The name of Jesus: The power of Love.

di BigEyes
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Acab ***
Capitolo 2: *** Il cuore di Acab ***
Capitolo 3: *** Non svelare il segreto ***
Capitolo 4: *** "Fammi sentire di nuovo quel calore." ***
Capitolo 5: *** In Cristo non c’è condanna ***
Capitolo 6: *** Dio si fa trovare da coloro che lo cercano. ***
Capitolo 7: *** La Regina delle Coste ***
Capitolo 8: *** Thabita ***
Capitolo 9: *** Jezabel ***
Capitolo 10: *** Finalmente a casa ***
Capitolo 11: *** Il Biochip. ***
Capitolo 12: *** A chi molto è stato perdonato, molto ama. ***
Capitolo 13: *** Lieto fine? ***



Capitolo 1
*** Acab ***


-Sono ormai sette mesi che Joshua se ne’ andato dal Regno…ci avevi pensato?- disse Lucia, rivolgendosi ad Ariel , guardando Heliu sulla tavola da surf che andava incontro alla prossima onda.
- certo che ci penso – sospirò Ariel, abbassando lo sguardo e prendendo un pugno di sabbia.
- Ma ormai devi pensare alla tua anima. – continuò Lucia.- Cosa significava quella parola di padre Max?
-   “ devi credere alla Parola che predico, perché se non mi credi un altro verrà e – Ariel alzò gli occhi al cielo - riempirà il vuoto del tuo cuore e quest’altro ti condurrà  per sentieri non buoni.”Non so a chi si riferisse. – abbassò lo sguardo e  vide Heliu alle prese con un’onda molto più alta di lui.
- Perché – si voltò Lucia - tu non credi alla Parola?
- No è che, non sono attenta…penso e ripenso
- Ma lo sai che Dio ci parla attraverso Max..  – Lucia si bloccò, inspirò, e vedendo lo sguardo torvo di Ariel alla sabbia dorata, rivolse gli occhi ad Heliu che aspettava sulla tavola la prossima onda.
 
Tornate a casa, nella “casa del sole” come amava definirla Ariel fin da piccola, la casa al mare. La villetta era in prossimità della spiaggia, pochi passi e ci si tuffava a mare.
A proteggerli c’erano i tre angeli: Gabriel,Mikael e Rafael. Si, anche Mikael era con  loro, l’arcangelo di Joshua.
 
Una notte, verso le due, Joshua, dopo aver detto addio alla sua cara Ariel, si stava preparando le valige. Lo aspettava una grande missione per il team di Judas: preparargli il cammino alle elezioni presidenziali americane.
Prese l’ultima valigia, la portò fuori dal portone. Lo chiuse a chiave, tirando un sospiro.
-          Allora è proprio finita. – disse Mikael, appoggiato, con le braccia incrociate, al muro.
-          No, è un nuovo inizio..- rispose Joshua, facendo un ghigno, girandosi verso la parete cui era appoggiato il custode.
-          Certo nuovo look, nuovo dogma, nuovo ordine. Ricordati che solo Dio può fare ogni cosa nuova!
-          Uno stupido pennuto, non può farmi cambiare idea. - rise silenziosamente - Ho deciso: avrò soldi, potere, chi si preoccupa del mio successo e – soggiunse Joshua a braccia conserte, con lo sguardo torvo
 – avrò la mia lauta ricompensa – concluse poi, prendendo i bagagli e scendendo per le scale. Un tuono accompagnava il suo ingresso in una limousine nera, mentre un adepto metteva i bagagli nel cofano. Joshua abbassò il finestrino nero, mostrandosi accanto ad una ragazza dai capelli neri a caschetto, che lo baciò sulla guancia, guardando maliziosamente l’angelo.
La macchina partì, Mikael strinse i pugni dicendo : - hai scelto tu ,la tua ricompensa. Ci rivedremo Joshua.
 
Un vento fresco, leggero, soffiava  di notte. Le fronde del fico nel giardinetto, mosse, facevano un suono rilassante per Ariel, che però non riusciva a dormire.
Si sedette nel letto matrimoniale, dove dormiva accanto a Lucia. Si alzò raccogliendo i capelli in una coda di cavallo, camminò a piedi scalzi per il corridoio, arrivando davanti alla stanza di Heliu, che dormiva a bocca aperta, con un cuscino stretto tra le braccia. Ariel, vedendo la scena non riuscì a non  ridere, portò la mano alla bocca per non far sentire la sua risata.
Attraversò poi il soggiorno, da cui si poteva vedere la luce della luna piena che brillava nel mare calmo della sera. Si affacciò al balcone, guardò le stelle, mentre una lacrima le rigava il viso.
 
Un brivido le attraversò la schiena. La ragazza si voltò di scatto asciugandosi in fretta la lacrima col dorso della mano. Sentì  rumore di passi.
-          Lucia sei tu? – domandò, guardando l’interno del soggiorno al buio – Heliu non fare questi scherzi..- continuò, attraversata dall’adrenalina. Deglutì mentre si voltava verso il mare.
Ma di fronte si trovò un ragazzo, appoggiato al balcone con la schiena, con braccia e gambe incrociate. I capelli lunghi neri gli coprivano gli occhi, avendo il capo abbassato. Ariel trasalì. Il ragazzo era vestito come un adepto: camicia nera, cravattino nero lucido, il gilet grigio, jeans stretti neri. Ad Ariel sorse il sospetto di chi fosse, ma ne fu stranamente attratta. Così gli si avvicinò lentamente, mentre lui alzava lo sguardo mostrando due grandi occhi cerulei, freddi come il ghiaccio. La ragazza ebbe un colpo al cuore.
Ci fu un lungo silenzio, un silenzio che faceva troppo rumore.
Il vento muoveva le fronde, il suo fischio fece inquietare la ragazza.
Il vento muoveva anche i capelli neri del personaggio, Ariel gli si avvicinò, riuscendo a vedere il suo sorriso brillante.
Osservò le sue labbra carnose ed ebbe il desiderio di sfiorargliele, ma si irrigidì e abbassò lo sguardo dicendo:
-          cosa mi stai facendo Acab? – stingendo i pugni.
-          Finalmente hai capito chi sono, leoncino! – esclamò Acab, aggiustandosi il cravattino. – non voglio farti del male, se tu non lo vuoi – continuò, staccandosi dal muro del balcone, avvicinandosi alla giovane, sciogliendole i capelli, che le fluirono lungo le spalle.
-          Non mi toccare. – disse lei indietreggiando di un passo.
-          So che tu lo vuoi invece – continuò, tendendo il braccio e appoggiando la mano sinistra alla parete opposta che Ariel sfiorò con la schiena. La ragazza sentiva che il cuore gli poteva esplodere da un momento all’altro: si sentiva indifesa. Cercò invano Gabriel, sfuggendo lo sguardo dell’adepto, che con l’indice la portò a guardarlo negli occhi. Lei si morse il labbro, abbassando lo sguardo. – Mi piacerebbe tanto – continuava l’adepto, questa volta bloccandole ogni via d’uscita, ponendo l’altra mano sulla parete, accanto al suo viso – che tu facessi parte del mio team – disse, sussurrandole all’orecchio – leone di Dio.
Ariel sentì uno strano piacere attraversargli il corpo come dei brividi. La ragazza inspirò stringendosi al quel maledetto muro quando lui le si avvicinò ancora. La ragazza cercò di tenerlo a distanza, ponendo le mani sul suo petto senza fare realmente forza. Sentì i pettorali irrigidirsi al suo tocco.
-          Sai che ho giurato a me stessa di ucciderti ? – disse Ariel, con voce roca.
-          Non ho paura di una bella ragazza. – Acab le spostò i capelli dalla spalla, sfiorandole il collo, con  le dita lunghe e affusolate, arrivando al viso. Ariel deglutì, si sentì accaldata, si morse le labbra e gli chiese – perché proprio io? – tenendo gli occhi chiusi.
-          Perché io ho scelto te – concluse prima di baciarle il collo. – avevi un vuoto nel cuore. Un vuoto da colmare.
Acab non si riferiva al vuoto provocato da Joshua, ma da quello dell’incredulità alla parola del padre.
-          E se…- la ragazza fu zittita dal bacio dell’adepto. Un bacio che Ariel aveva desiderato tutto il tempo. Il ragazzo le si staccò per vedere la sua reazione. Le guance erano rosse, il battito le era visibilmente accelerato nel petto. Lui la guardò soavemente, lei lo tirò di nuovo a sé dal colletto della camicia, ricominciando a provare un piacere diabolico.
 
Tuttavia la ragazza si sentiva senza forze, sudava freddo, ma continuava a baciarlo. Le girava la testa, ma il tocco della mano di Acab, che andò sotto la canottiera leggera,  sfiorandole la schiena, non le fece prendere sul serio la situazione in cui si trovava.
 
Svenne tra le sue braccia. Acab la guardò con un ghigno dicendo – ho compiuto la mia missione -


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UN CALOROSO SALUTO A TUTTI I MIEI LETTORI,
VOLEVO SOLO CHIEDERVI DI FARMI SAPERE LE VOSTRE OPINIONI, I VOSTRI GIUDIZI
ANCHE NEGATIVI (SEMPRE NEL RISPETTO PERO’! )
 
QUINDI RECENSITE, RECENSITE, RECENSITE!!!!




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Capitolo 2
*** Il cuore di Acab ***


La ragazza aprì gli occhi lentamente. Si ritrovò a mezzo metro staccata dal suolo, appesa per le braccia, con delle catene che le stringevano i polsi. Alzò gli occhi e vide il tetto poco sopra di lei. Quando l’abbassò la testa le girò vorticosamente, annebbiandole la vista. Nonostante ciò,riuscì a scorgere, oltre la cella di vetro, due personaggi indistinti che confabulavano.
Ariel socchiuse gli occhi per mettere a fuoco e vide, nell’ombra, la silhouette di  Acab e una ragazza dai capelli a caschetto.
-          Ottimo lavoro fratellino – disse la ragazza pizzicandogli la guancia.
-          Non sono più il tuo fratellino – disse, schiaffeggiando la mano della sorella, toccandosi la gota .- sono un uomo.
-          Si si come vuoi – la ragazza spostò lo sguardo ad Ariel che sbarrò gli occhi. – ti piace?
-          Non particolarmente. – rispose lui con tono freddo e distaccato. Si andò ad appoggiare alla parete di fronte alla cella di  Ariel, ponendo un piede a terra ed uno al muro. La sorella invece le  fece un ghigno, sfiorando il cristallo della prigione con un dito. Camminò lentamente seguita dallo sguardo della prigioniera. Si avvicinò ad un macchinario dove c’era una manopola arrugginita. Acab intanto squadrava Ariel: le gambe, i fianchi, le braccia, il petto, il collo, le labbra e si ricordò di aver provato un piacere diverso dalle altre volte. Ebbe un colpo allo stomaco quando vide la sorella abbassare la manopola. Ariel iniziò ad urlare e ad avere delle convulsioni, derivate dalle scosse elettriche che la attraversavano per mezzo delle catene.
-          Perché facciamo questo a degli infimi cristiani? – domandò alla sorella che gli si stava avvicinando per godersi la scena – ho sempre pensato che probabilmente il nostro signore abbia paura del loro, perché altrimenti avrebbe già vinto...- la sorella, a sentire queste parole prive di senso per una sacerdotessa bianca, gli diede uno schiaffo talmente forte che il ragazzo girò violentemente la testa dalla parte opposta.
-          Non permetterti mai più a dire una cosa del genere! – esclamò perentoria.
Il ragazzo sorrise di sbieco, guadando la mano sporca del sangue del labbro. – ecco la risposta alle mie domande –
-          Non dubitare mai del suo potere ragazzino, potresti finire male! – gli intimò, sbattendolo contro la parete.
-          Toglimi le mani di dosso, tanto peggio di così non posso finire.
Il ragazzo sentiva la morte vicina, tutti i giorni, ventiquattro ore su ventiquattro, ma il bacio di Ariel gli aveva fatto provare qualcosa di diverso, un pizzico di vita.
-          non ho tempo da perdere con le tue stupidaggini.- disse Lilith mentre gli voltava le spalle – ho un appuntamento con il nostro carissimo Joshua. E’ stato più utile di quanto pensassi. – il ragazzo sbuffò. – potresti divertirti pure tu con lei, come faccio io ogni notte-
-          Sai essere così  spregevole… – disse Acab, guardandola di traverso.
-          Si lo so. – continuò, mentre usciva dalla caverna – per questo lui mi ha scelta.
 
Joshua era in una cella, sdraiato al suolo sudicio di sangue. Lilith era la sua carnefice.
 
Ad Acab non era mai successo di  provare così tanto dolore per le pene di una prigioniera. Erano passate molte ore, ma le urla si facevano sentire nonostante si tappasse le orecchie. Appoggiato al muro, mostrando le spalle ai dolori della ragazza, strofinava il capo alla parete, digrignando i denti.
-          tra un po’ finirà, tra un po’ finirà – si ripeteva, tenendo gli occhi ben chiusi. – non può durare così tanto, avrebbe già dovuto smettere - continuava a dirsi.
Così prese una decisione, che avrebbe segnato la sua morte. Corse verso la manopola con le mani alle orecchie. La guardò pochi secondi prima di alzarla. Era finita, le sofferenze di Ariel erano finite.

Nel regno dei cieli , da tempo il Re aveva visto il cuore di Acab , portato a forza in quel regno dalla sorella e iniziato al regno di satana. -“Tutto coopera al bene per coloro che amano Dio”- Affermava il Signore. Nella chiesa di  Filadelfia, padre Max e i fedeli erano in preghiera.
 
Le catene si aprirono. Ariel cadde al suolo. Acab respirava spasmodicamente,  appoggiò i pugni alla parete trasparente, fissò la ragazza e decise di controllare lui stesso se fosse morta.
Aprì la porta guardingo, le si avvicinò, si abbassò, facendo peso sulle ginocchia, e sentì il suo respiro affannoso.
-          G..grazie – balbettò Ariel, girandosi a fatica verso il volto dell’adepto. Lui spalancò gli occhi dalla sorpresa, si alzò e fece un passo indietro – tu – iniziò a dire, indicandola – tu mi dici grazie? Perché? Sai essere cristiana fino a questo punto?! Non lo odi nemmeno un po’, il tuo dio, per aver permesso che io ti portassi qui? – domandava tutto d’un fiato, con tono rabbioso. Non sopportava il che quei cristiani fossero felici anche nella morte, era già successo e si era fatto scappare anche una lacrima quella volta. No, non doveva succedere ancora.
-                                        Io non ho creduto al suo avvertimento..- disse, dopo qualche colpo di tosse, la giovane. – e poi non ricordi di avermi detto che dovevi colmare un vuoto? Tu sei stato la conseguenza alla mia incredulità.
 
L’adepto inspirava ed espirava velocemente, stringendo i pugni. – Sai – incominciò a dire, mentre si grattava la mascella – potrei averlo fatto per ucciderti più rapidamente, il tuo grazie non servirebbe a niente. – allargò le braccia.
 
-          allora sbrigati – sussurrò lei –così potrò vedere al più  presto il volto del mio Dio- sospirando profondamente. Acab si voltò verso la porta con le mani ai fianchi, poi si rigirò verso la ragazza, che giaceva a terra, passando una mano tra i capelli.
-          Tu t- tu – balbettò dalla rabbia – tu sei pazza! – quello che lei diceva era insensato per lui. – chi ti da questa sicurezza? Non…- inspirò – non hai paura della morte? - Domandò ad occhi sbarrati.
-           No, te l’ho detto andrò in Paradiso, perché ho creduto in Colui che ha vinto la morte, resuscitando e dandomi la speranza della vita eterna.- La ragazza deglutì, riempendosi gli occhi di lacrime -  Potrai uccidere il mio corpo, se Lui te lo permettesse , ma la mia anima vivrebbe in eterno-
 
Il ragazzo si mise la mano alla bocca, la guardava ad occhi spalancati. Aveva sentito bestemmiare, rinnegare il proprio Dio per continuare a vivere, ma mai nella sua vita aveva visto quel coraggio, quella pace. Abbassò lo sguardo, lo rialzò verso il cielo pensando che l’unico modo di vivere era stare accanto a lei, che gli aveva fatto vibrare il cuore con un solo bacio.
 
-          così sei sicura? – domandò di nuovo il ragazzo, sentendo un groppo alla gola. – esiste dunque una vita reale oltre questo inferno?- deglutì. Si sdraiò  accanto a lei, le spostò una ciocca di capelli scuri, fissando il suo viso pallido.
- non voglio ucciderti, sappilo – continuò, mentre, a queste parole, Ariel aprì gli occhi grandi.
-          E se ti aiutassi a scappare – disse, con un fil di voce, l’adepto – il tuo Dio sarà più misericordioso con me? Sai – sorrise – non penso di aver fatto buona impressione ai suoi occhi e – le accarezzò la guancia con il dorso della mano – ai tuoi.
Ariel gli sorrise con gli occhi lucidi. Acab sentì un nuovo colpo al cuore, sentiva uno sfarfallio allo stomaco, si sentì accaldato. Non avrebbe chiuso gli occhi tutta la notte per guardarla dormire. – non so che sorriso abbiano gli angeli –la fissò intensamente – ma il tuo è sicuramente più bello.

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Capitolo 3
*** Non svelare il segreto ***


Heliu, intanto, si era alzato e sedutosi sul letto, guardando fuori dalla porta della stanza pensava di veder passare Lucia da un momento all’altro. Avrebbe voluto vederla di prima mattina senza trucco, acqua e sapone, sapeva che la sua bellezza non sarebbe svanita, senza tutto quel fard e quella matita.
 
Si alzò e in punta di piedi si avvicinò alla porta della stanza di Lucia. Il ragazzo spalancò gli occhi dallo stupore quando la vide seduta sul letto, con lo sguardo perso nel vuoto, con le lacrime che le scorrevano sulle guance. Corse sul letto, le prese in volto tra le mani, ma lei continuava ad avere uno sguardo assente. Le asciugò una lacrima con un dito:
-          Lucia mi senti? – disse, scuotendola.
-          Quel ragazzo…- sussurrò lei.
-          Quale ragazzo? Lucia svegliati…- il giovane la fissava negli occhi .
-          Dobbiamo salvarlo
-          Lucia chi dobbiamo salvare? – improvvisamente Heliu si ricordò che lei aveva il dono di profezia e che, molto probabilmente, quella era la loro prossima missione.
 
Ad un tratto Lucia batté le palpebre un paio di volte, come se si fosse svegliata da un sogno. Vide il volto di Heliu a pochi centimetri di distanza dal suo viso e sbarrò gli occhi per la sorpresa. Si allontanò tirandosi il lenzuolo per coprirsi, poi esclamò ad alta voce:
-          Pervertito!
-          i..io ? – domandò Heliu, indicandosi, alzando un sopracciglio. – ma…ma- balbettò poi – stavi piangendo, non sapevo cosa ti fosse successo. E’ stato istintivo.
-          Si certo! È stato istintivo saltare sul mio letto in boxer! – il ragazzo era a cavalcioni sulle gambe di lei, abbassò il capo, rialzò gli occhi facendo un sorriso: aspetta – disse poi – non è come pensi!
-          E come sarebbe? sentiamo!- disse volgendo lo sguardo altrove, diventata rossa come un peperone. Lui le raccontò e, mentre raccontava, le si schiarì la mente e iniziò a ricordare l’incubo.
-          Intanto – iniziò a dire lei, quando il ragazzo ebbe finito – scendi dal letto immediatamente – senza guardarlo.
-          Sai alcune ragazze della spiaggia avrebbero fatto carte false per vedermi così – commentò Heliu mettendosi a braccia conserte ai piedi del letto. La ragazza accigliò lo sguardo, lui scoppiò a ridere e, facendole una linguaccia, le rivolse le spalle, mentre andava in cucina.
 
 
Mentre facevano colazione uno di fronte all’altra, i due si guardavano senza che se ne accorgessero: Heliu le guardava i capelli d’oro scivolare sulla la pelle dorata, ma non appena la ragazza si voltava verso di lui, abbassava lo sguardo sulla ciotola di cereali. Allo stesso modo Lucia lo guardava quando era distratto: osservava i capelli arruffati, gli occhi scuri, penetranti, la barba sfatta, e soprattutto le braccia perfettamente simmetriche. Tuttavia, lui la scoprì incantata nei suoi bicipiti.
-          ah! – esclamò indicandola – ti ho scoperta.
La ragazza sentì un colpo allo stomaco e, ad occhi spalancati, rispose:
-          stavo solo notando che ancora non ti sei vestito. –  abbassando il volto.
-          Bhè nemmeno tu cara! – esclamò, attaccando le spalle allo schienale, mostrando gli addominali.
-          Ma io sono più coperta di te – disse perentoria, aggiustandosi gli occhiali da vista.
-          Fidati –continuò lui, girando il volto alla tv – per un ragazzo come me non è facile non starti accanto in questo momento.
La ragazza deglutì, non si aspettava una confessione del genere. Abbassò gli occhi, si guardò: aveva una canottiera leggera rosa antico e dei pantaloncini corti, forse molto corti.
Durante il lungo silenzio tra i due , la televisione diede la notizia della scomparsa di un ragazzo di nome David. Lucia si alzò di scatto, andò verso la Tv e alzò il volume.
-          E’ lui – esclamò poi, giratasi verso Heliu. Il ragazzo corse nella sua stanza. Lucia si sedette sulla sedia con lo sguardo basso, pensando e ripensando a quel sogno. – Dai – intervenne poi Heliu, poggiando il PC portatile sul tavolo – video chiama Padre Max.
 
Padre Max sapeva sicuramente cosa stava succedendo.
 
-          Ragazzi vi stavo telefonando, avet avuto un tempismo perfetto ma …- il padre guardò la stanza e i due seguirono il suo sguardo – dov’è Ariel? – domandò con voce preoccupata
-          In realtà – incominciò Lucia –non mi ero accorta della sua assenza, pensavo fosse uscita per fare la spesa, mi sono completamente dimenticata di domandarle se stanotte stava male, perché l’ho vista uscire in balcone.
-          Ah…- il padre si grattò il mento buttando uno sguardo torvo ad Heliu – non ti sei accorta della sua assenza…
-          Si cioè…- la ragazza si accorse di aver detto una sciocchezza, ma il padre soggiunse – preparatevi immediatamente. Dovete salvare David dalle mani di Lilith e Ariel sta compiendo una missione a sua insaputa. Ah vi ricordo …- con sguardo accigliato – che siete lontani dal corpo di Cristo e che quindi le tentazioni aumentano.
 
 David, il ragazzo di sedici anni che volontariamente aveva seguito Lilith, per avere successo, per diventare un cantante famoso, verso le due di notte della sera precedente, aveva deciso di seguire quella bella ragazza, che gli aveva promesso il mondo, se fosse entrato nel suo team.
La seguì, inoltrandosi in un bosco. La luce della luna piena attraversava gli alberi morti. I loro passi erano scanditi dall’ululato di un branco di lupi. Una civetta dagli occhi gialli le volava accanto.
-          ti confesso – iniziò a dire il giovane – che non mi sento tranquillo – sorrise – non l’ho mai fatto in un bosco, lontano dalla civiltà.
-          Chi ti dice che io farei qualcosa con te, moccioso – rispose Lilith, spostandosi con la testa il ciuffo nero che le copriva l’occhio destro.  Il ragazzo si fermò, guardò in dietro, si sentì attraversare da un brivido gelido e poi, con il cuore che gli batteva in gola, disse: - dove mi stai portando?.
Il ragazzo aveva sentito di varie sparizioni a causa di una ragazza dagli occhi di ghiaccio.
-          Dove potrai ricevere tutte le conoscenze che ti occorrono per entrare nel mio team.
-          Non penso di essere tanto sicuro, adesso. – indietreggiò il giovane, dai capelli castano scuro.
-          Hai paura di me? – le si avvicinò furtiva, Lilith.
-          N..no- balbettò lui.
-          Ti divertirai,- gli si avvicinò all’orecchio sussurrandogli - te lo prometto. Il ragazzo si sentì attraversare da un piacere che gli fece dimenticare tutti i suoi sospetti.
 L’adepto fece salire il giovane su un’imbarcazione, molto simile alle gondole veneziane, che attraversava il lago, fino a giungere al luogo prestabilito.  Mentre si avvicinavano il ragazzo notò la luce di fiaccole in fila, lungo un viottolo portate da figure incappucciate. La barca attraccò e Lilith scese dirigendosi al centro di uno spiazzale, dove si inginocchiò. David la osservò e la vide ai piedi di un enorme statua che sovrastava un falò.
 
Un angelo nero, seduto su una poltrona fatta di ossa, muoveva le ali, mentre dei sacerdoti incappucciati di  nero, dopo un brindisi, bevevano da dei calici trasparenti da cui si intravedeva un liquido  scuro dai riflessi rossi. Il ragazzo deglutì tremante. Due uomini, prendendolo dai polsi, costretto lo costrinsero a gettarsi ai piedi del dio, per ordine della donna, la quale,  si presentò con una tunica nera e, dopo aver preso un pugnale, si avvicinò a lui, incappucciata. Gli prese il braccio, lui cercò di divincolarsi, ma le unghie di lei gli si stavano conficcando nel polso ad ogni suo movimento. David sentì la lama attraversargli la  mano e l’odore metallico del sangue. La donna prese una pergamena, la pose sotto la mano insanguinata e fece colare qualche goccia. Quel ragazzo  rinunciava ad una vita tranquilla e “noiosa”, passata con suo padre, pastore di una chiesa, e sua madre, la cantante del coro, per entrare nel vortice del successo mondano, del lusso e della perversione.
 
Il ragazzo vide che l’adepto tendendo la mano apriva un varco nel pavimento. Con un movimento della mano, Lilith fece cenno di seguirla. Scalino dopo scalino l’angoscia lo avvolgeva, i capogiri diventarono più frequenti. David camminò dietro di lei, ed insieme, attraversarono un tunnel buio. Più si avvicinava l’uscita più forti diventavano le urla strazianti delle ombre inchiodate ai muri.
-          quelli sono demoni – disse Lilith, facendolo sussultare. Il ragazzo non rispose, si limitò a stringersi le braccia al petto dal gelo, che gli stava facendo battere i denti, e a sbarrare gli occhi, terrorizzato.
Lilith si fermò di scatto, fuori dal tunnel,  lo fece passare avanti e gli mostrò la porta che doveva aprire con la mano insanguinata: una porta su cui vi era una piramide al cui vertice era posto un occhio, con alla base una scritta
                                           
                                   Non svelare il segreto
Aprì lentamente la porta e vide alcuni, uomini e donne, vestiti tutti allo stesso modo, che, come in un normale ufficio d’amministrazione, andavano avanti e indietro, con in mano fogli e foto; altri erano davanti  a dei computer con lo sguardo spento e gli occhi gonfi.
Si guardò intorno e, mentre la sacerdotessa si fermò a parlare con un adepto, vide i volti dei suoi genitori su uno schermo con accanto una scritta che gli fece stringere il cuore: TO DIE.
“ TO DIE” pensò, iniziando a piangere singhiozzando” morire?..morire…devono morire..perché?”
Non appena Lilith notò le lacrime si avvicinò al ragazzo ponendogli una mano sulla spalla.
-          Il nostro compito è eliminare dalla faccia della terra i cristiani, prima che sia troppo tardi. Abbiamo poco tempo a disposizione. I tempi si stanno compiendo.- girandolo verso di sé, gli alzò il capo prendendolo dal mento – e queste? Cosa sono ? – gli domandò, con sguardo severo. Una lacrima è sintomo di un cuore ancora di carne e Lilith lo sapeva bene.
 
Doveva allenare il ragazzo alla paura, fargli eliminare ogni sentimento che facesse battere il cuore,  eliminare l’amore dalla sua vita, quel pizzico di Dio nell’anima di ogni uomo.
-          N..niente – balbettò il ragazzo, tremante.
-          Meglio sia niente per sempre!
 
Heliu e Lucia giunsero al luogo, dove sette mesi prima Ariel e l’amica partirono per la loro missione. Sembrò che niente era cambiato: il cielo divenne cupo, le nuvole grigie tuonavano, il vento soffiava violento, le onde si infrangevano sugli scogli, come la prima volta.  Heliu fissava la ragazza con lo sguardo perso nell’orizzonte, verso l’oceano grigio.
 
I capelli le andavano sul viso e poi lo scoprivano, i pantaloncini di jeans le scoprivano le gambe su cui scorreva la pelle d’oca. Si strinse le braccia infreddolita, mentre una lacrima le correva lungo la guancia. Ad Heliu gli si compunse il cuore, la voleva proteggere, la doveva proteggere, non avrebbe permesso a nessuno di portargliela via.
 
Così le si avvicinò poggiando la mano sulla spalla nuda della ragazza. Lei si girò verso di lui, con gli occhi lucidi. Lui le fece un sorriso e le aprì le braccia, lei corse verso di lui, poggiando il capo sul suo petto. Gli sentì il cuore battito,dopo battito. Il ragazzo la strinse a sé, poggiando il naso sui suoi capelli dorati, inspirò profondamente per poter far arrivare all’anima il suo profumo. Lei ascoltò il suo respiro, strinse le braccia dietro la schiena di Heliu: era quello il suo posto, accanto al suo cuore. Ma l’attenzione del ragazzo si spostò verso il mare, dove si stava formando un tornado. Non appena Lucia vide che il cono toccò il mare, l’adrenalina le attraversò le vene. La tempesta si stava avvicinando troppo velocemente. Lucia si staccò bruscamente dall’abbraccio, fece molti passi indietro, con lo sguardo rivolto alla tempesta, con sguardo torvo, stringendo la collana, con la piccola croce di bronzo che fece uno scintillio alla luce del sole filtrata dalle nuvole minacciose. -Signore – iniziò a dire – fammi volare sulle tue ali.
Heliu la guardava con occhi spalancati. Lei iniziò a correre e si gettò dallo scoglio con la voce del giovane che urlava il suo nome. Il mare gli scogli sottostanti si avvicinavano sempre di più, ma Lucia non perse la fede e chiuse gli occhi. Pensò che avrebbe voluto trovarsi davanti alla tempesta e così, in un batter d’occhio, si trovò davanti la faccia del tornado, che ruggiva.
Sussurrò – non mi impedirete di compiere la mia missione. – e aprendo le braccia, una luce esplose dalla croce che teneva al collo, il fuoco dello Spirito Santo l’avvolse e dissolse le nubi.
Heliu, dalla costa, batté più volte gli occhi e li sgranò dalla sorpresa.
Lo sforzo, per la ragazza, fu però troppo grande, tale che la fece precipitare verso il blu, svenuta.

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Capitolo 4
*** "Fammi sentire di nuovo quel calore." ***


Heliu gridò il suo nome e corse verso il vuoto, senza pensarci due volte. Doveva salvarla. A tutti i costi.
Nuotò vero di lei, ma la vide sprofondare.
Il ragazzo andò sott’acqua e, nonostante  avesse la vista annebbiata, identificò la sua figura. Quando riuscì a portarla in superficie, un’onda li spinse sulla spiaggia lontana, come se una mano li avesse aiutati a tornare a riva.
Lucia si svegliò in braccio ad Heliu, che la guardava con occhi lucidi, mentre usciva dall’acqua, respirando affannosamente.
-Sono in paradiso? – sussurrò lei, prima di chiudere gli occhi e poggiare il viso sul petto del giovane. Lui  strinse a sé  il suo corpo esile. La guardò intensamente e poi le diede un bacio sulla fronte, mentre una lacrima gli scorreva sul viso: aveva avuto paura di perderla, di perdere il suo cuore insieme a lei.
Il sole picchiava e la sabbia bruciava sotto i piedi. Sdraiò la ragazza sulla rena facendo leva sulle ginocchia. Drizzò la schiena mettendo le mani ai fianchi, inspirando ed espirando lentamente.
Dopo aver riflettuto attentamente, constatò  che sarebbe stato opportuno toglierle i vestiti bagnati e lasciarli asciugare al sole, ma al solo pensiero di doverla spogliare, senza il suo volere, sentì un brivido che gli fece rizzare i peli lungo le braccia.

Si sedette accanto a lei, in quella spiaggia deserta e sconosciuta, osservando il suo respiro affannoso, rotto, ogni tanto, da qualche colpo di tosse.  Lui la scrutava, accarezzava con lo sguardo ogni sua parte del corpo. Si sdraiò accanto a lei, da un fianco, tenendosi la testa con una  mano e con l’altra le sfiorò il labro rosa. Avvicinò il viso, accarezzandole la guancia. La baciò, mentre la ragazza continuava a dormire.
 – Non  saprai mai – sussurrò – quello che realmente provo per te - giurò a se stesso il ragazzo, convinto di poter tenere per sé un segreto così grande.

Buttò la schiena sulla polvere dorata e, con le braccia sotto la nuca, osservò il volo dei gabbiani, ripensando alla tempesta improvvisa. “dito di Dio” rifletteva “ chiamano dito di Dio un tornado, l’opera di un demone” inspirò “ che bestemmia”.

 Poi si alzò, andò verso la riva, facendosi bagnare i piedi dalle onde. Smuoveva il brecciolino e con le mani in tasca, alzò il volto al cielo nuvoloso. Tra le nubi bianche, una figura, con una lunga veste nera mossa dal vento, lo osservava, immobile. Heliu accigliò lo sguardo, socchiuse gli occhi, per mettere a fuoco. Li sgranò e vide, sulla testa dell’essere, uno scintillio. Tuttavia, mentre il ragazzo lo stava studiando, quel personaggio scomparve, dissolvendosi come cenere.  

Lucia si svegliò battendo le palpebre, abbagliata dalla luce del sole. Si mise seduta, toccandosi il labbro, spalancando gli occhi, incredula. Fece scivolare la mano sulla guancia, mentre la colse un colpo allo stomaco, quando le balenò il pensiero che quello che la sua mente aveva immaginato, forse era la realtà: – non può essere – bisbigliò poi, sorridendo a testa bassa.


Ariel aprì gli occhi lentamente e ritrovatasi davanti alla schiena nuda di Acab, si sorprese . Girò leggermente il capo e si vide coperta da una camicia lucida nera. Cercò di rialzarsi, ma i muscoli erano come atrofizzati. Rimase in quella posizione, sul  fianco, a fissare le spalle del ragazzo.
Quando lui si girò, lei sussultò. I suoi occhi blu la sovrastavano. Inspirò, trattenendo il fiato qualche secondo, quando vide che l’adepto si mise seduto guardandola, con un sorriso. Passò la mano tra i capelli neri, abbassò lo sguardo al suolo, poggiando la testa sulle braccia, pensando:
” Come faccio a curarla?”si domandava” se la lascio qui, da sola, qualcuno potrebbe abusarne. Ma questa parte del regno appartiene a me, basterà dire che lei è mia prigioniera e che nessuno deve osare torcerle un capello”
 Così si alzò, mettendo in mostra gli addominali. La ragazza si sentì accaldata e cercò di coprirsi il volto arrossato con la camicia. Inspirò profondamente e sentì una fragranza di mandorla e sandalo: un profumo dolce per un adepto che vive tutti i giorni a contatto con la violenza.

-    E’ inutile che ti copri. – ghignò lui – si vede da un chilometro che sei imbarazzata. – e mettendosi le mani ai fianchi,  la guardò scoprirsi gli occhi grandi– Devo curarti. – disse, massaggiandosi la fronte, con i polpastrelli  -Per prima cosa – inspirò –Devono sapere che sei sotto il mio volere. Torno subito – disse poi avvicinandosi alla porta guardingo, dopo averle fatto l’occhiolino.
 La ragazza non riusciva a rigirarsi completamente, ma in lontananza sentiva le urla di un ragazzo e lo schioccare di una frusta: un'altra povera vittima di quel mondo.

Il ragazzo era Joshua. Tenuto con le braccia aperte, con la schiena rivolta a Lilith: una schiena sanguinante, per le troppe frustate ricevute.
 Frustata.
-   così vorresti uscire dal team? – domandò Lilith, con in mano la frusta sudicia. Joshua urlò, senza rispondere. Le sue ginocchia si flessero, ma venne  rialzato da due adepti.
Frustata.
 – Ancora non rispondi?– rise – sai, caro Joshua, mi ricordo una scena simile, una scena vissuta circa duemila anni fa – si fermò, avvicinandosi al ragazzo, incrociando le braccia al petto. – il tuo signore era di spalle,- si chinò verso il suo orecchio- io ero tra quelli che gridavano di crocifiggerlo – gli sussurrò. Lui spalancò gli  occhi, facendo scivolare una lacrima.
– E questa?! – urlò lei, prendendolo dal mento, fissando la lacrima che scendeva fino alle labbra tremanti. Il ragazzo iniziò a singhiozzare e a chiedere perdono. – sei  patetico! – esclamò, mollando il volto pallido di Joshua. Si girò, poi, verso i due adepti: - lasciamolo – disse – per adesso –   e facendo un ghigno,voltò le spalle ed uscì dalla cella.
-    Fratellino! – esclamò, con un sorriso a trentadue denti, vedendo arrivare Acab. – vedo che ti sei divertito – soggiunse poi, sorridendo maliziosamente, squadrandolo dalla testa ai piedi, a braccia conserte. – si abbastanza – disse lui, stirando le braccia al soffitto.
 Doveva ingannare Lilith, facendole credere che la ragazza aveva finito di soffrire per suo puro piacere.
–  chi  abbiamo qui?- domandò, indicando col pollice Joshua.
-    È Joshua, uno dei nostri benefattori..- sbuffò.
-    E come mai è ridotto così?- domandò Acab, facendo una smorfia di ribrezzo, vedendolo in ginocchio, sanguinante, col viso rivolto al cielo, con occhi supplichevoli.
-    Non so perché, ma sta iniziando ad avere un cuore di carne. Si è stancato, dice, di operare nell’occulto per il male del prossimo. Non vuole più controllare le menti.
-    Capisco…- inspirò Acab – continuo il mio giro di perlustrazione allora, ci si vede. – la liquidò il ragazzo, dirigendosi verso la caverna degli stregoni.
Joshua lo seguì con lo sguardo, mentre Lilith se ne andava con i suoi due sottoposti. “ Cosa le avrà fatto?” pensò il ragazzo, vedendo Acab con i pettorali al vento.

Ariel dopo una preghiera, tentò di rialzarsi e, a stento, arrivò alla porta a gattoni. Quando vide le scarpe lucide, i jeans neri, gli addominali scolpiti, i pettorali ed infine gli occhi blu profondo del giovane Acab, la ragazza si mise in ginocchio e, con occhi lucidi, indietreggiò, aiutandosi con una mano.
-    Non ti fidi di me? – domandò Acab, mettendosi in ginocchio, a pochi  centimetri dal suo viso. Ariel si allontanò, sgranando gli occhi e negando col capo.
-     – No? Allora non ti fidi nemmeno delle cure che potrei darti.- disse lui, dondolandole davanti agli occhi delle boccette.  
-    C ..chi era – balbettò Ariel – il ragazzo che urlava?
 Acab inspirò ed espirò profondamente, poi si mise a sedere accanto a lei, poggiando la schiena al vetro della cella – un certo Joshua – disse mentre giocherellava con le boccette trasparenti. Il ragazzo si voltò verso di lei e vide che singhiozzava, con gli occhi sbarrati, persi nel vuoto. Acab sentì un nodo alla gola, deglutì: non voleva vederla così.
Quella ragazza lo stava cambiando, di ora in ora. Non andava bene. Non andava affatto bene.

Si alzò di scatto, mentre Ariel piangeva, stringendo i pugni, gridando il nome di Gesù.
“Quel nome” pensò Acab “ non dire quel nome” digrignando i denti “ potrei farti del male” stringendo la testa tra le mani. – non dire quel nome –sussurrò, cadendo in ginocchio.

La ragazza lo vide e decise di continuare. “ devo liberarlo” diceva dentro di sé. Si mise in piedi, inondata da un calore familiare: riuscì a camminare, ad avvicinarsi a pochi passi da lui.
Acab si piegava, stringendo le braccia allo stomaco.
– Gesù ti libera se vuoi. Puoi uscire da questa prigione – disse Ariel, con il viso ancora bagnato dalle lacrime, poggiando una mano sul suo braccio. Il giovane urlò, spostando di scatto la spalla – brucia!- esclamò – la tua mano brucia.
Ariel sobbalzò e fece un passo indietro, guardandosi la mano.
-    Come fa la tua mano a bruciare? Qui non esiste il calore. – La squadrò e vedendola in piedi, continuò, respirando affannosamente – che rimedio hai usato?
-    La preghiera.
-    A chi hai pregato? – spalancando gli occhi per lo stupore – esistono pochi spiriti guaritori qui, tu come fai a conoscere i loro nomi? –domandò lui, poggiandosi al muro con una mano.
-    Ne conosco solo uno, quello vero – rispose lei, con lo sguardo torvo. – e il suo nome è Gesù Cristo.
Acab accecato dal suo demone, infuriato nel sentire un ennesima volta quel nome, che gli faceva scoppiare la testa, in un frazione di secondo,la prese per il collo e la alzò.
La ragazza tentò di aprirgli la mano per liberarsi,ma i suoi occhi erano diventati rossi e la voce gli mutò – non nominarlo più! – disse perentoriamente il demone.
-    Acab puoi essere libero se lo vuoi! – urlò la ragazza. – nel nome di Gesù sei libero! – gli ordinò.
Acab mollò la presa, Ariel cadde a terra.  Lui urlava e sbatteva le spalle contro le pareti, tenendosi la testa.
-    Ogni ginocchio si piegherà e ogni lingua confesserà che Gesù Cristo è il Signore – sussurrò lei, ad occhi chiusi .
Il ragazzo cadde in ginocchio, balbettando, con gli occhi serrati – G..Gesù è..è …il Signo..-battendo i pugni in terra – Signore.
E, come liberato da un peso, il ragazzo cadde col viso al suolo spirando.

Il volto di Acab era rivolto verso di lei. Sembrava che non respirasse più. Ariel, gli si avvicinò a carponi e gli spostò un ciuffo di capelli. Il suo viso appariva rilassato. Lo osservò. – sei così bello – sussurrò poi – perché devi rovinarti l’anima?
Quando vide che la schiena nuda del giovane si inarcava, si sposò, stringendosi verso la parete opposta. Acab drizzò la schiena, si guardò le mani, sentiva di essere stato sgravato da qualcosa. Alzò il volto verso Ariel. La curva del suo sorriso le fece vibrare il cuore.
Si avvicinò lentamente alla ragazza, zoppicante. Si appoggiò alla sua spalla, e l’abbracciò stringendo i suoi fianchi a quelli di lei. Ariel rimase immobile, mentre le sue braccia muscolose l’avvolgevano e lui le bisbigliava all’orecchio- fammi sentire di nuovo quel calore.

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Capitolo 5
*** In Cristo non c’è condanna ***


Lui le prese il viso tra i palmi delle mani, la guardò soavemente, fisso le sue labbra tremanti, le accarezzò con i pollici. Ariel iniziò ad ansimare: inspirava ed espirava profondamente. Le sue mani accarezzarono i pettorali glaciali di Acab, fece forza per allontanarlo,spostò il viso di scatto, lasciandolo con le labbra socchiuse. Lui non era mai stato rifiutato. Abbassò lo sguardo. Rispettò il suo rifiuto: se voleva guadagnarsi la sua fiducia, non l’avrebbe certo guadagnata così.
Passò le dita tra i suoi capelli: - hai un bel coraggio a dirmi di no – disse, accennando un mezzo sorriso. Lei alzò il viso, fissandolo con occhi languidi. – voglio fare qualcosa per guadagnarmi la tua fiducia – continuò lui.
Prese la camicia e, dopo averla indossata, senza abbottonarla, corse fuori dalla porta di cristallo della prigione. Lei rimase lì, strisciò lungo il muro con le spalle e si sedette sul pavimento, toccandosi il cuore, con occhi spalancati.
 
Joshua era sdraiato a terra, a pancia in giù, con lo sguardo perso nel vuoto, con i segni delle frustate sulla schiena.
-          ehi tu! – esclamò Acab, osservandolo dalle sbarre. Joshua non rispose, rimase immobile.
Acab pensando che fosse morto, volse lo sguardo da un lato e dall’altro del corridoio, per vedere se arrivasse qualcuno. Entrò nella cella, lo osservò per qualche secondo,con le mani sui fianchi: il giovane non respirava.
Si accovacciò sulle ginocchia, e  con  due dita gli toccò la giugulare. Tutt’ad un tratto Joshua si alzò e con uno scatto felino, lo attaccò al muro stringendogli il collo con entrambe le mani.
-          Cosa le hai fatto eh? – gli domandò Joshua con sguardo accigliato, spingendo la sua fronte contro quella dell’adepto. Acab scalciava, tentava di aprirgli le mani.
-          G..G..- balbettò.
-          Cosa ? – ghignò lui – non riesco a sentirti.
-          Gesù ..- sibilò  con un fil di voce.
Il ragazzo aprì le mani, lo lasciò cadere guardandolo ad occhi sbarrati per la sorpresa e indietreggiò di qualche passo. Come poteva, un essere del genere, nominarlo, senza avere alcun danno?
-          come fai a ripetere quel nome? – gli chiese Joshua, ad occhi sbarrati. Acab tossì un paio di volte, massaggiandosi il collo – certo,- esclamò-  che hai una bella presa per essere uno che è stato torturato – disse con voce sarcastica. Joshua lo rialzò prendendolo dalla camicia – ti sei divertito con quella povera ragazza eh? Cosa le hai fatto? – gli ringhiò contro, con sguardo truce.- Ho visto quando la portavi qui. Dimmi che Ariel è ancora viva e che non l’hai toccata o – inspirò -non ti sveglierai domani!
-          uh capisco …- disse quasi sussurrando, mentre si scostava e si aggiustava la camicia. – non le ho fatto niente, ho mentito a Lilith. E – inspirò, mettendosi le mani nelle tasche- le preghiere di Ariel si sono esaudite, perché a quanto pare – abbassò gli occhi cupi – sento il calore di un corpo e – portò lo sguardo al cielo – riesco a compiere buone opere.
-             Che intendi dire? – il capo di Joshua si inclinò. Accigliò lo sguardo e a braccia incrociate aspettò la risposta.
-          Non è un opera buona liberare un ex guerriero di Cristo, che ha tradito il suo signore per soldi, potere  e lussuria?
Joshua diede un pugno alla mascella di Acab. – conosco già i miei peccati… - Il ragazzo sentì l’orgoglio risalire nelle vene, come la lava nel cono di un vulcano. – solo Dio può giudicarmi – concluse, massaggiandosi col palmo le nocche della mano che aveva sferrato il pugno.
-          si ..- sussurrò Acab, asciugandosi col pollice, la riga di sangue che correva lungo il mento – ma solo in Cristo non c’è condanna…-
-          Non lascio che tu mi insegni le scritture…- gli puntò il dito.
-          Ma ha ragione …- la voce tremante di Ariel, fece girare Joshua e spalancare gli occhi ad Acab: cosa faceva quella stupida cristiana fuori dalla cella?
-          Ariel ..- le sussurrò Joshua, prima di correre verso di lei ed avvolgere le sue braccia attorno al suo collo – ho avuto paura di perderti- le bisbigliò all’orecchio, accarezzandole i capelli e stringendola a sé. Acab guardava la scena in un angolo della prigione, con le spalle al muro, le braccia  e le gambe incrociate: “ bene “ pensò “ adesso è lui che si prende l’abbraccio nonostante quello che ha fatto”.
 
Ariel si staccò dall’abbraccio, spostò la testa per guardare Acab nel buio, gli corse incontro.Acab,vedendola avvicinarsi a lui, infilò i pollici nelle tasche e sorrise di sbieco. Lei si buttò col viso sul suo petto, sotto gli occhi attoniti di Joshua. Acab rimase immobile.
-          Grazie ancora – le disse Ariel – non solo hai liberato me, ma hai liberato anche un mio caro amico. Dio ha visto tutto, lui conosce il tuo cuore. - Acab aprì la bocca per dire qualcosa poi la richiuse.
 La strinse a sé, mentre Joshua lo fissava con sguardo assassino. – lo conosce davvero – gli sorrise l’adepto, tenendo tra le mani il viso roseo di Ariel.
 
Intanto Heliu e la compagna, percorrendo la stessa via che Lucia aveva percorso con Ariel, per liberarlo, giunsero davanti ad una porta sudicia di un liquido verdastro. Una porta con basso rilievi raffiguranti sacrifici umani, draghi, serpenti, piramidi e occhi di Horus.
Lucia tese il braccio per aprire la porta, ma la mano di Heliu le strinse il polso, scuotendo la testa per dissentire. Lucia socchiuse le labbra e lo guardò con aria interrogativa. La spostò verso la parete, indietreggiò di qualche passo, tese i muscoli delle braccia mentre fissava la porta con sguardo truce.
Attorno al  ragazzo si materializzò una colonna di fuoco e preso coraggio si scagliò contro la porta, aprendola con la spalla destra.
Lucia entrò stringendo la mano di Heliu, mentre una lacrima le colava dagli occhi, per lo spettacolo che gli si presentava davanti.
David, il ragazzo rapito, giaceva su un altare di marmo bianco rigato qua e là da fiumi di sangue. Il giovane dondolava la testa con lo sguardo assente, sotto l’effetto di qualche droga.
 
Lucia corse su per le scale, che rialzavano l’altare, si avvicinò al giovane singhiozzando e mentre gli accarezzava il viso sporco di sangue, rivolgendosi a Heliu, che stava per raggiungerla, disse : - questo è il mio … – ruppe la frase un singhiozzo –incubo..s…s- balbettò – si è realizzato.
Heliu le si avvicinò a passi lenti e, sfiorando l’altare, le strinse la mano, che era chiusa a pugno.
 
Lucia si guardava attorno respirando spasmodicamente. La flebile luce del Fuoco attorno ad Heliu mostrava gli strumenti utilizzati per le torture, appesi ad una parete accanto all’entrata. Gocciolavano, gli strumenti gocciolavano quel liquido che ormai vedevano dappertutto. Gocciolavano come se fossero stati usati da poco.
Attorno all’altare vi erano dei candelabri e, accanto al corpo del ragazzo, un pugnale. Lucia lo prese di scatto e, con occhi sbarrati, con le mani tremanti, lo fissò.
Heliu le prese i polsi, gli e li fermò, ma lei continuava a guardarlo con odio. – Lucia …- iniziò a dire, prendendo il suo viso tra le mani – guardami –disse,cercando i suoi occhi. – non ti ho mai vista così, - con voce roca – ci sono qui io adesso.
  
 
 

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Capitolo 6
*** Dio si fa trovare da coloro che lo cercano. ***


Dobbiamo liberarlo,- disse Lucia, guardando David - lo libereremo vero? -  muovendo lo sguardo verso Heliu con occhi lucidi imploranti, strattonandolo per la maglia.
Il ragazzo non muoveva un muscolo, teneva i denti stretti, fissando lo sguardo al pavimento rigato di sangue. Quell’odore metallico gli mandava input bestiali: voleva fare a loro quel che avrebbero voluto fare a quel ragazzo e alla sua famiglia.
Ormai era sotto l’effetto del luogo: odio, violenza e sangue era un mix micidiale per un cuore che aveva sempre lottato contro tutto questo.
Gli occhi sbarrati della ragazza lo inondavano di timore e, strinte le braccia della giovane, la spostò di scatto dalla sua visuale. Lucia barcollò, rimanendo a bocca aperta: Heliu non si era mai comportato così.
Si accarezzò le braccia, dove le mani del ragazzo avevano lasciato il segno rosso.
 
L’adrenalina gli correva lungo le vene mentre  prendeva il pugnale. Iniziò a tagliare le corde sudice di sangue, che tenevano il ragazzo legato all’ara.
Mentre tagliava freneticamente quelle corde, Lucia sentiva i suoi singhiozzi e vedeva le gocce delle lacrime trasparenti che si mescolavano al sangue rosso dell’altare.
Capì a quel punto che quell’inferno gli aveva spezzato l’anima e lentamente tutti i pezzettini stavano cadendo insieme a quelle perle. Lucia non aveva mai visto un ragazzo piangere e gemere in quel modo straziante.
 
 Il pensiero che lo affliggeva era che quel ragazzo avrebbe dovuto fare le sue esperienze con i suoi genitori, che lo avrebbero consigliato e corretto. Doveva  giocare a calcio col padre, parlargli delle ragazze, proteggere ed onorare la madre: tutto quello che lui non era riuscito a fare e che aveva sempre rimpianto.
Heliu non aveva affatto dei bei ricordi della sua infanzia e non ne aveva della sua adolescenza. Il padre, fin da quando era piccolo, tornava a casa ubriaco e picchiava la madre: quando era di buon umore la feriva solo con le mani. Il bambino assisteva alle scene sempre rintanato in un angolo.
“Quella bestia” , come lo aveva sempre definito, una notte gli uccise la madre e poi scappò, per suicidarsi, nella notte di un lontano 31 ottobre.
 
David aveva un padre vero e una madre vera che probabilmente lo stavano cercando e bramavano il suo ritorno a casa. Quei demoni non sarebbero riusciti nel loro intento, perché lui aveva vinto il suo passato, e forte di questa vittoria era cresciuto nel coraggio e nella fede. Quel coraggio ora lo spingeva a liberare il ragazzo.
Ma mentre le braccia di Heliu continuavano a tagliare, Lucia trasalì alla vista di un’ombra che si stava materializzando dietro la schiena del ragazzo.
-          He…Heliu – balbettò Lucia, portando le mani alla bocca.
Heliu alzò di scatto la testa dal suo lavoro, la guardò ad occhi spalancati, seguì il suo sguardo angoscioso, si girò e si vide sovrastato da un ombra nera, molto più alta di lui. Inspirò rimanendo un secondo senza fiato. L’ombra lentamente si abbassò verso di lui, mentre Heliu stringeva i pugni e guardava il nulla. Lucia, stringendo tra i palmi la croce bronzea, pregava silenziosamente ad occhi chiusi, tremante.
Quell’ombra si dissolse in una nube nera e al suo posto comparve una donna incappucciata di nero e rivestita di un mantello lucido del medesimo colore. I suoi capelli corvini le arrivavano ai fianchi.
Heliu accigliò lo sguardo, socchiuse gli occhi e vide una coroncina d’oro scintillante che le usciva dal cappuccio.
Lucia aprì gli occhi, vedendolo incolume, fece un sospiro di sollievo e corse a stringere il braccio dell’amico. Un braccio dai bicipiti tesi.
La ragazza guardò i suoi occhi torvi, socchiuse le labbra per dirgli qualcosa ma le richiuse subito dopo.  Gli sfiorò il braccio, l’avambraccio, fino ad arrivare delicatamente al polso.
Heliu al suo tocco sentì dei brividi di piacere lungo il corpo. Lei gli strinse la mano chiusa a pugno, che si aprì lasciando avvolgere le sue dita sottili a quelle di lui.
Lui rilassò i muscoli del viso e  si girò verso la ragazza che gli si  era appoggiata con la testa dorata alla spalla.   
 
Intanto Joshua ed Ariel, camminavano l’uno accanto all’altra, seguendo Acab, che voleva aiutarli ad uscire da quell’incubo.
Il corridoio era stretto e la mano destra di Ariel sfiorava, camminando, quella sinistra di Joshua. Inaspettatamente, lei sentì il braccio robusto del ragazzo sulle spalle e, dopo un largo sorriso, fatto fissando gli occhi verdi del giovane, si appoggiò al suo cuore che sentiva battere velocemente.
 
-          Give me… of the peace and joy in your mind…- iniziò a canticchiare in falsetto Acab, mentre camminava a testa alta e con le mani dentro le tasche. Joshua corrugò la fronte in una smorfia di fastidio nel sentire la sua voce.
-          Ti piacciono i Muse? –domandò Ariel con gli occhi che le brillavano.
Joshua sbuffò quando vide che la giovane si incuriosì tanto da voler staccarsi dal suo braccio e affiancarsi ad Acab.
-          No – rispose l’adepto con tono distaccato, mentre Ariel alzò il mento per guardarlo negli occhi.
-          E come fai a sapere le parole? – gli domandò alzando un sopracciglio.
-          Ariel… – la richiamò Joshua sorridendo di sbieco, mettendosi le braccia dietro la nuca -Può essere che l’abbia sentita in superficie, mentre accalappiava qualche ragazza ingenua.
-          No…- intervenne Acab, continuando a camminare senza guardarlo – noi qui ascoltiamo solo cantanti che fanno parte del team e\o che dicono cose blasfeme – continuò l’adepto – vedi Ariel – prendendola dal fianco e  avvicinandosela – conosco i Muse perché vanno contro alcuni nostri, diciamo cosi…metodi. –ghignò lui, guardando gli occhi nocciola della ragazza – questa canzone mi piace perché mi identifica.-concluse poi.
Ariel allora, storcendo le labbra con aria pensosa, cercava di tradurre le parole. Joshua le poggiò una mano sulla spalla e la tirò verso di sé, fissando Acab con sguardo truce.
-          Ariel – disse Joshua con voce severa –ti ricordo – si avvicinò al suo orecchio – che stai  parlando con Acab, - le bisbigliò – non con un ragazzo come tanti.
-          Si Ariel – intervenne Acab guardandoli con sguardo torvo, poggiandosi con la spalla alla parete, incrociando le braccia al petto – non ascoltare un cattivo ragazzo, che vi ha aiutato ad uscire e che vi sta conducendo fuori da questo inferno! – esclamò adirato.
“ Perché” pensò”perché non si fidano di me?”
-          Questa poi…  - iniziò a dire Joshua, mettendo le mani ai fianchi- è da vedere! – accigliò lo sguardo mentre si avvicinava all’adepto, stringendo i pugni, tendendo i muscoli, pronto alla rissa.
-          Cosa c’è ragazzino – ghignò Acab – il tuo orgoglio non mi pare che si sia affievolito, questa esperienza non avrebbe dovuto placarti i bollenti spiriti?
-          Dimmi la verità – ribatté Joshua senza rispondere –ci stai facendo girare in tondo così che i tuoi sottoposti abbiano il tempo- lo prese per la camicia –di tenderci un’ imboscata, non è così? – lo tirò bruscamente a sé.
-          Dimmi …- cominciò Acab, spingendolo verso la ragazza, che leggermente si spostò portando le mani alla schiena di Joshua, guardando attonita la loro discussione. –qual è quell’uomo che è uscito facilmente dal mondo dell’occulto? Aspetta – si fermò – non c’è, non c’è un uomo che sia uscito da questo mondo con facilità! – esclamò con voce severa. – tutti i traditori sono stati uccisi poco dopo –iniziò a respirare spasmodicamente- chi solo ha osato pensarci, ancora sta gemendo per le torture subite.
Ariel fu attraversata da un brivido gelido, si strinse le braccia al petto e si accostò a Joshua. –voi – continuò con la bocca secca – siete degli eletti –fissò Joshua cambiare espressione: rilassò i muscoli e il viso. – tu Ariel – spostò lo sguardo languido verso di lei -sei un angelo mandato da Dio per redimermi- disse portando la mano sul cuore, con occhi lucidi. – eh –rise abbassando il volto – tu Joshua, non sai come ti invidio. – lo rialzò sorridendo di sbieco – hai un Signore misericordioso, che nonostante tutto ti perdonerà. – inspirò – io probabilmente tornerò alla mia solita vita o peggio – deglutì – sarò torturato per avervi aiutato.
Le lacrime rigarono il viso di Ariel e mentre Acab le mostrava le spalle iniziando a camminare, lei gli si buttò alla schiena, stringendo le mani sui suoi freddi pettorali.
 
Acab si sentì accaldato, di nuovo. Sfiorò le sue mani e le strinse riuscendo a provare, di nuovo, quella sensazione alla bocca dello stomaco.
- Acab tu sarai con noi. – disse Ariel stringendo il suo corpo a quello dell’adepto –Dio si fa trovare da coloro che lo cercano. Credilo!

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Capitolo 7
*** La Regina delle Coste ***


La gelosia scorreva nelle vene di Joshua: lui l’aveva salvata, lui l’aveva portata nel Regno, non avrebbe lasciato che un Acab qualsiasi gli e la portasse via.
Li oltrepassò, strattonando con la spalla quella di Acab, tenendo lo sguardo cupo, basso, stringendo i pugni.
Ariel lo seguì e gli afferrò  la mano.
-          Ma non avrei fatto niente se questo angelo non mi avesse aperto gli occhi – disse la ragazza rivolgendosi all’adepto.
Joshua alzò il capo e si voltò verso di lei con gli occhi languidi, con una curva di sorriso che lasciava intravedere i canini. Sfiorò con due dita la guancia della ragazza, si sporse verso di lei e le baciò le labbra sorridenti, soavemente.
Il bacio fu delicato: fu come un soffio caldo, un soffio che prepara il cuore all’estate. Durò poco, ma ad Ariel sembrò un’eternità. Joshua staccò le labbra aprendo gli occhi giusto il tempo di vedere la ragazza deglutire e sfiorarsi il labbro inferiore.
 
Quello era stato un affronto per Acab: una dichiarazione di guerra.
Le mani calde di Ariel che scivolavano via da lui, correvano a prendere la mano dell’infimo cristiano, le sue labbra che toccavano quelle di Joshua, il colpo che aveva sentito allo stomaco, le orecchie che gli fischiavano, le vene della tempia che gli pulsavano gli stavano facendo provare un nuovo sentimento: la gelosia.
 
L’aveva fatto? Joshua l’aveva realmente baciata? Forse era solo un bacio, un bacio amichevole, non voleva dire qualcosa di più. Erano stato un attimo lunghissimo. Il sapore delle sue labbra era dolce, ma si sentiva strana in quei momenti, una terribile confusione le annebbiava la mente.
Joshua era un amico. Sicuro.
Il suo cuore dopo il bacio le batteva. Non era una sensazione piacevole. Perché?
Sicuramente era un bel ragazzo. Certo. Ma non bastava.
 
Si voltò vero Acab che stava superandoli, fissò il suo sguardo spento: i suoi occhi grigi trasmettevano amarezza.
Avrebbe voluto chiedergli scusa. Perché?
C’era qualcosa che la spingeva verso di lui, ma non sapeva cosa. Poi una frase le balenò nella mente:
                           “Io li attiravo con corde umane, con
legami d'amore”*

 
Forse Dio avrebbe salvato Acab attraverso l’amore, quell’amore che non aveva mai ricevuto e che adesso lo stava portando verso la luce.
 
-Andiamo!- ordinò Acab, strattonando la spalla di Joshua, che con un ghigno si voltò a guardarlo camminare da solo verso le tenebre del tunnel, che li avrebbe condotti al piano superiore.
Ariel lo seguì, camminando a testa bassa.
 
Intanto Heliu e Lucia fissavano in silenzio la donna che si era loro manifestata. Il ragazzo tese i muscoli, pronto a difendere la sua compagna.
Poi la donna, in un batter d’occhio, si pose innanzi ad Heliu che sussultò alla vista di quegli occhi cerulei. Il demone gli poggiò la mano sul cuore e il ragazzo iniziò a sentire il gelo partire da  quella mano fino ad arrivargli alla testa.
Iniziò a battere i denti e ad avere le convulsioni, i suoi occhi neri divennero rossi come il fuoco.
Lucia si scostò da lui tremante, fissò il braccio della donna e, con sguardo accigliato,  le prese il polso e cercò di tirarlo verso di sé, ma fu tutto inutile.
Quell’arto infondeva l’energia maligna direttamente al cuore del ragazzo e le sue poche forze umane non potevano nulla.
Ad un tratto la donna staccò la mano dal pettorale sinistro del ragazzo, il quale, stingendo la testa tra i palmi delle mani, cadde in ginocchio fissando il vuoto.
-          lasciala! – iniziò ad urlare – così le fai male!
Lucia vedeva le gocce di sudore calargli dalla fronte al mento, in quel viso straziato dal dolore.
-          Cos’è quel sangue?! – urlò, mentre fiumi di lacrime,inondavano le sue guance.
-          Heliu – sussurrò la ragazza, andando di fronte ai suoi occhi infuocati – c..che ti succede? – balbettò con la voce rotta dal pianto, accarezzandogli le guance.
-          No! No! No! – iniziò a gridare con voce roca – mamma, non mi lasciare! –
Sentendo quelle parole pronunciate con voce disperata, Lucia, sentì un colpo allo stomaco.
-          Il tuo passato – iniziò a dire la donna – il tuo passato è vita per noi.
Lucia si girò verso di lei corrugando la fronte.
-          Cosa gli hai fatto? – drizzò la schiena, guardandola con occhi torvi.
-          Prendi i ragazzi col rancore nel cuore, mi dissero – la voce della donna era pacata. – l’odio –continuò, mentre Lucia le si avvicinava con aria interrogativa – l’odio ci farà sopravvivere. Prendi anche coloro- si abbassò il cappuccio, mostrando il suo volto. Un viso angelico, pallido, con occhi azzurri, assenti. –coloro che odiano Dio.
-          Chi sei ? – domandò, guardando prima il suo amico, che si contorceva ai piedi dell’altare e poi gli occhi blu della donna.
-          Prendi anche coloro che non conoscono Gesù Cristo o che odiano i cristi.
 
Come le parole di una Sibilla, quelle della donna erano poco chiare per Lucia. Lei guardò intensamente quegli occhi che adesso avevano un colore cangiante: passavano dal blu terso al grigio e al verde. Non sentì più le urla e i singhiozzi di Heliu, ma sentì il rumore sordo della frenata di un’ auto.
Bianco. Una luce bianca la accecò, si ritrovò su un marciapiede.
Al lato opposto della strada, un anziano signore teneva per la mano una bambina con delle trecce dorate, con una gonna rosa ed una camicetta bianca. L'uomo, nell’altra mano, aveva un bastone ambrato. Le bambina teneva al collo una croce bronzea. I due stavano per attraversare la strada, ma la bambina staccò la mano dall’anziano signore, incantata dal volo di una colomba bianca. L’uomo continuò il cammino. Un’ auto a folle velocità lo investì e passò oltre. L’anziano rimase al suolo con una chiazza di sangue che si cospargeva sulle strisce pedonali.
-          No…nno – balbettò Lucia all’unisono con la piccola biondina, con le lacrime che le sgorgavano impetuose dagli occhi. 
Insieme ad Heliu iniziò ad intonare il suo pianto straziante. Gli occhi verdi le diventarono rossi, si tenne le tempie, mentre cadde al suolo, cominciando a contorcersi
L’uomo a bordo dell’auto era Acab. L’immagine di quel ragazzo capeggiava nella mente dei due. Un profondo odio legava il cuore e l’immagine. Dovevano ucciderlo.
 
Lui, che mentre stava camminando davanti ad Ariel, iniziò a sentire un fischio alle orecchie e poi un dolore martellante alla testa, che lo costrinse ad appoggiarsi ad una parete, massaggiandosi la fronte con le dita  e digrignando i denti. Poi le parole sussurrate e incomprensibili della Sibilla gli divennero chiare: Acab – lo chiamava – Acab ho bisogno di te.
-          Cosa c’è Acab ? – gli domandò con voce preoccupata, Ariel.
Acab iniziò a correre. Ariel si voltò verso Joshua che lo guardava con sguardo accigliato e interrogativo, poi lo seguì: voleva scoprire i suoi veri intenti. Ariel gli andò dietro.
 
L’adepto continuava a sussurrare- sto arrivando Regina –
Ma nel cuore non voleva sottoporsi al suo volere, sapeva che avrebbe dovuto far del male a qualcuno ogni  qual volta la sua voce si impossessava della sua mente.
Dopo aver salito di corsa delle scale, scivolando un paio di volte, col respiro affannoso, si buttò sulla porta di legno con la spalla sinistra e si ritrovò ai suoi piedi.
 Alzò il viso – eccomi ai tuoi ordini, Regina delle coste. – vide la donna che con un segno della mano, spostandosi dalla sua visuale, gli mostrava Lucia ed Heliu in piedi,con gli occhi fissi su di lui.
Acab si alzò, incurvando un sopracciglio, mentre lo raggiungevano Joshua ed Ariel affannati per la corsa. Non appena la ragazza vide Lucia, fece un passo verso di lei, ma venne bloccata dal braccio teso di Acab.
 – Spost…- la frase della ragazza venne interrotta dal gesto di silenzio dell’adepto, che gli mostrava le spalle.
Joshua vide che Heliu e Lucia muovevano le labbra in sincrono. Acab capì che era il suo nome che stavano pronunciando, bisbigliando. Quindi iniziò ad avere le palpitazioni: l’avevano scoperto, la Regina lo doveva punire. Sbarrò gli occhi, iniziò a respirare spasmodicamente. Ecco un altro sentimento: la paura.
Non voleva, non voleva morire. Doveva ancora vedere cosa si prova a stare nel bene, voleva conoscere Ariel, magari amarla.
Ma si arrese, si piegò in ginocchio, con la testa bassa.
Heliu corse verso di lui, roteò un calcio al suo viso. Lucia, con  il pugnale, fletté le ginocchia, lo prese dalla camicia, mentre tossiva e sputava sangue.
 
Ariel non li riconosceva più, ma non fece nulla, atterrita dalla paura e dal dubbio che, forse, stavano facendo la cosa giusta. Lo stesso Joshua ebbe un brivido lungo il corpo vedendo gli occhi rossi dell’amico. Non era lui, ma cosa poteva fare? Doveva difendere quell’adepto e ferire l’amico?


______________________________________
*dal libro del profeta Osea.

ALLORA COME VA LA LETTURA? VI PIACE LA STORIA?
MI PIACEREBBE ASCOLTARE PIU' OPINIONI.
COMUNQUE RINGRAZIO QUEI 2\3 CHE NON APPENA METTO UN CAPITOLO LO LEGGONO SUBITO, COME SE STESSERO ASPETTANDO. GRAZIE POI A CHI MI HA MESSO TRA I PREFERITI(COME STORIA E COME AUTRICE), CHI MI HA INSERITO NELLE RICORDATE E NELLE SEGUITE.




PS:SE VOLETE SAPERNE DI PIU' ---->QUESTO è IL LINK DEL GRUPPO DELLA STORIA https://www.facebook.com/groups/240267126093657/

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Capitolo 8
*** Thabita ***


Lucia sfiorò il collo di Acab col pugnale, mentre gli occhi di lui, supplichevoli, chiedevano pietà.
-          tu hai avuto pietà per mio nonno? – domandò la giovane con voce altera, fissandolo con i suoi occhi rossi. Lasciò la presa della camicia e diede uno sguardo complice ad Heliu. L’adepto tentò di rialzarsi facendo leva sui gomiti, Lucia si allontanò di qualche passo, mentre Acab stava per rimettersi in piedi.
Il giovane era in ginocchio e con la manica si asciugò il mento sporco di sangue, ma un calcio dietro la nuca, da parte di Heliu, lo sbatté nuovamente col viso a terra.
 
Ariel sentiva si dover agire,il suo cuore si stava spezzando, una parte di lei voleva fermarli.
-          Fermi, basta! – gridò.
Si avvicinò di corsa all’amica, che fissava la vittima con un ghigno malefico,  stringendole il polso dove teneva il pugnale e cercando di aprirle la mano. Ma quando quella si girò verso di lei con gli occhi spalancati e infuocati, Ariel spalancò gli occhi e trattenne il fiato colta da paura.
-           Deve pagare per quello che ha fatto – esordì Heliu, prendendo i pugnale di scatto dalle mani di Lucia e puntandolo verso la vittima.
-          Han..no ragione – disse Acab, cercando di alzarsi, continuando a tossire sangue. Heliu strattonò Ariel e con sguardo torvo si avvicinò ad Acab. mise un ginocchio a terra e tirò la vittima per la camicia, puntando il pugnale all’addome. Ariel si coprì il viso con le mani tremanti, mentre il cuore batteva e la paura le faceva gelare il sangue. Pregò. Pregò che si salvasse.
 
-          Heliu! – lo richiamò una voce.
Il ragazzo, che stava per conficcare il pugnale, quando sentì la voce sbarrò gli occhi, si girò e lo vide: il suo vero padre, padre Max, che stava in piedi di lato all’altare e lo guardava con sguardo severo ma, nello stesso tempo, deluso. Ariel si tolse le mani da viso e vide Lucia e Heliu girati verso l’altare e aggrottando le sopracciglia seguì i loro sguardi. Quando lo vide l’animo le si riempì di gioia e un largo sorriso comparve sul suo volto.
 
Il cuore di Lucia sussultò a vederlo lì, tuttavia, voltatasi nuovamente verso l’adepto, con occhi torvi, disse:
-          Padre devo vendicarlo- abbassò il viso - vendicare mio nonno- rialzò lo sguardo accigliato e prese Acab per i capelli, facendogli digrignare i denti per il dolore.
-          Lascia la vendetta nelle mani di Dio. Figlia,- inspirò - non credi che sia una bella vendetta portare un peccatore alla luce?  -scese gli scalini, fece un sorriso ad Ariel e le pose la mano sul capo.
- ascoltami – continuò, avvicinandosi alla ragazza.
Lucia spalancò gli occhi, il suo cuore ardeva nel sentire la voce dell’unto di Dio. – Chi odia è nelle tenebre, ma chi ama è nella luce – si accovacciò accanto a lei e le pose la mano sulla spalla, cercando il suo sguardo.  Prese il mento della giovane e lo volse verso di lui fissando i suoi occhi rossi. –Se tu non perdoni, Lui non ti può perdonare. Gesù  è morto per tutti- si girò verso il giovane sanguinante con sguardo compassionevole - anche per Acab.
 
L’adepto alzò un sopracciglio e iniziò a riflettere “ è morto  per me?”
-          perché è morto per me ? – inarcò la schiena per alzasi e tossì un paio di volte – non gli ho chiesto io di farlo. -
Si rimise in piedi, ma si dovette tenere con una mano da una parete, con l’altra si toccò la nuca facendo una smorfia di dolore.
-          Appunto, è  morto per salvarti di Sua volontà, per darti la speranza di una vita dopo la morte ed…
-          E’ resuscitato…- fissò il vuoto, spalancando gli occhi, come se avesse di colpo ricevuto una rivelazione - ecco – sogghignò, Acab, ricordatosi di un traditore che gli aveva raccontato questa favola, come credette, fino ad allora – …ecco perché ha paura di Lui. – si massaggiò il mento, riflettendo, mentre Joshua, sorpreso di vedere suo padre in quel contesto e non biasimandolo per non aver ricevuto un suo sorriso o un suo sguardo, abbassò il capo con gli occhi lucidi.
 
Heliu credeva alle parole di padre Max e, come quando un vaso viene riempito di acqua e trabocca, il suo cuore si riempì di unzione e i suoi occhi traboccarono di lacrime.
 
Lo stesso fece Lucia. A causa di quelle lacrime di ravvedimento i suoi occhi diventarono, pian piano, verdi, con quella puntina di giallo che la rendeva speciale.
 – ha paura di Lui,- continuò Acab - non vuole sentir nominare il Suo nome, perché sa che se il mondo delle tenebre conoscesse tutta la storia –guardando verso il nulla – nessuno lo seguirebbe. – fece un mezzo sorriso.
 
Anche la Regina ascoltò nell’ombra, e una lacrima cadde anche da quel viso pallido.
-          io credo padre – disse Acab, staccandosi con la mano dalla parete e avvicinandosi a lui-credo che Gesù è morto per salvarmi – il padre gli tese la mano, con un largo sorriso - ed è resuscitato, per darmi una speranza- il padre annuì sorridendo come un padre sorride al figlio che ha capito il suo sbaglio.
 
Ariel sentì un colpo al cuore e  portò la mano sulla bocca ridente.
Ecco compiuta la sua missione.
Diventano nulla le sofferenze se poi si ottiene una gioia così grande.
 
Joshua tenne basso il capo, coprendosi gli occhi con la mano sulla fonte, poggiando l’altra sul fianco.
Avrebbe ostacolato il volere di Dio se non fosse arrivato suo padre.
Il suo orgoglio e la sua gelosia avrebbero lasciato che un ragazzo non arrivasse alla Verità.
Si sentiva male. Si sentiva colpevole. Di nuovo.
 
-          Che bel quadretto – sentenziò una voce molto familiare. Fin troppo familiare.
Judas era dietro i candelabri, dietro l’altare e poggiava le mani sul marmo, sporgendosi in avanti, guardandoli con un ghigno.
-          così però è troppo facile – continuò, facendo un mezzo sorriso, che faceva intravedere i canini. – c’è pure il pastore Max. Dunque posso eliminarvi tutti in una volta. –grattandosi il mento – e come dice la scrittura: se prendo il pastore disperderò le pecore.- allargò il sorriso mostrando la dentatura perfetta.
 
Acab, si girò di scatto, lo vide, spalancò gli occhi e poi aggrottò la fronte. Fece qualche passo, oltrepassò il padre, Heliu e Lucia, mentre Ariel iniziava a respirare spasmodicamente, stringendo i pugni alle cosce.
Joshua, alzò lo sguardo e con occhi sbarrati pensò “cosa ha intenzione di fare quello stupido senza lo Spirito Santo?”
L’adepto si pose di fronte al suo ex capo, dall’altra parte dell’altare, fissandolo negli occhi e facendo un sorrisetto di sbieco, poggiando, anche lui, i polpastrelli sull’ara.
-          Ecco il traditore,-  iniziò Judas - vuoi darmi il bacio del tradimento, Acab?- con voce pacata.
-          Ma non eri stato tu il primo a mettere il seme del tradimento nel cuore del povero Giuda? – inclinò dal un lato la testa, picchiettandosi il mento con l’indice, con un sorriso sornione.
-          Hai ragione, -abbassò il capo e alzò le braccia –poi – lo rialzò aggrottando la fronte con un ghigno sinistro - ho compiuto la mia missione, - e allargò le braccia - con successo. Voleva mimare la fine del loro signore, ma il giovane guerriero iniziò a ridere.
-          Ed è qui che ti sbagli – incrociò le braccia al petto e alzò il mento – forse non lo sai, ma il tuo signorino ha perso e di brutto! – esclamò.
Abbassò il viso e vide il giovane David col viso cadaverico, gli si strinse il cuore. Mise una mano dietro la schiena e aprì il coltellino che portava sempre con sé. Iniziò a tagliare le corde, con sguardo serio.
-          Non credo proprio – soggiunse Judas, bloccandogli il polso. Acab lo guardò corrugando la fronte.
-          Sono libero adesso – ringhiò il giovane – non sono più sotto il vostro potere. – tolse di scatto il polso dalla presa di Judas –sono dalla parte –prese fiato, fissandolo negli occhi. - di Gesù Cristo.
Judas sentì le gambe venir meno e si tenne dal marmo, abbassò il volto, portando due dita alla tempia, digrignando i denti.
 Rialzò il capo ridendo, togliendosi il ciuffo  dal viso.
-          Tutto qui ? – domandò l’uomo, allargando le braccia. Acab sbarrò gli occhi sorpreso e socchiuse le labbra.
-          Acab – lo richiamò padre Max -devi avere il mandato – si avvicinò ai due, guardò il giovane sull’altare, poi si voltò con sguardo truce verso Judas e puntandogli il dito – nel nome di Gesù Cristo ti lego! – esclamò, con voce autorevole.
Judas gli ringhiò, si drizzò di scatto e le sue braccia si attaccarono ai fianchi. Boccheggiava, come per far entrare l’aria nei polmoni.
Acab aprì la bocca sorpreso e al contempo entusiasta.
il padre si rivolse al giovane Acab, poggiandogli una mano sulla spalla – devi ascoltare la Parola, se credi in me, credi in Colui che mi ha mandato.
-          Si padre –annuì.
-          Un’altra cosa – continuò fissandolo negli occhi, con sguardo severo – se mi stai vicino e credi alla Parola che predico, riceverai l’unzione che viene da Dio.  Essa passa su di me e arriva a te. Solo se stai sottomesso alla Sua Parola potrai fare opere potenti. -
Il ragazzo annuì più volte. Si girò verso Ariel e la guardò intensamente. Vide il suo sorriso e le sue lacrime di gioia. Erano per lui. Solo per lui. E sorrise anche lui. Era il  sorriso del suo angelo e nessuno doveva sbiadirlo.
Ma lo fece il suo sorriso mutò in un espressione di paura. Lui la vide: la mano di una donna, uscita dall’ombra, prese il collo di Ariel, mostrando solo i suoi occhi color zaffiro.
-          Liberate Judas! – esclamò – o non la rivedrai più, fratellino.- aggiunse.
Acab deglutì. Ariel sentiva le unghie di quella mano sulla pelle. Acab fece un passo per andare verso di lei, ma la mano di padre Max lo fermò – aspetta –
 Il giovane lo guardò con occhi supplichevoli, inspirando ed espirando rapidamente. – io – iniziò a dire il padre, ponendogli una mano sulla sua fronte, chiudendo gli occhi – ti mando,ricevi lo Spirito Santo-
 
Dalla mano del padre provenne un calore che passò dal capo del ragazzo dai capelli corvini, alla sua gola, al suo petto, alla schiena e alle sue gambe.
Un calore, un bruciore dolce.
 
La donna uscì dall’ombra portando con sé la ragazza, che sentiva scemare l’ossigeno dei polmoni, mentre scalciava e le infilzava le unghie nel polso per liberarsi.
Una colonna di fuoco si materializzò attorno ad Acab, il padre tolse la mano dalla sua fronte e il giovane scese a passi lenti dalle scale che rialzavano l’altare. Arrivò innanzi a Lilith e fissandola negli occhi con sguardo accigliato, disse:
-          ti ordino di lasciarla, nel nome di Gesù Cristo – con tono pacato, ma autorevole.
La donna la lasciò come ipnotizzata, tenendo fissi gli occhi sul giovane.
Lui  prese Ariel tra le braccia si avvicinò a Joshua, che vedendolo ricoperto del fuoco, deglutì, distogliendo subito dopo lo sguardo dagli occhi cerulei dell’adepto. Joshua non aveva ancora ricevuto quel fuoco. E  sapeva anche il perché. Acab gli porse Ariel e lui, sorpreso, socchiuse le labbra per dire qualcosa ma le richiuse prendendo la giovane svenuta.
Judas era come incatenato, tenuto in una morsa.
Lilith fissava lo sguardo perso nel vuoto, senza muovere un muscolo. Così il padre si girò verso il ragazzo sul marmo bianco. Gli impose le mani e chiuse gli occhi, pronunciando qualcosa nella lingua del Cielo e gli soffiò sulla fronte. Il ragazzo divenne colorito e la vita continuò a circolargli nelle vene. Battè le palpebre un paio di volte e, come risvegliato da un brutto sogno, domandò:
-          dove mi trovo?- E sentendo la bocca asciutta disse -  Ho sete –
Il padre lo invitò a salirgli sulle spalle e il ragazzo sentendosi ancora un po’ debole accettò, riconoscendo nel viso del padre il suo salvatore.
-          Ragazzi usciamo – disse  il padre, tenendo sulle spalle David e dirigendosi verso una porta rialzata che si trovava sulla destra dell’altare – avete compiuto la vostra missione! – esclamò. Lucia ed Heliu si fecero un sorriso. Lui le prese la mano e lei gli e la strinse, mettendo dietro l’orecchio una ciocca di capelli e abbassando il viso, imbarazzata. Acab li seguì tenendo le mani dentro le tasche, gettando un ultimo sguardo di disprezzo a quel luogo. Joshua si incamminò con occhi cupi, nessuno poteva comprendere come si sentiva.
-          Joshua – lo richiamò il padre - Gesù in un cuore ravveduto fa cose maggiori.
Il ragazzo sentì una lacrima scivolargli lungo la guancia e annuì con un sorriso.
Mentre si apprestavano ad uscire, la Regina, che fino a quel momento era rimasta in un angolo ad osservare la potenza dell’unzione, esclamò:
-          Aspettate! – a sentire la sua voce tutti si girarono con stupore. – posso venire con voi? –
-          Certo – esclamò il padre facendole il cenno con la mano – c’è posto per tutti nel cielo. – le sorrise.
-          Ma … – spalancò gli occhi, rimanendo a bocca aperta dalla sorpresa. Si aspettava un “vai all’inferno” o “non vogliamo un agente di satana”. Così domandò incredula alla prima affermazione
– posso davvero? – inspirò – ma io sono la prima dei peccatori, ho ucciso, torturato, fatto cose orribili…- disse d’un fiato, abbassando il capo.
Joshua la guardò inclinando la testa, incuriosito.
Si girò verso Acab porgendogli Ariel.
Acab lo guardò alzando un sopracciglio e, tendendo le braccia per prenderla con sé, socchiuse le labbra.
Ariel fu svegliata da un profumo “ mandorla e sandalo” pensò. Aprì gli occhi, battendo le palpebre un paio di volte, e si vide sovrastata dagli occhi blu.
Il corpo di Acab era stranamente caldo e fissandolo con i suoi grandi occhi nocciola, appoggiò il capo sul suo cuore, facendogli, sentire, di nuovo, quel colpo al cuore.
 
Joshua intanto si era avvicinato alla donna dagli occhi celesti. 
Le abbassò il cappuccio, le rialzò il mento, le sorrise dolcemente e le disse:
-          Gesù è venuto per i peccatori, non per i santi. – le si avvicinò al viso e con voce soave le domandò -Come ti chiami?-
La ragazza fece un largo sorriso facendo dei suoi occhi due zaffiri.
-          Thabita.
 
 
 
 
 







ANGOLO DELL'AUTRICE:
RIECCOMI!
in questo periodo sono molto impegnata ma vi assicuro che pubblicherò anche se ci vorrà del tempo. Comunque nuovo personaggio, nuovo compagno...vedremo, vedremo. Intanto voi fatemi sapere quello che pensate mi raccomando!!!
Vi aspetto numerosi =)

Baci Baci---> BigEyes

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Capitolo 9
*** Jezabel ***


-          Vivevo a Rio de Janeiro. Mia madre mi raccontò che quando nacqui, durante un temporale, i fulmini non smettevano di saettare attorno alla nostra casa. Mi disse che mia nonna aveva invocato gli spiriti dell’aria per consacrarmi al principe di questo mondo.- fece un profondo sospiro – Satana.
La giovane si girò verso Joshua che camminava accanto a lei e  la guardava ad occhi sbarrati.
– perché fece questo? –
Lei si voltò e abbassò il capo sul pavimento a scacchiera. – perché l’ignoranza del bene è un male incurabile. – fece un altro sospiro. Alzò il volto verso Acab che camminava zoppicando, tenendo Ariel tra le braccia.
–        io ho incontrato satana, gli ho parlato e gli ho ubbidito fino…- Thabita si interruppe, si fermò sul posto, iniziando a riempirsi gli occhi di lacrime – fino al momento del vostro arrivo- Joshua, con gli occhi lucidi, le asciugò con il pollice una lacrima che le era scivolata sulla guancia, involontariamente.
-Mi ha chiamata la Regina delle Coste perché il mio compito era quello di adescare i ragazzini proprio sulle coste brasiliane. Promettevo successo e felicità ad un solo prezzo…- inspirò, deglutì portando una mano sulla fronte, massaggiandola con i polpastrelli.
- quale prezzo? – chiese Joshua, ponendosi di fronte a lei. Alzò il volto rigato di lacrime al giovane – il prezzo da pagare era donare l’anima al dio delle tenebre. – prese fiato – molti mi ridevano in faccia e poi accettavano –si morse le labbra, stringendo i pugni ai fianchi – non ..non capivano che era tutto vero- la sua voce altera fece fermare e girare  i ragazzi che li precedevano. - Lo capivano alla prima riunione. Quando dovevano bere sangue animale e firmare col proprio un vero contratto in cui si dichiarava che si donava volontariamente l’anima.
- Ma  perché adesso vorresti venire con noi? Non hai paura di morire? –la ragazza inarcò un sopracciglio. – proprio tu mi fai questa domanda? – lo guardò sottecchi -Dato che adesso voglio essere al servizio della luce e del vostro Dio, non ho più paura.
"ecco.." pensò Joshua.
Vostro. Aveva detto vostro e non nostro. Joshua voleva capirne di più. Il suo cambiamento era stato troppo radicale. – come mai hai voluto seguirci ad occhi chiusi? – mise le mani ai fianchi, facendo un mezzo sorriso.
-          pensi sia stato facile? – disse con sguardo accigliato – se vuoi proprio saperlo era da molto, troppo tempo, che aspettavo di uscire da questo inferno in cui sono entrata non proprio di mia volontà – e indicando Acab –proprio come lui. –
Joshua seguì l’indice e vide Acab fermo, girato in modo tale da permettergli di gustarsi la scena.
 
Lui la guardava soavemente e Ariel, svegliatasi da poco, si strofinava gli occhi, sbadigliando.
-          ehi – esclamò lei sorridendo di sbieco, diventata in poco tempo rossa, quando la curva del sorriso di Acab fece intravedere le fossette – mi faresti scendere?.
-          Perché dovrei? – la guardò inclinando la testa, inarcando le sopracciglia- sto così bene.
-          Ma zoppichi, non puoi portare altro peso! – sostenne la ragazza, sporgendosi per scendere.
-          Se tutti i pesi fossero come te diventerei in poco tempo campione di pesi massimi – le strizzò l’occhio.
Era ancora in pigiama. I pantaloncini blu arrivavano  poco sotto le natiche e la canottiera lasciava fuori l’ombelico. Tentò di allungarla ma invano.
Sbuffò e incrociò le braccia al petto e si sporse  guardare il pavimento fatto di mattonelle bianche e nere. Lui ridacchiò:
-          ok ti farò scendere ma…- con gli occhi furbi fece un mezzo sorriso malizioso
-          ma cosa? – domandò seccata, corrugando la fronte. Il ragazzo le mostrò la guancia e allungò le labbra. La ragazza sorrise divertita. Quello sguardo e quell’espressione da ebete la fecero cedere. Posò le sue labbra sulla guancia di Acab, che donandole un sorriso soddisfatto la fece scendere dalle sue braccia.
-          Ti ringrazio – mormorò lei, mentre le sue mani la tenevano ancora per le braccia e le accarezzavano la pelle.
Il calore che sentiva ogni qual volta la sfiorava era impagabile. Voleva ancora tenerla tra le sue braccia e sentire il suo calore nella notte fredda del suo cuore.
 
-          Acab! – lo richiamò il padre. Lui sbatté più volte le palpebre e scosse la testa, come svegliato da un sogno, immerso com’era negli occhi nocciola della ragazza. – mostraci la via d’uscita – il padre era pallido e si intravedevano le occhiaie per non aver potuto dormire. Il suo respiro era affannoso.
-          Tutto apposto padre? – domandò Heliu con voce preoccupata e con occhi sbarrati, poggiando la mano sulla spalla dell’uomo, il quale si girò facendogli un largo sorriso, mentre le gocce di sudore gli arrivavano al mento. – si ragazzo – sibilò
Lucia si morse il labbro interno, deglutì, si girò di scatto verso i ragazzi e ad alta voce esclamò- ragazzi dobbiamo muoverci! –
-          padre – iniziò Acab, ponendosi di fronte al viso di Max – mi dia il ragazzo, per favore. – supplicandolo. Il padre annuì e gli porse il giovane David ancora in fase di incoscienza.
Ariel vedendo quel suo gesto di compassione, si strinse le braccia al petto, con un sorriso compiaciuto.
 
 
Usciti da quel corridoio un po’ più tranquillo degli altri, probabilmente perché la via d’uscita era vicina, Lucia non smise di guardarsi intorno. Le pareti erano ancora rigate da un liquido verdastro e l’odore acre del sangue ancora si faceva sentire.
-          Questa è l’ultima stanza – disse Acab rivolgendosi ai compagni, mentre saliva gli scalini di marmo bianco che li introducevano in un ampio corridoio dove sul lato sinistro vi erano delle statue e sul lato destro degli specchi.
-          Sembra, molto lontanamente, la stanza degli specchi di Versailles – bisbigliò Heliu, incrociando le mani dietro la nuca. Lucia storse le labbra guardando il pavimento con quelle monotone mattonelle bianche e nere – molto, molto lontanamente, Heliu –
 
Ariel si fermò a contemplare le statue mentre gli amici la sorpassavano. Una in particolare attirò la sua attenzione: raffigurava una giovane donna con mani congiunte, con un velo azzurro sul capo e con gli occhi rivolti al cielo. Vi si avvicinò per osservarla meglio.
 In quel preciso istante Acab sentì una forza che lo obbligava a girarsi indietro. Aveva un brutto presentimento, il suo cuore cominciò a battere e l’adrenalina gli scorreva lungo gli arti. –Jezabel– sussurrò.
Porse il ragazzo ad Heliu, che non capiva cosa gli stesse succedendo.
–        Ma…ma –borbottò, corrugando la fronte.
–        Tienilo senza fare storie – sostenne l'altro, mettendoglielo sulle braccia.
Cominciò a correre verso Ariel, che ascoltava una voce angelica proveniente dalla statua. - Io sono la madre, se ascoltate la madre, ascoltate il Figlio -  Ariel entrò in uno stato di trans, si inginocchiò con il viso rivolto alla visione, che stava materializzandosi sopra di lei, sotto gli occhi attoniti dei presenti.
Gli occhi della statua grondavano sangue, mentre Ariel a mani congiunte era come in estasi e la voce mielata continuava a parlare:
-          Figli pregatemi perché io intercedo per voi, pregatemi…
La donna che si materializzò sulla testa di Ariel aveva dei lunghi capelli castani e gli occhi azzurri ed emetteva una luce celestiale.
-          Pregatemi un corno! – ringhiò Acab, frapponendosi tra la visione ed Ariel, stringendo i pugni e guardandola accigliato. – come va Jezabel? Hai finito la tua missione sulla terra e sei venuta apposta per prenderti Ariel? – incrociò le braccia al petto, sorridendo di sbieco –  non è da te abbandonare una missione così importante per occuparti di un’ anima da due soldi, quando sei occupata con tutta l’umanità.
La donna dal viso celestiale, leggiadra, posò i piedi nudi sul pavimento. Si spogliò della luce e i suoi occhi divennero di quell’azzurro glaciale che caratterizzava tutti gli adepti. I suoi lunghi capelli castani divennero neri come il carbone. La sua lunga veste bianca lasciò il posto a dei pantaloni di pelle attillati e una camicia nera lucida.
Si avvicinò furtivamente al ragazzo leccandosi le labbra, e guardandolo maliziosamente, alzò il mento e disse: - è da un po’ che non ci vediamo caro Acab – sfiorandogli i pettorali con l’indice.
-          sai adesso devo ucciderti, perché hai detto a tutti il nostro segreto – mise il broncio –e mi dispiace tanto dover rovinare un così bel corpo – col dito arrivò agli addominali, ma la mano di Acab le bloccò il polso, stringendoglielo fino a farle digrignare i denti dal dolore. Le si avvicinò all’orecchio e le sussurrò – ti lego nel nome di Gesù Cristo.
La donna si sentì bloccare il respiro da una morsa, cadde a terra rigida come un pezzo di legno, tenendo gli occhi sbarrati,mentre Ariel si stringeva le tempie con i palmi delle mani. In qualche modo le aveva creduto e si era collegata al suo spirito, e il vuoto di Jezabel l’aveva fatta entrare in uno stato confusionale.
 
Acab si accovacciò accanto a lei e quando tese i braccio per accarezzarle la testa
-          Fermo! – gridò il padre, che era giunto dietro le sue spalle. Acab alzò lo sguardo verso di lui e lo fissò con aria interrogativa. – Ariel – il padre si inginocchiò di fronte alla ragazza e le prese il viso fra le mani. – l’unico mediatore fra Dio e gli uomini è Gesù Cristo. Credimi.
La ragazza mostrava i denti serrati, ma credeva, voleva e doveva credere alla Parola di Dio, se voleva essere liberata da quel vuoto.





SALVE A TUTTI
DEVO DIRE CHE IL CAPITOLO NON MI PIACE MOLTISSIMO, MA SPERO CHE POTRO’ SAPERE ANCHE I VOSTRI PARERI. SPERO CHE RECENSIATE IN TANTI.



Baci Baci
BIGEYES

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Capitolo 10
*** Finalmente a casa ***


La risata maligna di Jezabel risuonò per tutta la stanza.
-          stupidi – ringhiò – ormai è legata a me! Liberatemi e sarà liberata! – esclamava con tutto il fiato in corpo.
Acab non le credeva. Il suo sguardo accigliato fissava ormai da tempo il viso di Jezabel.
Lei.
Era stata lei, insieme a Lilith, ad iniziarlo ai piaceri del sesso, alla droga e alla violenza.
Era un ragazzo come gli altri, prima che la sorella lo portasse a quella riunione.
Qual’ era il suo nome prima che l’angelo gli assegnasse la missione di perseguitare i cristiani?
Non lo ricordava.
Quella riunione.
Quanto sangue era stato versato. Troppo.
Tutto per i soldi.
 Solo per i soldi e piaceri materiali.
All’inizio era bello, ma quanto male aveva causato. Il suo cuore era diventato pian piano di ghiaccio, come i suoi occhi.
Uccideva. Non faceva distinzioni. Quelli erano gli ordini. O uccidi, o vieni ucciso.
Seduceva ragazze che poi servivano per i riti occulti nelle sere di luna piena, sempre allo stesso orario: le due.
Nessuna poteva resistergli.
Ma moriva. Erano passati sette anni da quando era entrato in quel mondo. E ogni giorno moriva.
 Il calore? Cos’era il calore di un abbraccio? Un abbraccio vero. O un bacio, un bacio che ti fa vibrare il cuore. Tutto era freddo.
Tranne Ariel.
Tranne il suo bacio.
Tranne il suo tocco.
 
Acab si girò verso padre Max, sapeva che la parola di Dio aveva sempre vinto.
-Padre – il ministerio si girò – dì solo una parola ed Ariel sarà libera.
Gli occhi del ragazzo divennero lucidi, deglutì e con voce tremante – per favore – supplicò, mettendosi la mano destra sul cuore. Il padre gli fece un largo sorriso e gli poggiò una mano sulla spalla: c’era ancora molto da fare per la sua anima, ma la fede del centurione era un ottimo punto di partenza per diventare un grande servo di Dio.
Rivolse uno sguardo di fuoco a Jezabel, lo stesso spirito che nell’antico testamento aveva portato alla rovina il popolo di Israele.
-          Jezabel! – esclamò, con tono autorevole, il padre –sta scritto: quello che legherete sulla terra sarà legato nel cielo e quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo (ndr (Mt. 18,15-35), dunque – girò il volto verso Ariel e ordinò – ti slego da ogni legame maligno, Ariel. – inspirò profondamente e portò la sua mano destra sulla fronte della ragazza, con occhi torvi -Nel nome di Gesù cristo! – concluse.
Jezabel urlò stridulamente, mentre si contorceva. – Ti mando negli abissi più profondi del mare – continuò Max, rivolgendosi al demone con tono perentorio.
Acab fece un’espressione di ribrezzo: ormai non faceva più parte di quel mondo, non gli importava delle sofferenze di colei che l’avrebbe potuto portare alla morte eterna. Come aveva fatto a provare qualcosa per una donna tanto spregevole, che l’aveva solo usato per puro piacere e per guadagnare il gradino più alto che poteva raggiungere un adepto: sedurre i popoli con false dottrine.
 
Le parole di padre Max furono come una spada di fuoco: spezzò il giogo di Ariel e mandò Jezabel dal suo padrone. Jezabel si era smaterializzata in una nube nera maleodorante, gridando – ci rivedremo!
Ariel credette alla Parola di Dio, il vuoto nel suo cuore fu riempito e, come sgravata da un peso, si lasciò cadere tra le braccia del padre, svenuta.
 
 
 
-Ehi…dormigliona. – sussurrò Lucia, seduta affianco ad Ariel, sul letto dell’infermeria della chiesa di Filadelfia. La giovane, coperta da un candido lenzuolo, stava svegliandosi aprendo lentamente gli occhi marroni.   
- Dormito bene? – le domandò, mentre cercava di alzarsi facendo leva sui gomiti – scommetto che hai sognato un bel fusto dagli occhi blu come la notte e il cuore puro come la luce. – Lucia faceva gli occhi languidi e congiungeva le mani, mentre la ragazza arrossiva come un pomodoro e abbassava lo sguardo per non far notare la curva del sorriso imbarazzato.
-Ma dove sono?
- Ariel – esclamò sorpresa – siamo a casa!- Lucia alzò le braccia, con un sorriso brillante e con occhi ridenti. La giovane fece un balzo e avvolse le braccia al collo dell’amica gridando dalla felicità, mentre Lucia barcollava a bordo letto.
- Così la farai cadere – disse una voce profonda.
Quella voce, Ariel la conosceva bene.
Era Joshua, che appoggiato con la spalla allo stipite della porta, con le braccia incrociate, si gustava la scena.
Ariel si staccò, con lacrime di gioia, dall’abbraccio, lo osservò per qualche secondo con un sorriso. Scese dal letto aiutata dall’amica, ma non appena toccò con in piedi nudi il pavimento, corse verso l’amico.
 
 La strinse a sé e, rialzandola dal suolo, incominciò a girare per la stanza, con lei tra le braccia, sotto gli occhi commossi di Lucia.
- ok mi sta girando la testa! – lo informò Ariel, mentre tra le risa lui si fermava.
- va bene. Ti faccio scendere subito – si sedette ai piedi del letto e sciolse le sue braccia dai fianchi della ragazza.
Lui la guardava dal basso, con un sorriso che faceva intravedere i canini, quando lei gli tirò uno schiaffo talmente forte che gli rimase il segno delle cinque dita nella guancia sinistra.
- Mi ricorda qualcosa – si massaggiò con il palmo della mano, con i denti serrati, il ragazzo – ma perché l’hai fatto?- Inarcò le sopracciglia dalla sorpresa e la guardò, mentre lei si metteva a braccia conserte.
- Non mi leggi più nella mente? – chiese lei, facendo un sorriso di sbieco, sarcastica.
- Ho bisogno che tu ti esprima cara – rispose lui, con un tono canzonatorio, e si spostò il ciuffo castano dagli occhi verdi.
- Questo è per quello che mi hai fatto passare in questi sette mesi, stupido! – Ariel era finalmente felice di rivederlo, solo le lacrime di gioia potevano esprimere quello che sentiva nel rivederlo libero dalle catene. Lucia rise in silenzio: l’amica si era vendicata.
 
-          Si può ? – chiese Heliu, allungando il collo dentro la stanza. Lucia voltò lo sguardo verso la porta.
Era la prima volta che Lucia lo rivedeva, dopo che Acab aveva trovato una via d’uscita, sgombra di demoni, e un tornado marino li aveva portati vorticosamente a riva. Non ricordava altro. La gioia di rivederlo era troppo grande. Il cuore iniziò a battergli ferocemente, gli occhi gli si sbarrarono e le labbra volevano sfiorare le sue. Saltò giù dal letto e corse ad abbracciarlo.
 
Per Heliu avvenne tutto in una frazione di secondo. Senza rendersi conto sentì il sapore di fragole sulle sue labbra e pensò di essere ancora nel mondo dei sogni. Gli occhi di Lucia erano chiusi, immersi nel dolce piacere del loro primo bacio, per lei.
Heliu  strinse i fianchi di lei ai suoi, mentre le dita della biondina gli sfioravano la mascella.
Chiuse gli occhi anche lui, mentre un pensiero gli stuzzicava la mente“ tu sei il mio sogno”.  
 
Gli occhi di Joshua e Ariel si sbarrarono dalla sorpresa: finalmente quei due avevano espresso il loro sentimento nascosto.
Ma  un pensiero balenò prepotentemente nella mente di Ariel.
Un nome. Acab. 

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Capitolo 11
*** Il Biochip. ***



Acab.
Dov’era? Non l’aveva più visto dopo il brutto incontro con Jezabel.
Doveva trovarlo, dirgli tutto. L’aveva sognato, aveva sognato i suoi occhi, proprio come aveva detto Lucia.
Fece un mezzo sorriso a Joshua, che lo ricambiò sfoggiando la sua dentatura perfetta. Gli prese il viso tra le mani e posò le sue labbra sulla fronte.
Joshua studiò il suo sguardo, subito dopo che le labbra rosa di Ariel si ritrassero dalla sua pelle. Un misto tra dispiaciuto e sofferto.
Aveva capito ormai da tempo che il cuore di Ariel apparteneva ad Acab.
Ci aveva sperato, per un momento, che il suo bacio le aveva fatto capire che tra di loro ci poteva essere qualcosa di più, perché lui sapeva che il loro legame era molto forte.
Ma doveva lasciarla andare.
Le strinse la mano, prima di riaprirla facendo scivolare le dita di lei sulle sue.
 
Lei lo guardò mordendosi il labbro interno dirigendosi alla porta dell’infermeria, mentre lui, con un gesto impercettibile del capo, annuì sorridente.
Con il volto raggiante iniziò a correre per il corridoio.
Dove poteva essere? Era stato ridotto male da Heliu e sicuramente adesso si trovava nell’ufficio di padre Max.
 
Mentre stava correndo, sbatté col viso contro il petto di un ragazzo.
-          S..scusa – balbettò lei sorridendo, togliendosi una ciocca di capelli che le era scivolata sul viso.
 Alzò il viso  e sbarrò gli occhi. La somiglianza con David, il ragazzo che avevano salvato, era impressionante.
-          Di nulla Ariel – rispose lui.- Anzi, non ti sei fatta male vero? – le domandò mellifluo.
-          No tranquillo Nathan ma.. –inarcò un sopracciglio e lo osservò  attentamente: i capelli lisci castani e il taglio degli occhi gli ricordavano la fisionomia dell’altro ragazzo.
 
Nathan viveva 24 su 24 al servizio dei bisognosi, Ariel  ricordava di aver visto i suoi genitori qualche volta, ma David non era mai apparso.
 – …ma…  scusa la domanda, David è un tuo parente?
-          Si è mio fratello, per questo stavo venendo a ringraziarvi per averlo salvato. Ha sempre avuto il pallino di diventare famoso: avrebbe fatto di tutto per diventare un cantante di successo. – le confessò mettendo le mani dentro le tasche.
-          Non mi avevi detto di avere un fratello. –  Ariel si mise le mani ai fianchi e lo fissò storcendo le labbra.
-          Non si è mai fatto vivo in chiesa perché erano “altri” i suoi interessi – il giovane sospirò e abbassò il capo coprendo gli occhi lucidi con un ciuffo di capelli – non sono stato abbastanza presente – mormorò con voce rotta.
-          Non devi essere così duro con te stesso. – gli disse, poggiandogli la mano sul braccio.
Lui alzò gli occhi arrossati al soffitto e si schiarì la voce – scusa – le disse, con un sorriso che evidenziò le fossette.
 – Tu hai servito Dio e hai amato stare in comunione con i tuoi fratelli, sei rimasto nella luce. Non hai nulla di cui incolparti. – commentò perentoria.
-          Hai ragione –inspirò e  le sfiorò la guancia con il dorso della mano, sorridendo – ma dove correvi così di fretta?
La ragazza si colorì di rosso velocemente e iniziò a farfugliare – ehm …non so se hai visto un bell…un ragazzo con dei capelli azzurri  ..cioè..- si toccò con entrambe le mani le guance accaldate, mentre Nathan rideva divertito.
-          Forse ho capito di chi parli – incrociò le braccia al petto e inclinando la testa di lato guardò oltre la ragazza – sta venendo proprio verso di noi – la ragazza percepì uno sfarfallio allo stomaco quando si girò e lo vide avvicinarsi col suo sguardo felino e il suo sorriso che faceva intravedere i canini.
 
Il cuore gli batteva forte nel petto. L’aveva trovata.
Ed ecco il suo sorriso, per lui. Solo per lui.
E quelle guance olivastre che diventavano rosee d’improvviso. Amava farla sorridere. Amava quello che le faceva provare, ma soprattutto amava lei, che si era insidiata violentemente nel suo cuore.
 
Ma una fitta lo bloccò in mezzo al corridoio.
Digrignò i denti dal dolore e si massaggiò con i polpastrelli la fronte, stringendo il pugno con l’altra mano.
Ariel lo guardò con la fronte corrugata, inclinando la testa di lato, con aria interrogativa.
 
In quel preciso istante stava attraversando il corridoio Thabita, nella direzione opposta a quella di Acab. La ragazza superandolo gli sorrise e lui sbarrò gli occhi.
Cosa stava succedendo? Ariel non capiva i loro sguardi.
 
Lui la bloccò prendendola per il polso e la avvicinò a sé.
Ariel sbarrò gli occhi. Il cuore iniziò a battere ferocemente contro lo sterno. Il respiro divenne spasmodico.
“Calmati Ariel” pensò “ non ti fare favole”.
Non appena questo pensiero l’attraversò, lui portò la sua mano dietro la nuca di Thabita.
 La avvicinò al suo viso.
 
Non poteva essere.
Le mani di Ariel  tramavano, l’adrenalina le scorreva lungo il corpo, deglutiva mentre le vene pulsavano nella tempia.
Ci aveva sperato. Si era sbagliata?
Nulla era iniziato, eppure era già tutto finito.
Non voleva vedere oltre, ma lui doveva sapere. Doveva sapere quello che provava e non le avrebbe importato la risposta. Si girò a fissare il suolo che si stava annebbiando. Le lacrime stavano per scorrerle lungo le guance.
 
Ma cos’era realmente successo? Era  come il suo cuore le faceva credere? O la gelosia le aveva offuscato i pensieri?
 
Thabita stava venendo verso di lui. Lei avrebbe potuto liberarlo. L’aveva già fatto ad un altro adepto, poteva ancora farlo. Sbarrò gli occhi non appena questi pensieri gli balenarono nella mente. Lo stava oltrepassando con un sorriso sghembo, quando lui le prese il polso, la tirò a sè e le bisbigliò all’orecchio:
-          Devi togliermi quell’aggeggio!
-          Non posso.
-          Si che puoi!
Acab la prese per la nuca, la tirò verso il suo viso e la fissò con sguardo accigliato.
-          Possono ancora controllarmi con questo – si indicò la fronte – posso fare del male a mia insaputa.
-          Io non posso! – esclamò stringendo i pugni  e corrugando la fronte. – Ci uccideranno non capisci!? -  disse con voce altera, liberatasi dal suo tocco. Si riprese il suo spazio guardandolo torvo.
-          Devo liberarmi Thabita…- continuò con gli occhi lucidi.
Da quando aveva deciso di seguire la luce quel chip, impiantatogli da Jezabel, durante la riunione del New World Order, gli provocava delle fitte laceranti.
 
 Fece un sospiro e serrò gli occhi in una smorfia di dolore.
–    E’ un dolore troppo forte.
-          Ma ..- Thabita venne zittita dall’indice dell’ex adepto, posato sulle sue labbra.
-          Preferisco soffrire accanto a lei, che rimanere con il chip e senza di lei. – le disse con sguardo accigliato.
-          Sei un pazzo! Lascia perdere l’amore. Pensa alla tua vita! - Lo strattonò dalla maglia grigia a maniche corte.
-          La mia vita era niente prima di scoprire l’amore. Lo capirai pure tu – la indicò, sporgendosi in avanti.- quando sentirai che la persona che ti è accanto è tutto ciò di cui avevi bisogno.
-           Sono tutte smancerie, le tue. E’ un momento. Ti passerà. – sbuffò lei – quei video li ho ancora qui – pose l’indice sulla fronte con gli occhi lucidi. – ho visto quello che possono farci se solo pensiamo di  toglierlo. – corrugò la fronte e lo fissò a lungo prima che Acab le rivelasse la verità.
-          Bugie Thabita. Solo bugie. Allucinazioni. – drizzò la schiena e mise le mani ai fianchi. – il progetto Mk hai presente?
-          S..si – balbettò, abbassando lo sguardo al suolo, sospirando. – Ne ho fatto parte.
-          Ti fanno il lavaggio del cervello. – la prese per le braccia -Ti impauriscono. - La fissò negli occhi cerulei -Ti controllano per fare la loro sporca volontà. Per questo agirò anche senza il tuo favore.
Era deciso. Portò la mano dietro la schiena e le mostrò il coltellino da viaggio. Fece scattare fuori la lama davanti al viso di Thabita, che sbarrò gli occhi intimorita.

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Capitolo 12
*** A chi molto è stato perdonato, molto ama. ***


Un taglio. Un piccolo taglio e il chip sarebbe scivolato via.
“E tu? Sei pronto a rinunciare alla tua libertà personale?  Sapranno sempre tutto di te, da ciò che mangi a dove vai, dal tuo conto in banca alla tua anamnesi medica: e potrà anche influenzare il tuo umore. Il Marchio della Bestia minacciato dall'Apocalisse, è a un passo dalla realtà. “
Questo gli dissero. Quel marchio che poteva influenzare il suo umore per compiere omicidi, sacrifici umani, rapine era ora sotto la cute della fronte.
Più si saliva di livello, più gli adepti potevano cambiare le sorti del mondo a loro piacimento. Judas, ad esempio, poteva provocare crisi economiche mondiali e guerre.
Il giorno in cui accettò il contratto, Acab, venne legato sull’altare di marmo bianco. Lo anestetizzarono e, prima di chiudere gli occhi, sentì queste parole:
Inoltre obbligò tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, a farsi mettere un marchio sulla mano destra o sulla fronte. Nessuno poteva comprare o vendere se non portava il marchio, cioè il nome della bestia o il numero che corrisponde al suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza, calcoli il numero della bestia, perché è un numero d'uomo; e il suo numero è seicentosessantasei.(ndr. Apocalisse 13:16-18)

 Acab fissò la lama del coltellino scintillare. Rialzò il mento e quella lama si fuse con l’esile silhouette di Ariel.
Dov’era finito quel sorriso che gli faceva palpitare il cuore? Poteva vedere il suo respiro rompersi e i singhiozzi che le facevano tremare le spalle. Chi le aveva fatto del male  doveva pagare.
 
Si avvicinò a lei con passi veloci, si posizionò di fronte al suo viso e le sfiorò le braccia, ma Ariel al suo tocco si scostò di scatto.
Gli occhi di Acab si sbarrarono. Ariel teneva gli occhi bassi, fissati al pavimento. Le lacrime le rigavano il viso impetuose.
-          Ariel – le sussurrò – cos’hai? – sfiorandole il viso bagnato col dorso della mano. Lei gliela schiaffeggiò con occhi pieni rabbia. Si sentiva presa in giro, delusa. Tutto quello che le aveva detto erano bugie. Solo bugie.
-          Non toccarmi mai più, - gli ringhiò lei.-vai via. – bisbigliò.
-          No, - la scongiurò - questo non puoi chiedermelo… – Come avrebbe fatto senza il tocco del suo angelo, senza sentire più il calore che solo il suo tocco gli provocava?
–        …Chi ti ha fatto questo? Perché stai così male? Perché non vuoi che ti sfiori? – espose tutte queste domande d’un fiato, senza accorgersi dell’espressione stupita di Ariel, che dietro la ciocca di capelli sbarrava gli occhi dalla sorpresa.
–        Tu, Acab – affermò, giratasi e  mostrandogli  gli occhi rossi – tu mi hai fatto questo.
–        C…come? – balbettò acuendo il tono dallo stupore – non è possibile. I..io non avrei mai potuto farti del male. Io..- stava per dirle quello che provava, quando Joshua, avendo girato l’angolo e avendo sentito i singhiozzi della ragazza, fu atterrito da un dispiacere che gli annodò la gola.
Si avvicinò alla schiena di Ariel fissando Acab con sguardo torvo. Le appoggiò entrambe le mani sulle spalle e la spostò verso di sé quasi per ricordare ad Acab con chi avrebbe avuto a che fare se l’avesse fatta soffrire.
-          Cosa succede qui, Acab?
-          La cosa non ti riguarda – il tono altero e lo sguardo accigliato di Acab si contrapponevano al sorriso malizioso e al tono pacato di Joshua.
-          Mi riguarda se si tratta di Ariel.
-          E da quando? Chi sei tu  per venire qui ed intrometterti in un discussione che non ti compete? – irato gli puntò l’indice contro il petto.
 
Ariel  era stretta tra i due litiganti, tra Acab e Joshua. Il passato e il presente. Il bene e il male?
 
-          Basta! – urlò lei, battendo un piede a terra. – non sono il vostro giocattolo! Joshua – girò le spalle ad Acab e si rivolse al castano – non devi difendermi solo perché sei in competizione con Acab, solo perché vuoi di mostrare di essere cambiato. Non devi dimostrarmi niente, sei e sarai il mio migliore amico, su cui potrò sempre contare! Così con dimostri di aver abbassato l’orgoglio.
 
Le sue parole erano taglienti come la lama di una spada, e la cosa che più faceva male a Joshua era che aveva ragione. In tutto.
 
-          Acab, - si girò ad occhi bassi e si schiarì la voce – io pensavo che tra noi c’era qualcosa…
-          Ma …- le sue labbra si chiusero al tocco delle due dita di Ariel.
-  Fammi finire Acab. – deglutì -  va bene, forse mi ero illusa di qualcosa che mi ero solo immaginata, e sicuramente Thabita fa al caso tuo, cioè è bellissima, comprende il tuo passato…
 
Si interruppe quando Acab le strinse il viso tra i palmi delle mani ed esclamò a voce alta:
-          Ma sei tu il mio presente Ariel!-  Congiunse le sue labbra a quelle di lei, mentre nel corridoio e nel cuore di Ariel aleggiava ancora quella frase.
 
Si dimenticò perché era arrabbiata con lui. Gli occhi sbarrati dalla sorpresa si chiusero dolcemente immersi nel sapore delle labbra di Acab. Il cuore mancò qualche battito e avvertì un violento colpo all’imboccatura dello stomaco. Sentì il rossore divampare dalle guance e arrivare al petto.
 
Thabita incrociò le braccia al petto, arresa. Acab non capiva che quel fuoco di paglia poteva farlo cadere in giudizio. In fondo pensava ancora che quei cristiani erano degli ipocriti, avrebbero giudicato le sue origini e il suo passato. Una come lei non avrebbe mai potuto stare con lui.
 
Joshua non poté sopportate la vista di quel bacio. Sentì il sangue che gli ribollì nelle vene. La luce non poteva stare con le tenebre. Era assurdo.
Li oltrepassò, mise le mani dentro le tasche e rivolse uno sguardo agli occhi glaciali di Thabita, che scosse il capo quasi a voler fargli comprendere che anche lei non accettava quell’unione.
 
-          Padre deve venire a vedere –  Nathan aveva aperto la porta violentemente con un sorriso a trentadue denti e Padre Max sobbalzò, intento com’era a leggere le Sacre Scritture. – si bussa figliolo. – fece un sospiro, posò gli occhiali da vista sulla pagina della Bibbia, che stava leggendo e si strofinò gli occhi pesanti. – 1 Corinzi 13 – sussurrò per ricordarsi il passo a cui era arrivato -Cosa c’è Nathan?
-          L’amore trionfa a Filadelfia – esclamò con un sorriso sghembo.
-          Quale amore intendi?
-          Amore…un uomo …una donna ..si incontrano si piacciono..- disse insicuro.
-          Amore carnale?
-          No ..cioè si..perché quanti amori ci sono?
-          Nathan, Nathan, - il padre si alzò dalla poltroncina, si avvicinò al ragazzo col fare di un insegnante e gli poggiò una mano sulla spalla – caro figlio mio, esiste l’amore passionale, umano, che come tutte le cose umane prima o poi finisce, e poi c’è l’amore di Dio. Quell’amore che si manifesta nella comunione dei santi, tra fratelli, che fa scorrere lo Spirito Santo nel Corpo di Cristo, ovvero la Chiesa, quello che si sacrifica per il bene del prossimo. Che ama gli altri come ama se stesso.
 
Nathan ascoltava, attento ad ogni singola parola.
-          L’amore umano fa sempre danni, quando non è lo Spirito Santo a guidare ogni cosa. Se un cuore è contrario ad un unione, per gelosia o invidia, questi sentimenti possono portare all’odio e quando c’è l’odio lo Spirito non scorre perfettamente tra i fratelli e le sorelle. Quindi – fece un sospiro –andiamo, sento che c’è bisogno di un po’ di ordine.
 
Il pastore uscì dal suo ufficio, seguito da Nathan, percorse un corridoio e voltando l’angolo vide una scena che non gli piacque: Acab ed Ariel si sorridevano con occhi languidi, mentre Thabita e Joshua si parlavano, lanciando occhiate malevole ai due.
Decise così di intervenire: l’amore di Dio doveva prevalere sempre e comunque.
 
-          Joshua, Thabita venite qui! – li richiamò con voce autorevole e con sguardo severo.
Ariel si girò verso il padre e poi verso Joshua aggrottando la fronte, Acab alzò un sopracciglio con aria interrogativa.
-          Si padre – gli sorrise il ragazzo.
-          Joshua, pensavo che il tuo cuore era diventato immune ai cattivi sentimenti.
-          Infa..
-          Aspetta non ho finito – lo interruppe – non è così ragazzo, il tuo cuore deve amare la verità e la luce. Se tu hai dentro la luce, ami la luce. L’invidia e la gelosia sono sentimenti che ti avvicinano alle tenebre. Perché vuoi ostacolare i piani di Dio?
-          Ma io non voglio ostacolarli…- lo sguardo di Joshua si rivolse ad Acab e Ariel.- padre li guardi, non può essere da Dio quella unione.- li indicò con la mano.
-          Tu chi sei per sapere i piani di Dio! – nella voce del padre  si celava un velo di rabbia. – oh l’uomo che vuole mettersi al posto di Dio! – esclamò  – i tuoi piani non possono essere quelli del Creatore. Acab è stato perdonato, per questo ama. Ricordati a chi molto è stato perdonato molto ama. Dio non guarda ai peccati, guarda al cuore.

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Capitolo 13
*** Lieto fine? ***


-          Devo darvi un’importantissima missione e tu che fai? Ti fai vincere dal male? I tempi si stanno compiendo.
Joshua rialzò lo sguardo, corrugando la fronte:
-          Dice davvero padre?
-          Vedi Joshua – il pastore gli poggiò una mano sulla spalla - è questo il tuo problema: tu non mi credi. Scommetto che se dicessi la stessa cosa ad Acab lui mi crederebbe subito e agirebbe di conseguenza.
-          Padre io..- il giovane Joshua abbassò il viso, mentre le lacrime di rimorso gli annebbiavano la vista – io voglio credere, perdona le mie debolezze. – il pianto gli rese la voce roca e Thabita sentì un nodo alla gola perché anche lei voleva credere, ma ancora gli antichi spiriti le impedivano di abbandonarsi alla luce.
-          Ecco figliolo. Il pianto indica il tuo pentimento. Il tuo cuore è pronto per ricevere lo Spirito Santo. Abbandonati a Lui, al suo amore, confida in Lui ed egli opererà. Lascia il tuo futuro nelle sue mani.
Il ragazzo singhiozzava e il respiro rotto attirò l’attenzione di Ariel che corse verso di lui, ma la sua corsa venne bloccata da un’occhiata severa da parte di padre Max che scuotendo la testa le ordinò di non avvicinarsi.
-          …io voglio dare la mia vita a Lui! – esclamò il giovane Joshua.
 
Intanto Lucia, che era rimasta a coccolarsi con Heliu sentì dei brividi che dalla nuca gli attraversarono tutta la schiena, si staccò dall’abbraccio con il ragazzo e corse verso il corridoio principale. Heliu stupito la seguì e per poco non ci sbatté contro.
-          Finalmente! – esclamò Lucia, battendo le mani, sorridente.
-          Cosa succede? – chiese Heliu, guardando verso il gruppo dei compagni. Lei lo zittì portandosi l’indice alle labbra, osservando la scena da lontano.
 
Joshua stava parlando nella lingua del Cielo, a lui si unirono anche Ariel, Nathan e il padre Max. Tutti e tre, con gli anziani della chiesa, ad occhi chiusi imponevano le mani sul ragazzo per far si che ricevesse lo Spirito Santo. Tuttavia quella lingua, che lodava il Re Celeste,  infastidiva i due adepti che dovettero inginocchiarsi al suolo stingendo i palmi alle tempie: quel microchip stava dando dei comandi a cui non volevano sottomettersi.
 
Uccidere il pastore.
Uccidere l’unto.
Uccidere il mandato.
 
Era lui la causa di tutto. Chi stava sotto l’ordine di Dio riceveva più potenza. Sulla terra si doveva compiere la volontà di Dio com’è fatta nel Regno Celeste.
L’ordine era questo: Dio padre aveva mandato al Figlio.
Il Figlio aveva i suoi sette mandati, gli angeli delle sette chiese: Efeso, Smirne, Pergamo, Thyatira, Sardi, Filadelfia e Laodicea.
Di queste, la più vicina all’ordine di Dio era Filadelfia, la chiesa dell’amore fraterno.
I mandati rappresentavano Dio in terra.
Per questo gli agenti di Satana facevano di tutto per eliminarli, non sempre fisicamente, ma anche impedendo il compimento di quest’Ordine, togliendo autorità all’unto.
Come? Facendo si che i fedeli, che avrebbero dovuto vedere nel mandato il Padre, si mettessero alla pari di quest’ultimo, compiendo il peccato luciferino: pensare di poter  essere simile a Dio.
In Filadelfia il padre era amato dai figli e la sua parola veniva creduta perché proveniva dal Padre Celeste.
 
Un fuoco si stava materializzando attorno a Joshua, la lingua del Cielo stava diventando sempre più intensa e gli adepti adesso stavano contorcendosi al suolo.
Acab non voleva obbedire a quell’imput. Alzò a fatica il volto, mentre le fitte alla tempia diventavano sempre più violente. Cercò di rialzarsi facendo peso  sui gomiti e, mentre quegli ordini continuavano a battere ferocemente come il suo cuore, fissò la finestra e a carponi vi si avvicinò, strisciò su per il muretto e, respirando spasmodicamente, la aprì.
 
Mise un piede sul davanzale e giratosi verso Ariel fece un mezzo sorriso. Quando fu  in piedi sul parapetto, guardò il cielo e bisbigliò: - avrei potuto godere di quella pace…
 
-Fermo Caleb!  - ordinò risoluto il padre.
 
Caleb? Quel nome lo riconosceva. Si sentiva parte di quel nome.
Era lui Caleb.
D’un tratto gli vennero alla mente tutti i ricordi legati a quel nome.
Gli occhi della madre, il sorriso del padre.
 
Poi il buio.
No, questo buio di menzogna veniva sfumato da una luce.
L’orrore compiuto da sua sorella. La casa in una pozza di sangue. Suo padre e sua madre distesi sul pavimento colorato di rosso.
 
Gli occhi di Caleb di schiarirono, si spalancarono facendo colare una lacrima che arrivò fino alle labbra tremanti. Adesso sapeva. Ricordava il fuoco nella foresta: i suoi genitori erano stati offerti in sacrificio a Moloc, il dio civetta.
Odio e rabbia afferrarono Caleb. Strinse le mani allo stipite della finestra a cui si reggeva, voleva farla finita.
-          Caleb – la voce roca di Ariel lo fece impallidire – non farlo, io..- le lacrime le scorrevano  fino al mento tremolante.
Il giovane si girò verso di lei e la fissò negli occhi grandi, che adesso mostravamo venature rosse dovute al pianto disperato.
- …io ti amo
 
Tre parole. Mille sensazioni.
Il cuore di Caleb palpitava, le guance gli divennero rosse, e il calore lo inondò dal petto fino alla fronte.
Scese dal davanzale, ma una fitta alla fronte lo piegò in due dal dolore. Ariel stava per avvicinarsi ma fu bloccata dalla mano del padre.
Il pastore si avvicinò al giovane che urlava e si accovacciò sulle ginocchia.
-          Caleb ascoltami,  tu rifiuti il Regno di Satana?
-          Si! Con tutto me stesso…- ringhiò, con occhi serrati.
-          Rifiuti il peccato?
-          Si!
-          Vuoi entrare nel Regno di Dio?
Il giovane annuì più volte, ma in questi casi la parola è quella che unisce la volontà del cuore e a quella della mente.
-          Rifiuta lo spirito di Acab e pronuncia la tua decisione se lo vuoi con tutto il cuore! – ordinò il padre.
 
Ariel si strinse  a Joshua, che la rassicurò sussurrando - tranquilla, tutto questo è un bene per lui-  Le diede un bacio sulla fronte e strinse il viso della ragazza al suo petto.
Thabita venne portata dagli anziani della chiesa dentro il Luogo Santo, per compiere la medesima operazione del padre.
 
Caleb urlò e dopo il suo consenso il padre, aiutato da Joshua e Heliu, portò il giovane vicino all’acqua battesimale.
Caleb era bianco in viso e non riusciva a reggersi in piedi. Lo portarono alla vasca e, sempre aiutato dai due, salì gli scalini e non appena toccò l’acqua col piede gridò ancora una volta. Il padre li incoraggiò :
-          ragazzi non abbiate paura, deve nascere di nuovo per entrare nel Regno, avanti, immergetelo.
 
Il ragazzo aveva la febbre alta e  il demone di Acab, che ancora non l’aveva lasciato, lo fece svenire tra le braccia dei due ragazzi che, a fatica lo fecero entrare in acqua.
-          Ora faccio io ragazzi – il padre si avvicinò al suo volto, pregò per lui e gli soffiò nelle narici.
 
Caleb si destò e si stupì di essere dentro quella vasca. Non ricordava nulla.
-          Il battesimo è un atto di coscienza Caleb. Ripeterò le domande, affinché tu sia sicuro della tua scelta perché il cristianesimo è essenzialmente libertà.
 
Il padre ripeté e il ragazzo acconsentì. Gli pose i palmi delle mani sul  capo e lo immerse tre volte, nel nome del Padre, Del Figlio e Dello Spirito Santo.
 
Durante le immersioni il giovane si sentì come sgravato da un peso. Un energia maligna lo attraversò dalla nuca al petto, sotto forma di brividi di freddo, fino ad arrivare ai piedi mentre usciva dall’acqua. La sua mente era leggera, era come se i suoi piedi scivolassero al suolo. La gravità non esisteva. Scese il primo gradino, spalancò gli occhi ridenti e fece un largo sorriso al padre. Per la prima volta si sentì in pace.
 
Si mise un accappatoio sulla maglia grigia che aderiva al petto e  si guardò allo specchio posto alla parete poco prima di aprire la porta: le guance erano rosee, e gli occhi color zaffiro. Quella curva del sorriso, che evidenziava la dentatura perfetta, non accennava a cancellarsi.
Si girò verso la maniglia della porta e la osservò a lungo. In una frazione di secondo gli balenarono alla mente tutte le esperienze e sensazioni provate accanto a quei ragazzi, i suoi nuovi amici, i suoi nuovi fratelli. Abbassò tutta la maniglia dorata, fece un profondo sospiro e aprì la porta.
 
 
 
 
 
 
La forte luce che proveniva dalle finestre del corridoio lo accecò per qualche secondo.  Poi un urlo di gioia, una specie di coro da stadio lo intontì, e sentì una persa leggera ai suoi fianchi. Abbassò il viso e li vide: due occhi color nocciola, le labbra delicatamente rosse e quella pelle olivastra delle spalle su cui si posavano i capelli corvini.
Ariel. Il suo angelo. Lo strumento di Dio per salvarlo.
 
Dai capelli colavano piccole goccioline d’acqua, che le bagnarono le gote, e scesero lungo il viso roseo.
Lui le asciugò quel rigo trasparente col pollice e con lo stesso le sfiorò il labro inferiore. Un nuovo bacio, dolce, sensuale e travolgente, segnava l’inizio della loro avventura. Sciolsero le loro labbra, mentre i ragazzi, attorno a loro, fischiavano e auguravano felicità e benedizioni al nuovo arrivato.
 
-          Caleb, fratello- sussurrò la voce profonda di Joshua, ponendogli una mano sulla spalla e porgendogli  la mano con un sorriso sincero, ma Caleb, con un sorriso sghembo, lo tirò a sé per un abbraccio fraterno.
Uno dei tanti spiriti che vagano davanti al trono celeste è quello della Riconciliazione e in quel momento aveva invaso il loro cuore.
 
Adesso Caleb si sentiva in famiglia.
Si sentiva in Cielo.

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