The Girl of The Dark City di The Mad Tinhatter (/viewuser.php?uid=8814)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Escaping ***
Capitolo 2: *** Hatching ***
Capitolo 3: *** Meeting ***
Capitolo 4: *** Discovering ***
Capitolo 5: *** Just a bad dream ***
Capitolo 6: *** Gone Away ***
Capitolo 7: *** Saviour ***
Capitolo 1 *** Escaping ***
The Girl Of The Dark City
The Girl of the Dark City
Cap.1: Escaping
Alicia era a casa sua, seduta davanti al focolare. Era stata
una giornata tranquilla, e lei ne era rimasta quasi turbata. In effetti, era
TROPPO tranquilla. Lei abitava a Urù’baen, ed era difficile trovare giornate
come quelle, in cui apparentemente la vita sarebbe sembrata come quella di un
paesino fuori dall’Impero. Poi, lei… dopo l’inizio della missione di suo padre,
ancora si stupiva del fatto che lei, sua madre e suo fratellino Almayer fossero
ancora vivi. Fortuna che la sua sorella maggiore, Kristen, era andata via da
quella città molto tempo prima… non che Alicia avesse paura della morte o cosa,
l’unico motivo per cui non aveva seguito suo padre nella missione era perché lui
le aveva detto che comunque era troppo giovane e avrebbe fatto meglio a restare
a proteggere la madre e il fratello nel caso fosse stato scoperto tutto. Il
padre di Alicia aveva insegnato alla ragazza come difendersi usando arco e
spada, dato che, a parte Kristen, era la più grande dei figli, e suo fratellino
aveva appena sette anni. Le aveva insegnato qualche parola dell’antica lingua,
anche se lei non sapeva affatto che farsene poiché non possedeva alcun potere
magico e inoltre, almeno di quei tempi, dubitava di poter incontrare un
elfo.
Quell’eccessiva tranquillità la preoccupava. La preoccupava
tantissimo. Sentiva che qualcosa di brutto, di terribile stava per succedere, ma
non sapeva quando, dove e come.
La porta dell’ingresso principale si aprì fragorosamente, e
Alicia mise istintivamente la mano sul pugnale, che teneva sempre in tasca.
- Cosa, succede, figliola? Sembra che sia appena entrato
Galbatorix in persona! – disse Eloisa, la madre di Alicia, che era appena
entrata e che reggeva con le braccia un pesante cesto pieno di frutta e patate.
Dietro di lei si stagliava una figurina esile, molto simile alla madre:
Almayer.
- Niente, mamma… vuoi una mano? – rispose Alicia, cercando di
suonare tranquilla, mentre si alzava dalla poltrona e aiutava la madre a portare
la cesta in cucina.
- Dobbiamo farci bastare questa roba per un po’ di tempo, i
viveri della città stanno scarseggiando e tra poco anche le patate ci costeranno
una fortuna – disse Eloisa, non appena le due ebbero posato la cesta sul grande
tavolo della cucina.
- Si, mamma… vorrà dire che dovremo eliminare metà pranzo –
rispose Alicia, sospirando. Poi scostò i lunghi capelli corvini (che avevano la
cattiva abitudine di finirle davanti agli occhi) e scoprì il suo viso: un paio
di occhi viola rilucevano sul suo viso, accompagnati da un piccolo naso e da una
bocca a forma di cuore.
Tra le due ci furono alcuni secondi di silenzio, poi Alicia
chiese: - Hai ricevuto notizie di papà? –
- No, tesoro. E la cosa comincia a preoccuparmi. Ho paura che
il prossimo messaggio sarà di addio… o non arriverà mai - .
Alicia rimase un po’ sbigottita. Sua madre non era mai stata
così poco speranzosa. Evidentemente anche lei era estremamente preoccupata.
- A volte mi chiedo perché l’abbia lasciato andare – continuò
Eloisa, buttandosi seduta sulla grande poltrona dell’ingresso – salone, la
stessa dove prima sedeva Alicia.
- L’ha fatto per il bene di tutti – disse Alicia – soltanto
grazie a lui, a Faolin e a quell’altra sarà possibile sconfiggere Galbatorix. E
ora ci vorrà qualcuno che gli sottragga gli altri due oggetti che non sono suoi.
Non so chi sarà, ma spero che abbia successo. - .
La donna e la ragazza rimasero in silenzio, quasi in attesa….
Poi…
- Ahi! – urlò Alicia.
- Che succede? – chiese allarmata Eloisa.
- N-non lo so – disse Alicia.
Poi, accadde qualcosa di strano: Alicia cominciò a sentire una
voce… ripeteva un messaggio, ma la voce era ancora troppo bassa per poter essere
sentita… poi la voce aumentò di volume, e Alicia potè sentire cosa diceva.
Riconobbe subito la voce di suo padre.
Alicia, figlia mia, ho brutte notizie da darti. La nostra
spedizione è stata scoperta. Arya è stata catturata, a me e a Faolin restano
ormai pochi secondi di vita… e anche le vostre vite sono in pericolo, perché
oramai Galbatorix sa ciò che voi sapete. Se non volete essere catturate,
torturate e uccise, scappate via, più in fretta che potete!
Alicia scosse il capo.
- Che è successo, figliola? – chiese Eloisa.
- Era papà – rispose Alicia, ancora troppo sconvolta per
piangere – dice che… che sta per morire… e dice che dobbiamo scappare, e al più
presto! –
La donna si avvicinò alla figlia, e la abbracciò. – Non… non…
scherzi, vero?-
- No, mamma, no… -
- E perché dovremmo scappare? –
- La spedizione è stata scoperta, e hanno catturato… Arya.
Mamma, noi sappiamo tutto della spedizione, la prima cosa che Galbatorix farà
sarà quella di catturarci e torturarci per estorcerci tutto quello che sappiamo.
Dobbiamo scappare - .
Odiava ammetterlo, ma in quel momento scappare era il modo
migliore per salvarsi. Combattere non sarebbe servito a niente, una ragazzina,
seppur ben allenata, non avrebbe mai potuto competere con un soldato addestrato.
Magari con una guardia, quello si, ma non un esercito!
Le due donne, quindi, si affrettarono a prendere almeno le cose
essenziali per la loro vita fuori da Urù’baen: soldi, viveri e qualche vestito.
Alicia prese anche la sua spada e il suo arco, le altre due armi che possedeva,
oltre al pugnale, sempre nascosto nella sua tasca sinistra e sempre pronto
all’uso.
Alicia mise la spada nel suo fodero, che portava a mò di
cintura sul suo vestito, si mise l’arco in spalla, poi prese per mano il
fratellino. Insieme alla madre uscirono, nascoste dal buio della notte senza
luna di Urù’baen. La città sembrava morta, soprattutto a quell’ora, dove le
uniche luci accese erano le lanterne delle osterie, che però non emanavano
abbastanza luce da permettere di vedere un palmo di naso più avanti dei propri
occhi.
Stavano per raggiungere le mura della città, quando sentirono
dietro di loro un rumore metallico, come pezzi di ferro che scontrano tra di
loro. Alicia pensò a delle armature, ma sperò che la verità non fosse
quella.
Poi, una luce abbagliante travolse il gruppo di fuggitivi da
dietro. Era come se un enorme falò fosse stato acceso alle loro spalle.
- Fermatevi! – gridò una voce profonda, sicuramente
appartenente ad un soldato – Fermatevi e giratevi. Ordini del re Galbatorix -
.
Alicia, sua madre e suo fratello fecero finta di niente, anzi,
corsero più velocemente. Ma non bastò. Alicia si sentì afferrare il braccio, poi
cadde a terra. Infine sentì un forte dolore alla testa. Poi il nulla.
*
Alicia aprì gli occhi. Provò a muovere le braccia e le gambe,
ma non ci riuscì. Era legata, e l’avevano spogliata delle armi. Cercò di mettere
a fuoco la stanza in cui si trovava. Come ben poteva immaginare, si trovava in
una cella. Una fredda e buia cella. E non sapeva nemmeno che fine avessero fatto
sua madre e suo fratello. Sperò soltanto che fossero vivi, o magari… anche già
liberi…. Ma quest’ultima ipotesi era certo la più improbabile.
La ragazza cercò di liberarsi. Provò a muoversi, a contorcersi,
ma le corde erano così dure e così legate strette che le era impossibile
muoversi anche di un solo centimetro. Provò a rilassarsi e a non pensare a cosa
ne sarebbe stato di lei poco tempo dopo, ma non le fu possibile. Infatti era
appena entrata una guardia. Si aspettava che fosse venuta per ucciderla, o farle
del male, ma non fu così. Con grande stupore della ragazza, la guardia prese la
spada, e la usò per tagliare le corde.
Alicia si alzò in piedi. Le gambe e le braccia le facevano
male. Sicuramente era rimasta svenuta per almeno un paio di giorni, vista la
difficoltà che aveva nel camminare.
- Muoviti, ragazzina! – disse la guardia, con voce minacciosa –
Il re vuole parlare con te, e subito! –
Prese il braccio della ragazza, e la condusse fuori dalla
cella. Alicia vide che, mano a mano che procedevano, altre guardie si univano a
loro. Cosa pensava Galbatorix, che una ragazza come lei, oltrettutto disarmata,
sarebbe stata pericolosa? La ragazza, involontariamente, si mise la mano sul
fianco. E si rese conto che Galbatorix aveva avuto ragione a radunare per lei
tutte quelle guardie. Dopotutto, non era disarmata. Le restava, lì, in tasca, il
suo pugnale… e con quello sarebbe riuscita ad uccidere minimo due guardie….
Frenò l’impulso di tirare fuori l’arma e uccidere i suoi
carcerieri: non sarebbe certo riuscita ad ucciderli tutti, inoltre era certa che
nel palazzo erano presenti altre guardie, e l’ipotesi di fuggire era
inconcepibile, almeno in quel momento.
Alicia quindi si lasciò condurre. La portarono in una grande
stanza dalle pareti color rosso sangue e con parecchie porte. Al centro della
stanza vi era un ciclopico trono ricoperto da un drappo cremisi. Nonostante
sopra non ci fosse nessuno, Alicia era sicura che si trattasse del trono di
Galbatorix, e questo certo non la rassicurava.
La ragazza e le guardie rimasero in attesa per una decina di
minuti, poi una porta, una delle tante, si aprì.
Non appena Galbatorix entrò, tutte le guardie si misero in
ginocchio, il capo rivolto a terra. Solo Alicia era rimasta in piedi, la schiena
eretta e la testa alta, quasi a dimostrare di non avere paura.
- Andate via, lasciatemi solo con la ragazza – ordinò il re
alle guardie. Queste ultime scattarono come se avessero avuto un porcospino nel
sedere, e corsero fuori dalla stanza. Così Alicia era sola con Galbatorix, il
quale la fissava minaccioso.
- Ragazzina, sai perché sei qui? – disse il re, assumendo un
tono di voce tanto duro e imperioso da far prostrare chiunque, ma non Alicia,
che rimase in piedi.
- No – rispose Alicia, cercando di suonare convincente.
- Allora credo proprio che abbia bisogno che qualcuno ti
chiarisca le idee, prima di incontrare la morte. Tu sei qui perché il tuo caro
padre ha partecipato ad un attentato alla mia persona, autorità e al mio potere.
Quest’attentato riguardava un uovo, hai presente, ragazzina? Ebbene si, cara,
quest’uovo era mio, e tre di loro, compreso tuo padre, me l’hanno rubato. E sai
che rubare è reato, vero? –
- Quell uovo non era vostro. Non era di nessuno, e voi ve ne
siete appropriato illegalmente – rispose Alicia, cercando di restare calma, ma
lasciando trasparire comunque rabbia e rancore.
- Calma, ragazzina, calma. Non vorrai certo lasciar scivolare
la tua unica speranza di salvezza, vero? Ebbene, ho qualcos’altro da dire, prima
che tu possa scegliere tra la morte e la vita. Tuo padre e quell’uovo erano
diretti da qualche parte, vero? So che sai dove, ragazzina. È ormai noto a tutti
noi l’amore di tuo padre nel confidarsi con la famiglia… ora, dimmi a chi era
destinato quell’uovo - disse il re, modulando il tono di voce in modo da
sembrare amichevole, quasi paterno.
- Si, so dove e a chi doveva portare l’uovo. Ma si scordi che
io possa dirvelo. Resterò muta come un pesce. Non tradirò il segreto –
- Neanche se ci fosse in gioco la tua vita e quella della tua
famiglia? –
- No – disse Alicia, emettendo un lungo sospiro.
- Ebbene, se tu non mi dici ciò che voglio, tu morirai appena
uscirai da questa stanza, e tua madre e tuo fratello resteranno a vita nelle mie
prigioni. A te l’ardua scelta –
- Come se servisse a qualcosa! So che ci farete morire comunque
–
- Bene, io ti ho dato la facoltà di scegliere. Sei sicura?
–
Alicia rimase un paio di secondi a pensare. Non pensava a
Galbatorix come ad un uomo di parola. Se avesse detto qualcosa, probabilmente
Galbatorix avrebbe comunque fatto uccidere lei, sua madre e suo fratello, e
avrebbe passato il suo tempo e impegnato i suoi soldati alla ricerca della
persona predestinata, fino a provocare la morte sua e, magari, di tutta la sua
famiglia, o del suo paese…
E così, prese la sua decisione. Qualche lacrima cominciò a
rigare il suo volto.
- Meglio morire, piuttosto che vedere uno stupido giullare
tiranno spadroneggiare su tutto ciò a cui tengo – disse la ragazza duramente,
poi chiuse gli occhi, aspettando la morte.
Ma Galbatorix non le fece niente. Gridò: - Magog! Vieni! -
.
La guardia che aveva portato via Alicia dalla cella si presentò
nella stanza.
- Ai vostri ordini, mio signore – disse la guardia,
prostrandosi davanti al trono.
- Porta via questa ragazza da qui – disse Galbatorix – e
uccidila con la tua lancia. Non voglio spargimenti di sangue, qui - .
La guardia prese Alicia per un braccio, e fece per portarla
via. Mentre attraversavano la porta opposta a quella da cui erano entrati,
Galbatorix disse: - E mi raccomando, falle più male che puoi. È questa la
punizione contro gli ingrati come lei - .
Alicia e la guardia attraversarono la porta, che conduceva ad
un lungo corridoio. La ragazza, nonostante la paura, potè vedere sulla faccia
della guardia un’espressione di rabbia, mista però ad una strana indecisione.
Alla fine strattonò ancora più bruscamente il suo braccio, e quasi la buttò
dentro la prima stanza a sinistra.
Sembrava una specie di armeria. Alle pareti erano appesi archi,
spade e balestre, e al centro della parete davanti a lei c’era una sorta di
piedistallo, sopra al quale era poggiata quella che pareva essere una grosso
ovale di pietra rosa. Alicia guardò meglio le armi alle pareti. Sembravano molto
buone e resistenti, nonostante non avesse la possibilità di osservarle più da
vicino.
E poi, sulla parete destra della stanza, la ragazza si accorse
di un particolare: tra il nero delle spade e degli archi, spiccava il marrone
chiaro di un altro arco. Accanto a questo, riluceva il viola della lama di una
spada. Alla ragazza quasi scappò un urletto di gioia. Erano le sue armi. E,
accanto a queste, c’era una piccola borsa di pelle. La sua borsa.
Prima che la guardia riuscisse a chiudere il portone metallico
della stanza, Alicia fece in tempo ad osservare meglio il piedistallo davanti a
lei, e la pietra che vi giaceva sopra. Sgranò gli occhi. Quella non era una
pietra… Alicia aveva ricevuto abbastanza istruzione da suo padre da capire che
non lo era. Era un uovo. Un uovo di drago, per essere precisi.
La guardia chiuse il portone, facendo un fracasso terribile. Un
secondo dopo, era parato davanti alla ragazza, brandendo la lancia come un
macellaio brandisce la mannaia.
- Ragazzina mia, sei stata troppo imprudente… e ora… morirai! –
disse, poi fece per buttarsi contro di lei.
Alicia subito scansò il colpo di lancia, facendo quasi cadere
in avanti l’uomo.
- Cosa credi, che io mi faccia uccidere tanto facilmente? –
disse, ridendo. Poi tirò fuori la sua arma, il pugnale. La guardia provò di
nuovo ad attaccarla, ma lei si scansò di nuovo. Poi, con un gesto fulmineo,
ficcò il pugnale nel petto dell’uomo, che urlò di dolore prima di cadere a
terra, senza vita, in un lago di sangue.
Alicia rimase in piedi davanti al cadavere, e impallidì. Le
urla dell’uomo sicuramente avrebbero fatto accorrere tutti i soldati della
reggia, e lei doveva scappare immediatamente. Si rese conto, in una frazione di
secondo, che il palazzo era sconfinato, e che lei non sapeva né dove si
trovasse, né, tantomeno, il modo più veloce per uscire.
Si avvicinò alla parete, e prese le sue cose. Poi si avvicinò
al piedistallo con l’uovo.
Cosa avrebbe dovuto fare? Andarsene senza prenderlo, e rendere
tutto ciò per cui la sua gente combatteva inutile, o prenderlo, entrare nella
storia, ma correre almeno il doppio dei rischi che già stava correndo?
Non aveva molto tempo per pensare. Già sentiva passi e voci,
provenienti dalla stanza del trono.
Prenderlo o non prenderlo? Prenderlo o non prenderlo?
Alicia emise un profondo respiro, e prese l’uovo tra le mani.
Avrebbe passato la sua vita fuori da Urù’baen a cercare qualcuno che il drago di
quell’uovo avrebbe trovato idoneo. Aprì la sua borsa e, tra i morbidi vestiti,
pose l’uovo. Poi chiuse la borsa, e se la mise in spalla. Aprì la porta, e si
preparò alla fuga.
Fortunatamente il corridoio era abbastanza lungo e buio, così
le guardie, anche se fossero state all’inizio del corridoio, non l’avrebbero
vista.
Corse dalla parte opposta rispetto a quella da cui era entrata,
verso l’ignoto. Quando arrivò alla fine del corridoio, vide che sulla destra vi
era una ripida scala a chiocciola in discesa, fiocamente illuminata da delle
lanterne. Alicia non ci pensò su molto, e cominciò a scendere.
La scala era lunghissima, e continuava a girare, in una spirale
strettissima. Dopo un po’ Alicia si sentì girare la testa.
Ma non doveva cadere, non doveva… sentiva il clangore delle
armature, di sopra, ed era sicurissima che, dopo aver setacciato ogni singola
stanza, i soldati si sarebbero diretti verso le scale. Se si fosse fermata,
l’avrebbero presa….
Infine, la scala finì.
Davanti alla scala c’era una porticina. Alicia l’aprì, non
sapendo cosa potesse trovarci dentro, ma al contempo non avendo altra
scelta.
Nella stanza dove era entrata, esattamente come in quella da
cui era uscita, c’erano delle armi. Ma queste armi non avevano nulla a che fare
con quelle che c’erano nell’altra stanza. Mentre quelle della stanza precedente
erano di ottima fattura e curate nel minimo dettaglio, queste ultime erano
piuttosto rozze, anche se parevano resistenti. Ora che ci pensava, Alicia poteva
scommettere l’uovo che trasportava nella bisaccia che quelle erano le armi
destinate alle guardie. E le venne in mente una geniale idea….
Prese una delle armature, e se la infilò. Per l’altezza le
andava bene, ma le stava leggermente larga. Meglio, avrebbe potuto nascondere la
bisaccia con l’uovo. Poi prese un fodero da spada, e ci infilò dentro la sua,
infine se lo legò in vita. Non avrebbe potuto tenere comodamente l’arco, ma
anche per quello aveva un’idea. Per completare poi il travestimento, si raccolse
i lunghi capelli neri sulla testa, e si infilò un elmo. Infine uscì, reggendo in
mano l’arco.
Trovò davanti a lei un gruppo di soldati.
- Hai trovato qualcosa? – chiese una di queste. Almeno il
travestimento aveva funzionato, pensò Alicia.
- Si – rispose la ragazza, camuffando la voce, aiutata anche
dal fatto che l’elmo la soffocava parecchio, rendendola più indefinibile.
- Cos’hai trovato? – continuò la guardia.
- Il suo arco –
- Bene. Ora dobbiamo sapere dov’è finita lei. Venite - . Tutti
i soldati, Alicia compresa, si avvicinarono.
La guardia tirò fuori una pergamena, e la aprì. Alicia sorrise,
sotto l’elmo. Era proprio quello che ci voleva. L’uomo aveva tirato fuori una
mappa della reggia.
- Noi siamo qui – indicò la guardia, puntando col dito su un
quadrato della mappa.
- Direi che è meglio se ci dividiamo, nel cercare quella
stupida ragazza - .
Gli altri soldati andarono subito via, seguendo l’ordine, ma
Alicia e la guardia con la mappa rimasero lì.
- Non ti ho mai visto da queste parti, uomo – disse la guardia
– sei nuovo? - .
Alicia annuì.
- E allora, se non vuoi finire nelle segrete del castello
cercando quella ragazzina, è meglio se tieni questa mappa. E, mi raccomando,
fammela riavere, o saranno guai. L’ho stilata io personalmente, e non voglio che
vada perduta - .
Così dicendo, la guardia diede ad Alicia la mappa, poi se ne
andò. La ragazza tirò un sospiro di sollievo. Ora aveva una mappa del castello,
ora poteva fuggire!
Srotolò la pergamena, e la osservò. Era divisa in cinque
riquadri, ciascuno contrassegnato da un numero. – 1, 0, 1, 2, 3. Alicia ricordò
dove la guardia aveva puntato il dito, e vide che era nel riquadro – 1. Non le
ci volle molto a capire che i numeri stavano ad indicare i piani del palazzo.
Quindi, in quel momento, si trovava nei sotterranei. Per arrivare all’uscita,
doveva semplicemente salire le scale. E fu ciò che fece.
Finite le scale, tornò nel corridoio da cui era da poco uscita.
Si rese conto, osservando più attentamente, che quella da cui era uscita non era
l’unica porta: erano varie le aperture che si aprivano dalla parete. Guardò di
nuovo la mappa. Per l’uscita, doveva prendere la terza porta a sinistra.
Entrò nella suddetta porta, e si ritrovò in un corridoio
lunghissimo, illuminato a giorno da delle torce. La ragazza si coprì gli occhi:
infatti era rimasta per un paio d’ore nella semioscurità, e ora tutta quella
luce la infastidiva.
Lentamente i suoi occhi si abituarono alla luce, e potè
osservare ciò che stava sulle pareti. Queste erano dipinte di rosso acceso, e su
di esse erano disegnati, con oro puro, draghi e Cavalieri, tutti con un
espressione tanto minacciosa da incutere paura.
La ragazza sospirò, e si sforzò di non guardare le pareti
mentre attraversava il corridoio. Poi, dopo una decina buona di minuti, si
ritrovò davanti ad un’altra porta, intarsiata d’oro, anch’essa recante disegni
di draghi. Attraversò la porta.
Si ritrovò davanti a quello che pareva un grande salone
d’ingresso. Davanti a lei stava il portone principale, il portone della
salvezza. Ma c’era un piccolo problema…
Due guardie erano appostate accanto al portone, e la
squadravano, sospettose. Lei fece ugualmente per avvicinarsi al portone, ma le
guardie la bloccarono.
- Cosa c’è? – chiese lei, confidando nella sua voce
soffocata.
- Chi sei? – chiese una delle sentinelle.
- Sono una guardia, come voi –
- Davvero molto divertente – disse l’altra sentinella – ma poco
convincente. Si da il caso, infatti, che ci abbiano appena informato della
scomparsa dell’armatura di un nostro collega… e ci hanno chiesto di far togliere
l’elmo a chiunque tenti di uscire… sapete, con una ragazzina fuorilegge in
libertà… -
- Bene – disse Alicia. La ragazza si tolse l’elmo, poi, con uno
scatto fulmineo, sfoderò la spada e colpì le due sentinelle: la prima, al collo,
la seconda, al ventre.
- Contenti, adesso? – disse la ragazza, rivolta ai due uomini rantolanti. Poi
si voltò, verso il portone. Lo aprì. E uscì, verso la libertà.
***********************************************************
Per quanto riguarda i personaggi che ho inserito, appunto, nello spazio "Personaggi", devo precisare che si tratta solo di qualcosa di indicativo, perchè, a dire il vero, i personaggi dell'elenco sono presenti un pò tutti (più, ovviamente, altri personaggi inventati)... solo che nell'elenco manca la voce "un pò tutti"...
Detto questo, leggete e commentate!
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Capitolo 2 *** Hatching ***
Cap. 2: Hatching
Alicia corse velocemente fuori. Era libera, almeno lei era
libera! Corse velocemente, diretta ai cancelli della città. Non si era ancora
tolta l’armatura, per sicurezza, e pensava che, forse, almeno nei pressi di
Urù’baen, avrebbe fatto meglio a tenerla indosso. Mentre correva, passò davanti
a casa sua. Quando era uscita da lì, qualche giorno prima, non le aveva nemmeno
dato addio. Ma non c’era tempo. E poi lo sapeva, quello non era un addio.
Sarebbe stata costretta a tornarci, prima o poi. Ciò che la legava a quel luogo
era più forte di lei, nonostante fosse molto scomodo. Corse avanti, decisa a
voltare pagina, a pensare alla sua nuova vita, da vagabonda e girovaga. Arrivò
ai cancelli, e anche lì c’erano delle guardie.
- Dove vai, uomo? – chiese una delle guardie, un uomo poco più
che trentenne dalla scura barba folta.
- Devo uscire dalla città. Ordini del re – disse Alicia,
sperando ardentemente che la sua bugia non venisse scoperta.
- Passa, allora – disse l’altra guardia.
Alicia tirò un sospiro di sollievo. Era parecchio contenta di
non essere stata costretta ad uccidere anche loro. Ormai, quante erano le
persone che aveva ucciso? Tre, e già la sembravano troppe. Sospirò ancora. Ci
avrebbe dovuto fare l’abitudine. Ormai aveva preso la sua decisione. E se doveva
difendere l’uovo, doveva essere disposta ad uccidere i suoi nemici. E quell’uovo
era la cosa più importante che possedeva, più importante della sua stessa vita.
La schiusa di quell’uovo, in qualsiasi momento fosse accaduta, avrebbe segnato
il destino di tutta Alagaesia. E se l’uovo fosse finito in mano al nemico,
sarebbe stata la fine.
La ragazza continuò a camminare, il sole che stava cominciando
a picchiare sopra di lei. Quando era partita, si stavano accendendo le prime
luce dell’alba, ma erano ormai passate parecchie ore… Sapeva che l’armatura
avrebbe potuto garantirle una protezione in più, ma ormai era mattino fatto, e
stava morendo dal caldo. Così decise di togliersela, e restare col leggero abito
che aveva sotto. Abbandonò l’armatura dietro ad un cespuglio, poi prese la sua
bisaccia. Si era ricordata solo ora che era stata tra le mani del nemico, e che
i soldati avrebbero potuto prenderle qualcosa. Frugò, e notò con sollievo che
l’enorme quantità di vestiti aveva nascosto soldi e viveri, oltre che
spazientito i soldati, che certo non se ne sarebbero fatti nulla di abiti da
donna.
Alicia si rimise la borsa sulle spalle, si legò la spada alla
vita, prese l’arco e continuò il suo viaggio per le pianure.
Il punto brutto della faccenda era il fatto che Alicia non
aveva pensato a dove volesse andare. Mentre camminava, cominciò a fare
congetture su come avrebbe potuto muoversi, e, passato mezzogiorno, dopo quattro
ore di cammino, concluse che avrebbe fatto bene a dirigersi verso una qualche
città di mercanti, come per esempio Teirm. Poi si sarebbe unita ad una carovana
di mercanti, che avrebbe toccato con ogni probabilità tutte le città più
importanti dell’Alagaesia, rendendole abbastanza agevole il compito di
portatrice dell’uovo. Certo, il suo lavoro sarebbe stato parecchio difficile,
specie perché non voleva essere scoperta, ma aveva un piano anche per questo.
Era però un piano così strano e rischioso che, quando si sedette all’ombra del
primo albero che aveva trovato per mangiare e riposare, si chiese se il sole
l’avesse per caso fatta delirare.
Avrebbe semplicemente allestito una sorta di bancarella, dove
avrebbe messo in mostra l’uovo. E avrebbe invitato la gente a toccarlo. Alicia
sapeva abbastanza della mentalità popolare da pensare che tutti l’avrebbero
considerata una buffonata, ma forse proprio per questo avrebbero acconsentito.
Naturalmente il tutto aveva anche un secondo fine; dato che avrebbe fatto pagare
una minima somma per toccare l’uovo, avrebbe potuto guadagnare qualche soldo per
vivere. Del resto, i viveri che si era portata da casa non sarebbero durati per
l’eternità.
Mentre sgranocchiava un pezzo di pane, prese la borsa, e ci
frugò dentro. Era sicura di averla portata….
Prese un rotolo di pergamena, e lo aprì. Davanti a lei stava
una mappa di Alagaesia, dono di suo padre. La osservò. In quel momento doveva
essere ancora nei pressi di Urù’baen. Vide quanto le mancava per raggiungere
Teirm. E si accorse che la strada era troppa, e che non ce l’avrebbe mai fatta,
se non avesse trovato un adeguato mezzo di trasporto. Data la fretta, la ragazza
pensò bene di non restare lì ancora per molto, e si rimise in cammino.
Ma purtroppo la sua resistenza non era certo illimitata, e
comprese ben presto che in quelle condizioni non sarebbe andata da nessuna
parte. Le ci voleva soltanto un piccolo, minuscolo colpo di fortuna….
E questo arrivò.
Alicia si era fermata un attimo per riprendere fiato, quando
sentì delle urla, e uno scalpiccio di zoccoli.
La ragazza si voltò, allarmata, e sfoderò la spada. Ma, non
appena esaminò la scena, si rese conto di non averne bisogno.
Una donna correva, con una sella tra le mani, e davanti a lei
stava una sorta di cavallo bianco. Non era proprio un cavallo, perché pareva, da
lontano, che dalla fronte gli uscisse qualcosa… qualcosa di color bianco
panna….
Alicia si avvicinò alla scena, e sgranò gli occhi, piena di
stupore. Quell’animale era tutto, tranne un cavallo. Era un puro, bellissimo
unicorno.
La donna urlava all’unicorno: - Sissi, dai, torna qui! Ti ho
appena presa, e già ti comporti male! - .
Così, era un unicorno imbizzarrito. Alicia si avvicinò di più,
cautamente. Sapeva come domare i cavalli imbizzarriti, ma non sapeva se la sua
strategia avrebbe funzionato anche sull’unicorno….
Ma non ci fu bisogno di alcuna strategia. Non appena vide
Alicia, Sissi si bloccò, e tese il suo collo ad Alicia, come se volesse che la
accarezzasse. Alicia allungò la mano, tremante, e la accarezzò. Sissi si lasciò
accarezzare.
La donna sua proprietaria corse verso di lei, trafelata.
- Prova a montarla, ragazza, così magari mi aiuti a riportarla
in paese! – disse, e le lanciò in mano la sella.
Alicia legò la sella a Sissi, poi ci salì sopra. L’unicorno non
fece storie, e si lasciò montare.
- Incredibile – disse la donna – io non sono mai riuscita
nemmeno a toccarla, e tu… riesci a montarla! –
Ad Alicia venne una brillante idea. Se la donna non riusciva a
montarla, allora, forse…
- Buona donna, se volessi comprarle Sissi, che cifra dovrei
darle? – chiese Alicia, disposta quasi a spendere tutti i suoi soldi per quella
formidabile bestia.
- è un animale magnifico, anche se non sono mai riuscita a
montarlo. Quindi… -
- Settecento corone possono bastare? Prendere o lasciare –
La donna rimase pensierosa qualche secondo. La bestia forse
valeva qualcosina più di settecento corone. Ma, per una giovane che aveva speso
tutti i suoi risparmi in un sogno che nemmeno riusciva a domare, settecento
corone erano una cifra buona per cominciare a rifarsi.
- E sia – rispose la donna – settecento corone per la mia Sissi
- .
Alicia, raggiante, tirò fuori dalla sua bisaccia il sacchetto
delle monete, tirò fuori settecento corone e le diede alla donna, che si
allontanò, anche lei contenta.
La ragazza scese da Sissi, e raccolse le sue armi. Poi montò di
nuovo Sissi, e partì.
Come già aveva potuto vedere osservando come scappava dalla
donna, Sissi era velocissima. Con lei il viaggio per Teirm, invece di durare
mesi, sarebbe durato solo qualche settimana.
Cavalcarono assieme tutto il pomeriggio. La resistenza
dell’animale era incredibile, sembrava non volesse fermarsi. Fu solo sul calar
della notte che Sissi mostrò qualche segno di cedimento. E anche Alicia
cominciava ad aver sonno. Così si fermarono, nei pressi di una foresta. Alicia
posò le sue cose, e andò a tagliare un po’ di legna per accendere un falò e
cuocere un po’ della carne che si era portata. Riuscì a raccogliere abbastanza
legname da creare un fuoco discreto. Mise la carne a cuocere, poi la mangiò,
gustandosela fino all’ultimo boccone perché forse quella sarebbe stata una delle
ultime volte (almeno, prima di arrivare a Teirm) in cui ne avrebbe potuto
assaporare. Bevve un po’ d’acqua, poi arrangiò, con qualche ramo d’albero e
foglie, un piccolo rifugio per la notte. Legò Sissi ad un albero e prese tutti i
suoi averi, poi entrò nel rifugio. Prese una coperta che si era portata da casa,
si sdraiò e la avvolse attorno a sé. E, nonostante la stanchezza della giornata,
prese faticosamente sonno.
*
Alicia era in una sorta di dormiveglia, quando sentì un rumore,
un crac abbastanza forte, ma un po’ soffocato. Aprì gli occhi, e mise a fuoco
ciò che la circondava. I suoi occhi si soffermarono sulla bisaccia. Tremolava,
come se dentro ci fosse stato un piccolo essere che stava per morire di freddo.
La ragazza, piuttosto stupita, aprì la borsa, e la frugò, per cercare la fonte
del rumore.
E la trovò.
Sgranò gli occhi, quando si rese conto di cosa fosse.
L’uovo.
Una crepa si era formata sulla liscia superficie, e si stava
diffondendo, dando vita ad altre piccole crepe….
Incredibile.
L’uovo si stava schiudendo, proprio lì, tra le sue mani… era
lei la prescelta. Era lei l’individuo destinato a quell’uovo….
Posò l’uovo per terra, ancora piuttosto incredula. Le crepe si
erano diffuse tanto da ritorcersi su se stesse. Infine, un grosso frammento
dell’uovo saltò in aria, finendo tra le mani di Alicia. Dove prima stava quel
frammento, ora stava una testolina viola scuro. Altri frammenti saltarono, e
dopo la testolina apparvero anche degli arti, anteriori e posteriori….
In meno di dieci minuti, davanti ad Alicia stava un piccolo
draghetto viola.
La ragazza guardò sbigottita la bestiolina davanti a lei. E
così, ora era Cavaliere… era destinata ad entrare nella leggenda….
Accarezzò il drago, e sentì una sorta di scossa che la
pervadeva tutta, dalla mano sinistra con cui stava toccando il drago alla punta
del piede destro. Come la ragazza staccò la mano, la scossa terminò. Alicia si
guardò la mano. Lentamente, una striscia d’argento le percorreva il palmo,
restando lì, indelebile, a marchiare la sua mano. Era il gedwey ignasia… ciò che
suo padre le aveva detto essere il simbolo dei Cavalieri, e un po’ il
catalizzatore della loro magia.
Magia! In quel momento Alicia si rese conto che, col drago,
sarebbero arrivati anche poteri magici… ricordava quando suo padre, dopo averle
insegnato a leggere e a scrivere, le aveva fatto leggere i libri delle gesta dei
Cavalieri… incantesimi che aveva sempre sognato di poter fare….
Scrollò vigorosamente la testa, e tornò alla realtà.
Riconosceva certo il fatto che non avrebbe mai potuto emulare le gesta di
Eragon, il primo dei Cavalieri, o di Vrael, il loro capo più ricordato, senza un
adeguato addestramento. Al momento, aspettando oltrettutto che il drago
crescesse, e il suo potere aumentasse, forse sarebbe riuscita ad evocare qualche
fiammella, o spostare un granello di sabbia, ma nulla di più. E dove avrebbe
trovato qualcuno che la istruisse, che la rendesse capace di combattere
degnamente? Lei sapeva che per fare incantesimi occorreva sapere l’antica
lingua, e la sapeva quasi parlare con tanta scioltezza quanta ne aveva nel
parlare la lingua con cui era cresciuta, ma ignorava gli altri segreti arcani
della magia. E poi, come avrebbe fatto a nutrire e allevare il drago? Suo padre
le aveva insegnato abbastanza da renderla idonea al combattimento senza che però
si riducesse ad una rude barbara, e fornendole basi solide di storia, geografia
e grammatica dell’antica lingua, ma certo non avrebbe mai potuto immaginare di
doverla rendere adatta a diventare Cavaliere di drago. Le sue attuali conoscenze
l’avrebbero resa capace di affrontare il viaggio verso Teirm portando l’uovo e
proteggendolo, non di combattere per la salvezza del mondo, come si sentiva in
dovere di fare. Per non parlare poi del fatto che sicuramente era l’unico
Cavaliere in circolazione. E che, se già Galbatorix la cercava senza uovo di
mezzo, vedendo che una delle sue uova erano scomparse si sarebbe accanito ancora
di più. E se per caso qualcuno avesse scoperto il drago, avrebbe mobilitato
tutto il suo esercito per cercarla.
Mentre Alicia era assorta nei suoi pensieri, il draghetto
cominciò a muoversi per tutta la capanna, esplorando il luogo in cui aveva visto
la luce per la prima volta. Poi, uno dei suoi occhi, viola come le sue squame,
si posò su Alicia. Alicia si ridestò, e si avvicinò al drago. Poi provò a
prenderlo in braccio. Il drago oppose un po’ di resistenza, poi si lasciò
portare in braccio. La ragazza, poi, lo lasciò andare, e lui non esitò ad
uscire. Alicia prese l’arco e la spada, poi lo seguì.
L’aria frizzante del mattino le riempì i polmoni, come una
ventata di libertà. Il drago ora trotterellava sull’erba, e sembrava molto
felice.
Ma Alicia doveva andare a caccia; infatti la carne che le era
avanzata non poteva bastare sia per lei che per il drago (che, oltrettutto, in
breve sarebbe diventato enorme, e il suo appetito sarebbe cresciuto di
conseguenza). Così dovette porre fine alla grande gioia della bestiola, e la
legò ad un albero lì vicino. Poi andò a caccia.
Tornò un paio d’ore dopo, reggendo un paio di conigli e alcuni
uccelli commestibili. Slegò il drago, poi gli lanciò un coniglio e alcuni
uccelli, che l’animale divorò con gran gusto. Anche Alicia mangiò, poi però fu
costretta a ripartire.
- Dobbiamo partire subito, se non vogliamo arrivare a Teirm tra
due mesi – disse Alicia, rivolta al drago. Nonostante l’uovo si fosse schiuso,
non aveva abbandonato l’idea di raggiungere Teirm. Del resto, era più facile
trovare uno stregone o qualcosa del genere in una grande città, piuttosto che
vagando per i boschi.
Comunque, non si aspettava alcuna reazione del drago a questa
frase. E ciò che vide la stupì.
Il draghetto, dopo aver ascoltato la sua frase, fece ciò che
pareva un piccolo cenno di assenso. Alicia certo non credeva che il drago la
potesse capire già dal primo giorno, ma continuò a parlargli, giusto per esporre
la sua idea a qualcuno, anche se non le poteva rispondere.
- Chiederò a Sissi di andare piano, così potrai starci dietro -
. Il draghetto annuì di nuovo.
Così la ragazza montò Sissi e, mormorandole qualche parola che,
per esperienza, sapeva essere adatta a guidare un cavallo. Certo, era cosciente
del fatto che gli unicorni fossero animali diversi dai cavalli, ma non sapeva
che altro fare… e poi, le parole funzionavano…. L’unicorno camminava molto
lentamente, tanto da permettere al draghetto di stare vicino alla sua padrona.
Durante la lunga e lenta cavalcata, Alicia ne approfittò per rilassarsi e per
pensare. Ancora non credeva a quello che le stava accadendo. Se fosse stata
capace, se non l’avessero scoperta e catturata immediatamente, sarebbe entrata
nella storia… o sarebbe entrata nella storia comunque? Del resto, era la prima
ragazza Cavaliere….
*
Le giornate seguenti furono, nel complesso, abbastanza
monotone. Cavalcare, pranzare, cavalcare, cenare e dormire. L’unica cosa che
riusciva a mantenere veramente viva Alicia era l’osservare la crescita del suo
drago: in una settimana era letteralmente raddoppiato in lunghezza e in
larghezza; mentre prima Alicia riusciva addirittura a prenderlo in braccio, ora
il solo pensiero le sembrava una pazzia. Ma non doveva stupirsi tanto, del resto
le antiche ballate narravano di enormi bestioni sputafuoco.
Le squame del drago, che, non appena era uscito dall’uovo,
erano di un viola così scuro da sembrare nero, avevano assunto uno splendido
color ametista brillante, rendendo l’animale ancora più bello e maestoso.
Alicia aveva pensato più volte ad un nome per il suo drago, ma
era veramente una scelta ardua. Prima di tutto, non sapeva nemmeno se fosse
maschio o femmina. Secondo, era pressappoco impossibile dargli un nome che lo
definisse totalmente. Comunque, ogni nome che pensava lo comunicava, a voce, al
drago. Questi le rispondeva a cenni, e, fino a quel momento, nessuno dei nomi
proposti pareva soddisfarlo. Durante quei lunghi giorni di viaggio Alicia si
chiese spesso se e quando il suo drago avrebbe cominciato a risponderle in modo
diverso dal fare cenni con la testa. I poemi sui Cavalieri che aveva sempre
letto parlavano di lunghi dialoghi tra draghi e Cavalieri: era la verità, o solo
una stupida invenzione creata per aumentare la maestosità e la grandezza dei
draghi?
La risposta non si fece attendere molto.
Una sera, dopo aver mangiato, Alicia decise di andare a dormire
immediatamente. Questo non accadeva da molto tempo, dato che la ragazza aveva
preso l’abitudine di parlare col suo drago, prima di dormire. Ma quella giornata
era stata particolarmente estenuante; nonostante il suo drago avesse ormai
imparato a cacciarsi il cibo da solo, erano capitati in un punto in cui era
piuttosto arduo trovare animali da cacciare, anche solo per procurarsi un magro
pasto; così Alicia decise per una volta di non sprecare troppe energie col
drago, e preferì dormire, e recuperare le energie.
La ragazza sperava in un sonno tranquillo e ininterrotto, ma
non fu accontentata. Infatti, fu svegliata da una voce piuttosto stridula, che
però non sembrava provenire da fuori del rifugio dove dormiva. Non si sentiva
alcun eco, e ciò sarebbe parso strano per una voce proveniente dall’esterno. La
foresta dove si trovavano era infatti completamente deserta, e la voce era
abbastanza acuta da provocare comunque un eco.
Accanto ad Alicia non vi era nulla che potesse emettere quel
suono. La ragazza pensò ad una possibile provenienza della voce, e ciò che
concluse la sbalordì. La voce proveniva dalla sua testa.
Alicia…
- Si? – rispose la
ragazza, uscendo fuori. Il drago la guardava, gli enormi occhi viola fissi su di
lei.
Alicia… non devi urlare
tanto per rispondermi… pensa le tue risposte… io le avvertirò…
Va bene.
Alicia… perché stasera
non hai dialogato con me? Mi piacevano molto, le nostre conversazioni.
Io… tu… scusa… ma… ero… stanca…
Capisco.
Ma… tu… tu sei… il mio
drago?
No, non sono un drago.
Allora sei Sissi, l’unicorno?
No. Ripeto: non sono un drago.
Ma allora… cosa… cosa sei?
Ascolta la mia voce, dovresti capirlo.
Alicia continuò ad ascoltare la voce, ma questo non le
diceva niente; se non era il drago, allora…
Chi sei? Dove sei?
Sono davanti
a te, proprio qui. Ma non sono un drago…
Ma io…
davanti ho un drago!
No. Avanti, è un problema che
ti sei posta molte volte, durante il nostro viaggio. Non dare per scontata la
risposta alla tua domanda proprio adesso…
Cosa si era sempre chiesta Alicia durante il viaggio? Beh, che
nome dare al drago… poi… certo, ovvio… se fosse maschio o femmina!
Allora… non sei un drago, quindi sei una dragonessa,
giusto?
Ci sei arrivata, finalmente.
Bene. E io che stavo pensando tutti nomi da drago…
Già… mi hai elencato tutti i migliori nomi da drago che
esistano… ma pochi da dragonessa, e non mi piacevano.
C’è… c’è qualche nome in particolare che ti piace? Io ormai ho
esaurito la mia fantasia… un nome che mi piaceva molto era Jessica, ma tu non
eri d’accordo….
Fammici pensare… ci sono vari nomi che mi piacciono… ma credo
proprio di dover fare una scelta….
La dragonessa rimase un po’ silenziosa e pensierosa. Poi parlò,
così all’improvviso che Alicia sobbalzò.
Ecco, credo proprio di aver scelto.
Che nome hai scelto?
Ho scelto… Zelda. Ti piace?
Io… si, è molto bello. Non ci avevo mai pensato. Va bene, ora
sei Zelda.
Alicia sorrise. Finalmente la sua dragonessa aveva un nome…
finalmente poteva condividere i suoi pensieri con lei, sapendo che sarebbe stata
veramente capita… lei l’avrebbe consigliata nelle sue scelte, avrebbe condiviso
i suoi sentimenti… avrebbe incrementato i suoi poteri….
Grazie per avermi liberata.
La dragonessa, esattamente come prima, aveva parlato così
all’improvviso da spaventare Alicia.
Prego, Zelda. Era il mio dovere, dopotutto. Ho visto l’uovo,
non potevo far altro che portarlo via.
Non sono in molti quelli che avrebbero fatto una scelta simile
in così poco tempo e sapendo che la posta in gioco sarebbe stata la propria
vita. Ti ho scelta per questo. Una personalità come la tua non è fatta per
trasportare un uovo da un posto all’altro.
Alicia si stupì parecchio. La dragonessa era uscita dall’uovo
solo da qualche settimana, e già dimostrava più saggezza del più anziano tra gli
elfi.
Non potevo lasciarti in balia di Galbatorix. Sarebbe stato
deleterio per tutta Alagaesia, sarebbe stato come se ci fossimo tutti arresi
all’Impero, senza nemmeno provare a combattere.
Hai ragione, Alicia. Ma c’è gente che a queste cose non ci
pensa, e avrebbe pensato solo a salvarsi la pelle.
Ma così sarebbe morto comunque, prima o poi!
Lo so, lo so. Ma, ripeto, c’è gente che non ci pensa.
Dopo quest’ultima frase, la dragonessa si allontanò. Alicia
ritornò nel suo piccolo rifugio. Incredibilmente, prese subito sonno.
*
Quando, il mattino dopo, Alicia uscì dalla sua improvvisata
capanna, trovò Zelda che l’attendeva.
Dai, preparati, pelandrona! Dobbiamo partire!
A quanto pareva, la dragonessa pareva piuttosto impaziente di
partire.
Si, un attimo….
Alicia prese uno degli ultimi pezzi di carne secca che
restavano, e lo mangiò come colazione. Poi sellò Sissi, e fu pronta per partire.
La dragonessa pareva molto impaziente di condividere i suoi
pensieri.
Tu e Sissi partite a tutta velocità… io provo una cosa. A
proposito, dove dobbiamo andare?
A Teirm. Voi draghi conoscete Alagaesia già da quando siete
nell’uovo?
Non proprio. Infatti, per arrivare a Teirm, avrò bisogno del
tuo aiuto. Ma, se tutto va bene, dovremmo essere lì entro stasera, massimo
domani!
Va bene… allora andiamo!
Sissi non era ancora partita, quando, Alicia assistette a
qualcosa di straordinario: Zelda aveva spiegato le sue ormai enormi ali, si era
data una piccola spinta con le zampe posteriori, e si era alzata in volo. Si
muoveva nell’aria con tanta naturalezza che sembrava si fosse allenata una vita.
Ma Alicia sapeva che non era così.
Vi seguirò in volo, voi correte!
Così Alicia spronò Sissi, e l’unicorno partì, a tutta velocità.
Cavalcarono per tutto il mattino, poi si fermarono per pranzo.
Zelda ritornò a terra, e mangiò con la sua padrona. Subito dopo la dragonessa
toccò la mente di Alicia, come aveva fatto tante volte durante quel
mattino.
Beh, hai voglia di lasciar perdere quell’unicorno e cavalcare
me?
Si, ma… beh, Sissi come farà? Non possiamo permetterci di
perderla, dato che non potrò sempre cavalcarti. E poi… ti ci vuole una sella, le
tue squame sono troppo dure.
Va bene… allora, per quanto riguarda Sissi, so che gli unicorni
possiedono un senso dell’orientamento incredibile. Lei sa che tu devi andare a
Teirm, quindi andrà a Teirm. Se poi non ne sei sicura, puoi dirle dove andare
con la mente. Per quanto riguarda la sella, beh, se hai delle pelli, o delle
stoffe, posso spiegarti come fare.
Alicia prese alcune delle stoffe e delle pelli che si era
portata da casa, e, seguendo le istruzioni della dragonessa, riuscì a costruire
una sella decente. Quindi la legò a Zelda, e si preparò a montarla.
Salì sulla dragonessa, e la strinse forte al collo. Intanto
comandò a Sissi di andare avanti. L’unicorno partì, a tutta velocità.
Pronta? disse la dragonessa.
Vai…
Allora… via!
Alicia avvertì lo scatto delle zampe posteriori, e si resse
ancor più saldamente per non rischiare di cadere. L’aria le sferzava il volto,
ma questo non le dava fastidio. Pochi secondi dopo, erano sospese a mezz’aria,
così veloci che la natura sottostante pareva soltanto una macchia verde
indefinita.
Zelda era così felice di avere Alicia con sé, che cominciò a
fare varie acrobazie aeree. Alicia faticava a tenersi salda, ma era felice. E
libera, più libera di come fosse mai stata in tutta la sua vita. E poi, ad una
velocità simile, sarebbero arrivate a Teirm in pochissimo tempo! E dire che,
soltanto tre settimane prima, Alicia pensava di impiegarci mesi!
Ti piace?
Si, Zelda. È incredibile… finalmente mi sento libera, veramente
libera…
È normale sentirsi liberi, quando si vola. Avevo proprio voglia
di sgranchirmi le ali.
Sembra che ti sia allenata per una vita.
No. Queste cose si imparano d’istinto. Non hai nemmeno idea di
cosa significhi volare bene.
Beh, se non è questo….
No, non lo è. Tutti i draghi sarebbero capaci di farlo. Ma non
vedo l’ora di trovare qualcuno che mi insegni le tattiche fondamentali di
volo.
Già, pensò Alicia. Non poteva certo pensare che i draghi
sapessero tutto da subito. E ora, dove lo trovavano qualcuno che insegnasse a
Zelda ciò che doveva sapere? La ragazza espose il problema alla
dragonessa.
Non ti preoccupare, ragazza. Al momento riusciremo a cavarcela
anche così. L’importante è che tu trovi qualcuno che ti istruisca, poi al resto
ci si può pensare in un altro momento.
Volarono per tutto il pomeriggio, e si fermarono soltanto al
tramonto. Non appena poggiò piede a terra, Alicia sentì una sorta di capogiro, e
dovette appoggiarsi alla dragonessa per non cadere.
È normale sentirsi un po’ male dopo il primo volo, Alicia… ci
farai l’abitudine.
Il malessere di Alicia, fortunatamente, durò soltanto pochi
secondi, poi la ragazza ritornò completamente in forze, e riuscì anche a
tagliare un po’ di legna per fare il fuoco. Poi prese l’ultimo pezzo di carne, e
lo mangiò quasi tutto, lasciandone soltanto un po’ per la colazione e confidando
nel fatto che l’indomani sarebbero arrivati a Teirm, e avrebbe potuto comprare
dei viveri.
Non fece in tempo a finire di mangiare, però, che cominciò a
piovere. Goccioloni grossi come noci cominciarono a cadere dal cielo, e spensero
il fuoco. Ben presto il clima si fece freddo. E Alicia aveva bisogno del fuoco.
Ma poi ricordò una delle peculiarità dei draghi…
Zelda…
Si?
Sapresti… riaccendere il fuoco?
No. Devi sapere che noi draghi non nasciamo come bestioni
sputafuoco. Diciamo che abbiamo il fuoco dentro, ma non possiamo buttarlo fuori
prima di aver compiuto un anno di vita. Mi dispiace.
Già… perché ora avrei proprio bisogno del fuoco, se non voglio
morire di freddo!
Beh, se vuoi… puoi dormire sotto la mia ala, dovrebbe farti
caldo… ma comunque… giusto per vedere… potresti evocare il fuoco con la
magia!
Zelda aveva ragione… ora possedeva poteri magici, e
tecnicamente poteva evocare il fuoco… doveva solo pronunciare la corrispondente
parola dell’antica lingua… ecco…
- Brisingr! – esclamò la ragazza, dirigendo verso la legna il
palmo della mano sinistra, quella col gedwey ignasia. Una grande fiamma rosa
scaturì dal legno, illuminando il territorio circostante e gli occhi increduli
di Alicia.
Notevole, davvero, disse la dragonessa.
Alicia era ancora troppo stupita. Certo non si aspettava quella
fiammata. Si aspettava soltanto un paio di fiammelle, ma niente che potesse
scaldarla o fornirle luce.
Passato lo stupore iniziale, Alicia cominciò a sentirsi stanca.
L’incantesimo l’aveva un po’ sfiancata, del resto era la prima volta che faceva
una magia.
Non preoccuparti, Alicia, è normale essere un po’ stanchi dopo
il primo incantesimo che si fa. Ora vieni qui, e dormi. Ne hai proprio
bisogno.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, e si coricò, coperta dalla
possente ala della dragonessa.
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Capitolo 3 *** Meeting ***
Ecco a voi un nuovo capitolo! E vorrei anche ringraziare tutti coloro che stanno commentando... GRAZIE!!!!
Cap. 3: Meeting
Il mattino dopo, Alicia si svegliò completamente in forze.
Toccò l’ala della dragonessa per avvertirla che si era svegliata, e Zelda aprì
la grande ala. Non appena si fu alzata, Alicia scrutò l’orizzonte. A poche
miglia di distanza si poteva vedere Teirm, e Alicia non vedeva l’ora di
arrivarci.
Da che parte della città entrerai?
Zelda era dietro di lei, anche lei scrutando l’orizzonte.
Alicia le rispose prontamente.
Non credo che dovrei entrare dall’ingresso principale. Io direi
di aggirare un po’ le mura, e entrare da una delle porte laterali.
Va bene. Adesso, chi di noi devi cavalcare? Me o Sissi?
Sissi. Sarebbe meglio non lasciarla troppo sola, nonostante mi
fidi. E poi, meglio che vedano un unicorno piuttosto che un drago. Siamo
ricercate. Non dimenticare che sono evasa dalle prigioni di Galbatorix
rubandogli un uovo di drago. Mi stupisco che non ci sia già alle calcagna. E
dovrò stare attenda anche in città, non si sa mai.
Già, hai ragione. Ma… beh, hai un paio di guanti, o qualcosa
del genere? Perché se non stai poco poco attenta ti si vede il gedwey ignasia, e
allora capirebbero tutto.
Dovrei avere delle bende, da qualche parte. Farò finta di avere
la mano fasciata.
Così, la ragazza prese un paio di bende dalla borsa, e le
avvolse attorno alla sua mano sinistra. Ora che avevano deciso cosa fare, erano
pronti a partire.
Alicia sellò Sissi, e partì. Intanto Zelda seguiva in volo.
Mano a mano che andavano avanti, verso la città, l’ambiente
cambiò: mentre prima Alicia poteva vedere soltanto bosco e natura incontaminata,
ora si cominciavano a vedere le mura di una grande città. Certo, non era tanto
grande quanto Urù’baen, ma sembrava molto più solare e allegra. Alicia guardò
ciò che la circondava, estasiata.
Ma, dopo un’ora passata cavalcando e ancora nessuna porta in
vista, le mura stavano cominciando a diventare monotone. E poi, neanche un
rumore! L’udito di Alicia, che era anche piuttosto fino, non percepiva nulla,
oltre allo scalpiccio degli zoccoli di Sissi e al cinguettio degli uccelli, che
ormai sentiva sempre da più di un mese, e che ormai non la entusiasmava più di
tanto.
Poi, l’orecchio di Alicia fu colpito da dei rumori, provenienti
dal bosco. Sembravano delle voci…. Alicia abbandonò l’idea di entrare subito a
Teirm, la curiosità di sapere chi stesse parlando, specie dopo un periodo in cui
non aveva conversato o sentito altra voce se non quella di Zelda, era troppo
forte. Si avvicinò.
Ora riusciva a comprendere cosa stessero dicendo le voci. Erano
due persone che stavano parlando. Una era quella di un uomo un po’ avanti con
gli anni, ma non troppo. L’altra era quella di un ragazzo.
- Provaci ancora! Vedrai che prima o poi riuscirai a farlo
bene! – disse l’uomo.
- è inutile, Brom. Credo… credo di aver bisogno di un po’ di
riposo, l’avrò provato almeno dieci volte! – rispose il ragazzo.
- Un’ultima volta, ci scommetto che ci riesci! – .
Alicia smontò dall’unicorno. Voleva avvicinarsi ancora di più,
e non poteva stare a cavallo di Sissi. Avrebbe fatto troppo rumore.
Sbirciò sopra un cespuglio. Ora riusciva a vedere l’uomo e il
ragazzo.
L’uomo sembrava essere di mezza età, aveva i capelli brizzolati
e indossava una specie di pesante tunica di pelle. Stava incitando il ragazzo il
ragazzo a fare qualcosa, anche se Alicia non capiva bene cosa.
Il ragazzo, invece, sembrava non avere più di sedici anni.
Aveva i capelli color castano chiaro, e indossava abiti da caccia, pur non
sembrando un cacciatore. In quel momento teneva in mano una pietra.
Dopo l’incitazione dell’uomo, il ragazzo disse qualche parola,
che Alicia non capì. Poi lanciò in aria la pietra. Questa, almeno, agli occhi di
Alicia, rimase un po’ per aria, poi ricadde nella mano del ragazzo.
Un momento.
Non era fisicamente possibile, la pietra sarebbe dovuta
ricadere subito. Allora cos’era? Beh, poteva darsi che i suoi occhi si fossero
immaginati tutto, magari che fossero rimasti fermi per una frazione di
secondo….
Alicia, senza volerlo, sbuffò. Si coprì la bocca con le mani,
sperando che né l’uomo né il ragazzo l’avessero sentita.
Ma non fu così.
L’uomo si girò di scatto, e poi disse: - Qui c’è qualcuno che
ci sta spiando. Vado a vedere chi è - .
Alicia si abbassò, mentre l’uomo si avvicinava al cespuglio
dove era nascosta. Poi tentò di tornare indietro. Ma, sfortunatamente, inciampò
su una radice scoperta, e cadde all’indietro, facendo molto più rumore di quanto
volesse. Alicia provò a rialzarsi, ma non ci riuscì. Le si era incastrato un
piede nella radice.
L’uomo scostò il cespuglio, e la vide, riversa a terra. Lottò
per non ridere.
- Ho trovato lo spione. Vieni, Eragon! – disse l’uomo, rivolto
al ragazzo, che ora era seduto per terra.
- Chi è, Brom? – rispose il ragazzo, restando seduto.
- Ti ho detto di venire! –
Il ragazzo si avvicinò, e vide la ragazza per terra. E che
nemmeno poteva rialzarsi. E scoppiò a ridere.
- Si può sapere cosa avete da ridere? – disse Alicia, piuttosto
sgomenta.
- Già, ha ragione. Perché non le dai una mano a rialzarsi,
ragazzo? – disse l’uomo, cercando di restare serio.
Il ragazzo arrossì, e aiutò Alicia a liberare il piede. Poi le
porse una mano, per aiutarla a rialzarsi.
Quando Alicia si rimise in piedi, l’uomo era tornato veramente
serio.
- Bene, visto che, nonostante tu ci stessi spiando, noi ti
abbiamo dato una mano, puoi concederci almeno il piacere di sapere come ti
chiami? – disse l’uomo.
- Mi chiamo Melissa – disse Alicia, forse un po’ troppo
frettolosamente. Aveva deciso di nascondere il suo nome, per prudenza. Non si
fidava di due stranieri appena incontrati. – E voi, chi siete? - .
- Io mi chiamo Eragon, e lui è Brom – rispose prontamente il
ragazzo, aggiudicandosi un’occhiataccia da parte dell’uomo.
- Si, io sono Brom – disse l’uomo.
- Sei diretta a Teirm? – chiese Eragon.
- Si – rispose Alicia. Del resto, non c’era nulla di male nel
dire che andava a Teirm.
- Anche noi. Beh, se vuoi, puoi raggiungere la città insieme a
noi, vero Brom? –
- Si, va bene – rispose Brom. Perché non farla venire con loro,
almeno fino alla porta della città? Sembrava affidabile, anche se un po’ troppo
curiosa.
- Allora… verrò con voi! – disse la ragazza, non sapendo
nemmeno perché. O forse lo sapeva. Era rimasta quasi tre settimane a viaggiare
da sola, e desiderava un po’ di compagnia umana.
- Quando entreremo? – chiese Alicia.
- Entreremo in città domani, di mattina presto. Ora la città è
troppo affollata, e non possiamo permetterci di vedere troppa gente – disse
Brom.
- Allora passeremo la notte qui? – chiese Alicia.
- Credo proprio di si, Melissa – rispose Eragon, che, tutto
sommato, non pareva lamentarsi.
- Bene. Aspettate un attimo, vado un attimo di là - .
Alicia tornò dove aveva lasciato Sissi, felice per aver trovato
qualcuno con cui fare quattro chiacchiere. Non sapeva ancora se fidarsi o no di
loro, anche se propendeva di più per la prima ipotesi. Inoltre, sembrava che
entrambi nascondessero qualcosa….
Non volevano essere visti, esattamente come lei. Sembravano
anche loro dei ricercati dall’Impero. Chissà perché, poi. Sembravano piuttosto
innocui.
Perché, lei sembrava per caso pericolosa? Non si sentiva tale,
anzi, se non fosse stato per il fatto che era un’evasa e che possedeva un drago,
sarebbe potuta essere una tranquilla ragazza qualsiasi.
Quando arrivò da Sissi, ne approfittò anche per contattare
Zelda.
Zelda?
Eccomi, rispose la dragonessa. Pareva piuttosto
eccitata.
Ho trovato qualcuno che ci accompagni a Teirm. Un uomo e un
ragazzo. Possiamo fare con loro la strada fino alle porte, che ne dici?
Tu la puoi fare. Io preferirei non farmi vedere. Comunque sai
che ho visto…
- Melissa! Vieni! – gridò Eragon.
Scusa Zelda… io vado. Parliamo dopo, se vuoi…
Oh, va bene, rispose la dragonessa, piuttosto
scocciata.
Alicia raggiunse Eragon. Non appena arrivò, il ragazzo sorrise.
Sembrava felice al solo vederla. Sicuramente anche lui avrà passato molto tempo
parlando solo con Brom, pensò Alicia, quindi il fatto di stare con qualcuno che
bene o male aveva la sua età doveva renderlo felice.
- Ti va di accompagnarmi a caccia? Purtroppo dobbiamo
procurarci il pranzo… - disse Eragon.
- Si, aspetta un attimo che prendo l’arco – rispose Alicia.
- No, no… io intendevo dire come spettatrice… non importa, puoi
anche venire con me e non fare niente, io riesco a cacciare per tutti –
- No, Eragon. Mi piace usare l’arco, e diciamo che me la cavo.
Caccio anch’io, oggi. Lo sto facendo tutti i giorni da circa un mese, e non
vorrei perdere l’abitudine –
- Se lo dici tu… - . Eragon rimase un po’ di stucco. Se si
voleva essere gentili con un ospite, o con un compagno, lui pensava fosse meglio
non farlo cacciare… e poi, una ragazza! Le ragazze del suo paese non avrebbero
mai cacciato nulla, aspettavano sempre gli uomini. Questa, invece….
Si addentrarono nel bosco, gli archi pronti a scoccare le loro
frecce. Si appostarono dietro un cespuglio, pronti a cacciare qualunque cosa
fosse commestibile.
Un cervo attraversò la loro visuale, e si bloccò proprio
davanti al cespuglio, a circa trenta metri di distanza dalla loro
postazione.
- Scommetto che ora lo prendo – mormorò Eragon alla ragazza,
scagliando una freccia contro il cervo. Ma lo mancò. Forse la distanza era
troppa, forse la freccia era difettosa… e dire che lui era anche bravo….
Il cervo stava scappando, ma Eragon lo vide cadere a terra,
senza vita, un secondo dopo. Cosa l’aveva colpito? Eragon si girò. Alicia, o
Melissa, come la conosceva lui, era lì, che reggeva in mano il suo arco come se
avesse appena scagliato una freccia.
- Tu… - disse Eragon, piuttosto stupito.
- Si, io – rispose Alicia – l’ho colpito proprio dritto al
cuore, scommettiamo? –
- Ma come… io non ci sono riuscito… -
- E dire che mi volevi solo come spettatrice – disse lei,
sorridendo, mentre si avvicinava al cervo. Eragon la seguì.
Giunsero vicini al cervo. Una freccia era conficcata nel suo
petto, lì dove c’era il cuore.
- L’hai colpito proprio… proprio lì dove dicevi… ma come… come
hai fatto? – disse Eragon, la voce colma, stavolta, di ammirazione.
- Ho mirato, semplicemente –
- Ed era anche in movimento! Era… era impossibile! –
- Non lo era, se sono riuscita a colpirlo –
- Va bene, non era impossibile. Ma difficile si! –
- Si, va bene, era difficile. Ma ora dovremo portarcelo via,
non possiamo aspettare che si decomponga lodando come l’ho ucciso – rispose
Alicia, forse in tono troppo spiccio.
- Faccio io. Tu l’hai cacciato – disse Eragon, caricandosi il
cervo sulle spalle.
Mentre ritornavano da Brom, parlarono poco. Eragon era ancora
stupito dalla bravura della ragazza, e non solo da quello. La guardò. Era esile
e delicata, eppure possedeva la forza di braccia necessaria per lanciare una
freccia lontano. Chissà quali altri segreti nascondeva!
Le guardò i capelli corvini, che ondeggiavano, in balia della
leggera brezza. Le guardò gli occhi, d’un viola intenso. Erano stupefacenti. E i
suoi lineamenti….
La ragazza si voltò di scatto verso Eragon. Il ragazzo distolse
velocemente lo sguardo e arrossì. Sperò solo che lei non se ne fosse accorta.
Scosse la testa. Non ci doveva pensare. Tanto lei se ne sarebbe andata, di lì a
breve, e non l’avrebbe mai più vista. Ma era carina, e sembrava simpatica. Ed
era una brava cacciatrice, oltrettutto.
Ritornarono nel grande spiazzo da cui erano partiti.
Brom osservò il cervo con gran piacere.
- Finalmente oggi si fa un pasto decente! – disse l’uomo,
felice.
- Si – disse Eragon – ed è tutto merito suo! Pensa, Brom, una
sola freccia, veloce e pulito. E il cervo era pure in movimento! –
- Si, si, va bene. Non c’è bisogno che mi esalti tanto, potrei
soltanto aver avuto fortuna! – disse Alicia, un po’ imbarazzata. Non le andava
di essere lodata così tanto.
La carne fu arrostita sul fuoco che Brom nel frattempo aveva
preparato, e fu mangiata. Poi rimasero tutti e tre seduti accanto al fuoco.
- Da dove vieni? – chiese Brom.
- Da Gil’ead – rispose Alicia. Ormai stava trovando così facile
il mentire… del resto, non poteva dire di provenire da Urù’baen… se l’avesse
fatto, poteva scommettere su Zelda che l’avrebbero allontanata, credendola,
magari, una spia.
Poi continuò: - Come mai tutte queste domande? –
- Brom è un uomo molto diffidente, Melissa. Vuole sapere con
chi abbiamo a che fare – rispose Eragon.
- Perché, tu non lo vuoi sapere, Eragon? – chiese Brom.
- Si, ma… -
- Bene. Allora lascia che faccia alla ragazza tutte le domande
che servono. È vero, voglio sapere con chi abbiamo a che fare. se così non
fossi, Eragon, probabilmente nessuno di noi due sarebbe ancora qui, pronto a
parlare con questa ragazza – rispose Brom, un po’ scontrosamente, poi tornò a
parlare con la ragazza.
- Perché sei qui a Teirm, ragazza? –
- Perché… io… devo andare a trovare mio zio, che sta in città -
.
Anche Eragon la guardò in maniera strana. Brom la scrutò, come
se volesse guardarle attraverso.
- Strano. Una ragazza, tutta sola, che percorre la strada da
qui a Gil’ead. Neanche un parente? – domandò Brom, un po’ sospettoso.
- No, tutta sola. Mio padre è morto, e mia madre è dovuta
restare in casa con mio fratello - . La voce di Alicia si incrinò leggermente, e
la ragazza sperò solo che Brom non l’avesse percepito. Se solo Brom e Eragon
avessero saputo….
- Ho capito – continuò Brom. – E quanto tempo ci hai messo per
arrivare fin qui? - .
- Tre settimane circa –
- Tre settimane? Difficile, anche a cavallo –
- Ma… la mia Sissi è un unicorno, è molto più veloce di ogni
cavallo –
- Va bene. Per oggi basta con le domande. Se vuoi, puoi
osservare me e Eragon che ci esercitiamo con la spada - .
- Va bene – rispose la ragazza. Dopotutto, non c’era niente di
male ad osservare un duello senza intervenire.
Quindi la ragazza si sedette sull’erba, attese l’inizio del
duello. Sia il ragazzo che l’uomo, però, prima di duellare, si addentrarono nel
bosco. Poi uscirono, con le loro spade. E il duello cominciò. Le lame cozzarono,
producendo una cascata di scintille. Già, scintille. Alicia trovò questo
vagamente strano, così come la strana barriera rossa che ricopriva le spade. Si,
era una barriera. Le lame, se si osservava attentamente, non si colpivano tra di
loro, era solo un’illusione creata dalla velocità. Ma gli occhi di Alicia, che
in parte, così come tutto il suo essere, avevano acquisito caratteristiche
elfiche, a volte riuscivano a fermare le immagini, per qualche secondo; e lei
fece questo, volendo godersi il duello un po’ più al rallentatore. E così vide
che le due lame non si toccavano. Era impossibile, nemmeno il migliore degli
elfi avrebbe avuto così tanto controllo della sua spada. Quei due nascondevano
qualcosa….
Il duello durò tutto il pomeriggio, e Alicia si stupì molto
della resistenza dei due. Lei, forse, sarebbe riuscita a combattere per tutto
quel tempo senza riposarsi, ma dopotutto lei non era da considerarsi una normale
ragazza umana. Aveva molto di elfico, forse perché era stata così tanto a
contatto con suo padre…. Si toccò le orecchie. Adorava la loro forma, non
completamente tonda, ma nemmeno a punta come quelle, ad esempio, di suo padre.
Anche quello era un segno dell’influenza elfica, e sperava che non fosse tanto
evidente.
Eragon si era seduto accanto a lei. Ansimava, ma non come un
normale umano dopo un combattimento lungo ed estenuante come quello.
- Bravi, tutti e due – disse Alicia, rivolta al ragazzo.
- Grazie… ma Brom è stato più bravo – rispose Eragon,
sorridendo.
- No, siete stati magnifici tutti e due… non so proprio come
abbiate fatto, avete combattuto per tutto il pomeriggio! –
- Mesi di allenamento… e poi, c’eri tu – rispose lui.
- Io? – disse lei, sorridendo.
- Beh, si… - rispose il ragazzo, arrossendo un po’ – insomma,
se c’è qualcuno che ti guarda, cerchi sempre di dare il meglio di te stesso, o
no? –
- Già – rispose Alicia, pensando però che il ragazzo, in fondo,
non le avesse proprio detto le verità….
Poco dopo, anche Brom si unì a loro.
- Vabbè – disse il ragazzo, un po’ avvilito, alzandosi per prendere la legna
per fare il fuoco.
Dopo un po’, un piccolo fuocherello stava al centro della
radura dove si trovavano, e sopra al fuoco stava la carne che avrebbero mangiato
per cena.
Cenarono in silenzio, Eragon che sorrideva ad Alicia,
dall’altra parte del fuoco. Brom, invece, aveva la solita espressione pensierosa
che l’aveva caratterizzato fino a quel momento.
Poi finirono di mangiare, e fu soltanto allora che Brom disse:
- Bene. È arrivato il momento di costruirci i nostri rifugi per stanotte.
Melissa, se vuoi un rifugio separato, non hai che da chiedere: io e Eragon
saremo ben lieti di costruirlo anche per te, vero, ragazzo? –
- Certamente – rispose il ragazzo.
- Grazie – disse Alicia – ma credo di non avere bisogno del
vostro aiuto. Ho costruito rifugi per tre settimane, potrei fare anche il vostro
in meno di mezz’ora -.
Eragon la guardò, sbalordito. Una ragazza che non solo
rifiutava l’aiuto di due uomini (se lui poteva essere considerato tale, essendo
solo un ragazzo), ma si offriva di fare anche il loro lavoro? Per lui era
inaudito, abituato com’era alle donne tutte casa e mercato che aveva conosciuto
a Carvahall.
La osservò, mentre portava in braccio un sacco di rami. Era
stufo di ripeterlo a sé stesso… ma quella ragazza era così esile… come faceva a
trasportare tanti rami, e dare l’apparenza di non avvertirne nemmeno il peso?
Forse era soltanto brava a nascondere la fatica. Si avvicinò per aiutarla.
E allora notò qualcosa. Le sue orecchie. Erano strane. Non
erano tonde, come quelle di una qualsiasi ragazza. Avevano una piccola, graziosa
protuberanza, che poteva sembrare una punta smussata. Non facevano altro che
aumentare la particolarità di quella bellezza, che lo aveva preso quasi da
subito.
Giunse accanto a lei.
- Vuoi aiuto? – le chiese.
- No, grazie, Eragon. Ce la faccio da sola, davvero. Non mi
pesa niente, non preoccuparti – rispose lei.
- Sicura? –
- Si, Eragon. Mi sembra che tu ti stia preoccupando un po’
troppo, sai? Prima la ferita alla mano, poi questa legna… sono una ragazza
forte. Ho vissuto da sola con un unicorno per tre settimane. So come cavarmela.
Perciò, ora vai, e aiuta Brom - .
Eragon rimase attonito ancora una volta. Era… era impossibile.
Lei era davvero tanto forte da poter sollevare tutta quella legna? Non era
troppo normale. C’era qualcosa che non gli quadrava. E anche la ferita… cosa
c’era di male a mostrare una ferita ad una mano? A meno che non fosse stata
qualche strana ferita, qualcosa di inguardabile, o di segreto… o nemmeno una
ferita….
Il ragazzo, un po’ pensieroso, tornò da Brom, e lo aiutò a
costruire il rifugio. Intanto osservava Alicia (per lui, Melissa), che metteva
assieme i rami, costruendosi il rifugio ad una velocità incredibile.
- Per me, nasconde qualcosa. Stacci attento, Eragon – disse
Brom.
- A… cosa? – rispose il ragazzo.
- Melissa, zuccone! Sembra affidabile e insospettabile, lo so,
ma secondo me ci sta nascondendo qualcosa. E non so se sia buono o cattivo, quel
qualcosa –
- Cosa te lo fa pensare? – domandò Eragon, anche se la pensava
come Brom.
- è troppo veloce, e troppo forte. Noi siamo in due, e ancora
non abbiamo finito di costruire il rifugio. Lei, da sola, ha già finito. E poi…
la ferita. Anche quella, secondo me, nasconde qualcosa di più grande –
- Peccato non poter averla vicino di più… così potremmo capire
cos’ha –
- Hmm… - .
Furono interrotti da Alicia, che disse loro: - Buonanotte -,
poi entrò nel suo rifugio, portandosi dentro anche delle coperte.
- Ci scommetto che la vuoi con noi anche per qualche altro
motivo… - disse Brom, per la prima volta nella sua vita malizioso.
- Beh… - fece Eragon, arrossendo – è una brava cacciatrice, può
tornare utile… -
- Ragazzo… si vede lontano un miglio… la trovi misteriosa,
carina e, oltrettutto, è tanto diversa dalle ragazze che hai conosciuto a
Carvahall… e ci scommetto che non ti piace solo la sua abilità nell’usare
l’arco… -
- Beh… ehm… -
- Colpito e affondato, ragazzo! Beh, peccato che da domani
dovremo separarci da lei… -
- E se ci fosse anche una minima possibilità che resti con noi?
– chiese il ragazzo.
- Impossibile, Eragon. La nostra missione è troppo rischiosa, e
lei, per quanto forte, non può venire senza motivo. Inoltre, ha anche lei una
strada da percorrere. Anche se sto cominciando a dubitare anche di quella. È
impensabile il portarla con noi. Se poi tutto ciò che ha detto fosse vero,
sarebbe crudele strapparla dalla sua famiglia per condurla in una missione dalla
quale non sa se ne uscirà viva o morta. Tutti hanno un punto debole, anche lei,
nonostante appaia come una fortezza inespugnabile. E penso che sia molto legata
alla sua famiglia, come tutti noi, del resto. Penso che chiederle di seguire
noi, che, dopotutto, per lei siamo ancora degli sconosciuti, e separarla dalla
sua famiglia senza che ce ne sia il bisogno, sarebbe un po’ troppo - .
Brom pose l’ultimo ramo, e il loro rifugio fu pronto. I due ci entrarono
dentro, e si addormentarono.
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Capitolo 4 *** Discovering ***
Cap. 4: Discovering
Il mattino dopo, Alicia fu svegliata da Zelda.
Come va?
Tutto bene, Zelda. Tra poco si riparte, immagino.
Si. Sai… volevo dirti una cosa.
Spara!
Ecco, ieri ho visto…
- Melissa! - . Eragon la stava chiamando, da fuori. Alicia
interruppe il contatto con la dragonessa.
Scusa, devo andare…
Oh, sempre la solita…
Alicia uscì. Vide Eragon, in piedi, che brandiva la spada e
faceva qualche movimento.
- Brom dov’è? – chiese Alicia.
- Dorme ancora. E non voglio svegliarlo – rispose il
ragazzo.
- Beh, se ti va… - propose Alicia – prima di partire, possiamo
fare un piccolo duello con la spada, no? –
- Si – rispose il ragazzo, un po’ spiazzato dalla richiesta.
Una ragazza che voleva duellare? Stava scherzando?
- Va bene – continuò Eragon – ma prima passami la tua spada, la
devo sistemare - .
Alicia gli diede la sua spada, e lui scomparve, come il giorno
prima, tra gli alberi. Tornò poco dopo, e diede la spada ad Alicia. Alicia la
prese, e la osservò. Una sottile membrana rossa circondava il filo della spada.
La ragazza si chiese come fosse possibile. Ma non lo chiese ad Eragon.
- Bene. Sei pronto? – disse lei, mettendosi in guardia.
- Si – rispose, il ragazzo, mettendosi anche lui in
guardia.
- Allora, via! – fece la ragazza, e i due cominciarono a
duellare.
Eragon si stupì della bravura della ragazza. Era
incredibilmente veloce, e riusciva sempre a parare i suoi colpi. Sembrava,
quasi, che stesse giocando con lui, tanto sembrava non avvertire la fatica. E
maneggiava la spada con tanta naturalezza, che avrebbe potuto benissimo essere
il prolungamento del suo braccio.
La ragazza continuò a duellare. Era bravo, il ragazzo, ma non
abbastanza da poter competere con una nelle cui vene scorreva sangue elfico,
purtroppo per lui.
Le lame si scontravano, emettevano scintille, sembrava che
stessero sputando energia, il braccio di Eragon bruciava come se gli avessero
dato fuoco, ma la ragazza non accennava a mostrare segni di fatica. Ed era bella
anche duellando… si ritrovò a pensare Eragon. Pensiero sbagliato. Nel formularlo
si era distratto, e la spada della ragazza aveva scontrato con la sua con tanta
forza che Zar’roc volò via dalla sua mano destra e andò a finire dieci metri più
in là. E non fu solo quello.
Improvvisamente Eragon cominciò a sentirsi la mano con cui
prima aveva retto la spada molto fresca. Strano, perché ne aveva nascosto il
palmo con un guanto. Abbassò gli occhi sulla mano. Ecco, il guanto non c’era
più.
Alicia guardò la mano senza guanto di Eragon. Il ragazzo aveva
sempre portato i guanti, in sua presenza, ma lei non si era mai posta il
problema di chiedergli perché. Forse ora cominciava a capire. C’era qualcosa, su
quella mano destra, che emanava uno strano brillore argenteo. Alicia poteva dire
di aver già visto qualcosa di simile… sulla sua mano sinistra.
Non era possibile. Ma era vero. In quell’attimo in cui il
ragazzo era rimasto attonito davanti alla sua mano senza guanto, Alicia aveva
osservato abbastanza da capire. Eragon… era anche lui un Cavaliere… anche lui
aveva il gedwey ignasia… come lei….
Il ragazzo nascose più in fretta che poteva la mano. Raccolse
il guanto, e se lo infilò, veloce come un fulmine. Ma non era facile fregare
Alicia.
- Eragon… cos’hai sulla mano? – chiese Alicia.
- Io… nulla, perché? – rispose il ragazzo, arrossendo.
- No, perché ho visto qualcosa brillare… -
- No! Cosa te lo fa pensare? –
- Avanti… hai sempre tenuto i guanti, davanti a me. Non
l’avresti fatto senza motivo, vero? –
- Ma… - .
Alicia si avvicinò al ragazzo.
- Allora… si, devo proprio ricorrere ad altre maniere… diciamo
che… se tu mi fai vedere cos’hai sulla mano destra… io ti faccio vedere
qualcos’altro… - . La sua voce era diventata bassissima, ed Eragon potè a stento
capire le ultime sei parole. Ma, non appena le ebbe percepite, queste
rimbombarono nel suo cervello, come se fossero state urlate.
La guardò dal basso verso l’altro a bocca aperta, poi disse: -
C-cosa mi fai vedere? - .
- Oh, NON certo quello che stai pensando – disse la ragazza, e
gli diede un piccolo scappellotto in testa – Aveva ragione, la mia sorellina,
quando diceva che tutti gli uomini cercano sempre una scusa per pensare male…
no, ma ho QUALCOS ALTRO da farti vedere, che potrà ugualmente interessarti –
- Ehm… - disse il ragazzo, rosso come un peperone - … cosa… -
.
- Vuoi sapere cos’ho veramente alla mano sinistra? Allora tu
dimmi cos’hai alla mano destra. Fidati di me, Eragon. A quanto pare, siamo
entrambi sulla stessa barca - .
Il ragazzo sospirò. La curiosità era troppo forte. Portò avanti
la mano destra, e, lentamente, tolse il guanto. Poi girò la mano, rivolgendo il
palmo verso il cielo. Il gedwey ignasia riluceva, colpito dai primi raggi del
sole mattutino.
- Bene. Ora, se vuoi, puoi togliere la benda dalla mia mano,
come tanto desideravi di fare ieri – fece Alicia, porgendo ad Eragon la mano
sinistra.
Eragon prese la mano, un po’ tremante, e cominciò a svolgere la
benda.
Non appena osservò il palmo della mano della ragazza sobbalzò,
lasciando cadere il pezzo di tela per terra. Un altro gedwey ignasia riluceva,
assieme al suo. Rimase per almeno un minuto in silenzio, inspirando ed
espirando, per riprendersi dallo shock.
- Quindi, siamo in due, giusto? – chiese il ragazzo, a mezza
voce.
- Si – rispose la ragazza, sorridendo.
- C-come si chiama il tuo drago? – continuò il ragazzo.
- Zelda. È una dragonessa –
- Anche io ho una dragonessa. Si chiama Saphira –
- Forse lei e Zelda si conoscono. Ieri Zelda era molto
eccitata, esattamente come sarebbe potuta essere se avesse scoperto l’esistenza
di un altro dei suoi simili –
- Probabile… beh, forse è meglio dirlo a Brom, che ne dici?
–
- Si, penso che sia meglio. Così lo svegliamo, anche. E poi, ho
un sacco di altre cose da dirvi, prima di partire. Ed è meglio che le ascoltiate
tutti e due assieme –
- Va bene. Vado a svegliare Brom – disse Eragon.
Incredibile, pensò il ragazzo, mentre si avvicinava alla sua
piccola capanna per svegliare Brom. Melissa… Cavaliere? Come lui? Ma allora…
forse avrebbe potuto seguirli!
- Brom! Sveglia! – esclamò il ragazzo, entrando nella
capanna.
- C-che succede? – chiese Brom, alzandosi, ancora un po’
assonnato.
- Oh, non ci crederai… vieni! –
Brom uscì.
- Allora, si può sapere cosa succede? – chiese l’uomo, un po’
contrariato.
- Non ci crederai Brom. Melissa… oh, vabbè, queste cose non si
possono spiegare a parole. Fagli vedere la mano, Melissa! – esclamò Eragon,
trascinando Alicia verso Brom.
Alicia levò in aria la mano sinistra, e la pose proprio sotto
gli occhi di Brom. L’uomo le prese la mano, e la avvicinò ancora di più ai suoi
occhi, per esaminarla.
- Incredibile… anche tu… beh… insomma… è… magnifico – disse
Brom, evidentemente troppo scioccato.
- Si, anch’io, Brom. Ma ora, calmatevi tutti e due. Ho
qualcos’altro da dirvi, di molto importante. Qualcosa su di me – disse
Alicia.
- Dicci tutto – fece Eragon.
- Allora… tanto per cominciare… vorrei dirvi che la maggior
parte di ciò che ho detto su di me è falsa. Vi ho nascosto la mia vera identità,
per precauzione. Ma ora, mi sento abbastanza sicura da dirvi chi sono
veramente.
Tanto per cominciare, io non mi chiamo Melissa. Il mio vero
nome, quello con cui tutti mi conoscono è Alicia. Poi… io Gil’ead non l’ho
neanche mai vista, quindi è impossibile che sia nata e che venga da lì. No, io
vengo da Urù’baen. Non per questo dovete considerarmi una spia pericolosa, anzi.
La mia famiglia è una delle tante, in quella città, che lottano in segreto
contro Galbatorix, che cercano di minare la sua dittatura dalle fondamenta,
essendo poi così vicine. Quindi, fidatevi di me.
Ancora un paio di cose, poi credo di aver finito. Se sono qui a
Teirm, non è perché devo far visita a qualcuno. A dire il vero, io non ho zii,
almeno, qui in Alagaesia. Avevo deciso di viaggiare fin qui per motivi legati
alla mia storia; ma questa, se volete, posso raccontarvela mentre viaggiamo
verso Teirm - .
Eragon e Brom la guardarono, ancor più a bocca aperta di prima.
E così, lei non era la ragazza che pensavano di conoscere… e veniva da una città
maledetta….
- Va bene… ehm… Alicia – disse Brom – grazie per averci
raccontato tutto - .
- Di niente, Brom. Mi dispiace di non aver potuto dire subito
la verità, ma di questi tempi non ci si può fidare di nessuno… - rispose la
ragazza.
- Ne sappiamo qualcosa – disse Eragon.
- Bene – disse Brom – ora dobbiamo solo ripartire, e arrivare a
Teirm - .
- Già – rispose Alicia – ma come faremo ad entrare? Non credo
che lascino il cancello sguarnito, sebbene non sia quello principale - .
- Hai ragione, Alicia. Ma io ho un’idea… vedrete poi quando
arriveremo. Ma intanto mettiamoci in viaggio, così ci puoi raccontare la tua
storia – rispose l’uomo.
Alicia si diresse verso l’albero a cui aveva legato Sissi, per
slegarla e cavalcarla. Ma, a quanto pare, l’unicorno non aveva gradito il fatto
di essere stato immobilizzato, così si dimostrò piuttosto riluttante a seguire
Alicia. Nitriva e scalciava con rabbia, e Alicia faticò nel trascinarla nello
spiazzo dove prima aveva dormito.
Brom e Eragon erano già lì, e stavano sellando i cavalli, che
parevano perfettamente tranquilli.
- Oh, ti prego, calmati! – disse Alicia a Sissi.
- Nervosetto, vero? – domandò Brom.
- è una lei, Brom. Si chiama Sissi. Beh, evidentemente non ha
gradito di essere stata legata ad un albero per tutta la notte –
- Beh, allora prova a comunicare con lei con la mente. Dille
che non intendevi farle del male, e che sei stata costretta a porre un limite
alla sua libertà – disse Brom.
- E come faccio? – chiese Alicia.
- Puoi comunicare con Sissi attraverso il pensiero, come fai
con la tua dragonessa. A dire il vero, puoi comunicare col pensiero con
qualunque essere vivente. Anche con un essere umano - .
- Questo non lo sapevo. Ora provo - .
Alicia provò a toccare il pensiero dell’unicorno. Trovò nel
cervello dell’animale una tempesta di emozioni e sensazioni, qualcosa di
tumultuoso che avrebbe spaventato qualcun altro, ma non lei.
Calma, Sissi, calma. Scusami per quello che ho fatto, ma sono
stata costretta. A nessuno piace la prigionia, questo lo so. Ma non potevo
lasciarti libera, potevi scappare. Ora però calmati, dobbiamo ripartire.
Io non scappo, Alicia.
La risposta dell’unicorno spiazzò Alicia. La sua voce era pura
e cristallina, e aveva preso il posto del tumulto di sentimenti.
Ho capito. Scusa, ma non lo sapevo.
Non importa. Sappi però che, se un padrone mi piace, io lo
seguirò sempre, e mi fermerò con lui. Sono un unicorno, non un qualsiasi
cavallo. Ricordatelo.
La voce cessò di risuonare nella mente di Alicia, e la ragazza
interruppe il contatto.
- Che succede? – chiese Eragon, osservando la faccia stupita
della ragazza.
- è che… Sissi mi ha risposto, quando le ho parlato – rispose
Alicia.
- Strano. A noi non succede, con i cavalli – disse Eragon.
- Ma Sissi non è un cavallo. È un unicorno – disse Alicia.
- Già. Ci dev’essere qualcosa, nella sua natura, di superiore
rispetto ai cavalli. Che non è soltanto il corno che porta in fronte. Sei
fortunata, Alicia, ad avere una cavalcatura così – disse Brom.
- Grazie – rispose Alicia.
- Di niente. Ma ora, sarà meglio partire. Avvisate i vostri
draghi, affinché si mettano in viaggio e si nascondano bene. Magari potrete
uscire dalla città per fare loro visita nel pomeriggio. Ma attenti, perché al
calar del sole i cancelli vengono chiusi, e vengono riaperti solo l’indomani
mattina. Perciò, se non volete dormire fuori… - disse Brom.
- Non che non ci sia abituata – disse Alicia, sorridendo e
montando sul suo unicorno. Intanto pensò a mettersi in contatto con
Zelda.
Zelda?
Si? La dragonessa parve un po’ fredda e distaccata.
Tu e Saphira andate a nascondervi da qualche parte vicino alle
mura… noi stiamo entrando in città.
Saphira? Come fai a sapere di Saphira?
Semplice. Eragon, il ragazzo che è con me, è anche lui un
Cavaliere. E ieri, il tuo tono di voce era così eccitato che non ho potuto fare
a meno di associarlo con l’incontro con Saphira.
Sei perspicace, ragazza. Ma ora vai.
La dragonessa interruppe il contatto, e così Alicia potè
partire.
Eragon, Alicia e Brom partirono.
- Allora, ci racconti come sei finita qui? – chiese Eragon.
- Si, subito. Ma vi avverto, sarà un po’ lungo. Diciamo, tanto
da non annoiarvi fino ai cancelli di Teirm – disse Alicia.
- Allora… tutto è cominciato circa un mese fa, a casa mia. Ero
preoccupata per mio padre. Dovete sapere, infatti, che mio padre faceva parte di
una scorta il cui compito era quello di trasportare un uovo di drago dalla terra
degli elfi a quella dei Varden, e viceversa. Naturalmente questo compito
comportava molti rischi; se Galbatorix avesse scoperto tutto, in men che non si
dica avrebbe trovato la scorta, ucciso i suoi componenti e preso l’uovo. Ecco,
mentre ero a casa, mio padre mi mandò un messaggio mentale. Diceva che tutto il
piano era stato scoperto, che erano stati attaccati da un esercito e che ormai
gli restavano pochi secondi da vivere. E disse che anche io, insieme a mia madre
e mio fratello, ero in pericolo, quindi di organizzare subito una fuga da
Urù’baen. E così facemmo. Io, mia madre e mio fratello raccogliemmo viveri e
vestiti, e cercammo di uscire dalla città. Ma le guardie di Galbatorix furono
più veloci: ci stordirono e ci catturarono.
Mi risvegliai dentro una cella, spogliata delle mie armi e
della mia borsa, e legata ai polsi e alle caviglie. Poi, nella mia cella entrò
una guardia. Pensavo che fosse venuta per darmi cibo, o addirittura per
uccidermi, ma non u così. Mi slegò, e mi disse che Galbatorix voleva parlare con
me. Non appena mi slegò, controllai le mie tasche, senza farmi vedere, e notai
con sollievo che almeno il pugnale me l’avevano lasciato.
Giunsi davanti a Galbatorix. Evidentemente lui non sapeva tutto
della missione di mio padre, e voleva carpirne quanto più possibile. Così
cominciò a farmi delle domande, ma io mi rifiutai di rispondere. Lui allora
disse alla guardia che mi aveva accompagnato di condurmi in un’altra stanza e di
uccidermi. La guardia mi portò nella stanza accanto, ma non riuscì ad uccidermi.
Avevo con me il pugnale, e con quello lo uccisi. Poi osservai la stanza dove mi
trovavo.
Era un deposito di armi. Al centro della stanza c’era, però, un
piedistallo, sul quale c’era una pietra rosa, che poi riconobbi essere un uovo
di drago. Poi osservai le pareti, ricoperte di armi. Tra queste riconobbi anche
le mie armi, e la mia borsa. Presi tutto, poi mi soffermai sull’uovo. Non sapevo
se prenderlo o no. Alla fine decisi di prenderlo, e magari di viaggiare per
Alagaesia alla ricerca di qualche futuro Cavaliere.
Infine, scappai dalla fortezza, indossando un’armatura che
avevo trovato, per non farmi riconoscere. Così, riuscii a scappare dalla
città.
Decisi di raggiungere Teirm, per cominciare. Mi sarei potuta
unire ad una carovana di mercanti, e così girare tutta Alagaesia. Avanzai a
piedi per un paio di giorni, abbandonando però l’armatura. Ma capii che la mia
resistenza non era illimitata, e che a piedi non sarei andata da nessuna parte.
In questo mi aiutò un piccolo colpo di fortuna.
Un giorno vidi una donna che tentava di domare un unicorno,
appunto Sissi, ma inutilmente. Accorsi per aiutarla, e Sissi obbedì ai miei
ordini. Così, comprai Sissi, e potei proseguire.
Qualche notte dopo fui svegliata da uno strano rumore
proveniente dalla mia borsa. Scoprii così che l’uovo di drago che portavo si
stava schiudendo. Così, diventai Cavaliere. Decisi comunque di proseguire verso
Teirm. Volevo trovare infatti qualcuno disposto ad istruirmi.
E così ho viaggiato fino a Teirm, per trovare qualcuno che
potesse adempiere a questo… e proprio ieri vi ho incontrati - .
Eragon e Brom rimasero un po’ spiazzati dal racconto della
ragazza. In effetti, nessuno di loro aveva mai avuto a che fare con una sorta di
giovane guerriera come quella. Generalmente, tutte le ragazze di quell’età che
conoscevano non pensavano ad altro che imparare a cucire e far da mangiare, e
commentare l’aspetto fisico di tutti i giovanotti del paese. Nessuna di loro
avrebbe mai avuto il coraggio di viaggiare da sole per più di mezza giornata.
Ma, a quanto pareva, questa era diversa.
E, per di più, pensò Eragon, possedeva la grazia e la bellezza
di una fanciulla elfica. A meno che….
- Scusa – fece Eragon – ma se tuo padre si occupava di portare
l’uovo dagli elfi ai Varden… allora o era un elfo, o un Varden, giusto? –
- Hai pensato bene, Eragon. Era un elfo – rispose la
ragazza.
Allora… era un’elfa….
- Ma allora… tu sei un’elfa… - disse Eragon, meravigliato.
- No, non lo sono. Mia madre è un’umana - .
- Capisco – rispose il ragazzo, comunque senza parole.
Intanto stavano per raggiungere il cancello di Teirm.
- Come dobbiamo fare? Non credo che ci lasceranno entrare senza
problemi – chiese Alicia, mentre si avvicinavano ai cancelli della città.
- Voi lasciate fare a me. Poi improvvisate – disse Brom.
Giunsero davanti alle guardie.
- Chi siete? – chiese una delle due sentinelle.
- Mi chiamo Neal – disse Brom, cercando di non suonare troppo
intelligente.
- Bene. E questi due, chi sono? – continuò la guardia.
- Io sono Evan – disse Eragon – sono suo nipote, e lei è… -
- Io sono sua sorella Melissa – disse Alicia.
- E cosa siete venuti a fare qui? – chiese ancora la
guardia.
- Veniamo a far visita ad un nostro zio. Sa, Neal è molto
vecchio, e non sono molte le occasioni per abbandonare il paese. Aveva paura di
non riuscire più a vederlo un’altra volta – rispose prontamente Alicia.
- Bene, bene, passate. Ma state attenti - .
Entrarono a Teirm. Soltanto quando si furono addentrati
abbastanza nella città, osarono proferire parola.
- Hai mentito bene – disse Eragon ad Alicia.
- Grazie, ormai mi ci sono abituata. Se non ne fossi stata
capace, a quest’ora nemmeno sarei qui a parlare con te – rispose la ragazza.
Osservarono la città. Il suo aspetto non era rassicurante, e
nemmeno accogliente. Le case erano piccole, e tutte strette tra di loro. I loro
tetti si stagliavano come una piramide su per il cielo, diventando più alti mano
a mano che si andava avanti verso la fortezza. Quasi nessuno circolava per la
città, e la maggior parte di quelli che lo facevano, fissavano i nuovi arrivati
con diffidenza. Persino i bambini avevano un non so che di triste.
- Perché le case sono disposte così? – chiese Alicia.
- Tattica militare, ragazza. Basta che gli arcieri si pongano
sui tetti più alti, per poter difendere la città – rispose Brom.
- Bene. Allora, che ci facciamo qui? – chiese di nuovo
Alicia.
- Oh, il ragazzo non te l’ha detto? Dobbiamo andare a trovare
un mio vecchio amico, che forse ci potrà dare una mano. Ora però dobbiamo
cercare una taverna, per chiedere informazioni – rispose ancora Brom.
Girarono un po’ per la città, e infine entrarono in una vecchia
taverna. La prima impressione di Alicia nell’entrare non fu delle migliori. Il
locale era sporco, le finestre tanto appannate che non entrava nemmeno un po’
del forte sole che picchiava all’esterno. Faceva un caldo pazzesco, e l’aria era
viziata e puzzolente. Sicuramente questa condizione di poca igiene aveva avuto
delle ripercussioni sugli affari: l’osteria, infatti, era completamente vuota, a
parte per la presenza dell’oste e di un altro uomo, seduto ad uno dei
tavoli.
Brom si avvicinò al bancone, seguito da Eragon e da Alicia.
L’oste, che stava strofinando un sudicio bicchiere con un ancora più sudicio
straccio, alzò lo sguardo verso di loro, e li fissò, con aria interrogativa.
- Cosa volete? – chiese l’uomo, un po’ scontrosamente.
- Vorremmo sapere dove abita Jeod – chiese Brom.
- Oh, e così io dovrei sapere chi abita in ogni singola casa di
questo mondo? Vai a disturbare qualcun altro, vecchiaccio! – ribattè l’oste,
scocciato.
- Oh, no di certo, ma credo che queste ti faranno diventare
molto più gentile – rispose Brom, posando alcune monete sul banco.
- Hmm, credo che così vada meglio – disse l’oste, alzando la
mano per prendere le monete.
Ma non fece nemmeno in tempo a toccarle, che una voce disse: -
Oh, smettila, Gareth. Non disturbarti, credo che glielo potrei dire io. Come se
fosse così difficile, poi… - .
L’unico avventore, seduto in un tavolo immerso nel buio
dall’altra parte della stanza, si era mosso, e faceva cenno al terzetto di
avvicinarsi.
I tre gli ubbidirono, e si avvicinarono al suo tavolo. Brom si
riprese le monete, lasciando l’oste attonito.
- Salve – disse l’uomo – io sono Martin - .
- E noi siamo Neal, Evan e Melissa – disse Brom.
- E così, cercate Jeod? –
- Si –
- Bene… Jeod abita nel quartiere ovest della città, proprio
accanto ad Angela, l’erborista. Comunque, se avete intenzione di fare affari con
lui, vi consiglio di stare attenti – disse Martin.
- Come mai? – chiese Brom.
- è che gli affari non gli stanno andando più bene come una
volta. Gli si salvasse almeno una nave… ma no, dieci ne partono e nessuna
ritorna… con tutte quelle merci… -
- I pirati si stanno divertendo, immagino –
- Pirati? Oh, no, non credo proprio. I pirati non attaccano
così tanto e in maniera così mirata… ed è un bel po’ che non se ne vedono in
giro. Qualcuno dice che si tratta di stregoneria, soprattutto i marinai - .
- E tu cosa dici? – chiese Eragon.
- Io? Diciamo che non ne ho la più pallida idea. E, a meno che
non abbia la sfortuna di trovarmi su una di quelle navi - .
- E tu, insomma, lavori per mare? – chiese Alicia.
- Oh, no. Non ho più l’età, e poi, con questa mano… - la sua
mano destra aveva due dita mozzate - … beh, credo di poter far poco. Diciamo che
i comandanti mi ingaggiano per armare le loro navi contro i pirati. È un bel
lavoro, ma al momento non sto lavorando molto - .
- Bene. Grazie per le informazioni – disse Brom, e si alzò.
Eragon e Alicia lo seguirono, ed insieme uscirono dall’osteria.
- Beh, almeno sappiamo dove andare – disse Brom, cercando un
modo per orientarsi.
- Si – disse Alicia – Il punto è che non sappiamo comunque da
che parte andare… da dove siamo entrati? - .
- Dal cancello est. Quindi, dobbiamo procedere nella direzione
esattamente opposta a quella da cui siamo entrati – rispose Eragon.
- Quindi, tirare dritto rispetto al cancello – disse
Alicia.
- Si, più o meno – disse Eragon, arrossendo.
Procedettero nella direzione che avevano deciso, e, mano a mano
che andavano avanti, cominciarono a notare un cambiamento nel paesaggio. Le
case, mano a mano che procedevano, cominciavano a diventare sempre più ricche e
adornate, anche esteriormente.
Arrivarono poi dinanzi ad una porta, sopra alla quale stava
un’insegna dai colori vivaci, rosso, verde e blu, che recava scritto: "Angela
l’Erborista".
- Bene, ci siamo, qui c’è l’erborista – disse Brom.
- E ora? Che facciamo, restiamo qui impalati ad aspettare che
questo Jeod esca di casa e ci veda? – domandò Alicia.
- No, certo – le rispose Brom – dobbiamo solo cercare… o
chiedere informazioni - .
Proprio in quel momento, qualcuno uscì dall’erboristeria. Era
una donna, dai lunghi capelli neri ricci, che indossava un abito verde e uno
strano copricapo colorato. La donna reggeva in una mano un libro, ma pareva
molto più interessata ad osservare la rana che reggeva in mano. Intanto
borbottava tra sé e sé parole tipo: "Rana… rospo… quindi, se questo rospo è una
rana… niente rospi… solo rane… ma se questo è un rospo…"
- Deve essere l’erborista, Angela – mormorò Eragon.
- Sembra un po’ tocca, a dire il vero – sussurrò Brom, attento
a non farsi sentire.
Alicia annuì, poi si fece avanti.
- Scusa – disse la ragazza, rivolta all’erborista. La donna
quasi sobbalzò.
- S-si? - fece l’erborista.
- Ecco… sapresti dirci dove abita Jeod? –
- Certo che lo so. E chi non lo sa? –
- Beh… noi non lo sappiamo… quindi, ce lo diresti, per favore?
–
- Certo. Proprio laggiù, nella casa qui a fianco –
- Grazie – disse Alicia.
- Prego. Vi serve qualcos’altro? –
- No, grazie. Arrivederci - .
Alicia raggiunse gli altri due.
- Bene, ora sappiamo dove andare – disse.
Raggiunsero la porta che era stata indicata loro, e bussarono.
Attesero qualche minuto, poi la porta si aprì.
Una giovane donna, bionda e pallida, aveva aperto. Se di aprire
si poteva parlare, poi, dato che aveva appena socchiuso la porta, il tanto
necessario per mostrare il suo viso e per vedere quello dei visitatori.
- Salve – disse la donna, un po’ sgarbatamente – cosa volete? -
.
- Vorremmo parlare con Jeod. Abita qui? – domandò Brom.
- Si, è mio marito. Ma non posso chiamarlo, ora. Ha di meglio
da fare –
- Oh, davvero? Comunque, gli dica che uno dei suoi vecchi
compagni è passato a salutarlo –
- Va bene – rispose la donna, e chiuse la porta, bruscamente.
Dopo un po’, un uomo aprì la porta. Non sembrava molto giovane,
sembrava avere all’incirca la stessa età di Brom. Indossava abiti piuttosto
sfarzosi, che però erano abbastanza sgualciti.
L’uomo si bloccò sulla porta, e li guardò, stupito. Sembrava
non riuscire a trovare parole per accoglierli. Infine parlò.
- B-Brom… s-sei tu? – disse l’uomo.
Brom fece un cenno, come per zittirlo.
- Non pronunciare il mio nome, Jeod. Nessuno deve sapere che
sono qui – rispose Brom.
- Io… non sapevo che fossi ancora vivo… avresti potuto farmelo
sapere… -
- Non posso spiegarti nulla, almeno, non qui. Chiunque potrebbe
sentirci –
- Bene. Allora vi porterò in qualche posto più sicuro.
Piuttosto, chi sono questi due? –
- Si chiamano Eragon e Alicia – mormorò Brom, con voce appena
percettibile – ma qui in città usano falsi nomi, esattamente come me. D’ora in
avanti, chiamami Neal. E i ragazzi sono Evan e Melissa - .
- Bene – disse Jeod – ora, aspettate un attimo – e rientrò in
casa.
- Secondo te, dove andremo? – disse Alicia a Eragon.
- Non so. Certo non in una locanda, sarebbe rischioso anche se
fosse vuota come quella di prima. E poi, gli osti hanno sempre le orecchie
lunghe – rispose il ragazzo.
Jeod uscì.
- Bene, ora possiamo andare – disse l’uomo.
Si incamminò, insieme con Brom, Alicia e Eragon. Si
avvicinarono sempre di più alla fortezza.
- Chissà cos’ha intenzione di fare – mormorò Eragon.
Ma, per quanto il mormorio potesse essere sottile, Jeod lo
udì.
- Rispondo subito al tuo interrogativo, ragazzo. Dovete sapere
che il signore di Teirm ha obbligato tutti i mercanti a condurre i loro affari
qui, nella fortezza. Beh, sicuramente è più difficile essere spiati, la
sicurezza è molto buona – rispose l’uomo.
Entrarono nella fortezza, e legarono i cavalli ad un anello di
ferro lì vicino. Poi varcarono una porta, che dava su un corridoio.
L’ambiente era molto umido, e tutti cominciarono a sentirsi un
po’ appiccicaticci e bagnati. E, inoltre, faceva anche freddo. Furono tutti
molto felici, quando uscirono dal corridoio.
Erano entrati in un grande studio.
La stanza era molto meno umida del corridoio che avevano
lasciato. Era piuttosto ricca, e un bel fuoco scoppiettava in un camino, situato
in un angolo della stanza. Eragon e Alicia subito si sedettero accanto al fuoco,
tendendo le mani per potersi scaldare.
- Bene, Brom. Credo che tu abbia molto da raccontarmi. È
passato molto tempo da quando ci siamo lasciati. E devono esserne cambiate, di
cose, se ti stai mettendo a fare il professore con questi giovani. Da quando
eravamo a Gil’ead, vent’anni fa or sono, non ho mai sentito una storia
avvincente raccontata bene. Immagino tu debba aiutarmi a recuperare il tempo
perso - .
- Certamente, amico mio. Beh, immagino tu voglia sapere cosa è
successo dopo la nostra… separazione… vero? –
- Direi di si –
- Bene. Dopo tutto ciò che è successo, ho provato a cercarti.
Quando capii che il mio tentativo era vano, beh, decisi di stare un po’ in
città. E, guarda un po’, proprio quando avevo perso le speranze, ecco che trovo
proprio ciò che ci occorreva! Dopo, però, continuare a cercarti sarebbe stato
troppo rischioso. Così lasciai la città, e andai da qualcuno che potesse meglio
custodire il nostro tesoro. Loro lo nascosero, e promisi loro di badare a
chiunque, prima o poi, l’avesse ricevuto. Ma prima di allora, nessuno avrebbe
dovuto sapere che ero vivo. Nemmeno tu, Jeod. Così mi nascosi a Carvahall, e
continuai a vivere facendo il cantastorie - .
- Quindi, forse ora quel momento è arrivato, vista la compagnia
–
- No, certo. Solo che ho notato, dalle mie parti, qualche
movimento… strano… e così ho deciso di indagare. Eragon e Alicia erano sulla
stessa strada, così hanno deciso di seguirmi –
- E cos’è successo? Di che movimenti strani parli? –
- Rà’zac, Jeod. Hanno ucciso lo zio di Eragon, e lui vuole
vendicarsi. Ma non sappiamo come trovarli –
- E se cercate qualche indicazione da me, non l’avrete certo.
Non so dove sono i Rà’zac, e non conosco nessuno che possa, o anche se lo
sapesse, voglia dirvelo –
- Abbiamo un indizio, Jeod. Dobbiamo soltanto sapere come
andare avanti. E credo che tu possa aiutarci –
Brom tirò fuori dal mantello una piccola fiaschetta di
metallo.
Alicia, un po’ sorpresa, si alzò dalla sua poltrona, e si
avvicinò a Brom. Voleva vedere cosa ci fosse nella fiaschetta. Riconobbe il
liquido rosso. Olio di Seithr, trattato con la magia. Una sola goccia sarebbe
bastata per far morire bruciato un essere umano. Suo padre gliene aveva parlato,
una volta o due. Lei sapeva che era un liquido studiato per bruciare solo e
soltanto carne animale, lasciando intatto tutto il resto. Il pensiero di questo
l’aveva sempre fatta inorridire, e rabbrividì mentre si avvicinava per esaminare
la fiaschetta.
- Dove l’hai trovato? – chiese Alicia a Brom.
- Strada facendo, Eragon ha raccolto la fiaschetta. Per fortuna
ha solo testato la sua efficacia su un dito, senza berlo – rispose Brom.
- Ma è stato mio zio a subirne gli effetti – mormorò Eragon,
senza però muoversi dalla poltrona.
- Tornando al nostro discorso – disse Brom, rivolto nuovamente
verso Jeod – per sapere dove si trovano i Rà’zac, dobbiamo sapere da dove
proviene questa boccetta. Bisogna soltanto guardare nei registri dei commerci,
tutto qui. E tu puoi aiutarci, Jeod, solo tu - .
- è un’impresa impossibile, amico mio. Io possiedo qui solo i
registri dei miei commerci, e sono già tanti. Immaginate di dover guardare
quelli di tutti i mercanti. Come se poi fosse possibile guardarli. Solo
l’amministratore di Risthart può consultarli, non certo noi mercanti –
- Bene. Allora è meglio prenderci un po’ di tempo per pensare.
E poi, abbiamo proprio bisogno di riposarci – rispose Brom.
- Potrete pernottare a casa mia. Non è per me un problema
ospitare un mio vecchio compagno e i suoi giovani amici – disse prontamente
Jeod.
- Ma ora… Eragon e Alicia, non è forse arrivato il momento di
andare a vedere se i cavalli stanno bene? Sono rimasti soli per troppo tempo –
disse Brom, conducendo i due ragazzi fuori dalla stanza.
La porta si chiuse di scatto, e Alicia ed Eragon rimasero
fuori, nell’umido corridoio.
- Beh, hanno trovato un bel modo per tenerci all’oscuro di
qualcosa… farci uscire! – disse Alicia, arrabbiata.
- Già, e non è giusto. Ah, ma io conosco un bel modo per
rendere la barriera di questa porta inutile – disse Eragon.
- Non vorrai mica… origliare? – rispose la ragazza, piuttosto
sgomenta. Se c’era una cosa che odiava fare, questa era origliare. Ma, intanto,
la curiosità la stava rodendo.
- Thverr stenr un atra eka hòrna! – mormorò Eragon. Dopo pochi
secondi, però, il ragazzo si ritirò, deluso.
- Non ci riesco – disse Eragon, scuotendo la testa.
- Se vuoi, posso provarci io – disse Alicia.
- Ma se tu ci riesci, poi, potrai sentire solo te! – disse il
ragazzo.
- Beh, allora dopo ti dirò cosa hanno detto… forse… - rispose
la ragazza, e pronunciò le parole magiche.
Eragon vide varie espressioni attraversare il volto della
ragazza: trionfo, stupore e tristezza. Ad un certo punto, però la ragazza scosse
la testa, e parve tornare in sé. Fu allora che Eragon ritenne opportuno fare la
sua domanda.
- Allora? Cosa si sono detti? – domandò Eragon.
- Ora non te lo dico. Stanno per uscire, quindi non c’è
abbastanza tempo - .
Infatti, i due uomini uscirono poco dopo.
- I cavalli come sono? – chiese Jeod.
- Stanno benissimo – rispose Alicia.
Ripresero i cavalli, e uscirono dal castello. Mentre Brom e
Jeod parlavano tra di loro, Eragon ne approfittò.
- Allora? – mormorò alla ragazza – Cosa si sono detti? - .
Alicia emise un lungo sospiro. – Tanto per cominciare, Jeod, in
qualche modo, aiuta i Varden, e rifornisce il Surda. Ma le sue spedizioni non
stanno andando a buon fine, pare che ci sia qualcosa che le ostacoli. E Jeod ha
detto che faremmo meglio ad andare a Tronjheim –
- Tronjheim? – disse Eragon.
- Si. Tronjheim. Se non mi sbaglio, è la capitale dei nani. Ma
non crearti questi problemi, ora. Brom ha detto di no. Ha detto che tutti
cercherebbero di influenzarci, e non saremmo al sicuro. E Jeod ha detto che
manderà un uomo fidato dai Varden… e come dono gli porterà l’anello di Brom… un
dono della regina… - . la voce di Alicia si bloccò. La regina… quella
regina….
- Regina? Che regina? – mormorò Eragon, sorpreso, ma Alicia non
gli rispose. Era già andata avanti, e si era unita a Brom e Jeod. Eragon non
potè far altro che seguire il suo esempio.
- Ecco, se cercate una bottega, quella laggiù è l’ideale. Alta
qualità a basso costo. E per mangiare, so io dove andare – disse Jeod.
Lasciarono i cavalli nella stalla di Jeod, poi seguirono l’uomo
fino ad una grande caverna. Non appena entrarono, un’ondata di calore e rumore
li investì. La taverna era piena, ma riuscirono comunque a trovare un tavolo
libero. Si sedettero, e attesero l’arrivo del tanto agognato cibo. Alicia si
aspettava qualcosa di buono; del resto, erano secoli che non faceva un pasto
decente. E il cibo arrivò: carne di maiale, con contorno di patate, carote e
mele.
Eragon e Alicia rimasero una mezz’oretta buona ascoltando Brom
e Jeod che si raccontavano tutte le ultime novità, ma dopo un po’ si
stufarono.
- Secondo me è meglio andare a vedere cosa combinano le nostre
due bestioline, non trovi? – mormorò Eragon ad Alicia.
- E le chiami bestioline? Comunque si, va bene – rispose la
ragazza.
Eragon e Alicia si alzarono, e il ragazzo disse: - Noi andiamo
a prendere una boccata d’aria. Sapete, per digerire - .
- Va bene – disse Brom – Ma state attenti - .
- E tornate prima che il sole tramonti! – disse Jeod.
- Non preoccupatevi – disse Alicia, e lei e Eragon
uscirono.
Non appena chiusero la porta dell’osteria, Alicia scoppiò a
ridere. Eragon la guardò per un attimo. Guardò le sue labbra, increspate in un
sorriso, e i suoi denti, bianchi e diritti. Rimase un po’ incantato. Era
perfetta…
Poi ritornò in sé, e fece la domanda più logica che avesse
potuto fare.
- Perché ridi? –
- Oh, ma li hai visti… Jeod e Brom! Sembravano tipo mamma e
papà… premurosi… ma alquanto ridicoli! Neanche mia madre mi faceva queste
raccomandazioni, se uscivo di casa… e la tua? Cosa faceva? –
- La mia? – disse Eragon, rabbuiandosi – Se solo l’avessi mai
conosciuta… - .
- Oh… mi dispiace… io… non volevo… -
- Non importa. Non è colpa tua. Lei… se n’è andata… e poi… è
morta, per quello che ne so…. Ma ora lasciamo perdere questi discorsi, e andiamo
a cercare Saphira e Zelda –
- Va bene… sicuro che non ne vuoi parlare? –
- Si… non preoccuparti… - .
Uscirono dalla città. Poi, guidati dalle due dragonesse,
arrivarono ai piedi di una rupe. Saphira e Zelda erano in cima alla rupe.
Eragon cominciò subito ad arrampicarsi sulla rupe. Alicia,
invece, si guardò intorno. Poco più in là, vide un sentiero che portava in cima
alla rupe. Percorse il sentiero, e in poco tempo arrivò in cima.
Ciao, Zelda.
Ciao. Ti presento la mia amica, Saphira.
La voce di Saphira entrò nella mente di Alicia.
Ciao, Alicia. Piacere di conoscerti.
Il piacere è tutto mio, Saphira. Ma ora vai ad occuparti del
tuo Cavaliere, pare che sia in difficoltà.
In effetti, Eragon si trovava ancora a metà della rupe,
bloccato per mancanza di appigli per arrampicarsi.
Stupido ragazzo. disse Saphira, volando per aiutare Eragon.
Interruppe il contatto, così Zelda e Alicia rimasero sole.
Beh, come va, Alicia?
Abbiamo trovato compagnia.
Beh, anche una bella compagnia.
In che senso, una bella compagnia?
Eragon… un giovane ragazzo all’incirca della tua età… mi pare
proprio una bella compagnia!
Oh, non esageriamo… è solo un ragazzino… e poi, tu lo sai, lui
non ha certo la mia età!
Certo che lo so. Anche se non me l’hai espressamente detto lo
so. Ma, beh, la differenza non è troppa e, vista la sua posizione, maturerà. E
allora, io ti dico che sarà perfetto.
Sii, seria, per favore…
Certo, certo. Intanto credo che sia lui a ritenerti
perfetta.
Cosa te lo fa pensare? Non sei stata tutto il tempo con me per
vedere i suoi comportamenti.
Oh, no, certo. Ma ho un po’… diciamo… frugato tra i tuoi
ricordi… e ho visto cosa hai fatto oggi… e diciamo che il ragazzino si è proprio
comportato bene!
Oh, beh… certamente.
Vabbè, ragazza, ora parliamo di altre cose. Quanto resteremo
qui?
Un paio di giorni, penso. Quanto non lo so. Mi spiace di non
essere con te.
Anche a me dispiace. Ma cos’altro puoi fare?
In effetti….
E comunque… cos’hai deciso di fare, ora?
Cioè?
Beh, seguirai Eragon e Brom, oppure continuerai da sola?
Credo che li seguirò. Sai, inseguono più o meno il mio stesso
obiettivo. E sono comunque una buona compagnia.
Capisco.
Non ti dispiace, vero?
No, anzi. Sarà magnifico volare con un’amica mia simile.
- Alicia! - . Eragon stava richiamando l’attenzione della
ragazza.
Ora devo andare, Zelda. A domani.
Ciao, piccola mia. E buonanotte.
Alicia interruppe il contatto con la dragonessa, e andò da
Eragon.
- Ci conviene incamminarci. Il sole sta tramontando – disse il
ragazzo.
I due si incamminarono, e rientrarono nella città che quasi era
buio fatto.
- Beh, ora… dove si va? – domandò Eragon.
- Il tuo senso dell’orientamento fa cilecca, vero? Meno male
che qui ci sono io – rispose Alicia.
Poi continuò. – Allora… la taverna è laggiù, in quella strada.
La fortezza è proprio davanti a noi. E la casa di Jeod dovrebbe essere proprio a
metà strada – e indicò al ragazzo la direzione indicata, poi cominciò a
correre.
- Scusa – disse Eragon.
Alicia si bloccò. – Che c’è? – disse.
- è che se corri così non riesco a seguirti. È troppo buio, e
non c’è nemmeno una luce – disse il ragazzo.
- E cosa vorresti, che ti tenga per mano e che ti conduca fino
a casa di Jeod? – disse la ragazza.
- No, no… solo che tu cammini un po’ più vicina –
- Oh, va bene! – disse Alicia, e si avvicinò al ragazzo.
Eragon la vide avvicinarsi, una figura scura nella notte. E
come era vicina, riuscì anche a osservare il suo viso, la sua espressione un po’
scocciata. Era davvero molto bella. Macchè bella, era meravigliosa….
- Avanti, non stare lì come uno stoccafisso, andiamo! – gli
disse Alicia.
Lui, lentamente, si riprese. Troppo lentamente. Ancor più
scocciata, Alicia prese il ragazzo per un braccio, e cominciò a trascinarlo con
sé. Solo dopo qualche momento Eragon cominciò a reclamare la libertà per il suo
braccio dalla stretta di Alicia.
Alla fine, arrivarono davanti a casa di Jeod. Bussarono, e ad
aprire loro la porta fu un giovane maggiordomo.
Furono fatti entrare, poi furono condotti fino allo studio di
Jeod.
Entrarono, e videro che Brom e Jeod erano dentro, e che li
stavano aspettando.
- Ce ne avete messo, di tempo – disse Jeod.
- Già. Ci dispiace – rispose Eragon.
Alicia non proferì una parola. Era troppo occupata
nell’osservare le pareti della stanza. Erano piene di libri, di varie forme e
dimensioni. Lei amava leggere, e un posto come quello significava semplicemente
il paradiso.
- Ti piace leggere? – domandò Jeod alla ragazza, che stava lì,
a bocca aperta, ammirando le numerose librerie.
- Si, molto – disse lei.
- Beh, allora ti divertirai, leggendo nei registri – disse
Brom.
- Quello non so, ma… beh, ci proverò –
- Certo. Perché per te ed Eragon ci sarà proprio un sacco da
fare. Mi auguro che anche ad Eragon piaccia leggere, giusto, ragazzo? – continuò
Brom.
- Non posso saperlo, Brom – disse il ragazzo, la voce bassa e
piuttosto imbarazzato.
- Come, non puoi saperlo? – domandò Brom.
- Non so leggere, Brom – rispose il ragazzo, diventando
rosso.
Brom emise un lungo sospiro.
- Questo è un bell’ostacolo. Duro, ma non impossibile da
superare. Ti insegnerò io, in questi giorni. E Alicia ti aiuterà. Beh, non
acquisirai la velocità di un lettore assiduo, ma riuscirai a capire il contenuto
dei registri - .
Eragon assunse un’espressione un po’ spaventata. Imparare
qualcosa del genere in un paio di giorni? Era impossibile!
Alicia, forse, riuscì a capire cosa stesse pensando. Allora gli
si avvicinò, e gli disse: - è normale essere un po’ spaventati. Ma vedrai, sarà
facile. Ed è anche bello. Sia imparare, ma poi, soprattutto, leggere. Un libro
può soddisfare molti tuoi desideri di conoscenza. Se vuoi sapere qualcosa, o
cerchi di viverla di persona, o la cerchi in un libro. E credo che spesso
quest’ultima opzione sia l’unica, e anche la meno rischiosa - . Poi gli
sorrise.
Eragon vide il suo dolce sorriso, e capì che non doveva avere
paura.
- Sarei molto felice se tu imparassi a leggere, davvero –
continuò la ragazza.
L’avrebbe resa felice… i pensieri di Eragon spaziarono.
Immaginava il futuro prossimo… avrebbe imparato a leggere… e lei sarebbe stata
felice… e probabilmente lui avrebbe rivisto quel sorriso… il suo sorriso…
avrebbe fatto qualunque cosa per poterlo rivedere una seconda volta… anche
imparare a leggere in due giorni, certo.
Mentre Eragon pensava, Alicia aveva preso in mano uno dei
libri, e lo stava sfogliando. Lui le si avvicinò.
- Di cosa parla quel libro? – domandò.
- Parla della nostra storia. Della mia, della tua… di quella di
tutti. È la storia di questa terra, di Alagaesia. È un volume rarissimo, non
l’ho mai letto. A quanto pare mio padre non è mai riuscito a metterci le mani
su… o forse si, ma non me l’ha mai detto – rispose la ragazza, sempre
continuando a sfogliare. Poi arrivò ad una pagina, scritta con elegante
inchiostro dorato. Il titolo della pagina era scritto in rosso.
Alicia sorrise, un po’ tristemente, e cominciò a leggere, con
gli occhi, le prime righe. Ricordava benissimo quel poema, lo ricordava come se
fosse stato il giorno prima l’ultima volta che l’aveva sentito, recitato da suo
padre. Ricordi della sua infanzia, e della sua adolescenza… suo padre, che
cantava, quasi ininterrottamente, per tre giorni. Era magnifico, e molto
emozionante. Suo padre era sempre stato bravissimo nel cantare, soprattutto quel
poema. Parlava della guerra tra draghi e elfi, ed era quasi una lezione di vita.
Per evitare di rifare lo stesso errore.
Ma Alicia considerava quest’ipotesi molto stupida. Almeno, ora
che aveva conosciuto la grandezza e la bellezza dei draghi. E nemmeno riusciva a
capire come si fosse mai potuto commettere uno sbaglio simile.
Qualche lacrima cominciò a velare gli occhi di Alicia, mentre
andava avanti nel leggere. La voce di suo padre risuonava nella sua mente mano a
mano che leggeva, e lei non riusciva a resistere, a ricacciare indietro quel
ricordo…. Chiuse di scatto il libro, come se bastasse solo quello per chiudere
quell’altro libro… il grande e triste libro dei ricordi… ma fu inutile. La voce
ancora rimbombava nelle sue orecchie… e lei piangeva, sempre di più…. Il libro
cadde per terra, con un tonfo sordo. Non ce la faceva più, non poteva restare
lì….
Sotto gli occhi stupiti di Eragon, Brom e Jeod, Alicia corse
fuori dalla stanza, senza nemmeno raccogliere il libro da terra. A quello pensò
Eragon.
- Ma che le prende… - mormorò, rimettendo il libro nella
libreria. Poi uscì anche lui fuori dalla stanza, alla ricerca di Alicia, e di
qualche spiegazione.
Trovò la ragazza, seduta su un divanetto, nel corridoio. Stava
piangendo, il volto seppellito tra le mani. Le si avvicinò, lentamente, poi si
sedette anche lui sul divanetto.
- Cosa ti succede? – le domandò, a voce bassa.
La ragazza si scoprì la faccia, poi si asciugò le lacrime.
Infine si voltò verso Eragon, e lo guardò negli occhi. I suoi occhi, pieni di
lacrime, e più viola che mai, e gli occhi del ragazzo, un po’ trepidanti e un
po’ dispiaciuti, di un bel color nocciola scuro.
- Scusami… - rispose lei, la voce rotta e ancora intrisa di
pianto - … ma non ce l’ho fatta… quel poema… mi ricordava… mio padre… lui lo
cantava sempre… gli piaceva molto –
- Io non… non lo sapevo… io… mi dispiace… -
- Oh, non preoccuparti. Mi sono comportata come una stupida –
disse la ragazza.
- No. Non dirlo neanche per scherzo – disse Eragon. Poi la
abbracciò. Era l’unico modo per farle capire che lui le era vicino.
Alicia sentì le braccia del ragazzo che la avvolgevano. In
condizioni normali, forse, l’avrebbe respinto, ma ora… ora che aveva bisogno di
qualcuno che la sostenesse…. Si lasciò abbracciare, dolcemente.
Eragon, lentamente, sciolse l’abbraccio. Ma che gli era preso?
Immaginava già la faccia della ragazza, sicuramente stupita, e anche un po’
arrabbiata. Ma non si aspettava certo quello sguardo.
Alicia lo guardò negli occhi, di nuovo. Non era arrabbiata.
Anzi, gli sorrideva. Gli sorrideva, gli occhi, il volto velati da una dolce
tristezza.
- Grazie – disse la ragazza.
- D-di niente – rispose debolmente il ragazzo. Era lui, quello
stupito.
Alicia tirò su col naso.
- Meglio cambiare argomento, forse – disse la ragazza – Hai
qualche idea per quei registri? - .
- Si, penso di si. Ma devo chiedere a Brom se si può attuare -
.
- E di cosa si tratta? –
- Lo saprai a tempo debito. È qualcosa che riguarda la magia…
quindi potrai esserci utile. Anzi, più utile di me, forse –
- No. Saremo utili tutti e due – disse Alicia, proprio nel
momento esatto in cui la porta accanto si apriva. Jeod e Brom ne uscirono.
- Beh, direi proprio che è arrivata l’ora di dormire! Il
maggiordomo vi mostrerà le vostre stanze. E il bagno è qui, a destra. Così
domattina potrete lavarvi senza usare quegli scomodi lavabi che trovereste in
qualsiasi locanda. Detto questo, buonanotte! – disse Jeod, e scomparve in una
stanza accanto allo studio.
Il domestico li condusse su per le scale, poi in un piccolo
corridoio, che aveva tre porte.
- Queste sono le vostre stanze – disse il maggiordomo, e se ne
andò.
Non appena il maggiordomo scomparve, Eragon si rivolse a
Brom.
- Brom… per quanto riguarda i registri, avrei un’idea… -
- Benissimo. Ma entriamo prima in una di queste stanze, è
meglio non parlare di certe cose in un corridoio - .
Così entrarono nella stanza. Era calda ed accogliente, con un
grande letto dalle lenzuola bianche e una piccola credenza.
- Ora puoi continuare a parlare, Eragon – disse Brom.
- Ecco… sai se c’è un modo per evocare l’immagine di qualcosa
che non puoi vedere? – domandò il ragazzo.
Alicia sgranò gli occhi per la meraviglia. Come aveva fatto a
non pensarci?
- Si, in effetti c’è. Questo metodo si chiama cristallomanzia.
Ma non agitatevi troppo. Non fa al caso nostro, al momento. Certo, con la
cristallomanzia si possono evocare immagini che al momento non si hanno davanti,
ma devono essere immagini di cose già viste. Nel caso volessi cercare di sapere
dove si trova qualcuno, non potrai usare questo metodo, a meno che tu non sia
abbastanza fortunato da aver già visto quel luogo. E anche per un libro vale la
stessa cosa. Poi, nel caso tu volessi evocare l’immagine di una pagina di un
libro già letto, non potresti farlo, a meno che il libro non sia aperto a quella
pagina – rispose Brom.
- E come mai non si possono evocare immagini di cose mai viste?
– domandò Alicia, piena di interesse.
- Perché questo tipo di magia funziona così. Non puoi divinare
qualcosa che non conosci –
- E come si fa ad evocare l’immagine? Nell’aria? – domandò
Eragon.
- Potresti, certo. Ma richiederebbe un enorme dispendio di
energia. Sarebbe meglio proiettare l’immagine su uno specchio, o sull’acqua
–
- E noi, saremmo capaci di farlo? – domandò Alicia – Sai,
vorrei sapere almeno come stanno mia sorella, mio fratello e mia madre. È da
molto che non ho notizie di loro –
- E io vorrei sapere qualcosa su mio cugino, Roran – aggiunse
Eragon.
- Non ora, non stanotte. Nessuno dei due, neanche tu, Alicia.
Ma vi insegnerò comunque le parole - .
- E quali sono? – domandò Alicia.
- Draumr kòpa – disse loro Brom – ecco le parole. Ma ora, è
meglio che entrambi andiate a dormire. È tardi, e siamo tutti stanchi - .
Eragon e Alicia uscirono dalla stanza.
- Buonanotte – disse Alicia al ragazzo, e chiuse la porta della
sua camera dietro di sé.
*
Il mattino dopo, Alicia fu svegliata da una voce un po’
scontrosa.
- Ti ho comprato dei vestiti nuovi, ragazza. Non sopporto la
gente che indossa dei luridi straccetti in mia presenza. Li ho posati sulla
sedia. Vedi di metterteli. E lavati bene. Le saponette esistono per questo -
.
Era Helen, la moglie di Jeod, la prima persona che, il giorno
prima, avevano visto in casa di Jeod, quella che aveva aperto loro la porta.
Alicia si alzò dal letto e, mentre la donna girava per la
stanza aprendo, controvoglia, le finestre, si avvicinò alla sedia, per osservare
i vestiti. Era un bell’abito da viaggio, color verde smeraldo. Almeno aveva
buoni gusti, la donna.
- Grazie – disse Alicia.
- Oh, come se l’avessi fatto per buon cuore. È che non sopporto
gli straccetti, neanche addosso ai miei ospiti. Anche se forse questo è troppo.
Ah, se non fosse stato per mio marito… certo, non avresti indossato gli stracci
di ieri, nemmeno per sogno, ma nemmeno quest’abito da signora. Già i soldi non
ci bastano per tirare avanti decentemente… figurati se mi devo preoccupare anche
di ogni forestiero che passa di qui – disse la donna, uscendo dalla stanza.
Alicia prese i vestiti, poi uscì dalla stanza. Un fragoroso
russare invadeva il corridoio; sicuramente gli altri due stavano ancora dormendo
della grossa.
Scese, e si diresse verso il bagno. Prima di entrare, anche per
cercare di rompere il silenzio di quella casa, urlò: - Io entro in bagno! -
.
La sua voce rimbombò sulle pareti, e poco dopo le giunse una
risposta, proveniente dal piano superiore: - E chi se ne frega! - . era ancora
Helen.
Alicia, sicura che tutti avessero compreso, entrò in bagno.
Richiuse la porta, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta. Del resto,
qualunque persona con un minimo di educazione avrebbe almeno bussato per sapere
se era libero.
Il bagno di Jeod era una grande stanza. Accanto ad una delle
pareti stava la vasca, di ceramica bianca, con relativo rubinetto. Accanto alla
vasca stava un piccolo tavolino di marmo, sopra al quale, in appositi incavi,
erano sistemate le saponette. Anche il pavimento era in marmo. Gli asciugamani,
invece, erano su un banco di legno accanto alla vasca. Sopra al banco c’era un
grande specchio dal bordo dorato finemente lavorato.
Alicia aprì il rubinetto, e riempì la vasca d’acqua. Poi prese
alcuni asciugamani e li posò sul banco in marmo. Infine si spogliò, ed entrò
nella vasca. Prese una delle saponette dal banco. Solo che, al tatto, quella che
aveva preso non sembrava per niente una saponetta. Era morbida, e un po’
spugnosa. E anche scivolosa, come una saponetta usata. Tanto scivolosa che,
pochi secondi dopo, cadde dalle mani di Alicia, e sprofondò nell’acqua.
Immediatamente, tutta la superficie dell’acqua divenne un
turbinio di bolle, e di schiuma. A Alicia piaceva, aveva sempre adorato la
schiuma. Giocò un po’ con le bolle, poi cominciò a lavarsi.
Si stava passando il sapone sulle braccia, quando sentì
qualcosa. Un cigolio.
La porta si era aperta. Un ragazzo, dall’aria piuttosto
assonnata, fece capolino. Ma non appena vide chi c’era, sgranò gli occhi.
- Aaaaaaaaah!! Che ci fai qui?? – gridò Alicia, fortunatamente
coperta dalla schiuma.
Eragon rimase lì, a bocca aperta.
- Esci subito da qui! – gridò Alicia.
Eragon decise di approfittarne della situazione.
- Beh, a dire il vero… io vorrei proprio farmi un bel bagno… -
cominciò il ragazzo scherzosamente - … insomma… potrei uscire, e aspettare che
tu finisca… oppure… sai… fare anch’io il bagno… - .
- Scemo, idiota e cretino! – urlò lei, a voce ancora più alta,
prendendo una delle saponette e lanciandola contro Eragon. Un centro perfetto,
dritto dritto sulla fronte. La saponetta esplose, ricoprendo il ragazzo di
sapone. Sapone abbastanza urticante per gli occhi, vista la reazione del
ragazzo, che scattò all’indietro, le mani sulla faccia, ormai fuori dalla
stanza.
La visione fece scoppiare a ridere Alicia, che mormorò: -
Harvati hildenol – facendo chiudere la porta ermeticamente.
Ciò non le impedì di sentire la voce di Brom, che da sopra
gridava ad Eragon: - Mai essere troppo audace con le donne, ragazzo mio! - . E
rise ancora di più.
Ringrazio ancora tutti coloro che stanno commentando... siete davvero in tanti, non pensavo che la storia riscuotesse tanto successo!
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Capitolo 5 *** Just a bad dream ***
Cap. 5: Just a bad dream
Dopo essere uscita dal bagno, Alicia scese per fare colazione.
Come arrivò nella sala da pranzo, vide soltanto Eragon, che stava mangiando un
pezzo di pane e bevendo del latte. Lei lo guardò, ancora arrabbiata per quello
che era successo poco tempo prima.
Si sedette, e attese. Era sicura che, in meno di un minuto,
sarebbe arrivato il solito maggiordomo per chiederle cosa volesse, quindi evitò
di chiedere al ragazzo davanti a lei, al quale, peraltro, non aveva nemmeno
intenzione di rivolgere la parola.
Il maggiordomo arrivò, portando con sé latte, pane e miele.
Alicia cominciò a servirsi, proprio mentre Eragon finiva. Il ragazzo si alzò e,
senza una parola, uscì dalla stanza.
Alicia continuò a mangiare, sola. Si meravigliò del fatto che
Brom e Jeod non fossero ancora scesi.
Poco dopo Eragon ritornò, vestito con nuovi abiti. Si schiarì
un po’ la voce, poi disse: - Alicia, Brom e Jeod sono usciti, e ci hanno detto
di fare ciò che vogliamo, dato che saranno assenti per tutto il giorno. Quindi…
beh, uscire per Teirm è sicuramente meglio di restare a ciondolare per casa
–
Alicia annuì. – Va bene – disse.
I due uscirono, in silenzio.
- Sei ancora arrabbiata per stamattina? – domandò Eragon,
mentre camminavano lungo la via principale.
- Oh, no – disse lei, sempre molto seria.
- Beh, da come ti comporti, sembra proprio di si –
Lei fece uno scatto fulmineo, e si parò proprio davanti al
ragazzo.
- Come no – disse, scocciata – entri in bagno mentre sono nella
vasca, e vorresti entrarci anche te! Guarda, sono al colmo della felicità! –
- Scusami… ma tu potevi anche chiudere a chiave! –
- E tu potevi anche bussare, maleducatone! –
- Va bene, scusami… è che mi dispiace litigare con te –
- Come se a me facesse piacere –
- Appunto. Potresti benissimo metterci una pietra su –
- Non saprei, sai? E se questo ti facesse pensare che puoi
ripetere il tuo errore quante volte vuoi? –
- No, no di certo. Prometto –
- Giura! –
- Giuro! –
- Così va meglio – rispose lei, e accennò un sorriso.
Girarono per Teirm tutto il giorno, entrando in qualsiasi
bottega volessero. Pranzarono in una delle tante taverne della città, poi
continuarono la loro visita alla città. Fu solo a metà pomeriggio che decisero
di ritornare a casa di Jeod.
Quando arrivarono nella strada dove abitava Jeod, la loro
attenzione fu attratta dall’insegna dell’erborista.
- Che dici, entriamo? Non mi dispiacerebbe darci un’occhiata –
disse Alicia, avvicinandosi alla porta della bottega.
- Va bene – le rispose Eragon.
Eragon e Alicia entrarono nella bottega. Era molto buia e
polverosa, e i due ragazzi fecero fatica ad orientarsi nella stanza. Dopo un
po’, però, riuscirono a distinguere qualcosa di ciò che li circondava.
Nella stanza vi erano un sacco di strani marchingegni, molte
pergamene e varie bilance. Le pareti erano coperte da grandi scaffali, ciascuno
diviso da cassetti. Su ogni cassetto c’era un disegno, una runa, forse. Al
centro della stanza c’era un bancone, e dietro al bancone una porta, coperta da
un lungo telo rosso.
Mentre osservava il posto, Alicia sentì una voce, dentro la sua
mente.
State attenti, voi due.
Cos’era? Lei ed Eragon, che probabilmente aveva sentito anche
lui la voce, si guardarono intorno, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che
potesse avere la capacità di parlare loro nella mente. Alicia si rivolse subito
verso un grande pappagallo appollaiato su un trespolo lì accanto, ma le bastò
passarci accanto e toccarlo per capire che era imbalsamato.
Poi, nella penombra, vide un gatto. Era più grosso dei gatti
comuni, ed era nero come l’ebano. I suoi occhi rossi scintillavano, mentre si
muoveva verso di loro.
Miagolò sonoramente, e Alicia ed Eragon poterono vedere i suoi
denti: i canini erano molto più sviluppati di quelli degli altri gatti, e
sembravano delle zanne.
Alicia aveva capito di cosa si trattasse. Un gatto mannaro. Ma,
a quanto pareva, Eragon non aveva capito, e si guardava attorno, allarmato.
- Cos’è che sta parlando? – domandò il ragazzo.
- Oh, io lo so. Se tu non lo sai, non è colpa mia – rispose
Alicia.
E così, hai capito cosa sono, disse il gatto.
Si, rispose la ragazza.
Bene… ora dovrò naturalmente sforzarmi per farlo capire anche
al tuo amichetto…
Alicia assistette poi ad una scena estremamente comica: vide
Eragon che, in preda al panico, brandiva una bacchetta di legno. Dopo pochi
secondi, però, la bacchetta emanò una sorta di scossa elettrica, che fece
sobbalzare Eragon e che lo fece cadere a terra, dolorante.
Alicia rise, di gusto e anche molto rumorosamente.
Il gatto, dopo un po’, si avvicinò ad Eragon, e gli saltò sul
petto. Eragon lo guardò, quasi terrorizzato, e si calmò solo quando il gatto
scese.
Intanto Alicia rideva ancora.
- Che hai da ridere? – disse Eragon, un po’ scocciato.
- Ehi, attento a non rivolgerti a me con quel tono di voce –
rispose Alicia, divertita – Potrei arrabbiarmi di nuovo - .
- Beh, almeno, a te l’ha detto come si chiama? –
- No, questo no –
- Si chiama Solembum, comunque. E vedi? Io sono stato tanto
gentile da dirtelo. Se mi fossi comportato come te… -
Le sue parole furono spezzate dal cigolare della porta in fondo
al negozio, dietro il bancone. Il telo si mosse, sventolando, e scoprendo
l’erborista proprietaria del negozio, Angela.
- Salve – disse la donna.
- Salve – risposero Eragon e Alicia.
- Vedo che stavate parlando con Solembum –
Entrambi annuirono.
- Vi trova simpatici. Dice che tu, ragazza, sembri molto
sveglia e perspicace, e che tu, ragazzo, seppure un po’ zuccone, hai molto da
dimostrare. Dice che entrambi farete strada. Ah, e mi ha detto chi siete, anche
se voi non gliel’avete detto. Perciò, cari Eragon e Alicia, cosa siete venuti a
fare qui? Volete dare un’occhiata, o volete qualcosa di preciso? – disse
Angela.
- Oh, non vogliamo nulla di particolare, solo dare un’occhiata.
Non ci servono erbe – disse Alicia.
- Oh, ma io non vendo solo erbe! Cioè, si, anche e soprattutto
quelle, ma, su richiesta, posso anche predirvi il futuro. Se volete, non avete
che da chiedere –
- Oh… beh… non so che cosa potrai vedere nel nostro futuro… ma
comunque… proviamo… cosa ne dici, Alicia? – disse Eragon.
- Va… va bene… - rispose la ragazza.
- Sicuro – disse Angela – vi predirò il futuro, ma uno per
volta. Cominciamo da te, Eragon? Bene. Vieni di là, nel retrobottega. Tu aspetta
qui, Alicia - .
Angela si trascinò dietro Eragon, e lo condusse al di là della
porta dietro il bancone.
Eragon ritornò. Aveva un’aria un po’ strana. Chissà cosa deve
avergli detto, pensò Alicia.
- Ora tocca a te, Alicia – disse Angela, sbucando fuor dalla
porta.
Alicia entrò nella stanza, un po’ tremante.
Era entrata in una sorta di anticamera; una piccola stanza con
un tavolino e due sedie. C’era un forte profumo d’incenso, che bruciava in una
specie di lanterna appesa al soffitto.
- Siediti – disse Angela.
Alicia obbedì. Dopo poco tempo si sedette anche Angela. Aveva
in mano un sacchetto di cuoio.
- Sono ossa di drago, e sono molto potenti. E, soprattutto,
sono sicure. Bello o brutto che sia, quello che ti dirò sarà davvero il tuo
destino – disse la donna, indicando il sacchetto. Alicia annuì.
Allora Angela aprì il sacchetto, e gridò: - Manin! Wyrda!
Hugin! - . Poi lanciò il contenuto del sacchetto sul tavolo. Le ossa
scintillavano.
- Bene… molto bene…. Questa lettura non sarà troppo facile,
vedo… ma nemmeno troppo complicata. Vedi questo simbolo? Rappresenta il viaggio.
Un lungo viaggio, vedo, senza stabilità. Non riesco a capire se il viaggio sarà
eterno, o solo molto lungo… avrai una vita lunghissima, o quasi eterna, ma non
totalmente felice… affronterai un periodo di sofferenze molto intense… che non
so come, quando e se terminerà… il teschio… ahi, brutto segno… qualcuno che ami
farà una scelta sbagliata, che ti causerà una forte sofferenza…. Ecco, poi, il
cuore, la spada e la corda… amerai qualcuno, prima o poi… qualcuno che ti sarà
molto vicino, in quel momento. Soffrirai a lungo per quest’amore, per lui
rimpiangerai qualcosa che non hai fatto, e combatterai strenuamente per
abbattere ogni ostacolo all’unione dei vostri cuori. Per questo, penserai anche
di combattere qualcuno che, invece, non farà altro che aiutarti.
Poi, un’ultima cosa. Ecco, vedi? Il libro… segno del passato e
della memoria… e la lacrima, segno del dolore… scoprirai il passato di qualcuno
a te molto vicino e molto caro, ma non ti piacerà –
Alicia sospirò. Se quello era il suo destino… l’avrebbe
accettato.
- Ecco, ho finito – disse Angela – puoi andare - .
Alicia salutò la donna, poi ritornò nella bottega. Eragon la
stava aspettando, il volto ancora molto pensieroso.
- Finito? – disse lui.
Alicia annuì. Non aveva molta voglia di parlare.
I due ritornarono a casa di Jeod, percorrendo il tragitto in
silenzio. Bussarono alla porta, e fu Jeod stesso ad aprirla.
- Bentornati – disse, facendoli entrare.
Li condusse poi nel suo studio, dove ad attenderli c’era anche
Brom.
- Beh, com’è andata la vostra giornata? – domandò Alicia.
- Malissimo. L’amministratore ai commerci non ci ha accordato
il permesso a guardare nei registri. Ha addirittura rifiutato il sacchetto di
monete che stavo per dargli, pensa – rispose Brom, piuttosto alterato.
- E ora, cosa faremo? – domandò Eragon.
- Credo proprio che dovremmo fare da noi, sai? Intanto ti
insegnerò a leggere, poi vedremo - .
Scesero a cena, nella sala dove, qualche ora prima, avevano
fatto colazione. Mangiarono con Helen e Jeod, ma sembrò che tutta la naturale
allegria di Jeod fosse svanita in presenza della moglie.
Mangiarono in silenzio, scambiandosi ogni tanto qualche
sguardo. Jeod parve piuttosto imbarazzato, ma non ebbe il coraggio di rompere il
silenzio.
Fu un sollievo per tutti quando Jeod si alzò dal tavolo.
Brom, Eragon e Alicia non esitarono ad imitarlo, e salirono
nelle loro stanze. Dopo essersi augurati la buonanotte, i tre si chiusero
ciascuno nella propria camera.
*
Alicia si cambiò, e si avvicinò al lavabo, che, nonostante la
presenza del bagno nella casa, era comunque presente. Si lavò la faccia. Il
contatto della sua pelle con l’acqua le fece venire un’idea.
Chiuse a chiave la porta. Non voleva rischiare. Sapeva che
forse quello non era il momento giusto per farlo, ma la sua curiosità era troppo
alta.
Alzò il palmo sinistro, e lo diresse verso l’acqua.
- Draumr kòpa – disse, indirizzando i suoi pensieri verso sua
sorella, Kristen.
L’acqua si mosse leggermente, poi cominciò a cambiare colore.
Sembrò come se quell’acqua fosse appena stata usata per dipingere ad acquerello.
Poi i colori si riordinarono.
Alicia vide sua sorella, a cavallo. Accanto a lei stava
un’altra persona, che però Alicia non potè identificare, ma che vide solo come
una sagoma scura. I due si trovavano vicino ad un enorme edificio scuro, dove
sicuramente Alicia era già stata, vista la chiarezza dell’immagine.
Kristen e l’altra persona confabulavano tra loro. Poi Alicia
vide Kristen che scagliava qualcosa verso l’alto.
Alicia pensò di aver visto abbastanza. Diresse il suo pensiero,
invece, verso suo fratello Almayer.
L’immagine cambiò. Stavolta mostrava un bambino, seduto sul
pavimento di una cella.
Alicia riconosceva quella cella. Era quella dove anche lei era
stata rinchiusa.
Il bambino, Almayer, aveva una strana espressione in volto. Una
sorta di inquietudine, di preoccupazione. Non paura, no. Alicia sapeva bene che
suo fratello era molto coraggioso, e che non si sarebbe mai perso d’animo.
Poi, l’espressione del bambino cambiò. Una sorta di sorpresa
attraversò il suo volto. Almayer si voltò verso la finestrella della cella, e si
alzò.
Alicia cominciò a sentire le sue energie andarsene, ma, prima
di interrompere l’incantesimo, voleva vedere anche sua madre. Quindi, pensò a
lei.
L’immagine cambiò di nuovo.
Vide sua madre, Eloisa. I suoi abiti erano ormai ridotti a
brandelli, ed era molto più magra di prima. Ma, sicuramente, non aveva perso
l’energia. La donna si trovava nella sala del trono di Galbatorix, ed era
trattenuta da due guardie. Galbatorix parlava con lei, e lei rispondeva,
urlando, sicuramente di rabbia. Poi Galbatorix mosse la mano, e disse qualcosa
alle guardie. Queste portarono via la donna, dirigendola verso una stanza lì
accanto.
Alicia interruppe l’incantesimo, respirando profondamente. E
così almeno sapeva come stavano le persone a lei più care. Ora il bello era
sapere chi fosse la persona che era con Kristen, cosa avesse provocato tanto
stupore in suo fratello, e che cosa si fossero detti sua madre e Galbatorix.
Ma decise che quello non era il momento di pensarci. Si infilò
sotto le coperte, e si addormentò.
*
Alicia stava sognando. Stava volando con Zelda, ed era immersa
nell’oscurità. Sentiva un forte clangore di armature, e forti grida strazianti.
Ogni tanto vedeva delle luci, come se fossero stati accesi dei fuochi. Udiva
grida di battaglia, forti e chiare. Lei stessa, così come Zelda, indossava una
pesante armatura.
Poi Zelda atterrò, e nel momento esatto in cui toccava terra,
una forte luce colpì gli occhi di Alicia. E vide Eragon, davanti a lei, che
brandiva una spada. Combatteva contro un’ombra scura, che contrastava la luce
abbagliante. Ad un certo punto, però, Alicia vide l’oscurità colpire il ragazzo,
proprio sulla schiena, e un dolore lacerante le colpì il cuore. Scese da Zelda,
urlando disperata. Cadde in ginocchio, accanto al ragazzo. Non avvertì il dolore
alle ginocchia causato dalla caduta. Sentiva soltanto quel dolore tremendo al
cuore, che non le dava pace. Prese la mano del ragazzo, mentre continuava ad
urlare….
Alicia si svegliò di soprassalto. Urlava e piangeva, ancora
prigioniera del suo incubo. Il dolore al cuore era ancora lì, ma si stava
lentamente affievolendo. Piano piano stava rientrando nella realtà. Perché aveva
reagito così? Lei voleva bene ad Eragon, ma… era troppo….
Qualcuno bussò alla porta. Alicia, ancora sconvolta e piuttosto
tremante, si alzò, e aprì. Davanti a lei c’era Eragon, che reggeva una
candela.
- Che succede? – chiese, allarmato. – Ti ho sentita urlare, e
sono venuto per vedere se era tutto ok - .
- Si, tutto bene. Ho solo… ho solo fatto un brutto sogno, tutto
qui – rispose lei.
- Anche tu hai avuto un sonno agitato? – domandò Eragon.
- Perché, anche tu hai fatto un brutto sogno? – disse
Alicia.
- Non proprio, ma non è stato nemmeno piacevole… beh, ti va di
scendere e parlarne davanti ad una tazza di tè? - .
- No, grazie, Eragon. Preferisco dormire un altro po’. E non
preoccuparti - .
- Va bene. Beh, buonanotte – disse lui, poi chiuse la
porta.
Alicia ritornò a letto. Non sapeva nemmeno perché avesse
rifiutato quell’invito. Forse per quel sogno. Ma dai. Dopotutto era solo un
sogno. Ma era così vivido, e così forte…. O forse era perché era ancora un po’
arrabbiata con lui per gli avvenimenti di quella mattina. Si, forse era per
quello. |
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Capitolo 6 *** Gone Away ***
Ora... cambio di
scenario!
Cap. 6: Gone Away
Era mattina presto, e Kristen si stava preparando per uscire di
casa. Da quando aveva lasciato Urù’baen viveva a Yazuac, un piccolo paesino a
nord. Era felice di essersi trasferita. Meglio vivere in quel piccolo paesino,
piuttosto che restare in quella grande città. Aveva tentato di convincere la
madre e la sorella a seguirla, ma loro avevano rifiutato, avevano preferito
restare in città con suo padre, Glenwing. Lei, però, aveva preferito andarsene
senza di loro. E ora viveva lì, in quella casupola di Yazuac.
In quel momento si stava preparando per uscire. Doveva andare a
Daret, a far visita ad una sua vecchia amica.
Si vestì, poi uscì dalla sua stanza. Nella sala da pranzo
c’erano una donna, e un bambino.
La donna si chiamava Michelle, ed era alta e magra. Sembrava
molto giovane, in realtà aveva circa l’età della madre di Kristen, Eloisa. Suo
marito era morto tanti anni prima, in circostanze misteriose. Michelle aveva
accolto Kristen quando era arrivata, e da allora lei e suo figlio avevano
cercato in tutti i modi di farla sentire a casa.
Il bambino, figlio di Michelle, si chiamava Francis, e aveva
circa tre anni. In quel momento scorrazzava attorno al tavolo, mentre la madre
preparava la colazione.
- Buongiorno Kristen – disse Michelle – ecco la colazione -
.
Kristen prese la ciotola di latte che Michelle le porgeva, si
sedette, poi bevve, accompagnando il latte con dei biscotti fatti in casa. Ogni
tanto Francis si avvicinava al tavolo, e prendeva un biscotto dal vassoio. La
madre lo guardava, torva.
- Ne hai già mangiati abbastanza prima, Francis – gli
disse.
- Ma no, lascialo fare – disse Kristen, baciando il bimbo sulla
fronte e porgendogli un altro biscotto.
Kristen finì di mangiare, poi si alzò dal tavolo.
- Quanto resterai via? – chiese Michelle.
- Dovrei essere di ritorno stasera. Non preoccupatevi. Non sto
certo partendo per la guerra – rispose Kristen.
- No, ma di questi tempi… sai, è sempre pericoloso mettersi in
viaggio, ormai - .
Kristen riusciva a capire Michelle. Del resto, il mistero della
morte di suo marito stava nel fatto che lui era partito, e mai più tornato. Dopo
un paio di giorni, però, un contadino del posto ne ritrovò il cadavere, vicino
al paese, e aveva dato l’allarme. Quindi era piuttosto naturale la
preoccupazione di Michelle.
- Non preoccuparti – continuò Kristen – so badare a me stessa -
.
- Posso venire con te? – strillò Francis a Kristen, beccandosi
un’occhiataccia da parte della madre.
- No, meglio di no, Francis. Il mio cavallo non può portarci
tutti e due – rispose Kristen.
Michelle sorrise. – Allora, a dopo – disse, mentre Kristen
usciva.
Kristen chiuse la porta della casa, e si diresse verso la
piccola stalla. Si diresse verso il suo giovane cavallo, Zoccolodiferro, e lo
sellò. Poi ci montò sopra e, cavalcando, uscì dalla città.
*
Kristen tornò soltanto verso sera. La sua amica era stata molto
felice di vederla, tanto da riempirle la bisaccia con pane, dolci e,
addirittura, un pezzo di carne secca e una bottiglia di vino. Michelle sarà
contenta, pensò Kristen, mentre entrava in città.
Uno strano presentimento la invase. La città era troppo
silenziosa. Nonostante fosse sera, e tutti sicuramente fossero a casa, quel
silenzio era innaturale, quasi tetro. Le luci delle case erano accese, ma
sembrava che nessuno fosse dentro. Kristen continuò ad andare avanti, fino ad
arrivare al centro della città. Quando arrivò nella piazza centrale, non potè
fare a meno di urlare. Lo spettacolo che si presentava davanti a lei… era
terribile….
Davanti a lei stava un mucchio di cadaveri, ancora gocciolanti
di sangue. Al centro del mucchio era piantata una lancia, dove era conficcato un
altro cadavere. Smontò da cavallo, tutto il suo essere scosso da una muta
disperazione. Si avvicinò a quel mucchio di cadaveri, e osservò di nuovo quello
conficcato nella lancia. Era Francis. Francis, il bimbo che qualche ora prima le
aveva chiesto se poteva andarsene con lei. L’avesse portato via con sé….
Kristen cadde in ginocchio, il volto sepolto tra le mani,
invasa dalla più tremenda disperazione. Riconobbe altre persone: Michelle, il
fornaio, l’oste, il medico, la guaritrice… tutti i paesani. E nessuno mostrava
la minima scintilla di vita. Tutti morti. Ma cosa, o chi aveva potuto uccidere
tutte quelle persone, avere soltanto il coraggio di alzare un’arma contro
qualcuno, contro un uomo, una donna, un bambino?
Urgali, pensò Kristen. Solo creature come quelle, senza un
cervello e senza un’anima, avrebbero potuto compiere un’azione simile senza
apparente motivo. Cosa avevano fatto i paesani per meritare una morte simile?
Nulla. Vivevano in pace, lontani dal trambusto delle città, e ancor più lontani
dalle intricate e complesse faccende riguardanti il potere.
Ma ora, un altro pensiero si fece largo nella mente di Kristen.
Dove andare? Cosa fare? Ormai era rimasta sola, e non poteva restare lì.
Qual’era la cosa più logica da fare?
Kristen lo sapeva, sapeva la risposta a quella domanda, anche
se non aveva effettivamente voglia di farlo. Sarebbe dovuta ritornare a
Urù’baen, e ricongiungersi ai suoi genitori e ai suoi fratelli.
E sapeva che, anche se non l’avesse voluto, sarebbe stato
quello il suo destino. Tutta colpa di quell’antica magia, quella regola antica
che nessuno era mai riuscito ad eludere… quella stupida legge di
Galbatorix….
Quando Galbatorix prese possesso di Urù’baen, ordinò, per mezzo
della magia, che chiunque abitasse o nascesse ad Urù’baen non potesse andare a
vivere stabilmente da nessun altra parte. In molti avevano provato ad andarsene,
ma senza successo; prima o dopo tutti erano ritornati in quella maledetta città.
E ora toccava anche a lei… sarebbe dovuta ritornare….
Però, se proprio doveva farlo, doveva anche muoversi:
sicuramente quel luogo non era più sicuro, e lei, sfortunatamente, non aveva
armi con sé. E, anche se le avesse avute, non avrebbe saputo maneggiare qualcosa
di più di un pugnale. Decise che almeno quello poteva permetterselo, e, suo
malgrado, entrò nella bottega del fabbro, deserta, per prenderne uno. Così fece,
poi uscì di nuovo.
Accarezzò Zoccolodiferro, poi ci montò sopra, e uscì,
galoppando, dalla città.
*
Kristen galoppava, diretta verso sud, verso Urù’baen. Il
raggiungere la città non era una cosa che la entusiasmava più di tanto, ma
sapeva che avrebbe dovuto fare così. Ma al momento non doveva pensarci. Prima di
vedere Urù’baen, sarebbero trascorse settimane di viaggio, e Kristen immaginava
che non sarebbero stati giorni piatti come i primi dieci minuti. Quindi, avrebbe
certamente avuto tante altre cose a cui pensare.
Prima di tutto, avrebbe dovuto trovare un posto per passare la
notte, e dove rifornirsi di viveri. Purtroppo non vi erano altre città nei
paraggi, quindi si sarebbe rassegnata a dormire all’aperto. Per quanto
riguardava i viveri, sarebbe tornata dalla sua amica, a Daret. Era l’unica cosa
possibile, al momento.
Arrivò il momento di fermarsi. Kristen tirò fuori due pietre
focaie, e le usò per accendere un piccolo fuoco bruciando delle sterpaglie.
Infine si stese per terra e, tentando di non pensare a quanto fosse duro il
terreno e al fatto che potessero attaccarla da un momento all’altro, si
addormentò.
Si risvegliò che era già mattino; anche se l’alba era passata
da poco. Con gli occhi un po’ assonnati, Kristen cercò nella sua borsa qualcosa
da bere e da mangiare. Ricordò a se stessa di ringraziare ancora una volta la
sua amica per i doni del giorno prima, in quanto in quel momento erano le uniche
cose commestibili che possedeva.
Finì di mangiare e, piuttosto rinvigorita, Kristen si rimise in
viaggio. Arrivò a Daret verso mezzogiorno.
Kristen attraversò a cavallo la città, poi giunse alla casa
della sua amica. Il suo nome era Isolde, ed era la figlia di uno dei funzionari
più potenti ed influenti della città. Abitava in una grande villa nella
periferia della città. Kristen lasciò il cavallo nel grande cortile della casa,
poi bussò.
Ad aprire fu Isolde.
- Ciao, Kristen! Come mai sei di nuovo qui? – disse la
ragazza.
- Ho avuto qualche problema in paese. Ma forse è meglio che non
te ne parli qui, per strada – rispose Kristen.
- Si, hai ragione… forse è meglio entrare – disse Isolde, e
condusse Kristen dentro casa.
La sala dove erano entrate era enorme; era il salone della
casa. Il pavimento e le colonne erano in marmo bianco, e una lunga scala di
ferro battuto portava ai piani superiori. Isolde fece accomodare Kristen sul
grande divano bianco al centro della stanza.
- Allora, raccontami tutto – disse Isolde.
Kristen le raccontò tutto, di come era tornata in paese e di
ciò che aveva visto. Isolde assunse un’espressione inorridita e sorpresa.
- Fortuna che eri qui, Kristen – disse ancora Isolde.
- Già… grazie per avermi invitata, e grazie anche per i doni
che mi hai fatto… anche se non ho viaggiato molto, per ora, sono state le uniche
cose che ho potuto mangiare – rispose Kristen.
- Oh, di niente. Piuttosto, ora cos’hai intenzione di fare?
–
- Tornerò dai miei parenti, ad Urù’baen –
- Davvero? Ma non è pericoloso? –
- Si, ma la mia famiglia è l’unico punto di riferimento che ho,
per ora. A parte questa casa, ma non posso stare qui in eterno –
- Quando hai intenzione di ripartire? –
- Domani, sicuramente. Resto qui giusto il tempo per
rifornirmi, poi me ne vado. Mi fermerò a Gil’ead, credo, poi andrò dritta verso
Urù’baen. E dovrei arrivarci tra tre settimane, Urgali permettendo –
- E come farai? Non possiedi armi. Il tuo viaggio è una pazzia
–
- Lo so. Ma anche se avessi qualche arma, non saprei come
usarla –
- Capisco. Ma devi per forza viaggiare? –
- Si. Anche stare qui non sarebbe sicuro. Come hanno fatto una
strage a Yazuac, potrebbero farla anche qui –
- Ma… allora, il popolo? Come si fa? Non si può far spostare
un’intera città senza dare nell’occhio –
- Beh, un’intera città no. Tu puoi venire con me, anche se non
saprei cosa fare per la tua famiglia –
- Mio padre è partito, assieme a mia madre. Non torneranno
prima di domani. E comunque, senza offesa, non voglio viaggiare fino ad
Urù’baen. È sempre molto pericoloso. Ma potrei fermarmi a Gil’ead. C’è una mia
zia, lì. Potrei andare da lei, e starci un poco –
- E per i tuoi genitori? Come farai? –
- Lascerò loro un messaggio. Dirò loro di raggiungermi a
Gil’ead –
- Va bene. Ti lascerò a Gil’ead, allora – rispose Kristen.
- Perfetto. Ora vado a preparare la borsa, poi partiamo subito
– disse Isolde.
- Sei sicura? In fondo non ti sto costringendo –
- Non preoccuparti. Erano mesi che stavo attendendo
quest’occasione per lasciare la monotonia di questa città. Non potrà farmi che
bene –
- Si, ma se veniamo attaccate? Cosa faremo? –
- Ah, ma allora il pericolo sarebbe per entrambe. Tanto vale
che anche tu resti qui. E ora fammi preparare la borsa. Preferirei partire
subito – disse Isolde, e sparì su per le scale.
Kristen si accasciò sul divano. Ma cos’aveva in testa quella
ragazza? Di certo non si sarebbe aspettata quella reazione da lei. Aveva pensato
che avrebbe rifiutato di lasciare casa sua, che non avrebbe avuto voglia di
viaggiare. E invece no. Voleva scappare dalla monotonia, cercare la morte.
Almeno lei, Kristen, era stata costretta a scappare. Invece Isolde no. E fortuna
che non aveva accettato di raggiungere Urù’baen, altrimenti Kristen avrebbe
pensato che fosse seriamente impazzita.
Isolde ritornò poco dopo.
- Siamo pronte? – disse, con tono serio.
- Si. Andiamo – rispose Kristen.
Le due ragazze uscirono dalla casa, e Isolde si diresse verso
un grande capanno sul retro della casa. Da lì ne uscì con un bellissimo cavallo
bianco.
- Ti presento Codazzurra - disse Isolde, indicando il
cavallo.
Kristen sorrise. Era davvero un bell’animale.
Lei e Isolde poi montarono sulle proprie cavalcature, e
uscirono dalla città.
*
- Tra quanto tempo dovremmo arrivare a Gil’ead? – domandò
Kristen.
- Domani, spero. Ho fatto questo tragitto altre volte, e non ci
ho mai impiegato più di una giornata - rispose l’altra.
Stavano cavalcando da ormai due ore, e il paesaggio era sempre
lo stesso: erba, alberi e campagna. Non un villaggio, o nemmeno un’abitazione, o
anche soltanto un’anima viva, a parte qualche animale selvatico. Le due giovani
stavano cominciando a spazientirsi, e volevano incontrare qualcuno che potesse
perlomeno parlare con loro. Certo, erano in due, e parlavano tra di loro, ma non
era rimasto molto da dirsi.
Arrivò la notte, e le due dovettero fermarsi per strada.
- Cosa facciamo? È arrivata la notte, e non abbiamo neppure una
coperta per ripararci! – disse Isolde, allarmata.
- Semplice. Accendiamo un fuoco, e dormiamo per terra. È ciò
che ho fatto io ieri notte – rispose Kristen.
- Cosa? Dormire per terra? Io… non credo… - .
Ecco, pensò Kristen, la sua vecchia amica Isolde era tornata.
Insomma, Isolde era ricca, e poco abituata a trascorrere la notte all’addiaccio.
Kristen era ormai abituata a vivere in un ambiente povero e semplice, perciò non
si preoccupava più di tanto.
- Su, fatti coraggio. Sarà solo per questa notte, giusto? Poi,
quando sarai a Gil’ead, dormirai in un letto caldo e comodo. Ma ora, aiutami ad
accendere il fuoco – le disse Kristen.
Isolde fece prima una faccia inorridita, come se l’idea di
dormire per terra le facesse incredibilmente schifo, poi si rassegnò, sbuffò e
aiutò Kristen ad accendere il fuoco.
Qualche minuto dopo un mucchio di sterpaglie bruciava sotto i
loro occhi.
- Sarà abbastanza caldo? – chiese Isolde.
- E dai… non morirai mica di freddo! – le rispose Kristen,
scherzosamente.
- Sicura? –
- Certo! Cosa credi, che il fuoco accanto a cui ho dormito ieri
fosse molto più caldo? E, come puoi ben vedere, sono ancora viva e sana come un
pesce! - .
Queste ultime parole bastarono a convincere Isolde, che disse:
- E va bene - , poi si stese per terra, e chiuse gli occhi. Kristen la imitò, e
si addormentò.
Il giorno dopo Kristen si svegliò all’alba. Vide che Isolde
ancora dormiva. E dire che nemmeno voleva addormentarsi, pensò Kristen. Si
avvicinò all’amica addormentata. Stava proprio dormendo della grossa…. Doveva
trovare un modo per svegliarla che la tenesse vigile e che le impedisse di
assopirsi a cavallo… qualcosa di molto forte….
Si guardò intorno, e, spostandosi un po’ dai resti del fuoco,
trovò una piccola sorgente d’acqua. Allora prese dalla bisaccia la bottiglia che
la stessa amica le aveva dato, e la riempì d’acqua. Poi si avvicinò all’amica
addormentata, e le buttò addosso tutta l’acqua della bottiglia.
- Ma che, sei matta? – strillò Isolde, svegliandosi di
soprassalto, il vestito bianco tutto bagnato, i capelli biondi che le si
appiccicavano al viso grondante d’acqua.
Kristen rise.
- Non c’è nulla da ridere! Mi beccherò anche un malanno, per
questa doccia… - continuò Isolde, cercando di scrollarsi via l’acqua.
- E dai… ti asciugherai a cavallo… -
Isolde sospirò, poi sorrise.
- Hai la mia salute sulla tua coscienza – disse,
scherzosamente, poi montò a cavallo.
Kristen fece lo stesso, poi le due ripartirono.
*
Videro Gil’ead soltanto dopo il tramonto. Gil’ead era una
grande, popolosa città. Kristen, che ormai si era disabituata alle dimensioni di
Urù’baen, guardò stupita quell’enorme gruppo di case e palazzi.
E fu ancora più stupefacente quando entrarono: ormai la notte
stava scendendo, e luminosi fuochi venivano accesi all’esterno delle case.
Uomini, donne e bambini vociavano per strada. Ogni singolo abitante fissava le
due nuove arrivate, e il fatto che fossero a cavallo non aiutava certo a farle
passare inosservate.
- Dov’è casa di tua zia, Isolde? – domandò Kristen, piuttosto
ansiosa di raggiungere un ambiente chiuso e con un numero limitato di persone
dentro.
- Mia zia abita proprio qui vicino. La sua casa è lì, in quella
via a destra – rispose Isolde, e passò davanti all’amica per farle da guida.
In breve arrivarono davanti ad una grande casa. Non sembrava
un’abitazione di gente ricca, ma senza dubbio non era nemmeno di un contadino.
La casa aveva un piccolo cancello, che dava su un cortile pieno di erba e varie
piante. E poi, proprio in mezzo al giardino, stava la casa.
Nel cortile stava giocando un bambino. Reggeva in mano un
cavallino di legno, e si divertiva a muoverlo per tutto il giardino. Ma, al
sentire gli zoccoli dei cavalli delle due ragazze avvicinarsi, decise di
prestare attenzione alle copie viventi del suo giocattolo.
Accanto a lui stava una donna sulla quarantina, che guardava
sorridente il bambino che giocava.
- Mamma, mamma! È arrivata Isolde! – gridò il bambino alla
donna.
La donna voltò il suo sguardo verso i due cavalli che si
stavano avvicinando, e riconobbe la nipote. Il suo sorriso si allargò ancora di
più, mentre andava ad aprire il cancello alle due ospiti.
Kristen e Isolde entrarono con i cavalli, e si fermarono al
centro del cortile.
Non appena Isolde scese dal cavallo, corse ad abbracciare la
zia e il cugino.
- Kristen, questi sono mia zia Lisa e mio cugino Mish – disse
Isolde, presentando all’amica gli altri due.
- Molto piacere – disse Kristen, stringendo la mano alla donna
e facendo una carezza al bimbo.
- Mi fa molto piacere, Isolde, che tu sia venuta. Ma ora,
entriamo tutti dentro, così parliamo un po’ davanti ad una tazza di tè caldo –
disse zia Lisa, poi vide gli abiti sgualciti ed ancora umidicci di Isolde, e
disse: - Isolde, cosa è successo? Sei tutta bagnata –
- Niente, zia… ti racconto come entriamo –
- Ma poi cambiati! –
Kristen, Isolde, la zia e Mish entrarono dentro la casa.
L’ambiente era caldo ed accogliente, e proprio nella stanza d’ingresso stava un
piccolo camino acceso con davanti tre piccole poltrone.
- Accomodatevi – disse la zia, indicando le poltrone.
Le ragazze si sedettero, mentre Lisa preparava delle foglie di
tè in una piccola teiera.
- Allora, Isolde – continuò Lisa, mettendo la teiera sul fuoco
– come mai sei qui? E come mai hai portato con te anche la tua amica? –
Isolde cominciò a raccontare alla zia tutto ciò che era
successo, lasciando però alcune parti del racconto a Kristen, che aveva vissuto
in prima persona tutta la faccenda.
- E così – disse Lisa a Kristen – vorresti andare ad Urù’baen?
–
- Si, Lisa. Ho intenzione di partire domani mattina, dopo
essermi rifornita di viveri –
- Ragazza mia, è troppo rischioso. Una donna, sola, a fare un
viaggio che nemmeno un soldato oserebbe fare, per raggiungere cosa? La città del
nemico –
- E dove vive la mia famiglia. Ho intenzione di ricongiungermi
alle persone che mi sono più care –
- Ma così non farai altro che metterti in pericolo! Hai visto
tutto quello che hanno fatto nel tuo paese? figuriamoci cosa potranno fare se
sapranno che sei sopravvissuta! –
- Non m’importa. Uniti si vince, dice un detto. E se mi riunirò
alla mia famiglia, senza dubbio sarò più forte che non qui. Mio padre è un elfo,
è capace di proteggere me, mia madre, mia sorella e mio fratello –
- E così, sei una mezzelfo, giusto? Allora perché sembri così…
umana? – domandò il bambino, che fino a quel momento era rimasto zitto. La madre
lo fulminò con lo sguardo.
- Perdonalo, Kristen… è solo un bambino, non sa che dice… -
- Non preoccuparti, Lisa. Mish, io si, sono una mezzelfo, ma
evidentemente ho preso più da mamma… e poi, anche la vicinanza al mondo elfico
conta molto. Io non sono mai stata molto vicina a mio padre, nonostante io gli
voglia un mondo di bene. Lui si occupava di armi, di poemi… da lui ho imparato
solo le nozioni fondamentali, come saper leggere e scrivere, e come maneggiare
un pugnale, ma null’altro. Quella che trascorre molto tempo con lui è mia
sorella. Ha soltanto tre anni in meno di me, ma è una spadaccina formidabile, e
ha letto un sacco di poemi elfici. Lei si che sembra una mezzelfo… anche
fisicamente – rispose Kristen, mentre Mish la guardava, rapito.
- Bene, una mezzelfo… sei proprio a posto, Kristen… se ti
trovano e scoprono chi sei, sono guai! Ma se vuoi partire, fai pure. Tu, Isolde…
non mi dire che parti anche tu! – disse Lisa.
- No, zia. Resterò un po’ con te, qui, almeno finchè le acque
non si saranno un po’ calmate… -
- Brava, nipotina mia… anche se non so se Gil’ead resterà
sicura a lungo… ogni tanto qualche ufficiale passa di qua, per riferire messaggi
da parte del re… e non sembrano affatto messaggi per cui gioire –
- Per esempio? – domandò Isolde.
- Per esempio… il re ha ordinato che tutti gli uomini che siano
capaci di brandire una spada o una qualsiasi arma siano arruolati nell’esercito.
Perché credi che tuo zio non sia in casa, ora? È appena partito, e potrebbe non
tornare mai più – rispose la zia.
- Mi dispiace – disse Kristen.
- Ah, e poi… ti ricordi, Isolde, quel castello, appena fuori
dalla città? –
- Si, zia. Mi ricordo anche che mi avevi detto che un giovane
vi si era rifugiato, e non ne aveva fatto più ritorno –
- Giusto, nipotina. Ebbene, mentre le mura fino a qualche
settimana fa erano grigie come l’acciaio, ora sono diventate nere come la
fuliggine. E spesso si sentono strani rumori provenire da lì. Non so cosa stia
succedendo dentro quel castello, ma credo che non sia nulla di buono - .
- Chissà… solo entrando nel castello si potrebbe capire… -
disse Isolde.
- E toglietevi dalla testa di poterlo fare! Tra te, Kristen e
Mish non so più come fare per dissuadere la gente dall’essere imprudente! –
- Ma infatti non stavo pensando di farlo – rispose Isolde.
- E dico bene, ragazza! L’aspetto di quel posto mi dice proprio
che non faresti in tempo a mettere un piede oltre il portone che saresti già
cibo per cani! –
Kristen dovette ammettere che aveva ragione. Qualunque cosa si
aggirasse da quelle parti, non sembrava molto rassicurante. E se avesse
raggiunto la città? La ragazza cominciò a pensare che dopotutto l’idea di
raggiungere Gil’ead non fosse stata poi tanto geniale.
- Meglio che nessuno di noi si occupi di queste faccende. Del
resto, nessuno è ancora stato aggredito… e immagino che, nel caso qualcuno
andasse a sbirciare, la… cosa… che c’è là dentro non sarebbe molto contenta…
meglio che nessuno vada, se non vuole diventare la rovina della città! –
continuò Lisa.
- Hai ragione, zia, hai ragione. Meglio lasciare la situazione
così piuttosto che peggiorarla cercando di migliorarla –
- Che giro di parole, cugina! A Daret si imparano tutte queste
parole? – disse Mish.
Isolde sorrise alla domanda del cugino.
- Si. Un giorno, se vieni, ti insegno tutto – disse la
ragazza.
- No, non voglio. Sa troppo da grandi – replicò Mish.
- Infatti è da grande che imparerai a parlare così. Ma ora, a
quest’età, i bambini devono imparare che questa è l’ora di dormire, vero Mish? –
disse Lisa, che d’improvviso parve ansiosa di mandare a dormire il bambino.
- Ma mamma… io vi voglio ascoltare! –
- No, Mish. A letto –
- Uff… almeno accompagnami! - .
La donna finse di sbuffare, e uscì dalla stanza insieme al
bambino.
Kristen e Isolde rimasero sole.
- Sei sicura di voler restare qui? – fece Kristen.
- Si, Kristen. Del resto, non è più pericoloso di continuare il
viaggio con te. E poi, mica devo stare qui in eterno! –
- Hai sentito? Stanno arruolando uomini per la guerra! Capisci,
la GUERRA! Arriverà prima o poi anche qui, e distruggerà tutto! Devi andartene
–
- No, Kristen. Secondo la tua idea, non basterebbe che io ti
segua! –
- Ah, no? –
- No, Kristen. Anche se io me ne andassi, resterebbero ancora
migliaia di innocenti che meriterebbero di vivere. E allora, cosa fai, cerchi di
convincere tutta Gil’ead a seguirti? La maggior parte di questa gente è
ignorante, non sa che le battaglie che verranno combattute da questi uomini
potrebbe toccarla da vicino. Pensano che siano battaglie lontane… e inoltre,
dato che questi uomini stanno combattendo per l’Impero, molte donne pensano di
essere al sicuro, qui… ma non sanno che, dopo o durante la guerra, Galbatorix
cercherà di annientarli comunque –
- Quindi, resti? –
- Si, Kristen. Se resto qui, con ogni probabilità morirò… ma
almeno sarò vicino a mia zia, a mio cugino… se scappo, penseranno che non voglia
loro bene… intanto, morire qui o morire a Urù’baen è la stessa cosa… -
- Va bene. Rispetto la tua decisione, Isolde –
- Mi mancherai, Kristen –
- Anche tu, Isolde – .
Lisa ritornò.
- Accidenti, Mish non voleva proprio dormire… - disse la
donna.
- I bambini… sono sempre così – disse Kristen.
- Me ne sono resa conto – disse Lisa – Ma… beh, cosa avete
deciso? –
- Io me ne vado, domani – disse Kristen – ma Isolde resterà qui
- .
- Bene – disse Lisa, guardando la nipote. Poi si rivolse di
nuovo a Kristen.
- Sei sicura, Kristen, di non voler restare qui ancora un po’?
–
- No, Lisa, no. Domani mattina mi alzerò presto, e partirò
verso la mia destinazione - .
- Come vuoi. Ma forse, visto che dovrai partire presto, è
meglio che tu vada a dormire –
- Va bene, Lisa –
- Allora seguimi, ti mostrerò dove dormire… -
Lisa si alzò, e Kristen la imitò, e la seguì. La condusse lungo
una piccola rampa di scale, che portava ad un pianerottolo, su cui davano tre
porte. Lisa varcò quella proprio davanti a loro, e Kristen entrò.
- Ecco, questa è la tua stanza – disse Lisa.
La stanza non era molto grande, ed era arredata in maniera
molto semplice: un letto, una scrivania con uno specchio davanti, e una sedia.
Sulla scrivania era posato un catino colmo d’acqua, e qualche asciugamano, un
po’ rammendato e piuttosto sottile.
- Se vuoi lavarti, c’è il catino. Gli asciugamani non sono
proprio nuovi, ma in questo periodo è molto difficile procurarsi roba di alta
qualità senza spendere una fortuna – disse Lisa, sinceramente dispiaciuta.
- Non importa – rispose Kristen, sorridendo. Fino a quel giorno
aveva vissuto in un ambiente non troppo confortevole, quindi non erano un paio
di asciugamani rammendati a darle fastidio.
- Buonanotte, Kristen. E buon viaggio – disse Lisa,
abbracciando la ragazza come se fosse anche lei, come Isolde, una sua
nipote.
Lisa chiuse la porta, e Kristen rimase sola nella stanza. In
quell’attimo, quell’istante in cui aveva sentito la porta chiudersi, una marea
di pensieri cominciò ad affacciarsi nella mente di Kristen. Pensò a sua sorella,
Alicia, a sua madre, al suo fratellino, a suo padre… pensò a cosa avrebbero
potuto dire nel rivederla… aveva sentito, nelle storie che le venivano
raccontate, di famiglie che si ricongiungevano… alcune ritornarono a vivere
felici, altre no… suo fratello, cosa avrebbe fatto nel rivederla? Erano ormai
passati tre anni dal giorno in cui era partita, e lui aveva soltanto quattro
anni… magari nemmeno si ricordava più di lei… l’avrebbe trattata come
un’estranea, o l’avrebbe accettata subito come sorella? E anche Alicia… avrebbe
mai accettato di riaverla accanto? O l’avrebbe accusata di essere una vigliacca,
una che fugge di fronte al pericolo?
I pensieri della sua famiglia la assalirono come fantasmi
dimenticati… in quell’attimo si rese conto di quanto le mancassero tutti
quanti….
Si sedette sul letto, e si mise a piangere. Si rese conto di
quanto fossero stati vuoti quegli anni… erano stati sicuri, ma vuoti… Michelle
non avrebbe mai potuto farle da madre, né Francis da fratello….
Si asciugò le lacrime. Piangere le sembrava così stupido….
Si lavò, poi si mise addosso il cambio che si era portata da
casa. Infine, si buttò sotto le soffici coperte, e si addormentò. |
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Capitolo 7 *** Saviour ***
Cap. 7: Saviour
Il mattino dopo Kristen si svegliò presto. Uscì dalla camera, intenzionata a
partire subito, ma poi pensò che non poteva abbandonare Isolde, Lisa e Mish
senza nemmeno salutarli. Così cominciò a girare per le stanze. C’era poca
scelta: di sicuro le altre due porte del pianerottolo dovevano essere le camere.
Aprì la prima, e vide un grande letto. Sul letto dormivano Lisa e Mish. Il
bambino era teneramente abbracciato alla madre.
Non appena Kristen si avvicinò loro, Lisa aprì gli occhi, lentamente.
- Ciao, Lisa – mormorò Kristen, cercando di non svegliare Mish.
La donna si alzò lentamente seduta sul letto, e abbracciò la ragazza.
- Ciao, Kristen. Fai… fai attenzione, ad Urù’baen.
- Non ti preoccupare. Prima o poi tornerò.
Le due sciolsero l’abbraccio, e Kristen si avvicinò a Mish. Il bambino
dormiva placidamente. Kristen si chinò su di lui, e gli baciò la fronte.
Poi uscì dalla stanza.
Si diresse verso la camera di Isolde, che di sicuro era quella accanto.
La ragazza giaceva sul letto, gli occhi aperti. Non appena Kristen entrò, il
volto di Isolde si mosse verso di lei.
- Ciao, Kristen – disse Isolde, alzandosi.
Kristen le andò incontro, e la abbracciò.
- Ciao, amica mia – disse Kristen – ci rivedremo presto, non
preoccuparti….
Rimasero abbracciate per qualche minuto, poi Kristen sciolse l’abbraccio, e
con un ultimo – Ciao – varcò la porta.
Scese le scale, poi uscì. L’aria frizzante del primo mattino le sferzava il
volto, mentre slegava Zoccolodiferro, lo montava e usciva dal cancello.
Attraversò tutta la città a cavallo; le strade erano deserte, come se Gil’ead
fosse stata una città fantasma.
La situazione non cambiò quando uscì dalla città. Fortunatamente si poteva
scorgere un boschetto a qualche metro da lì: attraversarlo sarebbe stato un
ottimo rimedio alla noia.
Kristen sorrise, pensando che per entrare nel bosco probabilmente non avrebbe
dovuto galoppare per più di un’ora. Ma si sbagliava. Era mezzogiorno quando
arrivò ai margini della piccola foresta.
Kristen vi si addentrò senza indugiare, pensando così di sfuggire anche al
sole battente.
L’ombra la investì: solo pochi raggi solari riuscivano a penetrare lo spesso
strato di foglie. Sembrava quasi notte. E, come Kristen potè constatare, il
bosco non era poi tanto piccolo.
Fortuna che ad animarlo c’era il rumore di una leggera brezza che accarezzava
le foglie, e il vociare degli animali che avevano scelto il bosco come loro
dimora. Kristen sorrise. Per quanto cupo, quel bosco le dava un’incredibile
sensazione di libertà.
Improvvisamente, però, il silenzio cadde sul bosco. Gli animali non vociavano
più.
Zoccolodiferro cominciò a scalpitare e a nitrire incontrollabilmente. Kristen
tentò inutilmente di calmarlo.
Poi, la ragazza avvertì un altro rumore tra le foglie: rumore di passi, e
clangore di armature. E non poteva fare niente per nascondersi.
Tirò fuori il pugnale, sperando in un nemico facile da abbattere.
Speranza inutile: un Urgali spuntò tra le fronde degli alberi. Era armato di
arco. Non solo. Altri Urgali stavano spuntando, e la stavano accerchiando.
Kristen si sentì perduta. Cosa avrebbe potuto fare?
Vide uno degli Urgali che incoccava una freccia. La stava per lanciare verso
di lei.
Kristen fu spinta da una sorta di implacabile disperazione: confusa e
spaesata, lanciò il pugnale, dritto verso il cuore dell’Urgali, con la massima
forza che le fosse possibile.
Lo colpì. L’Urgali cadde a terra.
Non appena l’essere prese contatto col terreno, però, una freccia colpì
Kristen al braccio. La ragazza cadde dal cavallo. Vide un’altra persona a
cavallo che si avvicinava, poi perse i sensi.
*
Kristen aprì gli occhi. Era stesa a terra, adagiata su un
mantello. Provò ad alzarsi in piedi, inutilmente. Tutto il corpo le doleva, a
partire da quel braccio che le avevano colpito, che ora era fasciato.
- Piano, ragazza, piano – disse una voce, che veniva da lì accanto.
Kristen udì dei passi, poi sentì qualcuno che le toccava il braccio. Voltò la
testa per vedere chi fosse. Quella persona era un giovane più o meno della sua
stessa età, dai capelli neri e dagli occhi di ghiaccio. Nonostante il dolore e
un certo shock, Kristen potè notare che era molto bello. Questo, però, non la
spingeva a dargli subito fiducia.
- C-chi sei? – domandò lei, un po’ spaventata.
- Mi chiamo Murtagh – disse il ragazzo – e tu? Posso sapere il tuo nome?
- K-kristen – disse lei, cercando di alzarsi.
- Piano, Kristen, piano. Resta un po’ sdraiata, tranquilla. Non puoi
muoverti, ora.
- C-cosa mi è successo?
- Hai ucciso un Urgali col tuo pugnale, poi sei stata colpita, e hai perso i
sensi. Fortuna che c’ero io, altrimenti non so che fine facevi.
Kristen sorrise.
- Grazie… - disse.
- E di che? – le disse Murtagh – Pura fortuna. Ero solo al posto giusto nel
momento giusto….
- Grazie comunque….
- Ora però riposa. Poi, magari, potremmo scambiare quattro parole, va
bene?
- Va… va bene.
Kristen chiuse gli occhi, ma non riuscì ad addormentarsi. Il dolore era quasi
passato, ma non era certo quello a tenerla sveglia.
Aveva avuto molta fortuna. In altre condizioni non sarebbe mai sopravvissuta.
Certo, con solo un pugnale….
Avrebbe dovuto imparare a utilizzare una spada, o un arco. Avrebbe chiesto a
Murtagh, magari le avrebbe insegnato qualcosa. Certo, e poi? Dove la trovava una
spada?
Dopo un po’ Murtagh tornò accanto a lei.
- Prova a rialzarti – disse il ragazzo – ora non dovrebbe più farti male.
Kristen provò a rialzarsi. Sentì soltanto una leggera tensione al braccio
ferito e un leggero tremore alle gambe una volta in piedi, ma per il resto stava
bene. Si tenne ad un albero, per riprendere stabilità.
- Prova a camminare, ora – continuò Murtagh.
Kristen si staccò dall’albero, ma ancora le gambe le tremavano un pochetto;
una radice scoperta incontrò i suoi piedi, e lei barcollò. Murtagh, prontamente,
la afferrò, e la sostenne.
Kristen girò lo sguardo, rivolgendolo per un secondo al volto del
giovane.
Fu un attimo.
Quegli occhi di ghiaccio penetrarono nei suoi occhi nocciola… qualcosa, come
un raggio di sole, entrò dentro di lei, ed esplose nel suo cuore. Non aveva mai
provato nulla di simile… sentì le guance scaldarsi, il cuore battere….
- Beh, se camminare ti fa quest’effetto, allora è meglio che tu ti sieda –
disse Murtagh.
- Perché? Che effetto mi ha fatto?
- Sei tutta rossa – rispose lui, sorridendo.
- Oh, non è nulla… ce la faccio, non preoccuparti – disse la ragazza,
alzandosi definitivamente in piedi, e camminando senza più incertezze.
- Bene. Tra poco si farà buio, perciò credo sia opportuno fermarci. Almeno
potremmo chiacchierare con più calma e conoscerci meglio….
Già, pensò Kristen. Conoscerlo meglio. Perché forse avrebbe capito cosa le
era successo, cos’avevano quegli occhi di tanto… tanto… oh, non sapeva nemmeno
come definirli.
Murtagh accese un piccolo fuoco, e mise a cuocere un pezzo di carne.
- Su, siediti qua davanti – disse il ragazzo.
Kristen gli obbedì, e si sedette anche lei davanti al fuoco.
- E così, dove pensavi di dirigerti, prima che ti attaccassero? – domandò
improvvisamente Murtagh.
- A Urù’baen. È la città dove abita tutta la mia famiglia.
- Un ritorno a casa, insomma….
- Si.
- Sei tra i ribelli?
- Scusa?
- La tua famiglia, intendo.
- Si. Mio padre lavora per i Varden, e mia sorella si prepara a seguire le
sue orme….
- E tu?
- Io? Sono scappata da lì, per mantenermi al sicuro. Non potevo vivere bene,
pensando di poter morire da un momento all’altro.
- E come mai ora stai facendo ritorno?
- Il paesino dove abitavo è stato attaccato mentre ero fuori. Quando sono
tornata, nessuno era rimasto vivo. Così ho deciso di raggiungere Urù’baen. La
mia famiglia è ora l’unico punto di riferimento che ho.
- Capisco….
- E tu? La tua famiglia, i tuoi affetti… dove sono?
- Io? Io non ho una famiglia. Mio padre, morto. E mia madre non so dove sia.
Mi ha abbandonato ad una nutrice quando avevo solo tre anni. Di lei, ricordo
solo il nome. Penso che ormai, visti gli anni che sono passati, il ricordo
sbiadito del suo volto non serva più a nulla. E dire che la mia nutrice mi
diceva sempre che era una gran donna.
- E come si chiamava?
- Mia madre? Selena.
- Però, una gran donna. Ma ti ha abbandonato….
- La mia nutrice mi ha detto che ha avuto delle buone ragioni per farlo. Ma
quando le ho chiesto quali fossero, silenzio.
- E tuo padre?
- Questo… questo… non posso raccontartelo. Non ora. È troppo… troppo…
personale….
- Oh… scusami.
- Non preoccuparti. La tua era una domanda legittima. Avevi tutto il diritto
di farlo.
- Va bene. Piuttosto… qual è la tua destinazione?
- Rà’zac.
- Li stai cercando?
- Si. Ma diciamo pure che sono anche loro a cercare me….
- Sei… sei in pericolo, allora?
- Non ora… non ti devi preoccupare per questo. Non credo che abbiano
intenzione di colpirmi proprio in questo momento….
Lei sorrise. – No, speriamo di no….
La carne era pronta. Murtagh ne porse un pezzo alla ragazza, che la divorò.
Del resto, non mangiava nulla dalla cena del giorno prima.
Ripensò a tutto quello che le era successo in solo un paio di giorni… aveva
visto un sacco di gente morire, aveva rischiato lei stessa la vita, ed era
fuggita dalla monotonia del paese. E in più aveva incontrato anche questo
Murtagh. Il suo salvatore.
- Posso farti una domanda? – fece la ragazza.
- Fai pure – rispose Murtagh.
- Il mio pugnale… l’hai recuperato?
- Si, eccolo.
Il ragazzo tirò fuori dalla tasca del mantello il pugnale di Kristen, e
glielo porse.
- Grazie….
- Era tuo, cosa potevo fare? E comunque, ti consiglio di cambiare arma.
- Si, certo, lo stavo pensando anch’io… ma dove la trovo un’altra arma?
- Sei fortunata, Kristen. Io ho sempre la sana abitudine di portarmi dietro
sia una spada che un arco… scegli solo quale dei due vuoi.
Kristen riflesse un attimo. Alla fine optò per l’arco.
- Bene. Allora ti insegnerò come si usa. E questa sarà la tua arma.
Il ragazzo frugò tra la sue cose, che erano lì accanto, e ne tirò fuori un
bell’arco. Lo porse alla ragazza, che lo prese con mani tremanti.
Era un’arma bellissima, di pregiata fattura. Kristen provò ad impugnarlo,
come per tirare, ma Murtagh la bloccò.
- Non oggi, Kristen. Con quel braccio non concluderai nulla – disse.
- Oh… va bene – rispose lei, posando l’arco.
- E ora, forse ci conviene dormire.
- Si, hai ragione….
La ragazza si spostò un po’ più lontana dal fuoco, che le sembrava troppo
caldo, quindi si coricò per terra, e chiuse gli occhi.
- Oh, Kristen… non puoi dormire così! – disse il ragazzo, togliendosi il
mantello e coprendo Kristen.
- Credi che abbia freddo? Non preoccuparti.
- Guarda che non mi costa nulla… dormirò io scoperto.
- Ma non….
- Zitta e dormi.
La ragazza sbuffò, poi chiuse di nuovo gli occhi, e si addormentò.
Anche Murtagh si era coricato, ma non riusciva a dormire.
E non era per il freddo. Era fin troppo abituato a dormire accanto a un
semplice fuoco, sulla nuda terra.
Non poteva fare a meno di fissarla, la ragazza che aveva salvato. La vedeva,
gli occhi placidamente chiusi, i capelli castani, venati di rosso, che
ricadevano sulla sua guancia, e quel suo sorriso tranquillo… era uno scorcio di
pace nel suo mondo, scosso da sofferenze, e fughe, e battaglie.
Ma era anche determinata la tipa. Imparare a usare l’arco non era certo una
cosa da niente. Era, forse, più difficile dell’imparare a maneggiare una spada.
Ma lei aveva scelto quell’arma.
E poi, fu costretto a dire a sé stesso, era anche carina, molto carina….
Sorrise. Quello era uno dei pochi sorrisi che aveva fatto, da quando era
partito. Il suo viaggio non era stato fatto di attimi felici, o tranquilli. A
parte forse quello.
*
Il mattino dopo Murtagh si svegliò che il sole non era ancora
del tutto sorto. Ormai era diventata un’abitudine, per lui. Kristen, invece,
dormiva ancora.
Murtagh la guardò. Era ancora più placida della sera prima. Povera ragazza,
quante ne aveva passate… la strage nel suo paese, il viaggio, l’attacco… e tutto
da sola. Forse con lui si sarebbe sentita al sicuro, chissà. Ma, Rà’zac o no, di
una cosa era sicuro: non l’avrebbe lasciata continuare da sola, sarebbe stato
quasi come commettere un omicidio. Un altro attacco così, e non avrebbe
resistito.
Kristen aprì lentamente gli occhi. Si accorse che il ragazzo la stava
guardando.
- Ehi – disse, assonnata – non credo che in me ci sia tutta questa cosa da
guardare….
- C’è molto più di quanto credi, Kristen.
- Ah, davvero? – disse lei, ridendo – Allora aspetta che impari ad usare
l’arco, e vedrai….
- Bene. In tal caso, credo che non ti insegnerò ad usarlo. Non voglio farmi
male con le mie stesse mani!
- Guarda che scherzavo!
- E tu guarda che l’avevo capito….
- Siamo pari, allora….
- Bene. E ora, muoviamoci.
Kristen prese l’arco, e cercò le frecce.
- No, Kristen. Non puoi usarlo ora. Tra qualche giorno, quando il braccio
sarà guarito. Ma ora, andiamo – disse Murtagh.
Kristen rimise l’arco nella custodia, poi montò a cavallo. Lei e Murtagh
partirono assieme, e cominciarono, a cavalcare alla stessa velocità. Così
poterono stare vicini, e chiacchierare tranquillamente.
- Come mai abiti ad Urù’baen? – domandò Murtagh.
- La mia famiglia è lì da generazioni, da prima che Galbatorix salisse al
potere. E dopo che questo è accaduto, ci è stato impossibile andare a vivere da
qualche altra parte – rispose la ragazza.
- Come mai questo?
- Non lo sai? Galbatorix, quando è salito al potere, ha evocato una magia che
vieta a chiunque fosse nato ad Urù’baen in seguito, o chiunque ci vivesse al
momento in cui la magia è stata evocata, di abbandonare la città per sempre. In
pratica, io e la mia famiglia siamo costretti, prima o poi, a tornare
laggiù.
Murtagh rimase un attimo pensieroso. Anche lui, come quella ragazza, era nato
ad Urù’baen. Ed era scappato, per evitare gli influssi maligni di quel posto,
che avrebbero potuto corromperlo. Era forse costretto a ritornarci? La sua
anima, la sua coscienza, erano ancora minacciate?
- E nessuno ha mai fatto qualcosa per ribellarsi? – domandò il ragazzo.
- E come ci si può ribellare ad una magia? Molte persone sono scappate dalla
città, e sono anche riuscite a vivere per molti anni lontano da questa. Ma
quando stavano cominciando a pensare che forse avevano sconfitto la maledizione,
quando meno se lo aspettavano… ecco che il destino li ha riportati laggiù. Un
esempio potrei essere io. Sono fuggita alla ricerca di sicurezza… e non avendola
trovata, sono costretta a tornare da dove ero partita.
- Non ti preoccupare. Non correrai pericoli. Ti accompagnerò io laggiù.
- Grazie, Murtagh. Ma credo che tu non debba… sai, tra un paio di giorni,
quando il mio braccio sarà guarito, riuscirò anche a cavarmela da sola….
- No, Kristen. E se ti accadesse un altro incidente come quello di ieri? Non
potrei mai perdonare a me stesso di averti lasciata da sola, ad andare incontro
alla morte.
- Se proprio insisti….
Kristen sorrise.
E Murtagh non dimenticò mai quel sorriso.
Lo rivide quella notte, nei suoi sogni. Cosa gli stava accadendo? Lui era
sempre così freddo, distaccato… ora, invece, aveva incontrato Kristen. E aveva
sentito subito un legame crearsi tra di loro. Forse perché, in fondo, erano
molto simili. Forse perché, in fondo, erano la stessa anima….
Quella notte, Kristen dormì ben poco. Ricordava ancora quegli occhi di
ghiaccio, così forti e penetranti. Ogni volta che li scrutava, erano come un
getto d’acqua fresca quando si ha caldo. E sentiva che, in fondo, quegli occhi
avevano aperto i suoi. Qualcosa era cambiato, in lei. Vedeva ciò che la
circondava sotto una luce diversa. Vedeva affacciarsi accanto a lei un altro
mondo. Il mondo di Murtagh. Le pareva un mondo tanto oscuro, tanto pieno di
misteri e di zone d’ombra, tanto pieno di ignoto. Ma, al contempo, pareva tanto
simile al suo….
Le restava soltanto una cosa da fare, una decisione da prendere.
Fare come era suo solito, e restare fredda e distaccata, o buttarsi a
capofitto in quel nuovo mondo, e cercare di scoprire tutte le sue
meraviglie?
In cuor suo, aveva già deciso cosa fare.
*
Il giorno dopo si svegliarono entrambi molto presto. Non
parlarono molto tra di loro. C’era qualcosa che li faceva tacere, ma al contempo
qualcosa li univa. Come se fossero stati capaci di capirsi senza pronunciare una
sola parola. Sorridevano, entrambi. Ma il loro era un sorriso strano. Era come
se capissero qualcosa. Come se capissero che qualcosa era cambiato dal giorno
prima. O che, forse, era stato sempre così.
Il silenzio venne rotto soltanto di sera, davanti al fuoco acceso.
- Quando potrò cominciare, con l’arco? – domandò Kristen.
- Domani, massimo dopodomani. La tua ferita non era profonda, ed è quasi
guarita. E poi, devi imparare prima di arrivare ad Urù’baen. Dopodichè,
purtroppo, non potrò restare con te. Dovrò seguire la mia strada….
- Non puoi entrare ad Urù’baen? Eppure, se stai cercando Rà’zac, lì dovresti
trovarne.
- Non è come credi. Sai, ho sentito delle voci in giro, che penso proprio
siano vere.
- Che voci?
- Ho sentito che a Galbatorix siano state rubate due delle tre uova di drago
che possedeva. Con queste voleva creare un piccolo esercito di Cavalieri. Pensa
che aveva chiesto a me di essere uno di loro. Ma io rifiutai.
- Conoscevi Galbatorix?
Murtagh si rese conto improvvisamente del peso della notizia che si era
lasciato sfuggire. Pensò se dovesse raccontarle tutta la verità. Alla fine
decise di si.
- Si, lo conoscevo. Per via di mio padre, sai. Era uno dei Rinnegati. Il
capo, più precisamente. Morzan. Essendo suo figlio, sono sempre stato a contatto
con Galbatorix. Non ho mai approvato le sue scelte, ma, non so come e perché, il
suo ambiente mi sembrava… come dire… sicuro. Ma non quando, proponendomi di
diventare Cavaliere, ho capito le sue vere intenzioni. Voleva fare di me uno
strumento di morte….
- Ma, scusa… le uova non possono schiudersi a comando, che io sappia.
- Galbatorix usa la magia nera. Pochi conoscono i suoi segreti, e Galbatorix
è tra questi. Evidentemente c’è un incantesimo capace di far schiudere le uova a
comando. Comunque, quando Galbatorix mi espose il suo piano, io rifiutai, e
riuscii a scappare in un tempo utile affinché non mi beccassero subito. Ora
capisci perché i Rà’zac non possono trovarsi ad Urù’baen. La metà di loro è alla
ricerca delle uova, e l’altra metà mi sta dando la caccia….
- Ora… capisco. Quindi immagino che comunque l’idea di entrare ad Urù’baen
non ti attiri affatto.
- Già. Ma comunque, come tu hai detto, sarò comunque costretto a tornarci,
alla fine.
- Quindi, alla fine, i nostri destini si incroceranno di nuovo?
- Si, credo proprio di si….
- Speriamo.
Il ragazzo guardò la ragazza. Era uno sguardo molto intenso, quasi come se
volesse frugarle nel cuore. Lei si sentì avvampare, e distolse lo sguardo.
- Vado… vado a dormire – disse la ragazza, e si preparò un giaciglio per
dormire. Murtagh invece rimase ancora un po’ in piedi, a guardarla mentre
dormiva. Era uno spettacolo magnifico, forse la cosa più bella che i suoi occhi
avessero visto in quei giorni. Un’isola d’amore in quei giorni d’odio.
Si, era proprio fatta per lui, come un angelo caduto dal cielo per salvarlo
dal buio. E lui doveva raccogliere quest’ultima occasione…. |
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