~ Mother ~

di Miss H_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I ~ Anche stavolta a vinto lui. ***
Capitolo 2: *** Capitolo II ~ Sei contento adesso? ***
Capitolo 3: *** Capitolo III ~ Festa con sorpresa ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV ~ Il ragazzo che veniva a caccia con me é cambiato. ***
Capitolo 5: *** Capitolo V ~ Un viaggio per incontrare una persona cara. ***
Capitolo 6: *** Capitolo VI ~ Un ricordo amaro. ***
Capitolo 7: *** Capitolo VII ~ Disegni sulla pelle ***
Capitolo 8: *** Capitolo VIII ~ Un nome dura per sempre. ***
Capitolo 9: *** Capitolo IX ~ Un pezzo di Finnick . ***
Capitolo 10: *** Capitolo X ~ Piccola deviazione. ***
Capitolo 11: *** Capitolo XI ~ Una sorpresa non è sempre visibile ad occhio nudo. ***
Capitolo 12: *** Capitolo XII ~ La tempesta ti travolgerà. ***
Capitolo 13: *** Capitolo XIII ~ Una paura più antica della vita stessa. ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIV ~ Sono contento che sia andata a finire così. ***
Capitolo 15: *** Capitolo XV ~ L'ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore. ***
Capitolo 16: *** ~ Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo I ~ Anche stavolta a vinto lui. ***


Capitolo I ~ Anche stavolta ha vinto lui.

 
Ho passato una delle giornate più strane della mia vita, forse la più strana in assoluto.
Quando mi sono svegliata nel mio letto, anzi direi nel nostro letto visto che ormai sono quindici anni che dormiamo insieme io e Peeta, e ho aperto gli occhi, la prima cosa che ho visto sono stati due occhi azzurri che mi stavano fissando e un sorriso scintillante da togliere il fiato. Peeta. Quest’uomo non smetterà mai di sorprendermi con il suo entusiasmo di tutti i giorni. Io a malapena riesco a sorridere la mattina perché subito il ricordo di tutte le vittime causate dal mio egoismo mi assale. Lui invece nonostante abbia al mondo solo me e Haymitch come parenti (se così si può definire il nostro ex mentore) ogni mattina si sveglia allegro e sorridente anche se la notte è rimasto sveglio a causa dei miei incubi che purtroppo non se ne andranno mai. Mi da il buongiorno con un bel bacio e quando le sue labbra si staccano dalle mie ne voglio subito un altro. Lui non mi nega mai niente e così mi accontenta, ma non andiamo più in là di questo perché sa come la penso riguardo all’avere dei figli. Quando ci stacchiamo definitivamente vedo che sul comodino è appoggiato un vassoio con una tortina sopra. L’ha fatta Peeta ne sono sicura. Mi allungo per prendere il vassoio, ma lui subito mi interrompe dicendo – No, ferma che fai? Ti servo io, tu non devi fare niente.- Rimango sorpresa ma lo assecondo e così mi metto comoda sul letto aspettando che mi serva lui. Sul vassoio arancione tramonto, il colore preferito di Peeta, ci sono un bicchiere di latte e una tortina con una candelina accesa sopra. Sono sconcertata. Oggi non è il mio compleanno e nemmeno il suo, cosa dobbiamo festeggiare allora?
Peeta capisce che sono confusa e allora con un tono di voce molto allegro e soave mi dice- Oggi sono passati precisamente 15 anni da quando stiamo insieme e cinque da quando ci siamo sposati. Tanti auguri amore!- Quell’ultima parola mi fa rabbrividire, ormai Peeta la infila in ogni discorso ma io ancora non mi sono abituata, non sono mai stata una persona sdolcinata, Cinna era quasi riuscito a rendermi tale con tutti i suoi vestiti da bambina innocente, ma poi tutti i suoi sforzi sono svaniti dopo che è morto. Io rispondo- Già sono passati quindici anni e non abbiamo mai festeggiato, perché dovremmo festeggiare adesso?- Peeta paziente mi risponde- Perché è venuto il momento di cambiare abitudini amore e perché ho deciso di farti una sorpresa. Vatti a vestire che oggi ti aspetta una giornata indimenticabile.- Spengo la candelina involontariamente con uno sbuffo, trangugio il latte e mangio un pezzo della tortina, poi mi dirigo in bagno per lavarmi e sistemarmi. Quando sono pronta usciamo di casa e appena sorpasso la porta Peeta mi ferma e mi chiude gli occhi con una bandana per non farmi sbirciare. Mi prende per mano e mi guida dicendomi di tanto in tanto se c’è un ostacolo da superare o se dobbiamo girare, ma io inciampo continuamente e così alla fine mi sento sollevare da terra e vengo sostenuta per aria da due mani forti e muscolose ma allo stesso tempo delicate. Peeta mi ha preso in collo e mi sta portando alla nostra destinazione. Saliamo da qualche parte e lui mi lascia solo quando sono seduta su un sedile. Dal rumore delle ruote sulle rotaie capisco che siamo su di un treno. La cosa mi sconvolge ma Peeta mi rassicura dicendo che non c’è niente di cui aver paura. Gli chiedo se posso togliermi la bandana ma ovviamente lui risponde di no. Ad un tratto il treno si ferma e Peeta mi dice che è ora di ripartire. Mi riprende in collo e usciamo dal treno. Abbiamo percorso non so quanti chilometri quando alla fine mi lascia andare e mi posa su un terreno soffice e granuloso. In un attimo capisco ciò che mai avrei voluto capire. Siamo su una spiaggia. Peeta mi slega delicatamente la bandana dagli occhi e mi dice- Sorpresa!! Ho pensato che una bella giornata al mare ti sarebbe piaciuta, ma per andarci dovevamo andare nel Distretto 4, spero di non averti fatto un torto…-  Peeta inizia a preoccuparsi. Non rispondo ma dal mio viso si devono intravedere le mie emozioni. Non riesco a trattenermi, sbotto dicendo- Il mare non è un posto adatto per una ragazza in fiamme!! E poi questo posto mi ricorda…- La mia frase si tronca a metà, non posso continuare. In un attimo mi passano davanti tutti i momenti passati nell’arena dei Giochi della Memoria. Finnick, Mags, la Cornucopia in mezzo all’acqua,le ghiandaie chiacchierone, Peeta in bilico tra la vita e la morte.
Mi osserva in silenzio. Sicuramente si starà pentendo di ciò che ha fatto. Ad un tratto mi dice – Se vuoi torniamo a casa, forse ho sbagliato.- Cerco di tranquillizzarlo. No, non posso rovinare questa giornata. E’ iniziata bene per una volta e non sarà certo la mia debolezza a rovinarla. Passiamo la giornata galleggiando nell’acqua, io lo aiuto a rimanere a galla perché a causa della sua gamba artificiale ha bisogno di un sostegno, e mangiamo il delizioso cibo che ha preparato con tanta cura e tanto amore. Quando viene il tramonto usciamo dall’acqua e ci stendiamo sulla sabbia per osservare il sole che sembra sprofondare all’orizzonte. Mi volto verso Peeta  e gli dico – Ti ricordi quando nei Giochi della Memoria prima di entrare nell’arena passavamo le giornate insieme e guardavamo il sole tramontare?- - Pensi davvero che Capitol City mi abbia fatto dimenticare tutto dolcezza?-
Un sorriso autentico mi compare sul volto. Sono grata agli psicologi del Distretto 13 perché hanno riportato da me il vecchio Peeta. Continuo dicendo- Una volta mentre ce ne stavamo al sole sul tetto del Palazzo d’Addestramento mi hai detto che volevi fermare il tempo e vivere così per sempre- Lui dice- E tu mi hai risposto con un semplice Va bene ma per me quelle tre sillabe sono significate moltissimo.- Le nostre labbra si fondono in un bacio e capisco che quell’amore che lui provava per me era ricambiato, ma che per qualche strano motivo io mi rifiutavo di crederci e di dimostrarlo. Quando ci allontaniamo mi distendo con il capo sulla sua pancia e lui come sempre inizia a giocherellare con i miei capelli. Ceniamo al chiaro di luna e poi ripartiamo per non perdere il treno. Stavolta Peeta non mi deve prendere in braccio perché posso vedere la strada da sola e così ci teniamo per mano. Quando arriviamo a casa sono esausta. Peeta appoggia il cestino del picnic sul tavolo e poi ci dirigiamo in camera. Lui si cambia davanti a me senza farsi troppi problemi, ormai ho superato lo shock da tanto tempo quindi non arrossisco più quando lui si spoglia davanti a me. – Vado in bagno- gli dico dirigendomi verso la porta di mogano. – Ah… ok.- Lo dice con un’aria un po’ strana, con incertezza. Mi avvicino al lavandino per prendere la pillola che continuo a prendere per occasioni come queste. So che Peeta è contrario al fatto che io lo faccia, ma non ho mai avuto l’intenzione seria di sposarmi e di avere figli, quindi dovrebbe essere contento che almeno il mio primo divieto è stato infranto con il mio consenso. Inoltre non gli ho mai negato il mio corpo né “l’attività fisica” ovviamente entro certi limiti, ovvero non avere figli e di questo non mi pento.
Quando mi chino per prendere la pillola vedo che è appoggiata sopra un piccolo bigliettino arancione. Lo prendo in mano e leggo:
 
Per una volta sii la mia Ghiandaia Imitatrice.
Sai chi ti sta parlando e cosa intende vero?
 
Certo che lo so. Questo biglietto l’ha scritto Peeta, riconosco la sua calligrafia, e so anche cosa intende. Prendo la pillola in mano e mi soffermo a guardarla mordendomi un labbro. Dopo circa un minuto sono ancora in preda all’indecisione, penso che Peeta mi abbia dato per dispersa. Mi risveglio dai miei pensieri quando sento la sua voce che mi chiama e mi chiede – Katniss stai bene?-
Non rispondo. Riposo la pillola sul lavandino senza guardarla, penso che se lo facessi verrei travolta da tutti i miei dubbi e le mie paure. Tengo stretto al petto il bigliettino e con passo deciso mi dirigo verso la porta della camera da letto. Quando arrivo apro la porta e mi appoggio allo stipite. Peeta è disteso sul letto con una posizione molto provocatoria, io lo guardo e inizio a sventolare in aria il bigliettino per fargli capire che so perfettamente cosa intende. Dopo diversi minuti entro nella camera e mi siedo sul letto. Peeta mi prende delicatamente un braccio con una mano, con l’altra mi afferra il fianco e mi tira verso di sé. Non ci posso fare niente: anche stavolta ha vinto lui. 

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Capitolo 2
*** Capitolo II ~ Sei contento adesso? ***


Capitolo II ~ Sei contento adesso?


Tutto è iniziato due mesi e mezzo fa in quello stupidissimo bagno. Se quella sera non fossi entrata in quel maledetto bagno, se non avessi trovato quel bigliettino arancione e se soprattutto non fossi caduta così facilmente nella sua trappola, adesso non mi ritroverei china sul gabinetto a vomitare.

Fino a due minuti fa ero sdraiata sul divanetto in veranda insieme a Peeta. Io canticchiavo qualche canzone che mi aveva insegnato mio padre quando ero piccola e lui giocava con i miei capelli come gli piace fare quando siamo sdraiati.

Sento la voce di Peeta che mi chiama e mi chiede se sto bene, ma non posso rispondergli, sono troppo occupata in questo momento. I conati di vomito mi tolgono il respiro. Quando penso che questo momento d’inferno sia finito mi alzo, mi pulisco la bocca e mi lavo i denti. Poi vado in cucina, Peeta mi sta aspettando seduto su una sedia. Si alza, scosta un’altra sedia dal tavolo e con gentilezza mi aiuta a mettermi a sedere. Mi guarda senza dire niente, è preoccupato glielo si può leggere in volto, così cerco di rassicurarlo dicendo- Non è niente, stai tranquillo, è solo un’indigestione. – Per tutta risposta mi dice – Ti preparo un tè alla menta, forse ti ha fatto male qualcosa che era nel cibo. Devo stare più attento a cosa preparo. –

- Non dirlo nemmeno per scherzo, sei un’ ottimo cuoco non devi preoccuparti per me, può capitare un’indigestione ogni tanto.- Cerco di tranquillizzarlo e sembra funzionare.

Ma la nausea non passa, anzi aumenta minuto dopo minuto.

Mi alzo e dico a Peeta che una boccata d’aria mi farà stare meglio. Ritorniamo a sederci sul divanetto, ma stavolta invece di canticchiare, rimango in silenzio e rifletto su ciò che sta accadendo. Peeta, ha preso una coperta e me l’ha messa sulle spalle, è metà ottobre e fuori inizia a fare leggermente più freddo di quando era estate, ma al tramonto c’è ancora quell’aria tiepida a cullarci. Ci abbracciamo forte e lui mi sussurra in un orecchio – Ora mi prenderò curo io di te, finché non ti ristabilirai -. Gli stampo un lieve bacio sulla guancia per ringraziarlo e poi torno a concentrarmi sulla mia situazione. 

Lui rimane abbracciato a me come se volesse proteggermi da ogni male.

Mi sento tutto lo stomaco in subbuglio come se all’interno della mia pancia ci fosse un party. Come se ci fosse qualcuno.

Qualcuno. Oh, no. Ho capito cosa sta succedendo dentro di me.

Mi alzo di scatto dal divanetto tanto che Peeta si spaventa. Mi dice – Che c’è? Cosa hai visto? Katniss che ti succede? Stai di nuovo male? –

Sì, vorrei rispondergli ma non posso. Un’ altra fitta, più forte di prima e schizzo in bagno per non essere vittima dei conati davanti a lui.

Dopo un po’ mi alzo dalla mia posizione rannicchiata e corro in camera. In quella maledetta camera da letto. Apro l’anta dell’armadio dove c’è lo specchio e inizio a guardare il mio riflesso. Mi guardo da più posizioni, giro e rigiro davanti allo specchio. Se qualcuno dovesse sbirciare dalla finestra sicuramente penserebbe: “Povera ragazza, ora che non è più al centro dell’attenzione di Panem, si sente inutile e l’unico modo per provare un po’ di soddisfazione è di piroettare davanti allo specchio”.  In realtà non mi manca affatto l’attenzione di Panem, né delle sue telecamere che dopo i primi Giochi a cui ho partecipato hanno reso la vita un inferno. Continuo a piroettare finché ad un tratto mi fermo di profilo e mi osservo. La mia pancia è più gonfia di tre mesi fa. Non posso essere ingrassata in questo piccolo arco di tempo!

Mi giro di nuovo e fisso con attenzione la mia immagine riflessa per intero sullo specchio. Mi tocco la pancia, l’accarezzo dolcemente e dopo qualche minuto di tempo capisco che i miei dubbi sono fondati su una base di verità.

Sono incinta.

Questa volta non è uno scherzo, non è un piano per sabotare gli Hunger Games.

Nella mia pancia c’è davvero il figlio di mio marito.

Il figlio di Peeta Mellark.

La cosa mi sconvolge, non riesco a crederci. Tutti e due i miei divieti sono crollati nel giro di pochi anni. Peeta è riuscito a convincermi, sembra impossibile eppure è la pura verità.

Io non volevo avere figli, come è possibile che invece stia accadendo la cosa opposta?

Questa cosa mi manda fuori di testa. Sto impazzendo.

Mi cedono le gambe, cado a terra. Mi rannicchio accanto allo specchio, mi abbraccio le ginocchia con le mani. Dalla mia bocca escono suoni strozzati. Inizio a singhiozzare, poi il mio corpo diventa tutto un tremito e scoppio a piangere. Inizio ad urlare e mi tappo gli orecchi come se ci fosse un rumore assordante che mi perfora i timpani anche se so che l’unico rumore che sento è il mio urlo disperato.

Allontano le mani dalle orecchie e stringo in una morsa d’acciaio il mio ventre.

 Ho una crisi isterica. Rimango in quella posizione finché sento il contatto di una mano delicata che sta sciogliendo la morsa d’acciaio. E’ Peeta.

Con molta calma e tranquillità inizia a consolarmi. Mi sussurra delle parole dolci nell’orecchio come – Stai tranquilla amore, ci sono qua io.-  Oppure – Smettila di stringerti così forte la pancia, se ti fa male te la massaggio io. Non aver paura, non c’è niente che ti può far del male perché ci sono io a proteggerti.- Mi sembra di essere tornata bambina quando mio padre mi consolava appena succedeva qualcosa che mi disturbava e mi faceva disperare. Peeta mi prende le mani, poi mi accarezza il volto e con le dita mi asciuga le lacrime. Mi aiuta ad alzarmi ed infine mi abbraccia. Appena mi sento al sicuro fra le sue braccia la mia isteria svanisce. Rimaniamo abbracciati per non so quanto tempo. Per una volta vorrei essere io a dire di voler fermare il tempo e rimanere così per sempre, e invece Peeta scioglie l’abbraccio ma non lascia la mia mano destra. Con un tono dolce dice – Katniss ti ho sentita urlare, sembravi in preda ad uno dei tuoi soliti incubi. Cosa ti tormenta?- Poi continua – Amore perché stai così male? Mi sto seriamente preoccupando, se vuoi chiamo un medico.- - No, non c’è bisogno di un medico. So già cosa mi direbbe. Non ci vuole molto a capirlo.- Rispondo con la voce che trema. Sospiro. Devo trovare il coraggio di dirgli cosa mi tormenta. Lui ha tutto il diritto di saperlo, è il padre del bambino.

Non so di preciso dove riesca a trovare la forza per dirglielo, ma alla fine glielo dico. Mi faccio coraggio e inizio – Ti ricordi quando la sera del nostro anniversario hai scritto quel bigliettino arancione in cui mi dicevi di essere la tua Ghiandaia Imitatrice per una volta? Beh, quella sera ho ascoltato il tuo desiderio e non ho preso la pillola. Sai cosa vuol dire questo?- Peeta apre leggermente la bocca, ma io non gli lascio il tempo per formulare la risposta e continuo imperterrita – Vuol dire che ci sei riuscito. Sei riuscito nel tuo intento.- Aspetto trenta secondi poi dico – Sono incinta. Aspetto un bambino e ovviamente sei tu il padre. Sei contento adesso?-

La mia ultima domanda sembra quasi un’accusa. Quella frase è carica di veleno, ma in effetti è quello che volevo. E’ colpa sua, è tutta colpa sua. Perché ha voluto insistere tanto? Sapeva che non ero d’accordo. Mi ha fatto passare una bellissima giornata, la sera è stata stupenda e poi? Mi ha fatto questo regalo indesiderato:un figlio. Un autentico sorriso si dipinge sul volto di Peeta, ma solo per un attimo perché appena vede la mia espressione diventa serio. Con voce cupa dice – Io sono contento solo se lo sei anche tu. Non credevo di farti un torto, insomma mi sono lasciato trasportare dal momento e poi sai bene quanto io desideri avere dei figli. Ora però mi sento in colpa perché sono sicuro di averti fatto un torto. – Il suo volto dolce e perfetto assume un’espressione di dolore. Vedo che ciò che gli ho detto lo fa soffrire. Non che lui sia scontento di avere un figlio, ma il modo in cui l’ho trattato è stato orribile. Non se lo aspettava, è ovvio. Cerco di rimediare. Lo abbraccio, ma lui è insicuro, non sa se ricambiare oppure no. Non sa più cosa aspettarsi da me, ma alla fine mi abbraccia anche lui. Mi avvicino al suo orecchio con la bocca e gli sussurro con la voce più allegra che posso trovare – Ormai il danno è fatto. Non puoi più ritirarti Peeta Mellark, diventerai padre. –

Peeta si allontana leggermente da me e mi guarda ancora incerto. Prendo la sua mano destra e la appoggio sul mio ventre in corrispondenza di dove si trova nostro figlio.

Lui mi sorride e mi dice – Allora, avverto tutti della grande notizia! – Lo guardo un po’ contrariata e allora le sue morbide labbra si uniscono alle mie in un bacio passionale.

Infine si stacca da me con delicatezza e con fare allegro dice – Il telefono sarà occupato per un po’, intanto tu mettiti comoda sul letto o sul divano del soggiorno e quando avrò finito il giro delle telefonate mi prenderò cura io di te.- Mi da un bacio sulla guancia e poi si dirige verso il telefono. Penso proprio che mi farò un riposino, dopo tutto oggi è stata una giornata stressante e sconvolgente. Sono un po’ spossata ma anche felice perché ho subito trovato il coraggio di dire a Peeta la verità senza farmi troppi problemi. Mi sento sollevata perché so che non ce l’avrei mai fatta a sopravvivere ad una cosa simile senza dirglielo. So per certo che il mio ragazzo del pane non mi abbandonerà, ma mi starà accanto e si prenderà cura di me, anzi dovrei dire di noi, visto che nella mia pancia c’è suo figlio. 



Angolo della scrittrice: 

Grazie a coloro che hanno letto il primo capitolo, che hanno messo la mia FF tra le storie preferite o tra le storie seguite. Mi raccomando esprimete la vostra opinione, anche se è negativa. :) Accetto senza problemi le critiche costruttive, perchè l'importante e migliorare sempre. :D 
Spero che vi sia piaciuta. 
Un bacio,
Miss Hutcherson. 



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Capitolo 3
*** Capitolo III ~ Festa con sorpresa ***


Capitolo III ~ Festa con sorpresa  

Mi metto comoda sul divano del soggiorno e ascolto di nascosto le conversazioni che Peeta intrattiene al telefono. Chiama Haymitch per primo e gli dà la notizia con una voce molto gioiosa. Haymitch, che di sicuro dormiva fino a due secondi prima di ricevere la telefonata, visto che dorme solo di giorno, si complimenta senza troppo entusiasmo. Poi viene la volta di Delly, la sua cara amica d’infanzia che venne usata nel distretto 13 come cavia per cercare di riportare da me il vecchio Peeta. E’ molto entusiasta e si complimenta con una voce molto allegra. Peeta la invita ad una festa, ma non so di cosa si tratti e sinceramente non mi interessa. In seguito viene avvertita Effie, che però reagisce male perché è scontenta di non essere stata avvisata per prima. Ci fa comunque tanti auguri e promette di venire a trovarci, Peeta però le dice che non importa perché ci sarà una festa qui e ovviamente lei è invitata. Effie allora più entusiasta che mai chiede alcune anticipazioni, Peeta inizia a bisbigliare la sua risposta, non permettendomi quindi di sentire. Viene chiamata anche Sae la Zozza, poi è la volta di Flavius, Octavia e Venia. Chiama anche Annie e suo figlio e subito lei risponde che parteciperà alla festa perché per lei è come diventare zia. Peeta chiama anche mia madre, ma non ascolto nulla della loro conversazione perché la stanchezza mi sovrasta e io mi addormento sul divano. Ora voglio solo riposare perché la giornata è stata piuttosto stressante e sconvolgente.

Quando mi sveglio è mattina, sento gli uccellini cinguettare e i rumori delle persone che si dirigono a fare le loro faccende. Sono ancora rannicchiata sul divano del soggiorno e ho una coperta sopra di me.
Me la deve aver messa Peeta per non farmi prendere troppo freddo. Appena quel nome passa per la mia testa mi alzo e inizio a chiamarlo a voce alta, ma nessuno mi risponde. La casa sembra vuota, deserta, troppo grande per una persona sola. Il panico mi assale, dov’è Peeta?
Una fitta alla pancia mi fa accasciare. Non è la solita fitta che mi dà il segnale di correre in bagno perché sto per essere travolta dai conati di vomito. E’ una fitta di ansia, di preoccupazione.
Inizio a urlare ancora più forte sperando che lui venga da me preoccupato come sempre, ma questa volta non arriva nessuno. Inizio a riflettere su che giorno è oggi, forse Peeta è andato al forno.
Dopo un paio di anni da quando ci siamo trasferiti qui Peeta ha costruito un nuovo panificio e ha iniziato a lavorare come fornaio. Ora molte più persone possono permettersi il suo pane o le sue torte e così ha tanto lavoro. Io a volte lo aiuto, ma la maggior parte delle mie giornate le passo a cacciare perché è ancora il mio passatempo preferito. Ripensandoci però qualcosa che non mi torna. Oggi è domenica e il forno è chiuso, allora dov’è andato Peeta?
Incapace di rimanere ancora un altro minuto a casa esco fuori in giardino e inizio a guardare le primule che Peeta ha piantato. Due lacrime iniziano a rigarmi il volto. Mi ha abbandonato, ha fatto finta di essere contento per poi andarsene e lasciarmi qui da sola. Sento una vocina nella testa che mi dice – Katniss sei proprio una sciocca! Come puoi pensare che Peeta ti possa aver lasciato da sola ad affrontare tutto questo?- Sì, la voce ha ragione, sono una stupida. Peeta non mi lascerebbe mai da sola, sarà andato a fare compere. Torno in casa ancora sconvolta dalla sua assenza e mi preparo una cioccolata calda sperando che il mio corpo non la rifiuti. Mentre sorseggio lentamente il liquido marrone sento la porta aprirsi, mi volto di scatto ma non vedo nessuno. Certo, è ovvio. Io sono in cucina e la porta che si è aperta è quella dell’ingresso, così mi alzo e vado a vedere chi è arrivato.
Appena lo vedo la testa inizia girarmi. Peeta. E’ tornato e ha tante decorazioni. Nella mano destra ha un secchio con dentro dei Denti di leone, delle Calle, delle Primule e altri fiori che non conosco. Nella mano sinistra, invece, ha un vassoio coperto e al collo ha un sacco di tulle colorato. Lui non riesce nemmeno a posare gli oggetti dato che gli salto letteralmente in collo. Lo abbraccio forte e inizio a singhiozzare. Con voce strozzata dico – Peeta, perché mi hai lasciata da sola? Credevo che te ne fossi andato, credevo che non mi volessi più, che non ci volessi più…- Non posso continuare, la mia voce si spezza. Lui appoggia gli oggetti sul pavimento e inizia ad accarezzarmi la testa e la schiena dolcemente, poi mi risponde – Amore, ma cosa ti è venuto in mente? Secondo te io non sono contento? Pensi veramente che io mi possa comportare così con la mia unica ragione di vita? La gravidanza ti deve aver dato alla testa.- Io alzo lo sguardo e senza indugiare troppo, lo bacio. Non è un bacio casto e nemmeno un bacio rapido. E’ un bacio pieno di sentimento e di amore, è un bacio che significa: mi sei mancato. Vorrei continuare, ma lui si stacca da me dicendo che deve iniziare a preparare la casa perché a pranzo abbiamo degli ospiti. Io rimango allibita. Degli ospiti? E per quale motivo? Poi mi ricordo delle telefonate di ieri e capisco che sta organizzando la famosa festa. Una festa? Ma per cosa? Ah, sì giusto. Sono incinta, ecco cosa dovremmo festeggiare. Le solite idee di Peeta Mellark.
Inizio a rassettare la casa senza però allontanarmi troppo da lui, mi è mancato così tanto che ora non voglio più separarmene. Addobbiamo la casa tra una risata e l’altra. Attacchiamo palloncini, disponiamo fiori in dei vasi colorati e appendiamo il tulle tra un lampadario e l’altro. La casa sta letteralmente prendendo vita.
Ad un tratto mentre lui è girato di spalle e sta cercando di mettere il tulle intorno ai quadri che sono sopra il divano, lo abbraccio forte. Peeta si gira verso di me e cadiamo sul divano una sopra l’altro. Lui scoppia a ridere e io lo guardo con aria innocente per giustificare questo attacco d’amore improvviso. Mi accarezza una guancia e mi da un lieve bacio, poi cerca di alzarsi ma io glielo impedisco. Avvolgo le mie braccia al suo collo e lo guardo negli occhi. Non riesco a distogliere lo sguardo. Senza pensarci due volte lo bacio di nuovo e lui ricambia senza problemi, ma poi mi solleva e mi dice – Amore, so che vorresti festeggiare in maniera più intima, solo io e te ma voglio fare una festa e dobbiamo sbrigarci. – Sbuffo contrariata e lui mi sorride. Mi alzo e continuo a sistemare i vassoi pieni di cibo sui tavolini che Peeta a disposto per quasi tutta la casa.
Sto attaccando l’ultimo palloncino colorato quando sentiamo suonare il campanello. Ci dirigiamo entrambi alla porta e prima di aprirla Peeta mi abbraccia da dietro. Quando apro la porta mi trovo davanti un Effie molto contenta e sempre vestita in maniera stravagante, ma elegante. Mi dà un bacio sulla guancia e si congratula con Peeta dicendogli – Ottimo lavoro ragazzo. – Io divento rossa in volto e così, con la scusa di mettere il cappotto di Effie sull’attaccapanni, mi allontano. Dopo qualche minuto il campanello suona nuovamente, questa volta sono i miei ex preparatori: Flavius, Octavia e Venia che ci sorridono entusiasti. Flavius si dirige subito da Peeta e gli dà una pacca sulla spalla per congratularsi. Le due signore invece iniziano a parlare con Effie.
Arrivano anche Sae la Zozza e Delly. Quest’ultima che è sempre stata gioiosa e dolce con tutti è ancora più felice del solito e sembra sprizzare zucchero filato da tutti i pori della pelle.
I prossimi ad arrivare sono Annie e Finn, il figlio di Finnick. E’ un Finnick adolescente. Annie mi corre subito incontro e mi abbraccia. Mi sussurra in un orecchio – Beh, Peeta ormai ha stravolto tutti i tuoi piani no? – Io le rispondo di sì. Lei continua dicendo – Comunque tanti auguri, sono molto felice per voi. Per qualsiasi cosa sappi che ci sono. Io ci sono già passata, quindi posso aiutarti se vuoi. –  – Sì, zia Annie – Rispondo e sul suo viso spunta l’ombra di un sorriso.
Saluto Finn e lo abbraccio forte. Durante questi anni sono venuti molte volte a trovarci e sono diventati una specie di parenti per noi.
Entra in casa poi Haymitch, che cerca di non cadere a terra a causa del sonno e non a causa dell’alcol. Quando vado ad aprirgli la porta esclama – Auguri dolcezza e complimenti a Peeta che è riuscito nel giro di cinque anni a scombuiare i piani della nostra ragazza in fiamme. – E’ sempre il solito, Haymitch non cambierà mai. Infine inizia a ridere alla sua stessa battuta e si dirige verso i tavoli stracolmi di cibo.
Iniziamo a mangiare qualcosa mentre parliamo del più e del meno. La festa inizia a prendere vita e tutti si congratulano con Peeta per l’ottimo cibo. Non dubitavo che fosse stato tutto così delizioso. Io non lascio quasi mai la mano di mio marito e ogni tanto lui mi da qualche bacio sulla guancia o sulla fronte, ma io continuo a preoccuparmi. Mia madre non è ancora arrivata. E’ probabile che non arriverà mai. E’ troppo doloroso per lei. Vedermi le ricorda Prim e questo la fa stare male. L’ultima volta che ci siamo viste è stato per il mio matrimonio, da quella volta ci telefoniamo ma ciò accade molto raramente. Peeta capisce ciò che mi sta turbando e mi dice con voce tranquilla – Lo sai Katniss, tua madre non verrà, è troppo doloroso per lei. Dovresti saperlo. – Io con le lacrime che rischiano di inondarmi il volto rispondo – Sì lo so, ma pensavo che magari sarebbe venuta almeno per congratularsi con noi e per dirmi di essere contenta di diventare nonna. – Lui mi risponde – Certo che è contenta di diventare nonna. Quando le ho telefonato mi ha detto subito che era entusiasta di diventare nonna e che era contenta che io fossi riuscito a convincerti ad avere un figlio, ma mi ha anche detto che nonostante fosse molto felice non sarebbe venuta alla festa. Mi ha promesso che però verrà presto a trovarci. – Finito il discorso mi dà un bacio sulla fronte e mi asciuga una lacrima che non sono riuscita a trattenere. Peeta mi prende per mano e si posiziona davanti agli invitati per fare uno dei suoi soliti discorsi molto commoventi. Inizia – Benvenuti e grazie per aver accettato l’invito. Ho deciso di organizzare questa festa perché come ben sapete Katniss è incinta. Ebbene sì stiamo per diventare genitori. – Mentre parla mi cinge il fianco con la mano e io rimango lì a guardare tutti senza fiatare perché non sono mai stata brava con le parole. Continua dicendo – E’ una cosa insolita lo so, ma ci tenevo molto a condividere questo giorno con voi che siete i nostri più cari amici e i nostri parenti. Ne abbiamo passate di tutti colori. Io e Kat abbiamo fatto due volte gli Hunger Games, io sono stato depistato, lei è diventata la Ghiandaia Imitatrice, siamo andati a Capitol City per uccidere Snow e abbiamo penso i nostri cari, ma alla fine sembra proprio che la fortuna sia stata a nostro favore perché siamo rimasti insieme e siamo riusciti a crearci un futuro che mai ci saremmo aspettati di avere. Devo ammettere che però la fortuna è stata soprattutto a mio favore perché Katniss alla fine ha capito di amarmi, ci siamo sposati e ora stiamo per diventare genitori. E’ meglio di quanto potessi sperare. – Inizio a commuovermi anche io. Non è giusto, i miei ormoni sono letteralmente in subbuglio a causa della gravidanza e ora lui fa anche questo discorso che spezza il cuore. Senza pensare che ci stanno guardando tutti lo bacio e le nostre lingue si incontrano. Esistiamo solo io e lui, niente più conta. Non esistono più i nostri amici, i nostri parenti, nostro figlio, esistiamo solo io e lui. A riportarci alla realtà sono tanti applausi che mi prendono alla sprovvista. Quando il caos termina sento bussare alla porta. – E’ mio madre – Penso, ma invece vedo alla porta la persona che mai mi sarei aspettata di vedere: Gale.  

 
 

 Angolo della scrittrice: 

Grazie a coloro che hanno letto i primi due capitoli, che hanno messo la mia FF tra le storie preferite, seguite ecc.
Sono più che sicura che è un' obrobrio di storia, però vi prego, recensite lo stesso e fatemi sapere se vi è piaciuta oppure no. Come vi ho già detto nel capitolo precedente accento anche critiche costruttive perchè per me è importante migliorare.
Un bacetto,
Miss Hutcherson.      

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Capitolo 4
*** Capitolo IV ~ Il ragazzo che veniva a caccia con me é cambiato. ***


Capitolo IV ~  Il ragazzo che veniva a caccia con me è cambiato. 


Mi dirigo verso la porta e non appena la apro mi ritrovo davanti Gale. Rimango scioccata appena i miei occhi si posano sul suo volto. E’ cambiato. Non è più il ragazzino che veniva a caccia con me, con cui condividevo il segreto di come fosse piacevole stare all’aria aperta nei boschi. Non è più neanche il ragazzo che ha partecipato insieme a me al bombardamento di persone innocenti intrappolate in un ospedale. E’ cambiato, è diventato un uomo ormai, ma la cosa non dovrebbe sorprendermi perché in effetti siamo tutti cambiati, è passato tanto tempo. Mi risveglio di soprassalto dai miei pensieri quando Gale mi sorride e mi dice – Ho saputo che c’è una festa a casa vostra e così ho pensato di passare di qua, almeno per sapere quale fosse il motivo dei festeggiamenti. Posso entrare? –  Quest’ultima domanda sembra inappropriata visto che ormai ha tutti e due i piedi sul pavimento. Io rispondo – No. Se vuoi parlare preferisco farlo in privato. Che ne dici di accomodarci in veranda? – Lui alza le spalle come per dimostrarmi che per lui è indifferente. Certo, è ovvio che per lui non cambia niente perché non sa cosa stiamo festeggiando e non sa che Peeta non vuole nemmeno vederlo dopo tutto quello che mi ha fatto e dopo avermi procurato così tanto dolore per la morte inutile della mia cara sorellina Prim.
Prim. La bambina piccola, indifesa che è stata costretta dalla guerra a crescere in fretta. Prim, la bambina per cui mi sono offerta volontaria come tributo ai 74 ° Hunger Games. Prim, che anche se sembrava fragile e innocente, riusciva a ricucire una ferita o ad assistere un malato in fin di vita.
Mi fa male pensare a lei. E’ troppo il dolore che provo nonostante siano passati quindici anni. Per me è ancora inaccettabile il fatto che lei sia morta per colpa del mio ex migliore amico, ma non posso rovinarmi la giornata, e non posso essere di mal umore perché penso proprio che farebbe male al bambino.
Mi giro verso Peeta per vedere cosa sta facendo. E’ ancora impegnato a parlare con gli invitati. Flavius gli sta dando delle pacche sulla spalla e Effie sta ridendo insieme a Octavia,Venia e Annie mentre Finn parla con Haymitch.
Mi giro di nuovo verso Gale e gli dico di seguirmi in veranda. Ci mettiamo a sedere sul divanetto. Inizia subito a parlarmi dicendo – Beh, ti trovo bene. Allora per quale motivo c’è una festa a casa vostra? – Non ho voglia di rispondere alla domanda, o meglio voglio dirgli che io e Peeta presto diventeremo genitori ma non mi sembra la cosa migliore da dire per iniziare una conversazione. Potrebbe sconvolgerlo o farlo andare via e invece io voglio parlare con lui, voglio sapere perché ha deciso di rovinarmi la vita dandomi una grossa delusione. Non ci vediamo dal giorno del mio matrimonio e dal quel giorno sono passati circa cinque anni. Rispondo – Ah beh, a tempo debito te lo dirò. – Lui mi guarda perplesso e mi dice – Va bene, rispetto la tua privacy. In realtà io non sono venuto qui per sapere cosa state festeggiando, ma solo per dirti una cosa. –
Lo faccio continuare perché non so minimamente cosa abbia da dirmi e sono molto curiosa. – Vedi Catnip, anche se sono passati quindici anni e ora sei sposata io non ho ancora rinunciato a te. So che le cose sono cambiate fra di noi da quando tua sorella… beh sì… insomma sai cosa è successo. Il punto è che ti amo ancora e che sono convinto che la persona adatta alla tua sopravvivenza non è lui. In fondo noi ci conosciamo da molto più tempo e poi guarda, sono passati cinque anni e ancora non avete nemmeno un figlio.- Gale si passa una mano sulla fronte, come per prendere tempo. Io lo guardo allibita. Come può pensare di essere meglio di Peeta quando è stato proprio lui a devastare la mia vita? E’ stato Peeta ad incoraggiarmi ad andare avanti nonostante le perdite subite. E’ stato Peeta che è venuto per ben due volte nell’arena per proteggermi. Non lui. Lui non ha fatto niente per me se non far morire mia sorella. Ok forse sto esagerando ma mi sento ribollire di rabbia e sicuramente gli ormoni in subbuglio non aiutano. Inoltre il discorso sui figli non conta niente. Sa molto bene che sono io quella che non vuole avere figli non Peeta. Non riesco nemmeno a esprimere a parole la rabbia che provo per Gale e per ciò che ha detto. Mi alzo in piedi e anche lui fa lo stesso. Lo guardo negli occhi allibita. Cerco di sforzarmi per dire anche una semplice parola,ma il fiato mi si è bloccato in gola. Ad un tratto sento una mano posarsi sul mio fianco, mi giro immediatamente pensando che sia stato Gale e invece mi ritrovo persa in due profondi laghi azzurri. Peeta mi dice sorridendo – Ah, bene. Avete iniziato una conversazione senza di me. Non è stato per niente carino tesoro. – E poi mi dà un lieve bacio sulla guancia. Infine si gira verso Gale e lo saluta con uno sguardo serio – Ah, ciao Gale. – Lui ricambia con un cenno della testa. Peeta mi stringe a sé come per proteggermi dal ragazzo che fino a poco tempo fa era il mio migliore amico. – Sei venuto a festeggiare con noi? –  Sicuramente nella mente di mio marito si è formulata anche un'altra domanda che per fortuna non viene espressa : Oppure sei venuto per cercare rogna? So per certo che Peeta non si fida di Gale. Non dopo quello che mi ha fatto. Penso anche che sia un po’ geloso, ma non ne ha motivo perché in fondo io ho scelto lui e questo dovrebbe averlo capito visto che porto in grembo suo figlio. Il mio ex migliore amico ci guarda per un attimo e poi risponde – Veramente non so nemmeno il motivo dei festeggiamenti. -
- Come Katniss non te l’ha detto? – Dice con un sorriso autentico. Poi si rivolge a me – Amore perché non gli hai detto la grande notizia? – Sposta la mano libera verso la mia pancia, la osserva con uno sguardo dolce e inizia ad accarezzarla. – E’ che… aspettavo te per dirglielo e a quanto pare sei arrivato giusto in tempo. – Poso la mia mano sulla sua che copre il mio ventre. Gale non ci dà nemmeno il tempo di formulare un discorso che dice – Sei incinta. Ora capisco perché state festeggiando.- Peeta più orgoglioso che mai gli risponde – Sì, non è grandioso? Tra poco più di sei mesi diventeremo genitori. – Il volto di Gale si rabbuia e dentro di me si instaura un senso di soddisfazione. E’ vero che io non ho mai voluto figli, ma la notizia casca proprio a fagiolo. Due minuti prima Gale mi ha detto che Peeta non era in grado di darmi una famiglia e ora si è visto crollare davanti tutti i suoi castelli. Osservo i suoi occhi dai quali capisco che sta soffrendo. – Beh, allora io sono di troppo. Ora devo andare. – Scende i tre scalini della veranda e si avvia. Dopo poco si gira e afferma – Ah, a proposito, auguri e figli maschi! – Io non rispondo, ma lo fa per me Peeta – Credo che l’importante è che sia sano e forte, non importa se sarà un maschio o una femmina. – Io lo guardo soddisfatta. Ha ragione l’importante è che sia sano e forte però se devo essere sincera desidero un  maschio. Non so perché ma appena ho scoperto di essere incinta mi sono immaginata di stringere tra le mani un piccolo Peeta. Un bambino con gli occhi azzurri e i capelli biondi. Mi volto verso di lui e gli sussurro in un orecchio – Devo dire che l’ha presa bene. – Lui mi sorride e mi risponde – Sì, è vero. – Io lo osservo per un piccolo istante e poi gli dico – Non sarai mica geloso vero? In fondo lo sai che ti amo. Se avessi voluto avere lui al mio fianco al posto tuo, non avrei passato quindici anni con te, non mi sarei sposata con te, non avrei accettato l’idea di avere dei figli e soprattutto non avrei deciso di passare il resto della mia vita con te. Ti amo. – Mi aspetto una risposta che però non arriva sottoforma di discorso. Peeta mi bacia con ardore. Le mie mani si intrecciano automaticamente ai suoi capelli. E’ un’ esplosione di sentimenti. Sento mille brividi attraversarmi la schiena e arrivare fino alle punte dei miei piedi. Sono passati quindici anni e tante cose sono cambiate, ma se c’è una cosa che è rimasta più o meno uguale è l’ardore che Peeta mette nei suoi baci, anzi ogni volta mi sorprende perché ce ne mette sempre di più. Dopo pochi minuti si allontana da me e mi dice – Anch’io ti amo e spero di avertelo dimostrato, ma non dobbiamo essere dei cattivi padroni di casa. Gli altri si staranno domandando dove siamo finiti e non vorrei che iniziassero a pensare male. – Io mugolo un po’ e mi stringo più forte a lui. Peeta scioglie l’abbraccio ma continua a tenere una mano sul mio ventre sopra alla mia. Apriamo la porta e ci scusiamo per esserci allontanati. Io spiego velocemente che abbiamo avuto una visita inaspettata ma loro sembrano non crederci e ci sorridono con l’aria di chi la sa lunga.
 
E’ quasi sera. La giornata è passata in fretta tra una chiacchierata e l’altra, una battuta o uno scherzo. Tutti si sono divertiti e io sono riuscita a non deprimermi ma ho iniziato ad apprezzare il fatto di essere incinta. Pian piano la casa inizia a svuotarsi. Il primo a salutarci è Haymitch che ci dice – Mi raccomando fate i bravi. Io sono qui vicino e vi tengo d’occhio. Ancora tanti auguri dolcezza e ottimo lavoro Peeta. – Lo ringrazio per gli auguri e Peeta e io promettiamo di fare i bravi anche se non ne sono proprio sicura. Salutiamo Effie e i miei ex preparatori che se ne vanno tutti insieme per prendere il treno che li riporta a Capitol City. Ci fanno tanti auguri e Effie mi sussurra in un orecchio – Ora che stai per diventare una mamma cerca di far prevalere sempre la buona educazione e ricordati che ti verrò a trovare per vedere come stai. – Io le rispondo dicendo – Stai tranquilla Effie, non sono più una ragazzina e grazie per l’attenzione che ci riservi. – Abbraccio Flavius, Octavia e Venia e dico loro che rimarremo in contatto e che li aggiornerò continuamente. Saluto Delly e le do un bacio sulla guancia. La ringrazio per il regalo che ci ha fatto: una tutina rosa, anche se avrei preferito una tutina celeste visto che voglio un maschio. Abbraccia anche Peeta e gli fa promettere che si prenderà cura di me, ma questo può anche evitare di farlo perché so che lo avrebbe fatto comunque anche senza promettere. Insieme a Delly salutiamo anche Sae la Zozza che se ne va dicendo che domani l’aspetta una lunga e faticosa giornata visto che lavora ancora da Haymitch.
Peeta e io ci dirigiamo verso la cucina dove ci aspettano Annie e Finn. Loro non vanno via. Peeta li ha convinti a rimanere a dormire da noi almeno per questa notte perché il viaggio è lungo e poi io ci tenevo tanto a parlare ancora un po’ con Annie. Mi siedo sulla sedia di fronte alla mia amica. Peeta si mette a parlare con Finn ma non lascia la mia mano o meglio, io non gli permetto di lasciarla. Voglio chiedere a Annie qualche consiglio su come affrontare la gravidanza, voglio sapere come lei ha affrontato il fatto di avere una piccola creatura nella sua pancia anche se so che le situazioni sono ben diverse visto che io ho Peeta mentre lei era sola perché Finnick è morto. Finnick. Il ragazzo più affascinante di tutta Panem. Una lacrima mi riga il volto e subito Peeta mi guarda preoccupato e mi chiede – Kat stai bene? Cosa hai amore? Ti fa male la pancia? – Scuoto la testa perché non voglio farlo preoccupare. Inizio a chiedere a Annie come devo affrontare la situazione e altri consigli utili. Peeta mi dice – Sono discorsi da donna, io e Finn togliamo il disturbo. – Lo guardo per un momento. Senza di lui mi sento persa ma poi so che sono in compagnia della mia amica più cara e quindi lo lascio andare. Dopo circa due ore di chiacchiere do la buonanotte a Annie e l’accompagno nella stanza degli ospiti dove si trovano due letti: uno per lei e uno ovviamente già occupato da Finn. Le do un lieve bacio sulla guancia e le dico di fare dei sogni tranquilli perché qui è al sicuro ma so che gli incubi che divorano me e Peeta tormentano anche lei. C’è una lieve differenza tra noi e lei, io ho Peeta e lui a me e quindi ci facciamo da amuleto a vicenda contro gli incubi, ma lei non ha nessuno che la può consolare.
Mi dirigo in camera pensando di trovare Peeta addormentato, ma invece è ancora sveglio. – Che ci fai ancora in piedi a quest’ora? E’ tardi e domani ti devi alzare presto per andare a lavorare al forno. Su dormi subito. – Gli dico ma lui mi sorride e per tutta risposta dice – Non riesco a dormire senza prima aver abbracciato la mia unica ragione di vita. – Mi cambio velocemente e poi mi distendo accanto a lui. Mi stringe a sé con una mano e con l’altra mi accarezza il ventre. Lo guardo negli occhi e poi lo bacio dolcemente. La cosa mi sorprende. E’ sempre stato lui quello tenero, come è che ora mi ritrovo a fare la sdolcinata? Bah, gli ormoni fanno dei brutti scherzi quando si è incinta. Lui allontana per un piccolo momento le sue labbra dalle mie per dirmi – Sono tanto contento amore. Presto avremo un bambino. E’ più di quanto potessi sperare. Ancora non mi sembra vero che qui…-  smette un attimo di accarezzarmi la pancia e la tiene ferma come se volesse proteggere la nostra piccola creatura. – che qui c’è nostro figlio. – Riavvicina le sue labbra alle mie e le nostre lingue iniziano la loro danza speciale. Dopo diversi minuti gli sussurro in un orecchio – Non so come farei senza di te. Tu sei tutto per me. – E poi mi addormento senza sapere la risposta alla mia affermazione.   


~ Angolo della scrittrice.
Buondì, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e ringrazio nuovamente chi ha messo questa storia tra preferite, seguite o ricordate. 
Per favore, recensite e ovviamente accetto anche critiche negative perché il mio motto é che nella vita si può sempre migliorare. 
Baci, 
Miss Hutcherson.

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Capitolo 5
*** Capitolo V ~ Un viaggio per incontrare una persona cara. ***


Capitolo V  ~ Un viaggio per incontrare una persona cara.  


Sono passati quindici giorni dalla festa e io sono arrivata al traguardo dei miei tre mesi di gravidanza. Mi sono svegliata e subito questo pensiero mi ha assalito. Sono già tre mesi che nostro figlio è dentro di me e ancora non sappiamo nemmeno come è o se è sano e forte.  
Apro gli occhi e rimango avvinghiata al corpo di Peeta per un attimo, giusto il tempo per controllare se è ancora addormentato. Non voglio svegliarlo perché per una volta dorme tranquillo e così mi dirigo di soppiatto in cucina. Ho una certa fame quindi decido di prepararmi qualcosa da mangiare. Frugo tra gli armadietti della cucina e trovo due brioche che ieri Peeta ha preparato giù al forno. Mi riempio un bicchiere di succo d’arancia e mi preparo un po’ di cioccolata calda dove intingerò le brioche. Appena tutto è pronto lo servo in un vassoio e inizio a divorare tutto con ferocia. Mi sembra di non aver mangiato da giorni anche se l’ultimo pasto risale a ieri sera. Controllo l’orologio e vedo che sono le dieci di mattina. Ecco perché Peeta è già a casa. Ha fatto un salto giù al forno stamattina mentre dormivo e poi appena ha finito di preparare il pane e i dolci è tornato a casa. Sono a metà pasto e una fitta mi fa piegare in due. Ecco, ci risiamo. Scatto veloce verso il bagno e mi chino sul water straziata dai conati di vomito. Non è possibile. Anche questa volta non posso fare colazione senza vomitare. Appena ho finito di contorcermi dal dolore mi alzo, mi sciacquo la bocca e mi guardo di profilo allo specchio. Una piccola collinetta inizia a farsi notare sulla mia pancia.  Guardandomi vestita non si direbbe che sono incinta ma chi mi conosce e sa come sono fatta capirebbe subito che dentro di me c’è una piccola creatura. Sono immersa totalmente nei miei pensieri e quindi non mi accorgo di Peeta finché non vedo il suo riflesso nello specchio. Mi abbraccia da dietro e appoggia una mano sul mio ventre leggermente gonfio. Mi sussurra in un orecchio – La pancetta inizia a farsi vedere. – Io giro la testa quel tanto che basta per guardarlo negli occhi e gli dico – E la cosa ti fa piacere? Sinceramente non trovo interessante il fatto che si inizi a vedere una sporgenza dalla mia pancia. – Lui mi sorride e mi risponde – E invece dovresti essere contenta. Ora si vede che siamo in tre e che stiamo diventando una famiglia. – Mi dà un bacio sulla fronte e poi mi guida in cucina dove c’è ancora la mia colazione. – Se vuoi mangiala tu la brioche che non ho toccato, io a metà colazione sono stata travolta dagli urti di vomito. –  Peeta mi risponde  – Ok, vuoi che ti prepari un tè? Forse quello non ti farà star male. – Accetto la sua offerta e mi metto a sedere su una sedia. – Oggi è il gran giorno, te lo ricordi? – Rimango allibita. Che giorno è oggi? Cosa dobbiamo fare? – Scusa ma non ho la minima idea di cosa tu stia dicendo. – Gli rispondo sinceramente. Lui mi sorride nuovamente e mi spiega che oggi è il giorno della prima ecografia. Andremo nel Distretto 4 da mia madre per vedere come è nostro figlio. Mi irrigidisco all’istante. Andremo a trovare mia madre? Lei non si è mai fatta sentire. Sono sempre stata io a chiamarla per sapere come stava e cosa faceva. Non si è minimamente preoccupata di come stavo io o di come stava il suo futuro nipotino e adesso dovevamo andare da lei per fare l’ecografia? Non riesco ad accettare la cosa. Non mi va proprio giù. In fondo non si merita di vedere come è il nostro piccolo. Non se ne è mai preoccupata. Peeta si avvicina a me e mi accarezza una guancia, poi si inginocchia per guardarmi negli occhi visto che ho abbassato la testa. – Kat? Cosa c’è che non va? Lo sai che prima o poi bisogna fare l’ecografia. Serve anche per sapere se è un maschio o una femmina, non ti farebbe piacere scoprirlo? – mi dice con un tono di voce molto pacato. – No. Non è questo il punto. Certo è ovvio che voglio sapere se sta bene il nostro piccolo o se è maschio o femmina ma… non mi va giù l’idea che sia mia madre a farmi l’ecografia. – Lui ribatte – Ma tesoro, è lei l’esperta e non possiamo affidarci a nessun altro e poi cosa ha fatto di male tua madre? Si è impegnata a costruire un ospedale nel distretto 4 dove prima non c’era nulla e ci ha messo molta passione. Non ha fatto niente di male. – Le lacrime iniziano a rigare il mio viso – Sì invece, ha fatto qualcosa di male. Lei si è preoccupata solo del suo dolore senza pensare a me e a te. Non si è preoccupata minimamente di me neanche quando ha saputo che ero incinta. Non le interessa nulla della mia vita nonostante io sia sua figlia. – La mia voce ora è diventata sempre più isterica e più lagnosa. Sembro una bambina a cui hanno levato il lecca-lecca prima che potesse assaggiarlo. Peeta afferra dolcemente il mio viso tra le sue mani e guardandomi negli occhi mi dice – Katniss, devi capire che tua madre ha dovuto affrontare nuovamente quello che ha provato dopo la morte di tuo padre ed è ovvio che non si è fatta sentire, ma vedrai dopo quest’ecografia sarà molto più presente. Fidati di me. – E poi mi dà un lieve bacio sulle labbra.
Vorrei tanto credere alle sue parole perchè io mi fido di lui, ma mi sembra impossibile che ciò che ha detto possa realmente accadere. Conosco bene mia madre e so che quando sta male non si preoccupa di nessuno ma solo di se stessa e del suo dolore. Ci alziamo in piedi e lo stringo a me perché solo tra le sue braccia mi sento al sicuro e in questo momento ho bisogno di sentirmi protetta. Peeta mi sussurra in un orecchio – Dai su, vatti a preparare che dobbiamo prendere il treno. Il viaggio è piuttosto lungo. – Mi allontano da lui contro voglia e mi dirigo al bagno per sistemarmi in maniera almeno decente. Mi faccio una doccia e indosso degli indumenti comodi che uso quotidianamente. Appena siamo pronti partiamo per avviarci verso il treno abbracciati e con una mano a proteggere il mio ventre. Ci sediamo uno accanto all’altra sui sedili del treno. Ci teniamo per mano e io ascolto il rumore delle ruote sulle rotaie. Rimaniamo in silenzio finché Peeta non dice – Che ne dici se ti appoggi a me e cantiamo qualcosa insieme? Tanto siamo solo io e te nel vagone e credo che farà piacere anche al bimbo sentire la tua bellissima voce che canta. – Poi si avvicina alla mia pancia e sussurra – Non è vero piccolo? Vuoi sentire la mamma cantare? – Mamma. Questa parola mi colpisce in pieno. Non avevo mai pensato a me come una mamma, neanche quando ho scoperto di portare in grembo nostro figlio. La parola mamma non è mai stata sostituita al mio nome nella mia mente perché non avendo l’intenzione di procreare non ho mai pensato a me come a una madre. E invece sto per diventare mamma, anzi lo sono già. Peeta si deve essere accorto che c’è qualcosa che non va e infatti mi dice – Che c’è? Ho detto qualcosa che ti ha ferito? Se è così scusami io… - Lo interrompo prima che inizi a lagnarsi. – No, non è stata colpa tua. Tu non hai detto nulla di male, solo… solo avevo ancora pensato al fatto che io fossi diventata una mamma. – Gli sorrido e lui mi dice – Ebbene sì, cara la mia Katniss, stai per diventare mamma e sono sicuro che sarai anche un’ottima madre. Lo so per certo. – Lo guardo negli occhi e mi perdo un attimo in quell’azzurro bellissimo che circonda la sua pupilla. Mi riprendo e gli dico – Allora, sei proprio sicuro di voler sentirmi cantare? – Si avvicina con la bocca al mio orecchio e risponde – Sicurissimo. – Poi mi bacia con ardore. Quando ci allontaniamo mi appoggio con la testa sulla sua spalla e inizio a canticchiare la canzone della valle. Fu proprio quella canzone a farlo innamorare di me e così ho deciso di cantarla per regalarla questa volta solo a lui e al nostro piccolino. Dopo poco mi dice – E così hai deciso di cantargli la canzone della valle eh? Sai piccolino, questa canzone fece innamorare il tuo papà della tua mamma. Da quel giorno lui la guardava sempre e osservava ogni suo movimento. – Alzo la testa e gli do un bacio a fior di labbra, poi sussurro – Grazie per avermi sempre protetta anche quando io ancora non ti conoscevo. Ti amo. – Lui mi risponde – Ti amo anche io tesoro e non mi stancherò mai di dirtelo. – Lo abbraccio anche se vorrei qualcosa di più. Vorrei poter toccare i suoi pettorali, poter togliergli la maglietta, vorrei più contatto fisico ma so che ora non è il momento adatto e so anche che presto tutto ciò non potremo più farlo perché io diventerò enorme. Passiamo la giornata a cantare, parlare e a fare anche qualche piccola dormita. All’ora di pranzo e di cena andiamo nel vagone ristorante e mangiamo a più non posso, o meglio Peeta divora tutto, io a stento riesco a finire la prima portata. Lui cerca di farmi assaggiare qualche pietanza che a parer suo è buonissima, ma ho ancora un po’ di nausea e così rifiuto le varie offerte. Il treno non mi è mai piaciuto, specialmente dopo gli Hunger Games, e adesso che sono incinta mi viene il voltastomaco al solo pensiero di essere sopra un mezzo dotato di ruote che scorre su dei binari. Quando inizia a farsi buio Peeta mi dice – Amore, ho prenotato una stanza per dormire. In realtà volevano darmene due ma io ho declinato l’offerta pensando che comunque avresti voluto passare la notte in camera con me. Se però vuoi stare da sola, io posso pure dormire qui. – Avvolgo le mie braccia attorno al suo collo per guardarlo negli occhi e poi gli sussurro – Ma come ti è saltato in mente Peeta? – Lui si rattrista pensando che io non voglia dormire con lui – Certo che voglio passare la notte con te! – Sul suo volto nasce un sorriso che va dal suo orecchio sinistro a quello destro, ma nonostante questo continuo – Cosa pensavi eh? Però se devo essere sincera… io non avevo intenzione di dormire tutto il tempo visto che ho fatto scorta di energie durante il giorno. – Gli dico ammiccando. Lui annienta la distanza che c’è tra le nostre labbra che si fondono in un bacio tutt’altro che casto. Mi prende in collo e senza staccare le sue labbra dalle mie mi trasporta nella stanza adibita a camera da letto per soddisfare il mio desiderio egoista che poi è presto diventato anche il suo.
 
Quando mi sveglio è mattina. Abbiamo passato una splendida nottata eppure sono triste perché so che presto non ci saranno più notti di questo tipo. Dai miei occhi iniziano a sgorgare lacrime che bagnano il petto nudo di Peeta. Lui è già sveglio e quando si accorge che sto piangendo alza delicatamente il mio mento con una mano per guardarmi negli occhi e mi chiede – Kat c’è qualcosa che non va? Stai male? Cos’hai? Il bambino… - Lo interrompo subito mettendo due dita sopra alle sue labbra morbide. – No no, il bambino sta bene, non abbiamo fatto niente di male. Solo… - La mia voce si spezza e altre lacrime iniziano a rigarmi il volto. – Cosa? Solo, cosa? – Prendo fiato e completo la frase – Solo che per sei mesi o forse anche di più dovremo fare a meno di questo tipo di passatempo e io non voglio. – Inizio a piangere come un bambino a cui hanno rubato le caramelle. Divento isterica. Peeta mi afferra per i fianchi e mi porta alla sua altezza. Mi fa sedere con la schiena appoggiata alla testata del letto. – Amore, non… - Un altro gemito di dolore esce dalla mia bocca impedendogli di continuare. Tra le lacrime dico – Non… non è giusto! – E poi il mio corpo viene di nuovo invaso dai singhiozzi. Devono essere gli ormoni. Non ho mai fatto una bizza simile. Peeta prova di nuovo a consolarmi – Amore, non devi piangere. E’ una cosa normale, vedrai che neanche te ne accorgerai. Saremo talmente presi dal piccolo che non ci penseremo. – Io gli rispondo – Non è vero! Ci penseremo eccome! Non… non posso nemmeno pensare che noi… - Non finisco la frase perché inizio di nuovo a piangere. Pian piano Peeta mi calma. Mi accarezza la guancia, mi asciuga le lacrime e poi di dà anche qualche bacio consolatorio. Il mio momento di isteria viene messo a tacere dal mio stomaco che comincia a brontolare dalla fame. Ci dirigiamo verso la carrozza ristorante e mangio qualche biscotto con un po’ di cioccolata calda. Finito di mangiare, torniamo nella nostra carrozza per cambiarci i vestiti. Appena abbiamo terminato di prepararci veniamo avvisati che siamo arrivati a destinazione.
Quando il treno si ferma, scendiamo e ci dirigiamo verso l’ospedale. L’entrata del palazzo è enorme. Ci sono muri bianchi alternati a grosse vetrate. La porta principale è molto ampia con dei vetri scorrevoli. Appena entrati ci indirizziamo verso destra dove c’è una scrivania dietro la quale è seduta una signora molto carina a cui chiediamo informazioni. Peeta le chiede – Scusi saprebbe dirci dove si trova il reparto per le ecografie? – La signorina ci sorride e poi risponde – Sì, secondo piano corridoio a destra, la terza porta a sinistra.- La ringraziamo e ci incamminiamo verso le scale. Sono davvero stancanti, ma la cosa mi sembra strana. Non mi ero mai stancata per aver fatto troppe scale, deve essere l’ansia che mi fa sembrare le gambe pesanti come il piombo.
Appena arriviamo al secondo piano imbocchiamo il corridoio a destra e prima di arrivare alla terza porta a sinistra mi trovo davanti un’ infermiera con l’aria familiare: Mia madre.


 ~ Angolo della scrittrice:
Ciao! :D Come sempre vorrei ringraziare coloro che hanno messo la storia tra preferite, seguite o ricordate. Grazie mille davvero. 
Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto e mi raccomando recensite anche se non vi è piaciuto, accetto anche le critiche negative, l'importante e che possano servire a migliorare. 
Baci, 
Miss Hutcherson.

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Capitolo 6
*** Capitolo VI ~ Un ricordo amaro. ***


ATTENZIONE: Questo capitolo ha un rating che tende all'arancione.

Capitolo VI ~ Un ricordo amaro. 


Lì, davanti a noi, immobile, c’è la donna più fredda del mondo, la donna più egoista di questo pianeta: mia madre. Ha il volto pallido e delle profonde occhiaie violacee circondano i suoi occhi chiari. I capelli biondi si sono fatti più bianchi e sono spettinati. Qualche ciuffo le ricade sugli occhi che ci scrutano con aria smarrita. La sua bocca è una linea perfetta, né un accenno di sorriso né una smorfia di dolore. Niente. Sembra impassibile. Il suo corpo gracile è rigido, teso come una corda per fare il bucato. Appena la vedo mi fermo a guardarla e mi irrigidisco anch’io. Peeta mi sospinge da dietro e mi fa avanzare. Quando siamo più vicine le dico con voce fredda – Ciao mamma. – Lei con lo stesso tono di voce risponde – Ciao Katniss e ciao anche a te Peeta. – Lui è l’unico che accenna un sorriso e gentilmente ricambia il saluto. E’ mia madre a prendere nuovamente la parola – Siete venuti per fare la prima ecografia, giusto? – Io faccio un cenno con la testa – Bene, allora seguitemi. – Fatti pochi passi ci troviamo davanti ad una porta verniciata di bianco contrassegnata con il numero C6. Mia madre appoggia la mano sulla maniglia e apre la porta. All’interno è tutto di un bianco, troppo luminoso. Mi ricorda l’ospedale del 13. Guardo Peeta con aria spaventata, ma lui mi rassicura dicendomi – Non è niente. Assomiglia all’ospedale del 13, ma solo perché è un ospedale anche questo. Qui nessuno ci vuole fare del male stai tranquilla. – Mi rilasso quando sento le sue braccia forti stringermi delicatamente le spalle. Mia madre mi fa segno di stendermi sul lettino che è sulla parete di fronte alla porta. Faccio come mi ha detto, ma non abbandono la mano di Peeta. Lui si mette a sedere sulla sedia accanto al lettino. Guardo mia madre perplessa e lei mi mima di sganciarmi i pantaloni e di alzare la maglia fin sotto al seno e così faccio. Peeta intanto sta osservando la mia pancia. Lo risveglio dai suoi pensieri dicendogli – Che c’è? Non hai mai visto la mia pancia? Penso proprio di no. – Lui mi sorride e mi risponde – Stavo pensando, scusa. – Incuriosita ribatto – A cosa? – La sua faccia assume un’espressione di dolore - Pensavo… pensavo a quando mi hai detto di non voler figli e a cosa è accaduto. Solo il ricordo mi fa stare male. – Ora mi incupisco anch’io. Ricordo bene cos’è successo.

E’ accaduto tutto circa un anno prima di sposarci, vivevamo già da tempo nella casa di Peeta perché la mia era già stata distrutta. La mattina mi sono svegliata, come sempre, nel letto insieme a lui. Era appena spuntata l’alba ma io avevo fame e così avevo deciso di fare dei biscotti. Ci eravamo diretti mano nella mano verso la cucina e arrivati lì io avevo iniziato a prendere tutto l’occorrente per cucinare. Era tutto disposto perfettamente sul tavolo quando mi ricordai di un dettaglio fondamentale: io non so fare i biscotti. Peeta mi chiese – Sei pronta? Voglio vederti all’opera. Sono proprio curioso di vedere quello che farai. – Io risposi – Beh, ecco in realtà… no. Non sono pronta perché… non so come si preparano i biscotti e… avrei proprio bisogno che qualcuno mi insegni. – Lui con un sorriso stampato in faccia mi disse – Ci sono qua io. Ti posso insegnare se vuoi. – Senza farmelo ripetere due volte lo abbracciai con tutta la forza che avevo e sussurrai al suo orecchio – Grazie. Tu ci sei sempre quando ho bisogno di aiuto. – Prese due grembiuli e me ne diede uno. Appena lo indossai mi sentii ridicola ma Peeta, che sapeva sempre dire le cose al momento giusto, mi afferrò per un fianco avvicinando la sua bocca al mio orecchio e poi mi disse – Sai, con il grembiule sei ancora più bella. – Lo baciai con ardore e poi esclamai – Sì, ma se non la smetti di farmi i complimenti e di parlare non cucineremo mai. – Mi sorrise e mi rispose con un – Scusi, mi dispiace signorina. Ora mi metto subito a sua completa disposizione. – Iniziammo a mescolare gli ingredienti in una ciotola, ma anche con i suggerimenti di Peeta mi accorsi subito che sarebbe venuto un disastro. Ero totalmente ricoperta di farina quando finimmo di cucinare. Disposi i biscotti sulla teglia per metterli in forno e mi fermai ad osservarli. Poi diedi libero sfogo a ciò che mi frullava in testa dicendo – Sono una schifezza. Non provare ad assaggiarli perché fanno schifo ne sono più che sicura. – Lui mi rispose – Non è vero. Li hai fatti te quindi sono buonissimi. – Io più convinta che mai del contrario continuai imperterrita – No. Te lo giuro fanno schifo non provarci neanche ad assaggiarli. – Peeta con una mano mi accarezzò la guancia, mi spostò una ciocca di capelli dagli occhi e poi mi disse – Sai qual è uno dei motivi per cui ti amo? – Sinceramente non sapevo cosa aspettarmi da lui e quindi riposi con un semplice – No, qual è? – Peeta mi rispose guardandomi negli occhi – Ti amo, perché sei terribilmente testarda e una volta che dici una cosa non cambi mai idea. – Tutt’ora non so cosa mi accadde dopo aver sentito pronunciare queste parole, di fatto però alzai le mie braccia e le posai sul suo collo dopodichè le nostre labbra si incontrarono unendosi perfettamente in un bacio assolutamente privo di castità. Mi levai il grembiule in un secondo e la stessa cosa fece lui. Poi mi sollevò da terra senza staccare le sue labbra dalle mie e mi portò sul divano del salotto. Si sistemò sul divano facendomi sedere sulle sue gambe. In un attimo le mie mani arrivarono al bordo della sua maglia. Come tutte le volte in cui stringo la sua maglietta tra le mie mani, il desiderio di toccare la perfezione che si cela sotto quel tessuto diventa insopportabile e perdo il controllo. In poco più di un minuto gliela sfilai e lo stesso fece lui. Le nostre maglie giacevano l’una accanto all’altra in fondo alla sala lanciate così lontano a causa del nostro entusiasmo. Con delicatezza Peeta mi fece distendere sul divano e poi si posizionò sopra di me. Iniziò a baciarmi con ardore e io risposi senza alcuna difficoltà. Le sue mani bramose si spostarono sulla mia schiena per sganciarmi il reggiseno. Non so bene come fece, ma riuscì a levarmelo senza allontanare le sue labbra dalle mie. Mi baciò poi sulla guancia e infine si allontanò dal mio volto per sbottonarmi i pantaloni. In quel momento mi ricordai di non aver ancora preso la pillola e che quindi se avessimo fatto ciò che stavamo per fare io sarei anche potuta rimanere incinta e non volevo. Non ho mai voluto avere figli e di certo non li avrei voluti in quel momento visto che ancora non eravamo sposati. Fermai le sue mani prima che potesse sfilarmeli e lui ovviamente non riuscendo a capire le mie intenzioni mi guardò con i suoi occhi azzurri. – Peeta, aspetta un attimo. Non ho ancora preso la pillola. Faccio in un secondo. – dissi. Lui mi sorrise e baciò la mia pancia. Poi mi rispose – No, non andare. Vuol dire che se non va come speri, presto saremo in tre. In fondo ho sempre desiderato avere dei figli. – e mi sorrise nuovamente. Io dissi – Ecco, a proposito di figli. Io…devo dirti una cosa. – Mi interruppe dicendo – Ah, ho capito. Tu vuoi che prima di costruire una famiglia insieme, la nostra relazione diventi ufficiale. Ok, non c’è problema. – No. Non era nemmeno questo quello che volevo dire. Io non ho mai avuto l’intenzione di sposarmi o avere figli e dovevo assolutamente dirglielo. – No. Vedi, la cosa che volevo dirti è un’altra. Avrei dovuto dirtelo subito, ma non siamo mai entrati nell’argomento e non sapevo come parlarne. Io… - Cercai di farmi forza per dire la cosa che l’avrebbe fatto soffrire di più al mondo. – Io non ho mai voluto sposarmi. – il suo volto divenne serio e i suoi occhi persero definitivamente l’ardore che fino a quel momento li aveva dominati, ma continuai decisa a dirgli la verità anche se ciò significava farlo soffrire. Non potevo nascondere la cosa ancora per molto. – e soprattutto io non voglio avere figli. – Questa frase la pronunciai tutta d’un fiato senza incertezza. Lo guardai negli occhi e vidi tutto il dolore che gli avevo causato. Peeta mi chiese – Quindi questo vuol dire che noi non ci sposeremo né avremo figli? – senza aspettare una risposta continuò – Perché non me l’hai detto Katniss? Non avevo il diritto di saperlo? – La felicità se ne era andata insieme a quella stupida frase. In un attimo la stanza divenne fredda. Mi pentii subito di ciò che avevo fatto anche se ero sicura che era la cosa giusta da fare. Lui si alzò dal mio corpo e si allontanò dal divano, poi dandomi le spalle disse con tono duro – Scusami Katniss ma credo che tra noi per il momento sia finita. Devo riflettere da solo. Addio. – Mi alzai prima che potesse andarsene senza pensare minimamente al fatto di essere praticamente mezza svestita e mi avvicinai a lui. Lo abbracciai ma lui non ricambiò. Era freddo, distante. Stavo per essere travolta dai singhiozzi, così prima che potessi crollare a terra pronunciai un’ultima frase. – Peeta per favore non te ne andare. Sai che io ho bisogno di te ma non puoi obbligarmi a fare una cosa che non voglio. Troveremo un compromesso ma ti prego non andartene. – Con le mani mi afferrò le spalle e mi allontanò dal suo corpo, poi mi disse – Mi dispiace davvero ma devo andare via. Addio. – Prese la sua maglia, se la mise e poi aprì la porta per andarsene. Feci un ultimo disperato tentativo. Lo baciai con passione e lui ricambiò ma capivo che soffriva e che quello per lui era un bacio d’addio. Quando le nostre labbra si separarono lui mi disse – Nonostante tutto, ricordati che io ti ho amato e che ti amo. – Poi se ne andò. Afferrai la maglia e me la misi non curante del fatto che fosse al contrario. Uscii sotto il porticato per rincorrerlo, feci i pochi scalini che c’erano e poi mi gettai in strada urlando – Peeta! Peeta! Ti prego aspettami non andare via. – Ma lui non si voltò nemmeno. Aprì una porta delle case del Villaggio dei Vincitori e vi infilò dentro. Iniziò a piovere ma io rimasi sotto l’acqua incapace di fare un passo e lì fui travolta dai singhiozzi. Rientrai in casa solo dopo essere trovata da Sae la Zozza che praticamente mi costrinse. Le raccontai l’accaduto e ad ogni parola una nuova lacrima rigava il mio volto. Mi costrinse a mangiare e così fece anche nei giorni successivi ma io avevo smesso di vivere. Volevo morire e stavolta niente me lo avrebbe impedito. Ormai non c’era più niente per cui lottare. Passavo le giornate sul divano dove io e Peeta avevamo intrattenuto la nostra ultima conversazione, pensando e ripensando a quanto ero stata ingiusta nei suoi confronti. Non mi ero mai cambiata e indossavo ancora quei vestiti che probabilmente avrebbero incontrato il pavimento se non avessi fermato Peeta. Erano passate quasi due settimane e ancora non avevo riparlato con lui quando il mio sguardo si posò su un suo quadro. Era uno dei quadri che raffiguravano gli Hunger Games, il soggetto ero io che spuntavo da un cespuglio. D’impulso mi alzai e senza rendermene minimamente conto le mie gambe mi portarono fino alla porta. La aprii determinata a cercare Peeta. Avevo bisogno di parlargli, di vederlo di nuovo e di riportarlo a casa. Avrei accettato di sposarlo pur di averlo vicino a me. Era un desiderio egoista lo so, ma in quel momento ero a pezzi. Uscii di casa e mi diressi verso una delle case del Villaggio dei Vincitori ma mi accorsi che non mi ricordavo minimamente quale fosse quella dove era andato momentaneamente ad abitare Peeta. Aprii tutte le porte e chiamai a gran voce il suo nome ma non mi arrivò nessuna risposta. Decisi allora che sarei andata a parlare con Haymitch, lui sicuramente sapeva dove era Peeta. Bussai più volte e suonai anche il campanello ma nessuno rispose eppure ero sicura che lui fosse in casa. Aprii la porta e mi diressi in cucina dove ovviamente trovai Haymitch ubriaco immerso in una pozza di vomito. Presi un secchio, lo riempii d’acqua fredda e versai quest’ultima sul volto del mio ex mentore che ovviamente si svegliò. Con la voce ancora impastata dal sonno mi chiese – Cosa c’è dolcezza? – Andai direttamente al sodo. – Dov’è Peeta? – Alzò la testa e con lo sguardo di chi deve riprendersi ancora dai postumi della sbornia mi disse – Dovresti saperlo. Non l’hai incontrato? E’ stato qui qualche giorno e prima che mi scolassi questa bottiglia mi ha detto che sarebbe andato a trovarti perché aveva bisogno di parlare con te. – Senza salutarlo e senza ringraziarlo uscii dalla porta determinata a incontrare Peeta. La notizia che mi aveva dato Haymitch mi rincuorò. Pensai – Se Peeta è venuto a cercarmi allora ho ancora qualche possibilità. Forse è venuto per chiarire e per restare con me. – Ma in cuor mio pensavo invece che Peeta poteva essere venuto a trovarmi per chiudere definitivamente con me e questo mi faceva soffrire. Corsi a perdi fiato verso casa e quando arrivai trovai infatti la porta aperta. Mi avvicinai ma poi fu la paura a prendere il sopravvento. Paura di essermi illusa, paura di perdere per sempre la persona che amo, paura di aver sbagliato tutto. Anzi ad essere sincera ero convinta di aver sbagliato tutto.

Entrai di soppiatto in salotto e non trovai nessuno. Il dubbio di essere davvero sola in quella casa mi travolse. Mi diressi in cucina ma anche lì c’erano solo i mobili. Ritornai in sala nella speranza di essermi sbagliata e di trovare Peeta seduto sul divano, ma mi sbagliai. Ormai affranta mi diressi in camera al piano superiore e quando aprii la porta mi sentii mancare il pavimento sotto i piedi.

Non ci potevo credere. Non era possibile. Mi ero definitivamente rassegnata quando lo vidi.

Era girato di spalle con una foto in mano. La foto di noi due abbracciati nella neve, sorridenti. Ce l’aveva scattata Delly qualche inverno fa. In quel momento desiderai tanto sembrare forte come se non fosse accaduto niente che mi avesse stravolto e invece un singhiozzo rovinò ogni mio piano.

Peeta si voltò all’istante e mi guardò. Aveva delle profonde occhiaie intorno agli occhi azzurri, i capelli spettinati e le sue guance erano ricoperte da ispidi peli biondi che erano cresciuti nei giorni. Vederlo in questo stato mi rassicurò. Anche lui aveva sofferto allora. – Ciao. – Disse con tono neutrale. – Che… che ci fai qui? – Domandai con voce malferma. – Sono venuto a parlarti. – Presi un respiro e dissi – D’accordo ti ascolto. Anche se probabilmente so già che cosa mi vuoi dire. Hai intenzione di andartene non è così? – Il mio tono divenne gelido. – Vuoi finirla qui definitivamente? Ok, prendi pure la tua roba e vattene. Se è questo quello che vuoi io non posso certo impedirtelo. – Mi faceva soffrire dire quelle cose, ma il mio cervello non era più collegato alla mia bocca e quest’ultima ora diceva quello che voleva. Peeta fece una cosa che mai mi sarei aspettata in quelle circostanze ma che sicuramente per tante altre ragazze poteva sembrare una cosa scontata. Si avvicinò a me e mi baciò con tutta la passione e l’intensità che solo lui poteva mettere in un bacio, come mai aveva fatto prima di quel momento. Con le braccia mi stringeva forte la schiena per tenermi vicina a sé mentre le nostre labbra si muovevano in perfetta sincronia. Le mie braccia si spostarono involontariamente sul suo collo e le mie dita si intrecciarono con le sue ciocche bionde. In quel momento provai ciò che poi ho sempre provato dopo ogni suo bacio e cioè il desiderio di volerne un altro. La stessa sensazione che provai per il bacio nella caverna e anche durante il bacio sulla spiaggia. Quando ci staccammo ormai tutto era chiaro e non c’era bisogno delle parole ma Peeta disse comunque qualcosa. – Perdonami. Perdonami per averti fatto soffrire. So come ti sei sentita perché anch’io sono stato malissimo. Non ho intenzione di andarmene né di finirla qui. Non vuoi avere figli d’accordo. Non voglio rovinarmi la vita e soprattutto non voglio rovinarla a te per un mio stupido desiderio. Io voglio stare con te sempre, indipendentemente dal fatto di avere figli o no. Ah, e non mi interessa nemmeno se non vuoi diventare la signora Mellark perché per me rimarrai sempre e solo la mia Kat. – In quel momento non riuscii a trattenere le lacrime e iniziai a piangere. Lo abbracciai forte mentre lui mi accarezzava i capelli per tranquillizzarmi.

Quando finalmente mi calmai dissi – Quando ho saputo che eri venuto a cercarmi ero disposta anche ad accettare di diventare tua moglie pur di tenerti per sempre al mio fianco, ma se hai cambiato idea a me va bene anche così. – Con gli occhi che brillavano dalla felicità mi chiese – Davvero? Non stai scherzando? Dici sul serio? – Risposi – Mai stata più seria in vita mia. – Mi osservò per un momento, giusto il tempo di capire se mentivo oppure dicevo la verità e poi mi disse – Allora, beh… Katniss Everdeen – si fermò un attimo per inginocchiarsi, poi continuò – vuoi diventare mia moglie? – Inaspettatamente mi ritrovai davanti un anello bellissimo che Peeta aveva custodito con cura in una scatolina vellutata blu, nascosta al mio sguardo fino a questo momento perché conservata nel cassetto del suo comodino. Senza farmelo ripetere due volte risposi – Sì. Certo che sì. – Peeta mi infilò l’anello di fidanzamento al dito e poi mi abbracciò.

Vengo risvegliata dai miei ricordi da un tocco freddo. Osservo la mia pancia e vedo una specie di cubetto color avorio con un filo attaccato che si muove sopra una sostanza vischiosa color celeste.  - Deve essere gel. – penso tra me e me.
Peeta mi strige ancora la mano. Ad un tratto la sua stretta si fa più forte e con un dito della mano libera mi indica un piccolo schermo che mia madre sta fissando. Poi mi dice – Guarda Kat. Guarda! Quello è il nostro bambino. – Rivolgo lo sguardo verso lo schermo e inizialmente non riesco a scorgere niente, poi pian piano dallo sfondo nero emerge un piccolo bimbo. E’ piccolo, eppure è lì. Si possono distinguere leggermente la testa,che è la parte più grande, le gambe e le braccia. Sento i miei occhi pungere e così guardo mia madre e le chiedo – Allora? Com’è? Sta bene? E’ tutto a posto? – Lei ci sorride orgogliosa e ci dice – Sì, è tutto sotto controllo, è sano ed è circa dieci centimetri. Il prossimo mese dovremo essere in grado di stabilire se è maschio o femmina. –
Peeta ed io ci fissiamo entrambi con gli occhi sgranati. Lui con le mani cerca di quantificare la lunghezza che ha attualmente nostro figlio, poi si avvicina con la bocca al mio orecchio e sussurra – Anche se è presto per dirlo sono sicuro che assomiglia tutto alla mamma. – Sposto leggermente la testa e lo bacio senza pensare al pubblico che abbiamo, proprio come accadde al matrimonio. Veniamo interrotti da mia madre che dice – Ragazzi, ehm ragazzi! La visita è terminata. Mi raccomando non fate cavolate perché è molto fragile ok? – Faccio un cenno con il capo e Peeta risponde – Non si preoccupi Mrs. Everdeen, dopo tutto quello che ho passato per ottenere questa meraviglia – e indica la mia pancia – non butterò certo tutto all’aria. – Saluto mia madre che si è un po’ sciolta vedendo suo nipote e mi promette che d’ora in poi sarà più presente. Annuisco, mi sistemo ed usciamo dalla stanza per tornare a casa.

~ Angolo della scrittrice:

Ok devo ammetterlo, sono stata un po’ più lenta del solito a pubblicare questo capitolo, ma avevo intenzione di fare una cosa diversa dal normale e per realizzarla c’è voluto più tempo del previsto. Ringrazio coloro che hanno messo la storia tra seguite,ricordate o preferite e soprattutto ringrazio coloro che hanno recensito.
Spero che vi sia piaciuto questo nuovo capitolo, mi raccomando recensite e dite la vostra. Come sempre accetto anche critiche negative purché siano costruttive perché l’importante è migliorare. :D
Ah, un’ ultima cosa. In questo periodo ho anche scritto una FF di rating rosso su Katniss e Peeta ovviamente, ma mi vergogno molto a pubblicarla perciò pongo la questione a voi. Siete curiosi di leggerla oppure faccio meglio a tenerla per me senza farla leggere a nessuno? Vi prego scrivete una recensione e rispondete alla mia domanda.
Baci,
Miss Hutcherson.

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Capitolo 7
*** Capitolo VII ~ Disegni sulla pelle ***


Capitolo VII ~ Disegni sulla pelle. 
 

Sono tornati, Haymitch mi sta conducendo attraverso l’ospedale per incontrare Peeta che è stato appena salvato.
E’ già sveglio e sta seduto sulla sponda del letto con aria sconcertata, mentre un terzetto di medici lo rassicura, gli fa lampeggiare delle luci negli occhi, controlla le sue pulsazioni.
Sono delusa che il primo volto che ha visto quando si è svegliato non sia stato il mio, ma adesso lo vede. Sui suoi lineamenti passa incredulità, oltre a qualcosa di più violento che proprio non riesco a riconoscere. Desiderio? Disperazione? Sicuramente tutti e due, perché spinge da una parte i dottori, balza in piedi e viene verso di me. Gli corro incontro, le braccia tese per stringerlo. – Anche le sue mani si tendono, per accarezzarmi il viso – penso.
Sulle mie labbra si è appena formato il suo nome, quando le sue dita mi si chiudono intorno alla gola.
   

Apro gli occhi quando sento il contatto di qualcosa, come di un dito che si muove sulla mia pelle. Sulla mia pelle?
Quando realizzo la cosa, alzo la testa allarmata e mi trovo davanti due iridi azzurre e un sorriso abbagliante. E’ Peeta. Mi guarda e mi dice con dolcezza – Buon giorno. – Io, ancora sotto shock, ribatto – Che… che stai facendo? – Assume un’espressione perplessa. – Stavo disegnando dei fiori sulla tua pelle. Vedi? – Indica il mio braccio sinistro. – Qui c’è una margherita. – Poi si sposta con le dita sulle mie scapole e commenta. – Qui c’è una primula. – Continua percorrendo tutta la parte centrale della mia schiena, mentre sussurra – Qui ho disegnato una rosa… e invece qua c’è l’erba saetta. – Dice sfiorandomi la parte finale della schiena.
In tutto questo tempo non mi rilasso, né accenno ad un sorriso. Questo sogno è stato veramente stancante.
Un incubo ti può momentaneamente impaurire, un ricordo invece è molto peggio perché ti può distruggere come mai potrebbe fare una fantasia, specialmente se questo è un ricordo che ti riporta alla mente periodi pieni di tristezza, di amarezza, di dubbio e di inquietudine.
– Ma… Kat stai bene? – Mi accorgo di esser stata un po’ troppo brusca e di essermi comportata male nei suoi confronti, così cerco di rimediare giustificandomi – Scusa ho avuto un incubo e quando ho sentito il tuo tocco mi sono spaventata. – Lui mi risponde – Sì, in effetti ho notato che ti agitavi, ma è strano perché non hai mai urlato. – Io ribatto. – Certo che non ho urlato, non potevo perché tu…- Mi zittisco di colpo senza terminare la frase.
Peeta allarmato mi domanda – Perché, cos’ho fatto? – No. Non posso sbattergli in faccia il ricordo di quando lui, ancora depistato, mi strangolò nell’ospedale del Distretto 13. Cerco di cambiare discorso. – No, niente niente. Sai i fiori che hai disegnato sono bellissimi. – Peeta mi guarda poco convinto, ovviamente ha capito che voglio cambiare argomento ma insiste comunque – Dai, dimmi cosa ho fatto. Voglio saperlo. –
No. Non posso dirglielo. Questo procurerebbe altro dolore sia a me che a lui e io non ne ho la minima intenzione. Ora stiamo bene, siamo felici e al sicuro. Non voglio che qualche nuvola grigia oscuri il sole che ci illumina momentaneamente. – No, davvero non hai fatto niente. Era solo un brutto ricordo. – Scuoto leggermente la testa come per scacciare quell’orribile incubo che mi ha rovinato il buon giorno.
Peeta non si è mosso di un millimetro, è sempre lì accanto a me che mi circonda la vita con le sue braccia.
Mi guarda e mi dice con tono allegro, come se non fosse successo nulla pochi istanti fa, – Allora, cosa hai voglia di fare oggi? – La domanda mi prende alla sprovvista. Cosa voglio fare di preciso? Tante idee mi frullano nella testa. Potremmo fare una passeggiata, passare la giornata a fare dolci giù al forno, andare a trovare Delly o Effie, oppure girovagare per il bosco.
- Penso proprio di voler fare un bel pic-nic nel bosco, voglio camminare tra gli alberi e sentire le foglie secche scricchiolare sotto ai miei piedi e poi se ce la faccio voglio abbattere uno o due scoiattoli per farci uno stufato stasera. – Rispondo sorridendo.
Peeta è un po’ titubante, sì in effetti fa freddo fuori per fare un pic-nic, è novembre però io desidero passare un po’ di tempo in quella che era la mia casa quando ero ancora Katniss, la ragazza scontrosa e asociale del Giacimento. Quando ancora potevo essere me stessa in quei boschi cacciando non per puro divertimento ma per sfamare la mia famiglia, quando potevo abbattere le mie prede senza aver paura che qualcuno mi potesse scoprire perché ero consapevole di avere un amico che mi guardava le spalle, un amico che ormai non può essere più considerato tale perché colpevole in parte della morte della mia sorellina.
E’ inevitabile, la mia mente ormai ha associato Gale alla morte di Prim, quando penso ad uno dei due involontariamente penso anche all’altro.
Peeta ovviamente risponde alla mia proposta dicendo – Katniss, ma fuori fa troppo freddo per fare un pic-nic. Tua madre ha detto che non dobbiamo fare cavolate e inoltre non voglio rischiare che tu ti ammali, non ora e non nelle tue condizioni. – Eccoci, lo sapevo. E’ impossibile evitare che lui non si preoccupi per me e per il bambino. Io però voglio uscire fuori e non gli permetterò di sabotare i miei piani, perciò assumo un espressione dispiaciuta e faccio gli occhi dolci. Provo a fingere, anche se non mi è mai riuscito bene. Quello bravo con il pubblico è sempre stato lui, non io. – Per favore Peeta. Solo questa volta. Desidero tantissimo passare una giornata con te nel bosco. Ti prego. Ti prometto che mi coprirò per evitare di ammalarmi. – Lo imploro con la voce più dolce di cui dispongo.
E’ ancora titubante, sono sicura che sta cercando di capire se sia più giusto accontentarmi oppure dirmi di no per salvaguardare la mia salute. – Per favore. – mormoro nuovamente per cercare di convincerlo. Sul suo volto passano tantissime emozioni: preoccupazione, dispiacere,paura. Non so di preciso a cosa stia pensando. Spero solo che non si tratti di qualcosa che lo potrebbe far soffrire, spero che non si stia immaginando cosa mi potrebbe accadere nel bosco. Chiude gli occhi e il suo volto si indurisce, si allontana da me, si alza in piedi e serra le mani in un pugno.
No. Non può accadere. Non ora.
Mi alzo anch’io e mormoro con un filo di voce – Peeta, Peeta ascoltami. Peeta, quello che stai guardando è solo frutto della tua immaginazione e dei flashback,non è la realtà. – Mi avvicino a lui e gli afferro il viso con le mani costringendolo ad aprire gli occhi. Con voce calma e rassicurante gli dico – Calmati, non c’è niente di vero in quello che stavi osservando. Guardati intorno. E’ mattina. Siamo in camera e qui – prendo la sua mano e la appoggio sulla mia pancia prima di continuare – c’è il nostro bambino. – Gli sorrido e lo abbraccio per dimostrargli che qui è veramente al sicuro. – Scusami, se ti ho fatto preoccupare, tutta questa tensione non ti fa bene e non fa bene neanche al piccolo. E’ tutto finito grazie a te. – mi dice Peeta, mi dà un bacio sulla fronte e poi continua dicendo –  Ora voglio che ti rilassi perciò andremo nel bosco a fare questo pic-nic che tanto desideri. Però ti devi coprire e non devi mai allontanarti da me, va bene? L’ultima volta che ci siamo separati, un campo di forza è esploso, tanti aerei sono entrati nell’arena, io sono stato preso da Capitol City, tu per fortuna sei stata salvata dal Distretto 13 e poi… beh sai come è andata. –
Certo che non l’abbandonerò, non dovrebbe nemmeno chiedermi certe cose, ma è normale che si preoccupi dopo tutto quello che è successo eppure avrei preferito che non mi avesse ricordato quegli eventi spiacevoli. – Va bene. Stai tranquillo, non ti lascerò un’altra volta. –
Camminiamo mano nella mano verso il bosco. Ripercorriamo il percorso intrapreso da me e da Haymitch durante il nostro viaggio verso l’altare, solo che stavolta la strada non è coperta di petali di rose rosse. Ci avviciniamo sempre di più al luogo in cui prima si trovava la rete elettrificata. Quando passiamo accanto all’albero dove rimasi intrappolata dopo che Thread aveva attivato la rete, dico – Lo sai che la prima volta che mi hai portato in camera in collo non stavamo ancora insieme? Ero rimasta intrappolata su quest’albero – mentre parlo, indico i rami dell’albero e mi sembra di rivivere quel momento – e per non morire folgorata ho dovuto scavalcare la rete con un salto. Per mia sfortuna sono atterrata sul ghiaccio e mi sono fatta male alla caviglia e al coccige. Io però ho sempre detto che ero scivolata mentre passeggiavo. – Ammetto, mentre mi perdo nei suoi occhi. – Sì, è vero  però mi ricordo che noi eravamo fidanzati vero o falso? –
Mi domanda un po’ perplesso. E’ difficile rispondere alla sua domanda, sì eravamo fidanzati ma per le telecamere quindi teoricamente era tutta una finzione. – Ecco, non so come risponderti. Noi eravamo fidanzati, ma solo per le telecamere di Capitol City, in realtà io non ero interessata a te. – Lo guardo cercando di sorridere, ma dal mio viso spunta solo un sorriso triste. Avrei dovuto mordermi la lingua, stavolta sono stata io a nominare i periodi tristi. Peeta se ne accorge e così dice tirandomi a sé – Per fortuna hai cambiato idea poi. – Io sorrido. Lui sa sempre come tirarmi su di morale, è sempre così dolce. Continuiamo a camminare.
Sento le foglie secche scricchiolare sotto i miei piedi, l’odore familiare di muschio e legno ci avvolge. Qui mi sono sempre sentita al sicuro, questa è sempre stata la mia vera casa.
Arriviamo nel luogo in cui, circa cinque anni fa, c’era un altare ad attendermi, anzi c’era molto di più. Lì, insieme a Peeta c’erano il mio passato, il mio presente e il mio futuro che mi aspettavano.
- Qui sei diventata ufficialmente la signora Mellark. Avevi un vestito bellissimo. Certo l’avevo già visto perché era la copia del vestito che Cinna ti aveva fatto per l’intervista dei Giochi della Memoria ma non mi sarei mai aspettato che tua madre riuscisse anche a fargli prendere fuoco e a trasformarlo proprio come aveva fatto il tuo stilista. – Solo al ricordo i miei occhi iniziano a pungere. – Eri bellissima Kat e lo sei ancora. – Appena sento pronunciargli quelle parole mi alzo sulle punte dei piedi e lo bacio dolcemente. Le mie braccia finiscono sul suo collo e le sue mani mi circondano i fianchi.
Quando le nostre labbra si separano Peeta allontana il volto quel poco che basta per guardarmi negli occhi e poi mi dice – Aspettavo tanto questo bacio. Da stamattina non me ne hai dato neanche uno e io non ho mai avuto l’occasione di darti il bacio del buongiorno. –
- Scusami, sì lo so ti ho trattato malissimo stamani scusa davvero. – Ci abbracciamo e io mi ritrovo di nuovo nel posto dove ormai mi sento più al sicuro di tutti: le sue braccia.
- Andiamo, ancora non siamo arrivati a destinazione. Forza. - bisbiglio. – Sei sicura di non essere stanca?- mi domanda con la sua solita premura. – Peeta! Ok, sono incinta di quattro mesi ma non sono ridotta così male da non poter camminare per più di pochi metri! – ribatto indignata.
Lui scoppia a ridere divertito dalla mia reazione. Appena riesce a riprendersi mi dice – Ok, ok scusa. Non volevo farti arrabbiare. –
 
 
~ Angolo della scrittrice:

Scusatemi scusatemi scusatemi! >.<
Non sono riuscita ad aggiornare prima ma... ma non è tutta colpa mia, cioè sì è colpa mia però non tutta cioè... sì insomma...
Ok,calmati Miss, stai iniziando a farfugliare.
Respira,inspira, respira, inspira.
Allora, *prende un respiro profondo e inizia* non sono riuscita ad aggiornare prima perchè ero in vacanza, sono tornata a casa per qualche giorno ma poi sono ripartita e così mi ci è voluto tanto per aggiornare.
Ma adesso ce l'ho fatta e spero che vi piaccia.
Mi raccomando recensite in ogni caso, sia che vi sia piaciuto sia che non vi sia piaciuto. :D
Accetto anche le critiche negative, purché costruttive perchè il mio motto è: "Nella vita si può sempre migliorare!"
Un bacio,
Miss Hutcherson.

P.S. So che il finale fa un po’ schifo ma questo è dovuto al fatto che in realtà questo capitolo era molto più lungo. Infatti qui ci doveva essere la scelta dei nomi per il bambino, ma poi mi sono accorta che diventava davvero troppo lungo. Volevo dividerlo in due parti ma non sapevo a che punto fermarmi visto che la scelta dei nomi non volevo spezzarla, così ho deciso di far diventare il capitolo sette, un capitolo di transito. :D
Rallegratevi però, perché in compenso il capitolo otto è già pronto e lo pubblicherò tra pochi giorni (sicuramente prima del 30 Agosto perché poi parto per Parigi e non torno fino al 5 di Settembre).  

  

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Capitolo 8
*** Capitolo VIII ~ Un nome dura per sempre. ***


Capitolo VIII ~ Un nome dura per sempre. 
 

Finalmente siamo arrivati a destinazione: è una piccola radura riparata dai tronchi degli alberi, che però hanno perso le loro chiome folte a causa dell’autunno. E’ da poco che l’ho scoperta., non c’ero mai stata qui con Gale.
E’ proprio per questo che l’ho scelta per fare il pic-nic. Questo deve essere il nostro posto: quello mio e di Peeta e non ci devono essere ricordi legati a qualcun altro.
Mi siedo su un tronco d’albero morto che è caduto a terra, probabilmente è stato abbattuto da un  fulmine, mentre Peeta sistema la tovaglia e il cibo con molta cura. Quando ha fatto si gira verso di me, mi sorride e poi dice – Tutto pronto. Hai fame? –
Per tutta risposta si sente un brontolio provenire dalla mia pancia e una risata esce dalla mia bocca prima che possa accorgermene.
Prende un po’ di pietanze e le sistema, sempre con cura, su un piatto verde, poi me lo porge e io lo afferro senza difficoltà. Prepara un piatto anche per sé e poi si siede su un sasso abbastanza grande vicino al tronco.
Sto addentando una coscia di tacchino quando Peeta dice – Katniss, stavo pensando, sono già passati quattro mesi e ancora non abbiamo scelto il nome del bambino. E se lo decidessimo ora? – Questa rivelazione mi fa sussultare tanto che un pezzo di carne mi ostruisce la gola e io rischio di soffocare.
Dopo aver tossito per due minuti buoni, rispondo – Sì, è vero ancora non ci abbiamo pensato. Beh… tu come lo vorresti chiamare? –
Rimaniamo entrambi in silenzio per un minuto intero, nella mia testa frullano tantissimi nomi e sono ancora indecisa quando Peeta esordisce con un – Mitch! –
Io sbalordita domando – Cosa? – lui mi sorride e risponde – Mitch! Il nome del bambino. Ho pensato di chiamarlo Mitch. –
Mitch.
Mitch Mellark.
Questo nome mi rimbomba nella testa: Mitch.
In automatico tocco la mia pancia e sussurro il suo nome. Mi piace. Sì se sarà un maschio (e sono sicura che lo sarà) si chiamerà Mitch. – Peeta, come mai hai pensato di chiamarlo Mitch? – domando incuriosita dalla scelta del nome.
Lui mi guarda negli occhi e poi mi risponde leggermente rosso sulle guance – Beh, ecco stavo riflettendo su tutti i nomi delle persone che abbiamo conosciuto. A tutti coloro che si sono sacrificati, che hanno fatto molto per me, per te… insomma per noi. All’inizio avevo considerato il nome Finnick, ma poi ho pensato che tu non volessi mettere sulle spalle del nostro bimbo il peso di un simile ricordo. Poi ho pensato a Cinna ma anche per questo nome vale la stessa cosa del precedente.-
Troppi ricordi, già. Annuisco e lo faccio continuare. – Ho considerato anche di chiamarlo con il nome di tuo padre, in fondo è stato molto importante per te, ti ha insegnato tante cose nel poco tempo in cui è stato con voi. Inoltre era un gesto da parte mia per ringraziarlo, per aver creato insieme a tua madre la persona che amo di più al mondo.  – 
Due lacrime silenziose iniziano a rigarmi il volto, perché Peeta deve sempre fare questi discorsi strappa lacrime? Gli ormoni in subbuglio non aiutano certamente. Anche se siamo diventati adulti non ha perso la sua capacità di parlare sempre con dolcezza e con sincerità.
Mi alzo in piedi per abbracciarlo, mi siedo sulle sue gambe e appoggio la testa nell’incavo della sua spalla mentre lui mi liscia i capelli con una mano e con l’altra mi accarezza la schiena.
Alzo poi lo sguardo e lo bacio. Mi sistemo meglio sulle sue cosce.
Le nostre labbra si muovono in sincronia, le mie mani si intrecciano alle sue ciocche bionde mentre le sue sono posate sulle mie guance.
Quando sono di nuovo padrona di me stessa realizzo che ancora non mi ha spiegato perché ha scelto il nome Mitch e così glielo domando. – E’ un gesto molto carino da parte tua, ma mio padre non si chiamava Mitch, perché hai scelto questo nome? – Peeta sospira e poi mi risponde – Sì lo so che non si chiamava così, infatti Mitch è l’abbreviazione di Haymitch, il nostro mentore. –
Lo guardo stranita, come può pensare al nostro mentore? E’ vero che ormai fa parte della nostra famiglia, ma lui lo ha abbandonato nell’arena durante l’Edizione della Memoria! Per salvare…me.
La mia testa sta scoppiando non riesco più a fare un discorso logico.
Un momento… lui voleva che lo lasciasse nell’arena, lui voleva salvare me, ancora una volta aveva messo in primo piano me rispetto a lui. Loro erano d’accordo sin dall’inizio. Loro hanno sempre voluto salvare me. E’ per questo che vuole dare questo nome a nostro figlio, per ringraziarlo, perché lui si sente in debito con Haymitch!
Tutte queste supposizioni mi mandano in tilt, ho bisogno di una conferma che non tarda ad arrivare, infatti Peeta dice – Vedi Kat, io sono molto grato ad Haymitch anche se ti può sembrare strano. Se lui non avesse deciso di tradirti, non rispettando il tuo patto, non so se tu ora saresti qui o se noi ora saremmo qui, insieme. –
 Alzo lo sguardo e dico con la voce un po’ più alta del solito – Ma dimentichi che lui ha tradito entrambi, che si era messo d’accordo con i ribelli per farci fuggire, che tutti sapevano più o meno il piano e che solo noi due non ne eravamo al corrente! –
Lui mi guarda e fa uno dei suoi soliti sorrisi che usa per convincermi. – Come ti ho già spiegato lui aveva fatto un patto anche con me e quando siamo andati nell’arena, ha continuato a rispettare il nostro patto, cercando di proteggere te. E’ per questo che desidero chiamare il nostro bambino Mitch. E poi mi piace come suona. Mitch Mellark. Non trovi che sia fantastico? –
Mi sorride nuovamente ma stavolta non per convincermi. E’ un sorriso vero, sano che mi fa mancare il fiato. – Sì in effetti piace anche a me. – Ammetto. Mi giro, dando la schiena al petto di Peeta, intreccio la mia mano alla sua e le appoggio sulla mia pancia poi osservandola sussurro – Mitch Mellark, ti piace il tuo nome? – Ridiamo tutti e due, poi lui dice – Ok, il nome da maschio è stato scelto, me se fosse una femmina? Come la chiameresti? –
Non ci ho pensato. Anche prima mentre consideravo i vari nomi che potevo dare al bambino, non ho valutato nemmeno un nome femminile, così rispondo – Non lo so, non ci ho pensato perché sono sicura che è un maschio. – Lui mi sorride – E se ti sbagliassi? E se fosse una femmina? Non vorrai arrivare al parto senza sapere come chiamarla. –
- Beh… lo scopriremo alla prossima ecografia se ho ragione o torto, ad ogni modo ci penseremo stasera ora dobbiamo tornare a casa, si sta facendo buio. – ribatto convinta che colui che è dentro di me sia un maschio.  
- Ok, ci penseremo quando saremo a casa. A proposito cosa vuoi mangiare stasera, visto che non hai cacciato, dobbiamo inventarci qualcos’altro. – mi domanda con l’aria di chi sa che è riuscito a sventare un’impresa pericolosa. – Giusto! Con la storia dei nomi, mi hai distratta e ora è troppo buio per cacciare. L’hai fatto a posta non è vero? – L’accuso, cercando di sembrare davvero infuriata mentre mi alzo si scatto. Automaticamente anche Peeta si alza in piedi. – Io? Come potrei ingannare la mia dolce Kat? – mi risponde ammiccandomi.
Poi mi sussurra nell’orecchio con voce seria, mentre mi stringe a sé – Avanti Katniss, sii ragionevole. Sei incinta di quattro mesi non mi sembra il caso di cacciare e poi il fatto della scelta dei nomi è stata una cosa casuale. Sì è vero, volevo evitare che tu andassi a caccia ma ancora non avevo deciso cosa idearmi. – Metto su il broncio e evito di guardarlo negli occhi, voglio farlo sentire in colpa. Mi allontano leggermente da lui sciogliendo l’abbraccio, mi giro dandogli le spalle e mormoro – In ogni caso non spetta a te decidere se posso o non posso fare una determinata cosa. – Non è giusto. Io volevo cacciare perché me lo ha impedito?  – Invece sì, non posso decidere su tutto ma su quello che ti fa male sì. Ti ricordo che porti in grembo mio figlio, è normale che cerchi di evitare che tu faccia cose pericolose. Per favore Kat, non arrabbiarti e sii comprensiva con me. –
Capisco benissimo come si senta, lui vuole tantissimo questo bambino, ha sempre voluto dei figli e ora che ha la possibilità di averne uno non vuole vederselo portare via però il fatto che mi abbia ingannato mi infastidisce, forse sono gli ormoni.
Faccio un respiro profondo poi mi volto per guardarlo. – Ok, sarò comprensiva e non mi arrabbierò. – Peeta si avvicina di nuovo a me e mi risponde – Grazie. Adesso andiamo a casa dai. –
Rimette la tovaglia e il resto della roba nel cestino da pic-nic e poi ci incamminiamo verso casa mano nella mano.
Arrivati a casa vado a farmi una doccia mentre Peeta si dirige in cucina.
L’acqua scorre tiepida sul mio corpo, mi insapono e la mia pelle viene ricoperta da bolle di sapone.
L’acqua continua a scorrermi addosso mentre mi soffermo a guardare il mio ventre e lo accarezzo dolcemente. La collinetta è aumentata, ora anche se mi vesto si nota comunque che sono incinta, sarebbe impossibile da nascondere.
Esco dalla doccia e mi metto l’accappatoio, mi asciugo velocemente i capelli con l’asciugamano e poi li lascio sciolti, mi arrivano quasi al fondo schiena. Mi dirigo in camera per cambiarmi ma prima mi fermo davanti allo studio di Peeta.
Dopo poco che ci siamo trasferiti a casa sua abbiamo trasformato una delle camere per gli ospiti in uno studio, dove lui avrebbe potuto dipingere i suoi quadri.
La porta è socchiusa, la apro con cautela, se sta disegnano non voglio distrarlo. Con accortezza entro cercando di non farmi scoprire.
Lui è girato di spalle, ha il pennello in mano e sta per dipingere la tela. Mi sposto leggermente per osservare qual è il soggetto del quadro. La tela è tutta bianca per ora c’è solo lo schizzo in carboncino di ciò che deve essere rappresentato.
Osservo attentamente lo schizzo e capisco che sono io, seduta su un masso con un fiore in mano.
Peeta ha appena iniziato a colorarlo. E’ giallo, delicato nelle mie mani che lo sorreggono ed è piccolo e soffice come un bambino.
Un bambino.
Ora riconosco il fiore: è un dente di leone.
Dandelion.
Adesso so come chiamerò mia figlia.         
 
~ Angolo della scrittrice:
 
Ed ecco a voi l’atteso capitolo otto (almeno spero xD)
Se devo essere sincera il nome dei bambini di Katniss e Peeta era una delle poche cose che erano già state scelte prima ancora che iniziassi a scrivere questa ff.
Questi sono quindi i nomi ufficiali (per me e per la mia migliore amica) dei bambini della coppia Peeniss: Dandelion e Mitch. :)
Ammetto che per il nome del bambino ci siamo scervellate (?), perché non sapevo cosa scegliere e non ce n’era uno ad effetto, l’idea di chiamarlo Mitch mi è venuta quando ho visto su Facebook il post di una ragazza che diceva:
io: Quando sarò grande chiamerò mio figlio Mitch!
Amico: Perché?                         
Io: Perché così quando lo saluteranno diranno: Hay Mitch!
 
Sì ammetto che non è niente di speciale però suonava bene Mitch Mellark e  alla fine o deciso di chiamarlo così.
Fatemi sapere cosa ne pensate, e come sempre accetto anche critiche negative, basta migliorare. ;)
Ok, vi ho annoiato anche troppo quindi un bacio,
Miss H.
 
P.S. Potete fare un salticino sulla FF  She crept up on me. :* è davvero bella.
P.S.2 Io il 30 di agosto parto e fino al 5 di settembre non trono quindi credo che sarà impossibile che vediate il nono capitolo pubblicato prima del mio ritorno. :)  Sorry.  

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Capitolo 9
*** Capitolo IX ~ Un pezzo di Finnick . ***


Capitolo IX  ~ Un pezzo di Finnick. 

Il viaggio è stato lungo e stancante, non mi sono mai affaticata tanto in vita mia.
Strano.

Il mio corpo sta subendo dei cambiamenti a causa della gravidanza e anche se sono solo di quattro mesi mi sembra di essere già enorme come una torta a tre piani per un matrimonio.
Per quasi tutto il viaggio ho dormito degnando di poca attenzione Peeta e questo mi dispiace perché lui non si merita di essere ignorato, ma è colpa di suo figlio se sono poco reattiva, mi sta praticamente stravolgendo gli orari!Ancora non mi sembra vero: io sono incinta.
Più ci penso e più mi dico tra me e me che è solo un sogno e che presto mi sveglierò e scoprirò che la mia pancia è piatta e che non ospita nessun bambino, ma invece il risveglio non arriva e devo cercare a tutti i costi di convincermi che ciò che sto passando è reale e non è immaginario.

Abbiamo deciso di comune accordo di visitare Annie visto che siamo di passaggio. Domani infatti è il fatidico giorno, il giorno in cui scopriremo se il bambino è maschio o femmina, il giorno dell’ecografia.
Spero con tutta me stessa che sia un maschio perché Peeta è convinto che mi sbaglio e che invece dentro di me ci sia una femmina ma io, le poche volte in cui mi sono immaginata come una mamma, stringevo fra le mani un bambino biondo con gli occhi azzurri e con le fattezze simili a mio marito perciò sono più che sicura di avere ragione.
Siamo davanti alla porta di casa di Annie e vengo risvegliata dai miei pensieri dall’abbraccio di Peeta che mi cinge il fianco con una mano e con l’altra mi sposta qualche ciuffo ribelle dalla fronte.
- Pronta? – mi domanda con un tono di voce calmo e pacato. – Sì. Facciamo questa sorpresa ad Annie. – rispondo con voce ferma e decisa anche se in realtà sono tutt’altro che tranquilla. Non sono neanche sicura che sia una sorpresa gradita: e’ da un po’ che Annie Cresta non si fa sentire, e ho paura che sia caduta nuovamente nella depressione. I primi tempi, quando Finn era piccolo, veniva spesso a trovarci perché era distrutta. Per un breve periodo l’abbiamo anche ospitata a casa nostra, era uno straccio poveretta e credo che la ferita che ha non si rimarginerà mai. La capisco perfettamente ma non completamente: quello sapeva farlo solo Finnick. Il punto è che da quando mi sono resa conto di amare veramente Peeta non ho fatto altro che sperare che non mi abbandonasse o che morisse, perché non riuscirei a sopravvivere senza di lui. E’ strano per me dire certe cose perché sono sempre stata abituata a cavarmela da sola, ma ora penso proprio che se mi ritrovassi senza di lui mi suiciderei piuttosto che continuare a soffrire.
In questo io ed Annie ci assomigliamo.  
Finnick era l’unica persona che l’amava veramente e dalla quale voleva essere amata. Si sono sposati nel Distretto tredici, e sembrava che la fortuna fosse finalmente a loro favore, molto più che a favore mio e di Peeta. Eppure non è bastata: gli ibridi l’hanno dilaniato mentre tentava di salvarmi e lei si è ritrovata vedova a soli 22 anni con un bambino in grembo. Lei però ha lottato fino alla fine, e ha cercato di non crollare per l’unica cosa che le restava, l’unica cosa per la quale valeva la pena restare in vita: suo figlio, una specie di “pezzo” di Finnick.
Non riuscirò mai a perdonarmi il fatto di aver condotto il padre di Finn dritto tra le braccia della morte. Per quanto Peeta possa rendermi felice il male che ho causato mi seguirà sempre come una seconda ombra.
Mentre rifletto tra me e me vedo Annie aprire la porta blu oltremare. Noto un particolare che mi fa commuovere sullo stipite: c’è una targhetta dorata, ed alcune conchiglie color crema formano la parola “Odair”. – Katniss, Peeta! – Non appena Annie mi vede il suo volto viene illuminato da un sorrido radioso, che compare sulla sua faccia come un fiore di primavera che sboccia dalla neve: credo che le faccia piacere avere un po’di compagnia in fondo. La donna si scosta nervosamente un ciuffo di capelli castani dal viso, chiedendoci con aria leggermente intimidita – Che…che ci fate qui? –
- Siamo venuti a farti una sorpresa. – risponde Peeta precedendomi.
- Sì. Domani è il giorno della… - mi interrompo, non riesco mai a pronunciare a voce alta questa parola, è più forte di me. Andiamo Katniss, di’ la stramaledetta parola. Non ci vuole tanto, su di’ e-c-o-g-r-a-f-i-a. Aspetto ancora un po’e poi completo – Sì,domani è il giorno dell’ecografia. –
Tiro un sospiro di sollievo come se mi fossi appena liberata di un peso opprimente e in effetti è così. – Oh, bene. Allora domani sapremo se è maschio o femmina! Bene, sono contenta per voi. Su entrate. – dice Annie facendoci gesto di entrare.
Ci accomodiamo nel salotto dove ci attende Finn seduto sul divano mentre sfoglia un libro. Alza la testa bronzea e ci saluta con un lieve – Ciao Katniss, ciao Peeta. – Noi rispondiamo al saluto e poi ci dirigiamo in cucina dove ci attende Annie.
La casa non è proprio super ordinata, in qualche angolo della casa regna un po’ di caos ma non è certo la stessa situazione di un po’ di anni fa.
Non ci sono più vestiti sparsi ovunque, oggetti in terra frantumati, piatti sporchi impilati nell’acquaio o scatole contenenti ricordi sparse in ogni stanza.
Entriamo nella cucina e ci sediamo al tavolo da pranzo, io ho accanto Peeta e di fronte Annie che ci dice – Beh… se volete potete dormire qui stanotte. La stanza degli ospiti è libera perciò potete usarla voi e se volete potete anche rimanere un po’ di giorni a casa nostra tanto siete di famiglia. –
E’ sempre molto carina con noi e anche se soffre cerca di nasconderlo ma io vedo nel riflesso dei suoi occhi la sua anima tormentata che non si dà pace. Quando mi soffermo a guardala una sensazione di inadeguatezza e di tristezza mi invade. Lei non dovrebbe essere così gentile nei miei confronti, non me lo merito.
Ci osserviamo a lungo finché Annie prende nuovamente la parola dicendo – Ho appena preparato del tè, ne volete un po’? La tavola è già apparecchiata in terrazza. –
Accettiamo volentieri e ci accomodiamo nelle sedie di metallo verniciate di bianco con dei motivi che ricordano molto le onde. Accanto a me c’è Peeta e davanti invece si è seduto Finn. Lo osservo attentamente. E’ veramente identico a suo padre, se Finnick fosse ancora qui penso che li potrei scambiare.
Annie appoggia sulla tavola un vassoio con una teiera in porcellana celeste e quattro tazzine. Apparentemente non c’è niente che possa risultare commovente in un vassoio, ma invece una lacrima sfuggita al mio controllo mi riga la guancia appena poso lo sguardo sul barattolo dove vi sono le zollette di zucchero.
Finn, da bravo cavaliere, sta servendo il tè nelle tazze e sta mettendo anche lo zucchero. Quando mi accorgo che sta mettendo le zollette anche in quella di Peeta metto una mano sopra alla tazzina e dico – No, lui non mette mai lo zucchero nel tè. – Automaticamente divento rossa per l’imbarazzo,e ritiro velocemente la mano. Di solito è lui a dirlo ma non so perché non sono riuscita a tacere.
Mi ricordo all’istante la volta in cui era ancora depistato e noi stavamo cercando di aiutarlo a ricordare facendo il gioco del Vero o Falso. Gli stavamo parlando del suo passato e io, non riuscendo a frenare la mia lingua dissi – Sei un pittore. Sei un fornaio. Ti piace dormire con la finestra aperta. Non metti mai lo zucchero nel tè. E ti annodi sempre due volte i lacci delle scarpe. – Dopo aver detto queste frasi tutte d’un fiato mi diressi velocemente in tenda prima di scoppiare a piangere davanti a tutti.
Sento la mano di Peeta prendere la mia e stringerla dolcemente. Non posso evitare di girarmi e quando lo faccio mi trovo ad osservare i suoi occhi che brillano dalla gioia. Forse anche lui si è ricordato di quel giorno. Aspetto che mi dica qualcosa ma non lo fa, si limita semplicemente a guardarmi, così abbasso lo sguardo imbarazzata e mi volto a guardare nuovamente Finn.
- Scusami se sono stata un po’ avventata ma gli non piace il tè con lo zucchero e… - cerco di giustificarmi ma non esce niente di troppo sensato dalla mia bocca. Per fortuna lui capisce e sorridendo mi dice – Stai tranquilla, non hai commesso un reato anzi hai fatto bene a fermarmi. – poi rivolto verso Peeta dice – Ecco il tè e scusami, avrei dovuto chiedertelo prima, per fortuna Katniss è intervenuta tempestivamente. –
Sorseggiamo il tè in silenzio accennando a qualche frase ogni tanto finché Annie dice – Peeta, visto che sei qui posso chiederti di insegnarmi qualche nuova ricetta? –
Finn si intromette nel discorso dicendo con aria lagnosa  ma divertita – Oh sì, ti prego accetta. Non ne posso più di mangiare sempre le solite cose. –
Io e Peeta iniziamo a ridere e poi lui accetta dicendo – Sì, con molto piacere. Se vuoi ti insegno subito qualcosa. – e detto questo si alza in piedi e prende il vassoio in mano.
Ma dove va? Non crederà seriamente di lasciarmi qui da sola con Finn! Non so minimamente cosa dire! Ma nonostante le mie preghiere mentali, lui si alza e si dirige in cucina in compagnia di Annie.
Rimaniamo soli: io e Finn. Apro più volte la bocca per cercare di attaccare bottone ma non mi viene in mente nulla.
Boccheggio come un pesce per un minuto circa quando alla fine penso a una domanda da fargli come ad esempio: Quanti anni hai? Ma lui mi interrompe dicendo una frase che mi fa rimanere a bocca aperta come quando suo padre mi offrì una zolletta di zucchero.
- Sai, mia madre non mi parla molto spesso di lui. – dice, come se mi leggesse nella mente. – Mi ha detto che l’ha aiutata molto durante la ribellione e che era l’unico a pensare che non fosse pazza e ad amarla. Tu pensi… che sia fuori di testa? – accenna rattristandosi.
Non so dove trovo il coraggio di rispondere ma prima che possa accorgermene le parole mi escono dalla bocca e dico – No, a dir la verità non l’ho mai pensato, perché in fondo solo chi ha partecipato agli Hunger Games può capire il suo dolore. –
Rimango in silenzio sperando che non mi faccia domande su cosa abbiamo passato io e Peeta durante le nostre due edizioni mentre ascolto il rumore dell’acqua che s’infrange sugli scogli. Poi Finn dice – Beh…ecco. Mi piacerebbe molto se tu mi dicessi qualcosa di lui. –
Rifletto un po’ e poi rispondo alla sua richiesta. Parlo con sincerità mentre nella mia mente si forma l’immagine perfetta di Finnick. – Tuo padre era uno dei pochi che mi capiva durante la ribellione e quando nemmeno io sapevo di amare Peeta lui me l’ha fatto capire. – ammetto. Non mi soffermo molto e continuo dicendo – Era un ottimo osservatore sai? Oltre ad essere bellissimo e identico a te, era anche intelligente. Lui mi ha aiutato a non farmi spezzare da Snow quando ero fragile e vulnerabile. Eravamo nel Distretto 13, sotto bombardamento e noi ci trovavano sotto terra in delle stanze enormi dove dormivamo tutti insieme, ognuno nei propri spazi assegnati. Una notte non riuscendo a dormire andai da tuo padre e gli chiesi se avesse capito perché Snow teneva prigionieri Peeta e tua madre. Io l’avevo capito solo quella sera, lui lo sapeva già da tanto tempo. Peeta era stato catturato, non perché possedeva delle informazioni importanti sui ribelli ma perché era l’unico mezzo che il Presidente aveva per spezzarmi e distruggermi. Ero sull’orlo della depressione, o forse lo ero già e tuo padre mi disse “Farai meglio a non cedere a questa cosa. Rimettere insieme i pezzi richiede dieci volte il tempo che serve per crollare”. Come puoi constatare anche da solo, lui non era solo bello, era anche saggio. Mi ha aiutato molto. –
Continuo a parlare, raccontandogli il mio primo incontro con Finnick e sul significato della zolletta di zucchero, che è ormai diventato un simbolo per me e per sua madre.
Quando finalmente mi zittisco aspetto che Finn mi dica qualcosa ma non sento nemmeno il flebile suono di una sillaba. E’ come se tutt’ad un tratto mi ritrovassi sola a parlare con un fantasma.
Conto i secondi, i minuti ma lui non parla così mi decido a colmare il vuoto  – Se avesse saputo della tua esistenza non sarebbe partito per Capitol City. – Potrebbe sembrare un frase confortante ma lui si demoralizza ancora di più.
Perfetto! Sono un’incompetente, dovrei stare zitta e non dire cose che fanno solo soffrire le persone. Cerco di rimediare – Non essere triste, lui non avrebbe voluto vederti così. Ti avrebbe voluto vedere felice e con in mano il suo tridente. –
Non so che reazione aspettami ma quello che fa, mi sbalordisce totalmente.
Si alza in piedi e viene verso di me, poi mi abbraccia forte e sento le sue lacrime bagnarmi la maglietta ma non dico niente. Mentre mi stringe tra le sua braccia mi sussurra nell’orecchio – Grazie. – Non so cosa rispondere perciò mi limito a ricambiare l’abbraccio.
Quando si allontana da me, si asciuga gli occhi con il dorso della mano e mi dice – Sarai un’ottima madre ne sono sicuro. – Sto per ribattere, ma il tempo delle lacrime è finito: infatti arriva in terrazza Annie, che chiede a Finn di accompagnare me e Peeta in camera per sistemare i nostri bagagli.  
Saliamo le scale, io appoggio le mani sul corrimano mentre Peeta trasporta la nostra unica valigia.
Dopo averci accompagnati ci lascia soli in camera e ritorna in cucina per apparecchiare la tavola.
Osservo la stanza. E’ abbastanza grande e il letto è matrimoniale per fortuna. Ma anche se fosse stato singolo avremmo comunque trovato il modo di dormire insieme. In fondo siamo abituati, quando eravamo in treno per andare agli Hunger Games o quando eravamo nelle camere del Palazzo d’Addestramento: i letti erano singoli ma noi siamo riusciti a dormire insieme ugualmente perciò ce l’avremmo fatta anche questa volta.
Continuo a guardarmi intorno.
C’è una grossa finestra da cui filtra la luce che illumina tutta la camera. Le pareti sono bianche con qualche quadro dove è raffigurato il mare in tempesta oppure una spiaggia dalla sabbia finissima. L’arena.
Vedere il mare o la spiaggia mi ricordano l’arena. Mi agito, mi siedo sul letto e mi prendo la testa fra le mani. Devo affrontare nuovamente tutti i flashback che mi ricordano cos’ho passato, ciò che è accaduto e ciò che ha cambiato definitivamente la mia vita ma per fortuna c’è Peeta al mio fianco che riesce a riportarmi da lui dicendomi – Ehi, Kat stai bene? Per caso il bambino si è mosso? –
Quando sento quest’affermazione mi immobilizzo.
Per ora non si è mai mosso, ma se lui ha detto una cosa simile allora vuol dire che prima o poi lo sentirò scalciare?
Mi prende il panico. Non è tutto un sogno, è veramente reale. Inizio a tremare, cerco di controllarmi ma non ci riesco. Le lacrime scendono copiose sul mio volto.
Cosa sto facendo? Perché ho permesso a Peeta di farmi questo? Non mi sento pronta e penso che non lo sarò mai. Tra circa cinque mesi se non meno dovrò soffrire fisicamente come mai ho fatto prima per dare alla luce qualcosa che anche se è piccola e ingenua mi piomberà addosso come un macigno impedendomi di continuare a volare libera e di vivere preoccupandomi solo di me e di Peeta. Come farò? Come faremo?
Ormai il danno è fatto e non si può tornare indietro. Inoltre questo non è uno dei giochi a cui sono abituata a partecipare. Non è un gioco dove uno deve vivere e il resto morire. Questo è molto peggio perché dobbiamo riuscire a sopravvivere tutti senza farci distruggere, senza farci separare.  
Sento le braccia di Peeta che mi stringono forte e le sue labbra che mi sfiorano l’orecchio facendomi il solletico, poi sussurra  – Kat, stai tranquilla. Se hai sentito un piedino che ti tirava un lieve calcio o una manino che ti toccava, non ti preoccupare, è il bimbo che ci sta facendo capire che è presente. –
In automatico mi immagino la scena come se fossi io all’interno della mia stessa pancia e facessi compagnia al bambino. Vedo il suo piede muoversi ma invece di toccarmi lievemente come mi ha detto Peeta mi dà un calcio forte che mi strappa la pancia e mi fa sanguinare. Mi piego in due dal dolore e sento la vita abbandonare il mio corpo.
Tremo, tremo sempre di più e non riesco a calmarmi finché sento delle braccia stringermi e una voce che mi chiama.
E’ come un’eco, la sento molto ovattata come quando persi per un po’ l’udito a causa dell’esplosione delle provviste dei Favoriti. Ad un tratto compaiono nel mio campo visivo due occhi azzurri che mi fanno venire i brividi. Mi guardano allarmati cercando di capire cosa succede dentro di me.
Poi sento solo un senso di fame in me e capisco che Peeta mi sta baciando e che quello che credevo di vedere, in realtà era solo frutto delle mie paure. Poggio le mi mani sul suo collo e mi faccio trasportare da questa piacevole sensazione.
Quando sono di nuovo padrona di me stessa dico – Scusami, non volevo farti preoccupare il bambino non si è mosso. Ero solo… –  deglutisco velocemente e poi continuo – Erano solo dei ricordi dovuti ai quadri. – rispondo. Dico solo in parte la verità perché se gli dicessi ciò che ho immaginato si preoccuperebbe troppo.
Mi abbraccia e mi accarezza i capelli mormorandomi – Kat,stai tranquilla. Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio, qui le margherite ti proteggon da ogni cruccio.
Ci sono io qui perciò non devi preoccuparti di niente e di nessuno, va bene? –
- Va bene. – rispondo annusando il suo profumo familiare che sa di pane, di biscotti e di casa ma che soprattutto sa di lui.
Mentre rimango appigliata a questo senso di casa e di sicurezza che solo Peeta sa darmi sento la voce di Annie dire – Peeta, Katniss, Finn, è pronta la cena. –
Sto per ribattere qualcosa ma lui mi precede dicendo – Sì arriviamo. – Scioglie l’abbraccio e si alza dal letto, poi si volta verso di me e mi dice con un sorriso. – Andiamo a mangiare. Immagino tu abbia fame. –
– Sì, arrivo subito, tu intanto vai, poi ti raggiungo. – Rispondo osservando lo specchio che è sopra al cassettone.         
Osservo il mio riflesso. Vedo l’immagine di una ragazza che è cresciuta e si è trasformata in donna. Il suo sguardo è sempre freddo e i suoi cappelli raccolti in una treccia, segno di poca femminilità, sono posati sulla sua spalla. La sua pelle, che dovrebbe essere scura o almeno olivastra, è chiara a causa dell’operazione subita dopo essersi bruciata gran parte del corpo durante l’esplosione di una bomba. Ora non è più il puzzle che era prima. La differenza tra pelle vera e pelle innestata non si nota quasi più, solo chi sa veramente come è fatto il suo corpo può notare la differenza e l’unica che potrebbe sapere quali siano le differenze è lei perciò non si preoccupa più di tanto. Ha un abbigliamento un po’ strano, non si addice molto al titolo di vincitrice degli Hunger Games ma a lei non interessa. Mentre mi osservo vedo una mano, la mia mano, che si muove verso il ventre gonfio con cautela quasi potesse fargli del male. Vedo il palmo della  mano sfiorare la pancia e poi appoggiarcisi sopra definitivamente mentre l’accarezza. Sento il grembo voluminoso sotto il tocco delicato della mia mano e lo ammiro a lungo senza capirne il motivo.
Mi osservo ancora e poi mi rendo conto che sto toccando la mia pancia perché sono consapevole che non sono incassata ma che qui c’è qualcuno.
Sì, ora lo posso dire con certezza: Qui c'è il figlio mio e di Peeta.  


~ Angolo della scrittrice: 
Eccomi qua, dopo tanto tantissimo tempo sono riuscita a pubblicare. :D 
Scusatemi se non l'ho fatto prima ma stavo progettando una nuova fanfiction perciò non riuscivo mai a trovare il tempo per aggiornare. 
Che cosa ve ne pare?
Personalmente penso che sia un obrobrio e la cosa mi demoralizza perchè teoricamente questo capitolo doveva essere dedicato ad una persona speciale. 
Beh...non sarà un granchè come capitolo però io lo dedico con tutto il cuore e con tutto l'affetto possibile al MIO Peeta e cioè alla mia migliore amica, al mio angelo custode. :3 
Grazie per tutto quello che fai per me, per tutto quello che sei per me e soprattutto grazie d'ESISTERE. :D
Ma torniamo a noi. Ho avuto molto da fare e inoltre non vedevo l'ora di scrivere il capitolo successivo,perciò è venuto un disastro. 
Spero comunqe di non perdere tutti i fan che leggono questa ff e che mi rendono orgogliosa perchè senza di voi tutto questo non avrebbe senso. 
Bene, se siete arrivati arrivati fino qui, vi chiedo un ultimo sfozo, e cioè di lasciare un commento. :) 
Grazie,
un bacio
Miss Hutcherson. 






 

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Capitolo 10
*** Capitolo X ~ Piccola deviazione. ***


Capitolo X  ~ Piccola deviazione. 

Un raggio di sole mi colpisce il volto e io non posso far altro che aprire gli occhi.
Ho la fronte coperta di gocce di sudore, il battito del mio cuore è aumentato e il mio petto si alza e si abbassa ad una velocità notevole a causa del respiro accelerato e affannato. L’incubo mi ha stravolto e mi ha tolto le ultime energie rimaste.
Dovrei già averci fatto l’abitudine visto che non mi lasceranno mai in pace ma non ci riesco, è più forte di me.
Mi guardo intorno cercando di capire dove mi trovo.
Questa non sembra camera mia, non sono a casa mia.
Mi prende il panico.

Dove sono?
Non sono all’ospedale vero? Non sono in un manicomio, non mi hanno rinchiuso in una cella di isolamento. Vero o falso?

Tutte queste domande vagano nella mia mente senza permettermi di ragionare. La paura mi assale come un’ombra nera che è venuta a catturare colei che vuole punire.
Paura. Rimorso. Angoscia. Ansia. Terrore.
Le emozioni più terrificanti mi travolgono e la mia testa inizia a girare.
Sto per perdere i sensi e spero con tutto il cuore di non svegliarmi più perché questo inferno deve finire. 
Poi, quando mi sto per accasciare, scorgo un quadro dove è raffigurato il mare in tempesta e allora tutto diventa chiaro.
Sono a casa di Annie, nella stanza degli ospiti. Mi sto per rassicurare quando un altro dubbio si insinua nella mia mente.
Dov’è Peeta?
Dovrebbe essere qui al mio fianco ancora addormentato e invece non c’è, ciò significa che quello che ho sognato non era un incubo ma la realtà. No.
Non ci credo, non voglio crederci. Non ne ho né la forza né la volontà. Non può essere vero, quest’orrore finirà, quest’orrore è finito, deve essere finito.
Ad un tratto mentre sono immersa nei pensieri sento un tocco, un lieve tocco sulla pancia. Abbasso subito lo sguardo terrorizzata. Sono gli ibridi?
La mia paura si placa quando vedo che è Peeta.
E’ sdraiato, con la testa che mi sfiora le costole e un braccio attorno al mio ventre, come se lo volesse proteggere anche durante il sonno. Porto una mano vicino al suo braccio per controllare che mio figlio sia ancora dentro di me e quando sento il rigonfiamento del mio grembo mi rassicuro.
Sposto lo sguardo verso Peeta e con la mano gli scosto qualche ciuffo biondo dagli occhi. Mi piace passare le dita tra i suoi capelli e mi piace guardarlo dormire anche se lo faccio poche volte perché di solito sono io quella da consolare, non lui. E ’ così dolce quando dorme. La sua bocca è socchiusa quel tanto che basta per permettere all’aria di entrare ed uscire. Non sembra tormentato dai rimorsi, sembra essere tornato il ragazzo che era nella grotta con me durante i 74 Hunger Games però molto meno scarno e con il volto meno sporco. Ha un espressione serena ed angelica.
Questo mio ultimo pensiero mi fa sorridere, perché in effetti lui è il mio angelo, è il mio protettore.
Se non ci fosse stato lui  a quest’ora non sarei certamente qui. Lui si è sacrificato per me, ha deciso per ben due volte di morire pur di salvarmi,  si è fatto torturare per permettermi di avere un futuro.
Un futuro che ci ha rivelato molte sorprese visto che lui si aspettava che io scegliessi Gale per vivere felice e non lui, ma invece le cose sono andate diversamente. Io e Gale eravamo troppo simili per stare bene insieme anche se ero consapevole del fatto che lui mi amasse, inoltre nono sono mai riuscita a vederlo come un possibile marito, ma solo come il mio migliore amico o il mio fratello maggiore e poi anche sforzandomi non sarei mai riuscita a non considerarlo colpevole della morte di Prim nonostante una parte di me sappia che lui non ne ha colpa.
Io e Peeta invece ci completiamo e poi se il destino ha voluto farci incontrare un motivo ci sarà stato. Non posso vivere senza di lui, me ne sono resa conto quando credevo fosse troppo tardi. Ho realizzato veramente ciò che Finnick mi aveva detto, solo quando lui mi ha strangolato all’ospedale del 13. Per mia fortuna però i medici sono riusciti a riportarlo da me e ora ho giurato fedelmente che non lo lascerò più.
Sposto la mano sul suo braccio e lo accarezzo. Questo contatto provoca un suo sorriso e capisco che si è svegliato. Apre gli occhi e gli angoli della sua bocca si incurvano per formare il più bel sorriso che io abbia mai visto.
Lo stesso sorriso che tutte le volte mi toglie il fiato.
- Buongiorno. – dice con la voce ancora impastata dal sonno. Sorrido leggermente perché mi fa tenerezza, poi però mi rendo conto che a causa del mio egoismo l’ho appena privato del suo beato sonno. – Oh, scusami. Ti ho svegliato, non volevo. – Dico velocemente.
Lui mi guarda, si sposta per arrivare vicino al mio volto e dice con voce tranquilla – No, non importa. Sono contento che tu l’abbia fatto. – Infine avvicina le sue labbra alle mie e mi dà un dolce bacio. Quando ci stacchiamo, rimaniamo per poco tempo abbracciati con gli occhi chiusi, immersi in un misto tra silenzio e magia, ma questo momento troppo breve viene interrotto dalle sue parole.
– Kat, stanotte hai urlato e ti sei agitata molto. Era da tanto tempo che non ti accadeva una cosa simile. Ho sentito che hai detto più volte “il bambino no, il bambino no! Non puoi portarmi via il mio bambino!” e hai anche ripetuto il mio nome. Per caso…è successo qualcosa al piccolo? –
Mi si gela il sangue nelle vene al solo ricordo. La mia mente ripercorre velocemente ciò che è accaduto e sento nuovamente il terrore e la paura che avanzano come se non volessero mai lasciarmi in pace. Sciolgo l’abbraccio irrigidita, questa proprio non ci voleva. Allora ha sentito. Ha sentito tutto.
– Preferirei non parlarne, se non ti dispiace. – dico.
- D’accordo, non insisto. Ne parleremo solo se vorrai e quando vorrai. Ma ricordati che a me puoi dire tutto. – risponde.
Lo osservo per un po’. Avrei tanto bisogno di raccontargli il mio incubo, perché con lui accanto sento di poter affrontare qualsiasi cosa, anche le mie paure peggiori ma non sono ancora sicura di ciò che voglio fare. E se poi lui facesse proprio quello che non voglio che accada?
Se lui mi dicesse che in effetti vuole portarmi via il bambino?
Beh, allora lo devo sapere. E’inutile nascondersi e cercare di scappare dagli ostacoli, l’unico modo è affrontarli quindi mi preparo a parlare.
- Stanotte… - respiro a fatica, la voce mi si spezza e sembra che il fiato si rifiuti di voler uscire dal mio corpo. Mi schiarisco la voce incitandomi mentalmente. – Stanotte ho fatto un incubo. – comincio a dire. – Ma non era un incubo qualsiasi, non c’era nessun ibrido, nessuna esplosione. C’eravamo solo io e te. – Peeta mi guarda senza proferir parola, mi ascolta attentamente senza fare domande e mi incoraggia con lo sguardo ad andare avanti. – Ci trovavamo nell’arena e io tenevo tra le mie braccia Mitch, che aveva solo qualche mese di vita. Eravamo in mezzo ad una pianura, come quella dove c’era la cornucopia durante la 74° edizione, solo che non c’era nessuna cornucopia. Ad un tratto nel cielo appare uno schermo, che si volatilizza dal nulla.
Inizialmente è tutto nero, poi pian piano affiora l’immagine di qualcuno e quel qualcuno è Snow in persona.
Ci parla dicendo “Benvenuti tributi! Vi do il ben venuto a questa speciale edizione degli Hunger Games a cui partecipate solo voi, componenti della famiglia Mellark! Bene, Katniss visto che hai osato sfidarmi eccoti la tua ricompensa.” Alza la mano destra nella quale vi è un pulsante rosso, solo vedendolo intuisco che è qualcosa di pericoloso, ma ormai è troppo tardi, non posso fare nulla e quando lo preme, tu diventi un’altra persona. Ritorni ad essere il Peeta depistato dell’ospedale del 13, colui che mi odia e non mi ama, colui che vuole uccidermi.
Ti avventi su di me e inizia a graffiarmi come se al posto delle unghie tu avessi gli artigli degli ibridi, mi strappi il bambino di mano e scappi via, lasciandomi lì da sola, sanguinante. –
Quando finisco la sua faccia è pallida e spaventata, è stato un incubo cruento e doloroso, forse non avrei dovuto raccontarglielo. Mi avvicino a lui e mormoro – Peeta, Peeta stai bene? –
Lui mi prende la mano tra le sua e mi dice che andrà tutto bene che non accadrà nulla di male, ma dalla sua espressione non so se esserne certa, l’incubo era così reale.
Poi lui dice con voce sicura guardandomi negli occhi – Ti ricordi? Ho giurato di rimanerti fedele nella buona e nella cattiva sorte. Non vi accadrà nulla di male. –
- Quindi, resterai con me? – chiedo con voce incerta. Ancora non sono del tutto sicura di ciò che succederà.
- Sempre. – dice, continuando a fissarmi con un misto tra sicurezza e dolcezza.
– E’ una promessa. – aggiunge come a sottolineare il fatto che lui non mi lascerà mai, mai da sola, che non lo permetterà. 
E suggella la dolce promessa con un altrettanto dolce bacio. Appena le nostre labbra si allontanano  sentiamo un rumore provenire dalla porta, come se qualcuno stesse bussando.
Poi Peeta dice – Avanti, ora ti devi preparare perché dobbiamo andare all’ospedale. E’ arrivato il momento della verità. – e mentre mi incammino verso il bagno mi sorride gioioso.
 
Sto camminando mano nella mano con Peeta mentre osservo i ciottoli della strada quando mi accorgo che c’è qualcosa che non mi torna e così dico – Peeta, ma non è la direzione giusta!  Dove stiamo andando? – Lui per tutta risposta mi fa un sorriso, uno dei suoi soliti sorrisi complici che mi fanno capire che mi ha organizzato una sorpresa e infatti per tutta risposta dice – Sì non è la direzione giusta questa, ho pensato di fare una piccola deviazione visto che il risveglio stamattina non è stato uno dei migliori. Però ad essere sincero ero sicuro che te ne saresti accorta prima, ormai siamo quasi arrivati. A cosa stai pensando? –
A cosa sto pensando? Non lo so nemmeno io con esattezza. Ripenso all’incubo di stanotte, così reale da farmi venire i brividi, ripenso a tutto quello che abbiamo passato e infine a ciò che accadrà oggi. D’istinto mi tocco la pancia. E se fosse una femmina? Questa domanda mi si insinua involontariamente nella mente. No, sono sicura che è un maschio, l’ho sempre saputo da quando mi sono resa conto di essere incinta, non posso aver sbagliato.
Peeta sta continuando a fissarmi aspettando una risposta e così parlo – Stavo pensando a tantissime cosa, ma niente di cui dobbiamo preoccuparci. Su camminiamo, voglio vedere dove mi porti. –

 
~ Angolo della scrittrice: 
E' da mese che non aggiorno, oddio! >.< Chiedo perdono in ginocchio sui ceci (?). E' penoso il fatto che io aggiorni dopo così tanto tempo ma gli impegni iniziano a farsi sentire sempre di più e io mi ritrovo a dover scrivere la notte fino a tardi e così mi ci vuole di più. 
Nonostante ciò vi ringrazio per la pazienza che avete con me e per aver continuato a recensire. Grazie, grazie davvero. ♥ 
Bene, ora veniamo alla nota dolente: il capitolo. 
Lo so che la fine vi lascia un po' con l'amaro in bocca ma l'ho fatto per il vostro bene, infatti questo capitolo in realtà era di circa sei pagina in Word e per quistioni di lunghezza ho dovuto dividerlo in due parti. :D 
Ma guardate il lato positivo, il capitolo seguente è praticamente già pronto e fra pochi giorni lo posterò. :3 
Ok, ora che ho fatto un mega-angolo direi anche di stendere un velo pietoso, perciò spero di vedere un po' di vostri commentucci (se c'è ancora qualcuno disposto a farli. u.u) e vi saluto. 
Un bacio,
Miss H. 

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Capitolo 11
*** Capitolo XI ~ Una sorpresa non è sempre visibile ad occhio nudo. ***


Capitolo XI Una sorpresa non è sempre è visibile ad occhio nudo.


Dopo aver camminato per altri pochi minuti arriviamo alla spiaggia, ma non una spiaggia qualunque: è una piccola caletta riparata da una pineta dove non vi è nessuno.
La sabbia è finissima e bianca come il latte ma è tiepida grazie al calore dei raggi solari.
Ci sediamo sulla spiaggia e sento i granelli sotto di me, non mi danno fastidio solo mi ricordano momenti infelici, ma li scaccio via con la mente. Non posso tutte le volte che vado in un qualche posto farmi prendere da delle crisi a causa dei ricordi.
Devo abituarmi ad andare avanti senza portarmi dietro i ricordi.  
Inizio ad osservare il mare di fronte a me mentre Peeta mi accarezza dolcemente. La superficie è leggermente increspata dovuta alle lievi onde e questo gli conferisce secondo me un fascino ulteriore ma l’orizzonte è ben visibile e divide il cielo azzurro dal mare scuro. Una linea sottile, immaginaria che però è fondamentale, una linea che divide due mondi: il cielo dove vi sono le persone a noi care e il mare dove vi sono i nostri peggiori incubi, una linea che spesso uno guarda con speranza, come fa Annie che a volte la fissa aspettando di veder comparire da un momento all’altro Finnick con il suo tridente.
Mi asciugo velocemente una lacrima senza farmi notare da Peeta e sposto lo sguardo verso il bagnasciuga. Noto che dove le onde si infrangono con dolcezza vi è una striscia di sabbia rossastra, è molto strano e curioso questo fenomeno perché si può notare solo quando le onde si ritirano.
– Che cosa meravigliosa non è vero? – I miei pensieri vengono interrotti da questa frase che viene pronunciata da Peeta. So perfettamente a cosa si riferisce. – Sì. – mormoro ancora incantata dalle onde. – Questa striscia che vedi è costituita da tanti frammenti di corallo. – dice con naturalezza.
- E tu come fai a saperlo? – domando curiosa. Queste cose non ce le hanno insegnate a scuola e poi noi non abbiamo mai visto il mare nel nostro Distretto 12, l’abbiamo visto per la prima volta quando abbiamo fatto il Tour della Vittoria e ci siamo fermati nel Distretto 4, quindi come fa a sapere una cosa simile?
– Me lo ha detto Annie mentre le insegnavo qualche ricetta. Volevo farti una sorpresa e così le ho chiesto se conoscesse un posto carino e appartato dove passare il pomeriggio e lei mi ha parlato di questa piccola caletta che pochi conoscono e che è particolare proprio per questo fenomeno. –
Arrossisco leggermente. Peeta ha fatto tutto ciò per me. Sono quindici anni che stiamo insieme e ancora mi tratta come una regina, con dolcezza come il primo giorno.
Devo ammetterlo, la fortuna è stata a mio favore.
 – Beh, adesso è venuto il momento di mangiare una bella fetta di torta. –
– Sì. – mormoro automaticamente senza pensarci, ancora ammaliata dalle onde. Quando capisco cosa ho detto, sbatto le ciglia e voltandomi ribatto. – Aspetta, cosa? Una torta e come hai fatto a portarla fin qui? – Per tutta risposta lui alza un cestino da pic-nic che ho notato solo ora. Sorrido e mi accomodo di fronte a lui.
Peeta sistema una tovaglia sul terreno e vi ci appoggia la torta, poi con un coltello la divide in tante fette. Il profumo è invitante e mi fa venire l’acquolina in bocca. Le sue torte sono speciali, ognuna è diversa ma in certo senso uguale perché in ciascuna c’è sempre quella cura e quella passione che non lo abbandonano mai. Questa è fatta con vaniglia e cioccolato bianco, un ingrediente che ora è molto diffuso nei Distretti ma che prima era solo presente a Capitol City in quanto cibo molto raffinato. – Questa colazione sarà meravigliosa – penso tra me e me. Avvicino una mano ad uno spicchio ma vengo bloccata dalla voce allarmata di Peeta che dice – No! Ferma! Faccio io. – E’ un po’ agitato, glielo si può leggere in faccia.
Lo guardo sconcertata e allontano la mano. Lui sceglie con estrema cura la fetta di torta come se ci fosse differenza tra uno spicchio e l’altro. Certo che è strano!
Quando tutto è pronto mi porge il piatto e mi dice – Buona colazione! – io sorridendo rispondo – Anche a te! – Con la mano sollevo lo spicchio e lo porto alla bocca. Gli do un piccolo morso e nella mia bocca esplodono mille sensazioni di piacere. Adoro questa torta.
Vorrei gustarmela lentamente ma non ci riesco e addendo nuovamente la superficie del dolce ma stavolta i miei denti incontrano qualcosa di duro come il metallo. Metallo?
Ritraggo la bocca dalla torta e osservo quest’ultima con molta attenzione.
Esternamente non c’è niente di strano, è una torta normale senza neanche troppi ornamenti ma sono sicura di aver sentito qualcosa di duro scontrarsi con i miei denti.
Curiosa di scoprire cosa vi sia dentro spezzo lo spicchio con le mani e vedo una piccola catenina. Con le dita la estraggo dal dolce e la osservo bene. Me la rigiro tra le mani più volte senza riuscire a capire il significato di tutto ciò.
Poi metto meglio a fuoco l’oggetto che ho in mano.
E’ una collana fine in oro giallo e al centro c’è un nome: Mitch.
Mitch
Il nostro Mitch.
Il piccolo Mitch Mellark.
 
I miei occhi iniziano a pungere e non riesco a contenere le lacrime.
Mitch, il nome del nostro bambino.
Ancora non mi sembra vero ma è così. Finalmente potrò provare cosa significa essere madre e non ho paura di questo perché c’è Peeta qui con me. Getto le mie mani al suo collo e lo stringo a me mentre numerose lacrime bagnano la sua maglietta.
Lui mi accarezza la schiena e rimaniamo in quella posizione per diverso tempo finché lui dice – Kat, spero ti piaccia. Questa è la prova che io non ho intenzione di portarti via il bambino ma di crescerlo insieme a te. – A questo punto lui mi allontana leggermente, mi prende la collana dalle mani e me la aggancia intorno al collo. Prendo il ciondolo tra le mani e leggo più e più volte il nome che si trova sul ciondolo. Non ho più un filo di voce, l’ultimo rimasto lo spreco dicendo – Grazie, è bellissima. – Gli do un lieve bacio sulle labbra e poi torno a contemplare il regalo che mi ha fatto.
Ad un tratto, come un fulmine a ciel sereno, mi si insinua nella mente la domanda che avevo scacciato con tutte le mie forze e stavolta prima di rendermene conto la dico a voce alta.
- E se invece sarà una femmina? –
- Sarà bellissima come te. – dice mentre mi dà un bacio sul collo. Ma no,non ha capito quello che volevo dire. Possibile che io sia una frana con le parole?
–No, non intendevo dire questo. Solo…se è una femmina non possiamo chiamarla Mitch e quindi questa collana non ha molto senso ma non voglio cambiarla perché è bellissima e… - Vengo interrotta da Peeta che mi mette due ditta sulle labbra per zittirmi. – Tranquilla, non importa. Vuol dire che questa la terremo per il prossimo. –  dice con un sorriso sincero.
Io sgrano gli occhi. – Il prossimo? Non te ne basta uno?  Non è nato ancora questo, o questa, e già pensi a quello dopo? – rimango allibita, pensavo che uno potesse bastare, ho sempre avuta molta paura perché dovrei volerne due?
- No, Kat non ti arrabbiare, solo… ecco io… pensavo che magari potevamo avere due bambini invece che uno solo ma non subito, magari tra un po’, sai che non ti voglio mettere nessuna fretta. –
La testa inizia a girarmi vorticosamente, cerco di respirare e inspirare per cercare di riprendermi e funziona. Quando ho riacquistato un minimo di forza dico – Peeta, sai che ho sempre avuto molta paura… - non riesco a continuare perché mi interrompe dicendo – Scusa sono uno sciocco, dovrei accontentarmi e invece ti chiedo ancora. Ti prego lascia perdere e fai finta che io non abbia detto niente ok? Scusami. -   
Rimango in silenzio per un attimo, accenno ad un sorriso e dico
 – Ok, però Peeta… – lui cerca di interrompermi perché sicuramente non vuole farmi preoccupare ma io non gli lascio il tempo di dire niente che continuo – ecco, io… io non ho intenzione di farti soffrire ancora ma vedi, non so se mi sento pronta, ancora non so di preciso cosa aspettarmi da questa gr…gr… - mi rimane ancora difficile pronunciare questa parola a voce alta. Oh, insomma forza che cosa c’è di male? dice una vocina nella mia testa. Mi faccio coraggio. – da questa gravidanza. – Finita la frase sospiro enormemente sollevata.
- Katniss, tranquilla. Ti ho detto di lasciar perdere. Ho organizzato tutto questo per farti passare una bella giornata e per renderti felice non per farti agitare ancora di più. – mormora con voce calma e pacata.
Rimaniamo in silenzio per pochi secondi, poi lui dice – Senti Kat, è ora di andare, fra poco dobbiamo essere all’ospedale per l’ecografia quindi sarebbe meglio incominciare ad incamminarci.-
Sistemiamo velocemente tutto nel cestino da pic-nic e diamo un ultimo sguardo al mare di fronte a noi.
 
Siamo appena arrivati davanti all’ospedale, all’ingresso c’è la stessa signorina che c’era un mese fa. Le sorridiamo cordialmente e le notando la mia pancia ci dice – Se siete venuti per le ecografie dovete salire fino al secondo piano, percorrere il corridoio a destra, e andare fino alla terza porta a sinistra. – La ringraziamo e ci dirigiamo nella direzione che ci è stata indicata.
Arrivati troviamo davanti alla porta mia madre ma stavolta la reazione non è la stessa del mese scorso. Adesso ci teniamo in contatto, lei è venuta più volte a trovarci e ci sentiamo almeno tre volte alla settimana per telefono. – Mamma! – dico abbracciandola. – Katniss, tesoro come stai? – mi domanda contraccambiando l’abbraccio. Non è un abbraccio come quello che c’è tra me e Peeta, quell’abbraccio che è pieno d’amore, di comprensione e di sicurezza ma è comunque un abbraccio che sa di casa, perché viene spontaneo e viene da mia madre.
Quando ci allontaniamo dico – Tutto bene grazie. E te? – Lei mi guarda raggiante, era da tanto che non la vedevo così felice. – Anche io tutto bene. E noto con piacere che la pancia è aumentata. – dice indicando il mio ventre e sorridendo. Poi sposta lo sguardo verso Peeta e dice – Peeta caro, scusami se non ti ho salutato prima ma stavo controllando che il mio nipotino stesse bene. Come stai?  – e mentre annuncia questa frase noto che il suo volto si illumina, fiera di poter dire il mio nipotino e questo rende felice anche me.
- Salve signora Everdeen, sì sto bene. Sono molto eccitato all’idea di scoprire finalmente se è un maschio o una femmina e vedo che anche lei sta bene. –
Mentre mamma e Peeta chiacchierano ci accomodiamo nella stanza C6, la stessa della mia prima ecografia.
Mi distendo sul lettino e goffamente, mi alzo la maglia fin sotto al seno e mi sgancio i pantaloni.
Mia madre si avvicina mentre Peeta si siede al mio fianco. Gli stringo la mano, non so di preciso il motivo per cui lo faccio forse per rilassarmi e per sentirmi più sicura. La sua stretta non è serrata né forte da stritolarti, la sua stretta è delicata e gentile come un fiore ma a sua volte è salda e ti fa capire che non puoi scappare, che non ti lascia sfuggire e che soprattutto non permette agli altri di portarti via da lui.
Mia mamma prepara tutto l’occorrente per l’ecografia, mi sistema il gel sulla pancia, sul quale fa scorrereuna specie di sonda e inizia ad osservare un piccolo schermo dove si dovrebbe vedere il bambino.
Io e Peeta osserviamo con attenzione lo schermo e dopo poco ecco che vediamo una testa piccola, seguita dal corpo rannicchiato, l’immagine non è chiarissima però con un po’ di immaginazione si può osservare ciò che vi è raffigurato.
Mamma continua ad analizzare la situazione con la stessa espressione che aveva quando doveva curare un paziente, è entrata nel suo mondo, in quell’universo parallelo dove esistono solo lei e il suo cliente. Dopo minuti di attesa si volta verso di noi, ha la voce che le trema dall’emozione. – Allora ragazzi, è tutto a posto, il bambino sta bene e cresce sano e forte. Il suo corpo ora è completamente formato e si sente chiaramente il suo battito cardiaco. – si interrompe un attimo e Peeta coglie la palla al balzo  – Signora Everdeen, ha detto bambino, quindi è un maschio? – dice sottolineando la parola bambino.
Ogni cellula del mio corpo sembra urlare: Mitch,Mitch,Mitch e sento dentro di me la convinzione che sia un maschio.
Già mi immagino di stringere fra le braccia un piccolo fagotto celeste dove dentro vi è il mio piccolo Mitch.
Osservo mia madre ansiosa, sperando che metta fine ai miei dubbi e che dica di sì.
- Ehm, ecco io ho detto bambino per generalizzare, in realtà… - inizia a parlare ma poi si blocca.
– In realtà cosa, mamma? – cerco di farla continuare a parlare. Ci guarda con tenerezza e poi dice – Oh, ragazzi mi ricordate tanto me e mio marito quando aspettavamo Katniss. – questa frase non è malefica ma crea dentro di me un urgano, un vortice di tristezza e di compassione per quella donna che ho tanto odiato perché a causa del dolore non era riuscita a prendersi cura di noi. Con le lacrime agli occhi mormoro – Mamma. – e lei capisce ciò che voglio dire, si avvicina a me e io la tengo stretta tra le mia braccia, come forse non ho mai fatto. Rimaniamo in quella posizione per un po’ di tempo, poi lei si ritrae e dice – Bene, dopo questo momento di compassione – mentre parla si asciuga una lacrima – è arrivato il momento della verità. Allora, il nascituro,chiamiamolo così, è…- si blocca un momento per creare un po’ di suspance, il mio cuore inizia a battere velocemente, anche troppo forse, tremo al solo pensiero che è arrivato il momento della verità.
Guardo mia madre e la incito con gli occhi a continuare, a pronunciare il verdetto finale. – E’… è una femmina! – annuncia la notizia con un sorriso che le va dall’orecchio sinistro a quello destro.
Dentro di me invece c’è solo delusione. Mi sforzo di fare un sorriso per nascondere ciò che provo veramente. La voragine di prima si riapre e stavolta non è facile allontanarla né tanto meno evitare di sprofondarci. Ero convinta che fosse un maschio e invece mi sbagliavo. Non che io non sia contenta però sono delusa da me stessa e dai miei falsi presentimenti.
Poso una mano sulla pancia e senza accorgermene tocco il gel vischioso poi ancora in trance pronuncio una parola, una sola. – Dandelion. –
Peeta si volta verso di me e mi domanda – Che hai detto Kat ? – in automatico mi volto anche io a guardarlo e un sorriso involontario mi si forma sulle labbra. – Dandelion, si chiamerà Dandelion. –
Lui osservandomi mi fa un’ulteriore domanda – E’ un nome bellissimo ma quando l’hai deciso? –
Io rispondo – lo stesso giorno in cui abbiamo deciso che se fosse stato maschio l’avremmo chiamato Mitch, solo che ero convinta che fosse maschio e quindi non ti ho rivelato il nome nel caso in cui fosse una femmina. –
Dopo aver sentito la mia spiegazione pronuncia soltanto – Dandelion Mellark. – e continua a ripetere questo nome a voce bassa per diverse volte finché, convinto non dice – Kat, è un nome bellissimo e perfetto per la nostra piccolina. Sono sicuro che sarà bellissima come te e splendente come il dente di leone di cui porta il nome. – Appena finisce la frase mi sporgo con il volto verso di lui e lo bacio.
La fortuna è stata proprio a mio favore. La guerra ci avrà forse ridotto in cenere, ma con Peeta al mio fianco la mia cenere è tornata ad essere un fuoco vivo e la bambina né è la prova vivente.
Il dente di leone che significa rinascita anziché distruzione, la promessa di una vita che continua nonostante le perdite subite, di una vita che può essere ancora bella.
Il nostro dente di leone è lei.
Il nostro dente di leone è la piccola Dandelion.
 

~ Angolo della scrittrice:
 
TATATA’, TATATA’ !!! Ed ecco a voi il continuo del capitolo precedente! :D Avrei voluto pubblicarlo ieri, ma mia sorella si è sentita male e sono dovuta correre all’ospedale perciò lo pubblico oggi.
Allora, innanzitutto vorrei ringraziare coloro che hanno messo la storia tra le preferite, le seguite e quella da ricordare e anche coloro che hanno recensito e che tuttora continuano a recensire. Grazie, grazie mille per il vostro sostegno. :3
Bene detto questo spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, come sempre mi farebbe molto piacere ricevere un vostro commentuccio per sapere cosa ne pensate.
Kiss, kiss,
Gossip Girl   Miss H.
 

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Capitolo 12
*** Capitolo XII ~ La tempesta ti travolgerà. ***


Capitolo XII~ La tempesta ti travolgerà.

Un raggio di luce che filtra dalla finestra mi illumina il volto e io non posso evitare di svegliarmi. Apro gli occhi e mi trovo ad osservare una maglia blu notte, poi capisco: è la maglietta di Peeta e lui ancora addormentato mi sta tenendo tra le sue braccia.

Vorrei rimanere a letto, in quella posizione fino a che anche lui non si sveglia ma un senso di appetito mi invade in un attimo e io non posso far altro che assecondarlo.

Ho una voragine nello stomaco, il mio ultimo pasto risale a ieri sera ed era anche un pasto molto abbondante ma devo mangiare per due perciò poco importa se non sono passate tante ore dalla mia digestione.
Cerco di sciogliermi dalla stretta di Peeta e ci riesco senza svegliarlo. Provo ad alzarmi dal letto ma mi rimane un po’ difficile, sono al sesto mese di gravidanza e la pancia non è per niente indifferente, anzi a volte mi fa sbilanciare. Dopo svariati tentativi riesco ad alzarmi e mi dirigo in cucina. Ho una strana voglia di biscotti. Mi sono sempre piaciuti i biscotti di Peeta ma questa è la prima volta che mi sveglio con l’idea di prepararmeli da sola a causa della fame.
Arrivata in cucina inizio a tirare fuori gli ingredienti, in realtà non so minimamente quali siano quelli giusti da usare ma mi ricordo di alcuni che usava Peeta perciò li prendo.
Afferro una ciotola e ci metto dentro la farina con un uovo, inizio a girare e poi ci butto il latte.
Il composto è appiccicaticcio, ho le mani impiastricciate e tutta la tavola è cosparsa di farina.
Sto mettendo l’ultimo goccio di latte quando vedo una mano afferrarmi il polso e fermarmi la mano.
Peeta avvicina la sua bocca al mio orecchio e mi sussurra – E così hai deciso di cimentarti nella cucina, eh? Potevi svegliarmi, ti avrei insegnato io. –  Poi mi dà un bacio sul collo e io arrossisco violentemente. Volevo solo lasciarlo dormire, non volevo certo offenderlo.
Mi volto verso di lui e gli dico – Scusami, volevo solo farti riposare un altro po’. Non so perché ma mi è presa voglia di biscotti e per non svegliarti ho voluto provare da sola. – Mi da un lieve bacio sulla punta del naso e quando si allontana mi guarda leggermente accigliato – E tu volevi provare a cucinare? – Mi riprende la mano e dice conducendomi verso la porta della cucina – Vieni Kat, ti porto in panetteria così facciamo i biscotti e poi ti insegno a fare il pane. –
Indosso una semplice salopette di un tessuto moderno chiamato jeans mentre lui ha ancora la sua maglia blu notte e un paio di pantaloni che usa come pigiama, ho giusto il tempo di afferrare un maglione di lana prima che afferri le chiavi e chiuda la porta di casa.
Fuori fa freddo, è febbraio e le strade sono ricoperte di bianco. La mattina ci sono sempre delle persone a spalare la neve, facciamo a turni, tutti quanti del Distretto. In questo mese almeno una volta dovrebbe toccare a me, ma è sempre Peeta quello che ci va anche se non è il suo turno perché dice che nella situazione in cui mi trovo non devo fare nulla che richieda il minimo sforzo.
Ci avviamo abbastanza velocemente verso la nostra destinazione per evitare di venir sorpresi da una bufera di neve. Quando entro un lieve venticello caldo mi scompiglia i capelli e mi fa sentire subito a mio agio. Ci sono entrata poche volte in panetteria, giusto il tempo di fare un saluto o vendere qualcosa al bancone. Ma il più delle volte c’è Delly, è lei che si occupa di servire i clienti, è davvero brava.
Ci avviamo verso dei tavoli in marmo, sopra alcuni vi sono delle spianatoie in legno chiaro dove Peeta impasta il pane. Mentre lui va a prendere i grembiuli io mi avvicino ad uno di essi e noto una piccola incisione nella spianatoia, con aria assorta la tocco e tutto mi torna in mente. E come potrei dimenticarlo?
E’ successo il mese scorso, quindi quando ero al quinto mese di gravidanza, a causa di una mia voglia insana di tornare nei boschi.
Mi svegliai con il rimpianto di non poter più sentire le foglie scricchiolare sotto i miei piedi, di non poter più annusare l’odore di muschio che tanto mi piace, di non poter più ascoltare gli uccelli cinguettare mentre io me ne rimango nella penombra per uccidere una piccola preda.
Tutto a causa di quel sogno così reale dove mi trovavo nei boschi a cacciare come se niente fosse in compagnia di Prim. Quando ripenso a lei una fitta mi colpisce alla pancia.
Mi alzai velocemente dal letto, Peeta era già andato in panetteria quindi ero da sola e avevo tutto il tempo libero per andare a fare una passeggiata nei boschi e tornare. Mi preparai stando attenta a coprire bene la pancia, mi misi due magliette e indossai anche la giaccia di mio padre che essendo larga permetteva di nascondere abbastanza il notevole volume del mio grembo.
Ero pronta, mi sembrava di essere tornata ai tempi in cui andavo via di casa la mattina presto mentre mia madre e mia sorella continuavano a dormire, e probabilmente sarebbe sembrato tutto uguale a prima se non avessi avuto questo pancione che mi sbilanciava.
Mi incamminai per la strada, per lo stesso sentiero che facevo quando andavo a caccia, passai vicino ai resti della mia casa al Giacimento, lì vicino trovai un fiore celestino, un fiore che mi ricordava tanto Rue nella sua veste sul carro della parata. Lo posai nel punto in cui ci doveva essere la cameretta dove dormivamo io e Prim e continuai il mio percorso asciugandomi una lacrima.
Arrivata nel luogo in cui c’era prima la rete elettrificata e passai oltre, infine mi avvicinai ad un albero cavo. Mi appoggiai al suo tronco e involontariamente infilai la mano nella cavità. Ad un tratto sentii una corda liscia e accanto delle aste in legno, capii subito di cosa si trattava: erano il mio vecchio arco e le mie frecce, resistiti al bombardamento per miracolo, con un gesto naturale afferrai l’arco e la faretra e misi quest’ultima sulla mia spalla destra.
Continuai a camminare ancora per un po’ e poi mi dissi – E’ questo il momento, il momento in cui il mio braccio avrà nuovamente la sua estensione, avrà nuovamente il suo fedele compagno.
E la caccia era iniziata. Cercai di camminare facendo meno rumore possibile e attesi con le orecchie in ascolto di sentire un minimo rumore che tradisse la mia preda.
Dopo pochi minuti sentii uno scricchiolio, come se qualcuno avesse spezzato un ramo, senza rendermene nemmeno conto mi voltai e una freccia fu scoccata dalle mie stesse mani ma per mia sfortuna fui troppo lenta e non riuscii a centrare il bersaglio. Attesi un altro po’ e questa volta quando vidi davanti la mia preda la colpii, non perfettamente nell’occhio ma comunque la uccisi, era uno scoiattolo. Continuai a cacciare senza però trovare niente, anzi in realtà gli animali c’erano ma ero io a non volerli uccidere perché non servivano per sfamarmi, non almeno fisicamente. Uccidere quegli animali era sempre stato per me solo un atto per dare da mangiare alla mia famiglia, ora invece dovevo solo sfamare la mia anima a pezzi e quel desiderio insano di voler tornare ad essere la Katniss forte e coraggiosa di un tempo.
Ad un tratto mi trovai davanti una specie di roditore, simile a quello della 75a Edizione degli Hunger Games. Non feci in tempo a pensare che lo ritrovai trafitto nella pancia da una freccia, dalla mia stessa freccia, l’odio verso quell’animale mi accecava perché mi ricordava ciò che io e Peeta abbiamo dovuto passare. Mi avvicinai al roditore che nonostante fosse ferito continuava a vivere. Estrapolai la freccia dal suo costato e con rabbia e rancore infilzai nuovamente la sua pancia, più e più volte con una velocità impressionante e ogni volta che gli infliggevo un nuovo colpo mi sembrava di allontanare dalla mia memoria un brutto ricordo del passato, ogni colpo inflitto era dedicato ad una persona e alla fine stanca e affaticata mi ritrovai con le mani insanguinate, la treccia sciolta e anch’essa insanguinata e tutto il viso sporco. Del piccolo roditore non rimaneva più nulla se non un corpo trucidato.
Quando mi resi conto di quello che avevo fatto, mi allontanai dal cadavere disgustata da quello che era capace di fare il mio odio, solo uccidere, ecco cos’ero in grado di fare, solo uccidere.
Mi allontanai sempre più velocemente fino a che non mi ritrovai a correre all’impazzata per quanto la pancia mi concedesse. Ma mentre correvo non pensavo a cosa c’era intorno a me e infatti non mi accorsi del ramo penzolante per aria finché non ci andai a sbattere contro tagliandomi la fronte.
Tornai a casa e mi diedi una ripulita senza però curarmi la ferita, non era niente di grave. Mi cambiai d’abito, misi lo scoiattolo sull’acquaio di cucina e poi mi diressi verso la panetteria dove sapevo di trovare Peeta.
Ancora non c’era la neve sulle strade ma il freddo era comunque presente e ti gelava le vene ricordandoti che non deve esserci per forza il candido mantello bianco per sentire freddo.
Arrivata in panetteria salutai velocemente Delly augurandogli una buona giornata e poi mi recai nel retro bottega dove vi era il vero e proprio forno.
Mi avvicinai in silenzio come se fossi ancora a caccia, non volevo spaventarlo e quando spuntai da dietro la porta lo vidi mentre stava prendendo una teglia di torte tutte finemente decorate e la stava appoggiando su una delle spianatoie lì vicino.
Quando i nostri sguardi si incrociarono il suo volto si illuminò e lasciando la teglia rumorosamente sul tavolo si avvicinò a me. Mi diede un bacio sulla guancia e mi disse – Buon giorno! – poi si chinò sul mio ventre gonfio che ovviamente non si poteva evitare di nascondere neanche con le maglie larghe e vi diede un sonoro bacio sopra. Quando rialzò la testa il suo sguardo cadde proprio sulla mia ferita. Avrei voluto tanto che non ci avesse fatto caso ma ovviamente era chiedere troppo visto che Peeta sa nei minimi dettagli come è fatto il mio volto e qualsiasi cosa che non rientra nel normale causa la sua preoccupazione.
Mi guardò serio e mi disse avvicinando un dito al taglio – Ehi, cos’hai fatto? – Non sapevo cosa dirgli, non volevo mentirgli perché sapevo che era inutile visto che non so mentire ma anche dirgli la verità non sapevo se fosse la cosa migliore. Optai per la seconda scelta e decisi di dire una mezza verità – Oggi mi è presa una strana voglia, in un attimo mi sono mancati i boschi, l’odore del muschio, le foglie che scricchiolano e quindi ho deciso di andare a fare una passeggiata. – Lo guardai con aria innocente. La sua faccia assunse un lieve colorito rosso e il suo corpo si irrigidì.  – Vorresti dirmi che tu nello stato in cui sei – disse indicando la mia pancia – sei andata nei boschi? – Ormai il danno era fatto e non potevo più ritirarmi. Di lì a poco si sarebbe scatenata una vera e propria tempesta che mi avrebbe trovato e travolto senza pietà. Una tempesta che mai mi sarei aspettata di incontrare, a cui ero sempre riuscita a sfuggire, ma questa volta lei era più forte di me ed io non ero pronta per evitarla nuovamente.
Con un filo di voce risposi alla sua domanda – Sì, ma…ma io non sono così sconsiderata, cioè mi sono coperta con due maglie e una giacca e poi non è tutta colpa mia, insomma sono queste voglie che mi prendono e non mi abbandonano finché non le ho esaudite. – Ma Peeta non aveva intenzione di ascoltare le mie scuse, vidi la sua faccia cambiare espressione turbata da tutte le cose che potevano succedermi se fossi andata un’altra volta nei boschi. Ancora soprappensiero, con lo sguardo fisso in un punto all’orizzonte e con una lieve lacrima che gli rigava il volto mi disse – Ti prego dimmi che non hai cacciato. – Rimasi in silenzio, se avessi detto la verità stavolta me la sarei vista proprio brutta, ma se avessi dovuto mentirgli non mi sarei mai sentita più adeguata accanto a lui e poi tornata a casa avrei comunque dovuto giustificare la presenza dello scoiattolo sull’acquaio. I miei pensieri vennero scossi dalla voce di Peeta – Ti prego dimmi che non l’hai fatto. –
Non volevo ferirlo , non volevo vederlo soffrire, questo era uno di quei momenti in cui avrei voluto scomparire, morire nell’arena, scappare nei boschi, tutto fuorché vedere la persona che amo soffrire. Ma se soffriva era tutta colpa mia e non me la sentivo proprio di mentirgli, così dissi tutta la verità – Vorrei potertelo dire, ma non posso perché mentirei e non voglio, preferisco dirti la dura e amara verità piuttosto che ingannarti. Sì, sono andata a caccia, ma non è successo niente, ho solamente cacciato uno scoiattolo, poi è… è – la mia voce si ruppe e i miei occhi iniziarono a pungere, il ricordo di quello che feci era ancora vivido nei miei ricordi e tuttora lo è. Mi feci coraggio e continuai – E poi è comparso un roditore simile a quelli che c’erano nell’arena dell’Edizione della Memoria e non so nemmeno come, mi sono ritrovata con le mani sporche di sangue, del sangue di quell’animale, impazzita dall’odio. Non mi riconoscevo nemmeno più, sono corsa via ma nel farlo non ho visto un ramo e mi sono fatta questo taglio sulla fronte ma come ti ho detto non è successo niente di grave. – Quando finii osservai attentamente il volto di Peeta, era distrutto, si stava immaginando la scena. Prese un respiro profondo e poi con tutta la rabbia che aveva mi disse – Cioè tu sei andata nei boschi, tu con il tuo pancione di cinque mesi hai avuto la brillante idea di andare a cacciare? Katniss ma ti rendi conto di che cosa hai fatto? – ormai non stava più parlando normalmente, stava letteralmente urlando e io in cuor mio sperai che non vi fossero clienti nel negozio. – Katniss, non è un gioco! Tu hai in pancia nostra figlia, lo vuoi capire? Avresti potuto trovare una bestia feroce, saresti potuta inciampare in un sasso o peggio e io non sarei stato lì presente ad aiutarti, io non avrei potuto fare nulla perché all’oscuro di tutto! Katniss lì dentro – disse indicando il mio grembo – c’èmia figlia capisci? Tu non puoi comportarti così! Ero convinto che saresti stata una buona madre, un’ottima madre ma evidentemente mi sbagliavo! Tu non hai neppure la più pallida idea di che cosa ti poteva accadere. Non hai pensato alla piccola? Non hai pensato ai rischi che stavi correndo? No, certo che no perché ovviamente tu devi sempre agire a pro tu, non degli altri. – Tutte quelle parole, tutto quello che disse mi distrusse completamente, non per la durezza nella sua voce, non per il tono, non per il suo sguardo ma semplicemente perché aveva ragione: ero una stupida e dovevo ringraziare chi mi protegge da lassù se a quest’ora sono ancora viva. Si allontanò da me e tornò al banco con la spianatoia, mi guardò con gli occhi lucidi che riflettevano tutto il dolore che stava soffrendo e con un filo di voce disse – Vattene, vattene via. Vai a casa, non voglio vederti, voglio rimanere da solo. – Indugiai un attimo, non ero disposta a lasciarlo in quelle condizioni in panetteria ma voltai le spalle e me ne andai non appena lui mi urlò contro – Ho detto vattene! – e prima di girarmi vidi che infilzava la lama del coltello sulla superficie della spianatoia.
Passammo vari giorni senza parlarci, vivevamo in casa ma era come se per lui non esistessi più, e io straziata dai sensi di colpa mi limitavo a non far pesare troppo la mia presenza. La notte non dormivamo nello stesso letto, lui andava a dormire sul divano del salotto lasciandomi sola, abbandonata a me stessa e ai miei incubi. Ogni notte mi svegliavo due o tre volte urlando e implorando Peeta di tornare da me, ma nessuno veniva, nessun abbraccio, nessuna stretta, niente.
Ero consapevole che anche lui non dormiva la notte, le occhiaie presenti sotto i suoi occhi azzurri ne erano la prova vivente ma non riusciva a perdonarmi il fatto di aver messo in pericolo la mia vita e quella di Dandelion.
Una notte fui travolta da un incubo più forte degli altri, mi svegliai sudata da capo a piedi come mai mi era successo,urlavo, mi contorcevo nel letto tenendomi stretta il ventre, mi esplodeva la testa, imploravo di morire chiunque mi stava infiggendo questa sofferenza, non ne potevo più volevo soltanto morire. Poi non mi resi nemmeno conto come, ma caddi dal letto, per fortuna non battei la pancia perché quella era protetta dalle mie braccia, ma il rumore sordo del mio corpo che si scontava col pavimento risuonò in tutta la casa. In un attimo Peeta salì le scale, ero sicura che era sveglio ma pensavo che non sarebbe venuto nemmeno questa volta ma mi sbagliavo. Accese la luce e poi si precipitò verso di me. – Kat! Kat, stai bene? Cosa è successo? Ti ho sentito urlare e pensavo che fosse un altro dei tuoi soliti incubi ma poi ho sentito un tonfo e non ho potuto più resistere e così sono corso su. Ti sei fatta male? Hai qualcosa di rotto? Hai battuto la pancia? La bambina sta bene? Oh, Kat! –Mi abbracciò e mi aiutò ad alzarmi mentre non la finiva più con le domande. Se non fosse successo nulla tra di noi gli avrei tirato una sberla, ma tutto quel silenzio era insopportabile e sentire di nuovo la sua voce, nonostante non la smettesse più si parlare è piacevole per me. Appena riuscii a calmarlo risposi ad ogni sua domanda e man mano che parlavo vedevo il suo corpo irrigidirsi sempre di meno. Finché lui non mi baciò. Non fu un bacio casto ma violento e pieno di passione. Misi le mani sulle sue spalle e lo avvicinai a me, per quanto la pancia mi permettesse. Quando ci staccammo vidi che aveva gli occhi pieni di lacrime e che alcune stavano già scendendo sulle sue guance. – Oh, Kat! Scusami, scusami per come ti ho trattato. Ho pensato solo a rimproverarti senza provare a comprenderti, senza capire che in fondo non era del tutto colpa tua, scusami tanto. – disse, ma quella che doveva scusarsi ero io non lui perciò non lo feci finire e dissi – Peeta, la colpa è mia tutta mia. Non devi scusarti perché hai ragione, mi sono comportata da stupida, dovevo pensare alla bambina e invece ho pensato solo a me stessa e alla nostalgia che provavo. Scusami te. – e lo abbracciai nuovamente. Sentii la sua bocca vicino al mio orecchio sussurrare – Quello che ho detto… l’ho detto solo perché ero arrabbiato, io sono convinto che tu sarai un’ottima mamma e non devi minimamente dubitare delle tue capacità perché sei stupenda e sei bellissima. – Rimanemmo così per un po’ di tempo e poi ci addormentammo abbracciati sul nostro letto.
–Ehi dolcezza, li vuoi fare questi biscotti o no? – la voce di Peeta mi riporta alla realtà. Ha indossato il grembiule e questo a parer mio lo rende ancora più sexy, sorrido lievemente e mi tolgo il maglione, qui dentro fa davvero caldo.
Rimango con la mia salopette di jeans che mette in risalto il pancione di sei mesi.
Peeta mi spiega come si fa a fare l’impasto per i biscotti, avrei voluti farli io ma non ne sono capace perciò mi limito ad osservarlo. Appena la pasta è pronta la stendo e con delle formine faccio dei piccoli fori, che vengono poi stesi dalle mani abili di Peeta sulla teglia e vengono poi infornati.
Mi guarda per un po’ e poi dice – Beh, mentre aspettiamo che i biscotti siano pronti ti posso insegnare a fare il pane. Almeno questo dovrei essere in grado di farlo no? – Al solo pensiero di vedermi con le mani nell’impasto mi metto a ridere però accetto la proposta volentieri.
Prima iniziamo a fare una specie di vulcano con la farina, poi ci versiamo l’acqua, aggiungiamo il lievito e mettiamo un pizzico di sale. Iniziamo ad impastare.
L’impasto di Peeta è perfetto, ma non posso dire altrettanto del mio e infatti lui commenta ridendo – Non so cosa mi aspettassi da te, ma di certo non ho mai avuto un’allieva più imbranata di te. –
Io facendo finta di fare l’offesa ribatto – Non è vero, non sono un disastro. – Lui continua – A no? –
- No. – Rispondo e gli lancio un po’ di farina addosso. Lui con un sorriso ribatte – Vuoi la guerra eh? Eccoti accontentata! – e mi lancia un altro po’ di farina.
Dopo un po’ di minuti, siamo totalmente ricoperti di qualsiasi cosa contenuta nella panetteria che ridiamo a più non posso. Lui si avvicina a me e dice – Ti amo. –
- Anch’io. – rispondo e rimaniamo così, io che do le spalle al suo petto mentre osserviamo la mia pancia sporcata da qualche traccia di farina. 
 

~ Angolo della scrittrice: 
Ciao a tutti! Finalmente sono riuscita a pubblicare questo capitolo! E' ancora bello fumante perché l'ho finito da oggi pomeriggio. :D 
Inanzitutto vorrei ringraziare coloro che seguono, recensiscono e hanno questa storia tra le preferite/ seguite/ricordate, grazie davvero perché senza di voi io mi sentirei perduta. 
Che dire, questo capitolo è una cosa un po' diversa, so che è mooolto lungo ma se siete arrivati alla fine vi chiedo quest'ultimo sfozo di leggere anche le sciocchezze che dico. ^^ 
Volevo fare un capitolo per il quinto mese ma se l'avessi fatto avrei aumentato troppo il numero dei capitoli perciò ho deciso di accorpare il quinto e il sesto mese di gravidanza in questo MEGA-CAPITOLO. ♥ 
Bene, detto questo spero che vi sia piaciuto, 
un bacio
Miss H. 
P.S. Ah, quasi dimenticavo ditemi il vostro parere tramite una recensionciuccia (?), accetto anche quelle negative perché l'importante è migliorare e se sono costruttive si impara meglio. 

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Capitolo 13
*** Capitolo XIII ~ Una paura più antica della vita stessa. ***


Capitolo XIII ~ Una paura più antica della vita stessa. 
 
Marzo. E’ Marzo, non mi sembra vero. Osservo le strade dalla finestra e guardo ai loro cigli. Tra la neve che pian piano si scioglie vedo dei piccoli ciuffetti d’erba che cercando di spiccare fuori, come se si sentissero soffocare sotto quello strato di neve bianco, così delicato, così puro come non lo sono mai stata, anche se tutti pensavano il contrario. 
Oltre ai ciuffi d’erba vedo che anche qualche primo fiore sta comparendo. Sposto lo sguardo e vedo dall’altra parte della strada un piccolo fiore giallo. Lo riconosco subito, è un dente di leone. Automaticamente mi accarezzo il ventre di sette mesi.
Dandelion, il nostro piccolo fiorellino, che adesso è qui che cerca di spuntare fuori dalla neve. 
Fino a qualche anno fa non avrei mai pensato di ritrovarmi in una situazione del genere. Non ero pronta, non mi sentivo adatta, avevo paura. Anche se sapevo che Peeta ci sarebbe stato sempre per me pensare anche solo a mettere su famiglia era come un tabù per me. Non volevo avere figli per il semplice motivo di non vederli andare dritto in contro alla morte senza poter far niente, senza poter offrirmi volontaria al posto loro in quegli orrendi giochi. 
Mi scaldo al calore del fuoco, senza però spostarmi dal contemplare il paesaggio che vi è fuori dalla finestra. Mi piace stare in questa posizione, mi rilassa, mi trasmette serenità. 
Rimango lì, immobile, con gli occhi persi nel vuoto. 
Ad un tratto sento una mano poggiarmi sulla mia spalla e sobbalzo leggermente impaurita, mi volto velocemente e vedo davanti a me Peeta. 
Ha in mano un piccolo vassoio dove sono appoggiati una tazzina con del tè alla menta e dei biscotti appena sfornati. Mi sorride dolcemente e mi dice – Ho pensato che avessi fame e ti ho portato un piccolo spuntino. – 
- Oh, grazie. – dico afferrando il vassoio con entrambe le mani e gettando un ultimo sguardo all’ambiente esterno prima di sedermi sulla poltrona vicino al camino. 
Inizio a mordicchiare il bordo di un biscotto alla violetta. La sua fragranza si sparge per tutta la stanza e in bocca sento un trionfo di piacere. Non ero abituata a questo cibo così prelibato, ero abituata a mangiare ciò che cacciavo, a masticare foglie di menta. Mi limitavo ad osservare da lontano quei magnifici dolci esposti nella vetrina della panetteria, così finemente decorati, così deliziosi da vedere e anche così maledettamente troppo costosi per poterceli permettere. Prim a volte mi chiedeva di guardarli insieme a lei, ma a me non piaceva più di tanto. Vedere i suoi occhi così spalancati per la meraviglia e poi osservare le sue guance scavate mi metteva tristezza, mi faceva sentire impotente. Impotente nel vedere la mia sorellina soffrire la fame, impotente sapendo che non potevo offrirgli niente di meglio che della selvaggina.  
Peeta mi dà un lieve bacio sulla fronte e poi si accoccola vicino a me. – Allora, come sta la nostra piccolina? – domanda conservando la sua espressione serena e dolce. – Bene. Si muove ma per ora non dà nessuno fastidio. Oh… – Non riesco a finire la frase che Dandelion inizia ad agitarsi di più, si muove un po’ troppo per i miei gusti. Afferro la mano di Peeta quando sento un movimento e appoggiando la sua mano sul mio ventre dico. – La senti? – Un sorriso sano e genuino compare sul suo volto. E’ semplicemente bellissimo. 
Allarga la bocca affascinato da quello che sta sentendo e poi si avvicina anche con l’orecchio, con la mano mi accarezza la pancia e sussurra alla bambina, come se lei lo potesse sentire – Ehi tesoro, cerca di non dare fastidio alla mamma e calmati un pochino. Va bene? – 
Siamo ancora in questa posizione, io a sedere sulla poltrona con il vassoio in mano e Peeta chinato sulla mia pancia quando sento bussare alla porta. Lui si alza e io lo seguo, abbassa la maniglia e ci troviamo davanti il nostro mentore. 
- Ciao Haymitch! – diciamo con un sorriso accogliente. – Le tue oche stanno bene? – domanda Peeta. Prima di rispondere fa un passo entrando in casa. – Sì, sì benissimo ma io non sono venuto qui da voi per parlare delle mie oche. Dolcezza se permetti, ti vedo un po’ allargata eh?  – dice con il suo solito tono frettoloso ma allo stesso tempo canzonatorio. 
- Oh , che spiritoso che sei! Allora perché sei qui? – domando leggermente irritata dalla sua risposta. Lo vedo deglutire e passarsi una mano tra i capelli. – Ecco, diciamo che qualcuno è venuto a trovarvi e… - non finisce la frase che vedo arrivare Gale sulla soglia di casa. 
Sento Peeta accanto a me irrigidirsi leggermente, senza però darlo a vedere. Solo io che lo tengo per mano, posso percepire la sua tensione. 
Non c’è mai stata rivalità tra lui e Gale, però penso che il mio ex migliore amico non lo abbia del tutto perdonato del fatto di avergli portato via la persona che amava. Ma sono convinta che la colpa non sia sua, sono io che ho deciso di non sceglierlo e quindi se deve essere arrabbiato con qualcuno quella sono io. Anche perché io ho sempre pensato che fosse lui ad aver causato la morte di Prim, ma pian piano anche grazie a Peeta ho capito che l’idea di gettare quella bomba non era di Gale, che lui era stato sfruttato come me dalla Coin, che solo l’arma era la sua ma non l’intenzione. 
Chissà come si sarà sentito una volta tornato a casa, chissà quanto rammarico e dolore sono presenti nel suo cuore a causa di quella bomba devastatrice. 
Nonostante questo però, non posso evitare che mi si geli il sangue nelle vene. L’ultima volta che ci siamo visti è stato il giorno della festa della mia gravidanza, organizzata da Peeta. 
Lui se ne andò quasi subito borbottando qualcosa e facendoci gli auguri. 
Ci fissiamo negli occhi senza dire nulla, poi lui abbassa lo sguardo verso la mia pancia e la fissa attentamente. Questo suo gesto mi mette a disagio, sembra che abbia la capacità di scrutare all’interno del mio grembo, una sensazione di fastidio mi invade, perciò prendo lo scialle che ho sulle spalle e con quello copro il mio ventre. 
Alzo lo sguardo e dico – Ciao Gale. –
– Ciao Catnip, ciao Peeta. – risponde. – Gale. – dice Peeta accennando un saluto con il volto. – Che ci fai qui? – domando subito. – Katniss, abbiamo tempo, prima fallo accomodare in casa, no? – dice Peeta con tono gentile. E’ sempre così buono, così educato con tutti, io sono già nervosa e invece lui è tranquillo come se non fosse successo niente dall’ultima volta che ci siamo visti tutti e tre. – Oh, sì. Grazie. – Gale, entra e si accomoda su una delle due poltrone, sull’altra si siede Haymitch mentre io e Peeta ci sediamo sul divano. Lui voleva sedersi su una sedia lasciando il divano tutto per me, ma non gliel’ho permesso perché lo voglio al mio fianco. 
Rimaniamo per qualche minuto in silenzio poi, come sempre è mio marito a iniziare la conversazione. – Allora Gale, ti trovi bene nel Distretto 2? – domanda. – Oh, sì. C’è ancora un po’ di lavoro da fare nonostante siano già passati quindici anni. Non è facile risistemare tutto ciò che circondava l’Osso. Ogni uomo è fondamentale per i lavori, perciò non posso lamentarmi, gli impegni non mancano. – 
Sono contenta che abbia un posto dove gli piace stare, e spero che abbia anche trovato qualcuno con cui stare. Dopo tutto quello che abbiamo passato si merita di avere un po’ di pace anche lui, però qualcosa continua a ronzarmi nella testa. Come mai è venuto qui, se ha così tanto lavoro da fare nel Distretto 2? Non vorrà ridirmi ancora le stesse cose che mi ha detto il giorno della festa? Spero di no. 
Non posso pi trattenermi, ho bisogno di avere delle risposte perciò domando – Gale perché sei qui? – Lui mi guarda con aria interrogativa, forse sta cercando di capire quale sia il motivo della mia domanda. Ci mette qualche minuto e poi dice – Beh, ecco… mi è stato affidato un lavoro qui nel Distretto 12 per un mese. – Appena sento la sua risposta mi paralizzo. 
Non so con certezza se la notizia mi metta a disagio, mi dia fastidio o se io sia contenta. Niente. 
Non riesco a capire niente. Lo guardo ancora un po’ e poi con aria indifferente dico – Ah, bene allora. E di preciso di cosa di occuperesti? – 
Gale mi spiega per filo e per segno ciò che dovrà fare in questo mese, non è niente di semplice, dovrà fare numerose cose e ripristinare in parte le vecchie funzioni del Distretto. La Paylor l’ha chiamato più volte perché oltre ad essere stato un ottimo soldato è anche un grande lavoratore. 
 
Ormai è pomeriggio inoltrato e Haymitch decide di togliere il disturbo.  Se ne va con la scusa di dover dare da mangiare alle sue oche ma so che in realtà se ne va solo per lasciarci un po’ più di privacy. 
Dopo poco Peeta decide di andare in cucina a preparare qualcosa da mangiare e io e Gale rimaniamo in sala da soli. Dobbiamo ancora chiare sebbene abbiamo passato tutto il pomeriggio a parlare. 
Lo faccio sedere accanto a me sul divano in modo da vederlo bene negli occhi. Lui abbassa nuovamente lo sguardo verso la mia pancia e mentre la fissa il suo sguardo si fa leggermente triste. 
Chissà, forse lui ha immaginato tante volte questa scena, solo che il mio ventre non conteneva la figlia di Peeta ma magari la sua. In fondo fu proprio lui a rivelarmi che avrebbe voluto avere figli prima che mi offrissi volontaria al posto di Prim. Io invece non volevo ed ero convinta che mai avrei cambiato idea. 
Beh, mi sbagliavo perché adesso le cose sono cambiate.
– E quindi… tu e Peeta avete deciso di metter su famiglia eh? – mi domanda dopo un altro momento di silenzio. – Sì. – mormoro. – E… - comincia indicando la mia pancia. – è un maschio o una femmina? – prosegue. – E’ una femmina. – rispondo a spizzichi e bocconi. Non so ma mi mette a disagio il fatto che lui mi chieda di lei. – Avete già scelto il nome? – continua interessato. – Sì, si chiamerà Dandelion, Dandelion Mellark. – Tutte le volte che pronuncio questo nome ad alta voce, esso rimane impresso nella mia mente e vi rimbomba all’infinito. 
- Ci avrei scommesso. – dice più a se stesso che a me. Io lo guardo interrogativa. – Come scusa? – le parole mi escono di bocca senza pensarci perché effettivamente non capisco il motivo della sua frase. – Ci avrei scommesso che l’avresti chiamata così. Ti è sempre piaciuto molto quel fiore. – esclama precisando. – Sì, beh…è un omaggio a mio padre. A lui è sempre piaciuto il dente di leone e spesso lo usava come esempio per rassicurarmi. – ammetto. Poi continuo. – Però mi dispiace per lei. – Ora è il turno di Gale per essere spaesato e infatti la sua domanda non tarda ad arrivare. – Per lei chi? – Sorrido debolmente. – Per lei. – rispondo appoggiando una mano sulla sommità del mio pancione. – Non potrà mai sentire come cantava bene suo nonno. Vedrà sua nonna molto poco perché nonostante il fatto che sia contenta mia madre non verrà molto spesso a trovarci e sono convinta che anche i genitori di Peeta l’avrebbero amata se solo non fossero morti. – La mia voce di spegne e una lacrima comincia a scendere sulla mia guancia. Tiro su col naso e continuo – Avrebbe avuto una zia fantastica e sono sicura che anche i fratelli di Peeta l’avrebbero adorata. Ora invece non ha altro che noi, i suoi genitori, come parenti e il suo nonno adottivo se così possiamo definire Haymitch. – In questo momento sento il bisogno dell’abbraccio di Peeta che caccia via ogni cattivo pensiero, ma lui è in cucina e vuole lasciarmi parlare con Gale perciò non credo che verrà. 
Ma un abbraccio arriva lo stesso, è Gale. 
E mi dice stringendomi – Catnip, io ero il tuo migliore amico e se tu avessi ancora bisogno di me per qualsiasi cosa sappi che puoi contare su di me. Posso sempre essere io… no lasciamo perdere. – inizia a fare un discorso ma poi lo tronca a metà lasciandomi sorpresa. 
– Puoi essere tu cosa? – domando. – No, niente niente. Lascia perdere. – Si stacca da me e allontana le sue braccia. 
Si risiede per bene sul divano appoggiando la schiena ad un bracciolo per poter continuare a vedermi. 
Riappoggio la mano sul mio grembo e sento Dandelion muoversi nuovamente come stamani, troppo velocemente, e troppo spesso.  
Dentro di me penso Su Dandelion,smettila. Stai ferma per l’amor del cielo. Non ce la faccio più!
Ma ahimé le cose vanno troppo velocemente e riesco solo a sentire una grande fitta. Un calcio che mi fa piegare in due, mi fa urlare e poi buio. 
 
 
Mi risveglio sul divano e la prima cosa che vedo sono gli occhi azzurri di Peeta che mi guardano preoccupati. Mi sorregge la testa e vedo Gale che mi tiene le gambe in alto. 
Peeta si avvicina ancora di più e quando vede che apro gli occhi dice – Kat, Kat, stai bene? Che è successo? Hai urlato, io ero in cucina, Gale mi ha chiamato velocemente e tu eri distesa in terra piegata in due con le mani sulla pancia. Che cosa è successo? La bambina sta bene? – Inizia a fare domande a raffica, non rallenta un secondo, la paura e l’ansia dominano i suoi bellissimi occhi. 
Cerco di sistemarmi per bene sul divano e tento di riprendere in mano la situazione ma sembra proprio che la fortuna stavolta non sia a mio favore. Un’altra fitta, più debole di prima, mi colpisce e prima che possa dire – Sto bene. E’ tutto a posto. – Mi ritrovo nuovamente con le mani sul ventre. 
La paura mi invade. Paura. Paura. Solo Paura. 
Nero, nero notte, nero paura, nero come il dolore ecco come mi sento in questo momento, mi sembra che abbiano eliminato qualsiasi colore dal mondo tranne che il nero. 
Mi sento come se mi avessero fatta una doccia con la tempera nera e mi sento spenta, mi sento soffocare da tutti i terrori che ho visto e da tutto quello che sto provano in questo momento.  
Gli ibridi, le rose, gli Hunger Games, niente è paragonabile a quello che provo ora. 
Paura della morte, paura di uccidere nuovamente, paura di non essere in grado di poter dare a mia figlia ciò che gli spetta. 
Paura che qualcuno riesca a portarmela via. Paura che mettendola al mondo io stia facendo solo un grosso sbaglio. 
Paura, paura, solo paura.
Una paura più antica della vita stessa mi invade e io non posso che esserne succube. 

~ Angolo della scrittrice:
Premetto che questo capitolo è stato scritto da un'altra me stessa. (?) 
Ora vi spiego: io odio Gale, davvero non lo sopporto e non volevo che si riappacificasse con Katniss, ma la storia si è praticamente scritta da sola perciò ringraziate il mio subconscio che ha voluto creare questo capitolo. :)
L'ho scritta in due giorni ma ho avuto un po' di difficoltà nel pubblicare. 
Alla fine ce l'ho fatta perciò l'unica cosa che vi dico è: Perdonatemi se è un obrbrio! :3 
Un ringraziamento a tutti coloro che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate e le preferite, siete davvero tanti! :') 
Un bacione,
Miss Hutcherson. 

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Capitolo 14
*** Capitolo XIV ~ Sono contento che sia andata a finire così. ***


Piccola premessa: Questo capitolo è più lungo degli altri,
ma abbiate pietà di me  e non odiatemi per questo. 


Capitolo XIV ~ Sono contento che sia andata a finire così. 

 
A volte un incidente o un malessere possono essere considerati eventi positivi e non negativi.
E’ vero, si soffre, si sta male ma può anche accadere che riesca a fare qualcosa che le persone altrimenti non avrebbero il coraggio di fare come ad esempio riunire una famiglia.  
Da quando sono incinta il rapporto tra me e mia madre è migliorato, a volte è venuta a trovarmi e quando ha saputo del mio svenimento è venuta subito qui nel Distretto 12 per assicurasi che non fosse accaduto niente di grave.
A causa di questo piccolo inconveniente sono dovuta stare a letto per un po’ di giorni, sotto le sue cure e quelle di Peeta che non mi lasciava un momento da sola.
Anche se non mi è mai piaciuto molto stare a letto senza fare niente, devo ammettere che stavolta l’ho apprezzato perché nonostante il fatto che Peeta si è sempre preso cura di me, mi sono mancate le attenzioni di mia madre.
Da quando morì papà, lei smise completamente di interessarsi a me o a Prim, ho sempre dovuto pensare io a tutto: alla famiglia, al cibo, a mia sorella; lei si limitava a curare i malati che gli portavano dalle miniere. Certo faceva molto, ma non per me.
Lei faceva tutto il possibile per loro, per quelle persone che a volte non conosceva nemmeno e ora ho compreso il perché delle sue azioni.
Lei faceva tutto ciò perché non voleva che anche loro, come lei, dovessero portare sulle spalle il fardello dell’impotenza. Impotenza per non essere riuscita a salvare mio padre, impotenza per non poter riuscire a reagire perché il dolore era troppo forte, impotenza nel vedere le figlie crescere con la consapevolezza che quei maledetti Hunger Games gliel’avrebbero portate via. 
Da qualche giorno sto meglio e mia madre è tornata nel Distretto 4 per un’emergenza. Prima di andarsene però ha fatto promettere a Haymitch, Sae, Peeta e me che se mi fossi sentita male nuovamente sarebbe stata avvertita all’istante.
Il mese in cui Gale, è stato qui è quasi terminato e non ci parliamo da molto forse per colpa di quello che è successo o forse perché semplicemente non abbiamo il coraggio di parlarci.
Pensavo che avesse capito che voglio che torni ad essere un mio amico, che mi dispiace se per tutti questi anni si è sentito in colpa per la morte di Prim, ma come al solito le parole non sono il mio forte perciò non posso sperare che abbia intuito qualcosa.
Me ne resto sulla veranda di casa cullata dalla brezza primaverile in attesa che torni Peeta. Osservo il cielo mentre con una mano mi accarezzo il ventre.
Ad un tratto sento dei passi, mi volto per vedere chi sia e spero che davanti a me trovi il volto di mio marito ma non è così.
Ad aspettarmi invece ci sono due occhi grigi da giacimento circondati da un po’ di rughe e dei capelli che stanno diventando sempre più bianchi. – Haymitch che ci fai qui? Vuoi ancora del liquore bianco, ubriacone che non sei altro?! –
Il mio ex mentore mi sorride leggermente, sbeffeggiandomi – Buona giornata anche a te dolcezza! No in realtà al liquore bianco ci ha già pensato Gale, solo che non è ancora tornato perciò volevo chiederti se potevi andare a cercarlo tu. Insomma era il tuo migliore amico, tu sai dove gli piaceva andare quando abitava ancora qui. –
Lo guardo stupita, non so cosa rispondere, per quale motivo dovrei andare io a cercarlo? Cioè sì, io so dove potrebbe essere ma perché devo proprio andare io?
Così mi limito a ribattere dicendo – Non so Haymitch, Peeta potrebbe preoccuparsi se tornando non mi trovasse a casa e poi mi ci vuole sempre tanto per camminare per colpa sua. – dico indicando il pancione.
- E dai dolcezza sai che non sono il tipo da pregare una persona! E sai che non resisto senza una bottiglia di liquore bianco a farmi compagnia! Vai a cercarlo dai. – dice ancora con tono brusco.
Rimango ancora per qualche secondo indecisa sul da farsi, non so se la cosa migliore sia fare un favore a Haymitch e cercare Gale oppure aspettare l’arrivo di Peeta e assistere ad una crisi di Haymitch che vuole il suo liquore.
Credo che la prima sia la scelta migliore perciò accetto. – Haymitch mi raccomando, se dovesse arrivare Peeta digli che sono andata a cercare il tuo benedetto liquore va bene? –
Lui mi guarda sorridendomi, finalmente soddisfatto per avermi fatto cedere. – D’accordo dolcezza. Buona ricerca allora. –
Prendo la giacca di mio padre e la indosso, poi mi dirigo fuori dal vialetto del Villaggio dei Vincitori per andare in piazza.
Cammino tra le persone, osservando i cambiamenti che sono stati fatti nel corso del tempo, la strada è stata lastricata nuovamente, il nuovo Palazzo di Giustizia sorge imponente e anche i negozi or sono fiorenti anche se il Distretto è sempre caratterizzato dal suo perenne colore grigio che non lo abbandona mai.
Nella piazza stanno costruendo dei monumenti per ricordare ciò che è accaduto, per ricordare gli Hunger Games, per non dimenticare il sacrificio di tante vittime, per tenere bene a mente che con una ribellione siamo riusciti a tornare alla pace e alla vita.
Cerco Gale, ma non lo vedo, né tra i lavoratori né tra le persone nei negozi. Ad un tratto un fulmine a ciel sereno mi colpisce: E se fosse andato nei boschi? Non ho bisogno di una risposta, so per certo che questa è sì. Non so che fare. Peeta non vorrebbe che andassi e dopo la litigata che abbiamo fatto per la volta in cui sono andata a caccia nelle condizioni in cui trovo non ci siamo parlati per un po’.
Non voglio rivivere tutto questo, non questa volta.
Me ne resto un altro po’ ferma ad osservare la folla, senza dire una parola.
Poi mi decido, arriverò fino al confine tra il Distretto e il Prato, se riuscirò ad intravederlo entrerò nei boschi altrimenti tornerò a casa e dirò ad Haymitch di prenderselo da solo il liquore bianco.
Cammino un po’ e quando arrivo nel punto in cui prima c’era il filo spinato mi sporgo leggermente per cercare di avvistare la figura di Gale.
Quando lo vedo, lo chiamo a gran voce, lui si gira, mi osserva per un momento ma poi si volta e si allontana.
Perché se ne va? Perché quando ha sentito la mia voce non è venuto verso di me? Io voglio solo chiarire, voglio fargli capire che lo voglio ancora come amico.
Faccio un passo sul terreno e subito vengo assalita da un sento di inadeguatezza, in questo momento sto camminando sopra la tomba della mia gente, delle persone che sono morte a causa mia.
Se solo potessero ancora essere qui credo che cercherebbero di farmi sprofondare nella terra, di sommergermi fino a farmi soffocare.
Cerco di allontanarmi dal posto in cui mi trovo e di aggirarlo, in questo modo riesco ad entrare nei boschi passando da un’altra parte ma per fare tutto ciò ho perso di vista Gale e adesso devo cercare di trovarlo se voglio portare il liquore a Haymitch.
Cammino tra le foglie che ricoprono perennemente il terreno, il profumo dei fiori che sbocciano mi riempie le narici e io lo aspiro a fondo, la luce penetra dalle fronde degli alberi che adesso solo rigogliosi e verdi, come un tetto che sovrasta tutto il mondo dei boschi e che lo protegge dall’accesso di esterni dall’alto.
Sono talmente distratta che non mi accorgo della presenza di qualcun altro se non quando sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
Al contatto rabbrividisco e vi volto spaventata, già intenzionata a scappare prima di ritrovarsi in serio pericolo, ma il volto che vedo mi è familiare e quindi mi rassicuro velocemente.
- Catnip, non pensavo di spaventarti così tanto! Ricordati che non devi mai abbassare la guardia. – questa frase mi fa sorridere, me la ripeteva sempre tutte le volte che andavamo a caccia, specialmente nei primi tempi quando dovevamo abituarci a vicenda della presenza dell’altro.
Gale mi sorride e io ricambio il sorriso. – Beh… almeno io non scappo come un coniglio quando qualcuno mi chiama. – ribatto bruscamente.
 – Non stavo scappando, avevo bisogno di un po’ di tempo per stare da solo, in pace e tranquillità. –  mi risponde. – Ah, capisco. Ti mancano i boschi non è vero? – vedo il suo volto rabbuiarsi. Centrato in pieno. Il suo habitat naturale è sempre stato questo, sicuramente non si sarà sentito a suo agio nel 2, almeno non per i primi tempi visto che lì il bosco è diverso.
–Sì, è così. Diciamo che non è stato tutto rose e fiori quando mi sono trasferito. Lì non c’è un bosco come questo. – si zittisce un momento e inizia a riflettere. Probabilmente starà ripercorrendo con la mente tutto quello che a passato nel Distretto 2. I minuti passano e ancora non parla, questo silenzio si fa sempre più pesante e io sono sempre più a disagio. Inizio ad osservare un fiore, è semplice delicato come un bambino, il paragone mi fa sorridere, ad un tratto sento la sua voce illuminarsi. – O meglio sì c’è… ma non sa di casa, non mi trasmette nessuna sicurezza, nessun senso di protezione e poi mi mancavi tu. Era tutto diverso senza te. – Si ferma di nuovo come se aspettasse un mio intervento nella frase, una mia risposta che però non arriva. Non sono mai stata capace di esprimere a parole tutto ciò che volevo dire e con Gale poi, la cosa diventa ancora più complicata.
Lo guardo aspettando che continui e quando capisce che non arriverà da parte mia nemmeno un flebile suono continua. - Stare nei boschi da solo, era una sensazione strana. Da quando avevamo deciso di andare insieme a cacciare, non l’avevo mai più sperimentata, se non quando hai fatto gli Hunger Games ovvio, e il mio cervello l’aveva praticamente rimossa come cosa. –
Questa confessione mi lascia con l’amaro in bocca, eravamo sempre stati una squadra e ora invece ci rincontravamo e ci parlavamo come se fossimo degli estranei. Con qualche parola messa in fila riesco a chiedergli di raccontarmi come era la vita nel suo Distretto. Lui acconsente e mi dice che passava le ore a lavorare per evitare di pensare, per riuscire a vivere, anche se passivamente, una vita che non lo facesse sentire sempre solo uno sporco assassino.
Continuiamo a parlare mentre ci avviciniamo al punto in cui stavamo sempre quando andavamo a cacciare insieme. Ci sediamo sulla roccia dove girai il pass-pro con Cressida e continuiamo a chiacchierare alternando minuti di parole a lunghi minuti di silenzio.
Dopo circa mezz’ora mi ritorna in mente il motivo per cui sono qui: il liquore bianco del mio ex mentore.
Così gli domando – Scusa Gale, ma Haymitch mi aveva detto che eri andato a prendere il suo liquore bianco perché aveva finito la scorta. Dove hai messo le bottiglie? –
Lui mi guarda sbalordito e confuso sgranando gli occhi. – Le bottiglie? Il liquore bianco? Catnip ma cosa stai dicendo? – Ora è il mio turno di rimanere a bocca aperta.
Rimaniamo in silenzio per qualche minuto e rimuginiamo sulla situazione, poi quasi all’unisono diciamo – Si è inventato tutto! –
Ci osserviamo e poi mi dice – Penso che l’abbia fatto a posta sai? Voleva che ci parlassimo e così sì è inventato questa scusa. – Sì, è probabile. Niente è da escludere con lui sapendo che è stato un mentore degli Hunger Games per diversi anni e che ha partecipato al salvataggio dei tributi nella Terza Edizione della Memoria.
Gale continua rivelandomi qualcosa di veramente sbalorditivo – Tu non lo sai ma il liquore bianco glielo porta Effie ogni settimana e lei rimane a casa sua per due o tre giorni, poi prende il treno e riparte. Me lo ha detto mentre era sbronzo. –
Effie e Haymitch insieme? Cioè nella stessa casa? Per più di un giorno? La cosa mi stupisce veramente.
Loro due, così diversi, così acidi l’uno nei confronti dell’altra, opposti come il giorno e la notte ora passano qualche giorno insieme ogni settimana e io non mi sono mai accorta di niente. Chissà se Peeta ha visto o saputo qualcosa.
Ormai la mia mente non fa altro che collegare immagini di Effie e Haymitch insieme in qualsiasi circostanza ed è grazie alla voce di Gale se non entro definitivamente in paranoia.
– Beh…adesso che lo sai non devi più preoccuparti per lui, né per il suo liquore tanto ci pensa quel confetto di signora. – A Gale non è mai stata molto simpatica Effie, forse perché era lei che estraeva i tributi alla Mietitura e se devo essere sincera, per un po’ anche io l’ho odiata ma poi ho capito che non era colpa sua, che era costretta, che a Capito City la gente non era tutta crudele, era solo manipolata da chi era al Governo e che veniva educata fin da piccola ad amare quegli stupidi Giochi.
Non voglio più pensare ai terribili ricordi che pullulano nel mio passato così cerco qualcosa da dire per sviare. – Senti Gale, ma tu…. Voglio dire… - mi rimane difficile formulare la frase perché sono cose private però è l’unica idea che mi sia venuta in mente e ormai non posso evitare di chiedere.
Deglutisco nervosamente e cerco di riformulare la frase. – Cioè… sono passati quindici anni e non vivi più in questo Distretto perciò… - E’ sempre stato così difficile per me parlare di certe cose e con Gale lo è ancora di più, ma lui sembra capire e così mi corre in aiuto. – Vuoi sapere se ho trovato qualcuno da amare Catnip? –
Faccio un sospiro di sollievo perché è riuscito a capire senza che io mi imbarazzassi troppo. Sorrido leggermente in risposta e così lui mi racconta. – Sì. Dopo qualche anno che mi ero trasferito nel Distretto 2, Johanna è venuta a casa mia. Prima veniva ogni tanto, giusto una volta a settimana per sapere come stavo. Poi le sue visite si sono fatte sempre più frequenti e più insistenti e alla fine abbiamo imparato a convivere e a sopportarci a vicenda. – Riprende fiato un attimo mentre vedo le sue guance arrossire leggermente. Si passa una mano tra i capelli come quando è nervoso e poi continua – Insomma, sai come vanno queste cose. Alla fine ci siamo fidanzati e abbiamo deciso di abitare insieme. – Lo guardo con un velo di tristezza. Sono felice per loro, ma da quello che ha raccontato sembra che lui abbia scelto lei solo per ripiego e non perché la ami veramente e questo mi dispiace. Gale sembra accorgersene e così mormora. – Da come ho parlato sembrerebbe che io non la ami, ma ti assicuro che non è così. Noi stiamo bene insieme e ci amiamo molto, certo non è la stessa cosa che provavo per te, ma per quanto mi riguarda quello che sento per lei non può essere descritto con una parola migliore se non: AMORE. – Questa risposta mi fa tremare, ho come la sensazione che lui mi abbia letto nella mente e mi mette a disagio.
Rimango nuovamente in silenzio rimuginando sulle sue parole e una frase si formula nella mia testa, una domanda, a cui ho bisogno di avere una risposta, una semplice domanda che al suo interno contiene un milione di dubbi.
- Gale, ma tu hai mai odiato Peeta? – Le mie labbra si muovono prima ancora che io me ne renda conto. – Per colpa mia, intendo. – aggiungo velocemente.  Lui mi guarda negli occhi, abbassa lo sguardo e osserva il mio pancione, infine risponde – No, non lo odiavo. Lui era innamorato della stessa persona che amavo io ma non per questo lo odiavo. Purtroppo al cuore non si comanda. – Ammette con un pizzico di amarezza. Poi continua – Però non mi sarei mai arreso, non ti avrei mai lasciata nelle sue mani se non avessi avuto la certezza che questa sarebbe stata la cosa migliore per te. Ma quando ho capito che anche tu eri realmente innamorata di lui, ho dovuto gettare la spugna e mettermi da una parte per consentirti di avere una vita felice della quale io non potevo far parte. –
La sua risposta mi lascia senza parole.
Lui non aveva nessun rancore verso Peeta, quello che io credevo fosse odio era in realtà il frutto dei miei gesti, delle mie azioni e alla fine aveva anche capito che ero innamorata del ragazzo del pane.
Ma un dubbio mi si infiltra nei pensieri: Come ha fatto a intuire la verità se neanche io ne ero al corrente? Così, ancora incerta domando – Come l’hai capito? –
Gale mi osserva, riflette un po’ poi si decide a darmi la risposta che tanto aspettavo. -  L’ho capito quando eravamo all’ospedale. Mi stavano medicando ma potevo benissimo vedere il corridoio e ti osservavo, osservavo ogni tuo movimento, ogni tua espressione. Tu… tu eri preoccupata per me, ma quando hai saputo che Peeta era sano e salvo e che era lì ad aspettarti il tuo volto si è illuminato di una gioia che è difficile da descrivere. Non ti avevo mai vista così felice, e un po’ ne ero geloso perché io non ero mai riuscito a farti sorridere così tanto in tutti questi anni di amicizia. Tu hai iniziato a correre, letteralmente, a braccia aperte verso di lui come se ti aspettassi che da un momento all’altro lui ti baciasse ma purtroppo ancora nessuno ti aveva informato della situazione e poi… beh, sai come sono andate le cose. –
Dopo aver sentito il suo racconto rimango scioccata, allora ero veramente l’unica a dubitare del mio amore per Peeta, tutti ormai lo davano per scontato e pensavano che non fosse una recita ma che fosse la realtà. Ma per farlo capire a me, ho dovuto soffrire, hanno dovuto trasformare Peeta, cambiarlo, farlo diventare un'altra persona e tutto questo solo per farmi capire che in realtà io ero innamorata di lui.
Mi sento una vigliacca, non mi sento all’altezza né del suo amore nei miei confronti né del fatto che nel mio grembo ci sia sua figlia. Lui meritava certo di meglio, io non lo merito e mai lo meriterò.
Cerco di non far notare troppo la mia delusione e così con un velo di ironia rispondo – Ah, fantastico! Quindi alla fine sembra proprio che se ne fossero accorti tutti tranne me, ottimo direi! –
Gale ridacchia un po’.
Rimaniamo seduti sulla roccia, ci diamo le spalle, io mi appoggio con la schiena alla sua e appoggio le mani sulla mia pancia mentre osservo la natura tutta intorno a me.
Osservo gli aghi di pino che coprono la luce del sole, osservo le foglie verdi delle fronde degli alberi che sono in fiore. Annuso a pieni polmoni il profumo di gelsomino che c’è nell’aria e anche  l’aroma di selvaggina.
La vecchia Kat avrebbe dato di tutto per passare una giornata a cacciare in un periodo così bello, purtroppo il mio pancione non la pensa allo stesso modo e perciò mi devo accontentare di stare ferma, seduta su una roccia a perdermi tra i miei pensieri e nella bellezza della natura.
Ad un certo punto sposto lo sguardo e scorgo una sagoma che mi sembra familiare. Metto meglio a fuoco ed osservo con più attenzione. Quando capisco chi è, inevitabilmente un sorriso mi si forma sulle labbra. Peeta, con accanto una Effie molto agitata, ci sta venendo incontro.
Anche lui mi sorride e quando arriva davanti a me, mi saluta con un bacio sulla testa. Si rivolge poi al mio compagno di viaggio.  – Ciao Gale. Ho saputo che Katniss era venuta a cercarti sotto commissione di Haymitch e così io ed Effie abbiamo colto l’occasione per venirti a salutare. –
Detto questo la mia ex accompagnatrice mi saluta dicendo – Tesoro, cara! Ma che bella pancia che abbiamo messo su! Sei davvero un incanto! –
- Ciao Effie! – dico cercando di essere gentile e abbracciandola.
- Allora, caro – inizia rivolgendosi a Gale – ho saputo da Haymitch che oggi è il gran giorno! Torni a casa non è così? –  domanda, pettegola come sempre.
– Sì, è così. Devo tornare nel Distretto 2 perché c’è da svolgere un lavoro importante e hanno bisogno di me, e poi il mio mese qui è terminato perciò sarei comunque tornato a casa. – spiega velocemente.
La sua risposta mi rattrista, avrei voluto passare un po’ più di tempo con lui, ma non abbiamo mai avuto il coraggio di parlare e adesso ci dobbiamo accontentare di questa misera giornata.
- Allora Gale, sembra proprio che sia venuto il momento di salutarci. Ti possiamo accompagnare alla stazione ti va? – propongo.
– Sì Catnip mi farebbe molto piacere. – risponde lui.
Senza dire altro prendiamo le nostre cose e tutti e quattro ci incamminiamo verso il Distretto salutando silenziosamente il luogo di pace e serenità alle nostra spalle.
Camminiamo per un po’ fino ad arrivare alla stazione, aspettiamo l’arrivo del treno e così abbiamo il tempo di salutarci per bene.
La prima ad abbracciare Gale è Effie che dice – Buon rientro a casa e salutami Johanna, d’accordo? – Per tutta risposta il mio ex compagno di caccia mormora – Grazie Effie, senz’ombra di dubbio le manderò i tuoi saluti .-  sembra aver concluso la frase ma poi continua – Ah… quasi dimenticavo, salutami Haymitch! –
Mi volto in direzione della mia ex accompagnatrice e la vedo arrossire violentemente e poi balbettare un sì molto tremolante. Molto strano come comportamento, non è di certo da lei. Deve essere proprio innamorata per avere una reazione simile.
Poi anche Peeta lo saluta – Allora, a presto Gale! Perché tu e Johanna non venite a trovarci all’ospedale quando la bambina sarà nata? –
Vedo il mio amico arrossire lievemente, ma poi si ricompone subito e risponde – Certamente. Verremo a trovarvi, e magari dopo potreste venire tutti e tre da noi. –
Mio marito accetta e poi si sposta al mio fianco per permettere a Gale di salutarmi.
Ci abbracciamo e con un sussurro lo saluto – Venite a trovarci in ospedale, seriamente intendo. Saluta anche Hazelle, Rory e Posy e ricordati che nonostante tutto io ti voglio bene. –
- Anch’io Catnip, ti ho sempre voluto bene e sempre te ne vorrò, cercherò di venire se il lavoro me lo permette. – Sto per allentare la stretta perché ormai il treno è arrivato ma Gale dice ancora un ultima cosa – Sai, sono contento che sia andata a finire così. Tu e Peeta siete fatti l’uno per l’altra. –
Una lacrima scorre sulla mia guancia e senza farmi scoprire da nessuno me la asciugo velocemente, poi lui sale sul treno e noi lo salutiamo sventolando la mano.
Rimaniamo in attesa che il treno parta e quando vediamo l’ultimo vagone girare l’angolo sulle rotaie, ci dirigiamo verso il Distretto: Effie alla mia sinistra e Peeta alla mia destra che mi tiene una mano sul fianco.
Faccio pochi passi, giusto il tempo di arrivare alla cancellino che delimita la stazione con la strada principale, che sento i miei pantaloni bagnarsi come se mi fossi fatta la pipì addosso.
Sbarro gli occhi, mi irrigidisco e mi fermo immobile.
Anche Peeta si ferma preoccupato da questa mia azione, si volta verso di me, mi prende una mano e poi con voce agitata mi dice – Kat, Kat, che succede? Rispondimi, di’ qualcosa! Che è successo? –
Con un filo di voce rivelo ciò che ho appena capito. – Peeta… - prendo un respiro mentre lo guardo con gli occhi spalancati dall’ansia. – Credo che mi si siano appena rotte le acque. –

 
Angolo della scrittice: 
 
Allora, visto che ormai siete arrivati fin qui (si spera. -.-"), vi ruberò solo qualche altro minutino. 
Innanzitutto vorrei ringraziarvi per il vostro sostegno, per le vostre recensioni e per aver messo la mia storia tra le seguite/ricordate/preferite. Grazie mille davvero. <3 
Secondo di poi, mi vorrei scusare con voi perché ho scritto davvero tanto, TROPPO, direi. Vi prometto che non scriverò mai più così tanto. :D Solo che ormai manca poco alla fine, ancora due capitoli e poi tutto sarà concluso e per non stravolgere troppo i miei piani ho dovuto concentrare molte mie idee in questo MEGA-CAPITOLO.
Infine vi vorrei dire che l'idea della relazio tra Gale e Johanna non è tutta farina del mio sacco, ma mi sono fatta convincere dal mio angelo custode. ( non c'è bisogno di dire il suo nome,lei sa chi è.)
Bene direi di aver detto tutto. 
Un bacione,
Miss H.

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Capitolo 15
*** Capitolo XV ~ L'ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore. ***


Dirò solamente tre cose prima di iniziare:
~ anche stavolta ho scritto tanto,troppo, chiedo venia. >.<”
~ Questo capitolo è dedicato a due persone fondamentali nella mia vita:
il mio angelo custode (la mia Jude) e il mio fiorellino sclerotico che tanto amo.
Grazie ragazze, perché senza di voi non sarei mai diventata quello che sono.
~ sappiate che ho cercato di rimandare questo momento il più possibile
perché non mi sento all’altezza, però ormai il dado è tratto
e a me non resta altro che giocare.

 

Capitolo XV ~ L'ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore. 

Cerco di fare qualche passo in avanti e penso che tutto stia andando bene, e invece appena oltrepasso il cancellino della stazione sento una fitta colpirmi al basso ventre.

Istintivamente poggio una mano sul pancione e con l’altra mi tocco la schiena, mi sento mancare il fiato, cerco di non urlare ma il dolore è troppo forte e alla fine un gemito mi scappa dalle labbra.

Peeta si ferma e viene subito in mio aiuto, mi tiene la pancia mentre con l’altra mi accarezza la schiena. – Kat, Kat va tutto bene, è la bimba che vuole uscire, non ti preoccupare. – mi dice con tranquillità, ma dalla sua voce si capisce benissimo che è più agitato di me.

Conto fino a sessanta ma il dolore non passa.
Stringo i denti cercando di essere forte, sia per Peeta, che sembra stia per andare nel panico più totale, sia per lei, per la mia piccola Dandelion.
Effie si avvicina a me e sussurra con il suo solito trillo nella voce – Tranquilla cara, sono le contrazioni. Conta fino a sessanta ogni volta che senti una fitta e cerca di fare dei respiri molto profondi. –
Mi volto verso di lei con gli occhi spalancati. Da quando Effie Trinket, una semplice accompagnatrice che non ha mai fatto altro nella vita se non pescare qualche bigliettino in un’ampolla, sa come gestire un imminente parto?
Ancora sconvolta mormoro – Le contra- che? – lei mi sorride leggermente e poi la sua solita e inossidabile compostezza risponde – Le contrazioni, sono le fitte di preparazione al parto, sono quelle che servono a far uscire il bimbo dal grembo materno. –
Sembra un enciclopedia aperta su questa materia e più mi risponde più mi lascia a bocca aperta.
Con un tremito nella voce mormoro – Peeta…dobbiamo andare all’ospedale, subito. – lui pallido in volto risponde – Sì, certo. – Un’altra fitta mi colpisce e io mi accascio a terra, non credevo di poter provare così tanto dolore e pensare che il parto sarà ancora peggio mi mette i brividi. Peeta che non mi ha lasciato per un momento mi mormora – Avanti Kat, ce la puoi fare, su. Adesso di prendo in collo, cerchiamo una panchina dove farti stendere e tu ed Effie mi aspettate lì mentre vado a vedere l’orario del prossimo treno per il Distretto 4. – Detto ciò mi aiuta per alzarmi da terra e poi mi prende delicatamente tra le sue braccia.
Sono veramente stupita dalla sua forza, non credevo che fosse in grado di tenermi in collo seriamente. Peeta vaga per la stazione con me in collo ed Effie al suo fianco, mentre cerca una panchina. Appena la trova mi appoggia lì con la sua solita delicatezza e poi si allontana da noi.
Mentre aspetto una nuova fitta mi costringe a piegarmi sul ventre e con il fiato mozzato riesco solo a dire – Ti prego Dandelion, non mi fare questo, se mi vuoi bene, non fare male alla tua mamma. Ti prego. –
Sento gli occhi che iniziano a pungermi, credo che scoppierò in lacrime dal dolore e questo mi fa sdegnare. Credevo di essere più forte, di non essere così fragile, di saper controllare le mie emozioni e di essere in grado di sopportare il dolore fisico e invece mi trovo a scoprire che non è così, che la guerra ti cambia, ti cambia nel profondo e ti lascia delle ferite che non sempre possono essere guarite.
Quando ho un momento di pace, alzo la testa e vedo Peeta di ritorno. E’ agitatissimo, chiunque anche un estraneo potrebbe capirlo. Si torce le mani più di una volta, mentre mormora  – No, non è possibile. Non può essere vero. E’ inaccettabile. –
- Peeta… - lo chiamo con voce tremula, lui si gira subito – Dimmi Kat. – Nel suo tono di voce, c’è paura, rabbia e nervosismo. –Cos’è inaccettabile e perché ti stai torturando le mani? – chiedo. – Kat, ecco…. – cerca di perdere un po’ di tempo passandosi una mano tra i capelli. – Cosa c’è che non va? – domando ancora insistente. – Non ci sono treni. Il treno che ha preso Gale era l’ultimo. Non ci sono treni fino a domani mattina. –
 
Non ci sono treni fino a domani mattina.
Questa frase mi colpisce in pieno, per un momento mi sento mancare l’aria.
Non ci sono treni e questo vuol dire che non posso andare all’ospedale, la bimba deve nascere qui, in questo posto freddo e triste e soprattutto, io dovrò fare tutto da sola, senza l’aiuto di mia madre.
Non posso crederci, non posso permettermi di pensare a ciò. No, lei non nascerà qui, non posso partorire qui, non senza mia madre, non senza l’aiuto di nessuno.
Rimango in silenzio, chiusa nei miei pensieri, e vengo risvegliata dalla voce di Effie che dice con voce seria e per una volta non civettuola – Tesoro, sai c’è un’infermiera brava qui nel Distretto 12, e poi ora che c’è la farmacia ci sarà sicuramente qualcuno in grado di aiutarti. – Mi accarezza i capelli con fare materno.
No, non l’accetto, io devo andare all’ospedale, non ho scelta, qui rischieremmo solo di morire entrambe. – No, non voglio partorire qui. – Peeta si siede accanto a me e mentre mi massaggia la pancia dice con voce vellutata, la stessa che usa quando vuole convincermi. – Kat, Effie ha ragione, ora che c’è la farmacia ci sarà sicuramente qualche infermiera disposta ad aiutarci. Insomma, chi non vorrebbe dire: ho fatto partorire la Ghiandaia Imitatrice! – cerca di sdrammatizzare, è ovvio ma io non ci casco.  
Ora inizio veramente ad infastidirmi, ho dei dolori atroci e voglio solamente poter partorire in santa pace in una stramaledetta clinica nel Distretto 4, cosa c’è di difficile da capire?
– Peeta, per quanto bello potrebbe essere per questa fortunatissima infermiera, io non ho la minima intenzione di rimanere un minuto di più qui! Trova una soluzione! – Sto urlando dal dolore, ma non mi interessa. Voglio andare all’ospedale.
- Ma Kat, cosa posso fare, siamo bloccati qui, non ci sono treni, non possiamo arrivare all’ospedale volando, lo sai vero? – dice preso dal panico. Sto per ribattere qualcosa quando vedo i suoi occhi illuminarsi. – Volando. Ma certo! – mormora sottovoce. Io ed Effie lo guardiamo interrogative e così lui ci spiega. – Effie, vai a casa di Haymitch, cerca nel secondo cassetto a sinistra la rubrica, trova il numero di Annie, chiamala e dille di chiedere a Plutarch un hovercraft. –
– Certo, vado subito. – Effie si alza in piedi in un attimo, si dà una sistemata alla gonna che ha subito delle pieghe, e poi si incammina per andare da Haymitch.
Peeta però la richiama un’altra volta – Effie, mi raccomando dille che è urgente e che devono fare in fretta. – Lei fa un cenno di assenso con la testa e poi si allontana rapida.
Mi sorprendo della velocità con cui cammina, io non riuscirei mai ad essere così veloce camminando su dei tacchi così alti.
Aspettiamo che Effie faccia il suo dovere standocene accoccolati sulla panchina.
Peeta che mi massaggia la pancia e mi mormora parole dolci all’orecchio, ogni tanto mi dà anche qualche bacio d’incoraggiamento ma sono troppo presa dal dolore per essere partecipe dei suoi baci.
 
Il tempo passa, saranno circa quaranta minuti che aspettiamo e ancora non è arrivato nessuno.
Non c’è traccia né di Effie né di qualche hovercraft.
I dolori sono sempre presenti, impedendomi di avere il tempo per respirare, è come se avessi mille coltelli lanciati da Clove, conficcati nel basso ventre.
Come se mille ibridi mi stessero lacerando dall’interno e io stringo i denti per non urlare, fino a sentire la mascella e la mandibola talmente contratte da farmi male.
Sono le otto di sera circa quando scorgo la figura di Effie e in contemporanea sento un ronzio sopra la testa. Lei si avvicina a noi – Scusate, ho fatto il prima che ho potuto, stanno arrivando. –
Il ronzio si fa sempre più rumoroso ed insistente, spero sia un hovercraft ma non ho il coraggio di alzare la testa per non essere delusa.
Ringrazio Effie con un mezzo sorriso mentre continuo a massaggiarmi la pancia.
Anche Peeta si accorge del ronzio e alzando lo sguardo al cielo vede la navicella che è venuta a prenderci. – Kat, ce l’abbiamo fatta! Eccoli finalmente! – rincuorata alzo la testa anche io e vedo l’hovercraft che sta cercando di abbassarsi il più possibile di quota per permetterci di salire.
Ad un tratto si immobilizza e da una fessura vediamo scendere una scaletta, quando questa si ferma vediamo scendere i gradini una figura a noi molto familiare.
Plutarch.
E’ ingrassato un po’ dall’ultima volta che l’ho visto, le sue guance sono piene e coperte da un leggero rossore mentre il corpo è molto rotondeggiante.
Sorridendoci e tendendoci una mano dice – Abbiamo cercato di sbrigarci ma non è stato facile, forza salite su che vi portiamo velocemente all’ospedale, a quanto pare qui abbiamo le ore contate, eh Katniss? – Io annuisco lievemente e con l’aiuto di Peeta inizio a salire la scalettino. Lui mi tiene la mano e mi regge da dietro mentre con l’altra mi sostiene Plutarch.
Mi volto per vedere se Effie sta salendo e invece scorgo con mia sorpresa che è rimasta giù a terra. Quando si accorge del mio sguardo dice – Katniss non ti preoccupare sei in buone mani, fidati. Io ed Haymitch vi raggiungeremo tra poco, ma ora pensa alla bimba. –
Le mimo un grazie con le labbra e poi non vedo più i suoi vestiti rosa perché vengo spinta dentro l’hovercraft.
Quando entro dentro, tutto diventa molto caotico sento la stretta di Peeta che non mi ha ancora lasciato la mano, vengo distesa su una specie di lettino e trasportata in una stanza asettica, bianca, che assomiglia molto a quella di un ospedale. Mi volto e vedo mio marito sorridermi e sussurrare
- Tranquilla, Kat ce la farai. – Sto per ribattere qualcosa ma sento un tocco freddo alla gamba e così mi volto impaurita. Quello che vedo sono dei capelli biondi misti a molti altri bianchi, delle mani esili mi stanno levando i pantaloni e quando questa persona alza lo sguardo capisco che è mia madre. In questo momento tutto l’odio che provavo per lei, svanisce, non c’è più un minimo di rancore, lei mi sta salvando la vita e mi sta aiutando, cosa che in tutti questi anni non aveva mai fatto. Mi sorride per poco tempo, giusto un secondo, poi assume nuovamente la sua espressione seria.
– Allora Katniss, dobbiamo vedere a che punto sei, Annie mi ha detto che ti si sono appena rotte le acque il che vuol dire che non abbiamo molto tempo, quindi devo farti un controllo veloce. – dice con fare esperto.
 – Annie è qui? – domando io.  – Sì, è qui ma ora la cosa di cui ti devi preoccupare non è chi c’è in questo maledetto aggeggio ma come sta la bimba. Quindi ora rilassati e finisci di levarti i pantaloni. – Faccio come ha detto mia madre e aspetto che faccia qualcosa. Mi fa piegare le gambe, cerca di avvicinare la testa alle mie cosce per vedere come sta la bimba e se sta già cercando di uscire, quando un’altra contrazione mi colpisce violentemente e io, del tutto impreparata, non riesco a trattenere un piccolo urlo. Stringo i denti e chiudo gli occhi sperando che passi il prima possibile, inizio a contare ma non passa. Faccio dei respiri profondi per vedere se questo fuoco che mi sta divorando al basso ventre riesce ad attenuarsi.
Ad un tratto, senza alcun preavviso tutto finisce e il dolore si placa, apro gli occhi e vedo mia madre che mi osserva con uno sguardo crucciato. – A quanto pare Kat le acque non ti si sono ancora rotte, hai solamente delle piccole perdite perché la placenta si è staccata. – dice con tono neutro.
Le acque non ti si sono ancora rotte.
Come può essere vero? Io sto sentendo male, non è possibile, non può essere così altrimenti non sentirei così male.
Guardo sconcertata mia madre, mentre mi si forma un groppo alla gola di delusione e di senso di colpa. A quanto pare allora è un falso allarme, devo ancora patire un altro po’ prima di riuscire a vedere il volto della mia bambina.
Abbasso lo sguardo sperando di esser lasciata sola e invece sento la voce di mia madre che continua dicendo – Tuttavia, sei già dilata di tre centimetri e questo vuol dire che sei appena entrata in travaglio. – Alzo la testa e la osservo allibita. – In travaglio? Quindi ora cosa succederà? – domando. – Tranquilla, non devi allarmarti, in travaglio vuol dire che hai ha cominciato ora la fase iniziale del parto, entro stanotte potrai tenere in mano la piccola Dandelion. –
Un sorriso si forma sulle mie labbra, ma ciò dura solo un momento perché poi realizzo che quindi stasera e stanotte soffrirò molto e un senso di paura mi invade.
Impallidisco al solo pensiero, io non ho mai voluto figli perché non ci ho pensato un po’ di più? Perché mi sono lasciata trasportare dal desiderio e dalla debolezza?
Mentre rifletto entra nel mio campo visivo il volto di Peeta e capisco la risposta a tutte le domande: l’ho fatto per lui, per dimostrargli il mio amore, perché lui merita di diventare padre, perché lui ha perso la sua famiglia, ha perso i suoi ricordi solo per amore, per l’amore che prova nei miei confronti.
Quando sento la sua voce che mi rassicura e il suo caldo abbraccio comprendo a pieno che per quanto pauroso e doloroso possa essere il parto, io non posso che aspettarlo con ansia perché finalmente riuscirò a coronare il suo sogno, anzi mi correggo, il nostro sogno.
Sposto la testa e cerco le sue labbra, quando le trovo non posso resistere e d’impulso le sfioro con le mie. Quando ci baciamo sento tutta la dolcezza che Peeta mi dimostra con i suoi baci e la fame aumenta come sempre. Un sorriso si forma sulle mie labbra quando sento la sua mano che mi fa il solletico sulla pancia gonfia, con la mano cerco il suo polso e quando lo trovo stringo leggermente la presa per fermarlo.
Ci stacchiamo di mala voglia nel momento in cui sentiamo la voce di Annie. – Katniss, Peeta… - lei ci vede ancora vicini e si immobilizza sulla porta. – Oh…scusate, scusatemi tanto… io… sì io ora vado. – E si volta per andare via, ma la blocco dicendo – No, Annie scusaci tu, dicci pure. –
Si gira nuovamente e con un filo di rossore sulle guance mormora – Ecco, volevo avvisarvi che manca poco all’arrivo perciò preparatevi perché tra poco saremo in ospedale. –
La ringrazio e mi sistemo, poi con l’aiuto di Peeta mi alzo, cerco di staccarmi da lui, ma una nuova fitta, più dolorosa di prima mi fa piegare le gambe e io mi devo aggrappare nuovamente a lui.
 
Siamo appena atterrati, sto cercando di camminare ma non riesco a reggermi in piedi da sola per il dolore e così dopo quattro soste davanti alla porta, mia madre ed Annie sono costrette ad entrare in ospedale per farmi portare in sala parto d’urgenza con una barella.
Mi caricano su questo lettino che viene spinto da due infermieri, probabilmente dei colleghi di mai mamma visto che parlano con lei in maniera cordiale e amichevole. Peeta continua a tenermi la mano nonostante io sia sdraiata e più volte mi ripete che andrà tutto bene e che non mi succederà niente di male.
Arrivati alla porta della sala parto i dolori mi lasciano qualche minuto per respirare così chiedo di parlare da sola con Peeta. Tutti mi guardano stralunati ma quando io mi abbraccio stretta al mio uomo del pane si lasciano convincere anche se prima di lasciarci soli mi fanno promettere di fare veloce.
Ci stacchiamo e ci guardiamo negli occhi, è lui ad attaccare discorso. – Kat, ci siamo, il momento è arrivato. – mi sposta una ciocca dietro l’orecchio – Adesso viene la parte più difficile ma sta’ tranquilla perché io sarò con te e non ti abbandonerò. – continua.
Eccoci male, proprio di questo volevo parlare, beh…sembra proprio che il mio momento sia arrivato, così mi faccio coraggio e rispondo. – Ecco…Peeta, io… non voglio che tu venga dentro. –
Per un momento credo stia per crollarmi davanti ma poi fa un respiro profondo e con tono agitato dice – Co…come? Stai scherzando vero? No, Kat io non ti lascio da sola ad affrontare tutto questo. – Inizia ad agitarsi, perfetto era proprio quello che volevo evitare.
– No, credimi lo faccio per te, se…se vedendomi in questo stato ti dovesse venire un flashback io non potrei aiutarti e rischieresti solo di farti del male. E non voglio. – 
Peeta è sempre più allibito, o forse sarebbe più opportuno dire deluso ma nonostante la sua faccia continua imperterrito deciso a non darmi vinta questa battaglia. – Kat, mi stai prendendo in giro? Io…io non lo permetterei mai, non il giorno in cui deve nascere mia figlia! – E’ sempre più agitato, la sua faccia assume un colorito rosato, cerco di convincerlo – Ma lo sappiamo tutti e due che non sei tu a decidere perciò per favore, aspetta fuori. – Lui è ancora più allibito e deluso, ha giocato tutte le sue carte e sembra che si stia per arrendere così continuo convinta di avere la vittoria in pugno. – E poi, non voglio che tu mi veda…. Insomma in questa situazione. – ammetto. Peeta mi guarda stralunato come se avessi appena detto che il pane è fatto di diamanti.
– Katniss sai che io non mi scandalizzo, insomma sono quindici anni che stiamo insieme non credi che ti abbia visto già altre volte nuda? – Arrossisco violentemente. Come fa a dire certe cose con così tanta naturalezza, e in pubblico per giunta!
– Sì, sì però…. Per favore. Non voglio, fallo per me, rimani qui. – lo dico facendo gli occhi dolci e usando la voce più persuasiva che ho e finalmente lui si arrende.
Mi dà un bacio sulla guancia per incoraggiarmi e poi si siede su una delle sedie di fronte alla sala.
Lo guardo per un’ultima volta abbozzando un sorriso e abbasso la maniglia.
Due infermiere molto carine mi sorridono e mi fanno accomodare su un lettino, mi guardo intorno, la stanza è tutta bianca, asettica e per un attimo ho paura, non voglio partorire in questo posto così poco familiare.
Mi siedo e mi comprare mia mamma davanti, mi fa spogliare e mi dà un camice azzurrino da indossare.
Mi sdraio, mi dicono di rilassarmi, sento mille voci che mi parlano, mi danno consigli e cercano di prepararmi a livello psicologico all’imminente avventura, come la chiamano loro.
Sento i dolori farsi più forte, come mai prima d’ora, quelli sull’hovercraft a confronto sono niente.
E’ come il fuoco che ti brucia dentro, che ti rode pian piano, lentamente gustandosi il tuo dolore con sadismo.   
Metto le mani sulla pancia e stringo i denti, non voglio chiudere gli occhi perché voglio vedere quello che succede, sento le mani estranee delle infermiere che mi fanno piegare le gambe.
Al loro contatto mi ritraggo lentamente, ma poi la sofferenza ricomincia e io non posso che occuparmi di quella soltanto.
La mascella inizia a farmi male, con una mano lascio il mio ventre e stringo il lenzuolo del letto, lo stringo forte, tanto che ad un certo punto si lacera.
Sento la voce di mia madre – Katniss se continui così ci impiegheremo tantissimo tempo, devi spingere cara, non devi limitarti a subire il dolore. –
Come faccio a spingere se non ho nemmeno la forza di respirare? E’ assurdo.
Continuo a stringere i denti e provo anche a chiudere gli occhi illudendomi che forse se non vedo niente non sento nemmeno il dolore.
Le contrazioni però non demordono, continuano imperterrite. Mia mamma mi dice nuovamente di spingere forte e vorrei tanto urlarle contro di provare a mettersi per un momento nei miei panni prima di dirmi con così calma cosa devo fare, ma decido di trattenermi.
Una lacrima sfugge al mio autocontrollo di ferro e con il fiato rotto chiedo a qualcuno di stringermi la mano.
Non mi volto e non so chi sia, ma sento una mano esile e sottile circondare la mia, mi costringo a spostare lo sguardo verso di lei, è Annie che mi sta sorridendo per infondermi coraggio.
Lei ha già passato questo momento e sa perfettamente come ci si sente quindi non mi dice niente, si limita solo a stringermi la mano e ad accarezzarmi il volto.
Provo nuovamente a spingere, con tutta la forza e la volontà che possiedo, un gemito di dolore mi sfugge poi mi lascio andare e respiro a pieni polmoni.
– Kat, tesoro così non va! Devi spingere di più, non devi mollare! – mia madre mi rimprovera.
Ci mancava solo questo, mia madre che mi rimprovera durante il mio parto! E’ veramente il colmo! Vorrei ribattere qualcosa ma ecco che il dolore inizia di nuovo a tormentarmi e io sono costretta a mordermi la lingua.
Prendo un grosso respiro e spingo nuovamente, con tutta la forza che mi rimane, credo di morire ma niente anche stavolta non c’è nessun cambiamento.
Sto per impazzire, stringo forte la mano di Annie mentre sento due medici borbottare che è già un’ora che sono qui in sala e il parto sta procedendo a rilento, quindi hanno intenzione di farmi il cesareo.
A quella parola sbotto – Cosa? No, no, no e no! Voi non preparate nessun bisturi e qui non si fa nessun cesareo, io voglio partorire normalmente, ora cercherò di impegnarmi di più però voi non andate da nessuna parte e nessuno mi taglierà la pancia chiaro? –
Le infermiere mi promettono che non si allontaneranno di qui, come se per un attimo avessero paura della Ghiandaia Imitatrice.
Spingo ancora, voglio che questa bimba esca, venga fuori e mi lasci stare senza farmi patire ancora, il dolore è atroce e aumenta, non ce la faccio più e alla fine inizio ad urlare.
Mi sforzo più che posso e fa male, fa malissimo, in compenso le bombe sono niente, sono una passeggiata, in questo momento anche i morsi di un ibrido sembrerebbero delle carezze.
Sono esasperata, il tempo passa e qui non succede nulla, le infermiere dicono solo che ci siamo quasi ma penso che lo dichiarino solo per non farmi disperare ancora di più.
Un’altra contrazione, sono sempre più ravvicinate e mi lasciano sempre meno tempo per respirare, urlo dalla sofferenza sento che le forze stanno per abbandonarmi, le mie gambe si intorpidiscono e capisco che senza Peeta non sono in grado di fare niente.
Sono stata una stupida a farlo rimanere fuori, un’egoista, ancora una volta ho pensato a me e non ha lui. Il dolore mi fa vedere cose non vere e credo di abbandonare sempre di più il senno della ragione. Senza starci a pensare ancora per molto urlo – Fatelo entrare! Fatelo entrare!!! ORA!!!!! –
Un altro spasmo mi colpisce, urlo con tutta la voce che possiedo e quando ho un attimo di tregua grido – Peeta! Peeta dove sei? – un’altra fitta mi fa strillare con più potenza di prima – Peeta! –
 Le lacrime rigano il mio volto e sento la fronte che inizia ad imperlarsi di sudore, sto per arrendermi, per decretare il mio fallimento quando sento lo sbattere di una porta e successivamente  la voce più bella del mondo, la voce che mi rende tutta la tranquillità e tutta la chiarezza che avevo perso. Mi volto verso la fonte del rumore e lo vedo, agitato più che mai che corre verso di me, con gentilezza fa alzare Annie e per un momento mi sento persa senza la sua mano da stringere ma poi le dita forti e delicate di Peeta sostituiscono quella della mia amica.
Mi accarezza la fronte per asciugarmi il sudore e sussurra – Kat, tranquilla sono qui. Forza, spingi, spingi forte! So che ce la puoi fare, coraggio! Io sono qui, ricordi? Te l’ho promesso davanti a tutti: io sarò sempre con te nel bene e nel male. –
Un sorriso si forma sulle mie labbra, ma sono stanca e non credo di potercela fare. – Scusa se non ti ho fatto entrare, sono stata un’egoista. Non ce la faccio senza di te. – ammetto in un sussurro.
Lui mi dà un bacio sulla fronte e mi risponde. – Ora sono qui e non ho intenzione di andare via perciò spingi forte perché voglio vedere il volto della nostra bambina. –
Annuisco e mi volto di nuovo per guardare mia mamma che mi fa un cenno della testa.
Lei inizia a contare e appena le fitte ripartono mi sforzo più che posso.
Le ore passano mentre la mia fronte si riempie di sudore, le mie gambe cedono inesorabilmente, la mia mente è sempre più confusa e annebbiata a causa dello sforzo. La testa mi pulsa, il battito cardiaco è talmente veloce che ho l’impressione che il cuore possa uscire fuori dal mio petto da un momento all’altro.
Peeta continua a stringermi la mano, a mormorami incitamenti e parole dolci mentre mi massaggia la schiena dolorante.
Il mio corpo è percosso dai tremiti e ogni mia articolazione sembra che voglia urlare.
Sto quasi per mollare quando mi madre dice – Ecco, Kat ci siamo ancora pochi sforzi e ce l’abbiamo fatta! Le acque si sono rotte e riesco a vedere la testa. – E’ euforica e ne sono felice perché vuol dire che non mi lascerà più da sola ma che cercherà di riprendersi il tempo perduto con me.
Con una nuova determinazione e una nuova forza di volontà mi impegno più che mai e spingo, urlando dal dolore ma senza fermarmi.
Non vedo più niente, è tutto sfocato, lo sforzo è tanto ma non mi arrendo, serro gli occhi e stritolo in una morsa di ferro la mano di Peeta e il lenzuolo del lettino.
- Dai Katniss ancora un ultimo sforzo! Ci siamo quasi, sta per uscire, dai! – le infermiere mi incitano e io non demordo, devo farcela, per lei, per la mia Dandelion.
Sento le fiamme delle bombe ardermi e bruciarmi come non mai, sento delle urla disperate e credo che siano proprio le mie, ho perso la cognizione del tempo e dello spazio ma a riportarmi indietro dal mio mondo tra i non viventi è un pianto, il pianto di un neonato.
- E’ bellissima, Kat! Amore, guarda. – dalla voce di Peeta sprizza gioia e vitalità.
Apro gli occhi con molta fatica, ma sono determinata a vedere il frutto del mio sforzo. Tra le mani di mia madre c’è un fagotto di asciugamani azzurri da cui spunta una piccola testolina arrossata.
Automaticamente tendo le mani e con la voce roca dico – Dammela, dalla a me, voglio vederla. –
Mi dà il fagottino e finalmente posso vederla per bene. La sua pelle è morbida e leggermente arrossata, ma non c’è nessuna traccia di sangue, probabilmente le infermiere l’hanno lavata mentre io viaggiavo nel mio mondo oscuro. Una piccola peluria marrone ricopre la sua testa e le manine chiuse a pugno sfiorano il suo nasino perfetto. – E’ bellissima! – ripeto guardando Peeta negli occhi che brillano dalla felicità. – Hai fatto un ottimo lavoro. Anzi un lavoro eccellente! – poi si china e mi dà un bacio a fior di labbra.
La fame mi colpisce ancora una volta ma a richiamarmi ai miei doveri di madre è un piccolo pianto molto vicino al mio orecchio, di contro voglia mi volto a guardare la piccolina e il colore dei suoi occhi mi fa perdere un battito.
Azzurro.
Azzurro come il cielo sereno.
Azzurro come il mare calmo.
Azzurro come gli occhi di Peeta.
La osservo ammaliata mentre con la bocca cerca il mio seno destro, con una mano la aiuto e finalmente le sue labbra sottili iniziano a tirare il mio capezzolo.
Non fa male, dà solo un po’ di fastidio. Lei tira con forza e determinazione, famelica, ma io non sono sicura che arrivi qualcosa alla sua bocca così lo domando a mia mamma che risponde serena –
Stai tranquilla, all’inizio ti sembrerà come se non succhiasse nulla, ma già in questo momento la piccola sta bevendo il latte, fidati di me. – Mi fa un mezzo sorriso e poi si gira, sta per andare nella stanza adiacente per cambiarsi e lavarsi perché è ancora sporca ma io la fermo. – Mamma… - si volta. – Sì Katniss? –
- Grazie. – dico con sincerità. – L’ho fatto con piacere, è una bellissima bambina. – Sulle sue labbra compare un sorriso autentico.
Poso nuovamente lo sguardo verso la piccola perché non la sento più poppare e infatti si è addormentata sul mio petto. Peeta la sta guardando ammaliato, come se lei fosse il tesoro più bello e più prezioso che ha e sono contenta di poter ammettere che lei è veramente la cosa più preziosa che abbiamo.
Un’infermiera viene da noi e allunga le mani per prenderla, io la fermo con una mano. – Scusi ma dobbiamo metterle la tutina, poi ve la riportiamo subito. – si affretta a spigare. Ci fa un piccolo sorriso e prende la bimba.
Quando ce la riportano indossa una graziosa tuta rosa con disegnato davanti un coniglio bianco che regge in mano l’arcobaleno.
L’infermiera la poggia tra le mie mani che sono già pronte per contenere quella piccola creatura.
Un’altra infermiera con una cartellina e una penna in mano ci chiede – Allora, come vogliamo chiamare questa fanciulla? –
- Dandelion. – mormoriamo in contemporanea io e Peeta. Mi volto verso di lui, lo guardo e poi mi giro nuovamente verso la signorina. – Dandelion Fannie Mellark. –
L’infermiera si limita a scrivere e poi ci chiede – Sicuri? –
I nostri sguardi si incrociano di nuovo, gli occhi di Peeta brillano più che mai, ci sorridiamo felici e poi diciamo insieme – Sì, siamo sicuri. – la signorina sussurra un bene appena accennato e va via lasciandoci soli.
A questo punto Peeta mi domanda – Quando l’hai scelto? – perplessa rispondo – Cosa? –
- Di chiamarla Fannie di secondo nome. – dice paziente. – Oggi, quando eravamo sull’hovercraft, era un piccolo tributo per Annie. Se non fosse stato per lei non saremmo riusciti ad arrivare in ospedale. Perché non ti piace? – Ora ho paura della risposta, se dicesse di no, ormai abbiamo scelto così e non possiamo tornare indietro. Lui mi sorride – No, mi piace solo che non me lo aspettavo. Hai fatto bene. –
Dopo questa conversazione sento la stanchezza invadermi e le ossa doloranti così posso solo dire un’ultima cosa.
– Peeta? – domando con voce flebile. – Sì? – mi prende la mano.
– Ti amo. – lo dico con tutto l’affetto e l’amore che provo nei suoi confronti e direi che è veramente tanto.
Con le lacrime agli occhi mi risponde – Anch’io. –
– Però ora sono stanca, puoi tenere tu la bimba? – i suoi occhi si illuminano e sembrano sorridere da soli – Sì, certo Kat. – e dopo questa frase mi addormento passando un sonno senza incubi.
 
 
Il risveglio non è molto piacevole, ho la schiena a pezzi, la testa mi fa un po’ male e la bimba che piange perché ha fame non è certo gradevole.
Mi volto, la bambina è nella culla, Peeta si è addormentato nella sedia, ha un’espressione dolcissima, sembra un piccolo angioletto perciò non ho intenzione di svegliarlo.
Prendo Dandelion tra le braccia e l’allatto, è ancora una cosa strana per ma, ma ci dovrò fare l’abitudine.
Dopo un po’ compare Annie, che mi chiede se voglio fare una giratina per i corridoi dell’ospedale.
Con il suo aiuto riesco ad alzarmi dal letto, mi sgranchisco un po’ le gambe e poi ci avviamo.
C’è tanta gente, e tutti al mio passaggio mi guardano incantati come se avessi un cartello lampeggiante sulla testa che dice – Ecco la Ghiandaia Imitatrice con la sua primogenita nata da poche ore! –
Chiedo alla mia amica di andare in una zona più appartata perché non sopporto gli sguardi delle persone, camminiamo diverso tempo in silenzio mentre cullo dolcemente la piccola ad un tratto mi domanda. – Katniss, perché Fannie? – rimango un attimo interdetta, poi capisco il perché della sua richiesta e così mi affretto a rispondere. – Oh, beh…è una cosa che si sono inventati gli abitanti di Capitol City per parlare delle coppie famose. Ad esempio, io e Peeta siamo Peeniss… – Annie mi guarda e poi scoppia a ridere per il nome alquanto particolare ed ambiguo. Io però continuo – Tu e Finnick invece siete Fannie. L’ho scelto perché volevo che il mio piccolo dente di leone si portasse dietro una parte di voi. –
Detto questo le lacrime scivolano silenziose sulle sue guance, mi fa un sorriso triste e poi sussurra – Grazie. – si china e dà un piccolo bacio sulla fronte di Dandelion.
Ma il nostro momento di privacy sembra finito, ecco infatti arrivare mia mamma di corsa, con i capelli disordinati e le occhiaie profonde. – Katniss! Ti stavo cercando da più di un’ora! – dice preoccupata. – Devi subito tornare nella stanza che ti è stata assegnata, c’è una marea di persone che vuole vedere te, Peeta e Dandelion. Ci sono anche i giornalisti. –
Il mio cuore perde un battito e inizio ad agitarmi, ma ormai è troppo tardi devo andare incontro a ciò che mi aspetta nel bene e nel male. 

Angolo della scrittrice: 


Se siete arrivati fino qui, senza esservi tagliati le vene (?) vi chiedo di leggere anche questo piccolo sclero, scelroso. 
Innanzitutto voglio drivi: Grazie, grazie per avermi sostenuto, per aver aspettato così tanto questo capitolo senza fare nessuna pressione! Grazie mille. 
Secondo, nella storia c'è un piccolo tributo al mio angioletto e alla mia volpuzza, vi vorrei ringraziare per avermi ispirato, per aver sopportato i miei scleri, per aver condiso con me tante tantissime cose, per avermi aperto un mondo davanti agli occhi. 
Grazie, spero che abbiate capito qual è il tributo, pensavo di afre una cosa diversa dal solito, quindi per un eventuale conferma io ci sono, sapete qual è il mio numero di cellulare e sapete dove abito perciò, battete un colpo e io risponderò. u.u
Questo capitolo è il più lungo in assoluto, non ho mai scritto così tanto, forse solo in qualche tema d'italiano ^.^, ad ogni modo questo è un record che non devo battere, eh no altrimenti mi arriveranno pomodori a sacchettate! 
 
Quindi, vi chiedo solamente di perdonarmi se ho osato pubblicare questo mostrume, perdono! >.<
Fatemi sapere cosa ne pensate e sappiate che siete autorizzati a rovesciarmi addosso qualsiasi tipo di ortaggio o quant'altro nel caso in cui vi facesse schifo la storia. 
 
Un bacione e al prossimo, nonchè ultimo, capitolo ( si spera! ^.^") 
Miss H. 

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Capitolo 16
*** ~ Epilogo. ***


~ So di non avere delle scuse adatte a giustificare il mio immenso ritardo. 
Credo di aver atteso tanto a pubblicare solo perchè
nel mio inconscio non ero pronta a lasciarvi mettendo fine alla mia storia.
Adesso però è arrivato il momento, perciò vi auguro buona lettura
e vi aspetto nelle NdA.   


~ Epilogo.

Sono passati più di cinque anni dalla nascita di Dandelion e tra pochi mesi festeggeremo il suo sesto compleanno. In questo lasso di tempo io e Peeta abbiamo seguito ogni suo passo, ogni suo cambiamento, ogni suo piccolo movimento verso questo mondo enorme e crudele. Ancora oggi la nostra bambina non è a conoscenza del perché io e suo padre la notte urliamo, più volte ce lo ha chiesto ma le abbiamo sempre negato la risposta promettendole che le avremmo spiegato tutto quando sarebbe stata più grande.
Ogni mattina faccio un elenco di tutte le buone azioni che ho visto fare in questi anni e la maggior parte di questa lista è occupata da gesti fatti da Peeta o da eventi che riguardano Dandelion.
A volte mi sembra ancora di vederla tra le mie braccia, piccola e indifesa mentre la allatto, oppure mentre le canto una canzone che mi è stata insegnata da mio padre. Mi sembra ancora di vederla lì con la sua tutina gialla che gioca felice con la pasta del pane sulla tavola mentre i grandi occhi azzurri di Peeta la osservano attenti e ammaliati.
Sono felice per la nascita della nostra bambina, certo non è stato facile abituarci a lei, specialmente per me, ma non avrei mai creduto che le mie braccia riuscissero a contenerla con così tanta naturalezza.
Da quando c’è lei gli episodi di Peeta sono diminuiti come se fosse il suo amuleto, la sua ancora di salvezza, il suo raggio di sole che gli illumina la giornata; sono convinta che il merito sia davvero  tutto del nostro piccolo dente di leone.
Quando però anche lei non riesce a salvarlo dal depistamento, distraggo Dandelion con una scusa e porto lui in un’altra stanza per calmarlo.
Dopo la nascita della bambina temevo che il rapporto con Peeta si sarebbe affievolito e che ben presto ci saremmo trovati ad essere gli estranei che eravamo durante il periodo della nostra guarigione dalla guerra, ma per fortuna non è andata così; abbiamo deciso di comune accordo di far dormire Dandelion in una cameretta accanto alla nostra, in questo modo abbiamo potuto continuare ad avere dei momenti di intimità e di tranquillità senza doverci preoccupare della presenza della bimba.
La vita per ora va a meraviglia, con mia madre che viene a farci visita ogni tanto e che è ritornata a far parte della mia famiglia e con Effie ed Haymitch che ormai sono diventati genitori come noi.
– Mamma, mamma io voglio andare là! – una piccola voce, accompagnata da un tocco freddo sulla mia pelle, mi riporta alla realtà. Appena sento la sua esclamazione mi volto con un vero sorriso raggiante sulle labbra, do un piccolo bacio sulla guancia di Dandelion e le dico – Buongiorno tesoro, dove è che vuoi andare a quest’ora? –
Lei mi sorride e, prendendo la mia mano con le sue dita affusolate, mi risponde
– Là, mamma! Là! –
Indica fuori dalla finestra precisamente verso il Prato, un lieve tuffo al cuore mi fa sobbalzare e per un attimo la felicità svanisce ma cerco di non darlo a vedere alla bimba e così continuo cercando di sembrare tranquilla. – Va bene piccola allodola andremo nel prato. Per caso sai se papà è già sveglio? –
Dalla sua bocca aperta ora riesco a vedere il primo buco nero tra i suoi dentini bianchi che è presente da qualche giorno ormai. – Sì e mi ha preparato per colazione i biscotti a fiore e la cioccolata buona. – Vorrei sembrare seria per fargli capire che non deve diventare viziata e che non deve chiedere a suo padre sempre i soliti dolci per colazione ma non ci riesco. – Mmm… Dandelion perché non ne hai lasciati un po’ anche a me? Ti fanno male lo sai? – e mi avvento sulla sua pancia per farle il solletico. Per troppo tempo mi sono dovuta occupare della mia sopravvivenza e di quella della mia famiglia, di riuscire a trovare un briciolo di pane da mangiare per non morire di fame, di fare i giusti affari, di avere un ottimo giro di acquirenti, tutte cose di cui una sedicenne non si dovrebbe preoccupare.
Purtroppo la vita non va sempre come vorresti e io per riuscire a far vivere i miei familiari ho dovuto rinunciare alla felicità, alla spensieratezza, alla libertà di vagare per il Distretto senza pensare alle conseguenze e proprio perché è successo a me, non ho intenzione che capiti la stessa cosa a mia figlia.
Mi concentro nuovamente sulla pancia dandole dei leggerissimi baci a fior di pelle.
La sua risata limpida e bella come quella di Peeta echeggia in tutta la stanza ed è proprio grazie a questo bellissimo suono che mio marito viene attirato in camera. Alzo lo sguardo e lo vedo comparire sulla porta con le braccia muscolose ricoperte da uno strato di farina e i capelli scompigliati. Ci guarda soddisfatto e felice di vedere che siamo allegre, devo ringraziarlo ancora una volta perché se non fosse stato per lui non avrei mai conosciuto la gioia di essere madre.
Non smetterò mai di essere in debito con lui.
Ci sorride e poi mi dice – Buongiorno Kat! Ho sentito le vostre risate dalla cucina, ci siamo svegliate bene stamani eh? –
Allontano il volto dal corpicino esile di Dandelion e rispondo – Sì, direi che è stato un buon risveglio. Ah…Dandelion mi ha detto che vuole andare nel Prato, ce la possiamo portare? – Il mio tono doveva risultare allegro ma purtroppo la mia voce è andata pian piano a calare e l’ultima parte della frase è uscita fuori dalle mie labbra in un piccolo sussurro.
Peeta mi fissa negli occhi, è diventato immobile, rigido, evidentemente è a disagio come me. La bambina non lo sa, ma il Prato non è una semplice distesa di soffice erba su cui giocare, è la tomba della nostra gente, di tutte le persone morte nel bombardamento del Distretto e probabilmente è anche la tomba dei suoi nonni paterni.
Dandelion si intromette nel discorso vedendo che nessuno dei due sa cosa rispondere – Dai, dai vi prego, vi prego! – Ci guarda con la stessa espressione che usa per ottenere ciò che vuole quando non siamo decisi sul da farsi. E’ impossibile cercare di dire di no, è testarda e ha un bel caratterino che con molte probabilità ha ereditato da me.
Rimaniamo due secondi in silenzio, è Peeta a prendere la parola. – E va bene, andremo al Prato. Su coraggio, vai a vestirti mentre noi prepariamo tutto l’occorrente per una giornata fuori casa. –
La piccola non se lo fa ripetere due volte, con uno scatto velocissimo salta giù dal letto e esce dalla porta per andare in bagno.
Noi rimaniamo fermi ad osservarci, io seduta sul letto e lui appoggiato allo stipite della porta, il suo volto ha un’espressione dolce, un sorriso affiora sulle sue labbra – La tua colazione preferita ti attende in cucina, io nel frattempo preparo il cestino del picnic e vado a chiamare Haymitch ed Effie per sentire se vogliono venire anche loro con la bambina. – Mi fa l’occhiolino e poi si dirige verso le scale lasciandomi sola nella camera.
Mi alzo dal materasso, ma non riesco a fare nemmeno un passo che un grande capogiro mi fa perdere l’equilibrio, non mi preoccupo molto a volte capita di avere qualche vertigine appena alzati e poi nella situazione in cui mi trovo è più che normale.
Cercando di non far allarmare Peeta, che sentendomi cadere arriverebbe subito in camera preoccupato per la mia salute, mi avvicino al comodino e cerco di mettermi nuovamente in piedi.
Dopo due tentativi falliti riesco finalmente ad alzarmi senza sentirmi le gambe molli e mi dirigo verso l’armadio.
Predo i vestiti e vado verso il bagno dove trovo la piccola Dandelion intenta a cercare degli elastici per capelli, un regalo di Zia Effie.
Mi chiede di farle due codine e io accetto volentieri. Spazzolo con cura i suoi capelli color mogano, sono lisci come la seta e morbidi come un cuscino, le lego i capelli con gli elastici ma un piccolo ciuffo ribelle sfugge al mio controllo, così lo sposto dietro al suo orecchio destro.
Appena è pronta lei mi dà un bacio sulla guancia e poi scende giù in cucina perché vuole aiutare Peeta a preparare l’occorrente per passare la giornata fuori.
Rimasta sola mi faccio una doccia, le tante goccioline d’acqua corrono sulla mia pelle, come se facessero a gara a chi arriva prima. Osservo il mio corpo a lungo per vedere se si nota qualche cambiamento, ma per fortuna non c’è niente di diverso dall’ultima volta in cui l’ho guardato.
Spero che Peeta non se ne sia accorto perché voglio che sia una sorpresa.
Mi vesto velocemente impaziente di mangiare la mia colazione. Quando arrivo in cucina trovo ad attendermi tante focaccine al formaggio, dei biscotti ricoperti di glassa colorata, una tazza di cioccolata calda e un bicchiere di succo di frutta.
Mi siedo sulla sedia vicino al tavolo mentre addento una focaccina, ne mangio un’altra e poi passo alla tazza di cioccolata ma appena avvicino le mie labbra al liquido un conato di vomito mi sconvolge e io mi dirigo a gran velocità verso il bagno.
Rimango per un po’ accasciata a terra con il corpo attraversato da mille brividi ma appena sento dei passi che si avvicino mi faccio coraggio, mi alzo in piedi e mi sistemo come se nulla fosse.
Torno in cucina e dopo poco vengo raggiunta da Peeta.
- Noi abbiamo preparato tutto, tu sei pronta? – mi dice dopo avermi dato un leggero bacio sulla guancia. Vorrei poter dire di sì e avviarmi con loro verso il Prato ma prima devo sbrigare una piccola faccenda perciò credo che li raggiungerò dopo. – Mi dispiace ma prima devo cercare una cosa, arriverò da voi quando avrò fatto non mi aspettate. – lui mi guarda in tralice, poco convinto dalle mie parole, così rincaro dicendo – Dai Peeta, sai com’è fatta Dandelion, non le piace attendere. Davvero andate senza di me, io vi raggiungerò subito. –
Mi rendo conto di non essere stata molto convincente, ma per fortuna arriva la bimba a salvarmi che tirando per i pantaloni mio marito lo convince ad andare.
E’ un po’ dispiaciuta perché vorrebbe che venissi con loro ma le ho spiegato con calma che arriverò non appena avrò trovato la cosa che sto cercando e per cercare di persuaderla ancora di più le ho detto che è una sorpresa per lei e per Peeta.
Ed in effetti è così.
Ci salutiamo velocemente e poi mentre loro escono dalla porta, io mi dirigo verso la mia camera da letto per cercare l’oggetto che tanto desidero.
L’idea mi è venuta in mente qualche giorno fa mentre cercavo un fermaglio per capelli da mettere a Dandelion e aprendo il cassetto ho trovato la collanina che mi aveva regalato Peeta quando ancora non sapevamo il sesso del bambino.
Mi avvicino al piccolo mobiletto in mogano che funge da comodino situato a fianco della parte di letto dove solitamente dormo io.
Apro il cassetto e dopo aver rovistato per un po’ tra i vari oggetti che vi sono dentro trovo un fazzolettino celeste tutto accartocciato su se stesso come se dovesse proteggere qualcosa dall’occhio indiscreto di qualche curioso.
Con delicatezza afferro il fazzoletto con la mano destra mentre con la sinistra chiudo il cassetto.
Mi siedo sul letto e apro l’involucro azzurro, al suo interno c’è una scatolina bianca.
La tengo sul palmo della mano e la fisso immobile, il tempo sembra fermarsi, tutto giace nel silenzio più totale, non si sente nessun rumore se non quello del mio cuore, che mi batte forte nel petto, e quello del mio respiro.
Ad un tratto sento un lieve scricchiolio, scatto subito in piedi, mi metto la scatolina nella tasca dei pantaloni e poi mi avvio anche io verso il Prato.
 
La giornata trascorre tranquilla con Dandelion che gioca con Haymitch, Effie che si occupa di sua figlia che ha appena un mese, e io e Peeta che scherziamo, ridiamo e ci scambiamo qualche tenera effusione.
Apparentemente sembra che tutto sia tornato alla normalità, ma non è così. Questo prato ne è testimone, questo letto di erba soffice sa che cosa abbiamo passato, sa che abbiamo delle cicatrici profonde che ogni tanto fanno di nuovo male, sa che nonostante le apparenze tutti siamo cambiati, sa che sta nascondendo agli occhi innocenti dei bambini uno spettacolo orribile come le tombe della nostra gente.
Una lacrima sfuggita al mio controllo scivola sulla mia guancia ma non arriva più giù del mio mento perché appena Peeta se ne accorge la cattura tra le sue dita e poi mi abbraccia forte. E’ consapevole del dolore che sto provando in questo momento, della nostalgia, del rimorso che mi stanno divorando.
Non dice niente, si limita a tenermi al sicuro tra le sue braccia, poi quando torno ad essere padrona di me stessa sciolgo l’abbraccio e metto una mano nella tasca dei pantaloni.
Afferro la scatoletta bianca e davanti al suo sguardo incuriosito la apro, rivelando la collanina dorata con la scritta Mitch. Gliela porgo  – Puoi agganciarmi la collana? – chiedo girandomi con le spalle verso il suo petto.
Lui mi aggancia la collana e poi con delicatezza e dolcezza mi fa girare nuovamente verso di lui.
Mi perdo nei suoi occhi azzurri, due porzioni d’oceano stupende, da mozzarti il fiato.
– Perché l’hai presa? – mi chiede sbalordito.
– Perché sono sicura che questa volta sia Mitch. – rispondo convinta.


Angolo della scrittrice: 

Ok, la mia camera è diventata una piscina e io come sempre quando arrivo alle NdA ho un blocco e non so più cosa fare. Mi succede perché non so quanto vi possano interessare i miei scleri, ma questa volta devo riuscire a scrivere qualcosa di bello e di sensato.
*si riprende dal momentaneo calo psicologico*
Bene, that's all folks!
(nella speranza che sia rimasto ancora qualcuno a seguire la mia storia.) 
Ebbene sì siamo arrivati al momento degli addii. Ho sempre odiato gli addii perché sono infinitamente tristi ed io che sono molto sensibile ci metto veramente poco a piangere.
Che dire, spero di non farvi versare troppe lacrime perché ne ho già versate io a sufficienza per tutti.
Per me è come rivivere la fine di Mockingjay. E' doloroso, molto doloroso.
Mi ero abituata ormai a fantasticare e a condividere ogni mia idea con voi. Ho voluto far finire così la fanfiction per permettere a voi lettori di viaggiare sulle ali della fantasia e di inventare con la vostra immaginazione quello che accadrà durante la seconda gravidanza di Katniss. In fondo il mio scopo era quello di parlare della prima gravidanza e spero di esserci riuscita abbastanza decentemente.
Siete stati super buoni con me perciò non posso far altro che ringraziare ognuno di voi.
Grazie, grazie mille.
Vi avviso che non ho intenzione di sparire dal fandom, penso che a brese pubblicherò qualcosa di nuovo e poi boh chissà le migliori idee mi vengono la notte e magari una di queste porterà consiglio no? :) 
Avevo intenzione anche di provare a scrivere qualcosa su dei nuovi fandom, a dire la verità avevo iniziato a scrivere una fanfiction su Josh Hutcherson ma per ora non pubblico nulla.
Ok, ho detto anche troppo ma queste sono le mie ultime parole da scrittice di questa fanfitcion periò comprendetemi. Spero che la storia vi sia piaciuta.
Un enorme bacio,
Miss H. 



 
 

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