La Serpe che non morde e il Grifone che non ringhia di Midori_ (/viewuser.php?uid=184953)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Bisogno di Pensare ***
Capitolo 3: *** Incontri del Terzo Tipo ***
Capitolo 4: *** Fragili ***
Capitolo 5: *** Specchi Opachi ***
Capitolo 6: *** Piccole Sorgenti di Calore ***
Capitolo 7: *** Anime Corrose ***
Capitolo 8: *** Dispersi ***
Capitolo 9: *** Dubbi e Certezze ***
Capitolo 10: *** Annegati ***
Capitolo 11: *** Risvegli ***
Capitolo 12: *** Riconoscersi ***
Capitolo 13: *** Sconfitte Piacevoli ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
La
Serpe che non morde e il Grifone che
non ringhia.
Prologo
Gettò il giornale e si alzò bruscamente verso quel vecchio ripiano in
legno.
Si versò da bere, lasciando che gocce di prezioso Whisky Incendiario
perdesse la strada e precipitasse, atterrando contro la superficie
piana del legno lavorato.
No, non gli interessava.
Aveva solo un disperato bisogno di bere.
Bere per dimenticare.
Bere per confondersi.
Bere per perdersi.
Non le importava se si sarebbe accasciata piangente in qualche angolo
della casa in cui era cresciuta e che mai aveva amato.
Non le importava se si sarebbe addormentata con il trucco sbavato,
l'aria invecchiata e la voce roca.
Lei voleva solo spegnersi.
Pansy Parkinson non era mai stata una ragazza coraggiosa.
Preferiva nascondersi e salvarsi la pelle, questa sua priorità
coincideva troppo spesso con il flebile concetto di codardia.
In tempo di pace nessuno poteva biasimarla.
In tempo di guerra tutti l'avevano accusata.
"Non ti sei battuta per il Signore
Oscuro."
"Non hai rinnegato il Male per il
Bene."
Tutte schifose parole che lei, ragazzina a volte ingenua, a volte
prudente, aveva incassato senza fiatare.
Bevve molto e bevve a lungo quella sera di fine febbraio.
Sorseggiò liquidi infuocati fino a quando ogni barlume di luce si
spense.
Avrebbe voluto alzarsi, dimenticare e divenire più forte.
Sposare il suo caro amico Nott e vivere con un piede affondato nel
passato.
Avrebbe avuto agi, serenità e forse dei figli da amare ed educare alla
purezza del sangue.
Eppure non era questo che voleva.
No. Lei non lo voleva.
Si alzò, appoggiandosi incerta su quelle magre gambe che si ritrovava e
s'incamminò verso una delle porte che davano verso il giardino. L'aprì
con forza e lasciò che l'aria pungente la rinfrescasse un momento, che
il vento pulisse via ogni traccia di pianto.
Perché una serpe
non piange mai.
Una serpe morde.
* * *
Ringrazio tutte le persone che hanno letto
questo prologo.
Naturalmente ora avete capito chi è la
Serpe che non Morde, ma fra poco verrà rilevato anche il grifone
addormentato.
Spero che vi possa piacere questo mio
piccolo e breve esperimento.
Forse stasera stessa aggiungerò il primo
capitolo o al massimo domani mattina, purtroppo la prossima settimana
mi aspettano esami e accertamenti di ogni tipo.
Un saluto a tutti,
Midori_
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Capitolo 2 *** Bisogno di Pensare ***
#Il
Bisogno di Pensare
Faceva ancora freddo.
Nuvole eteree si creavano ogni qualvolta azzardava a spostare la
sciarpa.
La neve scricchiolava sotto le sue pesanti scarpe, il ghiaccio si
spezzava rilasciando sordi rumori.
Troppo lievi per giungere alle sue orecchie, alla sua mente.
Era troppo occupato a ricordare.
A ricordare i suoi capelli riccioluti, al suo sorriso, al calore delle
sue mani.
Tutte cose perdute.
Tutte cose seppellite sotto formali saluti, brevi chiacchierate e
decine di migliaia di miglia fra lui e quel sorriso.
Sono scelte.
Lui aveva scelto la sua
famiglia.
Lei aveva scelto la sua.
E per la prima volta dopo sette anni, fu messo di fronte al fatto che
pur avendo condiviso tavola e tetti per interi anni, non erano una famiglia.
Non erano nati dallo stesso grembo, non avevano foto o ricordi in
comune di quando avevano imparato a camminare, non aveva condiviso
gioie e dolori dell'infanzia.
Lui e lei erano sempre stati divisi da un muretto, che poi era
diventata una bassa ringhiera ed infine si era trasformato in un
fortino di cemento.
Invalicabile muro.
Inespugnabile fortino.
Era uscito tardi dal pub, aveva lasciato un George depresso e un Lee
ormai ubriaco perso.
Probabilmente non era stato saggio piantarli lì, ma aveva intravisto
nella folla che sedeva in quel piccolo locale i capelli rosso fuoco di
sua sorella.
Ci avrebbe pensato lei a portarli a casa.
Lui aveva bisogno di camminare e di ritirarsi da qualche parte per
leccarsi le ferite.
Di immaginare tutti “e se ...”
che la sua mente riusciva a creare e dimenticarsi del resto del mondo.
Per quell'ora, per quella notte valevano solamente i suoi immaginari
percorsi di vita.
Se l'avesse fermata, se l'avesse baciata, se solo avesse avuto il
coraggio di dirle qualcosa …
Sorrise, ma quando Ronald Weasley
aveva dimostrato coraggio?
Quello vero?
Lui era solamente un Grifone stanco e grigio, panciuto e noioso.
Un Leader senza seguito e branco, abbandonato persino da sé stesso.
Un Grifone incapace di ringhiare.
Si fermò nei pressi di un parchetto babbano e si sedette davanti alle
altalene di ferro che cigolavano sinistre sotto la spinta lieve di un
vento stanco.
Lasciò le mani infilate nelle tasche e nascose ancora di più il naso
nella sciarpa cucita da sua madre per natale.
Marrone chiaro, stavolta.
Il melanzana doveva essere finito, per sua fortuna.
Non aveva voglia di guardarsi intorno, ma inevitabilmente qualcosa
attirò la sua attenzione.
Era una figura minuta, seduta su un muretto basso, la borsa scura a
terra, la giacca grigia.
Da quella panchina poteva solamente dedurre che si trattasse di una
ragazza babbana della zona, probabilmente bisognosa anche lei di
sistemare i pensieri.
Non appena il freddo divenne troppo intenso, Ron si alzò e di diresse
verso l'uscita.
Nel farlo imboccò il piccolo sentiero piastrellato e passò vicino alla
ragazza.
Abbastanza vicino per capire chi fosse.
Abbastanza vicino per sobbalzare e mormorare quel nomignolo antico.
La Serpe.
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Capitolo 3 *** Incontri del Terzo Tipo ***
#Incontri del Terzo Tipo
Occhi azzurri incontrarono occhi neri.
Occhi confusi squadrarono occhi sorpresi.
La Serpe e il
Grifone.
Il Carlino e il Primo degli
Straccioni.
Erano questi i grandi titoli nobiliari che si portavano scritti nella
loro carne, dopo anni di scuola, dopo anni di insulti.
Avrebbero voluto semplicemente voltarsi e dimenticarsi dell'altro, ma
nessuno dei due riuscì nell'intento.
E così rimasero a lungo ad osservarsi.
Entrambi convinti di vivere un
incontro del terzo tipo.
Il primo a parlare fu Ron, ma riuscì solamente a mormorare il suo
cognome.
-Parkinson … - una parola appena sussurrata e che si perdeva
nell'immensità di quell'inverno.
-Weasley … - rispose lei, scandendo lentamente le sillabe.
Pansy si alzò, riafferrò la borsa e una bottiglia di vodka babbano.
Tentava di avere un’aria decisa e regale, ma i suoi goffi passi, resi
incerti dall’alcool, la smascherarono.
Così in un attimo si era ritrovata il braccio del Grifone trattenerla
dallo schiantarsi a terra.
Una Serpe nella morsa di un Grifone.
Ma la piccola vipera riuscì a svincolare e ad accasciarsi a terra con
un minimo di dignità.
-Lasciami in pace.- disse solamente, abbassando il volto verso il
pavimento lastricato. –Tu non mi hai mai, mai, visto.- sentenziò lei mentre
si rialzava sulle gambe inferme.
Ron la lasciò andare, girandosi solamente per vederla arrancare nel
freddo.
Mai avrebbe pensato di incontrarla così, per caso, nel bel mezzo di una
di quelle sere nostalgiche e piene di pensieri sinistri.
Scosse la testa e riprese a camminare.
Era solo un incontro del terzo tipo, di quelli brevi, intensi e
sgradevoli.
Quelli che ti fanno dubitare di essere vivo e normale.
Un sogno, un incontro del terzo tipo, ora per lui non faceva differenza.
Per il Primo degli Straccioni contava solo il denso gelo che avvolgeva
il suo cuore.
Pansy continuò a camminare fin quando non di rese conto di girare a
vuoto.
Quello che voleva era dimenticare e solo scolando quel liquido bianco e
ardente, avrebbe potuto dimenticare.
Imboccò il collo della bottiglia e lasciò che gocce incandescenti
bagnassero la sua gola secca.
Sì, ne aveva proprio bisogno.
Adesso gli occhi sorpresi dello Straccione non erano più importanti.
Così come la sua vita in generale.
Niente aveva importanza per Carlino-Parkinson.
[Ringrazio tutti per aver letto]
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Capitolo 4 *** Fragili ***
#Fragili
Fragile.
Fragile, ecco come si sentiva quel mattino mentre veniva accerchiato da
cinque istruttori Auror e pietrificato senza tante cerimonie.
Adesso era solo una stupida esercitazione.
Una finzione creata per fargli paura, per depistarlo, per atterrarlo.
Ma quello che gli istruttori non capivano è che Ronald Weasley sapeva
di non essere importante.
Lui è sacrificabile.
Lui può essere perduto e dimenticato durante ogni battaglia.
Era l’esca, era l’amico fidato ma non così affidabile, era il tizio che
raramente era colpito da intuizioni particolari.
Quando lo liberarono da quella stretta di pietra, si complimentarono
per la sua freddezza in campo.
Ma quale?
La freddezza nel suo agire o quella
nel suo cuore?
Ennesimo pomeriggio passato a
fissare un soffitto.
Ennesima giornata buttata al
vento.
Ennesima lettera da persone
che un tempo pensava di conoscere che si accumulavano nella scrivania.
Chiuse e dimenticate.
Ennesima serata passata con le mani strette attorno a una bottiglia.
Si era trascinata di malavoglia in quel parchetto perché non si era
stufata del freddo della sua casa, delle coperte sgualcite in cui
dormiva, dei rumori sordi delle tubature che risuonavano sinistre per
tutto il castello.
Così si era seduta in una di quelle panchine usurate, segnate da
scritte d’amore e semplice vandalismo, accompagnata da una bottiglia di
liquore e un cuore ormai fermo da molto.
Aveva chiuso gli occhi, si era stretta in un abbraccio consolatorio.
Aveva bevuto, di nuovo.
Aveva pianto, come
sempre.
Per questi ed altri cento motivi non si accorse della figura che si
sedette accanto a lei, le strappò la bottiglia dalle mani e la bevve
rumorosamente.
-Ne avevo bisogno.- disse più a sé stesso che a lei.
Pansy aprì gli occhi e lo fissò arrabbiata.
-Sparisci Weasley.- sibilò spostandosi di qualche centimetro.
-Sparisci tu, questa è la mia
panchina.- rispose l’altro.
Si guardarono, entrambi arrabbiati per motivi differenti, entrambi già
stanchi di vivere.
Si guardarono e non parlarono a lungo.
Perché nessuna parola e nessun insulto li avrebbe appagati.
Condivisero quella bottiglia e il silenzio, certi che l’altro mai avrebbe capito
quanta fragile gentilezza c’era nei loro gesti.
[Ringrazio
Luna per seguire e recensire questa storia, e tutti quelli che hanno
letto fino a qua. Midori_]
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Capitolo 5 *** Specchi Opachi ***
#Specchi
Opachi
-Come va?-
Era una domanda del tutto lecita.
Una normalissima richiesta di informazione base da cui poi partire per
parlare delle solite cose.
Un rito.
Ma da molto tempo, Ron, sfuggiva a quel cerimoniale. Nessuna lunga
risposta, nessun racconto particolare.
-Non male, e tu?-
E il giro di parole ricominciava.
Harry Potter rimaneva il suo migliore amico.
Anche se il suo sguardo era diventato sfuggente, opaco.
Il giovane ragazzo, tormentato e stanco, era scomparso non appena la
guerra era finita. Seppelliti gli amici e i parenti, lui era rinato.
Ma quelli che più non riusciva a sopportare erano i colori tenui dei
suoi maglioni.
Gli strani consigli che chiedeva a tutti, i fiori che comprava, l’aria
contenta con cui rispondeva a quel dannato aggeggio babbano, la
felicità che traspirava da quegli occhi verdi.
Perché dietro non c’era tutto questo non c’era più sua sorella.
Dietro c’era lei.
Fingeva di essere tranquillo.
Pretendeva dai suoi muscoli facciali il massimo sforzo per contrarsi in
un sorriso comprensivo.
Sì, perché Ron era comprensivo.
Talmente indulgente, dall’aver accettato di vedere Hermione fra le sue
braccia di quello che ormai era solo uno specchio opaco.
-Domani sera c’è quella festa al Paiolo, tu vieni?-
Ron bevve un sorso di birra comune e scosse la testa. –No, domani … -
lasciò in sospeso perché dalla porta di quel locale entrò un’arruffata
ragazza dalla pelle pallida.
Pansy marciò fino al bancone, lasciando che il cappotto scivolasse
dalle sue spalle, tolse con delicatezza la sciarpa verde che prima le
copriva il collo sottile.
-Domani non posso. Devo …Studiare.- buttò lì Ron appoggiando
bruscamente la birra che rovesciò qualche goccia sul tavolino di legno.
Harry aggrottò le sopracciglia. Nonostante tutto quello che era
successo, rimanevano legati da uno strano filo rosso, sentiva che era
una bugia, una balla inventata esattamente qualche secondo prima, un
modo per evitarlo, per scomparire e ricomparire come un qualunque
personaggio secondario.
Ma quella volta non indagò oltre.
Prese per buona quella falsa verità e si dileguò qualche secondo dopo.
Ron rimase incerto seduto su quel tavolo, stringendo la seconda
bottiglia di birra babbana, con lo sguardo che saltava dalla schiena
appena coperta dal pizzo trasparente al tavolino di fronte a lui.
Avrebbe voluto evitarla, ma c’era qualcosa che lo inchiodava lì.
Pura eccitazione.
Primordiali istinti.
Lei si voltò bruscamente quasi bruciata dal suo sguardo e i loro occhi
s’incrociarono.
Occhi azzurri.
Occhi neri.
Un mezzo sorriso increspò le labbra di entrambi.
Lei scese incerta dal suo sgabello e lo raggiunse. Posò con precisione
studiata la borsa e la giacca, lasciò che la sciarpa verde penzolasse
sciolta sulle sue spalle, coprendo quella schiena nuda.
-Mi devi una bottiglia di Whisky, Weasley.- disse lei, sorseggiando il
suo bicchiere di vino.
Ron annuì distratto mentre i suoi occhi indugiavano un po’ troppo sulla
sua scollatura accennata.
-Come …-deglutì per ingoiare quella strana eccitazione. – Come mai così
elegante Parkinson? Malfoy ha tirato le cuoia?- domandò cercando di
nascondere quel rossore sulle guance, ormai a fuoco, bevendoci sopra.
Pansy lasciò il bicchiere accanto alla sua prima bottiglia di birra, si
passò una mano fra i capelli corti e socchiudendo gli occhi. –Spero che
quel dannato giorno si avvicini.- sussurrò sovrappensiero.
Quelle poche parole colpirono il petto di Ron e confusero i suoi
ricordi.
Silenziosi si guardavano, certi che l’altro riuscisse solo a vedere
l’opaca immagine di loro stessi.
Erano due pessimi specchi.
Degli specchi
opachi.
[Ringrazio coloro che stanno seguendo e
leggendo! Un bacio,
Midori_]
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Capitolo 6 *** Piccole Sorgenti di Calore ***
#Piccole
sorgenti di calore.
Da quando Weasley era così alto?
Da quando aveva quelle spalle larghe, da quando i capelli si erano
allungati, da quando aveva un leggero cenno di barba rossa?
E lei, quand’è che si era accorta?
Aveva bevuto poco quella sera. Era lucida, ma il suo cuore era da tempo
annegato in quell’alcool di disperazione e autolesionismo.
Salutò il Rosso, s’infilò il cappotto, lanciando un breve sguardo
malizioso a quei occhi azzurri, prese la borsa.
Avrebbe camminato, avrebbe congelato quelle strane e nuove sensazioni,
avrebbe percorso parte della via sorridendo.
Avrebbe...
Ma il suo braccio l’aveva fermata sulla soglia del locale.
E per un secondo, Pansy, venne riscaldata e il suo cuore si risvegliò.
Stringeva quel braccio senza capire perché.
La trascinava lungo la strada senza avere idea di dove andare.
Furono le prime gocce di pioggia che lo fermarono.
-Piove.- disse solamente mentre l’acqua cominciava a coprirlo.
Pansy alzò il viso e lasciò che il viso venisse bagnato. –Piove.-
ripeté lei.
Si guardarono incerti e rimasero a bagnarsi.
Quando la pioggia divenne insopportabile e i loro cappotti erano
diventi pesanti a causa della pioggia, si rifugiarono in un piccolo
vicolo con un tetto di plastica.
Potevano smaterializzarsi.
Potevano fuggire.
Ma non lo fecero. Rimasero a guardare la strada allagarsi, le persone
passare, il tempo incattivirsi sempre di più.
Fu l’insistente modo con cui si
fissavano che li accese.
Le labbra di Pansy si scontrarono con quelle secche e sorprese di Ron,
per prime.
Il bacio venne approfondito lentamente, mentre le braccia del ragazzo
cercavano rifugio sotto il cappotto bagnato e quelle della ragazza
stringevano ciuffi rossi.
Fu uno scontro ad armi pari, fendenti gentili si susseguivano con colpi
più crudeli.
Quando Ron morse le morse il labbro, riacquistò parte del potere e la
spinse contro il muro del vicolo.
Smisero di baciarsi, di toccarsi e rimasero a guardarsi, cercando di
reprimere l’eccitazione e i respiri affannosi.
-Non c’è bisogno di fare il cavaliere Weasley, solo … - non finì la
frase che venne attaccata di nuovo e si alzò sulle punte per
fronteggiarlo meglio.
No, non c’era bisogno di parlare, pensò Pansy.
Erano solo alla ricerca di piccole
sorgenti di calore.
[Un
ringraziamento a Luna. Questo capitolo è dedicato a te.
Un bacio,
Midori_]
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Capitolo 7 *** Anime Corrose ***
#Anime Corrose
Lei non aveva un’anima.
Quella era stata corrosa molto tempo prima, era stata abbandonata in
fretta e furia, era stata schiacciata dalla vita.
Lei aveva solo un corpo.
E quella notte, quel corpo, si era incendiato.
Sentiva ancora le sue mani percorrerla, stringerla goffamente,
graffiarla.
Sentiva ancora il suo respiro affannoso, le sue mezze parole.
Sentiva.
Rabbrividì quando il vento gelato di fine inverno era entrato nella sua
stanza, da quella finestra che non ricordava di aver lasciato aperta.
Le coperte erano aggrovigliate intorno al suo corpo, il suo volto
rivolto verso una schiena coperta di efelidi che si stava vestendo.
Per l’ennesima volta, Pansy era solo stata un giocattolo notturno.
Socchiuse gli occhi e lo fissò. –Puoi smaterializzarti se vuoi.- gli
disse, cercando di non sembrare dispiaciuta.
Non poteva esserlo, lei era solo un corpo.
E si sa, che le membra non hanno sentimento.
Lui si girò di scatto.
-Ti sei svegliata.- constatò ancora assonnato. –E’ tardi ed io …-
Pansy chiuse bruscamente gli occhi e nascose il volto fra le pieghe del
cuscino.
-Siamo adulti, Weasley. Non c’è bisogno di tutta quella manfrina.-
Ron la guardò a lungo, incerto. Sembrò quasi volesse avvicinarla.
Come un Grifone voleva gustarsi
appieno la sua preda.
Ma la Serpe scivolo nel suo antro,
nascondendosi alla sua vista.
-Okay.- soffiò rigirandosi.
Indossò la maglia e questo gesto naturale lasciò dell’amarezza in Pansy.
Non poteva più godere della vista di quell’ampia schiena.
Non più.
La giornata si era conclusa troppo velocemente.
La notte era nuovamente calata e lui si era rifugiato nella nuova casa
che condivideva con il fratello.
Le sue mani cercavano di afferrare birre in continuazione.
La sua mente cercava di fargli ricordare.
Poteva sentire ancora il sapore
deciso delle sue labbra.
Poteva ancora vedere l’ombra di un sorriso nel suo volto.
Poteva ancora sentirla mentre gemeva
e lo graffiava.
Poteva ancora provare quell’eccitazione primordiale mentre la prendeva.
Tutto era ormai un ammasso di immagini e sensazioni.
Le sue cosce morbide.
Le sue mani gelate.
L’antro umido che era il suo centro.
I suoi gemiti.
I suoi occhi.
Scosse la testa furioso con sé stesso.
No, lui aveva altro a cui pensare.
Lui aveva l’addestramento, aveva la sua famiglia, aveva Hermione che
continuava a tormentarlo.
Non necessitava di altro.
Non aveva bisogno di lei.
[Ringrazio tutti quelli che stanno
leggendo e seguendo. Spero via sia piaciuta la puntata.
Midori_]
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Capitolo 8 *** Dispersi ***
# Dispersi
Raramente usciva di giorno.
Raramente incontrava la luce del mattino.
Preferiva l’oscurità, il celarsi agli occhi di sé stessa.
Eppure quel mattino lei aveva sentito il bisogno di uscire, di sentire
l’aria pungente del mattino, perdersi in mezzo alla folla di uomini e
donne che correvano qua e là, diventare parte della caotica Londra.
Ma poi si fermò.
Occhi azzurri, occhi bassi, rossore
sulle orecchie, efelidi.
Weasley.
Per un secondo solo fu tentata di avanzare verso di lui, ma poi lasciò
che le persone la coprissero e si nascose.
Titubante.
Confusa.
Curiosa.
Si era incontrati per caso, quel mattino.
Lei teneva un pesante libro di Medimagia su un braccio, mentre l’altra
spalla era occupata a trasportare una pesante cartella di cuoio.
I lunghi ricci erano tenuti fermi da un fermaglio d’argento e sulle
labbra aveva quel sorriso in grado di ucciderlo.
In grado di bruciarlo.
In grado di spegnerlo.
Fra formule di cortesia, vuoti inviti a pranzi, Ron passeggiò accanto a
Hermione, beandosi ancora una volta del suo profumo, di quel affettuoso
abbraccio che gli aveva donato, di quel complimento alla sua barba
curata, di quegli occhi castani.
Voleva che quella strada continuasse fino all’infinito, voleva che le
loro strade s’incrociassero più spesso, voleva …
Voleva fin troppo.
Quando attraversarono la strada, Pansy girò i tacchi e se ne andò dalla
parte opposta.
Ancora una volta era stata un giocattolo.
Era stata un triste contorno di una sera qualunque.
Lei, che sapeva solo rispondere con il corpo, si sentiva violata.
Ancora una volta.
Camminò, con passo incerto e stanco, camminò finché i suoi occhi si
annebbiarono di lacrime silenziose.
Camminò certa che un giorno, tutto sarebbe cambiato.
Quando tornò a casa e trovò George in compagnia di suo fratello Bill,
sentì che qualcosa non andava.
Non era in grado di sentirli sussurrare strane ipotesi sul suo
cambiamento.
Non quel giorno, che era stato così
perfetto.
-Fratellino … - disse Bill sorridendogli, la sua cicatrice però
trasformò tutto in uno strano ghigno.
-Ciao.- rispose cauto.
-Hai sentito la splendida notizia?- domandò George.
-No.-
-Mamma e papà andranno a trovare Charlie e la Tana sarà libera. Ginny
vuole festeggiare con le altre giocatrici le ultime vittorie.-
E per un secondo Ron sospirò sollevato. –Se c’è la birra, ci sono.-
George annuì ed agitò le mani. –Birra, Whisky Incendiario, ragazze e …
Non dimenticarci Ronnuccio della pozione magica o altrimenti ci
ritroveremo con un altro Weasley tonto.- scherzò facendo ridere Bill.
Ridacchiò anche lui mentre si toglieva la giacca.
E solo allora pensò a lei.
Ai suoi capelli corvini.
Alla sua voce arrocchita dal piacere.
Alle sue mani.
“Non l’ho presa”
fu l’unico pensiero che formulò prima di accasciarsi su una sedia,
cereo e sconvolto.
“No, almeno questo no.”
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Capitolo 9 *** Dubbi e Certezze ***
#Dubbi
e Certezze
Fu strano ritrovarsi in quella casa.
Quell’immensa dimora di cui ricordava a stento solamente le luci
soffuse della camera da letto, le lenzuola fredde e il camino spento.
Nulla di più.
Nulla di meno.
Bussò appena ed aspettò.
Probabilmente non era a casa, date le luci spente.
Probabilmente era in giro con qualcuno.
Era fuori e lontana.
Invece la porta si aprì e spuntò fuori una ragazza assonnata, con i
capelli arruffati e una vestaglia pesante a coprire quel corpo che
aveva amato solo una notte fa.
-Ciao … - disse solamente mentre entrava.
-Ciao …-
Era uno strano modo per iniziare una serata.
Un incontro.
Perché è a quello che pensava Pansy quando aprì la porta e lo vide
sulla soglia, con le mani in tasca.
Un secondo round fatto di carezze e sospiri.
Un secondo round per dimenticare quello che erano e quello che
sarebbero stati.
Era già capitato e per lei quel ritorno era una certezza.
Lo fece accomodare in un salotto grande e desolato, ammobiliato solo da
un paio di divani verdi e qualche antica armatura.
Si sedette e con un colpo di bacchetta accese il camino.
Rimase in silenzio ad ascoltare il crepitio delle fiamme.
Rimase in silenzio aspettando le sue parole.
Ron la osservò attentamente.
Come mai aveva fatto prima.
Osservò il lungo collo, l’apertura della vestaglia che scopriva una
leggera canotta, le gambe raccolte sotto si sé, gli occhi scuri che
osservavano le fiamme.
-Parkinson …- la chiamò e lei si girò appena, le sue dita giocavano con
la collana e il suo sguardo sembrava assente.
-Io l’altra sera … Non avevo preso quella pozione.- disse, sentendo
caldo, troppo caldo. Aprì la giacca ed attese una sua risposta.
Si era aspettato delle grida o degli insulti, ma lei rimaneva in
silenzio.
-Parkinson hai capito?- le domandò dopo un po’.
Lei annuì e si alzò.
-Vieni con me.-
Scesero le ripide scale che portavano nei sotterranei, Pansy si strinse
nella sua vestaglia e camminò veloce fra i diversi cunicoli che
conosceva fin troppo bene.
Si girò per un attimo e guardò Weasley.
Era ancora rosso per la vergogna.
Le sue guance erano scarlatte quanto il collo e le orecchie.
Avrebbe voluto toccarle per sentire il calore, per riscaldarsi un’altra
volta.
Ma continuò a camminare ignorando i suoi istinti.
Aprì con qualche sforzo la pesante porta in ferro alla sua destra e con
un veloce incantesimo appena sibilato accese le gigantesche torce poste
ad ogni angolo della stanza.
-Per essere sicuri, basta fare una pozione.- gli disse mentre cercava
un calderone piccolo in una specie di immenso armadio.
-Questo posto … è …-
-Immenso.- completò lei. –Ed è stato anche uno dei laboratori di
Severus Piton e di alcuni dei Mangiamorte con una certa abilità in
pozioni. – disse lei anticipando le sue silenziose domande.
Versò del liquido viola e accese un grosso fuoco.
-Qualche minuto e quando sarà blu mi dovrai dare un tuo capello, così
vedremo.-
Ron aggrottò la fronte, ma annuì.
Aspettarono in silenzio e quando il liquido denso divenne blu, Pansy si
strappò un capello corvino, seguita subito da Ron.
-Se rimane dello stesso colore, non è successo niente.- disse lei.
E il calderone rimase blu.
Ron fece un fin troppo rumoroso sospiro di sollievo.
Pansy si limitò a far scomparire il contenuto del calderone e spingerlo
fuori dal laboratorio.
Percorsero le scale velocemente, lui euforico, lei più serena.
Si ritrovarono nel bel mezzo del corridoio che portava all’uscita della
grande casa.
-Mi dispiace, io … Sono stato un cretino, avrei dovuto dirtelo ieri. –
-Non ti preoccupare. Non è successo niente.- rispose lei.
Ron si rimise la giacca e infilò le mani nelle tasche.
Ora lui era certo,
era sicuro.
Mentre lei veniva
corrosa dai dubbi.
-Fra due sere, ti va …Ti va di venire alla festa della squadra di mia
sorella?-
Eccolo il contentino.
L’amaro boccone da ingoiare.
Una festa piena di coraggiosi Grifondoro.
Scosse la testa Pansy. –Non sono una tipa da festa.- rispose solamente.
-E allora che genere di persona sei?-
-Una di quelle che preferisce l’azione o il silenzio alle parole di
cortesia.- spiegò mentre apriva la porta.
Ron si bloccò e la fissò stranito. –E’
una risposta strana.-
-E’ la risposta più sincera.-
Fu allora che Ron prese la sua mano, l’allontanò dalla maniglia e
chiuse la porta bruscamente.
Non c’era tempo
per dubbi o certezze.
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Capitolo 10 *** Annegati ***
#Annegati
Erano annegati.
Morti
affogati dal desiderio.
Le
sue mani percorrevano il suo corpo.
I
gemiti erano soffocati da baci e morsi.
Erano annegati.
Fu facile
salire le scale e spalancare la porta.
Fu facile
spogliarla della veste e dei pantaloncini.
Fu facile
toglierli la giacca e slacciare la cintura.
Fu
facile.
Pansy si tolse
la canotta, rimanendo a seno scoperto e
sospirando, non appena le labbra di Weasley le sfiorarono. Con qualche
difficoltà di concentrazione, si mise a toglierli la camicia, con le
mani
tremanti, cercando di non guardarlo negli occhi.
Ron lasciò che
la camicia scivolasse giù dalle spalle, mentre
le sue mani scivolavano lungo i fianchi della ragazza, saggiandone la
consistenza.
Unirsi
non fu semplice quella volta.
Uno scontro di
caviglie, mani, maglie sfilate e occhi
che fissavano accecati dal desiderio e dall’incertezza.
Quando Ron
entrò in lei, lui perse ogni imbarazzo o incertezza.
Entrò sicuro e
gentile, stringendole la nuca con la mano,
respirando il suo stesso fiato, accarezzando la sua coscia.
I suoi
movimenti erano fluidi e sicuri, mentre Pansy era
semplicemente sopraffatta da tutto.
Sentì le sue
mani stringerle i seni, le sue labbra baciarle
il collo, il suo bacino colpirla con movimenti fluidi e decisi.
Ma lei, quella
sera, troppo lucida per sperare di cadere
nell’oblio, era ormai annegata.
Pansy respirò
lentamente, con gli occhi chiusi, cercando di
risalire in superficie.
Ma invece di
incontrare l’aria, si scontrò con gli occhi
azzurri, le gote rosse, i capelli scompigliati dalle sue mani, il
respiro
affannoso.
Separati,
eppure ancora uniti dai leggeri colpi di bacino,
le ultime battute di un amplesso confuso e concluso.
Lui si districò
velocemente da lei, in lei, e
si lasciò cadere dall’altra
parte del letto.
E lei chiuse
gli occhi, lasciando che una lacrime scendesse
da essi.
Li riaprì
solamente quando sentì una mano calda, spazzare
via quel che rimaneva della lacrima.
Un’umida scia
di ricordi.
-Mi dispiace …
- disse lui mortificato. –Ti ho fatto male?
Scusami io …-
Pansy voltò la
testa ed incontrò i suoi occhi. –No, non sei
stato tu a farmi male.-
-E allora chi?-
-Il passato,
temo.-
Ron pesò cauto
quelle parole. –Ha un nome quel passato?-
Pansy non
rispose, preferì sporgere verso di lui e baciarlo.
Fu un bacio
diverso.
Un
bacio ragionato, lento, quasi delicato.
Un
bacio diverso.
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Capitolo 11 *** Risvegli ***
#Risvegli
Socchiuse gli occhi.
La stanza era appena illuminata dall’alba, risvegliandola.
Uno strano peso le bloccava lo stomaco.
Un peso quasi piacevole e caldo.
Un peso che l’aveva riscaldata, quella notte.
Si stiracchiò, lasciando le sue braccia scorrere sul cuscino.
Strusciando le gambe fra le coperte aggrovigliate.
Sbadigliò a lungo e solo allora aprì del tutto gli occhi.
E l’unico colore che vide fu il rosso.
Rossi erano i
suoi capelli.
Rossi la sua
leggera barba.
Rossi erano i
graffi che ancora marchiavano la sua pelle.
Il suo braccio l’aveva stretta in una strana morsa durante la notte.
Il suo viso addormentato rivolto verso di lei.
Pansy spostò un paio di ciocche che gli coprivano il volto.
-Svegliati … -gli sussurrò. –Svegliati che è tardi.- disse più decisa.
Ma lui non accennava a svegliarsi.
Prese a scuoterlo leggermente finché i suoi occhi non si aprirono
lentamente.
E i suoi occhi azzurri la scrutarono con tale intensità che Pansy
preferì distogliere lo sguardo.
Una serpe ferita, ecco cos’era.
Ron si mise a sedere e la fissò.
-Buon …Buongiorno.- balbettò mentre si alzava alla ricerca dei jeans e
delle magliette gettate via la sera prima lungo la stanza.
Pansy passò più volte la mano fra i capelli cercando di appiattirli.
Doveva essere orribile.
Doveva essere veramente orribile.
Anche lei recuperò la veste e se la infilò.
-Ti faccio un caffè.- disse alzandosi e rabbrividendo per il freddo del
pavimento.
-Ti faccio un caffè.-
Non era una domanda, non era una gentile richiesta.
Era un sottile ordine.
E lui la seguì, beandosi della vista del suo corpo.
Della pelle lattea e priva di imperfezioni.
Dei ciuffi scuri che le incorniciavano la nuca.
Delle gambe che camminavano sicure.
Attraversarono un paio di immense stanze, immerse nel buio e nella
polvere.
Poi lei aprì una porticina e lo condusse in quella che era una piccola
cucina moderna.
Le bastarono un paio di colpi di bacchetta per far rianimare gli
oggetti, per accendere il fuoco, per riempire la moka di caldo caffè
scuro.
-Vuoi dello zucchero?-
Quella era sicuramente una domanda.
Ron annuì e la ringraziò appena.
Non era a suo agio.
Non era mai andato oltre.
Non aveva mai dormito un’intera notta
accanto a un’altra.
Non dopo lei.
Fissò Pansy mentre sistemava due tazzine sul tavolo in cui era seduto.
Guardò il suo cucchiaio riempirsi di zucchero ed affondare nella sua
tazza.
Osservò le sue labbra posarsi sulla ceramica della tazza.
E qualcosa di strano lo colpì allo stomaco.
Una specie di certezza.
Una specie di decisione.
Forse, domani sarebbe passato da lei.
Era solo sesso.
Era solo piacere fisico.
Era solo temporaneo.
Questo le diceva quella strana vocina nella sua testa.
Eppure quando lo salutò davanti alla porta di casa, stringendosi
addosso la vestaglia, le sue labbra si posarono sulle sue.
Era solo sesso?
Era solo piacere fisico?
Era solo temporaneo?
Sentì la sua mano cingerle il fianco con gentilezza.
Sentì la consistenza ruvida della giacca sulla sua pelle.
Sentì il suo saluto, soffiato sul suo orecchio.
Sentì il distacco come doloroso e angoscioso.
E lo vide andare via.
Si toccò distratta la bocca, lì c’era ancora il suo sapore.
Sapore di caffè.
Sapore di breve separazione.
Sapore di
risveglio.
[Dedicato a
Luna-Kiraeteru]
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Capitolo 12 *** Riconoscersi ***
#Riconoscersi
Occhi scuri.
Naso all’insù.
Capelli corvini, tagliati corti con ciuffi che finivano per
darle un’aria distratta.
Un’aria caotica.
Ma era quel sorriso che lo specchio non conosceva.
Quel sorriso caldo e sereno.
Quel sorriso fiducioso.
Il sorriso di una persona che si era
appena riconosciuta.
Il sorriso di una
persona pronta ad accettare quello che le
veniva offerto.
Quando si svegliò, quel mattino di marzo, si sentì pronta
per ricominciare.
Si vestì con una vecchia maglia scolorita e pantaloni da
uomo rovinati dal tempo.
Si armò di scatoloni e nastro, e cominciò la sua personale
battaglia.
Nonostante provasse qualche perplessità, sapeva di essere
nel giusto.
Non poteva più vivere lì dentro.
Non poteva più respirare quell’aria rarefatta.
Non poteva più posare gli occhi sul passato.
Avrebbe traslocato verso un nuovo luogo.
Un nuovo nido.
Era da due giorni che non la vedeva.
Aveva scritto decine di messaggi, di lettere lunghe o corte,
ma le parole s’impigliavano fra di loro, litigavano e s’impigliavano
mentre
scriveva, rendendo confuso la sua lettera, le sue parole.
Alla fine tutti i suoi sforzi si ritrovavano accartocciati
su sé stessi.
Inutili pezzi di carta e gocce d’inchiostro.
Eppure erano anni, -due o tre?-, che non scriveva a una
ragazza.
Anni.
Sorrise e si alzò vittorioso dalla sua malconcia scrivania.
Non aveva importanza scrivere.
Sarebbe andato lui di persona.
Uscì di casa munito solo di camicia di flanella e voglia di
fare, di sentire le sue labbra, il suo respiro su di sé.
La trovò davanti alla porta mentre spazzava spazientita
lungo il piccolo patio.
Sembrava del tutto incapace di coordinare i movimenti con la
scopa e la vide più di una volta spostare con un gesto rabbioso i
ciuffi scuri.
E Ron sorrise.
-Che fai?- le chiese una volta vicino.
Lei alzò il viso verso di lui e lo guardò sorpresa. –Pulisco,
ovviamente.-
-E da quanto tempo ti dedichi a questa pratica?-
-Un’ora, direi.-
Ron strabuzzò gli occhi e la guardò divertito. –Sono colpito.-
Pansy gli lanciò la scopa. –Weasley voglio proprio vedere se riesci a
fare meglio di me?- lo provocò, incrociando le braccia e fissandolo
intensamente.
Ron salì alla svelta i pochi gradini che la separavano da
lei, con la scopa in mano si avvicinò pericolosamente al suo volto,
senza
incontrare alcuna resistenza. –Io le so cavalcare, le scope … -
La baciò con trasporto, prendendola per la nuca.
Ma per la prima volta dovette fermarsi a lavoro incompiuto.
Le sue labbra erano storte in una risata.
Lunga e spontanea.
Cristallina e contagiosa.
E anche lui si unì alle risate, finché non sentì la sua
leggera stretta al braccio trascinarlo dentro e le sue mani posarsi sul
suo
petto e la sua bocca scontrarsi con la sua.
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Capitolo 13 *** Sconfitte Piacevoli ***
#Sconfitte Piacevoli
Aveva cercato di resistere alla sua presa.
Aveva cercato
di scalciare e di divincolarsi.
Ci aveva
provato, ma le sue braccia sembravano fatte di marmo.
La trascinò
lungo il corridoio e l’avvicinò al muro dove la inchiodò.
-Parkinson …
-disse prima di baciarla con ardore.
Pansy si lasciò
toccare con quella riverenza e gentilezza tipica del giovane Weasley.
Sentì le sue
mani scorrere leggere sulla sua schiena.
Sentì il suo
respiro affannoso soffiarle e riscaldarla.
Sorrise mentre
lui si avventava sul collo.
Aveva visto di
sfuggita il suo viso concentrato, gli occhi pieni di desiderio e le
guance arrossate.
E qualcosa di
strano le colpì lo stomaco.
La sua sconfitta era diventata
piacevole.
Ron arretrò
appena, lasciandole il tempo di riprendersi e a lui di darsi una
calmata.
Non voleva
degenerare come al solito.
Sapeva che lei
non si sarebbe tirata indietro, ma quel giorno lui voleva altro.
Voleva
parlare.
Voleva
discutere.
Voleva
ridere.
Voleva
dimenticare.
Pansy doveva
aver capito qualche cosa perché lo trascinò per il gomito verso una
grande porta aperta. Dietro ad essa vi giacevano una dozzina di
scatoloni e cianfrusaglie.
-Cambi aria?-
domandò stupito.
-Mi traferisco.
Non ho trovato ancora niente di … Particolare. Ma entro la fine del
mese, me ne vado.- disse Pansy chinandosi su uno scatolone ancora
aperto.
Ron rimase
sulla soglia a fissarla. –Ma non è la casa dei tuoi genitori?-
Pansy annuì.
–Rimarrà casa loro.-
Ron aggrottò le
sopracciglia e cercò di non domandare altro.
Era stato
George a colpire a morte suo padre.
Mentre la
signora Parkinson era stata arrestata successivamente e portata di peso
ad Azkaban.
Inoltre c’era
un fratello che veniva costantemente ricercato in tutta Europa.
Eppure Pansy
sembrava lontana da tutto questo.
Come se la
sconfitta della sua famiglia, non le riguardasse.
-Bene. Io ho
fame, vuoi mangiare qualcosa?- domandò lei alzandosi mentre con la
bacchetta rimpiccioliva lo scatolone e lo posava dentro un secondo.
Ron sbatté un
paio di volte gli occhi prima di rispondere con un sorriso.
Quando aprì gli
occhi, fece fatica, stava troppo bene fra quelle lenzuola, mentre il
sole decideva di ritararsi e le tenebre avanzavano lentamente.
Un suo piede
toccò bruscamente la coscia di Pansy che lo fissava seria.
-Tu russi, lo
sai?- gli domandò coprendosi meglio il seno con le lenzuola.
Ron aggrottò la
fronte. –Io non russo.-
-Oh, sì! Però
devo ammettere che non è fastidioso, non sembri un treno che deraglia
ma … -
Ron si alzò a
sedere e la guardò indispettito.
-Io non … Io …
Ah, lasciamo perdere!- disse indossando i pantaloni, arrabbiato ma
senza un reale motivo. Pansy lo guardò confusa e cercò di capire cosa
avesse detto di strano.
-Era solo una
banale osservazione, Weasley.- rispose lei secca, fissandolo mentre si
alzava goffamente e cercava la maglia.
Il silenzio che
si creò sembro pesare entrambi, Pansy si era infilata la vestaglia ed
era sgusciata via dall’altra parte del letto. Era diretta in bagno ma
la presa sul suo braccio la bloccò.
-Non c’è
bisogno di … Scusa.- balbettò Ron.
-Perché mai
dovrei accettarle? Non hai niente di cui scusarti.- rispose lei,
rimanendo ferma, bloccata in quella strana posizione.
-Io non so cosa
voglio.- sibilò Ron. –E non voglio offenderti.-
Eccola, la resa dei conti.
Pansy si voltò
lentamente. –Io non mi offendo. Ciò che non mi uccide, non mi ferisce.-
disse guardandolo negli occhi. –Ma se preferisci andartene, conosci la
strada per l’uscita.-
Ron inspirò
profondamente e si avvicinò a lei e la travolse con un abbraccio goffo,
impacciato e spontaneo.
Se c’era una
cosa che aveva imparato è che il tempo distrugge i tesori più belli.
E in quel momento Pansy Parkinson era l’unica cosa bella della sua vita.
Si
ritrovarono a combattere per l’aria.
Per rimanere lucidi abbastanza per slacciare gli abiti appena messi.
Per assaporare appieno quei momenti.
Certi
che quella non sarebbe stata l’ultima volta.
Certi
che quel pomeriggio era l’inizio di un nuovo capitolo.
[Fine]
Voglio
ringraziare chiunque abbia letto, seguito, recensito questa storia.
Per
me è stato strano scriverla quanto strano finirla e ancora più strano
ritrovarmi a buttare giù una nuova long su questa adorabile coppia.
Per
chi volesse seguirla, -non sentitevi obbligati!-, la posterò a breve
con il titolo di “Muri da abbattere
e Sentimenti da cementificare”.
Vi
ringrazio ancora!
Midori_
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