Sherlock Holmes : Fear Of The Dark

di NekoLune
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non è la fine del mondo, Watson! ***
Capitolo 2: *** Un caso complicato ***
Capitolo 3: *** Non si ricorderà nulla, Dottore. ***
Capitolo 4: *** The Day After: Watson ***



Capitolo 1
*** Non è la fine del mondo, Watson! ***


Sherlock Holmes: Fear of the Dark



Non è la fine del mondo, Watson.




Era giorni che lavorava a quei racconti seduto a quella scrivania, davanti a quella macchina da scrivere. Senza chiudere occhio, eppure non si sentiva stanco. No, riviveva quei racconti scrivendoli pensando a quanto era stato stupido, inetto e impotente quella sera a Reichenbach.
Chiuse gli occhi solo un momento. Correva tra la gente presente nel castello, su per le scale pensando "Resisti Holmes, sto arrivando", ecco la porta!, lui si trovava dietro a quella ridicola striscia di legno: quando l'aprì i loro sguardi si incrociarono per un secondo, Sherlock chiuse gli occhi e poi giù. Nelle cascate.
Riaprì lentamente gli occhi sentendo la delicata voce di Mary:
« Il postino, caro. » Sorrise.
Lei si presentò davanti a John in perfetto ordine. I capelli rossicci raccolti in alto, la camicetta bianca abbottonata fino al colletto e la lunga gonna blu che sfiorava il pavimento: teneva in una mano un pacchettino fasciato in una carta marroncina .
Ma Watson non si mise a osservarla come faceva di solito, rapito dalla sua bellezza: no. Aveva infatti ripreso a schiacciare i tasti neri della macchina da scrivere, componendo la frase "l'uomo più saggio che io abbia mai conosciuto." Guardò Mary e pigiò le ultime sei lettere "THE END".
La donna si allontanò silenziosamente mentre John iniziò a osservare il misterioso pacchettino. Niente mittente: pacchetto anonimo. "Strano" pensò Watson iniziando a scartare: una scatola di legno anch'essa anonima, semplice. Fece quindi slittare l'apertura e quando vide ciò che c'era dentro rabbrividì. Tirò fuori quell'oggetto così particolare che solo una persona poteva possederlo e nella sua mente rimbombarono le parole: "è la mia piccola scorta di ossigeno".
No, non era possibile. O forse sì?
Gladstone, rimasto accucciato per tutto il tempo, improvvisamente alzò il suo muso bavoso e iniziò a fissare la poltrona color amaranto davanti a lui. Il Dottore notò lo strano comportamento del suo amico a quattro zampe e seguendo il suo sguardo spostò la sua attenzione sulla potrona.
Improvvisamente si mosse e Watson quasi non cadde dalla sua sedia.
« Ma che cos...? »
« Orsù Dottore. Sono passati solo due mesi e lei già mi dava per morto? » Borbottò la poltrona.
« È impossibile, impossibile dico! Nessun corpo ritrovato - iniziò a ripetersi mentre camminava avanti e indietro - nessun corpo oltre quello del Professore! »
Intanto una figura si distaccò dalla parete. Aveva le sembianze di un uomo ma completamente rivestito dello stesso tessuto della poltrona. Watson sbiancò. La figura intanto camminò tranquilla fino a trovarsi davanti alla macchina da scrivere infine si tolse il cappuccio che gli ricopriva il volto.
Watson lo riconobbe. Impossibile. Eppure era così. I capelli incolti stavano riprendendo vita dopo essere stati schicciati per chissà quanto tempo sotto quel cappuccio, la barba anch'essa incolta, gli occhi vispi si avvicinavano con curiosità alla macchina da scrivere e il fisico delineato perfettamente da quella specie di tutina.
« Ohohoh! L'uomo più saggio, eh? Lei mi lusinga Dottore! La fine, poi! Mi sembra esagerato! Non è la fine del mondo, Watson! Sono solo caduto dalle cascate più alte della svizzera, cosa vuole che sia? » Spinse il bottone del punto interrogativo strasformando il "THE END" del Dottore in "THE END?".
Watson tremava. Non più per lo sgomento, ma dalla rabbia.
« Lei. LEI! Lei non sa quello che ho passato! » Disse agitando il dito indice verso Holmes.
« Crede? »
« Ne sono sicuro! »
« Davvero? »
« La pianti con le domande generali! Io ho dovuto... »
« Lei ha dovuto? Cosa? Ha dovuto dire, per caso, a mio fratello Mycroft che ero morto? Lei ha dovuto, forse, organizzare un funerale a un morto che non si trovava? Dovere?! Lei ha voluto! Ecco! Perchè si annoiava con Mary! Dica la verità! »
« Cosaaa? Assolutamente io non ho det... »
« Ma l'ha pensato. »
Silenzio. I due non se ne erano accorti. Ora si trovavano a dieci centrimeti l'uno dall'altro. Holmes poteva sentire perfettamente il respiro frettoloso e rabbioso di Watson e il Dottore non poteva più ribattere ora che gli occhi scuri di Sherlock lo guardavano in quel modo: lo fissava con interesse, quell'interesse che nessuno più gli rivolgeva, era un concetto difficile da descrivere, si sentiva come l'esemplare più raro di una specie e Holmes era il suo studioso. Mai gli avrebbe fatto del male se non fosse stato necessario, ecco perchè alla fine non riusciva a tenere il broncio a Sherlock.
« Beh? Non reagisce? » Disse Holmes.
Watson lo abbracciò. Mai vi era stato un contatto fisico così affettuoso tra i due. Anche quella volta che Watson aveva rischiato la vita per salvarlo dall'esplosione che aveva progettato Lord Blackwood quando si rincontrarono si dissero semplicemente "Sono contento che sia ancora vivo". Quell'abbraccio sembrò eterno. Per Watson significava togliersi dalle spalle tutto il dolore che aveva accompagnato la scomparsa del compagno di avventure. Per Sherlock invece risultò tranquillizzante: pensava, infatti, che se le cascate di Reichenbach furono così gentili da lasciarlo in vita, John poteva non essere così cortese.
John allentò la presa e, con lo sguardo basso, sussurrò:
« Mi scusi, Holmes. È che... »
« Non dica niente di compromettente - lo interruppe Sherlock bisbigliando - la Signora Watson ci sta osservando! - si voltò lentamente mostrando un sorriso più cortese possibile - Miss Watson! » esclamò.
La donna in preda al terrore sbiancò come se avesse visto un fantasma, in un certo senso aveva ragione, e svenne cadendo rumorosamente a terra.
La scena divenne confusionaria. John corse verso la maglie cercando di rianimarla; Miss Hudson, che fino a quel momento era rimasta al piano di sotto del 221B di Backer Street, corse di sopra e vedendo Holmes reagì esattamente come la donna precedente.
« Mh, tipico di quella vecchia! » commentò Holmes girandosi dall'altra parte e cominciò a cercarequalcosa con cui cambiarsi.
Watson lo osservava. Era tornato. Non ci poteva credere. Sicuramente si era addormentato e la sua fantasia creò tutto il resto.
« Ahii! » si girò. Gladstone gli aveva appena morso una caviglia. Okay, non era un sogno. Era tutto vero. Sherlock Holmes era tornato. Solo quella mattina si accorse che forse quello che provava per Holmes non era solo amicizia...





NdA: prima fic "seria" dedicata alla storia (sia libri che film) che mi piace di più. Non so ancora se continuarla o no... :/ Spero sia di vostro gradimento :3

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Capitolo 2
*** Un caso complicato ***


Sherlock Holmes: Fear of the Dark



Un caso complicato.




Era tornato il silenzio al 221B di Backer Street. Rasente il sufficiente tenendo conto che un soggetto come Sherlock Holmes si trovava all'interno dell'appartamento. Al piano terra, Watson era riuscito a calmare lo spirito di Mary: la donna aveva appreso del ritorno dell'investigatore come un dogma religioso; Miss Hudson invece fu più sfortunata: ogni volta che Watson cercava di spiegarle cosa era avvenuto poco prima al secondo piano, sveniva udendo le parole "Holmes è vivo". Il Dottore diede quindi qualche dritta a Mary sul dafarsi con la cameriera e lanciandole un ultimo dolce sguardo si chiuse alle spalle la porta del salotto.
Si fermò per qualche istante pensando a come poteva sperare di spiegare l'accaduto alla polizia e al resto di Londra. Ma i suoi pensieri furono interrotti dal suono che non udiva da mesi, un suono pizzicato, interrotto ma dolce: il violino di Holmes!
Salì le scale due gradini alla volta. Arrivò davanti alla porta dello studio di Holmes e lo vide, sulla sua poltrona, seduto in modo improponibile: una gamba cadeva di lato oltre il braciolo destro, sull'altro era appoggiato con il gomito sinistro, in grembo teneva il suo violino che stuzzicava lentamente maliziosamente fissando l'amico che era appena entrato.
- Amico mio. disse Holmes Le restituirò i suoi abiti appena mi sarò rifatto un guardaroba.
Solo allora Watson notò che gli indumenti che indossava erano i suoi: non cercò di trattenere il sorriso che improvvisamente fiorì sul suo volto. Watson era contento. Mai lo era stato così tanto, neanche il giorno del suo matrimonio: senza contare che quella giornata era stata preceduta da una sbornia da paura che gli era costata un morso su un braccio.
Holmes si era alzato dalla sua sede e procedeva spedito verso il compagno d'avventura. Watson dal canto suo fece mezzo passo indietro come intimorito.
- Lei... iniziò Sherlock agitando un dito verso il Dottore ...mi deve una cena, è il minimo dopo avermi fatto cadere da quelle cascate! Non trova?
- Certo, aggiunse Jhon ma lei mi deve diversi giorni della mia vita. Paga lei, quindi.
- Non esiste, io risulto morto!
- Ma non lo è.
Watson si era spostato verso il tavolino del salotto dove, ancora intonsi, vi erano i giornali dei giorni precedenti: il Dottore non aveva avuto tempo di guardarli ne aveva voluto, era sicuro che riportavano tutti la notizia della morte dell'amico e non aveva intenzione di rivivere quei momenti. Ma ora era tornato e niente gli privava la gioia di leggersi la cronaca rosa del "The Penny" che riportava le scaramucce di Miss Green contro il marito, leggendole al contrario.
Poi tutto insieme venne scuro in volto. Un'immagine, orribile, un massacro. Una donna, con la giugolare recisa, e un titolo: "Lo Squartatore colpisce ancora" continuò quindi a leggere.
"L'ennesima vittima del Killer è stata trovata nei bassifondi londinesi nei presi del bordello OverYard. La gola recisa di traverso con un taglio netto fu il colpo letale ma non l'ultimo. Altri cinque colpi hanno reciso in modo netto la carne della giovane vittima."
Watson leggeva esterrefatto quando qualcuno bussò vigorosamente alla porta del 221B. Il dottore quasi non strappò il giornale e alzando la testa notò che Homes non era più nella stanza e la sua voce risuonò nell'ingresso dell'appartamento:
- Entri pure, Lestrade, non faccia complimenti. Watson scese velocemente le scale pensando "basta queste scale le ho già fatte troppe volte!" e vedendo l'ispettore entrare senza fare troppe scene si ferò a metà scala.
- Homes, finalmente è arrivato a Londra! Ci serve il vostro aiuto! Sono già alla sesta vittima dello Squartatore! Espose Lestrade.
- Lo so, mio caro! Seguo lo Squartatore con un occhio di riguardo dalla sua prima vittima in attesa di una sua chiamata!
Watson scese scontroso verso i due uomini.
- Lestrade, lei sapeva?
Ma Holmes bloccò l'ispettore prima che potesse rispondere:
- Ne parleremo più tardi, Watson.
- No! Ne parliamo adesso Holmes! Il volto del Dottore sprizzava risentimento: aveva capito che Lestrade era a conoscenza della situazione di Holmes, che era ancora in vita. Si sentiva tradito.
- Ho detto che ne parliamo dopo. Il volto di Sherlock era serio più che mai e questo fece sentire Watson ancora più disperezzato. Se ne andò, uscì dalla casa: dove non lo sapeva neanche lui, probabilmente a scommettere.
- È tutto apposto, Holmes? Si permise Lestrade.
- Certo gli passerà. Concluse frettolosamente Sherlock.
Si misero a guardare le carte che aveva portato Lestrade riguardanti il caso dello Squartatore.
Niente di nuovo pervenì a Holmes che commentò il lavoro di Scotland Yard con le parole "approsimativo" e "deludente". Concluse programmando un incontro tra Scotland Yard e Watson per analizzare l'ultimo corpo identificato come sesta vittima dello squartatore.
- Holmes, questo è un caso complicato! Lo prenda sul serio! Sospirò Lestrade sulla porta dell'appartamento. Una volta che Holmes lo rassicurò, l'ispettore se ne andò via e a Sherlock non rimase che attendere John e parlargli.






Prossimo capitolo? Aspettatevi di tutto, soprattutto voi! Amanti della Holmes/Watson 8D

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Capitolo 3
*** Non si ricorderà nulla, Dottore. ***


Terzo capitolo della mia prima longfic :3 ringrazio tutti coloro che mi stanno leggendo ♥ adesso vi lascio alla storia lol

Sherlock Holmes: Fear of the Dark



Non si ricorderà nulla, Dottore.




Mary era andata a dormire tranquillamente. Sherlock le aveva mentito dicendole che il marito era uscito insieme a Lestrade dovendo lavorare fino a tardi a Scotland Yard, ma le parole del Dottore risuonavano nella sua mente. Le parole del SUO Dottore. Sì, perché Holmes adesso era lì, sulla poltrona nell'ingressino dell'appartamento, ogni tanto dava un'occhiata all'enorme orologio a pendolo: mezzanotte. Ancora non arrivava. In vero, era preoccupato, non una preoccupazione superficiale: in quel momento si sentiva sovrastato dal peso di Colpevolezza, una bellissima donna che teneva il suo cuore in una stretta da scaricatore di porto.
Voleva alzarsi, andare a cercarlo, e non poteva: un uomo dalla faccia demoniaca gli cingeva le caviglie, il suo nome è Orgoglio e destinava al povero Sherlock il suo volto peggiore.
Sostenne il mento tra l'indice e il pollice appoggiando contemporaneamente il gomito sul bracciolo della poltrona.
- Devo fare qualcosa. Sospirando così, si alzò mestamente mentre le sue figure si dissolsero in un secondo. Si diresse verso il salotto, dove quello stesso pomeriggio Lestrade gli aveva portato i dati raccolti da Scotland Yard sullo Squartatore, già. Lo Squartatore... Era un caso estremamente complicato e emozionante. Era dalla sua finta morte che seguiva le mosse di questo Killer che a sentire la Polizia era niente più che uno psicopatico che uccideva senza motivo, secondo lui non era così. E lo avrebbe confermato, una volta analizzati i corpi, anche Watson.
Watson. Holmes si ricordò improvvisamente perché si trovava in quella stanza. Si avviò verso il camino, afferrò la pipa e il tabacco per poi ridirigersi nel suo Trono di Dolore. Aprì il pacchetto di cuoio in cui teneva le foglioline seccate, ne prese un bel pizzico e lo infilò nella bocca della pipa contemporaneamente le due figure uscirono nuovamente dal buio della stanza. Riguardò l’orologio: mezzanotte e mezzo.
- Non vuole davvero fare niente? Sussurrò Lei.
- Non deve fare niente! Alitò Lui da sotto la poltrona stringendo di più le caviglie.
Sherlock esplorò le proprie tasche trovando un fiammifero.
- Potrebbe essere in pericolo. Continuò Lei cingendosi un po’ di più verso l’Investigatore.
- Se la caverà. Rispose Lui guardando verso l’alto.
L'Investigatore accese il fiammifero fregandolo velocemente sul muro, portò anche questo nella bocca della pipa, aspirando una luce rossiccia gli illuminò il volto, per poi ricadere nel buio e nel fumo.
- Se non arriva entro dieci secondi gli lascerai libero il passo! - Intimò Lei - Dieci.
- E tu allora lascialo libero di continuare a fingere! -insinuò Lui.
Sì, perché era dal loro primo caso, l’omicidio di Drebber, che dentro all'animo di Holmes si instaurò quel sentimento fortissimo che decise di mascherare attraverso un’amicizia sincera e dispettosa. La Donna strinse un po’ di più la sua presa.
- Questo giorno prima o poi sarebbe arrivato. Denunciò Lui mentre il volto dolce di Lei venne attraversato da una lacrima.
Improvvisamente si sentì un gran baccano fuori dalla porta.
- È lui. - Affermò Lei - Non cammina bene, potrebbe essere ferito gravemente!
- O è semplicemente ubriaco - Sorrise malignamente Lui - Il mio lavoro l’ho fatto. E scomparvero entrambi.
Holmes, fino allora rimasto in silenzio ad ascoltare i due contendenti, si alzò di scatto mettendo la pipa sul tavolino che si trovava lì vicino e corse ad aprire la porta. Lo vide, il Dottore, anzi, il suo naso lo sentì: puzzava terribilmente di alcol e il suo Orgoglio gli fece scappare un sorriso che subito dopo sparì. La flebile luce del lampione illuminava l’atletica figura di John che a stento si reggeva sulla ringhiera: si trovava sul terzo dei cinque grandini che portavano alla porta e lo guardava, senza capire bene chi aveva davanti.
Gli occhi di Sherlock iniziarono a indagare nelle ultime ore del Dottore, non era poi così curioso di scoprire quello che aveva fatto, ma il suo lavoro oramai passava avanti a tutto e a tutti: “La giacca ha una manica strappata - iniziò - ha dovuto affrontare una rissa, lo conferma il fatto che la giacca è più che mai fuori posto ed è sporca di un particolare residuo biancastro; dal panciotto escono dei fogli - lo fissò meglio - i fogli delle scommesse.” E tutto fu chiaro nella mente di Holmes.
Watson era uscito furiosamente dall’appartamento dirigendosi frettolosamente verso il “The Volunteer” dove restò a lungo, fino al calar del sole: il The Volunteer era l’unico bar dove i clienti si segnavano da soli quanti bicchieri bevevano, come? Con il gesso sul bancone in legno scuro, ed era proprio la polvere di gesso che restò sulla giacca del Dottore che non si fermò a una semplice sbornia, no. Era andato a vedere se Sherlock aveva continuato i suoi combattimenti e aveva rivendicato i soldi delle vittorie, a forza. Per questo zoppicava e, a osservarlo meglio, un alone nero aveva preso il sopravvento su un lato del viso.
L'Investigatore porse un braccio verso il Dottore che subito lo afferrò. Venne strattonato e i loro corpi si trovarono compressi, l'uno verso l'altro.
Sherlock guardava John negli occhi, quei occhi che sprizzavano odio tra i cristalli azzurri che li formavano, e subito lo tirò dentro. Watson cercava in tutti i modi di allontanarsi dal corpo robusto di Sherlock: non ci riuscì. Un po' perchè la sbornia lo aveva debilitato ma anche perchè i dolori della rissa si facevano sentire ovunque. Biascicò qualcosa.
Holmes non riuscì più a resistere. Gli tappò la bocca, non con una mano, no. Lo baciò e i suoi baffetti, che spesso gli fecero venire in mente pensieri davvero poco razionali, gli solleticarono le labbra. Gli occhi rimasero aperti, gli scuri di uno nei chiari dell'altro. Quando ripresero fiato Watson lo guardava e parlò.
- E... Or.. O.. Ora? Biascicò.
- Non si ricorderà nulla, Dottore. Watson, anche se con la mente annebbiata dall'alcol, aveva capito perfettamente quello che voleva dire il collega, e non se lo fece dire due volte. Vennero presi dalla passione: in qualche secondo furono nudi entrambi e dentro la stanza di Holmes.
- Holmes, mi fa male. Mugolò Watson quando l'Investigatore gli entrò dentro.
- Sarò delicato, glielo prometto. Sussurrò al Dottore: ma poi fu duro pensando solo al proprio piacere.
Più di una volta John si lamentò dolorante ma mai Sherlock si fermò.
E vennero insieme, scoordinati, in diverse posizioni, ma sempre al buio.
Adesso erano fermi, tornati in se, sotto le lenzuola: Sherlock fissava il soffitto, i suoi fantasmi non apparivano più.
Watson si lamentò ancora, più sommessamente.
- Ehi, adesso non le sto facendo niente, ha finito di lagnarsi? Sbottò.
- La... schi... Schiena, mi... fa... mal... Biascicò nuovamente John.
A quel punto Holmes si alzò e, indossando un paio di pantaloni, si avviò per accendere una delle lampade a olio presenti nella sua camera.
Quando si voltò, illuminato dalla luce, quasi non svenne. Le lenzuola bianche erano sporche di rosso. John era riverso a pancia in giù completamente scoperto.
- She...Sherl.. Cos?! Parlottò John spaventato dalla faccia del compare.
La sua schiena era stata tagliuzzata a formare la frase: "stia attento ai suoi segugi." Rabbrividì. Lo Squartatore. Ne era sicuro il suo sesto senso glielo confermava.
- Mi... mi dispiace, Watson. Sussurrò mentre una lacrima, sincera, scivolò lungo il suo volto.
Lo Squartatore aveva colpito in pieno Sherlock, dritto al suo cuore: aveva colpito John che adesso si trovava davanti a lui dolorante.

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Capitolo 4
*** The Day After: Watson ***


Prima di tutto devo ringraziare chi sta seguendo la mia storia e scusarmi se ho aspettato tanto ad aggiornare: d'estate non ho un collegamento internet e tornata nella civiltà ho avuto a che fare con un mostro spietato: la scuola! :'D  Comunque spero che anche questo capitolo vi piaccia. Ora vi lascio alla lettura~
Un abbraccio, Lune.



Sherlock Holmes: Fear of the Dark.


The Day After: Watson.


Watson si svegliò dolorante, e in automatico i suoi pensieri tornarono alla sera precedente. La lacrima di Sherlock, le lenzuola sporche di sangue: il suo. Si alzò mestamente cingendosi la vita inerme con la stoffa macchiata di rosso. « Aah . . . » mormorò tra i denti. Le ferite erano ancora aperte e molto dolorose.
Si avviò verso la toilette per risvegliarsi: si affacciò sulla tinozza dell'acqua vedendo il suo volto stremato. Mai, pensò , di essersi destato dal letto con una faccia così stanca, torturata e stressata: si gettò velocemente l'acqua sul viso più volte per asciugarsi repentinamente con l'asciugamano in modo che nessuna gocciolina si potesse prendere la libertà di cadere a terra.
Si specchiò di nuovo e dietro di se vide di nuovo il volto di Sherlock triste, costernato. Chiuse lentamente gli occh per poi riaprirli con ancora più calma: l'azzurro vivo delle sue iridi divenuto grigio sottolineava la sua stanchezza, nessuno si trovava con lui nella toilette.
« Non serve a nulla continuare a guardare la mia faccia. » Chiamò Miss Hudson con voce rauca.
La donna, allarmata, corse velocemente verso il piano superiore, impossibilitata dalla gonna.
" Toc-Toc "
« Miss Hudson, la prego di non proferire parola con mia moglie né con nessun altro di quello che sta per vedere - iniziò il Dottore - mi serve il suo aiuto. » La donna si allarmó ancora di piú: gli assicuró che sarebbe stata piú silenziosa di una tomba. Aprì la porta lentamente: i cardini cigolarono spaventosamente. La donna guardò Watson: si trovava in piedi poco distante da lei, la faccia scavata dalla stanchezza colpì la cameriera.
« Dottore... Cosa? »
L'uomo aveva intanto preparato sul tavolo una garza e il disinfettante.
« Mi aiuti. » Si voltò lentamente. Miss Hudson si portò instintivamente una mano davanti alla bocca. Sgambettò velocemente verso il Dottore, le mani le tremavano. Le garze erano piccole come le mani di Martha, era questo il suo nome di battesimo: il Dottore le curava da diverso tempo le sue frequenti emicrania gratuitamente, forse per colpa del suo senso del dovere visto che spesso era Holmes a procurargliele.
Watson si era seduto sul letto per diminuire la differenza d'altezza che separavano i due. La Cameriera seguiva l'andamento della scrittura lentamente, tamponando delicatamente. Sicuramente si stava chiedendo "chi?", "perchè?", e ancora, "come?" ma si tenne tutti i suoi interrogativi per sè.
Il Dottore si lamentava silenziosamente. Finito di disinfettare Martha gli fasciò l'intero torace con una benda.
« Grazie per non aver fatto domande. » Aggiunse John prima che la Cameriera lasciò la camera. Martha si fermò sulla porta, sì voltò e lo guardò in volto.
« Questo segreto è al sicuro con me, ma lei pensi un po' più a se stesso e un po' meno a Holmes: lei, Dottore, è la Valle mentre Holmes è il Fiume. Si è insiedato dentro di lei e scorre, scava e quando entrambi raggiungete il limite la Valle rifiuta il Fiume che stralipa. E succede... Questo.» Indicò il Dottore e si chiuse dietro la porta.
« Ma la Valle senza il Fiume non può vivere. » Disse Watson alla porta chiusa.
John camminò mesto fino all'armadio e scelse i vestiti per quella giornata: camicia bianca, cravatta nera, completo grigio a doppiopetto, scarpe laccate di nero, bastone di legno afgano con il manico lavorato a mano ragalatogli da Mycroft Holmes, giacca militare blu scuro in caso di pioggia.
Scese la scale, uscì dall'appartamento.
Salutò con un leggero inchino, che gli causò parecchio dolore, i fratelli Enfield che, come tutte le mattine, passeggiavano lungo Baker Street parlando e sparlando di tutto il quartiere.
Una carrozza nera si fermò davanti a John che si affrettò a salire dolorante. « Scotland Yard » Disse secco.
Di sicuro Lestrade gli avrebbe schiarito le idee visto che Sherlock non si era fatto vedere per tutta la mattinata. I pensieri di Watson tornarono alle serata precedente, non si ricordava un granchè di quello che aveva fatto nel pomeriggio, solo dei flash confusi e poco significativi. Colpi di frusta, nitriti e il ritmo cadenzale del cavallo: silenzio.
John scese dalla carrozza, pioveva, « Grazie » disse cortesemente al cocchiere ponendogli delle monete e sgattaiolando subito dentro all'enorme edificio.
« Mr Watson! » esplose una voce maschile famigliare al Dottore.
« Grey! - esclamò avvicinandosi all'uomo - Sua figlia ha finalmente partorito? »
« Sì Doc! Una bella bambina, l'abbiamo chiamata Eyrine. - Fece una pausa. - Mi spiace per il brutto avvenimento degli ultimi tempi. »
"Oh dannazione è vivo!" sbottò mentalmente John « Ahn. » Si limitò a sospirare.
« Finalmente! - esclamò - Lestrade! »
« Mr Grey, la prego di tornare domani! Siamo molto... indaffarati. - Guardò Watson - Lo Squartatore ha colpito nuovamente: la ragazza era molto conosciuta nel suo ambito... » Enfatizzò sull'ultima parola.
Le prostitute londinesi. Donne che per andare avanti non potevano fare altro che offrire il loro stesso corpo. John si corrucciò al pensiero. Chi? Chi avrebbe potuto fare questo a delle povere donne? Di sicuro lo stesso che aveva inciso la schiena del dottore.
« Oh. Va bene capo. - imitò goffamente un saluto militare - Tornerò domani. Lestrade, Dottore! »
Fissò Mr Grey: l'anziano dottore ormai in pensione camminava zoppicando verso l'uscita. "Chissà perchè zoppica..."
« Pronto? Dottor Watson?! - Lestrade distrasse John - Ci serve il vostro parere Dottore! »
« Eh? »
« Non gliel'ha detto Holmes? »
« Ah. No... A quanto pare parla solo con lei. »
« Oh, Watson. Holmes voleva dirvelo. Ma aveva paura di metterla in pericolo: anche se non so cosa poteva accadere di così disastroso. » Ammise il poliziotto.
« Ah. Cosa devo fare per voi? » Sospirò Watson cercando di cambiare discorso.
« I corpi. Deve analizzare i corpi. » Sentenziò.
Il Dottore annuì e si incamminarono. "Quindi neanche Lestrade sapeva tutto?" Pensò John. A quanto pare no.
Sherlock. Chissà in quel momento dov'era? Con chi? Cosa stava facendo? Un sorriso apparve sul volto di John: "Sicuramente lui saprà dove mi trovo, con chi e cosa sto facendo." Questo lo consolava.
Lestrade si fermò davanti a una porta.
« Io preferirei non entrare. » Ammise l'Ispettore.
« Va bene. » John aprì la porta e entrò nell'obitorio. Non era la prima volta che entrava in quella stanza gelida eppure ne rimase colpito: sei corpi nascosti da lenzuoli ormai logori, sei corpi di ragazze.
"Okay, iniziamo."
Scoprì il primo cadavere. Dal lenzuolo ne emerse una donna bionda con il visto sfigurato dal dolore. John rimase esterrefatto. Gli tornò alla mente gli anni di guerra ma respinse subito i ricordi. Iniziò ad esaminare il corpo. "Taglio netto alla giugulare: causa del decesso." Iniziò ad annotare mentalmente. "Un altro taglio, più lungo, sulla gamba destra: asportazione femore." Fece un passo indietro. Watson rimase a rimurginare. Poi passò agli altri corpi: tutte le donne erano state uccise con un taglio netto della giugulare e a tutte mancava qualcosa; il femore, un occhio, la lingua, una costola, un dito anulare. "Ma cosa vuol dire?" Pensò Watson: era cosa fare un puzzle a cui mancavano i pezzi più importanti.
Il Dottore ricoprì i corpi inermi delle ragazze, si lavò le mani nella bacinella d'acqua presente nell'obitorio per poi uscire dalla stanza dove Lestrade lo stava attendendo.
« Allora?! » Chiese curioso l'Ispettore.
« Ferite precise e pulite. - Sentenziò. - È un uomo, un uomo che ha studiato. »
Lestrade lo guardava con incredulità.
« Holmes lo aveva ipotizzato. » Sussurrò Lestrade.
« Io lo confermo. » Disse con fierezza Watson.

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