Bouquet de Nerfs.

di Dernier Orage
(/viewuser.php?uid=65015)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** En attendant je sais que le jour viendra, où je pourrai en mourir de rire. ***
Capitolo 2: *** Tonight I think I'll walk alone, I'll find my soul as I go home. ***
Capitolo 3: *** Ho la pelle salata e liscia, vuoi assaggiare? ***
Capitolo 4: *** E' permesso, urla più che puoi. ***
Capitolo 5: *** Si belle! Cybèle? ***
Capitolo 6: *** Gueules cassées ***
Capitolo 7: *** Scura&sonora ***
Capitolo 8: *** Ironia della sorte. ***
Capitolo 9: *** The honesty that lies to you. ***
Capitolo 10: *** Das Unheimliche ***
Capitolo 11: *** Tanto quanto la nausea che prova ***
Capitolo 12: *** Bratta (fango) ***



Capitolo 1
*** En attendant je sais que le jour viendra, où je pourrai en mourir de rire. ***















Bouquet de Nerfs.
Dove Ermanno ha gli occhi neri, Enrico li ha grigi. È l’unica differenza tra i due gemelli. L’unica differenza tra due creature che hanno scelto di essere speculari, vivendo insieme a vent’anni e dormendo nello stesso letto.
Abitano in San Bernardo, non hanno la tessera dell’autobus, non hanno bicicletta o patente, è in centro a tutto e comunque amano camminare. Non lavorano, non studiano più, hanno trasformato la casa in un ritrovo per i pochi amici e in rifugio per loro stessi.
Sono un’entità al plurale: due teste di capelli castani, due distese di epidermide chiara e liscia, tesa come corteccia sulle ossa e i muscoli, due lingue identiche e due voci coincidenti.
Federico non sa se sentirsi estraneo o di troppo, ha ventotto anni e occhi solo per Ermanno. Non lo riconosce nelle fotografie, non riconosce la sua voce o il suo modo di camminare, riconosce la sua aura, leggera. Un maglione blu portato su un paio di jeans sbiaditi, stretti sotto l’ombelico da una cintura vecchia, degli occhiali dalla montatura nera.
Delle labbra strette alla sua intimità, degli occhi che non lo cercano mai.
Ermanno non è suo, Ermanno appartiene ad Enrico e così sarà per sempre. Ermanno si sdoppia, due bocche che cantano Battiato, L’Era del Cinghiale Bianco. Federico vorrebbe scuoterlo e dirgli che il a oublié qu'elle chantait, ils assassinent leurs nuitées en lisant des livres fermés. Probabilmente si beccherebbe un pugno sul naso, una sberla o uno spintone. Federico non ne è sicuro.
Federico non è sicuro. Ha portato via Ermanno, hanno vissuto da soli nel suo appartamento sopra Principe, la vista sul mare e sulla stazione marittima. Tre mesi. Tre mesi. Tre mesi, neanche il tempo di partorire l’amore.
Federico vorrebbe stringere Ermanno quando Enrico nuota tra le lenzuola con un’attrice consumata che potrebbe essere loro madre e non gli importa se gli fa il riguardo di non portarla nel loro appartamento o di sciacquare via il sudore nella doccia.
La chiama H.H. “Acca-acca”, vecchia pervertita pederasta o forse no.
Li trova in via della Maddalena un sabato notte tra le esclamazioni degli ispanici dalle bandiere rossogialloblù. Acca-acca nel suo tacco 12, una cornacchia aggrappata con le lunghe braccia alle spalle di Enrico, Ermanno poco dietro, camicia di seta blu a pois bianchi, giacca di pelle.
« Rimani con me questa notte? » Gli domanda mentre gli accende una sigaretta. Quelle dannate labbra schiacciate di lato dal sottile cilindro di carta. Quando gli volta la schiena Federico non ha più le forze di chiamarlo.
La vita sembra un cerchio dove ognuno punta la pistola contro la schiena di quello davanti. Federico si volta e dietro di lui vede Acca-acca. Bang.











Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Tonight I think I'll walk alone, I'll find my soul as I go home. ***















Bouquet de Nerfs.
Esercizi di eleganza delle membra di Ermanno Rebora intrecciate a quelle di Enrico Rebora. Fiore di loto incestuoso, ambrato e inebriante. Ermanno si volta, dà la schiena ad Enrico e continua a venir fottuto con quella violenza precisa e piena di grazia. Federico butta giù il terzo whiskey della seconda tornata della serata in un locale in Mura delle Grazie, troppo vicino a via San Bernardo per non percepire lo spostamento dell’aria causato dalle ginocchia di Ermanno.
Può vedersi mentre Lorenzo il barista gli versa il quarto bicchiere, si vede riflesso nello specchio, gli occhi chiari distrutti e spiritati, i capelli scuri sconvolti, il volto squadrato e la lingua che preme nell’interno della guancia. Lo sguardo sempre più cupo and blue.
« Ti chiamo un taxi? » Gli chiede Lorenzo il barista quando lo vede barcollare fino al cesso aggrappandosi ai brutti quadri alle pareti.
« Sì, no. Sto benissimo, faccio una passeggiata. » In questi momenti Federico arriva a sentire addirittura la mancanza di Acca-acca e della sua pronuncia perfetta che costantemente gli corregge le e, le o e la cadenza. Non riuscirebbe mai a sfiorare Acca-acca, la trova ripugnante nei capelli arancionerosa e l’abbronzatura da lampada.
« Abiti lontano? » Gli domanda ancora Lorenzo il barista, amorevole quanto è amorevole. Potrebbe scoparlo contro il bancone, potrebbe. Non lo farà. Nella sua testa suonano i New Order ed è abbastanza.
« Non abbastanza. » Mormora Federico infilandosi la giacca di velluto nera e recuperando il pacchetto di sigarette dalla tasca. Distributore automatico prima dell’alba, please.
Tonight I think I'll walk alone, I'll find my soul as I go home.
Nella sua testa suonano i New Order ed è abbastanza. Incertezza tra il percorrere via Gramsci o via Balbi. Vada per la seconda, più tranquilla nelle ore notturne. Federico costeggia le università, la stazione, sale per le scalette che lo porteranno al suo appartamento sopra una vecchia sala da bowling. Saltella lungo la strada, scivolando dal marciapiede, il passo sincopato.
Ventisei ore dopo dovrà essere in ufficio, uno studio grafico in difficoltà economiche, ma anche no.
La baldracca piemontese rigida come l’acciaio porta a spasso il cane pulcioso, sono le quattro di notte, benvenuta insonnia. Federico vorrebbe chiederle di aiutarlo ad aprire la porta di casa, al quarto tentativo ci riesce da solo e si lascia cadere sul pavimento di linoleum, la giacca ancora indosso e le mani che corrono a slacciare la cintura.
Oh, you've got green eyes, oh, you've got blue eyes, oh, you've got grey eyes and I've never seen anyone quite like you before.
Nella sua testa suonano i New Order e c’è abbastanza posto per salmodiare il nome di Ermanno.











Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Ho la pelle salata e liscia, vuoi assaggiare? ***















Bouquet de Nerfs.
Attacco di panico all’uscita dallo studio grafico, in mezzo ai Giardini di Plastica, piazzale Baltimora, alle quattro del pomeriggio di lunedì. Ragazzi con cani, disadattati dai bulloni tra i capelli ed una tenda piantata in un piano della passeggiata pensile che scende da Ravecca. Federico si accascia piangendo e non respirando, Filippo, un collega, chiama un’ambulanza e non sa cos’altro fare.
Incidente in corso Gastaldi: NO San Martino. Ospedale di Villa Scassi.
« Mi sento già bene, mi sento già bene. » Mormora Federico con la voce rotta dal pianto.
« Qui non possiamo lasciarla, la portiamo al pronto soccorso e le conviene farsi visitare. » Gli dice un volontario dal nome Tiziano appuntato alla divisa arancione. Capelli scuri e lucidi, tirati indietro con una fascia da sportivo. Bella bocca, avrà si e no diciassette anni.
« C’è morto mio padre al Villa Scassi. » Asserisce Federico provando il desiderio di spogliarsi completamente nell’ambulanza, finire di sbottonare la camicia e sfilarsi i jeans. Ho la pelle salata e liscia, vuoi assaggiare? Continua raccontando ed inventando, il volontario dal nome Tiziano appuntato lo guarda con sgomenta adorazione. « C’era questa vetrata illuminata dal tramonto... Anni fa al Gaslini mi misero in una camera con vista sul mare e sulle barche a vela, il mio compagno di stanza è morto ma abbiamo sempre avuto belle vedute. »
Banale infezione da Rotavirus negli otto anni d’età. Ventotto anni d’età e ancora medici che si voltano quando lo fanno spogliare, che gli chiedono se ha assunto droghe, se è stressato, se ha bevuto, se gli era capitato prima. Ermanno.
« Ermanno? Vuole che chiami Ermanno? » Domanda l’infermiera dal viso equino e recupera dalla tasca sulla casacca un taccuino e una penna a sfera dal nome inciso nel platino. E’ un regalo di valore, probabilmente di proprietà del marito. Forse è vedova.
« Ermanno Rebora, via San Bernardo 14, 010207286. » Lei ripete il numero mentre lo incide nella carta.« Gli dica che la mia via di fuga è ancora aperta ed Istanbul non è lontana. »
Dalle analisi del sangue non si evidenzia l’assunzione di alcol ma di THC sì, è indifferente, sono passate più di ventotto ore. Il buco nell’incavo del gomito si scurisce dal rosso al violetto nelle poche ore passate su una brandina nel corridoio, il collante del cerotto attorno grigiastro e lucido.
Vede Ermanno in fondo al corridoio, maglione verde scuro e pantaloni di velluto. Annoiato sbuffa come un bambino sotto la frangia riccia e con ampie falcate lo raggiunge. Lo abbraccia e Federico vede le ciocche inanellate dell’attaccatura e sente l’odore buono e forte della menta.
« Firma che usciamo. » Gli sussurra imperioso nella conchiglia dell’orecchio, rimbomba piano.
« Rimani con me stanotte. » Federico infila le mani sotto il suo maglione, sente lo sperma secco del gemello sull’addome. Sei ore da solo al pronto soccorso ed Ermanno che si lasciava fottere. Così bello che sembra il proprio compleanno. Congratulazioni.
« Stanotte. » Gli fa eco Ermanno.











Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** E' permesso, urla più che puoi. ***















Bouquet de Nerfs.
Lorenzo il barista è sotto le sue mani. Chinato sulla scrivania, le reni nude, umide di sudore e baci. I muscoli contratti e rilassati. Contratti e rilassati, un’alternanza che dà sui nervi. Federico affonda in lui, movimenti fluidi, continui; si alza sui talloni e affonda, affonda, affonda. Con le mani gli tiene i gomiti ancorati al legno della scrivania, le unghie infilate nella pelle. Lorenzo, la tua amorevolezza?
Federico dopo qualche minuto gli libera le braccia, lo tocca, lo stringe e lo masturba. Si sente in colpa; ha punito una persona che è poco più che sconosciuta per sfogarsi, per scaricare la rabbia e i brividi causati da Ermanno. Ermanno, sempre.
Ermanno, da quando lo è andato a prendere all’ospedale e non ha voluto chiamare un taxi o aspettare una corsa notturna. Hanno camminato tutta la notte: Sampierdarena, Il Matitone, San Benigno. Via Gramsci fino alla passeggiata antistante alla Stazione marittima. Camminare tutta la notte, affianco. Un’attività inutile, tempo rubato alle lenzuola. Ermanno lo sta torturando.
Federico penetra in Lorenzo, gli raggiunge l’anima.
Toc-toc. Sì, è permesso, urla più che puoi.
La mattina dopo trova un cappuccino sul tavolo della cucina, dei biscotti sparsi in un vassoio, il numero telefonico di Lorenzo appuntato alla bacheca di sughero. Sente l’acqua scorrere nella doccia e quasi quasi la faranno in due. E’ un’idea, una cattiva idea, perfetto.
« Ci metteranno un po’ ad andare via. » Lorenzo è contento e amorevole, occhi di velluto rivolti ai graffi sugli avambracci e sui fianchi.
« Mi dispiace. » Federico prova a mostrarsi amareggiato e dispiaciuto.
« Invitami a cena. » Gli risponde gli occhi rivolti alle piastrelle, le spalle e il collo esposti ai baci e ai morsi.
« Non lo vuoi veramente. » Per Federico, Lorenzo, è soltanto uno di passaggio. Persistente quel tanto da affezionarsi al locale. Non gli importa se gli ha dato quel tanto di adrenalina in più se corredata da rimorso, è un uomo adulto, è ingiusto fargli provare le stesse sensazioni di un rapporto seducente e rifiutante. Non è un ragazzino di vent’anni che quando socchiude o apre gli occhi si sdoppia. « Devo andare a lavoro. »
Lorenzo recepisce l’invito a sbrigarsi. Finiscono di asciugarsi senza considerarsi, senza guardarsi, dandosi le spalle. Federico aggancia gli ultimi bottoni della camicia azzurra, friziona i capelli scuri con un asciugamano. Prima di chiudere la porta pensa che il cappuccino riscaldato andrà benissimo come cena, il preludio di una notte solitaria e benvenuta insonnia.
Lorenzo prende l’autobus, abita in via Smirne o giù di lì. Federico sente il suo sguardo sulla schiena, mentre scende le scalette per arrivare a Principe ed andare a lavoro a piedi, affonda le mani nelle tasche, le spalle curve; immerso nei brief della giornata e nei contatti con i clienti.











Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Si belle! Cybèle? ***















Bouquet de Nerfs.
Commercianti che richiedono insegne a cassonetto luminoso bombato. Commercianti che richiedono insegne a cassonetto luminoso e bombato per un’attività aperta al piano terra di un palazzo storico. Da posizionare tra i due telamoni di un palazzo storico. NO, decisamente NO.
« Katia parlaci tu. » Sbotta Federico lasciando la mediazione alla nuova assunta, non è in vena di parlare di regolamenti comunali e di belle arti con due scafati aspiranti baristi. Smorzare, adattare l’insegna all’architettura, utilizzare un carattere classico. Idealmente facile, praticamente lento e macchinoso: macchinoso mediare e convincere i clienti che le loro idee non sono affatto ottime, soprattutto se credono che il merito dei profitti sia della loro genialità e dell’insuccesso sia dei grafici e delle campagne pubblicitarie inadatte causate dalla loro superficialità nelle richieste.
Federico è tentato di disegnarsi dei puntini sul viso con la penna rossa perché i due scafati aspiranti baristi chiedono specificatamente di lui, l’hanno intravisto dai vetri nell’open space mentre entravano.
Cena da sua madre a Begato. Venticinque minuti all’andata e più di un’ora al ritorno se ritarda e perde l’ultima metropolitana.
La Noia inquadrabile in quelle quattro mura in un quartiere popolare.
La donna, vecchia e grassa, traballa sulle vene varicose delle caviglie gonfie. Cucina ancora una favola: gnocchi alla romana e vino bianco da discount.
« Perché ti sei impiastricciato il viso? Non hai più quattro anni. » Ha sempre un tono severo, supponente. Con la nipotina appena nata cambia faccia, diventa mostruosamente melensa e materna.
« Due clienti, ho cercato di glissarli. » Federico non sa se preferisce ignorarla od irritarla, però cucina bene ed ogni tanto fa un salto a casa sua per spostarle le riviste, dimenticare la grata di ferro che la divide dagli altri inquilini aperta, versare il vino sulla tovaglia.
« Non riesci a prenderti nemmeno le tue responsabilità. » Lei afferma. Ignorando volutamente il resto della vita del figlio. Il problema sarà sempre e per sempre l’aria indolente.
« Almeno non vivo alle tue spalle. » Mormora Federico rigirando il formaggio filante nella forchetta. Il televisore trasmette video di tanks abcasi, rapidi scatti sul decomporsi di un fiore, petali blu di oceani e mari e barriere coralline, incidenti e crash, tempeste di lampi su pianure sconfinate. Frame rallentati di un corto di Man Ray, si belle! Cybèle?
Federico si versa del pessimo vino, fermentato male e troppo dolce.
« Non parlare così di tua sorella. » Lo ammonisce la madre prima di scappare oltre la tenda del salotto a recuperare la nipote frignante. Beatrice è una bella bimbetta che dorme e piange, ogni giorno sempre più pasciuta, ha due mesi e mezzo e due mesi e mezzo fa Federico si trovava al Galliera con Ermanno, dopo una corsa nei corridoi e per gli ascensori per trovare il nido, ad osservare quella neonata dalla pelle trasparente sulle vene. Conserva nel portafoglio l’unica foto che possiede della bimba.
« Beabella, vieni in braccio allo zio! » Esclama tendendo le mani verso la bimba, pronto a sorreggerle la testa, perché, nonostante sua madre continui a ripetergli che Beatrice non è un bambolotto, lui è capace a tenerla e non farla piangere. Almeno non è ipocrita.











Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Gueules cassées ***















Bouquet de Nerfs.
04.18 – Martedì. La caffettiera moka ribolle il solito caffè, preparato e travasato nella caldaia, nuovo caffè nel filtro. Federico accende il gas. Sembra un giocare a quanto denso e nero possa diventare.
Cento tazzine è il massimo consentito riguardo alla tossicità, noia. Cento tazzine di noia: una aromatizzata come il caffè turco alla stanchezza, una con una zolletta di morbosità, una girata con un cucchiaino di apatia. Cento caffè di noia.
Rigetterebbe addirittura progetti e consegne sui programmi vettoriali del Mac.
Ha coperto tutti gli specchi dell’appartamento, manie, semplici manie. Dopo aver sognato camerate di gueules cassées - volti deformati, fracassati, orrori osteologici da bombardamenti, luci verdi lampeggianti – non ha più voluto chiudere occhio (o guardarsi allo specchio).
Un numero di telefono appuntato alla bacheca. La cornetta del telefono pesa tra le mani e sembra elettrica, al terzo squillo nota l’orario indecente ma i manicomi non hanno orari, non si lamenteranno.
Una voce borbotta qualcosa di incomprensibile seguendo un tramestio confuso e ovattato.
« Qui Federico Marcenaro; con chi ho l’onore di parlare? » Risponde Federico rendendosi improvvisamente conto di non averne la più pallida idea.
« Federico, sei tu? Sei tu che mi hai chiamato, sono Lorenzo. » La voce di questo Lorenzo è assonnata, roca, non lamentevole.
« Lorenzo del bar, certo. Non è orario? » Federico si chiede se le persone lo detestino almeno quanto si detesta da solo. Vorrebbe buttare giù la chiamata e richiamarsi, dirsi che è uno stronzo egoista e che non merita nessuno; ma in fondo non vuole veramente Lorenzo, deve mettere in chiaro che si tratta esclusivamente di un sostituto, un giocattolo.
« Sono quasi le quattro e mezza. » Mormora Lorenzo caricando l’affermazione della stanchezza della giornata passata e di quella futura.
« Ti ho svegliato? Sì, ti ho svegliato. » Federico comincia a sentirsi in colpa e parla velocemente per distrarre Lorenzo, per intrattenerlo; il buffone cantastorie di qualche pessima fiaba. « Sai chi erano i gueules cassées? Erano i reduci della Grande Guerra che riportavano ferite estese al volto al livello da risultare impossibili da reintegrare. Non erano pazzi ma tanti vennero internati pur di non sconvolgere il mondo. Quasi freaks senza i vantaggi dei freaks. »
« E tu li hai sognati? E’ per questo che mi hai chiamato? Vuoi che venga da te? Mi vesto ed arrivo. » Lorenzo è sbrigativo, cerca di prendere le redini della situazione, della telefonata.
« Non voglio che tu venga. » Scandisce chiaramente Federico, come faceva da piccolo per proibire alla madre di partecipare alle recite scolastiche.
« Allora la nostra cena, quando? » Continua spedito Lorenzo, dritto al punto. Trentatré anni mica a caso.
« Domani. » Mugugna Federico, non sa come sentirsi. Gli è soltanto passata la noia.
« Passo a prenderti per le otto e mezza. » E butta giù.











Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Scura&sonora ***















Bouquet de Nerfs.
Occhi neri, dal vuoto non puoi salvarti, e Lorenzo lo passa a prendere, tenuta rilassata con pantaloni grigi e maglione blu. Federico si aspettava un giacca&cravatta e ostinato si è infilato una t-shirt e un maglione infeltrito che graffia sui gomiti. Fastidio persistente.
Lorenzo lo porta in un ristorante di Sturla, uno stabilimento balneare con bar e pizzeria, la vetrata mostra la spiaggia e, un paio di metri più in basso, l’acqua scura e sonora.
Tra un morso alla pizza con i funghi e un sorso di birra scura, Federico lo provoca e l’altro rimane impassibile, ridacchia, si comporta come se si trovasse di fronte ad un bambino bizzoso. Lorenzo conosce soltanto di vista i gemelli, come clienti occasionali, cocktail alla frutta n.2 e n.9.
Lorenzo ha fatto lo scientifico, il Fermi, cinque anni prima di Federico, non si sono incontrati per caso o forse per volontà del destino, pensa Lorenzo. Entrambi due vuoti a perdere, impossibili da riciclare per una decisione umana, non di materiali.
« Visto che son io che ti rincorro, credo che tu sia libero di spiegarmi bene la situazione con quel ragazzino. » E le parole di Lorenzo non sono abbastanza ma sono da lui e Federico lo sa e lo osserva e decide che non può fargli perdere tutto questo tempo, è adulto.
« E’ qualcosa che mi sta bruciando ogni neurone. » Federico butta giù la birra come fosse acqua ma la desidererebbe whiskey. « E’ così da anni, è iniziata che lui era troppo giovane ed io sono finito da uno psicologo. »
Lorenzo lo guarda con occhi di velluto, la fronte rilassata, le mani grandi sulla tovaglia di carta.
« Lasci il bordo? » Accenna dopo qualche minuto di silenzio denso sotto le note delle canzoni alla radio; indica la pizza ormai fredda e dilaniata dal coltello. Ventotto anni ed ancora incapace.
Federico crede che sia una paralisi quel blocco improvviso, quel torpore che gli impasta la bocca e fa pesare la testa. Attende.
Attende; acqua scura&sonora.
Attende; sorbetto al caffè, il bicchierino di vetro incredibilmente piccolo tra le mani di Lorenzo lo trasformano in un gigante, un pallanuotista, una versione buona del Dargelos di Cocteau, collezionista di veleni.
Attende; la sera al culmine declina e affonda nella notte, le membra nelle coperte. Un inferno di odori tra le lenzuola, il caffè, il sesso, l’ammorbidente, profumi persistenti di amanti passati. Sempre Ermanno, si intende.











Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Ironia della sorte. ***















Bouquet de Nerfs.
Piazza della Vittoria è il fascistissimo slargo di Genova, il luogo delle partenze dei pullman per il Sud o per la Lettonia, l’Estonia, la Romania. Ironia della sorte. E’ il punto di ritrovo per le coppiette di lesbichette adolescenti dell’Artistico o delle scuderie di qualche parrucchiere. Ironia della sorte.
A neanche cento metri dall’Arco di Trionfo in Onore dei Caduti della Prima Guerra Mondiale c’è una scalinata che scende nelle budella bianche di un sexy shop – ironia della sorte, il preferito da Federico per il rifornimento di lubrificanti – quello alla ciliegia, quello autoriscaldante, quello a base acquosa, vaselina, quello siliconico. Il pavimento di pvc azzurrino lavato una volta al giorno con secchiate di acqua e disinfettante assomiglia a quello degli ospedali o degli ambulatori mobili. Bianchi scaffali IKEA accolgono file e file di DVD e di riviste, un sollievo per chi non si è mai fidato dell’e-commerce. I dildo, raggruppati in dei pouf scoperchiati, sono quella categoria che Federico salta a prescindere, ridicoli nei loro colori uniformi neri, marroni, carne europea e carne asiatica o lilla brillantinato, pink cunt, poi i trastulli in vetro per eleganti rappresentanti dell’upper class, seriosi ed inquietanti butt-plugs da una palette degna di una tela di Mondrian.
Federico è abituato ad un autoerotismo manuale e visivo, l’ausilio della collezione di porno gay esposta sfrontatamente nel mobiletto sotto il televisore, la comodità di un divano di pelle, le mani non lo hanno mai tradito e se hanno soffermato su pelle e su membri e su capezzoli altrui è stato solo per sentire qualche brivido di più, solo per parlare una lingua straniera.
Afferra due pacchi di preservativi davanti alla cassiera dai capelli ramati, lei li aggiunge al conto e sistema gli acquisti in due sacchetti bianchi di plastica rigida. Visa, quattro numeri del PIN.
Federico lascia un ultimo sguardo alla sua Genova adultera, alla Scalinata del Milite Ignoto ed il suo accesso ai Giardini Coco, triste altare a battuage e cruising inconcludenti, per addentrarsi nel suo campo di marchette, l’arte a pagamento, la grafica al soldo di negozianti e impiegati comunali.
Un caffè in Via XX, oleoso, pieno di residui e chiaramente la necessità di chiamare dei tecnici per aggiustare la macchina per l’espresso. Federico, piano, lasciando scontrare i sacchetti contro le gambe dei passanti in fermento per la pausa pranzo, sbuffando nella calca di una fermata dell’autobus, percorre il tratto sotto il Ponte Monumentale, ancora qualche centinaio di metri e svolta, svuotando la testa dal rimbombare delle voci altrui, accuse di colpevolezza, di vacuità, di disfattismo, di cinismo.
Via Porta degli Archi e presto, Via Fieschi, alle quattordici la prima contrattazione con i clienti della giornata. Alle quindici la seconda, tempo fino alle diciotto per le bozzette per il giorno successivo.
L’intero weekend sul MAC.
Lavoro, sesso. Nient’altro.











Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** The honesty that lies to you. ***















Bouquet de Nerfs.
Spingere le labbra di lato, quasi mimando un bacio, scopre una porzione di interno guancia notevole per dilaniare la pelle a morsi. I canini sono lì apposta per strappare filamenti, i premolari per triturare quella carne rossoviolaceo pallido. La causa?
La causa è una telefonata.
« Ti ricordi il video di tre anni fa? Sì, quello. L’ho perso. Insomma, era in una chiavetta nel portafoglio e me lo hanno rubato. Per te potrà pur essere piacevole che degli sconosciuti si seghino su quel video; per me no. Mio fratello, i miei genitori. Sto monitorando i siti gratuiti più conosciuti. Teen e gay. Avevo diciassette anni, dovrebbe bastare per farlo oscurare o cancellare, no? Non preoccuparti. » Discorso frammentario ad un tono di voce troppo alto.
« Ermanno, perché me lo hai detto? » Non era la telefonata che Federico aspettava. Non il luogo, non il momento, non l’argomento.
Una domenica su una panchina, i fogli di giornale aperti sulle ginocchia avvolgevano due panini smangiucchiati e dilaniati, chiazzati di rosso pomodoro.
Il thermos per il caffè; è marzo e fa freddo, quel tipo di freddo che si blocca in gola e logora le ossa con l’umidità.
« Correttezza. » Risposta algida. Lontana dai gesti discreti e titubanti distribuiti con finta ilarità negli attimi del primo amore. Un amore prima rimpianto, poi negato. Sbagliato fin dall'inizio. Quindici e ventitré.
« Tu non sei mai stato corretto. » Gemette Federico. La recriminazione nei confronti di chi è cresciuto e ha bruciato degli idoli. Venti e ventotto.
« Tranquillo, risolverò tutto. » Anche l’impossibile.
E la chiamata si chiude, il cellulare finisce sul giornale accartocciato, le mani sulle ginocchia e la pelle sotto i denti.
Federico in cinque minuti sale a casa di sua madre, pranza nuovamente, si addormenta sul divano pensando che dovrebbe andare da un medico, ma le palpebre pesano e il cuore è vuoto come cantava Nico. The honesty that lies to you. My heart is empty but the songs I sing are filled with love for you.
Si risveglia che il sole è calato e la vecchia donna fischietta un’operetta. Si infila le scarpe da ginnastica, annoda il laccio dei pantaloni in felpa, pesca la lista della spesa dalle carte sparse per il tavolo.
Federico si ritrova ad far indossare alla nipotina la tutina imbottita gialla, lei lo guarda curiosa, si aggrappa al marsupio, gli tira la barbetta ispida che si è lasciato crescere.
Buffe figure avanzano per i corridoi della LIDL, come comparse ricoprono simboli: la casalinga, la zingara, il lavoratore al rientro, il giovane padre dai polpastrelli tagliati, il muratore. L’uomo senza idee con una bambina non sua nel marsupio.
Federico gonfia le guance, Beatrice ride sdentata. Le porte scorrevoli si aprono, le borse divise in modo da risultare bilanciate. La moto gialla di Lorenzo – Louensu, pensa Federico dando al nome l’intonazione genovese di suo padre quando si presentava, quel sovrapporsi di portoghese e francese, il trasformare la zeta in esse come i bolognesi – brilla sotto i lampioni arancioni. La strada è bagnata, la curva aperta e deserta. Le luci del palazzetto dello sport accese.
Lorenzo si toglie il casco e sporge per chiedere un bacio, si sposta come un granchio lateralmente, portandosi dietro il peso della moto. Aspetta.
Venti minuti: portare Bea dalla nonna dopo l’ultimo sorriso sdentato. Scendere. Tornare a casa.












Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Das Unheimliche ***















Bouquet de Nerfs.
Magari smetterà di allontanarsi nel post-coito, di lasciar scorrere l'acqua dopo aver chiuso la porta del bagno a chiave. O prenderà la patente; un’auto usata con la quale girare di notte - le sue copie di dischi di Brassens o Ferré su tape, conterà le stazioni di servizio, i bar, le prostitute dai cappotti imbottiti e le gambe nude, i vetri oscurati e la nebbia al neon dei casinò e delle slot machines che sono i nuovi bordelli regolati mostruosamente dallo stato, senza controlli sanitari, dove invece che uscire alleggerito e vagamente contento, esci tremante ed abietto. Questo contare lo ha letto in un libro, ma va bene lo stesso.
Percorrerà la Val Polcevera, il letto arido del rigagnolo non più torrente, salirà per Sant’Olcese, sempre più su dove i cinghiali ed i lupi. La spoglia e desolata galleria, nessuna luce in fondo, solo una striscia perlescente sul soffitto concavo. Pino Soprano - Molassana. Circolo perfetto.
Invece rimane. Federico si allontana con la mente, dimentica il proprio nome.
Non guarda Lorenzo negli occhi, non guarda le sue labbra. Il naso sì perché nonostante la sua regolarità rimane un naso senza personalità, senza sorrisi e senza anima. Idem le orecchie, conchiglie precise, la simmetria della natura, insulse.
Il collo no, le spalle no perché sono larghe tanto da accoglierlo e sollevare ogni sua pena, la schiena neanche, troppo bella e muscolosa da rasentare la perfezione.
Non è quello che vuole. Il bicchiere d'acqua avvelenata spande nell’aria un odore di mandorle; è soltanto la fascinazione per la scritta corsiva the end.
Opprimente come le luci neon, i muri in lacca, i lividi immaginari provocati dalle mani immaginarie che stringevano la sua gola reale – la sua coscienza. Gira.
Continua a girare. Il nastro. La testa.
« Fede, come stai? » E’ reale, richiede attenzione.
« Vattene. » Attenzione che ora Federico non può dargli, è impegnato con se stesso, coi suoi demoni, con le sue celebrazioni. « Voglio che tu vada via, adesso. »
« Hai gli occhi lucidi, stai tremando. Stai male, sragioni » Lorenzo si avvicina, riprende la profusione di gesti casalinghi, altrimenti per strada centellinati. Mano sulla fronte, labbra sulla fronte. Bocca sulla nuca, falangi a stringere nocche.
« Non è un suggerimento. » L’asprezza mal espressa, mai conquistata in toto.
« È la battuta di un film o di un biscotto della fortuna? » È l’effetto scaturito dal cocooning, l’aria viziata, la notte dalle luci splendenti e percorse dai brividi.
Il perturbante, la luce soffusa e lo stato di malattia.
Il sogno: un triangolo sghembo, pendente da un lato, gli angoli smussati di ventri e schiene inarcate, le ginocchia piegate. Un castissimo triangolo dove le intimità sono coperte da testate di capelli di altre persone, in un dentro e fuori in bocche altrui.
Prosegue, Federico sa di non provare piacere, sente sanguinare l’interno coscia. Sono tre tagli, non sente dolore.
L’effetto degli antidolorifici svanisce.












Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Tanto quanto la nausea che prova ***















Bouquet de Nerfs.
L’appartamento è il solito, diviso da due scalini nel salotto, rischio costante di caduta nel sonnambulismo. La lavatrice è nel corridoio, vicino alla porta d’ingresso – la lavastoviglie non c’è.
Tappeti dell’IKEA blu sotto i materassini azzurri addossati alle pareti, un lenzuolo logoro dalla fantasia arabescata in cremisi e verde pistacchio, i cuscini rossi e neri e viola avvolgono la schiena e non lasciano percepire il muro.
« Enrico è fuori? » Domanda Federico sentendosi impacciato col cappotto lungo, quello elegante da ufficio, e i sacchettini di plastica in mano.
« Le prove a teatro. Con lei. » Innervosito. Ermanno è innervosito dalla lei del fratello, Acca-acca. « Io mi vergognerei a fare il toy-boy.»
Federico sente caldo dentro e al viso, sposta una sedia vicino alla finestra per cogliere gli ultimi raggi del sole che tramonta per l’ultima volta nel mese di marzo. Poggia il cappotto sulla spalliera, recupera un’altra sedia e le affianca.
« Questo una volta ti piaceva. » Mormora rompendo la stagnola del pacchetto che ha portato; dentro c’è un vassoio con una doppia porzione di sushi, due varianti: cetriolo e avocado.
Ermanno sorride, tira fuori due bottiglie di Leffe brune dal frigo.
Federico vorrebbe chiedergli di tornare a vivere con lui, vorrebbe dirgli che si ricorda di quella manifestazione alla quale erano andati completamente ubriachi e lui si era messo a battere una bottiglia contro l’altra per fare rumore e gli si erano infrante tra le mani e vorrebbe dirgli anche che uno di quei pezzetti di vetro gli è rimasto incastrato nella suola delle scarpe perché quando cammina sul marmo stride. E ricorda tante altre cose e vorrebbe raccontargliele tutte ma non vuole accrescere quella fama di sentimentale che a quanto pare lo circonda.
Rimangono a parlare del nulla, Ermanno è di umore buono, un po’ languido mentre si avvicina per sussurrargli qualcosa nell’orecchio, anche se sono soli in casa e non c’è bisogno.
La violenza è vedere le lenzuola nere sul letto ad una piazza e mezza che i gemelli condividono. Se son nere il letto lo ha rifatto Ermanno, pensa Federico.
Tutta la naturalezza con cui ha fatto sesso con persone poco più che sconosciute lo abbandona. Desidera lasciarsi guidare, potergli sussurrare un “con devozione” vicino alla clavicola.
Ma rimangono a vedere un film noioso con attori noiosi ma una buona colonna sonora ed un’ottima fotografia – deformazione professionale, incartare un prodotto comune e renderlo speciale.
Federico intreccia i capelli di Ermanno tra le dita, sono scuri e ruvidi; i polpastrelli scivolano sul collo morbido e profumato.
Quanto lo ama, quanto lo ama. Quello che è stato e quello che potrà essere.
Lo ama tanto quanto la nausea che prova. Lo straniamento e il panico nel petto.
Un vago senso… la necessità di fare ammenda.













Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Bratta (fango) ***















Bouquet de Nerfs.
« Lui ritorna. » Si è costretto ad affermare mentre Lorenzo lo squadrava e già capiva.
Lorenzo voltava la schiena, imponente contro la cornice della porta, il gigante buono di qualche favola.
A volte precipitare è una variante dello strappare a metà una fotografia.
Lorenzo in camera raggruppa le sue cose sul letto – pochi vestiti, uno spazzolino da denti, un dopobarba, i pantaloncini di una tuta, la sua macchina fotografica.
Federico vorrebbe aggiungere qualcosa per palesare il suo sentirsi dispiaciuto, che forse la vera punizione è essere amati e non ricambiare perché pone in una condizione di inferiorità costante ed esiziale, un’impossibilità di esternare, a metà tra la voglia di godersi le carezze e il rimorso di non riuscire a fare altrettanto. Ma non lo fa.
Federico si trincera in cucina, carica la caldaia della moka di caffè vecchio e il serbatoio di un’aromatica miscela di caffè torrefatto. Le mani non tremano, i gesti sono abituali ed esperti. Arriccia le dita, sfrega un po’ del caffè rovesciato sul lavello tra i polpastrelli; ama il profumo sprigionato e non vuole collegarlo alla fine di una storia d’amore unidirezionale. Pensa che Lorenzo potrebbe aver bisogno di sfogarsi, di prenderlo a pugni o di abbracciarlo.
Federico preferisce una reazione violenta, di qualsiasi tipo. È tutto rimasto sospeso per troppo tempo, deve precipitare.
« Grazie. » Mormora Lorenzo aprendo la porta di cucina e lasciando il borsone della palestra il corridoio. Fa qualche passo, le espressioni del suo viso non comunicano nulla; si lascia cadere su una sedia. Aspettano entrambi che il caffè venga su. Federico cerca di calmare il respiro ed i battiti del cuore come durante il sonno; ha paura di alterarsi a vedere le reazioni altrui che non riesce a controllare… esattamente come le proprie. « Sai che con quel ragazzino è un circolo vizioso. »
Banale, è banale. È ovvio che sia così sennò a me non andrebbe bene come amore perché io non so amare in altro modo. Lo pensa e lascia che le parole si incidano sul legno del tavolo.
Banale, è banale. Scontato, ridicolo. Versa il caffè in due tazzine.
Bolle, catrame nero ribolle sotto la cenere della sigaretta.

Federico comprende gli autolesionisti quando Lorenzo torna ad essere Lorenzo il barista amorevole, troppo amorevole.
Qualcosa è uscito dalla porta con quel qualcuno. Qualcosa di pesante, di opprimente.
Federico si sente svuotato. Forse Ermanno è polvere e Lorenzo era sapone, di quel tipo che secca la pelle delle mani e dà fastidio. E la porta si è richiusa non su Lorenzo ma sulla storia passata con Ermanno – di questo è certo.
L’aria. Cambiare aria, aprire tutte le finestre e far entrare tutta la luce. Tra poche ore appena risplenderanno le candele e in tutta la casa si spargerà l’odore dell’incenso.
Le lenzuola. Cambiare le lenzuola al più presto con quel sorriso sciocco da terzo shot di vodka. E una chiavetta, trovata sotto il materasso.
Una piccola chiavetta USB e morir dal ridere.


Fine












Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=1090575