Sogni

di Bale
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una notte come tante ***
Capitolo 2: *** Penelope ***
Capitolo 3: *** David Rossi ***
Capitolo 4: *** Jennifer ***
Capitolo 5: *** Emily ***
Capitolo 6: *** Derek Morgan ***
Capitolo 7: *** Il piccolo Jack ***
Capitolo 8: *** Hotch ***
Capitolo 9: *** Spence ***



Capitolo 1
*** Una notte come tante ***


I sogni sono importanti.
Non tradiscono, non deludono, non invecchiano.
Soltanto nei sogni possiamo essere ciò che desideriamo realmente.
Soltanto nel sogni possiamo essere liberi.
Quando sogniamo siamo tutti uguali


 





Penelope Garcia dormiva beata nel suo sconfinato letto matrimoniale.
Il copriletto patchwork la avvolgeva nel suo calore variopinto, coprendola solo fino alla vita.
La sua espressione era rilassata e serena.
Sembrava piacerle ciò che quella notte aveva riservato per lei.


Davis Rossi russava pesantemente.
Era voltato su un fianco, con i pugni stretti sotto il cuscino.
Il pantalone del pigiama di flanella beige era sollevato fino alle ginocchia, la coperta era arrotolata sul fondo del letto.
Sembrava irrequieto.
Non trovava pace, continuava a rigirarsi facendo cigolare le molle del materasso.
Qualcosa lo disturbava, il suo sogno ricorrente era andato a fargli visita anche quella notte.


Jennifer Jereau si era addormentata in camera di Henry, sulla poltrona ai piedi della culla.
Will la osservava con dolcezza appoggiato allo stipite della porta.
I suoi due angeli dormivano beatamente e lui non riusciva a staccare gli occhi da loro.
Alla fine sospirò e andò verso la culla. Lasciò sulla fronte di suo figlio un bacio tenero e delicato, poi prese tra le braccia JJ e se la portò via, in camera da letto.


Emily, invece, era ancora sveglia.
Stava scendendo le scale a piedi nudi.
Una camomilla era ciò che ci voleva.
Non dormiva da giorni, ma non era ancora riuscita a capire cosa fosse a tenerla sveglia.
Hotch le aveva detto che non era per niente bizzarro non riuscire a dormire dopo tutto quello che vedevano e affrontavano tutti i giorni, ma Emily sapeva che c’era sotto qualcosa di più complicato.
Il problema era capire cosa.


Le braccia di Derek Morgan cingevano la vita di una giovane ragazza di colore stesa accanto a lui.
Erano nudi, felici.
Avevano fatto l’amore, erano stati bene.
Si erano addormentati sorridendo, ma i sogni di Morgan non erano affatto tranquilli.
Sapeva che quella felicità poteva essere soltanto temporanea, perché l’indomani ci sarebbe stato un altro orrore da affrontare, un’altra paura da superare, un altro caso che gli avrebbe tolto il sonno.
Rivide vecchie scene del crimine, vecchi orrori.
Sapeva che non avrebbe mai smesso di trasalire nel sonno.


Aaron Hotchner era seduto alla sua scrivania, il capo chino sulle braccia conserte, assopito in una realtà soltanto sua.
La sua mente viaggiava via lontana, nel tepore dei sogni, nella pace dei sensi.
Suo figlio dormiva nella stanza accanto, compresso nel suo pigiama azzurro, avvolto nel suo piumone, in viaggio verso un mondo innocente, incontaminato dalla cattiveria delle persone, accompagnato dal suo fedele orsetto di nome Tom.
Sognavano entrambi un mondo nuovo, anzi un mondo vecchio, già vissuto.
Nei loro sogni Haley era ancora lì con loro.


Spencer Reid si era addormentato da poco, ma i sogni lo avevano già rapito.
Assopito in quella strana posizione, viaggiava verso mondi inesplorati, mondi nuovi.
Sognava una lunga strada, un viale costeggiato dai lampioni, una via senza fine, senza orizzonte.
Eppure sapeva che alla fine di quella strada avrebbe trovato la persona che desiderava più di ogni altra, avrebbe raggiunto il paradiso.

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Capitolo 2
*** Penelope ***






Il pigiama di seta rosa shocking le stava un po’ stretto, ma nel sonno Penelope non parve farci caso.

Stava sognando un paradiso tropicale, uno di quelli che si vedono sui depliant nelle agenzie di viaggi.

Era seduta al bancone di un bar sulla spiaggia, indossava un pareo a fiori.

Guardava l’orizzonte sorseggiando il suo drink.

All’improvviso un uomo attirò la sua attenzione. Fisico perfetto, pareva un dio.

Stava uscendo dall’acqua e pareva muoversi a rallentatore, come i bagnini delle serie tv.

Anche lui la guardava, ma i raggi del sole alle sue spalle impedivano a Penelope di guardarlo bene in viso.

Era abbronzato, pareva fatto di cioccolata.

Fu allora che Penelope realizzò chi fosse: era Derek Morgan.

Si guardarono profondamente per diversi istanti, poi si ritrovarono in ufficio.

Penelope indossava ancora il suo pareo variopinto, Derek era ancora bagnato e in costume da bagno.

JJ stava illustrando il nuovo caso. Sullo schermo c’era il cadavere di una donna, una donna bionda con un pareo colorato. Era lei, era Penelope Garcia.

Si svegliò di soprassalto e fece per urlare, ma senza successo. La voce le si spezzò in gola.

Si alzò dal letto e corse in soggiorno.

Accese la tv per sentirsi meno sola, poi prese dal frigorifero il cartone del latte.

Bevve con avidità, cercando di allontanare quelle immagini, quei ricordi.

Riportò la sua mente a Morgan, a quell’uomo perfetto che usciva dall’acqua fissandola con malizia.

Oh quanto amava il suo Derek!

Il loro era un amore platonico che diventava carnale soltanto nei suoi sogni più segreti.

Bevve ancora, poi spense la tv e tornò a dormire.

Si concentrò su quell’amore lussurioso, su quella passione che spesso aveva provato da sola, immersa nei mille colori del suo letto esagerato.

Si addormentò serenamente, con il sorriso sulle labbra e le mani istintivamente appoggiate sui fianchi.  

Sognò ancora Morgan al mare, poi anche nudo sotto la doccia e sprofondò dolcemente nei suoi ricorrenti sogni erotici.

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Capitolo 3
*** David Rossi ***







David Rossi non chiudeva mai completamente le tende.

Gli piaceva sapere che un sottile fascio di luce riusciva ad entrare nella stanza. Si sentiva al sicuro.

Quella notte, però, neanche quella sua piccola abitudine era riuscita a cancellare la strana irrequietezza che lo tormentava.

Quel sogno era tornato.

Non sognava di morire, non era quella la sua paura più grande.

Il suo timore era di perdere ciò che di più caro aveva al mondo: la sua famiglia, la sua squadra.

Aveva ascoltato le percosse inflitte all’agente Prentiss mentre cercava di negoziare con quei fanatici religiosi; aveva visto una pallottola conficcarsi nella coscia di Reid e lo aveva visto quasi morente, infettato dall’antrace; aveva temuto per la vita di Hotch nell’esplosione del SUV avvenuta a New York; aveva visto un uomo sparare a Penelope Garcia, alla donna più pura ed altruista che avesse mai conosciuto.

Ce l’avevano fatta, ne erano usciti tutti. Ma se un giorno non fossero stati così fortunati? Se un giorno avessero dovuto affrontare qualcosa di incredibilmente doloroso?

Hotch aveva perso sua moglie per mano del Mietitore.

Sarebbe successo ancora? Avrebbero perso qualcos’altro o qualcun altro?

David non lo sapeva. Sapeva soltanto che ogni giorno per loro era un pericolo, un rischio vero.

Il loro lavoro non aveva nulla a che vedere con quelle stupide serie tv nelle quali c’è sempre il lieto fine.

Nella vita reale spesso la fine è tremenda, straziante; spesso ti rendi conto di non aver fatto abbastanza, capisci che un tuo errore è costato la vita a qualcuno.

Tutte le notti si chiedeva per quale assurdo motivo aveva deciso di ritornare nell’FBI.

Per aiutare?

Ma era davvero in grado di poter aiutare?

Di certo era facile scrivere libri.

Fare lo scrittore gli aveva fatto dimenticare quanto fosse arduo e complicato dover avere un’intuizione e quanto quella intuizione potesse essere importante per la vita di qualcuno.

Aveva sbagliato spesso, ma per fortuna la sua squadra aveva rimediato a quegli errori.

Ora capiva perché Hotch aveva tanto insistito, al suo arrivo, sul lavoro di squadra.

Quelle persone lo capivano, lo completavano e solo con l’apporto di tutti riuscivano ad evitare errori madornali.

Eppure qualche errore c’era stato, c’era stato qualche cadavere di troppo ed era proprio questo che toglieva il sonno all’agente Rossi.

Scese in soggiorno e si accese un sigaro

Aspirò il fumo, seduto nell’ombra di quella notte insonne.

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Capitolo 4
*** Jennifer ***








Soltanto nei sogni poteva vivere quelle sensazioni perché è questo che fanno le donne perfette e Jennifer era senza dubbio una donna perfetta.

Era bellissima, molto capace nel suo lavoro; aveva una casa da cartolina, un marito e un figlio da libri delle favole.

Soltanto nei sogni poteva essere diversa, soltanto attraverso i sogni le era concesso uscire fuori da quegli schemi, da quella gabbia.

Quella  notte, mentre le sue mani accarezzavano con sensualità il suo stesso corpo, immaginò di tradire.

Era sempre stata una ragazza molto curiosa, ma era sempre stata brava a celare questa sua caratteristica dietro la sua inflessibilità.

Quella sera la sua curiosità la spinse oltre tutti gli schemi, oltre ogni limite.

Immaginò di baciare una donna.

Era una donna bionda come lei, ma decisamente molto più eccentrica.

Indossava una camicetta dalla fantasia decisamente eccessiva e sul suo naso tondo erano appoggiati occhiali gialli e blu. Tra i capelli portava un fiore grosso quanto una noce di cocco, le labbra erano impiastricciate da chili e chili di rossetto.

Quel bacio le piacque.

In fondo Garcia era tutto ciò che JJ aveva sempre desiderato poter essere.

Era la donna più coraggiosa che avesse mai conosciuto: aveva il coraggio di essere se stessa senza remore e senza freni e soprattutto aveva il coraggio di esserne fiera.

Era sincera quanto un bambino di due anni, era sfacciata quanto una prostituta. Sì, a volte le ricordava decisamente una prostituta, una di quelle donne di strada eccessive in tutto.

Era proprio questo che rendeva JJ smaniosa ed eccitata.

Desiderava ardentemente un suo bacio, un suo tocco.

Sognava quelle labbra sul suo corpo, il suo ventre sporco di quel rossetto.

Will non poteva neanche immaginare ciò che JJ sognava ogni notte, e questo rendeva la situazione ancora più stimolante.

Fu allora che si svegliò e con un sorriso malizioso si avvicinò a suo marito.

Gli baciò delicatamente il collo, gli cinse la vita con le cosce nude.

Will si svegliò e la fissò attraverso il buio. Sembrava confuso, non si sarebbe mai aspettato ciò che JJ stava per fare.

Fecero l’amore in modo violento e passionale.

Fecero l’amore come non l’avevano mai fatto prima.

Jennifer lasciò che i suoi sogni diventassero concreti, vivendo, nella sua mente, una notte con Penelope Garcia.

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Capitolo 5
*** Emily ***









Non riusciva proprio a smettere di pensarci.

Persino nella tazza che stringeva tra le mani rivedeva quel volto, quel sorriso, quel bacio.

Sapeva bene che il suo capo l’aveva baciata soltanto perché cercava un conforto in un momento tanto difficile della sua vita.

Sua moglie era morta da poco e le responsabilità gli erano piombate addosso come una valanga di neve.

Aveva bisogno di qualcuno che gli prendesse la mano per stringergliela forte forte; aveva bisogno di qualcuno che gli dicesse che poteva farcela, che non era poi così dura.

Aveva cercato quel sostegno e quella sicurezza nel bacio che gli aveva dato qualche sera prima.

Chissà  se era servito a qualcosa, chissà se si era sentito davvero meglio.

Ma per Emily, il problema da affrontare quella sera era un altro.

Doveva capire quello che  provava lei in quel momento.

Doveva capire se anche per lei, come per Hotch, quel bacio era rimasto all’aeroporto di Miami.

In realtà si sentiva terribilmente pesante, come se quel bacio l’avesse seguita fino a casa.

In passato c’erano stati dei momenti in cui aveva creduto veramente di essersi innamorata del suo capo.

Si era sentita una ragazzina stupida ed era giunta alla conclusione che si trattava soltanto di una stupida cotta passeggera.

Eppure quel bacio sembrava aver riaperto la sua mente ai ricordi, sembrava aver riportato in superficie un sentimento che Emily aveva creduto annegato nel tempo.

Non dormiva da giorni, non faceva altro che pensare a lui.

Si erano annusati, si erano baciati.

Erano stati così vicini da sentire i loro corpi fremere.

Erano stati così intimi da concedersi sorrisi luminosi e puri.

Erano stati così felici da dimenticare che l’aereo li stava aspettando.

Eppure, per Hotch, era tutto finito lì.

E per Emily?

Lei lo amava, lo sapeva.

Quel sentimento la rendeva confusa, la rendeva nervosa.

Era amore, era decisamente amore.

Tornò a letto preoccupata e rassegnata ad un amore che non avrebbe mai potuto avere una sua storia.

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Capitolo 6
*** Derek Morgan ***







Derek Morgan dormiva serenamente. Si godeva quel sonno tanto ambito, avvolto nelle coperte di un letto che non sarebbe stato mai più suo.

Aveva trascorso la serata con una ragazza conosciuta per caso in un bar.

Si erano piaciuti fin dal primo sguardo. Avevano ballato insieme, poi avevano deciso di andare a casa di lei.

Viveva in un loft in centro, piccolo ma accogliente.

Non possedeva molti libri, ma aveva un armadio sconfinato.

No, doveva smettere di fare il profilo a tutte le ragazze che frequentava.

Dopotutto non ce n’era affatto bisogno.

Lui sapeva esattamente ciò di cui aveva bisogno, il problema era che non poteva averlo.

Sorrise nel sonno, poi vide il suo viso materializzarsi nei suoi sogni.

Era bellissima.

Indossava un vestito verde scollato e lungo. Aveva i capelli raccolti.

Sorrideva.

Sembrava non essersi accorta della sua presenza. Si guardava intorno con curiosità, come se si stesse chiedendo dove si trovasse.

Derek le si avvicinò lentamente e le porse una mano.

Soltanto allora Emily si voltò a guardarlo.

Sorrise ancora ed accettò il suo invito.

Lasciò scivolare la sua mano in quella di Derek, poi si lasciò posare l’altra sul fianco.

Ballarono un dolce valzer.

Derek Morgan non era decisamente un tipo da valzer, ma si lasciò guidare dalla situazione.

Dopotutto nei sogni possiamo essere ciò che realmente desideriamo.

Fu bellissimo tenerla stretta in quel modo. Erano felici.

Chi avrebbe mai potuto immaginare che Derek Morgan facesse quei sogni!

Lui era un duro, lo sciupafemmine della squadra, un tipo che non si fa intenerire tanto facilmente.

Eppure si sa che l’abito non fa il monaco.

Nei suoi sogni più intimi, Derek Morgan era un tenerone.

Non era affatto facile, per uno come lui, lasciarsi andare ed essere se stesso. Era più facile nascondersi dietro quella maschera che si era costruito con anni e anni di esperienze e soprattutto di soprusi, dolori e delusioni.

No, non poteva mostrarsi tenero. Se solo le persone avessero saputo chi era veramente l’agente Morgan, si sarebbero approfittate di lui, avrebbero ricominciato a deluderlo, a ferirlo.

Solo quella maschera da duro poteva fargli guadagnare e mantenere la fiducia e il rispetto delle persone.

Per lui, quel rispetto, era tutta la sua vita.

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Capitolo 7
*** Il piccolo Jack ***








Il suo respiro era lento e tranquillo.

Il suo braccio destro stringeva l’orsacchiotto, il sinistro era sotto il cuscino.

Fuori pioveva, ma Jack non parve farci caso.

Nei suoi sogni c’era il sole, ma non il solito sole.

La luce che illuminava i suoi sogni era una luce diversa, una luce emanata, non da una stella, ma dagli occhi di sua madre.

Lo chiamava a gran voce e poi correva via.

Lasciava che Jack la rincorresse, ma il suo bambino proprio non riusciva a prenderla.

Anche quando era abbastanza vicino da toccarla, le sue manine sembravano incapaci di afferrare anche un solo lembo del suo pullover rosa.

Era come afferrare il fumo, era come cercare di cambiare la realtà.

Correva con tutte le sue forze, continuava ad inseguirla nonostante le sue gambe iniziassero a dare segni di cedimento.

E poi, all’improvviso, Jack cadeva. Il viso nel fango, le dita affondate in radi ciuffi d’erba.

Per fortuna arrivava papà. Lo sollevava delicatamente, gli ripuliva i jeans e gli chiedeva se era tutto ok.

Lui annuiva, ma suo padre pareva non capire.

-Cosa ti è venuto in mente?-   gli chiedeva.

-C’era la mamma!-

A quel punto suo padre assumeva quello sguardo tanto temuto. Sembrava assecondarlo, sembrava trattarlo come i pazzi criminali a cui dava la caccia.

Sospirava rumorosamente, come per fargli capire che, anche se non gli credeva, comprendeva perfettamente il suo dolore.

Jack si indignava, si sentiva ferito.

-E’ vero!   insisteva.

-Va tutto bene-   gli diceva suo padre, prendendolo tra le braccia e portandolo via con sé.

Era quello il sogno che Jack faceva ogni notte.

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Capitolo 8
*** Hotch ***








Un campanile in lontananza suonò la mezzanotte.

Aaron Hotchner era ancora lì, con il capo chino sui documenti che avrebbe dovuto finire di analizzare per l’indomani.

Il sonno lo aveva raggiunto silenziosamente, gli aveva sussurrato di stare tranquillo e riposare.

Il suo viso era stranamente sereno, nonostante la posizione scomoda e la lampada accesa, puntata proprio sul suo viso.

Respirava pacificamente. Sognava sua moglie, come ogni notte.

Quel sogno, però, era diverso dagli altri. Sembrava quasi reale.

Si trovava in un parco, seduto su una panchina.

Il sole splendeva altro nel cielo, l’aria profumava di lavanda.

Haley, seduta accanto a lui, non riusciva a staccare gli occhi dal loro bambino.

Jack, poco lontano, si divertiva ad andare su e giù sullo scivolo.

Con lui c’erano altri bambini, altre mamme, altri genitori.

All’improvviso Hotch, sentiva il bisogno di alzarsi e di andare verso di lui.

Si avvicinava a quelle giostre, a quelle famiglie felici e quando si voltava per assicurarsi che Haley fosse ancora lì, il suo stomaco precipitava nel vuoto.

La panchina era vuota.

Hotch veniva preso dal panico, iniziava a respirare a fatica.

Prendeva tra le braccia Jack, come per assicurarsi che almeno lui non svanisse nel nulla.

Tornavano a casa, si richiudevano in quella prigione che la mancanza di Haley aveva costruito loro intorno.

Era lì che il sogno cambiava, era lì che Hotch cominciava a sperare che per lui non ci fosse soltanto dolore.

Entravano in casa, Jack correva in camera sua protestando.

Hotch andava in salotto, si versava da bere  e si lasciava cadere sul divano.

All’improvviso, una strana presenza venne fuori dall’ombra.

Si fece avanti con un sorriso allargato sulle gote scarne.

Era Spencer Reid.

-Hotch? Va tutto bene?-   chiedeva.

Il suo capo non rispondeva, lui continuava:

-Non preoccuparti, è tutto apposto. Sei al sicuro adesso-

Soltanto dopo quelle ultime parole, Hotch si rendeva conto che l’ambiente aveva preso colore.

I muri erano azzurri, il divano color crema.

Spencer indossava una camicia viola e dei pantaloni marroni, ma la cosa più vivace e luminosa era di certo il suo sorriso.

Prendeva posto accanto a lui, sul divano.

Gli toglieva il bicchiere dalle mani e lo posava con delicatezza sul tavolino di vetro.

-Tranquillo-   ripeteva ancora, prima di baciarlo intensamente ed appassionatamente in quella posizione storta e incerta.

Hotch non si svegliava di soprassalto, ma continuava a tenere gli occhi serrati, desideroso che quel bacio durasse per l’eternità.

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Capitolo 9
*** Spence ***











Camminava lungo un vialetto costeggiato dai lampioni.

La nebbia gli impediva di scorgere l’orizzonte, ma lui proseguiva impavido lungo quel sentiero.

Il terreno sembrava quasi molle sotto i suoi piedi, la notte lo avvolgeva nella sua morsa tenebrosa.

Camminava lentamente, procedeva a piccoli passi verso la luce, verso la libertà.

Tutto ciò che doveva fare era arrivare in fondo, poi ogni cosa sarebbe andata al suo posto.

All’orizzonte c’era lei, vestita di bianco.

Lo attendeva con ansia, con le braccia tese verso di lui.

Non poteva vederla, ma lo sapeva.

All’improvviso, però, qualcuno lo afferrava con violenza e lo trascinava indietro.

Spencer, disperato, cercava di capire chi fosse, ma la nebbia era troppo fitta.

Nonostante la presa forte e decisa, sembrava essere una donna.

All’improvviso la sagoma indistinta si decise a parlare, rivelando la sua identità.

-Spencer, figlio mio, non andare! Resta qui con me! La tua mamma ha bisogno di te!-

Sì, era proprio sua madre.

Ma perché tentava di fermarlo? Perché voleva impedirgli di essere felice?

Dopo diversi tentativi, Reid riusciva finalmente a liberarsi da quella presa gelida e quasi spaventosa.

Proseguiva il suo cammino ormai libero da ostacoli.

Stava per raggiungerla.

Poteva quasi vederla.

Quella splendida figura vestita di bianco, ormai, non era più soltanto frutto della sua immaginazione.

Era lì, era reale.

Le si avvicinò lentamente, quasi avesse paura che scomparisse.

Era bellissima, forse anche più bella che nella realtà.

I suoi occhioni lo scrutavano con dolcezza, le sue labbra dipinsero un sorriso.

-Ti stavo aspettando, Spence-   disse la sua voce delicata.

-Sono qui, JJ-   rispondeva lui, perso in quella visione celestiale.

-Vieni con me, facciamo l’amore-

JJ gli afferrava una mano con dolcezza e lo trascinava con sé nell’ombra, nella nebbia, nell’oscurità dell’ignoto di quella assurda notte.

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