due che ci stringevamo a
letto e ci sussurravamo Ti amo.
Saremmo rimasti stretti, abbracciati a
baciarci fino allo sfinimento, fino a rimanere senza aria nei
polmoni, senza ossigeno che ci tenesse in vita, a cibarci del sapore
dell'altro se non fosse stato per il cameriere del catering che
richiamò l'attenzione su di sé e che
invitò tutti i presenti ad
entrare nel castello. Sospirammo all'unisono, scocciati di dover
interrompere il nostro momento di passione e, mano nella mano,
entrammo in quell'enorme edificio addobbato per il matrimonio.
«Voi siete?» domandò un uomo distinto
sulla quarantina che reggeva in mano una cartellina.
«Dario Vitrano e Alice Livraghi,»
rispose per me il mio ragazzo.
Il cameriere guardò sulla sua lista,
scorrendola tutta poi ci rivolse un sorriso e ci invitò a
seguirlo
nella sala in cui si sarebbe tenuta la cena. C'erano numerosi tavoli
rotondi tutti rivestiti da sofisticate tovaglie color avorio e
apparecchiate con posate d'argento, fiori candidi e candelabri. Una
canzone di Baglioni, Amore bello per la
precisione, cantata da
un giovane ragazzo di talento faceva da sottofondo. Percorremmo la
sala e il cameriere si fermò quasi a metà, ad un
tavolo al quale
erano già seduti Mauro, che avevo evitato involontariamente
per
tutto il giorno, Serena ed anche quell'acida di Elisabetta. E anche
Sole, purtroppo. Il destino sembrava essermi avverso. Quando credevo
di essermi liberata di lei, che non l'avremmo più vista
perché
troppo presi da noi e dal resto degli invitati, eccola che rispuntava
seduta al nostro stesso tavolo.
«Chi si rivede,» borbottò Francesco,
scocciato.
Ovviamente, Dario prese posto
accanto a Sole ed io mi accomodai alla sua sinistra, vicino a Mauro.
Solo la sua presenza, sapere che era lì a pochi centimetri
da me, mi
metteva in soggezione.
«Passato e presente qui riuniti,»
commentò il più grande dei Vitrano, guardando in
alternanza me e
Sole. «Speriamo solo che il presente non sia così
doloroso, vero
D'Amato?»
Ci eravamo appena seduti e Mauro cominciò
subito con le sue provocazioni, a regalare a tutti quel ghigno
malefico dal quale però ero terribilmente attratta. Mi
voltai a
guardarlo, a fissare il suo viso praticamente perfetto che sembrava
quasi una delle opere più belle dell'arte.
Le sue labbra erano così invitanti...
Contegno! Non dovevo sbavare sul fratello
del mio ragazzo, anche se era terribilmente bello. Dovevo resistere a
quella tentazione che il destino mi aveva presentato per mettermi
alla prova, per mettere alla prova l'amore che provavo per Dario. La
sorte, però, non sapeva quanto fosse forte ciò
che provavo per lui
e non avrei commesso un errore così grave, così
imperdonabile
rischiando di perderlo.
«Beh... beh...» tentò di dire Sole,
stringendosi nelle spalle ed abbassando lo sguardo a guardare la
tovaglia, ma nulla uscì dalla sua bocca. Le tremavano le
labbra e
sbatteva le palpebre velocemente come se le stesse per venire da
piangere. Dario allungò una mano verso di lei e le
accarezzò una
spalla nuda, fulminando poi con lo sguardo suo fratello.
«Non cominciare, Ma'!» ringhiò.
«Siamo
qui per divertirci non per stare a rivangare gli errori
passati.»
«Sei tu che ti infervori senza motivo,»
disse pacato Mauro, sorseggiando il vino rosso che il cameriere gli
aveva appena versato.
«Sei tu che mi provochi in
continuazione,» ribatté brusco il mio ragazzo.
«Ho solo augurato ad Alice di non
passare ciò che hai fatto subire alla povera ed ingenua
Sole,»
continuò rivolgendo un sorriso alla ragazza che
allontanò subito il
suo sguardo da quello di Mauro.
«Non commetterò lo stesso errore, puoi
starne certo,» replicò indispettito Dario.
«Fratellino, il lupo perde il pelo ma
non il vizio,» gli ricordò beffardo e in
quel momento il
cameriere ci servì il primo piatto, un risotto con i funghi
dall'aspetto invitante che però non stimolò il
mio appetito. Ero
troppo presa da quel botta e risposta tra i due Vitrano,
così come
il resto dei commensali. Mauro iniziò a mangiare, lasciando
il suo
discorso in sospeso e creando qualche attimo di suspance. Pendevamo
tutti dalle sue labbra, attendevamo qualcosa che magari non avrebbe
mai detto, un segreto che avrebbe sconvolto i nostri equilibri.
«Tu sei nato bastardo e morirai
bastardo,» disse semplicemente, dopo alcuni minuti.
«E daje,» bofonchiò
contrariato. «Ero ancora immaturo all'epoca e non capivo un
cazzo.
Con Sole sono stato bastardo, è vero ma con Alice
farò di tutto per
non farla soffrire.»
«Anche tenere per mano la tua ex
ragazza?» domandò retorico Mauro indicando con la
forchetta le mani
dei due strette sul tavolo. Non si erano accorti di quel contatto,
così come nessun altro seduto al tavolo. Le ritrassero
entrambi
velocemente nascondendole sotto la tovaglia ed abbassando il viso
colpevoli. Era una sciocchezza, in realtà, eppure il mio
cuore si
scheggiò comunque nel vedere quella scena.
«Dovresti stringere così quella di
Alice, non di Sole.»
E dopo quella frase il silenzio piombò
sul nostro tavolo. Attorno a noi tutti gli altri chiacchieravano tra
loro e si divertivano, si stavano godendo la festa, mentre su di noi
incombeva una nube nera di tensione pronta ad esplodere in una
furiosa tempesta. Gli occhi di tutti vagavano da un commensale
all'altro e nessuno sapeva più cosa dire. Ci limitavamo solo
a
mangiare senza proferire parola, senza dire qualcosa che potesse
scatenare fulmini e saette. Perfino Francesco, che mi sembrava una
testa calda, aveva preferito il silenzio e i suoi occhi azzurri si
limitavano a fulminare Dario e Sole con gli occhi. Anche lui stava
rodendo di gelosia esattamente come me e non sopportava quegli
sguardi furtivi tra i due ex fidanzati. Ancora una volta io ero
passata in secondo piano e in dieci minuti buoni non avevo nemmeno
avuto l'onore di potermi specchiare nei suoi occhi.
«Ti dispiace se vado a ballare con Sole?
Vorrei stare un po' da solo con lei,» mi chiese Dario, subito
dopo
aver finito di mangiare, ricordandosi della mia esistenza e
rivolgendomi un sorriso.
Ricambiai ed annuii flebilmente. Avrei
dovuto mandarlo a quel paese ma non ebbi la forza, non avevo voglia
di litigare con lui e dovevo fidarmi delle sue intenzioni. Insomma
andavano solo in pista in mezzo a tutti gli altri, cosa avrebbero
potuto fare di male? Li seguii con lo sguardo mentre si avvicinavano
alla folla danzante e li vidi stringersi, avvicinarsi pericolosamente
e danzare lentamente sulle note di L'emozione non ha voce. Avevo
le lacrime agli occhi e avrei voluto scoppiare a piangere. Ma delle
dita che conoscevo bene mi sfiorarono il dorso della mano,
distogliendo la mia attenzione dai due piccioncini che si stavano
sussurrando chissà cosa.
«Dammi retta Alice. Non vale la pena
soffrire per lui,» mi disse Mauro con tono apprensivo. Stavo
per
chiedergli spiegazioni su tutto il passato oscuro di Dario, ma
Francesco mi afferrò un braccio con decisione e mi
obbligò ad
alzarmi, trascinandomi sulla pista da ballo a pochi metri da Sole e
Dario.
«Non mi fido di 'sti due,» borbottò,
cominciando a muoversi e ad osservarli incessantemente. Insomma il
fatto che mi avesse invitata a ballare era solo una scusa per tenerli
sott'occhio.
«Sei geloso?» gli domandai, ondeggiando
da una parte all'altra.
«Perché, tu no?» ribaltò la
domanda
ed io, mordendomi il labbro, annuii.
«Che poi... cazzo ci trovate in quello?
Non è nemmeno così bello,»
bofonchiò fissando il mio ragazzo ed
ero sicura che avrebbe voluto sgozzarlo.
«È impossibile da spiegartelo in poche
parole,» gli risposi, voltandomi per guardare il mio Dario
sorridere
a qualche battuta di Sole. Era bellissimo e il suo sorriso illuminava
il mondo, il mio mondo anche se era rivolto ad un'altra ragazza e
non a me.
«La mia era una domanda retorica,»
bofonchiò, assottigliando lo sguardo. «Sai che me
frega di lui. Mi
basta sapere che cosa ha fatto a Sole.»
«Ti assicuro che è cambiato davvero,»
dissi abbozzando un sorriso, fissandoli mentre Sole appoggiava la
testa al suo petto e Dario la cullava tra le sue braccia.
Perché
c'era lei e noi io stretta a lui?
«Mah... sarà... ma secondo me ha
ragione il tipo con gli occhi azzurri,» disse scocciato.
«Non mi
fido di lui.»
«Ed io non mi fido di lei,» risposi per
le rime, guardandolo soddisfatta. «Ha cercato di addolcirmi
con i
suoi modi di fare.»
«No, Alice. Sole è davvero così. Sole
è davvero così dolce. E anche troppo
ingenua.»
Sospirò rumorosamente e contrasse la
mascella quandoli vide così stretti, quando vide la sua
donna tra le
braccia di un altro.
«Scusami,» disse allontanandosi da me.
«Ma non ci riesco, non ci riesco a vederli così
avvinghiati.»
E mi lasciò in pista da sola come una
cretina. Rimasi immobile mentre tutti attorno a me –
coppiette,
perlopiù – si strusciavano, si baciavano, si
divertivano. E,
mentre Dario abbracciava Sole, io me ne stavo impalata a struggermi,
a sentire quel timore di perderlo sempre più vicino.
«Mi concede l'onore di questo ballo,
signorina?» disse una voce alle mie spalle. Così
mi voltai
ritrovandomi di fronte Mauro che, con un inchino, mi porgeva una
mano. Fissai a lungo la sua riverenza, i suoi occhi azzurri che mi
intrappolarono nella loro trappola di cristallo. Abbozzai un sorriso
e accettati il suo invito, stringendomi a lui e ritrovando quel
calore di cui Dario mi aveva privato.
«Sei davvero bellissima, stasera, con
questo vestito,» mormorò nel mio orecchio ed
arrossii
violentemente. E in quel momento il suo odore mi solleticò
le narici
e notai quanto il suo profumo fosse simile a quello di Dario.
Dolciastro, ma molto molto più intenso di quello del mio
ragazzo.
«Non capisco come Dario non si accorga di quale meraviglia ha
accanto.»
Deglutii a vuoto ed avvampai, mentre le
sue mani mi stringevano sempre di più a lui. Molto
probabilmente il
vino che aveva bevuto gli aveva fatto male, lo aveva fatto ubriacare
e in quel momento era l'alcol a parlare. Ero paralizzata tra le sue
braccia ed era lui a condurmi in una danza lenta su una musica che
non riuscivo nemmeno a riconoscere talmente ero stordita dalla sua
vicinanza e dal suo corpo spalmato sul mio.
«Ti sta ignorando, Alice.» E non ci
voleva un genio in ingegneria informatica per capirlo «Ha
preferito
Sole a te.»
«Le vuole, le vuole solo parlare...»
balbettai, cercandoli con lo sguardo, ma erano spariti dalla sala.
«Dario fa tutto, fuorché parlare,»
disse beffardo e il mio cuore mancò, inspiegabilmente, di un
battito. «Vuoi sapere la verità su
Sole?» mi chiese.
Alzai lo sguardo per incontrare il suo
puro. Era serio, troppo per i miei gusti e la sua espressione cupa mi
incuteva un certo timore. Annuii poco convinta, ma dovevo
assolutamente sapere che cosa era successo con lei, capire cosa si
nascondeva nel suo passato.
«Ebbene. Sole D'Amato non era altro che
il giochetto sessuale di Dario,» mi rivelò e
rimasi scioccata da
quella confessione. Lo guardai incredula, con la bocca semi dischiusa
e non ci fu bisogno che facessi domande. «La usava per
impratichirsi
con il sesso, sfruttava la sua ingenuità e il suo amore solo
per
scopare.»
«Ma lui amava Sole,» ribattei subito.
«Sì, è vero l'amava,»
convenne con me
ed io entrai nella confusione più totale. «Ma non
era abbastanza
per uno come lui. Per cui la trattava come la sua bambola, teneva
nascosto al mondo il suo sentimento per puro egoismo. E mentre si
scopava Sole, stava anche con la Campanella, la sua fidanzata
ufficiale.»
Ero letteralmente sconvolta da quelle
rivelazioni sul passato del mio ragazzo. Sapevo che non era stato
proprio il ragazzo più bravo del mondo, ma non avrei mai
creduto che
fosse stato così stronzo dall'usare Sole e, intanto, stare
con
Martina.
«Beh... quello era il passato,» dissi
convinta. Già, era stato un bastardo, ma il Dario che avevo
conosciuto io non era affatto l'egoista, approfittatore che aveva
descritto Mauro.
«Credi che sia cambiato sul serio? Che
non possa fare lo stesso con te? Che non possa stare con due ragazze
contemporaneamente come ha già fatto?» Erano tutte
domande
retoriche, e dubbi che mi assalirono in quel momento. Rimasi
spiazzata e senza parole e per la seconda volta il mio cavaliere mi
abbandonò sulla pista come una scema. Mauro si
allontanò da me,
senza dirmi nulla e uscì dal castello per andare
chissà dove.
No, Dario non avrebbe mai potuto tradirmi
o mentirmi così spudoratamente. Mi amava e me ne aveva dato
conferma
più volte, anche se quel giorno aveva avuto occhi solo per
Sole. Ma
potevo capirlo, in fondo. Erano cinque anni che non la vedeva ed era
stato il suo primo amore, nonostante quello che mi aveva detto Mauro.
Non si era comportato affatto bene con lei, ma l'amore che provava
per quella ragazza era stato sincero, così come quello che
provava
per me. Avrei dovuto essere tranquilla, ma invece ero irrequieta; la
pista, la folla, la musica cominciarono a darmi fastidio. Avevo
bisogno di rimanere un po' da sola e fare chiarezza, tranquillizzarmi
e godermi quella serata fino a che non sarebbe finita, fino a quando
io e Dario non saremmo tornati a casa stretti l'uno all'altra.
Mi allontanai velocemente dalla sala e
salii le scale che mi si presentarono subito di fronte. Non sapevo
dove portassero ma non mi importava affatto. Mi ritrovai ad
attraversare un lungo corridoio, illuminato solo da una luce fioca,
sul quali si affacciavano numerose porte. Lo percorsi tutto e mi
infilai in una stanza enorme arredata con alcuni divani antichi rosa
pallido e una piccola poltrona. Mi accomodai e mi presi la testa tra
le mani. Mi stava scoppiando per i troppi dubbi che sgomitavano nella
mia mente, rimbalzando da una parte all'altra del mio cervello. Mi
fidavo di Dario ed ero consapevole di quanto fosse intenso il suo
amore per me. Eppure Sole, quella dannata Sole, mi tormentava
così
come l'incubo di rivederli di nuovo insieme, soprattutto dopo quello
che mi aveva detto Mauro. Non si era fatto scrupoli a stare con due
ragazze contemporaneamente, ad illuderne una e perché non
avrebbe
potuto farlo anche con me? Semplice, perché teneva troppo a
me e non
voleva perdermi. Lo aveva detto lui ne sapeva bene che, se mi avesse
tradito, lo avrei lasciato seduta stante.
Molto probabilmente, di sotto, stavano
già servendo i secondi, ma mi era passato l'appetito e con
quello
anche la voglia di festeggiare. Volevo solo che quella giornata
finisse e che Sole uscisse dalla nostra vita, una volta per tutte.
Aveva portato troppo scompiglio quella ragazza, solo, però,
nei miei
pensieri. Ero io che mi facevo ribollire il sangue nelle vene, ero io
a farmi un sacco di paranoie senza, magari, averne fondamento. Ero io
che vedevo romanticismo anche dove non c'era, ero io che credevo che
Sole fosse tornata per portarmi via Dario. Dovevo stare tranquilla e
non essere sempre così pessimista ma di pensare, ogni tanto,
in
positivo.
Presi un respiro profondo e decisi di
tornare giù. Magari Dario, non vedendomi, si era preoccupato
e non
volevo farlo stare in pensiero. Non appena mi alzai, Mauro fece il
suo ingresso nella stanza e si avvicinò a me con un sorriso
raggiante.
«Ti stavo cercando dappertutto!»
esclamò. «Mi stavo preoccupando.»
«Avevo bisogno di stare un po' da sola
per pensare,» sospirai e scrollai le spalle.
«Mi dispiace per averti lasciata sola in
pista. Ma dovevo fare una cosa,» disse diminuendo le distanze
tra di
noi. Era a pochi centimetri da me, potevo sentire il suo petto
sfregare contro il mio al ritmo dei nostri respiri.
«Non importa,» lo rassicurai con un
sorriso.
«Immagino che quello che ti ho detto non
ti ha nemmeno scalfita.»
«Beh... non mi aspettavo uno cosa del
genere,» ammisi stringendomi nelle spalle. «Ma io
mi fido di Dario
e sono sicura che non rischierebbe di nuovo di perdermi.»
«E come biasimarlo,» disse
accarezzandomi una guancia con il dorso della mano e il mio cuore
smise di battere per qualche secondo, prima di riprendere la sua
corsa con frenesia. Perché cavolo doveva comportarsi
così con me?
Perché doveva essere così dolce ed apprensivo?
Così non faceva
altro che alimentare la mia già dirompente voglia di
assaggiare
quelle labbra perfette!
«Perché stai tentando di allontanarmi
da Dario?» gli chiesi, catalizzando la mia attenzione sul mio
ragazzo per non cedere a quel peccato di lussuria estremo.
«Sto solo cercando di mostrarti che
persona è realmente,» rispose semplicemente.
«Poi starà a te
decidere se stare accanto ad un ragazzo immaturo al quale non
interessa minimamente calpestare i sentimenti altrui o meno. Mi pare
che lui ti abbia già ferito una volta fingendo di non
provare nulla
per te.»
Due volte, anche quando era
scappato a San Valentino, ma questo lo avrei omesso dal discorso per
non mettere ulteriormente in cattiva luce Dario.
«Ma ho fatto bene a perdonarlo,» dissi
con un sorriso. «Ha capito il suo errore e infatti ha detto
la
verità ad Adriano.»
«Tu sei troppo buona, Alice,» sospirò
passandosi una mano sulla nuca. «O troppo innamorata,
dipende. Lui
ti ha calpestata senza ritegno, si è preso gioco di te e
nonostante
questo sei tornata da lui solo con la speranza che
lui capisse
il suo errore.»
«L'amore rende stupidi, a quanto pare,»
scrollai le spalle. «Ma l'importante è che tutto
si sia sistemato e
che lui abbia smesso di mentire agli altri e a se stesso.»
Accennai un sorriso e lo superai per
poter uscire da quella stanza e scendere al piano inferiore dove mi
stava di sicuro aspettando Dario. Ma Mauro mi fermò e i
nostri
sguardi entrarono in contatto ancora una volta. Un brivido mi
percorse la schiena, seguendo poi qualsiasi nervo del mio corpo e
facendomi fremere. Se solo i suoi occhi riuscivano a farmi questo
effetto ero davvero messa male.
«Tu non te ne rendi ancora conto, ma
Dario ti ha in pugno. Potrebbe farti qualsiasi cosa, potrebbe anche
tradirti con centinaia di donne e chiederti Scusa
che tu
crolleresti tra le sue braccia,» disse, e quelle parole
furono così
vere che mi turbarono. Amavo talmente tanto Dario che gli avrei
perdonato tutto pur di non perderlo e questa non era una cosa
positiva.
La voce
del cantante arrivava fino alla nostra stanza, anche se molto
flebile. Mauro passò una mano dietro la mia schiena e mi
attirò a
lui, cominciando a muoversi al ritmo di Careless
Whisper di
George Michael.
«Riprendiamo da dove abbiamo interrotto
prima,» bisbigliò al mio orecchio e la sua voce
fioca m'incendiò.
Quanto ancora avrei resistito a lui?
Ormai anche il mio cuore sembrava essersi arreso al fatto che
provassi un'intensa attrazione verso di lui tanto che batteva
talmente forte da sovrastare quasi la canzone. Cosa sarebbe successo
se solo avessi avvicinato le mie labbra alle sue, se le avessi
sigillate con un innocuo bacio, solo per sentire che sapore avessero?
Nulla, tanto era solo un bacio innocente che nessuno avrebbe mai
scoperto. Deglutii a fatica e mi alzai sulle punte perché,
nonostante i tacchi, Mauro mi sovrastava ancora in altezza. Annullai
le distanze tra di noi e finalmente sentii le sue labbra sotto le
mie. Erano morbide, erano piene ed erano dolci. Non sapevano di
vaniglia, in realtà non era un gusto distinguibile,
definibile. Ma
sapevo che mi piaceva quel sapore anche più del dovuto e che
era
scivolato dentro di me guadagnandosi un piccolo posto del mio cuore.
Per me quel contatto ero più che sufficiente e mi sarei
allontanata
da lui se non fosse stato che Mauro affondò una mano tra i
miei
capelli, spingendomi verso di lui. La sua lingua s'insinuò
nella mia
bocca e quel contatto mi fece tremare, mi fece desiderare Mauro, ogni
cosa del suo corpo e questo non sarebbe mai dovuto accadere. L'unico
di cui dovevo sentire la voglia era Dario e già solo pensare
di
poter fare sesso con un altro che non fosse lui mi faceva sentire
sporca, colpevole. Puntai le mani sul suo torace intenzionata a
spingerlo via, a non cadere a quella tentazione. Ma quando sentii il
suo petto vigoroso sotto le mie dita, quando sentii il suo cuore
battere, non riuscii nel mio intento, anzi strinsi il colletto della
sua camicia con forza e desiderio. Cominciai a muovere anche io la
lingua in modo da lambire la sua, da rendere quello un bacio
passionale e trascinante che non voleva essere solo un semplice
contatto di lingue e labbra, ma anche qualcosa di più.
Mauro mi cinse la vita senza interrompere
quel contatto nemmeno per riprendere aria e mi fece voltare
delicatamente, spingendomi poi contro il divano dove mi accomodai.
Lui appoggiò un ginocchio accanto alla mia gamba e l'altro
tra le
mie cosce, piegandosi su di me per continuare a baciarmi. Strinsi
alcune ciocche dei suoi capelli neri, suggendo il suo labbro
inferiore.
Avrei potuto mentire, dicendo che non
sapevo quello che stessi facendo, che era stato lui a indurmi a
baciarlo, che ero solo una ragazzina confusa che stava soffrendo a
causa del suo ragazzo, ma non era così. Avrei detto una
bugia perché
io ero consapevole che stessi baciando Mauro, che stessi per farci
sesso e tradire così Dario e che lo desideravo in quel
momento forse
più di quanto avessi voluto il mio ragazzo la prima volta. E
mi
sentivo in colpa, tremendamente in colpa perché stavo per
commettere
un errore imperdonabile e perché quello avrebbe significato
perdere
Dario, in un modo o nell'altro. In realtà, non sapevo
nemmeno io
cosa provassi per Mauro, non sapevo definire ciò che sentivo
per
lui. Una volta lo odiavo, dieci secondi dopo mi ritrovavo avvinghiata
a lui in cerca del suo calore e dopo poco ero seduta su un divano in
un castello a baciarlo, a desiderarlo, a fremere per sentirlo dentro
di me.
Mauro si staccò
dalle mie labbra e ne
approfittammo per riprendere fiato. Potevo scappare, ero sempre in
tempo per tornare sui miei passi e lasciare che il sesso con lui
rimanesse solo una mia fantasia. Ed invece rimasi lì a
fissarlo
mentre si toglieva la giacca e la cravatta, lanciandole dietro di
lui.
Attesi con impazienza che
tornasse a
baciarmi, che lui lenisse quell'intenso e doloroso piacere che, dalla
mia intimità, si espandeva ad ogni muscolo del mio corpo.
Non appena
le sue labbra sfiorarono le mie, le sue mani andarono frenetiche a
cercare la mia zip per abbassarla lentamente e solleticarmi
involontariamente con le sue dita. Ansimai per quel breve contatto e
il fuoco che incendiava le mie membra si alimentò, crebbe in
me
divorando con la sua irruenza il senso di colpa e l'immagine costante
di Dario. Non era per nulla un buon segno, quello. Amavo Dario,
eppure stavo per fare sesso con suo fratello. Amavo Dario, eppure
sentivo il bisogno impellente di Mauro. Non sapevo come interpretare
questo mio comportamento e non sapevo nemmeno se quello che stavo per
fare, se quello che sentivo per Mauro scaturiva dal mio cuore oppure
era solo uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di ripicca al
fatto che il mio ragazzo mi avesse ignorata.
Mi abbassò il vestito e lo fece
scivolare lungo il mio corpo, lungo le mie gambe fino ad abbandonarlo
ai suoi piedi. Ero rimasta solo con gli slip bianchi, e un senso di
vergogna nel mostrarmi quasi nuda davanti a Mauro mi colse. Mi coprii
il seno con un braccio e mi allontanai dalle sue labbra, rifuggendo
dal suo sguardo.
«Non devi vergognarti,» mormorò al mio
orecchio e ne mordicchiò il lobo, strappandomi un gemito.
Mi strinse il braccio e, lentamente, lo
allontanò dal mio corpo. Arrossii e mi morsi il labbro
inferiore,
abbassando lo sguardo. Non ero abituata a mostrarmi nuda davanti ai
ragazzi. Dario era stato il primo e avevo sempre creduto che sarebbe
stato anche l'unico. Ed invece avevo gli occhi di Mauro puntati sul
mio fisico e avevo paura del suo giudizio, avevo paura che mi
abbandonasse lì come una scema mezza nuda perché
non ero attraente
e sensuale come credeva. Invece mi sorrise dolcemente e mi
divorò
con quei suoi occhi resi blu dalla poca luce che filtrava dal
corridoio in quella stanza quasi buia.
Si slacciò rapidamente la camicia,
stando attento a non far saltare qualche bottone per la foga del
momento. Si avventò di nuovo su di me, spingendomi verso il
divano e
mi ritrovai stesa con lui sopra di me. Una sua mano percorse il mio
torace, il mio addome, scivolando tra le mie gambe dove si
fermò. Si
appoggiò all'interno coscia e la spinse di lato per
allontanarla
dall'altra e potersi sistemare comodamente tra di esse. Subito sentii
il suo desiderio premere contro di me, contro la mia
intimità già
umida e calda che attendava solo di poterlo accogliere. Scalpitavo,
mi muovevo a scatti e i miei baci si facevano sempre più
passionali,
più violenti perché il piacere che stavo provando
era quasi
insopportabile ed avevo bisogno che lui mi appagasse, che lui non
indugiasse con le mani sui miei seni, ma che entrasse dentro di me.
Frenetiche, le mie dita scivolarono sul suo addome a andarono a
slacciare i pantaloni di Mauro e si insinuarono dentro di essi. Lo
sfiorai dapprima, poi strinsi decisa il suo desiderio nonostante la
stoffa dei boxer. Un gemito strozzato uscì dalle sue labbra
e fu
costretto ad interrompere il nostro bacio per poter riprendere fiato,
per deglutire dopo essere stato colto da quel piacere inaspettato.
Cominciai a massaggiargli la punta ed i suoi ansimi si fecero ancora
più intensi. Ringraziai che ci fosse la musica a coprire la
sua
voce, anche se avevo il costante timore che qualcuno potesse
sentirci, che qualcuno potesse sorprenderci mentre consumavamo quella
tentazione.
Sperai con tutto il cuore che capisse il
bisogno che avevo di lui, che intuisse che ero pronta ad accoglierlo
e a unirmi a lui. Infilai anche una mano nei suoi boxer,
così da
intensificare il concetto, mentre con l'altra feci una cosa che mai
mi sarei aspettata. Mi insinuai nei miei stessi slip per ricavare un
po' di sollievo, oltre che di piacere. Appena sfiorai la mia
sensibilità, un urlo fuoriuscì spontanea dalle
mie labbra e la
presa sul desiderio di Mauro si allentò. Socchiusi gli occhi
per
l'intenso godimento, ma riuscivo comunque a vederlo, a vedere il suo
sorriso sornione ed i suoi occhi guardarmi famelico. Tolse la mia
mano dai suoi boxer e si inginocchiò davanti a me, tra le
mia gambe
e mi tolse gli slip mentre io continuavo a sfiorarmi, a contorcermi,
a surriscaldarmi per quel piacere che io stessa mi stavo provocando.
«Non fermarti, Alice,» mormorò
eccitato nel vedermi percorsa da spasmi di piacere.
Si tolse i boxer, ma non badai nemmeno a
dove li lanciò. Ero troppo presa ad esplorare il mio corpo,
a godere
delle mie stesse dita per notarlo. Strizzai gli occhi quando una
fitta di piacere più intensa mi percorse e si
trasformò in un
gemito gutturale. Inarcai anche la schiena e sollevai il bacino
talmente era stata forte e in quel momento Mauro mi afferrò
i
fianchi, spingendomi verso di lui.
«Sei vergine?» domandò apprensivo ed
io, tra uno spasmo all'altro, scossi la testa.
Lui sorrise soddisfatto e si abbassò a
recuperare il portafoglio dai pantaloni estraendone un preservativo.
Lo fece scivolare lentamente sul suo desiderio e in pochi secondi mi
penetrò lentamente. E sentirlo scivolare dentro di me,
finalmente,
lenì quel dirompente desiderio e saziò la fame
che avevo di lui.
Allontanai la mano dalla mia intimità, ormai non era
più necessaria
e mi aggrappai alle sue spalle forti, gemendo contro la sua spalla
mentre i suoi ansimi mi riempivano le orecchie. Si muoveva con troppa
lentezza, trasformando quell'amplesso in una piacevole tortura, che
mi appagava ma non pienamente.
«Ma-Mauro,» ansimai, stringendo le
cosce contro il suo bacino.
E fu
strano pronunciarlo, sentire un nome che non era di Dario uscire
dalla mia bocca. Lo stavo tradendo, stavo facendo sesso con un altro
uomo nonostante amassi lui. E questo perché? Solo per un
capriccio,
perché ero rimasta ammaliata dall'enigmaticità di
Mauro e perché
ero una cretina. Mi ero lasciata condizionare dalle sue parole, da
quell'atmosfera romantica e dalla gelosia per quella dannata Sole.
Non provavo nulla per Mauro, solo una forte attrazione e in quel
momento sentii il mio cuore parlare distintamente, urlare il nome di
Dario nonostante stessi con un altro uomo. E non un ragazzo
qualunque, ma addirittura suo fratello, la persona che lui odiava di
più al mondo. Il senso di colpa tornò a divorarmi
proprio quando
Mauro aumentò il ritmo e i miei ansimi aumentarono di
intensità,
quando mi sentii godere così intensamente per un uomo che
non era il
mio ragazzo, per qualcuno che non era la persona che amavo, per
qualcuno che non sapevo nemmeno cosa sentisse per me, se qualcosa di
profonda o il nulla più totale. Mentre noi stavamo facendo
sesso,
probabilmente, Dario era seduto al tavolo e si chiedeva che fine
avessi fatto. Magari credeva che fossi andata in bagno o che mi fossi
intrattenuta a guardare il lago di Bracciano. In qualsiasi caso, lui
si fidava di me ed io stavo tradendo la sua fiducia. Come avrei fatto
a continuare a guardarlo negli occhi facendo finta di nulla? Come
potevo lasciare che lui mi amasse dopo che mi ero sporcata
così, dopo che la mia anima era stata marcata con una specie
di
lettera scarlatta? Per di più vivevo nella stessa casa di
Mauro e
ogni volta che lo avrei rivisto, avrai rivissuto questa serata,
ricordandomi quanto fossi puttana. Perché
sì, Dario era stato un bastardo con me, ma aveva rimediato,
aveva
compreso il suo errore ed era cambiato per me ancora una volta,
mostrandosi a tutti per la persona fragile che era realmente. Io
invece ero una puttana che scopava con suo fratello, che si sentiva
attratta pericolosamente da lui e che avrebbe ricercato ogni volta
che avrei sentito il bisogno di sentire il calore di un uomo. Temevo
che quella non sarebbe stata l'unica volta che avrei fatto sesso con
Mauro perché era quasi incontrollabile l'interesse che
provavo nei
suoi confronti e tremendamente piacevole il suo calore.
Mi sentivo uno schifo in quel momento.
Avevo ceduto al fascino di due occhi cristallini ed ero caduta in
tentazione, come era successo ad Eva. Ed io, come lei, avrei perduto
il mio Eden, il mio Paradiso. Avrei perso Dario.
_______________________________________________
Innanzitutto vorrei ringraziare IoNarrante
che mi ha "prestato" i fantastici personaggi di Tutto
per una scommessa. Ovviamente non sono stata in grado di
renderli al meglio ^^ e mi scuso, semmai facessero
schifo.
Btw...capitolo
intenso. È
entrata in scena la famosa Sole, finalmente e Alice ha vauto il
(dis)piacere di conoscerla. La gelosia ha avuto il sopravvento su Alice
anche perché Dario sembrava avere occhi solo per la sua ex
fidanzata. Ma questo non perché sia ancora innamorato di
Sole...ma questo lo capirete nella shot di prossima pubblicazione
sull'incontro tra Dario e Sole.
La situazione scappa un po' di mano ad Alice, insomma. Le
verità
sulla vita sentimentale travagliata di Dario non sembra scalfirla, la
infastidisce solo il momentaneo allontanamento di Dario. E questo
piccolo problema di comunicazione porta una conseguenza disastrosa per
la storia d'amore tra Alice e Dario. Alla fine, lei ha ceduto al
fascino di Mauro. Ha tradito il suo ragazzo, si è tolta uno
sfizio, diciamo, per cui ha sbagliato alla grande questa volta. Questo
"piccolo" incidente di percorso lacererà, di sicuro, il
rapporto
tra Alice e Dario. Chissà, chissà che
succederà....*suspense*
Commenti brevi e rapidi, anche perché non so che dire! Credo
che
si commenti da solo questo capitolo xD sono proprio curiosa di sapere
che ne pensate.
Ancora una volta non sono riuscita a rispondere alle recensioni *si
frusta*. Ho avuto il parziale di anatomia, per cui non ho avuto tempo.
Ed è anche per questo che il capitolo arriva così
in
ritardo. Spero che il prossimo non debba farvi attendere
così a
lungo.
Allora, ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra le
seguite, le preferite, le ricordat e anche chi ha solo letto. Ringrazio
anche chi ha recensito lo scorso capitolo...vorrei solo informarvi che,
grazie a voi, Alice è tra le storie più recensite
del
sito :3 Thank you so much ♥
Come
in un Sogno - con IoNarrante.
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qualsiasi genere, anche animati e addirittura video trailer. Qui
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Capitolo 28 *** Amore perduto ***
video-trailer
Capitolo 27
Amore
perduto
betato
da Nes_sie
Da
quanto tempo ero rinchiusa in quel dannato bagno?
Cinque
minuti, un'ora, tre secoli? Non lo sapevo e non volevo nemmeno guardare
l'orologio per quantificarlo.
Mi
ero rinchiusa in quel bagno dopo essermi rivestita, dopo aver fatto
sesso con
Mauro e non avevo intenzione di uscire da lì e incontrare i
suoi occhi, né
tanto meno di rivedere Dario dopo quello che avevo fatto. Nemmeno io
riuscivo a
capacitarmi di come avessi potuto tradire il mio ragazzo, per giunta
con suo
fratello, con la persona che lo feriva in continuazione e che godeva
nel
vederlo soffrire. Era stato più forte di me, non ero
riuscita a controllarmi
con Mauro e per giunta mi ero donata a lui con una
semplicità spiazzante che mi
faceva sentire ancora di più in colpa, che mi faceva sentire
ancora più sporca. Non
sapevo nemmeno che cosa
provasse lui per me, se sentisse davvero qualcosa o io fossi solo un
suo
passatempo. Ma io non lo amavo, perché il mio cuore
apparteneva solo ed
esclusivamente a Dario.
Non
solo mi sentivo una merda in quel momento, ma avevo anche tanta, troppa
paura
di poter ricascare tra le sue braccia. Non sentivo nulla per lui, ma
non mi era
indifferente. Aveva un fascino magnetico, quasi diabolico, che mi
attirava a
lui, che mi costringeva a cercare il suo sguardo quando non trovavo
quello di
Dario, che mi obbligava a cercare il suo calore e il suo odore quando
erano
assenti quelli di Dario.
Tirai
su con il naso e mi asciugai il viso solcato dalle lacrime con un pezzo
di
carta igienica. Ormai avevo quasi finito il rotolo e di sicuro il mio
volto
doveva somigliare a quello di un pagliaccio con tutto il trucco
sbavato. Che
cosa avrei fatto dopo? Come mi sarei dovuta comportare con Mauro e
soprattutto
con Dario? Se avessi potuto, avrei fatto di tutto pur di tornare
indietro nel
tempo e fermarmi prima di fare sesso con il più grande dei
fratelli Vitrano. Ma
nessuno, mio malgrado, era ancora riuscito ad inventare la macchina del
tempo,
per cui avrei dovuto convivere con il rimorso di aver tradito il mio
ragazzo,
la persona che più amavo. L'unica cosa che potevo fare era
far finta di nulla,
comportarmi come se nulla fosse successo con la speranza che Dario non
lo
venisse a sapere, con la speranza che Mauro mi evitasse e non dicesse
nulla a
suo fratello.
Qualcuno
bussò alla porta, facendomi sobbalzare e alzare lo sguardo
verso la porta del
bagno. Il battito cardiaco aumentò la sua corsa ed era come
se il cuore mi
fosse salito in gola. Avevo paura che fosse Mauro o, peggio, Dario e
non sapevo
come affrontare la situazione, non avrei avuto il coraggio di guardarli
negli
occhi.
«È
occupato?» domandò una voce femminile e mi sentii
sollevata nel sapere che non
fossero quei due.
«Ho
quasi finito!» esclamai scattando in piedi dal bordo della
vasca.
Mi
asciugai velocemente gli occhi con i palmi delle mani e mi sistemai il
trucco
alla bell'e meglio, togliendo con un po' di carta bagnata il rimmel e
la matita
colante sulle guance. Mi diedi una sciacquata veloce al viso e, anche
se avevo
ancora un'espressione distrutta, uscii dal bagno senza nemmeno guardare
il
faccia la ragazza o signora che necessitava del bagno.
Mi
pentii di essere uscita dall'unico posto sicuro in quel castello quando
mi
ritrovai di fronte Mauro, appoggiato con la schiena alla parete di
fronte al bagno
come se mi stesse aspettando. Non disse nulla, mi scrutò
solo con i suoi occhi
azzurri e non ghignò nemmeno, stranamente. Abbassai subito
lo sguardo cercando
di evitare il suo, ma quello non bastò a farmi ricordare il
nostro momento di
passione. Mi incamminai per il lungo corridoio a passo svelto, quasi
correndo
per sfuggire alla presenza di Mauro. Non mi fermò, non
tentò di parlarmi,
rimase solo fermo appoggiato a quella parete.
Scesi
rapidamente le scale, con il cuore che mi martellava nel petto e stava
quasi
per esplodere. Avrei voluto scappare da lì, allontanarmi da
Roma e tornarmene a
Milano senza nemmeno dare spiegazioni perché sarebbero state
troppo dolorose
per il mio Dario. Anche l'unica persona di cui si fidava, l'unica che
lo amava
e che lo faceva sentire importante lo aveva pugnalato con
brutalità. Non
avrebbe retto ad un colpo duro come il mio tradimento, ne ero
più che sicura.
Non
appena entrai nella sala del ricevimento, nonostante la gente che stava
danzando, vidi subito il mio Dario che si guardava
intorno quasi
spaesato, facendosi spazio tra la folla che gli impediva il passaggio.
Mi stava
cercando, ne ero certa. Il mio cuore, nonostante la morsa che lo aveva
intrappolato, cominciò a battermi furioso nel petto non
appena lo vidi, non appena
sentii il bisogno di abbracciarlo e guardarlo negli occhi. Non potevo
scappare,
non dal mio Dario. Lo avevo tradito, ma non con il cuore
perché io amavo solo
lui. Non era una giustificazione per quello che avevo fatto, era solo
una frase
che avrei dovuto ripetermi ogni volta per non sentirmi in colpa.
Corsi
verso di lui, spintonando chi cercava di ostacolarmi e lo abbracciai
con tutta
la forza che potevo, lo strinsi a me come se non volessi farlo scappare
e Dario
rimase sorpreso sia dal mio arrivo sia dalla foga con cui mi ero
avvinghiata a
lui.
«Alice»
mormorò stringendomi e baciandomi tra i capelli .
Affondai
il viso nella sua camicia bianca, stringendogli la giacca dietro la
schiena.
Lui era ignaro di tutto, non si era nemmeno reso conto che io lo avevo
pugnalato alle spalle, non sapeva che la sua ragazza, in
realtà, era solo una
sgualdrina qualunque. Così mi sentivo in quel momento, una
puttana, una stronza
puttana che rischiava di mandare tutto all'aria, di perdere l'unico
ragazzo di
cui si fosse innamorata veramente in diciotto anni di vita.
«Ti
amo, Dario» gli dissi con un filo di voce e con un velo di
lacrime che mi
copriva gli occhi «Ti amo da morire».
«Anche
io ti amo» rispose lui con la stessa tonalità.
Mi
staccai dal suo torace e appoggiai le mani sul suo petto, stringendo la
stoffa
leggera e sgualcita della sua camicia.
«Scusami
Dario» mormorai.
Non
sapevo nemmeno io perché gli avevo detto quelle parole. La
mia bocca si era
mossa da sola e la voce mi era uscita spontaneamente, senza che il mio
cervello
le guidasse. Dario, che sembrava abbattuto, quasi intuisse quello che
gli avevo
fatto, abbassò un sopracciglio e mi guardò
dubbioso.
«Per
cosa?»
Come
avrei potuto rispondere alla sua domanda? Scusami perché ti
ho messo le corna
con tuo fratello? Scusami perché tu ti fidavi di me ed io ho
scopato con Mauro?
Deglutii a fatica, sentendo anche le orecchio schioccare come se mi
trovassi in
aereo. Socchiusi gli occhi e non sapevo per frenare le lacrime che
volevano
uscire ancora o perché non riuscivo ad affrontare lo sguardo
afflitto di Dario.
«Se
sono sparita così» mentii con tono poco deciso.
«Scusami
tu» disse mordendosi il labbro inferiore «Che ti ho
lasciata da sola».
Possibile
che avesse intuito qualcosa? Possibile che i suoi occhi riuscissero a
scavare
nel mio animo così profondamente da capire che c'era
qualcosa che non andava in
me? Che molto probabilmente lo avevo ferito?
Appoggiai
una mano sulla sua guancia per poterlo accarezzare e lui mi
accennò un sorriso,
senza però quella sua tipica luce negli occhi che li faceva
risplendere.
Eravamo entrambi tristi, io perché lo avevo tradito e Dario
perché aveva
intuito che in me c'era qualcosa che non andava, che avevo combinato
qualcosa
di grave. Mi avvicinai a lui per baciarlo, stringendo con forza alcune
ciocche
dei suoi capelli. Avevo ancora in bocca il sapore dolciastro, che mi
ricordava
vagamente la cannella, di Mauro che non mi permetteva di gustarmi
appieno le
labbra di Dario. Inorridii nel sentire quel sapore sconvolgere le mie
papille
gustative, nel comprendere che Mauro era entrato a far parte di me, in
un modo
o nell'altro, guadagnandosi un posto nei miei pensieri. Se prima c'era
solo
Dario nella mia mente, in quel momento non riuscivo a togliermi dal
cervello
l'immagine perfetta di Mauro, del suo corpo caldo su di me, delle sue
labbra
che lambivano la mia pelle e ancora mi rimbombava nelle orecchie la sua
voce.
Non capivo il motivo per il quale Mauro mi stesse sconvolgendo in
quella
maniera e nemmeno perché si fosse insinuato nella mia mente,
si era infiltrato
come acqua sorgiva nei mie pensieri.
La
lingua di Dario cercò la mia, ma non con la stessa passione
come era solito
fare. E nemmeno io ero così presa da quelle effusioni come
le volte precedenti.
Ero assente, stavo pensando a quello che era successo, a Mauro e mi
stavo
maledicendo di aver fatto sesso con lui, di avergli permesso di
rovinare quello
che stavamo piano piano recuperando io e Dario.
Quel
bacio era anonimo, non sapeva di noi, non aveva sapore, se non quello
di
cannella di Mauro. Era come se io e Dario fossimo due estranei che si
stavano
baciando perché obbligati da uno stupido gioco e da una
stupida bottiglia. Non
eravamo Dario e Alice, non eravamo due innamorati. Eravamo il nulla, il
vuoto e
tutto quello era per colpa mia. Sicuramente anche Dario aveva percepito
la mia
assenza, l'inconsistenza di quel bacio ma non lo diede a vedere.
«Che
ne dici di andare a casa?» proposi, perché non
sarei riuscita a rimanere in
quel castello ancora per molto.
«Non
hanno ancora servito la torta» obiettò senza
convinzione.
Lanciò
uno sguardo alle sue spalle, come se stesse cercando qualcuno, forse
gli sposi,
poi tornò a guardare nei miei occhi. I suoi erano spenti,
quasi come se nuvole
nere e minacciose avessero coperto quel cielo notturno, le stelle che
lo
illuminavano.
«Sì,
forse è meglio andare» concordò in un
soffio «Salutiamo Teresa e lo sniffatore
e andiamo».
Intrecciò
le sue dita con le mie e camminammo tra la gente alla ricerca degli
sposi.
Passammo anche accanto a nostro tavolo e Dario lanciò
un'occhiata che non seppi
decifrare verso Sole, salutandola poi con un gesto della mano. Se non
fossi
stata così abbattuta, probabilmente, l'avrei guardata in
tralice e le avrei
mandato ogni sorta di maledizione. Ma non riuscivo nemmeno ad essere
gelosa per
quanto mi sentivo uno schifo.
Teresa
e Tommaso erano seduti al loro tavolo, intenti a parlare tra loro a ridacchiare. L'immagine
di me e Dario in
vesti da sposi sbiadì piano piano. Se lui avesse scoperto il
mio tradimento,
potevo benissimo scordarmi l'abito bianco e la cerimonia.
«Io
e la mia ragazza andiamo a casa» disse Dario, grattandosi la
nuca.
«Di
già?» chiese dispiaciuta Teresa.
«Non
volete rimanere per il taglio della torta?» intervenne anche
Tommaso.
«Siamo
molto stanchi» rispose il mio ragazzo «Ci
piacerebbe davvero rimanere, ma non
mi reggo nemmeno in piedi».
«Ah»
disse solamente Teresa. «D'accordo» e ci sorrise.
«Ci
ha fatto piacere avervi qui, comunque» le fece eco Tommaso,
alzandosi per
salutarci con un stretta di mano e dei baci sulle guance «La
bomboniera la
daremo a tua madre» lo informò poi e Dario
annuì senza entusiasmo.
Le
sensazioni di entrambi riguardo a quel matrimonio erano vere. Quella
era stata
una giornata davvero orribile, soprattutto la sera. Mano nella mano,
camminammo
verso l'uscita del castello e, mentre la raggiungevamo, incontrammo
Mauro che
camminava nella direzione opposta alla nostra. I miei occhi si
incollarono ai
suoi nei quali, ancora, scorrevano le immagini della nostra passione.
Il mio
cuore smise di battere quando Mauro posò lo sguardo su
Dario, ritrovando il suo
ghigno bastardo. Ebbi paura che rivelasse tutto a Dario, che gli
spiattellasse
in faccia che la sua ragazza fosse una poco di buono. Invece ci
superò ed io lo
seguii con lo sguardo. Si voltò verso di me, sorridendomi
malizioso e
lanciandomi un bacio con la punta delle dita. Mi strinsi maggiormente a
Dario,
nascondendo il viso in fiamme e rosso più di un peperone
nella camicia del mio
ragazzo che mi accarezzò la nuca, ignaro di tutto il tumulto
che si era creato
in me, ignaro del fatto che Mauro si fosse insinuato nella mia mente e
che
rischiava di scorrere nelle vene e raggiungere le crepe del mio cuore.
Il
viaggio in macchina durò relativamente poco. Nessuno dei due
aveva aperto bocca
durante il tragitto, solo la musica ci ricordava di essere ancora vivi,
ancora
sulla Terra. Io ero troppo presa a pensare a Mauro e alla maledizione
che mi
aveva lanciato con i suoi occhi. Più cercavo di allontanarlo
dai miei pensieri,
più lui ritornava. Perché, se non provavo nulla
per lui, non riuscivo a
togliermelo dalla testa? Era strano quello che sentivo per lui, qualcosa di
indecifrabile. Non era
amore, non era odio. Era una sorta di attrazione fisica, una pericolosa
attrazione fisica condita con un irrefrenabile voglia di lui.
Arrivammo
a casa che era l'una di notte passata. Ci spogliammo rapidamente,
preparandoci
per la notte e ci stendemmo del letto. Mi adagiai con il viso sul suo
petto
nudo, sentendo il battito del suo cuore, e cominciai a disegnare alcuni
cerchi
sul suo torace con la punta delle dita. Stavo bene tra le sue braccia,
il suo
calore riuscì per qualche attimo a lenire quel senso di
colpa che provavo. Era
tutto sbagliato, lo sapevo, dal sesso con Mauro al mio fare finta di
niente e
stare abbracciata al mio ragazzo. Ma se gli avessi detto che lo avevo
tradito,
lo avrei perduto e non potevo permettere che questo accadesse. Mauro
era solo
uno sfizio, mentre Dario era la mia vita. Se invece avessi continuato a
far
finta di nulla, il rimorso mi avrebbe divorata dall'interno. Come
potevo vivere
sapendo di aver tradito la persona che amavo? Come potevo vivere
sapendo di
aver tradito la sua fiducia?
«Alice»
mormorò lui, giocando con alcune ciocche dei miei capelli.
«Mmmm»
mugugnai con gli occhi chiusi, strusciando la guancia sul suo petto e
accarezzandogli un fianco.
«Lo
sai che giorno è oggi?»
«Il
sedici luglio» mormorai lasciandogli un bacio all'altezza del
cuore.
«E...»
incalzò lui.
«E
si è sposata tua cugina» sospirai e mi sistemai
meglio sul suo petto, mentre lui
ridacchiava.
«Oggi
è un mese che siamo fidanzati» mi
ricordò e io alzai il viso verso di lui.
Stava sorridendo e sembrava aver ritrovato un po' di quella
serenità che
distingueva i suoi occhi.
«Oddio...
è... è vero» mormorai sorpresa
più che altro perché non mi ero ricordata una
cosa tanto importante. Ma quel giorno era stata talmente presa da Mauro
che mi
ero dimenticata il nostro primo mesiversario.
«Un
mese di noi, piccola mia» disse, con poco entusiasmo
«Ti amo» aggiunse ancora
con lo stesso tono preoccupante.
«Anche
io» risposi ed abbozzai un sorriso falso, solo per
rassicurarlo. «Ogni giorno
di più».
Ebbi
come la sensazione che qualcosa si fosse spezzato tra di noi, l'armonia
che
eravamo riusciti a trovare ora mi pareva solo un'accozzaglia di suoni
insopportabile per i miei timpani. Mentre ci guardavamo negli occhi non
ritrovai la stessa passione che c'era qualche giorno prima, anzi c'era
un
immenso abisso che stava cercando di risucchiarci. Molto probabilmente
la colpa
era solamente mia. Dario aveva intuito il mio malessere e il mio
disagio, forse
sospettava che mi fosse capitato qualcosa ma non aveva il coraggio di
chiedermelo. E il mio stato d'animo aveva influenzato anche lui,
l'aveva
risucchiato in quel
vortice di
tristezza.
Mi
sporsi verso di lui e lo baciai, cercando in quel contatto un po'
dell'amore
che sembrava perduto. Ma come poco prima, non sentii nulla se non uno
sgradevole senso di colpa che risaliva lungo le mie membra e mi
impediva di
poter lasciarmi andare completamente al mio ragazzo. Quando mi
allontanai dalle
sue labbra ci guardammo negli occhi. Ogni volta che quelle iridi nere
mi
scrutavano con la loro profondità avevo come la sensazione
che riuscissero a
leggermi dentro. Abbassai istintivamente ed insensatamente lo sguardo,
intimorita
dal suo che poteva scavarmi l'anima. Era diventato quasi insostenibile
riuscire
a guardarlo troppo a lungo negli occhi dopo che lo avevo pugnalato alle
spalle
con suo fratello. E temevo che quella situazione potesse essere
permanente, che
non potessi più guardare nei suoi occhi senza sentirmi una
schifezza. Mi
accoccolai sul suo petto, sul suo cuore che batteva all'impazzata come
se fosse
teso e ansioso. Non ci diedi molto peso perché la sua mano
cominciò a
scompigliarmi i capelli mentre l'altra mi accarezzava un fianco.
«Domani
partiamo, che ne dici? Diciamo addio a Roma e non ci torniamo
più» mi propose.
Mi
sollevai un tantino, appoggiandomi con il gomito al letto, ed annuii.
Volevo
andarmene da quella città e dimenticare tutto, chiudere
definitamente quel
capitolo, bruciarlo e farlo sparire per sempre dal libro della mia vita
e
cominciarne a scriverne uno nuovo senza Mauro, senza complicazioni.
Solo io e
Dario saremmo stati i protagonisti di questa nuova storia. Lo baciai a
fior di
labbra e lui sorrise quasi si fosse liberato di un peso. E speravo
davvero che
l'aria fredda di Milano, il suo cielo grigio, potesse aiutarmi in
questa
impresa, nel ritrovare tutti i pezzi in cui avevo frantumato la nostra
storia e
rimetterli assieme per ricostruirla.
«È
la mia città, ma ogni volta che ci torno, ho una nuova
ferita. È una sorta di
maledizione, come se Roma mi odiasse e mi stesse cacciando facendomi
soffrire»
disse mestamente. Mi si strinse il cuore sentirlo parlare in quel modo,
così lo
strinsi ancora di più a me e sentii per un attimo la stessa
complicità che ci
aveva sempre legato.
«L’altra
sera ho parlato con mio padre» mi confidò con un
filo di voce, appena udibile.
«Di
cosa avete parlato?» gli domandai, accarezzandogli il petto.
«Ho
finalmente trovato il coraggio di chiedergli del perché
Nicoletta e Mauro mi
odiano» rispose flebilmente. Deglutì rumorosamente
e fece una lunga pausa,
seguito da una risata amara «Forse sarebbe stato meglio non
saperlo» tacque
ancora e mi accarezzò una spalla, per poi riprendere dopo
poco. «Nicoletta
aveva ricevuto un’offerta di lavoro da uno dei più
grandi ricercatori del mondo
e avrebbero dovuto trasferirsi tutti a Seattle. Quando però
ha scoperto di
essere incinta del sottoscritto, il medico americano le ha detto che
poteva
benissimo starsene a Roma perché non aveva bisogno di una
donna gravida nel suo
team» respirò profondamente e giocò con
una ciocca dei miei capelli. «Era il
suo sogno e l’ha visto infrangersi. Così
è caduta in depressione e da allora ha
dovuto aspettare molti anni perché riprendesse a lavorare.
Per questo non mi ha
mai accettato. Poi ho fatto i miei casini durante
l’adolescenza che non ha
aiutato a sistemare la situazione».
«E
Mauro?»
«Lui
vedeva Nicoletta piangere e la colpa era mia. Per cui ha cominciato ad
odiarmi
perché facevo soffrire la mamma».
«Tutto
questo è ridicolo!» sbottai scioccata.
«È
la stessa cosa che dice mio padre. Ha sempre cercato di farglielo a
capire sia
a mia madre che a Mauro, ma nessuno dei due gli ha mai dato
retta».
«Se
avessero ragionato per un attimo, capendo che non era affatto colpa
tua,
avrebbero conosciuto la persona splendida che sei».
Sollevai
lo sguardo verso il suo e mi stupii di come riuscii a mantenerlo fisso
per più
di un minuto. In quel momento non dovevo avere timore dei suoi occhi,
dovevo
solo fargli capire che io ero accanto a lui, dovevo fargli sentire la
mia
presenza. Dario scosse la testa e socchiuse gli occhi. Le palpebre gli
tremarono e mi baciò in fronte, stringendomi ancora
più forte a lui con
entrambe le braccia.
«Non
sono affatto una persona splendida».
Quella
frase mi lasciò interdetta ma non ebbi il tempo di dire
nulla che Dario mi
baciò con passione e trasporto, con lo stesso fuoco che
credevo di aver perduto
in quelle ore. Mi insospettì il suo comportamento, ma non ci
diedi molto peso.
Mi concentrai solo su noi due, su quel bacio che sapeva finalmente di
noi e che
mi rasserenò. Poi ci addormentammo, stretti l’uno
all’altro.
Quando
mi svegliai, Dario era già andato alla redazione di Radio
Deejay. Tutta la
mattina rimasi da sola: i tre medici avevano il turno in ospedale,
Consuelo era
fuori per negozi e mercati per rifornire al dispensa. Per cui mi
rilassai, per
quanto potesse essere possibile in una situazione del genere. Feci
colazione
con tranquillità con una brioche della Mulino Bianco e un
po' di caffelatte,
poi una doccia fresca. Rimasi sotto il getto d'acqua per più
di mezz'ora,
lasciandomi accarezzare dall'acqua e sgomberando la mente da qualsiasi
pensiero. Mancavano poche ore e potevo finalmente lasciarmi alle spalle
tutto,
tornare nella mia città e vivere serenamente con Dario,
senza più il terrore di
Mauro che incombeva su di me.
Guardai
un po' di televisione in attesa che Dario finisse il suo turno in radio
e
tornasse a casa. Avevo bisogno di passare un po' di tempo con lui e
cominciare
fin da subito a incollare i pezzi della nostra storia. Ma Dario non
arrivò
nemmeno per pranzo e mi ritrovai a mangiare da sola il merluzzo al
limone che
aveva preparato Consuelo. Mi preoccupava il fatto che Dario non fosse
tornato a
casa. Solitamente dopo circa un'ora dalla fine del suo programma in
radio era
da me. Invece quel giorno non arrivò, nemmeno nel primo
pomeriggio. Pensai che
potesse essere andato a mangiare un boccone con Adriano visto che tra
meno di ventiquattro
ore saremmo partiti e magari voleva salutarlo, ma non mi aveva nemmeno
avvisato. In compenso, verso le due, arrivò Mauro. Non mi
degnò nemmeno di uno
sguardo, salì subito al piano superiore con la sua valigetta
nera stretta in
mano. Meglio così, pensai. Più lui mi stava
lontano, meglio era.
Con
un po' d'apprensione, dopo aver visto i cartoni animati in televisione,
andai
in camera. Dario non si era fatto sentire tutto il giorno e cominciai a
pensare
che il suo allontanamento fosse dovuto al comportamento strano e
ambiguo che
avevo tenuto la sera prima. Con un po' di ottimismo sperai che avesse
solo
bisogno di un po' di tempo da solo per riflettere, per capire cosa mi
fosse
preso. O, meglio ancora, che stesse girando per Roma solo per dirle
addio.
Scrollai la testa e presi dall'armadio il mio trolley rosa per
cominciarlo a
riempire dei miei vestiti.
Avevo
sempre odiato preparare i bagagli e il più delle volte era
mia madre che si
prendeva questa responsabilità. Ma in
quell’occasione non vedevo l’ora di
ficcare tutta la mia roba nelle valigie e scappare lontano, insieme a
Dario
e dimenticare per
sempre quello che era
accaduto a Roma. Mi sarei lasciata tutto alle spalle e sarei tornata la
stessa
Alice di sempre, felice di avere accanto un ragazzo straordinario come
Dario.
Svuotai
l’armadio dei miei vestiti e li gettai alla rinfusa sul
letto, piegandoli in
maniera pietosa e riempiendo la valigia alla bell’e meglio
come se completarla
velocemente avrebbe anticipato il momento del ritorno a casa. Ma
purtroppo
avrei dovuto attendere fino al mattino successivo e nelle ore che mi
separavano
dal viaggio sarebbe potuto accadere di tutto. Ogni secondo era buono
per
sperare che Mauro rimanesse al suo posto e non rivelasse nulla a Dario,
che si
facesse gli affari suoi e ci facesse recuperare quello che io e Dario
stavamo
piano piano perdendo.
«E
così domani ve ne andate».
La
voce di Mauro mi sorprese alla spalle, così mi voltai di
scatto con il cuore
che martellava sulle costole e con una maglietta stretta in mano.
Intercettai
il suo sguardo sornione e il suo ghigno soddisfatto, per poi tornare a
soffermarmi sui miei bagagli imponendo a me stessa di ignorarlo.
«Te
ne ritorni a Milano e ti lasci alle spalle tutto quello che
è successo a Roma,
vero?» domandò ironico.
Aveva
ragione, era in grado di leggermi nel pensiero e questo mi
terrorizzava. Si
avvicinò a me con una mano ficcata nei pantaloni scuri e
sollevò una mia
camicetta azzurra a mezze maniche, esaminandola da cima a fondo prima
di
piegarla ordinatamente e adagiarla nella valigia. Anche quella volta
evitai di
rispondergli e di guardarlo negli occhi.
«Lo
sai che non si lasciano in sospeso le situazioni? Bisogna sempre
risolvere»
continuò imperterrito, continuando a prendere i miei vestiti
e ad aiutarmi a riempire
il trolley.
Gli
strappai dalle mani un paio di pinocchietti di jeans e li gettai alla
rinfusa
nella valigia, trovando un briciolo di coraggio per guardarlo negli
occhi.
Appena incontrai i suoi occhi, però, un magone mi strinse la
gola impedendomi
di respirare. Anche deglutire fu inutile perché quel groppo,
più lo
inghiottivo, più si intensificava.
«Si
può sapere che cosa vuoi da me?» domandai
nervosamente.
«Parlare»
rispose come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Incrociò
le braccia e sorrise divertito davanti alla mia incapacità
di piegare i panni e
di fronte alla mia espressione falsamente orgogliosa. In
realtà, ero intimorita
e intimidita dalle sue intenzioni. Avevo la sgradevole sensazione che
stava
tramando qualcosa, qualcosa che avrebbe sconvolto tutto.
«Io
non ne ho voglia» risposi e la voce traballante che
uscì dalle mie labbra era
ben lontana da quella perentoria che mi ero immaginata.
«Come
vuoi» scrollò le spalle «Riguardava
Dario, ma se non hai voglia di parlare con
me…» affondò le mani nelle tasche e si
diresse lentamente verso la porta.
Le
mie mani diventarono molli e il paio di pantaloni che stavo piegando
cadde sul
letto. Sentire il nome di Dario pronunciato da lui mi fece tremare e
per poco
anche le gambe non cedettero.
«Che
cosa c’entra Dario?» domandai. Ero talmente agitata
che riuscivo a sentire il
battito accelerato del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie.
Mauro
si voltò con un ghigno soddisfatto, quasi non aspettasse
altro che parlare con
me di suo fratello. Camminò su e giù per la
stanza ed il ticchettio delle sue
scarpe sul parquet aumentarono la mia ansia. Non parlò per
un paio di minuti
forse perché si divertiva a torturarmi in quel modo. Ogni
secondo che passava
mi prosciugava un briciolo di forza, ogni secondo che trascorreva
risucchiava
un po’ del mio ossigeno, ogni secondo che passava sentivo i
muscoli sempre più
affaticati.
«Che
cosa c’entra Dario?» riformulai la domanda a denti
stretti.
«Gli
ho raccontato di ieri sera» disse con ovvietà.
Il
mio cervello immagazzinò quella frase, la ripeté
un paio di volte come se
volesse verificare che le parole pronunciate da Mauro fossero proprio
quelle.
Dapprima mi rifiutai di credere che lui avesse rivelato la
verità a Dario, non
volevo arrendermi all’idea che ormai lo avessi perduto. Ma
furono necessari
solo pochi secondi perché prendessi coscienza della
realtà e realizzassi quello
che aveva appena detto Mauro. Avrei voluto urlargli contro tutta la mia
rabbia,
prenderlo a sberle e a calci, ma le forze mi aveva completamente
abbandonata
nel momento in cui l’immagine di Dario che apprendeva la
notizia del mio
tradimento si figurò nella mia mente. Deluso, frustrato e
ferito. Così lo
immaginavo, mentre prendeva a calci una parete in mattoni da qualche
parte
nella città con un tappeto di mozziconi di sigarette attorno
ai piedi.
Mi
accasciai sul letto con lo sguardo catatonico perso nel vuoto e con
quel
fastidioso magone in gola pronto ad esplodere e coinvolgere nel suo
disastro
anche il mio cuore.
«Mi
è sembrato giusto che sapesse la
verità» la voce di Mauro mi arrivò alle
spalle, ovattata, come se le mie orecchie tentassero di estraniarlo dal
mio
mondo ormai distrutto.
Avevo
davvero sperato e creduto che Mauro si sarebbe fatto da parte e che ci
avrebbe
permesso di vivere la nostra storia serenamente. Ma rivelare al suo
odiato
fratello quanto fosse puttana la sua ragazza era un’occasione
troppo ghiotta
per non essere sfruttata. Ero stata io una sciocca a pensare di poter
riprendere in mano la relazione con Dario e condurla verso il tanto
agognato
lieto fine che andavo cercando disperatamente.
«Per
una volta mi sono comportato da bravo fratellone. Non volevo che si
sentisse
totalmente in colpa se la vostra storia fosse finita»
continuò imperterrito.
Seppur
il mio cervello stesse cercando di isolarmi da quella stanza, non
riuscii a
rimanere indifferente riguardo all’ultima affermazione di
Mauro. Mi voltai
verso di lui e lo guardai sconvolta, distrutta, con gli occhi
annebbiati dalle
lacrime ed ora anche dubbiosa. Non fu necessario porgli domande, la mia
espressione era già abbastanza eloquente. Tirò
fuori dalla tasca il suo
cellulare, smanettò con i tasti e me lo passò con
il suo solito ghigno
trionfale. Guardai il telefonino ed ebbi voglia di sbatterlo a terra e
distruggerlo, convinta com’ero che lui si stesse solo
prendendo gioco di me.
«Fai
partire il video» mi disse.
Anche
se con qualche remora, obbedii alla sua richiesta. Il cuore mi stava
letteralmente scoppiando nel petto per la tensione, così
come gli occhi pronti
a scoppiare in un pianto. Non mi aspettavo nulla in particolare dal
video che
stavo per guardare, ma non avrei mai immaginato di vedere certe scene
scorrere
sotto i miei occhi. Niente sarebbe stato in grado di prepararmi a
quella
tremenda bastonata. Il video durava all’incirca cinque minuti
e l’immagine non
era delle migliori, ma abbastanza decente da poter riconoscere Dario e
Sole in
atteggiamenti intimi. Ci eravamo traditi a vicenda, quasi nello stesso
momento,
sintomo che qualcosa tra di noi non funzionava come avrebbe dovuto. Ci
amavamo,
eppure non avevamo esitato nemmeno un secondo a fare sesso con altre
persone.
Lui perché probabilmente sentiva ancora qualcosa per Sole,
io solo per un
capriccio, uno sfizio che volevo togliermi, una sorta di vendetta nei
confronti
di Dario che mi aveva abbandonata durante il ricevimento.
«Era
giusto che tu sapessi quello che era successo. Così come era
giusto che lo
sapesse Dario. Almeno potrete capire cosa c’è che
non va» disse Mauro, questa
volta con tono molto più dolce.
Mi
sfilò il cellullare dalle dita lentamente. Non feci niente
per trattenerlo, ero
paralizzata ed incredula, ancora con quei cinque minuti di filmato che
rimbalzavano nella mia mente. Mauro uscì dalla stanza,
lasciandomi da sola con
la mia disperazione. Non sapevo se avercela con lui per aver rivelato
ad
entrambi il tradimento dell’altro pregiudicando la nostra
relazione o
ringraziarlo per avermi posto nella condizione di riflettere su
ciò che avevamo
sbagliato, sul perché ci eravamo spinti così
tanto oltre.
Gli
occhi cominciarono a pungere, s’inumidirono e il groppo che
avevo in gola era
pronto ad esplodere. Ma la consapevolezza di aver definitivamente perso
Dario
mi aveva prosciugata. Non avevo più forze, non sentivo la
rabbia crescere in me
e non riuscivo nemmeno a piangere talmente ero sconvolta. Rimasi
perciò seduta
sul letto per un tempo indefinibile, che non seppi quantificare. A me
parve
quasi un’eternità, magari però erano
passati solo una ventina di minuti oppure
un paio d’ore. E mentre rimanevo immobile, rannicchiata su me
stessa, la mia
mente si perse nei meandri dei ricordi, di tutti gli attimi condivisi e vissuti con
Dario, dei nostri
sguardi che si rincorrevano bramosi e dei nostri baci che si
susseguivano con
crescente e delirante passione. Con lui avevo vissuto i giorni
più intensi
della mia monotona vita, l’aveva riempita con la sua presenza
e le aveva dato
finalmente un senso. Dario era stata la scossa di terremoto che aveva
sconvolto
il mio piccolo mondo di ragazzina immatura e ancora un po’
bambina, mi aveva spinta
a vivere davvero la vita, a provare emozioni forti e reali. Forse
troppo in
fretta, forse quando quella ragazzina di nome Alice non era ancora
pronta a
farsi travolgere da un’ondata così violenta di
sentimenti e dolore. La mia vita
si era trasformata in troppo poco tempo, passando da monotona a vuota a
piena e
troppo intensa. Non ero preparata per essere investita da
un’ondata di emozioni
simili ed ero stata travolta senza che me ne rendessi conto. Nemmeno in
quel
momento sapevo come avrei dovuto comportarmi, se infuriarmi con Dario e
urlargli contro perché mi aveva tradito con Sole oppure
tacere, finire di
preparare la valigia e andarmene. Litigare con lui non avrebbe avuto
alcun
senso. Lo avrei accusato di un errore che avevo commesso anche io, mi
sarei
sfogata su di lui per una colpa che avevamo entrambi. Sarei stata solo
un’ipocrita se mi fossi comportata così. Ma se
fossi scappata senza nemmeno
cercare di chiarire con lui sarei stata una codarda e sarei fuggita dai
suoi
occhi giudicatori, dalle mie responsabilità, dal mio amore.
Trovai
un briciolo di forza in me e mi sollevai dal letto per avvicinarmi al
muro sul
quale Dario aveva appeso le nostre foto insieme. Ne afferrai una, la
prima che
mi era capitata sotto lo sguardo. Ci stavamo baciando, avevamo entrambi
gli
occhi chiusi e anche se era solo un istante inanimato impresso su una
carta
lucida, da quella fotografia traspariva quanto ci amavamo. E mi faceva
male, mi
frantumava il cuore, pensare che avessimo ceduto ad altre due persone
nonostante quello che provassimo l’uno per l’altra.
La mia paura più grande era
che, se anche avessimo chiarito la faccenda, avremmo potuto commettere
entrambi
di nuovo lo stesso errore. Perché nessuno dei due, in fondo,
era ancora pronto
ad amare davvero e farsi amare da un’altra persona, nessuno
dei due era pronto
a lasciarsi andare totalmente ad un sentimento così forte.
Anche mentre pensavo
tutte quelle cose, mentre il mio cuore si polverizzava per la
consapevolezza
che entrambi avevamo contribuito a distruggere la nostra storia, mentre
una
piccola parte di me urlava, in un angolino della mia mente, contro
l’immagine
di Dario, sentivo che l’amavo. Ma l’aver fatto
sesso con Mauro mi aveva fatto
capire che non ero ancora pronta e che avrei potuto commettere lo
stesso errore
ancora, ancora e ancora una volta, nel momento in cui il calore di
Dario mi
sarebbe venuto a mancare. Avevo bisogno di crescere e maturare, capire
come
dovermi comportare in situazioni simili.
Attaccai
di nuovo la foto al muro e, seppur la parte arrabbiata di me volesse
distruggerle ad una ad una per sfogare il mio dolore, mi allontanai
dalla
parete e finii di riempire la valigia. Alla fine avevo preso la mia
decisione,
forse non proprio quella giusta. Sarei scappata, così come
aveva fatto lui
tempo prima. Non sapevo come affrontare la situazione e tornarmene a
Milano
senza dire nulla mi sembrava la cosa giusta da fare. Per me e per lui.
Una
sfuriata non avrebbe portato a nulla, se non accrescere il risentimento
che
provavamo reciprocamente. Non saremmo riusciti ad arrivare ad un
chiarimento
perché io non ne avevo bisogno, perché avevo
preso la mia decisione e, anche se
era doloroso, dovevo lasciarlo, mettere fine alla nostra relazione e
riprendere
in mano la mia vita.
Chiusi
il trolley e lo appoggiai a terra. Mi sistemai velocemente, asciugando
qualche
lacrima che era sfuggita al mio controllo e infilai le ultime cose
nella borsa.
Prima di uscire diedi un’ultima occhiata alla stanza avvolta
nella penombra e
ripensai all’ultima notte passata con lui, stretta tra le sue
braccia con il
suo respiro che mi scompigliava i capelli. Se avessi saputo che quelli
fossero
stati gli ultimi attimi passati con lui, sarei rimasta sveglia tutta la
notte
pur di godere appieno di lui, del suo odore e delle sue carezze.
Respirai
a fondo, ricacciando indietro sempre lo stesso magone che continuava a ripresentarsi e mi
chiusi la porta della
stanza alle spalle. Scesi le scale, trascinandomi dietro il trolley
senza
nessuna forza nelle braccia. Avrei preso un taxi e avrei raggiunto la
stazione
Termini dove avrei comprato il primo biglietto per Milano con i soldi
rimasti
che mi aveva dato mia madre.
«Hola,
Alice!» mi salutò Consuelo mentre si asciugava le
mani nel grembiule sul quale
erano stampate rosse e grosse ciliegie.
«Ciao
Consuelo» risposi senza guardarla negli occhi e cercando di
controllare il mio
tono di voce tremolante.
«No
tiene de partire domani, mañana?»
domandò dubbiosa.
«Già.
Ma, sai, un imprevisto…» rimasi sul vago e
scrollai le spalle.
Consuelo
assottigliò lo sguardo e mi scansionò con i suoi
occhi scuri e stanchi. Dopo un
po’ scosse la testa e appoggiò i pugni ai fianchi
generosi.
«Tu
el señorito avete litigato?» mi domandò
sospettosa.
Scossi
la testa e mi sistemai la borsa sulla spalla.
«Cos’è
successo?» mi domandò, ma non ebbi il coraggio di
risponderle. Scrollai solo le
spalle, abbassando il viso per non mostrare la mia espressione di
dolore
prendere il sopravvento. Consuelo si avvicinò a me e mi
abbracciò forte, forse
aveva intuito il perché della mia tristezza. Mi abbandonai
alla morbidezza di
quella donna e mi sentii un minimo confortata da quella stretta.
Mi
lasciò dopo pochi secondi e mi guardò con gli
occhi lucidi. Mi accarezzò una
spalla e mi baciò tra i capelli augurandomi buon viaggio e
buona fortuna per
tutto. La ringraziai con voce flebile e la guardai tornare dinoccolata
e mesta
in cucina. In quell’istante ebbi un piccolo istante di
esitazione in cui pensai
di parlare con Dario e magari cercare di sistemare le cose. Ma tornai
immediatamente sui miei passi, strinsi il trolley con una mano e la
tracolla
della borsa con l’altra. Un rumore di passi che
riecheggiò nell’immenso
silenzio della villa mi fece voltare indietro ed incrociai lo sguardo
di Mauro,
immobile sulla rampa di scale. Non stava ghignando, era impassibile e
mi
risultò difficile interpretare la sua espressione in quel
momento.
«Addio,
Alice» disse solamente.
Non
mi diede il tempo di rispondere che fece gli ultimi scalini e scomparve
di
nuovo al secondo piano. In quel momento non provavo nessun sentimento
nei suoi
confronti. Né rabbia, né odio, né
gratitudine. nulla perché il mio pensiero era
rivolto a Dario. Non gli avrei mai detto addio a voce, non avrei
nemmeno potuto
vederlo un ultima volta negli occhi e perdermici per provare almeno un
istante
tutte le emozioni che quelle iridi nere mi trasmettevano.
Scossi
la testa e sbattei più volte le palpebre per far asciugare
le lacrime che
volevano uscire copiose dai miei occhi. Imboccai la porta di ingresso e
quando
fui sul viale di ghiaia il vuoto più totale mi colse. Poco
lontano notai dei
fiori sparsi per terra e calpestati. Subito pensai che sarebbero dovuti
essere
miei per il nostro mesiversario, ma Dario aveva ricevuto la notizia del
mio
tradimento ben prima di potermeli consegnare. Mi avvicinai a quel mazzo
malmesso e mi accovacciai davanti ad essi. Erano candide rose bianche
ormai
rovinate dalle suole delle scarpe di Dario. In quei petali era
racchiusa la
nostra storia d'amore: sbocciati come un meraviglioso fiore e
calpestati senza
ritegno prima di goderne appieno la bellezza. Ne accarezzai i petali
vellutati
e alcune lacrime sfuggirono al mio controllo. Le asciugai velocemente
con il
dorso della mano e tirai su con il naso. Mi risollevai sistemandomi
velocemente
e alzai gli occhi al cielo perché la brezza estiva
asciugasse le lacrime.
Quando tornai a guardare davanti a me incontrai gli occhi neri e spenti
di
Dario. L'odore intenso di tabacco solleticò le mie narici e
il mio sguardo fu
un fazzoletto sporco di sangue attorcigliato attorno alla mano
sinistra. Non
aveva preso a calci la parete, ma a pugni. Lui, invece,
abbassò lo sguardo
verso la mia valigia per poi puntare di nuovo le sue iridi nelle mie.
Tacque e
io feci lo stesso, rimanendo a fissarci per un tempo indefinito e
difficile,
quasi impossibile, da quantificare. Nessuno dei sue ebbe il coraggio di
parlare
perché eravamo entrambi consci che era tutto finito e che
discutere,
accusandoci l'un l'altro, sarebbe stato del tutto inutile. Nello
sguardo di
Dario lessi rancore, delusione, senso di colpa. E una buona dose di
rassegnazione. Dopo anni l'amore l'aveva ritrovato ancora, ma aveva
sprecato
due frecce inutilmente per colpirci. Io e Dario non eravamo pronti per
l'amore.
Quando
il silenzio tra di noi diventò insopportabile ripresi a
camminare con lo
sguardo basso per non incrociare il suo, mentre gli dicevo addio
tacitamente.
Dario rimase fermo, anch'egli con lo sguardo basso e i pugni stretti
lungo i
fianchi. Gli passai accanto, il mio braccio sfiorò il suo e
il suo calore mi
invase per l'ultima volta che tutta la sua potenza. Non mi voltai, non
avevo il
coraggio di guardare indietro e rischiare di vederlo ancora. Per cui
uscii
speditamente dal cancello e, quando fui abbastanza lontana dalla villa
dei
Vitrano, scoppiai a piangere.
Milano
non sarebbe stato il cicatrizzante per la nostra ferita. Milano non mi
avrebbe
aiutata a rimettere insieme i pezzi della nostra relazione frantumato.
Milano
sarebbe stata solo e semplicemente la triste e nebbiosa Milano. Ed io
ci sarei
ritornata da sola.
____________________________________________________________
Se qualcuno se lo stesse
chiedendo, no, non sono morta xD
Dopo mesi di silenzio sono ritornata! Mi dispiace per questo ritardo
immenso, ma Dicembre, Gennaio e Febbraio li ho passati a disperarmi, a
studiare tipo cinque libri per l'esame di anatomia e mi era
praticamente impossibile perfino respirare! So che non ve ne
fregherà un tubo, ma stare sui libri ore ed ore è
servito a qualcosa. L'esame l'ho superato e, quindi, sono al terzo anno
di medicina, olè! Per quanto riguarda Marzo...beh...diciamo
che me la sono presa comoda per scriverlo questo capitolo. Avevo
bisogno di un po' di riposo e di riordinare un po' le idee :D
Dopo questo breve riepilogo della mia intensa vita, parliamo del
capitolo. Ebbene sì: è l'ultimo! Ci
sarà un epilogo, ma la storia oramai è finita. Ed
era così che doveva andare fin dall'inizio. Molte di voi
credevano che ci sarebbe stato il lieto fine, invece la storia di Alice
e Dario si è conclusa e nemmeno nel modo migliore. Mi
sembrava inutile allungare ancora di più il brodo e scrivere
capitoli interi in cui Alice si piangeva addosso per quello che aveva
fatto, sarebbe stato alquanto noioso. E mi è sembrato anche
inutile farli litigare. Urlarsi contro tutto il rancore e il disprezzo
che provavano l'uno per l'altra in quel momento non avrebbe portato a
nulla, se non ad un sacco di schiamazzi. Perciò, entrambi,
hanno preferito dirsi addio così, tacitamente ed
implicitamente, con solo uno sguardo che racchiudeva i sentimenti e
tutte le parole che avrebbero voluto dirsi in quel momento.
Alcune di voi (o forse no?), sanno che io non amo molto i lieto fine.
È già tanto che abbia scritto una commedia
così "leggera". Diciamo che non è proprio il
genere che piace a me. Preferisco di gran lunga le storie drammatiche.
Da come si era svolta tutta la storia, probabilmente un lieto fine ci
sarebbe stato bene con Dario ed Alice che soprassedevano al reciproco
tradimento perché il loro amore è troppo grande
per essere scalfito, con loro due che convolavano a giuste nozze e
facevano un sacco di bambini. Però era alquanto
inverosimile. Sono poche le persone che trovano nel loro primo amore
l'uomo/la donna della loro vita e Alice non è una di queste.
Per quanto io adori Dario ed Alice insieme e volessi vederli felici
insieme per sempre, la rottura era necessaria. Come dice Alice, non
sono pronti ad amare: lei ha appena cominciato a vivere, lui
è ancora troppo intimorito dai sentimenti per lasciarsi
andare.
Ci sarebbero ancora moltissime cose da dire e troppe persone da
ringraziere, per cui mi terrò il discorso di addio per
l'epilogo, che cercherò di postare il prima possibile.
Ancora una volta grazie a tutte di cuore!
E, anche questa volta, non manca la pubblicità:
Come in un
Sogno - con IoNarrante
»Melancholia - dovrebbe essere una pagina
autore, ma per ora è ancora inattiva. Aspettavo che ci fosse
un po' di vita per spoiler, fotografie ed anticipazioni sulle nuove
storie che mi ronzano in testa :D
Crudelie
si nasce - gruppo
Facebook, per fare quattro chiacchiere e ridere tra di noi.
Alla
prossima con l'epilogo e i vari ringraziamenti :D
Un
bacione, Manu ♥
|
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Capitolo 29 *** Epilogo - Love is a losing game ***
Epilogo
Love is
a losing
game
betato da nes_sie
Odiavo gli ascensori, soprattutto
quelli lenti
che mi facevano marcire di fronte alle loro porte metalliche, nella
vana attesa
che si aprissero. Guardai l’ora sul mio Blackberry ed
imprecai a denti stretti.
Erano già dieci minuti che avevo prenotato
quell’aggeggio infernale e non
c’erano segnali di vita da parte sua. Non che avessi qualche
appuntamento, ma
l’attesa era sempre stata snervante per me, in qualunque
caso, dall’attendere
le ore che una donna si presentasse ad un appuntamento, al caricamento
“lumaca”
dei film in streaming.
Mi guardai intorno, circospetto, e
quando notai
che nessuno mi stava fissando, tirai un calcio contro le porte
metalliche. Non
che quello avrebbe accelerato la corsa del trabiccolo, ma almeno mi ero
sfogato. Il tonfo, però, aveva fatto sobbalzare qualche
segretaria e addetto ai
suoni che passavano da quelle parti, che mi guardarono straniti e con
un’espressione di rimprovero. Sfoggiai un sorriso di sbieco,
la mia arma
infallibile, il mio cavallo di battaglia brevettato in anni ed anni
della mia
carriera di latin lover. Le donne si sciolsero
davanti al mio sguardo,
gli uomini mi mandarono a cagare con un gesto della mano. Avevo come
l’impressione di non essere loro molto simpatico e di certo
io non avevo mai
fatto nulla per apparire come tale. La simpatia era un gene mancante
nel mio
DNA, purtroppo.
L’ascensore finalmente
arrivò, dopo circa un
quarto d’ora che ero rimasto a fare le ragnatele di fronte a
lui. Salutai
rapidamente e con un sorriso la gente che c’era e mi
appoggiai allo specchio,
in attesa che quello shuttle
giungesse al piano interrato. Mi passai indice e pollice sugli occhi,
poi una
mano sul mento liscio. Era da qualche mese che avevo smesso di farmi
crescere
la barba e mi mancava parecchio. Così sembravo un
adolescente glabro impaziente
di entrare nella pubertà.
Contro le mie aspettative,
lo shuttle giunse senza troppi
intoppi e
con velocità al piano interrato. Raggiunsi la mia Mito e mi
immisi tra le
strade scure di Milano. La riunione del giorno era durata
più del previsto ed
erano già le sette passate.
Appena imboccai una strada
abbastanza libera,
premetti sull’acceleratore e permisi all’adrenalina
e all’eccitazione di
invadere le mie vene, il mio corpo ed inebriarmi i sensi. Superare i
cento
chilometri all’ora era quasi come avere un orgasmo. Quasi, ovviamente. Evitai qualche
macchina, improvvisando alcuni
sorpassi pericolosi e beccandomi qualche vaffanculo e un sacco di
suonate di
clacson. Il bello di correre in macchina era anche fare perdere le
staffe ai
poveri automobilisti. Mi divertiva vederli infuriati e urlare come
delle
scimmie contro di me, appellandomi in qualsiasi modo poco gentile.
Quando parcheggiai e spensi
il
motore, tutto il
mio entusiasmo si smorzò. Fu come essere svuotato di
qualsiasi gioia, essere
catapultato nuovamente nella grigia realtà che vivevo. Salii
verso il mio
appartamento piano e con la stessa lentezza aprii la porta. Il buio e
la
solitudine mi diedero il benvenuto, quasi come fossero loro i padroni
di casa.
In fondo eravamo coinquilini da un anno, ormai. Dopo la fine della
storia con
Alice, era tornato tutto come prima. Ero solo in una città
che non mi
apparteneva e le mie lenzuola erano state riscaldate da donne di cui
conoscevo
a malapena il nome. Facevo sesso perché alleviava il mio
dolore. Facevo sesso
per dimenticare che ero solo. Facevo sesso e basta. L’amore
era un gioco troppo
complicato per me. Avevo più volte cercato di capirne le
regole, ma ancora mi
erano sconosciute. Ed intanto mi aveva inflitto due sonore sconfitte,
una più
dolorosa dell’altra, e ora rideva di Dario Vitrano, di quel
povero sfigato che
si era fatto prendere per il culo così facilmente e che
ancora tentava di
districarsi tra i suoi fili ingarbugliati. Perché, che lo
volessi o meno, ero
ancora innamorato di Alice a distanza di un anno. Avevo provato a
dimenticarla,
avevo provato ad innamorarmi di qualcun altro, ma le mie relazioni
duravano
qualche mese e fallivano miseramente per colpa mia. Alice riempiva
ancora la
mie mente e il mio cuore, il sangue mi ustionava le vene ogni qualvolta
la
pensassi e la gelosia mi logorava da dentro quando la immaginavo tra le
braccia
di un altro. Se avessi potuto, avrei dato tutto pur di tornare indietro
nel
tempo e sistemare le cose. Ma era impossibile, purtroppo.
Mi tolsi il maglione e lo buttai
sul divano, poi
mi lasciai cadere stancamente sullo stesso. Tenni gli occhi chiusi per
qualche
secondo, poi ascoltai i messaggi lasciati sulla segreteria.
«Ciao,
tesoro,» storsi il naso nel sentire
la voce di
Sabrina, la ragazza con cui mi stavo frequentando da due mesi e mezzo,
«ho voglia di vederti, di
stringerti, di
baciarti. Appena senti questo messaggio richiamami. Ho bisogno di
te.»
Ci fu un tintinnio, poi la
voce
registrata della
segreteria mi informò di un altro messaggio ricevuto il 17-novembre-alle-ore-diciassette-e-quarantadue-minuti.
«Ehi,
fratè! Nun te fai più sentì! Che, sei
morto? Se nun rispondi entro domani
chiamo la polizia e pure il CSI! Damme un segno e ‘na
risposta soprattutto.
Ciao, coglione!»
Sorrisi e cancellai
entrambi i
messaggi.
Tornare a Roma avrebbe significato
risvegliare
tutti i ricordi che avevo cercato di assopire in quell’ultimo
anno. Subito dopo
essermi lasciato con Alice, avevo fatto la valigia e me n’ero
andato, salutando
la mia amata Consuelo e lasciando qualche riga a mio padre,
l’unico che aveva
sempre dimostrato un po’ d’affetto nei miei
confronti. Il dolore per aver
perduto Alice era stato talmente tanto che non avevo avuto nemmeno la
forza di
prendere a pugni mio fratello. Ci eravamo solo guardati quando stavo
fuggendo
da Roma ancora una volta e mi ero stupito dello sguardo di Mauro. I
suoi occhi
avevano perso la loro caratteristica freddezza e quasi pensai che fosse
dispiaciuto. Respirai a fondo e mi passai una mano tra i capelli,
appoggiando i
gomiti alle ginocchia. Pensai a lungo, guardando la parete davanti a
me. Erano
passati circa una ventina di minuti quando presi finalmente la mia
decisione.
Avevo, dunque, un paio di cose in
sospeso da
sistemare, sia con Sabrina che con Adriano. Chiamai prima la mia ragazza,
anche se tale non era ancora e, dopo quasi mezz’ora di moine
da parte sua, la
invitai a casa mia. Non se lo fece ripetere due volte e dopo una
ventina di
minuti era già attaccata al citofono a suonare come una
pazza. Indossai
velocemente il maglione e la feci salire. Mi abbracciò e mi
baciò a fior di
labbra, stringendomi poi le mani e guardandomi dritto negli occhi con i
suoi
grandi color nocciola.
«Hai
già
mangiato, tesoro?» chiese, togliendosi
la giacca e appoggiandola sull’appendiabiti.
«No, non
ancora,» risposi, con un sorriso
stiracchiato e quasi forzato.
«Ti preparo qualcosa di
veloce? Oppure ordiniamo
una pizza?» mi domandò, accarezzandomi il viso con
entrambe le mani.
Scossi la testa e la presi per
mano,
conducendola verso il divano. Ci sedemmo uno accanto
all’altra e la sua
stretta, così come il suo sorriso, si fecero più
intensi.
«Devi mangiare
qualcosa,» disse apprensiva.
«Dopo mangio, prima
però devo dirti una cosa,»
risposi serio e lei si illuminò.
«Anche io,»
mormorò.
Si avventò su di me e mi
baciò con foga,
affondando una mano tra i miei capelli mentre con l’altra
esplorò, per
l’ennesima volta, il mio corpo sotto il maglione. Dapprima
ricambiai quel
bacio, ma subito la mia passione si spense. Era ingiusto continuare ad
ingannarla e scoparmela solo per il gusto di appagarmi. Ero stufo del
sesso
senza cuore e soprattutto non volevo ridurmi agli infimi livelli
raggiunti l’anno
precedente. Anche se l’amore aveva una sorta di antipatia
verso di me, c’era
sempre la speranza di potergli far cambiare idea. Ero riuscito ad
acciuffarlo
quando meno me l’aspettavo, quando ero solo un poveraccio che
si prostituiva e
che aveva anche rinunciato a cercare di dare una nota positiva alla sua
vita.
Spinsi via Sabrina da me e non ebbi
nemmeno il
coraggio di guardarla negli occhi per leggervi dentro la
perplessità di quel
mio gesto. Solitamente ero sempre io quello la spogliava per primo e
che
fremeva per poter avere il suo corpo morbido e dannatamente eccitante.
«Scusa, Sabri,»
bisbigliai.
«Non ti senti
bene?» chiese e mi prese il volto
tra le mani.
Mi dispiaceva doverla scaricare,
così come avevo
fatto con tutte le altre. Sabrina era una brava ragazza. Intelligente,
solare e
sempre ben disposta verso gli altri. Un po’ troppo apprensiva
e
appiccicaticcia, ma di sicuro la fidanzata ideale.
«Ho deciso di partite per
Roma,» le dissi con un
filo di voce.
«Vai a trovare i tuoi
genitori?» domandò con un
pizzico di dubbio nella voce.
Sabrina non sapeva nulla di me, se
non che fossi
di Roma solo perché il mio accento mi aveva tradito
più di una volta. Credeva
che mi fossi trasferito là per lavoro e non aveva idea che
io fossi scappato da
Roma quando avevo appena diciotto anni, pur di allontanarmi dalla mia
odiata
famiglia. Non le avevo mai raccontato nulla, non avevo mai voluto che
lei
entrasse a far parte del mio mondo e non avevo mai condiviso la mia
sofferenza
con lei. Solo con Alice avevo avuto il coraggio di sfogare tutta la mia
frustrazione e ancora non avevo trovato nessuno che potesse condividere
con me
il mio passato.
Sorrisi e scossi la testa.
«Ho deciso di trasferirmi
lì.»
Era strano da dire. Avevo sempre
detto a me
stesso che non sarei mai più tornato a Roma. Ma ne sentivo
la nostalgia. Sapevo
di appartenerle, così come lei apparteneva a me. Roma era
stata la madre che
non avevo mai avuto. Mi aveva visto piangere, rannicchiato in qualche
via poco
illuminata e mi aveva consolato con la sua luminosa e rara bellezza.
Una
passeggiata tra le sue strade era sufficiente per farmi smettere di
piangere e
farmi sorridere, anche se solo per pochi istanti. Milano, invece, non
mi era
mai appartenuta. Avevo cercato di renderla mia per sei lunghi anni, ma
la sua
freddezza ed il suo distacco, il suo grigiore mi aveva allontanato
sempre più
da lei. L’unica persona che mi aveva tenuto legato a lei era
stata Alice,
l’unica che fosse stata in grado di farla sentire un
po’ mia. Ma ora che lei
non c’era più, era anche inutile rimanere
lì. Così avevo accettato la proposta
di Adriano di tornare nella mia meravigliosa città e di
condividere
l’appartamento con lui.
«Come?»
alzò il tono della voce.
«Lì
c’è Adriano, il mio migliore amico, la mia
squadra di calcetto, la mia vita,» risposi. C’era
anche la mia famiglia, ma
avrei fatto di tutto pur di star lontano da loro. «Qui non ho
nessuno. I miei
colleghi sono tutti famosi ed io mi sento un pesce fuor
d’acqua tra di loro…»
«Ci sono io,
qui!» sbraitò stizzita, scattando
in piedi. «Non conto niente, io?»
«Sabri, mi dispiace. Non
volevo dire che tu non
conti nulla…»
«Me lo hai fatto capire,
non ti preoccupare!»
urlò di nuovo.
Indossò la giacca,
togliendosi i capelli dal
colletto con furia. Mi alzai e cercai di fermarla. Era mia intenzione
chiudere
quella relazione, ma non farla piangere. Vedere una donna in lacrime,
per colpa
mia, era sempre una tortura. Ne erano state versate troppe e io non le
meritavo.
«Sabrina…»
la richiamai.
Lei si voltò di scatto,
con gli occhi lucidi e
un dito puntato contro di me; tremava per la rabbia e tentai di
abbracciarla
per consolarla, ma lei non mi fece avvicinare.
«Stammi lontano,
Dario,» urlò con la voce rotta
dal pianto. «Perché? Perché mi devo
innamorare sempre degli stronzi?»
La sua domanda echeggiò
nella mia casa, anche
dopo che Sabrina ebbe sbattuta la porta alle sue spalle. Mi passai una
mano sul
viso e sospirai rumorosamente. Non mi sarei mai aspettato che Sabrina
si fosse
innamorata di me. Erano solo due mesi che ci frequentavamo e lei non
sapeva
nemmeno chi fosse Dario in realtà. Aveva visto solo una
parte di me, non il
Moro. Lui era morto e sepolto dalla litigata che avevo avuto
con Alice a
Roma. Le avevo mostrato solo il lato forte del mio carattere,
nascondendo in
una parte del mio animo la mia fragilità di cristallo
già fin troppo incrinata.
Forse, se avessi cercato di far venire fuori questo lato di me senza
paura,
sarei stato in grado di giocare ad armi pari con l'amore. Mi stravaccai
sul
divano e non riuscii a trattenere un sorriso spontaneo. Tutto sommato,
mi era
mancato sentirmi dare dello stronzo.
Attesi
che Radio Deejay accettasse
la mia
proposta di trasferimento alla sede di Roma per partire per la mia
città
natale. Il ventiquattro Ottobre ero pronto a lasciare la casa che mi
aveva
accolto per quasi sei anni. Mi dispiaceva dovermi chiudere la porta di
quell'appartamento alle spalle. Era come se stessi dicendo addio ai
momenti
vissuti con Alice lì dentro. Diedi un'ultima rapida occhiata
al salotto, al
divano dove si era consumata la nostra passione per la prima volta e
strinsi
istintivamente la maniglia della porta, scosso. Rimasi paralizzato
lì, davanti
alla porta, per un tempo che mi parve infinito e mi decisi a chiudere
la porta.
Caricai la macchina con le valigie e riconsegnai le chiavi
dell'appartamento
affittato al proprietario della casa, che viveva sopra di me. Era un
signore
anziano, molto carino e cortese, con gli occhi azzurri ingranditi dai
fondi di
bottiglia che aveva come occhiali. Sembrava uscito dal cartone animato
Up.
«Fa buon viaggio,
Daniele,»
mi disse
stringendomi forte.
Lo ringraziai, senza
correggerlo.
Avevo tentato
più di una volta di inculcargli in quella testa canuta che
il mio nome fosse
Dario, ma senza successo.
Montai in macchina e, con
la radio
sintonizzato
su un canale a caso, mi diressi verso l'autostrada che mi avrebbe fatto
lasciare Milano alle spalle per sempre, che mi avrebbe fatto
abbandonare Alice
per sempre. Appena avessi imboccato l'autostrada, avrei dovuto dirle
addio
davvero. Fino ad allora avevo sempre nutrito una piccola speranza di
incontrarla di nuovo. Il destino ci aveva fatto ritrovare al Limelight,
perché
non avrebbe potuto fare un'altra pazzia e concederci un'altra
possibilità? Non
era stato così, però. Per un anno intero avevo
cercato il suo volto in quello
delle estranee, senza trovarlo. Strinsi con forza il volante della
macchina e
feci una pazzia. Se il destino non mi aveva dato nessun'altra occasione
per
rivederla, me la sarei presa da solo. Feci inversione ad U, rischiando
di
creare un incidente di proporzioni cosmiche. Per fortuna gli
automobilisti che
venivano nel senso contrario avevano avuto i riflessi per frenare e non
venirmi
addosso. Alzai una mano in segno di scusa e pigiai l'acceleratore
più che
potevo. Ero stato un imbecille e volevo rimediare finché ero
in tempo. L'avevo
lasciata scappare senza muovere nemmeno un dito, senza nemmeno
chiarire. Non
che ci fosse molto di cui discutere, visto quello che avevamo fatto. Ma
ormai
avevo seppellito il suo tradimento con Mauro, lo avevo digerito, anche
se con
parecchie difficoltà, e ora volevo solo lei. Speravo che
anche lei avesse messo
una pietra sopra a quello che avevo fatto con Sole e che, vedendomi
ritornare
da lei dopo un anno, le avrebbe fatto capire quanto l'amassi e quanto
la
volessi. E se mi avesse chiesto di non tornare a Roma, non l'avrei
fatto, anche
se avevo già richiesto il trasferimento, anche se avrei dato
un dispiacere ad
Adriano.
Arrivai al paese ed
accostai
distante qualche
metro rispetto al portone del suo condominio. Lei era sul marciapiede
proprio
in quel momento. Aveva le cuffiette nelle orecchie e il cellulare tra
la mani.
Indossava un cappotto rosso e un basco dello stesso colore. Sorrisi e
mi vene
la tentazione di scendere di corsa dalla macchina e raggiungerla per
stringerla
tra le mie braccia. Ma repressi il mio istinto ed attesi, non volevo
spaventarla. Alice attraversò la strada distrattamente e si
diresse verso il
parco, sparendo dietro qualche albero. Scesi dalla macchina e la chiusi
mentre
correvo per raggiungerla. Arrivai al vialetto che si immetteva nel
parchetto e
mi guardai intorno. Si era seduta su una panchina e si era tolta il
basco,
ravvivandosi i capelli. Mi avvicinai a lei lentamente, ma mi
immobilizzai
quando la vidi alzarsi e gettarsi tra le braccia di un ragazzo a me
sconosciuto. Non mi soffermai sulla sua fisionomia, ma sul bacio che si
scambiarono subito dopo. Mi ero illuso di poterla avere di nuovo, di
poterla
amare di nuovo. Se il destino non mi aveva dato nessuna
possibilità, significava
che ormai avevo sprecato tutte le mie chance e che non ne meritavo
più.
Affondai le mani nelle tasche del giubbotto e rimasi a guardarli. Alice
sembrava felice, l'importante era quello. Era un boccone amaro,
difficile da
mandare giù, ma avrei dovuto farlo, avrei dovuto ingoiare
quella delusione così
come avevo fatto con tutte le altre innumerevoli che avevo ingurgitato.
D'un tratto, Alice
sollevò lo sguardo dal suo
nuovo amore ed incontrò i miei occhi. Il suo viso
s'incupì ed io le rivolsi un
sorriso. Sollevai una mano e la sventolai, dicendole di nuovo addio con
una
morsa al cuore che lo stava divorando. Lei non era più la
mia piccola. Era la
piccola di qualcun altro.
Il professor
Perri stava parlando
da circa
un'ora di storia contemporanea e il mio cervello
aveva deciso di
staccare la spina. Già di per sé, la materia era
abbastanza noiosa, in più si
aggiungeva la voce soporifera del professore che conciliava il sonno
fin troppo
bene. Dopo mesi di indecisione, alla fine avevo deciso di iscrivermi
alla
facoltà di Lingue e letteratura straniere. Un diploma di
liceo scientifico non
mi aveva aiutata granché durante le prime lezioni del corso,
ma la mia passione
per la lingua francese mi aveva spinto ad iscrivermi, nonostante tutto.
Galeotta fu la vacanza a Parigi con Federico, avvenuta a settembre
dell'anno
prima. Mi ero lasciata con Dario da neppure due mesi e il mio cuore era
in
frantumi, ridotto ad un ammasso di polvere pronto a disperdersi
nell'aria con
una debole sferzata di vento. Federico si era presentato a casa mia due
settimane prima del volo, con due biglietti aerei per Parigi.
«Non dovevi
andare con
Cristina?» gli chiesi
subito, stupita e dubbiosa al tempo stesso.
Lui si era stretto nelle
spalle e
si era
scompigliato i capelli biondi. Aveva esitato, poi aveva stiracchiato un
sorriso
non del tutto gioioso.
«Mi ha
lasciato,» mi aveva risposto. «Ieri. Ha
detto che siamo troppo diversi e che si era stancata di dover
sopprimere la sua
personalità per me.»
Gli avevo accarezzato una
guancia,
poi lo avevo
stretto a me. Avevo dubitato fin da subito della loro relazione.
Conoscevo fin
troppo bene Federico e sapevo che Cristina era il suo completo opposto.
Lui era
il giorno, lei la notte. Si rincorrevano, senza però
incontrarsi mai. Mi era
dispiaciuto vederlo così abbattuto ed accettai quell'invito,
anche per cercare
di dimenticare Dario. Non ci ero riuscita, ma mi ero goduta una
settimana in
una delle città più belle d'Europa, condividendo
il mio tempo con il mio
migliore amico. Avevo sentito la necessità di trascorrere
qualche giorno con
lui, solo noi due e basta, senza fidanzati gelosi di mezzo, senza
scazzottate,
senza incomprensioni. Quella settimana, da soli, aveva rafforzato
ancora di più
il nostro rapporto e ormai non potevo più fare a meno di
lui, dei suoi consigli
e delle sue battute senza il minimo senso dello humor, che, tutto
sommato,
riuscivano a strapparmi un sorriso.
Quando eravamo stati sulla
Tour
Eiffel, Federico
mi aveva confessato che era stato difficile per lui dimenticarmi. Si
era veramente
innamorato di me e non aveva mai sopportato vedermi tra le braccia di
Dario,
non perché lui fosse uno stronzo, ma solo per una profonda
ed insana gelosia.
Aveva rimpianto il fatto di avermi lasciata andare quel giorno al lago,
quando
l'avevo baciato e aveva sofferto nei giorni a seguire più di
quanto io potessi
immaginare. Gli avevo spezzato il cuore e lo avevo calpestato
ripetutamente
senza nemmeno rendermene conto. Avevo appoggiato la testa sulla sua
spalla e
lui mi aveva cinto un fianco con un braccio, stringendomi a lui.
«Mi ami
ancora?» gli avevo domandato, mentre il
mio sguardo era perso verso la Senna e la città che si
mostrava in tutta la sua
incantevole bellezza.
«Il primo amore
non si
scorda mai,» mi aveva
risposto con un filo di voce. «Ma ho sempre saputo che tu non
saresti mai
potuta essere mia e me ne sono fatto una ragione. È stato
complicato,
all'inizio, ma ora sto bene. Sono felice di essere il tuo migliore
amico.» Mi
avevo sorriso, guardandomi negli occhi.
«Scusa se ti ho
fatto del
male. Non volevo,» gli
avevo detto con rammarico e lui mi aveva abbracciato ancora
più forte,
tranquillizzandomi.
Per l’ennesima volta,
avevamo chiarito le cose
tra di noi. Quello che ci legava era solo un’amicizia, una
stupenda amicizia,
il mio tesoro più grande.
Sfogliai pigramente le foto di
Parigi sul mio
computer portatile – che se non fossi stata troppo assonnata
ed annoiata
sarebbe dovuto servire per prendere appunti – e ricordai
tutto ciò che era
successo in quella città. Sorrisi e chiusi la cartella delle
fotografie delle
vacanze, ritrovandomi davanti il mio sfondo del desktop, la mia
bellissima
nipotina Elisa. Aveva un cappellino rosa in testa e sorrideva alla
macchina
fotografica, mostrando le gengive ancora prive di denti.
Fortunatamente,
somigliava a sua madre e non a quello scimmione di mio fratello.
Sarebbe stato
un mostro, in tal caso.
Appoggiai la guancia al pugno e
sospirai. Chi
volevo prendere in giro? Criticavo sempre mio fratello, ma ora che non
era più
a casa con me sentivo la sua mancanza. Mi mancava sentirlo sbraitare
per ogni
minima cosa, mi mancava sentire le sue ciabatte strascicare
pesantemente sul
pavimento, mi mancavano i poveri panini che mi preparava per pranzo.
Dopo il
matrimonio, avvenuto quell’estate, Smell si era trasferito a
casa di Claudia.
Non era stato per nulla contento di dover condividere la casa con i
suoceri.
Avrebbe voluto godersi sua moglie e sua figlia senza
l’impiccio dei signori
Faustini. Ma aveva da poco un lavoro fisso in farmacia ed era
necessario che,
prima di comprare una casa tutta per sé, mettesse da parte
un po’ di soldi per
avere un minimo di stabilità economica. Per cui aveva dovuto
accettare a
malincuore quella sistemazione temporanea.
Riuscii a recuperare un pizzico
d’attenzione
proprio quando Perri stava anticipando gli argomenti della lezione del
giorno
successiva. Mi riscossi dal mio torpore e mi sorpresi di vedere che
fosse già
passata un’ora senza che me ne accorgessi. Spensi il computer
e sistemai la
borsa per sgattaiolare subito via.
«Ehi, Alice,
aspettami!»
Mi voltai di scatto e Luca
mi corse
incontro. Si
sistemò la tracolla dell'Eastpack, che gli era scivolata
lungo la spalla
spiovente e gli occhiali Rayban dalla montatura nera.
«Volevi andartene
senza
di me?» chiese con un
sorriso.
«No, scusa.
È
che sono ancora assonnata per la
lezione di Perri,» mi giustificai.
Luca era uno dei pochi
ragazzi con
cui avevo
fatto amicizia, dopo esserci incontrati alla fermata dell'autobus fuori
dalla
metropolitana di San Donato. Abitavamo nello stesso paese,
così avevamo
iniziato a fare la strada insieme sia all'andata che al ritorno.
«Pensavo di
essere
l'unico a non reggere
quell'uomo,» ridacchiò, mentre ci avviavamo verso
la metropolitana.
Luca si schiarì
la voce
un paio di volte,
passandosi nervosamente una mano tra i capelli castani. Sembrava
nervoso ed
imbarazzato, ma non ci badai molto. Continuai a parlare di quanto
noioso fosse
Perri e la storia contemporanea e Luca annuiva, poco convinto, forse
annoiato
dai miei discorsi senza senso e troppo ripetitivi. Parlare,
però, mi aiutava a
spezzare l'imbarazzo che si era instaurato tra di noi, senza alcun
motivo
apparente.
Dopo aver macinato un bel
po' di
metri,
raggiungemmo finalmente la fermata di piazza Piola della metropolitana.
«Tutti questi
metri per
una pigrona come me sono
una tortura!» osservai, ridacchiando e sperai che anche Luca
si sciogliesse un
po', ma era sempre più assente. «C'è
qualcosa che non va?» gli chiesi,
preoccupata.
Lui sembrò
soppesare le
mie parole per un lungo
periodo di tempo. Rimase in silenzio finché non salimmo sul
vagone. I suoi
occhi blu si posarono sui miei, sostennero il mio sguardo confuso e,
quando mi
strinse la mano con la sua un po' paffuta, il mio cuore prese a battere
troppo
velocemente. Temevo quello che stava per accadere e se avessi potuto
gettarmi
giù da vagone lo avrei fatto.
«È
difficile
da dire,» cominciò e guardò verso
l'alto, con una smorfia. «Da dove cominciare?»
indugiò ancora, cosa che
peggiorò ulteriormente la mia attività cardiaca.
«Mi piacerebbe uscire con te,
un giorno di questi,» trovò il coraggio di dire.
Si passò la
lingua sulle
labbra carnose e
deglutì. Riuscii a vedere il suo pomo d'Adamo muoversi su e
giù nervosamente,
attraverso il lieve accenno di barba.
«Insomma. Tu mi
piaci,
Alice. Sei simpatica,
sempre solare, un po' poco sveglia a volte...» mi
lanciò un'occhiata divertita
ed io lo fulminai con lo sguardo, «e bellissima. Non ho mai
conosciuto nessuna
come te.»
Quegli ultimi complimenti
furono il
colpo di
grazia. Il viso cominciò a ribollire, le orecchie
diventarono bollenti e le
gambe molli come burro. Era da quando mi ero lasciata con Dario che un
ragazzo
non si avvicinava a me e mi dedicava parole così belle e
spontanee. Cristina
aveva sempre provato ad appiopparmi qualche suo amico, ma nessuno di
loro mi
era mai interessato particolarmente. Troppo bellocci per me. Troppo
superficiali e troppo poco seri.
In realtà la
verità era ben altra. Molti dei
ragazzi che mi erano stati presentati erano interessanti e brillanti,
ma
nessuno di loro era Dario. Avevo sempre cercato nei loro occhi quelli
di Dario,
la stessa luminosità che avevano le sue iridi nere, le
stesse emozioni che mi
provocavano e quando mi accorgevo che nessuno di loro poteva essere
come Dario,
li lasciavo scappare. Più mi imponevo di dimenticarlo,
più il mio cuore si
rifiutava di farlo. Purtroppo lo amavo ancora e non sapevo per quanto
tempo mi
sarei crogiolata in quel sentimento finito ormai da un anno. Avevo
sperato che
il destino avesse potuto darci un ulteriore possibilità, che
me lo avesse fatto
incontrare ancora per poter mettere da parte i rancori e ricominciare
tutto da
capo, senza tutte quelle insicurezze che avevano distrutto il nostro
rapporto.
Ma avevamo sprecato il tempo a nostra disposizione e non si poteva
tornare
indietro.
«Bene, lo sapevo
che
sarei dovuto stare zitto!»
esclamò d'un tratto Luca, riportandomi sulla terra.
«Facciamo così. Fingi che
io non ti abbia mai detto nulla. Anzi, dimenticalo e non ci pensiamo
più, ok?»
continuò nervoso, con un sorriso tremolante.
«No! Insomma, mi
ha fatto
piacere sentire quelle
cose,» mi affrettai a rispondere. «Ma, vedi, sono
appena uscita da una storia
che si è conclusa male...»
«Non sapevo che
avevi un
ragazzo.»
«In
realtà ci
siamo lasciati l'anno scorso,»
ammisi con un po' d'imbarazzo. «Però è
stata una storia importante. Ci siamo
amati davvero molto,» annuii ed ingoiai un magone che mi
stringeva la gola,
impedendomi quasi di respirare.
«Ma è
passato
così tanto! Smettila di torturarti
pensando a lui.»
«Più
che altro
ho paura di rimanere ancora
scottata,» era una mezza verità, perché
in realtà Dario continuava ad essere il
mio pensiero fisso.
«Capisco...»
disse sovrappensiero.
La metropolitana si
fermò in Stazione Centrale e
scendemmo per poter raggiungere la linea
gialla. Luca si immobilizzò in
prossimità delle scale mobili ed io lo
presi per un braccio, cercando di trascinarlo su.
«Sbrigati, che
prediamo
la metro!» esclamai.
Lui puntellò i
piedi per
terra e scosse la
testa.
«Io mi fermo qua.
Un mio
amico viene da Padova e
lo aspetto in stazione,» disse mestamente.
Lo guardai negli occhi e vi
lessi
dentro tutta
le delusione ed il rammarico per quello che avevo detto.
«Probabilmente
non sono
all'altezza del tuo
ex...» disse, camminando all'indietro per poter rimanere
fisso nel mio sguardo.
Ebbi la prontezza di
scattare e di
fermarlo
prima che fosse troppo lontano. Quanti altri ragazzi avrei fatto
scappare per
colpa di Dario? Per quanto tempo avrei vissuto alla sua ombra, con la
vana
speranza che tornasse? Per quanto ancora doveva rovinare la mia vita?
Luca era un ragazzo
splendido e
anche
estremamente carino. Se non fossi stata così tanto
ossessionata da Dario, mi
sarei sicuramente invaghita di lui.
Capii che non potevo continuare
così, che dovevo
finalmente andare avanti, chiudere finalmente con il mio passato e di
riprendere la mia vita in mano. Ci guardammo negli occhi e gli sorrisi.
«Non è vero
che non sei alla sua altezza,» gli
dissi.
Mi sporsi verso di lui e lo baciai
sulla
guancia.
«Mi piacerebbe davvero
uscire con te.»
Quella sera stessa uscimmo per la
prima volta
insieme e dopo una settimana ci scambiammo il nostro primo bacio. Dopo
un anno,
finalmente, avevo trovato il coraggio di lasciarmi tutto alle spalle e
di
buttarmi di nuovo in quel gioco meraviglioso e crudele al tempo stesso
che era
l’amore.
«Mamma! Dove sono i miei
orecchini a forma di
coccinella?» urlai dalla mia camera da letto, nervosa
perché mia madre aveva
messo tutto in ordine, spostando i miei oggetti.
Tra meno di dieci minuti dovevo
incontrarmi con
Luca al parco, per passare la serata insieme. Eravamo fidanzati da un
mese ed
era da tanto, troppo tempo che non mi sentivo così bene.
Luca era riuscito a
rendermi di nuovo felice.
«Li ho messi nella
borsetta bianca, dentro al
cassetto nell’armadio,» rispose.
Sbuffai e presi la maledetta
borsetta in cui mia
mamma aveva messo tutti i miei monili. Le collane erano intrecciate ai
bracciali, gli orecchini incastrati tra loro. Era diventato tutto un
enorme
groviglio d’oro e di bigiotteria quasi impossibile da
sbrogliare. Versai il contenuto
della borsetta sul pavimento e cercai, nel nodo di fili dorati, i miei
orecchini a forma di coccinella. Uno era incastrato lì in
mezzo, tra una
quantità indefinibile di collane e bracciali. Cominciai a
sbrogliare il tutto,
cercando di trattenere tutta la pazienza che possedessi. Già
mi innervosiva
dover sciogliere le cuffiette, figurarsi quel disastro.
Liberai qualche braccialetto e due
collane. Una
di quelle mi rimase in mano e la osservai un attimo prima di rimetterla
nervosamente nella borsetta. Mi raggelai, con il braccio a
mezz’aria quando
vidi il ciondolo a forma di fata che pendeva dalla fine catenina
d’oro bianco.
Il mio cuore sussultò, il mio corpo tremò. Dario
tornò prepotente ad invadere i
miei ricordi proprio quando credevo di essere quasi riuscito a
dimenticarlo.
Luca era stato essenziale da quel punto di vista. Mi aveva ricoperto
d’affetto,
mi aveva fatto sentire di nuovo importante ed amata. Ed una parte del
mio cuore
era riempita totalmente da lui. Ma ciò che rimaneva
apparteneva ancora a Dario
e in quel momento voleva schizzarmi fuori dal petto. Tutto
ciò che avevamo
vissuto insieme cominciò a scorrermi davanti agli occhi come
un meraviglioso
film con un triste epilogo. Il giorno in cui ci eravamo lasciati, ero
rimasta
in stazione per circa sette ore in attesa che arrivasse il mio treno
per
Milano. Ero rimasta rannicchiata su una panchina tutto il tempo,
piangendo,
sotto lo sguardo stupito della gente. Il viaggio era stato troppo lungo
ed ogni
chilometro che mi allontanava da lui era una stilettata al cuore che
allargava
la ferita lasciata dal nostro tacito addio. Un taxi, poi, mi aveva
riportata a
casa dalla stazione e appena messo piede in casa mi ero accasciata tra
le
braccia di mia madre. Lei ebbe l’accortezza di non chiedermi
nulla, immaginando
già che cosa fosse successo. Tutt’ora non sapeva
il motivo per cui io e Dario
ci fossimo lasciati e non aveva voluto nemmeno saperlo. Erano stati
giorni
strazianti, in bilico tra la disperazione per la fine della nostra
storia e la
speranza che fosse tutto solo un incubo, che un giorno Dario sarebbe
venuto a
prendermi di nuovo fuori dalla scuola, che mi chiamasse e mi dicesse Ti amo ancora una volta.
Sentii gli occhi
inumidirsi, ma non
cedetti alle
lacrime che volevano uscire copiose. Mi passai una mano sugli occhi per
impedirmi di piangere. Mi ero ripromessa che non avrei più
versato una lacrima
per lui. Sarebbero state solo sprecate. Perché ormai era
passato un anno ed era
insano che io lo amassi ancora. Perché lui aveva sicuramente
trovato un’altra
ragazza d’amare più di quanto aveva fatto con me.
Perché, sebbene il nostro
fosse stato un sentimento impetuoso e travolgente, ormai si era
concluso, anche
se la fiamma dell’amore ancora mi bruciava dentro.
Lanciai la collanina dentro la
borsetta, come se
scottasse, insieme al resto dei gioielli. Richiusi la borsa e la rimisi
dov’era. Presi velocemente il cappotto rosso dal letto e il
basco dello stesso
colore, uscendo dalla mia stanza.
«Non li hai trovati, gli
orecchini?» mi domandò
la mamma, vedendo i lobi delle orecchie liberi.
«Sì, ma
è tardi e non voglio far attendere
troppo Luca,» improvvisai.
«Stai bene,
Alice?» notò la mia smorfia di
dolore e mi appoggiò una mano sulla spalla, con un sorriso
dolce.
«È tutto ok
mamma, non ti preoccupare,» la rassicurai
e le diedi un bacio sulla guancia.
Presi l’mp3 dal tavolino
ed uscii di casa
rapidamente per non dover dare troppe spiegazioni a mia madre e
soprattutto per
non pensare ancora a Dario. Lui doveva essere solo un lontano ricordo.
Ora
c’era Luca nella mia vita e non volevo che la nostra storia
naufragasse
miseramente per colpa di Dario.
Misi le cuffiette nelle orecchie e
Tiziano Ferro
riecheggiò nelle mie orecchie. Scesi le scale lentamente,
mentre leggevo gli
ultimi Sms ricevuti. Uno era della Vodafone che mi avvertiva con
entusiasmo che
mi avrebbero regalato cento minuti di chiamate gratis, mentre
l’altro era di
Claudia. Era solita aggiornarmi di ciò che faceva Elisa,
come storpiare le
parole e ciucciare il pollice di mio fratello, e della sua impossibile
vita
coniugale con Smell. Anche lei si era convinta che convivere con
Raffaele fosse
un inferno.
Attraversai alla strada, senza dare
troppa
attenzione alle macchine che passavano e raggiunsi il parco poco
distante da
là. Luca non c’era ancora, per cui mi sedetti su
una panchina per aspettarlo.
Mi sentivo in colpa nei suoi confronti, perché avevo pensato
di nuovo a Dario e
a quello che ancora sentivo per lui. Luca non meritava che io
continuassi a
crogiolarmi nel mio passato, per cui avrei dovuto sforzarmi ancora di
più per
godere della nostra storia appena nata.
Sobbalzai quando qualcuno mi
pizzicò i fianchi.
Mi voltai di scatto e mi ritrovai il sorriso dolce di Luca davanti agli
occhi.
Spensi l’mp3 e gli diedi un leggero schiaffo sul braccio.
«Mi hai fatto
spaventare!» esclamai.
«Scusa,»
mormorò.
Mi prese la mano e mi
sollevò, cingendomi la
schiena per avvicinarmi a lui. Appoggiai entrambe le mani sulle sue
spalle e mi
alzai un tantino sulle punte. Sfiorai le sue labbra carnose e la
tensione accumulata
negli ultimi minuti scemò grazie alla sua lingua delicata e
al suo tocco sul
mio corpo. Stavo bene tra le sue braccia e mi piaceva assaporare le sua
bocca.
I suoi baci erano maledettamente lenti, dolci ed erano in grado di
sciogliere
ogni muscolo del mio corpo. Mi piaceva stare con lui, mi piaceva Luca
in sé e
speravo che quell’affetto che provavo nei suoi confronti
potesse trasformarsi
in amore e che anche la parte del mio cuore che ancora apparteneva a
Dario,
potesse diventare di sua proprietà.
«Dove andiamo per
festeggiare?» domandai,
curiosa.
Lui finse di pensare, poi
scrollò le spalle e si
abbassò per baciarmi il collo. Cercai di sottrarmi,
ridacchiando, ma mentre
indietreggiavo i miei occhi incontrarono quelli neri di Dario. Era poco
distante
da noi e ci guardava con le mani affondate nelle tasche del giubbotto.
Dapprima
credetti fosse solo un’allucinazione, ma non era
così. Dario era davvero lì e
ora aveva alzato una mano e mi stava salutando, con un sorriso
malinconico
appena accennato. Si voltò per allontanarsi ed io spinsi
delicatamente Luca
lontano da me.
«Dario!»
esclamai, correndo verso di lui.
«Dario!» lo richiamai e questa volta si
fermò, voltandosi appena verso di me.
«Ciao Alice,»
mormorò.
Respirai a fondo e lo guardai come
se potesse
sparire da un momento all’altro. Avevo creduto che fosse
impossibile di poterlo
rivedere dopo così tanto tempo ed invece ci era stata
concessa un’altra
occasione per vederci.
«Cosa ci fai
qua?» domandai.
Mi avvicinai a lui e gli sfiorai
appena un braccio,
ma ritrassi subito la mano perché quel contatto ancora
faceva male.
«Volevo salutarti prima
di partire per Roma,»
rispose ed io sussultai a quella affermazione.
«Roma?» ripetei.
Lui annuì ed io rimasi
attonita. Le mie orecchie
si rifiutarono di credere a quello che avevo appena udito.
«Vado a vivere con
Adriano,» aggiunse spicciolo
poco dopo.
«Non puoi tornare a Roma!
Che senso ha?»
Dario scrollò le spalle
ed abbassò lo sguardo.
Non rispose alla mia domanda, alle mille preoccupazioni che ora
albergavano
nella mia mente. A Roma aveva passato tutta la sua adolescenza
infelice, quella
che poi era stata la rovina della sua vita e la causa della sua
insicurezza,
della sua fragilità. Tornò a guardarmi con un
sorriso ed indicò Luca con il
mento, che era rimasto qualche metro dietro di noi.
«Carino il nuovo
fidanzato,» disse senza
malizia. «Sono felice che tu sia riuscita a voltare
pagina.»
Capii che il discorso Roma era
stato archiviato
ben prima che venisse fuori. Anche se avessi continuato a torturarlo di
domande,
non avrebbe mai ceduto ed anzi sarebbe scappato via scocciato. Con un
po’ di
amarezza, annuii e sorrisi, lanciando uno sguardo a Luca a mia volta.
«E tu? Hai voltato
pagina?» gli chiesi.
«Roma sarà un
buon inizio,» rispose con le
labbra stiracchiate in un sorriso.
Ci guardammo finalmente occhi negli
occhi e per
l’ultima volta provai la sensazione di affogarci dentro e
rimanervi
intrappolata. Lì dentro sarebbe rimasta per sempre una parte
della mia anima,
catturata dall’intensità del nero dei suoi occhi.
Dario sospirò rumorosamente e
lanciò un’altra occhiata a Luce.
«Ti lascio al tuo
cavaliere,» mormorò. «Addio,
Alice.»
Si avvicinò a me e mi
strinse. Appoggiò le sue
labbra sulla mia fronte in un delicato e dolce bacio d’addio.
Era sempre più
doloroso sentire quella parola, perché forse detta a voce
era come un brutto
incubo che si concretizzava. Lacrime lente e solitarie cominciarono a
bagnarmi
le guance mentre Dario si allontanava da me, questa volta per sempre.
«Addio,»
sussurrai, senza che lui mi sentisse.
Luca mi si affiancò, mi
strinse la spalla e mi
guardò dubbioso e preoccupato.
«Chi era
quello?» mi domandò, sospettoso.
Immaginavo che sapesse già la risposta, ma io mi limitai a
voltarmi verso di
lui e sorridergli. Mi asciugai velocemente il viso e lo baciai a fior
di
labbra.
«Un capitolo chiuso della
mia vita.»
_________________________________________________________
E
qui
possiamo mettere la parola Fine a Il meraviglioso mondo di Alice, dopo
un anno e un mese dalla pubblicazione del prologo.
Due sentimenti opposti, ora, stanno combattendo dentro di me: da un
lato sono felice di aver portato a termine un progetto e di potermi
dedicare ad altro, dall'altra, però, so già che
questa storia mi mancherà. Soprattutto Dario
perché è il personaggio che più amo di
questa storia. E infatti gli ho dedicato un POV in questo epilogo.
Sia
Dario
che Alice non sono riusciti a dimenticarsi a vicenda, seppur tutti gli
sforzi. Il loro amore, anche se durato poco,è stato davvero
intenso ed è difficile archiviare la cosa con
semplicità. Entrambi, però, hanno cercato di
andare a vanti senza l'altro, di trovare nuove persone di cui
innamorarsi e con cui condividere la propria vita. Hanno avuto tutti e
due la speranza di incontrarsi di nuovo e chiarire, magario passare
sopra ai propri errori. Quando Dario si era finalmente deciso ad andare
a cercare Alice, era però troppo tardi. In fondo non si
cancella tutta la sofferenza e, soprattutto, è inutile farsi
monopolizzare la vita e i pensieri da una persona con cui non si ha
più un rapporto. Roma sarà il nuovo inizio di
Dario, da lì ricomincerà la sua vita ancora una
volta, insieme ai suoi amici e chiassà che non trovi
finalmente la persona giusta per sè.
È
passato davvero molto tempo da quando ho pubblicato questa storia e, a
dire il vero, non mi aspettavo granché. Era una storiella
senza pretese, nata in una sera di Marzo mentre, stremata, me ne
tornavo a casa dall'Università. Mai mi sarei aspettata di
poter avere tale riscontro! Il vostro calore e le vostre parole mi
hanno sempre spronato ad andare avanti a scrivere di Alice e Dario.
Spesso ho anche deluso le vostre aspettative e un po' me ne dispiaccio.
A volte la storia è scaduta nel banale, altre volte ho
esagerato con le scene piccanti, discostandomi parecchio da
quello che avevo in mente originariamente. Ma ad un certo punto ho
perso il controllo della situazione e, beh, questo è il
risultato. Non uno dei migliori, anzi! Ma penso che sia un buon inizio,
soprattutto per migliormi e migliorare le storie che
pubblicherò in futuro. Le critiche ricevute mi hanno fatto
aprire gli occhi tante volte (anche se magari all'inizio ho rispostoun
po' sgarbatamente) e mi sono ritrovata spesso a pensare di aver fatto
tantissimi errori, ma ormai era troppo tardi per
rimediare.
Nonostante tutto, i personaggi di questa storia mi hanno divertita e mi
hanno fatto sognare, almeno per un po'. Li ho amati tutti, dal primo
all'ultimo, da quello stronzo di Davide al tassista che ha riportato
un'Alice piangente a cas di Dario.Tutti, in un modo o nell'altra mi
hanno regalato una piccola emozione. Spero vivamente di avre fatto
emozionare anche voi, di essere riuscita a trasmettervi qualcosa con le
mie parole :)
Vi
ringrazio dal più profondo del cuore. Grazie per esserci
state, grazie di aver perso qualche minuto del vostro tempo per
recensire la storia, grazie per avermi criticata, grazie del vostro
sostegno e grazie per ogni piccola cosa che avete fatto per me. Un
abbraccio virtuale a tutte voi che ci siete sempre state, che siete
arrivate in corsa.
Un
GRAZIE
specialissimo va però alle mie amate Crudelie, che ci sono
sempre state e mi hanno sempre sostenuta, anche quando non lo
meritavo. Grazie a Martina
(IoNarrante)
e a Venera (nes_sie). Starmi
dietro non è facile, anzi è alquanto difficile,
per colpa del mio carattere lunatico e alquanto strambo che odio io
stessa. Grazie di tutto quello che avete fatto per me ♥
Credo
di aver detto tutto oppure me lo sono scordato e mi tornerà
in mente quello che volevo dire dopo aver pubblicato il capitolo ^^"
Ma
non credete di potervi liberare di me! Perché anche se Alice
è conclusa, sto già lavorando ad una nuova
Originale. La amo, molto più di questa e spero che, quando
la pubblicherò, possiate apprezzarla come sto facendo io.
Un
bacio immenso ad ognuna di voi, alla prossima ♥
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