FlashBack

di TwinStar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Fermaglio 1. Remus ***
Capitolo 2: *** Il Fermaglio 2. Sirius ***
Capitolo 3: *** Il Fermaglio 3. Remus ***



Capitolo 1
*** Il Fermaglio 1. Remus ***


Nuova pagina 1

FLASHBACK

 

A spese di chi vive la gente nei ricordi degli altri?

(Stanislaw J. Lec)

 

Il Fermaglio 1. Remus

Remus si chiede cosa ci facciano lui e Sirius in quella camera, con tutta Grimmauld Place da disinfestare.

Lì dentro non c’è niente.

Solo tanta polvere, un po’ di sporco, qualche oggetto innocuo e una macchia d’umido scura accanto alla finestra.

Niente maledizioni scagliate sulla porta, nessun artificio magico o anatemi, nessuna bestia bizzarra acquattata nell’ombra.

Neanche un Molliccio nascosto nell’armadio.

Eppure è lì che Sirius l’ha trascinato quel pomeriggio.

E’ entrato nel salotto incedendo con quel suo passo incerto e ciondolante, del tutto disinteressato ai Doxy impazziti che gli svolazzavano attorno. Ha percorso a lunghe falcate la distanza che lo separa dalle tende e scansando con svogliata disinvoltura una di quelle bestioline velenose sortita dalle pieghe del tessuto unto l’ha afferrato per un braccio facendogli cadere miseramente di mano il Doxicida che stringeva tra le dita. L’ampolla si è infranta al suolo rovesciando il suo contenuto su un tappeto dall’aria decisamente costosa nel più totale disinteresse del proprietario: si è tirato dietro un peso recalcitrante con una facilità che irritava, fuori dalla stanza, su per le scale di pietra, lungo corridoi stretti e lugubri, di sopra, al secondo piano.

In una stanza che era sempre stata chiusa a chiave.

A nulla erano valse intimazioni varie e richieste di chiarezza.

L’Animagus l’aveva spinto dentro con uno strattone per seguirlo, rapido, chiudendosi poi la porta alle spalle.

Remus si è ritrovato in una stanza da letto piccola e piuttosto spoglia. Un letto, un basso scrittoio scuro, una cassettiera, un armadio, una libreria. Il necessario. Poco altro a dare carattere all’ambiente, ma proprio questo la rende peculiare in una casa in cui è l’eccesso, l’ostentazione a farla da padrone. Azzarda qualche passo in avanti, prendendosi il suo tempo per osservare con curiosità intenerita.

Potrebbe anche essere la sua camera, pensa carezzando con un moto che sa di lascivo il vecchio intonaco cadente che sotto la pressione morbida dei polpastrelli si sfarina sbriciolandosi al suolo in un velato biancore. Si pulisce rapido le dita sul tabarro logoro per un riflesso incondizionato.

Non sopporta lo sporco addosso.

Si sente già troppo sudicio nell'animo.

Sirius resta poggiato alla porta e lo guata critico.

Remus prova ad ignorarlo, ci prova davvero, ma se li sente dentro quegli occhi chiari spalancati all’inverosimile che conferiscono a quel viso già pallido e inquietante un’aria di perpetua, atterrita follia. Quelle labbra tese, socchiuse a scoperchiare i denti con quei canini ridicolmente lunghi (e dovrebbe essere lui la bestia oscura!), e una punta di lingua a stuzzicare nervosa il labbro inferiore, gli si imprimono vive sulla pelle. Le lunghe dita troppo magre e nocchiute artigliano nervose la maniglia della porta come se volessero spezzarla. E’ stato lui ad imprigionarlo lì, eppure sembra quello in trappola.

Remus fa un paio di passi all’indietro in direzione del letto: con calma, silenzioso come sempre, facendo attenzione a sollevare quanta meno polvere possibile, si siede sul bordo, il materasso nudo geme sotto il suo peso. Tiene lo sguardo fisso al lampadario che ondeggia pigro in una nuvola di pulviscolo svelato da un raggio di flebile sole e le mani scomposte in grembo, inutili e immote come sempre nei momenti in cui non trovano una vera occupazione.

Sa che Sirius potrebbe restare lì per sempre a fissarlo come un idiota, perché lui non ha niente di meglio da fare durante la giornata, e solo per questo si decide a parlare accantonando la proverbiale cautela. Vorrebbe essere gentile e paziente, prendersi tutto il tempo del mondo, ma Sirius è una persona adulta e quei suoi scatti infantili lo irritano, e tutto quello che la sua bocca produce è un ringhio spazientito e lugubre.

“Sirius, si può sapere che succede?”

Si stupisce di vedere quelle labbra pallide piegate in un sorriso storto, e non può fare a meno di pensare a quanto tutto sembri sbagliato.

“Oggi buttiamo via tutta questa robaccia.”, sentenzia esaltato.

 

 

Remus fissò il bambino senza parlare.

Pigiato contro il muro, a braccia conserte, osservò quella figura voltata di spalle che aveva di fronte, chinato davanti al grosso baule di foggia antica con su impresso uno stemma spocchioso d’argento luccicante: stava per terra, malamente accoccolato sulla pietra a far leva sulle piante dei piedi in un ipnotico e incostante oscillamento avanti e indietro. Canticchiava una nenia indefinita.

Stonato come una campana.

Sembrava convinto d’esser solo nella stanza.

“Irritante”, pensò il licantropo, mentre le labbra gli si congelavano in una smorfia esausta e stomacata che rifletteva a meraviglia il suo stato del momento.

Si sentiva sempre così a seguito di una luna piena. Non tanto per il dolore fisico cui ormai era avvezzo, quanto per una spossatezza mentale che ogni mese lo avviliva. Quando la coscienza umana si faceva strada a morsi e a unghiate col declino della luna contro l’orizzonte si riportava indietro tutte le meschinità umane che celava dentro.

Il lupo era solo istinto e non capiva. Non soffriva.

E non faceva paura.

Era l’uomo che si nascondeva tra le pieghe del licantropo che aveva imparato a temere e  tenere a bada. Era quello che cercava di strapparsi via dall’anima sotto gli occhi vuoti di una fredda palla d’argento.

Sospirò infastidito da quelle stupide elucubrazioni.

Era la stanchezza a produrle.

Solo grazie al pensiero che una volta giunto a destinazione avrebbe potuto godersi un lungo e meritato riposo era riuscito a trascinarsi dall’infermeria, dove era rimasto appena il tempo di guarire dalle ferite fisiche (l’odore di quel posto lo infiacchiva), lungo scale e corridoi gremiti di gente, forzando le membra a trascinarsi un passo dopo l’altro in una parvenza di normalità, affinché nessuno notasse il suo stato.

Perché nessuno vedesse l’uomo che si dibatteva annaspando dietro il licantropo.

Arrivato all’uscio del dormitorio aveva dato ormai fondo a tutte le proprie forze. Non era nemmeno riuscito a sollevare la mano per premere la maniglia di ferro arrugginito, ma aveva appoggiato il peso della spalla sulla porta facendo leva, nella speranza che bastasse. Quando era riuscito tanto facilmente nell’impresa, trovandola accostata, avrebbe dovuto intuire che non sarebbe stato così semplice.

Credeva che sarebbe stato solo.

Era rimasto deluso.

C’erano pochi passi a separarlo dall’agognato giaciglio.

Pochi passi e un qualche migliaio di oggetti di varia natura disseminati sulla pietra. Vestiti, fogli di pergamena di prima qualità, oggetti di varie forme e dimensioni dall’aria antica e preziosa, libri di scuola nuovi di pacca avevano preso possesso dello spazio come fossero dotati di vita propria..

“Non dovresti essere a lezione?” chiese Remus acidulo.

“E tu?”, replicò l’altro a sua volta, nell’intermezzo di quel seccante salmodio infantile: ingenuamente, senza malizia, tutto intento a soppesare allegro un capo di vestiario con aria critica prima di gettarlo con un moto tra lo stizzito e l’annoiato da qualche parte indefinita alle sue spalle, sul pavimento.

A poca distanza da lui.

Il bambino continuava a volgergli contro la nuca corvina senza degnarlo di uno sguardo. Non si era stupito nemmeno un po’ di quelle parole. Sapeva che era lì e l’aveva sempre saputo. Molto semplicemente lo ignorava non reputandolo un soggetto degno d’attenzione, e se la cosa da un lato lo riempiva di gratitudine dall’altro avrebbe bramato d’avere il suo collo sotto le zanne e stringere fino a spremergli dalle vene l’ultima goccia d’indifferenza.

Remus socchiuse le labbra lasciando scoperchiati i denti in una smorfia frustrata che di umano aveva ben poco e decise di cambiare discorso, dal momento che quello li avrebbe portati su una china pericolosa.

“Si può sapere che cavolo stai facendo?”

Merlino, sembrava una poppante isterica con quella vocetta acuta da bambino ad accrescere l’impaziente irritazione che lo infiammava.

L’altro per tutta risposta sollevò la testa e le spalle dal gigantesco baule in cui si era ficcato come fosse un enorme Pensatoio e si era voltato verso di lui, le guance rosse per l’eccitazione e gli occhi chiari luccicanti, e un paio di lunghe fini ciocche corvine gli erano ciondolate pigramente davanti alla faccia conferendogli un’aria idiota.

Remus avrebbe anche riso, in un altro frangente.

“Non si vede?”, sorrise l’altro tirando in alto il labbro superiore e arricciando il naso, lasciando intravedere i denti bianchi e aguzzi dietro una smorfia da bimbo monello. “Mi libero della spazzatura.”

E Remus non aveva saputo come replicare.

Era un mondo troppo lontano dal suo. Spazzatura, l’aveva definita. Una sola delle piume d’oca che giacevano al suolo deturpate dalla pazzia di una mano infantile, o una mera libbra dell’inchiostro dorato riversato su qualche candida camiciola, valeva più di tutti i vestiti che aveva nel suo bagaglio.

Lui non era ricco e non gl’importava.

In fondo era colpa sua e del suo “problema” se i suoi genitori avevano cominciato a riempirsi di debiti nel vano tentativo di cercare una cura. Perché, e non poteva dar loro torto, un figlio così per quanto si sforzasse di essere perfetto proprio non riuscivano ad amarlo. Ma quel ragazzo che non dava il giusto valore a delle cose tanto meravigliose in qualche modo lo indisponeva lo stesso. Piccolo, sporco, patetico figlio di papà.

Con la coda dell’occhio notò la “spazzatura”.

Era un bellissimo, prezioso mantello.

Nero, morbido e caldo.

Gli sfiorava i piedi.

Un imperdonabile spreco.

Senza che un vero pensiero cosciente gli attraversasse la mente Remus schiacciò il tessuto costoso con la punta della scarpa, furioso, un moto caldo e piacevole d’orgoglioso godimento ad invadergli i sensi nel sentire la stoffa nera coi ricchi ricami d’argento e smeraldo a scricchiolargli e gemere sotto la sua suola di finto cuoio.

Aveva continuato a fissarlo con sfida mentre lo faceva, perché reagisse a quello che voleva essere un atto di massimo spregio. Voleva vedere quel viso indifferente contrarsi in una smorfia di rabbia.

Voleva battersi. Magari mordere e graffiare.

Ma l’altro non volle dare neppure quella soddisfazione.

Semplicemente rise scuotendo la testa in un moto di pietosa tenerezza.

“Peccato che non piaccia neanche a te, te l’avrei regalato. Ti sarebbe stato bene.”

“Non voglio la tua carità.”, ringhiò di rimando Remus a quel ghigno irritante. “Sono stanco. Voglio solo andare a dormire.”

“Un po’ presto per andare a dormire.”, aveva biascicato Sirius con l’aria di chi malamente sopporta, e solo per educazione, una discussione fattasi improvvisamente tediosa. Non aveva aggiunto altro, né aveva dato l’aria di aver compreso in qualche modo il problema, o che ci si aspettasse qualcosa da lui.

Si era stretto nelle spalle ed era tornato a immergersi nel baule quasi vuoto.

Remus non potette far niente a parte aspettare. Certo, avrebbe potuto andare in Sala Comune, stendersi sul divano fino all’ora di cena. Non sarebbe stata la situazione ottimale, ma meglio che niente.

Eppure i piedi si rifiutavano di muoversi.

Era come assistere a qualcosa di importante.

La disperazione con cui quegli oggetti volavano da tutte le parti della stanza sotto la furia delle sue bracciate violente al ritmo di quel canto frenetico era quasi ipnotica, al punto che accolse quasi come una cosa inevitabile il moto parabolico di un pezzo di cioccolata mezza sciolta che precipitò in picchiata contro la federa del suo povero cuscino. Sperò che qualche elfo domestico di buon cuore avrebbe sistemato le cose prima dell’ora di andare a dormire, ma la fortuna non l’aveva mai particolarmente arriso.

L’altro nel frattempo arrestò di botto quell’affannosa opera di pulizia di fronte ad un paio di calzini neri (come quasi tutto quello che indossava) appallottolati in malo modo. Li soppesò con calma tra le dita, srotolandoli con una cura che mai si sarebbe detta appartenere a una persona tanto grossolana. Ne estrasse fuori uno specchietto col bordo di legno, di quelli piccoli e rotondi usati dalle donne per sistemarsi il trucco.

Misero, anonimo, neanche molto bello.

Anzi, decisamente orrendo.

Eppure quello stesso ragazzo che aveva trattato come roba da rigattiere ricchi oggetti e capi di vestiario stringeva tra la punta delle dita quell’oggetto, come fosse fatto d’ali di farfalla. Rimase a rimirarlo per una lunga frazione d’istante prima di ficcarselo malamente nella tasca posteriore dei pantaloni, la tenerezza di poc’anzi totalmente accantonata.

“Quello non lo butti, Black?”, aveva ghignato sarcastico il licantropo facendo incauta mostra dei canini ancora troppo aguzzi a seguito del recente plenilunio.

“No.”, aveva replicato l’altro in un sussurro mogio. “Questo no.”

 

Fermaglio 1. Fine

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Capitolo 2
*** Il Fermaglio 2. Sirius ***


Nuova pagina 1

Qualche piccola nota di inizio fic che ritengo doverosa.

- Questa fic non è quasi completa nel mio pc, la sto scrivendo volta per volta, per cui, complica anche il periodo d'esami, non garantisco un aggiornamento regolare. Faccio quel che posso, so già come svilupparla e cosa fare, e dove voglio arrivare, e questo è già molto, lo assicuro! ^_^ Per cui so già dire che la fic consisterà di nove capitoli (forse 10 se decido che il finale dovrebbe necessitare di una spiegazione ulteriore. Ma non penso) suddivisi in tre trilogie. La prima trilogia, come potete vedere/leggere è Il Fermaglio.

- Potrei cambiare qualcosa all'interno dei capitoli precedenti. Piccole cose, minuzie, ma in quel caso avviserò comunque ad inizio capitolo, per cui non c'è da preoccuparsi, niente panico! XDDD

 

Ringrazio di cuore le persone che mi recensiscono sempre carinamente

TwinStar ^_^

 

FLASHBACK

 

Il fermaglio 2. Sirius

Sirius afferra una manciata di panni da un cassetto circondandoli in malo modo con le braccia e li getta nell’enorme sacco che si è trascinato dietro dal salotto assieme a quell’altro peso morto con le gambe, lasciando che il tessuto e qualche altra cianfrusaglia piovano confusamente a destinazione e sul pavimento circostante, sollevando una pesate nuvola di polvere nevrastenica.

Da sopra la spalla osserva l’altro mentre soppesa un paio di pantaloni che ha prelevato dall’armadio tarlato, e resiste a fatica all’impulso di profondersi in qualche osservazione sarcastica.

Storce le labbra disgustato.

Neanche avesse in mano un mucchio di Galeoni al posto di quello straccio vecchio starebbe così attento.

E’ irritante l’attenzione, cautela quasi materna, con cui li dispiega piano saggiandone l’ottima qualità. Sembra pensare a quanto potrebbero stargli bene, al posto dei vecchi stracci consunti che ha tatuati addosso ormai da tempo immemore.

E’ insopportabile il rumore sordo della stoffa scossa quel tanto che basta a scrollare via l’odore di chiuso; una mossa davvero intelligente, dal momento che serve solo a saturarli del tanfo di polvere e calcinaccio muffito che impregna la catapecchia.

E quando alla fine li vede poggiare nel punto meno lurido del materasso, perché si impregnino di sporcizia il meno possibile suppone, vorrebbe strangolarcelo con quelle stupide brache e nessun tribunale potrebbe mai condannarlo.

Non l’hanno fatto neanche l’ultima volta.

L’hanno gettato al buio come dentro ad un armadio e ce lo hanno dimenticato senza nemmeno saggiare le condizioni del tessuto.

Senza lisciare con le dita le pieghe sgualcite dell’inerzia.

Nemmeno uno scrollo all’aria per strappare l’odore di chiuso e follia.

Sono solo stupidi pantaloni, per Godric!

“Buttali via, dannazione.”, ringhia Sirius alle sue spalle.

Remus si volta di scatto, stupito, le ciocche castane screziate d’argento a dondolargli pigramente davanti agli occhi e alle labbra piegate verso l’alto in quel ghigno ebete da dispensatore di cioccolata. “Ma sono ancora in buono stato…”

La voce si impasta nel palato minacciosa e vibrante d’un fremito febbrile, si mischia all'amaro dolciastro e nauseante del vomito e del liquore, mentre gli occhi grigi lo squadrano folli, scivolandogli addosso lungo il viso mortalmente disteso e pallido, lungo le spalle chine.

In buono stato.

Nemmeno lontanamente paragonabili a quello che erano quando c’era chi poteva indossarli con orgoglio.

Adesso non sono nient’altro che immondizia.

“A differenza di te posso permettermi di comprarne un nuovo paio.”

Quelle parole sembrano sortire l’effetto voluto, anche se ben difficilmente se ne coglie tutta l’essenza dietro quel soffio intriso di rabbia. Il licantropo, dopo lunghi istanti di silenzio in cui pare soppesare una risposta a tono a cui per indole non darà mai voce, spalanca la bocca in un muto sbadiglio per poi richiuderla con un sospiro vinto, l’umiliazione a riverberargli a dispetto della calma apparente in lampi incolleriti tra le ciglia.

Lo vede gettare a malincuore il prezioso capo di vestiario nei rifiuti.

Lui, che ha sempre detestato gli sprechi al punto che a scuola costringeva tutti a scrivere minuscolo per non consumare troppa pergamena.

Si vede che la cosa lo irrita a morte.

Ha fatto bene a portarselo dietro.

E’ divertente farlo arrabbiare.

Lo distrae, anche se dolorosamente.

Sirius si soffia via dal viso, senza successo, una ciocca pesante di capelli neri, poi torna a scrutare distrattamente i cassetti prima di liberarsi del loro contenuto in pochi gesti sbrigativi.

Altra robaccia.

Una vita ridotta a un mucchio di niente.

Sarebbe triste a ben riflettere, ma dal primo istante in cui ha deciso di metter piede in quella stanza Sirius si è imposto di non pensarci.

Nel frattempo Remus, credendo forse di non essere scorto, o forse proprio con la consapevolezza di essere controllato a vista, cerca di salvare qualcosa da quello che senza dubbio ritiene una selvaggia e insana piazza pulita.

Razza di idiota testardo, gli fa passare persino la voglia di fermarlo.

Proprio non riesce a capire perché la gente si ostini a tenere con sé il ciarpame.

Solo in quella stanza c’è tanta di quella roba inutilmente conservata in condizioni più che perfette da poterci riempire dal pavimento al soffitto tutta la casa di Remus, se “casa” si poteva definire quel sordido buco infernale in cui aveva vissuto con lui per qualche mese e che spesso e volentieri gli aveva fatto rimpiangere le condizioni igieniche della sua cella ad Azkaban.

Scuote la testa.

Ricorda Lily, che aveva la mania di ritagliare nelle date importanti della vita di Harry (la nascita, o i primi passi) gli articoli di prima pagina della Gazzetta del Profeta e incollarle sulla parete accanto alla culla.

Non si è mai capito perché lo facesse.

Alla fine la nursery somigliava alla tana di un criceto.

Andromeda aveva conservato i denti da latte di Nymphadora.

Persino James da giovane aveva avuto la stanza piena di roba inutile: quasi non si riusciva a trovare il letto sotto quel mucchio di stendardi, Pluffe e Boccini D’oro incantati a svolazzargli attorno al lampadario. C’erano i vestiti di quand’era piccolo, foto di ogni tipo con la Evans ritratta di nascosto, la vecchia sedia a dondolo di sua nonna. Aveva persino conservato sul comodino, di fianco alla sua lampada foderata di calzini luridi, una riproduzione in gesso da sei chili della sederata che Snivellus aveva dato contro il terreno fangoso il giorno del loro primo scherzo, quando si erano conosciuti.

Accantonando quei pensieri antichi quasi quanto la casa, Sirius si guarda intorno con aria sgradevolmente critica di fronte a tanta insana normalità. L’unica stanza di tutta Grimmauld Place che quello squilibrato di Kreacher abbia tenuto in condizioni umanamente accettabili.

A parte la polvere secolare e le ragnatele agli angoli, più qualche amuleto protettivo nascosto tra le tende o sotto i vestiti, non c’è nulla che non vada; nulla che strisci, morda o maledica. Con un po’ di immaginazione potrebbe essere scambiata per una casa di Babbani.

Sua madre deve aver dato istruzioni ben precise in merito.

Salvare le cianfrusaglie fino alla morte.

Sogghigna mentre un fragile qualcosa dall’aria inutilmente costosa manca il sacco frantumandosi tra le assi.

Salvare i ricordi…

I ricordi.

Stronzate.

I ricordi non sono niente se basta un fruscio di vesti di Dissennatore, un bambino annoiato o un uomo inutile armato di un grosso sacco di plastica e di una pessima mira a farne scempio.

A cancellarseli di dosso.

C’è chi però ne fa una questione vitale.

 

Sirius era sempre stato un ragazzo piuttosto alto e robusto rispetto ai coetanei, per cui non gli era stato difficile buttare a terra quel bimbo mingherlino e infiacchito: l’aveva gettato sul pavimento come un sacco floscio alla prima spinta, senza neanche bisogno di metterci tutta la forza.

Era bastato poco, una pressione del palmo contro la clavicola, e il suo debole avversario era rovinato a terra battendo la testa contro il tappeto il quale, pur prevenendo una brutta ferita che avrebbe messo l’altro nei guai, aveva causato quel provvidenziale stordimento che gli aveva permesso di sederglisi di peso sullo stomaco, con le cosce ben strette ai fianchi e le ginocchia incastrate sotto le ascelle.

La pressione del diaframma che ne era conseguita aveva costretto la vittima a svuotare i polmoni con uno sbuffo doloroso, e l’immissione di aria nuova si era fatta faticosa, in forma di rantoli rauchi. Sirius osservava ridendo il viso sotto di sé cominciare a farsi paonazzo per la mancanza d’ossigeno che ne era derivata, il petto sollevarsi in lunghi ansimi affranti nei quali si intrecciavano imprecazioni strozzate e mugugni frustrati, mentre le mani annaspavano nelle trame del tappeto per farsi leva sui fianchi, in un patetico quanto inutile tentativo di disarcionarlo.

Sirius aveva sedato subito quella piccola ribellione allungando le mani verso i polsi e tirandoli su oltre la testa con una facilità che quasi l’aveva annoiato.

Le dita avevano sapientemente evitato la stoffa del pigiama che, per quanto sottile, avrebbe protetto quella piccola cosa irritante, anche se in parte, e si erano accanite sulla pelle bianca del polso. Senza penetrare la carne con le unghie troppo corte, ma abbastanza da sentirgli le ossa scricchiolare tra le falangi e da causare la rottura di piccoli, innocenti capillari.

Sarebbe rimasto il livido.

Uno in più non avrebbe fatto differenza.

“Dimmi dov’è!”, sibilò l’assalitore stringendo ancora.

L’altro mostrò i denti in una smorfia che avrebbe anche potuto apparire minacciosa se le posizioni fossero state invertite, ma in quel frangente appariva solo disperata.

“No!”, sbottò orgoglioso, e i fianchi diedero una spinta in avanti così forte da sollevarli entrambi per poi farli crollare di nuovo a terra. Sirius fece in modo di spingere più forte sulla pancia nel momento dell’atterraggio, lasciando fuggire all’altro un rantolo strozzato di dolore che gli riempì le labbra di un riso crudelmente soddisfatto.

“Dimmi dove l’hai nascosto e forse ti lascio andare.”

Il ragazzino alla sua mercè strinse le labbra in una linea esangue, con la lingua imprigionata tra i denti serrati a forza, con gli occhi fissi nei suoi glacialmente bigi. Sirius riusciva a scorgere agitarsi dietro le iridi accese il desiderio di urlare, la voglia di schiudere le labbra in uno strillo che avrebbe svegliato tutti.

Allora sarebbero accorsi in suo aiuto.

Li avrebbero separati e Sirius sarebbe stato punito severamente. Ma c’era sempre l’orgoglio, quello stupido orgoglio, a farlo tacere ogni volta: incollava la lingua al palato e serrava la gola, come neanche le sue dita avrebbero potuto fare nel culmine di una collera omicida.

Scosse la testa ingoiando il timore, e ciocche sudate di capelli neri dondolarono su fronte e guance.

“No!”, ripetè più sicuro.

“Te l’ho chiesto gentilmente, Vermicolo!”, ringhiò l’altro perdendo definitivamente la poca pazienza di cui la natura l’aveva fornito. Strinse i polsi nella sola mano sinistra e con l’altra afferrò una manciata corposa di capelli tirando verso l’alto, per poi sbattergli la nuca a terra con violenza tale da rintronarlo.

Una, due, tre volte. Ognuna più forte della precedente.

Poi gli mise il palmo sulla guancia bollente e pigiò forte contro la stuoia schiacciandogli il viso tra la mano e il suolo, a premergli il naso tra la polvere che si annidava nelle trame. L’altro si scosse tutto in preda ad un forte attacco di tosse densa e catarrosa, ma non ottenne altro che d’essere spinto a terra con maggior violenza.

Regulus gli rimbalzava sempre contro la mano.

Era come palleggiare una Pluffa.

Era divertente.

Ma non c’era tempo per giocare.

“Dove hai messo quello stupido specchio?”

La voce venne fuori dura, irata, a dispetto della soddisfazione che l’aveva invaso nell’udire quei pigolii strozzati di dolore vibrargli contro la pelle e le spalle gracili e sottili tremanti di tosse.

L’altro, incredibilmente, aveva teso la pelle umida delle labbra in un sorriso costretto contro la pelle salata dell’altro. “Abbiamo tanti specchi qui.”, aveva sussurrato compiaciuto. “Puoi sistemarti il trucco in quello del bagno.”

Un ringhio feroce, poi un altro colpo, forte, sonoro, rimbombò per tutta la stanza, vibrando lungo pareti spesse e giocattoli, soffiando sulla fiamma tremolante dell’unica candela accesa per poi invischiarsi nel tessuto pesante delle tende socchiuse. Sirius gli lasciò andare il capo e le mani di scatto, con l’orecchio teso a captare ogni rumore sospetto.

Si ritrovò suo malgrado a sospirare vigliaccamente di sollievo.

Nessun rumore.

Niente.

“Non mi hai fatto male.”

Sirius chinò la testa senza piegare il collo, in una smorfia di disgusto che aveva ereditato suo malgrado dalla madre, con il ribrezzo ad inalvearsi nelle pieghe di quella ruga perplessa tra le sopracciglia accartocciate, a tingere la lingua del suo sapore amaro.

Quello stupido, irritante ragazzino continuava a ridacchiare tendendo la bocca umida e sporca di polvere raggrumata in quel ghigno sghembo che lasciava intravedere solo un canino chiazzato di rosso. All’angolo della bocca un rivolo di sangue scivolava denso e lento contro la guancia, impastandosi allo sporco. Gli occhi, grandi e follemente spalancati, lo fissavano quasi divertiti, con l’iride azzurro ghiaccio a tremolargli sotto le ciglia nere, lucida e gonfia.

Le dita recuperavano il consueto biancore, mentre i polsi si andavano già tinteggiando di scuro.

“Non mi hai fatto niente”, ripeté fiero in una cantilena canzonatoria, e il ghigno sul suo viso si allargò.

Sirius non rispose.

Lo imitò in un riso beffardo.

Gli rabbuffò delicatamente la frangia che gli si era incollata alla fronte in una carezza scomposta e ruvidamente affettuosa.

Poi sollevò il pugno nell’aria e glielo abbatté con forza sulla pancia ricavandone un indistinto, buffo gorgoglio: fu con una leggera repulsione che notò il volto sotto di sé raggrinzirsi in una smorfia da anziano, e quella grossa lacrima scivolargli giù da un angolo dell’occhio, spinta da uno strizzare di palpebre.

“Tanto non te lo dico dov’è”, singultava tranquillo.

A giudicare dagli scatti dell’esofago, era sul punto di vomitare.

Non voleva sporcare per terra, così si premurò di non gravargli più sulla pancia.

“E’ solo uno stupido specchio, Regulus, e me lo prenderò comunque, che ti piaccia o no.”, sussurrò scocciato, snocciolando quelle parole antipatiche con un’indifferenza raggelante. “Non vale la pena di farti così male.”

Suo fratello l’aveva fissato con un odio adulto.

“Sudicio Grifondoro.”, aveva sibilato con quella sua lingua da vipera, la voce infantile acuita ulteriormente dal dolore.

Sirius l’aveva colpito ancora.

Con rabbia.

E ancora.

Con gusto.

In faccia, sul petto, e poi ancora sullo stomaco, nel modo migliore per attutire i colpi e non essere udito, mentre Regulus con le mani aveva tentato una flebile difesa.

Aveva smesso subito perché non serviva a niente.

Il fratello era troppo forte, e se si vedeva avversato a quel modo si arrabbiava di più e i colpi diventavano energici al punto da far piangere. Strinse le labbra e represse gli strilli dietro guance paonazze gonfiate allo stremo.

Non c’era pericolo che urlasse per chiamare la mamma e il papà. Era troppo superbo per farsi aiutare da chicchessia. Il giorno dopo, quando sarebbe sceso per la colazione, avrebbe fatto finta di nulla e avrebbe nascosto i lividi viola e blu dietro maglioni pesanti e ai capelli, a costo di farsi sgridare dalla madre per quell’arruffio selvaggio.

“Serpe schifosa!”, latrò il fratello maggiore accanendosi ancora.

Irritato.

E ancora.

Fino a sfiancarsi.

Un pugno inferto al fianco batté contro qualcosa di duro.

Subito la mano arrestò quella gragnola di colpi selvaggi. Scivolò dentro i pantaloni in quel punto, con sicurezza, incurante dalle mani piccole e pallide del fratello che tentavano di scorticarlo e agguantarlo, e dei suoi pigolii strozzati.

Sirius si ritrovò tra le mani l’agognato oggetto. “E’ stato facilissimo.”, sospirò soddisfatto agitandoglielo sotto al naso con fare irrisorio e carezzandogli la guancia gonfia col bordo fresco. “Solo un bamboccio come te poteva nasconderselo nelle mutande.”

Il fratello cercò di allungare una mano per riprenderselo, ma Sirius gliela schiaffeggiò via colpendolo col dorso di legno: saggiati i danni e ripromettendosi di farlo riparare a Diagon Alley l’indomani con la scusa di andare a far rifornimento di robaccia per la scuola, lo ficcò a fondo nella tasca posteriore dell’abito.

Un ghigno di trionfo gli trafisse il viso mentre faceva per sollevarsi sulle gambe infiacchite, sgravando il fratello del suo peso. Poi sollevò l’altro di colpo, tirandolo forte per un braccio, e lo buttò in malo modo sul letto poco distante. Regulus sarebbe stato capace di restare lì a fare la lagna fino al mattino e sarebbero stati guai.

Lì il bambino si era appallottolato stretto, premendo le ginocchia contro il petto indolenzito e nascondendo il viso tra le braccia.

“Che diavolo contavi di fartene?”, ansimò Sirius esausto ignorando i lugubri mugolii che giungevano da maniche di tessuto fine.

La mamma non voleva che usassero quegli aggeggi.

Li aveva dati loro perché, abituati da sempre a stare insieme, non si sentissero soli il primo anno di scuola, ma non appena venuta a conoscenza dell’orribile notizia dello smistamento del suo primogenito nella casa dei traditori del sangue, quello di Regulus era stato sequestrato e nascosto nel cassettone accanto al letto perché il figlio perbene non venisse contagiato da idee svergognate.

Quando poi Sirius, tornato nelle vacanze di natale a sorbirsi attese critiche e biasimi sarcastici solo per recuperarlo e farne un uso migliore, era riuscito ad entrare di nascosto e ad aprire il tiretto, non l’aveva trovato.

“A che ti serviva?”, lo incalzò.

“No… Io…”, gemette il fratello tirando su col naso. “E’ mio.” Regulus aveva fatto rotolare quelle parole tremanti per lo sforzo di non lasciarsi andare al pianto oltre le labbra contratte.

Il petto era scosso da singulti mutoli.

Gli occhi erano chiusi, le ciglia incrostate di pianto asciutto.

“E’ il mio specchio, non voglio che lo dai a quello sporco Babbanofilo…”

 

Il Fermaglio 2. Fine.

 

Rispondo Coscienziosamente e con Infinita Gratitudine alle Recensioni! ^_^

 

Hazel: Acci, e io a sti complimenti come rispondo? Mi imbarazzo e dico cavolate per distrarre tipo "qualcosa nel cervello? Magari larve di mosca"? Volo a tre metri dal suolo? Comincio a tirarmela come se ce l'avessi solo io? Difficile rispondere, per cui mi limito a ringraziarti di tutto cuore per le tue parole. ^_^ So senza dubbio che sono parole sincere, perchè per quanto sono infame io con te (non te ne faccio passare una. Mioddio, fossi al tuo posto mi ucciderei!!! XDDD) non perderesti un'occasione per rifarti (faresti bene! XD), per cui anche i miei sono ringraziamenti sinceri! ^_^

Poi, che dirti? Hai inquadrato alla grande come lavoro io quando scrivo! XD Ho una passione talmente sfegatata per i film e il cinema (dal più trash al più impegnato. Ma per favore niente Fellini o grido! XD) che in effetti quando penso a una scena la vedo in testa e poi la scrivo, per cui PENSO (nel senso che non so, ipotizzo) che sia normale che le impressioni che arrivino siano di questo tipo. Intendiamoci, è normale se uno ci riesce. Se qualcuno lo coglie vuole dire che ci riesco, quindi son contenta! XD Non è un'osservazione che io do per scontata o penso "Tzk! Naturale che la pensi così"! Proprio no! ^.^ Infatti non pare ma sto nascondendo abilmente il virgineo rossore delle gote dietro lo schermo! XD

=._.=

Oddio, ti ho fatto odiare Remus! XD Suppongo che dovrei sentirmi in colpa, e in effetti un po' in colpa mi sento, perchè ti dico la verità, questo Remus a me piace un sacco. Intendiamoci, è come hai detto tu, Remus (nella fic non obiettivamente! XD). E' una vittima, che un po' ci marcia dell'essere vittima, ma non tanto perchè non riesce a capire come possa esistere qualcuno che abbia sfighe peggiori delle sue, quanto per il fatto che proprio non gli interessa capire il perchè degli altri. Ecco, se magari lui sapesse i guai di Sirius, il perchè si mette a buttare tutto, poterbbe anche non dico aver pena di lui, ma almeno non cercare di umiliarlo e farlo arrabbiare. Il problema è che non gli frega. E' fatto così, a lui interessa sondare le persone solo per quello che gli può servire. Per il resto, arriva subito alle soluzioni più comode.

Viziato figlio di papà che non dà valore alle cose.

Sirius non è una persona a cui piace piangersi addosso, non lo farebbe capire il disagio.

Non conoscendo Sirius e il suo background, ammetto che lo penserei anche io, dico la verità. XD

Però al tempo stesso si lagna, ma non se ne va, contiua a sentire una certa affinità tra loro. Si può dire che a dispetto di tutto il meschinello ne sia addirittura incuriosito. Ma perchè, se è solo un figlio di papà viziato? ^_- E' una domanda che non ha nulla a che vedere con una coppia Sirius/Remus, giuro! XDDD

Qui parlo di Remus da piccolo. Da grande... Ammetto di non aver ancora deciso bene che pensieri voglio dare a questo Remus grande, per cui potresti anche restare sorpresa, o aver ragione. Vedremo quando finirò di scrivere il terzo capitolo (che si è rivelato piuttosto complicato, ma ora sono più o meno a metà della parte non in corsivo! ^_^ Una cosa è certa. Remus SA perchè Sirius sta buttando tutta quella roba. Vedremo come reagisce un Remus che si ritrova davanti a un comportamento che non condivide ma di cui sa il background. E vedremo se è davvero meschino! ^_-

Su Sirius, penso che si capirà di più di lui dopo la lettura di questo capitolo. Per il momento dico solo che anche lui mi piace molto, benchè sia anch'egli piuttosto.... Particolare, diciamo! XD Una volta tanto non fanno coppia, il he mi fa impazzire, che voglia di farli accoppiare! XD

Maledizione! XD

Grazie di cuore a te per i magnifici complimenti.

Ma non mi invidiare, che l'invidia è una brutta bestia.

(Parla la brava, ho certi rosicamenti di bile quando leggo a volte! XDDDD)

Oh, che dire, speriamo che il tuo primo pensiero sia giusto e che la fic ti intrippi fino alla fine!!! XDDDDD

PS: Prima o poi scriverò davvero di un verme che striscia sulla terra (non sto scherzando, era una flash fic su Peter che avevo in mente da mesi che chissà quando vorrò scrivere! XD)! ^.-

 

Arlune: Eccone un'altra che mi fa diventare viola per l'imbarazzo! ^_^ Oddio, vi siete date tutte l'appuntamento, volete farmi diventare rossa fino alle orecchie come Ron, ammettetelo!

Ci state riuscendo! XD

Altro che cagate, hai scritto delle genialità! ^_^

Dico sul serio.

A parte ringraziarti di cuore sul definirmi una scrittrice, ti sono veramente grata per le opinioni che hai espresso su Sirius e Remus. Sai, scrivo per piacere per cui l'idea di pubblicare qualcosa di mio non m'ha mai davvero sfiorata neppure per un istante, però sono  veramente felice e anche un po' fiera di me quando mi si dice che i personaggi di cui scrivo sono realistici, e quando questo lo si apprezza. Sul serio. ^_^ Perchè son dell'idea che una persona realistica non sia il piacevole personaggio che puoi trovare nel romanzo, ma sia complicato, contraddittorio. Quasi mai piacevole.

I personaggi realistici mi piacciono da morire, mi piace scavare nel torbido, solo che sono consapevole del fatto che a pochi piaccia. Voglio dire, se vuoi il realismo esci per strada, fino a prova contraria. ^_^

Quindi scrivere di personaggi realistici e apprezzati mi dà un senso di adrenalina

Se li conosco di persona? Beh, visto che Sirius è mio marito, sì, lo conosco! XDDDD

No, la stanza non è quella di Sirius. ^_^ Anche se, ci ho pensato dopo, il tuo ragionamento non era affatto campato per aria, avrebbe potuto essere benissimo quella (ho anche pensato di darti ragione e fare la sua stanza, ma l'idea originaria ormai era quella e mi piaceva! ^.^). Forse dopo questo capitolo sarà un po' più chiaro. Comunque io Sirius me lo immagino come una persona che, per quanto in disaccordo con il credo di famiglia, abbia avuto una camera disordinata e piena di cianfrusaglie fino a scoppiare. XD E' un'idea mia, non ci far caso.

Poi, dunque. Sul rapporto tra Sirius e Remus non ho davvero nulla da dire, l'hai centrata in pieno! XD E' esattamente come hai detto tu. Abbiamo un Sirius chiuso in un autismo rabbioso (ma si rifiuta di farlo vedere, così per il mondo esterno lui sta canticchiando esaltato e contento) e Remus che pur essendo dall'altro capo del mondo come ragionamenti, capisce che qualcosa li accomuna. Non riesco a farne a meno di trovare questa unione profonda tra i due anche in una fic non yaoi! ^.^

Il fermaglio in effetti non è citato a caso, ma si capirà poi, anche se penso che FORSE (credo) si dovrebbe intuire. ^.^

Grazie ancora di cuore.

 

Jane Gallagher: Ho visto che le stai divorando tutte, e ne approfitto per ringraziarti per tutte quelle hai commentato, di cuore! ^_^ Davvero, grazie! ^_^ Sono felicissima che apprezzi il mio Sirius. Devo essere sincera, lo apprezzo anch'io (ma va? XD), e soprattutto anche quando non mi metto a scrivere d iloro come coppia proprio non riesco ad andare contro la convinzione che ci sia una comprensione e una vicinanza molto profonda tra i due, e che a dispetto di tutto proprio non è possibile ignorarla (sono matta! XD). Sono entrambi un po' egoisti, guidati da una logica tutta loro, per cui non si comprenderanno mai a fondo. Ma c'è quell'istintiva unione che.... E stavo per dire sconcezze yaoi, oddio! XDDD Grazie mille per i complimenti (e per le ottime analisi! ^.^).

 

Chii: Aaaaahn, complimentiiiii! (Mary sviene miagolando a terra, sperando che Ryan la pensi una delle Mew mew e l'afferri al volo). Andiamo con ordine! XD Numero uno: Quella non è la camera di Sirius. ^_^ Anche se, ci ho pensato dopo, il tuo ragionamento non era affatto campato per aria, avrebbe potuto essere benissimo quella (ho anche pensato di darti ragione e fare la sua stanza, ma l'idea originaria ormai era quella e mi piaceva! ^.^). Forse dopo questo capitolo sarà un po' più chiaro. Comunque io Sirius me lo immagino come una persona che, per quanto in disaccordo con il credo di famiglia, abbia avuto una camera disordinata e piena di cianfrusaglie fino a scoppiare (perchè deve ribellarsi, e il caos è ribellione). XD E' un'idea mia, non ci far caso. Sirius che in effetti è bestiale. L'animale che dei ricordi si libera contro gli esseri umani che li stringono a sé come cose care. Ma penso che spiegherò meglio nel prossimo capitolo. Penso perchè non so! XD

Remus più che altro è come dici tu. Vorrebbe essere il solito Remus posato, ma la verità è che Sirius lo confonde e nemmeno poco. Di fronte ad un'altra persona così se ne fregherebbe altamente, alzerebbe i tacchi e se ne andrebbe comunque (come dici giustamente tu è solo Sirius che ha tempo da perdere, Remus deve rendersi utile), e senza chiedere niente. Con Sirius resta, domanda, si informa, perchè a dispetto di tutto non riesce a non sentire quel qualcosa che li unisce. Non riesco a farne a meno di trovare questa unione profonda tra i due anche in una fic non yaoi! ^.^

Sul flashback hai ragione, si inscena il primo anno di scuola... E non mi vorrei ricordare male, avevo deciso che era una settimana circa dopo l'inizio della scuola. E sì, è Sirius che butta tutto ciò che lo lega alla famiglia a cui non appartiene più. Non lo dico, ma ho ipotizzato che gli sia arrivata una lettera in cui è stato diseredato formalmente e in seguito a questo si metta a gettare via tutto, canticchiando.

Ma stonato.

Se ti consola ha dato una morsa alle viscere pure a me sto particolare! XD

Diciamo che la sua contentezza non è proprio "aaah finalmente sono libero dalle catene"! ^_-

Diciamo che quegli occhi lucidi non sono necessariamente ebbri di felicità. E non dico altro! XD

Sullo specchietto penso che sarà tutto più chiaro dopo la lettura di questo capitolo! XD

Oh, qualcuno che adora Remus. Hazel lo odia perchè dice che è troppo menefreghista e egoista! XDD Beh, ha ragione, a me piace proprio per quello! ^_- Sul resto ho fatto il tuo stesso ragionamento, per cui non ho nulla da dirti! XD Remus Sirius non lo conosce, come fa a sapere perchè sta davvero buttando via tutto? Che ne sa di com'è stare in una famiglia ricca, nobile e antica? Non è tutto oro quello che luccica, dicono. XD Fa giustamente delle domande infastidite (però no, non lo avrei mai fatto azzannare Sirius. E' troppo contento di essere riuscito ad entrare a scuola nonostante la sua licantropia per mettersi in qualche casino! ^.^), giustamente cerca di dimostrargli il suo spregio, la sua insofferenza (d'accordo che non gli frega di essere povero, ma caspita, se io non ho i soldi per mangiare e mi vedo uno che brucia 100 euro per accendersi una sigaretta va mo là che mi incazzo pure io! XDDD E concordo, deve essere stato frustrato da morire Remus! XD).

Però gli resta comunque vicino, c'è comunque qualcosa ad unirli.

Cosa, non ci è dato modo di sapere. XD

Forse solo la stranezza del comportamento, come ipotizzi! ^_^

Son contenta che quel ragionamento sul lupo ti piaccia, ogni tanto me ne esco con queste cose, mi divertono (sono talmente fissata con i licantropi che ste pippe me le sono fatte anni fa e ogni tanto riaffiorano! XD Una volta mi volevo addirittura scrivere una storia su una donna licantropo. ^.^ Poi ho desistito, mi scocciavo! XDDD

Grazie mille per il temone e per i complimenti (sempre graditissimi e commoventi! *_*)

Un grosso bacio e un abbraccio anche a te! ^_-

 

Francesca Akira89: Argh, una stilettata al cuore!!!! XD Lo soooo lo soooo devo finirle le storie vecchie, le finirò lo giuro, non ho vogliaaaaa! T_T Mi vergogno, cambiamo argomento! XDDD A sto punto l'avrai già capito, però lo dico lo stesso. Quello è proprio lo specchio che usavano james e Sirius per comunicare. Ma da qualche parte quegli specchietti dovevano recuperarli, no? ^_- Sto diventando una pippomane mentale, ne prendo atto con somma vergogna! XDDDDD Sigh, non riesco a evitarlo! ^^''

 

Nykyo: Uuuh, come si fa a rispondere a questi commenti saggi (e che mi fanno arrossire da matti ma anche spaventare, c'ho l'ansia da prestazione, e se non sarò all'altezza delle aspettative? XD Aiuto!!!!!)? Proviamoci. Aaaaah, la Casa Storta (sospiro). Quella fic la amo tanto, le motivazioni si intuiscono! ^_- Ma a parte quello penso che stare a Grimmauld Place non potrebbe essere che malinconicamente desolante. Non solo per quello che rappresenta per Sirius, ma in linea generale. In fondo anche a Harry che non c'è mai stato e di sicuro non può capire dà subito l'aria di una casa orribile. Non credo di riuscire proprio a vederla come una casa normale. Mi inquieta un po' come posto, devo ammettere.

Domanda gettata lì a cui non do risposta, invito alla riflessione. Te pensi che Remus lo tratti davvero come un adulto o lo dica a se stesso solo per stare meglio e poi lo tratta come se fosse fatto di vetro soffiato, questo povero prigioniero di se stesso derelitto e folle? ^_-

Sirius nel flashback ammetto che mi fa una gran pena. Questo perchè mi sono inventata tutta una scena che sta dietro quell'episodio (che non penso scriverò mai, per cui tanto vale dirla! XD Non è importante per la trama, mi piaceva e basta. Avevo deciso che era una settimana circa dopo l'inizio della scuola. Non lo dico, ma ho ipotizzato che Sirius reagisca così in seguito a una lettera in cui è stato diseredato formalmente.

Non sei più uno di famiglia, gli viene detto.

Benissimo, risponde lui.

E getta via tutto.

Canticchiando, ma stonato.

Non è casuale che sia stonato! ^_^

Diciamo che la sua contentezza non è proprio "aaah finalmente sono libero dalle catene"! ^_-

Diciamo che quegli occhi lucidi non sono necessariamente ebbri di felicità. E non dico altro! XD

E non importa in effetti, però mi sono immaginata che Sirius non lo faccia apposta a nullificare lo spregio di Remus. 'importante per lui è fr capire agli altri, ma soprattutto a se stesso, quanto poco gli freghi di quella roba.

A cercare d icapire il gesto di Remus, manco ci pensa.

E viceversa, certo. ^_^

Sono due egoisti, ma son anche da giustificare.

Han dei casini belli grossi entrambi, appena conosciuto l'altro perchè dovrebbero mettersi a chiedersi le ragioni di ciò che li spinge a dire/fare /pensare in un certo modo? Non si comprendono, però restano nella stessa stanza. Due volte (nel flashback e nel presete). Qualcosa vorrà pur significare! ^_^

Mi piace scrivere dei bambini, lo sai. ^_^

Mi piace dar loro una dignità e non vederli trattati come dei pupazzetti imbelli incapaci di fare un ragionamento e convinti che il mondo sia solo rosa a fiorellini. E apprezzo tanto quando qualcuno lo apprezza. ^_^

Ribadisco che ti adoro anche io e che ti ringrazio per questa recensione splendida.

 

AlyssFleur12: Ho capito perfettamente che vuoi dire, e ti dirò che sarà interessante per una volta affrontare il tema dell'amicizia (vista a modo mio naturalmente! XD) e non quella della passione. E' un po' una cosa insolita che io non descriva il pairing Sirius/Remus, vero? XD Confesso di esserci rimasta così stravolta da aver detto "Ma cosa sto facendo? No, dai, adesso lo metto un po' slash". Poi fortunatamente mi sono fermata. Però ammetto di non riuscire proprio a fare a meno dei descrivere una sorta di unione tra loro che va a dispetto di tutto. Sono una dona perduta, ormai, un rimasuglio di WolfStar (che vedrà solo chi vorrà vederlo) potrebbe sempre restare, non garantisco! XD Ti ringrazio davvero molto per gli splendidi complimenti. ^_^

 

Gaia Loire: Mi devo togliere sta curiosità, me la sto portando dietro da mesi. Ma tu giochi a Final Fantasy? No, perchè c'è un personaggio di Final Fantasy 8 che si chiama Laguna Loire e pensavo che ti ci fossi ispirata! XD A parte quello, un idolo? Omamma, arrossisco! ^.^ Non so mai cosa rispondere quando mi dicono queste cose, per cui mi limito a ringraziare di cuore. A questo punto l'avrai già capito ma lo dico lo stesso. Lo specchio gliel'hanno regalato i Black, invero! ^_- Però il succo è lo stesso che hai detto tu. Le cose splendenti ma vuote sono l'immondizia, e le piccole cose per quanto brutte possano essere, possono essere i tesori più preziosi con cui si può riempire il nostro baule. Grazie mille per la tua recensione e per i complimenti! ^_^

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Capitolo 3
*** Il Fermaglio 3. Remus ***


Nuova pagina 1

Il fermaglio 3. Remus

Remus se ne sta sprofondato nella poltrona bassa del salotto all’ingresso, immobile: le gambe allungate sul pavimento con le caviglie accavallate l’una sopra l’altra, i gomiti a puntellarsi sui braccioli cedevoli con le dita intrecciate in alto a far da sostegno al mento chino. Gli occhi sono chiusi dietro snelli fili di sabbia intrecciati all’argento. Il viso placido, le labbra distese in un sorriso contento, ma l’inganno del sonno quieto è dissipato da quella ruga di dolorosa concentrazione che gli accartoccia la pelle tra le sopracciglia e increspa la fronte.

Riflette, cullato tra i pensieri dall’incessante, cupo borbottio appena accennato di un bricco del tè che qualcuno ha messo a bollire su un piccolo braciere acceso all’interno del gigantesco camino di marmo nero che invade quasi tutta la parete nord, e dal proprio respiro.

Di fronte a lui un poggiapiedi di velluto di un lugubre grigio polvere, e una ragazza lo fissa assorta con lo sguardo vivo e attento screziato di lingue vibranti di un color oro brillante, e la bocca rossa piegata in un sorriso deciso.

Incrocia le gambe in una mossa di innocente malizia, dondolandone una al ritmo di una nenia babbana per bambini imprigionata tra le labbra, lasciando increspare la gonna a pieghe tra le cosce strette; affonda le falangi nel tessuto liso, sostenendo con le braccia il torso lievemente inclinato all’indietro e lasciando che i lunghi capelli le solletichino piacevolmente la pelle delle scapole.

Gonfie ciocche ondose screziate del vermiglio brillante delle fiamme lontane sono mosse da un filo d’aria che entra dalla finestra socchiusa.

Uno sbuffo impaziente fende l’aria umida e appiccicosa.

“Non credo che ci voglia tutto questo tempo per fare un mossa.”

E Remus apre gli occhi, ridendo, con l’illusione a guidargli le ciglia.

Ma quegli occhi non sono verdi. E i capelli non ardono come fiamma viva.

“La pazienza…”, sogghigna piegandosi in avanti. “E’ una gran virtù, Hermione.“

Ignora le guance della ragazza che si vanno imporporando nascostamente per l’imbarazzo d’essere stata udita nonostante il suo sia stato poco più d’un anelito, l’attenzione rivolta caparbiamente alla scacchiera lucida che ha di fronte, e ai pezzi neri e brillanti che gli sono asserviti e fremono sussultando sotto la luce tremolante e artificiale delle vampe in attesa di una mossa.

Protende il viso e distrattamente nota quell’alfiere bianco torreggiare in c4, con gli occhi imbevuti d’ambra che sfidano un istante quelli grandi e attenti del suo avversario, mentre un soffio d’aria gentile rotola via dalle labbra schiuse appena in un sogghigno.

“Alfiere in c5…”

Riesce a vedere appena il pezzo che obbediente si sposta scivolando rapido verso la posizione appena indicata.

La camera è avvolta da una fitta penombra.

Le tende sono tirate benché non siano che le cinque del pomeriggio, e fuori la strada sia inondata di una luce bianca, liquida e abbagliante di fine luglio. Si sono serrate poco tempo prima e nessuno è riuscito ad aprirle. Non ci vuole un professore di Difesa Contro le Arti Oscure per capire che qualcuno vi ha apposto sopra qualche strano incantesimo per impedire che la casa perda quell’aria cupa e deprimente che la caratterizza.

Nessuna meraviglia che Sirius sia venuto fuori così balordo.

Questo pensiero stizzito gli viene soffiato via dalla testa nel momento in cui incontra lo sguardo sicuro del suo avversario, e una voce pacata sussurrare la prossima mossa come fosse un segreto ineffabile.

“Pedone in b4.”, ride.

E’ un riso strano quello di Hermione, riflette mentre distrattamente si appropria con alfiere di quel pezzo offertogli in sacrificio di proposito: lo diverte quel modo cattedratico di sollevare solo il labbro inferiore e di dilatare pomposamente le narici, arricciando il naso tondo e un po’ all’insù da bambina.

Nei ricordi la giovane donna che gli siede innanzi ha sempre quel modo di ridere incerto, tra lo sfrontato e il timido, con le sopracciglia naturalmente imbronciate ad imprimergli una ruga sottile sulla fronte, le ciglia strette a serrare gli occhi: una mano sale alle labbra per nascondere i denti in un gesto infantile.

Il pedone bianco viene spostato in c3.

“Insisti sempre con questa sciocca apertura[1]!”, lo redarguisce severa ma in modo bonario la giovane donna che occhieggia da sopra la spalla della bimba concentrata sul gioco. Con le dita si scosta stizzita dalla guancia una ciocca di capelli sfuggita dal semplice fermaglio che solo le trattiene la chioma in una delle elaborate acconciature che tanto amava sfoggiare, mentre la bocca si incurva in una smorfia tutt’altro che femminea. “Sei davvero prevedibile.”

E sbuffa, quel ricordo ficcanaso.

Proprio come la piccola Hermione, con simpatia.

Quella spaventosa intimità gli si appiccica addosso come sudore freddo.

Le risate e i bisbigli sommessi dal sapore antico quanto la magia, le ombre tonde e nere abbracciate con l’arancio delle fiamme che morbidamente si infrangono lungo i mobili e pareti annerite dal tempo. Non più inquietudine e disagio di un luogo estraneo, ma carezze piacevoli e confortanti di un fuoco tenue che brucia lontano, e il brusio di voci amiche nelle orecchie.

Quest’atmosfera lo agghiaccia.

Non vi è avvezzo, benché gli sia sempre piaciuto credere il contrario.

Eppure il licantropo piega appena la testa di lato e tira in alto gli angoli della bocca in una smorfia intenerita, a malapena conscio del riso che già gli raggela labbra inaridite e scabre, con gli occhi vitrei, distaccati, che guardano affabili il nulla e quei giochi di luce dolcemente crudeli. Poche parole gli scivolano via dalle labbra assieme ad un sospiro indecifrabile.

Hermione solleva lo sguardo curioso e inquieto.

“Che succede?”

“Nulla.” Remus, sorpreso dal timbro troppo infantile di quella voce, sbatte le ciglia come a ridestarsi da un miraggio, mentre il suo alfiere si appropria violentemente di quella seconda pedina, frantumandola in un colpo solo. Distrattamente spolvera via dal pastrano alcuni frammenti d’avorio e onice[2] che gli sono piovuti addosso. “Temo di aver commesso un errore.”

Hermione ride.

Remus la imita come può.

La partita continua e le mosse si susseguono meccaniche mentre Remus poggia la guancia sul palmo scabro della mano, il gomito a pungolargli la coscia, incurvando le spalle in quel moto difensivo che aveva da ragazzo.

Si chiede cosa ci faccia lì e come lo si sia riuscito a convincere a giocare.

Come lo si persuadesse tanto facilmente ogni volta.

Gli scacchi non gli sono mai piaciuti.

A dispetto della personalità razionale e di un carattere improntato sulla logica e sul controllo di sé non l’ha mai apprezzato come svago: per quanto fortemente si applicasse non è mai stato un passatempo in cui si è distinto.

Non che abbia giocato molto.

Erano rare le sere in cui la noia adolescenziale e la stanchezza raggiungevano livelli tali da privare delle energie necessarie per bighellonare nel castello, o di idee per portare il caos nella monotona pacatezza della scuola. Dal momento che i suoi amici in quel frangente erano soliti evitarlo schernendolo, reputandolo un rivale troppo facile da sconfiggere, solitamente il suo avversario era Peter, e anche contro di lui il risultato era incerto.

Eppure Hermione è convinta che solo lui possa aiutarla a battere Ron.

Che il suo vecchio professore debba essere un asso del gioco.

Che i suoi dinieghi siano stati solo frutto di modestia.

Nient’altro che convenzioni.

Dolci e rassicuranti come la cioccolata.

Di quelle su cui si costruisce una vita intera.

Remus si ritrova a ridere, perché gli stereotipi sono buffi in maniera crudele.

Lo sono tutti. Anche l’uomo irritabile e sgradevole che continua a razziare esaltato quella piccola stanza rovistando tra i rifiuti come un animale non è che uno stupido, patetico clichè di cui ci si può solo far beffe. Con i capelli trascurati e il viso sporco, le mani ansiose serrate intorno a oggetti di valore; gli occhi febbrili e frementi, la piega folle e amara della bocca scoperchiata in un ghigno scontento.

La testa scarmigliata cocciutamente stipata di ricordi.

Come me, non fa che insistere con la stessa sciocca apertura.

Pensieri pigri e lontani si mescono a fruscii leggeri di vesti, si insinuano tra le pieghe sottili di una gonna e scivolano su lungo le gambe, serpeggiano tra i rilievi della spina dorsale e su ogni vertebra dalla curva morbida, fino ad insinuarsi nei bei capelli assieme alle dita, passi leggeri e affettati di scarpini lucidi a scandire il tempo.

Una porta in fondo al corridoio sbatte violenta, strepiti e risate di ragazzi si rincorrono lungo scale a chiocciola rimbalzando contro le pareti.

Remus acuisce lo sguardo in un buio che si è fatto denso, nella certezza di scorgere oltre le ciglia sopite stendardi scarlatto scuro alle pareti: non v’è che il grigio dei muri spogli di Grimmauld Place, la scacchiera abbandonata sul tavolo: di Hermione non v’è traccia, e nemmeno di quel pallido fantasma di riflessi.

Tra le dita una brulicante indefinitezza.

Deve essersi assopito.

Cullato da pensieri amari e lievi.

Con i gomiti sui braccioli e le mani mollemente adagiate in grembo, la testa reclinata appena sulla spalla contro il tessuto ruvido della poltrona: una posa che si strascica dietro fin dalla scuola, benché a Hogwarts non sia mai riuscito a riposare come avrebbe voluto, sulla sua poltrona preferita. Tutta colpa di James e Sirius i quali, convinti che dormire fosse una cosa da vecchi, decidevano di svegliarlo non appena lo vedevano abbassare le ciglia con spinte e pizzicotti solo per renderlo partecipe del fatto che quando dormiva aveva un’aria idiota.

Poi ricorda suo padre appisolato nella stessa posizione anni addietro, in quell’unico scherzo della memoria in cui non abbia la testa premuta tra mani tremanti e le spalle incurvate su un tavolo pieno di conti da pagare, e rimanere lì su quella poltrona improvvisamente gli sembra davvero da vecchio.

Con un colpo di reni stanco si affretta ad alzarsi in piedi, portandosi una mano alla schiena dolorante (gli piace pensare che sia a causa della posizione, e non per precoci acciacchi di vecchiaia), per poi guardarsi intorno.

C’è silenzio, e buio.

Persino quella flebile luce di un tenue arancione che faceva capolino da dietro la porta che dà sulla cucina ora non è che cupo e lattiginoso bagliore notturno. Sono andati tutti a dormire.

Senza avvisarlo, ma va bene così.

Adesso che è sveglio però dovrebbe andare a casa, pensa, anche se non ha alcuna voglia di congelare in quella specie di bugigattolo che si ritrova, ed è talmente stanco che i pochi passi che li separano dall’atrio li fa ciondolando da una parte all’altra come fosse ubriaco, arrancando in un buio notturno imbevuto d’azzurro in cui, secondo il folklore, dovrebbe lasciarsi avviluppare come in una coperta.

Quando sente un’asse gemergli acuta sotto la suola stupidamente sobbalza e si aggrappa a quella che, dopo una rapida analisi, si rivela essere la ringhiera della scalinata centrale. Resta immobile ad osservare i giochi di luce dell’odiata luna nel tentativo di recuperare una calma dignitosa, cosa che sarebbe decisamente più facile da fare se il cuore smettesse di battergli forte al punto da coprire persino i cupi borbottii ingiuriosi e insofferenti che l’elfo domestico di casa Black gli rivolge contro.

“Sporco licantropo” riesce a sentirlo lo stesso, però.

Non ha ancora deciso se sentirsi offeso o meno per quell’osservazione spregiativa quando una mano gli abbranca le spalle.

“Hai ancora paura del buio?”

E’ un soffio, un sussurro appena, ma più che sufficiente a farlo rabbrividire col contrasto di quelle labbra gelide e aspre contro l’orecchio. Con uno scatto furente del collo Remus si scosta per quanto glielo consenta la posizione: fa per appoggiarsi alla parete vicina, ma il panno morbido e spesso che gli solletica la nuca lo fa desistere da quell’intento con uno scatto ansioso. Reprimendo un sospiro di sollievo si volta in direzione di quella stupida voce impertinente.

“Sirius!”, ringhia.

“Che c’è, sei deluso?”, lo canzona. “Ti aspettavi Nymphadora?”

“Quanto sei seccante.”, taglia corto il licantropo lasciandosi andare ad uno dei suoi rari sbuffi stizziti.

“Tu invece sei il solito incapace.”, ribatte l’altro con la voce roca e un ghigno sghembo stampato sulla faccia ravvolta in una chiazza d’ombra impenetrabile. Solo gli occhi è possibile vedere: riverberano il cupo bagliore maligno di una luna spenta, grigi e lucidi come pioggia. “Sono appena passato dal salotto e ho dato un’occhiata alla scacchiera.”, sussurra. “Hai perso ancora.”

Lo fa notare quasi annoiato, come fosse una cosa ovvia.

“La partita non era finita.”, geme l’altro con la voce impastata di sonno.

Il sorriso di Sirius si allarga, squarciando la pelle e lasciando intravedere le zanne, mentre scuote la testa con aria perplessa. Senza alcun preavviso gli afferra il polso con una stretta ferrea di una mano nocchiuta, per poi posargli qualcosa di piccolo e solido nel palmo aperto con una delicatezza incerta che non credeva potesse appartenere a quel corpo tutto nervi e scatti irrequieti.

E’ un pezzo degli scacchi.

Un sopravvissuto.

“Il tuo re è rimasto con due alfieri e il suo con una regina.”, spiega paziente. Conscio, si direbbe lusingato, del fatto che il suo amico non capirà altro che la sferzata finale. “Ti sei fatto battere da una ragazzina.”[3]

Remus resta a fissare l’alfiere nero che giace immoto sulla mano piegando appena la testa di lato con tenerezza assorta, sul volto un sorriso leggero e lontano, tra il divertito e il rassegnato.

Sirius ha ragione.

Ce l’ha sempre avuta.

Per quanto assurdo sia sempre sembrato ai pochi a conoscenza di quel segreto, è Sirius il migliore in quel gioco. Ma non ha mai letto un solo manuale che fosse uno per diventare quello che è. E’ un talento istintivo, il suo, puro genio: ma quando Peter al settimo anno di scuola aveva dato voce a questo pensiero colmo di stupita ammirazione, dopo la partita contro Lily Evans che aveva avuto come posta un appuntamento con James, aveva ricevuto in cambio null’altro che un’occhiata truce.

Sirius non ha mai trovato nulla di particolarmente lodevole nel battere i secchioni in modi che non riguardasse il prenderli a pugni nei bagni deserti.

“Forse Hermione avrebbe dovuto chiedere a te di fare una partita.”

“Nessuno mi chiederebbe mai consigli di scacchi.”, ghigna Sirius orgoglioso sollevando con un gesto disarticolato il bicchiere che, nota solo ora il licantropo, stringe nella mano sinistra.

Remus aggrotta le ciglia.

Sarà il sesto bicchiere che gli vede in mano.

Non vorrebbe più mettere bocca negli affari suoi.

Per oggi ha già dato più che abbastanza, per i propri gusti.

“Il massimo che pretendono da me è che svegli il lupo mannaro che dorme.”

“Cosa che ti sei ben guardato dal fare.”, fa notare Remus.

“Mi spiace. Devo essermene dimenticato.”

“Ma smettila, l’hai fatto apposta.”

“… Hai ragione.”, ghigna.

Ha lo sguardo un po’ stravolto, Sirius, un po’ ebete, con quella luce di un blu elettrico a sferzargli la pelle accentuandone rughe e difetti: ha i sensi tutti tesi al liquido ambrato che gli galleggia davanti.

Remus nemmeno sembra esistere.

In preda ad una subitanea epifania si porta il bicchiere alle labbra svuotandolo del suo contenuto in un unico fluido movimento della gola, e lasciandosi poi andare ad un sospiro di puro, completo, disgustoso compiacimento di sé.

 “Sei ubriaco fradicio.”, brontola l’altro stomacato.

A quella rivelazione l’Animagus batte le ciglia un paio di volte, sorpreso, sgranando gli occhi lucidi come se non riuscisse a capacitarsi del fatto che Remus stia parlando proprio con lui. Si guarda intorno in quel buio strano, lentamente, non perché veda realmente qualcosa acquattarsi nelle rade macchie nere che invadono gli angoli, ma solo per lasciare alla sua povera coscienza ottenebrata il tempo di incamerare poche parole di cui non riesce ad afferrare la totalità di significato.

Riordina le idee come uno studente a cui è stata rivolta una domanda scomoda da cui dipende l’esito dell’esame.

Poi china la testa fino a toccarsi il petto con la punta del mento mentre con la mano libera tenta di aggrapparsi al ruvido corrimano di pietra, ma dopo un paio di maldestre manovre infruttuose non ottiene altro che di scivolare mollemente sul bordo del primo gradino, con la schiena premuta in maniera che sembra dolorosa contro lo spigolo di quello superiore. “Me ne sono accorto.”, sospira, mentre dita senza forza si lasciano scivolare di botto il bicchiere tra le cosce scompostamente aperte, e rotola sul pavimento con un tintinnio cristallino.

Il licantropo incrocia le braccia al petto, resistendo all’impulso che gli impone di seguire quello stupido Remus bravo e coscienzioso che si strascica dietro da una vita, e resta immobile al suo posto: con le spalle affondate appena nel tessuto che, se n’è reso conto da poco, deve essere quello che ricopre il quadro della signora Black, la nuca chinata appena di lato a premere la guancia in una ruvida carezza felina contro il tendaggio e le labbra strette in una linea esangue. A fargli sentire chi è il maschio dominante, avrebbe detto James divertito sistemandosi gli occhiali con quel suo fare teatrale.

Sirius non sopporta di essere guardato dall’alto in basso.

Ma quello che piace a Sirius non importa, adesso.

“A che pensavi?”, chiede. Una domanda che pare buttata lì per caso, ma che gli preme dolorosamente sulle labbra da tutto il pomeriggio, da quando è stato trascinato via per assistere ad una delle assurdità di un pazzo finché Sirius, mentre cercava qualcosa di “interessante” in un mucchio di vecchie riviste nascoste nel ripiano più basso della libreria, non si è stancato improvvisamente della sua presenza e non l’ha sbattuto fuori dalla porta berciando insulti di varia natura.

L’altro pare non avere una risposta.

Lo vede stringersi nelle spalle in un gesto meccanico e sgraziato, come una marionetta a cui hanno improvvisamente tagliato un filo. C’è quello sguardo grigio di un liquore vitreo a fissarlo dal volto pallido dietro ciocche pesanti di capelli scuri, e le labbra secche, stirate e socchiuse appena in un sorriso dipinto, come in chi sta per abbandonarsi al pianto.

Per un attimo Remus è convinto che stia per farlo davvero.

Ma sa benissimo che non accadrà.

Ride, Sirius.

Con le spalle incuneate in avanti ad affossargli il torace, il mento conficcato nel collo e quelle ciocche di capelli a dondolargli ipnoticamente sulla fronte. Ride col palmo della mano sporco di polvere e sudore a premergli sugli occhi, e al ritmo di un tremore appena accennato che gli scuote il petto, le labbra strette tra i denti si lasciano sfuggire flebili sibili latranti.

Non osa lasciarsi andare oltre.

Remus sa di non poter ottenere altro, da lui.

Come il bambino arrogante e sfrontato che anni prima ha gettato tutte le sue belle cose dal baule al ritmo di una filastrocca stonata, per sfogarsi aspetterà la notte più greve, il momento in cui anche la luna andrà a dormire e sarà avviluppato da un silenzio così totale da avere l’impressione di essere rimasto completamente solo.

Sarà bello allora soffocare i singhiozzi sotto coperte strette fin sopra la testa, e sentirsi i vestiti appiccicosi contro i capelli sudati, e la pelle fradicia di lacrime, muco e saliva avrà un sapore dolce; anche graffiarsi e mordere gli avambracci, la lingua e l’interno della bocca sarà piacevole. Per imporsi la calma, o forse solo per dare un senso a quello sfoggio di debolezza col dolore fisico.

Non ci sarà nessuno a testimone di questo punto debole infantile: nessun ragazzino dal sonno leggero che sollevi la testa dal guanciale e chieda ‘cos’accade’ nel buio, in direzione di tende chiuse, per ricevere in risposta solo un singulto sorpreso, un fruscio rapido di lenzuola.

Nessun silenzio ridicolo.

Solo una risata imbavagliata.

Remus distoglie lo sguardo da quello spettacolo patetico e disgustoso che gli sta offrendo l’amico, volgendolo ad una delle finestre chiuse dell’androne: al cielo puntellato di stelle rade nascoste a tratti da nuvole che hanno odore di pioggia, e alla falce di una luna ghignante che tinge tutto di un viola cupo e altero. La mano chiusa a pugno attorno a quel pezzo degli scacchi fino a sentire gli spigoli premergli nella carne a preservarlo, solo, da un fastidio cocente che adesso gli invade la gola col suo sapore di vomito acido.

A volte pensa che Sirius dovrebbe essere semplicemente mandato al diavolo invece di imporre al prossimo i suoi chiari di luna, o di farsi sopportare con l’infinita pazienza che non avrebbe riservato neppure al più sciocco dei suoi allievi.

Gli farebbe bene essere lasciato lì in balia di se stesso.

A soffocarsi di risate scompaginate fino al mattino, quando gli effetti dell’alcool ingurgitato lo abbandoneranno in maniera inevitabile, lasciandogli addosso solo un vago senso di disgusto e si troverà il viso arrossato e il petto dolorante senza neppure ricordare il perché. Lo colmerebbe anche di un certo appagamento.

Remus si lascia andare ad un sospiro fiacco e scostante, mentre quell’ammasso di carne disordinato ai suoi piedi ha gettato la testa all’indietro e si è adagiato sui gradini dai bordi smussati dove continua a sghignazzare tra sé e sé, con sobbalzi singhiozzanti, lasciandosi sfuggire dalla bocca acuti uggiolii.

I piedi non si muovono.

Le dita non riescono a lasciare andare il bordo del tessuto liso con cui giocherellano nervosamente da diversi minuti. Sa che dovrebbe mollare quel drappo, perché se quel quadro si svegliasse in piena notte sarebbero guai.

D’altro canto forse Sirius smetterebbe di ridere come un idiota.

Abbrancato da una nuova, istintiva determinazione Remus stringe gli occhi.

Sorride appena.

E tira.

 

 

Non furono grida isteriche e furibonde a turbare quello che avrebbe dovuto essere solo un placido, banale, noioso pomeriggio di un giorno festivo come tanti, di quelli da trascorrere sotto le coperte all’insegna dell’ozio più totale.

Per quanto forti e penetranti al punto da poter quasi sentire i peli alla base del collo vibrare al loro acuto stridio, erano lontane. Confuse e ovattate come una eco, smorzate e deformate dal vetro chiuso, dalla coperta premuta fin sopra le orecchie alla ricerca di tepore, e dalle tende di letto e finestre ben serrate, nel tentativo di ricreare una tanto bramata quiete notturna.

Il ragazzo avrebbe potuto ignorarle.

Era abituato a chiudersi al mondo che lo circondava gettando via la chiave, a lasciare fuori dalla testa voci e pensieri che non gli appartenevano, nel silenzio dell’aula come nel pieno di una Sala Grande gremita di studenti. Vi era talmente avvezzo da sentire l’isolamento come parte inscindibile del proprio essere.

Non furono gli insulti e gli improperi che venivano lanciati indistintamente da voci maschili e femminili (gli sembrò di udire anche la voce della McGranitt nel coro, ma ovviamente fu solo un’impressione) a farlo girare e rigirare senza pace sotto le lenzuola, mandandogli alle narici zaffate di un odore pateticamente umano.

Benché sua madre l’avesse sempre educato con doloroso rigore ad evitare simili sfoggi di “bestialità”, come li aveva sempre definiti, e benché non fosse solito per abitudine a pronunciarle neppure in sua assenza, quando un’indole anche meno ribelle avrebbe già dato sfogo a quel freno di stampo antico, ne conosceva un discreto numero. Imparate da un gruppo di monelli babbani che lo tormentavano a scuola.

E forse col senno di poi non fu nemmeno quell’incessante picchiettio alla finestra chiusa a spingerlo fuori dal tepore del suo giaciglio, coi piedi nudi a scalpicciare in maniera spiacevole sul pavimento gelido e la schiena scossa da brividi radi. Si diresse alla fonte di quel suono come inebetito, evitando a istinto gli ostacoli disseminati dai suoi compagni di dormitorio con una sveltezza tale che neppure gli elfi domestici riuscivano a star loro dietro, e arrivato a destinazione scostò le tende con un gesto fiacco.

Pronto a strangolare quello che credeva essere nulla più di un gufo ritardatario.

Ritrovarsi di fronte il viso di uno dei suoi conviventi aggrappato in malo modo al cornicione esterno fu un qualcosa di talmente inaspettato da fargli scivolare di dosso ogni proposito omicida, e quell’accecante irritazione che l’aveva inondato lasciò il posto ad una confusa meraviglia. Gli venne il dubbio di stare ancora sognando.

Non poteva essersi arrampicato fino in cima alla torre.

Era troppo folle persino per uno come…

“Sbrigati ad aprire, idiota!”, abbaiò ad alta voce quel frantumatore di quiete battendo il palmo della mano contro la lastra appannata, con forza tale da far temere un istante per l’integrità della fragile superficie.

Bastò questo a ridestare il ragazzo dal torpore insonnolito in cui aveva invischiato i propri pensieri: si affrettò ad obbedire decidendo di ignorare l’insulto subito, per quanto glielo consentissero quelle dita informicolite dalla permanenza sotto il cuscino, schiacciate tra la guancia e il materasso.

Non appena ebbe aperto la finestra venne afferrato senza preavviso per il bavero della camicia da una mano gelida e tirato in avanti finché non si ritrovò col viso oltre il bordo della finestra: a pochi centimetri dal viso furibondo dell’altro, con la testa sporta pericolosamente nel vuoto, strinse gli occhi deglutendo a disagio, immaginando che sarebbe stato punito per la sua lentezza con un volo nel vuoto. O nel migliore dei casi con una sonora battuta.

Fu con un certo sollievo che si sentì spingere bruscamente all’indietro per poi cadere a terra in malo modo, come un peso morto. Si massaggiò il sedere dolorante occultando dietro un sibilo di dolore un brivido, nel momento in cui fu colpito in pieno da una folata d’aria diaccia.

E in silenzio osservò quel ragazzo da dietro la barriera abbozzata delle ciglia farsi strada nella stanza con la grezza e incivile spavalderia che lo contraddistingueva, scavalcando in un gesto teatralmente atletico il cornicione di pietra: atterrò nella stanza con un balzello di studiata eleganza, i capelli neri un po’ arruffati e impregnati d’umidità appiccicati sulla fronte e gli zigomi morbidi; le guance e il naso congestionati, gli occhi lucidi e grandi. In una mano teneva saldo la scopa su cui era stato instabilmente a cavalcioni fino a quel momento.

Peccato che in tutto quello sfoggio di grazia ginnica che, ne era certo, si era preparato da quando aveva deciso di bussare alla finestra invece di usare la porta come tutte le persone sane, si fosse dimenticato della lurida poltiglia fangosa impastata di foglie marce che gli era rimasta appiccicata sotto la suola, la quale a contatto col pavimento produsse un suono comicamente liquido.

E l’avrebbe persino trovato divertente se tra la scarpa e il pavimento, malamente nascosto sotto un maglione, non ci fosse stato un suo rotolo di pergamena coi compiti di Pozioni per il lunedì successivo.

Perché devono sempre copiare il mio lavoro?

Il rantolo strozzato che gli uscì dalle labbra a quel pensiero depresso fece scoppiare l’altro, il quale già aveva gettato la scopa a terra e si era allungato per chiudere la finestra, in una risata selvaggia, ma ansante e innaturalmente sommessa.

“Smettila di fare scena, se non mi avessi lasciato fuori a congelare sarei stato più attento.”, ghignò malignamente dopo essersi scrollato di dosso un po’ d’umidità scuotendo la testa da un lato all’altro in una maniera canina e facendo qualche passo in avanti, verso il centro della stanza. Con lo sguardo levato al soffitto si strinse gli avambracci con le mani per poi strofinare con foga da sopra ai vestiti alla ricerca di calore. “Certo che ce ne hai messo di tempo ad aprire, ragazzino…”, sbuffò.

“Guarda che ho un nome.”

“Ce l’ho anch’io, ed è decisamente più influente del tuo…”, fu la replica annoiata, quasi distratta dell’altro, prima di inspirare rumorosamente aria nelle narici per un paio di volte. “Ti trovo un po’ irritato…” insinuò ficcandosi a fondo le mani nelle tasche e piegando la bocca in un sorriso carezzevole di innocente perfidia, in cui c’era qualcosa di sottilmente infido. “Per caso ho interrotto qualcosa di intimo?”,

L’altro inghiottì l’imbarazzo assieme a una risposta volgare.

“Stavo dormendo, Black.”, sibilò impregnando quel nome altisonante con tutto il disgusto che era in grado di esternare, furibondo contro se stesso per la sua incapacità di trattenere il rossore che gli aveva cominciato ad avvampare le guance. “E abbiamo una porta in dormitorio, perché non entri da lì, tanto per cambiare?”

L’altro sollevò un sopracciglio con fare incredulo.

“Perché sarebbe banale.”, spiegò storcendo le labbra in una piega stomacata. “Per Mombi[4], Lupin, questa è una domanda idiota persino per te.”

Il licantropo si limitò ad alzare gli occhi al cielo con blanda rassegnazione, sorpreso di quanto ogni volta riuscisse ad essere stancante avere a che fare anche solo per pochi minuti con quell’essere balordo.

E questo dopo pochi giorni di convivenza.

Tra qualche anno tenteremo di ucciderci a vicenda

Cullato da quei pensieri in qualche modo rassicuranti si sentiva già pronto a voltare le spalle al suo compagno di dormitorio e alla sua insopportabile spocchia: vista la totale inutilità di qualsiasi discussione sarebbe stato decisamente più positivo tornare a letto e godersi un meritato riposo fino all’ora di cena.

Ma Sirius sembrava di tutt’altro avviso.

Se lo ritrovò steso di pancia sopra le coperte, con braccia e gambe divaricate e un’espressione di stupida, infantile euforia impressa in faccia, prima ancora di poterne assaporare il tepore. Cosa che in un certo senso trovò positiva, perché se per saltargli nel letto avesse atteso anche solo un minuto finendo inevitabilmente per saltargli addosso avrebbe anche potuto sbranarlo.

Lo fissò dall’alto in basso puntellarsi coi palmi sul materasso facendo leva sulle spalle, il petto scosso da una risata allegra e sugli occhi brillanti e lucidi di vivida contentezza ciocche ridicolmente incordate.

Sembrava non curarsene.

“Non hai un letto tuo?”, sospirò Remus esasperato.

“Sai che sono in punizione?”, esultò eccitato ignorando la domanda.

“Beh, non proprio. Non ancora.”, aggiunse in fretta agitando una mano davanti al volto rabbuiato di Remus, alle sopracciglia severe accartocciate sulla fronte. “Però lo sarò presto.”

Ne sembrava orgoglioso.

Remus trovò in qualche maniera impossibile adirarsi con lui.

Dietro quella gioia isterica che aveva improvvisamente colto l’altro, dietro i suoi scatti bruschi e l’euforia dei modi, c’era un che di disperato che non incontrava la sua comprensione o la sua pietà, non era il tipo, eppure prosciugava ogni voglia di partire con una delle sue prediche accuratamente studiate da bravo ragazzo coscienzioso su quanto fosse pessimo il suo comportamento e su quanti punti avrebbero fatto perdere al Grifondoro prima ancora che se ne riuscissero a guadagnare.

Si limitò ad incrociare le braccia e ad emettere un lungo  sospiro rassegnato.

“Quindi dobbiamo aspettarci un’improvvisata della McGranitt da un momento all’altro?”

L’altro annuì con vigore.

“D’accordo, allora.”

Sì, era decisamente stancante avere a che fare con Sirius Black: ma Remus si era sempre reputato una persona molto forte, a dispetto dell’aria malaticcia che si trascinava dietro da una vita.

Piegò la testa di lato.

Storse la bocca in un sorriso obliquo.

“… Vuoi che ti crei un alibi?”, sibilò con aria complice.

“Un’offerta generosa, Lupin, ma credo che non funzionerebbe.” Rise di cuore scotendo la testa, e rotolò su se stesso alla ricerca di una posizione più comoda, incrociando un braccio dietro la nuca, poggiando l’altro sullo stomaco e piegando appena le ginocchia. Lo sguardo fisso verso il baldacchino del letto, con l’aria sognante di chi guarda le nuvole. “Ho strappato quel fermaglio da quattro soldi dai capelli di una stupida proprio davanti al suo naso.”

Nel vedere l’espressione di curioso stupore dell’altro si strinse nelle spalle con aria di indifferenza, come se non gliene importasse davvero granché di ciò che lo attendeva, a dispetto dell’aria contrariata che adesso aveva dipinta sul volto.

“Ma non preoccuparti…”, ghignò malignamente dandosi una pacca leggera su un fianco mentre in lontananza, oltre la porta, si cominciavano a sentire dei passi e un cupo borbottio rabbioso a più voci.

“Non lo troveranno mai.”

 

Il fermaglio 3 – Fine

 

Note di fine capitolo

Si conclude la prima trilogia di questa storia dedicata al “Fermaglio”. Ammetto che nella prima stesura di questa storia, nelle mie prime idee, questo aveva molto spazio fin dall’inizio. Invece mentre scrivevo il suo ruolo si è andato via via assottigliando, fino a diventare un oggetto nominato a malapena, quasi totalmente eclissato dal famoso “specchietto”.

E’ mia intenzione dare più spazio a questo fermaglio nella prossima trilogia. Sempre che non decida di nuovo di cambiare idea come mio solito, hahaha! XDDD

 

A parte questo che dire?

Che io AMO il gioco degli scacchi.

Non conosco tecniche e contro-tecniche dei manuali a memoria, nessuno è mai riuscito a farmi capire l’arrocco (mentre il fuori gioco l’ho capito, alè! XD), ma lo amo. E’ un gioco molto elegante, molto bello, e da tempo avevo intenzione di dedicare un capitolo di qualche storia a una partita a scacchi tra due personaggi. Hermione e Remus si sono gentilmente prestati dietro ricompensa in natura (sì, sì, ve la scrivo la storia erotica con voi come protagonisti). Il fatto che io ami questo gioco nulla ha a che vedere col fatto che abbia reso Sirius un genio in quest’ambito: è solo che in un marasma di fic in cui Sirius è un povero idiota volevo dargli una qualità che denotasse grande astuzia. Perché Sirius non è certamente tipo da mettersi a studiare mosse sui manuali, ma ha un’intelligenza istintiva che in un gioco come questo gli permetterebbe di fare faville. Uscirebbe da ogni schema, mettendo al tappeto tutti i “secchioni”.

 

Per quanto riguarda l’apertura di Remus ed Hermione, la sequenza delle mosse esiste davvero nei manuali di scacchi ed è chiamata Gambetto Evans. Inutile dire che l’ho scelta per il nome e basta. E per il fatto che è una mossa che alla fine vede il nero (Remus) in svantaggio e che nessun giocatore sano la userebbe senza farla seguire da una difesa Lasker. Ma dettagli.

 

Rispondo piena di gratitudine alle recensioni! ^_^

 

Jane Gallagher: Mhm, non chiedermi assolutamente perdono di niente. Le recensioni fanno sempre molto piacere, ma se uno non ha tempo di farle fresco di lettura non è che bisogna uscire armato di frusta (però potrei cominciare a farlo con i recensori pigri se mi prende la depressione da poche recensioni, ghhhhhh! XD). Attendo volentieri per ricevere recensioni come le tue. Come al solito, arrossisco! XD Sì, naturalmente anche la presenza di taaaaanta rabbia nei protagonisti è un grande complimento, anche se potrebbe far venire in mente a qualcuno che io in realtà scriva per procurarmi un punching ball emotivo e sfogare le mie repressioni su questi due poveri fratellini. Fatevene una ragione fratellini: è proprio così. XD Remus ti ha fatto tenerezza? Saresti la prima, penso di averlo reso assolutamente insopportabile (ma un po’ tutti e due, dai, perché dare meriti solo da una parte? XDDDD). Voglio dire, io lo trovo delizioso perché le persone meschine e quelle boriose mi fanno uscire pazza di mio (no, non è normale! XD), ma che qualcun altro lo trovi tenero… Per caso sei una proiezione della mia pazzia? XD A parte questa digressione di vaccate, ti ringrazio da morire per i complimenti! ^.^ Grazie davvero.

 

Hazel: Non posso dire di non essere rimasta soddisfatta dal tuo sconvolgimento! XD Carmen consoli è una dilettante a confronto con me peeeeer piacere, non mi ci mischiare! XD Che ho in mente un paio di tramucce di tutto rispetto che non potrò mai pubblicare ma tanto le scrivo lo stesso che mi frega? XDDDD In due mi recensiscono! XDDDD

Mi piace portare allo stremo il rapporto tra i fratelli Black, l’ho sempre trovato estremamente affascinante. Sirius è una persona che ha un modo di manifestare l’affetto tutto suo, parla un’altra lingua, e Regulus non ha nessuna voglia di acquistare un vocabolario per capire le sue stranezze e tradurle. Questo il succo del discorso.

Posso capire che l’apparenza faccia schifo, però sarà che sono l’autrice per Sirius provo soltanto una grande tenerezza. Perché non penso che lo prenda a pugni con la soddisfazione che dice di star provando, né che sia andato lì con l’intenzione di gonfiarlo come una zampogna. Il problema di Sirius è che non riflette mai su come gli altri potrebbero interpretare le sue azioni, lui agisce e basta istintivamente. E si ritrova con Regulus sotto le mani senza la testa di dire “Momento, sto facendo male a mio fratello”.

Nessuna meraviglia che sia una tale testa di cazzo.

O che lo sembri o quel che è! XD

Son fatti strani tutti e due.

Anzi tutti e tre! XD

Ti dico la verità, avrei potuto benissimo slasharli in questo capitolo, non mi ci sarebbe voluto niente. Anche e soprattutto perché questi due proprio non si riescono a capire e comprendere. Né interessa loro capirsi. E cosa è meglio per una storia priva di legami e problemi e preoccupazioni che una persona che non capisci, non capirai mai e che non ti interessa capire?

Questa è pura riflessione twinstaresca, io faccio sempre così! XD

E infatti li conosciamo tutti i capolavori con cui s’è accoppiata! XDDDD

Però in effetti è vero che la loro è una sfida a chi è più crudele. E non gli importa che alla fine potrebbero perdere entrambi. D’altronde a dispetto di tutto hanno una cosa che li accomuna: una pateticità di fondo. Sono due persone così borderline che anche così diversi non potrebbero star bene con nessun altro se non tra loro.

E due così insieme quasi per forza…

Pensa che roba PUCCIOSA che verrebbe fuori! XD

(Scorrono immagini dal film “La guerra dei Roses”)

Oddio, ammetto che invece a me i miei bambini sembrano sempre tremendamente realistici. E’ che sono sempre stata una ferrea sostenitrice dei bambini come esserini di ferro, che è possibile strapazzare praticamente all’infinito senza che riportino ferite emotive troppo profonde (non quanto un adulto), perché hanno una forza interiore straordinaria (inutile che dica quindi cosa ne penso di tutte quelle vaccate sul “proteggiamo i bambini dalle brutture del mondo Censuriamo qui e là. Forse sono gli adulti che hanno bisogno di protezione….) che permette loro di essere i veri adulti della situazione, molto spesso. Mi piace far vedere questa forza dei bambini quando parlo di loro. Mi piace strapazzarli, mi piace dipingerli in situazioni innaturali. Ecco, forse i miei bambini non rappresentano l’infanzia dei sogni, questo sì. Quella in cui un bambino non pensa che a giocare e ha l’amore di mamma e papà. I miei sono bambini che devono crescere in fretta.

Non sono “belli”.

Ma sono reali. ^_^

Notare che non ti ho fatto questa spiegazione stizzita alla “ecco non ha capito un cazzo dei miei bambini la odio, la detesto, ueeeeeeh!” XD No, niente del genere, è che mi hai dato la possibilità di spiegare un punto a cui tengo molto, per cui grazie.

Su Regulus invece non ti dico niente, hai afferrato perfettamente il punto. Quando lo chiama Sudicio Grifondoro erano proprio le parole di mamma e papà! ^_^ Ma vallo a spiegare a Sirius…. 9_9 A parte quello che potrei dirti a parte i soliti “mi fai arrossire”? XDDDDDDDDD


 

[1] L’apertura è la parte iniziale di una partita di scacchi, quando entrambi i giocatori sono impegnati nella fase dello sviluppo dei pezzi, per far assumere ai propri rispettivi schieramenti una posizione ottimale sulla scacchiera (in genere quella centrale) al fine di affrontare il mediogioco nel miglior modo possibile. Ulteriori spiegazioni sulle mosse utilizzate nelle note a fine fic! ^_^

[2] Avorio e Onice sono due materiali piuttosto pregiati di colore rispettivamente bianco e nero, come i pezzi degli scacchi. Naturalmente una scacchiera trovata a casa Black non poteva essere fatta di roba normale tipo metallo, legno o, Merlino ce ne scampi, plastica! XD

[3] Sirius parla di quella che un manuale di scacchi chiamerebbe finale RDvsRAA. Il finale  di Re e Donna contro Re e 2 Alfieri è nella maggior parte dei casi vinto per colui che possiede la Donna; questo pezzo infatti può creare facilmente attacchi multipli a più pezzi in verticale, orizzontale e diagonale. Gli Alfieri sono limitati a poter attaccare solo in diagonale e, ciascuno di essi, solo su case di un unico colore. In questo caso difficilmente il possessore degli Alfieri può tentare di vincere; nella maggior parte dei casi deve tentare di tutto per non perdere.

 

[4] Mombi è un personaggio de “Il mago di Oz”. Nel primo libro della serie è la strega cattiva del Nord (anche se più che una strega è da considerarsi una donna con poteri magici dovuti più a unguenti e oggetti fatati che ad altro) che tramuta la principessa Ozma in un ragazzino di nome Tip e lo tiene prigioniero fino alla sua fuga. Ha rubato la polvere della vita al professor Nikidik e con essa ha dato la vita a Jack Testadizucca. Nel film ritorno ad Oz (che io adoro) questo personaggio viene combinato con la Principessa Langwidere, che può scambiare la propria testa con un’altra opportunamente mozzata e conservata in una teca di vetro, e che compare nel terzo libro della serie, “Ozma di Oz”. Sempre nel film in combutta col perfido Re degli Gnomi rapisce il saggio re Spaventapasseri per impossessarsi delle ricchezze della città di Smeraldo. Il motivo per cui ho messo in bocca a Sirius un personaggio del genere è molto semplice. E’ una donna ed è una strega perfida, pazza e cattiva. Di sicuro gli ricorda da morire sua madre, e che la usi come imprecazione anche davanti ai suoi (fieri che nomini personaggi oscuri, senza dubbio) lo trovavo divertente.

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