Lacrime

di irelaw
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una mano... ***
Capitolo 2: *** Foglie, foglie, foglie... FOGLIE!!! ***



Capitolo 1
*** Una mano... ***


Chiuse gli occhi e una lacrima scese lenta e salata sulla sua guancia

Lacrime

Chiuse gli occhi e una lacrima scese lenta e salata sulla sua guancia. La lasciò scivolare fino a che non raggiunse la linea morbida della sua mascella, a quel punto col palmo della mano asciugò la linea bagnata che aveva lasciato sul suo viso. Si guardò intorno leggermente preoccupata, sapeva che aveva bisogno di una spalla su cui piangere, di una persona con cui potersi sfogare… Ma sapeva anche che non si sarebbe mai rivolta a nessuno per ricevere aiuto. No, lei no. Strinse di più le labbra per non farsi sfuggire alcun singhiozzo, cercò di non far notare il tremolio delle mani e di ricacciare indietro le lacrime, che ormai si facevano spazio e scendevano indomite e indifferenti al suo orgoglio che man mano si sbriciolava. No, forse in quel caso l’orgoglio non centrava, forse era qualcos’altro, ma non saprei dire cosa, è troppo complicato e poi… poi l’orgoglio è più facile da capire, di un miscuglio di sentimenti non delineabili. Voleva solo potersi nascondere sotto il banco e lasciarsi andare, togliersi la sua maschera di falsità e mostrarsi per quello che era, perché non ce la faceva più, perché si odiava, perché non aveva il coraggio di urlare al mondo i suoi sentimenti e perché non si riconosceva più. Ci aveva provato, aveva provato veramente a ritrovarsi, a cercarsi… ma non c’era riuscita, si era persa e non sapeva più né cosa doveva fare né come doveva farlo. Un singhiozzo le uscì dalle labbra, si guardò intorno, nessuno si era girato o prave averla ascoltata. Erano tutti troppo presi a prendere appunti e ad ascoltare qualcuno parlare di un uomo e del suo viaggio negli inferi. Se ne sentì sollevata, anche se solo in parte: aveva bisogno di qualcuno che l’abbracciasse e le dicesse che tutto sarebbe andato bene. Poco male che fosse un uomo, una donna o un bambino. Ne aveva bisogno e si sarebbe accontentata di tutto, di qualsiasi persona…

Chiuse gli occhi e si girò verso la finestra, cerò di distrarsi guardando le foglie cadere e lasciarsi trasportare dal vento. Le lacrime ormai scendevano copiose e lei non provò neanche a fermarle, non ci sarebbe riuscita, lo sapeva. Sperò che nessuno la vedesse: tutta la sua insicurezza traspariva ormai palese. Strinse ancora di più le labbra, no, non avrebbe singhiozzato. Quei singulti li avrebbe sentiti solo nella sua testa, nella sua mente, nessun altro li avrebbe mai dovuto ascoltare. Ma uno le uscì, le scappò, seguito subito dopo da un altro. Non si guardò intorno, sapeva che erano stati udibili e sapeva che qualcuno li aveva uditi, anche se non era consapevole da dove venisse tutta questa sicurezza. Una piccola mano calda prese la sua, lasciata con noncuranza sul banco, e la strinse forte. Non si girò, sapeva di chi quella mano, poteva essere solo sua… Non diede segno di aver percepito il suo calore, ma ricambiò la stretta. Lasciò spaziare il suo sguardo sugli alberi e sulle macchine posteggiate lì sotto, mentre l’insegnante continuava a spiegare, lei ormai dimentica di trovarsi in una classe, a scuola, e attenta solo alla mano che stringeva la sua, in un tacito silenzio che valeva più di mille parole. Chiuse gli occhi e un piccolo sorriso, mischiato a gocce di tristezza, si dipinse sul suo viso.

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Eccomi qui!!! Allò prima di tutto non so se continuo oppure no questa ficcy!!! Mi attira molto… però non so!!!

Grazie comunque a chi ha letto e a chi commenta!!!

Besos!!!

Irelaw

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Capitolo 2
*** Foglie, foglie, foglie... FOGLIE!!! ***


Disegnò con la matita un ghirigoro sul banco tra parole, frasi e qualche altro disegnino insignificante

Eccomi qui con il continuo… va bene adesso non dico nulla… meglio commentare alla fine!!!

Foglie, foglie, foglie… Foglie!!!

Disegnò con la matita un ghirigoro sul banco tra parole, frasi e qualche altro disegnino insignificante. Di nuovo quella voce che parlava di poeti e del loro dolce amore. Finse di prendere un appunto e disegnò un altro scarabocchio stavolta accompagnato anche da un nome. Guardò fuori della finestra, verso gli alberi privi di foglie e il cielo azzurro. Pensava che non avrebbe mai scordato quel paesaggio: era stato partecipe di troppe riflessioni, pianti ed anche fonte di tristezza. Il suo pensiero volò a quel nome scritto appena sul banco e alla persona cui apparteneva. Distolse subito la mente da quell’immagine… L’aveva perso, non l’avrebbe più riavuto vicino a sé e sapeva che pensarci avrebbe reso solo tutto più difficile. La sua mente corse di nuovo a lui, ai suoi occhi verdi. Cercò di non pensarci, ma era così difficile adesso che quell’immagine era penetrata nella sua corazza. Si sentì debole: non riusciva neppure a non pensare a colui che l’aveva ferita, usata, delusa. A quell’uomo che l’aveva illusa, dicendole che tutto era possibile, che la loro relazione per quanto improbabile sarebbe stata fattibile, che doveva solo fidarsi di lui e che sarebbe stata felice. Cazzate! Si era fidata, gli aveva dato il cuore e lui l’aveva usato come trofeo e poi l’aveva messo su un tetto per fare da parafulmini in tutte le tempeste di cui la loro storia era stata protagonista.

Si sentì ingenua, sapeva di esserlo sempre stata, di fidarsi troppo delle persone… Lo sapeva da quando era una piccola bambina senza ancora un cuore deturpato da quella brutta cicatrice che era il suo ricordo. Lo sapeva, ma non aveva mai fatto nulla per cambiarsi, perché, perché non lo sapeva neppure lei… tuttavia adesso l’unica cosa che desiderava era di essere una stronza menefreghista diffidente del cazzo. Desiderava non provare quel dolore per lei, desiderava di non essersi fidata e desidera di non essersi fatta manipolare come un blocco d’argilla. Desiderava… desiderava quei desideri ce non si potevano realizzare e adesso poteva solo soffrire e crogiolarsi nel suo pensiero, nei suoi sorrisi, nelle sue mani che dolcemente esploravano il suo corpo. Ricordava tutto ciò, anche se desiderava solo cancellare dalla sua mente tutti i momenti insieme con lui. No, non è vero. Non lo desiderava affatto. Adesso mentiva anche a sé stessa, oltre che agli altri. Lei desiderava solo lasciarsi cullare da quei ricordi perché per quanto soffrisse in quel momento, in fondo non riusciva a smettere di amarlo. Anche se sapeva che lui non si meritava il suo amore, lei continuava ad amarlo e a pensare a lui. Si sentì così stupida… lui l’aveva distrutta e lei non riusciva a rendersene conto. Dio che stupida, che debole, che essere umano… Si odiò, non voleva essere umana… voleva solo smettere di pensare e annullare il suo essere per non soffrire più. Si spaventò da questi stessi pensieri. Desiderava veramente morire, annullarsi, per smettere di soffrire? Si, no… La verità è che non lo sapeva, ma che la sua mente si rifiutava anche solo di pensare di togliersi la vita. No, non voleva arrivare fino a quel punto. Non poteva e non voleva, non per lui, no! Chiuse gli occhi e una lacrima scese sulla gota. No, basta. Non avrebbe pianto, piangeva da e per troppo tempo e non voleva più farlo.

Si rilassò sulla sedia e guardò fuori. Era bello quel paesaggio, sempre uguale, sempre lo stesso, sempre banale. Una strada, un paio di palazzi, qualche albero e tanti motorini. Ma gli alberi, sì, gli alberi erano la cosa più bella. Potevi vedere una vita in quelle piante dai rami spogli, morti, alle piccole fragili foglione verde chiaro, che ti fanno venire in mente quei bambini pieni di gioia che corrono per la strada con la tipica andatura di qualcuno che ha imparato da poco a camminare, così ridicola, ma non puoi fare a meno di provare un moto di tenerezza per quei piccoletti con quello sguardo così… così boh. Poi le tenere foglioline diventano verdi scuro e grandi e quasi quasi rimpiangi quelle verde chiaro e quell’innocenza che adesso non hai più. E poi arriva la vecchiaia, il momento più bello. Quando abbandoni definitivamente il verde, l’entusiasmo, la curiosità, per acquistare i colori del giallo, del rosso, del marrone e colorare per un ultimo breve lunghissimo istante il mondo intorno a te, per cambiare il cosmo e portare gioia e stupore a chi ti è accanto. E poi, beh, poi quelle foglie cadono, in quella caduta rapida e lenta insieme, nel tuo ultimo primo vero viaggio verso quello che hai sempre cercato. E ti guardi indietro, a quei rami che hai abbandonato e che non raggiungerai mai più. E ti rendi conto che sei arrivato, sei arrivato alla fine della gara, al traguardo che vedevi da lontano, mentre correvi, camminavi, arrancavi.

E continui a guardare a quei rami e ti chiedi se hai dei rimpianti, se sei felice di quella gara… e non puoi fare a meno di chiederti chi erano i tuoi avversari, le persone contro cui hai corso, perché per te non valeva il detto “l’importante è partecipare”. Tu volevi arrivare primo e adesso eccoti. Primo. Ma non c’è quella soddisfazione che ti aspettavi, non c’è tutta quella felicità… hai perso troppo per raggiungere il tuo traguardo. Hai capito che il gioco non vale la candela, ma ormai è troppo tardi. Tocchi finalmente terra, un leggero rimbalzo, la tua schiena, prima arcuata, ora è poggiata sull’asfalto. Nel rimbalzo la tua testa ha colpito duramente la terra e il tuo corpo… Basta. Non posso più guardarti sdraiato su questa nuda terra. Distolgo lo sguardo e torno a guardare i rami degli alberi. La voce che parla è sempre lì, costante, tranquilla, forse anche rassicurante. Sembrano essere passate ore e invece sono solo pochi secondi in cui ho rivisto tutto. Il mio sguardo ancora su quei rami nudi, si è vero: le foglie sono cadute, ma prima o poi vedrò delle piccole foglioline verdi lassù.

Ne sono sicura.

Eccomi qui! Prima di tutto complimenti a chi è riuscito ad arrivare alla fine! Sinceramente non so cosa ho scritto… ho lasciato che la mia mente vagasse e ho scritto quello che il mio cervello mi ha detto, senza pensare o altro… Adesso… ESIGO (impongo poco la mia volontà eh?) COMMENTI!!!

Baci!!!

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