È in un giorno di pioggia che ti ho conosciuto, e il vento dell'Ovest rideva gentile

di claws
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ***





[
A Neme-chwan.
E a Giorgio~.]





     
















Capitolo I




[Quando la vidi, ricordo che mi invase
lo stupore, e non la voglia.]




Il vento proveniente dall'entroterra, in quella cocente giornata estiva, appiccicava con fervore la maglia alla pelle.
Intendiamoci, Giorgio aveva in mente di trascorrere la maggior parte del tempo sull'altipiano - che circondava la sua città come le braccia di una madre attorno ai fianchi del bimbo -, osservando le nuvole e le loro forme, suonando la chitarra senza preoccuparsi del tempo che volava via assieme alle note: aveva intenzione di masticare i tiepidi pomeriggi come i ruminanti masticano l'erba, macerandola per tempi imprecisi e tremendamente lunghi.

Lui, insomma, ne aveva tutta la buona volontà.
Ma una chiamata, nebulosa come la provenienza di quella voce familiare, stravolse tutti i suoi piacevoli piani.
«Ehi, Giorgio! Razza di sfaticato, vieni a darci una mano al locale!»

... Addio, dolci meriggi imbevuti nella noia, e benvenute, sere rumorose dei suoi diciassette anni, consumate tra i tavoli di un ristorante italiano nel cuore di Londra.







Pioveva.
Come - quasi - sempre, a Londra.
Ah, come rimpiangeva il suo amato altipiano, mentre correva come uno scattista in allenamento gli ultimi cinquanta metri che lo separavano dal ristorante.
Alzò lo sguardo sull'insegna, e sospirò un «Belin!» di routine.
Da quanti anni quelle lettere recitavano "Le Due Italie"? Perché i suoi due fratelli si ostinavano a non volerlo cambiare, per dargli ciò che gli era di diritto?
... Cosa costava chiamarlo "Le Tre Italie", per la miseria!
Sbuffò, un po' risentito, e aprì la porta laterale, quella che portava direttamente nella cucina del locale.
«To', guarda chi c'è!»
Ah, Lovino, lui e la sua adorabile simpatia - e il calore con cui lo accoglieva ogni volta che tornava da Seborga a Londra, sì. Meno male che c'era Feliciano, che nel giro di qualche secondo gli sarebbe saltato addosso per la gioia.
«Giorgio~!» Proprio lui, quel ciclone castano che lo stava abbracciando. O soffocando, per essere più precisi. «Bentornato, fratellino!»
Ah, e non dimenticavano mai di rimarcare la sua età! Che si comportassero in questo modo volontariamente o meno, non è che gli procurasse una gran gioia sentirsi dire sempre d'essere più piccolo di loro.
«Grazie, Feli, Lovi!» E tuttavia la pioggia era stata lavata via dall'entusiasmo - velato o no - dei due ragazzi che lo aspettavano nella cucina del ristorante. Ecco perché erano sicuri che Giorgio tornasse sempre a lavorare da loro, invece di rimanere a Genova con il vecchio zio: era una sorta di richiamo nel petto, quello che lo spingeva a comperare un altro biglietto per tornare a Londra.
«Contento di essere tornato, ve'~?»
Non ebbe tempo a sufficienza per rispondere che Lovino gli aveva tirato in testa un asciugamano per i capelli - anche se, a essere sinceri, era un asciugamano da cucina, probabilmente sporco d'olio d'oliva rigorosamente italiano.
«Cambiati e va' a dormire. Riprendi domani ai tavoli.»
... Oh, fantastico, era appena arrivato e già loro erano partiti in quarta a dare quei consigliordini - come li aveva battezzati Giorgio stesso -, belin!


Non era solo questione di fratelli, in realtà.
C'era un altro motivo per cui Giorgio tornava sempre a "Le Due Italie".
La prima volta glielo aveva domandato Feliciano, per quello che ne ricordava, ma di certo non avrebbe potuto dimenticare la propria risposta.
Tornava a Londra perché c'era un punto interrogativo.
Un punto interrogativo, sì, uno di quei simboli spagnoli che si utilizzano all'inizio delle domande, per agevolare l'intonazione del lettore.
E, giustamente, quella volta l'amico spagnolo di Feliciano e Lovino, che si stava gustando un cono gelato, aveva risposto proprio con un «¿Qué?» perplesso.
Giorgio ricordava anche di non aver risposto, accantonando la scusa di un cliente appena entrato, così come era chiara e lucida nella sua mente la spiegazione delle proprie parole.
D'altronde, osservata dal bancone dove si trovavano il registratore di cassa e il piano da cucina per le pizze, il profilo di quella bella donna al tavolino disegnava proprio la curva morbida del punto interrogativo, e il basco blu, appoggiato sulla borsa accanto a lei, quando veniva sistemato sui lunghi capelli s'intonava perfettamente con il punto fermo del simbolo rovesciato.
Non che la donna in questione, Kristina Oxenstierna - così si firmava quando pagava con la carta di credito - si fosse mai preoccupata di degnarlo di più di qualche sguardo di cortesia, in realtà. I suoi occhi di ghiaccio si limitavano a fissare la porta della cucina o il banco dei gelati, in attesa della cena, mentre con lunghe occhiate Giorgio esaminava il suo modo di tagliare l'entrecôte, di portare alla bocca il boccale di birra, e si gustava il suo profilo silenzioso, isolato, che rumoreggiava nella sua testa più del chiacchiericcio confuso degli altri clienti: che questi fossero abituali o semplici passanti, le loro parole formavano una folla confusa di persone, da cui la donna veniva ora inghiottita ora imbellita, in un buffo trucco di suoni e luce.
Giorgio si ripromise che avrebbe scoperto più del nome di quel bel punto interrogativo.


«Lovi, abbiamo un problema.»
«Feli, ti ricordo che Swigert disse "Abbiamo avuto un problema", e che non siamo su un'astronave, ma nel nostro ristorante! [1]»
«Lo so, fratellone, ma il problema rimane.»
«E che problema. Uno stupido ammodernamento del locale!»
Feliciano si stiracchiò, e l'atmosfera seria che s'era formata si dissolse per un solo secondo, prima di annebbiare, assieme ai vapori delle pentole, l'intera cucina.
«Lovi, prima di entrare in perdita, sarebbe il caso di sistemare la sala per i clienti. Insomma, non voglio finire a mangiare pasta di grano tenero perché qui costa meno, ve'!»
... Ecco qual era la sua preoccupazione primaria - o almeno, quella che affermava senza troppi scrupoli.
«Non è detto che dopo aver riarredato il locale i clienti aumentino.»
«Ma è molto più probabile che non vengano ora come ora, no~?»
Feliciano non era stupido. Come poterlo chiamare stupido, dal momento che rispondeva a tono a un personaggio difficile da convincere come Lovino?
O, perlomeno, era sveglio quando si trattava di parlare - visto e considerato che, durante la loro discussione, non s'erano preoccupati né di parlare a bassa voce né di chiudere le porte che conducevano alle cucine.
E Giorgio - l'unico, probabilmente, che sarebbe stato in grado di capire le loro parole -, volente o meno, s'era imbattuto in parte del discorso: ma quanto aveva udito era stato sufficiente per ricostruire le dinamiche trascorse e quelle future.
"Le Due Italie" avevano intenzione di recarsi da un arredatore d'interni, eh? Forse sarebbe stata anche la volta buona per cambiare il nome del locale e aggiungere l'Italia mancante!
Così il ragazzo si promise di ricordare questi dettagli tecnici, appuntandoli nella memoria come le calamite sulla superficie del frigorifero, per poter poi riflettere con attenzione riguardo il progetto di "riconoscimento del proprio valore all'interno del ristorante" - progetto che aveva appena deciso di portare a termine.
«... Feli, sai bene quanto me che nessuno si offrirà mai di assumersi quest'incarico per la cifra che avremmo in mente.»
«Come siamo pessimisti, fratellone!»
«Me ne stracatafotto del pessimismo, qua si parla di realtà! E la realtà nostra è che non possiamo spendere lire su lire!»
Qualcuno avrebbe potuto ribattere, affermando che le lire non erano più utilizzate da un decennio circa, ma il silenzio s'impadronì ferocemente delle cucine.
«E la fiera del mobile di Milano, Lovi? Ambrogio potrebbe darci una mano, no?»
Lovino lo fulminò con un gesto tagliente della mano. «Non provare a chiamare quella sanguisuga di nostro fratello!»
L'altro abbassò gli occhi, un po' dispiaciuto. Quando Lovino vide il suo sguardo mogio, sbuffò, e tuttavia lo abbracciò con forza, come ogni buon fratello maggiore - anche se era un abbraccio forse un po' goffo e improvviso.
A dirla tutta, Giorgio si sarebbe voluto unire all'abbraccio, perché per lui era difficile vedere Lovino esprimersi in gesti d'affetto verso i suoi cari, tuttavia respinse la voglia di intrufolarsi nella cucina e di abbrancarsi al braccio di Lovino, prima che questo gli lanciasse un ceffone sulla nuca.
Quindi si allontanò dalla porta, passeggiò avanti e indietro lungo il corridoio per qualche minuto: infine, quando le voci dei due s'erano affievolite e al loro posto aveva ripreso il rumore di routine della lavastoviglie, si decise a fare la propria entrata nelle cucine.
«Ah, Giorgio, giusto tu mancavi!»
Si costruì la migliore espressione innocente che fu in grado di sostenere. «Per che cosa, ragazzi?»
Lovino parve nuovamente di pessimo umore. Sbuffò una seconda volta. «Ci mancavi tu per concludere la serata in bellezza, per cosa, altrimenti?!»
Ah, sarcastico come sempre, il suo adorato fratellone.
Sorriso di circostanza, alzata delle mani sopra le spalle, piegamento in avanti della schiena: con questi gesti teatrali Giorgio masticò un «Belin, sempre molto allegri, eh?» e scomparve, camminando all'indietro, verso il bancone e il registratore di cassa.
Se non altro, da quella posizione la loro affezionata cliente era perfettamente visibile in tutta la sua silenziosa presenza.












Note Varie:
Lo so che son scema a dirlo, ma Giorgio è il nome di Seborga, e Kristina il nome di Fem!Svezia. *Si sente scema, infatti.*
«Quando la vidi, ricordo che mi invase lo stupore, e non la voglia.» Citazione da "Proposito d'amare", di Giorgio Gaber.
Quando parla di Swigert, Lovino si riferisce alla mitica frase «Houston, abbiamo un problema». In realtà, la frase precisa fu proprio «Houston, abbiamo avuto un problema».
«Me ne stracatafotto» è una citazione da Montalbano.
Ambrogio è il mio OC! di Milano, ed è una persona che pensa sempre e solo a lavorare, in pratica.















Note Autrice:
Ebbene sì. Questa volta vi racconto (?) una Seborga/Fem!Svezia.
Immagino che uno dei primi pensieri che vi siano passati per la testa sia stato: ma come diavolo è arrivata questa a shipparli?
La risposta è semplice, perché c'è lo zampino di Neme-chwan, con cui ruolo questo crack!pair. Dire che è favoloso è dire poco, sì.
Non so esattamente quanti capitoli saranno, visto che per ora ne ho in cantiere quattro - ma tenete conto del fatto che sono molto volubile. C:
In ogni caso, vi accompagneremo con questa fic settimanalmente, mi auguro, e ogni lunedì. Magari riuscirò ad addolcirvi l'inizio di settimana, chissà, io me lo auguro. :D
Questa fanfiction è uno spin-off da un'altra fanfiction; l'autrice è una ragazza adorabile, ovvero _Chiaki, ovvero la fanfiction Silence. Non posso costringervi a leggerla, ma ve lo consiglio caldamente, perché è stupenda. C:
Inoltre, la storia partecipa all'iniziativa "Ci sono anch'io!" dell'Hetalia non è ---> the forum.



Bien, per stavolta ho concluso.
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui. C:
Alla prossima settimana!
claws_Jo

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Capitolo 2
*** Capitolo II ***


Note pre-storia:
Audrey è il nome che ho scelto per Belgio, sì.
Cedric, invece, l'ho deciso per Paesi Bassi. E il soprannome affettuoso con cui viene apostrofato è di ImpavidSwan, che mi ha dato il permesso di utilizzarlo. Grazie, Swan! C:
Vi auguro buona lettura!















Capitolo II








[Non è vero che il destino entra alla cieca nella nostra vita.
Io credo che entri dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato.]


Così, dal Settembre precedente, Giorgio s'era ritrovato a crogiolarsi nell'inclemente tempo meteorologico londinese, saggiando sulla pelle tutte le stagioni umide che la capitale inglese poteva offrirgli.
Certo, lavorare in un locale includeva anche conoscere delle persone nuove - soprattutto delle belle ragazze, provenienti da ogni parte del mondo, oh, meno male che i suoi fratelloni avevano aperto un ristorante a Londra, non in un paesino sperduto! -, tuttavia il mestiere del cameriere non era così piacevole come lo avevano sempre dipinto.
Il problema degli inglesi era semplicemente che esigevano cenare alle sei.
E quindi il ristorante apriva alle sei.
... Stupide tradizioni inglesi. Praticamente, loro cenavano quando lui si stava ancora preparando la merenda pomeridiana!
Da un lato capiva perfettamente l'esigenza di Feliciano e Lovino di seguire una tabella di marcia adattata al luogo; dall'altro, a ogni cliente che spingeva la porta d'ingresso, malediceva l'essere stato assunto come cameriere a tempo pieno dai suoi fratelloni.
E, ovviamente, il suo punto interrogativo preferito sembrava essere abituato a cenare a orari improponibili. Come se avesse avuto un orologio biologico collegato al cervello, la donna si presentava ogni lunedì e giovedì sera alle sei in punto.
Guarda caso, quella sera - o pomeriggio, anche se dipendeva molto dai punti di vista - si trattava proprio di un giovedì.
«Bentornata, signorina~» Disse, con un sorriso, all'affezionata cliente che aveva mosso appena un passo nel locale.
Kristina rispose al saluto con un cenno, seguendo in silenzio il cameriere fino al proprio tavolo - praticamente, il posto che Giorgio le riservava due volte alla settimana.
Senza preoccuparsi né scomporsi - in fondo, lavorava alle Due Italie da tre estati, un autunno e un inverno, e s'era abituato alle risposte poco socievoli della svedese -, le indicò come sempre la sedia, la fece accomodare, le porse il menu, infine sfilò dal gilet il taccuino per prendere l'ordine.
«Mi dica, cosa preferisce, questa sera?»
La sua interlocutrice lesse con attenzione la lista dei cibi, quindi alzò lo sguardo sul ragazzo. «Una Diavola.»
Eh, però. Forse era stato il suo accento, ma sentir pronunciare "Diavola" in quel modo ispirava più minacce che altro. Le era già capitato di scegliere quella pizza, a quanto Giorgio ricordava, ma non gli era mai sembrata particolarmente di pessimo umore come quella sera.
«Da bere?»
«Il solito.»
A volte, Giorgio scriveva davvero "Il sol--" prima di correggersi. Non che lo facesse apposta, però era talmente concentrato su altri pensieri che scriveva quello che sentiva, senza preoccuparsi di riformularlo. «Certo, signorina!» Disse, malgrado tutto, con un bel sorriso.
Voltatosi, lanciò un'occhiata all'ingresso, ma nessun altro cliente s'era presentato.
Quindi entrò nelle cucine, e lì gridò un «Una Diavola, Lovi!», prima di tornare al bancone per preparare la pinta di birra. Spuntò un sorriso, sulle sue labbra, al pensare che "Il solito" si trattava di un boccale di Menabrea.
Infine, ragionato su questi argomenti del tutto irrilevanti, prese un vassoio e si voltò verso i tavoli, con l'intento innocente di servirle il solito.
Cavoli.
... Aveva già detto di odiare gli inglesi e la loro mania di cenare al pomeriggio, vero?
Per aprire le danze serali, si erano presentati al locale il rolla-tulipani - come Lovino aveva definito Cedric -, la sua adorabile sorellina, e un ragazzino, che doveva avere forse tredici anni.
«Goedenavond.»
«Buonasera a voi~!» Rispose Giorgio, con il sorriso meno tirato che riuscì a stendere - in fondo, quell'omone non lo metteva esattamente a proprio agio. Tese la mano, indicando loro un tavolo vuoto a pochi metri dal bancone, e quelli seguirono la direzione indicatagli, sistemando giacche e cappelli sull'appendiabiti proprio accanto al loro posto. Volato dietro al bancone per recuperare tre menu, si ripresentò a loro con un altro sorriso.
«Io voglio la pizza!»
«Sì, Peter, ma scegli quale vuoi!» Rise, Audrey, sfogliando la lista dei cibi. Spostò la sedia, avvicinandosi al bambino. «Ecco, guarda qui!»
Peter, con gli occhietti vispi e luminosi, si lanciò sul menu, leggendo di fretta nomi e ingredienti. Sembrava incapace di rimanere fermo un solo secondo, e di certo questa era la causa delle occhiatacce che Cedric continuava a rivolgere al bambino.
«Avete scelto?» Domandò infine Giorgio, sfilando dalla tasca del gilet la penna e il bloc notes.
«... Quattro formaggi.» Rispose l'uomo.
«Americana!»
«Segnato~!» Era divertito da tutta l'allegria sprigionata dal ragazzino. «E lei, signorina?»
Si guadagnò uno scocco innervosito di Cedric, ma entrambi sapevano che poteva essere considerato come una pura forma di cortesia, e che quindi il cliente non avrebbe potuto spedirlo a contare le stelle del cielo così presto, senza alcun motivo apparente.
«... Il cameriere, ovviamente~!» E che sorriso felino, che aveva Audrey nel pronunciare la propria ordinazione!
In compenso, Cedric sembrava essere saltato in aria sul posto, in silenzio. Incredibile la compostezza con cui la vena parve esplodergli sulla fronte, proprio vicino alla cicatrice.
Quando il momento si stiracchiò fino a raggiungere la massima tensione, quasi fosse lo spannung di una piccola breve storia - con tanto di morale: mai avvicinarsi alla famiglia composta dal rolla-tulipani e dalla ragazza del proprio fratello maggiore -, la belga addolcì il sorriso, esclamando qualcosa come «Fratellone, non preoccuparti, era uno scherzo!», per poi ridere, amabile, e ordinare una pizza Quattro Stagioni.
... Ah, Lovino era stato fortunato, in fatto di fidanzate.
«Allora una Quattro Formaggi, un'Americana e una Quattro Stagioni, giusto? Da bere?» Lanciò un'occhiata alla svedese, ancora in attesa della propria cena, quando si ricordò che la fortuna, in qualche modo, andrebbe anche incentivata a ricoprirlo di auguri e speranze. Annuì quando i tre risposero «Sì» - chi con più gioia, chi con uno sguardo terrificante - ed elencarono le bibite, quindi scomparve nelle cucine, a comunicare le tre nuove ordinazioni.
Vide Lovino armeggiare con la pala per le pizze, quindi Feliciano avvicinarsi al fratello con un piatto in mano. Nel giro di dieci secondi si ritrovò sbattuto fuori dalla cucina con la pietanza bollente tra le mani.


«Piz-za! Piz-za!»
«Taci, marmocchio.»
«Dai, Ced, non essere così severo! Peter non sta facendo nulla di male!»
«È sotto la mia responsabilità, oggi.»
«Ehi, Audrey, la pizza!»
«Sì, Peter, adesso arriva!» Rispose la giovane, con un sorriso dolce.
«Sta' buono, marmocchio.» Cedric prese il ragazzino per la collottola, come una mamma gatta con il cucciolo indisciplinato.
«Mollami, brutto antipatico!»
«Non mi interessa quello che pensi di me. Potresti combinare guai agitandoti così.»
Le solite. Cedric e Peter che bisticciavano, Audrey che non aveva alcuna intenzione seria di fermarli, e Giorgio che si trovava a dover pure tentare di allontanare quell'armadio a quattro ante dalla sorella, visto che lei e Lovino non si vedevano mai abbastanza - a detta del suo fratellone, ovviamente.
Il tutto mentre portava la Diavola alla loro affezionata cliente.
... Quello che successe subito dopo, beh, Giorgio lo considerò, in seguito, una fortuna nella sfortuna.
Cedric allentò la presa sul bambino, che si divincolò con uno strattone e riprese a saltellare per il locale. Giorgio, ovviamente, si trovò in rotta di collisione con Peter quando ormai lo scontro era inevitabile.
Le ricostruzioni della dinamica dell'evento sono tuttora discordanti: Peter disse che un eroe in grembiule e cappello da chef si tuffò, incurante del pericolo, per mettere in salvo la pizza sul proprio scudo di porcellana; Cedric spiegò di aver visto un idiota in abiti da cuoco lanciarsi da una parte all'altra del salone con un piatto in mano, nel tentativo di salvare la pietanza; Audrey squillò in uno sguardo ammirato guardando il fratello di Lovino protendersi a prendere la pizza finita per aria; Kristina si portò una mano sulla fronte, esasperata, mentre la sua pizza volava vicino al lampadario e uno dei cuochi saltava in avanti per recuperarla; Giorgio emise un «Ahia!» più di spavento che di dolore, mentre gli scivolavano dalle mani sia la pizza che il contenitore di questa; Feliciano, spinto dal proprio spirito italiano, flesse le gambe e prese un piatto dal bancone, buttandosi al salvataggio della cena.
... Probabilmente, il fatto che Feliciano avesse gridato prima «Ve', Giorgio, Lovi chiede se riesci a chiamare Audrey in cuci--» e poi un «Geronimo!» passò del tutto inosservato.
Tuttavia, la realtà dei fatti fu semplicemente la seguente.
Feliciano si era sporto dalla porta della cucina, chiedendo a Giorgio se sarebbe stato in grado di dividere la ragazza da Cedric perché Lovino potesse parlarle in privato; Audrey si stava guardando attorno, e Giorgio s'immaginò che conoscesse il desiderio degli Italiani di ammodernare il locale; Kristina stava aspettando il proprio pasto osservando la scena; infine il cameriere era inciampato su Peter, che al momento dell'impatto stava saltellando vicino al tavolo, contento perché a breve avrebbe mangiato la pizza, ed era controllato a vista - ma non con sufficiente attenzione - da Cedric.
Con un balzo degno di un puma, Feliciano aveva preso il primo piatto che gli era capitato sotto mano e s'era lanciato per cercare di salvare la sventurata sorte di quella Diavola.

... In ogni caso, avrebbe dovuto modificare la morale della piccola storia vissuta pochi minuti prima: mai avvicinarsi alla famiglia composta dal rolla-tulipani e dalla ragazza del proprio fratello maggiore, sopratutto se con loro ci sono anche altre persone di età - cerebrale e non - inferiore.


«... Dicevi, italiano?»
Audrey sorrise, senza preoccuparsi della minaccia del suo fratellone a Feliciano.
«Ehi, ouch--mi fa male!»
«Su, Peter, è solo un graffio, aspetta che cerco qualche cerotto nella borsetta!»
«... Italiano. Sto aspettando delle spiegazioni.»
«U-una Diavola per la signorina!» Disse Feliciano, con le mani tremanti ma con un occhiolino a Kristina, porgendole la pizza - ancora stranamente integra.
Questa si alzò, ringraziandolo, poi aprì la borsa, tolse libri, portafogli e cellulare, li depose sulla sedia, infine arrivò alla trousse e ne estrasse dei cerotti.
«Mh.»
Audrey accettò con un sorriso i medicinali adesivi che l'altra donna le aveva offerto per sistemare le ferite di Peter.
Infine, Kristina si avvicinò al cameriere contuso, gli prese il polso e cominciò a medicare i graffi sulla sua mano destra.
«Non ne ho bisogno, grazie.»
Ma a poco - o nulla - valsero le proteste di Giorgio: benché non fossero ferite gravi, evidentemente doveva aver risvegliato il lato materno del punto interrogativo.
Uno sbuffo.
«... Che diavolo avete combinato?»
Ah, ci mancava Lovino, per cominciare bene la serata di lavoro!
E, tanto per aggiungere sale alle già diverse ferite aperte, le campanelle dell'ingresso squillarono.
... Quante volte aveva già maledetto quella stupida abitudine inglese di cenare alle sei, belin?!
A malincuore - in fondo, non era spiacevole osservare da vicino due crocerossine improvvisate all'opera, anche se le dita di Kristina erano fredde -, Giorgio si alzò da terra, sprimacciandosi la tenuta da lavoro, e si preparò ad accogliere i nuovi clienti. Nel frattempo, Peter era stato medicato e strigliato da sorella e fratello, Feliciano si era scusato per il disagio e Lovino era misteriosamente scomparso nelle cucine.
Infine, voltandosi per ringraziare la donna, Giorgio notò di sbieco i titoli dei volumi che Kristina aveva appoggiato sulla propria sedia.
Erano libri di interior design - così recitava la costa di uno di essi, in un linguaggio a lui comprensibile, quantomeno.
Un momento... Interior design doveva corrispondere più o meno a qualcosa come un arredatore di interni, no?
I neuroni di Giorgio ripresero a lavorare dopo la favolosa scivolata in presenza del suo punto interrogativo preferito. Sorrise, accogliendo i nuovi clienti all'interno del salone.
Eccola, la fortuna nella sfortuna. Sarebbe riuscito ad avvicinare Kristina per un motivo ragionevole, e lavorando di nascosto alla sistemazione del locale, forse sarebbe riuscito a guadagnarsi un posto sull'insegna del ristorante.
La Terza Italia sarebbe stata riconosciuta presto, sì!


«Mi scusi, signorina~»
«Mi dica.»
Dovevano essere le sette meno venti, all'incirca. Cedric e Peter stavano ancora bisticciando a modo loro per il sorbetto al limone, mentre Audrey si complimentava con Feliciano - e indirettamente anche con Lovino, che stava preparando una pizza in cucina - per la cena.
«Avrei bisogno del suo aiuto.»
Kristina, a quella richiesta, sistemò il tovagliolo accanto alla coppa di gelato che aveva consumato. «Per quale motivo?»
Giorgio le fece l'occhiolino, poi un sorriso. «Si tratta di consigli d'arredamento.»
Sembrava poco convinta, a dire il vero. Quindi il cameriere le porse il conto, piegando la schiena perché il contatto tra i loro sguardi fosse una linea immaginaria parallela al terreno. Parlò sottovoce, per evitare che Feliciano o Lovino lo sentissero. «Ma vorrei poterne discutere in privato, se non le dispiace.»
La donna parve rifletterci un minuto, mentre cercava la carta di credito. Forse stava pensando che ascoltare le richieste del cameriere di un locale per cui era un'affezionata cliente non voleva dire aver stretto un patto. «Nej, non mi dispiace.» Rispose, firmando lo scontrino.
E tuttavia a Giorgio quella firma parve siglare il loro accordo, e non un abitudinario pezzetto di carta.





















Note Varie:
«Non è vero che il destino entra alla cieca nella nostra vita. Io credo che entri dalla porta che noi stessi gli abbiamo spalancato.» Citazione di Giorgio Gaber.













Note Autrice:
Eccomi qui per questo secondo capitolo!
In questi giorni, tra quello che è successo a livello nazionale e a livello personale - scolasticamente parlando -, spero che questo secondo capitolo sia riuscito a strapparvi un sorriso. Anche soltanto uno, sappiate che in quel caso mi avrete reso un'idiota felice.
Ringrazio
Clod Shikinami_88 per aver recensito, le tue parole mi hanno spronato a continuare! Così come sono lieta di sapere che Neme-chwan l'ha inserita tra le preferite, e che Swan, Kie, Clod Shikinami_88 e hiromi_chan l'hanno messa tra le seguite. Grazie.
Ecco, vi lascio, con la speranza di riuscire ad aggiornare regolarmente anche il prossimo lunedì. E con un piccolo spam, sì.

Alla prossima!
claws_Jo

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Capitolo 3
*** Capitolo III ***








Capitolo III








[Quando sarò capace di amare, vorrò una donna che ci sia davvero,
che non affolli la mia esistenza, ma non mi stia lontana neanche col pensiero.]


Un'altra giornata di lavoro era terminata; la luce si era raggomitolata all'orizzonte, come un bimbo sotto le coperte, già da alcune ore, lasciando spazio - e tempo - a delle stelle impossibili da contemplare, a causa delle luci che infestavano la metropoli.
Giorgio s'era ritirato nella propria stanza al termine del proprio servizio, stravolto da quel salvataggio a dir poco fuori programma.
I due fratelli maggiori, invece, si erano ritrovati a lucidare gli ultimi mestoli - o meglio, Lovino stava maledicendo Feliciano per essere andato "a portarti una sorpresa!"
Tch, la sorpresa l'aveva ricevuta, ma non era quella che si aspettava! Non ne perdeva una per evitare il lavoro sporco, accidenti!
E proprio mentre stava pensando che il giorno dopo gli avrebbe fatto apparecchiare tutti i tavoli da solo, Feliciano ricomparve, sventolando davanti al viso del fratello maggiore un foglio dattiloscritto. «Lovi, Lovi, guarda! Eccola qua, la sorpresa!»
Lovino, innervosito dall'impossibilità di leggere perché quel povero pezzo di carta era sbattuto qua e là, glielo strappò di mano e cominciò a dargli un'occhiata. «Di che parla?» Chiese, un po' seccato.
«Potremmo prendere due piccioni con una fava, fratellone!» Appoggiò un dito sulla prima riga. «Qua si parla di un marchio che certifica la qualità dei ristoranti italiani nel mondo, e per averlo c'è bisogno di personale che conosca la lingua italiana, che venga usato solo olio extravergine di oliva, che il menu sia anche in italiano, e...» Fece scorrere il dito fino a raggiungere il secondo punto della lista di requisiti. «... Che l'arredo abbia il tipico design italiano!»
Finalmente aveva capito dove Feliciano voleva arrivare!
«L'idea non mi dispiace, Feli.»
Il fratello minore sorrise, entusiasta. Il sorriso si smorzò appena quando notò l'aria ghignante di Lovino, che piegò a metà il foglio incriminato.
«... Ma non diciamo niente a Giorgio. Dovrà essere una sorpresa.»


«Vorrei che fosse una sorpresa, per loro.»
«... Vuoi rinnovare l'arredamento del vostro locale senza che i tuoi fratelli ne vengano a conoscenza?»
Giorgio e Kristina, il pomeriggio - o sera, insomma, erano le quattro e dieci, si poteva considerare ancora pomeriggio, no? - seguente, si trovarono faccia a faccia davanti a due coppe di gelato in un bar della periferia londinese da circa una decina di minuti; e tutto quello che la svedese aveva detto, escludendo un «Grazie» quando le avevano portato il dolce, erano state quelle parole.
Era... un po' freddina, ecco.
«Sì, precisamente.»
«... Spero che abbia un piano.»
«Ce l'ho~.» Giorgio si sporse sorridente verso la donna. «Ma lei è disposta ad accettare l'impegno, signorina?»
Kristina appoggiò il cucchiaino sul fondo della coppa, e il tovagliolo accanto ad essa.
«Io cosa ci guadagno?»
... Del ghiaccio sarebbe stato senza dubbio più simpatico.
«Una somma di denaro, signorina~»
«Uhm.»
«E poi un posto d'onore nel locale, se la clientela aumenterà.» A quell'offerta, Kristina parve pensarci un minuto: il ragazzo capì di dover far leva un po' anche sul suo orgoglio. «E Lovino potrebbe pensare a degli sconti permanenti, dopotutto.»
Il chiacchiericcio confuso degli avventori sembrava alleggerire la loro scarna conversazione, come una sorta di cuscino che attutisce gli urti, o una tenda che protegge dai fastidiosi raggi solari del primo mattino.
Non era così male guardarla mentre il resto della gente non si curava di loro.
Dalla tasca della giacca, Giorgio estrasse un foglio di carta che spiegò sul tavolino.
«Il budget?»
«Tutto segnato qui.» Rispose il ragazzo, indicando un foglio allegato alla mappa del locale. «E avrei intenzione di riarredarlo in tipico stile italiano.»
«... Non è il mio forte.»
«L'aiuterò anche in questo.» Sorrise, Giorgio, mentre la donna sembrava tutt'altro che convinta.
«Arredare un intero locale non è facile. E ci vuole tempo.»
«Per questo faccio affidamento su di lei, no?»
«... Uhm. Quanto tempo avremmo?»
«Il meno possibile.»
Kristina sbuffò, appena divertita. In fondo, si prospettava una bella sfida. «Ti farò sapere entro stasera.»
Stava per prendere la borsa, ringraziare educatamente e lasciare il locale dove s'erano ritrovati per discutere del progetto, quando la voce di Giorgio la fece desistere.
«Pensava di venire a cenare al ristorante, per dirmelo? Per insospettire Lovino, che è un carabiniere nato?» Lo domandò con un sorriso, che forse la donna male interpretò.
«Come preferisci.»
«Preferisco lasciarle il mio numero di cellulare, signorina~» E, prendendo bloc notes e penna dalla tasca della giacca, scrisse il numero incriminato, per poi porgere il foglietto a Kristina. «Prego», aggiunse, sorridente.
Ella piegò attentamente la carta - Giorgio si accorse delle unghie corte e curate -, quindi la infilò nella borsa e, dopo aver pagato, si fece accompagnare fino all'esterno del bar da un Giorgio particolarmente soddisfatto.
Era certo che avrebbe accettato. Si trattava di una sfida, considerato il budget non proprio da milionari e uno stile che non conosceva particolarmente - ammettiamolo, tra svedesi e italiani non ci sono soltanto qualche migliaio di chilometri di distanza geografica.


«Sono Kristina. Accetto. Ne riparleremo domani, nello stesso locale, alle quattro in punto.» Recitava lo schermo del telefonino.
Giorgio si rigirò il cellulare tra le mani, con l'aria da vincitore - anche se un vincitore in pigiama.
Camera sua, in casa Vargas, era ridotta a una sorta di piccolo disordinato magazzino di uniformi, giornali e cd, tuttavia il ragazzo sembrava trovarsi perfettamente a proprio agio. Era stato come ricostruire la sua stanza a casa dello zio, a Genova, solo con uno sfondo molto più londinese.
«Ancora sveglio, sei?! Va' a dormire, Giorgio!» Lovino era spuntato da dietro la porta, con indosso un pigiama chiaro e uno sguardo piuttosto seccato. «Guarda che se in due minuti non stai dormendo, domani ti faccio lavare a mano le tovaglie!»
«Belin, che pizza!» Sbuffò l'altro.
«Quella che Feliciano ha salvato ieri sera era una vera pizza, a confronto di quella che dici di sorbire tu!»
Giorgio si buttò supino sul lenzuolo, abbandonando il telefonino sul comodino accanto al letto. «Va bene, va bene, fratello!» Sospirò, massaggiandosi la fronte.
La giornata seguente si prospettava interessante. Tanto che Lovino si lamentò tutta la notte dell'insonnia di Giorgio e del suo continuo armeggiare col telefonino.
Se solo Lovino fosse entrato nella sua testa, si sarebbe accorto di come un punto interrogativo potesse produrre una melodia tanto piacevole tra un neurone e l'altro.


Kristina appoggiò la tazza di the sul tavolino accanto al divano, dove sonnecchiava anche il cellulare - abbandonato lì solo alcuni minuti prima per inviare il messaggio al cameriere.
Era difficile considerarlo in qualche altro modo, al momento. Tutto sommato, la sua presenza era stata parte delle sue abitudini, visto che da alcuni anni, ormai, Giorgio era il cameriere di uno dei suoi ristoranti preferiti.
Ma proprio perché era un'abitudine vederlo nel locale, non ci faceva quasi nemmeno caso - se non in momenti come quello della sera precedente, ora chiamato «Il salvataggio della Diavola».
Però doveva ammettere che aveva una qual certa costanza, nel sorridere. E che doveva sorridere da una vita, visto come pareva semplice, per lui, arricciare le labbra a persone che non conosceva particolarmente bene.
Si ritrovò a credere che i suoi fratelli dovevano aver visto - e vissuto - anche dei sorrisi più dolci, intimi, amabili.
Non riusciva a capire se si trattasse davvero di invidia.
Lanciò uno sguardo all'enorme scaffale che si trovava di fronte a lei. Là sopra, forse, conservava ancora qualche libro di arredamento italiano, proveniente da chissà quale libreria o biblioteca.
Si alzò dal divano, raggiunse il mobiletto. In punta di piedi, cominciò a leggere i titoli dei libri; solo dopo una decina di volumi, lo sguardo si fermò su un libro di arredamento greco e italiano - la copertina mostrava un borgo ellenico, e uno invece della Puglia, talmente simili da risultare come due fratelli gemelli -, che forse le sarebbe tornato utile. Lo prese, cominciò a sfogliarlo, tornando al suo comodo divano.
Le dava fastidio saperne così poco, ma al contempo la stimolava.
... Le sfide sono fatte per essere vinte, no?


Controllò l'orario sullo schermo del telefonino ancora una volta.
Mancavano due minuti alle quattro - e poco più di un'ora e mezza al suo obbligatorio rientro al ristorante, per non ricevere una strigliata da Lovino.
Oh, eccola. Sempre con i suoi passi lunghi - che si poteva permettere, con quei dieci centimetri che li divideva! -, il soprabito blu cobalto e il basco che la identificavano come il punto interrogativo.
«Buon pomeriggio~» Disse Giorgio, con il primo sorriso del pomeriggio.
«A te.» Rispose la donna, rivolgendosi poi all'interno del locale.
Lui, seguendola, non si stupì di vederla ordinare un'abbondante coppa di gelato - ormai conosceva i suoi gusti, da bravo cameriere qual era - e gustarsela in un sacrosanto silenzio.
Il silenzio della pausa merenda, così lo chiamava Giorgio.
Rimase in attesa. Mai disturbare una donna che è potenzialmente preparata a lanciarti addosso qualsiasi cosa, soprattutto se la sostanza in questione macchia l'unica camicia ancora più o meno bianca che rimane o se in breve tempo ci si deve presentare in ufficio.
Non che da Kristina si aspettasse un qualsiasi attacco diretto, ma si sa, le donne non parlano mai delle loro cose, e allora è sempre consigliabile lasciare che guidino la conversazione, senza però diventare loro succubi.
Eh, le donne, le donne...! Chi capisce anche un solo loro movimento, può ritenersi fortunato!
«Ho preparato una lista di possibili stili per il locale.» Disse Kristina, una volta terminata la propria coppa di gelato, dopo aver estratto dalla borsa un libro - quello della sera precedente - e la mappa del locale, che il giorno prima le era stata consegnata dallo stesso Giorgio.
Questi annuì fermamente con un movimento della testa, quindi si sporse sul tavolino, per osservare le sue novità. Non gli dispiaceva essere il cliente, ogni tanto, e immaginare di avere un appuntamento di piacere, non di dovere.
... Chissà dove si trovava, quel sottile filo che divideva l'obbligo dal diletto, in quel progetto che prendeva forma su un foglio di carta!
Sollevò dal tavolo il suddetto, spostando la sua attenzione da Kristina ad esso - forse con un po' di disappunto, che tuttavia tenne per sè.
La lista presentava due generali stili d'interni: nel primo caso, si parlava di un arredamento dalle linee precise, praticamente rigide, basato principalmente sul contrasto tra crema, beige e toni scuri, marroni o neri.
«Si tratta dell'azienda Armani.» Spiegò, in breve - forse fin troppo -, Kristina.
Non che la capacità di sintetizzare e riassumere fosse un male, ma non ci si dovrebbe mai trovare a uno dei due estremi...!
Anche se, a dirla tutta, si sarebbe più stupito se avesse aggiunto altro al discorso, eh.
Questo "stile Armani" non gli dispiaceva, tutto considerato: gli dava una sensazione di profumata raffinatezza.
Gli saltò in mente Lovino.
... Lovino.
Pff.
Ok, Armani era depennato. L'altro era la sua unica soluzione.
Quindi spostò lo sguardo sul secondo tipo d'interni.
«... Un po' più rustico.» Ammise la svedese. «E forse un po' più stereotipato.»
Ma Giorgio s'era convinto di un misero dettaglio: aveva provato a immaginare un ristorante di classe, su toni contrastanti, con della musica in sottofondo ad abbracciare mordibidamente il locale.
E poi delle voci rimbombare nelle cucine, con Lovino che sbraitava e Feliciano che cercava invano di dargli una mano.
Non poteva funzionare.
Invece, con la seconda scelta, la musica avrebbe forse mascherato qualche improperio. E, se come sempre Lovino l'avesse masticato in dialetto, forse l'avrebbe reso anche più verosimile al pubblico.
La ruota di scorta cominciava a piacergli. Sorrise, convinto della propria decisione. «Il rustico rimane sempre molto più apprezzato di un locale troppo chic.»
Senza contare che sarebbe costato anche molto di più - ma si premurò di non commentare oltre.
«Aggiudicato, allora.»
Kristina si esibì in un minuscolo sorriso di approvazione.
... Un attimo.
Per la miseria.
Com'è che aveva sorriso?
Non che a Giorgio dispiacesse, tutt'altro - anzi, le pieghe del viso sembravano addolcire lo sguardo serio come l'acqua sembra più dolce dopo aver patito la sete -, però era una sorta di evento mistico, dal suo punto di vista.
Ah, sì, cominciava a credere che la sua idea di coinvolgerla in questa follia era stata geniale.
«Quando saresti disponibile a raggiungermi nel mio studio?»
Oh, San Martino, grazie!
«Anche da domani, signorina~» Rispose Giorgio. «Il martedì il locale è chiuso, quindi una volta alla settimana posso rimanere fino a sera inoltrata, ma per il resto preferirei evitare gli orari che vanno dalle cinque del pomeriggio alle due di notte.»
Dal portafogli, Kristina estrasse un pezzetto di carta, su cui scrisse un indirizzo, e lo porse al ragazzo. «Non sottrarrò altro tempo dal tuo lavoro.»
Che era una maniera educata per dire Ho intenzione di andarmene, e ti consiglio di fare altrettanto.


Si rigirò il rigido foglietto recante l'indirizzo dello studio tra le dita, come un bambino osserva, curioso, un regalino ancora impacchettato.
Gli parve quasi che la carta potesse ramificarsi nelle mani di Kristina, e che potesse accarezzarle, o solo sfiorarle.
... Ah, ma l'avrebbe reso realtà, questo sogno.
 















Note Autrice:
Scusatemi per il ritardo assurdo! D:
Settimana scorsa, in pratica, la scuola m'ha costretto a segregarmi in casa, e non sono riuscita a scrivere.
Non ho molto da dire, se non che non essendo un'esperta di arredamenti d'interni (anche se mi sto acculturando xD), alcuni termini potrei non utilizzarli. Insomma, non andrò nello specifico di alcuni dettagli, ecco. C:
La citazione viene da "Quando sarò capace d'amare", di Giorgio Gaber.
Spero che vi sia piaciuto, e che non abbiate voglia di linciarmi nel capire che sarà un po' più lunga di quattro capitoli. Mea culpa! *Ma si sta divertendo troppo.*
Ringrazio Clod Shikinami_88 per le sue parole, e le persone fantastiche che stanno seguendo questa storia. Grazie per il vostro sostegno.
Spammo un po', che non fa mai male. :D
E ricordo che questa storia è uno spin-off da Silence, di _Chiaki. Vi consiglio davvero di leggerla. -w-

Alla prossima settimana, un abbraccio! C:
claws_Jo

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