Dare tempo al tempo

di Rota
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Anno 0 - Marzo ***
Capitolo 2: *** Anno 1 - Maggio ***
Capitolo 3: *** Anno 2 - Luglio ***
Capitolo 4: *** Anno 3 - Settembre ***
Capitolo 5: *** Anno 4 - Novembre ***
Capitolo 6: *** Anno 5 - Gennaio ***
Capitolo 7: *** Anno 6 - Marzo ***



Capitolo 1
*** Anno 0 - Marzo ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 0 – Marzo
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere, Miguel il Vampiro, Dimitri l'Angelo
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale
*Avvertimenti: One shot, Raccolta
*Rating: Verde
*Parole: 2355
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: Siccome non ho intenzione di fare come l'altra volta - ovvero il caos XD - quella che presento questa settimana è una raccolta di One Shot tra Jake e Antonio, ormai i miei prediletti. Sarà una raccolta che parla dell'evolversi del loro rapporto, da 0 a dopo di quanto ho già parlato nella long/quellarobachenondovevofaremachehofa
ttolostesso.
“Munchkin” è un gioco di carte che conosco assai bene, per chi non lo tiene presente consiglio di dare un'occhiata alla pagina che ne spiega le regole altrimenti capirà sì e no mezza parola di quanto io dico XD é molto divertente, comunque, lo consiglio davvero :D
Indi niente, spero sia una buona lettura per tutti voi (L)


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La prima impressione che ebbe di lui, dopo che con una lunga e analitica occhiata ebbe analizzato la sua intera figura, non fu quasi per niente positiva. Probabilmente a ragione, dal momento che Jake, nel suo completo da ufficio con tanto di camicia e cravatta, sembrava così tanto fuori posto da far venire da ridere – e Antonio aveva già intravisto attorno a loro qualcuno che nell'adocchiarlo non aveva neanche avuto la buona creanza di nascondere un sorriso divertito.
Stava mangiucchiando un dolcetto preso al bar, quelli pieni di farina di soia e altri dolcificanti che avrebbero relegato l'uomo entro i confini bianchi di un bagno nel momento stesso in cui i suoi succhi gastrici fossero venuti in contatto con l'invasore; Antonio odiava avere uno stomaco tanto sensibile ma purtroppo non poteva farci niente se non adeguarsi e portare tutto il proprio cibo da casa. L'uomo seduto al tavolo era solo e stava fissando il vuoto, con aria annoiata: non si capiva cosa volesse fare davvero e nessuno nella sala pareva intenzionato a scoprirlo, col rischio di avvicinarsi troppo a lui e rimanere infettato.
Era un pensiero brutto da fare, ma Antonio provò davvero pena per lui.
-Ehi, dico a te! Ti muovi a fare la tua mossa!-
Antonio distolse lo sguardo dall'altro uomo e mostrò un ampio sorriso al suo interlocutore. Stava vincendo la partita con una facilità che dava dell'incredibile e l'altro non vedeva l'ora di levarselo dai piedi per iniziare un gioco diverso.
Era così che funzionava, in Sale come quelle: si creavano gruppi di giocatori per ogni tavolo che impiegavano anche diverso tempo a portare a termine una sola partita. Chi aveva la fortuna di entrare dall'ingresso con un gruppo già formato, non spendeva un solo secondo che non muovendo pedine; chi invece ne entrava solo vagava per lo più in cerca di una compagnia alla quale aggregarsi. Antonio non era uno di quelli con la fretta addosso e quella sera aveva già cambiato tre gruppi, familiarizzando con perfetti sconosciuti.
Si divertiva, da matti, anche perché normalmente era lui quello che vinceva. Gli piacevano un sacco di giochi da tavolo, non aveva molta dimestichezza con le carte ma impiegava poco a capirne le regole e i meccanismi, aveva una logica tattica invidiabile. Era, in poche parole, il giocatore perfetto.
Pescò la propria carta e fece un altro sorriso, certo che nel giro di due mani avrebbe concluso la partita. Fece la sua mossa e attese, guardandosi attorno con la coda dell'occhio: l'uomo solo era ancora al tavolo e aveva finito il suo snack, stava cercando qualcuno di interessante a cui avvicinarsi ma non pareva attratto da nessuno in particolare; aveva uno sguardo freddo, e Antonio immaginò dovesse essere un impiegato, perché solo un impiegato potrebbe rimanere così gelido in un luogo del genere.
Fu portato al suo posto dal brusco movimento di una carta. Senza neanche più sorridere, appoggiò sulla superficie del tavolo la carta decisiva e ancora prima che l'altro giocatore si accorgesse di aver perso lui aveva già raccattato le sue robe e si era alzato dalla sedia.
Fu accompagnato da un insulto e da un paio di fischi, ma nulla di più.
Il suo problema era trovare gente abbastanza brava da potergli reggere il gioco, qualcosa di diverso che non fosse scontato e che durasse di più. Erano anni che passava le sue serate in quella Sala e dopo aver mollato la sua vecchia compagnia per questioni personali – una ragazza contesa tra lui e il suo vecchio migliore amico – vagava come un vagabondo alla ricerca di un riparo sicuro.
Solo per un istante gli venne la tentazione di sedersi al tavolo dell'impiegato, per fare conoscenza e per metterlo a suo agio; chissà, magari era anche bravo a far qualcosa, oltre che squadrare tutti con aria superiore. Però fu solo un istante, perché invece che fermarsi al suo tavolo tirò dritto senza neanche dare segno d'essersi accorto della sua presenza.
Andò invece al tavolo dietro, vicino a una faccia abbastanza conosciuta: Dimitri si accorse troppo tardi della sua presenza, quando ormai lui s'era già seduto e non poteva più cacciarlo via. Gli rivolse un'occhiataccia e pregò che almeno qualcuno del gruppo nel quale si era inserito quella sera captasse qualcosa e facesse di conseguenza – niente, la realtà doveva avercela a morte con lui ancora una volta.
-A cosa state giocando?-
Dimitri, quel tizio i cui capelli rosso fiamma facevano assomigliare a un semaforo e gli occhi chiarissimi una figura quasi eterea e ultra- terrena, stava mescolando tre mazzetti di carte diversi con le mani di uno che quelle cose è stato abituato dal tempo a farle.
-Giochiamo a “Munchkin”.-
Antonio fece un fischio e mise il proprio zaino sul tavolo cominciando a rovistarci dentro.
-Io ho il mazzo di “Lascia e raddoppia” e quello sui Caraibi! Voi con che versione volevate giocare?-
-Abbiamo “Munchkin Morde”...-
-Perfetto! Allora li possiamo mischiare!-
Antonio non fece molto caso all'occhiata di fuoco che gli rivolse Dimitri ma anzi appoggiò con una certa energia i mazzi accanto ai suoi, perché li mescolasse tutti assieme. Gli altri membri del gruppo parevano entusiasti della cosa – probabilmente stavano immaginando armi spaziali triple e scudieri con cinque braccia per fianco o qualcosa di molto simile – e quindi l'uomo non poté far prevalere il proprio disappunto. Non era propriamente giusto dire che non lo sopportava: non gli piacevano certi suoi comportamenti, tutto qui, e non era abbastanza in confidenza con lui per permettersi di farglielo notare più di una volta.
Cominciarono la partita in cinque, compreso un tizio dalla pelle scura quanto il cioccolato e dal ghigno furbo. Lui fu il primo a mettersi la Razza del Vampiro, già dalla prima mano, mentre i restanti componenti attesero Classi o Razze più ghiotte; da quel momento Antonio riconobbe Miguel in qualsiasi contesto e lo associò direttamente alla figura del succhia- sangue, con tutto ciò che ne conseguiva.
Fu una partita estenuante, per tutti quanti. Dimitri aveva pescato la Morte proprio quando gli mancavano due livelli alla vittoria mentre Antonio, con quelle sue parole audaci e le sue fortissime risate, si beccava contro tutti i Mostri associati che gli altri gli gettavano addosso senza neanche far finta di non avercela con lui. Stranamente per tutti, a vincere non fu né l'uno né l'altro, ma un tranquillo e scaltro Miguel che si era fatto mezzo Elfo e pure Ladro e, aiutando un proprio alleato, salì in maniera meccanica al decimo livello e quindi vinse.
Come era ovvio, si iniziò una seconda partita.
Antonio sentì solo a quel punto, da dietro, il rumore di una sedia che si muoveva. Sporgendo il viso per vedere cosa fosse successo o cosa gli capitasse attorno, vide l'impiegato che si era voltato di 180° gradi e ora gli era alle spalle, a guardargli le carte e a guardare come si muoveva in campo. All'uomo non era capitato così di rado di avere un pubblico, ma che fosse proprio Jake – che non aveva l'aria di una persona tanto avvezza a quel genere di ambiente – gli fece uno strano effetto. Gli rivolse lo stesso un largo sorriso e per le prime mani abbassò anche la spalla perché lui potesse vedere meglio cosa stava succedendo; poi la rialzò all'altezza giusta, sentendo i primi dolori lungo tutto il braccio.
Quella fu una partita molto rapida. Miguel era gonfio di vittoria, Dimitri di irritazione, Antonio di spavalderia come sempre. Tuttavia Dimitri rivelò di sé una tempra e una concentrazione che di primo acchito non si sarebbe davvero detto: a parte l'evidente astio che lo rendeva antagonista ad Antonio, era di suo una persona calma e morigerata, che difficilmente si arrabbiava tanto da desiderare una vendetta. Tuttavia, fu piuttosto crudele con Miguel e schiacciò come un piccolo insetto Antonio, arrivando entro la mezz'ora alla vittoria con la sola Razza di Gnomo e un'ascia larga quanto un cavallo. Fu deprimente per tutti, sul serio, e lo fu ancora di più quando Dimitri sottolineò la cosa con un sorriso lungo tutta la faccia e largo uno striscio di pelle appena rosata.
La cosa richiedeva giustizia.
-... Posso giocare?-
Antonio quasi sobbalzò quando sentì la voce di Jake – distaccata, professionale, neanche si stesse trattando di compilare il modulo di iscrizione per chissà che cosa. Aveva non solo l'aria da tecnico, ma persino le movenze e la parlantina.
Il fatto che sapesse persino parlare la lingua umana fu una cosa talmente sconvolgente per tutti che nessuno parlò per qualche secondo, dopodiché Miguel si fece avanti con una mano tesa e lo invitò a sedersi con tutti loro.
-Se sei capace, prego.-
Jake si mise accanto ad Antonio, come nessuno aveva in realtà mai osato fare: i giocatori erano i più abietti superstiziosi del pianeta Terra e circolavano voci strane sulla fortuna di Antonio, per esempio quella che la carpisse direttamente dalla prima persona a lui vicina e la facesse propria di punto in bianco, neanche avesse fatto un patto con chissà quale stregone nero. Jake, però, non dava neanche l'aria di uno che, conoscendo quelle voci, avrebbe dato loro retta.
Guardò Antonio quando gli passò le sue carte e non gli venne proprio da rispondere al suo sorriso luminoso – l'uomo lo odiò un pochetto, perché gli era proprio antipatico.
Quello che fu chiaro a tutti fin dal principio era che Jake amava con tutto sé stesso le strategie a lungo termine. Non a caso aveva scelto la Classe del Mago e faceva evanescere ogni singolo mostro troppo forte per lui, prendendosi una quantità assai preoccupante di tesori già dalle prime mani. A Miguel non piacque molto la cosa, tanto che ad un certo punto gli scagliò addosso qualche maledizione per il gusto di farlo: riuscì a togliergli l'armatura di cuoio e le calzature anti- fango, ma non beccò invece la pistola laser multi- getto a cui aveva puntato compiacendosi invece di vederla andare nella pila degli scarti. Nonostante tutti i suoi sforzi, Jake restò ancorato al suo livello tre per almeno dieci turni, per poi fare non si seppe bene cosa e arrivare direttamente al nove nel giro di mezza mano.
A quel punto persino Dimitri ed Antonio si preoccuparono, da morire. Anche a buttargli addosso qualche mostro non avrebbero fatto altro che aumentare il numero dei suoi tesori, aveva un Dado Appesantito di quelli che non si schiodavano neanche a pagarlo oro e nessuno della compagnia era un ladro abbastanza abile da ucciderlo e prendersi tutto quello che aveva – che era un mucchio di roba, decisamente. In più c'era quella specie di guardia del corpo, il Lupo Destriero, che si sarebbe sacrificato per lui in ogni occasione, quindi di omicidi portati a buon fine ne dovevano servire due e non solo uno; divenne assai complesso.
La cosa non si risolse con la vittoria di Jake, affatto. La sua scarsa dialettica gli impedì di farsi amico chicchessia e benché potesse aiutare praticamente chiunque, il suo aiuto veniva sempre rifiutato, con la spiacevole conseguenza di un isolamento via via più marcato. Per questo motivo fu Antonio a vincere, lui Alto Elfo Cavaliere d'oro mezzo Medusiano: gli era venuta contro una cosa chiamata Ratto Mannaro, un affarino che il massimo che poteva farti era rosicchiare le calzature e portarsele via; fu spazzato con un colpo di mano in un solo istante, e l'uomo vinse.
Tuttavia, fece proprio un gran sorrisone a Jake e non per cattiveria e malizia, né per infierire sulla ferita aperta. Si era solamente divertito e metà del merito era del Mago.
Accadde che, quella volta, Jake rispose con un mezzo sorriso appena, rivelando un'anima più o meno umana all'altro – era la prima volta che gli vedeva quell'espressione di euforica contentezza, come se nella sua vita non avesse fatto niente di più entusiasmante di quello, e fu bello potersene accorgere così, in maniera naturale.
Attorno a loro ci fu un coro di lamenti funesti e di parole non poco lusinghiere. Miguel sbuffò qualche secondo prima di concedersi un sorrisetto, mentre Dimitri aveva già gli occhi puntati verso gli altri e non li staccava più di dosso a loro.
Perché era evidente, almeno a loro quattro, quello che sarebbe successo da quella sera d'innanzi. La nuova compagnia si era formata, proprio a quel tavolo, e non si sarebbe certo sciolta presto.
Jake il Mago, Antonio il Cavaliere, Miguel il Vampiro e Dimitri l'Angelo si erano dunque riconosciuti e uniti – l'unica cosa che in quel momento mancava loro era l'effettivo collante che li avrebbe obbligati a rimanere un gruppo esclusivo.
Prima che qualcuno chiedesse una nuova mano, Miguel sbadigliò rumorosamente e si diede sconfitto, rovinando con l'intera faccia sul tavolo senza neanche guardarsi attorno. Era passata l'una di notte e a momenti sarebbe suonato il campanello che avrebbe annunciato la chiusura della Sala. Cominciarono ad alzarsi tutti e a sgranchirsi braccia e gambe con fare più o meno sonnolento.
Antonio si alzò, sbadigliando a sua volta, e lentamente separò le proprie carte dai mazzi che non erano suoi. Jake se ne andò senza dire nulla e fu tanto rapido che quasi il Cavaliere si sorprese di non averlo più accanto. Tuttavia lo incontrò fuori, proprio sotto la veranda che dava all'esterno, poco lontano dall'ingresso della Sala.
Era così evidente che stava aspettando qualcuno che Antonio gli fu accanto in meno di due passi.
-Ehilà!-
Si sorprese di vederlo sorridente, con un'aria stanca che non gli si addiceva quasi per nulla – o non si addiceva alla figura da perfetto impiegato secchione che a priori gli aveva incollato addosso. In quel momento provò un moto di simpatia per lui.
Jake allungò una mano, cordialmente.
-... Jake.-
Non disse il proprio cognome, ma fu uguale: probabilmente tutto ciò che richiedeva era una conoscenza ristretta e relativa all'ambito del gioco. Andava perfettamente, perché Antonio si rese conto di voler esattamente la stessa cosa.
Strinse quindi quella mano con vigore, scuotendolo tutto.
-Io sono Antonio! É stato proprio divertente giocare con te, sei un mago! Come mai non sei mai venuto qui, prima? Dovresti giocare più spesso con noi: sei bravissimo!-
Jake gli fece ancora quel mezzo sorriso ma non si degnò di rispondere alle sue domande. Antonio si rimase un poco male, ma con il passare del tempo avrebbe imparato quanto parsimonioso fosse quello strano individuo, specie in fatto di parole.

L'anno zero, l'inizio di tutto, ebbe come origine una bella giornata di Marzo, già sotto il segno dell'Ariete.

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Capitolo 2
*** Anno 1 - Maggio ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 1 – Maggio
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere, Miguel il Vampiro, Dimitri l'Angelo
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash leggero leggero
*Rating: Giallo
*Parole: 2500
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: Eccoci al secondo capitolo (L) per quanto riguarda la cronologia del rapporto tra Jake e Antonio, diciamo che siamo ancora in alto mare XD Dal prossimo capitolo saranno una coppia fatta e finita, per adesso non ancora ma qualcosa s'è sicuramente mosso. Diciamo che la long che ho scritto e pubblicato si ambienta tra questo capitolo e quello che segue :D




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Antonio era incapace di decifrare le situazioni che gli si presentavano davanti agli occhi, ed era così evidente che quasi tutti loro ci avevano fatto il callo, dopo quei mesi passati assieme a darsi battaglia più o meno esplicitamente. Aveva una fiducia nel prossimo che non arrivava ai livelli di Dimitri, questo no, ma vedeva il mondo o bianco o nero e tutto quanto riguardava la prima parte lo accecava a tal punto da non renderlo più tanto razionale.
Insomma, Miguel aveva cercato di avvertirlo, che una serata del genere sarebbe stata fuori luogo – gli aveva detto, sillabato con quelle sue labbra carnose e scurissime, che non era il caso che quattro tipi come loro si ritrovassero nel medesimo luogo senza avere carte in mano o qualche gioco con cui impegnare il tempo. Il Vampiro era stato chiaro, peccato che aveva evitato, per evidente imbarazzo, di chiarire anche le motivazioni delle sue affermazioni, tanto che Antonio si convinse che il suo era eccessivo pudore e che altro non gli serviva se non una bella serata in compagnia con tutti loro.
Il Cavaliere, se decideva una cosa, era irremovibile. Dimitri l'avrebbe definito ottuso, Miguel a tratti idiota, Jake si sarebbe limitato a guardarlo con divertita sufficienza, ma il concetto non cambiava qualsiasi fosse stata la persona a esprimerlo.
Il punto fu che a loro, il concetto di disastro, si palesò davanti agli occhi nel momento esatto in cui tutti e quattro si riunirono di fronte all'ingresso del locale, mentre ad Antonio non lo fu proprio mai. D'altronde non era soltanto l'estrazione sociale che li divideva, ma anche e specie il modo e l'etica con cui vivevano ogni giorno. Dimitri aveva un completo elegante da signore mentre Jake era arrivato sul luogo direttamente con i mezzi pubblici: la differenza tra i due era evidente e per nulla colmabile.
Antonio non si era accorto del loro disagio e aveva alzato il pugno al cielo – gesto che faceva ogni tanto, durante l'esaltazione massima.
-Bene, ci siamo tutti ! É ora di entrare!-
La pizzeria era carina, uno di quei nuovi locali grandi e allestiti con un certo gusto, pieni di camerieri e cameriere in divisa, il forno e il pizzaiolo in vista sopra un piccolo palco al centro. La cosa era molto semplice: non si doveva ordinare una pizza precisa ma si prendeva una fetta di ogni pizza che un cameriere portava attraverso tutti i tavoli. A eccenzion fatta della bibita, unica cosa che potevano scegliere anticipatamente, i clienti avevano una gamma di possibilità quasi infinita. Antonio aveva scoperto il locale uscendo con altri amici, tempo prima, e l'aveva trovato splendido.
Dimitri non mangiava pizza da almeno un anno e mezzo, a parte quella del bar della Sala giochi che ogni tanto ordinava, giusto per non morire di fame. Sulle prime non protestò, cercando di inserirsi nel gruppo nel miglior modo possibile. Visto senza niente addosso che lo potesse definire un giocatore incallito, sembrava davvero un'altra persona. Aveva i lunghi capelli pettinati all'indietro, un viso pulito e dei modi signorili che nessuno gli aveva mai visto portare. Fu più una sorpresa che tutto il resto del locale, in effetti.
Tra lui e Jake, d'altronde, non vi fu altra differenza: non parlarono molto entrambi e per lo più si limitarono a lanciare occhiate di diversa natura in giro. Dimitri diceva qualche parola in più, giusto per stuzzicare Miguel e non fargli credere che solo perché aveva una bella cravatta al collo allora era diverso dal solito, specie con una fetta di pizza alla salsiccia grande quanto due mani nel piatto. Jake parlò nelle uniche occasioni di ordinare da bere – un'aranciata non frizzante e con tanto di ghiaccio – e per dire no alla fetta di pizza con le cipolle che altrimenti stava male per giorni interi: quella roba non la digeriva tanto bene.
Miguel ribatteva quanto gli altri dicevano, specialmente a quanto Dimitri gli rivolgeva in maniera diretta, stuzzicandone il braccio e l'orgoglio con sempre maggior evidenza; che fosse rivalità o altro, pura e semplice cattiveria, era difficile dirlo.
Antonio, in definitiva, fu l'unico dei quattro a parlare davvero. Non era una novità, nel gruppo: il Cavaliere era solito tenere lunghi sermoni, infiniti monologhi che si fermavano quei due secondi ogni tanto per fargli riprendere fiato. La cosa sarebbe stata anche tollerabile, se solo non si fosse obbligato di porre domande agli altri, aspettandosi anche una risposta soddisfacente che andava oltre il monosillabo.
D'altronde, era stato lui a organizzare la serata, in meno di mezzo minuto. Stavano ancora giocando a casa della Veggente, quella cara e deliziosa bambina che li aveva accolti nel suo magico mondo col solo intento di dannarli e far loro patire le pene dell'Inferno più buio, quando l'illuminazione l'aveva colto e allora aveva proposto la grande serata. In realtà già da qualche tempo aveva intenzione di fare una simile proposta, perché per una persona come lui era difficile essere sprovvisto di amici con cui condividere qualche ora dopo il tramonto che non per una sola cosa, ovvero “Munckin”, “Bang!”, “Magnifico” e altro per loro. Inoltre gli sembrava assurdo non poter frequentare in altri contesti le persone con cui passava più tempo in assoluto dopo i suoi studenti, ovvero quei tre allocchi con cui faceva role davanti a un orrendo servizio da tè in ceramica rosa. Era nella sua natura affrontare le cose di petto, e infatti li aveva obbligati tutti a seguirlo in quell'assurdo progetto – la Veggente no, poverina, che lei aveva ancora scuola e non poteva stare troppo sveglia di sera, senza contare che la presenza di quattro uomini machi per una sola signorina non la entusiasmava per nulla. Così Dimitri, Jake e Miguel si erano visti costretti a seguirlo, sospinti nella decisione dalla minaccia più che reale di aver Antonio addosso per un periodo di tempo indefinito e di doversi sorbire personalmente tutte le sue lunghe, lunghissime lamentele.
Miguel sospirò più forte del solito, sorseggiando la sua coca con fare distratto: stava aspettando la pizza con rucola e grana, la sua preferita, e adocchiava i camerieri che volteggiavano tra i tavoli qualche metro più in là. Aveva negli occhi una noia evidente.
-In cosa consiste il tuo lavoro, Miguel?-
Il Vampiro quasi si strozzò nel sentirsi considerato all'improvviso e guardò Antonio con un certo odio davvero poco mascherato. Quel maledetto impiastro.
-Niente di troppo diverso da quello che fa un impiegato normale. Cambia il luogo ma non il concetto.-
Antonio insistette, come una locomotiva che sbuffando marcia sulla stessa rotaia un'infinità d volte fino a consumare il metallo.
-E cosa fa un impiegato normale?-
Infatti il Vampiro si spazientì e mancò poco che gli tirasse addosso un pezzo di grissino. Odiava le persone troppo invadenti, con tutto sé stesso.
-Lo puoi chiedere anche a Jake questo, non per forza a me!-
Antonio gli fece un largo sorriso, senza demordere.
-A Jake chiederò un'altra cosa, voglio sapere da te cosa fai tutto il giorno seduto su una scrivania!-
Miguel sbuffò e fece una cosa stranissima con la faccia: in un movimento inusuale, tirò indietro i muscoli che stavano sulle meningi, assumendo in volto un'espressione a dir poco inquietante, che avrebbe zittito chicchessia da qualsivoglia tentativo di avvicinarlo.
Tuttavia, Antonio non diede segno di turbamento e nel piatto del Vampiro comparve magicamente una fetta gigantesca di pizza – quella con rucola e grana che tanto gli piaceva – capace di acquietarlo quel giusto per farlo rispondere.
Aveva ancora uno sguardo di ghiaccio, ma almeno non pareva intenzionato ad ammazzare qualcuno.
-Principalmente riordino, scrivo e documento. Sono un sacco di tempo al computer a battere sui tasti, come una macchina. Poi leggo i resoconti al capo reparto e li espongo come conviene.-
Antonio non nascose una faccia piuttosto delusa.
-Tutto qui?-
-Te l'avevo detto che non era niente di ché...-
Così, di punto in bianco, Antonio cambiò interlocutore, lasciando Miguel ancora a bocca aperta e pieno d'astio.
-Cosa fai nel tuo tempo libero, Jake?-
Jake mutò radicalmente espressione quando vide il Cavaliere rivolgersi proprio a lui. Stava sogghignando per la durata della tortura di Miguel, un poco divertito da tutte quelle espressioni che gli si dipingevano in viso e lo facevano diventare un mezzo mostro capacissimo di azzannarti. Jake e Miguel non andavano molto d'accordo, mai l'avevano fatto, e questo perché avevano perlopiù mete in comune e seguivano schemi mentali diametralmente opposti – senza contare che, da quella loro prima volta a “Munckin”, Miguel si era legato al dito una sconfitta che aveva attribuito a lui soltanto. Se Jake godeva delle pene di Miguel, Miguel godeva per le sue, ed era un gioco sottile di sfinimento che non sarebbe terminato mai.
A quel modo Jake divenne d'improvviso serio e Miguel d'improvviso allegro.
-... Gioco a carte.-
Antonio rise, senza rendersi conto di essere assai crudele.
-Non fai altro, durante tutto il giorno? Lavori e poi vieni da noi a giocare? Non ti annoi proprio mai di una vita tanto misera?-
Jake non si vergognò della propria vita, non dopo tutti quegli anni passati a convincersi che era la sola possibile per uno privo di qualità come era lui. D'altronde, non aveva di ché lamentarsi: aveva una casa, riusciva a sfamarsi da solo, si poteva concedere due settimane l'anno di viaggi in capo al mondo. Poche cose gli mancavano, specie la vergogna di sé stesso.
-... No.-
Antonio sbatté le palpebre, un poco perplesso. Anche lui viveva una vita modesta, ma non tale da potersi definire anche triste.
Cambiò oggetto di studio, rivolgendosi all'Angelo col consueto sorriso a tutta faccia.
-Dimitri...-
Tuttavia, l'Angelo lo fermò con estrema durezza già solo a quella prima parola. Lo guardò dritto in viso e gli puntò addosso la forchetta.
-Non ho voglia di rispondere alle tue stupide domande. Dovresti farmi il favore di tacere per più di due minuti: stai diventando insopportabile.-
Antonio rise qualche istante per tornare da lui come se tutto quello fosse un grande gioco.
-Non ti facevo così acido!-
No, non lo era. Dimitri era serio, e lo poté capire subito.
-Siamo qui per rilassarci, ma tu non fai altro che farci domande su domande. Sembra un interrogatorio, non una cena. Queste cose le si dicono per piacere, non per obbligo. E scordati che io ti dica per filo e per segno tutto quello che faccio a lavoro, non finiremmo più e io non ho tutto questo tempo da perdere per te.-
Poche volte nella sua vita era stato così ripreso, e ormai poteva affermare di essere entrato in quella fase della crescita dove la gente non ti critica per aiutarti a migliorare ma lo fa perché sei sbagliato e basta. Aveva superato l'adolescenza da un pezzo, d'altronde.
Antonio si irritò per il tono usato dall'uomo e se la prese abbastanza da rimanere in silenzio per più di due minuti. Quando Jake cominciò a parlare, cercando con le sue forze di non far cadere a quella maniera tragica il tutto, il Cavaliere capì quanto doveva essere sembrato sciocco di fronte a loro: l'Angelo aveva ragione, aveva dannatamente ragione. L'Angelo aveva dato prova di una straordinaria dialettica sintetica che avrebbe sempre caratterizzato la sua personalità socialmente riconosciuta da quel momento in poi, come un faro di verità tra di loro.
La serata non finì lì, per fortuna. Antonio si riprese dalla predica nel giro di qualche minuto, quando ebbe la geniale idea di ordinare tre birre – e una limonata freddissima per Jake – per farsi perdonare. Avrebbe offerto lui almeno quello.
Si salutarono di lì a mezz'ora circa, quando una leggera pioggerellina cadeva dal cielo fitta fitta.
Jake si mise sotto il piccolo tetto della fermata dell'autobus, in attesa dell'ultima corsa del numero 15. Si sedette, conscio di dover aspettare altri sedici minuti, almeno fino a che la macchina di un certo Cavaliere molesto non gli si avvicinò col finestrino abbassato.
-Ehi, sei qui...-
Il Mago gli fu accanto, con un mezzo sorriso in viso: era il primo di tutta la serata.
Antonio fu quasi in imbarazzo a chiederglielo.
-Vai a casa con i mezzi? Non vuoi che ti dia un passaggio?-
L'altro non attese oltre e si fiondò dentro l'automobile con un sol gesto. Si ricordò solo una volta seduto di dovergli dire qualcosa, giusto per educazione.
-... Grazie.-
Fu un viaggio silenzioso. Jake era visibilmente stanco e con meno voglia di parlare del solito, Antonio non era più dell'idea che costringere gli altri a rivelare qualcosa di sé fosse giusto.
Arrivarono a una piazzetta, il capolinea della linea 15, il posto più vicino a casa di Jake che si poteva raggiungere in macchina.
Prima che l'altro sparisse, però, Antonio non riuscì proprio a trattenersi.
-Non è stata una bella serata, vero?-
Il Mago lo guardò in viso e non gli servì neppure rispondere a una domanda tanto ovvia. Ebbe però l'accortezza di non fissarlo troppo duramente mentre sbuffava e se la prendeva con sé stesso.
-Ah, cavolo! É colpa mia! Non avrei dovuto parlare così tanto, vi ho messi in imbarazzo! Sono proprio uno stupido! Eppure non mi era parsa una brutta idea, all'inizio!-
-... Tu devi avere pazienza.-
Lo guardò in viso, nella penombra in cui si era rifugiato.
Per quanto si potesse dire di lui, Antonio sapeva che Jake non adorava infierire sul cadavere di alcuno, specialmente del suo. Già da qualche tempo se n'era accorto: il Mago aveva nei suoi confronti più premura che verso tutti gli altri, e la cosa lo aveva davvero colpito.
Era calmo e tranquillo, come chi fa una confessione a qualcuno di intimo. La cosa non lo spaventò ma anzi lo rilassò, tanto che si sentì in vena di confidenze a sua volta.
-Dici che è per questo che non è andata bene? Sono stato troppo frettoloso, hai ragione tu. Se avessi cominciato a raccontare di più di me forse vi sareste trovati più a vostro agio, ma mi pareva così strano farlo. Non credo che possa essere tanto interessante il resoconto di un insegnante! Cosa avrei potuto dire? Quante note do ai miei studenti perché non stanno zitti?-
Lo sorprese ancora una volta – con quel mezzo sorriso a incurvargli le labbra e una gentilezza mai sospettata.
-... Mi interessa la figura dell'educatore. La reputo interessante.-
Gli sorrise, davvero grato. Si sentiva meglio ed era tutto merito suo.
-Sei molto gentile, Jake. Davvero molto, non credevo che potessi essere una tale sorpresa.-
Guardò in avanti, tenendo il volante della macchina, mentre continuava a parlare. Ora che la brutta sensazione gli aveva lasciato il corpo, andava avanti col discorso in maniera del tutto naturale, e il fatto che ci fosse proprio Jake ad ascoltare quelle sue parole era un dettaglio non poi così insignificante.
-Penso che questa compagnia mi piaccia tanto. Per questo ho cercato di approfondire il nostro legame. Sarebbe anche ora, non riesco più ad aspettare. Tutto quello che so di voi sono i nomi e le generalità, ma non è così che si conosce davvero una persona. Mi pare quasi di essere un bambino!-
-... Sei sensibile.-
Non lo guardò, non osò farlo.
Indicò con un gesto della testa la piazza di fuori.
-Siamo arrivati.-
Il discorso era finito, e il Mago capì al volto. Slacciò la cintura e fu fuori dalla vettura in pochi secondi, senza nulla aggiungere.
-Ciao, Jake. Alla prossima!-
-... Ciao.-

Il primo anno, ciò che rese palese un rapporto ormai in divenire, vide l'avvicinarsi delle due anime durante una sera del primissimo Maggio, dove Primavera e Estate mescolavano pensieri ed emozioni.

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Capitolo 3
*** Anno 2 - Luglio ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 2
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Giallo
*Parole: 2055
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: arriva finalmente il capitolo in cui i due piccolini sono assieme :D Io direi finalmente, non so voi ma ci sono talmente affezionata che mi è stato difficile vederli separati fino ad adesso D: è stata una brutta cosa, sìsì. Ordunque, a parte gli scherzi XD Vi presento una piccola scena di vita quotidiana, per farvi capire quanto questi due pirlotti possano stare bene assieme :D un capitolo felice, di tanto in tanto, perché dal prossimo capitolo non ci sarà tanto da sorridere temo D:
Beh, buona lettura (L)





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Pistacchio e stracciatella, se possibile con un'aggiunta di panna in cima da far invidia a ogni bambino grassoccio e goloso. Jake era un abitudinario anche e specie nelle cose che più gli piacevano: erano bastate tre volte al parco perché Antonio capisse quali gusti del gelato preferisse sopra ogni altro, dal momento che prendeva sempre quelli. Oh, e preferiva il cono alla coppetta, anche se una volta sola l'aveva sentito borbottare a proposito del fatto che nessuno metteva una cialda buona quanto quel negozietto tanto carino proprio vicino a casa sua; la cosa lo irritava ed era evidente, ma ci passava sopra quando cominciava a leccar piano e di gusto tutto quel ben di Dio.
Antonio non avrebbe mai immaginato che bastasse così poco per farlo felice. Sembrava quasi uno di quei bambini disadattati che non avevano avuto nulla dalla vita e che si meravigliavano di avere la fortuna di essere vivi ogni giorno che passava. Il Cavaliere non sapeva ancora molto della sua adolescenza ma poteva facilmente intuire che non aveva passato i suoi primi anni nuotando nell'oro – e sebbene il paragone con i più sfortunati del mondo magari non era né calzante né troppo lodevole, ad Antonio era ciò che prima di tutto era venuto in mente.
Come il nonno di Antonio veniva dal Mediterraneo più inoltrato, così aveva saputo che gli antenati di Jake erano di origine germanica. Lo aveva capito quando il Mago gli aveva rivelato il suo cognome, un insieme di “k” e si “h” che difficilmente avrebbe pronunciato, a meno che non fosse stato praticamente costretto dalla situazione. Erano migrati dopo le guerre, scappando da una situazione politica e nazionale che non riuscivano più a sostenere. Si erano arrangiati secondo le loro capacità, arrivando a una condizione di vita accettabile e dignitosa nel giro di mezza generazione. Quello che Jake era se l'era costruito solo con le sue mani e le sue forze.
Antonio aveva provato ammirazione per lui e per i vari componenti della sua storia personale, davvero. Non poteva che pensare bene di persone del genere, lui che aveva avuto la fortuna di nascere in una società che lo avvantaggiava e gli forniva tutto quello di cui necessitava. La laurea in Lettere l'aveva conseguita grazie agli aiuti statali, anche se una buona borsa di studio al primo anno l'aveva motivato parecchio.
Con quei due gelati enormi tra le mani, però, per qualche minuto tutti i problemi passati, futuri e presenti andavano via e lasciavano spazio non altro che a due sorrisi sinceri e compiaciuti.
C'era anche una panchina specifica, quella su cui Jake si voleva sedere sempre dopo aver ricevuto tra le mani il suo tesoro verde e bianco, senza la quale sbuffava irritato e lanciava occhiate di ghiaccio a chicchessia. Era la panchina che dava sul laghetto, sotto la quale le anatre si riunivano per starnazzare in compagnia e sulla quale era possibile vederle, sentirle e dar loro da mangiare come quei vecchietti simpatici che non fanno altro nella vita. Il Mago era proprio anziano dentro, aveva dei passatempi assai imbarazzanti, ma Antonio capì quanto potesse essere divertente vedere quei volatili quasi uccidersi per un tozzo di pane e ingaggiare lotte all'ultimo sangue per una postazione migliore.
Se Jake era un pensionato, lui era di certo un sadico.
Dal chioschetto del gelato alla panchina c'era qualche metro di passeggiata, quel poco che bastava perché non si sentissero più le voci concitate dei bambini disperati, delle madri isteriche e dei padri annoiati, ma invece fosse possibile deliziarsi del cinguettio di quei pochi uccelletti ancora vivi e il suono leggero di fluttui che lentamente scorrevano fino al lago.
Antonio aveva compreso fin da subito perché Jake ci tenesse tanto a quel suo piccolo angolo di paradiso: non possedeva altro di tanto bello.
Quella volta, quando arrivarono a destinazione in perfetto silenzio – leccando silenziosamente la panna rimanente sui mucchi di gelato sopra la cialda – dovettero condividere la panchina con una graziosa e silenziosa anziana signora, che non faceva altro che stare ferma e guardare le barche sul lago. Antonio e Jake si sedettero al loro posto, come se nulla fosse.
Ogni tanto, il Cavaliere sospirava. E non per noia, non per capriccio, ma per una tranquillità interiore raggiunta per gradi. Guardava il cielo sgombro di nuvole e sorrideva, guardava i bambini correre da una parte all'altra e sorrideva, sorrise persino quando un cane gli venne incontro per fare conoscenza, attratto da quanto aveva in mano; gli leccò tutta la faccia e lui rise senza malizia, tanto contento.
Era quasi come se stesse scoprendo per la prima volta la vera felicità.
Perché per Jake era davvero così, anche se non lo dava a vedere: prima di quella, aveva avuto solo due altre relazioni, con una donna e con un uomo, durate poche settimane e senza lasciare nei suoi ricordi grandi avvenimenti. Di incontri occasionali qualcuno, di sesso ogni tanto, ma di sentimenti davvero pochi. Con Antonio si era proposto in prima persona e pareva incredibile anche a lui quanto l'avesse preso – tanto che non si ritraeva più quando il Cavaliere gli prendeva la mano in pubblico, non sgusciava via quando gli chiedeva un bacio a fior di labbra. Da qualche mese a quella parte aveva smesso di pensare davvero.
Antonio mise, all'improvviso, una mano sul suo ginocchio, e gli indicò col capo una signora mamma col suo bambino. La scena si presentava abbastanza comica, perché lei era vestita davvero bene mentre i bambino era pieno di fango dalla testa ai piedi: un'accoppiata incredibile, senza dubbio.
E Antonio non poteva resistere un solo secondo di più in silenzio.
-Hai visto quella? Ah, se non sta attenta le metterà tutto quel fango sul vestito! Pensa a quanto possa essere bella una macchia marrone su un vestito così rosa! Starebbe un incanto, proprio!-
Rise da solo, senza darsi la pena di non farsi sentire. Jake fece solo mezzo sorriso e continuò a mangiare, abbassando lo sguardo quando la signora li guardò con un'occhiata davvero poco gentile.
Sospirò profondamente e sulla lingua, all'ennesima leccata, sentì già il sapore di pistacchio che si mescolava con quello del cioccolato. Era il momento della degustazione che lui preferiva su tutti, quindi si godette il momento senza più prestare attenzione ad altro.
Sentì qualche secondo dopo un'anatra avvicinarsi ai suoi piedi. La fissò come lei fissò lui, scuotendo la coda piena d'acqua, poi fece una specie di “quack” e zampettò avanti, verso la sua persona. Pareva ben decisa a farsi dare qualcosa, neanche gli aspettasse di diritto.
Quando Antonio la vide, prese la propria cialda e la spezzò in tanti tocchetti per porgergliela – lui non la finiva mai apposta, divertendosi come un matto a lanciarne piccoli pezzi agli animali. Quando anche le altre anatre videro che era l'ora del pasto, uscirono dal lago e si affollarono davanti a loro, cominciando a starnazzare senza ritegno. Antonio rise forte davanti alla scena, seriamente divertito. Con un altro piccolo pezzo di cialda riuscì a far avvicinare a sé, di tanto, un'anatra particolarmente affamata che zoppicando e scuotendo la coda come una matta allungò il collo fino quasi a toccargli direttamente la mano.
Era proprio bello vederlo così, senza pensieri a corrugargli la fronte.
Jake lo lasciava fare e aspettava il suo turno: quando la cialda di Antonio finiva c'era quel pezzo di cono finale che il Mago non mangiava mai e quindi dava agli animali, prendendosi la sua giusta parte di divertimento.
Quella volta non si intromise alcun bambino, ma Jake sapeva che quando un discreto numero di bestie arrivava ai suoi piedi era molto frequente che si avvicinassero anche bimbetti di tutte le età, attratti da quell'insolita forma di gioco. Se andava bene si univano a lui e gli chiedevano un tocchetto di cialda da offrire alle anatre, se andava male cominciavano a inseguire i poveri pennuti fino a quando non li vedevano scomparire in direzione del lago. Jake aveva molta pazienza, specie se si trattava di bambini.
Gli volò addosso un piccione, costringendolo ad abbassare la testa di scatto per non essere colpito alla testa. Era molto popolare in quel parco, Antonio glielo fece notare con una certa forte risata.
Dopotutto, era davvero bello – Antonio lo pensò nel momento esatto in cui lo guardò con attenzione, mentre allungava il cibo e lo distribuiva equamente ai richiedenti. Non aveva la solita aria pragmatica di sempre, né quella spossata del dopo lavoro.
Il Cavaliere gli sorrise quando Jake, accortosi dello sguardo fisso che lo stava investendo in pieno, si era girato dalla sua parte. Senza imbarazzo aveva risposto alla sua espressione gioiosa per poi tornare dalle sue anatre.
Antonio si sporse all'improvviso verso di lui, con un fazzoletto in mano. E prima che gli occhi dell'altro potessero chiedere chissà che cosa, lui gli stava pulendo il bordo della bocca ancora sporco di gelato verde.
Ah, da quant'era che non riceveva un gesto del genere? Probabilmente, l'unica che si era permessa tanto era sua madre – nessuno oltre lei avrebbe potuto provare un moto di tenerezza nei confronti di una tale seria, diligente e zelante persona. L'unica eccetto Antonio, che con un concetto del “normale” e “carino” fuori dal comune gli ripeteva in continuazione che era grazioso. Jake una sola volta gli aveva fatto notare come la grazia fosse una virtù molto femminile, ma l'altro aveva riso e aveva continuato a definirlo così, imperterrito nella propria convinzione. Strano lui, davvero strano.
Jake lo guardò mentre terminava il gesto con un largo sorriso, visionando bene tutta la zona della bocca per vedere di non aver lasciato altre briciole o altre macchie sulla pelle. Poi alzò lo sguardo ai suoi occhi e il sorriso sulle sue labbra si fece ancora più amplio e luminoso.
-Ora stai meglio! Sei tutto pulito!-
Se ne fosse stato davvero capace, Jake gli avrebbe detto che stava bene da tempo: stava incredibilmente bene ogni volta che gli prendeva la mano come se fosse la cosa più naturale del mondo, stava incredibilmente bene ogni volta che sorrideva a lui e a lui soltanto senza considerare altro pubblico che non la sua persona, stava incredibilmente bene ogni volta che si accorgeva che stava parlando per le sue orecchie e non quelle di altri uomini o donne. Stava bene, Jake stava davvero bene.
Per quel motivo, senza sorridere, si sporse a sua volta verso di lui e gli diede un piccolo bacio – una tenerezza discreta – sulle labbra, senza pretendere nulla di più. Con gli occhi aperti, lesse la sorpresa nei suoi e subito si ritrasse per tornare da dove era partito.
La vecchia accanto a loro vi aveva visti e li stava ancora fissando, con uno sguardo di fuoco che non lasciava intendere proprio niente. Sarebbe stata la prima volta che avrebbero accusato il Mago di atti osceni in pubblico.
Ma ecco, ecco l'indifferenza per come andava il mondo oltre sé stesso che riempiva di colore gli occhi di Antonio. La sicurezza di muoversi nel giusto che lo rendeva sfacciato oltre ogni immaginazione era quanto di più bello potesse esserci, perché lo isolava da ogni maldicenza e lo rendeva pressoché invincibile di fronte al giudizio sociale. Jake si era accorto da parecchio di essere stato attratto, fin da subito, proprio da quello.
Antonio lo baciò, prendendogli la nuca con la mano e appiccicando la propria bocca alla sua. Davanti alle anatre esigenti, alle mamme e ai loro bambini, alla vecchia che sbuffando irata era andata via in uno scalpitio irritato di tacchi. Jake trattenne il respiro e si concesse il lusso dell'immaginazione: pensò di non essere più solo a quel mondo.
Nel momento in cui si separarono, stavano ancora sorridendo – ed era un sorriso vero quello sulle labbra del Mago, come era vero quello sulle labbra del Cavaliere.
Tornarono assieme alle anatre senza porsi alcuna domanda. Jake magari poteva portare al pensiero l'immagine di quei bambini che non avrebbero più avuto il permesso d'avvicinarsi a lui, non almeno a quando c'era Antonio a tenergli la mano; eppure le anatre starnazzanti non avevano fatto caso al tutto se non come un'immotivata pausa al loro nutrimento e starnazzavano con una certa cattiveria facendo un baccano immenso.
In quel momento, gli bastò sentire la consistenza del suo corpo di fianco per chiudere gli occhi di fronte al mondo e definirsi, sul serio, felice.

Il secondo anno, ciò che sancì ogni relazione ufficiale, fu il testimone della più genuina delle felicità e della più pura delle ingenuità, dove un caldo Luglio rendeva gli animi e i corpi molli di pulsioni ormai svelate completamente.

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Capitolo 4
*** Anno 3 - Settembre ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 3 – Settembre
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Giallo
*Parole: 2195
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: Quarto capitolo, hollallallà (L) Nel capitolo precedente abbiamo visto quanto sono amorevoli, puccipucci, etcetc il nostro maghetto e il nostro cavaliere, ora direi che è maturo il tempo per porci di fronte alle prime incrinature che un rapporto del genere comporta èwè non è per sadismo o qualcosa di simile, ho pensato che dati i caratteri che ho dato loro arrivasse naturalmente una cosa del genere – senza contare che qualsiasi rapporto NORMALE non è tutto rosa e fiori D:
Beh, a parte questo, vi auguro una buona lettura (L)





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Jake non aveva fantasia, ne era quasi totalmente sprovvisto. Il fatto che riuscisse comunque a giocare ai giochi di ruolo classici, dove la mente non doveva sforzarsi troppo e l'ingegno sopperiva a certe carenze meglio del necessario, lo doveva alla sua naturale capacità strategica che – in altri tempi e in altre occasioni – avrebbe fatto di lui un perfetto ed eccellente soldato. Si destreggiava con pozioni perché come ogni scienza la chimica era esatta, anche se i nomi degli ingredienti li inventava non tanto la fisica quanto la mente arzilla della Veggente. Aveva affinità con gli incantesimi perché aveva un poco di sensibilità linguistica e sapeva inserire nel posto giusto la parola giusta, anche se non conosceva troppo bene né latino né greco avendo alle spalle studi quasi totalmente tecnici. Insomma era dotato di qualità non mediocri ma che non erano in grado di farlo spiccare più del dovuto.
Per questo si sorprese, e parecchio, quando trovò la porta del proprio appartamento aperta, di ritorno dal lavoro. Era una di quelle sere che doveva passare in completa solitudine – Antonio gli aveva anticipato che era dovuto correre da una madre malata per darle un poco di conforto – magari sgranocchiando una ciotola di pop- corn fatti in casa e guardando uno di quei film impegnati che duravano all'incirca tutta la notte. E invece no, invece la porta di casa sua era aperta senza che lui avesse tirato fuori le chiavi dall'apposita tasca e le avesse messe nella serratura.
Non osò sospirare troppo forte e con l'animo già si stava preparando al peggio. Non aveva mai messo allarmi strani nel proprio appartamento, più per negligenza che per vera e propria indifferenza. Valutò rapidamente cosa potesse mancare, quali oggetti preziosi potessero far gola a un qualsivoglia ladro. I suoi pc, alcuni risparmi nascosti qui e là, la televisione e qualche elettrodomestico. Nulla di più.
Avanzava già sicuro verso la propria sala, sconfortato nell'animo. Ma quando accese la luce, con un piccolo “click” dell'interruttore, trovò solo quel demente di Antonio che fece scoppiare un festone con un sorriso che gli copriva tutta la faccia.
-Buon compleanno, Jake!-
Il Mago strabuzzò gli occhi, davvero colpito, ma non fu abbastanza rapido a fare altro che già quello gli era piombato addosso e lo stava abbracciando.
-Oggi sei diventato più vecchio! Complimenti per essere come sempre bellissimo!-
Sbatté le palpebre un paio di volte e sentì la cartella da lavoro scivolargli via dalle dita inermi. Vide da sopra la spalla del Cavaliere la tavola apparecchiata e un dolce gigantesco che spiccava in tutto il suo splendore proprio al centro del tale – poteva giurarci che era fatto tutto di panna e crema, dacché se anche Antonio lo voleva mangiare senza rischiare un mal di pancia assurdo non poteva essere fatto diversamente.
L'uomo gli prese il volto tra le mani e lo baciò a stampo per poi abbracciarlo di nuovo, tutto allegro. Ancora mezzo frastornato, Jake rispose alla sua stretta e affondò, con poca delicatezza, il viso contro il suo collo. No, non era ancora così stanco da doverlo mandarlo via per potersi godere la pace.
E poi, un po' di felicità la dovevano pur condividere, in quei giorni. Non era stato un bel periodo, per loro due. Passati i primi mesi di totale e completa euforia, erano venuti a galla i problemi che una relazione simile di sicuro comportava. Problemi di comunicazione, certo, perché non sempre tutto quello che Antonio faceva Jake lo apprezzava, e non sempre quel poco che Jake diceva Antonio riusciva a interpretarlo; allora entrambi si irritavano fino quasi alla rabbia. Problemi di aspettative, perché Antonio aveva avuto una sola volta nella vita una relazione dalle premesse tanto rigide, arrivando quasi al matrimonio, e non riusciva più a impegnarsi a cuor leggero con una persona, mentre Jake prendeva tutta la faccenda in maniera fin troppo seria, volendo chissà che cosa.
Problemi, infine, di resistenza. Appunto perché Jake non aveva mai avuto alcuna relazione, non era neppure troppo pronto a subirne le conseguenze – e specie, ai giudizi altrui.
Antonio, dopo averlo strizzato per bene, gli prese la mano e lo condusse tutto sorridente al tavolo, offrendogli egli stesso la sedia sulla quale sedersi.
Si rivolse a lui con un'intonazione galante e un gesto molto, molto educato, tanto che il Mago gli concesse un mezzo sorriso seppur stanco.
-Prego, signore.-
L'uomo accettò il suo invito e si sedette, aspettando che lui spingesse la sedia in avanti per accomodarsi e quindi guardare quanto aveva di fronte.
Antonio aveva preparato quel pasticcio di carne in cui era tanto bravo, e Jake era sicuro che ci avesse messo dentro una quantità di pepe assurda – il Mago adorava il pepe, era una di quelle spezie che metteva praticamente ovunque per qualsiasi cosa. Poi aveva lessato delle zucchine e delle carote, aveva fatto manualmente della maionese e preparato uno di quei té in polvere di cui Jake andava particolarmente ghiotto. Infine, ovviamente, c'era il dolce.
Il Mago lo guardò in viso, pieno di commossa gratitudine.
Il Cavaliere iniziò a servirlo come si conveniva, aspettando che lui gli facesse qualche cenno per smettere di versargli roba nel piatto. Si servì per secondo e quindi cominciarono a mangiare.
Erano così vicini che non facevano fatica a toccarsi, con le ginocchia e i fianchi. Ogni tanto, quando Jake gli chiedeva da bere e Antonio smetteva persino di masticare per accontentarlo, si scambiavano anche delle occhiate divertite per poi tornare alle loro faccende.
Fu un pasto particolarmente silenzioso, per entrambi. Il Cavaliere si trattenne dal parlare a vanvera, quella sera, credendo che così facendo potesse davvero porre totale attenzione al festeggiato. Perché di cose da dire, lui, ne aveva parecchie.
Per esempio voleva chiedere spiegazioni a Jake su quella chiamata bruscamente interrotta proprio di due giorni prima. Sapeva che Jake la sera era stanco, dopo tutte quelle ore di lavoro, e che la sua già poca voglia di parlare diventava ancora più misera, ma perdere la pazienza a quel modo e sbattergli la cornetta in faccia senza neanche salutarlo non gli era sembrata una cosa tanto carina da fare, anche per uno come lui.
Che si trovasse a suo agio o proprio no, ad Antonio serviva parlare. Era stato così all'inizio, quando gli diceva quanto fosse bello avere qualcuno con cui dividere il letto, ed era anche in quel momento, per dirgli che sotto la tristezza che man mano lo avvolgeva sentiva comunque una sensazione di piacevole resa.
Perché tutte le volte che gli diceva che fosse bello, era una sacra e santissima verità.
Finito di mangiare il pasto, Antonio sparecchiò velocemente e tornò con delle candeline che aveva nascosto in cucina e il suo accendino. Jake gli sorrise apertamente nel vederselo arrivare vicino, con quell'aria tanto contenta da sembrare un bambino, e batté le mani per l'emozione.
Contandole una a una, Antonio gliele accese tutte quante.
-Ecco qua! Ora devi esprimere un desiderio!-
Jake lo guardò male e il Cavaliere rise forte a quella sua faccia stranita.
-Così si fa normalmente! É un'usanza cretina ma bisogna attenersi alle regole! Suvvia, la prima cosa che ti viene in mente!-
Jake lo guardò male ancora ma eseguì l'ordine: chiuse gli occhi per qualche istante e rivolse le proprie speranze a un Dio del fuoco poco conosciuto. Poi riaprì gli occhi e, a più riprese, riuscì a spegnere tutte le candeline – Antonio, accanto a lui, rideva sinceramente divertito.
Furono tagliate due fette enormi e, considerando quanto già aveva nello stomaco, Jake era sul punto di rifiutare tutto quel cibo e tutta quella panna, in virtù di una sopravvivenza futura garantita. Tuttavia Antonio non sentì scuse e anzi gli mise proprio davanti al suo naso la parte che gli spettava.
Quella era certo una delle cose che Jake meno sopportava di lui: l'insistenza. Il Mago non era un tipo capace di azioni decise, non si imponeva sugli altri con forza né desiderava farlo. Aveva sempre trovato, durante il corso della sua vita, persone che di fronte a un esplicito “no” si fermavano e si ritraevano, senza aver dovuto dar loro intime spiegazioni per le proprie decisioni. Con Antonio non era così, si doveva ripetere anche cinque volte di seguito – e spesso non bastava neppure quello. Antonio non capiva che la sua pacatezza non era sinonimo di indecisione e che non c'era alcun “sì” nascosto nel suo rifiuto, neppure se cercava benissimo. Convinto delle proprie idee, il Cavaliere non teneva conto delle sue.
Jake fece per prendere il piatto tra le mani, un poco irritato, ma inforcata la posata con le dita fu derubato del proprio dessert da un ancora più ilare Antonio. Sotto i suoi occhi stupefatti l'uomo tagliò un piccolo pezzetto con i denti della forchetta, lo infilzò e glielo porse.
Lo voleva imboccare, in poche parole.
Il Mago non ebbe la forza di replicare e a voler essere sinceri non avrebbe saputo davvero cosa dire. Così lo lasciò fare, e mentre lui tagliava pezzettino dopo pezzettino si limitava a guardarlo in faccia con un'espressione tanto rapita da far quasi tenerezza.
A suo modo, Antonio riusciva a chiedere perdono per ogni marachella compiuta. E lo fece davvero, perché a metà fetta invece del dolce gli porse il proprio viso, con un sorrisetto malizioso a incurvargli le labbra che era impossibile non capire cosa desiderasse. Jake gli sorrise appena e andò a baciarlo, rimanendo poi intrappolato dalla sua lingua e dalla sua bocca che sapeva ancora di carota.
Pensò, mentre chiudeva gli occhi per qualche istante, che fosse splendido. Poi li riaprì e tornò a guardarlo davvero, senza più pensare a nulla.
Quando anche Antonio finì la propria porzione, si alzò dal tavolo tutto pimpante e andò verso il divano davanti al tavolo, frugando per terra alla ricerca di qualcosa. Tornò da Jake con una piccola gabbia, in vista sulle grate bianche un fiocco spaventosamente blu. Il Cavaliere la mise sopra il tavolo e la indicò come se fosse stata la cosa più bella del mondo.
-Ecco qui il tuo regalo! Oh, sono sicuro che ti piacerà tantissimo! Te l'abbiamo fatto io e i ragazzi! Anche Miguel e Dimitri hanno contribuito!-
Il Mago aveva già intuito cosa fosse quell'affare, ma non poté che guardare con una certa sorpresa l'esserino che, risvegliatosi dal suo sonnellino per tutto il trambusto che quel buzzurro di un Cavaliere aveva fatto, sbucò dalla segatura sul fondo. Dapprima sporse il naso, poi si arrischiò a uscire con tutto il muso, infine zampettò in avanti alla ricerca di probabile cibo.
Era un topolino bianco, uno di quelli che senza difficoltà si ammaestrano per alcuni giochetti con corde e labirinti. Jake si era lasciato sfuggire tempo addietro che durante la sua infanzia ne aveva sempre desiderato uno – come ogni bambino povero che desidera la compagnia degli animali più semplici e a lui familiari – e quello era il risultato. Non sapeva se esserne felice o altro: considerando che aveva poco tempo da offrire ad Antonio, non sapeva davvero quando si sarebbe potuto prendere cura di quell'animaletto tanto grazioso.
Tuttavia non resistette alla tentazione di allungare le dita verso la gabbia, perché l'affarino gliele annusasse e lo riconoscesse. Il topino si avvicinò a lui con attenzione, si mise sulle zampette posteriori e afferrò la sua falange come se fosse stato il ghiotto seme di una pianta. Non lo morse ma lo analizzò con tutta la cura possibile e, decretando che era solo uno sciocco umano, lo lasciò andare per tornare al suo giaciglio.
Tra sé e sé, Jake lo chiamò Ernest.
Tornò a guardare Antonio solo quando questo gli si rivolse direttamente.
-Allora? Ti piace? É abbastanza di tuo gradimento?-
Jake alzò lo sguardo sulla sua persona e si limitò a sorridergli. Aveva negli occhi tutta la felicità sufficiente perché lui capisse a che livelli gli fosse piaciuto un tale regalo, al di là di ogni preoccupazione e logica.
Antonio batté le mani, entusiasta, e continuò il suo sermone.
-Lo sapevo che ti sarebbe piaciuto! Miguel non era sicuro, diceva che avresti preferito altre cose, come un set di cravatte o un completo intimo leopardato. Non so sinceramente dirti se stesse scherzando oppure lo dicesse sul serio, tuttavia gli ho detto che non era cosa da farsi. Ho anche aggiunto che tu non metti mai cose stravaganti e che il massimo di stranezza che ti ho visto addosso è stata una mutanda a righe, quindi lui e Dimitri sono ammutoliti e hanno accettato la mia proposta del topo. Tu guarda che gente strana che c'è in giro!-
Jake si alzò, all'improvviso, e andò da lui con passo svelto. Lo fermò nel bel mezzo del discorso – mentre diceva che in realtà Dimitri sarebbe stato più propenso a regalargli un pesce rosso poco vivace quando l'aveva visto al negozio – e lo zittì con un bacio.
Antonio reagì bene: lo abbracciò e lo trascinò con sé sul divano.
Non fecero l'amore ma dormirono abbracciati sopra lo stesso materasso.
Non fecero sogni uguali ma condivisero le medesime lenzuola.
Si illusero, entrambi, che potesse andare tutto bene oltre i litigi e oltre le piccole scaramucce.
Eppure, prima di andare a lavoro la mattina seguente, Antonio non gli diede neppure un bacio per salutarlo.

Il terzo anno, ciò che incrinò di poco l'equilibrio naturale della bilancia, vide lo svolgersi di una realtà sempre più pesante e confusa, in cui malumori e personalità non reggevano il confronto con una felicità sempre più tiepida, nel Settembre che apre le porte al morente Autunno.

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Capitolo 5
*** Anno 4 - Novembre ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 4 – Novembre
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere, Miguel il Vampiro, Dimitri l'Angelo
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Giallo
*Parole: 1885
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: Quinto capitolo, ormai questa è una raccolta seria XD
Ora leggerete della vera rottura di Jake e Antonio D: Mi dispiace essere stata così drastica – mica tanto, in realtà – ma una svolta doveva pur arrivare e io spero di aver spiegato anche bene il perché èwè É un capitolo più corto rispetto ai precedenti, perché mi piange un po' il cuore a descriverli così XD
Riprendo in mano anche Miguel e Dimitri, che fanno seppur discretamente la loro parte. A tal proposito, volevo avvisarvi che sarà /molto probabile/ la nascita di una piccola raccolta esplicitamente dedicata a Miguel e Dimitri, collegata sempre a questo mondo. Signori, la cosa si amplia e diventa quasi una storia completa XD
Non prendetevela troppo a male con la donna di questo capitolo, in realtà ella è solo una delle tante persone che popolano questo mondo senza fare niente di eccezionalmente cattivo. É capitata nel posto sbagliato al momento sbagliato, tutto qui (L)
Ma a parte queste divagazioni, vi lascio al capitolo :D Buona lettura (L)



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Per quanto potesse essere cattivo nei loro confronti – per quanto poco Jake gli potesse essere antipatico e Antonio davvero sulle scatole – Miguel non li aveva mai visti così prima d'allora. Sembravano intenti a ignorarsi l'un con l'altro, in un vano tentativo che li rendeva parecchio ridicoli, dal momento che sedevano entrambi allo stesso tavolo ed erano pure di fronte.
Sapeva quali fossero i trascorsi tra di loro, non per volontà propria ma perché era capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato, ovvero quando Antonio era così sbronzo da sproloquiare su fatti personali che sarebbero interessati soltanto alle signore di paese con nient'altro da fare nella vita. Quella sera era stato tanto pietoso che Miguel non aveva resistito e gli aveva fatto compagnia, cercando di dargli quel poco di conforto necessario con la sua presenza.
Però a tutto c'era un limite e loro non erano più dei bambini!
Una voce festante, che non dava assolutamente segno di percepire la gravità dell'atmosfera, irruppe nel silenzio come una musica fastidiosa.
-Ora tocca a me! Ora tocca a me!-
La fidanzata di Antonio – una tal Samanta dai capelli lunghissimi e biondi, la quinta nel giro di tre mesi scarsi – si sporse con tutto il busto e arrivò a prendere con le dita perfettamente smaltate la carta dalla pila che era a centro del tavolo. Miguel cercò di allungare lo sguardo alla sua generosa scollatura, ma oltre che a beccarsi un'occhiataccia dal Cavaliere si prese anche un calcio poco aggraziato dall'Angelo che, come se nulla fosse accaduto, aveva gli occhi puntati sulla donna e le stava tranquillamente sorridendo.
Quel maledetto piccolo diavolo.
Proprio mentre la “relazione” tra loro due si andava via via delineando, divenendo nei tratti sempre più chiara ed esplicita, quella tra i due fidanzati storici del loro gruppo invece si sgretolava e cadeva in rovina nel peggiore dei modi, neanche ci fosse qualche cataclisma in atto.
Il Vampiro sapeva perfettamente cosa lo legasse all'Angelo, due anni di dura lotta contro il proprio orgoglio erano serviti a qualcosa – quantomeno a trovare una soluzione che non sfinisse più nessuno di loro due – e sapeva bene anche cosa potesse avere da lui e cosa persino pretendere. Dimitri gli era simile nel carattere e nell'impostazione, anche se si muoveva in maniera diversa. Non erano tipi da baci in pubblico né strette di mano plateali, non sarebbero mai stati bene assieme nella stessa sala cinematografica né nel medesimo ristorante a ordinare qualcosa di sofisticato.
Però, dall'altro lato, convivevano e facevano l'amore con una discreta regolarità.
Il fatto che fossero arrivati a un tale equilibrio prima di Jake e Antonio era inspiegabile per tutti, anche per Dimitri e lo stesso Miguel.
E invece, per qualche oscura ragione, un bel giorno il Mago aveva detto al Cavaliere proprio quel tipo di frase che avrebbe dovuto tenere sempre per sé.
-... Non voglio più essere il tuo fidanzato.-
Era stata dura per Antonio reggere al colpo, considerando anche che di orgoglio ci viveva da sempre e che non aveva avuto spiegazioni circa il motivo che spingeva l'altro a quell'assurdo moto di follia. Niente, Jake era stato irremovibile.
Anche quella sera non aveva intenzione di guardare in faccia lui e di non guardare in faccia neanche lei. Neppure i primissimi tempi avevano dato segno di volersi riappacificare in qualche modo, e quando Antonio aveva cominciato a frequentare di nuovo donne – portandosene una diversa ogni volta che si riunivano a giocare – era addirittura peggiorato il tutto.
Dimitri gli aveva detto esplicitamente che non reggeva più la situazione, ma oltre che lamentarsi e stare a vedere loro due non erano in grado di fare molto altro.
Samanta, dal suo posto, fece un gridolino per la contentezza di aver fatto una buona pesca; era evidente a tutti che non giocava tanto spesso e che seguiva a stento certe regole base come il bluff e l'indifferenza di fronte a una buona strategia. Quantomeno, non pareva troppo permalosa, non almeno come quell'altra che saltava in piedi a urlare ogni volta che la sua mano non andava a buon fine: quella era stata veramente terribile e in più aveva una voce acuta da far ribrezzo. Miguel si chiedeva spesso quale orrore doveva rasentare il gusto del Cavaliere per scegliersi sempre compagnie di quel genere. Jake, tra l'altro, rientrava nell'insieme dei mostri, anche se era bravo a giocare e non faceva tutto quel chiasso.
Toccò a Dimitri pescare e riuscì a farlo nel più completo silenzio. Diede persino un'occhiata in giro prima di rimettere sul tavolo quattro gruppi di tre carte ciascuno.
-Apro.-
Scala Quaranta. Erano ridotti a giocare a quello, perché Samanta non conosceva altri giochi ed era impensabile spiegarle cose complesse come “Bang!” nel giro di una sola serata sperando che entrasse nel vivo del gioco istantaneamente. Se non altro, riuscivano a passare il tempo in qualche modo.
Dimitri guardò soddisfatto le proprie carte, cominciando a contare i punti mentalmente e poi annotandoli sul blocchetto degli appunti che aveva al proprio fianco. Per ora quello in vantaggio era Miguel, seguito in maniera strettissima da Antonio. Poi c'era l'Angelo, Jake e infine Samanta – ma le ultime due postazioni non erano una gran novità per nessuno: ci si aspettava solo lo scatto finale che avrebbe portato il Mago tra le prime due postazioni, come per magia.
Con altri cinquantasei punti a proprio favore, Dimitri però si sentì un pochetto più al sicuro.
Toccò a Jake, ma per quel turno la sua strategia consistette solamente nel prendere una carta e scartarne un'altra di poco valore, una donna di picche bruttarella e dallo sguardo serio. Non disse una parola e non alzò neanche lo sguardo dalle sue carte, cercando di apparire concentrato a tal punto.
Miguel sbuffò quando toccò a lui, specie quando Samanta fece una specie di squittio al suo movimento. Era tutta la serata che gli stava lanciando occhiate concupiscenti, non sapeva se ritenerla una cosa buona o meno dal momento che il Cavaliere non pareva accorgersi di nulla.
Non sarebbero durati a lungo, quei due. Il Vampiro ne era assolutamente certo. Così com'era certo che Jake e Antonio si sarebbero messi di nuovo assieme – e se non l'avessero fatto da soli ci avrebbe pensato lui in qualche modo, dannazione, perché non era possibile continuare a quella maniera.
Non capiva né avrebbe mai capito cosa passasse per la testa del Mago. Dimitri gli aveva detto che, per uno come lui, fosse logico provare tanta insicurezza da fare gesti estremi simili, l'Angelo lo capiva bene almeno quanto Miguel capiva il Cavaliere. Per questo si era incavolato come una biscia quando la sua controparte gli aveva detto qualcosa di assolutamente privo di logica, di senso, di ragionevolezza.
-Non basta volerle, certe cose.-
Gli aveva chiesto allora cosa servisse perché una relazione andasse a buon fine – e l'Angelo non gli aveva risposto, scocciato come non mai per la sua “evidente insensibilità e ignoranza”.
Quel tappetto rosso come un semaforo.
Gli mancava solo un altro tre per riuscire ad aprire la mano e fare qualche punto. Scartò un fante di cuori e si abbandonò contro lo schienale della propria sedia, sospirando forte.
Quando toccò ad Antonio, questi sorrise alla ragazza che teneva praticamente in braccio, dolcemente, più o meno alla stessa maniera con cui si rivolgeva all'uomo nel periodo d'oro della relazione tra lui e Jake. Fu una bastardata, assolutamente, e il Mago nascose ancora di più il proprio sguardo dietro le carte, anche se la sua espressione rimaneva del tutto impassibile. Samanta sorrise e rise un poco, divertita e lusingata da quelle attenzioni, e come se nulla fosse guardò le sue carte e cominciò a consigliargli la strategia perfetta per arrivare alla vittoria. Era bella, Samanta, simpatica e spigliata; si erano incontrati nel bar dove lei lavorava part- time come cameriera, un locale per soli etero e irriducibilmente omofobo, tanto che persino Miguel ci stava alla larga quando era in vena di trovarsi una compagnia occasionale. Anche a lei ogni tanto scappava qualche battuta poco sagace, ignorando il fatto di avere un pubblico tutto di parte, senza alcuna eccezione.
Non c'era da stupirsi che la Veggente non la potesse vedere, neanche da lontano.
Il Cavaliere riuscì ad aprire con un tris di re, uno di assi e uno di cinque. Fu così contento da dare alla sua accompagnatrice un bacio sulla guancia e stringerla in un abbraccio dolce – lei rise ancora e gli diede dello sciocco. Miguel si trattenne dal commentare la cosa solo perché era sicuro che in caso contrario Dimitri l'avrebbe fulminato all'istante con lo sguardo.
La partita andò avanti senza intoppi per altri due giri completi, dove i concorrenti riuscirono a conquistare qualche punto verso la vittoria senza troppe difficoltà. Poi arrivò Jake che, aprendo, riuscì a chiudere con la stessa mano e quindi a vincere la partita all'istante. Ricevette un pugno da Miguel e una parola poco carina da Dimitri per quel gesto, tanto che sul suo viso comparve un raro mezzo sorriso – e Samanta glielo fece pesare subito.
-Oh, ma allora non ha una paralisi facciale!-
La guardarono tutti straniti, come se il suo commento fosse tanto fuori luogo. Dimitri aveva pensato sempre una simile cattiveria ma mai si era arrischiato a dirla da alta voce, così come Miguel non si era sprecato con gli insulti circa la sua incapacità di mostrare le emozioni eppure non aveva osato spingersi oltre un certo limite. Fu quasi sentir dire una verità da tutti conosciuta da una bocca estranea, una violazione della loro intimità radicale che non fu per niente gradita, neppure dal Cavaliere.
La giovane donna comprese di aver appena fatto una figuraccia e cercò di rimediare in qualche modo.
-Insomma, te ne sei stato ammusonito tutta la sera, ho pensato che tu avessi qualche problema...-
Quella scusa non la salvò affatto ma anzi l'affondò con ancor più crudeltà, tanto da spingere persino Antonio a intervenire, con una battuta brusca.
-Chi non sa cosa sia il tatto ha dei problemi, non certo Jake!-
Fu una sorpresa, fu una vera sorpresa. Il Mago si arrischiò persino a guardarlo in faccia allibito quando sentì quanta durezza aveva usato verso quella povera ragazza.
Dimitri cercò di riparare quanto possibile, porgendosi a lei nella maniera più affabile di sempre.
-Vedi, Samanta... Jake non parla mai a sproposito, e in un gioco del genere sono poche le parole che servono per interagire con le altre persone. Lui è uno di quelli che conserva tutto, anche il fiato per parlare.-
Ma ormai il danno era fatto: la ragazza scese dalle ginocchia del Cavaliere e si sistemò sulla propria sedia, con un'espressione in viso decisamente irritata. No, loro due non sarebbero affatto durati.
Antonio si decise a guardare in faccia il Mago e a ricambiare il suo sguardo. Fu strano vederli così, dopo tanto tempo, che si parlavano con quel tono piatto e incolore.
-Come stai, Jake?-
-... Sono un po' stanco.-
-Immagino che tu ti sia caricato di lavoro come sempre, vero?-
-... Sì, è così.-
-Dovresti avere più cura di te stesso, sembri sempre di più un barbone!-
-... Hai ragione.-
Non si sorrisero, non ghignarono, non fecero altro. Però, quella sera, quando fu il momento di separarsi, si salutarono con una stretta di mano e un paio di parole dette di sfuggita.
Almeno qualcosa si era smosso.

Il quarto anno, ciò che constatò la profondità dei problemi che il connubio comportava, guardò una separazione netta e sanabile solo a costo di grandi sacrifici, dove il gelido Novembre copriva di ghiaccio una passione sopita e in letargo e avvolgeva di sonno ogni sentimento amoroso.

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Capitolo 6
*** Anno 5 - Gennaio ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 5 – Gennaio
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Arancione
*Parole: 2360
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore: Eccoci di nuovo qua, penultimo capitolo :D
Dopo il capitolo precedente, è bene che i nostri due cosetti si riappacifichino D: questo sarà l'unico capitolo in cui compariranno, come dire, più “intimi” - capirete subito il senso del termine, ve l'assicuro XD infatti il rating è maggiore rispetto agli altri :D
È un capitolo dove si parla molto, ho immaginato fosse “giusto” dopo quanto è accaduto tra di loro. E si vedrà Jake tirare fuori gli attributi (L) *lei fa il tifo per Jake da sempre, ecco*
Temo di non aver altro da dirvi XD Buona lettura :D




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Sbucò da sotto la coperta pesante mentre ancora gli toccava il petto con tanti piccoli baci. Antonio gli sorrideva e inarcava la schiena a ogni contatto, perché le sue labbra erano ancora fresche e la propria pelle tanto bollente da risultare più sensibile del dovuto a quella delicatezza. Avercelo in mezzo alle gambe non gli creava alcun disagio o fastidio, anzi: ogni tanto sfregava contro di lui per avere quella sensazione di calda intimità di cui godeva dentro, senza darlo troppo a vedere. Aveva le cosce attorno alla sua vita sottile e poteva sentirne ogni singolo movimento e non lasciarsi sfuggire nulla di lui.
Poi Jake raggiunse il suo viso e si fermò, senza più baciare nulla. Il Mago fissò lo sguardo sul sorriso del Cavaliere ma non aggiunse alcuna parola a riguardo, solo le dita che si chiudevano sul capezzolo destro e continuavano a giocarci non fermandosi più.
Antonio gli accarezzò il profilo con il dorso della mano, quasi incantato: ancora gonfio di piacere, non aveva pensieri tristi a ingombrargli la testa e il pensiero.
-Sei bello, Jake. Sei davvero molto bello.-
Per lui lo era di sicuro ma il Mago aveva imparato a riconoscere verità oggettiva e parere soggettivo – quando l'uno prendeva il posto dell'altra nella mente delle persone era meraviglioso e terribile allo stesso tempo.
Fare l'amore, di quei tempi, era sempre qualcosa che scombussolava dentro. Antonio aveva smesso di frequentare donne con il solo intento di cercare in loro un po' di conforto, rendendosi conto che non avrebbe mai potuto sostituire la figura di Jake con chicchessia. Jake si era chiuso tanto in sé stesso che pareva ancora più smorto di prima, con dei gravi picchi che avevano obbligato i suoi amici ad assistenze imbarazzanti lunghe notti intere.
Si incontravano quindi nel mezzo, quando si sorprendevano troppo soli per sopportare ancora e troppo, incredibilmente vivi per lasciarsi andare. Era stato doloroso, ricominciare tutto da capo, con quel peso sul cuore che non poteva essere dimenticato – Antonio l'aveva preso contro un muro, mordendolo sulla spalla e senza lasciarlo più, gli aveva fatto male consapevolmente ma non era riuscito a smettere finché non aveva chiesto pietà e perdono con voce tremante; a quel punto era scoppiato egli stesso a piangere e si era rifugiato tra le sue braccia, come un bambino. Era stato difficile, eppure per entrambi necessario.
Il Cavaliere allungò le braccia verso di lui e gli cinse il collo, attirandolo a sé per un bacio dolce. Jake non si ritirò né rifiutò la richiesta, stendendosi su di lui e abbracciando molle il suo petto. Aveva un buon profumo sulla pelle e un'espressione gentile nello sguardo.
-É bello quando sei attivo: fai una faccia come in nessun'altra occasione! Sei un po' buffo perché sembra che tu stia soffrendo, e invece godi come un coniglio! Ah, tu sei strano, strano davvero! Mi chiedo come sia possibile frequentare uno come te!-
Gli sfuggì a quel punto un sospiro lieve, un borbottio che a stento assomigliava a qualcosa di sensato.
-Oppure innamorarsene...-
Jake fece finta di non sentire, come tutte quelle volte che Antonio si dichiarava a quella maniera tanto imbarazzante – perché no, non era la prima volta. Si accomodò invece con la guancia sul suo petto, ascoltando il rumore del battito del cuore da sopra la cassa toracica. Aveva la pelle morbida, come sempre, e un ritmo del respiro lento e cadenzato. Il Mago provò per qualche istante una sensazione di beatitudine completa.
Antonio sospirò forte portando una mano al viso e coprendosi lo sguardo. Non era stanco, ma aveva la netta consapevolezza di star per dire qualcosa che pesava come un macigno, uno di quei discorsi che si fanno poche volte nella vita perché mettono così a dura prova l'orgoglio da risultare difficili, gravi. Sapeva che Jake non poteva vedere la sua espressione, dalla posizione occupata era tanto se vedeva qualcosa oltre il suo fianco, tuttavia non volle esporsi in assoluto, temendo di far troppo.
Parlò con voce profonda, seria – si lasciò completamente andare.
-Sai, ho pensato a lungo. Ho valutato i problemi della nostra relazione. E ti do ragione sul fatto che è impossibile, per due uomini, vivere al di là del giudizio della gente. Ci sono persone che si arrogano il diritto di sputarti in faccia il loro odio soltanto perché sei diverso. Che brutta parola, “diverso”. Non esiste il concetto di “uguale” in natura, ogni essere è uguale solo a sé stesso. Esistono solo categorie di simili e la perfetta armonia nella specie si ottiene con la collaborazione tra le categorie, non con una lotta intestina!-
Si accorse tardi di aver totalmente deviato dall'argomento centrale della sua tesi, ricordando con le proprie parole un discorso che aveva sentito fare allo stesso Mago non troppo tempo prima. Perché era quello il problema di Jake, quella la reale sintesi e la reale origine di tutti i mali: lo scherno della società umana che li rendeva abominevoli persino per sé stessi. Jake era più sensibile di quanto desse a vedere e dopo quasi due anni a nascondersi, a ripararsi, a giustificare una cosa per lui del tutto naturale si era detto stanco e sconfitto; l'aveva rifiutato solo per cercare una pace a lungo desiderata, non per altro.
Antonio lo capiva perfettamente, anche se non riusciva a condividere la sua linea di pensiero e ad accettare la sua debolezza. Eppure gli era stato detto, più volte, che non tutte le persone hanno la fortuna di essere tanto forti. Lui aveva sempre ribattuto che il compito ultimo del cavaliere è quello di proteggere chi ne ha bisogno, ma al di là della figura romantica Antonio veniva preso per uno stupido che non aveva contatti con la realtà. Una cosa molto svilente.
Il Cavaliere si calmò un poco e riprese il suo discorso, stringendo la presa attorno all'altro uomo, di riflesso.
-Ho pensato a lungo, Jake. Voglio portarti lontano da qui, in un altro paese. Dove sarà possibile per noi continuare a vivere, a stare assieme. Ci pensi, Jake? Riesci a immaginarlo? Potremmo vivere nella stessa casa senza problemi, senza doverci giustificare di nulla! Porteremo anche Ernest e tutti gli animali che vuoi, inviteremo Miguel e Dimitri, sarebbe la nostra isola perfetta!-
Aveva immaginato la Spagna, aveva immaginato i Paesi del Nord Europa, aveva persino immaginato l'America e New York. C'erano così tanti posti al mondo in grado di accoglierli con il dovuto rispetto, riconoscerli in quanto tali e valutar la loro dignità come preziosa. Non era un problema, quello, e non lo sarebbe mai stato – Jake doveva essere rassicurato in questo, che anche se Antonio lo diceva in spagnolo o in norvegese un “ti voglio” e un “sei mio” rimanevano carichi di sentimento.
-Per il lavoro non dovrebbero esserci problemi. Siamo ancora giovani lavoratori, pieni di energie. Io posso insegnare in una lingua diversa e tu te la cavi bene con l'inglese quindi non dovrebbero esserci problemi! Inoltre sarebbe tutto nuovo, tutto entusiasmante! Tutto nostro!-
Lo strinse ancora e persino sorrise al vuoto, preso dalle sue stesse parole. Credeva in quell'assurdo progetto, aveva speso i suoi sogni più intimi per dargli consistenza e i suoi desideri più nascosti. Forse anche perché era entrato in quell'età dove si sente la necessità di cose stabili, durature, immortali, e Jake gli era parso subito l'elemento fondante di ogni tranquilla felicità.
-Jake, io lo voglio davvero! Poterti abbracciare e sentirti mio senza vergogna!-
Lo baciò sui capelli e lo dondolò un poco, in una coccola estremamente dolce. Inebriato dalle sue stesse parole, però, non aveva sentito la rigidità che il Mago aveva esteso a tutto il corpo e che lo rendeva estraneo a quella gioia.
Quando prese parola lo fece solo e unicamente per riportarlo alla realtà dei fatti.
-... Non sarà possibile.-
Antonio si fermò e dapprima fu nel tono assai addolorato.
-Perché dici così? Perché sei talmente catastrofista? Non riesci neanche a darci una possibilità?-
Poi però lo lasciò andare e quasi lo spinse via, davvero irritato. Era sempre così: quasi sentivano la necessità di litigare, ogni qualvolta arrivavano tanto vicini alla soluzione finale e perfetta, perché per qualche oscuro motivo il Mago si era ormai intimamente convinto di non meritare più alcun futuro e il Cavaliere non era ancora riuscito a farlo riemergere dalle profondità in cui si era gettato.
Quando riuscì a vederlo in faccia, alzandosi dal tappeto di quella camera sul quale avevano fatto l'amore non più di dieci minuti prima, Jake riuscì a vedere la sua espressione sconvolta.
-Sei ingiusto, tremendamente ingiusto! Come puoi affermare che non abbiamo speranze, io e te! Dopo quello che abbiamo passato! Guardaci: siamo ancora qui! Sei ancora a casa mia a fare l'amore con me! Sei ancora qui a volere me e io sono ancora qui a volere te!-
Fece una pausa, per prendere fiato e per cominciare a gesticolare come un dannato.
-Perché non vuoi darmi la possibilità di renderti felice?-
Il Mago lo guardò senza dire nulla: aveva in faccia un'espressione tanto distante da non sembrare neanche più lì. Ed era chiaro cosa stesse provando, in quel momento, ovvero una paura talmente terrificante da impedire ogni reazione.
Quella fu una visione tanto orrida che il Cavaliere distolse lo sguardo e lo portò all'ambiente che lo circondava. Erano a casa sua, in camera sua, sul suo tappeto – quello stesso tappeto di cui si era preso cura in maniera così maniacale tanto da non farci salire nessuno con le calzature ai piedi e in quel momento era sporco di ogni possibile umore, di tutti i loro odori mischiati e coperto da vestiti usati come stracci. Era cambiato così tanto, e tutto per quell'uomo tanto incapace di accettare la loro relazione.
Urlò e divenne rosso in volto.
-Ti amo! Ti amo, dannazione! Ti amo e mi sembra assurdo essere così tanto arrabbiato con te!-
Si morse la lingua per l'eccessiva enfasi usata e si portò velocemente la mano alla bocca, borbottando mezze bestemmie. Si piegò persino in avanti nel gesto, ma non per vero dolore quanto per tutto il momento che rendeva eccessivo qualsiasi movimento.
Quando lo sentì parlare, però, dimenticò persino l'irritazione e la rabbia cocente.
-Anche io ti amo, Antonio. Ma quello che dici non è realizzabile. Non possiamo condizionarci l'un con l'altro così.-
Gli fu vicino, gattonando come un animale. Arrivò quasi a toccarlo ma si fermò in tempo.
Non stava che aspettando un segno, una sola parola, qualcosa da lui che potesse aiutarlo in qualche modo. Perché era davvero patetico essere solo nella furia delle emozioni, un po' di meno quando si era in due.
-Perché no? Dimmi perché no! Io farei di tutto per te, sarei disposto a qualsiasi cosa per te! E sono sicuro che anche tu ne sapresti capace! Ma c'è quel tuo dannato realismo, quella tua incapacità di sognare e di vivere felicemente che deve sempre rovinare tutto!-
Jake bisbigliò, ed era tanto sicuro nel suo tono da fare male il doppio.
Se solo fosse stato capace di dire anche parole d'amore a quella maniera, se solo fosse stato capace di dichiarare apertamente i propri sentimenti con quella stessa sicurezza, di sicuro sarebbe stato uno degli uomini perfetti a quel mondo.
Ma non lo era, e Antonio lo amava essenzialmente per questo.
-La realtà non si crea sui nostri desideri.-
-Ma noi possiamo modificarla! Possiamo fare in modo che si adegui a noi!-
Lo prese, alla fine, per le mani che portò alle labbra e baciò sul dorso, una alla volta. Non sorrideva e non lo guardava in faccia, forse per paura d'osare troppo a quel punto morto.
-Jake, io non ho intenzione di lasciarti andare. Non più. Qualsiasi sia il prezzo.-
Jake rispose alla stretta e lo obbligò a sollevare il volto fino a incrociare il suo sguardo.
Probabilmente era arrabbiato anche lui, con sé stesso e con quell'idiota che non riusciva a capire quanto fosse difficile, quanto fosse irrealizzabile, quanto fosse costoso.
Anche lui li aveva sentiti, quando bisbigliavano cose maligne; aveva fatto finta di nulla ma non aveva mai trattato in maniera eguale chi faceva differenze. E non solo i bisbigli, non solo le occhiate strane: la volta che li avevano cacciati da un locale, la volta che gli avevano detto di essere dei maniaci, la volta che avevano minacciato di picchiarli in gruppo. La volta che, la volta che. Jake non aveva per niente dimenticato.
-Saresti in grado di sopportare il mio mutismo? Le mie paure? Le mie indecisioni? Saresti in grado di dirmi ogni giorno che mi ami, anche se sei arrabbiato, triste, deluso, lontano? Saresti in grado di rendermi la persona che non ho mai osato essere? Lo saresti?-
Antonio fece una cosa strana – che atterrò d'un colpo tutte le difese dell'altro uomo. Sorrise, piano, e lo guardò com'era sicuro che facessero gli innamorati.
-Non ti ho mai sentito parlare così tanto! Sei ancora più bello quando ti infervori!-
Il Mago abbassò lo sguardo e quasi si ritrasse, ma il Cavaliere glielo impedì e lo strinse a sé, inaspettatamente. Lo baciò sul volto e sulla bocca, anche se non era quello che doveva fare.
Jake sulle prime non disse nulla ma poi lo guardò per bene e gli rivolse un'occhiata scura e senza pietà.
-... Non mi hai risposto.-
Antonio tornò a baciarlo, a toccarlo e a stringerlo.
Lo sdraiò a terra e si mise sopra di lui, inchiodandolo al suolo. Sembrava felice come le prime volte, con il medesimo entusiasmo di sempre.
Aveva una voce squillante, sgraziata, ma calda come poche.
-Tutto! Tutto quello che vuoi! Tutto quello che mi chiedi! Tutto! Non giudicarmi sciocco ma solo disperato, Jake! Sai anche tu come certi sentimenti ti rendano invincibile!-
Cominciò anche a ripeterglielo, quasi dovesse dimenticarlo da un momento all'altro. Si fermò con il viso all'altezza del suo petto e lo sussurrò direttamente lì, vicino al cuore.
-Ti amo! Ti amo! Ti amo! Ti amo!-
Continuò per tanto tempo, senza stancarsi mai, finché Jake alzò una mano e andò ad accarezzargli i capelli – com'era solito fare quando tutto era bello e niente poteva preoccuparli. Adorava quei capelli almeno quanto adorava lui – per un attimo si lasciò convincere che il Cavaliere avesse ragione e fosse quindi in grado di salvarlo dalle sue stesse ombre.
-... Ti amo.-

Il quinto anno, ciò che riportò a galla il sentimento mai dimenticato e soppresso, riavvicinò i contendenti e li fece incontrare nel mezzo, in quel luogo dove i confini tra logica e irragionevolezza si fanno sottili come il ghiaccio in un Gennaio appena più tiepido del solito, che sa ancora di Inverno.

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Capitolo 7
*** Anno 6 - Marzo ***


*Autore: Rota
*Titolo: Dare tempo al tempo
*Capitolo: Anno 6 – Marzo
*Fandom: Originali/Generale
*Personaggi: Jake il Mago, Antonio il Cavaliere
*Prompt/Sfida COW-T: Anni/Sesta settimana
*Genere: Introspettivo, Generale, Romantico
*Avvertimenti: One shot, Raccolta, Slash
*Rating: Giallo
*Parole: 1560
*Dedica: Al mio maghetto personale, Prof no Danna.
*Note autore:  Settimo e ultimo capitolo della raccolta (L) e sì, dopo di questo chiudo quanto concerne Jake e Antonio (almeno, /per ora/) (L) Temo mi mancheranno alquanto, mi ci sono affezionata di brutto in quest'ultimo periodo D: Penso si sia notato, dal momento che ho sfornato un'intera long su di loro e una raccolta di sette one shot XD
Siamo però giunti alla fine ed è tempo di tirare le somme D: Non l'ho fatto troppo lungo perché mi sembrava che avrei messo non altro che troppa pateticità, ho descritto brevemente la situazione e affermato che sì, loro due possono andare avanti. L'hanno capito anche loro, contateci (L)
Spero che vi sia piaciuto, tutto questo. Io mi sono molto divertita a scriverlo, mi sono entrati nel cuore :D
Quindi, buon ultimo capitolo (L)




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Ernest aveva smesso già da qualche tempo di girare sulla sua ruota e questo preoccupava, non poco, il suo padrone, che ogni tanto sostava di fronte alla gabbia per sincerarsi che la povera creaturina non fosse passata a miglior vita – probabilmente ne avrebbe risentito parecchio a sua volta.
Quel topo durava da un sacco di tempo, in certe situazioni si era ritrovato a essere l'unica compagnia che Jake avesse per sé. E anche se, a pochi giorni dal suo subentro in famiglia, si era scoperto che fosse femmina, il nome “Ernest” non gli era stato cambiato e lei aveva continuato a svolgere il suo lavoro da animaletto da compagnia nel migliore dei modi. Durava da più di due anni, quell'affarino, e ormai era anzianotto: non usciva neanche più tanto spesso dal suo mucchio di segatura, mangiava sempre di meno, si muoveva sempre di meno. Quando il Mago lo prendeva in mano lo annusava, seguiva la linea del suo braccio come si era stato insegnato, fino al gomito, poi però si stancava e rimaneva lì fisso, senza fare un solo altro passettino.
Jake era decisamente sconfortato per tutto quello.
Antonio aveva avuto la pessima idea di dirgli, in un tentativo di conforto assai maldestro, che non c'era alcun problema a tal proposito: ne avrebbero preso un altro così da farlo subentrare al suo compagno più anziano. Il Mago l'aveva guardato come se dovesse ucciderlo con lo sguardo appena, si era stretto Ernest al petto e aveva cambiato stanza nel giro di due secondi – Antonio non osò ripetersi una seconda volta, dopo quella scenata.
Il punto era che troppe cose stavano cambiando e non era facile, per nessuno dei due, adeguarsi alla velocità degli avvenimenti.
Jake aveva cambiato lavoro ormai da un mese e mezzo, dopo che aveva deciso finalmente di non voler più sopportare le cattiverie dei suoi colleghi di lavoro che ogni santa mattina lo vedevano scendere dall'auto dello stesso fidanzato di sempre. Aveva presentato domanda a un capo sbalordito, parecchio restio a perdere uno dei suoi migliori uomini – quello stesso uomo che però l'aveva raccomandato ad un'altra ditta con fare totalmente disinteressato. Ora lavorava anche più vicino casa e non aveva bisogno di chiedere un passaggio ad Antonio: con la linea 15 del tram arrivava a destinazione nel giro di venti minuti scarsi.
Antonio, di suo, era diventato rappresentante sindacale all'interno del corpo insegnanti, convinto nel profondo di fare la cosa giusta per più persone. Si era reso conto quasi da subito che non era per niente facile passare tutto il suo tempo a litigare con le persone, a fare da mediatore, a dover rendere conto anche degli errori dei colleghi troppo animosi. Tuttavia veniva ripagato totalmente dalla sensazione di fare qualcosa, concreto, per poter risolvere i problemi entro la propria piccola scuola e di venire a capo di questioni che in altro modo non sarebbe stato possibile.
Jake aveva cominciato a fumare, Antonio ad apprezzare quel piatto esotico che era tonno, cipolle e fagioli. Jake gli aveva presentato sua sorella Jordan, Antonio tutta la famiglia al completo – ben sedici persone in una sola volta, accidenti a lui. Erano andati in Spagna insieme ma anche in Francia e persino in Scozia. Favoleggiavano di prendere la Transiberiana e sicuramente uno dei loro sogni nel cassetto era di visitare Cina o Giappone, meglio ancora l'India.
Vivevano assieme, nella vecchia casa di Antonio che mai, prima di allora, era sembrata così piena di vita. Probabilmente era anche merito di “Buck”, il piccolo barboncino bianco che la nonna cara di Antonio aveva loro regalato, in vista del compleanno del nipote sempre più prossimo.
Di tutti gli anni che avevano passato assieme, quello era stato di sicuro quello più ricco di avvenimenti.
La cosa più bella, poi, era che Jake non si vergognava più e che Antonio non gli dava motivi per farlo. Il Mago prendeva per mano di propria iniziativa il Cavaliere, anche per strada, e non lo guardava male quando si avvicinava troppo a lui per chiedergli qualche coccola dolce e senza pretese; d'altro canto, l'uomo continuava a predicare l'amore libero in ogni sua forma ma evitava di urlare ai quattro venti che il suo ragazzo era proprio quello, quello lì che stava tentando di nascondersi dietro una colonna e che aveva l'aspetto di un impiegato sfigato. Insomma, si erano concessi l'un l'altro qualcosa di piccolo nella sostanza ma essenziale per il loro rapporto.
Jake fissò ancora la gabbia del suo animaletto, sconsolato come non mai. Con la punta delle dita fece girare un poco la ruota verde – quella che aveva applicato lui stesso con estrema fatica quando l'altra si era rotta e non girava più – e ricordò i momenti in cui Antonio lo malediva perché quell'essere odioso e diabolico andava avanti tutta notte con le sue passeggiate solitarie e non lo lasciava dormire neanche un minuto. Sorrise appena al ricordo, senza tuttavia essere di buon umore. Anche quel topo aveva avuto la sua parte, nella loro storia, e gli era tanto affezionato che gli era fin troppo doloroso lasciarlo andare.
Persino nel periodo più brutto della loro relazione, quando Antonio cambiava compagnia in maniera sfacciata ogni tre giorni circa, Jake aveva sempre resistito dal restituirgli Ernest, trattenendolo a sé neanche fosse stata la sola cosa che lo poteva legare all'altro uomo. E per certi versi, nel suo intimo più vergognoso, Jake aveva sempre calmato la disperazione a quel modo.
Il topolino andò da lui, per annusargli le dita e salirgli sul palmo. Aveva piacere a farlo, perché per lui le mani del Mago erano sempre calde e morbide, e l'uomo passava anche minuti interi ad accarezzarlo sulla pancia, non fermandosi mai. Aveva provato a farlo anche Antonio, ma era troppo maldestro e Ernest aveva quasi squittito di dolore all'ennesima carezza energica che quasi lo aveva schiacciato.
In compenso, Buck azzannava alle caviglie Jake ogni volta che entrava in casa e invece faceva le feste come un dannato al Cavaliere, saltandogli in braccio come se nulla fosse. Era evidente che neanche in quello potevano dirsi simili.
Non era poi tanto importante, infondo.
Ernest gli offrì la pancia e il Mago cominciò ad accarezzarlo piano. I topi avevano un modo tutto loro di comunicare quando qualcosa gli piaceva, ed era muovere il musino in continuazione – la cosa divertiva tantissimo Jake.
L'uomo non sobbalzò quando due mani forti, sicuramente umane, lo strinsero a livello della vita e un bel naso aquilino, di quelli lunghi e affilati, si strofinò contro la sua nuca con tutta la dolcezza del mondo, ma anzi si sporse all'indietro e inclinò il viso di lato.
-Eccoti qua, assieme al tuo topo!-
Antonio aveva sempre un modo tutto suo, cattivo, di dire la parola “topo”, che sembrava quasi dovesse indicare una leggera e sottocutanea gelosia. Jake rideva alla sua pronuncia dura, trovandola spassosa.
Glielo mostrò, ancora in estasi per le coccole ricevute.
-... É bello.-
La presa sul suo corpo si strinse e lui ricevette due o tre baci sulla nuca.
-Tu sei bello, non quell'affare. Tu!-
Sorrise, apprezzando la coccola, e quando voltò il volto verso Antonio, questi lo baciò anche sulle labbra, con dolcezza, abbracciandolo sul petto. Era così strano condividere quei momenti dolci, quasi la loro si trattasse di una situazione comoda, adagiata, brillante: avevano problemi come tutti, e proprio per questo erano in grado di apprezzare appieno i singoli momenti di beatitudine.
Jake ripose il topolino nella gabbia, con grazia. Quello, appena toccata la segatura, zampettò verso il sua giaciglio e vi si nascose dentro con tutto il corpo, coda rosa compresa.
Il Mago lo guardò a lungo, sovrappensiero, prima di stringersi contro il compagno e chiudere gli occhi.
-... Mi dispiaccio troppo, per un animale.-
Antonio lo accarezzò sui capelli e gli sorrise, come a un bambino piccolo e dolce. Aveva preso familiarità anche con quel sentimento di tenerezza, a lungo andare, e non provava più vergogna a confidargli che piuttosto che una sessione di sesso lunga mezz'ora preferiva stringersi a lui per ore intere, senza fare altro che scambiare con lui qualche bacio di tanto in tanto.
Era maturato e se ne rendeva conto a stento.
-No, non direi. Ernest è stato una parte di te per molto tempo, te ne sei preso cura come non avevi mai fatto con altre creature viventi. Penso piuttosto che tu gli voglia bene davvero, Jake. É il tuo animale.-
Gli prese il volto tra le mani e lo costrinse a guardarlo in faccia.
-Sai però cosa penso? Che Ernest sia come una fase, uno di quei periodo della vita che hai vissuto tanto intensamente e che per ovvi motivi arrivano alla loro conclusione. Allora sei frastornato, confuso, spaurito, perché ogni volta che termina una fase ne inizia un'altra. E chi può dire che questa sarà meglio della prima? Chi può affermare con convinzione che non ci aspettano che momenti felici e cose meravigliose?-
Jake gli sorrise, rivelando agli angoli della bocca quelle piccole rughe che facevano di lui un uomo più vicino ala quarantina che alla trentina, un uomo che ha la concreta necessità di sentire qualcosa sotto i piedi sul quale non traballare più.
Un uomo che aveva deciso su quale base appoggiarsi, in maniera definitiva.
-... Basta che resti qui. Il tempo può anche passare.-
Lo baciò, lo baciò molto.
Per quel passato che li aveva avvicinati, per quello che li aveva fatti incontrare, per quello che li aveva uniti, per quello che li aveva resi felici, anche per quello che li aveva separati e riempiti d'odio doloroso – per tutto quegli anni passati assieme si fecero la tacita promessa di vivere un futuro radioso, meraviglioso, assieme.
E mentre si chinavano a fare l'amore sul pavimento, presi da una passione folgorante e momentanea, la ruota di Ernest cominciò a ruotare, sospinta dall'esigua forza del topolino, in mille cigolii diversi.

Il sesto anno, l'ultimo passo di una fase travagliata e piena d'ostacoli, si presentò come la fine e l'inizio assieme, nella dicotomia che rendeva il Marzo piovoso tanto speciale – dove la speranza si scrolla di dosso ogni residuo di paura e guarda solo avanti, decisa a seguire la propria strada.

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