When the Snow Falls di Angy_Valentine (/viewuser.php?uid=54031)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Part 1 - I'll find you ***
Capitolo 2: *** Part 2 - My heart with you ***
Capitolo 1 *** Part 1 - I'll find you ***
E
che dire. Un mio primo tentativo di scrivere una Byakuya x Hisana. Amo
alla
follia questo pair, e... e niente, una sera l'ispirazione è
venuta così. E su
di loro c'è sempre così poco... quindi ho voluto
provare a rimpolpare un po' il
fandom di una delle coppie più belle e tristi di Bleach.
Sì, lo so, dovrei
andare avanti anche con Fire and Ice, ma giuro che sto scrivendo anche
quello,
in un paio di giorni - se tutto va bene - dovrei riuscire ad aggiornare
xD Del
resto, c'è poco da fare... quando l'ispirazione viene,
è sempre bene
approfittarne :'D In questo primo capitolo sarà Hisana a
parlare, spero di
averla tenuta sufficientemente IC. Al prossimo, ovviamente, la
parola
passerà a Byakuya. Un ultimo appunto, una piccola parte dei dialoghi è ripresa dal flashback presente in Fade to Black.
Bien, smetto di rompervi le scatole e vi lascio alla lettura. Come
sempre,
commenti e critiche sono sempre ben accette! :)
When
the Snow falls
雪が下がると
Part
1 –
I’ll find you
Riapro
lentamente gli
occhi, la crisi di ieri sera è stata più pesante
del solito e mi ha destabilizzata
più di quanto mi aspettassi. Mi ritrovo come sempre a
fissare i tasselli del
soffitto mentre giaccio stesa sul futon, la pesante coperta tirata su
fin quasi
al mento e la testa immersa nei morbidi cuscini. So già chi
è stato ad
aggiungerli al normale guanciale e, stupidamente, sorrido al pensiero
di tale
persona e della sua riguardosa premura.
Ricordo
di essermi
svegliata quando ho sentito la servitù togliere gli amado dalla veranda, ma la luce non era
ancora così forte; seppur
appena percettibile, il respiro lento e regolare del nobile Byakuya era
ancora
al mio fianco e, ulteriore testimone della sua presenza, la sua mano
sinistra
era intrecciata mollemente alla mia destra. Voltando il capo
l’avevo visto
ancora profondamente addormentato, o almeno così mi era
parso: aveva lavorato
fino a tardi e, sebbene non volesse mai dare a vedere la propria
stanchezza, il
suo corpo necessitava di recuperare le energie per poter affrontare il
giorno
che gli si prospettava davanti. Ne avevo studiato il profilo per
qualche
istante, seguendo con lo sguardo i capelli neri che cadevano in morbide
onde
scure sul cuscino, i ciuffi più corti ad incorniciargli il
viso pallido, e mi
ero stupita per l’ennesima volta di quanto fosse
effettivamente bello.
Ad
un certo punto
l’avevo visto fare una smorfia nel sonno – ed
intimamente ne avevo riso, lui
che era quasi sempre inespressivo si lasciava andare solo mentre
dormiva o
quando eravamo insieme – e muovere le gambe, mugugnando per
qualcosa che probabilmente
stava sognando, rafforzando per pochi attimi la presa sulla mia mano.
Quasi
come se ciò l’avesse rassicurato su
chissà cosa, aveva sospirato pesantemente e
si era quietato, riprendendo a respirare in modo regolare. Con
quell’immagine
ancora negli occhi, avevo finito con l’addormentarmi
anch’io.
Ed
ora allungo piano la
mano destra, orfana della sua, verso il suo lato del futon matrimoniale
che
condividiamo, andando a tastarne le lenzuola: sono appena tiepide,
segno che il
nobile Byakuya se ne è andato da poco. Anche se siamo nel
bel mezzo delle
festività, il mio premuroso marito ha sempre così
tanto da fare… del resto,
vista la carica che ricopre, so da me che non potrebbe essere
altrimenti. E sarebbe
terribilmente egoistico, da parte mia, pretendere che ignori anche per
poche
ore il proprio lavoro per stare con me.
Probabilmente
lo
farebbe, anche, se soltanto glielo chiedessi, delegando le varie
mansioni del
giorno ai suoi sottoposti. Ma so quanto è ligio al dovere, e
a me va bene così.
In fondo è piacevole anche stare ad aspettarlo a casa,
vederlo arrivare quando
meno lo si aspetta… ed avere la consapevolezza che ha fatto
tutto il tragitto
con lo Shunpo perché trova futile perder tempo a camminare
normalmente, che ha
ripreso un incedere più moderato solo quando è
arrivato alle porte della
residenza, e che la prima persona che ha a cuore di vedere è
proprio la sottoscritta.
Come
faccio a saperlo,
dite? È stato proprio lui a rivelarmelo, una sera.
Era
piuttosto presto,
mancava poco più di un’ora al suo solito orario di
ritorno quando,
all’improvviso, sentii tutta la servitù accalcarsi
in corridoio.
«Byakuya-sama,
siete
già di ritorno?» chiese uno dei servi, andando
incontro all’inatteso padrone di
casa «Vi sentite male?».
No,
non era una
battuta, quella dell’anziano servitore. Il suo tono era
condito di sincera
preoccupazione: non era dal mio nobile marito rientrare tanto presto,
al
massimo anticipava di cinque o dieci minuti. A fatica mi alzai dal
futon,
cercando di mettermi in piedi per poter andare ad accoglierlo
degnamente.
«No,
ho semplicemente
concluso con largo anticipo le mansioni odierne.» stava
rispondendo lui, il
tono di voce che aumentava man mano che avanzava in corridoio
«Tornate pure ai
vostri doveri.».
Li
aveva congedati
così e, mentre tentavo di rendermi presentabile lisciando la
stoffa del kimono
con le mani, gli shoji della nostra
stanza erano stati aperti quel tanto che bastava per rendere visibile
neanche
la metà del suo viso.
«Hisana,
posso
entrare…?» il suo tono era così dolce e
basso, quasi temesse di disturbarmi.
Non sapeva che ero così avida della sua compagnia che, anche
se mi fosse stato
accanto per 24 ore di seguito, la sua presenza non sarebbe mai stata un
peso, anzi.
La
cosa che mi
sorprendeva spesso era che con me chiedeva sempre il permesso di poter
fare
qualcosa, fosse anche solo entrare in quella stanza che, in fondo, era
anche
sua. Con gli altri, chiaramente, la sua autorità non veniva
mai messa in
dubbio, nemmeno per scherzo: il rispetto se l’era guadagnato
tramite il proprio
operato, non glielo portavano solo perché gli era dovuto.
Ciò talvolta mi
lusingava, altre mi metteva quasi a disagio: per me era ancora
inconcepibile
che un uomo effettivamente potente come il nobile Byakuya mi chiedesse
il
permesso anche per poter entrare nella propria stanza, se
anch’io ero presente.
Spesso preferivo giustificare tali richieste dicendomi che,
probabilmente,
voleva evitare di mettermi in imbarazzo, arrivando
all’improvviso.
«Byakuya-sama!»
dissi,
andandogli incontro a passo incerto, sorridendogli al meglio delle
possibilità
che la malattia mi concedeva.
Lui
entrò
completamente nella stanza, richiudendosi gli shoji
alle spalle ed avanzando con le braccia leggermente aperte,
pronte ad accogliermi. In pochi istanti, infatti, mi sentii avvolgere
dal suo
calore e dalle sue braccia, in una morsa gentile che mi fece posare la
guancia
contro la morbida e calda stoffa nera del suo shihakusho. Non potevo
non adorare
i momenti in cui il nobile Byakuya si lasciava andare a quelle pacate
dimostrazioni d’affetto: sapevo che per lui era
già parecchio difficile, avendo
un ruolo che non gli permetteva di ascoltare, neppure con moderazione,
le
proprie pulsioni, non poteva osare comportamenti ritenuti sconvenienti
e men
che meno un’eccessiva passione. Era, in fondo,
l’educazione che aveva ricevuto
fin da piccolo, in previsione dell’importante carica che
avrebbe ricoperto una
volta divenuto adulto. Ecco perché la sua era una tenerezza
che faceva capolino
solamente quando eravamo soli, lontani da occhi indiscreti, senza la
servitù
attorno. E quanta delicatezza c’era ogni volta nei suoi
gesti, nei suoi
abbracci o nei suoi baci, come se per lui fossi tanto fragile da cadere
a pezzi
ad un contatto un poco più deciso.
«Non
dovresti
sforzarti, Hisana. Lo sai che non ti fa bene.»
mormorò, le mani grandi ed
affusolate che mi massaggiavano discrete la schiena, prive di qualsiasi
malizia.
«Perdonatemi,
Byakuya-sama. È che… volevo venire ad accogliervi
per potervi rivedere il prima
possibile.» risposi sinceramente, posando le mani
all’altezza del suo petto
«Siete molto stanco?».
«Affatto.
Mi premeva
molto di più rivederti, Hisana.» ammise,
intrecciando le dita sulla mia vita e
addolcendo lo sguardo.
«Avreste
potuto fare
ritorno con calma, Byakuya-sama. Sapete che io sono sempre qui ad
aspettarvi.».
«Ne
sono consapevole.
Ma come immagino tu sappia, per certe cose la dote della pazienza non
mi è di
alcuna utilità.».
Con
un colpo di tosse
mi tiro a sedere, sfregando la stoffa del kimono da notte a livello del
cuore,
come a volerlo calmare e scaldare. Mi guardo attorno per pochi istanti,
la stanza
è illuminata dalla luce del mattino che passa attraverso gli
shoji, a conferma del mio ricordo:
la
servitù deve aver già riposto gli amado
nel tobukuro. Ieri
il cielo era grigio e prometteva neve, chissà se…
Arrancando
piano mi
avvicino agli shoji e li apro
leggermente.
Non posso fare a meno di sgranare gli occhi di fronte allo spettacolo
che mi si
prospetta davanti: il parco e gli alberi sono ricoperti da un soffice
manto
bianco, che rende il tutto vagamente surreale. Rimango incantata ad
osservare il
giardino per diversi minuti, stringendomi sulle spalle il michiyuki per
evitare
che la fredda brezza invernale mi faccia peggiorare la salute
più del solito.
Non voglio restare un altro giorno chiusa in questa stanza. Non quando
ho la consapevolezza
di dover andare a cercare lei…
Rukia,
la mia piccola sorellina, da me stessa abbandonata in un vicolo
dell’immenso
Rukongai. Quasi due anni dopo quella mia riprovevole azione, a cui ho
cercato,
e cerco tutt’ora, di porre rimedio ogni giorno, conobbi il
nobile Byakuya. Non
è trascorso molto tempo, in effetti, solo sei
mesi… ma sembrano passati anni da
quando Byakuya-sama mi ha chiesto di diventare sua moglie…
Scuoto
leggermente il
capo per mettere da parte i ricordi ed infilo meglio il michiyuki,
chiudendolo
per bene sul petto. Mi tiro in piedi aiutandomi con il bordo dello shoji, stando ben attenta a non
rovinarlo, ed esco sull’engawa,
diretta alla sala da pranzo. Ho giusto bisogno di un piccolo spuntino,
prima di
iniziare la mia ricerca. Potrei benissimo passare attraverso i corridoi
interni
della casa, ma il paesaggio innevato è troppo bello e raro
per potersi privare
di un tale spettacolo. La differenza di temperatura con la camera
è notevole,
ma grazie alla veste sopra il kimono non ne soffro più di
tanto. Lentamente
avanzo lungo la passerella che circonda la casa, posando di tanto in
tanto una
mano sulla parete che mi è accanto.
«Nobile
Hisana!»
esclama una serva, venendomi incontro con fare concitato «Che
cosa fate qui
fuori al freddo? Vi prenderete un malanno!».
Ascolto
i timidi
rimproveri che mi rivolge, stringendomi le mani chiuse a pugno vicino
al petto,
così da tentare di trattenere il calore. Alla fine mi lascio
convincere a
rientrare e percorrere il tragitto interno, al che lei si offre di
aiutarmi, porgendomi
la mano ed un braccio intorno alla vita a fare da supporto. Sto per
accettare
di buon grado, quando una voce fa bloccare entrambe.
«Hisana.».
Riconoscerei
questa
voce tra mille e, se potessi, non esiterei un istante a correre
incontro al
proprietario di tale voce. Voltandomi incrocio il volto austero del
nobile
Byakuya, mentre avanza verso di noi. La serva si prodiga in un inchino,
restando a capo chino fino a che lui non la invita a rialzarsi.
«Potete
andare,
Naoko-san.» soggiunge, con un lento cenno del capo. I tre
ciuffi neri separati
dal Kenseikan gli scivolano leggeri davanti agli occhi, adombrando le
iridi
grigie che lentamente si spostano verso le mie.
Rifuggo
per un istante
il suo sguardo, rivolgendomi a mia volta verso la serva che, in un
gesto
composto, si sta rialzando.
«Scusatemi,
Naoko-san,
se vi ho fatto preoccupare.» mormoro, cercando il suo viso
per sorriderle «E vi
ringrazio per l’aiuto che mi avete gentilmente
offerto.».
«L’ho
fatto
volentieri, Hisana-sama. Se necessitate di qualsivoglia cosa, in
qualsiasi
momento, vi prego di non esitare a chiamarmi.» replica lei,
ricambiando il
sorriso «I miei rispetti, Byakuya-sama,
Hisana-sama.» aggiunge, rivolgendoci un
ulteriore inchino prima di congedarsi e sparire oltre
l’angolo della casa.
Restiamo
in silenzio
per qualche attimo, sebbene non ci sia alcuna pesantezza
nell’atmosfera che ci
circonda. Lentamente il nobile Byakuya copia il gesto d’aiuto
precedentemente
compiuto da Naoko, accompagnandomi verso l’interno di un
salottino.
«Volevi
di nuovo
andare al Rukongai?» chiede piano, stringendo maggiormente la
presa della mano
che mi ha posato sul fianco.
«Sì,
mi dispiace,
Byakuya-sama.» replico abbassando il capo, timorosa di averlo
contrariato.
L’ultima cosa che desidero è vedere
quest’uomo deluso od infastidito da qualche
mio gesto. Forse avrei dovuto evitare di…
«Non
devi scusarti,
Hisana, non sono arrabbiato.» mormora, fermandosi in mezzo
alla stanza per
guardarmi «Sono solo preoccupato per la tua salute. Oggi le
temperature sono
molto rigide, non vorrei che tu ne soffrissi eccessivamente.».
Ricambio
la sua
stretta, sfregando il pollice contro il dorso della sua mano e
sorridendogli.
«Byakuya-sama,
vi
ringrazio immensamente per la vostra premura. Ho… ho avuto
cura di indossare
abiti sufficientemente caldi, prima di uscire.».
Lui
continua a
fissarmi in silenzio, costringendomi ad abbassare lo sguardo: troppa
è
l’intensità in quelle iridi grigie per permettermi
di reggerne ulteriormente il
confronto e, nonostante la mia posizione di sua sposa, mi sento sempre
come se
fossi una sfacciata maleducata ad osservarlo in volto anche per un
secondo di
troppo.
«Ti
accompagnerò,
Hisana.» soggiunge ad un tratto, costringendomi a rialzare il
viso verso il
suo, sorpresa.
La
mia espressione
dev’essere più eloquente delle parole che non
riesco a pronunciare, infatti non
perde un secondo a riprendere a parlare.
«Prenderemo
uno dei
cavalli nelle scuderie. Questo tempo è troppo infido per
permettermi di
lasciarti uscire, fosse anche con una scorta, e oggi non ho incombenze
tali
da…».
«Oh,
no, Byakuya-sama,
non potrei mai chiedervi una cosa simile!» esclamo,
interrompendolo. Zittendomi
di colpo mi porto la mano libera alle labbra, vergognandomi di aver
osato tanto
«P… perdonatemi l’avventatezza,
Byakuya-sama. Ma non oserei mai chiedervi di
rimandare o delegare i vostri impegni per una mia faccenda che, in
confronto
alle vostre, è una vera e propria sciocchezza.».
Stringo
maggiormente
la sua mano, avvicinandomela alle labbra, sussurrando a pochi
centimetri dalla
sua pelle lattea «Ve ne prego, Byakuya-sama. Vi prometto che
farò attenzione,
mi vestirò ulteriormente, se ciò può
rassicurarvi e permettervi di assolvere i
vostri doveri con l’animo in pace. Non potrei perdonarmi di
sapervi lontano
dalle vostre incombenze solo per un mio capriccio.».
«Non
è un tuo
capriccio, Hisana, ma una mia scelta consapevole.» ribatte
lui, portando il
braccio ad abbracciarmi le spalle per stringermi leggermente
«Sai bene che non
riuscirei a non pensarci, in ogni caso.».
Senza
lasciarmi il tempo
di replicare ulteriormente, mi volta e mi accompagna verso il
corridoio,
lasciando la mia mano per poter
aprire
il fusuma decorato. Mi lascio così condurre fino alla sala
da pranzo, dove
consumiamo la colazione, e non posso fare a meno di notare che le
porzioni che
mi vengono servite sono più abbondanti del solito. Non sono
mai stata incline a
mangiare molto, ma la povertà e la fame sofferta durante la
mia permanenza nel
Rukongai mi hanno insegnato a non sprecare mai il cibo che mi viene
offerto,
motivo per cui consumo diligentemente il mio pasto sotto lo sguardo
attento del
nobile Byakuya. So bene che presta più attenzione al cibo
che lentamente
diminuisce sui miei piatti, che non ai documenti che regge in mano o
alla
quantità di the che gli è rimasta nella tazza.
Una
volta terminato
raccolgo i piatti, che subito vengono portati via da una serva, ed
insieme ci
alziamo. La mia mente lavora ancora a briglia sciolta per trovare un
modo per
farlo restare. So che può suonare paradossale, quando io per
prima desidero la
sua compagnia, ma non voglio assolutamente che venga rimproverato per
esser
venuto meno al proprio lavoro per stare con me. Già il Clan
non ha mai visto di
buon occhio la nostra unione, se poi venisse a sapere che Byakuya-sama
ha
evitato i propri doveri per seguirmi nel Rukongai…
Siamo
oramai alle
scuderie, la neve che si è depositata sul sentiero
scricchiola sotto i nostri
passi. Immergo metà viso nella pesante sciarpa che
Byakuya-sama mi ha fatto indossare,
e di sottecchi osservo la sua schiena. A quanto pare, è
fermamente deciso a
fare di testa sua, questa volta, e non ci sono state parole e
rassicurazioni
sufficienti per fargli cambiare idea. Il fato sembra arridermi quando
vedo uno
shinigami avvicinarsi a passo spedito, il fiato che forma nuvolette ad
ogni suo
respiro.
«Capitano
Kuchiki!»
esclama, fermandosi a pochi passi da noi. Si piega in avanti in un
profondo
inchino, mentre tenta di recuperare il fiato «Le mie
più accorate scuse per il
disturbo, Capitano, ma ho una comunicazione urgente per voi. Il
Comandante
Generale Yamamoto vi manda a chiamare, chiedendovi di raggiungerlo il
prima
possibile nel suo ufficio.».
Il
giovane allunga una
lettera, che rapidamente viene letta e ripiegata. Mi stringo meglio nel
michiyuki e sistemo la sciarpa, cercando di conservare il
più possibile il
calore donatomi dagli indumenti, prima di spostare lo sguardo su mio
marito. Mi
sta fissando con un’espressione così pensierosa
che, metaforicamente parlando,
quasi riesco a vedere il suo cervello lavorare frenetico per decidere
cos’è meglio
fare.
«Non
fatevi attendere,
Byakuya-sama.» mormoro, posandogli una mano sul braccio e
sorridendogli «Se il
Comandante Generale ha richiesto la vostra presenza con tanta urgenza,
non
avete un minuto da perdere.».
Lui
mi osserva ancora
con aria assorta, prima di rivolgersi al giovane Shinigami che, nel
frattempo,
è ancora a testa china.
«E
sia. Fai ritorno al
quartier generale, 5° seggio.».
Il
ragazzo esclama un
“Signorsì, Capitano Kuchiki!” deciso,
prima di rivolgerci un ulteriore inchino
e voltarci le spalle. Lo osservo correre fuori dalle mura della
residenza, cercando
quanto più possibile di evitare di alzare gli occhi su mio
marito. Sì, perché
temo quanto sta sicuramente per dirmi.
«Hisana,
per cortesia,
rientra.» ecco, infatti i miei timori si rivelano fondati
«Non mi pare
veramente il caso di lasciarti andare nel Rukongai con questo
tempo.».
Stringo
le mani al
petto, mordendomi piano il labbro inferiore, e dopo qualche attimo di
incertezza ricambio lo sguardo grigio e preoccupato che mi rivolge.
«Byakuya-sama,
ve ne
prego…» replico piano, insaccandomi ulteriormente
nelle spalle «Come voi non
riuscireste a non preoccuparvi per me, io non riuscirei a stare con il
cuore in
pace sapendo che dovrei essere nel Rukongai a cercarla.
Perciò, vi prego…».
Senza
che me ne renda
conto la mia mano è salita a stringere piano il suo haori
bianco da Capitano,
venendo presto coperta dalla sua. La sua pelle, sempre così
morbida, è anche
così fredda…
«Non
appena inizierò a
sentirmi anche solo vagamente male farò ritorno, lo
giuro.» proseguo, non
volendogli dar tempo di replicare «A cavallo ci
metterò molto meno tempo, ed
avere gente al seguito potrebbe rallentarmi e basta.».
Mi
sto giocando ogni
carta a mia disposizione, snocciolando qualsiasi scusante per
impedirgli di
dirmi di stare a casa.
«Hisana…».
«Vi
prego!» più che
un’esclamazione che dovrebbe esser decisa, è quasi
un singhiozzo disperato.
Tra
noi permane il
silenzio ancora per diversi istanti, prima che un suo sospiro infranga
quella
bolla ovattata che ci aveva rinchiusi.
«Giuramelo,
Hisana.
Non fare follie.» è il suo unico commento.
Annuendo
obbediente,
lo ringrazio con un gran sorriso. Un movimento appena percettibile lo
porta ad
inarcare verso l’alto gli angoli della bocca, in uno dei suoi
leggeri e rari
sorrisi, e quasi con riverenza posa le labbra sulla mia fronte, dopo
avermi
scostato il ciuffo nero che, ribelle, non ne vuole mai sapere di stare
al suo
posto. Lentamente sposta la mano dalla mia tempia al mento,
sollevandolo un
poco per incrociare le mie labbra con le sue. È un tocco
delicatissimo, il suo,
quasi reverenziale, come se donare un bacio fosse, per lui, un onore.
Oh, non
sa che quello è un sentimento che vale per me, ma non deve
valere per lui, no.
Il
nobile Byakuya mi
ha raccolta dalle sudice strade del Rukongai e, oltre ad una casa,
degli abiti
e del cibo, mi ha fatto dono anche del suo cuore: così
ambito da tante nobili
fanciulle, così traboccante di dolci sentimenti, seppur
repressi dalla carica
che porta sulle spalle, così prezioso ed inarrivabile come
le cose più belle e
proibite. Per quanto mi riguarda, ricambiare al massimo delle mie
possibilità i
suoi sentimenti, donarmi a lui è ben poca cosa, in confronto
a quanto lui
stesso ha fatto per me. Il suo amore è così tanto
che, talvolta, mi sconcerta,
facendomi sentire impossibilitata a contraccambiarlo con la stessa
intensità.
Non perché non provi un sentimento tanto forte nei suoi
confronti, ma perché….
oh, non so veramente come spiegarlo. È come un fiume in
piena, ha la stessa
forza di un corso d’acqua che, a forza di accumularsi, ha
distrutto la diga che
lo teneva imprigionato, ed è ora finalmente libero di
scorrere senza impedimenti
di sorta.
«Hisana.»
la sua voce
mi tira fuori a forza dai miei pensieri e, guardandolo mi accorgo che
mi sta
porgendo un sacchettino ricamato. Ma quando l’ha preso? Oh,
non serve un genio
per capirlo: ha utilizzato lo Shunpo per spostarsi «Porta
questo con te,
tienilo vicino al cuore. Se ti sentissi male e non fossi in grado di
tornare,
saprò trovarti, ovunque tu sia.».
Mi
prende una mano e
ci posa sopra il sacchettino di stoffa, portando le mie dita a
chiuderlo nel
pugno. La stringe per pochi attimi, facendomi percepire che
all’interno vi è
qualcosa, prima di fare un passo indietro.
«Ora
devo andare. Fai
attenzione, Hisana, mi raccomando.».
«Anche
voi,
Byakuya-sama.» replico in risposta, sorridendo ulteriormente
per rassicurarlo.
Un
ultimo cenno del
capo, prima di vederlo voltarsi e dirigersi verso i cancelli della
residenza.
Aspetto di vederlo oramai oltre le mura, infine entro nella scuderia.
L’ambiente è notevolmente più caldo
dell’esterno, un soffuso sbuffare dei
cavalli si leva non appena chiudo il portone alle mie spalle. Avanzo
piano tra
le due file di recinti da cui sbucano i musi incuriositi degli animali,
fermandomi davanti ad uno dal manto nero, con una singola macchia
bianca in
mezzo alla fronte.
Quello
fa per
avvicinarmi il grande muso alle mani che gli ho teso, in cerca di una
carezza.
Sfrego piano la mano sul pelo e la criniera corvina e serica, prima di
adoperarmi per farlo uscire dal recinto. So che i suoi occhi neri non
mi si
staccano di dosso, mentre prendo da un ripiano una delle coperte e
gliela
adagio, accuratamente ripiegata, sul dorso. È poi il turno
della sella, di una
piccola sacca che vi allego e delle redini, che afferro per
accompagnare fuori
l’animale.
Lo
sento sbuffare
quando gli zoccoli schiacciano la neve, come se non si aspettasse che
fuori
facesse così freddo. Lo accarezzo un’altra volta
sul muso con entrambe le mani,
lisciando il pelo con i palmi, per poi portarmi al suo fianco e salire
lentamente. Mi chino verso il suo orecchio, mormorandogli poche parole,
e
insieme ci dirigiamo verso l’uscita.
Fortuna
vuole che con
una mano riesca senza problemi a tenere chiuso il michiyuki e la
sciarpa, e con
l’altra a reggere le redini del cavallo, che procede a passo
abbastanza spedito,
ma non al trotto.
Ben
presto
attraversiamo i cancelli che separano la Seireitei
dal Rukongai, e la differenza tra le
due parti è quasi deprimente. La zona più umile
della Soul Society emana un fetore
di povertà e morte che fa stringere il cuore. Le strade
pulite e piastrellate
della Corte vengono sostituite da strade lerce e in terra battuta, gli
edifici
imbiancati e lindi lasciano il posto a catapecchie in rovina. Ancora
non riesco
a credere di avere la fortuna di vivere nella Seireitei, sebbene io non
possieda
il benché minimo potere spirituale, sposa
dell’uomo più buono e dolce che mi
potesse capitare di incontrare, e ancora mi chiedo cos’abbia
fatto di tanto
giusto per meritarmelo.
Percorriamo
rapidi il
selciato, deviando per le strade esterne del distretto: tempo addietro
mi ero
fatta fare una mappa approssimativa dei più di 300 distretti
che compongono il
Rukongai, e ho segnato con una croce quelli già controllati.
Mi dovrò
allontanare un po’ di più del solito dalla
Seireitei, stavolta, per cui è bene
affrettarsi. Il cavallo segue diligente le istruzioni che gli do,
aumentando di
propria iniziativa l’andatura in maniera molto sensibile.
Di
quando in quando
controllo la mappa per accertarmi di non andare oltre la zona che
dovrò
ispezionare e, quando finalmente giungo al confine, tiro leggermente le
redini
per far rallentare il cavallo. Poche sono le anime che si vedono in
giro, la
maggior parte di esse sono raccolte a piccoli gruppi vicino a dei
focolari di
fortuna, pochi e leggeri stracci a proteggere i corpi denutriti e
tremanti dal
freddo. Rivedo tali immagini, e una volta in più mi convinco
di non esser degna
della fortuna che mi è capitata.
All’improvviso,
da una
delle stradine più strette, si leva forte e chiaro il pianto
di una bambina. Mi
affretto a deviare in quella direzione, il cuore che batte come
impazzito mentre
la voce si fa sempre più forte. Una volta svoltato
l’angolo, mi trovo davanti
alla sua fonte: una neonata piange disperata tra le braccia di quella
che
probabilmente è la madre, la quale la stringe forte in un
debole tentativo di
proteggerla dal freddo, sussurrandole parole dolci condite di tristezza
per
tentare di farla smettere. È qualcosa che mi ferisce
più di una pugnalata al
cuore, come se me lo stessero letteralmente strappando dal petto. Se
soltanto
avessi avuto anch’io un tale coraggio…
Avvicino
ulteriormente
il cavallo, lentamente, per non spaventarla. Lei mi guarda con tanto
d’occhi, e
definirla terrorizzata e sorpresa sarebbe un eufemismo. Scendo facendo
attenzione, stringendomi nel michiyuki per impedire che voli via. La
giovane si
ritrae addossandosi alla parete che ha alle spalle, come se temesse
chissà
quale aggressione da parte mia.
«Perché
non siete
vicine ad uno dei focolari…?» chiedo piano,
chinandomi vicino a loro.
La
vedo stringere
maggiormente il fagotto piangente che ha tra le braccia, mordendosi le
labbra e
lasciando scorrere le lacrime lungo le gote pallide e scarne.
«La…
la bambina li
infastidisce. Hanno detto che se ci avviciniamo…
se…».
Oh,
non c’è bisogno di
dire altro. So cosa intende dire, cosa non ha il coraggio di ripetere. Se ci avviciniamo, ci ammazzano a bastonate.
Quante volte ho assistito a barbarie del genere, prima di incontrare il
nobile
Byakuya… Poveracci che cercavano un po’ di calore
da quel focolare di fortuna
venivano letteralmente massacrati solo perché avevano invaso una zona che non gli apparteneva.
Purtroppo, nel Rukongai
non esistono leggi, a parte quella del più forte. I deboli,
chi non sa o riesce
a difendersi, o le donne stesse rischiano costantemente di finire
schiacciati
da altri. Anche nell’Inuzuri, il distretto dove ho vissuto
per tanto tempo, era
così.
Il
pianto della bambina
mi riporta fuori da quel flusso di ricordi. Lei e la madre stanno
letteralmente
gelando, e non hanno possibilità di avvicinarsi al fuoco.
Voglio… voglio fare
qualcosa per aiutarle. Mi rialzo piano e, una volta avvicinatami al
cavallo,
gli tolgo la coperta che ne copre il dorso. Sento gli occhi scuri
dell’animale
osservarmi attenti, forse con una punta di disappunto, ma non ci penso
più di
tanto. Il calore del suo corpo ha reso la coperta tiepida, ed
è abbastanza
grande da coprire entrambe senza grossi problemi. Me la acciambello tra
le
braccia, tornando verso la giovane che mi osserva come se avesse
davanti un
fantasma.
«Vi
prego, prendete
questa.» mormoro «Non sarà molto e mi
dispiace veramente non poter fare di più,
ma riuscirete a trovare un po’ di ristoro, forse.».
Lei
singhiozza
piangendo più copiosamente, stringendo la bambina al petto.
«K-Kami-sama,
signora,
ne siete davvero sicura?» farfuglia incerta «Noi
non…»
«Ve
ne prego. Non
voglio nulla in cambio, nemmeno ringraziamenti. La mia potrebbe essere
un’azione egoistica, ma per cortesia, proteggete voi stessa e
la vostra piccola
dal freddo, dalla barbarie di questo luogo.» allargo la
coperta e gliela faccio
cadere leggera sulle spalle, accucciandomi di nuovo per sistemargliela
addosso
ed osservarla in viso a pari livello «Va bene
così, dico davvero.».
I
suoi ringraziamenti
si mischiano ai suoi singhiozzi, mentre si stringe nella coperta come se
questa
fosse calda come il fuoco. Che egoista sono. Inutilmente tento di
convincermi
di non averlo fatto perché una situazione analoga mi era
inquietantemente
familiare. Ma quel pensiero è fisso, martellante, doloroso.
Sono solo una
schifosa egoista che non merita certo tutta la fortuna che ha.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Part 2 - My heart with you ***
Per
la serie, a volte
ritornano :’D un mesetto fa mi era venuta in mente la malsana
idea di scrivere
una ByaSana, e la prima parte con Hisana è stata anche
abbastanza semplice – ma
anche no – da scrivere. Poi però cascò
il pero, perché Byakuya è tutto tranne
che un personaggio facile da trattare, e questa parte è
interamente dedicata a
lui. Razza di antipatico. Che dire, questa è la seconda e
ultima parte di “When the Snow falls”,
è stato un
progettino senza grandi pretese, giusto per sperimentare un approccio
con
questa coppia che, come ho già detto, amo veramente tanto.
Giusto per farmi
male, una sana dose di ByaSana è presente anche nella long
AU che sto
scrivendo, “Fire and Ice”,
una
crossover tra Bleach e D.Gray-Man – sarei ben felice se
voleste darci un’occhiata
;) E giusto perché mi piace farmi male doppiamente, annuncio che c'è anche un sequel, "After the Snow, just the Silence". Proprio perché amo farmi male, LOL. BEh, vi lascio dunque al capitolo, badi giovani, sperando che vi piaccia
come il
precedente… ovviamente, commenti e critiche sono sempre ben
accette, lo sapete
*-*
When
the Snow falls
雪が下がると
Part 2
– My heart with you
«Come primavera sei per me
dolce il mio regalo inaspettato
se prima di te la parola amore
non aveva più significato
Come un’alba schiudi gli occhi miei
e con i tuoi mi fai vedere il mondo
quando non ci sei vivi nei pensieri
io aspetto unicamente il nostro incontro.»
Lancio
l’ennesima
occhiata distratta al tempo che imperversa fuori, il cielo è
ancora grigio e i
rami secchi degli alberi vengono scossi dalla fredda brezza invernale.
Nella caserma
non si ode rumore di sorta, fatta eccezione per il lieve cicaleccio di
alcuni
seggi che passano sull’engawa della struttura.
Firmo
quello che forse
è il cinquantesimo rapporto della giornata, stamane
sembravano essersi accatastati
tutti in una volta, come se non avessi lavorato nelle passate tre
settimane. Il
paradosso è che è anche un periodo festivo,
quindi la maggior parte degli
Shinigami ne ha approfittato per prendersi una pausa, io stesso non
dovrei
nemmeno essere qui. Del resto, però, non posso nemmeno
permettere che tutta
questa burocrazia stagni sulla mia scrivania per altri due giorni.
L’ufficio
è
fortunatamente deserto, motivo per cui nessuno può vedere
quanto effettivamente
nervoso io sia. Lungi da me l’ignorare o svolgere male il mio
lavoro per
pensieri personali, ma non posso ignorare completamente chi
ora è fuori al freddo, in chissà quale sperduto
quartiere del
Rukongai, in cerca di una bambina dispersa tra quei vicoli sudici.
Fisso per diversi
istanti la composizione di fiori che Hisana ha creato per me, piccola e
semplice
– modesta come lei, che non vuole mai spiccare troppo in
mezzo agli altri. È stato
uno dei primi doni che mi ha fatto dopo aver visitato per la prima
volta il mio
ufficio, allora spoglio di qualsiasi decorazione, pieno solo di
registri e documenti.
Mi aveva chiesto se mi sarebbe piaciuto avere qualcosa di colorato
sulla
scrivania, se non mi avrebbe dato fastidio – e quella sera, al
mio ritorno a
casa, avevo trovato quel piccolo vaso legato con un nastro azzurro
chiaro sul
tavolino dello studio. Fiori che, mischiati insieme, erano la sua
dichiarazione
d’amore più puro e genuino. Sembravano
sapientemente scelti e abbinati per
formare quel chiaro messaggio, non messi insieme solo per semplice
bellezza
cromatica – ed infatti, aveva distrattamente dimenticato il
libro sui fiori
aperto in camera.
«E quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto.»
Hisana
non è il tipo
che parla facilmente dei propri sentimenti, ha
un’umiltà tale che, nei primi
tempi, la famiglia la scambiava per mera e subdola accondiscendenza nei
miei
confronti, solo per mirare al patrimonio di famiglia. Peccato per loro
che
Hisana non sia affatto l’ipocrita arrivista che credono, e me
ne dà riprova
ogni giorno – nei più piccoli gesti, da come
arrossisce e abbassa lo sguardo
quando la guardo, con un leggero sorriso a piegarle le labbra pallide e
fini,
al fatto che io debba insistere più volte perché
decida di concedersi un kimono
nuovo. Ho come la vaga impressione che ritenga immeritato tutto
ciò che
possiede, come se quello che ha per lei sia già troppo. Mi
ha parlato di una
sorellina che ha abbandonato tempo fa nel Rukongai, quand’era
solo una neonata
– un errore che tutt’ora lei non riesce a
perdonarsi. Diceva che sperava
venisse accolta da qualcuno con più possibilità
di lei, già indebolita dalla
fragilità del suo corpo, da quella salute fin troppo cagionevole. Mi ha implorato
di permetterle di cercarla, di poterla vedere ancora una volta, se
è ancora
viva o meno. Le ho chiesto se desiderasse venisse adottata nella famiglia,
quando
me ne ha parlato – era sua sorella biologica, in fondo. Sul
momento non ha
risposto, anzi, ha rifuggito il mio sguardo, puntandolo sulle mani che
stringeva in grembo.
«Non
oserei mai
chiedervi una simile grazia, Byakuya-sama. Sarebbe il mio
più grande desiderio
sapere che potrà avere un futuro al sicuro dalla cattiveria
che infesta quei
quartieri, protetta dal vostro potere e dal vostro nome, ma so che
siete in una
posizione difficile. Non voglio mettervi contro la vostra famiglia
più di
quanto non sia già successo quando mi avete scelto come
vostra sposa. Vi
chiederei di concedermi la possibilità di…
aiutarla in altri modi, fosse anche
portandole abbastanza cibo ogni giorno, o donandole vestiti per
proteggersi dal
freddo, se non trovate sconveniente la mia richiesta.».
Come
considerare
arrivista una persona che rinunciava a richiedere la propria sorella in
famiglia, solo per timore di ripercussioni su di me, pur desiderandolo
con
tutto il cuore? Quanto stava morendo dentro, mentre pronunciava quelle
parole? Si
era detta disposta anche ad andarsene, a tornare nel Rukongai con lei,
una
volta trovata – ma no, a quel punto io non
gliel’avrei permesso, avrei
obbligato gli anziani ad accettare quella sorellina esattamente come
avevano accettato
Hisana. Aveva rifiutato l’aiuto che le avevo offerto per
cercarla, voleva
potercela fare da sola, voleva pagare il suo debito nei confronti della
sorella
ad ogni costo, scontare la pena di quel rimorso anche a costo di
peggiorare la
propria salute. Con che coraggio gli anziani della famiglia potevano
insultare
alle spalle una persona che la nobiltà non l’aveva
nel nome, ma direttamente
nell’animo?
Anche
oggi, quando le
ho proposto di andare con lei, non ha avuto il coraggio di accettare la
mia
offerta – condannandomi così a passare
più tempo a pensare a dove si trovi in
quel momento, piuttosto che lavorare senza pensieri. Il Comandante
desiderava
ricevere adeguati ragguagli circa alcune delle ultime registrazioni
fatte dal
Clan Kuchiki – c’entrerà qualcosa il
mondo terreno? – e, per il resto, la
brigata è stata ben felice di vedere che potevo
tirare avanti le scartoffie burocratiche anche in questo periodo di
festa, così
da alleggerire il lavoro al nostro rientro. Firmo e metto da parte un
altro
foglio, ho letto giusto un paio di righe di quello che
c’è scritto, più o meno
come ho fatto per i precedenti sei o sette rapporti. Ma no, mi dico, se
lei lo
sapesse si arrabbierebbe, si sentirebbe in colpa – lavora
bene anche per lei,
Byakuya. Li riprendo e li leggo con attenzione, rimettendoli poi nella
pila
dove li avevo precedentemente depositati. Ne ho ancora parecchi che
attendono
di essere letti, devo restare concentrato, prima finisco e prima
potrò tornare
a casa. Diamine, non sono da me certi ragionamenti, lo so, se fosse un
altro
giorno non mi passerebbero nemmeno per l’anticamera del
cervello – se poi lo
venisse a scoprire il mio nobile nonno, che figura ci farei? Penserebbe
di aver
lasciato il casato in mano ad uno sprovveduto che si fa distrarre sul
lavoro da
un nonnulla – ma Hisana non è un nonnulla, non lo
è mai stata, non lo è nemmeno
oggi e non lo sarà mai, al contrario di quanto possano
rinfacciarmi gli
anziani. Sì, sottilmente continuano a sbattermi in faccia i
loro pensieri, i
loro rimproveri, il loro disgusto – per loro Hisana non
è altro che una cosa sudicia,
nemmeno si degnano di darne definizione, che infanga e porta disonore
al nobile
clan Kuchiki. Da un certo punto di vista hanno pure ragione, questo
devo dirlo.
Hisana
non era ricca,
istruita, esperta di arti tradizionali o di nobili natali, non era
altro che
una povera disgraziata trovata per caso nel Rukongai dopo una caccia
agli Hollow.
Ricordo che quel giorno, quando me la ritrovai davanti inginocchiata a
terra, stringeva
al petto un vaso mezzo rotto con dell’acqua, salvato forse
per miracolo dalle
grinfie di belve molto più assetate di lei. Nel vedere il
mio volto leggermente
sporco di terra e sangue di Hollow, me l’aveva teso con un
sorriso timido e le
mani tremanti. Quella donna, coperta da un kimono rovinato e magra da
far impressione,
mi stava offrendo quella poca acqua che aveva trovato, dopo
chissà quanti
giorni senza mangiare o bere, solo perché avevo il viso
sporco. Sul momento mi
dissi che lo faceva solo perché mi temeva in quanto
Shinigami, come uomo
decisamente più grande di lei. Ma quelle iridi bluastre non
erano tinte di
timore, quanto di una strana… voglia di aiutarmi, di
offrirmi il suo modesto
aiuto. Chissà come c’era rimasta quando mi ero
rialzato e le avevo voltato le
spalle, mentre ancora mi tendeva la piccola anfora sbeccata, e me
n’ero andato
senza dirle neanche una parola. Ammetto che non so perché lo
feci – avrei
rifiutato comunque, ma potevo dirle pur qualcosa. “Non serve,
è una
sciocchezza”? “Tieni tu quest’acqua, ne
hai più bisogno di me”? Avevo semplicemente
preso nota di quale fosse il distretto e me n’ero andato
senza pensarci più di
tanto – di anime sfortunate ne avevo viste a bizzeffe, nel
Rukongai, lei non
era altro che una goccia nel mare della Soul Society.
Eppure
non riuscii più
a levarmela dalla testa, specie se guardavo attentamente gli
atteggiamenti di
chi mi circondava abitualmente. Da quanta ipocrisia e falso rispetto
ero
circondato, quanti mi adulavano solo per il nome che portavo sulle
spalle? Il
nome della famiglia, l’onore, il rispetto delle leggi, tutte
cose che mi erano
state inculcate in testa dal mio nobile nonno, una volta preso atto del
fatto
che sarei stato io il successivo capofamiglia, dal momento che il mio
nobile
padre era venuto a mancare. Non avevo mai disobbedito alle regole, non
avevo
passato l’infanzia a giocare con i miei coetanei –
avevo solo tanto, troppo da
studiare, e non potevo permettermi di perdere tempo. Accettai senza
ribattere
di entrare all’Accademia per gli Shinigami, di lavorare sodo
per diventare un
ufficiale del Gotei 13, mirando alla carica di futuro Capitano di
brigata.
Tutti risultati che ho ottenuto con i migliori voti, surclassando gli
altri
senza voltarmi un attimo a degnarli di uno sguardo.
Ma,
si sa, quando si
prende la carica di Capoclan, si presume ci si debba anche sposare. E,
nonostante ci provassi in tutte le maniere, non riuscivo ad accettare
l’idea
che qualcun altro scegliesse la donna che sarebbe poi diventata mia
moglie e magari
madre dei nostri bambini, una donna che io avrei dovuto amare e
proteggere.
Avrei potuto fingere, questo è vero. Ma d’altro
canto mi avevano insegnato il rispetto
per l’onore delle persone, e da parte mia fingere di amare
una donna,
reclamarla tra le lenzuola senza provare nulla, era forse
l’offesa più grave
che avrei potuto arrecarle. Sperai quasi che le pretendenti scelte
dalla
famiglia fossero graziose e con un carattere amabile. Dire che rimasi
disgustato dai loro sguardi famelici e dai loro vezzeggiamenti sarebbe
ancora
poco – della mia persona vedevano solo il cognome
“Kuchiki” stampato a lettere
cubitali dorate. Era alta nobiltà anche quella, per
carità, ma non importante
quanto il Clan Kuchiki. Me lo potevo pure aspettare, quanti sono i
matrimoni
legati da sincero amore, nell’aristocrazia? Mio padre era
stato fortunato, era
legato a mia madre da un sincero sentimento, sebbene si fossero
conosciuti solamente
ad un Omiai.
E
fu allora che mi
tornò in mente lei, con quei piedini sporchi di terra e il
kimono rattoppato
alla bell’e meglio, i capelli aggrovigliati e le braccia
esili, quella donna
che, senza dire nulla, mi aveva offerto un umile aiuto a proprie spese,
senza
chiedere nulla in cambio. Quanto tempo era passato? Un giorno, una
settimana,
un mese? Sarei stato ancora in grado di ritrovarla? Tornai a cercarla
nel
Rukongai e, una volta trovata, visto dove e come viveva,
l’osservai più volte
nell’arco di diverso tempo. Si prodigava per gli altri come
meglio riusciva,
aspettando di svoltare l’angolo e non esser vista per
crollare. Non capivo,
però, a cosa fosse dovuta la tristezza che vedevo
chiaramente nel suo sguardo. Solo
il giorno dopo le nostre nozze glielo chiesi, e lei mi
raccontò tutto.
Quella
fu la prima
volta che andai contro le regole senza nessun rimorso. Sapevo che non
era una
marachella da bambini, quella che era diventata mia moglie era una
donna povera
e niente avrebbe cambiato questo fatto. Ma era buona dentro, e tanto mi
bastava. E in questi mesi non mi sono mai pentito della mia scelta, e
penso
sarà sempre così. Ancor prima del nostro
matrimonio Hisana si è data da fare
per non deludere le mie aspettative, ha studiato per imparare le arti
tradizionali come l’ikebana o la cerimonia del
thè, non è mai stata invadente e
non si è mai volutamente messa al centro
dell’attenzione. È stata, forse, una
delle scelte più giuste che abbia mai fatto.
Ah,
ma sto di nuovo
divagando. Concentrati, Byakuya, concentrati, o questi rapporti
resteranno qui
in eterno. Intingo nuovamente il pennello e firmo l’ennesimo
foglio, prendendo
nota su un altro di poche ma preziose informazioni. La caserma non
è mai stata
tanto silenziosa e, sebbene io stesso sia un cultore della calma
durante il lavoro,
devo ammettere che ora questo silenzio ha un ché di
opprimente. Non ho neanche
idea di che ore siano, da quanto sono chiuso qui in ufficio? Due, tre
ore? È
già pomeriggio? Non mi azzardo a controllare, in ogni caso
sarebbe troppa
l’angoscia che mi salirebbe a sapere con precisione da quanto
tempo mi sono
separato da lei. Lavora, Byakuya, lavora.
Quando
finalmente mi
riconnetto alla realtà, noto con un certo piacere che la
pila di resoconti si è
ridotta a due o tre fogli. Li leggo velocemente, firmando dove
necessario, e finalmente
poso la schiena contro la spalliera della sedia. Ora non ho veramente
idea di
che ore siano, ho lavorato senza sosta obbligandomi a non pensare a
nulla se
non ai dati che avevo davanti – ma l’orologio
appeso alla parete dell’ufficio mi
rende noto che è ormai pomeriggio inoltrato, la luce sta cedendo il posto ai primi stralci delle tenebre serali. È passato veramente
così tanto tempo? Alla fine ho
trascorso praticamente tutto il giorno qui in ufficio, le ore sono
letteralmente
volate. Chissà se Hisana è già
rientrata a casa. Risistemo la scrivania e metto
i vari fascicoli in un cassetto, lasciandomi finalmente
l’ufficio alle spalle.
Francamente, l’idea di tornare con calma a casa non mi garba
affatto – lo
Shunpo è la soluzione spontanea, non
c’è nemmeno bisogno di starci a pensare.
Rallento
a poca
distanza dal maniero, varcando dopo pochi minuti il grande cancello. Il
giardino è deserto, ancora coperto dal manto bianco della
neve, intatto. Quando
entro in casa i servi sono già lì ad accogliermi,
inchinati per darmi il
bentornato. Adocchio uno dei più anziani, Nobutsune Seike,
tra i primi della
fila, ed è a lui che mi rivolgo subito. Immagino sappia
già cosa voglio sapere,
come leggo nei suoi occhi stanchi nascosti dietro una montatura tonda
degli
occhiali. Però attende una mia parola, un mio accenno.
«Bentornato
a casa,
Byakuya-sama.» mormora con un leggero inchino «Vi
attendavamo.».
«Hisana
è già
tornata?» non m’interessano i convenevoli, non ora.
Quello che mi rivolgono è
sempre lo stesso saluto ogni santo giorno da interminabili anni.
«No,
signore, la
nobile Hisana non è ancora rientrata.».
Ed
è allora che sento
un macigno crollarmi sul cuore. Di solito sta via poche ore, verso
pomeriggio è
già a casa che riposa – più per
necessità che per sua volontà. Possibile che
l’abbia veramente trovata, che si sia attardata con lei? In
cuor mio spero che
il motivo del suo ritardo sia questo. Eppure non ho nessuna intenzione
di
restare qui ad attenderla, contando i secondi che passano con
l’ansia sempre
più grande – al che mi volto ed esco di nuovo,
mentre i servi tentano inutilmente
di farmi restare con le classiche frasi di circostanza,
“vedrete che tra poco
sarà di nuovo qui”, “non ci
metterà molto a tornare”. Parlano facile, loro.
Non
ho idea di come considerino Hisana, contando che poteva benissimo
essere una di
loro, ma ora come ora non m’interessa. Prima che riescano a
dire altro sono già
sparito alla loro vista – e intanto osservo attentamente ogni
strada della
Seireitei per vedere se sta veramente tornando a casa. Solo quando mi
ritrovo ancora
senza di lei davanti al cancello mi rendo conto che no, non
è tornata alla
Seireitei, è ancora in quel labirinto infinito del Rukongai.
Tiro fuori quel
piccolo dispositivo datomi dal capitano Kurotsuchi, una sorta di
simil-cercapersone commisionatogli appositamente in vista di simili
occasioni –
c’era voluto del bello e del buono per convincerlo
–, in grado di rilevare la
posizione di chiunque solo mediante il battito cardiaco. Sì,
lo ammetto, è
stata una vigliaccata da parte mia metterle addosso
quell’ambigua sottospecie
di microspia, ma non voglio correre il rischio di cercarla in lungo e in largo, mentre lei magari sta male, e arrivare solo quando è troppo tardi. E se serve ad assicurarmi di poterla sempre trovare, ovunque essa sia,
accetto di buon grado – o anche no – di farmi
aiutare da quell’assurdo individuo
che è Mayuri Kurotsuchi. Osservo i dati che quel dispositivo
mostra sullo
schermo e sgrano gli occhi. Hisana, quanto ti sei spinta lontana, oggi?
Lo sapevo
che sarei dovuto venire con te, tutti i michiyuki pesanti o gli haori
caldi che
puoi indossare non mi tranquillizzerebbero mai abbastanza, o le tue
rassicurazioni,
so che lo fai per me, Hisana, ma sono stato un vero stolto a non venire
con te.
Corro,
corro come se
non ci fosse un domani, come se da questo dipendesse la tua vita
– e forse è
davvero così. Ti prego, Hisana, resisti ancora un poco.
Dammi il tempo di ritrovarti
e di portarti a casa, di farti stendere al caldo, di curarti, di
stringerti e
sentire il tuo respiro leggero, quel tuo sussurrato “va tutto
bene,
Byakuya-sama”, le tue mani che mi tirano la stoffa del
kimono, il profumo di
lavanda sui tuoi capelli – è l’odore che
sento ogni volta che fai il bagno, so
bene che è il tuo preferito. Voglio poter vedere ancora il
tuo sorriso, quei
tuoi occhi così sinceri, umili come il primo giorno in cui
t’ho vista e mi offristi
il tuo aiuto, voglio potermi addormentare stringendo la tua mano o,
perché no,
amarti come la nostra prima volta, non è stata per dovere,
per concepire
l’erede, per chissà che altri futili motivi
– volevo solo dirti quanto ti amo
in un altro modo – e poi dormire stringendoti a me, restando
ad osservarti
ancora addormentata il mattino dopo. Sarò anche drastico a
fare subito pensieri
così pessimisti, come se avessi la consapevolezza che nella
nostra storia non
c’è futuro, che sto per perderti, ma perdonami,
Hisana, ai miei occhi sei
fragile come il cristallo, d’una delicatezza tale da
rischiare d’infrangerti
anche solo per sbaglio, al minimo tocco un po’ più
insistente.
E
intanto il paesaggio
desolato del Rukongai mi scorre accanto, passo sui tetti delle capanne,
la neve
che si è deposta non ha il tempo di scricchiolare per il mio
peso, è questione
di frazioni di secondo. Ormai sei vicina, Hisana, il dispositivo nella
mia mano
suona senza sosta, come ad incitarmi ad andare ancora più
veloce. Avverto
all’improvviso il nitrire di un cavallo, ti sei spinta
addirittura al di fuori
di questo distretto? È un campo in rovina quello che mi si
presenta davanti, a
parte qualche sporadico albero e un fiume lercio che scorre poco
più sotto.
Dove sei, Hisana? Finalmente vedo il cavallo, lo riconosco, Arashi
è sempre
stato il tuo preferito, vero? Ma gli manca la coperta sotto la sella,
hai
visto? Hai avuto bisogno anche di quella per questo freddo.
L’animale scalpita
nervoso, sbatte gli zoccoli sul terreno, nitrisce come per richiamarmi.
Ed
infatti eccoti, Hisana, rannicchiata ai piedi di uno di quei pochi
alberi
spogli – ma non hai addosso la coperta che manca ad Arashi,
stai lì ad occhi
chiusi con le braccia strette al petto. Spero solo non sia davvero
troppo
tardi…
Tolgo
velocemente l’haori
e glielo sistemo addosso con cura, cercando di coprirla il
più possibile. Il
suo viso è più pallido del solito, la pelle
fredda come la morte. Eppure respira,
respira ancora, aggrappata a quel sottile filo di vita che ancora la
tiene in
questo mondo. La stringo forte, più forte che posso, quasi
fregandomene del
fatto di poterle fare male, cercando di trasmetterle quanto
più calore
possibile. Mi rialzo tirandola su, lego alla meno peggio le redini del
cavallo
all’albero e parto di nuovo con lo Shunpo, sempre tenendo
Hisana stretta tra le
braccia. Per l’animale posso sempre mandare qualcun altro a
riportarlo a casa,
mia moglie è molto più importante, non la si
può sostituire. Non mi soffermo
minimamente a guardarmi intorno, oltrepasso i cancelli della Seireitei
evitando
il guardiano, non ho tempo da perdere per certe quisquilie. Non passo
nemmeno
dal portone principale della residenza, atterrando nel giardino privato
su cui
si affaccia la nostra camera e apro gli shoji per entrare. Non mi
preoccupo di
togliere i waraji, accucciandomi e scostando la coperta del futon di
Hisana – e
lentamente la deposito lì, lasciandole addosso anche il mio
haori. Kami-sama, è così pallida, il suo respiro è quasi impercettibile. Per diversi minuti non si muove, ammetto che l'ansia mi sta divorando come un cancro. Sto per alzarmi per andare a chiamare il medico quando, grazie al cielo, la sento chiamarmi per nome.
«Byakuya-sama…».
Parla
con un filo di
voce, respirando a fondo e aprendo piano gli occhi – sono
lucidi, quasi
acquosi. Che abbia la febbre? Le sfioro la fronte con la mano, o
è gelida lei o
sono io che sono diventato una fornace. Solo in quel momento mi rendo
conto di
quanto siano sudate, le mie mani.
«Ti
senti male,
Hisana? Vuoi che chiami il medico?».
Lei
scuote lentamente
la testa, serrando le palpebre. Si sistema meglio sul futon, osservando
per un
attimo il bordo bianco che le sfiora la guancia.
«Il
vostro haori…».
La
vedo muoversi
ulteriormente, quasi a volerselo sfilare. Benedetta donna, quanta
pazienza ci
vuole con te. Quando capirà che da lei devo essere
considerato un suo pari? Probabilmente
mai, ma non disperiamo. Le sfioro la guancia con la mano, stirando
appena un
sorriso.
«Tienilo,
Hisana, ora
non mi serve.».
«Ma
si stropiccerà…».
«Non ha importanza. Pensa a stare al caldo, per ora. Vuoi dormire un po’?».
Scuote di nuovo la
testa in senso di diniego. Spero davvero le basti un semplice riposo
come
questo, ma probabilmente l’ha detto per non invitarmi
sottilmente ad andarmene
o non farmi preoccupare. La farò comunque visitare non
appena si sarà
addormentata, in ogni caso. Lentamente una sua mano sbuca da sotto le
coperte,
cercando alla cieca la stoffa dei miei hakama – la prendo
nella mia, la
stringo, la scaldo. Mi piace riuscire a stringerla tanto da avvolgerla completamente, scioccamente mi dà
l’illusione di essere abbastanza
da riuscire a proteggerla. Ma sviste come quella di oggi non devono
assolutamente
ripetersi, e al diavolo ciò che penseranno gli anziani.
Anche se temo che
Hisana non sarebbe molto d’accordo.
«Sapete,
Byakuya-sama…» riprende dopo qualche minuto
«In quel campo, prima che voi
arrivaste, io… ho ripensato al nostro primo
incontro…».
Esattamente
la stessa
cosa a cui ho pensato io in ufficio. Cos’è,
Hisana, una strana sorta di
telepatia? È sempre strano, ma bello vedere che condividiamo
anche gli stessi
pensieri, almeno per quanto riguarda i nostri trascorsi.
«Il
giorno in cui
rifiutai l’acqua che mi offrivi? Non devo averti fatto una
bella impressione,
perdonami.».
«No,
io… pensavo
l’aveste rifiutata perché… consideraste
umiliante l’idea di farvi aiutare da
una stracciona come me. Non che vi colpevolizzi, se davvero la
pensavate
così…».
«Se
l’avessi pensato
davvero, mesi dopo non ti avrei chiesto di diventare mia
moglie.».
Stavolta
non replica
minimamente, anzi, arrossisce e stira le labbra in un leggero sorriso.
Sorriso
che scompare, però, dopo pochi istanti. Non voglio farle
quella domanda a cui,
già lo so, seguirà una risposta negativa.
«Non
sono riuscita a
trovarla…».
E
infatti. Basta quel
pensiero a far adombrare il tuo sguardo, Hisana, te ne sei mai accorta?
Chiude
nuovamente gli occhi lasciandosi scappare un sospiro, forse
raccogliendo le
speranze per tentare nuovamente un altro giorno. Anche se volessi non
ci
sarebbero parole abbastanza convincenti da permetterle di accettare il
mio aiuto
– è così tremendamente testarda, a
volte. È in momenti come questo che mi sento
totalmente impotente, perché so già in partenza
che lei non mi darà
assolutamente retta, continuerà per la sua strada, cercando
una sorella che non
si sa nemmeno se sia ancora viva. Quel che è certo
è che continuerò a starle accanto
più che posso, contravverrò più che
volentieri alle regole, se necessario – non
sarebbero parole da me, ne sono consapevole. Ma Hisana è il
bene più prezioso
che ho, la piccola oasi di onesta serenità in questa casa,
contro il mondo
intero. In questa stanza non esistono ranghi, non esistono
nobiltà e doveri, i
pareri degli altri potrebbero contare quanto una goccia in un oceano,
siamo
solo io e lei, Byakuya e Hisana.
Le
sfioro la guancia e
le asciugo le lacrime con un pollice, delicatamente, mentre lei si
lascia
scappare qualche singhiozzo. Piange, perché per lei
è stato un altro
fallimento, un altro giorno in cui ha condannato la sorella a restare
in quelle
strade sudice, e non è insieme a lei. Piange, si sfoga
silenziosa, ancora
timorosa di disturbare. La sua mano esile stringe la mia, ci si
aggrappa,
quasi, se la preme contro il viso aggiungendo anche l’altra,
come a farsi forza
con quel semplice tocco. Lascia scorrere le lacrime in silenzio,
finché non la
sento respirare molto più profondamente – e quelle
righe umide sulle guance vanno
via via a seccarsi. Finalmente sembra essersi calmata, tanto da
riuscire ad
addormentarsi – o forse è semplicemente sfinita.
Accarezzo i capelli che le coprono
i lati del viso, spostandoli indietro, tranne quel ciuffo nero che ha
sempre in
mezzo agli occhi, e
resto lì con lei,
riprendendo piano quella mano abbandonata sopra la coperta.
Intanto,
in giardino,
la neve ha ripreso a cadere.
«Perché quando arrivi il cielo si apre in un secondo
e dentro al tuo sorriso io mi perdo
risplendo nel tuo sguardo
ringrazio il cielo per averti accanto
Ti prendi di me ogni cosa e non mi togli niente
vorrei sapessi quanto sei importante
ti voglio adesso e sempre
è questa la promessa che io faccio a te
che io faccio a te.»
La Promessa - Stadio
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1056914
|