Rosso e champagne di Dragana (/viewuser.php?uid=11964)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rosso e champagne ***
Capitolo 2: *** Extra - Camelia ***
Capitolo 1 *** Rosso e champagne ***
ROSSO E CHAMPAGNE
Non
è che Haymitch avesse voglia di vedere come stava Effie
Trinket.
Voglia non era la parola
adatta; era solo che, se ripensava ai suoi ultimi anni (e oche a parte
aveva un sacco di tempo per pensare) c’era poco da fare, il
ricordo delle arene, di Effie e dei suoi stupidi programmi era sempre
lì.
E non
è che aveva mosso il culo ed era salito sul treno che
portava a Capitol City solo per andarla a trovare; c’era
salito perché aveva finito la scorta di alcolici prima del
solito e non poteva pensare di stare venti fottuti giorni dietro a un
branco di oche. Peeta gli aveva detto che si era impegnato parecchio
per finirli così in fretta, ma Peeta non capiva, era troppo
un bravo ragazzo.
Ovviamente non
aveva nemmeno cercato di procurarsi l’indirizzo di Effie;
solo che, una volta a Capitol, era passato a salutare Johanna, Plutarch
e la gente che conosceva, e quindi, chissà come,
l’indirizzo era saltato fuori. A quel punto era sera e lui
voleva andare da qualche parte e bere qualcosa, ma poi sembrava brutto
non farle nemmeno un saluto, e insomma, poteva sempre passare da lei
dieci minuti, vedere come stava e andare a bere. Sarebbero stati solo
dieci minuti, che ci voleva. E quindi si era presentato
all’indirizzo che gli avevano dato, in uno dei palazzi nella
zona che non era stata rasa al suolo dai ribelli, aveva bevuto uno o
due sorsi (ok, forse erano quattro o cinque) dalla fiaschetta che aveva
con sé e aveva suonato il campanello.
Quando si era
aperta la porta, Haymitch aveva pensato di aver sbagliato indirizzo.
C’era
una donna che indossava una specie di kimono-vestaglia lungo, rosa con
dei fiori rosa più scuro. Era bella e prima della
rivoluzione doveva essere stata fantastica, ma la preoccupazione le
aveva scavato rughe sottili intorno agli occhi e tra le sopracciglia. I
capelli biondo cenere, mossi e scomposti, sembravano secchi, e aveva
gli occhi spenti.
Poi la donna
sconosciuta lo guardò. –Haymitch? Ma sei proprio
tu?
E quella voce
acuta, simile a un chiodo che ti si conficca nel lobo frontale, era
inconfondibile.
-Beh,
dolcezza, non mi inviti a entrare?
Lei
sembrò smarrita. –Ah, ma io…
sì. Si, entra Haymitch, prego!
Mise insieme
qualcuno dei suoi stupidi convenevoli, facendolo accomodare
(così disse, non sedere, accomodare) su un divano verde.
Haymitch si guardò intorno, più per
l’istinto di controllare che non ci fossero pericoli che per
un reale interesse, e l’istinto gli comunicò che
qualcosa che non tornava. Non sapeva cosa, era solo una sensazione.
Come se quel posto facesse poco Effie. Sapeva che lei era fissata con
l’architettura e il design d’interni, gli aveva
rotto le palle per anni a Capitol City, e lui aveva per anni visto
l’idea di lusso che avevano a Capitol e che piaceva a lei. E
che non corrispondeva a quell’appartamento. Niente fiori,
niente cose strane sui mobili, niente quadri sui muri verniciati di
lilla chiaro. Qualche quadrato leggermente più chiaro,
però, suggeriva che dovevano essercene stati, qualche tempo
fa.
Effie gli si
sedette di fianco con un movimento un po’rigido.
-E allora,
come stai… insomma… tutto bene?
Lei fece un
sorriso di quelli molto finti. Era evidente che non andava tutto bene;
le aveva visto quell’espressione soltanto un’altra
volta, ed era nel distretto Tredici, dopo aver provato il carcere duro
di Capitol City. E persino là non l’aveva mai
vista struccata, ma quello era stato perché il suo dottore
aveva detto che dovevano lasciare che almeno la sua immagine esteriore
fosse come lei voleva, dato che era il primo passo per ri-conoscersi e
ricomporre il sé interiore. Forse non aveva detto proprio
così, ma qualcosa di simile, comunque.
-Oh, sai, si
tira avanti. Appena capirò cosa intende farne questo nuovo
governo, di noi cittadini di Capitol, sarò molto
più tranquilla!
-Ma tu sei
considerata una dei ribelli, Effie. Dovresti finire nel programma di
protezione dei ribelli o qualcosa del genere, no?
Lei si strinse
nelle spalle. –E chi lo sa, Haymitch. Intanto ho…
ho riavuto la mia casa. Almeno.
Si
arrotolò intorno alle dita un laccio della vestaglia. Quando
si dimenticava di sorridere e corrugava le sopracciglia,
così struccata, non sembrava nemmeno lei.
Haymitch si
sentì le palpitazioni. Era come se l’incubo non
finisse mai; l’arena, Maysilee, il suo papà e la
sua mamma, suo fratello, Rosalie, Chaff e Finnick. Peeta e i momenti in
cui si reggeva la testa con le mani per cercare di ricollegare i
ricordi, Katniss a pezzi e la sua pelle ustionata, Johanna che aveva
paura anche a farsi una doccia. E adesso Effie con lo sguardo vuoto.
Effie, quella che era sempre fuori luogo con i suoi facili entusiasmi,
che non si scoraggiava mai. Quella che, in tanti anni, non si era mai
capito se ci era o ci faceva. Effie, che era sempre stata una certezza.
Haymitch
tirò fuori la sua fiaschetta, certo che lei
l’avrebbe ripreso. Non lo fece.
Ok,
respira, questo non è un attacco di panico e tu resterai
vivo. Ripeto, questo non è un
attacco di panico.
-Noto che non
hai ancora perso le tue pessime abitudini, Haymitch.
Sospirò
di sollievo. L’aveva detto con un tono indifferente che gli
fece male al cuore, ma almeno aveva detto qualcosa. Le sorrise.
-Ne vuoi un
po’, dolcezza?
Lei
alzò le spalle. –Perché no.
-Perché
no? Uh… ma guarda, in realtà è una
schifezza. È anche caldo.
-A qualcuno
piace caldo.
-Senti,
Effie.- Non stava credendo a quello che stava per proporle.
È che non aveva scelta: o quello o un attacco di panico in
un posto molto lontano da casa sua. –Se ti va,
perché non usciamo a bere? Una bevuta tra vecchi amici, da
qualche parte. Eh?
Lei scosse
lentamente la testa.
-È
un pensiero proprio carino, Haymitch, ma davvero non posso.
-Perché
no?
-Perché
in questi tempi di crisi e di grandi mutamenti non è che si
può sperperare a piene mani, ci vuole morigeratezza e
risparmio e tutti dovrebbero dare l’esempio!
-Ma che
cazzate stai dicendo, Effie Trinket? Avanti, una bevuta! Non lo
saprà nessuno, va bene?
Lei scosse la
testa di nuovo.
-Non ci sono
più posti aperti in cui andare a bere, a Capitol. Li hanno
chiusi tutti. Sai, per quella cosa dello sperpero, non si
può far vedere che i cittadini di Capitol continuano a fare
le cose come prima, e così hanno fatto chiudere ristoranti,
locali, tutto… quindi anche volendo no, non possiamo andare
da qualche parte a bere qualcosa.
Lui le
sorrise. Tre cose sapeva di Capitol City: dove stava la Presidente,
dove stava Plutarch, e dove stavano i locali aperti. Le prese il mento
con la mano e la guardò negli occhi.
-Tu non sai
niente, Effie Trinket.
Lei si
tirò indietro con uno scatto.
-Ti ho
già detto di no, Haymitch!-, esclamò stizzita.
-Va bene,
insomma… se è no è no, non insisto.
Tacque. Poi
ripensò alla casa di Effie così poco da Effie, e
gli venne una specie di illuminazione.
-Se sei senza
soldi, zucchero, non devi vergognarti… pare che le buone
maniere dicano che siccome sono l’uomo spetti a me pagare il
conto, no?
Non fu una
grande idea. Perché lei per un attimo lo guardò
costernata, poi scoppiò in un pianto dirotto, il viso tra le
mani.
Non sapendo
come comportarsi, Haymitch si guardò attorno terrorizzato,
non trovò vie di fuga e si risolse a darle imbarazzate
pacchettine sulle spalle.
-Ehm…
Effie? Dolcezza? Su, su…
-Sei orribile,
Haymitch Abernathy!-, singhiozzò lei.
-Effie, senti,
non c’è bisogno di fare così, voglio
dire… noi puoi essere messa così male, dolcezza,
davvero, è che magari adesso vedi tutto nero e…
No. Effie che
vedeva tutto nero non era credibile. Effie vedeva rosa anche quando si
trattava di mandare alla morte dei ragazzini innocenti.
Lei
singhiozzò ancora più forte.
-Non sono io
che vedo tutto nero, Haymitch… è molto, molto,
molto peggio di quanto credessi! Quando Snow…
Snow… quando lui mi ha fatta mettere in
quell’orribile carcere…
Le
mancò la voce, strozzata dai singhiozzi.
-Bevi qui,
Effie. Un bel sorso. Non c’è bisogno che parli di
questo, passa alla parte dopo.
Lei
allontanò la fiaschetta con la mano, scuotendo la testa.
Cercò di asciugarsi le lacrime.
-Beh, insomma,
dopo… ho scoperto che mi avevano sequestrato tutto. Conto in
banca, titoli, azioni… e non solo: erano entrati qui, e mi
hanno preso i gioielli, e i quadri, e tutte le mie cose carine, e
dovevi vedere come hanno buttato tutto per aria, e adesso non mi
è stato restituito nulla perché figurati, con
questa storia della ridistribuzione dei capitali non possono finanziare
la gente di Capitol, allora ho cercato un lavoro ma non so fare niente,
so solo lavorare per la televisione, ma ancora è tutto
fermo, Plutarch ha detto che mi farà sapere…
figurati che ci sono solo notiziari, non c’è
nemmeno più “Vento focoso e passionale sotto le
magnolie” e gira voce che l’ingenua Dorothy e il
protettivo Norman siano stati uccisi nel corso della
ribellione…
Ricominciò
a singhiozzare. Haymitch non aveva idea di chi fossero
l’ingenua Dorothy e il protettivo Norman, e non era certo di
volerlo sapere.
-Effie, vedrai
che andrà tutto bene, Plutarch ti chiamerà di
sicuro…
-Davvero?
Glielo chiese
come se lui avesse la verità in tasca, fissandolo con gli
occhioni azzurri sgranati. Haymitch non avrebbe mai pensato che Effie
fosse così carina, senza trucco.
-Davvero,
sì, certo… perché non dovrebbe? Senti,
dolcezza, adesso basta piangere. Lascia che ti porti fuori,
d’accordo? Mettiti un vestito e usciamo, tu ed io, quando la
sera si stende contro il cielo come un paziente eterizzato disteso su
una tavola…
Lei lo
fissò perplessa. –Ma che stai dicendo?
-Oh, lascia
stare, devo averlo sentito da qualche parte. Allora, dolcezza, ti vesti
o no?
Lei gli
rivolse un sorriso, uno vero, e finalmente lui la riconobbe. Come per
non correre il rischio, lei decise di farsi riconoscere perfettamente.
-Sei
così carino, Haymitch… dammi solo il tempo di
darmi una sistemata, ci metterò non più di dieci
minuti!
-Certo che sei
davvero, davvero, davvero un maleducato a presentarti così,
a casa di una donna, senza nemmeno avvisare!-, gli strillò
Effie dall’altra stanza, in cui si era barricata per darsi
una sistemata.
Erano passati
quaranta minuti, e Haymitch stava lentamente collassando sul tavolino a
lato del divano.
-Bambolina, se
sapevo così avvisavo, giuro!
Lei ricomparve
vestita con un abito color rosino polveroso, decorato da merletti sul
corpetto e perline che luccicavano alla fine della gonna.
Aveva il suo solito trucco, qualche forcina in bocca e un paio di
sandali col tacco altissimo pieni di brillantini (tacco compreso) in
mano. Effie aveva le gambe lunghe anche senza tacchi, notò,
mentre lei si guardava in uno specchio trafficando con le forcine.
-Ma non ti
avevano portato via tutto?
-Sì,
ma pensa che idioti: mi hanno lasciato questo vestito che è
un Elettra Ray sartoriale su misura, tutti i Curzia e Curzia Vintage, e
persino due completi Cicero Nightingale! Invece sugli accessori hanno
fatto un disastro, magari pensavano che ci fossero materiali di valore
o che ci nascondessi qualcosa dentro… ho salvato qualche
cintura, per fortuna quasi tutte le mie scarpe, ma sulle borse e le
parrucche non sono stata fortunata…
Haymitch
ringraziò mentalmente qualunque Pacificatore avesse fatto
scempio delle parrucche di Effie. Lei si stava scrutando i capelli con
aria critica.
-Sono
orribili, non stanno da nessuna parte, non sono capace di acconciarli
e… oh, Haymitch, intanto che cerco di dargli un senso tu
prendi quella scatola di là e cercami la cintura di
Guccioni, quella color Peccato Ceruleo!
Haymitch si
alzò faticosamente e andò a prendere la scatola
che lei gli indicava. Traboccava di cinture; lui decise di non
chiedersi quante ne avesse avute, prima. Appoggiò tutto sul
tavolino vicino al divano, chiedendosi che diamine di colore era il
Peccato Ceruleo. Pensò che forse ceruleo era una cosa tipo
cerume (faceva schifo, ma aveva visto di peggio, nella Capitol City dei
tempi d’oro) e estrasse cinture dalla scatola appoggiandole
rumorosamente sul tavolo, fino a trovare una cosa giallastro-marroncina.
-Questa?
Lei si
voltò. -Ma no, Haymitch, quella è color Senape di
Digione, non vedi? È quell’altra, ce
l’hai lì davanti!
Ok. Aveva
davanti qualcosa come una cinquantina di cinture. Ne
rovesciò un’altra manata sul tavolo e ne prese una
a caso. –Questa?
-Haymitch!
Come pensi che quella cintura possa stare bene con il vestito che ho
addosso? E stai attento a sbattere con tanta malagrazia le fibbie sul
tavolino, quello è mogano!
-Mi arrendo,
Effie. Non so nemmeno che colore sia il peccato ceruleo.
Lei
sospirò e si diresse a passo di marcia verso il tavolino,
scuotendo la testa. Afferrò una cintura azzurrina.
-Oh, era
quello…
-Sì,
Haymitch. Come mi stanno i capelli, dici che posso uscire messa
così o la gente mi segnerà a dito ridendo di me?
Ma cosa lo chiedo a te, che non sai nemmeno distinguere i
colori…
-Dolcezza, sei
una meraviglia. Adesso però usciamo, perché io
qui sto mettendo radici e ho sete.
Lei gli
sorrise. –Va bene, non posso pretendere un miracolo,
vorrà dire che per una volta uscirò
spettinata… aspetta solo un momento, vado a prendere la
borsa!
Venti minuti
dopo erano in strada.
Come Effie
venne a sapere ben presto, quella era probabilmente l’unica
enoteca rimasta in tutta Capitol City. La gestiva quello che, prima
della rivoluzione, era il più famoso sommelier della
capitale, e tecnicamente era un locale clandestino.
Di fatto, data
la quantità di amicizie del proprietario, tra cui un buon
numero di forze dell’ordine che lo frequentavano abitualmente
per far colpo sulle ragazze quando non erano in servizio, continuava a
prosperare allegramente, anche se un po’sottotono rispetto ai
fasti che precedevano la rivoluzione.
Effie ne fu
incantata. Riconobbe anche il signor Xeno Goodmoon, che si
mostrò estasiato, le fece il baciamano e disse che era un
vero piacere avere nel suo modesto locale una bella donna come lei, che
guardandola gli sembrava di tornare ai tempi gloriosi della grande
Capitol, e che aveva esattamente quello che un palato fine come il suo
avrebbe apprezzato: uno champagne d’annata, di quelli che si
bevevano solo nei grandi vernissage. Lei ne fu estasiata.
-Per me del
rosso, Xeno. E adesso scusa, vorrei sedermi prima che tutte queste
cazzate mi facciano vomitare da sobrio-, bofonchiò Haymitch.
Effie gli fece gli occhiacci, come ai bei vecchi tempi, prima di
tornare a rivolgere un sorriso raggiante al sommelier.
Lui li
accompagnò a un tavolino defilato, vicino a una piccola
orchestra che suonava musica jazz. Accese una candela, servì
le bottiglie e riempì con mosse esperte i bicchieri di
entrambi, tra l’entusiasmo quasi commosso di Effie.
-E allora ti
manca così tanto la vecchia stratosferica Capitol?-, le
chiese Haymitch, seccando il primo bicchiere tutto d’un fiato.
Lei
sospirò in maniera teatrale. –Oh, Haymitch, non
sai quanto! Ti ricordi com’era tutto così colorato, così luminoso?
-Quelli erano
gli allucinogeni, dolcezza.
-Ma…
insomma, Haymitch, non erano gli allucinogeni! E poi c’erano
tutte quelle feste, e la gente era sempre di buonumore, ci si divertiva
così tanto, ed erano tutti così eleganti…
-Ah, ma quello
me lo ricordo, splendore. Le tue parrucche, quelle erano qualcosa di
elegantissimo. Ne avevi una viola, una volta, con tutti dei grappoli di
fiori attaccati, che era una meraviglia.
Lei bevve il
suo champagne, chiudendo gli occhi per assaporarlo meglio.
Sospirò.
-Non era
viola, Haymitch, era
glicine.
Oh, ma cosa vuoi capirne tu, che passavi il tempo nella capitale a bere
e bere e bere e nient’altro!
Lui si
versò immediatamente un altro bicchiere.
-E gli Hunger
Games, dolcezza?-, ghignò. –Quelli ti mancano?
Lei prese il
suo bicchiere di champagne e lo svuotò, anche se
cercò di darsi un contegno. Le tremava leggermente la mano.
-Oh, no, no,
quello no. Le ultime due edizioni sono state terribili, assolutamente
terribili…
-E niente in
confronto alla cinquantesima. Sai, quella volta c’erano
quarantotto tributi, uno spasso!
Le
versò lo champagne. Lo versò troppo in fretta e
il bicchiere si riempì di schiuma che traboccò
sul tavolo.
-Sei un
disastro, Haymitch Abernathy. Non so davvero come fare con te, non
l’ho mai saputo. A volte mi chiedo come hai fatto a
sopravvivere in quell’arena!
Lui
asciugò il tavolo con la manica, sotto lo sguardo
scandalizzato di Effie. Bevve dell’altro vino, si
asciugò la bocca con la stessa manica, e le puntò
il dito contro.
-Una donna
alta la metà di me mi ha dato un consiglio che mi
è servito tantissimo, bambolina. Mi ha detto di restare vivo.
-Una donna?
-Quella
grandissima troia che ha fatto la stratega per più di
vent’anni, Linda Ray…
-Bebe
Linda?
Quella Bebe Linda? Haymitch,
tu hai parlato con quella Bebe Linda e non me
l’hai mai detto? Sei malvagio, crudele e insensibile!
Lui la
fissò e sbatté un paio di volte le palpebre.
-Ero
distratto, zucchero. Sai com’è, tutti quei
ragazzini del mio distretto che morivano…
-Haymitch
Abernathy.- Lei tamburellava le unghie sul tavolo, in quel modo
leggermente minaccioso che di solito precedeva frasi tipo
“dovevi essere qui un’ora e ventisette minuti
fa”. –Mi sento in obbligo di ricordarti che tu eri
il loro mentore, e avresti dovuto aiutarli e procurargli degli sponsor,
e invece tutto quello che facevi era trascinarti da un posto
all’altro ubriacandoti come una spugna e facendomi fare delle
terribili, terribili figure. E dal momento
che quando ti sei deciso a fare quello che ti si chiedeva di fare i
nostri tributi hanno vinto, non venire a piangere da me, adesso.
E, detto
questo, Effie si mise a sorseggiare il suo champagne con aria
oltraggiata.
Lui non
trovò di meglio da fare che finire il suo vino attaccandosi
direttamente alla bottiglia e ordinarne un’altra; la
rivolevi indietro com’era prima, vecchio pazzo? Eccotela,
sarai contento adesso, pensò.
Quando lei
sbatté il bicchiere sul tavolo con aria leggermente
stizzita, però, lui glielo riempì di nuovo.
Questa volta lo fece lentamente e riuscì a non farlo
traboccare, se si escludeva quel po’che era finito sul tavolo
perché il calice era stretto e lui cominciava a vederlo un
po’ confuso.
-E a cosa
è servito, Effie? Li ho fatti vincere, e l’anno
dopo erano ancora lì.
Lei bevve il
suo champagne. Diventava audace, le quantità aumentavano
sempre più man mano che continuava a bere.
-Ti ho
già detto che le ho detestate, quelle due edizioni. Quante
volte me lo vuoi far ripetere?
-Dimmi che hai
detestato anche la cinquantesima, per piacere. Dimmelo e ti porto a
bere tutte le sere e potrai stilare il maledetto programma della serata
e io lo seguirò punto per punto con gli orari e tutto.
-Oh, Haymitch,
sei
impossibile.
E va bene, ho detestato anche quella e rivoglio indietro la vecchia
Capitol ma senza quegli orribili, orribili, orribili giochi! Ecco, me
l’hai fatto dire, sarai contento adesso!
-Contentissimo,
meriti un altro bicchiere per premio!
Le
versò di nuovo lo champagne. Lei lo ringraziò.
-Sai, non
credo che riavrai mai indietro la tua Capitol City, zuccherino.
Però potresti sempre venire con me nel Dodici, se qui non
trovi nulla da fare; non ti manchiamo noi minatori grezzi? Io adesso
allevo oche, allevo anche te, se vuoi!
Lei
sgranò gli occhi.
-Mi stai
offendendo, Haymitch!
La sua
affermazione fu sottolineata dalle note di un tango, che
sostituì la musica lenta che aveva suonato fino a quel
momento. Haymitch rise.
-Ehilà,
come ti scaldi, bellezza! Ma figurati! Vieni, balliamo insieme questo
tango!
Lei
sbuffò e scosse la testa. I riccioli biondo chiaro si
agitarono attorno al viso; erano graziosi, sicuramente più
di quelle improbabili parrucche che portava sempre. Prese in
mano il bicchiere; quello che non si aspettava era che Haymitch
saltasse in piedi e la tirasse per un braccio, rovesciandole lo
champagne e rischiando di farla cadere dalla sedia.
-Haymitch, ma
che razza di maniere…
-Balliamo
insieme per dimenticar-, le canticchiò
nell’orecchio a ritmo di musica. Gi piacevano i suoi capelli
chiari. Era brillo e gli puzzava l’alito, ma Effie
rabbrividì.
Lui scelse
quell’attimo per farla piroettare lontana da lui con una
certa malagrazia; ma lei riuscì a tenersi in equilibrio sui
suoi tacchi altissimi come niente fosse. Poi cambiò giro e
gli tornò tra le braccia. Lui le fece fare un paio di giri,
ma non era molto saldo sulle gambe.
-Credo di
essere un po’ubriaco, dolcezza. Se facciamo un'altra
piroetta, mi sa che vomito.
-Un
po’
ubriaco? È un eufemismo, Haymitch. E non mi spiego come mai
tu mi abbia voluto far ballare, dato che proprio non sei capace!
Lui la fece
piroettare un altro paio di volte.
-È
perché sono un po’ ubriaco. Dovresti vedermi
quando sono sobrio.
-Perché,
sai ballare?
-No. Dovresti
vedermi nel senso che sono ancora peggio!
Lei si
fermò, sbuffando.
-Sei un
completo disastro, Haymitch. Non ho mai avuto un ballerino peggiore di
te.
-E invece io
non ho mai avuto una ballerina migliore, bambolina-, le disse
baciandole la mano. Per un attimo, dietro alle rughe e alle occhiaie e
alla barba vecchia di tre giorni, Effie vide lo sguardo e il sorriso di
quello che doveva essere stato lui da giovane, prima
dell’arena, quando, si diceva, faceva girare la testa a tutte
le ragazze del suo distretto.
Durò
un istante. Poi lui cercò la sua bottiglia e fece per
attaccarcisi direttamente a collo. Lei gliela tolse dalle mani con un
gesto stizzito.
-Adesso basta,
Haymitch. A me gira la testa ed è tua precisa
responsabilità riaccompagnarmi a casa e se continui
così non vedo proprio come riuscirai a farlo.
-Mia
precisa responsabilità?
-Ma certo!
Haymitch, da quanto tempo non porti fuori una donna? Oh, lascia stare,
non credo proprio di volerlo davvero sapere…
-Le donne del
mio distretto sono tutte pazze di me, dolcezza. Sono più
forte di un ammazzacaffè!
Lei
alzò le sopracciglia.
-Certo, ne
sono convinta. Ora, andiamo però, altrimenti non
riuscirò mai a tenerti abbastanza in te da arrivare a casa
sana e salva… conosco perfettamente i tuoi tempi di
lucidità, Abernathy!
Lui
sbuffò e come, promesso, andò a pagare. Xeno
Goodmoon li salutò con entusiasmo, stringendo mani e
augurandosi di rivedere ancora Haymitch e la sua deliziosa accompagnatrice.
Effie ridacchiò e continuò a ridacchiare per
tutto il tragitto, camminando senza fare una piega sui tacchi sottili
come la punta di un dito, e senza accorgersi nemmeno che a un certo
punto Haymitch aveva sbagliato strada ed erano dovuti tornare indietro.
Arrivarono a
casa sua. Lei ebbe prima serie difficoltà a trovare le
chiavi nella borsa, dopodiché non fu così
automatico che riuscisse a centrare la serratura.
Finalmente
riuscì ad aprire e a entrare in casa. Ringraziò
Haymitch della grande,
grande, grande serata, ridacchiando.
-E allora, hai
adorato,
adorato, adorato i salamelecchi di
Xeno, bambolina?
-Oh, Haymitch,
non essere sciocco, per favore!- trillò Effie, ancora
sorridente.
Il rossetto le
era andato via, l’aveva lasciato tutto sul bicchiere. A
Haymitch tornò in mente il bicchiere di lei pieno di
champagne, con l’impronta rosa acceso delle sue labbra.
Si
appoggiò allo stipite della porta.
Lo fece
perché, adesso che era fermo, si sentiva girare la testa, ma
tutto sommato l’effetto risultò piuttosto sexy.
Soprattutto dopo tutto quello champagne.
-E tu, Effie
Trinket. Deliziosa Effie. Da quanto tempo è che un uomo non
ti porta fuori?
Fu come
spegnere una lampadina rosa. Il suo sorriso scomparve, e davanti a lui
tornò la donna con lo sguardo vuoto che gli aveva aperto la
porta, quella che Haymitch non riusciva a riconoscere e che si era dato
tanto da fare per mandare via.
-Sei
impossibile, Haymitch Abernathy-, sospirò lei con un
bisbiglio che aveva poco a che fare con la vera voce di Effie, quella
che trapanava il cervello.
Haymitch
entrò in panico. Gli sudavano i palmi delle mani. No,
ridatemi Effie. Snow, dannato bastardo, ridammi Effie, si ritrovò
a pensare.
-Beh, grazie
della serata, Haymitch. Sei stato davvero, davvero carino a portarmi
fuori, è stato molto piacevole. Spero di rivederti presto,
fatti sentire qualche volta, va bene?
Lei aveva un
sorriso enorme e terribilmente finto, gli occhi spenti e un tono di
voce lievemente stridulo. La vide appoggiare la mano alla maniglia
della porta, per chiuderlo fuori.
Diede un pugno
allo stipite così forte che si fece un male cane.
–No!-, esclamò. Lei lo fissò, con lo
sguardo tra il costernato e l’impaurito. Haymitch
entrò in casa, chiuse la porta con una specie di calcio e le
afferrò le spalle.
-Scusami,
Effie Trinket. Perdona questo povero e stanco ubriacone grezzo del
distretto peggiore di tutta Panem. Sono stato terribilmente,
terribilmente, terribilmente orribile e tu sei adorabile e io idiota e
inopportuno. Però adesso, Effie, fammi un sorriso,
per piacere. Vedi, te lo sto
chiedendo per piacere, con le buone maniere e tutto. Fammene uno e
sarò il tuo umile servo e mi sputtanerò tutti i
soldi che mi manderanno questo mese per regalarti la più
bella parrucca che sia rimasta in città, con tutti i fiori
che ci vuoi attaccati sopra, e ti accompagnerò a fare
shopping e berrò solo il minimo necessario per mantenermi
vivo, va bene?
-Oh, Haymitch
ma non capisci? Con questo stupido regime non c’è
rimasto nemmeno un posto carino in cui si possa comprare qualcosa di
decente!-, si lamentò lei. –Però
è stato un pensiero davvero carino da parte tua e sei
perdonato, anche se sei assolutamente
orribile!
Effie concluse
la frase con un sorriso, e i toni erano andati in crescendo fino ad
arrivare al caro, vecchio, rassicurante chiodo nel cervello. Haymitch
si sentì sollevato.
Talmente
sollevato che la baciò.
Lei profumava
di bagnoschiuma e sapeva di champagne. No, lei era champagne,
così bionda e frizzante. Lui puzzava di vino.
Quindi quando
lei gli appoggiò le mani sulle spalle Haymitch
pensò che volesse spingerlo via, e si stupì
quando sentì le sue dita tra i capelli, le sue unghie lunghe
che gli pizzicavano la nuca.
-Haymitch-,
sospirò lei, e con suo immenso stupore lo baciò
di nuovo. Le accarezzò la schiena, le toccò il
sedere che, gli venne in mente, aveva guardato tante volte
perché insomma, Effie si metteva tutte quelle gonne
strettissime e lui era pur sempre un uomo, cazzo. Ubriaco e distrutto,
magari, ma un uomo.
La
sollevò per le natiche, ma si rese conto immediatamente che
già non era molto stabile da solo, figuriamoci con una
persona in braccio. Per non farla cadere sul pavimento la
mollò sul divano verde al centro della stanza, cadendole
sopra.
Bravo,
vecchio idiota. Hai voluto fare lo splendido e adesso lei ti
pianterà un tacco nelle palle e sarà la fine
della tua brillante carriera di seduttore, si disse.
Siccome lei
non accennava a fare nulla del genere, ma si limitava a guardarlo fisso
con quegli occhi celesti dalle ciglia troppo lunghe per essere vere e a
mormorare cose tipo “Oh, Haymitch”, lui la
baciò di nuovo e le infilò una mano sotto la
gonna.
Lei lo
lasciò fare.
Oh
cazzo, e così alla fine sei morto, vecchio coglione. Beh,
prima o poi doveva succedere, mica potevi continuare a restare vivo per
sempre, no?
Si trovava in
un luogo fresco e profumato, in una leggera e riposante penombra. Era
sotto una specie di baldacchino d’ottone, da cui scivolava
della stoffa viola chiaro e dei glicini a grappoli, e accanto a lui
c’era una donna addormentata.
Sbatté
gli occhi un paio di volte e si tirò a sedere. Di fianco a
lui, Effie si girò e si tirò dietro tutte le
lenzuola, lasciandolo scoperto. Effie. Era nella stanza da letto di
Effie, e di preciso era nel letto di Effie, dentro il quale aveva
passato una delle notti più belle da quando…
doveva risalire a prima dell’arena, per ricordarsi da quando.
La sua
fiaschetta di liquore del buongiorno era nella giacca. Cercò
di ricordare dove fosse finita la giacca; quasi certamente nei pressi
del divano, nell’altra stanza. Dopo avergli rubato le
lenzuola, Effie le spinse via. Insopportabile anche mentre dormiva,
pensò. Ne approfittò per guardarle il culo.
Aveva scoperto
che, proprio alla base della schiena, Effie aveva il tatuaggio di un
fiore (forse un iris, ma non ne era certo), tutto rosa e viola e pieno
di brillantini. A Capitol City andava molto di moda tatuarsi, e a ben
pensarci una cosa del genere era esattamente da Effie, ma lui non se
l’aspettava. In meno di ventiquattro ore l’aveva
vista struccata, senza parrucca, nuda, brilla, e aveva scoperto un
tatuaggio in un punto che in genere lei teneva coperto.
Niente
male, per un vecchio ubriacone.
Si
alzò piano. La stanza da letto di Effie era un trionfo di
cose tipo paraventi e affari con le piume buttati sopra i paraventi,
lampade a stelo, e specchi. Haymitch non aveva molta voglia di vedersi
nudo allo specchio, quindi cercò di passare in fretta in
salotto. Notò di sfuggita che lei gli aveva lasciato dei
segni di graffi su tutta la schiena. Maledette le sue unghie lunghe.
Trovò
i suoi pantaloni e decise di indossare almeno quelli. Poi
recuperò dalla giacca la fiaschetta del buongiorno;
valutò l’idea di chiederle se poteva farsi una
doccia lì prima di andarsene, appena si fosse svegliata. Si
accoccolò sul pavimento, la schiena contro il divano verde,
e aprì la fiaschetta.
-Non posso
credere che tu lo stia facendo davvero, Haymitch Abernathy!
Lui
trasalì. Effie si era alzata e lo fissava con le mani sui
fianchi, avvolta in un affare leggero color rosa chiaro che aveva delle
piume nel collo. Quando notò le ciabattine da camera, tacco
alto e con le piume anche quelle, non riuscì a trattenersi e
bevve dalla fiaschetta di fronte a lei, che lo volesse o no.
Lei gli si
avvicinò a passo di marcia e gliela strappò dalle
mani.
-Adesso, Haymitch, se hai un
attimo di pazienza, preparo la colazione.
Questa-non-è-una-colazione!
Lui la
afferrò per la vita e la baciò in bocca. Effie si
tirò indietro, pulendosi le labbra con la mano.
-Vedi? Sai
già di alcool di prima mattina, è una cosa
orribile e mi dai la nausea!
-Ieri sera
però non dicevi così…
-Oh, sei
impossibile!
Gli diede le
spalle e andò in cucina. Appena Haymitch capì che
lei gli stava vuotando il liquore nel lavandino, si alzò di
scatto e la raggiunse di corsa. Troppo tardi.
-Assassina-,
borbottò. –Sei un’assassina, Effie
Trinket.
-Siediti
lì e stai zitto, Haymitch.
Lui le
obbedì controvoglia. La cucina non sembrava malmessa come le
altre stanze, forse perché lì Effie non aveva
cose preziose che potevano averle portato via.
Lei gli
sbatté davanti con aria stizzita una tovaglietta rosa scuro,
una tazza con dei fiori disegnati sopra, e un assortimento di piattini
e posatine che Haymitch si era sempre fatto un punto d’onore
nell’ignorare completamente. La guardò preparare
il caffè, tirare fuori latte e succo di frutta, burro e
zucchero, pane tostato e marmellata senza dire una parola. Quando
tirò fuori i muffin, però, non si trattenne.
-E quelli?
-Li ho fatti
ieri… pensa, ho dovuto farli da sola. Non
posso più permettermi di andarli a prendere in pasticceria.
-Effie
Trinket, questa non me l’aspettavo. Sai fare i muffin?
Lei si strinse
nelle spalle.
-Non
è difficile. Sai, una volta, quando ero in
quell’orribile, orribile, orribile distretto Tredici e Peeta
era così confuso, l’ho fatto parlare un
po’e lui mi ha spiegato la ricetta. Non pensavo mi sarebbe
mai servita, ma lui sembrava così contento di parlarne,
povero caro…
Lui diede un
morso al dolcetto. Era buonissimo e aveva un leggero retrogusto di
frutta.
-Però!
-Ti piace? Il
segreto è nel mescolare burro e zucchero assieme fino a fare
una cremina, e aggiungerli in seguito. Così vengono
più morbidi. Me l’ha insegnato Peeta.
-Non
mancherò di ringraziarlo; qualcuno mi ha ripetuto fino alla
nausea che le buone maniere sono importanti, e alla fine questo
insegnamento è riuscito a fare breccia nel mio cuore di
pietra. Posso farmi una doccia qui, dopo colazione?
-Ma certo che
puoi, Haymitch! E mi fa molto piacere che i miei insegnamenti servano a
qualcosa, ogni tanto.
Lui
tuffò il muffin nel caffellatte, ridacchiando. Ci bevve
dietro il succo di frutta sentendoci dentro la mancanza della vodka, ma
non si può avere tutto, avrebbe recuperato più
tardi. Pensò che fosse abbastanza.
-Adesso ti
posso baciare, Effie Trinket? Dovrei sapere di roba dolce, e visto che
non mi fai bere devi almeno offrirmi una compensazione.
Lei
rischiò di sputare il caffellatte. Si tamponò la
bocca con un tovagliolo sull’arancione-rosino.
-Ritiro tutto
quello che ho detto sulle tue buone maniere, Haymitch. È
incredibile come tu non riesca mai…
Haymitch aveva
valutato seriamente l’opportunità di spazzare via
col braccio tutto quello che c’era sul tavolo, afferrarle la
vestaglia per le piume sul collo e baciarla così, ma
pensò che avrebbe ottenuto solo una crisi isterica.
Così si alzò in maniera molto compassata, la
prese in braccio e la baciò con tutta la calma del mondo.
Pensò che era stato un bacio dolcissimo.
-Mettimi
giù, Abernathy, razza di…
-No che non ti
metto giù, dolcezza. Io la voglio fare davvero, quella
doccia. Ti porto con me… signorina Effie Trinket, mi concede
l’onore di insaponarle la schiena?
Lei
sbuffò, ma non disse di no.
Haymitch
tornò nel distretto Dodici con una congrua scorta di cose da
bere, e molto più sereno di quanto si sentisse da tanto,
tanto tempo. L’idea che aveva avuto di andare a vedere come
stava Effie, anzi, l’idea che non aveva avuto e che era
capitata per caso, si era rivelata ottima. Ogni tanto andava da Peeta e
si comprava i muffin; aveva scoperto che inzupparli nella vodka e succo
d’arancia lo faceva stare bene. Aveva anche scoperto che se
ne inzuppava un pezzo piccolo nella vodka liscia, poi beveva la vodka
alla goccia e mangiava il muffin, faceva più effetto.
Pensava che avrebbe potuto proporlo a Effie, e ogni volta che ci
pensava sentiva la sua voce terribile che si conficcava nel lobo
frontale e diceva “Non essere sciocco, Haymitch
Abernathy”.
A volte aveva
pensato di chiamarla, ma chissà dove aveva infilato il suo
numero. Di certo qualcuno ce l’aveva, anzi, di sicuro Peeta e
Katniss l’avevano, ma non riusciva a immaginare di andare da
Katniss a chiedere il numero di Effie, e così non la
chiamava mai. Aveva pensato di andare a Capitol per vedere come stava,
ma poi rimandava sempre, anche perché avrebbe dovuto essere
se non sobrio almeno meno ubriaco per andarci ed era una congiunzione
astrale che non si verificava praticamente mai. E comunque non ci
pensava poi così spesso. E anche se ci pensava, ci pensava
perché di tutte le donne che gli giravano intorno (che non
erano molte a dire il vero, anzi, erano davvero pochine) Effie non era
l’ultima a cui avrebbe pensato, ma era quella a cui proprio
non aveva mai pensato. Va bene, le guardava il culo, ma quella
è una cosa diversa.
Una volta
aveva sognato che era stata lei a morire nell’arena, al posto
di Maysilee. Un’altra volta invece era stata lei a estrarre
il suo nome dalla boccia di vetro, e applaudiva mentre lui saliva sul
palco, dicendogli “Ma insomma, Haymitch, sorridi! Questa
è una grande, grande, grande giornata!”. La volta
che aveva sognato che era morta anche lei, e il presidente Snow diceva
“scusa, Abernathy, è che me l’ero
dimenticata”, Haymitch aveva cominciato a pensare che forse
c’era qualcosa di strano e che d’accordo, non
è che trombasse molto spesso ultimamente, ma una trombata
(più di una, ma sono dettagli) non poteva ridurlo
così, insomma. Siccome non sapeva cosa fare, decise di
risolverla in sbornie, facendo preoccupare persino Katniss che di
solito lo lasciava in pace.
Quando
squillò il suo telefono, Peeta se n’era appena
andato dicendogli che non poteva far preoccupare Kat, che stava
esagerando e che o si dava una regolata o gli avrebbe buttato via tutte
le bottiglie e l’avrebbe guardato ridendo mentre era in crisi
di astinenza. Poi si era un po’pentito e aveva detto che no,
non è vero che avrebbe riso, ma le bottiglie gliele avrebbe
buttate lo stesso. Allora Haymitch stava pensando a dove nasconderle, e
a quel punto era squillato il telefono.
-Pronto!-
aveva ringhiato nella cornetta.
-Buongiorno a
te, Haymitch… le tue maniere sono orribili anche quando si
tratta di rispondere al telefono. Non so davvero, davvero, davvero cosa
fare, con te.
-Cazzo,
Effie… scusa, dolcezza, è che stavo…
se tu avessi cose preziose da nascondere, dove le nasconderesti?
La sua voce
dall’altra parte del filo arrivò gelida come il
ghiaccio. –Non le nasconderei, Haymitch, infatti non ne ho
più. Ogni volta che provo a essere carina con te, tu mi
dimostri che non c’è niente da fare, sei un caso
perso… ti avevo chiamato per dirti che verrò nel
Dodici, ma non credo che la cosa possa interessarti particolarmente,
dato che…
-Quando vieni?
Gli
uscì un po’troppo ansioso. Lei forse se ne
accorse, perché fece una pausa.
-Vengo per
lavoro. Alla fine Plutarch mi ha contattato… vogliono fare
un programma sui distretti che dopo la rivoluzione lavorano per
ricostruire la pace nel mondo, sai, una cosa che smuova i cuori e le
emozioni della gente, e io dovrò occuparmi del distretto
Dodici… che te ne pare?
-La pace
nel… sto per vomitare, dolcezza.
-Sei ubriaco?
Lo sapevo. Beh, vedi di essere sobrio per quando io e la troupe
arriveremo, nel caso ti si debba intervistare…
-Niente
interviste. Però sono contento che tu abbia un lavoro,
zucchero, davvero. Senti, quando vieni, potresti portarmi un
po’del vino rosso di Xeno? E i tuoi muffin. Fammi qualcuno
dei tuoi muffin, quelli fatti dalle tue manine dalle unghie killer, te
ne prego!
-Non essere
sciocco, Haymitch, non ho certo tempo di fare i muffin, e poi puoi
sempre farteli fare da Peeta, no? E che significa niente interviste?
Plutarch vuole tante, tante, tante interviste. Ho già fatto
il programma, sarà tutto perfetto. Oh, la convinci tu
Katniss, vero?
-La convinco
io? A fare che?- Haymitch era interdetto. Cercò di
raggiungere la bottiglia di vodka, ma era troppo lontana.
-Ma le
interviste, Haymitch! Di cosa stiamo parlando, scusa? Allora ci vediamo
presto, mi aspetto che tu sia sobrio, pulito ed elegante!
-Effie
Trinket…
-Poche storie!
Oh, devo scappare, ho il parrucchiere e sono in ritardo a partire da
ora! A presto, Haymitch! Mi raccomando!
-Uh…
ok. A presto…- non riuscì quasi a finire di
salutarla che lei aveva già riattaccato.
Haymitch mise
giù la cornetta e si diresse verso la bottiglia, costernato.
Lawrence Malk
sapeva che la rivoluzione era stata la sua fortuna.
Era nato e
cresciuto nel distretto Quattro, destinato a cuocersi al sole
d’estate e ghiacciarsi d’inverno, tirare su le reti
e farsi schiantare le ossa dai reumatismi. Invece era andato a finire
nel distretto Tredici, e nonostante gli spazi ristretti che lo
soffocavano, la mancanza di aria fresca e la gente che lo prendeva in
giro per il suo strano accento, si era trovato un’occupazione
che gli piaceva e che aveva imparato a fare bene. La prima volta che
gli avevano parlato di pannelli fotovoltaici aveva accettato di andare
in superficie a installarli solo perché così
almeno aveva una scusa per uscire all’aria aperta, poi
però il lavoro gli era piaciuto, aveva chiesto di
approfondire l’argomento e adesso era considerato un esperto.
Quando
l’avevano mandato nel distretto Dodici, ad affiancare
l’ingegnere che doveva installare i pannelli per conto del
nuovo governo, Malk aveva capito una cosa.
Che quegli
uomini rudi e abituati a stare tutta la vita nelle miniere non erano
“dei pazzi anarchici” come diceva
l’ingegnere, un fighetto nato e cresciuto a Capitol City che
non era nemmeno capace di pulirsi il culo da solo. Che, se lui era
abituato all’enormità degli spazi aperti di cielo
e mare e loro alle tonnellate di terra sopra la testa, due cose avevano
in comune: lavoravano tutti i giorni confrontandosi con forze molto
più grandi di loro sulle quali non avevano alcun controllo,
e lavoravano sodo, facendosi il culo dalla mattina alla sera.
Quindi, il
primo giorno che era arrivato, era andato da Sae la Zozza dove tutti
gli ex minatori si radunavano a bere la birra annacquata che arrivava
da Capitol (buffo come in ogni distretto ci fosse un posto del genere,
nel suo c’era George lo Sporco) aveva pagato un giro a tutti
e si era messo a raccontare di quella volta che li aveva sorpresi la
tempesta e a stento erano riusciti a riportare la barca in porto. E
allora gli altri avevano annuito dentro le loro birre e gli avevano
raccontato di quella volta che c’era stato un crollo e si
erano salvati a stento, e di un altro crollo in cui invece erano morti
tutti, e il giorno dopo avevano lavorato tutti insieme, sodo e a bocca
chiusa.
Malk si era
trovato bene e aveva persino convinto qualcuno dei cittadini
più abbienti a installare qualche pannello anche sulla
propria casa, a proprie spese ma con un finanziamento dal governo
centrale di Capitol.
Per quello si
stupì quando vide, al cantiere, gli operai che confabulavano
tra loro. “Casini”, pensò tra
sé e sé.
-Tu lo sapevi,
ragazzino?-, lo apostrofò uno di loro appena mise piede nel
cantiere.
Malk detestava
essere chiamato “ragazzino”. Anche se a chiamarlo
così era stato John Blacksmith detto
“Dinamite”, un ex minatore sulla cinquantina, alto
quanto lui e grosso il doppio. Aggrottò le sopracciglia
scure, fissandolo negli occhi.
-Che
cos’è che devo sapere, ciò?
Dinamite
sputò per terra.
-Che
è arrivata la tv. Un bel gruppo di stronzi freschi freschi
dalla capitale, che vogliono fare un bel programma televisivo.
-Sapevo un
cazzo, io. Quando sono arrivati questi?
L’uomo
lo fissò, Malk non abbassò gli occhi nemmeno per
un momento. Alla fine Dinamite si convinse che dicesse la
verità.
-Chiediglielo
a lui, quando sono arrivati-, disse Dinamite, indicando col dito
l’ingegnere. Malk notò che era bianco come un
cencio, ancora un po’ e sarebbe scoppiato in lacrime.
Fighetto di merda, pensò.
-Se ne sono
scesi dal treno con le loro telecamere,-continuò Dinamite,
-e sapete chi li accompagnava? Effie Trinket, la puttana di Capitol
City che ha mandato a morte il ragazzo di mio fratello, il maggiore.
Adesso passa per una dei ribelli, ma me la ricordo bene, io. Ci godeva,
quella troia, a mandare a morte i nostri ragazzi.
Gli altri
annuirono, lanciando qualche imprecazione. Malk incrociò le
braccia e si rivolse all’ingegnere.
-E che
cos’è questo programma che devono fare, eh? Non
gli sono bastati tutti quelli che hanno fatto? Che
cos’è che volete ancora da noi, voi di Capitol?
L’ingegnere,
che evidentemente pensava di trovare in lui un alleato, scosse la testa
balbettando qualcosa. Dinamite, anche lui stupito, si girò
verso Malk con sguardo interrogativo.
Lui li
fissò tutti con uno sguardo duro negli occhi scurissimi.
–Ma cosa credete, eh? Lo sapete da dove vengo io? Anche una
mia amica è morta nell’arena. Solo
perché mi vedete con la camicia pensate che venga dalla
capitale? Sono anche io uno dei distretti!
Dinamite gli
batté una mano sulla spalla. –Bravo ragazzo. E tu,
ingegnere, il ragazzo ti ha chiesto cosa volete da noi. Rispondigli.
Lui li
fissò con lo sguardo terrorizzato. –Ma…
ma… ma io non lo so…-, balbettò,
strascicando ancora di più il suo accento.
–Loro… penso sia solo una trasmissione per far
vedere l’armonia nei distretti, come si lavora assieme, la
pace raggiunta… cose così… solo
questo…
Malk
scoppiò a ridere.
-Sei
fortunato, perché io vengo dal Quattro e noi siamo dei
signori. Corri ad avvertire quelli della tv di levarsi dalle palle e
farci lavorare, perché se non risalgono subito sul treno con
le loro cose andiamo a farceli risalire noi, a modo nostro,
però.
L’ingegnere
guardò le facce degli ex minatori e non stette a pensarci
troppo. Corse via da lì più in fretta che poteva.
Non
è che Haymitch fosse uscito di casa perché quello
era il giorno in cui arrivava Effie. A parte che non era nemmeno sicuro
che il giorno fosse quello, a volte si perdeva delle intere settimane,
figuriamoci i giorni, e comunque il motivo era solo che gli andava di
andare a comprare qualcosa da mangiare da Peeta. Poi non era detto che
magari, già che c’era, non sarebbe potuto passare
a vedere se era arrivata o no, o magari incontrala in giro, alla fine
il posto era piccolo e se capita capita, uno mica se le va a cercare.
Si accorse
troppo tardi che era uscito di casa con la bottiglia di vodka in mano.
Pazienza, ormai era fatta, mica poteva tornare indietro per riportarla;
già che c’era ne bevve un sorso. Se capita capita,
ecco. Glielo diceva sempre suo padre: figliolo (sì, gli
diceva proprio figliolo, anche davanti alle
ragazze, lui ci diventava matto), se capita capita, cosa ci vuoi fare,
bisogna portare pazienza e andare avanti. Gliel’aveva detto
anche quando l’aveva salutato prima dell’arena. Poi
non l’aveva più rivisto.
Il pensiero
gli fece venire voglia (no, bisogno, che non era voglia, era diverso)
di bere dell’altra vodka. Meno male che aveva la bottiglia.
Quindi non si accorse del tizio ben vestito che aveva svoltato
l’angolo di corsa, finché non gli finì
addosso.
-Si tolga dal
mezzo, insomma!-, lo apostrofò il tizio, con
l’accento strascicato di Capitol. Haymitch ci mise qualche
istante per capire da dove saltava fuori uno così nel
distretto Dodici.
-Aspetti un
attimo. Lei è l’ingegnere di quei robi,
là, il fotovoltaico… Stanno andando a fuoco tipo
una gigantesca lente di ingrandimento, cose così?
Cos’è successo?
Lui scosse la
testa, gesticolando come impazzito.
-È
successo che dalla capitale hanno mandato una troupe per fare un
programma televisivo e quelli che dovrebbero montarmi i pannelli si
sono messi a fare la rivoluzione! Non so cosa gli sia preso, hanno
detto che se non se ne andavano li facevano andare via loro, non
capisco il motivo di questa agitazione per un programma televisivo, voi
qui siete tutti pazzi…
-Oh, merda!-
esclamò Haymitch. Preso dalla foga afferrò per il
bavero l’ingegnere, che lanciò un urlo.
-Senta, non
c’è tempo da perdere, corra ad avvertire il
fornaio e la sua compagna, gli dica che…
Lui si
divincolò, e Haymitch perse la presa. Il tizio lo
fissò con gli occhi fuori dalle orbite. -Tu sei pazzo! Voi
siete tutti pazzi, qui, pazzi e pericolosi! Vatteli a chiamare tu i
tuoi amici, io torno a casa! Non ve l’hanno bombardato
abbastanza, il vostro distretto di merda!
Haymitch
valutò seriamente l’idea di fracassargli la
bottiglia di vodka nei denti. L’ingegnere si salvò
solo perché Haymitch si perse un secondo a chiedersi se
valesse la pena di sprecare della vodka per uno come lui, e appena
decise che era abbastanza ricco per permettersene un’altra
bottiglia, quello era già scappato via. Haymitch
imprecò di nuovo e corse verso il forno più
veloce che poteva.
Appena
arrivarono in piazza, dove la troupe aveva iniziato a montare
l’attrezzatura, Haymitch capì che la situazione
era più grigia del previsto. Perché gli ex
minatori, nella loro marcia, si erano tirati dietro tutta la gente che
avevano incontrato strada facendo, che adesso rumoreggiava, lanciava
insulti e, visto che qualcuno aveva già in mano delle
pietre, presto sarebbero volate cose parecchio pesanti.
Haymitch si
chiese dove aveva la testa Plutarch per non capire che fare stupidi
programmi dalla retorica buonista in un distretto che era stato
bombardato, decimato, e i cui sopravvissuti erano per la maggior parte
minatori ignoranti e incazzati, non era una grande idea. La gente di
Capitol doveva avere un chiodo nel cervello, l’aveva sempre
pensato, non importava quante cose cambiassero.
Come per
sottolineare questa sua convinzione, Effie aveva un vestito stranamente
meno elaborato rispetto ai suoi standard, ma di un colore verde cimice
e dei sandali altissimi con dei fiori rosa attaccati ai laccetti.
Almeno non aveva la parrucca, anche se i suoi capelli erano
più chiari rispetto all’ultima volta che li aveva
visti. Effie credeva davvero in quello che stava facendo, come ci aveva
creduto per tutta la vita; doveva aver pensato qualcosa tipo
“andiamo a vedere le nuove speranze e la gente felice, le
mamme mi mostreranno i figli della libertà e sarà
tutto bellissimo”. Merda.
Aveva un
aspetto terrorizzato da bestia braccata. Appena lo vide
chiamò il suo nome, come se lui dovesse salvarle la vita.
Siamo
a posto,
si disse.
Haymitch aveva
ancora in mano la bottiglia di vodka con cui aveva salutato il nuovo
giorno; Katniss aveva la treccia un po’ fatta e un
po’no e Peeta, recuperato sul lavoro, aveva il grembiule
addosso, un muffin mezzo glassato in mano e uno sbuffo di farina sulla
guancia. C’è da dire che quasi non
l’avevano fatto finire di parlare, si erano guardati in
faccia ed erano corsi fuori di scatto.
Siamo
proprio un bel tris di coglioni, si disse Haymitch.
Pazienza. Un tris di coglioni che ha vinto gli Hunger Games magari
qualche possibilità potrebbe averla, considerò.
-Hey, gente!-,
gridò per richiamare l’attenzione.
Avanti,
comincia lo show.
-Sono Haymitch
Abernathy e, anche se non si direbbe, sono il vincitore della Seconda
Edizione della memoria, quella con quarantotto tributi
anziché ventiquattro. Quindi statemi a sentire.
La folla si
fermò. Tutti conoscevano Haymitch, di persona o di fama.
Sapevano quando aveva vinto, cosa aveva perso, come era andato a
finire. Lo lasciarono parlare.
-Lo sapete chi
sono questi due? Ma sì che lo sapete, li conoscete tutti,
qui, e chi non è di qui li ha visti in televisione. Sono gli
innamorati sventurati del distretto Dodici, ed è stata
quella donna a pescare i loro nomi dalla boccia. Due
volte.
Quindi se c’è qualcuno a cui spetta decidere
qualcosa su di lei, sono loro e nessun altro. Ne hanno il diritto.
Funzionò.
Forse era merito del sorrisetto tranquillo abbinato allo sguardo al
fosforo che Haymitch aveva riservato solo all’arena e ai
momenti peggiori, ma gli ex minatori e Malk smisero di rumoreggiare.
Haymitch si voltò verso Katniss, che colse
l’imbeccata.
-Lasciate
stare Effie. Lei è solo uno strumento. Sta solo lavorando per Capitol City, come
ha sempre fatto; non ha nessun senso prendersela con lei!
Katniss non
era mai stata brava con le parole, ma Haymitch la conosceva troppo bene
per non sapere che, se la folla avesse fatto una sola mossa, lei
avrebbe fatto qualcosa di tremendamente stupido ed eroico, e che ancora
una volta i suoi pensieri viaggiavano paralleli a quelli di lui: non
sopportava l’idea di perdere qualcun altro, nemmeno Effie.
Glielo leggeva in faccia.
Ad ogni modo,
non era un caso se aveva fatto parlare prima lei. Conosceva i suoi
polli.
Perché
Peeta fece un passo avanti, si raddrizzò sembrando
improvvisamente altissimo, e fissò la folla in un modo che
sembrava stesse guardando negli occhi tutti quanti, uno per uno.
-Io dico di
lasciarglielo fare, questo programma. Lasciateli girare per il
distretto, lasciate che facciano le loro interviste; che questo nuovo
governo lo veda bene, il distretto Dodici! Lo vedano da subito, che
gente siamo, noi: possono raderci al suolo, ridurci in cenere, ma noi
ritorneremo sempre, perché le fiamme non ci fanno paura! Che
lo vedano bene, alla capitale, chi è il distretto Dodici!
Haymitch si
permise di sospirare di sollievo quando dalla folla partì
un’ovazione. Aveva scommesso su quello giusto, anche stavolta.
Si
girò verso Effie. Era ancora impietrita, con gli occhi
sgranati, in quell’improbabile mise verde speranza.
La
afferrò per le spalle, scuotendola leggermente.
-Va bene,
ragazza, è tutto a posto, ok? È finita. Adesso
prendi questa e butta giù un bel sorso, avanti…
bravissima.
Effie stava
cercando di pulirsi la bocca senza sbavare il rossetto, ma non aveva un
fazzoletto e le tremava la mano. Lui le tamponò le labbra
con il polsino della camicia.
-Ecco, sei a
posto, adesso?
-Oh, Haymitch,
ma la tua camicia…
-Ce
l’ho addosso da tre giorni, non penso che un po’ di
rossetto faccia la differenza. Allora, stammi bene a sentire, questa
è una grande, grande, grande giornata. Vai lì in
mezzo e mostra a quelli di Capitol che il distretto Dodici rinasce come
il ramarro, va bene?
-Dalle
sue ceneri,
Haymitch, il ramarro suona terribilmente male…
-Quello che ti
pare. Basta falli contenti.
-È
che hanno ragione, Haymitch… a odiarci, dico. L’ho
davvero estratto io il loro nome dalla boccia, per due volte!
-Ah no eh, che
cazzo, dolcezza…
Haymitch si
guardò nervosamente intorno. Peeta stava ancora strappando
gli ultimi “Giusto! Bravo!” alla folla, sempre con
quel dannato muffin in mano.
-Questo
è il momento peggiore per farsi venire i rimorsi di
coscienza. Te li farai venire più tardi. Adesso fai il tuo
maledetto lavoro, e che la fortuna possa sempre essere a tuo favore!
Lei
rischiò seriamente di mettersi a piangere.
-Non voglio
sentite mai più quella orribile, orribile, orribile frase,
Haymitch Abernathy, sono stata chiara?
Sottolineò
l’affermazione sbattendo un piede a terra per la stizza.
Haymitch non riuscì a resistere e scoppiò in una
risata enorme, liberatoria. Lei lo fissò un po’
interdetta.
-Avanti,
volevi lavorare, no? Vai lì e sorridi, che lo sai fare
benissimo. Mi devi una bevuta, Effie Trinket, quindi devi guadagnare un
sacco di soldi, perché io bevo tantissimo!
-Sei…
sei… sei…
-Orribile,
Haymitch Abernaty!-, le fece il verso
lui. –Avanti adesso, vai!
Le diede una
pacca sul sedere e si allontanò verso Peeta, bevendo dalla
bottiglia.
Vide che Malk,
il ragazzo del Quattro che aveva cercato senza successo di vedergli
delle cose che aveva poi scoperto essere pannelli fotovoltaici, si era
avvicinato a Peeta e gli tendeva la mano.
-Te sei bravo,
ciò… hai convinto me, che neanche sono di qui!
Peeta sorrise.
–Penso che valga lo stesso anche per voi del Quattro.
-Non hai mai
pensato di fare il venditore? Il fotovoltaico…
Peeta scosse
la testa. –No, non ci ho mai pensato, ma va bene
così. Sono solo il ragazzo del pane. Oh, a
proposito… tanto questo non lo vendo più,
mangialo tu!
Malk si
ritrovò in mano il muffin mezzo glassato, e gli diede un
morso.
Dalla faccia
che fece, lo trovò buonissimo.
-Dove stai
andando?
Katniss
scrutò Peeta che si toglieva il grembiule e dava istruzioni
al suo apprendista, un ragazzetto magro con i capelli nerissimi. Lui le
mise in mano un pasticcino appena fatto e la baciò sulla
guancia.
-In stazione.
Stamattina Effie e la troupe ripartono, vado a salutarla e…
beh, a controllare che vada tutto bene. Non si sa mai.
-Giusto. Vengo
anch’io, salgo a prendere l’arco!
Lui
aggrottò le sopracciglia.
-Lo prendo
solo perché così dopo vado direttamente a caccia,
che hai capito?
-Sì,
come no… sbrigati, io vado avanti!
Peeta fece la
prima parte di strada lentamente, per farsi raggiungere.
Arrivò alla stazione con Katniss, proprio mentre la troupe
caricava l’attrezzatura sul treno. Sembrava tutto tranquillo,
Effie li accolse commossa, abbracciandoli e baciandoli sulle guance nel
suo modo plateale che, Peeta lo sapeva, faceva diventare matta Kat.
Quando anche
Haymitch si degnò di arrivare, trafelato e già
abbastanza ubriaco e con in mano quella che aveva tutto
l’aspetto di essere una bottiglia di rum, Effie aveva
già un tacco a spillo sullo scalino della carrozza. Quando
lo vide fece un sorriso esagerato e si sbracciò per
salutarlo, ancora appesa alla maniglia su cui si stava reggendo per
salire.
Lui si
fermò di botto, guardandola intensamente.
La
fissò qualche secondo, poi fissò lui e Kat, la
gente in treno, i pochi presenti in stazione, mentre lei blaterava
qualcosa tipo “Sarà un grande,
grande, grande servizio!”.
Si
portò la bottiglia alla bocca e ne buttò
giù a grandi sorsate una quantità che a Peeta
sembrò davvero preoccupante.
Poi corse
verso il treno, la prese tra le braccia e le diede un bacio di quelli
da togliere il fiato, che fece arrossire Peeta fino alla radice dei
capelli, costringendolo a distogliere lo sguardo, imbarazzato.
Dopodiché
la mise in piedi dentro la carrozza, si girò e se ne
andò, la bottiglia in mano e la giacca che gli svolazzava
dietro le spalle.
Katniss si
girò lentamente verso Peeta, che non riusciva a smettere di
ridacchiare.
-Ma…
hai visto anche tu quello che ho visto io, o sono stata punta da un ago
inseguitore, o cosa?
Lui
fissò la sua faccia incredula, scoppiando in una risata
enorme.
-Ma su, Kat,
non dirmi che non l’avevi capito… era
così evidente!
Lei
aprì la bocca, poi la richiuse. Tornò a fissare
Effie e la sagoma di Haymitch che si allontanava, troppo stupefatta per
dire qualcosa.
Effie era
ancora ferma sugli scalini del treno, una mano appoggiata alle labbra.
Poi di colpo sembrò prendere una decisione fondamentale,
perché scosse la testa, sbuffò, fece un sorriso
raggiante e saltò giù dal treno, atterrando sui
tacchi a spillo senza colpo ferire.
-Ragazzi-,
trillò rivolta alla troupe che aveva seguito la scena dai
finestrini, -da qui in poi potete cavarvela anche senza di me, no?
Perché penso che rimarrò ancora un giorno o
due… Peeta, caro, fammi un piacere: recupera i miei bauli e
portali da qualche parte, verrò a prenderli più
tardi. E adesso, se volete scusarmi, vi saluto tutti, devo proprio
andare… Haymitch!
Gli corse
dietro con una velocità incredibile per quei sandali.
Peeta si
voltò verso Katniss.
-Le andiamo a
prendere i bauli?
-Io ancora non
ci posso credere…
Peeta rise.
–Haymitch ed Effie Trinket. Vero o falso?-, disse,
strizzandole l’occhio.
Note
blaterosissime anche troppo al limite saltatele: Ebbene, sono partita dicendomi
“scrivo una cosa piccina e fluffosetta su questi
due” e sono arrivata, non so come, a tredici pagine di word.
Tredici sudatissime pagine, perché Haymitch collaborava con
i suoi ritmi, come al solito; poi invece quando si metteva a parlare
diceva cose (lui e quell’altra, eh, che non è mica
solo colpa sua) che non so da dove gli venissero fuori e insomma, vi
assicuro che non sono responsabile della metà dei dialoghi
che ci sono in questa storia. Hanno fatto tutto da soli, finale
compreso, dato che secondo la mia idea Effie se ne tornava a Capitol e
invece quella mi è saltata giù dal treno senza
che potessi farci nulla. Però il più bravo
è stato Pagnottino, che è l’unico che
lavora e ha anche tirato fuori il discorsone alla Braveheart, caro. Gli
altri personaggi sono farina del mio sacco tranne naturalmente Katniss,
e Malk, che è pesantemente ispirato a un mio amico.
Per il resto, ho
cercato di pensare a un’ambientazione post rivoluzione e
questo è ciò che ne è uscito. Immagino
maggiore mobilità tra i distretti e una più equa
distribuzione delle risorse e delle ricchezze, con pesanti tasse e
confische ai cittadini di Capitol ai quali viene negato lo sperpero a
cui erano abituati precedentemente. Ovviamente suppongo che loro non ci
fossero abituati, da qui Effie che piange miseria nonostante la miseria
vera, quella di Katniss che non aveva da mangiare, non sappia neppure
cosa sia.
Per il resto, Effie e
Haymitch li shippo dalla prima lettura del libro. Forse
perché sono così male assortiti, o forse
perché sono gli unici due personaggi divertenti di un libro
tutto sommato abbastanza palloso. Credevo di essere l’unica e
invece ho scoperto che è una coppia piuttosto gettonata, ho
anche trovato delle storie molto belle su di loro; questi sono i miei
50 cent, ma ce ne vogliono di più!
Che Effie fosse bella
è anche quella una convinzione che ho dal libro, prima che
il film mi desse ragione in pieno. Ok, abbigliamento, trucco e parrucco
sono grotteschi, ma è la moda di Capitol vista dagli occhi
di Katniss per la quale, ricordiamolo, una ceretta è una
cosa strana. Effie presenta un programma televisivo, è
l’Alessia Marcuzzi del distretto Dodici, non poteva essere
brutta, non avrebbe avuto senso. Il suo colore di capelli
l’ho inventato, ma non ci ho pensato nemmeno un
secondo… una così svampita può essere
solo bionda, no?
Haymitch che alleva
oche è canon. Lo dice alla fine del terzo libro. Credo di
avere riso mezz’ora buona, quando l’ho letto.
Anche la passione di
Effie per l’architettura è canon, lo dice nel
secondo libro durante il tour della vittoria. Quando sono nel distretto
Undici, mi pare, ma potrei sbagliare.
Che Effie sia
considerata una dei ribelli lo dice Katniss quando la rincontra nel
distretto Tredici.
Il nome della ragazza
di Haymitch non si sa e così l’ho chiamata
Rosalie. Che fantasia, eh?
“Tu non sai
niente, Effie Trinket” è una citazione
spudoratissima da “Le cronache del Ghiaccio e del
Fuoco” di Martin.
“Vento
focoso e passionale sotto le magnolie” è il
notissimo Best Seller internazionale che parla della appassionante e
tormentata storia d’amore tra l’ingenua Dorothy, il
protettivo Norman e il misterioso Terence; Capitol ne aveva tratto una
telenovela che raggiungeva lo share del 87%, purtroppo pare che durante
i giorni della Rivoluzione due degli attori abbiano fatto una brutta
fine. Peccato.
“Usciamo, tu
ed io, quando la sera si stende contro il cielo come un paziente
eterizzato disteso su una tavola” è
l’incipit di una delle poesie più belle di
T.S.Eliot (e forse una delle più belle poesie in generale)
“The love song of J. Alfred Prufrock”.
Gli stilisti
famosissimi di Capitol li ho inventati, assieme ai punti colore per i
quali ringrazio le mie sexy assistenti e beta. Elettra Ray, se a
qualcuno interessasse, è già comparsa in una
delle mie storie, anche se non si vedeva: era nel pancione della mamma
durante la quarantunesima edizione degli Hunger Games, quella della
nave.
E a proposito,
l’incontro tra la suddetta mamma (quella Bebe Linda) e Haymitch
è raccontato qui.
“Vieni,
balliamo insieme questo tango […] balliamo insieme per
dimenticar” è un verso della canzone
“Barbera e champagne” di Gaber, che mi fa pensare
tantissimo a loro due e che ha dato il titolo alla storia, oltre a
servirmi da prompt. Invece “le donne del mio distretto
[sarebbe “del paese”] son tutte pazze di me, sono
più forte di un ammazzacaffè” proviene
dal capolavoro indiscusso di lirismo e poesia “Gonnario
l’imbriagone”.
Che Haymitch faccia
parte del 50% dell’umanità maschile che preferisce
il culo alle tette è una mia invenzione. Così
come il tatuaggio di Effie perché oh, un kink è
un kink, e anzi ringraziate che non abbia tatuato lui.
I segreti per degli
ottimi muffin sono veri e testati, ringrazio la mia Gordon Ramsay
personale per avermeli svelati. È testato anche il giochino
del mini-muffin nella vodka. Fatelo, se vi va, ma occhio che
è micidiale davvero!
Ho immaginato il
fotovoltaico un po’ perché è
un’energia alternativa, e un po’perché
non penso che i pochi rimasti del distretto Dodici, per ora, riescano
ancora a far funzionare una miniera a pieno regime.
Capitol City che
approfitta di ogni cazzata per fare programmi televisivi (in questo
caso pseudo docu-verità) mi sembra molto in tema con i
libri, così ho sfruttato la cosa.
Bene, ho finito.
L’avevo detto che erano note blaterosissime. Non mi resta che
ringraziare le mie beta OttoNoveTre e
vannagio
(alla quale in particolare ho scardinato i maroni tantissimo, grazie
cara, ti sei guadagnata il paradiso), tutti quelli che sono
inspiegabilmente ancora qui, che hanno letto, che si sono divertiti e
che hanno detto “awwwwww”.
Grazie a tutti, e
possa la fortuna, quella vera però, essere sempre a vostro
favore!
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Capitolo 2 *** Extra - Camelia ***
CAMELIA
Effie
allungò una mano e spense la sveglia, gemendo. Si sentiva
talmente stanca che per un attimo valutò seriamente la
possibilità di uscire struccata, per una volta, e dormire
mezz’ora in più; ricacciò questo
pensiero blasfemo nell’angolo della mente riservato agli
indesiderabili, assieme ai tributi degli Hunger Games e al carcere di
Capitol City.
Non capiva
davvero come mai era tanto stanca, pensò, uscendo a fatica
dalle lenzuola. Si sentiva così da quasi un mese; si
addormentava dappertutto, sulle sedie, sul divano, una volta persino su
una tovaglia da pic-nic di un pic-nic che aveva voluto fare
lei.
Pensò
che forse era colpa dello stress, del lavoro (Etius quando ci si
metteva era assolutamente insopportabile e le faceva venire dei
tremendi mal di testa), senza contare tutti quei via-vai dal Dodici
alla capitale. Magari il suo corpo le stava suggerendo di rallentare,
il punto è che non poteva assolutamente farlo. Aveva tante,
tante, tante cose da fare ed erano tutte indispensabili.
Prima di
cominciare ad applicare il primer si chiese se anche le analisi di
quella mattina erano poi così indispensabili. Insomma, erano
consigliabili dei controlli semestrali per assicurarsi che tutto
andasse bene e che nessuna di quelle orribili esperienze a cui non
voleva pensare avesse avuto ripercussioni sulla sua salute, ma
consigliabile non vuole dire obbligatorio e insomma, poteva sempre
lasciare perdere e dormire un altro po’, no?
Solo che ormai
aveva programmato tutta la giornata. E si rifiutava di cedere alla
stanchezza. Applicò il primer con decisione, cercando di
decidere quanto correttore fosse il caso di mettere.
Effie
controllò nervosamente l’orologio da polso. Quanto
ci voleva per avere i risultati di una piccola analisi del sangue?
Doveva andare dal parrucchiere, era questione di vita o di morte visto
lo stato dei suoi capelli, e rischiava di fare tardi. Si mise a battere
il piede a terra, stizzita.
Proprio quando
stava per andarsene, e che si tenessero le sue analisi, il medico mise
la testa fuori dal laboratorio. –Signora Trinket?
-Sì,
eccomi!-, trillò, sforzandosi di essere educata. Si diresse
con passo veloce dentro la saletta, chiedendosi cosa ci fosse da
guardare così nel suo referto.
-Allora?
È tutto a posto, immagino, vero? Bene, perché ho
davvero molta, molta, molta fretta, devo proprio scappare…
Il medico la
guardava severamente.
-Signora
Trinket, perché non ha comunicato che è incinta?
Lei lo
fissò a sua volta, lievemente sconcertata. –Ma
guardi che non sono incinta, cosa le salta in mente? Deve aver confuso
per sbaglio il mio referto con quello di un’altra
paziente… Beh, facciamo che quando ritroverete il mio me lo
spedirete per posta, perché sono in un ritardo
inqualificabile e…
Lui le tese il
referto. -Controlli, non dovrebbero esserci errori.
Lei
afferrò il foglio senza riuscire a reprimere un moto di
stizza. -Effie Trinket, nata a Capitol City il primo giugno
del… sorvoliamo, residente in via Ovidio Lannister 46/c,
gruppo sanguigno AB positivo… Sono io, ma…
-Allora,
signora, mi sa che devo farle le mie congratulazioni.
Per una volta,
Effie rimase senza parole. Guardò il medico con gli occhi
sgranati.
-Mi scusi, ma
no… non credo sia possibile, davvero…
Lui la fece
mettere a sedere sul lettino. Lei continuava a fissarlo, sconcertata.
-Ha avuto
rapporti non protetti?
-Ma che razza
di… no, certo che no! Cosa crede, che sia una bambina?
Prendo la pillola, naturalmente, e prima che me lo chieda no, sono assolutamente
certissima
di non averne dimenticata nemmeno una compressa!
Il medico la
guardò pensieroso. Si gratto il pizzetto. Era anche
belloccio, si ritrovò a considerare Effie, prima di
riportare l’attenzione su quello che doveva certamente essere
un errore di qualche tipo.
-Ha avuto
episodi di nausea, magari poco dopo aver preso la compressa?
-No! Non sono
certo io quella che vomita, tra me e il mio… e Haymitch!
Non sapeva mai
come chiamarlo. Compagno? Fidanzato? Amico Speciale? Era seccante. Il
dottore la guardò in modo un po’ strano e lei si
chiese perché le fosse venuto in mente di fare quella
orribile precisazione.
-Allora…
qualche farmaco che di solito non prende? Barbiturici, antibiotici,
antivirali?
-No, non
che… aspetti un attimo!
Era successo
circa un mese prima. Lei era da Haymitch e a un certo punto si era resa
conto, con imbarazzante chiarezza, che appena pochi anni prima in quel
periodo lei era in carcere. Aveva cercato come al solito di non
pensarci, ma era al Dodici, doveva in teoria rilassarsi quattro giorni,
e quindi non aveva in programma niente da fare. E il pensiero tornava
sempre lì, come quando hai un dente che fa male e stai
sempre a tormentarlo con la lingua, e nel giro di poche ore si sentiva
ridotta a uno straccio.
Si era decisa
a prendere qualcosa per farsi passare quell’ondata di
depressione, ma aveva lasciato a casa le sue pilloline e la cosa era
bastata a farla scoppiare in singhiozzi. Haymitch cavallerescamente
(anche se a Effie rimaneva il sospetto che l’avesse fatto per
non dover stare lì a sentirla frignare) si era offerto di
recuperarle qualcosa lui, ed era ritornato con delle pastiglie strane
fatte con le erbe.
-Le ho prese
da Katniss, dice che è tutta roba naturale, è
fatta con un’erba che si chiama iperico, mi pare…
-Iperico-,
ripeté Effie ad alta voce, facendo eco ai proprio pensieri.
Il dottore la guardò con un sorrisetto saputo e
l’espressione da Bingo!
-È
stato quello, signora. L’iperico vanifica l’effetto
della pillola. Io procederei a farle altri esami, per essere certi che
tutto proceda bene e accertarci di quanto sia avanzata la gravidanza,
poi…
-Un mese.
Più o meno un mese.
-Un mese cosa?
-Sono incinta
di un mese.- Effie saltò giù dal
lettino dov’era seduta. –Bene, questo significa che
devo riprogrammare tutta la mia vita a partire da… oh, a
partire da ora! Ci sono così tante, tante, tante cose da
fare! Prima di tutto devo chiamare il parrucchiere per spostare
l’appuntamento, poi immagino che Haymitch vorrà
saperlo, della gravidanza, non del parrucchiere, quindi
dovrò partire con urgenza; potrò continuare a
lavorare finché starò bene, e poi
c’è da comprare tutto, spero di trovare
ancora qualcosa di carino in questa città, e…
insomma, non mi deve fare degli esami, lei? Su, su, su, che il tempo
vola!
Il medico
continuava a fissarla, a bocca aperta.
Haymitch stava
cercando di dare il becchime a quelle fottute oche senza che loro gli
si avvicinassero troppo, quando sentì suonare il telefono.
Lo ignorò. Siccome il telefono continuava imperterrito a
suonare, lui bestemmiò, lanciò tutto il becchime
alle oche secchio compreso, e andò a rispondere.
Naturalmente
era Effie. Sembrava avere un dono per saltare fuori sempre nei momenti
più inopportuni.
-Haymitch, sei
in casa, vero?
Lui
alzò gli occhi al cielo. Non aveva mai voluto un maledetto
cellulare e comunque lei lo aveva chiamato al numero di casa.
–No, dolcezza, sono nel Due sotto a una montagna. Ah, le mie
oche ringraziano: se gli scoppierà il fegato sarà
solo merito tuo!
-Haymitch,
smettila di dire sciocchezze, devo dirti una cosa.
Lui
sbuffò. –Sono tutto orecchi.
-Come posso
dire… è successo un piccolo piccolo piccolo
incidente…
Lui si
sentì gelare. –Un incidente?
-…
Che porterà a una grande, grande, grande notizia!
-Dolcezza,
devo preoccuparmi?
-Ma certo che
no, non c’è
assolutamente nulla di cui preoccuparsi,
figurati!
Non fece in
tempo a chiedersi cosa diamine stesse combinando stavolta, che
sentì bussare alla porta.
-Cazzo, tutti
adesso… Effie, qui bussano alla porta…
-Beh, allora
vai ad aprire, no?
Con una mezza
bestemmia Haymitch andò ad aprire la porta.
E
c’era lei. Con un sorriso dei più esagerati che le
avesse mai visto sulla faccia. E con una torta in mano. E sulla torta
(che era evidentemente una di quelle di Peeta) c’era una
gigantesca scritta di cioccolato che diceva “Auguri
papà!”.
Lui
fissò la torta e poi lei e poi vide la faccia di lei e si
sentì che il cuore stava facendo un po’quello che
gli pareva. Tirò fuori la fiaschetta, indeciso se berla
tutta in una volta o buttare a terra il liquore, dato che evidentemente
provocava allucinazioni.
-Metti via
quella cosa disgustosa e togliti dalla porta, Haymitch, così
ti racconto come l’ho scoperto, è una storia
davvero, davvero, davvero buffa!
Siccome lui
non accennava a muoversi, lei lo aggirò e si diresse in
cucina, continuando a parlare. Ad Haymitch arrivavano spezzoni di
frasi, inframmezzati da una specie di ovatta che gli ottundeva il
cervello. Pensò che probabilmente stava per svenire.
-Haymitch!
Sobbalzò.
Lei era dietro di lui, le mani piantate sui fianchi.
-Ti sto
parlando, sarebbe carino ricevere una risposta, sai? E sbrigati a
venire in cucina, ho tagliato la torta, bisogna festeggiare! Su, su, su!
Lo prese per
un braccio e lui la seguì meccanicamente. Effie lo fece
sedere a tavola e gli servi una fetta di torta e intanto parlava,
parlava, parlava senza sosta di cose come i vestitini, la cameretta,
l’asilo…
-Mangia la
torta, Haymitch, è davvero squisita!
Lui
mangiò meccanicamente un boccone della torta di Peeta. La
torta di Peeta. Di Peeta.
-Questa torta
l’hai presa da Peeta.
-…anche
perché insomma, lì gli insegnanti sanno quello
che fanno e… sì, Haymitch, ovvio che
l’ho presa da Peeta!
-Cioè,
fammi capire… Cazzo, Effie, in pratica Peeta l’ha
saputo prima di me? Ma come cazzo è possibile che
l’hai detto prima a Peeta poi a me?
-Non essere
sciocco, Haymitch, come avrei fatto altrimenti a farti la sorpresa
della torta?
-Mi vuoi dire
che hai pensato alla torta prima di pensare a dirmi che…
-Insomma,
Haymitch, non stare a fissarti su questi minuscoli cavilli! Ti stavo
dicendo che Camelia, perché ovviamente sarà
femmina…
-Camelia?
-Sì,
non avete questa graziosissima tradizione, qui, di dare ai bambini i
nomi di fiori? E' una cosa tanto, tanto, tanto carina! Vedi che ti ho
pensato?
Lui si
accasciò sulla sedia. –Ho bisogno di bere.
-Posso
concederti un brindisi, a patto che non esageri e che bevi dal
bicchie… Haymitch!
Lui si era
attaccato alla fiaschetta e stava tracannando come se non ci fosse un
domani. Quando non ne poté più la
sbatté sul tavolo, si asciugò la bocca con la
mano e fissò Effie con gli occhi leggermente appannati.
-A Camelia!-,
esclamò, prima di scoppiare in una specie di risata isterica.
Note: ci sono cose, al mondo, che
è bene rimangano seppellite in una tomba senza nome nei
meandri del pc, e sì, me ne rendo conto, questa storia
è esattamente una di quelle cose.
L’avevo
condivisa solo con le mie betamykette vannagio e OttoNoveTre, e nemmeno per farmela
betare, ma con il solo scopo di fangèrlare come delle oche
(quelle di Haymitch, suppongo). Abbiamo fanghèrlato come si
conviene, OttoNoveTre mi ha pure suggerito alcune battute, era tutto
divertentissimo, sennonché, inspiegabilmente, loro hanno
cominciato a dire di pubblicarla. Ma non cedevo.
Solo che poi fila ha compiuto gli anni. E ho
pensato che come regalo avrei dovuto metterla a parte di quelle cose
impubblicabili che mi ha chiesto tante volte di leggere…
Fra, spero che apprezzerai il pensiero, perché mi sto
vergognando come pochi.
La storia si svolge
qualche anno dopo a quella del capitolo precedente.
A tutti quelli che
sono arrivati qui e non hanno chiuso la storia alla riga tre, grazie. A
chi ha apprezzato l’idea, siete pazzi! Ma almeno vuol dire
che non sono l’unica! grazie ancora di più.
Adesso provo a
schiacciare “invio”, vediamo se ci riesco. Nel caso
lo saprete, suppongo.
E ancora auguri, Fra!
<3
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