Thinking To How It Was Back Then - Due Cuori e un Abito da Sposa. di a Game of Shadows (/viewuser.php?uid=56057)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** How it was back then. ***
Capitolo 2: *** The jokes, laughs, smiles we shared. ***
Capitolo 3: *** Don't Leave. ***
Capitolo 4: *** Don't Cry. ***
Capitolo 5: *** Epilogue. ***
Capitolo 1 *** How it was back then. ***
Thinking to how it was back then –
Due cuori e un abito da sposa.
1.
How it was back then.
Era
già qualche tempo, ormai, che il mio caro amico Sherlock
Holmes si comportava
in modo strano. Non strano come suo solito, ma in modo estremamente
diverso e
preoccupante. Quelle poche volte che mi ero recato a Baker Street negli
ultimi
mesi per visite di controllo in modo da potermi assicurare che non si
fosse
ucciso con qualche esperimento, lo avevo trovato profondamente
cambiato.
Apparentemente era sempre lo stesso, ma per una persona che lo
conosceva bene,
non era così. Aveva perso molti chili, i segni della siringa
sul suo braccio
erano sempre di più e lui non si curava neanche di
nasconderli, ma i segni
fisici erano quelli che mi preoccupavano di meno, poiché
conoscevo purtroppo
quali fossero le diete che seguiva e quali fossero le sue terribili
dipendenze.
Ciò che maggiormente mi portava a pensare che non stesse
bene, era la profonda
stanchezza che vedevo nei suoi occhi, sentire che l’ironia di
cui spesso
colmava le sue parole era andata dispersa nella freddezza e in uno
sgarbato
cinismo. La luce di cui ero solito veder brillare i suoi occhi era ora
spenta,
opacizzata dalle droghe e da chissà quali pensieri. Ormai
non cercava neanche
più di coinvolgermi nelle sue stravaganti avventure; non
potevo neanche pensare
che non avesse seguito nessun caso, alcune delle mie visite non erano
state
ricevute perché, in seguito alla visita di un cliente, lui
era uscito, questo
mi aveva detto Mrs. Hudson. Poi, anche se non fosse successo, avevo
letto più
di una volta il suo nome sui giornali, affiancante Scotland Yard, che
ovviamente si prendeva il merito per soluzioni che non avevano
raggiunto gli
ispettori. Solo la spiegazione di quanto complicato un caso fosse lo
rendeva
ovvio. Quindi Holmes aveva semplicemente rinunciato, e questo mi
feriva; non
potevo neanche dirglielo e passare per ipocrita in quel modo. Ma ogni
volta che
gli chiedevo se avesse lavorato a qualcosa d’interessante,
lui si limitava a
tenere lo sguardo lungi da me e scrollare le spalle senza darmi una
vera
risposta. Mi stava escludendo dalla sua vita.
Qualcosa
era successo al mio amico, e gli stava ancora succedendo con il passare
del
tempo, distruggendolo lentamente dall’interno, ma ogni volta
che prendevo
coraggio e osavo chiedergli cosa avesse, liquidava in fretta
l’argomento con un
lapidario “niente” che non ammetteva repliche e
passava a tutt’altro argomento,
destinato a morire dopo poche parole come stava ormai spesso succedendo.
Quando
era tornato a Londra dopo il caso di Moriarty, lui era lo stesso Holmes
che
avevo sempre conosciuto, ironico e pungente, ma pian piano aveva
cominciato a
morire lentamente tra le mie braccia senza permettermi di fare niente
per
salvarlo.
Mary
aveva detto che anch’io ero diventato taciturno e che
mangiavo meno, quando la
misi a parte delle mie preoccupazioni per il mio migliore amico. Lo
sapevo,
l’appetito mi era passato del tutto la sera in cui avevo
visto Holmes gettarsi
da quel balcone, e mangiavo per semplice abitudine e solo per non
lasciarmi
morire, ma non sentivo mai lo stimolo della fame, e la voglia di
parlare era
diminuita a dismisura, come anche mia moglie poté costatare
quando finalmente
partimmo per la nostra settimana a Brighton. Era come se il mio corpo
volesse
impedirmi di vivere in modo da poter raggiungere Holmes. Anche dopo il
suo
ritorno, però, la situazione non era cambiata, specie quando
notai che era più
lontano da me adesso di quando era “morto”. Negai
tutto quel che Mary mi disse,
seppur sapessi perfettamente che avesse ragione; ma Holmes mi mancava,
mi
perdevo talmente nei ricordi, nei nostri ricordi,
da dimenticarmi persino cosa stavo facendo fino a un attimo prima e
preferivo
scrivere a macchina le nostre avventure prima che parlare con Mary.
Solo che a
lei non potevo dirlo, Mary non poteva sapere che il motivo delle
condizioni
patetiche di suo marito era un altro uomo.
Più
di una volta ero arrivato a concordare tacitamente con Holmes, senza
ovviamente
permettermi di dirglielo ad alta voce, preferendo poi scacciare il
pensiero
dalla mia mente appena questo vi si presentava: il matrimonio era stato
un
grosso errore. Mary era una donna adorabile, ma a me mancava
l’avventura, il
rischio, quei casi complicati e apparentemente irrisolvibili, che
utilizzavo
poi nei miei resoconti per adulare le doti del mio migliore amico. Ma
mi
mancavano soprattutto le serate davanti al camino, ognuno seduto sulla
propria
poltrona e accompagnati dalla propria lettura e un bicchiere di brandy,
e solo
qualche parola ogni tanto. Ma anche quelle serate in cui noi eravamo
sempre lì,
su quelle stesse poltrone, a ridere insieme, a sbeffeggiare Scotland
Yard, e
quei brevi sorrisi e gli sguardi complici… mi mancava anche
sentire il suono
del violino alle tre di notte, vedergli i miei vestiti indosso, il
pericolo di
imbattersi in qualche esperimento chimico probabilmente letale in giro
per casa
nostra…
E
Holmes si comportava nel mio stesso modo, mi chiedeva cosa avessi ed io
fingevo
di stare bene, quando probabilmente era ovvio il contrario.
Quel
pomeriggio, mentre mi avviavo a Baker Street, più per
malinconia dei vecchi
tempi che per la mia solita visita di controllo, incrociai il
fratellino
Mycroft mentre usciva dal 221b con sguardo sconfortato. Mi chiesi se
per caso
il governo avesse chiesto i servigi di Holmes per una faccenda molto
importante, poiché sapevo che al fratello maggiore non
piaceva muoversi molto
se non per questioni di vitale importanza, ma lo sguardo cupo di
Mycroft mi
fece ricredere immediatamente sul lavoro come motivazione della sua
presenza
lì.
“Buongiorno,
Dottore.” Mi salutò raggiungendomi. “Va
da Sherly, vero? È un sollievo sapere
che non rimarrà da solo.” Disse, sinceramente
sollevato.
“Perché,
non sta bene?” chiesi subito, incapace di celare la mia
preoccupazione. Temevo
che il crollo che avevo visto in lui in quegli ultimi mesi adesso
avesse avuto
terribili ripercussioni sulle sue condizioni di salute.
“Non
credo, no. Non so dirglielo con esattezza, io non sono un medico. Sono
passato
a trovarlo perché, senza dubbio ha notato anche lei,
c’è qualcosa che non va e
che non intende dire a nessuno. Ero preoccupato e sono passato a
salutarlo ma,
quando sono arrivato, dormiva sulla poltrona, rannicchiato come un
gatto. Quando
me ne sono andato, era ancora lì, non aveva mosso un
muscolo. Sono rimasto per
po’ per controllare che non smettesse di respirare. Non aveva
un bell’aspetto e
sembrava avere un sonno agitato, ma non sono riuscito a svegliarlo.
Adesso devo
andare, Dottor Watson, il lavoro mi attende. Abbia cura di mio
fratello. Buona
serata.”
Non
riuscii neanche a ricambiare il saluto, avevo la gola secca. Corsi
subito
dentro lo stabile e su per le scale, impaziente di controllare quali
fossero le
sue reali condizioni e, se possibile, aiutarlo. Bussai insistentemente
alla
porta, ma non ricevetti alcuna risposta, così decisi di
entrare. Se persino il
pigro fratellone si era preoccupato al punto di uscire da casa per
controllare
che stesse bene, Holmes non poteva più negarmi che qualcosa
non andava.
Lo
trovai esattamente dove Mycroft mi aveva detto di averlo lasciato: era
rannicchiato sulla poltrona, in una posizione tale da sembrare
più piccolo, e
una spessa coperta, probabilmente messa a scaldarlo proprio dal
fratello
(Holmes non aveva certi riguardi nei confronti della sua persona) a
coprirlo
fin sotto gli occhi. Nonostante stesse dormendo e desse
l’impressione di farlo
da molto, i profondi aloni scuri sotto i suoi occhi chiusi tradivano
ancora
quella pesante stanchezza di cui ero stato sventuratamente testimone
nel corso
degli ultimi mesi. Mai lo avevo visto in condizioni così
terribili. Se non
fossi stato appena rassicurato sul fatto che respirasse, dal suo
aspetto avrei
potuto benissimo dire che era morto.
Ovviamente,
essendo un medico sarebbe stato più semplice avvicinarmi e
controllare con più
accuratezza le sue condizioni, ma la vista che avevo davanti mi teneva
inchiodato dov’ero. Cosa poteva aver ridotto in quelle
condizioni lo stoico
Sherlock Holmes?
Non
so quanto tempo persi a fissarlo, senza muovere un solo muscolo, con lo
sguardo
fisso sul suo viso addormentato, ma alla fine trovai la forza di
camminare su
quello spesso tappeto, intriso di polvere poiché Holmes non
permetteva a Mrs.
Hudson di entrare nelle nostre stanze – no, le sue
– per pulirvi. Mi muovevo con cautela, nonostante il tappeto
attutisse ogni suono. Mi sembrava quasi di essere un estraneo nel mio
stesso
mondo, adesso. Tutte quelle cianfrusaglie, i cimeli, i nostri
ricordi – almeno quelli erano ancora di entrambi, mi
sembravano adesso sconosciuti quanto il loro proprietario. Difatti,
ormai,
Holmes per me era solo un oscuro sconosciuto. Se non lo avessi
conosciuto ormai
da quasi quindici anni, non mi sarei mai proposto di avvicinarmi a un
tipo
simile se lo avessi trovato in un bar o in qualunque altro posto.
Holmes
sembrava aver perso quel carisma che lo contraddiceva, per rimpiazzarlo
con un
uomo ancora più freddo e distaccato di quanto non fosse mai
stato prima. L’uomo
che avevo davanti adesso non era Sherlock Holmes.
Quando
finalmente raggiunsi la sua poltrona, dopo quella che mi parve
un’eternità, abbassai
gli occhi sul pavimento. A Holmes non piaceva che le sue cose fossero
spostate,
quindi Mycroft non aveva rimosso la bottiglia vuota di brandy, il
bicchiere
rovesciato a terra e la siringa con l’astuccio in marocchino
rigorosamente
vuoti come la bottiglia. Con un gesto stizzito e seccato, spostai
tutto, ormai
incurante di fare rumore o no, e m’inginocchiai,
cosicché il mio viso fu
all’altezza di quello di Holmes, sul bracciolo della
poltrona. Nonostante il
fuoco acceso, nella stanza faceva un po’ freddo
così scostai con cautela la
coperta che lo copriva, in modo da non procurargli un trauma per lo
sbalzo
termico, e la abbassai fino a che lo copriva solo dai fianchi in
giù.
Nonostante la mia precauzione, Holmes rabbrividì e si
rannicchiò se possibile ancora
di più, stringendosi le braccia al petto per scaldarsi. Non
riuscivo ancora a
capire chi avessi davanti.
Sospirai
e mi tolsi i guanti, così quando gli afferrai cautamente un
polso per testare
il battito cardiaco, avrebbe sentito la mia mano scaldata e non la
fredda
superficie della pelle di quell’indumento. Difatti, non si
lamentò ed io potei
testare con tranquillità il battito; preoccupantemente
lento. Portai la mano
libera sulla sua fronte così sentii anche che aveva la
febbre alta. Sicuramente
si era reso conto delle proprie condizioni; perché, quindi,
non mi aveva
chiamato?
Mi
alzai dal mio posto e corsi in bagno per riempire una tinozza di acqua
calda,
ove immersi un panno che, raggiunto di nuovo il salotto, usai per
tamponargli
la fronte. Quelle improvvise attenzioni dovettero ridestarlo dal
torpore del
sonno perché lentamente aprì gli occhi,
sbattendoli poi velocemente un paio di
volte per mettere a fuoco. Cercai di ignorarlo e proseguii il mio
lavoro.
“’ats’n?” biascicò
con incertezza.
Interpretai
quel suono disarticolato come il mio nome, così mi limitai
ad annuire, senza
mai spostare lo sguardo dal mio lavoro anziché abbassarlo
sui suoi occhi; non
avrei sopportato di vederlo così.
“C’sa
shi fa ‘i?”
Riportate
queste parole per iscritto, sembrano molto più comprensibili
di quanto non
fossero quando dette, quindi, più per puro istinto che per
volontà, abbassai lo
sguardo con aria confusa. Trovai due occhi lucidi, appena appena aperti
e
offuscati che mi guardavano, le sopracciglia aggrottate nel tentativo
di
mettere a fuoco più chiaramente.
“Aspetti qui, le vado a prendere un bicchiere
d’acqua. Magari dopo riesce a
parlare in modo comprensibile.” Dissi e mi alzai.
Cercai di mantenere un’aria composta mentre mi dirigevo verso
la porta per
scendere al piano di sotto, ma appena fui fuori, rincuorato che Holmes
fosse
troppo stordito per sentire i miei passi affrettati, scappai di sotto
quanto
più velocemente potevo, in cucina, e riempii un bicchiere
d’acqua per tornare
poi di sopra in tutta fretta.
Holmes era ancora nella posizione in cui l’avevo trovato,
solo che lo sguardo
vagava in modo incoerente e confuso per la stanza, come se non
riconoscesse il
posto in cui era, e si era di nuovo tirato la coperta sopra le spalle.
Sbuffai. Ero deluso dal suo comportamento ma sapevo che c’era
una ragione se si
stava uccidendo con tanta diligenza. E temevo di essere io quella
ragione. Ma
avevo convissuto con Mary per circa un anno e non si era mai ridotto
così. Soltanto
da quando era tornato da quelle turbinose cascate, dopo… il
matrimonio. Dopo
che il mio trasferimento era ufficiale e avevo giurato che non avrei
mai più
preso parte ai suoi casi. E non lo vedevo che ogni tanto. Poteva
davvero essere
stata la mia mancanza dall’appartamento e nella sua vita a
ridurlo in quelle
condizioni? Eppure aveva vissuto per anni senza neanche sapere che
esistevo.
Gli
portai il bicchiere, che lui fissò per qualche attimo con
occhi ancora confusi,
per poi tirarsi su in una posizione seduta e afferrarlo debolmente.
Doveva
avere la gola secca perché lo buttò
giù come se non bevesse da secoli.
“Che cosa mi aveva chiesto?” gli domandai, cercando
di suonare neutrale e
indifferente a quel suo comportamento mentre mi toglievo finalmente il
cappotto
e il cappello.
“Niente…”
borbottò, massaggiandosi gli occhi. “Mio fratello
è stato qui.”
“Allora
non dormiva.”
“Invece
sì. Ma chiunque potrebbe riconoscere la terra lavorata che
si trova nelle
aiuole fuori dal Diogenes Club. Mycroft ha un ottimo spirito
d’osservazione ma
una scarsa considerazione della natura quando ha troppi pensieri ad
affollargli
la mente e non bada a dove cammina.” Rispose, indicando un
poco di terriccio
sul tappeto, di fronte al camino. “Il fatto che la terra
nelle scarpe non sia
stata persa camminando significa che è venuto qua in
carrozza, il che è
coerente con il carattere pigro del fratellino. E non avevo quella
coperta
addosso quando mi sono addormentato.”
“Potrei
averla coperta io.”
“Improbabile.
Si sta spogliando solo adesso, quindi è qui da poco. Quando
mi sono svegliato
lei stava esercitando il suo mestiere di medico, cosa che suppongo le
venga
istintiva. Non credo che avrebbe dato la precedenza a una coperta che
avrebbe
trovato nell’armadio di sotto di Mrs. Hudson alla sua
naturale indole.”
Non
capivo perché continuassi così insistentemente a
metterlo alla prova quando
sapevo benissimo che non avrebbe mai deluso le mie aspettative. Forse,
poiché
ormai non lo seguivo più nel suo lavoro, volevo poter
sentire comunque le sue
brillanti deduzioni per sentirlo in qualche modo più vicino
o per riuscire ad
accettare che quello sconosciuto davanti a me fosse davvero Sherlock
Holmes.
“Avrebbe
dovuto chiamarmi quando si è sentito male.” Dissi,
anziché dargli la
soddisfazione di
elogiare le sue doti.
Senza dubbio, però, il mio silenzio gli avrebbe suggerito
che aveva ragione.
Si
stese di nuovo per qualche attimo, massaggiandosi le tempie, gli occhi
di nuovo
chiusi.
“Non
sono mai stato meglio. Non sono ammalato, questa è solo una
controindicazione
di un mio esperimento.”
Chiusi
gli occhi e cercai di mantenere la calma. Quando anche io vivevo a
Baker
Street, Holmes era molto più controllato con i suoi vizi,
perché sapeva che io
ero lì a bacchettarlo e a fargli sparire le droghe, gli
anestetici, gli
alcolici… ma adesso stava evidentemente sfogando quegli anni
di “oppressione
della sua personalità”, come disse lui una volta,
e se prima pensavo che si
stesse uccidendo, adesso non sapevo più cosa pensare.
“Smetterà
mai?” chiesi con esasperazione.
Ormai sapevo che chiedergli di farlo o cercare di imporglielo era
inutile,
avrebbe comunque fatto sempre di testa sua.
“No.” La risposta fu secca e fredda. Quasi sembrava
che gli avessi chiesto di sacrificare
la vita in cambio di un sasso. Non mi aveva preso in giro per la mia
preoccupazione, ma aveva solo liquidato l’argomento con la
solita freddezza
degli ultimi mesi. Quella non era che l’ombra dello Sherlock
Holmes che
conoscevo.
Che
cosa avrei potuto dire, adesso?
Ribattere non avrebbe portato a uno dei nostri soliti
battibecchi, lo
sapevo; con questo “nuovo” Holmes, sicuramente
saremmo arrivati a un litigio in
piena regola, da cui non sapevo come ne saremmo usciti. Mi limitai a
sbuffare
silenziosamente e mi sedetti sulla mia vecchia poltrona, alla disperata
ricerca
di un argomento pacifico di cui parlare, ma l’aria
s’era fatta talmente fredda,
intorno a noi, che anche il mio cervello sembrava essersi gelato con
essa. Mi
sembrava di essere sul filo del rasoio, in cui una parola mal espressa
o un
gesto fraintendibile avrebbero causato l’inevitabile caduta.
Qualunque cosa
potessi dire o fare, temevo che avrebbe ulteriormente compromesso il
mio
rapporto con Holmes.
Quando
si scoprì gli occhi, il suo sguardo si mosse sul muro di
fronte a sé, ma
sembrava che non lo vedesse davvero; i suoi occhi erano offuscati, lo
sguardo
si muoveva di tanto in tanto in modo impercettibile, perso com'era nei
suoi
pensieri.
“A
volte pagherei qualunque cifra per sapere a cosa
pensa…” mormorai
inconsciamente.
Immediatamente
mi pentii di quello che avevo detto. Per quanto la mia voce fosse stata
bassa,
i sensi di Holmes erano molto più sviluppati di quelli di
qualunque altro
essere umano e poteva benissimo considerare queste mie parole come
un’invasione
del suo spazio personale se mi avesse sentito. Di fatti, si
voltò a guardarmi.
Sentii le guance andare in fiamme, ma non distrassi lo sguardo, non
volevo fornirgli
un’ulteriore prova del mio imbarazzo.
Per
qualche attimo rimase immobile a fissarmi, poi spostò
velocemente gli occhi al
tappeto in quello che quasi sembrava… imbarazzo?
“Pensavo a com’erano le cose prima.”
La
sua voce era bassa almeno quanto la mia di poco fa. Non doveva essere
stata una
cosa semplice da dire per lui; mostrare una simile nostalgia, seppur in
modo
non troppo chiaro per me, non era decisamente cosa da Sherlock Holmes.
“Cosa intende?” provai a chiedere. Qualcosa me lo
aveva detto, potevo sperare
che mi dicesse di più.
Non
ebbi mai una risposta di nessun tipo. Fece come se non mi avesse
sentito e
prese la pipa e la ciabatta persiana con dentro il tabacco per fumare.
“A cosa devo il piacere della sua visita?” disse a
un tratto, lo sguardo ben
lungi da me.
“Sono
passato a vedere se stava bene.” Dissi automaticamente. Mai
gli avrei detto che
era per malinconia che mi trovavo a Baker Street, e gli avevo fornito
la stessa
spiegazione di ogni volta. Non mi resi mai conto che doveva essere poco
gratificante, per lui, sapere che il suo migliore amico andava a
trovarlo solo per
dovere di medico e mai per affetto, ma d’altra parte, lui non
aveva mai neanche
visto la mia casa di Cavendish Place, che cosa mai avrebbe potuto dirmi?
“Poteva
risparmiarselo. Non ho bisogno di lei.”
Rimasi a fissarlo per qualche secondo, impietrito. Non c’era
traccia di
reticenza o di rammarico, sul suo volto; quelle parole affilate erano
state
pronunciate senza menzogna né pentimento. Distrassi lo
sguardo, cercando di
ignorare la fitta al cuore che la sua voce gelida mi aveva procurato e
presi il
giornale dal tavolo dinanzi alle nostre poltrone.
“Ha seguito qualche caso interessante?” chiesi,
ostentando non curanza, come
facevo sempre, sperando di ristabilire una qualche traccia di
normalità in
quell’appartamento. Senza successo.
“No.”
La sua voce era di nuovo fredda come prima, e il tono non indicava che
intendesse proseguire in qualche modo. Non ero disposto a sopportarlo,
subire
un trattamento simile da lui era troppo anche per un uomo temprato come
me.
Mi rialzai immediatamente dalla poltrona, lanciando il giornale da una
parte e
indossai nuovamente il cappotto e il cappello.
“Se
le mie visite la infastidiscono tanto, non ha che da dirlo,
Holmes!” sbottai,
chinandomi davanti alla sua poltrona per raccogliere i guanti che avevo
lasciato sul pavimento quando avevo iniziato a curarlo, e li rimisi.
“Non capisco perché continui a venire se ha avuto
tanta fretta di andarsene.”
Rispose invece lui, finalmente guardandomi negli occhi.
Strinsi
i denti e mi rialzai velocemente; stavo disperatamente concentrando
tutta la
mia energia sul mio auto-controllo per non mettermi a urlare. Dovevo
andarmene
immediatamente o lo avrei preso a pugni. Avevo provato più
di una volta a
dirgli che il mio matrimonio non avrebbe compromesso in alcun modo la
nostra
amicizia, ma lui sembrava pensarla diversamente.
Mi
voltai, dirigendomi verso la porta. Sarei tornato in serata per
scusarmi del
mio comportamento se la sua voce non mi avesse fermato
dov’ero.
“Comunque, sì: le sue visite mi infastidiscono.
Gradirei non venisse più.”
Sentii
il mondo mancarmi sotto i piedi. Non avrei più dovuto
voltarmi indietro,
adesso, non avrei più dovuto vedere il suo viso se non sui
giornali, secondo
lui. Quello era uno sgarbato addio. Mi vennero le vertigini, la nausea,
e
controllare le lacrime che minacciavano di sgorgarmi dagli occhi da un
momento
all’altro si faceva difficile.
“Molto bene…” mormorai, e scappai fuori,
poi in strada.
Il rumore di Londra, la vita fuori da quell’edificio, le
risate delle persone,
improvvisamente mi irritavano. Mi sembrava quasi che la
città intera mi
deridesse per quello che avevo perso. Improvvisamente privo di forze,
mi
appoggiai al muro alle mie spalle e lasciai che le lacrime scivolassero
libere
sul mio viso.
--
Holmes
guardava Watson piangere dalla finestra dell’appartamento con
falso
disinteresse. Perché stesse recitando anche adesso che era
solo, era un mistero
anche per lui. Fingeva di essere indifferente a se stesso, al mondo, a Lui. Ma non era così. Era per
quell’abbandono, quel tradimento
che
stava cercando di uccidersi in quel modo. Preferiva che fossero le sue
usuali
abitudini a ucciderlo. Un vero suicidio, veloce e indolore…
non ne aveva il
coraggio.
Rimase
a guardare Watson piangere per qualche minuto poi, sospirando, chiuse
la tenda
e andò in camera sua, dove aveva nascosto una dose di
riserva della sua
cocaina. Quell’addio era stato necessario. Continuare a
vedersi faceva male a
entrambi, dovevano finirla una volta per tutte.
Una
volta tornato in salotto e seduto sulla sua poltrona, riempì
la siringa di quel
veleno e la iniettò nel braccio martoriato già da
numerosi buchi, per poi
rannicchiarsi di nuovo e coprirsi, sperando che, almeno per qualche
ora,
avrebbe potuto dormire un sonno pacifico, senza sogni.
“I was
thinking to how it was back then.”
“What do you mean?”
“I mean things change, people change. You changed. We used to
talk for hours
and now I’m lucky if I talk to you for a few minutes a day.
You used to want to
be with me and now you make it seem like you’re always too
busy. I remember the
jokes, laughs, smiles we shared. And I doubt you remember any of
that.”
[NDA]
La frase in Inglese viene da un'immagine che trovai su facebook, dei
messaggi degli iPhone. Non la trovo più. Se qualcuno la
trovasse, può gentilmente linkarmela, così la
inserisco nei credits?
Ah, ovviamente i personaggi non mi
appartengono. Si appartengono a vicenda u.u
|
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Capitolo 2 *** The jokes, laughs, smiles we shared. ***
Helloooooo. Secondo capitolo, accompagnato dal primo premiuccio vinto
*^*
WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA *^*
Adesso vi lascio al secondo capitolo xD
2.
The jokes, laughs, smiles we shared.
Nonostante
la sofferenza procuratami dalle niente di meno che crudeli parole di
Holmes,
rispettai la sua volontà e non mi feci più vivo a
Baker Street. No, questo non
è del tutto vero; ci tornavo, spesso. Rimanevo in strada,
davanti alla finestra
del salotto senza muovermi per ore. Qualche volta, se ero fortunato,
potevo
sentirlo suonare. Questo mi rincuorava; mi convinceva che, anche se non
stava
mentalmente bene, almeno era fisicamente in salute, abbastanza da non
perdere
coscienza e poter suonare, almeno. Mi stava convincendo che lui poteva
vivere
senza di me. Io, invece, non potevo vivere senza di lui.
Ormai
era quasi un anno che mi aveva escluso dalla sua vita. Non voleva
vedermi,
quindi non gli avevo imposto la mia presenza, ma spesso avevo comunque
cercato
di ristabilire un contatto con lui, ma non aveva mai risposto ai miei
vari
biglietti, che fossero per il suo compleanno, per qualche
festività o per
congratularmi di un caso brillantemente risolto di cui avevo letto sul
giornale, in cui il suo nome non accompagnava Scotland Yard, ma il suo
metodo
di lavoro era evidente. Mi rimandò indietro anche
l’orologio che gli avevo
spedito per il suo quarantesimo compleanno, senza una riga aggiunta,
nonostante
avessi chiesto di poterlo incontrare nel biglietto. Provai anche a
mandargli un
telegramma, con scritto che avrei rivoluto indietro i vestiti che mi
aveva
rubato negli anni. Non ci tenevo a riaverli, ma se davvero intendeva
sbarazzarsi di ogni mia traccia in quella casa e nella sua vita, allora
avrebbe
dovuto concedermi di entrare per l’ultima volta a Baker
Street per riprendermi
i miei effetti, e ne avrei approfittato per tentare di instaurare una
conversazione. Avrei accettato anche di non sapere mai cosa davvero lo
massacrasse in quel modo terribile se avesse significato riaverlo al
mio
fianco, nonostante il bisogno sia fisico sia psicologico di prendermi
cura di
lui, cercare di farlo sorridere di nuovo, mi avrebbero massacrato a mia
volta.
Mi bastava di averlo di nuovo nella mia vita, ironico o freddo e cinico
che
fosse. Male che fosse andata, almeno avrei potuto rivederlo
un’ultima volta.
Forse mi avrebbe preso a pugni, mi avrebbe intimato di andarmene, ma
avrei
avuto l’opportunità di dirgli tutte quelle cose
che mi ero tenuto dentro nel
corso degli anni.
Quel
telegramma era la mia ultima speranza. Avevo anche deciso in quale
giorno sarei
andato a Baker Street in caso di mancata risposta. A quel punto, si
sarebbe
sicuramente aspettato il mio arrivo e non avrebbe potuto rimproverarmi
in alcun
modo della mancata promessa. Invece, quando ormai avevo deciso che
quello
stesso pomeriggio sarei andato al 221b, prima dell’ora di
pranzo, arrivò Billy
a Cavendish Place con un borsone.
“Dice che non deve venire a riportargli la borsa e che
può tenersela.” Aveva
detto, e se n’era andato così. Holmes aveva
trovato un altro metodo per
liberarsi di me. Ne avrebbe sempre trovato uno, qualunque cosa io
facessi. Ogni
tentativo di contatto era andato perduto, non sapevo più
cosa fare per poter
parlare con lui. Non potevo tendergli un’imboscata sotto
casa, sarebbe stato
irrispettoso nei suoi confronti, e lui non avrebbe di certo esitato a
rompermi
il naso solo perché di fronte a tutta la città.
Dovevo avere il suo consenso per potermi avvicinare.
Mary
sosteneva che in quelle condizioni mi sarei ammalato presto. Era
già un po’ di
tempo che ogni tanto decidevo di non aprire lo studio perché
troppo distratto o
troppo nervoso per lavorare, pensando con ossessione a cosa Holmes
stesse
facendo in quel momento.
Io
non avevo riscontrato quei grandi cambiamenti nel mio carattere che mia
moglie
andava dicendo; facevo di tutto per tenermi il mio dolore dentro ed
impedire
che mia moglie riconoscesse quanto infelice fossi con lei rispetto a
quanto ero
felice quando ancora vivevo nei nostri – suoi
- alloggi. Avevo
già ferito
incredibilmente la persona più importante delle mia vita,
non volevo infierire
anche sulla povera Mary, ma lei se n’era probabilmente
già accorta. A suo dire,
ero dimagrito fin troppi chili – i suoi muffin non mi
sembravano più così
appetitosi, ero diventato burbero e scontroso con chiunque mi
rivolgesse la
parola, non sorridevo da mesi. Io non mi ero reso conto di niente.
Mia
moglie era diventata incredibilmente irritante, per me. Mi rendevo
conto che
Mary non era cambiata affatto dal giorno del nostro matrimonio, ma non
riuscivo
a non trovarla insopportabile comunque. Ci avevo provato, ad amarla,
sin dal
giorno in cui l’avevo incontrata, nella vana speranza che lei
avrebbe potuto
cancellare Holmes dal mio cuore, ma mai avevo avuto successo. Avevo
comunque
iniziato a nutrire un profondo affetto, per lei, con il tempo, ma
niente che
andasse oltre un rapporto tra fratelli. Per questo, avevo avuto non
poche
difficoltà a “consumare” il matrimonio.
Non con poca vergogna ammetto che vi
riuscivo solo quando chiudevo gli occhi e pensavo che ci fosse Holmes
sotto di
me, però dovevo serrare le labbra e sforzarmi di non
pronunciare nessun nome.
Ormai
vedevo Mary come un intralcio; per quanto lei fosse la mia compagna
legittima,
non riuscivo a concepire il pensiero che fosse mio dovere stare con lei
anziché
con Holmes. Parlando chiaramente, la gelosia mostrata da Holmes durante
il mio
corteggiamento a Mary era il punto focale della mia attenzione; lui
avrebbe
dovuto essere considerato ciò che si frapponeva tra me e mia
moglie
praticamente da sempre, quando non riuscivo a non vedere lei
come un ostacolo alla mia relazione con Holmes, ancora con il
vestito candido e il velo di pizzo ad aleggiare su di me ogni volta che
muovevo
anche solo un passo verso Baker Street, come se il matrimonio avesse
dovuto
impedirmi di stargli vicino in qualunque
senso. In realtà, non avevo mai considerato i tentativi di
Holmes di sabotare
il mio matrimonio con vera irritazione; ciò che mi aveva
sempre dato fastidio
era il fatto che lui sembrava ritenersi autorizzato a decidere sulla
mia vita;
mi vergogno quindi a dire che probabilmente la mia mente mi abbia
spinto a
sposare Mary per puro capriccio. E con un simile, infantile gesto,
avevo ferito
l’unica persona di cui mi importasse davvero, avrei presto
ferito Mary, che mai
avevo amato, e continuavo a ferire anche me. Ero stato un vero e
proprio
idiota, allo stesso livello degli Yarders… e il che
è tutto dire.
Il matrimonio aveva rovinato tutto e tutti. Tre persone coinvolte, tre
persone
distrutte. Quale sarebbe stato il mio rapporto con Holmes se non mi
fossi mai sposato?
La risposta era ovvia. In quel momento sarei stato seduto sulla mia
vecchia
poltrona, accanto a lui, cercando di leggere il giornale mentre lui si
perdeva
in soliloqui lunghissimi e con un senso preciso solo per lui. Niente,
dunque,
sarebbe cambiato, se io non avessi preso quella stupida decisione.
Pensandoci
così, a mente fredda, non potevo non pensare che fosse mia
la colpa delle
attuali condizioni del mio collega.
Alla
fine, però, non riuscivo ad incolpare neanche me stesso:
nella mia mente, la colpa
era di Mary. Per due uomini, in un’epoca come la nostra,
ammettere il proprio
amore era rischioso e si mancava di coraggio per farlo. Ma, se
considerate le
voci già in giro su me e Holmes, seppure false, la natura
dei miei (se non dei nostri)
sentimenti avrebbe dovuto essere
ovvia. Perché, dunque, mi aveva permesso di sposarla se
sapeva che così avrei
ferito me stesso, Holmes e sicuramente, in futuro, anche lei medesima?
Ovviamente adesso posso riconoscere con tranquillità che
Mary non aveva nessuna
colpa, la responsabilità era tutta mia, ma in quel periodo
avrei dato l’anima
pur di non addossarmi la colpa delle condizioni fisiche e morali di
Holmes.
Se i miei rapporti con Holmes erano andati velocemente deteriorandosi,
quelli
di Mary con Mycroft si erano fortificati con una regolare
corrispondenza.
Infatti tra loro si era istaurata una buona amicizia nel periodo che
Mary passo
a Chichester e io ero nel Continente con Holmes.
All’inizio
avevo avuto dei dubbi sulla natura dei loro rapporti, ma non solo mi
scoprii
indifferente ad un ipotetico tradimento, ma pure speranzoso,
perché questo mi
avrebbe dato un’ottima motivazione per andarmene.
Ancora
stavo cercando di trovare un modo per riuscire ad ottenere un incontro
con
Holmes quando una mattina arrivò per posta una lettera
inaspettata.
Fui
io a ritirarla dal postino, quindi fui il primo a vedere sulla busta
quella
calligrafia familiare scrivere un nome che non era il mio.
Holmes
aveva scritto a Mary. Perché?
Erano
mesi che non mi concedeva una parola o un biglietto e adesso scriveva a
mia
moglie, una donna che aveva sempre odiato tanto?!
Non violai la sua privacy leggendo una lettera non indirizzata a me e
gliela
portai ancora sigillata in cucina, dove stava preparando dei muffin. Le
lanciai
letteralmente la busta, visibilmente di pessimo umore ora, sotto al suo
sguardo
ovviamente curioso e confuso.
“E’
di Holmes.” Dissi freddamente, guardandola prendere la busta
seppur il suo
sguardo fosse ancora su di me.
“Mycroft.” Disse risoluta.
“Sherlock.”
Adesso
il suo sguardo confuso si accentuò mentre spiegava il foglio
ed iniziava a
leggere.
Vedendo
la sua espressione cambiare da curiosità a tristezza
profonda, il mio stato
d’animo mutò velocemente da rabbia crescente a
preoccupazione.
Mary
cadde sulle ginocchia piangendo. Mi avvicinai e mi inginocchia vicino a
lei sul
pavimento, togliendole cautamente la lettera di Sherlock dalle mani per
leggerla.
Mary
mi lanciò le braccia al collo, ancora più
disperata. Cosa poteva averle scritto
Holmes per farla reagire così?
Riporterò
qui la lettera così come arrivò:
Mrs.
Watson,
suppongo
sia
stupita nel trovare una mia lettera indirizzata a Lei, così
come suppongo che
suo marito si preoccuperà bene di leggerla poiché
non ha avuto mie notizie
finora. Tuttavia, in nome dell’onestà, mi trovo
costretto a specificare che ancora
non nutro grande apprezzamento nei suoi confronti e che se mi fosse
stato
possibile, avrei accuratamente evitato di scriverle.
Il
motivo per
cui ho dovuto scrivere questa lettera è il rispetto che
nutro verso mio
fratello, con cui so aveva una regolare corrispondenza. Dunque,
considerandola
sua buona amica, credo sia mio compito comunicarle che questa notte
Mycroft ha
avuto un attacco cardiaco nella sua casa di Pall Mall e che attualmente
è
ricoverato al Charing Cross Hospital, in caso voglia fargli visita. Le
consiglio
di andare in fretta; i medici hanno detto che quello era solo il primo
colpo
prima dell’atto finale.
Sherlock
Holmes.
|
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Capitolo 3 *** Don't Leave. ***
Hello :D Tra poco ho gli esami quindi mi perdonerete se dimentico di
aggiornare una fic finita .-. *me sta impazzendo*
Comunque adesso sono qui per mostrare fieramente cosa la mia piccola ha
vinto nel contest "Due Cuori e..."
Adesso vi lascio al capitolo xD
1.
Don’t leave.
Nonostante
continuassi ad accarezzare i capelli di Mary nel vano tentativo di
calmarla, la
mia mente era altrove; non conoscevo bene Mycroft, l’avevo
visto poche volte e
ancor meno ci avevo parlato, dunque, per quanto il suo malore mi
dispiacesse,
il centro dei miei pensieri era di nuovo Holmes. In quella lettera
aveva
parlato con i soliti toni freddi che purtroppo ormai erano propriamente
suoi e
aveva mostrato una certa durezza verso di me, rifiutandosi addirittura
di
scrivere il mio nome. Tuttavia, non riuscivo a essere ferito,
amareggiato o
arrabbiato; cosa provava davvero mentre scriveva quelle parole? Suo
fratello
era ormai tutto ciò che aveva, come aveva reagito a quello
che era successo?
Lui stesso aveva detto che a Mycroft non rimaneva molto tempo. Avrebbe
fatto
qualche eccessiva stupidaggine una volta rimasto da solo? Adesso come
stava?
Non riuscivo a immaginarlo piangere o guardare con malinconia i ricordi
del
fratello. Che cosa avrei fatto io, sei lui avesse preso drastiche
decisioni per
combattere il dolore? Non avrei mai potuto sopportare di perderlo, non
definitivamente.
“Andiamo
in ospedale, John… per favore…”
singhiozzò Mary.
Prima
di risponderle, mi alzai e ripresi la busta che prima conteneva la
lettera. Il
timbro postale era di Charing Cross, quindi lui
era lì. Anche se non ci fosse stato, ovviamente non avrei
impedito a Mary di
andare all’ospedale, ma io mi sarei recato a Baker Street e
non avrei accettato
un “no” come risposta a una richiesta di vederlo.
“Andiamo.”
Accordai.
Il
viaggio verso l’ospedale sembrò lungo e
angoscioso, quindi scappammo
immediatamente dentro appena potemmo, chiedendo alla prima infermiera
di
indirizzarci verso la camera.
Esitammo
a entrare. Attraverso il vetro che separava la camera dal corridoio,
potevo
vedere che dentro, seduto sul letto accanto a Mycroft, c’era
Holmes.
--
“Questa
volta me la sono vista brutta.” Scherzò Mycroft.
Era
incredibile il modo in cui fosse in grado di scherzare, nonostante
sapesse che
quell’attacco cardiaco altro non era se non
l’anticipazione dell’infarto che lo
avrebbe portato alla morte. Ma Sherlock era lì e, nonostante
anche il più
giovane sapesse che era una partita finita, voleva almeno illuderlo che
tutto
sarebbe andato bene.
“Fortuna che Stanley ti ha sentito chiamare aiuto!”
scherzò Sherlock, cercando
di alleviare la tensione. Con molte probabilità, quella
sarebbe stata l’ultima
volta che si sarebbero visti.
Ma entrambi sapevano che c’era ben poco da ridere, le loro
stesse risate erano
forzate in modo da darsi forza a vicenda, ma niente poteva servire in
quel
momento. Avrebbero dovuto affrontare l’argomento subito, lo
sapevano.
“Che cosa farai, Sherlock?” chiese Mycroft, il
profondo affetto per il fratello
ben udibile nella sua voce.
Sherlock abbassò lo sguardo sul pavimento. Non gli piaceva
pensare a cosa
avrebbe fatto una volta dato l’ultimo saluto al fratello, non
poteva pensare
che un domani l’unica persona che gli era sempre
stata accanto potesse andarsene. Mycroft c’era sempre, anche
quando Holmes lo
trattava male a causa del malumore portato dalle droghe, quando si
comportava
nel peggiore dei modi… suo fratello era sempre
lì. Lui non
l’aveva abbandonato.
“Non lo so…” mormorò.
“Penso che andrò in Francia. Sì,
probabilmente mi
trasferirò a Parigi.”
Se
Mycroft fosse morto, per Sherlock non ci sarebbe stato più
nulla da fare a
Londra. Avrebbe perso suo fratello, e Watson… lui
l’aveva lasciato indietro
molto tempo prima, quando aveva preferito seguire la gonna di Mary
anziché
rimanere con lui. Non c’era ragione per rimanere a Londra,
non ci sarebbe stato
più nessuno per lui ma, anzi, avrebbe rischiato di
incontrare l’unica persona
che avrebbe potuto farlo stare peggio. Doveva andarsene.
Ma il fratello non sembrava condividere quella sua scelta.
“Non credo che dovresti, sai.” Gli
consigliò, scuotendo leggermente la testa.
Sherlock non disse niente, ma aspettò soltanto che Mycroft
giustificasse quelle
sue parole. “Sai, mi ricordo com’era essere figlio
unico. Come sai, nella
nostra famiglia la vena artistica si è sviluppata in modi
molto diversi. Prima
che tu nascessi, quindi, io ero completamente da solo. Ero il primo ad
avere le
capacità che tu ed io abbiamo, era difficile relazionarsi
con gli altri, anche
con i membri stessi della famiglia. A mala pena parlavo con mamma e
papà, ero
diventato molto asociale proprio a causa delle mie capacità.
Mi sentivo solo,
incompreso. Però quando mamma ci disse che era
incinta… non so spiegarti quanto
ero felice. Forse non avresti avuto le mie stesse capacità,
ma almeno avrei
avuto qualcuno con cui passare il tempo, qualcuno con cui giocare,
qualcuno che
non si chiedesse perché dicevo certe cose prendendomi per
matto ma che mi
potesse ascoltare. Non sarei più stato solo. Quel giorno,
quando ho visto mamma
entrare in cucina per cena con quel gran sorriso, dopo aver fatto una
visita in
ospedale… è stato il giorno più bello
della mia vita. Comunque vadano le cose,
adesso… non andartene, Sherly. In un modo o
nell’altro, io sarei comunque a
Londra, e non voglio rimanere di nuovo da solo. Sei tutto quello che
ho.”
Mycroft non era molto diverso da Sherlock neanche dal punto di vista
caratteriale; certo, era più ordinato, più
responsabile, ma anche lui aveva una
certa avversione nel parlare dei propri sentimenti, quindi dire quelle
parole
era stato molto difficile.
Adesso, quelli che si sarebbero potuti definire gli uomini
più forti di Londra,
erano entrambi sul punto di crollare. Il più giovane aveva
gli occhi lucidi, ma
non si sarebbe mai permesso di piangere, non se qualcuno poteva
vederlo,
almeno. Probabilmente quella sera, una volta tornato a Baker Street,
nella
privacy della sua stanza si sarebbe lasciato andare, ma non poteva
davanti a
Mycroft. Doveva essere forte per lui.
Tutte quelle parole, pronunciate con un non indifferente sforzo, erano
soltanto
l’ennesimo indizio che anche Mycroft stesso era convinto di
non farcela.
“Stai cercando di farmi piangere?” chiese infine
Sherlock, senza dare una vera
risposta al fratello.
Ma
alla fine sapeva che Holmes non avrebbe lasciato Londra. Nonostante il
fratellino pensasse di non avere più niente in quella
città, quando Mycroft se
ne fosse andato, il malato stesso sapeva che non era così, e
non valeva la pena
che Sherlock si infliggesse da solo ulteriore dolore allontanandosi
dall’unica
persona che davvero voleva vicino.
“Ci stavo riuscendo?” gli rispose Mycroft con un
mezzo sorriso. “Non
andartene.” Ripeté poi.
“Nessuno,
tranne forse gli inetti di Scotland Yard, sentirebbe la mia mancanza
qui.”
Quello di Sherlock era più un tentativo di convincere se
stesso.
“Sappiamo entrambi che non è vero.” Gli
rispose Mycroft risoluto. A quella
risposta, non seguirono altre parole. “Vai a casa, Sherly.
Hai bisogno di
riposo. E sicuramente tra poco ti cacceranno, sono ore che sei qui
adesso.”
“Non me ne vado.”
“Fallo per me. Vai a casa, dormi qualche ora e torni. Va
bene?”
Sotto l’insistenza di Mycroft, alla fine Sherlock decise di
accettare. Avrebbe
dormito un’ora, non di più, sicuramente con
l’aiuto di droghe altrimenti non
sarebbe riuscito nel suo intento, e avrebbe detto a Mrs. Hudson di
svegliarlo
per poter tornare in ospedale il prima possibile. Non voleva rimanere
lontano
troppo a lungo, non poteva sapere quando Mycroft avrebbe avuto un
ulteriore
crollo. Non voleva che morisse da solo, voleva stargli vicino fino
all’ultimo.
“Tornerò in un paio d’ore.”
Gli comunicò. Prima di alzarsi dal letto per
andarsene, però, si lasciò andare a uno slancio
affettivo e abbracciò il
fratello. Si alzò per andarsene, ma mosse solo un passo
prima di fermarsi e
voltarsi. Anche per lui era difficile parlare di cose simili, ma doveva
farlo,
Mycroft lo meritava.
“Irene è morta, Watson se n’è
andato con Mary… Non ho nessuno se non te. Anche
tu sei tutto quello che ho… non lasciarmi.”
Senza dire una parola in più, Holmes prese un profondo
respiro e, accettando il
consiglio del fratello, uscì dalla stanza per andare a
riposare.
--
Non
riuscivamo a sentire cosa i due fratelli si stessero dicendo, ma vedere
Holmes
in quelle condizioni, peggiori dell’ultima volta che
l’avevo visto, mi stava
distruggendo. Aveva gli occhi lucidi, le mani serrate in due
pugni… e poi
avvenne una cosa più unica che rara: dimostrò
affetto, abbracciò Mycroft. Non
era un buon segno, anche Mary sembrò essersene accorta. Lei
scoppiò in un
pianto silenzioso, commossa. Io non riuscivo a distogliere lo sguardo
da loro.
Poi, all’improvviso, Holmes si alzò e
uscì dalla camera.
Avrei
voluto poter dire che eravamo finalmente faccia a faccia, ma in
realtà lui si
comportò come se non mi vedesse e passò oltre, lo
sguardo fisso sul pavimento.
“Holmes.” Lo chiamai, afferrandogli istintivamente
il braccio per fermarlo.
Se gli occhi avessero potuto uccidere, sono convinto che i suoi lo
avrebbero
fatto. Lo sguardo che mi rivolse, voltandosi indietro, era raggelante.
“Mi dispiace…” mormorai, lasciandolo
andare, e lui riprese immediatamente a
camminare per la sua strada, senza dire una parola.
Per cosa mi dispiaceva, poi? Per quello che era successo a Mycroft?
Sicuramente. Per averlo fermato quando voleva andarsene? No. Per averlo
lasciato solo per sposare una donna che non amavo? Sì.
“Andiamo dentro, John. Dopo puoi andare a Baker
Street.” Mi chiese Mary, prendendomi
per mano.
Istintivamente, sottrassi la mano alla sua stretta ed entrai nella
stanza.
“Buonasera.” Salutai, rivolgendo al maggiore un
sorriso. Mary, invece, corse ad
abbracciarlo.
Rimanemmo con lui per un po’. Io rimasi per lo più
in silenzio, attendendo il
momento giusto per andare a Baker Street, mentre Mary e Mycroft
chiacchieravano
amorevolmente come due vecchi amici.
“Posso farle una domanda?” intervenni poi,
guardando Mycroft. “Non voglio
essere indelicato. Riconosco che viste le sue condizioni non chiedere
della sua
salute è irrispettoso, ma… suo
fratello…” iniziai.
“Sì.”
M’interruppe Mycroft. “Mi mise al corrente della
situazione tra di voi il
giorno stesso del vostro ultimo incontro. E mi ha detto anche di tutti
i suoi
insistenti tentativi di rivederlo quando lui si era così
fermamente opposto.”
M’irrigidii non appena sentii quelle sue ultime parole.
Quanto sapeva Mycroft,
cosa gli aveva detto Holmes? Percepii quelle parole come un rimprovero,
come se
Mycroft mi stesse accusando di stalking verso il fratello.
“Sono mesi, ormai, che il dubbio mi uccide, e adesso vorrei
una risposta
sincera… so che con lei ne ha parlato e gradire che mi
confermasse o smentisse…
Holmes è cambiato. Molto. Ma anche poco fa, ho visto che
è ancora in grado di
sorridere, anche nelle situazioni più tragiche…
ma quando è con me… non è
più
lui… So di essere io il problema, so di aver fatto qualcosa
che l’ha ferito e
temo di sapere cosa, ma preferirei sentirlo dire da lei. Che cosa gli
ho
fatto?” chiesi infine.
Avevo paura. Temevo con tutto il mio cuore che quello che ero arrivato
a
supporre in mesi fosse la verità. Mai come in quel momento
avevo così
ardentemente desiderato di avere torto. Se davvero avevo ragione, se
Holmes era
così infuriato a proposito del matrimonio perché
mi amava, significava che avevo buttato via l’unica
chance che entrambi
avevamo di essere felici e lo avevo fatto a spese soprattutto sue. Era
lui
quello che ne era uscito peggio, quello che era rimasto da solo.
Così avrei
capito benissimo perché si comportasse in quel modo nei miei
riguardi e gli
avrei anche dato ragione.
“Perché, dottore? Perché lei gli ha
spezzato il cuore.”
Qualcosa si ruppe dentro di me appena sentii quelle parole. Non badai
neanche
all’espressione scioccata di Mary. Le avrei spiegato tutto
più tardi, lo
meritava.
Avevo ragione, quindi; Holmes mi odiava perché
l’avevo lasciato. Ma se solo
avessi saputo, anche solo sospettato…
“Mio fratello mi ha sempre detto tutto. Dal giorno in cui ha
imparato a parlare
sino a quando era qui meno di un’ora fa. Posso dirle quindi
con certezza che
lei è l’unica persona di cui lui si sia mai
innamorato. E lei ha preso il suo
cuore e l’ha fatto a pezzi, lasciandolo per una persona che
non ama. Ha pensato
di essere lui il problema. Credeva che lei volesse allontanarsi a tutti
i
costi, al punto di obbligarsi a sposare una persona di cui avrebbe
potuto
benissimo fare a meno. Lo avrebbe accettato, probabilmente, se lei non
si fosse
presentato così spesso a Baker Street, impedendogli di
dimenticare quell’amore.
Alla fine è esploso, non poteva succedere altrimenti.
D’altra parte, potrà
spesso essere freddo come il ghiaccio, ma Sherlock è un
uomo. Non poteva
continuare a sorriderle quando lei se ne andava. Ha preferito
escluderla dalla
sua vita, illudendosi di poter stare meglio. I risultati li ha visti
lei stesso
poco fa, non ha funzionato.”
Rimasi in silenzio a fissare il pavimento. Avrei voluto gridare,
piangere,
correre alla mia vera casa, ma non
riuscivo a muovermi. Ero un dannato mosto, lo avevo distrutto. Un
maledetto
egoista, non ero altro se non questo; continuavo le mie visite per
poterlo
vedere e stare meglio, ignorando come potesse sentirsi lui.
“Non la sto rimproverando, dottore. Io so perfettamente che
l’amore di Sherlock
è ricambiato. Ho provato a spiegarlo anche a lui, ma sa
quanto mio fratello sia
testardo… adesso, però, lui ha davvero bisogno
che lei gli stia vicino. Io
presto non potrò più farlo. Lo ignori se le dice
che deve andarsene, e gli dica
cosa prova davvero. Lo lasci sfogare, si prenda un paio di pugni se
necessario.
Tanto non userà mai troppa forza contro di lei, gli sarebbe
impossibile. Vada,
adesso. Torni domani a dirmi com’è
andata.”
Se avessi avuto il coraggio di andare immediatamente a Baker Street,
sarei
davvero voluto tornare all’ospedale per dirgli cosa fosse
successo. Ma Mycroft
morì quella notte.
|
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Capitolo 4 *** Don't Cry. ***
Innanzitutto, mi scuso per il ritardo dell'aggiornamento.
C'è stato il fattore "esami" a contribuire il risultato, ma
quello non mi giustifica, li ho finiti il 29 Giugno.
Il problema maggiore è stato che pochi giorni prima
dell'orale il mio netbook ha deciso di autodistruggersi. Grazie a Dio
avevo tutto sulla pennina, solo che sul mio pc fisso Word non
c'è, quindi non potevo aprire il file per aggiornare ._.
Il mio pc è tornato due giorni fà, e fino ad
ora sono stata impegnata con la scrittura per un altro
contest. Da adesso, non sovrebbero più esserci problemi :3
1.
4.
Don’t cry.
Non
ebbi il coraggio di andare a Baker Street subito dopo aver lasciato
Mycroft in
ospedale.
Holmes non era psicologicamente forte in quel momento, e cercare di
incontrarlo
e parlargli quando era in quelle condizioni mi sembrava
sleale. Sarebbe stato
facile convincerlo a parlare, ma non volevo obbligarlo a vedermi se
questo lo
contrariava, soprattutto in un momento così difficile. Mi
sarei presentato dopo
un po’ di tempo dalla fine di quegli eventi, in modo da
permettergli di
riprendersi e prendermi a pugni, se così avesse voluto.
Per
quanto riguardava Mary, mi rivolse la parola solo per dirmi che avremmo
parlato
solo dopo il funerale, perché in quel momento anche lei era
troppo triste per
la dipartita del suo amico per discutere con me. Avevo torto, avrei
accettato
qualunque cosa mi avesse detto senza una lamentela. Salvo che,
ovviamente, non
avesse deciso di denunciare me e Holmes; a quel punto avrei dovuto
cercare di
trovare un modo per dissuaderla, a costo di affibbiarle la colpa del
mio
comportamento in qualche modo.
Non
credevo che l’avrebbe fatto, comunque. Mary era una brava
persona, dopo tutto,
e non mi sembrava facesse parte di quella schiera di persone che, dalla
parte
della legge, ritenevano la sodomia un reato, aveva sempre rispettato i
sentimenti di tutti, qualunque fossero, persino la gelosia di Holmes al
tempo
in cui io e lei eravamo fidanzati.
Per quanto riguardava Holmes, Mary non era
affatto arrabbiata con lui, ma anzi,
disse di rispettare molto il coraggio e l’altruismo che aveva
dimostrato
lasciandomi andare nonostante questo lo facesse soffrire. Quindi, non
avevo
motivo di temere una denuncia da parte sua.
Quella sera io e Holmes ci incontrammo in ospedale, per i corridoi o
nella
stanza di Mycroft, almeno quattro volte. Sapevo che non voleva
parlarmi e poi
mi ero già prefissato di aspettare, ma continuai comunque a
salutarlo. Lui non
mi rispose mai. Non sentivo la sua voce dall’ultima volta che
ero stato a Baker
Street come suo medico e amico.
Quando Mycroft ebbe il secondo infarto che lo
portò alla morte, Mary ed io
eravamo nel ristorante davanti all’ospedale a mangiare
silenziosamente. Non me
la sentivo di parlarle dei motivi per cui l’avevo sposata, e
lei non voleva
sentirsi dire che amavo qualcun altro. Anche questo poteva aspettare
davanti ai
drammi personali che stavamo vivendo. Quando tornammo in ospedale,
trovammo
Holmes seduto per terra fuori dalla stanza, le gambe strette al petto e
gli
occhi chiusi mentre cercava di controllare la respirazione. Era un
trucco che
gli avevo insegnato io per mantenere la calma nei momenti di panico
causati
dall’astinenza forzata dalle droghe cui lo costringevo quando
vivevo ancora a
Baker Street. Non era un buon segno.
Sia
io che Mary guardammo nella stanza attraverso il vetro e trovammo dei
medici
intoro al letto che parlavano e scrivevano su una cartella clinica,
mentre
Mycroft era coperto fin sopra la testa.
“Oh, no…” mormorò Mary,
portandosi una mano alla bocca. Pochi attimi dopo, scoppiò
a piangere sonoramente, coprendosi il viso con entrambe le mani.
Potrò venir considerato un mostro per
aver ignorato in quel modo mia moglie in
un momento di tale dolore, ma ovviamente la mia attenzione era
completamente
focalizzata su Holmes in quel momento. M’inginocchiai a terra
di fronte a lui e
posai una mano sulla sua spalla.
“Holmes.” Lo chiamai.
Non
si mosse, né mi rispose. Oserei quasi dire che non si
accorse neanche che lo
stavo toccando e gli stavo parlando, altrimenti sono sicuro che si
sarebbe
sottratto alla mia mano e mi avrebbe intimato con uno sguardo di tacere.
“Holmes.” Lo chiamai di nuovo, stringendo appena la
mano sulla sua spalla.
Questa
volta aprì gli occhi e mi guardò. Non mi sentii
congelare perché aveva uno
sguardo omicida come tutte le altre volte, motivo per cui mi sarebbe
venuto
spontaneo ritrarre la mano dalla sua spalla. In realtà mi
sentii gelare per i
suoi occhi lucidi e lo sguardo profondamente abbattuto e triste di chi
pensa di
essere solo al mondo. Non si sottrasse al contatto in modo brusco, come
avrebbe
fatto fino a solo un’ora prima, ma mi afferrò
gentilmente il polso, per poi
allontanarmi. Si alzò e se ne andò.
Provai
più di una volta ad andare a Baker Street, ma Mrs. Hudson mi
diceva sempre che
era tornato la mattina per lavarsi e cambiarsi e poi era sparito di
nuovo.
Voleva essere irreperibile.
Non lo rividi fino al funerale, tre giorni dopo.
La chiesa era piena: oltre a noi c’era mezza Scotland
Yard, tutti i soci del
Diogenes Club, i vicini di casa a Pall Mall, i suoi colleghi e persino
alcuni membri
della famiglia reale. Il funerale prese luogo alla Westminster
Cathedral. Da
quel che avevo capito ascoltando qualche voce in qua e là,
il funerale era
stato organizzato dai colleghi del Parlamento di Mycroft
perché Holmes si era
rifiutato di farlo. Non potevo che capirlo.
Lui era seduto ovviamente in prima fila, come anche noi, solo
dall’altro lato
della navata. Fissava il pavimento della chiesa con sguardo vuoto, il
pallore
della sua pelle e le profonde ombre violacee
intorno ai suoi occhi mi dicevano
che aveva passato quei giorni senza dormire molto e
all’insegna di droghe e
alcolici. Qualche persona gli parlava, probabilmente porgendogli
condoglianze,
ma lui non mosse un solo muscolo. Credo che non li sentisse neanche.
Per un
momento pensai addirittura che di prima mattina i suoi sensi fossero
già
annebbiati dai suoi vizi. Rimase immobile anche durante tutta la
funzione. Avrei
voluto alzarmi e andare da lui, ma non solo avrei attirato tutta
l’attenzione
su di noi, ma probabilmente lui avrebbe disprezzato la mia vicinanza
come
purtroppo stava accadendo da mesi, e così gli avrei impedito
di reagire come
normalmente avrebbe fatto senza tutti quegli occhi addosso; volevo che
fosse
libero di urlarmi contro e colpirmi se fosse servito a chiarirci e a
farlo
stare meglio. Quindi, scelsi di rimanere seduto al mio posto, lottando
contro
la tentazione di raggiungerlo.
Ben
presto fummo al cimitero per la sepoltura.
Era
una giornata luminosa, una delle poche dell’anno a Londra; il
sole batteva
forte e chi era vestito con abiti un po’ più
pesanti dava avvisaglie di sentire
anche un po’ di caldo. Sembrava che anche il tempo volesse
beffarsi di noi
comuni mortali e delle tragedie che vivevamo ogni giorno.
Riuscii
a raggiungere Holmes in prima fila durante la sepoltura, abbandonando
Mary tra
tutte le altre persone che erano venute a dare l’ultimo
saluto. Non gli parlai,
non gli imposi nessun contatto; volevo solo che sapesse che ero
lì se avesse
avuto bisogno di qualcosa.
Guardai
con infinita tristezza la bara che lentamente veniva coperta con la
terra
quando un singhiozzo a mala pena soffocato attirò la mia
attenzione. Mai avrei
immaginato che voltandomi avrei visto il viso di Holmes rigato da
lacrime che
gli cadevano continuamente dagli occhi. Non avrei mai osato credere che
quella
sua maschera fredda avrebbe un giorno avuto una crepa. Esitante, mi
avvicinai
di un passo; lui non distoglieva lo sguardo dalla bara del fratello che
ormai
era quasi interamente scomparsa alla vista; era continuamente scosso da
singhiozzi sempre più frequenti che, malgrado i suoi sforzi,
non riusciva a
soffocare. Gli posai una mano sulla spalla e subito temetti che
reagisse in
modo fortemente negativo al primo movimento della sua mano, quando
invece si
asciugò solo gli occhi.
“Holmes?” lo chiamai con
esitazione.
Mi
rivolse uno sguardo veloce per poi voltarsi di nuovo per cercare di
nascondere
le lacrime e gli occhi rossi.
Per
un attimo dimenticai tutti i dissapori degli ultimi mesi e lo presi tra
le mie
braccia, stringendolo più forte che potevo. Non riuscivo a
guardarlo in quelle
condizioni senza intervenire, senza fare del mio meglio per sminuire
almeno un
poco il suo dolore. Con mio grande stupore, non si ribellò,
né mi respinse in
alcun modo; anzi, sentii le sue mani artigliarmi la schiena e
stringermi di più
a sé, nascose il viso nel mio petto e si lasciò
andare a un pianto disperato
che sicuramente cercava di sopprimere dal giorno stesso in cui Mycroft
aveva
avuto il primo malore.
Non
ero preparato a questo. Non avevo mai visto Holmes piangere prima, non
sapevo
come comportarmi.
Gli
accarezzai dolcemente la schiena e i capelli, cercando di calmarlo
senza
impedirgli di sfogarsi, e sembrò iniziare a funzionare dopo
interminabili
minuti in cui le sue lacrime continuavano a bagnare il mio cappotto.
Quando
la funzione fu finalmente conclusa, la gente iniziò ad
andarsene, mormorando
ennesime condoglianze a Holmes, ancora stretto e al sicuro tra le mie
braccia.
L’ultima ad andarsene fu Mary, anche lei con gli occhi rossi,
che mi mormorò un
“resta con lui oggi”, prima di dirigersi al
cancello del cimitero per tornare a
casa.
Non so per quanto tempo io e Holmes rimanemmo immobili, stringendoci
l’un
l’altro, ma sembrò
un’eternità. Continuava a singhiozzare
sommessamente, per
poi calmarsi del tutto solo dopo un’infinità di
tempo, e persino la sua stretta
su di me si disperse quasi completamente. Fece un passo indietro,
mantenendo lo
sguardo basso. Ovviamente si vergognava, anche se non capivo se era
perché
aveva pianto o perché si era riavvicinato a me.
Tirò su con il naso e si asciugò per
l’ultima volta gli occhi, ma non mosse un
passo. Mi sembrò che fosse già un enorme
progresso il fatto che non si fosse
ancora allontanato, lasciandomi lì da solo, e inconsciamente
mi ritrovai a
sperare che potessimo recuperare il nostro rapporto, con il tempo.
“Mi
dis-” iniziò, ma lo interruppi immediatamente.
“Non
deve dispiacerle.”
Anche
io avevo perso mio fratello Harry, anni prima. Sapevo come si sentiva e
non
ritenevo che dovesse scusarsi per aver pianto.
“No,
mi riferivo… a questi ultimi mesi. Ho continuato a cacciarla
ed evitarla, e
nonostante questo mi è rimasto vicino…”
mormorò con una voce talmente bassa da
non permettermi di essere sicuro di aver capito le parole giuste.
Magari il suo comportamento nei miei riguardi era stato eccessivo, ma
dopo la
spiegazione di Mycroft potevo capire perché fosse tanto
reticente nel
continuare ad avere contatti con me.
“Non deve scusarsi neanche di questo. Aveva ragione, sono
stato un bastardo con
lei.”
A questo non ricevetti risposta. Lui continuava a tenere lo sguardo
basso con
aria impacciata e nascose le mani in tasca.
“Forse è meglio se ce ne andiamo da
qui.” Dissi, guardandomi attorno. Rimanere
dove era appena stato sepolto il fratello non mi sembrava
una buona idea, e
probabilmente neanche a lui, perché annuì con
vigore e si diresse velocemente
verso il cancello, tanto che mi ritrovai a corrergli dietro per un
breve
tratto.
“Le va di andare a bere qualcosa?” propose quando
ormai fummo fuori.
Era
a mala pena l’ora di pranzo e il fatto che già
volesse bere mi preoccupò non
poco; dopotutto, però, potevo benissimo capire il suo stato
d’animo e per di più
non me la sentivo di rimproverarlo per qualcosa quando mi parlava per
la prima
volta dopo quasi un anno.
“Certo.”
Alla fine non andammo solo a bere fuori ma rimanemmo anche per pranzo e
per
tutto il pomeriggio in un locale in cui andavamo spesso quando eravamo
ancora
coinquilini, non molto lontano da Baker Street.
All’inizio regnava incontrastato il silenzio, fino a che
Holmes ebbe bevuto
abbastanza da riuscire a parlare. Da quel momento, non si
zittì più. Passammo
ore seduti allo stesso tavolo; io lo ascoltavo soltanto, mentre lui
rideva,
raccontandomi di cose che lui e Mycroft avevano fatto insieme quando
erano
piccoli, di come Mycroft si prendesse cura di lui, fino a svelarmi
il perché
della sua fobia dei cavalli. In pratica, quando aveva più o
meno sei anni e il
fratello tredici, Mycroft voleva insegnargli a cavalcare e, pensando
che la
pratica fosse il miglior insegnamento, lo aveva messo su un cavallo
senza
dargli indicazioni e lui era caduto, lussandosi una spalla. Aveva poi
imparato
a cavalcare, ma preferiva non farlo. Mentre raccontava ogni singolo
aneddoto,
rideva. Ogni tanto si lasciava sfuggire qualche lacrima, ma
principalmente
rideva come non l’avevo mai visto ridere prima.
Era da poco passata l’ora di cena quando decisi che era il
caso di riportarlo a
casa. Ormai era in silenzio da più di dieci minuti, con le
braccia incrociate
sopra il tavolo e gli occhi quasi del tutto chiusi. Presto gli sarebbe
venuto
il peggior dopo sbronza della sua vita, aveva bevuto tutto il
pomeriggio ed io
non ero stato in grado di fermarlo. A un certo punto, fui pure
abbastanza
sicuro che si fosse addormentato.
Chiamai
l’oste e pagai per tutto, per poi alzarmi e scuoterlo
leggermente per
richiamarlo dal suo dormiveglia.
“Holmes.” Aprì lentamente gli occhi e si
guardò intorno un attimo con aria
confusa. “Holmes, forza, si alzi. Andiamo a casa.”
Annuì debolmente e, sbadigliando, si alzò,
barcollante. Intervenni
immediatamente per sostenerlo, visto che già stava per
cadere. Più che un
sostegno, però, mi sembrò
che avesse più bisogno di un abbraccio; mi avvolse il
collo con le braccia e mi strinse a se, poggiando il viso sulla mia
spalla. Era
il primo gesto di vero affetto che mi donava di sua spontanea
volontà da quando
ci eravamo conosciuti. Ricambiai il suo abbraccio e, incapace di
controllarmi,
gli baciai una guancia.
Rimanemmo così qualche minuto, finché sentii che
iniziò a canticchiare qualcosa
di sconosciuto, che poi scoprii essere con mio grande disappunto Die Forelle. Non avrei dovuto
permettergli di bere così tanto, se adesso si metteva a
cantare la colonna
sonora della sua tortura. Non volevo neanche immaginare quali incubi
avrebbe
avuto quella notte.
“Andiamo.” Sussurrai, sciogliendo
l’abbraccio per camminare, seppur continuando
a sostenerlo.
Ogni
tanto smetteva di cantare solo per borbottare parole sconnesse, tra cui
sporadicamente distinguevo il nome di suo fratello o il mio.
Grazie a Dio, Baker Street non era così distante,
così presto fummo a casa.
Quando Mrs. Hudson ci aprì la porta, era visibilmente preoccupata;
anche lei
aveva visto Holmes scoppiare a piangere quella mattina ed evidentemente
temeva
che il suo ritardo fosse dovuto a qualche stupidaggine che aveva
commesso.
“Buon Dio, cosa gli è successo?” chiese,
portando le mani alla bocca.
“Ha solo bevuto un po’. Non si preoccupi, resto io
con lui.” Le risposi
gentilmente, accompagnandolo su per le scale, facendo particolare
attenzione
che non inciampasse nei gradini.
“Sua moglie non sarà felice.”
Borbottò, alzando per un attimo lo sguardo
annebbiato su di me, per poi lasciare di nuovo la testa a ciondolare
sotto il
peso degli alcolici.
“Mary non è un problema. Sono abbastanza certo che
presto mi lascerà.”
Non ci giurerei, ma credo di aver visto un sorriso dopo avergli
annunciato il
fatto. Aprii la porta e lo accompagnai dentro, per poi chiudermela alle
spalle.
Era presto, ma urgeva portarlo a letto.
“E perché?”
“Le spiegherò quando è
sobrio.”
Lo avrei fatto. Adesso che sapevo cosa provava
per me, non avrei permesso a
nessuna morale di tenerci lontani. Niente avrebbe potuto convincermi a
lasciarlo di nuovo. Con molte probabilità, sarei uscito da
Baker Street solo
per andare a riprendere le mie cose. Ovviamente, solo se anche Holmes
avesse
voluto così.
“Sono
sobrio…” si lamentò, mentre lo
spingevo delicatamente in camera sua.
“Certo, Holmes.”
Quando raggiungemmo il letto, gli tolsi il cappotto, il gilet e la
cravatta,
per poi aiutarlo a sedersi e togliergli anche le scarpe.
“Non sembra abbattuto per l’abbandono di sua
moglie.” Disse, e questa volta il
sorriso era evidente. Un sorriso di scherno, che sembrava
voler urlare “te
l’avevo detto”, ma almeno era un sorriso.
“Diciamo che sto meglio così.” Risposi,
sorridendo anche io.
Lo spinsi per le spalle fino a che si sdraiò. Prima che
potessi voltarmi e
andarmene, si spostò da un lato del letto e mi
trascinò giù con lui,
afferrandomi per un polso.
Non riuscii a chiedergli cosa stesse facendo, la voce mi
sparì del tutto quando
poggiò la testa sulla mia spalla e mi avvolse il petto con
un braccio.
Sorrisi; non avrei permesso più a nessun abito bianco di
frapporsi tra di noi.
Mi chinai lentamente per riuscire ad afferrare le coperte senza
spodestarlo da
quella posizione e coprii entrambi. Probabilmente l’indomani
mattina si sarebbe
chiesto cosa ci facevo qui, sicuramente sarebbe
stato di pessimo umore per via
del dopo-sbronza, ma avremmo almeno avuto modo di parlare.
“Wa’s’n…”
biascicò.
“Sì?” chiesi, abbassando lo sguardo sul
suo viso.
I suoi occhi si erano quasi del tutto chiusi, ma riuscivo ancora a
vedere
quelle meravigliose pupille color cioccolato. Gli sorrisi per
incoraggiarlo,
avvolgendogli le spalle con un braccio per stringermelo contro e
accarezzandogli la guancia con la mano libera.
“Resta un po’con me?”
“Tutto il tempo che vuole.”
“Non se ne vada più allora… ho bisogno
di lei…”
Si
sporse leggermente e mi posò un lieve bacio sulle labbra.
Dopo pochi attimi,
stava già dormendo profondamente. Rimasi a fissarlo ancora
per qualche attimo,
prima di stringermelo maggiormente contro e baciarlo dolcemente di
nuovo, anche
se stava dormendo. Il mio cuore aveva iniziato a battere
all’impazzata nello
stesso istante in cui le sue labbra avevano sfiorato le mie e anche
adesso non
accennava a rallentare. Non mi sarei mai più mosso da
lì, a meno che non mi
avesse obbligato lui stesso a farlo.
Ci misi un po’ ad addormentarmi. Tutto il tempo che avevo
passato a guardarlo,
però, era stato impiegato pensando che con molte
probabilità, non avrei rivisto
quel suo meraviglioso sorrisetto ironico ancora per un po’.
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Capitolo 5 *** Epilogue. ***
1.
Epilogue.
Alla
fine Mary non mi aveva lasciato; ero stato io a chiederle di concedermi
il
divorzio e lei lo firmò senza fiatare. Ovviamente
affrontammo numerosi e
violenti litigi in seguito a quello che aveva scoperto sui miei
sentimenti per
Holmes durante la nostra ultima visita a Mycroft; non le rispondevo a
tono
perché credevo di aver ragione, sapevo perfettamente di
essere nel torto per
averla ingannata in una maniera così subdola, ma reagii
perché in un primo
momento aveva insultato sia me sia Holmes per le nostre preferenze
sessuali. In
seguito mi chiese scusa e divenne, fuori da ogni aspettativa, una
nostra buona
amica e una delle pochissime persone con cui potevamo parlare
liberamente, fino
al giorno della sua prematura morte dovuta a una polmonite che io
stesso le
avevo curato come potevo in un’epoca in cui la medicina non
era ancora in
grande sviluppo per quello specifico settore.
Per
quanto riguarda Holmes, la mattina seguente alla sua madornale sbronza
non andò
affatto come mi ero immaginato; non c’era stato stupore per
avermi trovato nel
suo letto, non c’era stata rabbia perché ero
ancora lì, non mi aveva accusato
di essermi approfittato di quella momentanea debolezza per
riavvicinarmi a lui.
Quando
aprii gli occhi, infastidito dalla luce che entrava dalle tende ancora
aperte
della finestra, lo trovai già sveglio. Aveva le braccia
incrociate sul mio
petto e la testa appoggiata sopra; mi stava fissando con quel suo
tipico
sguardo illeggibile, mi sentivo leggermente in soggezione. Non aveva
gli occhi
appannati dal sonno o dal mal di testa, quindi con grande
probabilità mi stava
fissando da almeno un’ora. Ricambiai il suo sguardo senza
dire nulla,
intimorito da quella che avrebbe potuto essere la sua prossima mossa.
Aspettavo
soltanto. E
sicuramente mi aspettavo
qualunque cosa, tranne che si sporgesse verso di me per baciarmi.
Tutto
iniziò in quel momento. Dopo quel gesto mi chiese solo di
portargli un
bicchiere d’acqua e un forte antidolorifico per la testa. Il
resto della
giornata, lo trascorremmo sdraiati a letto a parlare, parlare,
parlare… di
tutto. Di quello che avevamo fatto in tutti quei mesi, gli spiegai per
bene
tutta la questione riguardante il mio matrimonio con Mary e il
perché del
nostro molto prossimo divorzio ma, soprattutto, gli chiesi se mi
avrebbe
rivoluto a Baker Street con lui.
Mrs.
Hudson si preoccupò perché non ci vide scendere
neanche per i pasti e venne a
controllare; non sembrava poi così stupita di trovarmi nello
stesso letto di
Holmes mentre lo stringevo a me. Non riesco a non pensare che fingesse
soltanto
di non sapere cosa ci fosse tra me e Holmes da quel giorno.
Le
mie cose vennero riportate a Baker Street entro la fine della settimana
e tutto
sembrò tornare alla normalità, come doveva essere.
Con
il passare del tempo, anche Holmes tornò a essere quello che
era sempre stato,
con le sue battutine ciniche e spesso malefiche su Scotland Yard e
velate (ma
non troppo) prese in giro verso il sottoscritto. Era di nuovo lui,
finalmente.
Ciò
che mi piaceva e che tutt'ora mi piace di più della nostra
relazione, è che non
è cambiato niente. Siamo ancora gli stessi che eravamo, con
i nostri stupidi battibecchi
che potrebbero andare avanti all’infinito, con il suo rubarmi
i vestiti, il suo
suonare il violino alle tre di notte. Quando ce ne rendemmo conto,
capimmo che
in realtà eravamo sempre stati in una relazione. Almeno,
adesso, avevamo anche
i baci, qualche carezza e delle notti di passione. Eravamo sempre noi,
ma con
alcune non indifferenti migliorie.
Erano
già passati due anni da quando era iniziata la nostra
relazione ormai. Due anni
esatti.
Mi svegliai nel cuore della notte con la sensazione che ci fosse
qualcosa di
diverso. Infatti, quando mi girai, ero da solo, Holmes non era accanto
a me
come il solito.
Per
un attimo, ancora stordito dal sonno, mi guardai
intorno, immaginandomi di
vederlo in giro per la stanza, magari chino sulla sua scrivania a
lavorare a un
esperimento che necessitava di meno luce possibile, ma non lo trovai.
“Holmes?” chiamai, dopo essermi sgranchito la voce.
Mi
alzai dal letto stirandomi e, per avere un minimo di decenza, mi
infilai almeno
i pantaloni per cercarlo. Controllai il salotto, la mia camera, il
bagno, ma
lui non c’era, così decisi di scendere in cucina
per controllare che non fosse
sceso per cercare del cibo; da quando lo avevo convinto a smettere con
la
cocaina, aveva iniziato a mangiare per quattro e, per qualche strana
ragione,
non ingrassava per questo.
Fatto
sta che non era neanche lì, così iniziai a
preoccuparmi. Mi affacciai fuori, ma
non sembrava essere in giro per Baker Street. Era scomparso nel nulla.
Tornai di corsa nelle nostre stanze per
completare il mio vestiario, con tanto
di cappello e bastone, e uscii a cercarlo.
Passai
per tutti i luoghi che frequentavamo spesso, il Punch Bowl, alcuni
locali, ma
nessuno sembrava averlo visto, fino a che un cameriere mi disse:
“Sì,
è passato una decina di minuti fa. Ha preso solo una
bottiglia di brandy e se
n’è andato. Aveva una rosa, l’ha presa
da uno dei nostri vasi. Gli ho chiesto
se per caso stesse andando dalla sua donna, ma ha detto che andava dal
fratello. Mi è sembrato un po’ strano che portasse
un fiore al fratello.”
Sul momento, fui confuso anche io. In due anni, non era mai andato al
cimitero
a trovare Mycroft, forse perché temeva di crollare di nuovo.
Perché andarci in
piena notte, senza neanche svegliarmi, e con una bottiglia di brandy?
Tuttavia, mi decisi a raggiungerlo. Sapendo che avrebbe preferito
andare a
piedi, ma avendo dieci minuti di vantaggio su di me, decisi di prendere
una
carrozza per recarmi al cimitero.
Durante
il tragitto, improvvisamente capii; se erano due anni esatti che la
nostra
relazione era iniziata, significava anche che erano passati due anni
dal giorno
del funerale di Mycroft.
Il viaggio in carrozza non durò molto; pagai il cocchiere,
scesi e mi diressi
al cancello. Holmes era più avanti di me, ma riuscivo a
vederlo camminare tra le
file di lapidi.
Non volevo disturbarlo, ma non riuscii a tornare a casa comunque. Da un
momento
all’altro, sarebbe potuto crollare e volevo potergli essere
vicino. Forse si
sarebbe arrabbiato perché l’avevo seguito, ma
d’altra parte io ero preoccupato.
Quindi lo seguii silenziosamente e mi nascosi dietro ad una tomba
familiare, la
cui enorme lapide poteva coprirmi dalla sua vista. Sbirciai oltre e lo
vidi
posare la rosa di cui mi aveva detto il cameriere sulla tomba, aprire
la
bottiglia e sedersi lì davanti.
“Lo so, sarei dovuto venire prima.” Disse. Stava
parlando con lui. Lui, così
razionale e calcolatore, stava parlando alla tomba del defunto
fratello. Solo
questo pensiero mi fece stringere il cuore in una morsa tra dolore ed
emozione.
“Non prendertela con me, non ce la
facevo…” continuò, per poi prendere un
sorso
di brandy. “Comunque, sono cambiate un po’ di cose
dall’ultima volta che ci
siamo visti. Tu eri rimasto che io odiavo Mary e non parlavo con
Watson, che
bevevo e mi drogavo fino a perdere i sensi. Beh, tutte queste cose sono
cambiate. Pensa che ero addirittura dispiaciuto quando Mary
è morta.
Probabilmente adesso siete lì,
insieme, a ridere di me perché sto parlando con
un pezzo di marmo. Sappiate che me la pagherete quando vi
raggiungerò. Comunque,
non la odiavo più così tanto. Una volta perso il
legame coniugale con Watson,
devo ammettere che era diventata una buona amica. E per quanto riguarda
il
resto… Watson mi sta costringendo a un’astinenza
forzata. Con questo puoi
dedurre come le cose stiano andando tra di noi. È successo
esattamente quello
che tu ti aspettavi e a cui io non credevo… ti sei
dimostrato di nuovo il più
intelligente dei due.” Disse con un piccolo sorriso, bevendo
un altro sorso
dalla bottiglia. “Questa è la mia prima bottiglia
d’alcool da… sette, otto
mesi. Ho perso il conto. E comunque l’ho presa solo
perché altrimenti non sarei
riuscito a venire. Probabilmente Watson domani si accorgerà
che ho bevuto e
dovrò sorbirmi una partaccia per la mia poca
affidabilità, ma gli passerà
presto e non intendo bere altro, comunque. Gliel’ho
promesso.” Fissò la lapide
qualche istante prima di ricominciare a parlare, ma la voce gli
uscì in un
sussurro spezzato dai singhiozzi. “Quando vi raggiungeremo,
dovresti
ringraziarlo, sai? Non ce l’avrei fatta senza di
lui… tu eri tutto ciò che
avevo e ti ho perso quasi senza preavviso… ero sicuro che
non sarei riuscito ad
andare avanti senza di te… lo so, non ci vedevamo spesso, ma
almeno sapevo che
c’eri, e adesso non è più
così… a volte mi illudo ancora di poter andare al
Diogenes Club e trovarti lì. È per questo che non
sono venuto prima, non volevo
perdere quell’illusione. Ma tu non lo meriti, ti dovevo
almeno questa visita,
anche se non so se riuscirò più a
tornare.” Prese un profondo respiro e si
asciugò gli occhi. “Se tu fossi qui, adesso, mi
prenderesti in giro.” Gli uscì
una risatina nervosa. Mi sentivo morire a guardarlo così.
“Mi manchi, Mickey…”
Dopo queste ultime parole, scoppiò in un pianto
irrefrenabile, tirandosi le
ginocchia al petto e nascondendo il viso nelle braccia incrociatesi
sopra.
Non riuscii più a stargli lontano. Uscii dal mio
nascondiglio e mi avvicinai,
incurante adesso di coprire il suono dei miei passi, ma lui
sembrò non notarmi
comunque.
Mi sedetti a terra accanto a lui e gli passai un braccio intorno alle
spalle
per stringerlo a me. Mi lanciò solo uno sguardo veloce prima
di nascondere di
nuovo il viso e lasciarsi abbracciare.
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