Hope

di QueenOfWater
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - prima parte ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - seconda parte ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

L’ultimo treno di ieri ha riportato Peeta nel Distretto 12.
Il dottor. Aurelius dice che la frequenza con cui i flashback si fanno vivi è diminuita, ma che comunque bisogna evitare ogni forma di stress per farlo restare quanto più possibile aggrappato alla realtà. Un modo carino per dire di non farmi vedere da lui se non voglio ritrovarmi con due mani strette alla gola. Come se poi mi importasse qualcosa. Probabilmente se morissi farei un piacere a tutti.
Peeta potrebbe finalmente vivere una vita normale, Sae la Zozza non sarebbe più costretta a venire a casa mia per assicurarsi che mangi ed Haymitch continuerebbe la sua esistenza di ubriacone alla grande come ha sempre fatto. Forse mia madre piangerebbe all’inizio, ma poi se ne farebbe una ragione. Dopotutto Prim è morta a causa mia. Non sono stata capace di proteggerla. Ha dovuto affrontare tutto quel fuoco da sola. Adesso anch’io mi sento bruciare.
Scosto la testa dalla finestra su cui ero poggiata e mi costringo a camminare velocemente fuori casa, prima che riaffiorino i ricordi.
Prim da piccola. Prim che gioca con nostro padre. Prim che mi abbraccia.
Cammino, al limite della corsa; voglio allontanarmi da quei ricordi felici, perché so che impazzirei.
Eppure non posso credere che la bambina alla quale sistemai la camicetta nella gonna al giorno della Mietitura, ora non ci sia più. E come potrei?
Prim che mi guarda. Prim che si fa leccare la guancia da Lady. Prim che aiuta la mamma in cucina.
Troppi ricordi. Ricordi che urlano il suo nome.
Senza che me ne renda conto, mi trovo con i piedi immersi nell’acqua gelida. Il lago.
Quando sono arrivata qui? Quando ho attraversato la recinzione? Non me lo ricordo. Probabilmente è un gesto così abituale che l’ho fatto senza pensarci. Credo.
Questo posto è identico a come lo ricordavo. Profuma perfino di primavera sebbene sia da poco iniziato l’inverno. Mi piaceva passare le giornate distesa qui. L’aria era calda, dolce. Le nuvole vaporose. Mi correggo subito. Quei pomeriggi piacevano alla vecchia Katniss; quella che non mi appartiene più, ormai.
Catnip. Mi giro di scatto. Non vedo nessuno, eppure sono certa che qualcuno mi abbia chiamata. Catnip. Giro ancora la testa da una parte all’altra, cercando l’unica persona che mi chiama in quel modo. Potremmo farlo sai? Lasciare il distretto. Scappare. Vivere nei boschi. Tu ed io potremmo farcela.
-Bugiardo- sussurro, facendo cautamente dei passi indietro. –Bugiardo- adesso urlo, portandomi le mani alle orecchie e serrando gli occhi.
Non è reale mi dico Gale è nel Distretto 2. Ha ucciso Prim. Mi sembra di essere tornata nell’arena della Terza Edizione della Memoria, quando gli Strateghi mi fecero ascoltare le urla strazianti di Prim. Solo che ora non siamo nell’arena e non ci sono le ghiandaie chiacchierone. Tutto ciò che sento è nella mia testa.
Devo andarmene.
Inizio a incespicare tra i rampicanti e le radici, ma continuo a correre tenedo gli occhi chiusi. Nonostante il buio, vedo chiaramente gli alberi trasformarsi in mostruosi ibridi assetati di sangue e il cielo tingersi di rosa. Un tonfo, poi il nulla. L’ultima cosa che ricordo sono due occhi, azzurri.
Ci metto del tempo prima di capire dove sono. La risposta arriva quando l’odore inconfondibile dei panini caldi inizia a solleticarmi il naso, facendomi venire l’acquolina in bocca.
Mi guardo intorno e confermo di essere nella mia stanza. Prima di andare in cucina decido di darmi una ripulita. Così mi libero dalla maglia e dai pantaloni e resto solo in biancheria intima.
Cammino in bagno e mi trascino sotto il getto della doccia.
Sento l’acqua scivolarmi lungo tutto il corpo. E’ una sensazione piacevole ma termino dopo pochi minuti.
Senza preoccuparmi delle gocce che bagnano il pavimento, ritorno in camera e rimetto gli stessi pantaloni di prima ma cambio la maglia troppo sudata.
Appena scendo le scale vedo Peeta occupato tra mestoli e pentole.
Ha un bel aspetto. Se non fosse per la carnagione un po’ più pallida, direi che è lo stesso ragazzo della nostra prima Mietitura.
Mi ritornano in mente le parole del dottor. Aurelius. Bisogna evitare ogni forma di stress. Sono certa che se mi vedesse adesso, così disarmata, non ci penserebbe due volte prima di infilzarmi con uno dei coltelli che si trovano sul tavolo. Faccio per andarmene quando sento la sua voce.
-Ti sei svegliata?- domanda, senza neanche girarsi dalla mia parte.
-A quanto pare- dico, alzando le spalle e buttando un’occhiata alle squisitezza che Peeta sta appena togliendo dal forno. –Come facevi a sapere…-non riesco nemmeno a finire la frase che lui parla.
-Cosa? A sapere che eri nel bosco?- domanda secco. Annuisco.
-Volevo venire a trovarti, ma non eri in casa e Haymitch era ubriaco come al solito per darmi delle informazioni.- dice sommessamente lasciando trasparire  un’aria confusa.
Deve essersi accorto della sua espressione perché lo vedo scuotere la testa.
-Katniss, quello è il tuo mondo. L’unico posto in cui puoi essere la persona che eri prima degli Hunger Games. Prima che io e Haymitch entrassimo nella tua vita. E ti capisco, credimi-.
Queste parole mi costringono ad abbassare lo sguardo. Bene. Se prima mi sentivo in colpa per non avergli nemmeno chiesto come stava, ora sì che mi sento una persona spregevole. Come può pensare Peeta, che io non lo voglia nella mia vita? Forse era così fino a qualche momento fa, ma ora che è qui non so.
C’è sempre stato quando mi svegliavo in piena notte urlando in preda al terrore, quando ero in bilico tra la pazzia e la sanità mentale. E’ lui che mi salvava ogni volta. Che mi salva ancora. Non ne è forse una chiara dimostrazione il fatto di avermi riportata a casa dal bosco?
-Che hai fatto?- chiedo, notando la fasciatura al braccio.
-Diciamo solo che è stata una vera impresa far passare entrambi attraverso la recinzione- dice, alzando lentamente i due angoli della bocca.
-Potevi svegliarmi- dico, con gli occhi bassi a fissare i miei piedi ancora scalzi.
-Ho avuto paura che se ti avessi svegliata, mi avresti tirato un pugno in pieno viso- ammette con facilità. Fin troppa facilità.
E’ questo infatti che mi dice di ritornare in camera. Potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Faccio per andarmene, quando arrivata sulla soglia della porta sussurro un “Grazie” che faccio fatica a sentire io stessa. E mi sorprendo quando Peeta risponde con un “Non c’è di che”.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

La luce del giorno che entra dalla finestra mi costringe ad aprire gli occhi.
Niente incubi. Avevo dimenticato cosa volesse dire una notte intera di sonno.
Nell’aria percepisco perfettamente la fragranza di cannella. Peeta.
Scatto in piedi e mi precipito in cucina.
E’ patetico che fossi convinta di trovarlo ancora qui, ma ammetto che una piccola parte di me ci sperava. In compenso trovo sul tavolo un vassoio pieno di focaccine e brioches. Sorrido.
Senza pensarci due volte ne afferro una a caso e me la porto alla bocca. E’ incredibile cosa Peeta sia capace di fare con acqua e farina. Ogni cosa sa di buono, di casa; proprio come lui.
Forse Capitol City non è riuscita ad arrivare così in profondità. Forse non sono riusciti a manomettere tutti i suoi ricordi come dicono i medici. Non potrebbe essere altrimenti.
Oggi ho deciso di starmene a casa.
Dopo quello che è successo ieri al lago, non me la sento di ritornare nei boschi. Non voglio farlo. Non prima di scoprire la verità; una verità che probabilmente arriverà mai.
Inconsciamente apro un cassetto alla mia destra ed estraggo un braccialetto di plastica grigia su cui scritto MENTALMENTE INSTABILE.  
Lo portavo al polso nel Distretto 13 e anche dopo, quando mi risparmiarono l'esecuzione capitale per l’uccisione della Coin.
Me lo passo tra le dita.
Sto diventando pazza? Desiderare di sapere chi ha ucciso mia sorella, davvero mi renderà pazza?
Sospiro e ripongo il bracciale là dove l’ho trovato.
Giro i tacchi e mi sposto in salotto, dove l’ambiente è più caldo grazie al calore emanato dal camino. Deve averlo acceso Sae stamattina, penso.
Ogni tanto sento lo scricchiolio delle braci che in un certo senso mi rilassa. Allora chiudo tutte le finestre, rimanendo con il solo bagliore del fuoco ad illuminare la stanza e mi lascio cadere sul divano.
Katniss, la ragazza in fiamme.
Certo come no. Ora come ora, potrei rappresentare solo le ceneri di quelle fiamme.
E’ impensabile che, una volta, l’intera Panem abbia riposto il suo destino nelle mie mani. Cosa non fanno fare alla gente la disperazione e la paura.
Devono essere passate delle ore, perché il fuoco che prima bruciava imponente davanti ai miei occhi, ora è ridotto in brace.
Mi guardo intorno.
Il nero mi avvolge.
Mentre strizzando gli occhi per abituare la vista al buio, riconosco dei colpi alla porta che mi inducono ad alzarmi. E sbuffo quando vedo che è Haymitch.
E’ diverso dall’ultima volta che l’ho visto. Più trascurato.
Barba incolta, capelli lunghi e vestiti sporchi che emanano un fetore di alcol e vomito. Ridotto in queste condizioni, potrebbe far pietà a chiunque, ma non a me.
-Vuoi deciderti a farmi entrare? Qui si gela.-
Ignorandolo, mi scosto quel tanto che basta per farlo passare e richiudo la porta.
-Che è successo qui?- domanda, scrollandosi la neve depositata sul giaccone. –Hai dimenticato di pagare la bolletta, dolcezza?- domanda, con un ghigno divertito.
Sta nevicando. Non me ne sono nemmeno accorta.
-No- rispondo, seccata dalla sua presenza.
Apro le finestre che avevo precedentemente chiuso e guardo ipnotizzata i fiocchi cadere leggeri dall’altra parte del vetro.
-Cosa sei venuto a fare?- sbotto, voltandomi nella sua direzione.
-Una semplice visita di cortesia- dice mentre si siede con un tonfo sul divano, cercando di essere credibile.
Peccato –per lui- che non abbia creduto ad una sola parola.
-E va bene, va bene. Ho finito la mia scorta di liquore e Ripper è a Capitol City per fare rifornimento. In fondo i vicini di casa non si aiutano nel momento del bisogno?-
Sembra sincero, eppure c’è qualcosa che mi lascia pensare al contrario.
Vado in cucina e prendo una bottiglia di vino rosso dalla dispensa. Un suo vecchio regalo di benvenuto che non ho mai avuto l’occasione di stappare.
Ritorno nella stanza accanto e dopo essermi seduta vicino a lui, iniziamo a bere entrambi il liquido rosso direttamente dalla bottiglia.
-Hai visto Peeta?- mi chiede, secco.
Tutto si fa chiaro; ecco perché è venuto.
Annuisco. -E ha portato quelle- dico, indicando con un cenno della testa il vassoio sul tavolo.
-Un gesto carino- osserva.
-Già-
Sento la testa girare, ma continuo comunque a ingoiare avidamente il vino.
-Cosa siete adesso?- chiede improvvisamente, strappandomi la bottiglia dalle mani.
-Chi?- ribatto, confusa per la sua domanda a sorpresa.
-Tu cosa sei per Peeta?  Una nemica?-
-Non.. non proprio- balbetto.
-Allora un’amica?- riprende, aspettando una mia reazione.
Sono confusa. –Beh, qualche tempo fa avrei detto di sì ma ora… non ne sono sicura.- La voce rotta.
Amica. Innamorata. Vincitrice. Nemica. Fidanzata. Vicina. Cacciatrice. Tributo. Alleata. Ecco cosa sono agli occhi di Peeta. Ma questo preferisco tenerlo per me.
-Qualche tempo fa? Quindi ora è diverso?- incalza Haymitch.
Non capisco. Dove vuole arrivare? Cosa sono queste domande assurde? E perché io sto continuando a rispondere? Sono in difficoltà e questo Haymitch l’ha capito.
-Va bene, cambio domanda-. Fa una pausa. –Adesso, lui cos’è per te?-
Non so che rispondere. Cosa rappresenta Peeta per me?
Sentimenti contrastanti lottano per avere uno la predominanza sull’altro. E inoltre uqesta conversazione non ha nè capo nè coda.
Passano interminabili minuti di silenzio, durante i quali non tolgo gli occhi dal camino nonostante in esso non viva più alcuna fiamma.
Mi mordo l’interno della guancia, giusto per controllare di avere ancora possesso del mio corpo; eppure mi sento paralizzata.
La risata rumorosa di Haymitch, mi riporta alla realtà come uno schiaffo in pieno viso.
-Come pensavo- inizia –Lo stai facendo di nuovo. Quando non vuoi mentire, ma nemmeno dire la verità, prendi la via di mezzo e ti chiudi nel silenzio dell’ostinazione-.
-Mentire? Via di mezzo? Ma di che stai parlando? Tu non sai proprio un bel niente su di me- sbotto. Le parole mi escono dalla bocca senza volere.
Sbuffa -Non riesci proprio a mostrare i tuoi sentimenti, eh?-
Lo vedo alzarsi, dirigersi verso l’ingresso e senza dire una parola, sparire dietro la porta che si richiude con un colpo assordante.
Intanto le parole di Haymitch continuano a ripetersi all’infinito nella mia testa.
Cos’è Peeta per me?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3

Non ha senso. Haymitch che parla di sentimenti.
Con la cosa dell’occhio vedo che la nevicata si è fatta più intensa, trasformandosi in una autentica tempesta di neve. Non c’è che un biancore totale e l’ululare del vento, sin troppo simile a quello degli ibridi.
Vorrei che Peeta fosse qui ad abbracciarmi, ma mi torna in mente che non dovrei più volerlo. Ho scelto di vivere senza di lui già da allora.
Katniss sceglierà quello che ritiene indispensabile alla sua sopravvivenza.
Dal momento stesso in cui Gale pronunciò queste parole.
Nessuno. Io non ho bisogno di nessuno.
Mi lascio cadere, esausta, sul divano. A un certo punto Clove, la ragazza del Distretto 2, entra nei miei sogni. Mi accorgo che nella mano destra, invece dei suoi infallibili coltelli, possiede un enorme sasso. Poi arriva Tresh, anche lui con una pietra. Entrambi mi spingono contro la Cornucopia e iniziano a colpirmi violentemente la testa. Urlo con quanto fiato ho in gola.
Sento dei passi avvicinarsi.
Bam! Il mio cuore perde un colpo.
Sto fissando i grandi occhi color nocciola di Rue.
Vedo la ragazzina di dodici anni del Distretto 11 che fu mia alleata nella prima arena. Lei che tanto mi ricordava Prim e che come a lei, avevo promesso di proteggere. Rue (Prim), che non ho salvato.
Ora nei suoi occhi vedo del sangue; il mio sangue. Vuole vendicarsi, e infatti inizia anche lei a colpirmi con più forza degli atri.
Mando un grido strozzato e mi sveglio di soprassalto, sudando e rabbrividendo. Mentre la testa pulsa dolorosamente. E poi realizzo.
Il vino; non Tresh o Clove o Rue. E’ per il vino se sento la testa scoppiare.
Scommetto che anche a Peeta succede. Forse gli incubi tormentano anche lui così come distruggono me.
Non posso crederci. Ancora. Continuo a pensarlo.
Le spiegazioni sono due. O sto diventando matta oppure –e mi costa dirlo- Haymitch ha ragione: devo sapere come stanno le cose.
Sento il telefono squillare. E’ da giorni che non fa altro.
Ritornata al Distretto 12, promisi al dottor Aurelius che avrei continuato a farmi curare da lui. Ovviamente non l’ho mai fatto. Non volevo sentirmi dire cose che già so, ma forse ora un suo consiglio mi sarebbe utile.
-Dottor Aurelius!- rispondo, prontamente. Oltre lui nessuno conosce il mio numero di telefono e non saprei chi altro dovrebbe.
-Katniss?- Una voce femminile, mi spazza completamente.
-Delly?- domando a mia volta.
-Sapevo che eri in casa! Sono giorni che continuo a chiamarti a vuoto- dice. Me la immagino con un sorriso a trentadue denti stampato sulla faccia.
-Sì, infatti ho voluto fare delle commissioni- rispondo.
Delly è fin troppo buona per capire che le sto mentendo e infatti non ha nulla da obiettare.
–Come stai? Haymitch mi ha detto che sei migliorata. A proposito, è stato lui che mi ha dato il tuo numero-
Haymitch che intraprende una conversazione normale? E soprattutto con Delly? Questa mi è nuova.
-Le ferite si sono completamente cicatrizzate- la informo secca. Non posso dirle che sto bene, perché non è vero; nella mia testa regna il caos più totale.
-Mi fa piacere- risponde, semplicemente.
Ora che avevo bisogno di parlare con il dottor Aurelius, mi ritrovo immersa in un’amichevole conversazione con Delly Cartwright.
All’improvviso una stupida idea viene a farsi strada nella mia mente. Potrei provare a parlarne con lei. Forse mi aiuterebbe condividere i miei pensieri con un’altra persona. Anche se questa persona è Delly.
-Posso farti una domanda?- dico, sperando di non pentimene tanto presto.
-Certo- risponde, con il massimo dell’entusiasmo.
-Ti è mai capitato di non sapere che posto occupa una persona nella tua vita?- Chiedo, con un filo di voce continuando ad arricciare il filo della cornetta intorno alle mie dita.
Vorrei che me ne fossi stata zitta. Ma ormai il danno è fatto e non mi resta che aspettare una risposta da Delly. Una risposta non tarda ad arrivare.
-Devi chiedertelo nel momento in cui gli sei vicina. Se non riesci a darti una risposta, vuol dire che quella persona è davvero importante.-
Secondo lei, quindi, ritengo Peeta importante. Ma importante quanto?
Sto per chiederglielo, ma sembra che lei mi abbia letto nel pensiero.
-Ognuno ha il proprio modo di esprimere ciò che prova, ma basta parlarsi con sincerità per arrivare a capirsi veramente.-
Le mie dite si fermano di scatto. Riconosco che non mi sarei mai aspettata questo tipo di risposta da Delly.
Sincerità.
Io che ho ingannato Capitol City e tutti i Distretti con la storia degli innamorati sventurati.
Faccio un respiro profondo, consapevole che Delly, dall’altra parte del telefono, sta aspettando una mia reazione; ma non faccio nulla.
Continuo a stare in silenzio.
A poco a poco tutte le voci che da giorni non smettevano di parlare nella mia testa si zittiscono; ora riesco a sentirne solo una.
Non posso rinunciare al ragazzo del pane.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

Chiudo gli occhi.
Da quando non ci sono più le braccia di Peeta a confortarmi, lo faccio in continuazione e come sempre l’unica cosa che vedo è il buio.
Nero; l’unico colore che esprime a pieno la mia vita in questo momento. Rappresenta il caos. Rappresenta il mondo quando nessuna luce è pronta ad illuminarlo.
In questo modo mi sento al sicuro.
Protetta nella mia solitudine che a volte racchiude rabbia e dolore e paura, ma che tante altre volte trasmette pace, tranquillità.
Delly, dopo interminabili minuti di silenzio, mi ha salutato e ha riattaccato.
Io invece continuo a tenere il telefono attaccato all’orecchio come se qualcuno rispondesse da un momento all’altro.
Ora so cosa devo fare; dove devo andare. Eppure i miei piedi sono ancora inchiodato al pavimento.
Il sole è ormai basso quando deciso di andare a casa di Peeta. La temperatura si è abbassata di molto e l’aria è pungente. Dalla mia bocca escono piccole nuvolette ad ogni respiro.
Pochi metri e sono arrivata a destinazione. Nessuna luce si vede dalle finestre e alcun fumo uscire dal comignolo. Impossibile che con questo freddo non abbia acceso il camino.
Mi avvicino cautamente alla porta e dopo un attimo di esitazione, busso. Uno, due, tre volte. Nessuno apre. Quattro, dieci, venti volte. Ancora niente.
Continuo a battere ritmicamente la mano sul legno, quando all’improvviso mi viene in mente un altro posto in cui Peeta può trovarsi.
Indosso solo una giacchetta leggera ormai zuppa a causa della neve che si posa. Il gelo entra nelle ossa e irrigidisce ogni mio passo.
E se non fosse lì?
Allontano subito questa ipotesi perché lo vedo seduto sulle macerie di quella che una volta era la panetteria dei suoi genitori.
Gli angoli della mia bocca si curvano in un sorriso. Amaro.
-Sapevo che eri qui-.
Si gira di scatto verso la mia direzione. Sgrana gli occhi, probabilmente per accettarsi  della mia presenza. Per assicurasi che non faccia parte di un possibile flashback.
Vedo la sua espressione ammorbidirsi; rilassarsi.
-A mia madre non piaceva- confessa, indicando i pezzi dell’insegna del negozio posti di fronte a lui. –Diceva che non attirava abbastanza i clienti-.
-Ti manca?- domando, consapevole che la risposta potrebbe annientarci entrambi.
Ci pensa un attimo per poi pronunciare un “no” indifferente.
-Non mi ha mai fatto una carezza; almeno non ne ricordo una.- Vedo dipingersi sul suo volto un mezzo sorriso, inquieto. –Non mi ha mai rivolto una sola parola d’incoraggiamento, anche quando venni sorteggiato per gli Hunger Games. Non è neanche venuta a salutarmi. Forse era certa che mi avrebbe mai più rivisto-. La voce che trema e una lacrima silenziosa gli riga la guancia.
-Ma era mia madre-.
Le ultime parole di Peeta hanno il potere di mandarmi all’inferno e di riportarmi indietro.
E il nero inizia di nuovo ad avvolgermi. Vorrei solo chiudere gli occhi e allontanarmi da tutto quel male.
La madre di Peeta che lo picchia.
Da tutto quel dolore.
Prim che si ferma entusiasta davanti alla vetrina del negozio per osservare le torte.
Da tutto ciò che ho provocato.
Se Peeta non mi avesse gettato quel pane, sarei morta. Non ci sarebbe stata una rivolta. Non ci sarebbe stata una guerra. Tutto sarebbe come prima.
I Mellark sarebbero vivi. Tutti gli altri sarebbero vivi. Ma Prim sarebbe morta comunque.
Forse avrebbe vinto gli Hunger Games? Avrebbe ucciso ventitrè ragazzi per tornare al Distretto 12?
No. Prim sarebbe morta comunque.
Ancora immersa nei miei pensieri, sento Peeta alzarsi dalla sua postazione e cingermi le spalle; avverto il suo respiro sul mio collo.
Senza pensarci ricambio l’abbraccio. Non mi importa se vuole uccidermi. Ho tanto desiderato questo momento che non mi sembra vero.
Il nero che prima mi circondava, muta pian piano in un colore più chiaro.
Blu. Cobalto. Indaco. Azzurro. E mi trovo a contemplare gli occhi di Peeta.
Distolgo lo sguardo, incapace di reggere il suo.
La giacca bagnata inizia a gelarsi contro la mia pelle. Così porto le braccia incrociate al petto, nel ridicolo tentativo di scaldarmi.
Sento il suo sguardo su di me.
-Andiamo a casa- dico, non potendo più resistere a quella situazione.
-Insieme?- chiede Peeta, con una nota di dubbio.
Ecco che la mia mente vola via dalla realtà e mi trasporta a due anni fa, nell’arena. Quando ho tirato fuori quelle bacche per salvarci; per salvarlo.
-Insieme- confermo io.
Per tutto il tragitto che porta al Villaggio dei Vincitori, rimango qualche passo più avanti di Peeta. Ho la sensazione che se fossimo fianco a fianco, potrei scoppiare.
Dopo pochi minuti, arriviamo davanti casa mia. Vorrei entravi e chiudere per sempre la porta a chiave, ma non posso. Finalmente ho il coraggio di girarmi verso Peeta e lo trovo intento a fissare un lato della casa. Provo una fitta di preoccupazione.
-Qualcosa non va?- chiedo, attenta a non far trasparire il mio nervosismo.
Scuote la testa.
-Va' a dormire- dico, indicando con gli occhi, la casa vicina. –Ci vediamo domani- aggiungo.
Annuisce e silenziosamente si incammina verso casa sua, quando all’improvviso si ferma.
-Katniss, asciugati prima di andare a letto. Non vorrei che ti beccassi un raffreddore- dice, per poi allontanarsi di nuovo, ma questa volta con quel che mi è parso un sorriso.
Ha proprio un bel sorriso, penso. Poi una strana sensazione si irradia nel petto. Una sensazione capace di dissolvere l’aria gelida che mi circonda.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


My Space:
Eccoci arrivati al quinto capitolo! ^_^
Davvero, non credevo di scriverne 5. Sono stupita di me stessa, yuppi!
Come avrete notato questa parte della storia è una “rivisitazione” di ciò che la Collins ci ha detto riguardo il “ritorno-alla-vita” di Peeta e Katniss in Mockingjay; io l’ho solo riadattata per renderla parte della mia storia.
Quindi chiamiamolo capitolo di transito. xD
Ringrazio
Miilkshake_  che mi ha sempre incoraggiato a scrivere e IWillBeAnOwl per i complimenti dell’ultimo capitolo! GRAZE MILLE! :’D
Spero che vi piaccia e…
Recensite, recensite, recensite. Ho davvero una voglia matta di sapere cosa ne pensate di quello che scrivo (anche un paio di paroline xD). Ogni qual volta che lo fate, non potete neanche minimamente immaginare la carica che mi date.

 


 

CAPITOLO 5

Stanotte ho sognato mia madre.
Anche dopo la fine della guerra, ha deciso di restare nel Distretto 4, per aiutare nell'apertura di un nuovo ospedale.
Non credo che ritornerà mai a casa. Prima mio padre. Poi Prim. Sarebbe troppo per lei, annegherebbe nei ricordi.
E’ vero, molti di questi sono dolorosi, ma sarebbe un delitto dimenticarli. Per questo ho deciso di raccontarli uno ad uno in un album. Prenderò spunto dal libro delle piante della nostra famiglia.
Forse perché ho paura di non ridarli; di ricordare la voce di mio padre quando canta, Madge mentre mangia le fragole mie-di-Gale, Mags che bacia Finnick e Finnick che mi offre lo zucchero. Ma anche Cinna che viene portato via dalla camera di lancio, Rue trafitta dalla lancia di Marvel, Prim che si trasforma in una torcia umana.
Pagina dopo pagina.
Ricordi felici; ricordi tristi. Comunque ricordi che non possono essere affidati solo alla memoria.
Sentendo dei rumori provenire da fuori, mi alzo dal letto e apro la finestra della camera.
Oggi non nevica e la luce del mattino si diffonde grazie alla neve depositata lungo le strade.
-Cosa stai facendo?- sussurro, cercando di non spaventarlo.
-Sei tu- dice Peeta, voltandosi dalla mia parte.
-Fa freddo. Non può startene lì a fare…- dico, ricordandomi che non so affatto cosa stia facendo.
-Ieri ho pensato che sarebbero state perfette su questo lato della casa-
Sta piantando dei fiori. Delle primule, precisamente.
-Per lei.- aggiunge.
Annuisco. So per chi le pianta. “Prima rosa”, primrose. Per Prim.
Lui sa che lei mi manca.
Come può preoccuparsi ancora  per me?
Come può dopo tutto quello che ha dovuto passare? Dopo le torture, dopo il veleno, dopo la morte di coloro che amava.
Ha sempre dato a me la precedenza su tutto ciò che di più caro aveva. Da due anni a questa parte, il suo primo pensiero è stato quello di proteggermi.
E io, finora, non ho dato la precedenza a null’altro che a progetti infondati e alle mie insicurezze.
Nessuno lo merita, tanto meno io. La sua devozione dell’aiutarmi mi è estranea; e tutt’ora non riesco a spiegarmela.
-Ci vai spesso?- domando.
-Dove?- replica, ancora intento a piantare zolle e radici.
-Alla panetteria-
-No. Ieri è stata la prima volta- dice, accigliandosi leggermente.
-Eri serio quando mi hai detto che non ti manca?- domando, ma poi mi rendo conto che non ho precisato di chi mi riferisco, ma sono certa che Peeta lo abbia capito.
-Si e no- dice, piatto.
-Però tuo padre ti vuole bene- dico d’impulso.
-Me ne voleva- mi corregge, calcando con una particolare enfasi l’ultima parola.
Certo. Gli voleva bene. Mi è venuto naturale parlare al presente.
Sto per chiudere la finestra per l’imbarazzo, ma Peeta ricomincia a parlare.
-Ricordo che una volta mi portò sulle spalle. Avevo sei anni-
Faccio fatica a immaginarmi la scena. Come sua moglie, il padre di Peeta ha sempre avuto un atteggiamento piuttosto freddo e distaccato, o almeno mi è sempre parso tale. In fondo doveva essere un brav’uomo.
-Mi aveva promesso che se me ne sarei stato buono mentre lui lavorava, avrebbe giocato con me tutto il giorno. Così mi misi seduto in un angolo della panetteria e lo guardavo. Fu la prima volta in cui mi accorsi di quanta attenzione e tempo e fatica occorresse per trasformare un po’ di farina in quelle pagnotte tanto profumate.- Comincia ad avere un’espressione più rilassata. -A fine giornata era stanco, ma mantenne comunque la sua promessa. Mi prese sulle spalle e girammo così per tutto il Distretto-
Come se una scarica elettrica mi traversasse da parte a parte, rimango in silenzio, domandandomi cosa fare.
Vorrei solo abbracciarlo, stringerlo e allontanarlo da tutto ciò che lo fa star male. Invece mi costringo a rimanere dove sono. So per certo che se lo facessi peggiorerei solo le cose.
-Che ne dici di entrare?- dico ad un certo punto, sforzandomi di sorridere.
-Volentieri. Ah, ho portato questi. Potremmo mangiarli con il thè- dice, porgendomi un sacchetto di carta.
Ancor prima di aprirlo, sento distintamente una delicata fragranza di limone. Infatti sono dei biscotti. Mi tornano alla mente quelli che il signor Mellark mi portò prima che entrassi nell’arena. Avevano lo stesso profumo.
-Se non ti dispiace, questi li mangio solo io. Haymitch ha praticamente aspirato anche le briciole delle focaccine e delle brioche che mi hai lasciato la volta scorsa- dico, facendomi passare abbastanza infastidita.
-Sono sicuro di aver lasciato un vassoio pieno anche per lui- giura, con una smorfia piuttosto buffa..
-E’ Haymitch- ribatto.
Iniziamo entrambi a ridere di gusto. Era da tempo che non mi sento così spensierata.
Finito ciò che stava facendo, Peeta si alza e si dirige verso la porta d’ingresso.
Prima di raggiungerlo, dò un’ultima occhiata ai fiori appena piantati.
Ho la sensazione che ogni volta che guarderò questi fiori, non mi sentirò più sola.
Avrò sempre Peeta al mio fianco.
A proposito di Peeta; ora sembra proprio giunto il momento di parlare con lui.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


My Space:
Prima di tutto vi ringrazio ancora una volta per le recensioni e i bellissimi complimenti che mi fate! Siete i lettori più dolsi e ammorosi (?) che qualcuno possa desiderare. Ho aggiornato dopo un secolo e inoltre trovo questo capitolo estremamente "insignificante".
Diciamo che su una scala da 1 a 10 vale tipo uno zero (?) Non oserei nemmeno chiamarlo capitolo xD
Vi lascio auguro comunque buona lettura e.. a presto c
:

 


 

CAPITOLO 6

-Davvero?-
-Dovevi vederlo. Haymitch, scortato da una fila di oche- dico, raccontando la scenetta che mi è parsa davanti qualche giorno prima dell’arrivo di Peeta.
Ridiamo e non riusciamo a fermarci. O meglio, lui non riesce a fermarsi. Io resto impassibile con gli occhi puntati sulla sua bocca.
Riconfermo la mia supposizione. Peeta è davvero bello; soprattutto quando ride.
E’ capace di tingere il cielo di rosa dove prima era grigio.
-Pensa, che si è perfino accertato di chiamarne due con i nostri nomi-
-E’ Haymitch- ribatte Peeta, imitando la mia voce.
-Già. E’ Haymitch.-
Tributo del Distretto 12.
Vincitore della Seconda Edizione della Memoria.
Mentore di venticinque edizioni degli Hunger Games.
Ubriacone a tempo pieno.
Membro della mia famiglia.
Nella stanza è calato il silenzio più totale. Silenzio che viene rotto dalla voce di Peeta.
-Mi somiglia?- mi domanda d’un tratto.
-Chi?- replico.
-Come chi? L’ca. Chissà se quella che ha il mio nome, mi somiglia-
Rido. –Non molto a dir la verità. Invece la “mia” è la cosa più somigliante che abbia mai visto. E’ tutta spelacchiata e rinsecchita. Non fa altro che correre e agitarsi per nulla- dico, quasi rabbrividendo.
-Non ci credo nemmeno un po’-
-Dovresti-
Peeta fa spallucce e torniamo a bere il thè che avevo versato in due tazzine bianche, poco prima.
L’ho invitato ad entrare per potergli parlare, per dirgli che ho bisogno di lui per vivere. Se non voglio rischiare di cadere in un abisso senza fondo, ho bisogno che lui mi stringa fra le sue braccia.
Non posso più rimandare.
-Peeta, io…-
All’improvviso il piccolo televisore del soggiorno si accende.
Ci alziamo entrambi di scatto e vediamo comparire la Paylor sullo schermo.
Dopo la morte di Snow e della Coin, è stata lei ad ottenere la carica di presidente.
-Deve essere un nuovo spot sul dopo guerra-
Peeta ha ragione.
La Paylor inizia a parlare. – Sono passati solo pochi mesi dalla fine della rivolta, ma ci siamo rialzati più forti di prima-
Avanza di qualche passo verso la telecamera.
Per un momento ricordo uno dei miei pass-pro.
Distretto 8. L’ospedale. I bombardamenti.
Se noi bruciamo, voi brucerete con noi.
Quella volta non fui io a parlare. Fu la Ghiandaia Imitatrice.
Ho accettato la guerra come mezzo per raggiungere la pace.
I crimini di Snow, sono stati seguiti da altri crimini altre morti. Mi hanno fabbricato una banale leggenda di eroe che, forse, mi perseguiterà fino alla fine dei miei giorni.
-Troppo è stato perso- La  voce della Paylor continua a riecheggiare dentro la stanza. –Troppe vite sono state spezzate. Uomini. Donne. Bambini. E il mondo è stato a guardare. Ora è giunto il tempo di mostrargli la nostra determinazione, il nostro coraggio, la nostra rinascita. Non dimenticheremo ciò che è stato. Abbiamo il dovere di raccontare tutto questo ai nostri figli; facciamo sì che lo sappiano, affinché nulla si possa ripetere-
Faccio in tempo a vedere il presidente portare una mano al cuore prima che lo schermo si scurisca nuovamente.
-Scusa- esclama Peeta.
Volgo lo sguardo verso la sua direzione e lo vedo con il telecomando in mano.
Annuisco. So cosa prova. E’ difficile rivivere quei momenti.
La vendetta e l’odio e il dolore hanno effetti durevoli.
Ci rimettiamo a sedere, senza dire una parola.
Non è la prima volta che trasmettono spot di questo genere, ma non ne abbiamo mai visto uno insieme.
Probabilmente la presenza di uno mette a disagio l’altro. Almeno così vale per me.
-Posso chiederti una cosa?-
Avevo dimenticato che Peeta era qui. La sua voce mi coglie di sorpresa.
-Certo- rispondo, sorseggiando lentamente dalla tazzina.
-Posso.. posso restare per stanotte?-

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


My Space:
Per farmi perdonare ecco che posto il settimo capitolo anticipatamente. Molto anticipatamente.
Ringrazio in particolar modo
IWillBeAnOwl, sirilliw e _giorgi_
Spero che il capitolo vi piaccia e, come sempre, lasciate un vostro pensiero con una recensione (anche piccola xD)
A presto c:

 


 

CAPITOLO 7

Tre mesi.
Sono tre mesi che Peeta vive praticamente qui.
La sera striscia nel mio letto e al mattino mi ritrovo avvolta tra le sue braccia. Probabilmente mi sente urlare ed agitarmi, durante la notte, in preda alla disperazione.
Poi ci alziamo e cerchiamo di tenerci occupati. O almeno è ciò che ci ha suggerito di fare il dottor Aurelius, durante la sua ultima telefonata.
Io vado a caccia e Peeta cucina.
Da quando c’è lui, vedo Sae la Zozza molto meno; di tanto in tanto vado a trovarla con la scusa di portarle qualche scoiattolo.
Torno ad usare arco e frecce, ma non è facile. Se prima erano come estensioni naturali del mio corpo, ora li sento estranei.
Per ora mi accontento di abbattere qualche uccello da uno stormo in volo o di un coniglio di fortuna rimasto intrappolato da uno dei lacci che posiziono.
I boschi mi fanno ancora un certo effetto, ma ogni giorno che passa va meglio. I ricordi che hanno visto quei luoghi continuano ad annebbiarmi la testa e, quando lo fanno, cerco di mettere a fuoco le immagini. Così posso imprimerle nel libro delle memorie.
Peeta mi aiuta. Quando non c’è una foto della persona di cui stiamo raccontando la storia, la vita, gli affetti, lui ne fa un disegno.
La sua mano scivola veloce da una parte all’altra.
Prima traccia linee precise e subito dopo riempie spazi vuoti, creando piccole ombre.
E ogni colta che stacca la matita dal foglio, è come se quell’immagine possa prendere vita da un momento all’altro.
L’aria sta cominciando ad essere più calda e la neve che prima intralciava le strade si è ormai completamente sciolta.
Faccio lentamente ritorno al Villaggio dei Vincitori.
Nessuna delle case che lo compongono è illuminata. Nessuna tranne la mia.
Haymitch starà sicuramente dormendo – affiancato da un coltello ben affilato- e Peeta sarà intento a preparare la cena. Oggi ho fatto più tardi del solito; ormai i buio si sta impossessando di tutto ciò che mi circonda.
Mi accorgo subito della porta aperta.
Peeta avrà dimenticato di chiuderla? Impossibile.
E poi il peggiore dei pensieri.
Sarà andato nei boschi a cercarmi? D’altronde è già capitato altre volte. Quando mi ha riportato a casa, svenuta. Ma ora è diverso.
Il sole è calato da un pezzo e senza illuminazione è un’impresa capire dove si sta posando il piede.
Mi sento soffocare.
Prima di concludere altre ipotesi infondate, precipito in casa, urlando il suo nome.
-Katniss-. Sento la voce di Peeta. –Sono qui-
Mi viene incontro allarmato. –Cosa è successo?-
-Perché la porta era aperta?- chiedo a mia volta, ignorando la sua domanda.
-Ho dimenticato il pollo nel forno.. si è bruciato.. e dovevo far arieggiare. Ma cosa…-
Improvvisamente tutta l’adrenalina che era in circolo nel mio corpo scompare lasciando spazio ad un tremendo tremolio.
Con un violento sospiro, mi accascio su una sedia e avvero Peeta mettermi una mano intorno alle spalle, per sorreggermi.
-Non immagini minimamente la paura che ho avuto. Credevo che fossi là- dico, puntando il dito in direzione dei boschi.
E’ come se fossi, ancora una volta, nell’arena. Quando non ricevevo più alcun segnale da Peeta e quel colpo di cannone sparò. I morsi della notte. Faccia di Volpe.
Il cuore mi batte all’impazzata e sono costretta a lottare contro me stessa per impedire alle lacrime di uscire a fiotti.
Peeta sgrana gli occhi, inorridito.
-Non volevo.. io..- balbetta.
-Non fa niente- dico, per tranquillizzarlo. Per tranquillizzarmi.
Mi accompagna in camera e, ancora vestita, mi stendo sul letto.
-Vado a mettere la cena in frigo. Arrivo subito.- dice Peeta, avviandovi verso la porta.
La mia mano scatta a chiudersi intorno al suo polso. –Non andartene-.
 
Mi appoggio su un gomito, per guardarlo meglio.
E’ ridicolo, ma conto i secondi in cui riesco a resistere senza toccarlo. Nemmeno un minuto intero.
Provo un dolore nelle punta delle dita, che può essere alleviato soltanto toccandolo.
Gli scosto una ciocca di capelli biondi dalla fronte e seguo il contorno delle palpebre, immaginando quali sogni si rincorrono dietro di esse.
Scendo piano fino ad arrivare alla bocca. Con il pollice gli sfioro delicatamente le labbra e sento il suo respiro, caldo, sulla pelle.
La mia mano torna a muoversi e a posarsi sul petto. Sento i battiti del suo cuore.
Non so perché ma mi sento sollevata. Avevo bisogno di sentire che è vico che è qui vicino a me.
Metà della mia vita è stata spazzata via, ma l’altra metà è con Peeta; lo e sempre stata.
All’improvviso un dolore quasi insopportabile mi attraversa lo stomaco.
E’ tutto sbagliato.
Il fatto che lui sia qui, che io sia così vicina.
Dovrei semplicemente allontanarmi dal suo corpo addormentato, girarmi dall’altra parte; ma non lo faccio.
Invece accorcio la distanza tra i nostri visi e premo le mie labbra sulle sue.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


My Space:
Per vostra sfortuna (?) sono di nuovo qui, ad aggiornare con l’ottavo capitolo.
Non posso farci niente; la storia continua a scriversi praticamente da sola.
Se non vi dispiace vi consiglio una canzone… una canzone per la lettura! ^_^
Si chiama “You Riase Me Up” ed è cantata da Lena Park.
http://www.youtube.com/watch?v=kpVL_QxH5no
Spero vi piaccia tanto quanto piace a me!
Ritornando al capitolo, sento che manca qualcosa.
Credo che quando avrò qualche minuto in più, riscriveò la parte dei flashback di Katniss. La trovo alquanto "confusionaria" e priva di emozioni.
Tuttavia spero che sia almeno di vostro gradimento e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate con una recensione.
A proposito colgo l’occasione per ringraziare, ancora una volta, tutte quelle persone che recensiscono ogni capitolo. Grazie!

E adesso, finalmente vi lascio alla lettura. A presto c

 


 

CAPITOLO 8

Il giorno dopo, quando mi sveglio, trovo Peeta straiato accanto a me.
Indosso ancora i vestiti di ieri e la mia solita treccia si è disfatta al contatto con il cuscino, trasformandosi in un ammasso di capelli arruffati. Cerco di sistemarli usando le mano come un pettine, ma so per certo che la situazione non è cambiata gran chè.
Torno nuovamente a voltarmi verso Peeta e solo ora mi accorgo che mi sta guardando.
-Buongiorno- sussurra, con la voce ancora impastata dal sonno.
Peeta inclina la testa di lato. Ha un’aria divertita.
Poi l’idea che sia a causa mia mi fa arrossire.
-Da quanto tempo sei sveglio?- chiedo, mettendomi subito sulla difensiva.
-Da un paio di minuti-
Abbasso lo sguardo.
Mi sono appena ricordata del bacio dell’altra sera.
Non voglio che lo sappia. E’ stato un atto di debolezza.
Credevo che fosse nei boschi; che non fosse mai più tornato.
Credevo che fosse morto, aggiungo subito dopo.
Così avrei aggiunto anche lui nel numero delle mie vittime.
Morte. Morte. Morte.
Una parola che dovrebbe essere borbottata dietro mani a coprire la bocca o mormorata a porta chiuse. Stanotte invece l’ho sentita urlare. Da Peeta.
Quel bacio è stato solo per sentirlo vivo.
Per sentirlo mio, aggiungo ancora una volta al mio discorso mentale.
Sembro disperata.
-Ti ricordi cosa dobbiamo fare oggi, vero?- mi chiede Peeta, cercando con lo sguardo i miei occhi ormai persi nel bianco delle lenzuola.
Annuisco.
-Certo che mi ricordo- dico, alzandomi -Annie ci aspetterà alla stazione-
Vado in bagno e, dopo aver chiuso la porta dietro di me, mi appoggio con le braccia tese in avanti, sul lavandino. Alzo la testa cercando il riflesso del mio viso nell’enorme specchio rotondo, ma l’unica cosa che vedo è un’accavallarsi di immagini. Un matrimonio.
Lei, bellissima, vestita con un semplice abito verde.
Lui, ancor più bello, le sta accanto.
Dopo il bacio che sigilla la loro unione, iniziano a ballare e con loro anche tutti gli invitati. Sono felici.
E potrebbe continuare così se non fosse per una fitta nebbia che avvolge quello scenario.
Subito dopo tra il fuoco e il fumo c’è un uomo. Cerca di resistere mentre tre ibridi lo dilaniano. Poi un’esplosione; e insieme ad essa nuove immagini.
Un bambino. Corre sulla sabbia lasciando dietro di sé piccole impronte che un’onda si affretta a cancellare.
Il figlio di Annie e Finnick, che ancora deve nascere.
Quel bambino che quando chiederà di suo padre non otterrà altro che lacrime.
Lacrime per non urlare odio cocente, feroce.
Lacrime per impedire alla follia di emergere.
Lacrime per spegnere il dolore che brucia l’anima.
Avvolta dal silenzio, continuo a riavvolgere il nastro di quel film, come se gli incubi non mi terrorizzassero già abbastanza.
Questa volta chiudere gli occhi non serve a nulla.
Mi limito a restarmene lì, aspettando pazientemente, che tutto finisca. Supplico che tutto finisca.
-Tutto bene?-
Sento Peeta chiamarmi da fuori, così apro gli occhi e cerco di fare un respiro profondo.
E come se fossi stata in apnea.
Ho perso la cognizione del tempo. Evidentemente sono rimasta qui più del dovuto se Peeta è venuto ad assicurarsi che stessi bene.
Mi costringo di assumere un’espressione rilassata e quando sono sicura di essere abbastanza convincente, esco.
-Non c’era acqua calda. Ho dovuto aspettare prima che ne uscisse dal rubinetto- mento -Sarà meglio sbrigarci. Il treno partirà fra meno di un’ora-
E’ la prima volta che viaggio in treno dopo il Tour della Vittoria. Mi dà un senso di nausea, ma è l’unico modo per arrivare al Distretto 4.
Mi rendo conto che siamo quasi arrivati perché sento l’odore dell’oceano, anche se è nascosto dalla mia vista.
L’aria è spessa e pesante.
Respiro profondamente, inalando l’odore fresco di alghe e di legno umido, ascoltando i richiami lontani dei gabbiani che volano da qualche parte oltre gli edifici che scorrono dietro il vetro del finestrino.
Per tutta la durata del viaggio, io e Peeta non proferiamo parola. Di solito è lui quello che inizia la conversazione e -se vogliamo dirla tutta- l’unico che riesce a portarla avanti. Ragion per cui, quindi, non trovo il motivo per farlo io.
Ancora immersa nei miei pensieri, il solito fischio sordo e lo sfregare dei binari, ci avvisa di essere arrivati a destinazione.
Tra la folla che si accalca intorno a treno, non fatico a scorgere la figura di una donna poggiata a braccia conserte, contro un palo degli orari.
Rimango immobile nella mia postazione, come pietrificata. E con me Peeta.
Una figura che non vedo dall’inizio della guerra.
La pelle scura. I capelli corti. Johanna.
Prima che me ne accorga, ci avvicina.
Non so se essere felice, saltandole al collo o se abbassare lo sguardo in una morsa di colpevolezza.
Peeta finalmente sembra riprendere la capacità di parlare e le chiede che ci fa al Distretto 4.
-Per Annie- dice lei –Mi ha offerto di vivere qui subito dopo la sua morte-
La sensazione di prima si impossessa nuovamente di me.
Le gambe mi cedono, stringo  denti. Sto per crollare.
Afferro la mano di Peeta e la stringo. Forte.  Ho paura che gli stia facendo male,perché sento i suoi occhi puntati su di me. Oppure è preoccupato.
-Andiamo- dice Johanna.
Non capisco. Ci dovrebbe essere Annie. Ma dov’è? Sembra che anche Peeta se lo stia chiedendo e infatti lo chiede anche a Johanna.
-Annie non verrà- dice lei e con un debole sorriso aggiunge Annie sta per diventare mamma.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

My Space:
Ho postato il nuovo capitolo anche se è ancora in fase di montaggio xD. Infatti anche questa volta lo trovo privo di emozioni. Soprattutto perchè è uno dei capitolo più importanti, desideravo qualcosa "di più". Comunque non preoccupatevi.. rimedierò presto a costo di fare le ore piccole >:-(
Dato che vi è piaciuta l’idea di inserire un brano che “rappresentasse” in un certo senso il capitolo, oggi vi propongo My Immortal degli Evanescence.

http://www.youtube.com/watch?v=F_-Lktg348Q

Credo che non esista canzone più perfetta per Annie.
Ah, ho una piccola domanda.
-Secondo voi, quale sarà il nome del pargoletto di casa Odair?-
Diciamo che io avrei già una mezza idea, ma mi piacerebbe sapere anche il vostro punto di vista xD.
Spero che il capitolo vi piaccia e che vi emozioni tanto quanto ha emozionato me scriverlo.
Ringrazio VivianMay per essere così presente in ogni capitolo :D
Detto questo, vi lascia alla lettura. A presto c


 


CAPITOLO 9

Arrivati in ospedale ci dicono di aspettare in una saletta dove verremo presto chiamati.
Ci sediamo su delle sedie rivestite di velluto rosso, mentre Johanna è intenta a parlare –o meglio a discutere- con una delle tante infermiere che passano.
Tra me e Peeta regna ancora il silenzio, ma noto che la mia mano è ancora serrata intorno alle sue dita.
E sembra che nessuno dei due sia intenzionato a lasciare la presa.
Restiamo così finché un’infermiera non ci dice che possiamo andare. Stanza 108.
Apriamo la porta. E’ seduta sul letto e tra le braccia tiene suo figlio. E’ bellissimo.
Ha i lineamenti dolci di Annie ma gli occhi sono di Finnick. Di un verde indescrivibile. Profondi, capaci di raccontarti una vita.
Annie si volta dalla nostra parte rivolgendoci un sorriso.
Peeta lascia la mia mano e si dirige verso il bambino.
-Posso tenerlo in braccio?- chiede ad Annie.
Annie annuisce e dolcemente posa quel fagottino tra le sue braccia.
-Ciao piccolino- sussurra Peeta.
Io resto sullo stipite della porta ammirando quella scena, come se fossi un fantasma.
Sembra davvero felice.
-Dov’è Johanna?- mi chiede Annie.
-E’ andata a casa per prendere qualche vestito di ricambio- dico avvicinandomi al suo letto e sedendomi su una sedia posta lì vicino.
La sera portano via il bambino per delle visite di routine e per tenerlo sotto osservazione questa la notte.
-Vado anch'io- ci dice Peeta, dileguandosi subito dietro l'infermiera. Così rimaniamo solo io ed Annie. Parliamo per un pò finchè lei non si addormenta.
Non ha alcuna espressione. Sembra un corpo privato della linfa vitale. Ogni tanto la sento rigirarsi nel letto e mormorare qualcosa nel sonno. Una preghiera, penso.
-Pronuncia ancora il mio nome- sussurra d’un tratto.
So con chi crede di parlare; così come so che può succedere solo nei suoi sogni.
-Annie- le rispondo, avvicinandomi al suo orecchio.
E quando mi allontano, vedo gli angoli della sua bocca incurvarsi lievemente.
-Quando vieni a prendermi?- farfuglia ancora.
Vorrei tanto dirle “presto”, ma non ce la faccio. E poi ho un tale groppo in gola che non mi uscirebbe comunque una parola.
D’un tratto Annie apre gli occhi.
-Quando verrai a prendermi, Finn?- riformula la domanda, ma questa volta piantando il suo sguardo nel mio.
Non può credermi lui. Eppure continua a fissarmi.
-Mi avevi promesso che saremmo tornati a casa. Che saremmo andati a pesca.-
-Annie, non sono Finnick- dico, mentre la snsazione di vuoto mi divora dall'interno pezzo per pezzo.
-E poi hai detto che avremmo visto il solo inghiottito dal mare- dice, spostando i suo occhi in direzione della parete.
E’ pallida e trema come una foglia.
-Sono Katniss, Annie- confesso ancora una volta. –Finnick non è…-
-Non è morto- urla Annie coprendosi le orecchie –Non è morto- ripete con più foga.
Vorrei tanto crederle.
-…qui- mormoro. –Finnick non è qui-
Abbasso lo sguardo.
Anch’io non riesco a crederci. Il ragazzo che mi ha offerto lo zucchero prima della sfilata, non è davvero morto. Non quel ragazzo che mi ha salvato la vita nell’arena.
Annie rimane immobile scuotendo la testa impercettibilmente.
-Ascolta- dico, afferrandole le mani che fino a poco fa continuavano ad essere incollate alla sua testa -Te lo ha promesso ricordi? Ha detto che sarebbe venuto a prenderti. Allora tu aspettalo.-
-Non posso andare io da lui?- dice senza particolari inflessioni.
Ho l’impressione che l’ossigeno all’interno della stanza sia completamente scomparso, perché non riesco più a respirare.
Il vuoto, la stanchezza, il disgusto di esistere che sbocca nel desiderio di morire.
Quante volte ho pensato la stessa cosa anch’io?
Ritornare da mio padre. Correre da Prim.
Stringo i pugni.
-Tu devi aspettarlo- replico –Devi prenderti cura di vostro figlio. Devi raccontargli del grande uomo che era suo padre.-
Annie mi guarda supplichevole.
-Tornerà da te.- continuo. –Ha sempre mantenuto le sue promesse-
L’abbraccio e lei, finalmente, scoppia in lacrime.
-Mi manca- dice singhiozzando.
Gli occhi mi fanno male. Non sanno più mettere a fuoco.
-Lo so- ammetto -manca tanto anche a me.-
E trascorriamo così la notte.
La sua testa poggiata sulle mia ginocchia e la mia mano intenta ad accarezzarle i capelli.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


My Space:
Lo so.. sono diventata una macchina da guerra spara capitoli (?)
Ma non ce la faccio ad aspettare. Il vostro entusiasmo mi sprona a continuare e così la storia viene da sé.. facilmente.
Questa volta vi propongo Get it Right cantata da Lea Michele.
 
http://www.youtube.com/watch?v=l7gyAcXd7cE
In questo capitolo ho pensato di dare sfogo al dolore di Katniss.
Con questa canzone, invece, voglio descrivere anche il dolore della madre.
Mi scusa se i capitoli sono così corti. Ogni volta che ne inizio uno, mi ripropongo di farli più lunghi ma escono così.
PS: Vi proporrei di leggere questo (bellissimo è dire poco) MERAVIGLIOSO scritto di VivianMay http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=981100&i=1
Merita davvero tanto e sarei felice che faceste un salto, magari lasciando anche una vostra recensione. Ve ne sarei davvero grata *si inchina ripetutamente*
Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia e.. niente!
Buona lettura; a presto c:

 


 

CAPITOLO 10

Sono le sei del mattino e di Johanna e Peeta ancora nessuna traccia.
Un’infermiera con i capelli corti e dal'aria gentile ha riportato il bambino in camera.
Annie dorme ancora, così ne approfitto per sgattaiolare nei corridoi alla ricerca di Peeta che dovrebbe essere ritornato insieme al bambino.
Nonostante l’ora, l’ospedale brulica di dottori, infermiere e pazienti.
Uomini e donne la cui vita dipende da altre vite. Me lo diceva sempre mia madre.
Quando ritornavo a casa dai boschi e vedevo qualche uomo ferito sdraiato sul tavolo in cucina, le chiedevo perché lo faceva. Curare degli estranei, usare le proprie medicine e non chiedere nè cibo nè soldi in cambio.
-E’ il mio compito: aiutare gli altri. La mia vita dipende da questo- si limitava a spiegarmi.
In realtà non ho mai capito fino in fondo cosa volesse dire, ma a me stava bene così.
Dopotutto me la filavo di corsa dopo due minuti. Era Prim quella che le stava accanto nelle visite o -nei casi peggiori- durante gli interventi. In fondo credo che anche mia madre preferiva così.
Che io sappia, dovrebbe essere qui.
Dopo la costruzione dell’ospedale, ha deciso di rimanervi e praticare la sua attività di guaritrice. E’ un medico, a quando dice Sae la Zozza.
Sono mesi che non la sento. Potrebbe essere qui, a pochi passi da me, e la vedrei per la prima volta dall'inizio della guerra. Solo una volta si limitò a farmi avere da Haymitch una lettera in cui mi diceva che potevo chiamarla in caso di necessità. Non per tenerci in contatto o per sapere come stavo. Potevo chiamarla solo in caso di necessità.
Bruciai quel pezzo di carta e con esso bruciarono anche le mie speranze di avere una famiglia.
Ci sono stati giorni in cui avevo un disperato bisogno di qualcuno che mi dicesse “Andrà meglio”, ma non mi sono mai pentita di non aver tenuto il suo numero.
Da quelle poche righe era evidente che mi odiasse; che volesse sapere più niente di me. Averla accanto con questa consapevolezza, mi avrebbe maggiormente distrutta.
Non posso perdonarla. Mi lasciò sola quando morí papà. Mi ha lasciata sola ora che è morta Prim. E continua a lasciarmi sola. Non posso perdonarla; non ci riesco.
-Katniss- sento una voce dietro di me.
Trattengo il respiro.
-Mamma.- sussurro, sconvolta.
Eccola con il suo camice bianco, le solite labbra screpolate e i capelli raccolti in una cosa disordinata.
-Se qui per Annie, vero?- mi chiede, non muovendosi di un centimetro.
Dove sei? urlo nella mia testa Dove sei, Peeta?
Mi sento senza forze. Come se fossi reduce da una giornata di lavoro asfissiante.
-Si- le rispondo in tono freddo e distaccato.
-E’ un maschietto sano e forte- commenta.
-A differenza di qualcun altro- le faccio notare. Sono un disastro. Sto sbagliano tutto. Eppure non riesco a comportarmi diversamente.
-Ti prego Katniss. Non qui.- dice, facendo dei passi in avanti.
-Non avvicinarti- le ringhio in tono minaccioso.
Serro le mascelle e stringo i pugni.
Devo essere forte. Deve capire che sono ancora qui, dopo quello che ho sofferto. Non devo darle la soddisfazione di vedermi crollare.
Ma le lacrime mi escono a fiotti, bagnandomi tutto il viso.
-Non sai cosa ho passato- dico, ripensandomi in quella camera a Capitol City. Prigioniera in quelle quattro mura, mentre fuori si svolgeva il mio processo per l’assassinio della Coin. Quando il mio unico desiderio era morire.
-Avevo bisogno di te- urlo, isterica. –Avevo bisogno di mia madre-
Alcune persone si fermano intorno a noi per vedere cosa stia succedendo, ma non mi importa.
-Non potevo. Cerca di capirmi- Ora è lei a piangere.
-Tu non c’eri- le dico con tutto l’odio e il disprezzo e il rancore che mi porto dietro da anni.
Lo vuoi capire che non sei tu quella da compatire? Quella da capire sono io.- confesso bruscamente. Troppo bruscamente.
Le labbra di mia madre si uniscono in una linea dritta. -Se avessi saputo che stessi così male, forse io..-
-Lascia stare- dico, facendomi largo tra la folla.
Non ho più alcuna voglia di ascoltarla. Continuerebbe a giustificarsi e non lo sopporterei. Non ci sono scuse. Non esistono scuse per il suo comportamento, per la sua mancanza. Se se lo fosse dimenticato, sono sua figlia. Aveva il dovere di starmi accanto. E invece cosa ha fatto? Ha costruito un muro che ci tenesse ancor più separate. La odio, la odio.
E finalmente lo vedo.
Senza un attimo di esitazione affondo la testa nella sua maglia e, in risposta, Peeta mi abbraccia.
Non posso non notare che sembra allarmato. Johanna, che è vicino a noi, gli fa cenno in direzione di mia madre e lui capisce all'istante.
Prima ancora che la marea di gente si dilegui del tutto, ci allontaniamo.
-Allora  vado da Annie. E’ ora di vedere il pargoletto- dice Johanna, cercando di rendere l’atmosfera più rilassata.
Peeta Annuisce. –Noi abbiamo una cosa da fare.-

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - prima parte ***


My Space:
Perdonatemi per aver aver aggiornato così in ritardo... ma il così definito "blocco dello scritore"  ha colpito anche me! xD
Per questo capitolo ho scelto come base musicale, "A Moment Like This" cantata da Leona Lewis.
http://www.youtube.com/watch?v=gnurkZAq-nE
Sondaggio: Come chiamiamo il nambino di Finnick ad Annie?
Finnick o Phoenix (sarebbe la Fenicie, -che rinasce dopo le ceneri- ^_^)

Detto questo, spero che il capitolo vi piaccia e.. niente!
Buona lettura; a presto c:

 


 

CAPITOLO 11
prima parte

La sabbia che si insinua tra le dita dei piedi, la brezza marina che mi scompiglia leggermente i capelli.
-Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere venire qui.- sussurra Peeta. -Brutta giornata, eh?-
-Abbastanza- bisbiglio ammirando il luccichio del mare.
Vorrei raccontargli del crollo di Annie di questa notte, della sensazione che mi ha dato parlare con mia madre. Ma se glielo dicessi mi comporterei da egoista e con lui non posso essere egoista.
Perché si riesce a vomitare ciò che si ha nello stomaco e non quello che si ha nella testa?
Mi volto nella sua direzione per l’ennesima volta. La sua vicinanza è la mia cura per tutti i mali. Quanto tempo ci ho messo per capirlo? Io ho bisogno di Peeta tanto quanto ho bisogno dell’ossigeno per respirare, se non di più.
In fondo l’ho sempre saputo. Solo non volevo ammetterlo a me stessa. Accertarlo, infatti, avrebbe significato possedere un punto debole. E Capito City non aspettava altro: spezzare me, depistando Peeta; così funzionava.
Io non posso vivere senza di lui.
-L’altra sera ti ho baciato- confesso bruscamente.
Non ho idea di come potrà reagire ora. Probabilmente lo assalirà uno dei suoi flashback. Anche se da quando è tornato al Distretto 12  non ne ha avuto nemmeno uno. Almeno non in mia presenza, aggiungo.
Impedisco al mio cervello di pensare oltre perché so dove andrebbe a parare.
-Lo so- dice in tono calmo, fissando il mare.
Lo sapeva? Non può saperlo a meno che lui...
-Eri sveglio.- La mia non è una domanda, ma vedo comunque Peeta fare un cenno di affermazione.
Il silenzio che segue mi mette tremendamente a disagio. Spetta a me dire qualcosa. E, invece, me ne sto zitta in attesa che lui mi porga qualche domanda. Ma la quiete più totale continua a persistere.
La sua espressione è serena. Non un velo di pressione o confusione si scorge sui suoi lineamenti. Anzi, sorride. Uno di quei sorrisi che sono un dono, che avevo temuto di non vedere più.
Bacialo,  mi suggerisce una vocina nella mia testa. La sopprimo subito. Peggiorerei la situazione ed è l’ultima cosa che voglio.
-Allora perché non mi hai evitato?- chiedo, decidendo di rompere il ghiaccio.
Peeta fa spallucce. –Credo perché anch’io volevo quel bacio- mi dice, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lo invidio. L’ho sempre invidiato per questa sua capacità di dire la verità così spontaneamente.
Ma sono anche confusa. Perché mai avrebbe desiderato baciarmi? Possibile che mi ami ancora? Possibile non provi alcun tipo di risentimento nei miei confronti?
In questo periodo in cui Peeta è venuto ad abitare da me, non ne abbiamo mai parlato. Ci siamo limitati a toccare argomenti che in un modo o nell’altro non avessero nulla a che fare con il periodo della guerra. O almeno parlandone il meno possibile, come quelle volte in cui ci troviamo a scrivere una pagina nel Libro delle Memorie. Anche se nella mia testa continuavano a moltiplicarsi il numero delle domande che volevo fargli.
Una delle quali, con più insistenza delle altre, esigeva una risposta.
Cosa ti facevano a Capitol City?
Solo quando vedo le mascelle di Peeta irrigidirsi, mi rendo conto di averglielo chiesto davvero. E , per giunta, a voce alta.
Nel tempo in cui Peeta impiega per rispondere, mi sento come svuotata; priva di quel battito irrefrenabile che fino a quel momento ha continuato a martoriarmi il petto.
-Dovevi saperlo prima o poi, no?- mormora, lo sguardo dapprima basso, poi rivolto ai miei occhi. –Inizialmente si limitavano ad assicurarsi che non distogliessi lo sguardo dai corpi martoriati di Lavinia,  Darius e Johanna.- Giusto, le scariche elettriche.
Lavinia morì subito. Mentre per Darius ci volle molto più tempo, poiché abbassarono la quantità di volt.
Johanna invece è stata fortunata. Nonostante venisse immersa in vasche piene d’acqua elettrificata, è ancora viva.
-Poi, vedendo che continuavo a non rispondere alle loro domande, iniziarono a infierire anche su di me.- Sento la sua voce incrinarsi. –Posso passare questa parte?-
Annuisco. Qualsiasi cosa gli abbiano fatto, deve esser stato terribile e molto doloroso.
-Poi iniziarono a iniettarmi il veleno degli aghi inseguitori e a farmi vedere dei filmati che ti riguardavano. In realtà on ricordo molto di quel periodo. Solo il bip a intervalli regolari che emetteva un apparecchio. Il mal di testa e il senso di disorientamento. Gli aghi che continuavano a uscire ed entrare nel braccio. E il freddo che c’era in quella cella. Avevo freddo, tanto freddo. Eppure continuavo a sudare.- Si ferma per prendere un respiro profondo.- Ma nonostante tutto, pensarti, mi induceva a sperare.-
Mi fissa e ho la sensazione che da un momento all’altro possa vedere una lacrima farsi strada sul suo volto.
-Naturalmente questo prima di diventare un mostro.- Peeta storce il naso, come disgustato dalle sue ultime parole.
Prima che Peeta torni a pronunciare una sola sillaba, lo bacio e non appena le nostre labbra si toccano è come se il tempo si fermasse per permettermi di capire tutto quello che è successo tra noi. Tutto si fa chiaro.
Sono innamorata di Peeta Mellark.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - seconda parte ***


My Space:
Prima di tutto.. PERDONATEMI >.
Questo capitolo è molto più corto degli altri, ma questa volta c'è una spiegazione.
Questo capitolo, in origine, continua con la scelta del nome del bambino di Annie e Finni e con una chiacchierata un pò "speciale" tra Katniss e Johanna,
ma mi sono accorta che diventava davvero molto lungo e incasinato.
Così ho optato di dividerlo (anche perchè desideravo regalare un interno capitolo alla "famosa" domanda xD)
Questa volta vi consiglio di ascoltare "The Only Exception" dei Paramore.

http://www.youtube.com/watch?v=-J7J_IWUhls

Fatemi sapere cosa ne pensate. Mi aspetto anche recensioni negative perchè conosco l'obrobrio che ho creato e che state per leggere.
Detto questo.. a presto c:
  

 


 

CAPITOLO 11
seconda parte

Faccio marcia indietro allontanandomi dal suo viso.
I miei occhi lo scrutano e per un attimo lo vedo assurdamente felice, poi la confusione lo travolge.
-Peeta- sussurro, allungando la mia mano in direzione della sua spalla. Ma lui subito si ritrae.
Gli occhi persi nel vuoto e le braccia penzolanti lungo i fianchi. Somiglia ad un burattino senza burattinaio. Un oggetto inanimato, immobile. Sembra perfino che non respiri.
Ho paura. Cosa ho fatto? Cosa diamine ho fatto?
Stupida. Stupida. Stupida.
-Peeta.- Riprovo a chiamarlo, ma anche questa volta non mi risponde.
In compenso resta a fissarmi. Mi sembra perfino di potergli leggere nel pensiero. Di poter scandire ogni singola nota di dolore che lo attraverso dietro quegli occhi appannati che prima risplendevano di un azzurro intenso ma che ora sono iniettati di sangue.
Ho paura. Non per il fatto che lui possa affogarmi in mare da un momento all’altro, ma per la semplice consapevolezza di avergli fatto del male.
Ho paura di me stessa. Delle mie parole. Dei miei gesti. Dei  miei pensieri.
Sono io quella sbagliata.
Io, non faccio altro che provocare dolore. Ho paura per questo; ho paura e mi odio.
Nella luce arancione del tramonto, mi accorgo dei cerchi che ha sotto gli occhi. Probabilmente anche lui stanotte non ha dormito.
La calura della giornata sta lasciando posto alla brezza fredda della sera. E io sono sul punto di piangere.
Ripenso alle parole del dottor Aurelius: "La frequenza dei flashback è diminuita."
Giusto. E’ diminuita; ma non scomparsa. Eppure mi ero illusa. Lo avevo dato per scontato.
Certo, sapevo che alcuni ricordi di me lo confondevano ancora, ma lo rifiutavo. Non potevo sopportare un simile pensiero.
Faccio scivolare la mano nella tasca dei pantaloni e subito dopo la ricaccio fuori.
-La ricordi?- domando, mostrandogli al centro del palmo una piccola sfera, perfetta, iridescente alla luce della luna.
Peeta sembra riluttante ma poi un lieve “sì” esce dalla sua bocca.
-Sai, la porto sempre con me- dico rigirandomi la perla tra le dita, come ipnotizzata.
-Perché?- continua con aria interrogativa.
-Così non mi sento sola- concludo distogliendo lo sguardo.
Vorrei piangere, urlare, scappare e non ritornare più.
"E’ un incubo"continuo a ripetermi. "E’ solo un altro incubo. Fra poco mi sveglierò e mi troverò immersa tra le sue braccia."
Ma, come temevo, non succede nulla.
Inizio a sentirmi travolta da una sorta di confusione intossicante.
Sono arrabbiata. Sono disperata. Sono disposta a tutto pur di non lasciarlo andare.
Così gli prendo il viso fra le mani nonostante lui continui a opporre resistenza.
-Peeta, ti prego, guardami- lo imploro. –Me lo avevi giurato. Resta con me, Peeta. Resta con me.-
E in quel che mi sembra un tempo infinito, vedo gli occhi di Peeta farsi più dolci, i muscoli rilassarsi.
-Sempre- mormora, infilandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
Lo abbraccio perché è l’unica cosa razionale che penso. Premo la faccia contro l’incavo del suo collo, le mani stringono convulsamente la sua maglia per paura che lui possa volatilizzarsi da un momento all’altro.
Il suo corpo contro il mio: vivo e familiare e rassicurante.
Inevitabilmente mi torna alla mente un’altra promessa.. la stessa promessa.
“Non permettergli di portarti via da me.”
Ma stavolta non fa male. Stavolta, quel ricordo mi fa stare bene. Mi conferma che nonostante i flashback, i sentimenti di Peeta per me non sono cambiati.
Così quando mi sussurra: -Tu mi ami. Vero o falso?-, io gli rispondo –Vero.- 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


 

My Space:
Lo so mi odierete e vi do ragione!
Non ho giustifiazioni. Soo mesi che non scrivo... mesi che non pubblico. Il fatto è che con l'inizio della scuoloa tutto è diventato dannatamente più complicato; compiti, interrogazioni e ancora compiti. Sto dando di matto anche perchè pare che la mia vita sociale sia praticamente inesistente xD
(Fate l'amore, non andate al Liceo Classico!!)
Comunque sia, giusto per accertarvi che sono viva, vi pubblico questa mezza shifezzel... ehm voleva dire, pubblico il nuovo capitolo. Cortissimo come al solito. Inconsistente come al solito.
So che sto allungando il brodo ma abbiate fiducia in me >.<
Fatemi sapere se non vi piace più la storia, se la trovate noiosa e provvederò con la mia definitiva eliminazione xD
Detto questo vi lascio alla lettura e... neinte; a presto ( si spera) c:

 



CAPITOLO 12

Ci mettiamo seduti uno accanto all’altro e Peeta  mi prende la mano.
-Scusa- sussurra subito dopo.
In cielo compaiono poco a poco dei puntini luminosi.
-Mi racconti come ti sei innamorato di me?- domando, studiando attentamente le sue mani.
Peeta si gira dubbioso verso di me: -Ero convinto che te ne avessi già parlato-.
-Lo so ma lo faresti comunque?- replico.
Ho bisogno di sentirglielo dire ancora una volta. Sessanta secondi. Sessanta secondi è il tempo che impiega Peeta prima di aprire bocca.
-E’ successo il primo giorno di scuola. Tu eri appena fuori al cancello e io non riuscivo a non guardarti. Quel giorno venne a prendermi mio padre. Mi si avvicino e mi chiese “Pensi che potrebbe piacerti?”. Annuii e iniziai a descrivergli il colore dei tuoi capelli, quello dei tuoi occhi, il tuo sorriso. Continuavo a descrivergli ogni cosa di te, e lui ascoltava senza interrompermi nonostante fosti proprio davanti ai nostri occhi. Però la tua voce non poteva conoscerla. La stessa che mi aveva fatto capire di essere spacciato. Quando ebbi finito mi chiese cos’era, tra tutte queste cose, che mi piaceva di più.
Non te ne rendevi conto. Ecco cosa mi piaceva di te- confessa Peeta, mentre noto che le sue guance iniziano a colorarsi leggermente di rosso. –Tu non ne hai proprio idea. Dell’effetto che puoi fare.-
Mi volto a guardare il tramonto. Il mare è calmo ed è tinto dello stesso colore del cielo. Arancione. Il colore preferito di Peeta.
Mi sono sempre chiesta com’è essere felici.
E’ strano ma sembra che nella mia vita non lo sia mai stata.
Quando mi trovavo nei boschi ero lontana dalla polvere nera che usciva dalle miniere, lontana dai ragazzini che scavavano nei sacchi dell’immondizia dei negozi alla ricerca di qualcosa da mangiare, lontana dalla realtà che ero costretta a vedere e a vivere ogni giorno.
Non ero felice; ero libera.
Con Gale mi sentivo bene e protetta e capita.
Io avevo lui e lui aveva me. Sopravvivevamo alla morte dei nostri padri. Vivevamo per dare un futuro alle nostre famiglie. Lo facevamo perché dovevamo, di certo non per vendere conigli e scoiattoli ai pacificatori che abitavano al distretto.
Il fatto che ci trovassimo entrambi in questa situazione era stato un puro caso. Come se il destino ci avesse fatto incontrare affinché trovassimo quel minimo di normalità che ci era stato negato.
Non ero felice; ero me stessa.
Con Prim… con Prim tutto diventava follemente più difficile. Ero terrorizzata dall’idea che potesse succederle qualcosa. Un sesto senso.
Non la perdevo d’occhio un solo secondo. Perfino ora, di tanto in tanto, mi capita di guardarla; una foto. Ecco cosa è rimasto della mia sorellina: Prim a tre mesi che dorme tra le mie braccia.
Era una bambina bellissima già da allora. Ciuffetti di capelli biondo cenere le spuntavano dalla testa, pelle bianca e delicata le faceva da cornice a due grandi occhi azzurri. E poi quelle fossette ai lati della bocca minuscola che facevano sorridere chiunque.
Più passa il tempo e più mi convinco che Prim non era destinata a questo mondo; un’anima tanto pura non poteva vivere su un mondo cibato di carne e sangue.
Le dita di Peeta si intrecciano lentamente alle mie.
Forse la vera felicità non esiste o forse esiste, ma sottoforma di mille facce.
Libertà, amicizia, vita, amore. Ecco la felicità.
Il giallo di un dente di leone. Ecco la felicità.
La nascita di un bambino. Ecco la felicità.
-Grazie- dico stringendo forte la mano di Peeta. –Grazie per avermi amata ancor prima che ti conoscessi-
Grazie. Un misero “grazie” è tutto quello che riesco a dire. Non sono capace di aggiungere una sola parola. Piango, piango e non riesco a fermarmi. Piango perchè non lo merito, piango perchè, proprio come disse Haymitch, potrei vivere ancora cento viete e ancora non lo meriterei. Piango finchè non vengo interrotta dalle sue labbra sulle mie.
Afferro il suo braccio. -Sei sicuro?-
Lo fisso negli occhi. Non voglio fargli del male. Non voglio fargliene mai più.
Come risposta arriva un'altro bacio, più forte ed intenso di quello di prima.
Tutti hanno bisogno di essere salvati. Io ho bisogno di essere salvata. E solo Peeta può farlo.

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