Rovinerei tutto

di elfin emrys
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Loro ***
Capitolo 2: *** Ehi, perchè hai scritto questo? ***
Capitolo 3: *** Un sibilo nel silenzio ***
Capitolo 4: *** Trovala ***
Capitolo 5: *** Lei chi è? ***
Capitolo 6: *** Gwaine ***
Capitolo 7: *** Lotta al Tamigi ***
Capitolo 8: *** Balinor ***
Capitolo 9: *** Il secondo approccio di Gwaine ***
Capitolo 10: *** But the cat came back the very next day ***
Capitolo 11: *** Honorè de Balzac ***
Capitolo 12: *** Rapimento ***
Capitolo 13: *** Approcci e calci nei Paesi Bassi ***
Capitolo 14: *** Cenred ***
Capitolo 15: *** Domanda, autografo, risposta e via ***
Capitolo 16: *** Incontro ***
Capitolo 17: *** S di sospetto ***
Capitolo 18: *** Roma ***
Capitolo 19: *** Gwaine, il ritorno ***
Capitolo 20: *** Stupida lavatrice! ***
Capitolo 21: *** Boxer... con zip! ***
Capitolo 22: *** Non ci sono giustificazioni ***
Capitolo 23: *** Certezze ***
Capitolo 24: *** Capitolo extra 1*Pandora's Shadow ***
Capitolo 25: *** Strada facendo ***
Capitolo 26: *** Pericolo scampato ***
Capitolo 27: *** Segreto ***
Capitolo 28: *** Sacrificio ***
Capitolo 29: *** Lo spettacolo è finito ***
Capitolo 30: *** Epilogo-Ok, adesso lo spettacolo è veramente finito ***



Capitolo 1
*** Loro ***


Loro

 

Uther salutava gli spettatori che guardavano il suo show serale. Il Re fissò uno a uno tutte le donne e gli uomini che, comodamente seduti nelle loro poltroncine, applaudivano entusiasti. Sinceramente, Uther avrebbe voluto andare lì e strappare loro le mani. Loro e i loro sorrisi stupidi, mentre ridevano di lui, mentre lui si metteva in ridicolo in quelle altrattanto ridicole situazioni che creava per mezzo della sua fantasia. Lui, Uther Pendragon, che aveva creato il suo Regno della Risata, anche se le sue battute facevano meno ridere di quelle di Krusty il clown dei Simpson.

-A domani!

Il popolo si disperse, mentre i camera men spegnevano le loro telecamere. Uther scese dalla scaletta che portava in tribuna e si diresse verso il suo camerino, dove l'attendeva Hunith, la sua nuova fiamma. A lei era morto il marito da cinque anni e lui una moglie non l'aveva mai avuta. Aveva amato una donna una volta. Igraine si chiamava. Ma lei apparteneva al passato, quando ancora era giovane e con tutta una vita davanti. Un giorno semplicemente lei era sparita, lasciandogli solo un foglio. Se lo ricordava benissimo.

Rovinerei tutto

Sì, diceva proprio così. Ma adesso era felice con Hunith. Gli era sembrato di ritornare ragazzo con lei. Le sue battute erano più divertenti, i suoi sguardi più accesi... addirittura la sua salute era migliorata! Uther sorrise quando una voce allegra raggiunse le sue orecchie.

-Hunith!

La donna si girò verso di lui al suono della sua voce. Lei si gettò fra le sue braccia, mentre lo accompagnava alla macchina per andarsene da quel tempio del divertimento. L'auto di Uther era una Ferrari rossa fiammante, con cui attirava belle ragazze... o forse erano i soldi ad attirarle? Di una cosa era certo: Hunith non stava con lui per nessuna di quelle ragioni. Ne aveva avuto la prova quando, tre anni prima quando si erano conosciuti, l'aveva aiutato a superare il periodo più difficile di tutta la sua vita. Si ricordò quando gli avevano detto che aveva poco da vivere. Poi lo chiamarono per dirgli che era stato miracolato. Miracolato? Lui non credeva a Dio e ai miracoli, credeva solo in quello che vedeva e quello che vedeva era una donna che gli aveva dato talmente tanto amore che il Fato aveva avuto pietà di lui e della povera donna che stava soffrendo con lui. Uther sfoderò il suo sorriso sghembo che da giovane usava spesso con le ragazze e strinse l'amata a sé mentre, con un rombo del motore, l'auto partiva, sommergendo tutto ciò che stava dietro in una nuvola di fumo.

 

La riunione durava da più di due ore. Parte dei partecipanti dormiva, l'altra parte si girava i pollici. Solo Merlin, che in quel momento sembrava uno scriba, annotava qualunque cose venisse detta sul computer, in modo che il suo capo potesse leggere il tutto in santa pace successivamente. Arthur era il suo capo. Si erano conosciuti in quarta elementare e da lì non si erano mai lasciati. Quando finirono la scuola, Arthur aveva aperto un'azienda e dette a Merlin un lavoro come suo segretario. Il capo era un giovane uomo alto e biondo. Gli occhi azzurri, sinceri e penetranti, erano in quel momento velati di stanchezza. Era bellissimo e non solo Merlin se n'era accorto, a giudicare dalla quantità di donne che gli girava intorno. Il ragazzo sorrise, mentre Richard finiva di dire che i guadagni erano di più di quelli dell'anno scorso e che le vendite erano considerevolmente aumentate. Arthur, intanto, stanco e affaticato dalla lunga giornata di lavoro, scarabocchiava su un foglio di un quaderno. Era un block-notes grande con dei fogli bianchi a righe che, per Arthur, serviva solamente a disegnarci sopra. Lui era molto bravo a disegnare: glielo aveva insegnato sua madre prima di morire... per lui era un modo di ricordarla e di farla sentire vicina. Solo il suo attuale segretario gli era rimasto vicino alla sua morte: lui aveva cercato in tutti i modi di attutire il dolore... Non immaginava neanche lontanamente quanto ci fosse riuscito. Arthur sorrise, pensando che se sua madre avesse saputo cosa lui avrebbe fatto con le nozioni che gli aveva impartito, non avrebbe mai pensato di insegnargli come si faceva. La penna nera scorreva sulla carta, lasciando segli di inchiostro. Velocemente prese forma un viso pallido, con dei capelli neri che svolazzavano. Poi due occhi, che il biondo colorò con l'inchiostro blu. E due labbra, disegnate in rosso. Piano, Arthur ne disegnò il corpo esile, che da sempre lo faceva impazzire. Cominciò a disegnare gli indumenti al personaggio del suo disegno che, nonostante fosse un uomo, venne vestito con un tubino nero e delle belle scarpe con tanto di tacchi. Il broncio adorabile che aveva messo al suo personaggio così era motivato. Arthur sorrise, mentre guardava i suoi disegni precedenti. Merlin cameriera, Merlin cubista, Merlin ballerino, Merlin infermiere sexy, Merlin... solamente Merlin... Lui e le sue labbra rosse, il suo collo lungo e bianco, i suoi capelli morbidi e caldi. Arthur lo guardò, mentre il ragazzo finiva di scrivere l'ultima frase pronunciata da Richard. Il biondo sorrise, immaginando già cosa lo aspettava tornato a casa. Lo aspettava la spalla su cui piangere, il confidente cui rivelare i segreti, il calore del suo abbraccio. Il calore del loro amore.

 

-Bambini, dentro!

Gwen aprì la porta della scuola. I bimbi, sentendo la voce della maestra, entrarono in aula, mentre un bel sole splendeva ancora sugli scivoli, sulle altalene e sui dondoli. La ragazza chiuse la porta, mentre già qualche bambina le tirava i pantaloni cercando di attirare la sua attenzione sui propri problemi. Sorrise.

-Cosa c'è, Mary?

-Sam non non vuole giocare con me...

La bambina aveva un broncio adorabile cui nessun adulto avrebbe saputo resistere. Mary era la preferita di Gwen. Era piccola e pallida, con dei grandi occhi che sembravano olivette nere e con dei capelli castano scuro tagliati corti, ma abbastanza lunghi da essere legati in due codini. La maestra la accarezzò e con lo sguardo andò a cercare la piccola Sam che giocava sola soletta poco lontano. Gwen si avvicinò a lei con a seguito la bimba.

-Sam!

La bambina chiamata si girò verso la proprietaria di quella voce, mentre poggiava il pupazzo con cui stava giocando.

-Perchè non vuoi giocare con Mary?

Sam la guardò, poi guardò la compagna di classe. Riposò lo sguardo sulla maestra, che la fissava con sguardo comprensivo e severo contemporaneamente. La piccola aprì la bocca come per dire qualcosa, ma poi la richiuse immediatamente. Sam degludì, poi fissò lo sguardo sulla macchinina del pupazzo.

-Perchè Mary ieri mi ha rotto la bambola...

La vocina della piccola era sottile e timida, ma, nonostante il frastuono provocato dai giochi e dalle urla degli altri bambini, Gwen la sentì benissimo. La ragazza guardò Mary, ancora aggrappata alla sua gamba, e poi Sam che aveva ripreso a giocare.

-E' vero, Mary?

La bambina annuì.

-Sì, ma non l'ho fatto apposta!

-Sentito, Sam? Non l'ha fatto apposta...

Le due bimbe si guardarono, una dietro la maestra, l'altra da terra. Sam posò gli occhi neri in quelli dolci di Gwen.

-Sì, ma l'ha rotta e io ho paura che possa romperne un'altra.

Gwen sorrise comprensiva, mentre incitava la piccola Mary a uscire dal suo nascondiglio e a sedersi con l'amica. La ragazza, poi, si chinò fino ad arrivare all'altezza degli occhi di Sam.

-Se ne romperà un'altra, allora dimmelo che te la ricomprerò io.

Così dicendo, posò un bacio sulla testa delle due bimbe, per poi tornare al piccolo tavolo che doveva essere una cattedra.

 

Morgana uscì velocemente dal tribunale. Non ne poteva sinceramente più. La giovane donna che doveva difendere, accusata di omicidio, era la presunta assassina più timida e meno cattiva che avesse mai conosciuto. L'avvocato si guardò intorno, mentre prendeva un caffè alla macchinetta che in quel momento aveva davanti. Morgana era una donna alta e magra. La pelle pallida era in contrasto con i bei capelli neri. Gli occhi verdi erano gelidi e in quel momento lo erano più del solito. Nonostante fosse Settembre, faceva molto caldo. La giacchetta elegante venne tolta e messa dentro una valigetta da lavoro.

-Signorina Fay?

La ragazza si girò. Una giovane donna con i capelli castani la stava chiamando mentre veniva verso di lei. Era Sophia, la ragazza accusata di omicidio. Non doveva essere lasciata così in libertà: dov'erano i poliziotti?

-Signorina, la ringrazio per tutto quello che sta facendo per me. La vostra determinazione dovrebbe essere da esempio per me... sapete, non sono una persona molto sicura...

Morgana la guardò sorridendo: era sempre bello sapere di aver qualcosa da insegnare agli altri.

-Dove sono i poliziotti?

L'avvocato decise di non parlarle di problemi di autostima, decidendo di puntare sulla domanda che la stava tormentando da molto tempo. Negli occhi della castana si accese un lampo rosso sangue. Le labbra si alzarono in un ghigno. Un attimo, prima che tornasse la dolce ragazza di sempre.

-Diciamo che mi hanno lasciata andare...

Il volto della presunta assassina si fece scuro, mentre lo sguardo si tingeva ancora di quella voglia di morte. Morgana si ritrovò a pensare che forse quella donna non era così indifesa come sembrava.

 

Il vecchio si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle. Lo studio apriva tardi per questioni di salute dei clienti e del vecchio stesso. Gaius si sedette sulla sua comoda poltrona, respirando l'aria un po' viziata della stanza. La luce che proveniva dalla finestra non era molta. Un grande tappeto rosso stava sul parquet scuro. Le pareti dello stesso rosso del tappeto davano un'aria spettrale. O forse era il mobilio antico? Un'alta libreria stava accostata a una delle pareti. Tra i libri si trovavano testi di psicologia, su Freud, sui sogni. Alcuni erano sul cervello umano sotto il punto di vista medico, altri erano semplicemente libri di filosofia. Studiare il cervello umano e i pensieri che esso può formulare, questo era per Gaius il suo lavoro. E ascoltare. Era sempre stato bravo ad ascoltare e a dare consigli, ma il sapere che dalle sue decisioni poteva dipendere il futuro di una persona era inquietante. Il vecchio psicologo si passò una mano sopra il viso, mentre la moglie, Alice, che faceva da infermiera, gli portava in stanza il primo dei tanti malati che lui guariva. Non tutti quelli con cui parlava erano malati. Anzi, molti erano molto più sani di lui e di tutti gli altri: i geni sono sempre incompresi. Gaius fece cenno all'uomo che gli stava davanti di sedersi. Il viso del cliente era impassibile, come se non sentisse niente, o come se sentisse tutto insieme. I passi erano lenti e il corpo sembrava non volersi muovere. Quando finalmente l'uomo si sdraiò, lo psicologo potè cominciare.

-Chi è lei?

Non era sempre la cosa migliore iniziare da quella domanda. C'erano matti che solo per quello gli erano saltati addosso cercando di ucciderlo. Eppure quell'uomo gli ispirava una tranquillità quasi spettrale. Un morto che camminava. L'uomo gli raccontò quasi tutta la sua vita. La narrazione era ogni tanto interrotta da un singhiozzo o un lamento. Era un ragazzo, ma le giovani membra erano stanche come quelle di una persona anziana. Gioventù sprecata. Parte dei ragazzi del ventunesimo secolo sprecava la propria esistenza a scuola, studiando cose che con molta poca probabilità gli serviranno a qualcosa nella vita. Per esempio, sapere tutte le leggi di Keplero, a meno che tu non voglia intraprendere la carriere dell'astrofisico, a cosa servirebbe? Oppure il teorema di Euclide... quello proprio non l'aveva mai capito. Gaius si ritrovò a pensare ai vecchi tempi, in cui si sapevano poche cose, ma si sapevano alla perfezione!

-Per oggi basta.

Il giovane si alzò dal lettino e l'infermiera portò in stanza la madre del ragazzo.

-Lo riporti qui domani, signora, per essere certi di quello che ha.

-Cos'ha?

-Mi sembra semplicemente molto confuso.

La donna se ne andò col figlio vicino, poggiando i soldi sopra la scrivania e mormorando un “Arrivederci”.

-Oppure è semplicemente illuminato.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Allora?? Cosa ne dite? Lasciate un commentino, please?? Mi farebbe molto piacere =D
Insomma, spero che questo piccolo capitolo per presentare i personaggi non vi abbia annoiato... Kiss

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Capitolo 2
*** Ehi, perchè hai scritto questo? ***


Ehi, perchè hai scritto questa cosa?

 

Il giovane Uther sorrise, abbracciando una donna bionda. Si amavano e, dalle immagini del video, sembrava che si amassero anche molto. La donna, che doveva essere Igraine, poggiò le proprie labbra su quelle del moro, sussurrando qualcosa. Le foglie gialle e rosse facevano da sfondo. Dai vestiti indossati, si poteva intuire che faceva molto freddo. Uther strinse un po' di più la sciarpa verde che la ragazza aveva al collo, perchè si stava togliendo. La bionda rise ancora. La sua voce cristallina e dolce penetrò il cuore del giovane uomo, accarezzandolo. Sembravano felici. Completamente felici. Lo sfondo autunnale di Glasgow dove vivevano insieme si scuriva, man mano che il giorno faceva spazio alla notte e le foglie cadevano sul volto e sui capelli dei due che, sorridenti, si comportavano come i bambini nei parchi, con quella spontaneità e quella espressione propria solo di chi prova qualcosa di puro e vero per un'altra persona. Se non si fossero baciati almeno un paio di volte, si direbbe che fossero solamente amici. Ma loro non lo erano: erano molto di più. Infatti per uno l'altro era l'abbraccio sempre pronto e il sorriso sempre sulle labbra. Se non fosse stato così, non si sarebbero trovati là, a festeggiare il compleanno di Igraine da soli. Perchè lei era nata in autunno, quando il mondo si tingeva di colori accesi e vivaci, quando gli alberi si spogliavano per poi riprendere il proprio colore verde, quando la terra veniva coperta da soffici coperte di foglie secche o bagnate, a seconda se aveva piovuto. Addirittura la pioggia, infatti, in quel periodo non sembrava più vuota, non lasciava più né sottili veli di terra e sabbia né lasciava pozzanghere che bloccavano il traffico: tutto era semplice e puro, come lo era la donna che in quei giorni era nata. Secondo Uther, da quel giorno di ventidue anni prima, il mondo era vivo.

Il comico spense la tv dove stava vedendo il video. I ricordi erano riaffiorati. Uther si accorse che, nel tempo e nell'oscurità dell'angolo del suo cuore dove li aveva segregati, si erano fatti più forti e vigorosi, più difficili da estirpare, come quelle erbacce che tu vuoi togliere dal giardino, ma da cui in realtà non hai la forza di liberarlo. Né la forza né la voglia. L'uomo si mise più comodo sul divano, attendendo il ritorno della fidanzata, Hunith, riposando gli occhi stanchi: era da tempo che non vedeva per così tanto tempo lo schermo della tv e gli faceva male la testa. Ma, improvvisamente, Uther riaprì gli occhi. Non c'era nessun motivo apparente per farlo, ma nella sua testa c'era, eccome! Il comico si mise le mani sulle tempie, respirando profondamente, cercando di scacciare le vocine fastidiose che si stavano insediando nella sua mente, cercando di dimenticare una buona volta. Ma come poteva...? Come avrebbe voluto... Come avrebbe voluto... Ma no, non poteva, non ci riusciva, nonostante tutti i suoi sforzi. Sembrava che dimenticare fosse la chiave per la felicità, per liberarsi finalmente di quei stupidi presentimenti e di quelle stupide paure che dalla fuga di Igraine lo attanagliavano, che lo stringevano in una morsa fredda, talmente fredda da sembrare bollente al tatto. Ma non era così facile, non lo era affatto. Quella donna era stata la persona più importante in tutta la sua vita, la donna che l'aveva aiutato a crescere, che l'aveva seguito, che l'aveva consigliato. Non era una qualunque. La loro storia era felice, anche se non avevano molto tempo per stare insieme, perchè il lavoro stava aumentando. Ma poi era arrivato l'incubo. Igraine era scappata nella notte, lasciando sul letto al suo posto solo una loro foto con quel biglietto che lui ancora teneva nella tasca della giacca, sperando di rincontrarla un giorno e chiederle, come se niente fosse successo...

-Ehi, perchè hai scritto questo?

La voce di Hunith rimbombò nei pensieri di Uther, svegliandolo.

-Cosa?

-La lista della spesa. Chiedo perchè hai scritto che non c'era il latte, se ce ne sono un apio di litri!

L'uomo sbuffò, scompigliando i capelli già spettinati.

-Non li avevo visti.

La donna scosse la testa divertita, sorridendogli rassicurante. No. Non assomigliava per niente a Igraine. Non aveva niente a che fare. Hunith non nascomndeva niente, ma Igraine, evidentemente, sì. L'unica cosa che avevano in comune, era la capacità di calmarlo con un misero sorriso.

 

-Assolta da tutte le accuse.

Sophia sorrise, girando la testa verso Morgana, il suo avvocato, la quale, sentendosi osservata, la guardò. La mora non aveva mai visto una donna come quella. Era così calma, così tranquilla... era inquietante. Quella ragazza, accusata dell'omicidio di un suo collega, aveva qualcosa di spettrale. Più volte Morgana si era quasi convinta di averle visto cambiare il colore degli occhi in un rosso sangue di rabbia. Ma l'avvocato non si era dato per vinto: non poteva farle perdere la causa, anche se ormai si era convinta che era colpevole. Ne era quasi sicura. Ma c'erano così poche prove contro di lei. Infatti cosa c'era, oltre a un suo presentimento? Il movente e non aveva alibi e allora? L'arma anche, ma quella non era mai una prova sicura. Infatti poteva averla presa anche qualcun altro in qualunque momento. Non c'era niente che potesse realmente farla accusare di essere un'assassina. Sophia le passò accanto, sussurrando un falsissimo grazie. Morgana sbuffò: aveva avuto un incubo a causa sua. Sperava solo di non incontrarla mai più, quell'assassina.

 

Gwen chiuse a chiave le porte dell'asilo, ormai vuoto. Le mamme erano andate a riprendere i loro bambini e non rimaneva nessuno. La ragazza si diresse verso casa, pensando agli sguardi delle madri di quei piccoli. Pensavano fosse una ragazza senza pecche, acqua e sapone. Ma non era così e Gwen per questo si sentiva in colpa. Nel suo passato c'era una macchia. Una macchia scura e indelebile, che non sarebbe mai riuscita a lavare, neanche con la più efficace candeggina del mondo: il tradimento. La ragazza, presa da una sorta di istinto, si diresse verso la cantina della sua piccola casa, prendendo gli scatoloni al suo interno. La cantina era piccola come tutte le altre stanze della casa ma, a differenza delle altre, era molto polverosa. Gwen non ci entrava mai, perchè all'interno c'erano le prove della sua macchia, che lei cercava di rinnegare anche a se stessa. Rimise tutte le scatole a posto e ne tenne solo una molto grande. Ne tirò fuori alcune foto, un suo vecchio diario, un calendario e una lettera ormai ingiallita, di cui si leggevano solo le ultime parole:

Con questa lettera ti lascio. Adesso ho trovato qualcun altro che saprà essermi fedele.

Addio.

Arthur

Gwen la ripose sotto le foto, che ritraevano il suo ragazzo di quando aveva quindici anni. Era un giovane biondo e alto. Le spalle erano larghe, la pelle leggermente abbronzata (era appena iniziata l'estate), il viso dai tratti duri di un uomo quasi formato. Era decisamente affascinante. Era affascinante, ma purtroppo non l'amava. Era la classica cotterella da quinta elementare, quella che scompare dopo pochi giorni. Ma forse non lo era per lui. Si chiamava Arthur e aveva fatto molto per lei. Ma lei aveva fatto niente per lui, tranne il ferirlo. La loro storia era durata poco, un anno scolastico nemmeno, ma in realtà era finita tanto tempo prima, quando lei aveva conosciuto Lancelot. Quel ragazzo era stupendo, l'aveva conquistata con un'occhiata. Ma evidentemente non poteva stare con lui se stava con Arthur. Ma lei, stupida, si era imbarcata in quella relazione senza via d'uscita e ne aveva pagato le conseguenze. La perdita di entrambi i ragazzi. Anche se dopo Lancelot era tornato da lei, Arthur non la volle mai più vedere. Lui la lasciò appena ne ebbe l'occasione, mettendosi con quel suo amico con le orecchie a sventola, Merlin. Da quello che aveva sentito, il biondo era diventato famoso e godeva della stima di molte persone importanti, anche se era gay. Sì, aveva veramente, come le aveva detto nella sua ultima lettera, una persona che non lo avrebbe mai tradito per niente e nessuno. Merlin, quel ragazzo un po' goffo, con la faccia da cucciolo, con il fisico mingherlino. Ma evidentemente, anche se non era molto bello, almeno allora, lei, Gwen, era molto peggio di lui.

 

Gaius chiuse gli occhi, quando un improvviso rumore lo fece sobbalzare. Il suo nuovo cellulare aveva vibrato appena, ma a lui era sembrato un enorme fastidio. Perchè si era lasciato convincere a comprare uno di quegli aggeggi? Mistero senza risposta per il povero psicologo, che adesso stava prendendo stancamente il telefonino, leggendo qualcosa sullo schermo. Gaius guardò sua moglie, assicurandosi che stesse ancora dormendo, poi guardò ancora lo schermetto.

-Come cavolacci si apre questo messaggio? Dov'è la tastiera?

Poi un'illuminazione: i nipoti gli avevano comprato un touch. Quindi mise il dito sul “Leggi”, trovandosi un messaggio da sua cugina, Hunith. Erano poche parole, ma sembravano un po' allarmate.

Vieni subito a Glasgow. Uther è impazzito.

 

:::::NOTE FINALI:::::
Cosa ve ne pare? Vi piace? Alcuni piccoli appunti sulla fanfiction
  1. Hunith e Merlin non sono parenti
  2. Hunith è la cugina e non la sorella di Gaius
  3. Gaius ha dei figli, ma non compariranno, almeno non credo
  4. Uther non sa dell'esistenza di Arthur
  5. Arthur ha quindi preso il cognome della madre, visto che Igraine non si è sposata e non ha mai voluto dire quello del padre
  6. Sophia è il nome scelto per l'assassina perchè l'ho preso dall'episodio della prima stagione “Le porte di Avalon”. Ci saranno molti altri nomi presi dalla serie, alcuni della terza stagione e di questi vi avvertirò prima
  7. Morgana non è cattiva, quindi è molto “amabile”... ovviamente, quanto lo può essere Morgana
  8. Morgana non ha parenti
Ok?? Ok. Racensite please =)
Kiss



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Capitolo 3
*** Un sibilo nel silenzio ***


Un sibilo nel silenzio

 

Il sogno è molto vivido e reale. Senti addirittura i profumi, quegli odori che ti ricordi perfettamente. Ti sembra di sentire il vento sulla pelle, una brezza leggera che sapeva di libertà. I due giovani si misero a sedere fra l'erba, sotto un grande albero che faceva molta ombra. Era tardi per fare pranzo, ma gli altri posti avevano sempre qualcosa che non andava, invece quello era perfetto.

-A cosa stai pensando?

Uther fissò la donna, preoccupato: da un po' di tempo, Igraine sembrava fuggire da lui. Per questol'aveva portata là, per chiarire quella situazione di imbarazzo che c'era tra loro. La bionda lo fissò, evidentemente indecisa su cosa fare. Decise di tacere.

 

Uther si svegliò improvvisamente, guardando fuori dalla finestra, dalla quale veniva la leggere luce dell'Alba. L'uomo si stiracchiò nel letto, prima di alzarsi. L'odore di un bel caffè caldo pervadeva la casa. Probabilmente Hunith non era ancora sveglia e per lui era meglio, così poteva pensare in pace. Da anni Uther si era sempre domandato tante cose sulla sparizione di Igraine, quando stavano insieme. Da sempre si era chiesto “Perchè?”. Ultimamente, tutto sembrava chiaro: il tempo passava e mentre lo faceva, il comico si accorgeva di riuscire a pensare su eventi avvenuti anto tempo prima, che forse non aveva capito. Igraine nascondeva qualcosa. E nascondere è come mentire. E Uther si sentiva tradito da questo. Tradito dalla mancanza di fiducia, dal fatto che non gli aveva permesso di aiutarla... si sentiva tradito perchè, mentre lui le aveva sempre confidato tutto, lei sentiva che non poteva dirgli niente. E questo lo feriva, lo faceva, anche a distanza di vent'anni, sentire un mostro. Improvvisamente aveva cominciato a cogliere tutte le sfumature del viso della sua fidanzata in quel periodo, tutte le affermazioni smentite dai fatti o dalla testimonianza di altri, tutto quell'essere ambigua e sfuggente, come se volesse nascondersi. Era durato tre mesi, poi lei l'aveva lasciato da solo, a marcire in mezzo ai soldi che stava accumulando grazie al suo lavoro. E il significato di tutto era lontano, non riusciva a coglierlo, a vederlo, neanche a sfiorarlo: quando gli sembrava di averlo colto, questo sfuggiva alla sua presa, scorrendo in un punto da lui irraggiungibile al momento. Stava impazzendo e lo sapeva. Ormai la vedeva dovunque, in tutte le stanze, in tutti i luoghi. E lui si incantava a guardarla. Agli esterni sembrava che fissasse il muro, ma qualcuno capiva che stava osservando qualcosa di più vicino, come se ci fosse qualcosa. Ecco, la vedeva. Stava lì, con quel leggero sorriso che sapeva di pura bellezza, che lo faceva sentire libero e veloce, come il vento. Ecco che, come sempre, gli tendeva la mano. Ecco che lui la prendeva.

-Che stai facendo?

Uther tornò con i piedi per terra, ferito sulle ali dalla voce della donna che, ancora insonnolita, lo guardava preoccupata. Lei non poteva capire. Non le aveva mai raccontato di Igraine, ma forse un giorno l'avrebbe dovuto fare.

-Niente...

Un sibilo nel silenzio.

 

Uther e Hunith uscirono dal cinema, un po' assonnati a causa dell'ora tarda. Nonostante le critiche fossero molto positive, il film era estremamente noioso, senza capo né coda. Il comico ne aveva approfittato per farsi una dormita e Hunith gli aveva rubato i pop-corn. Adesso erano in auto: tornavano a casa. I due non dormivano insieme, ma in stanza vicine. Poiché non erano precisamente giovani, nessuno dei due sentiva molto quello strano impulso che ti porta la mattina stordito a chiederti cosa è successo, mentre guardi traumatizzato il letto totalmente disfatto come se ci fosse passata una mandria inbufalita. Certo, qualche volta era stato più forte delle altre, ma non erano tante. La casa, oltre alle loro camere da letto, era composta anche da due saloni, una enorme cucina, cinque bagni, tre camere degli ospiti, cantina, soffitta, stanzino, anticamera, sala da pranzo e sala da ballo: era abbastanza grande. E Uther e Hunith là si sentivano soli.

-Ho mandato un messaggio a un mio cugino, ieri.

Uther la guardò attraverso lo specchietto, con un sopracciglio alzato.

-Come mai?

-Perchè credo che tu sia molto solo. Mio cugino Gaius è un uomo che, anche se all'inizio ti sembrerà un po' burbero, è anche simpatico. Vedrai, ti piacerà.

Il comico fermò la macchina in mezzo alla strada che portava a casa, lasciando però i fari accesi. La prese per il mento e le fissò gli occhi.

-Guardami negli occhi e dimmi che non è perchè pensi io sia pazzo.

Hunith sostenne il suo sguardo per pochi secondi, prima di abbassarlo senza dire una parola.

-Lo sapevo... io non sono diventato matto! Non ho bisogno di nessuno, tranne che te e me stesso. Mi basta questo! Sono solo un po' sovrappensiero e sogno a occhi aperti... Mi sembra di vedere qualcosa, ma sto diventando vecchio: è normale avere problemi di vista...

-Uther, non è normale. Tu non guardi il muro, guardi qualcosa che sta accanto a te, che io non vedo. E lo so che ogni tanto parli a questa “cosa”! Ti sento, non sono sorda. Alla tua età, Uther... hai solo quaratacinque anni! Non sei tu che dici sempre che gli uomini nascono veramente a quarata anni, invece le donne a quell'età hanno esattamente quarant'anni! Tu, secondo la tua filosofia, avresti cinque anni. Anche questo non è normale, Uther! Io sono preoccupata per te...

-Io non sono solo e non ho bisogno che venga un tipo che neanche conosco ad aiutarmi.

-Tu hai bisogno di qualcuno, Uther!

-No, io non ho bisogno di nessuno: se sono solo, sono solo con me, me medesimo, me stesso e io! Visto? Siamo quattro persone: ti sembra solitudine? Non voglio che venga nessuno a turbare la tranquillità di casa nostra, Hunith! E poi...

Il fiume di parole che gli stava uscendo venne bloccato da due labbra sulle sue.

-Senti, Gaius viene qui... almeno fammi rivedere mio cugino.

Uther sospirò, mezzo sconfitto: perchè aveva guardato quegli occhioni dolci? Come poteva resistere?

-Va bene...

Il comico rimise l'auto in moto, sbuffando sonoramente e borbottando qualcosa sul film “Come uccidere vostra moglie”, anche se non erano sposati. Hunith rise leggermente, mentre la macchina rincominciava a scivolare silenziosa per la strada dritta.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Ciao, come va? Questo capitolo tutto su Uther vi ha traumatizzato, lo so, ma ci voleva, scusate u.u Ma non vi preoccupate: il prossimo capitolo non sarà solo su Uther ^^ Mi dispiace per la cortezza del capitolo, ma non avevo voglia di farlo più lungo XD Questo capitolo e il prossimo sono dedicati alla mia cara Sabry e a roku, che hanno recensito i capitoli scorsi ^^ Inoltre vorrei ringraziare quelle persone che hanno messo la fanfiction fra le seguite e da ricordare. E, cavolo, anche fra le preferite *.* Grazie ^^

Kiss

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Capitolo 4
*** Trovala ***


Trovala

 

ATTENZIONE: il nome della moglie di Gaius, Alice, è stato preso da un personaggio della terza stagione! Inoltre viene nominato Jarl, un personaggio della terza stagione che dovrebbe essere un mercante di schiavi!

 

E' un incubo. Lo sai perchè senti il terrore montarti dentro, che ti penetra nelle ossa, che ti buca la pelle e te la deturpa, che ti strappa il cuore con forza. Non è un sogno, no... sai che ti rimarrà il segno di quella notte. Rivivi tutti i momenti della tua vita, passata prima al servizio del padre, poi al servizio del pubblico. Uniche luci, Igraine e Hunith. Una il sogno di una vita, l'altra il nuovo amore. E le vedi insieme. Ti dicono di scegliere, di scegliere. Ma tu non sai farlo. Hai preso tante decisioni in vita tua, spesso sbagliate, ma quella è troppo difficile. Le fissi. Hanno gli occhi completamente bianchi, come se fossero solo fantasmi delle due donne che hai voluto accanto a te. E improvvisamente ti saltano addosso e ti graffiano. Ti uccidono.

 

Uther si svegliò. Non era il sogno delicato e leggero che aveva avuto qualche giorno prima. Era un tremendo incubo, con guerra e sangue. Il cuore batteva troppo veloce nel petto. Il sudore gli bagnava la pelle. Non vedeva niente, perchè la vista era calata, ma sentiva una mano che lo accarezza e una voce lontana.

-Hunith?

-Sì, sì, amore mio, sono io.

La voce dell'uomo era ancora impregnata di panico e terrore. Mentre Uther ricomincia a cogliere i tratti di quello che gli stava attorno, l'unica cosa che vedeva era Hunith. Lei che si prendeva amorevolmente cura di lui, come se fosse stato suo figlio. Uther, anche se ancora impaurito, sorrise, sentendo al posto dell'orrore una piacevole sensazione che saliva fino al petto. Guardò sul comodino: gli aveva portato un bicchiere di aranciata fredda, con il ghiaccio, come piaceva a lui, quella vera, senza bollicine. Il comico sorrise, mentre faceva posto a Hunith accanto a lui. Lei si stupì del gesto: in genere il massimo che riceveva da lui erano un paio di baci e basta. In quel momento le sembrava di sentirsi veramente amata. Lei si sedette vicino all'uomo, mentre questi la stringeva a sé con il braccio che non reggeva l'aranciata. Gliene porse un po' e lei accettò, senza fiatare, sospirando, poggiandosi sul petto: i battiti cardiaci stavano tornando al ritmo naturale. Uther le baciò i capelli. Era uno dei suoi momenti di romanticismo, senza il minimo dubbio. In quel momento al comico il sogno di Igraine sembrava lontano, una realtà fin troppo passata: doveva pensare al presente. E il presente era una donna molto bella, che si curava di lui, che lo sosteneva e che non riceveva ringraziamenti adeguati. Quando finirono l'aranciata, Uther posò il bicchiere vuoto sul comodino, aspettando con lei che arrivasse il Sole.

 

Uther finì di pettinarsi. Quella notte subito prima dell'Alba lei e Hunith avevano fatto l'amore: era stata una bellissima esperienza, anche se comportava capelli indomabili per giorni e giorni. Il comico quasi non pensava più a Igraine. C'era e lo sapeva: in un posto precisamente vicino a quello di Hunith. In un posto segreto. Sì, c'era, la sentiva. Gaius sarebbe arrivato da lì a poco: mancavano pochi minuti. L'incubo non aveva lasciato segni esterni in Uther, ma lo aveva scomussulato. Aveva avuto seriamente paura.

-Uther... è arrivato mio cugino...

L'uomo sorrise al sentire la voce della fidanzata.

-Adesso scendo, tesoro. Mi sto finendo di sistemare.

Vide Hunith sorridere dolce. Era bellissima. Aveva un vestito rosso, che le copriva le gambe fino alle ginocchia. L'abito era di taglio moderno, anche se leggermente vintage in qualche dettaglio. I capelli ben pettinati erano stati legati. Stava veramente bene. Non come lui: si vedeva sciatto, come sempre

-Sei bellissima...

La vide arrossire quanto il vestito.

-Grazie... anche tu.

-No. Io sono inadeguato, come sempre. Tu invece stai benissimo. Quello non è l'abito del nostro... vediamo... sesto appuntamento? Quello a teatro.

-Sì, è quello.

Hunith sorrise: stavolta Uther l'aveva veramente stupita. Ultimamente le “visioni” del comico erano diminuite, ma soffriva terribilmente di incubi. La donna c'era sempre, ovviamente: sempre all'erta, attenta a ogni più piccolo rumore. Il Pendragon rise, vedendo il viso allegro e stupito. Si avvicinò a lei e la abbracciò.

-Bene, adesso possiamo scendere.

Hunith scosse divertita la testa, cominciando a scendere le scale. Gaius e sua moglie, Alice, li stava aspettando nell'anticamera. Lui era un uomo più vecchio di Uther, con dei capelli bianchi corti, tagliati di recente. Sembrava un po' goffo e buffo, ma estremamente severo e colto. Era più grosso di Uther, ma più basso, anche se non di tanto. La moglie era una bella signora, che un tempo doveva essere una ragazza splendida. Non aveva perso il suo fascino: era una donna veramente molto attraente. Il comico sorrise ad entrambi e li fece accomodare nel salone, dove mangiarono un leggero aperitivo, durante il quale il silenzio era palpabile. Tuttavia quando si misero a tavola, nella sala da pranzo, tutti si sciolsero. Forse furono il buon vino e il cibo cucinato molto bene, ma Uther e Gaius cominciarono a fare amicizia, anche se il primo sembrava ancora distaccato.

-Sapete, mio marito ricorda tutti i nomi dei clienti che ha avuto. Ha una memoria formidabile!

-Davvero, Gaius?

-Sì, ma non me ne vanto, perchè in realtà è una cosa estremamente semplice, perchè...

Improvvisamente si sentì un rumore elettronico, come una specie di allarme.

-Sembra un cellulare...

Silenzio. Il rumore continuava. Improvvisamente, Gaius sembrò svegliarsi.

-Ah, è il mio! Scusate.

Lo psicologo si pulì le labbra, posando il tovagliolo sul tavolo, poi uscì per andare in un'altra stanza, per vedere cosa non andava. Quando lo guardò lo schermo si spense.

-Ma cosa...?

Gaius cercò di riaccenderlo, ma non ci riuscì. Quindi l'uomo lo posò sul tavolo vicino a lui, si allontanò di un paio di passi e lo fissò. Poi cominciò a fischiettare.

-Tanto non mi importa se non ti accendi, nana-nanana!

Lo schermo era ancora nero.

-Strano. In genere con la caffettiera e con la teiera funziona, quando devono bollire.

Gaius mise su un broncio molto comico, metà fra lo scocciato e il rattristato.

-Bene! Siamo solo io e te... in questa città non c'è posto per tutti e due. Uno di noi deve sparire e quello sarai tu. So che tra noi non c'è sintonia, ma non mi puoi abbandonare così, con un “ti-ti-ti-ti” fastidiosissimo, neanche fosse un allarme delle auto! Insomma, vediamo di chiarirci. Lo so lo so, abbiamo avuto dei problemi in passato, ma ultimamente sto cominciando a capirti e...

Uther aprì la porta. Gaius non se ne accorse e continuò a parlare con il cellulare.

-...e quindi non puoi stare lì, senza fare niente!

Il comico era indeciso fra mettersi a ridere oppure aspettare e far finire la scena. Gaius gli dava di spalle e non lo vedeva.

-Non fare quella faccia, signorino! Se stiamo in questa situazione è tutta colpa tua! Bobby! Guardami quando ti parlo!

Un attimo. Uther lo fissò schockato: aveva chiamato “Bobby” il telefonino?

-Non sbuffare, Bobby e smettila di fare l'adolescente in piena crisi!

Il comico fissò le spalle di Gaius. E quello era lo psicologo? E poi era lui quello matto...

-Basta! Bobby, guarda che ti lascio senza tv per un mese, eh! E non ridacchiare, è una cosa molto seria. Accenditi!!!

Detto questo, lo prese in mano e lo sembrò scuotere.

-Non ti posso fare l'aspirazione bocca a bocca! Accenditi, Bobby, maledizione!

Uther a quel punto aveva la mascella che sembrava toccasse terra. Decise di aiutarlo. Fece un colpetto di tosse, che attirò subito l'attenzione del presunto psicologo.

-Oh... ecco... io... io stavo...

-Non si accende?

-No... ecco... no, è che si sta riposando No, non si accende...

-Ti risolvo l'arcano: è scarico.

Gaius guardò prima Uther e poi Bobby. Liquidò tutto con un monosillabo e tornò in sala. E quel monosillabo era “Ah...”

 

Il pranzo era finito da un po' quando tutti e quattro andarono nella sala da ballo per chiacchierare ancora. Da tempo le mura di quella casa non avevano sentito altre voci, a parte quella di Uther e di Hunith. Da tempo i paesaggi che si vedevano dalle finestre non erano ammirati da nessuno, a parte i due che vivevano nella casa. Per ogni mattone di cui era formata la villa era una gioia sentire qualcun altro che calpestava il suolo: era come una dolce musica. Infatti anche lei risentiva della solitudine del padrone.

-Dimmi, Gaius, quali sono stati i tuoi primi clienti quando ti sei trasferito a Londra?

-Beh, ce ne sono stati tanti... ti dico gli accompagnatori. Allora... James Brown, Caroline Smith, Katie McGrath, Richard Wilson, Ronald Cullen, Igraine Tintagel, Anthony Head...

lo psicologo non riuscì a finire l'ultimo nome, che Uther cominciò a chiedere della donna che aveva nominato, stranamente euforico.

-Igraine! La conoscevi? Perchè è andata lì?

Gaius si trovò il viso del comico a pochi centimetri dalla faccia, mentre quest'ultimo continuava a fare domande.

-Calmo!! Spiegami tutto.

-Conoscevi Igraine?

Uther si mise in ascolto: aveva una speranza di rintracciare il suo vecchio amore. L'unica cosa che lo rendeva nervoso era l'espressione curiosa di Hunith, che lo fissava facendo mute domande.

-Igraine Tintagel era venuta da me perchè il figlio era stato rapito da un certo... Jarl, mi pare. Lei era riuscita non far trapelare la notizia sui giornali e, quando è riuscita a riprendere il figlio grazie a un suo amico detective, che le ha fatto il sevizio gratis, lui era molto shockato. Mi pareva si chiamasse Arthur... lo ricordo perchè è un nome molto facile. E' stata un'impresa fargli togliere la paura di uscire di casa: per un periodo dovevo andare io da loro. Insieme a Igraine e Arthur c'era anche un altro ragazzo, ma non mi ricordo come si chiama. Igraine mi ha spiegato che era il migliore amico del figlio...

Per tutto il racconto, Uther rimase a fissare lo psicologo. Una serie di pensieri confusionari, un boato di emozioni e sensazioni gli rimbombavano nella testa, cercando di uscire, di riuscire a trovare uno sfogo. Tuttavia il viso del comico rimase impassibile: non ci riusciva, semplicemente non riusciva a capire. Il fatto che Igraine, la sua Igraine, avesse un figlio, gli aveva fatto pensare che lei avesse adeso una famiglia. Lui avrebbe rovinato solo le cose con la sua apparizione, probabilmente. Non voleva essere un peso, un disturbo. Eppure c'era qualcosa che gli diceva di andare a cercarla, di chiederle tutto quello che avrebbe voluto dirle in tutti quegli anni. Era una sensazione strana, di enorme indecisione: paura di fare un passo falso e di sprofondare ancora nell'abisso del silenzio e dell'ignoto.

-Figlio?

Sì, quella fu l'unica cosa che disse, che chiese. Intanto le facce dei presenti sembravano farsi più curiose di capire, più avide di sapere. E lui si sentiva schiacciato, osservato da occhi estranei, che non dovevano neppure sfiorarlo. La voce era impastata da una strana amarezza e, man mano, l'unico viso intorno a lui che rimase era quello di una donna con gli occhi azzurri.

 

Senti qualcosa. E' qualcosa di strano e indefinito, una specie di sussurro amorevole, di bisbiglio. Ti penetra la testa, sfidando i tuoi sensi a reagire. Ma tu non vuoi aprire gli occhi, Uther. Non vuoi perchè non ricordi cosa potresti trovare. Ma il buio che ti circonda non si fa più oscuro, ma si scharisce, rivelando ombre di oggetti e persone. Poco a poco le forme si fanno più definite, le voci che senti e i rumori che provengono da fuori non sono più così lontani. Uther, apri gli occhi. Non troverai quello che vuoi vedere, e lo sai, ma potrai fare a meno di sapere quello che succede? Ma potrai restare a fuggire da quello che ti circonda? No. Apri gli occhi lentamente. Il viso di Hunith ti sta vicino. E' preoccupata, e lo vedi. La tua piccola dolce Hunith... Percepisci il suo respiro sulla guancia destra. La vedi sorridere, in un mondo ancora sfocato e che appartiene ai sogni. E muove le labbra. Probabilmente ti sta chiamando, ma tu senti solo una parola, una cantilena che saetta dalle tue orecchie al tuo cuore e che lo porta lontano da casa.

-Trovala...

 

:::::NOTE FINALI:::::

Innanzitutto vi dico che il cognome di Igraine l'ho preso dal luogo di nascita di Arthur secondo la leggenda. Alice e Jarl, come avvertito, sono personaggi della terza stagione, che hanno pochi collegamenti con quelli descritti in questa fanfiction. Un po' confusionario, lo ammetto, ma deve essere così: euforia di Uther, sapete ^^ Lo sclero di Gaius alle prese con il cellulare non so come mi sia uscito fuori O.O Non chiedetemelo, l'ho scritto in un momento che non sapevo cosa scrivere XD Spero che questo capitolo vi sia piaciuto ^^ Il prossimo credo che comparirà entro il... 23... massimo 25. Dipende dalle giornate: in questo momento non sto nella mia forma migliore -.-” Comunque, mi raccomando, ditemi cosa ne pensate con una bella recensione: sapete, quel commento che si lascia alle storie... quello cui l'autore risponde... avete capito? =D

Kiss ^^

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Capitolo 5
*** Lei chi è? ***


Lei chi è?

 

Gaius e Alice si erano offerti di accompagnarli fino a Londra. Uther stava finendo di sistemare le sue poche cose in valigia, mentre Hunith lo stava fissando dalla porta. Per lei era una sorpresa. Improvvisamente era comparsa questa Igraine, di cui lei neanche sapeva l'esistenza. Non sapeva se sentirsi ferita oppure semplicemente curiosa. Solo una cosa era certa: Uther non le aveva mai detto niente. Hunith non sapeva chi fosse questa donna, comparsa dal nulla, come se fino a un momento prima non fosse mai esistita.

-Lei chi è?

La voce suonò più aspra di quanto avesse voluto. Aveva paura. Aveva paura di rimanere da sola, che lui la abbandonasse per questa donna misteriosa. E, soprattutto, aveva paura di non essere abbastanza, di essere insignificante. Anche se Uther le aveva dimostrato più volte quanto l'amasse, lei comunque restava sospettosa: gli uomini sanno mentire anche sui sentimenti più profondi e lei nella sua vita l'aveva capito solo dopo l'esperienza. L'unico di cui si era mai realmente fidata era stato Balinor, il suo primo marito. Oh, lui era perfetto. Talmente perfetto che il Destino aveva deciso che era semplicemente troppo per restare sulla terra, e così l'ha chiamato nel mondo delle anime, se quest'ultimo esisteva. Hunith non era mai stata credente e nemmeno Uther. Lei non riusciva a crederci: vedeva che tutto era destinato a finire, senza che ritorni in nessuna forma. Finiva e basta, lasciando solo vuoto. Lui, invece, si credeva onnipotente: per lui c'era solamente se stesso, come Dio, re e suddito.

-Lei chi?

Il Pendragon la fissò, fingendosi curioso, facendo finta di non capire. Sapeva cammuffare alla perfezione la preoccupazione, l'ansia.

-Lei, Igranne.

Uther fissò la donna, che, intanto, si era avvicinata. Negli occhi scuri e dolci un'espressione inquieta e arrabbiata.

-Lo so, non te ne ho mai parlato, ma per me era un capitolo chiuso. Con un enorme “The End” scritto sopra. Non dici sempre anche te che è inutile rivangare il passato? Bisogna pensare al presente, no?

-A me non mi sembra chiuso...

La voce di Hunith si spense, mentre abbassava lo sguardo, alzando un sopracciglio. Dal piano di sotto, si sentivano le voci di Gaius e Alice che cercavano di caricare Bobby, il cellulare. Da fuori, niente. Solo il rumore stridente di una frenata ritardataria e di un botto. Troppo lontano per vedere quello che era successo.

-Igraine era la mia ragazza. Ma un giorno se n'è andata lasciandomi solo un biglietto con scritto sopra due parole. Due. Misere. Parole.

Mentre raccontava, le mani si strinsero a pugno, chiudendo la stoffa dell'ultima maglietta in una morsa ferrea, conficcando le unghie nel cotone, arrivando fino alla pelle.

-Lei è stato il mio primo amore e adesso voglio sapere perchè mi ha lasciato.

La vedeva. Vedeva che Hunith non era favorevole. Gelosa...? La donna si strinse lievemente una spalla, mentre districava le braccia incrociate. Le lasciò cadere ai lati del corpo, sospirando. In fondo agli occhi, un lampo. L'aveva agitata, scossa, ma del resto, come darle torto? Le aveva taciuto la parte più importante di tutta la sua vita, aveva tralasciato tutti quei momenti trascorsi con Igraine, che non se ne erano mai andati dal cervello, ma che, ansi, si erano spinti ancora più dentro.

-Perchè non me ne hai mai parlato?

La sua voce era un pochino più alta del solito. Un tono irato tradiva il viso, che sembrava abbastanza rilassato e pacifico. Ancora il sopracciglio alzato. In questo lei e Gaius si assomigliavano. Lo fissò con gli occhi piene di rabbia. Le aveva mentito, perchè nascondere è come mentire: non lo pensava anche lui, quando ricordava l'ambiguità dell'ultimo periodo insieme a Igraine? Ma, si sa, a volte si è severi solo con gli altri, mai con se stessi. E non era da Pendragon dire “Mi dispiace”.

-Te l'ho già detto...

-No, io voglio la vera motivazione.

Uther sospirò. Non si sarebbe arreso. Non avrebbe mai detto a Hunith che in realtà quella donna gli mancava terribilmente e che mai, mai, avrebbe potuto prendere il suo posto. Ma come dirglielo, non lo sapeva. Non poteva capire. Non poteva...

-Partiremo dopo l'ultima puntata dello show di domani. Ti conviene preparare le valigie.

 

L'inglese delle donne

Si = No
No = Si
Forse = No
Mi dispiace = Ti dispiacerà
Abbiamo bisogno = Voglio
Decidi tu = La decisione giusta dovrebbe essere ovvia
Fai come ti pare = La pagherai in seguito
Dobbiamo parlare = Ho bisogno di lamentarmi di qualcosa
Certo, fallo pure se vuoi = Non voglio che tu lo faccia
Non sono arrabbiata = Certo che sono arrabbiata, stronzo!
Sei cosi mascolino = Hai bisogno di raderti
Certo che stasera sei proprio carino con me = Possibile che pensi sempre al sesso?
Spegni la luce = Ho la cellulite
Questa cucina e' cosi' poco pratica = Voglio una casa nuova
Voglio delle nuove tendine = e tappeti, e mobili, e carta da parati
Ho sentito un rumore = Mi ero accorta che stavi per addormentarti
Mi ami? = Sto per chiederti qualcosa di costoso
Quanto mi ami? = Ho fatto qualcosa che non ti piacerà sentire
Ho il sedere grosso? = Dimmi che sono stupenda
Devi imparare a comunicare = Devi solo essere d'accordo con me
Niente, davvero = E' solo che sei un tale stronzo.

L'inglese degli uomini

Ho fame = Ho fame
Ho sonno = Ho sonno
Sono stanco = Sono stanco
Bel vestito! = Bella gnocca!
Cosa c'è che non va? = Non vedo perché ne stai facendo una tragedia
Cosa c'è che non va? = Attraverso quale insignificante trauma psicologico auto-inventato stai combattendo?
Si', mi piace il tuo taglio di capelli = Mi piacevano di più prima
Si', mi piace il tuo taglio di capelli = Cinquantamila lire e non e' cambiato nulla!
Andiamo al cinema? = Mi piacerebbe fare sesso con te
Posso portarti fuori a cena? = Mi piacerebbe fare sesso con te
Posso chiamarti qualche volta? = Mi piacerebbe fare sesso con te
Posso avere l'onore di un ballo? = Mi piacerebbe fare sesso con te
Sembri tesa, ti faccio un massaggio? = Ti voglio accarezzare (Mi piacerebbe fare sesso con te)
Cosa c'è che non va? = Immagino che di fare sesso stanotte non se ne parla...
Sono annoiato = Vuoi fare sesso con me?
Ti amo = Facciamo sesso, ora!
Ti amo anch'io = Va bene, l'ho detto, ma ora facciamo del sesso
Parliamo = Sto cercando di fare una buona impressione su di te in modo che tu creda che sono una persona profonda e forse allora acconsentirai a fare sesso con me.
Mi sposerai? = Voglio che diventi illegale per te andare a letto con altri uomini.
(mentre si fanno compere) Mi piace di più quell'altro = Prendi uno qualunque di questi cazzo di vestiti ed andiamocene a casa!

 

Un ultimo applauso per quella piccola cosa, poi Uther salutò e uscì dalla scena. La pubblicità avrebbe allietato le loro menti fino all'inizio del film “L'alba del giorno dopo”, che facevano spesso in tv. Hunith lo stava aspettando, come sempre, con uno splendido sorriso sulle labbra, ma che stavolta celava il fastidio che, nonostante lui le avesse spiegato come stavano le cose, persisteva. Le valigie erano già in auto. Uther rivolse un'ultima occhiata veloce all'edificio in cui lavorava, per poi sorridere rassicurante alla donna e partire frettolosamente. Un autobelox li avrebbe sicuramente fotografati.

 

Morgana accese la tv, per vedere il telegiornale, che era subito dopo l' Uther Pendragon show. Era già iniziato da un pezzo. La giornalista sembrava la guardasse, la indicasse e l'accusasse “Ecco!” diceva “Hai liberato un'assassina!”. La mora si mise le mani tra i capelli, mandandoli all'indietro e scompigliandoli leggermente.

-L'uomo era il figlio del miliardario Rupert McGregory. Si dice che sia stata una donna a ucciderlo. Come arma una pistola. Movente: stava rifiutando le sue avanche. La sospettata è Sophia Avalon, scagionata lo stesso giorno dell'omicidio commesso.

Morgana saltò in piedi. Prese veloce una spazzola e si pettinò i capelli neri, per poi raccoglierli in una coda. Spense le luci e uscì di casa, con cellulare in mano. Chiamò la polizia.

-Polizia? So come ritrovare Sophia Avalon, l'assassina di Rupert McGregory.

Partì con la sua macchina verso il Tamigi. Aveva la possibilità di riscattarsi.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Lo so, mi volete uccidere perchè è un capitolo corto, ma vi prego, sennò come fate a sapere come diamine continua? Vi avverto che, nel prossimo capitolo, non ci saranno accenni di Uther O.O Ma ci saranno Merlin e Arthur, Gwaine (personaggio della terza stagione ;D), Sophia e Morgana u.u e Gwen, Morgause e tanti altri ;) Sarà un capitolo con i fiocchi e, visto che sono stata molto cattiva, ve lo farò avere entro il 28 =) Solo quattro giorni ;) E.... e si, Uther è MOLTO maschilista u.u E pensa solo a quello u.u

Mi raccomando, recensite, io sono una di quelle che si demoralizzano facilmente u.u
Kiss

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Capitolo 6
*** Gwaine ***


Gwaine

 

ATTENZIONE: Gwaine è un personaggio della terza stagione! C'è anche Cenred, della terza stagione!

 

La giovane Kim attraversò la sala. La scrivania del segretario era vuota. Dallo studio di Arthur non proveniva nessun rumore. Il sole stava tramontando e i suoi raggi, ormai deboli, filtravano dolcemente dallle due grandi finestre poste sopra i due muri laterali. Le pareti di colore bianco sembravano leggermente fosforescenti. Kim inclinò leggermente la testa, guardando la grande porta in legno che era quella della stanza del capo. Lei era stata assunta da poco, ma sapeva già tanto sul conto del presidente della società. Arthur non aveva genitori, viveva in un appartamento di lusso a poca distanza dal luogo di lavoro con il suo segretario-fidanzato Merlin, aveva un talento per il disegno, aveva amato sua madre e ogni sabato andava al cimitero a portarle i fiori. La ragazza si avvicinò lentamente e con passo incerto al portone. Con la mano tremante, bussò alla porta. All'interno, Arthur tolse le labbra da quelle del suo segretario.

-Chi è?

Il biondo sbuffò quando ricevette la risposta da una voce sottile.

-Chiunque tu sia, ho da fare e non voglio essere disturbato.

Adesso era il turno di Merlin sbuffare. Il moro si chinò a sfiorare ancora le labbra di Arthur, mentre gli sussurrava che forse avrebbe dovuto fare il suo lavoro e, di conseguenza, far entrare la ragazza. Il biondo sorrise, mentre andava a baciarlo ancora e mentre le mani continuavano a scorrere sulla schiena del ragazzo.

-Arthur...

Era un rimprovero, eppure il suo capo continuò a stringerlo a sé, coccolandolo come solo lui sapeva fare. La ragazza si ritrovò a dover bussare ancora. Merlin stavolta bloccò le mani del biondo, staccandosi per rimettergli a posto la camicia. Lo sguardo del segretario era severo e, fissando quegli occhi così azzurri e profondi, Arthur potè giurare di sentirsi a casa.

-Dai, Arthur...

Merlin sapeva che per convincerlo bastavano un po' di baci e carezze, promesse di un premio futuro. Il moro cominciò ad accarezzare il collo del biondo, baciando la pelle rimasta scoperta, mentre gli chiedeva di lasciar entrare la ragazza, la quale, impaziente, lo chiamava dicendo che era una cosa importante. Arthur sorrise, mentre faceva alzare il moro dalle sue ginocchia e si ripettinava. Il segretario cominciò a mettersi per bene il gilè, mentre con una mano si sistemava i capelli, modellati da un po' di gel.

-Avanti!

Kim aprì la porta, camminando verso la scrivania. L'ufficio di Arthur era enorme. Una grande finestra gli stava alle spalle, illuminando l'ambiente. C'erano due piante, forse viti americane, agli angoli della stanza, che era a pianta quadrata. Il pavimento era di piastrelle bianche perfettamente lucidate e i muri erano dello stesso colore. Il capo inclinò la testa, vedendo l'impiegata avvicinarsi con passo esitante, mentre il rumore dei tacchi rimbombava. Il silenzio occupava la distanza fra i due. Da fuori provenivano i rumori della strada e dei bambini dell'asilo. Quando Kim arrivò davanti al presidente della società, chinò il capo in un veloce cenno di saluto, tossicchiando. Fra le mani teneva dei fogli stampati con dell'inchiostro rosso e nero. Al centro dell'ultimo foglio si vedeva attraverso la carta un'immagine molto colorata. La donna, mise i fogli sul legno della scrivania, sotto l'occhio attento del biondo e del moro.

-Questi sono i resoconti delle ultime vendite.

-Grazie...

La giovane sorrise e uscì dalla porta, sussurrando un “Arrivederci”. Nello stesso istante in cui si sentì il suono dei passi della ragazza allontanarsi, Arthur, preso Merlin per un braccio, lo portò sopra di sé.

-Bene... dove eravamo rimasti...?

 

Morgause sospirò affranta. Perchè, perchè perchè? Si era lasciata trascinare in quella sottospecie di avventura senza né capo né coda. Va bene, anche lui era invidioso del successo di Arthur, ma lei non si dava pace. Lei voleva il potere e la gloria, ma a lui, il suo capo, sembrava che importasse solo portarsela a letto. Perchè lui pensava solo a quello, come avevano detto allo show del Pendragon la sera passata. A cosa le serviva sottomettersi a quella specie di... di... non sapeva neanche lei come definirlo. Morgause si massaggiò le tempie. Doveva aumentare le vendite, sennò sarebbero caduti in rovina. Lei era arrivata per fare la segretaria, non per fare “l'amichetta” del capo come Merlin! La donna, mise una crocetta su una cartina, mentre la guardava sorridente. Se avesse preso quel posto per la pubblicità, avrebbe aumentato del 30% le vendite: era un posto speciale, dove passavano molte spendaccione e casalinghe. Gli uomini forse ci passavano poco, ma che importava? Tante mamme e bambini l'avrebbero vista e, se avesse fatto successo, avrebbero avuto un aumento dei guadagni altissimo. La bionda poggiò il caffè sul tavolo, mentre dalla porta entrava Cenred con un'altra delle sue conquiste.

 

Gwaine entrò in ascensore. Era il proprietario di una piccola azienda, che ogni tanto si metteva in società con quelle più grandi e importanti per fare successo. Il metodo funzionava, aveva sempre funzionato. Era simpatico a tutti i direttori, era un bell'uomo, quindi piaceva alle impiegate: era sempre stato in buoni rapporti con tutti. Più o meno. Aveva avuto qualche quisquiglia qua e là, a causa dell'alcool, ma quelle mancanze venivano dimenticate appena sfoderava un po' del suo fascino. Lui era molto attraente: alto, con i capelli castani e gli occhi profondi, il fisico muscoloso e perfetto... sì... era il sogno di ogni donna. Aveva spesso avuto degli amanti maschi, ma non erano stati importanti, come del resto nessuna delle donne che aveva conquistato. Ogni tanto si sentiva un po' in colpa, ma poi si rendeva conto di essere uno spirito libero e ribelle, che non si nasconde né si opprime: non avrebbe mai potuto restare incatenato a una persona. Gwaine uscì dall'ascensore, guardando la grande stanza che faceva come “ufficio” del segretario. L'uomo fece un paio di passi avanti. Sembrva non ci fosse nessuno.

-Lei chi è?

Gwaine si girò verso un angoletto della stanza. Il suo sguardo indugiò sulla figura del ragazzo che gli stava davanti. Era alto e molto magro. I suoi occhi erano di un blu profondo e brillante e la sua pelle bianca contrastava con le labbra rosse. I capelli neri sembravano molto morbidi e caldi...

-Oh... Mio... Dio...

Il ragazzo lo guardò con un'espressione indecifrabile. In un attimo il cuore di Gwaine fece un balzo.

-Vi sentite bene?

Il moro si avvicinò a lui, guardandolo negli occhi: ci si poteva annegare e morire felici. Il ragazzo non fece in tempo a chiedere ancora se l'altro stava bene, che si ritrovò le labbra dell'uomo sopra le proprie. Spaesato e confuso, restò immobile, mentre l'altro lo stringeva a sé. Si svegliò solo quando sentì la porta di Arthur aprirsi. Il biondo rimase a bocca aperta per qualche istante, prima di scaraventare il nuovo arrivato lontano da Merlin.

-Che stavi facendo, eh? Chi sei tu?

Il castano lo guardò, capendo solo in quel momento che il biondo davanti a lui doveva essere il capo. E quindi quello che aveva baciato era...

-Sono Gwaine. Sono venuto per fare affari con...

-Sì, ho visto per che affari sei venuto.

-Io...

-Se sei venuto per trovarti qualcuno di facile, quella è la porta. Lui è mio.

Gwaine vide Merlin arrossire lievemente all'ultima frase del biondo. Quindi quello era il famoso segretario, fidanzato con il direttore dell'azienda. Stava facendo la figura dell'idiota: così non sarebbe mai riuscito a far vedere al moro quanto fosse bravo, più del suo caro amante.

-Sono venuto per tre cose, signore, e in nessuna di queste è contemplato trovarmi un fidanzato. La prima è per trattare sullo spazio pubblicitario sull'autostrada vicino al supermarket, la seconda è per parlare dei costi e cosa ci guadagno io e la terza è perchè ho un attracco commerciale importantissimo e volevate discuterne. Non sono qui per rimorchiare.

-Sarà meglio per te.

Arthur si diresse verso il proprio ufficio facendo cenno a Gwaine di seguirlo, mentre Merlin li guardava andarsene per chiudere la porta.

 

Gwaine stava lì dentro da almeno quattro ore. Merlin stava spegnendo il computer, mentre finiva di sistemare dei fogli in delle cartelline verdi. La luna ormai era alta e, piena, illuminava la notte di Londra che, da quel piccolo grattacielo, sembrava piccolissima. Merlin sospirò, guardando l'orologio. Tra poco Arthur avrebbe finito e sarebbero potuti tornare a casa e cenare in pace. Poi avevano comprato un nuovo DVD con un film che i critici avevano definito sorprendente: era un giallo-romantico. In realtà sembrava più un horror dalla storia. Arthur uscì dalla porta con Gwaine a seguito, parlocchiando.

-Bene. Abbiamo chiarito tutto.

I due si strinsero la mano, fingendosi amichevoli. In realtà in fondo agli occhi si vedeva la rivalità, il fastidio. Arthur si avvicinò al segretario, cingendogli i fianchi con le mani, baciandogli il collo e il mento.

-Noi torniamo a casa nostra, vero, Merlin?

Gwaine si morse le labbra, trattenendo la voglia di strapparglielo dalle mani.

-Tornerò domani per definire meglio la situazione sull'attracco commerciale.

-Certo. Arrivederci, Gwaine.

Il modo in cui pronunciò il nome ricordava in cui nei film i cattivi nominano i buoni. Gwaine, abbassò il capo in un cenno di saluto e, facendo l'occhiolino al segretario, uscì dalla stanza, sentendo la voce di Merlin che gli chiedeva se il film che avrebbero visto era bello.

 

Morgana si dirigeva verso casa. Aveva appena finito di sistemare le ultime cose con la polizia e in quel momento camminava per una grande strada molto affollata: purtroppo aveva dovuto lasciare l'auto alla stazione di polizia. Le luci della città la accecavano: davano un senso di vuoto e di finto calore. Alzò lo sguardo. Molti commessi stavano chiudendo gli ultimi negozi rimasti aperti, facendo spazio ai night club e ai pub, da dove già proveniva puzza di alcool. Morgana girò l'angolo e si ritrovò in una strada meno affollata e più calma. La luce era spettrale e si rifletteva sull'asfalto in maniera inquietante. L'avvocato continuò a camminare, sentendo delle voci avvicinarsi: era una donna che parlava al telefono. La mora non fece caso all'altra e conintuò avanti, ma qualcosa la trattenne. Quando si girò, la ragazza appena incontrata fece un largo sorriso.

-Morgana! Sono Gwen, non ti ricordi?

L'avvocato sorrise, abbracciando l'amica che aveva perso di vista per motivi di lavoro.

-Gwen! Ma certo, come potrei dimenticarti? Come stai? E come sta Lancelot?

-Io sto bene e anche Lancelot lo è, anche se penso che spesso rimpiaga il suo ex, tu sai di chi sto parlando.

-Certo, prima di mettersi con Arthur, Merlin stava con lui. Come dimenticare il giorno in cui tu e Lancelot vi incontraste e vi innamoraste subito? Avete fatto scambio di ragazzi te e Merlin.

-Già. Io sinceramente ho sofferto molto quando ho scoperto che Arthur sapeva. Tra me e Lancelot non c'era stato granchè: solo un paio di baci. Comunque, capisco la rabbia di Arthur, la comprendo. La cosa che mi aveva veramente colpito è stato il dolore di Merlin: poverino...

-Ma dopo ha trovato l'amore della sua vita.

-Chi l'avrebbe mai detto, eh?

Morgana fece un cenno d'assenso, mostrando il suo sorriso perfetto. Gwen sorrise, invitandola a cena da lei. L'avvocato accettò volentieri, acconsentendo a essere accompagnata fino a casa dell'amica ritrovata. Ci volle poco e arrivarono quasi subito. Quando entrarono, Morgana dovette ammettere che la casa, benchè non molto grande, era molto accogliente e familiare: sembrava un rifugio sicuro. Le due si misero sul divano con una cioccolata calda in mano, raccontandosi tutto quello che era successo in quegli anni. La serata procedeva bene, tuttavia, all'improvviso, Morgana si rabbuiò, apparentemente senza motivo. Ma Gwen era sempre stata brava a capire quando qualcosa non andava.

-Che c'è?

-Niente. E' solo che sono molto preoccupata. Ho dovuto fare da avvocato difensore a una ragazza accusata d'omicidio premeditato. Lei sembrava innocente, ma man mano che procedevo nelle mie indagini ho capito che era un'assassina... tuttavie pensavo fosse solo un'impressione mia, basata molto di più sulla soggettività che sull'oggettività. Ma mi sbagliavo. Lei è stata scagionata e, appena tornata in libertà, è tornata a uccidere. Mi sono sbrigata a chiamare la polizia e informare gli agenti di tutto quello che so su di lei. Ma solo preoccupata: mi sento colpevole per averla lasciata andare via. Sono stata stupida: dovevo ascoltare il mio istinto e sentire cosa mi diceva, ma non è andata così. Io l'ho salvata una volta, non la salverò ancora, anzi! Farò di tutto perchè sia messa in carcere. E' colpevole di tutto quello di cui l'hanno accusata, lo so per certo, anche se ha un alibi di ferro. E' un'omicida. E credimi se ti dico che è stata brutale con la vittima: l'ha annegata, poi per non far capire la morte, l'ha accoltellata dieci volte, colpendo varie parti del corpo. E' stata brava, ma questa volta non abbastanza. La prenderò. Allora sarò in pace con me stessa.

Gwen l'ascoltava interessata. Lo sguardo era posato su di lei. Non la fissava: la faceva sentire a proprio agio, come se stesse riponendo i suoi pensieri in una fortezza inespugnabile e che avrebbe accettato pazientemente altre emozioni. Ma Morgana era stanca e aveva detto abbastanza per i suoi gusti. Così, ritornò a casa, finalmente, con le parole rassicuranti e incoraggianti di Gwen che rimbombavano nella testa.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Che ve ne pare? Finalmente un pezzo Merlin/Arthur, eh ;D Contente? So che non sono brava con le long-fic, ma spero veramente che questa venga meglio delle mie solite cavolate, ma se non mi dite cosa pensate come faccio a saperlo? Ringrazio vivamente, comunque, tutte le lettrici silenziose (che magari potrebbero farsi sentire una volta ogni tanto ^^) E dedico questo capitolo a sabry, che ha recensito tutto e che è una fedelissima ;D

Nel prossimo capitolo si ritornerà a Hunith e Uther, con Gaius e Alice, ma ci sarà un bel pezzo lungo di Morgana e Sophia ^^ Penso di aggiornare il 33 o il 34 ^^

Kiss

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Capitolo 7
*** Lotta al Tamigi ***


Lotta al Tamigi

 

Il treno era partito da poco. Gaius fissava Bobby, il suo cellulare, con aria di sfida. Alice scosse la testa, pensando che era proprio vero che gli psicologi sono tutti matti. L'uomo distolse lo sguardo dal suo nemico e lo fissò sul paesaggio che si muoveva veloce. Il cielo era grigio. Gli unici tocchi di colore erano quel po' di fiorellini che si intravedevano fra l'erba verde. Gaius sbadigliò, portandosi la mano alla bocca.

-Sai perchè si mette la mano davanti alla bocca quando sbadigli?

Alice guardò suo marito, ponendogli questa domanda.

-No, perchè?

-Perchè nel Medioevo si pensava potesse entrare Satana se tenevi la bocca aperta...

-Che cosa allegra...

-Già.

Il silenzio calò ancora fra la coppia di coniugi, che continuavano a fissare fuori.

-E tu lo sai che gli elefanti sono gli unici animali che non sanno saltare, i coccodrilli non sono capaci a fare la linguaccia e i serpenti non sanno fare l'occhiolino?

Alice rise divertita.

-No... Ma tu lo sapevi che gli scarafaggi possono vivere anche senza testa: muoiono solo perchè hanno fame?

Gaius ridacchiò. Le loro solite gare a chi sapeva più cose che non interessavano a nessuno! I due si guardarono negli occhi, competitivi.

-E tu invece lo sapevi che gli struzzi hanno il cervello più piccolo dell'occhio?

-E tu lo sapevi che esistono animali che sono gay? Specialmente i delfini. E i bisonti.

-Ok, hai vinto.

Alice mise dritta la schiena e lo guardò con finta aria di superiorità. Intanto il treno si stava fermando.

 

Morgana sospirò. Era da un po' che la stavano cercando: subito dopo la segnalazione erano partiti subito! L'avvocato fissava Londra coperta da una leggera foschia. Da lontano si sentivano i rumori del centro, di alcune auto che gareggiavano di notte, motorini e gli ultimi amici in giro a festeggiare chissà cosa. Improvvisamente vide un'ombra. Si muoveva decisa, agile e veloce. Morgana svegliò il poliziotto accanto a lei. L'ombra si girò verso di loro. Sì, era lei. Era Sophia.

-Parti! Partipartiparti!

L'auto partì, nel silenzio della notte londinese. La ragazza fuggiva e correva correva. Spesso prendeva scorciatoie in cui la macchina non poteva entrare e così a volte si ritrovavano ad andare a vuoto. Ma la riprendevano sempre. Sophia scappava, inseguita non più da un'auto, ma da due tre quattro. La ragazza scappava, con il corpo gonfio di fatica, la testa piena di frasi di morte. La bionda corse verso il Tamigi. Non aveva scampo. I poliziotti, dopo averla accerchiata con le auto, scesero. Morgana guardava tutto dal finestrino. Gli uomini puntarono le loro pistole verso la ragazza, gridando di mettere le mani in alto e di non muoversi. Sophia sorrise e, tirata fuori dalla borsetta rosa una rivoltella, la puntò a sua volta verso i poliziotti.

-Nessuno mi fermerà...

La ragazza cominciò a sparare alle auto, mancando per un soffio Morgana. Gli uomini cominciarono a sparare, mancandola sempre per poco, finchè un proiettile non le arrivò alla gamba. La ragazza, emettendo un grido di dolore, si mise la mano alla gamba sanguinante. I poliziotti smisero di sparare. L'urlo della ragazza aveva squarciato la notte silenziosa di Londra, piena di nebbia e inquietante. Morgana sentì un attimo il tempo che non scorreva. Le foglio si erano fermate, l'acqua del Tamigi non scorreva più. Sentì il sangue raggelarsi nelle vene, il cuore smettere un attimo di pompare. Tutto era immobile, il volto dell'assassina era contratto in un'espressione mostruosa di dolore e di rabbia. Morgana aveva una voce in testa, una voce che continuava a parlare, che le faceva scoppiare il cervello, che si accavallava con tante altre voci. Cosa dicevano? In un attimo, l'avvocato capì. Erano tutte le frasi che ave a sentito sul conto di quella ragazza.

Tu non sai perchè lo fa, potrebbe averne motivo

E' un'assassina, non la devi difendere

Diciamo che mi hanno lasciata andare

Non farti ingannare

Assolta da tutte le accuse

-Non finisce qui... No! Non può finire così!

La ragazza cominciò a correre zoppicando, riuscendo a rompere la barriera degli uomini. Morgana trattenne il fiato. Sophia cercava di scappare, ma ormai aveva perso. Game Over. L'avvocato si sentiva soffocare, mentre vedeva la ragazza allontanarsi. Nessuno faceva niente! Morgana uscì dall'auto, smuovendo gli uomini.

-Ma cosa fate? Muovetevi!

Un poliziotto la puntò.

Solo parole, parole vuote e senza senso, no, Sophia? Sai bene che uno sbirro ti sta puntando con la pistola. Lo sai bene che presto morirai. Lo sai che la tua lotta per vivere è stata inutile: non si scampa al Destino. Sentirai la mano fredda della Morta toccarti la spalla, prenderti per le gambe e trascinarti giù, giù, sempre più giù, dove meriti di stare. Hai sempre pensato di essere immortale, hai sempre pensato di poter fuggire alla Morte e a quello che ti spettava di diritto. Hai voluto l'inferno, Sophia. E il tuo desiderio sta per essere esaudito.

Un ultimo sparo e la ragazza cadde nel gelido Tamigi, trascinata dalla corrente.

E finalmente sei sola, Sophia, mentre cadi dall'alto. Senti il metallo duro dei proiettili penetrarti nella carne, straziandola. Ti fa male, Sophia? Senti qualcosa che sembra ghiaccio circondarti, coprendoti il corpo.

Deve essere la Morte.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Ok ok, lo ammetto, da schifo questo capitolo! Ma ho cercato di allungarlo, sul serio, con un risultato alquanto deludente a dirla tutta. Spero che comunque ci abbia un po' emozionato ;) Comunque, per il prossimo capitolo ho da far fare tre cose, quindi verrà sicuramente più lungo, anche perchè ci sarà molta conversazione. E ci sarà una parte per Merlin e Arthur ;D

Kiss

P.S. Le cose che dico sugli animali sono vere u.u

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Capitolo 8
*** Balinor ***


Balinor

 

Gwen la guardò. Da quando si erano rincontrate, lei e Morgana passavano molto tempo insieme: si aiutavano a vicenda, si davano consigli... erano ridiventate le amiche di una volta.

-Non ti preoccupare. Non ti devi sentire in colpa...

-Non mi sento in colpa infatti per la morte di Sophia. Ma sono molto preoccupata. Ho un brutto presentimento. Stamattina era forte, ma adesso è ancora maggiore: non si ritrova il corpo di Sophia. Hanno setacciato tutto il Tamigi, tutte le sue sponde e il fondo. Non la trovano. E' come se fosse scomparsa.

-Magari è stata incenerita per magia, ah ah!

Gwen rise un pochino, guadagnandosi un'occhiataccia da parte dell'amica. La ragazza tossicchiò.

-Non so... quella ragazza era diabolica. Poteva resistere alle cose più estreme.

-Ma, è il Tamigi, Morgana, mica il fiumiciattolo sotto casa tua! E in più non poteva muovere una gamba e le hanno sparato.

-Sì, ma nessuno sa dove il proiettile è andato a finire. Poteva essere alla testa, al cuore, quanto a un braccio o all'altra gamba. Ho paura, Gwen. Ho paura che sia rimasta viva. E se è così, allora verrà a cercarmi, per vendicarsi.

-Non si scampa alla Morte.

Morgana sorrisere amaramente. Un sorriso tirato, privo di allegria.

-Alla Morte no, ma al Tamigi sì.

 

Il treno si muoveva e correva sobbalzando verso Londra. Non erano potuti partire con Gaius e Alice perchè dovevano finire i bagagli. Hunith giocherellava con un filo, mentre Uther fissava fuori dalla finestra. Il silenzio non era fastidioso e pesante, ma leggero e non metteva a disagio. Uther rivolse lo sguardo alla fidanzata, rimanendo zitto. La donna continuava a fissare il filo con cui stava giocando.

-Com'era?

-Chi?

-Lui, il tuo ex...

Hunith sobbalzò.

-Balinor?

-Sì...

La donna alzò lo sguardo per guardare quello di Uther.

-Beh... Balinor era... speciale. Era un uomo molto bello, ma soprattutto era gentile. Era un po' chiuso, ma una volta che riuscivi a parlarci, ti accorgevi che era un tipo buffo e simpatico, dalla battuta sempre pronta. Lo conobbi per strada, mentre aspettavamo l'autobus. Eravamo solo noi due. C'era molto silenzio, per cui pensai di romperlo con una chiacchierata. Lui non rispose subito (come ti ho detto era un tipo chiuso), ma alla fine disse qualcosa sulla famosissima “Danza dell'autobus”. Il 710 era in un ritardo pazzesco, nonostante quel giorno non ci fosse molto traffico. Cominciammo a chiacchierare di un film di cui c'era la locandina. Lui l'aveva visto e io no. Quando arrivò l'autobus, scoprimmo di abitare vicini e lui mi invitò a cena. E' stata un sera fantastica. Balinor era un uomo veramente stupendo: mi faceva sentire a mio agio e allo stesso tempo mi faceva chiudere lo stomaco. Con lui stavo così bene... ci fidanzammo tre mesi dopo. Ci sposammo dopo un anno. E quell'anno fu uno dei più belli. Uscivamo spesso insieme, soprattutto per vedere film, perchè lui era un critico cinematografico. Adorava i fantasy ed era un fan di Eragon. Dopo il matrimonio, la luna di miele si svolse in Grecia. Lui morì dopo dieci anni... in un incidente... a causa di un autobus... il 710, non è buffo?

Hunith provò a fare un sorriso, ma le uscì solo una smorfia tirata e sconvolta.

-E poi?

-Poi ho conosciuto te. Dopo tre anni. All'inizio non credevo che tu fossi il tipo per me: sei così diverso da Balinor. Tu sei orgoglioso e testardo... e molto più appassionato, anche se in un primo momento non mi era parso. Da te pretendo solo che tu non ti avvicini mai al 710, questa è l'unica cosa che voglio: non voglio perdere anche te...

Uther le si avvicinò e la strinse a sé, baciandole i capelli e accarezzandolae le spalle. La abbracciò più affettuosamente di come faceva di solito, con più dolcezza. E stava zitto. E Hunith di quest'ultima cosa era contenta. Perchè tutti sprecavano tempo a dire “Mi dispiace”, ma lei non voleva né compianto né pietà: voleva solo affetto. E Uther, anche se a modo suo, gliel'aveva sempre dato senza riserve.

 

Le coperte si muovevano in maniera frenetica. Da sotto provenivano dei sospiri e dei gemiti. A un certo punto, tutto si fermò. Sullo schermo nero apparivano solo delle scritte bianche. Arthur sospirò, apparendo da sotto le lenzuola sul divano, spegnendo la tv su cui si vedevano ormai i titoli di coda. Posò velocemente il telecomando per terra, tuffandosi ancora sulle labbra del proprio segretario, steso sotto di lui. Il moro gli prese il viso fra le mani, continuando a baciarlo appassionatamente.

-Merlin...

Il biondo gli morse il collo.

-Ahio!

-Che ci vuoi fare? Sono insaziabile...

Merlin prese il proprio pantalone che stava a terra e colpì Arthur, il quale sbuffò infastidito. Il biondo cominciò ad accarezzare i capelli del moro, baciandogli la fronte.

-Ti amo, Arthur.

-Anch'io.

Merlin sorrise, baciando ancora le labbra e il viso del suo capo. I due si strusciarono. Per loro la notte era ancora giovane, anche se gran parte di Londra, probabilmente, stava già dormendo. Il biondo nascose il naso sul collo del fidanzato, respirando il suo dolce profumo: era molto debole, non ti colpiva e non ti stordiva, ma era buonissimo. Improvvisamente, Arthur sentì Merlin canticchiare.

-La notte è piccola per noi... Troppo piccolina... c'è poco tempo per ballar... e per cantar...!

Il biondo sorrise, interrompendo il ragazzo con un bacio. Merlin ribaltò le posizioni, facendo cadere un po' la coperta, accarezzando il petto del biondo. Il moro rimise le coperte sopra i loro corpi, per poi scomparire sotto le lenzuola, baciando la pelle di Arthur. Un gemito si perse nell'aria. Il silenzio era interrotto solo dalla voce strozzata dei due amanti. Improvvisamente, si udì uno squillo. Era il cellulare di Arthur: c'era un messaggio.

Confermati gli inviti alla festa per te e il tuo ragazzo.

Il biondo sbuffò: ma per questa stupidaggine lo dovevano interrompere?

-Cosa c'è scritto?

Merlin guardò lo schermo del telefonino.

-Che sono confermati gli inviti per la festa per il successo di quest'anno della ditta Led Lights. E tu, ovviamente, verrai con me.

Il segretario sbuffò, già annoiato.

-Non ascolteremo niente, ci chiuderemo in bagno e basta.

Merlin scosse la testa ridendo. Il suo Arthur.

-E tu sarai ovviamente travestito da cameriera sexy, con tanto di crestina...

Il biondo si leccò le labbra, mentre Merlin, indignato, lo accusava di essere un maniaco grassone.

-Sono... cosa...?

-Un maniaco grassone.

Merlin, vedendo lo sguardo omicida del fidanzato, si scrollò di dosso l'amante e cominciò a scappare, mentre il biondo lo inseguiva. Quando Arthur gli saltò addosso, erano nella loro camera da letto (accidentalmente...?), scaraventando (sempre accidentalmente) il moro sul letto. Avevano entrambi un leggero fiatone. Il petto si alzava e abbassava velocemente. Il segretario baciò le labbra del capo, capovolgendo la situazione. I due scivolarono sotto le coperte.

-Sai, è da due giorni che cerchiamo di vedere quel film: oggi sembravi così contento di vederlo!

-No, volevo solo vedere la faccia di quel tizio, Gwaine: non mi piace. Ieri ti ha baciato, oggi ti palpeggiava allegramente.

-Non è vero!

-Non negare l'evidenza, Merlin!

I due sospirarono, lasciando cadere il discorso, mentre il moro meditava una vendetta. Si addormentarono abbracciati, con i nasi che si sfioravano. Ma non sapevano che una figura scura li stava osservando da una finestra.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Vi piace? Beh, che ne dite? Grazie a tutte voi che la leggete ;D E io ODIO il 710. E' l'autobus che prendo per andare a scuola, ma arriva sempre in ritardo ='( Oggi sono arrivata leggermente meno in anticipo del solito (le otto meno tredici, al posto di meno quindici) e mi sono vista il 710 passarmi davanti ed ero troppo lontana per arrivare alla fermata in tempo! LO ODIO LO ODIO LO ODIO!

Comunque... ditemi cosa ne pensate ;) (non del 710, del capitolo u.u)

Kiss

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Capitolo 9
*** Il secondo approccio di Gwaine ***


Il secondo approccio di Gwaine

 

Sera. Le stelle in cielo sembravano tanti coriandoli argentati. Una leggera brezza colpiva il volto di Merlin e Arthur mentre uscivano dall'auto. La festa/riunione era già iniziata. Quando entrarono nel locale, l'aria condizionata calda li investì. C'erano molti giornalisti, direttori di riviste e aziende. I due si misero a guardarli, nascosti nell'ombra, mentre filavano in bagno. Chiusero la porta a chiave.

-Ok, Merlin, ecco il piano. Io vado a fuori a fare un paio di interviste, te non farti violentare da nessuno. Quando la festa sarà ancora più nel caos, sgusceremo fuori e torneremo a casa... con attività più piacevoli, magari.

Il moro diede uno schiaffo dietro la testa ad Arthur, mentre quest'ultimo ridacchiava, godendosi già il premio che il segretario gli avrebbe dato per il piano geniale. Quando uscirono, il biondo fu subito assalito dagli intervistatori. Merlin sorrise, lasciando solo il capo, facendo un giro della sala. Improvvisamente, starnutì. Prese un fazzoletto e si pulì. Cerco un cestino per tutto il locale, ma non c'era. Un uomo grande e grosso dall'aria pericolosa gli disse che i cestini erano fuori dalla porta sul retro. Quando Merlin uscì, borbottando qualcosa contro gli starnuti, la differenza di temperatura lo fece sobbalzare. Davanti a lui c'erano ben 3 cestini e altrettanti cassonetti e tutti e sei i contenitori erano di colori differenti. Merlin, dopo essere stato a pensare per dieci minuti, buttò il fazzoletto nel cassonetto verde. Non fece in tempo a girarsi, che sentì un paio di mani prenderlo per i fianchi e tenerlo fermo.

-Sai, così sei proprio affascinante...

Una voca calda raggiunse il suo orecchio, mentre sentiva delle labbra scendere sul suo collo e sulla sua spalla. Merlin quella sera era effettivamente elegante. I pantaloni neri erano di un taglio semplice. Le scarpe erano nere. La camicia bianca era coperta da un gilet elegante nero con righette verticali color petrolio e la cravatta era dello stesso colore. Il tutto aderiva perfettamente al suo corpo, disegnandone perfettamente le forme.

-Gwaine...?

-Già, come hai fatto?

Il castano continuò a baciare le spalle di Merlin, scostando un po' la camicia, le mani ancora ancorate ai fianchi del ragazzo. Il moro si divincolò nella stretta quando Gwaine lo girò verso di lui, tenendolo con una mano sulla schiena e una sul sedere. Il segretario cercò ancora di liberarsi, con il solo risultato di spingersi ancora di più verso il castano, che lo baciava ancora con passione. Improvvisamente Merlin, con uno scrollone, fece cadere Gwaine a terra.

-No!

Il castano non avrebbe però fatto andare via Merlin così facilmente. Si alzò e, preso il segretario per i fianchi, lo spinse contro di sé, schiacciandolo poi al muro. Divorando la bocca del ragazzo, provò a fare qualcosa con i pantaloni, quando il moro gli diede un calcio sullo stomaco. Ma il capo della piccola azienda non dimordeva. Lo prese ancora, stavolta buttandolo a terra, in modo che il proprio peso fosse equamente distribuito sul corpo. Merlin protestò e cercò di colpirlo. Ma doveva capire che a Gwaine la ribellione lo eccitava ancora di più. Così, preso saldamente per i fianchi, si spinse su Merlin, cercando piacere. Ma...

-Oh, Caz...

Il segretario lasciò il coperchio di ferro di uno dei cestini e corse verso la porta, aprendola. Si ritrovò davanti Arthur che, vedendo Merlin tutto spettinato e spaventato e Gwaine a terra con la testa dolorante, capì subito quello che era successo. Scostato il moro dall'uscita, il biondo avanzò verso lo strupratore, dandogli un pugno in piena faccia. A quel punto, Arthur sbuffò, prendendo Merlin per una mano.

-Ti avevo detto di non farti violentare da nessuno.

-Io non mi sono fatto violentare, lo messo KO!

Il capo sbuffò ancora, sorridendo. Lo portò fino all'auto sportiva, lasciando Gwaine con il naso sanguinante, per poi partire di corsa.

 

-Non mi ha violentato!

Era da quando erano partiti che stavano discutendo.

-Non ha fatto in tempo! Ci ha solo provato!

-Sì, e io sono Elisabetta I!

-Adesso c'è Elisabetta II...

-Appunto!

Silenzio.

-Comunque Gwaine non mi piace: non gli permetterei mai e poi mai di fare sesso con me, capito?

Arthur si girò a guardarlo. Si era fermato davanti il cancello di casa. Lo fissò negli occhi.

-Per stavolta, ti credo, ma vedi di non farti trovare più in certe situazioni con quel tipo.

-Ok, ci proverò.

Silenzio. Ancora.

-Ma sarebbe più facile se tutti quelli che fanno affari con te alla fine non abbiano anche il secondo fine di portarmi a letto!

Arthur girò la testa lentamente, come in un film dell'orrore. Lo sguardo omicida era acceso.

-Ci provavano pure gli altri?!

Merlin sbuffò. Ecco quanto ci teneva a lui, non si era neanche accorto delle palpeggiatine di tutti i suoi soci! Il segretario spalancò gli occhi.

-Ti ricordi George?

-Sì!

-Quello era molto insistente. Quando te ne andavi, subito provava a portarmi in uno sgabuzzino e farmi cose che non trovi neanche nel Kamasutra! E... e ti ricordi Karl? Quello forse era ancora più fissato di George: smaniava letteralmente. E... e tu non te ne sei neanche accorto!

Il segretario lo guardò sconvolto. Arthur lo fissava. Evidentemente, decise di credergli, perchè volle subito chiamare un sicario per ucciderli tutti. Merlin gli prese il cellulare e se lo mise in tasca, sotto lo sguardo corrucciato dell'amante.

-Arthur, non fare l'asino e dammi questo cellulare!

Silenzio. Ancora. Improvvisamente, Merlin si ritrovò schiacciato da Arthur, che lo baciava con passione. Ma una fitta alla spalla fece staccare Merlin dal bacio.

-Ahi...

-Cos'hai?

Il biondo guardò un po' preoccupato la spalla, scostando la stoffa. Sopra c'era un livido scuro, molto grande.

-Come te lo sei fatto?

-Probabilmente mentre cercavo di scappare...

-E' un brutto livido...

Arthur vi posò un attimo le labbra, prima di accarezzarlo e massaggiarlo lievemente. Merlin arrossì, lasciandosi cullare da quelle piccole attenzioni. La notte era fresca. Una leggera brezza colpì il viso dei due amanti, mentre il biondo continuava a dedicarsi alla spalla del compagno, lasciandosi andare a una dolcezza un po' dimenticata. Il segretario sorrise dolcemente, alzando con le mani il viso del ragazzo e baciandolo.

-Non è niente, no...?

Arthur sorrise, tenendo nelle proprie mani quelle del fidanzato. La notte era calma e limpida. Non c'era un filo di vento. Una stella spuntavano in cielo. E la luna aspettava che i due finissero, per non illuminarli e lasciarli all'ombra.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Dopo questo capitolo penoso che vi ho fatto aspettare troppo... vi dico che... che sto scrivendo il capitolo dopo e che sarà una bomba ;D Quindi recensite e continuate a leggere: pazientate perchè i capitolo decenti arriveranno prima o poi!

Kiss

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Capitolo 10
*** But the cat came back the very next day ***


 But the cat came back the very next day

 

Uther cominciò a scendere le scale, seguito da Hunith. Gaius aveva dato loro appuntamento a quell'ora, nel bar vicno all'hotel dove alloggiavano (a cinque stelle, ovviamente). Erano arrivati quella mattina, si erano sistemati nella suit che avevano in fretta prenotato e in quel momento stavano andando, agitati, verso lo psicologo, che li aspettava con alcuni fogli e alcune foto in mano. Nessun raggio di sole filtrava dalle nuvole grigie che oscuravano il cielo. Il vento soffiava violento sulle strade di Londra. Era così diverso da quello di Glasgow, benchè in realtà fosse lo stesso. La sciarpa verdastra di Hunith cominciò a svolazzare, tenuta solo dalla mano pallida della donna. Quano arrivarono davanti all'entrata del bar, videro l'espressione seria di Gaius. Una voce dentro Uther disse che era successo qualcosa, che forse era meglio non sapere, che forse...

-Purtroppo non ho buone notizie...

Che forse... era...

-Igraine è morta anni fa...

Il viso del comico si mosse in una smorfia di dolore e disappunto. Igraine... la donna che sembrava non dovesse morire mai, la donna che aveva sempre il sorriso sulle labbra e che aveva sempre la risposta pronta. Era morta.

-Ma potrei comunque aiutarvi... il figlio...

Entrarono lentamente nel bar, mentre una dolce aria condizionata li accoglieva. Dalla radio un po' antiquata veniva una musichetta.

Old Mister Johnson had problems of his own

He had a yellow cat which wouldn't leave its home.

He tried and he tried to give the cat away.

He gave it to a little man going far far away...

I tre si sedettero su delle sedie vicine a un tavolino di legno scuro, attaccato al muro vicino alla finestra. Stava cominciando a piovere. Le gocce stavano cadendo sui vetri, oscurando un pochino la vista di fuori, appannandola e sfocandola. Gaius sorrise tiratamente, mettendo delle carte sul tavolo. Ordinarono solo una cioccolata calda per Hunith e un the per Gaius. Uther non prese niente, solo un bicchiere d'acqua.

-Quando se ne andò da Glasgow, Igraine venne in un paesino vicino Londra, non molto lontano. Nell'ospedale del paesino, partorì un figlio maschio, che chiamò Arthur. Al piccolo fu dato il cognome della madre: evidentemente il padre era sconosciuto. Il piccolo crebbe là, dove conobbe un altro bambino della stessa età. Crebbero insieme e fecero la stessa scuola. Igraine morì circa quando il ragazzo aveva 16 anni. Arthur ebbe una ragazza, una certa Gwen che adesso lavora in una scuola materna come maestra. Una persona molto dolce.

But the cat came back the very next day,

yes, the cat came back, we thought he was a goner,

but the cat came back; it just couldn't stay away...

-Potremmo andare a parlarle.

Lo psicologo aprì una cartina, posando un dito su una stradina.

-La scuola dove lavora è là... potremmo andare a vedere.

Silenzio. Uther scostò un attimo lo sguardo dalla cartina, guardando il paesaggio fuori, ormai quasi irriconoscibile a causa del vetro bagnato. Le forme erano ormai solo ombre colorate, di cui non si capiva bene la provenienza. Cambiavano e cambiavano ancora, seguendo la goccia che passava sulla finestra e che, piano, scendeva a terra.

-Come mai andò da te?

Uther guardava ancora fuori quando pose la domanda.

-Il figlio era stato rapito da un certo Jarl, te l'ho detto. Ha subito un forte shock. Ma era poco più di un bambino... poteva avere massimo otto anni. Come ti ho detto insieme a lui c'era anche il migliore amico. Me lo ricordo bene perchè notai che tra di loro c'era un rapporto molto chiuso e esclusivo... molto intimo, sì sì.

The man around the corner swore he'd kill the cat on sight,

he loaded up his shotgun with nails and dynamite!

He waited and he waited...

-Ma togliete questa canzone fastidiosa?!?

Uther si girò verso l'uomo che stava accanto alla radio, urlando. Il ragazzo, vedendo lo sguardo omicida di Uther, la tolse subito.

-Bene...

Subito si alzò un chiacchiericcio pieno di “Ma quello non è...” “Sì, sì, è proprio lui!”. Il comico sbuffò, alzando gli occhi al cielo, esasperato.

-Scusa Gaius, è che ci sono ben poche cose che non sopporto, e una di queste è la segnalistica che funziona quando non deve: non è possibile che il gatto torni sempre a casa! Ma i fessi che danno indicazioni stradali fasulli li prendo solo io?

Hunith alzò gli occhi al cielo, mentre Gaius cercava di capire se stava dicendo sul serio o se stava scherzando. Improvvisamente la donna si girò a guardare Uther e gli prese il braccio.

-Ma, Igraine si chiamava Tintagel di cognome, no?

-Sì... e allora?

-E il figlio si chiama Arthur! Arthur... Titagel... Arthur... Tintagel... ti dice qualcosa, gran uomo?

I due uomini si guardarono negli occhi, stringendo le spalle. Risposero all'unisono.

-No!

Hunith alzò gli occhi al cielo, sospirando rassegnata, massaggiandosi le tempie.

-Ma il famosissimo proprietario venticinquenne del Camelot's Company: Arthur Tintagel. Me lo ricordo bene perchè aveva un sedere straordinario.

Uther sobbalzò.

-E con quest'ultima dichiarazione cosa vorresto dire? Che questo tizio è meglio di me?

Hunith rise, spettinando i capelli all'uomo. Anche Gaius rise, non tanto per cosa aveva detto quanto per la faccia con cui l'aveva chiesto. Uther aveva fatto una smorfia mista fra stupore, disgusto e rabbia: ottima per un film comico. Quell'espressioni erano ciò che giustificavano il successo dell'uomo. La donna baciò al fidanzato la guancia, tirandogli per dispetto un orecchio: allo psicologo sembrava di vedere due ragazzini. Il discorso di Arthur Tintagel fu dimenticato e si tornò a parlare della vita del figlio di Igraine.

 

Merlin diede un altro scatolone a Arthur, cominciando a toglierci tutto: c'erano tante foto e dei fogli scritti a mano. Il biondo si mise dietro il segretario, baciandogli il collo solo per fargli sentire la sua presenza. Il moro sbuffò, continuando a togliere la roba dallo scatolone. Improvvisamente si fermò, guardando una foto. Un ricordo gli tornò alla memoria.

-Dai, Arthur, sorridi! Ciiiiiiis!

Uno scatto partì dalla macchinetta fotografica, mentre il biondo continuava con il suo imperterrito muso.

-Arthur, ma perchè non fai neanche un sorriso?

-Perchè non mi va...

Il biondo cominciò a camminare per la strada, seguito da un ragazzo moro con una macchina fotigrafica in mano.

-Arthur, è tradizione che il giorno del tuo compleanno facciammo una foto qui! Non puoi fregartene e andartene!

-Sì che posso.

Il moro prese il ragazzo per la mano, girandolo con forza verso di lui.

-Senti, lo so che Gwen ti ha tradito, ma non è un buon motivo per fare la puttana: lo so che nelle ultime tre settimane ti sei fatto questo mondo e quell'altro. Sei stato della serie “Datemi un punto d'appoggio e vi scoperò il mondo”, ma non è così che funziona, lo capisci? Qua non sei l'unico a essere stato ferito, ok? Pensi forse che a me non importi niente di Lancelot? Pensi che io quando l'ho saputo ho fatto “ah” senza dire nient'altro? O pensi che anche per me è stato difficile? Lo so che fa male, che ti senti veramente male, non come quando la tua squadra perde una partita, né come quando prendi un'insufficienza a scuola, perchè sono cose che rimangono, ma tu non puoi rovinarti la vita continuando la tua farsa: questa cosa ti ha colpito, Arthur, non fare finta di non saperlo, ok?

Arthur guardò Merlin negli occhi, vedendoli diventare leggermente lucidi, sentendo la voce rompersi.

-E' come quando pensi che una cosa durerà per sempre e invece apri gli occhi e scopri che tutto è destinato a finire. Ti senti preso in giro, come quando ti dissero che non esisteva Babbo Natale, anche se è una metafora molto mal fatta. Sai com'è? E' come quando capisci che forse a quella persona di te non è fregato niente, perchè chi ama davvero non fa errori così. E senti di esserti aperto con una persona che non ti voleva veramente, a volte pensi addirittura di non esserti aperto abbastanza, perchè è andato da qualcun altro. Pensi che abbia cercato quello che tu non hai saputo dargli da qualcuno che forse gliel'avrebbe potuto dare. Pensi di essere stato uno stupido a credere davvero che ci fosse una persona che tenesse a te. E subito dopo pensi che non sia stata colpa tua e che in realtà tu hai fatto tutto quello che potevi fare...

-...Già... ti senti alle prese con qualcosa che tu non capisci e per questo ti si chiude lo stomaco. Ti senti come se tu non dovresti provare queste cose, ti senti un deficiente ad averci sperato. Pensi di essere stato come una specie di giocattolino, uno di quelli di cui ci si stanca subito: dimenticato in un angolo.

Merlin lo abbracciò stretto. Il moro era ancora più basso di Arthur che, preso fra le mani il volto del ragazzo, lo baciò. La macchina fotografica cadde, scattando una foto a un paio di scarpe verdi e un altro paio nere sportive.

-Alla fine è passata, eh?

-Cosa?

Arthur si sporse a vedere la foto che ritraeva due paia di scarpe.

-La rabbia...

Il biondo baciò l'orecchio del moro, sorridendo. Gli sussurrò un “Sì” molto convinto.

-Grazie a quella discussione ho trovato qualcosa di meglio di Gwen...

Detto questo lo stese a terra, baciandolo con trasporto. Merlin scambiò le posizioni a sua volta, baciandolo ancora per poi guardarlo negli occhi.

-Sai... ero talmente disperato che avevo in mente di darmi alla vita da drogato... per dimenticare...

Merlin guardò il biondo, scandalizzandosi.

-Ma... tu sei stato la migliore droga “dimenticatrice”...

-Ah ah, questa è sentita e risentita.

-Ma! C'è un ma: funziona sempre.

Merlin sbuffò, alzando gli occhi al cielo.

I due si staccarono. Si guardarono intensamente negli occhi. Il silenzio li avvolgeva. Nella furia del bacio la sciarpa di Merlin era caduta a terra. Il moro abbassò lo sguardo, riprese in fretta sia la sciarpa che la macchinetta e, tentando di non fissare il viso del biondo davanti a sé, si morse le labbra.

-Non ci casco ancora...

Era stato un sussurro, ma in quel silenzio rimbombava nella testa di Arthur come un'eco interminabile. Merlin si voltò e corse lontano. Il biondo si mise la testa fra le mani, cercando di capire perchè l'aveva baciato, perchè... Una vocina fastidiosa cominciò a parlare nella mente del biondo.

-Perchè? Perchè ti è sempre piaciuto... ammettilo, lo hai sempre voluto, da quando vi siete conosciuti. Non è un caso se hai avuto l'irrefrenabile impulso di baciarlo! E che bacio!

Un'altra vocina si introdusse nella mente di Arthur.

-Ma hai sentito cosa ha detto? “Non ci casco ancora”. Lui crede che tu lo stia prendendo in giro, che ti stia facendo gioco di lui o che perlomeno tu lo consideri come una di quelle puttanelle (o dovrei dire “uno”?) che ti sei fatto da tre settimane a questa parte! Dovresti dirglielo che lo ami.

-Ma lui lo sa, insomma... vi conoscete da una vita.... come può solamente pensare che tu lo voglia come avventura di una notte? Non è concepibile: con i migliori amici non si fanno queste cose!

Una marea di “Ma” e “Forse” gli adombravano la mente. Merlin era un puntino, ma non era tanto lontano. Arthur reagì d'istinto.

-Merlin!!

Il ragazzo moro si voltò. Il biondo chiuse gli occhi e gridò con tutta la forza che aveva in corpo.

-Ti amo!!!

I due spostarono gli scatoloni, mentre continuavano a baciarsi imperterriti. Non volevano fare niente (avevano “lavorato” tutta la giornata prima e tutta la notte), volevano solo godersi il momento. Il duro pavimento era freddo e faceva rabbrividire Merlin.

-Ti amo, Merlin...

Era una di quelle pochissime volte che glielo diceva. Era sottointedo, non c'era bisogno di ripeterlo: lui non lo dimenticava, non aveva bisogno di sentirselo dire per saperlo. Semplicemente lo capiva, lo sentiva, ci credeva ormai da tempo, non più come quando la loro relazione stava per iniziare. Allora era appena uscito da una delusione, era scettico e triste, aveva paura. Con Lancelot si era aperto più che con chiunque altro, gli era piaciuto davvero, sul serio! Avevano passato insieme dei momenti stupendi, che non credeva potesse rivivere. Poi scoprì che quello che aveva provato per lui era solo una goccia nel mare rispetto a quello che sentiva per Arthur. Con il biondo era tutto diverso. Tutto totalmente diverso. I due nella foga sbatterono contro una vecchia radio ancora funzionante.

He waited and he waited for the cat to come around

Ninety seven pieces of the man i all they found.

But the cat came back the very next day,

yes, the cat came back, we thought he was a goner,

but the cat came back; it just couldn't stay away...

-Ah, quanto odio questa canzone!

-Perchè?

-Perchè il gatto ha beccato l'unica persona in questo universo che riesce a dare delle indicazioni stradali riconoscibili.

-Sai, è una battuta alla Uther Pendragon's Show...

-...Che vedo ogni volta...

-...E che io odio...

-...Per le sue stupide battute, sì sì, lo so.

Merlin sorrise, spegnendo la radio, baciando Arthur, prima di alzarsi e prendere il computer.

-Dobbiamo vedere le news sul mondo finanziario, vieni?

-Uff, ma perchè a me?

-Non è colpa mia se sei il capo di una multinazionale!

Il biondo alzò gli occhi al cielo, sospirando.

-Domani, segretario, in orario in ufficio o ti dovrò licenziare per continuo ritardo. E per mancanza di “Toc Toc” alla porta.

Merlin sorrise. Arthur e le sue risposte senza senso... erano classiche dei momenti in cui non sapeva che dire. Il moro girò gli occhi verso lo schermo, mentre sentiva il biondo avvicinarsi e sedersi accanto a lui.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Capitolo un po' lungo, ma senza alcun senso e che vi ho fatto aspettare una vita -.-” E' che ero bloccata da quattro giorni al punto in cui finisce l'ultimo flashback e non sapevo che cavolo fare -.-” Comunque, nel prossimo capitolo ci sarà un “DAN DAN DAAAAAAN!!!” stupendo... davvero! Scopriremo chi guardava di nascosto Merlin e Arthur dalla finestra XP

Kiss

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Capitolo 11
*** Honorè de Balzac ***


Honorè de Balzac

 

Morgana camminava. Da tempo ormai si sentiva seguita. La paranoia, la paura, il terrore di vedere ancora Sophia le scavava dentro, la rendeva debole e stanca. Le luci intorno a lei vorticavano, il cielo senza stelle sembrava inghiottirla, le voci e i rumori della città erano rimbombavano nella sua testa, i visi dei passanti brillavano tutti di vendetta. Tutto in quel momento le sembrava nuovo e pericoloso, tutto la intimoriva. Non era mai stata la donna determinata che voleva mostrare, anzi, e in quel momento la maschera stava crollando, si stava sciogliendo, colando sul suo viso e sui suoi abiti, seccandosi prima di cadere a terra, ormai irrimediabilmente rovinata. Rovinata dai suoi occhi di terrore e i suoi pensieri di morte. Morgana non sapeva più cosa fare o pensare. Aveva un brutto presentimento da tempo, come se sentisse che Sophia non fosse scomparsa del tutto, ma che una parte di lei la cercava per ucciderla, per distruggerla, volendo farle chiudere gli occhi per sempre. La mora si fermò improvvisamente per la strada. Mai Londra le era sembrata tanto grande, mai la sua anima aveva raggiunto un tale livello di devastazione. La ragazza impallidiva ancora e ancora, vedeva il volto di Sophia davanti a sé, la sentiva ridere di lei, ridere, sì. La vedeva ancora precipitare nel Tamigi, la vedeva salvarsi, la vedeva mentre la sua voglia di sangue si ingigantiva...

-Ops, scusi.

Un uomo l'aveva urtata. Lei non se n'era neanche accorta. La ragazza si girò, trovando un uomo abbronzato davanti a sé.

-Lan... Lancelot?

Il ragazzo la guardò bene, prima si sorridere e rispondere con entusiasmo.

-Ah, Morgana! Da quanto tempo!

I due si scambiarono un paio di baci sulle guance, ridendo insieme. Morgana aveva dimenticato per un attimo tutte le sue domande, i suoi timori e le sue preoccupazioni.

-Troppo, Lance, troppo!

-Vuoi una cioccolata calda?

-Sì sì, grazie.

I due entrarono in un piccolo bar accogliente. Il locale non era grande e oltre al bancone erano presenti solo cinque tavoli ognuno dei quali aveva due panche per far sedere i clienti. Una piccola radio evidentemente vecchia stava trasmettendo un'opera lirica. I muri erano giallognoli e i mobili erano in legno scuro e in metallo colorato di rosso. Dal soffitto pendevano molti lampadari di ottima fattura: erano la parte dell'arredamento più moderno e interessante. Lancelot e Morgana si sedettero all'ultimo tavolo, vicino al termosifone, anch'esso antiquato. Il proprietario del bar si avvicinò a loro. Era un uomo con un paio di bei baffoni bianchi e non era certo uno smilzo: sembrava il cugino di Babbo Natale.

-Cosa desiderate?

-Un paio di cioccolate calda in tazza grande. Ah! E per me anche un po' dei biscotti Digestive. Morghy?

-Io solo la cioccolata, grazie.

L'uomo sorrise, annuì un poco e andò dietro al bancone, preparando le bevande richieste.

-Allora, come va con Gwen?

Il viso del ragazzo si raggelò improvvisamente.

-Non molto bene ultimamente. Anzi, fra noi non è mai andata veramente bene. Diciamo che spesso rimpiango di non essere rimasto con Merlin, con lui stavo meglio.

Morgana lo guardò stupita. Il viso di Lancelot esprimeva dispiacere, anche se un dispiacere realizzato, della persona che ha trovato il vero amore. La bocca era contratta in una smorfia leggera e le sopracciglie erano inclinate, come degli accenti sugli occhi scuri, che fissavano le mani sul tavolo.

-Come mai? Cioè... se ti va di parlarne.

-Va bene. Gwen è una di quelle persone che non capirai mai. Un momento prima sembra contenta, un secondo dopo sembra che le hai fatto chissà quale torto. In quei secondi momenti potrebbe combinare di tutto. Non è colpa sua, lo so, ma se avessi saputo come sarebbe andata a finire non mi ci sarei mai messo. Io e Arthur avremmo litigato così: “Forza, Lance, prendila, è tua!” “No, l'hai vista prima tu, tienitela!” “Io insisto!” “No, davvero Arthur, sul serio, tu hai la precedenza!”. Sto scrivendo una lista: “1000 motivi per stare con Merlin”. Poverino. Mi ricordo ancora il suo viso quando scoprì che l'avevo tradito con Gwen: mi ha fatto stringere lo stomaco, mi ha fatto stare veramente male. Ha boccheggiato un paio di volte incredulo, mi ha fissato come per averne conferma. Le sue spalle si sono come incurvate, come quando ti fa male il petto e cerchi di non darlo a vedere. Ha scosso la testa. Poi mi ha dato un pugno ed è corso via. Me lo meritavo davvero: mi ha fatto male anche il pugno.

-Posso sapere quali sono i 1000 motivi?

-Certo!

Il ragazzo tirò fuori una lista piena di scritte e di smile. Intanto il proprietario del bar gli dava le cioccolate e i biscotti. Fuori cominciò a piovere.

-Dunque... 1) Ti lascia libero il bagno quando vuoi; 2) Quando lo lascia, non sembra ci sia un gatto in avanzato stato di decomposizione; 3) Non si muove nel letto e non ti dà calci mentre dorme...

-E questo con Merlin quando l'hai sperimentato?

Lancelot arrossì di colpo, abbassano il capo e ignorando la domanda.

-4) Ti lascia qualcosa da mangiare: non è come un branco di cavallette; 5) Ha un bel sedere; 6) Non ti farà mai vedere al cinema film romantici che ti fanno venire il diabete...

-Ok ok, basta.

Il ragazzo sorrise, piegando accuratamente la lista e rimettendola nella tasca del giubbotto. La pioggia batteva insistente sui vetri del bar, mentre i ragazzi sorseggiavano la cioccolata. La mano scura di Lancelot raggiunse uno dei biscotti (dei grandi biscotti con del cioccolato sopra) e lo inzuppò un po' nella bevanda, un po' troppo piena di latte per i gusti di Morgana.

-Sai...

La voce del ragazzo assunse una tonalità grave e malinconica, come quella delle persone che sospettano qualcosa.

-Gwen non è una persona capace di resistere ai sentimenti... per questo ha tradito Arthur, per questo temo stia tradendo anche me.

Morgana sputacchiò la cioccolata calda in giro, guardandolo con gli occhi sbarrati. Si ricorda ancora cosa aveva detto Arthur tanto tempo prima su quella ragazza:

-Lei non riesce a trattenersi, è come una bomba a orologeria: non puoi trattenerla a meno che non prendi il bottone giusto. Io non l'ho preso e penso che neanche Lancelot ci riuscirà.

 

Arthur si stiracchiò. Merlin doveva restare un altro po' in ufficio, poi l'avrebbe raggiunto nella sala riunioni. Fuori il freddo della sera, dentro il caldo dell'aria condizionata. L'uomo sorrise, mettendosi comodo sulla sedia a lui assegnata: presto arriverà Merlin (il suo “amato piccolo tesoro”, come lo chiamava Morgana quando si erano messi insieme) e con lui tutti i partecipanti alla riunione. La stanza è grande. Un orologio sta sulla parete di fronte a Arthur: è rotondo e non ha la lancetta per i secondi. I minuti passano, pesanti. Nessuno arriva. Improvvisamente, il cellulare suona: un messaggio da parte di uno dei grandi con cui ha lavorato negli ultimi mesi.

Le piacerebbe venire a Roma per un importante festa a casa dell'ambasciatore inglese? Lei è un ospite d'onore. Mi hanno detto di avvisarla perchè il vostro segretario non risponde.

Arthur si stupì molto dell'ultima affermazione: in genere Merlin era molto efficiente in quanto a quello... Comunque, si sbrigò a rispondere.

Verrò: porterò anche il mio ragazzo.

Dall'altra parte nessuno rispose: forse lo aveva traumatizzato con la disinvoltura con cui diceva apertamente di essere gay. Comunque, non poteva pensare a quello. Merlin non c'era, non stava arrivando. Subito lo chiamò. Sentì il telefono squillare due o tre volte, prima che una voce scura e profonda rispondesse.

-“L'odio senza desiderio di vendetta è un seme caduto sul granito.” Lo diceva Balzac, lo sai?

-Tu... Tu...

Arthur chiuse la telefonata, ma non troppo presto per sentire la voce di Merlin che gridava a qualcuno di lasciarlo. Quella voce aveva tormentato i suoi incubi per tanto tempo. Quella voce una volta tanto tempo prima aveva promesso di vendicarsi. Quella voce era...

-Jarl...

 

:::::NOTE FINALI:::::

Volevo dirvi che doveva essere molto più lungo, ma per vari problemi l'ho dovuto accorciare -.-” Comunque, ve l'ho messa perchè io non ci sarò per tre giorni e, visto che progettavo di fare una sorpresina a tutte coloro che hanno seguito Mondo Parallelo, ho deciso di farvi contente (o infastidite) con questa prima. Ma mi vedrete presto, *ih*ih*

Kiss



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Capitolo 12
*** Rapimento ***


Rapimento

 

Merlin camminava verso la sala riunioni. Stava leggermente in ritardo, ma sperava che Arthur non lo notasse. La luna illuminava il porticato sotto il quale stava passando. Guardò l'orologio: doveva fare in fretta. Si mise a correre per il corridoio, dove le luci mano a mano si stavano accendendo. Vide un'ombra. Poi il buio.

Merlin si svegliò improvvisamente. Si guardò intorno: una macchina. Accanto a lui un paio di uomini lo stavano fissando. Il segretario cominciò ad agitarsi: lo fermarono.

-Ciao, bellissimo! Sei in mano nostra, non puoi fare niente.

Ecco. Dritto al punto, saltando tutti i merletti. Merlin si fermò, ma cominciò subito ad agitarsi quando si trovò schiacciato dai corpi di quei due. Uno di loro cominciò a passare la punta del naso sulla linea del collo del prigioniero.

-State fermi!

Una voce profonda e inquietante fermò l'uomo.

-Non adesso, anzi, neanche dopo! Il Tintagel lo vorrà vivo e “puro”: non lo toccherete.

I due sbuffarono, lasciando un po' libero Merlin, che sentì solo una botta in testa e poi ancora precipitò nel mondo dei sogni.

 

Arthur chiuse gli occhi.

-Sta a casa, sta a casa: è solo uno scherzo, un brutto sogno...

Il biondo frenò improvvisamente, aprì la portiera e corse verso la porta di casa. Suonò. Nessuna risposta.

-No... nonononononononononono!

Arthur prese a calci la porta e urlò. Il suo grido rimbombò nel silenzio della notte, facendo eco per le pianure e per i palazzi, svegliando il cane di qualche vicino. Il ragazzo prese a pugni il muro, respirando affannato. Era un incubo, ormai, un incubo. Arthur poggiò la fronte sul campanello, sentendolo suonare dall'interno della loro casa.

-Merlin...

Corse di nuovo in macchina, percorrendo le strade di Londra nella speranza di vederlo. Era praticamente impazzito: il biondo stava ormai per piangere, ogni tanto sbottava in moti di rabbia improvvisa, a volte urla di terrore gli attraversavano la mente. Era come ritrovare il mostro sotto il letto dopo tanti anni. Improvvisamente, sentì un canzone nell'aria fredda.

We have the chance to turn the pages over
We can write what we want to write
We gotta make ends meet, before we get much older
We're all someone's daughter
We're all someone's son
How long can we look at each other
Down the barrel of a gun?

Arthur fissò il nome che appariva sul cellulare.

Merlin (il piccolo amato tesoro, ahah)

Il biondo prese un grande sospiro.

-Forse... forse è lui e sta bene... forse era solo un sogno... sì, mi sono solo assopito un attimo e ho pensato fosse tutto vero, ahah, che stupido!

Il ragazzo, ancora non del tutto tranquillo, spinse il tasto che indicava l'accettazione della chiamata.

-Pro... pron...

-L'ho preso, Arthur. Mi riconosci, vero? Lo so che vuoi il tuo piccolino... se lo vuoi, devi darmi dei soldi. Tanti soldi. Diciamo... 800 mila sterline. Sì, questa cifra. Dammela ed avrai Merlin vivo e ancora tuo. Se me ne dai di meno avrai Merlin vivo ma... diciamo... “abusato” va bene? Se non me li dai, lo avrai morto. A te la scelta.

Il biondo ricominciò a respirare affannosamente, mentre spegneva il cellulare. La mente in tumulto, il cuore che non batteva quasi più (cosa piuttosto strana, visto che respirava affannosamente). Poco a poco, Arthur accostò l'auto. Pianse. Era sotto tensione, si sentiva schiacciare: in pugno. Ricordò quella volta in cui Merlin l'aveva aiutato a guarire dalla paura che gli era venuta di uscire di casa, dal trauma che aveva avuto per quell'uomo. Ormai si sentiva quasi come allora, schiacciato, osservato... Per lui era come una tortura e il ricordare che il suo ragazzo era nelle grinfie di quel tipo e i suoi scagnozzi lo rendeva a tratti inerme, a tratti iperattivo. Non ce la faceva, faceva troppo male, troppo.

-Me... Merlin...

-Arthur...

Il biondo cominciò a tirare tutto per aria.

-Non voglio uscire, no!!!

Merlin guardò Igraine lottare contro il figlio, mentre il bimbo la guardava malissimo, terrorizzato. Non aveva mai visto Arthur così. Il moro corse da lui, dandogli un bacio sulla guancia e abbracciandolo. Per un attimo il biondo si divincolò, ma poi si calmò.

-Arthur... sta calmo, ok?

Igraine si allontanò un po', facendo spazio a loro. Il biondo ricambiò l'abbraccio, sommergendo il suo viso sul collo dell'amico.

-Ci sarai sempre?

-... sì... sempre.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Scusate per la cortezza >.< spero che vi sia piaciuto comunque ;D Il prossimo capitolo (che ho già quasi finito) è molto più lungo ^^

PUBBLICITA' “OCCULTA” (CHE NON E' OCCULTA, MA DETTAGLI)

Potreste dare un'occhiatina a questa storia? La nuova Regina

E' una mia storia che potrebbe piacervi, non so ^^ Grazie

Kiss



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Capitolo 13
*** Approcci e calci nei Paesi Bassi ***


Approcci e calci nei Paesi Bassi

 

Merlin si svegliò. Accanto a lui Arthur si stiracchiava. Da tempo stavano insieme, da tempo uno andava a casa dell'altro per estinguere i loro bollenti spiriti. Merlin si alzò, raccattando le mutande a terra, mettendosele, prendendo anche una maglia per coprirsi. Il biondo, ancora nudo, si allungava sul letto con fare soddisfatto. Era mattina. La luce del sole accarezzava i muscoli scolpiti dell'altro, disegnandone i contorni. Merlin sorrise, dando un ultimo bacio al ragazzo, andando in bagno. Arthur si alzò, mettendosi dei boxer bianchi (i propri) che la notte prima aveva scaraventato dall'altra parte della stanza. Andò piano e a piede nudi verso la cucina, quando sentì uno scampanellio. Arthur guardò l'orario.

-Con questo postino del cavolo!

Il ragazzo si diresse verso la porta, aprendola.

-Arthur!

Due persone lo stavano guardando. Il biondo ci mise un attimo a capire: si era presentato in mutande. E quelli erano i genitori di Merlin!

 

Merlin si svegliò, trovandosi in una grande stanza sporca. I vetro rotti delle finestra facevano intravedere un paesaggio buio. Il ragazzo ci mise un poco a ricordare tutto, mentre tentava di mettersi comodo, nonostante le corde che lo stringevano intorno al corpo. Da dietro una porta giungevano delle voci un po' alterate dall'alcool: sembravano quelle dei due che l'avevano tenuto fermo mentre stava in auto. Merlin si stiracchiò, vedendo la porta aprirsi, mettendosi all'erta.

-Cia *hic ciao!

Uno degli uomini spuntò da dietro la porta, dirigendosi verso di lui con una bottiglia in mano.

-Ciao *hic bellissimo... Co *hic come va?

Merlin si schiacciò contro il muro, mentre l'ubriaco si avvicinava con fare sospetto.

-Ti va di *hic ti va di stare un po' *hic con me stanotte?

Il moro spalancò gli occhi: rimpiangeva Gwaine!

-No.

-Be *hic bene... grazie per *hic il consenso...

-Co... cosa?!?

Il tipo si avvicinò a lui, slacciandosi un po' la camicia. Merlin, in preda al panico, cominciò a cercare di scappare. Doveva fare qualcosa: l'ubriaco ce l'aveva praticamente in pugno... in tutti i sensi!! Merlin si divincolò ancora, dando un calcio direttamente in mezzo alle gambe del tipo.

-Aaaaaaiaaaaah!

L'uomo sembrò risvegliarsi un attimo dalla sbornia, ma subito ricrollò.

-E' così che la *hic mettiamo, eh? Allora...

Saltò sopra Merlin, che si ritrovò schiacciato dal corpo dell'altro. Sentiva una cosa che pulsava contro la propria gamba. Già si immaginava violentato (cosa che non avrebbe mai creduto potesse accadere o perlomeno non a causa di uno che l'aveva rapito), che arrivò Jarl che buttò l'uomo lontano da lui.

-Alex! No, dopo, quando il Tintagel avrà dato i soldi! Non adesso.

Jarl prese Merlin per il mento, alzando un pochino il viso.

-E poi... a me la precedenza, no?

Il ragazzo spalancò gli occhi, dando un altro calcio in aria, colpendo l'uomo nei gioielli di famiglia.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Lo ammetto, era solo per sfizio questo capitolo, ma nel prossimo ci sarà la vera svolta delle vicenda! Grazie a voi che avete letto ;D Mi raccomando, recensite!

Kiss

 

P.S. Potreste dare un'occhiatina a questa storia? La nuova Regina Non so, potrebbe piacervi ;D Grazie

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Capitolo 14
*** Cenred ***


Cenred

 

Merlin continuò a fissare il muro. Quegli stupratori accaniti! Evidentemente era il loro hobby, sennò non si spiegava. Il ragazzo guardò fuori dalla finestra sporca di terra e fango: da quello che si intravedeva doveva essere uno dei quartieri malfamati. Dalla stanza accanto provenivano le voci dei rapitori-stupratori che stavano ancora chiedendo i soldi ad Arthur. Merlin degludì: erano passati tre giorni e già non ce la faceva più. Voleva tornare a casa, dal suo ragazzo e dal suo lavoro: tutto gli mancava già così tanto e sembrava tutto molto lontano... Merlin si mosse un po', ascoltando i tratti di discorsi che passavano attraverso il muro. Jarl stava dicendo qualcosa, ma ancora non capiva molto bene.

-Il Tintagel ci darà tutto, sicuramente e il ragazzo...

Un tratto che non capiva bene, maledizione!

-E poi c'è anche da considerare che il caro riccone ama molto il nostro Merlin Emrys e ci tiene molto a tenerlo tutto per sé, quindi ci darà certamente...

Un altro pezzo incomprensibile. Merlin sbuffò rimettendosi seduto più comodamente possibile, mentre il buio riempiva la stanza.

 

Uther uscì dall'auto. Hunith si precipitò al suo fianco, tenendogli la spalla in un gesto amichevole e rassicurante. Ci avevano impiegato molto tempo, ma alla fine erano riusciti a rintracciare dove Igraine aveva passato la sua vita negli anni prima di morire.

Prima di morire.

Quelle tre parole rombombavano nella testa dell'uomo come una maledizione, come un qualcosa che gli spaccava il petto. La prima volta che le aveva sentite si era sentito invadere di rabbia e dolore, ciecamente, tanto che era sicuro avrebbe potuto fare una Grande Purga. Uther si mise una mano davanti alla fronte. Non era pronto, non era sicuro. Dentro quella casa di poteva nascondere il figlio di Igraine, il figlio che gli aveva tenuto nascosto e per cui era scappata, fuggita. In un momento quel semplice concetto gli si infilò nella testa, occultando completamente gli altri: lei se n'era andata. Non l'aveva cercata a dovere. Lei era morta. Uther sentì un attimo di svenimento, prima di riprendersi e cominciare a camminare verso la porta. Hunith al suo fianco.

-Ti accompagno io, Igraine.

-Grazie, Ut.

Uther bussò piano alla porta, facendo attenzione a non fare troppo rumore: magari il ragazzo aveva già famiglia e lui si ritrovava già nonno. Nemmeno padre e subito nonno: che velocità! L'idea di essere così vecchio lo fece rabbrividire.

-Quando sarai vecchio e rincitrullito e ti dovrò cambiare il pannolone...

-Io non sarò rincitrullito e non avrò il pannolone!

-Questo lo dici tu, comunque, fammi finire: quando sarai vecchio e rincitrullito e ti dovrò cambiare il pannolone... ti amerò lo stesso, lo sai, vero?

La porta si aprì lievemente, mostrando il viso di una adolescente.

-Chi siete?

-Noi stiamo cercando una persona...

-Qui viviamo solo io e mia madre.

Uther e Hunith si fissarono.

-Quindi qua non vive nessun Arthur?

-No, non che io sappia. Forse era il proprietario precedente, ma non so...

-L'ex proprietario do questo gioiellino era... una vecchietta che usava questa auto solo per fare la spesa: che spreco.

-Sì, Ut, peccato che la vecchietta fosse mia nonna.

-No, Igraine, non era tua nonna.

-Sì che lo era: nonna Criselda.

-Ah.

-Ah... potremmo parlare con qualcuno che ci può dare informazioni più precise?

-Certo. Mamma! Mamma! Vieni un attimo.

Una donna arrivò giù dalle scale della casa.

-Sì?

-Salve signora...

-Ma tu sei... ah! Tu sei Uther Pendragon! Oh Dio!!

-Sì, signora, sono io: vorrei avere delle informazioni.

-Oh Dio: Uther Pendragon che chiede informazioni a me, A ME! Certo, dica, ma dopo mi farà un autografo?

-Certo, signora.

-Dica!

-Volevo sapere se l'ex proprietario di questa casa fosse un certo Arthur...

-Sì sì, Arthur, lo ricordo: un ragazzo così carino! Viveva qua col migliore amico! Adesso, mi dia un autografo!

-Con questi fan, Ut! Non ce la faccio più!

-Igraine, sta calma: troveremo una soluzione...

-Io non voglio più stare sulle copertine delle riviste: mi sento continuamente osservata. Non ce la faccio più, mi sembra di impazzire!

-Igry, non ti preoccupare: vedrai che domani, al tuo compleanno, ti stupirò!

Uther finì di scrivere.

-Ecco. Posso un'altra domanda?

-Certo.

-Quando se ne sono andati.

-Da circa cinque o sei anni.

-Grazie.

-Volete rimanere un po'?

-No, ho da fare, grazie comunque.

La donna sorrise e chiuse la porta. Non aveva insistito perchè aveva visto lo sguardo sconfitto dell'uomo.

-Uther...

Il comico sentì la mano di Hunith poggiarsi sulla spalla. Sorrise tristemente, prendendola e baciandone il palmo.

-Hunith...

La donna lo guardò intensamente, prima di abbracciarlo, non come fidanzata, ma come amica fedele. Uther fece una smorfia di dolore, veloce, un lampo, prima di rindossare la sua solita maschera apatica.

-Dove sarà, Hunith?

La donna si staccò da lui, accarezzandogli la guancia.

-Non lo so...

L'uomo annuì lievemente, rientrando in macchina.

Uther si sveglia. Gli occhi verdi si aprono lentamente e sonnecchiosi. Guarda fuori. Il cielo è limpido: sembra una giornata perfetta. Il ragazzo si stiracchia. Si sveglia un poco, prima di accorgersi di una cosa. Non sente il respiro lento di Igraine dietro di sé.

-Igraine...

Uther si gira. Nessuno. Sul lenzuolo un biglietto.

-Rovinerei Tutto.

-Igraine...!

Uther salta giù, dal letto, spalanzando l'armadio. Solo i propri abiti. Una valigia scomparsa. Il ragazzo, con gli occhi sbarrati, scende giù dalle scale, velocemente. Nessuno.

-Igraine!

Forse è uno stupido scherzo. Forse non se n'è andata. O almeno non per sempre. E Uther non fa a meno di pensare.

Non mi ha lasciato solo non mi ha lasciato solo non mi ha lasciato solo...”

-Igraine!! Igraine! Igraine. Igraine...

La propria voce grida ancora come un'eco nel proprio cuore, che sembra così vuoto. Il ragazzo socchiude gli occhi. Cosa non è andato? Cosa l'ha portata a scappare? Così, nella notte, nascosta, cladestina?

Ti ama, Uther, ti ha sempre amato.”

-E allora perchè se n'è andata...?

 

-Lancelot!

-No, Gwen, non ti ascolto.

-Ma tu non sai cosa è successo, non sai niente!

-So fin troppo invece!

Il ragazzo stava uscendo dalla porta. Gwen urlava, rossa in viso.

-Non è come credi!

-Ah, no? Allora cosa è?

-Lancelot...

-Visto non mi sai rispondere! Chissà da quanto, da quanto mi prendevi in giro.

-Io non ti ho mai preso in giro! Non è come credi, te lo ripeto!

-Non ti credo, Gwen. No.

I due si fissarono negli occhi.

-No, Guenivere. No.

La ragazza ingoiò un po' di saliva, mentre il botto del portone che si chiude riempie casa.

-Lancelot...

Gwen tende la mano verso l'uscita, riabbassandola. No, non era come credeva, come aveva visto. Non avrebbe mai tradito (e questa parola le lasciò una scia amara nella bocca) Arthur tempo prima se non fosse stata sicura di quello che faceva per loro, per Lancelot.

-Stupido Du Lac!

La ragazza diede un calcio a un mobile, facendosi molto male. Lo amava, da morire. Aveva frainteso, lei non lo avrebbe mai mai tradito, mai! Neanche se l'avessero pagata.

-Io. Non. L'ho. Tradito.

Gwen si sedette a terra, distrutta. Quindi, era quella la fiducia che era alla base del loro rapporto? Quello era ciò che pensava Lancelot di lei? che fosse pronta a tradirlo in qualsiasi momento? Faceva male, immensamente. Sentiva qualcosa che le attanagliava la gola e lo stomaco, il cuore faceva male, sembrava non battere...

-Lancelot...

 

Morgana correva. Passò con il rosso.

-Corri, Morgana, corri corri corri.

Guardò l'orologio: era in ritardo. In quel momento somigliava molto al Coniglio Bianco di “Alice nel paese delle meraviglie”. Odiava essere in ritardo, odiava correre. Passò ancora col rosso. Tornata a casa avrebbe trovato tante multe, ma tante. Mormorò qualcosa di molto volgare, mentre premeva ancora il piede sull'acceleratore.

-Corri, ancora, più forte!

Ormai aveva raggiunto i 90/100 km orari. Era su una strada dritta, senza nessuno.

-Bene...

La donna accelerò ancora un po', mentre l'orologio scoccava un altro minuto passato. Morgana guardava attentamente la strada, vigile. Il telefono squillò. Non rispose. Accelerò ancora. Le nocche delle mani che stringevano il volante erano bianche. Velocità. Aveva fame di velocità. Doveva correre, correre. Il mondo attorno sembrava sfumato, davanti a lei stava quasi per finire la strada. Era quasi arrivava, ancora cinque minuti a quella velocità. Poche parole nella sua testa.

-Velocità. Tribunale. Causa. Difesa. Velocità. Corri, Morgana!

Ormai sembrava che l'auto non potesse sostenere una tale quantita di km orari. Era come se da un momento all'altro dovesse rompersi, scassarli e lasciare portiere e tutto per strada. Improvvisamente, la donna sentì delle sirene dietro di lei. Polizia.

-Maledizione!

Morgana restò alla stessa velocità, indecisa sul da farsi. Poi, il momento fatale. Si girò un attimo. Un botto enorme. Un grido.

-Cenred!!!

Il buio.

 

Morgana si svegliò in mezzo a un mondo bianco. Piano, le sfumature cominciarono a distinguersi, mostrando una stanza d'ospedale. Una sconosciuta la fissava.

-Chi... chi sei?

-Sono Morgause: stavo per entrare nell'auto con cui ti sei scontrata.

-Ah... mi dispiace.

-Non dispiacerti: mi hai tolto una seccatura.

Morgana fissò la donna. Era bionda ed era bella. Gli occhi erano fermi, determinati: brillavano di astuzia. Sembravano quasi crudeli. Nel complesso era una persona inquietante, che non avrebbe mai voluto trovarsi davanti.

-Chi stava in auto?

La mora si mise una mano sulla fronte bendata. Sentiva girare la testa. Le faceva male tutto.

-Cenred, il mio capo. Non ti preoccupare, un donnaiolo.

Morgana pensò per un momento che stesse scherzando.

-Sta bene?

-E' morto due ore fa.

La mora allargò gli occhi.

-E tuo perchè stai qui?

-Perchè di lui non mi può interessare di meno.

Morgana la guardò bene.

-Tra di voi non c'era niente.

-Niente, c'era solo il classico rapporto di sesso fra capo e segretaria. Detto fra noi: era assolutamente un incompetente.

La mora fu tentata dal sorridere, ma poi ricordando con qualche freddezza la bionda spiegava tutto si trattenne. Era una cosa strana, sembrava che influenzasse ciò che la circondava.

-Tu chi sei?

Morgana la guardò. In qualche maniera si sentiva sicura con lei...

-Morgana.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Tan Tan Taaaaaaaaaaaaaan!!!!!!!!!! Vi piace? Allora, la storia è andata un po' avanti, eh? Cosa è successo fra Lancelot e Gwen? Come troverà Uther la nuova casa di suo figlio? Come farò Merlin a fuggire? Cosa succederà con Morgana e Morgause? Tante domande e così poco tempo per scrivere -.-”

Spero che vi sia piaciuto il capitolo ;D

Kiss

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Capitolo 15
*** Domanda, autografo, risposta e via ***


Domanda, autografo, risposta e via

 

Uther fece per addormentarsi. Non era stata una giornata positiva, per niente. Si sentiva freddo, lontano dal mondo. Neanche la compagnia di Hunith riusciva a farlo stare meglio. I sospetti, il dolore, la rabbia per quello che aveva scoperto della vita di Igraine lo stavano torturando. Sapere di non poterle parlare di non vederla, era una cosa che lo tormentava. Per un attimo aveva addirittura odiato la ragazza e suo figlio. Lei se n'era andata, senza parlarne, senza farne parole con nessuno, lasciandolo solo in uno stupido inferno. Lui, beh, era il motivo per cui lei se n'era andata. Uther strizzò gli occhi, infastidito. Il comico e la sua fidanzata stavano in auto. Un'altra casa. La stessa domanda. Ma suo figlio quante volte si era trasferito nella sua vita? Uther si mise le mani alla testa, scompigliandosi i capelli corti e scoloriti. Sospirò. Calmò il cuore, impazzito. Hunith gli mise una mano sulla spalla, premurosa come sempre. Il comico la prese, per poi sorridere leggermente. Sconvolto. Ecco, la parola giusta era quella. Si sentiva... sì, sconvolto, non c'era termine più appropriato.

-...Andiamo?

-...Sì.

L'uomo uscì ancora dall'auto, seguito dalla fidanzata. Il sole era ormai molto basso, sembrava scomparire. In lontananza, dalla parte opposta, già il cielo era scuro.

-Busso?

-Bussa.

Toc Toc

Nessuno.

Toc Toc

Da dentro si sente una voce maschile (finalmente).

-Arrivo, arrivo!

Uther sorrise, forse...

-Chi è?

La porta si aprì, rivelando un uomo sui trentacinque anni, alto e moro. No... non era lui.

-Sto... cercando un certo Arthur Tintagel... lo conosce.

-Potrei conoscerlo...

-Davvero?

-Certo! Ma prima... autografo!

L'uomo tirò fuori carta e penna, facendo spalancare gli occhi a Uther che, rassegnato, firmava l'ennesima dedica.

-Adesso posso sapere se...

-No. Non conosco lui personalmente. So solo che viveva qua con il suo coinquilino... un tipetto molto carino, alto e con i capelli neri, molto pallido. Lo ricordo perchè non è stato molto tempo fa. Comunque, si sono trasferiti perchè Tintagel è diventato ricco...

-...Cosa?

Uther fissò Hunith per un attimo, prima di continuare a guardare l'uomo.

-Sì, il famoso Arthur Tintagel.

Il comico lo fissò. Mormorò un grazie, prima di andarsene senza neanche salutare.

 

Uscirono dal cinema. La notte li avvolgeva dolce.

-Va meglio?

-...Sì...

Uther continuò a camminare verso l'auto, senza girarsi. Hunith faceva fatica a seguirlo. Quando salirono in macchina, il comico restò un attimo fermo. La donna si mise a guardare la luna.

-Ti immagini?

Uther si girò verso la fidanzata che guardava estasiata l'astro, che sembrava illuminare tutta la città davanti a loro, che al contrario era buia a causa dell'ora tarda.

-Cosa?

-Immagina che sulla luna ci siano le cose che abbiamo perduto e i sentimenti che non sono in terra...

-Allora di egoismo non ce n'è neanche una goccia!

Hunith dette un pugno affettuoso alla spalla dell'uomo.

-Come diceva Ariosto nell'Orlando Furioso?

Uther sospirò, partendo.

-Non c'è niente lì sopra.

-Chi te lo dice?

-Hunith, l'uomo c'è stato, ha visto cosa c'era. E' solo vuota.

La donna sbuffò.

-Noioso...

Uther sorrise, mentre in silenzio viaggiavano per le strade quasi deserte. Sarebbero arrivati subito. Dopo quasi una decina di minuti, videro l'hotel in lontananza. Arrivati, scesero dall'auto, prendendo le chiavi e salendo in camera. Cominciarono a svestirsi, preparandosi per la notte.

-...Comunque, Uther, immagina che magari ci fossero veramente: cosa troveresti?

-Non so... tu cosa troveresti?

-...

L'uomo la fissò: sapeva dove voleva arrivare.

-Beh, di certo l'amore non ti manca...

Il comico si avvicinò a lei, prendendola per i fianchi e stringendola a sé. La baciò sulla guancia e sul collo.

-Uther!!

-Che c'è? Non sto mica facendo un reato!

Hunith sorrise, mentre si lasciava andare a quell'improvviso attacco di dolcezza.

-Certo che Uther è proprio strano... prima fa il duro, poi sembra un cucciolo. E' un po' lunatico... Gli serve tanto affetto: purtroppo glien'è mancato. Lui ne meriterebbe tanto. Anche se a volteè egoista, superbo e presuntuoso. Sono sicura che se succedesse qualcosa di brutto alle persone che ama, non esiterebbe a vendicarsi, di macchiarsi di chissà quali colpe. Lui si sente sempre in colpa, anche quando la colpa non c'è, anche quando lui era lontano mille miglia. E quando la colpa c'è, sente la necessità di scaricare la propria frustazione, con il risultato di commettere cose èiù gravi e di peggiorare la propria situazione. Quando l'ho conosciuto era così e nei confronti del pubblico lo è ancora. Gli serve qualcuno che lo guidi, che lo aiuti... sennò si perde...

Hunith si lasciò cadere sul letto, insieme al suo amato. Forse Uther aveva ragione: sulla luna per lei non c'era neanche una goccia d'amore.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Finito questo capitolo -.-” Spero vi sia piaciuto nonostante la banalità e la cortezza ^.^” Spero che questa mini visione di Uther vi sia piaciuta e che non vi siate annoiati ;D

Kiss

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Capitolo 16
*** Incontro ***


Incontro

 

Merlin respirava a fatica. Le corde gliele avevano messe intorno al corpo: quasi non riusciva a respirare. Jarl era da un po' che non si vedeva: diceva che Arthur lo voleva vedere dall'altra parte della città il giorno dopo. Il moro cercò di mettersi meglio. Dall'altra stanza si sentivano delle risate sguaiate e delle canzoni con tematiche ben poco caste (in stile “Osteria numero uno, nell'orto non c'è nessuno: ci son solo suore e frati che si inculano beati...”). Ubriachi. Sempre, ogni sera: l'alito di quei due puzzava di alcool e di bevande super ubriacanti della peggiore specie. Merlin sospirò: non ce la faceva più. Doveva scappare, era deciso: non poteva aspettare Arthur, no, non poteva. Il moro si guardò intorno. Niente. Improvvisamente la porta si aprì. I due rapitori si buttarono all'interno della camera. Una bottiglia di birra cadde a terra, spaccandosi in tanti pezzi di vetro taglienti. Merlin li fissò: aveva un'idea. Geniale, diabolica: a volte si stupiva di se stesso. Il moro aspettò che i due, dopo aver lottato un po', cadessero nelle mani del sonno, per poi avvicinarsi lento a prendere uno dei cocci. Fece qualche movimento con la mano per colpire le corde che, mano a mano che lui tagliuzzava i fili, cadevano a terra, liberandolo. Quando ebbe finito, piano uscì dalla porta della camera, entrando in una stanza che non aveva mai visto. Una tv molto vecchia e scassata stava davanti a un tavolo tarlato pieno di bottiglie di vino, birra e limoncello. Tre sedioline, due al tavolo una vicino al muro, fanno apparizione nella penombra. Merlin si guardò intorno, in cerca della porta. La trovò quasi subito, piccola e sporca. Il ragazzo ci corse contro, cercando di aprirla. Maledizione! Era chiusa a chiave! Il moro andò dai rapitori addormentati, cercando le chiavi con lo sguardo. Poi ricordò: le aveva sempre Jarl perchè non si fidava dei suoi collaboratori e non voleva che l'ostaggio scappasse. Merlin sbuffò, lasciando andare contro il muro. Andò di nuovo nella stanza in cui i rapitori mangiavano e dormivano. Sul tavolo notò della forchette e dei coltelli, con dei piatti con del cibo dentro. Il moro guardò prima le posate, poi la porta. Ma certo! Merlin le prese, cercando di rompere i cardini della porta. Cominciò dall'alto. Il ragazzo spinse con il coltello e la forchetta, finchè...

-Che ci fai qui?

Uno dei rapitori era davanti alla porta, ancora evidentemente ubriaco. Le sue guance erano rosse come il suo naso, i suoi capelli scompigliati. L'uomo si avvicinò a Merlin, prendendolo per un fianco e spingendolo verso di sé. Merlin gli diede una forchettata alla mano. Il rapitore urlò di dolore, svegliando anche l'altro che, arrivato nella stanza, provò a fermare il fuggitivo, che però gli tirò una sedia. Il secondo uomo svenne. Il moro cominciò a scappare, inseguito dall'altro rapitore che, barcollante, correva aggrappandosi ogni tanto a degli oggetti o al muro. Merlin continuò a correre, quando prese un piatto e lo tirò addosso all'inseguitore che cadde a terra. Il moro ne approfittò, dandogli una botta in testa. Già era strano che ci avesse messo tanto a metterli KO, ubriachi come erano. Merlin riprese le posate, continuò il suo lavoretto, finchè non scardinò la porta. Con un colpo secco, la fece cadere a terra. I due svenuti si mossero un poco, ma non si svegliarono, fortunatamente. Il segretario uscì dalla stanza. Fuori il sole stava tramontando. La strada era sporca, piena di sigarette e di siringhe qua e là: un quartiere malfamato, come aveva capito guardando fuori dalla finestra appena arrivato. Delle puttane stavano a un angolo della via, vestite con pochi stracci. Merlin sospirò, cominciando a correre, sperando di non incontrare nessuno.

 

Merlin stava camminando: non ce la faceva più. Ormai il cielo era scuro e pochissime stelle stavano facendo capolino. Era in periferia, gli sembrava chiaro. Il segretario continuò a camminare, ignorando i fischi di approvazione che qualcuno gli aveva tirato da un auto. Merlin sbuffò: non sapeva dov'era, non sapeva cosa fare, non sapeva... All'improvviso si buttò in un vicolo, vedendo l'auto dei rapitori comparire. La macchina passò: non l'avevano visto. Il ragazzo sorrise sollevato, uscendo, ma sentì una mano che lo fermava prendendolo per un braccio.

-Dove credi di andare?

Merlin si guardò dietro, trovandosi davanti un giovane ragazzo. Non era niente male: il fisico era grande e muscoloso, i capelli erano neri e gli occhi castani. Il segretario si sentì tirare, trovandosi improvvisamente schiacciato contro il corpo del ragazzo.

-Come mai in giro a quest'ora, piccolo?

Merlin provò a staccarsi, ma lui lo teneva imprigionato: il tipo era molto più grande fisicamente dei suoi rapitori. Il segretario sospirò: perchè tutti a lui? Il ragazzo cominciò ad avere davvero paura quando sentì lo sconosciuto che lo spingeva sul muro e gli slacciava i pantaloni. Merlin cominciò a divincolarsi, a urlare. Ma il tipo lo zittì con una mano, mentre con l'altra finiva il lavoretto che stava facendo con la cintura lampo. Il segretario continuava a divincolarsi. Morse la mano al tipo, che gemette per il dolore. Merlin urlò. Lo sconosciuto, evidentemente arrabbiatosi, lo prese per le spalle, stringendolo, sollevandolo da terra.

-Non urlare o ti farò davvero molto male... sì, davvero molto molto male...

Il segretario sentì i piedi poggiare ancora sulla terra, mentre la stretta intorno alle spalle si allentava: sulla pelle bianca stavano spiccando cinque macchie scure per parte. Il moro sentì lo sconosciuto premere ancora sul proprio corpo e le mani slacciare anche i propri pantaloni... Dio, al solo pensiero di cosa stava succedendo, Merlin si sentì male. Guardò lo sconosciuto, che intanto stava tendendo la mano sul cavallo dei pantaloni di lui... L'altra mano lo reggeva al muro, prendendolo vicino al collo: faceva male. Urlò ancora e il ragazzo lo baciò con violenza.

Bam!

Lo sconosciuto cadde a terra tramortito. Dietro di lui comparve un volto che Merlin già aveva visto, con le mani che reggevano un pezzo di ferro.

-Gwaine!

Il castano lo prese per la mano, facendolo uscire dal vicolo e buttandolo in un auto sportiva.

-Cosa coi fai qui?

-No, la domanda non è cosa ci faccio io qui, ma cosa ci fai tu qui! Non eri malato?

-Co... cosa?

-Andiamo con ordine.

Mise in moto la porsche, mentre continuava a parlargli.

-Che ci fai qui?

-Sono stato rapito...

-Cosa?!

-Non lo sai?

-No, Arthur ha detto ai giornalisti che eri malato!

-No!

Gwaine sospirò.

-Continua.

-Sono fuggito e stavo cercando di tornare a casa, ma mi sono perso. Non so dov'è casa mia e di Arthur rispetto a questo posto. Poi ho incontrato quel tizio mentre mi stavo nascondendo dall'auto dei rapitori. E poi sei arrivato tu. E... ma cosa ha fatto bere ai giornalisti Arthur!!!

-Evidentemente voleva fare tutto da solo: fortunatamente hai deciso di fare da te, sennò a parer mio stavi ancora là. Ti riporto a casa, dai.

Merlin sospirò, lasciandosi andare con un gemito di dolore contro il sedile. Aveva paura. Se prima era finito da dei maniaci e dopo fra le mani di un pazzo, adesso era in auto con una persona che fino a poco tempo prima aveva tentato di fare sesso con lui. Di male in peggio. Il moro guardò fuori. Pensava. Ad Arthur, ovviamente: probabilmente gli aveva fatto sprecare un sacco di sterline. E anche un sacco di tempo.

 

La strada era piena di pettegoli e di paparazzi. Gwaine fece abbassare Merlin in maniera che non si notasse la sua figura attraverso i vestri oscurati. Il ragazzo sentiva delle voci e vedeva dei flash: la sua sparizione aveva fatto scalpore. Gwaine si fece aprire da Arthur e, entrando con l'auto, la mise in garage dove gli obbiettivi dei giornalisti non potevano arrivare. Quando uscì dall'auto, davanti a lui c'era un Arthur letteralmente distrutto. Delle grandi e scure occhiaie gli cerchiavano gli occhi mentre i capelli scompigliati facevano intendere che il proprietario avesse passato un momento di intensa disperazione.

-Arthur, guarda cosa ho trovato!

Gwaine aprì la portiera, rivelando un Merlin particolarmente preoccupato. Il ragazzo si alzò, andando incontro a Arthur che era rimasto immobile con gli occhi sbarrati. Lo abbracciò.

-Arthur...

-Me... Merlin...?

Le braccia del biondo si misero intorno ai fianchi del fidanzato mentre Gwaine sorridendo stava per andarsene.

-Merlin?

-Sì, Gwaine?

-Spero che un giorno avrai modo di ringraziarmi.

Gli fece l'occhiolino e uscì dal garage, mentre i due ragazzi rimanevano da soli. Arhur lo portò dentro, facendolo stendere su un divano.

-Vuoi dell'acqua? Da mangiare? Hai sonno?

-No no, sto bene.

Merlin si rialzò, mettendosi a sedere. Arthur si sistemò i capelli. Se ne andò. Tornò con una pezzetta bagnata. Tolse la maglietta al moro che, intanto, lo fissava arrossendo.

-Ma... Cosa sono questi?!?!

Arthur, quasi urlando e paonazzo in viso, indicò dei segni viola sulla pelle pallida. Ebbe un piccolo dejavu in cui ricordò i segni che Gwaine gli aveva fatto quando...

-Ha cercato di violentarti!

-Non è stato lui!

-Jarl! Lo sapevo!

-No!

-Allora chi?

-...Non lo so...

L'arrendevole risposta era arrivata fra balbettii confusi. Merlin evitò lo sguardo di Arthur.

-Non dirmi che...

-Non ce l'ha fatta: Gwaine mi ha salvato.

-...Davvero?

La domanda era stata fatta con incredulità, come se non potesse essere una cosa reale, neanche lontanamente possibile. Merlin rise all'espressione di Arthur. Il biondo lo guardò con estrema serietà, prima di cominciare a massaggiargli la pelle. Gli naciò il collo, con dolcezza e senza secondi fini. La pezza calda passava sopra il moro che, tranquillo e rilassato, si lasciava andare fra le braccia di Arthur, che sorrise dolcemente. Merlin aprì gli occhi, pre ritrovarsi quelli del biondo a poca distanza: le loro labbra si sfioravano. Il capo lo abbracciò senza usare troppa forza, con tenerezza. Lo prese in braccio, portandolo fino in camera loro, poggiandolo sul loro letto. Lo svestì, mettendogli il pigiama. Poi si vestì anche lui per la notte. Gli diedi un ultimo bacio. Poi gli mise le coperte sopra il corpo, per avvicinarsi a lui e dormire insieme.

-Arthur?

-Sì?

-...Mi dispiace.

Silenzio.

-Per la preoccupazione e per i soldi, intendo...

Ancora silenzio.

-Sì, dispiace anche a me che tu sia così stupido da pensare che mi stavo preoccupando solo per poche sterline!

-...800 mila sterline, Arthur. Non sono poche.

Silenzio.

-Per te qualunque cosa.

Si addormentarono, con la certezza di avere un altro giorno davanti a sé.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Lo so lo so, mi dispiace.

Messaggio copia-incolla: Purtroppo ultimamente ho delle difficoltà con lo scrivere, poichè non ho molto tempo. Molti aggiornamenti salteranno e non prometto che alcuni capitoli non subiranno un grosso sbalzo di lunghezza. Spero che continuerete comunque a leggere, nonostante tutto. Mi dispiace =( E' per cause in cui io in realtà personalmente centro ben poco -.-" Alcune storie quindi saranno probabilmente accorciate oppure saranno aggiornate molto lentamente. Grazie per l'attenzione.

Comunque, il prossimo capitolo dovrebbe arrivare fra breve. Penso che un'altra decina di capitoli e ho finito la storia ;)

Kiss

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Capitolo 17
*** S di sospetto ***


S di Sospetto

 

Merlin spense il computer, mettendo a posto due cartelle di un colore rossiccio. Il sole stava tramontando. L'orologio ticchettava. Nella grande stanza, il silenzio regnava ed era rotto soltanto dalla voce di Arthur che, nel proprio ufficio, stava parlando al telefono con il traduttore che li aspettava a Roma. Il segretario tirò fuori da dietro la scrivania una valigia. Il rumore della cornetta che si abbassa e infine la portà che si apre. Questo sentì Merlin, prima di sentire delle braccia cingergli i fianchi.

-All'aereoporto?

-...Hai finito quel contratto con Gwaine?

-Sì.

-...E quel file da mandare a Himiko che ti ho passato?

-Fatto.

Il biondo sospirò.

-Andiamo.

I due cominciarono a scendere con l'ascensore: era molto simile a quello di Willy Wonka perchè aveva le pareti trasparenti e su una di esse c'erano tanti pulsanti con delle scritte accanto. Alcuni non si sapeva neanche a cosa portassero. Il sole continuò a calare, pitturando sfumature di rosso e arancione nel cielo. Merlin era tornato a casa da una settimana. Tre giorni dopo essere stato accompagnato da Gwaine da Arthur, era riucito a convincerlo a uscire. Aveva scoperto che su tutti i giornali di gossip si parlava di loro: c'era addirittura qualcuno che aveva buttato lì che Merlin avesse una relazione con un altro o con un'altra. Per smentire tutto, avevano dovuto farsi fotografare mentre si baciavano, uscivano insieme... Poi le interviste, oh, le interviste! Neanche fossero stati vip o altro: ah, già, loro erano famosi punto e basta, senza alcun grande motivo. Forse per la naturale attraenza di Arthur. Uscirono dall'ascensore. Molti dipendenti erano tornati a casa. Kim stava parlando di un fascicolo insieme alla signora delle portineria. I due passarono accanto a loro, che li salutarono. Arthur fece un cenno del capo, mentre Merlin sorrise, muovendo la mano in un “Ciao” vagamente infantile. I due uscirono dall'edificio: nel cortile li aspettava un'auto sportiva.

-Dove stiamo andando di preciso, Arthur?

-A Roma, Merlin, alla Caput Mundi.

-Davvero? Oh, ho sempre desiderato andarci!!

-Lo so.

I due si sorrisero, mentre Arthur metteva in moto. Merlin prese dei CD, scegliendo quale mettere nel lettore. Decise per uno dei loro CD personali: più precisamente quello con 129 canzoni ognuno di autori differenti. Si erano divertiti molto a crearlo e ancora si divertivano a ascoltarlo. L'auto partì, uscendo alla luce ormai debole del sole. Sarebbe stato un bel viaggio.

 

Morgana uscì dall'ospedale. Finalmente avrebbe potuto tornare alla vita di sempre. Il giorno prima c'era stato il funerale di Cenred, ma Morgause non c'era andata ed era rimasta con lei. Nel suo comportamento, la mora vedeva qualcosa di strano e oscuro, come quando una persona cerca malamente di nasconderti qualcosa. Nonostante tutto, però, Morgana aveva scoperto che caratterialmente loro due erano molto simili. Erano entrambe determinate e forti, a volte aggressive e a volte dolci a secondo dell'occorrenza, sapevano bluffare e mentire. La ragazza sorrise: forse non erano cose particolarmente positive, ma almeno era qualcosa. L'unica caratteristica che non le piaceva era quell'aria di superiorità che, sì, anche lei aveva, ma non nel senso di lei: Morgause sembrava dover calpestare tutto e tutti. Morgana invece non l'aveva mai fatto.

-Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare, Morgana, lo sai!

Ulrò un “Stai zitta!” alla propria vocina interiore la cui voce stava iniziando a somigliare a quella di Gwen. Gwen! L'aveva chiamata il giorno prima e non aveva più risposto. Sarebbe dovuta andare da lei, Morgana lo sapeva. Gwen era una ragazza così carina e gentile... le aveva portato dei fiori (bellissimi, tutti violetti) e le aveva preparato anche dei dolcetti come piacevano a lei. La mora sospirò. Beh, prima...

-Morgana!

Una voce femminile la fece riscuotere dai propri pensieri.

-Morgause!

-Ciao, tesoro: vedo che sei in gran forma!

-Già...

-I dolci della tua amica hanno fatto effetto, insomma.

-A quanto pare!

La bionda le sorrise, abbracciandola e dandole due baci uno su ogni guancia. Morgana rise, contenta di ricontrarla. La bionda sembrava sempre metterla di buon umore: potevano essere considerate molto amiche in così poco tempo... Eppure la donna aveva ancora quell'espressione...

-Andiamo, Morgana? Devo andare a sistemare una cosa in un negozio e poi andiamo a casa tua: ti devo far vedere come sono andati i restauri per il lampadario che ti si era rotto mentre eri in ospedale.

-Ok, va bene.

Le due si misero a cammminare. Il negozio non era molto lontano: si chiamava “Televisions and other” o qualcosa del genere. Morgana, mentre Morgause parlava con il proprietario riguardo un certo decoder, guardava la tv che stava in vetrina. C'era il telegiornale.

-E' stato trovato un giovane uomo assassinato affogato nel Tamigi. Se le prime indagini avevano fatto pensare che si fosse suicidato, ora si pensa che sia stato qualcuno, forse una giovane donna, a ucciderlo. Infatti, secondo le nostri fonti, i poliziotti hanno ritrovato con la vittima una pistola con sopra scritto “Sono stata io. S.” Secondo alcuni potrebbe essere una delle tanti amanti del ragazzo, ma alcuni sostengono di aver visto una ragazza bionda prenderlo in disparte e cercare di sedurlo. Si stanno facendo indagini approfondite. Intanto per adesso rimarrà il mistero dell'assassina S.

Morgana cominciò a sentirsi male. Oddio... Oddio Dio Dio... La ragazza sentì la testa pulsare. Stava diventando psicopatica: ormai ogni “S” che vedeva pensava a Sophia. No, no, non era lei, no... La mora vede Morgause uscire dal negozio.

-Cos'hai? Morgana?

Buio.

 

-Morgana?

Gw...Gwen?

-Ci sei?

Mor... gause?

La mora aprì gli occhi, trovandosi davanti i visi delle due amiche: sembravano molto preoccupate.

-Oh, grazie al cielo...

-Morgana? Stai bene? Ti devo preparare qualcosa, qualsiasi cosa, dimmi!

-No, no, Gwen: non ce n'è bisogno.

Le due si sorrisero, mentre Morgause, sollevata, le diceva che sarebbe andata via per un po'.

-Domani tonerò. Intanto tu dormi qua.

Morgana annuì perplessa. Si guardò intorno: era casa di Gwen. La proprietaria dell'abitazione sorrise.

-Morgana, per stanotte resterai qui. Mi dispiace annoiarti con i miei problemi, ma temo che dovrai ascoltarli.

La mora annuì, passandosi una mano sul viso. Gwen le raccontò di Lancelot, della sua sfuriata.

-Ho paura, Morgana, perchè lui ha così poca fiducia in me... se lui non pensa che io sia fedele, come potrebbe andare avanti la nostra relazione? Quel ragazzo era mio fratello che era tornato da New York per qualche giorno: era solo... Elyan. Non so cosa abbia preso a Lancelot: si comportava in modo strano in quel periodo e poi quando mi ha visto abbracciare mio fratello è impazzito. Non so... io lo amo, ma... forse dovrei rompere con lui...

-Cosa, no! Non farlo: ti aiuterò e farlo tornare da te! Ascoltami bene, ho un piano in cui anche Morgause sarà molto utile. Senti...

Morgana si avvicinò all'orecchio di Gwen, mormorando qualcosa. Alla fine Gwen urlacchiò qualcosa che sembrava un “Sei un genio del male!”. L'avvocato sorrise, mostrando il suo sorriso più bello. L'altra ragazza si mise a ridere, ritrovando il buon umore.

-Ti preparo qualcosa per ringraziarti dell'aiuto?

-No, grazie.

La ragazza fece per uscire, quando Morgana la fermò

-No, Gwen, aspetta, forse c'è una cosa che potresti fare.

-Cosa? Qualunque cosa!

-Potresti chiamare questo numero?

La mora gli scrisse quello che doveva chiamare su un foglietto con una penna verde.

-Mi faresti un grande favore...

-Certo!

La ragazza scese di sotto. Per lei la discussione su Lancelot era finita. Ma non per Morgana, no, non per lei.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

-.-” vabbè, lo so che non è una bellezza questo capitolo. Comunque gradirei avere qualche commento in più anche negativi, anzi, negativissimi: mi fanno comunque piacere ^.^ Comunque, per tutte le fan Merthur, presto ci saranno delle scene fra loro stupende ;)

Kiss

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Capitolo 18
*** Roma ***


Roma

 

Gaius rientrò a casa. Alice lo salutò estasiata, con in mano delle lasagne preparate da lei secondo la ricetta di sua nonna. L'uomo sorpirò: era fortunato ad avere una moglie così. Si amavano ancora molto e ancora non riuscivano a non uscire insieme, ridere e scherzare fuori. L'ultima volta che erano usciti, erano andati al cinema a vedere un film americano: come volevasi dimostrare, una stupidata. Tutto sommato però si erano divertiti a prendere in giro gli attori e i personaggi! La donna lo fece accomodare su una sedia e gli mise una fetta di lasagna nel piatto. Gaius mangiò a sazietà, gustandosi il pasto preparato dalla moglie seduta accanto a lui.

-Come è andata oggi con Luka?

Alice non era venuta con lui a fare da segretaria perchè non si sentiva bene.

-Bene: ha tentato di aggredirmi, ma bene per il resto. Ho capito molto di lui: ha tantissime fobie. Ho scoperto che è Ithyphallobico* e Fronemofobico**, ma queste due cose non sono collegate fra loro in realtà: ha solo subito dei traumi, come tutti coloro che hanno questi problemi del resto. L'ultima volta che ho trovato un uomo definito pazzo ma che non aveva subito shock è stato circa venti anni fa: aveva una lesione al cervello e per questo credeva di diventare un lupo mannaro***. Sciocchezze!

-Ti ricordi quello che aveva paura di mangiare?

-Ah, sì: mi sono dovuto occupare di lui per anni e l'ho anche dovuto mandare da un medico perchè era diventato anoressico. Sono tutte storie che paiono assurde, ma che invece esistono sul serio. Anche io quando studiavo per diventare psicologo non credevo ci fossero casi talmente gravi, ma l'esperienza mi ha fatto ricredere.

Alice annuì: ne aveva sentite tante anche lei insieme al marito. Storie di bambini traumatizzati dai genitori o dai maestri o ancora dai propri fratelli, storie di uomini e donne che avevano eliminato una violenza di qualche tipo e che ne subivano le conseguenze nell'inconscio, persone che credevano di essere vampiri. Ce n'erano di tutti i tipi, come le caramelle di Harry Potter, come si chiamavano? Ah, sì: tutti i gusti più uno.

-Cambiando discorso: hai ricevuto altre notizie da Hunith?

-Ieri mi ha chiamato: dice che hanno rintracciato il ragazzo e che stanno andando a vedere se lo trovano finalmente. Penso che domani mi manderà un messaggio, se Bobby la smettesse di fare brutti scherzi.

Gaius lanciò uno sgurdo atroce al cellulare che aveva poggiato su un mobile accanto alla tv spenta. L'uomo prese il giornale che gli era arrivato quella mattina: aveva avuto tanto lavoro e non era riuscito a leggerlo.

-Hai visto, Alice? Ancora non hanno preso l'assassina S (che razza di nome gli hanno dato!): stanno brancolando nel buio. Hanno raccolto molte testimonianze e a quanto pare la donna è la stessa che aveva colpito quel ragazzo ricco tempo fa, non ricordo come si chiamava, ma ancora non ne hanno la piena conferma. Che schifo di sicurezza in questa città: una persona può compiere delitti a tutto spiano e nessuno se ne accorge. Sì, però quando parcheggi davanti a un passo carrabile se ne accorgono subito, eh?

Alice lo guardò fisso negli occhi.

-Hai preso una nuova multa, caro?

L'uomo sbuffò tornando a leggere il giornale. La donna sorrise: chissà cosa stava facendo Hunith in quel momento.

 

Uther sospirò. Davanti a lui c'era un enorme palazzo.

-Sembra uscito da un'americanata.

Hunith sorrise, prendendolo per mano. Lo guardò incoraggiante, prima di fare un passo verso la porta dell'edificio. Una bella notte con una grande luna faceva da sfondo alle luci spente di quell'ufficio. I due entrarono. I lampadari nell'atrio erano accesi. Era un bel posto piacevole: Arthur aveva gusto. Uther si avvicinò alla donna che stava al bancone che stava chiudendo il computer e che stava sistemando la propria borsa. Era una donna sui trentacinque anni dall'aspetto molto professionale e serio.

-Buonasera!

Uther le si avvicinò cercando di sembrare cordiale e rilassato, anche se in quel momento avrebbe solo voluto sbraitarle contro.

-Vorrei sapere se potrei prendere un appuntamento in futuro magari con il suo capo, Arthur Tintagel: mi scuso per l'ora tarda, ma purtroppo siamo arrivati ora e non possiamo aspettare domani mattina...

-Tornate tra una settimana.

-...Cosa?

-Il signor Tintagel non è in Inghilterra al momento, signori: è partito e in questo momento starà già a Roma con il suo segretario.

-...A Roma?

-Il signore è stato invitato a una cena importante là e non poteva certo mancare. Tuttavia potrei riferirgli il messaggio. Posso sapere chi lo cerca?

-Uther Pendragon.

La donna segnò il nome su un foglio, con un sorriso stupito sulle labbra: probabilmente l'aveva riconosciuto ma, come persona professionale e pacata quale era, non gli avrebbe mai chiesto un autografo. Fortunatamente.

-Ecco. Chiamerò appena possibile il signor Tintagel e gli riferirò che vuole conferire con lui.

L'uomo annuì, guardando Hunith sorridendo. La donna gli fece un “Ok” con il pollice, incoraggiante. Uther annuì: se non altro l'avevano trovato. Più o meno. Certo, almeno non sarebbe scappato da loro! La donna mise il foglietto attaccato al computer per ricordarselo poi uscì con un cenno del capo e un saluto garbato facendo prima uscire i due visitatori.

 

Il rumore degli aerei erano insistenti. Arthur prese anche la propria valigia, uscendo dall'aereoporto insieme a Merlin che lo seguiva estasiato e sorridente: aveva sempre desiderato vedere Roma e finalmente ne aveva la possibilità. Appena usciti, il capo lo informò che non aveva potuto prendere una limousine per portarli all'appartamento che aveva affittato, per cui avrebbero preso il taxi. Il biondo cominciò a sventolare una mano a dei taxi che passavano, ma nessuno si fermò. Più spazientito, cominciò a fremere e a incollerirsi quando un autista decise di prenderli nella propria vettura. Appena entrarono nell'auto serntirono subito un forte odore di alcool: brutto segno. Un uomo rasato male e con i capelli sporchi li guardò. Aveva una sigaretta in bocca e gli occhi quasi chiusi. Accanto a lui giaceva una bottiglia di birra.

-'ndo devi annà?

-...What?****

-...Where andare you?

-Can you repeat?

-Oh, ma manco l'inglese capite?! Where andare you?

I due si guardarono intensamente. Poi videro che l'uomo li indicava per poi indicare il camminare con due dita.

-Ah!

Arthur sorrise, battendosi una mano sulla testa e dicendo qualcosa all'autista che gli sbuffò del fumo addosso prima di partire velocissimo sulla strada. Non era per niente buono come primo approccio con l'Italia. No, per niente: faceva una bruttissima impressione così. Non fecero molta strada prima di arrivare, o almeno a Merlin sembrò molto poca. Scesero, dando delle banconote al taxista che sorrise con la sigaretta fra i denti. Arthur aspettò che l'auto sparisse in lontananza prima di prendere i fianchi di Merlin per attirarlo dolcemente a sé.

-Ecco qui: questo è l'edificio.

Davanti a loro c'era un palazzo evidentemente italiano. I due salirono le scale trovandosi in un appartamento non lussuoso ma comunque comodo, accogliente e funzionale. Aprirono le finestre e sistemarono i bagagli nella loro stanza che aveva un grande letto matrimoniale molto comodo.

-Arthur, vieni a vedere!

Il biondo si avvicinò al segretario che stava guardando ammirato dalla finestra. Davanti a loro c'era un paesaggio mozzafiato. Si vedeva benissimo il Colosseo illuminato e poche stelle facevano capolino nel cielo: anche se non erano tante, erano comunque più di quelle di Londra.

-E' stupendo!

-Ecco spiegato perchè l'affitto costava tanto. Ne vale la pena.

I due si guardarono sorridendo rivolgendo ancora lo sguardo verso la città che brillava davanti a loro.

-...Senti, perchè non andiamo a mangiare in un ristorante? Uno tipico, così, per assaggiare la tanto osannata cucina italiana?

Il moro sorrise e annuì, sporgendosi a baciare le labbra del ragazzo.

-Va bene.

Il biondo ricambiò il bacio, passando una mano da dietro sul petto del compagno, posando poi le proprie labbra sul collo di lui, per poi...

-Arthur! Non adesso: se non ci sbrighiamo non mangeremo proprio stasera. E io ho molta fame.

-Anch'io. Di te.

Gli fece un occhiolino. Merlin lo guardò con espressione severa, mentre il capo sospirò, staccandosi da lui.

-Capito. Però dopo...

Un sorriso malizioso.

-Dopo, Arthur. Casomai dopo.

 

Merlin finì di mangiare l'ultimo spaghetto.

-Buonissimo.

I due sorrisero, mentre Arthur chiedeva il conto al cameriere che, al contrario del taxista, parlava un inglese decente ed era stato davvero molto gentile. Se la prima impressione non era buona, la seconda lo era molto. Il moro sorrise con le guance rosse: avevano bevuto tanto buon vino e Merlin, che non reggeva bene certe cose, già sembrava ubriaco.

-Arthur... Perchè non... *hic* non ci sposiamo?

Correzione: non sembrava ubriaco, era ubriaco. Il biondo scosse il capo, pagando il conto e tenendo il proprio ragazzo per la vita trascinandolo fuori: fortunatamente non avevano scelto un posto elegante. Lo portò per tutta la strada mentre brontolava qualcosa su un fantomatico matrimonio. Il biondo rise quando Merlin cominciò a chiedersi se doveva indossare il velo o meno, mentre apriva la porta di casa. Appena spalancata, Arthur lo buttò sul letto, mentre Merlin ridendo borbottava sulla verginità della sposa. Il biondo scosse il capo baciandolo appassionatamente e zittendolo. Le finestre erano aperte e le luci di molte stanze si stavano mano a mano spegnendo. Arthur andò a chiudere la porta e spense anche la loro luce. Molte più stelle apparvero in cielo. Ma nessuno dei due le vide, troppo presi da un piacevole impegno.

 

 

 

 

*La paura dell'erezione del pene

**La paura di pensare

***Questa è una storia veramente accaduta, anche se il soggetto era una donna: aveva una lesione al cervello per il quale credeva che le proprie unghie si stessero trasformando in artigli e quindi pensava di star diventando un animale, un lupo per la precisione. Questa storia è stata raccontata a Voyager, ma è realmente accaduta a un'anziana signora. In questo caso, però, l'ho “applicata” a un giovane.

****Ho messo le parole in inglese perchè loro vengono dal Regno Unito quindi non potevano conoscere l'italiano: per fare vedere ciò ho messo cosa dicono in inglese almeno quando stanno insieme a degli italiani e quando parlano con loro.

:::::NOTE FINALI:::::

Che ne dite? Ci sarà anche qualche descrizioncina in futuro, ovviamente niente di pesante, ma comunque penso che vi farà piacere ;) Nel prossimo capitolo (COMPLETAMENTE DEDICATO A ARTHUR/MERLIN) ci sarà la ricomparsa di un personaggio molto importante: avete già capito tutte quale =)

Kiss

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Capitolo 19
*** Gwaine, il ritorno ***


 Gwaine, il ritorno

 

Merlin camminava seguito da Arthur. I due si tenevano per mano mentre si avvicinavano al ristorante dove erano stati invitati a cenare per lavoro. La notte era giovane e da lontano si vedevano le luci di alcuni monumenti. Se la prima impressione non era stata delle migliori, sia Merlin che Arthur dovevano ammettere che, a parte la seconda, anche la terza era molto buona. Il biondo già pensava a qualcosa da fare insieme in un posto così romantico quando...

-Arthur! Merlin...

I due riconobbero subito quella voce e il tono con cui aveva chiamato il povero segretario, che scosse la testa incredulo. Si girarono.

-Gwaine? Ma che ci fai qui?

L'uomo sorrise, mettendo una mano sulla spalla di Merlin, che ricambiò il sorriso amichevole.

-Sono qui per lavoro! Anche voi per caso dovete andare a cena con il capo dell'azienda Res...

Arthur lo interruppe, accennando al fatto che anche loro erano stati invitati, aggiungendi sottovoce un “Purtroppo” che Gwaine fece finta di non sentire. L'uomo sorrise al segretario che stava sgridando Arthur per la scortesia. Il moro venne praticamente strappato dalle braccia del biondo per essere catapultato nel “Gwaine World”. L'uomo gli mise una mano lungo il fianco, mentre, con finta nonchalance, gli si avvicinava all'orecchio per sussurrargli qualcosa. Il Tintagel era rosso in viso e aveva i pugni stretti: come osava quel... quel...???

-Signori!

Un uomo robusto e dall'aria allegra si avvicinò a loro, salutandoli con aria professionale ma allo stesso tempo cordiale. I tre lo salutarono, presentandosi. L'uomo guardò in malo modo Gwaine che stava stringendo Merlin a sé con aria tutt'altro che innocente e casta. C'era un bel tavolo lungo apparecchiato elegantemente per loro. C'erano quasi trenta posti. Seduti c'erano già una decina di persone, che chiacchierava sommessamente. Arthur si riprese Merlin, facendolo sedere accanto a sé facendo in modo che fosse fra lui e un'altra persona: Gwaine si sarebbe dovuto sedere accanto al biondo. L'uomo sbuffò, prendendo posto accanto al Tintagel, sospirando tristemente e facendo uno strano sguardo al moro che scostò lo sguardo.

 

La cena era andata piuttosto bene. Avevano parlato di affari ed erano riusciti tutti a trovare dei compromessi con i capi delle varie aziende. Arthur si alzò per congedarsi, prendendo Merlin per la mano e lanciando un'occhiataccia a Gwaine. Quel tizio aveva flirtato con il segretario tutta la sera e non aveva concluso niente se non quell'affare sul centro commerciale che stava per essere completato. Il biondo corse fino a casa, salendo le scale velocemente perchè l'ascensore ci metteva troppo a scendere. Aprì la porta, per poi richiuderla con un piede, prendendo il segretario in braccio e buttandolo su un divano scuro che stava davanti alla tv.

-Arthur, cosa stai facendo?

Il biondo si fiondò sul collo del compagno. Le sue mani andarono sui fianchi dell'altro, spingendolo sempre di più verso di sé.

-Ar.. Arthur?

Il capo non lo ascoltò, preferendo continuare a baciare le spalle e il petto dell'amato. Merlin notò la maglietta sul pavimento: ma... quando l'aveva tolta?? Il moro con una spinta lo tolse da sopra di sé.

-Ma che stai facendo?

Il biondo sorrise, prima di sorridere sussurrando un “Mio” leggero. Il segretario sbarrò gli occhi, per poi fare un leggerissimo sorriso compiaciuto.

-Ah, ho capito.

Il ragazzo alzò lo sguardo sul compagno, facendogli un occhiolino mentre parlava.

-Non sarai geloso di Gwaine, vero?

Arthur abbassò gli occhi solo per un secondo, un attimo quasi impercettibile, prima di fissare Merlin con aria scandalizzata.

-Geloso? Mfph, ma non farmi ridere.

Il Tintagel chiuse gli occhi e inconciò le braccia, sotto lo sguardo divertito di Merlin.

-Sei geloso! E sai perchè?

-Perchè?

-Perchè mi ami tanto tanto e pensi che io possa rimpiazzarti con Gwaine e ne soffriresti troppo: ammettilo che senza di me non vivi! Dai, dillo!

Merlin si era avvicinato al compagno, con tono di sfida, gattonando. Gli occhi erano maliziosi e si poggiò con le mani sulle cosce dell'altro.

-Dillo!

-No!

Il moro mise su un broncio adorabile, sfoderando tutte le sue armi, compreso... il magico fruscio da gatto. Arthur sentì un buon profumo invadergli le narici, la pelle di Merlin che si strusciava leggermente contro la propria: il moro sorrideva furbetto.

-Dai...!

-No.

-Ti prego!

-No...

-Per piacere!

Il biondo gli prese il viso attirandolo verso il proprio volto, baciandolo con foga.

-Prendi questo come una dichiarazione.

Merlin sorrise, accontentandosi di quel bacio, aggrappandosi alle sue spalle. Gwaine? Gwaine si sarebbe dovuto accontentare di mere fantasie.

 

:::::NOTE FINALI:::::

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace! Avrei dovuto mettere questo capoitolo stamattina alle nove e invece l'ho messo alle nove di sera -.-” Veramente, scusate. Come potrete perdonarmi? Ringrazio la vostra pazienza ^^”

Kiss

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Capitolo 20
*** Stupida lavatrice! ***


Stupida lavatrice!

 

Quarta impressione: cattivissima.

Sin da quella mattina quando si svegliò, Arthur capì perfettamente che quella non doveva essere la sua giornata. Appena aperti gli occhi, notò che Merlin non stava accanto a lui, come invece doveva essere. Vide solo un biglietto messo sul cuscino con su scritto in stampatello “Vado al supermercato e al sex shop: non ti preoccupare, tornerò entro mezzogiorno”. Il biondo urlò e si arrabbiò molto: da quando il suo compagno era stato rapito non l'aveva lasciato solo un attimo per paura che potesse risparire, ma quel cretino era dovuto andare a fare la spesa! Arthur giurò a se stesso che quando sarebbe tornato l'avrebbe incantenato a sé con delle manette.

Quinta impressione: ancora peggio della quarta.

Quando Arthur andò nello stanzino, trovò un altro biglietto da parte di quel defici... voleva dire, da parte del suo fidanzato: “Non abbiamo abiti puliti: i tuoi li ho già lavati e stesi, lava i miei (bianchi, neri, colorati, anche tutto insieme usando il detersivo apposito)”. Il biondo si passò una mano fra i capelli, prendendo tutti i pochi abiti di Merlin e buttandoli con poca grazia nella lavatrice, mettendoci il detersivo e accendendola. O meglio, cancelliamo “accendendola” perchè non fu semplice. Anzi, cancelliamo anche “ buttandoli con poca grazia nella lavatrice” e anche “ mettendoci il detersivo” perchè neanche quello fu una passeggiata. Infatti quell'infame lavatrice di marca italiana aveva deciso di mettersi contro di lui e quindi faceva i capricci. Arthur ci mise una mezzora buona ad aprire lo sportello e in quel lasso di tempo utilizzò non solo le mani, ma anche dei coltelli, delle matite, dei temperini, un piede di porco (?) e una macchina fotografica. Alla fine riuscì ad aprire quell'aggeggio infernale con quest'ultimo oggetto, benchè non avesse capito come aveva fatto. Comunque, mise tutto dentro. Ma la vera impresa fu il detersivo, che aveva deciso anche lui di non aprirsi: un complotto contro il nostro bel Tintagel era in atto! Dopo vari tentativi con i denti, Arthur prese uno schiaccianoci e lo utilizzò per togliere quello stramaledetto tappo, che si ruppe. Il biondo fece finta di non farci caso, mettendolo nell'apposito “cassettino” (che comunque ci mise un quarto d'ora ad aprire). Peccato che rovesciò gran parte del liquido a terra. Imprecando, l'uomo decise di pulirlo dopo, preferendo accendere prima la lavatrice. Non lo avesse mai deciso! Mentre spingeva i bottoni scivolò miseramente sul detersivo a terra, cadendo con un gran tonfo. Rimase sdraiato per una trentina di secondi, prima di rialzarsi e finalmente pulire. Infine, finì di accendere la lavatrice. Ma solo alla fine.

Sesta impressione: da male in peggio.

Uscì dallo stanzino con un livido sul sedere, irritato e pieno di detersivo fra le mani. La giornata non poteva che migliorare a quel punto, ma Arthur ebbe la sventurata idea di dire le ultime parole famose “Guarda il lato positivo: peggio di così non può andare!”. Appena ebbe finito di dire l'ultima lettera di quella frase iettatrice che qualcuno suonò al campanello. Quando il biondo aprì non trovò nessuno, ma vide un grosso pacco regalo con un biglietto. Purtroppo per lui, cosa poteva fare se non leggerlo? “Al mio amatissimo Merlin, creatura celestiale, da Gwaine”. Il viso del Tintagel divenne rosso di rabbia, portò dentro il pacco e sbattè la porta. Mise il regalo davanti al divano, fissandolo con immenso odio, mentre il dono sembrava dirgli con una vocina degna di un personaggio dei cartoni “Che cosa ti ho fatto io di male?!”.

Settima impressione: da peggio a... “peggissimo”!

Mentre fissava l'enorme pacco, gli arrivò un messaggio al cellulare. Arthur lo fissò con rabbia, prima di tirare un grande sospiro per mantenere un minimo di dignità (se mai ne aveva avuta una): “Ah Ah, Arthur! Non riuscirai mai a allontanarmi da Merlin! è_é Gwaine”. Il biondo tirò il cellulare a terra che per fortuna cadde su un tappeto morbido e non si ruppe. Il Tintagel si alzò furioso: i muscoli delle gambe, delle braccia e del collo erano tesi come non mai e in evidenza. Imprecando contro un certo “pazzo maniaco dal nome che inizia con la G, finisce con la E e in mezzo c'è Wain”, Arthur decise di farsi una doccia. Almeno quella in quella schifosa giornata, fu piacevole. Purtroppo per il Tintagel, le sventure non erano ancora finite.

 

Merlin salutò il gentilissimo fruttivendolo prendendo le buste con dentro varia frutta. Un bel sole sembrava baciargli il viso (il sole bacia i belli, no?) mentre un bel vento fresco gli scompigliava i capelli neri. L'uomo guardò il cielo sorridendo.

Ottava impressione: la migliore di tutte.

Il moro continuò a camminare, pensando ridacchiando alla faccia che aveva fatto Arthur a vedere il biglietto che gli aveva lasciato, anzi, i due biglietti. Probabilmente quando sarebbe tornato a casa lo avrebbe trovato rosso in viso e con del fumo che gli usciva dalle orecchie. Improvvisamente sentì un “Attentoooooooo!” che lo fece voltare ma non fece in tempo a voltarsi completamente che...

-Oh Cielo! Scusa scusa scusa scusa scusa scusa scusa scusa scusa! Non volevo, mi dispiace!

Il moro alzò lo sguardo sulla adolescente che stava prendendo le buste e gliele stava porgendo e al ragazzo accanto a lei che gli tendeva la mano per aiutarlo ad alzarsi. Merlin non capiva cosa stavano dicendo e cosa stava succedendo, quando notò i vestiti scuri macchiati irrimediabilmente da della vernice bianca indelebile.

-...??

-Ricompreremo i vestiti, pagheremo i danni! Ci dispiace tantissimo: stavamo portando i barattoli di vernice a casa in tandem e siamo passati su una...

-What? Sorry but I don't understand!

I due si guardarono attentamente, sussurrando un “E adesso?”. Intanto Arthur nell'appartamento sentì che la lavatrice aveva finito. Andò a togliere i panni, ma...

-Noooooooooooooooooooooooooooo!!!!!

 

-Chiama Lancelot, Gwen.

-Ma non mi risponderebbe! E' da questa mattina che provo a chiamarlo ma mi rifiuta sempre la chiamata!

Morgana sbuffò, massaggiandosi le tempie.

-Va bene. Io esco per andare a prendere le cose per... il nostro piano.

-Ok...

-Ciao!

La donna uscì mentre l'amica prendeva il cellulare e ne guardava lo schermetto. Gwen sospirò. Provò a chiamare Lancelot, ma una voce registrata le disse che la chiamata era stata rifiutata. La ragazza fissò intensamente il tavolo davanti a sé pieno dei disegnini che avevano fatto i bambini che lei guardava all'asilo: erano molto colorati e molto belli, ma non poteva risollevarle il morale. Non quella volta. Le sue dita si mossero da sole, si portò il cellulare all'orecchio e lo sentì squillare.

-Pronto Elyan?

-Ciao sorellina!

-Ma dove sei? Ho saputo che hai lasciato il paese...

-Sì sì, ho trovato lavoro e ho seguito il mio capo.

-Ah... dove hai trovato lavoro?

-Come segretario alle dipendenze del capo di una di quelle aziende che stanno salendo in alto in questo periodo, la Gwaine SPA, la conosci?

-Ah, sì, ho capito. Beh, complimenti.

-Grazie! Adesso sto a Roma perchè il capo è dovuto andare qua per una speciale riunione... tornerò fra qualche giorno.

-Ah... ok, ciao.

-Ciao Gwen, casomai ti chiamo domani!

-Ciao.

Bip Bip Bip Bip...

La ragazza sospirò. Non si sentiva molto bene. Si alzò, cominciando ad andare verso il bagno quando la vista si oscurò, sentì le proprie gambe tremare. Il rumore di un corpo che cadeva a terra. Silenzio.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Cosa è successo con la lavatrice?? Penso che l'abbiate già capito, ma da una cosa banale come quella partiranno molti capitoli Merthur con tonalità leggermente hot ;D Spero che questo capitolo non vi abbia annoiato u.u

Kiss

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Capitolo 21
*** Boxer... con zip! ***


Boxer... con zip!

 

-Arthur, sono torna... aaaaah! Arthur! Non dirmi che quelli sono...

Il biondo guardò il moro con disperazione, mentre il fidanzato appoggiava le buste a terra e fissava inorridito i vestiti che l'altro teneva fra le braccia.

-Sì... mi dispiace... Non ti arrabbiare, ok?

Per un istante, a Merlin venne un fastidioso tic all'occhio; il suo volto divenne bianco come la vernice che aveva sui vestiti.

-Arthur! Questi che indosso erano i MIEI ULTIMI VESTITI PULITI! E TU... TU...

-Merlin, mi dispiace!

-SOTTORAZZA DI MANTA UBRIACA! ASINO PUTRILLICO!

-Oh, non esagerare!

Il moro prese i propri vestiti tra le mani.

-COME HAI FATTO?

-Non lo so.

Il biondo sorrise, tirando fuori la sua arma migliore: l'uomo si avvicinò al fidanzato, accarezzandogli i capelli, e, addolcendo la voce, sussurrò le sue scuse, baciandogli le orecchie.

-Arthur?

-Sì?

-Mollami.

-Sì, subito.

-...Mi chiedo ancora come hai fatto: non credevo possibile che si rimpicciolissero di così tanto. Quante saranno? Cinque taglie?

-...Credo di sì...

Merlin sbuffò, prendendo tutti i propri abiti e mettendoli in un angolo. Gli chiese se aveva lavato allo stesso modo anche altro, ma Arthur gli rispose che non aveva mandato panni in lavatrice. Il moro sospirò sollevato. Improvvisamente, notò il pacco che Arthur aveva messo in un angolo, mentre il biondo si rifaceva gli occhi, osservando attentamente ogni curva del corpo del segretario.

-E' un regalo di Gwaine: sarà una cavolata.

-Beh, è scortese non aprire i doni!

Merlin si avvicinò al pacco, togliendo l'enorme fiocco che ci stava sopra e scartando la carta. Quando alzò il coperchio, Arthur non fece a meno di notare lo sguardo a metà fra l'interrogativo e lo scandalizzato dell'uomo, chiedendosi il perchè di quell'espressione. Quando Merlin tirò fuori dalla scatola un enorme orso di peluche che aveva in mano un paio di boxer, pensò che fosse strano. Quando il moro prese le mutande facendogli notare che avevano sia dalla parte davanti che dalla parte dietro due zip, pensò fosse ancora più strambo. Ma quel pensiero fu subito sostituito da un'espressione di rabbia e ira funesta quando Merlin lesse ad alta voce il biglietto... un biglietto che non si sarebbe mai potuto ripetere tanto era pieno di doppisensi e volgare, nonostante, bisognava ammetterlo, avesse sempre una certa classe.

-Dopo questa, posso dire definitivamente che Gwaine è un uomo morto.

Arthur partì alla carica verso la porta d'uscita. Merlin cercò di trattenerlo, ma il compagno era molto più forte e così il biondo si trovava già davanti alla porta a tendere la mano sulla maniglia.

-A... Arthur...

Con un filo si voce, Merlin chiamò l'altro che, vedendo il viso dell'uomo farsi ancora più pallido, lasciò perdere Gwaine e si lanciò su di lui, prendendolo tra le braccia prima che cadesse a terra.

-Merlin, cos'hai??

Il moro ridacchiò, riprendendo colore.

-Niente: volevo solo farti allontanare dalla porta.

-Cooooosaaaa??? Mannaggia a te, brutto idiota!

-Eeeh, Arthur!

Merlin si alzò, spogliandosi degli abiti sporchi e gettandoli sul divano, per poi togliere la camicia che il biondo si era messo e indossarla, mentre lo sguardo del capo non si muoveva dal segretario.

-Non penso di poter uscire. Per adesso resterò a casa vestito così.

La camicia era troppo grande per il suo corpo esile e gli scopriva una spalla. Gli ricadeva sul corpo accarezzandolo e la luce del sole che stava già cominciando ad abbassarsi ne illuminava i contorni e faceva intravedere da sotto la stoffa la forma del corpo del moro che, passandosi una mano fra i capelli, si tolse i pantaloni dalle caviglie, buttandoli sopra la maglietta. Arthur era sicuro di sentire della bava colare dalle labbra. Merlin smosse un po' i capelli scuotendo la testa (ma voleva sedurre il biondo o cosa?) e andò verso la loro camera sorridendo. Il capo si alzò e si avviò insieme a lui, sorridendo.

-Ah ah! Dove vai! Non te lo meriti! Oggi dormirai sul divano.

-C... cosa, ma...

-Niente ma. Preparati il sofà piuttosto!

 

 

-Pronto?

-Ah, Lancelot, sei tu?

-Sì, sono io.

-Senti: vieni al parco domani alle 15:00, ok? Ti aspetto lì. Ciao

-C... cosa, un attimo, ma...

tu tu tu tu tu...

-Verrà, Gwen, ne sono sicura.

La ragazza era sdraiata sul letto con Morgause che la stava costringendo a mangiare.

-Seriamente, ti stai rovinando. E' da quando se n'è andato che non mangi, inoltre bevi anche poco. Domani ricorda di farti bella per il tuo amore.

La ragazza fece un occhiolino allegro all'amica che sorrise con la bocca piena di un ottimo minestrone. La tv accesa continuava a riempire con o telegiornali e le serie l'aria, ma nessuno faceva caso a quello che diceva. Improvvisamente la musica dell'ennesimo tg fu notata da Morgana. Era da un po' che non andava a lavoro e voleva sapere le ultime notizie sulla criminalità, anche le cose più piccole e leggere, anche se fosse stato un furto di biscotti. Morgause la guardò intensamente, prima di cominciare a parlare del più e del meno con Gwen: anche se le due non andavano molto d'accordo, cercavano di non litigare per far felice Morgana.

-Adesso, una notizia sconvolgente. Le autorià ci hanno informato che una criminale molto pericolosa è in giro per Londra. Si tratta di Sophia Avalon che era stata accusata dell'assassinio del giovane Lord William Kirkland. Scarcerata, in seguito sono state trovate prove certe della sua colpevolezza. Durante l'inseguimento della polizia cadde nel Tamigi. Ne avevamo così annunciato la morte, ma a quanto pare la donna vive ancora. Stavolta ha colpito alla testa Uther Pendragon, che era a Londra per ragione personali e a noi sconosciute. L'uomo non è morto e non è in gravi condizioni: dovrebbe uscire entro la fine del mese. Il famoso show televisivo da lui condotto, quindi, ripartirà normalmente senza spostamenti di data. Sophia Avalon è tuttora ricercata dalla polizia. Chiunque potesse vederla, è pregato di avvertire le forza dell'ordine.

Morgana fissava il televisore. Come se fosse in trance, allungò la mano verso il telecomando premendo il tasto di spegnimento. Quando il grande schermo fu nero, la donna si lasciò andare a un sospiro affannato. Aveva dimenticato. Come aveva potuto? Era sul serio talmente presa dall'aiutare Gwen che si era totalmente scordata della figura che la perseguitava? Quella notizia l'aveva riportata nell'incubo e adesso che era certa che fosse viva, l'ombra dell'assassina sembrava piroettare intorno a lei, ridendo, la sua presenza sembrava rendere luminoso e felice anche il momento più buio per quanto il cuore di Morgana si stava fermando.

-Morgana?

La donna si girò verso Morgause che la guardava incuriosita insieme a Gwen. Si preoccupavano così tanto per lei. Ma non potevano fare niente. Come avrebbe potuto dire loro del suo fallimento, del suo errore e della sua mania? Chi le avrebbe assicurato che non l'avrebbero presa come uno scherzo e che sarebbero rimaste serie davanti al suo stato d'ossessione rinnovato? Il fatto che delle persone siano amiche spesso cede davanti a queste situazione e Morgana lo sapeva bene: aveva visto nella sua carriera persone lasciate sole per una semplice fobia, anche una comunissima. La donna si sforzò di fare un sorriso che tuttavia non gli riuscì. Le altre due notarono che quella specie di rassicurazione non era altro che una smorfia che le deformava il volto.

-Stai bene?

-Sì... sì, s... sto... bene, sì.

Morgause la guardò attentamente per poi lasciare che gli occhi cadessero su Gwen che sembrava preoccupata quanto lei. Morgana si girò verso la tv, fissando il vuoto. Sorrise tristemente: sarebbe diventata pazza con questa storia. Non poteva vivere con quell'enorme peso. Però una soluzione c'era... Ci aveva pensato anche prima di ricevere quella notizia, prima del problema della sua amica, ma anche allora gli era sembrata un'idea così idiota che era sicura non l'avrebbe mai messa in atto. Eppure si era anche informata: Gaius Physician. Questo era il nome dello psicologo dove sarebbe andata. Uno strano nome, davvero. Si diceva fosse bravissimo. Oppure c'era anche Killgharrah Dragon. Anche lui, un nome molto strano, ma erano i migliori due di tutta Londra. L'idea però, era stata accantonata. Eppure Morgana sapeva che quando una mania tornava dopo del tempo era un brutto segno e che l'ossessione peggiorava: alla fine non avrebbe avuto scelta. Anche se la sua non era pazzia, né niente di particolare, le avrebbero dato qualche consiglio, l'avrebbero aiutata, no? Vero? Vero??

-Morgana, sicura di stare bene?

-Vi ho detto che sto bene.

La voce gli uscì molto più dura di quanto avesse voluto. La mora uscì dalla stanza, sotto lo sguardo curioso delle due amiche, rifugiandosi in bagno. Si guardò allo specchio. Almeno là l'immagine di Sophia non c'era.

-Almeno qua...

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Mi scuso per l'enorme ritardo. E' un capitolo cortino e non sapete quanto mi dispiace, tuttavia i prossimi dovrebbero essere più lunghi. “Putrillico”, per la cronaca, è un termine che non esiste. O forse sì ed è anche una cosa buona? O.o Boh. Comunque, c'è un avviso. Per chi segue “Crash!” per l'aggiornamento dovrete attendere ancora, tuttavia sto alla decima pagina e ancora il capitolo non è terminato. Spero comunque di finirlo entro 5 giorni. Se non ce la farò, ci sarà un capitolo extra di questa fanfiction. Grazie.

Kiss

 

P.S. I boxer che ho descritto esistono e sono anche in commercio!

P.P.S. Se ho sbagliato dei cognomi, mi rincresce: fatemelo notare, grazie ^^

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Capitolo 22
*** Non ci sono giustificazioni ***


Non ci sono giustificazioni

 

-E' già sveglio: non ha ferite gravi, anzi, sono molto leggere. Volete entrare?

-Certo, grazie.

Il medico fece entrare Hunith nella stanza dove Uther stava leggendo delle riviste con sguardo innervosito. La donna si sedette accanto a lui, dandogli un bacio sulla guancia. L'uomo sorrise leggermente, per poi tornare mortalmente serio, tendendole la rivista che stava leggendo. Era di qualche anno prima. In prima pagina, c'era la foto di un giovane ragazzo biondo e subito sotto un titolo scritto in rosso. Accanto al ragazzo, delle piccole foto. Hunith guardò il nome della rivista: “Some people”*. La donna aprì alla pagina che stava leggendo il compagno: erano le pagine speciali della rivista, dove ogni titolo iniziava con “Some people are...” per poi completare la frase e mettere il nome del personaggio famoso di cui si stava per leggere. E così lo sguardo di Hunith cadde sull'enormi parole che troneggiavano al centro del foglio.

Some people are... gay

Arthur Tintagel”

La donna guardò le foto del ragazzo con un giovane moro, che veniva detto il suo segretario. Uther le prese improvvisamente la rivista, strappandogliela dalle mani e buttandola via, con rabbia mal repressa. Si sapeva: Uther Pendragon non era mai stato, diciamo, “gay-friendly”, anzi. Hunith sbuffò, capendo subito il motivo del malumore dell'uomo che, benchè non sbraitasse né esprimesse il suo odio, sembrava impregnare l'aria del suo disprezzo. Lo sapeva, Hunith: sarebbe stato molto difficile per lui, anche perchè la gente lo rivoleva sul palco e lui non voleva ritornare fino alla fine di quell'avventura. Ora più che mai, gli sarebbero venute solo battute velenose o di cattivo gusto.

-E' importante.

Aveva risposto alle persone che chiedevano per quale ragione Uther non tornasse in tv entro breve tempo. Hunith sbuffò: ci sarebbe voluto di più del previsto. L'uomo la guardò, per poi incrociare le braccia e girarsi dall'altra parte. Il silenzio era schiacciante.

-Tornerò fra una settimana a fare il mio show.

-...Cosa?

-Non lo voglio più incontrare.

La donna lo guardò con gli occhi spalancati, con l'atteggiamento di chi sta avendo a che fare con un bimbo viziato e capriccioso che non vuole sentire ragioni.

-Uther...

-Insomma, tutto mi sarei aspettato ma non... non... QUESTO, DIAMINE!

-Ma...

-Niente ma: non ci sono giustificazioni. E poi... chi è questo tizio che sta con lui? Diciamocelo che non sembra così tanto affascinante. Sembra Dumbo che non ha mangiato per mesi!

Hunith sorrise leggermente, chiudendo la rivista e poggiandola su un tavolino.

-Uther, ti stai comportando come un bambino.

-Non è vero.

-Sì, è vero, perchè lo dico io.

Questo era il momento in cui la donna avrebbe dovuto esercitare quel minimo di autorità e di potere che aveva su Uther. Era importante, sì, davvero, e non gli avrebbe permesso di lasciare tutto il lavoro che avevano fatto per rintracciarlo.

-Insomma, non essere ridicolo. Se fosse etero, tuo figlio dovrebbe andare a chiederti il permesso?

-...Hunith, sei sicura che quella che hai bevuto stamattina fosse acqua?

La donna sbuffò.

-Non capisci che va bene così?

-No, grazie.

-Non capisci la tua fortuna?

-Quale, scusa?

-Così eviterai silenzi imbarazzanti, sfuriate, situazioni alquanto noiose e il vostro rapporto sarà più saldo!

-...Ma che razza di discorsi fai?

-Non so, credevo che qualcosa di simile potesse tirati su, almeno un po'!

L'uomo scosse la testa, mettendosi una mano sulla tempia. Hunith si mise più comoda sulla sedia, riguardando la rivista.

-Uther.

-Si?

-Adesso basta.

Silenzio.

-Parliamone seriamente.

 

Arthur aprì la porta del piccolo appartamento. Il sole stava tramontando sulla città eterna, donandole un aspetto quasi fiabesco. Sembrava lontana, ma allo stesso tempo vivida e reale, un sogno, un'illusione che era talmente viva da ingannare i sensi. Certo, a Londra non aveva mai visto uno spettacolo simile. E per lui era un vero peccato lasciarla due giorni dopo. Non avevano neanche fatto in tempo a visitare qualcosa. Lavoro, lavoro, lavoro. Arthur appoggiò stancamente due buste con dentro dei vestiti nuovi per Merlin, che per tre giorni era andato per casa indossando solo i boxer e la camicia del biondo.

-Merlin?

-Di qua, in cucina!

Quando il Tintagel entrò, sentì la terra mancare sotto i piedi. I raggi del sole che filtravano nella stanza circondavano il moro di una luce surreale. Il segretario, in punta di piedi su una sedia, teso a prendere qualcosa sul ripiano più alto della credenza, era concentrato. La luce circondava il corpo del ragazzo, delineandone le gambe (che per un periodo avevano ossessionato Arthur, poiché furono le prime cose che notò di Merlin esclusi gli occhi), la schiena che si vedeva anche se coperta dalla camicia leggera, le spalle, il viso, i capelli, le braccia.

-...M...Mer...lin...

Il biondo non resistette più. Con uno scatto, prese il segretario per i fianchi, abbracciandolo e mettendoselo in spalla, rovesciando la farina che il moro aveva tra le mani, scalciando via la sedia, posandolo sul tavolo.

-Arthur!

Non poteva più farne a meno. Tre giorni eterni di astinenza, diamine! Si tolse la cravatta, la giacca e la camicia, mostrando i muscoli del busto; slacciò... in realtà strappò la camicia che Merlin stava indossando, lo baciò con trasporto, affermando nella propria testa che il moro lo voleva evidentemente sedurre. Il moro, prima stupito dalla furia del compagno, cercò di sfuggirgli (perchè l'astinenza non era ancora finita), ma poi cedette sotto i suoi baci, artigliando le dita dietro la schiena forte del biondo e facendo aderire alla perfezione i loro corpi. Le buste dei vestiti dimenticati all'ingresso.

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Capitolo 23
*** Certezze ***


Certezze

 

Gwen aspettava. Gli alberi erano illuminati di una luce argentata che sembrava ingigantirli. Tutto intorno alla ragazza era silenzioso e immobile. Notte. Fredda. A Londra. I palazzi illuminati da lontano sembravano una lontana terra promessa. Uno scricchiolio da dietro un cespuglio interruppe i pensieri della ragazza.

-Morgana, fai silenzio lì dietro!

La mora la guardò, sbucando dai rami e sorridendo.

-Lo vedo, Gwen, ora mi nascondo! Mi raccomando!

-Ma...

Troppo tardi: era già sparita fra le foglie. In mezzo alla stradina, Lancelot stava camminando a testa bassa, con le mani in tasca. I capelli erano scompigliati da un vento freddo. Gwen si tolse un ricciolo da davanti al viso, mettendolo dietro all'orecchio. Si guardò intorno. Avrebbe dovuto venire anche Elyan, peccato che quello aveva deciso di trovare lavoro proprio allora e partire per Roma.

-Gwen?

Il ragazzo la vide, indietreggiando.

-No, Lancelot: aspetta! Dobbiamo parlare!

-Di cosa? Sentiamo!

Gwen gli prese un braccio, avvicinandolo a sé e mettendolo alla luce di un lampione che si era acceso in quell'istante.

-Di quello che credi io abbia fatto.

-Io non lo credo: lo so.

Lui spostò la mano della ragazza dal braccio, per poi voltarsi e ricominciare a camminare.

-Era mio fratello!

-Dopo anni che stiamo insieme, ora spunta questo fratello: le avevo sentite veramente tutte, ma questa è veramente assurda.

-No, ascoltami!

-Perchè dovrei?

Un attimo di silenzio. Gwen lo sapeva che non doveva stare zitta, non in quel momento: ne dipendeva la sua felicità.

-Perchè io ti amo, non ti ho tradito e adesso tu mi farai spiegare la situazione, dovessi morire nell'intento!

L'eco della sua frase urlata si perse nel piccolo parco. Lancelot si fermò un attimo, la guardò. Sembrò pensare. Socchiuse gli occhi. Una smorfia sul viso, si rivoltò, lei gli si parò davanti non facendolo passare, lui le gridò di lasciarlo andare, lei disse di no, che doveva dirgli tutto, lui la scansa con una mano (attento a non farle niente), ma poi...

-Cosa?

Lancelot si girò. Morgana.

-Che cosa...?

-Adesso basta, cretino. O ascolti Gwen o giuro che ti darò un cazzotto talmente forte da farlo sentire a tutti i tuoi parenti. Fermo. E ascolta.

-Morgana...

-Non devi parlare a me, Gwen.

La castana annuì e, guardando con determinazione davanti a sé, cercò di spiegare la situazione.

-Vedi, mio fratello se ne andò da casa quando noi ancora non ci eravamo incontrati. Noi lo cercammo molto, ma lui ci mandò delle lettere dicendo che stava bene e che stava insieme a degli amici di famiglia. Noi cercammo di credergli, ma continuammo a cercare di farlo tornare a casa. Un giorno, non ci rispose più. Da allora, ricerche esasperate e poi la sconfitta. Elyan, così si chiama mio fratello, non voleva tornare a casa. La realizzazione del tutto fu completa molto dopo questa consapevolezza. Fu difficile. Per tutti. Poi, un giorno, ritornò. Disse che stava trovando lavoro e che presto si sarebbe sistemato. Non puoi capire la gioia di tutti: abbracciarlo, parlargli... La felicità era troppa anche per mio padre, che non lo sgridò neppure! Per un mese lui restò da noi, ma poi se ne riandò. Per due anni fu ancora silenzio. Poi ritornò da me, il giorno in cui tu hai pensato che io ti avessi tradito, mi disse che era stato licenziato e mi disse che fino ad allora aveva vissuto a Dublino e che era tornato e stavolta per sempre...

Lancelot non la guardava neanche. Il suo viso non cambiava espressione. Sembrava quasi non crederle, tanto la sicurezza era stata forte. Le mani ancora in tasca, con le dita artigliate una al cellulare, l'altra a un pacchetto di fazzoletti. Morgana lo guardava. Si sentiva osservato. Da parte di Gwen, attesa. Ma cosa si aspettavano da parte sua? Gioia? Indifferenza? Cosa pensavano che quella storia rappresentasse per lui? Insomma, lei aveva avuto il coraggio di tradire il suo ragazzo una volta, non avrebbe potuto farlo ancora? Lei per Lancelot non era mai stata una certezza. La continua gelosia tenuta a freno, le sicurezze tutte sul filo di un rasoio, ogni pensiero e idea non facevano altro che rimandarlo a quella possibilità: se gli avesse mentito. Non l'avrebbe mai perdonata. La più minima prova nella sua testa si tramutava in certezza: era un continuo sbagliare, cadere per poi rialzarsi e vedere che si era sbagliato. Poteva sbagliarsi anche quella volta, era vero.

-E se semplicemente io non volessi più stare con lei?

Sarebbe stato difficile. Anche se ogni dubbio e paura sarebbe scomparsa, il vuoto sarebbe rimasto, freddo, tenendolo in solitudine. No, non sarebbe stata la scelta migliore, anzi. Che disastro. La pressione in lui era viva e si faceva sentire. Le mani giocherellavano con i fazzolettini. Gwen lo guardava. Morgana lo guardava. Secondi che parevano interminabili. Qual era la scelta più giusta? Se solo avesse avuto la certezza che la ragazza non stava mentendo... l'amore che lei provava era vero, lui lo sapeva, non poteva dubitare di quello. Ma era forte quanto la volontà? Quante domande. E le risposte sembravano così semplici, ma a Lancelot sembravano troppo facili per essere quelle. Un eterno indovinello.

-Non... so...

Morgana sbarrò gli occhi. Lancelot si sentì tirare per il colletto. Gwen si mise una mano davanti alle labbra: no, non stava andando come nel piano.

-Senti, non so chi credi che Gwen sia, ma ti assicuro che se non crederai a quello che dice trasformerò la tua vita in un inferno come ora lo è la sua di vita. Lo capisci o sei scemo? Se volevi delle sicurezze, tanto valeva che a suo tempo restavi con Merlin, tanto fedele, lui. Lui, non te.

Dolore. Il ricordo del pugno, della chiusa allo stomaco, della gioia, e anche del senso di colpa, il nascondersi, il sorridergli per nascondere la verità. Tutto nella testa e nello stomaco, come un turbine di emozioni.

-So cosa stai pensando. Gwen non ti dà certezze, ma pensaci: lei ne ha con te? Ha mai dubitato? Sai, non mi sembra proprio.

Aveva ragione.

-Quindi, torna con lei, perchè la ami e lei ti ama. Non credo servi altro motivo.

Gwen sorrideva all'amica, riconoscente. Lancelot la guardò un attimo, per poi abbassare lo sguardo.

-Guardami negli occhi quando ti parlo, o sei diventato codardo?!

Cosa aveva detto? Codardo? No, questo mai.

-Come ti salta in testa?

-E allora guarda in faccia alla realtà e non scervellarti nelle tue supposizioni, che non sono altro! Liberatene! Non capisci quanto ti stai facendo male?

Lancelot guardò Gwen un attimo. I suoi occhi. Gli erano mancati. Poi, tutto accadde in fretta: Morgana si scansò per farli unire in un dolce bacio. Beh, come lite non era durata quanto si aspettavano. Ma per loro era durata fin troppo.

 

Non era certa. Aveva infuso coraggio e ottimismo a Gwen, ma lei in corpo non ne aveva proprio. Quant'era ipocrita. Si faceva schifo. Aveva quasi urlato a Lancelot che era diventato codardo. Non era vero. Quello era un discorso da fare a se stessa.

-Ma cosa ti prende? Reagisci!

Niente. Tra le strade, sotto i lampioni, nei negozi chiusi, nelle grida che escono dai pub ancora aperti, non c'era altro che vuoto. Aveva paura, Morgana. Era un'ossessione. Stava morendo per quel continuo pensiero, il pensiero di... non voleva neanche nominarla. Era viva. Si sentiva un mostro, un mostro ad averle fatto evitare la galera. Erano tutti sentimenti e pensieri che tornavano in continuazione, in un replay che di sano aveva ben poco. Morgana era pallida. Pallida come non lo era mai stata in vita sua. Non riusciva neanche a specchiarsi. Era sicura, era certa che prima o poi lei sarebbe stata una vittima. Forse era solo suggestione, ma...

-Morgana? Che fai qui a quest'ora?

La donna si riscosse. Neanche si era accorta di aver suonato da Morgause. Era come una sorella per lei.

-Mi serve qualcuno che mi distragga...

La bionda si stava stropicciando gli occhi. Morgana abbassò lo sguardo: aveva interrotto una bella dormita.

-Entra dentro. So come fare.

La mora entrò.

-Morgana?

-Sì?

-Conosci qualche trucco di magia?

 

Nel sogno era bella. Non lo era solo là, ma lo era stata anche nella realtà. I ricordi erano tutti confusi adesso, erano tutti dei pozzi senza fondo. Non avevano suono o non avevano colori. E lei era lì, gentile, con il suo sorriso, i capelli biondi. Non sentiva niente, solo vento, poi sabbia, poi foglie, poi caldo e freddo. Era tutto così caotico e in disordine, stravolto. Nuove consapevolezze di facevano largo in quelle che fino a un momento prima sembravano realtà insindacabili. E c'era Arthur. Aveva visto le foto di quando era bambino. Assomigliava tanto alla madre. Arthur. Arthur Pendragon. Bello, suonava! Però... Tutto cadde improvvisamente, con il discorso che aveva fatto con Hunith nella testa. Ne avevano parlato seriamente, davvero. Non riusciva a toglierlo dai pensieri. Era tutto come un carosello di parole e ricordi. Una melodia continua. Sospirò. Era da tanto che non sognava...

-Uther!

L'uomo sbarrò gli occhi, trovandosi davanti un Gaius stravolto.

-Che è successo?

-Bob!

-Chi?

-BOB!

-E chi è?

Lo psicologo allungò un cellulare verso di lui.

-Aaaaah, Bobby!

-Uther, che cos'ha?

Il comico lo guardò intensamente: sarebbe stato un ottimo personaggio. Prese il cellulare in mano. Lo aprì. La batteria c'era. Cercò di accenderlo.

-E' morto...

-COSA?

-Non nel vero senso del termine!

Gaius emise un sospiro di sollievo. Uther lo guardò e sorrise. Cercò nuovamente di accenderlo. Ah, ora rispondeva: batteria scarica. Non aveva premuto abbastanza il bottone.

-Gaius?

-Allora, cos'ha? E' grave?

-No, si è solo scaricato: prendi il caricabatterie e ricaricalo.

-...Caricabatterie?

-Sì, una cosa con una spina e un lungo filo che termina con una cosina di metallo.

Gaius sembrò pensarci un attimo.

-Ah, quello. Meno male che non l'ho buttato!

Uther scosse la testa divertito: meno male che era l'altro lo psicologo.

-Quindi è come l'altra volta, quella col “ti-ti-ti-ti”!

-Esatto.

-Quindi non stava male.

-No.

Silenzio.

-Grazie mille, scusa il disturbo.

-Niente.

Gaius uscì dalla stanza, sussurrando un “Non fare più questi scherzi, Bobby”. Uther sospirò. Dov'era? Ah, sì. In effetti era da davvero tanto che non sognava...

 

Arthur mise il DVD nel lettore, mentre Merlin accendeva la tv. Il Tintagel ridacchiò: aveva noleggiato un film horror. Non ne avevano mai visti insieme, ma se tutto andava come previsto, il moro sarebbe corso da lui, abbracciandolo. Ooooh, come nei film, sì sì, sarebbe stata una buonissima cosa. Il suddetto moro lanciò un'occhiata interrogativa all'altro, notando il suo ghigno, e il biondo gli porse i pop-corn che avevano preparato. Guardò al divano. Pizza (vera, fatta da italiani, e non da quei buzzurri delle pizzerie inglesi), coca-cola, pop-corn, patatine e... ma sì, un preservativo sotto al divano, non si sapeva mai.

-Arthur, il film sta iniziando, vieni accanto a me!

L'uomo sorrise, sedendosi su un cuscino accanto al compagno, mettendogli una mano intorno alle spalle. Il film iniziò subito con del sangue. Molto sangue. E continuò con del sangue. Tzè, americanate piene di zombie. Peccato che stavolta facevano davvero paura. Nonostante tutto era fatto bene, come film, e c'era molta suspence. Molto horror psicologico, tanto quanto il sangue, il che era molto raro. Arthur gettò un'occhiata al titolo: “The blame”. Beh, almeno era un titolo minimo. Prometteva bene. Il biondo sentì la mano di Merlin stringergli una manica della maglietta, il volto del ragazzo sopra la sua spalla. Uh uh, andava bene. Ma non erano neanche a metà film! Chissà se...

-ODDIO!

Arthur saltò in aria per un improvviso urlo. Merlin lo guardò. Il biondo rise imbarazzato, rimettendosi vicino al moro. Non andava bene. Si era spaventato lui e Merlin non aveva fatto altro che guardarlo in maniera strana. Troppa tensione. Non doveva crollare, non sarebbe crollato. Era certo che Merlin alla fine si sarebbe aggrappato a lui urlando.

-Aggrappato... urlando... intendiamoci, Arthur, non nell'altro senso, che è comunque ben accetto.

Il Tintagel si risistemò sul cuscino, quando fu scosso da un brivido. Oh no... il protagonista stava entrando in una casupola abbandonata. Uno schizzo di sangue, poi l'uomo che fuggiva con una mano alla spalla ferita.

-Non cedere, non cedere, non cedere!

Furono le ultime parole di senso compiuto che Arthur riuscì a pensare. Trenta secondi dopo si era appiccicato a Merlin. Mezz'ora dopo lo stava stringendo come se ne dipendesse la vita. Un'ora dopo stava urlando “E' in quella casa!! Non entrare!! E' laaaaaaaà!!!!!”. Il moro lo stava consolando con tutto se stesso, baciandogli il capo e accarezzandogli i capelli.

-Vedrai che non muore, Arhur: è il protagonista e il protagonista non muore mai.

Il biondo annuì poco convinto, cercando di approfittare della situazione affondando il viso sotto il collo del ragazzo. No, non stava facendo finta: aveva una paura matta. Però se proprio doveva fare la figura della donzella in pericolo, almeno riuscisse a ricavarne qualcosina! In ogni caso alla fine il protagonista morì, traumatizzando Merlin. Arthur era sdraiato su di lui tremando. Il biondo si rassicurò pensando che almeno nessuno l'avrebbe mai saputo.

-Beh, Arthur: non pensavo fossi così pauroso. Quanto sei carino!

-Cosa?

Si alzò immediatamente.

-Io non sono... carino!

Sputò quella parola come se fosse blasfema. Il suo orgoglio era decisamente andato a farsi fot... volevo dire, a put... insomma, era decisamente andato.

-Sì, invece: sei carinissimo!

-Come osi...?

Merlin lo baciò, sfregando il naso contro il suo collo.

-Allora? Suppongo che il tuo piano funzionasse così, no?

Arthur degludì. La voce di Merlin era così vicina, il suo respiro sapeva di pop-corn.

-Sai, Merlin... io adoro i pop-corn...

Il biondo lo attirò maggiormente a sé. Beh, nonostante tutto mica stava andando così male!

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Sì, è vero. Me la sono presa comoda. Per il capitolo extra, beh, ne avevo iniziato uno per cui dovrete attendere molto, perchè è una specie di one-shot in mezzo alla storia ed è molto lunga. Nonostante ci abbia lavorato moltissimo, non sono neanche arrivata a metà. Invece ne ho un altro che ancora non ho scritto che però dovrei metterlo tra pochissimo, perchè dopo lavorerò solo su quello. A voi la scelta. Ne preferite uno più carino però a data... diciamo che la fine del mondo arriverà prima (XD) oppure uno meno carino, più corto e subito?

In ogni caso spero vi piacciano i capitoli. Ah, e BUON ANNO e soprattutto AUGURI COLIN!

Kiss



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Capitolo 24
*** Capitolo extra 1*Pandora's Shadow ***


Capitolo extra 1*Pandora's Shadow

Pairing: Merlin/Arthur

Dedicato a fliflai, che recensisce sempre, nonostante tutto ;D Grazie!

1 anno dopo la loro partenza da Roma (ovviamente nel prossimo capitolo il tempo ritorna a quando stanno ancora in Italia)

 

Ok. Sì, va bene, era stata colpa sua. Si erano persi in una sottospecie di labirinto, in una città fantasma, di notte. E' vero, avrebbe potuto tranquillamente consultare la mappa fin dall'inizio, ma, seriamente, non credeva ci fossero così tanti passaggi e così tante svolte. Gli avevano detto che era facile sorpassarlo e invece... tzè, stupido tizio coreano, se non fosse stato per lui, Arthur non l'avrebbe presa tanto alla leggera. Il biondo guardò Merlin, che con un incantesimo stava bruciando l'ennesimo nemico. Era diventato bravo. Più bravo di lui. Se avesse continuato così, alla fine sarebbe stato lui a trovare la Scatola di Pandora. Da quando la Grande Ombra aveva invaso il mondo, degli strani esseri erano spuntati dalla terra e dalle fiamme e loro due erano stati scelti. Scelti per riportare la Luce.

-Arthur, attento!

Il biondo si girò, appena in tempo per vedere un essere arrivargli addosso, per poi ucciderlo con un solo colpo di spada.

-Cos'era?

-Un serpente a due teste. Fortunatamente hai tagliato tutte le teste contemporaneamente.

Il biondo annuì, prendendo alcuni artigli della creatura (sarebbero stati utili: Merlin avrebbe potuto farne pozioni).

-Adesso, Arthur, potresti consultare quella cavolo di mappa?

-No, non ci siamo persi!

-COSA? Ok ok, calmati, Merlin, ragiona. Come sarebbe a dire che non ci siamo persi?

Merlin si mise due dita al centro della fronte, respirando lentamente. Il biondo non rispose, semplicemente si girò e andò verso un'altra strada.

-E' sicuramente qui.

-Ne sei certo?

-Sì. Non a caso sono il grande Arthur...

-Se se, va bene.

Il moro lo seguì, facendo svolazzare il mantello e legandosi alla cinta il piccolo scettro con il quale gettava le magie più potenti. Era un oggetto bellissimo, di legno, con delle pietre preziose che riflettevano la luce della pietra centrale, che era illuminata dalla magia. Intorno ai rami che reggevano le altre gemme c'erano strani simboli. Simboli di magia, fortuna, elementi... Il biondo continuò ad avanzare lentamente, evitando accuratamente di fare rumore. Improvvisamente si sentì un ululato.

-Lupi?

-No, credo siano i fantasmi.

Un essere bianco e lucente comparì loro dietro la schiena, colpendoli e graffiandoli.

-Merlin!

Il ragazzo aveva un grande graffio sulle spalle. Il biondo impugnò la spada e cercò di assalire il fantasma. Inutile. L'essere sparì per poi ricomparire dietro di lui, colpendolo. Fortunatamente Arthur aveva un'armatura, che gli assicurava almeno un po' di sicurezza. Ma Merlin stava ancora a terra. La mano pallida del ragazzo si stava pian piano allungando verso lo scettro, per prenderlo e far sparire una volta per tutte il fantasma, ma il mostro lo colpì ancora. L'altro cercò ancora di fare un affondo. Mancato. Ancora. Mancato. Il fantasma lo colpì da davanti, a destra, sul fianco. Il biondo si piegò in due dal dolore. Sangue.

-Arthur! Resisti!

-Merlin!

Il moro colpì il fantasma con uno degli incantesimi più deboli, stordendolo, per poi afferrare lo scettro e... una luce investì l'essere facendolo sparire. I due si guardarono. Ce l'avevano fatta. Si abbracciarono, ma...

-CAVOLO, ARTHUR!

-L'HO FATTO PER SBAGLIO!

-COSA HAI FATTO!

I due si guardarono, per poi fissare i telecomandi wii e la tv su cui troneggiava la scritta “No signal”.

-Hai... spento... il... gioco...

-Non... è stato per sbaglio... io...

-DOVREMO RIFARE TUTTO DALL'INIZIO, TI RENDI CONTO, ASINO?

-Non volevo!

Merlin lo guardò, buttando il telecomando sul divano e avvicinandosi pericolosamente ad Arthur. Gli puntò un dito contro, con lo sguardo che lanciava fiammate.

-Tu... ero anche salito di livello e avevo imparato un nuovo incantesimo!

-Scusa!

-Ok. Ti ricordi quando mi hai ristretto i vestiti?

-Sì...

-STESSA PUNIZIONE: ASTINENZA.

Arthur rimase a bocca aperta. Urlò qualcosa come il fatto che non poteva usare due volte la stessa punizione. Lui gli si avvicinò.

-Hai ragione, enormemente.

Il biondo inghiottì a vuoto. Il moro gli si avvicinava con uno sguardo che ben poche volte aveva visto sul suo viso e che ben poco gli si addiceva. Merlin gli mise una mano sulla spalla, premendo le punta delle dita.

-Se quella sera con il film horror la tua reputazione è crollata, ne potrei bruciare anche le fondamenta. Che dici?

Arthur sudava freddo. Non sapeva cosa gli avrebbe fatto, ma sapeva che non era una cosa bella. Beh, forse lo sarebbe diventata, ma sicuramente Merlin non intendeva quello. Sarebbe stato troppo bello.

-Dovrai...

Cominciò a sussurrargli all'orecchio la punizione, ridacchiando e compiacendosi della sua malvagità. Ooooh, sarebbe stata una vittoria dolce.

Tre ore dopo a casa Pendragon Senior

-Arthur?

Davanti alla porta di Uther c'era un biondo vestito da ragazza.

-Buonasera, padre...

 

 


Note: Vabbè, senza pretese. Solo una domanda: credevate fosse vero, eh? MUAHAHAHAHAH! Bene. E mi raccomando recensite, che mica mordo, sapete! Fliflai, spero ti piacce u_u Kiss a tutte voi!

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Capitolo 25
*** Strada facendo ***


Strada facendo

 

Arthur stava nel suo ufficio. Erano tornati da Roma il giorno prima. Stava disegnando. Deciso quell'affare, non avrebbe avuto niente da fare per un po' di tempo (forse qualche ora, a dire tutta la verità, ma al biondo sembrava l'eternità). Era sempre Merlin il soggetto dei suoi disegni. Ne tratteggiò il viso, gli abiti, le mani strette intorno al giubbotto nero con cui l'aveva vestito, il vento che lo avvolgeva, un paio di bellissime ali bianche che gli spuntavano da dietro la schiena. Sorrise. Avrebbe dovuto smetterla e cercare altri soggetti che lo ispirassero. L'ultimo disegno che aveva fatto, lo aveva creato a Roma: un ritratto di Merlin che stava dormendo accanto a lui con la camicia bianca addosso e il petto che si intravedeva dallo spazio lasciato aperto fra un bottone e un altro. Richiuse velocemente il blocco quando il soggetto delle sue opere entrò, con una pila di fascicoli tra le mani. Il segretario richiuse il portone con il piede, lasciando quello che teneva in braccio sulla scrivania del capo.

-Che cosa sono?

-Delle cose che ti devi studiare.

-Mph... posso prendermi un'altra oretta di vacanza?

-No.

-Cosa?

-No, aspetta, sono magnanimo: ci ripenso.

Il moro si mise sarcasticamente in atteggiamento pensieroso.

-Mmmm... Fammici pensare ancora... no.

Arthur mise su un leggerissimo broncio.

-Segretario crudele. Forse dovrei licenziarti.

-Non lo farai perchè sono un ottimo segretario.

-No, sei il peggiore che un uomo con un'azienda possa avere.

Il compagno sorrise, battendo le dita sui fascicoli e lasciandolo con una parola in labbiale: “Asino”. Il biondo sospirò, lasciandosi andare sulla sedia e infilando il blocco da disegno in un cassetto, chiudendolo a chiave. Merlin era davvero bravo, ma Arthur non l'avrebbe mai ammesso. Non mentre c'era l'altro nel raggio di qualche km. Sbuffò, leggendo i primi fogli che gli si presentavano davanti, per poi cestinarli: aveva tempo per le interviste, lui?? Da dietro la porta, sentì qualcuno parlare con Merlin.

-Ti prego, fa che non sia per me; ti prego, da che non sia per me; ti prego, ti scongiuro...

E non era per lui. Sentì Merlin mandare via lo sconosciuto, ringraziandolo e tornare alla scrivania.

-Sì! Grazie!

Arthur non avrebbe mai pensato questo se avesse saputo cosa in quel momento stringeva nelle mani il suo compagno. Il moro stava leggendo un bigliettino in cui troneggiava la scritta “Da Gwaine <3”. L'uomo sbuffò, guardandosi intorno per vedere dove mettere i fiori che gli erano stati portati. Adocchiò un attimo il cestino. Era un regalo, non poteva buttarlo. Inoltre i fiori erano molto belli, bianchi, rossi e gialli. No, non poteva buttarli, seriamente. Si guardò ancora intorno: nessun vaso, nulla in cui metterli. Sbuffò, scendendo per le scale che portavano ai vari uffici e alll'ingresso: forse in portineria gli avrebbero dato qualcosa in cui metterli...

-Miss Hussain, posso sapere dove trovare un vaso in cui mettere questi fiori?

La donna stava parlando al telefono. Lo guardò, per poi indicare le scale e imitare in labbiale il nome “Mr Morris”, mentre annuiva alla persona dall'altro capo del telefono.

-Grazie.

Il moro andò nella parte indicata, mentre sentiva Miss Hussian che diceva “Sì, sono tornati ieri”. Si allontanò troppo e non potè sentire la conversazione.

-Sì, signora, Mr Tintagel è nel suo ufficio in questo momento. Appena si libera, chiederò al segretario e la richiamerò. Sì. Sì. Sì, assolutamente. Non si preoccupi. Come? Un appuntamento fuori dall'ufficio? Non so se glielo concederanno. Mh mh. Sì. Chiederò. Arrivederci.

 

Hunith spinse il tasto di fine chiamata, guardando Uther.

-Tuo figlio è tornato in Inghilterra, Uther.

-E allora?

-Non vuoi vederlo?

-Neanche per idea.

-Uther!

La donna lo guardò contrariata.

-E' tuo figlio! Ne abbiamo già discusso.

-Beh, non mi conosce e nessuno sa della cosa. Quindi possiamo far finta che nulla sia accaduto e tornare alla nostra routine da ricconi.

-Uther!

-Che c'è?!

-Non fare il bambino: sei un uomo di quarant'anni, cavolo! E' ora che tu dimostri un po' di maturità e di serietà!

-Sono un comico, Hunith: come faccio a dimostrare serietà?

La donna gli si avvicinò, assottigliando gli occhi.

-Prima di tutto sei un padre e ti dovresti comportare come tale...

Uther la guardò un attimo in silenzio, per poi alzare un indice e aprire la bocca. Richiuse la bocca e rimise la mano dove stava prima. Hunith si allontanò, con due dita sulle tempie. Un sussurro.

-Ma nessuno ne è a conoscenza...

-UTHER! Se non ci andrai tu, ci andrò da sola!

-NO!

-Oh, sì!

-...Senti, se ti prometto che ci penserò, tu non ci andrai?

-Mh.

-Prometti che non ci andrai.

La donna si mise a pensare, prima di annuire. Uther non si accorse delle dita dietro la schiena che si incrociarono.

 

-Arthur?

-Sì?

-C'è una signora che la vuole vedere.

-Chi è?

-Non lo so, ma le avevo già preso un appuntamento. Si chiama Hunith Eldor.

-Hunith Eld... ma non è la fidanzata di Pendragon?

-Potrebbe.

Il biondo guardò un attimo alle scartoffie che aveva sulla scrivania. Non riusciva a capire cosa quella donna volesse da lui. Non ne aveva alcun motivo, non c'era alcuna ragione per cui lei potesse venire là, nessuna! Si mise più comodo sulla sedia, pensando ancora. Merlin attendeva.

-Falla entrare.

-Subito.

La curiosità lo stava divorando. Cosa voleva Hunith Eldor?

-Ecco, si accomodi.

-No... vorrei parlare con entrambi fuori dall'ufficio.

Arthur alzò lo sguardo verso la signorina. Era molto più bella dal vivo. Aveva un viso preoccupato e leggermente imbronciato: se sapesse che era impossibile, Arthur avrebbe potuto credere che quella era la madre segreta di Merlin! Ahah!

-Perchè non vuole parlare qui, signorina?

-E' una questione personale e molto delicata. Vede, io e Uther (lo conoscete, no?) siamo venuti a conoscenza di... di un segreto che vi coinvolge. Lui non è potuto venire perchè... beh, sapete cosa gli è successo: un'aggressione! Ancora non vuole uscire. Ma, ecco, non si può più aspettare. Lui non sa che io sono qui, ma se aspettiamo lui è probabile che non verrete a sapere mai quello che vi vorrei dire. Il vostro amico può sentire: del resto ho letto che state insieme e mi sembra giusto che anche lui sia fatto partecipe della scoperta.

Arthur rimase in silenzio. Gli occhi esprimevano una grande sorpresa.

-Beh, potrei sapere di cosa parla questo segreto?

-...Di vostra madre.

 

Morgana parlava al telefono animatamente.

-Dunque Elyan sta a cena con noi: abbiamo sistemato tutto!! Grazie, Morgana! Se non fosse stato per te...

-Non ti preoccupare Gwen, non c'è nulla di cui mi devi ringraziare.

-Sì, invece! Non so come potrò mai ripagarti...

La ragazza imboccò una stradina solitaria, mentre rispondeva all'amica. Non era ancora sera: c'era, sì un bel tramonto. Quella giornata era stata una delle più belle che avesse mai visto a Londra. In cielo non c'era stata una nuvola e pure la temperatura si era alzata. La luce entrava di sbieco nel violottolo che stava percorrendo.

-Quando Elyan mi ha detto che stava tornando in Inghilterra ho tirato un sospiro di sollievo. Sai, ho sempre il timore che non torni... sai come è fatto, no? Libertà, viaggi... Non credevo sarebbe veramente tornato. Ma adesso Lancelot è andato a prenderlo all'aereoporto.

Morgana sorrise, mentre rispondeva che era felice per lei. Sì, sapeva com'era Elyan: dire che era inattendibile era un eufemismo. Almeno sembrava che avesse messo la testa a posto. Più o meno. In realtà né lei né Gwen ne erano totalmente sicure.

-Ha detto che ha comprato tantissimi souvenir. Dice che a Roma si stava benissimo e, anche se gli italiani dicevano che faceva freddo rispetto agli anni scorsi, lui a maniche corte sentiva caldo. E pensare che sono dovuti stare tutto in abito elegante! Pensa che caldo, poverini.

-E il cibo? La cucina italiana, cioè: deve essere stato un paradiso!

-Sì: ha detto che era tutto buonissimo. Non ha mai mangiato niente di meglio. Dice che un giorno ci dovremmo andare anche io e Lancelot.

Morgana disse che sarebbe stata un'ottima idea. Ma improvvisamente un rumore la colse. Sobbalzò.

-Morgana? Che succede?

-N... niente. Credo.

Uun altro rumore. Morgana cominciò a correre per il viottolo.

-Scusa, Gwen, ti devo lasciare.

-Ma... Morgana, cosa succede?

-Niente.

La ragazza attaccò. Corse più velocemente. La stradina stava per finire. Sorrise, ma il suo viso si spende quando sentì qualcun altro correrle dietro. Non si girò per non rallentare, corse più velocemente, quando...

-AAAAH!

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Sì, me la prendo sempre comoda XD In realtà il capitolo ce l'avevo quasi finito da un bel pezzo, ma non mi soddisfa mai -.-” In ogni caso, ho già fatto delle bozze di quello che accadrà nei prossimi capitoli: la storia finirà al capitolo 31.

Comunque... cosa sarà successo a Morgana? Vabbè, credo lo sappiate tutte quante. Riuscirà Uther a incontrare Arthur? Sapete anche questo. Wow, sono molto prevedibile -.-” Vabbè, ma c'è quella cosa che sicuramente non immaginate =D Sì, vi stupirò con quella u_u Uh, e poi... SI'! C'è anche un'altra cosa... Vabbè, provate a indovinare tutto XD

Kiss

 

P.S. Il titolo è riferito a Morgana.

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Capitolo 26
*** Pericolo scampato ***


Pericolo scampato

 

Morgana aprì leggermente gli occhi. Tutto era bianco intorno a lei. Non si sentiva il corpo, era come se l'anima cercasse di rientrarvi. Dei contorni cominciarono a formarsi nella sua mente dai pensieri sbiaditi e lontani. Delle voci le giungevano ovattate. Quando le sue palpebre si aprirono del tutto, si mise debolmente una mano davanti al viso per l'improvvisa luce. Quando si abituò alla luminosità, si guardò intorno.

-...L'...L'ospedale? Come ci sono finita in questo posto?

Si stiracchiò nel lettino, gettando uno sguardo qua e là, aspettandosi qualche medico o qualche infermiera attorso a sé. Nessuno. Piano, facendo attenzione, si mise seduta sul cuscino. I capelli erano spettinati e i boccoli neri cadevano scomposti sulle spalle e sul petto. Si passò le mani sul viso, aprendo gli occhi con le dita. Fuori dalla finestra si sentivano dei bambini chiedere alla mamma del gelato. La ragazza si stiracchiò, ruotando le spalle all'indietro e facendo passare le proprie dita fra i capelli, sistemandoli.

-Una benda?

Cavolo. Non era mai entrata in un ospedale per lei ed ecco che in pochissimo temppo ci era già entrata due volte. Una per incidente stradale (ancora si ricorda il funerale di quell'uomo: non c'era nessuno) e adesso per... per che cosa l'hanno portata là?

-Avevo... paura.

Già, aveva paura, ma perchè? Correva, sì, era vero, però...

-Finalmente vi siete svegliata.

-Mh?

Davanti a lei c'erano Morgause e una donna, probabilmente un medico dall'abbigliamento.

-Cosa è successo?

-Siete stata assalita. Fortunatamente dei poliziotti stavano lì vicino e vi hanno soccorsa: temo davvero che se non ci fossero stati loro, adesso non sareste qui. Ne hanno parlato anche ai telegiornali. La polizia, un uomo e una donna, hanno sentito un urlo, il vostro, e hanno corso verso una stradina. Là, hanno visto voi svenuta e una giovane donna con un coltello. Vi voleva uccidere, era più che evidente. Stanno attualmente indagando sul movente: credono che sia stata per una rapina, ma non ne sono certi. Adesso che vi siete svegliata... no, magari faccio venire i vostri salvatori domani.

-Sì, magari. Sono un po' scossa.

-E' perfettamente normale.

-Ma sono stata colpita alla testa?

-Sì, crediamo con il manico del coltello.

-Mh.

Morgause si fece avanti, dicendo alla dottoressa di lasciarle sole per un po'.

-Certo: fa bene avere una persona vicino. Siete sua sorella?

Morgana rispose.

-No, non è mia sorella: magari lo fosse!

-Ah, ho capito. Bene, vi lascio a chiacchierare.

-Grazie.

La donna uscì, mentre Morgause si avvicinava al lettino dove stava la mora.

-Stai bene?

-Come posso stare bene se sono stata aggredita?

Silenzio.

-Vedo molta angoscia nei tuoi occhi. E, se ti conosco davvero, credo non sia dovuto tanto all'aggressione in sé.

-E' chi l'ha compiuta il problema. Oh, Morgause, non so cosa pensare.

-Hai paura?

-Cosa?! No!

La donna alzò un sopracciglio, sedendosi sulla poltroncina vicino al lettino e guardandola con severità.

-Dimmi la verità, Morgana. Cos'è che ti spaventa così tanto?

-Non lo so neanche io. Ho il timore...

Un altro sguardo serio partì dagli occhi di Morgause.

-...il terrore che io non riesca più a gestire le mie emozioni. Da quando Sophia (tu sai di chi sto parlando, no?) è caduta nel Tamigi e non è stata più ritrovata ho la continua impressione che mi guardi e che mi segua, costantemente. Poi il ritorno di quelle strane aggressioni e quegli strani omicidi, il fatto che io stessa sia stata assalita! No no, mi sembra troppo strano. Io sono sicura che lei sia viva! E sono sicura che ce l'abbia con me perchè ho aiutato la polizia a trovarla! Ne sono sicura, ne sono veramente certa. Non ridere, per favore.

-Non sto ridendo. Anzi, mi sembra che i tuoi sospetti siano, dopo tutto, fondati. Mi ricordo la foto di Sophia al telegiornale e la descrizione dei poliziotti sembra proprio la sua. Sì, forse hai ragione, ma non farti prendere dal panico. Vedrai che andrà tutto bene.

Morgause abbracciò l'amica, facendo attenzione a non toccarle il punto dove era stata colpita. Se c'era una persona cui teneva ancora, era quella che aveva tra le braccia. La considerava praticamente una sorella, le voleva bene con tutta se stessa. Non poteva negare che aveva provato affetto per altre persone in passato, ma nessuna era riuscita a farsi chiamare “amica” in così poco tempo. Morgause aveva tanti conoscenti, basta. Aveva solo lei, solo Morgana e non avrebbe mai permesso che qualcuno gliela portasse via. Per lei era tutto in quel momento, era il suo mondo. Non aveva mai avuto una sorella... o meglio, l'aveva avuta, ma non l'aveva mai conosciuta. Quando i suoi genitori morirono, fecero in tempo a far partorire la bambina, ma furono mandate in due orfanotrofi diversi. Non ne sapeva neanche il nome. Sì, ecco, Morgana per lei era la sorella perduta, la sorella che non aveva mai visto né conosciuto. Sì, era quello. Era quello e se l'avesse persa avrebbe dato alle fiamme la città pur di trovare la causa della morte. E, trovato il colpevole, l'avrebbe ucciso con le sue stesse mani se fosse stato necessario. L'avrebbe fatto, eccome. Ma Morgana non aveva bisogno di sentirsi promettere vendetta (non ancora almeno), aveva semplicemente bisogno che qualcuno la salvasse da se stessa, dal baratro di ossessione dentro il quale stava vivendo. Si era appena confidata con lei: era un passo avanti. Ma quanti passi avanti doveva fare affinchè potesse definirsi ancora una persona “normale”? In fondo, c'erano in quei campi vere e proprie malattie... No, non era proprio il momento di pensare a certe cose. Doveva essere forte, positiva, sennò Morgana non sarebbe riuscita mai ad affrontare davvero la realtà. Là, fra le mura dell'ospedale, poteva ancora fuggirvi per un po', ma poi sarebbe tornata fuori. E i giornalisti? Le avrebbero fatto domande e lei come avrebbe risposto? E la polizia? Un periodo burrascoso stava arrivando e Morgause, seriamente, non si sentiva di avere il potere per salvare totalmente la sua amica.

-Finchè potrò, vorrò aiutarla...

Era vero. Era vero, cavolo, era proprio così. Ed era quello che bastava.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Allora? Lo sapete bene che io non sono per niente costante con gli aggiornamenti! E' una mia pecca. Fortunatamente, mi sono ripromessa che la prossima long la scriverò tutta prima, in maniera da aggiornare ogni domenica u_u Quindi, magari, la prossima riuscirete a leggerla in tempi brevi XD Se ovviamente vi interesserà.

Bene, questo capitolo è totalmente dedicato a Morgana e Morgause. Nel prossimo ci sarà il dialogo fra Uther e Arthur ;) Vi dico subito la data perchè, se è vero che non sono costante né coerente con gli aggiornamenti, è anche vero che, in realtà, quando do un “appuntamento” lo rispetto sempre u_u Quindi, prossimo aggiornamento il 3 maggio u_u *se lo segna sul cellulare in maniera che il 3 maggio alle 16 inizi la sveglia*

Kiss

P.S. Vi pubblicizzo la mia one-shot e una mia storia originali (che avevo già indicato in passato), che ha bisogno di lettori "freschi" XD

Vitam ago (vitam dego)

La nuova Regina

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Capitolo 27
*** Segreto ***


Segreto

 

Se c'era una cosa che non doveva accadere, secondo il grande Re Uther Pendragon, era proprio quella. Innanzitutto, non si doveva trovare il figlio gay davanti. Secondo poi, Hunith non doveva avere quella faccia compiaciuta (a casa avrebbero fatto i conti). Terzo, non ci doveva essere anche il fidanzato del figlio accanto a lei, oh, no, davvero, tutto, ma anche il compagno no! Uther si fermò di fronte ad Arthur, cercando disperatamente nella sua testa qualcosa da dire.

-Salve!

Il giovane uomo gli prese una mano, stringendola come per fare conoscenza.

-Innanzitutto vorrei dirle che io sono un suo grandissimo fan. Non mi perdo una serata del suo show e seguo i suoi sketch sul sito ufficiale! Davvero, lei è un genio! Riesce a dire battute, giochi di parole, freddure, riesce a recitare una qualunque scena, veramente: bravissimo!

-Uh, grazie.

Uther guardò Hunith con sguardo interrigativo a cui la donna rispose con un'alzata di spalle. Il biondo gli lasciò la mano.

-Ehm, mi scusi, non so cosa mi sia preso.

-No, no, anzi. Lei è... Arthur Tintagel, no?

-Sì.

L'uomo tirò fuori un foglio e una penna dalla tasca (a dir la verità ne portava sempre con sé a causa dei frequenti incontri con degli ammiratori, o delle ammiratrici).

-Vuole anche una dedica, oltre all'autografo?

-Un autografo?? Davvero?? Oh, Merlin, hai sentito? E tu che dicevi che non ne avrei mai avuto uno!

-Dunque...

Uther poggiò il foglio sulla gamba, alzandola. Tolse il tappo alla penna, portandolo fra le labbra, mentre scriveva qualcosa.

-Ecco qui.

-Oh grazie!

Arthur tossì, ammirando il foglio per poi metterlo in tasca, diventando improvvisamente serio. Sapeva perfettamente che non era lì per un autografo. Era lì per un'altra questione, un altro discorso, che non era sulla sua ammirazione per quell'uomo o per la sua comicità, né su fans e, no, non era neanche lì per dirgli che lui era uno di quelli. Era lì per qualcosa di molto più serio, un argomento che toccava nel profondo l'animo del biondo, la sua memoria e il suo amore per quella persona che era sua madre, quella persona che era morta. In realtà, preferiva non pensarci. Quando Hunith gli disse che avevano scoperto qualcosa su Igraine, Arthur sentì la propria memoria smuoversi, come se fosse stata addormentata fino a quel momento. In effetti, almeno in parte, era così. Quindi, eccolo lì, davanti a Uther Pendragon, i cui occhi sfuggivano al suo sguardo, che sembrava infastidito dalla sua presenza e, allo stesso tempo, ne sembrava sollevato. Lasciando che le proprie dita lasciassero il foglio con l'autografo e una dedica nella tasca, guardando quell'uomo, Arthur capì subito che non sarebbe stato facile parlare con lui. Percepiva da parte dell'altro quasi un'ostilità che si esternava sotto forma di fredda cortesia e di distacco.

-Signore, non sono qui per il vostro successo, sono qui per un motivo molto più serio.

Il comico alzò lo sguardo: non sembrava tanto divertente visto di persona. I suoi occhi erano di uno strano colore gelido e cupo; sembravano osservarlo attentamente come se il loro proprietario pensasse “Come devo muovermi per fare in modo da non dire niente?”.

-Ditemi.

-Ecco, preferirei non parlarne qui. Ho prenotato una tavola per quattro al ristorante “London Wind”. Vorrei che ne discutessimo là.

-Veramente, sa, sono appena uscito dall'ospedale e preferirei andare a casa.

Hunith si mise davanti ad Arthur, guardando attentamente negli occhi il comico.

-No, Uther, tu vieni con noi. Punto. Non accetto alcuna discussione. Noi ne dobbiamo parlare.

-Hunith...

-Non provare a dirmi niente con quella faccia da schiaffi che ti ritrovi. E' ora di dare una svolta a questa storia, altrimenti non la finiremo mai e tu resterai un povero vecchio triste e solo, acido e bisbetico, col pannolone e...

-Ho capito! Ho capito, basta, non c'è bisogno di continuare.

-Bene. Spero che tu abbia davvero compreso l'importanza della situazione. Vieni.

La donna si girò, facendo un cenno a Merlin, fino ad allora rimasto in disparte. I due presero i rispettivi fidanzati e quasi li trascinarono nel ristorante, scelto apposta per la vicinanza, dove Arthur aveva prenotato il tavolo. Mentre andavano c'era stata della tenzione sottile, ma quando si sedettero, questa tensione sembrò appesantirsi di silenzio e imbarazzo. Non era la situazione migliore in cui iniziare un discorso così delicato. E in qualche maniera, Merlin aveva il presentimento che se ne sarebbero andati senza aver concluso niente e avendo mangiato solo gli antipasti. Conosceva fin troppo bene la testa calda di Arthur e, anche se non poteva dire di sapere qualcosa del carattere di Uther, per quello che poteva intuire dal suo atteggiamento, sembrava anche lui un uomo testardo e che facilmente cadeva nell'ira. Purtroppo, non poteva immaginare quanto il discorso sarebbe degenerato.

-Dunque, stava dicendo...?

-La signorina...

-Hunith, ve l'ho già detto. Solo Hunith.

Arthur sorrise.

-Hunith mi ha detto che avete scoperto qualche notizia su mia madre. Mi ha anche detto che è abbastanza restio a parlarne, tuttavia spero che voglia venirmi incontro. Saprete di certo che Igraine, mia madre è... è deceduta anni fa e...

-Lo so. E sono molto sorpreso che Hunith sia venuta a parlarvi. Non mi aveva avvertito.

-Ah. Mi dispiace che la cosa vi dia fastidio.

-Non ho detto questo.

-Ma l'avete sottointeso o sbaglio?

Non ci fu risposta e, comunque, Arthur non l'aspettava.

-Dicevo che mi ha molto... beh, sorpreso, come diceva lei, la visita di Hunith e soprattutto mi ha colpito la scoperta di questo “segreto” su mia madre. E' per me un argomento molto delicato.

-Anche per me.

-Allora sono sicuro che riusciremo a parlarne.

L'uomo si alzò.

-Io non ne voglio assolutamente parlare.

-Ma io sono il figlio di Igraine. Ogni cosa sua mia madre coinvolge anche me direttamente! Ho pieno diritto di sapere cosa...

-E' giovane, non può sapere cosa è suo diritto e cosa non lo è. Non le do l'autorizzazione di immischiarsi in questa vicenda.

A questo punto, Hunith si alzò di scatto, posando una mano sulla spalla del comico.

-Come puoi dire una cosa del genere? Come può non immischiarsi in qualcosa del genere? E' coinvolto quanto te e molto più di me.

-Ma...

-E non mi dire che io non dovevo avvertirlo, Uther. Se non ci fossi io...

-Hunith, non ti permetto di darmi questo tipo di ordini. Sai bene quanto sia importante per me tenere assolutamente segreto quel che è segreto.

-Ed è importante farlo sapere anche a lui.

Ormai Arthur era stato totalmente stato escluso dalla conversazione. Intanto, arrivò il cameriere a prendere gli ordini, sotto gli occhi di tutti gli altri clienti del ristorante.

-Signori...?

Uther lo guardò, per poi fare un passo per andarsene, ma Hunith lo fermò, facendolo sedere al proprio posto. Poi, la donna si rivolse al cameriere e sorrise. Successivamente, guardò Arthur.

-Diciamo che intanto ordiniamo solo gli antipasti, è sei d'accordo?

-Sì, certo.

-Bene, antipasto misto per entrambi?

-Uh? Sì, sì.

-Anche noi due prendiamo degli antipasti misti.

Arthur si rivolse all'uomo che stava accanto al tavolo con una penna in mano, pronto a prendere gli ordini.

-Quattro antipasti misti intanto.

-Certo, subito.

Seguì qualche minuto di silenzio, ma solo a quel tavolo, poiché dagli altri veniva un chiacchiericcio sommesso. Merlin tossì, sistemandosi meglio con la sedia, guardando Arthur, che stava sistemando nervosamente il tovagliolo. Le cose stavano andando per il verso sbagliato, anche molto più velocemente di quanto si aspettasse. Il moro prese parola.

-Se possiamo continuare la conversazione da persone civili...

Gettò un'occhiataccia al compagno.

-...sarebbe l'ideale, soprattutto per non fare figuracce come prima. Quindi, signor Pendragon, ci riveli questo grande segreto.

Il comico guardò Merlin attentamente e, dopo un paio di secondi di silenzio, rispose con un secco “No”. Si sentì Hunith farfugliare qualcosa.

Rovinerei tutto.

Questo, questo diceva l'ultimo messaggio lasciato da Igraine a Uther, questo era il frutto di quella preoccupazione che fino a qualche giorno prima il comico trovava quasi insensata e che invece, in quel momento, vedeva realizzarsi sotto i propri occhi. Forse, se il figlio non fosse stato gay e si fosse innamorato come ogni persona normale in questo pianete, forse, anzi, sicuramente, avrebbe già rivelato la propria identità di padre, ma così, con quei sentimenti di fastidio e disprezzo che aleggiavano nel suo animo, come poteva? Come poteva accettare un figlio che non aveva cresciuto o educato, che rappresentava un sentimento, a parere di molti, distorto? Eppure quella stessa persona raccoglieva in sé tutti gli anni che Uther aveva passato con Igraine, in cui aveva amato Igraine, come non aveva mai amato nessun'altra, neanche Hunith, probabilmente.

-Se questa è la sua disposizione, non vedo motivo per continuare a restare qui. E' ovvio che non vuole condividere con me la vostra scoperta.

Hunith diede una gomitata a Uther, facendogli cenno di dire qualcosa. Il comico sbuffò.

-Vede, io conoscevo sua madre. Era stata una mia compagna di scuola e ho passato con lei molti anni della mia vita.

-...

-Molti, molti anni. Un giorno, però, lei scomparve, senza lasciare traccia, come se non fosse mai esistita. Da allora non la rividi più. Ecco, in realtà qualcosa lasciò del suo passaggio. Fu un biglietto.

-Un... biglietto?

Arthur si sporse in avanti, con gli occhi che gli brillavano. Intanto arrivò un cameriere con gli antipasti, che Merlin, Hunith e Uther si misero a mangiare.

-Già. Nessuno seppe mai cosa c'era scritto.

-Ah...

Il biondo si rimise composto sulla sua sedia, in parte deluso.

-Ma abbiamo scoperto che Igraine se n'era andata per non... diciamo... rovinare la vita del suo compagno. L'uomo che è suo padre, signor Tintagel.

Merlin si spaventò quando vide il suo partner saltare in aria, come se gli avessero dato una scossa. Era agitato. Ora c'era una nuova luce nei suoi occhi, la luce della speranza che aveva racchiuso agli angoli del cuore e della mente, quella stessa luce che da piccolo aveva espresso più volte, il desiderio di avere una famiglia completa, integra da cui venire. E quel desiderio era stato il suo compagno di viaggio e di avventure per tutti quegli anni. E in quel momento, sembrava che si stesse realizzando, che ogni sogno di quel giovane uomo stesse uscendo fuori e si stesse adoperando per far felice il suo possessore.

-Mio padre, mio padre!

Uther si alzò, col capo abbassato, in maniera che non si potesse vedere il viso.

-Mi dispiace, ho parlato anche troppo. Hunith, andiamo.

-No, aspetta.

Arthur dimenticò istantaneamente ogni forma di educazione, ogni forma di cortesia, afferrando il braccio del comico cercando di fermarlo.

-Aspetta, non posso essere lasciato così.

-Ho parlato troppo.

L'uomo si liberò da quella presa, per poi prendere Hunith e portarla fuori a forza. Appena usciti, Uther sospirò. Non doveva dire niente, non doveva dire niente: non era suo desiderio, non voleva assolutamente sapere niente di suo figlio o di chiunque a lui collegato. Non voleva assolutamente sapere.

Però quando si allontanò abbastanza dal ristorante, in un moto inconsapevole e istintivo, si girò.

 

Gwen entrò in casa, mettendo il giacchetto all'entrata. Era andata da Morgana. Possibile che quella ragazza si cacciasse sempre nei guai? Soprattutto da quando aveva conosciuto quella donna, Morgause... sinceramente, a Gwen non piaceva per niente. Era troppo fredda e misteriosa, i suoi occhi, a parer suo, avevano ben poco di umano. Non sapeva a quale punto arrivava l'affetto di quella bionda per Morgana, ma una cosa era certa: se l'avesse ferita in alcun modo, ne avrebbe pagato le conseguenze. Perchè Gwen, benchè fosse una persona pacifica e ben poco spaventosa, a volte si faceva davvero valere. Quando era entrata nella camera dell'ospedale, le aveva viste parlare di un trucco con... con... erano carte? In ogni caso, le aveva viste parlare. Morgana sorrideva: sembrava davvero contenta di vederla.

-Lancy, sei in casa?

-Sto in salotto!

La giovane donna si avviò verso la camera da dove proveniva la voce del fidanzato. Morgana era stata aggredita. Morgana aveva rischiato di essere uccisa. La sola idea la faceva rabbrividire: chi poteva volere la sua morte? Certo, i pazzi c'erano sempre stati e poteva quindi neanche esserci motivo, ma nel comportamento dell'amica quando le aveva detto che la polizia aveva quasi trovato colei che l'aveva assalita aveva notato qualcosa di strano. C'era una particolare sfumatura di paura nel suo sguardo, qualcosa che non aveva mai visto, come se Morgana non volesse sapere veramente chi era la colpevole, chi le aveva inferto le ferite che aveva.

-Gwen, come sta Morgana?

-Bene.

La donna si avvicinò a Lancelot, baciandogli leggermente le labbra. Sospirò. Era tanto preoccupata per l'amica, che sembrava passare un momento un po' difficile della sua vita. Il giovane sorrise, vedendola così pensierosa, prendendola in braccio e baciandola ancora.

-Sembri così sovrappensiero: vedrai, ti farò passare ogni problema!

Gwen rise, mentre veniva portata in camera. Intanto, nel sottosuolo di Londra, una squadra di sette poliziotti stava catturando una giovane dai capelli rossi e mossi.

 

Hunith si guardò allo specchio, lavandosi il viso. Pensava. L'incontro con Arthur non era andato esattamente come sperava, ma confidava in Merlin per un possibile riappacificamento: quel ragazzo sembrava veramente in gamba. La donna, si passò ancora le mani sulla faccia, cercando di scacciare la stanchezza che, inesorabile, le stava calando sul corpo. Sentiva tutti i muscoli e le ossa restii a muoversi, anche solo per fare un solo passo. Tuttavia, oltre al peso del sonno e della tensione per la situazione di Arthur, c'era anche un'altra cosa che la tormentava da due giorni a quella parte. Hunith aveva un ulteriore segreto. Per quanto avrebbe potuto tenerlo nascosto? Si era ripromessa di non dire niente finchè Uther non si fosse avvicinato di più al figlio, ma l'attesa la stava davvero uccidendo. Sapeva che quella nuova notizia avrebbe potuto scombussolare ulteriormente la faccenda, no, no, ancora proprio non era il momento per ulteriori rivelazioni, tuttavia Hunith sapeva perfettamente che ne avrebbe ricavato in salute. La donna uscì dal bagno, dirigendosi verso il letto nella camera adiacente. Oh, Uther, chissà cosa ancora avrebbe fatto. Una cosa per Hunith era certa: sarebbe capitolato. Spense le luci e chiuse gli occhi. E sognò una famiglia finalmente completa.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Non posso ancora credere di star veramente mettendo questo capitolo. Mi ero totalmente scordata di scriverlo e oggi alle 16:00 mi squilla il cellulare mentre stavo facendo la versione di greco. Che colpo mi sono presa!! Ho cercato di fare il prima possibile e il meglio possibile, abbiate pietà! Forza, mancano solo due capitoli, l'epilogo e sarà tutto finito! Uff, che fatica XD Vedrete, sistemerò tutto tutto. Intanto si accettano scommesse sul nuovo segreto ;)

Kiss

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Capitolo 28
*** Sacrificio ***




Sacrificio

 

Perchè, perchè, PERCHE'? Veramente, solo una chiacchierata con Gaius aveva avuto l'effetto di farlo, in parte, capitolare. Adesso Uther ha capito perchè è uno psicologo di così tanto successo. Non solo l'aveva convinto a rincontrare Arthur, ma a prendersi le sue responsabilità e dirgli la verità. Per quel motivo in quell'istante stava seduto su una sedia di un bar molto conosciuto e costoso, in una zona riservata del locale, in maniera da non farsi sentire da nessuno. Uther guarda l'orologio. Dieci minuti all'ora dell'appuntamento. Era arrivato quasi un'ora in anticipo: aveva aspettato fuori per mezzora, poi era entrato. Sudava. Si sentiva un nodo allo stomaco e alla gola, come quando aveva avuto la sua prima possibilità, come quando gli avevano detto: <>.

Il viso di Igraine allora era ancora quello della migliore amica, nulla di più, ancora non rappresentava un amore più profondo. Eppure c'era già qualcosa che faceva presagire l'evoluzione del loro rapporto, uno sguardo, un lampo negli occhi, forse, un tocco più gentile...

Si spostò il colletto della camicia con un dito, respirando profondamente. Gettò ancora uno sguardo sull'orologio. Meno sette minuti. Uther chiuse gli occhi, mettendosi le mani sul viso, cercando di rimanere calmo.

Quel giovane uomo assomigliava tanto a Igraine, gli stessi occhi di uno strano azzurro caldo, la stessa espressione concentrata, come quando la vide per la prima volta seduta sul ramo di un albero a guardare verso l'orizzonte.

Un signore passa a vedere che sia tutto a posto. Uther annuisce, tentando di sembrare convinto e disinvolto, mentre si sente morire. Si asciuga il sudore dalla fronte. Poche volte nella sua vita si era sentito così insicuro e indifeso. Sapeva perfettamente che non poteva ancora accettare tutto di suo figlio, lo sapeva e, proprio per questo, aveva voglia di alzarsi e andarsene. Ma c'era qualcosa che lo schiacciava sulla sedia e lo teneva fermo. Meno tre minuti.

-Se avremo mai un figlio, vorrei che non si sentisse mai a disagio con noi.

-...Cosa intendi dire?

-Intendo dire... non so... non si dovrebbe mai sentire come se lo stessimo giudicando per qualcosa per cui non è colpa sua, ecco!

-Credo che non succederà.

Uther sente la terra mancare sotto i piedi quando sente dei passi che si avvicinano e la voce di Arthur che ringrazia il cameriere. Sente come se la sua anima cercasse di scappare da un corpo ormai troppo vecchio per correre abbastanza velocemente. Smette di respirare, cerca affannosamente di pensare a cosa dire e come dirlo, guardandosi intorno come un naufrago che cerca un'isola nel mare piatto sotto il sole cocente.

-Salve.

Arthur entra nella stanza. Uther sembra calmo e sereno, sicuro di sé, seduto su quella sedia dal designe molto moderno. Lo guarda. Gli sembra di notare una strana espressione, che però viene subito cancellata.

-Allora...

L'uomo tossisce, schiarendosi la voce.

-Ho deciso di svelarti ogni cosa. Scusa il mio... la mia ben poca mancanza di tatto, ma ho deciso di dirti tutto e subito prima che ci ripensi. E' una questione... molto delicata per me e credo che lo sia anche per te. Ecco, vedi...

Uther esita un attimo, si sistema meglio sulla sedia, si avvicina al giovane in maniera da poter abbassare di più la voce.

Igraine, scusa, perdonami se non sta andando come volevi, perdonami per non aver avuto il coraggio per andarti a cercare fino in fondo per tutto questo tempo...

L'orlogio ticchetta.

Scusa per aver esitato, ma adesso, adesso sistemerò tutto, te lo prometto.

-Vedi, ti ho cercato in lungo e in largo non sapendo né chi tu fossi né dove poterti trovare. Ho firmato autografi (e non lo faccio mai), ho interrotto il mio show per questo.

Perdonami.

-E tutto questo perchè io sono molto più vicino a te di quanto credi. Io, vent'anni fa ero il ragazzo di tua madre.

Credo di fare la cosa giusta, in fondo.

-Io ero... sono tuo padre.

E qui il mondo di entrambi crollò da ogni crepatura.

-...Co... co...

I due si guardarono, osservandosi, cercando di notare qualcosa che poteva indicare una qualche somiglianza. Si scrutarono dalla testa ai piedi, come si osserva una creatura nuova. Parlarono. Parlarono di molte cose, di cosa si erano persi, soprattutto. Tuttavia ci fu per tutto il tempo della tensione talmente palpabile da essere pungente, una visibile incredulità da parte di uno e una certa stanchezza da parte dell'altro. Ma, per quanto desiderassero andare d'accordo, almeno per quella sera, è inutile dire che il dialogo finì quando si giunse a Merlin. La situazione degenerò. La tensione si tramutò in rabbia, una rabbia cieca e forte, che tuttavia nessuno dei due aveva desiderio di sfogare, ma che filtrava da ogni poro della pelle, dalle loro parole, dal loro atteggiamento. Il nervosismo che fino ad allora era stato semplicemente sottile, a quel punto si fece una vera e propria lama tagliente. Se fosse stato un duello, si sarebbero trafitti entrambi tale era la forza e l'ira con cui affilavano la lingua.

-IO non ho mai accettato nulla di simile!

-No, sono IO che non ho mai accettato nulla di simile!

Il loro caratteri, perfettamente uguali sotto alcuni punti, si scontravano, combattendo una battaglia dall'esito incerto e diviso fra due soluzioni: l'accettazione o la separazione. L'esclamazioni su alternavano ai sussurri rabbiosi, mentre gli occhi si accendevano e i gesti diventavano sempre più scontrosi. E fu strano scoprire che il duello era terminato con un pareggio forzato, dato dalla testardaggine.

 

-E questo è quello che è successo.

Merlin, sdraiato sul letto in pigiama, finì di ascoltare il racconto del compagno, prima di schioccare le labbra e corrucciare le sopracciglia e le labbra in un'espressione pensosa. Arthur era in una situazione spinosa. Se da una parte le insinuazioni di Uther avevano acceso il suo animo di sdegno, dall'altra sapeva perfettamente che non poteva neanche minimamente pensare di rimanere arrabbiato con lui in eterno. Arthur non aveva mai avuto un padre, fin dalla nascita si era visto come un “figlio di ignoto”, uno nato così, dal nulla, senza senso. Merlin non poteva permettere che continuasse a vivere così, non quando aveva la possibilità di cambiare le cose. Si era reso perfettamente conto che la chiusura non era solo da parte di Uther, ma anche da quella del “neo-Pendragon”: se, infatti, uno non voleva sentire le ragioni dell'altro, quest'ultimo non faceva nulla per cambiare le cose se non litigare.

-Arthur, ascoltami.

Il giovane si mise seduto tra le coperte, aspettando che anche il compagno lo raggiungesse. Lo fece stendere e rilassare, per far sì che fosse più propenso ad ascoltarlo.

-Lo sappiamo entrambi quanto tu abbia sofferto per la mancanza di un padre, e non provare a mentire. Quando anche Igraine è venuta meno, tu fosti totalmente smarrito e mi dissi che se tu avessi potuto cambiare le cose avresti fatto qualsiasi cosa. Adesso puoi cambiare le carte in tavola: puoi rimanere solo per sempre oppure cercare di trovare una soluzione pacifica.

Silenzio di risposta: buon segno.

-Anche Uther sarà rimasto confuso e spaesato nel trovarsi un figlio che non conosceva, ma, anche se con i suoi limiti, lui ha fatto un passo avanti, rivelandoti la verità! Non so se l'abbia fatto di sua spontanea volontà o sia stato costretto, fatto sta che ha fatto un passo verso di te.

-Non è vero.

-La tua è solo testardaggine, Arthur! E' come quando ti si è presentata l'opportunità di creare la tua azienda e guarda come è andata! Eppure all'inizio eri riluttante... sembrava impossibile, me lo ricordo, però alla fine hai deciso di lanciarti. Non credi sia più o meno la stessa cosa? Creeresti un tipo di rapporto che non c'è mai stato tra te e una persona e, nonostante tutto, io credo che voi possiate farcela.

Arthur si mosse sul letto, come se stesse scomodo.

-Pensaci.

-Perchè piangi, Arthur?

-Io non piango.

Merlin gli si avvicinò, sedendosi vicino a lui.

-...

Guardò le guance bagnate dell'amico.

-Ecco... tra qualche giorno è la festa del papà.

-Mh.

-E tutti fanno il loro regalino, ma io non ho a chi farlo.

Un abbraccio, in quel momento, per Merlin sembrò l'unica cosa buona da dire.

-Perchè non dovresti cercare di fargli cambiare idea...

-Ma io ho provato a...

-Intendevo pacificamente. Ci vorrà del tempo... molto tempo, forse. Però sono fiducioso.

-Sì, come no.

Arthur spense la luce di botto e si girò, dando le spalle al compagno. Nel buio, il biondo sentì le labbra del compagno posarsi sulla sua mascella.

-Mi sentirei troppo in colpa se tu perdessi una volta per tutte il padre che non hai mai avuto.

Il Pendragon sospirò, chiudendo gli occhi.

-Saresti disposto a sacrificare un po' della tua libertà solo a causa sua?

Sentì Merlin trattenere una risata.

-Sarei disposto a sacrificare ogni cosa per te.

 

Qualche giorno dopo, Uther fu molto sorpreso di aprire la porta e trovarsi Arthur di fronte a lui, con Merlin a seguito, quest'ultimo con un grandissimo sorriso, il figlio che sembrava un po' costretto.

La cosa che lo innervosì, quel giorno, non fu Arthur, fu il fatto che quel Merlin non gli dava alcun motivo per stargli antipatico, uffa.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Pietoso *coff*coff* Ho fatto del mio meglio per fare un capitolo che sembrasse vagamente tale u_u Ho preferito lasciare la mezza rappacificazione di Arthur e Uther totalmente alla vostra fantasia, così ognuno può immaginarla come vuole. Ne avevo comunque fatta una bozza, ma faceva pietà e misericordia e mi sarei troppo vergognata a darvela.

Dico solo che entro i primi di luglio metto l'ultimo capitolo della storia, cioè l'epilogo. Il prossimo è il capitolo prima dell'epilogo. In cui ricomparirà Gwaine u_u

Uther si dimostra un tizio lento a capire che non c'è nulla da fare. Nonché un vero e proprio bambino invecchiato che crede di essere er mejo lui u_u Rovina sempre tutto (ecco il vero motivo del titolo della storia, dunque XD).

In ogni caso, spero che non sia noioso come a me sembra O_o E guardate che non è poi tanto corto (come sembra a tutti XD). Sennò avvertitemi che vedrò di darmi all'ippica.

Kiss

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Capitolo 29
*** Lo spettacolo è finito ***


Lo spettacolo è finito

 

Merlin osservò attentamente la sala piena di persone: uomini vestiti elegantemente, donne con l'abito lungo e la pochet appresso, camerieri laconici che portavano vassoi con sopra delle tortine. Il giovane beve un altro sorso del cocktail che aveva preso pochi minuti prima, assaporando il sapore dolce. Il suo sguardo cadde su Arthur, il quale stava parlando con un qualche suo collega, un uomo alto e muscoloso, dai capelli corti e dall'aria di essere di poche parole. Il moro sentì improvvisamente una mano posarsi sulla propria spalla.

-Merlin!!

Si girò.

-Uh, Gwaine...

-Mi aspettavo un'accoglienza più calorosa.

-Speraci.

L'uomo quasi gli si poggiò contro.

-Merlin Merlin Merlin...

Gli avvicinò il viso.

-Quando capirai che...

-Gwaine!

Arthur lo staccò con una scortesia mal celata dal proprio segretario, con saette che partivano dagli occhi. Dietro al biondo c'era l'uomo con cui stava parlando prima. Gwaine lo guardò sbarrò gli occhi e gli si avvicinò, lasciando la spalla di Merlin.

-Gwaine, ti presento Percival. E' nuovo nel campo, ma ha già fatto un grande successo.

-Oh, Percival...

L'omone vide il castano tendergli la mano con un sorrisetto che non prometteva nulla di buono. Percival percepì un brivido percorrergli la schiena, non era chiaro se perchè quell'uomo gli piaceva o perchè lo guardasse come per intrappolarlo. Gwaine sorrise ad Arthur e a Merlin, il quale gli fece cenno con una mano di andare insieme all'altro. Si allontanò portandosi il nuovo arrivato sotto braccio. Elyan li raggiunse con dei bicchieri in mano, offrendoli a entrambi. Merlin sorride, sospirando e sperando in cuor suo che Gwaine si innamorasse di quel gigante e lo lasciasse in pace.

You're the voice try an...

Arthur prende il cellulare senza neanche dare il tempo alla canzone di finire la prima frase. Sullo schermo appare la scritta “Uther”. Nonostante il moro avesse insistito per fargli mettere la scritta “papà” o qualcosa che indicasse un rapporto di parentela, il biondo aveva deliberatamente deciso di lasciare il nome proprio del comico: ancora il loro rapporto non era dei migliori, nonostante poco a poco stesse giungendo a un livello di confidenza maggiore. Uther, in realtà, dal loro ultimo incontro, sembrava quello più disposto a dare almeno una parvenza di famiglia. Merlin aveva il radicato sospetto che in realtà l'uomo non lo volesse fra i piedi, che in realtà sopportasse per cercare di andare d'accordo con il ritrovato figlio. Tuttavia questo al moro non dava fastidio, anzi: significava che il comico si stava sforzando per accettarlo come compagno del figlio. Ma gli inviti di Uther restavano comunque solo per il figlio. La maggior parte delle volte Merlin si ritrovava a entrare sul retro a chiacchierare con Hunith, che, a parer suo, era una donna gentilissima: quando parlavano gli sembrava di aver trovato una madre e un rifugio sicuro.

-Ciao.

Arthur aveva risposto al cellulare.

-Pronto? Arthur?

-Sì, sono io. Cosa c'è?

-Sento dei rumori: dove sei?

-A un party organizzato da uno dei miei colleghi più influenti.

-Capisco. Non volevo disturbarti.

-Niente.

-...Ti ho chiamato perchè...

-Dai, dillo!

La voce di Hunith interruppe il comico.

-Calma, glielo sto dicendo!

Arthur si lasciò sfuggire un sorriso che Merlin colse: buon segno.

-Io e Hunith volevamo invitarti qui da noi domani per il pranzo.

-L'invito è esteso anche a Merlin!

-Zitta.

-Che c'è? E' un ragazzo adorabile!

Il biondo sentì Uther sbuffare.

-Ecco, quindi...

Arthur fece cenno con gli occhi a Merlin di controllare sull'agenda. Il moro prese un quadernetto e si mise a controllare. Sussurrò un “Per quando?”. “Domani a pranzo”.

-Quindi... quindi.

La voce improvvisamente mutò inclinazione.

-Quindi mi aspetto che tu venga se non per un valido motivo. Vorremmo parlarti di una cosa molto importante.

Arthur guardò Merlin, che fece un OK con la mano.

-Sì, verrò. Anzi, verremo entrambi.

Il moro lo guardò stupito, mentre il biondo gli sorrideva. La chiamata fu chiusa. I due videro in quel momento dei giornalisti che entravano dalla porta e si diressero dalla parte diametralmente opposta dell'enorme sala. Intanto, Uther guardava Hunith spazientito.

-Adesso mi vuoi spiegare cosa c'è di tanto urgente per invitarli qui?

-Beh, ho una notizia che potrebbe interessare a tutta la famiglia.

-E cioè?

La donna si sedette sul grande divano rosso, guardandosi le dita, senza curarsi della tv accesa.

-Beh, ecco, è un emozionante per me dirtelo...

Iniziò a lisciarsi il vestito, mentre Uther la guardava seduto su una poltrona che aveva comprato di recente.

-Avvicinati.

L'uomo si azò e le andò accanto, porgendole l'orecchio quando vide che gli stava facendo un cenno. Un qualunque spettatore esterno si sarebbe divertito a vedere il viso dell'uomo che cambiava colore e i suoi occhi sbarrarsi. La sorpresa era stata evidentemente troppa: un'emozione forte, talmente tanto da poter far scomporre in quel modo Uther Pendragon. Il comico saltò in piedi, guardando la fidanzata come se fosse stata la prima volta in vita sua. Per un attimo, si mise una mano sul petto, respirò affannosamente, distolse lo sguardo, lo lanciò verso un qualunque oggetto all'interno della stanza, poi tornò sulla donna, che lo guardava accigliata

-COME SAREBBE A DIRE “INCINTA”?

Non sentivano la notizia sul telegiornale.

-Dopo lunghe ricerche, finalmente è stato acciuffato il delinquente che stava mietendo molte vittime all'interno delle stradine di Londra. Jarl Slave è stato arrestato pochi minuti fa: l'uomo è accusato di rapimento, omicidio e spaccio. I dettagli da David Snicket.

 

Sophia respirava affannosamente. Si portò una mano al petto, si tolse i capelli da davanti al viso, ricominciò a correre, stremata. Come avevano fatto a trovarla? Chi l'aveva tradita? La ragazza si lanciò all'interno di un parco, cercando di seminare i poliziotti che la inseguivano. Sentiva i loro passi affrettati dietro di lei e già percepiva le fredde sbarre della cella dove l'avrebbero messa fra le sue mani. Non voleva, no, non dopo tutto quello che aveva fatto per vendicarsi, non dopo tutto quello che lei e suo padre avevano compiuto pur di riuscire a tornare a casa. Ma suo padre non c'era più, era morto in prigione e lei sarebbe andata a finire nella stessa identica maniera. Non avrebbe potuto sopportarlo. Essere sconfitta, umiliata, dopo che aveva con astuzia evitato ogni contatto pericoloso, dopo che aveva seminato numerose volte la polizia, dopo che era riuscita a uscire dal Tamigi viva. Sarebbe stato qualcosa di troppo grande, troppo, troppo travolgente per lei. I giornali dicevano che era pazza, lei diceva che era disperata.

-Dai, ci stiamo avvicinando!

Sophia corse ancora più velocemente, cercando di far muovere le gambe più rapidamente possibile, oltre ogni sua possibilità. Ignorando il dolore alla pancia e alla testa, la ragazza saltò un tronco caduto. Sentiva anche i cani dietro di lei.

-Maledetti.

Chiuse un attimo gli occhi, cercando di ritrovare la concentrazione, di ritrovare il proprio sangue freddo all'interno di quel corpo pulsante di paura. Neanche quando le avevano sparato ed era caduta in acqua sentiva una tale sensazione. Rialzò le palpebre, giusto in tempo per entrare in una stradina. Un abbaio un po' più lontano di prima. Ce l'avrebbe fatta anche stavolta, forse. Continuò a correre freneticamente, con una nuova piccola speranza di salvezza che brillava al centro del petto. Inciampò, non cadde. Rientrò in un piccolo boschetto, fra gli alberi, sentendo i cani sempre più lontani.

-Sì... sì!

Ma la sua sconfitta fu segnata da quell'attimo di estasiante vittoria. Stava per uscire dagli alberi e rientrare in un vialetto quando un auto le sbarrò la strada. Sophia sbarrò gli occhi, indietreggiò, cercò di fuggire, ma era ormai circondata. Vide i poliziotti avvicinarsi, le pistole in mano. La ragazza cadde a terra stremata dalla corsa, ringhiante per la disfatta. Sapeva che era finita. I suoi crimini erano troppi e troppe erano le prove contro di lei: non avrebbe avuto fortuna come l'ultima volta. Per un attimo sperò di poter tornare indietro, sperò di avere ancora quell'avvocato, quella donna lì vicina, per difenderla dalle accuse. Ma non poteva essere. Non sapeva se era viva o morta, ma mai, mai l'avrebbe protetta nuovamente. Non c'era più nessuno che l'avrebbe salvata. Non c'era più nessuno che avrebbe pianto per lei. Così, lentamente, andò verso un albero, i poliziotti sorpresi che le si avvicinavano, prese la cinghia dei pantaloni e, con un ultimo sospiro, decretò lei stessa la sua condanna.

-Lo spettacolo è finito.

E si impiccò.

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Sono tre pagine e mezzo u_u Vabbè, quindi abbiamo capito come è andata a finire XD In ogni caso, ho già l'epilogo, lo metterò domani sera ^-^ Nell'epilogo si scoprirà

  1. Che fine farà Gwaine in maniera più dettagliata

  2. Se il rapporto fra Arthur e Uther diventerà quello tra padre e figlio

  3. Ulteriori notizie sulla gravidanza di Hunith

  4. Che fine farà Bobby, il cellulare di Gaius

  5. Morgana in tutto questo dove è andata a finire

vabbè, come è andata la storia di Gwen e Lancelot già lo sappiamo perfettamente XD A domani quindi!

Kiss

P.S. per chi non se lo ricordasse, Jarl è quello che ha rapito Merlin e che aveva rapito Arthur u_u

 

Avviso: io dopodomani parto e non potrò accedere a internet. Quindi se vengono aggiornate storie che seguo, se mettete recensioni ecc e non non do segni di vita è per questo motivo!

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Capitolo 30
*** Epilogo-Ok, adesso lo spettacolo è veramente finito ***


Epilogo

Ok, adesso lo spettacolo è veramente finito

 

Uther sorrise, aspettando la fine degli applausi: era da anni che non aveva un pubblico così entusiasta del proprio show. Si inchinò ancora e, quando alzò lo sguardo della gente si era alzata continuando ad applaudire. L'uomo sorrise ancora di più, orgoglioso di sé. Da dietro le quinte Hunith, seduta comodamente, continuava a battere le mani. Da quando la questione con Arthur si era risolta, Uther aveva una comicità nuova, più fresca e genuina: era uno humor meno freddo e cinico, come quando aveva appena iniziato la sua carriera, più divertente. E tutti se n'erano accorti. Lo share del suo show era aumentato moltissimo e sempre più persone volevano conoscerlo. Nonostante l'età, anche i giornalisti lo dicevano, Uther riusciva ad avere idee che piacevano molto anche ai più giovani. E, insieme al pubblico, anche Hunith se n'era accorta.

-Hunith!

La donna gli si gettò fra le braccia, come faceva sempre, nonostante l'impedimento della pancia. Evitando accuratamente i giornalisti strepitanti, che erano venuti a sapere non solo della gravidanza di Hunith, ma anche del fatto che Uther avesse già avuto un figlio, per giunta già chiacchierato sulle riviste, i due raggiunsero l'auto, parcheggiata fuori. Il comico l'accese, l'auto rombò nel silenzio metropolitano interrotto prima solo dal brusio dall'interno dello studio dove si stava svolgendo lo show.

-E' ora di andare a casa.

-Sì.

Intanto Arthur spegneva la tv, stiracchiandosi. Merlin sbadigliò, alzandosi di malavoglia dal divano. Stropicciandosi gli occhi, si allontanò piano, andando verso la camera da letto, quando sentì le braccia del biondo avvolgerlo da dietro.

-A... Arthur?

Il moro sentì il respiro dell'altro sul collo, percepì le sue mani andare sotto la maglietta. Un brivido gli percorse la schiena, sapendo bene quello che lo attendeva, così si lasciò baciare e portare in camera, non si preoccupò degli abiti che cadevano lenti a terra, lasciò che Arthur gli accarezzasse il busto, che gli mordesse dolcemente la pelle, mentre piano...

Driiiin Driiiin

-Chi è questo suicida?

Il biondo, ringhiando, afferrò il telefono accanto al letto, togliendosi da sopra Merlin che, sospirando, si mise seduto sul materasso attendendo che il compagno avesse finito al telefono.

-Chi c**** è?

-E' questo il modo di parlare a tuo padre?

Merlin vide Arthur irrigidirsi misteriosamente e cercare di darsi un contegno.

-No, padre.

-E allora cos'è questa storia?! Chi ti ha insegnato l'educazione?

-Scusa.

Al moro venne da ridere: il biondo era così obbediente solo con il suo ritrovato padre. Non da molto, ma ormai da un bel po' di tempo tra loro due si era formato quel rapporto padre severo-figlio rispettoso.

-Uhm. Comunque, ti ho chiamato per dirti che è femmina.

-Chi?

-Tua sorella, no?

-Ah, scusa, non avevo capito.

-Eh! E non voglio sapere il perchè.

Arthur rise imbarazzato.

-Come la chiamerete?

-...Non lo so, lo stiamo decidendo. Tu come vorresti si chiamasse?

Il biondo assunse un'espressione pensosa. Un lampo di un'idea infantile- “Come la mamma, come la mamma!”- gli balenò in testa, ma non lo disse.

-Siete voi i genitori, non io.

Sentì Uther sospirare. Si aspettava una risposta secca. Quando parlò, la sua voce era un po' più dolce e meno dura di prima.

-Va bene. Ciao.

-Ciao.

I due uomini attaccarono, chiudendo la chiamata. Il comico fece giusto in tempo a posare il cellulare per non essere visto da un vigile.

-Che ha detto?

-Ha detto Igraine.

Arthur guardò un attimo il telefono, prima di rigirarsi.

-Ah...

-Che c'è? Io sono pronto.

Il biondo sorrise, gli si illuminarono gli occhi, vedendo di sfuggita i boxer di Merlin a terra. Dopotutto, l'interruzione non è stata una brutta cosa.

-Ooooh, grazie papà!

 

-Forza, Gaius, non fare il bambino.

-Ma gli ho proposto un accordo e lui ha accettato!

-Certo, caro, certo, come no.

-Ma è vero!

-Non puoi giocarci insieme mentre i clienti devono parlarti, già si sono lamentati. Vuoi perdere la loro fiducia?

Gaius sbuffò.

-Mh. No.

E a quel punto posò il cellulare che, in tutta risposta, si spense offeso.

 

Morgana posò la tazzina di caffè sul tavolo della cucina, stiracchiandosi. Guardò un attimo fuori dalla finestra: il cielo scuro non era illuminato da alcuna stella, ma una luna grande e splendente sembrava sorriderle. La giovane chiuse gli occhi, chinando il capo all'indietro, poi gettò un'occhiata all'orologio. Era tardissimo. Si alzò e cominciò a dirigersi verso la propria camera da letto, quando sentì la porta aprirsi e sentì delle chiavi tintinnare. Morgana andò verso l'ingresso, sorridendo a Morgause, che posò una valigetta con dentro il computer vicino alla porta.

-Sei ancora sveglia?

-Già. Pensavo di aspettarti e non credevo arrivassi così tardi.

-Ho avuto dei problemi a lavoro: ancora c'è qualche squilibrio a causa della morte di Cenred. Eppure è passato tanto tempo, ormai doveva essere tutto a posto.

La mora abbassò lo sguardo: ancora gli eventi che si erano svolti tempo prima la scuotevano. Non era ancora completamente ristabilita. Morgause sorrise dolce, mettendo una mano sulla testa alla giovane.

-Non ti preoccupare. Presto sarà tutto a posto.

-Lo spero tanto.

L'avvocato accompagnò l'altra in cucina, dove le diede un bicchere d'acqua.

-Ha chiamato Gwen

-Ah. Cosa ha detto?

-Che vorrebbe invitarci a pranzo domani da lei e Lancelot.

-Non credo che potrò venire. Lavoro, sai.

-Dovrò avvertirla.

-Dovresti.

Forse era l'ora a farle parlare così poco, forse il fatto che non sapessero davvero cosa dire, ma semplicemente le due, che si erano scoperte sorelle poco tempo prima, si guardarono e si sorrisero. Lo sapevano che avevano un legame speciale loro due, lo avevano sentito subito, nel sangue. Morgause prese una rivista scandalista, il numero di quel mese che aveva comprato Morgana qualche giorno prima.

Scandalo gay

Gwaine Mead e Percival Knight

Guardò la foto sulla copertina, sospirò sconsolata chiedendosi come la sorella avesse azzeccato quale sarebbe stato lo scandalo di quel mese.

-Mi chiedo sempre come fai...

-Sarò una veggente!

-Sì, probabile.

La bionda buttò la rivista su una sedia poco lontano, si alzò e cominciò ad andare nella propria camera. Vide, aprendo l'armadio, che non c'era più una sua camicia.

-Morgana!

-Mh?

-L'hai presa tu la mia camicia nera?

Sentì la giovane sobbalzare. Morgause rise: non aveva mai avuto una sorella e doveva ammettere che era divertente, nonostante tutto.

 

Gwaine strinse le mani sulle spalle del proprio amante, cercando di trattenere un gemito, mentre la propria schiena si inarcava come per cercare maggior contatto col corpo sopra il suo. Sentì il sudore scendergli dalla tempia per imboscarsi nei capelli. Allargò un po' di più le gambe, mordendo le labbra del compagno, che sussultò. Gwaine potè sentire con tutto se stesso una spinta più forte delle altre, percepì sotto le dita e i palmi i muscoli tesi di Percival vibrare di piacere. Ignorò totalmente il cellulare che squillava a terra dalla tasca dei propri pantaloni e lasciò che la lingua dell'uomo sopra di sé seguisse il tracciato delle gocce salate di sudore, lasciò che gli stampasse dolcissimi baci lungo la mascella e il collo, che lo marchiasse.

-Ah!

Percival poteva sentire le cosce dell'altro intorno ai propri fianchi-e solo quello lo faceva eccitare da morire- e si fece strada più a fondo all'interno del corpo del compagno. Era una sensazione impagabile, che non poteva descrivere a parole. Ma era proprio quella mancanza di parole che piaceva a Gwaine, era quello che l'aveva fatto innamorare di lui. Uno era chiacchierone, l'altro era taciturno. Il primo era continuamente a ridere e non pensava mai, l'altro non si lasciava mai andare e rifletteva e interiorizzava profondamente tutto quello che accadeva intorno a sé. Ed era proprio questa completa diversità caratteriale a rendere la loro coppia così solida.

-Aah!

Percival spinse ancora, digrignando i denti, cercando comunque di controllarsi. Perchè era sul controllo che basava la propria vita, sul controllo assoluto di se stesso, che con Gwaine stava lentamente e inevitabilmente perdendo. E non se ne preoccupava. Non se ne preoccupava affatto, né quando stavano in cene d'affari cercando di essere il più possibile formali né quando stavano a letto, come in quel momento, mentre innumerevoli brividi intensi gli accarezzavano la schiena e mentre sentiva ogni nervo di sé fremere alla ricerca di un'intimità maggiore e ancora più completa. Percival spinse ancora, beandosi dei versi che sfuggivano dalle labbra di Gwaine, ignari che dalla finestra.

-...Wow, certo che ci danno proprio dentro!

-Mi sa che certe cose non le possiamo portare per il giornale.

-No, credo di no.

I due giornalisti si guardarono, per poi continuare a sbirciare.

-Ma quando finiscono?

-Saranno frustrati...

-Ah, aspetta, aspetta! Uh, hanno finito.

Un terzo giornalista da sotto chiese “Hanno terminato?”.

-Sì, ah, no aspetta!

Passarono altri trenta secondi, durante i quali il terzo uomo disse qualcosa riguardo al voler spiare Arthur Tintagel, neo-Pendragon. Il primo gli fece cenno di stare zitto, passò ancora qualche secondo. Nel silenzio anche da fuori si sentivano i gemiti provenienti dall'interno. Il secondo uomo si avvicinò all'orecchio del primo.

-E ora, hanno finito?

-Ok, adesso lo spettacolo è veramente finito, forza, tutti via, non diremo a nessuno di tutto questo, su, andiamo a spiare il neo-Pendragon!

 

:::::NOTE FINALI:::::

 

Ok, lo so che volevate un pezzo più hot Merthur, vabbè, vi tenete questo PercivalxGwaine u_u Spero vi sia piaciuto questo ultimo capitolo, che non conclude un bel niente in realtà, ma che è comunque l'ultimo capitolo XD Anzi, è l'epilogo, perciò tenetevelo XD

Devo ringraziare in maniera particolare

fliflai che ha recensito tutti i capitoli e ha messo la storia fra le seguite

sabrina_yaoista_94 che ha recensito moltissimi capitoli

Lily Castiel Winchester che ha recensito moltissimi capitoli e che ha messo la storia fra le preferite

e tutte coloro che hanno messo la storia fra le seguite/da ricordare/preferite

Andy14

Bauci

capricorno24

cassy_star

joey_ms_86

Lily 4ever

masrmg_5

Mela94

prelude10

Raen91

ShirleyPoppy96

VaVa_95 (che nonostante abbia messo una recensione neutra, spero abbia gradito la storia ^-^)

youmoveme

zizi

Crystal Phoenix

Echelone

ile16

E, perchè no, anche se non leggerà questo ringraziamento speciale, anche

_Tom_Riddle_ che ha messo una recensione negativa

 

Spero che vi piaceranno anche le mie storie future, grazie per aver seguito questa long anche se sanno tutti che non sono molto brava con le fanfiction con così tanti capitoli.

Siete state tutte fantastiche =')

Kiss

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