Ab Umbra Lumen di Dira_ (/viewuser.php?uid=35716)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV ***
Capitolo 6: *** Capitolo V ***
Capitolo 7: *** Capitolo VI ***
Capitolo 8: *** Capitolo VII ***
Capitolo 9: *** Capitolo VIII ***
Capitolo 10: *** Capitolo IX ***
Capitolo 11: *** Capitolo X ***
Capitolo 12: *** Capitolo XI ***
Capitolo 13: *** Capitolo XII ***
Capitolo 14: *** Capitolo XIII ***
Capitolo 15: *** Capitolo XIV ***
Capitolo 16: *** Capitolo XV ***
Capitolo 17: *** Capitolo XVI ***
Capitolo 18: *** Capitolo XVII ***
Capitolo 19: *** Capitolo XVIII ***
Capitolo 20: *** Capitolo XIX ***
Capitolo 21: *** Capitolo XX ***
Capitolo 22: *** Capitolo XXI ***
Capitolo 23: *** Capitolo XXII ***
Capitolo 24: *** Capitolo XXIII ***
Capitolo 25: *** Capitolo XXIV ***
Capitolo 26: *** Capitolo XXV (I° Parte) ***
Capitolo 27: *** Capitolo XXV (II° Parte) ***
Capitolo 28: *** Capitolo XXVI ***
Capitolo 29: *** Capitolo XXVII ***
Capitolo 30: *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo 31: *** Capitolo XXIX ***
Capitolo 32: *** Capitolo XXX ***
Capitolo 33: *** Capitolo XXXI ***
Capitolo 34: *** Capitolo XXXII ***
Capitolo 35: *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo 36: *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo 37: *** Capitolo XXXV ***
Capitolo 38: *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo 39: *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo 40: *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo 41: *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo 42: *** Capitolo XL ***
Capitolo 43: *** Capitolo XL (II° Parte) ***
Capitolo 44: *** Capitolo XLI ***
Capitolo 45: *** Capitolo XLII ***
Capitolo 46: *** Capitolo XLIII ***
Capitolo 47: *** Capitolo XLIV ***
Capitolo 48: *** Capitolo XLV ***
Capitolo 49: *** Capitolo XLVI ***
Capitolo 50: *** Capitolo XLVII ***
Capitolo 51: *** Capitolo XLVIII ***
Capitolo 52: *** Capitolo XLIX ***
Capitolo 53: *** Capitolo L ***
Capitolo 54: *** Capitolo LI ***
Capitolo 55: *** Capitolo LII ***
Capitolo 56: *** Capitolo LIII ***
Capitolo 57: *** Capitolo LIV ***
Capitolo 58: *** Capitolo LV ***
Capitolo 59: *** Capitolo LVI ***
Capitolo 60: *** Capitolo LVII ***
Capitolo 61: *** Capitolo LVIII ***
Capitolo 62: *** Capitolo LIX ***
Capitolo 63: *** Epilogo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Salve a tutti. ^^
Quello che vi apprestate a leggere è il sequel di
Doppelgaenger .
Chi non la conosce, o non
l’ha
letta può farne anche a meno naturalmente, ma la lettura di
questa roba risulterà
un po’ difficoltosa.
Lettore avvertito! (Ma
quanto
sarò paracula? :D )
Rispondo qui alle recensioni
di Seven Steps. ;)
@Andriw9214:
beh, considerando che la sezione di HP ha un pubblico prevalentemente
femminile
sì, mi considero onorata ad avere un ospite maschio in
questi lidi ^^ Siete
specie protetta! :P
Sì, su Al ci hai
preso, perché
quando ti capita un trauma come quello che ha subito lui (rapimento,
omicidi,
una persona che ami che forse è morta o dispersa)
inevitabilmente non rimani lo
stesso, ma qualcosa ti segna. Harry e Ginny… beh, sono
genitori molto
progressisti, per come li dipinge la Row… speriamo che lo
siano anche qui
allora! XD Beh, e poi resta sempre Lils. :P Grazie per i complimenti,
davvero!
@Simomart: E
lo so… in effetti ce la volevo mettere, ma poi sarebbe
venuto un papiro. Farò qualche
accenno in questi capitoli comunque, ci puoi giurare. Non
lascerò nulla al
caso! Avevo pensato ad un racconto breve Rose/Sy e penso proprio che lo
scriverò, prima o poi. ^^ Con Vic accetto il punto, in
effetti forse è un po’
affrettato, ma calcolando che la voglio inserire anche in seguito, ci
doveva
essere un retroterra. Thanks!
@LyhyEllesmere:
Ciao, non preoccuparti, come si dice, meglio tardi che mai! XD Grazie
mille per
i complimenti, mi fai arrossire! ^^ Beh, diciamo che Lils ha
già detto che
obbligherà il futuro marito a usare anche il suo cognome.
È una brava ragazza,
lei. XD Grazie mille per la fiducia alla Ted/James…
spandiamo nell’aria questo
fantastico pairing!
@Tinax86:
Vero, vero… ma come scoprirai, sono maledettamente
logorroica! Grazie per la
recensione! Tom volevo metterne di più, ma poi altro che due
capitoli! XD
@Agathe: Essì,
era una robina semplice semplice, per una sfida fatta con
un’amica. ^^ Harry e
le sue reazioni saranno descritte, no te preoccupe… non
lascerei mai un momento
simile nel dimenticatoio! :D Sy non è adorabile,
l’uomo dei cactus? XD Al è un
po’… come dire… traumatizzato dal
tutto. In fondo è un cosino sensibile, lui.
:P Lo dice anche la Row!
@Trixina: Trixina! Quanto ti adoro!
XD Ci sei sempre, e grazie, grazie davvero! Ehehe, Nonna Dromeda
rulez… se non
ci fossero le nonne! Ci saranno reazioni da parte di Harry e Gin,
promesso! ^^
@Nicky_Iron:
Non preoccuparti, capisco benissimo! Dannati esami! Grazie per i
complimenti e
Nonna Andromeda ringrazia (Ah, certo, è modellata sulla mia
di nonna xD) La
scena di Ron che mi hai prospettato mi ha fatto morire dal
ridere… certo che
metto un accenno, sia mai!
****
Cos’è un
ricordo?
Qualcosa
che hai, o qualcosa che hai perso per sempre?
(Woody
Allen)
L’incedere degli stivali
di
cuoio sul lastricato del cortile centrale del castello era sgradevole,
come se
scoppi di incantesimi accompagnassero l’incedere del ragazzo.
La notte lo accoglieva tra
le
sue braccia, confondendolo tra le ombre. Meno prosaicamente, era
interamente
vestito di nero e il mantello che gli copriva la schiena e una buona
porzione
di spalla era interrotto solo dal sottile filo d’argento che
si agganciava agli
alamari.
Il ragazzo salì
le scale e
dopo corridoi che a lui erano sempre sembrati tutti uguali,
benchè nessuno gli
avesse mai chiesto un parere in merito, arrivò finalmente a
destinazione.
“Caro
nipote… Finalmente qui.
È stato lungo il viaggio?” Si informò
una voce. La stanza era grande e il
ragazzo non capì immediatamente dove si trovava
l’uomo che aveva parlato.
Lo individuò poi
accanto al
fuoco, mentre con l’attizzatoio spostava accuratamente le
braci.
“Privo di
incomodi, zio.” Rispose
neutro: del resto quelli erano convenevoli. Non gli interessava sapere
delle
sue peripezie per giungere alla sua dimora estiva senza farsi scoprire
o sospettare.
“Molto
bene…” L’uomo posò
l’attizzatoio sulla mensola del camino. Fissava le fiamme. Il
solito, pensò il
ragazzo con una smorfia rassegnata. Era raro infatti che lo guardasse
in viso.
I suoi lineamenti non appartenevano alla casata da cui era stato
allevato e
cresciuto e suo zio era decisamente il tipo a cui davano fastidio certi
particolari.
Non bastava essere un
purosangue, per lui. La macchia che proveniva dalla famiglia di suo
padre lo marchiava
a fuoco, rendendolo poco più che un lacchè.
Serrò le labbra.
No, non un
lacchè. Uno
strumento, né più né meno utile di
quell’attizzatoio.
Istintivamente
chinò la testa,
lasciando che i capelli lunghi fino alle spalle gli coprissero
parzialmente il
viso. Cancellò ogni espressione e attese ordini. Era quello
che suo zio voleva
e lui non voleva indisporlo.
“Saprai della
morte di
Johannes.”
Il ragazzo ci mise un attimo a fare mente locale.
Del
resto ha avuto dozzine di soprannomi e decine di
identità in tutto il globo terraqueo, magico e
non…
Permettimi qualche incertezza. Era il suo vero nome, questo?
“Intende John Doe,
zio?”
“Chi altri? Gli avevo affidato l’incarico
più importante della sua vita e si è
fatto uccidere… da due ragazzini e una vecchia gloria di
guerra.” Calcò con
rabbia la parola e il ragazzo istintivamente aspettò lo
scatto d’ira che ne
sarebbe conseguito.
Per sua fortuna stavolta non
arrivò.
Ci fu un lungo silenzio
interrotto solo dallo scoppio delle braci nel camino.
“Voglio rendere
questo posto
il quartier generale dell’organizzazione, a tutti gli
effetti.” Esordì poi il
mago più anziano. “Il castello della nostra
famiglia non è più sicuro, dopo il
fallimento di quell’idiota. Voglio che sia tu ad occuparti
del trasloco.”
Il ragazzo annuì.
Era stupito:
l’aveva richiamato da San Pietroburgo… per quello?
Ora che Johannes è morto posso
aspirare
al suo posto di galoppino? Esaltante.
“Sören.”
Lo richiamò. Fu come
una frustrata; sentì la sua schiena irrigidirsi mentre il
terrore gli seccava
la gola.
Era ridicolo: aveva quasi
vent'anni e ancora si comportava come un bambino terrorizzato.
“Certo.”
Rispose però, con
prontezza istintiva. “Me ne occuperò di
persona.”
“Molto bene.” Suo zio aveva gli occhi freddi come
il Mar Baltico. Stavolta però
lo stavano guardando, cosa più unica che rara. In tutta la
sua vita aveva avuto
quei dardi trafitti addosso solo un paio di volte.
Non che ci tenesse
particolarmente comunque.
“Quando
tornerai… potrei aver
ancora bisogno di te.” Aggiunse, a sorpresa.
“Un incarico per l’organizzazione?”
Sperò.
L’uomo
accennò un sorriso.
“Forse Sören, forse. Se ti comporterai
bene… Anche se non ho mai avuto il
motivo per lamentarmi di te.” Si avvicinò e il
ragazzo rimase immobile, in
attesa. Sentì la mano dell’uomo posarglisi sulla
spalla. Aveva il peso di un
macigno.
“Mi sei fedele,
non è così?”
Gli chiese con gentilezza. Non era un uomo gentile, ma aveva la
mirabile dote
di riuscire a sembrarlo. “Ho fatto molto per te.”
“Vivo nella tua benevolenza, zio. Sono il tuo servo
fedele.” Lo aveva recitato
così tante volte che ormai gli sembrava il salmodiare di una
preghiera babbana.
Del resto, potevi forse dire
dire qualcosa di diverso a Alberich Von Hohenheim?
****
30
Luglio 2023
Germania
Settentrionale.
La cittadina di
Putgarten¹
contava poco più che settecento anime, uomo più
uomo meno, secondo le stime dell’ufficio
statistico di Hannover.
Putgarten era un villaggio
tenacemente
ancorato alle scogliere calcaree di Rügen²,
l’isola più grande dell’intera
Germania.
Gli abitanti si ripartivano,
equamente e senza invidie, il magro spettro di lavori disponibili:
caccia,
pesca e artigianato. Il turismo era poco ma anche per quello
c’era qualche
famiglia disposta a mettere su un banchetto con chincaglierie tipiche.
Il sindaco, Erich Heinemann,
quella
mattina passeggiava per la via principale, il giornale sotto braccio,
diretto
verso il municipio: poteva vantare la conoscenza di ogni singola anima
nei
dintorni. Dava del tu al postino e si informava quotidianamente della
salute traballante
del fornaio. E quel giorno ripeté la sua routine oliata e
quieta, finché non si
dovette fermare a riflettere su un’idea.
Gli capitava, di tanto in
tanto, di fermarsi in mezzo alla strada per riflettere. Gli piaceva
credersi un
po’ come Socrate, in quella novella… di cui non
ricordava né titolo né morale.
Era una cittadina
tranquilla,
la sua: i turisti solitamente si fermavano poche ore per scattare
qualche foto
o mangiare un boccone. Poi si spostavano verso Kap Arkona, punta
dell’isola
rinomata per essere stata tratteggiata dal pennello immortale di
Friederich³.
Nulla turbava
l’alternarsi
delle stagioni: le nascite, i matrimoni, gli amori e i dolori erano
poco più di
un increspatura nella superficie liscia delle cose.
Questo prima che Cordula la
Pazza portasse in paese Il Ragazzo.
Cordula – non ne
ricordava mai
il cognome – era la tipica vecchia da folklore locale:
bislacca, con una
fattoria lontana dalle strade battute e in odore di stregoneria. La
conoscevano
tutti al villaggio e a parte terrorizzare i bambini era una figlia di
Rügen,
come tutti loro.
Il Ragazzo invece non era un
sano tedesco dalla carnagione rosea e la zazzera bionda, ma era un
giovane pallido,
alto e dai capelli scuri come una
notte senza luna. E straniero, perdi più. Inglese, sosteneva
Hilde la maestra.
La sua epifania aveva tenuto
impegnate le bocche delle comari per mesi. Era arrivato durante un
dicembre
particolarmente gelido, in cui il mare gonfiava tempeste pericolose, ma
solo
verso Marzo, quando l’ultima gelata era passata, aveva fatto
la sua prima comparsa.
Erich ricordava quel giorno:
tirava
una brezza gradevole, insolita per quel periodo dell’anno e
tutti, persino il vecchio
libraio Karl, avevano seguito l’incedere zoppicante di
Cordula accompagnata dal
Ragazzo. All’epoca aveva fatto una certa impressione
perché palesemente
emaciato, allampanato, chiuso in un cappotto che serviva solo a
sottolineare la
sconfitta di qualche malattia a lungo termine.
E un viso…
Il buon sindaco non era un
fisionomista, ma poteva essere certo, anche a distanza di mesi, di aver
pensato
che l’infelicità avrebbe dovuto avere quella
faccia nelle mani di un fotografo.
Adesso era Luglio, i primi
turisti erano arrivati e ripartiti, eppure le voci
sull’inglese ancora non si
erano quietate.
Sua figlia gli aveva
spiegato,
ridendo come la sciocchina che era, il motivo di
quell’attenzione a getto
continuo.
“Papà,
è misterioso! Nessuno sa da dove venga o perché
abbia deciso di fermarsi qui, dove non c’è un bel
niente! E poi vive da Cordula
… Lei dice che è un suo nipote, ma chi le crede?
No, c’è sicuramente qualcosa
di più.”
Era un bel mistero quel ragazzo, spuntato dal nulla e senza un
apparente
passato da sviscerare. Era come un sottile spillo nella sua coscienza
di
giudizioso amministratore locale.
Non che infrangesse le leggi
o
tenesse un comportamento atto a turbare la quiete pubblica, certo.
Era anzi, rispetto ai suoi
coetanei, giudizioso: lavorava al negozio della sua ospite, i cui
intrugli a
base di alghe andavano a ruba trai turisti creduloni. Raramente usciva
in paese
da solo, né dava confidenza, ma fermato era sempre cortese e
pieno di riguardo.
Inoltre non si ubriacava, né faceva gare di
velocità in macchina sul ponte
dello Stralsund, cosa per cui erano tristemente noti i ragazzi della
zona,
compreso – ma lui non aveva mai dato credito a quella voci -
suo figlio.
Un caro e bravo ragazzo,
commentavano benevoli le donne.
Ma era… strano. Non tanto nel suo aspetto, quanto
nel modo in cui si era
insinuato – sì, era quella la parola giusta, insinuato – nella vita del
villaggio.
Era riuscito a farsi
ordinare
all’edicola alcuni quotidiani inglesi, che leggeva poi in
negozio. Era anche un
cliente affezionato della vecchia coppia che gestiva l’unica
libreria della
zona. All’emporio era rinomato e preso bonariamente in giro
per la sua continua
richiesta di pile alcaline e candele. Come le due cose si sposassero,
non era
mai riuscito a capirlo.
Tutti erano affascinati dal
giovane straniero, inutile negarlo. La sua presenza non era ingombrante
o
rumorosa, ma era quieta, come un’ombra innocua ma tenace.
Ma rimaneva un’ombra.
La pausa di riflessione era
finita. La campana della chiesa batterono otto rintocchi: era ora che
cominciasse anche la sua giornata.
Dedicò un ultimo
pensiero al
ragazzo. Si rese conto, perplesso, di non ricordare il suo nome.
****
Ian le piaceva.
Meike Wollin aveva solo
dieci
anni, un paio di denti da latte in meno, ma due certezze.
La prima era che era diversa. Diversa dai suoi coetanei, si
intende. Diversa da tutti gli abitanti di Putgarten a dire il vero. A
nessuno
di loro apparivano oggetti tra le
mani, dopo che li aveva cercati tanto a lungo. A nessuno di loro il
mare
evitava di bagnare le scarpe nuove quando camminava sulla spiaggia con
la
nonna.
E la seconda era che Ian
Morris, Il Ragazzo Misterioso, come lo chiamavano noiosamente
tutti, le piaceva.
Primo, perché era
bello.
Quando lei e nonna Cordula l’avevano ritrovato svenuto sulla
spiaggia, nove
mesi prima, era stata sicura che
fosse stato il mare a mandarglielo. Un principe tutto per lei, come
raccontavano le fiabe.
E poi c’era un
segreto
importante e bellissimo. Ian era come lei. Anche lui era speciale.
Anche lui
era capace di far sparire e riapparire oggetti o muovere le cose solo
volendolo.
Era molto forte in quello.
Così forte che lei e la nonna la prima volta si erano
spaventate, visto che
aveva fatto
esplodere la tazza di brodo
che gli avevano portato per pranzo.
Si era spaventato anche lui,
a
dirla tutta. Aveva fissato i cocci sparsi tutti attorno al letto e il
brodo che
bagnava le lenzuola e le aveva guardate. Meike ricordava
l’espressione dei suoi
occhi, grandissimi sul viso magro. Era spaventato più di
loro. Aveva detto
qualcosa in inglese, che sua nonna aveva tradotto per lei come
‘Che mi sta
succedendo?’
Allora la nonna, che sapeva
molte cose anche se tutti le davano della pazza, aveva fatto in modo
che non
succedesse più.
Certo, non sapeva come, ma
in
fondo non le importava.
Rifletté un
po’, tormentandosi
una ciocca di capelli, mentre si dirigeva verso il negozio della nonna,
come
tutte le mattine d’estate.
Era stato male, Ian. Quando
l’avevano trovato, a dicembre, era molto malato ed era stato
ben tre mesi a letto, debole come
un
bambino, incapace persino di alzarsi per andare in bagno da solo.
La nonna, che era buona e per niente pazza, l’aveva
accudito… e
aveva dato una mano anche lei, naturalmente.
I primi mesi non erano stati
facili: Ian non capiva la loro lingua e dormiva moltissimo, tanto che
erano
passate settimane prima che dicesse loro come si chiamava e da dove
veniva.
Poi grazie alle pozioni della nonna – si
chiamavano
così, ma non doveva dirlo in giro –aveva ripreso
peso e forze. Aveva anche
imparato molto in fretta la loro lingua, perché sapeva
ascoltare. Aveva passato
intere giornate, steso a letto o sulla poltrona accanto al fuoco se si
sentiva
più in forze, ad ascoltarle.
Ian era bello e gentile,
come
un vero principe e quando era stato capace di alzarsi in piedi aveva
subito
detto di volersi sdebitare. Aveva un modo di dire le cose per cui
neanche una
brontolona come sua nonna riusciva a opporsi. Così aveva
cominciato a lavorare
alla fattoria e a fare da commesso al loro negozio.
Meike era sempre affascinata
dai due modi in cui lavorava. Il primo era quello normale: aiutava la
nonna a
preparare i prodotti, sorrideva – a casa non sorrideva mai -
e serviva i
clienti. Il secondo, nella fattoria, invece era quello speciale.
Ian usava la magia. Non come
lei, che faceva solo un sacco di pasticci, la sapeva usare veramente. Aveva preso la bacchetta -
altra cosa di cui non si
doveva parlare fuori dalla famiglia – di suo padre e la
sapeva usare molto
bene.
I primi tempi
però non era
stato così. Ian aveva problemi a controllarsi e faceva
sempre esplodere le
cose.
Si arrabbiava tantissimo
quando succedeva e la nonna le diceva sempre di andarsene a giocare in
spiaggia
a quel punto. Quando tornava per cena era di nuovo tutto a posto.
Ma erano passati quei tempi,
e
ora Ian stava bene.
La bambina, trecce bionde,
un
sacco di lentiggini e un k-way azzurro, varcò la soglia del
piccolo negozio,
interamente costruito in legno, sulla piazza del villaggio. Un
campanello
trillò argentino e il ragazzo dietro al bancone
alzò lo sguardo dal libro che
stava leggendo.
“Ciao
Ian!”
A Meike piacevano moltissimo
gli occhi di Ian. Erano dello stesso colore del mare,
dell’oceano. Stesso,
identico, neanche glieli avesse rubati.
Il ragazzo chiuse il libro,
sorridendole. “Ciao Meike. La nonna?”
“Sta lavorando al forno, poi viene.” Si sedette sul
bancone, arrampicandosi con
agilità. “Che stavi leggendo?”
“Thomas Mann. Il
dottor
Faust.” Recitò distratto, prima di regalarle un
sorriso alla sua espressione perplessa.
“È un libro molto lungo. E noioso.”
La bambina arricciò il naso, in un’esplosione di
lentiggini, che facevano a
pugni con i capelli color paglia. “Allora perché
lo leggi?”
“Perché mi piacciono le cose lunghe e noiose, mi
pare ovvio.” Ribatté,
facendola ridere.
Ian si soffiava spesso il
ciuffo via dalla fronte, perché aveva i capelli lunghi, fin
sotto alle
orecchie. Più lunghi di come li tenevano Arno e i suoi
amici. Erano scurissimi
e lucidi, come le piume di un corvo.
“Ho visto dei
turisti, giù
alla spiaggia. Forse verranno qua!”
“Bene.”
Non era facile parlare con Ian. Non che non rispondesse alle domande,
ma
neanche iniziava un discorso. Ma Meike aveva dieci anni ed era piena di argomenti.
“Non sei
contento?”
“No, non
direi…” Ian si
confidava con lei. Non tantissimo, ma qualcosa sì. Lo
riteneva un grande
privilegio, considerando che non dava confidenza a nessuno.
“Ma dai, i turisti
sono
divertenti! Hanno degli accenti così buffi e ti chiedo delle
cose troppo
assurde!” Gli diede una botta sul braccio, coperto da uno dei
vecchi maglioni
di suo padre. Era ancora magro come un osso, anche se la nonna ce la
metteva
tutta per farlo mangiare. “Non ti piacciono
davvero?”
“Non mi piacciono le persone in generale
…” Fece una pausa. “Non è che
sono
antisociale, è che non sopporto le
persone⁴…” Recitò lentamente. Sembrava
lo
traducesse dall’inglese.
E poi fece quell’espressione:
Ian la
mostrava spesso quando gli capitava di parlare con dei turisti inglesi
come lui
o quando stava troppo a lungo da solo.
Tendeva le labbra in una
smorfia
sottilissima e corrugava le sopracciglia. Ricordava, diceva la nonna, e
doveva
fargli piuttosto male.
Ian non parlava mai di
quello
che aveva fatto o dove aveva vissuto prima di arrivare a
Rügen. Era come se fosse
nato dalla schiuma del mare. Come se in realtà un passato
non ce l’avesse.
“Stai
bene?” Gli chiedeva
sempre a quel punto.
Ian allora le sorrideva e
scuoteva
la testa. Lo fece anche quella volta.
“Certo
Meike.”
“È buffa quella frase che hai detto. Quella sugli
anti… antisociali.”
“L’ho tradotta bene?” Era una domanda
retorica. Sapeva che l’altro era
perfettamente consapevole di parlare un ottimo tedesco.
“Eh, credo di sì… ma io non lo
capisco!” Si concentrò però,
perché voleva
davvero capirla. “È ironica?”
“Sì,
è ironica…” Confermò,
raccogliendo con un dito la polvere sul bancone “Ironia
inglese, non pretendo
che tu la capisca.”
“L’hai inventata tu?”
“No, ma me la diceva sempre…”
E poi a volte smetteva di
parlare. Non concludeva le frasi e a quel punto niente da fare,
bisognava
cambiare argomento.
Fortunatamente quella volta
entrarono dei turisti e cavarla di impaccio. Guardò
così Ian servire una
famiglia americana, illustrando loro le proprietà benefiche
degli estratti di
alghe marine.
Doveva avercelo un passato
però:
lo avevano tutti e lei non era così scema da credere sul serio alla fiaba della sirenetta,
nata dalla spuma del mare.
Le sarebbe piaciuto, certo,
perché nelle fiabe nessuno l’avrebbe presa in giro
perché era nipote di Cordula
la Pazza, suo padre non sarebbe morto di malattia e sua mamma
l’avrebbe ancora
voluta, anche se era strana.
Ma le fiabe non erano vere e
quindi Ian doveva aver avuto una
famiglia, degli amici e forse una casa da qualche parte.
E
non è che se lo è dimenticato, anche se fa finta
di
sì.
Ma era una riflessione
troppo
grande per lei e se la scrollò subito di dosso, per ridere
delle difficoltà
evidenti di Ian con la turista americana.
Ian intercettò il
suo sguardo
e si produsse in un’ombra di sorriso: era gentile con tutti,
ma con lei era perlomeno,
diceva burbera la nonna, sembrava sincero.
Forse perché era
una bambina,
o forse perché gli aveva detto, facendola arrossire per la
prima volta in vita
sua, che aveva dei bellissimi occhi verdi.
Era come avere un fratello
maggiore ed era una bella sensazione.
La madre di famiglia
finalmente radunò i figli ed uscì dal negozio,
carica di buste.
“Al, sta fermo!” Urlò, visto che la
sentirono fin dentro, mentre agguantava il
più riottoso dei figli.
A quel punto successe una
cosa
strana. Ian stava mettendo via il resto e diventò tutto
rigido. Gli caddero di
mano gli spiccioli, ma neanche se ne accorse. E la luce della lampadina
sul
soffitto cominciò a tremolare.
E Meike sapeva bene cosa
volesse dire.
Cacchio!
Cacchio!
C’era
sempre la nonna, di solito,
quando ad Ian aveva una delle sue crisi. Era a causa della sua magia,
le aveva
spiegato una volta; Ian era stato molto malato, quasi vicino a morire e
la magia
che gli scorreva nelle vene, perché lo sapeva anche lei che
era nel sangue, era
diventata instabile come la sua salute. Si stava rimettendo solo adesso
infatti.
“Ian…?”
Lo chiamò un po’ impaurita.
La lampadina continuava a emettere luce ad intermittenza.
Dov’era la nonna?
Forse richiamato dalla sua
voce il ragazzo si riscosse. Batté le palpebre e si
affrettò a recuperare il
resto caduto sotto il tavolino.
“Scusami…” Gli sentì dire:
aveva la voce lontana, piatta, come se venisse dal
fondo di un pozzo. Non aveva colore né calore. “Ti
sei spaventata?”
“No, per niente!” Mentì. “Ma
che ti è successo?”
Scosse la testa. Ma non le sorrise stavolta. “Niente, va
tutto bene.”
Meike Wollin, la nipote di
Cordula La Pazza, aveva tre certezze nella vita.
La prima era di essere
speciale. Una strega, come Ian era un mago.
La seconda che Ian le
piaceva.
E la terza che Ian era un
grande, grandissimo bugiardo.
****
Note:
La canzone (perché c’è sempre una
canzone) del capitolo è
questa
1.Putgarten:
Esiste davvero. È un paesino a ridosso della scogliera.
Qui
per
maggior informazioni. Poche eh. XD
2. Rügen:
l’isola più grande della Germania. Si affaccia sul
Mar
Baltico ed è famosa come luogo turistico e balneare.
Qui maggiori informazioni e foto.
3. Pittore tedesco.
Questo dipinto rappresenta le scogliere calcaree
della zona. Solo di
solito non c’è tutta quella luce, fidatevi.
4. Citazione presa da Queer
as
Folk. E che Al ha ripreso alla festa di Halloween in DP, sì.
Allora non sapevo
che fosse di Justin, perdonatemi per non aver messo la citazione. T_T
Precisazioni: Tutte le immagini usate,
linkate e manipolate non
appartengono a me, ma le ho trovate sul web o su DeviantArt.
Chiunque le
rivendicasse, è pregato di inviarmi un pm, sia se voglia che
le ritiri, sia che
voglia essere creditato. Thanks ^^
Le canzoni, frasi e
varie
citazioni non appartengono a me, ma a chi le ha ideate.
E per finire, l'impianto dell'intera storia, luoghi, personaggi etc
appartengono a mamma Row, Dio l'abbia in Gloria.
Considero questa
storia una
sorta di ‘tributo’ alla sua opera, niente
più che il lavoro di una fan.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo I ***
Wow. Non so cosa dire. Non
mi
aspettavo davvero tante recensioni, quindi grazie, grazie e vi prego,
continuate così! :D
(Che paracula)
No, sul serio, non so davvero come ringraziarvi. Vi abbraccerei ad
ognuna/ognuno, ma accontentatevi del mio amore telematico! *_*
@ElseW: Potevo forse lasciarvi con
niente sotto i denti? Presto il mistero di Tom sarà svelato
(sic!) e grazie
grazie grazie per i complimenti!
@NickyIron: La
farò, sicuro, o almeno la descriverò. Dimmi pure
come la vedresti tu, sono
curiosa! ^^ Essì, c’è ancora la Thule
in ballo, e quando mai una setta si
arrende? Ahaha, beh, il motivo non è proprio una crisi
esistenziale, è un bel
po’ complicatello, ma vedrai! ^^ Grazie per
seguirmi!
@LyhyEllesmere: Ciao! Sì, beh, ci sono dei
motivi per cui non torna, e sì, Al
è diventato un bel pulcino incazzato xD Lo vedrai meglio nel
capitolo^^ Sì, il
titolo vuol dire più o meno quello… è
il nome di un’associazione delle mie
parti, e significa ‘dall’ombra alla luce’
intesa la conoscenza. Roba esoterica
insomma XD
Foolfetta: Tranquilla DP
non
scappa! XD
Beh, Ian/Tom è lì perchè…
diciamo, long story short, perchè c’è
finito, senza volerlo. Il motivo per cui
ci rimane invece devo ancora spiegarlo, quindi tranqui ^^
@MadWorld:
Grazie per i complimenti!^^
@Andriw9214:
Ahaah, sì, mirabolante esiste come parola! XD
Meike è adorabile, lo so, e pensare che solitamente i
bambini li detesto! XD
Beh, Tom si scoprirà poi, promesso e la strigliata
l’avrà a prescindere XD Grazie…
il titolo l’ho preso da un motto araldico trovato su
internet, che poi ho
scoperto essere di un associazione vicino a casa mia. Faceva effetto
sì XD è un
peccato che ci siano così pochi ragazzi. A essere tutte
ragazze purtroppo si perde
la componente critica maschile che a volte servirebbe decisamente,
specialmente
nelle storie slash (che ehi, parlano di ragazzi).
Conto su di te per eventuali critiche! :P
@Leeirel:
Ahaah, grazie per i complimenti e la fiducia a Sören! ^^
@Simomart: Ehi! Beh, non potevo abbandonarvi,
giusto? :D woah, grazie
per i complimenti… il più bel complimento che uno
scrittorucolo come me possa
ricevere è sapere che il proprio stile non si è
fossilizzato! E poi hai
centrato il punto con Tom. sta male e il suo lento recupero
è uno dei tanti
motivi per cui non ha contattato casa (+ seppie mentali XD)
Sì, Sören compare
nell’immagine nella storia e anche nel mio profilo, ho messo
delle immaginette
graziose (spero di non aver infranto nessu regolamento o hotlinking che
dir si
voglia ;P) Lily avrà più spazio, come vedrai in
questo capitolo. Mi piaceva che
fosse una storia basilarmente slash, ma con un punto di vista anche
femminile. Diciamocelo,
sono una scrittrice, non possono non mettere una ragazza a raccontare
un po’ la
sua storia. XD Specie come un nome come Lily.
L’aggiornamento sarà, indicativamente, ogni
sabato, max domenica^^
@Agathe: Ciao! No,
Sören non
è completamente cattivo. Diciamo… che è
un
soldato. Ecco tutto. XD
GiuVio: Ciao! Wow, che
recensione! Grazie per I complimenti! E
per l’impresa che ti sei sobbarcata per leggere tutta la mia
storia in un
colpo! Sono cose che fanno bene al cuore di una piccola fan-writer, sul
serio!
XD Sulle storie della next gen. Ti do ragione… la maggior
parte sono uno
sfilacciamento noioso dei genitori. ^^ Davvero, mi hai fatto dei
complimenti
bellissimi. Ci credi che ho letto qualcosa come dieci volte il tuo
commento,
per tirarmi su in questa sessione estiva? XD Grazie anche per i
complimenti a
Teddy, se ne prende così pochi, poverino! X) Ma sei davvero
andata a ritrovare
quel passaggio! Ma io ti adoro! Semino tanti piccoli indizi, ma spesso
capisco
che è impossibile notarli! Beh, non è
l’amico di penna di Lily ma c’entra
qualcosa XD Grazie ancora, sei fantastica, veramente!
@Sbirolina93:
Presto così va bene? XD
@Cloto: Oh,
sicuramente le recensioni e voi, soprattutto, sono ottimo carburante
per questa
storia… e tutte le tue domande avranno una risposta. Presto ^^
@Altovoltaggio: Cavolo, che
recensione! Me-ra-vi-glio-sa!
Allora,
rispondiamo con ordine. Sì, in effetti la traduzione
letterale e quella, e sì c’entra
con un circolo culturale, anche se non so se sia o meno del
‘700. So che era
attivo dalle mie parti per delle iscrizioni che ho trovato in giro. XD
Sì, in
effetti Sören (non preoccuparti per la dieresi, io ho dovuto
pasticciare con
word per averla sulla tastiera -_-) c’entrerà con
Lily… vedremo poi come, ma ci
sarà più het. Rimarrà sempre una
storia slash questa, beninteso, ma introdurrò
qualcosina di meno ‘gay uber alles’ XD Promesso.
Beh, diciamo che per Tom… i
suoi problemi non sono legati al fatto che non si fidi
dell’amore di Al. anzi,
semmai è tutto il contrario. Ma a suo tempo debito. Grazie
per i complimenti…
diciamo che il set l’avevo scelto da metà
doppelgaenger in poi, quindi ho avuto
modo di preparare il terreno. xD E per quanto riguarda la frase di
QaF…
spiacente, non ricordo quando l’abbia detta, io
l’ho trovata su un avatar. ;P
Gli aggiornamenti, salvo imprevisti, rimangono allo stesso ritmo di
quelli di
DP, quindi sì, una volta a settimana XD Grazie per la
meravigliosa recensione,
sei impagabile. E ah… ho letto anche quella a Seven Steps.
Ti giuro che è
fantastico sapere che finalmente hai accettato pure quella coppia,
specie perché
sapevo quanto eri scettica all’inzio. Anche lì, un
analisi meravigliosa… posso
farti un monumento?
MikyVale: Non
preoccuparti, quando ho visto le vostre recensioni ho fatto lo stesso,
quindi
siamo un mucchio di matte. XD Yep, nella foto di centro quella
è Lily (faccia
presa in prestito > Molly C. Quinn) E il resto li hai tutti
azzeccati, Al,
Tom e Sören. ^^ Grazie per i complimenti… se
continuo a migliorare non posso
che essere mega-felice! :D
@Ombra:
Ahaahah, beh, grazie! :D Tom è una droga? Beh, è
un super-complimento, non
farmi arrossire! ^^ (Tom sa di esserlo e lo ribadisce) Non
preoccuparti, Tom
tornerà. In qualche modo. XD
****
Capitolo I
If
I could kiss you now/ I'd kiss you now again and again
‘Till
I don't know where I begin and where you end
Oh where you end is where I begin.
(Where You End, Moby)¹
30 Luglio 2023
Devonshire,
Ottery St. Catchpole.
Casa
Potter, pomeriggio.
Il Devonshire in quel
particolare luglio era rovente.
Le previsioni avevano dato
assenza di piogge e sol leone per tutto il mese e Ginny Potter pregava
che i
fiori del suo giardino non si incenerissero, mentre in quel tardo
sabato pomeriggio
tirava fuori pentole e vivande per la cena.
Avrebbe dovuto cucinare
qualcosa di leggero, rifletté. Il giorno dopo sarebbe stato
il quarantatreesimo
compleanno del marito, incidentalmente Salvatore dei Mondi, ed era
previsto un
banchetto pantagruelico alla Tana.
“Insalata!”
Le suggerì Lily,
seduta al tavolo della cucina mentre scriveva alacremente, scordandosi
puntualmente di intingere il pennino. “Perché non
possiamo comprare delle penne
babbane?”
“Le abbiamo comprate…” Le fece notare.
“Ma poi tuo fratello le ha perse tutte.”
“Veramente Albie le ha
portate al
lavoro e quelle cavallette del laboratorio gliele hanno rubate e lui
è troppo
buono per chiedergliele indietro.” Ipotizzò Lily
corrucciandosi. “Odio dover
scrivere con la piuma, quando il mondo babbano mi offre
un’infinita gamma di
comode penne con l’inchiostro dentro.”
“Chiederò
a papà di fermarsi a
comprarle nella Londra babbana stasera, va bene?” La
tacitò distrattamente.
Lanciò un’occhiata pensierosa al soffitto,
direzione piano superiore.
Albus aveva passato
metà
dell’estate chiuso in soffitta a preparare pozioni che poi
puntualmente
finivano in un evanesco,
considerando
che interi litri di pozione pepata² erano del tutto inutili in
quel periodo
dell’anno.
Ginny l’aveva
lasciato fare
fino a che non aveva attentato alle rose del giardino, cercando di
curar loro
il vaiolo di drago. Prima che sterminasse l’intera coltura
aveva chiamato un
vecchio amico della scuola, Seamus Finnigan, che lavorava come
guaritore³ al
San Mungo. Dopo un caffè, chiacchiere e ricordi era riuscita
ad ottenere per il
figlio un posto al laboratorio di pozioni dell’ospedale, come
apprendista. Non
era retribuito e si limitava a pelare radici e pulire i calderoni, ma
era sicuramente
un’esperienza formativa.
E aveva permesso alle sue rose di vivere, cosa
non da
sottovalutare.
Guardò la figlia
che si
soffiava irritata una ciocca di capelli lunghi via dal viso. Le sorrise
affettuosamente: attualmente era l’unica che non dava loro
grattacapi, quasi-infarti
o rivelazioni shockanti.
Infatti neanche tre
settimane
prima James aveva palesato al mondo di apprezzare anche i ragazzi. La
cosa in
sé era stata traumatica, specie se addizionata al fatto che
preferiva un
ragazzo in particolare. Teddy.
E viceversa il loro
figlioccio
aveva dimostrato di avere la stessa… inclinazione.
Non poteva non ammettere di
aver sempre sospettato di Ted, Vic a parte.
Ma
Jamie…!
Sospirò
controllando lo stato
dei pomodori: cadevano in fette circolari e umide sul tagliere,
affettati dal
coltello che si librava nell’aria grazie alla magia.
Harry non si era ancora del
tutto ripreso: Jamie era il loro primogenito, quello che più
gli assomigliava
caratterialmente. Lo chiamava il suo malandrino ed era sempre stato
ciecamente
orgoglioso di lui.
Il
fatto che ami un uomo, Teddy, più grande, da sempre
presente in famiglia…
Ginny era però
convinta del
fatto che Harry prima o poi l’avrebbe accettato. Avevano
parlato a lungo con
entrambi, dopo che Teddy aveva fatto una confessione chiassosa e
pubblica, più
nello stile di James che suo.
Ginny era rimasta colpita
dalla maturità che James aveva dimostrato in quella
situazione. Il figlio
maggiore non aveva mai brillato per essere un tipo riflessivo, ma in
quei
frangenti ce l’aveva davvero messa tutta per non scaldarsi.
Le era rimasta
impressa una frase.
“Non
mi illudo che sia facile mamma, ma me l’avete
insegnato voi che la differenza sta tutta nel sapere di avere qualcosa
per cui
lottare. Ed io ce l’ho.”
Oltre lo shock e la
preoccupazione Ginny si era sentita orgogliosa. Ed era certa che anche
per
Harry fosse così.
Ma
è un uomo…
La rivelazione era stata
trasmessa al resto del clan e nel giro di una settimana era diventato
l’argomento caldo. Aveva ricevuto una quarantina di visite da
sua madre e aveva
quasi dovuto spingerla fuori dalla porta prima di essere sommersa da un
mare di
pasticcio di carne e sandwich al bacon.
La reazione che
però l’aveva
fatta definitivamente tranquillizzare era stata quella di Charlie,
l’uomo
disperso trai rudi monti della Romania. Ginny sapeva
dall’età di sette anni delle
sue inclinazioni verso gli uomini, visto che era stata la sola ad aver
conosciuto il suo ragazzo di allora.
Suppongo
di essere tutt’ora l’unica a sapere…
Charlie le aveva ricordato
quello che il disagio di quella situazione, addizionata
all’intera situazione
di Tom, gli aveva offuscato.
Cioè che James
era un ragazzo
serio dietro l’istrionico bisogno di farsi notare e che non
avrebbe preso una
scelta simile per puro capriccio.
Nonostante tutto,
rifletté
Ginny mentre spediva con un tocco di bacchetta gli asparagi a bollire,
quell’episodio aveva alleggerito la situazione.
Harry aveva passato giorni a
sbraitare e chiedersi se era stato un cattivo padre, invece che
piangersi addosso
perché era un orrendo padrino.
Lily finì la
propria lettera
con il solito svolazzo che identificava la sua firma.
“Finito!”
“Come sta il tuo amico … ehm.” Si
fermò imbarazzata. Non ricordava mai la
nazionalità dell’amico di penna della figlia. Era
curioso, perché Lily glielo
ripeteva ogni volta.
“Ren è
tedesco.” Ripeté
pazientemente, roteando gli occhi al cielo.
“…
Ren?”
Lily sorrise, mettendo via
pergamene e penna. “Non ha un gran bel nome, poverino. Conto
di fargli
accettare il soprannome entro le prossime due o tre lettere.”
“Capisco…
come sta allora
Ren?” Le chiese.
“Bene! Adesso
è in viaggio per
tornare a casa. Durmstrang ha delle vacanze estive ridicole,
sarà perché lassù
fa davvero
freddo…” La informò meditabonda,
fregando una rondella di pomodoro dal tagliere.
Ginny le sorrise:
c’erano dei
lati di sua figlia che molta gente sottovalutava perché
offuscati dalla sua apparente
superficialità. Per esempio, era stata l’unica che
in quei mesi fosse riuscita a
trovare un punto debole nel guscio in cui si era chiuso Albus.
“Mamma?”
La richiamò. “Quando
dovrebbe arrivare i ragazzi?”
“Mmh? Tra poco credo…”
Controllò l’orologio a muro, gemello di quello
alla
Tana: i tre nomi dei maschi di casa erano tenacemente ancorati al
‘fuori’. Harry
doveva essere da Ron a piangere sulle rispettive miserie, ovvero una
figlia
probabilmente collusa con un Malfoy e un figlio interessato alla stessa
metà
del cielo.
Persino Hermione li lasciava
crogiolarsi nei propri foschi pensieri ormai.
Una fiammata verde
proveniente
dal camino annunciò l’arrivo di uno dei suoi figli.
“Togliti dal mio mantello, Jam!”
“Mi stai pestando i piedi, razza di imbranato, togliti
tu!”
… o forse due.
Sì. Decisamente solo i
suoi figli
riuscivano a prendere la metropolvere nello stesso, esatto, momento e
accapigliarsi per questo.
Lily soffocò una
risatina.
“Siete due idioti…”
“Così pare.” Borbottò Al
tirando uno spintone al fratello e uscendo dal camino,
mentre si scrollava la cenere dal mantello. Sotto aveva una maglietta
lillà e
James vedendogliela ghignò.
“È la cosa più gay che abbia mai
visto.”
“Se lo dici tu sarà vero…”
Rimbeccò andando a baciarle la guancia. “Devo
indossare qualcosa sotto la divisa che non mi faccia morire di caldo
quando
lavoro.”
“Non lavori, pulisci calderoni.”
Rimbeccò James buttandosi su una sedia e
intrecciando le mani dietro la nuca. Ginny lanciò
l’ennesimo sguardo di
disapprovazione al suo tatuaggio. Sapeva che progettava di traforarsi
un lobo
come aveva fatto l’erede Malfoy. Lo sapeva.
“Perché
tu invece? Servi il
Ministero colpendo sagome di cartone animate?”
Replicò Al. “Non sei un auror, non
sei ancora stato ammesso all’Accademia, frequenti i corsi
estivi del Ministero!”
“Dammi tempo. Tu cosa
sarai invece?
Uno straordinario pulisci - calderoni?”
“Bene. Non salverò la tua stupida
pellaccia quando ti farai esplodere in faccia la bacchetta alla tua
prima
missione, sappilo.”
“Perfetto,
perché se voglio
morire lo farò sul campo di battaglia, non avvelenato da
te.”
“Ragazzi.” Li
richiamò all’ordine
mentre Lily ormai rideva apertamente. “Potreste finirla di
mordervi? Così, se
vi va.”
I due fecero una smorfia
gemella. A Ginny venne da ridere; si pizzicavano da quando avevano
cominciato
ad aver coscienza di sé, e sembravano perennemente in
disaccordo, su tutto. Ma
nessuno sapeva quanto e come James era stato vicino ad Al in quel
periodo, come
lo aveva protetto dai pettegolezzi e dalla curiosità
morbosa.
Avevano un modo di
interagire
tra di loro un po’ goffo e brusco, ma come madre era
totalmente certa
dell’affetto che l’uno provava per
l’altro.
Solo
che sono davvero troppo simili in fondo, e troppo
diversi in superficie…
“Allora,
cosa volete per cena, miei
eroi?” Li canzonò: amava i suoi figli e li amava
soprattutto adesso che si era
resa conto di quanto fosse facile perderli.
Non riusciva neppure ad
immaginare come dovesse sentirsi Robin Dursley.
Al si versò un
bicchiere di
succo di zucca. Poi parve registrare l’eventualità
di cenare a casa. “Ah… ehm. Non
contare me, mamma. Stasera ceno a Diagon Alley con Mike e i suoi
amici.”
Ginny sperò che
non si vedesse
la sua smorfia di disappunto. Quello Zabini non le piaceva: era stato
un paio
di volte a cena a casa loro e non era riuscito a trattenere il
classismo che
gli trasudava da ogni poro.
È
un serpeverde, cosa ti aspettavi? - Le disse una voce che aveva il
tono accusatorio di
suo fratello.
“Ancora?”
L’esclamazione di James sembrò tradurre i suoi
pensieri.
“Perché cavolo esci con quegli idioti?”
“Perché… vediamo. Ah, sì.
Non sono affari tuoi.” Al fece un sorriso che Ginny
aveva imparato a tradurre come irritazione allo stato puro.
“Sono degli idioti pieni di galeoni e con un cazzo da fare
tutto il giorno se
non fare gli snob purosangue!” Insisté salace
James.
“Sono persone con
cui mi piace
uscire.”
Al era sempre stato il
più
quieto di tutti in famiglia. Ma adesso era freddo.
Ginny sapeva che dietro quella facciata si nascondeva sempre il suo
bambino, timido
e sensibile. Spesso lo trovava di notte, in cucina, con gli occhi rossi
che le
chiedeva piano se poteva avere una tazza di latte caldo.
La scomparsa di Tom, il suo rapimento, tutta quella paura e dolore
avevano
lasciato un solco nel cuore di Al. Ma non permetteva a nessuno di
avvicinarsi
abbastanza per curarlo.
Lei e Harry avevano persino
parlato dell’eventualità di mandarlo da uno
Psicomago², ma non era facile
affrontare quel discorso con il figlio. Se messo alle corde trovava
sempre il
modo di svicolare e lei e Harry non se la sentivano di obbligarlo.
James non sembrò
essersi
rassegnato. Al stava per uscire dalla cucina, quando gli
afferrò un braccio.
“Non fare lo stupido. È il compleanno di
papà!”
Al serrò le labbra. “Tra due giorni, non stasera. Ho diciassette anni e non devo certo rendere conto a mio
fratello.” Si
voltò verso di lei. “A
te sta bene mamma?”
Era una manovra subdola, ma qualcuno in quella famiglia doveva fare dei
compromessi. O lei e Harry non sarebbero usciti vivi da quella tempesta
adolescente. “Solo se torni prima stavolta. Le tre del
mattino non sono più
contemplabili.”
Al le rivolse un sorriso
grato.
“Va bene, certo.”
James sbuffò.
“Quello Zabini
non mi piace…”
“Non deve piacere a te.” Ci rifletté.
“O forse
sì.”
Ginny vide il figlio maggiore arrossire, un’esplosione tra
collo e orecchie e non volle
sapere. E neanche guardare la
figlia minore che ghignava in modo piuttosto rivelatore.
“Per le palle di
Merlino, Al,
qual è il tuo problema?” Brontolò,
lasciandolo finalmente libero.
“Nessuno.” Replicò scrollando le spalle.
“Lasciami stare. Tu scegli i tuoi
amici, io i miei.”
“Sono dei serpeverde!” Sbottò,
esasperato dal non riuscire a far valere le sue
ragioni. Ginny poteva capire il figlio maggiore: la frequentazione con
Zabini e
questi fantomatici amici impensieriva anche lei.
Al serrò le
labbra di rimando.
“Io sono un
serpeverde.” E fu un
tutt’uno infilarsi nella porta sul retro e tirarsela dietro.
“Al!”
James masticò un’imprecazione. “Stupida
testa dura!”
Ginny sorrise, facendogli una carezza. “Chissà chi
mi ricorda. Lascia stare tuo
fratello, tesoro. Zabini può non piacerci, ma credo che
tenga molto a lui.”
“Come no…” Borbottò,
scrollando le spalle. Parve ricordare qualcosa. “Ehi,
senti Lils…”
… e Lily non c’era più, ma la porta
richiusa da Al adesso era aperta.
Ginny sorrise.
In quella famiglia
l’amore
poteva essere maldestro e un po’ soffocante ma
c’era. Sempre.
****
Non era difficile seguire
Albus.
I campi di grano attorno a casa Potter erano assolutamente lisci e
privi di
barriere che non fossero qualche sparuto cespuglio o un magro albero di
mele.
Lily sentiva la suola delle sue scarpe da tennis battere contro la
terra scura
e polverosa, in un ritmo gemello con quelle del fratello, mentre si
inoltravano
tra le spighe di grano.
La schiena Al, davanti a
sé,
non le era mai sembrata così lontana. Piegava le spighe con
le dita, in una
marea dorata e probabilmente era perso nei suoi pensieri.
Adorava i suoi fratelli ma aveva sempre avuto un rapporto
più … comprensibile…
con James.
James era semplice: tutto quello che aveva dentro lo tirava fuori, che
fosse
gioia o rabbia, dolore o allegria.
Al era diverso da loro due.
Era esile, aveva ginocchia e gomiti un po’ sporgenti e la
perenne espressione
di un bambino stupefatto. Aveva un intelligenza vorace, silenziosa e a
volte
sembrava quasi in grado di sparire nell’equazione chiassosa
della loro
famiglia.
Sembrava il meno coraggioso,
ma poi era capace di azioni pazzesche come quelle dell’anno
prima… e di avere una fenice
che ogni tanto veniva a
trovarlo e incuteva soggezione a tutti i volatili domestici nel raggio
di tre
miglia.
Al per lei era
straordinario.
Ma aveva anche uno
straordinario talento per incamerare dentro di sé il dolore,
senza farne uscire
neppure una goccia.
Peccato
che non sia capace di convincere nessuno del
fatto che stia bene …
Lo
vide sedersi sull’altalena, sotto l’albero
di melo, il più grosso del circondario, teatro di scalate e
battaglie infantili.
Era il suo posto preferito per molti motivi: era all’ombra,
era distante da
casa eppure abbastanza vicino per sentirsi al sicuro.
Lo raggiunse, sedendosi
accanto a lui. Al le rivolse un mezzo sorriso distratto.
“Rosie
tornerà presto?” Gli
chiese per avviare il discorso: la cugina infatti era dispersa tra le
lande
rumene dall’inizio delle vacanze. Lei e Al sospettavano che
il motivo fosse
strettamente collegato ai sospetti che zio Ron nutriva su una probabile
relazione tra lei e Scorpius.
Sospetti
fondatissimi peraltro, eh… Non sa neanche che
Rosie è tornata a fine giugno per il compleanno di Sy,
usando una passaporta
con la compiacenza di zio Charlie…
Lily sapeva che ad Al
mancava
la compagnia Rose. Erano migliori amici e passavano una straordinaria
quantità
di tempo assieme, sia a scuola sia d’estate.
Al doveva sentirsi molto
solo.
O
non accetterebbe di uscire con Mike… Fino ad un anno
fa rifiutava sistematicamente tutti i suoi inviti.
“La
prossima settimana…” Le rispose,
spianando la leggera ruga che gli si era formata tra le sopracciglia,
al
pensiero di Rose. “Non vede l’ora. Credo che non le
sia piaciuto molto stare in
Romania. Sai, tutti quei draghi…”
Scherzò, spingendosi con i piedi per far
oscillare l’altalena.
“… e
niente Malfoy.” Sogghignò
di rimando. “Devo ammetterlo però. Non avrei dato
loro che un paio di mesi,
prima che Rosie lo scannasse o Scorpius si stufasse. E
invece…”
“Si vogliono bene sul serio, Lils.”
“Siamo adolescenti. Solo
io sono prevedibilmente
incostante?” Chiese facendolo ridacchiare.
“Deprimente. Sono l’unica a godersi la
vita.”
“Beh…” Sbuffò.
“È solo che quando trovi la persona
giusta…” Non concluse. Lily
si morse un labbro e lasciò che il discorso cadesse.
“Michel
è carino…” Iniziò di
nuovo.
Al si rifiutava di vivere.
Si
lasciava scivolare tutto addosso. Aspettava.
E Lily si sentiva arrabbiata e impotente a non riuscire a fargli capire
che
probabilmente non sarebbe venuto nessuno. O meglio, non sarebbe venuto lui.
Solo
tu e papà credete che Tom sia ancora vivo, Al…
“Ti piace
Mike?” Le chiese,
distogliendola dai suoi pensieri. “Temo però che
tu non sia il suo tipo.”
“Ovvio, sono una ragazza.” Replicò.
“E comunque è lui a non essere il mio.
Nella mia coppia ideale ci può essere un solo narcisista e
quella sono io.”
Al rise, stavolta con
più
convinzione. Lily si sentì un po’ meglio. Era
stupido, ma le battute erano
l’unica cosa che sembrava davvero tirarlo su di morale.
Tutti non facevano che
complimentarsi con lei per riuscire a parlare
ad Al. La triste realtà era che riusciva solo a farlo
ridere.
Ma ci stava lavorando.
Rosie
è quella deputata ai discorsi seri e pieni di
sentimento. Non io.
Certo
che anche lei… farsi trascinare a cinque o sei
stati di distanza quando Al sta così…
“Comunque dicevo
per te… Cosa
c’è tra voi due?” Lo guardò
di sottecchi, spiandone le reazioni. Se ne era
fatta una ragione, i suoi fratelli erano in lizza per trovarsi un
fidanzato e
non una regina del cuore.
Ironico
che per quanto si stuzzichino e si massacrino a
colpi di battutacce alla fine sono maledettamente simili, se si parla
di cuore.
Al scrollò le
spalle, evasivo.
Non era tipo da sparate come James, e considerando le attuali
contingenze Lily
capiva perché non sbandierasse in giro i suoi interessi.
Anche se fossero stati
per le ragazze, Al sarebbe stato comunque riservato.
“Mike è
solo amico.”
“Andiamo… perché allora sarebbe venuto
a cena tre volte, rischiando
un’intossicazione alimentare, considerando
che si nutre di caviale e vino elfico dall’età di
tre anni?”
“Finiscila…” Borbottò
imbarazzato. “Cerca solo di essere un buon amico.”
“Se lo ripeti un’altra volta dovrò
pensare che andate a letto assieme.”
“Lily!”
Sbuffò arrossendo. “Non so
come essere più chiaro. Non c’è niente
tra di noi.”
“Ma lui vorrebbe.”
Al si mordicchiò l’angolo del labbro.
“Abbiamo messo le cose in chiaro tempo
fa.”
“Sul
genere?”
“Sul genere non mi interessi.”
Tagliò
corto, corrucciandosi. “Certo, non nego che sia un bel
ragazzo…”
“È stupendo.
È praticamente un Dio d’Ebano.”
Proclamò seria mentre Al quasi si strozzava con la saliva
infilandosi la risata
su per il naso. “E dicono certe cose di
lui…”
“E tu come fai saperle?” Spiò divertito.
Lily adorava Albus anche perché era
totalmente privo di quella fissazione, tutta dei maschi di famiglia,
secondo
cui sarebbe dovuta morire illibata.
È
sempre stato un ragazzo intelligente…
“Io so tutto, Al. Tutto.” Si
picchiettò la tempia con un
dito. “Sono una ragazza e vivo otto mesi l’anno in
un dormitorio di ragazze. Solo
Rosie è immune ai
pettegolezzi. Perché è una noiosa
bacchettona.”
“Non è
vero, è solo seria.” Ribatté
senza riuscire a nascondere un sorriso. “Il fatto
è che…” Esitò, cogliendo un
soffione e giocherellandoci con le dita. “… quello che Jamie e mamma non
capiscono… è che
con Mike spengo il cervello. Non devo far altro che farmi trascinare
per
locali.” Le confessò piano.
“È… non è male.”
“Potresti portare anche me qualche volta allora.”
Gli suggerì, perché era anche
profondamente interessata alle porte
aperte che il nome Zabini doveva garantire.
Al sospirò
paziente. “Lils,
hai quindici anni. Mamma e papà pretenderebbero il mio
scalpo se ti portassi in
certi…” Esitò, capendo di essere stato
fregato.
“…
posti.” Finì per lui. “Oh, delizioso. Allora vai davvero a Notturn
Alley!”
“Macché Notturn Alley!”
Sbottò arrossendo di puro disagio. “Non
proprio… cioè…”
“Vicino?”
Si spinse di nuovo sull’altalena. “Prometti di non
dirlo a Jamie? A nessuno?”
Lily si mise una mano sul cuore. Oh, come le batteva di pura
aspettativa.
Lo
sapevo che non era serpeverde solo per l’inevitabile
talento in pozioni!
“Prometto sulla
nuova
collezione di Stratchy&Sons autunno-inverno. Non
scontata.”
Al sospirò. “Londra babbana. Andiamo nella Londra
babbana.”
“Sul serio?” Lily sentì un ghigno
raggiungerle il viso: i loro genitori non
volevano. Ovvi motivi, primo trai quali il fatto che lì
erano meravigliosamente
sconosciuti alla folla. Nessuno nella Londra babbana conosceva Harry
Potter o
le sue gesta, né tantomeno le sue progenie.
E
quindi niente riconoscimenti, o roba del tipo ‘Signora
ho visto sua figlia comprare qualcosa che non sembrava
burrobirra’.
Oh,
libertà!
Al si grattò una
guancia,
imbarazzato. “Loki ha falsificato delle… ehm,
credo si chiamino carte di
identità. Con quelle possiamo entrare in posti chiamati club
e… bere, ballare,
cose così.” Le lanciò uno sguardo di
sottecchi. “Ma non è niente di che. È
solo
rilassante non essere riconosciuto ogni due per tre. Ogni volta che
andiamo a
Diagon Alley torno sempre con la mano dolorante.”
“Tutte quelle strette di mano…”
Sospirò Lily comprensiva. “È
perché sei la
copia di papà.”
“Lasciamo perdere…” Borbottò.
“Stasera quindi
vai nella
Londra babbana?”
“L’intenzione sarebbe quella.”
Scrollò le spalle. “È molto meno
affascinante di
quel che pensi. È solo tutto molto più grande. E
rumoroso.”
Lily gli lanciò
un’occhiata
esasperata. Non sembrava davvero entusiasmarlo niente, né
club babbani né
trasgressione.
L’unica scintilla
di interesse
gliela accendevano le pozioni. Ma perché era un maledetto
secchione.
Aveva passato il resto
dell’anno
scolastico, dalla scomparsa di Tom ad attenderlo. Quietamente, senza
dare
scalpore o sembrare particolarmente ansioso.
Se
non si conta il fatto che sembrava aver messo le
tende in Guferia…
Ma Tom non era tornato e suo
padre non era riuscito a trovarlo, neppure dispiegando
l’intero arsenale delle
forze di polizia magica.
Il mondo era enorme e un
ragazzo scomparso era difficile da trovare, sia per la polizia babbana,
che era
stata chiamata in causa dalla famiglia Dursley, sia per quella magica.
Lily ricordava suo padre
venirli
a trovare nei fine settimana ad Hogsmeade, durante i primi mesi di
ricerca: era
sempre stanco, spossato, considerando che doveva coordinare le ricerche
del suo
dipartimento e allo stesso tempo fare in modo che la polizia babbana
non
trovasse incongruenze nella falsa vita babbana di Tom.
Ora tutto si era quietato e
Tom probabilmente non era che una foto appesa alla bacheca scomparsi di
entrambi
di dipartimenti, babbano e magico.
Era difficile ammetterlo, ma
era
passato dentro una maledetta passaporta rotta.
Che poteva averlo materializzato ovunque
o non averlo materializzato affatto.
Lily represse un brivido e
Al
le lanciò un’occhiata confusa.
“Hai
freddo?”
“No…” Mormorò. Si sentiva
sempre a disagio quando pensava a Tom. Era buffo, ma
gli sembrava di fare un torto ad Al quando lui era certo che fosse
ancora vivo
da qualche parte.
“Davvero non mi
porti con te?
Mi mimetizzerei perfettamente.” Gli assicurò
cambiando discorso.
Al ridacchiò.
“Ne sono certo…
lo faresti alla perfezione e sarebbe proprio questo il
problema.”
Lily gli tirò una botta sulla gamba. “Non fare il
grand’uomo! Ti ricordo che la
mia capacità di adattamento supera di gran lunga la tua,
Signor Vivo Rimestando
Pozioni.”
Al sorrise. “Brucia avere quindici anni, eh?”
“Non li avrò a lungo, ci sto lavorando.”
Cercò di spingerlo via dall’altalena,
ottenendo solo un buffetto che le ricordò quando gli volesse
bene e quanto
volesse colpirlo con una pietra al tempo stesso.
James e lei si erano sempre
trovati sulla stessa lunghezza d’onda, crisi da fratello
protettivo a parte, ma
Al era quello da cui andavi se avevi bisogno di buoni consigli e
coccole disinteressate.
Gli appoggiò
infatti la testa
sulle gambe. Al le accarezzò i capelli, gentile e distratto
come sempre.
Non glielo chiese. Non gli chiese se gli mancava Tom, se aveva
finalmente
capito che forse non sarebbe tornato più. Quel silenzio
parlava più di lei, ma
non lo ruppe.
“Grazie.”
Disse Al dopo un
po’.
“Per
cosa?”
“Per non cercare di parlarmi.
È…” Esitò.
“… tutti mi trattano come se dovessi
scoppiare a piangere da un momento all’altro. È
stressante. E pure un po’
avvilente…”
“Benvenuto nel mondo delle ragazzine emotive… La
tessera è un fazzoletto
ricamato.”
Al ridacchiò. “Sono serio. Sei … sei
l’unica che non cerca di capire come sto.
Grazie.”
Lily sorrise. “Figurati. Lo sai che sono troppo frivola per i
discorsi seri.”
“So che non è vero.” Ribatté,
tirandole una ciocca di capelli. “Come mai ti
nascondi sempre?”
Lily fece spallucce. “Mi pare evidente. Aspetto che valga la
pena uscire fuori.”
Rimase a farsi carezzare i
capelli: non era proprio come parlargli, ma Lily era convinta che a
volte le
parole fossero decisamente sopravvalutate.
****
Londra
babbana, zona Charing Cross.
Notte.
La musica del locale
ottundeva
ogni capacità di ragionamento.
Era talmente alta che
neppure
si riusciva a capirsi urlandosi a vicenda nelle orecchie.
Non che ad Albus
dispiacesse,
beninteso. L’idea di attaccare bottone con qualcuno non gli
arrideva
particolarmente quella sera.
Così si trovava
con un drink
colorato in mano, la maglietta appiccicata al torace per il caldo
torrido che sembrava
trasudare dalle pareti a guardare Mike flirtrare con un ragazzo
babbano, totalmente
privo di peli superflui e con una maglietta oltraggiosa.
Intercettando il suo sguardo
fece un mezzo sorriso incoraggiante e si apprestò a vuotare
il contenuto del
bicchiere, per dimostrargli che si divertiva. Era dolce e bruciava ma
ricacciò
indietro le lacrime.
Stava cominciando ad
abituarsi
alla dinamica alcolica dei drink babbani.
Ingannevoli
drink babbani…
L’ultima volta si
era
ritrovato con una nausea formato gigante a rimettere nel vicolo, mentre
tutti
gli amici di Michel si sbellicavano e Michel cercava di non disgustarsi
troppo
mentre gli teneva la fronte.
Da allora aveva imparato la
sacra regola, che un barista pietoso gli aveva spiegato: non mischiare
mai,
salire in gradazione, mai scendere.
Pescò la ciliegia
candita dal
bicchiere, infilandosela in bocca.
La pista era gremita di
corpi
maschili che ballavano a ritmo di qualche tormentone estivo.
Lampi di luce gli
esplodevano
all’angolo dell’iride e le strobo della pista
rendevano tutto confuso e
sincopato.
Non riusciva a divertirsi.
Per
quanto ci provasse, e a volte ne avesse l’impressione, non
tornava mai a casa a
fine serata soddisfatto.
Si sentiva vuoto.
Rose era convinta, da un
paio
di lettere a quella parte, che potesse avere una
‘depressione’.
Doveva essere una roba
babbana
e non aveva intenzione di scoprire cosa fosse.
Per niente.
Serrò le labbra,
staccandosi
dal tavolo della zona vip che
Mike era
riuscito ad ottenere con un Confundus
sussurrato ad uno dei camerieri.
Michel distolse
l’attenzione
dal ragazzo-senza-peli per guardarlo. “Ehi, dove
vai?”
“A ballare.” Gli sorrise, posando il bicchiere e
giocherellando con le labbra
con il picciolo della ciliegia candita. Sperava di sembrare abbastanza
spensierato.
Non gli diede il tempo di reagire – a volte gli stava
maledettamente addosso –
e si infilò tra la calca di corpi sudati.
Non che sapesse ballare. Si
limitò a stare sul ciglio della pista e guardare i ragazzi.
In ogni caso era uno
spettacolo che gli piaceva.
I gay club babbani erano molto meglio dell’unico locale
gay
magico a Diagon Alley, la Viola Stregata. C’era
più fauna e per giunta poteva
entrarci senza avere il terrore che qualcuno lo riconoscesse.
Papà
si sta riprendendo adesso
dalla
rivelazione di James. Se mi ci metto anche io diventiamo tre orfani e
una
vedova.
Grazie
Jamie. Grazie per avermi battuto sul tempo. Come
al solito.
Si sentì battere
la spalla. Si
trovò di fronte un ragazzo, ovvio. Ma sentì
qualcosa per la prima volta
dall’inizio della serata.
Magro, alto, senza quegli
orrendi abiti attillati babbani. Era vestito di scuro e poteva
avere i capelli neri.
“Ciao. Sono Paul,
balli?” … o
qualcosa del genere. Avrebbe voluto usare un incantesimo super-sensore
ma
probabilmente non era un’idea brillante in
quell’orgia di suoni.
“Non so
ballare.” Scosse la
testa per dare maggiore enfasi alla frase: come diavolo facevano i
babbani a
conoscersi in mezzo a quel casino?
Il ragazzo fece spallucce,
con
un sorriso spensierato. Indicò di nuovo la pista.
Non
che abbia di meglio da fare comunque… gli amici di
Mike non mi considerano e Mike è qui per lasciare una scia
di cuori infranti…
Lo seguì.
In effetti era divertente:
il
tipo ballava bene e ben presto il caldo e il ritmo martellante delle
casse li
avvolse.
“Non balli
male!” Gli urlò all’orecchio.
Al sorrise perplesso. “È ballare questo?”
Mi sembrava più uno strusciarsi a
ritmo…
Il ragazzo parve trovare la
sua risposta divertente, perché rise. I denti brillavano
come acciaio alle luci
della pista. I suoi lineamenti sottili si confondevano e diventavano
sfilacciati, nebulosi.
Al ci mise un paio di
secondi
a realizzare lo stava baciando. La bocca di ForsePaul esplorava la sua
e sapeva
di alcool e sigarette babbane. Era piuttosto bravo, per quanto ne
poteva sapere
lui.
Forse era il caldo, i drink
o
il fatto che con quelle luci non ci vedesse nulla, ma per la seconda
volta
nella serata sentì qualcosa. Una sorta di magone, ma non
spiacevole. Per questo
lo lasciò fare.
ForsePaul si staccò, con un sorriso vago e gli
mostrò il palmo della mano.
C’era qualcosa di piccolo, tondo e dall’aria di una
caramella.
Quelle
di Mielandia sono molto più grandi…
“Ti va?”
Gli chiese.
“Che roba è?”
ForsePaul rise, sembrando sorpreso. “Non sei della scena,
eh?”
Al lo fissò confuso, ma qualcuno lo tolse di impaccio.
Michel afferrò ForsePaul come se fosse una sorta di gruccia
per abiti. “Levati
dai piedi, non è interessato.” Gli
sibilò senza mezzi termini. Al non sentì le
parole, ma vide l’espressione.
La vide anche ForsePaul, che
dopo una breve occhiataccia di rito si allontanò.
Al si sentì poi
afferrare per
un polso e strattonare via. Non gli parve una buona idea fare
rimostranza in
merito.
Michel si fermò
solo quando
furono fuori dal locale.
“Sei impazzito?!” Sbottò,
straordinariamente privo della sua flemma Zabini. “Lo
sai cosa ti stava offrendo?”
“Una caramella davvero minuscola?” Spiò.
Michel lo guardò sbalordito prima di
mettersi a ridere.
Okay,
non lo era.
“Salazar,
Al… Non posso
lasciarti solo cinque minuti che ti fai offrire droga da un babbano
spostato.”
“Ah, droga…” Ne aveva sentito parlare.
Erano una di quelle piaghe della società
babbana di cui ciarlavano i cronisti alla tv che ogni tanto Lily
accendeva per
divertimento. “La usano sottoforma di caramelle?”
“Sì, Al. Non usano pozioni. Sono babbani.”
Sbuffò. “Dai, andiamo a farci due passi. Credo tu
ne abbia bisogno.”
“Non sono ubriaco.” Tentò, ma Michel si
era già incamminato, con quelle sue dannate
gambe lunghe. Non gli restò che seguirlo trotterellandogli
dietro.
“Comunque…”
Esordì l’altro
dopo un paio di minuti in cui Al cercava di non dimostrare al mondo che
gli
girava la testa e sì, probabilmente era un po’
alticcio. “Finalmente è
successo.”
“Cosa?” Se si appoggiava ad un palo forse poteva
dissimulare.
“Hai finalmente
rimorchiato.”
Un sorriso prese ad aleggiare sulle labbra del suo buon amico. Era un
buon
amico, lo era di certo, visto che lo prese sottobraccio, evitandogli
una buca
sull’asfalto. “Sono fiero di te, mon
petit…”
Al gli sorrise. “Mah… sì.”
Non sapeva neanche perché aveva baciato quel tizio.
Deprimente.
Adolescenziale,
direbbe Lils…
Si appoggiarono poi ad una
ringhiera. Sotto c’era il Tamigi. Buffo, non si era accorto
che il locale era
vicino al fiume.
La
geografia londinese, fuori Diagon Alley, per me è
sempre un po’ confusa…
Ovvio, fuori dal suo piccolo
mondo magico ce n’era un altro, sterminato, enorme.
Dove era possibile perdersi.
“Era comunque
molto
affascinante.” Dovette ammettere Michel, perché
era un esteta e lo sarebbe
stato fino alla tomba. “Magro, alto…
scuro…” Si fermò. Realizzò.
“Oh, Merlino.”
“Cosa?” Spiò l’espressione
dell’amico e vide che era tornato serio. E anche
arrabbiato, sembrava. “Che
c’è?” Gli chiese di nuovo, un
po’ inquieto.
“Non te ne sei neppure accorto, vero?” Disse
lentamente. Sembrava
incredibilmente arrabbiato, e davvero, non capiva perché.
“Merlino, Al… Devi
smetterla.”
“Di fare cosa?”
Insisté, cominciando
a sentirsi irritato.
Non
volete tutti che esca, mi diverta, conosca persone
e vada avanti?
E
quando lo faccio mi strattonate via e mi guardate
male?
“Quello stronzo
era la
fotocopia di Dursley.” Michel non aveva mai imparato ad
essere particolarmente
diplomatico e infatti Al sentì un maglio di ferro
artigliargli le viscere e per
poco la nausea non gli esplose facendolo vomitare.
Grazie
Mike…
Fissò con
insistenza lo
scorrere placido del fiume, cercando trarre da quel movimento
immutabile un po’
di calma mentale. “Non è vero, non gli somigliava
per niente.”
“Il prototipo Al, Morgana Benedetta…” Lo
sentì ispirare bruscamente. “Era simile.”
“E con questo? Magari i ragazzi mi piacciono
così.” Sbottò, sentendo il sangue
del labbro martoriato raggiungergli la lingua. Pensava di essere
riuscito a
smettere.
“Forse.”
Gli concesse. “Ma
forse in tutti cerchi lui. E non è così che deve
funzionare.”
Non lo dire…
Sentì quel grido salirgli dalla pancia. In quei
mesi tutti erano stati così
gentili e pietosi da evitare di
dirglielo. A lui e a suo padre.
E
poi arriva Michel…
“Senti, devi
passare oltre
questa storia e oltre a… lui.”
Sta’ zitto…Io mi fidavo
di te. Perché,
perché non chiudi il becco?
“Al, Tom
è…”
“Non lo dire!”
Si sentì urlare e la
nausea gli risalì ferocemente alla bocca dello stomaco.
Mai
più drink colorati. Non so ancora distinguere la
gradazione, mi sa.
Michel serrò le
labbra. Aveva
un tono freddo quando parlò, e gli fece ancora
più male.
“Va bene, non lo
dico. Ma
dovresti dirlo tu. Così realizzeresti che è vero,
che non tornerà. E potresti
andare avanti.”
Non voglio andare avanti. Devo restare
qui ad aspettarlo.
Merlino, ma quanto poteva
essere stupido?
Sentì la mano di
Michel coprirgli
il polso: aveva i polsi esili, con le vene che sembravano fili sottili
e se ne
era sempre vergognato. A Tom piacevano, gli piaceva passarci le labbra
sopra,
per sentire il battito del suo cuore.
Perché
mi fai pensare a lui? Perché mi fai questo?
Avrebbe
voluto piagnucolarlo, ma aveva
diciassette anni ed era un ragazzo.
“Al…”
Gli sussurrò e Michel
era un buon amico, era gentile, insolitamente
gentile considerando che con il resto del mondo era una carogna
calcolatrice.
Ma era un serpeverde, dopotutto e semplicemente si aspettava un
tornaconto
personale, Lily aveva ragione. “Sono passati otto mesi. Sei
un ragazzo
fantastico. Sei bello, sei intelligente. Potresti avere chiunque tu
voglia.”
Ma io voglio lui.
Poteva sembrare romantico,
ma non
lo era per niente. Era agghiacciante e faceva male.
Michel poi si
chinò, cercando
le sue labbra, forse fraintendendo il suo silenzio. Ma non erano in una
discoteca bollente, non c’era nessuna luce ingannevole e non
era poi così
ubriaco.
Scartò di lato,
spingendolo
via con una mano.
“No.”
Vide negli occhi scuri dell’amico dipingersi quella sillaba e
ne fu colpevolmente
sollevato.
“No, davvero
Mike… io non vado
bene.”
Io
sono già preso. Da un idiota, un completo imbecille.
Ma
non è che può cambiare solo perché
vorrei prenderlo
a calci da qui all’eternità.
A quel punto non gli restava
molto da fare. Gli diede le spalle e si incamminò lungo il
fiume. Fu felice di
non sentire i passi di Michel seguirlo. Con l’orgoglio che
aveva probabilmente
per un po’ i loro rapporti si sarebbero raffreddati.
È
già due volte che lo rifiuto…
Sentiva una stretta al
petto.
Voleva bene a Michel e ai suoi tentativi più o meno ambigui
di essergli amico.
Avrebbe chiesto a Loki di fare da pacere… dietro compenso,
naturalmente.
La stretta al petto, dopo un
centinaio di metri, in un vicolo direzione Trafalgar Square, si
trasformò in
un’ondata di pura nausea alcolica che lo costrinse a
sostenersi ad un muro e
vomitare la sua cena.
Sentì le lacrime
di sforzo
scorrergli lungo le guance mentre la testa gli pulsava a ritmo di
quelle
canzoni orrende.
Ora,
questo sì che fa schifo…
Si appoggiò al
muro, godendosi
il refrigerio dei mattoni umidicci londinesi.
Non voleva pensarci. Aveva
quasi imparato a non farlo, in quei mesi.
Il
cervello umano può imparare a selezionare… Basta
abituarlo.
Solo che a volte, proprio
non
era possibile, neppure volendolo.
Non
importa, pensaci pure un po’… - Gli suggerì una voce,
carezzevole e invitante.
Tom…
Era sicuro, era certo che
fosse da qualche parte, vivo. Come era certo che ogni mattina si
sarebbe
svegliato respirando.
O
non mi sveglierei.
Era un mago, Merlino, non un
babbano. Certe cose poteva
sentirle.
Ma
comunque…
Si
sedette a terra, perché aveva
bisogno di cinque minuti tutti per sé, lontani
dall’empatia comune.
Sbrigati
a tornare, stronzo…
Non
me la cavo granché bene senza di te.
I slept in the sun the other day/ I thought I
was fine
Everything seemed perfect/ 'Til I had you on my
mind…
****
Note:
Lo so, lo so. Il pulcino ha
messo I denti, anche se è un immagine abbastanza
agghiacciante.
Prossimo capitolo Ian
Tommy.
1.
Qui la canzone. Troppo perfetta, credetemi.
2. Pozione
Pepata: per curare il raffreddore. Decisamente inadatta
d’estate. XD
3.Guaritore:
guardato su HP Lexicon. Pare che i guaritori siano la
versione magica dei dottori, mentre i medimaghi dei paramedici.
|
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Capitolo 3 *** Capitolo II ***
Woah, come al solito devo
ringraziare tutti quelli che mi hanno recensito! Adoro assoluto!
@Agathe: Ahaah, epidemia gay?
Mannò,
è solo che qualcuno in famiglia (Weasley) prima doveva
esserci, altrimenti qua
sembra tutta colpa di Harry! XD Jamie non è
proprio… ehm, gay, sì, gli
piacciono anche i maschietti, ma lo definirei più
bisessuale. XD Ahaahah, Ron è
un padre protettivo come era un fratello rompipalle. Ma vedrai che
Rosie saprà
difendersi. Tom si darà una mossa… e non
chiamarlo TomStu, poverino, non se lo
merita di essere accumunato ad una Mary Sue XD
@Altovoltaggio:
Ahaaha, beh, in realtà ho guardato su internet!XD (Che
vergogna) Dunque, het
sta per ‘etero’ e vuol dire storia anche con etero
(se è una storia a
maggioranza slash come qui) e ‘gay uber alles’ vuol
dire ‘gay sopra ad ogni
cosa’ … è un modo di dire! XD
Wow, tu mi fai sempre delle
recensioni me-ra-vi-glio-se! E grazie per i complimenti, mi fa piacere
sapere
di essere migliorata da DP! Per uno scrittore è uno dei
migliori complimenti
che può ricevere! Sul Babylon mi hai scoperto… io
non ho idea di come sia una
discoteca gay, e così ho preso un po’ spunto da
quel che ho visto. Anche se in
effetti (sono malata, premetto) la discoteca che ho descritto esiste
veramente,
e sta proprio dove ho detto io. Sono addirittura andata a vedere le
foto del
sito per capire com’era fatta. XD Ah, GoogleMaps, sempre
siano lodate. Mike del
resto è un ragazzo di diciassette anni, che ha il chiodo
fisso di un altro
ragazzo. Diciamo che gli vuole bene, ma è… umano.
E Loki, beh, in quel caso Al
scherzava. Anche se chissà… XD Per il resto,
grazie per i complimenti… davvero.
Ed ah, ho controllato anche io, in effetti in Germania siamo sulla
stessa
latitudine, ma Rugen è proprio sul mare e dicono sia un
posto eccessivamente
ventoso. Quindi qualche grado in meno lo fa. Ma grazie per la
precisazione, hai
ragionissima! Me stupida!
@MyryamMalfoy:
Ci saranno, cuoricini e roselline, promessisismo! Solo che ora devo
recuperare
un po’ qualche disperso e rimettere assieme qualche
rincoglionito! XD Lils
spero di riuscire a farla come voglio io… ah, è
un grosso punto interrogativo!
XD
@Andriw9214: Mi fa onore avere tutti
questi complimenti, thanks! ^^ Sapere che leggermi rilassa solo un
po’ qualcuno
mi fa davvero piacere! :D Dovevo mettere qualche altra ragazza,
sennò qui
diventava un collegio maschile cattolico! XD No, no… glielo
dovevo. Harry… gli
passerò, e gli altri l’hanno presa bene
perché beh, alla fine dopo guerre,
morti e quant’altro, penso che tu sia meno disposto a farla
lunga su cose che
poi alla fine non sono la fine del mondo. Vedremo il resto del clan
però. Mike…
beh, è il tipico ragazzo che cerca di esserti amico, ma poi
no, scusa, è che ti
voglio… E’ un serpeverde dopotutto! :P
Grazie per il commento! ^^
@ElseW: Grazie! Spero di non
deludere le tue aspettative su Lils. È un personaggio
potenzialmente molto
interessante, e non mi andava di fare la classica copia di Ginny o
similia.
Vediamo se mi riesce^^ Oddio, il fatto che tu legga tutto mi fa un
piacere
immenso, perché confesso, anche io a volte salto. E pure
tanto. -_-
@MikyVale:
Grazie per i complimenti a Lils e Ginny! Me l’hai inquadrata
perfettamente,
grazie!:D Mike purtroppo è Mike… e non brilla per
essere sensibile. -_- Beh, da
uno che andava a letto con Jamie, che t’aspetti? XD Molly C.
Quinn è in Castle.
Appena l’ho visto ho urlato e detto “È
lei!”
@Panuela:
Ciao! Grazie mille! Beh, sì… la gelosia tra
cugini è un po’ strana, ma
c’è da
dire che il clan Potter-Weasley è cresciuto come fratelli,
più che come cugini!
Tranquilla, ci sarò lieto fine! E grazie per esserci!^^
@Trixina: Ehi, non preoccuparti! XD
L’importante è il commento, chi se ne impippa se
arriva presto o tardi! E poi
mica è come pagare le tasse! E’ opzionale (Anche
se assai gradito *_*) Oddio La
Meyer… mi dispiace, ma qua non possiamo andare
d’accordo. Non ho mai letto
niente di lei né visto un film. Adoro solo le colonne sonore
dei film, ma
perché sono fantastiche. Quindi non sapevo che anche la
Meyer avesse usato
questo espediente. Bbr… Beh, che ci si vuol fare, succede.
xD
@MadWorld:
Grazie mille! Piacciono anche a me!
@Cloto: Non vedevo l’ora
di scrivere
di Lily in effetti! Essì, anche a me piace Mike, e penso di
avere qualcosa in
serbo anche per lui ;)
@Simomart:
Wow, grazie davvero… sì, ci ho messo un
po’ a scrivere di Al, perché volevo che
fosse il quanto più possibile realistico. Anche a me piace
parlare di Lily e
Ginny, dopotutto sono una ragazza anche io! Ogni tanto una girl-talking
ci
vuole! XD Sì, penso ci sarà un po’
più di etero in questa seconda parte…
rimarrà sempre una storia slash, comunque :P
@NickyIron:
Grazie ancora per la gentilezza con cui mi hai spedito quel pm!
Rimangono
valide le mie idee! ;)
@LucediLuna:
Wow, grazie mille! Davvero ti piace Rose? Mi fa piacerissimo, visto che
spesso
è messa un po’ in ombra. E Herm… beh,
non è detto che non farà qualche piccola
apparizione? ^^ Lily l’hai proprio inquadrata bene,
essì’! Grazie per tutti i
complimenti!
@Ombra: Ehi!
^^ Ahaah, mi fa piacere che ti piaccia il legame tra fratelli, mio
fratello mi
chiederebbe da dove ho tirato fuori tutto ‘sto
spalleggiamento, visto che ci
mordiamo spesso e volentieri!XD Nah, Al anche se babbano non avrebbe
mai preso
niente del genere… se si è ubriacato,
è semplicemente perché non regge! XD
LauraStark:
Accidenti, tre giorni! Che lampo! O_O Ma che c’entra, io sono
arrivata a
scrivere (decentemente) solo dopo mille e mille riprove e
tentennamenti. Solo
l’esperienza, ecco che ci vuole! ^^ Beh, se ti può
consolare Jamie in realtà è
piuttosto bisex, ma ehi… E’ più o meno
Teddy-oriented XD Grazie mille per la
recensione, e alla prossima!
****
Capitolo II
Sleight
of fate/ And borrowed clothes
Songs
of places/ No one knows
Draped in lace we all lean over
To greet the great/ It's time
(Mind over Time,
Interpol)¹
Germania,
Isola di Rügen.
Mattina.
Quando si svegliava Thomas sentiva il rumore del mare.
Era continuo, lento e lo
accompagnava ogni sera quando si addormentava e tutte le mattine quando
la luce
filtrava dai vetri incrostati di salsedine battendogli sul viso.
Nulla di diverso quella
mattina; il sole sorse dietro la spessa coltre di nubi che affliggeva
quasi
perennemente Rügen e lo svegliò impietoso.
Dormire dentro un faro
poteva sembrare
poetico, ma portava a problemi non indifferenti quando camera tua era
il
vecchio ambiente della lanterna.
Si tirò a sedere
sul letto,
intontito. Sentiva il canto del gallo della fattoria annidarglisi nelle
orecchie. Odiava quel pennuto.
Non viveva con Cordula e
Meike. Era stata una scelta presa poco dopo esser riuscito finalmente a
fare
qualche passo fuori di casa senza rischiare di trovarsi bocconi a terra.
Era loro grato, ma sentiva
che
non sarebbe mai riuscito a vivere nella casa: era troppo…
familiare.
Cordula così gli
aveva
proposto di stabilirsi nel vecchio faro che sorgeva a ridosso della
scogliera.
Agli occhi dei babbani sembrava un vecchio rudere privo di interesse,
ma
apparteneva agli Wollin da dieci generazioni – o qualcosa del
genere. Una volta
serviva per dirigere il traffico delle navi magiche della zona, ma
adesso era adibito
a deposito di cianfrusaglie.
A Tom non dispiaceva quella
sistemazione. Era isolata, era sicura. E aveva imparato ad amare la
vista a
picco sulla scogliera. Se si metteva al lato ovest della stanza
circolare
l’unica cosa che vedeva era l’oceano Baltico.
Poteva passare ore a
fissarlo.
Si infilò i
pantaloni
avvicinandosi allo specchio, che rifletté la sua figura
pallida e vagamente
ossuta.
Meraviglioso.
Aveva l’aspetto di
un malato
scampato alla morte. Secondo Cordula gli donava.
Lanciò
un’occhiata allo
stomaco, privo del segno che identificava ogni essere umano come
cresciuto nel
ventre materno, l’ombelico.
Fece una smorfia,
distogliendo
lo sguardo e infilandosi una camicia in cui praticamente nuotava.
Tra poco Meike sarebbe
venuto
a chiamarlo e dal quel momento sarebbe tornato Ian.
Adesso,
per poco, sono ancora Tom…
Nessuno conosceva Thomas
Dursley e c’erano dei giorni, c’erano stati
dei giorni, i suoi primi giorni lì, in cui aveva fatto
fatica a ricordarlo
anche lui.
Tutti conoscevano Ian
Morris,
lo straniero venuto da lontano, come si sentiva chiamare spesso. Era
ridicolo,
ma da menti ristrette come gli abitanti di Putgarten si era aspettato
precisamente quello.
E gli stava benissimo.
Sentendo il freddo della
mattina
pungergli la pelle si infilò il maglione infeltrito che
ormai era compagno
delle sue giornate. Sapeva di sale e alghe e gli andava troppo corto
sulle
braccia. Glielo aveva dato Cordula, assieme a molti degli effetti
personali di
suo figlio.
Non
abbiamo la stessa taglia, e Cordula non sa né
cucire né usare una bacchetta.
A parte questo, la donna si
era rivelata la sua alleata più fidata. Era una
maganò, tagliata fuori sia dal
mondo magico che da quello babbano. Viveva a cavallo trai due mondi,
quasi in
un limbo.
Era perfetta.
Strana donna, Cordula
Wollin:
aveva passato tre mesi ad accudirlo senza un ripensamento. Lo aveva
sfamato,
lavato e vegliato come se fossero parenti, ma potevano contarsi sulle
dita di
una mano le volte che si erano parlati per più di cinque
minuti.
“Ian! Scendi,
è pronta la
colazione!”
Raggiunse Meike in fondo
alle
scale a chiocciola: la bambina giocherellava con un fiore, divertendosi
a
cambiargli colore. Tom sorrise: era un gioco che Lily adorava fare da
bambina.
“Non farlo al
villaggio.” La
ammonì distratto.
Meike si imbronciò. “Non sono mica scema,
sai?” Si aprì immediatamente in un
sorriso però. “Oggi ho colto un mazzo di fiori
bellissimo per la nonna… Mi piace
l’estate, ci sono tanti fiori!”
La fattoria dei Wollin si estendeva per pochi, sparuti ettari. Un tempo
doveva
aver avuto delle ottime coltivazioni, ma adesso era lasciata
all’incuria.
Cordula viveva dei proventi del suo negozio di prodotti a base di
alghe, e
sembrava non servirgli altro.
Tom guardò Meike
saltellare
trai ciottoli bianchi della stradicciola che congiungeva il vecchio
faro alla
casa. In quei mesi era stata una continua macchia di colore davanti
agli occhi.
Era una bambina buffa. Aveva
le
lentiggini, e non le piacevano, i capelli sempre pieni di sale e vispi
occhi
verdi. Parlava
velocemente, mangiandosi
le parole i primi tempi aveva avuto serie difficoltà a
capirla. Una volta se
l’era trovata ai piedi del letto, intenta a tastargli le
gambe con attenzione
scientifica: solo dopo due mesi Cordula si era degnata di spiegargli
che sua
nipote era assolutamente certa
fosse
un tritone venuto dal mare.
In
effetti… è praticamente ciò che
è successo, visto
dove mi ha scaricato la passaporta.
Nel
bel mezzo dell’oceano Baltico.
“Oggi
andiamo in spiaggia, per le alghe!” Lo
informò aggrappandosi al battente della porta di casa,
tirando forte per farsi
sentire, sebbene la porta fosse sempre aperta.
“C’è bonaccia, si starà
bene!”
“Vuoi portare il
costume?” La prese in giro.
Meike
gonfiò le guance, irritata. “L’acqua
è sempre troppo fredda, lo sai! Mi è
successo una volta sola che non lo era… ed era
perché ho usato la magia, anche
se non so come!” Fece un sorrisetto furbo. “Ma tu puoi scaldarla per me.”
“Non credo che tua nonna sarebbe
contenta…”
“Non glielo diciamo!”
“Lo saprebbe comunque. Dovresti tornare a casa a
cambiarti.” Le fece notare.
Meike sbuffò contrariata, entrando con una spinta dentro la
casa.
Tom la seguì e si sedette senza una parola al tavolo della
colazione. La
fattoria era una casupola di una manciata di stanze, con
un’intonacatura che
doveva risalire alla prima guerra mondiale e utensili non di molto
più giovani.
La figura bassa e tarchiata della padrona di casa sembrava parte
dell’arredamento.
Lo
era anche quella mattina mentre si affaccendava attorno ai fornelli.
Meike
si stese annoiata sul tavolo, cercando di raggiungere la caraffa di
succo di
arancia con la punta delle dita. “Nonna, oggi posso andare a
fare il bagno?”
“No, non se ne parla.” Fu la prevedibile risposta,
mentre gli faceva scivolare
nel piatto salsicce croccanti e uova spumose. Tom cercò di
controllare la
nausea che lo assalì. Non era colpa della cucina di Cordula,
peraltro ottima,
ma del suo corpo.
Per
settimane, dopo che era stato portato in quella casa, si era rifiutato
di assimilare
qualsiasi sostanza che non fosse brodo di pollo.
Ancora
adesso poteva contarsi le costole una per una.
Facendosi
forza ingoiò una forchettata di uova, ascoltando pigramente
il battibecco tra
l’anziana e la bambina.
Meike aveva un bel caratterino. Ignorava platealmente i suoi silenzi i
suoi
malumori per seguirlo ovunque e chiacchierare, sempre. Non riusciva a
capire
perché quella bambina gli si fosse tanto affezionata.
Non
sono certo un tipo simpatico…
A
dire la verità, gli ricordava per molti
versi… Albus.
Ricordi?
Sentì
di nuovo la nausea attaccargli la gola e la spense con un sorso di
succo
d’arancia.
Ricordava
tutto. Nessuna amnesia, non era un
romanzetto d’appendice per casalinghe: se le prime settimane
le aveva passate
in preda ad una febbre altissima, polmoni in fiamme e incoscienza quasi
perenne, quando le pozioni avevano fatto effetto aveva cominciato ad
avere
momenti di lucidità abbastanza lunghi per poter dire loro
chi era.
E
aveva mentito.
Non
esattamente.
Aveva
omesso informazioni su di sé, ma inizialmente solo per
temporeggiare: non
sapeva chi fosse Cordula, se non che era era una maga.
L’equazione era stata
semplice: doveva nascondersi finché non capiva se era tra
amici o nemici.
In
seguito aveva scoperto che Cordula era una maganò e che
viveva in un villaggio
babbano dove gli abitanti erano ignari del fatto che al mondo ci
fossero
streghe vere.
A
quel punto avrebbe potuto dir loro tutto. Ma non l’aveva
fatto.
Per
lo stesso motivo per cui non si era messo in contatto con Harry e la
sua
famiglia.
Perché
devo sparire.
Se
Doe era caduto con lui nella passaporta rotta poteva essere
presumibilmente
morto nell’oceano… ma Hohenheim era ancora vivo. E
se aveva montato tutto quel
teatrino, durato quasi un anno, per ritrovarlo…
È
ancora una minaccia. E se tornassi da loro…
Harry e Al
sono quasi morti a causa mia.
Per
mano mia.
Non
si era trattato di un semplice rapimento. Aveva praticamente aiutato, o
se non
altro coperto, Doe mentre rubava i Doni; erano morte delle persone e ne
erano state
ferite altre.
Non
deve succederà mai più …
E
c’era dell’altro: quando finalmente si era rimesso
in forze la sua magia aveva
ben pensato di rivoltarglisi contro. Ogni volta che aveva tentato di
avvicinarsi ad una bacchetta aveva quasi rischiato di far saltare in
aria la
casa. Lampadine rotte, vetri schiantati, piatti esplosi… Per
non parlare di
quando si infuriava di conseguenza.
Per
mesi era stato un pericolo.
Cordula
gli era stata vicina. Non riusciva neppure a far lievitare una piuma,
ma in
compenso aveva avuto un figlio mago, con una magia non intenzionale
infantile
piuttosto vivace.
La
situazione si era stabilizzata negli ultimi due mesi. La sua salute si
era del
tutto ristabilita e la sua magia aveva smesso di comportarsi come se
non gli
appartenesse.
“Ian riscalderebbe
l’acqua per
me!” Sentì protestare Meike. “Ti prego,
nonna, solo un bagno!”
“Ho detto di no.” La voce della donna era seccata,
e gli lanciò un’occhiata
esasperata. “Non esiste una magia simile, diglielo.”
“Ma l’ho fatta sul serio.
E Ian
saprebbe rifarla, lui è bravo!”
Tom a quel punto
recitò il suo
ruolo di ospite condiscendente. “Meike, non posso scaldare
l’oceano Baltico
solo per fartici fare il bagno. Non ne sono in grado e credo che
comunque
danneggeremo l’ecosistema.”
Meike si
imbronciò di nuovo.
“Non faccio mai niente di divertente!”
Proclamò irritata, prima di scostare la
sedia con uno stridio brusco e infilare fuori dalla porta.
“Si annoia,
temo.” Disse,
tanto per spezzare il silenzio che si era creato una volta uscita la
bambina. Scostò
il piatto, sperando che non notasse che l’aveva appena
toccato. “Ed io non sono
di compagnia.”
“Stravede per te.” Stornò Cordula con
una scrollata delle spalle. “E mangia,
non credere di fare il furbo.”
“Non ho fame.”
“Mangia.” Ripeté, ignorando le sue
proteste. Tom fu costretto a obbedire.
Sarebbe stata capace di piantarglisi davanti se non avesse finito
tutto.
Infatti lo fece, mettendolo a disagio finché non
ingoiò l’ultimo pezzo di
salsiccia. Solo a quel punto gli tolse il piatto, lanciandogli una
lunga
occhiata valutativa. “Sei cresciuto ancora?”
Chiese.
“Non credo, sarebbe grottesco.”
Ironizzò. In questi mesi i dolori alle giunture
erano stati poco più che un effetto trascurabile. Poi, verso
maggio, Meike gli
aveva fatto notare che la sua testa non aveva sempre
sfiorato la parte superiore della porta. Si era sottoposto
docilmente alla misurazione e la bambina aveva annunciato entusiasta il
metro e
novanta.
Sperava davvero
di aver smesso di crescere.
“Grottesco? Se tu
sei
grottesco, io cosa sarei?” Sbuffò sarcastica,
dirigendosi verso la piccola
cucina. Da che era lì, Tom aveva sempre visto qualcosa
sobbollire sul fuoco.
Sempre. “Per questo la fidanzata del figlio del sindaco ti ha
messo gli occhi
addosso.”
Cordula poteva sembrare una
vecchia
stramba, ma non le sfuggiva niente. Mai.
“Davvero?” Non che non lo sapesse: se la ritrovava
ovunque, non appena metteva
piede al villaggio. Era imbarazzante.
E
pure inutile…
“Ha il sangue
cattivo, il
giovane Heinemann. Vedi di stare attento.”
Replicò, sedendosi con fatica,
artrosi galoppante, sulla sedia di fronte a lui. Aveva il viso tondo di
una
mela raggrinzita e capelli vaporosi, bianchi, lasciati sciolti. Gli
occhi
piccoli e acuti trafiggevano le persone, non si limitavano a guardarle.
Per questo
probabilmente la chiamavano La Pazza: non era normale in nessuno dei
due mondi.
Una
maganò nel mondo magico, una strega, con quei suoi
intrugli, nel mondo babbano…
Tom sentiva di capirla. Non
c’erano mai state grandi conversazioni tra di loro, ma era
scattata una sorta
di empatia a pelle in quei mesi.
“Non sono
particolarmente preoccupato
per le spacconate del ragazzo immagine del villaggio.”
Ironizzò.
“Eh,
certo…” Sbuffò. “Ma devi
tenere un profilo basso. Già la gente ti parla troppo
addosso. Lo sentono, che
sei strano. E pensa che i babbani non avvertono la forza
magica…”
Tom serrò le
labbra: la magia
non era solo questione di sangue o dinastie. Era anima, carne e sangue.
Ed
io sono un stramaledetto patchwork.
“Cosa dovrei fare
allora? Non
posso certo nascondermi.”
Già
lo faccio.
La
donna raccolse con le dita delle
briciole di pane. “Vedi tu…”
Ci fu un lungo silenzio, che Tom intuì preludesse un
discorso serio. E infatti…
“Puoi restare qui
quanto ti
pare. Un ragazzo che sa usare la bacchetta mi è utile
…”
“Ma…?” La incalzò. Cordula
non sembrò impressionata dal suo tono freddo e
inquisitorio. Non lo era mai del resto.
“Tu non sei un magonò come me. La magia ti respira
addosso…” Soggiunse, con uno
di quei suoi strani detti che non era mai sicuro di tradurre bene.
“Questo
posto non fa per te. Non fa neppure per Meike, infatti se ne
andrà a Durmstrang
a settembre.”
“… Come?”
Cadde dalle nuvole. Per otto
messi tutto era stato immobile, immutabile. Stranamente
quell’annuncio ebbe il
potere di agitarlo.
Non
deve cambiare niente qui, tutti i giorni devono
essere una sequenza di routine identiche.
Non
devo accorgermi di quanto tempo è passato…
Oppure…
La
donna inarcò le sopracciglia. Tirò
fuori dalla vestaglia lisa una lettera che strinse la stomaco di Tom in
una
morsa. Era praticamente identica a quella che lui aveva ricevuto sette
anni
prima, sebbene per Hogwarts. “L’ha ricevuta
stamattina. Volevo dargliela, ma
aspetto che abbia smesso di fare i capricci.” Notò
il suo sguardo, e forse per
tatto decise di intascarla di nuovo. “Tu cosa hai intenzione
di fare?”
“Sono un
po’ cresciuto per
frequentare il primo anno a Durmstrang.”
“Sai cosa intendo.”
Tom si alzò in piedi. Sentiva un peso spiacevole sullo
stomaco. Non lo
abbandonava mai.
Ma aveva preso la sua
decisione e non sarebbe tornato indietro. Poteva essere vigliacca,
poteva
essere una fuga.
Ma
la storia di Harry Potter e della sua famiglia non
avrebbe dovuto comprendermi. Affatto.
Sto
solo rimettendo a posto le cose.
“Allora?”
Lo incalzò la donna.
“Niente.
Assolutamente
niente.”
Lo squadrò. Poi
scosse la
testa, alzandosi e andando a controllare il contenuto della pentola,
che
bolliva placida e fumigante. Gli dava le spalle, ma Tom ebbe
l’impressione che
continuasse a fissarlo.
“Quando tornerai a
casa,
ragazzo?”
Tom sentì le
unghie scavargli
la pelle morbida dei palmi, implacabili.
“Quando Meike si
sarà stanca
di giocare…”
“Non parlavo di
questo.”
Replicò brutalmente. “Ma della tua vera
casa.”
“Non mi hai mai
fatto questa
domanda…”
“Fin’ora,
sì.” Ammise. “Ma
vedo ogni volta la faccia che fai quando ti ricordi
qualcosa.” Replicò seria.
“La lettera di Meike cosa ti ha ricordato?”
La mia
lettera. I chiarimenti di Harry sulla mia
nascita. La mia prima bacchetta. Il mondo di Harry che diventava
finalmente
anche il mio. Lo Smistamento. Al. Hogwarts. La fine del primo anno,
quando papà
mi ha chiesto com’era andata. Essere uno studente, essere
chiamato Tom Oltre
Ogni Previsione, essere un prefetto… Al.
“Mi sembrava di avertelo già
detto.” Sentiva le parole appiccicarglisi al
palato come fiele. “Io non ho una casa.”
La donna lo
guardò da sopra le
spalle. “Allora perché ci pensi
continuamente?”
Tom uscì
sbattendosi dietro la
porta.
****
Le onde si infrangevano
qualche metro più sotto, sulla scogliera rocciosa dietro Kap
Arkona.
Kap Arkona era la metà turistica più rinomata di
Rügen e ogni anno centinaia di
persone venivano per ammirare la scogliera impervia, interamente fatta
di
calcare.
Loro erano dal lato opposto della punta dell’isola, dove le
scogliere erano un
po’ meno bianche e c’erano più alghe.
Meike aveva le gambe immerse fino alle
ginocchia in una pozza d’acqua, risultato dell’alta
marea, che scintillava al
sole pallido e cercava di prendere con le mani dei pesciolini.
Tom agitò appena
la bacchetta,
mandando un consistente nugolo di alghe a riposare nel secchio di
raccolta.
Dovevano portarne a casa almeno cinque o sei chili. La magia poteva
aiutare, ma
doveva comunque stare attento anche alla bambina.
“Meike, vieni a
darmi una
mano…”
“Arrivo subito! C’è un pesce troppo
carino! Voglio portarlo a casa!”
“Non
sopravvivrà fuori
dall’acqua di mare…” Replicò,
beccandosi un’occhiataccia.
“E tu che ne
sai?” Gli chiese
indispettita, ravviandosi una ciocca di capelli dietro
l’orecchio e arricciando
il naso. “Non sei mica un lupo di mare, tu!”
“Semplice deduzione.” Si strinse nelle spalle.
“Non può sopravvivere fuori dal
suo habitat naturale. È così per tutti gli
animali.”
“Anche gli esseri umani?” Chiese curiosa. Non era
affatto una stupida. Ormai si
era abituato alle sue domande acute, anche se un po’ strambe.
“No, gli esseri
umani hanno
una cosa chiamata capacità di adattamento.”
“Anche i babbani,
vero?”
“Tutti gli esseri
umani.” La corresse.
“Specie, non genere.”
Meike sbuffò, scrollando le spalle. “Parli
difficile…” Lasciò perdere il pesce
e la pozza, arrampicandosi agilmente sugli scogli, fino alla sua
postazione.
Gli si accoccolò accanto, pensierosa.
“La nonna ha molta
capacità di
adattamento. Perché sai, non la vuole nessuno. Né
i babbani né i maghi. Però a
lei non frega.” Considerò attorcigliandosi attorno
alle dita la maltrattata
ciocca di capelli. “Perché è una
maganò.” Si mordicchiò il labbro.
“È una cosa
triste, però.”
Tom si tolse le ciocche di capelli dal viso con un movimento ormai
automatico;
il vento salmastro frustrava la faccia ad entrambi. Entrava nei polmoni
e li
liberava. Però era solo un’illusione. Non si
sentiva libero.
“Sì, lo
è…”
“Non sarebbe bello se ci si potesse trovare bene dappertutto?” Calcò
sulla parola. “La mamma non mi voleva, perché
ero strana … e non ci riuscivo mica, ad essere come voleva
lei, ad adattarmi. Così
era triste… e
allora la nonna mi ha presa con sé. Ora la
mamma ha una nuova famiglia. Credo sia felice.”
Tom non disse nulla, ma lasciò che gli appoggiasse la
guancia contro una gamba.
Non apprezzava particolarmente l’invasione del suo spazio
personale, ma Meike
era solo una bambina che aveva ricevuto poche carezze dalla vita. Non
gliele
elargiva, non era nelle sue corde, ma neanche le rifiutava.
In fondo era un buon
compromesso.
“E tu Ian? Tu sei
bravo ad
adattarti… guarda quanto veloce hai imparato la
lingua!”
“Non credo di
esserlo invece.”
Lo scrutò da sotto in su. Gli occhi di Meike erano verdi.
Scuro, a volte
castani, ma con quella particolare luce lattiginosa…
“Secondo
te, Tom… che cavolo c’è di
così particolare
nei miei occhi?”
“Sono verdi.”
“Mmh, acuto. Il Barone sanguinario… hai
presente?”
“Riesci a pronunciarlo senza spaventarti? Notevole,
Al.”
“Ma va’ al diavolo! Dicevo… mi ha detto
che li ho dello stesso colore di un
Avada Kedavra.”
“… poetico…”
“Agghiacciante, vuoi dire! Insomma, perché secondo
te sono così particolari?”
“Io penso che siano semplicemente tuoi.”
“Beh,
ma anche papà e Lils li hanno così.”
“Non hanno la stessa espressività. Li hai
enormi.”
“… cos’è un complimento o in
insulto?”
“Vedi tu.”
“Per questo non
vuoi tornare a
casa?”
La domanda lo colpì quasi con la forza di uno schiantesimo.
Smise di
raccogliere alghe, abbassando
la
bacchetta. “… Chi ti ha
detto…?”
“Lo so che ce l’hai… una casa,
dico.” Disse piano, quasi si vergognasse. “Ce
l’hanno tutti, ce l’ho anche io ad Hannover, da mia
mamma e la sua famiglia.
Però non è ci voglio tornare… Non vuoi
tornare neanche tu?”
Tom sentiva il legno
consumato
della bacchetta del padre di Meike tra le dita. Era freddo, estraneo.
“È
complicato… Non è questione
di volontà.” Inarcò un sopracciglio,
dissimulando. “Vuoi che me ne vada per
caso?”
Meike scosse la testa con forza. “Oh, no! A me dispiacerebbe tantissimo se te ne andassi! Ora che ci
sei tu non mi annoio più così tanto.”
La vide arrossire. “E tu non pensi che
sono strana.”
“Non sei strana, sei una strega.”
Replicò. “Quando andrai a Durmstrang
conoscerai gente come noi. Ti farai degli amici e troverai persone che
ti pesano
esattamente per ciò che sei.”
“Ma tu non verrai
con me…” Si
imbronciò. “Anche se secondo la nonna non hai
neanche finito la scuola.”
Tom suo malgrado sorrise: quella vecchia aveva una capacità
ammirevole di
misurare le persone.
Se
non fossi certo che è incapace del benché minimo
incantesimo direi che è un’esperta legimante.
“Te la
caverai.”
“Però
tu non farai amicizia
con Anneke quando non ci sarò, vero?”
Alzò la testa, squadrandolo.
Tom fece mente locale.
Ah, la fidanzata del figlio del
sindaco…
“Non vedo
perché dovrei.”
“Vuole che diventi il suo ragazzo!” Lo
accusò, come se fosse colpa sua. Aggiunse
anche una botta sul braccio.
Tom sospirò.
“Non lo diventerò.”
Meike parve poco convinta.
“Dicono tutti che è molto
carina…”
Sospirò di nuovo: otto mesi avevano solo rafforzato le sue
convinzioni in
materia di attrazione sessuale. Certo, le ragazze del posto non erano
particolarmente degne di nota, ma neppure Anneke, oggettivamente
graziosa,
smuoveva nulla nella sua tempesta adolescente.
C’era una sola
persona che
l’aveva fatto.
E sarebbe rimasta la sola,
per
quanto lo riguardava.
“Diciamo…
che mi piace più la
compagnia dei ragazzi, Meike. Non come i ragazzi del villaggio,
no.” aggiunse,
vedendo che formava le parole con le labbra. “In ogni caso
non troverei piacevole
la compagnia di Anneke.”
Meike parve riflettere, poi
si
aprì in un sorriso. “Meglio! Quella è
una scema!” Sogghignò, prima di scendere
dallo scoglio. “Le alghe, Ian! Siamo indietro con il lavoro,
poi la nonna
s’arrabbia!”
Tom sbuffò
appena.
Bambini…
Per certi versi era molto
meglio spiegare a loro, che al resto del mondo.
La seguì,
sorvegliandola
mentre raccoglieva manciate di alghe brunite e le depositava nei tre
secchi di
plastica azzurra.
Meike dopo un po’
alzò lo
sguardo verso il mare, rabbuiandosi. Tom fece lo stesso.
Fece una smorfia: conosceva quell’imbarcazione scrostata, che
rispondeva al
nome cinematografico di Selma. Era quella di Arno Heinemann, il figlio
del
sindaco. Un paio di ragazzi della sua cricca erano sul pontile e si
esibivano
in risate gutturali, generosamente innaffiate da lattine di birra.
“Che cavolo vogliono quelli?” Borbottò
Meike, giustamente prevenuta. Il figlio
del sindaco era un idiota talmente pieno di sé da
ricordargli i purosangue del
calibro di Terrance Montague.
“Non fare caso a
loro.” Disse,
prima che un fischio lo facesse inevitabilmente voltare.
“Ehi
Morris!” Urlò Arno, con
il suo largo viso arrossato, uscendo dalla cabina del timone.
“Facciamo quattro
chiacchiere!”
“Ian…”
Sussurrò Meike. Arno
Heinemann era anche conosciuto per avere un temperamento da rissa
immediata. Tom
aveva smesso di contare le volte che era stato preso di mira. Avevano sempre evitato lo
scontro diretto
perché beh… Non era difficile eludere gli
incontri con un idiota che girava con
un pick-up rumoroso anche per andare a comprarsi le sigarette.
“Va tutto
bene.” Le sorrise,
irritato.
Ci
sono dei momenti in cui sposerei le idee razzistoidi
di una parte del mondo magico.
Prima
di ricordarmi che certi imbecilli ci sono in entrambi
i mondi.
Si premurò di
dare le spalle
alla barca mentre intascava la bacchetta nei pantaloni. Dopo aver
mollato gli
ormeggi scesero tutti, Arno in testa.
“Ehi
finocchietto!” Latrò
raggiungendolo, infastidito dall’essere ignorato.
L’unica
illazione corretta di tutte quelle che hai
detto alle mie spalle…
Si raddrizzò,
pulendosi le
mani dal sale e dai rimasugli di alghe. Fece cenno a Meike di
allontanarsi, e
quella obbedì, con due occhi grandi di paura. “Hai
bisogno di qualcosa?”
“Lo sai.” Confermò sputando tra gli
incisivi storti un grumo di saliva che si
andò ad infrangere ai suoi piedi. “Devi stare
lontano dalla mia donna.”
Tom assottigliò gli occhi, meditabondo. “Quale
delle due che hai dietro?”
“Figlio di…” Iniziò quello
coi pugni più grossi. Arno lo bloccò con un
braccio.
“Sai di che parlo,
Morris.
Stai lontano da Anneke o ti faccio il culo.”
Ruggì. A Tom venne quasi da
ridere: avrebbe potuto sbatterlo in mezzo all’oceano solo pensandolo.
Era migliorato negli
incantesimi non verbali e la bacchetta, se si fosse concentrato
abbastanza,
avrebbe anche potuto non servirgli.
Forse.
“Ma
davvero…” Cominciò.
“Ian!” Lo chiamò Meike. “No,
per favore.”
Serrò la mascella
mentre
scrutava il viso volgare e sarcastico di Arno.
Meike aveva ragione. Anche
se
li avesse obliviati, dopo aver dato loro qualche lezione di
magia… nessuno gli
assicurava che non sarebbe arrivato il Ministero tedesco a far luce
sull’accaduto.
Lo
statuto di segretezza è una norma a rilievo
internazionale…
Fece per afferrare uno dei
secchi, ma Arno fu più veloce e glielo calciò
addosso, infradiciandolo. Le
risate dei suoi amici furono l’immediata conseguenza.
“Ops, scusa. Volevo solo passartelo…” La
smorfia sulla brutta faccia di Arno
gli ricordava quella di John Doe e quella di Montague.
E come loro, aveva il potere
di passare ai fatti all’azione più velocemente di
quanto credesse.
Sentì il cazzotto
del ragazzo
colpirgli lo stomaco. Crollò a terra, sbattendo duramente le
ginocchia contro
la roccia degli scogli.
“Ian! Lasciatelo
stare!”
“Vattene dal
nostro villaggio,
stramboide!”
La bacchetta era solo nella
sua tasca. Avrebbe potuto…
Un secondo calciò lo spedì lungo disteso a
masticare sabbia e fanghiglia.
“Ian!” Meike
fece per raggiungerlo,
ma fu afferrata di peso da uno dei tre, e bloccata.
“Sono otto mesi che stai qui, inglese… e sono
successe cose strane. Esplosioni,
lampioni che scoppiano come pop-corn… strane luci sulla
collina. Dì, un po’,
che mostro sei?”
Tom rimase in silenzio. La prima parte l’aveva accolta senza
preoccuparsi: nessuno
poteva provare che fosse stato lui, tanto che si pensava a sbalzi di
corrente
elettrica, frequenti in quella parte ventosa dell’isola. Solo
un idiota
suggestionabile come Arno poteva avvicinarsi alla
verità… e non rimanerne
illuminato.
Ma
le luci sulla collina…?
Credevo
fossero questi idioti con le luci dei loro
furgoni…
“Pensi che sia un
alieno?” Ghignò,
mentre tentava di relegare il dolore dei colpi in un angolo della sua
testa.
“Sei piuttosto lontano dalla
verità…” Alzò lo sguardo e
si specchiò negli occhi
slavati e furenti dell’altro ragazzo. “E lasciate
stare la bambina.”
“Perché, altrimenti cosa fai? Ci vomiti
addosso?”
Altre risate. Meike
soffocò un
singhiozzò, mentre tentava di liberarsi senza riuscirci. Sua
nonna le aveva
insegnato a non usare la magia con i babbani, ed era troppo spaventata
per
usare quella non intenzionale.
Allora
pensaci tu, no?
Tom
sentì quella voce
accarezzargli i meandri più nascosti del suo animo. Gli
aveva fatto compagnia spesso in quei mesi.
Non era pazzo, era
più uno
spillo nella sua coscienza.
Non aveva idea se fosse Lui. O se fosse semplicemente una parte
di sé.
Farebbe
poi differenza?
Però a volte si
faceva
sentire, e …
Perché
no?
“Lasciateci in
pace.” Chiese,
o forse pretese.
“Solo se mi lecchi
la suola
delle scarpe, Morris. Magari ti piace,
finocchietto…”
Non permettergli di parlarti così.
Non a
te.
Sarai
un patchwork, ma gli permetti di umiliarti?
Sentì la magia
incendiargli le
vene. Vide con la coda dell’occhio Meike irrigidirsi: era una
bambina sensibile.
Non c’erano lampadine che segnalavano qualcosa che non
andava, ma lei lo aveva sentito lo
stesso.
Gli chiese, si
chiese se gli sarebbe piaciuto, per caso,
schiacciare la testa di quel
ridicolo idiota con un sasso. O fargliela sbattere sugli scogli, tutto
da solo.
Poi ricordò. Di
nuovo.
“Cosa
dici Doe, anche se non sono il padrone,
funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al. “No! Sei
impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.”
Inspirò
bruscamente e prese la
bacchette da dietro la schiena, dove l’aveva incastrata trai
passanti della
cintura. La infilò sotto la manica. Era un movimento che in
quei mesi aveva
fatto tante volte.
Everte Statim.
Quell’incantesimo era un po’ il suo marchio di
fabbrica. Come l’expelliarmus
per Harry.
Arno perse
l’equilibrio e fu
letteralmente scaraventato nel mare spumoso sotto di loro.
“Arno!”
Urlò uno dei ragazzi, quello che reggeva Meike, liberandola
e correndo assieme
agli altri verso la riva. “Oh merda, Arno!”
Tom si sentì comunque deluso. Sensazione curiosa, come se
avesse tradito se
stesso.
E
visto chi ero, è la cosa migliore che potessi fare.
Si rialzò e
recuperò i due
secchi superstiti allungando il terzo, vuoto, a Meike che lo guardava
incerta.
I tre ragazzi per fortuna sembravano essersi dimenticati della loro
presenza,
più occupati a cercare di recuperare il loro leader.
“Non
dovevi…” Sussurrò piano.
“Un po’
d’acqua non lo
ucciderà.” Le sorrise appena. “Torniamo
a casa.”
Avrei
potuto fare di peggio.
“La nonna si
arrabbierà…”
“La nonna non lo saprà.” Le
accarezzò una guancia bruciata dalle efelidi. “Non
è vero?”
Meike arrossì e Tom seppe che non avrebbe detto nulla.
Lanciò però un’occhiata
alle sue spalle, e perse colore.
“Ian…”
Tom sospirò, e quando si voltò vide
all’imbocco del sentiero per la scogliera
la figura tozza e piantata di Cordula, quasi una sfinge giudicante.
Nessun riposo per i
cattivi²…
****
Non aveva pranzato e stava
rischiando di non cenare.
Cordula doveva proprio
avercela con lui.
Tom si puntellò
sulla vecchia
sedia a dondolo che la donna gli aveva concesso di riparare e portare
nella sua
stanza, al faro. Non aveva mai avuto una sedia a dondolo. Era comoda.
Un
gatto sulle ginocchia e potrei fare il signore del male…
Per il momento, in mancanza
di
cibo, si limitava a litigare con il vetusto lettore cd che era riuscito
a
scovare all’emporio del villaggio. L’aveva pagato
pochi euro e andava ancora a
pile. Alcaline.
Vivo
nel ventesimo secolo…
Era stato più
difficile
reperire dei cd con cui usarlo. Ma una gita alla città
più grande dell’isola,
ottenuta con la compiacenza del padrone stesso dell’emporio
che gli aveva dato
un passaggio, aveva risolto il problema.
Era riuscito a recuperare
poca
roba, ma se non altro aveva sventato l’eventualità
di suicidarsi dalla noia in
quei mesi.
Non sarebbe stato male avere
il suo lettore mp3. Chissà se era stato ridato ai Dursley
come suo effetto
personale…
È
questa la procedura, no?
La
sua famiglia… la sua vera
famiglia. Gli mancava. Quello
poteva ammetterlo senza conseguenze dolorose. Si sentiva in colpa. Suo
padre non
avrebbe capito molto, sua madre avrebbe cercato di farlo, ma senza
riuscirci.
Vern probabilmente avrebbe cercato di impossessarsi del suo pc. Sperava
che
Alice difendesse il presidio. Sperava che si fosse trovato un ragazzo
migliore
dell’ultimo, un completo idiota.
Mi
dispiace…
Chiuse gli occhi. Quel
particolare gruppo era l’unico gruppo che gli piacesse
davvero trai pochi cd
che aveva recuperato nella sua spedizione verso la modernità
babbana. Quella
canzone, poi, era stata fidata compagna di tante serate. Al avrebbe detto che era triste e incazzata.
Icastico.
[…]Even
though I
know, I suppose I'll show
all my cool and cold, like old
job
Despite all my rage
I am still just a rat in a
cage³
“Buonasera,
Signor Eroe Tragico.”
Era raro che
Cordula usasse il sarcasmo. Non
ne era priva, certo. Ma lo usava con parsimonia e solo per frecciatine
orribilmente mirate.
Tom aprì gli
occhi, voltandosi
verso la voce. La donna reggeva una pentola e una bottiglia di birra.
“Non mi piace la birra.”
“Beh, ti arrangi. O il signorino è troppo viziato
ed ha bisogno del menù?”
Interloquì, abbandonato pentola e bottiglia sul piccolo
tavolo pieghevole da
pic-nic che gli faceva anche da scrivania di fortuna.
“Stasera sei
particolarmente
acida…”
“E tu particolarmente stronzo.” Replicò
senza battere ciglio o mostrare nessuna
emozione. La ammirò.
Si alzò dalla sedia, togliendosi le cuffie.
“Senti, per oggi…”
“Meike non voleva dirmi nulla. Sembrava un topolino, muto. Le
hai proprio
insegnato bene, eh?” Lo accusò, perché
era un’accusa, Tom lo intuì dal tono.
“Ti giri le persone attorno a un dito, quando vuoi. Peccato
che io non ci
caschi. Sono troppo vecchia per farmi smuovere da un paio di sorrisi di
un
mocciosetto pelle e ossa.”
“Ma se oggi avevi detto che sono bello…”
Ironizzò, cauto comunque.
Cordula scrollò
le spalle. “E
lo usi come arma, invece che come caratteristica. Vuoi un
applauso?”
Aveva un modo di arrabbiarsi
che stimava. Non dava in escandescenze. Affilava la lingua e lo sguardo.
Se
non fosse stata una maganò tedesca, sarebbe stata
una perfetta serpeverde…
“No…”
Ammise, sedendosi al
tavolo mentre controllava il contenuto della pentola. Era una zuppa di
patate e
carne. L’odore gli fece capire che aveva fame.
“Perché mi hai portato la cena
qui?”
“Perché voglio parlarti senza avere Meike che
origlia.” Si sedette davanti a
lui.
“Vorrei mangiare…” Tentò.
“Te lo sto forse vietando?” Replicò
impietosa. “Allora… parliamo. Ti ho dato la
bacchetta di Karl per farti scaraventare ragazzi in mare?”
“Mi aveva picchiato.” Borbottò, prima di
ingoiare una cucchiaiata di zuppa. Gli
bruciò la trachea, e vide uno scintillio di soddisfazione
nelle iridi della
donna.
Stronza…
Ingoiò il boccone
stoicamente.
“Probabilmente
perché hai
usato quella lingua da serpentello per stuzzicarlo. Hai imparato anche
troppo
bene il tedesco…” Sbuffò.
“Che ti ho detto milioni di volte? Ignorare,
ignorare, ignorare. Questa gente non ha in simpatia quelli come te. Non
bisogna
dar loro un pretesto…”
“Per insultarmi, darmi dell’omosessuale e
aggredirmi?” Le suggerì iroso,
buttando il cucchiaio nel piatto, con un rumore secco. “Quel
microcefalo non è
degno di pulirmi le scarpe con la lingua e voleva che lo facessi io a
lui. Non
figurativamente.”
Si sentiva un adolescente
stupido e irritato. E notando lo sguardo di divertita pazienza della
donna,
dietro la sua faccia immobile, capì che lo era definitivamente.
“Ti fa
rabbia?” Gli chiese.
“Essere visto come il mostro del villaggio?”
“Mi hanno accusato anche di fenomeni paranormali, fai
tu…” Mormorò, riprendendo
a mangiare. Aveva fame sul serio: usare la magia gli metteva appetito.
“Quelle accuse non
sono del
tutto infondate.” Replicò Cordula con una
scrollata di spalle. “Se ti dà tanto
fastidio… è perché tu non sei fatto
per stare qua.”
“… Ancora con questa storia?”
“Finché non ti sarà entrata in
testa.” Corrugò le sopracciglia. Doveva aver
avuto un volto gentile, prima che la vita la privasse del marito e del
figlio.
Adesso era incisa nella pietra. “Ian… non
saprò fare magie e non saprò
adattarmi alla tecnologia babbana, ma non sono stupida. Tu menti, ti
nascondi.
Ed hai paura.”
Tom sentì qualcosa di freddo irradiarsi lentamente dallo
stomaco. Era la paura
con cui si svegliava ogni notte, urlando, fradicio di sudore. Era il
volto
ghignante di Doe che gli appariva nei sogni, e quello viscido del primo
proprietario della sua anima. Voldemort.
Si versò un
bicchiere di
birra, sorseggiandolo finché non sentì il calore
dell’alcool riempirgli lo
stomaco.
“Mi hai sempre
detto che non
mi avresti chiesto niente…”
“E non lo sto facendo.” Obbiettò.
“Sono passati otto mesi. Tre li hai passati a
letto, tra la vita e la morte. Due a riprenderti… e i
restanti a fingere che
fosse questo il posto in cui volevi restare.”
“Non…”
“Sei in sospeso.” Alzò la mano per
impedirgli di continuare. “Questo posto è un
limbo tagliato fuori dalla vita moderna babbana, ma pure dal mondo
magico. Ho
visto come sei avvezzo alla tecnologia e quanto sei dotato con la
magia. Tu sei
vissuto in entrambi i mondi e da entrambi stai scappando. Ci ho
preso?”
Tom non disse nulla, avendo l’impressione che la donna fosse davvero una legimante.
Quello era un discorso che
aveva
avuto per molto tempo dentro di
sé.
Forse era l’idea che la nipote sarebbe partita, ma sembrava
che Cordula
cercasse di far abituare anche lui all’idea che tutto poteva
cambiare.
Che stava già
cambiando.
“In questi giorni
sei nervoso,
più del solito. Cosa succede in questi giorni,
Ian?”
“È il compleanno del mio padrino.
Domani.” Mormorò, così piano che fece
addirittura fatica a sentirsi. Ma nella sua testa rimbombò
come dentro una
maledetta cattedrale. “Quell’uomo…
è stato come un padre per me.”
“E ti
manca?” Cordula gli mise
una mano sulla sua. Era calda e callosa ed era la prima volta che lo
toccava da
mesi, da quando era tornato ad essere autosufficiente.
“No…”
Mentì. Perché usare una
particella affermativa, ne era certo, lo avrebbe fatto crollare. Si
alzò di
scatto, sentendosi improvvisamente compresso. “E comunque non
ha importanza.
Non posso tornare da loro. Avrei dei guai, avrebbero dei guai. Stargli
lontano
farà bene a tutti.”
Cordula sospirò, raccogliendo il piatto di zuppa ormai
freddo e rovesciandolo
nella pentola. “È davvero così grave se
tornassi?”
“Ci sono delle persone… che mi cercano. E non sono
del genere che lascerebbe in
pace me… o le persone a cui tengo. E loro… hanno
bisogno di pace. Non l’hanno
avuta per anni, hanno combattuto per averla… se la
meritano.”
Cordula annuì grave. “La guerra magica,
immagino.”
“Già.” Evitò il suo sguardo.
“E poi… ho fatto delle cose tremende in
Inghilterra. Non ho ucciso nessuno, ma ci sono andato maledettamente
vicino.”
Era più di quanto
gli avesse
detto in otto mesi. Tom non credeva alle ricorrenze come momento che
stimolava
i ricordi e la nostalgia.
Fino
ad adesso.
Il compleanno di Harry era
una
tappa imprescindibile durante l’anno, da quando era bambino.
Significava la
Tana Weasley, partite di Quidditch da cui stava lontano miglia, cibo
propinato
in ogni singola ora del giorno. Ma anche poter leggere alla frescura
dell’albero di melo dove Al si dondolava
sull’altalena. Parlare fino
all’incoscienza prima che Al crollasse. Vedere la luce della
luna brillare da
una feritoia e illuminargli il viso.
Dannazione…
Cordula studiò la
sua
espressione. “Sei proprio un eroe tragico.” Scosse
la testa. “Pensi a ciò che è
giusto e inevitabilmente fai star male tutti, te in testa.”
“Non sono affari
tuoi…”
“Che novità.” Ironizzò,
riprendendosi la pentola e alzandosi in piedi con uno
sbuffo. “Quando mio figlio scelse di abbandonare la magia per
sposare la donna
che amava… sai perché non l’ho
fermato?” Tom attese, visto che probabilmente
non serviva dare risposta. “Perché passare una
vita lontano da chi e ciò che
sia ama, non è vita. E non fai un favore a nessuno, neanche
a te stesso…
specialmente se rischi di essere rincorso con i forconi da
metà dei nostri
vicini di casa.”
Tom capì.
“Stai dicendo che
devo andarmene?”
“Sto dicendo che
è ora di
tornare. Non ti sei punito abbastanza?”
Tom serrò le labbra, e si buttò sulla sedia a
dondolo.
Non doveva pensarci.
Non…
Cordula che stava prendendo in consegna pentole e bottiglie,
alzò la testa
al sonoro Pop! della
smaterializzazione.
Sorrise.
Tom quasi sbatté
contro la
cabina telefonica a cui aveva puntato smaterializzandosi.
No, non si sarebbe mai abituato alla schifosa sensazione di sentirsi
comprimere
dentro un tubo. Le prime volte aveva rischiato di spaccarsi, ma per
fortuna i
suoi episodi di magia accidentale infantile avevano creato un buon
precedente
su cui lavorare.
Certo,
il mio corpo di allora aveva molta meno massa da
ricomporre…
Si infilò dentro
la cabina. Le
dita gli tremavano mentre componeva il numero di casa Potter.
Sei
ridicolo. Smettila subito.
Non smise, naturalmente.
Dovette digitare un paio di volte il numero per comporlo correttamente.
La linea era libera e
squillava
ad intervalli regolare. Gli sembrava, era ridicolo, che il suo cuore
battesse a
quel ritmo sincopato.
Avrebbe risposto Harry,
probabilmente. James ci urlava dentro, con gran fastidio di tutti e
Lily lo
ignorava. Ginny aveva sempre l’impressione di fare la cosa
sbagliata, e
delegava volentieri.
Cosa avrebbe potuto dirgli?
Buon compleanno Harry, anche se manca un
giorno. Come vanno le cose lì? La mia famiglia sta bene? Ah,
sono ancora vivo,
sì.
Avrebbe potuto rispondere
Harry.
Oppure…
“Casa Potter, con
chi parlo?”
… oppure Al,
l’unico che
utilizzasse con cognizione di causa il telefono. Glielo aveva insegnato
lui,
del resto.
Era la sua voce. Era
più
profonda, più matura adesso. Però c’era
sempre quell’intercalare dolce. Non era
l’accento del Devonshire, era proprio suo.
Merlino.
“Pronto, ehi?
C’è nessuno?”
Ci
sono io, Al.
Ma non riusciva a aprire
bocca. Voleva dire un milione di cose e tutte gli sembravano ridicole,
inadatte, inappropriate.
Otto mesi.
Ci fu
un’esitazione dall’altro
capo del telefono. La magia non correva lungo i fili di comunicazione
babbana e
di certo il filtro abusato di quel telefono non captava il suo respiro,
peraltro maledettamente vicino a rompersi.
Ci furono una manciata di
secondi nel quale nessuno dei due parlò.
Al non poteva capire chi
era.
“… Tom,
sei tu?”
Ma poteva sentirlo.
Il suo Al era sempre stato quietamente straordinario, Tom lo pensava
davvero.
Riattaccò di
colpo, con
violenza. Sentiva il sudore, gelido, scorrergli lungo la nuca.
Appoggiò la
fronte contro la cornetta tiepida. Gli sembrava bollente.
Otto
mesi, ridicolo coniglio. E se non ti volessero
più?
Come diavolo si usciva da
una
situazione del genere?
Harry lanciò
un’occhiata al
figlio, mentre masticava un boccone. Si bloccò quando vide
che Al non parlava con
nessuno ed era immobile come una statua di sale.
“Al, qualcosa non
va?” Chiese
Ginny, mentre scacciava la mano di James dalla porzione del fratello.
Il ragazzo si
voltò. Aveva
un’espressione stranissima in viso, stimò Harry.
Sembrava a metà
tra la rabbia,
l’incertezza e una gioia selvaggia.
“Era
Tom.” Disse
semplicemente. Sembrava non avere la minima intenzione di lasciare la
cornetta.
“… Come
tesoro?” Mormorò
Ginny.
Harry inghiottì
il boccone,
pulendosi maldestramente le labbra. “Albus, sei
sicuro?”
“Harry…” Sussurrò la donna
con sguardo ammonitore.
Non
provarci…
– sembrava dire la sua espressione – Non
dargli corda.
Cercò di
ignorarla mentre si
alzava, liberando la cornetta dalle dita del figlio e rimettendola al
suo posto.
Erano serrate forte, fino a farsi sbiancare le nocche, notò.
“Era
Tom.” Ripeté Al, e gli
tremava la voce. “Era lui.”
****
Note:
1.
Qui la canzone.
2.Titolo
di un album dei Black Sabbath “No Rest for the
Wicked”
3.Bullet with butterfly wings, Smashing
Pumpkins. Qui
la canzone.
Vabbeh che le ho messe ovunque, ma se a qualcuno fossero
sfuggite… Tho.
Tom
Al
Rose
Scorpius
James
Teddy
|
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Capitolo 4 *** Capitolo III ***
Ciao! Causa vacanze mi sa
che
siete diminuiti, ma ehy, chi si lamenta ancora? Sarei un bel
po’ ipocrita! Partendo
per Budapest domani l’aggiornamento della prossima
settimana… err, salta.
Sorry, e buone vacanze! :D
@altovoltaggio:
non penso tu sia pazza, penso tu sia fantastica! Commenti
così meravigliosi
ogni volta… mi vizi! :D Sì, l’errore
sul Baltico è stato grossolano, e non sei
l’unica a segnalarmelo… quindi, grazie! (fa sempre
piacere, so che è strano, ma
è perché vuol dire che ci tenete alla completezza
delle informazioni e state
attenti :P) Al è alto 1,75 circa… è un
po’ nanerottolo per la media Weasley ma
è comunque nella media maschile. È Tom che
è esagerato come al solito XD Se
vuoi ti dico l’altezza di tutti (perché
sì, l’ho supposta, perché sono una
donna malata) Se Tom è cresciuto così tanto
è… beh, i ragazzi crescono a
quell’età,
è vero, ma Tom non è un ragazzo normale. Comunque
era già alto di suo, quindi
ha solo aggiunto centimetri. XD Se Tom tornerà a
scuola… beh, diciamo solo che
gli faremo frequentare il Settimo, anche se dovrà avere un
piccolo escamotage, perché
teoricamente non ha passato il sesto, come hai detto tu. ^^ Grazie
mille per i
complimenti! :D
@ElseW: Wow,
troppi complimenti, rischi di farmi arrossire! XD Tom
muoverà il dannatissimo
culo qui, promesso. O forse qualcun altro lo farà per lui :P
@MyriamMalfoy:
Teddy è un gran fusto, vero? E vedrai che
s’aggiusterà tutto! ^^
@Agathe:
Ahaaha, beh, in effetti Meike dovrà per forza andare a
Durmstrang ^^ TomStu
diventerà il prossimo soprannome… anche se mi
ricorda troppo GaryStu XP
@Andriw9214:
Ciao! Precisamente, hai capito perfettamente Al! XD La nonnetta
è calcata su
mia nonna, e quindi non poteva non essere sveglia… XD Grazie
a te per la
recensione! :D
@Mikyvale: Beh,
cavolo, accidenti, grazie! :P Beh Al diciamo che ha un sesto senso per
quel
coglione di Tommy. Sempre avuto. XD Meike non credo la
abbandonerà. Del resto
ci sarà un certo Torneo TreAccademie… e
Durmstrang è una di quelle, ergooo… XD
Alla prossima!
@MissBlackSpots:
Ciao! Ahaha, beh, non è facilissimo in effetti, non avendo
messo lo stesso
titolo (err, odio le ripetizioni) ma grazie comunque per essere
passata! Ciao!
@Lillyylunap:
Adoro quando qualcuno mi trova per caso! XD No, apparte gli scherzi,
grazie per
aver letto tutto! Non sai quanto piacere mi faccia! Specie se non sei
una fan
dello slash… e qui siamo pieni! XD Specie se di solito ti
piace il canon
Teddy/Victoire (che io non sopporto, ma vabbeh, odio quasi tutto quello
che la
Row ha accoppiato -_-) … e se ti piacciono le Lily/Scorpius
e sei passata all’altra
fazione… ti stringo la mano! XD Grazie mille, per tutto!
@Simomart:
Ciao! Beh, sì… forse mi riesce meglio
perché è un originale. Tendenzialmente lo
sono tutti, visto che la Row non ci ha scritto sopra che per un paio di
righe. Però
non lo so, sarà una cosa psicologica. Wow, l’idea
del Faro-prolungazione-di-Tom
è… intensa. E chissà, forse
incosciamente ho seguito proprio il tuo
ragionamento! (Adoro i fari, comunque ;P) Meike sì,
assomiglia un po’ a Lily…
beh, anche perché siamo all’inizio e ancora non ho
caratterizzato la piccola di
casa Potter (Che comunque non è certo innocente come una
decenne XD) In ogni
caso i capitoli personaggio-centrico sono finiti, anche
perché mi serviva fare
una panoramica totale… forse ce ne saranno degli altri su
ciascun personaggio,
su Lily di sicuro, ma sarà in seguito, si riprende con il
vecchio adagio
adesso. XD Mi piace molto anche che vi sia piaciuta Cordula. Era sta
pensata
come un personaggio secondario, ma tutti me l’avete fatta
vedere quasi come un
cardine. E poi volevo parlare meglio della condizione dei
maghinò. Quanto c’è
di più triste? Non appartieni ad entrambi i
mondi… ed era qualcuno così che
doveva vegliare otto mesi su Tom, per me… XD E magari
sensibilizzarlo un po’. Ho
corretto le imprecisioni che mi hai segnalato… grazie!
@Trixina: Oh,
guarda se parliamo della Meyer potrei fare un flame mai
visto… la odio, la
detesto per tanti e molteplici motivi XD Essì, Tom
è un codardo… ma ci penserà
Al! XD
@LauraStark:
Cordula rulez! XD Apparte gli scherzi, hai proprio ragione!
Sophie: Essì,
otto mesi sono
tanti, era ora! (lo dice lei, che ce l’ha spedito…
err, esigenze di trama!)
Sicuramente il pugno di Al non glielo leva nessuno.
@Cloto: Meike
penso che sarà presente anche in seguito nel
“cast” XD … e comunque tranquilla,
Tom non andrà a Durmstrang… ma ad Hogwarts, con
annessi e connessi del caso…
Ciao e grazie!
****
Capitolo III
Che sia l'amore tutto ciò
che esiste è
ciò che noi sappiamo dell'amore;
e
può bastare che il suo peso sia
uguale
al solco che lascia nel cuore.
(Che
sia l'amore tutto ciò che esiste - Emily Dickinson)
31
Luglio 2023
Inghilterra,
Devon, Ottery St. Catchpole.
La
Tana.
La festa di compleanno di
zio
Harry era un modo per ritrovarsi. Non proprio tutto il clan
Potter-Weasley ma buona
parte sì.
In ogni caso, Rose Weasley
era
tornata.
Hugo accanto a lei, tirò su con il naso e si
aggiustò tra le braccia l’enorme
pacco regalo.
“Cristo, se m’era mancata casa! Cara e vecchia
Inghilterra…” Borbottò, con un
sorrisetto ispido. Era cresciuto ancora, diventando ancora
più allampanato. I
capelli colo carota erano stati rasati sulle tempie, seguendo
l’esempio
guerriero di zio Charlie. Le efelidi gli erano esplose in faccia
assieme ad
un’onesta abbronzatura. A lui piacevano, Rose era felice di
non essersele
trascinate dietro nel corredo genetico.
“Puoi
dirlo.” Gli sorrise,
aggiustandosi una ciocca sfuggita dalla coda di cavallo.
Ron si voltò,
verso i due
figli rimasti indietro, ancora psicologicamente dipendenti
dall’aria
condizionata della macchina, una mercedes che aveva di magico solo la
capacità
di occultarsi e volare. “Forza, ragazzi!”
Esordì allegro. “Siamo in ritardo!”
“Questa è tutta colpa tua Ron.” Lo
rimbeccò Hermione, irritata dall’afa che
minava il controllo sui suoi capelli. “Non capisco
perché non abbiamo usato la
materializzazione congiunta, come fanno tutti.”
“Eddai Herm, lo sai che poi Hugo vomita!”
“Grazie
papà.” Sibilò il ragazzo
mentre le orecchie gli prendevano fuoco.
Rose gli accarezzò la spalla, simpatetica.
“È anche perché non sono
così brava
a materializzarmi da sola…” Lo consolò.
In ogni caso, c’era un
motivo per cui lei aveva sempre scelto la madre.
Guardò con affetto la Tana, che si ergeva sbilenca svoltato
il crinale: era sempre
pronta ad accogliere e lasciar andare, con la stessa dolce affezione.
Adorava quel posto.
Anche
se vorrei trovarti da tutt’altra parte, al momento
attuale…
Era tornata solo da poche
ore
dalla Romania. Tempo di farsi una doccia, indossare un vestito di
stoffa fresca
ed era stata trascinata in una riunione familiare.
La
storia della mia vita…
L’unico motivo per
cui non
aveva ancora cercato di scappare o addurre scuse era che doveva
controllare
Albus.
Non lo vedeva da quasi due
mesi e le sue lettere non le piacevano. Erano troppo quiete.
Hugo agitò
leggermente il
pacco, quasi aspettandosi che ticchettasse.
“Tesoro non agitarlo…” Lo
ammonì Hermione distratta, varcando il cancello malamente
incassato nello steccato che recintava la proprietà.
Hugo lo guardò preoccupato, memore dei traumi conseguiti
alla riserva di draghi.
“Morde?”
Rose ridacchiò, guardando con inspiegabile urgenza il cielo;
del resto non era
come se potesse chiamare un gufo.
Devo
comunque
trovare il modo di contattare Scorpius e
fargli sapere che sono di nuovo qui.
Era passato troppo tempo
dall’ultima volta che si erano visti. Certo, si scrivevano
con frequenza quasi
preoccupante, ma una cosa era sentirlo sproloquiare attraverso una
penna,
l’altra era trovarsi faccia a faccia.
Dubito
fortemente che zio Harry l’abbia invitato alla
sua festa…
Hugo la guardò
con cipiglio
depresso. “Stai pensando a lui?”
Rose avvampò, tirandogli una gomitata fraterna che lo fece
boccheggiare.
“Chiudi quella ciabatta, Hughie.”
“Attenta sorella.” La ammonì serio.
“Se papà sapesse…”
Papà
lo sa, o non mi avrebbe allontanata dall’isola.
Alzò
gli occhi al cielo e si trovò in
dirittura di sguardo James, appollaiato sul tetto con una sigaretta tra
le
labbra. Le fece cenno di fare silenzio, indicando la suddetta.
Scosse la testa, senza riuscire a nascondere un sorriso.
Sillabò il nome di Al.
Se non poteva assolvere al suo ruolo di ragazza, sarebbe stata cugina.
James scosse la testa,
indicando sotto di sé.
In casa. Probabilmente in soffitta. Per
Nimue, sta diventando un misantropo.
“Mamma, io vado a
cercare Al…”
Esordì non appena fu all’ingresso, cercando di
evitare gli stritolamenti pieni
d’amore familiare di sua nonna. “Tipo,
adesso.”
“Saluta prima tuo
zio.”
Rose sorrise all’ex eroe dei mondi, che al momento si trovava
all’ingresso, un
pacco sottobraccio e una tremenda maglietta marrone addosso. Sembrava
che la
collezione Weasley si fosse implementata dell’elemento
primavera-estate.
Agghiacciante.
Lo baciò sulle
guance,
obbediente. “Buon compleanno zio.”
“Grazie Rosie. Al è in soffitta.” Gli
sorrise di rimando, con quell’empatia
straordinaria che lo rendeva fantastico agli occhi di tutta la nuova
generazione.
“Vai a tirarlo giù. Ti va?”
Non se lo fece ripetere.
Mentre saliva le scale
tortuose e disassate della Tana, si rese conto che c’era
troppo… silenzio, per
essere la gioiosa festa di Harry Potter. Solitamente il compleanno di
suo zio
era un modo per far chiasso: era estate, tutti erano in vacanza e
faceva abbastanza
caldo per raid al laghetto o per lunghe partite di Quidditch.
O era troppo presto, o
sarebbe
stato un compleanno assurdamente compassato.
Cosa
c’è di diverso quest’anno… a
parte. Beh.
Sperava
che almeno per un compleanno
il dolore della perdita di Tom si sarebbe attenuato.
Vana
speranza. E no, non mi sento particolarmente
egoista a pensarlo. Stanno tutti soffrendo troppo.
Esitò, prima di
posare la mano
sul pomello della porta della soffitta.
Non
sembrava così depresso l’ultima volta che
l’ho
sentito.
In quei mesi di reclusione
rumeni aveva cercato in ogni modo di tenersi in contatto con Al, anche
se non
era stato come essere lì.
Stupido
papà.
Era stata tutta
un’idea di suo
padre spedirla assieme a suo fratello, con la cugina Dominique a farsi
una
vacanza in Romania.
“Così
avrai tempo e tranquillità per studiare per gli
esami di quest’anno. Sono importanti i MAGO, no Rosie? E poi
zio Charlie non
vede te e Hugh da sei anni!”
Adorava suo padre ma il
sospetto, quasi certezza, che avesse una relazione con Malfoy
l’aveva
completamente obnubilato.
Le era mancato, Scorpius.
Non
avrebbe mai creduto possibile che le mancasse un membro esterno alla
sua
famiglia, essendoci cresciuta dentro ed avendo trovato lì
tutte le sue figure
di riferimento… ma erano stati due lunghi mesi, rotti
soltanto
dall’improvvisata per il compleanno del ragazzo.
Lo amava, poco da fare.
Anche
se è pazzo.
Bussò alla porta.
Non ebbe
nessuna risposta. Sospirò: dunque Al davvero non aveva
voglia di vedere
nessuno? Spinse la porta con una mano, visto che era priva di
chiavistelli.
Trovò Al chino su una grosso mappamondo di legno, seduto a
terra in mezzo a
chili di polvere con la bacchetta stretta in pugno. Aveva le cuffie di
un
lettore mp3, per questo non l’aveva sentita.
Riesce
ascoltare la robaccia lugubre che si ascoltava
Tom?
“Al!” Lo
chiamò ad alta voce.
Il ragazzo alzò la testa, sorridendole in modo accecante.
Non c’era più
abituata e ne rimase frastornata. “Rosie! Ehi, sei
tornata!” Saltò in piedi e
andò ad abbracciarla con autentico e sincero trasporto.
Okay.
Non sembra depresso.
“Ringraziando
Merlino…” Borbottò,
ricambiando l’abbraccio. “Ti vedo…
bene?”
“Oh, sì. Sto bene.” Si
staccò. Era alzato di qualche centimetro rispetto
all’ultima volta, superandola e raggiungendo forse il metro e
settantacinque.
Sembrava che i maschi della sua famiglia crescessero solo
d’estate, come le
piante. In ogni caso aveva decisamente un aspetto più
salubre dall’ultima volta
che l’aveva visto. Era lo sguardo, intuì; era di
nuovo acceso come un tempo.
“Che stavi
facendo?”
Al arrossì, colto in castagna. “Stavo per
scendere. Facevo, sai, un altro
tentativo…”
“Per cosa?”
Corrugò le sopracciglia sorpreso. “Non te
l’hanno detto?”
A Rose sembrò come essersi persa un passaggio importante.
Fondamentale.
Solo,
quale?
“Ehm,
no… Vuoi andare in
vacanza da qualche parte?”
Al fece una smorfia,
rabbuiandosi di colpo, come si era illuminato. Era maledettamente su di
giri,
ecco cos’era. Esaltato. “Dovevo immaginarlo. Non mi
crede nessuno. Beh, a parte
papà.”
“A proposito di
cosa?” Lanciò
uno sguardo verso il mappamondo. Doveva essere appartenuto a qualcuno
degli
zii; ricordava fosse magico. Era incantato per segnalare la posizione
di
ciascun membro della famiglia. Probabilmente era servito per tracciare
i viaggi
di Bill e Charlie, prima che si stabilissero definitivamente.
“Tom ha
telefonato.”
Rose sentì una
voce dentro di
sé emettere un urlo frustrato. Sapeva che era ingiusto nei
confronti di Thomas
e soprattutto di Al, ma era stufa marcia di quella storia.
È
passato dentro una passaporta rotta.
È
praticamente come passare sotto il Velo in cui è morto
Sirius Black, con solo
una minima possibilità di essere rimaterializzato.
Zio
Harry è stato chiarissimo!
Ma la sorpresa e la
curiosità
erano troppe, quindi chiese. “Ci hai parlato?”
Al si morse un labbro. “Beh, no, non
proprio…”
“Al…” Se sua zia Ginny non era ancora
riuscita a farlo ragionare, allora
qualcuno doveva farlo.
Bentornata
in Inghilterra Rosie.
“No, senti! So che
era lui!”
La fermò immediatamente. “L’ho
riconosciuto!”
Rose sentì
investirla un
incipiente senso di impotenza. Di nuovo. L’aveva provato per
tutto l’ultimo
semestre scolastico, quando vedeva Al isolarsi dall’umana
specie senza poter
fare niente.
Elaborazione
del lutto, zero.
Aveva letto molto in merito.
Tomi di psicologia babbana, soprattutto. Era ridicolo sopravvalutarli,
quando
ne sapevano così tanto.
Potrei
dire che questa è la fase di rifiuto… ma mi
prenderei in giro da sola.
Al
ha la certezza che quello stronzo non sia morto. E finché
non l’abbandona, non potrà processare un bel
niente.
“Sì, ma
da cosa lo deduci?”
“Una sensazione.” Replicò. Poi si
passò una mano dietro la nuca, guardando alle
sue spalle, verso il mappamondo, unico oggetto là dentro non
coperto da strati
e strati di polvere. “Non mi crede nessuno, mi guardano tutti
come se gli
facessi pena. E probabilmente è così. Ma tu mi
credi, vero?”
Rose deglutì, guardando i grandi occhi pieni di speranza
– ridicolo gioco di
parole con il colore dell’iride – del cugino.
Desiderò trovare uno spigolo in
cui sbattere la testa, come il più contrito degli elfi
domestici.
“Sono tornata da
un paio d’ore…”
Disse semplicemente.
Al si morse di nuovo il
labbro. Poi capì e prese un’espressione quasi
umile. “Scusa… bentornata. Mi
dispiace se ti ho aggredita. È che,
capisci…”
“Va tutto bene.” Sorrise suo malgrado. “E
poi, sì, mi sei mancato anche tu.”
Sospirò:
a parte il dovere di farlo rinsavire, del tutto irrilevante
considerando che era
cocciuto come un troll di montagna, doveva essere simpatetica.
“Che incantesimo
stavi provando?”
“Incantesimo localizzatore. Il mappamondo segnala la presenza
solo di zio Bill
e Charlie, perché erano presenti quando è stato
incantato, ma stavo provando…”
“Ad incantarlo senza una traccia?”
Meditò. “Non so se si può fare, o credo
che
zio Harry l’avrebbe già provato, no?”
Il sorriso sicuro di Al vacillò per un attimo, ma si riprese
subito. “Sì, lo
so. Ma tentare non costa nulla, no?” Scrollò le
spalle. “Era per tenermi
occupato, sai. È successo ieri e …”
“Non riesci a
piantarla almeno per il compleanno
di papà?”
Rose si voltò per
trovarsi di
fronte James, accaldato e di cattivo umore. Probabilmente si era
beccato una
strigliata da nonna Molly per aver fumato sul suo tetto.
Al serrò le
labbra. “Lasciami
in pace, sei asfissiante. E comunque stavo parlando con Rosie, non con
te.”
“No, fammi capire.” Sbuffò incrociando
le braccia al petto. Da dove erano spuntati
tutti quei muscoli?
Sta
davvero prendendo sul serio la cosa di fare il
paladino della giustizia…
“Cosa dovrei farti
capire?”
“Dovrei lasciare
che ti
rintani qui quando sotto tutti aspettano te per festeggiare
papà?”
“Deve ancora arrivare Teddy e zia Dromeda. È per
questo che sei nervoso?”
Rimbeccò aspro, con una velocità di battuta che
sorprese Rose. Di solito
tendeva a non sfruttare i punti deboli altrui.
James illividì palesemente, scoccandogli
un’occhiataccia. “Scendi, o ti ci
porto di peso nanerottolo.”
“Ragazzi…” Tentò senza
successo.
“Lasciami in pace. Quale
parola non
capisci delle tre?” La ignorò Al: sembrava
incredibilmente agitato.
Probabilmente James tentava di smontare la sua tesi dalla sera prima, a
giudicare dall’atmosfera tesa che si era palesata con il suo
arrivo.
“La parte in cui
blateri
cazzate su Tom. Non è risorto, è
morto.” Sbottò brutale. Rose ebbe
l’istinto di
prenderlo a calci, quando vide l’espressione ferita di Al.
Beh, questo prima che il
suddetto alzasse la bacchetta contro James e mostrasse al mondo intero
come
avesse seguito le lezioni del secondo semestre di Incantesimi.
Il riverbero giallastro
dell’incantesimo non verbale le sfrecciò a pochi
centimetri dal viso, quando
James lo vanificò con un sortilegio scudo.
“Siete impazziti?!” Tentò di farsi
ascoltare, prima che James caricasse come un
toro Albus e lo sbattesse a terra con uno spintone. “No, ehi!” Niente. Lo
immobilizzò salendogli a cavalcioni e
piantandogli una mano sul petto.
Al tentò di
liberarsi, ma la
differenza di peso era troppa e inoltre il fratello gli aveva bloccato
prudentemente la mano che reggeva la bacchetta.
“Lasciami, mi fai
male!”
“E tu non volevi
farmene
quando mi hai lanciato addosso quella roba?!”
Sbottò James. “Sei fuori di
testa, Albie!”
“Non chiamarmi così!”
Gli urlò in
faccia.
Rose, dal suo cantuccio accanto alla porta, deglutì. Era
indecisa se andare a
chiamare gli adulti o lasciarli liberi di scannarsi. Il fatto era che
la
reazione di Al era stata spropositata.
James si comporta sempre da stronzo quando è preoccupato per
qualcuno…
Lo
so io, e lo sa Al.
Solo in quel momento Rose
capì
quanto il cugino si sentisse sotto
pressione. Non avrebbe mai perso un compleanno di suo padre,
né avrebbe levato
la bacchetta contro suo fratello, non se…
“Lascialo
Jamie.” Mormorò.
“Credo che non stia mentendo su Tom…”
Al voltò la testa
per
guardarla. Non le sorrise, ma Rose si sentì un po’
meno in colpa per averlo
lasciato due mesi da solo.
“Crede di non stare
mentendo.”
Replicò l’altro ragazzo con una smorfia e senza
mollare la presa. “Ma lo
sappiamo tutti che …”
“Io gli
credo.” Lo fermò. Non
era questione che fosse vero o meno, alla fine. Ma solo quanto Al, la
persona
che più teneva al mondo a Tom probabilmente, ne fosse sicuro.
James corrugò le
sopracciglia,
combattuto. La testa gli si svegliava solo nel momento
dell’azione, raramente
per ragionamenti logici in situazioni di calma placida. “E
allora perché quel
figlio di banshee non s’è fatto sentire
prima?” Interloquì, soddisfatto.
“Sai, essere stato
implicato
in una faccenda come il furto dei Doni della Morte, avere un passato
non chiaro
in termini di nascita e aver collaborato con un ricercato
internazionale
farebbe venire qualche scrupolo di coscienza a chiunque.”
Snocciolò
meditabonda. “Anche se fosse in grado di tornare, forse
avrebbe problemi a farsene
venire la voglia… Sensi di colpa. Al ha rischiato di morire
e così zio Harry. E
Tom è molto legato ad entrambi.”
“È un cretino.” Confermò Al.
“E lo sei anche tu, Jam. Ti togli?”
James sospirò, liberandolo e tirandolo su. Al era diventato
parte integrante
del pavimento, a giudicare da tutta la polvere che aveva sulla
maglietta.
“Mi hai quasi
schiantato,
serpe…” Mugugnò James, in
un’introversa offerta di pace.
“Veramente era una fattura gambemolli.”
Accettò con un mezzo sorriso. “E sapevo
che l’avresti bloccata. Altrimenti dovresti riconsiderare
l’idea
dell’Accademia.”
“Vaffanculo.” Sancì James, dandogli una
pacca sulla spalla che sollevò un
nugolo di polvere.
“Se solo ci fosse
un modo per avere
la certezza che è, da
qualche parte…”
Mormorò Rose, mentre poteva sentire gli ingranaggi della sua
testa liberarsi
dalle ragnatele dell’isolamento rumeno e cominciare a
lavorare. “Un incantesimo
tracciante ha bisogno di una traccia. Quindi è escluso.
Oltretutto Tom non ha
con sé la sua bacchetta, quindi non è
rintracciabile tramite quella.” Ci pensò.
“Zio Harry che dice?”
“Ha aperto una pratica…” Rispose Al,
distendendo i lineamenti in un mezzo
sorriso, quasi sereno. Probabilmente il fatto che il padre gli credesse
gli
dava fiducia. “Ma ci vorrà del tempo. Tom potrebbe
non essere nel mondo magico
adesso. E se è in quello babbano… le cose si
fanno complicate.”
“Procedure, procedure, procedure. Anche inoltrando la
richiesta di
coinvolgimento della polizia babbana ci vorrebbero
settimane.” James fece una
smorfia. “Burocrazia magica.”
“Non potrebbero
fare la
segnalazione i suoi genitori? I Dursley sono babbani.”
“La questione non è così
semplice.” Ripeté James e stavolta Al non
obbiettò.
“Tom è un nato-babbano. Il che significa che
sì, esiste per il loro mondo, ma anche
per il nostro. E le due identità… come dire,
ecco. Configgono. È… un caso di
giurisdizione incrociata. Aggiungici lo Stato di
Segretezza…” Fece un gesto
vago, gemello dell’espressione frustrata del fratello.
“Dobbiamo avere
pazienza.”
Mormorò Al, e non sembravano parole sue da come praticamente
le sputò.
Rose sentì la
porta aprirsi
dietro di sé. Si voltò e si trovò di
fronte gli occhiali tondi e l’espressione
perplessa di suo zio Harry.
“Ragazzi, siete pieni di polvere, che avete
combinato?”
“Rotolato, mentre cercavo di farlo uscire.” Fece
spallucce James. Rose notò una
certa tensione nella risposta e imbarazzo generico da parte di
entrambi. Sapeva
il perché, e tacque.
Chissà
se capiterà anche a me la fortuna di avere un
padre imbarazzato ma che accetta.
Ah.
Pia illusione.
Al ebbe il buongusto di
spazzolarsi via un po’ di polvere e di rompere il silenzio.
“Scusa papà,
scendiamo subito…”
Harry scosse la testa.
“In
realtà… avrei bisogno un attimo di te.”
Il ragazzo lo
squadrò
perplesso. “Certo. Per cosa?”
“Per
chi.” Lo corresse
gentilmente. “Tom.”
La conseguente cosa che Rose vide fu la porta sbattuta. Al non aveva
neanche pensato, probabilmente.
Semplicemente
aveva agito.
James si tolse un batuffolo
di
polvere dai capelli. “Non ho ancora capito come
papà non li abbia scoperti.” Sbuffò.
“Voglio dire. Al è palese.”
Rose fece un sorrisetto.
“Mai
sentito parlare di negazione?”
James alzò gli occhi al cielo, ridendo. “Credimi,
fin troppo.”
****
Rügen,
Putgarten.
Fattoria dei Wollin, sera.
Meike Wollin non era una
scema.
C’erano molti
indizi a
supportare la sua tesi: punto primo, era capace di fare magie. Punto
secondo,
capiva quasi tutto quello che le diceva Ian. E Ian non era facile da
capire,
per niente. Un po’ era il
suo
accento, che cozzava con tantissime parole tedesche. Non glielo aveva
mai
detto, perché era permaloso. Un po’
perché parlava difficile, punto e stop. Gli
voleva bene, beninteso, ma aveva spesso l’impressione che non
si rendesse conto
che aveva solo dieci anni.
Punto terzo, e ultimo, non
la
si faceva a Meike Wollin.
Quella sera, a cena, Ian
aveva
un’aria strana; non che
di solito
fosse un chiacchierone, ma non apriva proprio bocca e mangiava
meccanicamente
la buonissima zuppa di patate di sua nonna. Anche la nonna non sembrava
aver
molta voglia di parlare.
Così ci aveva
pensato lei.
Doveva essere una bella giornata, aveva ricevuto la sua lettera per
Durmstrang!
(Anche se le faceva un
po’
paura, comunque.)
“Ian, che
succede?”
Nessuna risposta.
Meike rifletté:
sapeva che non
doveva insistere troppo, o si sarebbe irritato. Aveva un gran brutto
caratteraccio, quando era di cattivo umore.
Decise di fregarsene,
perché
aveva quella sensazione. Era una
donna, la parrucchiera diceva sempre che le donne dovevano dar retta
alle
proprie sensazioni.
“Ian?”
Ripeté. “Che succede?”
Quella bambina era una
continua sorpresa.
Era sensibile ai cambiamenti
di umore altrui in maniera incredibile, considerando che aveva solo
dieci anni.
Alla sua età lui era completamente concentrato su
sé stesso.
Ero
una carognetta…
Ma Meike non era
così, aveva
capito che c’era qualcosa che non andava. E c’era.
Aveva deciso di andarsene,
quella sera stessa. Cordula doveva averlo capito, ma taceva.
Non era stata una decisione
facile: doveva loro molto e l’idea di lasciarle non gli
arrideva
particolarmente.
Ma vedeva uscite: con la
bella
pensata della sera prima sarebbe stato questione di poco tempo prima
che gli
auror inglesi, capeggiati da Harry Potter, rintracciassero la sua
presenza.
E lui non si sentiva ancora
pronto
ad affrontare tutto quello: le spiegazioni ai suoi genitori, al mondo
magico,
il suo coinvolgimento in una vicenda che avrebbe potuto spedirlo dritto
ad
Azkaban, considerando che le leggi magiche erano molto meno flessibili
di
quelle babbane, illuminate dal principio della correzione.
Nel mondo magico si pagava,
e
basta.
E
considerando che sono già maggiorenne…
“Ian?”
Lo richiamò Meike. “Ti
sei di nuovo messo a pensare?”
Le sorrise. Gli sarebbe mancata. Per otto mesi quel folletto di
ragazzina era
stata una presenza costante. Gli aveva permesso, e questo glielo doveva
riconoscere, di non chiudersi nell’auto-recriminazione. Non
poteva pensare cose
orribili di sé stesso quando doveva ascoltarla o badare che
non si sfracellasse
contro uno scoglio o cadesse in mare.
“Meike, voglio
essere onesto
con te…” La vide arrossire e si sentì
davvero disgustoso. “Me ne sto andando.”
Lo guardò confusa. “Dove…?”
“Via.”
Riassunse conciso,
rimestando il cucchiaio nella zuppa. Era persino riuscito ad abituarsi
a quella
cucina maledettamente speziata. Ma non gli sarebbe mancata, no.
La bambina lo
guardò,
succhiandosi un labbro pensierosa. Poi ci arrivò e
sgranò gli occhi, in maniera
dolorosa. “No! Ma perché? Torni a scuola anche
tu?”
“No, lascio l’isola.”
“Vuoi tornare in Inghilterra?” Chiese finalmente
Cordula, scrutandolo.
“No, non
credo.” Dovette
ammettere. “Non credo sia una buona idea.”
Prima o poi si torna sempre a casa…
Era una voce continua, nella
sua testa, a cui cercava di sottrarsi. Ed era quella di Al.
Vuoi
definitivamente rovinargli la vita? Perché non gli
fai una bella cicatrice in faccia e lo reclami come tuo?
Serrò
le labbra.
Meike gli tirò una botta sul braccio, riscuotendolo.
“Non puoi andartene! Non
sai neanche dove!”
“Ha ragione.” Le fece eco Cordula. “Dove
hai intenzione di andare, se non sei
in grado neanche di badare a te stesso?”
“Io so
badare a me stesso.”
“Quanto può riuscirci Meike.”
Ribatté impietosa. “Anzi, forse lei se la
caverebbe meglio. Non è orgogliosa, testarda e
viziata.” Soggiunse, facendolo
sentire esattamente quelle tre cose. “Dovresti mantenerti, ti
rendi conto?
Trovarti una sistemazione e un lavoro. Anche se ti lasciassi la
bacchetta di …
la comunità magica tedesca è molto chiusa. A
Berlino non c’è posto per un
ragazzetto inglese pieno di sé…”
“Forse non intendo rimanere in Germania.”
“Considerando che sai solo la tua lingua madre e il tedesco,
e male, credo
proprio che tu abbia due sole opzioni.” Rimbeccò.
Tom si frenò dallo scattare. Perché
Cordula aveva ragione: era cresciuto amato e accudito, e lì,
in Germania, era
stato trattato praticamente come un ospite.
“Imparerò.”
Rispose aspro.
“Non sono idiota.”
“Non lo sei,
certo, ma prima
di imparare a sopravvivere faresti meglio a finire di imparare ad
essere un
mago. Devi tornare a casa tua, pensavo lo avessi capito.”
“Non ho ancora deciso…”
Replicò: c’era una parte di sé, la
stessa che era
consapevole fosse solo un bamboccio viziato, che voleva
tornare a casa. Dalla sua famiglia, dalle sue due famiglie.
E l’altra,
pragmatica, che gli
faceva notare come a casa potessero aspettarlo anche diffidenza ed una
cella ad
Azkaban.
Sentì alla sua
destra la sedia
di Meike spostarsi di scatto. Si voltò in tempo per vedere
la bambina infilare
il corridoio. Poi il rumore della porta d’ingresso, sbattuta
con forza.
Cordula non disse nulla,
limitandosi a coprire il piatto della nipote.
“Ma che gli
è preso?”
“Non riesce a
capire cosa tu
abbia in testa…” Commentò dopo un
silenzio pesante come piombo. “Stai facendo
soffrire tutti. Chi ti aspetta a casa, te stesso e persino
lei…”
“Se ne andrà a Durmstrang.”
Osservò confuso.
Cordula non rispose subito,
di
nuovo. Bevve un sorso di birra. “Proprio non capisci, eh? Sua
madre l’ha
abbandonata e mio figlio è morto da babbano. Meike sa bene
quanto sia
importante avere una famiglia. Potrebbe accettare che tu torni a casa,
ma non
che tu scappi… come ha fatto sua madre.” Fece una
pausa in cui gli fece sentire
tutta la sua disapprovazione. Dannato sguardo acuto. “Ora
capisci, zucca
vuota?”
E Tom capì.
C’erano ancora un
sacco di cose che non sapeva, se ne rendeva conto ogni giorno di
più. Sulle
persone, sulle cose. Ma poteva sempre imparare. Del resto, era la cosa
che gli
riusciva meglio.
Uscì fuori, dove
batteva una
pioggia fredda e torrenziale. Meike stava correndo verso la scogliera,
ignorando lo scroscio d’acqua.
Sbuffò,
raggiungendola di
corsa, prima che si facesse venire la brillante idea di arrampicarsi
durante
uno scoglio durante la tempesta. La magia accidentale non avrebbe
sempre potuto
proteggerla.
“Meike!”
La chiamò, mentre il
rumore della sua voce si attutiva col rombo di un tuono.
“Meike, vieni qui!”
La bambina si voltò, avendolo evidentemente sentito.
“Va’ via!” Gli urlò, con
la faccia lucida d’acqua, o forse di lacrime. “Sei
uno stupido, Ian!”
“… Non è la prima volta che me lo
dicono.” Mormorò tra sé e
sé. “Lo so, sei
delusa.”
Meike si morse le labbra, piantandosi in mezzo al sentiero. La luce se
ne stava
andando, tramontando oltre il mare, rendendo difficile vederla. Poteva
solo
intuire dov’era. “Sì! Perché
hai paura?”
Tom esitò. C’era qualcosa
in quelle
due. Riuscivano sempre ad andare dritte al punto di tutti i suoi
pensieri. Non era
legimanzia, non era magia. Era una straordinaria empatia.
Inspirò, e poi le
rispose. Supponeva glielo dovesse.
“Perché
quando tieni a
qualcosa, sei sempre terrorizzato che qualcuno te la possa rovinare. E
vorresti
tenerla stretta, proteggerla e curarla… Ma la soffocheresti,
e forse così le
faresti ancora più male.”
In quei mesi aveva tacitato
il
violento bisogno di tornare e assicurarsi che Al non fosse diventato di
qualcun
altro. Che non l’avesse dimenticato. Che tutte quelle persone
che aveva
lasciato fossero ancora sue.
Era egoista, se ne rendeva
conto: ma non riusciva a smettere di pensarlo.
“Hai paura di fare
del male
alla tua famiglia?”
“Molta gente prima
di me
gliene ha fatto.”
“Sì, ma non è mica colpa tua, quello
che hanno fatto gli altri…”
Calcò sull’ultima parola. “Tu hai solo
paura! E non pensavo
che eri così!” Lo accusò apertamente.
“Mi dici che devo essere coraggiosa e
tenere duro per la nonna, che un giorno sarò una grande maga
e la porterò via
da questo posto… ma tu non sei per niente
coraggioso!”
“Meike…” I bambini erano orrendi specchi
della verità e Tom cercò di non
spazientirsi, o sentirsi particolarmente ferito. Fallì in
entrambi. “Torniamo a
casa, sta piovendo.”
“No! Tornaci
tu!” Proclamò
fiera, prima di dargli le spalle e cominciare a correre in direzione
della
collina che sovrastava la fattoria.
Tom soffocò un’imprecazione e le corse dietro; non
poteva lasciarla scorrazzare
per la campagna in mezzo ad un maledettissimo temporale con tanto di
lampi e
fulmini. Si chiese se prima che arrivasse lui Cordula lasciasse Meike
libera di
vivere la sue bizze in mezzo a fenomeni atmosferici potenzialmente
mortali.
Conoscendola era piuttosto
probabile. Quello è una scarica di ceffoni sul sedere al
ritorno.
“Meike!”
La chiamò
inutilmente, risalendo il crinale, reso scivoloso dal fango. Quasi
scivolò un
paio di volte, mentre Meike saltellava allenata di punto fermo in punto
fermo.
“Torna qui!”
Odiava i bambini.
Alla fine riuscì
a salire
senza incidenti, sebbene inzaccherato di fango fino ai gomiti. La
collina era
larga e piatta e si estendeva per diversi chilometri quadrati,
disseminata da
arbusti e alberi. Terminava in uno strapiombo che si gettava
direttamente sul
mare, bruscamente, quasi un coltello l’avesse affettato
lasciando intravedere
la polpa bianca, di calcare.
Meike si era fermata di
fronte
all’entrata del bosco. La raggiunse, afferrandola per un
braccio. Non si
sarebbe fatto fregare di nuovo. “Adesso torniamo a
casa.” La informò irritato.
Questo prima di vedere cosa
Meike stava guardando, a bocca letteralmente spalancata.
Un cancello.
Stava guardando un cancello,
alto più di sei metri, in ferro battuto e dalle volute
complicate. Quello e la
recinzione, sempre in ferro, che racchiudeva l’intera foresta.
…
e da dove spunta questo?
“… Non
c’è mai stato un
cancello qui…” Mormorò la bambina,
quasi leggendogli nei pensieri. “Non l’ho
mai visto!” Fece per toccarlo con una mano, ma Tom gliela
bloccò di scatto.
“Ehi!”
“Non toccarlo. È magico.”
Replicò, mentre un senso di allarme si faceva spazio
nella sua testa. “Se non l’abbiamo mai visto prima
è perché era disilluso. È
troppo vecchio per essere stato messo di recente… e comunque
avremo sentito i
lavori.”
Era magico, non
c’era ombra di
dubbio alcuno. E quel metallo, che a prima vista gli era sembrato
ferro, era
troppo lucido e scuro per esserlo. Non c’era ruggine, non
c’era salsedine
incrostata. Era fatto di un materiale che probabilmente neppure
esisteva nel
mondo babbano. “Andiamo via.”
“Non vuoi sapere cosa protegge?” Lo
apostrofò, mentre gli occhi le brillavano.
“Potrebbe esserci un castello! O un palazzo! Nonna non me ne
ha mai parlato,
potremo essere i primi che lo vedono!”
“Forse lo siamo. Tua nonna è una
maganò, potrebbe non sapere che esiste.
Probabilmente c’è un incantesimo di repello
babbanum. Funziona anche per i maghinò, se non
sono all’interno del
perimetro incantato…” Ricordava ancora quando il
sempiterno Mastro Gazza era
rimasto troppo a lungo ad Hogsmeade, una sera di dicembre.
L’avevano trovato il
giorno dopo mezzo assiderato alla stazione. Non era riuscito a trovare
l’entrata del castello.
“Io voglio
entrare!” Protestò
vivacemente, aggrappandosi alla sua mano, dimentica di averlo detestato
cordialmente fino ad un momento prima.
I
bambini sono così volubili…
“Se
c’è un castello forse c’è
anche un principe!”
“Ne dubito. Tua nonna saprebbe se ci fosse della
nobiltà magica nei dintorni…”
“Oh, lei non dice un sacco di cose! Se le
dimentica!” Replicò disinvolta.
“Può
darsi che si sia dimenticata di dirmi che qui vivono anche dei maghi!
Potrebbero
avere dei figli, dei bambini” Continuò. Tom poteva
capire il disperato bisogno
di Meike di stare trai loro pari. Ma quel senso di allarme continuava a
non
abbandonarlo. “Ti prego, Ian! Se l’hanno disicoso
forse stanno per tornare!”
“Disincantato.”
La corresse.
“Non credo che tua nonna si potrebbe dimenticare di avere dei
vicini di casa
maghi, Meike… Torniamo a casa. Torneremo domani.”
La blandì.
“Mi stai dicendo
una bugia!
Tu…” Non riuscì a finire la frase
perché Tom dovette acchiapparla da sotto le
braccia e tirarla via dalla traiettoria del cancello. Stava arrivando
una
carrozza a velocità sostenuta tirata, agli occhi della
bambina, da funi
invisibili.
Tom si nascose dietro il tronco di un albero, tirandosela contro.
La bambina si sporse per vedere. “Non ci sono i
cavalli!”
“Ci sono…” Mormorò a mezza
voce, mentre milioni di campanelli gli urlavano
nella testa. “Solo che non puoi vederli.”
Erano Thestral, dai dorsi scheletrici lucidi di sudore e pioggia e
dalle grandi
ali membranose richiuse attorno ai fianchi. Non c’era alcun
vetturino e la
carrozza appariva nera e priva di appigli o bagagli.
Era inquietante.
“Che vuol
dire?”
“Sono Thestral…” Le mormorò,
posandole una mano sulla testa, nel vano tentativo
di farle percepire che non doveva parlare ad alta voce. “Puoi
vederli solo sei
hai visto qualcuno morire.”
Lui aveva visto Ainsel Prynn. E gli era bastata per il resto della sua
vita.
Improvvisamente la carrozza,
freddo monolite apparentemente senza uscite, si aprì,
rivelando una figura
vestita di scuro, praticamente irriconoscibile alla scarsa luce del
temporale.
I movimenti erano veloci e pratici. Doveva essere giovane, Tom
riuscì ad
intuire soltanto questo.
Si accostò al
cancello e tirò
fuori dal lungo mantello invernale – considerando il tempo
era perfettamente
giustificato – una mano guantata. Lo vide togliersi il guanto
e posare la mano
nuda sulla serratura del cancello.
Quello si aprì di
colpo,
vibrando di un leggero lucore azzurrino. L’uomo
risalì dentro la carrozza e
quando il passaggio fu aperto a sufficienza, i Thestral ripresero la
loro
corsa.
“Entriamo!”
Propose o forse
ordinò Meike, cercando di divincolarsi. Ma Tom le era vicino
abbastanza da
poterla tenere ferma.
“No, è
pericoloso. Non
sappiamo che tipo di maghi siano i padroni di
casa…” La prese quasi di peso,
recalcitrante e se la mise di fronte, afferrandogli le spalle.
“Hai visto com’è
arrivato?”
“In carrozza!”
“In una carrozza senza segni identificativi, tirata da
creature che sono
invisibili alla maggior parte dei maghi. Non vuole che qualcuno lo
segua, mi
sembra evidente. Quindi noi non lo faremo. Torneremo domani, dopo che
tua nonna
ci avrà spiegato chi abita dietro questo
cancello.”
Meike si morse un labbro, riottosa. Poi guardò oltre il
cancello. “Domani.
Quindi resti fino a
domani.”
Tom suo malgrado sospirò. “Sì. Non
avevo comunque intenzione di…”
“Tu resti fino a domani!” Replicò la
bambina, afferrandogli la manica del
maglione e tirando. “Resta.”
Tom subito dopo si
sentì abbracciato.
La sua testa gli arrivava poco sotto lo sterno.
Sospirò,
stringendo appena la
presa. Non era mai stato bravo negli abbracci, e non lo sarebbe stato
mai. Era
Al, quello bravo per entrambi. “Promesso. Ora torniamo a
casa.”
****
Inghilterra,
Devonshire, Ottery St. Catchpole.
La
Tana. Notte.
Al
era seduto nelle scalette sul retro. La
festa era finita da un pezzo ed era ormai notte fonda. Tutti dormivano
nelle
loro camere. Tutti, tranne lui.
Si rigirò tra le
dita un
accendino, che però non lo era.
Al
guardava perplesso il padre accomodatosi sulla sedia
preferita di suo nonno Arthur, nella vecchia rimessa. Sembrava
pensieroso,
stimò.
“Senti papà, mi spiace…”
Aveva esordito, per spezzare il silenzio. “So di stare
rovinando la festa.”
Harry aveva sorriso, togliendosi gli occhiali per pulirseli. Spesso Al
si
chiedeva se fossero davvero sporchi o fosse una routine inconscia.
“Non stai
facendo nulla, Albie. Sta’ tranquillo.”
“Okay…” Aveva accettato, calciando un
batuffolo di polvere con la scarpa da
ginnastica. “Volevi parlarmi… di Tom.”
Richiamò, speranzoso.
“Ci ho pensato…” Aveva esordito il
padre. “Sai, devo dire che questa cosa ancora
non mi convince completamente. Tua madre se lo sapesse mi ammazzerebbe,
puoi
scommetterci. Ma forse c’è un modo per
trovarlo.”
“Quale?” Al aveva sentito il cuore dare
un’accelerata inquietante mentre
deglutiva ansia.
Harry aveva sospirato tirando fuori dalla tasca… quello che
sembrava un
accendino, soltanto leggermente più grande del normale e di
un materiale che
sembrava acciaio.
“Che cos’è?”
“Ah, giusto, non l’hai mai visto. Questo
…” Se l’era rigirato tra le dita.
“… è
il Deluminatore.”
L’aveva fissato confuso: sapeva a cosa serviva, ma cosa
poteva c’entrare con il
ritrovamento di Tom?
“Spegnere una luce ci aiuterà a
trovarlo?”
L’uomo aveva riso brevemente. “Temo neppure
metaforicamente… No. Quello che non
sai, e che io e tuo zio Ron abbiamo creduto che fosse giusto tener
nascosto, è
l’altro uso che si può fare di questo
oggetto.” Aveva preso un breve respiro.
“Con il Deluminatore si possono anche trovare le persone,
persino se sono lontane
chilometri, e persino se non sia ha la minima idea di dove potrebbero
trovarsi.”
L’aveva guardato incredulo. “Perché non
l’hai ancora usato allora?”
Harry aveva sospirato, passandosi una mano trai capelli. “Non
è così semplice.
Questa… diciamo altra funzione, non si attiva
automaticamente. Non è come farlo
scattare per spegnere un lampione. Si attiva tramite un
desiderio.” All’espressione
confusa del figlio si apprestò a continuare.
“Desiderio di essere vicino a
quella persona, di… sapere la strada per riportarla da
te.”
“Continuo a non capire… tutti vogliamo che
torni!”
“Ma non tutti possono farlo funzionare. Ci ho provato, mesi
fa. Appena ho avuto
la conferma che poteva esserci la possibilità che fosse
ancora vivo. Perché
vedi… nel caso funzionasse, ma Tom fosse morto…
la mia vita sarebbe stata in
pericolo. Se è morto… cosa succede alla persona
che desidera raggiungerlo?”
“… Muore.” Aveva terminato per lui.
“È così?”
“In via teorica, sì. Questo oggetto è
stato progettato e costruito da Albus
Silente in persona…” Gli aveva sorriso.
“Ma neppure lui probabilmente si era
reso conto dei suoi poteri… Come tutti gli oggetti magici,
può essere costruito
per uno scopo, ma finire per averne anche altri. Capisci cosa
intendo?”
“Credo di sì.” Aveva convenuto.
“… Ma perché non ci sei riuscito
papà?”
Harry aveva scosso la testa. “Non ne ho idea. Voglio bene a
Tom, lo sai… ma
evidentemente non funziona così. Tuo zio Ron
riuscì a raggiungere me e Hermione,
ma la situazione era diversa. Eravamo in mezzo ad una guerra, lui aveva
paura
che fossimo in pericolo… c’erano in gioco
sentimenti molto forti. Esasperati,
per meglio dire.” Aveva corrugato le sopracciglia, mordendosi
l’angolo del
labbro: era una cosa che aveva ereditato da lui. “Credimi, ci
ho provato.”
Al aveva esitato, posandogli poi una mano sul braccio. Vedere suo padre
impotente
era qualcosa che all’inizio di quella storia
l’aveva agghiacciato. Spaventato.
Per un periodo ce l’aveva avuta persino con lui,
perché non era in grado di
fare come quando era bambino: rialzarlo e consolarlo dopo che era
caduto e si
era fatto male.
Adesso
lo vedeva, lo vedeva veramente invece, con gli
occhi lucidi e lo sguardo abbattuto. E aveva
capito che dopotutto anche i genitori erano esseri umani, per quanto
sembrassero spesso irraggiungibili.
“Lo
so papà… So che se avessi potuto, saresti andato
a
riprenderlo. Perché gli vogliamo bene. Anche se è
uno stupido.”
Harry aveva riso, togliendosi gli occhiali per tamponarsi gli occhi con
il
fazzoletto. “Non hai idea di quanto fossi sciocco io alla
vostra età. Ma
probabilmente è giusto che sia
così…” Si rigirò tra le dita
ancora una volta
l’accendino, poi glielo aveva passato.
L’aveva preso, senza neanche pensarci: non che ce ne fosse
bisogno. Era
leggermente tiepido al contatto. Suo padre doveva averlo tenuto in mano
per
tanto, tanto tempo.
“Al,
ascoltami…” Gli aveva detto però.
“Voglio che tu
ti renda conto che potrebbe non funzionare. È successo solo
una volta e non è
detto che si ripeta.”
Annuì. “Lo so. Ma… se
funzionasse?”
“Se funzionasse…” L’aveva
guardato dritto negli occhi, e Al si era sentito
inspiegabilmente orgoglioso. Suo padre si stava fidando di lui. Da uomo
a uomo.
“Sapremo dove trovare Tom.”
“Cosa
dovrebbe succedermi?”
“Dovrebbe apparirti una sfera blu, molto luminosa. Ti
entrerà nel petto, ma non
preoccuparti, non farà male… sarà
solo… calda, credo. A
quel punto saprai dov’è Tom. Ma devi
pensarlo… e anche lui deve pensare a te. Ci
dev’essere una comunicazione tra …
bisogni, diciamo.”
Gli aveva sorriso: era un sorriso lievissimo, persino un po’
triste.
Se solo sapessi
papà…
“Credimi
papà, nel mio caso non è decisamente un
problema.”
Harry gli aveva arruffato i capelli, alzandosi in piedi.
“Adesso è meglio se
torniamo alla festa. Tua madre si starà chiedendo dove siamo
spariti .”
… E questo lo
riportava al
momento attuale.
Aveva aspettato di sentire suo cugino Fred russare nel letto accanto al
suo e
poi era uscito. James aveva il sonno talmente pesante che anche quando
aveva
sbattuto contro i suoi piedi, uscendo, non si era svegliato.
Si rigirò il
deluminatore tra
le mani. Se le sentiva sudare.
Deve
funzionare. Non può non funzionare.
Se lo
strinse nel pugno finché non
sentì che gli faceva male. Poi lo aprì con uno
scatto secco, e sfregò il
pollice contro la pietra focaia, producendo un click!
metallico.
Portami
da Tom. Portami da lui. Ho bisogno di lui e
quel testone ha bisogno di me. Ne ha sempre avuto bisogno.
Portami
da Tom.
Soffocò
un’esclamazione di
sorpresa quando vide quella sfera di luce azzurrina materializzarglisi
davanti,
simile alla luce fioca di una passaporta, o un fuoco fatuo.
Ha
funzionato!
Si
sentì trattenere il respiro mentre
si andavano vicendevolmente incontro. Avrebbe saputo finalmente dove si
trovava. Finalmente.
Aspettò che gli
entrasse nel
petto, immobile nonostante si sentisse il cuore in gola. La sfera gli
lambì il
cotone leggero della maglietta prima di entrargli dentro. Fu come aver
bevuto
un sorso di burrobirra bollente; non fu una sensazione spiacevole.
Quello che fu spiacevole, fu
sentirsi compresso in quello che sembrava terribilmente una
materializzazione.
Realizzò solo in
quel momento
che non gli aveva chiesto di trovarlo, ma di portarcelo.
****
Germania,
Isola di Rügen, Putgarten.
Fattoria dei Wollin. Notte.
“E poi il
cavaliere nero fece
pace con il suo amico, il cavaliere bianco?”
“Naturalmente. Tornarono al castello assieme, per altre
mille, emozionanti,
avventure.”
Meike sorrise soddisfatta, considerando che era riuscita ad estorcergli
una
storia. Non che capitasse spesso. Tom era più che certo di
avere una fantasia
ridicola, più che altro atta a rielaborare libri che aveva
letto durante i suoi
diciassette anni di vita. Ma alla bambina sembrava non importare.
“Adesso dormi.” Le intimò, ottenendo per
tutta risposta una linguaccia. “Dico
sul serio. È tardi, se tua nonna ti trova ancora sveglia si
arrabbierà.”
“Oh, va bene.” Replicò tranquilla.
“Buonanotte Ian.”
“Buonanotte.” Tom fece per uscire dalla stanza,
mentre spegneva la luce.
“Ian?”
Sospirò, ma non se la sentì di irritarsi. Non
quella sera. “Cosa?”
“Il tuo amico cavaliere bianco è bello come
dici?” Chiese, con quella vocetta
sempre venata di curiosità.
Fece finta di pensarci.
Sorrise. “Naturalmente.”
“Un giorno me lo farai conoscere allora?”
Tom sospirò
divertito.
“Buonanotte Meike.”
Scese le scale e vide
Cordula seduta
sulla poltrona davanti alla tv. Proiettavano un vecchio film in bianco
e nero,
ma lei dormiva. Si avvicinò e le tolse il bicchiere di
liquore dalla mano e si
assicurò che fosse ben coperta.
Tutti e due avrebbero
trovato
imbarazzante quel gesto, ma quella sera glissò. In ogni caso
dormiva.
Poi uscì.
Fuori aveva smesso di
piovere
ed era uscito un sottile spicchio di luna, poco più che una
parentesi nel cielo
nuvoloso. Si incamminò verso il faro, mentre
l’erba bagnata gli lambiva i
pantaloni, infradiciandogli le scarpe.
Il
castello sulla collina…
Non pensava fosse abitato da
gente cordiale, così, d’istinto.
Quindi
le luci che i ragazzi del villaggio vedevano
erano quelle del Castello… Interessante.
Ma
non devo farmi coinvolgere.
Aprì la porta di
legno con un
colpo secco della mano, prendendo la bacchetta e sussurrando un lumos.
E capì,
d’improvviso, di non
essere solo in quel brulo pezzo di terra che digradava verso il mare.
C’era qualcuno che
stava
risalendo lungo la stradicciola impervia che portava dalla fattoria
alla
scogliera.
Il Faro era a
metà strada.
Sentiva dei passi, per una
bizzarra
confermazione acustica di quel luogo.
E considerando che quel
sentiero faceva parte della proprietà dei Wollin, e quindi
era privato…
Diresse il fascio di luce della bacchetta verso il delimitare dello
steccato e
aprì il cancello di legno. La luna era di nuovo stata
oscurata da un grosso
accumulo di nubi e non vedeva oltre al suo naso.
Ma i passi, quelli, poteva
sentirli.
Richiuse dietro di sé lo steccato. I passi erano sempre
più vicini.
Eppure, la cosa assurda era che non si sentiva in pericolo; si era
sentito
molto più in allarme quando aveva scoperto quel cancello.
Era più… aspettativa.
“Chi c’è? Fatti vedere!”
Chiese in tedesco. I passi si fermarono di colpo, come
erano apparsi. Poi ripresero. Stava correndo adesso.
Svoltata la curva creata da una roccia che franata anni prima lo
avrebbe visto.
Vedrà prima la mia
bacchetta…
Ed è quello che l’altro vide, infatti.
Ma lui vide chi era
l’altro.
Era…
“Al…”
****
Note:
Cliffhanger! :D
Mi odiate, lo so. Qui
la canzone totem.
Per chi vuole vedere la
piccola Meike… questa simpatica bambina
Qui rende bene l’idea.
|
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Capitolo 5 *** Capitolo IV ***
Un giorno prima, per motivi
logistici!
Mi dispiace di non aver
fatto
in tempo a rispondere alle vostre meravigliose recensioni. Purtroppo
sono (di
nuovo) in partenza, stavolta per la montagna. E lì,
ovviamente, non arriva
neanche il telefono. Internet viene guardato con odio e sospetto,
quindi,
capite… :/
Ringrazio ognuno di voi, se
riesco salvo le recensioni e rispondo integrandole con le prossime! :D
Grazie! Un benvenuto a Neely!
****
Capitolo IV
If I
traded it all, if I gave it all away
For one thing, just for one thing
If I sorted it out, if I knew all about
This one thing wouldn’t that be
something¹
(One Thing, Finger Eleven)
Germania
del Nord, Isola di Rügen.
Notte.
Era stato un atterraggio
traumatico.
Il Deluminatore non era una
passaporta e ovviamente non si era comportato come tale.
Ad Albus era sembrato di
essere stato disintegrato e poi,
certo, ordinatamente ricomposto.
Questo prima di essere
scaricato su una spiaggia, in mezzo all’acqua limacciosa
della battigia, la cui
sabbia assomigliava più a sassi che altro.
Era crollato violentemente
di
schiena, come se fosse stato sbattuto impietosamente da una mano
esterna. Era
dovuto passare più di qualche attimo prima che riuscisse a
capire di essere
ancora vivo.
Quando si era rialzato, si
era
trovato di fronte il mare.
La sorpresa era stata tale
che
per quasi un minuto l’aveva contemplato stupefatto: il
silenzio lì era
perfetto. Non si vedevano forme di vita, né navi,
né città. Era stato portato
in una piccola baia, racchiusa su se stessa. Si era rialzato, cercando
a
tentoni la bacchetta nella tasca dei jeans. L’aveva ritrovata
solo qualche
attimo più tardi, conficcata nella sabbia come una piccola
spada nella roccia.
La ghiaia marina crepitava
sotto le suole delle sue scarpe da ginnastica quando si era allontanato
verso
la spiaggetta. Il mare sembrava infinito, senza isole o confini di
mezzo.
Era un oceano.
Spirava un vento gelido,
inadatto alla sua maglietta di cotone sottile, peraltro fradicia.
Dovunque fosse, quella non
era
l’Inghilterra.
Non
siamo più in Kansas, Toto… - Aveva pensato, citando un film
babbano che Lily
adorava.
Aveva cercato di orientarsi,
senza trovare un solo punto a lui familiare. L’angoscia
l’aveva assalito
allora, e aveva stretto il Deluminatore fino a sentirlo diventare
bollente come
la sua mano. Se l’era infilato in tasca poi, al sicuro. Suo
padre non poteva
sbagliarsi, questo era stato l’unico pensiero che non
l’aveva fatto scivolare
nella paura più genuina. Se il Deluminatore
l’aveva portato lì, significava che
lì c’era Tom.
Quando gli occhi si erano
abituati alla luce lattiginosa della luna che ogni tanto si degnava di
far
capolino tra le nubi, aveva scorto una sorta di piccolo sentiero
inerpicarsi
per la parete di roccia che formava un muro a strapiombo di fronte a
sé.
Sembrava stato fatto da mani umane, il che significava che
probabilmente non
doveva trovarsi in un posto disabitato.
Si era fatto coraggio, aveva
stretto la bacchetta e si era incamminato per il sentiero, abbastanza
largo da
fargli dimenticare che sotto di sé c’era centinaia
di rocce aguzze.
Aveva freddo, era confuso e
spaventato… ma c’era qualcosa che lo muoveva,
qualcosa che gli faceva mettere
un passo dietro l’altro.
La speranza che Tom potesse
essere lì.
E poi c’era la
paura: e se Tom
fosse stato in pericolo o in una brutta situazione?
Sapeva che sarebbe stato
utile
più o meno come un cagnetto. L’esperienza
dell’anno scorso aveva solo
rafforzato la sua convinzione di non essere un uomo d’azione.
James era quello
che sguazzava nelle situazioni estreme; lui preferiva rimanere in
disparte e
pianificare.
Davvero
ironico che poi in situazioni del genere ci
finisca sempre io…
Aveva risalito lo
strapiombo,
ringraziando i suoi allenamenti di Quidditch annuali, con un leggero
fiatone ma
le ossa ormai gelate; infatti il vento gli frustava i vestiti umidi,
appiccicandoglieli addosso. Capì di stare tremando solo
quando vide la sua
bacchetta ondeggiargli davanti al naso.
Poi sentì
qualcosa. Non era
certo di cosa fosse stato, se un rumore di passi o di erba calpestata.
Quello che aveva sentito
dopo
invece, era stato chiarissimo.
Era la voce di Tom.
Era la sua voce, anche se
parlava
in una lingua che non conosceva.
Era stato come essere
investito da un tifone di sentimenti completamente diversi
l’uno dall’altro.
C’era stata gioia, speranza, confusione. E poi rabbia e di
nuovo confusione.
Aveva dato retta
all’istinto e
non alla sua ragione; era corso verso la voce.
E poi c’era stato
lui.
Tom, ancora più
allampanato e
magro di come ricordava – ma forse era solo una sua
impressione.
Tom coi capelli lunghi a
lambirgli il collo e gli occhi scuri, perché avevano il
colore del mare. Sia di
giorno, che di notte. Si era reso conto solo in quel momento di quanto
lo
riflettessero veramente, e non fosse solo un accostamento poetico.
Era Tom. Vivo, che respirava
e
stava di fronte a lui come otto mesi prima. E l’aveva
riconosciuto, aveva
capito chi era: aveva visto il lampo di sgomento che gli aveva
attraversato il
viso.
Si ricordava di lui, stava
bene ed era da solo.
E
non è tornato.
L’aveva pensato di
colpo. E sempre
di colpo non si era mai sentito così infuriato in vita sua.
****
Era Al.
Esserselo trovato davanti
era stato
come essere stato costretto a respirare sott’acqua.
Si era sentito affogare,
letteralmente.
Il respiro gli si era
bloccato
per lunghi momenti all’altezza del petto, senza riuscire ad
uscire.
Ripresosi dal momentaneo
sgomento, non sapeva cosa fare.
Si umettò le
labbra.
“Al…”
Chiamò di nuovo. “Cosa…
che cosa ci fai qui?” Gli chiese, sentendo le sue orecchie
riabituarsi al suono
della sua lingua madre. Era stranissimo.
Al era lì, e
ovviamente stava
bene. Doveva stare bene. Ma
c’era
qualcosa nella sua espressione, nei lineamenti del suo viso, di maturo.
Qualcosa che aveva poco a che fare con la persona che aveva lasciato
otto mesi
prima.
Al era sempre Al, ma lo
sentiva cambiato. E la cosa lo smarriva. Orribilmente.
L’altro ragazzo
intanto sembrò
essersi scongelato dalla sorpresa. “Che
vuol…” Disse, così piano che quasi gli
sembrò di non sentirlo. “… Che vuol
dire?” Fece una pausa, in cui vide la sua
espressione stravolgersi, da sbalordita a furiosa. “Tu stai bene.”
Tom non capì subito a cosa si riferisse. Gli sembrava quasi
che fosse un sogno,
frutto della sua mente. In realtà non era lì, ma
al faro, nella sua stanza, a
dormire.
“Sì,
io…” Tentò, ma fu subito
fermato.
“Tu
stai bene!” Ripeté, e il tono di voce
alzò di volume. “Ed io non
lo sapevo!”
Tom serrò appena le labbra. “Al,
io…”
Maledizione.
Non c’erano scuse, se ne accorse con terrore mentre vedeva lo
sguardo
dell’altro ragazzo passare da un’emozione
all’altra con la velocità di una
giostra impazzita. Le poteva riconoscere tutte, perché Albus
era un libro
aperto quando era sotto pressione.
E gliele aveva scatenate
lui.
C’era qualcosa,
terribile a
dirsi, che dentro di lui esultò.
“Rispondi!” Lo
incitò, mentre la linea delle sopracciglia sottili si
corrugava così tanto da confondersi,
nella penombra. “Che significa tutto questo Tom? Dove siamo?
Che diavolo ci fai
qui, quando sai che ti aspettiamo tutti a casa? Che hai fatto in questi
fottuti
otto mesi?!”
Tutte ottime domande. Tutte
domande giuste a cui doveva rispondere.
Ma…
Non voleva parlare, voleva
toccarlo. Così violentemente che gli mancava il fiato. E non
se lo meritava, e
non era appropriato, e non era giusto.
Ma
è ciò che voglio.
Provò a muovere
un passo, Al però
fu più veloce di lui. Gli puntò la bacchetta al
petto; la sentì premere contro
l’osso dello sterno, dolorosamente. Si arrestò
immediatamente.
“Che vuoi
fare?” Gli chiese
guardingo.
Non era così
stupido da non
rendersi conto che non lo stava semplicemente allontanando: gli stava
dicendo a
chiare lettere che non lo voleva neanche nel suo spazio personale.
Guardò le labbra
dell’altro,
tese fino allo spasimo in una linea sottile, e i suoi occhi, enormi,
adesso
ridotti in una linea sottile.
È
ciò che ti meriti. Che ti odi. Gli avevi promesso che
ci saresti sempre stato.
Invece
lo hai abbandonato. Li hai abbandonati tutti.
“Non ti azzardare
a toccarmi!”
La sua voce ebbe l’effetto di una frustrata bollente.
“Voglio sapere perché
sono qui adesso! Sono arrivato con il deluminatore, lo sai?”
Lo tirò fuori
dalla tasca. Era davvero un accendino, come Harry gli aveva sempre
detto. “Sono
venuto io. In questi
mesi… in questi
mesi hanno tutti pensato che fossi morto! Tutti!
Tutti tranne io e papà!” Continuò
mentre la voce gli si riempiva di respiri
spezzati. “E mi dicevo che eri… che
stavi…”
“Al.” Lo fermò: la verità era
che non sapeva cosa dire. C’erano milioni di
motivi che in quei mesi l’avevano spinto ad allontanarsi
della sua vecchia
vita. A tentare, in realtà, di farlo.
Ora gli sembravano tutti
ridicoli, meschini e vergognosi.
Al sembrò scosso
da un brivido
violento. Scosse la testa. “Non
voglio
ascoltarti…” Ringhiò. “No,
io… Dannazione!” Sbottò
d’improvviso. “Perché…
perché mi hai fatto questo? Hai idea di
cosa…”
Tom decise di lasciar perdere le spiegazioni. Qualsiasi cosa avesse
detto in
quel momento, non sarebbe servita a nulla. Scattò
e gli afferrò un braccio di colpo. Non
era intelligente, anzi, era controproducente un gesto del genere. Ma
aveva
bisogno di una reazione. Aveva bisogno di sentirla.
A volte le parole erano
decisamente sopravvalutate.
La reazione di Al fu
ovviamente repentina e violenta. Si tirò indietro di colpo,
come ustionato.
“No!” E gli lesse nello sguardo timore e ira.
Mi
vuoi. Mi vuoi toccare anche tu, ma sei troppo
arrabbiato per farlo.
E
ti detesti, perché lo vuoi…
Si aspettava anche il pugno
che ne conseguì, visto che aveva previsto che avrebbe
mollato la bacchetta. Albus
non lo avrebbe mai colpito con un incantesimo se era disarmato. Faceva
parte
del suo lato grifondoro. A quel punto gli afferrò il polso e
se lo strattonò
addosso.
Che
devo fare? Che gli devo dire?
Al si divincolò.
Sentiva i
suoi vestiti fradici sfregargli contro la pelle nuda delle mani.
È
caduto in acqua, dannazione…
“Al,
smettila!” Lo apostrofò,
bloccandogli le braccia. Si sarebbe fatto male, avrebbe fatto male ad
entrambi.
Gli stava persino tentando di graffiargli i polsi per liberarsi.
“Smettila!”
Continuò a ripeterglielo un
paio di volte. Al lo ignorò, lottando con tutte le sue forze
per levarselo di
dosso.
Ti
prego smettila… lo so. Lo so che ho sbagliato. Odiami,
se vuoi. Ma smettila di fare così.
Smettila
di farmi capire quanto ti ho fatto male.
Avrebbe voluto dirglielo: ma
era la cosa giusta da dire? Avrebbe funzionato?
Non lo sapeva. Nessuno aveva mai pensato di insegnarglielo.
Poi finalmente Albus
crollò.
Lo sentì tendersi come una corda contro di sé, e
sentì persino vibrare sul
petto l’urlo di frustrazione soffocato dalla stoffa del suo
maglione.
È
tutta colpa tua.
Questo sembra dire
quell’urlo.
Lo sentì poi
respirare forte
contro la propria spalla, tirando respiri secchi e densi. Poi
finalmente lo
toccò di rimando, anche se solo per scostarsi.
“Stai
tremando.” Disse con
calma surreale, come se fino ad un momento prima non avesse cercato di
prenderlo a pugni.
Tom batté le palpebre e si guardò le mani. Era
vero: teneva talmente i muscoli
in tensione che quelli, oltraggiati, avevano cominciato a dar segnali.
Passò un lungo,
enorme momento
di silenzio. Tom fece violenza su sé stesso, di nuovo, per
impedirsi di fermarlo
quando si staccò definitivamente da lui.
Poi l’altro
ragazzo si
ricompose: aveva gli occhi lucidi, febbricitanti,e
l’espressione di chi non
aveva ancora deciso bene cosa provava. Ma c’erano bisogno di
parole adesso, e
spiegazioni.
Lo sapevano entrambi.
“Abiti
qui?”
“Al faro. Nel
faro.” Specificò. “Sei
bagnato. Sei…”
“Caduto, dentro l’acqua.” Concluse,
brusco e senza guardarlo negli occhi.
“Portami lì. Sto morendo di freddo.”
Era un ordine bello e buono. Tom non si sentì in grado di
opporsi. Non gli
restò che annuire e fargli cenno di seguirlo.
Era ridicolo, egoista e
folle.
Ma sentiva come se il suo cuore avesse di nuovo cominciato a battere.
Era
doloroso, perché era rimasto fermo per otto mesi.
Ma andava bene.
****
Al non riusciva a smettere
di
tremare.
E non solo fisicamente,
mentre
seguiva Tom per un sentiero tra il sabbioso e l’erboso,
evitando di riempirsi i
calzini di sabbia.
Stava tremando dentro. Incessantemente. E di rabbia.
Tom… beh, era
sempre Tom.
Muto.
La sua schiena era magra,
persino con quel maglione di lana grossa che lo proteggeva dal vento.
Era
dimagrito ancora. Di lui aveva
visto
tante volte la schiena.
Troppe.
Poi si voltò,
indecifrabile
come al solito. “Siamo quasi arrivati.”
Indicò con un cenno della testa una
costruzione torreggiante, che si intravedeva tra la boscaglia che
stavano
costeggiando. “Quello è il faro.”
“Okay.”
Disse semplicemente,
concludendo la breve conversazione. Ripresero a camminare.
Gli sembrava di essere ai
lati
opposti di un fiume profondissimo.
Otto mesi potevano spazzare
via quegli anni?
Otto mesi potevano spazzare
via quello che c’era stato tra di loro?
Non era una cosa tra due
vecchi amici. Forse, da un certo punto di vista, non lo era mai stata.
Certo, poteva intuire
perché
Tom si fosse comportato in quel modo. Perché avesse deciso
di nascondersi.
Davvero, poteva arrivarci, almeno concettualmente.
Ma rimaneva il fatto. Ed era
quello a farlo infuriare.
Tom
ci ha abbandonati.
Inspirò
leggermente, cercando
di ricacciare il groppo che gli attanagliava la gola.
Il ragazzo si
fermò davanti
all’entrata, spingendo la porta con una mano. Quella
cigolò e si aprì,
rivelando un ambiente buio e dall’odore tipico delle
soffitte.
“Non
c’è luce elettrica qui
dentro… È meglio se usi la bacchetta.”
Gli spiegò. Il tono era neutro. Ad Al
venne voglia di urlare.
“Va
bene.” Rispose invece,
tirandola fuori e castando un lumos
sottovoce. Anche con quello non si vedeva granché e Al
procedette a tentoni per
gli scalini ripidi e scivolosi del faro. Vide Tom aspettarlo, ad ogni
singolo
scalino. Lo vide contrarre e decontrarre la mano. Capì. Ma
lo ignorò. Non
poteva lasciare che gli prendesse la mano per aiutarlo.
Non
te lo meriti più.
“Fai
strada.” Fu ostile, e
vedere l’ombra di delusione passare nello sguardo di Tom lo
fece sentire
malignamente soddisfatto. Tom non poteva ribellarsi, e non poteva
neanche
azzardarsi a muovere una protesta.
Era una soddisfazione che
non
lo soddisfaceva granché, comunque.
Entrarono così,
con un
delizioso silenzio pieno di disagio, dentro l’ambiente della
lanterna. Era
stato organizzato come una piccola stanza, con una branda, un tavolino
da
picnic e un fornelletto elettrico, usato forse per riscaldare
l’acqua del
bollitore che Tom aveva afferrato, quasi fosse un’ancora di
salvezza.
Non
riesce a non fare a meno del the, neanche qui.
Si rifiutò di
farsi intenerire
dalla cosa.
“Vuoi un
the?” Propose
l’altro, a bassa voce. Si sentiva il suo sguardo addosso. Era
tutta
suggestione, ovviamente, ma si sentiva quasi accarezzare.
Represse un brivido. Non era
il freddo.
“No.”
Negò, per il puro e
semplice gusto di farlo. Tom
gli lanciò
un’occhiataccia, intuendolo al volo.
Almeno
certe cose sono rimaste le stesse…
“Vuoi dei vestiti
asciutti?”
Propose di nuovo.
“Me li posso asciugare con la magia.”
Replicò e lo fece. Non era come avere dei
vestiti caldi addosso. Erano ancora gelidi e resi rigidi
dall’acqua salmastra.
Ma glissò.
Tom tenne ancora per un
attimo
il bollitore tra le mani, poi lo posò. “Immagino
che dovremo parlare…”
“Parlare Tom? E di cosa?”
Sentiva la rabbia congelargli la stomaco e le pulsazioni a mille: aveva
voglia
di prenderlo a pugni. Ma la fase ‘rabbia cieca’ si
era esaurita prima.
C’erano altri modi
per punirlo, dopotutto.
Tom corrugò le
sopracciglia.
Sembrò confuso e per un attimo lo guardò quasi
smarrito.
Ti
eri aspettato che ti piagnucolassi addosso,
implorando spiegazioni?
Troppo
facile.
“A che gioco stai
giocando?”
Gli chiese, con voce tesa. “Io…”
“A che gioco stai giocando tu?”
Replicò, sedendosi sulla branda. Si sentiva spossato, come
dopo una lunghissima
sessione di allenamenti sotto il piglio di ferro di Zabini. “Otto mesi, Tom.”
“Lo so.”
Replicò a denti stretti.
“Pensi che sia stato facile per me? Non sai neppure
cosa…”
“Ovvio che non lo so. Non so niente.”
Strinse tra le dita la la coperta ispida del letto. Assomigliava alla
pelliccia
delle grandi occasioni di Hagrid. Si chiese brevemente come Tom
riuscisse a
dormirci senza disgustarsi. “Potevi essere morto, vivo o
catturato da John Doe.
Potevi essere dovunque o non
essere.”
Sentiva la voce alzarsi di tono, di nuovo. Fece una pausa, per
riprendere fiato
e controllo; strillargli addosso e piangere non sarebbe servito a
nulla. “Papà
non è riuscito a dormire per notti intere… i tuoi
genitori sono distrutti. Non
sanno neanche se devono piangere su una tomba o meno. Tua sorella ci
odia. Papà
ha evitato per un soffio un incidente diplomatico trai due mondi, per
evitare
che zio Dudley raccontasse tutto alla polizia. Ti rendi almeno
conto?”
Tom serrò le
labbra in una
linea sottilissima. Lo vide tentare di muovere qualche passo, poi
decidere di
rimanere fermo. “Sì.”
“Davvero?” Lo apostrofò crudele.
“Dovevo…”
Sospirò bruscamente.
“Sono stato male. Non riuscivo a capire dov’ero,
non riuscivo neanche ad
alzarmi dal letto per andare in bagno.”
Al ignorò la
fitta di puro
panico e preoccupazione che gli trafisse il cuore.
“Quanto?” Chiese invece.
“Tre mesi.”
“E il resto dei cinque mesi?”
“Ho capito!” Sbottò aggressivo. Si
passò le mani trai capelli, ravviandoli
senza successo, visto che li aveva troppo lisci perché non
gli tornassero sugli
occhi. “Merlino, ho… lo so. Ho capito.”
“Se
l’avessi capito non sarei
qui.” Era come recitare, stimò stupito. Sentiva la
sua voce pacata e fredda, quando
dentro di sé aveva voglia solo di prenderlo a calci e poi
scoppiare a piangere
come un bambino frustrato. “Non sarei fradicio e con un
accendino arrugginito
in mano altrimenti.”
“Se non fossi voluto tornare, tu non saresti qui.”
Replicò di getto Tom, per
poi finire in una specie di mormorio. “Il Deluminatore si
attiva quando…”
“… quando il desiderio è presente da
parte di entrambi.” Finì per lui, fingendo
di non vedere che stava tentennando da dieci minuti, sporto
inconsciamente
verso di lui. Spesso il corpo di Tom ignorava la sua introversione e
mandava
segnali grossi come fanali all’altra persona, sperando che
captasse.
Vuoi
toccarmi? Non puoi.
Non doveva farsi impietosire
comunque. Non doveva cedere.
“Ti ho
chiamato.” Esordì. “Vi
ho chiamato. Volevo tornare.” Continuò. Poi si
voltò, dandogli le spalle,
fingendo di mettere a posto il bollitore senza poi farlo. “Ma
lo sai… Sai
cos’ho fatto. Sai che ho rischiato di ammazzare te e zio
Harry.”
“Ma non l’hai
fatto.” Calcò la parola
sulla particella avversativa. Amava le particelle avversative.
“Doe voleva
uccidermi e prendersi la bacchetta. Tu lo hai spinto via, e sei caduto
dentro
la passaporta.” Gli ricordò. “Mi hai
salvato la vita, Tom!”
“Se ti avesse
ucciso non avrei
sopportato di sopravvivere. In ogni caso, non ci perdevo
molto.” Disse con una
semplicità talmente disarmante che fu un vigoroso colpo contro la parete che stava
cercando di
costruire per punirlo. “E ci sono studi che dimostrano che
anche le passaporte mal
funzionanti possono comunque materializzare.”
“Te lo stai inventando.”
Tom gli lanciò
un’occhiata da
sopra la spalla. “Già.” Ammise.
“Avete fatto ricerche, vedo…”
“Solo per sapere se avevi bisogno di una tomba.”
Ironizzò sentendo tornare il
familiare senso di dolore e desolazione. Si focalizzò sul
fatto che con Tom ci
stava parlando.
“Cos’è
successo… dopo?” Gli chiese,
voltandosi e guardando di nuovo il bollitore. Parve riflettere, poi ci
verso
una bottiglietta d’acqua e accese il fornelletto. Lo fece
senza bacchetta e non
alla maniera babbana. Ci passò semplicemente la mano sopra.
Al inghiottì
un’esclamazione di meraviglia.
Dannato
straordinario stronzo… Hai fatto l’eremita, ma
figurati se hai smesso di studiare.
“Molte
cose.” Finse
indifferenza. “La Prynn era un agente della sicurezza magica
americana. Doveva
tenerti d’occhio, ma era corrotta. Il governo americano ha
finto di non saperne
niente fino alla fine. Papà e la Direttrice erano furiosi.
Poi zio Dudley ha
minacciato di mandare all’aria lo Statuto di
Segretezza… comunque la cosa è
stata risolta subito. Papà ha molto ascendente su di
lui.”
Tom fece un mezzo sorriso divertito. “E su chi non ce
l’ha?”
“Su di te. Non si
spiega
altrimenti perché tu abbia fatto una scelta così
egoista.” Replicò. Tom serrò
le labbra, lo guardò minaccioso, ma non rispose. Non poteva,
e lo sapevano
entrambi. “Ad Hogwarts le cose sono state più
difficili. I genitori erano in
ansia, un sacco di conferenze stampa ed interviste. Comunque sono
riusciti a
tenere fuori la stampa, e quindi la gente, dalla cosa dei Doni della
Morte. È
stata divulgata la storia del tuo rapimento
però…” Aggiunse spiandone le
reazioni. “Ora tutti sanno che sei un purosangue con una
famiglia orribile. Ma
è tutto qui.”
Tom non diede segno di
essersela presa. Annuì semplicemente. “E la
Bacchetta di sambuco?” Guardò
quella che aveva in mano.
“Dov’è?”
“In un posto molto
più sicuro
di prima. Ed è tornata a papà, ovviamente. Mi ha
disarmato.” Si era sentito
molto più leggero dopo. In ogni caso Fanny era rimasta.
Quello gli aveva fatto
piacere invece. “Mi sono ripreso la mia.”
“Capisco…”
Rimasero in silenzio. Al
sentì
le gocce di pioggia battere violentemente contro la vetrata.
L’ambiente dentro
era stranamente caldo, illuminato dalla luce di una ventina di candele
posizionate in punti strategici. Gli ricordava un po’
Hogwarts.
Tom si versò del the, prendendo la tazza tra le mani e
sedendosi al tavolino.
Non lo bevve però.
A quel punto glielo chiese.
“Perché?”
Non c’era bisogno di aggiungere altro, il resto della domanda
era implicito.
Perché
non sei tornato?
“Avevo
paura.” Ammise, e un
altro pezzo del muro cadde con un tonfo sordo. Era stupido, ma in fondo
conosceva Tom. Sapeva quanto gli
costasse, per quanto fosse assolutamente idiota non ammettere le
proprie
debolezze. “Io… pensavo che sarebbe stato meglio
se non fossi tornato.
Inizialmente volevo. Ma poi… ho pensato.”
Fai sempre dei gran casini quando pensi… - Ma non lo disse.
Ormai sarebbe stato
solo crudele infierire.
“A cosa
pensavi?” Chiese
invece.
Tom sospirò.
“A chi ero, al
motivo per cui ero entrato nella vostra famiglia. Motivi sbagliati,
oppure
caso… Ma io sono stato…”
Inghiottì la parola come fiele e per un attimo i suoi
lineamenti furono attraversati da un brivido di disgusto.
“… creato…
per uno scopo.”
“Non pensi che io sia felice che tu sia vivo?” Gli
chiese, serio. “Che… non sia
felice che qualcuno ti abbia dato la possibilità di
esistere, che ci abbia
dato, anche se non volendo, la possibilità di
conoscerci?” Il tono suonava come
un’accusa, e da parte sua lo era davvero.
Non
mi importa per quale diavolo di motivo sei nato,
Tom.
Mi
importa di vederti vivere.
Tom distolse brevemente lo
sguardo, per poi riportarlo su di lui. “Non ho detto
questo…”
“Bene, non dirlo mai.” Replicò,
inspirando. “Non importa da chi o come si
nasce, ma come si decide di vivere la propria vita, papà lo
dice sempre.”
“Ma io ho un passato.” Rimarcò con
rabbia malcelata, e dolore. Al se lo sentì
addosso come una cappa opprimente. “Il mio corpo, il mio
viso, i miei occhi…
possono essere quelli del figlio di Hohenheim, ma… chi
sono…”
Al scattò e annullò la distanza tra di loro. Gli
afferrò un braccio, sentendolo
freddo e ossuto. La cosa gli strinse il cuore: perché era
così maledettamente
freddo, se era più asciutto e meglio coperto di lui?
“Tutto questo
è Tom. Tu non
sei il figlio di quell’uomo e non sei Voldemort.”
“Ma potrei diventare come lui.”
Replicò, liberando il
braccio. Sembrava però sorpreso dall’improvvisa
vicinanza. Non scostò la sedia
infatti. “Nessuno nasce malvagio. Lo si diventa.”
“Non lo
diventerai.” Sussurrò.
Le sue dita cercarono la spalla dell’altro, sfiorandola.
“Non lo diventerai…
perché sei troppo scemo.” Concluse con mortale
serietà.
Sbuffò divertito, passandosi una mano sul viso.
“Sì, forse è vero.”
Al distolse lo sguardo,
rendendosi conto di essere troppo vicino.
Voglio
toccarlo.
“Ma potrei
comunque sbagliare…
di nuovo.” Aggiunse Tom, distogliendolo dai suoi pensieri.
“Non
credo.” Disse molto
semplicemente. Vedeva le sue mani indugiare, lunghe e forti sulla
ceramica
della tazza. Le voleva addosso. “Non credo che
succederà di nuovo.”
Smettila.
Che diavolo ti prende?
Mi
prende che ho diciassette anni e lo odio. E lo amo. E
lo voglio.
È
lecito impazzire, qui.
Tom lo scrutò,
confuso.
Persino diffidente. “Perché?
C’è già una cella per me ad
Azkaban?” Chiese, e
non era del tutto scherzoso.
“No, ci sarei io.
E sarei peggio di
Azkaban.”
Tom stirò un
mezzo sorriso.
Era il suo mezzo-sorriso, e non era cambiato di una virgola. Era bello.
“Indubbiamente…”
Replicò.
“Prima pensavo volessi uccidermi.”
“Precisamente.” Ironizzò.
Rifletté su un punto che prima aveva tralasciato.
“Vivi da solo?”
Se è stato malato qualcuno deve
averlo
curato…
Qualcuno aveva diviso otto
mesi di vita con Tom. E non gli piaceva per niente che non ne avesse
ancora
parlato.
“Nel faro
sì. Ma la fattoria è
di proprietà di una donna. Ci vive con sua nipote.”
“Giovane?” Si informò neutro.
Tom lo guardò
stranito. “La
nipote? Ha dieci anni, quindi direi di sì.”
“No, intendevo la donna.”
Lo vide rifletterci
brevemente. E sogghignare. Stava quasi fargli notare che no, non aveva
nessun
diritto di fare lo stronzo quando ancora non l’aveva
perdonato, ma poi rispose.
“È sua nonna, Al…”
“Oh.”
Ci fu un breve silenzio. Stavolta molto più confortevole dei
precedenti, anche
se Tom stava ghignando.
“Sei
geloso?” Si informò con
leggerezza. Gli occhi però lo trapassarono da parte a parte,
attenti.
Sì.
Contento?
Non
voglio che in otto mesi qualcuno si sia sentito in
diritto di giudicarti libero.
Otto
mesi non ti fanno ripartire dallo start. Non
devono. Affatto.
“No.”
Mentì con rabbia. “Non
sono geloso. Non stavo pensando a quello.”
“Bene.” Approvò, ma non smise di avere
quella faccia soddisfatta. “Neanche io.”
Al fece una smorfia. Non
voleva parlare di quello. Davvero,
non voleva, perché il suo corpo la stava già
tradendo. Sembrava che ogni singola
cellula stesse mettendosi in combutta per ricordargli quanto e come gli
fosse
mancato Thomas Dursley. In tanti, molti sensi. “Parliamo di
cose serie…” Tentò.
“Cosa hai intenzione di fare adesso?”
“Tornare in
Inghilterra.”
Rispose subito, ma perdendo il sorriso. “E provare a
rimediare. Se posso.”
Al si mordicchiò
l’angolo di
un labbro. “La situazione non
è…”
“Non sono stupido.” Lo fermò.
“So cosa ho fatto. Ho aiutato un criminale
internazionale, anche se fino all’ultimo non ho capito cosa
volesse veramente. Dovrò
rispondere a molte domande, e se le risposte non piaceranno, le cose non potrebbero mettersi bene
per me. Ma …
tornerò.” Inspirò brevemente,
allontanando il the ormai freddo. “È quello che
devo fare, suppongo.”
Al annuì
impercettibilmente,
sentendo come se un macigno improvvisamente diretto verso di loro
avesse
cambiato traiettoria, decidendo di graziarli.
“Papà… Lui ti
aiuterà.”
Tom sorrise lievemente, stavolta senza strane smorfie o sottointesi.
“Lo so, l’ha
sempre fatto. E non ho mai capito
perché…”
“Ci deve essere per forza un motivo? Ti vuole
bene.” Sbuffò. “Non è facile
volertene, ma non sei una persona che si dimentica.”
Beh,
sai com’è, io ti amerò per il resto
della mia
vita.
Tom a quel punto gli
afferrò
il polso. Aveva la mano gelida, ma divenne tiepida a contatto con la
sua.
Osmosi, forse? C’entrava con la magia?
Era una bella sensazione
però.
“Non ti ho detto
che ti ho
perdonato.” Obbiettò, cercando di scostarsi.
“Lo so.”
Serrò la presa sul
suo polso, e fu certo che sentisse il suo cuore battere come un
tamburo. “Ma tu,
Al? Mi vuoi ancora bene?” Non era una domanda, lo stava stava
sfidando a
contraddirlo.
Stupido stronzo viziato.
Avrebbe voluto spaccargli la
testa, ma valutò che non ne sarebbe valsa la pena, visto che
lo voleva accanto
a sé per tutto il resto della loro – magica
– esistenza.
“Rifallo e ti
ammazzo.” Disse in
ogni caso. “Sparisci di nuovo e verrò a cercarti
solo per farlo.”
“Più probabile che mi ammazzi prima da
solo.” Replicò, guardandolo con
un’intensità tale che si sentì bruciare
la pelle come se ci stessero colando
della cera bollente. Non era una sensazione spiacevole, stranamente.
“Non hai
risposto alla mia domanda, comunque.”
Merlino…
“Tom, io ti
amo.” Scandì bene
ogni sillaba, affinché penetrasse con lo stesso fuoco in
quella zucca dura ed
egoista. E arrossì, naturalmente, perché era
un’adolescente ed era stupido. “E
non credere sia meglio. Vuol dire solo che sono ancora più
arrabbiato per
quello che hai fatto.”
Tom rimase serio, anche se
etichetta voleva che si illuminasse e gioisse.
Non
è mai stato tipo, comunque.
“Certo che lo
è.” Osservò a
bassa voce, facendogli venire uno strano magone più vicino
alla zona lombare
che al petto. “Amare fa male. E'
troppo troppo aspro, troppo violento; e
punge come
una spina².” Recitò
sovrappensiero. Questo
prima di strattonarlo
con una certa forza
e farlo crollare sulle sue ginocchia.
“Non fare il purosangue adesso!”
Borbottò, sentendosi stupido ad emozionarsi
perché Tom sì, sapeva recitare poesie e
l’aveva sempre saputo fare bene.
E per la posizione, certo. “Che
roba è? E fammi alzare!” Infatti gli era
impossibile, visto che l’aveva
bloccato in un intreccio di braccia.
“Non cosa, chi. Shakespeare.” Ignorò
l’ultima ingiunzione stringendolo forte: gli
stava persino facendo un po’ male.
“Tom, allenta la
presa…”
Suggerì senza troppa convinzione. “Stringi
troppo.”
“Non ti lascio.” Fu la risposta.
“Scusa.”
Al inspirò, mentre sentiva qualcosa sciogliersi dentro di
sé, e diventare
caldissima. Sentì le lacrime premergli al bordo degli occhi,
e affondò il viso
nei capelli dell’altro.
Pianse, finalmente. Si rese
anche
conto che in tutti quei mesi non aveva pianto davvero
una sola volta, da quanto Tom era scomparso. Supponeva che
i pianti nel sonno non contassero.
Sentì la mano di
Tom posarglisi
sulla schiena, delicata: aveva sempre un modo particolare di toccare le
cose a
cui teneva.
Non che si considerasse un
libro, ma, rifletté, probabilmente era molto più
raro che Tom toccasse le
persone così, che i suoi personalissimi
oggetti
personali.
Inspirò il suo
odore. Era
diverso. Sapeva di sale, di vento e di cera per candele. Ma
c’era anche il suo
profumo… quello era rimasto immutato, e lì ci
affogò letteralmente.
Gli
esseri umani dopotutto sono animali che ragionano…
E spesso non ragionano.
“Chi è
che stringe troppo
adesso?” Gli sussurrò all’orecchio.
“Mi stai strangolando.”
“Oh, sta’ zitto… rovini sempre
l’atmosfera.” Lo riprese, soffocando una risata.
Erano mesi che non si sentiva una ragazzina piagnucolosa. Assurdo a
dirsi, ma
gli era quasi mancato.
Quasi.
Tom gli diede un colpetto
sul
fianco, facendolo spostare. “Sei tu che sei troppo
sdolcinato.” Replicò con un
sorrisetto, che si spense non appena lo guardò in faccia. Al
non capì subito
perché.
“Che
c’è? Tanto i tuoi capelli
sono comunque un disastro.” Lo informò, tirando su
con il naso con grande
dignità. “Da quanto non li tagli?”
“Non è per i capelli… ”
Replicò, palesemente stizzito per l’osservazione.
Poi
esitò, schiarendosi la voce. “È solo
che non voglio più vederti piangere… per
causa mia.”
Al sbuffò.
“Questo è
sdolcinato Tom.” Si alzò dalle
sue ginocchia, perché cominciava a sentirsi davvero una
ragazza con le codine.
“E poi lo sai che ho i dotti lacrimali sensibili.”
“Si dice così quando si è dei
piagnucoloni?” Lo prese in giro, ma lo fece con
cautela, spiandone le reazioni. Stava testando fin dove poteva
spingersi.
Quell’inattesa cautela gli piacque.
In realtà si
stavano prendendo
le misure. Si stavano riabituando a vestire i loro vecchi panni.
Era strano, ma piuttosto
meraviglioso.
Penso
di nuovo al plurale.
“Va’ al
diavolo.” Gli suggerì
magnanimo. “Ma prima fammi una tazza di the.”
“Preparatela da
solo.”
Replicò, indispettito dall’ordine plateale.
“Il bollitore è davanti a te.”
“Non credo
proprio.”
Tom lo squadrò di nuovo, poi storse le labbra in una
smorfia. “Durerà a lungo
questa schiavitù? Per quanto me la farai pagare?”
“Otto mesi come minimo, per la legge del taglione.”
Gli sorrise. “The.”
Tom sbuffò
contrariato, ma
quando gli diede le spalle per riempire il bollitore lo vide sorridere.
Sorridere davvero.
****
Albus aveva accettato il
the,
e poi si era lamentato che la miscela fosse orribile.
Lo pensava anche lui, in
effetti. Erano inglesi.
E poi, avevano parlato. Gli
erano sembrati giorni, con tutto quello che avevano da dirsi.
Soprattutto era
l’altro a parlare, ad aggiornarlo: gli aveva raccontato di
come si fosse svolto
l’anno scolastico, di Rose e Malfoy … e di Ted e
James, di cui peraltro aveva
sempre sospettato.
Erano
così palesi… Povero Harry.
Lui di rimando gli aveva
raccontato la vita monotona di Putgarten, i suoi lavoretti e di Meike e
Cordula.
Al lo aveva riempito di
domande. Non si era
lamentato.
Avevano evitato argomenti
come
… beh, come se stesso. Argomenti difficili, spinosi,
come…
Cosa
farò quando tornerò in Inghilterra.
Soprattutto…
cosa ne faranno di me?
Al si era raggomitolato
sulla
sua branda, e adesso giocherellava con la tazza, grattando la ceramica
sbeccata
del bordo con un’unghia. “Penso che dovrei mandare
un Gufo a papà. Dovrei
fargli sapere dove sono… e che ti ho trovato.”
Esordì, mentre fuori la pioggia
era finita ed erano probabilmente le tre del mattino.
Tom sospirò,
tacitando
un’ondata di panico. “Naturalmente. Il problema
è che qui non c’è un Gufo nel
raggio di miglia. Questa è una comunità
babbana.”
“Ma i Wollin non
sono maghi?”
“Cordula è una maganò, come ti ho
detto, e Meike non è ancora andata a scuola.
A nessuna delle due serve un gufo.” Spiegò
paziente. “Potresti telefonargli
però.”
Al prese un’aria titubante che lo fece quasi ridere: anche se
era più avvezzo
alla tecnologia dei suoi fratelli o dei suoi genitori ne era comunque
intimidito. “Sì, ma alla Tana non
c’è il telefono. Ti ricordi? Nonno Arthur
provò a montarlo, ma quasi esplose il
salotto…”
“Giusto…”
Annuì. “È il compleanno
di Harry. Sono tutti alla Tana stanotte.”
“Già…”
Rimasero in silenzio. Tom era rimasto seduto al tavolino. Non
perché la
brandina fosse piccola per due.
No, decisamente tutto il
contrario.
Sapeva che per il perdono di
Al avrebbe dovuto passare una via crucis,
letteralmente. Le frecciatine non si erano risparmiate in quelle ore di
conversazione.
Ma lo aveva accolto, di
nuovo.
C’era una cosa che
però lo
tormentava: come lo aveva accolto?
Come
amico? Come… ragazzo?
Doveva saperlo, e non aveva
il
coraggio di chiederlo.
Decisamente imbarazzante.
Specialmente
perché aveva una
voglia incredibile di baciarlo. Zabini, per quanto fosse un amorale
figlio di
puttana, su una cosa aveva sempre avuto ragione: Al, crescendo, sarebbe
diventato affascinante.
E lo era. Non in senso
canonico, certo: erano i suoi lineamenti dolci e i grandi occhi verdi a
renderlo desiderabile. Non certo sogghigni consumati o sguardi
maliziosi.
Era quell’aria
dolce e
tranquilla a far venir voglia di… stropicciarlo.
Se
tento di baciarlo mi tira un pugno?
“Fino a domattina
i miei non
torneranno a casa. Quindi… credo dovremo aspettare ancora un
po’.” Gli disse,
finendo con un ultimo sorso il the. “Mi pare di aver capito
che qua non c’è
niente che possa riportarci a casa. Né una scopa,
né la metropolvere.”
Tom annuì,
distratto in modo
ignobile dal movimento delle sue labbra.
Oh, se gli erano mancate.
“Possiamo provare
ad usare il
deluminatore.” Suggerì.
Al fece una smorfia orripilata. “Piuttosto mi butto dalla
scogliera. Mi è bastata
una volta, grazie tante.”
“Allora temo che
dovremo
aspettare zio Harry…” Concluse. Si sentiva
nervoso, il che era francamente
ridicolo perché la presenza di Al era sempre stata una
costante nella sua vita.
Solo
che dopo otto mesi, dopo quello che è successo tra
di voi…
Sarai
un patchwork, ma sei pur sempre un ragazzo, mio
caro. Ed i tuoi bisogni…
Non era sano ascoltare voci
nella propria testa, così Tom annuì a qualcosa
che aveva detto Al, che intanto
aveva continuato a parlare ignaro di tutti i suoi turpi pensieri.
“…
allora prendo il lato a
destra.” Disse.
Tom ebbe un attimo di
smarrimento: quale lato?
“… Di che stai parlando?”
Al lo guardò come se fosse scemo. “Del
letto.” Disse. “Non vorrai farmi dormire
sul pavimento, spero.”
“No.”
Replicò meditabondo.
Guardò la brandina, che in quel momento gli
sembrò più squallida e malinconica
del solito. “Ma non credo c’entreremo.”
Al lo guardò di nuovo come se valutasse l’idea che
qualcosa l’avesse colpito in
testa violentemente. “Engorgio.”
Recitò, muovendo la bacchetta. Il letto diventò
un due piazze piuttosto
confortevole.
“Giusto…”
Convenne, stizzito
dal fatto di non averci pensato prima.
Il
fatto è che non
voglio pensarci. Non so se sarò in
grado
di dormire con lui, nello stesso letto.
Si sentiva incredibilmente
goffo. E idiota. Ed era una sensazione irritante.
“Scusami…
ma sto crollando dal
sonno. È stata una giornata… lunga.”
Sorrise Al. “Ti dispiace se mi metto a letto?”
“No. Fa’
pure.” Replicò brusco.
Al non sembrava capire o anche solo intuire il suo disagio.
Maledettamente
frustrante.
L’aveva
già detto?
Finse di dargli la schiena
per
prendere le tazze e portarle… da qualunque altra parte,
l’importante era dargli
la schiena mentre si spogliava.
Sbirciò da sopra
la spalla.
Albus aveva sempre avuto un
corpo più armonioso del suo, che si era sentito sempre
troppo alto e magro. Non
era molto alto, ma aveva un fisico asciutto e proporzionato.
Questo, oggettivamente.
Soggettivamente…
era uno
stramaledetto efebo e lui si sentiva la bocca secca e
un’urgente bisogno di …
“Vado a dormire da
Cordula.”
Sussurrò, sentendo la sua voce provenire da una caverna
profondissima.
Al lo guardò
confuso. “Perché?
Nel letto c’è posto per entrambi. L’ho
affatturato apposta!”
E Tom capì.
Capì perché c’era
un sorriso che aleggiava sulle labbra di Al.
“… Mi
prendi per scemo?”
“In realtà sto solo facendo il punto della
situazione.” Si sentì rispondere,
mentre il sorriso veniva alla luce, tenero e spontaneo come al solito,
ma
venato da qualcosa che aveva molto poco a che fare con
l’innocenza. Lo vide
comunque arrossire. Perché era Al. “Ti senti a
disagio ad avermi qui?”
Averti…
“Non
lo chiamerei esattamente
disagio.” Replicò cattedratico, deglutendo carta
vetrata. “Ripeto, mi prendi
per…”
E non riuscì a finire la frase perché Al
annullò la distanza tra di loro,
alzandosi leggermente per poterlo baciare. Tom sentì un click, da qualche parte, nella sua testa.
Questo prima di tirarselo
contro e ricambiare il bacio come se fosse l’ultimo che
potessero darsi.
Finalmente,
finalmente. Finalmente.
Le guance di Al erano
morbide
mentre ci premeva appena le dita. Gli accarezzò le labbra
con la lingua e lo
sentì mugolare, mentre, prevedibilmente, dovette abbassarsi
perché l’altro non
riusciva più a rimanere in quella posizione.
La pelle nuda di Al, coperta
solo dagli slip, gli sembrava bollente come lava. Solo una sua
impressione
probabilmente. Ma ebbe la certezza che non se ne sarebbe separato mai
più.
Dentro la sua testa,
c’era
solo Al.
Al si staccò,
mordicchiandosi
un labbro. “Ho freddo.” Gli comunicò,
apparentemente estemporaneo.
“… vado
a prenderti qualcosa
per coprirti?” Suggerì, come se volesse sul
serio coprirlo.
“No.”
Esitò, diventando di un
curioso color aragosta. “… Spogliati
tu.”
Si lasciò aiutare
a togliersi
il maglione e la camicia. La camicia, in effetti, la lasciò
tutta ad Al.
Non aveva idea di come fosse
la sua faccia, in quel momento. Se fosse addirittura arrossito.
Quello che importava
veramente
era il viso concentrato di Al mentre gli sbottonava le asole e lasciava
cadere
la stoffa oltre le sue spalle, e poi a terra.
Si impose di rimanere
immobile
mentre gli passava le mani lungo il petto e poi sullo stomaco, a
toccare quella
porzione maledetta. Inspirò.
“Cosa vuoi fare?” Gli chiese, così piano
che fece persino fatica a sentirsi.
Al alzò lo sguardo. “Riconoscerti.”
Disse semplicemente, prima di premergli le
labbra sul collo, in un bacio sperimentale e attento.
Caddero anche i suoi
pantaloni, e vennero calciate via le scarpe.
Tom a quel punto si ritenne sufficientemente torturato, ed
afferrò per la vita
Al, spingendolo a letto, provocandogli un’esclamazione e una
mezza risata
trattenuta.
“Ehi, non sono un
cuscino!”
Sbuffò, passandogli le braccia attorno al collo.
Tom fece una smorfia di
rimando. “Cosa credi di ottenere, dicendomi certe
cose?”
Al sorrise. “Beh. Qualche idea in merito
l’avrei.”
Tom entrò, poco onorevolmente, nel panico.
“Al, io…” Non aveva la minima idea di
dove mettere le mani suonava male?
“Tom…” Inspirò.
“Domani arriverà papà, e verremo di
nuovo trascinati nella
realtà. E sappiamo entrambi che non sarà una
passeggiata…”
Tom convenne con un cenno della testa. Era difficile mantenere la
concentrazione quando i loro corpi erano così vicini,
così caldi… così tesi.
“Ma stasera
… nessuno sa che sono
qui, e nessuno sa che sei ancora vivo. Stasera è solo
nostra.” La voce si
spense appena, venata da imbarazzo. “Solo io e te. E mi sei
mancato tanto.”
“… Non
è che hai bisogno di
convincermi…” Sussurrò, sentendosi il
cuore all’altezza più o meno della gola. E
quel calore, dimenticato per mesi, irradiarglisi ovunque, petto,
stomaco e
cuore.
“… Lo
sai che quando sei
agitato parli come Hagrid?”
“Sta’ zitto.” Appoggiò la
fronte contro la sua, sentendo i capelli di Al
sfiorargli le guance. E il suo profumo, ovunque. Sentì il
suo orgoglio urlare.
Lo fece tacere imperiosamente. “… e resta con
me.”
Al sorrise. “Mi
pare ovvio. Dove
altro dovrei andare?”
E poi ci furono baci,
carezze,
mormorii, mentre fuori aveva cominciato a risplendere la luna, prossima
al
tramontare, eppure luminosissima.
Tom vide, e per anni si ricordò che in quella notte, la loro
prima notte
assieme, la luce lattiginosa accarezzasse la pelle di Al dolcemente,
come se
volesse baciarlo anche lei.
Non ne fu geloso.
Quello non fu sesso, di cui
parlavano con grandi sogghigni gli altri. Fu potersi unire, di nuovo.
Dopo gli
accarezzò i capelli,
mentre Al gli si accoccolò addosso. Non conosceva bene i
gesti giusti, ma ad Al
non sembrava importare. Non gliene era mai importato, ed era per
questo, anche,
che lo amava.
“Non
hai paura?” Gli chiese, pianissimo, quasi
temesse di svegliarlo, anche se aveva gli occhi aperti e lo stava
guardando.
Della
Thule, che non è certo sparita nel nulla. Di stare
vicino a qualcuno che probabilmente subirà un processo. Di
come sarà vivere il
nostro rapporto così, adesso.
Potremo
farlo?
Al esitò, poi gli
appoggiò la
fronte contro la tempia. “Certo che sì. Non averne
sarebbe da stupidi.”
“Sembri calmo…”
“In realtà sarei stanco.”
Sbuffò. “Comunque…
non averne è molto peggio. Vuol dire rassegnarsi. E con te
non mi voglio
rassegnare mai.” Si sporse a baciargli l’angolo
delle labbra. “Già fatto,
grazie. Ed è stato uno schifo.”
Tom non rispose. Tirò la coperta sopra ad entrambi e lo
strinse a sé.
Al gli sorrise. Non disse
nulla, ma a Tom sembrò di leggere una frase dentro i suoi
occhi.
Bentornato
a casa, Tom.
Lo era davvero.
‘Cos if one
day you wake up and find that your missing me
Thinking maybe you’d come back here
to the place that we’d meet
And you’d see me waiting for you on
the corner of the street
So I’m not moving³…
****
Note:
1.Le canzoni
qui e
qui
2.William Shakespeare, Sonetti.
Non so sinceramente se
questo
capitolo vi soddisferà. Certo che ci ho sudato sangue,
sudore e lacrime, giuro.
Argh, questi due
giovincelli,
quanto mi fanno penare! *guarda con amore Teddy e James invece, che
sudano
preoccupatissimi*
Ai posteri, l’ardua sentenza! Ah, un'altra cosa. Una ragazza favolosa ha dedicato un 'mi piace' a questa storia su Facebook. Qui il link se lo vedete.
|
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Capitolo 6 *** Capitolo V ***
Eccomi qua! Neanche stavolta
riesco a rispondere come vorrei ai vostri commenti. Comunque sappiate
che siete
la gioia migliore che possa capitare ad una fan-writer, thanks! ^^
@ElseW: grazie per l’add
su fb! :D e
grazie mille per i complimenti… Beh, ti pare che Al gli
sarebbe corso incontro
con le lacrime agli occhi? Troooppo poco serpeverde! :P
@MyriamMalfoy: Dai, lo sai che adoro
gli happyending! :D Al usa la tecnica da ‘il bastone e la
carota’. Harry si
vedrà un pochino in questo capitolo!^^
@altovoltaggio:
stavolta ho cercato di fare del mio meglio, spero di esserci riuscita!
:P Il
capitolo era dedicato a quella canzone speciale che ehi, è
anche una delle mie
preferite! :D Non conosco il libro di cui parli, ma mi ha molto
incuriosito!
Ahaah, effettivamente Al e Jamie si somigliano più di quanto
non credano, e si
capiscono benissimo. Beh, del resto sono fratelli con solo una manciata
di mesi
che li separa, anche se James fa tanto il vissuto. XD Dunque,
sì, questa era la
loro prima volta… nel bagno dei prefetti ci si sono
avvicinati, ma vuoi la
situazione, vuoi il fatto che fossero comunque inesperti (lo sono anche
adesso
ma dopo otto mesi…) … li ha fatti fermare. Adesso
invece XD Ho ascoltato
‘l’mmenso’ e anche se proprio non mi
piacciono i negramaro, devo ammetterli che
adesso, almeno per ‘sta canzone, li ho rivalutati un
pochetto. :D Sì, avevo
pensato alla cosa della serie, ma essendo che ho solo queste per ora,
non ne
vedo il bisogno, ecco. A conclusione di questa (Se tutto va bene) e se
passerò
ad altri fandom o ad altre storie (originali) allora probabilmente la
segnalerò
come serie. ;)
@Trixina:
Ahaah, beh grazie! Alla fine Al è come suo padre,
è un bonaccione. Anche lui in
poco ha perdonato Ron, che aveva fatto una cazzata quasi peggiore. X) E
poi, sai,
l’amore… Sicuramente ci sarà un saluto
come si deve delle due, già in questo
capitolo.
@Herys: Ciao!
Benvenuta! Grazie mille per i complimenti! ^^ Tom è uno
stronzetto, ma alla
fine sa farsi voler bene.
@LauraStark:
Aahah,grazie! Mi fa piacere che un personaggio originale come Tommy
riscuota
successo :P Beh, vediamo se le tue supposizione sono giuste! ^^
@Neely: Al
vostro servizio! XD Vediamo se quando torni dalle vacanze posso farti
trovare
qualcosa di più! :P Grazie per i complimenti ai ragazzuoli!
^^
@Nikkith:
Ciao, benvenuta! :D Grazie mille per i complimenti, non sai quanto
piacere mi
fai a dire queste cose! ^^ Specie se non sei un fan della next-gen.
(che in
effetti la Row ha davvero sputtanato :P) … per il resto
sì, non sono stata
molto chiara per la scena del bagno. Ci sono quasi arrivati a farlo, ma
non
l’hanno fatto del tutto. La loro prima volta è
stata questa XD Spero
continuerai a seguirmi!
@Ombra: Grazie
per la recensione! Sì, è esattamente come hai
detto tu!
@Agathe:
Potevo non farli ritrovare subito? Mi deperivano troppo! Ahaaha,
essì, loro
sono puri e teneri, ma con uno come James non puoi aspettarti dolcezze
e
tenerezze, è un pervertito! XD (E pure Teddy, anzi, forse di
più) Per Scorpius,
se mi riesce, ci sarà una sorpresa :P
@Mikyvale: Guarda,
non me lo dire, ‘ste vacanze! Grazie per i complimenti! E le
foto… beh, potevo
non metterle maniacale come sono? XD
@Cloto: Verissimo! ^^ Grazie per i complimenti!
****
Capitolo V
Ami, qu'on crève d'une
absence, ou qu'on crève un abcès
Aux sombres héros de
l'amer /qui ont sû traverser les
océans du vide¹
(Aux
sombres héros de l'amer, Noir Desir)
1
Agosto 2023
Germania
del Nord, Putgarten. Fattoria dei Wollin.
Quella mattina Meike si era
svegliata con una strana sensazione.
Era strana davvero,
perché era
raro che si svegliasse prima la luce del mattino irrompesse in camera
sua,
filtrando tra le imposte e colpendola dritta in faccia.
Non riuscendo a riprendere
sonno si era vestita, infilandosi poi i suoi inseparabili stivali di
plastica
gialla. Senza quelli non si sentiva del
tutto sé stessa.
La casa era ancora immersa
nel
silenzio; sua nonna non si doveva ancora essere svegliata.
Dopo aver controllato che
proprio non ci fosse traccia di nessunissima colazione prese un
biscotto dalla
scatola di metallo nella credenza, se lo infilò in bocca e
uscì fuori, dove c’era
l’alba che si alzava dal mare, adesso piatto come una tavola.
Sarebbe andata a vedere se
Ian
era sveglio, decise. E avrebbe anche fatto finta che sarebbe rimasto.
Mi
ha promesso che avrebbe scoperto di chi è quel
castello disi… disilluso, ecco!
Inghiottì il
magone con
l’ultimo pezzo di biscotto.
Si diresse verso il faro:
niente le sembrava diverso dal solito; l’alba era sorta come
sempre, i suoi
vestiti erano freddi e rigidi come al solito e persino il sapore del
biscotto
era prevedibile, un po’ stantio e dolcissimo.
Spinse la porta di legno del
faro con le dita. Era chiusa. Non riusciva a capire perché
Ian la chiudesse
tutte le sere. Il faro era invisibile ai babbani, e di maghi in quel
posto non
ce n’erano.
Ma c’erano tante
cose del suo
amico inglese che non capiva.
Prese la chiave dal sasso
sotto cui era posata, e aprì la porta.
C’era silenzio.
Questo invece
era perfettamente normale. Anche se Ian era già sveglio al
massimo era seduto
sulla poltrona a bersi un caffè e a rimuginare. Lo faceva
sempre prima di
iniziare la giornata.
Salì le scale,
decidendo per
una volta di non chiamarlo. Non seppe, a posteriori, perché
evitò di farlo.
Forse sempre a causa di quella sensazione.
Come se dovesse disturbare
qualcuno. Come se dovesse fare pianissimo.
L’ambiente della
lanterna era
già illuminato dalla luce del sole. Ma Ian non era alla sua
solita poltrona. Ian
quella mattina non si voltò con aria di sufficienza per
augurarle il buongiorno
e concederle un po’ di caffè, zuccherandolo per
renderglielo tollerabile.
Perché quella
mattina Ian non
era in piedi. Meike
contemplò il piccolo
ambiente, trovando delle cose che a regola non avrebbero dovuto
esserci: dei
vestiti estivi, che non sembravano di Ian. Almeno, non glieli aveva mai
visti
addosso. Una bacchetta, sul tavolino, che non sembrava quella di suo
papà.
Lo cercò a letto
e trattenne
il respiro, di colpo.
C’era
un’altra persona!
Fece per darsela a gambe, e chiamare sua nonna a gola spiegata. Poi,
presa da
uno scrupolo, si fermò.
La persona, un ragazzo, non
era solo. C’era Ian con lui. Vedeva i suoi piedi sporgere
dalla brandina. Era
troppo corta, e quanto e come l’aveva preso in giro per
quello!
Anche stavolta non
potè
trattenere un sorrisetto.
Poi, giudicato che non
sembrava
esserci pericolo immediato, analizzò la situazione.
Dormivano tutti e due. E
profondamente anche. Ian aveva abbracciato l’altro nel sonno,
passandogli un
braccio attorno alla vita, sopra le coperte. Più che
abbracciato, stimò curiosa,
sembrava stritolarlo come faceva lei con i suoi peluche, unico ricordo
della
sua vecchia vita, quando era triste o malata.
Non poteva vedere il viso
dell’amico per stimare se fosse triste o malato, ma poteva
guardare l’altro. Da
lì, visto che la sua testa era al livello della botola che
era anche l’unica
entrata della stanza, aveva una visione perfetta.
L’altro ragazzo
sembrava avere
la stessa età di Ian, forse un po’ più
piccolo. Era carino. Aveva i capelli
molto arruffati – quasi come i suoi dopo una giornata al mare
– e un viso come
quello di un bambino.
Non sembrava pericoloso, e
Meike trovò che avesse l’aria simpatica.
Solo… cosa ci
faceva lì?
Non era uno dei ragazzi del
villaggio. Poteva essere un turista, ma non un babbano. Non avrebbe mai
potuto
vedere il faro, e quindi, come sarebbe potuto entrarci?
Non era molto sicura di
questa
sua ultima analisi. Si mordicchiò l’unghia del
pollice, come faceva quando era
in preda ad un profondo dilemma.
Chiamare sua nonna oppure
aspettare il loro risveglio?
Allungò il collo,
per guardare
meglio. Arrossì, quando si accorse che no, non sembravano
averceli proprio i
vestiti, benchè coperti dalle lenzuola.
Forse
si sono bagnati con la pioggia di ieri notte e si
sono tolti i vestiti?
Si sentì
improvvisamente a
disagio. Come quando cercava di fare amicizia coi ragazzi del
villaggio. Come
se fosse tagliata fuori, e non ci fosse assolutamente modo di entrare.
Si mordicchiò con
più
convinzione l’unghia.
Poi capì.
Sapeva chi era quel ragazzo!
Si diede mentalmente della sciocca, perché era così ovvio.
Quel ragazzo era il
Cavaliere
Bianco! L’amico di Ian!
La scoperta era stupefacente. Non si chiese neanche come ci fosse
arrivato.
Gli lanciò
un’altra occhiata,
per vedere se poteva essere davvero
lui.
E si trovò
fissata. Da un paio
d’occhi verdissimi – più dei suoi!
– e sorpresi. Quelli del ragazzo.
Si
è svegliato!
A quel punto
scappò via.
****
Tom si svegliò
per una
gomitata nello stomaco.
Fu un risveglio traumatico,
specie perché dovette realizzare che Al non si rendeva conto
che dormire
abbracciati significava ridurre i movimenti al minimo per evitare
incidenti.
Fece un breve recap mentale,
visto che la mattina non era particolarmente loquace, neppure
interiormente.
Al.
Notte. Al.
Non potè fare a
meno di
sorridere instupidito. Mentalmente però.
“Tom,
svegliati!” Lo apostrofò
l’altro, voltandosi e quasi rischiando di tirargli un calcio
in zone che
avrebbero dovuto esser salvaguardate.
“C’è una bambina!”
Si passò una mano trai capelli, mettendo a fuoco la stanza.
L’unica cosa che aveva
nella sua visuale era Albus, scarmigliato, con le coperte tirate fino
al petto
e l’aria stravolta e imbarazzata.
“Uhm.”
Al momento gli sembrava
una cosa sensata da dire.
“Sto dicendo sul serio! Svegliati!” Si
guardò attorno, cercando disperatamente
qualcosa con cui coprirsi, probabilmente. “Dove diavolo sono
i miei vestiti,
per le mutande di Merlino?”
Mmh. Mi erano mancate queste
imprecazioni. Magiche.
“Te li sei tolti
lontano dal
letto, Al… Eri così impaziente.”
Riuscì finalmente a connettere, reprimendo una
risata all’aria sconvolta e offesa dell’altro.
“Saranno in giro.”
Al gli lanciò
un’occhiata di
fuoco, poi sospirò, arrendendosi all’evidenza che
non era del tutto in sé. “Mi
ero scordato dei tuoi risvegli a fuoco lento…”
“Io mi sveglio perfettamente cosciente.”
Ribattè, mentre ricordava che fossero
entrambi nudi, e che no, non era una buona idea rimanere
così.
Certo,
dipende.
“Non mi risulta. O
sei
stordito o sei direttamente di cattivo umore…”
Sogghignò Al, squadrando
l’ambiente, forse alla ricerca di bambine. “Ti
giuro, ho aperto gli occhi e
c’era questa ragazzina bionda che mi fissava.”
“Bionda…” Capì.
“Ah, era Meike.”
Quella
le novità le fiuta come una giornalista
d’assalto…
“La nipote della
tua padrona
di casa?” Interloquì Al, alzandosi in piedi e
dandogli una gloriosa visione
della schiena e del suo sedere.
Chissà
se c’entra il quidditch. Sarebbe l’unica volta
che dovrei ringraziare il suo creatore. O creatrice. Certi particolari
non mi
interessano.
Riportò la sua
attenzione sul
discorso, visto che purtroppo si stava rivestendo. “Ti viene
sempre a
svegliare?” Gli chiese.
“Veramente di solito se ne resta giù. Non ho idea
perché oggi sia venuta a
curiosare.” Fece una smorfia. Sperava davvero di non dover
spiegare di fiori ed
api alla ragazzina. Sarebbe stato imbarazzante, e forse Cordula
l’avrebbe
ucciso. “Tra l’altro è l’alba,
di solito a quest’ora dorme.”
“Si saranno accorte di qualcosa ieri notte?”
Borbottò Al, infilandosi con
insola cautela i vestiti.
“Dubito. Non abbiamo certo duellato a colpi di
incantesimi.” Replicò con uno
sbadiglio. Si sentiva uno strano languore addosso. Strano,
sì, ma piacevole.
“Ti serve una mano?” Gli chiese poi con un sorriso
divertito.
Al gli lanciò
un’occhiata
guardinga, prima di capire e arrostire,
letteralmente. Avvampare non rendeva l’idea. “Sono
dolorante.” Lo informò pieno
d’accusa.
“Di solito si
dovrebbe
minimizzare certe cose…” Lo prese in giro,
controllando comunque che non avesse
lividi o cose simili. Sperò che esagerasse. “Ti fa
davvero male?”
Al sbuffò, scuotendo la testa. “No, non
tantissimo. È okay.” Si infilò la
maglietta e spuntò arruffato e di nuovo col sorriso.
“Sto bene davvero.”
“Allora vieni
qui.”
“Vuoi i tuoi vestiti?”
“No. Vieni qui.” Ripetè. Al fece una
mezza risata, piombando di nuovo sulle
coperte. Da bambino non dovevano mai avergli insegnato che non si
saltava sui
letti. Forse quelli magici erano più resistenti.
Si baciarono e a Tom
sembrò di
nuovo un piccolo miracolo averlo di nuovo tra le braccia.
Si chiese se se lo
meritasse.
Ma poi lasciò perdere. C’era di meglio a cui
pensare.
Gli accarezzò le
braccia, ogni
angolo spinoso e ogni centimetro di pelle liscia mentre si staccava
dalle sue
labbra per seguire la china del collo.
Troppo
da recuperare…
Al emise un mugolio a
metà tra
la risate e il gemito. “Non sei stanco?” Gli
chiese.
“Mi sono riposato
abbastanza.”
Replicò, scostando la stoffa della maglietta, inutile a suo
parere, per
mordergli la pelle sensibile della clavicola.
“Troppo.”
Al si divincolò, anche se Tom sembrò che non
fosse troppo convinto. “La bambina
ci ha visti, tra poco potrebbe tornare! E tu sei ancora nudo.”
“Ho le coperte.”
“Tom!” Lo
guardò esilarato. “Dov’è
finito il tuo senso del pudore?”
Dopo una notte come questa che senso ha
averlo? – Si chiese, ma non lo disse. Invece
sospirò.
“Dammi i miei
vestiti.” Ordinò
perentorio, facendolo ridacchiare.
“Ora sì
che ti riconosco!”
Glieli gettò addosso, prima di stiracchiarsi. “Di
cattivo umore e di poche
parole.”
Tom non replicò.
Era troppo
felice per preoccuparsi di rispondergli a tono. Anzi. Era insopportabilmente felice. Se fosse stato
un altro, o se fossero
stati in un film della Disney avrebbe canticchiato un motivetto
esplicativo.
Ma siccome era sé
stesso si
limitò a vestirsi e a lasciare che Al curiosasse in giro,
canticchiando lui, a bassa voce.
Non voleva rovinare
l’umore a
nessuno dei due. Si erano ritrovati, e per ora quello bastava.
Recriminazioni
e realtà dopo, grazie.
“Celestina
Warbeck… Sei forse
impazzito?” Gli chiese tirandosi a sedere sul letto, quando
si rese conto di cosa stesse
cantando. “Piantala subito.”
Al gli rivolse un sorriso che poteva essere catalogato solo come
sadico. E
continuò. “Oh,
coraggio, mescola il
mio calderone… e
se lo farai
nel modo giusto…”
“Al…”
“Ti farò bollire un
po’ di caldo e
forte amore…”
“Al.”
“… per riscaldarti
stanotte²…”
Concluse. “Non ti piace?”
Forse questa fa
parte della
mia punizione…
“Sono
contento che sia morta.” Replicò facendolo ridere.
Poi Al si sedette
sul ciglio del letto,
perdendo un po’ il sorriso anche se rimase ad aleggiargli
sulle labbra.
“Stanotte.”
Disse semplicemente. “… la vecchia Celestina ci
avrebbe scritto un successone.”
Aggiunse, dopo una breve esitazione, guardandolo di sottecchi.
“Non è vero?”
Tom annuì, sentendo di nuovo quel caldo liquido circondargli
il cuore e
filtrargli fino allo stomaco. Gli strofinò leggermente le
nocche sulla guancia,
in una carezza goffa. Al parve apprezzarla, perché gli
strinse la mano. “Sì.”
Convenì. “Ma piuttosto che darle i diritti
l’avrei obliviata.”
“Li
avresti dati ad uno di quei tuoi deprimenti cantanti babbani? Del
genere… se un
autobus ci investisse stanotte morire al tuo fianco sarebbe
meraviglioso³?”
“È un’ottima canzone.”
Replicò, bevendosi ogni singola espressione di Al. Gli
brillavano gli occhi e non era soltanto una figura retorica.
“Sempre meglio di
paragonare il mio cuore ad un calderone. Cosa che trovo francamente
grottesca.”
E si ritrovò,
furono solo le
contingenze del momento si disse in seguito, a canticchiargliela. Per
fargli
capire come fosse una vera canzone
d’amore.
Spero
che questo episodio non esca di qui…
Al appoggiò la
fronte contro
la sua spalla. “Potresti sempre sfondare come
cantante…” Sussurrò. Era certo
avesse gli occhi lucidi. Gli passò un braccio attorno alle
spalle, stringendoselo
addosso.
Sentirono poi un cigolio
sotto
di loro, seguito dalla voce di Cordula.
“Ian! Scendi!
È pronta la
colazione… per te e il tuo…” Pausa
piena di recriminazioni, curiosità,
avvertimento. “… ospite.”
Tom sospirò, lanciando uno sguardo ad Al, che
replicò con un’occhiata spaesata.
“Ian?”
Ci volle un momento prima che capisse. “… Tom, hai
mentito a
quelle persone?” E arrivò lo sguardo
d’accusa.
Sospirò di nuovo.
La
realtà continua a rovinarmi la vita.
****
Fu la colazione
più silenziosa
di tutta la sua vita.
Al non era assolutamente abituato a trovarsi di fronte a gente che non
parlava.
Sebbene suo padre non fosse definibile come un chiacchierone, sua madre
era
riuscito a trasformarlo, negli anni, perlomeno in una persona loquace.
James e
Lily invece erano un fiume in piena, da quando si alzavano a quando
andavano a
letto.
Trovarsi di fronte a due
paia
di occhi, femminili ed indagatori, rese Al insolitamente incapace di
dispensar
parole.
Persino la bambina, un
tipetto
dallo sguardo furbo, sembrava preferire la contemplazione alla parola.
Fantastico…
Tom dal canto suo aveva ben
pensato di chiudersi nel suo insolito mutismo.
Naturalmente.
Così si
trovò a sorridere al
volto piuttosto arcigno della padrona di casa. “Mi chiamo
Al.” Disse con semplicità,
ritenendolo un inizio promettente. “Grazie per la
colazione.”
Fu quasi certo di vedere un guizzo divertito negli occhi di Cordula
Wollin. “Eri
affamato. Avrai fatto un lungo viaggio…” Gli
rispose in un inglese accentato,
mentre studiava i suoi vestiti leggeri.
“Molto meno lungo
di quanto si
pensi…” Replicò bevendo un sorso di
caffè. Era amaro come fiele. Notò il
sorrisetto divertito di Tom, prima che glielo prendesse e glielo
zuccherasse a
dovere, restituendoglielo subito dopo.
“Da dove
vieni?” Chiese di
colpo la bambina. Forse vedendo la confidenza tra di loro si era
convinta che
non fosse un mago malvagio. O qualcosa del genere. “Sei
inglese anche tu?”
“Sì, vengo da un posto vicino Londra.”
Riassunse. “Vicino a dove abita Tom…”
“Tom?”
Lo guardò smarrita, prima che l’interpellato,
finalmente, si
decidesse ad aprir bocca.
“È il
mio vero nome, Meike.”
Gli disse in inglese, prima di continuare la spiegazione in tedesco.
Per quanto
fosse una lingua pietrosa, ad Al sembrò che Tom avesse un
tono gentile.
Insolito, conoscendo la sua scarsa pazienza con i bambini.
“Per ragioni di
sicurezza…”
Sbuffò la donna, ritendendo forse che fosse il momento di
prendere la parola.
Al trovò che fosse una gran prova di tatto parlare in
inglese per lui. “Sei
paranoico?”
Al scoccò un’occhiata guardinga a Tom. Non
sembrava particolarmente irritato
dall’essere ripreso platealmente. Sembrava anzi riflettere.
“Chiamala come ti
pare.
Comunque, rimango sempre io.” Aggiunse, e questo fu rivolto
alla bambina, che
si mordeva le unghie combattuta. “Mi dispiace di averti
mentito, Meike.”
Concluse.
La bambina scosse
leggermente
la testa. Sembrava presa da altri pensieri e non particolarmente
turbata dal
repentino cambio di nome. “Lui…”
Guardò Al di sottecchi, corrugando le sopracciglia
mentre cercava evidentemente di trovare i termini inglesi.
“… è il cavaliere
bianco?”
Al battè le palpebre confuso. “Come?” Fu
quasi certo di vedere Tom arrossire. Si
godette la sua espressione mortalmente imbarazzata. “Scusa,
sarei chi?”
Tom lo ignorò
ostentatamente,
rivolgendosi a Meike, con un sorriso tirato.
“Sì,
è lui.”
“Oh!”
Improvvisamente la
bambina sorrise. “Lo sapevo, eh!”
“Sarei cosa?”
Insistette, ma
trattenendo risatine impietose, perché dopotutto era un
bravo ragazzo.
“Gli raccontavo
delle storie… È
un discorso lungo.” Borbottò, sfidandolo
silenziosamente a continuarlo.
“Mi ha parlato di
te!” Insistette
Meike con un inglese traballante ma audace. “Resterai anche
tu?”
Ci fu a quel punto un veloce
scambio di sguardo tra la donna più anziana e Tom.
C’era confidenza tra loro,
Al lo intuì subito. Tom si fidava di quella donna.
Cordula si
schiarì la voce. Spiegò
qualcosa alla nipote, pacatamente, ignorando le proteste della bambina.
Poi si
voltò verso di lui. “Sei venuto per riportarlo a
casa. Vero?”
Al si limitò ad
annuire,
cercando di non guardare l’espressione ferita della
ragazzina: era chiaro che
avevano discusso della partenza di Tom.
“Partite
adesso?” Chiese la
donna, sembra con lo stesso tono pcato. Al esitò, non
ritenendo che stesse a
lui dirlo. Tom, dopo avergli lanciato un’occhiata si
limitò ad annuire.
La bambina a quel punto ebbe
una reazione inaspettata. Si alzò di scatto in piedi,
gridando qualcosa a Tom, prima
di lasciare la cucina, sbattendosi dietro la porta con violenza.
Sentirono i
passi pesanti sopra le loro teste, segno che era salita, probabilmente
in
camera.
“Tom…
che succede?” Chiese
confuso. Avrebbe voluto fare un’incantesimo traduttore, ma
era un incantesimo
complesso, e comunque soggetto a imperfezioni.
Vorrei
evitare di insultare qualcuno in quest’atmosfera
così tesa…
“Le avevo promesso
una cosa.”
Sospirò, prima di finire il proprio caffè.
“Ieri notte, prima che tu arrivassi,
abbiamo fatto… una scoperta.” Si voltò
verso Cordula. “C’è un castello nel
bosco. Protetto da degli incantesimi piuttosto potenti. Disillusione, repello babbanum. Cose del genere. Ci
abitano dei maghi.”
La donna sembrò stupita. “… Non lo
sapevo. Non si devono essere trasferiti da
molto.” Raccolse con le dita alcune briciole di pane.
“Del resto anche
trovandomelo davanti non avrei potuto vederlo.”
Tom fece un cenno con la
testa.
“Beh, in ogni caso c’è. Ieri ho promesso
a Meike che avrei indagato sui padroni.
Ma adesso abbiamo altre priorità.”
“Non fa niente.” Lo interruppe. “Non ci
corre dietro nessuno, devo comunque cercare
un gufo, o un telefono per contattare papà.” Ci
riflettè. “Anzi, se ci sono dei
maghi forse potremo chiedere a loro, no?”
Tom sembrò esitare. “Da quello che ho visto non
credo che i padroni rientrino
nella definizione di persone ospitali.”
“Sì, ma
se avessero un camino
collegato con la metropolvere?”
“Ne dubito.” Tagliò corto. Sembrava
inquieto, e Al non insistè. Neppure lui
aveva tanta voglia di chiedere favori a castellani misteriosi. Una
telefonata
sarebbe stata sufficiente, tanto i suoi erano già tornati a
casa.
“Potete decidere
di andar via
come e quando volete.” Esordì la donna, che fino a
quel momento si era limitata
ad ascoltarli. “Ma prima di andartene, ragazzo, saluta Meike.
Non vi rivedrete.”
Tom serrò le labbra. Al conosceva bene quel gesto; era il
suo modo di tenere
sotto controllo le emozioni. “Questo non puoi
saperlo.” Ribattè infatti
piuttosto freddo.
“Fallo e
basta.”
Tom esitò a
lungo, prima di
alzarsi. “Vado a parlarle.” E non aggiunse altro,
salendo le scale.
****
Non sapeva trattare i
bambini.
Non aveva mai saputo farlo, e Meike era sempre stata
l’eccezione che confermava
la regola.
Quando la vide stesa sul
letto, con il cuscino a schiacciarle la testa, si chiese se non avesse
fatto
uno sbaglio a classificarla come tale.
Io
non so prendere i bambini…
“Meike…”
“Me l’avevi promesso! Sei un bugiardo
I…” Una pausa. “… mi hai
mentito anche su
come ti chiami!”
“Avevi detto che non ti importava.”
“Beh, non è vero, mi importa!”
Tom sospirò, sedendosi sulla sponda del lettino. Era piccolo
e dipinto di
bianco. Gli ricordava quello di sua sorella Alice. Si chiese se
l’avrebbe mai
perdonato di essere scomparso.
“Scusami.”
Mormorò. “È vero,
sono un bugiardo e non mantengo le promesse…”
Sentì la bambina
tirare su con
il naso. Lo prese come un gesto distensivo. Sperò che fosse
tale, perlomeno.
“Comunque tua nonna non sa nulla sul castello. Può
darsi che fosse abbandonato
e che ci si siano trasferiti solo ultimamente…”
“Nonna non lo vede perché è una
maganò, vero?”
“Sì, esatto.” Esitò, poi le
posò una mano sulla spalla. Meike si divincolò
appena, ma non sembrò molto convinta. Lasciò la
mano dove stava quindi. “È
davvero così importante che venga a vederlo con
te?”
“No…” Come immaginava. Meike si tolse il
cuscino dalla faccia; aveva gli occhi
rossi e gonfi di pianto e Tom capì che non c’era
relazione umana che non fosse
maledettamente complicata. Forse era quello a renderle tanto
interessanti.
Sapeva che Voldemort non si era mai sforzato di capirle, tranne uno
spettro
piuttosto ridotto e negativo.
Piuttosto
stupido da parte sua…
“Non voglio che te
ne vai.” Lo
riportò alla realtà la bambina.
“Ne abbiamo già parlato, Meike… Andrai
a Durmstrang, non saremo rimasti
comunque assieme.”
“Sì, ma non ci rivedremo
più.” Si mordicchiò
un’unghia. “Quando tornerò dalla
nonna tu non ci sarai… Sarai in Inghilterra, con i tuoi
amici… e ti
dimenticherai di me.”
“Questo non credo sia possibile.”
Replicò, ed era vero. Gli sarebbe mancata
quella ragazzina logorroica e sempre sorridente. Gli aveva salvato la
vita in
molti modi… in un certo senso, come sua nonna,
l’aveva mantenuto in vita. “Non
succederà.”
Meike si tirò su
a sedere.
“Saremo sempre amici?”
“Sempre,
naturalmente.”
Confermò e sopportò l’abbraccio
stritolante che ne conseguì. Ricambiò persino,
perché era giusto e perché in fondo lo voleva
anche lui.
Io
non farò il suo stesso errore.
****
“Sa
bene l’inglese…” Disse impacciato Al,
una
volta rimasto solo con la benefattrice del suo ragazzo: odiava dover
attaccar
bottone con una persona che non sembrava apprezzare le conversazioni di
circostanza. “Dove l’ha imparato?”
“Non vivo fuori
dal mondo.”
Replicò infatti secca.
Al si sentì
arrossire e non
replicò. Avrebbe voluto farle tante domande, chiederle molte
cose, ma spiandola
di sottecchi si rese conto che non avrebbe avuto senso. Avrebbe
soddisfatto soltanto
la sua curiosità.
Questa
donna si è occupata di Tom, e senza di lei forse
non sarebbe ancora vivo.
È
tutto qui, in fondo.
“Lui sta bene
adesso?” Le
chiese solo. Aveva bisogno di saperlo e aveva la netta impressione che
Cordula
Wollin non lesinasse la verità.
La donna si strinse nelle
spalle. “Fisicamente sì. Adesso che ci sei tu, sta
bene tutto.” Concluse.
Al ignorò il
magone che
l’aveva assalito, limitandosi ad annuire.
“Grazie.” Disse “Grazie per esservi
prese cura di lui.”
“Ne aveva
bisogno.” Rispose
senza fronzoli. Rifiutò con un cenno della mano il suo
aiuto, e raccolse piatti
e scodelle, dirigendosi in cucina. La seguì. “Ha
una grande forza magica. Una
forza pericolosa. Non poteva essere lasciato da solo.”
Aggiunse, aprendo
l’acqua per sciacquare i piatti. Al tirò fuori la
bacchetta e ne spedì
docilmente la maggior parte sotto il getto, a lavarsi da soli. La donna
lo
ringraziò con un muto cenno della testa. “Non ho
mai conosciuto nessuno come
lui. Ed ho conosciuto molti maghi.” Fece una smorfia
sarcastica, rivolta ai
piatti incantati. “Anche se non sembra, certo.”
“Tom è particolare…”
Convenne. “Cosa…?”
“So di lui? Di quello che gli è
successo?” Lo anticipò. Fece un sorriso
sardonico. “Non molto.”
Al si trovò a scambiare con quella donna sconosciuta
un’occhiata di intesa.
Sorrisero entrambi.
Rimasero in silenzio mentre
il
sole raggiungeva la finestra e illuminava la povera cucina. Al si
puntellò al
lavello mentre la guardava affaccendarsi faticosamente attorno ad una
pentola.
“C’è
qualcosa che posso fare…
che la nostra famiglia può fare per sdebitarsi?”
Le chiese gentilmente. Sapeva
di suonare impacciato, ma non era proprio granchè in quel
genere di cose.
“Sì.”
Convenne dopo qualche
attimo di considerazione. “Proteggerlo. Credo che se finisse
nei guai… non
sarebbe l’unico a pagarne le conseguenze.” Gli
lanciò un’occhiata penetrante.
“Mi sbaglio?”
Al non potè rispondere perché Tom
entrò nella loro visuale. Abbozzò un sorriso
quando gli rivolse un’occhiata inquisitoria, ma fu
più che altro un riflesso
condizionato. Teneva indolentemente una mano nella tasca, ma Al sapeva
fosse
tutta scena.
Era nervoso in
realtà.
“Credo sia ora di
andare a
fare quella telefonata, Al…”
****
Inghilterra,
Devonshire. Ottery St. Catchpole.
Casa
Potter-Weasley.
“Non
posso credere che tu
l’abbia fatto, Harry.”
Lily lanciò un’occhiata di sbieco alla madre,
mentre mescolava il porridge per
colazione. Quando Ginny Potter usava quel tono, accentando certe
parole, si
poteva esser certi di rischiare la vita.
Suo padre infatti sembrava
essersi fatto piccolo contro la credenza.
“Il deluminatore
è sicuro… l’ha
già usato Ron prima di lui.” Mormorò,
cercando di essere ragionevole.
La mattina tutta la Tana si
era svegliata ed era stata lampante la sparizione di Al. Dopo un attimo
di
sconcerto suo padre aveva preso da parte la famiglia e li aveva
convinti a
seguirli a casa.
E
poi ha mollato la bomba. Bang!
Aveva dato ad Albus il
deluminatore. E lui l’aveva usato.
Lily prese il pentolino e se
ne versò una dose, lasciando il resto al fratello e a Teddy,
che sostava
silenzioso sulla porta della cucina con l’aria di qualcuno
che voleva
disperatamente essere d’aiuto senza avere la minima idea di
come fare; era
venuto con loro e suo padre non aveva mosso la minima obiezione.
Probabilmente
più persone ci sono tra lui e la mamma e
meno rischia il linciaggio.
Mangiò una
cucchiaiata in
silenzio, mentre James si sporgeva al suo orecchio.
“Papà stavolta l’ha
combinata grossa. Che gli sarà saltato in testa di dare ad
Albie quel coso?”
“È tutta la vita che le combina di enormi…
Se però le azzecca nessuno gli dà dietro,
no?” Rimbeccò facendolo suo malgrado
sogghignare supportivo. “E comunque penso che abbia fatto
bene. Se c’è qualcuno
che può trovare Tom, quello è Al.”
“E se fosse morto?”
“Non penso che il deluminatore l’abbia trascinato
negli inferi per trovarlo.”
Replicò sicura, e lo credeva davvero. “Al limite
non avrebbe funzionato.”
Non
è morto. Forse non scoppia di salute, ma non è
morto. Non può esserlo.
Non
voglio perdere due fratelli.
James si passò
una mano trai
capelli, sbuffando, mentre la discussione dei genitori si spostava in
salotto e
inaspriva i toni. Teddy lanciò loro un’occhiata
afflitta.
Lily gli sorrise,
simpatetica:
sapeva quanto odiasse le liti e sentire urlare. Battè la
sedia accanto a sé.
“Teddy, siediti e fa’ colazione!”
Il ragazzo sorrise in quel modo gentile e un po’ distratto
che aveva di eludere
una richiesta. “Ho mangiato talmente tanto ieri che mi
potrebbe bastare per sei
giorni, Lils.”
“Siediti e basta e contemplaci mentre mangiamo?”
Suggerì senza voler
apertamente ordinare. Teddy colse l’invito e si sedette. A
quel punto James si
degnò di dargli una pacca sulla spalla; la strinse
leggermente, in quel
linguaggio segreto che la faceva sempre sorridere. Suo fratello e Teddy
non
davano grandi dimostrazioni in pubblico. Ma bastavano di gran lunga le
occhiate.
E
meno male che papà non le nota tanto…
“Su con la vita,
Teddy!” Lo apostrofò
con forza. “Litigano in continuazione, e mamma è
una chioccia. Papà ha fatto la
scelta giusta.”
“Non lo so…” Ammise l’altro,
con evidente sforzo perché per lui era davvero
difficile contrastare le idee del padrino. Si scostò una
ciocca di capelli dal
viso. “Penso che abbia fatto una scelta molto pericolosa ad
affidare un compito
simile ad Al.”
“Io direi che è l’unica
possibile!” Replicò Lily, cercando sicurezza dove
nessuno sembrava trovarla. “Andiamo, Al e Tom sono sempre
stati molto legati… e
quel coso funziona tramite i sentimenti della persona che lo usa,
no?” Scrollò
le spalle. “E poi Al non è un cretino.
L’anno scorso se l’è vista contro un
sicario e Tom sotto imperio. Ha la
bacchetta… sa cavarsela. Anche legalmente, è
maggiorenne.” Aggiunse, sentendo
il familiare senso di fastidio all’idea di essere la piccola
di casa. E
femmina.
Karma
Weasley… Quando mai vi sfuggirò?
Teddy, i cui capelli
viravano
verso un violetto che era un contrasto allegro con la sua espressione,
sospirò.
“Sì, ma perché adesso? Per quella
telefonata?”
Lily annuì. “Per cos’altro? Al stava
perdendo la testa, l’hai visto com’era
alla festa, sembrava un infero depresso, è stato appiccicato
a Rosie tutto il
tempo. Papà gli ha dato uno scopo, qualcosa da fare. E se
Tom… beh, se Tom…”
Inspirò, poi continuò. “… Se
non fosse più con noi il deluminatore gli darebbe
la prova finale.”
“Ma ha funzionato.” Ammise James. “Quindi
è ancora vivo.”
L’altro scosse la
testa. “È un
oggetto complicato, non so bene come funzioni nel caso che la persona
cercata
sia morta. Del resto è stato creato da Silente.
Quell’uomo era un mago geniale,
ma … contorto.”
“Detta semplice,
un
manipolatore come pochi.” Borbottò Lily, a cui non
era mai piaciuto, in nessun
racconto, per quanto meravigliosamente raccontato o infiorettato.
Crescendo aveva capito che
era
invece un gran signor burattinaio. Aveva controllato suo padre, quando
era poco
più grande di lei, aveva controllato tutti come pedine su
una scacchiera. Aveva
fatto fare a delle persone, come il professor Piton, quello che aveva
voluto,
fino alla fine. E senza curarsi dei sentimenti di nessuno.
Per
essere uno che parlava d’amore non era granchè
misericordioso…
Interruppe la sua
riflessione
quando vide sua madre tornare in cucina, rossa in viso e con gli occhi
lucidi
di rabbia. Era entrata come una furia e Teddy si era irrigidito,
guardandosi
attorno come se fosse colpa sua. James, notatolo, gli rifilò
un ceffone sulla
spalla.
“Mamma?”
Le chiese Lily,
vedendola prendere la sua bacchetta che era rimasta sul lavabo.
“Dove vai?”
“Da vostro zio. Voglio sapere dov’è
finito Al e voglio saperlo subito. Al
Ministero lo scopriranno più in fretta di quanto possiamo
fare noi.”
“Ma mamma, papà…”
Cercò di intervenire James.
“Vostro padre
stavolta ha
passato il segno. Sembra che tutta la famiglia debba mobilitarsi per
Thomas!”
Sbottò, prima di vedere le loro facce e fare un sorriso
tirato. “Va tutto bene,
comunque. Fate colazione.”
“Al diavolo al colazione!” Replicò James
nervoso. “È sul serio pericoloso
quell’affare? Al è in pericolo?”
“Non lo
so.” Replicò Ginny più
calma. “Fa’ colazione tesoro, e Teddy ti
prego… mangia qualcosa, sei così
pallido…”
A quel punto il telefono
squillò. Fu un suono chiaro, che squarciò la
cucina, ma a Lily sembrò che
nessuno ci facesse caso. Sua madre si diresse verso la porta, per
smaterializzarsi, mentre James e Teddy erano probabilmente indecisi se
andare
da suo padre o meno.
Lei, che sapeva bene che
quel
telefono c’era solo perché Tom o la sua famiglia
potessero chiamare, si alzò e
andò a rispondere con uno strano presentimento.
E
poi perché gli zii dovrebbero chiamare?
“Pronto, Casa
Potter.”
“Ciao Lils, sono Al… ho trovato Tom, siamo in
Germania. Mi puoi passare papà?”
Harry Potter aveva sempre
saputo di aver ereditato molto del suo modus
operandi da Silente; era inevitabile, era stata
l’unica figura paterna che
avesse mai avuto, tralasciando i tentativi goffi e inadatti di Sirius.
Agisci
per il Bene Superiore.
Aveva creduto di fare la
cosa
giusta con Al, dandogli il deluminatore dopo averlo sottratto a Ron.
Sapeva
bene che l’amico lo teneva sempre con sé, come un
vecchio cimelio da cui faceva
fatica a separarsi, come lui non si separava mai del vecchio orologio
dei
Peverell.
Forse stavolta aveva
sbagliato?
Forse.
Ginny aveva ragione, si
comportava come Silente quando era sotto pressione.
Ma
Silente, per quanto male possa aver fatto, ha
permesso a tutti noi di sopravvivere. Mi ha dato modo di sconfiggere
Voldemort…
e in fondo, mi ha sempre dato la possibilità di scegliere,
anche se all’interno
di un sentiero tracciato.
Certo, il suo vecchio
mentore
possideva una mente lungimirante, mentre lui era semplicemente il
vecchio
Harry, sempre teso ad agire di cuore, più che di testa.
Aveva quindi sbagliato? Come
padre protettivo, probabilmente.
Ma anche se aveva esposto
suo
figlio ad un rischio, sapeva che non era stato inutile. Né
per Al, né per lui…
né per Tom.
“Giochi
con la vita dei nostri figli!”
“Ginny, questo non è vero! Sto solo cercando di
riportare a casa Thomas…”
“Non è tuo figlio, Harry! Quanto ti ricorda te
stesso perché tu faccia gli
stessi errori di Silente?”
A quello non aveva risposto,
perché era più intelligente di così.
Ma la risposta ce l’aveva eccome.
Tanto,
Ginny. Troppo forse.
Sentì un
trambusto al di là
della porta, e le voci concitata dei suoi figli. Lily
spalancò la porta del
salotto, con il cordless in mano.
“Lily, tesoro,
cosa c’è?” Gli
chiese mentre il cuore gli schizzava in gola, alzandosi dalla sedia.
“Che
succede?”
“Papà, è Al! L’ha
trovato!” Gli corse incontro con un grande e meraviglioso
sorriso, porgendogli la cornetta.
Harry sentì la
saliva
seccarglisi in gola, ma rispose. “Al, sei tu?”
La comunicazione era disturbata e a tratti un fruscio violento la
copriva, ma
la voce che rispose era indubbiamente quella del suo bambino.
“Papà, c’è Tom
con me! Avevi ragione tu, il deluminatore ha funzionato!”
“State bene?” Vide con la coda
dell’occhio avvicinarsi il resto della sua
famiglia. L’espressione di Ginny era un misto tra sollievo e
irritazione. “Tu e
Tom, state…”
“Sì, sì!” Lo
tranquillizzò immediatamente. “Ma non sappiamo
come tornare a
casa… qui non c’è collegamento con la
metropolvere, né tantomeno scope o cose
del genere. Non ci sono neanche i Gufi, pensa. Siamo in un villaggio
babbano.”
Harry rimpianse di aver
lasciato
i suoi occhiali in cucina, perché sentì il
bisogno di rimetterli a posto o
pulirli. “Non preoccuparti tesoro, vi veniamo a
prendere… È davvero tutto a
posto?”
E Al capì, perché era sempre stato il
più intuitivo del suoi figli. “Ti passo
Tom, papà.” Disse infatti e ci fu un violento
fruscio che preannunciava il
cambio di interlocutore.
“Zio
Harry?” Disse la voce del
suo figlioccio, pacata e un po’ fredda come se la ricordava.
Cercò di dominare
le emozioni, perché a quarantatrè anni suonati
non poteva farsi venire gli
occhi lucidi di fronte alla sua famiglia.
“Tom, è
bello sentirti.” Disse
invece, e fu stupito di avere la voce ferma. “Come
stai?” Non era mai stato
bravo in quel genere di convenevoli.
Ci fu una breve pausa al di
là
del filo ed Harry seppe che erano in due ad essere pessimi.
“Bene.” Gli
rispose, con la voce controllata delle grandi occasioni. “Mi
dispiace, zio.”
Aggiunse piano. “Mi dispiace…” Ed era
sincero, Harry lo sapeva, proprio perché
sembrava freddo come un ghiacciaio artico.
“Lo so.” Sospirò sentendo che finalmente
tutto stava tornando al suo posto. Era
la sua famiglia quella, ed era perfetto solo quando era completa.
“Vengo a
prendervi. Andrà tutto bene.”
“Lo so.”
Rispose stavolta Tom.
“Ti passo Al…” Aggiunse in fretta, prima
che alla cornetta tornasse a suo
figlio. Si fece dare le indicazioni precise, si assicurò un
altro paio di volte
che fosse davvero tutto a posto e poi passò la palla a
Ginny, che passandogli
accanto gli sillabò qualcosa di simile a ‘Hai una
fortuna sfacciata, Harry
Potter’.
Sorrise.
James aveva un largo sorriso
quando li raggiunse. “Quel nanetto… Se si mette in
testa una cosa, eh papà?”
Lily gli si
aggrappò ad un
braccio e rise. “Allora tornano, eh? Tornano tutti
e due!” Ad un suo cenno d’assenso
sogghignò. “Bisogna
organizzare una festa. Grandiosa. Faraonica.
Io penso agli inviti.”
Teddy si limitò
ad un sorriso
calmo. “Hai avuto ragione ad aver fiducia in Albus.
È un ragazzo
straordinario.”
“Sì, anche straordinariamente stronzo.”
Precisò James con uno sbuffo. “Ma è un
serpeverde. Non fa un gran chiasso, ma ottiene sempre quello che vuole.
In un
modo o nell’altro.” Fece una pausa, ignorando
l’occhiataccia del giovane Lupin.
“Perché è anche un po’
grifondoro, ecco.”
Harry sorrise ai suoi figli.
“Sì
Jamie, è vero.” Disse. “Adesso vado a
prenderli…”
C’era ancora molto da fare, per Tom: molto da spiegare e da
farsi spiegare. Il
suo figlioccio doveva tornare nella società magica e doveva
farlo da mago
libero, privo di ombre nel suo passato. Non sarebbe stato facile, ma
del resto
le cose importanti non lo erano mai, no?
Al uscì fuori
dalla cabina,
dopo aver rassicurato in quaranta modi diversi sua madre che non fosse
mutilato, ferito, morto o spacciato. Questo dopo aver ascoltato una
bella
ramanzina per la sua incoscienza.
Tom gli dava le spalle e
guardava lo specchio straordinariamente cobalto del mare, visibile
persino da
lì, con le mani sprofondante nelle tasche dei pantaloni. Non
c’era gente nella
piccola via stretta che ospitava giusto quella cabina telefonica e un
pub
sprangato; erano soli.
“Stai
bene?” Gli chiese
raggiungendolo.
“È
diventata la domanda del
giorno?” Replicò a bassa voce.
Al ci riflettè.
Sorrise
appena, mettendogli una mano al centro della schiena. Da lì
poteva sentirgli battere
il cuore. “Ma stai piangendo?”
“Sta’ zitto.” Una pausa. “Sto
benissimo.”
“È
diventata la risposta del
giorno?” Lo canzonò dolcemente, prima di
abbracciarlo da dietro. Lo sentì
irrigidirsi e poi rilassarsi una volta che capì che non
avrebbe mollato la
presa.
Mai.
“Si torna a casa
naufrago…”
****
Note:
Capitolo passaggio,
parecchie
chiacchiere, poca azione. Il prossimo: Sören!
1.
Qui la canzone. Devo dire che mi ha ispirata
parecchio in questa
parentesi germanica. Se guardate il
video, capite. :P
2. Traduzione a braccio. La
versione nel libro della Salani è un po’ diversa
ma questa è quella letterale. Ancora
più
agghiacciante.
3.
There
is a
light that never goes out dei The Smiths. La canzone preferita di Tommy. :P
|
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Capitolo 7 *** Capitolo VI ***
Purtroppo
devo partire ancora. Riesco a mandarvi tanto amore
con questo capitolo e
a rispondere brevemente alle recensioni. Ne ho viste meno, ma spero sia
solo
per via di ferragosto. :P
@ElseW: il castello disilluso diciamo che
era un ‘assaggio’. Per via di Sören
sai :P Silente sicuramente si sarebbe fatto due risate. Probabilmente
Lily
avrebbe cercato di tirargli un calcio. Non è molto
diplomatica quando crede che
qualcuno abbia fatto del male ai suoi. xD Grazie mille per i
complimenti, siete
anche voi che rendete questa storia quello che è credimi! ^^
@Altovoltaggio: Ehi, guarda che quella canzone in
particolare mi
piace moltissimo! Devo ammetterlo, mi ha sorpresa! Beh,
grazie… io adoro la
musica, senza una canzone a capitolo non saprei proprio come fare. E
poi beh,
per la conoscenza… cazzeggio un sacco sul tubo. Si trovano
canzoni
meravigliose. Ahaah, Meike è abbastanza smaliziata,
credimi… e per quanto
riguarda il Torneo Tremaghi, ho qualche idea, che per ora non posso
svelare! :P
Oh, credimi, Lily ha preso da Ginny! Grazie per i complimenti! Guarda
su
Silente ci troviamo perfettamente d’accordo, era un
manipolatore! E Harry
troppo buono per non finire per perdonarlo. Basta come si è
comportato con
Piton! L’incontro tra Harry e Cordula… lo
descriverò, promesso. ;)
@Nicky_Iron: Ah, se mi dici così ho
fatto più attenzione in questo
capitolo! Dimmi se ti confonde ancora il cambio dei personaggi! Certo,
si
manterranno in contatto, sicuro! :D Farò del mio meglio per
non deluderti!
@LauraStark: Grazie mille!
Essì,
Harry l’ha scampata bella! Beh, vedremo se
la sua ipotesi sarà veritiera o no!
@Mikyvale: Grazie per i complimenti a Meike!
Volevo fosse una
figura di contorno, e poi mi è venuta una figura di rilievo!
XD Tom in realtà è
pudico, ma quando è appena sveglio è una specie
di zombie semovente, incapace
di intere e di volere… e poi era post-sesso, poteva
scoppiargli una bomba
accanto.
Ma
certo che faranno pace, ormai, sono una coppia di ferro! XD
@Neely: Felice di averti reso felice! ;D
Eheeh, tutto quello che chiedi, c’è
scritto nel capitolo! E grazie ancora per seguirmi! :D
@ZetaSev: Ciao Zeta!
Wow, davvero
l’hai letta tutta, ma sei fantastica! Ti
adoro! XD Ed è ancora più bello,
perchè a te le fic del mio genere non
piacciono, grazie mille quindi! E sì, sono
d’accordo con te, sono persone
nuove, non devono sembrare fotocopie dei parenti! Se ti devo dire la
verità,
anche Rose è il mio pg preferito, in un certo senso! XD
****
Capitolo VI
It's been a while/since I could
hold my head up high
And it's been a while/since I first saw you
It's been a while/since I could stand on my own
two feet again
It's
been a while
But all that shit seems to disappear when I'm
with you¹
(It’s
been a while, Staind)
Da
qualche parte in Germania del Nord
Resistenza
estiva degli Hohenheim.
L’orologio
batté cupamente
mezzogiorno.
Sören
alzò lo sguardo sulla
pendola di legno di noce scrutando con cipiglio il rintocco lugubre che
si
spandeva per l’intero piccolo salotto d’attesa.
Odiava quei momenti. Era
quasi
del tutto certo che suo zio lo facesse apposta a farlo attendere.
Era una tecnica psicologica
logorante: solo con gli anni, e con una certa reiterata presenza di
tale
tecnica a Durmstrang era riuscito a sovrastare completamente il
nervosismo.
La sua difesa preferita era
esaminarsi le mani alla ricerca di macchie. La sua istitutrice, una
rigida
donna russa, l’aveva abituato a non avere mani e unghie
sporche, pena punizioni
corporali.
Quando era cresciuto
l’aveva
presa ad abitudine. Trafficando spesso con pozioni e sostanze che
macchiavano
le dita era un ottimo esercizio di distrazione.
Quel giorno però,
ahimè, le
sue unghie erano pulite, come i polpastrelli. Occuparsi, con la magia,
del trasloco
delle proprietà di suo zio non sporcava certo le mani. Aveva
finito alle luci
dell’alba, aveva sigillato con potenti incantesimi protettivi
la villa
padronale e poi era ripartito alla volta della nuova residenza degli
Hohenheim.
Quella villa era ancora
più
cupa di quella che aveva lasciato. I pesanti tendaggi blu, posti su
ogni
singola finestra del palazzo, non lasciavano oltrepassare neppure uno
spiraglio
di luce. Solo un lume asfittico illuminava la stanza, dando una
connotazione
sinistra al tutto.
Sembra quasi che suo zio
avesse orrore della luce.
Fece una smorfia, lanciando
uno sguardo alla porta dello studio ostinatamente chiusa.
Si sfilò allora
l’anello che
portava all’anulare. Era l’unico ricordo che avesse
di suo padre, l’unico che Alberich
gli permettesse di avere, forse perché simbolo del proprio
sangue puro.
Gli piaceva
quell’anello. Era
di scuro metallo inglese, con un incisione ormai sbiadita dal tempo, ma
ancora
visibile. Due mani stilizzate che cingevano una corona: era tutto
ciò che
rimaneva dell’antica famiglia dei Prince. Per quando ne
sapeva in Inghilterra
ogni traccia si era estinta da tempo.
E lui…
Beh, lui era un Hohenheim,
adottato all’età di sei anni e da allora si era
sempre considerato come tale.
Non ricordava molto di suo
padre, se non una figura già piuttosto avanti con
l’età, dalla carnagione
giallastra e gli zigomi sgradevolmente ossuti.
Da lui aveva preso i capelli
neri e lisci, da lui la corporatura asciutta e la scarsa altezza.
Elias Prince veniva
dall’Inghilterra:
una volta aveva sentito i servitori mormorare che avesse sposato sua
madre per
via di uno scandalo occorso all’interno della sua famiglia.
Qualcosa che come
un unione tra una sua parente prossima e un sangue sporco, gli aveva
chiarificato suo zio una sera che era in vena di chiacchiere.
Non ricordava né
carezze, né
affetto da parte del padre: né del resto avrebbe dovuto
stupirsene. I maghi
purosangue non erano avvezzi alle tenerezze. Era morto quando era poco
più di
un bambino, a seguito di un incidente nel proprio laboratorio. Era un
alchimista.
Sua madre invece
l’aveva persa
a dodici anni. O forse non l’aveva mai veramente avuta. Era
stata una pallida
creatura, succube dell’incredibile carisma del fratello
Alberich e del marito.
Da lei aveva ereditato la carnagione irritantemente soggetta ad
arrossire e una
gastrite nervosa che lo flagellava da ben diciassette anni. Si era
spenta in
silenzio, lasciando una stanza vuota e qualche gioiello che era stato
di nuovo
inglobato nel patrimonio degli Hohenheim.
Sören era stato
più volte
nella sua stanza dopo la sua morte; non era mai riuscito a provare
nulla.
Per
provare qualcosa si dovrebbe avere ricordo della
persona che è scomparsa…
I suoi pensieri stavano
prendendo una piega decisamente malinconica, e non gli andava di
assecondarla.
Tirò un grosso sospiro, infilandosi nuovamente
l’anello e stiracchiando
pigramente le gambe. Lanciò un’altra occhiata
verso la porta, sperando che si
aprisse.
Ovviamente non accadde.
Non aveva idea di cosa suo
zio
potesse ordinargli di fare per l’organizzazione: del resto
non era un vero e
proprio membro della Thule. Era un… affiliato.
Essere parente in linea maschile di uno dei membri più
influenti però gli dava
qualche privilegio. Infatti sapeva cos’era successo
l’anno prima.
Non poté fare a
meno di
sorridere. C’era una certa ironia in tutta quella storia: suo
zio aveva fatto
di tutto per avere un erede da plasmare a sua immagine e somiglianza,
ovvero
sia crudele, con un intelligenza vorace e pochi scrupoli morali. Il
genere di
persona che, con la giusta dose di egomania, sarebbe potuta diventare
un nuovo
mago oscuro capace di rivaleggiare con il connazionale Grindenwald o
l’inglese
Lord Voldemort.
Era quasi certo che suo zio
avesse
persino sognato quell’eventualità. Aveva
scomodando quantità esorbitanti di
magia oscura e per farlo vivere aveva persino trasmigrato
un’anima che si
diceva – ma questo non gli era stato confermato –
appartenesse all’ultimo dei
maghi oscuri, Voldemort.
Quel ragazzo, secondo
l’intera
società Thule, sarebbe stato il nuovo baluardo che avrebbe
dato lustro e potere
all’organizzazione.
Sfortunatamente Thomas
Dursley
sembrava aver sviluppato una personalità che mal si adattava
ai sogni
apologetici di Alberich. Per ironia del caso era stato infatti adottato
dalla
famiglia del mago ‘della luce’ per eccellenza,
Harry Potter. E a lui era
rimasto fedele, nonostante quell’idiota di Doe avesse
assicurato piena riuscita
del suo piano.
John Doe era morto e non
aveva
portato indietro uno solo dei Doni della Morte, il principale motivo
per cui la
Thule aveva finanziato quell’operazione. Oltre
a questo, Thomas era scomparso.
Una sconfitta su tutta la
linea che suo zio faticava a digerire, specie perché aveva
minato la sua
influenza all’interno dell’organizzazione.
Era furioso e Sören
sapeva
bene che questo, per lui, non significava nulla di buono.
Per questo sentiva un
bruciore
fastidioso alla bocca dello stomaco e cercava di ingannare il tempo
pensando ad
altro, rassicurandosi sul fatto gli era stato dato un compito, dopo
mesi di
inattività, e avendolo svolto ora gliene aspettava un altro,
per conto
dell’organizzazione.
Avrebbe mentito se non
avesse
ammesso di essere nervoso: se avesse svolto al meglio quel compito la
Thule
avrebbe forse schiuso le porte per lui, finalmente. Suo zio
l’aveva educato, o
per meglio dire addestrato per
entrarvi.
Tamburellò le
dita sulle
braccia, calciando via un batuffolo di polvere con la punta dello
stivale.
Era frustrante: spesso
fungeva
da braccio operativo, trafugava, mentiva e neutralizzava avversari per
Lei, ma
non aveva accesso ai suoi segreti.
Si rendeva conto di essere
ridicolo, alle volte, a parlarne come se fosse una donna, ma
l’organizzazione
pretendeva la stessa fedeltà che avrebbe preteso
un’amante.
Non c’era niente,
al mondo, più
importante per lui che riuscire a farne parte. Da questo punto di vista
si
considerava un soldato zelota.
Del resto, se erano riusciti
a
far tornare in vita un essere umano… Cos’altro
erano capaci di fare?
Sören ne era
affascinato e
terrorizzato al tempo stesso. Era quella la
strada tracciata per lui sin
dalla nascita. Se suo zio non aveva potuto crescere suo figlio, aveva
cresciuto
lui.
Alberich Von Hohenheim era
tutta la sua famiglia. E lui sapeva che alla famiglia si doveva tutto.
La porta finalmente si
aprì,
come se qualcuno l’avesse spinta, anche se sapeva bene che
fosse tutta opera
della magia di suo zio.
“Entra
Sören.”
E Sören
obbedì, come sempre.
****
Isola
di Rügen, Germania del Nord.
Putgarten.
“Non capisco
perché ci mette
tanto ad arrivare.”
Albus sospirò quando Tom ripeté la frase per
forse la ventesima volta.
Avevano risalito la
collinetta
che portava al bosco, visto che Tom alla fine non era riuscito a dire
di no a
Meike, e aveva acconsentito ad andare a dare un’occhiata al
misterioso cancello
alla luce del giorno. Al li aveva accompagnati, perché a
dire la verità la
compagnia di Cordula lo metteva un po’ a disagio. Per questo
e perché sperava
di distrarre l’altro ragazzo che sembrava un fascio di nervi
e borbottava
incessantemente da quasi due ore.
“Ci
vorrà un po’, dopotutto
deve organizzare una passaporta per uno stato estero.”
Ripeté pazientemente.
“Non fare il brontolone.”
“Non
faccio il brontolone.” Replicò seccato, mentre a
una decina di
passi di distanza Meike ridacchiava.
“È
vero, sei un brontolone!”
Riprese la bambina.
“Visto?”
“Voi due cospirate contro la mia sanità
mentale.” Sbottò, ficcandosi le mani
nelle tasche della felpa e chiudendosi in un silenzio ostinato. Al
ridacchiò,
lasciandolo a cuocere nel suo brodo e raggiungendo la bambina.
Meike lo osservò
di sottecchi.
Non sembrava prendere a male la sua presenza come aveva temuto,
piuttosto
sembrava incuriosita.
Le sorrise.
“Allora… questo
castello?”
“Non l’abbiamo mica visto!” Rispose
prontamente. “Tom è voluto subito andare
via.” Precisò, adottando con disinvoltura il nuovo
nome dell’amico. “Ma non è
che si vedeva … credo che il castello fosse molto
distante.”
“Capisco. È così anche in Inghilterra.
Probabilmente è in mezzo al bosco.” Le
spiegò, notando con divertimento che beveva avidamente le
sue parole,
probabilmente cercando di memorizzarle. Con solo un paio
d’ore di conversazione
era già capace di capire quasi tutto quello che le dicevano.
Era sveglia e
intelligente. Poteva capire perché Tom le si fosse
affezionato, anche se
tentava senza molto successo di mascherarlo.
Un po’ ne era
geloso, prima di
darsi dell’imbecille e ricordarsi che era una bambina di
dieci o al massimo
undici anni.
“Probabilmente?
Che vuol dire?”
Chiese. “L’inglese è una lingua
difficile. Ma voglio impararla.” Aggiunse
mentre si attorcigliava una ciocca di capelli attorno alle dita.
“Così magari
ci vengo…”
“Certo,
così verrai a
trovarci… Saremo felici di ospitarti.” Le propose,
sapendo benissimo che parava
a quello. Infatti la bambina si illuminò.
“Hai sentito Tom?
Al mi ha
invitato in Inghilterra!”
“Fantastico.”
Replicò piatto,
a qualche metro da loro mentre osservava con attenzione il bosco che
stavano
raggiungendo. “A quando il lieto evento?”
Meike gonfiò le guance. “Sei un
brontolone!” Lo apostrofò, prima di correre
verso la radura e seminare entrambi.
Tom sospirò
raggiungendolo.“C’èra bisogno di
insegnarle ad insultarmi anche in inglese?”
“Non è mica un insulto.” Gli sorrise.
“È un dato di fatto.”
Tom fu chiaramente indeciso
se
tirargli un pizzicotto o meno, Al lo capì da come lo
guardò. Poi dovette
decidere che era ancora troppo presto per certe confidenze.
Beh,
questo suo senso di colpa in fondo potrebbe
giocare, a volte, a mio favore…
Guardarono l’agile
figurina di
Meike saltellare tra gli alberi del bosco e chinarsi a prendere un ramo
che
improvvisò bacchetta, menando fendenti tutto intorno.
Del cancello non
c’era
traccia, ma in compenso si sentiva magia nell’aria. Una
barriera,
probabilmente. Era così potente che addentrandosi nel
boschetto cominciò a
sentire un lieve fastidio alle tempie, come qualcosa vi premesse sopra.
“La
senti?” Chiese Tom,
mettendo una mano sulla spalla di Meike per impedirle di proseguire.
“Penso che
sia una barriera.”
“Sì, una serie di barriere. Forse un salvo
hexia e sicuramente un repello
babbanum.” Considerò meditabondo.
“… E decisamente
qualcosa di molto più potente…” Storse
le labbra mentre sentiva la pressione
aumentare. “Tra poco mi scoppierà un malditesta
formato gigante, Tom. C’è tanta
di quella magia da andare in overdose.”
“Togliamoci di
qui.” Ordinò
quello spingendo Meike verso l’uscita.
“Ahi.” Convenne Meike strofinandosi la fronte.
“Ieri sera mica era così
però…”
“Ieri sera doveva entrare qualcuno e probabilmente siamo
arrivati nel momento
esatto in cui le barriere venivano tolte.” Le
spiegò mentre uscivano dal
circolo di alberi a rivedere la luce lattiginosa della radura. Si
sentirono
subito meglio.
“Proprio non
vogliono persone
lì dentro, eh?” Chiese Meike sedendosi su un
tronco divelto e succhiandosi il
labbro inferiore pensierosa.
“A quanto pare no.
Tipico
atteggiamento da purosangue direi.” Rifletté dando
un’occhiata a Tom che si era
appoggiato con la schiena ad un albero. “Peccato
però. Avremmo potuto chiedere
a loro aiuto per tornare a casa.”
“Se hanno eretto misure precauzionali del genere non credo,
come ti ho detto,
che sarebbero stati estasiati all’idea di
aiutarci.” Ironizzò l’altro.
“Chiunque sia venuto credo che ormai se ne sia
andato.”
“Come fai a dirlo?” Chiese subito Meike curiosa.
“Magari è ancora dentro!”
“Difese di questo genere sono utilizzate, di solito, da chi
pensa di lasciare
per lungo tempo la propria casa. Penso che ormai non ci sia
più nessuno.” Scrollò
le spalle il ragazzo. Al lo vide guardare a lungo in direzione del
cancello,
anche quando scesero dalla collinetta, diretti verso la scogliera per
precisa
richiesta di Meike.
Mentre la bambina era china
su
una pozza d’acqua con le maniche fin sopra i gomiti,
concentrata nel tentativo
di recuperare dei granchietti sfuggenti, si sedette accanto a Tom che
fissava
il mare assorto. Gli diede un colpetto sul braccio. “Uno
zellino per i tuoi
pensieri…”
“Penny. L’avete riadattato al mondo magico, ma
è un proverbio babbano.” Osservò
distratto.
Al sbuffò.
“Sì, Signor
Puntigliosità. Un penny allora. A che pensi?”
Tom esitò poi si passò le dita trai capelli,
lasciandoli ricadere frustrato
sugli occhi poco dopo. “Varie cose. Soprattutto se
potrò ancora usare una
bacchetta quando tornerò in Inghilterra.”
“Perché non dovresti?”
“Al…” Lo guardò con una sorta
di esasperata pazienza. “Tralasciando la mia
collusione con John Doe ho esercitato magia non
regolamentare. Io… mi ricordo che ho quasi
maledetto Harry…”
“Non l’hai mica fatto davvero!”
“Ho usato la cruciatus su di lui. Me lo
ricordo.”
Mormorò mentre un’ombra gli scendeva sullo
sguardo. “E quasi un avada kedavra.
Mi ha fermato prima, ma
volevo…”
“Non eri in te! Eri sotto imperio,
non possono toglierti la bacchetta per qualcosa che hai fatto sotto
l’influsso
di una maledizione! Voglio dire, hanno riabilitato due
volte i Malfoy!” Protestò violentemente,
afferrandolo per un
polso. “La vuoi smettere di pensarci?”
“Stai scherzando? Si tratta
dell’eventualità di finire persino ad
Azkaban!” Ribatté
con veemenza, prima di lanciare un’occhiata alla bambina:
fortunatamente era
abbastanza lontana da non poterli sentire. Tirò un sospiro
secco, prima di
continuare. “Non è il processo in sé
che mi preoccupa, né di fornire
spiegazioni alla scuola o al Ministero… o alla nostra
famiglia. È…” Si fermò,
mordendosi
a sangue l’angolo del labbro.
Al capì. Per Tom
la magia era
tutto. Sin da bambino era cresciuto con l’assoluta
consapevolezza di
appartenere al loro mondo. Amava la magia, di un amore viscerale,
profondo, a
tratti passionale come quello tra due persone. Se gli avessero tolto la
bacchetta, proibendogli di usarla di nuovo l’avrebbero
ucciso.
Gli prese la mano e gliela
strinse. “Non succederà. Sei stato plagiato, e
papà lo dirà… Se necessario
testimonierò anche io. Davvero.”
“Comunque potrei vivere anche senza bacchetta.”
Borbottò senza ascoltarlo.
“Sono capace di fare magie senza bacchetta.
Naturalmente.”
Al sospirò, meditando di lasciarlo alle sue elucubrazioni.
La tentazione era
forte, ma del resto restava sempre un Potter.
Sempre
destinato a salvare tutti… Che culo.
“Sarà
divertente vederti
ancora al sesto anno mentre io farò
l’ultimo.” Esordì, conoscendo benissimo
lo
spirito competitivo del proprio ragazzo. Tom infatti alzò
subito la testa, tra
l’irritato e il meditabondo.
“Se
non verrò espulso farò in modo di farmi ammettere
al Settimo. Ho
completato da solo il resto del programma dell’anno
scorso… Non ho intenzione
di imparare cose che già so.”
“… e come?” Lo guardò
sbalordito. C’era da aspettarselo che Tom non passasse
quei mesi solo a guardare struggente l’orizzonte. Si
sentì invadere da un
affetto sconfinato per quell’ insopportabile genietto.
L’avrebbe baciato, ma
Meike zompettava un po’ troppo vicino.
Tom fece un sorrisetto di
vaga
superiorità. “Non avevo con me i libri di testo,
ma all’inizio dell’anno scorso
avevo fatto una tabella di studio. La ricordavo a memoria. Cordula
ricordava
molti degli incantesimi che avrei dovuto imparare anche se, certo, solo
in
teoria… Per quanto riguarda Incantesimi, DCAO, Pozioni e
Trasfigurazione dovrei
essere preparato. Il resto potrei studiarlo ad Agosto, e magari
sostenere degli
esami valutativi i primi di settembre…”
Ragionò tra sé e sé.
“Hogwarts funziona
come una scuola privata babbana, non c’è uno
statuto restrittivo che disciplina
le eccezioni. Potrei parlarne con il Preside. Tirando certe
corde…”
Al lo fermò per baciarlo. In qualche modo doveva sfogare il
suo immenso bisogno
di dirgli quanto era bello sentirlo
tramare per la sua ammissione al loro ultimo anno. Tom rimase fermo per
un
attimo, sorpreso, prima di passargli un braccio attorno alla vita e
ricambiare.
Si staccarono con il fiato corto. Al notò che Tom lo aveva
più affrettato del
suo.
“Questo per
cos’era?” Gli
chiese fingendo di non essere piuttosto stravolto.
Al sorrise.
“È solo bello sentirti
parlare di scuola. Non credevo che sarei stato felice di sentirti
parlare il secchionese.”
Tom lo guardò
indispettito,
prima di fare un sorrisetto. “Mi risulta che anche tu lo
sia…”
“Io sono
semplicemente bravo
in qualche materia. E comunque sai, facendo parte della squadra di
Quidditch
non mi si può definire come tale.”
“Se vuoi posso definirti uno sportivo senza
cervello.” Al sentì le dita di Tom
insinuarsi sotto il maglione che gli aveva prestato Cordula per
ripararsi dal
vento. Rabbrividì leggermente quando toccò la
pelle nuda, ma non si ritrasse.
Era una bella sensazione, anche se l’altro aveva le mani
gelate.
“Quello
è Jamie.” Obbiettò.
“Hai le mani fredde, comunque.”
“Infatti me le sto scaldando.”
“Addosso a me?”
“Vedi qualcun altro che emana calore?” Gli
chiese con disinvoltura, tirandoselo contro. Al, che aveva grossi
problemi di
equilibrio se non era in sella ad una scopa a una ventina di metri
d’altezza,
gli franò addosso. Tom ridacchiò. “Oh,
sì. Questo mi era mancato. La tua scarsa
coordinazione motoria.”
“Idiota.” Lo apostrofò aggrappandosi
alla sua felpa per tirarsi dritto. Reclamò
un altro bacio, dimentico che non erano esattamente soli. Se ne rese
conto
quando vide che Meike li fissava, con vaga curiosità e un
pizzico di imbarazzo.
“Err.”
Tentò Al. “Meike, uhm…
Sai, quando due persone si vogliono bene…”
Iniziò cattedratico, mentre l’idiota
se ne rimaneva placidamente in
silenzio con le mani ancora sotto il suo maglione. Quando
cercò di divincolarsi
strinse la presa.
C’è
mai una volta in cui cerca di togliermi le castagne
dal fuoco?
Meike scoccò loro
un’occhiata
di commiserazione. Sul serio, sembrava proprio quella. “Non
sono mica stupida,
Al.” Gli disse in un inglese reso un po’ incerto
dall’imbarazzo. “Voi due vi
piacete come un ragazzo e una ragazza.” Fece una pausa,
prendendo un tono
cospiratorio. “Si chiama essere gay, sai?”
Tom a quel punto scoppiò a ridere, lasciandolo libero per
evitare di crollare
da sopra lo scoglio a causa dell’esplosione di
ilarità. “Hai sentito Al? Devi
chiamare le cose con il loro nome.”
“Va’ all’inferno!” Si
sentì avvampare come un gladiolo e persino Meike
accennò
una risatina. “Meike, senti… Cioè, so
che è un po’ strano…”
La bambina scrollò le spalle. “Io lo
sapevo.” Spiegò orgogliosa. “Tom non
guarda le ragazze. E dice che preferisce stare coi ragazzi. Era ovvio.”
“Cristallino.”
Ironizzò Al
scoccandole un’occhiata divertita. Poi si affrettò
a cambiare discorso, perché certe
cose lo imbarazzava a morte. “Così, uhm, andrai a
Durmstrang?”
“Sì!” Rispose contenta. “Anche
se neanche la nonna sa dov’è!”
“Perché è intracciabile, sai che
significa?” Si lanciò in una spiegazione che
la bambina seguì attentamente.
Fu una bella chiacchierata.
Il
sole aveva fatto capolino dalle nuvole scaldando le rocce attorno a
loro e
rendendo il clima gradevole, se non proprio caldo. Il vento era caduto
e si
stava bene, seduti sugli scogli con il rumore e l’odore
dell’oceano tutto
intorno. Pensò che dopotutto quel posto assomigliava a Tom:
apparentemente sembrava
aspro, ventoso e poco ospitale. Ma bastava un attimo, anche solo un
raggio di
sole, per renderlo meraviglioso.
Tom seguiva la loro
conversazione distratto, intervenendo ogni tanto. Al si sentiva un
po’ idiota a
voltarsi a intervalli regolari per controllare che ci fosse
Prima o poi gli sarebbe
passata, per il momento doveva accertarsene.
Meike alzò la
testa quando si
sentì chiamare improvvisamente. “È la
nonna!” Si voltò verso i due ragazzi.
“Credo che tuo papà sia arrivato
Al…”
Al afferrò la
mano di Tom
prima che si ficcasse le unghie nel palmo per il nervosismo o qualcosa
del
genere, e lo costrinse ad intrecciarla alla sua.
“Andiamo?”
Tom annuì impercettibilmente. “Credo dovrai
lasciarmi la mano però…”
Gli sorrise. “Solo quando sarà
necessario.”
E lo fece veramente. Solo
quando furono davanti la fattoria Al gli lasciò la mano. Lo
fece a malincuore, perché
sembrava che Tom ne avesse più bisogno proprio in quel
momento.
Meike spiava dall’uno all’altro, insolitamente
zitta. “Ti assomiglia il tuo
papà, Al?” Chiese, tanto per dire qualcosa.
Al sorrise. “Dicono che sia quello che in famiglia gli
somigli di più.”
Tom spinse la porta di
ingresso con forza, senza attendere oltre.
Il suo padrino era a due
passi
da lui, con uno di quegli orribili maglioni Weasley e gli occhiali
tondi. Pensò
nebulosamente che fosse l’uomo con meno senso del gusto sulla
faccia della
terra.
Questo per pensare a
qualcosa.
“Tom.”
Sorrise
avvicinandoglisi. Esitò, e si squadrarono a lungo.
“Ti trovo bene. Anche se ti
diranno a casa che sei troppo magro.”
E Tom a quel punto si permise un sorriso, stringendogli la mano di
rimando. Non
si abbracciarono o ci furono particolari effusioni. Entrambi le
temevano come
una malattia infettiva di rara natura. Si limitò a
stringerla con quanta più
decisione gli riuscì.
“Ciao
papà!” Rispose Al per
lui. “Tieni… e grazie!” Gli porse il
deluminatore, che l’uomo si intascò con un
sorriso impacciato. Tom notò che sembrava rivolgerlo
più che altro a Cordula. Dovevano
aver parlato nel lasso di tempo che loro avevano impiegato a risalire
la
scogliera.
Harry si aggiustò
le lenti
degli occhiali, mentre Meike si era accostata a Cordula, spiandolo con
occhi di
una curiosità divorante. “Bene…
purtroppo la passaporta si attiverà tra poco. Non
sono riuscito ad ottenerne una a lunga durata. Ai trasporti magici le
persone
che conosco sono quasi tutte in vacanza e pochi erano disposti a
lavorarci su a
lungo…”
“Dobbiamo andare subito, quindi?” Intuì.
Sentiva una stretta allo stomaco, ma
non sapeva se fosse spiacevole o meno.
“Più o
meno subito, sì.” Si
scusò con uno sguardo verso Cordula. “Mi dispiace
l’improvvisata e la fuga
scortese, ma le passaporte internazionali non…”
“So bene come funzionano.” Tagliò corto
la donna. “E comunque mi ha già detto
tutto quello che doveva, herr
Potter.”
Si voltò verso di lui, e Tom sentì che gli
sarebbe mancata.
Era forse la prima persona
al
mondo che l’aveva capito senza bisogno di spiegazioni.
Le si avvicinò,
mentre cercava
di ignorare i lacrimoni tremare sulle ciglia di Meike. “Danke. Du hast mein Leben gerettet.”
Disse soltanto, in tedesco, perché davvero
non c’era molto da dire e non voleva dirlo in inglese. Gli
tese la bacchetta
del figlio, anche se fu una sofferenza. Non sapeva se ne avrebbe avuta
una, d’ora
in poi.
“Allora
ricordatelo.” Si
limitò a rispondere la donna prendendola. “
“Potreste…
venire con noi. Tu
e Meike. Finché non inizia la scuola.” Disse,
stupendosi lui stesso della
proposta. “Questo posto…”
“È il posto a cui apparteniamo.”
Concluse per lui, ma quasi sorrise. “Ma Meike
sono convinta sarà felicissima di venirti a trovare durante
le vacanze
scolastiche.”
“Tutte le volte che vuole!” Si inserì
Al, che ovviamente aveva gli occhi lucidi
al posto suo. “Vero papà?”
“Naturalmente.” Confermò Harry, che era
rimasto in silenzio fino a quel
momento. “Siete entrambe le benvenute a casa nostra, come ho
già detto…”
“L’inferno congelerà prima che mi faccia
convincere ad usare una passaporta, herr
Potter.” Ironizzò Cordula. “Ma,
come le ho detto, apprezzo l’offerta.”
Sembravano tutti
incredibilmente impacciati, registrò Tom. Come se non
sapessero come salutarsi,
con il poco tempo che avevano a disposizione.
Harry a quel punto si fece
coraggio. “Dobbiamo davvero andare adesso. Devi prendere
qualcos’altro Tom, o
viaggi così leggero?”
“Viaggio come sono arrivato qui.” Rispose, poi si
voltò verso le due donne.
Meike piangeva con grossi lacrimoni. Non seppe cosa dirle per farla
smettere,
forse perché avrebbe voluto dire molte cose. Avrebbe voluto
essere Al, in quel
momento. Forse piangere sarebbe stato un buon modo per manifestare i
propri
sentimenti.
Harry tirò fuori
la passaporta
dalla tasca, era il suo mazzo di chiavi di casa. Non appena la
posò sul tavolo
quella cominciò a brillare di una tenue luce azzurrina.
“Ci siamo ragazzi.
Toccatela, coraggio.”
Tom si avvicinò al tavolo, guardando per l’ultima
volta il posto che aveva
finto fosse casa sua per otto mesi. Era stata una bella finzione,
dopotutto.
Cordula a quel punto decise
di
parlare. “Sei un bravo ragazzo, Tom. Ricordati anche
questo.” Disse con il suo
solito tono spiccio. Ma lo credeva davvero, glielo diceva la sua
espressione.
Le sorrise.
“Farò del mio
meglio.”
Poi tutto divenne confuso.
****
Germania
del Nord.
Residenza
estiva degli Hohenheim. Pomeriggio.
Sören torno nella
propria
camera con una scatola tra le mani e la testa completamente confusa.
E rabbioso.
Non poteva credere che la
sua
missione fosse quella.
Tese le labbra
finché non
sentì il sapore del sangue mentre abbandonava la scatola di
pergamena trattata
sulla scrivania prussianamente ordinata. Gli era stata assegnata una
camera
piccola, su una delle torri e il suo baule da viaggio era stato
già trasportato
sì, ma nessuno dei servitori si era preso la briga di
aprirlo e sistemare gli
effetti personali.
Meglio così, non
sarebbe stato
costretto a punire il malcapitato.
Si tolse il mantello e
accese
con un colpo di bacchetta il fuoco, godendosi il tepore che invadeva
lentamente
la stanza.
Rimase incerto, di fronte
alla
scrivania, a scrutare la scatola. Era lunga, rettangolare e di un rosso
cupo.
Era uno di quegli oggetti cartacei che si potevano acquistare per poche
manciate di zellini in una cartoleria magica. Serviva per contenere
delle
lettere.
“Accomodati
Sören.”
La voce di suo zio era stata incolore come al solito. Stava leggendo
dei
documenti di cui era riuscito a vedere con la coda
dell’occhio il sigillo della
Thule, prima che gettasse le lettere nel fuoco. Aveva abbassato lo
sguardo
quando l’uomo si decise a guardarlo.
“Il
trasloco è concluso? Hai sigillato il castello?”
“Sissignore, come mi è stato ordinato.”
Aveva risposto prontamente. “Nessun
problema.”
“Bene.” Si sentiva il suo sguardo addosso e aveva
stretto i pugni per impedirsi
di alzare lo sguardo o mostrare tensione. Fitte brucianti gli avevano
attraversato lo sterno.
Maledetto
nervosismo…
“Adesso
parliamo di quello che devi fare per
l’organizzazione. Si tratterà di un compito
semplice, forse, temo, ne sarai
addirittura offeso.” Era stato ironico e Sören non
aveva colto la provocazione.
Non avrebbe comunque potuto. “Dopo il fallimento di John Doe
ho bisogno di
nuove informazioni. Lo ammetto, abbiamo tutti sottovalutato Harry
Potter e la
sua famiglia.”
Sören a quel punto aveva alzato la testa per guardarlo
sbalordito. Sentiva il
cuore battere violentemente nella cassa toracica, pieno di furiosa
aspettativa.
“Zio, intende dire…”
“Quest’anno, sembra, si terrà il torneo
Tremaghi.” Lo interruppe come se non
l’avesse sentito. “Beaux-Batons, Durmstrang e
Hogwarts mescoleranno i propri
studenti dopo quasi vent’anni. È
un’occasione troppo propizia per lasciarsela
sfuggire.”
“Ma zio…” Aveva tentato, e aveva
continuato vedendo che gli dava spazio di
replica. “La sicurezza attorno a Dursley sarà
massima. Non permetteranno di
nuovo un rapimento.”
“Nessuno ha parlato di rapimento, qui.” Aveva
replicato duro. “Voglio che tu
torni ad essere uno studente, Sören e voglio che tu ti
avvicini alla famiglia
Potter. Non si tratta più soltanto di mio figlio.” Si era accarezzato la
barba curata. “Si
tratta dei Potter. L’anno scorso li abbiamo tirati fuori
dall’equazione. È
stato un errore di valutazione che abbiamo pagato a caro
prezzo.”
Sören
l’aveva guardato confuso a quel punto. Non
riusciva a capire dove volesse arrivare. “Non sarà
comunque facile avvicinarsi
a Dursley, anche se in veste di studente.”
“Non sto parlando di lui, sciocco ragazzo.”
L’aveva apostrofato irritato. “So
da me che mio figlio sarà tenuto sott’occhio
ventiquattr’ore su ventiquattro.
Si aspetteranno che ci riproviamo, se hanno un po’ di
cervello… E non dobbiamo
dare nell’occhio proprio per questo motivo. Sei uscito da
Durmstrang un anno
fa, sei giovane. Non dovrai neppure camuffarti. Farò in modo
che tu faccia
parte della delegazione della scuola.” Era sembrato cogliere
la sua
perplessità, perché aveva continuato nella sua
spiegazione. “Naturalmente
assumerai un’identità falsa…”
Aveva fatto un mezzo sorriso che non aveva
cambiato di un millimetro il gelo nei suoi occhi. “Sembra che
Odino ci assista,
non dovremo neppure inventarcela. Esiste un tuo omonimo al settimo
anno. Lo
sostituirai… come studente e…” Aveva
fatto un cenno con la mano e la scatola di
cartone rossa che aveva visto poco prima era scivolata verso di lui.
Sören
l’aveva presa, aprendola. Conteneva circa una
cinquantina di lettere, scritte con una fitta grafia femminile. Ogni
tanto
c’era qualche disegno che denotava una certa predisposizione
artistica.
“Non
capisco.” Aveva ammesso.
“Non
capisci che devi sostituire qualcuno per
sorvegliare i Potter?” Aveva ironizzato. “Per il
momento la il tuo compito non
mi sembra difficile.”
“No,
le lettere. Cosa devo farci?”
Alberich aveva inarcato le sopracciglia, quasi non credesse alle
proprie
orecchie. “Queste lettere sono evidentemente parte di una
lunga corrispondenza.
Amici di penna, credo li chiamino. Il ragazzo di cui prenderai
l’identità è
amico di penna della figlia minore di Harry Potter, Lilian
Luna.” Aveva
aspettato che il concetto gli penetrasse per aggiungere. “Ti
consiglio di
leggerle. Dovrai fingerti un confidente appassionato.”
Sören aveva storto
le labbra
in una smorfia, guardando la scatola abbandonata.
Confidente
di una ragazzina…
Lui.
Avrebbe pensato ad uno
scherzo
di pessimo gusto se la richiesta non fosse stata fatta da suo zio in
persona.
Sören Von
Hohenheim-Prince non
era un brufoloso corteggiatore di streghette inglesi… era il
braccio destro di
Alberich Von Hohenheim, era un alchimista, era un soldato.
In effetti avrebbe preferito
affrontare
un dorsorugoso di Norvegia a digiuno da giorni che fingersi interessato
alla
vita dell’ultima erede del Salvatore.
Aprì la scatola
con un gesto
secco, prendendo il plico voluminoso e sedendosi sulla poltrona accanto
al
camino. Si versò una generosa – e doverosa
– dose di vodka incendiaria e… visto
che gli era stato ordinato… si apprestò a
leggere.
Dopo una breve scorsa emise
un
sospiro sconfortato.
La ragazzina decisamente non
aveva il dono della sintesi. Aveva in mano il corrispondente di una
piccola
enciclopedia di vita personale. Guardò svogliato le date: la
prima lettera era
di due anni prima. La lesse. Si firmava sempre Lily.
Con
il doppio nome cacofonico che ha è una scelta
quantomeno saggia.
Le lettere erano impregnate
di
un profumo indefinito, sembravano fiori. Gli ricordava qualcosa, ma del
resto
non era mai stato tipo da fiori. Non ne aveva mai regalati
né ricevuti. Al
massimo li aveva usati, ma distillati.
Mise le lettere sul tavolino
accanto.
Avrebbe dovuto impersonare
il
suo corrispondente. Dunque contattarla. Probabilmente avvicinarla.
Buttò
giù un sorso di vodka,
stringendo i denti al fuoco che gli incendiò lo stomaco.
Come
se non avessi fatto altro per tutta la vita che
interfacciarmi con adolescenti stupide…
I suoi anni a Durmstrang
erano
stati proficui dal punto di vista dei suoi studi, ma decisamente
solitari.
Tutti conoscevano suo zio, se non altro di fama, anche se non
c’erano prove
concrete che lo annoverassero trai maghi oscuri.
Persino a Durmstrang ormai
non
andava più di moda essere cattivi.
Il risultato era che non si
sentiva così pronto a stringere amicizia, o a fingerla, con
i suoi coetanei.
Figuriamoci con
una… una
quindicenne, da quando dice la sua data di nascita…
Si sentiva frustrato e
…
imbarazzato, sì. Gli sembrava un compito stupido.
Sorvegliare la famiglia
Potter, prendere contatti con la più inutile e distante da
Dursley di loro.
E
poi?
Questo significava che suo
zio
continuava a non fidarsi di lui.
Strinse il bicchiere tra le
dita finché non lo sentì scricchiolare.
Allentò la presa, cercando di
rilassarsi. Lanciò un’occhiata alle lettere e vide
spuntare qualcosa di molto
rosso in mezzo. Lo estrasse cauto: era una fotografia. Si doveva essere
staccata da una delle lettere visto che c’erano ancora segni
di scotch magico.
La ragazza ritratta doveva
essere quella Lily. Aveva i capelli di un rosso tiziano piuttosto
incredibile,
visto che i britannici di solito li avevano color carota.
La guardò a lungo
prima di
accostare il viso al bordo. C’era ancora quel profumo, e
stavolta riuscì ad
individuarlo.
“Gigli.”
****
Note:
Che ve ne pare di
Sören?
Pareri sinceri! :D
1.
Qui la canzone.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo VII ***
Okay, capitolo lungo, dove
si
mettono a posto le cose. Per l’azione vera e propria dovremo
aspettare un po’.
Avete fretta? :D
Ah, e grazie anche alle
ragazze del gruppo di FB dedicato a DP. Vi leggo, vi adoro, saltello
sul posto!
@MadWorld: Tu
dici eh? XD
@ElseW: Ovvio, mi smentisco mai! XD
Grazie per le segnalazioni!
@ZetaSev:
Evviva, sono contento che ti piaccia, specie se hai un nick del genere,
cara la
mia Zeta:P E grazie per l’affetto a Cordula, e sugli spoiler
Lily et Soren…
nada, non posso dirti niente”! XD
@Agathe: Essì,
per via del torneo Jamie si sta divorando le mani! Vedrai…
su Soren mi riservo
il diritto di non rispondere! ;D
@LauraStark: Essì, tra
poco la banda
sarà tutta tutta al completo! Argh, quanto mi faranno
penare! XD E per Soren…
come ho detto, mi riservo! :P MA no, non è un
cattivone, anche se spesso
non serve per fare cose cattive -_-
@Herys: Ciao
Herys benvenuta e grazie per i complimenti! Essì, ci saranno
un po’ di capitoli
normali, ma … credimi, Hogwarts non è fatta per
la normalità!
@SimoMart:
Colpo di fulmine! XD Ma grazie! Beh, credo aiuti anche il faccino di
Ben
Barnes, non credi! XD Essì, mi hai sgamato. Ho sempre
apprezzato la coppia
impossibile Lily/Sev anche perché la Row ha fatto capire che
avrebbe potuto
esserci qualcosa, se solo Sev non fosse stato così attaccato
alle arti oscure.
Però poi non ci sarebbe stato un certo Harry, quindi va bene
così XD E certo
che leggo i tuoi commenti, non me ne perderei neanche uno! :D Per
quanto
riguarda Meike e Cordula sicuramente si rivedranno. Tom deve loro
troppo, e non
è tipo ingrato, quando capisce che è stato
aiutato davvero. Meike credo verrà
inserita in seguito. Speriamo che Lily, come dici tu, regga la
situazione! ;D
@Lilyylunap:
Ehi, nessun problema! Ti capisco benissimo, io sono tornata tipo adesso
dalle
vacanze! Grazie per i complimenti a Soren, e non mi pronuncio! ^^
Però sì, in
effetti non era proprio il tipo da amici di penna, no? XD E su
Silente… è una
figura umana, ma non la definirei buona. Era uno stratega, e se fossi
stata in
Harry l’avrei preso a calci nel culo. Però vabbeh,
la Row non sono io! XD
@Nicky_Iron:
Essì, ci hai preso, anche se più che altro
è suo cugino ;) E sul campione di
Hogwarts… niente spoiler! :P
@Cloto: Essì,
è proprio imparentato
con Piton, che per parte di madre era un Prince, infatti. Ahaha,
aspetta e
vedrai!
@Altovoltaggio:
Oh, se adoro le tue recensioni! *_* Dunque, il grado di parentela
è questo.
Eileen Prince aveva un fratello (minore) di nome Elias (non
è stato mai detto
che fosse figlia unica esplicitamente) … questo, per
sfuggire all’infamia caduta
sui Prince a causa del matrimonio della figlia maggiore con un babbano,
è
andato a sposarsi, già in tarda età (magari anche
quaranta, cinquant’anni) la
sorella di Alberich Von Hohneim, che ha dato alla luce Sören.
Quindi il fu
Piton e Sören sono cugini di primo grado. Piton non risulta
nell’albero
genealogico dei Prince, tanto che Sören non è a
conoscenza della sua esistenza
(se non forse come eroe del mondo magico britannico). Quindi no, non ti
eri
incartata! :P Su Meike… credo forse tu abbia ragione, ma
bisogna anche notare
il fatto che ha undici anni ed ha a disposizione una tv! Di sicuro sa
cos’è un
ragazzo gay, e vedendo i due ragazzi baciarsi come fidanzati ha fatto
due più
due. Questo non significa che sappia, in dettaglio, tutto. Lo spazio
della
famiglia adottiva l’ho dato, potevo mai? Del resto sono
Thomas fa Dursley di
cognome, eh! Per quanto riguarda Lily e il profumo di gigli, Lily
è il tipo di
ragazzina che tiene molto all’immagine che dà di
sé. Quindi è probabile che usi
un profumo a base di giglio. Perché lei, beh, è
un giglio. xD
@SasyHerm: Ciao e benvenuta! Che
belle recensioni che mi hai lasciato! :D Grazie per i complimenti a
Lily e Al…
beh, un pochino è maturato. Capita. XD Ginny è
comprensiva… perché Ginny è la
mamma. xD Purtroppo Meike deve andare a Durmstrang per forza di cose,
ma non è
detto che ci rimarrà. Del resto la Row ha fatto capire che
gli studenti possono
scegliere la scuola, anche se vengono iscritti a quella della loro area
regionale di appartenenza. ;D
@MissBlackSpots:
Non preoccuparti, le vacanze bloccano un po’ tutti! ;D
@Trixina: Ehi,
mi eri mancata! Ma non preoccuparti, quando i pc si rompono
è sempre una
tragedia! :/ Al donna della coppia? Aahaha, beh, sicuramente dei due
è quello
che sembra di più, perché più
comprensivo e sentimentale… ma rimangono due
ragazzi,e Al
difende il primato di
sportivo! XD Grazie per continuare a seguirmi!
@Hale_y: Wow,
prima di tutto benvenuta e poi… grazie! Che impresa! O_O
Capisco benissimo come
ti senti, comunque, mi è capitato spesso con un sacco di
fic, di canzoni e di
film, quindi l’idea che tu abbia provato questo per una mia
bagatella mi riempe
di gioia! I momenti Al/Tom ci saranno non preoccuparti!
@Lunitari:
Ciao e benvenuta! :D E grazie mille! Fa sempre piacere sapere che le
proprie
cavolate vengono apprezzate! ^^ Mastro Zabini e Loki Nott…
beh, loro
torneranno, in vari cameo. Non sono protagonisti principali, ma si
farà quel
che si può! ;D Sì, Scorpius serpeverde era troppo
scontato, e poi Rose non mi
sa di strafiga entrante, quindi… niente DraMione Reprise
qui! XD Quando vuoi,
recensisci, no prob!
@Lu_Pin: Sìsì,
hai scritto giusto e benvenuta! Oh, wow, persino un personaggio
così immanente?
XD Beh, accidenti grazie! Continua a seguirmi! Ciao!
@MikyVale: Non
preoccuparti, la recensione va benissimo! XD E no, a Lily non
può resistere! E
sono cugini! ;D
****
Capitolo VII
La casa è quel posto
dove, quando ci
andate, vi accolgono sempre.
(David Frost)
Inghilterra,
Devon
Casa
Potter Weasley. Pomeriggio.
Tom si ricordava
l’odore
esatto dei campi attorno a casa Potter.
Era un odore di fieno, di bosco e di legna bruciata. Era
l’odore di campagna
inglese e gli era sempre piaciuto. Gli ricordava l’estate e
gli ricordava che
c’era un posto dove la magia era una cosa di tutti i giorni e
dove c’erano persone
come lui.
Era un tipo di casa, anche
se
non era essere a casa.
Non appena la passaporta li
aveva materializzati sulla collina di fronte al cottage, Al era quasi
crollato
a terra, ma Harry, pronto, l’aveva afferrato al volo.
“Tutto a posto Albie?”
“No, grazie.” Rispose tirandosi su malfermo e
pallido. “Odio le
passaporte. Perché non possiamo inventare qualcosa di meno
traumatico per spostarci velocemente?”
Harry rise brevemente. “Tu, Tom? Tutto bene?”
“Sì.” Mentì mentre tacitava a
colpi di orgoglio la nausea. “Ma sono d’accordo
con Al, dovrebbero fare dei passi avanti nel trasporto
magico.”
Al sorrise sotto i baffi e
guardò con palese sollievo la staccionata bianca di casa sua
e l’albero di
melo. Le cicale frinivano impazzite e il sole gli bruciava la testa e
le
spalle. Era ancora pomeriggio inoltrato: dovevano essere tutti a casa,
ad
aspettarli.
“Andiamo?”
Chiese.
“Sì.” Confermò Harry,
infilandosi la passaporta scarica nella tasca dei jeans.
“Ci aspetta del succo di zucca fresco e credo anche una
torta, se tua madre mi
ha perdonato.” Ci rifletté. “Forse,
ehm… in effetti solo per voi due.”
Tom sentì un brivido gelato corrergli lungo la spina
dorsale. Non credeva fosse
giusto; non essere tornato in Inghilterra, quello lo era naturalmente.
Ma
non devo bere succo di zucca e stare con loro. Non
adesso e non
ancora.
Ci
sono altre cose che devo fare.
“Ti ringrazio zio,
ma vorrei
tornare a casa.” Esitò, poi continuò
più sicuro. “Dalla mia famiglia.”
Harry lo guardò
per un attimo
quasi con sorpresa poi si sciolse in un sorriso comprensivo.
“Ovvio, scusa Tom…
hai ragione. Ti ci porto subito.”
Sembrava anche imbarazzato,
notò; lo sembrava sempre quando si parlava della famiglia
Dursley intera, con
particolare attenzione verso suo padre. Gli passò in testa
un pensiero.
“Loro lo sanno?” Chiese. “Che sono
qui… che sono…?”
Vivo?
Harry
si passò una mano trai capelli,
evidentemente a disagio. Ma non era nella sua politica temporeggiare
con delle
scuse, quindi gli disse subito la verità. “No.
Avrei dovuto, ma dovevo farvi
anche tornare a casa, ed era importante soltanto questo.”
Fece un sorriso
stanco. “Come padrino e come cugino, lo so, sono
pessimo.”
“Non quanto me come figlio.” Gli
assicurò, mentre sentiva un peso spiacevole allo
stomaco all’idea che quella famiglia, la famiglia che
l’aveva cresciuto, la sua
famiglia aveva sofferto persino più
dei Potter. Dovevano aver avuto meno informazioni a disposizione a
causa dello
Statuto di Segretezza, e questo significava solo angoscia in
più; lui lo sapeva
bene. “Non sei tu quello che si deve scusare.”
Lanciò uno sguardo ad Al, che si
limitò ad inarcare le sopracciglia, come a volergli
confermare che sì, aveva
molto di cui farsi perdonare visto che era stato un cretino egoista.
E
me lo ricorderai fino al letto di morte non è vero?
Sospirò.
“Devi tornare
subito a casa,
Tom…” Intervenne Al a quel punto, con tono
ragionevole e sguardo poco contento.
“Credo che sia anche più sicuro, no
papà?”
“Sì, in attesa che il Ministero sia informato di
tutti i fatti e…”
“Mi convochi?” Lo anticipò: sarebbe
andato tutto bene, si tenne a mente,
sarebbe andato tutto bene e sarebbe tornato ad essere un mago.
“Va bene… ma
vorrei sapere… la mia bacchetta?”
Harry scosse la testa.
“Ho
cercato di riaverla indietro, ma…” Continuava a
sembrare comprensivo e
dispiaciuto. Del resto per un mago non avere la propria bacchetta era
come
camminare con scarpe non della propria misura.
Ed
io al momento sono scalzo.
“Adesso
dov’è?”
Doe non l’ha distrutta, vero?
“Fa parte delle prove. È al
Dipartimento.” Spiegò Harry. Tom frenò
il
desiderio di chiederla indietro, di pretenderla.
Era sua, e non andava bene che rimanesse a prendere polvere in qualche
scaffale
nelle viscere di Londra. Contrasse e decontrasse il pugno, sentendolo
vuoto e
sentendosi nudo. Al sembrò indovinare i suoi pensieri,
perché gli strinse il
polso.
“Non ne
può avere una… chessò,
provvisoria papà?”
Harry scosse di nuovo la testa. “No, non finché la
situazione non sarà…” Cercò
di trovare la parola giusta. “… chiarita.
È la procedura ed… è meglio se ci
atteniamo ad essa, vista la situazione.”
“Capisco.”
Si sentiva un
sapore amarognolo in fondo alla bocca, come se avesse masticato
qualcosa di sgradevole.
C’è
un prezzo da pagare per quello che hai fatto.
Chiudi il becco e pagalo.
“Meglio se andiamo
adesso,
zio.” Si voltò verso Al: non ricordava se
l’aveva ringraziato abbastanza. Forse
l’aveva fatto, forse non sarebbe riuscito a farlo mai. E
comunque non poteva
ringraziarlo come si doveva davanti
a
Harry.
“Ci
vediamo.” Gli disse,
cercando di suonare il più possibile incolore. Harry li
guardò perplesso.
Troppo
incolore?
Albus a quel punto,
perché
aveva più cervello di lui in certe cose, lo
abbracciò stretto. Lo strinse di
rimando, sentendosi scomodo sotto
lo
sguardo divertito e ignaro del padrino.
Se
sapessi come ci siamo stretti
l’ultima
volta…
Nascose suo malgrado un
sogghignetto, perché era davvero un giovane mago malvagio e
ingrato. E Albus
aveva un buon odore, qualcosa che si mischiava al sale marino di
Rügen e
all’odore di erba medica. Gli aveva detto che lavorava al San
Mungo adesso.
Sentì le sue
labbra sfiorargli
l’orecchio. “Ti vengo a trovare
stanotte.” Gli disse.
Tom si impose di non arrossire o mandare al diavolo tutte le sue buone
intenzioni e rapirlo. Quello
avrebbe
definitivamente insospettito Harry.
“Sì,
naturalmente.” Replicò,
mentre si rendeva conto che il groppo di angoscia si era un
po’ allentato. Gli
arruffò i capelli, per demistificare il fatto che avrebbe
voluto baciarlo.
“Allora…”
Intervenne Harry.
“Pensa tu a dire… ehm. Più o meno tutto
alla mamma. Che stiamo bene e che
tornerò tra un po’. Per cena. Okay
Albie?”
“È Al, papà.” Lo corresse con
affetto, perché era suo padre. Come avrebbe
reagito Dudley a vederlo invece? L’avrebbe rivoluto indietro?
“Andrà
tutto bene Tom, sono
sicuro.” Gli sorrise il suo ragazzo, o se avesse voluto
meglio definirlo il suo. Tutto.
“Ci vediamo… presto.”
Se non vieni stasera vengo io a rapirti – Gli
comunicò con lo sguardo.
Al piegò le labbra in un sorrisetto imbarazzato e
arrossì. Però annuì.
Tom si avvicinò
ad Harry, che
gli mise una mano sulla spalla. “Zio, so
materializzarmi.”
“Sì, ma non hai la licenza. Vediamo di cominciare
a rigare dritto, mmh?” Lo
riprese con pazienza. “A dopo Al.”
Sentì uno strappo all’ombelico e pochi istanti
dopo si materializzarono con uno
schiocco secco in un vicolo che Tom ricordava fosse a pochi passi da
casa sua.
Una volta vi aveva beccato Alicia e i suoi amici a spartirsi una
sigaretta con
aria nervosa, come se fosse un grande e terribile segreto. Un gatto,
oltraggiato dal rumore, corse via ad infilarsi dietro una macchina.
Harry si rimise la bacchetta
in tasca, aggiustandosi gli occhiali.
“Allora…” Cominciò. Sembrava
la sua
parola preferita quel giorno.
“Puoi andare,
zio.” Lo fermò: sapeva
che doveva farlo da solo. Faceva
parte della sua espiazione, o qualcosa del genere. O più
semplicemente sapeva
che quella era la sua famiglia, e avevano bisogno di spiegazioni da
lui, e da
nessun altro.
E
poi papà odia il Mondo Magico.
“Ma che
dici?”
“Conosco papà.” Lo fermò.
“Sono certo che ha preso male questa storia… e con
prenderla male intendo dire che se l’è presa con
te. Mi sbaglio?”
“Questo non ha
importanza!
Sono il tuo padrino e…”
“È una cosa che devo fare da solo.”
Ripeté, perché era importante che capisse.
“È la mia famiglia. Non posso farmi giustificare
da te. Non sarebbe giusto.” Se
doveva chiedere scusa doveva iniziare dai suoi genitori. “E
poi non sono più un
bambino.”
Harry a quel punto sorrise, stringendogli la spalla. “No,
è vero. Non lo sei.
Se è quello che vuoi, allora va bene.”
Sospirò: non era convinto, si vedeva, ma
non avrebbe preso quella decisione per lui. Gliene fu grato.
“Ma non puoi
chiedermi di andarmene. Me ne starò in disparte, tutto
qui.”
Tom annuì, infilandosi le mani in tasca. Non voleva che
cominciassero a
tremare.
Poi lo guardò. In quegli otto mesi Harry sembrava
invecchiato. C’era una piega
amara vicino alle labbra, che era sicuro di non aver mai visto prima.
Gli occhi
però erano sempre gli stessi, limpidi e fermi. Ti
assicuravano che potevi
fidarti.
“Grazie.”
Disse.
Harry smise di sorridere e
sembrò persino sorpreso. Fece una smorfia amara.
“E per cosa, Tom? Ho fatto
degli sbagli. E che Merlino mi perdoni, non ho voluto
ascoltarti…”
“Non che avresti potuto, considerando che non
parlavo.” Ironizzò. “Non
c’è
nulla che tu debba farti perdonare.” Scosse la testa. Avrebbe
voluto fargli
capire quanto gli dovesse, e che
questo non l’avrebbe dimenticato mai. “Tu mi hai
regalato questa vita.” Si
risolse a dire, forzandosi per farlo, perché continuava a
sembrargli una cosa
da deboli. “Mi hai dato
la
possibilità di essere una persona decente.”
“Tom…”
“È più di quanto meritassi,
forse.” Si guardò attorno, perché
riconosceva
tutto, e tutto gli era mancato. Perché quella era
casa sua. Fece un mezzo sorriso, che sicuramente Albus avrebbe
classificato come un ghigno. “Ma non intendo
lamentarmene.”
Harry sorrise.
Harry osservò la
linea magra
delle spalle del suo figlioccio allontanarsi per poi varcare il
vialetto del
numero 4 di Privet Drive. Teneva le mani in tasca, ma la schiena era
dritta;
era certo che Thomas non avrebbe mai esitato prima di premere il
campanello.
Probabilmente
perché qualcuno lo sta guardando.
Lo premette senza incertezze
infatti. Lo guardò attendere e si fece forza per non
comparirgli al fianco.
La porta si aprì,
e c’era
Robin. Sorrise quando vide la donna dapprima smarrita cacciare un grido
e
stringere tra le braccia Tom, che doveva esserselo aspettato da come
riuscì a
mantenere la presa sulla madre senza indietreggiare. Le grida avevano
attirato
gli altri, e pochi attimi dopo vide la massa corpulenta di Dudley
oscurare
l’intelaiatura della porta. Tom dovette dire qualcosa,
perché Dudley rispose,
molto lentamente, come se non riuscisse a capire bene cosa stesse
succedendo e
stesse cercando di radunare le idee, proprio come quando era ragazzo.
Poi si
riscosse, mettendo una mano sul braccio di Tom, stringendo, quasi a
volersi
sincerare che fosse reale.
Harry poteva sentire solo i
singhiozzi di Robin da lì, ma andava bene, perché
erano di gioia.
Poi Dudley parve accorgersi
della sua presenza, perché guardò nella sua
direzione: si squadrarono, poi il
cugino gli fece un cenno con la testa, che poteva voler dire tutto,
persino
ringraziare, oppure solo attestare che sì, sapeva che era
lì.
Harry lo
ricambiò, poi tirò
fuori la bacchetta per smaterializzarsi. In quel momento lui era un
estraneo, e
da estraneo doveva ritirarsi ordinatamente. Si infilò
nuovamente nel vicolo e
si permise un piccolo sorriso.
Le cose stavano cominciando
a
tornare al suo posto. Non per merito suo: ed era giusto
così, finalmente.
****
Cornovaglia,
vicino a Tinworth. Cottage di Andromeda
Tonks.
Prima di cena.
Teddy Lupin era il tipo di
ragazzo che gioiva delle fortune altrui, perché gli
piacevano le persone
serene, meglio ancora se felici. Gli piacevano, insomma, le buone
notizie,
anche quelle che non lo coinvolgevano direttamente.
Il ritorno di Thomas era la migliore delle notizie, e quando si era
congedato dai Potter, poco dopo che Albus era tornato carico di
notizie, aveva
lasciato un’atmosfera distesa e persino allegra. Sarebbe
rimasto volentieri,
specie perché James gli aveva dato calci sotto il tavolo
piuttosto espliciti …
ma sua nonna pretendeva assoluta puntualità a cena se, come
diceva lei, si
onorava di farle compagnia.
E
non mi va di lasciarla sola.
Quindi
quando aveva varcato la porta
di casa sua era di ottimo umore. Era passato anche in una pasticceria
babbana a
Ottery St. Catchpole per prendere una serie di pasticcini di cui sua
nonna era
tremendamente golosa.
C’era da
festeggiare, sebbene
per riflesso.
Si pulì le scarpe
sullo
zerbino e tenendo in mano il pacchetto flagrante andò fino
in cucina. Sua nonna
stava finendo di cucinare con il rumore soffuso della tv, su cui veniva
proiettato il telegiornale. Teddy non l’aveva mai vista
guardarla con interesse;
era semplicemente uno di quei piccoli riti che onoravano le memoria di
suo
nonno.
“Ah,
bentornato!” Esclamò con
un cenno distratto, chiudendo il coperchio dove sobbolliva dello
stufato di
pesce a giudicare dall’odore. Sorrise con uno sbuffo
trattenuto quando vide il
pacchetto colorato. “Tu mi vizi. Lo sai che alla mia
età dovrei evitare i dolci.”
“Quale età?” Le sorrise baciandole la
guancia. “Sei una ragazzina.”
“E tu un pessimo bugiardo.” Gli tirò con
dolcezza una ciocca di capelli blu.
“Pensavo rimanessi a cena dai Potter…”
“Stasera era
più una cosa di
famiglia.” Spiegò. Voleva aspettare prima di dare
la notizia. “E poi non mi
andava di lasciarti mangiare dell’ottimo stufato da sola.
Ginny cucina
raramente il pesce, e sai che ne vado matto.”
Stornò con un sorriso. Era un
delicato castello di diversioni il suo. Sua nonna le accettava sempre
con un
gesto secco della testa e un sorriso trattenuto. Era una codice segreto
il
loro.
“Jamie?”
Chiese dandogli le
spalle per spegnere la fiamma del fornello. “Come
sta?”
“L’esame
di ammissione si
avvicina… è piuttosto… elettrico,
direi.” Scherzò.
“Lo
passerà.” Decretò
Andromeda con quella sicurezza un po’ arrogante tipica dei
Black. “Quel ragazzo
è nato per fare l’auror. È un piccolo
pazzo incosciente con una gran predisposizione
a agitare in aria la bacchetta. Cos’altro dovrebbe
fare?”
Teddy ridacchiò perché era vero.
“Thomas
è tornato.” Esordì poi,
mentre gustavano l’ottimo stufato di pesce e sua nonna
fingeva di interessarsi
ad una pubblicità sulla telefonia mobile. “Thomas
Dursley, sai.”
“Oh!” La donna lasciò perdere le
immagini sullo schermo. “Davvero? L’hanno
trovato?”
“È stato Albus a rintracciarlo. Era in
Germania…”
“In Germania? E come
diavolo ci è
arrivato laggiù con una passaporta rotta?” Chiese
stralunata, spegnendo
definitivamente la tv. Teddy ne fu contento: proprio non riusciva a
piacergli
quella cacofonia di suoni e immagini colorate.
Sono
un vecchietto bibliofilo, lo so.
“Non ne ho
idea.” Ammise rimestando
il cucchiaio nella zuppa. “In ogni caso sta bene, e adesso
dovrebbe essere
tornato a casa dai suoi genitori. Zio Harry l’ha
accompagnato. È una bella
notizia.”
“Davvero.” Convenne, ma sembrava dubbiosa.
“Quel ragazzo ha sempre avuto
qualcosa di strano… Non mi stupisce che fosse finito in
Germania o in qualche
paese lontano.”
“Strano?” Chiese, ma era retorico. Lo pensavano
praticamente tutti. Era più un
impressione, visto che neppure lui sapeva tutto
sulla vicenda che aveva coinvolto Thomas, i Doni della Morte
e Harry.
Sembrava che il padrino stavolta volesse obbedire al veto del Ministero
sul
parlarne. “In che senso?”
“Oh, lo sai. C’è tutto questo gran
mistero su Thomas…” Diede un’energica
scrollata di spalle, mentre sorseggiava vino elfico. Teddy era sempre
affascinato dalle maniere impeccabili di sua nonna, nonostante fossero
in una
cucina rustica in mezzo alla campagna brulla. “Harry se lo
coccola come un
gattino traumatizzato da che ho memoria. Siete entrambi suoi figliocci,
ma con
te è sempre stato più rilassato.”
Teddy convenne con un cenno
della testa. Harry era stato un ottimo padrino, e lo era
tutt’ora visto che non
l’aveva ancora torturato per essersi messo con il suo
primogenito.
Il
genere di padrino a cui chiedere consiglio o un
giocattolo nuovo che tua nonna non vuole comprarti.
Gli voleva bene, ma non
erano
mai stati come padre e figlio, anche se da bambino l’aveva
segretamente
sperato. Il punto era semplice: Harry quando era stato nominato suo
tutore era
un ragazzo, e si era occupato di lui come un fratello maggiore, un
compagno di
giochi. Tom era venuto dopo, quando Harry era già un padre,
un marito… e un
adulto praticamente completo. Se per lui Harry era uno zio con
diciassette anni
di differenza, per Tom era praticamente un secondo padre. Lo sapevano
tutti.
“Comunque sono
contento che
sia tornato… Albus era raggiante.” Aggiunse.
“Avresti dovuto vedere la faccia
di Harry! Sembrava ringiovanito di dieci anni.”
“Mi pare ovvio. Se ne dava tutta la colpa.”
Osservò Andromeda, mentre tagliava
con un colpo di bacchetta il pacchetto e ne estraeva un pasticcino. Se
lo gustò
con calma aristocratica. “Ci voleva una bella
notizia.” Soggiunse. “I Potter hanno
trascorso un periodo pessimo.”
“Già…” Non fece in tempo a
sentirsi in colpa che gli arrivò un colpo di
bacchetta sulle dita, secco e spietato. “Ahi!
Nonna!” Protestò. “Non
stavo…”
“Se fai quella faccia bastonata sono costretta
a bastonarti.” Replicò con un sorrisetto
indulgente ma gli occhi di pietra.
“Devo spiegare proprio a te
che non puoi sentirti in colpa per
quello che
sei?”
“No,
nonna.” Convenne umile,
consolandosi con un bignè al cioccolato e nascondendo un
sorriso. Sua nonna
aveva una mira spietata quando doveva colpire. Lo beccava sempre nei
punti più
dolorosi. “Tra te e Jamie quest’estate è
stata un florilegio di lividi.”
“Quel ragazzo sa che con te valgono solo i fatti.
È sempre stato sveglio…”
Replicò sua nonna placidamente.
Passarono un momento in
quieto
silenzio. Teddy se lo assaporò perché per mesi
non avrebbe avuto granché pace,
tra ragazzini, compiti e doveri da nuovo Direttore di Tassorosso. La
sua nomina
era stata ufficializzata qualche settimana prima, tramite Gufo da
Hogwarts.
James l’aveva preso in giro per due giorni, blaterando sul
coronamento dei suoi
sogni da secchione. Aveva smesso solo quando l’aveva
trascinato a letto e gli
aveva tappato la bocca. Certo, dopo aveva cominciato a chiamarlo
stallone ed
era stato ancora più imbarazzante.
Sentì
distintamente i propri
capelli sfumare nel rosa. Per fortuna sua nonna non aveva mai collegato
quel
colore a certi pensieri: di questo
doveva ringraziare sua madre, probabilmente.
Alzando lo sguardo dalla
tovaglia notò però che aveva a malapena
assaggiato i dolci. E sì che di solito
non si risparmiava, continuando comunque a brontolare del colesterolo,
malattia
che affliggeva babbani come maghi.
“Nonna, non li
mangi?” Chiese,
e quando la vide esitare, capì che c’era qualcosa
che non andava.
“Teddy,
c’è una cosa che devo
dirti.”
Ecco, appunto. Aveva ragione.
“…
Cosa? Che succede?”
Sua nonna sbuffò,
prendendogli
una mano e dandoci una pacchetta esasperata. “Niente, Teddy,
niente… Sto bene,
non mi sta succedendo niente. Però …”
Si guardò attorno, ed abbracciò con lo
sguardo tutta la stanza. “… da quanti anni viviamo
qui?” Chiese a bruciapelo.
“Da quando ero bambino, non ricordo…
ventitré anni più o meno? Quando ci siamo
trasferiti dalla vecchia casa tua e di nonno Ted.”
Ricordò confuso. “Perché?”
“Questa casa è diventata troppo grande per me
sola.” Tagliò corto, perché non
era mai stata una tipa da grandi giri di parole. Purtroppo.
“Tu non ci sei che
pochi mesi l’anno, e comincio a fare fatica a mandarla
avanti…”
“Potremo prendere un elfo domestico.”
Suggerì, anche se la voce di Hermione
urlava oltraggiata dentro la sua testa in merito a forme di oppressione
secolare. “… o qualcuno. Pagato.”
Soggiunse.
Lo guardò quasi
con
compatimento. “Quella Hermione… Lei e le sue idee
reazionarie. Sapevo che non
avrei dovuto mandarti troppo spesso a casa sua. Comunque no, Teddy.
Potrebbe
essere una soluzione, ma sono troppo vecchia per abituarmi a qualcuno
in casa
mia, fosse anche un elfo.”
“Ma…”
Non capiva il senso del
discorso, ma decise che non gli piaceva.
“Tua zia Narcissa
mi ha
chiesto di trasferirmi da lei, al Manor.” Sua nonna oltre che
diretta a volte
era brutale. “Siamo entrambe due donne sole, per quanto poco
mi piaccia la
definizione. Avrei la mia indipendenza, ma anche qualcuno con cui
chiacchierare, anche se è quella stronzetta.”
Commentò con un vago sorriso, ma
Teddy non l’ascoltava: si sentiva invece spaesato, come se
gli avessero tirato
via il terreno da sotto i piedi.
No, decisamente non era un
tipo
che apprezzava i cambiamenti. Poteva farne, ma non repentini. Scoprire
la sua
sessualità era stato un processo lento e graduale dopotutto.
James lo chiamava
omosessuale
graduale. Un giorno avrebbe davvero dovuto sculacciarlo.
Ma stava
divagando…
“…E tu cosa le hai
risposto?” Chiese, mentre
sentiva la sua voce assomigliare orribilmente a quella di un dodicenne
a cui
era stato negato il primo manico di scopa.
Le
hai detto di no, vero?
“Le ho detto di
sì.” Gli tenne
stretta la mano tra le sue, comprensiva e crudele. “Voglio
mettere in vendita
la casa, Teddy.”
…
Oh, dannazione.
****
Surrey,
Little Whinging.
Privet
Drive numero 4. Casa Dursley.
Sera.
Tom si stava riappropriando
della propria stanza.
Era un processo di estrema
importanza. Doveva ritornare a pensare a quella come la
sua stanza. Il suo letto, la sua scrivania, la sua libreria,
i
suoi poster, la sua finestra.
Alla fine si era risolto ad
operare un metodo che, almeno su di lui, avrebbe dovuto funzionare.
Si era infilato le cuffie
wireless dell’impianto stereo e aveva inserito un cd. Fatto
questo, si era
steso sul letto e ora stava facendo vagare lo sguardo.
Stava funzionando.
Socchiuse gli occhi
permettendo ai muscoli, tesi fino a quel momento, di rilassarsi.
Non aveva sperato che i suoi
lo avrebbero riaccolto a braccia aperte e senza nessuna domanda. Era
una
previsione quantomeno idiota, considerando che non erano privi del
senso del
tempo, e otto mesi per la famiglia Potter erano otto mesi per la
famiglia
Dursley.
Non aveva potuto raccontare
loro tutto, per via dello Statuto,
e
anche per via del fatto che non gli sarebbe piaciuto spiegare come
fosse una sorta
di zombie alchemico; aveva quindi puntato sul fattore famiglia
psicopatica.
Aveva raccontato loro di
Hohenheim come di un mago potente e senza scrupoli e di John Doe. Aveva
glissato sulla prigionia e sull’imperius.
Aveva escluso tutta la parte dei Doni, visto che probabilmente per un
babbano assimilabile
agli ufo o ai vampiri di Bram Stoker.
Non
ho mentito…
Ho omesso alcune parti della
verità.
Inspirò facendo
filtrare
l’aria trai denti e facendo una smorfia alla sensazione
sgradevole che ne
conseguì.
Chissà
da chi ho preso i denti sensibili…
Il punto, comunque, non era
quello.
Il punto è che sapeva di aver ferito la sua famiglia. A
fondo e forse più di quanto avrebbe mai potuto capire o
rimediare.
Sua madre Robin si era fatta
tenere stretta tra le braccia finché non erano arrivati in
salotto, scortati da
suo padre, che aveva una stranissima espressione, come di profonda e
dolorosa
concentrazione.
Poi erano arrivati Vernon e
Alicia. Gli erano sembrati cresciuti; Alicia aveva i capelli
più lunghi e più
trucco sulle palpebre, mentre Vernon gli era sembrato ancora
più grosso e
goffo.
Allora aveva cominciato a
spiegare. Era stata sua madre a fare le domande, a chiedere, a
meravigliarsi, a
stringergli le mani e accarezzargli il viso. Si era sentito come se
avesse di
nuovo cinque anni e fosse appena tornato da una smaterializzazione
accidentale.
Solo che stavolta ci aveva
messo più tempo a tornare. E lo sapevano tutti.
Lo sapeva suo padre, che non
aveva aperto bocca per tutta la sera. Per quanto ne sapeva ora era di
nuovo di
fronte alla tv a seguire qualche quiz a premi con la bottiglia di
brandy
affianco.
Non aveva detto niente
Vernon,
che però era stato quasi amichevole. Gli aveva riportato il
pc e si era offerto
di pagare la riparazione per averlo riempito di virus.
Non aveva detto niente
Alicia,
o meglio, aveva detto. Tutto.
La
cena era stata intramezzata dalle chiacchiere di
Robin, dal suo sollecitarsi a riempirgli il piatto più volte
di quanto fosse
necessario. Gli occhi di Vernon invece erano incollati alla tv, come
quelli di
suo padre, anche se lo beccava spesso a lanciargli lunghe occhiate.
Quelli di Alicia
invece erano fissi sul piatto e sembravano volergli dire qualcosa da un
momento
all’altro.
Non
sapeva se gli sarebbe piaciuto ascoltarlo però. Non
che fosse questo il punto, certo.
“Mamma,
davvero. Sono pieno.” Le aveva sorriso.
“Ma
non hai mangiato quasi nulla! Sei troppo magro, hai
mangiato come si deve? Quella donna… quella Cordula,
cucinava cose…”
“Cucinava benissimo, anche se certo, niente a che vedere con
la tua cucina.” La
blandì. “E sono sempre stato magro.”
“Sì,
questo è vero…” Aveva capitolato
infine. “Hai uno
spazietto per il dolce? Se sapevo che saresti tornato avrei fatto il
tuo
preferito, ma…”
“Ho uno spazietto per il dolce.” Aveva confermato,
perché era giusto così,
anche se sentiva lo stomaco urlare pietà, chiedendogli
perché avesse maturato
la smania di
ingozzarsi.
La
sedia di Alicia si era scostata di colpo, facendo
distogliere lo sguardo a tutti dalle proprie faccende.
“Io
esco.” Aveva proclamato, infilando il cellulare
dentro la tasca dei pantaloni. Tom aveva pensato che alla lunga
avrebbero
potuto portarle problemi seri alla circolazione.
“Esci?” Aveva esclamato sua madre. Sembrava
incredula e ferita. Si era sentito
male lui. “Stasera?”
“È sabato, ho un appuntamento con Matt
giù in centro. Forse andiamo a Londra,
forse no.” Si era voltata verso Vernon. “Tu
vieni?”
Il ragazzo era sembrato per un attimo sulle spine. Doveva aver
percepito la
tensione che si tagliava con un coltello.
“Io…”
“È
tornato tuo fratello!” Sua madre continuava a tenere
il coltello a mezz’aria come se quello fosse un grosso
scherzo imbarazzante.
Era arrabbiata. “Non credi che per una sera potresti farne a
meno? Specialmente
stasera?”
A quel punto Alicia aveva rotto il voto del silenzio. “E
perché?! Lui di noi se
n’è ampiamente fottuto!” Aveva sbottato
e finalmente l’aveva guardato. Le
tremavano le lacrime sulle ciglia e Tom si era sentito come se gli
avessero
piazzato un capo d’accusa di circa dieci anni ad Azkaban. Si
era ricordato come
nell’ultima lettera Alicia gli avesse parlato di un Anthony.
Ora era un Matt, e
forse non aveva più bisogno di consigli su gruppi musicali
da ascoltare per far
colpo su di lui. “Com’è, se lui
può farsi i suoi affari in Germania senza dare
uno straccio di notizie, facendoci credere che è morto, io
non posso uscire col
mio ragazzo e i miei amici per una sera?”
“Alicia, siediti subito!” Sua madre non era
riuscita a ribattere. “Dudley,
dille qualcosa!”
“Robin,
lasciala andare.” Era stata la risposta, prima
di riportare gli occhi allo schermo. “Che differenza farebbe
fuori con i suoi
amici o chiusa in camera sua?”
Tom
a quel punto sapeva che avrebbe dovuto dire
qualcosa. Aveva guardato la sorella, e forse anche lei se
l’aspettava, anche se
più che altro aveva l’aria di volerlo picchiare.
“Mi dispiace.” Gli era uscito.
Sembrava la sua frase standard di quegli ultimi due giorni.
Si
era visto arrivare il tovagliolo addosso e l’aveva
parato con un braccio.
“Vaffanculo!”
Non che non se lo fosse aspettato.
Tom sospirò. La
stanza stava
prendendo di nuovo i contorni della
sua camera, e sarebbe andato tutto
bene.
Avrebbe riavuto la sua
bacchetta e forse un giorno la sua famiglia lo avrebbe perdonato.
Si passò una mano
sullo
stomaco, assente, mentre in loop ripartiva il cd.
Niente di deprimente
ovviamente
era un’utopia nella sua collezione.
(E non era in vena da Who.)
Nobody said it
was
easy,
It's such a shame for us to
part.
Nobody said it was easy,
No one ever said it would be
this hard.
Oh take
me back to the start…¹
…
Forse
avrebbe dovuto cambiare canzone. Ma al momento attuale si sentiva
piacevolmente
infossato dentro il proprio materasso.
Sentì
bussare la porta.
“Avanti.” Disse, perché non poteva
essere il solito egoista misantropo. Non
quella sera almeno.
Sua
madre entrò, reggendo una cesta di panni puliti con in cima
una pila di
riviste. Le riconobbe come quelle contenenti il programma artistico
dell’estate
di Little Whinging. Gliele portava ogni anno, quando tornava da scuola.
“Ti
ho portato la biancheria pulita!” Esclamò
posandola sulla scrivania. “È tutto
in ordine, ma non avresti nulla da metterti, e non credo tu dorma nudo
adesso,
no?” Sorrise e Tom sentì che avrebbe dovuto
abbracciarla o dirle che le voleva
bene. Un figlio, anche se adottivo, avrebbe fatto una cosa
così.
“Grazie.”
Si limitò. “È il programma
estivo?” Offrì, abbassando le cuffie sul collo e
alzandosi.
“Mmh-mm.”
Annuì sua madre, piegando una serie di slip neri. Non aveva
mai capito come Al
riuscisse invece ad avere delle mutande con motivi imbarazzanti senza
volersi
seppellire da qualche parte. Le ultime che aveva visto avevano un
boccino davanti.
Mi sono dimenticato di prenderlo in
giro.
“Al
caffè c’è una rassegna di poesie di
Whitman molto carina. È domani alle
quattro, ci vieni?” Gli chiese riportandolo
all’attenzione. Aveva un tono
disinvolto, come se fosse tornato da Hogwarts solo il giorno prima. Le
domande
erano finite, per il momento, e avrebbe dovuto davvero
ringraziarla. Ma non poteva continuare all’infinito,
sarebbe suonato falso. “Ci saranno anche tua sorella e i suoi
amici.”
“Se non rischio la vita tramite il lancio di qualche oggetto
contundente…”
Ironizzò. “Comunque sì,
vengo.”
Robin sospirò,
lisciando con
le mani la piega di una maglietta. “Tua
sorella…” Iniziò, mordicchiandosi
l’interno del labbro. “È stata molto
male per la tua scomparsa. Lo sai com’è
fatta. È orgogliosa… è tutta vostro
padre. Incamerano e non lasciano uscire.
Pensano che sia inutile e da …” Alzò
gli occhi al cielo. “Da deboli. Lo sai.”
No, non lo sapeva. O meglio, non se lo ricordava.
Ecco
da chi ho preso.
“Non
volevo…” Ancora una volta.
Se non altro, tutta quella storia gli aveva insegnato a chiedere scusa.
“Non
era mia intenzione farvi stare male …” Sua madre
gli mise una mano sul braccio,
accarezzandoglielo con quel tocco che forse avevano solo le madri.
Anzi,
probabilmente.
“Thomas.”
Lo fermò con il suo
accento australiano, un musicale va-e-vieni. “Harry ci ha
spiegato. Non è
facile per nessuno passare quello che hai passato tu. Non fartene una
colpa.”
Concluse facendogli una carezza. “A Alicia
passerà, non appena starai un po’
con lei e le farai parlare di ragazzi. Sai che tiene molto alla tua
opinione.”
“Va
bene.”
Sua madre lo strinse in un
nuovo abbraccio. Le persone erano calde. Come aveva fatto Voldemort a
non
volerlo per sé?
“Ora sei qui,
Thomas. È questa
la cosa importante. Va bene, tesoro?” Gli prese il viso tra
le mani e gli
sorrise. “Ed è anche il caso che ti tagli i
capelli. Fanno un po’ maudit
e ti stanno bene, ma ti vanno a
finire sugli occhi. Non ti danno fastidio?”
Tom ricambiò il sorriso. “Già.
È proprio il caso che li tagli mamma.”
****
Il
cancello era aperto. Aperto su una bruma fitta e
scura.
Lo
varcò, perché era aperto ed era un sogno.
Il
parco si contorceva in scheletri di alberi che
sembravano raffigurare uomini in agonia. Il castello era un moloch di
pietra,
dalle guglie gotiche a malapena distinguibili.
Sapeva
che doveva entrarci. Non era una questione di
potere, ma di dovere.
Da
lontano, il rumore del mare.
Poi
un picchiettare ritmico.
Un picchiettare ritmico come
sassolini…
Che
diavolo…?
Tom si svegliò di
colpo, con
le cuffie incollate alle orecchie e il silenzio stereo di un cd finito.
Il rumore non se
l’era
immaginato però. C’era veramente ed era alla sua
finestra.
Si alzò stordito,
ancora
aggrappato al ricordo del sogno. Aprì la finestra.
“Ehi! Era
ora!”
Albus era in giardino e aveva in mano un pugno di ghiaia che stava
evidentemente per lanciare.
“Vuoi
sfondarmela?” Gli chiese
a quel punto.
“Se
serve!” Replicò stizzito.
“È mezz’ora che sono qui!”
Gli venne da ridere, prima
di
ricordarsi che se l’avesse fatto, Al avrebbe potuto
tirargliela addosso. Aveva
una mira da cecchino con tutto quel Quidditch.
“Stavo dormendo. Aspetta, ti faccio
salire…” Inarcò un sopracciglio.
“O vuoi
smaterializzarti direttamente in camera mia?”
“Fammi salire, se la faccio male finisco dentro un muro.
Eviterei. Non sono
bravo negli spostamenti dentro e fuori casa.”
Tom sbuffò, ma obbedì. Andò ad
aprirgli la porta di casa e lo fece entrare
dentro, mentre i genitori dormivano e Alicia era fuori. Sentirono della
musica
soffusa da camera di Vern invece, quando ci passarono. Probabile se la
sparasse
in cuffia mentre giocava alla console.
Al quando fu in camera si guardò attorno. “Certo
che non si nota se ci sei o
non ci sei…” Ironizzò. “Ma
lasci almeno l’impronta sul letto?”
“Io non sono un confusionario come te.”
Replicò. La sola presenza di Al lo fece
sentire di colpo meno spaesato. Non che lo volesse ammettere, e
comunque non
glielo avrebbe detto. “Sei in ritardo.” Quello
invece glielo disse senza
problemi.
“Non sei l’unico che è sparito nel nulla
ultimamente, sai?” Replicò sedendosi
sul letto e prendendo a giocherellare con le cuffie. “Mamma
mi ha fatto una predica
infinita prima di lasciarmi andare.”
“Ti ha lasciato
andare?” Un
giorno o l’altro Ginny avrebbe voluto delle risposte.
E non gliele avrebbe date
lui,
decise. Le madri protettive erano qualcosa che gli gettava addosso una
discreta
inquietudine.
“Gliel’ho dovuto dire, se non mi avesse trovato
domattina mi avrebbe ucciso, e
non mi andava di fare una levataccia per batterla sul tempo.”
Alzò lo sguardo e
lo squadrò. “Ma sono le undici. Dormivi davvero?”
“Giornataccia.” Ironizzò, facendolo
ridacchiare. Si sedette accanto a lui,
mentre Albus si infilava le cuffie. “Al, il cd è
finito.”
“Rimettilo.” Gli chiese sorprendentemente.
Obbedì, giusto per vedere cosa aveva
da dire sulla musica babbana.
Non
molto, considerando la sua propensione a
canticchiare Celestina Warbeck.
“Oh, questi mi
piacciono! Coldplay!”
Esclamò contento. Poi arrossì, sotto il suo
sguardo inquisitorio. “Se non sai
dov’è il tuo lettore mp3… beh, ce
l’ho io. L’ho ascoltato, tipo… un
po’.”
“Questo
è molto romantico. Da
ragazzina, oserei dire.”
“Va’ all’inferno!”
“Già fatto.” Gli mise una mano sulle
labbra, quando provò a scusarsi. “… e
mi è
servito. Vieni qui.”
Al fece un sorrisetto e senza togliersi le cuffie si sporse a baciarlo.
Dovevano proprio piacergli i Coldplay. Fu un bacio casto, e morbido.
Non ne fu
particolarmente soddisfatto, ma c’era tempo.
Ce ne sarebbe sempre stato
d’ora in poi.
Lo acchiappò per
la vita, e lo
ribaltò sul letto, facendolo ridere. Lo fece in modo che
dopo poco Al, per
evitare di stare scomodo, fu costretto a accocolarglisi contro.
“Possiamo usare un
engorgio? Il letto è
troppo piccolo!”
“No.”
“Pervertito, lo fai solo per palparmi…”
Borbottò, avendo cura di passargli le
mani lungo il petto e dietro la schiena. Tom sogghignò.
Perché
tu no?
“Domani
c’è una rassegna di
poesie al caffè di mia madre. Vieni?”
Al inarcò le sopracciglia, alzando la testa dal suo petto.
“Beh, non capisco granché
di poesie babbane. Lo sai che non sono quel genere di
ragazzo…”
“Ma sei il mio ragazzo.” Fece una pausa, in cui si
divertì a contare i secondi
in cui Albus da roseo diventò di nuovo paonazzo,
specialmente quando gli rimarcò
il fatto passandogli le mani sul sedere. Aveva la pelle
meravigliosamente trasparente.
“Devi venire.”
“Non devo lavorare
all’ospedale, quindi… okay.” Lo
squadrò meditabondo. “Cos’è,
non vuoi restare
solo con tutti quei babbani e quelle ragazze?” Lo prese in
giro.
“No… ma potrebbero esserci ragazzi.
Whitman,
l’autore, era omosessuale. È una discreta icona
gay.”
Ci fu una breve pausa in cui
sentì le dita di Al artigliargli la maglietta del pigiama
con la gentilezza di
una Veela inferocita. “Verrò.”
“Lo supponevo.”
“Stupido stronzo!” Si sentì apostrofare,
mentre finalmente riusciva a
togliergli le cuffie. Nel tempo che si sporse per metterle sul
comodino, si
sentì nuovamente strattonare sul letto e poi Albus lo
baciò così
appassionatamente che quasi gli diede una testata.
“Ahi.”
“Tom, rovini l’atmosfera!”
“Mi hai quasi rotto il naso.”
“Sei un insopportabile lamentoso…” Si
lamentò,
facendolo ridacchiare. Seppe con certezza, in quel
momento, che quella
notte avrebbe dormito bene. Gomito ossuto di Al conficcato in parti
tenere del
suo corpo o meno.
Tom poi gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
“Ho fatto un sogno.” Esordì,
ma non c’erano connotazioni romantiche. Il sogno di prima
l’aveva lasciato…
perplesso.
Non angosciato, quello no.
Ma era
stato un sogno… straordinariamente chiaro, reale. Gli incubi
che aveva avuto
l’anno prima a causa del medaglione era stati molto diversi.
Al batté le
palpebre, curioso.
“Che sogno?”
“Ho sognato di entrare in quel castello. Quello a Putgarten,
nella foresta
vicino a casa di…”
“Meike e Cordula?” Ci rifletté.
“Beh, era… era un incubo?”
“No…” Si stese accanto a lui,
puntellandosi con un gomito. “Non direi. Sono
arrivato fino all’ingresso. Poi mi hai svegliato. Ma non era
angosciante.”
Lanciò uno
sguardo sul muro di
fronte a sé, casuale. Rimase sorpreso quando si accorse che
l’unico ornamento
presente, una foto incorniciata che si era fatto sviluppare da Robin,
ritraeva
una scogliera calcarea simile a quella di…
Rügen…
Non ci aveva più
pensato a
quella foto, ma davvero assomigliava ai panorami che aveva ammirato
sull’isola.
Solo una coincidenza?
È
pur sempre un luogo turistico molto battuto.
“Dici che vuol
dire qualcosa… quel
sogno?” Lo riscosse Al.
Tom rifletté. “I sogni possono voler dire tutto o
niente. Probabilmente in
questo caso è niente.”
Sospirò. “In
tutta franchezza, non sono dell’umore adatto per farmi
domande del genere.”
Al ridacchiò.
“Beata ignoranza
quindi? È strano sentirlo dire da te.”
“Pensavo
più al beato oblio.”
Al gli si spalmò
di nuovo
contro, con una grazia che Tom sospettava avesse solo in rarissimi
momenti… di
grazia, appunto. “Mmh.” Gli disse,
perché non era tipo da avanzare proposte. “Quindi
dormiamo?” Chiese con le orecchie curiosamente paonazze.
“Ce
l’hai la bacchetta?”
“Beh… sì?”
Io no.
Ma non voleva pensare a
quello
in quel momento. “Incantesimo silenziante.” Disse.
“Quindi non
dormiamo.”
Tom lo ribaltò di nuovo sotto di sé. Quel
letto avrebbe
avuto una lunga nottata. “Giusta osservazione, signor
Potter…”
****
Germania
del Nord.
Notte.
Sören si
appoggiò alla sedia.
Era una robusta sedia di legno intarsiato che faceva da pendant con la
scrivania di quercia. E pure con il calamaio.
Non c’era nessun
dettaglio
lasciato al caso nella vita di un Hohenheim. Tutto doveva esprimere
classe,
nobiltà, austerità.
Si sgranchì le
dita per forse
la ventesima volta. Meditò di prendere un altro bicchiere di
vodka incendiaria,
la cui bottiglia silente e panciuta era sulla mensola del camino, ma
lasciò
perdere.
Non
aggiungiamo l’alcolismo al carico misero della mia
esistenza.
Lo scoppio di un ciocco nel
camino gli fece prendere finalmente la decisione di intingere il
pennino nel
calamaio e vergare i primi centimetri della pergamena. Si era
esercitato a
lungo per imitare la scrittura sgraziata e largheggiante del suo
omonimo.
Dopo molti tentativi,
c’era
riuscito.
Cara Lily,
Ho
buone notizie. Quest’anno,
finalmente, potremo vederci…
Infatti
quest’anno si
terrà il Torneo Tremaghi.
Sospirò
e poi appallottolò con frustrazione il foglio, squadrando la
foto della
ragazzina posata sulla pila di lettere.
Doveva
essere una di quelle popolari a
giudicare dal largo sorriso solare, sicuro di sé e senza
un’ombra.
Come
poteva capirla? Come poteva avvicinarsi senza essere smascherato?
Come
poteva farle credere di essere suo amico?
E
soprattutto, quello avrebbe fatto in modo da ridare Thomas alla Thule?
Fece una smorfia e spianò la lettera.
Non
era questione di potere, o farsi domande: doveva.
Perché erano ordini.
E
gli ordini vanno eseguiti, Sören…
Represse un brivido mentre vari punti dentro e fuori al suo corpo
bruciavano.
Distolse lo sguardo dalle fiamme del camino e riprese a scrivere.
Lui
non aveva mai sorriso così, comunque.
****
Note:
1. Qui
la canzone. Ah,
i Coldplay. T_T
Ah, la favolosa Eleazar81 si
è
cimentata in una nuova meravigliosa fan-art. Brotherhood.
Lasciatele un commentino, se vi va.
|
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Capitolo 9 *** Capitolo VIII ***
Mi spiace non riuscire a
rispondere alle recensione a questo giro, ma esame tra pochi giorni. Mi
farò perdonare
alla prossima. Enjoy!
****
Capitolo
VIII
Some
boys take a beautiful girl
And hide her away from the rest of the world
I want to be the one to walk in the sun
Oh girls they want to have
fun…¹
(Girls
just wanna have fun, Cyndi Lauper)
7 Agosto 2023.
Devonshire, vicino a Ottery St.
Catchpole.
Casa Potter-Weasley, mattina.
Lilian Luna Potter, chiamata
da urbi et orbi Lily, o Lils, o
Lilù
– era una ragazza poliedrica – tutto osservava e
annotava. Ma quello che più le
piaceva, in termini assoluti, era sguazzare in mezzo alle situazioni ad alta tensione emotiva. Più
incasinate e emotivamente stressanti erano, più lei si
divertiva. Sinceramente.
Firmò una lettera
indirizzata
ad una sua amica, con una piuma da cui fluiva brillante inchiostro
rosa, seduta
a pancia in sotto sul proprio letto. Una lama di luce mattiniera le
scaldava le
schiena e la radio trasmetteva il suo programma preferito, Gli Ascolti
di Miggs²,
che metteva in loop vecchie canzoni babbane che lei e Hugo ascoltavano
avidamente dall’età di sei anni.
Aveva sempre pensato che le
canzoni babbane fossero più accurate
nel descrivere gli stati d’animo di una giovane ragazza.
Comunque, stava divagando.
Aveva quindici anni da una
manciata di mesi, e aveva assolutamente
intenzione, quell’anno, di non farsi scappare neppure una
briciola dei sommovimenti
scolastici di Hogwarts.
L’anno prima era
stato…
spaventoso, okay, ma anche pieno di colpi di scena ed avventure
mozzafiato.
E lei dov’era?
A
fare la studentessa quattordicenne. Orrore. Orrore!
Si picchiettò la
piuma sulle
labbra, imbronciandosi. Naturalmente non avrebbe voluto trovarsi
nell’occhio
del ciclone come Albie, non era cretina, ma le sarebbe piaciuto avere
qualche
informazione in più, invece di veder sparire Thomas nel
nulla e beccarsi tutto
il pacco di depressione che ne era conseguita senza capirci
granché.
Ora le cose sembravano
essersi
sistemate, Tom era tornato a casa e suo padre si stava adoperando per
mettere
tutto a posto definitivamente.
Insomma, era quasi
tutto finito e lei si sentiva
tagliata fuori dall’equazione.
La cosa non le piaceva.
Sentiva vari rumori sotto di
sé. Lasciò perdere il diario e si
incastrò la piuma all’orecchio, ascoltandoli.
Sua madre doveva essere in cucina, divisa tra il compito di correggere
le bozze
per un articolo sui nuovi acquisti dei Kenmare Kestrels e cucinare il pranzo.
Suo
padre era fuori, al Ministero, a sistemare la roba di cui sopra.
Socchiuse gli
occhi, sentendo un tonfo e un’imprecazione colorita, e rise.
Quello era James che faceva
gli ultimi preparativi per l’esame di ammissione che si
sarebbe tenuto quel
pomeriggio. Al era al San Mungo invece. Si svegliava ogni mattina
all’alba,
andava a correre –
sinceramente non
capiva tutto quel bisogno di muoversi quando il resto del mondo dormiva
– e poi
dopo una veloce colazione si dirigeva a far intrugli motivatissimo e
fresco
come una rosa.
Adesso
probabilmente la sua routine includerà anche
Tommy. Come se non sapessi che tutte le notti va a dormire da lui.
Sogghignò.
Sentì un altro
tonfo, seguito
da qualcosa che assomigliava tremendamente ad un insulto alle
divinità babbane;
a quel punto decise di controllare perché era una sorella
favolosa.
Si diresse nella camera
dirimpettaia alla sua. Divideva infatti coi fratelli il vasto secondo
piano di
un grosso cottage bianco e nero chiamato dai vicini il
Mulino, forse perché un tempo lo era stato davvero.
Non
che abbia mai visto una ruota…
Bussò.
James aprì: aveva
la barba di
tre giorni, i capelli arruffati e lo sguardo sereno del pazzo bilioso.
“Cazzo!”
Esplose quando la vide. Qualcos’altro era esploso nella sua
stanza, rifletté Lily. Sembravano esserci passati mandrie e
mandrie di centauri
inferociti.
“Buongiorno anche
a te Jam!”
Cinguettò cercando di non ridere. “Come
va?”
“Di merda!”
“Sì, immaginavo qualcosa del
genere…”
“Non ci
riuscirò mai, mi
bocceranno, sarò la vergogna della famiglia e
dovrò ripiegare sulla carriera di
domatore di draghi…” Si infilò le dita
nei capelli, strattonandoli. “Neanche mi
piacciono i draghi!”
“Jamie, ti sei
esercitato
tutta l’estate… praticamente vivi con la bacchetta
incollata al sedere, ed hai
fatto dei corsi.”
Cercò di calmarlo.
Avrebbe riso dopo. Tanto.
“Inutili! Non mi ricordo neanche un incantesimo!”
Piagnucolò, buttandosi sul
letto e coprendosi il viso con le mani. “Se non entro, se non
divento un auror…
cosa ne sarà di me? Perché non è
così semplice come a scuola?”
Lily gli si sedette accanto, attenta e disgustata dalla miriade di
briciole
essiccate che si annidavano tra le lenzuola. Gli mise una mano sulla
spalla,
consolatoria. “Perché è la vita
reale.” Mormorò, sentendosi molto adulta e
matura.
E
felicissima di essere ancora a scuola.
James emise un grugnito che
poteva essere un assenso o una smentita.
“Devo
diventare un auror.”
“Certo…” Convenne supportiva.
“Pensa a quanto ti prenderebbe in giro Al
altrimenti.”
“… Avrei dovuto dire che volevo un cane, invece di
un fratello.” Ringhiò cupo.
“Ma ero giovane e stupido.”
“Lo sei ancora.” Osservò dandogli una
pacchetta sulla spalla. Era esilarante
perché James era il
migliore del suo
corso, il cocco degli insegnanti e il beniamino dei compagni. Stava
solo avendo
uno dei suoi attacchi da prima donna.
Lily si alzò in
piedi,
sperando che quelli che vedeva sotto il letto non fossero calzini
sporchi. La
sua tolleranza alla scarsa igiene maschile forse un giorno
l’avrebbe fatta
diventare come sua nonna Molly.
A
meno che non diventi ricca e sposi un strafighissimo
Lord e mi faccia servire per tutta la vita.
James alzò la
testa per
lanciarle un’occhiata di sbieco. “Stai ancora
facendo sogni di gloria?”
“Progetti per il futuro.” Lo corresse dolcemente.
“Hai un’aria esaltata quando li fai.”
Sbuffò con un ghignetto, e Lily gli
concesse la presa in giro perché era magnanima e lui di
contraccambio aveva
un’aria davvero miserabile.
“E
tutti mi ameranno, disperandosi³…”
Citò con sguardo altero e
fiero. James scoppiò a ridere, e seppe di aver avuto
successo.
“Vuoi che
venga?” Gli chiese
poi, serissima. “Dico, a tenerti la
mano…”
James le lanciò un’occhiataccia. “Dai
che scherzavo, non fare quel muso da
folletto!” Lo spronò, prima di sentire la madre
chiamarli dal piano di sotto.
“Dici che si mangia già?”
“Ho voglia di vomitare.” Fu la risposta. Sentirono
poi dei passi sulle scale e
bussare conseguentemente alla porta. “Perché non
mi lasciano in pace? Voglio
morire.”
“Jamie?”
Era Teddy, e Lily
guardò divertita
l’espressione del fratello mutare. Diventò
paonazzo, si guardò attorno con
terrore e si passò senza successo le mani trai capelli per
renderli più docili.
“Teddy!”
Ululò, andando alla porta e frapponendosi tra lui e il
resto della stanza. “Che ci fai qui?”
Ted Lupin, bello come il sole anche con una camicia a quadrettoni e un
paio di
pantaloni che dovevano avere minimo dieci anni, sorrise un
po’ perplesso. “Beh,
sono venuto a prenderti… L’esame,
ricordi?”
“Aaah, giusto, l’esame!”
Si diede una
teatrale pacca sulla testa. “Pensa un po’, me
n’ero dimenticato! Ma passerò. Ad
occhi chiusi.” Tirò fuori il suo miglior ghigno
smagliante. “Che dici, andiamo
a pranzo fuori?”
“Ecco…” Teddy guardò lei.
Lily si sentì in dovere di picchiettarsi la fronte, e
mimare a gesti di portarlo via prima che per la tensione facesse
esplodere la
casa. Teddy capì al volo, perché era sveglio o
semplicemente sensibile agli
umori altrui. “Certo, fatti una doccia e andiamo.”
James annuì,
prima di schizzare
verso il bagno. Nella sua corsa urtò qualcosa che cadde a
terra e si ruppe.
Teddy ridacchiò.
“È nervoso,
eh?”
“Direi che siamo passati allo fase esaurimento
nervoso.” Guardò con pietà la stanza.
“Se mamma la vede in queste condizioni lo
uccide e gli risparmia la fatica di fare l’esame. E lui
può usarla, la magia,
per metterla in ordine…”
“Non ti manca
molto, no?”
Offrì gentile. “Ancora un paio
d’anni.”
“Manca troppo.”
Si corrucciò,
dandogli un pugnetto sulla spalla. “Ma ci sto
lavorando.”
Teddy annuì,
estraendo la
bacchetta e compiendo con esperti movimenti di bacchetta il miracolo di
rendere
quel posto nuovamente presentabile: c’era abituato, del
resto.
Sono
anni che si occupa di non farci strigliare da
mamma. La nostra Mary Poppins…
“Non vedo
l’ora di tornare a
scuola…” Esordì mentre Teddy si chinava
a prendere il cesto dei panni sporchi.
Diede una sbirciatina al sedere, e si annotò di
regalargli un paio nuovo di jeans, magari aderenti, alla
prima ricorrenza.
Così
bello e così sciatto…
“Allora…
sto parlando con il
Direttore di Tassorosso?” Spiò allegra, facendolo
ridacchiare.
“Essì, e non so dirti quanto sono
nervoso.”
“Sarai fantastico, tutta la scuola è innamorata di
te, sai.” Ironizzò.
Poi notò che
l’amico aveva
un’aria… assorta. Sembrava rimuginare
incessantemente su qualcosa e non
sembrava molto piacevole dalla faccia.
“Teddy, tutto a
posto?”
Il ragazzo si riscosse di colpo, con l’aria di un cervo di
fronte ad un tir. I
babbani usavano espressioni così pittoresche… era
un peccato non usarle. “Cosa…?
Oh, sì, certo!”
Come no.
Decise di cambiare discorso.
“Ma senti,
è vero che Albie quest’anno
potrebbe essere Caposcuola?”
“Segreto professionale.” Le rispose divertito.
“Però non ci sarebbe da
stupirsi, no? È un candidato ideale.”
Lily esitò. “Sì, beh…
abbastanza.”
Se gli importasse di qualcuno
all’infuori
di Thomas e noi.
Molta gente pensava che
Albus fosse
questo gran altruista perché sorrideva ed era gentile con il
mondo intero. Lily
aveva sempre avuto la certezza che il fratello avesse capito che
mostrarsi innocuo avrebbe pagato in
caso di
scontro con i suoi compagni di Casa.
Era un ottimo stratega,
anche
se spesso a livello inconscio, tutto lì.
Il flusso dei suoi pensieri
fu
distolto dal ritorno di James e dalla conseguente ricerca di qualcosa
di pulito
da fargli indossare.
Quando fu finalmente sola
tornò nella sua stanza. Fu stupita quando trovò
una lettera sul davanzale.
Nessuna traccia di gufi o altri volatile portalettere.
Si avvicinò e fu
ancora più
perplessa quando notò che la grafia era quella del suo amico
di penna Søren; la
busta, in effetti, proveniva dalla Germania. Dov’era
però Wodan, il suo gufo?
Di solito rimaneva sempre per farsi dare qualche croccantino…
La prese e non fece in tempo
a
grattare la ceralacca con le dita che sentì un improvviso e
violento capogiro.
Che
diavolo…?
Si dovette sedere, mentre
l’assaliva una sensazione spiacevole, come se qualcosa di
freddo le bruciasse
dentro lo stomaco.
Che
diavolo…? È la colazione?
Inspirò e
strappò la ceralacca
quasi per abitudine: uscì fuori il solito foglio
pergamenato, con la grafia
nervosa e storta del ragazzo.
Scosse la testa, mentre la
sensazione spariva come era venuta.
Decisamente
la colazione. Devo dire a mamma di non
mettere più tutto quel latte nelle uova.
Si buttò sul
letto. Tutti la
prendevano in giro, soprattutto le sue amiche, per quella
corrispondenza
infantile, ma le piaceva l’idea di un ragazzo che le parlava
senza guardarle le
tette.
Non era molto brava a farsi
degli amici maschi, no.
Cara Lily,
Come stai? Ho
una
notizia che spero ti farà piacere. Non so se sei
già stata informata, ma
quest’anno si terrà il Torneo Tremaghi, e
Durmstrang è una delle tre scuole che
concorreranno alla coppa.
Finalmente
potremo
vederci…
****
Londra,
Diagon Alley
Di
fronte all’Accademia Auror, Pomeriggio inoltrato.
Rose Weasley non era
nervosa.
No, neanche un po’.
Si lisciò
l’orlo della gonna e
si controllò nel riflesso della vetrina alle sue spalle per
circa la ventesima
volta. Teddy, seduto accanto a lei sulla panchina, le lanciò
un’occhiata ma
cortesemente non fece osservazioni.
L’edificio che
ospitava
l’Accademia Auror era di fronte a loro: grande, in mattoni
scuri e dal tetto
spiovente, sembrava un grosso parallelepipedo. Non aveva
l’aria accogliente, ma
supponeva che non dovesse; lì dentro del resto venivano
forgiate reclute della
migliore forza magica del paese.
Deve
mostrare austerità. O qualcosa del genere. O forse
c’entra il fatto che è stato costruito durante la
prima ascesa di Voldemort.
Non erano tempi allegri, quelli.
Comunque, stava divagando.
Lei e Teddy stavano
aspettando
che James uscisse con i risultati da un paio d’ore. A dirla
tutta, Rose, da un
paio d’ore. Teddy era lì dal primo pomeriggio.
Scorpius in compenso era in
plateale ritardo.
Per distrarsi
lanciò
un’occhiata a Teddy, che sembrava l’ansia fatta
persona. Se avesse continuato a
tormentare la propria bacchetta l’avrebbe spezzata,
probabilmente.
Sorrise, perché
era davvero un
bravo ragazzo, ma non disse nulla, perché si sentiva ancora
un po’ a disagio
con il fatto che fosse diventato il centro deputato degli interessi
romantici
di James. Albus l’aveva edotta poco dopo il compleanno di
Scorpius, facendole
quasi far esplodere il calderone dove le stava spiegando la
preparazione di una
pozione, compito per le vacanze.
Sia
Al che Jamie… C’è da chiedersi se
abbiano fatto a
gara anche in questo…
Teddy tirò un
sospiro
afflitto, e a quel punto fu costretta a dire qualcosa.
“Tanto
passerà, lo sai Ted…”
Dove
diavolo è quel biondino da strapazzo? Un mese! È
praticamente passato un mese e
anche di più da quando ci siamo visti!
“Massì.” Sorrise
l’altro. “È solo che detesto le attese.
Quando sei tu a
sostenere un esame è diverso.”
“Già…”
Borbottò poco
comunicativa. C’era molto di cui parlare, e non
necessariamente dell’epifania
sessuale di chicchessia. Tipo, il ritrovamento di Tom poteva essere un
ottimo
argomento. Ma nessuno dei due, rifletté Rose, sembrava aver
voglia di
scambiarsi impressioni e pareri.
Si sentì
picchiettare la testa
e poi nella sua visuale entrò quello che sembrava…
Teddy batté le
palpebre. “È un
cactus…?”
Rose prese in mano il piccolo bulbo, interrato in un vasetto colorato
che
assomigliava tremendamente a quello di una confezione di yogurt. Con
esso si
palesò anche Scorpius, in jeans e camicia sportiva e un
taglio di capelli
decisamente babbano.
“Un cactus,
sissignore.”
Confermò sorridente. “Ci crederesti, Rosie, che i
babbani li vendono anche dentro
vasetti di yogurt colorati?”
Esclamò
pieno di meraviglia. “Sono così
ingegnosi!”
“Ci credo,
sì… Le ragazze
normali ricevono rose, io un arbusto spinoso.”
Sospirò, mentre sentiva il cuore
in gola e un enorme sorriso scemo premerle l’angolo delle
labbra. “Quanto sono
fortunata.”
“Sono creativo,
che vuoi
farci…” Sorrise di rimando, sedendolesi accanto e
passando un braccio dietro la
schiena. “Ciao.”
Aggiunse con la
chiara intenzione di baciarla.
“Ciao.
Sta’ buono.” Replicò supplicandolo
di non farlo o avrebbero rischiato di attirare una folla di curiosi,
visto che
era ragazza sì, ma con degli ormoni. “Sei in
ritardo.” Stornò, trincerandosi
dietro un’aria cattedratica che sperò non
sembrasse troppo disperata.
“Beh,
sai… Ho dovuto
inventarmi una palla piuttosto ingarbugliata per non dire che andavo ad
aspettare Poo come una fidanzatina ansiosa…” E qui
scoccò un’occhiata a Teddy che
lo guardò malissimo.
“Ricordati che
sono ancora un
tuo professore, Scorpius.”
“Dal primo
settembre.”
Squadernò l’indice con sussiego. “Dal primo
settembre.”
Teddy fece un mezzo sorriso.
“Ricordati
che ho una buona memoria. E non dal primo settembre.”
“Sono mortificato, chiedo scusa.” Scorpius
sembrò improvvisamente più umile.
Rose ridacchiò, perché era noto
l’attaccamento del suo ragazzo alla propria
media scolastica.
“Jamie
sarà felice di averti
qui…” Continuò Teddy, incapace di
reggere la parte del professore severo.
“Mmh, dubito. Neanche mi noterà, nel suo delirio
di onnipotenza. E comunque non
sono certo qui per lui, ma per la straordinaria caramellina che ho al
fianco.”
“Mi chiamerai mai con il
mio nome di
battesimo?”
“No!”
Teddy ridacchiò, occhieggiando la Gazzetta che Scorpius
teneva sulle gambe.
“Non l’ho comprata stamattina, posso darci
un’occhiata?”
“Sicuro e… c’è qualcosa di decisamente
interessante oggi.” E qui l’altro palesò
perché sembrava così su di giri. Cioè,
più del suo solito. “Sapete dove e quando si
terrà il Torneo Tremaghi?”
“Il Torneo…” Rose ci mise qualche attimo
a processare la notizia. “Quel Torneo?”
“Quanti ne conosci?” Gongolò, aprendo il
giornale e mostrando l’articolo, su
cui campeggiava il viso carismatico di Kingsley Shacklebolt attorniato
da una
pioggia di flash. “Quest’anno,
in
occasione del venticinquesimo anniversario della Battaglia di Hogwarts,
si
terrà il Torneo Tremaghi…”
Lesse da alta voce. “Ovviamente
ad Hogwarts. Vi rendete conto? Tutti quelli del Settimo
potranno parteciparvi. E noi siamo
del
Settimo.” Mormorò estatico. “Gloria
eterna. Ricordato per sempre…”
Sussurrò.
“L’unico
campione che viene
praticamente ricordato è Cedric Diggory, visto che ci è morto. ”
Sbottò Rose, realizzando che quell’idiota del suo
ragazzo era esaltato da una
competizione potenzialmente mortale
Lanciò uno
sguardo verso
Teddy, sperando che smentisse e dicesse che no, in realtà si
sarebbe tenuto da
qualche altra parte, tra gente adulta. Magari in un altro continente.
Teddy invece
annuì, con un
sorriso estremamente crudele, a parer suo. “Ho ricevuto un
Gufo una settimana
fa. Dovrò partire alla fine del mese, per i
preparativi… La scuola dovrà
ospitare le delegazioni di Durmstrang e Beaux-Batons, senza contare
eventuali
ospiti e il servizio di sicurezza.”
Rose serrò le
labbra in una
linea sottile: no, decisamente non era quella sua idea di un tranquillo
ultimo
anno.
Lanciò
un’occhiata a Scorpius
che si stava rileggendo con gusto l’articolo. Gli brillavano
gli occhi.
Oh,
dannazione.
“Poo
creperà di invidia.” Lo
sentì con un ghignetto inquietante. “Lui
è
già uscito dai giochi.”
DANNAZIONE.
“Non
vorrai partecipare?” Non fece in
tempo a sentire la risposta che la porta dell’Accademia si
aprì, facendo
sciamare in ordine sparso i candidati, poco più di due
dozzine.
James era in mezzo e quando
li
vide si sbracciò, con un’aria trionfante e una
grossa bruciatura sulla guancia.
“Ce
l’ho fatta!” Urlò facendo
girare metà strada, prima di correre
loro incontro e lanciarsi su Teddy in una specie di placcaggio
frontale.
L’altro ragazzo riuscì a non finire a terra e
ricambiarlo, ridacchiando con condiscendenza
come se fosse importunato da un cagnolino.
Rose pensò che
fosse l’unico
al mondo a non aver mai rischiato triplici fratture.
“Cazzo, sono un
auror!” Sbottò
guardandosi attorno come se si aspettasse di essere incoronato re del
mondo da
un momento all’altro. “Sono passato, è
stato un trionfo!”
“Veramente saresti solo un allievo…”
Iniziò Teddy, fedele a sé stesso, ma
lasciò perdere subito per arruffargli i capelli. Lo fece in
modo casuale, ma a
Rose non sfuggì il modo in cui il sorriso di James divenne
più stabile e come
accompagnò il gesto, inclinandosi verso la sua mano.
Davvero,
come cavolo ho fatto a non capirlo prima?
Scorpius invece gli strinse
la
mano, congratulandosi, e per un momento a Rose sembrò che
facessero a gara a
chi stringeva più forte.
Maschi…
“Beh Poo, adesso
hai licenza
di farti esplodere la bacchetta in faccia.” Si scambiarono
due grossi sogghigni.
“Approfittane per avvantaggiarti. Ti servirà
quando entrerò anch’io, il
prossimo anno.”
“Sogna, Malfuretto.” Rise James, poi si
guardò attorno. “Beh, che si fa?
Andiamo a festeggiare!”
“Stasera.”
Gli rammentò
Scorpius divertito. “Non ti ricordi? Ci vediamo ai Tre
Manici, coi gemelli
Scamandro, con Jordan e un mucchio di persone che non vedono
l’ora di farsi
offrire un giro di bevute dal mezzo-auror qui presente.”
“Auror in fieri!”
Corresse piccato. “Comunque…
già, forse è un po’ prestino per
bere…”
“Manda un Gufo a
Harry,
James…” Gli ricordò Teddy, bussola di
ogni comportamento socialmente doveroso.
“Aspetterà di sapere com’è
andato l’esame.”
“Giusto!” Esclamò. “Beh,
allora voi che fate?”
“Andiamo a fare… qualcosa…
da… qualche parte.” Disse Scorpius con estrema
serietà, scoccandole un’occhiata piena di
intenzioni. “Ci vediamo stasera. Se
ti chiedono qualcosa, noi eravamo con voi.”
“Per tutto il
tempo.” Convenne.
“Ancora complimenti.” Fece una pausa, tirando
evidentemente Malfoy verso un
punto imprecisato. “Ciao.”
Sparirono approfittando
dell’improvviso afflusso di genitori e amici dei candidati.
“È
bello vedere come mia
cugina e il mio migliore amico sono venuti qui per me.”
Ironizzò, voltandosi
verso Teddy. “E no, assolutamente non per infrattarsi in
qualche angolo buio a
pomiciare.” Fece una smorfia disgustata. Teddy rise.
“È
tanto che non si vedono,
credo sia comprensibile…”
“Zio Ron ci ha
provato,
poveraccio. Ma il Vero Amore e blablabla…”
Sospirò, fingendo rammarico, quando
in realtà era più o meno
contento per
quei due.
Dovrebbero
solo rendersi pubblici. Ma temo che Rosie
abbia troppa paura che a zio venga un infarto.
Teddy
annuì per tutta risposta; aveva
un’aria distratta, il che significava che non era in casa al
momento. Sembrava
preoccupato.
Beh?
Indagare, subito!
“Burrobirra della
vittoria?”
Offrì. “Naturalmente paghi tu.”
Teddy sorrise. “Naturalmente.”
Dieci minuti dopo erano
seduti
ad un caffè con un vasto patio all’aperto. Teddy
sorseggiava la sua burrobirra
distrattamente. James parlava da mezz’ora ed aveva la
certezza chirurgica che
l’altro non lo stesse ascoltando.
Fu tentato di tirargli un
calcio, ma non avrebbe capito e forse si sarebbe offeso.
C’erano modi
migliori per
attirare l’attenzione di quel gran figlio di lupo mannaro.
James si sporse sul tavolo,
afferrandogli un polso e stuzzicando la parte sensibile di pelle con
l’indice.
“Teddy…”
Sussurrò. L’altro si
irrigidì di colpo, sgranando appena gli occhi, mentre i
capelli viravano su un rosa
tenue e sfumato. Una bambina dietro di loro rise, indicandolo.
James sogghignò.
“Oooh…sei
proprio tanto
sensibile…” Ripeté
abbassando la voce di un tono.
L’altro
deglutì. Vide proprio
il pomo d’Adamo tremargli sottopelle. “Jamie,
cosa… Siamo in…” Borbottò
pieno
di disagio. “Cosa stai…?”
James gli sfiorò l’angolo della bocca con il
pollice. “Schiuma!” Ghignò
mefistofelicamente. “Ne hai un po’ sul
labbro.”
Teddy a quel punto gli afferrò di scatto la mano, con un
lampo scuro negli
occhi. Non era una figura retorica, aveva un ragazzo metamorfomago.
Succedeva veramente. Quando si
eccitava, l’iride,
solitamente azzurra o castana – dipendeva dai giorni -
diventava più scura,
praticamente nera.
Era piuttosto provocante. E
maledettamente rivelatore.
“Falla
finita…” Gli sussurrò,
cercando di minacciarlo e ottenendo solo di farsi strusciare uno
stivale di
pelle di drago sul polpaccio. “James.”
Tentò di nuovo, e sembrava davvero ringhiasse. Delizioso.
“Se non la fai
finita…”
“… Mi
prendi sul tavolo?”
Teddy fece un suono strozzato, aiutato dallo stivale che strusciava
adesso in
direzione dell’interno della sua gamba.
“Smettila!”
James trattenne una risatina, ma mollò il colpo. Era buffo
ed esaltante assieme
vedere come l’altro non fosse esattamente un campione nel
trattenersi, se
debitamente stuzzicato. “Aaah, ora ho la tua attenzione
finalmente!” Disse
però, beandosi dell’aria sbigottita
dell’altro.
“Come,
scusa?”
“Non mi stavi ascoltando… direi da più
o meno mezz’ora.”
“Siamo qui da dieci minuti.”
“Infatti mi chiedo se hai sentito quel discorso sul fatto che
ho trionfato.”
“James.”
“Okay.”
Alzò le mani, in segno
di resa. “Dai, dimmi che c’è.”
Si fece serio. “C’è qualcosa che non va,
sei
pensieroso.” Giocò la carta finale.
“Sono il tuo ragazzo, puoi parlarne con
me.”
Teddy bevve un sorso della sua burrobirra ormai fredda.
“… Nonna.” Si scollò
dal palato, assumendo un’aria afflitta e una conseguente
virata sul grigio
perla.
“È successo qualcosa a zia Dromeda?!”
“No, no!” Scrollò le spalle.
“È solo che … ha deciso di vendere il
cottage.”
Teddy doveva ancora
abituarsi
al fatto che James non aveva più dieci anni.
Non sempre. Per alcune cose
aveva ben chiaro che non li avesse. Decisamente.
Il fatto era che non gli
piaceva, per timidezza o per un irrisolto complesso
dell’orfano, a chiedere
aiuto a qualcuno.
James batté le
palpebre,
evidentemente assimilando la notizia.
“No…” Disse infine. “Cazzo,
Teddy, mi
spiace. E perché? Problemi di…”
Esitò, scrutandolo attento. “Perché se
avete
bisogno di un anticipo sono sicuro che
papà…”
“No, no.” Negò di nuovo a disagio. La
pensione di suo nonno e quella per gli
orfani di guerra erano sempre riusciti a far loro mantenere uno stile
di vita
decoroso. “Non è per quello che vende.
È che… Narcissa le ha chiesto di andare
a vivere al Manor, e visto che è sempre sola ed è
ormai anziana ha deciso di
accettare.”
“Al Manor?” James sembrò sbigottito
quanto lui. “Andiamo, tua nonna al Malfoy
Manor?”
Teddy sorrise appena mentre sentiva il peso sulle spalle alleggerirsi
un po’.
James era dalla sua. Non che ne avesse dubitato, naturalmente, ma
sentirlo
indignato era un po’ un balsamo per la parte di sé
che aveva ancora sette anni
e pensava che sua nonna fosse la sua migliore amica.
“Penso che si
senta sola… del
resto io abito quasi tutto l’anno ad Hogwarts e comincia a
sentirsi insicura,
probabilmente, nel non avere nessuno accanto. Narcissa è pur
sempre sua
sorella, ed io…” Il senso di colpa un giorno
l’avrebbe ucciso e seppellito, ne
era certo. E avrebbe avuto tutte le ragioni del mondo, del resto,
perché aveva
preferito prima la Provenza di Vic e poi…
James gli posò una mano sul braccio. “E tu niente.
Basta seghe mentali.” Lo
fermò, con quel suo sorriso perennemente arricciato in
un’espressione monella.
L’avrebbe avuta fino alla senilità probabilmente.
“Non puoi mica farle da
babysitter. Credo che ti prenderebbe a pedate nel sedere se solo ci
provassi.”
“Probabile…”
“Dai, è
normale che tua nonna
voglia stare con sua sorella. Io non reggo quella serpe di Albie per
più di
dieci minuti e pensò sarà così anche
quando saremo due vecchietti
rincoglioniti, ma se rimanessi solo, è da lui che andrei.
È famiglia. Nel bene
o nel male, no?”
Teddy si trovò ad
annuire,
cominciando a capire il senso di tutto quello che gli sembrava un
orribile
abbandono. Sorrise; era vero che a volte serviva un terzo parere per
inquadrare
una situazione. E James poteva avere il tatto di un troll in un negozio
di
bacchette il più delle volte. Ma era raro che non
c’entrasse il cuore di un
problema, se gli veniva chiesto di inquadrarlo.
“Sì…
immagino che tu abbia
ragione…”
“Certo che ne ho!” Esclamò quasi offeso.
Poi sorrise. “Se è per il Cottage
però, perché non le dici che vuoi
tenerlo?”
“Non è per il cottage.”
Scrollò le spalle, mentendo platealmente. James
sbuffò,
tirandogli uno schiaffo sulla spalla. “Okay, è anche per il Cottage.”
“Dille che non vuoi venderlo allora!”
Alzò gli occhi al cielo. “Cavolo, quella
è anche casa tua!”
“Sì, ma è sempre stata troppo grande
per due persone, figuriamoci per me
soltanto.” Scosse la testa, sentendo un sospiro salirgli alle
labbra. Non
faceva che sospirare da quando aveva avuto la buona nuova.
“Non avrebbe senso
continuare a tenerla… è un pezzo della mia
infanzia, ma… Credo che mia nonna
stia cercando di farmi capire, brutalmente come suo solito, che devo
trovarmi
una casa mia. E forse ha ragione.”
“Beh, ma tu vuoi?” Interloquì. Sembrava
improvvisamente molto cauto e attento,
come se dovesse travasare una sostanza esplosiva dal calderone ad una
fialetta.
Teddy alzò lo sguardo e lo beccò a scrutarlo
esattamente in quel modo. “Vuoi
trovarti una casa tua?”
Teddy ci pensò seriamente. L’idea era allettante.
Hogwarts gli offriva delle
stanze confortevoli, e almeno per il periodo scolastico sarebbe dovuto
rimanere
lì, come Direttore del Tassorosso, ma facendo progetti a
lungo termine si
rendeva conto che non avrebbe avuto voglia di trascorrere
l’estate al Manor.
Affatto.
“Non mi
dispiacerebbe…”
Ammise. “Ma…”
Non voglio vivere in una casa vuota. Con
me dentro.
Se c’era una cosa
di cui era
sicuro, era il fatto che non avrebbe mai dormito in una casa da lui
occupata
soltanto. Proprio non ce la faceva.
Forse
potrei prendermi un cane…
“… Ma
non vuoi abitare da
solo?” Terminò per lui James, dimostrando ancora
una volta che sapeva leggergli
benissimo il pensiero. Era un sollievo e insieme un inquietudine.
Mischiate, non
erano una brutta sensazione comunque. “È
questo?”
“Più o meno sì.”
James fece un gran sorriso,
come se avesse appena trovato la cura definitiva per la spruzzolosi.
“Jamie?”
Chiese, un po’
inquietato.
“C’è
una soluzione
semplicissima.” Replicò. Si chinò su di
lui, baciandolo a stampo. Lo studiò da
vicino, prima di concludere. “Prendiamoci casa
assieme!” Non gli lasciò il
tempo di continuare, che si staccò e si allontanò
con passo spedito.
“Jamie!”
Lo richiamò attonito.
“Dove vai?”
Dopo
avermi detto una cosa del genere, poi!
“All’ufficio
postale! Il gufo per
papà! La mia vittoria!” Gli ricordò
facendogli un cenno. “Ne parliamo dopo, ma ehi,
è un’idea grandiosa… e ah! Paga
tu!”
E si
smaterializzò.
Teddy fissò
sbigottito il
punto in cui l’altro era sparito.
Forse non avrebbe dovuto
comprarsi un cucciolo, dopotutto.
Fece una risatina.
Harry l’avrebbe
ucciso.
****
Surrey,
Little Whinging.
Privet
Drive, n°4. Sei e mezzo di sera.
Tom alzò gli
occhi alla
finestra quando sentì un tonfo seguire
un’imprecazione.
Non si mosse dalla
scrivania,
dove stava leggendo, nascondendo un sorrisetto.
“Saresti potuto passare dalla porta, Al…”
“Allora
perché, per tutti i
troll della Gran Bretagna, lasci una scala sotto la tua
finestra?!” Sbottò l’interpellato,
massaggiandosi la schiena dolorante e tirandosi su. Era tutto arruffato
e
rosso.
“Volevo vedere se
ci salivi
davvero.”
“Stronzo!”
Tom sogghignò, voltandosi verso di lui, visto che aveva una
di quelle ingegnose
sedie girevoli babbane. Indossava
una
delle sue magliette di gruppi rock babbani. Quella era di un gruppo
chiamato
The Cure.
Li conosceva: facevano parte
dei top 5 più deprimenti della sua discografia.
“Beh, se non altro
hai evitato
i miei genitori…” Lo riscosse dalle sue
elucubrazioni. “E visto che hai ancora
vestiti da mago, forse è meglio così.”
Al si guardò; indossava ancora l’uniforme del San
Mungo. Era uguale per tutti i
livelli, camice e pantaloni verde limone. A lui però
piaceva. L’avrebbe
indossata sempre. Lo faceva sentire ad un passo dal suo sogno, per
quanto questo
non prevedesse gloria o battaglie epiche: prevedeva il San Mungo,
pozioni e una
spilla con una bacchetta e un osso incrociati.
A
ciascuno la sua ambizione.
“Non assomigliano
a quelle dei
vostri medici?” Borbottò, sedendosi sul letto.
“Papà ha detto che si somigliano.”
“Dei chirurghi, sì,
all’incirca.”
“Cos’è
un chirurgo?”
“Meglio che tu non lo sappia, il tuo codice deontologico
magico potrebbe
venirne sconvolto.” Ghignò l’altro,
alzandosi in piedi e rivelando che stava di
nuovo studiando.
Al sorrise, vedendo il libro di Pozioni Avanzate ricoperto di post-it
babbani.
Tom odiava scrivere sopra ai libri, a differenza sua.
Era… bello,
vederlo di nuovo
in quella camera. Non l’aveva visitata molte volte da
bambino, ma era
indubbiamente sua. Dai poster alle pareti, all’ordine
millimetrico. Harry era
riuscito a tenere fuori dall’inchiesta i suoi libri di testo,
e glieli aveva
fatti recapitare. Da una settimana circa Al lo trovava sempre col naso
sui
libri.
Si stava ri-ambientando. A
modo suo, certo.
“Allora, iniziamo
la nostra
lezione di Incantesimi?” Chiese, tirando la bacchetta fuori
dal camice e
porgendogliela dalla parte del manico. Tom esitò un attimo,
poi la prese.
Lo
fa sempre…
Era chiaro che non gli
piacesse l’idea di usare una bacchetta non sua.
Ma
purtroppo non c’è molto da fare. Finché
non lo
chiameranno lo scagioneranno non può averne una. Sono le
regole. I maghi sotto
inchiesta non possono detenere una bacchetta personale.
Tom si sedette accanto a
lui,
rigirandosela tra le dita. “Non mi piace.” Disse
secco.
“Mi dispiace che
la mia
bacchetta non sia di tuo gradimento…”
“È troppo…” Gli
lanciò un’occhiata di sbieco, con un nuovo ghigno.
“…piccola.”
“Se ti azzardi a fare dell’ironia sulla dimensioni
della mia bacchetta…” Iniziò
minaccioso, sentendosi arrossire come un gladiolo. Tom
ridacchiò, scuotendo la
testa.
“Stai facendo tutto da solo, Al.” Ci
passò un dito, scuotendo la testa. “Stavo
scherzando. Solo non la sento mia, ecco tutto.”
“Come facevi a Putgarten? Avevi quella del figlio di
…”
“Sì, e non andava granché neanche con
quella. Sentivo come …” Si fermò,
socchiudendo gli occhi per ricordare. “… come
quando metti scarpe non tue.
Magari vicine al tuo numero, ma…”
“Ti fanno male. O ci cammini male.”
“Precisamente.” Annuì, puntandola verso
la finestra. “Proviamo l’incantesimo di
duplicazione.”
“Okay. Allora… devi…”
Iniziò pieno di buone intenzioni didattiche.
“So come si fa.”
Al sospirò esasperato. Ogni volta era la stessa storia: Tom
era capace di
eseguire la maggior parte degli incantesimi del Sesto, eppure voleva
che gli
facesse da testimone. Se tentava un consiglio, non lo ascoltava. Le
critiche lo
innervosivano a morte. I complimenti erano assolutamente superflui.
“Se sai
già farlo, allora perché
mi chiedi aiuto?”
“Veramente ti chiedo la bacchetta.”
Osservò inarcando un sopracciglio. Ghignò
appena. “Al, mi conosci. Ti sembro una persona che chiede
aiuto?”
“No, e i risultati si sono visti.” Usò
con calcolata precisione la frecciatina,
che colpì perfettamente il segno. Tom fece una smorfia, e
smise di sembrare
compiaciuto. Al sentì una fitta di rimorso, ma la
dominò. “Allora…”
Cominciò,
vedendo che c’era una breccia nell’ego
dell’altro. “… prendi un oggetto e
recita la formula Geminio. Devi
tenere l’attenzione focalizzata sui particolari, altrimenti
verrà una cosa
tutta diversa.”
“Mhh.” Concesse, prendendo una penna e posandola
sul copriletto.
“Aiuterebbe
iniziare con
qualcosa di più grosso…”
Tom lo ignorò, puntando la bacchetta sulla penna. “Geminio.”
E invece della tenue luce
azzurra dell’incantesimo ci fu letteralmente un esplosione.
Al si buttò a
terra quando
vide la penna sfrecciargli al lato del viso mentre il copriletto
prendeva
fuoco.
Tom si alzò di
scatto,
soffocando un imprecazione, lanciando un’occhiata sconvolta
alla bacchetta.
“Tom, dà qua!” Gli urlò e
l’altro gliela lanciò immediatamente, obbedendogli
una volta tanto.
Al si tirò su.
“Aguamenti!” Il
getto d’acqua
dell’incantesimo spense velocemente le fiamme, e tutto quello
che rimase fu un
copriletto bruciato e un gran puzzo di fumo.
Al sospirò di
sollievo. Ci
mancava solo che dessero fuoco alla casa. Quello sarebbe stato un
definitivo
calcio nel sedere ai rapporti tra le loro due famiglie, già
abbastanza tesi.
Niente
Romeo e Giulietta, grazie.
“Per le sottane di
Merlino…”
Disse però confuso. “Te l’avevo detto di
prendere qualcosa di più grosso!”
Lo disse per dire qualcosa,
perché era comunque assurdo che un incantesimo innocuo come
quello avesse dato una
reazione … esplosiva. Lanciò
un’occhiata all’altro, che teneva le labbra
serrate in una linea sottile, e guardava indecifrabile il casino
bruciacchiato
del suo letto. “Tom?”
“Non era la bacchetta, né l’incantesimo.
Sono io.” Si scollò dal palato, prima
di passarsi una mano sulla nuca, e dirigersi alla scrivania, per
buttarsi sulla
sedia con furia. “Maledizione.”
“… Che vuol dire?” Lo guardò
contrarre e decontrarre la mano con cui teneva la
bacchetta, con una smorfia quasi di dolore. “Va tutto
bene?”
“No.”
Il volto di Tom era
stravolto,
esattamente come quando l’anno prima era stato pieno di
segreti e rabbia. Era
spaventato, realizzò.
“Senti, capita che
un
incantesimo vada storto…”
“Non capita, non così. Capita a me
perché prima che mi rimettessi di salute era
anche peggio. Facevo esplodere le
cose. Cordula doveva sedarmi.” Sibilò guardando
furioso, come se fosse tutta
colpa sua. “È perché sono…
Questo non succede alle persone normali.
Non succede di dar fuoco a qualcosa per duplicare un
oggetto.”
Al fece un sospiro. Si
avvicinò, infilandosi la bacchetta dentro la tasca apposita
del camice; sentiva
che era meglio toglierla di mezzo. Gli afferrò la mano,
forzandola ad aprirsi,
visto che si era serrata. “Piantala, ti ficchi le unghie nel
palmo così. Poi ci
credo che ti fa male.”
“Al…” Lo avvertì cupo.
“Non…”
“Sei nervoso.” Lo fermò. “Non
è così insolito che la magia diventi instabile.
Pensa a Jamie. Quando si arrabbia fa spaccare lampadine, e Rosie mi ha
detto
che una volta ha fatto a pezzi una stanza.”
“Perché è una testa di troll, e perde
magia come un rubinetto rotto.” Lo
rimbeccò. “Non sono arrabbiato. Non in
quel…”
“Credi di non
esserlo.” Sbuffò.
“Senti, questa sarà psicologia babbana, o quel che
è, ma davvero, ti tieni
tutto dentro. Non pensi che la magia reagisca anche a
questo?”
“Io non sono
arrabbiato. Né
tantomeno nervoso.” Sbottò cocciuto.
“E…”
“Okay, forse la tua magia è più potente
della media.” Lo guardò negli occhi, o
almeno tentò di cercare il suo sguardo. Tom lo
sfuggì. “Sai che novità.”
Continuò a lisciargli il palmo della mano. “Non ha
importanza, Tom. Sei un
mago, fa parte di te. Puoi controllarla. Sei solo agitato per il
processo.”
Tom si lasciò
toccare, ma non
disse nulla. Era e sarebbe rimasto un idiota chiuso, stimò
Al: stava cercando
di aprirsi, ma spesso ricadeva nei vecchi comportamenti.
E
adesso è talmente nervoso per il processo…
Non c’era molto
che potesse
fare, e tutte le parole per tranquillizzarlo erano già state
dette e usurate.
Doveva distrarlo.
“L’hai
letta la Gazzetta di
oggi?” Cambiò argomento sedendosi sulla scrivania.
Tom alzò appena lo sguardo,
con una smorfia.
“Non la leggo da
un bel po’.
Kafka ce l’ha con me, si rifiuta di fare consegne.”
Levò la mano destra,
mostrandogli segni di beccate feroci. Quell’animale era
crudele. “Oltre a
questo, se mio padre vedesse un gufo consegnarmi la posta gli
sparerebbe a
vista. Traumi infantili, temo.”
Al soffocò una
risatina,
perché era ignobile ridere di suo zio. Anche se
maledettamente facile. “Beh, io
l’ho letta. Pare che quest’anno si terrà
il Tremaghi.” Sorrise incoraggiante.
“Un bel po’ di casino in vista, a scuola,
pare.”
Tom assimilò la notizia senza particolari emozioni, tranne
forse una lieve
smorfia insofferente. “Favoloso.” Esalò.
“Tre maghi appena usciti dalla minore
età che rischiano la vita per una stupida coppa e dei
soldi.”
“Ma anche per la gloria eterna!”
“Io non mi ricordo un solo vincitore di quel torneo a parte zio Harry,
tu?”
Al sbuffò. "Comunque è una
bella competizione!”
“Sì, nello stile di quelle magiche. Rischio della
vita, ferite, ossa rotte,
traumi con complicazioni.” Ironizzò.
“L’unica nota positiva è che per via di
una pagliacciata del genere, il mio ritorno passerà sotto
silenzio…” Concluse e
qui si concesse un mezzo sorriso.
“In effetti,
pensavo anche a
questo.” Replicò piccato. “Comunque sei
il solito menagramo. Il Tremaghi non è
solo vittoria. È una competizione stimolante, permette di
conoscere altri
studenti, legare delle amicizie e…”
“Ti sei ingoiato l’opuscolo informativo?”
Lo prese in giro, evitando un pugno
alla spalla per un soffio. Poi lo afferrò per i polsi,
veloce come un dannato
serpente, e Al si ritrovò nel giro di pochi attimi sulle sue
ginocchia.
“Tom, non sono una
ragazzina!”
Cercò di liberarsi, come cercò di non fargli
notare che gli piaceva essere
tenuto tra le braccia.
Magari
in modo più virile, però…
“In
effetti, pesi più di una
ragazzina.” Gli infilò immediatamente una mano
sotto il camice, e fece una
smorfia ad altra stoffa che trovò sotto.
Al rise. “Pensavi che lo indossassi senza niente sotto?
Guarda che fa freddo
nei laboratori, sono sottoterra, sotto il livello della
metropolitana!”
Tom gli scoccò
un’occhiata
insoddisfatta, come un bambino che si ritrovava improvvisamente a dover
aspettare per scartare un regalo. Era tremendamente buffo, e Al fu
contento di
averlo distratto almeno un po’. “Avrei preferito la
pelle nuda.” Gli comunicò
irritato.
“Sei un maniaco. Ed hai un feticismo per le
uniformi?”
Tom gli tirò un pizzicotto talmente forte che quasi
urlò.
Questo però gli
assicurò anche
un bacio, visto che la sua presenza lì non era esattamente
la benvenuta,
ancora. Robin era stata gentile con lui, la sera della rassegna di
poesia, ma
un po’ fredda. Alice invece non gli aveva rivolto la parola,
quasi fosse
invisibile.
“Ssh…”
Gli sussurrò Tom, con
aria severa. Non faceva sul serio. “Non vorrai che ti sentano
tutti. Queste tue
urla…”
“Chiudi il becco!” Ringhiò avvampando.
Il picchiettare ad una finestra fece
voltare entrambi.
C’era un gufo, e
non
assomigliava a nessuno di quelli che conoscevano: aveva
un’aria curata e
distinta.
“Viene dal
Ministero.” Mormorò
Tom, facendolo alzare. Gli scivolò via dal volto ogni
espressione, mentre
andava ad aprire la finestra per prendere la missiva. Il gufo,
consegnatola,
volò via senza degnarli di uno sguardo.
“Sei…
sei sicuro? Dal
Ministero? Allora è…” Al, sporgendosi,
vide chiaramente il timbro del DALM⁴
stampato sulla ceralacca. Tom la strappò, estraendo la
lettera.
All’attenzione
del Signor Thomas Dursley,
Per
violazione della decreto di ragionevole restrizione della magia trai
minorenni,
Lei, con la presente, è tenuto a presentarsi in data 9
Agosto, alle ore 9,30 al
Wizengamot, livello 2 del Ministero della Magia per attendere alla Sua
udienza
disciplinare.
In
fede,
Graham
Pritchard,
Assistente
dell’Ufficio per l’uso improprio
della magia.
“…
Violazione del decreto?”
Mormorò Al confuso. “Ma
quando…?”
“È una copertura.” Lo interruppe.
“Pare che neppure al Ministero si sappia di
cosa sono colpevole…” Spiegò con una
smorfia ironica, gettando la busta sulla
scrivania. Sembrava riflettere molto velocemente. “Tra due
giorni.” Disse alla
fine. “Tra due giorni sarà tutto finito.”
“Ma i giudici del
Wizengamot
sapranno cosa ti è successo davvero?”
“Non ne ho idea. Suppongo di sì. Il fatto che non
lo sappia un assistente
d’ufficio non significa che non lo sappia chi mi deve
giudicare.” Tom era
calmo, Al lo realizzò in quel momento. La tensione aveva
abbandonato la sua
postura. Era più che altro assorto.
Adesso
finalmente ha una data da aspettare.
“Stai
bene?” Gli chiese.
Tom si passò le
dita trai
capelli. Ormai era evidente che gli dessero fastidio.
“Sai, credo di
dover andare a
tagliarmi i capelli…” Disse infatti, e sorrise:
non era un sorriso allegro, ma
riflessivo e calcolatore. Non era annoverabile
nell’espressioni positive, ma
andava bene comunque.
Avrebbe lottato, solo questo
importava.
****
Note:
Tra due capitoli: Hogwarts! (con annessi e connessi)
1.
Qui la canzone.
2. Martin Miggs è
il
protagonista – un babbano – di un popolare fumetto
del Mondo Magico. Ron ne
faceva la collezione.
3.Citazione dal Signore
degli
Anelli.
4. Acronimo per Dipartimento Applicazione della Legge sulla
Magia.
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Capitolo 10 *** Capitolo IX ***
Ciao a tutti! Scusate il
ritardo, ma la real life mi ha uccisa, e sepolta. Per farmi perdonare
un bel
capitolone farcito!
@MissBlackSpots:
Eheehe, beh, l’intenzione di convivenza sarebbe quella in
effetti, poi, si
vedrà! :D
@ElseW: Beh,
credimi, è un vanto veramente! So quando nel fandom sia
generalmente poco
apprezzata. :P Teddy passerà dei brutti momenti XD E chi non
vorrebbe un cactus
da uno come Sy. XD Ti sei riletta DP?! Ode a te!
@Agathe: e chi
lo dice? Dopotutto è un grifondoro al Settimo anno? ;D
Ahaaha, essì, Tom è un
antipaticone, ma sperò saprà farsi perdonare! ^^
E’ bello sapere che se anche
non sopporti il personaggi in sé… lo apprezzi,
anche. Quindi grazie. Non deve
per forza stare simpatico. Probabilmente anche io nella vita reale non
lo
reggerei. XD
@Nicky_Iron:
Crepi! Mi spiace non esser riuscita a fare prima, ma purtroppo la RL
è una vera
puttana. :/ Beh, tutte le tue supposizioni… non posso dire
niente! Ma Lily, del
resto, non è che non sia sveglia, è che
l’hanno tenuta fuori, e poi considera
che lei non sa nulla dei Doni né tantomeno del tentato
omicidio a Al e poi a
Harry. Per la storia dei nomi del torneo… mea culpa, ho
provveduto a
correggere. E comuqnue, c’è da dire, Harry non
è famoso per essere il campione
di un torneo praticamente fallimentare, ma più per altre
cose. XD Grazie per le
segnalazioni!
@Silver92:
Ahaahah, Harry dovrà farsene una regione, suppongo, prima o
poi! XD Sai, le
coppie sono tante, e faccio del mio meglio per dar spazio a tutte,
anche se
certo, la coppia Tom/Al rimane la principale! ^^
@Lovermusic: e
chi non vorrebbe un ragazzo come Sy… XD Essì,
Tommy merita un bel pugno sul
muso, ma non ti preoccupare che ci pensa Al!XD
@Simomart: Sì,
lo so, in effetti volevo metterci più Lily, ma per forza di
cose ho prima
dovuto concentrarmi su Tom. Che ci vuoi fare, aveva ancora un sacco di
strascichi da DP. Dal prossimo capitolo credo di tirarle più
in ballo. E per
quanto riguarda il confundus… una stellina a te! Non
è proprio quello l’incantesimo,
è più un… aaah, non te lo dico, ma
sappi solo che la sensazione l’hai
indovinata! E per quanto riguarda i complimenti a Ren e Tom…
grazie mille. Non sai
quanto mi fa felice sapere che senti più, come dire,
‘completi’ i miei
personaggi originali. Credo sia normale, dopotutto sono usciti dalla
mia testa,
anche se alla fine mi sono affezionata anche a quelli condivisi XD Che
dire, le
tue recensioni sono sempre un balsamo! Grazie!
@Hale_y: siete
state ben in due a capire la cosa della lettera, quindi chapeau! ^^
Ahahaah,
viaggio mentale alla JD, perfetto! XD E’ proprio quello! Beh,
più che vivere
assieme sarebbe essere inquilini. Non progettano nessun matrimonio
(ehm, forse
Teddy xD) … e poi vedremo come si svilupperà. So
che la convivenza non è un
passo semplice e non voglio certo trattarla con
superficialità. ;) Tom non è
interessato al Torneo perché non lo considera degno delle
sue ambizioni. E anche
perché rischierebbe la vita dalle cinque alle ottante volte,
ed ha un bel senso
di auto-conservazione (serpeverde) … Al invece è
il classico secchioncello,
quindi tutto quello che è sponsorizzato dal Ministero lo
esalta tantissimo. XD
La rivelazione di Rose/Sy… si vedrà, sto
lavorando anche su quella. Argh,
troppe trame, troppo poco tempo!
@Altovoltaggio:
chiedilo ai miei voti! XD A parte gli scherzi, mi ritaglio parti di
tempo,
semplice. Scrivo due-tre ore ogni due giorni, e riesco a scrivere un
capitolo
in circa due settimane, nel periodo esami, una in periodo normale.
Ottimizzazione!
XD E poi… Nah, Lily è una presenza che ci
sarà, ma non soppianterà nessuno. Si
inserirà, ecco. Non sarà una protagonista, ma
sarà una voce fuori-campo. Una
specie di narratrice onniscente. Ho dei progetti, vedremo se mi
riuscirà a
renderli tali. E no, comunque si terrà alla larga da Sy.
Dice che sono troppo
simili. E che non le piacciono gli slavati. xD Albie il tuo alter-ego?
Aahah,
da quanto ho capito studi medicina, quindi ci starebbe benissimo! E per
quanto
riguarda l’udienza… che dire, enjoy, troverai
delle sorprese! E per quanto
riguarda J e Teddy… eheeh, James è un cretino di
diciannove anni, penso proprio
dovrà sciacquarsi il cervello e crescere un
po’… ma per ora, dai, lasciamogli
passare le belle trovate! Senza di lui, del resto, Teddy sarebbe ancora
solo e
ramingo a piagnucolare sulla sua identità sessuale! XD E per
quanto riguarda il
panico da esame… ho una laurea alle spalle e ventidue esami
e una specialistica
tutta da gustarmi. So bene cosa si prova, credimi! XD Beh, io la serie
la farei
anche, ma avrebbe senso? Mi spiego: sono tutte storie che parlano della
stessa
cosa, farne una serie mi sembrerebbe una specie di duplicazione. Non
so. L Ci penso…
@Andriw9214:
Ciao And! XD E’ bello rivederti su questi schermi! :D E
credimi, non sei l’unico
con problemi di pc in questi mesi… e quasi inquietante
‘sta ecatombe. :/ *incrocia
le dita* Anche tu fan di Lils? Ma grazie! XD Grazie per essere tornato
a fare
un salutino e per i complimenti!
E ora quelli che ho
dimenticato
la scorsa volta…
@Herys: Grazie
per i complimenti sulle mie coppie!
@MadWorld:
Allora li abbiamo anche io e te! XD Lui ha parte dei miei gusti
musicali… ad
averlo, un ragazzo così! Ed hai indovinato,
c’è un Dud-moment qui dentro, enjoy!
@Trixina:
Ciao! Sì, Dromeda in realtà credo sia
contenta… dopotutto la guerra ha portato
loro lutti e dolore, e credo che questo le abbia riavvicinate. Magari
è una mia
speranza, ma ho letto delle fic in cui l’argomento era tratta
così bene che per
me è diventato quasi canon. Dromeda è un
po’ modellata sulle mie nonne, e so
bene quanto per loro sia difficile la solitudine. È un
po’ un tributo insomma.
Yep, secondo la mia scaletta genealogica sono cugini, in quanto Ren
è figlio
del fratello minore di Eileen Piton. ^^
@LauraStark:
Grazie mille, i momenti ricongiungimento piacciono anche a me! (e si
vede :P)
Essì, Ren è una persona un po’
sola… ma vedremo se verrà trascinato anche lui
nel gorgo del Clan Potter-Weasley.
@Ombra: non è
detto che Cordula e Meike (soprattutto lei) non ritornino. ;)
Essì, la famiglia
è famiglia, anche se adottiva. E Tom o si odia o si ama,
quant’è vero (Al
assentisce)
@Lu_Pin: Se ci
crediamo, Tom prima o poi diventerà un bambino vero XD
(sì, è praticamente un
Pinocchio)
@ZetaSev:
Eeheeh, io e te ci capiamo su Soren e Lils, eh? XD
@GiuVio:
Grazie, grazie mille! No, non è affatto una tua fantasia.
Tom e Voldemort in
potenza, sono la stessa persona. Condividono la stessa anima, quella
primigenia, diciamo il nucleo, il bambino morente del sogno di Harry.
Però Tom
ha avuto quello che non ha avuto Voldemort, amore, amicizia e affatto.
Li ha
imparati e li ha fatti suoi. Questo non significa che per lui sia
facile quanto
è facile per un bambino dall’anima, come dire,
nuova. Ha degli strascichi del
passato e questo significa che come persona maturerà
più lentamente. Ma ci sta
riuscendo XD Ed ehi, sull’albero genealogico … la
storia è semplice. XD Soren e
Piton sono cugini di primo grado. Vediamo se capisci. ;D
****
Capitolo IX
It's
from this loneliness and the fear it brings
That new doors can open up and be a saviour to
me
So I'll open my mind, open my heart
It's the only way to
breathe…¹
(Break,
The Cinematics)
9 Agosto 2023
Little Whinging, Privet Drive.
Mattina.
Il
castello aveva molte stanze. Molti corridoi. Come un
labirinto infinito, pieno di quadri e segni che un tempo quel posto
doveva
essere appartenuto alla famiglia magica più ricca della
zona.
C’era
ancora magia lì dentro. La poteva sentire.
E
poi vide quel ragazzo. Un ragazzo vestito di nero
come un corvo.
Tom si svegliò
alle sei in
punto del mattino. Aveva dormito sì e no una manciata esigua
di ore, facendo
sogni confusi che sfociavano il più delle volte in lui che
veniva sbattuto ad
Azkaban oppure…
Di nuovo quel castello e
quell’uomo. Quel ragazzo. Quello che ha aperto il cancello.
Forse
dovrei scrivere a Meike. Chiederle se ci sono
novità…
Inspirò
bruscamente quando si
rese conto che giorno era.
Tom Dursley quel giorno
sarebbe andato incontro al proprio Destino, e non sapeva se ci avrebbe
sbattuto
a muso duro o meno.
Alzandosi a sedere sul letto
sentì le dita della mano con cui usava la bacchetta
formicolare in un invito.
Peccato non avesse nulla da stringere.
Né la bacchetta,
né una mano.
Fissò la parete
di fronte al
letto senza vederla realmente.
Il letto era vuoto e, doveva
ammetterlo, freddo.
Al la sera prima non era rimasto a dormire con lui. Era stata una
decisione
presa di comune accordo. Era sì rimasto fino a tardi, ma
poi, quasi cascando
dal sonno, era tornato a casa.
Sarebbe stato difficile
spiegare a suo padre, che probabilmente sarebbe venuto a svegliarlo tra
un’oretta, Al o lui, se ancora addormentati.
Non era certo il giorno
più adatto
per complicarsi la vita.
Più che altro,
sentiva che era
una cosa che doveva affrontare da solo. Non era solipsismo, era bisogno
di
mettere le cose al loro posto. Tornare ad essere per sé
stesso, per gli altri,
per Albus, ad essere di nuovo Tom Oltre Ogni Previsione.
Gli mancava Hogwarts. Era
quello
il mondo a cui apparteneva, e non si sarebbe fatto buttare fuori.
Costi
quel che costi…
Si passò una mano
sul viso e
andò alla finestra, tirando su le tapparelle per contemplare
l’alba che sorgeva
brumosa dai tetti di Privet Drive.
Se le cose non fossero
andate
per il verso giusto sarebbe stato un panorama che avrebbe visto a lungo.
Cercò di
scacciare la
sensazione di rabbia e paura dalla bocca dello stomaco.
Una
doccia. Subito.
Se le fece gelida,
impietosa.
Anche se il resto della casa dormiva, non riusciva a rimanere tra le
coperte a
poltrire. Forse era un suo problema. Forse era semplicemente
terrorizzato.
Si vestì, e
quella fu l’unica
parte davvero rilassante della sua sveglia: sua madre aveva una vera e
propria
passione per i capi da vestiario classico, cosa che condividevano. Per
distrarlo, o forse per avere una scusa e poterlo vestire come una
bambola in
scala, l’aveva portato fino a Londra per acquistare
L’Abito delle Grandi
Occasioni – del resto il suo vecchio completo gli andava
ormai corto.
Era entrato in uno di quei
negozi, in cui scuro legno lucido faceva da padrone, con sua madre
appesa al
braccio che cinguettava estasiata. Il commesso, un ventenne di nome
Lloyd,
aveva passato mezz’ora a prendergli le misure e a convenire
con sua madre del
fatto che avesse una figura slanciata
e l’altra metà a provarci con lui.
Quanto
l’avrei schiantato volentieri.
Ma
non posso… perché oh! Non ho la bacchetta.
…
Forse dovrei dirlo ad Al. È piuttosto territoriale.
Comunque Robin era tornata a
casa felice e orgogliosa, neanche avesse conseguito una laurea ad
Oxford, e il
vestito era valso la pena. Andava bene così.
Si allacciò il
polsino e si
guardò allo specchio del bagno. Con i capelli tagliati di
fresco e con quell’abito
poteva passare senza problemi per un elegante ragazzo babbano.
Proprio
convincente. E forse dovrai abituartici…
Serrò appena le
labbra,
uscendo dal bagno per cercare una delle sue vecchie cravatte.
Dopo lungo cercare si
ricordò
che ne aveva solo una, persa in un deplorevole incidente che
coinvolgeva Vern e
una tazza di punch.
Questo lo mise quietamente
di
cattivo umore.
Scese le scale e fu sorpreso
di trovare suo padre in cucina. Dudley Dursley era seduto al tavolo,
mentre
guardava il primo telegiornale della mattina con una tazza di
caffè caldo.
“Papà.”
Fece un cenno che fu
ricambiato dopo una breve occhiata complessiva. Anche suo padre era
già
vestito, con un vecchio completo di velluto a coste beige. Lo trovava
tremendo,
ma doveva ammettere che faceva parte di lui, come la boxe ogni domenica
mattina, le scommesse al pub che perdeva regolarmente o la
teledipendenza.
“Dov’è
la tua cravatta,
ragazzo?” Fu la prima cosa che gli disse, quando si fu
servito di caffè e accomodato
davanti a lui.
“Non ce
l’ho. Ti ricordi?
Vernon, il punch, la festa di zia Marge…”
“Ah, già.” Scosse la testa.
“Ma non puoi andare ad un processo senza cravatta. Certo,
non so come funzionino i processi…”
Esitò, non riuscendo a pronunciare quella
parola. Tom sospirò.
“Più o
meno allo stesso modo.”
“Allora non devi
dargli un
messaggio sbagliato. Senza cravatta sembreresti sciatto.”
“Già.” Convenne. “Ma non posso
usare quella dell’uniforme scolastica. Credo
darebbe un messaggio anche peggiore.”
Specie perché ha i colori di
Serpeverde,
che non contempla ideali adatti ad un tribunale.
Suo padre si alzò
dalla sedia.
“Tua madre si è scordata del dettaglio
più importante quando ti ha portato in
giro come un modellino.” Fece un’ombra di sorriso,
che un tempo doveva averlo
qualificato piuttosto bene come un bullo. “Senza
cravatta… Roba da hippie.”
“Sono piuttosto sicuro che mamma da giovane fosse una di
loro.” Suggerì, non
riuscendo a non farlo. Represse un sorriso al borbottio scornato di suo
padre,
mentre si dirigeva fuori dalla cucina.
“Resta qua. Torno
subito. Non
pensavo ti svegliassi così presto…”
Neanche io pensavo che ti avrei trovato
già sveglio… –
Pensò di rimando.
Si alzò, andando
verso il
gazebo che occupava una buona parte del giardino. I vetri riflettevano
incandescenti il pallido sole mattutino. Sarebbe stata una bella
giornata.
È
un buon giorno per morire… - Citò senza ricordarsi
che film fosse, mentre
sorseggiava ciò che restava del caffè.
Guardò la tazza: era tagliata a metà da
una crepa sottile, segno che era stata incollata con cura e attenzione.
Ricordava un aneddoto su
quella tazza. Quella era stata la sua prima tazza da
grande, non di plastica, ed era stata un regalo di suo padre.
Dudley gli aveva raccomandato di fare assoluta attenzione. Lui, che
aveva
cinque anni, aveva provato finché inevitabilmente,
nell’atto di prenderla dalla
credenza, l’aveva fatta cadere.
A posteriori cercare di
prenderla senza mani, ma con la magia, non era stata probabilmente una
grande
idea.
Si era spaventato; uno di
quei
terrori infantili, infiniti, come se il mondo intero rischiasse di
collassare
per il crimine commesso. Inoltre, se suo padre avesse saputo che aveva
usato quella cosa…
Era scappato, approfittando
che sua madre fosse andata a fare la spesa con la piccola Alicia, come
il
migliore e tattico dei codardi. Aveva poi corso fino ad arrivare ai
confini
della città, in mezzo alle sterpaglie incolte tagliate dalla
statale, dove
sfrecciavano macchine ignare e pericolose. Ricordava, ma non con
certezza, di
essere caduto e di essersi fatto male. Una caviglia storta, o forse
addirittura
rotta. Quello che non avrebbe mai dimenticato però era la
paura; l’aver fatto
la cosa sbagliata e la matematica certezza che sarebbe rimasto
lì, in mezzo al
bosco, perché nessuno sarebbe venuto a cercarlo.
Suo padre però,
al di là delle
sue fosche previsioni, era riuscito a trovarlo. Parecchie ore dopo,
quando il
sole stava già tramontando. Non aveva la magia di zio Harry,
si era detto. Era
normale.
Non ricordava cosa si
fossero
detti. Suo padre, rendendosi conto che non riusciva a camminare,
l’aveva preso
in braccio e poi stretto forte. Ricordava l’odore della sua
colonia ancora a
distanza di anni. Era stata la prima volta in cui si era sentito a posto.
Sentì un rumore
alle sue
spalle e si voltò.
“Ti ho preso una delle mie. Penso ti andrà
bene.” Esordì l’uomo, porgendogli
una cravatta color beige a rombi blu. Alla sua faccia,
sbuffò. “Ehi, senti un
po’, so che non è un colore fantastico, ma ci sono
degli… studi, credo… che
dicono che i colori neutri hanno un effetto calmante sulla giuria.
Dà
l’impressione che tu sia un tipo serio. Così
dicono.”
Tom la prese: era comunque di buona fattura e non faceva a pugni con il
suo
completo. Suo padre non sapeva vestirsi, ma sapeva accostare i colori
in
maniera insospettabilmente brillante.
“È di
seta.” Disse per dire
qualcosa.
“Sicuro che lo
è, è quella che
uso per i grandi processi. Sai, per i pezzi grossi.”
Spiegò compiaciuto. “È un
po’ un portafortuna. Vedi di tenermela come si deve. La
rivoglio tutta intera.”
Tom posò la
tazza, e si passò
la cravatta attorno al collo, approfittando del riflesso di uno dei
vetri del
gazebo per specchiarsi e allacciarsela. L’effetto complessivo
non era male,
bisognava ammetterlo. Alle sue spalle vide il padre sbirciarlo,
assorto.
“Come mi
sta?” Chiese voltandosi.
“Sembro una persona seria?”
“Lo sembri sempre.” Borbottò scuotendo
la testa, ma fece un mezzo sorriso. “Oh,
beh… hai preso da me.”
Tom sentì che avrebbe dovuto dire qualcosa. Che i rapporti
con suo padre
dovevano cambiare e che avrebbe dovuto fare qualcosa di significativo
in
merito. Un gesto di distensione, un discorso a cuore aperto. Qualcosa
di
simile. Era suo padre, e l’aveva cresciuto e capito quando
probabilmente andava
contro tutto quello in cui gli avevano insegnato i suoi genitori.
Suo padre odiava la magia,
ma
non odiava lui.
“Ho rotto io
quella tazza.”
Complimenti Tom. Davvero.
Non avrebbe mai imparato e
Albus l’avrebbe preso in giro fino alla morte.
Dudley inarcò le
sopracciglia,
con un’evidente espressione di stupore.
“Ah.” Disse. “Sì?”
“Già. Quando avevo cinque anni. La volevo prendere
dalla credenza, ma era
troppo in alto. Così… l’ho fatta
cadere.”
“È per
questo che quella volta
eri scappato quindi.”
“Già.”
Rimasero in silenzio e Tom
capì che per quanto non li legasse il sangue, sua madre
aveva ragione: la
capacità di non saper esternare l’aveva ereditata
da Dudley Dursley.
Dudley contemplò
la tazza
sbeccata. “Beh.” Disse molto lentamente, come
faceva sempre quando stava
riflettendo più del solito. In tribunale era una carta
vincente, diceva sempre:
sfiancava l’accusa. “… È
stata incollata però. Fa’ comunque il suo
lavoro.”
Fece una pausa e lo guardò. “Le cose si possono
rimettere a posto, Tom.”
Sentì di
doverglielo chiedere
a quel punto. “… Anche le persone?”
“Che sciocchezza ragazzo!” Scrollò le
spalle. “Non siamo mica tazze.”
Tom fece una mezza risata: quella era la risposta che si aspettava ed
era
quella giusta.
****
Londra,
Ministero della Magia.
Nove
del mattino.
Tom sobbalzò
quando sentì il
contraccolpo dell’ascensore che lasciò lui e Harry
nella piazza centrale del
Ministero. Avevano usato l’entrata per visitatori, visto che
era annoverabile
tra uno di loro. Sulla sua giacca era infatti appuntato
l’apposito cartellino.
Tralasciando particolari
ininfluenti, si sentiva lo stomaco discretamente annodato in una morsa,
mentre
il padrino gli posava una mano sulla spalla e gli indicava la strada
con un
cenno.
“Gli ascensori
sono di là.”
Non si sarebbe mai abituato
al
bagno di folla magica che era il cuore della società magica:
centinaia di
maghi, in vesti colorate, gli passavano affianco presi dai loro affari.
Oltre a
loro, folletti intralciavano quasi con piacere i malcapitati che si
mettevano
nella loro traiettoria, parlando di quotazioni di borsa nella loro
lingua
gutturale e incomprensibile.
Era stato un viaggio
silenzioso, quello dal Surrey a Londra. Non
erano riusciti a dirsi molto, e Harry aveva passato più
tempo ad assicurarsi
che la macchina sorvolasse invisibile il cielo inglese che a parlargli.
Forse era meglio
così, non
sarebbe comunque stato molto comunicativo.
Harry gli rivolse un sorriso
gentile. “Allora, come ti senti?”
Quello era la quinta volta che
glielo
domandava però.
Tom cercò di
comunicarglielo
con lo sguardo e l’altro capì, perché
assunse un’aria mortificata.
“Scusa, hai
ragione. È che
sono un po’ nervoso anch’io. Non ho bei ricordi del
Wizengamot.”
“Harry…”
Tentò mentre la presa
sul suo stomaco si faceva dolorosa. “Non mi stai
aiutando.”
“… Già. Scusa.” Convenne
aggiustandosi gli occhiali. “… comunque
è una fortuna
che non sia io a difenderti. Non è il genere di cosa in cui
sono bravo. Sai,
riesco meglio nei discorsi improvvisati.”
Tom batté le palpebre confuso. “Scusa?”
“Ah, giusto, non te l’ho detto. Ho chiesto a
Hermione di difenderti. È nel
settore legale, ed ha tutte le qualifiche necessarie. La incontreremo
di
sotto.” Harry ridacchiò della sua espressione
palesemente sollevata, mentre
sorpassavano la grossa fontana centrale.
“Non posso dire di
non essere
contento…” Ammise. “Senza
offesa.” Aggiunse per buona misura.
“Nessuna
percepita. Hermione
sa fare il suo lavoro. E a dire il vero, per lei è una
vocazione, quella di
difendere gli altri. Persino le cause perse come me, sai.”
Gli strizzò l’occhio
complice.
Tom si sforzò di
sorridergli e
sperò di aver fatto un’imitazione passabile.
“Come si svolgerà la seduta? Sarà
plenaria?” Chiese.
“No,
sarà una commissione di
dieci giudici, con a capo il Direttore del DALM. I processi a seduta
plenaria,
con tutti i membri del Wizengamot, riguardano solo casi particolari,
come dover
giudicare un mago oscuro o… me.” Aggiunse
meditabondo. “Beh,
quella volta fu particolare…”
“Lo sanno? Sanno
cos’ho
fatto?”
Harry esitò,
rallentando
mentre aspettavano che l’ascensore arrivasse.
“Sì. Perlomeno il Direttore… il
mio capo, sa tutto. Comunque, formalmente, sei stato accusato per aver
usato
magia…”
“… non regolamentare, lo so. Intendono in
Germania? Perché pensavo che la
Traccia si esaurisse varcati i confini del paese
d’origine.”
Tanto
l’avrei usata comunque. Non sono davvero nato a
Gennaio. Ho svariati mesi in più.
Probabilmente
sono maggiorenne da mesi.
Harry tirò un
mezzo sospiro,
guardandolo. A quel punto Tom capì e si sentì lo
stomaco di ghiaccio.
“Si tratta delle
Maledizioni,
vero?” Sussurrò. “Di quelle che ti ho
lanciato sotto l’imperio
di John Doe.”
“… È complicato. Teoricamente non puoi
essere incriminato, perché eri appunto
sotto imperius. Il fatto
è che non
sanno quando sei stato messo sotto imperio
e…”
“E?”
“… E non è mai stato chiarito chi abbia
ucciso Ainsel Prynn… cioè, Selina
Hardcastle.” Concluse.
Tom inspirò bruscamente. Cercò di dominarsi,
perché sapeva cosa stava
succedendo. Sentiva il cuore battergli nella cassa toracica e il sangue
rombargli nelle orecchie.
Non
l’ho uccisa io! Non voglio essere incastrato!
Una crisi in piena regola.
“Io
non ho ucciso quella donna. È stato Doe!”
Sibilò sottovoce, mentre controllava febbrilmente che
nessuno li sentisse. “So
che ha usato la mia bacchetta, ma…”
“Tom.” Harry fu veloce ad afferrarlo per un
braccio, con ferma gentilezza,
quasi indovinasse il suo stato d’animo.
“Calmati.” Soggiunse, mentre
l’ascensore apriva le sue mascelle metalliche e una piccola
folla di funzionari
li investiva. Aspettò che l’ultimo si fosse
allontanato per infilarsi con lui
nel cubicolo e continuare. “Lo so, e lo sa anche
l’agente dei Tiratori che si è
occupato dell’indagine e che verrà interrogato.
Sta’ tranquillo.”
“Come posso stare tranquillo?” Serrò
le labbra,
imponendosi di calmarsi. Si ricordò le parole di Cordula.
Respira.
Visualizza un posto tranquillo. La magia è
legata a doppio filo con il tuo stato mentale. Puoi dominarla.
Sentì
l’incendio che gli
correva nelle vene affievolirsi gradualmente. Fu contento di non vedere
il
contatore luminoso dei piani beccheggiare.
Grazie
Cordula.
Harry gli lanciò
un’occhiata.
Forse aveva capito, forse aveva sentito,
ma decise di glissare. “So come ti
senti…” Abbozzò un sorriso.
“Ma c’è bisogno
di un processo in piena regola. Le regole devono essere uguali per
tutti, non
credi?”
Dipende.
“… Sì, suppongo di
sì.”
“Non c’è molta gente che sa la
verità su di te, ma chi la sa, non dovrà avere
materiale per sparlare. Capisci che intendo?”
“All’incirca. Di cosa potrei essere accusato
quindi? Dell’omicidio della
Prynn?”
“Di aver collaborato con John Doe.”
Tagliò corto, e gliene fu davvero grato.
“Collaborare con un mago oscuro è un reato
piuttosto grave.”
“Quanti anni?”
Harry esitò.
“Quanti anni, Harry? Senza contare che fuori di lì
dovrò vivere nel mondo
babbano…” Realizzò.
Niente
Hogwarts, niente bacchetta, niente magia. Niente
Albus.
Si sarebbe ammazzato.
“Una quindicina,
per
complicità, ma Tom… Ascolta.” Si
voltò verso di lui, guardandolo negli occhi.
Era davvero imbarazzante notare come avesse gli stessi occhi del
ragazzo con
cui faceva l’amore quasi ogni notte. Quasi gli fece
dimenticare gli anni di
probabile prigionia. Albus aveva ragione, come cattivo era troppo
scemo. “… Non
sarai accusato. Hermione è davvero in gamba,
seppellirà la corte di prove a tuo
favore. La giuria è composta da persone oneste, che sanno
riconoscere un
innocente quando ne vedono uno.”
“Proprio
tutti?” Inquisì.
Harry scrollò le spalle, incapace di mentirgli.
“Beh…
non conosco tutti, e poi
c’è Draco Malfoy.”
“Ti deve un
favore, se ben
ricordo.” Ignorò la sua aria sbalordita.
“Avrò gli onesti più uno dalla mia
parte. Bene. Per fortuna non si vota
all’unanimità.”
Harry sospirò, guardandolo come se fosse un monello
indisciplinato. Forse, dal
suo punto di vista lo era davvero. “Certo che sei proprio un
serpeverde, Tom…”
Tom si strinse nelle spalle, sentendo che un ghigno almeno poteva
concederglielo.
****
“Signor Dursley?
La prego di
seguirmi.”
I corridoi del Ministero, all’ultimo piano, erano di pietra
fredda, lucida e
nera.
Tom avrebbe preferito
trovarsi
ovunque tranne che lì.
Harry gli posò
una mano sulla
spalla, facendogli cenno di seguire la piccola ed efficiente
funzionaria che l’aveva
chiamato. Sostava impettita sulla porta a cui erano di fronte. Era
quella
dell’aula.
Hermione, seduta accanto a
loro e immersa in un fascicolo grosso quanto un tomo di Pozioni, si
sbrigò ad
alzarsi e radunare il tutto.
“È una
fortuna che si tenga in
una delle aule più piccole. Meno imponenti,
l’impatto psicologico sulla giuria
è smorzato…” Gli spiegò in
quello strano modo febbrile che precedeva, gli aveva
detto suo zio, un suo exploit lavorativo.
“Hermione…”
Disse. Non la
vedeva da mesi, e adesso si preparava a difenderlo dalla accuse.
Cosa si diceva in quei casi?
La donna gli sorrise.
“Andrà
tutto bene.” Lo rassicurò interrompendolo. Aveva
l’aria efficiente e
aggressiva, con il tailleur dalla foggia ibrida magico-babbana, di un
rosso
cupo e il trucco leggero.
Fu felice di averla come suo
magi-avvocato. Davvero.
Entrarono.
L’aula era piccola
e a Tom
diede l’impressione di un pozzo profondissimo; poco
illuminata da torce che la
circondavano a semicerchio, lasciava ampie zone d’ombra.
Probabilmente
l’effetto era
voluto.
Sentiva la mano di Harry,
sulla sua spalla. Questo gli permise di non tentare, probabilmente
senza
successo, di smaterializzarsi e darsi alla macchia.
Potrei
sempre rapire Al e mandare una lettera ai miei
stavolta…
“Sarò
dietro di te Tom.” Gli disse
all’orecchio. Lo vide poi sedersi nei banchi di fondo.
Tom si sedette sulla sedia
centrale, scortato da Hermione. Notò che la sedia portava
ancora i segni di…
…
Catene.
“Servivano una
volta, ma
adesso non si usano più.” Gli
chiarificò la donna, cercando di suonare
incoraggiante.
Gli venne da vomitare.
Essere
trattato alla stregua di un mangiamorte… È
ridicolo. Non ho fatto niente. Non ho ucciso nessuno.
Continuare a ripeterselo
come
un mantra e aiutava, anche se poco.
Ripassò
mentalmente quello che
sapeva sui processi magici: decisioni prese a maggioranza assoluta,
possibilità
di avere un difensore, ma non il diritto ad averne uno. Poche domande,
una
sostanziale giustizia sommaria con a capo il Ministro della Magia o in
alternativa il sottosegretario o un Direttore di Dipartimento.
In quel momento avrebbe
preferito essere in seno alla giustizia democratica babbana.
Uno ad uno entrarono e gli
sfilarono davanti i membri di quel consiglio ristretto, con lunghe e
severe
tonache color violetto, con una W dorata al centro del petto.
Riconobbe solo il padre di
Malfoy: lo vide guardare alle sue spalle, e scoccare una lunga occhiata
al suo
padrino. Se avesse potuto leggere gli sguardi, ne era certo, vi avrebbe
letto
un lungo discorso.
Sperava in suo favore.
Il presidente della
commissione, nonché direttore del DALM, si sedette sullo
scranno principale,
lanciandogli un’occhiata penetrante. Era una donna dai corti
capelli di un
argento vivissimo e dai movimenti energici. Sembrava una professoressa,
di
quelle che non puoi ammansire con complimenti mirati.
Tom istintivamente tese le
dita sul legno duro dei braccioli.
Calmo
e sicuro di te.
“Dichiaro aperta
la seduta.
Procedimento disciplinare del 9 Agosto 2023 per violazioni commesse da
Thomas
Dursley, residente al numero quattro di Privet Drive a Little Whinging,
nel
Surrey. Inquisitori, Hestia Jones, Direttrice del Dipartimento
Applicazione
della Legge sulla magia e…” Disse altri nomi, ma
Tom era più interessato al fascicolo
sul banco della donna. Era su di lui.
“Difensori?”
Chiese poi,
riscuotendolo.
Hermione fu così
veloce che sembrò
dover rispondere ad un quiz a premi. “Hermione Jean Weasley-Granger
alla difesa. Le
accuse?”
L’inquisitrice
inforcò gli
occhiali, aprendo il fascicolo e leggendo. “Le accuse a
carico dell’imputato
sono le seguenti. Il signor Dursley è sospettato di aver
prodotto Maledizioni
Senza Perdono e di aver collaborato con John Doe, noto mago oscuro
ricercato
internazionalmente.”
Tom sentì la
bocca farsi
secca, come se avesse ingoiato una manciata di sabbia.
Dannazione.
Lette così…
… lo facevano
sembrare un
maledetto criminale.
“Lei nega di aver
prodotto
magia oscura all’interno di Hogwarts?” Venne
riscosso dalla domanda.
Tom voleva voltarsi per guardare Harry, ma non poteva farlo. Non
voleva. Non
doveva.
“Non ho fatto del
male.”
Rispose, fissando un punto qualsiasi in mezzo alla giuria.
Guarda
tutti e non guardare nessuno.
“Quindi non
è stato lei ad
usare l’Anatema che Uccide su Selina Hardcastle, da lei
conosciuta come Ainsel
Prynn, causandone la morte.”
“No.”
“Portate il reperto numero uno.” Ad un suo cenno
entrò un funzionario, tenendo
in mano una teca di vetro: dentro c’era la sua bacchetta.
“Agrifoglio, piuma di
fenice, quattordici pollici, rigida.” Elencò.
“Può dirci se la riconosce?”
Tom non rispose subito,
troppo
occupato a tacitare il desiderio violento di riprendersela.
Ridatemela.
È la mia bacchetta.
“Signor Dursley,
la
riconosce?”
“Sì.”
Si scollò dal palato. “È
la mia.”
“È a conoscenza del fatto che questa bacchetta ha
scagliato l’Avada Kedavra che
ha ucciso l’agente Selina Hardcastle?”
“… Mi è stato detto. Ma non sono stato
io. È stato John Doe.” Ripeté,
sforzandosi di fissare negli occhi la donna. Avrebbe voluto convincerla
che no,
non era un assassino.
Che aveva fatto degli
errori,
ma poteva rimediare. Poteva migliorare. Voleva.
“Quindi nega di
aver scagliato
Maledizioni Senza Perdono.”
“Non ho detto questo. Non l’ho fatto sulla
professoressa… e non con la mia
bacchetta, ma…” Esitò.
Lanciò uno sguardo ad Hermione, che gli fece cenno di
andare avanti. Sentiva
i palmi delle
mani sudare e la gola riarsa, come se fosse nel bel mezzo di un
deserto. E si
gelava in quell’aula. “… ma le ho
scagliate sul mio padrino, Harry Potter.”
Si levò un
mormorio: Tom
cercò di pensare a qualcosa di bello,
perché al momento si sentiva come se centinaia di
dissennatori gli stesse
volteggiando sopra la testa.
“Quindi ha effettivamente prodotto delle Maledizioni
Senza Perdono…” Hestia Jones sembrava divertirsi a
fargli ripetere sempre le
stesse cose. Sarebbe stato un fantastico avvocato babbano.
Come
Direttore del DALM è sprecata.
“Sì. Ma
ero sotto imperio.”
“Può
provarlo in qualche
modo?” Intervenne il padre di Malfoy, riscuotendosi dalla
contemplazione delle proprie
unghie. Aveva un’espressione remota, indecifrabile. A Tom
ricordò una statua
gotica: inespressiva, allampanata e cupa.
Si era sbagliato: non
assomigliava
affatto a quello spensierato cretino di suo figlio.
“No, non
posso.” Dovette
rispondere.
Altri mormorii. Sempre
più
ostili, o almeno così gli sembrò; avrebbe voluto
gridare che non capivano. Che
nessuno di loro poteva. Ma non sarebbe servito a niente.
Già.
Perché dovrebbero credermi poi?
Doe
ha ucciso un agente del governo americano e l’ha
ucciso con la mia bacchetta. Subito dopo io sono scomparso. Per otto
mesi.
Se
fossi in loro, mi reputerei un assassino, o alla
minima, un complice.
“Il mio assistito
non può
provare di essere stato maledetto, è vero.”
Intervenne a quel punto Hermione,
scoccando una palese occhiataccia a Malfoy. “Ma come
è difficile dimostrare di
essere stati messi sotto imperius,
è
altrettanto difficile dimostrare il contrario. Non è il
primo caso simile che
viene discusso in queste aule, e fino a prova contraria il Signor
Dursley è
innocente.” Concluse con disinvolta fermezza.
Tom sentì che, se
non fosse
stato gay, avrebbe nutrito per lei un’imperitura passione.
L’uomo
sembrò preso in
contropiede, e quando fece per rispondere, Hermione lo precedette.
“Un momento
solo.” Fece una pausa opportuna. “Inquisitore
Supremo, vorrei chiamare a
testimoniare Harry James Potter.”
“Permesso
accordato.” Rispose
la direttrice. “Signor Dursley, ceda il posto al Signor
Potter per favore.”
Tom obbedì; il
padrino,
passandogli affianco, si premurò di strizzargli
l’occhio solidale.
Come
diavolo fa ad essere così tranquillo?
Forse per un auror era del
tutto normale testimoniare a quel genere di processi.
Si sedette sui banchi vuoti.
Quando intrecciò le mani sulle ginocchia le sentì
fredde come ghiaccio.
Solitamente non era tipo
soffrire
il freddo, ma stava letteralmente congelando.
L’interrogatorio
di Harry fu
veloce e articolato. Hermione sembrava perfettamente padrona della
situazione,
come se non avesse fatto nella vita che volteggiare come
un’equilibrista su
incongruenze e punti poco chiari.
… e nella sua
storia ce
n’erano tanti. Vennero infatti omessi i suoi collegamenti con
Voldemort e la
storia dei Tre Doni trafugati. Sembrava che quei fatti dovessero
rimanere a
discrezione di poche persone.
Era meglio così.
Del resto, il
Mondo Magico stesso viveva sotto l’enorme cupola protettiva
che era lo Stato di
Segretezza.
Sono
tutti avvezzi ai segreti…
Quello che non si
poté evitare
di dire fu che era il figlio del capo di una delle organizzazioni
criminali
magiche più pericolose dell’intero planisfero,
Alberich Von Hohenheim.
Sentì gli sguardi
dei giudici
scivolargli addosso, scandagliarlo, come a cercare tratti che potessero
qualificarlo come un nuovo mago oscuro.
Potrei.
Ma non ho intenzione di finire i miei giorni in
una prigione putrida o a ammazzare innocenti in nome di qualche ideale
delirante.
Ho
piani migliori per il mio futuro.
Fissò lo sguardo
in un punto,
e non lo distolse neanche quando entrarono gli altri testimoni: un
certo agente
Smith e dei giovani auror dall’aria nervosa che
testimoniarono come le
protezioni attorno alla grotta dove era
stato trovato – apprezzò la diversione
elegante di Hermione – erano di alto
livello, del tutto compatibili con il profilo di un mago capace di
piegare la
volontà di un adolescente con una Maledizione.
Poi lo notò.
Seduto a qualche
fila dietro di lui stava un uomo. Si voltò, lentamente per
non farsi scoprire a
guardarlo: era giovane, una trentina d’anni forse, con corti
capelli ricci
castani e viso squadrato, ma piacevole. Era straniero a giudicare dai
vestiti
ufficiali che non ricordava di aver visto in giro per il Mondo Magico.
Il
mantello infatti, accuratamente allacciato da alamari
d’argento, era blu navy
con doppia bordatura rossa e bianca.
Mai
visto da nessuna parte…
Si chiese cosa ci facesse
lì,
anche era evidente fosse lì per lui: quella era o non era la
sua festa?
L’uomo parve
improvvisamente
accorgersi di essere oggetto del suo interesse. Gli sorrise.
A quel punto Tom non
riuscì a
vincere la curiosità e si sporse verso il padrino, seduto
esattamente davanti a
lui.
“Harry…”
Gli toccò la spalla.
“Chi è quell’uomo, quello là
in fondo? Lo conosci?”
L’altro si voltò brevemente, e Tom lo vide
rabbuiarsi di colpo e serrare la
mascella.
“Quel
bastardo… Cosa diavolo
ci fa qui?”
“Harry,
cosa…?”
La voce stentorea di
Hermione,
impostata per l’arringa finale, li costrinse a tacere.
“… e
quindi, onorevoli membri
del Wizengamot, avete ascoltato i testimoni, avete ascoltato il signor
Dursley.
È più che evidente che il ragazzo sia stato
raggirato e messo sotto una potente
maledizione della volontà.” Se non fosse stata
l’udienza per la sua condanna,
Tom si sarebbe goduto lo spettacolo. Quella donna era nata
per farsi ascoltare.
Un
vero peccato che i figli non abbiano preso il suo
stampo…
“Thomas Dursley
aveva sedici
anni all’epoca dei fatti, e adesso ne ha a malapena
diciassette… quindi è da
poco passato alla maggiore età.” Fece una pausa,
voltandosi verso di lui, quasi
a mostrarlo alla giuria. “Thomas Dursley è un
ragazzo perbene, un studente rispettoso
delle regole, ma ha sempre cercato risposte sul suo passato, come
orfano e come
mago. Chi, nelle sue condizioni, non sarebbe stato vulnerabile alle
lusinghe di
un mago più adulto, esperto nei raggiri, che gli ha
promesso, membri del
Wizengamot, la verità?”
Tom guardò i
membri della
giuria uno ad uno. Pendevano tutti dalle labbra di Hermione, ad
eccezione di
Malfoy e della Direttrice del DALM: l’assoluzione passava a
maggioranza. Erano
dodici. Ne sarebbero bastati sette.
Troppi…
“Potete
condannarlo, potete
privarlo della magia … Ma questo sarebbe una vera
correzione? Siamo qui, siete
qui, per correggere degli sbagli. Non solo per condannare. Thomas
Dursley è un
ragazzo. Ha imparato dai suoi errori, ha pagato con la lontananza e la
malattia
per essi.” Gli mise una mano sul braccio, e sentì
che era calda e vibrante
giustizia.
Che donna…
Vide Harry guardarlo e fare
un
sorrisetto divertito.
Beh,
e allora? Una cotta intellettuale non fa di me un
traditore.
…
meglio che Al non lo sappia, ad ogni buon conto. O
neanche Azkaban mi salverà.
“Si può
condannare solo quando
c’è volontà
di causare dolore con la
magia. Ricordate quello che vi ha detto il Signor Potter. Le
Maledizioni non
erano in grado di uccidere. Thomas non voleva
uccidere, Thomas non era in sé. È questo che
dovete ricordare mentre prendete
la vostra decisione.” Tirò un respiro,
perché aveva parlato praticamente tutto
di un fiato. “Ho finito, Inquisitore Supremo.”
Tom rimase in silenzio, mentre guardava la giuria consultarsi tra di
sé.
La verità era che
avrebbe
presto quella scelta comunque. Sbagliata che fosse, in quel momento lui
aveva
deciso di tradire la sua famiglia, i suoi amici, per seguire John Doe.
Che
avesse il medaglione e ne fosse influenzato… era solo una
supposizione. E l’imperio
era arrivato solo alla fine.
Non
avrei dovuto farmi raggirare. E l’ho fatto.
Ma
datemi un’altra possibilità. Non datemi Azkaban.
Non
portatemi via la bacchetta.
Sono
tornato. Questo dovrà pur valere qualcosa…
Guardandosi le mani vide che
aveva conficcato le unghie nella pelle fino a sentire dolore. Avrebbe
dovuto
sentirlo perlomeno. Era troppo teso però.
“Quanti a favore
della
condanna?” Poteva una voce essere l’incarnazione
stessa del destino?
Si alzarono ben quattro
mani.
Quattro mani, che gli avrebbero spezzata la bacchetta per spedirlo a
marcire
quindici anni in mezzo al Mare del Nord.
Si appuntò a
fuoco le facce
dei quattro giudici.
Se
verrò condannato voi sarete i primi a …
Si sforzò di
tagliare via il
pensiero come la parte rancida di un frutto.
Harry gli prese un braccio,
stringendolo saldo e gentile.
“Quanti a favore
dell’assoluzione?”
E le mani furono sei,
compresa
quella della Direttrice e ultima e volutamente lenta, quella di Malfoy.
La donna batté il
martelletto.
“L’imputato
è prosciolto da
tutte le accuse.”
Hermione si
voltò. Sorrideva e
avrebbe voluto sorriderle anche lui, ma credeva di essere congelato sul
posto
al momento.
Ho
vinto. Non dovrò finire in prigione. Riavrò la
mia
bacchetta. Riavrò la mia vita.
“Abbiamo vinto,
Tom!” Si sentì
in dovere di dirgli. Sì, in effetti serviva.
“Grazie
…” Si odiò per il tono
flebile che gli uscì.
Si rese conto della
situazione
solo quando la funzionaria che lo aveva scortato gli portò
la bacchetta,
estraendola dalla teca e porgendogliela. “La sua bacchetta
Mister Dursley.”
La corrente calda che
salì
lungo il braccio, la sensazione inebriante di completezza che
provò quando la
prese di nuovo in mano, ne era certo, se la sarebbe ricordata per anni.
“È una
bella sensazione eh?”
Continuò a sorridergli Hermione. “Ricordo quando
per un periodo, durante la
guerra, dovetti usarne un'altra. Tremendo.” Si
guardò attorno. “Ma dov’è
finito
Harry?”
Tom si voltò e si rese conto che il padrino non
c’era più.
“Non ne ho
idea…” Anche se in
realtà forse ce l’aveva. Il tipo straniero non
c’era più. “Forse è
uscito.”
“Per Morgana, è sempre il
solito…” Sbuffò la donna. “Va
bene, usciamo anche
noi.”
Tom annuì,
aiutandola a
raccogliere qualcosa come mezzo chilo di fogli e fascicoli. Non le
chiese se
fossero tutti su di lui. Non era certo di volerlo sapere.
Lanciò
un’occhiata alla Sala.
Era rimasta deserta, tutti i membri erano usciti; si chiese come mai
Malfoy,
che non era sembrato convinto neppure per un istante dalle parole di
Hermione,
avesse votato in suo favore.
Probabilmente
sono fatti più vecchi di me.
Uscirono nello scuro e
lucido
corridoio e la prima cosa che sentirono fu la voce di Harry. Stava
parlando con
lo straniero e a giudicare dal mondo in cui si fronteggiavano, non era
una
conversazione civile.
Hermione gli mise una mano
sulla spalla, quasi a volerlo trattenere. Aveva un cipiglio
interrogativo,
confuso.
Neppure
lei lo conosce.
Erano abbastanza vicini da
poter sentire frammenti di conversazione, anche se sussurrata a bassa
voce.
“Lei non aveva il
diritto…”
“Se sono qui, è evidente il contrario, Signor
Potter.”
“…Cosa vuole?”
“Non è finita qui.”
Una pausa in cui non Tom non
vide il volto di Harry, dato che gli dava le spalle, ma poté
indovinare
l’espressione dall’aria cauta che assunse
l’altro. “Il ragazzo non è al sicuro
in Inghilterra.”
“John Doe è morto.”
“Ma era solo una
pedina. È il
Re che comanda. Ha fatto una guerra, Signor Potter, sa meglio di me
come
funzionano queste cose…”
“Tom è sotto la giurisdizione del governo Magico
Britannico, questo è tutto.”
La voce del padrino era dura, venata dalla rabbia. “Il vostro
governo con quale
coraggio la manda qui?”
Vostro governo… è
straniero allora.
Americano, a giudicare dall’accento.
Lanciò uno
sguardo ad
Hermione. Un guizzo di comprensione le aveva illuminato il viso.
Non
lo ha riconosciuto, ma adesso sa chi è.
“Avete avuto le
nostre scuse
ufficiali, quindi…”
“Me ne fotto delle scuse
ufficiali.”
Era la prima volta che sentiva Harry imprecare. Hermione, accanto a
lui,
soffocò un’espressione indignata. “Ci
avete taciuto delle informazioni
importanti. Non saremo arrivati ad un processo, se il vostro governo
avesse
collaborato con noi.”
“Le ho già detto, tempo fa mi sembra, che non
è così semplice.”
“Beh, dovrebbe esserlo.”
“Si ricordi che
stiamo
parlando del figlio…” L’uomo si
bloccò di colpo, notandolo. Fino a quel momento
era stato più impegnato a non staccare lo sguardo da Harry,
quasi temesse risvolti
spiacevoli: il volto teso gli si aprì in un sorriso.
“Signor Dursley!”
Harry si voltò di scatto. “Tom, sali su con
Hermione.” Gli ordinò seccamente.
“Harry…” Tentò a quel punto
la donna. “Cosa sta succedendo?”
Ma l’americano fu più svelto di entrambi. Si
avvicinò con due falcate decise
verso di lui e gli tese la mano. “Mi chiamo Ethan Scott,
Thomas. Sono un agente
del Dipartimento di Giustizia Magica Americano. A nome del mio governo,
è un
vero piacere poterti conoscere…” Aveva i denti
dritti e luccicanti, come un
attore di soap-opera. Aveva anche quel genere di bellezza televisiva.
A pelle, non gli piacque per
niente.
Tom guardò la
mano tesa, e poi
il padrino. Harry aveva la fronte solcata da una ruga di rabbia
maltrattenuta.
Era furioso. “E perché?” Chiese,
ignorando la mano.
L’uomo la
abbassò con disinvoltura,
quasi gliela avesse stretta vigorosamente. “Il nostro governo
è molto
interessato alle tue doti, Thomas. A chi
sei…” E qui lo sguardo indugiò sulla
sua intera figura, con particolare
attenzione per lo stomaco.
Sa
chi sono. Sa come sono nato.
Sentì una
spiacevole
sensazione di allarme, quasi lo avesse gridato ai quattro venti.
Thomas
Dursley so che non sei un essere umano completo.
“Basta
così.” Ringhiò Harry,
frapponendosi tra di loro. “Tom va’ su, ci
penserà Hermione ad accompagnarti a
casa.”
“Oh, sì… naturalmente.”
Annuì quella, ma con l’aria di chi avrebbe voluto
delle
risposte. “Vieni Thomas.”
A Tom non piacque essere
maneggiato come un decenne con nessuna capacità decisionale,
ma non fece
rimostranze. Non era quello il momento.
“Non è il caso di essere così scortesi,
Signor Potter.” Fece una smorfia Scott.
“Stavo solo presentandomi al ragazzo.”
“Non è questa l’impressione che sto
avendo.” Replicò l’altro beffardo.
“Vorrei
sapere se il mio Dipartimento è stata informato della sua
presenza. Scommetto
di no.”
L’uomo tradì a quel punto un’espressione
guardinga. “Sono un agente di
collegamento, Signor Potter. E il caso del
ragazzo…” Si bloccò, vedendo
qualcosa alle loro spalle. “Capisco quando non sono
desiderato. Buona giornata.
Thomas…” Fece un cenno di commiato soltanto a lui,
e si dileguò velocemente in
direzione degli ascensori.
Ma
che diavolo…?
Si voltarono e si trovarono
di
fronte la figura elegante di Lord Malfoy che lanciò loro
un’occhiata di
sufficienza. “Potter.” Esordì.
“A quanto sembra ti sei allargato alle rogne
internazionali…”
“Ti conosceva, Draco?” Replicò
l’altro attento. “Perché è
sembrato piuttosto
spaventato dalla tua apparizione.”
“Ethan Scott.” Fece un rigido cenno di assenso.
“Quando lavori per l’ufficio di
cooperazione magica internazionale diventi automaticamente una spina
nel fianco
di quel tipo di agente.”
Piegò le
labbra in un sorrisetto di scherno. “È strano che
non andiate d’accordo. Siete
entrambi due palloni gonfiati.”
Hermione sembrò
pronta a
ribattere, ma Harry la fermò con un’occhiata.
“Chi l’ha autorizzato a stare
qua?”
“Il mio ufficio.” Rispose scrollando le spalle.
“Come ha detto, è un agente di
collegamento, e si è occupato del caso.”
“Si è occupato…”
“Calma il tuo indomito spirito grifondoro, Potter.”
Alzò le sopracciglia
esasperato. “È incredibile che tu sia un
capo-ufficio quando è chiaro che di
giochi di potere non ne capisci assolutamente nulla.”
Tom aveva sempre pensato che
il
padrino e Lord Malfoy avessero avuto dei trascorsi. Sembravano, in quel
momento, sul filo di un rasoio sottilissimo, indecisi se sputarsi
addosso o
collaborare.
Curioso…
Harry ad ogni buon conto
tradì
irritazione. “Parla chiaro, Draco.”
“Non mi è concesso.” Soffiò
l’altro quasi con piacere. “Quello che posso dirti
è che il governo americano è interessato al tuo
protetto.” E qui gli lanciò
un’occhiata, un’esatta copia
dell’impenetrabile sguardo che l’aveva trafitto
per tutta la durata del processo. “E da quel che ho saputo,
ne ha ben donde.”
Detto questo, fece un secondo cenno rigido della testa e si
allontanò senza
aggiungere altro.
“Draco
Malfoy…” Disse Hermione
dopo un lungo attimo di silenzio. “Non riesco a capire da che
parte stia.”
“Non è la prima volta, no?”
Ironizzò Harry, togliendosi gli occhiali e
massaggiandosi la sella del naso. Sembrava stanco.
“Però ha votato a favore di
Thomas.”
“Lo ha fatto per ricambiare quel
vecchio favore, Harry. So riconoscere quando un giurato non
è convinto, e lui
non lo era.”
“Non ha importanza.” A quel punto si
voltò verso di lui e gli sorrise. “Allora,
come ti senti?”
Tom, che fino a quel momento si era quasi sentito uno spettatore,
azzardò un
sorriso. Il più sincero che gli riuscì.
Perché aveva la sua bacchetta tra le
dita e quella sera avrebbe detto ad Albus che avrebbero presto
l’espresso per
Hogwarts assieme.
Tutto il resto non contava.
Per
il momento.
“Maledettamente
bene.” Gli
tese la mano e quando Harry gliela strinse lo abbracciò.
Sentì la sorpresa del
padrino e poi si sentì anche ricambiarlo con forza.
“Non
succederà più, Harry.”
Gli sussurrò, anche se fu certo che Hermione fingesse
soltanto di non sentire.
“Te lo prometto.”
L’altro gli accarezzò i capelli. Si
sentì un decenne, ma non era una brutta
sensazione.
“Lo so, Tom. Mi
fido di te.”
Quella era la vera assoluzione.
****
Devonshire,
Casa Potter.
Sera.
Albus si
smaterializzò davanti
alla porta di casa, quasi centrando con precisione chirurgica il
battente sulla
porta.
Avrebbe dovuto allenarsi a non finire sempre in collisione con un
oggetto
contundente.
Si infilò la bacchetta nella tasca apposita del mantello,
mentre spirava un
venticello che già annunciava l’arrivo
dell’autunno.
Un
po’ in anticipo, ma comunque…
Quando varcò la
porta di casa
fu accolto come sempre dalla mancanza quasi totale di suoni. Suo padre
stava
ascoltando la radio, ridacchiando di un popolare programma radiofonico
serale,
mentre sua madre era occupata a correggere le bozze per il
menabò della Gazzetta.
“Tom?”
Chiese immediatamente; era stata una
giornata pazzesca al San Mungo. C’era stata un epidemia di
scofolofungus dovuta
ad una partita andata a male di carne di maiale in un noto ristorante
di Diagon
Alley. Qualcosa come una cinquantina di intossicati. Aveva dovuto
preparare
litri e litri di pozioni.
Era distrutto ed era senza
uno
straccio di notizie, avendo passato tutto il giorno, senza interruzioni
di
sorta, nei laboratori.
Suo padre gli sorrise.
“Va’
su. È con Lily in camera tua.”
“Sì,
ma…”
“Credo voglia dirtelo lui.” E ridacchiò
di una battuta dello speaker.
Grazie,
suspense, proprio quella ci voleva…
Ma tanto male non doveva
essere andato, se i suoi genitori sorridevano incoraggianti.
No?
Salì
a due a due le scale strette e
aprì di scatto la porta della sua camera.
“Lily, no.”
“Ma perché? Te li hanno tagliati male, sono tutti
piatti dietro!”
“È perché ho i capelli lisci.”
“Li ho lisci anche
io, cosa…
Oh!” Lily si accorse di lui, impalato di fronte alla porta e
con il fiato corto
come uno scemo. Tolse la bacchetta dalla nuca dell’altro
ragazzo, che cercava
senza troppa convinzione di scacciarla.“Al!
Finalmente!”
Tom era in maniche di
camicia,
arrotolate sugli avambracci, mentre la giacca di un completo che non
gli aveva
mai visto addosso era abbandonata sulla sua sedia. Aveva i capelli
davvero
corti e l’aria, come sempre quando riguardava Lily,
scocciata.
Sembrava stare bene.
“Sei in
ritardo.” Lo accusò
apertamente. “Ero a cena qui.”
“Mi dispiace… Un’epidemia…
pozioni…” Mormorò vago, slacciandosi
gli alamari del
mantello, mentre Lily si alzava, sempre lanciando occhiate critiche
all’altro.
“Com’è…
com’è andata?”
“Bene.” Concesse. Lanciò uno sguardo
alla ragazza. “Lily, puoi lasciarci soli?”
“Come no, Tommy.” Ghignò quella, con un
luccichio negli occhi che Al aveva
sempre ritenuto piuttosto malandrino.
Nel senso storico del termine. “Vi lascio soli.”
“Lily!” Quasi
ridacchiò quando sentì
la sua stessa indignazione nella voce di Tom.
È
andata bene. Ma quanto bene? Molto bene, o non
sarebbe così tranquillo.
Deve
essere così.
“Sì,
sì… E comunque, per quei
capelli, non finisce qui.” Minacciò, sfilandoglo
accanto e strizzandogli
l’occhio. “Notte notte.”
Si chiuse la porta alle
spalle.
“Allora…”
Iniziò, senza
riuscire a non pensare alle cose più terribili. Era
più facile essere
pessimisti.
Tom a quel punto sorrise. E
tirò fuori dalla tasca la sua bacchetta.
“La riconosci?”
Albus aveva pianificato di
reagire, in caso di vittoria, come si conveniva ad un ragazzo della sua
età,
con dignità mascolina e matura.
Si era scordato che la
genetica era una stronza, e avere tutti quei grifondoro in casa non era
una
mera coincidenza.
Albus gli saltò
praticamente
addosso, facendo crollare entrambi sul letto.
“Te
l’hanno ridata! Hai la tua
bacchetta! Prosciolto da ogni accusa, vero? Oh, certo che
sì!” Gli urlò nelle
orecchie a volume da stadio.
Tom lo amò anche
quando gli
tirò quasi un gancio alla mascella nel tentativo di baciarlo.
Sì,
lo amo davvero molto.
“Tu e James avete
molto in
comune…” Sbuffò, tendendolo a distanza
con una mano. “La capacità di non
controllarvi.”
“Oh,
sta’ zitto!” Sbottò l’altro
con un sorriso radioso, di quelli che avrebbero illuminato una
cattedrale
meglio di un lumus maxima.
“È così,
vero? Sei stato assolto!”
“Sì.” Confermò passandogli
una mano sulla schiena e spostandosi per rendere più
comodo quell’assalto. Avercelo a cavalcioni non era male,
come posizione.
È
stata sperimentata più volte, del resto…
“Quindi
… Hogwarts!”
“Devo ancora scrivere una lettera al preside, ma Harry mi ha
promesso che
metterà una buona parola. Non credo sarà
difficile. Con un assoluzione del
Wizengamot dovrei avere le spalle coperte…” Gli
spiegò, beandosi della sua aria
attenta. E anche delle dita che gli avevano artigliato la camicia.
Sentiva il
calore di Al irradiarglisi lungo il petto. Era stata una giornata
fredda.
Ho
bisogno di scaldarmi…
“Sei
contento?” Gli chiese e
vide Al arrossire.
“No, sono in
lutto.” Ironizzò.
Poi si chinò su di lui. “Oh, smettila di fare il
duro… stai sorridendo da
mezz’ora, sai?”
“Sì? Forse solo da quando sei arrivato
tu.” Si sentì dire. Era strano aprirsi
così facilmente. Ma per quella sera avrebbe mandato al
diavolo il suo orgoglio.
Al se lo meritava.
Se
non altro per quanto mi ha sopportato. Sono
consapevole di poter essere odioso.
Di
esserlo, in realtà.
Al sgranò gli
occhi, mentre
diventò dello stesso colore delle sue coperte –
perché le aveva rosso fuoco per
lui rimaneva un mistero. “Non dirmi che non hai neanche
sorriso a zia Hermione…
Hai una cotta per lei.”
“Non ho una cotta per lei.” Replicò
imbarazzato. Si scordava sempre che Al,
prima di essere promosso a suo ragazzo, era stato il suo migliore
amico. Lo era
ancora.
“Ce
l’hai da secoli…” Sbuffò.
“Ma non sono geloso. Non di lei almeno.”
“E di chi dovresti esserlo? Io odio le persone, non fai che
ripetermelo da
anni…”
“Beh, cosa pensi che diventerai
quest’anno?” Gli prese la cravatta tra le dita,
lasciandosela scivolare sui polpastrelli. Tom per un attimo si
scordò di
ascoltare il discorso. Del tutto. “Sarai l’idolo
tormentato di tutte le
ragazze. E ora sanno tutti che sei un purosangue, diventerai lo scapolo
d’oro
di Hogwarts.”
“Non voglio essere uno scapolo
d’oro…” Rifletté, ascoltando
vagamente. Era più
interessato, del resto, a cosa stava accadendo ai piani bassi, e ai
subdoli
assestamenti di Al sul suo inguine. “E poi, a quanto mi
risulta, non sono
scapolo.”
“Risposta
esatta…” Il tono di
voce di Al si abbassò ad un mormorio. La conseguenza diretta
fu poi una serie
di baci bollenti sul collo. Tom inspirò, lasciandosi cadere
sul letto.
Ci
voleva…
Chiuse gli occhi mentre Al
gli
sbottonava la camicia e gli lasciava scivolare via la cravatta,
disfacendo
abilmente il nodo.
“Strano…
sei bravo a toglierle
e non a mettertele.”
“Vuoi che ti ci strozzi? È seta. Per una morte
elegante…” Borbottò, ma lo
sentì
sorridere contro il suo petto, per poi continuare in una lenta scia di
baci
leggeri.
Tom si chiese se quello
fosse
essere definitivamente gay. Volere così disperatamente un
altro ragazzo.
In effetti, da che
ricordava,
voleva solo Al.
Sarà
che sono più occupato a capire che orientamento ho
per quanto riguarda l’essere umano o meno.
L’orientamento
sessuale nella mia storia personale
passa un po’ in secondo piano.
Guardò la testa
mora di Al
scivolare sempre più in basso, e sentì una
contrazione piacevolissima
all’inguine.
Ma
penso non ci sia bisogno di interrogarsi granché
qui…
Si irrigidì
però quando arrivò
al suo stomaco. Lì avrebbe sempre dovuto esserci qualcosa. E
non ci sarebbe mai
stata.
Al sembrò
capirlo, perché alzò
la testa. “Che c’è?”
“Non… lì.” Era come se gli
stesse baciando una cicatrice slabbrata, o qualcosa
del genere. Era come se gli baciasse una brutta parte di sé.
Al sorrise appena.
“Questo sei
tu.” Disse semplicemente. “E mi piaci
tutto.” Gli accarezzò la pelle liscia con
la punta delle dita.
Tom sentì
qualcosa nel petto
scaldarsi, diventare bollente, mentre sentiva, con orrore, gli occhi
inumidirsi.
È
solo stanchezza.
Afferrò Al per le
braccia,
tirandoselo contro in modo che fosse alla sua altezza. Lo
baciò, profondamente,
per tutte le cose che non sarebbe mai riuscito a dirgli.
Non
che non ci possa provare, no?
Al quando si staccarono
aveva
il fiato corto, sorpreso, e gli occhi lucidi.
Beh,
almeno ha la lacrime più facile della mia…
“Non
so… se me lo merito. Uno
come te.” Si staccò le parole ad una ad una dal
palato. E le pensava. Tutte.
Al gli passò le
braccia
attorno al collo. “Non credi sia un po’ tardi per
chiederselo?” Lo spinse di
nuovo steso. “Ormai siamo legati a filo doppio,
Tom…”
Tempo dopo, quando
l’intera
casa era immersa nel silenzio, sentì Albus muoversi contro
di sé, e sfiorargli
il collo in una carezza che chiedeva attenzione.
“Tom, sei
sveglio?”
“Non lo ero. Lo sono adesso.” Sospirò,
facendolo ridacchiare. “Avanti, dimmi…”
“… È finita, vero?” La voce
era poco più che un soffio, ma la domanda gli si
ficcò nel petto.
Tom
non
rispose subito. Pensò
alle parole di Lord
Malfoy, pensò all’agente americano Scott.
A Cordula e a quel castello
che continuava a vedere nei suoi sogni.
Lo
strinse a sé. “Sì,
certo…”
Lo
spero. E non lo so.
I see
so little time
My
eyes are crossed, my hands are tied
All I
wanna do is that great thing…²
… e così Tom è
stato scagionato da
ogni accusa! Non che non me lo
aspettassi, ma la giustizia manichea del nostro Ministero è
piuttosto
pericolosa, quando vuole.
In
ogni
caso, non sai quanto sono contenta!
Tom e
Al
si meritano un po’ di serenità. Sarà un
grande anno, questo, Ren… e potremo
finalmente vederci!
Dall’altra parte
del
continente, Sören Hohenheim posò la lettera sul suo
scrittoio.
****
Note:
Prossimo capitolo: Goin’ to Hogwarts!
Okay, ammetto che a fini
della
trama da action-movie questo capitolo non dice un granché.
Ma è ufficialmente
l’ultimo strascico della storia precedente.
Dalla prossima, si entra
nell’azione! *thumbs up*
1.
Qui la canzone.
2.
Qui la canzone.
|
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Capitolo 11 *** Capitolo X ***
Eccomi
qua, un po’ prima della scorsa settimana, ma ho sempre
saltato sabato. Perdono.
T_T
@lu_pin: grazie mille! Eheheeh,
sì,
Tom ha una bella cotta per lei. Grazie per i complimenti a Dudley,
bisogna
dargli un po' di fiducia! E io invece gli americani li adoro, ma si sa
che non
sono esattamente personcine umili. XD Teddy e James si vedranno
prossimamente,
promesso! E grazie ancora!
@nicky_iron: niente di che, succede di
padellare un esame! Ho già corretto gli errori di cui mi hai
fatto presente,
grazie mille. Riguardo, ma qualcosa mi sfugge sempre!Penso che i Doni
della
morte, se hanno un minimo di cervello, la gente non va a dirlo in
giro...
voglio dire, per quanti morti hanno fatto ed erano considerati solo una
LEGGENDA... Grazie comunque per la recensione!
@ElseW: ciao! Ahaahah, non sei
l'unica a non fidarti del governo americano. Per me sia quello magico
che
quello babbano sono poco affidabili. XD Ahaaha, ma io ti adoro! Percy
Jackson
ancora non l'ho visto, ma ho visto le locandine e sì...
quello è Al. XD Mi fa
troppo piacere che tu abbia pensato a lui. :P In questo capitolo si
andrà un
po' avanti con la storia di Lily ;)
@MissBlackSpots: ebbene sì, il governo
americano rompe le palle nella realtà, vuoi che non lo
facessi rompere anche in
quello magico? XD Grazie grazie!
@Trixina: purtroppo, e di questo mi
scuso, non riesco più ad essere così precisa
negli aggiornamenti. La maledetta
università.. Beh, Draco è figlio di Lucius, e se
un mangiamorte conclamato era
così influente, vuoi che il figlio non abbia preso da lui?
XD Non preoccuparti,
capisco bene i problemi di pc! ;)
@Tyumas: Ciao! Spero che leggerai il
commento! ^^ Grazie mille per i complmenti, specie perchè mi
dici che non
apprezzi lo slash... quindi che dirti, sono onorata e lusingata! :D
@lovermusic: Ahahah, grazie! Troppo
onorata! Beh, sì, Hermione non regge Draco, non è
un mistero, ma in fondo ormai
non può più prenderlo a pugni (anche se secondo
me le piacerebbe) La tazza?
Probabilmente Robin, Dudley avrebbe finito per essere il tipo che si
taglia un
dito provandoci.
@Simomart: Mi dispiaaace... lo so,
è
una rottura, ma praticamente vivo in università (ora sto
scrivendo dal netbook
per esempio) e quindi ho grosse difficoltà a mantenere il
ritmo di un capitolo
a settimana. -_- Ci provo però! Beh, per il pezzo del
processo DOVEVO metterlo,
e poi alla fine io studio relationi internazionali... di diritto me ne
occupo
per forza di cose pure io! XD Ed Hermione... eeeh, Herm chi non la ama?
E poi
Harry non può esser capace a far tutto. Specialmente roba
burocratica. XD James
non mancherà, anche se sarà un po' ridotto. ;) E
grazie per la fiducia, spero
sarà ben riposta!
@silver92: Rose e Sy avranno il loro
spazio promesso. Qui un cameo, ma si fa quel che si può!
@Agathe:
Ahaaha, ma Tom ti sta proprio antipatico! XD Beh, è
fantastico però... vedere
che la storia ti piace comunque! Grazie! La scena dello smistamento e
della
conseguente confidenza a Draco un giorno la girerò,
è una promessa. ;)
@Andriw9214: Sì, i processi li adoro
anche io! E poi Hermione come non
metterla wonderwoman, già lo era da ragazza!
Per ora sul governo
americano non posso dirti niente, ma sicuramente sarà meno
pericoloso della
Thule, promesso! Guarda il ravvicinamento tra quelle famiglie lo credo
improbabile, ma sicuramente miglioreranno un po' i loro rapporti. E
poi, grazie
per aver notato un po' la maturazione di Tom. Volevo che si vedesse.
@Hale_y: Wow, che recensione! XD
Essì, un capitolo Tom-centrico, considerando il processo,
era dovuto! ;D Tom e
Dudley secondo me si somigliano, in fondo. XD E' proprio un Dursley,
per quanto
poco sembri. Tom comincerà un po' ad aprirsi... non
tantissimo, ma la pianterà
di avere spesso un cactus su per il sedere. XD La cotta per Herm poi
è
decisamente intellettuale. Andiamo, potrebbe essere sua madre! XD Draco
forse
tornerà, forse no... vediamo come vanno le cose. X) Per
quanto riguarda Lily...
beh, per ora non posso anticiparti niente su quello. Sorry! E poi
stavolta dai,
ho aggiornato prima!
@altovoltaggio:.. cacchio, che recensione
meravigliosa! Beh, sai, sono piuttosto rapida a scrivere... il problema
maggiore è trovare le ore che mi servono per farlo, almeno
una decina a
settimana, e sicuramente in questo periodo ne ho molte poche! Questo
capitolo
sarà Lily-centric, e mi piacerebbe sapere davvero cosa ne
pensi, perchè qui si
disvelerà parecchio. Guarda, per quanto riguarda la serie,
penso ti darò retta.
Sto scrivendo una one-shot per una sfida, una Wolfstar, che non c'entra
niente
con il continuum della storia... prossimamente penso mi
metterò ad organizzare
la serie. XD Aahaha, Albus è un principino azzurro, lo so,
ma con gli estranei
è un bello stronzetto sorridente e distaccato. XD E per
quanto riguarda la
scena della 'cicatrice'... guarda, io non ne ho addosso, ma so quanto
le
persone a volte possano soffrire per una cosa del genere, sentendosi
inadeguati... il fatto che tu non abbia trovato quella scena forzata, e
che
l'abbia sentita almeno un po' 'tua' mi fa un immenso piacere e mi
commuove.
Grazie. E il tom-Dudley moment... beh, ci voleva, secondo me. ;) Il
campione di
Hogwarts? Dai che lo sai! XD E... grazie per l'enorme e meravigliosa
recensione!
****
Capitolo X
It
just takes some time, little girl
You're
in the middle of the ride,
everything will be just fine, everything will
be alright.
(The
Middle, Jimmy eat world)
1
Settembre 2023
Devonshire,
Casa Potter.
Mattina.
Lily non era il genere di
ragazza che amava alzarsi presto.
Si stava chiedendo un
gigantesco e vago ‘perché?’
quando si
sedette a tavola per la colazione, con il pigiama, ma con
già i capelli
perfetti e un applicazione di crema giornaliera sul viso.
Comunque…
Era il primo giorno di
scuola
e voleva solo tornare a dormire, nonostante le dolci promesse di un
Torneo, di
un amico di penna che non tentava di farsela e il ritorno di Tom.
Al accanto a lei masticava
placido un panino al prosciutto, bevendo accuratamente caffè
ad ogni sorsata;
era di ottimo umore e c’era un motivo.
Gli era arrivata la spilla
di
Capocasa qualche giorno prima. Mentre l’anno prima si era
lagnato per giorni
delle responsabilità a cui non si sentiva pronto, stavolta
aveva accolto la
notizia con un sorriso.
Non si era dato grande
importanza, comunque. Lily sospettava che fosse per evitare che lo zio
Percy
venisse a fargli visita una seconda volta.
Cinque
ore di discorso… ad un certo punto credo che Al
abbia semplicemente staccato il cervello. Aveva un’aria
così vacua…
James, ad ogni buon conto,
aveva la testa che ciondolava sulla tazza dei cereali.
“Perché
devo alzarmi presto
anche io?” Deplorò, premurandosi di farlo a gran
voce. “I corsi mi iniziano
alle dieci!”
“Perché devi accompagnare i tuoi fratelli con la
macchina…” Ripeté per la
quinta volta sua madre, paziente come solo una donna circondata da
uomini dalla
nascita poteva essere. “Tuo padre stamattina si è
alzato alle cinque per andare
al lavoro, non mi lamenterei se fossi in te.”
“Quando sarò capo-ufficio io,
mi alzerò
tutti i giorni a mezzogiorno!” Brontolò ispido,
passandosi una mano sulla nuca
quasi a scacciare la stanchezza.
“Non credo potrai.
Avrai molte
responsabilità. Sai cosa
sono?” Lo
apostrofò Al nettandosi le labbra con un tovagliolo.
“Quelle cose che ti
rendono adulto.”
“Crepa, Albie.”
Lily, mentre i fratelli
salivano a prepararsi spintonandosi sulla scale, finì il suo
the fissando il
riflesso del sole sulle tendine della cucina.
Stava per cominciare un
nuovo
anno.
Quando furono finalmente in
auto con bagagli e gufi, Lily vide sua madre con la coda
dell’occhio
controllarli, con quello sguardo particolare che aveva quando voleva
fare una
ramanzina ma non trovava nessun appiglio.
Lanciò uno
sguardo di
avvertimento ad Al, che capì al volo e squadernò
un sorriso di puro miele. “Mamma…
siamo in ritardo, temo. Stasera ti scriviamo non appena
arrivati.”
“Uhm…” Disse, squadrandoli. James era
ripiegato sul cruscotto, mentre tentava sia
di sintonizzare la radio su una stazione babbana, sia di nascondersi.
“Mi
raccomando, non fate cavolate. Per la storia del Torneo e tutto il
resto.”
“Noi?” Al
inarcò le sopracciglia, in
una magistrale imitazione di un cinquenne ferito. “Andiamo,
pensi che ci
metteremo nei guai in una competizione potenzialmente mortale? Non
siamo
Jamie.”
“Perché
siete un secchione
fifone e una ragazza.” Fu la risposta che giunse
dall’abitacolo.
“Non ho detto
questo, intendo
in generale. Tu signorina, attenta ai ragazzi e
tu…” Guardò Al, e Lily seppe
che voleva dire qualcosa a proposito di Thomas. “…
comportati bene.” Si
risolse. “Sei un Caposcuola adesso.”
“Ricevuto!”
Al le baciò la
guancia, tattico, e sgattaiolò conseguentemente nei sedili
posteriori. “Metti
in moto, forse quest’anno ci risparmiamo la
predica.” Sussurrò subito dopo,
frettoloso.
“Veloce Jam!” Lo supportò.
“Siete due bambini
davvero
cattivi…” Ghignò il maggiore, mettendo
in moto e schiacciando il congegno di
invisibilità.
Poco dopo stavano volando
sopra i cieli del Devonshire con la netta sensazione che a Ginny
Weasley non
fosse piaciuta la loro fuga.
Alla radio suonava una di
quelle canzoni che non avrebbe sfigurato in un telefilm babbano sui
ragazzi in
età da liceo.
Lily la ascoltò
distratta,
pensando che in uno di quei telefilm, lei sarebbe stata la cheerleader.
Però
con il cervello.
“Poi mi devi
spiegare questa
storia della ragazza Jam… Mi sento francamente urtata. Sei
un sessista.”
“Non sono un sessualista!
Osservo
solo che a differenza dell’universo maschile, avete un
più alto spirito di
conservazione.”
“Pensa a Dom.”
“E comunque
è sessista. Almeno
ascolta la gente quando
usa parola nuove.” Osservò Al.
“… Oh,
chiudete quel becco!
Dovevate finire entrambi a serpeverde!”
Lily si abbandonò sul sedile, sorridendo ad Al che
ricambiò, dandole il cinque.
****
Londra,
Stazione di King’s Cross.
Mattina.
Albus lanciò
un’occhiata alla
banchina, mentre Rose cercava di congedarsi, quasi a forza, dal padre
venuto
per accompagnarli e per scandagliare con lo sguardo la banchina alla
ricerca di
biondini del Wiltshire.
Come
al solito Lo Scemo è in ritardo… Come fa ad
essere
in ritardo anche quest’anno? È assurdo!
Tom
aveva passato le ultime tre
settimana con gli occhi incollati alle pagine di svariati compendi di
magia,
senza rivolgergli praticamente la parola, se non qualche grugnito poco
impegnativo
e frasi non più lunghe di ‘ciao, siediti e non
disturbare’.
Supponeva che gli tenesse un
po’ il muso anche per la sua nomina a Caposcuola: ci aveva
provato a mostrarsi
contento, gliene doveva rendere atto, ma tutto era finito in un
grugnito poco
impegnativo.
Così
impari a farti le vacanze in Germania invece di
terminare l’anno scolastico…
Comunque, da quando era
stato
scagionato si era tuffato nel compito di imparare a memoria tutto il
programma
che gli mancava. Probabilmente ormai lo sapeva recitare in rima
baciata.
Insomma
come ogni estate preferisce i libri a me…
Sospirò,
affidando le proprie
valige alle robuste braccia dell’inamovibile Ron Weasley.
“Grazie
zio…”
Rose gli si
avvicinò, con i
capelli increspati dal nervosismo. Si era mangiata una buona parte
delle unghie
della mano destra.
“Merlino, mi
farà impazzire…”
Sibilò. “Ti rendi conto che
se potesse mi metterebbe un auror alle calcagna?”
“Tuo padre sa di
te e Malfoy,
secondo me.”
Rose fece saettare lo
sguardo
tra le persone con l’aria di un cervo inseguito da una muta
di cani. “Ma no,
che dici…”
“Scusa, al di là di tutto, che ci sarebbe di male
se sapesse…?”
“Zitto!” Gli
mise una mano sulle
labbra. “Puoi resistere per cinque minuti e aspettare che se
ne vada? Poi
potrai farmi tutte le ramanzine che riterrai opportune, razza di
Capocasa!”
Al alzò gli occhi
al cielo.
Per quanto lo riguardava, non credeva così empia
l’unione di sua cugina con
Malfoy. In fondo, a conoscerlo, era un tipo simpatico. Avevano passato
gran
parte dell’anno prima assieme, e si era dimostrato un amico
fedele e un
fidanzato adorabile.
…
a volte vorrei che Tom gli somigliasse. Tranne la
parte dei soprannomi. No, quella no.
Lesse paura negli occhi di
sua
cugina e non gli restò che promettergli che non avrebbe
parlato: del resto, chi
era lui per darle consigli in materia di coming-out,
quando tutt’ora i suoi genitori erano convinti che fosse
casto e timido?
E
non gay e con un’attività sessuale che mi manca.
Erano cambiate un bel
po’ di
cose dall’anno prima.
Essì…
Rose si legò i
capelli in una
coda sommaria visto che continuavano a finirle in faccia, aumentando
esponenzialmente il suo nervosismo. “Credimi, vorrei dire a
tutti che Scorpius
è il mio ragazzo… Mi converrebbe pure, viste le
mire di certe stronze. Ma non è
così semplice.”
“State assieme da quasi un anno… Che dice
lui?” Sussurrò, lanciando uno sguardo
tattico allo zio, che stava scherzando con il figlio minore, sporto dal
finestrino. “Intendo dire, che dice…”
“Scorpius è d’accordo con me.”
Tagliò corto. “Adesso salutiamo e saliamo. Ne ho
abbastanza di tutto questo fumo.”
“Io resto qui.”
Rose lo squadrò, poi fece uno sbuffo poco contento.
“Per Thomas?”
“Devo aspettarlo, è un rito
ormai…” Le comunicò tranquillo,
ignorando la
smorfia malcelata dell’altra.
L’incontro tra Tom
e sua
cugina, avvenuto due settimane prima, era stato freddo e dal sapore
quasi
ufficiale. Probabilmente si erano sorrisi e parlati per circa due
minuti solo
per fargli piacere. Poi Tom era scappato a chiacchierare con Hermione e
Rose lo
aveva trascinato fuori per congratularsi della sua nomina.
Non
potrei pretendere di più, temo…
Rose mantenne lo sguardo
pieno
di biasimo per circa qualche secondo, prima di scrollare le spalle.
“Vedi di
non perdere il treno per colpa sua.” Si limitò a
concludere, prima di
raggiungere il padre per il tanto agognato commiato.
Al si sedette su una delle
panchine e si preparò ad aspettare.
Quello proprio non era
cambiato.
****
“Mamma, ho preso tutto.”
“Sei sicuro? Il k-way che ti ha regalato tua nonna
l’anno scorso?”
“Quello color fango di palude? No.”
“Oh, Thomas! Mi fai sempre ripetere le stesse cose!”
Tom fece una smorfia, cercando di contenere l’irritazione che
si sentiva
strabordare da ogni parte. Era certo che si vedesse, da come suo padre
cercava
di trattenere un ghignetto dietro i baffi.
Robin Castellario in Dudley
faceva parte della nutrita schiera delle madri apprensive. Di quelle
che, anche
di fronte all’intera platea di King’s Cross gli
avrebbe persino chiesto se
aveva indosso la canottiera.
Saranno
i suoi geni italiani?
Certo, la capiva, gli era
appena tornato tra le mani dopo un lungo pellegrinaggio in terre
germaniche…
…
ma sarei un mago potenzialmente pericoloso,
scagionato solo per bravura del proprio difensore, sospettato e con una
resistenza fuori dalla norma.
Non
ho bisogno di un k-way.
“Robbie, lascialo
stare. Lo
farai arrivare in ritardo.” Si mise in mezzo suo padre. Gli
lanciò un’occhiata
che sperò sembrasse grata, perché lo era.
Stavano migliorando nella
comunicazione non-verbale; Tom era certo che un giorno non troppo
lontano
sarebbero riusciti persino ad avere una conversazione definibile come
lunga e
pacifica.
Si sentì poi
stritolare dalle
braccia di robusta costituzione australiana della madre.
Ricambiò, un po’
goffamente perché il dislivello di altezza si faceva
sentire. “Tornerò per
Natale…” Tentò.
“A Natale!
Già, una vera
follia! I tuoi fratelli tornano molto prima, mi sembra assurdo che tu
abbia
così poche vacanze!”
“Mamma, è la politica della scuola.”
Lanciò un’occhiata all’orologio da polso
e
vide che si stavano avvicinando le nove.
Per
fortuna.
Quel genere di commiati lo
infastidivano a morte. Imbarazzavano, avrebbe tradotto Al.
“Devo andare
adesso, davvero.”
“Fa’
attenzione, mandami una
lettera quando arrivi. E mangia.” Riassunse velocemente la
donna, prima di
stampargli un bacio umido sulla guancia, costringendolo di nuovo a
piegarsi.
Suo padre si
limitò ad una
stretta di mano ed un borbottio. “Fatti sentire. Soprattutto
con Alicia.”
“Sì…” Sua sorella aveva
cominciato a perdonarlo. Il giorno prima si era
impadronita in blocco di metà della sua discografia: poteva
essere considerato
un gesto di distensione.
“Ciao
papà.”
“Ciao.” Replicò sbrigativo, passandogli
il suo baule. La gabbia con Kafka
occupò l’altro braccio.
Li lasciò in
mezzo al
corridoio sopraelevato, a guardarlo andare via. Si sentì
inspiegabilmente in
colpa a vederli lì in mezzo, a fissare la sua schiena che se
ne andava. Si
voltò per un ultimo cenno con la mano, prima di ricordarsi
che aveva una
dignità e marciare via.
Mi
sto proprio rammollendo… O mi sto trasformando in un
essere umano funzionale.
Chissà
quale dei due.
Si diresse verso il suo
binario ignorando gli sguardi perplessi della gente alla vista di un
corvo in
gabbia e un baule ante-litteram.
Non riusciva ancora a
credere
di essere lì, per il suo Settimo anno per giunta: Harry
aveva intercesso affinché
sostenesse una prova di valutazione a metà settembre. Se
l’avesse passata,
sarebbe stato regolarmente iscritto all’ultimo anno.
Tom cominciò a
sentirsi il
cuore in gola non appena avvistò la barriera del binario
nove.
Mancavano dieci minuti alla
partenza dell’espresso, era perfettamente in orario e non era
quello il punto.
Il punto era che si sentiva
troppo fortunato per meritarselo davvero.
Strinse tra le dita il
carrello, quasi che, sentendone la consistenza, potesse sentire che era
reale.
Lo era.
Oltrepassò la
barriera ad
occhi chiusi, prendendo un grosso respiro, un automatismo che ripeteva
da sette
anni.
Quando li riaprì
c’erano gufi,
genitori che salutavano, carrelli, bauli volanti e il calore penetrante
del
fumo della locomotiva. Vide con la coda dell’occhio Lily
salire sul lucido
treno nero, mentre Hugo la chiamava a gran voce.
Era il Mondo Magico.
Ed Albus, naturalmente, era
lì. Seduto su una panchina, aveva una scarpa slacciata che
probabilmente
l’avrebbe fatto inciampare al prossimo passo; sorrideva e lo
stava aspettando.
“Ehi, sei in
ritardo.”
Tom sorrise; era il mondo
magico. Era il suo mondo.
****
Sull’Espresso
per Hogwarts.
Mattina.
Le highlands
scorrevano brunite e ondulate di fronte agli occupanti dello
scompartimento numero…
Beh…
Non ci ho fatto attenzione.
Lily appoggiò la
guancia al
finestrino freddo, lanciando un’occhiata ai suddetti
occupanti.
Era un viaggio lungo, e
ognuno
stava ammazzando il tempo come poteva: Rose e Albus erano immersi in
una
conversazione sul Torneo Tremaghi, mentre Hugo aveva invitato il minore
dei
Finnigan per una partita a sparaschiocco; ad intervalli regolari la
cabina
veniva riempita da sbuffi di fumo.
Thomas, dirimpettaio a lei,
aveva le cuffie alle orecchie e stava leggendo Pozioni Avanzate. O
forse
fingeva di farlo per estraniarsi dal mondo reale.
Il che, conoscendolo, era
piuttosto probabile.
Gli tirò un
calcetto a cui
rispose con un’occhiataccia.
“Che
ascolti?”
“Musica babbana.”
“Non prendermi per una purosangue sprovveduta, dai! Magari il
gruppo lo
conosco!”
“Echo& the Bunnymen.”
“… Come non detto.” Gli rivolse un
sorriso di radiosa inconsapevolezza, e
riuscì a strappargli un inarcamento leggero delle labbra.
“Come sta tua
sorella?”
Tom sospirò, arrendendosi
all’inevitabilità di contatto umano in uno spazio
ristretto come un vagone del treno. “Ancora piuttosto
arrabbiata con me.”
“Però ti ha salutato, sì?”
“Salutato la ritengo una parola grossa…”
Lanciò un’occhiata ad Al. Lily trovava
fosse piuttosto tenero, e leggermente morboso in ugual misura, che lo
controllasse a ritmo di cinque minuti con lo sguardo.
Ma era come funzionava la
cosa
tra suo fratello e Tom, e sinceramente non aveva voglia di ficcare il
naso più
di quanto non fosse consentito da una sorella minore.
E
poi sono felici solo quando sono assieme. Quindi è
okay, suppongo.
“Vedrai che le
passa…” Lanciò
un’occhiata nel corridoio, dove a ritmi alterni sfrecciavano
studenti con la
bocca piena di snack o ragazze in perlustrazione. “Al, non
dovresti stare nella
carrozza dei prefetti? Cioè, non dovreste starci tutti? Meno me, Hugo
e…”
“Fergus…”
Mugugnò
l’amico-Finnegan-di-Hugo. “Mi chiamo
Fergus.”
“Ah, scusa.”
A
me i fratelli Finnigan sembrano tutti uguali!
Era
una ragazza fondamentalmente
malvagia, ne era consapevole.
Rose scrollò le
spalle. “La
riunione c’è tra mezz’ora.” E
si vedeva lontano un miglio che non vedeva l’ora
di scattare in direzione fondo-treno per incontrare il suo ragazzo.
Scorpius si
era fatto vedere per un breve saluto, prima di essere trascinato via da
Zabini
e Nott.
Era stava una scena strana: Malfoy era entrato nella cabina
con uno dei suoi sorrisi da fotomodello, poi nella visuale di tutti
erano
entrati anche Nott e Zabini, quest’ultimo rigido come un
manichino. I suoi
occhi prima si erano posati su Tom, e poi avevano cercato quelli di
Albus.
Lily aveva capito subito che
nessuno l’aveva avvertito del ritorno di Tom.
Più
che altro non l’ha fatto Al.
“…
Ah. Allora sei tornato, è vero.”
Albus
era sembrato tremendamente a disagio. “Oddio,
Mike, io… mi sono dimenticato di…”
“Dirmelo.” Aveva terminato per lui. “Ma
l’ho saputo comunque, non
preoccuparti.”
“Michel…” Aveva detto Tom in tono
neutro. “Loki. Malfoy.” Aveva snocciolato
poi, con invidiabile e surreale calma, considerando che era piombato il
gelo.
“Ehilà.”
Aveva detto Scorpius, con un sorriso leggero.
“È bello rivederti Dursley. Ti vedo
bene.”
“Ti ringrazio.” Aveva risposto, terminando lo
scambio di cortesie.
“Volete
sedervi…?” Aveva proposto Al. Sembrava la colpa
fatta persona, e per un attimo era sembrato di nuovo
l’undicenne timido che
scrutava i suoi compagni serpeverde in cerca di amicizia e
approvazione.
“Non
credo ci sia spazio per tre persone.” Aveva detto
Zabini, grondando gelo. “Ci vediamo dopo, in caso.”
“Mike…” Aveva tentato Al, ma il ragazzo
era uscito, seguito immediatamente da
Loki.
“Ma
veramente c’era.” Aveva obbiettato Rose, irritata.
“Che brutto carattere.”
Scorpius si era grattato una guancia. “Gli girano un
po’, fiorellino. Vedrai
che con qualcosa dal carrello sarà più
conciliante. Stamattina non ha fatto
colazione. Vado con loro… Ci vediamo al vagone dei prefetti
tra un po’.”
“Io non sono
più un prefetto.”
La riscosse la voce di Tom.
“…
Come?”
Oddio,
gaffe. Tremenda, orribile gaffe. Ops.
“Non sono
più un prefetto.” Ripetè.
“Avendo perso più di un semestre scolastico temo
di non essere più annoverabile
come studente meritevole.”
“Sì, ma il Preside ti ha detto che potrai
ridiventarlo dopo la valutazione…”
Intervenne Al. “No?”
“Non mi interessa più.”
Spiazzò tutti, voltando una pagina del compendio con
suprema indifferenza. “In ogni caso, non sono mai stato
particolarmente portato
a guidare gli studenti più piccoli.”
Lily notò lo
scambio di
sguardi tra Rose e Al. Il fratello alla fine scosse la testa, e questo
chiuse
la conversazione muta.
“Io vado a farmi
un giro.”
Annunciò Rose dopo un po’, alzandosi in piedi e
raccogliendo da terra le
cartacce che Hugo aveva disseminato ovunque dopo il passaggio del
carrello dei
dolci. “Hugo, stavolta te le butto io,
ma…”
“Sì, sì… Sto giocando,
sorella!”
Rose alzò gli occhi al cielo, e la guardò.
“Vieni anche tu Lils?”
“Volentieri!”
Quando si chiusero la porta
della cabina alle spalle, Rose si permise un sospiro. “Non ne
potevo più. C’era
tanta di quella tensione che si poteva tagliare con un recido…”
“Beh, non è come se le cose possano tornare subito
perfette, no?” Osservò, e
sbuffò all’aria sorpresa di Rose. Seriamente,
sapeva di essere considerata da
quasi tutto il consesso umano solo una frivola quindicenne…
Ma
c’è bisogno di un po’ più di
fiducia nel mondo. Ed
in me.
“E comunque non
è che ti serva
un accompagnatrice per dissimulare il fatto che vai a cercare
Scorpius…”
Soggiunse con un ghigno, godendosi l’esplosione di imbarazzo
sul viso della
cugina.
“Non
sto… volevo… bagno.”
Balbettò. “Oh, per la barba di
Merlino…”
“Mi spieghi perché ti fai tanti problemi
all’idea che la gente sappia che vuoi
stare sola con il tuo ragazzo? Seriamente, a volte sembra che tu viva
con zio
Ron alle spalle.”
“Non immagini quanto sia vero a volte…”
Borbottò Rose di rimando. “Beh,
allora…”
“Ci becchiamo in giro.” Convenne. “Ciao
ciao.”
Rose sparì in un batter d’occhio. Lily fece il
punto della situazione: non
aveva voglia di tornare subito in cabina. Hugo non l’avrebbe
degnata di uno
sguardo, preso dal demone del gioco e Al e Thomas probabilmente avevano
approfittato dell’assenza delle ragazze per chiudersi nella
loro bolla
speciale.
Amiche.
Andiamo a vedere che fanno le ragazze…
Dieci minuti dopo si
trovò
immersa in un nugolo di caramelle, riviste e bibite gassate, tra quelle
che poteva
definire come sue migliori amiche, nonché, praticamente, le
uniche.
È
dura la strada per essere la più favolosa strega
dell’Inghilterra…
C’era Abigail
Finnigan, sorella
di Fergus (sapeva di averlo visto da qualche parte), con cui aveva
stretto un
ottimo rapporto al primo anno a causa della stessa sciagura di essere
la
femmina piccola della famiglia, e poi Jane Stretton e Aimee Davies, due
corvonero che aveva eletto a sue eroine quando avevano preso a calci in
tandem
il minore degli Whitby, quando le aveva detto che lei e i suoi fratelli
erano
dei raccomandati.
Andavano d’accordo
perché a
nessuna delle quattro interessava mai le stesse cose, a parte i
pettegolezzi. E
soprattutto erano le uniche a ricordarsi, talvolta, che non era solo
una Potter.
Forse una come Rose
avrebbero
detto che un’amicizia così superficiale era meglio
perderla che trovarla…
Ma
ho bisogno di chiacchiere femminili attorno a me per
vivere…
“Allora, Lils,
devi dirci
tutto di quel figo di Dursley!” Esordì Abigail,
masticando sognante un
GommaBollente. “Gus mi ha detto che l’ha visto
salire, e non è stato l’unico! È
davvero sul treno?”
“Pensavate che
arrivasse volando?”
Chiese fingendo incredulità.
Le altre risero, ma Aimee fu la più lesta a ribattere.
“Davvero, senza
scherzi. C’è o
non c’è?”
“Sì,
beh… c’è.”
“Allora
è vero che era stato
rapito!” Sgranò gli occhi Aimee, mentre le altre
due trattenevano il fiato.
“Dai suoi veri genitori, che erano purosangue e
tedeschi!”
“Com’è
affascinante… Beh, lo è
sempre stato in realtà.” Riflettè
pensierosa Jane. “Peccato che sia un misogino.
Tu cosa sai?”
“Del fatto che
è misogino?
Beh…”
Non
misogino. Neanche tanto gay, non nel senso vero del
termine. Forse è Albusessuale.
“No,
dai, non cambiare argomento come
al solito, intendevamo del rapimento!” La bloccò
Abigail. “Qualcosa ti avrà
raccontato!”
“… Tom?” Calcò
l’accento sul nome. “Scusate, ma mi sembra
universalmente
noto che sia scontroso come uno schiopodo.”
“Beh, okay, non è questo gran chiacchierone, lo
sanno tutti…” Le venne incontro
Jane, divertita. “Ma tuo fratello è o no il suo
migliore amico?”
“Non è che ne sappia più di
voi…” Mise le mani avanti, seguendo la linea
ufficiale della famiglia: dalle espressioni delle compagne
capì che non sarebbe
bastato. Sospirò. “So solo
che non c’è
stata nessuna fuga rocambolesca o roba simile. Era stato
smaterializzato con
una passaporta rotta, aveva tipo perso la strada di casa…
Andiamo, li avete
letti i giornali, no?”
Le altre nascosero male la
delusione, ma si apprestarono a cambiare subito argomento, annoiate
dalla sua
reticenza. Lily non se la prese: al posto loro avrebbe fatto lo stesso.
Poi Jane le toccò
un braccio,
chinandosi al suo orecchio, mentre Aimee era presa dal titanico compito
di
tirare giù il baule per mostrare loro le foto della sua
vacanza in Turchia con
la famiglia.
“Lils, ti devo
parlare un
secondo… Usciamo?” Chiese, con tono di grande
cospirazione. Sembrava nervosa.
La guardò negli occhi: lo era.
Quando uscirono,
l’amica si
chiuse velocemente la porta alle spalle, appoggiandovisi. Non sembrava
intenzionata a parlare. Lily sospirò, un po’
spazientita perché doveva anche
andare in bagno, tra le varie.
“Si tratta di
Aimee…” Disse
alla fine, piena di esitazione: sembrava infatti in preda ad un
notevole
conflitto interiore. “Quest’estate siamo state in
Turchia con i Carmichel… Te
li ricordi, sì?”
“Il figlio non era all’ultimo anno di Corvonero
l’anno scorso? Quel tizio con
le spalle toniche e lisci e fluenti capelli
d’ebano?”
“Earl?
Sì… è proprio
meraviglioso, vero?” Sorrise attorcigliandosi una ciocca
attorno al dito.
“Sai che io e lui…”
“La Grande Storia D’Amore.”
Recitò con sentimento, facendo ridacchiare
l’altra.
“Certo, lo so… Avete fatto una vacanza assieme,
sarà stato fantastico!”
“Sì,
… ma credo che lui e
Aimee…”
“No!”
Non
che me l’aspettassi. Si sono lanciati occhiate
roventi tutto l’anno scorso…
Ma non lo disse
perché non
poteva dirlo. Era una cosa triste, ma il settanta per cento di cose che
notava
non potevano essere riferite. Non ci teneva a scatenare sommosse per
altarini
scoperti.
Non
più di tanto. Non se mettono in mezzo la
sottoscritta, ecco…
“È solo
un’impressione, lo so…
magari mi sbaglio, magari non è
così…” La guardò con grandi
occhi supplici. “Tu
sei brava a capire le persone Lils, sei un vero asso. Non è
che potresti…?”
“Scoprire se Aimee e Earl hanno combinato qualcosa alle tue
spalle? No.” Le
uscì prima che potesse mediare. Era stupido,
perché Jane non si meritava certo
una risposta così sgarbata, non con quell’aria
tormentata perlomeno.
Ma aveva appena toccato un
nervo scoperto e sapeva di averlo
fatto. Non le era riuscito ad essere carina.
“Andiamo!”
La spronò
afferrandole un polso. “Lils, tu sei una legimante
eccezionale!”
“Non sono una legimante.” La corresse, cercando di
essere gentile. Le tolse
delicatamente le dita dal polso. “Non so neanche come si fa,
un incantesimo legimens.
È roba del Settimo … Sono
troppo pigra per avvantaggiarmi sul programma.”
“Però
sai farlo!” Esclamò
infastidita. “Sai capire cosa nasconde la gente e…
Insomma.” Riprese a
tormentarsi la ciocca di capelli, ma con più rabbia. Era
arrabbiata con lei.
“Sei mia amica e…”
“… e lo è anche Aimee.” La
bloccò. “Se hai paura che sia successo qualcosa
tra
di loro quest’estate, perché non lo chiedi a
lei?”
“Non tutte sono come te, Lily!” Sbottò
alla fine, stizzita, liberandosi dalla
sua presa. “Lascia perdere, scusa tanto se te l’ho
chiesto!” Non riuscì a
ribattere che l’altra tornò subito dentro.
Lily notò le
occhiate
perplesse delle altre due amiche al di là del vetro e decise
di sillabare ‘bagno’.
Scappò veramente
ma con la
ferma intenzione di arrivare fino alla locomotiva.
Si sentiva pizzicare
l’angolo
degli occhi, non valeva la pena mettersi a frignare come
un’undicenne perché
Jane aveva deciso di fare la stronza.
Jane naturalmente non era una stronza. Era solo una ragazza con un
tarlo
angosciante in testa, e Lily sapeva bene quanto le idee potessero
essere
pericolose, una volta radicate nella testa di una persona.
Come sapeva che era stata
una
stupida a dire a Jane, in una serata di particolari confidenze,
cos’era capace
di fare.
Jane era una buona amica e
non
aveva mai detto a nessuno che più che capire le persone, lei
le leggeva.
Non c’era dietro
nessun
incantesimo complicato e neanche una particolare forza magica.
Era come essere un
metamorfomago: era avere una caratteristica.
Se fosse stata una babbana,
l’avrebbero chiamata telepate.
Se
fossi stata babbana probabilmente su di me ci
avrebbero anche fatto un telefilm…
Sospirò,
appoggiandosi con la
schiena ad un finestrino, sorridendo ad un gruppo di ragazzi piuttosto
carini
del Sesto. Quello le venne automatico, come era automatico per lei non
considerarsi diversa dagli altri.
E sul serio, non lo era
granché. I telepati nel Mondo Magico non erano rari;
venivano chiamati
legimanti naturali, o per usare un’abbreviazione medica,
LeNa.
In famiglia la cosa era
stata
accolta con tranquillità, un po’ come il fatto che
quando Jamie da piccolo
faceva i capricci saltava una volta sì e una no
l’impianto elettrico di casa.
Del
resto papà e mamma hanno conosciuto licantropi,
metamorfomaghi, animagus e Veela.
Senza
contare tutti i maghi straordinari della loro
adolescenza…
Io
in confronto non sono un granché.
Non ricordava di aver mai
avuto problemi; per quanto la riguardava solo in un periodo della sua
infanzia,
molto nebuloso, ricordava di aver sentito i pensieri dei suoi genitori
e dei
suoi fratelli.
Come
tenere sempre la radio accesa, senza spegnerla
mai, perché dentro la sua testa non ci sono pulsanti.
A cinque anni sua madre
l’aveva accompagnata al San Mungo, e un medimago con la barba
bianca come Babbo
Natale le aveva messo un orecchino e regalato un lecca lecca. Il lecca
lecca
perché era stata brava a non piangere,
l’orecchino, sulla cartilagine
dell’orecchio destro, per bloccare, come gli aveva spiegato
bonario, la
ricezione del suo cervello radio.
Tutto lì.
Se
i babbani ci farebbero sopra un telefilm, nel Mondo
Magico ti risolvono il problema…
Da allora non ricordava di
aver sentito il singolo pensiero di nessuno. In
ogni caso poteva ancora capire la gente.
Sentiva le loro emozioni, gliele leggeva sul viso, nel modo di sedersi
e
persino nel modo di mangiare.
Non con tutti, certo. Se una
persona era chiusa come un’ostrica, le riusciva difficile
capirla. Tom, per
esempio, era un autentico rebus. Lo era stato anche l’anno
prima, anche se
aveva capito che fosse angosciato.
Ma
lì non ci voleva certo un dono…
Non era per quello che
voleva
essere speciale.
Voglio
essere speciale perché sono favolosa.
Rose uscì da uno
degli
scompartimenti, coi capelli leggermente arruffati e un sorriso
distante.
“Ehi,
Lily… Che
ci fai qua fuori?”
“Appostamento. Vedo se passano ragazzi carini e notano la mia
fulgida bellezza.
Una specie di vetrina, se capisci cosa intendo.”
Rose rise, avvicinandolesi. “A volte penso che tu e Malfoy
abbiate lo stesso
ego ipertrofico.”
“Oh, no. La sua è autoironia, il mio è
un semplice dato di fatto.” Sorrise. “Comunque
hai il reggiseno al contrario.”
Rose abbassò rapidamente lo sguardo orripilata, prima di
rendersi conto che era
vestita e quindi l’altra non
poteva
saperlo. Le tirò una botta sulla spalla. “Lily,
maledizione! Sei perversa! Sei
persino peggio di James!”
“Mi diverto con poco, lo ammetto…”
Scrollò le spalle. “Lo sapete che se vi
becca un prefetto siete espulsi ancor prima di mettere piede al
castello?”
Vide negli occhi della cugina il profondo dilemma interiore fra regole
e
passione adolescenziale. Poi, con sua sorpresa, si strinse nelle
spalle. “Oh,
beh. Siamo noi i
prefetti.”
“Ben detto! Sono
fiera di te,
Rosie.”
“Oh, sta’ zitta, piaga… Che ci fai qui?
Veramente? Non eri andata dalla tue
amiche?” La scrutò con cipiglio pensieroso.
“Va tutto bene?”
Diventerà
un’ottima mamma. Se non altro, l’istinto da
chioccia è tutto lì.
La prese sottobraccio.
“Sì, ma
i ragazzi sono più importanti delle amiche.”
“Hai una scaletta delle priorità
agghiacciante.”
“Senti chi parla,
Miss-Mi-Imbosco-Infrangendo-Le-Regole.”
“Non mi sono tolta
la
camicetta, e comunque…”
“… so quando menti?”
“Oh, miseriaccia. Ti riporto dagli altri. Maledetta ragazzina
perversa …”
Lily rise.
****
Mare
del Nord, Norvegia.
Istituto
di Durmstrang.
Il mare del Nord faceva
paura.
Chiunque dicesse il
contrario
era un idiota.
Sören guardava il
mare
gonfiarsi ed abbattersi con violenza sulla fiancata della nave, pronta
a
salpare alle volte di Hogwarts. Avrebbero fatto parte
dell’equipaggio una
dozzina di ragazzi, la rosa dei candidati a concorrere al Torneo
Tremaghi. Lui
sarebbe stato tra di loro, come Sören Luzhin, studente
all’ultimo anno.
Si spostò
lasciando passare
una fila compatta di elfi domestici carichi di bauli. Un paio di
ragazzi, infagottati
nelle pellicce li seguivano dappresso: lanciò loro
un’occhiata. La
ricambiarono, ma distolsero subito lo sguardo.
L’influenza di suo
zio
arrivava fin lì: l’aveva infiltrato alla
perfezione. Il preside era stato
comprato con un ingente somma di denaro, e gli studenti erano stati
tenuti
all’oscuro, salvo il manipolo di papabili campioni.
Ma
gli studenti migliori qui vengono considerati un
elite. Una casta chiusa. Obbediscono, non si fanno domande.
È
tutto ciò che mi serve.
Si guardò
attorno: il castello
era un fortino di alabastro nero, dalle guglie appuntite sembrava un
gigantesco
falco pronto a spiccare il volo. Per sette anni quella era stata la sua
casa.
In
un certo senso lo è stata…
Praticamente era stato come
vivere nel castello degli Hohenheim. Anche lì veniva
guardato con timore e
diffidenza. Gli stessi professori, conoscendo o intuendo chi si
nascondesse
dietro il cognome che suo zio gli aveva fatto adottare, lo
avevano sempre trattato come un figlio d’arte.
Nipote
d’arte…
Lanciò uno
sguardo al piccolo
elfo che cercava, senza molto successo, di caricarsi sulle spalle il
suo baule.
Era stato incantato per
contenere molto più che la sua effettiva capienza, ed era
evidente che la
creatura non sarebbe mai riuscita da sola a issarlo sulla passerella
della nave.
Sentì qualcuno
alle sue spalle
arrivare di corsa, un rumore secco di stivali di cuoio.
Sentì il suo
corpo tendersi, e
ogni senso accendersi in allerta. Contrasse e decontrasse un pugno.
Non
c’è nulla di cui debba preoccuparmi adesso. Non
sono tra amici, ma perlomeno, nessuno qui sarebbe disposto ad arrecarmi
danno.
Gli si affiancò
un ragazzo che
indossava l’uniforme dell’istituto e aveva buttato
sulle spalle un mantello di
folta pelliccia di castoro. Un perfetto figlio del Nord.
“Levati dai piedi,
sudicio
inetto!” Sbottò quello, tirando un calcio
all’elfo, che crollò a terra in un
lamento. Si voltò poi verso di lui, con un sorriso deferente.
Aveva il volto
scavato da cicatrici di vaiolo di drago e una barbetta appuntita: non
aveva un aspetto
propriamente gradevole.
“Sono Poliakoff, Herr No…”
Lo afferrò immediatamente per la gola prima che potesse
finire. Era una cosa
buona avere sempre la guardia alzata.
Quando
si incontrano certi incauti imbecilli…
“Pronuncia ancora
quel cognome
e sarò costretto a buttarti in mare…”
Sibilò lentamente, in modo che capisse.
“… Ti chiami Kirill, se non mi sbaglio.”
Il ragazzo annuì,
con un lampo
di paura negli occhi. Quando lo lasciò andare
tirò un respiro secco e gli tese
la mano. “Sarò il suo tramite… Il
preside mi ha informato di tutto. Divideremo
la cuccetta durante il viaggio e…”
“Spero per te che non russi. Detesto i rumori mentre
riposo.” Lo interruppe.
Poi fece un cenno con la testa. “Il mio baule?”
Il ragazzo assunse un’aria stolida, quasi indignata.
Dall’anello d’oro che
aveva al dito mignolo era probabile fosse un nobile.
“… il suo baule?” Chiese
infatti, come se fosse un’incomprensibile barzelletta.
Sören
inarcò un sopracciglio.
“Il mio baule. È stato incantato con un adduco
maxima², l’elfo non riesce a portarlo. Ci
pensi tu?”
Quello fece una smorfia, ma
annuì. “… Certo, Herr
Luzhin.”
“Chiamami
semplicemente
Sören.” Si passò una mano sulla manica
dell’uniforme. Era strano indossarla di
nuovo. Era strano tutto quello, semplicemente. Ma non era questo che
importava.
“D’ora in poi saremo compagni di
scuola…”
****
Note:
A voi l’ardua
sentenza. Questo
capitolo mette in piazza Lily. Spero piaccia.
1.
Qui la canzone.
2.Chiamato in italiano anche
incantesimo di estensione irriconoscibile.
Permette di ampliare lo spazio all’interno di un oggetto,
come una borsa o un
baule, o di una stanza.
|
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Capitolo 12 *** Capitolo XI ***
Come
al solito
vi ringrazio per le splendide recensioni e vi bacio tutti/tutte forte.
Per news
o aggiornamenti andate a vedere il gruppo su Facebook. ;)
@Simomart:
Grazie, mi fa
piacere che Lily non ti sia risultata forzata! Essì, il
fatto che sia una sorta
di telepate, ti assicuro che servirà in futuro. ;)
Sì, praticamente ha un
orecchino che le inibisce i poteri, senza interferire però
con la sua aura magica.
E togliendoselo ... beh, non se l'è mai tolto, quindi
neppure lei sa se
tornerebbe a sentire i pensieri oppure la cosa è finita con
la crescita, un po'
come la magia accidentale. Vedremo ;P Faccio il possibile per la
costanza,
anche se penso che ormai il lunedì sarà il giorno
di postaggio deputato. ^^
@Lu_pin:
Beh, diciamo
che l'ho inventato io, ma la telepatia da cui è stata
ispirata no di certo! XD
Dunque Soren è stato adottato da Hohenheim e di cognome in
effetti, fa
Hoheneim. Prince era il cognome di suo padre, che era fratello di
Eileen
Prince, la madre di Piton. L'ha ri-adottato perchè, molto
semplicemente, è un
cognome che non desta nessun sospetto, essendo quello di una famiglia
purosangue estinta da almeno vent'anni. ;) Spero di essere stata chiara!
@Agathe:
Tom è proprio
una pigna nel sedere, lo so! XD Mi fa davvero piacere che, nonostante
detesti
il protagonista, apprezzi tutti gli altri e mi segui... è
una soddisfazione,
come ti ho già detto per mail! ^^
@ElseW:
Mi fa piacere
che tu abbia colto Lily... hai proprio ragione, è
ossimorica! XD Ahahaah, anche
io ormai lo vedo come Al, ed è terribile, visto che sta
facendo film su film
(nel prossimo farà Dartagna, con i capelli lunghi!)
e Rose... beh, Rose
è una ragazza, e Sy è pur sempre Sy! XD
@Nicky_Iron:
Sei impagabile,
meno male che mi scovi gli errori, a volte ce li ho proprio sotto gli
occhi e
non li noto! T_T Beh, Lily è figlia di Ginny, alla fine
qualcosa avrà preso da
lei, e molto meno dalla sua omonima (troppo gattamorta per me XD)
Essì, la
prospettiva sarà più femminile d'ora in poi! ;)
@MissBlackSpots:Grazie!
Beh, sì, l'idea della LeNa è un po' ereditata
dalla classica della telepate, ma
penso che nel mondo magico siano più presenti e sopratutto
vengano viste come
una cosa naturale, no? ci sta tutto! XD E Soren... vedrai! ^^
@Idk:
Scusami, ma è
così complesso che non riesco a scriverlo tutto! XD E
darò spiegazioni anche
sul torneo... promesso!
@Lovermusic:
ma no, perchè!
Mi fa piacere risponderti invece! XD Tom è uno snob del
cavolo, e purtroppo
cerco di cambiarlo ma... sigh, non mi dà retta XD Soren e
Lily qui li vedrai,
promesso!
@Trixina:Grazie!
Per come
l'avevo sviluppata mi sembrava una conseguenza quasi naturale renderla
un po'
'speciale'... mi ha fatto piacere che abbiate visto questa cosa non
come una
forzatura! Le amiche di Lily saranno un po' png ma credo le
userò ancora!
Natale sicuramente lo metterò, se mi entrerà, ma
del resto, perchè no? XD Per
l'aggiornamento, giuro, faccio il possibile! T_T
@altovoltaggio:
allora
siamo in due ad essere logorroiche! Seriamente, una recensione lunga
è il
miglior balsamo dopo una giornata frustrante. Per la questione della
cicatrice…
grazie, non sai quanto mi fa piacere sentirtelo dire. Per il Torneo non
posso
dirti proprio niente… ma diciamo che su UN punto ci hai
azzeccato. Che poi è
quello focale. :P Ed evviva che ti piace Lily!
Temevo molto anche il tuo giudizio, tu che sei una
commentatrice così
attenta e puntuale. Ed era proprio questo che volevo, dare una nuova
visione
alla cosa. Per gli errori grazie per la segnalazione! :D
@Red_93:
Come promesso,
ecco la risposta! Poteva forse mancare? Mi hai scritto una recensione
enorme, e
già per questo ti va il mio imperituro affetto! XD Beh, che
dire… grazie per
aver notato che ho sudato sette camice per dare a ciascun personaggio
un’impronta
di ‘Casa’. Se avessi fatto Al un coraggiosissimo
eroe, sarebbe stato ridicolo. Lui
si muove per interesse personale principalmente, per quanto poi finisca
per essere
il salvatore pure lui! XD Per Hugo troverò qualcuno, ma nel
lungo periodo, per
ora non c’è niente di certo. ;) James/Teddy invece
è una delle coppie del fanon
che secondo me è più realistica. XD Quindi grazie
per aver apprezzato la mia
versione! Scorpius l’hai ben inquadrato, anche se odio
l’espressione, indossa
spesso una maschera… piano piano si capisce! :D E
Rosie… beh, è figlia di
Hermione ma non è Hermione, quindi è normale che
non abbia tutte le
caratteristiche che fanno Herm una wonder-woman. È anche una
ragazza cresciuta
all’ombra di due genitori famosi, due eroi. Non so se mi sono
spiegata bene… XD
Loki sì, sarebbe andato d’accordo coi gemelli
vecchio stampo. E Mike… io gli
voglio bene, anche se è un bell’agente di
disturbo. XD Sì, il dico e non dico è
da bastardi… ma… serve a tener desta
l’attenzione! XD Sono una stronza, lo so.
Riferirò comunque i complimenti a mia mamma. xD E per il
resto… no, il castello
che ha visto Meike NON è quel castello, è la
vecchia residenza. ;)
@hale_y:
Essì, Al è
decisamente più plateale, mentre Tom è il solito
frigidino. XD Il chiarimento
Mike-Tom ci sarà sicuramente, puoi giurarci. In seguito.
Ahaah, le scaramucce
Harry/Draco divertono anche me… e poi sono pur sempre un
fan-service. E
tranquilla, puoi continuare a chiamarlo Soldatino Soren, gli si addice.
XD
@Andriw9214:
Aaha, la RL
uccide, lo so bene! Eh, beh… Mike ormai lo conosciamo, lui
sperava… e invece!
XD Beh, in realtà Lily non si sforza granchè per
sembrare profonda, solo ogni
tanto ricorda agli altri che ha un cervello che funziona anche senza
pensare ai
ragazzi e ai suoi sogni di egemonia XD I fratelli per esempio lo sanno
bene, ma
Rose… beh, Lily ha un rapporto controverso con le ragazze
con un cervello! X)
Poi vedrai! Sì, l’orecchino può essere
tolto… è un po’ come un apparecchio per
i denti! XD
@AlexielFay:
Devo ancora
ringraziarti per le meravigliose recensioni che mi hai lasciato
puntualmente!
Purtroppo, causa tempo contato, non ho la forza materiale per
rispondere a
tutte, ma sappi che le leggo e le adoro!
Comunque
sì… Jamie deve imparare a
svegliarsi presto e Al Caposcuola (grazie per avermi corretto)
è… diciamo che
era una naturale evoluzione del personaggio. Non è un tipo
che aspira al
potere, ma se ce l’ha, ne gode i benefici e si adopra per far
funzionare le
cose. È una persona così, e poi mi
servirà in seguito per (oscuri) piani
futuri! XD L’orecchino ce l’ha ancora, ma non si
sa, proprio a causa di esso,
se i poteri sono scomparsi o meno. E grazie per le considerazioni su
Tom, sono
sempre puntuali e veritiere! Eeeh, il rapporto trai quattro serpeverde
la vedo
difficile che torni come prima… ma mai dire mai, ho una
mezza idea per Mike ;)
****
Capitolo XI
So stay there,
because I’ll be coming over
And while our blood’s still young,
it’s so young, it runs
And won’t stop til it’s
over, won’t stop to surrender…
(Sweet
Disposition, The Temper
Trap¹)
3
Settembre 2023
Hogwarts,
Dormitori maschile di Grifondoro.
Mattina.
Era il primo giorno
ufficiale
di scuola. Del suo ultimo anno.
Rose Weasley avrebbe dovuto
riflettere malinconicamente sul tempo trascorso, o semplicemente
limitarsi a
sospirare struggente al bovindo di qualche finestra, ma era troppo
occupata a
sbirciare la porta del dormitorio maschile del Settimo anno –
che poi era una
stanza, non una caserma – e aspettare che il penultimo
occupante si trascinasse
insonnolito giù per le scale.
L’ultimo era come
al solito
Scorpius.
Quando entrò, la
porta era
aperta, beccò il suo ragazzo in mutande.
Fin lì niente di
strano,
Scorpius da bravo purosangue altezzoso qual’era si faceva
attendere ogni
mattina per poter arrivare in Sala Grande, farsi ammirare, fare la
ruota e poi
finalmente fare colazione.
La cosa strana era
un’altra.
Lo trovò in
mutande che
cantava, con la radio sintonizzata sull’unica stazione della
WWN che trasmetteva
musica babbana.
Checché ne
dicessero i
puristi, gli adolescenti del Mondo Magico preferivano la musica
babbana, a quella
magica.
C’è
anche da dire che a Grifondoro tra i nati babbani e
chi ha almeno un genitore babbano è del tutto naturale che
la wrock non vada
granché. Molti la conoscono tardi, e non tutti apprezzano
sentirsi elencare
unguenti e incantesimi anche nella canzoni…
In ogni caso il suo ragazzo
stava letteralmente ululando
ispiratissimo un successo americano, guardandosi allo specchio, in
tutta la sua
beltà di muscoli pallidi da giocatore di Quidditch.
Lo osservò per un
po’,
trattenendo disperatamente le risate per godersi lo spettacolo di
vederlo
ballare: non che non avesse senso del ritmo, ma ballava come se fosse
da solo –
e pensava di esserlo in effetti.
Era esilarante.
Scorpius Hyperion Malfoy era
il Malfoy più atipico del creato: forse era come diceva lui,
forse i geni Black
si erano risvegliati dopo due generazioni di cinici frigidi
… Comunque stesse
la storia, genetica o meno, era fuori di senno come un balcone.
E lei lo amava per questo.
Anche.
“Scorpius…”
Lo chiamò,
ricordandosi che erano pur sempre due prefetti e avevano degli
obblighi.
Compreso rispettare gli orari.
“È
molto più di una sensazione, quando
sento quella canzone che erano soliti mettere alla radio…
moolto più di una
sensazione…!²”
Continuò imperterrito,
benché era certa che l’avesse sentita benissimo.
“Scorpius!”
Lo chiamò più forte. Quello si voltò
di scatto, con in mano la bacchetta dalla
parte del manico. Minimamente turbato si esibì in uno dei
suoi sorrisi pieni di
fascino. “Buondì biscottina!”
“Ciao scemo.” Gli sorrise, scuotendo la testa.
“Sai che per esibirti di fronte
alla platea dei tuoi amici invisibili sei in plateale
ritardo?”
“Inezie!” Esclamò, scrollando le spalle
e gettando la bacchetta sul davanzale
con quella grazia innata che gli permetteva di non fare mai danni ed
essere
sempre impeccabile. Il sorriso poi si tramutò in un ghigno
che Rose ormai aveva
imparato a conoscere bene.
“Oh,
no… Non ci provare!” Tentò,
indietreggiando. “Siamo in ritardo!”
Ovviamente non
venne ascoltata; venne anzi
presa di peso e scaraventata sul letto dal pazzo seminudo che
l’aggredì con un
bacio da favola.
Che,
naturalmente, fu costretta a ricambiare
per evitare problemi.
I
pazzi vanno assecondati, no?
La luce filtrava
prepotentemente dalle finestre della torre, illuminando tutta la
stanza. Era
una di quelle mattine luminose ed epocali, in cui senti che sta per
iniziare
qualcosa perché lo annusi nell’aria.
Probabilmente
c’entrava anche
il fatto che per quella sera erano attese le due delegazioni di
Beaux-Batons e
Durmstrang e il via ufficiale del Torneo.
Rose lo spinse via con
davvero
poca convinzione, puntellandosi con le mani al suo petto.
“Siamo in ritardo. E
siamo due prefetti.”
“Trovo profondamente ingiusto che nessuno di noi due abbia
avuto la carica di Caposcuola,
Rosie…”
“Ti ricordo che per quanto siamo zelanti nel nostro lavoro,
è già tanto che non
ci abbiano ritirato la spilla…” Sospirò
mentre Scorpius, imperterrito, le
infilava le mani sotto la gonna e le baciava il collo.
“Sono
triste.” Mugugnò contro
la sua pelle, facendola rabbrividire e facendole in contempo
dimenticare i
morsi della fame, mentre sorgeva un altro tipo di bisogno.
“Consolami.”
“Sei un maniaco. Vestiti.” Ricambiò
spingendolo via e facendolo ricadere
artisticamente indietro. Scorpius si buttò sul letto, ad
uomo vitruviano, con
un lamento.
“Non possiamo fare
del sesso
travolgente e poi fare i bravi
prefetti?”
“No, non funziona così…” Gli
diede un calcetto sul fianco, facendolo mugolare
di puro e fintissimo dolore. “Andiamo, Malfoy.
Colazione.”
“Preferisci della pancetta a me?”
Inarcò le sopracciglia, con grandi occhi tristi, come
tazzine da caffè, che un
po’ scalfirono la sua voglia di essere un gelido generale
prussiano. “Questo
potrebbe incrinare il nostro rapporto.”
“Sono devastata, ma è così. Senza lo
stomaco pieno seguire le lezioni sarebbe
del tutto impraticabile, ti ricordo.” Mantenne comunque la
linea, andando a
prendergli l’uniforme. Il baule di Scorpius era ordinato
quanto poteva essere
ordinata la teoria applicata del caos. Dopo un paio di attimi, tra
riviste,
libri, materiale scolastico, trovò la sua uniforme.
Accarezzò il cravattino
rosso-oro con affetto: tutti non davano uno zellino a Malfoy come
grifondoro,
ma il Cappello aveva dimostrato di non sbagliarsi anche quella volta.
Scorpius era il grifondoro
più
coraggioso e leale che avesse mai conosciuto.
L’altro, ignaro
dei suoi
pensieri pieni d’amore, si contorse sul letto frustrato,
prima di alzarsi in
piedi e pettinarsi i capelli con le dita.
“Odio
le regole.” Proruppe capriccioso. “Sono del tutto
sopravvalutate!”
“Se vuoi tornare all’epoca delle clave e le caverne
fai pure…”
“Sì,
con la mia magia sarei un
dio e avrei tanti babbane sexy e compiacenti al mio servi-ahu!”
Esclamò mentre gli venivano tirate le scarpe regolamentari.
Si massaggiò un braccio. “Era solo una teoria nel
campo dell’impossibile!”
“Non si sa
mai… è
precauzionale.” Gli porse l’uniforme, che
l’altro prese con un broncio
adorabile, se probabilmente non fosse stato tattico.
“Posso avere
almeno un bacio
prima di iniziare una dura giornata di studio?” Chiese
infatti, con un luccichio
pericoloso negli occhi.
Rose inarcò le
sopracciglia,
prima di ridacchiare e alzarsi sulla punta dei piedi per scoccargli un
bacio…
sulla guancia.
“Ehi!”
“Non hai specificato dove. Fila a
vestirti…”
“Agh.” Borbottò, marciando verso il
bagno. “Crudele despota!”
Rose rise di gusto, mentre
la
porta si chiudeva, certa che dietro di essa Scorpius stesse
ridacchiando al
pari suo. Era così il loro rapporto: lei era troppo
complessata per mettersi a
fargli dichiarazioni di imperituro amore, e lui troppo bisognoso di
esternare
per non sparare cavolate a raffica.
Era avere un equilibrio, ed
era una cosa giusta.
Anche
se c’è sempre quella piccola spina…
Serrò appena le
labbra,
chinandosi a cercare di mettere in ordine il baule.
La spina era la segretezza
del
loro idillio, avrebbe detto Scorpius per infarcire il discorso.
Cominciava a pesarle sempre
di
più, ed era una situazione in cui poteva dibattersi quanto
voleva, ma c’era una
sola possibile soluzione e l’atterriva più di ogni
altra cosa.
Ci
separerebbero. O ci odierebbero. Papà mi odierebbe.
Aveva un bel dire Albus che
suo padre prima o poi avrebbe accettato la cosa. Lì non si
parlava di una
semplice antipatia da padre geloso. Era un odio stramaledettamente
generazionale.
Sorrise appena, vedendo
l’album di fotografie che aveva scattato con Scorpius e gli
altri l’anno
scorso. Si rabbuiò quando vide che era protetto da
incantesimi.
Due
ragazzi che si frequentano normalmente non
dovrebbero
nascondere le foto in cui sono assieme…
Fece per chiudere il baule,
quando l’attirò una lettera. Era fuori dalla
scatola in cui Scorpius teneva
tutta la sua corrispondenza. Sembrava aperta da poco, forse la sera
prima a
giudicare dalla ceralacca ancora morbida negli angoli.
Era di suo padre, Draco
Malfoy.
…
e per
quanto mi riguarda, sai come la penso. Spero che tu stia attentamente
considerando le tue possibilità. Parlo come padre quando ti
dico che sono certo
che verrai selezionato, ma altrettanto certo che sarà una
competizione dura…
Rose deglutì
penosamente.
Allora era vero, quel pazzo voleva partecipare al Tremaghi!
Stupido
idiota!
Sentì dei rumori
provenire dal
bagno; Scorpius stava finendo di farsi la doccia, probabilmente tra
pochi
attimi sarebbe uscito. Lesse con la velocità della
disperazione.
…
tua
nonna vuole che ti ricordi che molto probabilmente Violet
farà parte della
delegazione di Beaux-Batons. Sai come devi comportarti.
Aspetto
una tua risposta, nell’attesa ti abbraccio.
Tuo
padre,
Draco.
Chi
diavolo è Violet?!
Sentì il rumore
della porta
che si apriva di scatto e presa dal momento non trovò di
meglio che ficcarsi la
lettera nella tasca esterna della borsa scolastica, lasciata
casualmente
aperta.
Scorpius uscì
vestito e con i
capelli ancora umidi, gettati con noncuranza all’indietro. Le
sorrise. “Ehi,
fiorellino. Colazione? Comincio a sentire i morsi della fame
anch’io…”
Rose non trovò di meglio che ricambiare, con una stupenda
faccia di tolla. “Sicuro…”
Com’è che ti devi
comportare con chi!?
****
Dormitori
di Serpeverde, Camera del Caposcuola.
Mattina.
Al al momento attuale adorava essere un Caposcuola.
Punto primo, la sua Casa era
composta da meno di una cinquantina di elementi, considerando il fatto
che i
Serpeverde erano da secoli la Casa meno popolosa di Hogwarts. Dopo la
Guerra
Magica le file non si erano affatto rimpolpate, visto che era rimasta
impressa
nella memoria collettiva il fatto avessero disertato la battaglia.
Al pensava che fosse del
tutto
naturale che degli studenti, per la maggior parte minorenni, avessero
avuto
paura decidendo di mettersi al sicuro.
Comunque, avere pochi
assegnati significava avere anche poco lavoro, sia come prefetto che
come Caposcuola.
Punto secondo, a Serpeverde
vigeva una rigida gerarchia per cui erano i prefetti ad occuparsi di
tutto.
L’anno prima Montague, fortunatamente diplomatosi, aveva
fatto galoppare lui e
Michel come purosangue da corsa mentre se ne stava mollemente disteso
sui
cuscini con la sua bella spilla.
Non che volesse in qualche
modo seguire le orme accidiose di Terrance, ma in ogni caso…
…
posso permettermi di dormire fino a tardi nella mia
meravigliosa stanza singola con bagno privato.
Infatti, dulcis
in fundo essere a Serpeverde voleva dire avere dei
privilegi.
E lui, per quanto poco
spesso
gli piacesse, era figlio del Salvatore.
Per
una volta potrei persino approfittarmene. In fondo
è solo una stanza singola. Meravigliosamente
singola.
Forse l’anno prima
si sarebbe
preoccupato delle malelingue. Ma aveva affrontato uno psicopatico, era
stato
rapito e quasi ucciso.
Al
diavolo, me lo merito!
Sorrise contro il cuscino,
nuotando con le gambe nell’enorme letto a baldacchino. Sapeva
che era già
abbastanza tardi, ma poteva permettersi ancora cinque minuti. La sua
stanza era
all’imbocco dei sotterranei, proprio accanto alla Sala
Comune.
Sentì bussare la
porta.
“Sono a
colazione!”
“Stanno andando a fuoco i sotterranei,
Caposcuola…” Disse una voce che non lo
avrebbe ingannato neanche tra un milione di anni.
“Tom, quando vuoi
farmi uno
scherzo potresti almeno cercare di essere
credibile…” Mugugnò, riemergendo dai
cuscini per vedere il proprio ragazzo appoggiato allo stipite della
porta, già
completamente vestito, con tanto di mantello allacciato.
Doveva ammetterlo, Tom era
uno
spettacolo, se ti piacevano tenebrosi e praticamente inespressivi.
“A colazione,
eh?” Ironizzò.
“Vedo.”
“Pensi che possa farmela portare qui? Si sta così
bene…” Sospirò, rincuneandosi
nel caldo tepore delle coperte.
Una frazione di attimo dopo
se
le sentì strappare via, e lenzuola, cuscini e boccini di
peluche vennero
scaraventati dal lato opposto della stanza da un colpo di bacchetta.
“Tom!”
“Cerco di farti abbassare la cresta.” Disse, con un
ghigno maligno. “Mi
ringrazierai un giorno, credimi…”
“Ti odio, ridammele subito!” Strillò,
sentendosi oltraggiato e congelato,
mentre si portava le ginocchia al petto.
Tom rise. Non rideva mai
apertamente
come poteva fare James, o Lily… o chiunque altro, a ben
pensarci. Era più un
mormorio basso, il suo.
Gli si conficcava nel petto
e
gli faceva sentire lo stomaco annodato e uno strano calore al basso
ventre.
Cacchio.
“…
Perché non mi dai una
sveglia come si deve scaldandomi, magari?” Suggerì
sentendosi le guance
avvampare, ma finse come al solito nonchalance.
Tom gli lanciò
un’occhiata,
poi chiuse la porta alle sue spalle, sempre con la bacchetta.
Credo
che per un po’ la userà anche per lavarsi i
denti…
“Se proprio
devo…” Finse noia.
Male, per giunta, dal luccichio di interesse maniaco che aveva negli
occhi.
“Oh, come se non
volessi darmi
il bacio del buongiorno…”
Tom non rispose, sedendosi
sul
letto e tirandoselo contro, schiena contro petto. Al aveva scoperto che
essere
abbracciato da dietro, anche al di fuori del sesso, era una delle cose
più
belle del mondo.
“Sono freddo,
Al…” Gli disse.
“Lo sono sempre stato, non troverai tanto giovamento,
temo.”
“Non mi importa. Non mi piaci perché emani
calore.” Rimbeccò, voltandosi e
dandogli un bacio a stampo sulle labbra. “Né
perché sei simpatico, a dirla
tutta.”
“Mh.”
Replicò poco impegnativo.
Notò in quel
momento che era
rigido e aveva la mascella serrata.
Si ricordò
improvvisamente che
Tom divideva ancora la camera con Michel e Loki. La sera prima era
troppo
insonnolito e distrutto per fare mente locale, e gli aveva
semplicemente dato
la buonanotte prima di infilarsi nella sua nuova, fichissima, camera.
“Com’è
andata stanotte?”
“Bene.” Gli fece un grattino sulla pancia, con
l’intento di distrarlo. Quasi ci
riuscì, visto che Al cominciò a spalmarsi su di
lui, non del tutto
consapevolmente, come un gatto.
Merda!
Sa che adoro che mi tocchi lo stomaco… Dannati
ormoni! Dannato testosterone!
Dannato!
“E
stamattina?” Riprese
coscienza, sciogliendosi dall’abbraccio e mettendoglisi di
fronte.
“Bene.”
“Cazzate.”
“Al…”
“Tom?”
L’altro sospirò, e poi si arrese
all’inevitabile terzo grado. “Zabini non mi
rivolge la parola. Loki è sempre stato un tipo poco loquace.
La situazione è
piuttosto… tesa. Si sente la tua mancanza
…”
“Mi dispiace…” Si morse un labbro.
“Dovreste parlare.”
“Io e lui ormai siamo oltre ogni possibile rappacificazione.
È passata troppa
acqua sotto i ponti.”
“… però…”
Al, senza false modestie,
sapeva di rientrare nell’equazione che aveva fatto peggiorare
i rapporti trai
due. Tom era geloso e Mike infatuato di lui. Erano un confringo
pronto ad essere esploso.
Non che la situazione gli
facesse piacere. Ci aveva provato, ma ormai la sapeva più
lunga che mettersi in
mezzo tentando di farli ragionare.
“Forse hai
ragione…”
“Ce
l’ho.” Confermò, poi esitò.
Dietro il suo sguardo pressante alla fine si decise a parlare, anche se
a
malincuore. “Tu e Zabini siete… amici.”
Stimò lentamente. “È una cosa diversa.
Io non tengo a lui e lui non tiene a me. Voi
avete bisogno di chiarirvi.” Concluse pacato, prima di
alzarsi. “Ora comunque
non è il caso di parlarne. Sei in ritardo.”
Al si rese conto in quel
momento che, effettivamente se Tom era completamente vestito. Aveva
anche la
borsa con i libri, gettata indolentemente a tracolla.
“… Quanto tardi?”
“Sono le otto e un quarto.”
“Per tutti i troll!” Sbottò prima di
schizzare in bagno, tirandosi dietro la
porta. “Potevi venire prima!”
“Questa
è una cosa che non mi
hai mai detto.”
Ci fu un attimo di silenzio mentale.
“Sei un
pervertito!” Si sentì
in dovere di strillargli contro, prima di rinchiudersi in bagno per la
preparazione mattutina più veloce della storia.
Tom sorrise, scuotendo la testa mentre si sedeva di nuovo sul letto:
stuzzicare
Albus rimaneva una delle cose che più riusciva a rilassarlo
al mondo.
Comunque…
Di andarsene in Sala Grande
per
conto proprio non se ne parlava.
Si rigirò la
bacchetta tra le
dita.
C’erano sguardi
per lui, e
sussurri. Poteva fingere che non gliene fregasse nulla, ma sapeva in
fondo che
non era così.
Era stanco delle attenzioni
altrui: diversamente dal precedente proprietario della sua anima, si
era
scoperto disgustato dalle luci della ribalta.
Non
è così che voglio vivere…
In realtà non
sapeva come fosse
stato realmente Voldemort prima di perdersi nel vortice della sua
stessa follia
omicida, né tantomeno sapeva come fosse la sua vera
famiglia. Quello di cui era
certo era che non sarebbe diventato un condottiero. Non aveva
l’empatia
necessaria per trascinare folle.
Al
diavolo. La gloria eterna la lascio agli idioti che
hanno bisogno di applausi per vivere.
Fece una smorfia, guardando
la
porta ben chiusa.
Ci sarebbe voluto un
po’ prima
che le voci su di lui si spegnessero. Naturalmente il Torneo, come
preventivato
da Al, aveva distolto molto l’attenzione da lui. Ma non del
tutto.
Sperava
nell’arrivo delle
delegazioni, a quel punto.
Chiuse gli occhi, ascoltando
il rumore continuo e tiepido della doccia che si stava facendo Al.
D’ora
in poi voglio vivere tranquillo.
Sperò che
pensandolo non
avrebbe ottenuto l’effetto contrario.
****
Scozia,
Lago Nero.
All’interno
del vascello di Durmstrang.
…
poi Hrothgar, parlò: Riposo? Cos’è il
riposo? Il
rimpianto è tornato.
Beowulf, figlio di Ecgtheow, parlò: Mio saggio sire, non
pianga. È sempre
meglio vendicare quelli che a noi sono stati cari, vivere in questo
mondo
significa attendere la nostra fine³…
“Emersione tra tre
minuti!”
La voce diffusa magicamente dentro la cambusa fece scattare in piedi
molti dei
ragazzi lì riuniti, chi preso da una partita a scacchi, chi
nelle chiacchiere
dell’attesa. Molti si precipitarono nelle proprie cuccette,
per riordinare i
pochi effetti personali in vista dello sbarco. Alcuni rimasero, e tra
questi
Sören.
Non alzò lo
sguardo dal libro
che stava leggendo. Si limitò ad assicurarsi di non essere
in dirittura di
nessun oggetto contundente; le immersioni del vascello potevano essere
piuttosto traumatiche, se non vi si era abituati. O semplicemente
avvertiti.
A lui era già
capitato una
volta di assistervi come parte dell’equipaggio, per una
conferenza di magia
internazionale a cui aveva partecipato quando era al sesto anno.
Non riusciva quindi a far
parte della chiara aspettativa che animava gli altri compagni.
Poliakoff, accanto a lui,
sembrava
elettrizzato. Aveva già indossato la divisa di gala.
“Tra poco saremo in
Scozia, ad Hogwarts… dicono che le streghette inglesi
abbiano il sangue più
caldo di quanto non si pensi! Ti dirò, non vedo
l’ora di conoscerne qualcuna…”
“Non mi interessa…” Lo tacitò
con aria annoiata. Di certo non era lì per far
conquiste.
Sarebbe già stato
tanto se fosse
riuscito ad avvicinare quella ragazzina. La sola idea gli stava facendo
venire
l’emicrania.
“Ah,
giusto… beh, tu sei qui
per…” Ad una sua occhiataccia si zittì,
poco prima che il contraccolpo della
nave che emergeva dalle acque lo facesse quasi sbalzare dalla panca.
“Dannazione!” Sbottò.
Sören
ghignò appena sotto i
baffi.
“Sembra che siamo
arrivati ad
Hogwarts…” Disse invece alzandosi. Mise un segno
alla pagina, prima di
incamminarsi sopracoperta, sordo al richiamo dell’altro
ragazzo.
Si appoggiò al
parapetto
mentre la superficie del Lago Nero – gli avevano detto si
chiamasse così, anche
se era in realtà un sistema di laghi comunicanti –
gli appariva come uno
specchio d’ossidiana.
Hogwarts era di fronte a
lui,
un imponente castello scozzese illuminato da tanti piccoli fuochi,
finestre.
La magia sembrava espandersi
nell’aria come una brezza fresca e rinfrancante, dopo tutti
quei giorni passati
a respirare aria viziata.
Poliakoff gli si
affiancò,
respirando a pieni polmoni. A quanto sembrava, aveva notato anche lui
la
differenza.
“Questo
posto… è magico.”
Disse, e Sören si trovò d’accordo con
lui.
Per quanto non avesse mai
calcato il suolo britannico sentì un’inspiegabile
stretta al cuore.
Nostalgia.
Nostalgia
per un posto in cui non sono mai stato… È
forse possibile?
Quella era stata la culla di
parte del suo sangue, dei Prince. Forse era per quello.
Ma in cuor suo, non era del
tutto certo che fosse così.
****
Hogwarts,
Sala Grande.
Ora
di cena.
La Sala Grande era stata
tirata a lucido come non mai.
Gli stendardi delle Case beccheggiavano magicamente, come sospinti da
una dolce
brezza e agli hogwartsiani era stato ordinato di indossare
l’uniforme.
Serpeggiava un senso di
attesa
e trepidazione tra le quattro tavolate: le voci si frapponevano
l’un l’altra
creando un brusio a malapena contenuto dagli imponenti muri di pietra.
Stava per darsi
ufficialmente
il via al Torneo Tremaghi.
“Per la barba di
Merlino,
Lils, hai visto là?” Indicò Hugo,
spenzolandosi dalla panca con la cravatta che
minacciava di strangolarlo. Lily distolse l’attenzione dalle
chiacchiere delle
amiche: davanti alla tavola dei professori era stata posata, subito
accanto al
leggio del Preside, una struttura a piani, completamente dorata, che le
ricordò
una gigantesca torta nuziale: sembrava che tutta l’attenzione
della sala
gravitasse attorno ad essa.
“È il
calice…” Le spiegò il
cugino, dandole di gomito. “… e guarda tutta
quella gente del Ministero e… ehi,
c’è zio Percy!” Esclamò
sbalordito.
“Lo
vedo… è lì da dieci minuti
almeno.”
“Beh, io non
l’avevo notato!
Spero non noti me… verrebbe qui per rompermi
l’anima di sicuro.”
Rose arrivò,
affannata per la
corsa, cercando, senza un briciolo di disinvoltura, di non far notare
che
dietro di lei c’era Scorpius. “Oh, la coppa
è là dentro? Ah, ma c’è
anche zio Percy!”
“Non è
il Direttore del
Dipartimento di Cooperazione magica? Con due scuole straniere, deve
essere
qui.” Le fece spazio sulla panca Scorpius stesso, sedendosi
in scioltezza. “Ah…
quello con cui sta parlando è Anthony Rickett, Direttore del
Dipartimento Per i
Giochi e Sport Magici.”
“Certo che ne sai
di cose
sulla gente del Ministero!” Esclamò Hugo ammirato.
“Mio
padre.” Rispose l’altro.
“Mi farebbe ingoiare l’organigramma a memoria, se
dipendesse da lui. Per
fortuna ho un’ottima memoria.” Poi
ghignò divertito, notando che il ragazzino
era indeciso se sedersi o meno accanto a lui, memore forse delle
raccomandazioni primigenie paterne. “Non mordo,
Hughie… Guarda, ho rubato la
caraffa di succo di zucca solo per te.”
“Ah… grande!” Si convinse
immediatamente, sedendosi. “Ehi.” Soggiunse,
piantando i gomiti sulla tavola. “Voi chi pensate che si
candiderà? Per essere,
sapete, il campione di Hogwarts…”
Lily notò che Rose si era irrigidita con la naturalezza di
un blocco di
granito; Scorpius au contraire si
era
illuminato. “Chissà.” Disse
quest’ultimo. “Se mi ricordo bene, dovrà
per essere
per forza maggiorenne… quindi, solo dal Settimo anno in
poi.”
“Di sicuro
sarà un Grifondoro
o un Tassorosso… gente coraggiosa e leale,
insomma!” Proclamò Hugo con piglio
sicuro.
“Sicuramente.”
Confermò
Scorpius con un sorriso pigro. Rose gli scoccò
un’occhiataccia.
Scorpius
vuole candidarsi?
Ma
che sooorpresa…
Lily lasciò
perdere le
riflessioni sulla coppia. Lo sguardo le cadde verso la tavolata dei
serpeverde;
Tom e Albus erano seduti accanto, suo fratello a capotavola, in quanto
Caposcuola.
Tom gli stava dicendo qualcosa, e dall’espressione esasperata
e divertita di
suo fratello, dovevano essere oculate malignità.
Zabini e Nott erano seduti
lontani
però: a quanto sembrava Al non era ancora riuscito a
ricostituire il quartetto.
Con
tutta quella tensione sessual-emotiva che c’è
è
praticamente un’impresa titanica.
“Dicono che le
ragazze di
Beaux-Batons abbiano tutte
discendenze Veela…” Spiegava intanto Hugo ad un
esilarato Malfoy. “Te lo
immagini?”
“Hugo, no. Le Veela non spuntano come funghi,
sono molto rare!” Lo riprese
subito Rose, esasperata.
“Beh, magari in
Francia invece
non lo sono! Magari in Francia sono funghi.”
“Morgana benedetta…”
“Il ragazzo ha
ragione.” La
interruppe Scorpius, trattenendo una risata. “Sarebbe
fantastico se fossero
tutte ninfe meravigliose…”
“Sai come le
chiamavano in
Antica Grecia le Veela, Malfoy? Le arpie.”
Scandì Rose artica. “Si trasformavano in uccelli
con becchi acuminati e
strappavano il cuore delle proprie vittime per mangiarlo.”
Cadde il silenzio.
“Rosie, ferisci i
miei sogni…”
Mugugnò Scorpius facendoli ridere. “No,
seriamente, sai che il mio cuore
appartiene solo a te.”
Hugo fece una faccia schifata, fingendo di interessarsi al grado di
pulizia
della sua forchetta, peraltro immacolata.
Rose invece
arrossì. “Non
qui!” Sibilò allarmata.
“Mica ti ho
baciata,
caramellina, rilassati…”
La piccola lite fu spenta indirettamente dal Preside, che si
arrampicò alla sua
postazione; si puntò la bacchetta alla gola e, forte di un
incantesimo
amplificante, parlò.
“Attenzione,
studenti! Come sapete,
quest’anno, nella nostra scuola, si terrà il
ventennale dalla Battaglia di
Hogwarts… Abbiamo voluto celebrare quest’occasione
con la restaurazione della
più antica competizione tra le scuole magiche
d’Europa, il Torneo Tremaghi!”
Fece una pausa
perché tutti
potessero assimilare la notizia. Esplose un coro di mormorii e sussurri
eccitati che si spense solo ad un suo gesto imperioso.
“Per chi non lo
sapesse, il
Torneo Tremaghi è un’antica competizione che
chiama a raccolta tre scuole, per
una serie di gare magiche… verrà scelto un solo
campione per ogni scuola, e le
scuole in lizza sono l’Istituto Durmstrang,
l’Accademia di magia di
Beaux-Batons e, ovviamente, Hogwarts!”
Tom fece una smorfia, mentre
partiva uno scroscio di applausi entusiasti. “Certo,
celebriamo una battaglia
con prove che comprendono violenza fisica e psicologica. Lo trovo
sano.”
“Oh, sta’ zitto…”
Esclamò esasperato Al: a volte Tom aveva delle idiosincrasie
fulminanti e parimenti ingiustificate. Meike Wollin,
dall’alto dei suoi undici
anni, non aveva sbagliato a chiamarlo brontolone.
Lo
è.
“Hai pensato che
questa storia,
invece che un’opportunità per cementare
l’amicizia intercontinentale, non possa
essere piuttosto una manovra politica?” Continuò,
ignorandolo.
“E per
cosa?”
“Non saprei. Considera che è stata molto
pubblicizzata dalla Gazzetta. Forse il
Ministero vuole dare l’impressione che Hogwarts sia sicura e
non in mano a
psicotici rapitori. Cosa c’è di meglio di una
competizione che mette in luce
quanto esso collabori con altri paesi in pacifica
tranquillità?”
“Sei paranoico. E
anche
megalomane. Non gira tutto attorno a te.”
“Non
sono…”
“Sì invece.” Gli sorrise. “Ma
ti voglio bene lo stesso.”
“Era solo una
supposizione.” Brontolò
accettando il punto. Accettò anche la sua carezza sulla
spalla, anche se con la
tattica di un gatto che voleva farsi perdonare di essersi affilato le
unghie
sui mobili. L’aveva piuttosto spesso di quei tempi.
“E comunque voglio proprio
vedere chi sarà l’idiota a mettere il suo nome nel
Calice.”
“Penso lo vedremo presto…”
“… ma
avremo tempo per entrare
nel dettaglio del Torneo. Ora vorrei che deste un caloroso benvenuto
alla
delegazione di Beaux-Batons e alla sua preside, madame
Maxime!”
Hugo assunse
un’espressione
beota mentre il corridoio centrale veniva invaso da una dozzina di
ragazze dai
lineamenti sottili, racchiuse in uniformi color turchese, con un
vezzoso
cappellino appuntato sui capelli. Erano affiancate dai ragazzi, che
davano loro
il braccio.
Quello che era piuttosto
palese era la grazia e la bellezza di ciascun membro della delegazione.
Persino
i maschi sembravano essere stati accuratamente selezionati per non
sfigurare
accanto alle loro dame.
Che ci fosse una coreografia
studiata dietro o meno, il loro ingresso, accompagnato dallo
sprigionarsi di
piccole volute di luce che forse erano fate, fu salutato con mormorii
di
ammirazione e da applausi adoranti da parte della popolazione maschile.
Rose rifilò una
gomitata a
Scorpius. “Non. Sorridere.”
“È una paresi facciale, ti giuro fiorellino. Non
posso combatterla.”
Rose sbuffò,
vinta: poi sia
lei che Lily notarono che…
“Ehi Lils, ma
quella non è
Dom?”
Fu una sorpresa vedere la
cugina d’oltre manica: addosso a lei l’uniforme
sembrava bizzarra. Non perché le
stesse male, pensò Lily, ma…
Considerando
che l’ultima volta che l’abbiamo vista era
coperta da capo a piedi di terriccio e foglie per un appostamento
notturno …
“Merlino
benedetto, dove sono
i suoi anfibi?” Sussurrò infatti Rose, nascondendo
una risatina. Dom, che stava
sfilando accanto a loro, parve sentire la battuta. Si voltò
e fece una
linguaccia, prima di essere quasi trascinata via dal suo furente e
imbarazzato
cavaliere.
“È
proprio lei, non c’è
dubbio.” Confermò Lily.
“Vostra cugina?” Chiese Scorpius.
“Ragazza particolare. Ha un piercing al naso
o vedo male?”
“Vedi benissimo. Dovresti vedere i tatuaggi…
È strano che l’abbiano messa in
delegazione… Non è che sia il vessillo di
Beaux-Batons, ecco …” Spiegò
Rose guardandola con aperta simpatia,
cosa rara da vederle fare con una ragazza. “Ma è
tosta. Se mettesse il suo nome
nel Calice potrebbe essere scelta.”
Mentre la delegazione
francese
si sedeva alla tavola dei Corvonero – chissà,
forse per fare pendant con i colori
delle uniformi
- il Preside, dopo
aver salutato con
calore di una vecchia amica l’anziana Preside francese,
riprese la parola.
“E ora accogliamo
l’Istituto
Durmstrang!” Per essa non furono spesi aggettivi,
notò Lily.
Non era certo un mistero che
a
Durmstrang fossero mal tollerati gli incroci. Ma se i nati babbani
erano stati
ammessi, dopo la Seconda Guerra Magica, così non era stato
per gli ibridi.
Quale
Vitious è…
Le porte lasciarono entrare la seconda delegazione.
L’impressione che
quelli di Durmstrang fecero sugli studenti fu totalmente diversa.
Persino Scorpius smise di
sorridere.
Erano circa una quindicina,
tutti uomini. I primi della fila scortavano il Preside e sembravano
appena usciti
da un combattimento, rasati e con spalle coperte da una folta pelliccia
di
qualche animale siberiano. Ma erano le uniformi a fare maggiore
impressione:
erano color del sangue, della stessa foggia di quelle che poteva avere
un
soldato. Il Preside stesso, calvo e dalla barbetta caprina, sembrava un
generale.
“… solo
io sono spaventato?”
Pigolò Hugo, e l’espressione di Scorpius
sembrò comprensiva.
“E tu che avevi
paura di Dom…”
Ironizzò Rose.
Lily si sporse,
perché in
quella selva di grossi bestioni c’era qualcuno che le
interessava.
Sören doveva essere
lì in
mezzo.
“Ehi,
dov’è il tuo amico?”
Chiese infatti Rose, occhieggiando con quieto interesse.
“Non lo
so… dovrebbe…”
Poi lo vide.
Era impossibile non
riconoscerlo anche se al momento non gli venne proprio di ricordare la
foto che
gli aveva mandato due anni prima per fare adeguati paragoni.
Semplicemente lo
isolò dagli
altri e ne ebbe la certezza.
Era in fondo alla fila e
quasi
non si notava, essendo meno massiccio dei compagni: non era infatti
molto alto
ed aveva un fisico asciutto, agile. Non era neanche rasato, ma aveva i
capelli
che scendevano, lunghi e color della pece, ad incorniciargli il viso
magro. L’unica
cosa che lo accumunava agli altri era l’aria poco amichevole
e decisamente
marziale.
Per riassumere, non era
bello.
Era interessante.
Ed
è lui.
Se lo ripeté,
sporgendosi
dalla panca quando le passò a pochi metri di distanza: li
divideva solo il suo
compagno di fila, un tipetto brutto e con la faccia butterata.
A quel punto la
guardò. Per
essere più precisi, le piantò gli occhi in faccia
e Lily sentì, per la prima
volta in vita sua, qualcosa stringerle lo stomaco.
Aveva gli occhi
più neri che
avesse mai visto: assomigliavano al non-colore che si percepiva quando,
in una
stanza, dopo aver spento le candele gli occhi si dovevano abituare al
buio.
Non era del tutto certa
fosse
una sensazione gradevole. Ma neppure sgradevole; era una cosa strana.
Inspirò,
premurandosi comunque
di sorridergli.
Devo
farmi riconoscere, no?
Il
ragazzo non ricambiò il sorriso,
distolse piuttosto lo sguardo e tirò dritto.
L’unico segno che le diede fu un
leggero cenno della testa.
“È
lui?” Spiò Rose, che
probabilmente aveva notato lo scambio di sguardi. Lily si chiese se ci
fosse
qualcuno di fronte a lei che non l’avesse fatto. Le era
sembrato infatti che il
tempo si fosse congelato; qualcun altro doveva averlo notato, no?
“Sì…”
Confermò, mentre
lentamente il mondo ritornava a fuoco.
Sensazione
curiosa…
Rose la guardò in
modo strano.
“Mm-mh.” Si limitò a dire.
“Che
c’è?”
“Hai una faccia diversa …” Le
spiegò meditabonda, quasi neanche lei fosse certa
dell’aggettivo.
“Diversa da
cosa?”
Rose non rispose perché, con le delegazioni ormai sedute,
Percy Weasley ritenne
che finalmente fosse arrivato il suo momento, e sostituì
Vitious al leggio per
snocciolare indicazioni e regole con suprema soddisfazione. Rose
ovviamente ne
venne catturata come una mosca al miele: lei e lo zio avevano un
feeling
speciale, secondo Hugo fatto di puntigliosità e pallosità.
“… devo
ricordare che solo
maghi maggiorenni, di anni diciassette quindi, potranno partecipare al
Torneo.
Per questo motivo è stato apposto un incantesimo di
età attorno al Calice.
Chiunque sia minorenne …”
Lanciò
un’occhiata a Sören. Si
era seduto in mezzo agli altri, e sembrava, come quasi tutti,
educatamente
interessato alla sequela di regole e raccomandazioni.
Aveva qualcosa di diverso: per quanto gli altri fossero
tendenzialmente
torvi, molti di loro, finita la sfilata, si erano rilassati. Alcuni
guardavano
cupidamente il banchetto, altri ridacchiavano sottovoce. Un paio di
loro
stavano persino scambiando qualche parola coi ragazzi di Serpeverde, al
cui
tavolo si erano accomodati.
Il suo amico no. Non stava
degnando praticamente nessuno di uno sguardo. Era completamente
assorbito dalle
parole di suo zio Percy.
O almeno così
sembrava. Non ne
era del tutto certa, anche se era solo una sensazione.
Sì,
brava. Peccato che tu di sensazioni ci vivi da una
vita…
“…
è stata aggiunta inoltre una
nuova regola. Ciascun candidato avrà la
possibilità, diversamente dal passato,
di avere un assistente. L’assistente dovrà essere
necessariamente uno studente
maggiorenne, appartenente alla sua stessa scuola.
L’assistente sarà un aiuto
nello svolgersi delle tre prove, ma non potrà sostituire il
Campione in caso di
infortunio…”
“Ma non
c’era tutta quella
retorica pazzesca sul fatto che il Campione dovrebbe vedersela da
solo?”
Interloquì Hugo perplesso.
Rose scrollò le
spalle. “Credo
che sia una misura precauzionale intelligente, invece. E poi si sa
benissimo
che nelle edizioni passate tutti baravano per aiutare il proprio
Campione… Ti
ricordi che zio Harry ci ha raccontato che Krum e zia Fleur venivano
pre-avvertiti dai propri presidi? E che lui stesso ha aiutato
più di una volta
Diggory e viceversa? Praticamente hanno regolarizzato una prassi
già in uso…”
“L’assistente
verrà scelto dal
Campione con previa autorizzazione del suo Preside. Non
servirà che metta il
suo nome nel Calice…”
“L’assistente
quindi, se ho
capito bene, otterrà gloria momentanea…”
“Tom!”
“… magari una targa nella Sala
Trofei…”
“Sei un guastafeste!”
“Perché, ti piacerebbe attendere a questo
ruolo?”
“Neanche per sogno!”
“Ecco.” Sorrise Tom divertito, mentre
l’altro sbuffava sonoramente. Diede
un’occhiata complessiva ai loro nuovi compagni di tavolo.
Sembravano tutti
uguali, piccoli moloch di cemento ottusi, tranne…
Batté le palpebre
sorpreso,
quando vide che uno di loro, l’unico che non sembrasse uno
scimmione, fissarlo.
Sembrava anche lo facesse da un po’.
Gli sembrò di
conoscerlo. Di
averlo già visto, il che era ridicolo.
Non fu una bella sensazione.
“Che
c’è?” Chiese Al,
toccandogli un braccio.
Distolse lo sguardo.
“Niente…”
“… il
nome del Campione verrà
sorteggiato da una fonte imparziale, quale è il Calice. Ed
ora…”
Percy estrasse la bacchetta
e
in un attimo l’attenzione della sala fu di nuovo su di lui.
Con un lieve movimento della
bacchetta tramutò la struttura d’oro in un enorme
calice istoriato in cui
brillava una potente fiamma azzurra.
“Chiunque voglia
attendere al
Torneo dovrà scrivere il proprio nome su un pezzo di
pergamena e gettarlo nel
fuoco del Calice prima di venerdì sera a
quest’ora. Per usare le parole di
Albus Silente, non fate questa scelta con leggerezza. Il prescelto non
potrà
tirarsi indietro… ” Fece una pausa tutti, dagli
studenti ai professori,
sembrarono trattenere il fiato. “Signore e
Signori… Si dia inizio al Torneo
Tremaghi!”
****
Note:
Ormai penso sappiate in
lungo
e in largo com’è fatto Sören, ma per
maggiori informazioni è questo tipo
qui o
qui . Grazie per l’attenzione.
1.
Qui la canzone.
2.
I gusti musicali di Sy
3. Dal Beowulf.
Qui maggiori informazioni.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Capitolo XII ***
Mi spiace ma ha questo giro
non riesco a rispondere alla recensioni… sorry, ma ho la
laura della mia BFF
(tanto per americanizzare un po’ alla cazzo di cane) e devo
occuparmi che non
venga fuori un’orrore.
****
Capitolo XII
Calling all the stars to fall
And
catch the silver sunlight in your hands
I've waited for a thousand years
For you to come and blow me out my mind
(Lyla,
Oasis)¹
4
Settembre 2023.
Hogwarts,
Sala Grande. Ora di colazione.
Albus non sapeva chi sarebbe
stato il Campione di Hogwarts.
Seriamente, se avesse dovuto
dare un nome, probabilmente avrebbe balbettato nella confusione
più assoluta.
C’era una rosa di papabili, naturalmente, di cui si stava
vociferando da almeno
quarantotto ore.
Al momento non se ne
ricordava
manco uno.
In ogni caso, lui era
occupato.
Primo, ad organizzare turni di sorveglianza dei suoi prefetti, secondo
a controllare
che li rispettassero ed evitare il nonnismo sui primini – un evergreen in casa verde-argento. Non
indulgeva
nel confabulare al tavolo della colazione, dove era al momento, invece
di
essere peraltro già a lezione.
Non era del
tutto colpa sua: prima un paio di ragazze di Beaux-Batons lo
avevano fermato, vedendo la sua spilla, e gli avevano detto di essersi
perse. Aveva
dovuto accompagnarle fino all’aula in cui avevano lezione,
visto che non
riuscivano a decifrare l’orario.
Tom, che aveva auto-eletto
camera sua la loro camera, si era dileguato non appena avevano
attaccato
bottone.
Bastardo.
Essere Caposcuola, aveva
scoperto in quelle quarantotto ore, non era solo mollezze e privilegi.
Non
se vuoi farlo decentemente. È c’è
questo mio
stupido senso del dovere…
Come se non bastasse
l’altro
Caposcuola era un Tassorosso. Nulla da eccepire sulla Casa che aveva
ospitato
Teddy, ma Megan Bones dalle sue discendenze sembrava aver preso molto
poco.
Non che non fosse una brava
ragazza, gli era sembrata una a posto alla presentazione sul treno, ma
era
anche palesemente spaventata dall’eventualità di
dividere la carica con lui, un
Serpeverde, per quanto figlio del Salvatore. Sembrava essere molto
amata però,
dai suoi compagni di casa e dal resto della scuola.
Manderò
lei avanti per le pubbliche relazioni…
Per quanto avesse cercato di
vedere solo i lati buoni della sua nomina doveva ammettere che molti
sembravano
convinti che fosse dovuta solo ai suoi natali.
Beh,
nessuno sa che ho fatto l’anno scorso. Nessuno sa
di Fanny, né della Bacchetta. Meglio che continuino a darmi
semplicemente il
merito di essere un buon Cercatore…
Accanto a sé Tom,
sordo ai
suoi arrovellamenti interiori, stava imburrando una fetta di pane con
calma.
“Tom, lo sai che
è mostruosamente
tardi?” Lo apostrofò
trangugiando vitale succo di zucca: senza quello non riusciva ad
ingranare la
giornata.
“Per te, forse. Io
non ho
lezione, non ancora. Andrò a ripassare in
biblioteca.” Gli comunicò con sorriso
pigro. “E comunque puoi anche evitare di ingozzarti come un
ippogrifo. Gli elfi
delle cucine hanno l’ordine di tenere il cibo caldo sui
tavoli e rifornirli
finché l’ultimo studente non si è
alzato…”
“Come
lo…?” Cambiò approcciò.
“Dove l’hai letto?”
“In Storia di Hogwarts,
naturalmente.”
“La stai
ripassando spero…”
“No, la so a memoria.” Ironizzò
l’altro. Gli mise poi la fetta di pane
millimetricamente imburrato nel piatto.
“Beh?”
Gli chiese.
“È per
te. Io odio il pane
imburrato con questa quantità di marmellata di mirtillo.
È da glicemia.”
Replicò con aria infastidita.
Al gli sorrise, dandogli una
pacchetta sulla mano: Tom era matematicamente incapace di fare qualcosa
di
carino ed esserne contento. Doveva sembrare infastidito per mascherare
l’imbarazzo.
“Quando vuoi sei
dolce.”
“Non
sono dolce. Mi preoccupo che il tuo stomaco non cominci a
gorgogliare a lezione. Come ieri sera. Ha smontato tutta
l’atmosfera.”
“Ti
prego.” Inarcò un sopracciglio.
“Non mi sembra di ricordare che
ti sei smontato, Signor Dursley…”
Tom fece una smorfia, ma accettò il punto. “Non
eri in ritardo?”
“In effetti… ci vediamo a pranzo!”
Afferrò la borsa con i libri, fida compagna
di sette anni, più lisa e macchiata che mai e si
infilò la fetta di pane trai
denti. Non potendo comunicare altrimenti, gli arruffò i
capelli.
Tom si divincolò
irritato,
schiacciandoseli di nuovo visto che si erano rizzati in aria.
È
perché sono troppo corti…
“Sparisci.”
Sbuffò, prendendo
a suggere the con aria da lord e i capelli ancora dritti sulla nuca.
Al represse una risata e corse via. Prima di varcare il portone si
arrischiò a
lanciare un’occhiata alle sue spalle.
Tom era sempre
lì.
Bene…
Prima o poi gli sarebbe
passata quella stupida mania di controllare che non fosse scomparso di
nuovo.
Per il momento, decise, se
la
sarebbe tenuta.
Quando arrivò
all’aula di
Difesa Contro le Arti Oscure dovette bloccarsi a metà
corridoio.
Davanti alla porta infatti
c’era
Michel, con Loki: stavano chiacchierando, appoggiati indolentemente al
muro.
Bene,
non è così tardi allora…
A parte le sue
considerazioni
temporali, si sentiva a disagio. Sapeva che avrebbe dovuto parlare
all’amico,
glielo aveva detto persino Tom.
E
si sa che non è un grande fan della nostra
amicizia…
Ma non sapeva cosa dirgli.
La
realtà è che aveva sfruttato Michel: per tutto il
semestre prima si era
aggrappato a lui, al conforto che gli aveva dato e alle occasioni di
svago che
gli aveva servito in un piatto d’argento, tutto pur di non
pensare al suo
ragazzo scomparso letteralmente nel nulla.
Doveva parlargli, ma sapeva
che non sarebbe stato facile. Non lo aveva avvertito, non lo aveva
chiamato.
Doveva parlargli e non
trovava
il coraggio.
Ti
meriteresti un applauso Al…
Michel poi tirò
dritto,
sorpassandolo senza vederlo. Era una fortuna che non avesse scelto
quella
materia per i MAGO, come invece aveva fatto Loki.
Tirò un sospiro e
si apprestò
ad entrare. L’aula era stipata di persone, visto che la
delegazione di
Beaux-Batons seguiva le lezioni con loro avendo un programma scolastico
molto
simile. Era strano vedere tanto celeste in un mare solitamente nero di
uniformi.
Si aspettava quindi di
trovarci Dominique, loro coetanea, e non c’era.
Non si aspettava di
trovarci…
…
Lily?
“Ciao
fratellone.” Sorrise placida,
tra tre ragazzi francesi.
“… Non
sei un po’ piccola per
il Settimo?” La prese in giro, tirandole una ciocca di
capelli, quel giorno
acconciati in due codini.
“Ero qui per
vedere se c’erano
anche i ragazzi di Durmstrang, ma Rosie mi ha detto che fanno lezione
sulla
nave.” Borbottò, suonando stranamente seccata da
questo piccolo contrattempo.
Curioso,
considerando che è circondata comunque da
ragazzi…
“Il
loro programma accademico non coincide
con il nostro, praticamente non hanno una materia in comune con
noi…” Si inserì
Rose, già in prima fila, con un posto vuoto accanto a
sé e l’altro occupato da
un recalcitrante Scorpius.
“Mi sento nudo al
primo posto!
Io sono un tipo da ultima fila! A chi tirerò uccelli di
carta?” Piagnucolò,
prima di strizzargli l’occhio, dimostrando come al solito di
essere
perfettamente a suo agio in quella postazione.
“Silenzio.”
Replicò Rose. “Al,
piuttosto hai visto Dom?”
“No, si sarà persa forse… Vado a
cercarla?” Chiese, ben felice di aver qualcosa
da fare invece che rimuginare sulla sua capacità di rompere
amicizie annali.
Si voltò, senza
attendere
risposta, e si trovò di fronte Dominique, come se fosse
sempre stata lì.
“Buh!”
“Argh!”
Il conseguente urlo fu suo: odiava essere preso di sorpresa, lo
gettava in uno stato d’allerta totale.
La conseguenza successiva fu
che sbatté contro lo spigolo di un banco, perdendolo
l’equilibrio. Per fortuna
Lily, abituata alla sua scarsa coordinazione motoria, lo
tirò a sé in tempo per
farlo semplicemente semi-sdraiare sulla panca tra le risate degli
astanti.
“Dom,
ciao!” Rise deliziata
sua sorella. “Dov’eri? Ti sei disillusa!”
“Serve sapere
trucchetti del
genere, quando vivi in mezzo ai draghi, rossa…” Le
strizzò l’occhio, con un
lieve sorrisetto ad arricciarle le labbra.
Rose, in quanto suo perenne
supporto morale dall’età di due anni,
sbuffò. “Dom! Per le mutande di Merlino,
lo sai che Al detesta essere preso alle spalle! Sei sempre la
solita!”
Decisamente lo era: persino
in
uniforme era palesemente ovvio che Dominique Weasley non fosse una tipa
ordinaria. Lo dicevano i suoi piercing, i capelli innaturalmente color
argento
– anche se quella probabilmente era
la sua unica eredità Veela – e le lentiggini a punteggiarle
il naso. Non
aveva ereditato il fisico armonioso delle Delacour, ma la variante dinoccolata e
androgina Weasley. Il tutto, benché separato sembrasse
disarmonico, riunito le
dava quel tocco di assurdità che la rendeva affascinante.
A
modo suo.
Dom gli tese la mano,
tirandolo in piedi con energia. “Ciao Sissy, hai quasi
diciot’anni, dov’è la
tua barba?”
Al tese un mezzo sorriso,
ricordandosi che Dom aveva un modo tutto suo di dimostrare affetto: ricordarti soprannomi
orripilanti risalenti
alla tua prima infanzia era uno di quelli. “Sissy…
non lo sentivo da quando
avevo cinque anni…”
“Per me sarai sempre Sissy, anche se dai…
è vero, sei diventato un ometto!” E
qui gli diede una pacca sul petto da mozzare il fiato. “Ho
sentito che hai
fatto un bel casino l’anno scorso!”
“È stato un casino molto virile e sexy.”
Gli venne in aiuto, a modo suo, Lily.
“Davvero.”
“È stato un anno orribile, e non è
stato affatto sexy.” Puntualizzò Rose, a cui
piaceva Dom ma a piccole dosi e soprattutto non se lo prendeva in giro.
“Andiamo, Mamma
Oca.
Ammettilo. Sparizioni, rapimenti, omicidi e serpentoni sanguinari.
Gente, non
succede mai niente del genere in Francia! Avrei dovuto iscrivermi qui,
invece
che dare retta a maman e
Vic…”
Sbuffò, inarcando un sopracciglio quando notò
Malfoy, che la guardava con
l’aria esilarata di chi stava davanti ad uno spettacolo
circense di rara
bravura. “Lui è il
Malfoy?” Lo
scrutò, mentre Rose accanto a lui deglutiva.
“Perché ha l’aria simpatica? Non
dovrebbe, giusto?” Interloquì verso nessuno in
particolare.
“Sono un tripudio
di simpatia,
in realtà.” Le assicurò Scorpius, e Al
realizzò con divertimento che quei due
sembravano parlare la stessa lingua dell’assurdo. Rose
sembrò notarlo parimenti
e sembrare però un po’ meno contenta. “E
mi piace il tuo stile, bionda.”
“Biondo sarai tu!” Rise dopo una breve pausa
valutativa. “Rosie, Rosie… allora
le voci che circolano sono vere. Beh, buona scelta, sembra.”
“Quali voci?” Chiese inquieta. Poi
lanciò un’occhiata trafiggente a Lily.
“Lilian Luna Potter…” Scandì
con un tono che ricordò a tutti i cugini, con
brividi più o meno manifesti, Molly Weasley.
“Oops!”
Disse questa con
grandi occhi innocenti. Purtroppo non le riuscivano affatto,
stimò Albus. “Si è
fatto davvero tardi, devo andare a
lezione di… qualcosa. Addio!” Sussurrò,
strizzando l’occhio alla torma maschile
in silenziosa adorazione prima di schizzare via, con uno scatto niente
male per
una ragazza che odiava il Quidditch e qualsivoglia attività
fisica.
“Quella
stronzetta!” Ringhiò
Rose. “Ha spifferato tutto!”
“Non so se per tutto
intendi dire il
tuo piccolo ménage con
SimpaticoMalfoy…” Considerò meditabonda
Dominique. “Se può aiutare, si vede
lontano un miglio che state assieme. Appena gli ho sorriso hai
cominciato a ringhiare.”
“Cosa… Come?” Sussurrò Rose
disorientata mentre Scorpius rideva, dandole una
pacchetta sulla mano.
“La mia Rosie
è molto
possessiva.” Spiegò soddisfattissimo.
“Ma io sono fedele con tutto il mio cuore
al suo cuore. E a altri vari organi vitali.” Concluse,
scoccando alla ragazza
un’occhiata che era pura adorazione.
Rose arrossì e
gli sorrise,
seppur debolmente.
Al lasciò Dom a
stuzzicare la
coppia, sedendosi al suo posto e tirando fuori i libri di testo e le
varie
penne: era palese che Scorpius fosse contento di poter esternare
qualcosa il
loro rapporto a qualcuno, invece che dissimulare, rifletté.
Pensò a Rose, e a
quello che
gli aveva detto prima di salire sull’Espresso per Hogwarts.
Davvero
Scorpius è d’accordo con te sul continuare a tener
nascosto tutto?
Perché
non sembra…
Ma non lo disse,
perché non
erano affari suoi e Teddy era appena entrato in aula, con un sorriso
mite e una
grossa gabbia coperta, da cui provenivano gemiti agghiaccianti.
Gli occhi di Dominique si
illuminarono di gioia maltrattenuta, quando gli diede un calcio sotto
la sedia
per attirare la sua attenzione. “La nostra professoressa non
usa creature vive
per tenere le lezioni. Credo di amare Teddy. Anche se adesso pare che
sia gay.
È la novità dell’anno, no? Lui e
Jas… Da non crederci!” Fece una pausa
brevissima. “Comunque la sai l’altra
novità? Mi candiderò!”
“Direi che quasi me
l’aspettavo…”
****
Hogwarts,
esterno.
Ora
di pranzo.
Lily sarebbe dovuta andare a
lezione.
Probabilmente avrebbe dovuto essere seduta ai primi banchi, in
compagnia delle
sue amiche e compagne di Casa per la prima lezione di incantesimi del
suo
Quinto anno…
… ma quel giorno
il Fato aveva
deciso altrimenti.
No,
okay. Siamo onesti…
Aveva voglia di vedere
Sören,
e alla notizia che non avrebbe fatto lezione al Castello aveva deciso
che
sarebbe direttamente andata a cercarlo.
Questo era il motivo per cui
era sgusciata via dal portone centrale e adesso stava scendendo il
pendio che
portava al Lago Nero. La nave di Durmstrang era ormeggiata al molo.
Arrivata, salì
sulla
passerella di legno robusto e brunito. Il vascello, perché
era a tutti gli
effetti un vascello, era stramaledettamente imponente – come
avrebbe detto
Jamie – e piuttosto sinistro mentre scricchiolava e oscillava
davanti a lei.
Si sentì piccola
e
insignificante: probabilmente era questo l’effetto che voleva
dare.
A proposito di
insignificanza
si sentiva… irritata. Sì, irritata e con
Sören. Certo, aveva preventivato che
non le gettasse le braccia al collo o la salutasse con un allegro
sorriso…
A
quanto pare il loro codice deontologico non permette
espressioni facciali.
… ma un
po’ più di
considerazione quella sì, se la sarebbe aspettata!
Finita la cena del giorno
prima, gli allievi si erano alzati come un solo uomo, e guidati dal
loro
preside erano marciati via. Sören si era confuso tra di loro
ed era certa che non avesse neanche guardato nella sua direzione.
Devo
proprio sgridarlo!
La loro corrispondenza era
iniziata per gioco: due anni prima, nel terzo anno di Grifondoro, era
scoppiata
la moda dell’amico di piuma straniero e lei, reginetta di
ogni trend, aveva
dovuto primeggiare.
Si era quindi iscritta al
programma ‘conosci un mago straniero” e dopo aver
scartato una decina di
candidati da ogni parte del mondo aveva scelto Sören. Era
stato l’unico poco
invadente, che alla menzione del suo cognome non l’aveva
tempestata di domande
su suo padre.
Era un po’ come
scrivere su un
diario. Potersi sfogare. Avere un amico che abitava a centinaia di
miglia da
lei le aveva dato la possibilità di confidargli cose che
probabilmente non
avrebbe detto neanche ai suoi fratelli.
Confidarsi ad un estraneo a
volte era più semplice che ad un familiare. Nel tempo
Sören era diventato più
che un amico. Era diventato un simbolo.
E ora che lo aveva visto di
persona si era sentita… strana.
Vedendolo, era stato come se
la sua mente si fosse divisa in due: da una parte c’era il
ragazzo a cui aveva
scritto per due anni, una figura astratta… e
dall’altra Sören in carne ed ossa,
con quegli occhi penetranti e l’espressione dura.
L’aveva
riconosciuto subito,
ma non riusciva a smettere di pensare che…
…
che non me lo immaginavo per niente così…
Lanciò uno
sguardo complessivo
alla nave. Sembrava disabitata e gli oblò erano
ermeticamente chiusi, come le
vele ammainate.
Assomiglia
un po’ a Ren…
La passerella che portava
all’interno, però, era calata e permetteva
l’entrata.
Inspirò, e si
fece coraggio,
salendo. Dopotutto era solo una maledetta accozzaglia di architettura
marittima, con dentro delle persone vere, studenti, poco più
che suoi coetanei
e peraltro ospiti di Hogwarts.
Non c’era certo
nulla da
temere!
L’interno era buio
e con un
fortissimo odore di mare. Impregnava l’intero ambiente,
piuttosto umido a dire
la verità.
I
miei capelli!
Se li
toccò distrattamente, aspettando
che gli occhi le si abituassero alla luce fioca delle lampade.
Quando lo fecero,
l’interno si
dimostrò perfettamente in linea con l’esterno:
sembrava di essere nella pancia
di qualche mostro mitologico. Il corridoio era sostenuto da travi che
assomigliavano tremendamente a costole di una gabbia toracica. Era
spoglio, non
c’era neppure una suppellettile o qualche quadro ad
ingentilire l’ambiente.
Sembra
una nave da guerra… come i modellini babbani che
collezionava Hughie da piccolo…
Percorse il lungo corridoio,
cercando di capire esattamente come avrebbe fatto a trovare
Sören; non era
facile. Non c’era nessuno e, a parte lo sciabordio
dell’acqua contro la
fiancata e gli occasionali scricchiolii del legno, non si sentivano
altri
rumori. La nave era immersa nel totale silenzio.
Inquietante,
decisamente…
Il corridoio finì
in una
ripida scala a chiocciola che probabilmente avrebbe portato
sopracoperta o ad
un piano superiore. La nave era alta e stretta e lei era salita al
piano più
basso.
La percorse e
sbucò in un
ambiente più illuminato e decisamente meno tetro. Il legno
era più chiaro,
lucido e simile a quello inglese e gli oblò aperti davano un
po’ di luce –
anche se quella pallida e malaticcia delle mattine scozzesi –
all’ambiente.
Sentì anche delle
voci, anche
se sommesse, in una lingua straniera.
Non
sono mai stata brava con le lingue…
Misurò a cauti
passi il nuovo
corridoio. C’erano delle porte, alcune chiuse altre
semiaperte, tutte
ugualmente strette e dall’aria asfittica.
Lily capì di
essere finita nel
piano degli alloggi.
Ops…
se mi becca qualcuno… Beh, se mi becca qualcuno
che è uno studente magari posso farmi dire dove diavolo
è Ren!
Non c’erano
targhette alle
porte, magari per capire chi abitasse le cuccette.
Fantastico…
Qualcuno?
Si sentì battere
una mano
sulla spalla, e sobbalzò, voltandosi di scatto.
C’era un ragazzo
dietro di
lei. Non l’aveva sentito arrivare, troppo presa dai suoi
pensieri. Era il tipo
che aveva affianco Sören la sera prima. Aveva gli zigomi
pronunciati, tipico
tratto delle persone dell’est e il naso schiacciato,
ingrugnato in
un’espressione di diffidenza.
“Cuosa ci fai tu
qui?”
Articolò a fatica, distorcendo le parole per adattarle
all’accento.
“Cerco un
amico!” Replicò
pronta, esibendo il suo miglior sguardo da Bambi. Sbatté
anche le ciglia, e
dall’aria meno tesa dell’altro capì di
aver fatto centro.
L’aria
indifesa… un classico che non tramonta mai.
“Mi potresti
aiutare?” Gli
chiese anche, premurandosi di sembrare realmente bisognosa.
Nel
caso avesse voglia di chiedersi perché sono qui, e non a
lezione.
“Se tu cerchi
amico, magari
l’hai truovato…” Si fece avanti, con un
sorrisetto non esattamente gradevole.
Forse era per i denti gialli. O per il fatto che le stesse fissando le
tette.
Qualunque cosa fosse, Lily fece un impercettibile e strategico passo
indietro.
“No, cerco una
persona in
particolare. Ren… cioè, Sören.”
Si
corresse. “Potresti portarmi da lui?”
“Ora lui è occupato. Lascia che tenga io
compagnia…” Fu lesto a rispondere,
prima di fare un inchino che sicuramente era cenno di un educazione ben
radicata.
Sarebbe stato più atto allo scopo se non le avesse fissato
le gambe nel mentre.
Argh.
“Mio nome
è Kirill Poliakoff.”
E
il mio è arrivederci.
Ma non le sembrava carino
dirlo, così si limito ad un sorriso. Si era resa conto che
fosse una situazione
potenzialmente spinosa.
E
ora come ne esco?
“Senti
Kirill… Non fa niente.
Magari torno dopo…” Tentò, cominciando
a spaventarsi quando si rese conto che
il ragazzo le teneva volutamente
bloccato l’accesso al boccaporto da cui era salita.
“Che
sta succedendo?”
Non era un telefilm babbano,
ma l’entrata in scena di Sören fu
cinematograficamente tempestiva.
Si voltò
– perché tutti le
arrivavano alle spalle senza che se ne accorgesse?! – e si
trovò di fronte il
suo carissimo amico di penna.
Doveva ammetterlo: anche
l’uniforme ordinaria – era marrone scuro, color
bosco – gli sembrava cucita
addosso, come se non avesse fatto altro che indossare abiti dal taglio
militare
per tutta la vita.
Non era certa che fosse una
caratteristica di tutti gli allievi dell’Istituto,
però.
Al
povero Kirill sta tremendamente…
“Oh,
Sören! Inglesina cercava
te…” Nonostante il ghigno cameratesco Lily
notò che l’altro ragazzo era a
disagio: aveva le labbra contratte e lo sguardo era vigile, quasi ad
aspettarsi
qualcosa di spiacevole.
Uhm…
“Ciao
Ren!” Esclamò comunque,
sentendosi chiamata in causa. Sören inarcò le
sopracciglia, quasi non la
credesse capace di parola.
“Ciao.”
Replicò guardingo. Il suo
inglese sembrava migliore, a parte una lieve inflessione dura nelle
consonanti.
“Cosa ci fai qui, non dovresti essere a lezione?”
In due secondi aveva
scoperchiato i calderoni, come avrebbe detto sua nonna Molly.
Lily si limitò ad
un sorriso disimpegnato.
“Forse. Ma avevo voglia di vederti.”
Dichiarò spassionata. La sincerità pagava
sempre.
Dallo sguardo malizioso di
Kirill tipo capì che a Durmstrang però non era
una cosa valutata positivamente.
“Ah.”
Sören infatti sembrava
assolutamente preso in contropiede. “Ma l’accesso
alla nave è interdetto agli
studenti di altre scuole…”
“Non lo sapevo… La passerella era calata ed io
sono salita!”
Sören aveva un modo
di
inarcare un solo sopracciglio che lasciava trasparire moltissimo. In
quel
momento, era una vaga riprovazione.
Davvero
non lo sapevo! Beh, anche se l’avessi saputo…
Poliakoff invece emise
un’imprecazione. “Io lo ammuazzo Radescu! Era lui
ad occuparsi di questo!”
Ringhiò. “Devo andare… Sono ufficiale
responsabile. Fräulein…”
Si congedò con un ghignetto. Poi guardò di nuovo
oltre le sue spalle, sembrò
spaventarsi e si affrettò a calarsi nel boccaporto.
Lily si voltò e
vide che
l’amico fissava il punto dove l’altro era sparito
con aria assorta. “La vostra
lingua franca è il tedesco?” Gli chiese, tanto per
rompere il ghiaccio.
“Sì.”
Confermò l’altro,
riscuotendosi. “Poliakoff è russo, ad ogni buon
conto.”
“Sì, lo
immaginavo.” Mentì,
perché le loro inflessioni le sembravano uguali.
“A quanto pare sono entrata
per un errore umano…” Cambiò discorso.
Sören le
lanciò un’occhiata
penetrante e Lily sentì di nuovo quella strana sensazione
alla bocca dello
stomaco. Come se avesse bevuto un litro di caffè.
Per quanto non potesse
essere
definito bello, il suo sguardo era sicuramente degno di nota.
“Già.”
Disse. “Aspettami qui.
Ti riaccompagno a scuola.”
“Ma…” Tentò, e si
beccò un’altra occhiata: Sören era capace
di produrre sguardi
severi molto efficaci. Fu una delle rare volte in vita sua che
contemplò
l’importanza delle sue azioni. “Ho fatto tanto
male? Dico, a venire qui?”
Il ragazzo per un attimo
parve
voler confermare, poi invece abbozzò un sorriso.
“No… ma abbiamo delle regole
molto severe. Se il mio preside ti trovasse qui avresti una punizione.
Sono
certo che vorrai evitare tale eventualità.”
Lily represse un sorrisetto. Si vedeva, nonostante il buon accento, che
era
straniero.
Parla
come se si fosse ingoiato un libro di grammatica…
Di cinquant’anni fa, però.
“Voglio
evitare.” Confermò comunque. “Allora
ti aspetto qui!”
****
Hogwarts,
verso le serre di Erbologia.
Pomeriggio.
Albus fu acchiappato da una
mano invisibile appena uscì dal portone della scuola, in
direzione dell’ora del
professor Paciock.
“Argh!”
Urlò oltraggiato,
prima di rendersi conto che chi lo aveva tratto dietro il colonnato
laterale
era Rose. La guardò incuriosito, visto che aveva
un’aria piuttosto furtiva.
Ce
l’ha da ieri sera, a dirla tutta…
“Sei da
solo?” Chiese
squadrandolo dalla testa ai piedi come se potesse tirar fuori persone
dalla
tasca del mantello.
“Ehm…
Sì?” Batté le palpebre.
“Sono l’unico di noi che vuole prendere un MAGO in
Erbologia. Sai, il mio
percorso di studi per diventare un Guaritore?” Le chiese
retoricamente.
“Oh,
già, giusto…” Borbottò,
guardando dietro di lui. “Ti devo parlare di una
cosa.”
“Dov’è Malfoy?”
“Non viviamo in simbiosi!” Sbottò,
facendo chiaramente capire che il suo
ragazzo era parte del problema. “E comunque è a
Divinazione…”
“Segue Divinazione?”
“Sì,
dice che lì dorme come non
riesce a dormire da nessun’altra parte.”
Scrollò le spalle, come se fosse
perfettamente normale. Albus pensò che Rose, alla fine,
aveva accettato che si
poteva essere un po’ meno osservanti delle regole.
Probabilmente anche lì
c’entrava Malfoy, con la sua aria di perenne svagatezza.
Le
fa bene, comunque, essere meno rigida…
Il fatto che lo dicesse lui,
in quanto Caposcuola era un controsenso, ma…
Sono
un serpeverde.
“Okay…
quindi?”
Rose lo guardò con una buffa aria di profondo dilemma
interiore. Poi borbottò
qualcosa trai denti, si ravviò una ciocca di capelli,
l’unica che sfuggiva
dalla coda e frugò dentro le tasche della borsa. Tutto
assieme.
Un attimo dopo gli spinse in
mano quella che aveva l’aria di una lettera. Con il sigillo
dei Malfoy.
“Rosie, ti hanno
forse
minacciato?” Chiese preoccupato. “Vi hanno
scoperti?”
“No, per tutte le sottane di Merlino!”
Negò con forza. “No, solo… tu
leggi!”
Al inarcò le
sopracciglia,
sentendosi piuttosto spaesato. Ma l’aria della cugina era
tormentata ed
incerta.
Doveva assolvere al suo
dovere.
Lesse.
Caro
Scorpius,
Spero
che
il viaggio sia stato piacevole. Come ti ho già detto a casa,
questo è il tuo
ultimo anno, ed io e tua madre ci aspettiamo molto da te…
Alzò lo sguardo
immediatamente. “Rosie, questa lettera è da parte
di suo padre… ed è per Scorpius!”
“Dimmi qualcosa che non so!” Ironizzò,
mordicchiandosi un labbro. “Continua a
leggere!”
“Stiamo leggendo la sua corrispondenza privata!”
Malfoy sembrava un tipo alla
mano, ma era piuttosto noto che avesse uno spiccato senso della
privacy. L’idea
di farlo infuriare non gli arrideva particolarmente.
Rose corrugò le
sopracciglia,
mentre le orecchie le diventavano curiosamente rosse. “Vorrei
ricordarti,
cuginetto, che tu hai fatto molto
peggio l’anno scorso. Vediamo… andare, da solo, a
salvare Tom?”
“Sì, ma era…” Ci
rifletté. Capì il punto. “Oh,
dannazione. Ma interrogato, negherò.”
“Leggi, razza di serpe!”
Continuò a leggere.
…
le
raccomandazione le hai già sentite, secondo tua madre,
quindi mi limiterò a
dirti quello che ti ho già accennato alla partenza.
So
che
vuoi mettere il tuo nome nel Calice di Fuoco e per quanto mi riguarda,
sai come
la penso. Spero che tu stia attentamente considerando le tue
possibilità. Parlo
come padre quando ti dico che sono certo che verrai selezionato, ma
altrettanto
certo che sarà una competizione dura. Non pensare che,
comunque, non abbia
fiducia nelle tua capacità. Ne ho, come sempre e da sempre.
“… ehm.
Vuole partecipare al
Torneo?” Distolse lo sguardo dalla lettera. Rose emise uno
sbuffo seccato,
anche se continuava a martoriarsi il labbro in un raro esempio di
masochismo.
“Sì, ma
non è questo che
volevo farti leggere… Va’ avanti.”
“Avrei lezio…”
“Avanti!”
Sbottò.
Al obbedì.
Non serve
dirti che dovrai portare onore alla tua famiglia nel caso tu venissi
scelto
come Campione di Hogwarts.
Considera
attentamente le tue amicizie, quindi.
Tua
nonna
vuole che ti ricordi che molto probabilmente Violet farà
parte della
delegazione di Beaux-Batons. Sai come devi comportarti.
Aspetto
una tua risposta,
nell’attesa ti
abbraccio.
Tuo
padre,
Draco.
Al capì
immediatamente cosa aveva
infastidito Rose, e sopratutto cosa l’avesse gettata in quel
panico aggressivo.
“Violet?”
Azzardò.
Sua cugina abboccò all’istante.
“Già! Chi diavolo è questa
stronza?”
“Non lo so?” Le ripassò la lettera.
“Senti, rimettila al suo posto. Se Scorpius
sapesse che l’hai presa e letta senza il suo
permesso… insomma, credo si
arrabbierebbe, no?”
“Certo che sì!”
“Quindi…”
“Quindi devo scoprire da
sola chi è
questa tizia, e perché suo padre vuole
accoppiarli!” Lo afferrò per le spalle,
con aria di assoluta urgenza. E conclamata paranoia.
Al sorrise, staccando le mani che lo artigliavano e prendendole tra le
sue.
“Rosie… dovresti avere un po’
più di fiducia in Malfoy. Lui sta con te.”
“Se succedesse a Tom tu saresti così
sereno?”
“…
Okay, cerchiamo di riflettere.”
Il suo problema era che Rose lo conosceva benissimo e in quanto a
gelosia
sapevano entrambi di battersela alla pari.
E
non che io faccia niente per combatterla.
È
una buona arma, tra parentesi, se usata come si deve…
“Va
bene.” Lo riportò al
discorso la ragazza. “So che hai una lista con tutti i
nominativi delle due
delegazioni. Sei un Caposcuola, so che ve ne danno una copia.”
“Sì,
ma…”
“Devi controllare se c’è una Violet, a
Beaux-Batons.” Concluse con piglio
sicuro. “Adesso.”
“Ma…” Al ebbe la distinta sensazione che
l’adorata cugina l’avrebbe schiantato
e se ne sarebbe impossessata da sola, se non l’avesse
assecondata. Non che
avesse paura di lei…
… no, a dirla
tutta, aveva paura.
“Okay,
okay… ma quando l’avrai
vista ti calmerai e andrai a lezione, lasciandomi frequentare la
mia!” Prese la
tracolla e ci frugò dentro.
“Ho
un’ora libera.”
“Merlino…” Soffiò trai denti,
tirando finalmente fuori la lista, che era poi
una semplice pergamena spiegazzata. “Accidenti,
l’avevo messa in fondo…” Gliela
passò, prima che potesse strappargliela dalle mani.
La capiva, comunque;
Scorpius
era il suo primo ragazzo, ed era ovvio e palese che se ne fosse
innamorata con
tutti i crismi di sorta. Era il suo primo
tutto; Al sapeva come questo contasse e facesse sbocciare
paranoie come una
brutta allergia.
Rose la scorse febbrilmente,
prima di emettere un leggero lamento. “Eccola qui…
Violet Parkinson-Goyle.”
“… che bel cognome.”
“Non scherzare!” Aveva gli occhi lucidi, e li
nascose malamente tirando su con
il naso. “Io…”
“… tu ne devi
parlare con Scorpius.
Magari senza fargli capire che hai letto la sua corrispondenza
privata.” Le consigliò
riprendendosi la lista. Le sorrise, cercando di infonderle un
po’ di coraggio.
“Avanti, lo sai che adora persino la terra su cui
cammini.”
“Devo andare. A dopo.” Fu la risposta. Prima che
potesse ribattere, Rose scappò
via, verso il Castello.
Era già tardi, e
non poteva
seguirla. Sospirò, incamminandosi verso le serre.
Sempre
problemi… Beh. Meglio questi di altri…
****
Hogwarts,
Biblioteca.
Ora
di cena.
Tom alzò gli
occhi dal libro
che stava leggendo. Il fatto che cominciasse a scordarsi di cosa parlava
poteva
essere segno che era ora di tornare in Dormitorio.
Aveva passato tutto il
giorno
a leggere, schematizzare, ripetere. Aveva trangugiato qualche
tramezzino a
pranzo, e poco altro. Aveva visto di sfuggita Albus e Lily, aveva
pranzato con
loro ma non ricordava di cosa avessero parlato.
Si sentiva la testa
scoppiare.
Probabilmente
è ora di andarsene…
Erano solo le sei
però. Anche
andando a cenare, ed era ritardo² per quello, gli restavano comunque
delle ore di studio.
Decise che le avrebbe svolte
in camera di Al; studiare con lui sarebbe stato diverso.
Meno alienante.
Sicuramente
più distraente.
Si accorse quindi tardi che
Michel Zabini si era accomodato al tavolo di fronte a lui.
Incrociarono gli
sguardi e l’altro ragazzo lo riabbassò subito,
con una smorfia.
Sapeva che faceva parte
della
sua espiazione, quindi radunò i libri, ne
infilò una buona metà in borsa e si
avvicinò.
Michel non alzò
lo sguardo
neppure quando era chiaro che gli stesse davanti.
“Zabini.”
Lo chiamò. “Michel…”
Aggiunse.
Quello finalmente si
degnò di
guardarlo, inarcando un sopracciglio. “Cosa posso
fare per te, Dursley?”
“Per me niente.” Non voleva sedersi, anche se forse
sarebbe stato considerato
un gesto distensivo.
Non era tipo da gesti
distensivi. Ed era già irritato.
Anche
se probabilmente non ne ho motivo…
“Per chi
allora?”
“Albus. So che sei arrabbiato con lui perché non
ti ha detto del mio ritorno…”
“E quindi?” Incrociò le braccia al petto
abbandonando piuma, pergamena e
svariati centimetri di compiti per casa. “Questo cosa
c’entra con te,
esattamente?”
“… Niente.” Dovette ammettere.
“Ma lui ti vuole bene, ed ha avuto un periodo
difficile…”
“Ma davvero…” Pronunciò atono
l’altro. “E tu come lo sapresti, esattamente,
visto che non eri qui?” Non gli diede il tempo di ribattere.
“Qui c’ero io,
Tom… ed ho visto il suo periodo difficile. Suppongo che tu
sappia che per tre
settimane non mangiava quasi nulla e la situazione è durata
finché non è finito
in infermeria e sua madre non ha minacciato di ritirarlo da
scuola.”
Tom sentì lo stomaco serrarsi in una morsa. “No,
non lo sapevo…”
“Sapevi allora che ha avuto incubi quasi tutte le notti? Che
ti chiamava nel
sonno e si svegliava piangendo? Che qualcuno doveva stare con lui
finché non si
riaddormentava?”
“No…”
“No, è
evidente di no.”
Concluse con un sorriso sprezzante. “Io invece sì. Ero con
lui, c’eravamo io
e Loki… ma soprattutto c’ero io.”
Tom serrò le labbra. “Dovrei
ringraziarti?”
“No.” Scosse la testa. “Dovresti farti da
parte.”
Tom istintivamente
cercò la
bacchetta dentro la tasca del mantello. La strinse, perché
se non l’avesse
fatto forse sarebbe stato peggio. “Non lo farò, e
lo sai.”
“Già…” Il sorriso di Zabini
si fece amaro. “Il vostro grande
amore. Non mi sembra questo
granché, a dirla tutta… Tu lo fai soffrire, e lui
dipende così tanto da te che
non riesce a fare a meno di ritornare e farsi male ogni
volta.”
“Non gli farò più del male.”
Si scollò dal palato. Nebulosamente capiva le
ragioni di Michel, capiva perché fosse preoccupato. Al suo
posto avrebbe fatto
lo stesso, come innamorato.
Ma c’era una parte
di lui, quella parte che non faceva
che urlare,
e ringhiare.
Eliminalo.
Fa’ in modo che non si possa più avvicinare
a voi due.
È
un pericolo. Sbarazzatene. Non farlo più avvicinare
ad Albus.
“Lo
credi davvero?” Sembrò quasi
leggergli nel pensiero il ragazzo. Prese i suoi libri e si
alzò, lanciandogli
una lunga occhiata. “Io non so chi sei, Dursley…
forse non l’ho mai saputo. Ma so
che sei pericoloso.” Strinse la
cinghia combattando i libri, e se li mise sottobraccio. “Non puoi
farne a meno. E
credimi, anche se tutti fanno buon viso a cattivo gioco… io
no. Io te lo dico
chiaramente. Era meglio se te ne restavi in Germania.”
“Non mi
interessano le tue
stronzate…” Sibilò, mentre sentiva la
presa sulla bacchetta farsi bollente.
“Immagino allora
che non ti
interessi sapere che ho
baciato Albus.” Non
aspettò la risposta. Si allontanò.
Tom aspettò che
il suo respiro
fosse tornato normale. Stava bene, non era un pericolo, e Zabini stava
mentendo.
Guardò il suo
mantello e si
accorse che c’era una larga, grossa bruciatura in
corrispondenza della punta
della bacchetta. La tirò fuori che ancora sprizzava
scintille verdi.
****
Note:
1. Qui
la canzone.
2.Ad Hogwarts, ma in
generale
nel mondo britannico, fanno cena molto presto. Secondo “Harry
Potter e l’ordine
della Fenice” la cena è servita circa alle cinque.
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Capitolo 14 *** Capitolo XIII ***
Ciao a tutte/tutti
… che dire,
ci risiamo! XD Mi dispiace per il ritardo, ma purtroppo questi sono
giorni
convulsi.
@Herys:
Ahaaha, Tom volante da una finestra, meraviglioso! XD Rose purtroppo
è
posseduta dal terribile demone della gelosia. Vedremo che casini
farà in
merito.
@ElseW: Ma
povero Poliakoff, che vi ha fatto? XD Rose…
combinerà un po’ di casini, ma
abbiate fiducia in lei (o nel fatto che a volte ragiona XD).
@Nicky_Iron:
Grazie, corretto! Rose è un po’ tutte
noi… chi non ha avuto una reazione di
grave paranoia all’idea che il proprio ragazzo sia nelle mire
di qualcun’altra?
Dom avrà abbastanza scene, ma vedremo…
@Simomart:
Essì, il rapporto con Mike è fondamentale. Come
mi hanno fatto notare, sono un
triangolo potenziale molto interessante, se non fosse che per il fatto
che
Albus è innamorato perso di Misantropia. Per il
resto… troverai tutto nel
capitolo seguente! XD Il ragionamento su Rose è perfetto, ma
non dico altro. XD
E per quanto riguarda il POV di Ren… accontentata!
@Idk: Al è il miglior
amico gay che
ogni ragazza sognerebbe. Purtroppo è gay però. xD
Penso che Rosie e Tom siano
troppo simili, di base, per piacersi davvero… e ricorda che
Tom è un discreto
misogino, se ci si mette. E poi, chi non pensa ad una Snevans T_T
@Agathe: Verso
le sei in realtà! XD Così dice la Row, ho
controllato sul primo HP che avevo
sottomano. Ricordati che sono inglesi e comunque il coprifuoco
è alle nove! Ren
putroppo non è il miglior attore del mondo… ma
questo forse non andrà a suo
svantaggio! ;)
@Lovermusic:
Dom è simpatica ma purtroppo io l’incesto tra
cugini proprio non me lo figuro…
meglio usare un Teddy! XD Ren è un orribile attore, concordo!
@Trixina: Non
preoccuparti, guarda io quanto ritardo faccio! Grazie per i complimenti
a Dom,
ero molto preoccupata di presentarvela così! ;) Per il resto
non posso dirti
niente, non spoilero!
@MissBlackSpots:
Purtroppo non posso darti spoiler, ma Mike continuerà a
rimanere in gioco,
anche se non posso dirti ancora come! ;) Grazie mille!
@AlexielFay:
Io adoro le tue recensioni, quindi non preoccuparti di essere prolissa!
:D Lo
so, Tom che fa il tenero è puro fan-service, ma essendo
anche io una fan della
coppia (il che ha del patetico, me ne rendo conto) non potevo non
metterli ogni
tanto. E quei due non saranno mai la coppia sdolcinata della saga.
Hanno troppo
sarcasmo serpeverde che gli esce dai pori. E poi sono due maschietti,
via! XD
Mike è… Mike, in tutto il suo splendore stronzo.
Ha le sue ragioni dopotutto, e
mi rendo conto che si sta formando un triangolo, ma che ci posso
fare… i
personaggi escono dalla mia penna e fanno quel che gli pare! XD Grazie
per i
complimenti!
@Hale_y: adoro
le recensioni chilometriche! :D Beh, quei due sono pulcinosi ad
oltranza, me ne
rendo conto. Anche Tom ha il suo coefficiente-tenero non indifferente!
XD E per
sapere le tue supposizioni su Mike… leggi il capitolo! ;D
Almeno qualcosa si
chiarirà! Per quanto riguarda Tom… cattivo Tom!
Non riesce a non fare lo psicopatico
bastardo, ogni tanto si deve sfogare povero caro. Su
Scorpius… non so se hai
letto Fiore di Cactus ma lì un po’ spiego il
ragazzaccio, anche se hai ragione
Sy si nasconde molto, anche se sembra Rose quella più
riservata dei due. E su
Violet… beh, vedrai! Sul torneo… no spoiler! :D
@altovoltaggio:
*_* Non preoccuparti, con questa recensione ti sei ampiamente fatta
perdonare!
xD Allora… per rispondere alle tue domande, Tom al momento
non sta frequentando
le lezioni, perché deve attendere metà settembre
per sostenere degli esami che
lo ammetteranno al Settimo anno. Avendo frequentato solo
metà del Sesto anno
dovrebbe essere bocciato, ma data la sua situazione particolare, il
Preside ha
deciso di fargli fare degli esami “riparatori”. Se
risulterà idoneo tornerà in
corsa per il Settimo, con solo due settimane di ritardo delle lezioni.
Spero di
essere stata chiara ^^. Al momento comunque, è nel
Dormitorio del Settimo per
semplice comodità. Dom… beh, io l’ho
descritta, ma non ho ancora trovato una
faccia soddisfacente su DA o siti simili. Dovrete aspettare. Comunque
mi fa
piacere che ti piaccia! :D Lily… beh, la tua riflessione
è interessante. C’è da
dire che lei ancora non conosce bene, di persona, Sören,
neppure quello della
lettera. Quindi è naturale che si interfacci con lui,
istintivamente, come fa
con tutti tranne che con la sua famiglia stretta (intendo i fratelli e
i
genitori, già vedi che con Rose non lo fa). Lily
probabilmente è guardinga
eccessivamente, ma spiegherò in seguito il perché
del suo atteggiamento
frivolo, anche se penso si possa essere intuito. ^^ Per quanto riguarda
il
pezzo della bacchetta… Il colore delle scintille che si
producono quando si
perde il controllo dipende dall’aura magica di un mago, a
quanto ho capito. Quelle
di Harry per esempio sono rosse e verdi (HP5). Quelle di Tom potevano
essere
diverse che da verdi? XD E per il resto… no spoiler! :D
@Andriw9214:
Ciao! :D Non preoccuparti, in quanto a ritardi penso di non battere
nessuno! XD
Dom non può essere antipatica… andiamo,
è figlia di Bill! :D Adorabile Bill…
Vic invece è una stronza, punto e stop. XD Rose è
la tipica ragazza la cui
gelosia la rende completamente cieca come una talpa, hai
ragionissima… ma
vedremo! ;D Grazie a te!
****
Capitolo XIII
You've
got your ball, you've got your chain
Tied to me tight, tie me up again.
Who's got their claws in you my friend?
Into your heart I'll beat
again…¹
(Crash Into Me, Dave Matthews Band)
4 Settembre 2023.
Hogwarts,
nei pressi della Porta Principale.
Pomeriggio.
Avrebbe dovuto dire qualcosa.
Sören Von
Hohenheim,
attualmente Sören Luzhin avrebbe dovuto parlare a Lilian Luna
Potter.
L’unica cosa che
gli veniva in
mente, avendola affianco mentre risalivano il pendio che riportava al
castello,
è che aveva la gonna troppo corta. E anche delle belle
gambe.
…
No, non credo possa essere un argomento da introdurre
in una conversazione.
L’aveva notata
perché era certo
che le gonne regolamentari delle studentesse di Hogwarts arrivassero
sotto le
ginocchia. Quella era palesemente sopra.
Aveva un attenzione
maniacale
per i dettagli, sin da quando era bambino: spesso gli era stato utile,
molto
spesso.
Adesso
non molto.
Lily si voltò
verso di lui.
Nella foto non si notava, ma aveva un perenne sguardo curioso,
interrogativo.
Sembrava sempre stesse per farti una domanda da un momento
all’altro.
“È una
bella giornata.” Le
disse, per dire qualcosa e perché si rifiutava di sentirsi
innervosito da quel
silenzio.
Purtroppo doveva ammettere
che
le sue esperienze con l’universo femminile erano
pressoché nulle. Negli anni di
Durmstrang non aveva frequentato molto i coetanei, e fuori
dall’Istituto aveva
consacrato la sua vita alla Thule, mente e corpo.
Suo zio si era occupato
della
sue educazione: nelle vacanze lo aveva affidato a tutori che gli
avevano
insegnato, oltre ad un nutrito parco di incantesimi, anche a lottare.
Era un
perfetto soldato, ma non aveva la minima idea di come far conversazione
con una
ragazza: naturalmente questo non l’aveva detto ad Alberich.
Non
che sarebbe servito a molto… Lui non ha mai avuto
questo tipo di problemi interpersonali.
Si
è sempre imposto.
“Molto
bella.” Convenne
l’altra con un sorriso, riscuotendolo dalle sue riflessioni.
“Però ora possiamo
andare avanti con la conversazione?”
“… Prego?”
“È la seconda volta che mi dici che è
una bella giornata, ed io ti ho risposto
che ne abbiamo avute di migliori.” Indicò il cielo
con un dito. Si stava
rannuvolando, di grossi nuvoloni gravidi di pioggia.
Dannazione.
“Io…”
Si sforzò di
tenere alla mente
la sua missione, il motivo per cui era lì. Avvicinarsi a
lei, stabilire un
contatto: non stava andando granché bene.
Avrebbe preferito di gran
lunga trafugare personalmente i Doni.
“Fate lezione
sulla nave?”
Sembrò venirgli in soccorso. “Perché
non usate le aule del castello come quelli
dell’Accademia?”
“Il nostro Preside ha deciso altrimenti. Trova che non sia
… opportuno…
sfruttare la vostra generosa ospitalità occupando anche i
vostri spazi.”
“Ah…
capisco.”
Lily – doveva
imparare a chiamarla
così anche nella sua testa – lanciò uno
sguardo in basso, verso il vascello. “È
piuttosto inquietante, sai? Quando si è lì dentro
sembra di essere dentro la
pancia di un pesce gigante o qualcosa di simile…”
“Un pesce gigante?” Il paragone gli
sembrò singolarmente calzante per una
ragazza che non aveva mai lasciato la terraferma.
“Sì, forse…”
Aveva studiato Lily Potter
grazie alle sue lettere: era l’ultima di tre fratelli, molto
legata alla
famiglia non aveva un grande interesse per la scuola, eccezion fatta
per Incantesimi
e per una materia che lui giudicava ridicola, ovvero Divinazione.
Dalle sue lettera aveva
evinto
che possedesse una certa ironia, ma tendente spaventosamente verso
l’auto-celebrazione.
Conosceva i suoi gusti in
fatto di vestiti, musica e persino il suo colore preferito.
Ma ora che se la trovava
davanti non aveva la minima idea di come usare tutte quelle
informazioni per convincerla
che erano amici e che si poteva fidare di lui.
Era come sapere il perfetto
funzionamento di un processo alchemico senza poi produrre un solo,
singolo,
grammo d’oro.
La teoria non era la
pratica,
questo lo sapeva bene.
A
quanto pare funziona così anche con le ragazze.
“Non sei un gran
chiacchierone…” Spiò guardandolo di
sottecchi. Si aspettava naturalmente di
stare annoiandola ma venne comunque punto sul vivo.
“Mi esprimo meglio
per
lettera.” Borbottò suonando troppo secco. Avrebbe
dovuto mordersi la lingua.
“Sì, vero.” Replicò mentre un
sorriso andava ad arricciarle le labbra. Non
aveva notato, in foto, che avesse le fossette. “Sai
Ren… te lo devo proprio
dire. Ti immaginavo diverso.”
Sören sentì contrarsi il muscolo della mascella:
una brutta abitudine che aveva
fin da bambino, quella di serrare i denti.
Naturalmente la sua
copertura
non sarebbe saltata così facilmente: aveva incantato la
lettera che le aveva
mandato, in modo che, toccandola, venisse attivato un confundus
leggero seguito da un potente incantesimo di memoria che
avrebbe cancellato dalla sua testa probabili foto spedite dal suo
omonimo.
Era tutto a posto.
Allora perché era
così
nervoso?
“Diverso in che
senso?” Le
chiese, simulando cortese sorpresa.
“Beh, in
realtà non so
spiegartelo…” Si arricciò una ciocca di
capelli sulle dita, pensierosa: li
aveva veramente rosso tiziano, non
era solo un gioco di luce della pellicola fotografica come aveva
pensato.
Oggettivamente, doveva
ammetterlo. Lily Potter era molto carina.
“Provaci.”
La incoraggiò.
“È come
se … non lo so… avessi
un’idea di te che poi… non coincide. Capisci che
intendo?”
“Certamente. Anche
io ti
immaginavo diversa.” Non era del tutto una menzogna, quella.
Non aveva molte esperienze
in
quindicenni, ma quelle che aveva visto ad Hogwarts e a Durmstrang erano
esattamente come si era sempre
immaginato: chiassose, con un’etica del branco impenetrabile
e fondamentalmente
ingovernabili.
Forse prese singolarmente
potevano persino risultare gradevoli, ma era strenuamente convinto che
tutti
quegli ormoni le rendessero instabili.
Non che Lily fosse
un’eccezione. Dopotutto si era infilata dentro la nave senza
chiedere
autorizzazioni e permessi solo per vederlo, per un capriccio.
Era la sua aria curiosa a
staccarla leggermente dalla massa. Si era accorto, quasi con
divertimento, che
quella ragazzina lo stava studiando.
Non era comunque il caso di
mettersi in allarme, e non lo fece: anzi, si sentì
più rilassato.
Questa
sua curiosità potrebbe tornarmi utile.
“In che senso
Ren?” Gli chiese,
sgranando gli occhi avidamente. “Hai una mia foto…
e voglio dire, le foto
magiche sono molto più dettagliate di quelle babbane. Tra
parentesi, sono
venuta bene.”
“È vero.” Non era difficile fingere se
la assecondava. La vanità era un ottimo
aiuto. “È solo che vedersi dal vivo,
parlarsi… interagire… dà sempre
un’impressione differente. La
cinestetica…” Esitò, forse avendo usato
una
parola troppo complessa.
“So
cos’è la cinestetica.”
Ribatté sorprendentemente, scoccandogli
un’occhiataccia. “Ho un fratello e un cugino che
parlano come se si fossero
ingoiati libri interi.” Inarcò le sopracciglia.
“E poi sei tu lo straniero, non
usare parole difficili!”
“… So parlare inglese.”
Lily rise vedendo la sua
aria
seccata, dandogli una pacca sulla spalla. Si irrigidì,
sforzandosi di ricordare
che il suo omonimo non era stato
addestrato per reagire ad ogni minima invasione del suo spazio
personale.
“Sei un
po’ troppo rigido, lo
sai?” Replicò ignara. “Ti stavo
prendendo in giro. In realtà la parli molto
bene. Sono colpita!”
“Parlo quattro
lingue.”
Ricordò compitamente. In realtà ne parlava il
doppio, senza contare quelle
morte, come il latino e il greco antico.
E
il saper leggere il runico.
“Lo so, lo
so… Ti è sempre
mancato il senso dell’umorismo, me lo ricordo.
All’inizio pensavo che non
capissi le mie battute per via della lingua…” Lo
prese sottobraccio con
naturalezza. Si ricordò di nuovo di non irrigidirsi o
tentare di scostarsi.
La realtà era che
nessuno, a
parte forse suo zio e la sua balia gli si era mai avvicinato
così tanto.
Sentiva il calore tiepido
del corpo
della ragazza filtrare dal suo mantello scaldargli il braccio. Sapeva
che era
fisicamente impossibile, ma lo sentiva.
Lily cercò il suo
sguardo. “Ti
dà fastidio?” Chiese.
E poi la sentì,
improvvisamente.
Un’intrusione
dentro la sua
testa, come se qualcosa gli scivolasse trai pensieri, toccandoli,
sfiorandoli
appena.
Com’era possibile
che una strega
così giovane sapesse già utilizzare la Legimanzia?
Se
di legimanzia si tratta…
“Non è
cortese leggere
nella mente delle persone senza avvertirle…”
Replicò sgarbato. La sorpresa
l’aveva messo in uno stato d’allerta che aveva
spazzato via ogni cortesia di
rito, per concentrarsi sull’ergere una barriera occlumantica.
La sentì
irrigidirsi contro di
lui.
“Non lo sto
facendo, non sono
capace.” Rispose improvvisamente gelida. O forse avrebbe
dovuto dire guardinga.
Sembrava confusa, e lo squadrava come se improvvisamente si trovasse a
braccetto con qualcun’altro. “Che ti viene in
mente?”
“Legimanzia. È quello che mi è sembrato
stessi facendo.”
“Beh, ti
sbagli.” Lily gli
liberò il braccio. La sensazione di essere letto scomparve,
come se non ci
fosse mai stata.
La
Legimanzia non funziona così. È un attacco,
un’aggressione.
Eppure
non sono pazzo, ho percepito che stava tentando
di leggermi i pensieri.
Se
non fossi un occlumante non me ne sarei neppure
accorto, ma dato che lo sono…
“Sai usare la
Legimanzia?” Le
chiese senza girarci attorno; se fosse stato vero, avrebbe dovuto
chiedere a
suo zio perché non era stato avvertito di un particolare
simile.
Ho
rischiato di far saltare la copertura… Se non mi
fossi difeso…
Lily inarcò un
sopracciglio. “Ti
ho già detto di no.
È magia troppo
avanzata per me.” Non aspettò che ribattesse.
“Torno al castello da sola,
grazie.” Detto questo, si incamminò senza
aggiungere altro.
Sören
mascherò un’imprecazione
a fior di labbra: non ci voleva un genio per capire che aveva sbagliato
qualcosa.
Ma
ho tempo…
Aveva un intero Torneo per
scoprire chi diavolo fosse Lily Potter.
****
Hogwarts,
Sala Grande, ora di cena.
Dominique Weasley si
riteneva
una tipa tosta.
E per questo era
l’unica degna
di essere il campione di Beaux-Batons. Progettava quindi di mettere il
suo nome
quella sera stessa, dopocena.
Sarò
sorteggiata.
Del resto conosceva le
alternative: Sylvie Azoulay, una pallida bretone con un pessimo
carattere e Mael
Delacour, suo cavaliere nella delegazione e cugino alla lontana.
Non conosceva bene
l’Azolauy,
ma sapeva che Mael non aveva la stoffa: era terrorizzato
dall’eventualità di
essere scelto, anche se fingeva il contrario. Erano stati i suoi
genitori, zia
Gabrielle e marito, a premere perché si candidasse nella
selezione interna. Era
stato selezionato perché, al di là dei
suoi attacchi da diva, in effetti era in gamba.
Oltre
al fatto che affascina tutta la popolazione
femminile dai tre ai settant’anni a causa di un atavismo
genetico che invece di
renderlo un sedicesimo Veela come me lo ha reso molto più
potente…
Al momento attuale il
ragazzo si
lamentava sottovoce, con lei, alla tavola dei Corvonero, ignorando
platealmente
le occhiate ardenti lanciategli dalle ragazze inglesi.
“Detesto il cibo
inglese… è
così grasso…”
Sibilò con uno sguardo
così affranto che un paio di tipe trattennero il fiato,
commosse. “E fa un
freddo micidiale, per giunta. Perché non ci hanno detto che
faceva così freddo?
La Scozia è orribile…”
“Se non la pianti
di
piagnucolare qualche inglesina vorrà farti da balia
scatenando un incidente
diplomatico… tieni a freno i tuoi poteri, ninfetto.”
“Sei solo
invidiosa perché sono
più Veela di te!”
“Sei anche
più femminile di
me, ma evito di fartelo notare…” Ghignò
facendolo indignare, ma con
l’attenzione già rivolta alla venuta di sua cugina
Rose, che incedeva con aria
marziale verso il tavolo dei Corvonero.
“Hai un
minuto?” Le buttò in
faccia, con cipiglio scuro.
“Adesso? Starei
cenando…”
“Come se non sapessi che in Francia si mangia più
tardi. Siete la metà al
tavolo. Mangerai dopo, vieni
con me, ti
devo parlare.” Lanciò un’occhiata a
Mael, che occhieggiava senza capire visto
il suo scarso inglese. “Non qui,
comunque.” Aggiunse, dopo un momento di imbambolamento.
Si
è ripresa subito però… Allora lo ama
proprio, il suo
Malfoy…
“Ma che
è, un’emergenza?”
“Codice Potter-Weasley.”
Dom ci mise più di qualche attimo a ricordare quel gioco di
ragazzini: a quanto
pareva trai suoi cugini inglesi andava ancora forte. Sospirò
divertita,
alzandosi e seguendola.
Solo quando furono lontane
dalla Sala Grande e in un corridoio privo di esseri viventi,
l’altra parlò.
“Si tratta di
Scorpius.”
“Giuro che non è colpa mia.”
Ribatté pronta. Le usciva naturale da che era
nata, praticamente. Dall’aria confusa di Rose capì
però che quello era uno dei
rari casi in cui non doveva preoccuparsi di trovare una giustificazione
ad un
guaio che aveva combinato e di cui non aveva memoria.
“Certo che non lo
è, che
diavolo…?” Borbottò l’altra,
poi scrollò le spalle, decidendo saggiamente di non
indagare. “Mi devi dire se conosci una persona…
una certa Violet.”
“Violet? La conosco, sì.” Fu sorpresa di
sentire quel nome sulle labbra di sua
cugina.
Sono
due tipe così diverse… e come la conosce poi?
“Pare che sia una
specie di
probabile moglie combinata per Scorpius. Sai, approvata
dall’intera Casata dei
Malfoy…” Spiegò lugubre, lo sguardo
palesemente perso in cupi pensieri di
infedeltà ineluttabile.
“Capisco…”
Non trovò di meglio
da dire, pensando all’arrosto fumante che aveva lasciato sul
tavolo.
“Cosa sai dirmi su
di lei?” La
incalzò Rose, impietosa.
“Beh… Non è il genere di persona con
cui mi accompagno a scuola, ma è a posto,
credo.”
“… A posto?” La delusione e il terrore
negli occhi di Rose era palese e quasi
esilarante. Probabilmente sperava le dicesse che la Parkinson-Goyle era
una
stronza di dubbia levatura morale dedita alla magia oscura.
“Definiscimi a posto…” Insistette
infatti.
“Non so, non la
conosco bene…
So che è purosangue, che i suoi genitori sono inglesi, e che
si sono trasferiti
in Francia quando lei non era ancora nata. Pare che giri la voce che
abbiano
avuto problemi con il Ministero all’epoca di Voldemort.
È nel club di
Florigrafia.” Allo sguardo perplesso dell’altra si
apprestò a spiegare.
“Qualcosa che c’entra con i fiori.”
“Ah.” Sembrava
aver perso
improvvisamente ogni spinta loquace. “E
com’è fatta? È carina?”
“Che ne so! Non guardo le ragazze!”
Sbuffò esasperata da quell’interrogatorio
fastidioso. Probabilmente ragazze come Lily avrebbero trovato quei
pettegolezzi
succulenti, ma lei si stava solo annoiando.
Voglio
andare a cena, mangiare, scrivere il mio nome in
un dannato pezzo di pergamena e buttarlo dentro il Calice.
Lasciami
andare!
“Vuoi che te la
indichi? Era
al tavolo…” Suggerì stancamente.
Non fece in tempo a finire
la
frase che Rose la afferrò per un braccio, dimostrando una
notevole forza
motrice, e la portò di fronte alle grosse porte della Sala
Grande.
“Quale?”
Le chiese brusca,
scandagliando l’ambiente con lo sguardo.
“Quella
lì. Capelli neri,
treccia lunga.” La indicò, visto che in dirittura
di sguardo era proprio di
fronte a loro, seduta agli ultimi posti della tavola dei Corvonero.
A lei non era mai sembrata
una
bellezza eccezionale.
Certo,
probabilmente perché sono abituata alle bellezze
effimere della mia famiglia.
Voglio
dire, dna Veela. Proprio non c’è
storia…
Violet Parkinson-Goyle
invece aveva
una madre piuttosto brutta, questo se lo ricordava bene. Ma per una strana bizzarria genetica il
risultato
di un dna orrendo aveva
prodotto una ragazza minuta,
dai lineamenti di bambola e grandi occhi scuri.
Visti i genitori, poteva
essere considerata una bellezza.
Volse lo sguardo verso Rose.
Sua cugina aveva l’aria di una che aveva appena ingoiato un
limone delle
dimensioni di un pugno.
Questo, prima di voltare le
spalle e darsela letteralmente a gambe.
“Rosie!”
La chiamò inutilmente.
Forse avrebbe dovuto
rincorrerla, ma a conti fatti, non avrebbe saputo come arginare la sua
crisi esistenziale.
La
troverà Sissy o qualcun altro… Io proprio con
queste
cose non ci so fare.
Si ficcò una mano
nella tasca
dell’uniforme azzurrina tirando fuori il pezzo di pergamena
dove aveva
schizzato il suo nome.
Per quanto volesse bene a sua
cugina, aveva cose più importanti da fare: attendere alla
gloria eterna era una
di queste.
Non era forse il motivo per
cui tutti erano lì?
****
Hogsmeade,
Tre Manici di Scopa.
Sette
di sera.
Lui e Potter avevano deciso
un
giorno per incontrarsi ad Hogsmeade, ed era il lunedì.
Questo
perché poi lui si
vede con Lupin…
Quando varcò le
porte dei Tre
Manici, Scorpius Hyperion Malfoy non poté fare a meno di
gongolare per la sua
maggiore età, e quindi per i privilegi che ne conseguivano,
come poter uscire
nelle ore libere senza bisogno di avere un permesso dal proprio
Direttore di
Casa, o poter ordinare la vasta gamma di alcolici che offriva il pub
magico.
Il Potter era
seduto ad uno dei tavoli con addosso l’uniforme
dell’Accademia nuova fiammante,
di un verde cupo. Si guardava attorno con aria di comica importanza.
“Ehilà,
Poo… Hai dimenticato
il mantello a casa?” Lo prese in giro, sedendosi davanti a
lui.
James stirò un
ghignetto.
“Tutta invidia, studentello.”
“Mmh, forse. Se non fosse che lo studentello
parteciperà al Torneo Tremaghi.” Mise
subito le carte in tavola, attendendo la reazione dell’amico.
James reagì
immediatamente;
sfoderò un’aria di maschia compartecipazione,
dandogli una pacca sulla spalla
capace di slogargliela. “Ebbravo
Malfoy! Questo sì che è parlare da vero
grifondoro!”
“Come mai con te tutto si riduce ad una dicotomia tra
Case?”
L’altro sbuffò, facendo un cenno vago.
“Perché
per me sarà così per
sempre…
Dai, ti offro da bere. Bisogna festeggiare la tua pazzia!”
“In questo caso,
accetto
volentieri. Un whiskey incendiario, grazie.”
Comunicò alla Madama, prima di
raccogliere le idee: James Potter poteva avere molti difetti, ma era la
persona
più adatta con cui parlare in quei frangenti.
O
presumibilmente, l’unica.
“Pensi che
verrò scelto?” Gli
chiese, stando ben attento ad avere un’aria casuale, come se
si stesse
informando delle condizioni atmosferiche del Devonshire.
Se l’altro capì che in realtà era sulle
spine, non lo diede a vedere. “Che sia
maledetto se non sarà così!”
Esclamò infatti. “Chi sono gli altri candidati di
Hogwarts?”
“Vediamo… La minore dei Chang, tipa piuttosto
sveglia, ha preso il posto del
fratello come Capitano del Corvonero … anche a Tassorosso
c’è gente in gamba.
Dei nostri… Brody McLaggen?”
“Chi? Mai sentito!” Riassunse magistralmente
l’altro. “È del tuo anno?”
“Bocciato, è al Sesto. L’anno scorso ha
provato le selezioni per Battitore del
Grifondoro, non so se ti ricordi…”
“Ah,
sì, era insopportabile,
un pallone gonfiato. Non hai concorrenza, ragazzo.” Gli
assicurò con un sorriso
incoraggiante. Scorpius si sentì vagamente commosso, e
sopportò quindi che
l’altro pretendesse l’esclusiva sulla ciotola di
noccioline.
“Penso tu sia il
primo ad
essere contento della mia idea…” Gli
confessò; ed era vero. Suo madre e sua
nonna non si erano pronunciate, ma questo già la diceva
lunga. Suo padre non
l’aveva ostacolato, ma neanche caldeggiato.
E
Rose…
Aveva la sinistra
impressione
che se ne avesse parlato apertamente con lei gli avrebbe cavato un
occhio.
Non
sono riuscito a trovare il coraggio…
“Beh Malfuretto, io avrei già messo il mio nome
nel
Calice, quindi…” Lo squadrò da capo a
piedi. “Però lo sai che rischi la pelle,
vero?”
“L’avevo vagamente
intuito da tutte
le misure di sicurezza che hanno disposto e dai racconti terrificanti
che
girano… oltre alla riluttanza di mio padre nel darmi la sua
benedizione.”
James non commentò quest’ultima affermazione,
sebbene fosse evidente ne avesse
tutta la voglia.
In nome della loro amicizia
si
limitò a crollare le spalle, bevendosi la sua burrobirra in
silenzio.
Lo apprezzò.
“Quando pensi di
mettere il
tuo nome?” Gli chiese poi.
“Presto, domani sera. Non voglio aspettare, il sorteggio
sarà sabato.” Fece
tintinnare il ghiaccio a forma di calderone nel bicchiere, osservando i
riverberi caramello del liquore.
Ci aveva pensato da quando
aveva visto l’articolo ad Agosto.
Ci aveva pensato a lungo, e
sebbene
avesse deciso di impulso, in un primo momento, poi non aveva cambiato
idea per
quanto avesse sviscerato la questione tra sé e sé
e con suo padre.
Doveva partecipare e doveva
vincere.
Sapeva che il Torneo non
sarebbe stato uno scherzo, e sicuramente qualcuno avrebbe storto il
naso
all’idea che il rappresentante di Hogwarts fosse figlio di un
ex-mangiamorte.
È
proprio per questo che lo faccio…
“Ehi.”
James lo riportò alla
realtà, dandogli un colpetto sul braccio. “Qual
è il problema?”
Avrebbe voluto dirgli che il problema era estremamente semplice.
Vorrei
avere un passato familiare che non parla di
Magia Oscura e scelte sbagliate. Vorrei avere il passato dei Potter e
degli
Weasley a volte.
Avrebbe voluto dirglielo, ma
non lo fece, perché nonostante tutto amava
essere un Malfoy.
“Nessuno…”
“Certo, amico.” Inarcò le sopracciglia
con palese divertimento “Non so se ti
sei mai guardato allo specchio, ma quando qualcosa ti tormenta si vede
lontano
un miglio.”
Scorpius ridacchiò, evitando di dirgli che poteva sapere solo perché erano amici e
quindi glielo lasciava fare.
“Sì, in
effetti ci sono delle
cose che potrebbero rendermi poco digeribile come Campione di
Hogwarts.”
“Per esempio la tua famiglia?” Andò
dritto al punto.
“Per esempio la
mia famiglia,
sì…” Confermò, sentendosi
addosso la solita sensazione di strisciante disagio
che aveva coronato la sua infanzia, prima che imparasse a fregarsene.
“E poi
c’è Rose.”
“Rose?”
“Non credo sia molto contenta del mio bisogno di gloria
eterna…” Spiegò con
piglio giocoso, perché non aveva voglia di affrontare quel
discorso seriamente.
“Lo fai davvero
per la gloria
eterna?” Spiò James con attenzione, prima di
sgusciare un’altra nocciolina e
ficcarsela in bocca.
“No…”
Dovette ammettere. “Non solo
almeno. Lo faccio perché…”
Lo faceva perché voleva essere considerato finalmente una
persona degna di
fiducia.
Perché amava
essere un Malfoy,
certo, ma non gli sarebbe dispiaciuto che il suo cognome venisse
riabilitato da
qualcosa di diverso dai soldi o dalle pressioni politiche di suo padre.
Ma soprattutto lo faceva per
sé stesso. Lo faceva per se stesso e per Rose,
perché come Campione del
Tremaghi forse avrebbe potuto baciare al sole la sua Rosie, e suo padre
si
sarebbe finalmente reso conto che non era un bambino le cui bizze si
sarebbero
esaurite una volta finita la scuola.
Come Campione del Tremaghi
sarebbe stato chiaro a tutti che
stava diventando un uomo.
Era un piano perfetto.
“… per
parecchie ragioni.” Riassunse
stringato, e James parve intuire perché non chiese altro.
“Mi hanno detto
della storia
dell’assistente. Chi sceglierai?” Gli chiese invece.
“Ancora non lo so… Se ci fossi stato tu, avrei
scelto te.” Ammise spassionato.
“Se venissi scelto avrei la mezza idea di chiederlo a
qualcuno degli scartati,
ma non so… Non li conosco bene.”
“Nel caso, non McLaggen.
Forse ha
sangue di troll nelle vene…” James si strinse
nelle spalle, anche se
palesemente stava gongolando per l’affermazione di poco
prima. “Ti consiglio
comunque di scegliere qualcuno svelto di testa e di bacchetta. Se deve
darti
una mano con la preparazione delle prove, allora dovrà
essere un secchione.”
“Potrei chiedere a tuo fratello. Non è il golden-boy
di Serpeverde?” Scherzò, ma non del tutto. Aveva
una buona opinione di Albus, anche
se era convinto che dietro quei modi affabili si nascondesse un
discreto
calcolatore.
Il
che non è necessariamente una brutta cosa… Non a
casa mia, almeno.
James scosse la testa.
“Lascia
perdere Al. Tra i doveri di Capocasa e quello che gli è
successo, è ancora
fuori assetto… Non avrebbe la testa per starti
dietro.”
“Vero…” Fece una pausa.
“Rosie?”
“Certo, non riesci neanche a dirgli che partecipi e le chiedi
di darti una
mano?” Ironizzò l’altro, con una
crudeltà che giudico piuttosto malvagia. “Comunque
fidati, te la darebbe comunque. Anche solo per sgridarti continuamente.
Perché avere
un solo aiuto ufficiale quando ne puoi avere due?”
“Vero anche questo. Sei intelligente allora!”
“Oh, crepa
Malfuretto!”
Rimasero in silenzio a
gustare
la loro seconda ordinazione, irrobustita da una seconda ciotola di
noccioline.
“Come va con
Teddy?” Chiese,
perché era un buon amico. O almeno ci provava
volenterosamente.
“Bene, a parte il fatto che sono quasi due settimane che non
lo vedo.” Borbottò
James. “Se non apprezzassi il Tremaghi in sé,
credo lo odierei…” Concluse
gettandosi una nocciolina in bocca, con la palese aria di chi stava
nascondendo
qualcosa.
Scorpius si riteneva
sì, un
buon amico, ma non fino al punto di indagare nei fatti personali di una
coppia
omosessuale. Specie se formata dal suo migliore amico e da un altro
uomo,
nonché suo cugino, nonché suo professore.
“Già.”
Si limitò quindi a dire
saggiamente. Poi inspirò. Perché doveva dire altro. “Devo dire a Rosie che
parteciperò al Torneo.”
James inarcò le
sopracciglia.
“E quando pensi di dirglielo?”
“Non lo so… Forse a cose fatte? Anche se non
è un’idea brillante, me ne rendo
conto.” Fece una smorfia. Rose non avrebbe mai potuto capire.
Non fino in fondo
almeno, e questo lo frustrava. “E dire che lo faccio anche
per lei… per noi.”
“Perché come campione potresti convincere zio Ron
e gli altri…”
“Che sono un bravo
ragazzo,
sì. O qualcosa del genere.”
“Ma pensavo che
voleste tenere
nascoste le cose tra di voi.”
“A te piaceva tenerle nascosto il tuo rapporto con
Lupin?” Gli chiese osservando
la pioggia autunnale che spruzzava le finestre della taverna con forza.
“Le
cose devono cambiare, James. E cambieranno.”
****
Hogwarts,
Sala Grande.
Otto
e mezzo di sera.
Albus lanciò
un’occhiata
all’ennesimo ragazzo di Durmstrang che metteva il suo nome
nel Calice.
Si levò un
piccolo applauso,
mentre accanto a sé Dominique faceva una smorfia.
“Quel tipo ha il
cervello
pieno di muscoli… Non avrà chance
contro la magnifica me.”
“Mmh-mh.” Confermò, scorrendo con lo
sguardo la lista dei turni su cui lavorava
da tutto il pomeriggio. Perché naturalmente,
oltre la mole spaventosa di compiti che gli era stata assegnata in
vista dei
MAGO, aveva passato tutta la mattina a litigare con i prefetti di ogni
singola
Casa, visto che nessuno di loro voleva fare il turno di mezzanotte.
Per questo si era rifugiato
in
Sala Grande, occupata perlopiù dagli studenti stranieri.
“La vita
è dura Sissy?” Ghignò
sua cugina. “Pensa a Rosie. Lei sì che sta messa
male con i suoi evidenti
problemi di gelosia…”
“… Che hai fatto?” Aveva un brutto
presentimento e un’emicrania in
fieri. Non avrebbe voluto chiederlo
ma…
Codice
Potter-Weasley. Argh.
Perché oltre ad
essere un
Caposcuola, uno studente e un giocatore di Quidditch, faceva anche
parte di un
clan familiare che pretendeva quotidiane attenzioni.
È
un miracolo che non sia ancora esploso.
… non
posso seppellirmi nella mia
stanza con Tom? No? Dite che è moralmente sbagliato?
“Io niente, ha
fatto tutto da
sola!” Mise le mani avanti Dom, riportandolo alla triste
realtà. “Dovresti
parlarle comunque… era fuori come una zucca, parola
mia!”
“Quando avrò tempo per respirare.”
Sibilò a denti stretti, tracciando una linea
di inchiostro sull’ennesima insoddisfacente combinazione di
turni. L’altra
Caposcuola si era tirata fuori dai giochi, adducendo
un’influenza.
Maledetta.
“Ma
scusa… il problema?”
“Il problema
è che in questo
momento non ho tempo per occcuparmi di qualcun altro… Devo
lavorare su questa
lista e consegnarla al Preside entro domani sera.”
“Perché non chiedi aiuto a Thomas?”
Interloquì. “Sono certa che sarebbe
estasiato, in quanto amante del controllo.”
“Deve sostenere
gli esami per
iscriversi all’ultimo anno… È sempre in
biblioteca. Non lo vedo da stamattina.”
Borbottò, perché anche quello lo metteva di
cattivo umore.
Si potevano vedere solo di
sera e per i pasti. Il che non era davvero granché: quando
mangiava, Tom era
comunicativo come una pietra… e la sera lo trovava
già svenuto sul letto.
Nel
mio letto, tra parentesi…
“Ma se
è lì…” Alzò lo
sguardo,
seguendo il dito che Dom puntava verso le porte della Sala Grande.
Tom c’era in
effetti e aveva
un’aria… furtiva.
Oh,
no. Non di nuovo.
Sentì il panico
congelargli lo
stomaco. Specie perché quando incontrò il suo
sguardo l’altro gli fece cenno di
seguirlo, serissimo in volto.
Radunò le sue
cose, quasi
inciampando nella panca su cui era seduto, salutando con un cenno della
testa
frettoloso la cugina.
“Tom!”
Lo chiamò. “Che
c’è?”
“Seguimi.” Fu la risposta, prima che imboccasse le
scale che portavano ai
sotterranei.
Al si morse un labbro con
forza, preoccupato. Non poteva… non
ci doveva essere niente che non
andava,
assolutamente niente; il Torneo era perfettamente sicuro, pullulante di
funzionari e auror a pattugliare i confini di Hogwarts.
Sorpassarono
l’arco di pietra
del dormitorio e Tom si diresse verso la sua stanza. Si
fermò davanti,
facendogli cenno di entrare.
“Prima
tu.”
“Ma
che…?”
“Entra, avanti.” Ripeté facendosi da
parte.
Gli scoccò una
lunga occhiata,
a cui l’altro rispose con uno sguardo indecifrabile.
Non gli restò che
entrare.
E rimase letteralmente a
bocca
aperta.
Le lampade che solitamente
illuminavano la stanza erano spente, e così il camino, ma la
stanza era piena
di luce. Decine e decine di fuochi argentati erano sospesi
nell’aria e bruciavano
di una fiamma brillante, quasi a voler sembrare piccole stelle.
“Cosa…”
Mormorò incredulo,
mentre Tom entrava e chiudeva la porta. “Che cosa sono?
Assomigliano a fuochi
portatili, ma…”
“… ma non hanno un supporto.” Concluse
per lui con un vago sorriso,
affiancandoglisi. “Ho pensato che ti sarebbero
piaciuti.”
“Sono bellissimi!” Si sentiva incredulo e
immensamente sollevato. Avrebbe
dovuto essere arrabbiato perché il cretino era incapace di
fargli una bella
sorpresa senza sembrare un cospiratore, ma in fondo non era colpa sua.
Era
fatto così. “Che incantesimo è? Non
ricordavo fosse nel programma del Sesto!”
“In effetti non c’è…
L’ho inventato io.” E dal sogghignò che
gli servì, era
ovvio che volesse essere lodato. “Ho aggiunto un incantesimo
freddafiamma. Non
brucia… prendine uno, avanti.”
Al tese le mani, e
sentì
l’allegro fuocherello pizzicargli i palmi.
“È davvero stupefacente… tu sei
stupefacente.” Vedendo che il sogghigno di Tom si stava
ampliando a livelli di
pericolosa autocelebrazione, corresse subito il tiro. “Quando
decidi di
applicarti seriamente.”
“Non essere ridicolo, io mi applico sempre.”
Replicò infastidito. “Non è stato
facile rendere stabili tutti questi nuclei, lo sai? L’ho
fatto per te, quindi…”
“Davvero?”
Inarcò le
sopracciglia, cercando di non commentare il leggero rossore che
comparve sulle
guance dell’altro.
È
un bene che nessuno gli abbia mai detto che è
terribilmente carino quando si degna di mostrare qualche
emozione…
“Mi hai detto che
non so
essere romantico e …” Vedendo la sua espressione
sbalordita, si affrettò a
correggersi. “Con questo non significa che abbia voluto
esserlo… soltanto, so
che sei stressato in questi giorni, per via dei tuoi compiti da
Caposcuola. Ho
pensato che mostrarti l’incantesimo… avrebbe
potuto essere…” Si fermò, indeciso
su che parola usare. Fece una smorfia sofferente, poi
continuò. “… carino.”
Al evitò di ridere, perché non era carino
infierire. Lo baciò, mentre lasciava libero
il fuocherello, che prese a danzare sopra le loro teste.
Una volta tanto aveva fatto
la
cosa giusta.
Tom si complimento con
sé
stesso. Perché se lo meritava.
Il suo primo istinto, dopo
la
spiacevole conversazione con Zabini, era stato quello di trovare Albus,
trascinarlo in un posto appartato e chiedere spiegazioni.
Memore dei suoi trascorsi
impulsivi si era invece fermato, anche per far smettere la sua
bacchetta di
sputare scintille.
Saranno
smesse le lampadine fulminate da quando l’ho
riavuta… ma non che le scintille siano meglio.
Riflettendo quindi, aveva
capito che Al aveva il diritto di spiegarsi senza sentirsi attaccato.
Senza
contare che sarebbe andato su tutte le furie se gli
avessi rivolto accuse del genere…
Era quindi tornato in Sala
Grande, e trovatolo l’aveva osservato per un po’,
senza farsi vedere.
Vederlo sfibrato e stanco
gli
aveva fatto tornare alla mente quanto gli aveva detto Zabini.
C’erano del vero:
aveva fatto
soffrire Albus più di chiunque altro al mondo.
E
sta a me farlo stare bene adesso.
“Al…”
Gli accarezzò le labbra
con il pollice, stupendosi come ogni volta di quanto fossero morbide e
pronte
ad arrossarsi al minimo bacio.
Al gli sorrise,
appoggiandosi
contro di lui e sfiorandogli con la guancia la spalla.
“Sta
funzionando…” Bofonchiò
contro il suo colletto. “Mi sento molto meglio.”
“Se vuoi posso dare un’occhiata a quei
turni… intendo dire, dei prefetti.”
Replicò
mentre lo portava verso il letto. “So chi sono e penso che
alcuni di loro
possano essere convinti…”
Al si sedette sul materasso,
con uno sbuffo. “Stiamo parlando di intimidazione?”
“Un semplice caldeggiamento.” Scosse la testa,
chinandosi a slacciargli le
scarpe. Se Albus fu sorpreso dal gesto non lo diede a vedere,
lasciandolo fare
di buon grado. “In fondo si tratta di capricci. Non vogliono
dormire meno degli
altri. Penso che come Caposcuola sia tuo dovere farti
rispettare…”
“Credo che ti
lascerei anche
metterli tutti sotto imperio in
questo momento.” Sbadigliò. “Salazar,
sono così stanco…”
Tom gli afferrò
le gambe, e
gliele buttò sul letto, facendolo ridere. Si stese accanto a
lui, guardandolo
scivolare lentamente nel dormiveglia.
Ma per quanto cercasse di
dimenticarle, le parole di Zabini continuavano a girargli
vorticosamente in
testa.
“Al…”
“Mmhsì?” Articolò, con gli
occhi già chiusi.
“Quando sono
scomparso…”
Esitò, vedendo gli occhi dell’altro spalancarsi di
scatto. “… mi è stato detto
che hai attraversato un periodo difficile.”
“Certo, te l’ho detto io.” Si
puntellò su un gomito, girandosi verso di lui.
“Quindi?”
“Mi è stato detto altro.”
Non era
sicuro di volerne parlare di fronte a quello sguardo limpido, che
rifletteva
solo quanto e come avesse sbagliato. “Mi è stato
detto dei tuoi incubi e…”
“Michel.” Lo interruppe cupo. “Te
l’ha detto lui, vero?”
“… Sì. Stava mentendo?”
Al non rispose. Si
mordicchiò
invece l’angolo di un labbro. “Non è
importante.”
“Certo che lo è!” Sentì le
sue dita chiudersi attorno alla coperta, perché non
aveva niente da stringere e la bacchetta non era il mezzo
più indicato. “Al,
io… non volevo che…”
“Ne abbiamo già parlato.”
Sentì la mano dell’altro sfiorargli la curva del
collo, in una carezza gentile, risalendo fino a fargli alzare il viso.
“Siamo
stati male entrambi, ma adesso è tutto finito.”
“…
già.”
Per farsi perdonare quello
ci
sarebbero voluti più che qualche decina di fuochi argentati.
“C’è
altro?” Si sentì chiedere,
perché a quanto pare poteva essere un maledetto enigma per
tutti, ma non per
Albus Severus Potter.
“Tu e Zabini vi
siete baciati?”
Lo buttò fuori, sentendo che dirlo era peggio che ingoiare
qualche pozione
della Chips. “Prima che tornassi…”
Al rimase immobile per qualche secondo in una buffa posa innaturale,
puntellato
sul gomito, tra l’alzarsi e rimanere steso su un fianco. Poi
parlò, con voce
assolutamente incolore. “Penso che dovrò parlare
con Mike…” Squadrò la sua
espressione, e sospirò. “E no, non ci siamo mai
baciati.”
“… Bene.”
“Ho baciato un ragazzo in una discoteca babbana…
ero ubriaco.” Gli afferrò la
camicia, quasi a frenarlo dal ribattere. “Sei
arrabbiato?” Gli chiese però.
Tom serrò le labbra. Lo era? Naturalmente, ma
c’era una parte di lui che sapeva
di meritarselo. Oltre al fatto che glielo aveva confessato con
serietà, senza
usare giri di parole.
Farei
la figura dell’idiota se dessi in escandescenze…
“Sì, lo
sono.” Disse però,
ripagandolo della stessa sincerità.
“Bene. Allora non mettermi più nelle condizioni di
farlo.”
Albus era cambiato, su
questo
non c’era dubbio. Tom aveva sempre pensato che dietro la sua
insicurezza
cronica e la sua timidezza ci fosse un temperamento cocciuto. Ora stava
finalmente
venendo alla luce e probabilmente, a conti fatti, il più
forte di loro due era
lui.
Lo
è sempre stato…
“Lo
farò.” Inarcò un
sopracciglio in direzione dei fuochi che riempivano la stanza con la
loro
luminosità perlacea. “Come sto andando?”
Al sorrise, passandogli le braccia attorno al collo e tirandoselo
contro, con
un movimento che ormai era diventato familiare ad entrambi.
“Molto
bene… per ora.”
****
Vascello
di Durmstrang, Lago Nero.
Sera.
Sören entro dentro
la propria
cabina, slacciandosi gli alamari del mantello; non l’avrebbe
mai creduto
possibile ma la Scozia sapeva essere più gelida e umida
della Norvegia, nei
suoi giorni di pioggia.
Poliakoff alzò la
testa dal
libro che stava leggendo, steso nella sua cuccetta. “Oh,
Sören!” Lo apostrofò
con un sorrisetto. “Ce ne hai messo di tempo per
riaccompagnare la rossina al
castello…”
“Levati dai piedi, devo parlare con mio zio.” Disse
per tutta risposta,
chinandosi sotto il suo letto per estrarre un baule di ferro pesante.
L’altro ragazzo
deglutì, ma
non se lo fece ripetere. Prese libro, mantello e quello che sembrava
l’avanzo
di un panino alla carne e si precipitò fuori.
Sören
aspettò che l’altro si
fosse chiuso la porta alle spalle per toccare con un colpo di bacchetta
la
serratura. Quella si aprì con un lieve cigolio, mostrando un
fuoco giallognolo
che bruciava all’interno del forziere, rinforzato debitamente
con incantesimi
protettivi.
Non si potevano portare
camini
portatili ad Hogwarts, specialmente per comunicare con
l’esterno. Tutte le
comunicazioni dovevano passare per i focolai del castello, controllati
dal
Ministero, pena l’arresto.
Solo la detenzione di un
oggetto del genere avrebbe attirato l’attenzione degli auror
su di sé.
Prese una manciata di
polvere
dal sacchetto fissato al coperchio e la gettò dentro le
fiamme.
Aspettò, prima
che il viso di
suo zio si palesasse.
“Sören.”
Una semplice
affermazione. “Hai notizie per me?”
“Non su vostro figlio, zio… ma su Lilian
Potter.”
“Ti ascolto.”
“Credo sappia usare la Legimanzia.” Non la prese
alla larga, sapeva bene che Hohenheim
l’avrebbe detestato. “Ha tentato di leggermi i
pensieri questo pomeriggio.”
L’uomo lo fissò attraverso le fiamme, e persino a
miglia e miglia di distanza,
Sören sentì quella spiacevole sensazione di
bruciore allo stomaco.
“Ne sei
sicuro?”
“È quello che ho avvertito,
sì.” Annuì. “Non posso
sbagliarmi.”
“Non ho avuto informazioni in merito… Ed
è troppo giovane per averla appresa a
scuola. Non credo sia nel programma di Hogwarts.”
“Mi sono informato. Non sanno neppure cosa sia la
Legimanzia.”
“Interessante…” Fece una nuova pausa.
“Dubito che gli sia stata insegnata in
famiglia. Potrebbe essere una dote naturale…”
Aveva quello sguardo;
Sören trattenne istintivamente il respiro, mentre
sentiva le mani dietro la schiena, intrecciate, serrarsi tra di loro.
Non avrebbe mai smesso di
essere un bambino spaventato, probabilmente.
Quando Alberich Von
Hohenheim
si interessava a qualcosa… per quella cosa, o quel qualcuno,
non era mai una
buona notizia.
“Credo di non
capire…”
“Non fare lo sciocco.” Lo redarguì con
una smorfia infastidita. “Sto parlando
di un Legimante Naturale.”
“Non sono comuni…”
“Ma neppure rari. Il Ministero inglese li rende inabili non
appena mostrano i
primi segni del loro dono. Una delle loro tante irrazionali
paure.” Si fermò di
nuovo. Le fiamme rendevano confusi i suoi lineamenti, facendoli
sembrare più
indecifrabili del solito. “Interessante. Molto
interessante…”
“Per quanto riguarda vostro figlio? Ci sono ordini?”
“Nessuno per il momento. Prosegui con il piano e fa in modo
di essere
sorteggiato come campione.”
“Il Calice è imparziale, zio.”
Lo sguardo che lo trafisse gli fece capire che aveva appena detto
l’ennesima
cosa sbagliata.
“Ho forse fatto
addestrare mio
nipote per nulla quindi? Non sei neppure capace di ingannare un oggetto
inanimato?”
Scosse leggermente la testa, irrigidendo la posa delle spalle. Nessun
colpo
sarebbe arrivato, lo sapeva bene.
Ma
l’istinto è qualcosa che non si può
piegare
facilmente con la ragione.
“No, zio. Non ti
deluderò.”
“Lo spero. La Thule non ha bisogno di inetti.”
Le fiamme tornarono pulite e
Sören chiuse lo scrigno con un gesto secco. Era di nuovo solo
nella cuccetta,
ma le mani non smisero di tremargli a lungo.
****
Note:
Prometto Teddy/Jamie prossimo capitolo. Mancano anche a me.
Ma… esigenze di
trama!
1.
Qui la canzone.
|
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Capitolo 15 *** Capitolo XIV ***
A questo giro non riesco a
rispondere alla vostre favolose recensioni, ma grazie! :D Soprattutto
perché grazie
a voi e alle vostre recensioni passate Doppelgaenger è
entrata nelle ‘storie
scelte’ di EFP!
Thanks! :D Dedico inoltre questo capitolo a Ron1111, per essere tornata su questi lidi^^
****
Capitolo XIV
Now
I'm waiting for something that might never come
If it's a million to one shot, I'll make sure
I'm the one
Seems that nothing is safe, except the truth
turns to lies
Never figured it out, I found out
why…¹
(Fall To
Pieces, Razorlight)
8
Settembre 2023
Torre
di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del
Quinto anno. Mattina.
“Svegliati
Lily!”
Lily aprì gli occhi e si trovò di fronte la massa
di ricci color sabbia della
sua compagna di stanza, nonché sua amica, Abigail Finnigan.
Dovette ricordarsi che era
sua
amica per non lanciarle uno
schiantesimo. Non che ricordasse l’ubicazione della sua
bacchetta al momento,
ma quello era un particolare del tutto ininfluente.
“Avrei preferito
essere
svegliata dalla WWN²… Non l’abbiamo messa
per svegliarci alle sette?” Mormorò
tirandosi a sedere, notando con somma irritazione che le altre tre
compagne erano
ancora tra le braccia di Morfeo.
“Potrei ucciderti
per aver
interrotto il mio sonno di bellezza…”
Articolò.
“Hai quindici anni, Lily… non credi
sia un un po’ presto per questa roba?
Lo fa mia madre!” Replicò l’altra
ragazzina, con aria elettrizzata e scocciata
al tempo stesso.
Nessuno
capisce il mio bisogno di essere meravigliosa.
Con questa triste
consapevolezza nel cuore si apprestò a togliersi le coperte
di dosso e salutare
l’alba che illuminava di bagliori dorati la stanza. Okay.
Forse non era l’alba,
ma ci assomigliava maledettamente. “Si può sapere
cosa c’è di così urgente?”
“Oggi c’è l’estrazione del
Calice!” Esclamò prendendole le mani.
“Non sei
eccitata?”
“… Estremamente. Ora, se non ti spiace, torno a
dormire e sognare giocatori del
Puddlemere.”
“Lily!”
Protestò oltraggiata. Abigail
sentiva molto la competizione, come tutti i componenti della sua
entusiastica
tribù irlandese. Fergus, il suo gemello, esibiva a chiunque
avesse la sfortuna
di incrociare il suo passo diagrammi di Aritmazia secondo cui era
matematicamente certo che avrebbe vinto Hogwarts e Fiona, la maggiore
al
Settimo, concupiva con occhi bramosi ogni papabile campione, sia che
fosse
britannico o straniero.
“Gail, credimi, ti
voglio
bene… Ma se non mi fai dormire potrei aver voglia di
urlare.” Le spiegò pacata.
Vedendo che l’altra non recepiva, provò di nuovo.
“L’estrazione dal Calice sarà
stasera, dopocena. Non credi sia un po’ prestino
per essere così eccitata?”
“Disse quella che
fa i sonni
di bellezza come mia madre.”
Sottolineò,
con un certo grado di ragionevolezza. “Dobbiamo scendere a
colazione… ci
saranno gli ultimi aspiranti che metteranno il loro nome nel
Calice!”
“E questo sarebbe interessante
perché…?”
“Secondo mia
sorella ci sono
ancora un sacco di ragazzi di Durmstrang e Beaux-Batons che
aspetteranno oggi
per farlo. Ragazzi. E a
quest’ora non
ci sarà quasi nessuno… forse potremo parlare con
quel tipo stupendo di Beaux-Batons,
Mael!”
“… Oookay. Mi preparo e scendo.” Si
piegò, in nome della loro adolescenza. Conosceva
Mael per traslata persona, visto che era cugino di Dom dalla parte
francese e
sapeva che non pescava sulla loro sponda.
Visto
che è gay come un mazzo di viole.
Però non aveva
ancora visto
Sören mettere il suo nome nel Calice. Ed era certa che
l’avrebbe fatto, sapendo
che tutta la delegazione di Durmstrang era stata selezionata per
concorrere al
Tremaghi.
Forse ci sarebbe stato,
senza
troppe persone fastidiose attorno. Era una buona cosa visto che non
l’aveva
ancora rivisto dopo il loro battibecco di qualche giorno prima. Se di
tale si
trattava; era ancora incerta su come valutare quell’episodio.
Ha
capito… No, beh, non ha
capito. Ma ci è andato
vicino.
Fin’ora
nessuno si era accorto che sono leggermente
più
brava della media a leggere le emozioni…
Spesso non si rendeva conto
di
quello che faceva proprio in virtù del fatto che nessuno
l’aveva mai scoperta.
Essere beccata e quasi redarguita l’aveva fatta
sentire… vulnerabile.
Aveva scoperto che non era
una
sensazione che le piaceva provare.
Avrebbe voluto chiedergli
come
aveva fatto a capirlo, ma aveva paura che l’altro avrebbe
preteso risposte in
cambio. E non era certa di volergliene dare, anche se, tramite lettera,
gli
aveva già confessato tutte le sue cotte, le sue antipatie
scolastiche e persino
di quella volta, che a cinque anni era caduta nel lago davanti alla
Tana
sporcandosi il suo vestito preferito.
È
una cosa diversa…
Si guardò allo
specchio, e
constatò con soddisfazione che non aveva le occhiaie.
“Lily! Dai,
sbrigati, Hugo e
Gus ci aspettano di sotto!”
Lily ebbe la mezza idea di soffiarsi un bacio, perché ehi,
non era da tutte
avere un viso riposato dopo una notte passata a rigirarsi nel letto a
rimuginare.
Forse era troppo eccessivo.
Si
fece quindi l’occhiolino.
Quando scese, perfettamente
ordinata e con un trucco strategicamente leggero, si accorse con
delusione che
la Sala Grande era praticamente vuota, tranne per qualche ragazzo
immerso nella
stesura disperata dei compiti del giorno. E Tom, con il naso seppellito
dentro
un libro.
Come
al solito.
“Ah, guarda,
c’è Tom…” Le
indicò Hugo. “Ma studia sempre quello?”
“L’hai mai visto fare qualcosa di diverso? Non
fissarlo Gail, se ti scopre ti
pietrifica come un basilisco.” Fece ridere i quattro.
“Beh? Non vedo però tutti
questi ritardatari…”
“Sono le sette e dieci, dà loro tempo.”
Obbiettò ragionevolmente Hugo,
sedendosi ad uno dei tavoli e cominciando a servirsi di salsicce e pane
tostato. Fu presto seguito da Fergus, che le rivolse un timido sorriso
e una
richiesta borbottata di sedersi accanto a lui.
Lo accontentò
volentieri,
perché la vista di suo cugino che si ingozzava come un
ippogrifo le bloccava un
po’ la digestione.
Non dovettero aspettare
molto
perché i primi studenti stranieri si palesassero nelle loro
uniformi colorate. Come
aveva detto Abigail, misero tutti i nomi nel Calice che si
infiammò di una forte
luce azzurra.
Arrivò anche
Sören, seguito
come un’ombra da quello sgradevole tizio di nome Kirill. Le
passò accanto e le
rivolse un cenno della testa, prima di lasciare il pezzo di pergamena
dentro il
fuoco. Poi le si avvicinò, mentre gli altri tre ragazzi
piombavano in un
silenzio guardingo.
“Lilian…”
Sembrava aver
riposato molto poco, dal viso tirato che aveva. Tolto questo, aveva il
solito
aspetto pulito ed efficiente che ci si aspettava da un allievo di
Durmstrang.
“Buongiorno
Ren!” Sorrise di
rimando. “Ti siedi con noi?”
Il ragazzo parve esitare,
poi
annuì, facendo un cenno di commiato ad un delusissimo
Kirill, che si allontanò amareggiato.
Ottima
pensata Ren. Un punto in più per te.
Si sedette accanto a lei e
profumava
di erbe, un odore molto simile a quello che aveva sentito addosso ad
Albus per
tutta l’estate.
“Prepari pozioni
nel tempo
libero?” Gli chiese, riempendogli il bicchiere di succo di
zucca. Voleva essere
gentile, perché aveva capito che essere diffidenti in due
non avrebbe portato a
molto.
E lei voleva sapere.
“No, ma produco da
solo quelle
che mi servono…” Al suo sguardo interrogativo,
rispose. “Una pozione per il
sonno. Ho problemi a dormire quando cambio …
aria.” Fece un cenno vago,
sorseggiando il succo e facendo una conseguente smorfia disgustata.
Lily rise. “Troppo
zuccherato?”
Sören per la prima volta da quando le conosceva,
arrossì. Fu stupita di vedere
come gli si coloravano violentemente le guance.
Era carino.
“Preferisco del
the, o del
caffè. Ce n’è?” Chiese, abbassando lo
sguardo alla ricerca della caraffa.
Hugo gliela passò
con un
sorriso incuriosito. “Parli molto bene l’inglese,
eh!”
“Parlo quattro lingue.” Ripeté in
automatico, quasi non ci avesse neanche
pensato. “Il tedesco è molto simile
all’inglese. Non è la lingua più
difficile
che abbia studiato.”
“Lo dice anche Tom.” Lily indicò con un
cenno della testa il cugino acquisito,
che non avrebbe scollato gli occhi dalle sue amate pagine neanche se
avessero
liberato una scorta annuale di Polvere Peruviana in mezzo ai tavoli.
“Sai, è
stato in Germania… quest’estate. Lo parla molto
bene.”
“Me lo avevi
accennato.”
Sorrise di rimando, versandosi una generosa dose di caffè. A
Lily non sfuggì lo
sguardo assorto che lanciò a Tom. “Non
è una persona di compagnia, vedo…”
“Oh, sì, è un vero fottuto misantrocoso!”
Esclamò Hugo, insolitamente ciarliero. Aveva una sorta di
malcelata ammirazione
per i ragazzi di Durmstrang, molti dei quali finivano a giocare nei
Vultures,
la sua squadra straniera preferita.
Evitò di dirgli
che era una
squadra bulgara, e difficilmente il suo amico, in quanto tedesco, ci
aveva mai avuto
a che fare.
“Misantroche?”
Si inserì
Abigail, felice di poter trovare finalmente un modo per aprire bocca.
Da quando
Sören si era seduto non gli aveva tolto lo sguardo di dosso.
Lily, che conosceva la sua
passione per i ragazzi stranieri, si appuntò di non dargli
la possibilità di
chiacchierarci troppo.
Sören era una cosa
che
riguardava lei, e lei soltanto.
“Vuol dire che non
sopporta le
persone.” Le spiegò, lanciando uno sguardo di
sottecchi all’amico, che sembrava
preso dall’epico compito di scegliersi la colazione. Era
teso, si intuiva dalla
postura contratta e la schiena dritta come un fuso.
In un primo momento,
riflettendoci dopo il loro battibecco, aveva pensato che fosse simile a
Thomas.
Come lui le era parso poco simpatizzante del contatto umano. Ma mentre
il
cugino era praticamente uno snob, che selezionava le persone con cui
circondarsi, Sören sembrava proprio… inadatto.
Già…
Sembrava non avere la minima
idea di come comportarsi in mezzo ai propri coetanei.
Tutti e due avevano
un’aria terribilmente
imbronciata, capace di scacciare i più impavidi
conversatori, ma era
l’atteggiamento di fondo ad essere diverso.
Lily gli toccò il
braccio,
rivolgendogli il migliore dei suoi sorrisi.
Beh,
almeno ci devo provare…
“Cosa ne pensi di
Hogwarts?” Gli
argomenti neutri e frivoli erano la sua specialità
dopotutto. “È tanto diversa
da Durmstrang?”
“Ha dei paesaggi
notevoli.” Le
rispose, e non voleva essere ottimista, ma era quasi certa che avesse
un tono
grato. “… Ci sono molti punti in comune, ma
Durmstrang ha un clima molto meno…
amichevole, rispetto a qui.”
“Dicono che il vostro castello sia impenetrabile, che ci si
possa arrivare solo
in nave. È vero?” Interloquì Hugo,
sporgendosi come suo solito per estendere la
sua domanda anche alla mimica fisica.
Sören, e lo
poté notare perché
erano gomito a gomito, si irrigidì tirandosi indietro
impercettibilmente.
“Non sono
autorizzato a dare
questo tipo di informazioni.” Al silenzio sconcertato che ne
seguì, replicò con
un sospiro e un lieve sorriso. “Mi dispiace…
È la politica dell’istituto. Durmstrang
ha una tradizione millenaria di segretezza. Era l’unica
scuola magica
nell’Europa del Nord, e lì i maghi e le streghe vi
hanno trovato rifugio dalle
persecuzioni dei babbani. Un tempo era porto sicuro conto chi odiava la
magia e
la conoscenza… Ha i suoi segreti per la sicurezza stessa di
chi vi abita.”
“Beh … ma siamo tutti maghi, no?” Lo
interruppe Hugo. “Di che sicurezza stiamo
parlando?”
“Ci sono molte voci che girano su Durmstrang. Non
sarò io a smentirle né a
confermarle.” Concluse e il tono era chiaramente definitivo
mentre beveva un
sorso di caffè.
Lily si trovò a
ridacchiare
dell’aria frustrata del cugino.
Fergus si grattò
una guancia.
Sembrava piuttosto intimidito dal tedesco anche se Lily non capiva come
si
potesse essere intimiditi da un semplice sguardo accigliato.
Forse
con me non funziona perché sono cresciuta con Tom,
il re dei bronci?
“Senti,
ma… è vero che vi
addestrano come soldati? Cioè, fate anche esercitazioni
fisiche?” Chiese piano,
quasi avesse paura di svegliare qualcuno.
“A Durmstrang la
preparazione
fisica va di pari passo con quella magica. Per noi un mago deve saper
usare la
magia, ma senza riflessi allenati a guidarla, la sola teoria rischia di
non
essere sufficiente.” Era una risposta vaga, che palesemente
non diede
soddisfazione a nessuno. Fergus sembrò non aver capito che
metà del discorso. A
Sören non parve importare.
“Ma vi allenate
anche a
combattere?” Insistette il ragazzino. “Mi hanno
detto che usate anche delle spade.”
Persino Hugo si riscosse
dalla
degustazione di un panino al bacon per lanciargli un’occhiata
di animata
curiosità.
“Davvero?”
“Non sono tenuto a
rilasciare
informazioni.” Ripeté pazientemente. Spinse da
parte il piatto e il bicchiere,
segno che cercava un modo per lasciare la tavola. “Mi
dispiace.”
“Ma…”
“Beh, io non ho più fame…” Li
fermò, avendo pietà dei nervi del suo povero
amico.
Non era chiaramente il tipo che si esponeva con serenità
alle domande altrui.
“Ren, mi accompagneresti al mio dormitorio? Devo prendere
alcuni libri che ho
dimenticato.” Mentì, nonostante sentisse la borsa
pesare come un macigno.
Dannato
programma dei GUFO.
“Certo, con
piacere.” Convenne
in tono sollevato. Lily non poté fare a meno di sentirsi
compiaciuta al modo
perfetto con cui le scostò la sedia e le prese la borsa; la
cavalleria era merce
rara ad Hogwarts, checché ne blaterasse il Cappello a
proposito dei grifondoro.
Qualsiasi
cosa insegnino a Durmstrang, la sanno
insegnare bene…
Stavolta il braccio le fu
offerto in modo assolutamente naturale e galante. Questo non le permise
di
vedere che Sören lanciò una lunga occhiata a Tom.
E che fu ricambiato.
****
Torre
Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette
e venti.
“Ehi Malfoy, ti
spiace se uso
la doccia?”
Scorpius alzò lo sguardo dal lavello in cui si stava
accuratamente rasando, la
bacchetta che scivolava sulla pelle in un incantesimo di rasatura. Non
riusciva
a capire come i babbani potessero usare delle lame
per farlo. Doveva essere pericoloso.
“No, fa’
pure…” Sorrise al suo
compagno di stanza. Tutto quello che sapeva di lui era nome e cognome,
Noel
Baston e che era un ottimo Cacciatore, visto che era nella sua squadra.
Uscì e mentre si
vestiva
ascoltò distratto i frammenti di conversazione di Coote,
Sloper e John Wilkins,
nato-babbano e l’unico di cui si ricordasse il nome visto che
era stato l’unico
a presentarsi, al Primo.
In sette anni i suoi
compagni
di stanza erano diventati bravissimi ad ignorare la sua presenza e lui
ad
ignorare la loro. Non gli fu difficile quindi far scivolare un pezzo di
pergamena con il suo nome in tasca senza che nessuno lo notasse o
facesse
domande.
Avranno
una bella sorpresa…
Quando scese in Sala Grande,
i
suoi occhi non erano che per il Calice, saldamente piantato in mezzo ai
tavoli.
C’erano già parecchie persone.
Trattenne una smorfia. Aveva
sbagliato ad aspettare così tanto, avrebbe dovuto farlo
prima: l’idea di farsi
vedere da mezza scuola non gli piaceva.
È
solo che ho rimandato… perché non sembrava mai il
momento buono.
Il motivo principale era
Rose.
Aveva cercato di trovare un momento adatto per introdurre il discorso
per tutta
la settimana. Non c’era riuscito. La sua ragazza sembrava
essere stata
trascinata in largo anticipo nel vortice di preparazione dei GUFO e gli
aveva
dato pochissima attenzione.
Era certo che in
realtà avesse
capito le sue intenzioni e che per questo avesse evitato ogni possibile
discorso serio.
E poi ci doveva essere dell’altro. Rose si era
comportata in
maniera furtiva per tutta la maledetta settimana, quasi arrivando ad
evitarlo.
Era esasperato.
…
Basta. Adesso vado lì e lo faccio.
Si avvicinò
apparentemente
occupato a trovare un posto di suo gradimento. Si infilò la
mano in tasca,
sentendo la consistenza granulosa della pergamena.
Prese un respiro profondo e
si
avvicinò al Calice, valicando la linea
dell’età. Le fiamme azzurrine gli
lambirono leggermente le dita, senza scottarlo, quando la
gettò dentro.
Non volle guardare nessuno.
Non
essere sicuro di poter sopportare eventuali frecciatine con il suo
solito
sorriso.
Si sentiva come la prima
volta
che aveva inforcato un manico di una scopa: esaltato e terrorizzato al
tempo
stesso.
E poi venne afferrato per un
polso.
Ma
cosa…?
Rose era seduta al tavolo di
fianco al Calice, da sola. Aveva la faccia più infuriata del
mondo.
Mentre si rendeva conto che
avrebbe dovuto trovare comunque il
modo di parlarle, anche a costo di legarla ad una sedia, gli venne in
mente che
suo padre aveva proprio ragione.
I grifondoro erano degli
imbecilli impulsivi. E lui era uno di loro.
****
Torre
di Grifondoro, Ritratto della Signora Grassa.
Otto
di mattina.
“Sei stato davvero
gentile ad
avermi aspettato!”
“Nessun problema. Ho guardato i quadri…”
Sören era piuttosto soddisfatto di come stavano andando le
cose con la ragazz-...
con Lily.
Devo
imparare a chiamarla per nome. Familiarità.
La guardò mentre
scivolava
fuori dal buco dietro un’orribile ritratto che
l’aveva asfissiato di
chiacchiere tutto il tempo, guardiano del passaggio per la Torre di
Grifondoro.
“I quadri? Sono
dei tremendi
chiacchieroni. Spero tu non abbia dato corda alla Signora Grassa! Oh,
grazie…” Rise
accettando la sua mano per rimettersi in piedi.
“Purtroppo ho
commesso
quest’errore… mi ha detto che le ricordo un
vecchio studente di Serpeverde.”
“Ah, tutti le ricordano sempre qualcuno, è una
pettegola, non è vero Miss?”
Disse, rivolgendo un sorriso alla
donna ritratta, che finse di non ascoltare, offesa.
Sotto ogni punto di vista
Lilian
Potter non poteva essere considerata stupida. C’era troppo
nella sua mimica
facciale, nel suo modo di porsi, che denotava furbizia e
un’ottima dose di
intelligenza. Voleva far credere alle persone di valere molto meno di
quanto
fosse effettivamente.
Sören era abituato
a trovare i
punti deboli nelle persone, ad individuarli, isolarli e sfruttarli.
Lily Potter non era un gioco
facile, specialmente alla luce di ciò che gli aveva detto
suo zio.
Una
Legimante Naturale… I suoi poteri saranno inibiti,
ma non cancellati. Sarebbe come chiedere al suo sangue di smettere di
produrre
la magia che la rende una strega.
Lily infilò un
piccolo volume
che aveva l’aria di non essere un libro di testo dentro la
borsa. “Sei di nuovo
perso nei tuoi pensieri?”
“Mi capita spesso di recente…” Convenne.
Se non altro, non doveva sforzarsi di
avviare una conversazione. Era sempre lei a fare la prima mossa.
“Il Torneo,
soprattutto.”
“Non hai paura?”
“No, non
direi…”
“Perché
no?”
“Sono stato addestrato.” …
per prove
molto più difficili in cui ho rischiato davvero la vita. “La nostra
delegazione è formata dall’elite di
Durmstrang, i migliori
allievi
dell’Istituto. Siamo qui per vincere, o almeno…
uno di noi avrà quest’onore.”
“Oh.” Il sorriso
che fece era
indubbiamente classificabile come ghigno. “Beh, potete provarci. Ma qui abbiamo sconfitto maghi
oscuri, avuto una guerra
magica e anche l’ultimo Torneo…”
Sören sentì crescere dentro di sé un
vago divertimento. “Questo farebbe di
Hogwarts la prossima detentrice della Coppa dunque?”
“Può essere… Sai che è stato
mio padre a vincere l’ultimo Campione del Tremaghi?”
“Ne ho sentito parlare.” Ricambiò il
sorrisetto. “Da te. Circa tre riferimenti
in due lettere.”
Si stava istaurando
qualcosa,
poteva sentirlo nel mondo in cui Lily lo prese a braccetto, servendogli
un’espressione divertita e luminosa.
Stava facendo la cosa
giusta.
“Voglio
bene al mio papà… Penso sia l’uomo
migliore del mondo.” Disse con naturalezza. Doveva essere una
bella sensazione
avere una certezza simile, accecante e assoluta: quella di provare
affetto per
qualcuno che ti aveva dato la vita.
“È
sicuramente un mago
notevole e di forte fibra morale.”
“Usi sempre questi paroloni?” Lo prese in giro, ma
c’era più curiosità che
ironia dietro. Stavolta lo capì.
“Mi piace parlare
in modo esatto.” Fece una
pausa, quando un paio
di ragazzi grifondoro li superarono, diretti verso le lezioni. Quel
castello
aveva corridoi molto stretti, ingombri di quadri e armature.
Un
tipico castello scozzese… probabilmente con più
passaggi segreti di quanto realmente necessario.
Era questo il modo in cui
Doe
si era mosso nella scuola. Nello stesso modo si sarebbe mosso lui,
quando
sarebbe arrivato il momento.
“Volevo
chiederti scusa. Per quello che ti ho
detto un paio di giorni fa… sulla Legimanzia. Credo di
averti infastidita.”
Lily fece un cenno con la mano, come a scacciare una mosca.
“Non fa niente! Non
sei il primo che pensa che legga nella testa delle
persone…” Gli sorrise
quieta. “Ma non è così. Sono
solo…” Esitò, cercando la parola adatta
mentre si
attorcigliava una ciocca di capelli attorno al dito, con aria casuale.
Fingeva,
era chiaro che non fosse la prima volta che metteva in scena quel
siparietto.
“… attenta a
chi mi circonda. È
importante quando sei la figlia di Harry Potter.”
“Certo. Preferisci sapere cosa pensa la gente di te.
È un desiderio naturale…”
Osservò neutro. Probabilmente il vero intento di Lily era
quello.
Il
problema è che riesce davvero a sapere ciò che
gli
interessa, se vuole.
E
questo per me potrebbe essere pericoloso.
Non era facile mantenere un
distacco sufficiente da non farla arrivare al vero sé e allo
tempo stesso
mettersi in gioco per costruire un rapporto.
Improvvisamente Lily lo
strattonò. Per la sorpresa non riuscì neppure a
mettersi in allerta, e la
ragazzina poté spingerlo con le sue sole forze.
“Lily,
cosa…?”
“Ssh, ci sono Rosie e Sy!”Sussurrò
mettendogli un indice sulle labbra, chiaro
segno di fare silenzio. Sapeva di fragole ed era morbido.
Ammutolì docile.
Prima che potesse chiederle
per quale maledetto motivo si fossero nascosti li raggiunsero delle
urla. Erano
della ragazza. Il compagno al contrario cercava di calmarla, ma non
stava
funzionando.
Una
lite. Fantastico.
“Quando pensavi di
dirmelo,
eh?!”
“Te l’avevo accennato Rosie…”
“Non chiamarmi Rosie, non sono
dell’umore!”
“Non sto… oh, per tutto l’oro della
Gringott!” Il ragazzo cominciava a
scaldarsi, e si voltò per fronteggiare la suddetta Rose, che
probabilmente era
Rose Weasley, cugina di Lily. “Va bene, forse avrei dovuto
dirtelo… se non
fossi stata così negativa in merito!”
“Scusa tanto se sono
preoccupata
dall’eventualità che tu muoia in una prova
ridicola per dimostrare… per
dimostrare cosa, poi!?”
“Io…” Tentò, ma
l’altra lo interruppe immediatamente.
“Non credo ti serva il premio in palio, no? Navighi nei
galeoni, maledizione!”
Sören, bloccato da
Lily, non poté
far altro che osservare la situazione, in mancanza di meglio.
Il viso di Rose Weasley era
paonazzo. Sembrava il genere di persona che non riusciva a controllarsi
una
volta che perdeva la calma. Il maschio invece sembrava dotato di
maggior
autocontrollo. Era chiaro però, dalla piega delle labbra,
che lo stava
rapidamente perdendo.
“Non lo faccio per
i soldi, è
ovvio.” Convenne con voce forzatamente calma. “Lo
faccio per…” Inspirò e si
assicurò con un’occhiata che non passasse nessuno.
Accertata la cosa, continuò.
“Sarebbe stato tutto più semplice se avessi voluto
parlare con me invece che
girare come una trottola impazzita per la scuola… Non
riuscito neanche a trovarti per
avere questa conversazione!”
“Avevo… avevo da fare!” Fu la replica
immediata e nervosa. “Sai, qualcuno
prende sul serio i suoi doveri di prefetto, e i
MAGO…”
“I MAGO saranno alla fine dell’anno! Sono solo
scuse!” Sbottò alla fine il
ragazzo. Si passò una mano trai capelli, con un movimento
che esprimeva tutta
la sua frustrazione.
Lily si mosse per guardare
meglio. “Oh, le cose non si stanno mettendo
bene…” Mormorò mordicchiandosi un
labbro. “Non dovevamo essere qui.”
Non sembra che tu sia così
dispiaciuta …
- Pensò, ma non lo disse. Del resto era molto più
preoccupato del fatto che gli
si fosse accoccolata addosso.
L’odore di gigli
che aveva
sentito nelle lettere non proveniva dalla carta, ma dal profumo che
Lily usava.
Sören
registrò con una certa
dose di sgomento che aveva la bocca secca e i battiti accelerati.
Nessuna ragazza gli si era
mai
avvicinata così tanto. Era
mortalmente
imbarazzato. Avrebbe voluto uscire di lì, intimare alla
coppia di andarsene e …
scappare.
Naturalmente non poteva
farlo.
Rimase quindi il più fermo possibile, ben attento a non
toccarla in nessun
modo.
“Sono solo
preoccupata per te!
Sono prove rischiose e tu non sei preparato!”
“E McLaggen lo sarebbe?”
“No! Nessuno è preparato per cose simili! Gli
studenti stranieri si sono
preparati per mesi, sono stati
selezionati da una scelta interna alle loro scuole!”
“Se il Calice mi sceglierà vorrà dire
che sarò adatto per il Tremaghi, non
credi?”
“Oh, certo! Un pezzo di
legno
imbevuto di magia sarebbe un giudice attendibile
perché…?”
“Non mi ha ancora scelto!”
Ormai il
tono di voce del ragazzo era praticamente allo stesso.
“Maledizione Rose! Si
suppone dovresti essere… non so, supportiva? Pensi che abbia
bisogno di altra
gente che mi dica che non sono esattamente il campione che Hogwarts
potrebbe
desiderare?”
Quest’ultima affermazione ebbe il potere di smorzare
l’ira della ragazza.
Inspirò lentamente, rilasciando poi un lungo sospiro.
“Non ho detto questo…”
Mormorò, ad un tono di voce che Sören
trovò decisamente meno urtante.
“Invece sì.” Replicò il
ragazzo brusco. “Non hai fatto altro da
un’ora.”
“Sono…
oh, miseriaccia… Scorpius.”
Separò la distanza che li
divideva e lo prese per un braccio. “Sono arrabbiata
perché non me l’hai detto…
pensavo che ne avremmo parlato, insieme.”
Scorpius Malfoy. Ecco chi
era.
Lily gliene aveva parlato una decina di lettere prima.
…
ne ha parlato a Luzhin, cioè.
Il ragazzo era purosangue,
di
una delle più antiche casate della Gran Bretagna. Non
conosceva i Malfoy, ma
poteva capire perché il loro rampollo fosse restio a
litigare in luoghi
pubblici.
Non
credo che una famiglia così antica, e quindi
probabilmente radicata nelle tradizioni, approverebbe la frequentazione
con una
mezzo-sangue.
Non che gli interessasse, ma
visto che era lì…
“Ho provato! Ma tu non facevi che svicolare e scappare a
chiacchierare con i
tuoi cugini! Sembravi già
avercela
con me!”
“Non era
per… sì, beh. L’avevo
già capito, è vero. Io…”
Improvvisamente la ragazza sembrava sulle spine.
Estremamente sulle spine. “C’è una cosa
che devo chiederti.”
“Cosa?”
“… Chi
è Violet?”
“Violet? È…” Stava per
rispondere, poi sembrò che un pensiero gli attraversasse
la mente. “E tu come fai a conoscerla?”
Sören
guardò per pura indagine
analitica Lily. Si stava martoriando un labbro.
“Oh, no,
no… Qui le cose non
si stanno affatto mettendo bene…”
Borbottò tra sé e sé, quasi lui non ci
fosse.
“Che hai combinato Rosie?”
Tutta quella storia era adolescenziale in modo ridicolo. Ma gli stava
permettendo di avere la riprova del fatto che Lily Potter si accorgeva
di cose
che solo un Legimante esperto poteva scrutare nei volti o nei gesti
delle persone.
Suo zio aveva ragione.
Specie perché
avendocela così
vicina aveva notato che, nascosto dai capelli, c’era
l’orecchino di controllo.
“Non la
conosco.” Fu la nervosa
risposta. “La conosce Dom, è nella delegazione di
Beaux-Batons con lei… e
l’ho sentita parlare di te.”
Mentiva. Ma
l’altro non parve
accorgersene.
“Ah…
beh, è una mia amica di
infanzia. Le nostre famiglie si conosco da Hogwarts. È una
lunga storia.”
Scrollò le spalle, e non sembrava mentire. “Niente
di importante, mia nonna ha
preso un po’ troppo alla lettera il fatto che a cinque anni
asserivo di volerla
sposare…”
“Scusa?”
“Rosie, eddai!
Cinque anni! È
stata la mia prima cotta, ma non ci parlo praticamente da
allora!”
“In che rapporti
siete?”
Il ragazzo non parve
adontarsi
del tono intrattabile, anzi sembrò piuttosto divertito, da
come si sciolse in
un sorriso e la prese tra le braccia. “Nel genere di rapporto
in cui ci si
scambia un paio di convenevoli e sorrisi di circostanza… te
l’ho detto, sono
anni che non la vedo e non l’avrei neanche riconosciuta se
non si fosse
presentata.”
“Quindi si è presentata… Che
sfacciata.”
“Tu sei il mio
unico
fiorellino, Rosey-Posey. Non essere gelosa, anche se sei più
bella quando hai
quest’aria mortifera…”
“Malfoy…”
La risposta fu un bacio. Il genere di effusione che a Durmstrang
probabilmente
sarebbe stata punita con un mese di detenzione.
“Lily, forse
dovremo
andarcene…”
“Se andiamo adesso
ci vedranno
e sapranno che li abbiamo spiati.” Obbiettò con
una ragionevolezza inquietante,
specie se abbinata ad un ghignetto che non le aveva mai visto fare.
“Non che mi
preoccupi per Malfoy… ma hai visto
com’è mia cugina.” Lo
squadrò. “Potrebbe
essere spiacevole e molto
imbarazzante interromperli.”
E
questo non lo è?
Non ribatté
però, limitandosi
a guardare un punto fisso del muro opposto. Non era preparato a quello.
Doveva
farci amicizia, non…
…
Doe aveva ragione. Sono un sociopatico.
Sentiva lo stomaco stretto
in
una morsa di bruciante nervosismo, le mani sudate e altre varie
funzioni
fisiologiche alterate.
Aveva lottato con uomini
più
grossi di lui e aveva rubato incantesimi e maledizioni a maghi potenti
per suo
zio, per la Thule.
Ma non era stato preparato
per
sentire il respiro tiepido e profumato di una ragazza al suo orecchio.
Per fortuna pochi attimi
dopo la
coppia si allontanò in perfetta armonia, come se non si
fossero urlati addosso
fino a pochi minuti prima.
Lily a quel punto si
scostò,
permettendogli finalmente di avere una respirazione normale.
“È la
prima volta che li vedo
litigare…” Commentò pensierosa.
“Ma penso che abbiano risolto… più o
meno.”
Questo lo aggiunse sottovoce.
“… Qual’era il punto della
lite?” Chiese senza volerlo sapere, ma solo per
avere il tempo di ricomporsi.
“Beh…”
Lo squadrò, poi scrollò
le spalle. “Penso che Scorpius si stia mettendo nei
guai.”
Non gli diede il tempo di
ribattere perché guardò l’orologio
babbano che aveva al polso e sobbalzò.
“Per Nimue,
è tardissimo!
Dovrei già essere a lezione! Ci vediamo a cena
Ren!” E gli stampò un bacio
sulla guancia.
Un attimo dopo era sparita
dietro l’angolo.
A lui ci volle
più di qualche
minuto invece.
****
Hogwarts,
appartamenti del Capocasa di Tassorosso.
Quattro
del pomeriggio.
James si
risvegliò con la vaga
sensazione di trovarsi in un alveare.
O nella stanza di un
tassorosso, a seconda delle interpretazioni.
Era negli appartamenti di
cui
Teddy poteva usufruire in quanto giovane e promettente direttore della
Casa più
leale di Hogwarts, e tutto lì dentro naturalmente
doveva ricordare i colori dello stemma.
Un
alveare, appunto.
Sogghignò contro
il cuscino.
Era il suo giorno libero e l’aveva passato a riprendersi
dalle… fatiche…
della notte prima. Teddy invece
ero dovuto scappare via prestissimo per fare il suo dovere.
Sentì dei rumori
nel salottino
adiacente, ma non si disturbò ad alzarsi essendo nudo: farsi
beccare da qualche
altro professore con le grazie al vento non sarebbe stata una buona
pubblicità
per Teddy.
Quest’ultimo
entrò nella
stanza pochi minuti dopo, calciando via le scarpe e slacciandosi il
mantello
nero, che lo qualificava come professore, per gettarlo da qualche
parte.
Visto
quant’è disordinato l’avrà
lanciato sul
lampadario o qualcosa del genere.
“Sono
ufficialmente distrutto…”
Annunciò con voce
inusualmente lamentosa. Conseguentemente James sentì uno
smottamento dal lato
libero del letto a baldacchino.
Soffocò una
risata quando vide
il proprio ragazzo steso a corpo morto sul materasso.
“Ed è
tutta colpa del
magnifico James Potter, il Re!” Sghignazzò alzando
la testa dal cuscino e
palesando il fatto che fosse sveglio. “Sono davvero, davvero
un dio del sesso!”
“Direi
più un satiro, seguendo
la mitologia greca…”
“Aspetta, non sono
quei tizi
per metà capra?”
Indagò. All’aria
divertita dell’altro, trovò doveroso tentare di
soffocarlo con il cuscino.
James davvero, provava ogni
volta ad aver ragione dell’erede dei Lupin, facendosi forza
del fatto che aveva
un bel po’ di muscoli, era un allievo auror ed era allenato.
Teddy anche stavolta
riuscì
agevolmente a ribaltarlo sotto di sé, con un tenue sorriso
da bibliotecario.
Lo odiava.
“Perché?”
“In quanto l’unico figlio umano di un lupo
mannaro… credo dovresti chiedere al
signor Scamandro.” Replicò tranquillo,
bloccandogli i polsi sopra la testa per
evitare ulteriori ritorsioni.
“Per essere
distrutto sei
fottutamente vitale…” Brontolò, avendo
cura di fargli sentire che sotto le
lenzuola non aveva niente addosso. Teddy, essendosi seduto sopra il suo
stomaco, cambiò immediatamente il colore degli occhi in quel
nero pastoso che
preludeva del sesso niente male.
“E poi sono io il saCoso…”
“Satiro.” Lo corresse prontamente. “Sono
stanco, ma sono pur sempre un uomo,
James. E tu mi stai provocando…”
“Faccio mai
qualcosa di
diverso?”
Sentì le labbra di Teddy cozzare sulle sue prima che lo
baciasse con gusto,
approfonditamente.
James cercò di
tirarsi a
sedere e di liberare i polsi allo tempo stesso. Fallì in
entrambi i suoi
obbiettivi, ma non gli importava finché la lingua di Teddy
continuava ad
accarezzargli la chiostra dei denti in quel modo fottutamente perfetto
e
intossicante.
Vic
qualcosa di buono gliel’ha insegnato. Grazie Vitro,
ma d’ora in poi è roba mia.
Si staccarono con il fiato
corto.
“Hogwarts fa letti
comodi, non
ricordavo male… Ho dormito come Merlino comanda.”
Gli fece presente, mentre l’altro
si toglieva dal suo stomaco per potersi sfilare il maglione.
“È
passato solo un anno, non
darti tante arie…” Ridacchiò.
“Ma mi fa piacere che tu abbia dormito quasi
quindici ore.”
“Esagerato… Comunque ti sei sistemato bene Lupin,
complimenti.”
A
proposito di sistemazione…
Non avevano più
parlato
dell’ipotesi convivenza. Per il momento la decisione era
stata congelata visto
che Teddy viveva ad Hogwarts; non aveva bisogno,
nell’immediato, di un
appartamento in cui stare.
Ma
francamente vorrei cominciare a vivere da solo…
Cristo, ho diciotto anni e la City mi
aspetta!
Un paio di ragazzi
dell’Accademia gli avevano già chiesto se aveva
bisogno di un posto dove stare,
e persino Bob Jordan gli aveva offerto una stanza del piccolo
appartamento che
aveva affittato con la sua ragazza.
Aveva rifiutato ogni
opportunità. Aspettava.
Ma
non sarei James Potter se non calcassi la mano…
“I preparativi del
trasloco di
zia Dromeda come vanno?”
Teddy si bloccò nell’atto di togliersi la camicia.
“Bene…” Esordì guardingo.
“Tra un mese si trasferirà ufficialmente al
Manor.”
“E noi?”
Come previsto, vide Teddy guardarlo con vago panico. Ci provava a
rilassarsi un
po’, doveva rendergliene atto, ma i cambiamenti erano
qualcosa che continuavano
ad atterrirlo nel profondo.
“Vuoi
già trasferirti a Londra?”
Dal modo in cui stava lisciando le pieghe del maglione era chiaro che
sperasse
in un interruzione di quella conversazione.
Non avvenne.
“Sì,
sono stufo di usare la
Metropolvere tutte le mattine. Finisce sempre che sono pieno di
fuliggine.”
Scrollò le spalle. “E poi tutti i miei amici sono
in città, mi rompo le palle a
fare la figura del campagnolo che si deve smaterializzare ogni giorno
fino al
Devon.”
“Jamie, io per ora
sono fisso
qui, per me non avrebbe senso…”
“Lo so.” Aspettò che il sollievo facesse
capolino sul viso dell’altro per
continuare. “Quindi pensavo che, per il momento, potevo
cercarmi un
coinquilino.”
Naturalmente aveva in mente
un
piano.
“Ah…
sì, mi pare una buona
idea.” Disse lentamente Teddy, alzando lo sguardo dal
maglione per puntarlo
addosso a lui. “Sai già dove orientare la tua
scelta?”
“Pensavo Notturn Alley.” Alla faccia allarmata
dell’altro rise. Perché era una
carogna. “Andiamo, non fa tutto
schifo, non ci sei stato… parecchi ragazzi
dell’Accademia abitano lì, gli
affitti sono bassi. Papà è
d’accordo.”
“Se è così…”
Convenne mite, piegato dall’autorità di suo padre.
Ma lo sguardo
era di tutt’altro avviso. Per un folle momento James
pensò che l’avrebbe
incatenato a quel letto vita natural durante. Sarebbe stato divertente.
“Hai
già visto qualche appartamento?”
“Un paio. Ce n’è uno niente male, zona
decente, praticamente attaccato a Diagon
Alley, tre stanze.”
“Escluso bagno?” Tentò speranzoso.
“Compreso.”
“Quindi c’è una sola
stanza da
letto?” Teddy spesso e volentieri non si rendeva conto quando
i capelli gli
cambiavano colore. Quel rosso violento gli stava piuttosto bene.
“Posso far mettere
due letti
singoli. Ho vissuto sette anni in stanza con altri quattro ragazzi, non
è certo
un problema.”
“…
Naturalmente. Sì, è un… è
un ragionamento sensato.” Era così compresso nel
tentativo di non esprimere
rimostranze del tutto infondate che a James fece tenerezza.
Si sporse per buttarglisi
addosso, in un abbraccio molto più simile ad un placcaggio
da Quidditch. Sapeva
che piaceva ad entrambi.
“Ti prometto che
lo prenderò
etero.” Gli sussurrò contro la guancia.
“Un etero innamorato delle donne, che
lavora come collaudatore di scope da corsa o in una fonderia di
calderoni.”
“Allora mi sento rassicurato…” Disse in
un sospiro, facendolo ridere. “Jamie, non
importa… va bene. È giusto che tu voglia
andartene di casa.”
“Assolutamente
giusto.”
“Infatti… e non puoi certo sobbarcarti da solo la
spesa di un appartamento.”
“E non voglio chiedere troppi soldi ai miei.”
“Sì, lo so… Sei un ragazzo
responsabile, sotto questa testaccia dura…”
Mormorò
con affetto, voltando il viso per stampargli un bacio sulle labbra.
James si
sentiva sempre un po’ cretino, ma tra le braccia di
Teddy… beh, era come essere
nel suo porto maledettamente sicuro.
“Assicurati solo
che…”
Continuò.
“Mmh?” Spiò pieno di
curiosità.
“… Niente.” Borbottò,
scendendo dal letto per appendere la camicia all’armadio
e recuperare un po’ di dignità. “Tra
poco è ora di cena. Perché non resti?
Stasera ci sarà l’estrazione dei campioni del
Tremaghi… credo di possa
interessare, no?”
“Ci puoi scommettere! Ma posso?”
“Il preside ti ha formalmente invitato.” Sorrise
della sua espressione
sbigottita, mentre chiudeva l’armadio e tornava verso il
letto. “A
quanto pare i muri di Hogwarts hanno
davvero le orecchie…”
****
La Sala Grande era gremita
di
persone fino all’inverosimile. Gli hogwartsiani si erano
mischiati tra di loro,
e cravatte spesso in conflitto si sedevano accanto. Lì non
era più una
questione tra Case, rifletté Rose, seduta accanto al
fratello e a Lily: era una
cosa tra scuole di magia. Le rivalità interne erano state
momentaneamente messe
da parte.
Hugo si mordicchiava un
pollice. “Dico McLaggen… Anche se sarebbe
praticamente perdere… Grop è più
sveglio di lui.”
“Allora decisamente non
Brady.” Replicò
Lily. “Ci sono uscita l’anno scorso, è
un deficiente. Non voglio che sia il mio
campione.”
“Credo si chiami Brody…”
Tentò Hugo
con aria depressa.
“Bah,
fa’ lo stesso. Tra l’altro,
bacia come se dovesse succhiarti via l’anima, sapete, tipo
Dissennatore…”
“… non
è che sia una roba
richiesta per essere un campione…”
“Non fare il guastafeste, Hughie! E poi, non si sa
mai.”
Rose rimase in silenzio. In
quel
momento avrebbe avuto bisogno di Al, ma il cugino era dal lato opposto
della
Sala, avendo trovato posto solo tra un gruppo di serpeverde. Era in
compagnia
dell’imprescindibile Tom. Che aveva un libro in mano e
sembrava completamente indifferente
al tumulto che lo circondava.
Lo invidiò.
Avrebbe voluto
anche lei dimenticarsi di quello stupido Torneo e
dell’eventualità che il
ragazzo che amava andasse a farsi ammazzare.
Scorpius arrivò
quasi per
ultimo, mentre venivano chiuse le porte della sala, in compagnia
nientemeno che
di suo cugino James.
“Che ci fa
qui?” Chiese Hugo
sorpreso.
“Indovina? Teddy?” Ghignò Lily,
ignorando l’aria
piena di disagio che assunse il ragazzino. “Però
fa strano vederlo in abiti
babbani qua dentro…”
“Ehilà!” Li salutò, facendo
scostare con una pacchetta sulla testa Hugo. “Ciao
cuginetti, ciao sorella.”
“Sei sexy in modo disturbante con questi jeans.”
Gli sorrise affettuosa Lily. “Metà
della scuola ti sta guardando il sedere.”
“L’altra
metà è semplicemente
disturbata.” Si premurò di informarlo Scorpius,
perfettamente a suo agio, come
se tra pochi minuti non si sarebbe deciso del suo futuro.
Rose non era riuscita a
dirgli
tutto quello che voleva, quella mattina. Il fantasma di Violet
Parkinson-Goyle
e della lettera trafugata aleggiava sopra di lei bloccandola in un
frustrante
senso di colpa.
Quale
colpa poi? Assicurarmi che il mio ragazzo non si
sposi nella fottuta Loira?
“Perché
cavolo sei qui Jamie?” Sbottò
senza sapere bene cosa dire.
“È
bello essere apprezzati
dalla propria famiglia…” Sorrise James ignaro,
passando un braccio attorno alle
spalle di Scorpius con fare cameratesco. “Sono qui per
supportare il biondino,
è ovvio!”
Rose sentì che era arrivata al punto d’arrivo
quando si accorse che non voleva
che suo cugino, felicemente innamorato di un’altra persona,
lo toccasse.
Non era normale che stesse
diventando così…
Beh.
Morbosa?
Sapeva che c’era
una
spiegazione ed era una sola.
Nessuno
sa di noi, tranne una manciata di persone. Le
nostre famiglie non lo sanno. Non lo sanno i nostri genitori. Non lo
sa… nessuno.
È
come se non stessimo assieme. Anche se tra poco
faremo un anno.
“Insomma, tutti lo
sapevano
tranne me…” Mormorò a mezza bocca,
senza riuscire a tenerla chiusa.
“Sapere
cosa?” Chiese Hugo
confuso. Lily assunse un’aria sorpresa, ma in qualche modo
Rose fu certa che
stesse bluffando.
E
quando mai non lo fa?
“Visto?”
Replicò Scorpius
paziente. “Potty lo sa perché ci siamo visti ieri
sera al pub per una
burrobirra.” Sorrise disinvolto, ma era chiaro fosse di nuovo
infastidito da
quella piega del discorso. “Ho fatto il mio dovere.
L’ho detto alla mia ragazza
e al mio migliore amico.”
“A me non l’hai
detto, l’ho visto con
un’altra cinquantina di persone
stamattina…”
“Ma cosa?” Insistette Hugo. “Di cosa
state…?”
Non riuscì a
terminare la
frase perché entrò Vitious, seguito da loro zio
Percy e un altro funzionario
del Ministero dall’aria efficiente. Le chiacchiere si
spensero di botto, senza
che nessun professore dovesse richiamarli all’ordine.
Il piccolo preside si
avvicinò
al Calice che brillava nella sua fiamma azzurrina.
“Bene,
è arrivato infine il
momento che tutti aspettavamo, la selezione dei campioni!” Le
sue parole furono
accolte da uno scroscio di applausi.
“Volete scommette
ragazzi? Ultima
chiamata prima del verdetto! Cinque galeoni che sarò
McLaggen e dieci sulla
Chang…”
Tom quasi sobbalzò quando sentì il sussurro di
Nott all’orecchio. Al naturalmente
quasi cadde dalla panca.
“Loki!”
Sussurrò sconcertato. “Sono
un Caposcuola, non puoi proporre scommesse clandestine davanti a
me!”
“Infatti lo sto proponendo proprio
a
te.” Spiegò con un ghigno quieto. “Vuoi
sfidare le statistiche? Danno Malfoy perdente
nove a uno…”
“Malfoy? Vuoi dire che ha…” Al si
bloccò, guardandosi attorno come se fosse un
gran segreto di stato. Tom fece un mezzo sorriso, senza scollare gli
occhi
dalle pagine del volume di Trasfigurazione.
È
tutta la mattina che non si parla d’altro nei
corridoi… Ha messo il suo nome a colazione.
“Dove vivi dolce
Al?” Lo prese
in giro Nott, arruffandogli i capelli. “Lord Malfoy
è in lizza per diventare il
campioncino di Hogwarts. Non si parla praticamente altro.”
“Qualcuno deve pur fare qualcosa di responsabile qua
dentro.” Borbottò. “Io
non ascolto i pettegolezzi.”
“Ah, che colpo al cuore… e pensare che io e Mike
ti avevamo cresciuto così
bene.” Sorrise l’altro serpeverde. “I
pettegolezzi sono l’unica verità
interessante.”
Tom vide la postura di Al
irrigidirsi,
come le labbra serrarsi: era un libro aperto.
Non
ha ancora parlato con Zabini…
Si voltò per
cercarlo con lo
sguardo. Lo trovò direttamente ad un altro tavolo, in
compagnia di altri
serpeverde, suoi leccapiedi o ex amanti. O entrambi. Non guardava
neppure nella
loro direzione.
Decisamente
non ci ha ancora parlato.
“Perché
lo date perdente?”
Mormorò Al. “È in gamba, è
un prefetto e un ottimo giocatore di Quidditch!”
“Ah, piccolo Potter… le scommesse qui, con tutti
questi adolescenti. non
vengono fatte secondo strategia. Si va sul fattore emozionale. Il che,
detto
tra noi, per me è un vantaggio…”
Ghignò. “Le persone continuano a vedere solo il
suo cognome. E poco altro.”
“Ma è
assurdo! Con tutti i
riconoscimenti che ha qui ad Hogwarts dovrebbe…”
“Continui a non seguirmi.” Un’altra
pacchetta paziente sulla testa. “Malfoy
potrebbe diventare anche il presidente di tutte le associazioni
studentesche
della scuola, compresa quella di Gobbiglie, ma la gente non smetterebbe
di
considerarlo per chi sono i suoi.”
“Ex-mangiamorte…”
Sospirò Al. “Ma
se diventasse il Campione del Tremaghi…”
“Beh, oltre ad una bella targa lucida nella Sala
Trofei… forse otterrebbe
qualcosa di più. Ma sono considerazioni. Rimane il fatto.
È sfavorito.”
“Allora scommetto dieci galeoni su di lui.” Disse
di getto, stupendo entrambi. Arrossì.
“È mio amico… non lo faccio per i
soldi. È una questione di principio,
ecco…”
Tom gli mise una mano sulla
gamba, e mentre Al intrecciava le dita alle sue, furono tutti rapiti
dallo
spettacolo del Calice, che aveva mutato le proprie fiamme da un azzurro
tenue
ad un fuoco rosso e violento.
Il primo nome ad essere
sputato fuori fu in un lezioso cartoncino color carta da zucchero.
Vitious
lo aprì. “Dominique Weasley per
Beaux-Batons!” Annunciò
tra gli applausi.
Gli
allievi di
Beaux-Batons esplosero in un'acclamazione calorosa, sopratutto il tipo che
chiacchierava qualche
giorno prima con sua cugina che si stava letteralmente spellando le mani.
Dominique si alzò
e percorse
la navata con un largo sorriso soddisfatto. Sembrava aver voglia di
alzare le
braccia in segno di vittoria, ma un’occhiata gelida della sua
Preside le rimise
a posto. Si limitò quindi a shakerare vigorosamente la mano
di Vitious – tanto che
fu visto da più persone emettere un lamento – e
trotterellare fuori in una scia
di capelli argentati.
“Lo sapevo, Domi
è la migliore
in quella scuola di santarellini!” Esclamò Hugo,
dandosi il cinque con James. “Il
Calice doveva troppo
sceglierla!”
“È
matta come una banshee ma
sa il fatto suo.” Convenne quest’ultimo.
“Lunga vita agli Weasley!”
“Se avesse
improvvisato una
danza della vittoria giuro che
avrei
riso fino alle lacrime…” Fu il commento di Lily.
Ma Rose la vide scrutare con
apprensione verso la delegazione di Durmstrang, specialmente in
dirittura del
piccoletto coi capelli lunghi che rispondeva al nome di Sören.
È
quasi più preoccupata per lui che per Dom.
Beh…
anche vero che preoccuparsi per Dom è un esercizio
un po’ sterile.
Il secondo pezzo di carta
sputato fuori fu un cartellino squadrato, delle dimensioni di un
biglietto da
visita babbano. Sembrava stato tagliato con un tagliacarte estremamente
efficiente.
Il preside lo
mancò di pochi
centimetri, e fu afferrato al volo da Percy che glielo passò
ossequioso.
“Sören
Luzhin per Durmstrang!”
Annunciò, seguito da un tiepido applauso.
L’unico veramente
contento tra
quelli di Durmstrang sembrava un tipo grassoccio con la barbetta da
capra. Il
prescelto si limitò ad alzarsi, fare un leggero inchino al
preside – evitando accuratamente
di stringergli la mano, notò Rose – per poi
seguire Dominique nella sala attigua.
“Sembra un tipo
proprio
simpatico…” Commentò James storcendo la
bocca. “Non gli ho neanche visto la
faccia con tutti quei capelli. E quelli di Durmstrang non dovrebbero
essere
scelti in base alla massa muscolare?” Concluse mentre
Scorpius ridacchiava.
“Oh, ma falla finita!” Lo riprese Lily con uno
sbuffo. “Se lo meritava se il
Calice l’ha scelto.”
“Se a Durmstrang
giocassero a
Quidditch sarebbe un ottimo Cercatore…”
Osservò Hugo pensieroso. “Ma visto che mi
sa che ci giocano… non mi pare proprio un loro…
insomma, rappresentante.”
“È in gamba.” Tagliò corto
Lily con una scrollata di spalle.
Ora la sala era diventata
ancora più silenziosa: i campioni delle due scuole straniere
erano stati scelti,
ma mancava il loro campione.
Era arrivato il momento,
pensò
Rose guardando il proprio ragazzo. Scorpius aveva il suo solito sorriso
ad
aleggiargli sul viso, ma solo quella parte sembrava calma. Era un
fascio di
nervi, lo poteva vedere da come tamburellava le dita sulle gambe o da
come si
era totalmente congelato.
Inspirò e gli
mise una mano sul
ginocchio. Cercò di sorridergli, sforzandosi fare buon viso
a cattivo gioco.
Perché lo amava.
Scorpius le
afferrò la mano e intrecciò
le dita alle sue, con forza.
“Ti
dispiace?” Chiese
sottovoce.
Rose scosse la testa. “Mai…”
Vitious afferrò
al volo il
pezzo di pergamena spiegazzato e nervosamente strappato sugli angoli.
Dopo esso
le fiamme si estinsero in una conflagrazione che strappò
parecchie esclamazioni
di sorpresa lungo la sala.
A Rose sembrò che
il tempo si
fosse congelato mentre il preside inforcava meglio gli occhiali per
leggere il
nome.
Scorpius
ha una scrittura orribile… è lui.
Lo seppe con certezza gelida
e
precisa, e strinse la mano del proprio ragazzo con tanta forza che
quasi sentì
male.
“Scorpius Hyperion Malfoy per
Hogwarts!”
Rose chiuse gli occhi quando
sentì la mano di Scorpius scivolarle via dalle dita, mentre
si alzava in piedi,
acclamato dalla
tavola dei supportivi,
almeno in apparenza, grifondoro.
Sentì Lily
toccarle una spalla
con la sua, e riaprì gli occhi solo per vedere il sorriso
comprensivo di sua
cugina. Non che volesse vedere molto altro; gli applausi erano un eco
lontano come
i fischi entusiasti di James.
“Sarà
un grande campione per
Hogwarts…” Le accarezzò una spalla.
“Davvero!”
“Sì, lo so…”
Avrei preferito che fosse rimasto solo il
mio…
Ma si stampò un
bel sorriso in
faccia ed applaudì.
****
Note:
Capitolo enorme, me ne rendo conto. Per farmi perdonare degli
aggiornamenti a
singhiozzo, si capisce.
1.
Qui la canzone.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Capitolo XV ***
@Herys: Tom in secondo piano? Ma
quando mai, pensi che potrei fare una cosa del genere al nostro
tenebroso
preferito? xD Tra Tom e Ren la sfida è bella se ti piaccioni
i tenebrosoni
tormentati... e grazie per i complimenti a quei due cuccioloni di Ted e
Jamie!
:D
@Lu_pin: Spero che con chimica sia
andata tutto bene e grazie mille! ^^
@ElseW: Eeheeh, beh, grazie, credo
di doverveli un pochino, visto quanto li avevo venduti gli scorsi
capitoli ^^ E
beh... addirittura li hai fatti diventare monogami, quei due, grande!
:D
Grazie! Rosie è come suo padre, e Dom regna sempre. Nomen
omen. :D
@Agathe: Sy è un coglionciotto
adolescente, chiedo venia per lui. A volte si comporta da stupido,
è un
maschietto! Ren non è un sociopatico, nè tanto
misantropo... è più che altro un
timidone! xD
@nicky_iron: beh, ho fatto del mio
meglio... è che dovevo mettere tutti! Ren è
sempre stato assorbito
dall'educazione e dai compiti che gli ha dato suo zio. Non che le
ragazze non
gli piacciano, è solo che non aveva tempo e sopratutto se ne
avesse avuto una
l'avrebbe messa in una brutta posizione. Quindi proprio le evitava.
Lily è
piccolina, diciamo 1,60 a malapena (ha preso da sua nonna Molly) e Ren
è un
nanerottolo, quindi 1,68 direi. XD Più che coraggio, per Sy
si è trattato di
opportunità...un po' non sapeva come mettergliela, un po'
Rose gli sfuggiva
volutamente. Ginny non sa ESATTAMENTE di Tom e Al, ma cuore di mamma...
sicuramente ha capito che tra di loro c'è un rapporto
mooolto profondo. Grazie
per le correzioni!
@Arianrhod: Grazie mille per i
complimenti e benvenuta! Sarà che sono un po' mentalmente
instabile pure io, per
questo mi riesce bene fare personaggi sociopatici! E mi fa davvero
piacere
sapere che Lily non ti risulta una stupida cretinetta! ^^ Teddy e James
li
dovrò per forza mettere un po' da parte, ma giuro che ci
saranno!
@lovermusic: Ehehehe, su Violet non posso
dirti ancora niente... vedrai! Per Ren e Lily invece... appena iniziato!
@simomart: certo, io do sempre retta
ai vostri consigli! :D Guarda, sono contentissima che tu mi abbia
capito
l'interazione Ren/Lils... quei due hanno molto da dire, e spero di
riuscire a
farlo bene. E sono sempre stata una gran fan delle Snevans, da quando
ho avuto
la rivelazione nell'ultimo libro. xD E mi hai perfettamente reso Rose,
e
proprio quello il punto che la rende così insicura e forse
poco apprezzabile in
questi capitoli. :P Teddy e Jamie sono il mio modo di rilassarmi.
Coppia
tranquilla, senza un asperità, dichiarata... ah! xD La data
di postaggio
purtroppo è ultimamente basculante. Prometto di postare
entro mercoledì di ogni
settimana, questo sì. ^^
@Trixina: le tue recensioni mi fanno
sempre morire dal ridere! Grazie mille e Loki potrai vederlo presto
all'opera!
(Anche James, ci mancherebbe :P)
@Idk: eeehe, sì, dovevo
metterli
per quanto ne avevo parlato! E poi un po' di het ogni tanto ci vuole!
(ma mai
senza il Pulcino)
@hale_y:
eppurtroppo devo dare spazio un po’ a tutti, e i nostri
adorati non possono
sempre rubare gli spotlights agli altri. :D Oh, Ren è un
tenero soldatino e
Lily SA che effetto fa ai ragazzi, non preoccuparti. E sì,
si è accorta di
tutto. :P I grifondoro secondo me sono dei gran paraculi. Ad Harry era
tutto un
trattarlo di merda quando le cose non andavano, salvo per pigolargli
attorno
quando faceva qualcosa di giusto (come vincere il Torneo)…
almeno i Serpeverde
sono bastardi dichiarati! Albie rimarrà sempre un tenero
plushie. xD
@altovoltaggio:
grazie, ma è tutto merito vostro! ^^ Guarda, finita questa
saga avevo tutta l’intenzione
di buttarmi sugli originali. Poi, si vedrà. XD Il siparietto
Ren mi ha fatto
morire dal ridere, è proprio come l’hai inquadrato
tu! XD Per quanto riguarda
le indiscrezioni su Durmstrang, come ho spiegato, mi è parso
di evincere da HP4
che le scuole magiche abbiano un alone di mistero e riserbo attorno a
loro
(Krum fu interrotto bruscamente da Karkaroff quando provò a
spiegare com’era
fatta la sua scuola a Hermione) e che quindi Sören, ligio
com’è a qualunque
ordine, abbia semplicemente seguito le direttive ufficiali. ;) Sulle
riflessioni di Sy ci hai preso. Del resto si sa come gli Weasley
reagiscono ai
Malfoy, mediamente, e Rose non è che sia una fan sfegatata
dell’attuale Lord.
@Tyumas:
poteva essere diversamente? XD Per la storyline
RoseScorpius… rimani su questi
schermi, solo questo!
@AlexielFay:
Non ti preoccupare, guarda io quanto sono discontinua a rispondere alle
vostre
meravigliose recensioni! Sören è un piccolo nobile
cresciuto a pane e ordine, è
naturale che sia un cavaliere-inside, indipendentemente da chi sia la
sua
famiglia. Sicuramente possiamo dire che non è stato viziato.
XD Tom è uno
stronzetto insopportabile, ma sa farsi voler bene, alla lunga. X)
@Andriw: Ciao!
Sì, mi piace spezzare un po’ anche con i capitoli
cavolata. XD Sì, purtroppo Sy
non ha avuto tanti amici, prima di mettersi con Rose e rendersi conto
che James
non era solo qualcuno con cui prendersi a pugni. E
Sören… ah, Sören, quel ragazzo
credimi, ci farà dannare! Per il quarto no, non
credo… del resto sarebbe
riprendere smaccatamente la Row e dai, cerco di essere un pochetto
più
innovativa! X)
****
Capitolo
XV
I
found something that was always there
Sometimes it's got to hurt before you feel
But now I'm strong and I won't kneel
Except to thank who's watching over me¹
(Always
know where you are, BB Mak)
Devonshire, Ottery St.
Catchpole.
Casa Potter-Weasley.
Ginevra Weasley in Potter
era preoccupata.
Erano ben due settimane,
cioè
da quando Albus e Lily erano partiti che si sentiva così.
Forse era per via del Torneo
–
anche se era certa che nessuno dei suoi figli avrebbe fatto una cosa
stupida come
farsi sorteggiare – o forse era per suo marito.
Riflettendoci bene, era
sicuramente per suo marito.
Harry Potter il Salvatore
dei
Due mondi era tranquillo. Troppo
tranquillo.
Ogni sera tornava a casa con
un sorriso quieto, le baciava le labbra, cenava con lei chiacchierando
di
sciocchezze, guardava un po’ di tv o ascoltava la radio e
infine si ritirava a
letto in buon ordine. Serena routine che in quei mesi era mancata
completamente.
Stava pianificando qualcosa.
Non
può essere per lavoro… Altrimenti avrei tutte le
cene condite da Ron e i loro lamenti congiunti.
Aveva interrogato il
fratello
in merito, e scomodato persino Hermione. Un buco nell’acqua.
Sospetto.
Molto sospetto…
Harry scelse quel pensiero
per
entrare in cucina, schiacciandosi i capelli arruffati sulla fronte in
un eterno
gesto inutile. “’Giorno Gin…”
Le sorrise, andando a baciarle l’angolo delle
labbra.
“Buongiorno a
te…” Rispose
mentre lo occhieggiava versarsi una tazza di the e puntellarsi al
lavello, con
gli occhi incollati alla finestra.
“Sono arrivati dei
Gufi per me?”
Borbottò impastato, massaggiandosi il mento ancora
ombreggiato di barba.
“Tre. Una dal Ministero, quella di Al e un telegramma da
Dundee, in Scozia…”
Snocciolò, avendo visionato le buste poco prima. Per un
attimo aveva avuto
l’impulso di aprire perlomeno quella del figlio, ma sapeva
che ad Harry faceva
piacere leggerla assieme. “Sono sul tavolo, come al
solito.”
Lo guardò
conseguentemente gettarsi
con fintissima nonchalance sulla lettera che proveniva dalla Scozia.
“Non viene da
Hogsmeade…”
Osservò in tono neutro.
“Mh-mh.”
“Chi conosciamo a Dundee?”
“Mmh…” Harry non aveva il dono del
pensiero complesso. Ginny era giunta a
questa convinzione dopo vent’anni di felice e appagante
matrimonio, nonché un’adolescenza
passata a rincorrerlo. Lo amava, ma era consapevole del fatto che fosse
un
totale incapace nel concentrarsi su due cose differenti allo stesso
momento.
Come
sua moglie e una lettera.
Gli si avvicinò
di soppiatto e
approfittando delle difese abbassate, gli strappò la lettera
da sotto il naso.
“Ehi! Gin,
ridammela!”
La tenne fuori dalla sua
portata, giocando sulle sue qualità di ex-cacciatrice. Harry
era stato un
Cercatore abile, ma in aria. A terra lei aveva ancora dei vantaggi. Che
sfruttò, dribblando abilmente l’uomo.
“Ginny!”
La lettera aveva una grafia
che le ricordava qualcosa. O meglio, qualcuno. L’aveva
già vista, era certa di
averla dimenticata in un cassetto della sua memoria.
Poi ricordò. La
mano che aveva
vergato quelle lettere appuntite era la mano che per sette anni aveva
corretto
i suoi compiti di Trasfigurazione.
“Harry, perché la McGrannit dovrebbe
scriverti?” Chiese, voltandosi
incredula.
Suo marito,
nonché Salvatore,
nonché Impiccione Epocale, si produsse in uno dei suoi
sorrisi, rari e pericolosi
come un rasoio appuntito.
“Beh. Ho chiesto
un paio di
favori in giro…”
****
15
Settembre 2023
Hogwarts,
Guferia. Mattina.
La cornacchia fece un largo
giro sopra il tetto della Guferia, quasi sapesse che il destinatario
della
lettera che portava legata alla zampa non era al suo interno.
Tom stese il braccio,
preventivamente coperto da stracci legati con uno spago per difendersi
dagli
artigli predatori del proprio famiglio.
Quando Kafka si fu
accomodata,
affondando comunque nella sua tenera carne, perché era un
uccello stronzo, slegò
la lettera, blandendola
con una carezza lungo il dorso e qualche bocconcino di carne secca.
Non l’aveva ancora
perdonato
per la sua assenza.
Neanche
Albus se l’è presa così
tanto…
“Adesso
va’ a riposare…” Non
fece in tempo a finire che quella spiccò il volo diretta
verso la foresta: non
apprezzava la compagnia dei gufi e degli altri volatili postini,
preferiva piuttosto
ripararsi tra le fronde del bosco. In questo era come lui.
Tom si appoggiò
alla balaustra
della scala esterna e strappò il sigillo di ceralacca della
lettera: era quello
di Durmstrang, un aquila bicipite. Tutte le lettere che provenivano
dall’Istituto venivano contrassegnate.
Sorrise: era la prima
lettera
di Meike.
Comunicare con Durmstrang
era stato
meno facile del previsto; Kafka era tornata indietro un paio di volte
con le
piume arruffate e l’aria spossata visto che le correnti e le
tempeste, tipiche del
Mare del Nord, le avevano più volte impedito la traversata.
Ciao
Tom!
Spero
che
questa lettera ti arrivi, perché davvero ci sono un sacco di
problemi qui con i
Gufi che devi spedire fuori dalla Norvegia.
…
ops! Non
dovevo dirti che la scuola sta qui, però tanto tu sei
intelligentissimo, quindi
lo sai!
Sono
contenta
che le cose siano tutto a posto adesso! L’ho scritto alla
nonna e anche lei è
contenta! Ti saluta tanto!
Qui
le cose
vanno bene. È una bella scuola, e sto imparando molto. Le
compagne del mio anno
sono simpatiche e gentili. Anche i professori sono bravi. E poi sono
fortunata,
perché qui parlano tutti in tedesco. È la
lingua… qualcosa. Francese No,
franca! Anche se
non so che vuol dire
però.
Adesso
da voi
c’è il Torneo Tremaghi. Lo so perché
qui si parla solo di quello!
Io
però tifo
per voi.
Come
sta Albus?
Salutamelo! E siccome non so se riesco a mandare la risposta per lui,
digli che
la sua lettera mi è piaciuta tanto e che vengo sicuramente
per Natale! Perché
mi ha invitato, sai? Non fare il brontolone, lo so che sei contento
anche te
tu!
Adesso
devo
andare, perché ho lezione di Magia Applicata (da voi si
chiama Incantesimi).
Ciao!
Meike
PS:
La tua
cornacchia è proprio forte! Però ha beccato una
mia compagnia di stanza che
voleva cacciarla via. Ma va bene, perché mi sta antipatica.
Intascò la
lettera dentro il
mantello e fece una smorfia. Ne sapeva abbastanza sulla sua piccola
amica
tedesca per capire che quella lettera puzzava di bugie lontano un
miglio.
Osservò e
respirò la lieve
nebbiolina che ricopriva i terreni della scuola, ancora gelati alla
prima luce
mattutina.
Sapeva esattamente cosa
stava
succedendo a Meike e lo irritava profondamente non poter far nulla.
Si sentì
abbracciare da dietro
e si irrigidì. Per poi rilassarsi subito dopo.
“Il tuo mento
appuntito mi sta
perforando una scapola.” Esordì neutro.
“Non ho il mento
appuntito!” Esclamò
Al dandogli una botta sulla suddetta scapola. Tom si voltò
per vederlo
imbacuccato nella sciarpa della loro Casa e con le guance
già rosse per il
freddo.
Era talmente adorabile che
dovette frenarsi per non farglielo notare: non era da lui e Albus
l’avrebbe comunque
ucciso.
Mi
sto davvero rincretinendo. Ritengo sia piuttosto
ufficiale.
“Che ci fai
qui?”
“Una passeggiatina
tonificante…”
Ironizzò perché ormai Ironia era diventato il suo
secondo nome. Tom doveva
ammettere di apprezzare quel cambiamento. “Devo spedire una
lettera a casa. Se
dipendesse da Lily i nostri genitori ci darebbero per morti.”
Sospirò facendo
spallucce. Si strinse il mantello addosso, ma era ancora quello estivo,
ed era
piuttosto palese sentisse freddo.
“Se hai
così freddo perché non
hai aspettato a mandarla?”
“Ti sembra abbia
tempo? Sono
praticamente invaso dai miei
stupidi
compiti…” Replicò Al un po’
seccato. Si appoggiò accanto a lui alla balaustra,
spalla contro spalla. Rimasero in silenzio, e Tom intuì che
Al ne avesse
bisogno. Quei giorni erano stati convulsi. Aspettò quindi
che fosse l’altro a
riprendere il discorso. “Di chi era la lettera?”
“Meike. Non sapevo gli stessi scrivendo…”
“Perché no? Mi è simpatica.”
Scrollò le spalle. “E poi credo che il primo
periodo in una scuola nuova non sia facile per nessuno… Le
lettere che mi
mandavano i miei al Primo anno mi facevano sentire meglio quando ero
giù. Anche
se comunque avevo i miei amici…” Gli sorrise.
Tom si prese un momento per
stampare un bacio sulle labbra fredde dell’altro, prima di
parlare.
“Non si sta trovando bene. Non credo neppure li abbia, degli
amici…” Mormorò
poi, prendendo la lettera e rigirandosela tra le dita, pensieroso.
“Ma se mi ha detto che le sue compagne…”
“Al, ti ha mentito.” Alla sua espressione confusa,
si affrettò a spiegare.
“L’ha fatto anche con me. Basta leggere con
attenzione…” Gli passò la lettera.
“Guarda che non so il tedesco…”
Osservò gentilmente, ridandogliela.
“Perché non
me la riassumi?”
“Non
c’è molto da dire. Ha cercato
di tranquilizzarmi, ma non c’è
riuscita.” Sottolineò con la punta
dell’indice
un paio di righe. “Frasi brevi e concise, non ha fatto un
solo nome. E vedi
quei punti dove l’inchiostro ha sbavato? Ha appoggiato la
piuma, perché era
incerta su cosa scrivere.”
Albus scrutò la
lettera,
lanciandogli un’occhiata di sbieco. “Meike ha
undici anni. Non pensi che abbia
sbavato perché a quell’età è
difficile scrivere con piuma e inchiostro? A volte
penso che tu sia troppo sospettoso…”
“Troppo intelligente, piuttosto.”
“Per Morgana!” Sbuffò. “… Comunque,
anche se fosse vero, sarà questione di tempo, non tutti si
integrano subito.”
“Sarebbe dovuta venire ad Hogwarts.”
Tagliò corto, e lo pensava davvero dopo
quello che aveva letto, intuito e visto. La politica di Durmstrang con
i
mezzosangue era ambigua: se da un lato avevano deciso di aprire le
porte ai
mezzosangue e ai nati-babbani, dall’altro continuavano a
discriminarli. Certo,
in modo più subdolo, ma rimaneva il fatto che consideravano
gli allievi con
sangue babbano un prodotto di serie b. Bastava guardare la loro
delegazione:
era interamente composta da purosangue.
Non
ce n’è uno che non abbia un anello con il blasone
di famiglia.
Meike era figlia di un mago
e
di una babbana, con una nonna maganò. Praticamente il suo
stato di sangue
parlava da solo senza che avesse bisogno di presentarsi.
Lui era cresciuto con i
babbani, e per anni era stato creduto un nato-babbano.
A
Serpeverde…
Aveva capito sulla propria
pelle che certi pregiudizi non sarebbero scomparsi solo con la caduta
di
Voldemort.
“Sei preoccupato
per lei?”
Chiese Al, distogliendolo dalle sue riflessioni. “Meike
è una bambina in gamba,
sa cavarsela…”
“Questo non basta. Durmstrang è un ambiente
classista e lei una mezzosangue. È
probabile che non abbia trovato molte persone disposte a conoscerla per
quello
che è, ma
piuttosto per ciò che c’è
scritto sul suo stato di nascita…”
“Potrebbe
trasferirsi allora…”
Suggerì Al, serio. “Dico davvero, non è
così insolito che un mago di una zona
geografica diversa si iscriva qui! Cioè, credo si possa
fare…”
“Ne parlerò con Harry.” Convenne in tono
definitivo, perché il sole stava
spazzando via la bruma, illuminando la Foresta e ricordandogli che quel
giorno
era quietamente campale.
Era il giorno del suo esame
di
ammissione al Settimo.
A parte il vago nervosismo
che
lo assaliva come ogni volta che doveva sostenere una verifica, si
sentiva
tranquillo. Se c’era una cosa di cui era certo, era il fatto
che era un mago. E
che era maledettamente bravo in quello, se deficitava in molte altre
cose; provarlo
ad una commissione di professori che conosceva non lo spaventava.
“Nervoso?”
Indovinò Al,
dandogli un colpetto con la spalla. “Non dovresti. Sarai
geniale e affascinante
come sempre quando fingi di non essere un
brontolone…”
“Smettila…”
“Sai che dico la verità! E poi i professori sono
già tutti innamorati di te.”
“Spero non Lupin. Non gradirei le sue
attenzioni…”
“Scemo…”
“Oh, allora dovrei proprio piacergli visti i suoi gusti in
fatto di uomini. Che
sfortuna.”
“Tom!” Gli
tirò un colpo sul fianco,
facendolo ridacchiare. Gli passò un braccio attorno alle
spalle, e si beò del
fatto che Al gli si rannicchiò addosso. Aveva le mani
fastidiosamente
congelate, ma il resto del corpo era tiepido e morbido, con tutta
quella stoffa
a cercare di difenderlo dal freddo mattutino.
Era quasi un pregio che
fosse
così congenitamente incapace di tollerare le basse
temperature.
“Questa cosa del
Torneo mi sta
succhiando via l’anima… Sembra che tutto
ciò che concerne gli studenti
stranieri debba essere mia responsabilità o
quasi.” Gli mugugnò contro il
collo.
“E
l’altro Caposcuola?”Gli
accarezzò i capelli arruffati sulla nuca. “La
Bones?”
“Inutile come una Firebolt
sott’acqua…” Borbottò
tirandolo giù per cercare un
altro bacio. Erano entrambi sottilmente in ritardo, ma a Tom
improvvisamente non
importò; non finché aveva le labbra di Al che
sapevano già di
cioccolato a lambirgli le sue, stuzzicandole per
approfondire il bacio.
Se
mi lascio convincere non lascerò più questa
balaustra gelata…
Si staccò un
po’ bruscamente. “Devo
andare. Non voglio arrivare in ritardo.”
Al serrò le labbra in un broncio. “Fammi sapere
come va.” Disse però, perché
era davvero un piccolo ligio Caposcuola.
“Dovrei aver finito per pranzo. Aspettami fuori
dall’aula undici, al piano
terra. Trasfigurazione dovrebbe essere l’ultima materia in
cui verrò esaminato.”
“Da un esaminatore esterno?” Chiese
l’altro sorprendendolo. Vedendo la sua aria
confusa, si apprestò a spiegare. “Sai, non hanno
trovato ancora un sostituto
per la Prynn… Per il momento ci fa lezione il professor
Finch-Fletchley, di
Aritmazia. Pare che Trasfigurazione sia la nuova cattedra
maledetta.”
Tom si passò una
mano trai
capelli, distrattamente. Continuava a dimenticare che li aveva
tagliati, e da
un bel pezzo non gli finivano più negli occhi. Un
po’ gli mancava quel gesto,
doveva ammetterlo.
“Capisco.
Saprò dirti chi è in
anteprima allora…”
“Già.
Ed ehi… stasera
festeggiamo, no?”
“Al, non so ancora se andrà bene.”
“Andrà bene, è ovvio!”
Lo guardò come
se fosse altrettanto palese di una pioggia in giornata.
“… Va
bene. Non voglio nessuna
festa… però una ricompensa adeguata da te se
avrò successo, quella sì.”
“… pervertito.” Sbuffò con un
sorriso ad aleggiargli all’angolo delle labbra.
“Ma avrai anche una bevuta offerta dal sottoscritto ai Tre
Manici, che ti
piaccia o no. Con tutti i nostri
amici. Le pubbliche relazioni sono importanti!”
Tom sbuffò, vinto.
****
Cara
professoressa,
Non
le dispiace se la chiamo così, anche se è in
pensione, vero? Per me lei rimarrà
sempre la mia inflessibile professoressa di Trasfigurazione e Capocasa.
Come
sta?
A
questo punto, se fossimo faccia a faccia, mi direbbe di tagliare corto
e andare
al punto. Quindi ecco qua.
So
che lei sa cosa è
successo l’anno
scorso ad Hogwarts. Abbiamo entrambi buoni amici ad Hogwarts, non
è vero?
Fortunatamente
tutto si è risolto per il meglio. Non scendo nei dettagli,
non posso per via
della posizione che ricopro, ma sappia che tutto ruota attorno a Thomas
Dursley, il mio figlioccio.
Lei
non lo ha conosciuto, essendo andata in pensione un anno prima che
entrasse a
scuola. È un ragazzo brillante e diventerà un
grande mago. Purtroppo ha un
passato, di cui non ha nessuna colpa, che è tornato a
perseguitarlo.
Sto
ancora girando intorno al discorso, quindi arrivo dritto al punto.
Quest’anno
ho bisogno che qualcuno tenga un occhio su di lui. Come sicuramente
saprà si sta
tenendo il Torneo Tremaghi, e non scherzo dicendo che ho paura per la
sua
incolumità. Come avrà già indovinato
da queste poche righe, Tom ha la stessa
strabiliante capacità di cacciarsi nei guai che avevo io.
Lei
mi dirà che per questo ci sono i professori, ma mi
scuserà se sono franco: lei
è l’unica persona ad Hogwarts a cui, in quei tempi
terribili, avrei affidato la
mia stessa vita. E lo farei ancora.
So
che si è ritirata a vita privata, ma so anche che le
è arrivata una richiesta
di supplenza per la cattedra di Trasfigurazione. Per
questo la prego di non rifiutare, ma anzi accettare
l’incarico. Credo che si divertirà.
Ginny
mi dice di salutarla e con questo chiudo.
Harry
Hogwarts,
Hogsmeade.
Mattina.
Un giovane dalla corporatura
bassa e agile aspettava alla banchina dei treni, chiuso nel suo miglior
mantello che aveva comunque una grossa bruciatura sul didietro.
Quando il lucido treno nero
si
fermò, corse in direzione della prima carrozza,
aggrappandosi alla maniglia e
aprendo la porta.
“Salve Miss, il mio nome è Alwyn
Tremayne, sono il guardiacaccia e vice-Custode
delle Chiavi e dei Luoghi di Hogwarts, lieto di servirla!”
Disse tutto di un
fiato, prima che una grossa e pesante valigia gli venisse recapitata
cortesemente tra le braccia.
La donna, una lunga e
sottile
signora dai capelli completamente bianchi stretti in una severa
crocchia
antiquata, scese dal predellino come se non avesse fatto altro in vita
propria,
e in barba all’età, si eresse ferma e giudicante.
Il suo sguardo si soffermò
appena – quanto bastava – sul ragazzo, per poi
perdersi oltre i cancelli di
Hogwarts, oltre la foresta, verso il castello.
“Professoressa
McGrannit, giovanotto. Lo tenga a mente.” All’aria
palesemente spaesata del guardiacaccia inarcò leggermente le
sopracciglia. “È
per caso il sostituto di Hagrid?”
“Il suo vice,
sissignora!”
Esclamò. “Benvenuta ad Hogwarts!”
“Bentornata…” Lo corresse ancora una
volta. Ma sorrise.
****
Hogwarts,
Piano Terra.
Ora
di pranzo.
“Al, sto morendo di fame…”
“Dai, solo un attimo Rosie! Esce tra poco, sono
sicuro!”
Rose alzò gli occhi al cielo con un sospiro, mentre il
cugino occhieggiava la
porta chiusa dell’aula 11, sperando che da un momento
all’altro uscisse
quell’impiastro di Thomas.
Scorpius sordo ad ogni
richiamo fisiologico, fischiettava una vecchia ballata su un troll e
una
contadina. Era appoggiato al muro in una di quelle sue stupide pose da
divo casual, beandosi delle
occhiate furtive
e curiose di quelli che passavano.
“La vuoi piantare
di
pavoneggiarti?” Brontolò rifilandogli una gomitata
e facendolo ridere.
“Fa parte del mio
dna,
rosellina… non ti arrabbiare. Vuoi un calderotto?”
Estrasse la merendina dalla
borsa, che Rose sapeva regolarmente rifornita ogni mattina dagli elfi
domestici
della scuola. Il bastardello se li era fatti amici dal primo anno.
“…
Dalle cucine?”
“In direttissima. Guarda, ti amo così tanto che mi
tolgo letteralmente il pane di
bocca…”
“Non fare il melodrammatico, ne avrai almeno
un’altra decina.” Mugugnò
addentandolo con autentico piacere. Se dovevano aspettare l’impiastro – così da
lei segretamente
ribattezzato – almeno sarebbe stato a stomaco pieno.
“Ce
n’è uno anche per me?”
Spiò Albus con una curiosa espressione divertita.
“No, mini-Potter.
Non ti amo
così tanto.”
“Beh, meno
male…”
“Fatela finita.” Non poté fare a meno di
guardarsi attorno. Dopo che Scorpius
era stato scelto come campione l’attenzione su di lui era
raddoppiata. Non
ricordava più quante persone, perlopiù emeriti
sconosciuti, si erano fermate a
parlargli, stringergli la mano o chiedergli una sequela di stronzate.
Senza contare
l’orribile
intervista del Profeta, che incombeva come una spada di Damocle. Si
sarebbe
tenuta infatti di lì a pochi giorni.
“Pronto ad essere
intervistato?” Chiese Al, quasi le avesse letto sadicamente
nel pensiero. Gli
lanciò un’occhiataccia ammonitrice per sicurezza.
Al le sorrise sofficemente,
perché era una piccola
serpe bastarda.
“Prontissimo!
È tutta la vita
che sparo palle strategiche. Dirne un po’ ad una giornalista
in cerca di scoop
da due galeoni non sarà difficile…”
Annuì Scorpius perfettamente sereno.
Rose emise un sospiro.
Sapeva
che per il suo ragazzo quel Torneo era un’occasione di
riscatto: l’aveva capito
non appena aveva smesso di volerlo prendere a calci per aver fatto una
cosa
stupida come candidarsi.
Ha
passato tutta la vita con una fama immeritata …
Lo capiva, almeno
razionalmente. Ed era felice per lui, perché vedeva quanto
beneficiasse della
fiducia che gli stavano mostrando persone che normalmente non
l’avrebbero
degnato di uno sguardo.
Ma
è tutta una finzione… La gente che adesso gli
stringe le mani e gli sorride nei corridoi non ci metterà
nulla a farlo a pezzi
e rivangare vecchie storie di famiglia se fallisse.
E sapeva bene che Scorpius
dietro i suoi sorrisi, i suoi scherzi e il suo atteggiamento scanzonato
nascondeva delle debolezze radicate profondamente in sé.
Fragilità
che possono fargli un male incredibile…
Voleva proteggerlo, ma
sapeva
che Scorpius non glielo avrebbe mai permesso.
Intercettò
un’occhiata del
cugino, che le sorrise in quel modo gentile e un po’
distaccato che aveva per
far capire che aveva indovinato alla perfezione cosa le stava passando
per la
testa.
Gli sorrise di rimando,
mentre
la porta dell’aula si apriva.
Albus smise immediatamente
di
prestare attenzione a chicchessia, e guardò con trepidante
aspettativa Tom che
usciva dall’aula, carico di una borsa di libri e varie
pergamene.
Rose non detestava Thomas,
ma
ci andava maledettamente vicina. Gli riconosceva il fatto che fosse
intelligente e praticamente un genio in alcune cose. Ma non bastava
questo per
renderli amici, anche se Al ci aveva sempre sperato.
Molte delle cose terribili che erano
successe l’anno prima erano
accadute per colpa del suo orribile carattere. Era qualcosa che gli
aveva
sempre letto negli occhi, sin da quando erano bambini: Tom non riusciva
a fare
a meno di voler sapere. Era capace
di
essere un ignorante pazzesco in alcuni campi della magia, come il volo
con una
scopa o il saper riconoscere una costellazione – a volte
dubitava persino che
sapesse l’ubicazione della stella polare – e di
appassionarsi fino alla
morbosità ad altri.
Era viziato.
Il suoi desideri
l’aveva quasi
portato al punto di perdere gli affetti e la sua famiglia. Solo grazie
a suo
zio e ad Albus quell’idiota ingrato non si era perduto
completamente.
Le sue riflessioni furono
bruscamente interrotte dalla voce del cugino.
“Ehi!
Com’è andata?”
Tom sorrise. “Bene, ovviamente. Da domani sarò
ufficialmente al Settimo anno.”
“Complimenti
Dursley,
benvenuto nell’anticamera dell’inferno, anche detto
anno dei MAGO.” Replicò
Scorpius con bonomia stringendogli la mano. Rose invidiava la sua
capacità di rallegrarsi
sinceramente per il destino di chiunque.
Albus in compenso esibiva il
più largo e tenero sorriso che si fosse mai visto. Lui era davvero contento.
“Sei stato grande!
Com’è
andata? Che incantesimi ti hanno fatto fare? Chi è la nuova
professoressa di
Trasfigurazione, l’hai vista? Stasera festeggiamo!”
Disse tutto di un fiato,
afferrandolo per un braccio.
Tom non si liberò
dalla presa,
stranamente. “Voglio la mia ricompensa prima.”
Scandì invece con volto anodino.
Al divenne di cinque diverse
nuance di rosso in tre secondi
netti,
boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.
“Ma… Uhm. Qui?”
“Sì. La mia ricompensa.”
Ripeté cocciuto Tom. E poi a quanto pare se la prese,
visto che strattonò l’altro contro di
sé e lo coinvolse in un bacio che costrinse
Rose a distogliere subito lo sguardo.
Non aveva nulla contro i
gusti
di chicchessia, dopotutto era figlia di una donna che proclamava pari
diritti
per qualunque creatura, umana e non. Nonostante questo si sentiva a
disagio a
vedere suo cugino darsi un bacio che lei reputava da camera da letto
con quell’idiota.
E
al diavolo se sembro una puritana!
Tom sembrava capace di
manipolare Albus a suo piacimento. E questo non le piaceva.
“Da quando me ne
sono andata
direi che i costumi morali in questa scuola sono nettamente
peggiorati.”
Può dirlo forte!
Pensò.
Poi…
…
Aspetta un secondo.
Rose si voltò di
scatto in
direzione della voce. Al in compenso tirò uno spintone a Tom
e guardò ad occhi
sgranati…
“Preside
McGrannit!” Esclamò
Rose incredula.
“Professoressa,
signorina Weasley.” Replicò guardando con
severità i
due serpeverde. “E lei deve essere il signor Potter,
suppongo.”
“… Sì?” Pigolò
l’interpellato. “Lei è…
cioè. Mi scusi.”
Concluse in un attacco di timidezza recidiva, scatenando
una risatina in Scorpius.
“Immagino che
volesse
congratularsi con il Signor Dursley per i risultati conseguiti, ma un
corridoio
non è il luogo opportuno per farlo. Dovrei togliervi dei
punti, ma per stavolta
lascerò correre.” Scandì lentamente,
mentre Albus sembrava letteralmente
consumarsi nell’ imbarazzo. Persino Tom sembrava a disagio.
Il
che è tutto dire visto che è un imbecille
esibizionista quando si tratta di dimostrare a tutti che Albus
è roba sua.
“È
stata colpa mia,
professoressa.” Esordì a sorpresa
quest’ultimo, specialmente perché aveva un
tono mite. “La prego di
scusarmi.”
Pazzesco.
Qualunque cosa abbia detto o fatto la
McGrannit in quell’aula è riuscita a domare Tom in
quanto, un’ora?
E
poi cosa ci fa qui? Vitious non è più il preside?
“Sarà
lei ad insegnarci Trasfigurazione
quest’anno?” Chiese Scorpius in una veloce
associazione di idee.
La McGrannit gli
lanciò
un’occhiata, poi fece un cenno secco con la testa.
“Sarà una supplenza
provvisoria di un anno e non riprenderò le mie precedenti
cariche. Si tratta di
un favore alla scuola. Lei è…?”
“Un Malfoy.” Rispose prontamente, in un
atteggiamento che Rose aveva imparato a
riconoscere come di sfida. Quasi buttasse addosso il proprio cognome ad
una
persona per vedere come reagiva.
L’anziana
professoressa non si
scompose di una virgola. Inarcò semplicemente le
sopracciglia. “Ed ha anche un
nome, signor Malfoy?”
Il ragazzo la guardò preso in contropiede.
“Sì, certo… ehm. Scorpius.”
“Bene. Ci vedremo
a lezione
questo pomeriggio.”
“Mi scusi… Come fa a sapere che seguiamo tutti
Trasfigurazione?” Chiese, e Rose
non l’aveva mai visto così sbalestrato. Si stava
persino dimenticando di
sorridere.
“Ho le mie fonti,
signor
Malfoy.” Si voltò, facendo per tornare
nell’aula. “Ho saputo che lei è il nuovo
campione di Hogwarts…”
“Sissignora…”
Le sopracciglia
di Scorpius minacciavano di scomparire tra i capelli. Sembrava
intimidito; il
che aveva dell’incredibile considerando che era sempre sul
filo
dell’insubordinazione all’autorità
scolastica.
L’anziana donna
fece un nuovo
impercettibile cenno con la testa. “Spero allora che
porterà onore alla nostra
Casa.”
Detto questo si chiuse la
porta alle spalle con un lieve cenno della bacchetta.
“Wow…
è davvero… notevole.”
Mormorò Albus mordicchiandosi
l’angolo di un labbro, tentando miseramente di smettere di
arrossire.
“Lo
è.” Confermò Tom con aria
inequivocabilmente imbronciata. “Sarei rimasto sorpreso se
non lo fosse, visto
la leggenda che tutti dicono sia. Ma lo è.”
****
Hogsmeade,
Tre Manici di Scopa.
Sera.
Non era decisamente fatto
per
le pubbliche relazioni.
Se si trattava di fingere
era
squisitamente imbattibile, ma appena nell’equazione rientrava
gente che
conosceva e che, anche peggio, lo
conosceva… il risultato era un attacco di misantropia
devastante.
Tom Dursley
formulò il teorema
quella sera stessa, mentre una tavola intera di suo cugini Grifondoro
con
l’aggiunta di due Serpeverde, Nott e Al, festeggiava la
riuscita del suo test
d’ammissione.
Era la sua famiglia e lo
sarebbe sempre stata. Ma
questo non
significava che riuscisse a trovarsi a suo agio a passare del tempo con
loro.
Era un suo problema, se ne
rendevano conto.
Ingoiò distratto
un sorso di
whisky incendiario ascoltando Albus e Rose chiacchierare del Torneo,
della
McGrannit e altre cose.
Nonostante queste premesse,
non si era lamentato quando Albus gli aveva intimato di rendersi
presentabile, dato
che aveva veramente prenotato un
tavolo ai Tre Manici Di Scopa.
Non si era lamentato
perché aveva
capito che l’altro ragazzo aveva bisogno di una serata libera
con gli amici,
bevande scadenti e nessuna preoccupazione. Ogni sera crollava stanco
morto sul
letto e il più delle volte toccava a lui svestirlo e
infilarlo sotto le coperte.
Si meritava una serata del
genere. E lui, da bravo, aveva infilato una camicia e si era stampato
in faccia
l’espressione più allegra del suo repertorio.
Ovviamente Lily appena
l’aveva
visto si era premurata di dirgli che sembrava la comparsa in una veglia
funebre,
ma non era quello il punto.
Il punto era che poteva rimediare. O almeno, poteva fare del suo
meglio.
A
cosa servirebbe altrimenti le seconde occasioni?
Al, quasi avesse sentito che
pensava a lui, si voltò. “Ti stai
divertendo?” Aveva un sorrisetto che gli
premeva sulle labbra. Era chiaro che la domanda fosse ironica.
Credo
che questo sia ancora parte della mia punizione
per tutto quello che ho combinato.
“Da
morire…” Replicò atono,
premurandosi di tirargli un pizzicotto sulla coscia, sotto il tavolo.
Il ragazzo
sussultò,
lanciandogli un’occhiata offesa, prima di inserirsi di nuovo
in un discorso tra
Rose e Lily. Tom lo imitò visto che l’argomento
gli interessava.
“… e mi
sarebbe piaciuto
venisse, ma Ren ha detto che il suo preside è severissimo
sul coprifuoco. Pensa
che lo hanno alle sei! Non
è
ridicolo?”
Sören
Luzhin…
Quel tipo non lo convinceva,
anche se non era ancora riuscito a capire perché; gli
ricordava qualcuno,
eppure nessuno. Lily nel frattempo non faceva che parlare di lui.
“E tu sorellina?
Non dovresti
già essere a letto come il tuo oleoso
cavaliere?” Ghignò James dal lato opposto del
tavolo, dove stava disputando con
Malfoy qualcosa che assomigliava tremendamente ad una gara di bevute.
“Non dire cose
prive di
senso.” Lo tacitò Lily con espressione falsamente
altezzosa. Le riusciva
piuttosto bene. “C’è un professore,
quindi teoricamente non infrangerò regole
se rimarrò qui oltre l’orario consentito.
Semplice. Giusto Teddy?”
“Ehm, non saprei… Immagino tu abbia
ragione.” Rispose Lupin, ovviamente
nicchiando. Tom non l’aveva
mai sentito dare una risposta diretta e concisa.
E
dubito che la sentirò mai.
“Ma non verremo
puniti,
giusto?” Spiò Hugo inquietatissimo.
“Cioè, Teddy… Eh?”
“No,
tranquillo…”
“Ti amo così tanto
Rosie…” Biascicò
Scorpius, la cui bassa resistenza agli alcolici era ormai
universalmente conosciuta
in quel consesso. “Te e i tuoi occhi di luuminosa
giada…”
“Deficiente, ce li ho castani e tu sei ubriaco.”
Sospirò la ragazza, spostandogli
il viso in collisione con le sue labbra.
Non capiva come
un tipo come Malfoy, cresciuto a pane ed
egomania, potesse essere devoto ad una tipa che era praticamente la
versione
ridotta e adolescenziale di una madre rompipalle.
Masochismo?
Follia congenita?
Ad ogni buon conto, quella
era
la sua famiglia. E non era tanto male.
Se
non altro non ci si annoia mai…
“Tom?”
Al gli porse il boccale
di burrobirra vuoto e appiccicoso. “Me ne porteresti un
altro?”
“… Non
è che per caso offro io
a tutti?” Si
informò, temendo
l’eventualità in cui non gli sarebbero bastati i
soldi e sarebbe finito a
sgobbare nelle cucine per il resto della serata. Hannah Paciock era
inflessibile da quel punto di vista.
“No, solo a me. In fondo non ti meriti di pulire tutti i
nostri boccali senza
magia…” Gli sorrise dolcemente capendo al volo i
suoi timori. Gli piazzò poi il
bicchiere sotto il naso, forse già un po’ brillo.
“Dai. Per favore?”
“…
Certamente. Vado.” Non
aveva scelta, e dubitava di averne mai avuta da quando a tre anni gli
era stato
scaricato nel tappeto di camera sua quel rompiscatole
pigolante,
coi capelli impazziti e dotato di disarmanti e giganteschi occhi verdi.
Il bancone era gremito di
gente, ma per fortuna non c’erano studenti. Almeno in quel
posto poteva essere
sicuro di non essere guardato come una bestia rara: ad Hogwarts era
ancora
oggetto di occhiate interessate, anche se erano diminuite grazie al
Torneo,
proprio come aveva predetto Albus.
“Un’altra
pinta di
burrobirra…” Sospirò rivolto Madama
Hannah che gli servì un sorriso sorpreso.
“Arriva
subito… oh! Ma sei tu
Thomas!” Lo squadrò con franca
curiosità, cosa che gli fece venir voglia di
tornarsene al tavolo senza l’ordinazione. “Beh,
come stai?”
“Abbastanza bene, la ringrazio…”
Esaurito lo scambio di convenevoli, si chiese
se non dovesse chiedergli del figlio Cedric.
Le sue riflessioni furono
interrotte da una mano che gli si posò confidenzialmente
sulla spalla. Si
irrigidì infastidito, pronto ad un ammonimento freddo e
cortese a chiunque
avesse invaso il suo spazio vitale.
Si bloccò quando
si trovò di
fronte una dentatura perfetta, vestiti babbani e un sorriso affabile.
Ethan Scott,
l’agente di
collegamento tra il Ministero della Magia americano e quello britannico.
Che
diavolo ci fai qui?
Il motivo in
realtà lo poteva
intuire da come lo stesse guardando.
Questo
bastardo mi sta seguendo?
“Ciao Thomas. Ho
saputo dei
tuoi esami, congratulazioni!” Non gli diede il tempo di
ribattere. “Hai un
momento libero? Vorrei scambiare quattro parole, se non ti
spiace…”
Tom sapendo di non aver
molto
tempo prima che qualcuno dei suoi notasse che stava tardando, sorrise
tirato. “C’è
qualcosa di importante che deve dirmi che non può aspettare
la presenza di mio
zio?”
L’uomo rise, ma a
Tom non
sfuggì il lampo di fastidio che gli balenò nello
sguardo. “Non essere così
rigido ragazzo! Ti assicuro che sono solo poche parole, nulla che il
famoso
Harry Potter perderebbe tempo ad ascoltare.”
“Ma davvero…” Mormorò.
Guardò verso la tavolata. “Mi scusi, ma devo
tornare dai
miei amici… Dopotutto è me che stanno
festeggiando.”
Fece per voltarsi,
premurandosi di non schizzarsi di burrobirra nell’operazione,
quando la voce
dell’uomo lo colpì alle spalle.
“Potrei avere qualcosa da dirti suo tuo padre…
intendo, il mago.”
Tom si fermò
prima ancora che
avesse modo di assimilare la notizia. Era stata una reazione istintiva,
prima
che ragionata. “Hohenheim”
“Già.” Confermò Scott con un
cenno della testa. “Non ti ruberò molto tempo, ma
credo che ci siano alcune cose che dovresti sapere
…” Alzò le mani, in segno di
preventiva resa. “Ma se non vuoi, non posso obbligarti. So
che hai avuto dei
brutti trascorsi con l’agente Hardcastle… ma ti
posso assicurare che il
Ministero americano ha molto a cuore la tua persona.”
“Non mi
interessa.” Tagliò
corto. Poi però si morse un labbro. “Immagino che
dovremo spostarci in un luogo
più appartato…”
Scott fece un ampio sorriso. “Vedo che sei un ragazzo
sveglio.”
“Già.” Alzò leggermente il
boccale, indicandoglielo. “Voglio tornare prima che
si freddi, sia ben chiaro.”
****
Note:
Vi ho lasciato un po’ sospesi, eh? Sono una sadica, lo so.
1.
Qui la canzone.
E poi…
Al/Tom e
Teddy/James: due disegni della bravissima e
disponibilissima Matsutakedo
E poi la bravissima Iksia ha
aperto una
commision . Pubblicità per una ragazza
adorabile. ^^
|
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Capitolo 17 *** Capitolo XVI ***
Alle recensioni rispondo
grazie al simpatico sistema ‘rispondi recensioni’
quindi aspettatele lì d’ora
in poi! ;D
****
Capitolo
XVI
Come
on, come on
Put your hands into the fire
Explain as I turn I meet the power
This time turning white and senses dire
Pull up from one extreme to
another…¹
(Thirteen
Senses, Into the
Fire)
Hogsmeade,
High Street.
Sera.
Il paese era immerso nel
silenzio della sera. Poche persone passeggiavano per la via,
più che altro
prese dal compito di tornare a casa, al caldo. Batteva infatti una
pioggia
sottile che si posò immediatamente sul cappotto di Tom in
una lieve e umida
condensa.
L’agente Scott si
accese una
pipa nera, da cui si espanse un odore agrodolce.
“Tabacco di
acero… I babbani
non l’hanno ancora provato, o ne sarebbero dipendenti, come
molti di noi in
America!” Scherzò, ma vedendo che non sorrise, si
limitò a sospirare. “Beh…
dunque.”
“Sto aspettando.
Cos’ha da
dirmi su Hohenheim?”
“Quello che probabilmente neanche il Ministero inglese
sa.” Esordì tirando una
lunga boccata, mentre si spostava sotto una tettoia spiovente. Tom fece
lo
stesso, scaldandosi le mani con il boccale bollente.
Probabilmente Albus si stava
già chiedendo dove fosse finito.
“Tagli corto. Come
ho già
detto, voglio tornare dalla mia famiglia e dai miei amici.”
Non si sentiva
particolarmente portato ad essere cortese con quell’uomo.
La verità
è che era nervoso, e
si stava chiedendo se avesse fatto bene a seguirlo. Non che temesse
qualcosa.
Sperava inoltre di aver più fortuna stavolta con un
funzionario del Ministero
americano.
Ma
questa storia non mi piace. Perché vuole parlare
proprio con me? È dal processo che cerca di
avvicinarmi… ed Harry sembrava
averlo già incontrato.
“Lo capisco, sai.
Se non ti
fidi di me.” Commentò l’uomo,
distogliendolo dai suoi pensieri.
“… Prego?”
“Dopo
ciò che ti è successo
per colpa dell’agente Hardcastle… beh,
anch’io sarei prevenuto.” Si passò una
mano trai capelli, sospirando di nuovo. Sembrava provare empatia per
lui, ma era
solo scena; dubitava che quel damerino si sentisse dispiaciuto per i
traumi che
avrebbe potuto eventualmente riportare da un’esperienza
simile. “Ma ti posso
assicurare che il mio Ministero è tuo amico.”
“Non credo a questo genere di favolette retoriche.”
Storse le labbra, non
potendo far a meno di ricordare le storie che Harry gli aveva
raccontato sul
pavido governo dei predecessori di Shacklebolt. A quanto sembrava gli
adulti
continuavano a considerare gli adolescenti come delle pedine da
manovrare,
emotivamente instabili e bisognose di punti di riferimento.
Al
diavolo.
“Se ha qualcosa da
dirmi su
Hohenheim lo faccia, altrimenti…” Fece per
voltarsi.
“No,
aspetta!” Lo fermò di
nuovo, facendosi scivolare via il sorriso formale per tornare serio.
“Ho
davvero delle informazioni… informazioni di cui neppure il
Ministero britannico
è a conoscenza.”
“E
perché non informa
l’Ufficio Cooperazione, invece di venire a parlare con un
semplice studente?”
Scott fece un mezzo sorriso. “Andiamo Thomas, lo sappiamo
entrambi. Tu non sei un semplice
studente.”
Tom serrò le labbra, come la presa sul boccale. Sentiva un
brivido gelido
scendergli lungo la spina dorsale ma si impose di non farci caso.
Perché
il governo americano lo sa?
“Vedo che siete
ben informati
su di me.”
“Tutto quel che c’è da
sapere.” Rispose con una scrolla di spalle che
reputò
odiosa. “Siamo stati noi a dare le informazioni al DALM e al
tuo padrino, sulla
Thule, su John Doe e su di te. Siamo la fonte primaria, per
così dire.”
“Quindi ne sapete
di più…”
“Se così si può
dire…” Convenne nuovamente, dando
un’altra boccata alla pipa. “Se
sono qui per parlarti, è perché tuo padre non ha
smesso di volerti accanto a sé.”
“Ci ha già provato, con John Doe. Non
funzionerà mai. Il mio posto è qui… e
lui
non è mio padre. Ne ho già uno.” Si
scollò dal palato, guardandolo fisso.
“Quindi non vedo l’utilità di dirmi
queste cose, che peraltro potevo intuire da
solo.”
“Perché l’uomo che ti ha rapito era solo
una pedina. Un cavallo, se vogliamo
fare paralleli con il gioco degli scacchi.” Spiegò
espirando una boccata di
fumo che si mischiò alla condensa umida. “Tutto
ciò che è successo può
ripetersi…” Si sbottonò il giubbotto
sportivo, frugando dentro una tasca
interna da cui tirò fuori un plico di foto tenute assieme da
una graffetta
decisamente babbana. Gliele passò senza una parola di
commento, ma a Tom bastò
guardarlo negli occhi per capire che attendeva la sua reazione.
Le prese. La prima
bastò a
gelargli il sangue nelle vene. Era un particolare di qualcosa, forse di
un
tendaggio o un arazzo. Ma quello che davvero interessava era lo stemma
raffigurato. Quattro bracci uncinati che reggevano un gladio
rudimentale.
Lo
stemma della Thule.
“Lo
riconosci?”
“L’ho già visto.”
Confermò. “È lo stemma di
quella… setta.”
“Già. Cosa sai della Thule?”
“Non molto.” Dovette ammettere. Doe da quel punto
di vista era stato piuttosto
fumoso.
“Vedi…
La Società Thule è un
associazione segreta, nata poco prima della seconda guerra mondiale, e
almeno inizialmente
aveva adepti sia babbani che maghi…”
“… I purosangue tolleravano la presenza di
babbani?”
“Li usavano.” Fece una breve pausa, poi riprese a
parlare, mentre Tom guardava
le altre foto. Erano sgranate, fatte forse di sfuggita o
rappresentavano luoghi
ormai vuoti di indizi e di persone. Non molto.
“Vedi… tuo padre non è stato il
fondatore. Non era ancora nato quando la Thule mise radici in Europa.
Ed era…
diversa da quella che conosciamo adesso. Inizialmente era stata creata
perché
maghi purosangue condividessero la loro magia con i babbani per la
creazione di
un mondo migliore. I babbani dal canto loro potevano offrire la
scienza, la
tecnologia. Uno scambio equo …”
Tom fece una smorfia ironica. “Uno scambio
equivalente…”
“Si può dire così.”
“E questo mondo migliore avrebbe dovuto essere epurato da chi
non rispondeva ai
loro criteri…”
Scott annuì, guardandolo con un sorriso. “Davvero
ammirevole…”
“Il partito nazista predicava le stesse cose. Cercava di
epurare l’Europa in
favore di una razza superiore. Il mito del superuomo di Nietzsche. Il
superuomo
ariano. Sono tutte teorie che si leggono su libri babbani, andavano
piuttosto
di moda all’epoca. Si legga un libri di
storia…” Non potè fare a meno di
ironizzare,
perché sentiva un peso nello stomaco e un’urgente
voglia di andarsene, mentre
la burrobirra ormai era sgradevolmente fredda tra le sue dita.
L’uomo invece
sembrò credere
di aver istaurato una sorta di contatto con lui, perché
ridacchiò, credendola una
battuta. “Ascolta… la prima Thule non
riuscì mai a concludere niente, e
fu formalmente sciolta nel 1925. In seguito
Adolf Hitler salì al potere e le società occulte
vennero bandite dalla Germania.
I maghi adepti furono costretti a nascondersi, persino a fuggire in
altri paesi
per non essere uccisi dai babbani, gli stessi babbani che avevano
collaborato
con loro e che adesso indossavano la divisa nazista. Molti di loro
morirono
durante la guerra, altri andarono ad ingrossare le fila di Grindenwald
pochi
anni più tardi.”
“Poi cosa
successe?”
Per quanto cercasse di
trovare
un modo per andarsene, quello gli
interessava. Si tratta pur sempre di sapere contro cosa avrebbe dovuto
combattere un giorno. Perché quel giorno sarebbe arrivato,
Tom non si illudeva.
“Venne tuo padre.” L’uomo si
appoggiò al muro della taverna, con un sospiro.
“Quando riformò la Thule, Alberich Von Hohenheim
era un giovane mago, pieno di
idee e assetato di conoscenza… Studente brillante a
Durmstrang, il migliore dei
suoi corsi, il più versato nelle Arti Oscure. Proveniva
inoltre da una famiglia
purosangue della nobiltà tedesca. Aveva i mezzi finanziari
per portare
l’Organizzazione agli antichi fasti. La Germania era in pace
da molto tempo
ormai, e non fu difficile per lui ricondurre i maghi scampati alle due
guerre
sotto il suo comando. Si può dire molte cose di tuo
padre… ma non che non avesse
e abbia tutt’ora un carisma eccezionale.”
Tom non disse nulla. La foto che stava guardando in quel momento era
l’ennesimo
fotogramma sfuocato. Ma poteva vedere attraverso le pieghe del mantello
dell’uomo ritratto. La barba corta, i lineamenti sottili e
sfuggenti.
Quello era suo padre, come
lo
aveva visto nei ricordi che gli aveva mostrato Doe.
“Cosa fa
precisamente la
Thule?” Si sentiva il palato asciutto come se avesse ingoiato
sabbia, ed era
buffo perché aveva praticamente ogni singolo epitelio zuppo
di umidità.
“La Thule
è una società segreta
che ricerca potere e conoscenza. Si muove tra le branche della magia
più
oscura… molti dei suoi adepti sono alchimisti, uomini di
scienza. Ma tra di
loro ci sono anche maghi come il Camaleonte…” Alla
sua faccia perplessa, si
apprestò a spiegare. “John Doe. La sua
capacità di mutare aspetto non era
dovuta alla metamorfomagia, ma era frutto degli studi della
Thule.”
“Mi sta dicendo
che era una
cavia per esperimenti magici?”
“Precisamente.” Convenne con una smorfia
disgustata. Quella Tom la comprese e
la sposò. Chiunque si prestasse ad usare il proprio corpo
come un banco di
prova era un folle. “E non è il solo.
L’organizzazione si divide in uomini di
scienza e uomini come John Doe, che offrono il proprio corpo e il
proprio
sangue. Purtroppo di molti di loro non conosciamo neppure nomi e volti.
Agiscono in tutto il Mondo Magico, trafugando incantesimi e manufatti
magici di
grande potere…”
“Come i
Doni…”
“I Doni della
Morte sono solo
una delle tante cose di cui desiderano impadronirsi. Ma sono solo mezzi per loro. L’obbiettivo
su cui si
fonda la Thule è di spingersi oltre i confini della
magia.”
“… Come
riportare in vita i morti?”
Sentiva il cuore pompargli furiosamente nel petto, ma le ossa erano
gelate. Non
era la prima volta che sentiva quel discorso, e sé sapeva
esattamente lo scopo
per cui era nato.
“Sì.”
C’erano delle cose
a cui ci si
poteva abituare ascoltandole più volte: non era quello il
caso.
“Capisco.”
Mormorò. “È per
questo che mi vuole, suppongo. Perché sono uno dei suoi
esperimenti.”
“Non è
così semplice…” Lo vide
esitare, poi l’agente gli mise una mano sulla spalla.
“Il fatto di avere
l’anima di uno dei maghi oscuri più potenti della
storia ti rende… speciale.”
Speciale…
In quel caso ne avrebbe
fatto
volentieri a meno.
Ma
se non lo fossi, non sarei neppure nato.
“Sono
stato… creato…” Non si sarebbe
mai abituato a quella parola rivoltante. “…per
potermi battere con Harry, per
rubargli il possesso dei Doni. Così mi ha detto John
Doe.” Lo guardò in viso: l’americano
aveva abbandonato quella falsa espressione amichevole e sembrava teso.
“… Ma
non è solo questo, giusto?”
Avrebbe tanto voluto che una voragine inghiottisse quel maledetto
foriere di
angoscia. Ma ovviamente non sarebbe mai accaduto. Quindi pretendeva il resto.
****
Al si era accorto che Tom
era
sparito. Non che ci volesse un genio: anche se il locale era stracolmo,
come
ogni sera di fine settimana, non era difficile notare un ragazzo
allampanato,
imbronciato e straordinariamente ben attento a tenere a distanza
chiunque.
E poi al bancone non
c’era.
C’era Nott invece, che si era accomiatato alla fine dei
brindisi per andare a flirtare
spudoratamente con una delle cameriere.
Forse
sa dove si è cacciato quello scemo…
Approfittandosi del fatto
che
nessuno lo stava guardando, si alzò dal tavolo e raggiunse
l’amico al bancone.
“Ehi…
hai visto Tom?”
“Mmh?” Il ragazzo distolse gli occhi bicolore dalla
prosperosa scollatura della
ragazza. “Oh, Marian, ti presento il mio caro amico Albus
Severus!”
“Come Silente?
Wow, i tuoi
genitori devono averlo ammirato tanto
per darti un nome così assurdo! Non
è assurdo? È così
buffo!”” Cinguettò
la ragazza ilare. “E Severus invece per cosa sta?”
“Piton. Severus
Piton. Ma preferisco
mi si chiami Al.”
Tagliò corto,
fulminando con un’occhiataccia un ghignante Loki.
“Allora, l’hai visto?”
“È uscito una decina di minuti fa con un tipo
belloccio…” Alla sua espressione,
scoppiò a ridere. “… che poteva essere
suo padre! Su, non essere geloso di ogni
singola persona che gli si avvicina!”
“Sei un
coglione.” Borbottò
sentendosi infastidito e confuso. Perché diavolo Tom doveva
essere uscito con
un mago adulto? “Sai chi era?”
“Nessuna idea. Perché non glielo chiedi?
Probabilmente non si sono allontanati
tanto, con questo tempaccio…”
“Sì, grazie… Piacere di averti
conosciuto.” Fece un sorriso di commiato a
Marian, e fu quasi certo di sentirla chiedere a Loki se aveva la
ragazza non
appena si fu allontanato. L’espressione contrariata
dell’amico fu impagabile, e
suo malgrado fece un sorrisetto.
Ben
ti sta.
Spinse la porta di legno
della
locanda, che si richiuse alle sue spalle non appena fu fuori.
Rabbrividì,
stringendosi le braccia al petto quando ricordò che forse
avrebbe dovuto
indossare il mantello, invece di restarsene in felpa.
Ma
non mi andava di tornare al tavolo e beccarmi il
terzo grado …
Sentì un odore
dolciastro, di
tabacco, che non aveva mai sentito prima e poi delle voci. Loki aveva
detto
giusto: Tom e il suo misterioso interlocutore erano sotto la tettoia,
nel retro
della locanda.
Forse non era corretto, ma
Al
aspettò prima di palesarsi. Si avvicinò invece,
certo di non essere visto con
quel buio. Gli pioveva addosso, ma poteva sopportarlo per qualche
minuto.
Aveva la netta impressione
che
il suo ragazzo e l’uomo stessero discutendo di qualcosa di
importante.
“… Ma
non è solo questo,
giusto?”
“No, Thomas. Abbiamo ragione di credere che tuo padre si
muoverà presto.”
“Cosa ve lo fa credere?”
“Abbiamo i nostri informatori. Certo, la Thule è
un organizzazione che prevede
fedeltà assoluta e punizioni terribili per chi
sgarra… ma si trova sempre
qualcuno disposto a parlare, con i giusti mezzi.”
“Soldi, suppongo.”
“Sei proprio un ragazzo sveglio, eh?”
Albus sentì un
brivido gelido
scuoterlo tutto, e non era solo perché ormai aveva la
camicia inzuppata.
Chi era quel tipo?
Si sentì battere
la spalla con
un dito. Sussultò, quando si trovò alle spalle
Loki, che lo guardava dal
cappuccio tirato del mantello. Si vedeva solo il ghigno.
Inquietante.
“Che ci fai
qui?” Sussurrò
perplesso.
“Credi che ti
lasci solo in
questa notte buia e tempestosa? Hai ben poca stima di me, dolce
Albie…”
“Di’
piuttosto che sei un
maledetto pettegolo.”
Loki gli arruffò i capelli, con una conseguente pacchetta
sulla testa. “Beh, mi
conosci.”
“Pensate che
attaccherà
durante il Tremaghi?”
“Pensare è qualcosa che non ci possiamo permettere
di fare in modo avventato.
Anche se il Torneo rappresenta una protezione in
realtà…”
“Protezione? È una manifestazione pubblica.
Almeno, durante le tre prove…”
“Il sistema di sorveglianza che è stato
organizzato renderà più difficile per
la Thule avvicinarti. Chiunque sia sospetto verrà
fermato.” Una pausa. “In un
certo senso questa manifestazione può essere considerata un
bene per te.”
“E se fossero
all’interno?”
“Nelle delegazioni?”
“Perché no?”
L’uomo rimase in
silenzio.
Sembrava riflettere, ma dall’espressione irritata di Tom,
anche Al capì che
stava fingendo.
Loki gli si
schiacciò quasi
addosso, allungando il collo.
“Quel
tipo… chi è?”
“Non ne ho idea!” Si mosse per scrollarselo di
dosso. “Scendi dalla mia
schiena, mi fai male!”
“È americano, dall’accento
perlomeno…” Lo ignorò platealmente.
“Che vuole uno yankee da
Dursley?”
“È una
teoria interessante…”
“Il vostro Governo dice di essermi amico. Eppure mi sembra
che vi state
comportando esattamente come il Ministero britannico. Mi state
nascondendo
delle cose.”
“Thomas… come ti ho già detto per noi
sei molto prezioso. Non ti sto
nascondendo niente, ti ho detto tutto quello che so.”
“Perché?”
“Perché ci preoccupiamo del tuo futuro…
e a proposito di questo. Hai mai
pensato a cosa farai dopo aver preso il diploma?”
Tom sembrò
sinceramente
sconcertato, ed entrò immediatamente in modalità
difensiva. “Non credo che questi
siano affari del Ministero americano.”
“E invece potrebbero.”
Al vide la confusione negli
occhi di Tom. Lui però aveva già capito. Se quel
tipo era un funzionario
americano, allora era lì in veste ufficiale e probabilmente
gli stava dando
delle informazioni sull’associazione di quel pazzo di suo
padre… in cambio di
qualcosa.
Cosa
vogliono da lui?
“Non hai mai
pensato di continuare
gli studi?”
“Una scuola preparatoria come l’Accademia Auror o
l’Istituto di Medimagia?”
Fece una smorfia. “Non i miei campi.”
L’uomo sorrise con aria comprensiva. “Naturalmente.
Vedi Thomas… in America viene
data la possibilità di approfondire i propri campi di
interesse. Il nostro
Governo finanzia e aiuta la ricerca in ogni campo della
magia.”
“Non mi sembra che
il
Ministero britannico lo impedisca…”
“No, è vero, ma per fare ricerche alchemiche serve
un permesso speciale dal
Ministro stesso. Questo solo per farti un esempio. Devi stare alle loro regole. Lavorare nei loro
laboratori, riportare tutto ad un’autorità
superiore. Ma sicuramente queste
cose le saprai meglio di me…”
“E in America non è così?”
“No. Abbiamo molta
più
considerazione per i giovani maghi di talento.”
Albus conosceva abbastanza
bene l’altro per sapere che quell’americano stava
spingendo tutti i tasti giusti. Lo
stava
lusingando – e Merlino solo sapeva quanto Tom fosse sensibile
alle lusinghe
sulla sua intelligenza – e al tempo stesso mostrava di capire
i suoi desideri,
ben lontani da una scrivania polverosa al Ministero.
A
lui interessa scoprire, non applicare quanto già
fatto…
E quel tizio lo sapeva, e lo
voleva…
Lo
vuole portare via?
Tom sembrava infastidito, ma
aveva
una scintilla di interesse che gli si agitava nello sguardo.
Albus represse la voglia di
uscire fuori, afferrare la bacchetta che non
si era portato dietro, e schiantare quel viscido mago yankee.
L’uomo a quel
punto gli mise
una mano sulla spalla. Tom non si ritirò.
“Così
è come lavoriamo. E ti
proteggeremo da Hohenheim, inoltre. Cosa che non credo sappiano fare
tanto bene
qui…”
Quello era decisamente suonare la
nota sbagliata.
“Oh, pessima
giocata…” Mormorò
Loki al suo orecchio, sembrando sempre più
un’inquietante afflato della sua
coscienza.
Videro Tom irrigidirsi bruscamente, e raddrizzare la schiena; poteva
criticare il
Ministero un po’ troppo spesso con la compiacenza di Hermione
, ma Thomas
Dursley era maledettamente fiero di appartenere alla
comunità magica
britannica.
E soprattutto quel tizio
aveva
appena insultato nientemeno che zio Harry.
Albus sorrise.
“Quello che
è successo è
avvenuto per causa mia, non certo perché qualcuno mi ha
spinto tra le braccia
di John Doe.”
“No, quello che stavo cercando di dire…”
L’uomo dimostrò di aver capito di aver
commesso un passo falso, perché tentò di
rimediare. “Non intendevo…”
“Invece intendeva.” Serrò la mascella.
“Devo andare. Grazie per l’illuminante
chiacchierata.”
“Thomas!”
L’uomo lo afferrò di scatto per un braccio.
“Ti prego,
ascolta quel che sto cercando di dirti. Qui non sei al
sicuro!”
“E con voi lo sarei?” Tom si ritirò con
uno strattone piuttosto secco. “Perché
dubito. Forse finirei addirittura dal calderone al fuoco.”
All’espressione
attonita dell’uomo, fece un sorrisetto amaro.
“Crede che io sia uno stupido?
Anche voi mi volete, forse persino per gli stessi motivi di mio padre.
Perlomeno qui sono un semplice studente.”
“… Ed è ciò che
vuoi?”
“Esattamente.” Fu la risposta. “A quanto
pare non sapete tutto di
me.”
“Razza di sciocco
ragazzino!”
Sbottò esasperato l’uomo. “Se solo
venissi con me…”
… e a quel punto
Al si ritenne
obbligato a mostrarsi; del resto aveva una gran voglia di prendere a
calci,
anche con metodi babbani, quel tipo.
“Perché
non lo lascia in
pace?” Esordì, mentre i due si voltavano sorpresi
verso di lui. “Tom non vuole
venire con lei, il suo posto è qui!”
Loki spuntò alle sue spalle, in un anomalo anelito
cameratesco. “Appoggio tutto
ciò che ha detto il pivello dall’indole
teatrale.” Si premurò di dire,
battendogli una pacca sulla spalla.
Tom li guardò tra
l’infastidito e l’imbarazzato, come sempre faceva
quando qualcuno si comportava
in modo supportivo con lui. “Da quanto siete qui?”
“Ad origliare? Oh, da un bel po’!”
Esclamò Loki, incurante di conseguenti
occhiate lincianti da parte degli altri due serpeverde. “E mi
sa che la
conversazione che abbiamo ascoltato viola parecchie
norme dello Statuto di Cooperazione Internazionale tra Maghi.”
L’americano assunse un’aria indignata, ma si
guardò bruscamente attorno, quasi
temesse di veder spuntare auror del Ministero dai vicoli circostanti.
“Sono solo state
due
chiacchiere tra maghi maggiorenni…”
“Ce l’ha un permesso di permanenza al di fuori
dell’area metropolitana di
Londra? So che deve averlo ogni mago straniero…”
Lo incalzò Loki, che sembrava
divertirsi un mondo. “Perché nel
caso
gliene potrei procurare uno, se non
ce l’ha…” Aggiunse, scollandosi con
attenzione le parole dal palato, quasi se
le stesse gustando. “Faccio buoni prezzi.”
Albus sentì un
oceano
sconfinato di affetto per Nott in quel preciso istante.
L’agente a quel
punto non fece
nulla per mascherare il suo nervosismo. Prese la bacchetta e
lanciò un’occhiata
al suo precedente interlocutore. “Avremo di nuovo modo di
parlare spero.”
Disse, cercando di non far sembrare tutto quello un preludio ad una
fuga. “Considera
ciò che ti ho detto Tom, per favore.”
Questo non disse nulla, e aspettò che l’uomo si
fosse smaterializzato con uno
schiocco secco, per guardarli.
Male, ovviamente.
“Perché
diavolo stavate
origliando?”
“Io non stavo origliando!” Si difese immediatamente
Albus, sentendo che la
voglia di prendere a calci qualcuno aveva cambiato target.
“Sei sparito e sono
venuto a cercarti!”
“Stavo
solo…” Abbassò lo
sguardo sulla burrobirra, ormai fredda e imbevibile.
“… pensavo di metterci
meno tempo.”
Al sentì solo vagamente la presenza di Loki scomparire
così come era venuta.
Davvero, quel ragazzo aveva un futuro come istruttore di
Materializzazione.
O
come ladro…
Era comunque troppo
arrabbiato
per preoccuparsi di Nott e delle sue capacità.
“Io…” La collera gli era così
montata addosso che non sapeva neanche cosa dirgli. “Che
cavolo era quello?”
“Quello cosa?”
“Il discorso, tu che te ne sparisci, forse? Stai…
stai facendo di nuovo
qualcosa di stupido?” Sbottò desiderando avere la
sua bacchetta sia per
asciugarsi dalla pioggia sia per schiantare l’idiota.
Tom a quel punto
sembrò
capire, perché appoggiò il boccale alla scaletta
di servizio. “Non hai proprio
fiducia in me, vedo…” Osservò con un
sospiro. “Non sto facendo niente di
stupido.”
Albus non cadde nella
trappola, anche se sentì una minuscola
fitta di senso di colpa.
“Non ci provare.
Spiegami.”
Tom non rispose subito,
estrasse piuttosto la bacchetta da una tasca interna del cappotto: Al
si sentì immediatamente
investire da una corrente tiepida, e subito i suoi vestiti furono di
nuovo
asciutti.
Mmh,
adoro gli incantesimi riscaldanti.
“Grazie…”
Non riuscì a non
sorridergli.
Tom contraccambiò
appena, ed
era uno di quei suoi sorrisi sottili e sinceri. “Ti
dirò tutto.” Disse “Vado
dentro, pago e torniamo al castello.”
“E gli
altri?”
“Dirò che devi finire delle cose, come Caposcuola.
Capiranno…” Fece un ghignetto.
“O fraintenderanno, il che va bene comunque
suppongo.”
****
Sapeva
che non sarebbe dovuto scendere fino al
laboratorio di papà.
Lo
sapeva bene, ma l’aveva fatto comunque perché
aveva
sentito tanti rumori.
Non
si erano mai sentiti rumori dal laboratorio di suo
padre. Ma adesso sentiva delle voci, qualcuno gridare.
C’erano
degli ordini precisi, anche per quello, certo:
papà non voleva che lui scendesse nel laboratorio dove
faceva importanti
esperimenti per Lo Zio.
Aveva
sceso i gradini, cercando di far meno rumore
possibile; era bravo in quello, riusciva sempre a sorprendere la balia.
Quel
giorno era stato un giorno buono.
Il
suo maestro di Duello gli aveva fatto i complimenti, e lui voleva dirlo
a papà.
Sapeva che Lo Zio probabilmente ne era già a conoscenza.
Ma
forse papà no, e avrebbe potuto dirglielo e magari
farsi dare una di quelle carezze secche e tanto rare.
Forse
avrebbe potuto capire cosa stesse succedendo.
Si
era affacciato al corrimano. Le scale erano in
legno, ma era diventate scurissime per colpa dei fumi delle pozioni che
avevano
ormai corroso anche la carta da parati.
Suo
padre era in mezzo al laboratorio, che era grande,
immenso ai suoi occhi di seienne.
C’erano
altre persone, e qualcosa non stava andando, davvero.
Si
agitavano tutte, e c’era molto fumo. Molto più
fumo
del solito, e un odore acre, bruciante, che gli aveva fatto lacrimare
gli
occhi. Dei lampi violetti squarciavano quella nebbia leggera.
Aveva
avuto paura perché aveva capito che stava per
succedere qualcosa di brutto.
Aveva
chiamato papà, pianissimo, provandoci. Lui l’aveva
sentito e aveva alzato la testa.
L’aveva
visto sgranare gli occhi e aveva capito che
anche un papà poteva provare paura.
“Sören,
vattene da qui!”
E
poi c’era stato il lampo.
Aveva
provato a chiudere gli occhi, ma non era servito
a molto. Aveva sentito un rumore fortissimo, come centinaia, migliaia
di tuoni.
E
poi c’era stato solo bianco accecante.
Si
era risvegliato in camera sua. Aveva la nausea e un
dolore sordo al lato della testa. C’era un odore intenso
attorno a lui, di unguento:
lo conosceva bene, dopo le lezioni di Duello doveva sempre applicarsi
una
pomata per le bruciature con quell’esatto odore. Aveva delle
garze sulle
braccia e sulle mani.
Non
ricordava di essersi ferito.
Non
ricordava, ma c’era lo Zio al suo capezzale. Gli stava
dando le spalle, ma quando l’aveva sentito muoversi si era
voltato.
“Sören,
ti sei svegliato finalmente. Come ti senti?”
Il
tono di voce era gentile, così gentile che si era
sentito in dovere di rispondere che stava bene.
“Questo
mi fa piacere.”
Suo
Zio era bianco accecante, come il lampo del
laboratorio di suo padre. O forse era lui che non riusciva ancora a
tollerare
bene la luce del sole che esplodeva dalle finestre.
“…
Cosa è successo zio?”
“Devo darti una notizia molto triste. Tuo padre non
c’è più.”
L’aveva già capito. Si era anche chiesto come ci
si dovesse comportare in
quelle circostanze: l’istitutrice non gli aveva mai spiegato
cosa fosse
appropriato fare e cosa no.
Era
sicuro comunque che fosse sbagliato piangere.
Quindi non l’aveva fatto, anche se ne aveva voglia.
“Nel
laboratorio?” Aveva chiesto soltanto.
“È
così.” Gli era stato confermato. “Ma
sappi che la
sua morte non è stata inutile.”
Lo
Zio gli aveva messo una mano sulla spalla: era la
prima volta che lo toccava, e Sören seppe quindi che stava
agendo nel modo giusto.
“Il
lavoro di tuo padre, il suo sacrificio, hanno
permesso alla Thule di fare un altro passo avanti verso la
conoscenza.” Gli aveva
detto stringendo appena la presa. “Devi esserne
fiero.”
“Lo sono.” Aveva detto compito, e fu felice di
constatare che non aveva affatto
la voce di chi stava per piangere. Anche lo Zio sembrò
soddisfatto della
risposta.
“Non
ti punirò per essere andato dove non
dovevi…” Gli
aveva sorriso. “Non per stavolta. Ma dimmi,
Sören… ti reputi un bambino
obbediente?”
Sören sapeva che per come avrebbe risposto ci sarebbero state
conseguenze.
C’erano sempre, quello gli era stato insegnato non appena era
stato in grado di
capire.
“Posso
migliorare, zio.” Aveva quindi mormorato.
“Voglio farlo. Hai la mia parola.”
Suo
Zio aveva sorriso di nuovo, sfiorandogli la fronte
in una carezza. Non assomigliavano a quelle di suo padre, ma sapeva che
presto
le avrebbe dimenticate. Già gli sembrava di non ricordarle
più.
Era
triste.
“Sei
un bravo bambino, Sören. Vorresti far sì che la
morte di tuo padre non sia stata vana, non è vero?”
“Sì.” Di questo era sicuro. Lui era
l’ultimo dei Prince, suo padre gli aveva dato
l’anello che veniva ereditato per via maschile da
generazioni.
Suo
padre che non sorrideva mai e le poche volte che
gli aveva parlato, senza la presenza del resto della famiglia,
l’aveva fatto in
quella lingua dolce e schioccante che era del suo paese.
“Che devo fare,
zio?”
“Presto, Sören. Presto lo saprai.”
Cambio
di scena.
Buio,
buio ovunque. Un buio appiccicoso, di quelli che
ti soffocano e sembrano entrarti dentro gli occhi, accecandoti.
Il
tavolo era freddo contro la sua schiena. Tavolo,
poi. Una lastra di marmo, che sarebbe stata di un bianco accecante se
non fosse
stato così…
“Non
sei un bambino obbediente, Sören?”
Buio.
Vascello
di Durmstrang.
Sottocoperta,
cabine dei passeggeri.
“…
gliati! Ehi, per Faust,
cosa c’è che non va in te?”
Si sentì strattonato bruscamente per un braccio. Sentiva la
presa bruciargli
come quella cosa.
Era ancora lì,
dentro al buio?
L’urlo di dolore
gli morì
sulle labbra, perché era ancora quel bravo bambino, mentre
si liberava dalla
presa dell’aggressore e al contempo, con la mano libera,
sfilava la bacchetta
da sotto il cuscino per puntargliela nel punto più tenero
della gola.
“Sören!”
Sibilò quello, soffocato.
“Sono io, svegliati! Sono Kirill!”
Tornò
immediatamente in sé, e
mise a fuoco la realtà.
Era nella sua cuccetta, sul
vascello di Durmstrang. Aveva di nuovo diciassette anni.
“Sö…ren!”
Vide anche che stava tenendo
sotto tiro Poliakoff, che già esibiva una preoccupante tinta
ciano: gli stava
spingendo così tanto la bacchetta contro la gola da
bloccargli la respirazione.
Lo liberò, e
mentre l’altro si
tirava bruscamente indietro, inciampando quasi nei suoi stessi piedi,
ebbe modo
di potersi tirare a sedere, sentire il ruvido cotone delle lenzuola
sotto i
piedi e rendersi conto che era solo un
incubo.
“Per tutti gli
inferni
brulicanti… Sono sempre così i tuoi
incubi?” Balbettò il ragazzo, toccandosi la
gola con una smorfia sofferente. “Mi hai quasi ammazzato!
Stavo solo tentando
di svegliarti!”
“Mi hai toccato,
è stata
quella la mossa sbagliata…” Replicò
passandosi una mano trai capelli. Era
sudato, e la camicia da notte gli aderiva al torace come un sudario.
“Non è una
buona idea farlo quando dormo.”
“Beh, ora lo so…” Borbottò
l’altro, andando all’unico mobiletto che conteneva
i
loro pochi effetti personali. Prese una bottiglia e riempì
il suo calice,
porgendoglielo poi.
“No
grazie.”
Se era alcool poteva
interagire con la pozione soporifera che aveva preso poco prima di
andare a
letto.
…
per quanto ha funzionato, potrei anche scolarmi una
bottiglia intera però.
“È
vodka incendiaria. Andiamo…” Lo
incoraggiò. “Mi
è stato detto che
apprezzi la qualità. E questa è la miglior vodka
incendiaria che si produca in
Russia. Direttamente dal bacino del Don.”
Sören la
accettò per inerzia,
sorseggiandola. Sentì un piacevole fuoco alcolico
riscaldargli le vene e il
petto.
Effettivamente
è degna di nota.
Lanciò uno
sguardo verso
l’altro ragazzo, che sorseggiava l’alcolico con la
stessa smorfia sofferente di
poco prima. Sulla gola spiccava una minuscola bruciatura circolare,
segno
preciso della punta di una bacchetta.
Perché suo zio
non aveva
avvertito Poliakoff che era stato addestrato per avere riflessi
condizionati
potenzialmente mortali per l’altrui persona?
“Ansia per il
Torneo?” Spiò il
russo, fraintendendo il corso dei suoi pensieri. “Essere il
campione deve
mettere parecchia pressione addosso, eh?”
Sören non rispose, preferendo indossare un paio di pantaloni e
buttarsi il
mantello sulle spalle.
Non poteva restare
lì: sentiva
come se le pareti di quella cabina claustrofobica gli si stringessero
addosso,
soffocandolo.
“Ehi, dove
vai?”
“Sopracoperta.” Tagliò corto
allacciandosi gli alamari. “Tu cerca di dormire. E
la prossima volta, non avvicinarti. Lo dico per te.” Non gli
lasciò tempo per
ribattere, si tirò la porta dietro.
Solo quando fu fuori, solo
quando sentì la brezza gelida di un autunno incombente
poté finalmente
respirare a pieni polmoni.
Hogwarts era di fronte a
lui, e
vederla, per quanto fosse strano e incomprensibile, allentò
un po’ la morsa che
gli stringeva lo stomaco come un serpente velenoso.
Non credeva che un altro
castello scozzese gli avrebbe fatto lo stesso effetto: era la magia che
Hogwarts
emanava, soffiandola come un gentile gigante addormentato, a calmare il
suo
spirito.
Poggiò le mani
sul parapetto:
Grifondoro doveva essere nella torre che si ergeva poco discosta dalla
Foresta
Proibita.
Da lì ne aveva
una visuale
perfetta: era ancora accesa di piccoli fori pieni di luce. Poteva quasi
immaginare
Lily Potter nella sua stanza, nel suo letto, a dormire quel sonno a cui
sono
gli innocenti potevano aspirare.
Lui invece era nel buio. E
avrebbe
rubato quella luce.
****
Hogwarts,
Dormitori di Serpeverde.
Stanza
del Caposcuola.
“Mi stai dicendo
che tuo padre
è qui?”
Tom scosse la testa: spiegarsi non era sempre facilissimo, e Albus era
entrato
in allarme non appena aveva capito l’esatta portata delle
affermazioni dell’agente
Scott.
Non che non capisse. Si
sentiva
inquieto anche lui.
“Dobbiamo dirlo a
mio padre!”
Esclamò, saltando quasi giù dal letto. Tom lo
acchiappò per un braccio,
tirandolo di nuovo seduto.
“No.” Lo
fermò. “Non ha senso
allarmarlo per qualcosa che è solo una
supposizione…”
“Come fai a sapere che è
solo…?”
“Perché era ovvio che Scott volesse spaventarmi
per farmi chiedere la
protezione del Ministero americano. Le sue minacce erano troppo
generiche per
essere concrete.” Spiegò con calma surreale.
Poteva farlo, in effetti, solo perché
erano seduti nel letto della stanza privata di Albus. Perché
le protezioni
magiche del Dormitorio di Serpeverde sfioravano la paranoia da secoli.
Grazie
a Salazar, il mago più razzista e alienato della
storia della Gran Bretagna.
Al si sedette meglio,
incrociando le gambe. “Sì,
ma…” Si mordicchiò un labbro incerto.
“Credo che
comunque dovremmo dirlo a papà.”
“Zio Harry sa già che rischio ogni volta che metto
il naso fuori dalla scuola. Sinceramente,
non penso che nessuno si sia illuso sul fatto che mio padre si sia
rassegnato e
si prepari a trascorrere la vita lontano da me…”
Appena finì di dirlo, vide che
qualcuno invece c’era.
Al.
Il quale distolse lo
sguardo,
aggrottando le sopracciglia. “Sì,
naturale.” Mentì in modo piuttosto rilevatore,
alzandosi dal letto e cominciando a camminare davanti al camino, con le
mani
così sprofondate nelle tasche da quasi volerle sfondare.
“Allora dobbiamo
tenere gli occhi aperti, giusto?” Borbottò in quel
tono febbrile che preludeva
sempre un monologo a flusso ininterrotto. “Gli scagnozzi di
tuo padre
potrebbero essere ovunque, anche tra lo staff che hanno assunto per
occuparsi
delle prove, quelli arriveranno nelle prossime settimane
però…”
“Al…”
“Oppure nelle delegazioni!”
“Albus…”
“… e ci saranno un sacco di spettatori
esterni!”
A quel punto Tom si sentì in dovere di fermarlo prima che
pianificasse turni di
sorveglianza presso il suo capezzale. Lo raggiunse e lo prese per le
spalle.
“Falla finita. Non
sei la mia
balia.” Tagliò corto, forse un po’
bruscamente. Una parte di lui non avrebbe
voluto dirgli dell’incontro con l’americano. O
minimizzarne perlomeno le
affermazioni. Ma non poteva: nascondergli le cose avrebbe solo
peggiorato la
situazione. Quello lo aveva imparato a sue spese.
“Cosa
c’entra … Sono
preoccupato per te.” Borbottò Al, continuando a
guardare tutto fuorché lui.
“Sì, ma
sei un caposcuola, non
la mia guardia del corpo. Per inciso, non saresti neanche
credibile…” Cercò di
scherzare. Fece scivolare le dita fino al suo viso, premendogliele
sulle
guance. Erano bollenti. Forse per il fuoco nel camino, ma dubitava.
“Al, guardami. La
mia faccia
non è sulle pareti.”
“Io…”
Iniziò l’altro con la
voce pericolosamente tremolante. Si sentiva che ce la stava mettendo
tutta perché
non si rompesse. Lo sentì ispirare bruscamente, poi
finalmente lo guardò. Non piangeva,
né aveva gli occhi lucidi, ma l’espressione era
piuttosto indicativa. “… ho
paura Tom.” Buttò fuori alla fine, piano.
“Anch’io.”
Lo ammise solo perché
l’aveva fatto anche l’altro. Non che non ci avesse
pensato per tutto il
maledetto tempo in cui aveva parlato con Ethan Scott. “Ma non
posso certo
seppellirmi nei sotterranei per questo.”
“No, certo… Devi anche fare il
secchione.” Cercò di sdrammatizzare Al, capendo
al volo. “Devi pur sempre recuperare il primato di Tom Oltre
Ogni Previsione.”
“Esattamente.” Fece una pausa, poi aggiunse.
“Domani scriverò un Gufo a zio
Harry comunque. Non ho voglia di trovarmi di nuovo
quell’americano trai piedi.”
“Pensi che
papà possa farci
qualcosa?”
“L’ho già incontrato una volta,
Scott.” Gli spiegò mentre lasciava scivolare le
mani per passargliele sui fianchi e stringerlo. Il contatto fisico era
qualcosa
che solitamente voleva a piccole dosi. Con Al non gli bastava mai.
Una
droga senza effetti collaterali.
“Quando?”
“Dopo il processo si è presentato dicendo che
aveva svolto le indagini per il
mio ritrovamento assieme a zio Harry e ai Tiratori Scelti. Tuo padre
quando ha
visto che voleva parlarmi è andato su tutte le
furie… sembrava volesse quasi
prenderlo a pugni. Sicuramente se c’è qualcuno che
può dissuaderlo, quello è
lui.” Fece un ghignetto, mentre Al tratteneva una risatina.
“Questi
grifondoro…” Commentò
di rimando. “Si agitano sempre troppo.”
“No, credo piuttosto sia una caratteristica dei
Potter.” Lo prese in giro
tirandogli una ciocca di capelli; stavano diventando lunghi, poco sotto
le
orecchie, e esponenzialmente sempre più arruffati.
Ovviamente gli donavano.
Albus sbuffò,
liberandosi dal
suo abbraccio per tornare a letto. “Io non mi
agito… Mi preoccupo, è diverso.”
Si liberò della felpa con un brivido infastidito.
“Fa freddo qui o sono io?”
“Tu. Dovresti metterti a
letto, dopo
tutta la pioggia che ti sei preso per spiarmi. Agitandoti.”
“Va al diavolo…” Brontolò di
rimando, scivolando comunque tra le coperte,
obbediente. I pantaloni fecero una fine ben misera, calciati fuori dal
letto e
lasciati a morire sul tappeto.
Tom si ritrovò
naturalmente a
piegargli i vestiti, raccogliendoli in giro per la stanza.
Non
so se sia un disordine ossessivo - compulsivo il
mio, ma credo passerò metà della mia vita a
ordinare il suo caos.
Albus spuntò
dalle coperte,
osservandolo il silenzio. Tirò su con il naso un paio di
volte, sottolineando
che la tesi di un infreddatura stesse diventando realtà.
“Farti un
incantesimo impervius sui vestiti immagino non fosse contemplato. O anche
semplicemente prendere il mantello.”
“Non ci ho pensato. Non ho il raffreddore.”
Stimò con certezza assoluta che
terminò con uno starnuto infastidito.
“È la polvere.”
“Infatti gli elfi domestici sono noti per fare lavori
approssimativi e pretendere
comunque di essere pagati.”
“Ho solo freddo.” Fu la nuova e piccata
tesi. “Hai intenzione di star lì a
criticare o dormire qui anche stanotte?”
Avendo
paura che Zabini mi accoltelli nel sonno, resto
qui.
Ma non lo disse,
perché per Al
l’argomento Michel era territorio minato. E non aveva voglia
di imbastire una
discussione o intristirlo in quel momento. Già il morale non
era altissimo.
Si spogliò,
ordinatamente lui, e senza
indossare il pigiama –
tanto Albus faceva di tutto per farglielo togliere subito -
scivolò sotto le
coperte. Un secondo esatto dopo Albus gli si incollò addosso
quasi lo ritenesse
una versione umanoide di un termosifone babbano.
Sta
migliorando il suo record di velocità…
Gli passò una
mano sulla
schiena, bollente anche quella. Avendo le mani fredde lo
sentì rabbrividire. Si
premurò di scusarsi dandogli un bacio
all’attaccatura del collo.
“Mno…
niente sesso. Sono stanco.”
Gli negò mezzo addormentato con una certa dose di
crudeltà.
“… va
bene.” Promise,
chiedendosi perché lo lasciasse sempre prendere il controllo
in quei frangenti.
“Se hai freddo allora fammi prendere qualche coperta
dall’arma-…”
Non riuscì a finire che Al lo strinse in una morsa: tendeva
sempre a
dimenticarsi che per quanto il compagno fosse un efebuccio, aveva comunque la presa di un boa costrinctor.
Forse era il Quidditch, forse era proprio lui.
“No…
resta qui.” Biascicò
incastrando il viso contro il suo collo e soffiandogli sulla pelle. Tom
deglutì
e si impose di rimanere buono e soprattutto di tenere le mani a posto.
Al gli
dava spesso del maniaco sessuale, ma non si accorgeva che razza di
tentazione
fosse dentro un letto e semi-nudo.
“Ti prendo
soltanto una
coperta dall’armadio.” Obbiettò
ragionevole. “Torno subito.”
“… Non
andartene di nuovo.” E
capì che Al stava già dormendo, e da un pezzo
aveva lasciato la coerenza della
veglia. Quello che gli stava chiedendo di non
fare non riguardava la sistemazione di una coperta.
Sentì un nodo
allo stomaco: Al
poteva scherzare su quel che era successo, pretendere ritorsioni e
fargliele
scontare dandogli l’illusione che fosse di nuovo tutto a
posto.
Ma
ha ancora paura …
E quel colloquio con
l’americano
non aveva certo migliorato la situazione.
Gli passò una
mano sulla
schiena, in un lento movimento gentile che Robin usava sempre con lui,
quando
era bambino, per tranquillizzarlo dopo un brutto sogno. “Non
me ne vado da
nessuna parte, Al...”
E avrebbe fatto di tutto per
mantenere quella promessa.
****
Note:
Fluff alla fine, un
po’ angst.
Ma ehi, that’s Hogwarts!
1.
Qui la canzone.
Poi, un po’ di
immagini…
Elezar81 mi ha
regalato Il
litigio (Rose/Sy) e
Friendship. Ammiratele!
Invece per chi mi aveva
chiesto che volto avesse Dominique:
That’s it!
con un
ringraziamento in particolare alle ragazze di FB che mi han dato una
mano nella
scelta.
|
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Capitolo 18 *** Capitolo XVII ***
Spero di riuscire a rispondere a
tutte le vostre meravigliose recensioni in tempo utile. Mi scuso ancora
per il ritardo, e grazie, grazie per esserci! Vi adoro!
****
Capitolo XVII
Happiness
hit her like a train on a track
Coming towards her stuck still no turning back
She hid around corners and she hid under beds
She killed it with kisses and from it she
fled…
(Dog days are over, Florence + The Machine)
10
Ottobre 2023
Hogwarts,
Foresta Proibita. Mattina.
L’estate era ormai
sgocciolata
via lasciando posto all’autunno che aveva colorato i terreni
di Hogwarts di
ruggine e oro.
Nonostante il capriccioso
clima scozzese, quel giorno il cielo mostrava un celeste pastoso, ed
era una
buona notizia per chi doveva inoltrarsi nella Foresta Proibita per
l’ora di
Creature Magiche.
Rose Weasley era
relativamente
di buon’umore. Prevalentemente di buon’umore.
Precariamente
tale.
Si sforzò di fare
orecchie da
mercante all’ennesimo chiacchiericcio che le
sfrecciò accanto mentre scendeva
lungo la collina. Si fece superare da praticamente tutto il suo anno
più quello
serpeverde prima di poter finalmente essere ultima e da sola.
Quell’isolamento
forzato era
dovuto al fatto che l’argomento principale di quelle
insperate, luminose
giornate di ottobre era la prima prova del Torneo Tremaghi.
Si sarebbe disputata il 24
Novembre² e Rose ne era maledettamente felice: più
il giorno fosse stato
lontano, meglio si sarebbe sentita.
Non riusciva, per quanto
cercasse di far buon viso a cattivo gioco, a sentirsi parte di tutta
quell’eccitazione. Non le interessava sapere cosa il suo
ragazzo avrebbe dovuto
affrontare per salvarsi la vita e raggiungere – certo,
naturalmente – la gloria
eterna.
Cioè, le
interessava
naturalmente, ma solo nella misura in cui glielo avrebbe potuto evitare.
E
non potendo, visto che è il campione prescelto…
Cercava di pensarci il meno
possibile.
In questo si sentiva molto
vicina a Tom che era l’unico di tutta la loro estesa
tribù a non manifestare la
minima briciola di interesse per l’evento. Non sembrava
toccato nemmeno adesso,
mentre Albus accanto a lui snocciolava le sue ipotesi su che prova i
tre
campioni avrebbero dovuto affrontare.
“La prima prova di
papà fu
sottrarre un uovo d’oro ad un drago. Potrebbe essere una cosa
simile! Magari
sottrarre l’indizio per la seconda prova a qualche creatura
magica!”
“Affascinante…”
“Oppure catturare
la creatura
magica.”
“Mh.”
“Tom, ma mi sta ascoltando?”
“No.”
Al sbuffò,
lanciando uno
sguardo verso la testa della fila che stava entrando nel bosco. La
guardò anche
Rose.
Scorpius era in mezzo ai
ragazzi grifondoro e stava chiacchierando. La cosa in sé non
era degna di nota.
Se
non fosse per il fatto che gli avranno rivolto sì e
no dieci parole in sette anni prima che diventasse il campione della
scuola.
Lei non poteva avvicinarsi,
neanche volendolo. Avrebbe infatti insospettito la piccola corte della
Haggins
che si era strategicamente messa dietro al gruppetto dei ragazzi per
poter rimirare
il campione e ridere delle sue battute. Poteva sentire le loro risatine
ad
ultrasuoni fin lì.
Stronze.
Oche. Oche stronze.
Si sentì prendere
sottobraccio
e voltò lo sguardo verso il cugino, che le sorrise
teneramente.
“Tom mi ha
stufato. Posso
stare con te?” Chiese. Alle loro spalle il suddetto
tirò un sospiro
insolitamente teatrale ma non fece rimostranze. Rose lo
apprezzò.
“Sempre il
benvenuto, cugino.”
Gli sorrise di rimando, stringendo la presa.
Alla
fine l’unico uomo che non mi tradirà mai
è Al.
Non che Scorpius fosse in
qualche modo colpevole, beninteso. Era semplicemente occupato.
Prima l’intervista del Profeta, poi quella del Cavillo
–
la sera stessa era tornato ridendo con le lacrime agli occhi per
quest’ultima –
e poi il continuo flusso di persone che avevano un’improvvisa
voglia di passare
del tempo con lui e di scortarlo ad ogni singola lezione, nella
speranza di
venir scelto come suo assistente, decisione che Scorpius non aveva
ancora
preso.
Non c’era
abituato, questo
Rose lo poteva capire: aveva passato sei anni a mangiare al tavolo con
le
ragazze del loro anno e seguire le lezioni da solo. Aveva passato tutta
la sua
vita con una scomoda eredità di sangue che non aveva
chiesto, ma che gli era
semplicemente toccata in sorte.
Anche
se ama la sua famiglia… è il cognome che porta la
sua unica colpa.
Ciò non toglieva
che si
sentisse comunque abbandonata. Scorpius passava ancora le serate con
lei, ma
diventava sempre più difficile trovare un angolo privato in
Sala Comune, e la
Stanza delle Necessità non era più
un’opzione praticabile da quando la Haggins
si era impadronita della lista di prenotazione.
Se
solo stessimo assieme alla luce del sole… non avremo
bisogno di nasconderci.
Beh,
magari non daremo spettacolo, però…
Persa nei suoi pensieri
quasi
inciampò in una radice. La situazione non
migliorò quando Al, che era
matematicamente incapace di tenersi in equilibrio già da
solo, le franò addosso.
Finirino entrambi lunghi
distesi a terra, mentre tutta la fila scoppiava in una risata umiliante.
Rose avvampò,
tirando su il
cugino dolorante per la botta. Sapeva di avere i capelli pieni di
foglie mentre
la Haggins la guardava, la additava e rideva.
Scorpius a quel punto si
ricordò che aveva una fidanzata e fece retrofront
raggiungendoli.
“Certo che in due
non avete
l’equilibrio di un mago normale…”
Ridacchiò, ma vedendo la sua espressione
smise subito. “Vi siete fatti male?”
“Io
no…” Mugugnò Al. “Scusa
Rosie. E tu piantala di ridere!” Apostrofò Tom che
a Rose sembrò impassibile
tranne che per un lieve arricciarsi delle labbra.
Probabilmente
si sta spaccando dalle risate, il moloch.
“Sto
bene.” Sibilò cercando di
togliere le foglie senza sbriciolarsele nei capelli. “Sto
bene, non c’è bisogno
che ti preoccupi.”
Scorpius non disse nulla, ma Rose captò lo stesso
un’espressione che
ultimamente gli vedeva spesso dipinta in viso; sembrava disappunto,
immediatamente cancellato dal suo sempiterno sorriso.
La faceva sentire
inadeguata:
e anche se sapeva che rispondergli male era probabilmente la causa, non
riusciva
a fermarsi.
Scorpius infatti riprese a
sorridere come se nulla fosse. “È normale che mi
preoccupi fiorellino. Per me
le tue caviglie sono preziosissime.”
Rose finì per sorridere. Si sentiva schizofrenica: se da un
lato si sentiva
irritata, e spesso non riusciva a spiegarsi il perché,
dall’altro bastava una di
quelle battute a riportare il sereno.
Forse
sono davvero pazza. Questa situazione mi sta
facendo impazzire.
“Posso avere la
tua attenzione
adesso?” Chiese, tendendo il ramoscello d’ulivo.
Scorpius annuì.
“Assolutamente!
Sono stufo di quelli là… non fanno che parlare di
Quidditch. Vi spiace se
rimango con voi ragazze?”
“Ehi!” Esclamò immediatamente Al.
“Non stiamo parlando di borsette! E potremo
parlare di Quidditch anche qui!”
“Non credo, non mi
risulta che
Rosie e Dursley siano degli appassionati.” Celiò
Scorpius, approfittando dello
scambio di battute per metterlesi accanto e sfiorarle le dita. Rose
quasi non
sentì l’affermazione seguente. “Comunque
i Chudleys fanno pena.”
“Scorpius…”
Sospirò esasperata.
Vide infatti il cugino – amante della squadra come tutti i
membri della sua
famiglia – assottigliare gli occhi e fissare il biondo con
sguardo mortifero.
“E tu, che tifi per i Falmouth Falcons? Hanno il gioco
più scorretto di sempre!
Se hanno vinto qualche partita è solo perché
hanno fatto fuori metà delle
squadre avversarie! A suon di pugni!”
“Sono solo un filino aggressivi.” Ghignò
l’altro in modo totalmente Malfoy. “E…
Mini-Potter? A proposito di gioco scorretto, vorrei farti notare che durante l’ultima
partita dell’anno scorso hai preso
a calci la faccia di un mio
Cacciatore.”
Tom sembrò
riaversi di colpo dal
suo rimuginio interiore perenne. “Davvero?” Si
informò con una dose di
interesse piuttosto angosciante.
“No! È stato
solo un calcetto! Un
errore! E poi mi si era avvicinato troppo, pensavo fosse un
bolide!” Si difese
l’interpellato spalancando gli occhi, nella sua migliore
interpretazione da
cerbiatto ferito.
Rose sorrise sotto i baffi:
Albus
aveva sempre avuto un gioco ingegnosamente scorretto sin da bambino,
era stato
quello, da sempre, l’unico
modo per arginare
i cugini di due taglie più grosse di lui.
Forse
è stata quello a farlo diventare materiale per
Serpeverde.
“Lloyd
è rosso di capelli. Come
diavolo hai fatto a scambiare la sua testa
per un bolide?” Rise Scorpius, che aveva capito da tempo la
sua strategia ma ne
sembrava enormemente divertito.
Maschi…
Ma lo pensò con
affetto,
perché dopotutto poteva perdonare Scorpius per amare i bagni
di folla, finché
le sfiorava le dita con le sue.
Arrivarono alla piccola
radura
in cui solitamente Hagrid faceva lezione. Da lontano, oltre le enormi
felci che
si avviluppavano attorno agli alberi e i massi, si sentivano degli
stridii
inquietanti.
Rose si trovò a
stritolare
automaticamente la mano di Scorpius, che sembrò parimenti
preoccupato.
“Stavolta cosa
sarà?” Chiese
infatti, tentando di guardare oltre lo schermo delle piante.
“Qualcosa che
tenterà di
ucciderci, mi pare ovvio…” Brontolò di
rimando.
“Non dovevano
essere i
grifondoro quelli propositivi?” Chiosò Albus
avvicinandosi immediatamente a
Tom, che dall’espressione anodina poteva essere la persona
più tranquilla al
mondo o chiedersi perché diavolo avesse deciso di prendere
un MAGO anche in
quella materia.
Ce
lo chiediamo un po’ tutti. Per affetto verso Hagrid,
nel caso mio o di Albie… e nel caso della stragrande
maggioranza dei presenti,
perché è di manica larga nei giudizi.
Furono gli ultimi a saltare
il
muretto a secco che delimitava l’area di lezione. Defilati
rispetto alla massa
di hogwartsiani c’erano anche un paio di ragazzi
Beaux-Batons. Tra di loro
naturalmente Dominique, che per l’occasione, notò
Rose, sembrava avere
l’uniforme quasi a posto ed era priva di piercing al naso.
Forse
visto che è la campionessa di Beaux-Batons
l’hanno obbligata a darsi un tono.
Vabbeh,
darsi un tono…
Dom li salutò con
un ‘ohè!’ e
poi aggiunse: “Lezioni all’aperto, le mie
preferite!” con quel suo buffo
accento va-e-vieni.
Era accompagnata
da…
Rose stritolò la
mano di
Scorpius prima di mollarla, tanto repentinamente che il ragazzo si
voltò per
guardarla confuso e dolorante.
… era
accompagnata da Violet
Parkinson-Goyle.
Che
diavolo ci fa lei qui?! Alle altre lezioni non
c’era!
Al di là del
cognome pieno di
consonanti spaventose la ragazza sorrise al gruppetto in modo
assolutamente
delizioso; aveva i capelli sciolti e color dell’ebano e
catturava il sole
facendoli brillare.
Rose sapeva che i suoi, di
capelli,
avevano un urgente bisogno di un parrucchiere visto che meditavano di
strangolarla nel sonno con le doppie punte.
Maledizione.
Vedendo che tutti guardavano
la francese e nessuno diceva nulla, compresa Dom che si stava
sgranocchiando
un’unghia con aria zen, fu Scorpius, il maledetto gentiluomo,
a prendere l’iniziativa.
“Lei è
Violet… una mia amica
di infanzia.” Si schiarì la voce, con quel sorriso
urbano che metteva in scena
per l’universo mondo mentre tutti salutavano come tanti
soldatini delle buone
maniere. Lo dovette fare anche Rose per non sembrare una specie di
barbara
incivile. “Violet, come mai qui?” Chiese
giustamente.
“Volevo vedere una
delle
vostre losioni!”
Cinguettò, e la sua
voce sembrava tanti campanellini d’argento. Niente gracidii o
strilletti alla
Haggins.
Scorpius abbozzò
un sorriso. “Non
sapevo ti piacesse Cura delle Creature Magiche.”
“Sciocchino, non seguo certe lessioni
per piascere…”
Anche l’accento le
dava un’aria graziosa. “…ma per
interesse.”
E sorrise. Di nuovo. E
quando
lo sguardo della francese si fermò su di lei, Rose vide,
percepì, ebbe la
certezza che la stesse guardando e giudicando.
Trovandola insufficiente.
****
Aula
di Trasfigurazione, Mattina.
Lezioni
del Quinto anno.
Lilian Luna Potter non
andava
esattamente bene a scuola. Andava.
Le sue priorità
non erano mai
state settate sulle due grandi discriminanti, sia babbane che magiche.
Non le
interessava lo sport e non trovava necessario consumarsi le cornee per
lo
studio.
Con questo non voleva dire
naturalmente che non avesse voti che le assicuravano la
tranquillità familiare.
Giusto sua nonna Molly ogni tanto le faceva notare che i suoi fratelli
almeno
eccellevano in una manciata di materie e avevano preso almeno sette
GUFO a
testa.
I suoi voti, au
contraire, erano tenacemente
abbarbicati sull’Accettabile da quando aveva messo piede in
quella scuola. La
probabilità che sarebbe uscita con un numero di GUFO
superiori a cinque era
risicatissima.
Il fatto era …
che non le interessava. Non capiva
la smania
di gente come Rose e
Tom di divorare
paragrafi su paragrafi e schematizzare fino alla cancrena delle dita.
Sua cugina era riuscita ad
ottenere nove Gufo con Eccezionale al suo stesso anno, seconda solo a
Tom che
ne aveva ottenuti dieci, tutti Eccezionale meno uno – e
ancora non si poteva
parlare di Antiche Rune in sua presenza.
Roba
da pazzi.
Probabilmente non era
ambiziosa. O non lo era scolasticamente.
A lei piaceva divertirsi,
andare
alle feste, comprare vestiti carini ed essere informata su tutto quello
che
succedeva nel calderone ribollente di tutta quell’adolescenza
compressa – di
cui faceva parte.
Altre
priorità.
Hugo non faceva che dirle
quanto fosse superficiale. Lo
era,
forse. Ma era maledettamente facile esserlo.
Perché
sforzarsi?
Quella mattina era seduta
nell’aula di Trasfigurazione, come al solito nelle ultime
file, con Hugo accanto
a lei che giocava a battaglia navale con Fergus, le piccole navi
debitamente
incantate che affondavano sul foglio di pergamena.
Abigail dall’altro
lato
allungava il collo verso le prime file di Corvonero, con cui dividevano
la
lezione, per scrutare Albert Corner, un corvonero per cui aveva una
cotta da
circa cinque giorni.
“È
così bello… hai mai visto
degli occhi così azzurri?”
“Altroché. Niente di speciale, a mio
parere.” Commentò tirando fuori penna e
calamaio. La McGrannit sarebbe stata la loro nuova professoressa, le
toccava
giocare in anticipo e quindi evitare di seminare smalti auto-limanti
per unghie
o l’ultimo numero di AdolescenteMagica del mese.
“Perché
devi sempre rovinare
tutto?” Si lamentò l’amica.
“Cos’ha che non…” La
guardò, poi emise un lamento
sconfortato. “È vero, me n’ero
dimenticata. Sei uscita anche con
lui.”
“Anno scorso, prima delle vacanze estive.”
Confermò. “Ha passato più tempo a
cercare di impressionarmi raccontandomi dei punti che aveva fatto
vincere alla
sua Casa che a cercare di baciarmi. È questo il problema dei
corvonero… sono
troppo cerebrali.”
Abigail sbuffò.
“Ti rendi
conto che sto perdendo il conto di tutti i ragazzi con cui sei
uscita?”
“Se contiamo anche quelli con cui mi sono soltanto baciata,
anch’io.”
“Merlino… sei tremenda.”
Esalò Abigail, che in realtà sapeva divertita.
Aimee e
Jane a volte invece proprio non riuscivano a evitare frecciatine
invidiose. “Comunque
vedo che ti stai interessando alla concorrenza.” Aggiunse con
un sorrisetto
saputo, abbassando il tono di voce per non farsi sentire dal gemello e
da Hugo.
“Scusa?”
“Beh, visto che fraternizzi con un certo campione di
Durmstrang…”
Eeeccoci
qua…
Lily
sapeva che sarebbe andata a
parare lì. La cosa che probabilmente faceva scattare
l’allarme pettegolezzo era
il fatto che passasse del tempo con Sören.
Da soli.
E doveva ammettere persino
lei
che portare un ragazzo negli angoli più solitari del parco
di Hogwarts poteva essere
considerato sospetto.
Perlomeno
io mi sarei già fatta ventimila castelli in
aria…
“Guarda che
parliamo soltanto…
Davvero!” Tentò, ma l’amica assunse
l’aria di chi si sentiva presa in giro.
“Certo.”
Disse infatti. “Non sapevo che adesso si dicesse
così.
Lanci sempre nuove mode, Lils.”
Lily sbuffò: il
fatto era che
Sören non era materialmente capace di avviare una
conversazione sciolta in
presenza di altri esseri umani. Giocoforza aveva dovuto portarlo
lontano dagli
altri.
Era buffo e persino un
po’
tenero, ma ogni volta che qualcuno si aggiungeva a loro, il suo amico
tedesco
ammutoliva e se interpellato rispondeva come se avesse un frasario
conciso a
cui attingere.
E non che con quelli di
Durmstrang fosse meglio, beninteso; era spesso in compagnia di quel
ragazzo
russo dal sorriso untuoso, ma non parlavano. O meglio: il tipo ciarlava
a nastro
ma Sören sembrava percepirlo più che altro come un
rumore di fondo.
Quando erano soli
però
riusciva persino a sorridere, parlare di aneddoti che avevano
già condiviso per
lettera o raccontargli della Germania e persino di Durmstrang. Il
giorno prima
era riuscita a farlo infiammare per una conversazione sulla mitologia
norrena,
che aveva scoperto essere una sua grande passione.
Parlavano sul
serio, e per Lily erano una cosa singolare e stimolante.
I
ragazzi che frequento di solito non mi hanno mai stupito
con le loro doti oratorie.
Non
in senso stretto almeno.
Sören quando
parlava, quando
finalmente tirava fuori qualche argomento che non fosse legato al suo
maledetto
frasario era… affascinante. Quando gli aveva parlato del
Beowulf – adesso
conosceva la storia a memoria – gli occhi gli erano accesi di
una luce
appassionata.
Era rimasta ad ascoltarlo
scordandosi persino che aveva le prove col coro, unico corso
extra-curricolare
che le piacesse, visto che poteva stare al centro
dell’attenzione.
Beh,
poco male.
Sören dal vivo, se
messo nelle
giuste condizioni, ne aveva di cose da dire.
E quando sorrideva era
decisamente
carino.
Sentì
un’ennesima gomitata.
“Hogwarts chiama
Lily! Sei
finita a far compagnia alle costellazioni?” La prese in giro
Abigail. Poi prese
il tipico tono da cospirazione adolescenziale. “Allora? Bacia
bene? Dalla tua
faccia sognante direi di sì…”
Lily rise, anche se una parte di sé – quella
seria, che solitamente etichettava
come non necessaria – le fece notare come persino
un’amica che conosceva da
cinque anni pensava subito che fosse saltata addosso al suo amico di
penna. O
viceversa.
Non
depone tanto a mio favore, eh?
“Non ci siamo
baciati. Te l’ho
detto, parliamo.”
“… e basta?” Sconcerto e delusione.
Decisamente questi due sentimenti erano ben
rappresentati sulla faccia confusa della più piccola dei
Finnigan.
“Sarebbe
‘na novità, eh…”
Ironizzò Hugo affondando l’ennesima corazzata di
Fergus e mostrando che aveva
sentito tutto. “Che ci parli e basta.”
“Mi fa piacere
sentirvi così fiduciosi
verso di me. Non credete che possa avere un amico maschio?”
La risposta fu un silenzio assordante.
“Grazie
tante…” Ridacchiò,
sapendo che c’era un briciolo di verità nello
scetticismo degli amici.
I
ragazzi non mi considerano mai un’amica… e non che
mi
sforzi di esserlo, del resto.
Se
un ragazzo è carino e mi piace, perché dovrei
perdere tempo a farci l’amica?
Il corso dei suoi pensieri
fu
interrotto dalla voce di Abigail.
“Ehi, ma che ci fa
un gatto là
sopra?”
Lily sorrise,
perché sapeva. Anche
Hugo lo fece. Entrambi i
loro genitori erano stati messi in scacco da quel felino dagli occhi
cerchiati.
E
ovviamente ce l’hanno raccontato …
“Quello non
è un gatto, Abi…”
Ghignò il più piccolo degli Weasley, premurandosi
però di aggiustarsi la cravatta,
appiattirsi i capelli e mettere via la pergamena dove era in atto un
vero e
proprio naufragio.
“Eh? Certo che
è un gatto! Cosa
sei, cie…” Le parole morirono in bocca
all’amica, prima che emettesse un
sussulto di meraviglia quando vide il vecchio felino trasformarsi in
una
vecchia professoressa.
L’intera classe si
produsse in
un flusso esplosivo di mormorii. Alcuni sembravano già a
conoscenza del
trucchetto ma erano parimenti impressionati.
“Buongiorno
ragazzi e
benvenuti al corso di Trasfigurazione del Quinto anno.”
Esordì la donna
scandagliando con sguardo d’acciaio la classe. “Il
mio nome è, come molti di
voi già sapranno, Minerva McGrannit e sarò la
vostra professoressa di
Trasfigurazione.”
Lily se la ricordava ad una
delle tante cene al Ministero a cui era stata portata da bambina. Era
stata la
prima e l’unica volta che l’ex preside di Hogwarts
aveva fatto la sua comparsa
e suo padre le aveva presentate.
Se la ricordava alta come
una
torre, dritta come un fuso e castigata in un vestito severo. Era in
quell’età
in cui cento o ottant’anni erano ipotesi parimenti probabili.
Le aveva stretto
la mano come se fosse un adulta e non una bambina di quattro anni.
Si ricordava di essersi
sentita in soggezione. Sentendosi a quell’età la
principessa del mondo era
stata una sensazione piuttosto sgomentante.
Lily sapeva che persone come
la professoressa McGrannit erano quanto di più lontano dal
suo modo di vedere
la vita. E di godersela, peraltro.
E
pensavamo che l’agente del Ministero americano
corrotto fosse il peggio che poteva capitarci…
“Avete dei
traguardi
importanti da raggiungere quest’anno, e sarà mia
premura ricordarvelo. Le
domande a fine lezione.” Tacitò così
una discreta selva di mani alzate.
“Bacchette alla mano, prego.”
Quell’anno i GUFO sarebbero stati un inferno.
****
Foresta
Proibita.
Ora
di Cura delle Creature Magiche, Settimo anno.
Rose era disperata.
Perché non sapeva
come affrontare
Violet Parkinson-SonoPerfetta-Goyle.
La francese non era
un’oca,
era quella la terrificante verità: non si era aggrappata al
muscoloso braccio
di Scorpius, né sfarfallava chilometri di ciglia a suo
beneficio. Era accanto a
lui, questo sì, e parlavano in francese. Ma niente lasciava
presagire che tentasse
di soffiarglielo.
Era subdola.
Questo ovviamente aveva
abbassato l’allarme sono-fidanzato
del suo cretino personale che ciarlava quindi garrulo in quella lingua
sconosciuta.
Lo
sapevo che avrei dovuto chiedere a zio Bill di
insegnarmi qualcosa di diverso ‘vorrei un’insalata
senza formaggio’. Maledizione.
Albus accanto a lei la
guardava preoccupato, mentre Dom continuava nell’esplorazione
delle sue unghie
con l’aria più rilassata del mondo. Tom come al
solito era sparito, ma
sinceramente quello era l’ultimo dei suoi problemi.
Hagrid entrò
nella visuale di
tutti, cosa del resto non particolarmente difficile. Aveva agganciato
al grosso
cinturone da guardiacaccia una decina di conigli morti.
Questo
non è un buon segno…
“Buongiorno!”
Esordì con lo
sguardo che gli brillava. Rose non fu la sola a rabbrividire.
“Quest’anno ci ho
già fatte vedere un po’ di bestioline
interessanti… Ma stavolta resterete di
sasso, parola mia!”
“Lei è il mio mito, professor Hagrìd!”
Sospirò Dominique, perché era pazza: aveva
passato la lezione prima a
vezzeggiare … l’aria,
per quanto la
riguardava, sostenendo che coccolasse Thestral.
“Beh, grazie
Dominique…”
Borbottò questi arrossendo. Era forse la prima volta in
tutta la carriera che
veniva così incensato, rifletté Rose con una
buona dose di colpevole cinismo. “Allora,
bando alle ciance! Adesso ce lo chiamo, il nostro nuovo
amichetto… e per
favore, fate un passo indietro!”
L’intera classe indietreggiò come un uomo solo.
“Spero che non
puzzi tropo…”
Fu il commento di Violet, che
finalmente fece qualcosa perfettamente in linea con il personaggio che
Rose
sperava fosse, cioè una snob.
“Non preoccuparti,
Piggie³…
profumerà di lillà e margherite.”
Replicò Dominique a sorpresa, diventando immediatamente la
nuova eroina di
Rose, specie quando l’altra avvampò e la
fulminò con un’occhiata malevola.
“Tu
ne m’appelle pas comme ça Nicky!”
Fu la replica stizzita. La
bionda per tutta risposta le rivolse un ghignetto.
Strano…
mi aveva detto che non si conoscevano bene.
Rose lo pensò di
sfuggita
perché un improvviso rumore d’ali la fece
immediatamente scattare all’indietro.
La creaturina che quel
giorno
Hagrid presentava era…
“Un
ippogrifo… accidenti.”
Sussurrò Albus deglutendo. Rose lo vide poi acchiappare
qualcuno dietro un albero,
e Tom uscì fuori con aria innervosita: non era un segreto il
fatto che avesse paura
di tutti gli animali in volo più grossi di un gufo.
Specialmente se avevano gli
artigli.
Rose aveva sempre pensato
fosse abbastanza esilarante, considerando quante arie si desse il
cugino, ma
non l’aveva mai preso in giro perché in fondo lei
aveva gli stessi problemi,
solo con l’altezza.
In
generale.
“Non
c’è bisogno che mi
stritoli un braccio, sono qui.” Borbottò questo
all’indirizzo di Al, lanciando
un’occhiata fugace all’ippogrifo, accertandosi
probabilmente che fosse ad una
distanza di sicurezza.
“Non vorrai sparire mentre Hagrid decide che io, in quanto
Potter, ho la stoffa
per cavalcarlo, vero?”
Chiese
lentamente l’altro, con una minaccia implicita sulle labbra.
“Se vuoi affatturo il mezzo-gigante e ti porto
via…” Replicò Tom. “Sarebbe
sensato, considerando la tutela della nostra
incolumità.”
“Smettila, siamo
al sicuro!”
“Non credo proprio.”
Rose distolse
l’attenzione dai
due per guardare il suo ragazzo: diversamente da molti, Scorpius
guardava con
interesse il grosso animale, che al momento stava divorando i conigli
lanciati
dall’ex-guardiacaccia.
“A me non sembra
così
spaventoso.” Osservò. “Zampe anteriori
di cavallo, ali e testa d’aquila e coda
e anteriore di leone. È … elegante.”
Considerò,
allungando il collo per guardare meglio. “Si dica che sia tra
le creature
magiche più veloci al mondo.”
“Sì e anche mortali.” Gli rispose:
certo, ammirava il modo in cui Malfoy
riusciva a rimanere calmo di fronte a situazioni o creature che
avrebbero messo
in tensione anche un mago adulto. Sperava però che questo
non l’avrebbe portato
a offrirsi volontario per un giretto sul dorso di quella bestiaccia.
Ma
non sono troppo fiduciosa…
“Allora…
forza, ora potete
venire!” Esclamò speranzoso Hagrid mentre accanto
a lui l’ippogrifo spezzava
con rumori sinistri ossa di coniglio per poi inghiottirle.
Vedendo che nessuno oltre a
Dom si era messa in prima fila, cercò Albus con lo sguardo.
“Al… tuo papà non
ci aveva problemi con questi bei tipetti
qua! Vuoi venire a dirgli ciao?”
“Vieni,
Al!” Esclamò Dominique
con una punta di palese sadismo. “Diciamogli ciao!”
“Preferirei dirgli addio per sempre…”
Pigolò l’interpellato, pallido come un
cencio. Però si avvicinò, perché era
troppo buono per dare una delusione al
loro vecchio amico di famiglia.
Rose sentì Tom
borbottare
qualcosa trai denti e lo vide anche picchiettare la bacchetta contro la
coscia
con aria omicida.
In un certo senso lo
capì.
Specialmente quando Scorpius
raggiunse i suoi due cugini.
Oh,
DANNAZIONE.
“Vorrei dirgli
ciao anch’io.”
Disse in tono allegro ad Hagrid, che per un attimo sembrò
incerto.
“Ah… ma
certo!” Si riscosse
subito con un sorriso barbuto. “Ma mi raccomando, dovete
essere parecchio
educati, perché gli ippogrifi sono tipetti permalosi.
Ecco… qualcuno sa per
caso come ci si presenta ad un ippogrifo?”
La mano di Dominique fu la
prima a scattare. Rose sapeva la risposta, ma al momento era presa a
combattere
l’impulso di schiantare il suo ragazzo demente.
“Bisogna fare un
bell’inchino,
naturalmente!” Esclamò la bionda. “Beh,
nel mio caso una riverenza.” Aggiunse
facendo ridere la classe.
Hagrid annuì.
“Molto bene Domi…
Allora, chi vuole provare per primo ad accarezzarlo? Al?”
Albus non tentò neanche di nascondere il passo indietro che
fece quando
l’ippogrifo – che nulla aveva del simpatico
Fierobecco narrato nelle favole della
loro infanzia – cacciò uno stridio acuto e
abbozzò una leggera carica.
“Buono
Artiglio!” Persino il
nome era spaventoso, pensò Rose e probabilmente
metà della classe. “Non fare
così Albus, sente che sei spaventato!”
“Com’è perspicace…”
Sussurrò, e anche se Rose non poteva vederlo
perché gli
dava le spalle, fu certa che il cugino avesse due occhi enormi di
paura. “Beh…
ehm, penso che sarò l’ultimo a
salutarlo.”
“Provo io!” Si offrì Dominique, e ad un
cenno del professore si posizionò sulla
traiettoria della creatura.
Rose la vide fare una
riverenza un po’ goffa, visto che la cugina era
più tipa da stretta di mano che
da presentazione elegante. La cosa parve indispettire il pretenzioso
animale,
che sbuffò e raspò violentemente il terreno.
“Dom, meglio che
vai
indietro…” Mormorò Hagrid. “Veloce.”
La ragazza, che probabilmente era abituata con i draghi, fece tre o
quattro
lenti passi indietro tornando alla linea di partenza.
A quel punto Rose
aspettò
semplicemente l’inevitabile.
Scorpius Malfoy sapeva che
era
la prima delle tante opportunità che il Fato – o
qualcosa del genere, sempre
sul trascendentale – gli stava offrendo per riabilitarsi.
Gli occhi di tutti erano
puntati su di lui. E lui era il campione.
Non si trattava solo di fare una smargiassata e rischiare di vedersi
amputato
un braccio da un becco acuminato.
Non
del tutto, ecco.
Deglutì
sentendosi la bocca
secca come se avesse masticato ghiaia, ma vinse la paura per il suo Bene Superiore.
“Vorrei
provare.” Esordì
sicuro, e il mezzo gigante stavolta non tentò neanche di
nascondere la
preoccupazione.
“Non so se
è il caso Malfoy…
Artiglio è nervosetto, vedi…”
“Forse ha solo bisogno di qualcuno che sappia presentarsi
come si deve.” Disse
senza cattiveria, anche se pensava che la riverenza della Weasley
francese
fosse stata totalmente sgraziata. “Mi lasci
provare.” Insistette guardandolo
fisso.
Non
puoi impedirmelo senza dire qualcosa di sgradevole
su mio padre. Lo so che scherzetto ha combinato uno di questi pennuti
al suo
braccio. Devi
lasciarmi provare, e lo sappiamo entrambi.
Hagrid sbuffò,
facendo un
goffo cenno d’assenso con la mano. “Va bene, ma sta
pronto…”
“Sì, sì. Ricevuto.”
Sentiva lo sguardo di Rose
trafiggergli la nuca, ma si sforzò di ignorarlo. Si mise di
fronte all’ippogrifo
che caccio un grido sommesso, forse di avvertimento, con occhi senza
pupilla e
gialli come quelli di un falco.
È
solo un falco molto… estremamente…
cresciuto. Blake è un falco. Io ho un falco come famiglio.
Per
Nimue, non deve essere tanto diverso… credo.
Si sentiva un po’
idiota a
fare un inchino ad una creatura dotata di zampe ma la fece con tutti i
crismi
del caso. Del resto quel genere di gestualità gli era stata
pestata nella zucca
dall’età della comprensione.
La creatura lo
fissò per un
attimo, prima di flettere le zampe davanti in quello che senza ombra di
dubbio
era un inchino.
C’era riuscito.
Ah!
L’onore Malfoy è stato ripristinato!
Gli venne naturale, ma non
lo
disse perché era un mago nel trattenersi. Trattene anche il
ghigno di puro
trionfo: magari non sarebbe piaciuto ad Artiglio.
Quando fu certo che non
l’avrebbe dilaniato con il becco si avvicinò,
sentendo gli altri trattenere il
respiro. Diversamente da come si era immaginato le piume erano morbide
al tatto
mentre lo accarezzava.
Si sentiva fissato
dall’ippogrifo
con curiosità, e pensò che dopotutto suo padre in
quel caso aveva sbagliato:
gli ippogrifi erano creature altezzose perché potevano
permetterselo.
Esattamente
come un Malfoy.
“Ciao Artiglio.
Bel nome
amico…” Si sentì in dovere di dire,
mentre la creatura si godeva le
carezze.
“Malfoy,
l’uomo che sussurrava
agli ippogrifi.” Lo prese in giro da lontano Dominique, la
Weasley francese. Ma
percepì una nota ammirata, e se ne compiacque.
Un
altro Weasley dalla mia parte.
Si voltò
automaticamente verso
Rose, perché quello era anche per lei.
Rose non lo stava guardando,
e
sembrava arrabbiata. Di nuovo.
Serrò le labbra,
e si fece
bastare gli applausi degli altri.
****
Vascello
di Durmstrang, pomeriggio.
“Bacchette alla
mano signori…”
Pronunciò indolente Poliakoff, appoggiato allo schienale
della poltrona, mentre
lasciava filtrare il fumo della propria pipa da un oblò.
Sören non gli fece
notare che
il tabacco che fumava gli dava particolarmente fastidio.
Al momento era
più preso dal
compito di valutare il suo avversario, Radescu, il ragazzo colpevole
della
mancata chiusura del boccaporto. Era un ottimo duellante, a quanto gli
era
stato detto, e dal modo elegante e definito in cui aveva replicato al
suo
saluto forse lo era davvero.
Lasciò che
attaccasse per
primo. Questo gli diede tempo di veder muovere la sua bacchetta.
Rigida,
quindici pollici, legno di quercia. Poco adatta
per incantesimi elementari⁴, più rapida negli schiantesimi.
Vanificò
così il conseguente
schiantesimo con un sortilegio scudo prima di mormorare un incantesimo
immobilizzante che fece finire l’avversario lungo disteso a
terra.
…
non abbastanza.
“Dieci secondi
netti! Bozhe moi⁵, crucco! Sei un
fulmine!” Lo
lodò Poliakoff con un sorriso ammirato.
Sören si
avvicinò al ragazzo
che si era appena liberato dal suo contro-incantesimo e gli tese la
mano.
Quello la prese, anche se con una smorfia. Ma regole del duello
imponevano una
certa cavalleria anche in caso di sconfitta.
“Come hai capito
che ti avrei
lanciato uno schiantesimo?” Gli chiese in un buon tedesco,
scrutandolo
attentamente. Tutta la delegazione sapeva che non era il vero Luzhin, e
lo
evitava conseguentemente. La longa manu
di suo zio arrivava fino alle famiglie che frequentavano da generazioni
Durmstrang. Il preside, del resto, era stato più volte a
cena da loro.
“Me l’ha
detto la tua
bacchetta.” Gli spiegò. “Studiando la
lunghezza, la flessibilità e la composizione
ho potuto capire quali incantesimi prediligi.”
Il ragazzo gli
lanciò
un’occhiata valutativa, poi annuì, prima di fare
un cenno di commiato con la
testa e uscire.
Sören
pensò che non gli
sarebbe dispiaciuto avere lui come braccio destro in quella missione.
Se
non altro comprende il valore del silenzio, a
differenza di Kirill…
“Studia
Radescu!” Gli gridò
dietro questi, soffiando una boccata di fumo che impregnò
praticamente tutta la
piccola sala duelli. Ce n’era una più grande a
poppa della nave, ma vi si
allenavano tutti gli altri.
La
mia presenza sicuramente non sarebbe gradita.
“Non farci
caso.” Fraintese il
suo silenzio Poliakoff. “Dionis non prende granché
bene le sconfitte. Se non ci
fossi stato tu, probabilmente il campione sarebbe stato lui. Voleva
sfidarti da
quando hai messo piede sulla nave, ma ha avuto il fatto suo!”
“È un ottimo duellante.”
Osservò rinfoderando la bacchetta.
“Ottimo?
L’hai stracciato, se
n’è andato con la coda tra le gambe!”
“Non credo che
abbia avuto il
mio stesso tipo di addestramento.” Tagliò corto.
Non
credo che abbia mai duellato sul serio
con
qualcuno…
“Quasi tutti i
ragazzi
purosangue vengono addestrati al duello magico sin da
bambini…” Replicò l’altro
ignaro del suoi pensieri, mentre lanciava occhiate pigre fuori
dall’oblò. “Beh,
io sono terribile, ma gente come Radescu dorme con la bacchetta sotto
il
cuscino. Un esaltato, parola mia. Non gli farà male
abbassare un po’ la cresta.”
Sören non rispose, visto che non ce n’era
strettamente bisogno: aveva capito
che Kirill non si offendeva a condurre lunghi soliloqui.
Anzi…
Lasciò che uno
degli elfi
della nave gli versasse un bicchiere di vino speziato e finì
per sorseggiarlo
su una delle grosse poltrone rivestite di velluto e cuoio. Si
guardò attorno:
legno di padouk ovunque dava riverberi rossastri
all’ambiente. Anche
l’illuminazione spargeva bagliori sanguigni sulle pareti.
In questo Lily aveva
ragione:
l’interno della nave, persino nei quartieri più
lussuosi del primo livello,
sembrava lo stomaco di qualche mostro marino.
“Cosa pensi di
fare per la
prima prova?” Gli chiese il russo dopo una, purtroppo,
brevissima pausa
silenziosa. “Sai, in quanto tuo assistente vorrei sapere se
devo cominciare a
cercare di capire di che diavolo si tratta.”
“Non dovresti averlo già fatto?” Chiese,
mentre l’altro serrava le labbra
indispettito.
“Beh,
sì… qualcosa ho
scoperto, ma tu potresti mostrare un po’ più
d’entusiasmo! È il Tremaghi
dopotutto! Ci sono allievi, come Radescu, che darebbero un braccio per
essere
al tuo posto!”
Sören aveva notato
come
l’atavico timore che Kirill aveva per suo zio fosse via via
scemato
all’aumentare delle miglia che la nave metteva tra loro e
l’uomo. Avrebbe
dovuto farglielo notare, come fargli notare che non gradiva tutta
quell’eccessiva confidenza.
“Vorrei ricordarti
che sono
qui sottocopertura.” Disse invece. “Non mi importa
del Torneo. Tu assicurati soltanto
di darmi informazioni in tempo utile.”
“Probabilmente sarà una prova fisica…
uccidere qualche drago malvagio o cose
simili. Questi inglesi sono fissati con la figura dell’eroe
che salva la principessa…”
Fece una smorfia derisoria tornando verso l’oblò
per scaricare il tabacco nelle
acque del lago. Inarcò le sopracciglia. “A
proposito di principesse! Arriva la
tua.” Stese un sorrisetto divertito. “E
uh-oh… sembra bella combattiva, amico
mio. Temo che dovrai prenderla con le molle, qualsiasi cosa sia
successa!”
Sören
sospirò leggermente.
Sentì che lo stava facendo, e si interrogò
brevemente su cosa potesse
significare. Non c’era comunque tempo. Abbandonò
il calice di vino al suo
destino e si preparò ad accogliere Lilian Potter.
****
Scorpius non riusciva a
capire. Davvero, ci aveva provato ma probabilmente era inesorabilmente
un
maschio o qualcosa del genere, perché non appena finita la
lezione la sua
ragazza se l’era data a gambe, seminando cugino e compagni e
lui non aveva
capito il perché.
Non fece in tempo a
raccogliere borsa e mantello, abbandonati ai piedi di un albero dove
Loki e
Michel si erano tenuti in disparte come al solito, che la vide saltare
il
muretto a secco e sparire.
“Avete visto
dov’è andata Rose?”
“La tua Weasley? Non l’ho neanche notata
sinceramente.” Sbadigliò Michel
studiandosi un polsino.
“Mi pare che sia
andata verso
il castello. Dove vuoi che si rifugi, una secchiona come
quella?” Fu la
risposta più urbana di Nott. “Un peccato. Se si
ricordasse che è femmina
sarebbe anche una bella…”
“Continua e ti annodo la lingua con una
maledizione.” Lo avvertì senza
acrimonia, perché distratto. Fece qualche passo in direzione
del mini-Potter
che si stava dirigendo verso le Serre, magari lui sapeva qualcosa.
Violet gli
sbarrò la strada.
Ma
cos’è, una corsa ad ostacoli?!
“Hai programmi per
questo fine
settimana Scorpius?” Gli chiese in perfetto inglese. Il finto
accento francese
era solo una delle tanti armi che Violet usava con i ragazzi; avendo
due
genitori totalmente britannici, aveva in effetti un impeccabile accento
londinese.
“Come
scusa?”
“Programmi. Per questo fine settimana.”
Ripeté lentamente la ragazza, come
davanti ad un bambino tardo. “Ho sentito parlare molto bene
di Hogsmeade da mia
madre… Quindi. Hai programmi?”
“Sì.
Sopravvivere alla mia
adolescenza.” Le sorrise. “Scusa, adesso dovrei
proprio andare… ci vediamo,
ehm, tipo dopo.”
“Tipo dopo quando?”
Lo incalzò
impietosa piazzandogli un dito sul petto, bloccandogli ogni
possibilità di liberarsi
senza sembrare un bruto. “Sai che dobbiamo parlare di quella cosa.”
“Ma adesso?” La guardò con occhi
supplici. “Senti, sai come la penso. No.”
Violet alzò gli occhi al cielo. “Alla faccia della
brutalità, Lord Malfoy…” Si
guardò attorno prima di scivolare in un francese
cospiratorio. “Sai che non
è così semplice.”
“Lo è, basta dire di no.”
Sbuffò.
Ormai non si vedeva più tracce di gonne grifondoro per
quanto potesse aguzzare
lo sguardo tra le fronde. Rose doveva essere già uscita dal
bosco. “Senti, non
ho tempo per pensare a queste cavolate da purosangue.” Torno
all’inglese.
“Cavolate…?” Le guance di Violet si
tinsero di un rosso violento. Si dimenticò
del francese. “Abbiamo dei doveri verso le nostre famiglie,
Scorpius!”
Scorpius Malfoy si riteneva
un
tipo paziente. Ma la sua Rose era andata via senza degnarlo di una
parola e non
era un atteggiamento inusuale, considerando come si era notevolmente
raffreddata da quando era diventato campione del Torneo. Doveva capire
cosa
stava succedendo.
E Violet era di mezzo.
“Senti. Non
sposerò te in
futuro, come non sposerò nessuna stramaledetta purosangue
sponsorizzata!”
Sbottò con rabbia, prima di sorpassarla, lasciandola al suo
destino.
Sapeva che avrebbe dovuto
scusarsi, perché in realtà Violet non aveva
colpa, se non quella forse di far
parte di quell’orribile sistema formato da ingranaggi oliati
dalla purezza del
sangue magico.
Cristo,
nel mondo babbano sono quasi arrivati al
teletrasporto e noi ancora ci accoppiamo come nobili di fine
cinquecento!
Non aveva tempo,
né voglia di
ricordarsi che avrebbe potuto essere come lei, se solo non avesse
alzato la voce
ogni singolo giorno della sua vita.
Sorpassò i
compagni
grifondoro, ignorando i loro richiami e corse lungo la collina che
portava al
castello.
Non gli ci volle molto per
raggiungere Rose. Non stava neanche tentando seriamente di darsela a
gambe.
“Rosie!”
La ragazza si
voltò, con l’espressione
contratta di chi cerca disperatamente di non far trapelare i propri
sentimenti.
Fallendo miseramente.
Okay. C’era
un problema.
Aveva provato ad essere
felice
per Scorpius. Aveva fatto degli sforzi immani, visto che non era la
persona più
empatica del mondo, per entrare nella sua testa e giustificare i suoi
comportamenti.
E aveva capito, almeno
qualcosa. Ma questo, e Rose l’aveva realizzato nel momento
stesso in cui
Scorpius si era avvicinato all’ippogrifo, non aveva smesso di
allontanarli.
Sapeva di essere in torto,
ma
una parte di sé si chiedeva se fosse davvero
così.
Perché
non ti basto io, non ti basta quello che già
abbiamo? Perché devi cercare l’approvazione di
persone di cui non ti importa
nulla?
“Rosie, che
succede?” Le
chiese, mentre la afferrava per voltarla verso di lui, con delicatezza.
Non c’era
mai stata una volta che non l’avesse toccata con la riverenza
che si usava per
le cose fragili.
Lo amava anche per questo.
Ma
non bastava, non adesso.
“Niente…”
“Non è
vero.” Si rabbuiò
Scorpius, che odiava che chiunque gli mentisse. “Sei strana
da… beh, da
parecchio e credo anche di sapere il perché.”
“Se lo sai allora perché me lo chiedi?”
Replicò stizzita, non riuscendo a
rimangiarsi quel groppo di frustrazione che la accompagnava da quasi un
mese. Poteva
ignorarlo, ma c’era sempre.
“Te lo chiedo
perché voglio
sentire dire da te cosa
c’è che non
va. Sembra che non faccia che farti arrabbiare!”
“Non sono arrabbiata! Mi chiedo solo se fosse necessario
rischiare di ferirti
per giocare con quell’ippogrifo!”
“Era perfettamente sicuro Rosie, andiamo!”
“Ma se sei tu, che
dici sempre
che Hagrid è un pazzo pericoloso che ci mette continuamente
di fronte a
creature che non siamo in grado di affrontare! Adesso hai cambiato
idea?”
Sentiva la collera montare, e non gli importava se Scorpius la guardava
confuso
e ferito. Era uno stupido. “Oppure è
perché era pieno di gente a cui mostrare
quanto sei coraggioso?”
“Questo è…” Serrò
le labbra, guardandola male. “Questo è ridicolo.
Non l’ho
fatto per nessuno, se non per me stesso!”
“Come il
Torneo?” Incrociò le
braccia al petto, per scaldarsi, perché o spirava un vento
gelido da Est,
oppure era lei che si sentiva ghiacciare. “Farlo per te
stesso, o farlo per
avere maggiore considerazione da questa gente secondo me è
la stessa cosa. Ti
stai esponendo a rischi inutili per persone che non valgono neanche la
pena!”
“Non lo faccio per
gli altri!”
Sbottò il ragazzo esasperato. “Merlino, Weasley,
perché sei così ottusa?”
Rose si accorse che era
passato di nuovo al suo cognome, e questo non era un buon segno. Per
Scorpius c’era
un significato preciso dietro ogni appellativo con cui apostrofava gli
altri.
“Io,
ottusa?” Aveva voglia di
prenderlo a calci, e chiedergli perché non capisse.
Perché
sei così crudele? Perché non capisci che ho
paura per te? Che farei di tutto per proteggerti e tu non fai che
piazzarti
sulla linea di fuoco?
Sei
un idiota, Scorpius! Io ti amo, ma perché ti
conosco. La gente non perde mai tempo a conoscere, si limita a
giudicare! Non voglio
che ti feriscano! Non voglio che dicano di te cose orribili e che tu ci
stia
male!
“Sì,
sei ottusa.” Rincarò,
ignaro dei suoi pensieri. Aveva i pugni contratti e le labbra ridotte
in una
linea sottile. Assomigliava incredibilmente a suo padre in quel
momento. “Lo
faccio per noi!”
“Io non ne ho
bisogno!”
“Ma io sì! Non ce la faccio più,
maledizione!”
Cadde il silenzio. Rose non
ne
aveva sentito mai uno così pieno, nonostante il vento
agitasse le fronde degli
alberi del bosco.
Le sembrò di
deglutire carta
vetrata.
“Che…
che vuoi dire?” Si
sforzò di articolare, anche se parlare era
l’ultima cosa al mondo che avrebbe
voluto fare. Piangere invece le sembrava una buona opzione.
“Che vuoi dire che
non ce la fai più?”
Scorpius si passò una mano trai capelli, ispirando trai
denti. “Io ti amo…”
Esordì piano. “Ti amo sul serio. Ma sono stufo di
dovermi nascondere e…” La
fermò con una mano, perché probabilmente aveva
già capito cosa volesse dirgli. “Lo
so che non ti vergogni di me. Ma non vuoi dire a tuo padre di
noi.”
“Neanche tu!”
Scorpius le piantò gli occhi addosso. “Se mi
chiedessi di farlo, in questo
esatto momento, entro stasera mio padre lo saprebbe. Entro stasera,
Rosie. Se tu
volessi. Il problema non sono io.”
“Io…”
Stavolta davvero non
riusciva a parlare. Perché in fondo sapeva di aver costretto
Scorpius a quel
regime di segretezza. Vi si era piegato di buon grado, certo. Ma in un
primo
momento, quando le cose tra di loro erano ancora nel grande regno del
forse;
ora no.
Adesso era lei quella che
alla
sola idea di dirlo a suo padre si sentiva ghiacciare il sangue nelle
vene.
E non poteva farci niente.
Milioni
di volte si era immaginata a parlare alla sua famiglia, a Ron Weasley,
di come
volesse trascorrere tutta la sua vita con quel biondino matto come un
cavallo.
Mille castelli in aria, ma
sul
lato pratico non parlava, non ci riusciva: aveva quasi diciott'anni, ma
era ancora
una bambina spaventata dal deludere suo padre.
Scorpius le sorrise appena.
“Per
questo voglio concorrere al Torneo, lo capisci? Certo, non solo,
ma… Voglio
vincere e voglio dire a tuo padre che sei mia. Fuori di qui, fuori
dalla
scuola. Perché finito quest’anno saremo
là fuori. E non ci saranno più queste
mura e i nostri amici a proteggerci.”
Lo sapeva. Cercava di non pensarci, ma lo sapeva. Annuì
semplicemente.
“Se fossi il
campione di
Hogwarts la tua famiglia se ne farebbe una ragione, no?”
C’era la sua solita ironia, ma Rose sentiva
l’amarezza dietro quelle parole.
“Scorpius…”
L’ha
fatto per me. Per essere un degno fidanzato per
mio padre, quando Dio, non ha fatto niente di male in vita sua.
Scorpius si chinò
e le posò le
labbra sulla fronte. Erano calde. “Non remarmi contro. Per
favore.” Mormorò
piano. “È la mia scelta, appoggiami.”
Rose si limitò ad
annuire e
lasciarsi stringere nel suo abbraccio. “Mi
dispiace… sono stata una stronza.
Certo che ti appoggio.”
Scorpius ridacchiò, stringendo maggiormente la presa e
dandole un bacio trai
capelli.
“È
tutto a posto, fiorellino.”
Non era tutto a posto,
pensò
Rose: sperava solo lo sarebbe stato.
*****
Note:
Rose è una stronza, non lo è? È solo
umana ragazze. ;)
1 .
Qui la canzone.
2. In HP4 la Prima prova del Torneo Tremaghi viene disputata il 24
Novembre. L’altra
subito dopo le vacanze e quella finale a Giugno.
3. Parkinson-Goyle. PG +
vezzeggiativo = Piggie. Il fatto
che
voglia dire anche ‘porcellino’ non è
casuale. Sì, c’entra quella dei Muppets.
Ho pensato a lei. Perché Dom è deficiente. ;D
4. Incantesimi elementari:
non
nel senso di semplici, ma che hanno a che fare con i quattro elementi
primari:
acqua, fuoco, aria, terra. (es. Aguamenti, Incendio etc…) Me
la sono inventata
io la classificazione, ma credo che sia un minimo plausibile.
5. Bozhe
Moi : Mio Dio in russo.
Questa
è un altra fan-art della bravissima
Elezar81. Godetevela. ^^
|
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Capitolo 19 *** Capitolo XVIII ***
Capitolo XVIII
Sweet
little words made for silence, not talk
Young heart for love, not heartache
Dark hair for catching the wind
Not to veil the sight of a cold
world¹…
(While
your lips are still red,
Nightwish)
10
Ottobre 2023.
Lago
Nero, Banchina di attracco.
Pomeriggio.
Sören non aveva la
minima idea
di cosa avrebbe potuto dirgli la giovane Lilian… Lily.
Non sarebbe mai riuscito
nella
sua testa a chiamarla con quel diminutivo familiare, che sembrava
invece comune
a chiunque la apostrofasse.
Non aveva mai chiamato
nessuno
con un diminutivo.
La trovò impalata
sulla
passerella del molo, con le mani sprofondate nelle tasche del mantello
invernale, parte dell’uniforme di Hogwarts. La sciarpa le
copriva una buona
porzione del mento e delle labbra. Quel giorno il freddo era aspro e
affilato
come un coltello: probabilmente era fastidioso anche per un inglese.
Insolito vederla in
uniforme,
pensò anche: era più facile che indossasse una di
quelle sue spinose minigonne
con un giubbotto sufficientemente corto da far intravedere cosa
indossasse
sotto.
Non era truccata: doveva
appena essere uscita da lezione.
“Buon
pomeriggio.” Azzardò
raggiungendola.
“Non lo
è affatto.” Lo smentì
immediatamente. Aveva le sopracciglia contratte in
un’espressione di irritazione,
e Sören si chiese nebulosamente se la causa fosse lui.
Improbabile.
Mi ricorderei se avessi fatto o detto
qualcosa di sbagliato durante le nostre conversazioni.
“Va tutto
bene?” Chiese allora
osservando come, quando teneva i capelli sciolti come quel giorno,
sembrasse
avere delle lingue di fuoco vivo ad ondeggiargli attorno al viso.
“Una brutta
giornata, come ho
detto.” Tagliò corto la ragazza. Guardò
verso un punto imprecisato, oltre il
Castello e verso i cancelli della scuola. Sembrò riflettere
molto velocemente
su qualcosa. “Ti va di andare ad Hogsmeade?” Gli
chiese infine.
“… Non dovreste avere un permesso per
uscire?”
Lily scrollò le spalle, sorridendogli per la prima volta in
quei pochi minuti.
Era strano, ma non vederla allegra era… disturbante,
anche se forse quella non era la parola giusta. Era come se qualcosa
non fosse
al suo posto.
In effetti, Lilian Potter
sorrideva sempre. O comunque, con sufficiente frequenza per essere
ricordata
sempre con un sorriso sulle labbra.
“Sì, ma
dove c’è la regola,
ecco l’inganno. Una lezione piuttosto utile, da queste
parti…” Gli spiegò, con
quel suo modo particolare di arricciare le labbra al bordo della bocca,
in
un’espressione monella. “A Durmstrang non ve
l’hanno insegnato Ren?”
“Ad Hogwarts sì?” Le chiese e fu una
conquista sentirla ridere.
Stava andando bene. Non
capiva
il perché di quel compito, ma lo stava svolgendo bene.
Era soddisfacente.
Il
compito.
In ogni caso, poteva essere
considerato un progresso il fatto che Lily avesse scelto lui come
accompagnatore,
considerando che aveva una nutrita schiera di amiche e di ammiratori a
cui
attingere.
“Vieni
allora?”
“Certo.” Le sorrise di rimando, cedendole il passo
sulla banchina. “Dopo di
te…”
****
Capanna
di Hagrid, campo delle zucche.
Pomeriggio.
Albus osservò
Fanny scomparire
in lontananza, fendendo con le ali la superficie cristallina del Lago
Nero.
Era seduto sulle scalette
della capanna di Hagrid, mentre quest’ultimo spennava un paio
di fagiani in
cucina per Odino, il suo gigantesco molosso.
Aveva avvistato Fanny mentre
tornava dalle serre di Erbologia e la fenice aveva puntato verso la
capanna
dell’ex-guardiacaccia. Questi aveva passato interi minuti a
rimirarla
entusiasta mentre si cibava con gusto di pezzi di pesce secco che si
erano divertiti
a lanciargli.
“Albie,
è davvero fantastico!”
Osservò per l’ennesima volta, sporgendosi dalla
malconcia finestrella. “Dico,
che quella fenice è diventata il tuo famiglio!”
“Non è il mio famiglio, ho già un gufo,
Anacleto.” Sorrise di rimando. “Io e Fanny
siamo solo amici.”
“Fanny…”
Fece un barbuto
sorriso nostalgico. “Come la fenice di Silente, eh?”
“Secondo me è lei. Potrebbe essere, no?”
L’omone ridacchiò. “Sì,
forse. Però sai.” Osservò.
“Le fenici non ci si
avvicinano spesso agli umani, nossignore… Se viene da te,
vuol dire che ci
piaci, e che ti considera un po’ il suo
padroncino…”
Al non rispose, non volendo
intavolare l’ennesima discussione sulla sua
proprietà presunta di una fenice.
Del resto vederla gli
provocava ogni volta emozioni contrastanti: se da una parte era
orgoglioso che
venisse a trovarlo – ehi, non era da tutti –
dall’altra gli ricordava l’anno
prima e quando avesse sofferto.
Si spazzolò le
mani dai
residui di terra ed erba e dopo aver salutato Hagrid e aver declinato
l’ennesima offerta di dubbi manicaretti da portare agli
altri, si incamminò verso
il castello.
Una folata di vento gelido
misto a pioggia lo fece rabbrividire. Si strinse maggiormente la
sciarpa al
collo, maledicendo il pessimo clima inglese. Aveva già in
mente di partire per
qualche luogo tropicale, finiti i MAGO. Possibilmente caldo, pieno di
spiagge
dorate e acqua in cui sguazzare.
Magari
la Polinesia …
C’era una
comunità magica
primitiva ma con conoscenze di medimagia alternative e interessanti,
aveva evinto
dalle lettere confusionarie che i gemelli Scamandro spedivano a suo
fratello:
adesso infatti i due viaggiavano per il globo terraqueo come assistenti
del
padre.
Sole,
spiagge… ottima cucina, studio…
Fantasticare in quel modo
era
piacevole, quando vigeva una pioggerellina esile e freddissima, che gli
scivolava lungo le guance e le mani facendolo rabbrividire.
Chissà
se Tom mi seguirebbe…
Nell’eventualità
si sarebbe
lamentato del rischio di ustione per la propria pelle –
seriamente, sembrava
privo di melanina - delle malattie tropicali e
dell’arretratezza tecnologica
del posto.
Come
se avesse la possibilità di avere voce in
capitolo… Con lui o senza di lui.
Entrò nel cortile
pavimentato,
dove in caso di bel tempo si disputavano i tornei del Club di
Gobbiglie. Lo
attraversò di corsa, visto che la pioggia ormai scrosciava
in dirittura di
acquazzone, infilandosi dentro il corridoio esterno.
Davanti a sé vide
Michel. Era
da solo, stranamente, e stava fumandosi una sigaretta babbana, vizio
che aveva
preso l’anno prima – ed era quasi certo che glielo
avesse passato James, in
quei periodo in cui si erano frequentati.
Sotto
le lenzuola… Merlino, solo a pensarci mi dà i
brividi.
L’altro serpeverde
lo notò immediatamente
e dopo un attimo di incertezza fece un sorriso tirato.
“Spero non mi
toglierai punti
per questo, Caposcuola.” Esordì pacato, dandole un
lungo tiro. “Sto persino
congelandomi il sedere per non dare fastidio all’altrui
persona. Certo, le
regole imporrebbero il veto totale …”
“Maddai.” Lo fermò con un sorriso.
“Non sono un tassorosso. Non toglierò certo
punti alla mia Casa per una sigaretta…”
“Ne ero certo. Il perfetto, piccolo
serpeverde…” Lo canzonò senza
acrimonia. Ma
neanche senza il solito affetto di fondo.
Al inspirò.
“Ehm.” Disse
acutamente. L’aria divertita di Michel, malgrado tutto, gli
diede la forza di
continuare. “Non dovresti essere al club?”
“Niente duelli oggi per me. La classe serve alle ragazze di
Beaux-Batons per
non so che corso sui fiori.” Fece un gesto dismissivo.
“Gliel’abbiamo gentilmente
ceduta.”
“Potevate trovare
un’altra
aula…”
“Infatti, l’hanno trovata. Gli
altri.
Oggi non ne avevo voglia, e poi la mia presenza non è
indispensabile. Dopotutto
è Higgs il capitano di Serpeverde…”
Fece un sorriso disimpegnato. “Anche se naturalmente
la mia assenza verrà notata.”
“Naturalmente…” Convenne: era incerto se
sedersi o meno, o salutarlo e tirare
dritto.
Ma sapeva di non potere
evitare per sempre quel confronto.
Gli si sedette quindi accanto, sul bovindo di pietra. Michel non fece
gesto di
lasciargli posto, ma neppure fece obbiezioni; lo considerò
un buon punto di
partenza.
“È un
po’ che non parliamo …”
Esordì Al, trovando improvvisamente interessante fare
treccine alle nappe della
sua sciarpa verde-argento. “Io e te.”
Michel non rispose
immediatamente, piuttosto si limitò a strisciare il
mozzicone della sigaretta
lungo il muro, in un movimento elegante ed efficace.
“È vero.” Ammise infine.
“Ma questo non credo dipenda da me.”
Al si morse l’interno della guancia, nervoso. Era nervoso, e
lo era perché
sapeva di avere la sua parte di torti. Ma una
parte, appunto. Non era l’unico che aveva evitato
di trovarsi nella stessa
stanza con l’altro in quell’ultimo mese; erano
compagni di Casa, ma si erano
incrociati per i corridoi solo una manciata di volte, e non si erano
rivolti la
parola se non per un saluto schifosamente formale.
Ma decise di non farglielo
notare, per non iniziare quella conversazione con un litigio.
“Avrei voluto
parlarti… lo so.”
Disse invece. “Scusami… ma lo sai, sono successe
parecchie cose in questo
periodo.”
“Tom.” Si inserì l’altro, in
tono spassionato. “È
successo Tom.”
Al a questo non
riuscì a
replicare. “Senti…” Iniziò
invece, mentre tentava di districare il caos che aveva
operato sulla trama della sciarpa; non era certo fosse sua, visto che
poteva
benissimo aver preso quella di Tom. “Senti… so che
sono stato un pessimo amico.
Non te lo meritavi. E per questo non ho scuse.” Si
arrischiò a lanciargli
un’occhiata: Michel fissava il muro davanti a loro e aveva la
mascella serrata.
Era furioso.
Cavolo.
“Mike…”
Sussurrò, sentendosi
l’amico più orribile del pianeta: Michel gli era
stato vicino per mesi, forse con
i suoi tornaconti, ma restava il fatto. Gli aveva tenuto compagnia, lo
aveva
fatto distrarre e sopportato
nella sua
depressione post - Tom senza chiedergli praticamente nulla in cambio.
Non era serpeverde, non era
da
Zabini. Era una cosa che avrebbe potuto fare solo Michel.
Ed io c’ho sputato
sopra…
“Mi dispiace tanto
…” Ripeté.
Sapeva che non doveva toccarlo, ne sapeva qualcosa su persone che
avevano
un’ampia concezione del proprio spazio personale.
“Smettila di
ripeterlo. Non lo
senti veramente.” Ribatté l’altro in
tono sarcastico. “Perché stai perseverando
in un errore che ti porterà solo a stare male. Ancora.”
“Questa è una cosa tra di noi, Tom non
c’entra niente!”
L’occhiata che Zabini gli lanciò era perfettamente
giustificata. “Lui tra noi
c’entra sempre.”
Non ebbe la forza di ribattere. Era vero, del resto.
“Thomas Dursley
non è normale…”
Dichiarò, e Al sentì un
brivido gelido lungo la nuca. Che sapesse qualcosa sulla sua nascita?
Poi però
continuò. “Non ha una concezione sana dei rapporti
interpersonali. Ha messo in
pericolo molte persone l’anno scorso e non credo che la cosa
lo abbia toccato più
di tanto.”
“Ti sbagli
invece!” Protestò
con forza. Tom poteva essere un cretino egoista, ma si era seppellito
in un
paese di pescatori tedeschi perché non era riuscito ad
uscire dal pantano dei
suoi sensi di colpa. “Sta cercando di rimediare! È
tornato, lo hanno riconosciuto
non colpevole… gli hanno ridato la sua bacchetta.
È qui ad Hogwarts. Perché non
gliene dai atto?”
“Perché non mi interessa. Ormai io e Dursley siamo
due estranei.” Lo seccò
rabbioso. Si passò poi una mano sulla nuca, in un movimento
frustrato: c’era
sincero dolore in quel gesto e probabilmente, realizzò Al,
Michel aveva
sofferto l’incrinarsi di quel rapporto, molto più
di quanto fosse disposto ad
ammettere.
Erano
amici… Eravamo tutti amici.
Perché
le cose non possono mai tornare perfettamente
come prima?
“Albus…
te l’avrò ripetuto
centinaia di volte forse, ma meriti di meglio.” Interruppe il
flusso dei suoi
pensieri bruscamente.
“Lui è ciò che voglio, io ti ho
risposto questo.” La conversazione sembrava
sempre finire lì, inevitabilmente. “Non so come
essere più chiaro…”
Michel si voltò, finalmente, per guardarlo. Era ferito, lo
registrò con
angoscia. Era ferito veramente.
Ed era la prima volta che lo
vedeva senza la sua maschera snob e distaccata da lord inglese.
Michel poteva essere spesso
arido e sarcastico. Non prendeva mai una posizione certa, ed era
affezionato e
divertito spettatore di tutte le tragedie emotive della loro Casa. Ma
Albus
avrebbe sempre ricordato quando, al loro Primo anno, aveva preso le sue
difese
con Montague e i suoi amici, dichiarando che aveva parentele
sufficientemente
importanti da non meritare le prese in giro di chicchessia. Si era
frapposto
fisicamente tra lui e quegli scimmioni, una piccola copia esile ed
elegante del
ragazzo che era ora.
“Signori,
è il mio compagno di stanza e un serpeverde.
C’è gente molto più meritevole dei
vostri scherzi, vi prego quindi di
rivolgerli altrove.”
“Non sto
dicendo… che tu debba
metterti con me.” Continuò Michel. “Non
è questo che voglio. Non vorrei mai una
persona che non mi desidera. Non è un toccasana per il mio
ego, che sai essere
ben pingue…” Aggiunse con un lieve sorriso
ironico. Ad Albus non venne da
sorridere di rimando però. “Ma tu meriti di stare
con qualcuno che si prenda
cura di te e ti renda felice. E temo che Tom, non importa quanto siano
buone le
sue intenzioni, non ne sia capace…”
“Ti
sbagli.”
“Forse, ma non ne sono convinto.” Concesse.
“Ma comunque … è questo quello che
vuoi per te?”
Albus non riuscì
a rispondere
subito: era arrabbiato certo, e voleva difendere Tom, ma
c’erano dei punti
corretti nel ragionamento dell’altro.
Tom aveva
dei lati oscuri nel suo modo di voler bene. Era capace di
amare, forse in modo persino più profondo e complesso di
molta, cosiddetta, brava gente, ma
era anche violento nel
passare dalla fiducia al sospetto: ricordava come aveva reagito con
rabbia
irragionevole all’idea, sbagliata, che suo padre Harry fosse
in combutta con il
Ministero per addossargli la colpa dell’attacco a Ted.
Ricordava come avesse
aggredito Michel per aver solo sospettato
che volesse provarci con lui.
C’erano delle zone
d’ombra in
Thomas, ma questo non faceva di lui la persona che Zabini pensava
fosse.
Se
solo l’avessi visto abbracciare Meike, o scusarsi
con me… o parlare ai suoi genitori e sorridere a mio
padre…
“Mi dici
spesso…” Si risolse a
dire dopo un lungo silenzio. “… cosa dovrei volere
per me, Mike. Ma non sei me,
è questo il punto. Tom ha bisogno di me, ed io di lui, per
essere felice. Non
per vivere, sarebbe esagerato… ma per essere felici. Cosa
c’è di così
sbagliato?”
“Nulla.” Convenne. “Se continuasse a
renderti felice.”
“E pensi che un
altro ragazzo
potrebbe farlo?”
“Albus…”
Michel si voltò
completamente verso di lui, prendendogli una mano tra le sue. Le aveva
calde, e
grandi. Non era la prima volta che gliele prendeva. L’aveva
fatto spesso dopo i
suoi incubi. “Dursley è il tuo primo tutto. Questo
posso capirlo. Ma credimi, non
hai avuto sufficienti esperienze per sapere se qualcun altro sarebbe
capace di
renderti felice o no. Non hai mai pensato, anche solo
ipoteticamente… ad
un’alternativa?”
Al non rispose: la verità era che sì, aveva
pensato, in quei mesi orribili, a
come sarebbe stato essere il ragazzo di Michel Zabini.
Perché alla fine l’amico
era l’unico con cui si sarebbe mai immaginato.
Mike gli voleva bene e
avrebbe
preso le cose sul serio per lui.
Ma
non voglio una cosa sensata.
Perché
lui non mi capisce con una sola occhiata e non mi fa sentire a casa
ogni volta
che si degna di sorridermi. Non è Tom.
“Pensi che sia
così assurdo
provare a frequentare altre persone?” Lo incalzò
Michel. “Sto solo cercando di
dirti…”
“Che sei
innamorato di me.”
Non era il modo migliore affrontare quella cosa, di cui ormai si era
accorto da
un po’. Ma doveva. Forse lui e Mike non sarebbero mai tornati
amici, ma quel
continuo girare attorno agli stessi argomenti era ancora più
logorante.
L’amico non
rispose nulla, il
che fu praticamente una conferma.
Merda…
avrei preferito che mi fosse scoppiato a ridere
in faccia…
Ma dentro di sé,
in fondo,
l’aveva sempre saputo. Michel non sarebbe stato
così buono con qualcuno
per cui provava poco più che un tiepido affetto;
non era così neppure con Loki e Malfoy, e li conosceva da
una vita.
“Un modo brutale
per
obbiettare, non
c’è che dire.” Osservò Michel
in tono piatto. “Questo…” Aggiunse poi
mentre la voce, Al non se lo stava
immaginando, si incrinava. “… cambierebbe
qualcosa, in ogni caso?”
“No.” Mormorò di rimando, sentendosi
scavare lo stomaco dal senso di colpa.
Decise però di essere onesto, anche contro il suo stesso
interesse, perché
perlomeno quello Michel se lo meritava. “Non cambierebbe
niente. Lo sai.”
“Già.” Ammirava il modo in cui
l’amico riusciva a tenere sotto controllo le sue
emozioni. Lui non ci sarebbe mai riuscito. E gliene era egoisticamente
grato,
anche.
“Non mi aspetto
che tu sia
ancora mio amico, Mike…” Sussurrò per
dire qualcosa, perché doveva
dire qualcosa. “Non dopo averti
ignorato per un altro. Non mi aspetto neppure che tu abbia stima di me.
Non mi
aspetto niente.”
Ci fu un lungo silenzio
dall’altra
parte.
“…
Neanche che mi comporti in
modo onesto quindi?” Disse infine.
“Ehi, siamo serpeverde…”
Quando Michel abbassò il viso su di lui e lo
baciò, Al non poté dire che non se
lo fosse aspettato.
Sentì le labbra
piene
dell’altro ragazzo posarsi sulle sue, ma fu poco
più di un attimo, poco più che
un bacio leggero.
In un altro universo, in un’altra vita, sarebbe stato
più difficile prendere
quella decisione.
Forse
neanche l’avrei presa… forse adesso sarei il
ragazzo di Michel Zabini.
Ma è
questa vita, e Tom c’è. Grazie a Merlino,
c’è.
Michel si staccò,
ritirandosi.
“Dursley è decisamente il mago più
fortunato di Inghilterra. E tu, au contraire
mon cheri, il più sciocco.”
Chiosò con un mezzo sorriso.
Al lo ricambiò.
“Probabilmente
hai ragione.”
Michel ridacchiò. “Mi piace questa tua graduale
perdita di modestia. Ti rende
grazioso.” Il sorriso gli aleggiò per ancora
qualche attimo sulle labbra, poi
presa la borsa dei libri e gli fece un cenno, andandosene.
****
Hogsmeade,
Pomeriggio.
Pub Testa di Porco.
Lily sorseggiò
con una certa
dose di piacere la sua burrobirra in bottiglia. Non era calda come
quella
appena spillata dalle mani di Madame Hannah, ma andava bene lo stesso.
Lei e Sören avevano
ovviamente
dovuto ripiegare sull’appartato Testa di Porco per poter
passare sotto il naso
delle regole della scuola.
Che
cretinata poi… Cosa credono, che se estendessero il
permesso a più di un
finesettimana al mese ci ubriacheremmo
tutti di sidro sotto gli occhi della Signora Paciock fino a vomitare
sullo
zerbino di Mielandia?
Lanciò
un’occhiata all’amico,
che a differenza sua sorseggiava un Ogden Stravecchio senza ghiaccio.
Non se ne
stupiva, del resto era maggiorenne e probabilmente avvezzo ai liquori
forti. Lo
beveva con una disinvoltura che la affascinava.
“Ti piace il
whiskey
incendiario?”
“Meno rispetto alla vodka, ma non mi
dispiace…” Fu la risposta, mentre
si guardava attorno. Aveva una lieve ma
palese espressione contrariata stampata in faccia.
“Non è
il posto più pulito dell’intera
Inghilterra lo so, ma almeno qui nessuno fa
domande…” Gli spiegò con un sorriso
di scuse, mentre sentiva lo sguardo torvo di Aberforth su di loro.
Si voltò e gli
servì il
migliore dei suoi sorrisi: il barista brontolò qualcosa di
intellegibile, ma
non smise di guardare nella loro direzione.
Come
se fosse la prima volta che vengo qui con qualcuno!
Non faccio niente di male poi. Bere una burrobirra e baciarsi con un
ragazzo non
è reato.
…
non che voglia baciare Ren.
Certo, lo trovava carino
quando smetteva di avere quell’aria contratta, ma…
È
mio amico.
Tolto Hugo, comunque suo
cugino, era il primo ragazzo con cui non si sentisse in dovere di
dispiegare tutta
l’artiglieria femminile. A Ren non sembrava importare del
resto. Perché la
ascoltava. Davvero.
Rarità!
Rarità!
“Ci vieni
spesso?” Le chiese.
Si guardava attorno. Era nervoso, capì. Parecchio.
“Abbastanza. Ma se
vuoi
possiamo andare a farci un giro … se non ti piace stare qui,
intendo. Si è
messo a piovere e sarà un disastro per i miei capelli, ma
potremo sempre andare
a Madame Piediburro.”
“È
meglio di qui?” Si informò
velocemente.
“Beh…”
Finse di rifletterci.
“Dipende. Hanno delle torte squisite, e la madame
terrebbe la bocca chiusa sulla nostra presenza,
però…”
“Cosa?”
“Ci vanno le coppiette.” All’espressione
confusa dell’altro – doveva ricordarsi
che era straniero e non capiva molte espressioni colloquiali
– si apprestò a
spiegare. “Gli innamorati,
Ren.”
“Qui va benissimo.” Borbottò
l’altro immediatamente. Lily si impose di ingoiare
la risata che le nasceva sulle labbra e finì per soffocarla
in un sorso della
sua bevanda.
Si sentiva meglio adesso, la
sua irritazione stava scemando. Probabilmente perché aveva
messo più metri
possibili tra lei ed Hogwarts.
Sören le
lanciò un’occhiata
valutativa. “Cosa c’è?” Si
risolse a chiederle infine.
“Come?”
“Sei venuta alla nave con un’aria terribile.
È successo qualcosa a scuola?”
“No…” Naturalmente sì.
Sentì il sapore ferreo del sangue sulle labbra, dove se
l’era morsicate. Era un brutto vizio che pensava di essersi
tolta circa un
milioni d’anni prima.
Pur vero che prima non aveva
mai avuto Minerva McGrannit come professoressa.
“Lily?”
Sören aveva un modo
piuttosto particolare di guardare la gente. Sembrava volesse scavarti
dentro.
Non era la sensazione che aveva avuto la prima volta che avevano
incrociato gli
sguardi in Sala Grande, ma ci andava piuttosto vicina. “Ti va
di parlarmene?”
“Non è successo niente di
che…”
“Qualsiasi cosa sia successa, è chiaro ti abbia
turbata…” Osservò in tono
neutro. “E se siamo qui, è perché,
suppongo, tu abbia bisogno di parlarne.”
“In effetti…” Mormorò.
… Ren non era
affatto uno
scemo. Era rilassante avere a che
fare con qualcuno che non ti chiedeva se avevi il tuo periodo del mese
ogni
volta che eri di cattivo umore.
Povero
Hughie… non che sia colpa sua. Ma dovrebbe
capire che le donne non hanno quel periodo
quindici volte. Al mese.
Ren si accomodò
meglio sulla
scomoda sedia di legno e le fece cenno. E lei prese a raccontare.
La
McGrannit era di quanto più tosto una professoressa
potesse essere. Considerando che aveva passato due guerre, attacchi
alla sua
persona e complotti, era praticamente una roccia fatta strega.
Pur
con la sua veneranda età e gli acciacchi del caso,
aveva tenuto la classe in pugno come un manipolo di gattini mansueti.
Da
ammirare, ma anche da temere.
Hugo
pendeva dalle sue labbra. Non che fosse l’unico.
Lily
au
contraire avrebbe preferito seppellirsi
sotto il banco, e forse per la prima volta in vita sua aveva rimpianto
di
essere nelle prime file pronta a farsi ammirare. E notare.
Soprattutto
dalla professoressa.
La
McGrannit, per accertarsi del loro avanzamento nel
programma scolastico, li aveva messi a lavorare su un porcospino da
tramutare
in un puntaspilli.
Si
era sentita tranquilla, perché aveva Abigail come
compagna di banco: l’amica era molto brava in quella materia.
Solitamente non
era difficile farsi aiutare per aggiustare
l’incantesimo.
Sfortunatamente
quell’anno non avevano a che fare con
un professore distratto come lo era stato Ziel, o finto come
la
Prynn.
La
McGrannit si era accorta subito che Gail stava per tramutare
in un soffice cuscinetto il dorso irto del suo… puntaspino.
“Signorina
Potter, se ha bisogno di aiuto, credo sia
più opportuno che chieda a me.” Aveva freddato
entrambe. Abigail aveva ritirato
immediatamente la bacchetta.
“Era
più un suggerimento…” Aveva cercato di
rimediare
lei, facendo ovviamente peggio.
A
quanto sembrava la McGrannit era la grifondoro-di-ferro
che i suoi genitori le avevano sempre descritto. Invece di accettare la
diversione con un rabbuffo, l’aveva guardata come se avesse
appena proposto di
barare ai GUFO corrompendo con fiumi di galeoni l’intera
commissione.
“Non
tollero che nelle mie classi venga svolto un
compito con l’inganno, signorina Potter.” Si era
avvicinata. “Quindi mi faccia
vedere il suo vero livello.”
Lily aveva sentito l’intera classe piombare nel silenzio. Si
era sentita
arrossire di vergogna e umiliazione per la prima volta in vita sua. Era
stato orribile.
“È
questo il mio livello…” Aveva mormorato sentendo
di
detestarla, e detestare pure quel ridicolo puntaspino
che zampettava lungo il
banco.
“Allora
dovrà fare di meglio se vorrà avere ottenere un
GUFO in Trasfigurazione, signorina.” Una breve pausa.
“Suo padre non era certo
lo studente più eccellente del suo corso, ma speravo che
almeno lei avesse
preso da sua nonna Lily.”
A quel punto non ci aveva visto più.
“Mi
spiace deluderla, ma non ho particolari interesse a
tramutare porcospini in postaspilli, non lo trovo utile nella vita
pratica.”
La
classe non era mai stata silenziosa come in quel
momento. Sembrava respirare come un sol uomo.
“Discorso
assolutamente sciocco, signorina Potter.”
Aveva scandito l’anziana strega, con occhi gelidi e colmi di
riprovazione. “Questa
materia è una delle più importanti nella sua
formazione scolastica. Io la
studio da anni, e ancora riesce a sorprendermi per la sua
utilità.”
“Beh, io invece trovo più utile trovarmi un
marito.”
Sören la stava fissando come se improvvisamente le fossero
spuntate un paio di
ali e becco e stesse per starnazzare via.
Poteva capirlo.
Stavolta
ho dato del mio meglio per sembrare un’oca.
Si sentì
arrossire di nuovo. “Già.
È stata una cosa stupida, me ne rendo conto, ma ero
così arrabbiata…”
“Le hai
rinfacciato il fatto
che fosse…”
“Una zitella, sì. Davanti a tutta la
classe.” Si sentì orribile. E
profondamente cretina, anche senza lo sguardo sconcertato del suo
amico. Bevve
un lungo sorso di burrobirra, ormai quasi gelata e quindi schifosa. “Mi ha tolto dieci
punti e mi ha assegnato un
sacco di compiti, sia teoria che pratica… Tutto sommato mi
è andata pure bene.”
“Insolitamente
morbida in
effetti. A Durmstrang saresti finita in cella detentiva per un paio di
giorni.”
“Cella?”
Mormorò orripilata. “Una
cella vera?”
“Sì,
certo.” Osservò l’altro
come se fosse perfettamente normale. Ebbe cura di cambiare subito
discorso
però, vedendo forse la sua aria sconvolta.
“Perché ti sei arrabbiata comunque?
Dopotutto…”
“La professoressa aveva ragione, lo so!” Si morse
le labbra; Sören non poteva
capirla, dubitava che chiunque al di fuori della sua famiglia potesse.
Non era
stata l’umiliazione in sé a farla scattare.
Il
punto è che odio essere paragonata a mia nonna. A
quella che non ho mai conosciuto, peraltro.
Suo padre era un uomo
meraviglioso,
ma i traumi che aveva dovuto portarsi dietro sin da bambino avevano
avuto degli
strascichi anche dopo la guerra. Molte, troppe persone che amava erano
morte
per mano delle sua nemesi, e lui aveva voluta ricordarle mettendo a
lei, Al e
Jamie i nomi di uomini e donne che avevano dato la vita per lui e per
il futuro
dei suoi figli.
James Sirius, Albus Severus e
Lily Luna.
A
ben pensarci, sono l’unica che porto il nome di una
persona ancora viva.
Ma il suo primo nome, quello
con cui tutti la chiamavano era comunque
Lily. Non Lilian, non se lo ricordava mai nessuno.
Ma
fosse solo questo… mi sarebbe andata anche bene,
Lily è un nome carino.
Il fatto era che il fenotipo
Weasley prevedeva capelli color carota, lineamenti squadrati e altezza considerevole oltre, naturalmente, ad un sacco di lentiggini. Quello Potter invece capelli
scuri, goffaggine al di fuori di un campo da Quidditch e
aria perennemente arruffata.
Aveva visto una sola foto
della sua meravigliosa nonna,
quella
messa nella cornice più bella del camino del salotto di casa
loro.
Era a
lei che somigliava.
Lily Evans in Potter era
stata
colei che aveva salvato il Mondo Magico, immolandosi e permettendo a
suo figlio
di diventare l’eroe che avrebbe sconfitto Voldemort.
Lily Evans-Potter era
ricordata come una madre, una moglie e una strega straordinaria. Dopo
la guerra
erano stati persino scritti dei libri su di lei, anche se sotto lo
stretta
supervisione di suo padre. Lily li aveva letti, con una
voracità che non
riservava nemmeno ai migliori romanzi d’amore.
Come
diavolo faccio ad essere all’altezza di una
persona simile?
“Lily…”
Sören la riportò
bruscamente sulla terraferma. Si accorse di avere gli occhi umidi. Si
era quasi
messa a piangere. “Lily, cos’hai?”
“Smettila di chiamarmi così!”
Sbottò alzandosi in piedi, e facendo girare metà
locale, almeno la metà che sembrava sufficientemente
cosciente di sé.
Si sentì
afferrare
delicatamente per un polso: Sören aveva una presa morbidissima
per sembrare un
soldato in ogni movimento che faceva.
“Bene.”
Disse serio. Era un
tipo molto serio. “Se
vuoi ti chiamerò
Lilian o in qualunque modo tu voglia, ma adesso siediti, stai dando
spettacolo
e dubito nel modo che preferisci.”
Lily si sedette obbediente.
Gli lanciò un’occhiata in tralice, e vide
un’espressione neutra, solo
leggermente curiosa. Sentì che poteva parlare con lui. Era
Ren, il suo amico di
piuma. E non era solo quello, anche se non riusciva ben a capire
cos’altro
potesse essere.
Comunque gli
raccontò tutto. Confessò.
Non gli disse
però che era
felice di avere l’orecchino di controllo, e di non poter
più sentire i pensieri
degli altri, che altrimenti questa sua ridicola fissazione si sarebbe
probabilmente
ingigantita.
Quella era una cosa che non
gli avrebbe mai detto. Forse.
“Tua nonna sembra
essere stata
una strega di talento, senza ombra di dubbio.”
Osservò Sören alla fine del suo
monologo. “Però è morta da molto tempo.
Ormai non devono essere molti i maghi e
le streghe che l’hanno conosciuta di persona
…”
“Non capisci? È proprio questo il punto! Ha una
statua con mio nonno a Godric’s
Hollow, hanno scritto dei libri e dei saggi su di lei! È
persino nei miei libri
di testo!” Esclamò sentendo la frustrazione
montare ad ondate violente. Ren
riusciva a tirare fuori la parte più vera – e
forse poco carina – di lei. “Lo
so, è stupido… ma hai idea di quanto sia
frustrante essere paragonata ad una donna
che è praticamente un’icona di
perfezione?”
“No, naturalmente non lo immagino.” Ebbe lo
straordinario buon gusto di
risponderle. “Ma so cosa vuol dire essere paragonati a
qualcun’altro…” Soggiunse
però pacato. “Non è un po’
quello che succede a tutti i figli con i propri
genitori?”
Era questo a rendere
affascinante Ren: era molto più maturo dei ragazzi della sua
età. A volte
sembrava che avesse gli occhi molto più vecchi di quelli di
un diciassettenne.
“Certo, ma … e non mi sto vantando credimi, io non
ho parentele esattamente
normali. La mia famiglia sembra una svendita di eroi.”
“Tuo padre ti
paragona a lei?”
“Mio padre? No, certo che no! Lui… è
una cosa che hanno fatto anche con lui. Quella
di paragonarlo ai suoi genitori, dico. Ma… il mio
nome.” Fece una smorfia prendendo
a giocherellare con il tappo della bottiglia di burrobirra.
“… Non lo so, a
volte lo vedo come un’aspettativa.”
“Anche per i tuoi
fratelli è
così?”
Non faceva mai domande stupide Ren, quelle poche che faceva. Lily
decise che
era una buona ragione perché gli piacesse.
Non
era così sveglio per lettera…
“Sì,
certo… però, beh, è
diverso. Voglio dire, loro sono unici…”
“E tu non lo sei?”
Lily alzò lo sguardo, per incontrare quello del ragazzo di
fronte a sé. Sören
lo sostenne per un attimo, poi lo distolse immediatamente mentre gli
prendevano
fuoco le guance in quel modo buffo e tenerissimo.
“Questo
sì che è un
complimento galante, Ren…”
“Non prendermi in giro…”
Borbottò vuotando il suo bicchiere in un sorso.
Lily non aggiunse altro per
non imbarazzarlo ulteriormente. “Comunque, scherzi a parte,
per colpa della mia
linguaccia, ho una valanga di
compiti
da fare per Trasfigurazione. E non so da dove iniziare. Credo proprio
avrei
dovuto applicarmi di più invece che insultare la
professoressa.”
“Questo è indubbio.” Vedendo la sua
espressione indispettita, si affrettò a
correggersi. “… intendo dire che se vuoi posso
darti una mano.” Concluse la
frase sembrò anche lui sorpreso di averla pronunciata.
“Davvero? Insomma,
sei uno dei
campioni e la Prima Prova si avvicina, avrai cose più
importanti a cui pensare…”
Gli fece notare, dandogli modo di trovare una scusa credibile.
Sören rimase in
silenzio per
un periodo abbastanza scomodo, poi però scosse la testa.
“Ti darò una mano. Il
vostro programma del Quinto anno non è particolarmente
difficile, e tu certo
non sei stupida.”
“Grazie del complimento, tuttavia ti devo avvertire che, a
detta dei
professori, ho problemi a concentrarmi e sono terribilmente
svogliata.” Gli
sorrise grata, stringendogli la mano destra nella sua. Era calda.
Molto
calda.
“Per Morgana, se
scotti!”
Sören
ritirò immediatamente la
mano dalla sua presa; sembrava che non gli piacesse granché
essere toccato. “Ho
una buona circolazione.” Spiegò
rigidamente. Fu svelto poi a cambiare argomento. “Svogliata?
Ti assicuro che so
essere inflessibile.”
“Rigido. Io direi che sei rigido.”
“… Come prego?”
Lily scoppiò a ridere, perché da quando aveva
scoperto che l’altro non capiva
l’humour inglese era
maledettamente
divertente vederlo fare quella faccia offesa.
Non che non avesse senso
dell’umorismo. Era certa che lo avesse, lo si evinceva dalle
sue espressioni
facciali, o il modo singolare con cui ogni tanto inarcava un
sopracciglio – lo
faceva spesso con Poliakoff.
Ma
non si ancora aperto abbastanza con me …
“Stavo scherzando
Ren, non ti
arrabbiare. Grazie, lo apprezzo molto.” Quando lo vide
sorridere leggermente
capì che non l’aveva offeso poi troppo.
Non
è facile leggerlo come gli altri, proprio no…
forse
c’entra il fatto che usa l’Occlumanzia e mi ha
respinto con quella, anche se
non ha capito cosa stavo facendo …
Il
che lo rende ancora più interessante.
“Okay,
quindi… devo chiamarti professore?”
“… scusa?”
Lily rise di nuovo. Sarebbe stato davvero divertente. E a lei piacevano
le cose
divertenti.
****
Sotterranei
di Serpeverde. Dormitorio maschile.
Sette
di sera.
Sapeva che non sarebbe
esattamente stato facile spiegare a Tom quello che era successo tra lui
e
Michel.
Per questo aveva atteso di
essere soli per dirglielo. Era stato anche aiutato dal fatto che non
avevano
cenato assieme, visto che Tom concepiva la cena come rubare toast e
tornare in
Dormitorio per finire i compiti o per farsi i fatti suoi.
Lo trovò quindi
beatamente
adagiato sul letto della sua stanza – beh, a quel punto loro – che leggeva un libro
dalla copertina babbana sboccoccellando
i suddetti.
Si era impadronito di tutti
i
cuscini, quello a forma di boccino compreso.
“Le elementari
regole di
socializzazione con te non si applicano?” Lo
apostrofò scherzoso.
Tom non distolse gli occhi
dalle pagine, ma sorrise. “Come se si fossero mai applicate
…”
Albus si sedette sul ciglio
del letto, prendendo a giocherellare con le maledette frange della sua
sciarpa.
“Non rovinarmela.
Quella è
mia.” Osservò l’altro staccando un morso
da un toast.
“Come fai a sapere
che è tua?
Sono tutte uguali!”
“La mia è ancora come quando me l’hanno
consegnata. La tua sembra ci si sia
impiccato qualcuno.” Fu la risposta quieta, prima che
finalmente lo guardasse.
Rimase un attimo in silenzio, poi sospirò. “Che
succede Al?”
“Michel mi ha
baciato.” Lo
disse tutto di un fiato, senza neanche prendere un respiro di partenza.
Avrebbe
anche chiuso gli occhi, ma non gli sembrava un’idea felice.
Specialmente
perché dopo un
momento di silenzio agghiacciante, Tom scattò in piedi
afferrando la bacchetta
che aveva lasciato sul comodino, con il palese e onesto proposito di
andare ad
ammazzare qualcuno.
“No!”
Gli si parò davanti. “Ti prego, lasciami
spiegare!”
“Scusa?”
Articolò l’altro con un tono
così furiosamente glaciale da lasciarlo qualche momento
senza parole. Ne
approfittò ovviamente. “Zabini sa che sei mio, ed
ha osato infilarti…”
“Non mi ha infilato proprio niente, ed io sono il tuo ragazzo, non un oggetto!” Lo
fermò, piazzandogli le mani sul petto.
“Calmati!”
“No.” Fu la risposta. Tom aveva la mascella
così contratta che Albus per un
attimo ebbe paura che se la rompesse tanto era teso.
Avrebbero
dovuto metterlo a Grifondoro per quanto è
spettacolare nel dare di matto…
“Non trattarmi
come se fossi
una principessina bistrattata, se mi ha baciato è
perché gliel’ho lasciato fare!”
Osservò in tono neutro, anche se non aveva nessuna voglia di
indirizzare la
rabbia del suo ragazzo su di lui. Anche se era la verità.
Tom spostò
finalmente lo
sguardo su di lui, e sembrò in dirittura di comprendere e
nel modo più
sbagliato.
“No.
Non ci pensare neanche. Sono innamorato di te, e gliel’ho
lasciato fare perché dovevo sbloccare in qualche modo questa
situazione!”
“Facendoti mettere
le mani
addosso!?”
Sapeva che non sarebbe stato
semplice.
Al tirò un lungo
sospiro. “Non
mi ha messo le mani addosso, mi ha dato solo quel bacio ed è
stato un bacio d’addio.”
Gli premette con forza le mani
sul petto e gli impedì di scacciarlo via o sottrarsi al suo
tocco. “Gliel’ho
lasciato fare perché glielo dovevo. Dopo tutto quello che ha
fatto per …”
“Entrarti nei pantaloni?” Ringhiò
l’altro, liberandosi dalla sua presa e
facendo due lunghi e frustrati passi davanti al camino. “Dio,
Al, come sei
stupido… Ti è stato vicino per un solo
motivo.”
“Lo so!” Proclamò esasperato.
“Ma non importa il motivo per cui l’ha
fatto…
l’ha fatto quando stavo più male, e credimi, stavo male. Lui c’è
stato quando ne avevo bisogno, e non posso
gettarlo via come un fazzoletto usato solo perché sei
tornato!”
Tom non ribatté stavolta. Aveva il respiro accelerato e gli
occhi che
bruciavano di collera ma non si mosse né cerco di aggirarlo
per uscire dalla
stanza.
Aveva finalmente attirato la
sua attenzione.
“Cosa…
provi per lui?” Si scollò
dal palato: sembrava che ogni parola gli fosse costata uno sforzo
enorme.
Probabilmente era così.
“Gli voglio bene.
Come un
amico. E merita di trovarsi una persona speciale verso cui indirizzare
questi
sentimenti. Ma dovevo prima mettere un punto, e dovevo essere io a
farlo.”
“Quindi l’hai lasciato fare perché ti
faceva pena…” Sembrava l’unica
spiegazione che avrebbe potuto accettare, ma Al sapeva che non era
onesta per
Michel, ma neanche per loro due.
“L’ho
lasciato fare perché gli
voglio bene. È diverso, Tom.”
Non capiva.
O meglio, poteva capire
puramente a livello concettuale ma non riusciva a tollerare
l’idea che Albus si
fosse fatto baciare da Michel.
La sola idea gli mandava il
sangue alla testa, gli sembrava di vedere sfuocato e sentiva ruggire
quella
cosa dentro le sue vene.
Falla
pagare a Zabini. Fagli rimpiangere di essere un
ridicolo damerino…
È
una minaccia. Non ti avevo detto che era una
minaccia?
E in quel momento detestava
pure la faccia calma e gentile del suo Al, che cercava di spiegargli
come fosse
perfettamente scusabile quel lurido, schifoso scarafaggio che lo aveva
toccato.
Vorrebbe
spogliarlo, toccarlo, portarselo a letto…
Farlo
gemere e tremare proprio come fa tra le tue
braccia, Tom.
Non riusciva a calmarsi.
“Tom? Ascoltami,
per favore…”
“Non adesso.” Sibilò sentendo un sapore
ferroso in bocca, orribile. “Lasciami
uscire.”
“Non in queste condizioni.”
Tom emise un ringhio di
gola,
si sentì mentre lo faceva, e persino Al sembrò
preoccupato. Buttò la sua bacchetta
sul letto. “Contento? La lascio qui. Non andrò da
Zabini. Ora fammi uscire.”
Al a quel punto fu costretto a farsi da parte e lui poté
finalmente andarsene
da quella camera che lo faceva soffocare.
Perché sapeva che
Albus avrebbe
dovuto scegliere Zabini. Al di là di tutto ciò
che li legava, era Zabini ad
essere il ragazzo più corretto
per
lui. Non era frutto di un esperimento alchemico di un manipolo di pazzi
in
delirio di onnipotenza, non aveva dentro di sé il cancro di
un’anima monca e
tormentata, non aveva una maledetta spada di Damocle che gli penzolava
sulla
nuca ad ogni passo che faceva.
Era un ragazzo normale.
Perché
non elimini la concorrenza allora?
“Sta’
zitto…” Sussurrò rivolto a
nessuno mentre incedeva lungo i corridoi tortuosi e stretti del
labirinto che
era il Dormitorio maschile di Serpeverde.
E il caso, o chi per lui,
decise di mettergli quell’opportunità su un piatto
d’argento.
Svoltato
l’ennesimo varco di
pietra si trovò di fronte a Michel Zabini. Di fronte alla
sua pelle scura, agli
occhi da orientale e ai suoi perfetti zigomi pronunciati. Al ragazzo
più bello
di Serpeverde che voleva il suo ragazzo.
“Dursley…”
Esordì quello,
ignaro dei suoi pensieri. Vedendo che non si spostava di un millimetro
per
farlo passare, aggrottò le sopracciglia. “Ti
dispiace?”
Non avendo di nuovo risposta, finalmente capì. Non aveva
detto che era
intelligente?
“Albus deve avertelo detto, mh?”
Interloquì pacato, mentre un sorriso si
formava sulle belle labbra piene. Un sorriso cattivo, che normalmente
avrebbe
suscitato la sua stima. “Alla fine a quanto pare sono
riuscito ad avere quel
bacio.”
… E Tom non ebbe
neanche la
chiara percezione di cosa stesse facendo.
Se ne accorse troppo tardi,
quando vide il suo pugno sbattere con violenza sul naso aristocratico
dell’altro ragazzo.
Sentì lo schiocco
di un osso
fratturato, un discreto dolore e poi l’adrenalina gli esplose
nelle vene.
Quella voce
nella sua testa sembrava oltraggiata. Comprensibile. Stava facendo a botte con Zabini in mezzo ad un
corridoio come un qualsiasi adolescente cretino.
Al stavolta aveva pianto sul
serio. Era solo, Tom non sarebbe tornato e si sentiva
l’imbecille più imbecille
dell’intero mondo magico.
A
ben pensarci, anche di quello babbano…
Si era sciolto il lacrime
perché si era reso conto che forse quel gesto, tanto pensato
e masticato nella
sua testa, agli occhi di Tom era sembrata una totale mancanza di
rispetto.
Sono
un imbecille.
Sentì bussare
alla porta e
scattò in piedi, asciugandosi le lacrime nella manica del
maglione.
“Sarei entrato
comunque,
avverto.” Lo informò Loki Nott, aprendo la porta.
Vedendo i suoi occhi gonfi e
rossi, sorrise. “Stavi piangendo? Povero pulcino.”
“Ma va’ all’inferno. Cosa
vuoi?” Sbottò cercando di ricordarsi la formula
per
l’incantesimo decongestionante che Rose usava dopo i suoi
pianti migliori.
Un
incantesimo da ragazze… Ho davvero toccato il fondo.
“Io, niente in
particolare…”
Replicò Nott guardandosi le unghie con un interesse del
tutto falso. “Però
forse ti interesserebbe sapere che Tommy-boy
e Mastro Zabini si stanno ammazzando nel corridoio dei ragazzi del
Terzo.”
“Cosa? Ma è
senza bacchetta!” Non era
possibile. Tom non era così preciso negli incantesimi senza
di essa. Non li
avrebbe mai usati in un posto così stretto col rischio di
farseli rimbalzare
contro.
Il luccichio divertito negli
occhi bicolori di Loki si palesò in tutto il suo splendore.
“Appunto. Stanno
facendo a pugni.” Gli
squadernò un ghigno
estasiato. “Ora se non ti dispiace, vado. Vorrei essere il
primo a piazzare le
scommesse.”
Al era troppo incredulo per
chiedere ulteriori delucidazioni, e lo seguì senza una
parola.
Nel corridoio dei ragazzi
del
Terzo si era formato un ingorgo: un sacco di ragazzi sentendo i rumori
erano
usciti dalle proprie stanze. Vide anche qualcuno non di
quell’anno, e persino
qualche ragazza.
Merlino
benedetto, devono averli sentiti dalla Sala
Comune!
Riuscì a farsi
largo tra la
piccola folla, e fu davvero grato alla sua spilla di Caposcuola per
questo.
Arrivò in prima
fila e quando
li vide, non seppe se arrabbiarsi o rimanere a fissarli incredulo.
Tom odiava
la colluttazione fisica con una tenacia che aveva quasi del
pacifismo, se solo non fosse stato di fattura facile; da che lo
conosceva non
aveva mai usato le mani, nemmeno nei suoi momenti peggiori.
Per questo era inconcepibile
che si stesse rotolando nel pavimento con Zabini, che aveva perso del
tutto la
sua aria composta in favore di un piglio da rissaiolo da pub.
Ovviamente Tom stava avendo
la
peggio: Michel era uno sportivo, il capitano della loro squadra di Quidditch
mentre
l’altro era il secchione della Casa. Nonostante questo, Mike
aveva il naso
grondante sangue e un occhio nero, segno che qualche colpo di Tom Oltre
Ogni
Previsione era andato comunque a segno.
Gli altri ragazzi invece di
fermali li stavano incitando, come norme tra gentiluomini serpeverde
prevedevano.
“Spettacolo poco
edificante,
nevvero dolce Al?” Gli disse all’orecchio Nott, la
Coscienza Sporca di tutti
loro. “Tu su chi scommetti?”
Doveva farli smettere.
Ricordandosi
di come Rose avesse fermato la lite scherzosa
tra suo fratello e Malfoy, tirò fuori la bacchetta.
“Aguamenti!”
Uno scroscio d’acqua gelida investì i due
litiganti che con smorfie gemelle e
imprecazioni si bloccarono, voltando lo sguardo su di lui.
Come
fanno certe ragazze a voler essere contese? Lily
lo troverà pure divertente, ma io lo trovo agghiacciante.
“Finitela subito prima che chiami il
Direttore!” Proclamò, riparandosi dietro
la sua spilla. “State dando un’immagine ridicola ed
umiliante della nostra Casa
agli studenti più giovani!”
Tom non disse nulla, ma ad Al fu ben chiaro dove pensava potesse
infilarsi la
sua autorità di Caposcuola.
Michel non sembrava poi
molto
lontano da quel pensiero.
“Al, non ho
iniziato io!”
Sbottò furioso, lanciando un’occhiata linciante a
Tom, che ricambiò di buona
misura.
“Non mi interessa!
Che diavolo
vi è preso?!”
Non avendo risposta, si
chinò
ed afferrò per un braccio il proprio ragazzo. “Tu
vieni con me, e Mike… vattene
in camera tua. Per favore.”
Lo pregò
vedendo un accenno di protesta fiorirgli sulle labbra. “Loki,
assicurati che ci
rimanga.” Ordinò poi perentorio.
Non aspettò
risposta e si fece
largo tra gli altri serpeverde, mentre Tom si lasciava trascinare via
insolitamente docile.
Quando furono finalmente in
stanza, capì il perché di
quell’improvvisa mansuetudine: il cretino
era pesto da far pietà e si
reggeva in piedi per un purissimo capriccio d’orgoglio,
specialmente da come si
teneva un fianco.
“Stai
bene?” Si accorse che la
domanda era idiota non appena l’altro lo fulminò
con lo sguardo.
“Avrei dovuto
prendere la
bacchetta.” Disse soltanto, malmostoso.
“Così
vi sareste ammazzati sul
serio? Perlomeno nessuno di voi due sa fare a
pugni…”
“Non direi, Zabini è singolarmente prono alle
manifestazioni di violenza
babbane per essere un purosangue.” Borbottò
lasciandosi cadere sulla poltrona
accanto al fuoco con una smorfia. Si toccò
l’angolo delle labbra. “… Mi ha picchiato.” Scandì
lentamente, come se
fosse l’offesa peggiore che fosse mai stata fatta alla sua
persona.
“Vi siete
picchiati.” Lo corresse, non riuscendo a trattenere un
sorriso intenerito alla sua aria inequivocabilmente imbronciata.
Lo ammetteva: aveva avuto
paura quando Nott l’aveva chiamato. Negli ultimi tempi il suo
ragazzo era stato
fin troppo pronto ad essere inquietantemente minaccioso.
Invece era finita tutta in
una
rissa stupida, degna di grifondoro tonto.
Un
sollievo…
Si avvicinò, con
la bacchetta
in pugno e Tom si ritrasse di istinto, guardandolo con sospetto.
“Non fare lo
scemo, voglio medicarti… o preferisci andare in
infermeria?”
“Non voglio andare in infermeria.” Convenne con una
smorfia. Si lasciò disinfettare
docilmente il taglio al labbro e i vari lividi che gli stavano fiorendo
sul
viso, anche se non smetteva di guardarlo male.
“Senti…”
Iniziò Al. “So che…”
“Gli ho rotto la bacchetta.” Lo fermò
mentre un sorrisetto torvo gli fioriva
sulle labbra. “Spaccata in due, a quanto ho potuto
vedere.”
“Tom!”
“Se lo meritava.” Tagliò corto, mentre
si lasciava sfilare il maglione dalla
testa. Al lo sentì soffocare un gemito, ma non
infierì, specie quando gli
slacciò la camicia e vide come erano ridotte le sue costole.
Okay.
Mike sa come comportarsi in una rissa. Scommetto
c’entra quel pazzo di Malfoy.
“Dovrai farti
vedere da Poppy,
hai delle contusioni abbastanza…”
“Non vuoi diventare un guaritore?” Lo
apostrofò. “Allora occupatene tu, visto
che è colpa tua.”
“Colpa mia? Non ti ho certo ordinato di andare a fare a botte
con Michel!”
“Mi ci hai costretto.” Sibilò a denti
stretti. Si guardarono per qualche istante,
poi Al capì che qualcuno doveva capitolare. Lui. Quindi non
ribatté.
Non
gli chiedo certo scusa. Questo proprio no.
Passò
la punta della bacchetta lungo
le costole maltrattate, mormorando la formula che gli permetteva di
capire lo
stato delle suddette. La pelle in corrispondenza diventò di
un blu tenue.
“Non sono rotte
per fortuna…”
“Sì, ma adesso ho la pelle blu.”
Gemette
Tom guardandolo incredulo. “Cosa…”
“Non lamentarti, il colore andrà via tra qualche
minuto. Se eri rosso sì che
avresti dovuto preoccuparti, significa che c’era il rischio
di perforazione di
qualche organo vitale.” Fece per riabbottonargli la camicia,
ma Tom mise una
mano sulla sua, bloccandolo.
“Sono ancora
arrabbiato.” Gli
comunicò. “Vorrei ancora ammazzarlo.”
Forse
avrei dovuto specificare, quella volta al faro,
che non mi deve proprio comunicare tutto
ciò che gli passa per la testa…
“Sì…
beh.” Replicò piano di
rimando, lasciando la mano dove stava, poco sopra al cuore.
“Non volevo
ferirti, non era questo la mia intenzione quando ho parlato con
Mike.”
“Lo so.” Tom fece un lungo sospiro.
“Capisco perché l’hai fatto, anche se
avrei
voluto che prima me lo dicessi.”
“Non l’avevo programmato!”
“So anche questo…” Gli strinse la mano,
premendosela sul petto. “… come so che
Michel sarebbe sicuramente un compagno migliore di quanto
potrò mai esserlo
io.”
Ci fu un lungo silenzio,
interrotto solo dagli scoppi dei ciocchi che ardevano nel camino. Se lo
meritava, ma Al non aveva voglia di tenere sulla corda Tom, specie con
quell’espressione disarmata, bisognosa.
“Non voglio qualcuno migliore di te, voglio
te. Quante volte dovrò ripetertelo?”
Quel poco di rabbia che
rimaneva ancora saldamente ancorata nel cuore di Tom si sciolse,
perdendosi da
qualche parte. Glielo lesse negli occhi. E nel sorriso.
“Anche se, certo, avrei
preferito che non gli rompessi la bacchetta. È stato davvero
una mossa da
carogna quella…”
Tom sbuffò qualcosa di incomprensibile.
“… ci sono caduto sopra, non l’ho fatto
apposta in realtà.”
Al non poté fare a meno di ridacchiare, mentre gli baciava
le labbra offese,
sottili e fredde.
Quelle erano le labbra che
avrebbe baciato per il resto della sua vita.
“È
ufficiale. Fai veramente
schifo nelle risse, mio caro.”
“Sì.” Ammise, ignorando il sicuro dolore
a molte parti del suo corpo, per
attirarlo sulle sue ginocchia. “… preferisco
infatti un altro genere di
colluttazioni. Che coinvolgono te.”
“Non si chiamano colluttazioni, maniaco.”
“Curami, guaritore. E ne riparliamo.”
****
Germania
del Nord. Notte.
Le fiamme si attorcigliavano
in volute arancioni, spruzzando lapilli e cenere che cadevano come
piccole
valanghe sui ciocchi arroventati.
Alberich Von Hohenheim
attendeva. Spostava i ciocchi con brevi colpi
dell’attizzatoio, abbeverandosi
di quelle braci luminose.
Sentì la porta
aprirsi e uno
dei suoi servitori annunciò l’arrivo del Corriere.
Rimpiangeva la mancanza di Johannes; parlava troppo, ma era leale solo
a lui, a
differenza dei nuovi Corrieri che gli portavano le notizie, devoti alla
Thule
in quanto organismo.
“Lode alla
Thule.” Recitò
infatti quello compitamente. “Mio
Signore…” Disse inchinandosi. “Non porto
buone notizie, temo.”
“Parla.”
“Hogwarts non è penetrabile, in nessun modo.
Stavolta il Ministero britannico
non ha lasciato nulla di intentato. È impossibile entrare
senza far saltare la
propria copertura.”
“Capisco.”
Lo aveva immaginato. Solo Sören era riuscito a varcare i
cancelli della scuola,
ma perché giovane: non si aspettavano che
l’Organizzazione avesse dei ragazzini
tra gli adepti.
Stese le labbra in un lieve
sorriso, beandosi del calore che arroventava l’attizzatoio.
“Come ha
intenzione di
procedere?”
“Hai detto che ad
Hogwarts
nessuno può entrare…”
“Nessuno di vivo, Mio Signore, perlomeno.”
Hohenheim scostò un ciocco, facendolo crollare tra una
colata di lapilli. E
sorrise di nuovo.
“Allora basta che
non lo
siano.”
****
Note:
Un po’ di teen-drama. Ma almeno le cose trai
serpentelli si sono in qualche
modo messe a posto.
Qui la canzone.
|
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Capitolo 20 *** Capitolo XIX ***
Capitolo XIX
How
can I help if I think you're funny when you're mad
I'm the kind of guy who laughs at a funeral
Can't understand what I mean? Well, you soon
will
I have the tendancy to wear my mind on my
sleeve
I have a history of taking off my
shirt…
(One
Week, Barenaked Ladies¹)
Scozia,
Hogwarts. Mattina.
Poco
prima di colazione, Dormitorio maschile di
Grifondoro.
Svegliarsi la mattina prima
di
tutte, vestirsi, rendersi presentabile ed infine sgattaiolare nella
stanza del
tuo ragazzo non appena l’ultimo inquilino è sceso
giù a fare colazione è quasi
un’arte.
O almeno Rose Weasley ne era
fermamente convinta.
A volte avrebbe preferito
che
fosse Scorpius a fingersi una specie di spia ninja babbana, ma
c’era quel
piccolo problema delle scale del Dormitorio delle ragazze, debitamente
incantate per diventare uno scivolo ripidissimo non appena un maschio
vi posava
il piede.
E
pensano che noi ragazze invece siamo pure e avulse
dai desideri sessuali?
I
fondatori erano piuttosto ingenui…
Aprì la porta e
trovò Scorpius
che si grattava la testa con la parte appuntita di una piuma, reggendo
una
lista in mano. Compiva grandi passi avanti e indietro coprendo la
distanza dal
suo letto al grande specchio appeso alla porta del bagno. Era ancora in
pigiama
e sembrava aver dormito una manciata di ore, dalla faccia.
“Spero che
lì dentro non ci
sia inchiostro…”
Scorpius
sobbalzò, per poi
imprecare sonoramente confermando che sì, c’era e
gli aveva procurato una
vistosa chiazza appiccicosa poco sopra l’orecchio.
Essendo il suo ragazzo di
solito immune a quel genere di figuraccia adolescenziale, Rose
capì che la
situazione era abbastanza seria.
“Gratta
e Netta.” Pronunciò
agitando la bacchetta con un sospiro
divertito. “Come va?” Offrì
neutralmente.
“Malissimo! Entro domenica devo annunciare il mio Assistente
alla corte dei
Presidi riunita o qualcosa del genere… solo che non so per
chi decidere.” Emise
un lamento sconfortato. “Mi si sono proposti in trenta!”
“E tu non puoi scremare?”
“Non sono mai stato bravo in questo genere di
valutazioni… Forse non dovrei
scegliere nessuno.” Replicò di malumore: a
giudicare dalla condizione dei suoi
capelli, una specie di massa confusa di corni e ritrose, doveva aver
passato veramente tutta la notte
con quella
lista.
Scorpius poteva sembrare un
ridanciano e sventato scemo, che prima agiva e poi pensava secondo i
sacri
dettami Grifondoro, ma non era vero. Prendeva sul serio le cose.
Solo
che non lo fa vedere a nessuno, quasi fosse un
difetto…
“Dura la vita del
Campione,
eh?” Lo stuzzicò comunque, rimediandosi
un’occhiataccia livorosa.
“Sì, lo so. Me l’ha detto anche
Potty. Te lo sei scelto tu, quindi non
rompere.”
“Breve ed efficace… Jamie a volte ha dei picchi di
intelligenza inaspettati…
Dai, dà qua.” Capitolò infine
prendendogli la lista: dopotutto aveva deciso di
dargli una mano, e gliel’avrebbe data, anche a costo di
tacitare quella voce
nella testa che le urlava che era tutto sbagliato e che doveva far
cessare
quella follia prima che l’idiota venisse ammazzato da qualche
incantesimo o
creatura mostruosa.
Del
resto gli altri due Campioni hanno già scelto…
Dominique aveva scelto suo
cugino Mael, che Rose sperava fosse più furbo di quanto
sembrasse in apparenza,
e il tedesco aveva scelto un altro tipo, sgradevole esattamente quanto
lui,
sebbene Lily non facesse che dir loro che era una persona favolosa.
Sören, si
intendeva.
Comunque, qualunque fossero
i
suoi giudizi in merito, quella era gente preparata.
“Oh, no! Scordati
McLaggen!
Voglio avere un futuro come coppia!”
“Sì, beh… in effetti avevo pensato di
toglierlo, ma la sua famiglia mi ha
mandato un pacco enorme da
Mielandia…
ma probabilmente stanno cercando di corrompermi…”
Aggiunse velocemente, vedendo
la sua faccia. “Lo so, ma è un buon giocatore di
Quidditch! Ed è un prefetto!”
“Grazie alla sua famiglia, Scorpius. Gli Assistenti non
possono essere dei
bambocci raccomandati. Devono occuparsi della fase preparatoria, delle
indagini
sulla natura della prova che verrà affrontata. Manca un
mese, tu non hai un
Assistente e non sai neanche cosa ti colpirà!”
“Che prova
dovrò affrontare.”
Le suggerì dolce.
“Sì,
beh… è lo stesso!”
Borbottò, ignorando la sua aria divertita.
“… McLaggen no, comunque. Totalmente
no.” Ribadì spuntando con un frego violento il suo
nome dalla lista.
“Posso fare a meno dell’Assistente, non
è obbligatorio.”
“Tu
ne avrai uno. Avrai tutto l’aiuto
possibile!”
Scorpius inarcò le sopracciglia, fingendo assoluta
meraviglia. “Ma ho già te!”
Ecco, questo le chiuse
doverosamente la bocca. Rose pensò che con le frasi ad
effetto il suo ragazzo
era un re. Specialmente se seguivano uno dei suoi baci che le facevano
persino
dimenticare dove si trovasse, quanto tempo avessero e…
Oh,
al diavolo.
Furono bruscamente
risvegliati
dalle urla gioiose di due idioti dal piano di sotto e dallo scoppio di
un
incantesimo.
Odio
Hogwarts. So che non dovrei dirlo, che è stata
proprio la scuola a farci conoscere e unire, ma… non si ha
un solo maledetto
momento per sé stessi qua dentro!
“Sono un
Prefetto…” Brontolò
Rose, lasciando comunque che le baciasse la punta del naso e
l’angolo morbido delle
labbra. “Devo andare a controllare.”
“Potresti essere tu la mia Assistente…”
Suggerì Scorpius mentre attentava alla
sopravvivenza del suo maglioncino. “… sarebbe
perfetto, no?”
“Io ti
darò una mano lo stesso…
ed in ogni caso, se fossi una buona candidata avrei già
capito a cosa devi
andare incontro…” Brontolò
allontanandolo con una mano, mentre Scorpius
sbuffava divertito.
“Ti vuoi
rilassare? Ho ancora
un mese per scoprirlo, e so che si tratta di una prova fisica. Il che
significa
allenamenti al Club dei Duellanti con Michel e corsa ogni mattina. Mi
sto
preparando, veramente!”
“E stamattina?”
“Beh, la lista? Priorità!”
Rose annuì, ma sentendo un nuovo rumore orrendo, come di
qualcosa che stesse
franando, alzò gli occhi al cielo. “Devo andare.
Vestiti, ci vediamo in Sala
Comune. Ah, e dammi la lista… me ne occuperò io.
Tu sei troppo buono.”
“Aye aye sir!”
Recitò il ragazzo, con
un grande sorriso grato. “Sii crudele, mi raccomando. Confido
in te.”
“Tu in realtà sei una serpe,
ammettilo…” Replicò con un sorrisetto.
Scorpius rise.
****
Sala
Grande, Colazione.
“È solo
un’uscita Tom! Non mi
sembra questa gran cosa!”
“Appunto. Non basta che tua sorella faccia le presentazioni a
pranzo o a cena?”
Albus sospirò esasperato all’ennesimo rifiuto del
tutto irragionevole del suo
ragazzo: sapeva che odiava quel genere di cose e si era aspettato
quell’ostruzionismo.
Ma
ehi, è
troppo sperare che per una volta si
comporti come una persona carina e disponibile?
Ovviamente
sì.
Certo, esporglielo a
colazione, mentre era preso dal compito supremo di mangiare era stata
una
pessima idea.
Ma
chissà, speravo che intontito dal sonno
com’è mi
dicesse di sì soprappensiero…
“Lils ci tiene a presentarci ufficialmente
Sören, scemo misantropo.” Ripeté per
forse la terza volta. “E credo sia anche
arrivato il momento, visto che è qui da quasi due
mesi.”
Tom inarcò il sopracciglio, come se avesse detto una cosa
molto sciocca. “Quelli
di Durmstrang non mi sembra brillino per desiderio di ampliare le
proprie
amicizie. Personalmente, apprezzo.” Fu la conseguente
risposta annoiata.
Oh,
ma va’ al diavolo.
“Faremo
quest’uscita, fine
della storia.” Chiuse il discorso bevendosi un sorso di the
bollente e fingendo
che non avesse voglia di sputarlo.
“È
bollente.” Gli fece notare Tom
mascherando un sorrisetto.
“Lo so.
Sta’ zitto.” Borbottò divorando uno scones per non urlare.
“L’uscita, la faremo.” Ripeté
ad ogni buon
conto.
“Non puoi
costringermi.”
“Otto mesi. Disperazione. Nessun Gufo.”
Snocciolò lentamente, piantandogli
occhi nei suoi. “Otto mesi.”
Tom inspirò lentamente, ma non osò ribattere.
Ah!
“… Me
lo farai pesare per
sempre, vero?”
“No, solo molto a lungo.” Replicò
sorseggiando soddisfatto il suo the, adesso
bevibile.
Era convinto che una parte
di
Tom, quella che adesso lo guardava con un’aria che sarebbe
stata più
appropriata in camera da letto, fosse in realtà intrigata dalla sua parte più
serpeverde.
Il loro scambio di sguardi
fu
interrotto dall’apparizione di sua cugina e Malfoy, che
sedettero loro accanto.
“Ci serve una mano.” Esordì Rose mentre
Malfoy annuiva meccanicamente, con aria
disperata.
“L’assistente.”
Annusò subito
Tom. “Non è un po’ tardi per avere le
idee confuse?” All’occhiataccia tripla che
lo investì si limitò a scrollare le spalle.
“Chiedevo…”
Albus, che era un
serpeverde,
ma non così, sorrise
invece
supportivo. “Sono sicuro che avete un sacco di
opzioni!”
“È questo il punto mini-Potter, sono troppi!”
Si lamentò il biondo con una smorfia, addentando un muffin
per la frustrazione.
“La maggior parte di loro sono bravi ragazzi, mi
dispiacerebbe dirgli di no…”
“Rosie, perché non tu?”
Suggerì, anche se già conosceva la risposta. La
cugina
infatti si mordicchiò un labbro, e scosse la testa.
“Sarebbe troppo sospetto Al…”
Scrollò le spalle. “E comunque non sono tagliata
per queste cose.”
“Se mi dovesse succedere qualcosa alla Prima Prova sarebbe
lei a dover
affrontare le altre. Non se ne parla.” Soggiunse Scorpius con
aria ferma. “No,
maschilista a dirlo, ma non mi sentirei a posto se dovesse essere una
ragazza a
gareggiare in vece mia.”
“Il fatto è che molta di questa genere vuole
questo titolo solo per farsi
bella…” Si lamentò Rose tormentandosi
una ciocca di capelli mentre sorseggiava
caffè. “E tolti quelli troppo giovani, troppo
stupidi, troppo avventati o
inaffidabili…”
“Mi serve un tipo con cervello in abbondanza e sangue freddo.
Non è solo una
questione di fiducia, ma di tattica.” Riassunse Scorpius
grattandosi il mento
meditabondo.
“Si sono proposti
solo Grifondoro
e Tassorosso?” Chiese Tom con un sorrisetto da schiaffi.
Albus pensava la
stessa cosa naturalmente, ma gli tirò comunque un ceffone
sulla spalla, perché
non era carino esprimere certi razzismi ad alta voce.
Risparmiamoli
per la nostra Sala Comune, che diamine!
Scorpius non
sembrò
particolarmente irritato, a differenza di Rose, ma anzi rise.
“Già. A quanto
pare a voi Serpeverde e
ai Corvonero non
interessa la Gloria Eterna…”
“Sì, in
effetti siamo più
attaccati alla nostra vita che alle nostre ambizioni.”
Convenne Tom accettando
la stoccata.
Trascorsero il resto della
colazione a guardare la lista. Tom, forse memore della conversazione di
prima, nonostante
dispensasse casuali frecciatine, si mise d’impegno ad
analizzarla assieme a
loro.
Alla fine convennero che non
c’era un solo candidato decente, e Scorpius chiese loro di
scortarlo fino a
lezione, visto che veniva costantemente placcato da gruppi di
pretendenti,
ansiosi di conoscere la sua decisione.
“Forse dovresti
lasciar
perdere. Dopotutto non è obbligatorio avere un
secondo.” Suggerì Tom, il cui
momento di grazia comunicativa continuava. Al era convinto che in fondo
stimasse Malfoy, e la cosa sembrava anche ricambiata.
Dopotutto la sera della
festa
per l’ammissione di James, il biondo, piuttosto brillo, gli
aveva confessato che
trovava che fosse simpatico come suo padre, Lord Draco Malfoy.
Al aveva riso per dieci
minuti
di fila dell’aria sconcertata di Tom, evidentemente indeciso
se considerarla un’offesa
o un complimento.
“Forse hai
ragione… Non scelgo
nessuno e faccio contenti tutti. O perlomeno, meno seccati.”
Convenne Scorpius.
Vennero stoppati sulle scale
per il secondo piano, causa rischio collisione con un trafelato
professor
Paciock che quasi li travolse senza degnarli di un’occhiata.
La cosa aveva del
singolare, quindi rimasero a guardare l’uomo che scese le
scale per andare ad
accogliere due maghi all’ingresso principale.
“Salve, salve! No,
no… il
carico va portato alle Serre, non qui!” Esclamò,
tanto forte che poterono
sentirlo persino da quella distanza. “Le Serre sono fuori dal
Castello!”
“Poteva dircelo prima!” Replicò sgarbato
il più giovane. “Sa quanto ci vuole
per spostare stamine così giovani senza
svegliarle?”
“Falla finita…” Lo riprese il
più vecchio, probabilmente il padre. “Nessun
problema professore, ma ci servirà una mano. Vada a prendere
qualcosa per
coprirsi le orecchie, che son nervosette.”
Neville annuì. “Sì, seguitemi, ho
già tutto quello che mi serve!”
E sparirono oltre il grosso portone.
“Di che
parlavano?” Chiese
immediatamente Rose. “E poi da quando si consegna materiale
didattico così
tardi?”
“Forse non era materiale
didattico.”
Suggerì Tom che fissava il portone con aria assorta.
“Quei maghi non vengono da
Hogsmeade, l’accento era irlandese.”
“È vero, solitamente c’è un
negozio di Botanica Magica in città da cui si serve
sempre zio Neville, e quelli non erano i soliti commessi.”
Intervenne Al, l’unico
in grado di parlare con cognizione di causa.
Erbologia
è una materia stupenda… Non capisco davvero
perché venga abbandonata al Quinto dalla maggior parte degli
studenti! Il
programma avanzato è complesso okay, ma…
“Appurato che non
è materiale
per le lezioni…” Osservò Scorpius,
interrompendo il flusso dei suoi pensieri. “…
può centrare con la Prova!” Si
illuminò, prima di adombrarsi con la stessa
velocità. “Dovrò affrontare una pianta
gigante o qualcosa del genere?”
“Non credo.” Osservò Tom. Fece un
sorrisetto, come sempre faceva quando
arrivava a qualche conclusione. Al sbuffò esasperato.
Ma
non dice nulla, perché si diverte come un matto a
tenere le persone sulle spine.
Il
mio ragazzo è odioso.
“Cioè?”
Interloquì Rose con
quell’aria nervosa che tanto divertiva Tom.
“Orecchie coperte, urla…” Si
bloccò
prima di aprirsi in un largo sorriso consapevole. “Mandragole! Hanno portato delle
Mandragole!”
“Scusa?” Scorpius assunse l’espressione
di chi non stava capendo nulla della
conversazione in cui si supponeva fosse coinvolto.
“Dovrò affrontare una specie
di brutto nanerottolo fatto d’erba?”
“No…” Scosse la testa Tom,
assottigliando lo sguardo in direzione della porta,
meditabondo. Prima però aveva lanciato un’occhiata
sorpresa e insolitamente
valutativa a Rose. “… ma è chiaro che
si tratti di parte della Prima prova. Le
specie più potenti si trovano in Irlanda, se non mi
sbaglio… portarle in
Inghilterra è un dispendio di energie, galeoni e cavilli
burocratici che
difficilmente sarebbero scomodati per … Erbologia.”
“Guardate che Erbologia è una gran
materia…” Si sentì in dovere di
chiarificare Albus, indispettito. “Perché ci
dice che quando le Mandragole vengono trasportate, se sono molto
giovani,
tendono ad agitarsi e a cercare di uscire dal vaso. Questo spiegherebbe
anche perché
zio Neville debba coprirsi le orecchie. La voce degli esemplari giovani
non è
mortale ma può mettere k.o. per diverse d’ore.
Torna tutto, no?”
Rose si
mordicchiò l’angolo di
un’unghia. “Sì,
ma…” Iniziò per poi lasciar perdere.
Scorpius sembrava sempre
più
dubbioso. Al poteva capirlo: neppure lui aveva la minima idea del
perché la
scuola avesse ordinato Mandragole irlandesi.
Non
sarebbe neanche granché come Prova. Sapere che
basta mettersi un paraorecchi per neutralizzare le loro urla
è roba del Secondo
anno…
“Basilisco.”
Pronunciò
lentamente Tom, facendoli tutti voltare verso di lui. Al
pensò che un po’ se la
stava persino godendo. Aveva la sua solita espressione neutra, ma gli
occhi gli
brillavano. “La Prima prova sarà un
Basilisco.” Ripeté.
Rose fu la prima ad aprire
bocca, quasi un filo di voce. “Che cacchio stai dicendo? Come
fai a saperlo?”
“L’estratto di Mandragola, distillato dalle radici
di un esemplare adulto,
serve per preparare un infuso che cura la
Pietrificazione…” Lanciò uno sguardo
all’altro serpeverde. “Se non mi
sbaglio.” Aggiunse senza intenderlo veramente.
Il silenzio che ne conseguì, per Albus fu uno dei
più assordanti a cui ebbe la
sfortuna di presenziare.
Tom, vedendo che tutti lo
stavano fissando come se stesse per cruciare qualcuno, ebbe almeno la
cura di
mostrarsi serio e composto quando terminò la sua analisi.
“… Visto che non mi
risulta ci sia un’infestazione di serpenti giganti,
è più probabile che la
scuola si sta tutelando dall’eventualità che un
Campione rimanga pietrificato
mentre affronta un Basilisco.”
Rose aveva l’aria
di chi aveva
voglia di prendere a calci qualcuno o mettersi a piangere. Persino
Scorpius, il
Grifondoro d’Oro, sembrava leggermente inquieto.
Fu lui infine a schiarirsi
la
voce, guardando Tom come se lo vedesse per la prima volta.
“Senti
Dursley…” Esordì con
voce pacata, ammirevole visto che aveva appena scoperto che poteva
essere il
pasto di una creatura mortale. “Non è che ti va di
diventare il mio secondo?”
****
Londra,
Diagon Alley, Accademia Auror.
Ora
di pranzo.
“Voglio fare sesso.”
James lo brontolò guardando con odio il panorama che si
vedeva dal tetto piatto
dell’Accademia.
Era più che altro
una
dichiarazioni di intenti. L’unico con cui avrebbe voluto
farlo stava a leghe da
lì, preso dai suoi compiti da professorino.
Robert ‘Bobby’ Jordan, Allievo Auror come lui,
alzò lo sguardo dall’accurata
preparazione della sua sigaretta artigianale.
“Spero non con me,
fratello.
Ti voglio bene, ma sono felicemente accasato con una
ragazza.” Rispose placido,
perché poco o niente lo sconvolgeva.
“Senza offesa,
Bobby, ma non
sei il mio tipo…”
“È molto razzista quel che stai
dicendo.” Replicò con
aria falsamente indignata.
“Mi dispiace
deluderti, ma ho
giocato tra le lenzuola anche con uno dei fratelli.”
Replicò scrollando la cenere della sua sigaretta: pensare a
Zabini gli dava
ancora un sottile senso di disagio. Le cazzate si facevano in due in
quei casi,
ma sapeva di non essersi comportato nel migliore dei modi con il
serpeverde. “E
comunque rimane il fatto. Odio
l’astinenza forzata.”
“Il professor Lupin non è ancora venuto a
trovarti?”
“No. Ha da fare. E non chiamarlo
così…” Fece una smorfia, appoggiandosi
a
braccia conserte sulla ringhiera. “La fai sembrare una cosa,
che so, torbida!”
“Un po’ lo è. Insomma, era un nostro professore.”
“Precocemente
tale, giovane e
lo conosco da una vita. Vogliamo davvero parlare di questo?”
“No, visto che sono etero.”
“E chi ha detto che mi interesso solo ai
maschietti?” Si sentì in dovere di
sottolineare. “Ma almeno tu la tua Jolene ce l’hai
in casa… io ce l’ho in
Scozia. Scozia, okay?”
Bobby mimò quel movimento.
“C’è sempre un onesto solitario,
Jimmy.” Chiarificò
persino.
“Fottiti.”
“Ehi, è una tua scelta ed io la rispetto, ma
è il rovescio della medaglia quando
vuoi mantenere monogama una relazione a distanza
…”
James grugnì una
maledizione
non impegnativa: in realtà era contento di avere il buon
vecchio Bobby a condividere
con lui quell’avventura Auror. Gli mancavano gli Scamandro,
con i loro ‘capo’ e
la fedeltà assoluta alla sua legge malandrina.
Le
cose cambiano… Si diventa grandi, come dice sempre
Lils.
Gli mancavano anche i suoi
fratelli. Non era abituato a non sentir più le battutine di
Lily o le
raccomandazioni pallose di Al almeno una decina di volte al giorno.
Cristo,
ho passato un’intera vita ad averli trai piedi…
Si sentiva un po’
solo, e
neanche le lunghe, romantiche – lo erano, era inutile che
l’altro negasse – lettere
di Teddy o quelle marcatamente folli di Malfoy lo tiravano su di morale.
Oltre
a questo, non ho ancora trovato un maledetto
coinquilino… E visto che per fare l’Allievo Auror non ti
pagano…
La sua padrone di casa, una
vecchia strega con più gatti in casa che simpatia, gli aveva
già mangiato due
mesi di affitto. Integrale. Di quel
passo, il suo conto alla Gringott si sarebbe estinto entro al fine
dell’anno
seguente.
“Ehy, tirati su di
morale!” Lo
spronò Bobby. “Forse ho trovato una soluzione ad
uno dei tuoi problemi!”
“È bello che tu mi ricordi che ne ho
parecchi…” Ironizzò, ma si
voltò verso di
lui. “Sarebbe?”
“Ti ho trovato un coinquilino. Hai presente mio cugino
Lionel?”
“Quello che è stato beccato dalla McGrannit,
quando era ancora Preside, con la
borsa piena di erbe aromatiche babbane?”
Interloquì incredulo: si ricordava di lui, era al Settimo di
Grifondoro quando
lui era ancora al primo. Un tipo alternativo, con una gran massa di dreadlocks lunghi fin sotto il sedere.
“Ma dai, che era
roba da
niente! Comunque adesso ne è fuori.” Gli
assicurò spigliato. “Lavora alla
Gringott come spezza - incantesimi ed è sempre in giro per
mezzo globo. Ma
quest’anno dovrà starsene buono, perché
si è beccato non so quale fattura in
Turchia, e deve fare controlli periodici al San Mungo.”
“… Non stai facendo venire molta voglia di averlo
in casa…”
“Eddai! Ti dico che è a posto, fidati no? E poi
è gay.”
“E questo che c’entra?” Sbottò
indignato. “Siamo per caso tra babbani, che si
fa discriminazione? Meglio avere un coinquilino con gli stessi gusti
per
evitare casini?”
“Rilassati! Merlino Jimmy, hai una coda di paglia
infinita!” Sbuffò l’altro
divertito. “Ovvio che no, ma è sempre meglio
avere qualcuno in casa che si trova a proprio agio
all’idea, no?”
“Ah-ah…”
“Ascolta, conosce un sacco di gente forte.”
Inarcò le sopracciglia significativo. “Organizza
party da sballo, fratello.
Qual è il tuo problema?”
“Nessuno, solo…”
“Okay. Te lo devo proprio dire.” Scosse la testa
con disapprovazione. “Amico, da
quando sei uscito da Hogwarts sembri un pensionato.”
James serrò le
labbra, mentre
sentiva il suo orgoglio di festaiolo urlare sofferente, finalmente
ascoltato. Perché
Bobby non aveva tutti i torti, la realtà è che si
era infossato nella routine.
Quell’estate
l’aveva passata
con Teddy, o in mezzo ai suoi cugini e a lunghe partite di Quidditch
alla Tana.
Aveva sistematicamente rifiutato tutti gli inviti degli ex-compagni in
favore
della sua famiglia e delle serate di sesso bollente con un Teddy appena
uscito
dall’armadio².
Il
che non è necessariamente un male, eh…
Dopotutto era stata una
diretta
conseguenza degli eventi successi l’anno prima –
c’era bisogno di lui in una
casa in lutto per la supposta perdita di quel deficiente di Tommy. Ma
adesso
con la situazione normnalizzata, Ted lontano e tutti i cugini ad
Hogwarts, non
aveva scuse.
Non
ho ancora fatto un party decente da quando sono
qui, se non si conta quello per la mia ammissione. Cazzo!
Lo realizzò con
sgomento.
Bobby sembrò leggergli nel pensiero, perché
ghignò comprensivo.
“Eggià,
Jimmy. Mi sei
diventato moscio. Capisco che l’Accademia sia dura, sto qua
con te… ma non è
possibile che la tua nuova idea di sabato sera sia andare al pub a
giocare a
freccette con quei noiosi degli Allievi
ex-Tassorosso…” Soggiunse con aria
impietosita. “Abbiamo diciotto anni. È nostro dovere divertirci…”
“Lionel organizza feste da urlo, eh?”
“Da chi credi che abbia preso le idee migliori per i nostri
party di fine anno?
E poi così potrai finalmente pagare solo
metà-affitto.”
“Okay.” Sorrise, vinto dalla ragionevolezza delle
argomentazioni. “Digli che
può mandarmi un Gufo quando vuole per vedere
l’appartamento.”
Bobby gli sorrise con
approvazione. Poi il discorso si spostò sul Torneo Tremaghi,
che teneva costantemente
vivo l’interesse della comunità Magica anche fuori
da Hogwarts.
Ne discussero un
po’, ma
sentendo le prime gocce di pioggia abbattersi impietosamente sulle loro
teste,
decisero di rientrare.
L’ambiente
dell’Accademia era
quanto di più funzionale e spartano potesse esserci. I
corridoi erano in
mattoni scuri, di quelli che tanto andavano nel periodo post-prima
guerra
magica. Alle pareti erano appesi manifesti di reclutamento o quadri di
Auror
celebri, ormai morti. James aveva passato venti inquietanti minuti a
scambiare
quattro chiacchiere con il ritratto di Malocchio, poco meno di un mese
prima: era
stato divertente fino a quando il vecchio Auror aveva cominciato a
subissarlo
di raccomandazioni. Erano giorni che si svegliava urlando
‘Vigilanza Costante’.
“Ti
dirò… secondo me Malfoy potrebbe
vincere il Torneo.” Riprese il
discorso Bobby, mentre entravano nell’ascensore che li
avrebbe portati al
Quadrato, il cortile dove si svolgevano le esercitazioni pratiche.
“Fidati,
quel bastardo sa il fatto suo.”
“Sì, me
ne sono reso conto
l’anno scorso…” Bobby, uscito, si
bloccò, guardando qualcuno di fronte a loro.
“Ma quello non è tuo padre, Jimmy?”
James alzò lo
sguardo dalla
contemplazione di una bruciatura sulle nocche, cicatrice da
esercitazione. Harry
Potter era appena apparso da uno dei camini della Sala Centrale e si
stava
spolverando il mantello di ordinanza.
Papà?
Da quando viene all’Accademia?
Solitamente
non ci mette piede, se non per la cerimonia
di inizio corsi!
“Ehi, Jamie,
cercavo proprio
te!” Esclamò questi, mentre si puliva le lenti
dagli schizzi di pioggia. Doveva
essere arrivato da poco a giudicare dalla mancanza del solito corteo di
giovani
reclute ammirate.
“Ciao
vecchio.” Gli sorrise di
rimando, mentre l’amico assumeva la tipica aria di chi
vorrebbe dire qualcosa
di arguto per farsi notare dal celebre Salvatore ma ritiene al tempo
stesso
l’idea una cretinata. “Ti ricordi di
Bobby?” Aggiunse poi in onor di amicizia.
“Certo, il figlio
di Lee,
vero?” Gli strinse la mano. “Come sta tuo
padre?”
“Bene,
uhm… grazie Signore.” Sorrise
a trentadue denti il ragazzo. “Molto bene.”
“Sento il suo programma alla radio ogni sera. Io e Ginny lo
adoriamo. Portagli
i miei saluti.” Suo padre negli anni aveva imparato come
maneggiare la
celebrità. James il suo sembrare sempre compassato, quando
in realtà aveva solo
una gran voglia di svicolare da quel genere di attenzioni.
“Jamie, la tua pausa
pranzo è già finita?” Chiese infatti.
“No, ho ancora una
mezz’oretta.”
“Avrai già mangiato, ma potremo andare a prenderci
comunque qualcosa qua
vicino, magari da Fortebraccio. Ti va?” Propose gentilmente.
James si sentì di
nuovo come quando, da bambino, eseguiva una manovra particolarmente
complicata
sulla scopa.
Era da tanto che suo padre
non
lo portava a prendere il classico gelato padre-figlio.
Le
possibilità che accadesse di nuovo si sono
drasticamente ridotte quando gli ho detto di me e Teddy…
“Sicuro, mi avanza
sempre il
posto per il dolce!” Captò lo sguardo del padre,
che era sulla scia di ‘solo io
e te, per favore’ e aggiunse. “Ci si vede
all’esercitazione Bobby!”
“Ah, certo…” Mormorò quello
deluso. “Arrivederci Signor Potter.”
Quando furono soli, suo
padre
smise la maschera di eroe alla portata di tutti, per sospirare. James
rise.
“Pessima giornata, signore?”
“Non hai idea di quanto…” Gli sorrise
stancamente. “Non volevo toglierti dai
tuoi amici, comunque…”
“No problema. Sono il figlio maggiore, è mio
compito essere il bastone della
tua vecchiaia!” Esclamò, schivando poi il
conseguente scappellotto affettuoso.
****
Londra,
Diagon Alley. Da Fortebraccio.
Pomeriggio.
Harry Potter si sentiva un
padre fiero. E lo era, veramente.
Aveva dei figli
meravigliosi, in
gamba e che un giorno sarebbero tutti diventati maghi e streghe di
valore.
E nell’equazione
non includeva
solo quelli che portavano il suo cognome, naturalmente.
Non avendo avuto figure
genitoriali vere, che avesse potuto chiamare tali senza sentirsi in
qualche modo
debitore della considerazione che gli veniva rivolta, era sempre stato
spaventato
dall’eventualità di essere un padre fallimentare.
Ginny lo rassicurava in tal
senso, dicendogli che aveva gli stessi meriti e gli stessi difetti di
un padre
qualunque.
Non le aveva mai detto che
lui, per i suoi figli, avrebbe voluto essere un padre più
che nella media.
Altrimenti
chi la sentirebbe… Harry, piantala subito
con questa sindrome del Prescelto!
Porse la cioccolata
aromatizzata al suo primogenito, che lo aspettava al tavolino. Da
lontano, il
figlio di Florian Fortebraccio, reinventatosi dispensatore di cibi e
bevande
calde, li guardava benevolo, come una volta suo padre aveva fatto con
lui.
James diede un lungo sorso,
espirando poi con soddisfazione. “La cioccolata migliore di
Diagon Alley!
Giuro, neppure ai Tre Manici è così
buona!”
“Vero… mi ricordo quando qui venivo a prendere il
gelato, in estate e…”
“… Florian, il padre di Dexter, ti aiutava con i
compiti.” Ripeté compito il
ragazzo, ridendo subito dopo della sua aria confusa.
“Papà, lo dici ogni
volta che veniamo qui. Lily però è
più brava di me ad imitarti
… il che è
notevole visto che è una ragazza.”
Harry sorrise, accettando il punto: ritagliarsi un po’ di
tempo con James era
qualcosa che doveva fare da parecchio
tempo. Gli impegni glielo avevano impedito, certo, ma avrebbe mentito
se non
avesse ammesso che provava ancora un certo imbarazzo a confrontarsi con
suo
figlio.
Il fatto –
nonché problema - era
che si era finalmente accorto di quello che adesso era James.
Era sempre stato
più semplice
vederlo come un ragazzino leggermente cresciuto, che faceva i dispetti
a tutti
e si lagnava se tentavi di pettinargli i capelli.
L’epifania
sessuale di suo
figlio, seguita dalla rivelazione di avere una relazione con nientemeno
che Teddy,
aveva messo Harry di fronte al fatto compiuto: James era un cresciuto.
Il punto non era che Teddy
fosse
un uomo.
Beh,
magari mi sarebbe piaciuto avere dei nipotini, ma
me ne farò una ragione.
Tra
qualche anno.
Non gli era mai importato
chi
amava chi: era il verbo a fare la differenza, non certo il soggetto.
Gli era stato insegnato che
l’amore faceva la differenza, ed era con quello che aveva
vinto Voldemort.
Con che coraggio quindi
avrebbe potuto controbattere a suo figlio?
Ed Harry adesso sapeva che c’era bisogno di una
dichiarazione di intenti più esplicita.
Glielo doveva.
Quindi aveva riesumato la
sua
vecchia determinazione Grifondoro e aveva deciso di andare a parlargli.
Faccia
a faccia.
“Papà?
Stai in silenzio da
cinque minuti, va tutto bene?” La voce preoccupata del figlio
lo distolse dal
flusso dei suoi pensieri.
Ginny
ha ragione, non mi toglierò mai la brutta
abitudine di perdermi in me stesso.
Beh,
nessuno è perfetto.
Gli sorrise.
“Certo, stavo
solo pensando…”
“Problemi di lavoro?” Interloquì con un
guizzo curioso nello sguardo. Harry
ricordò con affetto quando da piccolo gli correva incontro,
tornato dal lavoro,
per farsi prendere in braccio e raccontare la sua giornata.
E
come si arrabbiava se si accorgeva che me la stavo
inventando per non raccontargli troppi particolari…
“No, non
più del solito. Te ne
accorgerai quando finirai l’Accademia…”
Lo rabbonì alla sua espressione esasperata
– no, non aveva smesso di sentirsi irritato per le mancate
informazioni. “… non
più del solito sarà la tua risposta
standard.” Gli assicurò facendolo ridacchiare.
“In realtà mi stavo chiedendo
come le cose andassero a te.”
“Oh, alla grande!” Minimizzò come suo
solito, con uno di quei ghigni che
avevano indubbiamente saltato una generazione Potter.
“Insomma, sono il
migliore là dentro, non per vantarmi…”
“Non per vantarti, eh?”
“Sicuro! Se volessi
vantarmi ti direi
che mi sento già pronto per il Diploma!”
Scrollò le spalle, prima di lanciargli
un’occhiata di traverso, modo che aveva per fargli intuire
che stava
scherzando, ma non troppo.
“Bene…
e l’appartamento?”
“La padrona, lo sai, è una specie di megera. Anzi,
credo sia una mezza megera, ma
potrebbe andare peggio. Anzi, ormai ho
fatto amicizia con il barbone banshee all’angolo. Non mi urla
più addosso
mentre passo… l’altro giorno, pensa, ha pure
salutato. Almeno credo. Non si
capisce bene, con quella loro lingua strana…”
Harry rise. “Questo è meglio non dirlo a tua madre
però.”
“Totalmente!” Annuì con vigore.
“Se sapesse una cosa del genere mi
costringerebbe a tornare a casa, e spiacente, ma la vita da mago
indipendente
non è poi così male.”
“E con Ted?” La domanda gli uscì
più facilmente di quanto avesse pensato. Non
riusciva ancora a chiamarlo Teddy
–
c’era una parte di sé che era arrabbiata col
figlioccio per aver agito alle sue
spalle e essersi preso il suo
bambino. Non poteva farci niente.
Ma
si può sempre migliorare…
James lo guardò
stupito per un
attimo. Poi si aprì in un largo sorriso da bambino contento
che gli strinse il
cuore.
Si sarebbe maledetto da
solo:
avrebbe dovuto fargli quella domanda molto prima.
“Bene! Adesso se
ne sta ad Hogwarts,
lo conosci. Lo metti in mezzo ai libri e a cose noiose come i doveri
scolastici
e non riesci a scollarlo di lì neanche a
schiantarlo…” Il sorriso cambiò
sfumatura, perché non era rivolto a lui: ad Harry
ricordò quello che Ginny gli
rivolgeva nella loro adolescenza convulsa e disperatamente innamorata.
Forte e
sincero.
“Vero…”
Si risolse a dire.
“Non vi siete ancora… ehm. Visti?”
James scosse la testa, bevendosi un altro sorso di cioccolata.
Supponeva per
nascondere la smorfia scontenta che gli era salita al viso. I suoi
figli erano
sempre trasparenti.
O
come mi piace pensare, sono ancora in grado di
leggerli…
“Sì, un
paio di volte. Il
Tremaghi lo tiene impegnato. Sai, come direttore di Tassorosso deve
occuparsi
dell’organizzazione, insieme agli altri Direttori e al
Preside. Ed essendo,
tipo, il più giovane e carino quella Gigantessa
francese…”
“Madame Maxime,
Jamie…”
“Sì, quella… beh, non fa che chiamarlo
per questa o quella cosa. Per le palle
di Merlino!” Non riuscì a trattenersi.
“E poi non è come se potessi andarlo a
trovare sempre. Ho lezione piena da lunedì a
venerdì e la domenica se non vado
a pranzo dalla nonna mi viene a prelevare di persona… e poi
sabato sto da voi.”
Harry subì lo sfogo con sia una punta di disagio che di
divertimento. James si
stava lamentando esattamente nel
modo
in cui l’aveva sempre sentito lamentarsi da bambino, quando
Ted preferiva Villa
Conchiglia a casa loro.
Forse
avrei dovuto accorgermene prima…
“Penso che per un
paio di
sabati io e tua madre potremo fare a meno di te.” Disse anche
se a malincuore.
Con Albus e Lily a scuola la casa gli sembrava sempre un po’
vuota. Riavere
almeno James era bello.
James lo scrutò
incerto. “Sì…
beh. Okay.” Disse con un brontolio ispido che Ginny sosteneva
poteva aver
ereditato solo da lui. “Grazie…”
Aggiunse, ed Harry fu certo che si riferisse
anche ad altro.
“Non devi
ringraziarmi… Solo
fatti vedere ogni tanto, okay?” Scherzò per
stemperare l’imbarazzo di entrambi.
“Piuttosto, ho saputo che Malfoy è diventato
Campione.”
James sorrise, grato di quell’argomento improvvisamente meno
spinoso. “Già! Zio
Ron come l’ha presa?” Lo sguardo che gli rivolse lo
fece scoppiare in una
risata. “Andiamo… Scorpius è in gamba,
veramente!”
“Ne sono sicuro… ma sai com’è
tuo zio con i Malfoy.”
“Beh, ma lo detestavi anche tu, no? Dico, a
scuola…”
“È passata tanta acqua sotto ai ponti. Ci sono
persone peggiori al mondo di
Draco Malfoy. Scorpius poi, a quanto mi hai detto, è una
persona completamente
diversa.”
“Se non fosse che
hanno la
stessa faccia, direi che non è figlio di quel
tizio.” Annuì con vigore. “Non ha
avuto vita facile per colpa della sua famiglia. Forse se vincesse il
Torneo
farebbe cambiare idea persino a zio Ron!”
“Uhm.” Replicò Harry saggiamente. Da
parte sua ne dubitava. Il suo decennale
amico aveva un problema con il giovane Malfoy che andava oltre
la pervicace antipatia che nutriva per il resto della sua
famiglia. Era infatti convinto che Scorpius traviasse
la sua adorata primogenita con un’amicizia interessata solo
ad arrivare alla
sua innocenza.
Le
cose secondo Ginny non stanno così. Secondo lei,
Rosie e il ragazzo stanno già
assieme.
Non
che lo abbia detto a Ron, nessuno di noi vuole
vederlo ad Azkaban per aver affatturato un mago appena uscito dalla
minore età.
“No,
eh?” Indovinò James con un
sospiro. “A volte zio Ron è un po’
limitato… Dico, nei suoi orizzonti.”
“Ha molte belle qualità…”
Rispose evasivamente, perché voleva bene all’amico
come un fratello, ma non poteva nascondere i suoi difetti, quelli
evidenti come
case perlomeno. “Sai com’è fatto. Crede
sempre che la mela non cada lontano
dall’albero, sia nel bene che nel male…”
“Scorpius vuole diventare un Auror.” Gli
comunicò, spiando la sua reazione.
Harry era preparato a non
deludere suo figlio.
“Per quello che ha
fatto
l’anno scorso, direi che ha buone possibilità di
successo. E come Campione,
beh… il Calice sa scegliere.” Rispose
diplomaticamente: non ce l’aveva con Scorpius.
Anzi, per quel poco che aveva potuto vedere sembrava un ragazzo in
gamba.
Meglio
però che non stia con Rosie…
Suo padre per lui era un
eroe.
Punto.
Non solo perché aveva sconfitto un tipo
oscuro, cattivissimo
e genocida, una cosa che in fondo lui aveva sempre vissuto nei racconti
degli
adulti e non l’aveva mai toccato direttamente.
Era un eroe
perché continuava,
anche con una vita piena di bastardate fatte alla sua persona, a voler
comprendere gli altri.
Se fosse stato lui, un
padre,
non aveva la minima idea di come avrebbe reagito a vedere suo figlio e
il
figlioccio mettersi assieme. Avrebbe spaccato qualcosa probabilmente.
Forse suo padre
l’aveva fatto,
ma senza farglielo pesare, notare.
E
adesso gli stava lì di fronte, a bere cioccolata e
chiedergli come stessero
andando le cose con Teddy. Sorridendo.
Sembrava stare comunque
seduto
su uno schiopodo ed era proprio questo il punto: lo faceva per lui.
Ed
io non avrei mai potuto dire a Teddy che lo volevo,
se non fossi stato sicuro che comunque fossero andate le cose, i miei
non mi
avrebbero mai sbattuto la porta in faccia.
Avrebbe voluto abbracciarlo
e
dirgli qualcosa di più complesso di un
‘grazie’, ma forse non ce n’era bisogno.
Suo padre aveva capito benissimo.
Parlarono quindi di Malfoy,
del Tremaghi e di cavolate finchè la cioccolata non fu
finita e la sua pausa
rosicchiata via.
“Ops, sono pure in
ritardo!”
Esordì quando lanciò un’occhiata
all’orologio. “Beh, dirò che il
Salvatore mi
ha offerto una cioccolata calda. Vuoi vedere che me la
passano?”
“Questo è approfittare della tua posizione,
Jamie.” Replicò il padre divertito.
Risero assieme ed uscirono dal locale mentre una fitta pioggerellina
cominciava
a lavare la strada ciottolosa. James si tirò su il bavero
del mantello
d’ordinanza, imitato dal padre.
Si scambiarono
un’occhiata che
lo fece sentire inequivocabilmente a
posto.
Poi il genitore fu quasi
decapitato da un Gufo che finì per impattare contro la
vetrina del negozio
accanto.
“Per tutti i
diavoli della
Gran Bretagna!” Esclamò James quando
l’animale si accasciò
a terra in un tripudio di piume e un flebile
starnazzo. “Il Ministero dovrebbe selezionare meglio i suoi
Gufi…”
“Gira una brutta
influenza
gufica al Ministero… Pare faccia perdere loro il senso
dell’orientamento. Un
bel problema, in Guferia è il caos.” Gli
spiegò raccogliendo pietosamente
l’animale e alleviandolo dal peso della grossa busta che
recapitava.
James vide lo stemma del
Dipartimento di Cooperazione Magica, ma poco altro: il padre
aprì la busta e
gli diede le spalle.
Argh,
prima o poi potrò leggere anche io quella roba!
Aspetta
Jamie, aspetta. È solo questione di tempo.
“Da chi
viene?” Chiese
comunque. Vide la schiena del padre irrigidirsi e capì che
certo non era
l’invito per un party di Halloween.
“… Devo
andare.” Disse
semplicemente con un borbottio. “Ci vediamo questo
sabato.” E detto questo si
smaterializzò senza aspettare una sua conferma.
James fu certo di aver visto
di aver visto la firma recitare Draco
Lucius Malfoy.
****
Note:
Finalmente sono riuscita a postare. Dannate feste!
Ebbene sì, un basilisco! :DDD Sono o non sono una sadica?
Il capitolo comunque si
dividerà in due parti. Questa è la prima. ;)
(Capitan Ovvio)
1.
Qui la
canzone.
2.
Uscire dall’armadio: coming out
the closet. Insomma,
il coming out. Era troppo carino
per non
tradurlo. Che poi, dai, è quello che ha fatto Teddyno.
^^.
Ah, poi una nuova fan-art da parte di Elezar81, la favolosa snapshot of happy times Enjoy!
|
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Capitolo 21 *** Capitolo XX ***
Capitolo XX
I've
always lived like this, keeping a comfortable distance.
And up
until now I swore to myself that I'm content with loneliness,
'cause none of it was ever worth the risk.
But
darling, you’re the only exception¹…
(The
Only Exception, Paramore)
14 Ottobre 2023
Torre
di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del
Quinto.
“Sembra che tu ti
stia
preparando ad un appuntamento…” Esordì
Abigail Finnigan, incuneata nel bovindo
della finestra del dormitori delle ragazze del Quinto anno.
Lily non le rispose subito,
presa dal compito di dare una tinta uniforme al suo ombretto. I trucchi
babbani
le piacevano, a differenza delle monotone terre che usavano le streghe
per
truccarsi.
Il
problema è che vanno messi alla babbana… se provo
ad
usare la bacchetta divento un clown come è successo alla
povera Fiona alla
festa di Halloween dell’anno scorso.
“… sai,
di quelli con tappa
finale a Madame
Piediburro.” Continuò
imperterrita l’amica togliendosi dalle labbra un leccalecca
al sangue, una
delle sue tante, incomprensibili, passioni dolciarie.
“Non sto andando
un
appuntamento. Anche perché ad un appuntamento non ci
porterei certo i miei
fratelli…” Puntualizzò, anche se sapeva
che l’aria scettica di Gail aveva
qualche fondamento.
In
effetti non
si era mai sentita tanto nervosa per un ragazzo.
Stava portando
Sören a
conoscere parte della sua famiglia, del suo clan. E non sarebbero state
quattro
rapide chiacchiere scambiate a cena, ma un
intero pomeriggio ai Tre Manici di Scopa.
Suonava impegnativo e, a
conti
fatti, lo era.
Specialmente
perché Jamie farà una comparsata…
Morgana,
quanto vorrei che Teddy non insegnasse qui ma chessò, in
Francia! O anche in un
paese oltre Oceano, va bene lo stesso.
“Dì
quel che vuoi, ma secondo
me hai una cotta pazzesca per quel tedesco!”
“Io non ho cotte Gail, ho interessi.”
Precisò nuovamente, controllando il trucco. Leggero: non
abbastanza per
beccarsi un rimbrotto dai professori più bigotti, ma
abbastanza per darle carattere.
Ah!
Andò poi a
frugare
nell’armadio per trovare un paio di scarpe che non fossero
drammaticamente nere
e piatte come quelle della divisa. A volte si dimenticava che esisteva
un
intero mondo di scarpe meravigliose, visto che non poteva indossarle ad
Hogwarts.
Gail ridacchiò,
lanciandole
un’occhiata curiosa. “Sì, come ti pare,
ma ti metti in tiro solo quando esci
con un ragazzo!”
Lily sbuffò: in realtà truccarsi per lei era una
sorta di protezione. Sentirsi
carina le permetteva di rilassarsi. Che ne aveva proprio un gran
bisogno in
quel momento.
Jamie
ha già fatto battute idiote. Per lettera. Non oso
immaginare che si inventerà dal vivo.
Neppure l’idea che
ci fosse Al
a frenarlo la tranquillizzava del tutto.
Sören stava
diventando importante
per lei, inutile negarlo. Ormai si era abituata a vederlo ogni mattina
davanti
alle porte della Sala Grande, ad aspettarla per fare colazione. Si era
abituata
a non portare più il peso della borsa dopo aver mangiato,
perché era lui che la
scortava a lezione dopo ogni pasto.
Si era abituata a studiare
con
lui in biblioteca, a vederlo al lato opposto del tavolo a sfogliare
distratto i
propri libri di testo e ad interromperlo continuamente per chiarimenti.
Sarebbe stato stupido non
ammettere che si stava affezionando al suo amico di piuma come ad un
amico in
carne e ossa.
Perché
ehi, adesso lo è. Se voglio posso prenderlo a
braccetto o chiedergli di fare una passeggiata lungo il lago. Non devo
aspettare un Gufo per sentirmi rispondere ad una domanda.
Sören per lei era
fantastico. Punto.
“Voglio solo che i
miei
fratelli e miei cugini lo adorino come lo adoro io. Tutto
qui!”
Abigail inarcò le
sopracciglia,
mentre le passava sciarpa e cappotto, visto che li aveva
precedentemente
abbandonati sul suo letto. “Ma sentila! Scommetto che i tuoi
fratelli sanno
solo la metà dei ragazzi con cui sei uscita. Forse.”
Non attese risposta, perché era palesemente una domanda
retorica. “Quindi… da quando ti interessa la loro
opinione se si tratta di un
ragazzo?”
Ehm.
Si trovò a corto
di parole e
si sforzò di trovare una battuta adeguata. Non la
trovò.
“Ecco. Ho
ragione!” Gongolò
l’amica tendendogli la borsa. “Lo vedi?”
Lily non vedeva niente, ma non era del tutto sicura che non ci fosse
qualcosa.
****
Hogwarts,
Vascello di Durmstrang, Pomeriggio.
Sören non aveva
potuto
rifiutare.
Anche se avrebbe voluto
farlo,
veramente.
Lily quel lunedì
gli si era
avvicinata, a tavola, mentre veniva fastidiosamente mangiata con gli
occhi da
Poliakoff e gli aveva chiesto se aveva voglia di prendere una
burrobirra con
lei e i suoi fratelli ad Hogsmeade, quel sabato.
Non aveva potuto rifiutare
ed
ora quel sabato era diventato quel giorno.
“Se è
un appuntamento non puoi
andarci con la divisa!” Lo apostrofò Kirill, steso
sul letto mentre scorreva
con gli occhi una rivista raffigurante streghe procaci e poco vestite.
Sören non rispose,
guardando invece
con frustrazione il proprio guardaroba.
Non era tagliato per quel
genere di cose, non si sarebbe mai stancato di sottolinearlo.
Però doveva
ammettere di avere
anche una certa dose di curiosità ad animarlo. Avrebbe
finalmente avuto la
possibilità di parlare faccia a faccia con Thomas, il
figliol decisamente non prodigo.
Si allacciò la
camicia,
controllandosi allo specchio. La cura personale della propria persona
era
qualcosa che gli era stato inculcato sin da bambino.
Nessun
Hohenheim deve sfigurare in pubblico. Mai.
Diede uno sguardo veloce
alle
sue mani, e schioccò la lingua frustrato quando si rese
conto che aveva
un’abbondante quantità di inchiostro secco sotto
le unghie.
Lanciò
un’occhiata al compagno
di stanza, mentre versava acqua nella bacinella per pulirsele.
“Tu non dovresti
stare
preparando la mia Prova?”
Il russo, interpretando la
sua
occhiata, si affrettò a rispondere. “Ci sto
lavorando, sono in pausa.” Spiegò.
“Sto aspettando dei Gufi da certi miei contatti…
di lavoro. Di mio padre.” Si
corresse, con una smorfia nervosa. “Sta’
tranquillo, okay? È tutto sotto
controllo.”
“Lo spero. Non ho tempo da perdere constatando i tuoi
fallimenti.” Si arrese all’impossibilità
di rendersi perfettamente immacolato. Mangiarsi le unghie fino alle
cuticole
non aiutava nelle operazioni di pulizia.
Si infilò il
panciotto in
velluto e si sedette sul letto per calzare gli stivali.
“Non hai niente di
meno
sfarzoso?” Continuò imperterrito Kirill, che a
quanto pareva sembrava trarre
sommo diletto dal perdere tempo nel propinandogli consigli sul vestire.
“Sei un
po’ troppo… classico.”
Lo
so da me.
“Così
è come mi vesto, e
comunque non avrei nient’altro da mettermi.”
Replicò salace, sentendosi
investire da un irritante senso di inadeguatezza. Quando era a
Durmstrang,
quando c’era stato come un vero
allievo, non aveva mai approfittato delle uscite libere mensili.
Quindi
non ho mai avuto l’opportunità di capire come si
vestono i miei coetanei…
Adesso
lo so. Non
come me.
“Ah.”
Kirill fece un
sorrisetto. “Non preoccuparti comunque. Alle ragazze
piacciono i damerini, sai.”
“Non è un appuntamento.”
Sibilò sentendosi orribilmente imbarazzato. “Fa
parte
del mio compito.”
“Sì, come no…” Convenne con
aria sorniona. Ad una sua occhiataccia cercò una
diversione. “Insomma, voglio dire, tuo zio ti ha ordinato di
stare dietro alla
ragazzina, no?”
“Per riassumere.” Convenne guardingo.
“Beh, allora
perché non le
stai dietro sul serio? Non sembra
una
che si fa problemi a divertirsi un po’.” Fece una
pausa, fraintendendo la sua
espressione. “Io me la farei.”
“Io no.” Aveva un’improvvisa voglia di
affatturare quel viscido idiota che gli
era stato assegnato come tramite. Avrebbe preferito persino un maniaco
del
Duello come Radescu ad un ragazzo con così poca… decenza.
“No?”
L’altro sbuffò. “Prendi
i tuoi compiti troppo alla lettera allora.”
Sören serrò la mascella, sentendola scricchiolare.
Un brutto vizio,
decisamente. Si chinò all’altezza del viso del
compagno. “È questo che fa la
differenza tra me e te.” Mormorò pacato, e per
questo, seppe di stare
spaventando l’altro. “Tu la sedurresti, ma solo io
la ucciderei se mi venisse
ordinato. Per questo Hohenheim ha dato questo compito a me. Cerca di
ricordartelo, Kirill.”
Il ragazzo deglutì mentre il sorriso gli scivolava via dal
volto. “Dovrai ucciderla?”
Chiese con un filo di voce.
Sören stese un
sorriso amaro:
come purosangue di un antica famiglia di maghi russi, il cui nonno era
entrato
nella Thule, Poliakoff era stato cresciuto per esserne un futuro
membro, ma non
certo di quelli che si sarebbero sporcati le mani.
Quel ragazzo non aveva mai
visto nessuno ferito per mano della sua bacchetta. E probabilmente non
l’avrebbe visto mai.
Quelli
che fanno il lavoro sporco sono quelli come
Johannes. E me.
“Non mi
è stato ordinato.” Si
risolse a rispondere. “Quindi non lo so.”
“Ma lo faresti?” Lo incalzò sedendosi
sul letto. “Hai già ucciso?”
Sören indossò il mantello senza rispondere. Sentiva
quel freddo spiacevole insinuarglisi
nello stomaco. Lo stesso
freddo che gli si attanagliava addosso dopo ogni incubo.
Era il buio.
Avrebbe ucciso Lilian Potter?
La risposta era ovvia:
sì, se
gli fosse stato ordinato. Non aveva ancora ucciso nessuno, ma
l’avrebbe fatto perché
faceva sempre ciò che gli veniva detto. Così
serviva la Thule e suo zio.
Era il motivo per cui
viveva;
non c’era altro modo che conoscesse per dare un senso al
fatto che fosse ancora
lì mentre la sua casata, i Prince, marciva ormai sei piedi
sotto terra,
dimentica dal mondo.
Solo
così posso essere un Hohenheim.
“La tua pausa
è finita Kirill.”
Esordì, sentendo la sua voce provenire da molto lontano
mentre apriva la porta.
Doveva uscire. “Torna al
lavoro.” Non
aspettò che gli rispondesse e percorse velocemente le scale
e il boccaporto.
I colori
dell’autunno gli
esplosero davanti agli occhi non appena scese dalla passerella che
ancorava la
nave al molo. Avrebbe voluto goderseli come un qualsiasi altro ragazzo
della
sua età. Per un momento lo desiderò davvero.
Si
può desiderare qualcosa che non si è mai avuto?
Il fatto era che, per quanto
fosse ironico, lo stava avendo. Assumendo
l’identità di Sören Luzhin,
avvicinando Lily, aveva avuto la possibilità di essere quel
Sören, che forse
avrebbe salutato con un sorriso il sole autunnale che gli scaldava la
faccia.
Che avrebbe avuto degli
amici
e una vita normale.
È
tutta una finzione. Ed è giusto che sia così.
Lily lo aspettava appoggiata
alla staccionata del pontile. Ancora con una delle sue gonne
scomodamente
corte, ancora con i capelli sciolti al vento. Fuori da scuola, aveva
notato,
non se li legava mai.
“Ciao Ren!
Accidenti, come sei
elegante!” Lo salutò con la consueta allegria.
Cambiò però immediatamente
espressione non appena furono abbastanza vicini. “Ehi,
cos’hai?”
Sören si chiese se fosse la Legimanzia Naturale o se fosse
proprio una
caratteristica di Lily capire con un’occhiata quando qualcosa
non andava negli
altri.
Forse
è entrambe…
“Niente.”
Mentì scrollando le
spalle. “Perché me lo chiedi?”
“Per la tua faccia. Sembra tu stia andando ad un
funerale…” Corrugò le
sopracciglia meditabonda: erano sottili, leggermente ricurve e le
davano sempre
un’espressione di curiosità stampata in viso.
“… È per il Torneo?”
“No, ti ho già detto che non mi preoccupa. Ho un
Assistente, sta lavorando.”
“Ah, quindi sai in cosa consisterà la Prima
Prova?” Lo interrogò, ma si vedeva
che la risposta non la interessava poi così tanto.
“Sul serio, cos’hai?” Ripeté
infatti. “È per Hogsmeade? Se non ti va di
incontrare i miei fratelli va bene…”
“No.” La fermò cercando di sorridere.
Spero di non aver fallito miseramente
nell’impresa. “Va tutto bene. Suppongo di essere
solo stanco…” Tentò di
rassicurarla. L’espressione dubbiosa della ragazza non
scomparve, ma perlomeno non
fece altre domande, preferendo prenderlo sottobraccio come suo solito.
“Come
vuoi!” Disse infatti. “Ah,
un paio di parole su mio fratello James…” Si
schiarì la voce con intenzione. “È
un po’ un idiota, quindi… ecco. Non dare molto
peso a quel che dice, okay?”
“Va
bene.” Acconsentì
distratto, notando che era truccata. Ed era anche nervosa, almeno a
giudicare
dal modo in cui gli si era aggrappata al braccio.
Non cercava rassicurazioni
però; sembrava semplicemente volerselo tirare il
più vicino possibile.
Sta
cercando di rassicurare me?
“Perché
sei nervosa?” Chiese,
perché era quello che doveva fare. Perché era un
modo per dimenticare la
conversazione con Poliakoff.
Dovrai
ucciderla? Ma lo faresti?
Lily profumava di gigli.
Conoscendola, usava quella fragranza proprio per via del significato
intrinseco
del suo nome². Era un profumo lieve, intenso, continuo.
Proveniva dai suoi
capelli, dai suoi polsi, dal collo e dalle labbra.
Sören aveva smesso
di contare
le volte in cui la bocca gli diventava secca e il cuore cominciava a
battergli furioso
nel petto. E tutto perché Lily lo toccava. Per lei avere
quel genere di
gestualità era del tutto normale. Per lui non lo era mai.
Era fastidiosa, a volte. E
anche piacevole. Era strano.
Dovrai
ucciderla? Ma lo faresti?
Sì,
se mi venisse ordinato.
“Non sono
nervosa.” Borbottò
la ragazza, distogliendolo dai suoi pensieri. “Non lo sono
affatto.”
Sören tentò con un approccio diverso. Aveva capito
che andare dritto al punto,
con poco tatto, con Lily non era mai una buona idea.
“È solo che lo sembri…”
Quando vide che non negava, continuò. “Posso
sapere il perché?”
Lily serrò le labbra, e fece un mezzo sorriso. Era timido.
“Mi hai scoperta…”
Borbottò attorcigliandosi una ciocca di capelli tra le dita.
“Ci tengo che vada
bene. Che tu piaccia ai miei fratelli. È una cosa
stupida?”
Sembrava imbarazzata. Lo
sembrava
sempre quando smetteva quella maschera da sciocca ochetta. Come se
essere sé
stessa la mettesse a disagio.
“Non lo
è. Farò del mio meglio
per non deludere le tue aspettative.”
Sì,
se mi venisse ordinato.
Lily gli sorrise radiosa.
Perché incredibile a dirsi, ma quell’aggettivo
esisteva davvero e descriveva
perfettamente i sorrisi di Lilian Potter.
Il bacio sulla guancia non
se
l’era aspettato, ma sentirsi arrossire come un idiota fu
decisamente l’ultimo
dei suoi problemi.
****
Hogsmeade,
Pomeriggio.
Albus doveva ammettere di
essere curioso.
Per questo aveva
acconsentito
volentieri a quell’uscita. Inoltre Hogsmeade era sempre una
buona occasione per
sfuggire ai suoi doveri di Caposcuola.
Dello stesso avviso non
sembrava essere Tom, che stava palesemente perdendo tempo con una
pergamena,
secondo lui per tastarne il grado di assorbimento
dell’inchiostro.
Erano da Scrivenshaft da
quasi
un’ora e stavano tardando all’appuntamento con Lily.
Volutamente.
“Tom, sono tutte
uguali!”
“Questo lo dici tu. Detesto che l’inchiostro
sbavi.”
“Le tue pergamene non sono mai sbavate, quanto sei
odioso…” Rintuzzò
togliendogliela dalle mani per metterla nel cestello degli acquisti.
“Andiamo,
stiamo facendo tardi!”
Tom fece un lungo sospiro, ma acconsentì a pagare e uscire.
“Mi spieghi
cos’hai contro
l’amico di Lily?” Dovette chiedergli alla fine,
quando lo vide rallentare
l’andatura in dirittura dei Tre Manici.
“Nulla, ma detesto queste occasioni di socializzazione
forzata.”
“… nelle pubbliche relazioni fai proprio
schifo…” Sbuffò infilandosi le mani
nelle tasche del giubbotto, visto che si era dimenticato i guanti.
“Il bello è
che saresti anche bravo, se solo ti sforzassi!”
“Non intendo farlo.” Fu la consueta replica.
Al lo guardò tra il divertito e l’esasperato. Tom
aveva un carisma eccezionale.
Non si era mai sforzato per convincere le persone a fare ciò
che voleva. Sarebbe
stato capace di essere un leader, ma a quanto sembrava la sua
misantropia lo
teneva ben lontano da qualsivoglia sogno apologetico.
E
di questo, sono molto grato a chiunque ci sia lassù.
“Non potresti
considerarlo un
favore a Lils?”
“Lo sto facendo. Per questo sono qui.”
Borbottò a mezza bocca, guardando quasi
con astio il locale che si stagliava di fronte a loro.
“Considera che c’è anche
James.”
Sottolineò.
“Pensi che mi
piaccia l’idea di
doverlo gestire da solo, visto che Rosie ha dovuto dare forfait, con
Scorpius senza
un Assistente e in dirittura di Prima Prova?”
Tom serrò appena le labbra, e Al seppe che l’aveva
presa sul personale.
Del resto avevano avuto una
discussione su quello. Quando Scorpius gli aveva chiesto di essere il
suo
secondo, Tom non aveva esitato un secondo, prima di sbottare un
‘no’, neanche
gli avesse chiesto di spalare letame di drago.
Che
è quello che in effetti gli ha detto Scorpius…
Comunque poteva capire le
sue
remore: Tom era stato al centro di un vero e proprio tifone
l’anno prima. Ne
portava ancora le cicatrici. Di notte si agitava ancora nel sonno, e
come se
non bastasse era certo che avesse sviluppato un odio cocente per
qualsiasi
forma di rettile.
Era comprensibile che non
avesse molta voglia di infilarsi in una nuova avventura potenzialmente
mortale,
specialmente se forse riguardava un
Basilisco. Scorpius era stato mosso dal momento e dalla sua
impulsività
grifondoro, ma aveva un po’ mancato di tatto.
Specie
perché per Tom non è ancora finita…
Non è il
caso che si esponga.
Dovrà
trovarsi un altro martir… err. Volontario.
“Volevi che gli
dicessi di sì,
per caso?” Gli chiese secco, distogliendolo dalle sue
considerazioni.
Al sospirò.
“No.”
Replicò pacato. “Tom, è
solo… queste persone… sono la nostra famiglia e i
nostri amici. Sei stato
scortese con Scorpius. Cerca di non esserlo con l’amico di
Lils.”
Tom non rispose, ma Al seppe che l’aveva ascoltato. Infatti
varcò la soglia del
pub senza fare ulteriori rimostranze. Non si stampò in
faccia un sorriso
cordiale, ma perlomeno distese i lineamenti.
Beh,
accontentiamoci…
Lily era al tavolo col suo
famoso amico tedesco. Famoso perché Lily ne parlava in
continuazione, benché Albus
lo avesse visto solo una manciata di volte in quei due mesi. La
delegazione di
Durmstrang non brillava certo per sapersi integrare: mangiavano sempre
a ranghi
serrati, ed erano pochi gli allievi che scambiavano qualche parola con
gli
altri studenti.
In quel momento
però, Sören
sembrava molto distante dall’idea che Al aveva di allievo di
Durmstrang.
Prima di tutto, non aveva
addosso
quell’orrenda uniforme – davvero, era di un colore deprimente – ma vestiti veri,
anche se più adatti ad un membro del Ministero che ad un
ragazzo della loro
età.
Secondo, aveva i capelli
più
lunghi della media – bocce rasate. Infine, non aveva il physique du rôle, era anzi piuttosto smilzo e non
molto alto. Neppure i
lineamenti sembravano quelli di un figlio del Nord.
A
dire il vero, sembra inglese. E somiglia a qualcuno
che ho già visto, tra parentesi…
Solo
non mi ricordo chi…
“Ehi, eccovi
qua!” Esordì
Lily, e Al notò che era truccata. La cosa lo
turbò un po’. Complesso da
fratello maggiore, probabilmente. “Mi aspettavo che Jam
facesse ritardo, ma voi
due…”
“L’ho trattenuto io, da Scrivenshaft.” Si
sforzò di articolare Tom, che aveva
piantato gli occhi addosso al tedesco dal momento stesso in cui era
entrato nel
loro campo visivo.
Ah,
ma guarda…
“Sei sempre il
solito, ma non
spegni mai il tuo gene secchione?” Lo apostrofò
Lily ridendo. “Ah… lui è
Ren.”
Si voltò verso l’amico. “Ren…
mio fratello Albie e mio cugino, o qualcosa del
genere, Tommy.”
“È
Al.”
“Non è
Tommy.”
Sören inarcò le sopracciglia, poi sorrise,
alzandosi. Al pensò che non doveva
esserci molto abituato, perché sembrava tentarlo quel
sorriso, più che farlo.
Tese la mano a nessuno dei due in particolare. “È
un piacere potervi conoscere.”
Recitò in un inglese senza sbavature, forse leggermente
più aspro della norma.
Al gli afferrò la mano prima che Tom avesse la meravigliosa
idea di non
stringerla: si era infatti immobilizzato nella contemplazione
dell’altro e
sembrava non avere notato il gesto.
Ma
che cavolo!
“Puoi
chiamarmi Al.” Si presentò con
il sorriso delle grandi occasioni. Vide con la coda
dell’occhio la sorellina
sorridergli raggiante.
Lo
faccio perché ti adoro Lils. Perché altrimenti
sarei
costretto chiedere a Ren se per
caso non ha interessi nella nostra
metà del cielo.
Sono
geloso, e allora?
“Al,
certamente.” Acconsentì
quello, ignaro dei suoi pensieri. “Se non sbaglio il nome
completo è Albus
Severus.”
“Ehm,
sì… Non l’ho scelto io.”
Mise le mani avanti, come sempre, rassegnato.
“Sören è la versione tedesca di
Severus.” Concluse invece l’altro.
“Dai!” Albus lo guardò sorpreso: era
raro trovare qualcuno che condividesse il
suo secondo nome. In effetti, fino a quel momento lo aveva condiviso
solo con
un morto. “Non lo sapevo…”
“Neanche io!” Intervenne Lily. “Che
coincidenza!”
“Decisamente.” Convenne il tedesco, mentre si
mettevano tutti a sedere. “In
realtà è un nome che viene tramandato da
generazioni nella mia famiglia. Come
secondo o primo nome, dipende.”
“Non me lo avevi
mai detto…”
Spiò Lily prendendo il menù per dargli una
scorsa. Sören scrollò le spalle, ma
ad Al sembrò che lo facesse un po’ rigidamente,
quasi si fosse pentito della
frase appena pronunciata. Lo vide anche tamburellare le dita
– aveva le unghie
mangiate – sul tavolo.
È
un tipo nervoso… Ed è un Campione. Beh, non ha
granché
l’aspetto di un Campione del Tremaghi.
Si sentì meschino
non appena
lo pensò.
“Non ce
n’è stata
l’occasione…” Disse intanto
Sören. Poi lanciò un’occhiata a Tom, ed
Al ebbe la
netta impressione che stesse radunando le idee. “…
invece tu sei Thomas.”
“Già.” Replicò
l’idiota-che-fissava, senza smettere di fissare. Al gli
tirò un
calcio sotto il tavolo, ma fu testardamente ignorato.
“Dobbiamo chiamarti Sören
o Ren?”
“Non saprei, per me è lo stesso. Suppongo sia un
soprannome…” Esitò.
“… adeguato.
È la prima volta che me ne viene dato uno.”
Aggiunse.
“Curioso.”
Non perse tempo il
serpeverde. “Di solito tutti
hanno
dei soprannomi… o delle abbreviazioni con cui vengono
chiamati.”
Il tedesco stavolta si irrigidì in modo visibile.
“Non io. Forse è perché ho un
nome corto.”
“Ordiniamo?”
Fu costretto ad
intervenire Albus. Non aveva idea di cosa diavolo stesse prendendo a
Tom: solitamente
in quelle occasioni snocciolava al massimo qualche convenevole prima di
chiudersi
nel suo comprovato mutismo. Era chiaro che lo straniero avesse
catturato la sua
attenzione.
Non
in positivo però. Fantastico.
Lanciò
un’occhiata di
avvertimento a Lily che annuì, sfoderando un bel sorriso.
“Sì, anche se Jam è
in ritardo… possiamo ordinare per lui, no?” Si
alzò in piedi come una molla.
“Vieni Ren, così mi dai una mano a portare le
ordinazioni! Una burrobirra anche
per voi due?”
“Veramente…” Tentò Tom. Ma
non se lo meritava.
“Sì,
per entrambi.” Lo
interruppe Al, e quando i due si furono allontanati lo
guardò male. “Si può
sapere che ti prende? Lily ci tiene a questa cosa, lo sai!”
“Quel tipo non mi piace.” Fu la risposta.
“C’è qualcosa che non va in
lui.”
“Non esagerare! Certo, è un po’ rigido,
ma hai visto come sono marziali quelli
di Durmstrang? È già tanto che non ci abbia fatto
un inchino…”
“Non è
questo…”
“Allora cosa?”
Non era esattamente
facile spiegare ad Albus cosa non andasse nell’amico di
piuma di Lily.
Il fatto era che provava
sempre una palpabile sensazione di allerta ogni volta che lo vedeva.
E avendocelo davanti, ne
aveva
avuto solo conferma: a lui sembrava di conoscere quel ragazzo.
Il che, naturalmente, era
impossibile.
Allora
perché anche lui mi guarda come se mi
conoscesse?
“Tom!”
Lo riscosse Al. “Per
favore, già Jamie comincerà con le sue battutine
idiote da fratello maggiore…
Non mettertici anche tu.” Gli mise una mano sul braccio.
“Dai, perlomeno non è
uno di quegli idioti tutto denti luccicanti e muscoli con cui di solito
esce
Lils!”
“Perché, escono assieme?”
Al scrollò le spalle, lanciando un’occhiata
meditabonda verso la coppia che
stava attendendo le loro ordinazioni. “Lei dice che
è solo un amico… ma ci
passa molto tempo assieme, sai… credo l’aiuti
anche nei compiti.”
“Sì, me l’hai accennato.”
Convenne. Si sentiva stupido, perché non c’era un
solo, dannato motivo per cui dovesse trovare antipatico Sören
Luzhin. Era stato
cortese, parlava un buon inglese e vestiva in maniera impeccabile.
E
questo è qualcosa che apprezzo, con tutti i maglioni
Weasley a cui sono sottoposto quotidianamente…
Oggettivamente Luzhin
avrebbe
dovuto piacergli.
“Mi dispiace, hai
ragione. Cercherò
di essere più amichevole…”
Borbottò, perché sapeva di essere nel torto e non
voleva essere accumunato a James. In nessun modo possibile.
Al gli sorrise e gli strinse
la mano, in un grazie silenzioso
mentre gli altri due tornavano armati di boccali di Burrobirra e whisky
incendiari.
Sören si sedette di
fronte a
lui, porgendogli la bevanda. “Lilian mi ha detto che
preferisci il whisky.”
“È praticamente l’unica cosa con cui non
si ubriaca, oltre la Burrobirra!”
Confermò allegramente la ragazzina, rifilandogli un
sorrisetto divertito.
“Vero?”
“Uhm.” Replicò poco impegnativo,
accettando il drink con un cenno della testa.
“Grazie.”
Sören replicò con lo stesso cenno, sorseggiando il
suo. Lo faceva in maniera
del tutto naturale, senza pause per evitare che il sapore troppo forte
gli
facesse strizzare gli occhi.
C’è
abituato…
Tom gli guardò le
mani.
Avevano le dita lunghe e nervose. Poi guardò
l’anello col blasone che aveva al
medio della mano destra. Assottigliò lo sguardo: il segno
dell’anello era
strano.
C’è
almeno qualche millimetro di pelle non abbronzata
sotto… Non è l’anello che porta di
solito. Ne porta uno più grande.
“È lo
stemma dei Luzhin?”
Indagò neutro.
Sören se lo
rigirò tra le
dita. “Sì.” Disse semplicemente.
“A Durmstrang ciascun purosangue è tenuto ad
indossare l’anello della propria famiglia. È una
regola.”
“Sempre?”
“Quasi sempre.” Fu la risposta guardinga. Aveva
capito che non era una domanda fatta
tanto per fare.
Tom sorrise appena.
No,
non è uno stupido…
“Qui invece non
è
obbligatorio… Sy non lo indossa mai, no?” Chiese
Lily. “Mi ha detto che gli
anelli lo fanno sentire una ragazza.” Si soffermò
a pensarci. “È il ragazzo che
dovrebbe meno preoccuparsi in tal senso che conosco…
È davvero
virile.”
“Scorpius
Malfoy?” Chiese
Sören, e a Tom sembro che tradisse un moto di insofferenza.
Gelosia?
Appena accennata…
Almeno quella era una
reazione
normale, quasi banale, visto che riguardava Lily.
Lily gli scoccò
un’occhiata
delle sue, pura malizia. “Lui in persona. Ma non preoccuparti
Ren, sei tu il
mio Campione!”
Tom guardò con
sorpresa
l’altro arrossire. Era la prima volta che vedeva un ragazzo
in preda ad un
imbarazzo così profondo. E conosceva Al.
Specialmente
per una battuta di Lily… neppure delle sue
peggiori, tra l’altro.
Cos’ha,
sei anni?
“Smettila…”
Brontolò quello.
“E comunque Malfoy è
il tuo Campione.
Sei una studentessa di Hogwarts.”
“Posso decidere io per chi tenere, non ti pare?”
Scrollò le spalle, con una
delle sue solite e spassionate prese di posizione. “Sy mi
piace, ma farò il
tifo per te. La cosa ti crea per caso qualche problema?”
Chiese poi divertita.
Probabilmente
l’unico a non essersi accorto che è
diventato rosso come una scolaretta è giusto il
tavolo…
Al dovette leggergli nei
pensieri perché gli rifilò una gomitata giusto
alla fine della frase.
“No, nessun
problema.”
Articolò Sören, dando un vigoroso sorso al suo
drink. “Anzi, ti ringrazio…”
Albus a quel punto fece la
domanda che lo qualificò come la serpe ufficiale della
serata. “Così… state
assieme?”
E
poi sono io, eh?
Tom
osservò con clinico divertimento Sören
strozzarsi con un sorso di whisky e diventare paonazzo, mentre Lily
alzava gli
occhi al cielo.
La sensazione di allerta era
scomparsa:
precisamente da quando la più piccola dei Potter aveva
cominciato ad interagire
con il tedesco. Era come se lo stesse rendendo…
Normale?
“No.”
Rispose quella, mentre il
poveretto tentava di recuperare le proprie capacità
respiratorie. “Non stiamo
assieme … Ren ha per la testa il torneo, è un
tipo serio.”
“Sì…” Soffiò
quello. “Noi… non. No.”
Non riuscì a concludere la frase per un altro accesso di
tosse. Lily gli diede
una confidenziale pacchetta sulla schiena. Sembrò solo
peggiorare la
situazione.
“Scusate…”
Disse Al con aria
contrita, che Tom sapeva essere falsa quanto Giuda.
“È che di solito Lily non
ci fa conoscere ragazzi che frequenta, e quindi pensavo… mi
dispiace Ren,
deformazione professionale. Da fratello maggiore, sai.”
“…
nessun problema…”
“Ehilà!
V’ho cercato per tutto
il pub! Vi eravate nascosti o che?”
Forse richiamato dall’allocuzione ‘fratello
maggiore’ James si palesò in tutto
il suo tronfio splendore.
Perlomeno
non indossa quella ridicola divisa da
proto-Auror…
Non che il giubbotto di
pelle
di drago rosso fuoco fosse meglio, beninteso.
Lily si aprì in
un sorriso
entusiasta, andando ad abbracciare il fratello. “Jamie! Questo giubbotto è
veramente sexy!” Lo apostrofò facendosi avvolgere
in un abbraccio da greezle.
Tom lanciò
un’occhiata a Sören,
che sembrava volersi trovare da tutt’altra parte. No, non
sembrava granché
abituato all’interazione umana. Specialmente a quelle con
essere chiassosi come
James Potter.
Questo
posso capirlo.
Per un momento fu quasi
solidale, prima di ricordarsi che non si fidava.
James intanto
scandagliò il
tavolo, fece un cenno della testa al fratello – ignorando
lui, ma quella non
era una novità – per poi infine soffermarsi sul
tedesco.
E squadernò il
suo temibile ghigno.
“Quel taglio di
capelli non
andava di moda un secolo fa?” Fu la prima cosa che disse,
mettendo giù la
sorella che si premurò di tirargli immediatamente una pacca
sul petto.
“Non cominciare,
scemo!
Perlomeno presentati come si deve!”
“Sicuro.”
Gli tese la mano.
“James Sirius Potter. E tu sei…? Parli la nostra
lingua?”
“Sören.” Replicò
l’altro, a cui evidentemente non era andata giù la
battuta sui
capelli. “E sì, la parlo.” Aggiunse
stringendogli la mano, con una sfumatura
che Tom trovò deliziosamente glaciale.
“Oh, okay. Tanto
meglio… io
non parlo il bulgaro.”
“Sono tedesco…”
“Ah. C’è differenza?”
Tom sentì Al accanto a sé tirare un lungo
sospiro, come un palloncino che si
sgonfiava. Lily in compenso tirò un secondo ceffone sulla
spalla del fratello,
che ovviamente non servì a nulla.
Il
ghigno persiste…
Tom trovava James un
imbecille, e quel siparietto glielo stava dimostrando.
Se
ti sta antipatico a pelle almeno non mostrarlo
gonfiando i muscoli e facendo la figura del troglodita con una
geografia
approssimativa in testa… Non depone a tuo favore.
“La Bulgaria e la
Germania
sono due stati diversi. Non confinano neppure. Non hanno la stessa
lingua, una
è del ceppo slavo, la seconda di origine germanica, come
l’inglese.” Fu la
conseguente spiegazione di Sören.
Tom vide Al serrare appena
le
labbra. La stessa espressione si dipinse sul viso di Lily mentre
scendeva un
silenzio scomodo.
Mai
dare spiegazioni agli idioti. Non le capiscono e
soprattutto non
le apprezzano.
“Oh, grazie mille
della lezioncina
Ren…” James
stirò volutamente il
nome. “Sei un tipo sveglio, questo è sicuro. So
che sei un Campione. I Campioni
devono essere svegli, no? Almeno
quello…”
“Grazie.” Replicò l’altro, che
aveva capito benissimo che non si trattava di un
complimento. Tom ne apprezzò il sangue freddo. Un altro,
probabilmente
grifondoro, avrebbe già cominciato a scaldarsi e a chiedersi
dove diavolo avesse
messo la bacchetta.
“Ti abbiamo preso
una
burrobirra, Jamie.” Lo
ammonì
silenziosamente Al. “Come va
all’Accademia?”
“Ah, bene! Alla grande, naturalmente…”
Bevve un sorso disinvolto, appoggiandosi
allo schienale della sedia. Tom ebbe la certezza che stava tirando
fuori il
petto, anche senza rendersene conto. “L’Accademia
Auror ti rende letale…”
Albus soffiò appena un’imprecazione mentre Lily
assunse l’aria di chi avrebbe
volentieri cambiato tavolo.
Sören fu
l’unico a sembrare
poco impressionato dalla cosa.
Forse
non ha capito il sottotesto?
Lo
guardò meglio, e vide che aveva i
tendini del collo tesi e la mascella serrata. Semplicemente, era
bravissimo a
nascondere le sue emozioni. Un po’ troppo bravo.
Ha
capito benissimo. Ed è un occlumante.
“Avete
un’ottima Accademia
preparatoria, sì…” Cercò
comunque di dire con un sorriso freddino.
“Una delle
migliori di Europa,
naturale!” Convenne James. Non si lasciò
però distrarre. “Ci alleniamo a duelli
tutto il giorno e… esci con mia sorella, che è
minorenne, perché ti piacciono
piccole?”
Pronunciò
entrambe le frasi
senza soluzione di continuità, tanto che persino a Tom
sfuggì il nesso logico. Perché
ovviamente non c’è.
Sören
batté le palpebre, e ci
mise un attimo in più degli altri a capire il significato.
“No.”
Disse poi, stavolta
apertamente glaciale.
“Jamie!”
Intervenne Lily. “Non cominciare!”
“Non sto facendo niente.” Replicò il
fratello, con un
sorriso falsamente allegro. “Insomma, mi sto solo informando.
Dopotutto è il
primo ragazzo che ci presenti…”
“Non è
per quel motivo,
Merlino benedetto, stai capendo tutto sbagliato!”
“Forse è il caso che vada…”
Esordì Sören, che a quel punto era ad un passo dal
perdere la pazienza. “Il mio coprifuoco è tra
un’ora.”
“Vi tengono a cuccia a Durmstrang?”
Scese un silenzio imbarazzato. Tom si chiese perché diavolo
Lily avesse anche
solo pensato che James, geloso e protettivo in modo irragionevole,
avrebbe potuto
reagire serenamente ad un ragazzo che dava proprio l’idea di
frequentarla.
“C’è
qualche problema?” Ruppe
il silenzio Sören.
“Come?”
Finse di non capire
James.
“Hai qualche
problema con me?”
Ripeté più lentamente. Si stava
sforzando di essere cortese, indovinò Tom. E
dall’occhiata di sfuggita che
lanciò a Lily, le premure erano rivolte a lei.
“Non mi piace la
tua faccia.”
Fu la risposta strafottente. “È
sufficiente?”
“Temo di non
capire…”
“Allora te lo spiego. Sta’ lontano da mia
sorella.”
A quel punto Sören
dovette
ritenere di aver sopportato abbastanza.
“Non mi faccio
dare ordini
dagli idioti.”
Albus fece appena in tempo a
saltare in piedi, prima che James gli lanciasse quasi la sedia addosso,
nel
tentativo di alzarsi e estrarre la bacchetta prima che Sören
lo imitasse.
“Piantatela,
abbassate quelle
bacchette!” Esclamò Lily sconvolta, mentre le
persone attorno a loro smettevano
di chiacchierare per fissarli attoniti. “Che diavolo vi
prende?”
“Sai Lils, credo
di non approvare
il tuo ragazzo…” Rispose James, che probabilmente
aveva già deciso l’epilogo di
quella chiacchierata ore prima.
Sören non replicò. Tom vide che reggeva la
bacchetta con naturalezza, senza
stringerla come se fosse l’elsa di una spada, come invece
faceva
l’ex-grifondoro. Ma l’espressione era furente.
…
a quanto pare non è così controllato come vuole
far
credere…
Hannah Paciock,
probabilmente
allertata dalle grida di Lily, si fece largo trai clienti.
“Ehi, voi due! Se
avete qualche grana da risolvere, fatelo fuori di qui!” Li
apostrofò spiccia,
con aria rassegnata. Non erano certo i primi adolescenti che davano in
escandescenze dopo qualche bicchiere di idromele di troppo.
Solo
che non hanno neppure bevuto…
James ghignò
all’indirizzo
dell’altro. “Hai sentito RenRen? Ti va un bel
duello? Ti sfido!”
“Non dire cavolate!” Tentò il fratello
minore, afferrandolo per un braccio. “Finiscila,
stai diventando ridi-…”
“Accetto.” Fu la risposta che troncò
ogni possibilità di negoziazione. “Andiamo
fuori.”
“Oh, fantastico…” Mormorò Al
in chiosa, quando sfilarono tutti ordinatamente
verso la porta. “Un duello al testosterone. Proprio quello
che ci voleva…”
****
Londra,
Ministero della Magia, Quinto Livello.
Pomeriggio.
“Sei sicuro di
voler andare da
solo?”
Harry Potter, Capo dell’Ufficio Auror, Salvatore e blablabla lanciò
un’occhiata tra il divertito e lo spazientito
all’Auror, nonché migliore amico,
nonché fratello d’elezione, Ron Weasley.
“Ti ringrazio per
la premura
ma credo di aver dimostrato di saper badare a me stesso.”
“Herm dice sempre che non è proprio
vero…” Brontolò quello, mettendo
davanti lo spettro della testa pensante del
trio.
Harry sospirò.
“Ron… è solo
Malfoy.”
E lo pensava davvero. Si
sentiva persino un po’ in colpa ad aver permesso
all’amico di accompagnarlo fino
al Quinto Livello, sito del Dipartimento Cooperazione Magica, dove
appunto
lavorava Lord Malfoy, come funzionario dell’Ufficio di
Diritto Internazionale
Magico.
Non era un buon punto di
partenza, per qualsiasi cosa avessero da dirsi, farsi scortare
dall’amico
d’infanzia.
C’era da dire che
Draco non lo
aveva convocato per un colloquio ufficiale, ed era stato questo a
mettere in
allarme Ron. Gli aveva semplicemente spedito una lettera, chiedendogli
di
venire nel suo ufficio, specificando data e ora.
Vuole
farmi credere di essere un uomo occupato?
In ogni caso era curioso di
sapere cosa l’ex-compagno di scuola avesse da dirgli.
“Come vuoi.
Però resto nei
paraggi.” Replicò cocciuto.
“Va’ a
lavorare piuttosto. Non
hai dei rapporti da scrivere?” Replicò con
l’aria più ferma che gli riuscì.
Ron lo guardò
indispettito di
rimando. “Sì, ma possono aspettare.”
“Ron, non ho bisogno di una balia.” Stavolta fu
fermo, e l’amico capì il
sottointeso perché sbuffò pesantemente, ma
annuì.
“Va bene, va
bene… vado. Ci
vediamo in ufficio.” Brontolò dirigendosi verso
gli ascensori. Gli lanciò
un’occhiata incerta, ma ad un suo cenno della testa
– ehi, doveva pur fare il
leader qualche volta – acconsentì finalmente ad
andarsene.
Harry ci mise un
po’ prima di
trovare l’ufficio di Malfoy. Quel dipartimento era un vero e
proprio labirinto
di corridoi stretti che aprivano su altri corridoi identici. Era
piuttosto
spoglio e dall’architettura essenziale: le pareti erano
dipinte di un bianco
accecante senza quadri, dando l’idea di uno studio dentistico
babbano.
Preferiva di gran lunga
l’aspetto confusionario e operativo del DALM.
“Mi scusi,
Capo-Auror Potter?”
Una voce femminile lo fece voltare. Si trovò di fronte ad
una delle tante
segretarie del Ministero. A lui sembravano tutte uguali, tutte con una
crocchia
strettissima, occhiali con montatura scura e aria efficiente.
“L’ufficio del
Signor Malfoy è dall’altra parte
dell’Ala.”
“Oh.” Sperò che non fosse la sua
segretaria personale. “Sì… ehm.
Può farmi
strada?”
La ragazza squadernò un sorriso professionale, ma
indubbiamente tinto di
divertimento. “Naturalmente.” Attese un momento.
“Prima volta qui?”
“Sì, in effetti…”
“Il Signor Malfoy mi aveva avvertito che avrebbe potuto aver
problemi a trovare
il suo ufficio. Non si preoccupi. Mi segua, prego.”
Harry alzò gli occhi al cielo. Gli era stato detto che
nell’Ufficio
Cooperazione era stipato il più alto numero di ex-serpeverde.
Probabilmente
non è soltanto una voce…
In pochi, umilianti, attimi
arrivarono a destinazione. La segretaria lo fece entrare, chiudendosi
la porta
alle spalle e tornando alla sua scrivania.
Era decisamente un
bell’ufficio, pensò Harry, guardando
l’enorme vetrata che dava magicamente
sulla piazza centrale del Ministero, situata in realtà
parecchi piani più su.
Draco era seduto alla
scrivania, dando le spalle al panorama. Era probabilmente
l’unico coetaneo di
sua conoscenza ad indossare sempre vesti da mago. Ricordava che durante
l’adolescenza non l’aveva mai visto con qualcosa di
diverso da quelle o
dall’uniforme.
“Potter…”
Aveva un sorrisetto
ironico dipinto in volto. “Difficile trovare il mio
ufficio?”
“Abbastanza. Sono tutti uguali.” Replicò
pacatamente, mettendosi a sedere senza
che fosse invitato. Potevano essere scortesi in due.
“È
stata una fortuna che abbia
mandato Rachel a prenderti allora.”
“Davvero.”
Confermò senza
scomporsi. Draco fece un cenno della testa, forse seccato dalla
mancanza di
reazioni. O forse lo apprezzò, difficile dirlo.
Era diventato arduo leggere
nel volto dell’ex-compagno di scuola.
“Posso sapere il
motivo di
quel Gufo?” Andò subito dritto al punto.
“Non era ufficiale, e di certo non
siamo il genere di vecchie conoscenze che si scambiano
lettere…”
Malfoy tamburellò
con le
lunghe dita sul bracciolo della propria poltrona. “Anni
fa…” Iniziò, e sembrava
che la cosa gli costasse molto. “… tu mi hai fatto
due favori. Di rilevante
entità, peraltro.”
“Sì.” Non smentì, tranquillo.
Harry non si era mai sentito un buon samaritano.
Forse
a diciassette anni l’ho salvato dall’Ardemonio e
da Azkaban senza rendermi bene conto di cosa questo avrebbe
significato.
Ma
adesso lo so. Perché negarlo?
“Intendo
ripagarli. Detesto
l’idea di arrivare alla tomba con un debito da solvere nei
tuoi confronti,
Potter…” Lo disse senza acrimonia, ma con disagio.
Era passata tanta acqua
sotto i ponti, e qualcosa indubbiamente li avrebbe legati per sempre.
Questo
però non li avrebbe mai resi amici.
Ad Harry dispiacque. Forse
era
ancora quel diciassettenne che cercava di vedere il meglio in tutti.
“L’hai
già fatto.” Disse,
appoggiandosi allo schienale della sedia. “Con Thomas, il mio
figlioccio. L’hai
salvato da Azkaban.”
“Nessuno avrebbe condannato quel
ragazzino…” Sbuffò l’altro.
“L’opinione
pubblica, aizzata dall’adorazione…”
Qui gli sembrò di sentire il vecchio tono strascicato.
“…che prova per te, si
sarebbe infiammata. Ho dato il mio voto perché era comodo
farlo.”
“Ti sei fatto
sincero Malfoy?”
Ironizzò.
Questi gli lanciò
un’occhiata
penetrante e fece un gesto vago. “Potrei dirti che ho
ripagato il mio debito,
ma mentire a me stesso non metterebbe a tacere il mio…
fastidio.”
Harry sorrise appena. “Sì, Malfoy… ti
sei fatto sincero.”
L’altro non
rispose,
preferendo fare un cenno alla segretaria, che si alzò ed
abbandono l’ufficio,
così silenziosamente che quasi Harry non lo notò.
“Vuoi smetterla di
blaterare o
hai altre discorsetti alla Grinfodoro da rifilarmi?”
“Ti ascolto.” Si mise attento, reprimendo un
sorrisetto. Non l’avrebbe ammesso
ad anima viva, ma un po’ gli era mancata quel genere di
schermaglia. Dopo la
Battaglia e la conseguente consacrazione a Salvatore, non
c’era stato più
nessuno che aveva osato prenderlo in giro a quel modo.
“L’agente
Scott si è fatto
vedere ad Hogsmeade, non autorizzato…”
Iniziò il biondo.
“Questo lo sapevo.” Confermò mentre
sentiva la poltrona diventare scomoda. La lettera
di Tom, arrivata qualche settimana prima, l’aveva mandato su
tutte le furie, ma
non aveva potuto fare molto, a parte consigliare al figlioccio di non
dare
ulteriore udienza all’agente americano. La politica
internazionale era materia
pericolosa da maneggiare, sia nel mondo babbano che in quello magico.
E
io devo ancora scontare le insubordinazioni dell’anno
scorso…
“Se mi lasciassi
finire,
sapresti anche altro.” Replicò Malfoy in tono
esasperato. “L’agente Scott ha
come referente in Gran Bretagna il mio Ufficio.”
Fece una voluta pausa, per dare significato delle parole.
“Vuoi sapere cos’hanno
in mente gli americani, o continuare ad interrompermi?”
****
Note:
La seconda parte dello scorso capitolo non è questa,
è la prossima. ;)
Ah, ho guardacaso trovato un
immagine perfetta di
Loki in uniforme
1.
Qui la
canzone.
2. Lily in inglese significa
giglio, ma lo sapete :P
|
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Capitolo 22 *** Capitolo XXI ***
Capitolo XXI
Why
does it feel the same / To fall in love or break it off?
And if young love is just a game
Then I must have missed the kick
off¹…
(Going
away to college, Blink
182)
14 Ottobre 2023.
Hogsmeade, Pomeriggio.
Lily non
riusciva a credere ai propri occhi.
Sul serio, neanche volendo
si
sarebbe mai immaginata che il suo pacato, caro amico Sören e
quello scimmione
senziente di suo fratello Jamie si sarebbero sfidati.
Procedeva assieme ad Al e
Tom
per i vicoli di Hogsmeade, diretti al boschetto adiacente la Stamberga
Strillante. Da che mondo e mondo, i duelli non autorizzati tra studenti
si
tenevano lì. Era sufficientemente lontano dal villaggio per
non far accorrere
immediatamente qualche mago e strega adulta, ma abbastanza vicino da
poter andar
a chiedere aiuto nel caso qualcuno si fosse fatto male.
James scostò una
fronda,
rivelando una piccola radura. Di quel posto lui era certamente un
esperto,
visto che aveva calcato quel suolo sia come duellante che come secondo
dei suoi
stupidi compagni d’occasione.
Vuoi
un secondo o un arbitro sempre pronto per un
duello tra idioti? Chiedi a James Potter.
Fino
all’anno scorso l’adagio era questo…
Albus accanto a lei
tirò un
lungo sospiro. “Non posso credere di stare per assistere ad
una cosa del genere.
James è un idiota.”
“Comprovato.” Confermò Tom scostando un
ramo pendente per farli passare.
“Dobbiamo
fermarli!”
“E come
Lils?” Chiese Al con
aria frustrata, guardando le schiene dei due contendenti.
“Anche se andassimo a
chiamare un professore, tempo che torniamo e si sono già
scaricati addosso
almeno una ventina di incantesimi…”
“Ma tu sei un
Caposcuola!”
“Sì, ma loro non sono sotto la mia
autorità. Sören è di Durmstrang, e James
non
è più uno studente…” Le
spiegò con dispiacere. “Non ho il potere fattuale
di
fermarli. E anche su quello fisico, temo di non esser messo
meglio…”
Lily si morse un labbro. Li
distaccò per raggiungere l’amico, che camminava
immediatamente dietro a James,
scuro in volto.
Devo
tentare almeno con lui!
“Ren!”
Lo apostrofò con
urgenza, prendendolo per un braccio. Lo sentì irrigidirsi,
come se gli avesse
appena dato una frustata. Lasciò immediatamente la presa.
“Ti prego, lascia
perdere!”
“Non posso.” Fu la risposta, ma se l’era
aspettata. Sören dava l’idea di uno
estremamente ligio al proprio codice di comportamento e tutta quella
roba che
lei non avrebbe mai compreso.
“Certo che
puoi!” Disse
comunque. “Mio fratello è un deficiente, gli
è partita la brocca! Se mi dessi
una mano e tentassimo di farlo ragionare…”
“Mi ha sfidato a duello, Lilian.” Gli
spiegò, cercando
evidentemente di dominare la collera per non aggredirla. Non ci
riuscì tanto
bene, perché stava guardando male anche lei. “Le
regole dei duelli magici sono
ferree. Se vieni sfidato e rifiuti, sei un codardo. Ed io non sono un
codardo.”
“Certo che non lo sei! Sei un Campione del Tremaghi,
affronterai delle prove
spaventose, come puoi pensare…” Si
fermò, vedendo che a malapena la stava
ascoltando. “Non devi dimostrare niente!”
Sören a quel punto
le scoccò
un’occhiata raggelante, che le fece venire immediatamente
un’intensa voglia di
fare un passo indietro, spaventarsi o urlargli contro.
“Tu non mi
conosci.” Sibilò, e
per un attimo le sembrò davvero che avesse ragione. Aveva
gli occhi freddi,
come due pozzi neri che sembravano invitarla ad entrarci dentro, per
poi
inghiottirla.
Non sembrava il suo solito
Ren. Non sembrava direttamente Ren.
Istintivamente fece quel
famoso passo indietro, quasi sbattendo contro Tom.
“Allora, volete
muovervi? Non
è che ho tutto il giorno!” La voce di James
spezzò quel momento, e Sören le
diede le spalle, raggiungendo l’altro ragazzo. Non prima di
aver però scambiato
un’occhiata con Tom, indecifrabile. Fu poco più di
un attimo e non riuscì a
vedere l’espressione del cugino.
“Tutto
bene?” Le chiese poi
Tom a bassa voce, e fu certa che non volesse farsi sentire da Al, che
al
momento lottava contro la sciarpa impigliatasi in un ramo.
“Sì…
io. Sì.” Confermò due
volte, ma non ne fu sicura neppure una. Si era spaventata, era questa
la
verità. E Tom l’aveva capito.
E
sono certa che non fosse così vicino … Mi ha
raggiunta quando Ren mi ha risposto male?
Tom non le diede la
possibilità di chiedere: andrò piuttosto ad
aiutare Al, borbottando qualcosa
sulla congenita incapacità dell’altro di mantenere
il pathos di certi momenti.
Non le chiese niente, e non
disse niente. Gliene fu grata.
Lily raggiunse i due
contendenti. Si sentiva il cuore battere furioso in gola.
Neppure nelle sue peggiori
ipotesi avrebbe mai pensato che quell’incontro sarebbe potuto
finire con uno scontro. Certo, non
era così ingenua da
pensare che James, maschio alfa della famiglia, avrebbe accolto con
calore un
suo amico maschio, in quanto lei piccola della casa.
Ma
da qui a pensare che si sarebbero puntati le
bacchette addosso…
E
poi perché diavolo tutti pensano che stiamo assieme?!
“Ci serve un
arbitro!” Esclamò
James non appena Lily calcò piede nella radura, improvvisato
campo di battaglia.
“Vuoi farlo tu?”
“Non ci penso neanche.” Replicò cercando
di fargli capire quanto fosse
stupido, e quanto lo detestasse in quel momento.
Il fratello fece una smorfia
di rimando, dimostrando che anche quello stava concorrendo a alimentare
il suo
desiderio di rivalsa idiota verso lo
straniero. “Bene, visto che i due serpentelli si
rifiuteranno sicuramente,
faremo senza!”
“Mi leggi nel
pensiero,
idiota.” Fu la risposta di Al, appena giunto con la sciarpa
in mano. “Se volete
farvi a pezzi, lo farete senza il nostro appoggio.”
Sören non replicò, ma estrasse la bacchetta, gesto
sufficiente.
Lily inspirò.
Che
poi non ho mica capito perché siamo arrivati a
questo punto. Sarò scema, ma davvero non ci
arrivo… È una reazione esagerata!
Chi l’aveva
più sorpresa, e
non in positivo, era stato Sören.
Non
avrei mai pensato che avrebbe accettato. È molto
più maturo così.
Anche
se certo… è un ragazzo. E certo… non
lo conosco
davvero.
Era questo a farle
più male di
tutto.
Si sedette accanto al
fratello
e a Tom, maturando una lenta e inesorabile consapevolezza.
Non conosceva davvero
Sören. Di questo ne era certa
anche senza usare i suoi poteri.
E
forse dovrei usarli…
Forse non sarebbe dovuto
arrivare a quel punto.
Una parte di sé
in quel
momento gli stava urlando contro, sostenendo che stava commettendo un
errore di
valutazione enorme.
Suo zio gli aveva ordinato di entrare in contatto con la
famiglia Potter.
E lui si stava preparando a
prendere a calci nel sedere – seppur magicamente –
il primogenito.
Non era la missione, quella.
Non c’entrava nulla. Era lui che non riusciva a tollerare
l’idea di essere
insultato da un simile, tracotante idiota.
Aveva passato
l’intero
incontro con i nervi tesi. Aveva conosciuto Thomas, aveva notato che
questi non
era stato affatto convinto dalla sua interpretazione di Luzhin. Questo
l’aveva
reso nervoso, enormemente. L’aveva mascherato bene. Era
andato tutto splendidamente
finché non era arrivato quel James Potter, fino a quel
momento solo uno dei
tanti membri della famiglia che non avrebbe dovuto incontrare
direttamente.
L’aveva insultato. E con il chiaro intento,
seppur ridicolo, di umiliarlo.
Per
il puro gusto di farlo…
Odiava quel genere di mago.
E non poteva dare
interamente
la colpa al suo temperamento. Gli era stato inculcato, sin da bambino,
che
tutte le offese ricevute dovevano essere lavate nel sangue.
Naturalmente non aveva
intenzione di uccidere James Potter.
Ma
dimostrargli chi sono … anche se solo un poco…
questo sì.
“Pronto
Ren?” Gli chiese quello
con un ghigno che trovava irritante più di un intero
cespuglio di ortiche.
Per
un paio di mesi in un centro d’addestramento ti
credi superiore a me?
“Sì.”
Lo informò comunque,
perché la forma era importante. Lo era sempre. Gli diede le
spalle e contò i
passi necessari a distanziarsi.
Non voleva guardare Lily:
sapeva di aver sbagliato tutto con lei, di averla spaventata e persino
Thomas
glielo aveva fatto notare, avvicinandosi – e non sembrava un
tipo protettivo.
Al momento non gli
importava.
Erano mesi che dissimulava,
sorrideva, fingeva. Non era mai stato così tanto tempo
qualcun altro, anzi,
persino nelle missioni più complesse e delicate era sempre
stato se stesso.
Era una sensazione
straniante,
gli faceva pensare, desiderare cose che non erano reali, non per lui.
E questo lo confondeva, lo
frustrava.
Era arrivato ad un punto di
rottura, e se n’era accorto solo quando James Potter
l’aveva stuzzicato.
Non sarebbe potuto tornare
indietro neanche volendo.
Si voltò,
espirando, e tese la
bacchetta di fronte a sé, un movimento ripetuto tante di
quelle volte da essere
diventato naturale come respirare. O quasi.
“Bacchette pronte
al mio via…”
****
Londra,
Ministero della Magia. Dipartimento Per la
Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio
di Draco Malfoy.
“Il Ministero
Americano vuole
Thomas…?”
Malfoy inarcò le sopracciglia, come se fosse perplesso dal
sentirgli ripetere
la frase pronunciata poco prima.
Non aveva mai avuto modo di
parlare veramente con Draco durante la loro adolescenza. Solitamente,
le loro
conversazioni finivano subito in rissa. Harry si era accorto, in ogni
caso, che
era tipico dell’altro usare principali, poche subordinate e
in generale essere
piuttosto stringato.
Aveva detto una sola frase,
ed
era bastata per spalancargli un mondo di interrogativi.
“Immagino che
ormai l’avessi
capito da solo…” Disse intanto quello.
“Un agente del DALM americano che presenzia
al processo, che poi insegue il tuo figlioccio fino in
Scozia… Indizi
abbastanza indicativi, direi.”
“Sì, questo l’avevo capito. Ma
perché?”
Il biondo scosse la testa,
abbandonandosi sullo schienale della poltrona. Fece un gesto vago con
la mano.
“Per chi è, naturalmente. Un tipo interessante, se
capisci cosa intendo…”
Harry si sfregò la fronte, dove un tempo era la cicatrice,
con forza. L’idea
che degli stranieri cercassero di impossessarsi – era quello
il termine giusto
– di Thomas, come se fosse una cosa, lo mandava su tutte le
furie.
Aveva provato sulla propria
pelle quella sensazione. La sensazione disgustosa di sentirsi oggetto
di
interesse da parte del potere costituito. Come Scrimgeour aveva fatto
con lui.
Non voleva che accadesse lo
stesso a Tom.
“Ma
perché proprio gli
americani? Dall’Europa li divide un oceano…
perché sono così interessati a ciò
che accade qui?”
“La Thule ha agito
anche da
loro. Se ne sentono minacciati quanto noi. Inoltre, l’ho
sperimentato con i
miei occhi, sono molto più avanzati in ogni campo della
Magia. Non sono rimasti
fermi all’epoca di maghi come Silente.” Draco si
alzò dalla scrivania, andando
alla vetrata, dandogli le spalle. “… Sono i nostri
cervelli che vogliono.”
“… Scusa?”
“È un modo di dire di origine babbana, dovresti
conoscerlo. Fuga dei cervelli.”
Replicò l’altro con
un ghignetto. “In Europa abbiamo un grande potenziale, menti
brillanti. Ma
spesso i nostri governi le soffocano, preferendo mantenere lo status quo. Il Ministero inglese non
è
diverso. Siamo dei conservatori, Potter. Lo siamo sempre
stati…” Fece una
pausa, inarcando un sopracciglio che ad Harry ricordò
mostruosamente il modo di
fare di Piton. “Politica, capisci ciò di cui sto
parlando?”
“Non hai davanti un ragazzino, Draco.” Lo
rintuzzò infastidito. “E abbiamo
fatto molto, dopo la sconfitta di Voldemort.”
“Certo, se per molto intendi allontanare i Dissennatori da
Azkaban, cosa che
non doveva neppure essere discussa e dare qualche riconoscimento a
esseri come
i Centauri o … gli elfi domestici.” Fece una
smorfia seccata. “Ma io ti sto
parlando di scienza. Innovazione.
Gli
Americani, in questo, ci sono superiori. Avrei mandato mio figlio a
Salem, se
fosse stato possibile. Purtroppo non abbiamo accordi bilaterali in tal
senso.”
“Non capisco
questo cosa
c’entri con Tom…”
“Il tuo ragazzo è l’innovazione che
cercano.” Lo guardò esasperato. “Un
corpo,
umano, tornato alla vita dopo aver ricevuto un’anima.
È alchimia ad altissimi
livelli. È la prova che si può tornare dalla
morte… Gli americani cercano menti
brillanti, ma lui è il famoso uovo di Chimera.”
Alla sua espressione attonita,
fece un mezzo sorriso, indovinando il corso dei suoi pensieri.
“Sorpreso che io
sappia certe cose? Potter, faccio parte di un ufficio che si occupa
delle relazioni
internazionali tra maghi. Noi qui sappiamo tutto.
Siamo l’ufficio di riferimento dell’agente Scott.
Il tuo protetto è un affare
che non riguarda solo l’Inghilterra.”
“Quindi…
vogliono studiarlo?”
Draco fece un lieve cenno della testa. “Sì, ma non
come una cavia. Sono più
furbi di così. Scott è qui per offrirgli
l’ammissione all’Istituto Magico di
Salem², uno dei più importanti centri di ricerca
magica del mondo. Non appena
si sarà diplomato, naturalmente.”
“Vogliono
comprarlo…”
“Esattamente, Potter.” Confermò.
“Vogliono portarlo in America, ma vogliono che
venga con loro di sua spontanea volontà. Non possono
rapirlo, ma possono persuaderlo.”
“Tom non cadrebbe mai in una trappola simile.”
Draco gli lanciò
uno sguardo
divertito. “E chi ti dice che il tuo figlioccio la vedrebbe
come tale?”
Harry non rispose. Draco
aveva
un punto: Tom, nella lettera che gli aveva spedito, non aveva accennato
a nulla
del genere.
Ma
se questa proposta gliel’avessero già fatta?
Il fatto che non gliene
avesse
parlato, significava solo che non voleva metterlo a conoscenza della
cosa.
E
la cosa non mi piace.
Naturalmente non era come
l’anno scorso. Doveva avere due pesi e due misure: un offerta
lavorativa in
America non era come nascondergli John Doe.
“È
tutto qui quello che dovevi
dirmi?” Chiese, o meglio se lo sentì dire. Aveva
la testa da tutt’altra parte.
Malfoy sembrò
accorgersene,
perché schioccò la lingua in un moto di fastidio.
“Merlino Potter,
è davvero
difficile tenerti concentrato su discorsi più lunghi di una
chiacchierata da
pub, vedo…” Fermò una sua protesta.
“Non
ho finito. Non era questa l’informazione che volevo
passarti, visto che si
tratta di qualcosa che già potevi capire da solo. Era solo
qualcosa che
immagino avresti voluto sapere.”
“Allora
cosa?”
Draco sembrò
vagamente
lusingato dall’avere di nuovo la sua attenzione. Era ancora
quel vanesio
ragazzino, dopotutto.
“Si tratta di un
informazione
confidenziale. Il Ministero americano ha un ufficio incaricato della
sorveglianza della Thule. È da lì che sono venuti
quei due agenti, compresa la
Hardcastle, l’anno scorso.”
“… Quindi?”
“Quindi, si dà il caso…”
Staccò le parole, con esasperazione. “Che abbia
qualche
amico là. E credimi, Potter, voi auror avreste molto da imparare.”
Harry non si lasciò fuorviare dalla frecciatina.
“Cos’hai scoperto?”
Malfoy per un momento
tradì
evidente preoccupazione. Avrebbe capito solo dopo il perché.
“Dissennatori,
Potter. La
Thule pare si stia interessando ai Dissennatori.”
****
Parco
di Hogwarts.
A Teddy sembrava
incredibile,
ma era lui a stare dietro alla professoressa McGrannit, mentre questa,
quasi
centenaria, incedeva con energia verso i cancelli di Hogwarts, pronta a
smaterializzarsi.
È
davvero una strega potente… usare la
Materializzazione a quest’età…
Neville era corso in sala
professori, poche manciate di minuti prima, trafelato.
“Hannah
mi ha appena chiamato via camino, c’è uno
scontro tra studenti ad Hogsmeade!” Si era allenato la
cravatta. Era sporco di
terriccio ovunque. “Io sono impegnato con… beh,
nelle serre, ma qualcuno deve
andare a controllare!”
Ted,
che stava consultando gli appunti per la lezione
di lunedì aveva alzato lo sguardo in tandem con la
professoressa McGrannit, che
al momento stava prendendo il the con Vitious. Erano gli unici
professori presenti
al momento.
Il
piccolo preside aveva tirato un grosso sospiro. “Di
chi si tratta?”
“Mia
moglie ha detto che sono uno studente straniero
e…” Qui aveva fatto una pausa e aveva fissato Ted,
che aveva avuto un orrendo
presentimento. “… James Potter.”
“James?”
Effettivamente sapeva che doveva incontrarsi
con i fratelli.
E
l’amico di piuma di Lily. Il Campione di Durmstrang.
“Qualcuno
deve fermarli, prima che sorga un guaio
diplomatico con Beaux-Batons o con Durmstrang…”
Era stato praticamente un ordine,
anche se formulato in maniera gentile.
Ted
si era alzato, riponendo accuratamente fogli e
libri dentro la sua cartella.
“Vado
io preside… non si preoccupi.” Aveva sospirato,
rassegnato dall’inevitabilità del suo karma.
“La
accompagno.” Era stata la McGrannit a parlare, e
Teddy si era voltato, probabilmente con una faccia estremamente stupida
perché
la donna gli aveva rivolto uno sguardo perplesso. “Per caso
non sono gradita?”
Aveva chiesto infatti.
“No,
no… assolutamente! Cioè, certo che è
gradita… ehm.”
Aveva concluso, mentre Neville nascondeva un sorriso dentro un
tentativo di
tossire e Vitious faceva generosamente finta di nulla.
Un
giorno avrebbe avuto ragione della suo essere
imbranato. Forse.
“Vogliamo
andare, professor Lupin?”
E si tornava al momento
presente.
La McGrannit tirò
fuori la
bacchetta, pronunciando un breve incantesimo che fece muovere i pesanti
cancelli della scuola.
“La ringrazio per
essere
venuta…” Si sentì in dovere di dire.
“Non saprei neppure come gestire la
situazione, da solo…”
“È
piuttosto delicata.” Convenne
la donna. “Ma immagino che un Potter renda sempre una
situazione particolarmente
delicata…”
Teddy sorrise. Aveva sempre pensato che l’ex-preside, ora
professoressa, fosse
dotata di un’ironia acuta e sottile.
Sperava davvero che James
non
avesse fatto qualcosa di stupido come sfidare a duello il Campione di
Durmstrang.
Anche se non era molto
fiducioso in tal senso. James era un autentico genio nel combinare quel
genere
di disastri. Con l’età si erano diradati, certo,
ma i pochi che ancora faceva avevano
dimensioni epiche.
Sarebbe stato proprio
da lui litigare con un allievo
di una delle due scuole ospiti e sfidarlo a duello.
Sospirò mentre
varcava i
cancelli, pronto a smaterializzarsi. La donna gli lanciò
un’occhiata perplessa.
“È
solo… che non è la prima
volta.” Dovette spiegare. “Con James.”
Aggiunse.
“Pensi per me. Ho
avuto ben
due generazioni della sua famiglia, e tre per i Potter.”
Stirò un mezzo
sorriso. “Perlomeno lei è un professore. Spero che
abbia più ascendente di suo
padre con Black e Potter.”
“Non lo chiamerei ascendente…”
All’occhiata confusa, arrossì fino alla punta
dei capelli – nel suo caso non era una metafora.
“Ehm. Meglio fare in fretta.”
****
“Jamie, falla
finita!”
“Andiamo, stai
diventando ridicolo!”
James non poteva farla finita. Anche se a chiederglielo era Lily, la
sua
adorata sorellina. O quel rompipalle di Al.
Si rialzò
dolorante,
dall’ennesimo incantesimo castato dalla bacchetta dello
straniero.
Era forte, il maledetto.
Inspirò
lentamente, sentendo i
polmoni comprimersi in maniera spiacevole. Era certo di essersi rotto
una
costola, o forse no. Gli incantesimi lanciati da quel tipo, che adesso
gli
stava di fronte in una posa quasi rilassata, erano precisi. Ma non
erano potenti.
Non stava neanche attaccando.
Era questo a mandarlo in
bestia.
Non
sta facendo sul serio!
Era riuscito solo a
lanciargli
uno stupeficium, che
l’altro aveva
parato con un sortilegio scudo mai visto prima, considerando che gli
aveva
rimandato indietro il colpo, e solo per tutto l’allenamento
che faceva era
riuscito a schivarlo.
Il
mio stesso colpo…
“Dovresti dar
retta ai tuoi
fratelli…” Gli disse il bastardo. Era certo
però di stare innervosendolo. Il
duello non si era concluso in una manciata di attimi, come sicuramente
aveva
sperato.
Spiacente
bello, sono un osso più duro di così.
Non gli piaceva. Non era
solo
la sua faccia – peraltro odiosa – e neppure il
fatto che l’avesse trattato da
idiota analfabeta. Che già questo sarebbe bastato e
avanzato. C’era qualcos’altro
che lo irritava, oltre la sua supponenza.
O forse no. Forse
semplicemente gli stava sull’anima e aveva una voglia matta di dargli una lezione di
umiltà.
“Dove hai imparato
a duellare,
eh?” Chiese, ignorando gli sguardi dei fratelli e di Thomas.
Finché duellavano
non si
sarebbero azzardati ad avvicinarsi. E a strigliarlo a dovere.
“A
Durmstrang.”
“Puttanate. Non ti insegnano a duellare così, in
nessuna scuola.”
“Evidentemente non sei mai stato nella mia.”
Replicò quello senza scomporsi.
Era una sfinge.
Ecco
cos’è… Non riesco a capire che tipo
sia.
Durante un duello, gli era
stato ripetuto fino alla nausea all’Accademia ma ne aveva
già avuto un assaggio
nei racconti dei suoi genitori, si poteva arrivare a comprendere
l’avversario.
In
un duello capisci chi hai davanti. Senza schermi.
Invece quel Sören
non stava
lasciando trasparire niente. Lo
teneva a distanza, sia fisica che emotiva. A parte lo sfogo in cui
aveva
accettato la sfida, non si era più scoperto.
Non
è normale che un diciassettenne si comporti
così… Che
razza di mostro di autocontrollo è?
“Impedimenta!”
Gridò, ma l’incantesimo venne riflesso
dall’ennesimo
scudo, prima di tornare indietro con rinnovata violenza. James lo
schivò per un
soffio, cadendo a terra per lo spostamento d’aria.
Di
nuovo, dannazione!
Sören non
commentò, ma a James
non sfuggì il vago sorrisetto che gli aleggiò
sulle labbra.
“Cos’hai
da ridere!? Prendi
questo duello sul serio!” Gridò, sentendosi il
viso scottare di rabbia e
vergogna. Lo stava umiliando.
Come a voler confermare quel
suo pensiero, Sören inarcò le sopracciglia.
“Non credo ce ne sia bisogno… Sei
lento. E prevedibile.” Aggiunse.
James sentì la
collera
montargli nel petto. Una parte di sé, la stessa che non
voleva ascoltare i
fratelli, sapeva di starsi comportando come un idiota.
Ha
accettato il duello, però fa sembrare me il coglione
rissoso!
Era andato tutto storto.
Ti
toglierò quella faccia immobile, stronzo!
Doveva avvicinarsi, era
l’unico modo per aver ragione della sua guardia. Era certo, sicuro, che una volta arrivato
sufficientemente vicino sarebbe riuscito a colpirlo.
Non
ha fatto altro che mandarmi indietro i miei
incantesimi e gettarmi gambe all’aria, quindi non vuole che
mi avvicini… Voglio
e devo fargli perdere le staffe! È l’unica
possibilità che ho per mandare a
segno un colpo!
L’illuminazione
gli arrivò
come un fulmine, perché poteva non essere il più
brillante del mucchio, ma la
sua testa in azione funzionava. Eccome.
E sorrise.
Quel Potter non era la
delusione che si sarebbe aspettato. Era sì, lento e
prevedibile, ma molto meno
di quanto si fosse aspettato da un ragazzotto inglese cresciuto come
figlio
d’arte e in tempo di pace.
Aveva un buon potenziale
magico, ed era intuitivo. Aveva inoltre un’ottima sincronia
con la sua
bacchetta.
Se fosse stato allenato fin
da
bambino come lo era stato lui, fino a farsi sanguinare le mani e
sentirsi ad un
passo dallo svenire, probabilmente sarebbe stato un opponente capace di
metterlo in seria difficoltà, forse persino di batterlo.
Ma
gli manca l’esperienza… Ed è troppo
impulsivo.
Poi lo vide sorridere.
Non riuscì a fare
mente locale
che l’altro puntò a terra la bacchetta, a pochi
metri da lui e gridò.
“Reducto!”
L’incantesimo si
infranse
assordante sul terreno, sollevando una nuvola di foglie e polvere che
lo
investì completamente.
Sören fece un passo
indietro,
cercando di coprirsi il viso. Aveva gli occhi pieni di polvere e terra.
Abbassò la
guardia. Se ne
accorse nel momento stesso in cui sentì qualcosa, qualcuno
vicino a sé. Sentì
anche Lily trattenere il respiro.
…
Cosa…?
“Beccato,
stronzo!”
E qualcosa
impattò contro il
suo naso. Un pugno.
Crollò a terra,
sentendosi la
testa esplodere di dolore e il naso come una scheggia di vetro.
“James,
no!”
Quella era decisamente la voce di Lily. Aprì gli occhi,
sentendoseli bruciare
come se ci avessero colato cera liquida.
James Potter stava a pochi
passi da lui, la bacchetta stretta nel pugno sinistro. Se la
passò nella mano
destra, puntandogliela contro.
“Non sei questo
granché se ti
stende un pugno, crucco…” Ghignò
soddisfatto. “Fatto male?”
Sören aveva sempre
saputo di
non essere in grado, talvolta, di gestire le proprie emozioni.
C’era da dire
che nessuno si era mai preso la briga di spiegargli come reagire a
certe
situazioni.
Nessuno l’aveva
mai picchiato
in quel modo barbaro e offensivo. Nessuno.
Nessuno si
doveva permettere.
Si rialzò in
piedi, ignorando
il dolore, concentrato su quel ghigno odioso. L’aveva
già visto in bocca ad
altra gente. A John Doe, quando lo chiamava ‘bambino
impaurito’ … a suo zio.
Odiava quel
sorriso.
Lily avrebbe tanto voluto
essere forte. Come sua nonna, davvero, per una volta avrebbe voluto
avere la
forza di sua nonna, o di Rosie, per poter prendere la bacchetta e
separare suo
fratello e Ren.
Probabilmente
non funzionerebbe lo stesso, altrimenti
Al ci avrebbe già provato…
“Sono troppo
lontani l’uno
dall’altro per farli separare da una
barriera…” Le aveva spiegato.
Aveva quindi seguito
impotente
e arrabbiata lo scontro. Era privo di senso e suo fratello si stava
solo
rendendo ridicolo.
Poi James aveva trovato il
modo per sbloccare quello stallo. Aveva distratto Sören con
uno stratagemma ed
era riuscito ad avvicinarsi. Gli aveva dato un pugno in faccia,
seguendo il suo
istinto da rissaiolo cretino.
E
adesso…
Adesso Lily sentiva le
emozioni di
Sören.
All’inizio del
duello aveva
deciso di togliersi l’orecchino di controllo, e fino a quel
momento aveva
pensato che fosse stato un gesto inutile. Non si era sentita diversa o
non
aveva sentito niente di diverso.
Poi l’amico aveva
ricevuto
quel pugno in piena faccia, ed era caduto. Lei aveva gridato.
E
adesso
la
sentiva. Chiara e forte come se fosse sua, quell’emozione.
Era rabbia.
Tanta di quella rabbia che
si
era sentita mozzare il respiro ed appannare la vista.
“Lily?”
Si sentì afferrare per
un polso da Al. “Lils, che hai?”
Non fece in tempo a rispondere -
che
espressione aveva per distogliere l’attenzione di Al dallo
scontro? – che Sören
si rialzò di scatto. Mosse appena la bacchetta, senza
emettere una parola – un
incantesimo non verbale? - e James fu scaraventato violentemente
all’indietro.
Lily osservò
immobile il
fratello sbattere contro il tronco di un albero e crollare a terra con
un
lamento.
“No, ehi! Fallo
rialzare!” Sbottò
Al, mentre Tom lo bloccava dal frapporsi trai due.
Sören per tutta
risposta non
sembrò intenzionato a dargli retta, come regole imponevano.
È
furioso. Non vuole fermarsi, vuole fargliela pagare…
Ma non c’era solo
rabbia. Lily
non sentiva solo rabbia.
È
paura.
Ha
paura. Ma cosa…?
Finì in un
attimo. Quando
Sören aprì bocca per pronunciare
l’incantesimo una folata di vento e luce si
frappose tra lui e James.
Una
materializzazione!
Qualcuno gli
afferrò il polso.
Teddy gli afferrò il
polso.
“Basta
così.”
E quelle sensazioni
sparirono
di colpo. Lily si accorse di essersi alzata in piedi. Aveva camminato
verso di
loro, e non se ne era resa conto.
Oh,
cavolo…
Sören in compenso
sembrava una
statua di sale. Fissava Ted come se lo considerasse una specie di
apparizione. Cosa
che, in effetti, era.
Ted invece aveva
quell’espressione seria, che Lily gli aveva visto raramente
in viso, quella che
precedeva un bel po’ di guai se non gli fosse stato data
retta.
“Il duello
è finito…” Continuò
senza mollare la presa. “Oltretutto, il tuo avversario
è a terra.”
Sören
sembrò finalmente rendersi
conto di cosa stava succedendo. Si irrigidì e fece un lieve
cenno della testa.
“Sì…”
Disse soltanto. “Certo.”
Abbassò il braccio che reggeva la bacchetta e Teddy lo
lasciò andare, per
chinarsi ad aiutare James a rialzarsi.
Albus accanto a lei
inspirò
lentamente. Lily notò che stringeva la bacchetta in pugno, e
lo stesso faceva
Tom. Avevano delle espressioni tese, entrambi.
Quindi Sören aveva davvero tentato di fare del male a
James?
“Signorina Potter,
si sente
bene?”
Lily sobbalzò quando sentì la voce della
professoressa McGrannit accanto a sé.
Perché la professoressa era
accanto a
sé. E lei non l’aveva neanche notata fino a quel
momento.
Spero
che si sia materializzata e non sia qui da un
po’, perché giuro, sto perdendo colpi…
“Beh…
sì.” Annuì confusa.
“Perché
me lo chiede? Non ero io che stavo duellando…”
“È molto pallida.” Il tono della strega
era definitivo e non dava spazio di
replica. Lo disse senza staccarle gli occhi di dosso, mettendola tra
l’altro abbastanza
a disagio. “Segua il professor Lupin e suo fratello in
infermeria.”
“Ma sto
bene!” Tentò
comunque, anche se si sentiva girare la
testa. Era per via dell’orecchino? Era perché se
l’era tolto?
“Dai
Lils…” La incoraggiò Al,
passandole un braccio sulle spalle. “Dà retta alla
professoressa, non hai una
bella cera… Ti sei presa un bello spavento
dopotutto.”
“Io…”
Sospirò, vinta. “Okay.”
Non sapeva neanche cosa
pensare. Era tutto accaduto così in
fretta. Del resto il duello non poteva che esser durato una
decina di
minuti.
Massimo.
Probabilmente non aveva
senso
farlo, ma lanciò lo stesso un’occhiata a
Sören. Il ragazzo intercettò il suo
sguardo, ma lo distolse subito. Gli sanguinava il labbro, e cercava di
tamponarselo con un fazzoletto.
James
l’ha colpito in bocca… Deve avergli fatto
male…
La McGrannit a quel
puntò
lanciò un’occhiata anche a lui.
“Lei.” Scandì. “Il suo
nome.”
“Sören.” Rispose meccanicamente, poi ebbe
un’esitazione ma forse fu solo
un’impressione di Lily. “… Luzhin.
Sören Luzhin, allievo di Durmstrang.”
“Bene Signor Luzhin, venga con noi. Dovrà spiegare
l’accaduto al suo
referente…” Magari fu un’altra
impressione, ma la donna lo guardò come se lo
conoscesse.
“Sissignora.”
Mormorò Sören docilmente.
E
non è possibile… no?
Lily si sfiorò il
lobo,
rendendosi conto solo in quel momento che l’orecchino non se
l’era ancora
rimesso.
****
Londra,
Ministero della Magia. Dipartimento
Per
la Cooperazione Magica Internazionale.
Ufficio
di Draco Malfoy.
“Che significa Dissennatori?”
Harry sapeva a
volte di fare
la figura dell’idiota ripetendo le cose un paio di volte. Era
una deformazione professionale
dell’agente Auror. Ripeterle significava metterle in dubbio,
ma non solo. Permetteva
all’altro di rendersi conto della portata delle proprie
affermazioni.
E
questa è… gigante.
Purtroppo
però Draco Malfoy appartiene al primo tipo di
interrogati. Quelli che ti considerano un idiota duro
d’orecchio.
“Potter, questa
mania di
ripetere le cose…” Disse infatti, con fastidio.
“Dissennatori, penso tu li
conosca bene.”
Harry annuì, mentre i ricordi lo aggredivano, facendogli
scendere un rivolo
gelido di sudore lungo la schiena. Anche a distanza di anni quello non
era un
ricordo che era riuscito a digerire del tutto.
Quelle creature orrende non
erano ovviamente sparite con l’allontanamento da Azkaban ad
opera di
Shacklebolt: era impossibile ucciderli. Erano invece state relegate in
un’area
disabitata dell’Islanda.
E
lì dovrebbero trovarsi al momento…
“Come hai avuto
quest’informazione?”
Malfoy arricciò le labbra in un sorrisetto appuntito.
“Questo Dipartimento,
Potter, assieme all’architettura decisamente più
gradevole di quella degli
altri livelli, ha anche molte porte. Che portano ad altri
Dipartimenti…” Gli lanciò
un’occhiata penetrante. Non glielo
voleva dire, era ovvio.
Harry non si diede per
vinto.
“Non hai risposto
alla mia
domanda, Draco…” Non l’avrebbe chiamato
per cognome, anche se forse l’altro ci
sperava. “Come hai avuto queste informazioni? Prima di fare
certe affermazioni
dovresti darmi dei fatti concreti.”
“La Divisione Bestie.” Sbuffò quello,
parzialmente vinto. “Hanno funzionari
dislocati su tutto il territorio, soprattutto per monitorare esseri
come i
Draghi.”
“E…?”
“E li hanno visti, Potter. Una ventina di Dissennatori che si
aggiravano per le
highlands.” Lo
fermò prima che
potesse obbiettare che la cosa avrebbe avuto dovere una certa
risonanza. “… il
fatto è che, da ulteriori accertamenti, non ne è
stata trovata traccia.”
“Quindi le
indagini non sono
partite…”
“Già. Tra l’altro, i testimoni erano due
ragazzi usciti da Hogwarts l’anno
scorso. Hanno ritenuto che fossero due adolescente
suggestionabili.” Fece un
gesto vago. “La nebbia, la pioggia, il cattivo
umore… ed hanno chiuso il caso.”
“Sì, ma… come fai a collegare questo
alla Thule?”
Draco schioccò le
labbra in
suono contrariato. Harry avrebbe voluto fargli notare che non era nella
sua
testa, e che quindi i suoi contorti ragionamenti mentali da politicante
proprio
non li capiva.
Lì ci sarebbe
voluta Hermione.
“Prima di tutto,
Potter, non
sono io che faccio i collegamenti. Semplicemente, mi
informo. Non sono tempi chiari, questi…”
Commentò asciutto,
prendendo tra le dita un tagliacarte e saggiandole la lama con
l’indice. “Secondo,
come ti ho già detto, ho
parecchi amici al DALM americano. Visto che la Thule ha liberato dei
Naga nella
scuola di mio figlio, ho preferito sapere se ci fossero altro in
ballo…”
“Come i
Dissennatori?”
“Esatto. La Thule non ha smesso di cercare di portar via il
tuo ragazzo…” Fu la
risposta. “È qui, anche se non si sa sotto quale
mantello si nasconda. Se fossi
in te, terrei gli occhi incollati al mio figlioccio.”
Harry si passò una mano trai capelli, frustrato.
C’era molto, di quella storia,
che non gli tornava.
Prima di tutto, Draco che si
offriva di dargli informazioni. Certo, erano uomini adulti, ma ancora
gli
riusciva difficile credere che l’ex compagno di scuola
volesse davvero onorare quel debito
a viso aperto. Ma quello era
l’ultimo dei problemi.
C’era troppa roba
in ballo, e
lui non aveva l’autorità o il diritto di mettersi
in mezzo. Quella lezione l’aveva
appresa dolorosamente l’anno prima.
Sì…
ma se mi vengono dette queste cose… Come faccio a
non farlo?
“Io sono un auror,
Draco… Non è
il mio ufficio che si occupa del servizio di sicurezza del Torneo, ma
quello di
Zacharias Smith.” Obbiettò comunque, cauto. E poi
c’era dell’altro. “Posso
sapere chi ti ha dato questa informazione? Della Thule connessa
all’apparizione
dei Dissennatori, intendo.”
“L’agente Scott.” Fu la risposta.
Scott…
ancora lui!
“E
perché te l’avrebbe data?”
“Non ne ho idea…” Stirò le
labbra in una smorfia, e ad Harry per un attimo
sembrò perplesso quanto lui. “Non siamo mai stati
nel genere di rapporti, sia
professionali che non, per cui avrebbe dovuto farmi una confidenza del
genere. Ma
l’ha fatta. E non stava mentendo.” Fece una pausa,
posando il tagliacarte. “Me
ne sarei accorto.”
Harry a quel punto capì. “Voleva
che
tu me lo dicessi. A me, di persona. Sa che ci conosciamo?”
“Dall’altro lato dell’Oceano sanno molte
cose di te…” Fu la risposta
diplomatica. Non che se ne aspettasse una diversa. “E
sì, penso che fosse
questo il suo scopo.”
“Ma
perché? Non hanno fatto
altro che nascondere informazioni su Thomas, sulla Thule…
Perché adesso?”
Draco si strinse nelle spalle, un gesto così disarmato che
ad Harry fece capire
che persino il suo acuto nemico d’infanzia non sapeva che
pesci prendere.
E
Malfoy potrà essere molte cose, ma non è di
sicuro
uno stupido… Gli stupidi non sopravvivono a quello che ha
passato lui. Specialmente
non arrivano fino al Dipartimento Cooperazione.
Poteva non fidarsi
totalmente
di Draco, ma aveva fiducia nella sua capacità di studiare le
persone.
Del
resto anche quando eravamo ragazzi sapeva
esattamente come e quando colpirmi…
Non sapeva se
l’altro sapesse,
e glielo stesse nascondendo. Ma dando retta al suo istinto –
stupidamente grifondoro
o meno - … no, Malfoy stava dicendo la verità.
Ne
sa quando me.
“Potter, se avessi
un’idea in
merito a questa faccenda, farei in modo che
l’eroe…” Replicò infatti
ironico,
ma tutto sommato non livoroso. “… ne fosse a
conoscenza. In quella scuola c’è
mio figlio, ed è uno dei Campioni.”
“Sì, lo
so.” Ad un’occhiata
dell’altro, capì che doveva aggiungere qualcosa.
Per amor di pace. E perché era
certo che sarebbe servito in seguito. Una delle sue sensazioni.
“È un ragazzo in gamba, Scorpius. I miei figli lo
stimano molto.”
Draco fece una mezza risata, breve e secca. Non era condita dalla
cattiveria
dell’infanzia. Gli si addiceva tutto sommato.
“Ironico, direi.”
“Perché? I figli spesso fanno scelte diverse da
quelle dei genitori. Sono, a
conti fatti, persone diverse.”
Il biondo roteò
gli occhi al
cielo, ma ad Harry non sfuggì l’occhiata sorpresa.
“Merlino, sei rimasto San
Potter…”
Harry sorrise brevemente. Ormai quei nomignoli gli evocavano nostalgia,
più che
irritazione. Non gli dispiaceva neppure poi troppo che Malfoy si
rapportasse a
lui come se fossero ancora nei corridoi di Hogwarts. Probabilmente era
anche l’unico
modo che conosceva.
Sarebbe
stato più semplice se nella nostra adolescenza
avessimo dovuto occuparci solo della nostra avversione
reciproca…
“Sì,
hai un punto a questo
riguardo…” Gli concesse pacificamente.
Draco fece una mezza smorfia. “Cosa intendi fare con quel che
ti ho detto?”
Harry sospirò. “Immagino che per nessun motivo al
mondo, a questo punto, potrò
mancare alla Prima Prova.”
Draco si alzò in
piedi,
facendogli implicitamente intendere che quella conversazione era
arrivata alla
fine. “Ci avrei scommesso galeoni su questa tua ultima
sparata…” Replicò
beffardo. Poi l’espressione tornò seria.
“Con questo considero estinto il mio
debito.”
“Consideri…” Non potè fare a
meno di sorridere. A quel punto doveva dirglielo. “Non
c’è mai stato nessun debito Draco, almeno per
quanto mi riguarda.”
“… Prego?” Doveva ammettere che la sua
espressione sconcertata era piuttosto
divertente. Si guardò bene dal farglielo notare. Lord Malfoy
era conosciuto al
Ministero per avere una straordinaria coda di paglia.
“Per la
testimonianza al
processo… La cosa era tra me e tua madre. Fu lei che ha
mentì a Voldemort
salvandomi la vita. Io in cambio ho salvato la sua famiglia. Per
l’Ardemonio…
non credevo che meritassi di morire per l’errore di qualcun
altro. Tutto qui.
Non ho mai pensato che mi dovessi qualcosa per questo.”
“Ma tu…” Gli scoccò
un’occhiata dapprima scombussolata, poi indispettita, infine
valutativa. Era chiaro che l’avesse preso in contropiede, e
questo travalicava
persino il suo vecchio istinto di dargli addosso. “Questa non
è una mossa molto
Grifondoro, Potter…” Si scollò infine
dal palato, quasi con riluttanza.
Harry sorrise: non sapeva se
sarebbe mai riusciti a provare simpatia l’uno per
l’altro, ma apprezzò lo
sforzo di riconoscergli un merito. Più o meno.
“È da Serpeverde, vero? Beh,
dopotutto mio figlio Albus è il loro Caposcuola. Non penso
abbia preso da
Ginny, in questo caso…” Offrì
insinuante.
Draco gli lanciò
un’occhiata
che gli sembrò quasi allarmata. “Non credo di
voler sapere cosa tu
sottointenda.” Gli lanciò
un’occhiataccia. “E per l’amor di
Merlino, esci
subito dal mio ufficio!”
Harry rise.
****
Note:
1.
Qui
la canzone. Leggete il testo ;)
2. Mia invenzione, facendo
riferimento al MIT (Massachusetts
Institute of Technology). Il fatto che sia a Salem,
beh… devo spiegarlo? xD
|
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Capitolo 23 *** Capitolo XXII ***
Capitolo XXIII
But
that’s just how the story unfolds/ You get another hand soon
after you fold
And when your plans unravel they sayin’ what would you wish
for
If you had one chance?¹
(Airplanes,
B.o.B. feat Hayley
Williams)
Hogwarts,
Infermeria.
Quasi
ora di cena.
Malditesta agghiacciante.
Ecco cosa sentì
James quando
riprese i sensi.
Quello e una fastidiosa
sensazione di compressione alla testa.
Porco
Nargillo, me la sono rotta!
Se cominciava ad imprecare
come uno Scamandro era davvero
messo
male.
Aprì gli occhi
sull’infermeria
di Hogwarts, ma quello se l’era aspettato. Del resto era
svenuto tra le braccia
di Teddy, dopo che si erano materializzati davanti ai cancelli di
Hogwarts.
Forse
non è stata un’idea furba dirgli che stavo bene
prima di smaterializzarci…
Si guardò
attorno: gli altri
letti erano vuoti.
Certo
che da quando non ci sono la gente si comporta tanto
meglio… Dove sono i traumi da Quidditch?
Poi
si ricordò che per quell’anno,
causa Torneo, il Campionato era stato sospeso.
“James…”
E la voce di Teddy, ultimo tassello nel quadro noto dei suoi casini.
Chiuse gli
occhi, cercando di sembrare addormentato, ma ovviamente
l’altro era al suo
capezzale da un po’.
“So che sei
sveglio, non fare
la commedia.” … E infatti.
James quindi
incrociò lo sguardo
severo del professor Lupin, seduto
accanto al letto. Perché ora il suo ragazzo aveva
quell’espressione: da
professore.
Ce
l’aveva anche a dodici anni. Il suo destino era
già
segnato.
“Ehm…”
Disse. Senza
adrenalina, lontano dallo scontro e con un’emicrania epocale
si rendeva conto
che aver sfidato quel tizio non era stata un’idea
brillantissima. “Lo so. Sono
un idiota. Devo crescere. Non posso pensare di fare l’auror
se vado in giro a
sfidare gente di cui non mi piace la faccia.”
Brontolò tutto di un fiato.
Ouch.
Fa male anche parlare.
Teddy inarcò le
sopracciglia.
I capelli, indicatore emotivo, in quel momento stazionavano sul blu,
forse un
po’ più spento rispetto al solito. Poi
tirò un sospiro. “Beh, hai riassunto
quello che volevo dirti.” Le sopracciglia si aggrottarono.
“Si può sapere che
ti è preso?”
“Senti, non era
partita in
quel modo…” Tentò di giustificarsi. Ed
era vero. Okay, la supponenza di quel
cretino straniero gli aveva fatto perdere le staffe, ma aveva pensato
al
massimo di bruciacchiargli un po’ i vestiti.
Quel
tipo mi ha preso troppo sul serio!
“Lo hai sfidato a duello, James.”
Sottolineò con forza. “Cosa
ti aspettavi facesse? I duelli magici sono una cosa seria!”
“Oh, andiamo! Se fosse stata seria gli avrei dato
appuntamento per mezzanotte e
avrei chiamato un arbitro! Era solo una cosa…
un…” Si fermò, perché sapeva
di
essere nel torto, anche senza gli occhi pieni di rimprovero di Teddy.
“Non era
neanche valido!” Protestò comunque,
perché si rifiutava di addossarsi tutta la
colpa.
Teddy scosse la testa.
“Non è
questo il punto. Hai aggredito un ragazzo che non ti aveva fatto
niente.”
“Veramente sono io quello
in
infermeria.” Obbiettò tastandosi la fronte e
scoprendo di averla fasciata da
una benda. “E con la testa rotta!”
“La tua testa non si rompe così
facilmente.” Fu la replica ironica. “Gli hai
tirato un pugno, mi è stato detto. Forse la reazione
è stata spropositata, ma…”
“Oh, puoi dirlo forte! Mi ha scaraventato contro un
albero!”
“… ma
te lo sei meritato.”
Concluse Ted, ignorando la sua espressione sconvolta. “Ti sei
comportato come
uno stupido, con un ragazzo che non ti conosce e non aveva idea delle
tue vere
intenzioni. Non sei più ad Hogwarts, dove tutti conosco il
tuo temperamento e
sanno come trattarti.”
James non replicò, colpito dall’accusa. Una parte
di sé, sapeva
perché aveva combinato quel casino. O almeno,
perché vi
aveva dato inizio senza preoccuparsi delle conseguenze.
Odiava l’idea di
non fare più
parte di quel piccolo ecosistema magico. Era una cosa stupida, ma
l’idea che
sua sorella, la sua sorellina di quindici anni, frequentasse quel tipo
l’aveva
allarmato. O forse era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare
il vaso.
La sua vita fuori
era grandiosa, certo. Ma non era
più come essere a scuola. Niente professori pronti a fargli
capire quando
sbagliava, niente più ordini, regole, orari. C’era
lui, e il mondo. Fine.
Era come essere in
un’altra
dimensione rispetto alle persone che amava.
Perché
sono quasi tutte qui…
“È
stato una serie di cose
dette e … fatte.” Borbottò, ma non
cercò ulteriori giustificazioni. “Non volevo
combinare un disastro diplomatico. Spero
di non averlo fatto.” Aggiunse.
No,
vero? Eh?
“Non
credo. A meno che Luzhin non
denunci l’aggressione… Ma visto che ha accettato
di sua spontanea volontà, gli
sarebbe difficile provare che è interamente colpa
tua.”
“Ma non ci saranno problemi per Hogwarts, no? Insomma, non
sono uno studente…”
Ad un cenno affermativo di Teddy, continuò “E per
me?” Spiò poi con una certa
angoscia. Essere buttato fuori dall’Accademia per quel motivo
gli era sembrato improbabile.
Prima di quel momento.
Ted con suo enorme sollievo
scosse
la testa. “Non sei in servizio, Jamie. Ma una nota
disciplinare non te la
toglie nessuno.”
James sospirò,
stendendosi sui
cuscini, mentre l’emicrania pulsava fievole, ma presente.
Tutto sommato, era
stato fortunato. Teddy e la McGrannit – era inquietante
rivederla nelle vesti
di docente – li avevano fermati in tempo.
Se
non fossero arrivati… Beh, preferisco non pensarci.
Notò con la coda
dell’occhio
che sul comodino c’era una pila di compiti, un calamaio e un
paio di libri.
È
rimasto a vegliarmi tutto il tempo…
E a giudicare dalla
posizione
del sole, oltre i vetri, era un bel
po’
di tempo.
Il senso di colpa non
migliorò
la sensazione di essere stato lanciato contro l’espresso di
Hogwarts.
“Mi
dispiace…” Mormorò, e lo
pensava davvero. Si vergognava come un ladro di calderoni ad aver
ceduto alla
rabbia e al fastidio.
“Non è
a me che devi dirlo.”
Replicò pacatamente Ted. “Dovrai scusarti con
Sören e con Lily. Era sconvolta.”
James non replicò nulla, ma annuì, sapendo che
avrebbe dovuto passare giorni a
strisciare per ottenere il
perdono della sorellina. Sapeva essere impietosa.
“… ma
con te?”
Teddy lo guardò
sorpreso. “Con
me cosa?”
“Scusarmi. Perché ti ho deluso.”
Teddy stirò un
mezzo sorriso.
“Non mi hai
deluso…”
Era stanco, aveva passato
tutto il pomeriggio a vegliare quel cretinetto svenuto. Avrebbe voluto
fargli
una strigliata coi fiocchi, ma quando l’aveva visto aprire
gli occhi con aria
sofferente, l’idea si era sgonfiata come un palloncino.
Era strano che James si
fosse
comportato in quel modo, in ogni caso. Certo, era sempre stato geloso
di Lily e
aveva sempre malsopportato la sua popolarità presso i
ragazzi, ma non aveva mai
trascinato in un duello uno dei suoi corteggiatori.
La verità era che
James, oltre
che con quel Luzhin, sembrava essersi infuriato con la situazione in toto.
“Invece
sì.” Replicò l’altro,
cocciuto. “E se fossi stato al tuo posto, non ci andrei
leggero.”
“Già, per fortuna non lo sei, mh?” Lo
prese in giro, vedendolo arrossire. “Sono
solo rimasto stupito dalla tua reazione.”
“Non lo so…” Fu la risposta borbottante.
“È solo… che scoprirlo
così…”
“Non credo sia il suo ragazzo.” Gli fece notare.
“Certo, come
no.”
“Jamie, Lily non ha mai nascosto certe cose. Probabilmente
è davvero solo un
amico…”
“Sì, ma… resta il fatto.”
“Quale fatto?” Quel breve scambio di battute
riuscì a rendere totalmente muto
James. Persino a farlo girare su un fianco, dandogli le spalle. Segnale
che
qualcosa non andava.
Infischiandosene se qualcuno poteva passare o meno – comunque
non sarebbe
passato, l’infermeria era deserta – Teddy si sporse
e gli passò una mano trai
riccioli arruffati della nuca. Se li era tagliati per
l’ammissione, ma avevano
una ricrescita quietamente straordinaria.
“Jamie…
cosa c’è?” Mormorò
piano. Perché c’era qualcosa, era evidente da come
stava tentando di ignorarlo.
“Mi manca questo
posto.” Buttò
fuori, quasi con rabbia. “Io… mi manca
stare qui.” Non attese la sua risposta, e buttò
fuori, come una diga che si era
rotta per una minuscola crepa. “Non faccio che dire che
vivere a Londra è
favoloso, è tutto uno spasso e un divertimento. Lo
è … ma torno a casa la sera e…
cazzo, sono solo. Non ci sono
Rosie,
Lils, non ci sono gli Scamandro o i ragazzi di Grifondoro. Sono io, una
brandina e … basta.” Lo vide con la coda
dell’occhio mordersi le labbra. “E
tutti qua hanno le loro cose, il Torneo, io arrivo qua e non so niente.
La cosa
mi ha fatto impazzire … l’anno scorso avrei saputo
da ere che Lily fa il filo a
qualcuno.” Tirò su con il naso. “Stasera
ai Tre Manici tutti sembravano saperlo da giorni, ed io… mi
sono innervosito. E
me la sono presa con quel tipo perché ha detto la cosa
sbagliata al momento
sbagliato.” Concluse.
Teddy non disse nulla, ma lo
voltò, mettendoci anche un certo impegno perché
James fece resistenza. Quando
ci riuscì vide che l’altro aveva gli occhi lucidi
e si mordeva un labbro per
impedirsi un singhiozzo.
“Ho capito. Questo
ovviamente
non ti giustifica…” Esordì, poi
all’espressione fragile
di James, sospirò. “… ma immagino di
avere le mie parti di
colpa. Sarei dovuto venire a trovarti più spesso. Avrei
dovuto capire che ti
saresti sentito spaesato.”
“Non sono…!” Obbiettò subito
l’altro con testardaggine orgogliosa.
“Lo sei ed
è normale.” Lo
fermò. “Anch’io mi sono sentito
così quando mi sono diplomato. Passiamo qui
quasi tutto l’anno James, da quando abbiamo undici anni. Si
sta con persone a
stretto contatto, si divide con loro la propria vita… e poi
finisce. È
traumatizzante.”
“Non
sono traumatizzato.” Replicò cocciuto, arrossendo
sulle
orecchie, come sempre faceva quando tentava di mentire e sapeva di non
convincere nessuno. “E poi tra poco si trasferirà
il mio coinquilino. È che…
nessuno si sente così dei ragazzi dell’Accademia,
ed io mi sento un idiota a
sentirmi giù. È quello che ho sempre voluto!
L’Accademia, Londra!”
“Devi solo
abituarti.” Gli
accarezzò la curva del collo. “Credimi,
andrà meglio. Intanto… per stasera,
rimani a dormire qui. Ho già parlato con il Preside e non ci
sono problemi.
Domani usi il suo camino per tornare a Diagon Alley.”
All’espressione
entusiasta di James, si affrettò ad aggiungere.
“Ma non mangerai assieme a
Scorpius e gli altri. Non è un premio, visto quello che hai
combinato. Devi
rimanere sotto osservazione ha detto Poppy, almeno per
stanotte…”
James fece una smorfia, prima di pensare evidentemente a qualcosa e
servirgli
un ghignetto. “Quindi, se ho capito bene… mangio
nella tua stanza?”
“Beh, sì. Nel salottino.”
“Con te.
Perfetto.” Riuscì persino ad
alzarsi a sedere, all’idea. “E mi farai da
infermierina?”
“Jamie…”
“Chiedevo! E poi dai, che potrei fare mai? Ho la testa che mi
scoppia…” Fece un
mezzo sorriso, di quelli timidi che gli uscivano raramente e
trasformavano
Teddy – e il suddetto ne era consapevole – in un
ammasso di gelatina priva di
volontà. “ Voglio solo stare con te. La cosa che
più mi manca di questo posto del
resto sei tu.”
“Jamie, non sono una cosa… ma una
persona.” Corresse per non dirgli che valeva
lo stesso per lui, e che certe volte doveva mordersi la lingua per non
chiedere
a Vitious un periodo di riposo. A Londra.
Gli mancava James. A dirla
tutta, come mai Vic gli era mancata nei mesi in cui lei era in Provenza
e lui
ancora preso dal corso auror. Stare senza di lei era stata dura,
naturale, ma
stare senza James…
…
è come se mi mancasse un pezzo intero di giornata. Quello
più bello.
Sì,
sono innamorato. E stavolta come uno scemo
definitivo.
“Pensa, mi mancano
anche le
tue correzioni pallose! Sto proprio messo male…”
Si corrucciò il ragazzo ignaro
dei suoi pensieri, tirandogli una botta sul plesso solare.
“Dimmi che ti
manco.”
“Lo sai che è vero…”
“Ma guarda un po’, voglio sentirtelo
dire!”
Teddy pensò che
un bacio
avrebbe risolto la situazione molto meglio dei giri di parole.
“Questo
andava bene uguale.” Sussurrò James con gli occhi
liquidi
quando si staccarono. “Ma puoi essere più
convincente…”
Teddy rise.
“Andiamo, scemo…”
****
Hogwarts,
Ufficio del Preside Vitious.
Ora di cena.
“… e
vorremo quindi rinnovarvi
le nostre scuse per l’episodio increscioso avvenuto a
Hogsmeade…”
Sören ascoltò distratto la conclusione del
panegirico del Direttore Jagland.
L’uomo sembrava seccato di dover difendere qualcuno che non
era neppure un suo
allievo. Poteva comprenderlo: essere chiamato nell’ufficio
del Preside di
Hogwarts perché il Campione di Durmstrang, un infiltrato
della Thule, aveva
duellato con un mago inglese era qualcosa che l’uomo non
aveva pensato di dover
mettere in conto quando aveva accettato una cospicua donazione da suo
zio.
Lanciò
un’occhiata al
mezzo-folletto, che aveva un’aria comprensiva che
personalmente trovava
irritante.
Si guardò attorno.
La presidenza era una stanza
caotica,
piena di manufatti e strumenti magici di cui Sören ignorava
perlopiù la
provenienza, tutti assicurati dietro spesse teche di vetro. Avrebbe
voluto
avvicinarsi per leggere le etichette, ma probabilmente era cosa saggia
rimanere
seduto dov’era, di fronte alla scrivania, in atteggiamento
penitente.
Molti dei quadri magici,
raffiguranti ex presidi –
doveva essere
una tradizione inglese quella di appendere ovunque dipinti impiccioni
–
studiavano il colloquio commentando tra di loro a bassa voce.
“Credo che tutti
qui
desideriamo che i nostri studenti vivano in un clima
disteso…” Continuò
Vitious. “Per quanto riguarda James Potter è un
mago brillante, di gran cuore… ma
anche una testa calda.” Vitious gli lanciò
un’occhiata attenta. “… non è
la
prima volta che viene coinvolto in un duello.”
Sören non rispose,
lasciando che
il Direttore parlasse per lui. Del resto era quella la politica di
Durmstrang:
gli studenti non avevano capacità di rappresentarsi,
né di parlare per sé
stessi.
“Il Signor Luzhin
è
mortificato per ciò che ha fatto. Si scuserà
ufficialmente con Hogwarts, se
ritenuto necessario. Se gli sarà assegnata una
penalità nel Torneo per questo… la
accetteremo.”
“Oh, ma
no!” Esclamò il
piccolo preside. “Si è trattata solo di una
scaramuccia tra ragazzi, non c’è
motivo di andare sull’ufficiale. Ritengo che la questione si
possa chiudere
qui… Le scuse che eventualmente il Signor Luzhin
vorrà rivolgere al Signor
Potter sono una questione privata, a cui Hogwarts non
prenderà parte.”
“Naturalmente.” Confermò il Direttore.
Si alzarono in piedi e l’uomo strinse la
mano al mezzo-folletto. Lo fece con disinvoltura, che però
non riuscì a nascondere
un vago fastidio.
Jagland
è un Purosangue da dieci generazioni. Non una
sola goccia di sangue babbano. Starà pensando che Durmstrang
non avrebbero mai permesso
l’ingresso di un ibrido, figuriamoci la sua nomina a
preside…
Sören
imitò comunque il
proprio direttore, senza particolari sentimenti: l’incidente
si era chiuso con un
semplice e velato rimbrotto: meglio di quanto avesse sperato.
Seguì Jagland,
scendendo le
scale, visto che la stanza era locata in due piani.
“Ah, Direttore
Jagland,
attenda un attimo, vorrei parlarle di una cosa riguardo al
Torneo!”
Il richiamo di Vitious permise a Sören di poter curiosare in
giro, cosa che
desiderava fare da quando aveva passato gli ostili gargoyle
all’entrata.
Era la prima volta che aveva
modo di trovarsi nel centro del potere di una scuola e quello
oltretutto sembrava
una sorta di piccolo museo.
Si avvicinò ad
una teca, la
più grande, in cui era conservata una spada istoriata di
rubini grossi quanto
il pugno di un neonato.
‘Spada di Godric
Grifondoro. Usata da
Harry J. Potter per uccidere il Basilisco nella Camera dei Segreti e da
Neville
Paciock per uccidere l’Horcrux Nagini.’
La
famosa spada, quindi…
Era una spada forgiata dagli
elfi, inattaccabile dalla ruggine e dallo sporco.
Assorbe
solo ciò che la fortifica…
La osservò con
l’amore
scientifico che aveva sempre provato per quel genere di manufatto.
Avrebbe
voluto impugnarla.
Anche
se probabilmente non potrei. Solo un grifondoro
può farlo.
Si ripeté
diligentemente la
lezione a mente: era all’Istituto che aveva studiato la
storia delle due Guerre
Magiche. Non ricordava tutto, ma ricordava di aver preso appunti su
quel
manufatto.
Trovarselo davanti era
elettrizzante.
Alzando lo sguardo si
trovò di
fronte al ritratto di un mago piuttosto anziano, con una lunga barba
bianca e
vesti piuttosto vivaci. Gli sorrideva dietro le lenti degli occhiali a
mezzaluna, e forse era solo un gioco di luci, ma sembrava che gli occhi
azzurri
brillassero, penetranti.
Sulla pergamena dipinta
sulla
cornice lesse: ‘Albus Percival Wulfric Brian
Silente’.
Distolse immediatamente lo
sguardo, dando le spalle alla teca e al ritratto, per spostarsi dal
lato opposto.
Ho
sempre detestato i quadri parlanti…
E sapere a chi apparteneva
quello sguardo lo faceva sentire ancora più a disagio.
Un
mago che ha dato la sua vita per il bene…
Vedendo che Jagland non
riusciva a smarcarsi dell’hogwartsiano, si ritenne
autorizzato a continuare
nella sua piccola esplorazione: gli permetteva di distrarsi dal sordo
bruciore
allo stomaco che provava.
Nervosismo.
Zio
saprà presto cos’ho fatto… e dubito che
sarà
disposto a giustificarmi.
E poi c’era la
questione Lily:
avrebbe dovuto trovare il modo di farsi perdonare.
E
non so da dove cominciare… Sempre che voglia parlarmi.
Le adolescenti spesso adottano la tecnica del silenzio, a quanto mi
è stato
dato di capire.
La prospettiva lo gettava
nell’angoscia più nera, e non era certo che fosse solo per l’ulteriore livello di
difficoltà che avrebbe raggiunto il
suo compito.
Lanciò
un’occhiata distratta
al ‘Pensatoio di Albus…’: non
finì neanche il nome, dopotutto era solo una
bacinella argentata, ormai svuotato del liquido necessario. Poi
alzò lo sguardo
su una serie di ritratti che confabulavano palesemente su di lui.
Rifilò loro una
smorfia, prima
di soffermarsi su un ritratto in particolare. Vi era raffigurato
l’unico
preside addormentato, e l’unico lì dentro che
probabilmente avesse un’età
inferiore ai cento anni.
Rimase bloccato in
contemplazione, come aveva fatto per la spada di Grifondoro, ma per
motivi
molto diversi.
Quell’uomo
– poteva avere al
massimo una quarantina d’anni – aveva qualcosa
di… familiare. Era interamente
vestito di nero e dava l’idea di un grosso pipistrello,
persino nel sonno.
Ma
non è questo…
Era il viso scuro, le
sopracciglia aggrottate. C’era qualcosa in lui
che…
Mi
ricorda mio padre…
Solo vagamente, in
realtà. Le
proporzioni del viso erano diverse, suo padre non aveva mai avuto un
naso così
imponente; ma avevano gli stessi zigomi ossuti, che erano anche i suoi,
e le
stesse labbra sottili e tese in una linea dura. Lo stesso viso emaciato.
Abbassò lo
sguardo per leggere
il nome, mentre sentiva alle sue spalle Jagland tentare di congedarsi.
‘Severus
Piton, preside di Hogwarts (1997-1998)’
Severus Piton…
Ovviamente sapeva chi era.
Aveva contribuito alla caduta di Voldemort, infiltrandosi nelle sue
file per
anni, come spia per l’Ordine della Fenice. Aveva letto su di
lui, come ne aveva
letto qualsiasi giovane mago del mondo. Era una delle tante figure eroiche delle due
guerre.
Ha
il mio stesso nome. Probabilmente il fratello di
Lily è stato chiamato dietro a lui.
Severus
Piton…
Aveva un cognome di origine
babbana, ma il nome era della tradizione magica.
Un
mezzosangue, quindi?
“Oh, è
inutile che lo fissi,
sai giovanotto? Non si sveglierà. Non si è mai
svegliato.” Lo informò una voce
di donna, proveniente da un quadro alla sua destra.
“C’era
da aspettarselo Dylis,
da un tale figuro…” Replicò un altro
mago, altrettanto decrepito e con una
ridicola papalina leggermente sbilenca in testa.
“Oh, via! Non essere antipatico, Everard… Non
è mai stato un tipo socievole,
neanche in vita. Avrà le sue buone ragioni per non aver mai
aperto gli occhi e
noi dobbiamo rispettarle.”
“Era di origine babbana?” Si informò,
sentendosi piuttosto ridicolo a far
conversazione con dei pezzi di vernice e tela. A Durmstrang sarebbe
stato ritenuto
pazzo.
Pur
vero che di solito all’Istituto i quadri se ne stanno
in silenzio.
“Severus? Oh,
sì.” Convenne la
donna chiamata Dylis, distogliendo dalle sue riflessioni. “Mi
sembra… vero
Phineas?”
Un mago dall’aria arcigna spuntò dalla cornice
della donna facendo un borbottio
d’assenso. “Mezzosangue, da parte di padre. Un vero
peccato. Tolto questo, era
un perfetto Serpeverde.”
“Quindi era la
madre ad avere
poteri magici.”
“Naturale.”
Convenne l’arcigno
Phineas. “E Serpeverde, com’è logico.
Severus fu una delle poche eccezioni alla
regola. Non molti mezzosangue, a quei tempi, venivano smistati nella
nostra
gloriosa Ca-…”
“E il cognome
della donna?”
Incalzò.
Possibile
che…
Eppure c’erano
troppi punti di
contatto per essere solo una mera serie di coincidenze.
Nato
babbano, madre strega, Serpeverde. Tutti i Prince
sono sempre stati serpeverde.
No,
impossibile. Zio mi aveva detto che papà era
l’ultimo Prince maschio.
“Oh caro ragazzo,
domanda
difficile!” Fu la strega a rispondere: sembrava trovare sommo
diletto nei
pettegolezzi. “Dovresti chiedere ad Albus. Lui sicuramente lo
sa, erano molto
legati…”
Sören non fece in
tempo a
chiedersi se andare a chiedere sarebbe stato perdere definitivamente la
dignità,
quando Jagland ritenne che avevano perso sin troppo tempo in quella
stanza.
“Sören,
è ora di andare.”
Il ragazzo annuì, non potendo fare altro, ad ordine diretto.
Si congedò con un
cenno della testa dai quadri, sentendosi davvero stupido e
seguì l’uomo.
Fino a che non si chiuse la
porta dell’ufficio alle spalle però, ebbe la netta
impressione di essere
fissato da un paio di penetranti occhi azzurri.
****
Torre
di Grifondoro, Sala Comune.
Otto
di sera, Dopocena.
Il fuoco scoppiettava
nell’enorme camino in stucco rosso e oro, cifra stessa
dell’accoglienza di una
Casa che sapeva essere casa. Lily
si
rosolava beatamente i piedi, ma raggomitolata con grazia sulla
poltrona. Del
resto non poteva far altro: era bloccata lì dalle premure
della sua famiglia.
“Oh, ehi, eccoti
qui! Come ti
senti Lily?”
La quindicenne emise uno sbuffo. Okay, i segni di interessamento alla
sua
persona erano sempre bene accetti. Ma a parte gli scherzi, Rose era la nona persona a chiederle come si
sentisse nel giro di un’ora.
Quasi
fossi stata io quella ad essersi infilata in una
rissa travestita da Duello!
“Sto bene. Davvero!”
Esclamò, ritirando le gambe per portarsele al petto:
a parte tutto, era bello essere seduta davanti al fuoco della Sala
Comune di
Grifondoro, sommersa dalle attenzioni della sua famiglia.
È
raro vederci tutti assieme… ci manca Domi, ma la sua
Preside deve tipo tenerla in ostaggio.
“Mi avevano detto
che eri svenuta…”
Sottolineò la cugina, con aria
da chioccia.
“Sono cosciente.” Ribatté,
guardando male il cugino. “Allora sei stato tu
a spargere la voce di un mio
collasso!”
“Boh. A me era
parso di aver
capito così…” Borbottò il
ragazzino grattandosi la fronte.
Scorpius, immancabilmente
affianco
della propria ragazza e con le braccia insolitamente piene di libri,
sbuffò
divertito. “Rosellina, la dolce Lilian mi sembra godere della
sua consueta
buona salute.”
“Ti ringrazio Scorpius, finalmente qualcuno che nota
l’evidenza!” Esclamò
sollevata. Se persino Thomas era lì, significava che
l’impressione che aveva
dato alla conclusione del Duello non era delle migliori.
D’accordo,
ho avuto un capogiro, ma niente che non sia
passato indossando di nuovo l’orecchino di controllo!
Stava bene e se James era quasi illeso, e al momento tra le
braccia consolanti di Teddy, allora non c’era nulla che
giustificasse
quell’improvvisa riunione elaborante preoccupazioni.
“Beh…
qualcuno vuole spiegarmi
cos’è successo esattamente? Io e Scorpius eravamo
in biblioteca…”
“Ci siamo persi tutto il divertimento! Mi sento tagliato
fuori e questo è
orribile!” Si imbronciò, interrompendo la propria
ragazza: Lily lo trovava
divertente ma doveva essere un bell’affare gestire la sua
logorrea. Non era
certa di invidiare Rose.
Forse
solo per i bicipiti e il suo sorriso da
scanzonata canaglia. Forse.
“James ha sfidato
a duello
l’amico di Lily. Come c’era da aspettarsi, ha perso
miseramente.” Spiegò Tom
stringato, con il consueto tono annoiato di chi trovava
l’umanità nient’altro
che una massa di stolti.
Al, seduto sul bracciolo
della
sua poltrona, gli tirò una ciocca di capelli, in
avvertimento.
“Ma chi,
Sören Luzhin?” Chiese
Scorpius, sbalordito. Aveva un gran ghigno da pettegolezzo succoso
stampato in
faccia.
Lily lo trovava adorabile in
maniera assolutamente quieta e platonica.
Tom sospirò, ma
si sforzò di
articolare gentilmente il resto della spiegazione sotto lo sguardo
giudice del
proprio ragazzo. “…esatto. Luzhin gli ha causato
una commozione cerebrale
sbattendolo a cinque metri da dov’era. Senza
l’ausilio della bacchetta. Quindi…”
“Merda.”
Sussurrò Scorpius, improvvisamente
meno ridanciano. “Ed io che pensavo di dovermi guardare solo
da Dominique e dalle
sue lunghe gambe da Veela.”
“Le sue lunghe cosa?”
“Ricorda che la
mia fedeltà va
a te, mia caramellina succosa!”
Tom serrò appena le labbra, irritato da tutte quelle inutili
interruzioni.
Probabilmente
non gli piace granché stare qua. Tommy si
trova a suo agio solo in posti tetri e noiosi…
Al infatti gli mise una mano
sulla spalla, e continuò per lui. “… il
fatto è che hanno veramente
trasformato il duello in una rissa. James prima l’ha
steso con un pugno.”
“Potty…” Sospirò Scorpius, ma
gli occhi gli brillavano. “Ha questo irrisolto
complesso del macho… È delizioso.”
“È un
cretino, ma non è questo
il punto.” Tagliò corto Albus. “Il punto
è che è finito in infermeria perché
Sören gli ha quasi rotto la testa.” Concluse, mentre
osservava il dito di Tom
girovagare pigro lungo il suo braccio.
“Sì, ma
come sono arrivati a
quel punto? Voglio dire, Jamie è di incantesimo facile, ma
non è un bruto privo
di controllo.” Interloquì Rose perplessa, mentre
spostava il peso della borsa
piena di libri nell’altra spalla. Scorpius fu lesto a
prendergliela, ignorando
le sue proteste come se non le sentisse.
“Per quanto mi
riguarda, è un bruto
privo di controllo.” Commentò
Tom.
“Nessuno
è interessato alla
tua opinione di parte, Signor Dursley…”
Replicò Al, intrecciando la mano alla
sua sia per impedirgli di ribattere, sia per stoppare la corsa della
suddeta
sotto la sua camicia.
Dopo
quell’affermazione scese
il silenzio: Lily sapeva che doveva essere lei a rispondere alla
domanda della
cugina, ma aveva solo una gran voglia di andare a cercare
l’amico per capire
cosa diavolo gli fosse preso.
E
non restare qui a rassicurare tutti sul fatto che non sono
spaventata da quel che è successo…
…
beh, magari un pochino, ma sono una donna forte.
Ragazza. Una ragazza forte.
“Per
Lils.” Fu Hugo a parlare
e lo fece in chiaro, quando di solito era tutto un borbottare.
“È per Lils che
è successo il casino. Di sicuro.”
A quel punto alla ragazza
non
restò altra scelta se non parlare. Anche perché
aveva gli sguardi di tutti
puntati addosso. “James ha frainteso la natura dei rapporti
tra me e Ren. Siamo
solo amici.” Iniziò prima che qualcuno potesse
ribattere. Rose sembrava
particolarmente propensa. “… sono volate un paio
di offese. James ha lanciato
il guanto, e Ren l’ha raccolto. Fine della storia.”
Normalmente l’idea
che un
ragazzo si battesse per lei con quel pazzo irragionevole di suo
fratello l’avrebbe
lusingata.
Stavolta si era solo
preoccupata a morte.
E
poi … quello che ho provato attraverso
Ren.
Cosa diavolo era?
“Ci saranno
ripercussioni
sulla scuola?” Chiese intanto Scorpius.
“Non credo, insomma, Jamie è un mago diplomato, e
Sören uno studente in
visita…” Osservò Al meditabondo.
“Comunque non ho visto il tedesco in
infermeria. Non essendo un episodio inerente al Torneo sarà
Durmstrang ad
occuparsi di lui …”
Lily registrò
solo quella parte
di frase.
Allora
è alla nave adesso…
Doveva trovare il modo per
smarcarsi
e andare a cercare l’amico. Come sarebbe entrata nel
vascello, visto e
considerato che non era permesso, beh…
A
quello ci penserò quando sarò lì.
Orgoglio Grifondoro!
Lanciò uno
sguardo a Scorpius
e alla cugina, ed ebbe la soluzione servita su un piatto
d’argento: le loro
occhiaie stanche e il modo in cui Rosie si era mangiata le unghie.
“Come va la
preparazione della
Prova?” Chiese, facendo in modo che la sentisse tutto il
consesso.
L’attenzione fu
immediatamente
incanalate sui due, con particolare attenzione su Scorpius, che non ci
mise
molto prima di rivolgere la risposta non a lei, ma bensì ad
un entusiasta Hugo.
“Pare che non ci
sia solo il
Basilisco…” Aggiunse Rose. “E
comunque, forse abbiamo trovato un incantesimo per renderlo
momentaneamente
cieco… Sapete, essendo il suo sguardo capace di uccidere.”
A quel punto persino l’attenzione di Tom fu calamitata
– bastava metterlo in
una competizione tra cervelli – Lily poté
tranquillamente alzarsi in piedi,
stiracchiarsi e passare oltre il buco del ritratto senza che nessuno la
notasse.
Adoro
il Tremaghi.
****
Attracco
delle barche, Vascello di Durmstrang.
Dopocena.
Okay. Forse
avrebbe dovuto avere un piano. Perché non sapeva come
entrare.
Lily si ficcò le
mani nelle
tasche del giubbotto, succhiandosi il labbro pensierosa: la nave era
illuminata, quindi la gente c’era.
Non
che di solito stiano da altre parti, eh…
L’unico problema
era che
l’ingresso era chiuso e la passerella ritirata. E non
c’era nessuno in giro, né
una guardia né un accidente di durmstranghiano.
Sospirò, visto
che era quasi
venti minuti che aspettava che qualche allievo si palesasse per farsi
portare
dentro. Stava quasi per rinunciare – anche se le bruciava
– quando vide che
sulla fiancata della nave non c’erano solo
assi lisce e oblò scarsamente illuminati.
C’era una scala. O
meglio,
chiamarle scala era un po’ eufemistico. Erano una serie
di… maniglie usate per
arrampicarsi.
Gergo
marinaio. Faccio schifo.
In ogni caso doveva servire
per avere accesso al ponte se si affiancava la nave con una barchetta.
Si guardò le
mani, le unghie
perfettamente curate e poi la scaletta: aveva un’aria
viscida, incrostata e
decisamente poco amichevole.
Sospirò di nuovo,
lanciando
una silenziosa imprecazione verso quell’idiota di
Sören, che invece di farsi
curare in infermeria aveva preferito rintanarsi in quel mostro marino
travestito da mezzo di locomozione.
Speriamo
di non scivolare. Un bagno nel Lago Nero è
l’ultima cosa di cui ho voglia.
Afferrò con forza
uno dei
pioli e cominciò a salire: era una fortuna che non soffrisse
di vertigini come
Rose, ma avesse invece ereditato la noncuranza per le grandi altezze
dei
genitori.
Questa
nave misurerà almeno cento piedi… dal livello
dell’acqua.
Tenne la presa con tutte le
sue forze e ringraziò una serie di coincidenze che le
avevano fatto scegliere
un paio di converse per
l’uscita di
quel pomeriggio, al posto dei soliti stivaletti di pelle.
Non
che non scivolino… ma voglio vedere qualcuno a
scalare questa roba con un paio di tacchi!
Riuscì ad
arrivare al
parapetto e con sollievo saltò finalmente dentro: non
c’era anima viva sul
ponte.
Ottimo.
Naturalmente non aveva la
minima idea di dove fosse l’entrata per la sottocoperta.
È
già tanto che so cos’è una sottocoperta.
Si guardò
attorno,
incuriosita. Nonostante tutto, quella nave era affascinante. Forse
perché era
praticamente spaventosa con tutto quel legno scuro e le decorazioni
gotiche fatte
da teste di sirena – e non quelle della mitologia babbana
– e viticci
avviluppati su se stessi come scheletri di alberi morenti.
Quella nave assomigliava a
Ren: certo, l’amico non era…
spaventoso… ma c’era qualcosa in lui che era in
qualche modo triste, come le
espressioni di quelle sirene.
Finalmente trovò
l’accesso
all’interno. Prese la bacchetta e tentò con un alohomora. Ebbe fortuna.
Probabilmente
nessuno pensa di salire da quelle
schifide scalette…
La nave era immersa nel
silenzio. Da alcune porte filtrava della luci e si sentivano delle
voci, ma non
c’erano persone nel corridoio.
Questo
dovrebbe essere il primo piano… dall’alto.
Quindi… beh, la camera di Ren dovrebbe trovarsi
immediatamente qua sotto.
Non che sapesse quale fosse
esattamente. Ma ricordava che l’amico le aveva detto che si
trovava in fondo al
corridoio.
Speriamo
anche che sia l’ultima.
Percorse il corridoio,
fiocamente illuminato: sembrava che le torce alimentate con la magia
fossero un
classico anche a Durmstrang. Lei le aveva sempre trovate un
po’ tetre.
Arrivò
all’ultima porta. La
luce era accesa e qualcuno stava parlando. Non Ren, doveva quindi
essere l’altro,
quel Poliakoff.
Parlava in tedesco, e quindi
Lily non riuscì a capire nulla. Sembrava agitato.
Spaventato…
Perché cavolo qui sono tutti spaventati?
Siamo studenti, siamo costantemente monitorati per evitare che ci
ammazziamo
con tutta la magia che abbiamo nelle vene. Quindi… cosa?
Tese le orecchie, ma
inutilmente: non comprendeva una sola sillaba di quell’idioma
straniero.
Poi sentì la voce
di Sören,
una sola replica, secca. Una pausa. Poi un’altra frase.
Lily fece appena in tempo a
scostarsi che la porta venne spalancata con violenza e venne quasi
colpita
dalla punta illuminata di una bacchetta.
“Ehi,
così mi accechi!”
Proruppe d’istinto. La luce del lumos
la abbacinò mentre la lama di luce proveniente dalla camera
illuminava il
corridoio. Poliakoff, ritto sulla soglia e con la bacchetta spianata,
la fissò
confuso.
“Lilian?”
Fu la voce di Ren a
rompere il momentaneo e sconcertato silenzio. “Cosa ci fai
qui?”
“Ero venuta a vedere come stavi!” Fu
l’ovvia risposta, perché ovvia lo era
davvero. “Puoi dire al tuo amico di piantarla?!”
“Kirill, abbassa quella bacchetta.” Lily
riuscì finalmente a guardare in viso
entrambi. Il suddetto Kirill aveva un’espressione di
diffidenza stampata in
viso, mentre Sören sembrava serio.
Beh,
come sempre…
Vide anche che aveva dei
grossi lividi violacei attorno agli occhi, anche se il naso era meno
gonfio di
quando si sarebbe aspettata.
Comunque
Jamie ci è andato pesante. Che imbecille.
“Cuosa
ci fa tu qvi?” La
apostrofò Kirill, abbassando la bacchetta palesemente di
malavoglia. “Perché tu
è sempre qui? Cuosa
cerchi?”
“Cerco il mio
amico Ren.”
Replicò senza scomporsi. “Non di carpirvi segreti
sulla Prima Prova, se è
questo che ti chiedi.”
“Abbassate la
voce, entrambi.”
Tagliò corto Sören. “Entra,
Lily… se ti trovano potresti passare dei guai.”
“Grazie!”
Sorrise dispettosa al
tipo, che sembrava molto meno amichevole dell’ultima volta.
E
anche più sudaticcio.
Sembrava nervoso e quando
Sören chiuse loro la porta alle spalle prese a torcersi la
bacchetta tra le
mani.
“Lily, ti ho
già detto che non
è il caso che tu venga qui. Come sei entrata?” Le
chiese l’amico, lanciandole
una lunga occhiata penetrante. Lily cominciò a pensare che
forse non era stata
una gran pensata.
No!
Non lasciarti fuorviare. Sei qui per avere
spiegazioni. Risposte. Qualunque cosa.
“Sono salita su
una specie di
scaletta di servizio, sai, sulla fiancata della nave.”
Spiegò ai due attoniti
ragazzi. “… e poi sono, beh…
entrata?”
Sören inarcò le sopracciglia, elaborando
l’informazione. “… Audace, non
c’è
dubbio.”
“Ovvio! Hai presente dove sono stata smistata? Ad ogni Casa
le sue caratteristiche.
Nel mio caso, audacia e cavalleria. La seconda è roba da
ragazzi… la prima non
necessariamente.” Sorrise di rimando, riuscendo ad ottenere
finalmente un
sorriso in risposta. “Volevo solo vedere come
stavi.”
“Bene.” Il tono faceva pensare a
tutt’altro, ma Lily non lo disse. Perlomeno,
non in presenza di quel ragazzo dall’aria ostile e furtiva.
Non gli era piaciuto dalla
prima volta che le aveva rivolto la parola, ma adesso le metteva una
sottile inquietudine
addosso. Era il compagno di stanza di Ren, ma non lo voleva
lì.
Sören
sembrò indovinare il suo
pensiero. “Kirill, va’ in cambusa.”
“Ma…” Tentò quello.
“Non vorrai per caso che rimanga…”
“Ti ho forse dato l’impressione di voler conoscere
la tua opinione? Vai.”
Stavolta l’ordine fu sotto gli occhi
di tutti, e con gran sorpresa di Lily – non erano entrambi
allievi? – l’altro
annuì, uscendo senza aggiungere altro.
“Ti dà
retta…” Osservò piano.
Sören, dopo l’effetto sorpresa in corridoio, era
ripiombato in quello strano
atteggiamento teso e ostile che aveva avuto durante il duello con
James.
“È il
mio assistente, e mi è
inferiore per stato di famiglia. Queste cose a Durmstrang
contano.” Spiegò
stringatamente senza neppure guardarla. “Non dovresti essere
qui.” Aggiunse. “…
ma questo lo sai.”
“Sì.” Convenne, sedendosi sul suo letto,
ignorando lo sguardo che le riservò.
“Siediti, dobbiamo parlare.”
“Non puoi aspettare domattina?”
“No.” Ed era vero. Non sarebbe riuscita a dormire
senza avere delle risposte a
quanto era successo quel pomeriggio.
Quella situazione era strana
anche per lei: non era mai stata tipa da tirare troppo la corda con un
ragazzo.
Sapeva fino a che punto ci si poteva spingere nel punzecchiare
l’ego maschile,
ma in quel caso non le importava; Ren era tutta una storia diversa.
Il ragazzo le
lanciò una lunga
occhiata che stavolta lei ricambiò: era incredibile come gli
occhi dell’amico
sembrassero senza pupilla. Ovviamente c’era, ma aveva gli
occhi così neri che
era difficile distinguerla dall’iride.
In quel momento non
c’era
assolutamente calore nel suo sguardo. Era come se Ren fosse stato
risucchiato
dentro.
Cos’è
successo davvero
per farlo chiudere così?
Comunque finì per
obbedirle,
sedendosi accanto a lei.
“Ho
sbagliato… non era mia
intenzione colpire a quel modo tuo fratello. Gli farò le mie
scuse domattina.” Disse,
con la stessa passione che lei avrebbe messo in una pergamena per
Storia della
Magia.
“Non è
questo che voglio
sapere.” Replicò piano. Sapeva che
l’altro non si sarebbe aperto se non gli
avesse offerto qualcosa in cambio. Qualcosa di importante, che non
erano Tom e
Al, non si conoscevano dalla culla. Ren doveva imparare a fidarsi di
lei. “Ho… sentito
una cosa quando tu e Jamie avete
duellato.”
L’altro ci mise un po’ prima di rispondere.
Però almeno adesso la guardava. “Cosa?”
“… ho sentito la tua paura.”
“Io non ho avuto
paura.” Il
tono era freddo, ma c’era rabbia dietro. Non c’era
bisogno di essere chi era
per capirlo. “Io non ne ho mai.”
“Non dico paura di James. Che davvero, non farebbe paura a
nessuno, quello
scemo…” Sorrise. “…
però avevi paura.”
“Credo
tu…”
“Non mi sto sbagliando.” Lo interruppe.
“Non posso sbagliarmi, perché l’ho
sentito come tu hai sentito arrivare quel pugno.” Non gli
diede tempo di
continuare. “Ti ricordi quando mi hai chiesto se fossi una
legimante?”
Ancora un lungo silenzio. “Sì, me lo ricordo. Mi
hai risposto di no.”
“Nel senso accademico del termine è vero. Non me
l’ha insegnato nessuno. Sono
una LeNa.” Era difficile dirlo ad alta voce,
pensò. Era come ammettere di avere
un problema con il bere. Beh, non proprio lo stesso, ma per lei era
così.
Del
resto vai a dire la gente che senti come si
sentono, e dimmi se non ne sono infastiditi come se ti scolassi una
bottiglia
di whiskey incendiario al loro compleanno.
Sören non rispose,
e Lily capì
che doveva continuare. “… lo sai, come funziona,
immagino. Lo sono dalla
nascita. Qui in Inghilterra ti mettono un manufatto magico, un
orecchino, per
bloccare la… ricezione?” Glielo mostrò.
“Oggi me lo sono tolto.”
“Potevi avere un collasso.” Fu la risposta. Era da
Ren non scomporsi
minimamente ad una notizia del genere. “Suppongo tu non
l’abbia mai tolto.”
“Mai, vero.” Inspirò appena.
“Io… non volevo frugarti nella testa, è
solo…”
“Non ne saresti comunque in grado.” La
fermò. “Hai tentato, quando ci siamo conosciuti,
ma non avresti scoperto niente. Non ti è mai stato insegnato
come controllare i
tuoi poteri, e li tieni bloccati da troppo tempo. Persino un occlumante
scarso
ti avrebbe chiuso fuori dalla sua mente. Ed io non lo sono.”
Lily sentì una specie di sollievo diffondersi lungo il
petto. Sören non la
stava guardando come le fossero spuntate due teste.
È
già qualcosa… Però, aspetta. Non
sembra sorpreso!
“Tu…
lo sapevi?”
“Lo sospettavo.” Rispose, passandosi una mano trai
capelli. Poi si alzò in
piedi, andando a mettere sul piccolo fornello in fondo alla stanzetta
il
bollitore. “All’inizio ho pensato fosse Legimanzia,
ma sei troppo giovane per
saperla usare. L’alternativa era una sola.”
“Ren, il ragazzo logico.” Sorrise appena, facendolo
sorridere di rimando. “…
quindi.” Aspettò, sapendo che Sören aveva
capito che voleva ancora una risposta
da lui. “Vuoi dirmi cos’è
successo?” Disse semplicemente.
L’amico si
voltò, incrociando
le braccia al petto.
E
vai con la posa di chiusura. Andiamo, ti ho
raccontato di me! Del mio segretissimo segreto!
“Non sei
arrabbiata con me.”
Non era una domanda, non glielo stava chiedendo. Era una constatazione
e per
giunta sorpresa.
Lily fece spallucce,
perché in
merito a quella faccenda aveva un’idea molto chiara: forse
qualcuno avrebbe potuto
tacciarla di superficialità, ma non era nella sua indole
ingigantire cose che
si erano già risolte da sole. “Perché
dovrei esserlo? Ha iniziato mio fratello.
Tu, è vero, lo hai assecondato come un idiota, ma
… non è stata solo colpa tua.
Sono arrabbiata, ma penso che tra un
naso rotto e un emicrania vi siate puniti da soli. Faremo tutti in modo che non si
ripeta.”
“Oh.”
Era così disorientato
che a Lily fece tenerezza. “Certo.” Aggiunse.
“Naturalmente.”
“Bene.
Però voglio una
risposta. Di cosa avevi paura, Ren?”
Di tutto quello che si
sarebbe
aspettato da Lilian Potter, quella reazione era stata la più
sconcertante.
Non solo gli aveva
confessato
spontaneamente di essere una LeNa, quando lui al momento era in una
chiara
posizione di debolezza, ma non era arrabbiata. Eppure aveva, a conti
fatti,
aggredito suo fratello ed era certo che l’altra avesse capito
il rischio che
era stato corso.
Vuole
capire… Vuole capire me.
Era più
pericoloso ma allo
stesso tempo era sconcertante. Spaventoso. Imbarazzante. Bello?
Lily Potter era una continua
sorpresa.
Non poteva dirle la
verità,
naturalmente. O forse sì. Una parte di verità
poteva dirla senza far saltare la
propria copertura. E, cosa più importante, voleva dirgliela.
Lily gli aveva offerto il
suo
segreto, e c’era una parte di sé che stimava quel
gesto. Che aveva bisogno di
riportare le cose in parità.
Anche
se non sei tenuto. Ma perché si fidi di me…
Voglio
che si fidi di me.
“Di me
stesso.” Mormorò,
sentendo lo sguardo attento della ragazza su di sé.
“Io… ho avuto paura di
perdere il controllo. Nessuno mi aveva mai colpito in quel modo rozzo e
irrispettoso.”
“Non hai mai fatto a pugni?” Alla sua espressione,
Lily si affrettò a
continuare. “Voglio dire… certo che no, a
Durmstrang siete tutti doveri e
regole.”
Sören sorrise. Spense il bollitore che cominciava a fischiare
e si occupò di
versare the nelle due tazze smaltate, tanto per fare qualcosa. Aveva
bisogno di
tenere le mani occupate; si sentiva invaso dalla presenza della
ragazza.
Che Lilian aveva una
presenza
fortissima. Non era aura magica, era qualcos’altro, che
riempiva qualsiasi
luogo in cui entrasse, che toccava qualsiasi persona a cui si
rivolgesse. Lei
probabilmente non se ne rendeva conto, non appieno, ma ogni volta che
lei entrava
in una stanza, lui lo sentiva.
“In
realtà le risse scoppiano
anche da noi. È solo che non è mai successo a me.” Le porse la tazza che
prese con un leggero ‘grazie’.
“Ho come visto
un’altra
persona… in te.” Sören si
immobilizzò nell’atto di bere, sentendo il panico
aggredirgli lo stomaco.
“In che
senso?” Si sarebbe
complimentato per il tono fermo, se non avesse avuto il cervello
inzuppato di panico.
È
una LeNa. Inattiva, ma pur sempre tale. Quanto ha
capito effettivamente
di cosa provi?
Alcune
LeNa riescono addirittura a scoprire interi
blocchi del passato di una persona…
Lily tamburellò
con le dita
sulla tazza. “Non lo so… è stupido,
forse. Ma ho pensato che forse mi nascondi
molto di come sei veramente.”
Solo
un impressione.
Lo era, e questo gli diede
sollievo. Come pensava, non aveva scoperto molto. Solo sensazioni.
Bevve un sorso di the per
prendere tempo. Lily doveva fidarsi di lui, faceva parte del piano.
È
per questo che vuoi che si fidi?
Si sedette accanto a lei,
tacitando la domanda che gli era affiorata in mente. “Ci sono
molte cose che
non sai di me… ma credo sia normale. Neanch’io so
molte cose di te.”
“Se me le chiedessi, te le direi.” Proruppe
immediatamente, prima di
rifletterci. “Magari non tutte, ecco.”
Sören annuì, contento di averla portata sul suo
binario di ragionamento. “È
naturale. Ognuno ha i propri segreti. Lo ammetto, ho perso la
calma… e ti ho
risposto male, tra le varie. Mi dispiace. Ma è tutto qui, ho
un pessimo
temperamento, mi hai scoperto.” Tentò di scherzare.
Lily fece una risatina, ma
non
rispose: non aveva bevuto un solo sorso del the: forse non le piaceva.
Qual
è la sua bevanda preferita?
“… Per
me stai diventando
importante. Ti considero un amico.” La voce di Lily era poco
più di un
sussurro. Non stava arrossendo, ma sembrava comunque imbarazzata.
“Non come
dicono in giro. Lascia perdere quelle voci.”
“Lo faccio sempre.”
“Vorrei potermi fidare di te.” Alzò lo
sguardo e Sören si trovò di fronte
quegli occhi mozzafiato. Sentì lo stomaco attorcigliarsi per
un milioni di
motivi, tutti plausibili. “È importante per me
… perché al di fuori della mia
famiglia, io non mi fido di nessuno.”
Probabilmente quella era la
vera Lily, tolti i sorrisi da gatta, le frecciatine e
l’atteggiamento
superficiale di chi giocava con il mondo come un bambino pestifero.
Perché suo zio
voleva che si
avvicinasse a Lily Potter? E se ci stava riuscendo, con la sua bella
immagine di
amico gentile, perché allora si sentiva come se stesse
fallendo?
Questo
forse ti eviterà una punizione quando stasera
gli dirai cos’è successo…
Non era quello
che voleva.
Perché per una
volta c’era una
persona amica che gli si offriva. E non si offriva davvero a lui, ma a
Ren.
Io
non sono Ren…
“Puoi fidarti di
me, Lilian.”
Replicò e lasciò che la ragazza lo abbracciasse.
Serrò appena la presa,
sperando che non fosse troppo forte. Non era granché ferrato
negli abbracci.
“Puoi farlo.”
Sto
fallendo. Sono sicuro. E non so perché.
****
Note:
Punto di svolta? Crisi di coscienza di RenRen?
In ogni caso, il prossimo capitolo farà un piccolo saltello,
per entrare nel
vivo del Torneo. ;)
1.
Qui la canzone. Penso che la conoscono
più o meno tutti, ma ehi. Sul
fatto che sia un po’ commerciale, il capitolo è
soprattutto dal punto di vista
di Lily. Che è una tipa proprio pop.
xD
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Capitolo 24 *** Capitolo XXIII ***
Capitolo XXIII
They
can't tell me who to be, cause I'm not what they see
Yeah, the world is still sleepin while I keep
on dreaming for me
And their words are just whispers and lies that
I'll never believe¹.
(I’m Still Here,
Goo Goo Dolls)
Scozia,
Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.
All’attenzione
del professor Ted Remus Lupin.
Caro
Teddy, spero tu stia bene.
So
che in
questi ultimi tempi la nostra corrispondenza è stata al
sapore di ufficio. Credimi,
mi ricordo che non sei più uno dei miei uomini. Ma ho ancora
bisogno del tuo valido
aiuto.
Devi
insegnare
ai tuoi ragazzi l’Incanto Patronus.
So
che ti ho dato pochissimo preavviso e non ti sto dando nessuna
spiegazione del perché,
ma ho buoni motivi per non scrivere informazioni sensibili su foglio.
Ti
spiegherò
tutto a tempo debito.
Credo
che
sia opportuno che tu lo insegnassi dal Quarto anno in su. Pensi di
riuscirci?
Ripongo
in
te la mia fiducia, davvero.
Con
affetto, zio Harry.
****
18
Novembre 2023 (Sei giorni alla Prima Prova)
Hogwarts,
Aula di Difesa Contro le Arti Oscure.
Mattina.
Rose riusciva a malapena a
tenere gli occhi aperti. Ed era solo la prima lezione del mattino.
Era così ormai da
un mese, e
non poteva dare del tutto la colpa
alla mole di compiti che i professori assegnavano per i MAGO.
Certo, lei si era prefissa
l’obbiettivo di superare Thomas, ma non era solo per quello
che le stava
facendo fare la muffa in biblioteca.
Scorpius accanto a lei stava
platealmente sonnecchiando, con la testa sepolta tra le braccia.
Era lui
il motivo per cui passava le serate a cercare incantesimi atti
a rendere un eventuale Basilisco mite come uno snaso.
Per
fortuna, almeno non devo accompagnarlo ad allenarsi nelle
sue chilometriche corse al lago o nelle sue evoluzioni sulla scopa.
Tutto perché alla
fine aveva
deciso di muoversi senza assistente. Mossa relativamente saggia,
perché anche
se aveva evitato gelosie interne alle Case, adesso era privo di aiuto,
se non
lei e talvolta Albus, così gentile da prestar loro qualche
ora o la sua firma
per la richiesta di volumi della Sezione Proibita.
Si
è fissato che vuole Thomas… ma
quell’egoista si
farebbe lobotomizzare piuttosto che dargli una mano!
Si sentiva nervosa e stanca,
ma cercava di non farlo pesare a nessuno, specialmente a Malfoy. Gli
aveva
promesso che ci sarebbe stata, e l’avrebbe fatto.
“Ehi,
Rosie!” Una pacca sulla
spalla quasi la spalmò sul banco.
Domi…
Io
non sarò femminile, ma lei cos’è? Un
cucciolo di
dorsorugoso di Norvegia?
“Non sono riuscita
a bere il
mio caffè mattutino. Non darmi un motivo per ammazzarti
…” Sussurrò lentamente,
cosicché il senso del discorso si conficcasse in quella
testa platinata.
La ragazza, per nulla
turbata,
sorrise. “Però. Ve la state vedendo brutta con le
ricerche, eh?”
“Sta’ zitta. Perché sei così
vitale?”
Dominique fece spallucce, infilando impietosa un dito
nell’orecchio di
Scorpius, che emise un grugnito seccato, senza però dar
segno di volersi
muovere. “Beh, è Mael ad occuparsi della parte
pallosa. Non vuole che ci metta
il naso, dice che io sono il fisico e lui è il cervello.
Meglio di così!”
“Ti odio.”
“Brucia, eh?” Ghignò, prima di lasciar
passare nientemeno che Violet Parkinson -
Goyle, in tutto il suo splendore da miniatura di ceramica: la stronza
aveva
l’aria di aver origliato fino ad un secondo prima.
Questa
giornata sta andando di male in peggio…
“Oh, ma Scorpius
dorme?”
Cinguettò, fermandosi. Perché era ovvio che si
sarebbe dovuta fermare. Non faceva
altro quando lo beccava nei corridoi, in
Sala Grande, alla Serre, nel bosco.
“No, in
realtà ha perso i
sensi.” Ribatté ironica.
Il suo
ragazzo a quello scambio di battute alzò la testa, mostrando
una faccia da sonno che quasi la intenerì, se non fosse
stata in presenza di
una delle sue tante nemesi.
Non
devo abbassare la guardia.
“Sono sveglio.
Credo.”
Biascicò. “Oh, ci sono delle persone
… ehi Violet, ehi bionda.”
“Non offendere, testa ossigenata.”
Replicò sua cugina con divertimento. Lei e
Malfoy si piacevano a pelle, ma in un modo che non metteva Rose in
allarme.
Messi assieme, come nella foto per la Gazzetta, sembravano due amici di
bevute,
più che una probabile coppia.
Anche
se la Gazzetta ci ha ricamato sin troppo sopra per
i miei gusti…
“Bonjour
Scorpius!” Trillò invece Violet. “Io
pensavo che tu non
avessi un asistente…”
E qui le lanciò
un’occhiata sospettosa. “Lei lo
è?”
Crepa,
stronza.
“No. Rose e suo cugino Al mi aiutano solo a cercare i libri
in biblioteca.” Le
spiegò, con una tranquillità che poteva venire
solo dall’averlo ripetuto un
sacco di volte. “Gli Weasley sono fatti così. Gran
brave persone.”
“Andiamo Piggie,
lascia
riposare l’avversario prima dell’arrivo di
SuperTeddy.” Si intromise Domi, la
salvatrice.
L’altra francese
per tutta
risposta fece una smorfia stizzita al nomignolo e le sibilò
qualcosa in
francese che Rose ovviamente non capì. Non era la prima
volta che quel
siparietto si chiudeva così.
Scorpius a quel punto
sembrò
finalmente tornare alla realtà. La guardò
intensamente. “Saltiamo l’ora e
andiamo a far visita agli elfi delle cucine? Sto morendo di
fame!” Si lamentò
subito dopo, afferrandole il maglioncino con aria petulante.
“No. Teddy ha detto che è una lezione importante,
e comunque quest’anno lo sono
tutte.”
“Aw, sei crudele.
Il mio
stomaco si sta digerendo da solo!” Si lamentò,
sfoderando un broncio adorabile
ma ormai storia vecchia per lei. “Ti prego.”
“Non sei l’unico a non aver mangiato stamattina. Ma
non possiamo boicottare
questa lezione. Difesa contro le Arti Oscure. Ti dice niente?”
Scorpius si accigliò, nell’immenso sforzo di
pensare a stomaco vuoto. “Uhm.
Beh, il professorino potrebbe darci
indizi
sulla Prima Prova?”
Era felice di avere un ragazzo geniale anche senza aver fatto colazione.
“Sì.
Quindi dobbiamo
rimanere.” Lo squadrò di
sottecchi. “Non è che hai depredato le cucine come
tuo solito, ieri?”
Scorpius assunse un’espressione triste. “E come, se
siamo stati tutto il tempo
con il naso ficcato nei libri o a lezione?”
Sospirò.
“Già…” Ma non
infierì. Quel giorno era troppo debole anche per quello.
Tra cinque giorni si sarebbe
tenuta la Prima Prova e certo, avevano
delle frecce al loro arco.
Nel
caso sia un Basilisco e non ci siamo sbagliati,
certo.
Comunque era terrorizzata. E
non riusciva a capire come l’altro potesse essere
così tranquillo.
Scorpius le sorrise,
facendole
dimenticare il motivo per cui era avvelenata con il mondo. Per un
momento
almeno. “Sai…” Esordì.
“Sono felice che usi il noi.
Per tutta questa storia. Mi fa sentire meno… eroe che si
avvia
ad una morte certa tutto da solo.”
“Sono la tua ragazza, che altro dovrei fare?”
Borbottò sentendosi arrossire.
Anche se in quest’ultimo mese siamo
stati
casti come fratelli…
La cosa pesava ad entrambi,
Rose non era così stupida da non notarlo.
Addormentarsi
sui libri o in angoli scomodi della Sala
Comune non è il genere di cosa che alimenta il fuoco della
passione…
Le mancava persino doversi
preoccupare che i compagni di stanza di Scorpius non entrassero quando
erano in
intimità.
Il
che la dice lunga…
La casa
sull’albero che Malfoy
le aveva mostrata l’anno scorso era stata scovata da Tremayne
quell’estate. E
per poco quell’idiota del suo ragazzo non era andato a
protestare per il suo
abbattimento.
Quindi…
non abbiamo un angolo tutto per noi.
È
che siamo troppo impegnati. E quando non lo siamo,
siamo così stanchi che ci dormiamo addosso…
Invidiava le altre coppie:
invidiava le loro passeggiate per mano ad Hogsmeade, i baci rubati nei
corridoi
e persino le litigate plateali nelle Sale Comuni.
Ora
più di prima.
Avrebbe davvero voluto che
il
Torneo cambiasse lo stato delle cose. E al tempo stesso, ne era
terrorizzata. E
non aveva il coraggio di dirlo a nessuno, perché dirlo
avrebbe reso le sue
preoccupazioni reali.
“Sempre
scorbutica…” La prese
in giro, riportandola alla realtà. “A che stai
pensando?”
“Che ho bisogno di
caffè.” Mentì,
facendolo ridacchiare.
Poi Teddy entrò
nell’aula, carico
di libri e con il suo pacato sorriso di sempre. Rose sentì
un uggiolio
soffocato esplodere dalle ultime file.
“Albus non
preoccuparti, sono
appena arrivato… e chiudi la porta, grazie.”
Rose ridacchiò
quando vide il
cugino accomodarsi frettoloso alla sua destra, arruffato e con una
macchia di
marmellata all’angolo della bocca.
“Come fai ad
essere sempre in
ritardo?” Gli passò un
fazzoletto. “Macchia.”
“Che ti devo dire, ho talento.” Sussurrò
sfiatato, pulendosi con un gesto grato.
“Tom?”
Gli chiese.
“C’è
già…” Lo indicò, seduto
accanto a Nott. “Dice che non sente il bisogno di
ingozzarsi come me. Quindi mi lascia indietro, visto che non vuol far
tardi.”
“Simpatico…”
“È Tom.” Fece spallucce
l’altro, come se questo spiegasse tutto. E lo spiegava,
in effetti. Lanciò poi un’occhiata verso il banco
del proprio ragazzo, dove
anche Rose notò che mancava qualcosa.
O
meglio, qualcuno.
“Zabini
è già da un po’ che
salta Difesa… come mai?”
“Ha deciso di lasciare, ha troppi corsi … del
resto non è mica obbligatoria.” Fu
la risposta.
Rose non sapeva cosa fosse
successo trai due, ma era ovvio che fosse qualcosa di cui il cugino non
era
ancora disposto a parlare.
Anche
se i loro rapporti sono peggiorati da quando è
tornato Tom…
Teddy intanto aveva posato
la
cartella sulla cattedra. Estrasse un grosso raccoglitore dalla foggia
babbana,
e cominciò a spulciarlo con metodo. Rose lo ammirava,
sinceramente. Come sapeva
gestire una classi di adolescenti in preda agli ormoni, il modo in cui
non
perdeva mai il sorriso, persino davanti ai più recalcitranti
idioti. Lei non ci
sarebbe mai riuscita.
Badare
a Jamie deve essere stata una bella palestra…
“Diapositive? Ma
dai…” Rumoreggiò
Scorpius alla sua sinistra. “Sono troppo stanco per leggere, ancora.”
“Non che ti faccia male, visto quanto poco lo fai
normalmente…”
“Sono un uomo d’azione, Rosey-Posey!”
Decretò facendo ridacchiare le persone in
ascolto.
Ultimamente
la gente ci ascolta un po’ troppo…
Teddy a quel punto fece loro
un sorriso smagliante. Di solito, preludeva una lezione in cui credeva
molto.
“Okay ragazzi.
Tutti in piedi
e datemi una mano ad allineare i banchi al muro.”
“Evvai!”
Esultò Scorpius, il
primo ad estrarre la bacchetta. “I miei desideri si sono alfine avverati!”
“Sì
Malfoy, sembra proprio di
sì. Oggi faremo lezione pratica.”
Confermò Ted suscitando un moto di
approvazione tra la classe.
“Grande! Sei un
dritto, Teddy!”
La seconda esclamazione fu di Dominique, che Rose sospettava avesse
difficoltà
a capire immediatamente il senso di un lungo discorso in inglese:
sapeva
infatti da fonti certe che Madame
Fleur
pretendeva che si parlasse solo francese alla sua tavola.
Quando tutti i banchi furono
spostati e si fu creato un ampio spazio vuoto, Ted scese dalla
cattedra,
andando al proiettore e caricando una serie di diapositive. La prima
che venne
proiettata Rose la riconobbe immediatamente. E ne fu sorpresa.
“Un
patronus?” Esclamò Albus,
apparentemente con lo stesso stato d’animo.
“Esatto. Oggi
impareremo l’Incanto Patronus.”
Confermò Ted mentre
un sussurro confuso serpeggiava tra gli astanti.
La prima mano a scattare fu
quella di Tom, lo studente polemico: Rose gli lasciava volentieri quel
primato.
“Scusi professore… l’incanto Patronus
viene utilizzato per allontanare i
Dissennatori e i Lethifold. Essendo quest’ultimi estinti e i
primi confinati in
un apposita riserva controllata dal Ministero, non capisco la
necessità di
inserirlo nel programma. Inoltre non mi risulta sia attualmente
richiesto nei
MAGO.”
Rose fu certa di vedere una
smorfia seccata apparire per un attimo sul volto di Ted, ma fu anche
piuttosto
bravo a farla scomparire. “È vero
Thomas.” Confermò. “Ma è
comunque un ottimo
esercizio per la capacità di concentrazione. È un
incantesimo che fonda la sua
forza sul vostro spirito. La forma di un patronus corporeo rappresenta
infatti
l’essenza stessa del mago che lo produce, il suo ricordo
più felice… qualcosa
in grado di proteggerlo.” Spiegò. “Penso
che per voi possa essere istruttivo impararlo.”
“Ma il solo che è riuscito a produrre un patronus
corporeo da studente è stato
Harry Potter!” Esclamò un allievo di Beaux-Batons,
che a Rose sembrò
l’assistente di Dom.
“Questo non
è vero, Mael.” Lo
corresse Lupin. “Qualcuno ha forse avuto dei genitori che
militavano
nell’Esercito di Silente?” Alle risposte
affermative che ne conseguirono,
continuò. “All’epoca i vostri genitori
erano studenti, come voi, e ci sono
riusciti. Non vedo perché dovreste essere da meno.
L’importante, come ho detto,
è soprattutto rimanere concentrati…”
Ted puntò la bacchetta davanti a sé. “Expecto Patronus.” E dopo una
leggera
torsione del polso dalla bacchetta uscirono filamenti argentati, che
andarono a
comporre un lupo lucente che balzò in mezzo agli studenti
per poi sparire oltre
la porta dopo qualche energico balzo.
Un mormorio eccitato si
diffuse a macchia d’olio. “Ora, per tornare alla
parte teorica…”
“La cosa puzza,
mio buon
Dursley.” Mormorò Nott, appoggiato al muro, ben
lontano da qualsiasi tentativo
di interessarsi alla lezione. Tom gli faceva compagnia. “Non
credi?”
“Credo.” Confermò, guardando distratto
l’avvicendarsi della varie diapositive.
Perché
ci insegna un incantesimo che non serve? Cosa
c’è dietro?
Al, se non fosse stato
occupato a bersi la spiegazione, lo avrebbe tacciato di paranoia.
Non
è così.
Non era un segreto che Ted
intrattenesse una fitta corrispondenza con il padrino, in contatto con
le fonti
di informazioni principale sui movimenti della Thule. Quella lezione
estemporanea non poteva essere un semplice capriccio intellettuale.
Specie
considerando che il professore in questione ha
l’immaginazione di un fazzoletto…
E non poteva riguardare la
Prima Prova: Lupin era troppo imparziale per dare indizi ai solo
Campioni
presenti. Inoltre, nessun organizzatore sano di mente avrebbe messo dei
Dissennatori, non dopo il ruolo avuto durante la Seconda Guerra Magica.
Quindi
se non è una cosa del Tremaghi…
Poteva
forse essere della Thule?
Nott gli diede un colpetto
sulla spalla. “Un falci per i tuoi pensieri, Dursley. Anzi,
facciamo un galeone
se indovino.”
Tom suo malgrado fece un sorrisetto. “Andata.” Si
voltò verso di lui. “Allora?”
“Stai pensando che c’è qualcosa dietro,
che è una cospirazione e che include te.”
Snocciolò, squadrandolo in quel
modo tagliente che Tom mal sopportava e stimava al tempo stesso.
“Ci ho preso?”
“… abbastanza.”
Tom sapeva di non avere
molti
amici. Anzi, fatta eccezione per Albus, Lily e la piccola Meike non
aveva
neppure delle persone che lo trovassero simpatico.
Non che gli importasse. Però Loki era qualcuno con cui
confrontarsi, uno dei
pochi coetanei di cui avesse una forte stima.
In
un certo senso è la persona più vicina alla
definizione di amico che ho.
“Siamo un
po’ paranoici, eh?”
“Tu non lo saresti dopo quello che mi è
successo?” Replicò aspro, a bassa voce,
perché farsi riprendere da Lupin sarebbe stato seccante.
“L’anno scorso hanno
sguinzagliato per la foresta degli enormi serpenti traccia-aura e poi
mi hanno
rapito. Posso aspettarmi di tutto da mio padre.”
“Ed io che mi lamento del mio perché è
una figura assente …” Ghignò
l’altro.
“Beh, anche se fosse un nuovo incantesimo per pararti il culo
camuffato da
lezioncina? Imparalo e tieni gli occhi aperti.”
“Voglio sapere che
sta
succedendo.”
Ne aveva bisogno,
perché si
sentiva spaccato in due: se da una parte desiderava solo stare lontano
il più
possibile da suo padre, da tutta quella faccenda, dall’altra
sapeva che era
impossibile e odiava quindi trovarsi nella posizione di dover aspettare
come un
ragazzino spaventato.
“Tutti vorremo un sacco di cose, mio buon amico.”
Replicò Loki. “Ma non sempre
si ottiene ciò che si vuole. Non lo sai?”
“Non è
questo. È proprio ottenerlo
ad essere spaventoso…” Mormorò mentre
Lupin concludeva la sua spiegazione e
chiedeva a tutti di prendere le bacchette. Nott gli lanciò
un’occhiata
incuriosita, segno che lo stava ascoltando. “… ti
ci abitui. Quindi hai paura
che ti venga portato via.”
“Beh, ma qui mica
stiamo
parlando di soldi, mi pare.”
“Eh?” A volte Loki aveva degli schemi di
ragionamento totalmente fallati: forse
c’entrava quell’assurda storia che raccontava
sull’essere stato cresciuto da un
folletto ex-dipendente della Gringott.
“I soldi non si
affezionano.
Sono soldi, di chiunque siano, a loro non interessa. Sono cose. Tu stai parlando di persone, di
affetti, mi pare.”
“Sì… e quindi?”
“Dursley, le persone sono capaci di affezionarsi. Insomma,
sta qui la
differenza. Non pensare di essere solo a combattere. Per
l’amor di Merlino, sei
davvero così pieno di te?” Arricciò
l’angolo delle labbra in un sorrisetto. “Datti
tregua. Fai troppo l’eroe tragico per il tuo bene.”
Tom fece una smorfia, ma sentì improvvisamente la tensione
lasciare le sue
spalle.
“…
Grazie.”
“Di niente. Spero solo che non sarà questo
il tuo ricordo felice, perché Al potrebbe ucciderci se non
penserai a lui.”
“Sei un idiota, Nott…”
Sbuffò, sentendo una risata salirgli alle labbra.
“Okay ragazzi,
adesso provate
e mi raccomando, usate il ricordo più felice che
avete!”
“… non
un furetto… non un furetto…”
Rose lanciò un’occhiata perplessa al proprio
ragazzo che stendeva la bacchetta
davanti a sé ripetendo quel mantra a mezza bocca da almeno
due minuti buoni.
“Scusa?”
Chiese perplessa.
Scorpius per tutta risposta
avvampò. “Uhm. Non so di che stai parlando. La
parola furetto non è mai uscita
dalle mie labbra. Tu che ricordo userai?” Stornò
con un sorriso disinvolto. “Io
userò te!”
“… è una cosa molto dolce. Credo.
Tralasciando la scelta verbale.” Sorrise di
rimando, divertita. La verità è che avrebbe
sfruttato proprio i ricordi con quel
bislacco scemo. Ne aveva molti sulla sua famiglia, sugli amici,
dall’infanzia
all’adolescenza.
Ma
mai intensi quanto quella sera a Stonehenge
“Tu cosa userai?
Me, vero
pasticcino?” Inarcò significativamente le
sopracciglia. “Cerca di rendermi sexy
e virile nella tua fantasia.”
“Buffone…” Borbottò
sentendosi le orecchie prendere fuoco, mentre l’altro
rideva. Poi si concentrò, e dovette davvero evitare di
guardarlo per non
prendere definitivamente fuoco e dare ufficialmente il permesso a Piggie – che li stava fissando
- di
capire cosa ci fosse tra di loro.
Non era facile, e i primi
tentativi furono più che altro una nebbiolina argentata. Si
tranquillizzò
quando vide che anche gli altri erano nelle sue stesse condizioni.
“Voglio un
drago!” Si lamentò
Scorpius, scuotendo la bacchetta come se da essa potesse provenire un
suggerimento risolutore. “Un drago enorme!”
“Come questo?” Replicò
Dominique, l’unica ad essere riuscita a produrre
qualcosa di definito al primo colpo. Effettivamente, notò
Rose stupita, il suo
patronus poteva sembrarlo.
Più
probabile sia una salamandra … ma se l’inganno
spinge Scorpius a fare del suo meglio, beh…
“Ti odio,
Weasley!”
“Eh, si sa che i
biondi sono
meno svegli, ma non ti scoraggiare!”
“Ti odio
tantissimo!”
Rose sorrise, ma dovette
evitare di ghignare quando voltandosi vide che lo scudo di Thomas era grigio e del tutto lontano
dall’illustrazione esplicativa al proiettore.
Ah,
c’è qualcosa in cui è negato allora!
“Un
ricordo felice, Tom.” Lo
incoraggiò Teddy. “Pensa ad
un…”
“Ho capito.” Articolò quello, freddo.
“Non sono abituato a pensare a comando.”
A quel punto Albus, che
provava tenacemente da venti minuti senza guardare nessuno, fece un
sospiro e
si avvicinò all’impiastro per poi mormorargli
qualcosa all’orecchio.
Rose vide Tom arrossire
– un’illusione
ottica? – per poi riprendere nell’esercizio.
Dopo un paio di tentativi
andati a vuoto, lo scudo sembrò finalmente uno scudo.
Non
credo di voler sapere cosa gli ha detto…
Albus tornò al
suo posto,
accanto a lei, squadernando uno dei suoi sorrisi soffici.
“Tom era solo un po’
bloccato emotivamente … Gli capita a volte.”
“Io la chiamerei costipazione.” Replicò
Rose con uno sbuffo, facendolo
ridacchiare. Si concentrò di nuovo, e stavolta, con suo
soddisfazione, dalla
punta della bacchetta uscì una lontra dal dorso lucido che
prese a volteggiarle
attorno.
“Molto bene, non
distrarti…”
La lodò Ted, mentre passava tra gli studenti per correggere
una pronuncia o una
postura sbagliata. Rose sorrise, evitando di guardare verso Scorpius.
Anche
perché era certa che gli avrebbe gongolato contro, e questo
l’avrebbe irritato
ancora di più.
Quando Albus
riuscì a produrre
una fenice color argento vivo, che sfrecciò a pochi
centimetri dal biondo,
rischiando di fargli perdere l’equilibrio, Rose
capì che avrebbe dovuto tenere
il becco assolutamente chiuso. E fissare ostinatamente in
un’altra direzione.
Come
suo ragazza, so che mi ucciderebbe se tentassi di
consolarlo…
“Perché
non funziona?” Sibilò Scorpius, frustrato. Non
riusciva a
capire come tutti, o quasi, riuscissero a farsi saltellare intorno
animaletti
della fattoria color platino e lui riuscisse solo ad emettere sbuffi di
fumo.
Ted gli si
avvicinò e gli
abbassò gentilmente la mano che stringeva la bacchetta fino
a farsi male.
“Scorpius, fermati
un attimo.”
“Perché?”
Chiese, e davvero,
era una sua impressione o tutti lo stavano guardando?
“Perché non mi…”
“Sei troppo nervoso. Questo incantesimo ha bisogno di
calma.”
“Sicuro, infatti viene usato in situazioni di totale
serenità.” Ribatté salace,
pentendosene subito dopo. In fondo Lupin tentava solo di aiutarlo.
Ted non diede segno di
essersi
irritato per la totale mancanza di rispetto. “Sei un
occlumante, vero?” Gli
chiese invece.
“Ehm,
sì… ma come lo sai?”
“Me l’ha detto tua nonna.”
Spiegò concisamente. “Gli occlumanti hanno un
forte
controllo sulle proprie emozioni. Molti di loro le reprimono, per non
farsi
leggere. È così che funziona per te?”
Scorpius si limitò ad annuire, capendo dove voleva arrivare.
“Quindi … è l’Occlumanzia
che mi sta impedendo di far funzionare l’incantesimo? Ma non
la sto usando!”
“È un
meccanismo difensivo
automatico. Te l’avranno spiegato, una volta che la impari la
usi istintivamente
nelle situazioni di tensione, per mantenere il sangue
freddo.” Evitò di dire
che quella per lui era una di quelle situazioni, e gliene fu grato.
“Oh.” Non ci aveva pensato. “Significa
che non ci riuscirò mai?” La cosa lo
frustrava, e gli dispiaceva. C’era una parte di
sé, neppure troppo nuova, che
sentiva il continuo bisogno di fare tutto alla perfezione. Meglio degli
altri e
più velocemente.
Così
nessuno potrà osare attaccarmi.
Ted scosse la testa,
dandogli
una pacca sulla spalla. “Non ho detto questo. Solo
sarà un po’ più difficile
per te che per persone come Albus e Rose, che sono invece a contatto
con le
proprie emozioni… Non ti scoraggiare. Riprova.”
Scorpius sorrise di rimando,
perché era quello che ci si aspettava da lui. Quindi
è ciò che avrebbe fatto.
“È la cosa che mi riesce meglio,
professore.”
****
Foresta
Proibita, Dopo pranzo.
“Certo che potrei
passare
l’intero pomeriggio a lanciarti roba morta…
Ingordo.”
Artiglio gorgogliò cupamente mentre spezzava le ossa del
quarto di pollo che
gli aveva lanciato, con una sinistra soddisfazione che Scorpius aveva
imparato
a riconoscere come del tutto innocua.
Seduto su un masso, in mezzo
alla foresta e in tuta da allenamento, si prendeva un meritato riposo
dopo
essersi fatto chilometri su chilometri attorno al Lago. Allenarsi era
stata
l’unica cosa che gli era venuta in mente per cancellare la
frustrazione di non
essere riuscito a produrre un maledetto patronus.
Tra cinque giorni sarebbe
sceso nell’arena del Torneo e al momento si sentiva la
persona più inadatta a
farlo.
Un
Basilisco… Miseriaccia, i Basilischi uccidono pure
con lo sguardo!
La sua coscienza ormai aveva
la voce di Rosie.
Sentì un colpetto
sulla gamba,
e si trovò a pochi centimetri il becco
dell’ippogrifo, intento a frugargli
nella borsa alla ricerca di altro cibo. Gli passò una mano
sul collo piumato,
con un sospiro.
“Pensi che abbia
chili di
carne putrescente con me? Va bene che gli elfi delle cucine mi
riempirebbero
uno zaino se glielo chiedessi, ma
tu
sei veramente avido…”
Non era la prima volta che
veniva a fargli visita; solo nel silenzio della foresta e in compagnia
di una
creatura incapace di parola si sentiva finalmente libero di sentirsi
spaventato.
Artiglio, insensibile al suo
angst, fece un verso scontento,
tirandogli una botta sul braccio con il becco. “Ahu!
Così si ripaga una
gentilezza?” Sorrise. “No, scherzo. Sei
l’unico che non mi dà dell’idiota o non
agita spille incoraggianti nella mia direzione. Credo che al momento tu
sia il
mio essere vivente preferito.” Mormorò grattandolo
sotto la gola e ottenendo un
sibilo soddisfatto. “Forse potrei comprarti, ma
papà non mi lascerebbe tenerti.
Brutte esperienze…” Si alzò in piedi,
chiudendo la borsa e mettendola al sicuro
dalle mire dell’ippogrifo. “… e Hagrid
potrebbe pensare che voglio giustiziarti
o qualcosa del genere.”
Non aveva la forza di dire a
Rose che di coraggio al momento non se ne sentiva addosso neppure
un’oncia. Non
poteva dirlo a nessuno: tutti dovevano credere che fosse la persona
più
positiva del mondo rispetto a quella faccenda.
Era stanco di doversi
vergognare del suo cognome. Ma il cambiamento, era inevitabile, non
sarebbe mai
partito da suo padre.
‘Io
ho fatto i miei errori, e ad essi non c’è rimedio.
E non sento il bisogno di trovarlo. Sei un uomo ormai, Scorpius. Devi
ottenere
da solo ciò che vuoi. Sii il cambiamento che
cerchi.’
Draco Malfoy viveva ancora
nel
passato, e l’avrebbe fatto sempre, perché non era
mai riuscito ad andare oltre
a quella maledetta guerra.
Nessuno
gli ha mai dato la possibilità di farlo.
Amava la sua famiglia, ma
non
poteva aspettarsi aiuto da loro, né comprensione dagli
altri.
“Sono un eroe
solitario,
Artiglio…” Borbottò dandogli un
colpetto sul becco. Era stufo di quella fase
deprimente della sua giornata. Era ora di cancellarla con un
po’ di adrenalina.
“Basta chiacchiere… vogliamo farci un
giretto?”
La prima volta che aveva
provato a salirgli sopra si era ritrovato culo a terra in due secondi,
con
l’ippogrifo che gli strideva contro oltraggiato. Poi era
andata
progressivamente meglio. Tutto era partito da una chiacchierata con
Tremayne: gli
aveva spiegato che, testuali parole ‘il ragazzo era un osso
duro’.
Doveva farlo, si era detto
allora.
Se fosse stato capace di salire su Artiglio, palesemente poco incline a
farsi usare
come pony, avrebbe avuto più fiducia nella riuscita del
Tremaghi.
Rose gli avrebbe detto che
aveva un serio problema nel voler sempre dimostrare qualcosa a
sé stesso.
Ma
ehi, attualmente è l’unica cosa che mi
dà fiducia.
Si arrampicò su
un sasso,
sufficientemente in alto per poter essere al garrese
dall’animale.
“Non spostarti! Ti
tengo
d’occhio!” Lo minacciò. Era certo che
l’ippogrifo capisse tutto, e si
divertisse a far finta del contrario.
Ne ebbe la riprova quando
riuscì a montare sul dorso dell’animale, ma quello
non ci pensò che pochi
attimi prima di stendere le ali e partire al galoppo.
“Cosa ti ho detto
sulle parte…
Aargh!” Si
aggrappò appena in tempo
per vedere gli zoccoli staccarsi bruscamente dal suolo.
“Giuro che ti
sostituisco con una scopa la prossima volta!”
Artiglio non diede segno di
provare rimorso per le sue azioni e salì di quota,
frustrando con le grandi ali
piumate le fronde degli alberi.
Scorpius inspirò
a fondo sentendo
la familiare e deliziosa stretta allo stomaco che provava ogni volta
che faceva
qualcosa di proibito: se fosse stato beccato a cavalcare una creatura
magica
appartenente alla scuola sarebbe finito nei guai.
Probabilmente
mi farebbero mangiare la spilla da
Prefetto… ma al diavolo.
La sensazione inebriante che
derivava dal volo era qualcosa che gli aveva sempre dato assuefazione.
Ma era
meglio che su un manico di scopa. Probabilmente per un babbano
c’era la stessa
differenza tra montare su una bicicletta o su un cavallo.
Non era solo.
Il vento gli sbatteva fresco
e
aspro sulla faccia. Era tutto quello di cui aveva bisogno al momento.
****
Vascello
di Durmstrang, Pomeriggio.
Sören detestava la
Scuola di
Magia e Stregoneria di Hogwarts.
Non andava bene per lui, non
per chi era veramente. Ma viveva
quella realtà scolastica perché quella
era la sua missione.
Se l’era ripetuto
così tante
volte in quell’ultimo mese, che ormai era diventato un
mantra.
Ogni mattina si svegliava e
faceva colazione in Sala Grande. Incontrava Lily, si interfacciava con
Lily,
scherzava con Lily e negli spazi che ritagliava dal suo allenamento per
il Tremaghi
le dava una mano con le materie che le erano più ostiche.
Era un buon amico.
Perché quella era
la sua
missione.
Cercava di estraniarsi, di
mettere avanti Luzhin prima di lui. Anche non riusciva mai a capire, a
distinguere nettamente, in fondo alla giornata, se quello che aveva
interagito
con la Potter lo era, però.
È
la mia interpretazione di Luzhin? Sono io? Come
faccio a distinguere una cosa del genere?
Era sempre più
confuso sul suo
compito. Naturalmente era l’unico che potesse svolgerlo, per
esperienza e per
giovane età. Era l’unico sotto i
vent’anni nell’Organizzazione.
Ero l’unico che
potesse
fingere di essere uno studente… ma la cosa mi si sta
ritorcendo contro. Questa
immobilità, questa finzione. Devo tornare me stesso. Solo
pochi giorni… fino
alla Prova. C’è qualcosa in ballo.
Al momento era nella saletta
privata per i duelli, che era stata assegnata al Campione,
cioè a lui. Aveva
appena terminato l’allenamento a cui quotidianamente si
sottoponeva. Esercitare
le sue capacità magiche e fisiche era qualcosa che faceva
anche prima di
vestire i panni di Luzhin, ma in quel caso, con la Prova in vista, era
quantomeno doveroso ne intensificasse la durata.
Si fermò solo per
bere pochi
sorsi d’acqua.
“Sören!”
Lo apostrofò Kirill, annunciando
il suo ingresso solo con i propri passi pesanti. “Sei ancora
qui?”
“Già. Cosa dovevi dirmi? Ho da fare.”
Tagliò corto. Il russo fece una smorfietta.
“Sempre di umore
splendido,
vedo…” Gli si avvicinò maggiormente,
sporgendosi al suo orecchio. “È arrivata
una comunicazione via fuoco magico. Quelle… cose.
Sono arrivate.”
Sören sentì lo stomaco ghiacciarsi mentre un lungo
brivido gelido gli correva
lungo la schiena fino ad attanagliargli la nuca. Ma non fece una piega.
“Bene. Il luogo
dove dovrò
materializzarmi?”
Kirill gli mise in mano un
sassolino, tondo e scuro. Era un tracciatore, un invenzione che non
aveva
ancora abbattuto le dogane magiche dell’Inghilterra: quando
un mago non sapeva
dove materializzarsi quel piccolo artificio magico gli rendeva nota la
destinazione solo pronunciando un breve incantesimo di attivazione.
Meno
costoso di una passaporta, più facilmente
occultabile … del resto tutta la posta per Hogwarts viene
controllata dal
Ministero Inglese…
Quello
che non capisco è perché ce l’abbia
Kirill e non
l’abbia invece ricevuto io.
“Che
c’è?” Chiese l’altro, ignaro
dei suoi pensieri. “Ricordati che puoi materializzarti solo
fuori dai cancelli
della scuola.”
“Perché
ce l’hai tu?”
Quello lo squadrò con aria guardinga. “Beh,
perché l’ho ricevuto per posta
stamattina…”
“E perché non me l’hai dato
subito?”
“Le istruzioni sono arrivate solo adesso!”
Replicò Kirill con fastidio. “Non
prendertela con me se il magister
dopo il guaio che hai combinato ad Hogsmeade non si fida più
di te!”
Sören serrò le labbra e la presa sul manufatto, che
poi fece scivolare in
tasca.
Magister…
Era uno dei nomi con cui
veniva chiamato suo zio dagli affiliati.
Sta
dando più responsabilità a Kirill…
Hohenheim non aveva preso
bene
il suo colpo di testa con James Potter.
Naturalmente
aveva dovuto riferirglielo la sera stessa, dopo che Lily era tornata al
castello.
La punizione era arrivata,
perché suo zio non la risparmiava mai. Non era uomo da ire
spettacolari, ma
credeva nel principio azione-reazione. Ad un errore corrispondeva
sempre un
castigo.
Come
si fa con i cani, Sören. Come i cani…
Mosse istintivamente le dita
della mano destra: per giorni il solo movimento gli aveva tolto il
fiato dal
dolore.
“Non
mi aspettavo una reazione simile da te, Sören.”
“Chiedo scusa. Ho perso la calma. Non accadrà una
seconda volta.”
La voce di suo zio era fredda e asettica, oltre le fiamme che
abbozzavano
malamente il suo volto. Sören sentiva una lama di ghiaccio
bollente conficcata
nello stomaco, e teneva la testa china perché
l’uomo non se ne accorgesse.
Anche se lo sapeva, era ovvio che lo sapeva.
“Questo
lo spero … hai rischiato di compromettere la
tua posizione. La ragazzina avrebbe potuto allontanarsi.”
“Lo so.”
“… ma non è stato
così.” Aveva concluso per lui. “Questo
va a nostro favore,
indubbiamente. Devi avere la sua fiducia completa, Sören. Non
scordarlo.”
“Non è mia intenzione.”
“Sono
lieto di sentirlo.” C’era stata una lunga pausa.
Suo zio era bravo nel saper accrescere il terrore, e tutto senza
bisogno di
parole o minacce. Era la mente del malcapitato a fare il grosso del
lavoro.
“Mostrami
il braccio, Sören.”
L’aveva fatto,
perché era solo
un cane, come spesso gli aveva sussurrato all’orecchio
Johannes quando si
incontravano per i corridoi del maniero degli Hohenheim. Erano tutti
cani da
guardia, un manipolo scelto, ma pur sempre servitori.
‘E
i cani obbediscono agli ordini del padrone, piccolo
principe…’
Quando il dolore era
arrivato,
Sören lo aveva accettato con
l’inevitabilità di diciannove anni di educazione
orientata in tal senso. Centinaia di aghi arroventati gli avevano
trapassato la
carne del braccio destro. Era sempre lì che colpiva,
perché su quello aveva il
controllo: gli era sembrato di averlo immerso nella lava liquida.
La sua catena non era
stretta
al collo, ma al braccio destro.
Ironico
visto che ha pianificato fin dalla nascita di
rendermi tale, figurativamente parlando. Il secondo in comando di suo
figlio…
Era il risultato di
quell’esperimento
per cui suo padre aveva dato la vita e per cui lui aveva consegnato la
sua
anima a Alberich.
Suo zio non si infuriava,
suo
zio non esplodeva in accessi di collera come il più ridicolo
dei dittatori.
No, lui puniva.
Kirill l’aveva
trovato un’ora
dopo, a terra, incapace di muoversi; per giorni non era stato in grado
di farlo.
Quando era tornato a calcare
il suo di Hogwarts, era di nuovo se stesso, freddo e lucido.
Le
punizioni servono a questo, no?
Pensava di starsela cavando
bene. Lily non sospettava nulla, e cosa più importante, non
aveva tentato di
presentargli una seconda volta altri membri della sua famiglia: aveva
solo
avuto sporadiche conversazioni con Albus, ma gli era sembrato troppo
preso
dalle quinte del Tremaghi, dove operava, per prestargli davvero
attenzione.
Meglio
così…
Con Thomas invece non aveva
avuto altri contatti. Sembrava volerlo evitare, la qual cosa gli andava
benissimo. E poi non gli era stato ordinato di far nulla in merito.
È
troppo sospettoso, inoltre…
“Sören…”
Lo sguardo perplesso
di Poliakoff lo riportò alla realtà.
“Devi trovarli stasera. Rimani
concentrato.”
“Lo sono sempre.” Tagliò corto.
“Non c’è bisogno che ti
preoccupi.”
L’altro, a
sorpresa, non si
limitò ad assentire come suo solito. Invece
schioccò la lingua. “Senti…
l’ultima
volta, dopo che hai parlato con il magister, ti ho ritrovato a terra
svenuto,
cazzo. Come faccio a non esserlo?”
“Libero di farlo, allora.” Stornò secco,
serrando la mano in convalescenza, e
rilasciando la presa subito dopo. Sentiva ancora un lieve fastidio alle
ultime
falangi. Sperava non sarebbe stato un problema per la Prova.
“Credi sia il caso che venga con te?” Era chiaro
che era un puro pro-forma, ma
Sören ne rimase sorpreso e parimenti insospettito.
Sta
cercando di farmi le scarpe?
Non ne sarebbe stato capace,
e
lo sapevano entrambi. L’unico motivo per cui suo zio aveva
affidato a Poliakoff
quei compiti era per continuare a ricordargli che la sua
sostituibilità era
cosa del tutto possibile.
“Perché
vorresti venire?” Chiese
quindi. “Sai da cosa sto
andando.”
L’altro serrò le labbra in una linea sottile.
“Già.” Sembrava essersi pentito
della sua asserzione precedente. “Senti…
ma… perché?”
“Perché
cosa?”
“Perché…” Si
avvicinò, anche se erano soli in quella stanza.
“… perché i
Dissennatori?”
Sören non rispose, perché neppure lui aveva le idee
ben chiare.
“Perché
i Dissennatori?”
“Perché sono le uniche creature contro cui il
Ministero magico inglese è
tutt’ora debole, Sören. Sono legati alle paure dei
sopravvissuti. Creeranno
scompiglio, come i Naga hanno fatto l’anno scorso. Cavallo
vincente, non si
cambia.” Una pausa. “Fa ciò che ti dico.
Trovali. Sono creature senzienti.
Mostragli il tuo anello, il tuo vero anello. Ti riconosceranno ed
obbediranno
ai tuoi ordini.”
“E cosa devo dire loro?”
“Che devono venire ad Hogwarts.”
Poliakoff sembrò capire dalla sua espressione che non
avrebbe ottenuto
risposta. Si limitò quindi a sospirare. E fare la domanda
che non avrebbe
voluto sentirsi fare.
“E se non fossero
controllabili?”
Aveva una risposta anche per quello, in ogni caso.
“È già stato fatto. E mio
zio deve aver già mandato un agente a trattare con
loro…” Probabilmente Kirill
era solo preoccupato dall’eventualità che ci
rimettesse la vita, e fosse
costretto a spiegare ad un intero sistema scolastico straniero che fine
aveva
fatto il Campione. “Non devi preoccuparti.”
Kirill era ancora incerto, glielo poteva leggere
dall’espressione e le
sopracciglia contratte in una linea continua. “…
quando attaccheranno…
Potrebbero esserci dei… come dire. Danni
collaterali?”
“Non posso escluderli.” Convenne. “Ma lo
scopo non è quello di uccidere delle
persone, questo posso assicurartelo. Esercitati nell’incanto patronus, è tutto
quello di cui avrai bisogno.”
Poliakoff a quel punto
annuì.
Leggeva paura e ansia nel suo sguardo, e poteva comprenderlo. Quel
ragazzo si
era offerto di patrocinarlo nell’anelito di seguire le orme
del padre. Ma solo
adesso si stava finalmente rendendo conto di cosa
significava avere a che fare con la Thule.
Troppo
tardi…
Prese la bacchetta dal
tavolo,
dove l’aveva posata per poter bere. Se la allacciò
ai ganci della cintura,
pronta ad essere sfilata al bisogno. Poi si passò una mano
sul petto. L’anello,
il suo anello, l’anello dei Prince: non aveva pensato neanche
un attimo di
lasciarlo nel suo baule. Lo tirò fuori e lo
staccò con cura dalla catenina.
“È uno
stemma che non ho mai
visto…” Osservò Kirill. “A
chi appartiene?”
Sören si intascò l’anello dei Luzhin,
sostituendolo. Calzava perfettamente, lo
aveva sempre fatto, sin da quando era un bambino e aveva dovuto
metterlo al
pollice.
“A me.”
Non avrebbe mai messo
quell’anello sul fondo polveroso di una valigia. Era
l’unica certezza che aveva
al momento.
****
Note:
1.
Qui la canzone.
|
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Capitolo 25 *** Capitolo XXIV ***
Capitolo XXIV
Di
rado va
come ci aspettiamo che vada. Per la precisione, mai.
(Le
bugie hanno le gambe corte, Charles Bukowski)
18
Novembre 2023
Ben
Nevis¹, Monti Grampiani, Scozia.
Sören rimpianse di
non aver
preso il mantello con sé.
In sola tuta
d’allenamento
stava letteralmente congelando essendosi materializzato, grazie al
localizzatore, su una cima battuta da un vento aspro che gli tagliava
impietoso
il viso.
Fece scivolare il
localizzatore in tasca, strofinando appena con il pollice la superficie
del suo
anello: suo zio gli aveva detto che i Dissennatori lo avrebbero
riconosciuto
grazie a quello.
Questo
significa che qualcuno prima di me è venuto a
parlargli, nella loro riserva. L’anello sarà il
mio segno di riconoscimento…
Ma
chi? Non è un lavoro da semplice tirapiedi…
Improbabile fosse stato suo
zio in persona: da che ricordava non aveva mai lasciato la Germania.
Si guardò
attorno, mentre si
rifiutava di stringersi le braccia al petto. Una posizione piuttosto
imprudente
se doveva avere la bacchetta pronta all’uso.
Sono
creature programmate per succhiare via l’anima di
un essere umano dopotutto…
Il paesaggio sembrava quasi
appartenere ad un'altra epoca: sassi grigi e scarni ricoprivano il
pianoro,
appuntiti come lame di rasoio. Tutto attorno a lui era grigio. Il
terreno, le
rocce, il cielo. Era esattamente sulla cima della montagna. Poteva
sentire i
suoi polmoni liberarsi, aspirando l’aria leggera. Era come
respirare
inconsistenza.
Sono
molto in alto… più di mille metri, sicuramente.
Voltandosi su se stesso
notò
delle rovine. Dovette muovere più di qualche passo in loro
direzione per
identificarle: erano babbane. Forse un rifugio per alpinisti. Erano
esattamente
al centro del pianoro.
I
Dissennatori si nasconderanno lì?
Strinse la bacchetta e si
incamminò, notando qualche spruzzata di neve sui monconi di
pietra meglio
conservati. Davano un contrasto stridente con il resto del paesaggio.
Era contento non ci fossero
babbani in giro, così da poter tenere la bacchetta ben
spianata davanti a sé:
doveva essere quel tempo incerto a tenerli lontani.
Oppure sono i Dissennatori... potranno non vederli, ma li
percepiscono.
In quel frangente, era
felice
di essere un mago.
Il freddo si stava facendo
più
acuto, ad ogni passo che lo avvicinava alle macerie: non
c’erano dubbi, era lì
che si annidavano.
Sentì le sue
scarpe crepitare
e abbassando lo sguardo notò che stava pestando della neve
compressa e dura,
ormai ghiaccio. Dentro le rovine la temperatura si abbassava
ulteriormente di
una decina di gradi. Sören si trovò a dover
stringere i denti per non sentirli
sbattere tra di loro.
“Sono
Sören Hohenheim. Sono
qui per vedervi.” Scandì con precisione, sentendo
stranamente stonato il suo
cognome, dopo mesi che non lo pronunciava ad alta voce.
“Mostratevi.” Aggiunse,
levando la mano e mostrando il sigillo del suo anello.
Il freddo si fece
improvvisamente insopportabile. Sören serrò le
labbra lasciandosi sfuggire un
respiro corto e secco, mentre percepiva il cambio di luce. Era come se
un
enorme nube scura si fosse sprigionata dai muri ghiacciati e gli si
stesse
riversando addosso. Strinse la bacchetta fino a sentire le giunture
dolere
mentre una creatura vestita di stracci neri scivolava davanti alla sua
visuale,
spuntando dal muro, quasi materializzandosi.
Era la prima volta che
vedeva
un Dissennatore da vicino ed era spaventoso.
Non poteva vedere i
lineamenti
del viso – sempre che ne avesse uno – dato che aveva
il cappuccio calato, ma le
mani dalla pelle raggrinzita e allo stesso tempo disfatta bastavano e
avanzavano
a soddisfare le sue fantasie in merito.
“Sono
Sören Hohenheim. Sono
qui per parlare con voi.” Ripeté: conosceva
l’incantesimo atto ad allontanarli,
ma non poteva usarlo.
Poco
utile … diplomaticamente parlando.
Sentiva una compressione
orribile al petto. Quell’angoscia sottile e terribile che
preannunciava il
pianto, la realizzazione di provare dolore, e non fisico. Non pensava
l’avrebbe
mai più sentita da quando era bambino. Era orribile.
Sören
continuò a tenere la
mano con l’anello tesa, rifiutandosi di guardare da altre
parti, se non il
Dissennatore. Sapeva che ce n’erano altri, li poteva sentire
respirargli sulla
nuca, sulle mani, addosso.
Quanti
sono?
Poi capì che
stavano
aspettando i suoi ordini.
“… Dovete venire ad Hogwarts. Tra sei giorni. Si
terrà la Prima Prova del
Tremaghi. Voi dovrete entrare nello stadio di Quidditch. Tra sei
giorni.” Ripeté
mentre gli sembrava che non avrebbe mai più sentito caldo in
vita sua. Era
freddo, troppo freddo. Serrò la mascella. “Avete
capito?”
Non ci fu risposta, ma
Sören
non dovette aspettare molto prima che un pensiero gli
attraversò la mente.
I patronus
… ci saranno i
patronus. Auror… Ministero.
Era come se non
l’avesse
pensato lui, come se gli si fosse palesata un’immagina in
mente, forzata: come
quando qualcuno lo obbligava a raffigurarsi una determinata situazione,
spiegandogliela a parole.
Sono
stati loro…
“Di questo non
dovete
preoccuparvi. Vi darò un varco da cui entrare. Voi pensate
soltanto a venire.”
Si sentiva la testa pesante e come un sordo rumore continuo. Un
ticchettio. E
poi sentì un odore, un odore che non avrebbe mai dovuto
sentire in cima ad una
montagna.
Odore di pozioni. Acuto,
fortissimo, odore di pozioni bruciate.
Come quel giorno, il giorno
in
cui era morto suo padre. Il giorno in cui era diventato ufficialmente
uno dei
cani da guardia di suo zio.
La sua paura peggiore
assumeva
la forma del giorno in cui aveva perso la sua infanzia.
Dovevo
aspettarmelo…
Stanno
avendo effetto… Sono troppi. Non riesco ad avere
ragione dei loro poteri semplicemente con la forza di
volontà.
Si sentiva le gambe deboli e
quell’odore gli sembrava di averlo attaccato addosso, gli
sembrava di espirarlo
ed inspirarlo.
Senza poter usare l’Incanto Patronus era come
essere nudo
di fronte ad un plotone d’esecuzione.
“Devo…”
Esalò come se dovesse fornire una
spiegazione a quegli esseri. Poi indietreggiò lentamente, e
per pura fortuna
non si scontrò con uno di loro. O forse gli avevano lasciato
libero il
passaggio. Indietreggiò finché non
sentì di nuovo la pietra priva di ghiaccio
sotto i suoi piedi. Non era neppure sicuro di vedere bene, ma stava
forse
nevicando?
Si sentiva la testa
pesantissima e la vista offuscata: sapeva di stare per svenire. Se
fosse
crollato a terra privo di sensi, non era certo che i Dissennatori
avrebbero
rispettato la sacra regola di non nuocere ad un ambasciatore.
Si ficcò una mano
in tasca con
urgenza, serrando le dita attorno alla superficie liscia e gelata del
Materializzatore.
Con gli ultimi rimasugli di coscienza, si smaterializzò.
****
Hogwarts,
Riva del Lago Nero.
Pomeriggio.
“Grazie per avermi
accompagnato.”
“È una frase di rito?”
“Eh?”
“Era l’unico modo che avevo per stare con te, da
solo… venire con te a
raccogliere erbe.”
Albus inarcò le sopracciglia, voltandosi in direzione di
Thomas: stavano
costeggiando a piedi le rive sabbiose del Lago Nero. Il tempo era
rapidamente
peggiorato e nuvole gravide di pioggia si addensavano attorno al
castello, ma
nessuno dei due sembrava farci caso.
Tom aveva le mani abbandonate
mollemente nelle tasche del cappotto e si guardava attorno,
socchiudendo gli
occhi al vento sottile. “Non passiamo molto tempo assieme, in
queste ultime
settimane…” soggiunse come postilla.
Al sorrise dispiaciuto:
sapeva
di stare trascurando il suo ragazzo. Oltretutto il tempo libero che riusciva a ritagliare era spesso
a
disposizione di Rose e Scorpius.
Non
posso lasciarli da soli adesso, sembra
che facciano a gara a chi nasconde
meglio il proprio tracollo nervoso.
“Lo so, ma da
quando la Bones
ha ridato la sua spilla sono rimasto solo… Lo sai, non
è un ruolo che comprende
tanto tempo libero.”
“Ricordami
perché ha
rinunciato. A parte il fatto che è una tassorosso,
naturalmente.”
“Simpatico.” Ironizzò. “Non ha
retto la pressione, tutto qui.” Fece spallucce,
anche se in realtà la defezione di Megan l’aveva
messo in una posizione
scomoda.
Insomma,
poteva evitare di accettare la carica in prima
istanza… non è ancora stato nominato il
sostituto. Non è una priorità, pare.
Si chinò,
riconoscendo la
pianta che doveva raccogliere. La tagliò con cura,
infilandola dentro il
tascapane. Lanciò poi un’occhiata a Tom che
osservava il vascello di
Durmstrang, ormeggiato poco più indietro.
Tom in quelle settimane si
era
comportato in maniera adorabile.
Cioè,
per i suoi standard.
Era tornato uno studente a
pieno
regime e Al era felice di non doversi occupare anche
di lui.
“La Bones sentiva
la
pressione… e tu?” Gli chiese improvvisamente.
“Certo che
sì.” Rispose
alzandosi e spazzolandosi i jeans sporchi di erba e terra.
“Solo che il mio
ragazzo non minaccia di lasciarmi perché passo poco tempo
con lui. Megan si
fidanzerà ufficialmente uscita da Hogwarts, secondo
Lils… Ha fatto una scelta.”
“Anche se io non minaccio …”
Iniziò Tom, con una punta di auto-compiacimento
che lo fece sorridere. “… ciò non
toglie che mi senta trascurato.”
“È perché sei viziato. Non volevi
toglierti dai riflettori quest’anno?”
“Non dai tuoi.”
Rimbeccò corrugando
le sopracciglia in un’inequivocabile aria di broncio. Al rise
tendendogli la
mano. Tom la prese, anche se lasciò che fosse lui a
intrecciare le dita alle
sue.
“Scusami…
è che ho un milione
di cose a cui pensare. Ma adesso siamo qui, no?”
“Sì. E sta per piovere.”
Al sospirò, perché Tom era sì una
spalla a cui appoggiarsi in quel periodo
convulso, ma ogni tanto ricadeva inevitabilmente nei vecchi schemi da
ragazzino
egocentrico. A volte sospettava lo facesse apposta solo per farsi
coccolare.
Anche
se poi dice a
me che sono appiccicoso…
“Senti.
È importante. È una
pozione complessa, con un sacco di ingredienti freschi e se
eviterò di far
fondere il calderone può anche darsi che il professore invii
la mia relazione alla
rubrica Pozioni del
Profeta…
potrebbero pubblicarla!”
Tom non rispose, anche se a
suo favore, cercò di produrre una specie di sorriso.
“Sono contento.
Per te.” Aggiunse,
e Al seppe che era vero, anche se lo spirito competitivo che gli ardeva
dentro
gli impediva di felicitarsi decentemente. Alcune persone avrebbero
potuto
considerarlo un grosso difetto, una mancanza fondamentale in un
fidanzato.
Ma
piuttosto che impostare un rapporto sulla menzogna preferirei
rimanere single a vita.
C’erano
già stati dei
precedenti ed era stato orribile. Tom doveva
essere onesto con lui. Persino a costo di sembrare sgradevole.
Sta
imparando… magari nel modo di dirmi le cose può
migliorare, ma… va bene così.
“Uno zellino per i
tuoi
pensieri.” Lo invitò comunque, dandogli un
colpetto con la spalla. Tom non era
tormentato come l’anno prima, ma si vedeva che spesso gli si
avvicendavano
pensieri poco allegri in testa. E probabilmente, anche se non lo diceva
ad alta
voce, c’entrava la Thule e suo padre.
Era fiero di Al.
Detto
questo…
Naturalmente era anche
invidioso.
Albus era stato nominato
Caposcuola, aveva lavorato durante l’estate al San Mungo, la
meta finale dei
suoi sogni lavorativi e voleva pubblicare articoli per implementare il
suo
curriculum di studi.
Albus era cresciuto in
quell’ultimo anno, stava diventando adulto:
gli sembravano passati secoli da quando era lui quello con le idee
chiare, e
l’altro un ragazzino impacciato che seguiva i suoi passi.
Ciò che era
successo l’aveva
rafforzato. Aveva ripreso a camminare, mentre a lui sembrava di essere
ancora
in ginocchio ad aspettare il prossimo colpo. Questo, gli invidiava.
Ed
io cosa faccio?
Non riusciva a pensare al
futuro come facevano gli altri, perché non aveva la minima
idea se ne avrebbe
avuto uno. Nel suo futuro vedeva solo suo padre.
E
non è un bel vedere…
Al gli tirò un
secondo
colpetto. “Ehi, sto parlando con te!”
“Sì,
scusa.” Replicò,
strofinando il pollice sul manico della bacchetta che teneva
praticamente
sempre in tasca. Prima di dormire la infilava sempre nella federa del
cuscino.“Pensavo solo che sarai un gran medimago.”
Al ridacchiò. “Fammi prima passare il test per
l’Accademia!”
“Certo che lo farai.”
“Ma
dai… troppa fiducia.”
“Non è fiducia, è
un’aspettativa realistica.”
E lo era davvero. Tom
osservò
Al chinarsi per cogliere un’altra pianta, probabilmente per
non fargli vedere
che era arrossito: dietro quell’aria ordinaria e quieta, il
più piccolo dei
Potter nascondeva un incredibile forza d’animo. Senza
scalpore, senza
sbandierarlo in giro come faceva James, stava raggiungendo i suoi scopi.
E
non sembra, ma è pure piuttosto ambizioso…
“Non sei stato
agli incontri
di orientamento la settimana scorsa, vero?” Ruppe
improvvisamente il silenzio
Al, distogliendolo dai suoi pensieri. Tom non disse nulla: aveva saputo
che
docenti di vari corsi post-scolastici erano venuti a parlare a scuola.
Li aveva
visti. Accademia Auror, quella di Medimagia, corsi di inserimento della
professione
del Ministero. Lui aveva passato quella giornata in biblioteca, a
studiare.
“No.”
“Perché?”
“Dovevo studiare
Incantesimi.”
Al gli lanciò un’occhiata tra
l’incredulo e il divertito. “Questa è la
scusa
più scema che abbia mai sentito…”
Tom sentì un moto
di
irritazione che si apprestò a reprimere.
“Probabile.” Disse sforzandosi di non
essere tagliente. “Ma con la spada di Damocle che ho sulla
testa, non sono
molto propenso a pianificare il mio futuro. Per ora mi limito ad
aspirare a
dodici MAGO.”
“Dici pochi…” Ironizzò,
tirandosi nuovamente in piedi e osservando con
attenzione le foglie della piantina che teneva tra le dita.
“Non devi farlo,
sai?” Disse poi, piantando improvvisamente gli occhi nei suoi.
Qualcuno prima o poi avrebbe
dovuto dirgli che era come costringerlo
a fissarlo. Quel verde aveva lo stesso potere di un pugno nello stomaco
su di
lui.
“Fare
cosa?”
“Permettere a tuo
padre di
condizionarti la vita…” Si attorcigliò
al dito uno dei lacci della felpa. “Perché
non è qui. Con i voti che hai, fuori di qui potrai fare
tutto quello che vuoi.”
“Forse tutto
quello che voglio
al momento è la certezza di poterlo fare.”
Sbottò, non riuscendo a trattenersi.
Hogwarts in quel momento era una fucina di cose da fare e a cui
prestare
attenzione. Aveva paura che tutto quel caos avrebbe solo potuto aiutare
la
Thule.
“Tom…”
“E tra l’altro non riesco neanche a produrre un patronus corporeo.”
Al, a quell’ultima
asserzione,
lo guardò stupito. “È per questo che
oggi sei così brontolone?”
Tom fece per negare, poi ci rifletté su. Effettivamente quel
continuo nervosismo
che gli scorreva sottopelle era iniziato proprio dopo la lezione di
Lupin.
È
decisamente inquietante che Al capisca i miei
malumori meglio del sottoscritto.
“Diciamo che il
mio evidente
fallimento non ha migliorato la giornata.” Concesse.
“Come posso pensare di
affrontare mio padre se non riesco neanche a dare una forma ad uno
scudo
magico?”
“Perché,
pianifichi di
affrontare tuo padre con un patronus?”
Non aspettò che negasse, si limitò ad aspettare
che cercasse di aprire bocca.
“Era solo un esercizio… non puoi essere sempre
perfetto!”
Tom fece una smorfia.
“Sembrate tutti coalizzati per convincermi che sono al
sicuro. Tu, Harry,
persino un agente del DALM americano…”
“Certo che sei proprio…” Al si
bloccò, assottigliando improvvisamente gli
occhi, come a valutarlo. “Tu.
Non è
che per caso…” Disse, staccando le parole
lentamente. “… non sei andato
all’orientamento perché stai valutando
l’offerta di quello Scott?”
Tom ci mise più di qualche attimo a ricordare
l’offerta a cui l’altro si
riferiva.
Di
andare a studiare negli States sotto la protezione
del Ministero Magico americano?
E
poi non stavamo parlando di tutt’altro?
A volte Al aveva la
capacità,
tutta femminile, di saltare da un argomento all’altro senza
nessun apparente
filo logico. Non che glielo avrebbe mai detto: sapeva essere creativo
quando si
trattava di difendere la sua dignità virile.
“No?”
Disse sentendosi
comunque confuso dallo sguardo accusatorio dell’altro.
Quando
ho dato l’impressione di voler diventare la
mascotte di gente viscida come Scott?
“Bene.”
Disse, prima di dargli
le spalle. “Perché se seguissi gli americani e le
loro lusinghe non ti
perdonerei mai.”
“Ma…”
“Mai.” E si
infilò nella boscaglia
bassa che costeggiava l’imponente cancello. Tom rimase in
religioso silenzio,
sapendo che Al aveva ancora quella
carta da giocare in mano.
Otto
mesi. Nessuna spiegazione.
Al aveva sofferto, ne era
stato segnato sì. Ma invece di farglielo pesare sin
all’inizio, invece di
dargli gradualmente la possibilità di farsi
perdonare…
Mi
ha perdonato. Mi ha dato il beneficio. Ma alla prima
mossa falsa mi farà scontare tutto.
Lo affiancò,
mentre l’altro
aveva disteso di nuovo i lineamenti e stava staccando con un coltellino
un
lichene dalla corteccia di una quercia.
“Sei proprio un
serpeverde…”
Si chinò, sussurrandoglielo all’orecchio. Era
sempre stato un lato che Al
mostrava raramente, quella della rappresaglia retroattiva.
E
con me è maledettamente efficace. E lo sa.
Al sorrise, guardandolo da
sopra la spalla. “Il Cappello non sbaglia mai,
giusto?” Sogghignò prima di
baciargli le labbra, appena un tocco. Poi riprese a grattar via
licheni.
Tom a quel punto si
sentì del
tutto legittimato a voltarlo, e pure un po’ bruscamente, per
pretendere un
bacio un po’ più consistente. Al gli rise sulle
labbra, prima di lasciar cadere
il coltellino e passargli le braccia attorno al collo e ricambiare.
Tom non fece in tempo a
pensare che la posizione fosse scomoda e che stava cominciando a
piovere che
entrambi sentirono un rumore. Come di qualcosa che cadeva. O meglio, qualcuno considerando che fu seguito da
un lamento inequivocabilmente umano.
“Gazza?”
Chiese Al,
staccandosi. “Quel povero vecchio cade ovunque
ormai… Dovrebbero mandarlo in
pensione.”
“Non credo sia Gazza…”
Replicò tirando fuori la bacchetta. Al gli lanciò
un’occhiataccia, ma la ignorò.
Stare
all’erta non fa di me un paranoico
L’erba e le felci
crepitavano
sotto i loro passi. In prossimità del cancello infatti, la
vegetazione del
sottobosco era particolarmente fitta, forse parte del suo meccanismo di
occultamento anti-babbani.
Al gli si
affiancò e Tom vide
con soddisfazione che aveva preso la bacchetta: del resto non potevano
non sentire
entrambi il respiro di qualcuno, a pochi passi da loro.
Tom scostò una
fronda di felce
particolarmente grande e si bloccò, troppo stupito per
tentare altri movimenti.
“Ma questo non
è…” Sussurrò
Al, scostandosi una ciocca bagnata dalla fronte, quasi non fosse certo
di
vederci bene. “… È?”
“Sì.
È Sören.”
Al si chinò immediatamente a controllargli i parametri
vitali. Per quello, Tom
lo sapeva, non c’era neppure bisogno della bacchetta; metodi
babbani e magici
erano gli stessi.
“Per Nimue,
è gelato…” Mormorò
Al, posandogli una mano sulla spalla. “Ehi, riesci a
sentirmi?”
Il ragazzo mandò un lieve gemito, socchiudendo gli occhi:
non riuscì a
riprendere conoscenza in tempo che subito la perse.
****
Sören
aveva paura.
A
sei anni qualcuno dovrebbe dirti che i mostri
esistono, ma che non bisogna temerli.
A
sei anni qualcuno, i tuoi genitori, dovrebbero
abbracciarti e portarti via da loro.
Ma
lui non aveva più i genitori, o forse non li aveva
mai avuti. Sua madre non era una mamma e suo padre era appena morto.
Come
ci si doveva sentire? Andava bene essere triste?
Andava bene obbedire agli ordini dello Zio?
La
mano dello Zio lo sospingeva dolcemente lungo le
scale strette e umide. Stavano scendendo. Sören sapeva che il
castello di
famiglia era pieno di passaggi segreti, stanze mai viste e tanti, tanti
piani.
Forse
sei. Forse addirittura sette.
Stavano
scendendo nelle segrete, l’ultimo piano: lo
sapeva perché lo aveva sentito dire da Johannes, che
chiudeva la loro piccola
fila.
“Attento
a dove metti i piedi, principino. Si scivola.”
Aveva sentito la sua voce beffarda dietro le spalle e si era irrigidito.
“Non
ti è stato dato il permesso di parlare.” Suo zio
l’aveva appena difeso? Difficile dirlo, ma Sören si
era sentito leggermente
meno spaventato e freddo.
Il
freddo, quello, ne sentiva tanto.
Erano
entrati in una stanza. Era illuminata da torce, e
Sören aveva visto che c’erano anche altre persone.
Non poteva vedere i volti,
perché erano chiusi in mantelli e cappucci che ne
nascondevano il viso. C’era
una lastra di marmo, bianca in un angolo. Sören aveva capito
che era per lui.
“Siediti
lì, Sören.” All’ordine dello
Zio, aveva
semplicemente obbedito. Gli era stata data una ciotola piena di un
liquido
fumante. Forse una medicina?
“Bevi.”
Aveva bevuto. Il sapore era orribile, e si era sentito improvvisamente
caldo e
stordito.
“Ora
stenditi Sören… Non preoccuparti, andrà
tutto
bene.”
Aveva tanta paura adesso. Il cuore gli era sembrato scoppiare nel
petto, ma non
aveva aperto bocca, perché era un bravo bambino obbediente.
Johannes
si era chinato. Sorrideva, lui, sorrideva
sempre. Gli aveva tirato su la manica della camicia, fino a sopra il
gomito.
“Rilassati
principino, perché farà un po’
male…”
Aveva
guardato allora lo Zio. Perché doveva fare male?
Quello non era nei patti. Non doveva fare male, non se aveva paura.
Lo
Zio era una macchia sfuocata di luce. C’erano altre
persone sì, e adesso erano tutte attorno a lui.
Voleva
gridare che non voleva più, che aveva paura e
che voleva andare via da quel posto, che si sentiva male.
“Non
sei un bravo bambino, Sören? Lo sei, non è
vero?”
Sören
aveva sentito qualcosa mordergli il braccio. O
forse era solo la sensazione di avere una morsa che glielo
intrappolasse. Un
ago poi gli aveva perforato la carne, e bruciava, bruciava come se gli
stessero
iniettando lava liquida nelle vene.
“Fai
il bravo bambino Sören…” la voce di
Johannes gli
accarezzava le orecchie come le spire di un serpente. “Allo
zio serve un’arma…”
Dolore. Sentiva solo dolore mentre centinaia di mani lo tenevano fermo,
schiacciandolo contro la lastra di marmo, gelida, fredda.
Urlava.
Stava
urlando.
“Ren…
ehi! Ren, è tutto a
posto, svegliati, dai…”
E tutto era
cessato, di colpo.
Una mano, una sola, morbida
e
leggera gli accarezzava il petto. Non c’erano più
mani come artigli a
ghermirlo.
Sören socchiuse gli
occhi: e
Lily era lì, avvolta nella luce violenta del mattino.
Infermeria,
Mattino.
“Era solo un
incubo…
mattutino, in realtà, ma incubo. Okay? Va tutto
bene…”
Lily si era spaventata, e
pure
parecchio. In realtà aveva passato quasi una giornata intera
a preoccuparsi per
l’amico.
La sera prima Al era venuto
nella torre di Grifondoro, trattenendosi il tempo necessario per dirle
che
Sören era in infermeria, svenuto. L’avevano trovato
lui e Tom.
Anche se le sarebbe piaciuto
dirlo – perché faceva tanto eroina romantica
– non era rimasta tutta la notte
al suo capezzale. Poppy l’aveva rispedita nel suo Dormitorio
non appena era
scaduto l’orario di visita.
Quella mattina
però aveva
afferrato un muffin, bevuto un po’ di caffè e poi
si era precipitata da lui.
Era arrivata appena in tempo
per svegliarlo dall’incubo.
Un
altro… Poppy ha detto ne ha avuti per tutta la
notte…
Sören adesso la
guardava,
tenendo gli occhi leggermente socchiusi per difendersi
dall’impietosa luce del
giorno. “Piano…” Le mormorò
con un filo di voce. “… acqua.” Chiese
poi.
Lily sorrise.
“Subito!”
Sentiva il senso di colpa attenuarsi un po’ e questa era cosa
buona e giusta.
Dopotutto,
cavolo, mica avevo scelta!
Sören prese il
bicchiere:
bevve a piccoli sorsi, e sembrava non bevesse da decenni. Aveva davvero
un
aspetto tremendo, oggettivamente parlando.
Beh,
è rimasto incosciente qualcosa come quattordici
ore dopotutto…
“Come ti
senti?” Gli chiese sedendosi
sul letto, lisciando le pieghe del lenzuolo. Si accorse che per la
seconda
volta l’amico stava sfuggendo il suo sguardo.
Beh?
“Quanto sono
rimasto
incosciente?” Non rispose, continuando a fissarsi le mani,
con particolare
attenzione a quella destra: sembrava stare controllando che tutte le
dita
fossero al suo posto.
Strano.
“Da ieri
sera.” Rispose
pronta. “Ti hanno trovato Al e Tom, vicino ai
Cancelli… Che ci facevi lì?”
“Mi
allenavo…” Bevve un altro sorso d’acqua
vuotando il bicchiere in un colpo solo. Da brava infermierina si
apprestò a
riempirglielo di nuovo. Ricevette perlomeno
un cenno di ringraziamento. “… a quanto pare devo
aver esagerato.”
“Ma
dai!” Esclamò, perché di
tutte le asserzioni quella era la più scema e ovvia di
tutte. “Vorrei farti
notare che nessuno degli altri
Campioni è svenuto allenandosi! Va bene che la prova
è tra pochi giorni, ma…”
“Lo so.” La bloccò. Poi si
guardò infastidito, quasi gli avessero fatto un
dispetto a mettergli uno dei pigiami in dotazione
all’infermeria. “Dove sono i
miei vestiti?”
Tipico
caso di paziente non
paziente…
“Nel cassetto, nel
mobile.”
Fece un cenno distratto: non voleva prendersela con l’amico
male in arnese, ma
si sentiva decisamente ferita dal suo atteggiamento brusco e
menefreghista.
Quasi che la sua
presenza lì fosse per lui
un peso, invece che un aiuto.
Ci
sono dei ragazzi che pagherebbero per avermi al loro
capezzale, sai?
…
Chi voglio prendere in giro. È proprio perché non
è
uno di loro che sono qui…
“… Sei
rimasta con me tutto
questo tempo?”
La domanda la colse di sorpresa, dato il pensiero precedente.
Alzò lo sguardo e
finalmente Sören la guardava. Con attenzione, persino. Si
sentì arrossire, ma
fece supremamente finta di niente, perché quello era il
segreto.
“Non
proprio… Madama Chips non
mi ha fatto rimanere qui per la notte. Anche se ho
insistito!” Si premurò di
sottolineare, aggrottando le sopracciglia al ricordo. “Tanto. Ma quell’arpia
è stata inamovibile… mi ha detto che
l’unico
modo che avevo per restare era farmi schiantare da lei.”
Sören le sorrise,
finalmente. “Allora
perché non sembri aver dormito?”
“Perché ero preoccupata.”
Lo
sottolineò con forza, prima di tirargli un colpo sulla
spalla. “Per te, razza
di testone!”
L’asserzione non
ebbe
l’effetto che Lily sperava: Sören non
sembrò lusingato dalle sue premure. Forse
era imbarazzato, ma soprattutto le sembrava infastidito. Lo poteva
capire dalla
linea contratta delle sopracciglia e dalla postura irrigidita.
“Non devi
preoccuparti, so
badare a me stesso.” Disse infatti brusco.
Ma
sentilo!
Lily mandò alle
ortiche i suoi
buoni propositi da infermierina sollecita: aveva passato tutta la notte
a
rigirarsi nel letto per lui,
rischiando di farsi affatturare dalle compagne di stanza.
“Certo,
perché è del tutto
normale svenire in mezzo ad un
parco, vero? Se mio fratello e Tom non fossero stati saresti rimasto
all’addiaccio tutta la notte! Forse saresti morto!”
Replicò sentendo la voce salire e un familiare groppo alla
gola, compagno
fedele di tutti i suoi capricci e pianti infantili.
Ma quello non era un
capriccio: si era davvero spaventata quando Al era venuto a chiamarla.
E
l’angoscia non si era dissipata neanche quando Poppy gli
aveva detto che non
aveva nulla di grave: dopotutto l’aveva visto steso sul
lettino, pallido come
un lenzuolo e con una mano serrata sul braccio, quasi a volerlo
proteggere.
Che
razza di allenamenti folli sta facendo per questo
stupido Torneo?
“Lily…”
Sentendosi apostrofata si
azzardò a lanciargli un’occhiata. E si dovette
frenare dal sorridere: l’amico
aveva un’aria improvvisamente meno fredda. Più che
altro sembrava terrorizzato
e molto, molto a disagio.
Ah,
maschietti.
Odiano
le lacrime delle ragazze, specie se sono dei
cavalieri nell’anima come te, Ren…
“Non sarei
morto.” Lo sentì
borbottare frettolosamente. “Immagino di aver chiesto troppo
al mio corpo. Ma
mi sento bene adesso. Forse avevo solo bisogno di
dormi…”
“Dormire un cavolo!” Sbottò per
sottolineare quando fosse preoccupata e quanto
fosse orribile lui a non essersene reso conto. Lo vide inspirare
agitato, e
guardarsi attorno alla ricerca di qualcosa da offrirle per asciugarsi
le
lacrime.
C’era qualcosa di
incredibilmente tenero in Sören, in quella sua
ingenuità nei rapporti
interpersonali.
“Lilian,
ascolta…”
“Hai avuto il
sonno
agitatissimo!” Lo interruppe con un singhiozzo drammatico.
Perché sì, era un
suo dovere morale fargli capire che non si doveva mai far preoccupare
una
ragazza. “Mormoravi delle… cose… nel
sonno, e la Chips ti avrà fatto bere litri
di Distillato della Pace2! Merlino, ero
preoccupata da morire…”
Dopotutto
non è che sto mentendo. Queste cose me le ha
dette davvero.
E una parte di sé
voleva
sapere cosa Ren avesse sognato per essere così turbato; ma
non avrebbe certo
ottenuto risposte a domanda diretta.
Devo
essere più subdola temo…
Sören intanto le
passò un
fazzoletto: separé e fazzoletti erano cose che non mancavano
mai
nell’infermeria di Madama Chips.
“Non
piangere…” Mormorò serio.
“Non ti farò più preoccupare, te lo
prometto.”
Erano gli occhi, pensò Lily sentendo il cuore darle una
brusca accelerata. Gli
occhi di Ren erano specchio di qualcosa che non riusciva a capire, ma
che
l’attirava come una falena alla luce.
Il
che è pure un controsenso visto che ce li ha neri…
Abigail non faceva che dirle
che era ovvio e palese che si fosse
presa una cotta. Hugo la guardava con aria depressa, come se pensasse
che il
suo continuo negare fosse un sintomo allarmante di qualche rara
malattia
sconosciuta. E dulcis in fundo,
James
aveva dato spettacolo nel ruolo di fratello protettivo.
E lei? Lei si fidava.
Non era una cotta, ma un
legame. Ecco, c’era un legame tra di loro. Era qualcosa di fisico; era venuto fuori solo quando si
erano incontrati per la
prima volta.
“Non vuoi dirmi
cos’hai
sognato? O meglio, su cosa hai avuto gli incubi?” Gli chiese
tirando su con il
naso. Detestava piangere, al di là
dell’utilità tattica della cosa. Finiva
sempre con gli occhi gonfi e il naso colante.
Sören fece una
smorfia. “Non
me lo ricordo.”
“Bugia.”
Almeno fin lì ci arrivava, con o senza i suoi fichissimi
poteri.
Senso di colpa.
Sören non avrebbe
mai pensato di poterlo provare, men che meno per una ragazzina che fino
a tre
mesi prima era un’estranea.
Ma Lily gli si era insinuata
sotto pelle, leggera. Lily era leggera
dentro. Gli era scivolata nell’anima con un sorriso o una
battuta. Con i suoi
occhi.
Non aveva idea di cosa fosse
quel sentimento, e in fondo non voleva saperlo: aveva una missione,
doveva
compierla. Tutto il resto era semplicemente legato alla persona che
stava
fingendo di essere.
Quel modo di pensare lo
stava
aiutando. Sperava avrebbe continuato a farlo.
“…
sì, è una bugia.” Disse,
perché doveva dirlo. “Ma non voglio parlarne.
Tutti facciamo incubi. Sono teso
per la Prova… probabilmente è per
questo.”
“Come vuoi…” Non sembrava molto
convinta, ma per fortuna lasciò cadere il
discorso. Si alzò in piedi mettendosi la borsa a tracolla.
“Adesso devo proprio
scappare… ma vengo a trovarti all’ora di
pranzo!”
“Spero che mi abbiano dimesso per allora.” Aveva
molte cose da fare. Compiti di
Luzhin, e compiti suoi.
“Vero, ma Poppy
è un sergente
di ferro, non ci spererei troppo!” Gli sorrise. Forse fu un
gioco della luce,
il viso di Lily adesso era in ombra, ma Sören notò
che aveva le occhiaie. Il
trucco le aveva nascoste bene, ma non le aveva eliminate completamente.
Allora
è vero che è rimasta sveglia tutta la
notte…
“Allora
è vero che sei rimasta
sveglia tutta la notte…” Quando si
sentì dirlo ad alta voce, ebbe voglia di
mordersi la lingua.
Lily gli scoccò
un’occhiata
indispettita, ma per fortuna non si rimise a piangere.
“Perché,
pensavi ti
raccontassi una bugia?”
“No, però…
perché?” Razionalmente non aveva molto senso.
Dopotutto
stando sveglia non avrebbe cambiato la
situazione…
Glielo disse e Lily lo
guardò
come se fosse un idiota. Poi si chinò su di lui e
Sören sentì il cuore fare una
capriola. Nulla di straordinario. Gli succedeva ogni volta che la
ragazza gli
si avvicinava.
Normale.
Non ho mai avuto contatti con donne… è del
tutto normale.
“Ren? Siamo amici.
E ti voglio
bene. È naturale che sia in ansia per
te…” Sbuffò. “A volte mi
chiedo che razza
di infanzia tu abbia avuto.”
“…
purosangue.”
Lily ridacchiò.
“Sì, in
effetti questo spiega molte cose.” Guardò
l’orologio alla parete. “Ookay, devo
andare o la McGrannit pretenderà il mio scalpo. A
dopo!”
La guardò andare
via, in
silenzio.
Lei
sarà lì quando arriveranno i Dissennatori.
Quel pensiero
arrivò, netto e
preciso come una ferita di coltello. Sentì un peso doloroso
allo stomaco e gli
venne la nausea: Lily avrebbe potuto essere un bersaglio.
Anche
se dovrebbe conoscere l’Incanto Patronus…
Serrò le labbra:
no, quel
genere di scudo magico era troppo avanzato per le sue
capacità. Specie se
avrebbe dovuto difenderla da più di una dozzina di
Dissennatori. Specie perché
fondava la sua forza nel sangue freddo di un mago.
E
l’ho quasi perso io. Figuriamoci una quindicenne che
non ha mai visto una creatura oscura in vita sua…
Lily avrebbe rischiato la
vita
e lui non sapeva neanche se questo facesse parte del piano: non aveva
avuto
ordini in merito.
Quindi…
La soluzione
arrivò veloce
come era arrivato il problema.
Posso
tenerla fuori da questa storia. Posso fare in
modo che lei non sia alla prova.
Posso
tenerla al sicuro.
Non si chiese subito
perché lo
stesse facendo: ma Luzhin conosceva
la risposta.
Non
vuoi sporcarti le mani del suo sangue… non è vero
Sören?
Strinse la mano destra, come
se potesse afferrare la bacchetta, come se potesse afferrare quei
pensieri, e
stritolarli.
Non
vuoi, non è vero?
****
Dormitorio
di Serpeverde, stanza del Caposcuola.
Notte.
C’era qualcosa che
non andava
in Sören Luzhin. Ormai Tom ne era certo.
Lanciò uno
sguardo ad Albus,
che dormiva abbracciato appassionatamente al suo boccino di peluche,
Jenkins.
Fece un sorriso vedendolo
arricciare il naso infastidito quando gli solletico la porzione di
pelle sotto
l’orecchio.
Lo scoppio di un ciocco nel
camino lo riportò sulla linea di pensieri precedente.
Quel Luzhin aveva qualcosa
di
sospetto: non era tanto nel suo atteggiamento – del resto
tutti gli allievi
dell’Istituto sembravano degni personaggi di qualche cupo
drammone russo.
No, era ciò che non faceva ad avergli infilato la famosa
pulce nell’orecchio. E quel ritrovamente poi, lo aveva solo
convinto
maggiormente della sua teoria.
Luzhin era vicino ai
Cancelli,
un punto in cui non si spingeva praticamente nessuno con ettari di
parco da
percorrere e le sponde del Lago Nero in cui allenarsi. Era svenuto, ma
non
c’erano segni di traumi alla testa, o ferite.
Un
mancamento, come ha detto la Chips…
Ragionevole, certo.
Si rigirò tra le
dita la
bacchetta, accarezzandole il manico con attenzione.
Ma
le sue scarpe…
Quando lui ed Al lo avevano
fatto levitare per poterlo portare agevolmente fino al castello, Tom se
le era
ritrovate ad altezza viso.
C’era
del ghiaccio sulle sue scarpe. Ghiaccio e ghiaia.
Avrebbe dovuto esserci fango ed erba secca, le classiche cose che trovi
calpestando i terreni di Hogwarts…
Sören Luzhin quando
era
svenuto non era nello stesso posto in cui era stato ritrovato.
Ma
domanda è: dov’era per aver calpestato ghiaccio?
Non
fa ancora così freddo.
Sentì
improvvisamente un
mugugno provenire da Albus.
“La
luce… spegnila.” Gli
bofonchiò contro.
“Stavo pensando.”
“Allora non farlo. Grazie.” Biascicò
afferrandolo per la maglietta e tirandolo
giù. “Dormi, per Merlino… spegni quel
gran cervello che ti ritrovi e dormi. O
ti schianto.”
Tom fece un sospiro:
naturalmente erano solo congetture, e non aveva il coraggio di esporle
al suo
ragazzo: Albus l’avrebbe tacciato come al solito di paranoia.
In effetti, quelle
coincidenze, come l’anello che non era della sua misura, e le
scarpe, potevano
essere spiegate ragionevolmente.
Solo…
come?
Si infilò sotto
le coperte,
spegnendo le candele con un colpo di bacchetta, lasciando che fossero
solo le
braci del camino ad illuminare la stanza. Sentì subito il
corpo di Al premere
contro il proprio.
“Appiccicoso.”
“Sta’ zitto. Dormi.” Ripeté il
più piccolo, sorridendo nel buio e afferrandogli
un braccio per passarselo attorno alla vita.
“Agli
ordini…”
Tom non si fidava di Luzhin, ma quando l’aveva visto a terra,
esanime, gli era
venuto in mente come si era sentito quando era stato raccolto da
Cordula e
Meike: solo e sperduto.
Quando per un attimo
l’altro
ragazzo aveva aperto gli occhi, Tom poteva giurarlo: aveva quello
sguardo.
****
Note:
La canzone del capitolo
qui
.
1. Ben
Nevis è
uno dei monti più importanti della Scozia.
Qui la cima.
2. Distillato
della Pace: una pozione che calma l’ansia di chi la
beve.
|
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Capitolo 26 *** Capitolo XXV (I° Parte) ***
Capitolo XXV
Boy,
you got to see what tomorrow brings
Girl, you've got to be what tomorrow needs
Sing it out, for every time that they want to
count you out
Use your voice every single time you open up
your mouth…
(Sing,
My Chemical Romance¹)
24 Novembre 2023
Hogwarts,
Torre di Grifondoro, Dormitorio maschile.
Sette
e mezzo di mattina.
Respirare.
Era tutto lì in
fondo.
Respirare probabilmente gli
avrebbe salvato la vita.
Scorpius Hyperion Malfoy
– sì,
tutto intero – se ne stava seduto sul suo letto, fissando con
insistenza le
tende che beccheggiavano leggermente alla brezza mattutina. Era una di
quelle
giornate dolorosamente terse, dove ci si poteva chiedere come fosse
possibile
che il cielo potesse essere così azzurro e così
pulito.
Era il giorno della Prima
Prova.
Era il giorno in cui avrebbe dimostrato al mondo, al suo
mondo, che meritava di essere acclamato; oppure, au
contraire, sarebbe stato solo uno di
quei coglioni che voleva cambiare le cose e finiva soltanto per essere
imbarazzante.
La divisa di Hogwarts gli
sembrava un’armatura e la sua bacchetta, abbandonata sul
letto accanto a lui,
una spada.
Cavolo, si sentiva un
dannato
cavaliere.
Ho
paura.
Era vero: aveva passato
l’intera notte con gli occhi sgranati sul soffitto ascoltando il
respiro dei suoi
compagni di stanza.
Aveva paura sì,
ma era una
paura buona: aveva preceduto le sue
prime partite come Capitano del Grifondoro e l’aveva portato
a calzare il
Cappello proclamando che gli sarebbe andato benissimo
vestire rosso-oro.
Può
finire di merda, ma può anche finire alla grande,
ragazzo mio.
Quella era la sua battaglia:
doveva combatterla da solo. Doveva dimostrare al mondo in cui viveva
che si
poteva andare oltre il passato di un cognome.
Una
cosa mica da niente…
Inspirò
lentamente ed espirò
con la stessa frequenza. Il piccolo Potter gliel’aveva
suggerito per calmare
l’agitazione.
Micro-medimago…
Sentì la porta
aprirsi e la
testa arruffata di James Potter fece capolino. Aveva uno di quei suoi
giubbotti
di pelle da cattivo ragazzo, ma anche sei o sette spille di
incoraggiamento
ancorate alla sciarpa di Grifondoro.
“Oh, ehi Potty.
Ma… sei
solo?” Gli chiese perplesso; si aspettava infatti di essere
letteralmente scortato dai compagni
di Casa fino al
campo da Quidditch, improvvisatosi arena.
“Direi di
sì.” Annuì James guardandosi
scherzosamente indietro, come a voler controllare. “Ho
mandato via tutti.
Qualcuno ho dovuto pure prenderlo a calci. Ragazzini del
Primo…” Fece una
smorfia esageratamente scocciata. “Sai, avevo
l’impressione che avresti
preferito vedere solo la mia bellissima faccia. Mi sbaglio?”
Scorpius sorrise: no, non sbagliava affatto. Non voleva nessun corteo
d’onore.
L’avrebbe soltanto agitato.
Sono
commosso dalla sua capacità di essere sensibile,
ogni tanto.
In quel momento non voleva
nemmeno Rose: aveva bisogno di concentrarsi su sé stesso.
E
non sul fatto che ci saranno i genitori di entrambi.
“Ehi Malfuretto.
Pronto?” Sogghignò
James, tenendogli aperta la porta mentre passava.
“Perché là fuori si comincia
a fare sul serio.”
Scorpius annuì,
senza trovare
battute di spirito adatte a stemperare l’atmosfera tesa. Non
che servisse: per
fortuna l’altro capiva benissimo come si sentiva.
Infilò la
bacchetta nei
passanti appositi della cintura. Si sfregò le mani,
sorridendo.
“Sicuro Poo.
Andiamo a far
mangiare la polvere a qualche straniero.”
****
Torre
di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del
Quinto.
Nove
di mattina.
Lily non avrebbe indossato
l’uniforme quel giorno.
Il perché era
semplice e se lo
ripeté mentre passava un’ombra di correttore
babbano sotto gli occhi per
nascondere le maledette occhiaie che l’affliggevano da quando
Sören aveva il
cattivo gusto di farla preoccupare a morte.
Siano
lodati i make-up artists babbani…
Nonostante un
pochino non se lo meritasse, avrebbe
tifato per lui: le sembrava dunque brutto esibire una coccarda coi
colori
Grifondoro quando avrebbe gridato il suo nome.
Il fatto era che
sì, Scorpius
era il Campione di Hogwarts, e lo trovava generalmente adorabile, ma
non era il
suo Campione.
Sorrise al ricordo di quando
l’aveva ufficialmente detto all’amico, non appena
questi era uscito
dall’infermeria. Era stata una fortuna trovarlo prima che lo
prendessero in
consegna quelli di Durmstrang.
“Quindi
sarai tu!”
“… Cosa esattamente?”
“Il
mio Campione! Tiferò per te!”
“Oh.”
Una pausa confusa. “Ah.” Era riuscita a
strappargli un sorriso, e considerando quanto ancora sembrava malconcio
era una
conquista niente male. “Grazie…”
“Non ringraziarmi, hai dei doveri, sai?”
Sören a quel punto l’aveva guardata attento.
“Quali?”
“Vincere,
prima di tutto.”
“È nelle mie intenzioni.” Aveva annuito,
con aria divertita. “Altro?”
“Certo! Devi indossare qualcosa di mio durante la
gara.”
Era
certa che Sören si stesse trattenendo dall’inarcare
un sopracciglio. Ma essendo troppo cavaliere dentro, si
era limitato ad un
sorriso. “Lilian, questo non è un torneo
d’arme come nelle vostre leggende
Arturiane… è una competizione tra
maghi.”
“Oh,
dai, fa’ il bravo e asseconda il mio complesso
della principessa!”
“Complesso?”
L’aveva guardata con improvvisa
preoccupazione. “È qualche genere di
malattia?”
Lily aveva fatto uno sforzo immane per non scoppiare a ridere: non
sarebbe
stato giusto, perché l’altro aveva
l’abitudine di prendere le cose alla lettera
ed era quindi estremamente serio.
“No,
no… è solo, sai, da bambina? Mi credevo una
principessa. È una cosa che fanno molte ragazze…
Un po’ come quando voi
maschietti giocate a fare Merlino?” Vedendo che non
l’altro coglieva, glissò.
“Lascia stare, è una cosa mia.
Guarda…” Aveva frugato nella cartella, estraendo
un nastro che usava spesso per legarsi i capelli d’estate:
era il suo preferito.
Avrebbe dovuto sembrare del tutto casuale lo avesse con sé.
O almeno, lo aveva sperato.
“È molto semplice. Questo uguale
portafortuna.”
“Come codice vuole, capisco…” Aveva
replicato, tirando su la manica
dell’uniforme e lasciando che glielo legasse al polso. Non
l’aveva guardata in
modo strano, né aveva chiesto delucidazioni in merito.
Sören sapeva qual’era il
codice. E lo trovava perfettamente sensato.
Lily
l’avrebbe baciato.
“Funzionerà,
fidati!” Aveva concluso, esibendo una
sicurezza che non era del tutto certa di provare. L’amico era
ancora
convalescente e sarebbe comunque
sceso nell’arena; sperava solo che il via
libera di Poppy non fosse stato condizionato dall’imminenza
del Torneo o dalle
pressioni di Durmstrang.
Anche se conoscendola,
è piuttosto
improbabile…
Sören
a quel punto le aveva preso la mano e, complice
forse il fatto fosse ancora palesemente strafatto di Bevanda della
Pace, gliel’aveva
baciata. Come un vero cavaliere.
“Ne
sono certo, principessa…”
Lily aveva avuto serissimi problemi a smettere di sorridere, persino
per le
successive due ore di lezione di Storia della Magia.
Si guardò allo
specchio che le
rimandò un riflesso alfine esteticamente accettabile. Prese
il giubbotto,
indossandolo; Gail e le altre compagne di stanza si erano
già precipitate a
prendere i posti migliori. Gli ospiti venuti da fuori li avevano
assegnati, ma
gli studenti no.
E
sia mai che un Finnigan prenda un posto da cui non si
ha una perfetta visuale panoramica.
Era un po’ in
ritardo, ma era
un ritardo elegante. Quindi andava
bene. Era quasi doveroso.
La realtà era che
se non
poteva andare nella tenda dei Campioni ad augurare in bocca al lupo a
Sören,
allora le sembrava inutile andare mezz’ora prima a fissare un
campo vuoto.
Sentì la porta
aprirsi alle
sue spalle, ma non se ne preoccupò. Probabilmente era Gail,
tornata a prendere
qualcosa.
Si spaventò solo
quando sentì
qualcuno afferrarla e metterle una mano sulla bocca. Vide con la coda
dell’occhio qualcosa di incredibilmente verde. Poi tutto
diventò buio e perse i
sensi.
****
Campo
di Quidditch.
Dieci
di mattina.
Rose quasi rimpiangeva i
problemi dell’anno prima.
Lucertoloni
e tutto il resto…
Sì,
perché a ben vedere quella
giornata era la più stressante di tutti i suoi diciassette
anni di vita.
Indossava l’uniforme preventivamente stirata dagli elfi della
scuola, la sua
spilla da Prefetto, lucidata con perizia, e come l’anno prima
era invischiata a
scortare genitori e parenti lungo gli spalti.
Ma
quest’anno c’è una bella dose di
angoscia formato
maxi in più per la sottoscritta…
Alzò lo sguardo
verso il cielo
dolorosamente terzo, punteggiato da qualche sbuffo di nuvola, troppo
sfilacciato
per non far classificare quella come una bella giornata.
Lo stadio di Quidditch era
stato approntato come un’arena trasfigurando le mura in
pietra e la porta
d’ingresso in un monumentale portone rinforzato con barriere
protettive.
Staccò
l’ennesimo biglietto
per una coppia di genitori con grosse sciarpe Corvonero. Sorrise loro e
gli
augurò meccanicamente una buona giornata.
Incrociò lo
sguardo di Albus
che, accanto a lei, cercava di decifrare il pessimo accento inglese di
un
gruppetto di magi-giornalisti francesi.
Il ragazzo le
restituì
un’occhiata piena di sfibrata comprensione, prima di scortare
dentro gli
addetti stampa.
Perlomeno
a me toccano madrelingua…
Mancava mezz’ora
alla Prima Prova
e Rose sentiva crescere un intenso bisogno di vomitare.
Era ufficialmente angosciata
per la sorte del proprio ragazzo, detto altresì lo stupidissimo Campione di Hogwarts.
Ma
non c’è solo questo…
L’intero perimetro
dell’Arena
era circondato dalle forze di Polizia Magica: fin lì poteva
essere pure
normale, considerando ciò che era successo l’anno
prima.
Era gli auror in borghese
per
cui aveva staccato i biglietti ad averla inquietata.
Aveva riconosciuto molti di
loro perché le feste del Dipartimento erano qualcosa che sin
da bambina non
aveva potuto evitare.
Perché
degli auror? Capisco i tiratori scelti, è loro
compito preoccuparsi per la sicurezza di questo genere di
eventi… ma… cosa
c’entra una task-force
specializzata in maghi oscuri?
Non aveva ancora avuto modo
di
confrontarsi con nessuno in merito. Al era troppo occupato nei suoi
compiti di
unico Caposcuola per poter fermarsi a fare due chiacchiere e il resto
del Clan
Potter-Weasley era già entrato.
Invece
Scorpius non l’ho proprio visto…
Guardò la matrice
dei
biglietti. Ne erano rimasti una decina.
Forse
adesso devo entrare?
“Rosie, ehi, qui
abbiamo
finito.” La apostrofò infatti Albus,
raggiungendola. Rose notò con divertimento
che aveva tentato di pettinarsi i capelli e aggiustarsi
l’uniforme ma
generalmente senza molto successo. Fece una smorfia quando
capì il senso del
discorso: non che non avesse voglia di riposarsi, era da tutta la
mattina che
stava lì, e i piedi le facevano male.
Ma
non voglio vedere Scorpius rischiare la vita,
maledizione.
“Mancano ancora
dei biglietti…
deve arrivare altra gente. Aspetto.” Controllò,
mentre gli altri tre prefetti
incaricati del suo stesso compito mollavano baracca e burattini per
fuggire
letteralmente dentro l’arena.
Al le lanciò
un’occhiata perplessa.
“Sì, beh… qualcuno non sarà
potuto
venire all’ultimo momento. Stanno per chiudere, non
c’è motivo per cui tu
rimanga qui.”
“Non ho visto Tom.” Gli comunicò,
perché era vero e perché sperava di distrarlo.
Al sibilò
un’imprecazione a
mezza bocca. “Quell’idiota! L’ho lasciato
in biblioteca dopo colazione, e
scommetto che è ancora lì!”
Bingo
…
Rose
annuì comprensiva. “Non
preoccuparti, resto io ad aspettarlo… tu va’
dentro, sei un Caposcuola, sarai
sicuramente richiesto.”
Al esitò, prima che uno dei prefetti di Tassorosso uscisse
dall’arena,
raggiungendoli. “Potter, ci sono dei ragazzi di Durmstrang
che si rifiutano di
sedersi accanto a quelli di Beaux-Batons, dicono che gli hanno fregato
il
posto!”
“Vai.” Ripeté Rose, dandogli un colpetto
sulla spalla. “Lo aspetto io. Se non
arriva, vengo a chiamarti.”
“Grazie.” Le sorrise sollevato, prima di seguire
l’altro ragazzo.
Rose ispirò,
guardandoli
andare via: non era solo una questione di gentilezza.
Sapeva di essere
l’unica a
poter mettere fine a quella situazione. Era lei a dover andare dai suoi
genitori, da suo padre e dirgli che
amava un Malfoy e che non se ne vergognava.
Sta
a me…
Eppure era paralizzata dalla
paura, esattamente come lo sarebbe stata di fronte ad un Basilisco.
Non riusciva ad affrontare
Ron
Weasley: si sentiva codarda, così codarda che non riusciva a
confidarsi neppure
con Albus.
Inspirò appena,
sforzandosi di
non ascoltare gli schiamazzi degli spettatori: Scorpius in quel momento
doveva
essere nella tenda dei Campioni a rilasciare l’intervista per
il Profeta.
Si concentrò
invece sul
guardare i Tiratori scelti che pattugliavano la cinta muraria per
tenere la
mente occupata.
“Il mio
biglietto.”
Quasi cacciò un grido quando si sentì
apostrofare, vicinissima all’orecchio. Si
voltò di scatto, e Tom era dietro di lei. Le tendeva la
mano, con una faccia
che mostrava fastidio per l’intero consesso umano, lei
compresa.
Idiota.
“Grazie
per avermi aspettato Rose, e aver fatto in modo che non venissi
chiuso fuori…” Borbottò a
denti stretti, cacciandoglielo in mano di mala
grazia.
“Sappiamo entrambi
che sei qui
perché non vuoi entrare.” Fu la risposta.
Lo guardò
meravigliata,
premurandosi comunque di rimanere sulla difensiva.
“Scusa?”
“Lo sai benissimo.” Ribatté.
“Comprensibile. Lì dentro ci sono le persone che
più ami al mondo, ma tra loro si detestano.” Forse
fu un’allucinazione dovuta
al poco sonno di quelle settimane, ma le sembrò che Tom si
sforzasse di empatizzare con lei.
Rose esitò,
scrutando i
lineamenti anodini del cugino acquisito. “Stai cercando di
essere gentile con
me?” La cosa le sembrava talmente assurda che si aspettava
che da un momento
all’altro qualcuno arrivasse con un cartello enorme con su
scritto ‘scherzo’.
Non successe, e questo la
sconvolse.
L’altro
scrollò le spalle. “Non
proprio. Piuttosto, si direbbe che cerco di esserlo con
Malfoy.” Non che
sembrasse affabile mentre lo diceva, ma del resto non lo sembrava mai.
“Quello
che sta facendo il tuo ragazzo è stupido, ma è da
ammirare.”
“Cosa, combattere prove mortali?”
“Dimostrare a tutti di che pasta è fatto. Stupido,
ma ammirevole, come ho
detto. Ha bisogno che tu sia lì, e non ci vuole un genio per
capirlo.”
Rose a quel punto non
riuscì a
ribattere.
Se
me lo dice persino lui…
allora è
proprio il caso che la pianti di farmela sotto.
Si infilò la
matrice dei
biglietti nelle tasche del mantello, seguendolo. Poi notò
che Tom si voltò a
guardarsi indietro. Due volte.
“Stai aspettando
qualcuno?”
Chiese perplessa.
“No.”
Rose lo guardò
con attenzione.
Teneva le mani infilate nelle tasche del cappotto; era un gesto che
faceva
spesso, ma la sinistra in quel momento stringeva qualcosa.
La
bacchetta. Perché stringe la bacchetta?
Gli
auror…
Rose ebbe quello che un
babbano avrebbe chiamato fulmine a ciel
sereno: un’idea improvvisa.
Gli
auror sono qui per proteggere lui?
“Sai
perché ci sono degli
auror in borghese?” Gli chiese, non per avere risposta, ma
per spiarne le
reazioni. Infatti lo vide serrare la mascella, con uno scatto secco e
quasi
sicuramente doloroso.
“Non sapevo
neanche ci
fossero…” Staccò le parole con
apparente disinteresse. “Sarà un protocollo di
sicurezza del Ministero. Vogliamo andare?”
“Certo…”
Per quanto fosse un bastardo
con la faccia di pietra, Rose lo realizzò in quel momento:
Thomas faceva schifo
a mentire.
****
Campo
di Quidditch, Tribuna d’onore.
Dieci
e un quarto.
“Ehi, hai visto
quel ragazzo?
Da quando i compagni di classe di mio figlio sono così
attraenti?”
“Oh, Merlino benedetto Nora, ma non vedi che è un
professore? È quel Lupin!”
“Mmh, ancora meglio allora! Non mi devo sentire in colpa a
fantasticare di
avercelo tra le lenzuola…”
Ted aveva un quieto terrore
delle madri single. Ne aveva avute attorno sin troppe l’anno
prima al binario
nove e tre quarti e per motivi che gli erano sfuggiti finché
James non gli aveva
rifilato una gomitata gelosa e gli aveva conseguentemente spiegato i fatti della vita – come li
aveva
chiamati lui.
A volte sapeva di essere un
po’ tardo. Non che fosse del tutto colpa sua:
finché era stato con Victoire le
donne non gli si erano avvicinate neanche per sbaglio.
Forse
era per via dell’aura veela?
Sorrise a denti stretti alle
due streghe, le cui occhiate sarebbero valse almeno un’accusa
di molestia
sessuale e salì gli spalti per arrivare in salvo da Harry e
famiglia.
“Ehi, Ted! Il tuo
posto è qui!”
Lo salutò l’uomo, inconsapevole del suo ruolo di
redivivo Salvatore. Ted lo
raggiunse, sorridendo a lui e a Ginny, mentre Hermione e Ron si
alzavano per
fargli posto. “Tutto bene? Sembri
spaventato…”
“No, io… sì. Tutto bene.”
Borbottò cercando di non arrossire, ma dall’aria
materna che gli fu scoccata da Ginny ed Hermione, capì di
aver fallito.
Come
al solito…
Fu felice però di
essere
accolto in quel modo: pensava non sarebbe più successo.
Ron gli affibbiò
una pacca
sulla spalla. Fu un po’ forzata, ma ne apprezzò
l’intenzione. “Allora, dici che
dobbiamo tifare per i francesi?” Gli chiese allegramente.
Ted scosse la testa.
“No,
credo che Scorpius si meriti tutti i nostri applausi.”
“Sono d’accordo…” Convenne
Harry con uno sguardo ammonitore. “Tifiamo Hogwarts.”
“Io non supporto un Malfoy.” Prima che qualcuno
potesse ribattere, continuò. “Beninteso,
non ho niente contro
il ragazzo, è una
questione di principio.”
“Santo Cielo, Ronald… Non ricominciare!”
Sospirò Hermione, la cui solita
crocchia, con cui Teddy aveva imparato a vederla fuori
dall’ambiente familiare,
era stata sostituita da una coda informale. Si trovò anche a
pensare che la
sciarpa di Grifondoro la facesse sembrare più giovane.
“E soprattutto non
davanti a Hugo e Rose.”
“Posso dire ciò che voglio di fronte ai ragazzi,
l’ho sempre fatto, non vedo
perché dovrei smettere!”
“Perché i nostri figli sono amici
di
Scorpius.” Tagliò corto la donna, con una
decisione che Teddy gli invidio,
accademicamente parlando.
“Inoltre i suoi
genitori sono
due file avanti a noi e credo stiano facendo finta di non
ascoltarci…” Soggiunse
Ginny tranquilla, dandogli una pacca sulla spalla.
Harry non espresse opinioni,
ma Ted lo vide guardare verso la nuca bionda di Lord Malfoy con aria
pensierosa.
Ron sbuffò
scocciato.
“Piuttosto, dove sono i ragazzi?”
“Negli spalti riservati agli studenti…
Laggiù.” Li indicò. “Al e
Rose sono
vicini alle delegazioni straniere.”
“Come se la sta cavando Albie come Caposcuola?” Si
informò Ginny e Teddy la
ringraziò mentalmente per aver glissato sull’altro
figlio. James era
sicuramente tra i grifondoro.
Probabilmente
a dirigere i cori … Speriamo si tenga la
maglietta addosso e non si sia dipinto il petto come mi ha accennato.
“È
bravo, sa farsi ascoltare.
Sta facendo un gran lavoro, specie considerando il fatto che
l’altro Caposcuola
ha abbandonato la carica un paio di settimane fa.”
“E chi
l’avrebbe mai detto…” Disse
Harry, con palese e paterno orgoglio. “Era il più
introverso dei nostri ragazzi
e adesso gli dà retta tutta la scuola!”
“Al non è mai stato introverso, Harry…
timido e riservato, questo sì. Certo,
non che un estroverso come te capisca certe
sfumature…” Lo canzonò Ginny.
Teddy si immerse in quegli
scambi di parole con piacere. Vivere ad Hogwarts era grandioso, gli era
mancata
la sua vecchia scuola e l’ambiente accademico in generale nei
suoi anni in
Provenza. Ma adesso, doveva ammetterlo, sentiva un po’ la
mancanza del mondo
reale.
Hogwarts
è un piccolo microcosmo, chiuso a tutto il
resto…
Harry si sporse verso di
lui,
approfittando del fatto che Ron e le due due donne avessero preso a
chiacchierare tra di loro. “Teddy,
ascolta…” L’espressione improvvisamente
seria del padrino gli fece capire che avrebbero parlato di cose ben
diverse dall’imminente
Prova. “Com’è andata coi
Patronus?”
“Meglio di quanto mi aspettassi…”
“Ma? C’è un ma, vero?”
Teddy sospirò massaggiandosi la rada barba che quel giorno
aveva dimenticato di
far scomparire. Gliel’aveva fatto notare quella mattina
James, baciandolo e
ritraendosi subito dopo. “… Sono ragazzi, Harry.
Se succedesse davvero quello
che pensi, non credo sarebbero in grado di produrli. Una cosa
è quando ci si
esercita in classe, un’altra…”
“Lo so.”
L’uomo annuì,
aggiustandosi gli occhiali con un gesto secco. “Ma preferisco
qualche sbuffo di
nebbia argentata al lasciarli disarmati.”
Teddy non ebbe cuore di dirgli che Tom era riuscito a produrre solo
quello,
nebbia argentata appunto. “Ci sono gli auror, ci sono i
Tiratori… e le
barriere. Non vedo come potrebbero entrare.”
“Neppure io. Ma abbiamo visto l’anno scorso come si
possa comunque trovare il
modo.”
Ted non replicò a
quel punto:
sperò che ciò che Harry gli aveva detto via
camino qualche giorno prima, dopo la lettera in cui gli chiedeva di insegnare i Patronus, fossero
probabilità, non certezze.
Come
possono dei Dissennatori entrare qui dentro?
Vide poi il padrino alzarsi
con un gran sorriso che cancellò l’espressione
precedente; stava sorridendo
alla professoressa McGrannit, e Teddy si affrettò con lui ad
aiutarla a salire
gli impervi scalini della postazione.
“So ancora usare
le mie gambe,
non è necessario.” Li rabbuffò
entrambi, sedendosi con assoluta dignità al suo
posto. Teddy capiva perché Harry fosse tornato
immediatamente di buon’umore a
vederla: i professori come la McGrannit, grazie al proprio carisma,
riuscivano
a far sembrare le situazioni più angosciose meno nere
semplicemente con la
propria presenza.
“Non ne dubito,
professoressa.
È un piacere rivederla.” Esclamò
infatti l’uomo. “Direi che è in forma se
non
avessi paura di dire banalità.”
“Le ha dette infatti.” Replicò la
strega, ma con un’ombra di sorriso ad
aleggiargli sulle labbra. Era il suo modo per apprezzare un
complimento.
“Signor Weasley, cos’è
quell’aria stupita?” Apostrofò Ron
inarcando le
sopracciglia. “Ha forse visto un fantasma?”
Harry trattenne una risatina, e così fece Teddy, mentre
l’interpellato
arrossiva come lo studente che doveva essere stato un tempo.
“No… io. Non
pensavo di vederla qui… insomma. A… sapevo che
era qui ad insegnare,
naturalmente, ma…”
“Non credeva possibile che alla mia età abbia
ancora diletto nell’assistere ad
una competizione?”
“No, io…”
“Ron è felice di vederla, professoressa, lo siamo
tutti.” Intervenne Hermione
con un sorriso affettuoso ed esasperato in egual misura verso il
marito. “Stavamo
giusto discutendo del Torneo.”
“Pronostici sulla vittoria?” Chiese Harry.
“Che ne pensa del nostro Campione?”
“Malfoy è un grifondoro.” Ron
tentò un’obiezione, ma fu immediatamente
stroncato da un’occhiata linciante della moglie.
“Una testa calda con una vera
predilezione nel cacciarsi nei guai. Ma sembra capire il valore dei
buoni consigli.
Più di quanto facesse l’ultimo Campione, in
effetti…” Soggiunse con un’occhiata
verso Harry, che ridacchiò.
“Ha perfettamente
ragione,
professoressa. Sarà un Campione molto più
giudizioso del sottoscritto.”
“No, questo non lo
credo.” Lo
fermò con una leggera scrollata di spalle.
“È dai tempi di Black che non vedevo
tanta voglia di rischiare il collo… Quel ragazzo ha il suo
sangue nelle vene.”
Fu stavolta il turno di
Teddy
di soffocare una risata, mentre il padrino assumeva un’aria
di puro shock.
“In che
senso?” Chiese
infatti.
La vecchia strega scosse
appena la testa. “Gira voce che Malfoy usi il suo tempo
libero per cavalcare
uno degli ippogrifi della scuola… cosa vietata in una decina
di regole di
Hogwarts e un paio del Ministero.” Fece una pausa, mentre
trai quattro
ex-alunni era piombato il silenzio. “Naturalmente
è solo una voce.”
“Un ippogrifo…” Mormorò Harry
incredulo. Si guardò con Ron e Teddy fu certo che
quello avesse definitivamente impressionato il lato malandrino
di entrambi.
****
Tenda
dei Campioni.
Pochi minuti dall’inizio della Prova.
Sören riteneva
tutto quel
teatrino una grandissima seccatura.
Ma doveva attenervicisi
scrupolosamente, perché il minimo comportamento dissonante
sarebbe stato
notato.
Lanciò un’occhiata alla Campionessa di Beaux-Batons,
una ragazza assolutamente
improbabile, mentre stordiva di chiacchiere il giornalista della
Gazzetta del
Profeta. Accanto a lei, il suo assistente, un piccoletto biondo e
dall’aria
eccitata sgomitava per avere la sua fetta d’attenzione.
Era normale, per quei
ragazzi il
Tremaghi era il centro di ogni interesse, ogni attenzione. La loro
grande
occasione.
Per lui, solo una copertura.
Si sentì dare una
pacca sulla
spalla. Si voltò di scatto, mettendo mano alla bacchetta. Si
rilassò quando
vide che era il concorrente di Hogwarts, quel Malfoy.
“Nervoso,
vedo…” Osservò
ironico. Era però pallido dietro la sua aria spavalda.
“… Disturbo qualche
riflessione?”
“Non preoccuparti.” Tagliò corto.
“Hai bisogno di qualcosa?”
“Volevo solo augurarti in bocca al lupo.” Gli tese
la mano. Esitò quando vide
che non coglieva. “… È tipo un augurio?
Vinca il migliore?”
“Ah…
altrettanto.” Annuì
imbarazzato, stringendogliela. I proverbi inglesi erano profondamente
contorti.
Avrebbe dovuto chiedere a Lily di insegnarglieli per evitare future
figuracce.
Lily…
Aveva fatto la cosa giusta.
Narcotizzarla era il metodo migliore per impedirle di venire alla
Prova.
Non
potevo schiantarla… non posso sapere in quanto
tempo si riprende da un incantesimo del genere. È soggettivo
per ogni persona.
E poi rischiavo di farle male.
Non era la cosa giusta, in
realtà. Era solo una cosa che aveva voluto
fare. Dalla realizzazione in infermieria, tenerla al sicuro era stato
un chiodo
fisso.
Non
credo di disattendere gli ordini di Hohenheim.
Dopotutto mi ha detto di conquistarmi la sua fiducia. Avvicinarla.
Assicurarmi
che rimanga incolume è un compito collaterale.
“Ehi, vi state
facendo virili
auguri ed io non ci sono? Maschi…”
Sbuffò la francese avvicinandosi e
interrompendo le sue riflessioni. Era più alta di lui di una
buona testa e
questo, anche se non l’avrebbe mai ammesso ad anima viva, lo
infastidiva da
morire.
“In bocca al lupo
anche a te,
Dom.” Replicò cordiale l’inglese,
dandole una pacca sulla spalla decisamente
troppo energica per essere rivolta ad una donna. Quella però
non fece una
piega.
Forse
non è una donna… Di certo, non ne ha i modi.
“Grazie raggio di
sole. Che
vinca il migliore, cioè la sottoscritta, perché
diciamocelo, io non sono di certo
il sesso debole.” Blaterò
senza senso. “Voi cosa pensate che ci faranno affrontare?
Ormai è inutile
tenere il segreto, ci siamo.”
Malfoy assunse un’aria meditabonda. “Beh, le tre
prove rispecchiano la triade
fegato, cuore e mente. Adesso ci toccherà dimostrarci
coraggiosi, quindi…
qualcosa di spaventoso?”
“Però,
che acume… e poi dicono
tutte quelle malignità su voi biondi…”
Sören non aveva voglia di ascoltare quei discorsi. Per lui le
speculazioni
erano inutili. Dentro quella tenda sapevano tutti che avrebbero dovuto
affrontare
qualche bestia potenzialmente mortale. E quello avrebbe fatto: sarebbe
uscito, l’avrebbe
sconfitta e…
…
e poi fingerò che i Dissennatori siano una sorpresa.
“Tais
toi Dominique, non parlare con gli altri Compioni!”
La riprese burbera la preside Maxime.
“Scusate ragazzi,
avete
sentito maman, non si fraternizza
con
il nemico!” Sghignazzò la ragazza, minimamente
turbata dall’aria irritata della
donna, mentre tornava dal suo lato della tenda.
Malfoy gli sorrise.
“Beh
Luzhin, che vinca il migliore allora!” Lo sguardo poi gli
cadde sul nastro di
Lily: se ne intravedeva il colore vivace, sotto la maglia di
Durmstrang, invece
color kaki. “… un portafortuna da una
ragazza?”
“Non sono affari
tuoi.” Gli
uscì dalle labbra prima che potesse fermarsi, e
arrossì di conseguenza. Ebbe il
distinto nitore che l’altro a quel punto avesse capito sin
troppo.
“La piccola Potter
è una mia
amica…” Commentò infatti.
“…ma sappiamo tutti che non tifa per me,
tranquillo.”
Detto questo, gli diede una pacca sulla spalla prima di allontanarsi.
Sören ebbe poco
tempo per
riflettere sulla frase, perché la tenda fu scostata, ed
entrò Poliakoff. Vide
con la coda dell’occhio il Direttore distanziarsi da loro,
quasi volesse
mettere distanza fisica da ogni probabile cospirazione. Era un
atteggiamento
stupido.
Ci
sei dentro anche tu, fino al collo, come Kirill,
come me…
“Sören.”
Kirill gli
toccò un braccio, rivolgendosi a
lui in russo. Era la loro lingua franca in caso dovessero comunicare
senza
farsi capire dagli altri. “È tutto
pronto.”
“Hai avuto difficoltà?”
Il ragazzo sbuffò. “Stai scherzando? Si aspettano
che qualcuno cerchi di
annullare le barriere magiche, non che venga indebolita la struttura
metallica
dell’Arena a mano. Tra
parentesi,
svitare tutti quei bulloni è stata una fatica
immane… Come fanno i babbani
senza bacchetta?”
“Ci sono abituati.” Osservò, irritato
dal fatto che l’altro ingigantisse le
cose. In quel momento tutto lo irritava, ma veramente, aveva solo
allentato un
paio di pannelli. Il
piano era semplice:
sotto gli spalti era completamente vuoto e nessuno aveva pensato di
mandare
agenti lì, come avrebbero fatto dei babbani. Per
l’altro doveva essere stato un
gioco da ragazzi sparire sotto le gradinate.
“Cerca di non dare
troppo
dettagli in presenza di altre persone…” Aggiunse
poi con un sibilo.
L’altro assunse
un’espressione
impacciata, prima di fare una seconda smorfia. “Ma se stanno
tutti confabulando
tra di loro? E poi in questa tenda gli unici che parlano russo siamo io
e te.”
“Le precauzioni
non sono mai
troppe.”
“Bozhe Moi, a volte sembri
un
vecchio…” Fece un sorrisetto. “Non vedo
l’ora di vedere le facce di questi
idioti… fargliela sotto il naso, ecco come si
chiama.”
Sören non rispose: Kirill era un ingenuo. Dopo
l’iniziale spavento alla notizia
che avrebbero chiamato in causa dei demoni, era stato trascinato
dall’entusiasmo della missione per conto
dell’Organizzazione. Quello che vedeva
era solo un modo di mettersi in luce presso Alberich Von Hohenheim.
Lui vedeva altro.
Vedeva i danni collaterali nello
sguinzagliare quei demoni, il rischio di essere in un posto in cui era
riunita
una grossa fetta di Polizia magica britannica, tra cui il Salvatore dei
Mondi.
Avrebbe avuto gli occhi di
tutti puntati addosso e avrebbe dovuto compiere il famoso delitto
perfetto.
Tutto
questo… e zio non si fida abbastanza di me per
dirmi perché diavolo abbiamo voluto portare i Dissennatori
qui.
A
Johannes l’avrebbe detto.
“Sören?”
La voce di Kirill, di
nuovo su sonorità teutoni, lo riportò alla
realtà. “Va tutto bene?”
“Sì.”
Confermò con un cenno
della testa. Avrebbe gestito quella situazione. Come sempre.
Zio
non mi avrebbe dato questo compito, se non avesse
pensato che sarei stato in grado di svolgerlo.
È
un test. Non devo sbagliare. Non è difficile.
Doveva solo obbedire.
Scorpius era decisamente
geloso del portafortuna del tedesco.
Scorpius si sentiva anche
discretamente terrorizzato, e in quel momento avrebbe davvero voluto
avere Rose
accanto a sé, invece del Preside Vitious che sembrava
persino più agitato di
lui.
O
Poo. Avrebbe cominciato a sparare cretinate e avrebbe
attaccato briga con qualcuno… perlomeno mi avrebbe distratto.
In quel momento gli
sarebbero
andati bene anche i suoi genitori.
E
visto che non ho più dieci anni questo la dice
lunga…
Lanciò
un’occhiata a
Dominique, l’unica persona più o meno carina con
lui in quel consesso
traspirante competitività.
“Pronto
biondino?” Lo
apostrofò avvicinandosi, ignorando le occhiatacce della
propria Preside. “Sta
per arrivare mio zio Percy. Tra poco sapremo contro chi dovremmo
giocare …”
“Non vedo l’ora…”
Notò un luccichio al lato della testa della ragazza.
Divertito capì che aveva rimesso i piercing, in barba alle
norme di sicurezza.
“Non sono un po’ vistosi per affrontare qualcosa
che potrebbe strapparti le
orecchie?”
“Ho sentito che parlavi di portafortuna con Mister Sorriso,
là…” Indicò con un
cenno della testa Luzhin, che confabulava in una lingua forse slava con
il suo
Assistente. “… ed io ho i miei.”
“Non ti facevo
tipa da
orecchini di ametista viola²…”
“Orecchino.”
Precisò, sfiorando il
suddetto. “È un prestito tra l’altro. Se
alla fine della prova avrò un orecchio
in meno, saprò che non ha funzionato.” Rise poi,
facendolo ridere di rimando.
Scorpius quindi quasi non
notò
l’aereoplanino di carta che gli sfrecciò davanti.
Lo afferrò al volo,
approfittando del fatto che nessuno l’avesse notato, eccezion
fatta per
Dominique, che gli sorrise e si allontanò.
Un
biglietto?
Lo dispiegò,
dando le spalle
agli astanti. C’era due sole frasi, con inchiostro sbavato,
come se chi avesse
scritto l’avesse fatto di fretta, senza per giunta
appoggiarsi ad una superficie
liscia.
‘Andrai
alla grande, quindi fa un bel respiro e non preoccuparti.
Sono
fiera di te
(anche se vorrei prenderti a calci).’
Seguiva uno sgorbio
incomprensibile. Scorpius lo guardò meglio e
capì, prima di mettersi a ridere
da solo come un povero demente, attirandosi gli sguardi curiosi di
tutti
addosso.
Lo sgorbio in questione era
un
cactus. Per la precisione, il tentativo di un fiore
di cactus, in seguito cancellato da un ripensamento
imbarazzato.
Gli si spense il sorriso
quando vide entrare Percy Weasley, seguito dal Diretto del Dipartimento
Giochi
Magici e un paio di altri funzionari.
“Campioni,
prego… disponetevi
a semicerchio davanti a me, spiegherò le regole.”
Se l’uomo aveva qualche
problema con lui, non lo mostrò quando gli si mise di
fianco. “Dovrete
affrontare la creatura da voi scelta, come avrete già avuto
modo di capire.” Un
funzionario poi estrasse quelle che a Scorpius sembrarono piccole
bandiere,
terminanti con un uncino metallico.
“Dovremo conficcarle sulla nostra
creatura?” Esclamò Dom, che sembrava poco
contenta della cosa. Non lo era neanche lui.
Non
la prenderanno tanto bene, secondo me, ad essere
usate come un pollo allo spiedo…
“No. Agganciarla
ad un
moschettone, lo vedrete al collo della vostra creatura. Questo
sarà il vostro
compito. Meno tempo ci metterete, più punti otterrete. Ora,
pescate. Il primo
vuol essere lei Signor Malfoy?”
Scorpius annuì, cercando di dissimulare il nervosismo. Il
Basilisco, dunque,
era solo una delle tre possibilità che poteva capitargli.
Gli altri sapevano
quale altre possibilità c’erano? Avevano
già una creatura a cui puntare?
Infilò la mano
nel sacchetto,
e ne estrasse un cartiglio. Effettivamente essendo creature diverse,
una
miniatura delle stesse avrebbe potuto essere riconoscibile. Lo lesse.
“Basilisco Signor
Malfoy…”
Lesse con lui il direttore Weasley. “Creatura
notevole.”
“Già.” Masticò a mezza bocca,
tentando un sorriso: era un bene o un male?
Sapeva come neutralizzare i suoi attacchi, ma era pur sempre un
fottuto, enorme
serpente capace di uccidere a sguardo diretto.
Sono
stato fortunato o no, a beccare quello per cui mi
ero preparato?
Quando
a Luzhin toccò un’acromantula e
a Dominique una chimera realizzò che non c’era
vincitori né vinti. Vedendo le
espressioni dei due, specialmente.
Qua
siamo tutti democraticamente nella merda.
“Chi vuole essere
il primo?”
Chiese Weasley.
Luzhin fece un passo avanti,
senza quasi aspettare che finisse la frase. “Io,
signore.”
“Prego allora. Il pubblico sta aspettando.”
Quando il tedesco fu uscito,
Dom gli rivolse un sorriso che per la prima volta sembrò
davvero nervoso.
“Posso essere io
la seconda?”
“Come no, campionessa. Prima le donne …”
Sorrise di rimando, stringendo in
pugno la lettera di Rose. Se la sarebbe portata nell’arena.
Non
si butta via un portafortuna, giusto?
****
Note:
Il capitolo, come avrete
capito, si articola in due parti. ;)
1.Qui
la canzone.
2.
Gli orecchini in questione .
|
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Capitolo 27 *** Capitolo XXV (II° Parte) ***
Capitolo XXV
(II°
Parte)
When
it feels like fear… like I'll disappear
Gets so hard to steer, yet I go on
Do we need debate, when it seems too late
Like I bleed but wait, like nothing's wrong.
(Lift,
Poets Of The Fall¹)
Campo
di Quidditch, Spalti.
“Dov’è
Lily?”
Rose lanciò un’occhiata confusa a Roxanne, sua
cugina. In mezzo alla confusione
era difficile sentire persino chi ti stava accanto, e poi lei pensava a
tutt’altro che avere rapporti interpersonali in quel momento.
La cugina era venuta a
vedere
il Torneo, come molti degli ex-alunni di Hogwarts ed era riuscita a
trovare
posto accanto a loro. Una vera fortuna, considerando che dove sedevano
i
Prefetti e Caposcuola c’era un ottima visuale e quindi i
posti erano andati
subito a ruba.
“Lily?”
Si guardò attorno,
scandagliando la folla. Non c’era traccia del rosso brillante
della chioma
della più piccola dei Potter. “Sarà con
le sue amiche in mezzo al casino…”
Concluse con una scrollata di spalle.
Se quello era il settore
migliore dal punto di vista logistico, quello più divertente
era la cosiddetta
‘curva Grifondoro’, dove solitamente i tifosi
rosso-oro prendevano posto
durante le partite di Quidditch. Al momento era un’onda di
cartelli, urla,
canti e…
E
James senza maglietta?
Fece finta di non aver visto
nulla.
“No, questo è impossibile.” Riprese
Roxanne, con quel tono definitivo che la
rendeva una Battitrice persino a terra. “Ci siamo accordate
perché le tenessi
il posto.”
“Sì beh, magari se n’è
dimenticata… lo sai com’è
fatta.” Sinceramente al momento
i pensieri di Rose era su tutt’altra frequenza. In primis sperava che Scorpius avesse
ricevuto il biglietto che si
era ingegnata a mandargli e poi pregava
che non rimanesse ferito. “Hai provato a contattarla con gli
specchi
comunicanti?”
“Sì,
non risponde. Dov’è?” Ripeté
cocciutamente. A Rose venne l’impulso di risponderle male,
prima di ricordarsi
che Roxie non era famosa per la sua indulgenza e per lasciar correre
parole
storte verso di lei.
“Ti giuro, non lo
so…” Sbuffò,
dando un colpetto col gomito ad Albus, che al momento chiacchierava con
Tom. “Ehi,
hai visto tua sorella?”
Il ragazzo la
guardò, colto di
sorpresa, come se solo in quel momento si fosse accorto
dell’assenza.
Poteva capirlo: in effetti
era
raro che Lily presenziasse a qualsivoglia evento agonistico. Fare il
tifo su
una panca di legno battuta dal vento gelido – diceva sempre
– non faceva per
lei.
“No…”
Rispose infatti. “Sarà
con Hugo e le sue amiche.” Si sporse per avere una visuale
migliore, ma dopo
una occhiata omnicomprensiva, scosse la testa. “Non la
vedo… forse è rimasta al
castello.”
“Per il Tremaghi… Si sta disputando un torneo centenario e lei è rimasta in
Dormitorio.” L’affermazione di
Roxanne aveva il sapore di una domanda. “Mi prendi in
giro?”
“Certo che
no…” Iniziò Al, con
quella sua aria pacifica che nascondeva in realtà un intenso
desiderio di
affilare la lingua; Rose non era l’unica a saperlo,
perché Tom si schiarì la
voce.
“Starà
dormendo. Di sabato è
difficile che si svegli prima di mezzogiorno… Considerando
anche il fatto che
non ha la sveglia, è probabile che non sia neppure alzata,
dimenticandosi di
che giorno è.” Concluse piantando gli occhi in
quelli della bruna, sfidandola a
contraddirlo.
Dopo un breve intenso
scambio
di sguardi da film western, Roxanne fece una smorfia, capitolando.
“È solo che
mi sembra strano… mi ha parlato tanto di quel suo amico di
piuma e del fatto
che tiferà per lui invece che per Hogwarts.”
Corrugò le sopracciglia. “Pensavo
l’avesse messo in agenda, visto quanto mi ha rotto
l’anima sull’argomento.”
“L’ha rotta a tutti.” Concordò
Tom, trovandosi stranamente d’accordo, visto che
fino ad un momento prima sembrava volerla buttare in un fosso.
“Succede, quando
si ha una cotta.”
“Aspetta. Cosa?” Si destò Al, che aveva
perso il filo del discorso non appena
Roxanne aveva smesso di rivolgersi a lui. “Lily non ha una
cotta.”
“Sì invece.”
“… e cosa ne sai sapere tu?”
“Sono un buon
osservatore.”
“Guarda che ha ragione.” Si inserì
Roxanne, il cui rapido cambiamento
d’espressione, da neutro a malizioso, la qualificò
senza dubbio come la figlia
del più grande produttore di scherzi del mondo magico.
“Ho sentito dire che Jam
ha sfidato a duello quel tizio. Secondo te perché
l’avrebbe fatto?”
“Vediamo… perché mio fratello
è un idiota?”
“Sì, a parte quello…”
Rose non commentò: del resto non le importava assolutamente
nulla se sua cugina
aveva una cotta per quel tedesco o meno. Per quanto la riguardava,
poteva pure
sposarselo.
Sono
l’unica a desiderare che un nuovo meteorite pieno
di serpenti giganti si schianti al suolo facendo sospendere tutta
questa
ridicola baracca?
Probabilmente lo era
davvero.
“Voi
l’avete conosciuto… che
tipo è?” Roxanne sembrava molto più
disposta a comunicare del solito. Probabilmente
era perché in qualche strano modo l’affetto che la
legava a Lily – era del
resto la sua Cugina Preferita -
scavalcava la sua cronica incapacità di interessarsi a
qualcos’altro che non
fosse il Quidditch e collateralmente ai bei ragazzi che giocavano
a Quidditch.
“È…
particolare?” Azzardò Al,
lanciando un’occhiata a lei e a Tom, quasi a voler cercare
conferme. “È molto
intelligente. E capace… direi. Non di molte parole, ma con
Lils questo non è un
problema.”
“Comprensibile. Le
sono sempre
piaciuti belli e tenebrosi.” Confermò Roxanne.
“È un tipo apposto?”
“Direi di…”
“No.”
“Tom!” Al gli
tirò un colpo sulla
spalla, più di avvertimento che punitivo. “Non
è vero! Sören si comporta come
un vero gentiluomo. Le porta la borsa, le dà una mano coi
compiti e la scorta
ovunque. Davvero, Roxie… è in gamba. A me
piace.”
“Comprensibile.” Tom ripeté
l’affermazione di Roxanne con un certo gusto
maligno. “Del resto anche a te piacciono belli
e…” Non riuscì a finire la frase
perché Albus gli pestò il piede con forza. A quel
punto l’altro non osò
continuare e si trincerò dietro il suo ben noto mutismo.
Rose non poté
fare a meno di
sorridere, nonostante tutto. Si guardò poi attorno: la folla
rumoreggiava,
aspettando l’ingresso del primo Campione. Striscioni erano
appesi un po’
ovunque, sia dei colori di Hogwarts, sia di Beaux-Batons. Quelli di
Durmstrang
invece non c’erano.
Gente
austera. Proprio vero…
Lanciò
un’occhiata anche verso
la torretta riservata alle autorità. Riconobbe la chioma
fulva del padre e quella
riccia della madre. Erano mesi che non li vedeva. Ricordò
improvvisamente una
cosa che Al le aveva detto all’inizio dell’estate,
quando la lontananza da
Scorpius l’aveva quasi spinta a scoprire gli altarini.
‘Perché
non ne parli con zia Hermione? Non mi sembra il
tipo di persona che darebbe di matto all’idea di saperti con
Malfoy. Anzi,
magari farebbe ragionare tuo padre.’
Ci aveva pensato, a
quell’eventualità: confidarsi con sua madre. Il
fatto era che era lei a non
volerlo.
Prima
di Malfoy… è sempre stato a papà che
ho
raccontato le mie cose.
Da sua madre si era sempre
sentita esaminata. Non nel senso
scientifico del termine, naturalmente, ma sin da bambina aveva sempre
avuto
l’impressione che la grande Hermione Granger avrebbe voluto
che sua figlia, la
figlia femmina e maggiore, fosse in un certo modo.
Ed
io mi sento sempre come se fossi diametralmente un
altro…
Nei racconti della sua
adolescenza, sua madre era sempre sembrata quella in controllo, quella
con
l’idea giusta.
Rose era sempre stata
paragonata a lei, da suo padre, dai suoi nonni. In confronto si sentiva
una
ragazzina goffa. Non stupida, ma meno matura.
Non
voglio farmi togliere le castagne dal fuoco da lei…
C’era anche
quello. Ovvero, il
suo stupido orgoglio. Non poteva correre a piangere dalla mamma, come
quando
aveva cinque anni.
Se
lo facessi, bella prova di maturità sarebbe. Confermerebbe
solo che la mia storia con Malfoy è un capriccio da
adolescente cretina.
Si sentì toccare
la mano. Al
la guardava con dolce sguardo interrogativo: a volte desiderava tanto che fossero tutti come lui in
famiglia.
“Tutto a posto Rosie?” Le chiese, facendole venire
una gran voglia di
abbracciarlo e singhiozzargli un po’ sulla spalla.
Merlino
solo sa quanto ne avrei bisogno in questo
momento…
“Sì,
certo… stavo solo pensando.”
Borbottò invece, piena di dignità.
“L’ho notato.” Sorrise. “Guarda
che sta iniziando…”
Rose calamitò lo sguardo sull’arena e fu sollevata
dal vedere che non era
entrato Scorpius, ma il Campione di Durmstrang. Aveva ancora una
ventina di
minuti per cuocere nel nervosismo.
Non si sentì
più così
sollevata.
****
Sören
camminò fino al centro
dell’arena. O quella che perlomeno doveva essere
un’arena.
Gli inglesi avevano fatto un
pregevole lavoro, considerando che quell’ambiente era
solitamente poco più che
un campo erboso. L’erba era stata sostituita con terra
morbida, forse atta ad
attutire eventuali cadute.
Sentiva rumoreggiare la
folla
sopra di sé. Era nervoso? Naturalmente.
È
la prima volta che ho pubblico …
Serrò la presa
sulla
bacchetta, l’unica arma in suo possesso. Isolò la
propria mente da qualsiasi
rumore circostante. Doveva passare la prova, quel teatrino pericoloso,
e al
tempo stesso doveva fare in modo di sfondare una delle pareti del pitch. Era fondamentale che lo facesse:
Poliakoff aveva allentato apposta i pannelli.
Le
barriere. Devo fare in modo da indebolire le
barriere magiche. Il Ministero inglese sa dei dissennatori. Le barriere
servono
a questo. A nascondere la presenza di centinaia di persone.
Con
così tanti maghi a disposizione, neppure una
schiera di patronus potrà fermare dei Dissennatori affamati
da decenni …
Fissò lo sguardo
sulla grossa
grata che chiudeva la gabbia dell’acromantula. La sentiva
stridere arrabbiata e
un brivido freddo gli corse involontariamente lungo la schiena.
Non aver paura era da
idioti.
Controllarla, era la cosa importante.
Le grate vennero alzate di
scatto e la creatura corse letteralmente, non era solo una sua
impressione,
fuori. Le urla della folla esplosero.
A Sören
sembrò di essere un
gladiatore babbano. Ne aveva sentito parlare, nelle sue tante letture.
Sicuramente
là sopra si divertiranno più di quanto
faccia io…
Indietreggiò
velocemente,
senza perdere di vista la grossa creatura, i cui molteplici occhi
sembrarono
improvvisamente calamitarsi su di lui, mentre emetteva un verso
agghiacciante,
a metà tra un urlo umano e il frinire di centinaia di
cicale.
La bocca gli si
piegò in un
involontario sorriso: quello sapeva farlo. Neutralizzare una creatura
oscura…
per quello era stato addestrato.
In un certo senso, per la
prima volta da mesi, era a suo agio.
“Non riesco a
guardare!
Merlino, ditemi quando la portano via…”
Sussurrò Rose, mentre nascondeva il
viso sulla spalla di Albus.
Tom alzò gli
occhi al cielo.
Se
è così impressionabile perché diavolo
non è rimasta
al castello con Lily?
Ma
non lo disse, visto che Al l’aveva
precedentemente graziato di una lunga occhiata ammonitrice.
Si concentrò
allora sulla
prova stessa. Luzhin era al centro esatto dell’arena. Non era
arretrato che di
pochi passi, mentre l’acromantula incedeva verso di lui.
Possiede
un sangue freddo invidiabile. Vorrei sapere
quanti nostri coetanei hanno un … dono…
simile.
Lo ammirava. Certo, per la
stragrande maggioranza del tempo pensava che nascondesse qualcosa e
fosse un
tipo sinistro, ma oggettivamente parlando, gli piaceva il suo modo di
fare.
Aveva semplicemente neutralizzato James quando
l’aveva
sfidato: tranne alla fine, non aveva mai perso il controllo. Aveva
giocato con
quell’idiota come avrebbe fatto un gatto annoiato con un
topolino.
Persino in quel momento, con
una bestia che aveva tutte le intenzioni di usarlo come spuntino, non
perdeva
la testa. Aveva invece cominciato ad indietreggiare, usando una lenta
ma
efficace traiettoria a zig-zag.
Ottimo
se vuoi confondere animali con l’intelligenza di
un colino da the.
L’acromantula
tentò un
improvviso balzo in avanti, ma il ragazzo sembrò averlo
previsto, perché scarto
di lato con facilità, muovendo appena la bacchetta. Ne
fuoriuscì un getto di
luce violenta che fece rimbalzare la creatura lontana da lui.
Dopo un paio di tentativi
non
dissimili, Tom cominciò a sentirsi confuso e scomodamente
irritato dalla mancanza
d’azione.
Il
punto della prova non è avvicinarsi alla creatura?
Perché la sta respingendo?
Molti degli astanti,
impazienti come lui, avevano cominciato a fischiare e mostrare segni di
irrequietezza.
Tipica
ottica da folla. Come i gladiatori nell’Antica
Roma. Vogliono veder scorrere il sangue…
Effettivamente,
sento che non dispiacerebbe neanche a
me. Ottica della folla.
Non aveva colpe.
Luzhin però non
sembrava
neppure notare l’agitarsi del proprio pubblico. Era
totalmente concentrato sul…
Tom lo capì
all’improvviso. Voleva
che l’acromantula andasse in una direzione precisa. Non
essendo ammaestrata, la
cosa si rivelava non priva di complicazioni.
Vuole
chiuderla in un angolo cieco? Ma così rischia lui
stesso di non avere vie di fuga …
Avvicinarsi
ad un animale, mortale, in trappola non è
mai una buona idea.
“Che
strano…” La voce di Al lo
fece voltare. “Perché sta facendo quella specie di
balletto?”
Allora non sono l’unico ad essermene
accorto…
Le intenzioni del tedesco
furono gradualmente chiare a tutti.
“Come si chiama il
Campione di
Durmstrang?” Chiese Harry a Ted, sporgendosi in avanti per
toccargli la spalla.
“Sören.”
Rispose
distrattamente Ginny al posto del ragazzo che aveva del resto sentito a
malapena la domanda, completamente preso da ciò che accadeva
nell’arena. “È
l’amico di piuma di Lily, Ren.”
“Ma non era una specie di secchione?” Si intromise
Ron, che teneva gli occhi
socchiusi per la concentrazione e sembrava il più seccato
dalla mancanza di
scontro diretto. “No, perché quel tipo non mi
sembra …”
“Ronald.”
“Sul serio Hermione! Ho sentito Jam che prendeva in giro Lily
sul fatto che
quel tipo sembrasse uno uscito da uno scaffale
polveroso…”
“Il fatto che sia un ragazzo che ama lo studio gli preclude
la possibilità di
essere un Campione?”
“Non ho detto questo!”
“È bravo.” Li interruppe Harry, pacato.
Aveva avuto anni per imparare che un
nemico non andava soltanto affrontato di petto, come aveva fatto
durante la
maggior parte della sua eroica adolescenza, ma anche usando la testa,
sapendo
aspettare. Quel ragazzo aveva deciso strategicamente le sue mosse.
“Ma se non sta
facendo
niente!” Esclamò perplesso Ron.
“Dovrebbe agganciargli la bandiera al
moschettone, ma non si sta neanche avvicinando! Ha paura!”
“Non ha paura, Ron… sa cosa sta
facendo.” Scosse la testa Harry. “Sembra in
gamba.”
Non aveva mai prestato molta
attenzione alle amicizie della figlia, di piuma o in carne e ossa che
fossero:
Lily del resto non aveva mai avuto problemi nei rapporti sociali. Da
che
ricordava era sempre stata circondata da amiche. E per quanto
riguardava le
amicizie maschili…
Beh,
lì sono io che non voglio sapere.
Però
forse stavolta…
“Tu sai qualcosa
di questo
Sören?” Chiese alla moglie.
“Quel che mi ha
detto Lily. Sinceramente
me lo aspettavo un po’ … diverso.”
Ammise Ginny, sporta per seguire ciò che
accadeva sotto di loro. “Non che non lo sia, intendo dire,
diverso dal fenotipo
di Durmstrang. Ve lo ricordate Viktor Krum, no? Tutti quei
muscoli…” Lanciò
un’occhiata divertita al fratello, che fece
un’eloquentissima smorfia facendo
ridere entrambe le donne. “Comunque Lily gli è
molto affezionata.”
“Quanto
affezionata?” Ron fu il primo a pronunciare la frase, ma
Harry fu certo di essere stato il primo a pensarla.
Ginny fece un sorrisetto.
“Oh,
Merlino. Ragazzi… pensate che Lilian abbia ancora cinque
anni e ami farsi
leggere le fiabe dal suo papà? Ha quindici anni. E quel
ragazzo è un campione.”
“Lo
vedo…” Borbottò Harry.
Era sempre stato un padre
piuttosto ignorante in materia di flirt dei propri figli.
Visto
com’è andata con Jamie, mi sa che devo cominciare
ad informarmi…
****
… non era
questione di
fortuna. Doveva andare dritto all’obbiettivo adesso che
l’acromantula era
posizionata esattamente dove
doveva.
Ovvero, con dietro di sé gli spalti incriminati.
Sören
passò la bacchetta nella
mano sinistra, leccandosi le labbra per il nervosismo, quasi in
sincronia con
lo scattare delle grosse mandibole zannute del ragno.
E poi la lasciò
cadere.
Appena toccata terra,
l’acromantula gli saltò letteralmente addosso,
sbattendolo violentemente a
terra. Con tutti quegli occhi, doveva aver previsto il movimento non
appena
aveva allenato la presa.
Sören, oltre il
dolore del
colpo, sorrise.
Perfetto.
“Non ci posso
credere… l’avete
visto tutti, vero? Ha lasciato cadere la bacchetta!”
Esclamò Roxanne con gli
occhi sgranati. L’intera folla era letteralmente esplosa
quando Luzhin aveva,
di sua sponte, lasciato cadere la sua bacchetta, l’unica
difesa che poteva
mettersi tra sé e quel mostro. “Perché
diavolo l’ha fatto?!”
Al scosse la testa.
“Non lo
so… forse ha un piano, una strategia. Qualcosa?”
Tom non disse nulla,
lasciando
che gli altri congetturassero a loro piacimento.
Era chiaro che Luzhin avesse
un piano.
Solo,
quale?
Lo
vide cadere sotto la tonnellata di
pelo e cartilagini dell’acromantula che lo coprì
completamente, oscurandolo
alla vista della folla.
…
oscurandolo. Nascondendolo. L’ha fatto apposta a farsi sbattere a
terra!
Ignorando lo sguardo sorpreso di Albus, si alzò in
piedi di scatto e
spingendolo Roxanne senza troppe cerimonie scese lungo gli spalti.
Devo
avere una visuale migliore. Adesso.
Riuscì arrivare
alla fine
degli spalti e si fece spazio tra un gruppo di matricole di tassorosso.
Adesso
era allineato visualmente in linea d’aria con Luzhin e
l’acromantula,
trovandosi comunque dal lato opposto dell’arena. Poteva
vederlo, sotto il
ventre della creatura.
Avanti.
Fa’ la tua mossa.
L’acromantula
aveva un fiato
disgustoso. Forse era il veleno che gli colava rancido dalle zanne
superiori o
forse era perché era uno stramaledetto animale carnivoro.
Sören odiava gli
animali.
L’adrenalina gli
pulsava nelle
vene come una corrente benefica. Nessun pensiero, nessuna incertezza.
Esegui
gli ordini.
Era così che era
stato
addestrato, cresciuto. Quei due termini poi erano differenti?
Probabilmente per una
persona
normale c’era tutta la differenza del mondo. Non per lui.
Posò la mano sul
gancio della
creatura e agganciò la bandiera. Prima la farsa.
La bacchetta era dietro la
sua
schiena, ci era caduto sopra. Impossibile prenderla, da quella
posizione. Non
che nessuno lo sapesse. Non che a lui servisse.
Posò la mano su
dove supponeva
fosse il cuore della creatura. Nel braccio scorreva ciò che
gli aveva fatto suo
zio. Nel braccio scorreva la magia. Non nel sangue, non figurativamente
parlando.
Non
mi serve una bacchetta. Io sono una bacchetta.
Lo sentiva bollente, come se
gli stesse bruciando. Era il momento.
Tom non riuscì a
vedere nulla.
O meglio, non fu sicuro di cosa vide.
Vide un lampo, questo
sì. Un
lampo bianco provocato da un incantesimo, ma non violento,
più simile
all’accendersi improvviso di una luce sotto il corpo
dell’acromantula.
Poi quella venne sbalzata
via,
impattando duramente contro gli spalti, spaccandoli e cadendo oltre,
fuori. Ci
furono urla, ma per fortuna la zona d’impatto non era stata
occupata, essendo
dove venivano riposte normalmente le attrezzatura da Quidditch.
Ci fu un lungo minuto di
silenzio mentre la polvere sollevatasi con l’impatto si
diradava.
Tom vide Sören
rialzarsi in
piedi e raccogliere la bacchetta.
…
non aveva la bacchetta? E quell’incantesimo?
C’erano pochissimi
incantesimi
efficaci senza bacchetta. E quello decisamente era oltre le
capacità di
qualunque studente.
Ma
abbiamo già appurato che Luzhin non è uno
studente
qualunque, vero?
Tom sembrò
l’unico a pensarlo
perché dalla folla si levarono applausi di caldo
incoraggiamento.
Caldo
incoraggiamento un corno. Perché tutti pensano
che sia normale che sia così bravo?
Tom osservò
Luzhin venire
portato via, zoppicante e con un braccio sanguinante, ma sulle sue
gambe. Non
esultava. Forse non aveva completato la sua prova.
Non
lo sapremo finché non verrà ricatturata
l’acromantula…
Eppure, ne era certo, il suo
sguardo era tutto fuorché quello di qualcuno in
attesa.
Sa
già com’è andata. Se è
quello a cui mira.
Chi
diavolo è Sören Luzhin?
****
Hogwarts,
Tenda dei Campioni.
Le urla fuori non gli
permettevano di capire cosa stesse succedendo, almeno, non con
esattezza.
Scorpius era bloccato dalle
regole:
non poteva infatti guardare fuori dalla tenda, non finché
Dominique era
nell’arena.
Stupide
regole.
Lanciò uno
sguardo verso
Luzhin: la sua prova era stata difficile, a quanto gli era stato dato
di capire
dalla durata e dalle urla. Non che avesse provato a chiedere di
persona, data
la sua espressione appena rientrato nella tenda.
Se
gli avessi fatto una domanda, sicuramente
mi
avrebbe staccato la testa. A morsi.
Al momento attuale parlava a
bassa voce con il proprio assistente e sembrava tenacemente preso nel
compito
di ignorare il resto del mondo. Aveva un largo taglio
sull’avambraccio, ma non
aveva permesso a nessuno di medicarglielo. Neppure il Direttore di
Durmstrang
aveva insistito.
Non
è andata tanto bene quanto sperava, ho impressione.
Sentì un nuovo
boato. Sembrava
non di paura, ma di ammirazione. E tutto per Dominique Weasley.
È
una tipa tosta… dovrò essere più
veloce di lei.
Erano già cinque
minuti che
era fuori; lui non aveva la minima idea di quanto ci avrebbe messo a
domare il
Basilisco.
Gli sovvenne un pensiero
improvviso.
Ma
il suo sguardo uccide… io sto a posto. Ma prima che
possa neutralizzarlo, come faranno gli spettatori? Se qualcuno per
sbaglio lo
guarda negli occhi?
“Preside?”
Chiamò Vitious, che
osservava fuori dalla tenda con aria concentrata. Da lì si
aveva una visione
pessima, essendo la Tenda fuori dall’Arena, ma si poteva
sentire almeno le
reazioni del pubblico.
“Sì
Malfoy?”
“Il Basilisco. Mi chiedevo… sono state prese
precauzioni, sa… per quella cosa
dello sguardo che uccide al primo colpo?”
Il mago fece un sorriso tranquillizzante. O almeno, le intenzioni
dovevano
essere quelle. “Certo che sì, figliolo. Ci
sarà un incantesimo di protezione
attorno agli spalti. Gli spettatori potranno guardarvi, ma il Basilisco
non
potrà vedere loro. Abbastanza semplice, in
realtà, è stata già usata
nell’edizione del Tremaghi del 1792.”
“Ed ha
funzionato?” Chiese.
Aveva scoperto, grazie a Rose e alla sua passione inquietante per
Storia di
Hogwarts, che quel particolare Torneo era stato fermato
perché tutti e tre i
concorrenti erano stati gravemente feriti.
Non
molto rincuorante, tra parentesi…
Il Preside annuì.
“Oh, sì… non
fu quello a cancellare il Torneo. Fu per colpa di una
Coccatrice².”
“Che…
sarebbe?” Forse aveva
ragione Rosie, quando gli diceva che aveva una pessima memoria.
“Sostanzialmente
un Basilisco.
Solo non uccide, si limita a pietrificare.” Spiegò
l’ometto, avendo il buon
gusto di sembrare a disagio. “Ma non preoccuparti ragazzo.
Andrai alla grande.”
“… Grazie.”
Ecco,
ora ho sì che ho voglia di vomitare.
Era meglio lasciar cadere il
discorso e concentrarsi su altro. La soluzione gli venne porta su un
piatto
d’argento, quando si sentì afferrare da dietro la
casacca e tirare fuori dalla
tenda. Masticò una mezza imprecazione, prima di trovarsi
virilmente tra le
braccia di James Sirius Potter.
“Poo?”
Chiese confuso. Il
ragazzo era senza maglietta, nonostante il clima gelido, e aveva il
torso dipinto
dei colori della loro Casa.
“Spacca il culo a
quel
bastardo del tedesco, okay?” Lo apostrofò per
prima cosa. Poi gli sorrise.
“Ehi, come va?”
“… Credo che le tue priorità di
conversazione siano leggermente sfasate. Hai
bevuto?”
“Per stare mezzo nudo con questo freddo? Sicuro!”
Confermò con serenità.
“Comunque… come stai, davvero.”
Scorpius sorrise all’amico. Era un po’ deluso che
Rose non l’avesse seguito, ma
spinse quell’emozione in fondo allo stomaco, dove stavano
tutte le altre.
A
macerare, in silenzio.
Merlino,
spero che non dovrò sborsare troppi galeoni
per uno psicomago, tra una ventina d’anni…
“Sto
deliziosamente.” Mentì
disinvolto, o almeno gli sembrò di esserlo; quando
l’altro inarcò le
sopracciglia in modo ridicolo ma piuttosto significativo,
ridacchiò. “Okay. Me
la sto facendo sotto.”
“Così ti voglio Malfuretto. Consapevole dei tuoi
limiti. Dicono che serva, in
questi casi…” Gli affibbiò una pacca
sulla spalla, maschia e compartecipe. Scorpius
l’apprezzò più delle rassicurazioni
goffe del Preside, e di gran lunga.
“Come se la sta
cavando tua
cugina?”
“Domi? Niente male.” Fu la pronta e orgogliosa
risposta. “Gira attorno al suo
mostriciattolo, lo stuzzica ed ha tentato un paio di volte di saltargli
in
groppa. È completamente pazza. Il solito,
insomma.” Ghignò. Si guardò attorno.
“… Senti, te lo dico. Il tedesco si è
battuto bene. Ha distrutto praticamente
una tribuna, ma ha superato la prova. E Domi sta facendo un ottimo
lavoro.”
Soggiunse guardandolo serio.
Scorpius annuì,
perdendo il
sorriso: apprezzava però che glielo avesse detto senza
troppi giri di parole.
Perlomeno
qualcuno ha infranto le regole per venirmi a
dire che diavolo sta succedendo…
“Io
farò anche meglio.” Disse
semplicemente.
L’amico
annuì, con aria
leggermente più rilassata. Si strofinò le mani
sulle braccia, prima di tirare
su con il naso. “Adesso devo andare, Malfuretto. Ma
sarò lassù, a fare il tifo
per te… come Rosie e gli altri.” Gli porse il
pugno, in modo che lo sbattessero
l’uno contro l’altro. Suo padre avrebbe storto la
bocca a quel gesto babbano,
ma a Scorpius in quel momento non importò. “Cerca
di tornare tutto intero. Mi
dispiacerebbe dovermi cercare un altro migliore amico.”
Aggiunse con falsissima
noncuranza.
“Scommetto non
verresti
neanche a piangere sulla mia tomba, Potter…”
Borbottò, sentendo la gola
chiusa per la commozione.
“Non ci verrei se
fossi così
idiota da farti ammazzare da un verme gigante.” Fu la
replica.
Si misero a ridere: un anno
prima non avrebbe scommesso neanche uno zellino
sul fatto che sarebbe stato James Potter a dargli conforto in quei
frangenti.
Le
cose cambiano… Può cambiare tutto. Basta
lavorarci.
Poi James si tirò
indietro,
dandogli una pacca sulla spalla. “Falli neri. Per
Hogwarts.” Prima che potesse ribattere, Scorpius
venne spinto
di nuovo dentro la tenda dalla stessa arruffata forza motrice.
Sbuffò appena,
aggiustandosi
la maglia sgualcita.
Potter…
decisamente travolgenti.
Si assicurò che
nessuno
l’avesse visto uscire. Come immaginava,
l’attenzione di tutti era calamitata
verso l’uscita che dava sull’arena, cioè
dalla parte opposta.
Una manciata di minuti dopo
Dominique
rientrò nella tenda, con un taglio sulla guancia e svariate
bruciature sulle
mani. Era pallida e i capelli avevano una striatura più
scura sulla nuca.
Ma aveva
l’espressione
vittoriosa.
Scorpius non si
avvicinò
subito, visto che la ragazza fu letteralmente placcata dal suo piccolo assistente e
dalla monumentale
preside.
Ascoltò invece il
fiume di
francese che ne derivò, comprendendo tutto perfettamente:
aveva passato interi
pomeriggi della sua infanzia ad ingolfarsi la lingua in quei fonemi
impossibili.
Comunque,
non che mi serva… la sua faccia parla da
sola. C’è riuscita. Ha superato la prova.
James aveva ragione, era
stata
grande.
Ci
ha messo solo. Dieci. Minuti. Cazzo, sono fottuto.
Il
tedesco ce ne ha messi di più, ma ce l’ha fatta. E
se io non ce la facessi?
Dannazione.
Dom dopo aver risposto a
svariate domande si liberò gentilmente delle premure del
compagno e della
Preside e crollò finalmente a sedere sul proprio lettino.
Venne così affidata
alle cure di Milly, l’assistente di Madama Chips.
Scorpius a quel punto
trovò
che fosse opportuno avvicinarsi.
Vide che Dom stringeva in
mano
un fazzoletto. Ad una seconda occhiata capì che era il resto
della bandiera con
cui era uscita, quella che doveva agganciare con un moschettone al
collo della
sua creatura.
“Ehi, raggio di
sole.” Lo
apostrofò quando lo vide. “Dieci minuti. Sai fare
di meglio?”
Scorpius sorrise. “Vedremo.” Concesse, senza
sbilanciarsi. “Come stai?”
“Ah, la cavalleria inglese!” Sbuffò
divertita, ma con la voce arrochita dalla
fatica. “Sto bene, ma devo ammetterlo… quella
chimera era proprio cattivella.
Ma io sono più dura.” Ghignò, chinando
la testa per permettere all’infermiera
di spalmarle della pasta arancione sulla nuca, dove Scorpius
notò una grossa e
piuttosto orribile bruciatura.
Giusto.
Le chimere sputano fuoco dalla testa di leone.
Wow. Cazzo.
“L’orecchino
portafortuna?
Ancora al suo posto?” La prese in giro per distrarla
dall’evidente dolore, o
forse per distrarre lui stesso dallo spettacolo terrificante di una
ragazza ferita.
Dom rise, mostrandoglielo.
Era
l’unico dei piercing a non essersi annerito. Doveva contenere
della magia,
perché brillava viola come non mai.
“Tutto a posto. Se
l’avessi
perso o danneggiato, penso che sarei andata incontro ad una morte
orrenda.”
“Per mano di chi?”
Quella fece un mezzo
sorriso.
“Nomen omen.” Fu
la risposta
sibillina.
“Eh?”
Dom ghignò.
“Certo che sei
proprio biondo… Non le
becchi le
hint, eh?”
Prima che potesse ribattere,
Percy
Weasley irruppe nella tenda con brevi ed efficienti falcate. Subito la
ragazza
si stese a corpo morto sul lettino, fingendosi incosciente.
Scorpius soffocò
una risatina,
ricordando di come James gli avesse detto che quel loro zio fosse
particolarmente palloso e pedante con tutti i nipoti.
A
quanto pare neppure quelli extra-territorio fanno
eccezione…
“Ah.”
Esordì il mago, fissando
subito lo sguardo sulla suddetta. “Dominique come si
sente?”
“Bene, sta riposando!” Rispose
l’assistente in un inglese passabile,
probabilmente istruito in precedenza.
L’uomo, che
credesse o no
all’incoscienza della giovane parente, aveva dei doveri a cui
adempiere.
“Signor
Malfoy?”
E a quel punto Scorpius
realizzò che sarebbe toccato a lui. Cioè, non che
non lo sapesse. Solo che una
parte di sé aveva tenuto quella consapevolezza relegata in
un cantuccio.
Scorpius inspiro lentamente,
afferrando la sua fottuta bandierina con una mano e la bacchetta con
l’altra.
“Okay. Sono
pronto.”
Dubitava che lo sarebbe mai
stato davvero. Ma andava bene. Perché era il maledetto
cavaliere di Hogwarts.
****
Quando una grossa magia
veniva
operata, era sempre uno spettacolo.
Al guardò incantato il preformarsi di una barriera liquida e
azzurrina che si
diramò lungo gli spalti, avvolgendoli come se fossero
sott’acqua e rendendo
tutto ciò che c’era dentro l’arena
sfuocato e opaco.
“Definitivamente
un
basilisco.” Borbottò Rose. “…
La barriera servirà ad evitare che qualche idiota
lo fissi negli occhi e muoia. A parte Scorpius.”
“Quanto
cinismo…” Osservò
Roxanne divertita. “Eppure fino a qualche anno fa non ti
sarebbe importato se
Malfoy finiva divorato da un serpente gigante. O sbaglio?”
Rose non replicò e Al emise un piccolo sospiro.
Dovrebbe
farla finita e basta. Come uno strappo. Se per
lei è così duro tenerlo nascosto.
Vide con la coda
dell’occhio
Tom accomodarsi di nuovo accanto a lui.
“Ehi.”
Lo apostrofò con la
tipica aria colpevole del gatto che si era affilato le unghie sul
mobilio
nuovo. Evitò anche di guardare in direzione di Roxanne, che
lo stava incenerendo
con lo sguardo.
“Ehi…
Non sei stato molto
carino prima. Mancava solo calpestassi qualche neonato per essere
nominato il
cattivo ufficiale della giornata.” Gli tirò la
sciarpa, e l’altro non reagì.
Neanche ribatté. A dirla tutta, sembrava preso in una delle
sue elucubrazioni
mentali che lo escludevano completamente dal mondo reale.
“Tom?”
“Mh?” Si degnò di dire, senza scollare
lo sguardo dall’arena.
“Trovo Luzhin
attraente. Forse
gli chiederò di uscire con me per il Ballo del
Ceppo.”
“Sì, Luzhin…” Si
bloccò, tornando finalmente coi piedi per terra. “Cosa?”
“Bentornato. Stavo mentendo.” Gli sorrise.
“Allora, cos’avevi bisogno di vedere
da tanto vicino?”
Tom serrò appena
le labbra,
con aria preventivamente offesa. “Dirai che sono
paranoico…”
“Lo sei, ma ti
ascolto
comunque.” Lo rassicurò magnanimo, ottenendo una
smorfia per risposta.
“Luzhin non ha
usato la
bacchetta per dare il colpo finale
all’acromantula.” Disse infine, forse
convinto dal fatto che lo stava ancora tenendo fermo per la sciarpa.
“Prima che
scappasse, intendo.”
“Un incantesimo senza bacchetta?” Al ci
rifletté per un po’, confuso.
“… Non è
un po’ troppo oltre il nostro livello?”
“Evidentemente non
per lui.”
Al fece per ribattere
qualcosa
ma poi gli applausi e il boato della folla, fortissimo dalle parti
della
curva-grifondoro lo fece tacere. Scorpius era appena entrato
nell’arena.
Si sentì
stritolare la mano
con forza. Ricambiò la stretta di Rose.
Si trattava solo di
respirare.
Come aveva già
detto in
precedenza, era solo questione di continuare
a farlo.
Scorpius sentiva il sudore
gelato scivolargli lungo la nuca, bagnandogliela, finendo sulla
schiena.
Stava sudando, eppure faceva
freddo.
La barriere che proteggeva
gli
spettatori lo faceva sembrare come racchiuso in una boccia di vetro,
come i
pesci che si divertiva a catturare nel laghetto del Malfoy Manor quando
era
bambino.
Si infilò il
pezzo di stoffa
dentro la tasca dei pantaloni, deglutendo saliva e paura.
Sentì il cigolio
della gabbia,
della grossa e enorme gabbia che rinchiudeva il Basilisco: ora era
aperta.
Lo vide strisciare dentro
l’arena e si focalizzò sulle enormi fauci, sulla
lingua sibilante. Sul
movimento ondulatorio del corpo snodato e gigantesco.
Gigantesco.
Anzi, di più. I giganti sembrano animaletti
da compagnia a confronto. Porca puttana.
Chiuse gli occhi, puntandosi
la bacchetta alla testa.
“Oculos
Claustra³.”
Ringraziò mentalmente uno svariato pantheon di ricercatori:
vent’anni prima per
lo sguardo diretto di un Basilisco non c’era protezione. Lo
guardavi, morivi.
Fortunatamente, non tutti i maghi del mondo si fossilizzavano
sull’imparare soltanto
vecchi incantesimi.
E
fortunatamente ho una ragazza che sa fare ricerche in
biblioteca.
Certo, come
controindicazione
c’era una sensibile mutazione nella sua percezione visiva.
Gli sembrava di avere
una grossa maschera di vetro attorno al viso. Ma perlomeno, non doveva
temere
per la propria vita.
E
anche se non è un incantesimo approvato dal Ministero
Inglese… fatemi causa. Per quello greco lo è.
Il Basilisco era ormai a
poche
decine di metri da lui. Allora cominciò a indietreggiare.
Okay,
il suo punto cieco è in mezzo alla fronte. Non
devo mai spostarmi di lato.
Non era facile mantenere la
propria strategia, anche se precedentemente ideata. Specie quando un
basilisco
scattava rapido – come un cobra? – e colmava la
distanza che ti separava da
lui.
In quell’esatto
momento.
Scorpius a quel punto
riuscì
solo a cadere a terra e rotolare di lato per evitare che le zanne si
abbattessero su di lui come cesoie.
Sentì il boato di
spavento della
folla, e si spaventò anche lui.
Ringraziò
mentalmente i suoi
riflessi di giocatore di Quidditch: era grazie a loro se non aveva una
zanna
conficcata in mezzo al petto.
Si rialzò in
piedi sentendo le
reni dolergli come se gli ci avessero conficcato delle lame appuntite.
Il punto era avvicinarsi.
Non
ce l’avrebbe mai fatta in quel modo. La guardia del basilisco
era troppo a
trecentosessanta gradi per lui.
Devo
spegnergli almeno un senso… la vista. Se è cieco,
come insegnano le gesta del Signor Potter, sarà un filino
più incazzato, ma
almeno potrà contare solo sull’olfatto per
sentirmi.
Queste
bestiacce hanno un udito schifoso. Grazie mille,
Newt Scamandro.
Doveva solo puntare a quella
maledetta testa squamata e pronunciare l’incantesimo.
“Conjunctivitis!” Urlò e lo fece
anche dopo, trionfante, quando l’animale, con un
sibilo agghiacciante scosse la testa, improvvisamente cieco.
Ce
l’ho fatta!
Capì troppo tardi
che gli
occhi non erano l’unica cosa di cui doveva preoccuparsi.
Questo, quanto la coda
gli frustò le gambe, spedendolo a terra. Con orrore
sentì la presa dalla
bacchetta scivolargli di mano per compiere un arco e finire lontana da
lui. Molto lontana da lui.
E non soltanto a terra.
Il caso, la sfortuna o
qualche
divinità crudele, la fece precipitare esattamente
davanti alla creatura strisciante.
Che ci passò
sopra. Tonnellate
intere sopra la sua bacchetta.
Merda.
Non ebbe tempo per
inorridire
all’idea di aver perso la sua unica difesa. Si accorse di
colpo del fatto che
il Basilisco non sembrava particolarmente deficitato dalla mancanza di
vista.
L’odore.
Dannazione, sente il mio odore!
Si rialzò appena
in tempo,
prima che la creatura gli si avvicinasse troppo, magari con la
giustissima
intenzione di staccargli una gamba.
Forse non era coraggioso,
forse non era quello che voleva fare per farsi ammirare da tutti.
Ma le diede le spalle e
prese
a correre con tutta la forza che aveva in corpo.
Devo
riflettere. Riflettere. Pensare, correre. Posso
fare entrambi.
Pensa,
Scorpius. Pensa a riprenderti la tua bacchetta.
Soltanto che non poteva
tornare indietro, visto che dietro c’era un fottuto basilisco
assetato di
sangue.
Okay.
Pensa. Pensa… ti serve qualcosa, ti serve una
nuova arma. Da solo non puoi farcela.
Le urla della folla erano
solo
un eco distinto. Nessuno poteva aiutarlo lì dentro. Come
avevano detto, era da
solo.
Non
ci penso neanche a crepare! E neanche a farmi
battere da un crucco e da una tizia che ha più tatuaggi che
sale in zucca!
E poi, come tutti i grandi
geni – Scorpius non l’aveva mai detto a nessuno, ma
sì, si reputava sommamente
sveglio – ebbe la famosa idea fulmine-a-ciel-sereno.
E fischiò.
****
Note:
Sì, sono una
bastarda. Si ve
l’ho lasciato a metà. Pure questo.
Suuspance!
1.
Qui la canzone. Un grazie speciale a Hikaru
Ryu per avermi fatto scoprire questo gruppo meraviglioso.
2. Qui
per
maggior informazioni.
3. Incantesimo inventato da
me.
|
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Capitolo 28 *** Capitolo XXVI ***
Capitolo XXVI
So
kiss me goodbye
Honey, I'm gonna make it out alive
So kiss me goodbye
I can see the venom in their eyes
(Bring
It, Cobra Starship¹)
Draco Malfoy non aveva mai
capito suo figlio. Ma lo aveva amato da quando gliel’avevano
posato tra le braccia.
All’epoca era un
ventenne
pieno di rancore. Suo padre aveva salvato la famiglia, ma a duro
prezzo.
Avevano venduto quasi tutte le loro proprietà, le fabbriche
e persino le
partecipazioni nella nazionale di Quidditch, che la sua famiglia
finanziava da
generazioni.
Erano finiti, non ci voleva
certo l’esperienza di Lucius Malfoy per capirlo.
Ma i Malfoy avevano un solo,
forse unico, grande merito: sapevano sempre cadere in piedi.
Il matrimonio con Astoria
era
stato solo uno dei passi necessari per tornare agli antichi fasti: con
i
capitali dei Greengrass avevano potuto ripagare i debiti contratti e
con
l’arrivo di un primogenito, maschio, Draco si era sentito
finalmente parte del
meccanismo di riabilitazione della propria famiglia. Non era
più un ragazzo
magro e terrorizzato da qualcosa più grande di lui. Lucius
stava invecchiando,
ed era ora compito suo far sì che i Malfoy non perissero
mentre tante altre
famiglie magiche prosperavano.
Aveva incanalato la sua
rabbia
e quella paura mai sopita nel diventare il nuovo capofamiglia, nel fare
in modo
che la propria Casata non sprofondasse tra le malelingue e
più prosaicamente,
che i loro soldi venissero di nuovo accettati nei negozi e alla
Gringott.
La nascita di Scorpius aveva
cambiato tutto.
Era diventato padre, ed era
qualcosa a cui non si era preparato. L’aveva sempre vista
come una conseguenza
utile, ma collaterale, del suo essere Lord Malfoy.
Scorpius non era mai stato
una
conseguenza. Da quando Tory gli aveva sfiorato il braccio, stanca e
sfinita dopo
il parto e sorridendogli gli aveva detto: ‘ecco il nostro
bambino’.
Lì aveva
realizzato che
qualcosa era cambiato. Che lui era
cambiato. Un nome, per la prima volta, era stato più
importante di un cognome.
Scorpius era sempre stato
diverso. Da lui, ma in generale da tutti i Malfoy.
Rideva molto e non
pretendeva
mai, chiedeva piuttosto con un gran sorriso a cui era difficile
resistere. Non
era mai riuscito ad essere severo come un tempo era stato Lucius con
lui. Non
era mai riuscito a dirgli che mostrare in giro le proprie emozioni come
un
merito era inappropriato, strappargliele via gli era sembrato una
crudeltà. Non
era mai riuscito a proibirgli alcunché, perché
Scorpius otteneva sempre ciò che
voleva. Ma non c’era mai malignità nelle sue
pretese o nelle sue azioni.
Sapeva che suo figlio era
diverso da lui. A volte non lo capiva. Quando gli aveva annunciato di
essere
stato smistato a Grifondoro non era riuscito a scrivergli per
più di un mese.
Scorpius aveva aspettato pazientemente che venisse a patti con
l’idea, e alla
fine l’aveva fatta accettare a tutta la famiglia.
Scorpius aveva un
lasciapassare unico nel suo genere, per il suo cuore: era suo figlio.
24
Novembre 2022
Hogwarts, Campo di Quidditch.
Astoria strinse con forza la
mano del marito quando il Basilisco puntò con crudele
precisione verso il
figlio. Draco rispose alla stretta, senza guardarla, ma cercando di
infonderle
il coraggio che un marito doveva donare alla propria consorte in quei
frangenti.
Poi Scorpius fece qualcosa
che
nessuno, di primo acchito, capì.
Fischiò.
Per un attimo non accadde
nulla. Poi uno stridio ferì le orecchie di molti e Draco
sentì un violento
rumore d’ali, proprio sopra la sua testa. La alzò,
come molti e vide la sagoma…
No,
non è possibile.
Quegli zoccoli e quelle
lunghe
ali d’aquila era riconoscibilissime, persino per chi, come
lui, aveva sempre
reputato le creature magiche bestie assolutamente indegne della sua
considerazione.
Era un ippogrifo.
Un ippogrifo che
piombò in
mezzo all’arena, frapponendosi tra Scorpius e il Basilisco:
quest’ultimo si
tirò indietro, intimorito.
Sembrava incredibile: una
creatura che anni prima lo aveva ferito, stava difendendo suo figlio.
Naturalmente non era quell’ippogrifo –
sperava fosse morto in
tutta franchezza – ma non era quello il punto.
“Scorpius mi aveva
parlato di
un’arma segreta…” Mormorò
lentamente Astoria, sempre con la mano stretta alla
sua. “Ma non pensavo…” Si produsse in
uno di quei suoi sorrisi quieti e
intelligenti. “Mio caro, nostro figlio è una
continua sorpresa. Non trovi?”
Draco non sapeva cosa pensare esattamente in merito. Scorpius aveva il
raro
dono di lasciarlo senza parole sin da quando aveva memoria.
“Davvero…”
“Oh, Merlino
Benedetto… quello
non è Artiglio?”
Albus era l’unico a ricordare l’orrendo nome di
quella bestia terrificante.
Rose in ogni caso
deglutì,
mentre annuiva meccanicamente. Era da un paio di minuti che meditava
con
serietà sull’eventualità di mordere la
sciarpa per la tensione.
“Se fossi in voi,
mi
concentrerei sull’altro
orrore. L’ippogrifo,
dopotutto, è considerabile come male minore.” Fu
la pacata intrusione di
Thomas, che studiava l’arena come se dovesse vivisezionare un
vermicolo. Analiticamente. Senza
la minima traccia
di ansia o di angoscia.
Rose cambiò
anelito: desiderò strozzare
lui con la suddetta sciarpa.
Grifondoro,
tra l’altro. Morirebbe tra atroci
sofferenze, maledetto serpente che non è altro…
“Come diavolo ha
fatto a farlo
venire qui?” La domanda di Al era piuttosto legittima, ma a
quella Rose
purtroppo aveva una risposta abbastanza sicura.
“Scorpius mi ha
detto che ci
stava facendo amicizia…” Fece una breve pausa in
cui assimilò lei stessa il
reale significato della frase. “… ma pensavo si
limitasse a dargli da
mangiare.”
“Mi sa che non
è così… voglio
dire, l’ha chiamato.”
Ribadì il
cugino impietoso. “Vuol dire che gli dà retta. Che
gli obbedisce! È
impressionante…”
“Sì,
vero.” Disse di nuovo
Thomas, in quello snervante tono monocorde. Roxanne, probabilmente non
angosciata quanto lei, ma sicuramente più diretta, a quel
punto ritenne
doveroso scoccargli un’occhiataccia.
“Per le mutande di
Merlino, si
vede che sei preoccupato! Sei sempre stato così stronzo o un
Dissennatore ti ha
succhiato via l’anima da bambino?”
Rose vide Tom irrigidirsi a
quella frecciatina, e poi piegare le labbra in una smorfia. Perlomeno,
quella, era
indizio di emotività. “Ce l’ho,
un’anima.” Rispose brusco.
“E sì,
è sempre stato così.” Aggiunse
Al gentile, ma con un’occhiata ammonitrice alla cugina.
“Comunque non credo ci
sia da preoccuparsi. È chiaro che Malfoy ha un
piano.”
“Ah
sì?” Rose se lo sentì
quasi scivolare fuori dalle labbra, e fu felice che nessuno
l’avesse sentita:
perché non sapeva qual’era il favoloso
piano di Scorpius. Era ridicolo, visto che era praticamente la sua
assistente
in incognito.
Ma
è la verità… non ho idea di cosa
voglia fare adesso.
“Vai
adesso.”
La voce di Sören, allo stesso possessore, era talmente
incolore da non
sembrargli la sua.
Poliakoff gli
lanciò
un’occhiata. Sören poteva leggergli negli occhi la
tensione di sapere che ciò
che stava per fare era l’ultima parte del piano: quella
cruciale, quella che
avrebbe permesso ai Dissennatori di entrare nell’arena.
“Non ti sta
guardando nessuno,
sono tutti presi a cercare di indovinare se Malfoy ce la sta
facendo…”
Continuò. “Vai. Sono io quello che non
può allontanarsi finché la Prova non è
conclusa, non tu.”
Il russo annuì e
con poche
falcate lasciò la tenda. Sören fissò un
punto oltre le sue spalle, in nessuna
direzione particolare.
È
ora.
Chiuse gli occhi.
Tutte
queste persone. Sono innocenti. E non ci serve
che rischino la vita. Quindi perché coinvolgerle?
Era una domanda silenziosa,
che non avrebbe mai posto a nessuno perché non era concesso
che la pronunciasse
ad alta voce. Ma la pensò.
Scorpius si leccò
le labbra.
Sentì il sapore del sangue e capì di essersele
morse in una delle sue
spettacolari cadute. Non gli facevano male, ma forse era solo grazie
all’adrenalina.
Artiglio gli
lanciò un grido
di allerta, frapposto tra lui e il Basilisco.
Non era una situazione
destinata a durare: il mostro era stato colto di sorpresa, e sembrava
non aver
mai visto un ippogrifo, ma a giudicare dallo sferzare della sua coda e
dai
sibili, stava lentamente capendo che testa d’aquila o meno,
non era un rapace
di cui doveva preoccuparsi.
Scorpius fece qualche passo
verso l’ippogrifo, prima di passargli una mano sul dorso
equino, sentendo i
muscoli fremere caldi e nervosi.
“Lo so
bello… grazie.”
Sussurrò a mezza voce. “Vediamo di finirla in
fretta, così ce ne andiamo entrambi.”
Lo scalpitare degli zoccoli
e
il frustare delle ali fu un assenso più che sufficiente.
Scorpius afferrò
il garrese
dell’animale con entrambe le mani e poi balzò su.
Ringraziò mentalmente
l’allenamento decennale da Quidditch o sarebbe ruzzolato a
terra.
Sentiva tutti gli occhi
puntati su di sé.
E
adesso guardate questo. Sangue mangiamorte un paio di
palle.
Diede una pacca sul collo
dell’ippogrifo che stese le ali e spiccò il volo.
Il Basilisco, che per
fortuna
non sapeva volare, sibilava sotto di lui.
“Adesso!”
La picchiata che
compì
l’ippogrifo fu veloce e repentina, ma Scorpius a questa era
preparato: non eri
portiere della squadra di Quidditch più forte della scuola
senza essere
assuefatto alla velocità in volo e alla rapidità
di pensieri.
Si gettò contro
il Basilisco.
Perché sì, aveva un piano. Suicida, ma non era
quello il punto.
Nessuno aveva mai detto che
il
Tremaghi fosse innocuo, no?
Al fu quasi strangolato
dalla
presa da boa costrinctor di Rose, quando gli nascose il viso contro la
spalla, per
soffocare un urlo.
Sì, poteva
capirla.
Per
le palle di Merlino.
Persino Tom sembrava
spaventato
dallo spettacolo del folle Malfoy che si scagliava a testa bassa contro
la
gigantesca serpe, in sella a nientemeno che un
ippogrifo. Una, più volte. Sembrava aizzarlo,
senza riprese e per
inferocirlo sempre di più.
Che
diavolo ha in mente?
“Iconografico.
L’Orlando
Furioso…” Borbottò comunque
a mezza
voce Tom, perché non poteva mai rinunciare ad elargire
all’universo mondo perle
della sua infinita cultura binaria.
“Citazione
letteraria?” Gli
chiese allora. “Adesso. Sul serio?”
“Se avessi visto quel dipinto…” Gli
rispose senza staccare gli occhi dalla
scena. “Malfoy è un pazzo. Ma lo sta stancando,
dico, il Basilisco. Suppongo
sia questo il punto.” Assottigliò lo sguardo.
“A giudicare dalla stazza, direi
che quella bestia ha superato il bicentenario da un po’. Non
avrà più la stessa
resistenza della giovinezza.”
“Sicuro. Tutto torna. Lo sta stancando.
Malfoy è matto.” Fu la chiosa
dell’essenziale Roxanne, e Albus non poté che
dargli totalmente ragione. La stretta terrorizzata di Rose, pure.
Fu un attimo.
Quell’attimo, quel
briciolo o
scampolo di secondo in cui sai che può essere un trionfo o
un completo
disastro. Magari addizionato a morte certa, perché no.
Scorpius e destriero si
scagliarono contro il Basilisco. Senza scartare all’ultimo
secondo.
Attacco
frontale. I predatori non si aspettano mai che
li attacchi.
Lezione che aveva imparato
nei
suoi primi anni a Grifondoro. Allora il suo cognome era un continuo
bersaglio
dipinto sulla sua schiena. Non si era mai piegato.
Artiglio si gettò
contro la
creatura, sotto il collo della
creatura. E Scorpius riuscì a sporgersi abbastanza
– non era stabile come un
manico di scopa il dorso di un animale, neanche vagamente paragonabile.
Comunque riuscì
a sporgersi abbastanza da agganciare quel maledetto moschetto.
Sentì il click, lo scatto secco. E capì
di avercela fatta. Strappò la
bandiera e diede di sprone all’ippogrifo.
Non
distrarti, non adesso.
Serrò le mani
sulla criniera
di Artiglio e poi sentì il sibilo del Basilisco a pochi
millimetri dalle
orecchie, il tanfo del veleno delle sue fauci. Ma poi anche una ventata
di aria
fresca.
Se l’era lasciato
alle spalle,
l’ippogrifo stava riprendendo quota.
Ce
l’ho fatta!
Il
boato della folla glielo confermò.
Oh, sì. Ce
l’aveva proprio
fatta.
A quel punto non gli
restò che
alzare le braccia al cielo.
“C’è
riuscito! Rosie, c’è
riuscito!”
Aveva appena perso qualcosa come dieci anni di vita. Quindi era certa,
in tali
condizioni, di avere allucinazioni uditive, anche se Al la scuoteva con
sufficiente forza e c’erano acclamazioni della folla attorno
a sé.
Si staccò,
guardandolo
confusa. Oh, bene. Sorrideva.
È
una cosa buona.
Sì?
“Ehi, sveglia!
Malfoy ha superato la Prova!”
La seconda volta fu quella
buona. Rose agganciò con confusione lo sguardo di Roxanne e
notò che la cugina sembrava
entusiasta. Il che era piuttosto inconsueto visto che normalmente
possedeva un
cipiglio degno del Soldato Jane – sì, aveva visto
il film.
Si voltò verso
l’arena,
cautamente, come se avesse una paresi. Come se non volesse vedere il
ragazzo
che amava morto.
E invece
c’era Scorpius, su quel maledetto ronzino con il becco. Con
le braccia alzate al cielo, scompigliato come non mai. E trionfante.
Morgana…
ce l’ha fatta. Davvero!
Sentì gli occhi
riempirlesi di
lacrime. Le ricacciò indietro indietro, perché
piangere voleva dire esporsi, e
non era una buona idea. Tom e Al sapevano, ma non Roxanne.
Il cugino allora la
abbracciò.
Perché poteva vestire i colori della Casa rinomatamente
più gelida di Hogwarts,
ma era la persona più empatica che conoscesse.
“Va bene, nessuno
ti sta
guardando…” Le sussurrò
all’orecchio. “Va bene.”
Singhiozzare un
po’, per
scaricare la tensione, poteva andare bene, giusto?
Kirill aveva un compito. Era
molto più semplice che affrontare un’acromantula
ad onor del vero, e della cosa
era ben lieto.
Uscire dall’arena
non fu
difficile, visto che si prevedeva che un assistente uscisse, sebbene la
tenda
fosse sorvegliata da due auror.
“Dove stai andando
ragazzo?”
Gli chiese il più anziano.
“In
bagno.” Scrollò le spalle.
“Qui dentro non c’è.”
Gli fu fatto cenno di andare, perché nessuno sospettava di
un adolescente con
indosso un uniforme.
Aggirò le mura di
legno del campo.
C’erano auror dislocati all’entrata principale e
nelle immediata vicinanze
della stessa, pronti a produrre patronus. Decine
di patronus.
O
almeno è ciò che pensano loro.
Lasciò cadere a
terra una
fialetta contenente un liquido limaccioso: il colore somigliava a
quello che
poteva scorgersi sulle rive di un fiume inquinato. Nessuno
notò il gesto,
perché nessuno prestava mai attenzione ad un ragazzo come
lui.
Polvere
Buiopesto peruviana² mischiata a… altra roba.
Spero che il contatto di papà in Serbia abbia detto al
verità sulla sua
efficacia.
L’erba soffice e
alta la fece
scomparire.
Non ci volle molto prima un
sottile filo di fumo, si alzasse da quel punto. Ben
presto si tramutò in una nuvola
sfilacciata e infine in un’impenetrabile cortina.
“Cosa
diavolo…”
“Ehi, cos’è questo fumo?!”
Non
il vostro problema principale, inglesi.
Kirill si sentiva trionfante
come non mai quando potè scivolare indisturbato alle spalle
degli uomini di
guardia e metterli fuori gioco uno ad uno. Erano distanziati
l’uno dall’altro
da almeno dieci metri buoni e non si sentirono cadere a vicenda, anche
a causa
della cacofonia proveniente dallo stadio.
Fu un lavoro veloce e pulito.
Il piccolo Hohehnheim poteva
trattarlo con sprezzo, ma Kirill Poliakoff non era stato scelto
pescando a caso
nel mucchio. Era stato scelto perché il Magister
si fidava di lui.
E
non di te, principino.
È
questo l’errore di tutti voi superbi. Non guardate
mai in basso. Ed è questa la vostra debolezza principale.
****
Tornare trionfante alla
tenda era
doveroso.
Scorpius salutò
gli spalti,
una marea coi colori di Hogwarts. Guardò verso la torretta
dove sapeva esserci
i genitori, e sorrise a vedere sua madre applaudire – forse
sollevata?
Suo padre la stava imitando
con meno trasporto, ma sapeva che era tutta scena.
Diede una pacca sul dorso di
Artiglio, che fu preso successivamente in consegna da uno sconcertato
Tremayne
accorso sul campo.
“Ehi, ma da quando
dà retta a
te, pivello?” Chiese con quel suo forte accento gallese, reso
ancora più aspro
dalla sorpresa.
Scorpius
sogghignò. “Oh, siamo
diventati buoni amici!”
Con tutta la carne cruda di cui l’ho
rimpinzato… e con tutte le volte che mi ha fatto ruzzolare a
terra per puro
divertimento equino.
Non sapeva ancora come si
era
classificato, ma ce l’aveva fatta.
Per
il momento mi basta. Sono tutto intero. Mica male.
C’era una cosa
però che doveva
fare, prima di tornare alla tenda. Tornò sui suoi passi,
perlustrò con lo
sguardo ogni centimetro cubo d’erba e infine raccolse la
propria bacchetta: si
era rotta.
Serrò le labbra,
ma notò con
sollievo che il danno non era grave: la punta era stata scheggiata, ma
il
manico era intatto.
Mi
dispiacerebbe buttarla.
Se la infilò in
tasca,
dirigendosi verso la tenda.
Non si rese subito conto che
si stava alzando la nebbia: era troppo pieno di adrenalina per
percepire con
chiarezza cosa gli stesse accadendo attorno a sé.
Quando lo notò,
gli spalti
erano già dipinti di colori brumosi ed incerti. Sentiva la
gente muoversi, ma
non vedeva che ombre.
E poi arrivò il
freddo.
Non come quello che poteva
derivare dal vento, né tantomeno da un cambiamento repentino
del tempo.
Freddo che ti si infilava
dentro, come essere buttati dentro un lago ghiacciato.
Sentì il sorriso
scomparirgli
dalle labbra, quasi forzatamente.
Cosa
cazzo?
Sentì lo stridio
acuto di
Artiglio e un’imprecazione da parte di Tremayne, poco
distante da lui. Lo vide
trascinarlo via recalcitrante, con difficoltà.
Si
è spaventato, ma perché…?
Scorpius si
guardò attorno,
troppo confuso per decidere il da farsi. Poi vide qualcosa di
incomprensibile,
di assurdo.
Il terreno attorno a lui era
gelato come di brina del primo mattino.
“Harry!”
Harry si sentì afferrare per un braccio dalla moglie e
voltò il viso prima
verso la sua espressione ansiosa, poi verso quella tesa di Ron. Strinse
il
braccio di Ginny per comunicarle che aveva capito.
Sì,
c’era qualcosa che non
andava.
“Da dove
è uscita questa
nebbia?” Fu la domanda di Ron, mentre si guardava attorno.
Potevano vedere al
massimo due file avanti a loro. Era come se un enorme nuvole si fosse
adagiata
rapidamente attorno al perimetro del campo di Quidditch.
Harry riusciva a vedere
Malfoy
e consorte e i loro vicini di panca, ma nessun’altro.
“Non lo so, ma non
è normale.
Fino ad un momento fa c’era il sole. Harry?”
Articolò piano Hermione. Non era
una domanda, era un attestato di attesa.
L’uomo
annuì, tirando fuori la
bacchetta dal risvolto del mantello. “Facciamo uscire tutti
di qui.”
Come l’anno scorso… ma
stavolta il
perimetro è sorvegliato. Ci sono almeno tre squadre di
Tiratori.
Se
ci fosse qualcosa di anomalo lo avrebbero già
rilevato.
Tirò fuori uno
specchio
comunicante. Il brevetto del geniale George era passato, e la prima
cosa che
aveva fatto, come Direttore dell’Ufficio Auror, era stato
rifornire tutti i
suoi agenti di quel comodo mezzo di comunicazione. Non
c’era voluto molto prima che l’Ufficio dei
Tiratori Scelti seguisse il loro esempio.
Chiamò Smith.
Sapeva che era a
capo delle operazioni. Aveva impiegato quasi due settimane per farsi
dare il suo
contatto, ma alla fine l’aveva avuta vinta.
Il nome però
rimase a
galleggiare sulla superficie per una manciata di minuti. Senza risposta.
Dannazione.
A quel punto Harry
lanciò
un’occhiata a moglie e amici. Doveva decidere in fretta il da
farsi, se comportarsi
come un genitore qualsiasi o come il solito Harry Potter.
Intercettò con lo
sguardo
Teddy, che si era alzato prontamente quando la McGrannit aveva dato
cenno di
voler lasciare gli spalti.
Non ebbe dubbi.
“Ted,
professoressa… dobbiamo
far uscire le persone di qui, possibilmente senza scatenare il
panico.”
“Ma fuori saranno
più al
sicuro?” Interloquì Ron.
“Sicuramente
più di quanto
possano essere ammassate qui dentro. Se si scatena il panico, potrebbe
esserci
una strage.”
Più di mille persone… .
Smith
avrà tutto il tempo del mondo per indignarsi per
la mia ingerenza. Dopo.
Teddy annuì
subito. “Va bene.”
Fece una breve pausa confusa. “Ma come?” Aggiunse,
mentre tutt’attorno a loro
si potevano già udire i primi segni di inquietudine.
“Molto semplice.
Cerchiamo il
Preside, lo informiamo e facciamo in modo che faccia allontanare tutti
da qui.
Questa è Hogwarts, e il suo Preside è
l’autorità suprema.” Replicò
la strega. “Adesso
mi dia il braccio, professor Lupin. Con questa scarsa
visibilità rischierei di
mettere il piede in fallo. Vorrei evitare.”
Harry si sentì
incredibilmente
sollevato quando i due professori – anziana e giovane
– si fecero largo lungo
le scale di collegamento.
Nessuno
prende decisioni come la professoressa…
“Miseriaccia…
non vedo al di
là del mio naso!” Borbottò Ron,
castando un lumos.
Rimasero tutti sbalorditi quando videro che la punta della sua
bacchetta
rifletteva poco più che un tenue lucore.
“Non mi
piace…” Mormorò Ginny.
“Che vuol dire?”
“Non credo sia nebbia normale. Non se il lumos
è inefficace.” Fu il commento finale di Hermione.
“Sbrighiamoci a ricongiungerci
ai ragazzi e tornare al castello… c’è
qualcosa che non va.”
Albus aveva appena smesso di
sentire il peso di Rose su di sé che si rese conto che era
calata una spessa
cortina umidiccia. Niente di insolito per quel periodo, tranne il fatto
che
fosse incredibilmente gelata.
Si strinse nella sciarpa,
serrando un brivido trai denti.
“E da dove viene
fuori questa
roba? Fino a due secondi fa c’era il sole!”
Commentò seccata Roxanne.
“Vero,
è salita velocemente…”
Replicò
Rose imitandolo nel gesto di serrarsi la sciarpa al collo.
“Sto morendo di
freddo, speriamo non ci mettano troppo a dare la classifica.”
“Già…
non vedo l’ora di
scaldarmi i piedi di fronte al camino, credo di averli
ghiacciati.” Concluse
Al, lanciando un’occhiata distratta verso Tom.
Magari
mi lascia la sua sciarpa.
L’altro non parve
notarlo:
fissava un punto, in linea d’aria parallelo a loro. Sembrava
guardare tutto e
niente. Ed era impallidito.
“Tom, che
c’è?”
“Andiamocene.” Si scollò dal palato.
“Adesso.”
“Cosa?” Al non poté evitare che le due
ragazze gli lanciassero un’occhiata
perplessa. “Perché?”
“… non
lo sentite questo
freddo?” Lo sguardo di Tom faceva paura, realizzò
Al con una certa dose di
inquietudine. Teneva la mascella serrata. Non ebbe bisogno di abbassare
lo
sguardo per sapere che stava impugnando la bacchetta.
Gli aveva visto
quell’espressione addosso poche volte, e tutte
l’anno prima.
E
visto cos’è successo…
“Certo che lo
sentiamo!” Lo
apostrofò irritata Rose. “Se vuoi andare, vai,
nessuno ti ferma. Ma qualcuno
qui vuole sapere come si è piazzato Mal…
Hogwarts.” Si corresse all’ultimo
momento.
Tom a quel punto
lanciò loro
un’occhiata bruciante. “Ma non lo
sentite?” Ripeté con la voce ridotta ad un
sibilo. “Questo freddo non è normale! Siamo
coperti da capo a piedi e stiamo
battendo i denti!”
“Tu
stai battendo i denti.” Replicò Roxanne, inarcando
le
sopracciglia. “Ehi, ma che gli prende?” Si
sentì in dovere di chiedere poi a
terza persona.
Al non rispose, anche se la domanda forse era diretta a lui. Prese
invece per
un braccio Tom, tirandolo contro di sé: era vero, stava
tremando.
“Che succede? Cosa
ti senti?”
L’altro inspirò.
“Freddo…” Buttò fuori.
“… non ho mai sentito così freddo in
vita mia. Cioè, sì, ma… è
come…” Si bloccò.
“È assurdo.” Aggiunse. “No,
è
assurdo.” Ripeté.
“Come
cosa?”
“… come
quando ero con Doe,
nella caverna. Mi sento in quel modo. Come se non … come se
fosse tutto
perduto.”
Si guardarono e forse lo capirono nello stesso istante.
“Come se non
potessi più
essere felice?” Mormorò Al, attendo a non farsi
sentire dalle ragazze.
Tom annuì.
Forse Al non aveva la sua
velocità
di ragionamento, ma l’associazione mentale lì era
semplice, specie perché i
dati a disposizioni erano freschi.
Patronus.
Ci hanno fatto esercitare con i Patronus.
Freddo. Felicità sparita.
Dissennatori.
“Sì, ma
non sembra che gli
altri…” Tentò nonostante tutto.
“Tom, sembri star male soltanto tu.”
“Ti ricordi quello
che ci ha
raccontato tuo padre? Di come … quelle cose…”
Serrò appena le labbra, quando non riuscì a
pronunciare il nome. “… di come
avessero fatto svenire solo lui sull’Espresso per Hogwarts?
Per via delle sue
esperienze? Non credo che ci sia molta gente qui che è stata
rapita di
recente.” Aggiunse con una smorfia ironica.
Al a quel punto non
poté
ribattere. “Okay. Ha senso.” Sussurrò
soltanto. “Ma la nebbia?”
“Non lo so. Ma so cosa non è. Nebbia.”
Al si morse le labbra.
“Che
facciamo?”
Tom non rispose subito. Gli
diede invece un colpetto sul fianco, indicando qualcosa affianco a lui.
Era
ancora più pallido, se possibile, come se stesse davvero per
svenire.
“Tom,
stai…”
“La balaustra. Guarda la balaustra.”
Al obbedì. Ed
ebbe la riprova,
anche se avrebbe implorato Voldemort in persona di non averla.
Il corrimano era
completamente
gelato.
Rose a quel punto parve
accorgersi delle loro espressioni, perché scoccò
loro un’occhiata incerta.
Al ebbe un rapido momento di
lucidità, nel panico più puro. E sorrise a
Roxanne.
“Roxie, quanto sai
dei
Patronus?”
Ted era preso dal duplice
compito di guidare la McGrannit – quella foschia era davvero
insidiosa – e al
contempo evitare che qualcuno si insospettisse, alla loro improvvisa
discesa
verso la tenda dei Campioni, dove avrebbe dovuto trovarsi Vitious.
La gente era nervosa: il
repentino cambiamento di tempo aveva messo tutti sulla difensiva.
Si sentì
afferrare per il
gomito, un po’ bruscamente. Avrebbe riconosciuto quella presa
tra mille.
“Jamie!”
“Ehi.” Replicò il ragazzo, con le
braccia conserte e il giubbotto di pelle
chiuso fino alla gola. “Che sta succedendo?”
Ted ringraziò
silenziosamente
la capacità dell’altro di fiutare subito una
situazione anomala.
“Dissennatori.”
Gli rispose,
quando fu sicuro che nessuno attorno a loro li stesse ascoltando: se
c’era
qualcuno in grado di sopportare una bomba del genere, quello era il suo
ragazzino.
Dà
il meglio di sé quando è sottopressione. E non mi
lascerebbe andare senza una spiegazione, tra l’altro.
James sgranò gli
occhi e
masticò un’imprecazione. “Quelli che
sono stati avvistati sul Ben Nevis?”
Ted si scambiò un’occhiata con la McGrannit: la
donna esibiva una delle sue
espressioni anodine, difficili da leggere. Ma le sopracciglia corrugate
la
dicevano lunga.
“Ben Nevis,
Potter?” Chiese
infatti la strega.
“Il Cavillo. Ne parlavano nello scorso numero. Okay,
c’è roba assurda come
quegli studi sui Mooncalf ma alcuni articoli meritano
un’occhiata. Tipo questo
articolo, dove dicevano che c’erano stati degli avvistamenti
in montagne e…” Vedendo
che andava troppo per le lunghe, andò dritto alla domanda
principale. “È vero
allora? Sono tornati? E sono qui?”
“Sì.”
Annuì Ted. “E dobbiamo
far uscire tutti dall’arena. Ci sono delle barriere e dei
Tiratori, ma tuo
padre non riesce a contattare il loro caposquadra.”
“Merda.”
Commentò James. Appropriato,
pensò Teddy, anche se non
apertamente visto l’occhiata severa dell’altra
professoressa.
“Vengo con
voi.” Aggiunse poi,
ignorando ogni principio di protesta. “Sono allievo auror,
Teddy. Ti sarò più
utile di gran parte di questa gente, e lo sai.”
“Dobbiamo
sbrigarci.” Tagliò
corto la McGrannit. “Che Potter venga con noi, se serve a
tenerlo buono.”
In ogni caso, con l’aiuto di James riuscirono ad arrivare
alla tenda dei
Campioni in pochi attimi.
Vitious era lì,
apparentemente
ignaro di cosa stava accadendo all’esterno; la tenda infatti
era chiusa da
tutti i lati, proprio per tenere all’oscuro fino
all’ultimo i Campioni
dell’esito della Prova.
Erano tutti dentro, stanchi
e
variamente provati.
Ted lanciò uno
sguardo a Scorpius:
forse era l’adrenalina che doveva ancora scemare, ma sembrava
molto inquieto.
“Professor Lupin,
Minerva! Ah,
c’è anche il giovane Signor
Potter…” Li accolse Vitious, non senza qualche
imbarazzo. “Non dovreste essere qui.” Soggiunse un
po’ sconcertato.
“Infati.”
Li apostrofò Madame Maxime. “È una
tenda riservata!”
“Ma dobbiamo
parlare con il
Preside!” Obiettò James d’istinto, prima
di essere tacitato da un’occhiataccia
della McGrannit. “Però è
vero…” Protestò piano.
“Filius,
permettimi una
parola.” Disse Minerva, facendogli cenno di seguirla in fondo
alla tenda.
A quel punto venne loro
incontro Scorpius: aveva il labbro inferiore piuttosto malconcio
coperto da una
crema bluastra e un occhio pesto, ma considerando il tutto, se
l’era cavata con
nulla. “Complimenti per la prova…”
Iniziò Ted pieno di buona intenzioni.
“Sì,
sicuro.” Lo interruppe,
come se non gli interessasse. “Perché il campo
è congelato ed è salita quella
strana nebbia?”
“Che vuoi farci
Teddy,
Malfuretto è un ragazzo sveglio.”
Commentò James con aria divertita. “Non se li
beve i complimenti.”
“Non
c’è nulla di cui
preoccuparsi…” Iniziò, sperando che
Malfoy non avesse letto il Cavillo come
James.
Furono le ultime, classiche
parole famose.
Improvvisamente fu come se
nella tenda fosse stata risucchiata via tutta la luce, già
di per sé non particolarmente
presente, portata solo da un paio di candelabri.
Cadde la penombra e un
freddo
abbacinante, anormale.
Si udì un gemito
provenire
dall’entrata che dava sul retro dell’arena, quella
sorvegliata dagli agenti e
poi un lampo violento e color argento. Poi di nuovo buio.
“Che sta
succedendo?!” La voce
sembrava quasi non appartenere a nessuno in particolare.
James era accanto a lui e
aveva già estratto la bacchetta. Ci fu un gran trambusto
tutto attorno, ma Ted
non riuscì a percepire le figure, o chi stesse facendo cosa.
“Regardez-là!”
Sussurrò una voce di ragazzo, in francese. “Il ya quelque chose là!”
“Mael, vieni
qua!” Quella era
la voce di Dominique. Era la prima volta che Ted sentiva quella
ragazzina
scapestrata avere quel tono d’urgenza e di paura nella voce.
E poi una mano scheletrica
scostò i lembi delle tende. Inconfondibile per Ted, anche se
l’aveva vista solo
in figura.
Un Dissennatore.
Era troppo tardi
perché le
cose si concludessero in modo tranquillo, pensò Teddy in una
frazione di
secondo.
Poi la tenda venne
illuminata
come a giorno dal lucore argentato dei Patronus e non ci fu
più tempo per
pensare.
Fu un momento, un attimo.
L’ottica della
folla era
spesso qualcosa di spaventoso.
Al lo vide quel
Dissennatore,
arrampicarsi lungo le scalinate con il suo frusto mantello nero.
Un’ombra,
nient’altro.
Dietro di lui, altre ombre.
Troppe.
Non fu l’unico a
vederle. Una
voce, o forse più voci cominciarono a gridare, dopo un lungo
momento di silenzio
denso e cattivo.
La realizzazione,
semplicemente.
L’atmosfera era
cambiata: il
momento di festa e competizione era stato spazzato via da una
strisciante
sensazione di disagio.
L’urlo della folla
fu simile
ad un mugghio, un terribile boato. La gente cominciò a
scappare da tutte le
parti, spintonandosi.
“Albus!”
Esclamò spaventata Rose, mentre la folla si insinuava tra
di loro come un mare impetuoso, dividendoli. Cercò di
trattenerla, ma gli venne
violentemente strappata dalle mani.
Venne spinto
all’indietro e
letteralmente sollevato da un muro
di
corpi. Fece parecchi metri prima di sbattere contro la balaustra che
divideva
gli spalti dal campo. Il mantello gli si era attorcigliato addosso e
quando
cercò di tirarsi su e di correre via si accorse che la
stoffa si era impigliata
da qualche parte: con quella nebbia non vedeva dove.
Vide Tom lontano, spinto via
dalla calca: lo vedeva bene perché la sua altezza lo faceva
spiccare tra folla.
“Tom!”
Lo chiamò, mentre la
nebbia inghiottiva mantelli, mani e volti di persone, restituendoli
alla vista
solo per brevi attimi. “Raggiungi Rosie e Rox!”
Riuscì ad urlargli, sperando di
essere stato udito; Tom poteva essere un sacco di cose, ma non avrebbe
mai
permesso a nessuno di schiacciare o calpestare due ragazze.
L’altro parve
udirlo, perché
cercò senza risultato ma tenacemente di tornare da lui, ma
cercare di risalire
il flusso non solo era pericoloso per lui, ma rischiava anche di
provocare
danni agli altri.
“Al!” Lo
guardò con rabbia e
impotenza, prima di gridare. “La bacchetta! Non perdere la
bacchetta!”
Poi venne trascinato via.
Albus tirò di
nuovo il
mantello e finalmente, con un potente strattone, riuscì a
toglierselo per
impugnare la bacchetta.
Beh, non li vedeva, quegli
inferi mascherati. Ma sapeva che erano lì vicino: forse
addirittura gli
volteggiavano sopra la testa. Se avesse dato loro le spalle, per
correre via e
raggiungere gli altri, lo avrebbero ghermito. O forse no. Non poteva
saperlo,
non si era mai trovato in una situazione del genere.
E
avrei gradito tantissimo
non trovarmici…
Ad ogni buon conto, era
fottutamente spaventato, quindi c’era un’unica cosa
da fare; affidarsi alla sua
impulsività, afferrare una manciata di ricordi felici e
lasciar galoppare
libera la sua stupida parte grifondoro.
“Expecto
Patronum!”
****
Hogwarts,
Castello. Dormitorio femminile del Quinto
anno.
Lily si svegliò
stordita.
Si svegliò nel
suo letto, e
fin qui, niente di strano. Poi si guardò: felpa, gonna,
scarpe. La sciarpa
riposava vicino a lei. Non era in pigiama, era vestita.
Si guardò attorno
confusa.
…
mi sono riposata un attimo prima di uscire? Mi sono
appoggiata sul letto e sono crollata?
Non una di quelle frasi
aveva
senso, anche se era evidente che fosse accaduto quello.
Aveva ricordi confusi sulla
mattina: sapeva di essersi alzata ad un’ora adeguata e di
aver trascorso molto
tempo a truccarsi per essere perfetta; in un’occasione
pubblica come quella non
poteva limitarsi a spazzolarsi i capelli ed indossare qualcosa di
coordinato
come faceva Rosie.
Certo, era possibile che si
fosse seduta un attimo ed assopita: le era fortemente estraneo il
concetto di
alzarsi presto la mattina, di sabato. Spesso saltava la colazione solo
per
poter oziare tra le coperte.
Dev’essere
sicuramente così.
Aveva inoltre una leggera
emicrania: forse era per quello che aveva deciso di aspettare?
Si avvicinò allo
specchio,
controllandosi sommariamente. A parte i capelli scompigliati dal
cuscino, era
pronta per uscire.
Che
cavolo.
Uscire.
Le balzò il cuore
in gola:
doveva essere in assoluto e totale ritardo!
Guardò con angoscia l’orologio da polso e
notò con orrore che era passato
mezzogiorno. La prova doveva essere già finita, o in
dirittura di conclusione.
Com’è
possibile che mi sia addormentata?! Che razza di
idiota!
Fece per aprire la porta e
gettarsi per le scale, quando qualcosa la trattenne; forse solo una
sensazione
o un’eco. Delle grida.
Grida?
Ma certo, dal campo di Quidditch!
Però non
sembravano grida di
incitamento o di plauso. Sembravano spaventate.
Perplessa tornò
sui suoi passi
e d’istinto si affacciò al bovindo della finestra.
Lo spettacolo che gli si
presentò le fece gelare il sangue nelle vene, anche se non
ne capì subito il
motivo: l’intero perimetro in cui sorgeva lo stadio, compreso
dei terreni
circostanti, fino alla Foresta Proibita, era immerso in una spessa
cortina di
nebbia scura, come quella che precede una notte senza luna.
Eppure il tempo, sebbene
nuvoloso, non minacciava pioggia: addirittura il sole si poteva
scorgere,
pallido ma pieno, dietro la coltre di nubi.
Che
sta succedendo laggiù?
Qualsiasi cosa fosse, laggiù c’era la sua
famiglia e i suoi
amici.
Non era un eroina, e non si
sarebbe
gettata nel pericolo a braccia spalancate: ma non sarebbe neppure
rimasta come
una principessa nella torre, in attesa che qualcuno le portasse
notizie.
Non si dimenticò
di prendere
la bacchetta e corse giù per le scale.
****
Note:
Non odiatemi. È
il periodo dei
cliffhanger pare. :P
1.La canzone è
questa
2. Polvere Buiopesto peruviana: la conosciamo perché
importata dai gemelli
Weasley. Crea una cortina spessa e nera nel luogo in cui viene
lanciata.
L’incantesimo lumos non funziona con essa.
|
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Capitolo 29 *** Capitolo XXVII ***
Capitolo XXVII
If
there's no war outside our heads
Why are we losing?
(Life
Less Frightening, Rise
Against¹)
Stadio
di Quidditch. Esterno.
Scorpius riuscì
ad
attraversare uno dei tanti ingressi laterali – quelli che
solitamente gli
studenti usavano per accedere alle tribune - senza crollare addosso a
nessuno.
Era importante che non lo
facesse, perché doveva sostenere il peso di Dominique la
quale, al di là delle
sue spacconate, non era stata in grado di uscire da sola dalla Tenda
dei
Campioni. Aveva infatti una caviglia rotta e debitamente fasciata.
Era successo tutto in attimi
e
Scorpius non aveva neanche pensato remotamente all’idea di
fare l’eroe; era
terrorizzato. Terrorizzato quando aveva visto quella mano putrida
scostare i
lembi dell’ingresso posteriore e terrorizzato quando gli era
stata affidata la
ragazza dal professor Lupin, al grido di ‘Scappate!’.
Ed era quello che aveva
fatto.
Dominique gli
serrò una mano
attorno alla spalla, per raddrizzarsi. Quella foschia innaturale, densa
e
stordente, non accennava a diminuire. Attorno a loro c’erano
passi, parole
spezzate, respiri condensati e paura; un mix che avrebbe dato disagio
anche al più
impavido dei maghi.
“Raggio di sole,
va tutto
bene?” Gli venne chiesto e ne fu grato, perché al
momento aveva un gran bisogno
di sentire che non era da solo. “Sei gelato come un
ghiacciolo al Polo Nord!”
“Sto
bene.” Mugugnò, sentendo
la voce tremargli. Si impose di darsi una calmata, che era ridicolo
fosse così
scosso. Si guardò attorno, ma non vide nessuno, nessuno
degli occupanti della
tenda, che a regola avrebbero dovuto essere immediatamente dietro o
davanti a
loro. “Dove sono gli altri?” Chiese infatti.
“Io sono
qua!” Esclamò il
piccolo Delacour. “E grazie per la considerazione!”
“Mael, sei
così basso che non
ti si nota…” Lo apostrofò scanzonata
Dom: ma Scorpius era certo che fosse tutta
una posa. Era impallidita, e persino le lentiggini avevano perso
vigore.
L’effetto
dei Dissennatori. Pensavo fosse
un’esagerazione, ma Merlino… È come se
ti succhiassero via la felicità.
Si vergognava: probabilmente
era l’unico ad aver voglia di scappare con le mani nei
capelli. Ed era pure un
Occlumante!
Doveva quindi fingere
assolutamente il contrario.
Si sentì
afferrare per la
spalla libera dal peso della campionessa francese.
“Malfuretto!”
Era
James, sudato e scarmigliato, ma
incolume. “Con questa cazzo di nebbia non si vede ad un palmo
dal naso…” Esordì
ansimando per una probabile corsa. “Sono andato a sbattere
contro un paio di
tizi di chissà
quale delegazione. Non
sono bravo a scusarmi con chi non capisce la mia lingua!”
Brontolò infine,
passandosi le dita trai capelli per cercare senza successo di
ravviarseli
all’indietro.
Scorpius rise appena anche
se
non ne aveva la minima voglia. “Il professor Lupin, il
Preside? Sai dove sono?”
“Erano dietro di me… sono andati a cercare di
capirci qualcosa. Tipo, perché
siamo in pieno giorno e sembra notte…”
Replicò l’altro schioccando la lingua.
“Comunque dobbiamo muoverci, non possiamo stare qui come
belle statuine!”
“Sono
d’accordo! Diamo una
mano, raduniamo i dispersi! Siamo il fiore all’occhiello
della gioventù magica!”
Esplose Dominique, nonostante il proprio incarnato ormai facesse
pendant con i
suoi capelli. Che in quel momento, in assenza di luce, erano
praticamente bianchi.
“Io la porto al castello.” Si intromise con
decisione Mael, insospettabile considerando
la sua aria spaurita e tremante. “È ferita, e
comunque non potremo essere
d’aiuto in nessun modo.” Quest’ultima
parte la sottolineò con forza, vedendo la
faccia contrariata della ragazza.
“Sì,
buona idea.” Convenne
James, sordo alla proteste della cugina. “Domi, non ti reggi
in piedi.”
Aggiunse poi. “Mettersi in mezzo quando non si deve,
beh… puoi farlo solo
quando sei in salute.”
“Esatto. Rimango io con lui.” Convenne Scorpius,
perché era suo dovere, anche
se era senza bacchetta e quindi praticamente nella stessa situazione di
sfavore
di Dominique.
Dom fu così
portata via dal
proprio assistente, e i due rimasero soli.
“Non hai la
bacchetta,
Malfuretto.” Gli fece subito notare James, tra il preoccupato
e il divertito.
“E qua pullula di Dissennatori.”
“Sì, lo
so.” Replicò con una flemma
che non provava. “La prossima mossa?”
“Trovare mio padre e zio Ron. Se c’è
qualcuno che si renderà operativo con o
senza il consenso del Ministero, beh… quelli saranno
loro.”
“La sindrome da eroe non è curabile, eh?”
“È una vocazione, mica una malattia!”
Rise James.
Scorpius lo
seguì, incedendo
nella nebbia: James era armato del proprio accendino, unica fonte di
luce
funzionale, essendo ormai escluso il lumos.
Lo invidiava. Come lui aveva
avuto
vicino una di quelle creature e non sembrava aver riportato alcun
danno.
Vide l’amico
fermarsi ad ogni
capannello spaurito di persone e indicargli la via del castello, con
sicurezza
e rapidità. Era un dono, quello di Potter, quasi una doppia
personalità.
Un
cretino impulsivo nella vita di tutti i giorni e un
maledetto, lucido eroe nella situazioni peggiori.
Lo invidiava sì,
ma non faceva
parte del suo carattere detestarlo per quello. Lo ammirava invece.
Scorpius
scandagliò il poco
che riusciva a vedere, cercando visi familiari. I suoi genitori, Rose,
il
mini-Potter e Dursley. Vide facce conosciute, ma nessuno di cui gli
importasse
davvero.
Considerato
che si possono pure contare sulle dita …
“Pensi siano
usciti tutti?”
Chiese all’altro.
“Se hanno un
briciolo di
cervello.” Fu la replica. “L’unico posto
sicuro è il castello.”
“Guarda che i
Dissennatori non
chiederanno certo il permesso per entrare.”
James scrollò le spalle. “Le mura di Hogwarts
hanno così tante protezioni che
non gli sarà facile entrare. Oltretutto, non credo che
questo schifo di foschia
si sia estesa fin laggiù. E i Dissennatori non svolazzano in
posti che non siano
scuri e spaventosi. Un po’ di ottimismo, per le mutande di
Merlino, Malfoy!” Lo
apostrofò poi spiccio, prima di raggiungere un paio di
divise colorate, che
corrispondevano a quelle dei Tiratori scelti di stanza al Tremaghi.
Scorpius gli andò
dietro: si
sentiva turbato, come quando si svegliava da un bruttissimo incubo, di
quelli
che lo facevano svegliare con un urlo bloccato in gola.
Si deterse la fronte con una
mano: era appiccicosa, di quel sudore malsano tipico dei malati.
Dannazione.
Raggiunse James, che parlava
con uno degli agenti. Sembravano conoscersi. Il ragazzo aveva
l’aria stordita,
come di chi si era appena ripreso da una brutta botta.
“… e
quando mi sono svegliato
non si vedeva oltre la suola delle mie scarpe. Il sergente Smith ha
chiamato
rinforzi da Londra, ma con il fatto che non ci si può
materializzare o
smaterializzare…” Spiegava con tono affaticato.
“… dicono che sia opera di un
mago, questa nebbia.”
Un
mago? Ma allora è stata una cosa pilotata.
Il pensiero di Scorpius
corse
subito a Thomas Dursley e ai suoi problemi con una certa, spaventosa
setta
segreta.
Può
essere che siano gli stessi dell’anno scorso?
James parlò con
il tipo un
altro paio di minuti, prima di salutarlo con una pacca energica e
mettergli in
mano – gesto che rese Scorpius perplesso – un
cioccolatino di Mielandia.
“Dispensi
cioccolata? Sei
diventato per caso il Coniglio Pasquale?” Lo
apostrofò perplesso.
James ghignò,
scrollando le
spalle. “Vecchio rimedio contro i Dissennatori. È
una trovata del padre di Teddy.
Funziona, giuro!” Assicurò alla sua aria scettica.
“Da bambino era il mio
metodo preferito per rimpinzarmi di cioccolata. C’è
un Dissennatore nel mio armadio…” Poi
gli lanciò un’occhiata.
“Ehi, ne vuoi? Ne ho una scatola intera!”
Batté sulla tasca esterna del
giubbotto. Probabile avesse usato un incantesimo di riduzione per
farcela stare.
“Pensavo di portarla a Lils per scusarmi di averle aggredito
lo straniero, ma …”
“No, non mi serve.” Mentì.
“Non dobbiamo cercare i tuoi?”
James gli lanciò
una seconda
occhiata. Scorpius sapeva che l’altro aveva capito. Ma era un
buon amico,
maschio e compartecipe, perché non disse nulla.
“Sicuro.”
Annuì invece.
“Andiamo, mi ha detto che sono vicini alla Capanna del
guardiacaccia con Smith
e il Preside.”
****
Rose era riuscita ad uscire
con l’aiuto di Thomas. Il che aveva
dell’incredibile, perché non avrebbe mai
pensato che il cugino acquisito l’avrebbe protetta dalle
spinte della folla e
tratta al sicuro.
Non
ho considerato che gliel’ha ordinato Albus…
O forse quel ragazzo
allampanato che aveva imparato a conoscere come misantropo era in
realtà meno
egoista di quanto si ostinasse a sbandierare.
Tom aveva fermato uno degli
agenti del Ministero, e quello li aveva indirizzati verso il capanno
dei
guardiacaccia. Sembrava che la strada per il Castello fosse ostacolata
dai
Dissennatori.
Erano riusciti ad arrivare a
destinazione senza grossi intoppi. Si erano quindi ricongiunti con Hugo
e i
suoi amici e ora sedevano sull’erba soffice attorno alla
casupola, come tanti
altri assieme a loro: in caso di Dissennatori era meglio restare uniti.
Tiratori scelti e auror in
borghese passavano, dando acqua e cioccolata a chi la chiedeva e
vigilando al
tempo stesso a bacchette spianate.
Era una scena quasi
apocalittica: la nebbia nera rendeva difficile vedere il cielo e
praticamente
impossibile capire dove mettere i piedi. Bagliori argentei esplodevano
all’improvviso, per poi quietarsi.
Quanti
Dissennatori saranno? Se sono tutti quelli
confinati… più di un centinaio?
Lanciò
un’occhiata a Tom: era
riuscito a farlo sedere, ma si guardava attorno come un’anima
in pena, i
lineamenti tesi. Non voleva stare lì.
Stava cercando Al, e non lo
vedeva arrivare.
Mancano
un sacco di persone all’appello…
“È
assurdo come sono riusciti
ad entrare… che disastro.” Mormorò
Roxanne, la cui scontrosità era stata
notevolmente ammorbidita dagli eventi; Rose le teneva la mano da quando
avevano
lasciato l’arena.
“La scuola e il
Ministero lo
sapevano. Si aspettavano tutto questo.” Replicò
Tom, mentre si passava la
bacchetta tra le dita con aria apparentemente assorta.
“Cosa?”
Chiese Roxanne.
Ecco
qua. Ci risiamo… – Pensò Rose
esasperata. Ma non aveva poi così voglia di fermarlo.
In realtà era
curiosa.
Che
non siano semplici paranoie le sue? Dopotutto…
guarda che razza di situazione!
Tom lanciò loro
uno sguardo
complessivo. “Quello che ho detto. Lo sapevano. Il professor
Lupin ci ha fatto
esercitare a produrre patronus per
una settimana intera. Una coincidenza?” Serrò la
mascella. “Non credo. Ci
stanno tenendo nascoste le cose. Tanto per cambiare.”
Rose rifletté. Abbassò il tono di voce,
perché non voleva che il fratello e i
suoi amici – seduti poco distanti da lei, sconvolti e
addentanti cioccolato – li
sentissero. “Anche se fosse… cosa ti aspettavi che
facessero? Un annuncio sul
Profeta? Si sarebbe scatenato il panico.”
“Potevano
avvertirci.”
“Avvertire chi? Tu?”
Si intromise
Roxanne un po’ irritata. “Sei solo uno
studente!”
“Non
sono solo uno studente.” Replicò
l’altro mordace, innervosito
dall’occhiata di sufficienza della ex-corvonero.
Rose esitò, poi decise che perlomeno una lancia in favore
dell’altro poteva
spezzarla. “Tom crede che ad aver portato qui i Dissennatori
siano le stesse
persone che hanno tentato di rapirlo l’anno
scorso.”
“I Dissennatori
non li porti in
giro come una mandria di mucche!” Sbuffò Roxanne,
incredula.
Tom le lanciò
un’occhiata
bruciante, ma non replicò. Rose avrebbe voluto chiedergli di
più, perché era sì
un paranoico, ma forse aveva qualche punto.
E se avesse
ragione? Se fossero tornati?
Le sue riflessioni vennero
interrotte quando vide suo padre con Harry, passare a pochi metri da
loro.
“Papà!” Esclamò. Fu un
tutt’uno alzarsi e correre ad abbracciarlo. C’era
una
parte di sé che continuava ad essere convinta che la sola
presenza di quel
genitore mitico avrebbe spazzato via tutti i problemi.
Suo padre la strinse tra le
braccia, e lo sentì sospirare di sollievo.
“Rosie… meno male stai qui. Hugo è
con te?”
“Sì papà, è
laggiù. Sta bene.” Confermò.
“Jamie e
Al?”
Fu Harry a parlare: era accanto a loro ed era preoccupato. Rose
notò che lo
affiancava anche un tipo stempiato e con l’uniforme dei
Tiratori scelti. Ad una
seconda occhiata lo riconobbe: era Zacharias Smith, il sergente che
l’anno
prima si era occupato dell’omicidio della Prynn e della
sparizione di Thomas.
“Non sono con
me…” Scosse la
testa, sentendosi impotente e remotamente colpevole. “Al
l’ho perso nella folla
e Jam non l’ho neppure visto…”
L’uomo, forse
intuendo dalla
sua espressione il corso dei suoi pensieri, le sorrise rincuorante.
“L’importante
è che almeno voi siate qui, al sicuro.” Sembrava
molto sollevato dalla presenza
del figlioccio, dall’occhiata che gli lanciò.
“Dovete cercare
Al.” Fu
l’unica cosa che disse Tom nel suo solito tono antipatico,
quando li raggiunse:
però non nascondeva affatto l’angoscia.
“È rimasto indietro.”
“Lo
so…” Mormorò Harry. Rose
notò che Smith – ora allontanatosi per conferire
con uno dei suoi agenti - aveva
in mano una lunga pergamena, almeno due
metri. In quanto Prefetto, la riconobbe come la lista dei presenti,
comprese
delegazioni straniere e personale scolastico.
Scorpius…
Sperava stesse bene, e fosse
stato messo in salvo. Si ricordava la sua difficoltà con l’incanto patronus.
“Cos’è
successo?” Chiese,
serrandosi le braccia al petto. La temperatura difatti era precipitata,
e quasi
poteva vedere il respiro delle persone condensarsi in nuvolette
bianche.
Come
se fosse pieno inverno…
Si era stretta la sciarpa al
collo e chiuso il cappotto, ma il freddo non dava pace né a
lei né a nessuno di
loro.
“Dissennatori.”
Borbottò suo
padre. “Sono tutto attorno al perimetro del campo da gioco e
nell’area del
Platano Picchiatore. La via principale per il Castello è
impraticabile e se
facessimo il giro del Lago, con tutte queste persone…
sarebbe pericoloso. Non
riusciremo a proteggere tutti, ci sono troppi pochi
agenti…” Le fece una
carezza. “Tua madre è al Castello, comunque. Lei e
tua zia sono riuscite a
passare oltre assieme a Neville e stanno aiutando Madama Chips ad
allestire
l’infermeria…”
“Perché
ci attaccano?” Voleva
avere delle risposte e voleva averle subito. Il più
possibile, il più
velocemente possibile. “Cos’è questa
nebbia?”
“Sono affamati. È decenni che
non…” Ron esitò, lanciando
un’occhiata all’amico.
Harry allora continuò al suo posto, col tono più
rassicurante del suo decennale
repertorio.
“Ancora non
sappiamo perché
siano qui, o se qualcuno li abbia… diciamo indirizzati.
Sicuramente questa
nebbia è stata creata con la magia. Appena avremo capito
cosa la crea, la
situazione migliorerà. Si nascondono in essa,
ma…”
“Quindi sono qui per ordine di qualcuno.”
Mormorò Tom, e calò un silenzio
spiacevole.
“Papà!”
La voce di James fu un toccasana, visto che era vitale,
squillante. E visto che alla voce seguiva il cugino e
Scorpius. Entrambi incolumi.
Quando furono vicini, Rose
si
accorse che il suo ragazzo era tutto fuorché quello; un velo
di sudore gli
copriva il viso e gli inzuppava la casacca sporca di terra, la stessa
con cui
aveva disputato la Prova. Ed aveva in faccia un’espressione
terribile.
Istintivamente mosse un
passo
verso di lui: voleva abbracciarlo, baciarlo. Rassicurarlo. Ma suo padre
le
teneva un braccio attorno alle spalle. La bloccava.
Ignorò lo sguardo
di Thomas –
non aveva niente di meglio da guardare che lei? – sentendo
come i Dissennatori
le stesse volteggiando sopra la testa.
“James!”
Harry si avvicinò al
figlio, stringendolo in un breve ma intenso abbraccio. “Sono
felice che tu sia
qui. Hai visto tuo fratello?”
“Albie? No… ma posso andare a cercarlo.”
Esclamò e vedendo l’espressione del
padre, continuò. “Davvero, posso! Sono in grado di
difendermi, lo sai! L’incanto
patronus non ha segreti per me!”
L’uomo sorrise, indeciso se ribattere o cedere.
“Perché piuttosto non dai una
mano a Teddy? È con i ragazzi del Primo anno, e credo che la
tua presenza li
aiuterebbe molto.”
James fece una smorfia, ma quando aprì la bocca per
protestare fu tacitato da
Scorpius, che intervenne, intromettendosi platealmente.
Rose vide il padre contrarre
subito le labbra, scontento.
“Dove sono i miei genitori? So che c’è
una lista.” Scorpius aveva già avuto
tutte le informazioni che gli servivano in mano. “Sono stati
trovati?”
“Non lo so.” Ammise suo zio Harry, e sembrava a
disagio. “Perché non ti siedi? Sei
pallido…”
“Sto bene.” Tagliò corto, e sembrava che
l’avesse detto molte volte, a
giudicare dal tono spazientito. “Voglio sapere se state
cercando i miei
genitori. Mio padre non è capace di produrre un patronus. Neppure mia madre.”
Lo disse senza particolari emozioni
in volto, e questo spaventò Rose. Era quando sembrava
perfettamente serio e
controllato che ci si doveva preoccupare. “Sono un bersaglio
facile per i Dissennatori.”
Harry rimase in silenzio, riflettendo. “Non è a me
che devi chiedere, ma al
sergente Smith.” Gli spiegò gentilmente,
nonostante il tono di Scorpius fosse
platealmente inappropriato “È lui che si occupa
della sicurezza del Torneo. Ma
credimi, qui stiamo facendo tutto il possibile
per…”
“Non
mi interessa!” Sbottò quello, e persino
James gli scoccò
un’occhiata sconcertata. “Mio padre è
l’unico ex - mangiamorte qua attorno,
l’unico che potrebbe ricordargli i loro vecchi assistiti
È in pericolo, più di qualche ragazzino
tassorosso o voi
auror!” Il tono di voce era basso, rabbioso. Rose non glielo
aveva mai sentito
addosso.
O
forse sì. La volta che papà ha tirato in ballo
suo
nonno. Quando ci aveva pizzicato nella Foresta.
Rose lanciò
un’occhiata a suo
padre e volle tanto non averlo fatto: conosceva l’espressione
indignata e
spazientita di Ron Weasley.
Ed
eccola qui, in tutto il suo splendore.
“Ehi,
ragazzo.” Lo apostrofò
infatti con irritazione. “I preziosi tuoi genitori non sono
gli unici ad essere
dispersi. E questo tuo tono arrogante non migliorerà la
situazione.”
Scorpius rivolse
immediatamente l’attenzione su di lui. Assunse anche
un’aria ostile. Sembrava
proprio volergli tirare un pugno in faccia.
“Se ci fossero
venti coppie da
salvare, loro sarebbero gli ultimi, non è vero Signor
Weasley?” Sputò facendo
un passo avanti. Rose notò con orrore che stringeva la
bacchetta in pugno. Con
forza.
“Amico,
calmati…” Tentò James
afferrandolo per una spalla, ma fu scrollato via.
La presa sulla spalla di
Rose in
compenso si fece più tenace: suo padre fissava il suo
ragazzo – Morgana
benedetta – con le labbra ridotte ad una linea sottile.
“Non è
colpa di nessuno se tuo
padre ha fatto cose per cui i Dissennatori potrebbero trovarlo
più interessante
rispetto ad altri maghi onorevoli.” Sbottò.
“Ron…”
Mormorò Harry in tono
d’avvertimento: l’atmosfera si era gelata e non
certo a causa di qualche
Dissennatore di passaggio.
Rose si sentiva il cuore
battere in gola con la forza di un tamburo. Voleva liberarsi dalla
stretta
paterna. Ma aveva paura: se il suo stare in mezzo fosse
l’unica cosa che tratteneva
suo padre e il suo ragazzo dal saltarsi alla gola?
Lanciò un’occhiata disperata a James, ma il cugino
sembrava parimenti in conflitto;
davanti aveva due persone a cui, sebbene in misura diversa, voleva
bene. Era
nella sua stessa situazione.
Di
chi devo prendere le parti?
Di
chi diavolo devo prendere le parti se stanno sbagliando
entrambi?!
Scorpius era pallidissimo e
aveva i capelli incollati alla tempie: stava sudando, ma lo scuotevano
lunghi
brividi. Era ovvio che stesse male. Assottigliò gli occhi
all’ultima frase di
suo padre.
“A lei piacerebbe,
vero? Che mio
padre ci rimettesse la pelle. Perché
è un
Malfoy.” Staccò le parole con cura,
mellifluo. Si avvicinò ulteriormente,
di un paio di passi. “Non importa quanto tempo sia passato, o
il fatto che
abbiamo cercato di redimerci…”
“Draco Malfoy non ha mai cercato di redimersi!”
Sbottò suo padre, colto sul
vivo di quell’antica e malsana inimicizia. Non
notò neppure che Scorpius aveva
usato il plurale. Rose pensò che non gli importava. Non gli
era mai importato.
“Ragazzo, ti ho già detto di non farmi perdere la
pazienza! Qui siamo tutti
uguali. I tuoi genitori verranno cercati esattamente come tutti quelli
che non
hanno risposto all’appello!”
A quel punto qualcosa
dovette
scattare in Malfoy. Perché l’attimo dopo stava
puntando la bacchetta alla gola
di Ron.
“Voi
li cercherete adesso!”
La bacchetta era rotta.
Sputava scintille rosse ed era lo spettacolo più spaventoso
a cui Rose avesse
mai assistito. Il tempo parve fermarsi per un eternità. Suo
padre si era
irrigidito e Scorpius sembrava immobile come una statua. Tutti
sembravano
fottute statue congelate. Persino suo zio Harry.
“Malfuretto!
Mettila giù,
stupida testa di cazzo!” Sbottò James riavviando
il tempo. Ma non lo toccò. Fu
una mossa saggia, perché probabilmente l’altro
avrebbe reagito male. Era fuori
di sé. Forse fu per quello che nessuno tirò fuori
la bacchetta.
Rose capì in quel
momento che
solo lei avrebbe potuto fare qualcosa.
“Ehi…”
Mormorò piano. Gli
occhi del ragazzo si spostarono su di lei. “…
dà retta a Jamie. Non risolverai
niente così. Per favore. Non è colpa di mio padre
quello che sta succedendo.”
Fu un attimo. Un fremito sul
volto del biondo e capì di aver sbagliato. Parole o tono. O
forse a tirare in
ballo il genitore, che era solo il primo bersaglio sul quale
l’altro aveva
potuto sfogarsi.
“Non è
colpa…” Scorpius si
fermò, quasi non riuscisse a trovare la forza di finire la
frase. “No, certo
che no.” Disse quasi tra sé e sé.
“Scegli.”
Sbottò poi.
“Cosa?”
Non capiva. Cosa
avrebbe dovuto scegliere?
O
lui o me… scegli. O la tua famiglia o me.
Era questo che voleva dirle?
Lo guardò negli occhi e ne ebbe la conferma.
“Non
puoi… non puoi
chiedermelo.” Sussurrò Rose sentendosi lo sguardo
di suo padre, di zio Harry,
di James. “Non ha senso!”
“Ce l’ha invece.” Fu la risposta. Con suo
enorme sollievo la bacchetta venne
abbassata. Ma l’aveva ferito. Scorpius sembrava davvero trattenere le lacrime, non era
solo una sua impressione.
“Scegli.”
Ripeté, e Rose seppe
di non poterlo fare. Né in quel momento, né mai. Come sua ragazza avrebbe
dovuto divincolarsi
dalla presa di suo padre. Dirgli che sarebbe andata con lui a cercare i
suoi
genitori. Dire che meritavano di essere cercati come chiunque altro.
Qualcosa
del genere.
Come figlia di Ron Weasley
avrebbe dovuto obbedire a suo padre, dire a Scorpius di darsi una
calmata.
“Non puoi
chiedermelo…” Ripeté
disperata, come uno stupido disco rotto.
Non
puoi chiedermi di scegliere tra te e la mia
famiglia! Lo sai, lo sai che non puoi farlo!
Scorpius serrò le
labbra.
“Già.” Ebbe un ultimo tremito, poi si
raddrizzò. “Giusto. Non posso. E non lo
farò. Sta tranquilla. Scelgo io per te.”
Rose non fece in tempo a
capire di cosa diavolo stesse parlando che l’altro le aveva
voltato le spalle ed
era corso via.
L’ho
abbandonato. Mi ha lasciata.
Quelle due frasi, pensate,
ebbero
la forza di cento uragani: era ciò che era accaduto,
né più, né meno.
L’ho
abbandonato. E lui mi ha lasciata.
Vide con la coda
dell’occhio
James scattargli dietro: almeno non l’avrebbe lasciato solo.
Lui.
Sentì il sangue
rombarle nelle
orecchie, come una cascata gigante e terribile. Si sentiva fredda
adesso, come
se avesse ingoiato un’intera pala di neve. Sentì
solo indistintamente zio Harry
cercare di chiamare indietro i due ragazzi.
Poi suo padre le
scrollò
appena una spalla. Il suo sguardo buono le fece venir voglia di
piangere –
verso di lei era il padre più dolce e buono del mondo. Lo
sarebbe stato ancora
se avesse saputo?
“Rosie, che
c’è?”
Rose aveva voglia di urlare, ma tutto quello che fece fu ripetere
quelle due
frasi nella propria testa. Perché erano la
verità.
L’ho
abbandonato. Per questo, lui mi ha lasciata.
****
Albus era certo di aver
fatto
tutto ciò che era suo dovere.
In realtà, in
quel momento non
avrebbe voluto essere un Caposcuola. Aveva solo diciassette anni, era
spaventato a morte e aveva la netta impressione che il Mondo Magico lo
sopravvalutasse.
Aveva respinto dei
Dissennatori e aiutato degli studenti di Tassorosso a sfuggirvi,
certo…
Tra
l’altro se la sono data a gambe senza neanche
ringraziarmi. Tassorosso. E poi siamo noi i codardi…
Dovrei
fare un discorsetto a Teddy…
Sì, si era
sentito un dio per
circa cinque minuti, prima di accorgersi che il suo patronus
– per quanto figo - non erano lontanamente potente come
quello descritto nei libri di testo; era durato solo pochi attimi,
aveva
cacciato un paio di Dissennatori e poi si era dissolto.
Comunque
dopo questo voglio un encomio speciale, o io
la spilla a Vitious gliela faccio ingoiare.
Sospirò,
guardandosi attorno
per l’ennesima, infruttuosa volta: era certo di trovarsi
attorno allo stadio, a
giudicare dal fatto che vedeva mura di legno da circa
mezz’ora, ma non sapeva
in che punto.
Avrebbe potuto tentare di
imboccare una direzione qualsiasi, ma si rifiutava di perdere anche
quel punto
di riferimento.
Non
avevo mai notato quanto i terreni di Hogwarts fossero
enormi…
Comunque quello stallo non
lo
stava portando da nessuna parte. Doveva agire: aspettare che qualcuno
lo
venisse a salvare non stava funzionando un granché.
Sperava che Tom stesse bene;
se
tutto quello era colpa di un mago, forse aveva ragione, forse era
veramente
opera della Thule.
Se
l’ho pensato io, l’ha pensato anche
papà… lo terrà
al sicuro, se l’obbiettivo di tutto questo teatrino degli
orrori è lui.
Si passò una mano
sul viso.
Era coperto di un sudore appiccicoso, freddo. I Dissennatori non erano
in
vista, ma se li sentiva vicini, troppo vicini.
È
solo un’impressione. È così che
funzionano, ricorda
quel che ti hanno detto papà e Teddy. Portano via la
felicità, è così che abbassano
le tue difese. E poi attaccano.
Sono
solo stupidi lenzuoli putridi. Stupidi. Lenzuoli.
Putridi.
Si concentrò sul
pensiero della
sua famiglia e i suoi amici al sicuro. Tra poco sarebbe stato investito
da un
abbraccio stritolante di Rose, e scrutato con clinica preoccupazione da
Tom. Non
vedeva l’ora di sentire il calore di un altro corpo umano.
Possibilmente
di Tom. Possibilmente sotto delle
coperte.
Quei pensieri erano
consolanti.
Sempre
che Tom stia bene… e se si fosse fatto del male?
E se non fosse al sicuro? Se fosse stato rapito, approfittando della
confusione?
Inspirò
bruscamente. Erano i
Dissennatori a fargli venire quei pensieri orribili. Non erano reali.
La nebbia comunque stava
diminuendo. Forse gli uomini del Ministero avevano trovato il modo di
debellarla, finalmente. Ma non era ancora abbastanza, ce
n’era ancora troppa.
Lo pensò e poi sentì
l’esatto momento
in cui inciampò nei propri piedi – o forse su una
roccia.
Merda!
Finì a terra,
lungo disteso.
Il dolore gli tolse il fiato per un momento, necessario a realizzare
che aveva
sbattuto contro qualcosa di ferro e non una pietra e che aveva perso la
bacchetta.
Non
imparo mai. Mai. Perché inciampo sempre?
Sentirsi la faccia arrostire
di imbarazzo fu quasi piacevole comunque.
Era inciampato contro una
gabbia di ferro. Rialzandosi a sedere, fissò sorpreso quella
sorta di
apparizione.
Che
diavolo ci fa una gabbia qua?
Poi
realizzò che doveva essere una di
quelle con cui avevano trasportato le creature per la Prova. Avrebbe
dovuto
essere spostata ma non c’era stato tempo.
Realizzò anche
un’altra cosa:
la sua bacchetta era finita lì dentro.
Imprecò a bassa
voce, perché
era chiaro non fosse vuota. Non sentiva rumori, ma questo non significa
che
qualche bestia potenzialmente mortale non fosse lì dentro,
acquattata, in attesa.
Ho
tre scelte. Chimera, acromantula e basilisco…
Evviva.
Sentiva il freddo acuirsi:
non
c’era un alito di vento e quindi potevano essere solo
Dissennatori. Potevano
anche non essere, ma
perché
rischiare? Doveva riprendersi la bacchetta e poi darsela a gambe.
Infilò il braccio
dentro la
gabbia, cercando a tentoni. Sperava di essere silenzioso, ma il suo
respiro
sembrava amplificato di un milione di volte. Gli sembrava di essere
rumorosissimo.
La trovò dopo
pochi attimi e
ci chiuse la mano attorno, sentendo il sollievo rifluirgli lungo lo
stomaco e
scaldarlo un po’.
Poi sentì un
ticchettio.
Assomigliava a quello di un orologio ma non poteva essere un orologio.
Mandibole.
Lo realizzò
troppo tardi: sentì
un dolore agghiacciante, lancinante, come se milioni di aghi gli
avessero
trafitto il braccio.
Solo con la forza della
disperazione pensò ad un incantesimo, uno solo. Quello che
Tom prediligeva.
“Everte…
Everte Statim!”
Il lampo fu seguito da un sibilo rabbioso ma il suo braccio era di
nuovo
libero.
Lo tirò fuori
violentemente,
sempre con la mano chiusa attorno alla salvifica bacchetta.
C’era un taglio
profondo sul
suo avambraccio, sanguinante.
Non era un magi-zoologo ma
non
c’erano dubbi: era stato appena morso da un acromantula.
Devono
averci messo un po’ a recuperarla… visto che
Luzhin l’ha fatta scappare…
Si tirò indietro,
incespicando.
Sapeva cosa doveva fare, come in una trance, come se qualcuno glielo
stesse
suggerendo dall’esterno. Probabilmente tutti i tomi di
medimagia che si era
bevuto quell’estate.
Si puntò la
bacchetta contro
il braccio.
“Defluvio
sanguinis².”
Strinse i denti quando il sangue raddoppiò la sua uscita,
copioso,
inzuppandogli il mantello e il maglione sottostante. Sangue infetto.
È
veleno paralizzante. Se vengo paralizzato sono
fregato. È come consegnarmi ai Dissennatori su un piatto
d’argento.
Si tamponò la
ferita con la
manica, premendo. Tentò di alzarsi in piedi.
Non ce la fece, gli girava
troppo la testa e ricadde subito a sedere.
Dannazione.
È veleno ad azione rapida.
Sentiva la bocca secca e
allappata, come se avesse mangiato un frutto acerbo. La bacchetta gli
scivolò
di mano e si accorse di non riuscire più a muovere le dita
dei piedi e delle
mani. E subito dopo le gambe smisero di obbedirgli.
Il
veleno ha già raggiunto i nervi…
Forse era per via di quello
che sentì il freddo diventare intollerabile, come se
l’avessero buttato nudo
sulla neve.
Oppure
i Dissennatori hanno fiutato la mia debolezza e
stanno arrivando.
Non fece in tempo a sentirsi
davvero terrorizzato: sentì infatti cantare Fanny.
Qualche attimo dopo, come in
una nebbia di sensi, sentì qualcuno toccarlo e passargli un
braccio attorno
alle spalle. Poi, rumori di passi concitati attorno a lui.
“Al! Resta
sveglio! Venite, è
qui! È stato morso!”
Era salvo.
****
James non si era mai sentito
una persona empatica. Di solito finiva per capire le persone solo
quando cominciavano
ad urlargli addosso. Teddy gli diceva sempre che era troppo diretto, e
che
gettare i propri sentimenti addosso alle persone spesso causava
fraintendimenti.
Con
Malfuretto le cose erano diverse
perché basilarmente erano la stessa persona in corpi diversi.
Parecchie volte aveva
pensato che
fosse stato assurdo quel loro lungo odiarsi – beh, perlomeno
lui l’aveva detestato
abbastanza.
Al momento un pochetto comunque continuava ad odiarlo,
perché
lo stava costringendo a correre tra le braccia dei Dissennatori.
Teddy l’avrebbe
strigliato a
dovere. Ma dopo.
Ora
sono impegnato a fare l’eroe. Cioè a fermare
questo
cretino.
Accelerò la corsa
e placcò
Malfoy, mandandolo disteso. La cosa fu abbastanza dolorosa per
entrambi, ma era
certo che a lungo termine Scorpius ne sarebbe uscito peggio, visto che
gli si
era seduto su un paio di vertebre.
“Che cazzo
fai?!” Ebbe
comunque la forza di urlargli l’altro, sebbene soffocato.
“Lasciami!”
“No.”
Sbottò, tenendolo
schiacciato a terra. Era più facile del previsto, segno che
Scorpius non era al
massimo della sua forma; normalmente lo avrebbe ribaltato e poi
avrebbero
ingaggiato una lotta ad armi pari.
Adesso
mi sembra di tener buono quella femminuccia di
Albie.
“Lasciami!”
Tentò di nuovo,
puntellandosi a terra. “Devo cercare i miei
genitori!”
“Li cercheranno
gli auror. E
poi ragiona, potrebbero essere già al sicuro. Pensi davvero
che tuo padre, Draco Malfoy…”
Calcò l’accento sul nome.
“… si lascerebbe dare un bacetto da un
Dissennatore? O lasciare che succeda a
tua mamma?” Non lo sentì ribattere, e
pensò che era una buona cosa. “… usa la
testa, Malfuretto! Tuo padre è scampato ad una guerra, non
ha appena ricevuto
la sua prima bacchetta!”
“Non è
capace di produrre un patronus!”
“Magari può farlo tua madre. Non è una
ex-corvonero? Oppure possono scappare.”
Suggerì, cercando di non farlo sembrare un insulto, anche se
per lui un po’ lo
era. “… possiamo pure andare a cercarli, ma sei
praticamente disarmato. Ed io
non sono in grado di proteggere tre persone da un branco di stracci
succhia-anima…” Ammetterlo un po’ gli
bruciava, ma se c’era qualcosa che aveva
imparato dall’anno prima con il rapimento di Thomas, era che
ad un certo punto
bisognava fermarsi e lasciare fare gli adulti.
Prima
o poi il termine ‘adulto’ includerà
anche me.
Scorpius non disse niente.
James lo sentì respirare forte, contro la mano con cui lo
teneva bloccato.
Quindi rimase in silenzio,
sapendo che era ciò di cui l’altro aveva bisogno
al momento: tempo per
realizzare.
“… Sono
andato fuori di testa,
eh?” Mormorò alla fine, con un tono
così stanco che spinse James ad alzarsi
dalla sua schiena per lasciarlo libero di respirare un po’
meglio.
“Sì.”
Confermò tendendogli la
mano. “Ma l’avrei fatto anche io, se fossero stati
i miei.”
“I miei non sono come i tuoi.” Replicò
Scorpius, ignorando la mano tesa. James
avrebbe voluto dirgli che ci sarebbe sempre stata. “I miei
sono…”
“I tuoi genitori.”
Lo fermò. “Ed ehi,
è normale che tu sia preoccupato, ma secondo me non
vorrebbero che tu rischiassi
la pelle per salvarli. I genitori in questo sono tutti
uguali.” Gli sorrise,
schiaffandogli la mano sulla testa, come ad un cane poco sveglio.
L’altro rimase
fermo a
lasciarsi arruffare i capelli e James finse di non capire che stava
trattenendo
le lacrime.
“Ho minacciato un
auror…”
Esordì dopo qualche attimo, con tono arrochito.
“Era solo zio Ron. Ha le spalle larghe. Gli
parlerò, spezzerò una lancia in tuo
favore.” Offrì. Stavolta Scorpius gli
afferrò la mano, e lasciò che lo aiutasse
a tirarsi su. “E per Rosie…”
“Non voglio parlarne.” Tagliò corto.
James non approfondì. Non era quello il
momento giusto: Scorpius sembrava aver esaurito ogni energia dopo aver
sentito
il nome di sua cugina. “Per favore, portarmi in infermeria,
credo di stare per
svenire…” Mormorò infatti.
James strinse la presa contro il suo braccio. “Ricevuto
amico. Ti porto via di
qui.”
****
Per Lily non era stato
facile uscire
dalla scuola. Una corrente contraria l’aveva quasi spinta
indietro, verso la
Torre di Grifondoro. Qualunque cosa fosse successa, era stata talmente
grossa
da far rifugiare tutti dentro le mura del castello.
Aveva captato frammenti di
conversazioni, frasi. Quello che aveva capito non era molto. Sapeva
solo che
c’era stato un attacco di Dissennatori e che quella nebbia
nera, simile al fumo
di una ciminiera babbana, era stato il mezzo con cui erano arrivati.
Dissennatori…
è assurdo! Non dovrebbero essere in Nuova
Zelanda o roba del genere?!
Varcò il portone,
uscendo
nella corte principale. La foschia era diminuita: sembrava che fossero
finalmente arrivate le squadre di soccorso dal Ministero. Si parlava
persino di
Dissennatori catturati, anche se non c’era certezza che non
ne mancasse
qualcuno all’appello.
Riuscì ad
intercettare Hugo e
la cugina Roxanne tra la marea di teste che le si presentò
di fronte.
“Ragazzi!”
Li raggiunse e vide
che entrambi erano scossi e provati.
“Lils, meno male
sei qui!” Esclamò
la cugina abbracciandola. Era gelata, strano visto che solitamente era
una tipa
molto calorosa. La strinse di rimando, intuendo che forse
l’altra aveva bisogno
proprio di calore umano.
“Sei rimasta al
castello tutto
questo tempo?” Si informò Hugo.
“Sì,
credo di essermi
addormentata… svegliata
tardi.”
Rettificò perché quel punto non le era ancora
chiaro e non voleva che gli altri
facessero domande. “Stanno tutti bene?”
“Abbiamo visto Rosie, Malfoy e Jamie. Tom è con
zio Harry. Gli altri non lo so,
non si capiva niente…” Borbottò il
ragazzino, strofinandosi vigorosamente le
mani sulle braccia. “Devi rientrare, non stai tipo crepando
di freddo?”
“Io no, sto bene. Sono sempre stata dentro, forse
è per questo.” Vedeva i
sintomi di una grossa infreddatura addosso ai cugini: doveva essere un
effetto
dell’esposizione ai Dissennatori. “Ho visto della
gente portata in infermeria…
non ci sono feriti vero?”
Specie perché le ferite da
Dissennatori
sono la perdita dell’anima…
“Non dai
Dissennatori.”
Indovinò i suoi pensieri Hugo. “Almeno che si
sappia. Sbucciature, un po’ di
ossa rotte per gente che è stata spintonata… sai,
quando tutta la folla è
andata nel panico…”
“Spero che per
questa storia
non fermeranno il Torneo…” Borbottò
Roxie, il cui spirito agonistico era
difficile da spegnere. “Anche se puoi star sicuro che per
gente come i Malfoy
sarà come servire le lamentele su un piatto
d’argento. Il loro ragazzo è pure
un Campione…”
“Proprio per questo penso che se ne staranno zitti, sai
Rox?” Interloquì Hugo
che segretamente tifava per il biondo campione. “Scorpius non
farebbe mai
fermare dai suoi il Torneo. Ci tiene un sacco.”
Lily non disse nulla, ma il suo pensiero si focalizzò di
nuovo sul motivo che
l’aveva principalmente spinta ad uscire.
Ren…
La sua priorità
era stata
cercare i familiari, naturalmente, ma ora che sapeva che non ce
n’era nessuno
in pericolo – Hugo glielo avrebbe detto, no? –
poteva concentrarsi su altro.
“Avete visto
Sören?” Chiese.
Hugo fece spallucce e
Roxanne
sbuffò. “Sarà stato messo al sicuro dai
suoi.” Le rispose, rendendo palese la
sua scarsa sportività in materia di avversari. Ricordi da
Quidditch
probabilmente. “Probabile che sia già al
calduccio, servito e riverito. Di che
ti preoccupi?”
Lily aveva una brutta
sensazione invece. Non lo disse apertamente, perché non
sapeva come spiegarla –
neppure i suoi poteri da LeNa lo prevedevano, aveva idea – ma
ce l’aveva. E non
poteva combatterla.
Si guardò
attorno, ma non vide
nessuno della Delegazione di Durmstrang. Forse Roxanne aveva ragione,
forse
erano tutti tornati al vascello. Lo sperava.
Poi vide Poliakoff. Non era
difficile notarlo, sia per l’uniforme, sia perché
sembrava perfettamente
furtivo e nervoso.
Ha
sempre quell’aria lì… Se non sembrasse
anche un
completo idiota avrebbe l’aria sospetta.
Si congedò
velocemente dai
cugini e lo raggiunse. “Ehi, Kirill!”
Il ragazzo si voltò di scatto, sospirando di sollievo subito
dopo. “Ah, piccola
inglesina.” La apostrofò beffardo. “Tu
sta bene?”
“Grazie per
l’interessamento.”
Tagliò corto, perché in quel momento non le
andava di giocare alla perfetta
principessina manierosa. “Sai dov’è
Ren?”
“Ren? Oh,
Sören.” Rettificò in modo
assolutamente non necessario. “A vascello.”
Lily capì che mentiva. Gli tremavano le labbra, e si stava
guardando intorno
con troppa insistenza. Tutto il maledetto tempo. Stava cercando
qualcuno, e non
poteva che essere Sören.
È
il suo Assistente, dopotutto.
“Non è
vero. L’hai perso.”
Rimbeccò. “Non sai
dov’è!”
Il russo
impallidì e si morse
un labbro. “Niet, tu
…”
“Non mentirmi. Non
funziona,
sul serio.” Si sarebbe aspettata un secondo diniego, ma
stranamente il ragazzo
prese un’aria attenta. Poi inspirò.
“Non lo vedo da
attacco di
Dissennatori. Eravamo tutti a Tenda dei Campioni e poi …
sono allontanato per
andare bagno, c’era troppa nebbia. Non so.” Si
strinse nelle spalle. “Non è in
infermeria di vostra scuola, ho controllato.”
A Lily sembrò strano. Perché solo lui lo stava
cercando?
Perché
non c’è l’intera delegazione con Preside
allegato a preoccuparsi e sbraitare? È il loro Campione!
“Sei da
solo?”
“Da.
Sì…” La guardò di nuovo in
modo
strano, poi la prese improvvisamente per un braccio. “Tu
aiuta?”
Lily ebbe il forte istinto di ritrarsi, ma non lo fece. C’era
in gioco Ren, e
anche se le sembrava tutto assurdo, l’amico poteva essere
davvero in pericolo.
E sembrava che a nessuno importasse di lui, la sua scuola in testa.
“Non saprei
come… Forse
dovremo chiamare gli auror.” Tentò.
“Già
fatto. Loro occupati con
altri. Tu aiuta me, per favore. Forse Sören ferito, forse
svenuto da qualche
parte.” Kirill aveva un’aria angosciata. Lo
sembrava davvero, ma c’era anche
qualcosa di storto nella sua
espressione. Lily non perse troppo tempo ad analizzarla, non era il
momento.
Ren…
“Va bene, andiamo
a cercarlo.”
Acconsentì. “Dove l’hai visto
l’ultima volta? Alla Tenda dei Campioni?”
“Sì.”
Confermò. “Spasiba.”
Aggiunse con uno di quei suoi
sorrisetti sgradevoli.
Lo
sono sul serio.
“Non ringraziarmi,
okay? Non
serve. Non lo faccio per te.” Mormorò
incamminandosi. Forse non era carino
dirlo, ma ci teneva a sottolinearlo.
L’altro non
rispose, sentì
solo i suoi passi dietro di sé; non era certa di fare la
cosa giusta. Ma la
nebbia si stava diradando e non c’era nessuno che la stava
fermando. Forse non
era così pericoloso.
O
forse sono un’idiota con dei geni da eroe che non ho
mai chiesto.
I
miei non potevano essere contabili babbani?
La strana nebbia ormai
andava
a banchi. In certi momenti era poco più che un file esile di
fumo, stralci, si
riusciva a vedere benissimo oltre, in altri era così fitta
che Lily dovette
rallentare per sentire bene il terreno sotto i piedi.
Ed
indosso pure i miei tacchi più alti. Favoloso.
Lo stadio fu in vista in
pochi
minuti. Lily conosceva il parco di Hogwarts abbastanza bene per sapere
come
dirigercisi senza perdersi. Il silenzio era ormai palpabile. Denso. E
maledettamente inquietante.
Per poter raggiungere la
tenda
dei Campioni dovevano fare il giro dello stadio.
Dobbiamo…
Si rese conto in quel
momento
che non sentiva il respiro affrettato del russo.
Si voltò di
scatto. “Kirill!”
Ma non c’era più nessuno.
Cavolo!
Fino ad un momento fa era dietro di me!
Non poteva credere che fosse
stato così stupido da perderla di vista. Per un attimo
pensò persino che
l’avesse fatto apposta.
Ma
non avrebbe senso. Giusto?
Era tutto maledettamente
strano quel giorno. Dal suo essersi addormentata vestita fino a quel
momento.
Si guardò
attorno, ma non
c’era traccia di anima viva.
Quando
ribecco Poliakoff gliene dico quattro. Anzi,
dico tutto a Ren. Del resto quel tizio sembra aver un po’ di
rispetto solo per
lui.
Aveva due scelte a
disposizione:
o tornava indietro, cosa piuttosto saggia visto che non sapeva dove
fossero i
Dissennatori e quanti ne fossero rimasti in giro, oppure…
Oppure
vado a controllare la tenda, vedo se c’è Ren e
poi torno il più velocemente possibile al castello.
Si mordicchiò il
labbro con
indecisione.
Beh,
dopotutto la tenda è qui dietro… E se lo trovo
non
devo fare il percorso all’indietro da sola. Cosa che in caso
contrario dovrei
fare, a meno che non mi metta a strillare per essere salvata.
La cosa non le arrideva
particolarmente.
È
divertente fare la principessa in pericolo solo
quando non c’è pericolo.
Altrimenti
fa paura e basta.
Inspirò e si fece
coraggio,
coprendo la distanza da lì alla tenda. Entrò
dentro: era vuota. C’era stato un
grosso fuggifuggi a giudicare da come i lettini erano stati rovesciati
e
genericamente sembrava esserci passata una mandria di persone in mezzo.
Okay,
i Dissennatori sono stati qui…
Ora era davvero spaventata.
Poi sentì freddo.
Molto
freddo. E capì subito che stava succedendo.
Lanciò uno sguardo complessivo alla
tenda, ma non c’erano bende putride o demoni succhia - anima
nei paraggi.
Okay,
quindi fuori…? Fuori dalla tenda c’è un
Dissennatore. Fantastico.
Forse era quello il momento
per
urlare e chiamare suo padre.
Però…
Punto primo non sapeva dove
fosse suddetto genitore, punto secondo aveva più
probabilità di scamparla
restando in silenzio e scappando il più velocemente
possibile nella direzione
opposta.
C’erano solo sue
uscite. Una
che dava sul campo e l’altra, quella da cui era entrata.
Quindi
devo tornare sui miei passi. Semplice.
Era spaventata, certo, ma
forse
meno di quanto avrebbe dovuto.
È
solo… che sono creature che si approfittano della
tristezza altrui.
Non erano forti nel senso
vero
del termine, né tantomeno erano capaci di uccidere come un
Basilisco. Non
avevano bacchette e vincevano solo fintantoché qualcuno
glielo lasciava fare,
arrendendosi al freddo e alla tristezza.
Lei non si riteneva una
persona triste. Era spaventata sì, ma
non era terrorizzata.
Perché non ne
aveva motivo.
Non
ho grossi problemi, non ho mai avuto un dolore, non
di quelli che ti lasciano cicatrici. Sono amata dalle persone che amo.
Sono contenta
della mia vita.
Sono
a prova di Dissennatore!
Non sapeva se fosse vero,
forse
era un pensiero ingenuo, ma la faceva sentire bene.
Indietreggiò, ma
poi notò
qualcosa, o meglio, la cosa in questione la fece quasi inciampare.
Si chinò a
prenderla. Era un
anello. Un anello con tanto di blasone.
È
l’anello di Ren!
A quel punto la sensazione
si
fece più forte. E Lily ragionò.
Se
il Dissennatore non è venuto da me, è forse
perché è
già occupato. Con qualcuno.
Ren?
A quel punto fu
consequenziale
scostare i lembi della tenda, aprendo l’uscita verso
l’arena.
La prima cosa che vide fu
effettivamente il Dissennatore. Era solo uno, ma era enorme, volava ed
aveva un
disgustoso mantello nero. E si librava sopra qualcuno.
Sopra Sören.
Il ragazzo era a terra,
esanime
e con una brutta ferita alla testa. Forse era quella ad averlo messo
KO.
Lily soffocò un
sussulto,
quando vide una sostanza simile ad un fuoco fatuo – nel Devon
ce n’erano tanti
– liberarsi dalle labbra del ragazzo, diretta verso il
cappuccio calato della
creatura.
Gli
sta succhiando via l’anima!
“Ehi!”
Si sentì urlare, perché
non è che avesse voluto davvero
richiamare l’attenzione di un Dissennatore. Le era scappato.
Ops.
Il Dissennatore
l’aveva vista.
Sempre
che abbia gli occhi.
Forse era inappropriato
ironizzare, seppur mentalmente, ma era l’unica cosa che le
impedisse di
strillare, cosa che aveva intenzione di fare da un po’.
Lily sbatté
contro uno dei
supporti della tenda, e poi fece l’unica cosa che le venne in
mente: attinse
direttamente ai racconti di suo padre e alle lezioni di Ted.
“Expecto
Patronum!”
“Anapneo!³”
Sören
sentì le vie
respiratorie contrarsi violentemente e fu questo a renderlo di nuovo
cosciente.
Tossì cercando
aria e
fortunatamente trovandola. Era gelida, ma c’era.
Si tirò a sedere
aprendo gli
occhi, ma tutto quello che vide fu una marea di puntini neri.
“No, sta
giù! Magari hai una
commozione cerebrale… o la testa rotta. Oh,
Merlino… forse non era
l’incantesimo giusto…”
Sören non
capì immediatamente
cosa stesse accadendo: l’ultima cosa che ricordava era che
quando i
Dissennatori erano entrati nella tenda erano esplosi almeno due o tre patronus e forse qualcuno, accecato
dalla luce e preso dalla foga di scappare, lo aveva spintonato
mandandolo a
sbattere contro uno dei supporti della tenda.
Era l’ultima cosa
che
ricordava perché poi era svenuto per la botta.
In circostanze normali
avrebbe
evitato una situazione del genere, ma la Prova aveva logorato i suoi
riflessi,
e poi i Dissennatori…
I
Dissennatori… Kirill non ha fallito, ha fatto calare
la nebbia, disattivato la barriera. I Dissennatori sono entrati. Non
abbiamo
fallito. Non ho fallito.
“Non sei morto
vero? Ren, dimmi
qualcosa!”
Doveva avere le
allucinazioni,
perché oltre lo stordimento gli sembrava di sentire la voce
di Lilian.
“Lily?”
Tentò.
“Sì!
Sì, sono io! Oh, Morgana
sia ringraziata, non ti ho causato danni cerebrali… Riesci
ad alzarti?”
La vista gli tornò subito quando realizzò che
c’era la persona più sbagliata
del mondo con lui.
Lily era china su di lui,
pallidissima ma con un gran sorriso. Sentì lo stomaco
attorcigliarglisi ed ebbe
voglia di vomitare.
No,
non deve essere qui. Il sonnifero. Pensavo
l’effetto durasse più a lungo. Come…?
“Cosa…
che… ci fai qui?” Riuscì ad
articolare perché aveva la lingua impastata. Poi
notò che c’era qualcosa che
riluceva vicino a loro. E non erano allucinazioni.
Era un patronus,
lo riconobbe subito. Un pregevole patronus corporeo.
“Cervo…?”
Tentò confuso,
perché gli sembrava avesse quella forma.
“No tesoro,
è una femminuccia
come me.” Replicò
la ragazza, suonando
persino un po’ irritata. “Non ha le corna, anche se
quasi preferivo le avesse…”
In effetti non le aveva, ma
non era quello il punto. Lily era china su di lui, erano soli e non
c’era
traccia di Dissennatori. Anche se si sentiva come se ne avesse appena
incontrato uno.
“Dissennatore…”
La nausea non
accennava a diminuire. Al momento gli sembrava di essere sul ponte di
una nave
durante una tempesta.
Kirill sarebbe dovuto venire
a
cercarlo non vedendolo tornare alla nave, visto che così si
erano precedentemente
accordati.
Zio
non aveva preventivato che avrei potuto essere in
pericolo anche io?
Era troppo stanco per
pensare.
Si sentiva la mente confusa e il calore delle mani di Lily sulle mani e
sul
viso era stordente.
Voleva abbandonarvicisi.
“Oh,
quello!” La sentì
rispondere. “Il nostro Ministero se ne sta occupando,
sta’ tranquillo. Ne avevi
uno addosso, ma… credo di essermene occupata. Io.”
Aggiunse con un sorrisetto.
“Il mio patronus
l’ha preso a
testate.” Concluse un po’ divertita. La cerva
intanto si dissolse sotto i loro
occhi con uno sbuffo argenteo.
“Tu…”
Era confuso, ma una cosa
era chiara.
C’erano cose che
non avrebbero
dovuto essere fatte.
Lily non avrebbe dovuto
essere
lì, avrebbe dovuto essere al Castello, lontana
dall’azione, lontana da lui.
Poliakoff non avrebbe dovuto
lasciarlo in balia dei Dissennatori.
E poi…
Lily
non avrebbe dovuto…
“Mi hai salvato la
vita.” Sussurrò.
Che
senso ha che la vittima salvi il colpevole? Non ha
senso.
Nell’ordine delle
cose, lui
obbediva a suo zio e chi ne soffriva le conseguenze non sapeva neppure
che
faccia avesse. Forse poteva odiarlo, ma odiava una figura astratta. La
Thule. Lui
non era niente. Era solo un
ingranaggio.
Chi soffriva le conseguenze
–
come Lily –di certo non gli salvava la vita. L’anima.
Per questo
l’ordine delle cose
funzionava. Così lui
funzionava.
E
adesso…?
“Oh.” La
sentì dire, come da
molto lontano. “Beh, sì. Immagino di
sì… Ren? Ren, ehi, resta con me!”
Mi
hai salvato la vita… – Pensò mentre
tutto diventava nero - … Adesso
cosa diavolo faccio?
****
Note:
Sorridete! :D
Almeno abbiamo finito questa
roba. Prossimo capitolo, un sacco di infermeria e momenti intimistici a
valanga.
Finalmente.
Sì, ci
sarà Al/Tom, perché
sono stata crudele con questi due. Più, sorpresa! :D
Non odiatemi, suppongo
non arriverà in ritardo come
questo.
1.
Qui la canzone.
2. Defluvio sanguinis: incantesimo
inventato da me. Non vuol dir niente in latino temo, ma basilarmente,
dissangua
una persona. Serve per allentare la pressione sanguigna in medimagia,
nel caso
di Al, per liberarsi dal veleno.
3. Anapneo:
incantesimo vero, serve per liberare le vie respiratorie.
|
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Capitolo 30 *** Capitolo XXVIII ***
Capitolo XXVIII
I
broke down and wrote you back before you had a chance to
Forget forgotten
I am moving past this giving notice
I have to go
Yes I know the feeling, know you're leaving
(The Con, Tegan &
Sara¹)
24
Novembre 2023
Hogwarts,
Porta Principale.
Tom non aveva mai lasciato
il
fianco di Harry.
Non che non avesse tentato. Albus era disperso da qualche parte in
mezzo ad una
nebbia che, per quanto si sapeva, poteva nascondere centinaia di
Dissennatori e
lui era costretto a seguire come un cucciolo obbediente il padrino.
Aveva apprezzato la cosa
solo finché
era ancora spaventato ed Harry gli sembrava una ragionevolissima ancora.
Poi la tensione si era fatta
insopportabile; stare lì, senza fare niente era
intollerabile. Sapeva di avere
una bacchetta e non di avere Al. Condizione sufficiente per mandarlo
nel
panico.
Ma quando aveva tentato di
defilarsi, approfittando del fatto che Harry sembrava distratto
dall’arrivo dei
rinforzi tanto attesi dal Ministero, si era sentito afferrare per un
braccio.
Harry
finge di avere la testa per aria - aveva pensato lucidamente.
“Dove credi di
andare,
Thomas?” Gli aveva chiesto infatti.
“Non credo che la
mia presenza
qui sia necessaria.” Aveva tentato con il suo tono
più cortese e freddo. Era
bastata una sola occhiata per farlo tornare a quando aveva dieci anni:
cioè
immaturo, stupido e non auto-sufficiente.
“La tua presenza
qui non si
mette in discussione. Resta fermo dove sei.”
E per sicurezza gli aveva messo affianco Ron Weasley.
Cioè,
praticamente una punizione.
Con
gli arrivi delle squadre di
rinforzo e l’aggiunta di un piccolo manipolo di Indicibili,
la nebbia era stata
fatta dissolvere in meno di mezz’ora. A quel punto i
Dissennatori erano
riparati nella Foresta, alla ricerca di buio: accerchiarli e catturarli
grazie
ad un robusto cordone di patronus
non
era stato difficile.
Tom aveva visto tutto dalla
sua posizione privilegiata. Lui ed Harry non avevano parlato dei
mandanti. Non
che non avesse tentato. Ma il padrino ogni volta aveva rimandato la
questione
ad un secondo momento.
“Ne
parleremo dopo, Tom… non adesso. Non quando
c’è
ancora tutto da accertare.” Alla sua occhiata gli aveva
sorriso. Uno di quei
suoi sorrisi da eroe. “Non ti terrò fuori,
è una promessa.”
Non gli era restato che credergli.
Se da una parte aveva capito
perché il padrino non gli aveva permesso di andarsene,
dall’altra aveva avuto
solo una gran voglia di spedire schiantesimi a destra e a manca.
Perché
se è accaduto qualcosa ad Al, è colpa mia.
È
opera della Thule, ne sono sicuro. Quindi è colpa
mia.
Se l’era ripetuto
più volte, a
nastro continuo. A nulla erano valse le parole di Ron, che gli aveva
assicurato
la presenza di Albus nel castello.
E
dovrei fidarmi delle sue parole. No.
Adesso finalmente la
situazione si poteva dire risolta: i terreni di Hogwarts erano sgombri
da
nebbia e demoni. Le delegazioni erano ritornate alle rispettive dimore
mobili e
i feriti erano stati portati tutti in infermeria. Molte famiglie
avevano già
preso la strada di casa, adeguatamente rassicurate dal personale
scolastico e
da quello ministeriale.
Bene.
Eccellente.
Ora aveva tutto il
sacrosanto
diritto di scappare dalle maglie della preoccupazione familiare.
“Voglio andare da
Al.” Sbottò
all’indirizzo di Harry che varcava con lui il portico in
pietra che dava sul
portone principale della scuola.
“Non dice altro da
due ore
amico…” Sbuffò Ron, accanto a loro.
“Mi sembra un disco rotto.”
“Va
bene.” Gli fu risposto con
un sorriso stanco. “Adesso cerchiamo di capire
dov’è…”
Fermò il
professor Paciock,
che stava portando in braccio fasci di erbe di cui Tom non conosceva la
funzione né tantomeno la provenienza.
“Nev, hai visto
Albus?”
L’uomo, il ritratto della salda pacatezza, annuì.
“Sì, è in infermeria.”
“È ferito?”
Forse la sua voce aveva
toni di minaccia perché i tre adulti lo fissarono in modo
strano. “… Sta bene?”
Aggiunse in tono che sperò fosse più calmo.
Ma
non credo. Chi se ne importa.
“Sì,
quando sono passato e
l’ho visto, era sveglio. Credo sia stato
morso…”
“… da un Dissennatore?” Chiese Ron con
aria allibita. Tom poté leggergli negli
occhi una muta domanda.
I
Dissennatori mordono?
Normalmente
trovava le uscite di
quell’uomo idiotiche…
…
ma stavolta è la stessa cosa che ho pensato io.
“No,
beh… credo
dall’acromantula della Prima Prova.” Disse il
professore, con aria tra il
dispiaciuto e il sottilmente divertito. “Ma sta bene, me
l’ha assicurato Ginny
prima…”
“Chi
l’ha trovato?” Si informò il padrino che
sembrava l’unico poco colpito dall’incredibile modo
in cui il figlio di mezzo
si era ferito.
Probabilmente
perché a lui, alla stessa età, è
successo
di peggio.
“Credo dei
Tiratori scelti,
non ne so molto, mi dispiace… scusate, ma adesso devo
andare. Servono razioni
di Pozione Corroborante. Quella che avevamo in magazzino è
finita e sapete bene
come diventa Poppy quando finiscono le scorte…”
Aggiunse, indicando con un
cenno del mento ciò che teneva tra le braccia.
“Certo, non preoccuparti. Quale lettino?”
“Uno di quelli in fondo, sulla destra. Non è da
solo comunque, c’è un compagno
di Casa con lui…”
Tom sentì solo la
prima parte
della frase, poiché avute le indicazioni che cercava, li
piantò in asso e
corse verso
l’infermeria.
L’enorme sala a
volte era
invasa da adulti e studenti in egual misura. Molti avevano braccia o
gambe
fasciate, alcuni brutte tumefazioni, ma generalmente sembrava di essere
in un
padiglione dove si curava forme influenzali, a giudicare dagli starnuti
e dai
colpi di tosse.
Raffreddati.
Forse era anche stata colpa
della nebbia, che aveva sensibilmente diminuito la temperatura.
Non che gli importasse.
Notò
con la coda dell’occhio Hermione e Ginny. Erano entrambe
occupate a
chiacchierare e non si resero conto di lui.
Quando arrivò al
lettino però,
Tom pensò che avrebbe dovuto ascoltare più
attentamente le parole del professor
Paciock.
Perché il
compagno di Casa non
era un compagno qualsiasi: era Zabini.
Michel era seduto in fondo
al
letto e teneva una mano sulla gamba di Al, che invece era steso a
letto, con
l’avambraccio stretto in una benda. Chiacchieravano. Al
sembrava avere una
buona cera, tutto considerato.
Tom sentì il
sollievo
investirlo, sebbene quella maledetta punta di fastidio non
accennò a
scomparire.
Perché
non mi hai cercato? Io ho cercato te.
Il pensiero si
formulò
spontaneamente: perché l’altro non si era
preoccupato di avere sue notizie?
Michel poi si
voltò, e lo
intercettò con lo sguardo. A quel punto il sorriso gli
scivolò via dalle
labbra. Diede un colpetto sul ginocchio dell’altro serpeverde.
“Eccolo
lì.” Proferì con tono
indecifrabile. Tom avrebbe voluto spedirgli qualche fattura. O forse
solo
picchiarlo.
Allontanati
da lui.
Albus non sembrò
notare
l’improvviso cambio di atmosfera, perché si
voltò con totale tranquillità,
prima di regalargli un sorriso sorpreso e felice.
“Tom!”
A quel punto, chiamato,
dovette avvicinarsi. Al dovette notare la sua espressione
perché corrugò le
sopracciglia. “Stai bene? Ti sei fatto male?”
“Non sono su un lettino, quindi direi che sto
bene.” Si scollò dal palato.
“Cos’hai?”
“Paralizzato dal veleno di acromantula.”
Spiegò con aria imbarazzata. Perché
era imbarazzato?
“Sei stato
morso…”
“Te l’hanno detto, eh?” Fece una piccola
smorfia. “In un posto pieno di
Dissennatori sono stato l’unico mago capace di farmi
attaccare da qualcosa di
completamente diverso.”
Ah,
è per questo…
Non
è divertente. Sei in un letto di ospedale.
Michel fece una bassa
risata. Tom
pensò che se non avesse tolto subito la mano gli avrebbe
spezzato le falangi
una ad una.
Non
è divertente.
Albus sembrò
quasi leggergli
il pensiero, perché si affrettò a rassicurarlo.
“Ho dovuto prendere una pozione
rimpolpa - sangue, per questo non posso prendere l’antidoto.
L’una annullerebbe
l’effetto dell’altra. Poppy però ha
detto che il mio corpo può smaltire
naturalmente il veleno, solo ci vorrà un po’ di
più. Non è mortale, ecco, per
farla breve.”
Tom non disse nulla. Avrebbe
voluto andare da lui, stringerselo addosso, tastarlo. Saggiarlo, essere
certo
che stava davvero bene. Ma non con l’altro
presente.
Che c’era una
parte di sé che
sapeva benissimo che Zabini sarebbe stato il loro perenne altro.
Michel, dopo un lungo e
scomodo silenzio si alzò, sebbene con la solita strafottente
calma da dandy.
“Meglio che vada.
Ora sei in
buone mani… credo.”
Aggiunse con una
frecciatina che una volta l’avrebbe fatto divertire. Non
adesso. “Ed io, in
qualità di Prefetto, devo occuparmi che tutti i serpeverde
siano in Sala Comune,
dopotutto.”
Tom capì ovviamente che era una scusa e dovette capirlo
anche Al, perché gli
fece uno di quei sorrisi speciali, grati ed omnicomprensivi.
“Certo, sicuro. E
grazie Mike… te ne devo una!”
“Ti farò sapere allora.”
Replicò sardonico quello, prima di allontanarsi.
Tom appena l’altro
se ne fu
andato si sentì piuttosto cretino.
Anche perché Al
si premurò di
fissarlo con il suo peggior sguardo di accusa.
“Sei un
cretino.” Gli disse
infatti. “Si può sapere cos’era quello?”
“Quello cosa?” Finse indifferenza.
“Ci mancava che tirassi fuori la bacchetta e gli imponessi un
duello. Cosa già
successa, peraltro.” Aggiunse truce. “Per tua
informazione, è a lui che devo la
mia presenza cosciente qui.”
“…
cioè?”
“Cioè
è stato lui a trovarmi.”
Spiegò concisamente. Vedendo la sua faccia però,
aggiunse altro, probabilmente
per pietà, perché i suoi livelli di gelosia ormai
avevano raggiunto
l’auto-distruzione. “ Avevo perso conoscenza dopo
essere stato morso…”
“Ancora non mi hai spiegato come hai fatto.”
“Sono inciampato e la bacchetta mi è caduta nella
gabbia dell’acromantula.”
“…
inciampato.”
“Sì, certo.” Confermò con
disinvoltura anche se era arrossito violentemente
sulle orecchie. “Ma non è questo il punto. Fanny.
C’era Fanny… non chiedermi cosa ci facesse in
giro, ma Mike l’ha vista e l’ha
segnalata agli agenti del Ministero. Quelli si sono incuriositi,
perché
sembrava volteggiasse sopra qualcosa. Qualcuno. Me. Mi hanno trovato
così.”
Concluse.
“Quindi in realtà è stata
la fenice.” Tentò, ma fu subito linciato da
un’occhiataccia.
“Se
Mike non si fosse ricordato che era la mia
Fanny, probabilmente a quest’ora sarei pieno di antidoto fino
ai capelli e presumibilmente in coma.” Scandì
lentamente, come se dovesse
spiegarlo ad un bambino tardo. “Avresti dovuto ringraziarlo,
non guardarlo come
se volessi aggredirlo.”
Tom fu indeciso se
infuriarsi,
sentirsi miserabile o preoccupato a morte. Odiava provare
così tanti sentimenti
in una volta sola, lo faceva sentire instabile e sfinito. Quindi si
limitò a
crollare sulla sedia di fronte al letto.
“Io ti ho
cercato… è tutta
colpa mia. Perché tu non mi hai cercato?” Gli
uscì soltanto, facendolo sembrare
un povero e patetico demente.
Non era lontanamente quello
che aveva intenzione di dirgli. Aveva intenzione di informarsi,
neutralmente,
del suo stato di salute. Essere fermo e rassicurante.
Non
mettermi a piagnucolare.
Ma sembrava che aprirsi alle
emozioni avesse quell’effetto collaterale.
Forse aveva un po’
esagerato
con Tom.
Certo, il cretino si era
comportato come il perfetto cretino possessivo che era ogni volta che
c’era in
giro Michel, ma stavolta le contingenze quasi
lo giustificavano: lui era malconcio in modo piuttosto impressionante
– al di
là di come si sentiva effettivamente, era paralizzato e con
un braccio al collo
– e Tom sembrava aver passato delle ore orribili.
Dissennatori.
Nebbia. Le abbiamo passate tutti, ma lui
ha davvero una faccia spaventosa.
“Sapevo che eri
con papà…” Gli
disse addolcendo i toni. “È la prima cosa che ho
chiesto appena sono venuto qui.
Sapevo che eri al sicuro. Mike è rimasto con me, ed
è stato lui ad andare a
chiedere informazioni su dove fossi, visto che non potevo muovermi.
È stato un
buon amico.” Rimarcò particolarmente
sull’ultimo termine.
Tom non rispose. Si fissava
le
mani e aveva le labbra ridotte ad una linea sottile.
Al analizzò
quindi con attenzione
l’ultima frase che aveva detto.
Io
ti ho cercato. È tutta colpa mia. Perché tu non
mi
hai cercato?
È
tutta colpa mia.
…
Ecco. Capito.
“Perché
cavolo pensi sia colpa
tua?”
“La
Thule.” Fu poco più di un
sussurro, sfuggito controvoglia dalla bocca.
“Scusa…
ma non ne abbiamo già
parlato? Se c’entra …”
Abbassò il tono di voce, ma sapeva che l’altro
stava
ascoltando. “… se c’entra davvero tuo
padre, non è colpa tua. Ma di quel
bastardo. Tu sei una vittima, esattamente come tutti noi. Guarda quello
che ti
ha fatto passare. È uno psicopatico, un sadico. Tu sei solo
un po’ scemo…”
Vide le spalle di Tom
rilassarsi appena, e seppe che perlomeno stava seguendo la strada
giusta. Non
che lo capì da nient’altro: Tom continuava a
fissare tutto tranne che lui.
Chiuso
e misantropico coglione.
Gli venne da pensarlo con
affetto e avrebbe voluto tenergli la mano. O perlomeno chiudere le
tende e
ordinargli di venire lì.
Stupida
acromantula.
“Perché
non chiudi le tende e
vieni qui?” Suggerì perché aveva la
voce ed intendeva usarla. Vedendo che veniva
ignorato, cambiò registro. “Guarda che non era davvero una domanda.”
Il tono di comando
funzionò,
perché un attimo dopo le tende erano chiuse e Tom se lo
stringeva addosso come
se fosse un peluche.
“Ahi, non
stringere così… le
ho ancora le terminazioni nervose.” Tentò sentendo
che gli veniva da ridere per
il sollievo. Odiava vedere Tom rinchiudersi nella sua testa. Di solito
non ne
veniva fuori niente di buono.
E
per niente di buono intendo conseguenze spaventose e
dolorosissime.
Fortuna voleva che, anche se
era tremendo con le parole, perlomeno fisicamente Tom era capace di
esternare.
“Va tutto bene,
okay?” Gli
sussurrò all’orecchio visto che l’altro
gli aveva reclinato la fronte sulla
spalla. “… sto bene, stiamo bene entrambi.
È questa la cosa importante.”
“… va bene.” Gli concesse. Poi fece una
breve pausa, atta a ricomporsi. “Sei
paralizzato, non senti il dolore. È così
che funziona il veleno di acromantula.” Gli rispose, di nuovo
a tono. Lasciò la
presa e lo aiutò a riadagiarsi sui cuscini.
Al gli fece il sorriso
più
convincente del suo repertorio. “Bravo il mio
genio.”
Ho già detto quanto odio vederlo
con
quest’aria spaventata?
Al stava bene. Morso a
parte,
si sarebbe ripreso. Se non c’era nessun famigliare a
vegliarlo con la faccia
grave d’occasione, voleva dire che sarebbe andato tutto a
posto.
Tom cominciò a
respirare di
nuovo.
“Hai avuto
fortuna…” Riuscì a
dire. “Non tutti hanno una fenice come gps.”
“Come?”
“Una cosa babbana…” Stornò
perché non aveva voglia di parlare di quello. “Di
cosa hai sensibilità?”
“Beh, la punta delle dita. La faccia? Milly ha detto che devo
controllare se
comincio a sentire sensibilità in altre parti…
Mike mi stava dando una mano.”
“La mano sulla
gamba.” Capì, e
si sentì vagamente in colpa. Sapeva di essersi comportato
come un troglodita
grifondoro con l’ex-amico.
“Michel…”
Forse
stavolta mi tocca davvero ringraziarlo.
“Già,
non mi stava
molestando.” Replicò tranquillo. “Ora,
se non hai altro da fare, potresti darmi
una mano tu.”
Sapeva che Al tentava di
distrarlo da quello che stava succedendo. Stette al gioco,
perché ne aveva un
maledetto bisogno. “Devo tastarti?”
Si informò quindi, inarcando
le
sopracciglia.
Al lo guardò con
aria
divertita e altrettanto imbarazzata. “Come se non ti piacesse
l’idea…”
“Harry potrebbe arrivare da un momento all’altro.
Anzi, mi stupisce che non sia
ancora qui…” Osservò. “Era
dietro di me.”
“L’avrà fermato qualcuno visto che
è l’eroe di default per ogni brutta
situazione.” Inarcò un sopracciglio in modo
piuttosto perverso. “Vuoi baciarmi
prima che arrivi o devo trascinarmi
fino alle tue labbra?”
Sentire la bocca di Albus
sulla sua fu la panacea migliore che gli potesse venir messa
disposizione. Era
calda, era morbida ed era Al.
Infilargli
le mani sotto la stoffa leggera del pigiama per toccargli la pelle
liscia e
tiepida… beh, fu altrettanto soddisfacente.
Improvvisamente il freddo
non
lo sentì più.
“Molto meglio,
eh?” Chiese Al
con un sorrisetto che squadernava solo in particolari momenti.
Tipo,
in camera da letto.
Tom inspirò
appena: okay. Lui non era
paralizzato. Non ci si sentì in
special modo quando l’altro riuscì a spostare
abbastanza la testa per
mordicchiargli la porzione di pelle immediatamente sotto
l’orecchio.
Questo prima che sentissero
tirare la tenda. Due secondi dopo il suo istinto lo fece saltare al
lato
opposto del letto, in composto e improbabile bilico.
“Oh!”
Esordì Harry con aria
sollevata. “Sei sveglio Al… come ti senti
figliolo?”
“Meglio papà, grazie.” Sorrise il
bastardello con aria serena. “Poppy mi ha
assicurato che entro domani sarò come nuovo!”
“Sì, me
l’ha detto… ci ho
parlato prima, assieme a tua madre. Arriva subito a
proposito…” Aggiunse il
padrino, prima di lanciare a lui
un’occhiata
preoccupata.
Ho
qualcosa in faccia?
“Tom, ti sta
venendo la
febbre?” Gli chiese con scomoda premura. “Sei
paonazzo.”
“… vado a sciacquarmi il viso.” Si
schiarì la voce, sentendo che avrebbe dovuto
alzarsi con molta attenzione. Fu
quello che fece, evitando l’occhiata perplessa del buon padre
di famiglia.
Incrociò
però quella di Al. Che
ghignava.
“Tranquillo
papà, si sente
meglio adesso.” Disse il maledetto, tramutando
quell’espressione mefistofelica
in un tenero sorriso. “Non è vero Tom?”
L’aveva appena
punito per
essere stato orribile con Michel. Glielo leggeva nello sguardo.
A quel punto preferì battere in ritirata: ma non era finita
lì.
“Tom?”
Lo richiamò indietro Al.
“…
Cosa?” Non gli importava di
essere scortese, anche se c’era Harry che li fissava da
dietro i suoi occhiali
tondi – seriamente, avrebbe mai cambiato modello? –
e anche se fino ad un minuto
primo avrebbe voluto baciare quella serpe con gli occhioni da Bambi
fino
all’incoscienza. “Che
c’è?”
“Se lo
incontri… chiedi scusa
a Mike.”
Tom uscì dall’infermeria maledicendo
l’intera progenie Potter.
È
karma. Non c’è altra spiegazione. Sono il mio
tormento naturale.
“… sei
sicuro che Thomas stia
bene?”
Al sorrise al padre. Andava bene così: imbarazzare e far
arrabbiare Tom era il
modo migliore per scrollargli di dosso i brutti pensieri.
Magari
non tanto carino, però… Tom non
è una persona
carina.
“Certo.
Stuzzicarlo è il
metodo migliore per farlo distrarre. E ne ha un gran bisogno
adesso.”
Suo padre annuì,
con un
sorriso stanco. “Hai ragione…”
Perché
non è finita.
Al lo lesse
nell’espressione
nel padre. Lo capì, nella piega serrata delle labbra e nelle
sopracciglia
contratte.
“Era la Thule
papà?” Mormorò.
“Sono stati loro, di nuovo?”
L’uomo si sedette sul ciglio del letto. Sembrava molto
stanco. Gli strinse un ginocchio,
affettuosamente e ad Albus dispiacque essere completamente
immobilizzato.
Avrebbe voluto abbracciarlo, quel suo genitore che teneva sulle spalle
l’intero
mondo magico.
“Sì,
Albie… credo di sì.”
Stavolta Al non ebbe voglia di correggere il nomignolo.
****
Rose aveva dovuto essere
Prefetto
anche quando non voleva.
Non appena Scorpius era
scappato, aveva avuto l’impulso di seguirlo ovviamente. Ma
non aveva potuto,
perché era stata subito data in consegna ad Hogwarts. E da
allora non era
riuscita a fare altro che il suo dovere, ovvero portare primini
spaventati
nella Sala Comune e obbedire agli ordini che Neville le impartiva,
spuntando
dagli angoli più impensabili del castello. Dopotutto era il
suo Direttore.
In un certo senso, era stato
meglio così. Aveva riflettuto, da sola, senza che altri
potessero interferire
con pareri e consigli.
Inoltre, se fosse andato a
cercarlo prima, avrebbe finito per peggiorare la situazione, visto che
non
sapeva esattamente cosa gli avrebbe detto.
Ora invece era giunta ad una
conclusione: Scorpius non poteva averla lasciata.
Non
così, non all’improvviso… era sotto
shock, era
spaventato per i suoi genitori.
Ne avevano passate troppo
assieme perché tutto finisse tra le urla. In quel modo
orribile.
Devo
parlargli.
Scese le scale il
più
velocemente che poté, visto che al momento non aveva nessuna
consegna da
prefetto a cui adempiere. Non aveva visto il ragazzo per tutto il
tempo. Sapeva
che James aveva evitato che andasse a buttarsi tra le braccia dei
Dissennatori:
il cugino gliel’aveva riferito incrociandola una
mezz’oretta prima.
“L’ho
accompagnato in infermeria e poco dopo sono
arrivati i suoi, per fortuna. Allora s’è calmato.
Per quanto ne so, adesso è
con loro.”
Non aveva aggiunto altro,
non
aveva commentato. Rose gli era stata davvero grata.
Entrò in
infermeria e fece una
smorfia. C’era tanta di quella gente che avvistare i Malfoy
era difficile.
Vide sua madre, e per un
attimo fu combattuta se chiedere proprio a lei, anche se sapeva che era
lì da
un bel po’ e quindi di sicuro li aveva visti.
Al
diavolo.
“Mamma!”
La chiamò. La donna
si voltò con un sorriso di sorpresa.
“Oh,
Rosie… pensavo fossi
nella Torre.” La frenò subito. “Non
c’era una consegna…?”
“Sto cercando Scorpius.” Ribatté,
perché se cominciavano a parlar di regole,
non avrebbero terminato tanto presto. E lei aveva fretta. Molta.
“L’hai visto?
Dovrebbe essere con i suoi.”
“Fino a poco fa era in un lettino… mi sembra
laggiù.” Indicò una branda vuota e
già accuratamente rifatta. “Se
n’è andato però, visto che si
è ripreso.”
Rose si sentì
confusa.
Andato
dove? Non è venuto in Sala Comune o l’avrei
visto.
“Dove?”
Chiese infatti, perché
a quel punto non le importava più di trattenersi o fingere
che non le
importasse.
Peccato
che tu non sia stata così avventata prima…
Forse Scorpius non ti avrebbe detto quelle cose.
Quella voce nella sua testa
era peggio di un calcio nello stomaco.
Hermione le
scoccò un’occhiata
attenta, prima di scuotere la testa. “Penso a casa. Alcuni
studenti sono stati
portati via dalle loro famiglie… almeno finché la
scuola non sarà dichiarata completamente
sicura suppongo non ritorneranno.”
Era proprio una cosa che i
Malfoy avrebbero fatto. Era piuttosto chiaro, sin dall’anno
scorso, che non si
fidavano completamente del corpo docenti, né tantomeno della
sicurezza fornita
dal Ministero.
Rose sentì lo
stomaco
stringersi in una morsa.
Non
posso permettere che vada via prima di avergli
parlato!
“In… in
che direzione?”
Chiese, ignorando lo sguardo indagatore della genitrice. Stava
cominciando a
capire, ma non le importava. Probabilmente persino suo padre, dopo
quella
sfuriata, era finalmente giunto alla comprensione.
O
semplicemente, gliel’abbiamo sbattuto in faccia
così
chiaramente che non può più fingere di non aver
capito.
“Beh, nella
direzione
dell’uscita.” Rispose sua madre, con uno strano
sorriso affettuoso. Sembrava
quasi dispiaciuta. Che sapesse? Che suo padre gliel’avesse
già detto? O forse
zio Harry?
Non
mi importa, non mi importa. Devo trovare
quell’idiota. Devo trovarlo adesso prima che venga inglobato
dalla sua famiglia.
“Già…
giusto. Che stupida.”
“Rosie?” La fermò. Sua madre era troppo
intelligente per farsi fregare con
qualche frase: pretendeva sempre vere
spiegazioni. “Cosa c’è tra te e il
figlio di Malfoy? State assieme?”
Eccola qui, la domanda.
“Sì.”
Era assurdo,
l’aveva detto. Aveva
pronunciato quella semplice sillaba con facilità.
Sua madre inarcò
le
sopracciglia. Niente capelli strappati e urla. Ma non sarebbe comunque
stato da
lei. “… Oh.” Fu il suo unico commento.
“Adesso capisco.”
“Già.”
Inspirò appena. Era
surreale. In quel momento non si sentiva atterrita
dall’averlo detto. Sentiva
solo l’urgenza di cercare Scorpius. Tutto lì.
“Senti, resterei
mamma… ma devo
andare. Ci vediamo dopo.”
E se ne andò. La
sua famiglia poteva
aspettare in quel momento.
Priorità.
Dove diavolo è finito?
Non poteva essere andato
tanto
lontano; di sicuro non poteva smaterializzarsi prima dei cancelli, se
era
quello il modo in cui i suoi genitori avevano deciso di andarsene.
Corse e sorpassò
il portone,
sbattendo contro un paio di persona e tirando dritto. Al momento
avrebbe
persino potuto investire il Ministro della Magia stesso e non
curarsene.
Non
se ne deve andare, maledizione!
Basta
che stia un fine-settimana a casa sua e sarà
troppo tardi.
Non per colpa della cupa
influenza Malfoy, in realtà. Ma perché Scorpius
lasciato stare tendeva ad
intestardirsi nelle sue posizioni.
Se
quest’estate l’avessimo passata assieme, avrebbe
deciso di candidarsi al Tremaghi?
Alla fine lo vide. O meglio,
li vide. L’intera
famiglia Malfoy,
coperta da mantelli e in direzione dei cancelli. Scorpius era trai
genitori e
dava il braccio alla madre.
“Scorpius!”
Gridò con quanto fiato aveva in gola. Si voltarono un
paio di auror, due famiglie ugualmente in partenza, e tutto il nucleo
Malfoy.
Scorpius le rivolse uno
sguardo sorpreso.
Sul
serio non si aspettava che lo fermassi?
Le si strinse il cuore
quando
vide quanto fosse pallido. Si accorse anche che non era lui a dare il
braccio
alla madre, ma il contrario: era Lady Astoria che lo sorreggeva.
Lord Malfoy le
scoccò
un’occhiata gelida. Da mettere in conto, ma comunque la fece
sentire uno
schifo.
Scorpius sembrò
riscuotersi.
“Rosie, ehi.” La salutò. “Sto
andando via.” Aggiunse quieto, come se la sua
defezione fosse del tutto normale.
“Sì, lo
vedo… non sei troppo
debole per materializzarti?”
Di tutte le cose idiote che potevo
dire…
Scorpius invece le sorrise.
“Infatti prendiamo la carrozza di famiglia.”
“Okay.”
Non le uscivano le
parole, con lo sguardo torvo di Draco Malfoy che la trafiggeva.
Sembrava un
maledetto avvoltoio in attesa che la preda esalasse l’ultimo
respiro.
E
la preda sono io.
“Devo
parlarti.” Riuscì a dire.
“Per favore…” Aggiunse vedendo che
esitava. “… solo pochi minuti. Non ci
metterò molto.”
“… va
bene.” Scorpius sembrò
assecondarla, più che avere un reale desiderio e questo le
fece malissimo. Ma
si rifiutò di mettersi a piangere proprio lì.
Davanti ad agenti del Ministero,
famiglie in partenza e genitori Malfoy.
Non
assicuro per dopo.
“Possiamo parlare,
da soli?”
Scorpius annuì,
facendo un
cenno ai genitori. “Un momento.” Disse loro, con
uno di quei sorrisi
incredibilmente gentili che gli rischiaravano i lineamenti appuntiti.
“Torno
subito.”
“Scorpius.”
Disse Malfoy con tono di
comando. Sembrava implicare un sacco di cose. A quel punto la moglie
gli toccò
semplicemente il braccio.
“Draco, la
carrozza può
aspettare qualche minuto in più. Se Scorpius vuole salutare
Rose, non vedo dove
stia il problema.”
Sa il mio nome?
La sorpresa dovette fargli assumere un’espressione
buffa, perché Scorpius
le lanciò un’occhiata blandamente divertita.
Allora
non mi odi. Grazie a Merlino. Non mi odi.
Grazie.
L’uomo invece
sembrò
estremamente contrariato, ma non aggiunse altro, limitandosi a dare il
braccio
alla moglie e ad allontanarsi in direzione del sentiero che portava ai
Cancelli.
“Allora…
un posto tranquillo?”
Le suggerì. Sembrava tornato quello di prima. Niente
lineamenti stravolti,
niente bacchette esplosive. Avrebbe voluto abbracciarlo. Non poteva.
“Sì, ma
se non te la senti
possiamo rimanere…”
“Un posto tranquillo.” La interruppe. Sorrideva, ma
non ci stava provando
davvero. “Vieni, ho in mente quale.”
A Rose non restò che seguirlo. Passarono il portone e anche
il corridoio
centrale. Alla fine arrivarono alla corte delle gobbiglie. Rose
c’era stata
pochissime volte. Al momento era vuota.
Scorpius si voltò
e non disse
nulla. Aspettava che fosse lei a parlare.
“Scusa.”
Iniziò allora. Fu
come rompere gli argini di una diga. “Scusa,
perché so che è colpa mia. Quello
che è successo, intendo. Con mio padre… avrei
dovuto dirgli di chiudere il
becco. È stato davvero insensibile e avrei dovuto
dirglielo.” Ripeté visto che
l’altro non rispondeva. Perché adesso non sembrava
la cosa giusta da dire?
Forse
perché stai usando il condizionale. Forse perché
non
le hai fatte, queste cose.
Quella voce interiore era
davvero infernale. “Devi credermi, non voglio nascondermi
più. Glielo dico,
anche adesso se vuoi.” Fece un passo verso di lui e gli prese
la mano.
È
così fredda…
Ventiquattro ore prima
avrebbe
pagato oro per sentire quelle parole.
Ma adesso era troppo tardi.
Scorpius
si sentiva solo infinitamente stanco. Di quella situazione, di doversi
sempre
difendere con le unghie e coi denti, di dover dimostrare a tutti di
essere più
che perfetto.
Voleva tornare a casa, dove
nessuno l’avrebbe messo sotto esame. Voleva solo dormire.
“Non…
non dici niente?” Gli
chiese.
Rosie…
L’amava.
L’amava sul serio.
Non erano in uno di quegli orribili racconti rosa, dove un errore ti
faceva
passare da un sentimento all’altro con la disinvoltura di uno
schizofrenico.
Amava quella buffa e
brillante
streghetta. Ma in quel momento non era abbastanza.
Forse era infantile, ma Rose
l’aveva
abbandonato. Aveva preferito non prendere le sue parti, e rimanere
spettatrice.
Non riusciva a scacciare
quella sensazione, per quanto razionalmente ci provasse.
Inspirò
lentamente. L’aria era
tornata limpida e pura. La nebbia era scomparsa. Il terrore, pure. Ma
non
poteva rimanere lì, non in quel momento.
Solo
un po’ di giorni… Scappo solo per un po’.
“Ho bisogno di
stare per conto
mio…” Le disse, e ci mise tutta la gentilezza che
poteva, anche se non gliene
era avanzata molta. “Devo rimettermi in sesto,
perché mi sento uno schifo.”
Sapeva che l’altra apprezzava la sincerità,
perché non cercò di obbiettare. Lo
guardava con quei suoi meravigliosi occhi intelligenti. E tristi.
“Mi dispiace per
quello che è
successo con…”
“Non è per tuo padre.” La
bloccò. “Non solo almeno. Credo semplicemente di
aver
raggiunto il limite. Ho bisogno di ricaricarmi e qui non posso farlo.
C’è
troppa gente, troppi occhi. Non voglio sembrare
egocentrico…” Riuscì a
sorriderle. “… ma non mi va, capisci?”
“Credo di sì.” Rose si morse un labbro.
“Però… c’è una
cosa che non… io.” La
sentì distintamente trattenere il respiro. “Ci
stiamo lasciando?”
Non aveva mai visto Scorpius
così serio. Certo, un paio di volte, ma mai serio con lei.
Per lei aveva sempre gran
sorrisi e ironia. Adesso era come…
…
come se fossi una degli altri?
Scorpius si ficcò
le mani in
tasca. Non era un buon segno quando lo faceva. Voleva dire che era in
difficoltà.
Non
ha il coraggio di dirmelo? Certo che ce l’ha. Ora
lo dirà. Dirà che l’ho deluso e ferito
e mi pianterà.
Sapeva di essere insicura
fino
alla patologia, ma benedetto Merlino, non ne aveva forse donde, quando
il suo
ragazzo – ancora per poco? – aveva
quell’espressione così afflitta addosso?
“Io…”
“Ti prego, non
farlo. Non
lasciarmi. Io ti amo.” Le uscì di getto, in modo
mostruosamente inadeguato. Lo
sapeva che non si doveva supplicare in quei casi. Era stupido, era
buttare alle
ortiche l’orgoglio. Era patetico.
Ed
ovviamente l’ho fatto. Singhiozzando. Sei finita,
Rose.
Scorpius però non
sembrò
pensarla così. Perché tolse le mani di tasca e
l’abbracciò. La stretta era
leggera, gentile. Rose la ricambiò sforzandosi di non
aggrapparcisi.
Fallì.
“Sciocca
Rosey-Posey …” Lo
sentì mormorare trai suoi capelli ed ecco di nuovo quel tono
affettuoso e
ironico. Il suo tono.
“Non è questo
quello di cui stiamo parlando…”
Non voleva che fosse un
addio.
Era melodrammatico e non aveva intenzione di fare di Rose
un’eroina romantica.
Anche
perché non ne sarebbe capace. Rosie e il
romanticismo sono agli antipodi.
Le prese il viso tra le
mani,
fingendo di non sentirsi uno schifo per averla fatta piangere.
Altrimenti non
sarebbero andati da nessuna parte.
“Senti, sono
perdutamente
innamorato di te.” Le disse, perché di quello era
sicuro. “Mi hai ferito, ed io
ferito te con quella cretinata della scelta. Lo so.”
Aggiunse, vedendo che
tentava di protestare. “Ho bisogno di tempo però.
E ne hai bisogno anche tu.”
“Una pausa.” Intuì Rose e
sembrò che avesse voglia solo di piangere più
forte.
“Non… non finiscono mai bene le pause. Roxanne ne
ha prese tante, e sono finite
tutte…”
“Ehi.” La bloccò, asciugandole le
lacrime con il proprio fazzoletto. “No.
Quando dico pausa, io la intendo.”
Fece un passo indietro perché più la toccava,
più il suo autocontrollo cedeva.
Era ferito, era arrabbiato.
Ma
sembrava che non funzionasse granché bene di fronte alla sua
principessa in
lacrime.
“Cosa vuol dire
pausa? Il
significato.” Le chiese invece.
“Intervallo… sospensione momentanea di un
fenomeno.” Replicò perché era prima
della classe nell’anima. Tirò su con il naso,
lanciandogli un’occhiata confusa.
“Perché?”
“Perché noi siamo quel
fenomeno. E
per quanto mi riguarda, non siamo destinati a finire.” Si
passò una mano trai
capelli per tenerla da qualche parte. Aveva voglia di asciugarle le
lacrime o
abbracciarla e sapeva che sarebbe stata una pessima idea. “Ho
bisogno di allontanarmi
da questo circo, come ti ho detto. Starò un po’ a
casa… forse qualche
settimana, il tempo che ci vorrà.”
Non le stava dando dei tempi netti, ne era consapevole. Non le stava
dicendo
‘tornerò e sarà tutto come
prima’. Forse avrebbe fatto piangere e arrabbiare
una ragazza meno forte, ma Rose invece gli fece un sorriso. Piccolo, ma
saldo. Perché
era Rose Weasley, non una qualunque. Un piccolo fuoco di testardaggine,
forza e
generosità.
“Allora…”
Gli mormorò con tono
di nuovo fermo. “… torna presto Malfoy. Io ti
aspetto.”
So
please remember that I'm gonna follow through all the
way²…
****
Lily era rimasta al
capezzale
di Sören per un’ora: tutto si era sistemato, la
nebbia era scomparsa, i Dissennatori
erano stati catturati e…
Nessuno era venuto a
trovarlo.
Nessuno della sua scuola era
venuto a vedere come stava, neppure per un veloce controllo delle sue
condizioni di salute. Nessuno l’aveva cercato, in parole
povere.
Tutti gli studenti di
Durmstrang,
per quello che era venuta a sapere chiedendo un po’ in giro,
erano chiusi
dentro il vascello.
È
assurdo.
Passasse pure per i compagni
ordinari, che non sembravano sprizzare empatia e umana partecipazione
per la
disgrazie altrui: ma dov’era finito la sua spalla, il suo
assistente, quel
russo sgradevole?
Volatilizzato
nel nulla? Risucchiato in vortice
spazio-temporale?
Aveva dovuto chiamare aiuto
per farsi scortare da qualcuno fino all’infermeria.
Perché
non sono così brava con il wingardium leviosa
da trasporto feriti e non volevo fargli più danni di quanti
già non ne avesse.
Un guaritore, uno dei tanti
accorsi dal San Mungo viste le contingenze, l’aveva poi
visitato perché lei
l’aveva praticamente placcato. Gli
avevano quindi curato la ferita alla testa – era davvero
larga e impressionante
– e fatto bere una pozione fumante. Qualcuno doveva comunque
restare nei
paraggi e controllare se ci fossero stati cambiamenti nelle sue
condizioni.
Ed
indovina a chi tocca? A me! Non che mi spiaccia… ma
non dovrei esserci io al suo capezzale, a conti fatti.
Appoggiò un
gomito al
bracciolo della poltrona: si era ovviamente allungata con le gambe sul
letto.
Se
devo stare qui forse per ore… beh. Mi metto comoda.
Aveva lasciato le tende
socchiuse. Sapeva che a Ren avrebbe fatto piacere svegliarsi senza
vedere caos
attorno a sé, ma prima o poi qualcuno dei suoi sarebbe
venuta a cercarla.
O
magari qualcuno dei tuoi si accorgerà che finalmente
non ci sei…
Come
cavolo si fa a dimenticarsi del proprio Campione?
Lo osservò con
attenzione,
visto che non c’era molto da fare. L’amico sembrava
immerso in un sonno
profondo, di quelli senza sogni. Era tranquillo, per fortuna.
Però aveva
addosso i segni di una brutta ed intensa fatica.
La
Prova, direi.
Gli accarezzò il
viso con la
punta delle dita. Sören si limitò ad aggrottare
leggermente le sopracciglia.
È
proprio a pezzi… sembra persino dimagrito.
Non che fosse un brutto
ragazzo. Certo, di primo acchito aveva le labbra troppo sottili e gli
zigomi
troppo pronunciati. Anche i capelli, avevano un taglio tremendo da
nobile
gioventù magica.
Però se si
guardava meglio si
notava i lineamenti regolari, il modo gentile con cui si spianavano le
sopracciglia quando si rilassava. Anche quando sorrideva, aveva le
fossette.
E
poi vabbeh, gli occhi.
C’è
bisogno di una seconda occhiata, caro il mio Ren.
Ma vali davvero la pena.
Sören …
era complesso. Era
come se avesse degli strati.
Ed
io ho la vaga impressione di averne sfogliati solo
un paio.
La cosa la attraeva e
l’allarmava
al tempo stesso. Era una sensazione vaga, e succedeva sempre quando la
guardava
negli occhi troppo a lungo.
Non
che succeda spesso… è troppo cavaliere per
mettersi
a fissarmi.
Però quando
succedeva, quella
sensazione le si annidava dentro e non voleva andarsene.
Lily sospirò: era
stata una
lunga giornata e indulgere in quei pensieri non era una buona idea.
Si guardò
attorno: aveva
intravisto i genitori e si era anche informata delle condizioni del
resto del
clan. Non che sia stato particolarmente
difficile. Siamo sempre sulle luci della ribalta…
Però voleva
andare a trovare
Al, che sapeva dall’altra parte dell’infermeria.
Dovrei
proprio andare… o mi becco la palma di sorella
peggiore dell’anno.
Tanto
Ren dorme…
Si alzò a sedere,
chinandosi
sul ragazzo. “Ti lascio solo qualche minuto, vado a vedere
come sta mio
fratello… tu fa’ il bravo.”
Mormorò, certa che comunque non potesse sentirla.
A quel punto Sören
le afferrò
di scatto un polso. Sussultò sorpresa. Era sveglio?
Occhi chiusi. Dormiva ancora
profondamente.
…
è un riflesso condizionato.
Sorrise appena, sentendo una
stretta al cuore. “Okay Ren… tranquillo. Resto
qui…” Si risedette, coprendo la
mano dell’altro con la sua. Solo allora la presa fu
allentata. “Non vado da
nessuna parte.”
Non
è sveglio, eppure si è accorto che me ne stavo
andando… Quante diavolo di volte l’hanno
abbandonato perché abbia un riflesso
così?
Non che fosse un esperta di
psico-magia: solo conosceva un’altra persona che aveva
riflessi del genere.
Papà.
Che ha una storia di abbandoni niente male.
Sua madre le aveva
raccontato,
in una sera di comunione tra donne, che quando era incinta di James non
era
raro che dovesse alzarsi la notte per andare in bagno. E tutte le volte
doveva
svegliare suo padre, perché l’afferrava nel sonno
e non la mollava.
E
se io non posso svegliare Mister Koala…
Non le restò che
ingegnarsi
perché la sistemazione non le fosse scomoda.
La noia non fece tempo a
sopraggiungere, perché qualcuno scostò le tende:
era Tom, in jeans e maglietta
con strambi disegni geometrici babbani ³.
Oh,
ah. Pink Floyd. Un altro gruppo rock. Carina però.
Questo le ricordò
quanto
intensamente volesse cambiarsi.
“Ah, mi sembrava
fossi tu…”
Esordì quello come se vederla piegata come un origami su un
ragazzo fosse una
cosa perfettamente normale. “Che cos’ha?”
“Botta in testa.” Spiegò concisa,
perché delle spiegazioni del guaritore non ci
aveva capito poi molto. Solo la parte sul vegliare.
“Tu?”
“Niente. Zio Harry mi ha impedito persino di rompermi
un’unghia. Non li ho
neanche visti, i Dissennatori.” Spiegò, come se
fosse una cosa irritante. “Ti
sta stritolando il polso o sono io?” Aggiunse inarcando un
sopracciglio.
“Tu hai un
succhiotto enorme sul collo, o
sono io?” Replicò
facendolo avvampare. Era un fenomeno così raro che andava
gustato al suo
meglio.
“Sei
tu.” Borbottò coprendosi
inutilmente la parte incriminata. “Che cosa gli è
successo esattamente?”
“Quanto sei noioso…” Replicò,
però sotto il suo sguardo sezionante, fu
costretta a continuare. “Credo sia
caduto mentre scappava dalla tenda dei campioni. L’ho trovato
io, e c’era un
Dissennatore… ho fatto scappare il Dissennatore. Ho chiamato
aiuto. Siamo qui.”
Concluse.
Tom la guardò per
un lungo
momento senza dire niente. “Hai prodotto un patronus?”
“Sì, però se lo dici in giro non ti
crederà nessuno, ho idea.”
“Sei piuttosto
stupida a far
finta di essere stupida.”
“E tu a far finta di essere un misantropo quando in
realtà ti piace un sacco di
gente.”
Dovettero raggiungere una
tregua con quello scambio di battute, perché Tom
sospirò e a lei venne da
ridere. “Vuoi che ti faccia compagnia?” Le chiese
poi, lanciando un’altra
occhiata a Sören. Sembrava volerlo studiare, tra la
curiosità e la
preoccupazione.
Curiosa
espressione davvero.
“No, tranquillo.
Però vorrei
sapere come sta Al…”
“Bene.” Si incupì improvvisamente
l’altro. Quasi ringhiò. “Maledettamente
in
forma, quella serpe.”
“C’entra
il succhiot…”
“Non voglio parlarne.” Tagliò corto
facendola ridacchiare. “Quindi non si
sveglierà in tempi brevi?”
Lily lo guardò perplessa. “No, non
credo… Il guaritore ha detto che non
dovrebbe farlo prima di domani. Perché?”
“Voglio
controllare una cosa.”
Si avvicinò, chinandosi sul braccio destro di Sören
e tirando su la manica
della casacca.
“Che
fai?” Chiese incuriosita.
Tom non rispose, ma esaminò invece con attenzione il
braccio. Lily non capì: era
solo un braccio.
Un
braccio normale?
Anche Tom sembrò
pensarla
così, ma ne fu anche contrariato. “Non
capisco…” Disse poi.
“Non capisci
cosa?”
“Niente.” Ovviamente. Non che si fosse aspettata
una risposta diversa.
Tom
Mille Segreti.
La sua richiesta di
chiarimenti fu fermata da un’ulteriore entrata in scena, con
tanto di tende
scostate con violenza. Era Poliakoff.
“Ah, è
qui! Meno
male…”Borbottò in un inglese
approssimativo. Lily ebbe voglia di alzarsi e
piazzargli uno schiaffo in faccia, un bel cinque dita con tanto di
sonoro.
Molto
più gusto che ad usare la bacchetta.
“Ah,
sì, è qui.” Le uscì, e
non le fregò proprio niente di risultare sgarbata.
“Ma fai pure con comodo…
tanto non è che scappi. Visto che è
incosciente.”
Il ragazzo ebbe perlomeno il
gusto di sembrare un po’ a disagio. “Io ti ho persa
di vista… c’era nebbia.”
“Bastava chiedermi
di
rallentare.” Finse di non notare le sopracciglia inarcate di
Tom. Sapeva che
era raro vederla così arrabbiata. E sapeva di avere
probabilmente le orecchie
rosse.
Merlino,
odio quando mi succede. E mi fa arrabbiare
ancora di più!
Poliakoff si strinse nelle
spalle.
“Sì, ma lui sta bene, no?” Gli
lanciò un’occhiata sommaria. “Io ti
ringrazio da
parte della nostra scuola, ma ora dobbiamo spostare.”
“Spostarlo? E
dove? Sta male!”
“In nave. Durmstrang si occupa di suoi studenti. È
così.” Sbuffò quello, come
se quella conversazione fosse inutile e fastidiosa. “Su,
sciò.”
Sciò?!
A
quel punto ritenne doveroso piazzare
quello schiaffo.
La guancia tonda del ragazzo
fece un suono piuttosto pieno e soddisfacente.
Poliakoff la
guardò con gli
occhi sgranati per qualche secondo. Probabilmente, rifletté
Lily, non era
abituato all’idea che qualcuno potesse osare schiaffeggiarlo
come l’idiota che
era.
“Tu, piccola
schifosa!”
Sbottò, mettendo subito mano alla cintura, dove teneva la
bacchetta.
Lily fece un passo indietro, ma Tom si mise subito tra lei e il russo,
estraendo
la sua e puntandogliela al petto.
“No, non lo farei
se fossi in
te.” Gli comunicò calmo.
Mmh.
Sexy.
Magari era
un’impressione, ma
a Lily sembrava sempre che tra maschietti, la lunghezza della bacchetta
fosse
importante. E che intimorisse chi non la poteva vantare. Come stava
succedendo
al durmstranghiano.
“Che bel legnetto,
Kirill…”
Cinguettò. Tom le lanciò un’occhiata
tra l’esasperato e il divertito.
Ah,
Tommy. Sei un tipo sveglio, sapevo che avresti
capito…
L’altro fece un
passo
indietro. Era chiaro fosse combattuto tra il difendere il suo onore e
l’idea di
scontrarsi in infermeria con un altro studente.
“Voi non avete
diritto…”
Tentò.
“Sì
invece.” Ritorse anche se
probabilmente non era vero. “E questo atteggiamento
antipatico non ti porterà
da nessuna parte. Specie la parte sull’insultarmi.”
Poliakoff a quel punto
capì di
essere in inferiorità numerica. E pure intellettuale.
“Herr Direktor!”
Esclamò quindi a voce piuttosto alta. “Herr Direktor!”
Tom abbassò
subito la
bacchetta. L’uomo infatti entrò pochi attimi dopo.
Era parecchio alto, e
torreggiava su entrambi. Il che era notevole, vista l’altezza
di Thomas.
“Cosa succede? Ci
sono
problemi a spostarlo?” Chiese in inglese, una cortesia che
Lily sapeva essere solo
di facciata.
“Non proprio
signore. Questi
due studenti me lo impediscono.” Spiegò il russo
con tono petulante. Sul serio,
lo era. “Sono diventati aggressivi.”
“Non siamo due cani.” Osservò Tom, con
quel tono che Lily un pochino gli
invidiava. Lei, se la cosa le premeva, si scaldava subito. Tom invece
faceva
sembrare stupido l’interlocutore. “Comunque, non
sta a voi decidere se spostare
un paziente dell’infermeria. Ma a Madama Chips. Se ne
è al corrente, nessuno
qui avrà obiezioni…”
Lily capì
immediatamente,
dalle loro espressioni, che nessuno dei due aveva pensato a
quell’aspetto. Le
venne da sogghignare, e lo fece.
Alla
faccia vostra!
Non riusciva a capire come
mai
ci fosse stata quella tempistica strana, comunque. Per un’ora
buona nessuno era
venuto a chiedere niente, e poi improvvisamente si presentavano
assistente e preside con quella
richiesta assurda.
Sono
l’unica a cui non torna?
“Vado a
chiederglielo subito!”
Esclamò e aprì le tende per andare a cercare
l’anziana guaritrice. Non ci mise
molto a trovarla e anche meno ad esporle il problema facendola
indignare.
Due minuti dopo esatti, i
due
stranieri ebbero un rifiuto netto e deciso. A nulla valsero le
assicurazioni
del Preside.
“Questo ragazzo
è sotto la mia
diretta tutela da quando ha messo piede in questa infermeria. Non se ne
andrà finché
non sarà in grado di farlo con le sue gambe. Fine della
storia.” Sbottò spiccia
la donna.
Lily gongolò a
vedere l’aria inferocita
di Poliakoff.
Deve
proprio bruciarti che una ragazza ti abbia
schiaffeggiato e una donna ti abbia ordinato di levarti dai piedi, eh?
Il Preside au
contraire incassò il colpo senza
fiatare: fece un lieve cenno della testa e disse qualcosa circa la sua
sicurezza sul fatto che Sören sarebbe stato trattato bene. A
Lily sembrò piuttosto
sollevato.
Che
schifo di figura di riferimento. Se avessi un
direttore del genere mi farei trasferire.
Poliakoff invece, quando
l’uomo se ne fu andato, le si fermò davanti.
“Te ne pentirai, sai inglesina?”
Soffiò incattivito.
“Cos’è,
una minaccia?”
Replicò, sentendosi coraggiosa. Però
cercò anche Tom con lo sguardo e fu lieta
di trovarlo accanto a sé.
Il russo fece un sorriso
sgradevole. “Oh, no. Non è di me che io
parlo.” Replicò, prima di fare un
inchino sarcastico e allontanarsi, seguendo la scia del proprio
Direttore.
Lily si voltò
verso Tom. Che
non guardava lei, ma il ragazzo ancora addormentato. Sembrava aver
preso una
sorta di decisione, dallo sguardo e dalla linea salda della mascella.
“…
secondo te che voleva
dire?”
L’altro le
lanciò un’occhiata.
“Niente.” Disse scrollando le spalle.
“Voleva soltanto avere l’ultima parola.”
A Tom qualcuno doveva
proprio
dire che era pessimo, ad inventarsi le bugie.
****
Vascello
di Durmstrang.
Stanza
di Luzhin e Poliakoff.
Poliakoff era nervoso quando
aprì il baule di Sören. Non era sua
l’attrezzatura e fino a quel momento, non
era stato suo il compito.
Si umettò le
labbra, cercando
di contenere il trionfo e lo spavento che si sentiva in ogni angolo del
corpo.
Gettò una
manciata di polvere
volante dentro il piccolo fuoco portatile e poco dopo le fiamme gli
restituirono i lineamenti di Alberich Von Hohenheim.
Si inchinò
velocemente. “Per
la Thule, Magister.”
L’uomo fece un breve cenno con la testa. “Parla
Poliakoff.”
“C’è
stato un incidente. Sören
è rimasto ferito, ma non è nulla di permanente,
me ne sono assicurato
personalmente.” Snocciolò sentendosi il fiato
corto. “Adesso sta riposando nell’infermeria
di Hogwarts. Le sue condizioni sono buone.”
Nei lineamenti dello
stregone
non passò alcuna emozione. “Pensavo i vostri
feriti li curaste nel vascello.”
Fu l’unico commento.
Kirill deglutì sentendo saliva e nervosismo scendergli in
gola. “Infatti di
solito è così. Purtroppo gli inglesi non ce
l’hanno lasciato lasciato fare. Sören
è stato ritrovato da loro. Ho chiesto aiuto al Direttore, ma
non abbiamo potuto
fare nulla. Sanno essere testardi, e quella sgradevole ragazzina,
quella Potter…
è stata lei a strillare perché non fosse
spostato.”
Hohenheim lo
lasciò parlare, ascoltando
con attenzione. Il piacere che ne derivò per Kirill fu quasi
fisico. Suo padre
l’aveva sempre considerato un buono a nulla, un frutto marcio
dello stame di
famiglia.
Ed ora Hohenheim conferiva con lui. Nemmeno suo padre era mai
riuscito ad arrivare a tanto.
“L’ha
protetto?”
“Non troverei definizione migliore,
Eccellenza…” Confermò. “Penso
vorrà sapere
che con la Potter c’era anche Thomas Dursley.”
Tutti conoscevano l’importanza di quel ragazzo per il Magister, anche se lui personalmente non
ne sapeva il motivo.
Forse
lo conoscerò, con Sören fuori gioco.
“Molto
bene.” Era soddisfatto?
A Kirill lo sembrava. “Devono fidarsi di mio nipote,
Poliakoff. Deve entrare
nelle loro vite. Se diventa un protégé
di
quel piccolo…” Fece una smorfia di derisione.
“… clan, metà del lavoro è
compiuto.”
Poliakoff annuì,
anche se non
sapeva che lavoro stessero esattamente compiendo. Certo, sapeva in che modo l’avrebbe fatto, ma non perché. Non che avesse la
minima
importanza per lui.
Ce
l’ha solo nel modo in cui può migliorare la mia
posizione.
Se fosse uscito bene da
quella
storia, forse la sua entrata nella Thule sarebbe stata anticipata al
suo
diploma.
Il
più giovane membro dell’Organizzazione…
“Di certo lo
è diventato per
la Potter.” Commentò sarcastico. “Sembra
che gli si sia molto affezionata.”
Quella sciocca mocciosetta
credeva
Sören un principe azzurro solo per i suoi modi e i suoi
lineamenti nobili. Credeva
lui quello cattivo solo perché non era pieno di cortesie
come il principino.
“Molto bene,
Poliakoff.” Era
una sua impressione o c’era del compiacimento nel tono del Magister? Si inchinò ancora
più profondamente. “Stai facendo un
buon lavoro. Naturalmente, piccole iniziative personali verranno
premiate…”
Kirill alzò la testa, che aveva tenuta bassa tutto il tempo:
che avesse capito? Non gli diede il
tempo di
chiedere. “… ma ricorda il tuo compito
principale.”
Il russo annuì.
“Non lo
dimentico. Sorvegliare Vostro nipote, Eccellenza.”
Gli
equilibri in questa squadra non sono quelli che
pensi tu, principino…
Non
sono solo io quello in prova. Lo sei anche tu.
****
Note:
1. La canzone che mi ha
fatto
da colonna sonora qui .
2. Quella da cui è presa la strofa.
3. La maglietta in questione
qui . Sì, a Tommy piacciono tanto. Lily
invece li conosce solo di
nome e grazie ai programmi di musica babbana alla radio.
|
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Capitolo 31 *** Capitolo XXIX ***
Capitolo XXIX
Ho avuto tanti coltelli
bloccati dentro di me, quando mi danno in mano un fiore,
non
riesco a capire di cosa si tratta. Ci
vuole tempo.
(Charles
Bukowski, Urla dal balcone)
You know that I could use
somebody, someone like you¹.
(Kings
of Leon)
25
Novembre 2023
Scozia,
Hogwarts. Infermeria della scuola.
Mattino.
Sören si
svegliò con un dolore
atroce alla testa. Come se una lama gli stesse trapassando il cervello
da parte
a parte.
Era
nell’infermeria di
Hogwarts.
È
già la seconda volta…
Batté le
palpebre, mettendo a
fuoco il mondo. Era una mattina luminosa, e pulviscolo dorato dovuto
alla luce
che riempiva la stanza rendeva palese la bella giornata.
Quanto
ho dormito…?
Si passò una mano sulla fronte, trovandola fasciata. Era una
fasciatura che
correva lungo tutta la testa, ispessendosi sulla tempia sinistra. Era
lì, la
ferita. La sentiva pulsare tenacemente.
Si alzò a sedere
sul letto, ma
dovette fermarsi a metà strada perché la stanza
cominciò a girargli attorno e
un conato di vomito quasi gli tolse il fiato.
Maledizione.
Non ricordava come si fosse
ferito. L’ultima cosa di cui aveva memoria era
l’arrivo dei Dissennatori nella
tenda e la conseguente difesa con i patronus.
Sapeva che c’era qualcos’altro
però…
Lilian.
Il ricordo lo
assalì con la
potenza di un maremoto: Lily gli aveva salvato la vita. No, non solo.
Gli aveva
salvato l’anima.
Sentì il peso di
quella
rivelazione schiacciarlo. La ragazza che si supponeva avrebbe dovuto
sorvegliare
per la Thule gli aveva dato un debito che non sarebbe mai riuscito ad
estinguere.
Lo stesso debito che aveva
con
Hohenheim. Un debito di vita.
Sentì le tende
scostarsi, ed
entrò la giovane aiuto-infermiera. “Oh, ti sei
svegliato… come ti senti?”
“Cosa…
cosa mi è accaduto?”
Doveva concentrare i suoi pensieri su altro. Sul capire come si era
ridotto in
quelle condizioni, ad esempio.
“Hai ricevuto una
brutta
ferita alla testa. Dopo averti curato ti è stata
somministrata una pozione
soporifera per aiutare il tuo corpo a riparare il danno
naturalmente.” Gli
venne spiegato.
“Mi sento ancora
debole…”
“È normale.” Lo rassicurò
l’infermiera. “Hai perso molto sangue durante la
medicazione, hai bisogno di rimetterti in forze.” Lo
aiutò poi a sistemare i
cuscini di modo che fosse seduto senza tuttavia sentir fastidio alla
testa.
“Adesso devi pensare a riposare. Entro un paio di giorni
sarai come nuovo.” Gli
assicurò. “Vuoi fare colazione?”
“No, la ringrazio. Magari dopo.” Sorrise con
cortesia. Non doveva mostrarsi
nervoso o scostante o probabilmente avrebbe capito quanto
volesse andarsene. Lasciò quindi che facesse i controlli di
rito. Mentre gli passava la bacchetta accesa da un tenue lumos
davanti alle pupille per controllargli i riflessi,
Sören non poté
fare a meno di chiedersi dove diavolo fosse finito Poliakoff.
Quell’idiota
è il mio unico aiuto e contatto con mio
zio. Sarà stato lui a riferirgli della riuscita
dell’operazione. Ne sarà stato
estasiato.
“Qualcuno
è venuto a
trovarmi?” Si informò neutro. La ragazza fece un
sorriso, come se sapesse a chi
lui si stesse riferendo.
“Se intendi Lily
Potter è
stata qui fino alla fine dell’orario di
visita…”
Questo non lo fece sentire
meglio. Ignorò forzosamente l’istinto di chiedere
se la grifondoro avesse
riportato danni di alcun genere.
Dopotutto
ha affrontato un Dissennatore…
Non era quello che gli
interessava. Se lo ripeté più volte prima di
convincersi. “No, intendo qualcun
altro. Qualcuno della mia scuola.”
L’infermiera sembrò delusa dalla sua reazione
fredda. “No, nessuno mi sembra…”
Non era una risposta
definitiva, ma comunque ebbe il potere di inquietarlo:
perché Poliakoff non era
lì? Dov’era?
Devo
sapere se ci sono stati problemi.
Devo
parlare con zio. Devo sapere cosa devo fare
adesso.
Aveva bisogno di risposte,
perché senza di esse sarebbe probabilmente impazzito.
“Quando
potrò lasciare
l’infermeria?”
“Non lo so. Non sta a me deciderlo, mi
dispiace…” La donna ripose la bacchetta
e gli riempì un bicchiere d’acqua. Lo bevve
avidamente. Fino a quel momento non
si era accorto di quanta sete avesse. Perché non era
importante. “Madama Chips
verrà a visitarti tra poco. È lei che
firmerà eventualmente il tuo foglio di
dimissioni.”
“Sto bene. E posso riposarmi anche nel mio
vascello.” Insistette. “Contatti il
mio Preside, le dirà la stessa cosa.”
Sono
uno studente adesso… non ho alcun potere di
impormi, maledizione.
“Credo
ci sia già stata una disputa su
questo…” Replicò quella.
“Tutti gli studenti che si fanno male ad Hogwarts,
sono curati nell’infermeria della scuola. Sono le
regole.” Gli mise una mano
sulla spalla e lo spinse nuovamente contro i cuscini, con ferma
gentilezza.
“Pensa solo a riposarti. Sei al sicuro qui.”
Sören trovò irritante quella rassicurazione. Non
era certo spaventato o in
pericolo.
Io
faccio parte del pericolo…
Ma lasciò che
l’infermiera gli
sistemasse le coperte e sprimacciasse una seconda volta i cuscini.
Ho
davvero un aspetto così miserabile, che giustifico
tutte queste premure?
Quando se ne fu andata,
fissò
gli occhi al soffitto e si impose di ragionare senza farsi divorare
dall’ansia:
quello stato mentale non l’avrebbe portato da nessuna parte.
Fai
il punto della situazione. Adesso.
Il piano era riuscito, per
quanto gli era stato dato di vedere.
…
e sperimentare sulla mia pelle…
A quel punto avrebbe dovuto
avere nuovi ordini. Senza Poliakoff o il fuoco portatile nella sua
cabina però
era in una situazione di stallo.
Aveva molte domande che gli
si
avvicendavano in testa, e ben poche risposte.
Perché
Lily era lì? Come ha fatto a trovarmi?
E la peggiore di tutte.
Cosa
dovrò fare del debito che ho contratto nei suoi
confronti?
Sören si riteneva
molte cose.
Un soldato, uno studioso, un servitore e uno strumento nelle mani di
fini più
grandi di lui. Ma aveva una cosa che talvolta lo faceva sentire migliore di gente come Kirill o John
Doe: un codice morale.
Opinabile,
forse. Ma mio.
Era stato suo padre a
tramandarglielo, se questa era la parola giusta: Elias Prince era stato
un uomo
freddo e chiuso, un mago che aveva votato la vita alla ricerca, ma
anche se era
stato sterile nell’affetto, gli aveva tramandato dei valori.
Quelli ed un
anello, era tutto quello che gli era rimasto di lui.
“Ricordati
Sören che dovere la vita ad una persona porta
al massimo grado di rispetto che puoi provare per un altro mago.
È ciò che
provo per tuo zio Alberich. È una consegna che non si
dimentica mai.”
C’è
un problema padre. Io provo tutto questo per la
mia… vittima?
Cos’è
Lily poi?
Non in generale.
Perché in
generale Lilian Potter era solo una strega quindicenne: con
capacità spesso
nascoste e interessanti e dotati di un dono singolare, ma
nient’altro.
Ma
per me. Cos’è per me?
Per Luzhin,
l’identità che si
era costruito, era un’amica. Ma per lui?
Si passò una mano
sul viso:
era maledettamente confuso.
Doveva parlare con suo zio,
a
qualunque costo. L’ansia gli stava rodendo lo stomaco come un
parassita con la
sua pianta ospite. Non avrebbe retto a lungo quei lenzuoli inamidati e
quell’immobilità.
Sbirciò oltre le
tende:
l’infermeria era deserta. Probabilmente chi era stato ferito
il giorno prima si
era rimesso a sufficienza per poter tornare a casa.
Scostò le coperte
e mise i
piedi a terra. Il capogiro lo aggredì di nuovo ferocemente,
ma dopo qualche
attimo per fortuna si calmò, lasciandolo solo un
po’ stordito.
Devo
tornare al Vascello. Adesso.
Trovò i propri
vestiti piegati
ordinatamente dentro l’armadietto a fianco del letto, come
l’ultima volta. Erano
quelli con cui aveva disputato la Prova, ma erano stati lavati e
ripuliti dalla
terra e dal sangue. Li indossò, sentendo che ogni movimento
gli strappava un
po’ dell’energia che aveva recuperato.
Infilò poi la bacchetta nei passanti e
calzò l’anello dei Luzhin.
Gli sembrò che
gli stringesse
l’anulare come un nodo di corda grezza.
Osservò
l’aiuto-infermiera
rifare un letto, e quando gli diede le spalle sgusciò via
dalla sua posizione e
in pochi attimi raggiunse il portone.
Quando si trovò
nel corridoio
però sentì la nausea esplodere e la vista gli si
offuscò. Si appoggiò ad un
muro, inspirando lentamente.
Quanto
forte ho battuto la testa per ridurmi così?
Sempre
che l’avesse battuta.
Il dubbio si
insinuò con la
velocità di un serpente. Era strano
che si fosse causato un danno simile, persino in una situazione di caos
e
panico come quella che aveva vissuto.
Anche
se qualcuno mi avesse spinto… non ricordo di aver
perso il controllo della situazione. Stavo uscendo assieme agli altri,
affrettandomi come gli altri… ma non ricordo nessuna spinta,
né che qualcuno mi
sia venuto addosso. Erano quasi tutti davanti a me.
Chiuse un attimo gli occhi.
La
cosa gli diede sollievo. Non sentiva voci o rumori attorno a
sé: probabilmente
gli studenti a quell’ora dormivano ancora o stavano facendo
colazione in Sala Grande,
quindi ben lontano da dove si trovava.
Meglio
così.
Non aveva voglia di vedere
nessuno. Solo Poliakoff e suo zio via fuoco magico. Non voleva vedere
Lily.
“Se posso
permettermi un
consiglio, avrebbe dovuto ascoltare Milly, Signor Luzhin.”
La voce lo colse completamente di sorpresa. Sören si
voltò, cercando l’origine
di quelle parole, ma non la trovò.
Non in una persona in carne
ossa perlomeno.
“Sono qui, si
volti, ma faccia
con calma… ha davvero una brutta cera, ragazzo
mio.”
Sören obbedì, sentendo che le sopracciglia
rischiavano di scomparirgli oltre
l’attaccatura dei capelli.
Era stato uno dei dipinti
alle
pareti a parlare. Uno dei famosi quadri magici di Hogwarts, con cui
peraltro
aveva già avuto più di una surreale
conversazione.
Quella
con di fronte all’entrata della Torre di
Grifondoro. Quella nell’ufficio del Preside.
La tela in questione era
dietro alle sue spalle ed era occupata da una sedia e uno scrittoio
dall’aria
vetusta. E c’era seduto dietro nientemeno che
l’ex-preside di Hogwarts, nonché
celeberrimo mago Albus Silente.
“Salve.”
Disse. “Le andrebbe
di scambiare quattro parole con un vecchio quadro?”
****
Hogwarts,
Sotterranei.
Dormitorio
Serpeverde, Mattina.
Tom si annodò con
attenzione
la cravatta. Non era facile farlo in pieno buio.
Lanciò
un’occhiata al letto,
dove Al dormiva. Era un sollievo persino sentirlo respirare
rumorosamente con
il naso. Un po’ meno rischiare di rompersi l’osso
del collo perché il signorino
non voleva che accendesse
la luce, visto che quel giorno non sarebbe andato a lezione, causa
infortunio.
Dormire con lui comunque era
stato più facile del solito: semi-infermo si era limitato a
restare disteso, invece
che tirargli calci alle caviglie o al peggio gomitate nello stomaco.
Ad ogni buon conto lui era pronto per una nuova giornata ad
Hogwarts.
Ma
se provano a far sembrare come se non fosse accaduto
nulla…
Che poi era probabilmente
l’atteggiamento che avrebbe adottato il corpo scolastico. Ma
sarebbe stata solo
superficie.
È
successo qualcosa di grosso. Forse fermeranno
addirittura il Torneo.
Non poteva saperlo
finché non
fosse stato in mezzo a tutti i pettegolezzi del giorno:
cioè, prosaicamente, doveva
andare in Sala Grande per sapere qualcosa.
Lanciò
un’occhiata allo
specchio, inutilmente. Probabilmente sarebbe dovuto uscire a tentoni.
Allora si
chinò su Albus.
“Se
avrò la cravatta storta
sappi che te la farò pagare.” Lo
avvertì chinandosi al suo orecchio per
amplificare l’effetto.
Per tutta risposta
l’altro
arricciò il naso e borbottò qualcosa nel sonno.
Tom sorrise e gli diede un
bacio a fior di labbra. Dovette anche arruffargli i capelli,
perché era una
tentazione irresistibile. “Non metterti nei guai mentre non
ci sono…” Lo
ammonì.
Sarebbe stato capace di
farlo,
ne era certo. Lo faceva sempre dopotutto.
Gli infilò con
cura Jenkins Il
Prezioso Boccino di Peluche sottobraccio e uscì, prima di
essere nominato
fidanzatino svenevole dell’anno.
Gli stretti corridoi del
dormitorio Serpeverde erano già pieni di insonnoliti
residenti, che si trascinavano
verso la Sala Comune più o meno vestiti. Tom
salutò con un cenno della testa un
paio di ragazzi che gli augurarono il buongiorno. Nonostante tutto, si
sentiva
bene quando vedeva quel mare di divise verdi-argento.
Forse
ha ragione Lily… forse gli altri esseri umani non
sono così tremendi.
Sono
solo noiosi.
Quel pensiero lo
riportò al
giorno prima. Al siparietto assurdo a cui aveva assistito – e
partecipato –
accanto al letto di Sören Luzhin. L’aveva fatto per
Lily; quell’incosciente
sarebbe stata capace di causare un incidente inter-scolastico solo per
un punto
di principio. Ma questo gli aveva anche dato modo di notare delle cose.
Luzhin aveva un peculiare
rapporto con la propria scuola. Sembrava che tutti lo considerassero
meno di
zero, a partire dal Preside per finire con il suo assistente.
Com’è
possibile, visto che è il Campione, lo stendardo
stesso di Durmstrang?
Era come se lo mal
tollerassero. Come se fosse…
Un
estraneo. Ecco la parola giusta. Sembrano
considerarlo un estraneo.
Naturalmente teneva quei
ragionamenti per sé. Ma li sviluppava e ampliava fino a
inquietanti
conclusioni.
Qualcuno
ha portato qui i Dissennatori ed ha creato
quella cortina di nebbia.
Che
lui c’entri qualcosa?
Era un tarlo che non gli
dava
tregua da un po’. Naturalmente non ne aveva fatto parola con
nessuno. Non aveva
nessuna prova che potesse collegarlo all’organizzazione di
suo padre: solo suoi
ragionamenti e qualche speculazione.
Sembra
troppo esperto per essere ancora uno studente.
Troppo controllato.
Tutti
i suoi compagni lo ignorano o lo evitano apertamente.
L’ho
beccato un po’ troppe volte a fissarmi. E mi ha
fatto delle strane domande quel pomeriggio ai Tre Manici.
Sospirò, entrando
nella Sala
Comune ed afferrando un numero della Gazzetta, uno dei tanti
ordinatamente
impilati sui tavolini.
Ovviamente quelle sue osservazioni potevano essere falsificate
facilmente.
È
esperto sì, ma forse è per questo che
l’hanno
designato come Campione. Perché è superiore alla
media, ed è inoltre
universalmente risaputo che a Durmstrang i migliori lo sono davvero.
I
compagni potrebbero evitarlo per invidia. Pare che ci
sia un grosso anelito competitivo tra di loro.
Mi
fissa perché Lily gli avrà raccontato delle
mie…
avventure… dell’anno scorso. Potrebbe essere
semplicemente curioso.
La faccenda
dell’anello, l’anello
col blasone che non sembrava il suo, invece non trovava spiegazioni. Ma
anche
quella poteva essere solo una sua elucubrazione mentale.
Si infilò il
giornale
sottobraccio. Lo avrebbe letto con calma, a colazione. Fece per varcare
l’arco
di pietra dell’entrata quando sentì una risatina e
un mormorio. In una lingua
che non conosceva, ma che gli sembrò francese.
Si voltò
incuriosito e trovò
uno spettacolo quantomeno… sorprendente.
Michel era sulla porta che
conduceva al dormitorio maschile e con lui c’era un biondino
che vestiva
l’uniforme di Beaux-Batons. Si stavano baciando o, come
prosaicamente avrebbe
detto Hugo, si stavano esplorando vicendevolmente la trachea.
Tom non poté fare a meno di essere parimenti in imbarazzo e
soddisfatto: se
Michel tornava a caccia, perlomeno avrebbe avuto meno tempo da dedicare
ad
Albus.
Ad una seconda occhiata
notò
che il biondino era nientemeno che l’assistente di Dominique,
quel Mael.
La terza occhiata non volle
darla, ma la coppia la diede a lui.
“Ah,
Dursley.” Disse Michel,
perfettamente a suo agio, a differenza del compagno che lo
guardò con una
divertente espressione ostile. “Buongiorno.”
“Altrettanto a
voi…” Replicò
con un sorrisetto. “Non sono più un prefetto, ma
credo di essere piuttosto
certo che la presenza di altri studenti nella nostra Sala Comune non
sia
autorizzata…”
“Vero.” Replicò l’altro senza
scomporsi. “Mael, vas-y. Nous nous verrons plus
tard².” Disse baciando distratto le labbra
del ragazzino. Che a Tom sembrò
al massimo avere quindici anni.
Il
che è improbabile visto che è un Assistente,
quindi
per forza maggiorenne.
Comunque era del genere
minuto
e pieno d’energia. Carino.
A
quanto pare condividiamo la stessa tipologia di
ragazzo…
“Non mi ricordavo
sapessi il
francese…” Osservò dopo che il biondino
fu scappato via.
Sapeva di dovere delle scuse
a
Zabini o perlomeno di doverci parlare. Meglio quindi iniziare da un
argomento
neutro.
“Mio padre
è di origini congolesi³.
Almeno per parte di madre…” Specificò
con aperta supponenza. “Inoltre, è una
lingua gradevole al palato e mi piace rispolverarla di tanto in
tanto…” Concluse
scrutandolo. Era diffidente, poteva leggerglielo chiaramente in faccia.
Considerando
che l’ho coinvolto in un duello magico e in
una volgare rissa babbana…
“La rispolveri nel
vero senso
della parola, vedo…” Se gli avesse semplicemente
chiesto scusa, Michel ne
avrebbe approfittato per assumere una posizione di
superiorità. Cosa che non
poteva permettergli. Doveva girare a largo.
“Mael è
delizioso. La sua
parte Veela è stata un’affascinante
scoperta.” Non gli sorrise, ma Tom poté
vedergli una scintilla di divertimento nello sguardo.
Adora
parlare di quant’è bravo a portarsi a letto
qualcuno…
Quello se lo ricordava bene.
E
l’avrebbe anche considerata una nota di colore della sua
persona, tutto sommato.
Se
non avesse tentato di portarsi a letto Al.
“Sai qualcosa
degli sviluppi
della situazione? Il Torneo è stato sospeso?”
Chiese, perché non l’avrebbe mai
ammesso, ma chiedere scusa ad una persona di cui era geloso era
difficilissimo.
Quindi era meglio tergiversare.
Zabini inarcò un
sopracciglio.
“Da quando ci parliamo di nuovo, Dursley?”
Colpito
e affondato.
Tom a quel punto dovette
deporre le armi. “Da quando suppongo di doverti delle
scuse.” Vedendo che
l’altro restava in silenzio sbigottito, continuò.
“Ho saputo che hai trovato
Al. Che l’hai salvato e ti sei occupato di lui…
grazie.”
“Delle scuse e un ringraziamento. Francamente
shockante.” Motteggiò, ma con
meno acrimonia di quanto ne avesse messa in tutte le loro ultime
conversazioni.
Era troppo vanitoso per non apprezzare il valore
dell’umiliazione altrui. “Ma
non l’ho fatto per te.”
“Precisazione inutile.” Ribatté. Gli
sembrava di essere in un’arena. Quello era
persino più difficile che prenderlo a pugni. “So
che tieni ad Al. In modi che
non mi piacciono affatto… ma gli vuoi bene e ti preoccupi
per lui.”
“È vero.” Confermò lentamente
il moro. Fortuna voleva che la Sala Comune in
quel momento fosse deserta, o Tom era certo che qualcuno avrebbe
cominciato a
piazzare scommesse sull’esito di quella loro conversazione.
Loki,
probabilmente.
“Per questo
motivo… non
ostacolerò la vostra amicizia.” Non sarebbero mai
tornati in buoni rapporti,
quello lo sapevano entrambi. Erano corse troppe parole, troppe azioni
perché
accadesse. Ma potevano convivere.
Del
resto, siamo Serpeverde. Non tignosi grifondoro.
Michel fece una smorfia
ironica. “Vuol dire che non tenterai più di
affatturarmi o picchiarmi se mi
vedrai vicino a lui?”
“Esatto.” Confermò serio. “Al
soffre di questa situazione… e non voglio che sia
per causa mia. Voglio che sia felice. Ed è felice di averti
come amico e di
passare del tempo con te … quindi la cosa va da
sé. Non darò più problemi.”
Dire quelle cose gli
costava,
molto. Una parte di sé stava premendo perché non
lo facesse, perché tenesse
lontano Zabini da Al. Tutti, da Al.
La
stessa parte che vorrebbe che lo rinchiudessi in una
torre e buttassi via la chiave.
E
non metaforicamente.
Michel lo squadrò
a lungo, poi
annuì semplicemente. “Va bene …
apprezzo che tu ti sia sforzato di ragionare nuovamente
come un essere umano normale. Più
o meno.”
Stirò un mezzo sorrisetto.
“C’è di che rallegrarsene. Un giorno
potresti anche
diventare un bambino vero.”
“Va’ al diavolo, Zabini.”
Replicò, e gli uscì di tutto cuore.
L’altro per non
parve
adontarsene, limitandosi ad un ghignetto. “Dovremo stringerci
la mano a questo
punto, Tom…” Suggerì invece.
“Come vecchi nemici che smettono di odiarsi.”
“Non ho smesso di odiarti.” Replicò
sullo stesso tono. Era un equilibrio labile
tra faceto e verità. Probabilmente significava questo essere
rivali. “Ti
sopporto, perché altrimenti Al diventa
fastidioso.” Gli uscì fin troppo
sinceramente, e se ne pentì quando Michel lo
guardò con aria esilarata, facendo
poi una breve risata.
“Temo proprio che
nella coppia
non sia tu a portare i pantaloni, Dursley…”
“In camera da
letto,
regolarmente, nessuno di noi due li porta.” Gli rispose,
lasciandolo spiazzato.
Gli augurò poi una buona colazione, uscendo dalla sala prima
che si riprendesse
dalla sorpresa.
Ho
una buona memoria. E le battute di Lily ti si
stampano a fuoco in mente, purtroppo.
Fece un sorrisetto, solo per
sé stesso, arrotolando il giornale sotto il braccio.
Poteva scusarsi e
ringraziare
Michel, certo.
Ma questo non significava
che
gli avrebbe mai lasciato l’ultima parola.
****
Corridoio
davanti all’infermeria.
“Lei…
vuole parlare con me?”
La cosa gli sembrava talmente assurda da rasentare il ridicolo.
Sören non aveva la
minima idea
di come comportarsi. Del resto era la prima volta che veniva
apostrofato dal
quadro di un mago leggendario.
Non era Silente,
naturalmente.
Ma era pur sempre…
Un
dipinto. È il suo dipinto, idiota.
Per
Agrippa, che diavolo stai facendo? Stai solamente
perdendo tempo.
“… mi
perdoni, ma ho una certa
fretta. Magari un’altra volta.” Tentò di
svicolare. Allora il mago gli sorrise,
senza dire nulla.
Sören si
sentì strano. C’era
tanta di quella bontà e comprensione in quel sorriso che
saltò agli occhi
persino a lui, ben poco abituato a quel genere di manifestazioni di
simpatia.
“Penso che
perlomeno dovrebbe
riprendere fiato, sembra averne un gran bisogno. Posso assicurarle che
non verrà
scoperto nel poco tempo che passeremo assieme. A quest’ora
questi corridoi,
salvo emergenze, sono deserti.”
Ha
capito che non sono stato dimesso regolarmente…
Sören
rifletté velocemente: Lily gli
aveva più volte ripetuto come i quadri di quella scuola
fossero chiacchieroni.
Avrebbe potuto denunciare la sua scomparsa.
Meglio
evitare.
“E sia.”
Si appoggiò al muro
opposto, tirando un sospiro di sollievo. Ne traeva giovamento, il
giramento di
testa si era affievolito. “Di cosa desidera
parlarmi?”
“Veramente ho
avuto voce che
sia stato lei, a chiedere di me.” Fu la risposta. Le lenti a
mezzaluna di quel
mago brillavano come se fossero vetro vero. Il pittore aveva avuto una
mano
particolarmente abile nel dipingere quelle e gli occhi.
“Io?”
Chiese comunque, non
avendone immediato ricordo.
…
ah, quando sono stato chiamato nell’ufficio del
Preside. La faccenda di Severus Piton. Della madre di Piton.
Ricordò tutto di
colpo. Fece
quindi un lieve cenno della testa. “Sì, ma non
è importante, non si preoccupi…
era semplice curiosità.”
“Sarei felice di soddisfarla. La curiosità
è un pregio delle menti giovani.”
Replicò il mago con bonomia. “Mi è
stato dato da intendere che si fosse
interessato a Severus.”
“Piton,
sì.” Confermò. A quel
punto poteva pur togliersi quel sassolino dalla scarpa. Una pietruzza
di poco
conto, ma visto che non poteva andarsene senza mancar di rispetto al
quadro…
“Gli
somiglia.”
L’asserzione dell’anziano stregone lo
lasciò confuso. “… gli
assomiglio?”
“Gli occhi.” Spiegò agitando una mano
davanti al viso. “Avete lo stesso sguardo
penetrante. È forse un lontano parente?”
Quel ritratto, sebbene fosse carta e colore, doveva evidentemente
contenere
tracce dell’antica, brillante intelligenza
dell’uomo che vi era raffigurato.
Sören fece un breve
calcolo
mentale: rivelare alcune informazioni sulla sua vera
famiglia ad un quadro non gli sembrava particolarmente
pericoloso. Dopotutto suo padre non era mai comparso nei complessi
arazzi
familiari degli Hohenheim e lui stesso era conosciuto con il cognome di
suo
zio, dato che era stato da lui formalmente adottato.
Inoltre, quel sassolino
proprio non voleva saperne di togliersi dalla sua scarpa.
Certo,
sarebbe quantomeno… peculiare…
che
proprio io fossi parente di uno dei celebri salvatori del Mondo Magico.
“… La
madre del Preside Piton
era una strega purosangue?” Chiese, invece di rispondere.
“Sì, apparteneva ad una Casata ora estinta, ma al
tempo piuttosto influente. Sono
stato suo professore di Trasfigurazione.” Gli fu confermato.
“Eileen Prince…
ragazza molto introversa. Solitaria. Ahimè… per
quanto mi sembra di ricordare, letteralmente
schiacciata dalle pressioni della sua famiglia.”
Prince.
Non poteva essere solo una
coincidenza. La madre di Severus Piton era una Prince, come lo era
stato suo
padre.
E
come, dopotutto, lo sei tu.
“Ha
avuto… altri Prince nel
tempo in cui ha insegnato?”
“Credo un fratello minore, sempre che la mia limitata memoria
non mi inganni…”
Si toccò la tempia con un sorriso leggero.
“Purtroppo non ne ricordo il nome. È
passato molto tempo e dopotutto, sono solo un quadro.”
…
Mio padre era suo fratello. Io e uno dei Salvatori di
Hogwarts siamo cugini di primo grado.
La cosa ebbe il potere di
lasciarlo stordito: suo zio non gli aveva mai parlato di quella parte
della
storia della sua famiglia. Né tantomeno lo aveva fatto suo
padre.
Perché?
Cosa c’è da nascondere? È stato un
eroe.
Forse
è meno importante del fatto che fosse un
mezzosangue?
Probabilmente era quello:
suo
padre aveva sempre sposato le idee sul sangue puro di suo zio.
Naturale,
tutti i purosangue della passata generazione
lo facevano.
Solo dopo la seconda guerra
magica le cose erano cambiata, ma per gente come lui, era
più saggio continuare
a professare le idee dei genitori.
Non ci aveva mai riflettuto,
ma i grandi maghi della storia contemporanea erano quasi tutti di
sangue
impuro.
Harry
Potter, i suoi compagni… Severus Piton.
“Era questo che
voleva sapere,
Signor Luzhin?” Il mago lo strappò alle sue
riflessioni.
Si umettò le
labbra, indeciso
su cosa rispondere. Optò poi per un sorriso cortese.
“Sì, era questo. Mi è
stato di grande aiuto, Signore. Le sono grato.”
“È una
ben magra fatica la
mia… si tratta solo di ricordare.” Fu la risposta
cordiale. Non aveva mai
smesso di sorridergli. Lo metteva a disagio. “Posso quindi
azzardare l’ipotesi
che lei sia un parente?”
Non
demorde.
“Alla
lontana.” Confermò guardingo.
“Come ho detto, ero curioso. Ho visto il ritratto, ed ho
notato delle
somiglianze con alcuni… miei familiari.” Il
capogiro era scomparso e stava
riprendendo lentamente le forze. Era ora di congedarsi. “Ma
non so molto di
quel ramo della mia famiglia. Mi era stato detto fosse del tutto
estinto.”
“Infatti
è così. Purtroppo il
matrimonio della povera Eileen con un babbano minò la
credibilità dei Prince
agli occhi delle altre famiglie della nobiltà magica. Allora
una cosa simile
era equiparabile ad una condanna a morte, quantomeno sociale.”
“Nessuno desiderò più imparentarsi con
loro e dunque contrarre matrimoni…” Lo
anticipò.
“Ed essendo Eileen
e suo
fratello gli ultimi eredi… non ci volle molto prima che
l’intera famiglia
finisse nell’oblio, esattamente.”
Confermò grave. “A volte l’onore, da
trofeo diventa
un’ancora che ti trascina a fondo…”
Sören fece una
smorfia.
“L’unica colpevole fu Eileen.”
“Lei
crede?” L’uomo inarcò
leggermente le sopracciglia, cosa che gli diede un’aria di
fanciullesco
stupore, nonostante le rughe che gli solcavano il viso.
“Eileen fece una
scelta. Scelse per amore, e al di là delle future
conseguenze, scelse in base a
ciò che il cuore le comandava.”
“Senza nessun riguardo per la sua famiglia.”
Sbottò e si stupì lui stesso
dell’acrimonia che trovò nella sua voce. Dopotutto
era un fatto vecchio di decadi.
“Una famiglia che l’aveva creata e
cresciuta.”
“Creata…
interessante scelta di
termini, Signor Luzhin. Lei crede che ad una famiglia si debba sempre
cieca e insindacabile
lealtà?”
“Non capisco cosa intende.” E davvero, non lo
capiva. Era come se non stessero
parlando di Eileen Prince,
ma di qualcun altro. E temeva di chiedere delucidazioni.
È
impossibile che sappia. Eppure… perché ne ha
l’aria?
Ed
era solo un maledetto quadro:
quanto di Hogwarts aveva sottovalutato?
“Intendo dire che
purtroppo
posso portare esempi di persone la cui cieca lealtà ha
portato non pochi guai…”
Gli fu spiegato.
“Lei mi
fraintende.” Lo
bloccò, perché quel discorso stava diventando
inquietante. “Non ho alcun rancore
verso quella povera donna. Spero anzi che il suo spirito abbia trovato
la pace
e che si sia ricongiunto al resto della famiglia, oltre.”
L’ex-preside congiunse le dita tra di loro, appoggiandovi il
mento in una posa
pensierosa. “Lei è un ragazzo interessante, Signor
Luzhin.” Affermò senza veli,
tanto da farlo arrossire. “Ho massima stima e affetto per i
miei compagni di
tela… ma tra vecchi ricordi e glorie passate a volte ci si
annoia un po’. È
sicuramente piacevole avere altri tipi di
conversazione…”
“Lieto di averle dato questo piacere, allora.”
Tagliò corto. Aveva bisogno di
andarsene, anche più di prima. “È il
caso che vada…”
“Certo, naturalmente.” Replicò
l’anziano mago. “Si riguardi, caro ragazzo. E se
ha altre domande, chieda pure di me… Sono disponibile su
ogni tela.
”
Certo, come no.
Ma non lo disse, limitandosi
ad un inchino formale, alla maniera di Durmstrang, prima di
incamminarsi con
una certa fretta verso
l’uscita.
Quella conversazione,
purché
breve e con un essere non vivo, aveva avuto il potere di mettergli
ancora più
agitazione addosso.
Perché
zio non mi ha mai detto che sono imparentato con
Severus Piton?
Perché
mi ha mentito, dicendomi che ero l’unico Prince
rimasto? Certo, quell’uomo è morto
vent’anni fa, ma comunque…
Sapere che qualcun altro,
oltre suo padre, aveva condiviso con lui quel cognome…
qualcuno di reale, non
un nome privo di volto in un albero genealogico. …
E
che è così strettamente legato alla storia di
Harry
Potter, peraltro.
Gli lasciava una strana
sensazione addosso, come se improvvisamente qualcuno gli avesse
indicato
un’altra strada, quando era certo che ve ne fosse solo una.
Non c’era stato
solo un
Prince, suo padre. Ce n’era stato un altro, benché
con un cognome diverso.
Un eroe.
Sciocchezze
prive di senso. Devo avere la febbre.
E
devo tornare al vascello.
Non fu facile arrivarci. Non
tanto perché fu fermato, quanto piuttosto perché dovette fermarsi più volte per
riposare. Quando finalmente arrivò,
l’espressione dei due studenti di guardia la diceva lunga
sulle sue condizioni.
“… Ehi,
ti senti bene?” Chiese
il più giovane, immediatamente tacitato da
un’occhiata dello studente più
anziano. Ovvero Radescu.
“Passa
pure.” Replicò quest’ultimo
con un tono di avversione così palese che probabilmente non
era neppure sua
intenzione mascherarlo.
Sören strinse i
pugni,
sentendo rabbia e umiliazione investirlo. Per quei ragazzi lui era un
infiltrato, una spia. Mangiava con loro, dormiva a pochi passi da loro
e li
rappresentava.
Ma
sono solo una farsa… e mi odiano per questo. Per
loro il Tremaghi è una cosa seria.
Per
me è solo un modo per avvicinarmi ai Potter.
Dopotutto, non poteva dire
di
non capire la repulsione che Radescu provava per lui.
“Poliakoff
è dentro?” Chiese
sforzandosi di dominare il tremore che gli aveva assalito le gambe. Era
il
momento di coricarsi. A lungo. Di spegnere il cervello, soprattutto.
Stava
pensando troppo, e a troppe cose a cui non avrebbe dovuto.
“Sì
Luzhin, è nella vostra
cabina.”
Entrò dentro.
Salì le scale
sentendo la nausea assalirlo di nuovo e quando giunse al ponte, sarebbe
crollato in ginocchio se due braccia robuste non lo avessero sostenuto.
Le braccia di Dionis
Radescu.
Mi
ha seguito?
Lo
guardò stupefatto. L’atro non disse
nulla, limitandosi ad aiutarlo a tirarsi in piedi.
“Grazie…”
Radescu gli
lanciò un’occhiata
penetrante. “Ti ho visto nell’arena, alla Prova. Ti
sei battuto come un
guerriero.” Disse scandendo ogni frase in un tedesco
fortemente stirato su
suoni slavi. “Non capisco perché servi gente del
genere.”
Sören avrebbe
voluto dirgli di
non impicciarsi e di tenere a freno la lingua, ma non lo fece. Era
troppo debole
persino per quello.
Il ragazzo del resto non
aggiunse altro. Si limitò a un inchino di commiato e a
ridiscendere dal
boccaporto.
Sören poi
sentì la porta della
sua cabina aprirsi e la voce di Poliakoff chiamare stupefatta il suo
nome.
Sono
tornato dove devo essere.
Non era una bella
sensazione.
****
Appartamenti
del Direttore di Tassorosso.
Sera.
“…
è stato un
vero e proprio scontro tra titani.
Sinceramente, pensavo che alla fine avrebbero cominciato a tirarsi
addosso incantesimi.”
Harry rise, o meglio la testa di Harry che danzava nel fuoco magico del
suo
camino rise. Ma era una risata forzata, e Teddy se ne accorse.
“Sono davvero
preoccupato.”
Gli confessò, seduto a terra davanti alle braci.
“I Presidi di Durmstrang e
Beaux-Batons vogliono spostare il Tremaghi nelle proprie scuole.
L’unico punto
in cui convergono è che se non si farà
così, ritireranno le proprie scuole
dalla competizione.”
Che
poi non sarebbe una cosa così stupida, visto quel
che è successo. Feriti, gente traumatizzata e Hogwarts di
nuovo assediata.
Quei pensieri
però se li era
tenuti per sé nell’ufficio dei professori, dove
era avvenuto il brainstorming tra
Presidi. Lui vi era
rimasto incastrato in mezzo perché era uno degli
organizzatori.
Aveva preferito appunto
rimanere in secondo piano ed ascoltare tutto, per poi riferire al
padrino.
Harry sospirò.
“Il Ministero non
ha fatto una bella figura l’anno scorso con la faccenda dei
Naga, e così
Hogwarts. Non credo vorrà permettersi cattiva
pubblicità, e premerà perché il
Torneo non venga chiuso.”
“Sì, ma
ha le mani legate. Se
due delle scuole competitrici si ritirano…”
“Non lo faranno davvero. Stanno solo minacciando.”
Replicò l’uomo meditabondo.
“Teddy, il Tremaghi non è una semplice
competizione inter-scolastica.” Scosse
la testa . “No, il Tremaghi è una dimostrazione di
forza della gioventù magica
di stati che posseggono le tre scuole più influenti
d’Europa. È troppo
importante, a livelli ben più alti.”
Ted si umettò le
labbra. “A
questo non avevo pensato…”
“E sono felice che tu non l’abbia fatto. Tutta
questa politica mi dà il
voltastomaco a volte, davvero.” Replicò il padrino
con una smorfia. “Comunque
sia, il vero obbiettivo che i
Presidi
vogliono raggiungere è far spostare la competizione nella
propria scuola. Per
prestigio, anche se avranno detto che è per motivi di
sicurezza…”
“Quello di
Durmstrang sembrava
il più agguerrito.” Confermò Ted,
ricordando il volto duro e sprizzante
arroganza del Direttore Jagland. Mentre Madame
Maxime aveva cercato di mantenere toni morbidi, proprio per
l’antica amicizia
che la legava alla scuola britannica, il mago nordico non si era fatto
il
minimo scrupolo.
Ad
un certo punto sembrava che Vitious l’avrebbe steso
con uno schiantesimo… di certo, ne aveva una gran voglia.
“Il Direttore
Jagland. Già…”
Harry sbuffò, palesando la sua antipatia per
l’altro mago. “Si dice che sia
stato calato sul suo posto, come un
burattino. Dovrà compensare in qualche modo.”
Teddy sorrise alla frecciatina. A volte Harry aveva atteggiamenti che
lo
accomunavano molto al figlio di mezzo, Serpeverde ben fiero di esserlo.
Le
mele non cadono mai lontano dall’albero, no?
“Al Ministero
com’è la
situazione?” Chiese, perché se lui dava
informazioni a Harry, si aspettava
quantomeno di averne in contraccambio.
Voglio
sapere se i miei studenti e la mia scuola rischiano
qualcosa.
“In
attesa di ordini.” Rispose l’uomo
con una scrollata impaziente di spalle. “La Direttrice sta
aspettando un gufo
dal Ministro per sapere a chi verranno affidate le indagini.”
“Tiratori o Auror? È questo il dilemma?”
“Proprio così.” Gli fu confermato.
“Anche se è quasi certo che l’onore
spetterà
a noi. È stato appurato, anche dagli Indicibili, quella
nebbia era opera di un
mago oscuro. Il Ministro sicuramente aspetta il loro rapporto, e poi
prenderà una
decisione. Pazientare, quindi. La cosa in cui sono più
bravo…” Scherzò.
“Bene!” Sorrise Ted: era sinceramente contento, e
di pari sollevato: se Harry
avrebbe preso in mano l’indagine con una delle sue squadre,
avrebbero
assicurato il colpevole alla giustizia prima di Natale.
Lui perlomeno ci credeva
ciecamente.
“La decisione
finale sul
Tremaghi comunque spetta alle scuole, il Ministero può
entrare solo nell’aspetto
organizzativo, ma non decisionale.” Aggiunse Harry.
“Sono arrivati a qualche decisione
stasera?”
“No, nessuna. Domani ci sarà un nuovo incontro, si
spera conclusivo. Per il
momento è tutto congelato. Madame
Maxime e Herr Jagland sono
momentaneamente tornati alle rispettive scuole…”
“… per organizzare un contrattacco, ci scommetto
la bacchetta.” Replicò ironico
il padrino. “A volte mi chiedo chi abbia più
influenza nel Mondo Magico. Se il
Ministro, o un preside.”
Teddy rise di rimando.
“È una
domanda interessante… Penso che avremo presto una risposta.
Comunque ti terrò
informato.”
“Tom come
sta?”
“Bene, oggi l’ho visto a lezione, ed è
stato polemico come suo solito.” Rispose,
sapendo bene quanto Harry fosse continuamente preoccupato per il
secondo
figlioccio. “Ha anche tentato di fermarmi per chiedermi se ti
avevo parlato… a
quanto pare sa che sono il tuo informatore.”
Harry fece un mezzo sorriso.
“Non gli sfugge nulla… sarebbe un eccellente
auror, se solo ascoltasse
qualcos’altro oltre la tua testaccia dura. Dovrò
parlargli. Questa storia lo
sta rendendo molto nervoso.”
“Come biasimarlo…” Ribatté.
Poteva non stargli particolarmente simpatico –
sapeva di dover essere imparziale come docente, ma a volte Thomas era
davvero
insopportabile – però poteva capire come si
sentiva.
Sapere
che la tua scuola è stata attaccata. Intuire che
è stato tuo padre. E nient’altro.
Io
sarei già impazzito.
“Verrò
nei prossimi giorni, se
finalmente la burocrazia ministeriale deciderà di darsi una
mossa e affidarci
le indagini. Intanto cerca di tenerlo tranquillo.”
“Sai bene che non
mi darebbe
retta neanche se ne andasse della sua salute…”
Replicò, neppure del tutto
scherzoso. “Dirò ad Albus di tenerlo
d’occhio.”
“Già, lui lo ascolta.”
Confermò il padrino con un sorriso più rilassato.
“È una
fortuna che almeno uno dei due abbia un po’ di buonsenso in
queste situazioni.
Io e Ron non ci compensavamo affatto su questo.”
“Meno male che c’era Hermione, allora.”
Rispose cortesemente, evitando di
dirgli che non c’era niente di amichevole e fraterno ormai,
nel rapporto tra
quei due.
Non
sarò certo io a dirglielo. Già ho fatto del mio a
baciare James davanti ai suoi occhi.
Merlino,
se ci ripenso… che imbarazzo.
A proposito di
quello…
Lanciò
un’occhiata
all’orologio da taschino di suo nonno – caro e
grato regalo per la sua nomina a
Capocasa di Tassorosso.
Era quasi ora di andare da
James. Se fosse arrivato tardi alla tanto rimandata visita della sua
casa a lo
avrebbe ucciso. Piuttosto ferocemente.
“Harry, ti devo
lasciare… ho…
degli impegni.” Andò sul vago, perché
da quel punto di vista, era sempre meglio
se parlavano non parlando. Harry
aveva accettato la loro relazione, ma non era ancora pronto a
disquisirne in
perfetta serenità.
“Certo.”
Disse infatti
piuttosto frettolosamente. “Salutami Jamie.”
Dopotutto era un auror
pluridecorato, le sue doti investigative non erano facciata per
articoli di
stampa. “Ci sentiamo nei prossimi giorni.”
“Naturalmente.” Convenne, prima che il viso tra le
fiamme sparisse. A quel
punto si sbrigò a prepararsi.
È che gli
dispiaceva. In quei
mesi era stato così maledettamente occupato, ogni singolo
giorno, da non
potersi assentare neppure per una notte. I suoi doveri da Direttore di
Tassorosso glielo avevano sempre categoricamente proibito.
Senza
contare quelli derivato dall’organizzazione del
torneo.
Ma finalmente era riuscito
ad
avere l’agognata sostituzione, supplicando la professoressa
di Babbanologia –
ex-tassorosso come lui – di dare un occhio ai suoi ragazzi
per quella sera.
Infondo,
non sono mica grifondoro.
Quando fu finalmente pronto
–
era riuscito a legarsi male le stringhe e sedersi sulla bacchetta -
spense le
fiamme del camino e vi entrò.
Quello era un suo piccolo
segreto: l’anno prima quegli appartamenti erano appartenuti
alla Prynn, e da
essi era scappato John Doe, aprendo un collegamento via camino.
Ed
io… beh. Mi sono dimenticato di fare richiesta di
chiudere il collegamento.
Dopotutto non era una vera e
propria infrazione: se era proibito aprire un camino, non era proibito
invece mantenerlo tale.
Cinque minuti dopo camminava
a
passo spedito per le vie di Diagon Alley che si stavano accendendo
delle luci tenui
della sera. Si fermò a prendere la torta che aveva ordinato
via Gufo il giorno
prima. James l’avrebbe preso in giro a morte, per quelle sue
pensate da
perfetto fidanzato, ma a lui piaceva vedere come arrossiva sulle
orecchie e
divorava quei gesti da fidanzatino idiota.
Tanto,
si sa, l’ho sempre viziato.
Notturn Alley era sinistra
e sporca come se la
ricordava e
decisamente non gli fece una bella impressione. Ad un certo punto
dovette
persino nascondere la busta con la torta, a rischio di essere assalito
da
figuri che sembravano aver perso caratteristiche civili molto tempo
prima.
L’appartamento di
James però
era in un palazzo meno orribile e fatiscente di quanto avesse pensato.
Il
classico palazzo i cui affitti giustificavano la presenza di inquilini
giovani,
semplicemente.
Salì le scale e
finì per
bussare al grosso battente. Quello aprì gli occhi
– era una chimera piuttosto
brutta – e lo fissò con aria beffarda.
“Che ci fa un
precisino come
te nella tana della perdizione?” Lo apostrofò con
accento dell’East End.
…
tana della perdizione?
“Ehm.”
Disse, non sapendo bene come
rispondere. “Vengo a trovare il mio ragazzo?”
“Oh, sei un altro di quelli!” Sghignazzò
il battente con insolenza.
Un altro?!
La porta improvvisamente si aprì di scatto e Ted
si trovò di fronte James,
arruffato e leggermente ansimante, come se avesse fatto uno scatto per
venire
alla porta. “Oddio, Teddy!” Sbottò,
prima di aprirsi in uno dei suoi sorrisi da
una trentina di denti. “Non badare a Peter, è un
fottuto coglione.”
“Peter?”
“Il
battente.” Spiegò conciso,
afferrandolo e tirandolo dentro. “Lenny l’ha
incantato perché tenga fuori… uh.”
Si bloccò. “È un discorso
lungo… comunque io non c’entro niente!”
Teddy sorrise,
perché non
c’era molto altro da fare. James aveva l’aria di
chi era appena uscito dalla
doccia, capelli umidicci inclusi. Indossava una maglietta arancione dei
Chudley’s
e dei vecchi denim sdruciti.
Avrebbe dovuto chiedergli
delucidazioni sullo stato pietoso del salotto che vedeva dietro di
loro, ma…
Al
diavolo.
Posò la torta a
caso e se lo
tirò contro, per un bacio al sapore di dentifricio e
bagnoschiuma.
Si staccò
trattenendo una
risata. “Ti mangi ancora la schiuma da bagno?”
“No!”
Sbottò James avvampando e così
affermando il contrario. “… è che
sembra sempre così gustosa. Stupida schiuma
magica.”
“Grazie al cielo
non è nociva.
Sarà meglio che mangi la torta che ti ho portato
però…”
“Cazzo, Teddy, non sono mica una fidanzatina rompicoglioni!
Non dovevi portarmi
nie…”
“È alle noci e melassa, la tua preferita mi
sembra, no?”
“Ti amo.” Stavolta fu Teddy a beccarsi in bacio con
lappata alle labbra
inclusa. Dopo tale dimostrazione di gratitudine, si sentì
autorizzato a
passargli le mani lungo il basso schiena.
Merlino, se gli era mancato.
James lo afferrò
per la
camicia e lo trascinò a tentoni verso qualcosa. Teddy finse
di non notare i
rimasugli di un evidente party sparsi ovunque, da piatti a bottiglie di
birra
vuote. Era chiaro che aveva provato a far ordine, ma lì
dentro c’era un classico
esempio di caos studentesco.
Normalmente avrebbe tentato
di
riordinare, ma al momento era troppo concentrato sulla pelle liscia
della
schiena di James e su come sentiva contrarsi i muscoli sotto il suo
tocco.
Impattarono su un divano,
con
un orribile rumore di molle cigolanti. Teddy si staccò dalla
gola dell’altro
per alzare la testa, temendo che si schiantasse sotto il loro peso
congiunto.
“Jamie, ma questo
divano…”
“Quinta o sesta mano. Ma tranquillo. È comodo se
ignori il rumore
raccapricciante…” Ghignò
l’altro mordicchiandogli il mento. “Teddy, ho voglia.” Mormorò
poi, mentre quei
liquidi occhi nocciola sembravano spogliarlo con lo sguardo.
James era così. Era caos, e riduceva la sua tanto declamata
ragione a pensieri
da primate.
Era riposante ed eccitante
assieme.
Gli sfilò via la maglietta, che finì in un cumulo
arancione sul pavimento.
Sentì le dita di James infilarglisi trai capelli e scivolare
fino alle spalle.
“Sono proprio blu adesso…”
Sussurrò il ragazzo più
giovane, prima di ispirare appena quando gli prese un capezzolo tra le
labbra.
“Teddy…” Mugolò, cercando al
tempo stesso di strappargli via la camicia, o
sfilargliela, non aveva capito quale delle due fosse
l’intenzione.
Poi si sentì un crack! vivace. Teddy saltò in
piedi
immediatamente. Quel rumore l’avrebbe riconosciuto ovunque:
era una
materializzazione.
“Oh,
ops!” Disse infatti una
voce, che apparteneva conseguentemente ad un marcantonio di colore, con
lunghi dreads fino al sedere.
“Mi dispiace
ragazzi, non sapevo la casa fosse occupata!” Alzò
le mani in segno di resa.
Aveva un sacco di anelli alle dita e una maglietta scomodamente
aderente sui
pettorali tesi.
Teddy lesse la scritta in
toni
sgargianti.
Lanciatore?
Ma
non esiste un ruolo simile nel Quidditch. Forse nel
baseball americano, ma …
Il ragazzo
incrociò il suo
sguardo e fece un ghignetto. “No, non è riferito a
quel gioco babbano e
americano, amico. Allusione gay⁴?”
Dopo lo sghignazzetto di
James
alle sue spalle, gli giunse l’illuminazione.
…
Ah. Oh.
Per
l’amore di Merlino.
James a quel punto si
tirò in
piedi, minimamente turbato dal fatto di essere a petto nudo e con i
jeans
slacciati. “Ehi Len… arrivi proprio a
cazzo.” Lo apostrofò con un cenno
scocciato. “Pensavo tornassi tardi.”
“Al San Mungo mi hanno dato il benservito in quattro e
quattr’otto. Ormai siamo
alle visite di routine, per fortuna.” Rispose quello con un
affabilità che non
gli piacque. Specie per come rimirò i pettorali del suo ragazzo. “Comunque Jimmy,
prossima volta che ti porti qualcuno…
Il segnale, eh? Un bel calzino alla porta.”
“Vero. Di solito
sono io
quello che deve ammirare i tuoi attaccati al povero Petey.”
Ghignò, ricordandosi
poi della buone maniere. “Ah! Len, lui non è uno…” E
lanciò un’occhiataccia al tizio.
“È Ted, il mio ragazzo. Teddy,
lui è Lionel, il mio favoloso coinquilino.” Li
presentò con un cenno svagato
della mano, prima di infilarsi malamente la maglietta su per la testa.
Lionel andò
subito a
stringergli la mano cordiale, e Ted ce la mise tutta per sembrare
felice di
fare la sua conoscenza. “Teddy…” Disse
quello, scandendo lentamente il nome.
“Ted Lupin? Ma sì!” Esclamò
improvvisamente. “Tu sei Biblioteca
Lupin!” E fece una mezza risata.
…
Sì, anch’io mi ricordo di te. La McGrannit ti
beccò
con una borsa piena di erba e ti diede centonovanta punti di
detenzione. Eri a
Grifondoro al mio stesso anno, vero?
Si spalmò un
sorriso cortese
in faccia, fingendo di non notare che James gli stava scrutando
preoccupato i
capelli. “Io in persona… è passato
molto tempo Lionel. Come stai?”
“Bene, maledizione
in corso a
parte.” Scrollò le spalle. “Sai,
lavorare alla Gringott è eccitante, ma prima o
poi ti becchi qualche spirito di faraone incacchiato e bam!
Tocca tornare e farti mettere a posto al buon vecchio Mungo.”
“Lenny lavora come Spezza-Incantesimi. Come zio Bill. Non
è figo?” Esclamò
James, guardandolo con palesissima ammirazione.
Ted ebbe voglia di
strangolare
il favoloso Len con una delle collanine etniche che sfoggiava sul collo
abbronzato.
“Molto.”
Sentiva che la
mascella rischiava di fossilizzarsi in un sorriso perenne.
“Vedo che vi trovate
bene assieme.”
Lionel ne approfittò per passa un braccio attorno alle
spalle di James. “Beh,
il buon Jimmy è il coinquilino ideale. Fa la spesa, paga le
bollette ed è un
discreto animale da party. Vero ragazzino?” E gli
arruffò i capelli.
Ted ebbe la netta sensazione
i
suoi, di capelli, avessero appena cambiato colore da una nuance fredda
– il suo
amato blu – ad una molto
calda.
Rosso
lava, da quel che posso vedere.
James per fortuna se ne
accorse – beh, era un po’ difficile non farlo del
resto. Allora si schiarì
rumorosamente la voce. “Ohi, Len… senti. Ti
dispiace…?”
“Farmi quattro
passi? Nessun
problema fratellino. Ci becchiamo dopo.” Si infilò
il mantello, per quanto
fosse piuttosto bizzarro abbinato a quella maglietta allucinante.
“Piacere di
averti rivisto Lupin. E per Circe, lasciatelo dire… ho
sempre saputo che eri
gay fino al midollo!”
“Tutto
mio.” Si scollò dal
palato, perché l’educazione per lui era una
funzione di default.
Quando il tipo se ne fu
finalmente andato, si sentì un po’ sciocco e
parecchio incazzato.
James si chiuse la porta
alle
spalle, con cura. Gli lanciò poi un’occhiata
valutativa. “Teddy, sembri un
vulcano pronto ad eruttare…” Osservò.
“Sto
benissimo.”
“Col cazzo, eh. Se permetti.”
“Non usare quelle parole, James…”
Borbottò mentre i capelli cominciavano ad
assumere una simpatica sfumatura rosata.
“Infatti ho detto se permetti.” Rispose
l’altro raggiungendolo.
“Perché ti sei arrabbiato?”
Teddy ci
rifletté.
“… non lo so.”
Concluse. Cioè, lo sapeva. Ma era
davvero troppo ridicolo.
James fece un sorriso.
Niente
sogghigni o preludi a risate roboanti. Era uno di quei suoi sorrisi
timidi, che
personalmente adorava. “Era perché t’ha
chiamato Biblioteca Lupin? Me lo
ricordavo anche io quel nomignolo… non è
così tremendo, dai!”
“No, non è per quello, anche se non è
stato tanto carino a ricordarmi di come
la mia vita sociale ad Hogwarts fosse inesistente.”
Sospirò sedendosi sul
divano che lanciò un cigolio agghiacciante. James lo
imitò subito, sedendoglisi
accanto.
“Sei sempre stato
un secchione
stupendo.” Gli assicurò passandogli un braccio
attorno alle spalle. “E non devi
essere geloso. Lenny non è il mio tipo!”
…
colpito e affondato.
“Non
sono…” Si bloccò,
sentendosi un cretino, mentre James ridacchiava contro la sua spalla.
“Va bene,
forse. Dopotutto Lionel è uno fighissimo
coinquilino.” Imitò i suoi toni entusiasti.
Non era mai stato geloso di
Victoire. Certo, magari a volte era stato infastidito dalle torme di spasimanti in adorazione, ma
non aveva mai provato quel desiderio violento di torcere il collo a
nessuno di
loro.
A quel bellimbusto invece
sì.
Nessuno
arruffa i capelli a Jamie. Non davanti a me. E neanche dietro.
James gli tirò
una testata
sulla spalla, metodo tutto suo per dimostrargli affetto.
“Preferisco un
topo di
biblioteca ad un avventuriero. Sono io l’uomo
d’azione… tu sei quello che
prende la sua tazza di the alle cinque.” Gli sorrise
dolcemente.
Teddy sospirò,
ricevendo grato
il bacio che James gli stampò sulle labbra.
“Scusa.” Mormorò. “Penso di
aver
reagito come uno stupido, perché mi sento in colpa. In
questo periodo ti ho
trascurato parecchio.”
“Ehi, sei un Direttore di Casa durante il Torneo Tremaghi.
Che peraltro ha
simpatiche sorpresine tipo i Dissennatori.”
Snocciolò serio. “Lo so che non
puoi lasciare torme di mocciosetti bisognosi… specie
perché sono di
Tassorosso.” Ghignò, scansando lo scappellotto.
“Non sono più un bambino che
strilla per avere la tua attenzione, Teddy. Posso cavarmela.”
Ted si sentì un
pochino peggio
se possibile. James si stava dimostrando maturo, e di questo era felice
e
sollevato. Ma dall’altra parte sapeva che aveva bisogno di
lui, e tutto quello
che poteva offrirgli era di venire a dormire ad Hogwarts.
Perché
non hai ancora deciso di prendere una casa tua…
e rimandi, rimandi. Procrastinatore!
La sua voce interiore aveva
il
tono di nonna Andromeda.
“Comunque sono
contento che tu
stia meglio adesso.” Disse dopo qualche attimo.
“Oh,
sì! Va meglio, è vero.”
Confermò l’altro con un sorriso. “Da
quando c’è Lenny… beh, stare a casa
è meno
deprimente. Usciamo spesso assieme, con Bobby e altra gente
…”
Mh.
“E questi party
folli?” Chiese
fingendosi assolutamente deliziato all’idea che il suo
ragazzo fosse un animale da party.
“Non sono tanto folli… cioè,
nella norma della scala della follia.” Borbottò
James,
arrossendo. “Lionel sa organizzare delle gran feste,
è tutto qui.” Si illuminò
d’improvviso, segno di un’idea repentina.
“Ah, la prossima settimana ne
facciamo uno! Magari potresti venire!”
Ma anche no. Mi conosco. Sarei la
tappezzeria multicolore della serata.
…
certo. Allora lasciamo pure Jamie con Lenny-il-Lanciatore-barra-Datore.
La sua anima da pensionato
urlava dilaniata, ma la sua gelosia la soffocò prontamente a
badilate.
E poi quello era anche un
modo
per James di coinvolgerlo nella sua nuova vita. Non poteva tirarsi
indietro.
“Certo,
perché no. Vedrò di
liberarmi.”
Il suo ragazzino esplose
allora in un sorriso tutto denti, e a Teddy non restò che
sperare che il
Preside avrebbe accettato una sua improvvisa malattia per quel
venerdì.
****
Note:
Capitolo di passaggio. E poi vi avevo promesso un po’ di
Teddy/James.
1.
Qui la canzone.
2 . “Mael
vai, ci vediamo dopo.” Si ringrazia Narcissa per la
traduzione.
3. Nel Congo francese (aka
Repubblica
del Congo) il francese è la lingua ufficiale. Ovviamente mi
sono immaginata del tutto che la
madre di Blaise Zabini
venisse da quel posto. Come l’ho sempre immaginata una
panterona alla Naomi
Campbell. :D
4. Tributo a Queer
As Folk e a Brian. Nello slang
inglese, ‘Pitcher’ è letteralmente
l’attivo
della coppia.
Qui la prova e
qui la maglietta.
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Capitolo 32 *** Capitolo XXX ***
Capitolo XXX
I
let it fall, my heart… and as it fell you also claim it.
It
was dark and I was all right, until you kissed my lips and saved
me.
My
hands they’re strong, but my knees were far too weak,
stand in your arms without fall into your feet.
(Set the fire to the rain,
Adele¹)
26
Novembre 2023
Sotterranei
di Serpeverde. Mattina.
“Guarda che sono
capace di
portare una borsa a tracolla da solo.”
“No.”
“Non è una risposta! Ridammela.”
“Lo è. No.”
Tom alzò il braccio di modo ché un appena
riabilitato Albus non potesse
raggiungerla: la borsa infatti era ormai a due teste dalla sua portata.
Al
guardò con falso astio il proprio ragazzo, che di contrario
sfoggiava uno di
quei suoi sogghigni da Gran Bastardo.
“… se
cerchi di essere carino,
sappi che non sta funzionando.” Borbottò,
capitolando.
Tom scrollò le
spalle,
mettendosi l’oggetto della discordia sottobraccio.
“La Chips ti avrà pure dato
il via libera, ma hai ancora il braccio al collo e fai fatica a salire
le
scale. Non sono carino, evito che tu ti rompa una gamba.”
Al per tutta risposta gli
rifilò una gomitata, fiacca rispetto ai suoi soliti
standard. Tom infatti gli
lanciò un breve sguardo attento. E preoccupato.
“Smettila di fare
la
chioccia.” Lo rintuzzò. A quel punto
l’altro, indispettito dall’appellativo, lo
lasciò finalmente stare.
Erano passate quarantotto
ore
da quando era stato morso dall’acromantula: stava bene, era
perfettamente capace
di andare a lezione. Cosa che aveva un disperato bisogno di fare,
perché stare
steso un giorno intero l’aveva gettato in uno stato di
malumore profondo.
Non
sono fatto per l’immobilità.
Oltretutto, fuori stava
succedendo il finimondo.
Il Torneo Tremaghi era stato
sospeso. Le due delegazioni erano rimaste, ma quelli di Durmstrang si
erano
rinchiusi nella propria nave dal giorno della Prova.
A quanto sembrava
c’erano in
ballo grosse decisioni per quel giorno. In
primis si sarebbero decise le sorti del Tremaghi.
In
secundis,
non
avendo di meglio da fare a parte fissare il soffitto, il giorno prima
si era
divorato le pagine del Profeta che
Tom gli aveva portato: aveva così letto
un’intervista ad Hestia Jones, Direttrice
del Dipartimento di Difesa. In quei giorni si sarebbe stabilito a chi
assegnare
le indagini sul caso dei Dissennatori.
Ufficio auror vince su tutti. Papà
non si
farà scappare l’opportunità di lavorare
al caso della Thule, se gliene sarà
data l’occasione. Lui scoprirà
cos’è successo.
Lanciò uno
sguardo a Tom, che
era come al solito perso nei suoi pensieri. Sembrava piuttosto
tranquillo e
questo lo rasserenava.
“Uno
zellino… anzi, un penny
per i tuoi pensieri.” Recitò,
ricordando l’appunto che l’altro gli aveva fatto
più di un anno prima.
Sembravano passati decenni.
Tom scrollò le
spalle.
“Pensavo a Luzhin.”
“… e
non è la prima volta.
Devi dirmi qualcosa?”
Tom fece una smorfia seccata. “Non essere
ridicolo.”
Al intuì che non era aria per fare battute, anche se non
capì perché. “Ho
saputo che si è ferito…” Disse invece,
indagando per vie traverse “Come sta?”
“Non ne ho idea. So solo che ieri sera tua sorella era sul
piede di guerra
perché aveva lasciato l’infermeria senza dirlo a
nessuno. Soprattutto a lei,
suppongo.”
“Pensi che stiano assieme?” Chiese incerto. Non
sapeva bene cosa pensare del tedesco;
gli sembrava un tipo a posto, un po’ troppo serio ma cortese.
Ma
non è che si capisca granché di quello che
pensa…
Ed
è proprio questo il punto… dopotutto si sta
parlando
della mia sorellina…
Tom si strinse nelle spalle.
“Ciò
che è certo, è che Lily si è attaccato
a lui in modo … singolarmente
repentino.”
“È suo amico di piuma da tre anni!”
“Di piuma, appunto. In questo genere di cose, non si parla di
vera amicizia,
perché manca l’elemento visivo, vedersi tutti i
giorni…”
“E quindi?”
Tom fece un mezzo sorriso. Quando aveva quel piglio brillante e stronzo
Al era
combattuto: se tirarlo giù per un bacio o tirargli un calcio
alla caviglia.
“Invece
passano tutto il tempo in cui lui non è impegnato incollati. Perlomeno uno dei due ha una
cotta per l’altro.” Fece una pausa, prima di
guardarlo con ovvi sottointesi. “Sai…
dev’essere una cosa tipica dei Potter,
appiccicarsi.”
Il calcio alla caviglia fu
secco e preciso. Al si rallegrò di aver ripreso una certa
fluidità, mentre
guardava Tom impallidire e stringere un’imprecazione trai
denti.
“Vedo che siete di
ottimo
umore stamattina.” Li sorprese una voce familiare.
Al si voltò. Era
Michel,
accompagnato dall’immancabile quanto imperscrutabile Loki.
“Mike!”
Esclamò sorpreso.
Lanciò un’occhiata d’avvertimento a Tom,
ma rimase di sorpreso quando vide che
l’altro non aveva né la bacchetta in pugno
né tantomeno l’aria ostile.
Sembrava solo un
po’ seccato.
“Buongiorno
Zabini… Nott.”
Scandì quest’ultimo con incredibile garbo.
Loki, minimamente turbato
dall’evento epocale, si dedicò ad appuntare
qualcosa sul taccuino che aveva tra
le mani. Alzò appena lo sguardo, quasi li avesse notati in
quel momento. “Buongiorno
a voi.” Lanciò un sorriso obliquo a Tom.
“Mio buon Dursley… ho già ottime
puntate sulla Seconda Prova. Danno vincente la Weasley francese 2 a 1
col
tedesco. Interessato?”
“No.”
“Sei
così bacchettone…”
“Se provi a piazzare una scommessa a mio nome ti
uccido.”
Al guardò
sbigottito lo
spontaneo formarsi di qualcosa che aveva creduto ormai perso per
sempre.
Il
nostro vecchio quartetto…
Tom era ancora un
po’ rigido,
e Michel aveva scelto di mettersi il più lontano possibile
dall’altro, ma
comunque…
“Che sta
succedendo?” Chiese,
perché doveva sapere se
qualcuno
aveva usato una Giratempo.
“Siamo serpeverde,
pulcino.”
Sorrise Michel, dandogli una pacca sulla spalla. “Possiamo
fingere benissimo armonia
pur detestandoci cordialmente.”
“Esatto.” Replicò pacatamente Tom.
Comunque si premurò di prenderlo per mano, e
stritolargli un po’ le dita. Al ricambiò la
stretta.
“Sì,
ma…” Tentò.
“Bene.”
Lo interruppe Michel.
“Come ti senti Al? Pronto a tornare nell’occhio del
ciclone?”
“Credo di
sì…” Mormorò,
imponendosi di riprendersi dallo stupore e dalla voglia, imbarazzante,
di
abbracciare forte quei due cretini. Dovevano essersi chiariti.
Ovviamente ora
si comportavano come se nulla fosse accaduto. Perché erano,
appunto, due
cretini che vestivano verde-argento.
Salazar
insegna. Negare fino allo sfinimento di avere
dei sentimenti.
“La scuola
è in fermento…” Disse
Michel, quando entrarono in Sala Grande. “Si parla del
Torneo. Forse lo
fermeranno definitivamente.”
“Per Morgana, speriamo di no.” Replicò
con una smorfia infelice Loki. “Tutto il
mio banco scommesse… perduto per sempre? Potrei
morirne.”
“E dovresti ridare
indietro i
soldi delle scommesse. Come pensi di fronteggiare i
creditori?” Osservò con
calma Tom, lanciando un’occhiata ad un tavolo già
occupato. Un attimo dopo i
due che vi erano seduti erano già seduti ad un altro. Al si
giudicò troppo
contento per indignarsi.
“Scappando nel mondo babbano. Ho saputo che hanno una cosa
ingegnosa chiamata paradiso fiscale…”
Motteggiò Loki.
“Comunque non fermeranno proprio un bel niente.
C’è un giro di galeoni niente
male dietro, oltre al prestigio del Ministero. Sarebbe più
probabile vedere il
Primo Ministro a chiappe all’aria…”
“Forse sposteranno
il Torneo
in un’altra scuola…” Suggerì
Zabini distrattamente.
“Forse…”
Convenne Al.
Era uno spettacolo
così
rinfrancante, fare di nuovo colazione con Loki e Michel, che ci mise un
po’ a
ricordarsi che quella mattina si era svegliato con un pensiero verso
tutt’altra
persona in testa.
Rosie!
Si guardò
immediatamente
attorno, e non la vide. Doveva
già
essere lì. Era sempre una delle prime ad arrivare in Sala
Grande.
Troppo
strano.
“Rose?”
Indovinò Tom. “Ieri
non era a lezione. Una delle sue compagne di stanza mi ha detto che non
si
sentiva bene…” Poi esitò. E Al
capì che c’era qualcosa che gli stava
nascondendo.
“Cosa?”
Scandì lentamente. “Cos’ha
Rosie?”
Tom fissò lo sguardo sullo scone
che
stava imburrando. “Ieri non avevi bisogno di partire per una
delle vostre crociate
Potter-Weasley …” Replicò secco, per
nascondere un’espressione
colpevole.
“Che diavolo le
è successo?” Sbottò,
facendo voltare un paio di ragazzi accanto a loro.
Fu Michel a rispondere.
“Scorpius è tornato a casa. Si è preso
una pausa. E a quanto si dice in giro, l’ha
presa anche da tua cugina.”
Al batté le palpebre, sentendosi confuso.
“Pausa… cosa? No, aspetta. Tu come
fai a sapere che loro due…”
“Lo sa tutta la scuola, Albus.” Replicò
con un cenno annoiato il Capitano di
Serpeverde. “Tra queste mura di gente stupida ce
n’è molta. Stupidi, ma non
ciechi. Scorpius e la Weasley erano palesi fin dalla festa di Halloween
dell’anno scorso. Il fatto che non sentissero pettegolezzi su
di loro, non vuol
dire che non ci fossero.”
“Ah.”
Fece una pausa per raccogliere le idee. “…
quindi… Malfoy ha
lasciato Rosie?”
Oh,
cavolo. Cavolo. Cavolo!
“Beh.
Mettiamola così.” Staccò un
morso da un tortino alla menta. “Quel che è certo,
è che Scorpius è tornato a
casa sua, e che tua cugina non scende dalla Torre di Grifondoro da ieri
mattina.” Si strinse nelle spalle. “Fa’ i
tuoi calcoli.”
“Devo andare da lei.” Proferì, alzandosi
in piedi con piglio deciso. Crollò a
sedere subito dopo, visto che le gambe decisero proprio quel momento
per non
collaborare.
Tom alzò gli
occhi al cielo, e
gli mise una pila di focaccine davanti. “Fai colazione. Poi
va’ a salvarla.
Priorità. Sembri un Grifondoro quando non ne
hai…”
“Veramente ce
l’hanno anche
loro…” Borbottò, sentendo che doveva
almeno un po’ difendere la categoria
familiare, mentre Michel e Loki sogghignavano come due iene.
“Difatti
solitamente sono noti
per scegliere priorità che li fanno ammazzare.”
Replicò crudelmente Tom, che
sapeva di essere attraente proprio quando faceva lo stronzo. Lo sapeva. “Mangia.”
Al spazzolò
tutto, perché in
effetti aveva una fame da lupi. Quando l’ultima briciola fu
consumata, Tom
scostò la sedia per farlo passare e gli consegnò
la sua tracolla.
“Vedi di non
tardare a
lezione…” Lo ammonì, anche se sapevano
entrambi che l’avrebbe
fatto, e tragicamente.
“Ci vediamo a
pranzo pulcino.”
Lo apostrofò infatti Michel, dedicandogli un mezzo sorriso.
Il nomignolo era del tutto
gratuito e giusto per infastidire Thomas. Ma era nello stile Zabini,
quindi per
Al fu il benvenuto. Come era nello stile di Loki un cenno della testa e
un motteggio
distratto.
O
forse a Serpeverde, ragazzi miei, voi troverete gli
amici migliori, quei tipi astuti, affatto babbei…
Gli venne proprio da
canticchiarla. Ma nella sua testa, perché un po’
di dignità doveva pur
mantenerla.
Il buon’umore non
gli si
guastò finché non si trovò di fronte
al ritratto della Signora Grassa.
Se
Rosie salta le lezioni, allora è grave.
Riuscì a passare
con un paio
di lusinghe riguardanti il suo nuovo scialle di mussola azzurra della
vanitosa
dama.
Nella Sala Comune
c’era ancora
qualche studente, che lo fissò perplesso, ma non troppo.
Dopotutto non era la prima
volta che entrava ed usciva impunemente dalla Torre di Grifondoro. Non
essendo comunque autorizzato, si
premurò di tenere
la spilla da Capocasa in vista.
Sospirò di fronte
alle scale a
chiocciola del Dormitorio delle ragazze. Odiava quella parte.
Mise un piede sul primo scalino, e si ritirò velocemente
quando la scalinata
divenne un ripidissimo scivolo.
Immagino
non serva a niente dire che le grazie
femminili non mi interessano, eh?
Si puntò la
bacchetta ai
piedi, e un attimo dopo scalava la salita grazie ad un incantesimo
aderente.
Sul
serio… i fondatori non ci hanno pensato? James e
gli Scamandro hanno cominciato ad usarlo al Secondo
Anno. E non penso che
fosse farina del loro sacco.
Il Dormitorio era vuoto e
dalla stanza di sua cugina proveniva della musica soffusa. Somigliava
terribilmente a una struggente ballata babbana.
Mmh…
mi sa che è l’orario degli Ascolti di Martin
Miggs.
Aprì la porta
lentamente. La
camera profumava di smalto per unghie, svariate essenze e crema per le
mani.
Lo
ammetto, mi piace l’odore che c’è in
camera di una
ragazza. Ho passato metà della mia vita a sentire odore di
calzini sporchi, tra
Jamie e Hugo… e non parliamo degli allenamenti di Quidditch.
La sua ex-camerata, la sua
stanza e quella di Tom a casa dei suoi genitori erano gli unici luoghi
non
funestati da quei maschi afrori.
Altro
motivi per essere un Serpeverde. L’orrore per la
sporcizia che hanno tutti i purosangue.
Individuò subito
Rose. Era a
letto, avvolta in un chilo buono di coperte. La bacchetta giaceva
triste sul comodino,
assieme ad una pila di libri e un piccolo vasetto contenente…
“Rosie, hai
bagnato il tuo
cactus?” Le chiese con il migliore tono da cugino
affezionato.
La ragazza non si mosse, ma
fu
certo che fosse ben sveglia.
“Vuoi che gliela
dia io?” Si
offrì.
“…
è una pianta desertica, non
ne ha bisogno.” Poco
più di un
brontolio.
Si poteva fare di meglio.
“Sai…”
Soggiunse, sedendosi
sul letto. “… non è sano
ascoltare
musica struggente. E non andare a lezione? Sul serio Rosie?
È l’anno dei MAGO.”
“…
va’ via. Lasciami soffrire
in pace.” Fu il borbottio che giunse da sotto il cuscino. Ma
era un pochino più
intelligibile, e Al se ne rallegrò.
“Lo sai che non
posso.” Si puntellò
sul materasso con le mani, prima di spegnere la radio con un gesto
della bacchetta.
“Come hai fatto a non farti venir a prendere di peso da zio
Nev?”
“Ho detto che avevo le mie cose e che i dolori mi stavano
uccidendo.”
“E ti ha creduta?”
“Non sembra saperne molto di problemi femminili. È
arrossito ed è scappato via
come se avesse i Dissennatori alle calcagna…” Fece
una pausa dolorosa. “Pessimo
paragone.”
“Ehi, Scorpius tornerà.” Le mise una
mano sulla schiena, o perlomeno dove
pensava fosse la schiena. “… non è il
tipo che abbandona la nave…”
“… che affonda?” Sussurrò
Rose, e Al si diede dell’idiota.
“Mi è
uscita male. Intendo
dire… andiamo, è Malfoy!
Ti adora ed
è il Campione della scuola. Non rinuncerà
né a te né alla gloria eterna.”
“Vorrei che all’ultima
rinunciasse…” Rose si tolse il cuscino dalla
faccia.
Aveva gli occhi rossi e l’aria della sposa piantata
sull’altare. Il che
addizionato al suo pigiama coi coniglietti la rendeva estremamente
fragile. Albus
le porse il suo fazzoletto con aria compartecipe e composta.
Rose si asciugò
le lacrime,
stropicciando poi il fazzoletto tra le dita. “La sai la cosa
peggiore?” Fissò
con furia il copriletto. “Lo sapevano tutti.
Dico, a scuola… sapevano tutti che stavamo
assieme!”
Al saggiamente decise di rimanere in silenzio.
Beh,
a pensarci, Mike non aveva tutti i torti… gli
indizi c’erano. Scorpius ha smesso di pomiciare con le
galline del suo
“serraglio”, e tu hai cominciato a portare i
capelli sciolti.
Lui non ci aveva mai fatto
caso solo perché nei mesi in cui si era sviluppata la loro
storia era preso a scoprire
e poi rimpiangere la sua.
“La Finnigan
è venuta, ieri
sera…” Continuò Rose. “Mi ha
detto quanto le dispiaceva che le cose tra me e
Malfoy fossero finite così…”
Al guardò con
clinico
interesse il suo fazzoletto ridursi ad un brandello di stoffa.
“E tu che hai
fatto?”
“Le ho detto di andare a farsi una nuotata nel Lago
Nero.” Sbuffò, facendolo
sorridere. “… Merlino, quasi mi manca la Haggins.
Perlomeno lei non avrebbe
finto che le dispiaceva. Mi avrebbe ghignato in faccia.”
“Onesta.”
Concordò quieto,
accarezzandole un polso. “Ascolta… te
l’ho già detto, Malfoy
tornerà.” Le
sorrise incoraggiante. “Sai, sembra che a volte
tornino…”
“Non è come te e Thomas, Al…”
Ribatté l’altra. E poi cominciò a
raccontare per
filo e per segno quello che era successo. Al alla fine del racconto
ebbe voglia
di appendere suo zio per gli alluci nel punto più alto della
Torre di
Astronomia.
Anche
se poi, a conti fatti, neppure ha fatto granchè…
“Scorpius se
n’è andato perché
io l’ho deluso.” Concluse Rose tetra.
“Ma non è vero!” Protestò,
perché qualcuno doveva riattivarle l’amor proprio.
“Gli sei stata vicina per tutti questi mesi, seguendo i suoi
deliri da Uno
contro Tutti! E per il resto… non l’ho mai sentito
lamentarsi!”
“Fingeva! Perché non voleva costringermi a fare
qualcosa che non volevo! E per
questo lo prenderei a calci… perché avrebbe
dovuto dirmelo, dannazione.”
Sbottò, mentre le lacrime si affacciavano nuovamente. Al con
orrore realizzò
che non sarebbe bastato il suo fazzoletto. “Anche se
tornerà… non so se tornerà
da me.”
“E tu fallo
tornare!” Adorava sua
cugina, ma a volte si perdeva in un mestolo da calderone. Le prese una
mano e
la strinse forte. “Le principesse che aspettano nella torre
esistono solo nelle
fiabe, no?” Le strizzò l’occhio,
riuscendo nell’intento di farla sorridere. “Ragazze
così sono di una noia mortale.”
“…
concordo.” Ammise. Fece una
breve pausa. “Sai, l’ho detto a mamma.”
Sorrise mesta alla sua faccia sorpresa.
“Sì, anch’io pensavo sarebbe stata la
fine del mondo… ma credo che mi fossi
fatta troppi film mentali.” Tirò un sospiro.
“Il problema resta sempre papà. Non
so se mamma glielo abbia detto, ma ormai ha capito. Ho mandato un gufo
a casa
per sondare il terreno, ma non mi ha risposto. Brutto
segno…” Aggiunse
mordicchiandosi un labbro.
“Zio Ron se ne farà una ragione… prima
o poi.” Aggiunse. “È tuo padre, vuole solo vederti
felice.” Si strinse nelle
spalle. “E pazienza se sarà con un
Malfoy.”
Rose lisciò le
lenzuola in un
paio di pieghe ordinate. Non ribatté alla sua frase.
“Scorpius è un tale
testone…” Disse invece. “Non
sarà facile riguadagnarmi la sua fiducia.”
“Fa parte dei
nostri geni.
Quando mai una cosa è semplice per noi?”
Rose annuì e gli sfiorò il braccio fasciato con
le dita. “Tu stai bene? Sono
venuta a trovarti quando eri in infermeria…
ma dormivi, e Tom mi ha guardato
come se volesse staccarmi la testa quando mi sono
avvicinata.”
“Ha la sindrome della chioccia.” Sospirò
facendola ridere apertamente stavolta.
“Comunque me la cavo… anche se credo che
approfitterò della tua ospitalità per
riposarmi un po’.” Si tolse le scarpe per
sottolineare l’intenzione.
“Al…
non preoccuparti per me.”
Tentò l’altra con il tipico sguardo grato di chi
sperava che lui facesse tutto
il contrario. “E poi non dovresti stare qui, sei un
ragazzo.”
“Tu per me ci sei stata quando ne avevo bisogno. È
la legge del karma.” Le
assicurò con tono autorevole. “E
poi
sono gay. Ho un dispaccio speciale per consolare streghette
affrante.”
Rose non disse niente, ma
quando si stese accanto a lei lo abbracciò stretto,
posandogli la testa sulla
spalla.
“Sono contenta che
tu lo sia
allora…”
Al la strinse, baciandole i
capelli. Guardò il disastro che era quel letto e la marea di
fazzoletti in cui
navigavano.
Non
sarò mai la causa di una deriva di sentimenti
simile… Beh.
“Credimi Rosie.
Anch’io.”
****
Torre
Ovest, Guferia.
Poco
dopo pranzo.
Tom legò con
particolare cura
una lettera alla zampa di Kafka: aveva passato buona parte del
post-pranzo a
scriverla e non voleva venisse persa nel tragitto per Durmstrang.
Era per Meike. Di solito
preferiva
firmare quelle di Albus -
certo, dopo
averle approvate - ma questa volta
l’altro ragazzo glielo aveva proibito. Gli aveva messo il
necessario davanti e
gli aveva intimato di scrivere alla sua piccola amica.
Tom aveva passato due ore a
cercare di far sembrare la lettera più cordiale possibile.
Probabilmente aveva
fallito.
Beh, non le importerà che la riempa
di
faccette buffe come fa Al.
Sapeva che Meike non si
trovava bene a Durmstrang, ma non era ancora riuscito a parlare ad
Harry di un
suo trasferimento ad Hogwarts. Prima avrebbe dovuto parlare con
Cordula, visto
che era lei la sua tutrice legale.
Solo
che non ha mai risposto alle lettere che le ho
mandato. Dannata corrispondenza inter-stato.
Diede una razione di carne
secca in più alla cornacchia per poter affrontare il lungo
viaggio e la osservò
spiccare il volo. Se il tempo era buono, sarebbe arrivata
all’Istituto in una
manciata di giorni.
Il vento umido che saliva
dal
Lago Nero gli fece storcere le labbra. Non era tempo per rimanere
fuori. Lanciò
uno sguardo verso il Vascello, moloch nero e silente stagliato sulle
acque
appena mosse.
Luzhin era lì,
con i suoi
segreti.
Perché sapeva che
quel tipo
nascondeva qualcosa. In infermeria era riuscito ad avvicinarglisi a
sufficienza
per studiarlo, ma non aveva concluso niente.
Pensavo
…
Si infilò le mani
nel cappotto
per scaldarle e scese le scale. Cedette il passo ad un paio di ragazze
di
Grifondoro piuttosto querule, e riprese a camminare.
Pensavo
che nascondesse qualcosa nel braccio.
Il che, lo sapeva da solo,
era
ridicolo: anche volendo, non sarebbe riuscito a nascondere una
bacchetta nella
manica durante la Prova. Tutti i campioni venivano perquisiti prima di
entrare
nell’arena. Dovevano avere con sé solo la propria
bacchetta. Una.
Eppure
quando l’acromantula l’ha attaccato era
disarmato…
Lì per
lì aveva pensato ad un
incantesimo senza bacchetta, ma adesso non ne era convinto
La
magia senza bacchetta è instabile, imprevedibile. E
se usata corpo a corpo ti si ritorce contro, è matematico.
Non è un idiota, non
avrebbe mai usato una strategia così pericolosa.
Luzhin aveva usato qualcos’altro per sconfiggere
l’acromantula. Solo non sapeva cosa.
Il problema continuava ad
essere uno solo: c’erano tante
cose
che lo impensierivano di quel tipo, ma nessuna abbastanza grave da
avvertire i
professori, o il padrino.
Dovrei
proprio scambiarci quattro chiacchiere…
Certo,
se non si fosse barricato nella loro nave da
guerra.
Stava per infilarsi nello
stretto arco che dava ingresso nel corpo principale del castello,
quando un gufo
lo raggiunse. Lo conosceva bene: era Edwig, il gufo della famiglia
Potter.
Gli prese la lettera dal
becco.
Era da parte di Harry, riconobbe subito la scrittura.
Non mi sono
dimenticato della
nostra promessa.
Venerdì
prossimo ai Tre Manici ti
andrebbe bene?
Fammi sapere tramite Ed.
Un abbraccio,
Zio Harry
Sorrise soddisfatto: non
erano
immediate, ma avrebbe avuto delle spiegazioni.
Girò la lettera e
frugando
nella borsa trovò agevolmente una penna a sfera. Non
iniziava mai l’anno senza averne
un grosso pacco.
Ci
sarò.
Grazie.
Thomas.
Imbustò di nuovo
la lettera e
la consegnò al volatile, che ligio al dovere
spiccò il volo.
Entrò nel
corridoio del
settimo piano. A quell’ora, quell’area del castello
era deserta e quindi potè
continuare a pensare in santa pace.
Era convinto
che il Tremaghi fosse il mezzo tramite cui la Thule voleva
avvicinarsi. Glielo aveva velatamente confermato
quell’americano, quello Scott.
Ma
che senso aveva l’attacco? Hohenheim deve sapere
che i
Dissennatori sono storia passata e digerita qui. Li abbiamo usati per
anni.
Aveva voluto fermare il
Torneo? Poco probabile. Se aveva infiltrato i suoi uomini grazie ad
esso, perché
mai fare in modo che tutti se ne tornassero a casa?
Spostarlo.
L’illuminazione
gli arrivò
sulle scale mobili, e solo la sua prontezza di riflessi gli
impedì di
inciampare poco decorosamente nel passaggio dal terzo al secondo piano.
Vuole
che venga spostato.
Le
scuole straniere si impunteranno dopo quello che è
successo, ed Hogwarts è
attualmente in una posizione di sfavore. Lo
confermano gli articoli sul Profeta.
In
caso mettessero un aut aut non
potrebbe rifiutarsi di lasciare lo scettro…
Sentì lo stomaco
strizzarsi in
una mossa. Era spaventato, sì, ma anche eccitato. Aveva
capito. Suo padre non
era quel genio del male insondabile che gli americani pensavano fosse.
Vuole
spostare il Torneo dove la sicurezza sarà minore.
Del resto, cosa potrebbe importare ai francesi o a quelli del Nord,
della mia
incolumità?
Però non tornava.
Scese la
scalinata che portavano al piano terra, sperando che Albus e gli altri
fossero
ancora in Sala Grande a fare i compiti.
Anche
se venisse spostato… come può avere
l’assicurazione che io farei parte della delegazione di
Hogwarts? Non sono un
Prefetto, né un Caposcuola. Non sarei obbligato se mi
sorteggiassero.
Fece una smorfia delusa:
forse
il suo costrutto razionale non era poi così brillante.
Quando varcò il
grosso portone
della sala, percepì un netto cambio di atmosfera.
C’erano mormorii eccitati,
capannelli di studenti che chiacchieravano e in generale libri e
pergamene
erano stati lasciati a loro stessi.
Cercò di
individuare qualche
viso noto tra la folla, e vide Lily. Era dove doveva essere: al centro
della nube
di chiacchiericci.
Quando intercettò
il suo
sguardo, però gli trotterellò incontro in un
turbinio di mantello e capelli
rossi. Ultimamente li portava spesso sciolti, notò.
“Ehi Tommy! Hai sentito la
notizia?”
“Thomas, Tom. Hai
due scelte.
Non una terza.”
Lily sbuffò. “Sì, come vuoi. Comunque.
Il Tremaghi sarà spostato! L’hanno deciso
un’ora fa, in conferenza dei Presidi
riunita o qualcosa del genere. Hanno affisso un avviso in bacheca,
all’entrata!
Non l’hai visto?”
“No.”
Quindi era davvero
successo. Ma continuava a non avere senso. “Immagino ti
spiacerà… dovrai
salutare Luzhin.”
“Ma neanche per sogno!” Replicò quella
con un sorriso furbo. “Ti ricordi che
faccio parte del coro della scuola, no? Ci esibiremo per Durmstrang e
per
Beaux-Batons. Un mese al nord e poi un mese in Francia! Praticamente
due mesi
di vacanza…” Sorrise beata.
“Però le due delegazioni rimarranno qui, almeno
fino al Ballo del Ceppo di sicuro. Credo sia una specie di contentino
per
salvare la faccia ad Hogwarts.”
Tom la stava ascoltando solo
a
metà.
Era
questo il suo obbiettivo? Spostarlo? Ma perché? Non
può sapere se farò parte della delegazione. Non può essere
così
sicuro da costruirci sopra un piano…
“Mi sa che sarai
tu a sentirti
solo!” Continuò Lily.
“Perché…”
Tom non ebbe bisogno di
sentire il resto della frase. Con orrore, improvvisamente, comprese.
La
delegazione. È formata dal Campione, dal suo
assistente… e dagli studenti più meritevoli.
Come
i Prefetti e…
“Albus
farà parte della
delegazione?” Doveva avere un tono veramente aggressivo,
perché Lily gli scoccò
un’occhiata preoccupata.
“Beh …
è un Caposcuola, no? È
appena andato nell’ufficio del Preside per … Tom!”
Ignorò il richiamo ed uscì dalla sala come se
avesse l’inferno alle calcagna.
Dal suo punto di vista, lo aveva davvero.
No.
No. Non Al… non in quella delegazione! L’ha fatto
apposta! Sa che Albus ci dovrà
andare!
Sentiva il cuore battergli
nella cassa toracica come a volergliela sfondare. Gli veniva da
vomitare.
Al che l’aveva
salvato l’anno
prima da John Doe, che aveva preso, seppur momentaneamente, possesso
della
Bacchetta di Sambuco. Al con la sua fenice di nome Fanny.
Magari
gli interessa, Tom. Magari l’ha colpito.
Magari
sa quanto tieni a lui… magari sa che ti
consegneresti per lui.
Quella voce appariva nei
momenti più terribili della sua vita, e aveva sempre un tono
soddisfatto.
Doveva colpire qualcosa. Fu
una
fortuna che avesse lasciato la bacchetta in borsa,
perché l’unica cosa che
poté fare fu prendersela
con la prima armatura che si trovò davanti, facendola cadere
con un gran
fracasso.
Sentì delle voci.
Probabilmente
il suo dare in escandescenze aveva attirato curiosi. Non gli importava.
Al
andrà là. Al andrà dove io non ci
sarò.
Ma dove ci saranno i tentacoli di quell’uomo.
Alberich Von Hohenheim era
come una maledetta ombra. Non l’aveva mai visto, non ci aveva
mai parlato. Ma lo
sentiva, in attesa, che lo voleva.
Voleva strappargli via tutte le cose belle della sua vita per renderlo
come
avrebbe voluto che fosse sin dal principio: un misero essere con
l’anima a
pezzi.
No.
All'improvviso qualcosa di molto rosso gli entrò nella
coda
dell’occhio e sentì
la mano di Lily sul
braccio.
Non
toccarmi
–
pensò infuriato – Va via
o ti costringerò
io.
“Andiamo via prima
che qualcuno
pensi di scattare una foto a Tom
Impazzito Oltre Ogni Previsione…”
Mormorò con voce gentile la ragazzina,
come se fosse completamente ignara dei suoi pensieri. Tom sapeva che
non era
del tutto così. “Sarebbe un peccato visto che sei
così bello. Adesso, sai, hai
una faccia orribile.”
Forse fu per il tocco fermo sul braccio, o per la battuta fuori luogo,
ma Tom
rimise a fuoco il mondo. E si accorse che le facce sbigottite erano
più di
quante pensasse.
“Io…
devo entrare nella
delegazione.” Riuscì a dire, perché
pensava soltanto a quello.
Ha
vinto. Ecco come mi avrebbe obbligato, coinvolto.
Con Al.
Conosce
le mie debolezze. Le conosce.
Tutto quello non poteva
essere
frutto della sua mente paranoica. Non poteva.
Lily annuì e lo
portò via
guidandolo con estrema perizia attraverso la piccola folla. La vide
lanciarsi
uno sguardo con Hugo, perennemente due passi dietro a lei.
Quello schizzò
via, ad
adempiere a chissà quale consegna.
“Certo.
È ovvio che ci
andrai.” Gli disse mentre lo trascinava verso la torre
di Grifondoro. La direzione sembrava quella. “Sia mai che
qualche tenebroso
scandinavo metta gli occhi su Albie mentre non ci sei. Ma avrei
vigilato io,
sai…”
“… sei totalmente inopportuna.”
Lily gli sorrise e lui si sentì un po’ meno matto.
“Lo so, Tommy. Ma sembra che
tutti ne abbiate sempre un gran bisogno.”
****
Lago
Nero, Vascello di Durmstrang.
Pomeriggio.
Il ticchettio della pendola
era uniforme. Come doveva essere: misurava il tempo che per
Sören, dal giorno
della Prova, non si era mai ravviato a dovere.
Non era riuscito a parlare
con
suo zio. Non ancora. Gli era stato
detto che era fuori città, che non poteva essere raggiunto.
Il soffitto della cabina, a
cassettoni e di un nero pece, sembrava schiacciarlo mentre se ne stava
steso
nella propria cuccetta. Sentiva l’acqua sciabordare contro la
fiancata, con una
vibrazione lenta e costante.
Gli sembrava di essere
prigioniero.
Poliakoff si era occupato di
tutto, in quelle quarantotto ore. Dal portargli i pasti fino alle
medicazioni
per la testa che tutt’ora lo faceva dormir male.
Hogwarts…
Gli inglesi avevano provato
a
protestare. Poliakoff gli aveva raccontato che non appena si erano
accorti
della sua scomparsa avevano immediatamente mandato un Gufo per
accertarsi delle
sue condizioni.
Non
hanno potuto fare altro… Letteralmente, potuto.
La Roskilde²
– era quello il nome del vascello - non era solo un
cumulo di assi galleggianti. Era anche territorio della scuola: sulla
nave
infatti valeva l’autorità dell’Istituto,
non quella di Hogwarts. Nessun mago o
strega di origine britannica poteva calcare la passerella, a meno che
non fosse
autorizzato.
A
parte Lilian che c’è riuscita per ben due volte.
Serrò la mascella
a quel
ricordo. Non voleva ricordare. Voleva solo uscire da quella situazione.
Si rigirò tra le
dita l’anello
dei Prince. Era un movimento che aveva compiuto così tante
volte in quei due
giorni che era ormai automatico.
Poi vide le fiamme del fuoco
portatile accendersi, violentemente.
È
tornato.
Si alzò in piedi,
ignorando il
capogiro – era sopportabile – e infilò
la testa tra le brillanti fiamme verdi.
“Zio.”
Poteva vedere una grossa
porzione dello studio. Il tappeto pregiato che era davanti al
caminetto, la
scrivania di mogano massiccio dietro cui tante volte era rimasto in
piedi. E
poi Alberich von Hohenheim.
“Sören.
Ho saputo che mi stavi
cercando…” Esordì. “Mi
dispiace non essere stato reperibile sin ora. Affari mi
hanno chiamato ben distante da casa, e sai meglio di me che non
è sicuro
comunicare tramite camini altrui.”
“Naturalmente…”
Era sorpreso,
doveva ammetterlo. La rabbia sorda che gli era scorsa sottopelle in
quelle ore
si placò lievemente.
Suo zio si stava scusando?
Con
lui?
“Ho e sentito
anchche sei
stato ferito alla testa… spero tu stia meglio. Ti hanno
approntato le cure
necessarie?”
Il tono era… gentile. Non aveva mai avuto quel tono con lui.
Forse solo una
volta, quando si era ferito nell’incidente che aveva ucciso
suo padre.
Ma
è stato molto tempo fa…
“Sì…
mi sento meglio. C’è un
medimago a bordo, fa parte dello staff. Inoltre sono stato
nell’infermeria di
Hogwarts. Sono un Campione, è scritto nelle regole
che…”
“Sono lieto di sentirlo.” Lo interruppe.
“Poliakoff mi ha già fatto rapporto,
suppongo che tu lo sappia. Nessuno di noi voleva disturbare il tuo
recupero.
Hai affrontato una prova molto dura.”
Sören era
sconcertato. Il tono
di suo zio mostrava affezione. Sincera o meno che fosse, non si era mai
disturbato a fargliela sentire.
“Pensavo…”
Esitò sentendosi la
gola secca. Improvvisamente aveva un’incredibile voglia di
bere qualcosa di forte.
“Sono spiacente di aver perso il controllo. Ho lasciato tutto
nelle mani di
Kirill e non avrei dovuto. Era mio il compito.”
E per questo scommetto che è stato
estasiato…
Suo zio fece un cenno vago
con
la mano. “Sciocchezze. Hai fatto ciò che dovevi e
al punto in cui siamo, non ho
e non hai tu stesso nulla da rimproverarti.”
“Il punto a cui siamo…”
A che punto erano? La domanda era fondamentale. Era capitale.
Perché lui non ne
aveva la minima idea. Non sapeva cosa stesse facendo per suo zio e se
lo stesse
facendo bene.
E se farlo bene avrebbe
portato dolore ad innocenti… come Lily.
“Sì,
Sören, il punto a cui
siamo. Ti chiederai quale sia. Credo sia il momento che tu lo
conosca… Credimi,
se ti ho tenuto all’oscuro fin’ora era
perché doveva essere così.” Doveva essere così. Non aveva
facoltà di
replica quindi. “… abbiamo raggiunto il nostro
obbiettivo. Far spostare il
Torneo.”
“…
spostare il Torneo.” Mille
pensieri gli si affollavano in testa. Di precedenti e di nuovi.
“Perché?”
“Ad Hogwarts la sicurezza è troppo alta. Portare
via qualcuno sarebbe
impossibile. Non facile come l’anno scorso, questo
è sicuro.” Aggiunse
accarezzandosi la barba rada sul mento. “Mi sono assicurato
che Durmstrang
ospiti la Seconda Prova. A Durmstrang noi Hohenheim siamo a casa, non
è vero?”
“Sì…” Confermò
debolmente. Quindi era quello il piano. Togliere la potestà
ad
Hogwarts. Aveva senso. Forse. “… ma come faremo a
sapere che Dursley farà
parte…?”
“Della delegazione?” Suo zio rise. Sören
si accorse che non l’aveva mai sentito
ridere davvero. Non successe neppure stavolta in effetti. Non era come
le
risate di Lily e dei suoi amici. Quella risata non aveva la minima
emozione
dentro. “Credimi, lo farà. Per avvicinare la
preda, devi prima studiare le sue
abitudini… cosa preferisce. Cosa detesta. A cosa tiene.” Gli lanciò
un’occhiata penetrante. La sentì persino
attraverso il fuoco, e rabbrividì. “Cosa
c’è Sören? Ti vedo turbato.”
Doveva dirglielo. Doveva
dirglielo o sarebbe impazzito.
“È
Lily, Signore…” Mormorò.
“Lilian Potter. La ragazza che devo sorvegliare. Il mio
compito.”
“Uno dei tuoi compiti.” Rettificò
quietamente. “Sto ascoltando.”
“Io… lei.” Si umettò le
labbra, trovandole secche come foglie. “… Cosa
c’entra
lei in tutto questo? Non riesco a capire.”
L’uomo
aspettò molto prima di
rispondere. “È la prima volta che ti sento fare
tante domande, Sören.
Solitamente, esegui gli ordini senza battere ciglio. Sei il
più fedele dei miei
uomini.”
“E lo
sono!” Esclamò, non
potendo evitare di sentirsi lusingato. Era la prima volta che gli
faceva un
complimento così smaccato. Però…
“Lo sono, sono Vostro servo fedele. Solo… noi
ricerchiamo la conoscenza. E… comprendo che per fare
ciò, ci siano dei
sacrifici. Delle vite che possano essere sacrificate, o azioni che
possano
essere compiute. In nome di un ideale.”
Quante volte l’aveva ripetuto quel mantra durante la sua
infanzia, durante
tutti quei lunghi anni sotto l’ala protettrice di suo zio?
Ormai faceva parte
di lui.
L’uomo non disse
niente,
aspettando che finisse. Gliene fu grato. Non sapeva se interrotto
sarebbe stato
capace di continuare. Era dura, esprimere la propria opinione quando lo
si
faceva per la prima volta.
“Non abbiamo mai
coinvolto
persone estranee ai nostri interessi…”
Deglutì sentendo le unghie premergli
sulla carne. “… Lilian Potter ha un rapporto
superficiale e labile con … Vostro
figlio. Quindi non capisco come possa aiutarci nel riportare Vostro
figlio da
Voi…”
Si stava confondendo di nuovo. C’erano troppe idee nella sua
testa.
Suo zio sembrava scrutarlo
attraverso il fuoco, e Sören quel fuoco se lo sentiva dentro.
Forse gli era tornata la
febbre?
“Sei preoccupato
per la
giovane Potter.” Scandì con precisione chirurgica.
Lo poté quasi sentire
soppesare le parole. “Sei preoccupato che le possa accadere
qualcosa mentre
attuiamo il piano. Mi sbaglio?”
Sören non rispose, perché non ce n’era
bisogno.
“Possa sapere il
perché?”
Quello necessitava di una risposta. Doveva dargliela, anche se lo
faceva
tremare, ed era il principio da cui tutta la sua confusione era stata
originata.
“Quando mi sono
ferito… ero
inerme. Un Dissennatore ha tentato di attaccarmi. Lilian era
lì… e mi ha
salvato. Ha evitato che la mia anima fosse presa da quella
creatura.” Fu uno
sfogo più che una spiegazione. Non guardò verso
l’uomo neppure una volta.
“Lilian Potter mi ha salvato la vita. Ed io devo sapere se
sto attentando alla
sua.”
Lily era vera. Non era uno
dei
tanti volti che aveva ferito per l’Organizzazione.
Lily era il suo sorriso, le
sue chiacchiere interminabili e profumo di gigli. Aveva quindici anni e
lo
credeva suo amico.
…
devo sapere se le farò del male.
Anche se non aveva idea di
cosa avrebbe fatto, nel caso fosse stato così.
Attese a lungo prima che suo
zio si decidesse di nuovo a parlare. Lui continuò a tenere
lo sguardo a terra,
dove era sempre stato.
“… sei
un ragazzo corretto.”
Sussurrò Hohenheim, e il tono era carezzevole.
“Come lo era Elias.”
Sören
alzò la testa. Era la
prima volta, da tanto tempo, che parlavano di suo padre.
“Era un buon
amico…” Si accese
la pipa. Altra cosa che non faceva mai davanti a lui. Era un gesto
distensivo e
con lui Hohenheim non lo era stato mai. “Un mago eccellente,
un valido aiuto per
l’Organizzazione. La sua perdita, credimi, ancora mi
addolora.”
Sören non
replicò. Sapeva di
dover solo ascoltare. Come sempre, quando suo zio parlava.
“Come lui, hai
un’alta
concezione dei debiti che contrai.” Tirò un paio
di boccate dalla pipa e la
vide accendersi di un tenue lucore rossastro. “Non ho alcun
interesse a fare
del male alla ragazzina. È solo un mezzo.”
“…
quindi… non le sarà fatto
alcun male?”
“Era questo che volevi sapere, giusto?”
Replicò l’uomo. “Hai la mia
parola.”
Sören
sentì il sollievo
sciogliersi lungo le ossa. Fu tanto che quasi sentì gli
occhi pizzicargli.
Erano anni… decenni forse? Che non gli succedeva.
“In ogni
caso… accetta le
parole del tuo unico parente, un uomo che tiene a te.”
Aggiunse strappandolo
dalle sue riflessioni. “Il debito che provi nei suoi
confronti è buono. Ti permetterà
di esserle più vicino, perché quel legame lo
sentirà anche lei. Si fiderà di
te. E aiuterà la tua copertura…”
“Sissignore…”
“Ma ricordati chi sei. Ricordati da dove vieni e dove
tornerai quando tutto
sarà finito.” La voce si fece quasi carezzevole.
“Ti avevo ben detto che questo
compito sarebbe stato difficile… non tanto operativamente,
quanto emotivamente.
So che sei esposto ad un forte stress. Lo capisco.” Spense la
pipa gettando la
cenere dentro il fuoco. “Ma sai cosa fare delle tue
emozioni.”
“Non essere loro
schiavo…”
Replicò ed era vero. Avrebbe dovuto, Per Merlino, se avrebbe
dovuto.
Ma era come aveva detto
Johannes.
Era un cane fedele che spasimava per una carezza. E accorreva,
desiderandola
disperatamente.
“Spero che tu sia
più sereno
adesso… riposa. Presto avrai mie notizie.”
Sören fece un cenno
con la
testa, e poi tolse la testa dal fuoco, che tornò vuote braci
iridescenti.
Si appoggiò
contro il
materasso sottile del letto e chiuse gli occhi.
Non aveva chiesto a suo zio
di
Severus Piton. A conti fatti, non aveva senso lo facesse.
I Prince erano soltanto
scheletri sotto metri di terra. Piton l’eroe era ormai ossa e
polvere.
Ma
io sono vivo. E nessuno di loro può tendermi la mano
ed indicare la direzione.
Ne
esiste una sola per me, ed è questa. Essere un
Hohenheim.
Si accorse che stringeva
qualcosa in pugno solo quando lo fece cadere sul pavimento.
L’anello dei
Prince.
Lo raccolse solo per
gettarlo
in fondo al suo baule. Dove doveva stare.
****
Torre
di Grifondoro, Dormitorio delle ragazze del
Quinto anno.
Pomeriggio.
Albus quando si era trovato
Hugo,
scarmigliato come suo solito ma con un fiatone da record, davanti
all’ufficio
del Preside, aveva subito capito che c’era qualcosa che non
andava.
E negli ultimi tempi, quella
sensazione andava a braccetto con Thomas Dursley.
Infatti…
Si trovava
nell’ultimo dei
luoghi in cui avrebbe visto Tom: ovvero in una camera piena di cuscini
rosa,
pupazzetti e poster di maghi con denti luccicanti. La camera di sua
sorella a
Grifondoro.
E
questo non è un bene…
Perché strideva
terribilmente
con la figura di Tom, seduto sul letto di Lily. Si teneva la testa tra
le mani
e non dava segno di averlo sentito entrare.
Ad Al non venne
più tanta
voglia di sorridere.
“Che
succede?” Chiese
semplicemente.
Tom a quel punto
alzò lo
sguardo di scatto, come se avesse sentito scoppiargli un incantesimo
vicino. In
un attimo fu in piedi, e Al ringraziò mentalmente Lily per
avergli confiscato
la borsa con dentro la bacchetta. La sua espressione sarebbe stata
capace di
produrre da sola uno schiantesimo.
“Tu non ci devi
andare.” Gli
ringhiò addosso. Non lo afferrò soltanto
perché fu abbastanza svelto da fare un
passo indietro, e quindi lo mancò.
“Okay.”
Disse, perché dietro
l’aggressività di Tom c’era un terrore
genuino e doveva subito isolarne la
causa prima che facesse danni. “Dove?”
“Lo sai dove…” Mormorò,
limitandosi a restare dov’era, forse intuendo che
l’aggressione non era il modo migliore per farsi dare
udienza. “Fuori da
Hogwarts. Per il Tremaghi.”
“Non è che abbia scelta…”
Disse con tono calmo. Neppure lui aveva fatto i salti
di gioia alla notizia che avrebbe passato due mesi lontano
dall’Inghilterra,
dietro ad un Torneo di cui sostanzialmente non gli importava nulla.
“Sono
attualmente l’unico Caposcuola disponibile, e dovrò quindi essere lo studente
coordinatore della nostra
delegazione. Spero mi diano anche una spalla femminile per quanto
partiremo, ma
al momento…”
“No!”
Stavolta l’urlo fu seguito da una violenta ventata che spense
buona parte delle candele che illuminavano la stanza. Al si impose di
non
sussultare, e le riaccese con un colpo di bacchetta.
“Ti stai
comportando come un
idiota.” Scandì, guardandolo negli occhi.
“Calmati … e spiegami. Perché
così mi
stai spaventando.”
…
avevo detto stamattina che ero contento di non
vedergli la faccia dell’anno scorso?
Come non detto. Eccola qui.
Lo stesso sguardo braccato e
gli stessi lineamenti stravolti. Tom non aveva mai superato veramente
quello
che gli era successo: come avrebbe potuto se il fautore era ancora a
piede
libero e intenzionato a continuare quello che aveva iniziato?
Comunque le sue parole
sortirono
qualche effetto: l’altro sembrò tornare a
più miti consigli, perché non ci
furono altri scoppi di magia inintenzionale. Aprì le labbra,
ma solo dopo attimi
si decise a parlare.
“…
è tutto organizzato. La
Thule… quello che è successo. È stata lui
a farlo accadere. I… I Dissennatori erano qui per un motivo
preciso.” Al odiava
quando gli tremava la voce. Era così abituato a sentire Tom
non perdere mai il
controllo che una parte di sé si spaventava, come se
avessero ancora sette anni
e fosse l’altro quello più
forte.
“Per quale
motivo?”
“Far spostare il Torneo, dove la sicurezza sarà
minore.”
“Okay…”
Doveva fare il punto
della situazione. Almeno lui. “Tom, questo non ha senso. Tu
non sei il Campione
e a meno che tu non lo richieda, non farai parte della delegazione. E
anche in
quel caso, non è detto che tu venga preso.”
“Ma tu sì.”
“Io?”
“Tu sei un Caposcuola…” Si
passò una mano trai capelli, lanciandogli
un’occhiata così disperata che Al ebbe la
tentazione di gettare la spilla dalla
finestra. “L’hai detto tu, sei obbligato a far
parte della delegazione. A meno
che non ti ritiri…”
“Non lo
farò.” Lo interruppe.
Era preoccupato, certo, ma Tom stava avendo una delle sue paranoie ad
occhi
aperti. Perché doveva
essere quello.
Quell’Hohenheim non poteva essere così
machiavellico.
Beh,
è il padre di Tom. Hai presente quanto è
machiavellico
lui?
Decise di ignorare quella
voce.
“Non lo
farò perché sono solo ipotesi.
Ed io ho dei doveri, doveri verso Hogwarts e verso la nostra Casa. E
con quello
che sta succedendo non posso mettermici anche io, a dare
problemi!”
“Non
capisci!” Sbottò l’altro,
frustrato. “Pensi che siano vaneggiamenti? Pensi che mi stia
inventando tutto
perché sono…”
“Perché sei traumatizzato da quello che tuo padre
ti ha fatto un anno fa, sì.
Lo penso.” Replicò con la stessa esasperazione.
Non voleva pensarci. Perché le
cose non potevano essere semplici per loro come qualsiasi altro mago al
mondo?
Tom gli scoccò
un’occhiata livorosa,
serrando i pugni. “Pensi che sia pazzo.”
Sputò fuori.
Al inspirò
lentamente.
Qualcuno doveva tornare calmo o sarebbe finita male.
E
se questo cretino si isola… è la fine. Storia
già vista.
“No, non lo penso.
Penso che
tu sia spaventato, e penso che tu non abbia del tutto torto. Tuo padre
è là
fuori… e forse sì, ha portato qui i Dissennatori.
Ma non abbiamo prove. Non ce
l’ha neanche papà al momento, e lui è
un auror.” Forzò l’accento su suo padre,
perché al momento, gli venne in mente, era forse
l’unico a poter calmare Tom e
farlo ragionare. “Sai che non posso abbandonare Hogwarts. Se
fossi al mio
posto, agiresti nello stesso modo.”
Tom rimase in silenzio,
guardandolo infuriato. Perché aveva ragione.
“Allora verrò con te.” Sbottò.
“…
aspetta.” Al si sentì
salire il malditesta. Aveva solo diciassette anni, perché
doveva affrontare
quel groviglio di problemi orribili e con conseguenze agghiaccianti?
“Tu sei
convinto che tuo padre ti voglia rapire fuori da Hogwarts,
giusto?” Gli chiese.
“Se fosse vero, basterebbe
semplicemente che tu rimanessi qui. Non è me che
vuole.”
“Vuole usarti come esca.”
“Ma non sarò un’esca se non
sarai con
me. Il piano fallirebbe su tutta la linea.” Aveva senso.
Dietro tutta la
follia, aveva senso. Persino Tom avrebbe concordato. Lo
guardò, sperando che
fossero arrivati ad un punto di svolta.
Tom per tutta risposta gli
sorrise beffardo. “Va bene…” Concesse.
“Ragioniamo per ipotesi allora.” Gli
puntò un dito al petto, premendo sulla spilla. “Se fossi al mio posto, rimarresti
qui?”
E Al sentì cadere
il suo
castello di carte.
No,
non lo farei mai. Non ti permetterei di andare da
solo.
Non
potrei mai rimanere qui al sicuro mentre tu rischi
la pelle. Anche solo ipoteticamente.
Tom parve captare i suoi
pensieri,
perché sembrò sgonfiarsi di tutta la sua furia.
Si risedette sul letto, quasi
con cautela. “… già. Io non voglio
più separarmi da te.” Sussurrò.
“Adesso
capisci?”
Al capiva. Così
tanto che si
sedette accanto a lui e gli prese la mano, stringendogliela. Tom
rispose alla
stretta. Dopo probabilmente entrambi avrebbero avuto le dita doloranti.
“Che bella coppia
di idioti
che siamo…” Mormorò, tentando un
sorriso. Tom gli rispose con un tentativo
ancora più fiacco.
“Almeno tu non hai
preso a
pugni un’armatura.”
“Ho sentito… lo sai che hanno secoli di
storia?”
“E allora?”
“A volte sei
proprio un
bullo.”
Rimasero in silenzio per un
po’. Visti da fuori, dovevano essere uno spettacolo del tutto
ridicolo.
Circondati da pupazzi e tendine rosa, mentre poster stregati
ammiccavano loro
in maniera seducente. E con due facce da funerale.
Perché
non possiamo essere due adolescenti magici
normali?
Merlino
Benedetto, pagherei camere di
galeoni…
“Mi
vedrò con Harry.” Mormorò dopo
un po’ Tom. “Il prossimo fine settimana.”
“Ottimo. Gli devi
parlare di
questa cosa.” Ribatté subito. Quella era una buona
notizia. Suo padre forse
sarebbe riuscito a farlo ragionare. O perlomeno, a non fargli avere
quell’espressione in faccia. “Di tutto.
E poi vedremo se sarà il caso di cadere nella
trappola.”
“Non cadrò nella trappola.”
Replicò Tom con un mormorio. “Non sono
così
stupido… e mio padre non è così furbo
come crede.”
“In effetti il
piano dell’anno
scorso faceva schifo…” Gli lanciò
un’occhiata, e lo vide corrugare le
sopracciglia, per poi trattenere un sorriso.
Allora gli premette le
labbra
sulle sue. Tom le aveva caldissime, probabilmente perché se
le era morse un
sacco. Fu un bel bacio.
“Sai…”
Gli disse, passandogli
le dita sulle nocche, sentendole abrase. Si appuntò di
curargliele usciti di
lì. “…il Gran Bastardo deve combattere
contro di te e mio padre, ma c’è
qualcun’altro
che non ha messo in conto.”
“Sarebbe?”
“Me.”
Tom gli sorrise e lui gli
passò le braccia al collo, perché ne avevano
entrambi un gran bisogno.
“Prendimi sul serio.” Lo ammonì.
“Sarò un’esca? Scoprirà che
sono stato una
pessima scelta.”
“In effetti, provocato, sai essere una gran
seccatura.” Convenne.
“Idiota.” Sentì le braccia
dell’altro circondargli la vita. Era una buona cosa.
Se Tom non lo toccava, era un pessimo segno invece.
“Ascolta…” Aggiunse piano.
“Non
sei solo in tutto questo. Siamo assieme.”
Tom sorrise di nuovo, e appoggiò la fronte contro la sua.
“Lo so.” Mormorò.
“…
ti amo.”
Oddio,
l’ha detto.
Okay, erano solo due parole
e
poi sapeva benissimo che Tom le provava. E che probabilmente gliele
aveva dette
in quel momento solo per farsi perdonare della sfuriata di poco prima.
Al, comunque, sentì il suo cuore dare
un’accelerata come durante una finta Wroski.
“Di solito a
questo punto si
risponde …” Gli suggerì
l’altro con un ghigno. Doveva proprio avere una faccia
da scemo epocale.
“Tom, me
l’hai appena detto in
una stanza che sembra una gigante meringa rosa…”
Fece una pausa e si alzò,
tendendogli la mano. “Ti amo anch’io, ma dobbiamo davvero uscire di qui.”
Perché
se non recupero un po’ di dignità mi trasformo
in una ragazza.
Tom si guardò
attorno, prima
di mettersi a ridacchiare. Non rispose, ma gli prese la mano.
Assieme.
È tutta qui la differenza, Hohenheim. Tom è affar
mio, di noi Potter.
Prova
a prenderlo. Non ti piacerà.
****
Note:
Il titolo del capitolo
è preso
da una strofa della canzone degli Snow Patrol ‘Set
the fire to the third bar” altra canzone in
ballottaggio per
fare da colonna sonora.
Sono molto
fiera del banner introduttivo del capitolo. Finalmente
comincio a capire il magico mondo di Photoshop. Più o meno.
1.
Qui la canzone. Adoro questa donna.
2. Roskilde:
Si riferisce alle navi di Roskilde, navi vichinghe
ritrovate in una baia in Danimarca. Sono state considerate le navi
vichinghe
più grandi mai scoperte, di ben 35 metri di lunghezza.
|
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Capitolo 33 *** Capitolo XXXI ***
Capitolo XXXI
It can be
possible that rain can fall only when it’s
over our heads?
All the right things in all the wrong places,
someday, we’re going down…
(All
The Right Moves, One Republic¹)
I
fatti non cessano di esistere solo perché
noi li ignoriamo.
(A.L. Huxley)
2 Dicembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Torre di Grifondoro. Sala Comune e un
punto di vista diverso.
Hugo sapeva sempre quando a
Lily giravano.
Non era un sesto senso, non
era una capacità. Lo capiva, tutto lì.
Erano cresciuti assieme,
negli
anni uniformi di Hogwarts. Lui e la cugina si erano ripromessi perenne
supporto, anche se poi finiva sempre che lui
faceva da valletto a lei. Ma andava
bene, perché Lily aveva un sacco di amiche carine e poi
attorno a lei non ci
s’annoiava mai. Lily era quella sveglia, lui quello
intelligente. Perché sì,
c’erano delle grosse
differenze.
Perché era lui
quello che
prendeva bei voti – tranne alcune inutili materie come
Aritmazia e Pozioni. Se
non fosse stato quello intelligente, non avrebbe mai potuto inventare
un giorno
l’Apparecchio Perfetto di Congiunzione tra Magia e
Tecnologia. Perché era
quello che avrebbe fatto. Un giorno.
Ma stava
divagando…
Era una mattina
relativamente
tranquilla, tranne una probabile nevicata in serata, e lui era seduto
su una delle
stra-comode poltrone della Sala Comune ad aspettare che
l’altra scendesse. E
ancor prima di vederla spuntare dalle scale, ebbe la certezza che fosse
di
cattivo umore.
Perché?
Beh, c’erano stati
vari
segnali. Punto primo, Abigail Finnigan – Ragazza
più Carina del Quinto Secondo
Lui – gli aveva detto che Lily sarebbe scesa subito.
Lily era sempre in ritardo. Quindi qualcosa non andava.
Punto secondo, non era scesa
con Gail. Se era già pronta, perché aspettare?
Punto terzo, e poteva essere
una stronzata ma Hugo sapeva non fosse così, sentiva delle cattive vibrazioni.
Grattò la
testolina – o dove
supponeva fosse – della sua puffola pigmea color polvere che
teneva sulla
spalla. “Sai Pod? Ho proprio idea che oggi ce la passeremo
male…” Comunicò alla
bestiola.
Per tutta risposta quella,
codarda per natura, si nascose dentro la tasca sformata della sua
uniforme.
Fece appena in tempo: Lily
arrivò pochi attimi dopo. Ed era una furia. Aveva i capelli
mossi ad onde –
usava un sacco di prodotti di bellezza babbani di cui faceva scorta nei
mesi
estivi – e gli occhi accesi dal sacro fuoco
dell’incazzatura.
Hugo espirò
appena, facendole
un cenno. “Ohi…?” Tentò.
“Un
cavolo.” Fu la replica.
“Dai, muoviti, siamo in ritardo.”
“Cioè… veramente siamo in anticipo.
Rispetto al solito, dico.” Tentò seguendola
di buon grado. Sentiva Pod tremargli nella tasca. Creaturina
intelligente.
“Pazienza.”
E gli mollò la sua
borsa senza troppe cerimonie. Hugo era contento che le borse della
cugina – ne
aveva un migliaio circa –
non fossero
come quelle di Rose. Perlomeno quel giorno non avrebbe rischiato la
frattura di
qualche vertebra.
“…
ehm.”
Sapeva di doverlo dire e
aveva
paura.
“Cosa?”
“Niente!”
Perché fanculo, le ragazze fanno paura.
Erano spesso un mondo
misterioso, in cui per avventurarsi bisognava armarsi di pazienza e una
discreta
dose di coraggio. Ma Lily… beh, lei era speciale. In tanti
sensi, e non tutti
buoni.
Lily era incavolata per un
motivo estremamente preciso, che aveva nome e cognome.
Sören
Il Tedesco Tetro Luzhin…
Così
l’aveva ribattezzato
Fergus, ed era un nomignolo perfetto.
Quel tipo
dall’aria soldatesca non si faceva vedere in giro da un bel
po’. Cioè dal
fine settimana della prova.
Da
nove giorni. Nove, lunghi giorni.
Lily era andata in tilt. Non
che lo desse troppo a vedere, fosse mai che Lilian Luna Potter si
facesse
vedere in crisi per un ragazzo. Però era preoccupata.
Era mediamente confuso su
quella faccenda, ma una cosa era chiara: Lily non sarebbe stata a lungo
con le
mani in mano. E quell’eventualità lo preoccupava.
Molto.
La seguì
silenziosamente nel
lungo tragitto per la Sala Comune. Lily incedeva come una specie di
amazzone e
lui dietro.
Sì,
insomma. Il solito.
Poi ci fu una pausa per
poter
mangiare, grazie a Merlino, e della colazione Hugo registrò
soltanto che sua
cugina bevve solo caffè con un sacco di panna e zucchero.
“Prima lezione?
Abbiamo Pozioni?
Dimmi che non abbiamo Pozioni…” Chiese finendo di
leccarsi le dita sporche di
zuccotto di zucca, prima di caricarsi di nuovo le loro due borse sulle
spalle.
“Trasfigurazione.
Come rendere
migliore questa giornata…” Sibilò
l’altra. “La McGrannit mi odia.”
Hugo decise saggiamente di non ribattere – nessuno ci
credeva, ma si riteneva
un tipo molto saggio.
La McGrannit ovviamente
non la odiava. Era Lily il
problema. Era
intuitiva, capiva le cose
al volo e senza sforzo, ma era anche mostruosamente pigra e con la
capacità di
concentrazione di un colino. E se per il resto del corpo docenti era
una
piccola pecca, messa in secondo piano dal suo essere una studentessa
nella
media e sempre col sorriso sulle labbra… per la vecchia
signora quello non
bastava.
“È
presto… non dobbiamo andare
subito in classe se non c’hai voglia.” Le
suggerì. “Andiamo in cortile?”
Lily gli lanciò un’occhiata grata e Hugo
sogghignò: era l’unico a far centro,
quando l’altra aveva quell’umore. Dopotutto era o
non era il suo fottuto
valletto?
“Perché
non lo cerchi?” Gli
chiese mentre bighellonavano attorno al porticato imbacuccati nelle
proprie
sciarpe, guardando il rientro dei pochi studenti di Durmstrang che
facevano
colazione sulla terraferma. “Cioè, cercarlo sul
serio. Chiedi ad uno di loro!”
La vide irrigidirsi.
“…
Pensi che non l’abbia
fatto? Mi sono beccata cinque inviti per il Ballo del Ceppo, ma nessuna
maledetta informazione su Ren. Il più chiacchierone mi ha
semplicemente detto
che è giorni che non si
vede sottocoperta.”
Quando decideva di sbloccarsi, era un fiume in piena. Hugo
annuì compitamente
perché non poteva far altro. “E se stesse male?
Che ne sappiamo di come si
occupano dei feriti su quella bagnarola del cavolo? Poppy non era per
niente
contenta quando si è auto-dimesso. Magari sta male e non
vogliono dircelo!”
Concluse mentre si tormentava una ciocca di capelli.
Le lacrime stavano per
arrivare, Hugo lo sapeva.
E un pochino pure la capiva:
per motivi ignoti, Lily si era affezionata sul serio al Campione di
Durmstrang,
ed era una settimana che non aveva sue notizie. Quegli altri, le bocce
rasate,
erano tornate sulla terraferma, ma di Luzhin nessuna traccia.
E
tutti i giorni stavano assieme come un baco con la
sua mela.
“È il
loro Campione, figurati
se rischiano di perderselo…” La
incoraggiò.
“Lo so, Hughie, ma
guarda i
fatti. Sembra che ci sia una cospirazione per tenerlo lontano da
Hogwarts!”
“Non esagerare, magari la ferita era davvero super-seria e ha
bisogno di
riposo.”
“Ma non ha cercato neanche di mettersi in contatto con
me!”
Sua cugina era sempre stata
un
po’ viziata. Non che fosse del tutto colpa sua: era carina da
matti, era sempre
di buon’umore e sin da bambina era quella che più
si era fatta coccolare senza
scocciarsi mai della cosa. Era abituata ad ottenere sempre
ciò che voleva,
appena lo voleva, o quasi.
E
quindi, quando le cose non filano lisce come vuole…
“Boh.”
Si strinse nelle
spalle, perché non era poi così interessato, a
dirla tutta. “Vai alla nave?”
“Già fatto. Ci sono più guardie che ad
Azkaban… e sono peggio di quei buffi
auror che fanno da guardia al palazzo della Regina babbana. Non mi
hanno fatta
passare!”
“Ah, mi sa che
parli delle
guardie reali…”
“Okay, guardie reali.” Scrollò le
spalle, prima di immobilizzarsi e fissare
qualcosa oltre le sue spalle. “Eccolo
lì.” Sillabò con aria da terminator.
Hugo
si preoccupò per quel poveraccio che era stato appena messo
sotto target.
Voltandosi, notò
che era uno
di Durmstrang, l’unico della delegazione che non fosse
massiccio ma
semplicemente grasso.
Il tipo appena vide Lily
dirigersi verso di lui, tentò una goffa manovra evasiva
verso l’ingresso. Venne
stoppato da sua cugina. Era incredibilmente svelta, anche se nessuno ci
faceva
mai caso.
“Tu.”
Lo apostrofò, indicandolo senza troppe cerimonie.
“Dov’è
Sören?”
Tizio fece una smorfia. Sembrava piuttosto scocciato, ma aveva in
faccia la
medesima espressione di tutti quelli che si imbattevano nella furia di
sua
cugina: vaga preoccupazione per la propria incolumità.
“Non ha niente di meglio
fare che dare tuormento a noi di
Durmstrang fraülein?”
“Evidentemente no.” Replicò piazzando le
mani sui fianchi. Non si accorgeva mai
di farlo, ma lo faceva quando era veramente incacchiata. Come lo era
adesso: di
brutto.
“No affari
tuoi.”
“Sono sua amica, sono
affari miei!”
Il ragazzo le rivolse un
ghignetto davvero sgradevolissimo. Hugo era certo che dietro
quell’aria
impettita e strafottente, si spogliasse Lily con lo sguardo. Si
sentì quindi in
dovere di avvicinarsi in modo minaccioso. Quello neanche lo
notò.
La
storia della mia vita.
“Bene. Allora
perché non
chiede di entrare in Roskilde se tu
vuole stare tranquilla? Se ci riesce da porta principale…”
Hugo vide Lily esitare, e capì il conquibus:
sua cugina non aveva in realtà nessun diritto di chiedere
informazioni o di
vedere il tedesco. Era solo una studentessa, perdi più
minorenne e di un’altra
scuola.
E
mi sa anche che Luzhin può starsene quanto vuole
rintana nel loro vascello. Non c’è nessuna regola
che lo obbliga ad uscire e a
frequentare Hogwarts…
“Ora tu non parla
più, ah?” La
provocò il durmstranghiano. “Tu sa, forse
è Ren…”
Hugo sapeva che era il nomignolo con cui Lily lo chiamava, ma fu
pronunciato come
un insulto. “Forse è tuo Ren che non vuole
vederti. Tu impiccia troppo.”
E Lily crollò. Non fu un fenomeno particolarmente vistoso.
Quando rimaneva
ferita era bravissima a nasconderlo: era solo un leggero piegarsi delle
spalle
e il modo in cui non riusciva a ribattere subito, che lo faceva intuire.
Ad Hugo non serviva
guardarla
in faccia per capire che era un passo dalle lacrime.
“Ohi!”
Lo apostrofò, imitando
un piglio alla James. “Che ti costa dire a mia cugina come
sta Luzhin? Sei
davvero stronzo!” Si sentiva le orecchie bollenti e non gli
piaceva per niente
mettersi in mezzo, ma nessuno faceva piangere Lily quando lui era nei
paraggi.
Era una questione di onore.
Non c’erano Al e Jamie: toccava a lui.
Il tizio sbuffò
esasperato.
“Ma quanti siete? Tutti parenti, figliate come
conigli!”
Hugo a quel punto vide
rosso,
perché per lui era facilissimo che accadesse. Per questo non
si immischiava mai
nelle liti di principio di Lily. Perché la prima cosa a cui
pensava, era a
squadernare la bacchetta e a menare incantesimi.
“Hugo,
no!” Esclamò Colei che Tutto aveva
Iniziato. Troppo tardi,
però. Si lanciò fieramente contro il tizio in
uniforme, pronto a difendere
baracca e burattini. Per principio. Perché era un Weasley e
nessuno insultava
uno dei suoi.
Poi si sentì
afferrare per un
orecchio.
Morsa
d’acciaio! Ahia! Porca miseria! Morsa d’acciaio!
Lo
pensò con dolore, mentre si
accorgeva che, a meno di perdere un orecchio, non poteva muoversi.
“Buono Gogo.”
E capì al volo
che si trattava
di Dominique. Solo lei lo chiamava così e solo lei poteva
prendere una persona
al volo in quel modo assurdo. Si voltò.
Era lì, in tutto
il suo squinternato
splendore: lentiggini, capelli argentati e piercing.
L’uniforme era l’unica
cosa che la rendeva membro di un’elegante accademia di magia.
Ma
le sta in modo strano.
“Mollami!”
Tentò. Poi guardò
Lily, che in compenso sembrò molto sollevata
dall’apparizione repentina.
Grazie
tante, eh!
Dominique comunque non lo
mollò. Apostrofò invece il durmstranghiano.
“Ehi, Tappo-Tombo.
Anche io sono
una della conigliata. Però, a differenza dei minorenni qui,
so come si usa una
bacchetta. Vuoi che ti faccia passare il resto della giornata con la
testa al
posto del culo?”
Il bello di Domi,
rifletté
Hugo, è che perdeva espressione quando minacciava qualcuno.
Sembrava una serial
killer.
Durmstrang in
effetti sembrava molto preoccupato. Perché rispose, sebbene
a denti stretti.
“Sören riposa. Quando starà meglio,
torna. Mi ha detto di dire a te.” Bofonchiò
a Lily in chiusa finale.
“Visto, era tanto
difficile?
Ora levati dalle palle.” Lo apostrofò Domi,
mollando lui di contraccambio. Fu
felice di riavere indietro il suo padiglione auricolare.
Il tipo invece
sputò qualcosa
in una lingua che sembrava russo, ma si affrettò ad
andarsene quando la Veela-per-meno-di-un-quarto
rimise mano
alla bacchetta.
“Domi, sei davvero
la principessa
delle fate.” La prese in giro Lily di nuovo sorridente.
“No
Lilù, quella è mia
sorella. Io sono quella davvero
figa.”
Replicò giovialmente, scrocchiandosi il collo.
“Ognuno ha i suoi ruoli, nel
nostro conigliesco clan, no?”
Ridacchiare fu molto
liberatorio, stimò Hugo. Anche perché
probabilmente quel tipo l’avrebbe
rivoltato come un calzino, se non fosse arrivata Dominique.
“Grazie
Domi…” Le disse Lily.
“Poliakoff è davvero odioso. Ed a rendere tutto
più disgustoso, ogni volta che
ci parlo mi fissa le tette.”
“Se vuoi la prossima volta gliene faccio crescere un
paio…” Offrì gentilmente
l’altra. Lily sorrise contenta, e Hugo capì che la
tempesta era passata. Almeno
per il momento. “Comunque sono preoccupata anch’io
per il tuo mangia-kartoffeln.”
Soggiunse la francese. “Tra
lui e RaggioDiSole Malfoy sembra ci sia stata una moria di
Campioni… non so se
comprarmi uno spioscopio o gioire perché sono
l’unica ancora sana di corpo e di
mente.”
“Di
mente ne dubito.”
Disse un’altra voce spuntata dal nulla – dalle loro
spalle a dire il
vero – con accento londinese così perfetto da
sembrare quello di un’attrice
della tv.
Era una ragazza con due
grandi
occhi scuri e il naso a patata, però del genere carino. Di
Beaux-Batons come
Dominique, a Hugo sembrava di averla già vista.
“Che diavolo stai
facendo
Nicky?” Chiese quella con l’aria di volerne dire
quattro a tutti loro. Lily
inarcò le sopracciglia.
“Oh, Piggie! Ma
niente. Ho
quasi trasformato la faccia di un crucco in un culo.”
Ghignò questa, beandosi
probabilmente dello sguardo sgomento dell’altra.
“Demente di una
mezza-Veela!”
Fu la conseguente esplosione. Era minuta, ma incazzosa.
“Smettila di andare in
giro a far vergognare la nostra scuola! Finirai per far venire un
infarto alla Madame! O al povero
Mael! Riesci a non
sembrare fuori di testa almeno per
le
ore di lezione?!”
“Neppure un quarto-veela, cherie.”
Replicò senza ascoltarla. “Vi ho mai presentato
Violet?” Esordì poi, affatto
turbata dall’aria omicida della suddetta. “Dietro
la sua aria da bambolina di
porcellana, nasconde un caratteraccio da arrampicatrice sociale.
Però è anche…”
Non finì la frase che l’altra la
trascinò via con forza
insospettabile. Specie perché Dom se
voleva era inamovibile come un gigante di montagna. “Adieu!” Urlò
quest’ultima. Poi svoltarono l’angolo sparendo alla
vista.
Sentirono la voce di Violet
per un altro po’, però.
“Wow.”
Commentò Lily. Inarcò
le sopracciglia. “Sembravano intime.”
Hugo la scrutò,
non sapendo di
che diavolo stesse parlando.
In
ogni caso, non voglio saperlo. Sul. Serio.
Comunque sembrava essersi
ripresa. Forse perché aveva avuto le informazioni che voleva.
O
forse perché Sören la ha lasciato detto
qualcosa…
“Dai, ora sai che
il tedesco
sta bene…” Tentò, sperando che almeno
quel capitolo fosse chiuso.
Quando intercettò
l’occhiata
della cugina, capì che non era affatto così.
“E pensi mi basti?
Non se ne
parla. Troverò il modo di salire su quella nave e
controllare di persona.”
Checazzo…
Hugo sospirò: si
riteneva un
tipo saggio, ma soprattutto, doveva ammetterlo, per coprire il suo
ruolo ci
voleva tanta, tanta pazienza.
****
Scozia,
Hogwarts, Aula di Trasfigurazione.
Ora di Pranzo circa.
“…devo
consegnarvi i vostri
temi della scorsa settimana.”
Lily sbuffò scocciata. Lo fece piano però,
perché anche se era riuscita a
retrocedere in terza fila, quella era Trasfigurazione e tra lei e gli
altri
studenti c’era Occhio-Di-Falco
McGrannit.
Malfoy
l’ha pensata davvero bene… il nomignolo
è
perfetto.
Abigail accanto a lei le
sorrise incoraggiante. “Dai, sei migliorata un sacco!
Sarà andata bene, me lo
sento.”
Lily fece spallucce. In
realtà
un po’ ci sperava anche lei. Aveva passato ore in biblioteca
per quella
maledetta materia. Non erano state del tutto orrende, visto che era
con…
Per
tutte le sottane discinte di Morgana, smetti di
pensare a lui!
Mordicchiò
la punta della piuma, ed
aspettò che la sua pergamena svolazzasse fino a lei. Quella
si posò
delicatamente sul banco.
Lesse velocemente.
Oltre
ogni Previsione?!
Sgranò
gli occhi, mentre un sorriso le
esplodeva in faccia. Quello era il primo bel voto che prendeva in
Trasfigurazione da…
Sempre?
“Brava
Lils!” Si sporse Hugo
quasi facendo cadere il suo compito. “Ci hai dato dentro
stavolta!”
“Già…” Mormorò,
divisa tra il gongolare e il sentirsi uno straccio. Perché
era
solo grazie a Colui-che-era-uno-stronzo che
era riuscita ad evitare il suo abituale Accettabile.
Ren.
Ren e i suoi consigli e le annotazioni che mi ha
fatto sul libro di testo…
Maledizione.
Stupido! Sei uno stupido!
Infilò il compito
in borsa,
facendo per seguire il piccolo fiume di studenti che sciamava
rumorosamente
fuori dalla classe.
“Signorina Potter…” La
richiamò la vecchia strega, seduta dietro la sua scrivania
come una specie di giudice impietoso. “Rimanga qui, vorrei
scambiare quattro
parole con lei.”
Hugo, Fergus e Abigail le
lanciarono identiche occhiate di preoccupazione mista a compartecipe
incoraggiamento. Sorrise loro, e si diresse verso il fondo
dell’aula come una
condannata al patibolo. Coraggiosa e rassegnata.
Se
mi accusa di aver copiato, urlo.
La donna stava riponendo
dentro un grosso baule dei portafoto che aveva usato durante la
lezione. Le
erano serviti per essere trasfigurati in portaombrelli. Le fece cenno
di
avvicinarsi.
“C’è qualche problema?”
Spiò incerta, sentendosi tutti i suoi quindici anni
pesarle addosso. Non era giusto: ce l’aveva davvero messa
tutta per fare quei
trenta centimetri sulla Legge di Gamp!
Così
Ren sarebbe stato fiero di me… Morgana, quanto
sono stata cretina.
Si sentiva come quelle
stupide
che ridacchiavano di fronte ad una mascella solida o dei bei lineamenti.
Cioè,
non che non mi piacciano i ragazzi e non
ridacchi. Ma lo faccio consapevole
di farlo!
E
invece stavolta…
Il flusso di pensieri fu
interrotto dalle parole della docente. “In realtà,
volevo dirle che ha fatto un
buon lavoro.”
Eh?
La
sua faccia sorpresa dovette parlare
per lei, perché la McGrannit le rivolse un sorriso. Anche
quello fu sgomentante.
“Sta facendo progressi. E non parlo solo dei compiti fuori
dalle lezioni, ma
anche qui, in classe. È migliorata.”
“Ah… sì.” Annuì
riprendendosi abbastanza per non sembrare una brutta copia di
suo cugino Hugo. “Sì… mi sto facendo
dare una mano. Delle ripetizioni intendo.”
Si affrettò a spiegare visto cosa era successo durante la
prima lezione. “A
quanto pare non sono così disastrosa come
pensavo…” Chiosò con un sorrisetto.
La donna inarcò
un
sopracciglio, come se avesse detto una cosa sciocca. “Lei non
è disastrosa,
Potter. È semplicemente svogliata e disattenta, cosa ben
diversa.”
Prendi e porta a casa Lils. McGrannit
uno, Le Tue Paturnie Adolescenziali zero.
Si risolse a non dire niente
e
stringere le dita sulla tracolla. “Quindi… era
questo? Non è che… vuole…”
Esitò
incerta, perché si sentiva più scema ogni secondo
che passava. Ma era così, con
donne come la McGrannit o zia Hermione. Si sentiva sempre come se
parlassero
due lingue diverse, in lassi temporali abissalmente lontani. Per
eufemizzare.
“… non so, farmi una predica?”
Si sarebbe morsa le labbra non appena lo ebbe detto. Ma era ormai
troppo tardi
per evitare che la McGrannit inarcasse entrambe
le sopracciglia.
“Il mio compito
qui non è fare
prediche, Signorina Potter, ma
istruirvi e prepararvi per i GUFO di fine anno…”
Fece una breve pausa. La
guardò attentamente. “Al nostro primo incontro
credo di aver detto qualcosa che
l’abbia convinta che io rimpianga i tempi passati.”
“… io…” Capì dopo
un attimo di cosa parlava.
Quando
mi ha paragonato a mia nonna…
“No,
io…”
Oh,
dannazione.
Con donne del genere
diventava
afasica. Era tutta la cultura che si portavano dietro, o forse solo
l’atteggiamento. Le veniva voglia di sbattere la testa contro
un muro. Era
frustrante, essere così diversi.
“Lei non è sua nonna, Signorina Potter”
Non era affatto una stupida,
Minerva McGrannit. Lily lo pensò sentendosi arrossire,
mentre gli occhi le si inumidirono
di colpo. Sapeva dove battere il ferro, e quel particolare ferro era
caldo.
Bollente. Non era facile per lei passare oltre quelle insicurezze che
avevano
il suo stesso nome. E la professoressa l’aveva capito.
“Lo so.”
Borbottò a mezza
bocca, in una perfetta imitazione del maschio Weasley. Agghiacciante.
Cercò di
rimediare. “È che… non mi piace essere
paragonata a lei. Succede… più spesso di
quanto io non voglia. Forse è per il nome, non lo so. O per
i capelli…”
La strega non disse nulla,
poi
chiuse il baule con un colpo della bacchetta. “Da lei mi
aspetto esattamente
ciò che mi aspetto da ogni studente. Perseveranza e
serietà. Nient’altro. Detto
questo, se continua così potrebbe persino aspirare ad un
GUFO nella materia.”
“… ci proverò.”
Mormorò sentendosi sciocca e orgogliosa.
“Ne sono
certa.” Ci fu un
secondo sorriso. Lily rispose spontaneamente stavolta.
“Ah… un’altra cosa.” La
apostrofò. “Chi le dà ripetizioni? Ci
sono alcune comparazioni che non
dovrebbero essere nel suo libro di testo o in quello che le ho detto in
classe…”
“Ah, quello…” Annuì
tranquilla, sapendo che non c’era nessuna insinuazione
dietro ormai. Era semplice curiosità da docente.
“Forse è in quello di
Durmstrang. Il ragazzo che mi sta aiutando è
dell’Istituto…” Fu costretta a
spiegarle alla sua aria sorpresa. “…
Sören Luzhin. A volte si dimentica che
abbiamo programmi diversi…”
E
si lancia in spiegazioni comparative complicatissime.
È così carino quando cerca di farmi capire di che
diavolo sta parlando… Mi
viene voglia di dargli retta solo per farlo contento.
Altra fitta di nervoso.
Strinse le labbra.
“Capisco.” Fece un lieve cenno della testa.
“Sembra un ottimo insegnante.”
“Lo è.”
E improvvisamente, le si
accese un lumos chiarificatore in
testa.
La
professoressa è una professoressa. Del corpo
insegnanti. Dello staff di Hogwarts. Quindi ovviamente facente parte
dell’organizzazione del Tremaghi.
E
se potesse aiutarmi?
“Senta, potrei
chiederle una
cosa?” Ad un cenno affermativo, si apprestò a
spiegare. Non fu difficile
inventarsi una scusa. Dopotutto Sören poteva effettivamente
aver preso per sbaglio uno dei suoi libri di testo e
non averglielo ancora ridato. E lei aveva davvero
bisogno di riaverlo indietro.
Come
posso privarsi anche solo per un paio di giorni del
manuale di Incantesimi nell’anno dei GUFO?
Non
posso, ecco.
Il
difficile fu farlo credere
all’anziana strega, che le scoccò
un’occhiata piuttosto eloquente in merito.
Non
ha funzionato, eh?
“Vediamo se ho ben
capito… lei
mi sta chiedendo un’autorizzazione scritta
a salire sul Vascello di Durmstrang…”
“Esatto! Perché ho idea che funzionerà
solo quella con quelli… ehm. Con quelli
come loro. Stranieri, cioè. Con
regole diverse.” Fece il sorriso più convincente
del suo repertorio. Non bastò,
glielo lesse in faccia. “Così potrò
riavere il mio Ren… libro!
Riavere il mio libro!” Si corresse imbarazzata.
E
siamo già a quota due lapsus.
Gli succedevano sempre
quando
era agitata.
Maledetti
geni di zio Ron.
Era totalmente
colpa loro. Ne era certa.
Fu anche sicura
però di
intravedere un brillio divertito negli occhi acuti della professoressa.
“Non ho
l’autorità per fare
una cosa del genere, Signorina Potter.” La freddò
però. “Sono una professoressa
è vero… dubito che sarò altro per
tutta la vita…” E qui la frecciatina Lily la
colse. Si dispiacque per averle dato della zitella. Davvero.
“… ma una
richiesta simile la deve rivolgere al suo Direttore di Casa, non a
me.” E qui
la mimica facciale fu inequivocabile. Era una dritta. “Mi
risulta sia il
Professor Paciock, no?”
****
Inghilterra,
Wiltshire, Malfoy Manor.
Pomeriggio.
James si passò
una mano sulla
nuca, guardando incerto l’immensa atrio di Villa Malfoy.
Quella mattina si era
svegliato
con in testa l’idea di andare a trovare l’amico, e
non era riuscita a
scacciarla finché non aveva smontato
dall’Accademia per materializzarsi lì. Scorpius
non rispondeva ai suoi Gufi, e neanche allo specchio comunicante che
gli aveva
regalato per il suo compleanno.
Si era dunque preoccupato.
Per
fortuna mi aveva detto che stava dalle parti di Stonehenge.
Sennò sai come trovavo ‘sto posto…
Non sapeva se avesse fatto
bene a venire lì in realtà. Cioè
sì, aveva fatto bene, però…
Qua
ci hanno pur sempre imprigionato papà e gli zii…
Certo, Scorpius per lui non
era mai stato uno di quelli.
Cioè sì,
ma prima. Insomma, era stato strano
varcare
quei cancelli. Parecchio.
Specie perché
adesso era
fissato dagli imponenti e arcigni ritratti che stavano appesi un
po’ ovunque.
Ce n’erano una dozzina. E lo fissavano tutti.
“È un
mezzosangue!” Esordì una
tipa con grosse palpebre e un orrendo vestito a balze nere.
“Sicuramente.”
Convenne un vecchio
sottile e dalla carnagione singolarmente verdastra. “Del
resto l’igiene
approssimativa è cifra stessa di quelli come
loro…”
“Ehi, mi lavo! Tu non ti fai un bagno da quanto
nonnetto?” Sbottò bellicoso,
ben felice di trovarsi qualcosa da fare mentre aspettava che qualcuno
lo venisse
a prendere.
“Signor
Potter?”
Una voce di donna lo fece voltare. Si trovò di fronte a
quella che era
evidentemente Lady Astoria. L’aveva vista solo una manciata
di volte in vita
sua, e tutte da lontano. Non ci aveva mai parlato di persona, neppure
quando
aveva cominciato a frequentarsi con suo figlio.
Si ravviò i
capelli con una
mano, in un gesto che lo aiutava a darsi un tono.
“Ehm… salve. Non stavo litigando
con…”
“Chi è quest’insolente,
Astoria?” Sbottò il vecchiaccio con piglio
piuttosto vitale
per essere solo vernice e tela. “Fallo immediatamente
cacciare via!”
“Va tutto bene zio Abraxas… è un amico
di Scorpius.” Spiegò pacata scendendo le
scale.
Indossava un vestito
semplice
e dalla foggia curiosamente babbana. James ricordò di averla
sempre vista con
vestiti sfarzosi, confezionati sicuramente dai migliori sarti magici.
Sembra
diversa … meno spocchiosa. Forse perché
è a
casa? È in tenuta da casa?
La donna intanto lo
raggiunse.
“Vieni James… posso darti del tu?”
“Certo! Quasi nessuno mi chiama Signor Potter da quando ho
lasciato Hogwarts.”
Lady Astoria gli sorrise,
toccandogli leggermente il gomito, come ad invitarlo a seguirla.
Salirono
assieme le scale e James la guardò un po’ meglio.
Ora che ce l’aveva davanti,
notò che Scorpius le somigliava un sacco. Non tanto nei
colori, in quelli
l’amico era dichiaratamente un Malfoy. Ma nelle espressioni.
Avevano lo stesso
sorriso, nella bocca ma anche negli occhi.
“Sono felice che
tu sia venuto
a trovare mio figlio…” Esordì. Aveva un
tono di voce molto basso. Curioso per
James, abituato ad avere sempre attorno presenze femminili dalla voce
squillante. “Ha bisogno dei suoi amici adesso, ma purtroppo
sono tutti ad
Hogwarts…”
“Non tutti, signora. Ci sono io.” Disse sincero.
“Non ha risposto ai miei Gufi,
così ho pensato di dover… insomma, di dover
venire a controllare. Mi dispiace
per l’improvvisata.” Aggiunse, perché
ricordava nebulosamente esistesse
un’etichetta anche per le visite.
La donna fece un sorrisetto
obliquo, lo stesso che il figlio usava poco prima di combinare qualche
guaio.
“Oh, sì… è stata una
sorpresa.” Ammise. “Ma Scorpius sicuramente la
gradirà.”
“Ma non suo
marito.”
“Non preoccuparti caro. Draco sarà a Londra fino a
stasera.”
Si scambiarono uno sguardo
inequivocabilmente complice, e ripresero a camminare.
I corridoi sembravano
labirinti. James si guardava attorno stranito, mentre Lady Astoria lo
scortava
con sicurezza incredibile per metri e metri di scalinate, salotti e
porte.
Io
mi sarei già perso…
Era così strano
pensare che quel
posto fosse la casa di un tipo allegro come Scorpius. Non che fosse
brutta. Era
un maniero, dannazione: era sfarzoso, impressionante e c’era
roba che
probabilmente valeva quanto casa sua, ma…
È
tutto così lugubre. Peggio che la Sezione Proibita ad
Hogwarts. È come se fosse una specie di fottuto mausoleo per
ritratti arcigni.
Di quelli ce
n’erano davvero
tanti in effetti.
“Tutti
questi… ehm, signori
sono Malfoy?” Chiese
all’ennesima strega con la puzza sotto il naso che lo fissava
con aperto
disgusto.
“Non tutti,
no.” Spiegò la
donna, aprendo una porta. “I Malfoy sono una delle famiglie
più antiche del
Mondo Magico… e sono pressoché imparentati con
tutte le famiglie purosangue
esistite o tutt’ora esistenti.” Fece un cenno ad un
ritratto senza voltarsi neanche
a guardarlo. “Qui vi sono ritratti di Black, Prewett, Nott,
Burke… Dì un
cognome purosangue e ci sarà di sicuro.” Aggiunse.
“Una bella collezione.”
“E parlano
tutti?”
“Per fortuna no.” Stavolta fu proprio certo di
averle visto strizzare l’occhio.
“Quelli troppo loquaci li abbiamo fatti coprire. Mi dispiace
per prima… zio Abraxas
era il nonno di mio marito, fa eccezione.” Si
fermò di fronte ad un corridoio
sgombro di ritratti. James intuì che la stanza
dell’amico era lì.
Lady Astoria a quel punto
gli
fece l’ennesimo sorriso da Monna Lisa.
“È l’ultima stanza a destra. Ti
accompagnerei, ma ho delle faccende che richiedono la mia
attenzione…”
“Va bene lo stesso e… grazie.” Disse
sinceramente, non sapendo bene il perché.
Forse perché gli aveva dimostrato di non essere una stronza
purosangue. Purosangue
lo era, in ogni singolo poro, ma lo era come poteva esserlo Scorpius.
Un po’
strana, ma buona.
“Grazie a te
James.” Gli
rispose, toccandogli appena un braccio. Probabilmente per i canoni di
un Malfoy
era come se lo avesse stretto in un abbraccio.“Scorpius non
lo ammetterà mai,
ma il fatto che tu abbia accettato la sua amicizia conta moltissimo per
lui.”
“Signora, sono stato un cretino a non averlo fatto
prima.” Replicò di getto. La
donna gli sorrise in risposta, e poi con un lieve cenno di commiato si
allontanò.
Wow.
Se non avessi il mio Teddy, vorrei una femmina
così.
Inspirò e poi si
diresse
dritto filato verso la stanza indicatagli. Non bussò
neanche, entrò
semplicemente.
Beccò
l’amico steso sul letto,
mentre faceva sprizzare scintille dorate dalla bacchetta.
Si fissarono per un breve,
intenso attimo sorpreso.
“Hai
un’aria miserabile,
Malfuretto.”
“Non si usa bussare Poo?”
Due secondi dopo si
sogghignavano virilmente. James si sedette sul bordo del letto, mentre
l’altro
si alzò a sedere.
“Come hai fatto a
trovare casa
mia? Di solito anche i maghi fanno fatica a trovarla
…” Chiese perplesso.
“Certo, a meno che non siano stati invitati. E tu, non per
colpa mia, sai che
ti adoro Potty, non lo sei.”
“Infatti.” Confermò tirandogli un pugno
sul ginocchio. “Ho girato a vuoto come
un idiota per ore, finché non mi sono incazzato e ho preso a
calci una pietra.
Quella ha sbattuto contro qualcosa di solido, solo che era in aria. Così ho trovato i
cancelli. Mi ci sono attaccato urlando finché
non è venuto un elfo domestico… Quello ha
riferito a tua madre… ed eccomi qua.”
Disse tutto di un fiato, con il piglio più allegro del suo
repertorio. Perché dietro
la risata con cui gli rispose, Malfoy aveva l’aria di uno che
non se la passava
bene. Doveva indagare.
Dopotutto
sono un auror. Allievo auror. Comunque.
“Sono davvero
impressionato
dalla botta di culo allucinante che hai avuto. Quante
probabilità c’erano che
colpissi proprio…”
“Come stai?” Lo interruppe, senza girarci troppo
attorno. Non era il suo stile.
L’altro lo sapeva
perché fece
una smorfia, senza provare ad imbastire scuse. “Hai saputo
quello che è
successo con Rose?”
Non la chiama manco con uno di quei
nomignoli del cazzo… Ahia.
“Ho chiesto a
Lils, che l’ha
saputo da Al. E poi c’ero anch’io quando hai dato
di matto, ti ricordi?”
Scorpius fece un sorrisetto stanco. “Sì, vero.
Comunque è… temporaneo. È
solo…”
“E lei lo sa? Che è temporaneo, dico.”
Indagò perché era un migliore amico, ma
anche un cugino. “Perché Lils mi ha detto che sta
malissimo.”
Scorpius gli
lanciò
un’occhiata. Quella, perlomeno, fu vitale. Perché
sembrava spento, come se gli
avessero tolto una delle due pile che lo alimentava.
Paragoni
babbani a parte…
Era chiaro avesse preso una
brutta botta con la questione dei Dissennatori. Probabilmente era stata
solo la
goccia che aveva fatto traboccare un calderone già colmo, ma
comunque restava
il fatto. Il Malfuretto era in uno
di
quei momenti di apatia che seguivano un grosso sforzo di cuore,
cervello e
nervi.
Ha
bisogno di una ricarica.
“Mi
dispiace…” Mormorò intanto
quello. “Comunque lo sa. Le ho parlato prima di andarmene. O
meglio… è venuta a
cercarmi lei. Io me ne sarei andato comunque.” Ammise
quietamente. “Non ce la
facevo più.”
James rimase un attimo in silenzio. Doveva raccogliere le idee e dire
la cosa giusta. Perché
era quello di cui Malfoy
aveva bisogno, e poteva farlo solo lui.
“Sei un
cazzone.”
Ecco, era un
buon’inizio,
specie perché Scorpius lo fulminò con
un’occhiataccia.
“Come,
scusa?” Sbottò. “Sei
venuto qui ad insultarmi? Perché se
è…”
“Certo che sono venuto qui per insultarti!” Lo
bloccò. “Sono il tuo migliore
amico, è quello che devo fare se ti comporti da
cazzone!”
“Non mi
sto…”
“Non sei autorizzato a parlare.” Lo
afferrò e lo trascinò in piedi, di fronte
alla finestra, ignorando i suoi tentativi di liberarsi. Del resto aveva
incautamente posato la bacchetta sul comodino. “Guarda
fuori.” Gli intimò.
“Perché?”
Esclamò l’altro mediamente infuriato.
“Perché
fuori c’è il mondo reale,
cazzone.” Ribadì scandendolo lentamente mentre gli
tirava un ceffone sulla nuca.
“Non risolverai nulla stando qui dentro a sprizzare scintille
con il legnetto
che ti ritrovi.”
“Ehi, non è un legnetto! È ben
quattordici pollici!” Protestò indignato.
“E so
cosa stai cercando di fare!” Si liberò con uno
strattone violento. Bene, era
sulla buona strada. La reazione fisica era il primo passo di ripresa.
Lui lo
sapeva bene. Era fatto uguale. “So che devo rimettermi in
piedi, che sono il
Campione e che non posso mollare il Torneo, deludere chi crede in me e
trascinare la scuola nel fango! Lo so! Ma sono stufo, okay? Non
è servito a
niente farmi un culo da folletto domestico per dimostrare a tutti che
non ho il
Marchio Nero stampato nel dna! Hai visto cos’è
successo con il padre di Rose!
Ed hai letto il Profeta
ultimamente?”
Inspirò bruscamente come se avesse appena mangiato qualcosa
di acido. “Un'altra fuga alla Malfoy!”
Citò con
rabbia.
James non disse nulla. Aveva
letto gli articoli a cui si riferiva. Quando, grazie a sua madre, aveva
scoperto dove abitava il giornalista che li aveva redatti…
beh.
Quel
tipo avrà un brutto problema di odore per mesi.
Grazie
caccabombe a lunga durata di zio George.
Senza contare quello che
aveva
fatto, a distanza, il resto del clan Potter-Weasley. Anche ad Hogwarts
arrivavano i giornali, dopotutto.
E
siamo tipetti vendicativi…
Scorpius si risedette
stancamente sul letto. “Odio il Mondo Magico. Forse
diventerò un babbano.”
“Faresti schifo
come babbano.
Ti daresti fuoco con un tostapane elettrico.”
“Vero…” Alzò appena lo
sguardo. “Senti, se sei qui per
spronarmi…”
“No, sinceramente di quello non mi frega un cazzo.”
“…
scusa?” Malfoy aveva
davvero una faccia stupendamente beota. “Ma non volevi
… dirmi…?”
“No.” Confermò. “Non
volevo dirti.”
Gli mise le mani sulle spalle, perché discorsi seri
imponevano mimica ad hoc.
“Sono qui perché sono
preoccupato per te. Senti, puoi prenderti tutto il tempo che vuoi, ma
poi devi tornare. Perché
hai messo quel nome
nel Calice per dimostrare a te stesso e nessun
altro che sei un campione. E lo sei, amico… Hai
cavalcato un ippogrifo,
cazzo.”
Oh, odiava la parte in cui
l’altra persona lo fissava con occhi grandi come tazzine da
the. Nei film era
sempre più figo. Loro invece sembravano due idioti.
“Non mi ci sento
neanche un
po’ al momento… però…
grazie.” Bofonchiò Scorpius. James fu felice di
non
essere l’unico a sentirsi in imbarazzo. Almeno lui non aveva
gli occhi lucidi.
Forse.
La
parte delle emozioni proprio non si può tagliare?
“Ti vogliamo bene,
Malfuretto.” Ribadì, perché ormai
c’erano dentro fino al collo, ed erano due
grifondoro. Bisognava dunque andare fino in fondo. “Io,
Albie, Teddy, Lily,
Hugh… Rosie, quei due stronzi di Serpeverde… Ci
teniamo tutti a te. A noi
andresti bene anche se fossi il solito pazzo logorroico. Se vuoi essere
un
campione, fallo solo per te stesso e ‘fanculo gli altri. Non
ti copriremo le
spalle.”
“È il
verbo di James Sirius?”
Sorrise l’altro. Ora andava bene. Ora sembrava il solito
deficiente con il sole
in bocca.
“Certo e guarda
dove mi ha
portato. Ad avere chi volevo, a stare dove volevo e ad essere un
tipo
assolutamente fichissimo.” Ghignò di rimando.
“Dà i suoi frutti, fregarsene
della gente.”
“Lo terrò a mente.” Annuì
Scorpius. “E…”
“Se stai per dire qualcosa di strappalacrime, ti avverto che
abbiamo già fatto
il pieno.”
“Giusto.” Convenne. Poi però fece un
sorrisetto stronzo. “Ti voglio bene anche
io, Poo.”
“Cazzo
Malfoy.” Sbuffò. “Vuoi
un abbraccio?”
Scorpius rise, e James si
sentì davvero l’amico più fico del
mondo…
“Ah, Poo. Voglio
farmi un
tatuaggio che implichi ribellione all’ordine costituito. Che
ne pensi?”
“Questo
è il mio Malfoy!”
****
Vascello
di Durmstrang. Pomeriggio.
Lily stringeva in pugno la
lettera firmata da Neville quando si addentrò
nell’enorme mole della Roskilde.
Il lasciapassare aveva
funzionato veramente.
Okay,
diciamo che è stato un po’ un azzardo.
Però ha
funzionato, quindi va bene così.
Dopo un po’,
notando che non
riusciva ad orientarsi, si fermò. Lo fece anche il ragazzo
che la stava
accompagnando, o scortando. O più probabilmente
sorvegliando.
“C’è
qualche problema fraülein?”
Le chiese. Il tono di precisa
e schietta domanda le ricordò Ren. Decise immediatamente che
le era simpatico.
Ma
comunque…
“Questa non
è la strada per
andare alla cabina di Sören.” Disse indicando con un
cenno l’intero corridoio:
erano allo stesso piano, ma in una parte diversa della sottocoperta, ne
era
sicura.
State
cercando di fregarmi?
“Luzhin non
è lì.” Le spiegò.
“Prego.
È nella stanza dei Duelli. Prego.”
Ripeté facendole cenno di seguirlo. Un
freddo, cortese moretto dai lineamenti slavi.
Mmh.
Penso potrebbero cominciare a piacermi questi soldatini…
Pensandoci, e Lily lo fece
seguendolo di buon grado… era da un bel po’ che
non usciva con un ragazzo.
Fermi.
Attimo…
…
è dall’inizio dell’anno! E se si esclude
la folle pomiciata
con Nott alla festa di compleanno di Malfoy…
Oh
per tutti i cappelli di Morgana. Sono mesi che
non ho
un ragazzo!
…
e non ne sento il bisogno!
La notizia fu sgomentante.
Ed
era sgomentante anche il fatto che non ci avesse pensato fino a quel
momento.
Che
mi è successo?
In realtà, le
suggeriva un
afflato della sua coscienza, c’era
una
spiegazione. Non gli era mancata la compagnia di un ragazzo…
perché effettivamente
quel tipo di compagnia l’aveva.
Pomiciamenti esclusi.
Sören.
Che praticamente si comporta come il mio
ragazzo.
Cavolo.
Lo fa. Fa colazione con me, mi porta i libri e
mi aspetta finite le lezioni. Parliamo per
ore. Mi ha accompagnato ad Hogsmeade. Mi
dà persino una mano coi compiti!
Si morse le labbra, incerta
e
imbarazzata. Non ci aveva mai fatto caso. In fondo erano due amici che
passavano del tempo assieme. Tutto lì.
‘Sì,
certo Lils. Infatti hai un mucchio
di
amici maschi con cui passi il tempo da sola. Tanto tempo.’
Era quello che gli aveva
detto
Abigail quasi un mese prima. Non ci aveva dato peso, ma…
Con
tutto quello che era successo, svenimenti,
Dissennatori succhia-anima e preoccupazione a palate…
Adesso si sentiva confusa.
Favoloso.
Mentre sto per vederlo dopo una settimana in
cui sembra essersi dimenticato della mia esistenza. Tempistica
perfetta.
Il suo accompagnatore si
fermò
di fronte ad una porta con due massicce ante. Era impressionante,
specie perché
sopra vi erano incisi motivi di sirene – non quelle babbane,
quelle vere – e tritoni
dall’aria sinistra.
“La Sala Duelli, fraülein.”
Spiegò il ragazzo, aprendo la
porta con un leggero tocco della bacchetta. Lily vide che non
c’erano maniglie
o aperture di sorta.
Si
apre ad incantesimo. Wow. Molto magico. Molto
purosangue.
Quella di Hogwarts erano uno
stanzone fornito di pedana, molti cuscini e pochissimi oggetti con cui
collidere. Quella era … diversa.
Al di là
dell’arredamento
color sangue – chissà che diavolo di legno era
– c’erano ben tre pedane, lunghe
almeno una decina di metri, segnate da bruciature di incantesimo.
Teche,
recanti bacchette e premi vinti. E ai lati poltrone in cui alcuni
ragazzi si
stavano rilassando fumando pipe di corno. Erano in uniforme.
Ma
ci vivono
dentro?
Lily si inoltrò
in
quell’ambiente saturo di testosterone con la sua consueta nonchalance.
Anche
se è un po’ inquietante che mi fissino
tutti…
La sua guida
scambiò qualche
parola scherzosa e in tedesco con i compagni, che nel frattempo si
erano alzati
al loro ingresso, in un’etichetta che non finiva mai di
stupirla.
“Non
c’era bisogno che si
alzassero…” Tentò incerta.
“Lei è
una ragazza. Dobbiamo.”
Gli spiegò l’altro tranquillo. “Prego,
di qua. Luzhin si sta esercitando nella
saletta privata del Campione. È la prossima
stanza.”
“Ed
è… solo?” Chiese senza
pensarci. Vedendo l’occhiata dell’altro, si
affrettò a spiegarsi, capendo che
aveva frainteso alla grande. “Non vorrei ci fosse Poliakoff.
Io e lui non ci
piacciamo a vicenda.”
“Nein
fraülein. Kirill non
è con lui, è in libera uscita oggi.”
Rispose con una lieve smorfia.
Impercettibile, probabilmente per chiunque altro a parte lei.
Disgusto,
irritazione. Rabbia? Wow. Bel misto!
“Non piace neanche
a te, eh?”
Gli sorrise solidale. Il ragazzo distolse lo sguardo, ma
l’occhiata sorpresa
Lily la colse tutta.
“È
l’assistente del Campione.”
Disse, senza dire niente. Ad eludere i durmstranghiani erano bravissimi.
“Okay.”
Gli diede una leggera
pacca sulla spalla. “Da qui posso continuare da sola. Grazie
per avermi
accompagnato!”
Il ragazzo le rivolse un sorriso aperto stavolta. “Dovere, fraülein. Se ha bisogno di
qualcosa, non esiti a chiamarmi. Sono
Radescu. Dionis.” Aggiunse.
“Sei carino
Dionis…” Lo
ringraziò, perché dovevano esserci più
ragazzi come lui al mondo. Le ragazze si
sarebbero sentite decisamente più principesse. “Ma
al Ballo ci vado già con
qualcun altro.” Colse con colpevole divertimento
l’espressione sbigottita e
delusa dell’altro.
Ehi,
serve a qualcosa capire le intenzioni della gente
guardandola, no? Oltretutto, sembra proprio che Ballo del Ceppo si dica
più o
meno allo stesso modo anche in tedesco.
Si congedò con un
sorriso ed
entrò nella saletta adiacente, fortunatamente senza strane
aperture, visto che
si era dimenticata la bacchetta in camera.
Se
lo sapesse papà mi ucciderebbe.
L’ambiente era
più piccolo, ma
fedele miniatura dell’altro. Sören era
lì: le dava le spalle e si stava
esercitando, scagliando incantesimi su un manichino che glieli
rigettava indietro
con pari intensità.
Lily ritenne saggiamente di
dover aspettare, e quindi si sedette su una delle poltrone accanto alla
porta.
Il suo amico era
sé stesso soprattutto
quando pensava di non essere visto. Lily l’aveva capito da un
po’. Non che fingesse
completamente; ma molti dei suoi atteggiamenti erano filtrati
da qualcosa.
Forse
dalla sua educazione?
Quindi lo osservò.
Scagliava incantesimi contro
il manichino come se volesse…
Beh,
ucciderlo.
Ed era usare un eufemismo.
Quegli stessi incantesimi che gli tornavano indietro con violenza, ogni
volta
li parava con furia, come se volesse scagliarli via più che
neutralizzarli.
Lily notò che
c’erano uno
specchio, proprio davanti alla pedana, forse per osservarsi mentre si
compiva
il movimento di bacchetta. Si sporse per guardarvi dentro, per vedere
l’espressione
di Ren.
Soffriva. Non
c’era altro modo
per dirlo, non altrettanto diretto. Non di un dolore fisico, questo no.
I suoi erano
movimenti troppo energici per essere quelli di una persona
convalescente.
Era come se qualcosa lo
stesse
rodendo dentro. Si stava allenando, ma stava pensando ad altro. A
qualcosa che
lo faceva stare male.
Forse
mi sbaglio, ma…
Frase proforma.
Perché non
sbagliava. In un compito di Trasfigurazione magari, ma con le persone
mai.
Non sopportava di vederlo
così, anche se era arrabbiata con lui.
“Ren!”
Lo chiamò a voce
abbastanza alta da poter essere udita.
L’altro
saltò in aria.
Letteralmente e non in modo buffo. Fece anzi uno scatto repentino e si
voltò,
con un espressione… Morgana benedetta, l’aveva
spaventato a morte.
Tanto che si
sentì in colpa,
anche se era dalla parte della ragione. Da una settimana.
“Scusa, è che sembravi
così preso…”
Il ragazzo la fissò per un momento, quasi non la capisse.
Poi si riscosse e
l’espressione atterrita venne rimpiazza da una …
meno spaventata?
Comunque…
“Lilian…”
Mormorò. Era sudato
di una fatica sfiancante. Aveva i capelli fradici ravviati malamente
all’indietro,
e la leggera casacca da allenamento appiccicata al torace. Lily per
quanto
fosse preoccupata dalla situazione, notò che aveva dei
pettorali
insospettabili. “Perché sei qui?”
Che
ci faccio qui?! Secondo te? Una passeggiatina in
una nave carica di maschi?
… potrei, ma non è questo il caso.
La ragazza sentì quella familiare fitta di fastidio
attraversarla. Ci si stava abituando. Il che era ancor più
irritante. “No. Non
ci siamo.” Sbottò senza troppi complimenti.
“Rifallo, perché così non va… Ciao Lily, che bello vederti.
Questo è salutare
un’amica.”
Sören la fissò con uno sguardo smarrito, quasi la
considerasse un’estranea che
diceva cose senza senso.
Quello le fece
male come quando era caduta nel laghetto di fronte alla Tana,
rovinandosi il
vestito nuovo e sbucciandosi mani e ginocchia.
Quindi squadernò
un bel
sorriso a trentadue denti. “… Bene. Sono felice di
vedere che non sei morto. Vedo
che sei occupato. Magari ci vediamo più tardi. Per la
Seconda Prova o forse mai
più. Ah, comunque sono quella tipa di Hogwarts che era
preoccupata per te.”
Sibilò con l’improvvisa voglia di correre via. E
poi singhiozzare sulla prima
spalla familiare disponibile.
A quel punto Sören
sembrò
ricordarsi che ruolo giocava nella sua vita, perché
scattò e la afferrò per un
polso. “Lily, aspetta!” Esclamò. Aveva
il fiatone, e la mano bollente. Era
anche sudato e appiccicoso, ma stranamente quello non le diede il
minimo
fastidio. Di solito rifuggiva maschi in tali condizioni.
“Sono qui, mi
pare. Non mi
sono gettata dall’oblò.”
Mormorò con la sua espressione più fredda. Doveva
essere una regina delle nevi. Perché quell’idiota
se la meritava tutta, la sua indignazione.
“…
Scusa. Non andartene, sono
stato scortese.” Sussurrò e Lily scoprì
con una certa dose di sorpresa che le
era mancato quell’accento teutone. “…
è che non mi aspettavo venissi. Hanno
rafforzato la sicurezza attorno alla nave e visto come sei entrata le
ultime
volte…”
“Infatti stavolta sono venuta autorizzata.”
Replicò sentendo cedere la sua risoluzione.
Il maledetto era bravissimo nella faccia da cucciolo bastonato.
E
sì, a me fa effetto. Tanto.
Sören le
lasciò delicatamente il
polso, riponendo la bacchetta nel fodero legato alla coscia.
“Come?”
“Foglio di via dal mio Direttore di Casa. Gli ho detto che
dovevi ridarmi un
libro… libro di testo fondamentale.”
“Astuto.”
“Perché sono
una ragazza astuta.”
Sören le sorrise. Non riusciva a capire se era contento di
vederla. Sembrava,
ma qualcosa le diceva non fosse del tutto così: era
disturbante.
A
volte proprio non capisco che gli passa per la testa…
“Senti…
devo farmi una
doccia.” Esordì l’altro dopo una pausa
in cui si erano guardati in un modo che
Lily a posteriori giudicò come scomodamente intenso.
“Non credo tu mi voglia
attorno in queste condizioni…” Aggiunse ironico.
“In questa settimana ti avrei voluto anche se avessi puzzato
come mio fratello
Jamie dopo gli allenamenti di Quidditch.” Replicò
mordace. Non le era certo
passata. “Invece niente. L’ultima volta che ti ho
visto eri steso in un letto,
incosciente.”
Sören non disse
nulla. Meglio,
sembrò voler dire qualcosa, ma poi tese le labbra. E tacque.
A quel punto Lily
capì che
doveva prendere la situazione in mano. “Ti aspetto nella tua
cabina? Possiamo
parlare lì.” Non era una domanda. E
l’altro lo sapeva, perché acconsentì
con un
cenno della testa. Lily uscì dalla saletta con la sensazione
che la loro
conversazione fosse appena iniziata.
Sören non sapeva
cosa fare.
Per questo era di fronte
alla
porta della propria cabina. Dentro c’era Lily. Se la
immaginava seduta sul suo
letto, oppure a curiosare in giro. Più probabile la seconda.
Fortuna
ho incantato tutto ciò che può essere
sospetto…
Non era panico, era davvero
non sapere che pesci prendere. Sapeva di aver fatto una cosa
estremamente
stupida ad allontanarsi da lei e a non dare sue notizie per quasi nove
giorni.
Adesso era comprensibilmente arrabbiata con lui.
Avevo
bisogno di pensare… sgombrarmi la mente. Non che
abbia funzionato, ma…
Ma almeno adesso aveva delle
certezze. La prima, era che la missione aveva uno scopo. E che lo
conosceva,
finalmente. E la seconda che non avrebbe coinvolto Lily, non nel senso
di farle
del male.
Suo Zio glielo aveva
assicurato.
La sensazione di
frustrazione
non era scomparsa, e si sentiva sempre i nervi tesi.
L’atmosfera della nave non
aiutava. Quei ragazzi lo odiavano. Lo trattavano come se avesse
contratto il
vaiolo di drago. E Radescu continuava a fissarlo come se si aspettasse
qualcosa
da lui.
Cosa?
Cosa pensi che debba fare? Io ho dei doveri. Come
te. La mia fedeltà va ad un uomo, e non ad una scuola. La
differenza è solo
morale.
Serrò appena le
labbra. Doveva
affrontare un problema per volta.
Il problema è che
non sapeva
come affrontare il suo primo e fondamentale problema, dietro quella
porta. Non
dopo ciò che era successo. Non dopo che le doveva la vita.
E
l’anima Sören, non dimenticarti la tua anima.
Inspirò e poi
aprì la porta,
rifiutandosi di rimanere ancora lì come un ragazzino
timoroso. Non lo era.
Lily era ovviamente nel bel
mezzo di un’esplorazione. Era chinata sulla sua scrivania
– talmente piccola e
scomoda che ci teneva solo qualche effetto personale e dei libri.
Al rumore della porta si
raddrizzò
di scatto con aria colpevole. Beh, perlomeno sembrava meno infuriata di
prima.
“Non stavo curiosando!”
Gli venne spontaneo sorridere al modo in cui lo disse. “Puoi
farlo se vuoi… non
ho nulla da nascondere.”
“Se cerchi di farti perdonare…”
Borbottò l’altra cincischiando con quello che
riconobbe come il nastro verde che gli aveva dato per la Prima prova.
“Ci sto
riuscendo?” Chiese,
stupendosi del fatto che voleva davvero saperlo. Gli dispiaceva di
averla
evitata – perché è quello che aveva
fatto – e averla fatta preoccupare di
conseguenza.
E
ti dispiacerà quando Lily si accorgerà di essere stata
ingannata?
Accantonò il
pensiero come si
faceva con dello sporco sul pavimento.
Lily gli rivolse una smorfia
imbronciata. “Forse.” Si girò la
fettuccia di stoffa attorno alla dita. “L’hai
tenuta…”
“Certo che l’ho tenuta. Mi ha portato fortuna, come
avevi pronosticato.”
Convenne. Era una bambina. Lily era ancora una ragazzina, per quanto a
volte
dimostrasse una maturità emotiva non comune tra le sue
coetanee. L’aveva
ignorata, e quello che adesso voleva era che lui le assicurasse che
c’era.
Stai
cominciando a capirla. Bene. No? È un bene…
Quel giorno sembrava la sua
testa formulasse pensieri senza che lui avesse voce in capitolo.
Non
solo oggi. Da un bel po’, direi.
“Non te ne ha
portata molto,
visto che ti sei ferito…” Obbiettò Lily
rimettendola sul tavolo, dove era
precedentemente.
“A proposito di
questo… credo
di doverti ringraziare. E sarebbe comunque riduttivo.”
Mormorò di rimando,
avvicinandolesi. Quel giorno gli sembrava stranamente…
intimidita.
Non
che questo l’abbia comunque fermata dal farmi
sapere la sua opinione sulla mia defezione.
Ma non lo stava guardando
negli occhi. E di solito gli piantava addosso quei fari verdi
incredibili, di
un color bosco brillante, senza pudore, con una semplicità
irritante e
parimenti disarmante.
“Cose di ordinaria
amministrazione, se sei una Potter.” Replicò di
rimando mordicchiandosi
l’angolo delle labbra, sondandole appena coi denti.
“… non
sono cose di ordinaria
amministrazione, Lilian.”
“Forse.” Concesse. “Ma che avrei dovuto
fare? Eri in pericolo… non ho pensato.”
“Sei stata straordinaria.” Lo disse di getto, senza
mediare. Perché era vero, e
doveva riconoscerlo.
L’altra ebbe una
reazione
piuttosto forte: lo guardò sgranando gli occhi, ma non disse
niente: si
mordicchiò semplicemente le labbra con più forza.
Curioso.
I complimenti, quelli non diretti al suo
aspetto esteriore, la mettono a disagio.
“Non è
stato niente di che…”
Replicò infatti. “Quell’incantesimo non
è così difficile e come ti ho detto,
non pensavo. E poi ero lì.” Snocciolò
in sequenza.
“Già. A proposito …”
Sören capì che non era il caso di insistere.
“Come mai eri
lì?”
Lily a quel puntò gli lanciò
un’occhiataccia, facendolo sentire come lo stupido
del villaggio. “Secondo te?
Ti
cercavo! Nessuno ti aveva visto ed ho pensato che fossi rimasto
indietro, visto
che eri nell’arena. Ho perso quell’idiota di
Poliakoff, e forse è stato un bene
perché…”
“Lui era con
te?” Significava
forse che era stato Kirill a portarla fino all’arena, con il
rischio che la
attaccassero i Dissennatori? Strinse la mascella.
Dovrò
parlargli di questo. Del perché.
Non gli stavano piacendo i
giochetti fuori dalle quinte di quel viscido russo. Sembravano innocui,
ma
forse… beh, forse non lo erano.
“Sì, ma
non è importante, e
poi c’è un’altra cosa che ti devo
dire…” Esitò. “Non sono
riuscita a vedere la
tua Prova.” Si grattò una guancia con incertezza.
“Mi sono… tipo, addormentata.
So che è assurdo, ma forse ero stanca…”
No, eri narcotizzata e mentre lo eri ti
ho anche fatto un incantesimo di memoria. Questa è
semplicemente la spiegazione
più logica che ti ha dato la mente. E va benissimo.
“Non fa nulla.
Anzi, forse è
meglio così… almeno hai evitato il panico della
folla.” Sapeva che c’era
bisogno di un contatto fisico a quel punto. Lo intuiva, perlomeno. Le
mise
quindi una mano sulla spalla. Gli sembrava una buona idea.
“Grazie Lily. Mi hai
salvato più della
vita.”
E
in questo, credo proprio tu sia sincero, vero Sören?
Stava diventando fastidioso
quel suo parlare in seconda persona.
Stavolta l’altra
avvampò
furiosamente. Non si era sbagliato, era
intimidita. Il che era bizzarro, visto che era una persona
tutt’altro che poco
disinvolta. Corrugò le sopracciglia: era successo qualcosa
che la stava facendo
comportare così, era evidente.
Forse
qualcuno degli altri l’ha infastidita?
“Lily, cosa
c’è?”
Era una stupida. Seriamente,
era una stupida, frivola cretina.
Ma aveva anche quindici
anni,
quindi forse era giustificata.
Perché, per
quanto fosse arrabbiata
con lui, per quanto fosse inquietata da quello che aveva visto nella
Sala
Duelli e per quanto fosse stata preoccupata per la sua salute
…
Nonostante tutto quello
aveva
una voglia tremenda che lui le chiedesse di portarla al Ballo.
Frivola? Decisamente. Ma non
voleva parlare delle sue favolosi doti di Salvatrice. Era poi cosciente
del
fatto che se Tom avesse deciso di parlare, si sarebbe ritrovata una
ventina di
strillettere da parte di tutto il clan.
Mai
più. Cioè, sono felice di averlo salvato, certo.
Ma
ho avuto paura da morire. E l’ho quasi ammazzato per
rianimarlo. No, non sono
fatta per queste cose.
Quindi, per tornare al
punto…
Se
vuoi ringraziarmi, invitami.
Ci aveva pensato per colpa
dell’invito non detto di quel Dionis. In effetti, di inviti
ne aveva ricevuti
tanti.
Modestamente,
sono favolosa.
Però aveva
già in mente di
andarci con l’amico. E non solo perché era un
Campione e quindi avrebbero
aperto le danze.
Anche
se la cosa non mi dispiace per niente.
In fondo voleva solo
divertirsi. Erano appena successe cose orribili e aveva la sensazione
non
fossero ancora finite. Al momento voleva solo preoccuparsi di scegliere
il
vestito perfetto, del suo cavaliere e di partecipare
all’evento sociale dell’anno.
Ma Sören non
gliel’aveva
ancora chiesto. Doveva farlo lei? Sarebbe stato strano. Di solito era
il
ragazzo che invitava, non viceversa.
Perché
diavolo non me lo chiede?
In tutto questo ancora
l’irritazione per essere stata dimenticata come una scarpa
vecchia non le era
passata. Quindi era in una buffa ed esasperante tensione emotiva. E
anche
l’altro doveva essersene accorto perché la
guardava perplesso da un po’.
“Lily cosa
c’è?” Le disse
infine. Ed era sincero, mentre glielo chiedeva. Voleva saperlo. Era
questo che
le piaceva di lui. Non chiedeva mai proforma. Chiedeva sul
serio.
“Sono ancora
arrabbiata con
te.” Esordì. L’altro incassò
con classe, annuendo semplicemente.
“Lo so. Mi
farò perdonare.
Avevo bisogno di riposo, ma avrei dovuto contattarti…
è che la sorta di coprifuoco
continuo che abbiamo dopo quello che è successo…
ammetto di non aver fatto
mente locale.”
“È
stato sbagliato.”
“Lo so.” Convenne di nuovo.
“Scusa.”
Lily gli
lanciò una buffa
occhiata esasperata, ma alla fine annuì. “Va
bene… dopo quello che hai passato,
posso capirlo. Ma che non risucceda. Più.”
“Non è
nelle mie
intenzioni.” Non lo era sul serio. Per
dovere… e per voglia. Per quanto
fosse sbagliato, e non gli importava… Lily gli era mancata.
Le sue chiacchiere
vivaci, le sue smorfie buffe e quel modo particolare che aveva di
sorridere e
toccarlo. Come se fosse naturale voler bene ad una persona e
dimostrarglielo sempre.
Per
lei lo è. Non per me. E questo fa tutta la
differenza del mondo, suppongo.
Comunque continuava a
sembrargli strana.
“C’è
qualcosa che ti turba…” Iniziò,
e dovette indovinare, perché l’altra distolse lo
sguardo, di nuovo insofferente
e imbarazzata. Come se volesse dirgli qualcosa, ma non riuscisse a
farlo.
Da
quando non dice tutto ciò che le passa per la testa?
“Non è
che mi turba.” Scandì
scuotendo la testa. “È … che sarebbe
strano.”
“Cosa?”
Nessuna risposta.
Sören
sospirò un po’
spazientito. Non era particolarmente empatico, e usare il legimens gli sembrava assurdo. Oltre al
fatto che comunque con una
LeNa non avrebbe funzionato.
“Lily, se non mi
dici qual è
il problema, non posso risolverlo.”
“Non è un problema!” Sbottò.
“È una richiesta. Devi farmi
una richiesta!” E poi di nuovo silenzio.
“Temo di non
capi…”
“Invitami al Ballo, maledizione!”
Esclamò. Poi si bloccò, mettendosi una mano
sulle labbra.
Oh.
Era
quello. Gli era completamente
passato di mente che il Ballo del Ceppo si sarebbe tenuto tra venti
giorni, e
lui effettivamente era uno di coloro che avrebbe dovuto non solo
presenziare,
ma anche aprire le danze. Era un Campione dopotutto.
Lily intanto sembrava voler
scappare. L’espressione era quella, anche se era ancora di
fronte a lui. Sören ne
fu sottilmente divertito.
Si
aspettava che la invitassi…
Era una cosa buona,
supponeva.
Al
diavolo il piano. Guardala. Se non le dici qualcosa
penserà che tu non voglia. E non ci vuole un esperto in
quindicenni per sapere
come la prenderà, vero?
Sören fece appena
in tempo a
prenderle la mano: toccandola la sentì rigida e pronta allo
scatto fuori dalla
cabina. Le fece allora un lieve inchino, come etichetta di Durmstrang
prevedeva, e la sentì rilassarsi immediatamente.
Evidentemente tale etichetta
la conosceva anche lei.
“Lily, vuoi venire
con me al
Ballo del Ceppo? Sarei onorato se tu fossi la mia
dama…” Non era la prima volta
che presenziava ad un evento di tal genere, ma aveva la netta
impressione che stavolta
sarebbe stato diverso che stare al fianco di suo zio e far ballare
streghe
della nobiltà mitteleuropea.
Perché vide Lily
sorridergli a
trentadue denti. “Sì!”
Esclamò, prima di gettargli entusiasta le braccia al
collo. Sören, che l’aveva previsto,
indietreggiò solo leggermente per il
contraccolpo e si premurò di metterle una mano sulla
schiena. Si faceva così.
“Ne sono
lieto.” Dopo un breve
e imbarazzante – ma solo per lui – momento,
l’altra si tirò indietro.
“Sì,
devi!” Ripetè allegra. “…
anche se è stato un invito pilotato.”
“Non è vero. Ti avrei invitata. Solo…
suppongo tu ne abbia già altri. Intendo,
di inviti…”
La qual cosa, lo
scoprì quando
lo disse, non gli faceva molto piacere.
“Oh, certo.” Replicò Lily con una
scrollata di spalle. “Ma io voglio andarci
con te!”
“Bene…”
Non trovò altro da
dire. “Allora, suppongo… che sia tutto a
posto?”
“Solo se nei prossimi venti giorni sarai un cavaliere
ineccepibile.” Scandì con
finto sussiego.
“È nelle mie intenzioni.”
Lily gli fece un nuovo sorriso, poi si sporse, o forse lo
tirò a sé, per
baciargli la guancia. “Bentornato nelle mie grazie,
Ren.” Soggiunse scherzosa,
prima di liberarsi dalla presa con leggerezza ed afferrare uno dei suoi
libri.
Era la copia del Beowulf. “Per la copertura. Magari lo leggo
pure.” Spiegò.
“Adesso devo andare, è ora di cena. Ci vediamo
domani?”
“Ci vediamo domani.” Confermò.
La vide andare via e chiudere la porta. Sospirò appena, e si
guardò allo
specchio. Sorrideva, dopo giorni.
****
Note:
Okay, stavolta è
stato
mastodontico. E prima era anche peggio. Sul serio!
1.
Qui
la canzone.
Per chi volesse vedere il
volto dell’onesto Radescu, ecco qua: Dionis . Ho anche scoperto che Dionis
è il diminutivo per Dionisie
in rumeno. Meglio Dionis.
|
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Capitolo 34 *** Capitolo XXXII ***
Capitolo XXXII
Tutto ciò che
è necessario per il trionfo
del male, è che gli uomini di bene non facciano nulla
(Edmund
Burke)
3
Dicembre 2023
Inghilterra,
Londra, Ministero della Magia.
Dipartimento
di Applicazione Legge sulla Magia, Ufficio
della Direttrice Hestia Jones.
Mattina.
Harry trovava la burocrazia
seccante.
Non poteva farci niente:
sapeva che non era corretto pensare una cosa del genere ed essere allo
stesso
tempo capo di un ufficio del DALM. Ma lo pensava. E pure tenacemente.
Perché durante la
guerra
nessuno l’aveva mai fatto attendere per mezz’ora in
un’anticamera, fosse stato pure
il Ministro in persona. Scrimgeour aveva dovuto rincorrerlo.
Non che avesse nostalgia di quei tempi terribili, ma
doveva ammettere che gli mancava la fluidità incosciente e
furiosa in cui aveva
potuto muoversi.
E
che diamine.
Si strofinò la
fronte con un
gesto seccato. Ron era in missione con la sua squadra; almeno ci fosse
stato
lui avrebbero potuto lamentarsi assieme.
Anche
se nell’ultima settimana è stato intrattabile,
con la faccenda di Rosie. E come se non bastasse, Herm è
dalla parte dei
ragazzi.
No, tutto sommato era meglio
la solitudine. Peccato che dal lato opposto del salottino ci fosse
Zacharias
Smith. Forse, grazie all’anno prima, era riuscito a farsi
rispettare – forse
– ma di certo non a rendersi
simpatico.
Certo,
volerci sbranare per avere il caso della Thule
non migliora la situazione…
L’altro infatti
gli lanciò
un’occhiataccia, prima di fissare un punto qualsiasi della
stanza.
Almeno
ci annoiamo in due…
Dopo quella che gli
sembrò una
sfibrante eternità, finalmente la porta si aprì e
la segretaria della
Direttrice – Harry nella sua testa la chiamava M,
da quando recentemente, sotto consiglio di un collega, aveva visionato
tutta la filmografia di James Bond – li chiamò.
Zacharias scattò
in piedi e
riuscì ad entrare per primo.
…
come all’asilo.
Il clima da
rivalità
scolastica non migliorò all’interno
dell’ufficio, visto che seduto su una sedia
trovò Draco Malfoy intento a fissarlo. Male.
“Riunione
inter-dipartimento,
vedo…” Borbottò, beccandosi uno sguardo
ammonitore dalla Direttrice.
“Che diavolo ci fa
un
mangia-carte dei piani bassi qua?” Disse invece senza mezzi
termini il Tiratore
Scelto. “Malfoy, poi!”
“Il piacere
è reciproco
Zacharias…” Replicò l’altro
con un sorriso gelido. Harry si astenne saggiamente
da qualsiasi commento.
Malfoy,
me e Smith. Hestia vuole davvero farci saltare
in aria come i fuochi d’artificio dei Tiri Vispi?
L’aria
esacerbata di Malfoy era dovuta
palesemente a cosa era accaduto durante la Prima Prova. Se era
lì,
probabilmente era perché si sentiva tirato in causa.
…
o forse no. In effetti i suoi maneggi non possono
certo convincere M.
Che
ci fa qui allora?
“Il Signor Malfoy
è qui perché
deve stare qui.” Tagliò corto la Direttrice, senza
dare nessuna vera
delucidazione. “Adesso sedetevi.”
Obbedirono entrambi,
perché
nessuno lì dentro aveva intenzione di perdere tempo.
La donna
tamburellò con le
dita inanellate brevemente, prima di fare cenno alla segretaria, che
portò due
grossi plichi. Uno era più voluminoso dell’altro.
Permessi
di indagine… Quello toccherà a chi
indagherà
sull’attacco dei Dissennatori.
Harry vi piantò
gli occhi
addosso. Sarebbe stato suo.
“Le indagini
preliminari degli
Indicibili si sono concluse ieri sera.” Esordì la
donna. “La nebbia che ha
attirato i Dissennatori era opera di un mago oscuro. È stata
usato un preparato
magico per crearla. Illegale.” Specificò.
“Per questo motivo, l’indagine andrà
all’Ufficio Auror.”
Harry si impose di non esultare. Si limitò ad un lieve
assenso, evitando di
guardare verso Smith. Sapeva che l’altro stava schiumando di
rabbia. Scoccò
però un’occhiata di trionfo a Malfoy –
semplicemente perché era lì, e perché
era una vecchia abitudine. L’altro gli rivolse uno sguardo
disgustato. Anche
quella, una vecchia abitudine.
“All’Ufficio
TS¹ competerà
l’istituzione di pattuglie che sorveglieranno il perimetro
della scuola.
Saranno inoltre potenziate le misure di sicurezza già
prese… ma troverà tutto
nel fascicolo, Agente Smith.”
Harry notò come l’uomo avesse ridotto le labbra in
una linea sottile. Ma prese
il plico senza fare ulteriori rimostranze; perlomeno sapeva accettare
una
sconfitta.
Se non fosse stato per
Thomas,
ad Harry sarebbe quasi spiaciuto.
“È
tutto Direttrice?” Chiese
con una certa urgenza. Doveva immediatamente tornare in ufficio ed
organizzare
una squadra operativa condotta da Ron. Avrebbe passato le indagini del
cognato
a qualche altro caposquadra. Voleva solo i suoi uomini migliori su quel
caso.
E
Ron è anche l’unico che possa vedere smontato dal
servizio.
Non si sarebbe
più intromesso,
no. Ma questo non significava che non avrebbe seguito pedissequamente
le
indagini.
“No, non
è tutto Potter. Si
sieda.”
Harry si trovò
nella posizione
di dover guardare preoccupato il proprio boss.
Cosa?
Raccomandazioni?
In effetti, per come si era
comportato l’anno prima, probabilmente erano…
doverose.
“Si riferisce al
ruolo del mio
Dipartimento in quest’indagine, Potter…”
Esordì a sorpresa Malfoy, fino a quel
momento intento a guardare fuori dalla finestra con aria annoiata.
Quando puntò
lo sguardo su di loro però, era pungente come sempre.
Harry era riuscito, infine,
a
provare una sorta di gratitudine per quello che l’altro aveva
fatto per Thomas.
Questo però non
toglieva il
fatto che in quel momento avrebbe voluto averlo lontano miglia.
Io
e lui saremo sempre ai lati opposti dell’equazione. Non
ci sputiamo più addosso … ma … beh.
La Direttrice Jones, ignara
dei pensieri che Harry sapeva di
condividere con l’altro, annuì.
“Alla squadra che
andrà a
costituire, Signor Potter, sarà assegnato un agente di
collegamento del DALM
americano. Il Signor Malfoy è qui per darle le direttive del
caso.”
“Che sono tutte comodamente elencate
qui.”
L’ex-serpeverde batté il palmo su un enorme
faldone di carta che fino a quel
momento Harry non aveva notato. Era praticamente il triplo rispetto al
fascicolo che aveva tra le mani. “Naturalmente
servirà qualche firmetta…
Burocrazia bilaterale. Un vero inferno.” Soggiunse mellifluo.
Harry non fece una piega.
Perché era un uomo adulto, perché era un
capo-ufficio ministeriale e se aveva
voglia di affatturare qualcuno, si tratteneva.
Lo sapevo che sarebbero tornati a
mordermi le chiappe, lui e quei maledetti americani!
Si limitò a
pulirsi vigorosamente
gli occhiali.
La Direttrice vedendo quel
gesto, ed intuendone i retropensieri, trattenne un sospiro di
esasperazione.
Harry era certo che fosse dalla sua parte, ma dall’altra, era
sicuro che non
sopportasse doverlo disciplinare come uno studentello.
Allora
non mettetemi la politica in mezzo ai piedi! Se
avessi voluto giocare a Risiko sarei diventato Ministro!
“Da quando sono
obbligato per legge a coordinarmi
con gli americani?”
Chiese comunque con il suo tono più diplomatico.
“Da quando
c’è il sospetto che
questo caso abbia collusioni con la Thule.” Gli fu risposto
dalla strega. “Gli
americani sono stati i primi ad istituire una task-force
dedicata. Tutti i casi inerenti ad essa devono tassativamente…”
e qui calcò sulla
parola. “… essere condivisi con loro.”
“Diritto magico internazionale, Potter. Niente contro cui voi
ragazzoni col
distintivo possiate combattere.” Chiosò Malfoy con
l’aria beata di chi si stava
divertendo un mondo a vederlo trattenersi dall’urlare.
“Se mi darete
quell’Ethan
Scott, non collaborerò.” Gli uscì di
cuore. Forse era stata una frase ottusa,
ma non se ne pentì. “Non mi interessa se
finirò di fronte ad un comitato
disciplinare, non voglio che quel tipo metta i bastoni tra le ruote ai
miei
uomini. Il giorno del processo ha ronzato attorno al mio figlioccio
… e
sappiamo tutti per quale motivo.”
“Non fare l’esagitato Potter.” Lo riprese
Malfoy con aria spazientita, come un
adulto di fronte ad un moccioso fastidioso e ottuso. Oh, quella
fattura…
“L’agente Scott è stato
riassegnato.”
“Come?” Okay, al momento si
sentiva
ottuso.
Non
ne sapevo niente… anche se in effetti Tom non mi ha
più parlato di lui.
Malfoy fece un cenno
svogliato, quasi gli costasse spiegarsi. Ma stavolta
l’occhiataccia della
Direttrice non risparmiò neppure lui. “Al mio
ufficio è giunta voce che abbia avvicinato
il tuo figlioccio in un’altra occasione.” Fece una
breve pausa. “Cosa che non era
autorizzato a fare.”
“Arrivata
voce…?” Malfoy si
riferiva evidentemente all’episodio che Tom gli aveva
raccontato più di un mese
prima.
Quando
lo ha avvicinato ad Hogsmeade dandogli
informazioni su suo padre …
Ma
Draco come fa a saperlo?
“Il
tuo figlioccio è un serpeverde, mi
sembra.” Sembrò quasi leggergli nel pensiero il
biondo. “Quindi ha amici
serpeverde. Per sua fortuna.” Aggiunse in
un’irritante postilla. “Ma immagino
che non sia questo che ti interessi.”
“No, infatti.” Si riscosse. Avrebbe dovuto chiedere
a Thomas chi altro c’era
con lui quella sera. A parte Albus. “Ma se è stato
riassegnato…”
“Un nuovo agente.” Lo anticipò.
“Avrai modo di conoscerla la prossima settimana.” E poi spinse
verso di lui con un tocco di bacchetta la mole mostruosa di scartoffie.
“Ora se
non ti spiace… comincia a firmare.”
Mezz’ora dopo, e
una mano
praticamente in cancrena, Harry usciva dall’ufficio
accompagnato dal fruscio
delle costose vesti di Malfoy. Smith se n’era andato non
appena era terminata
la conversazione: probabilmente
in quel
momento stava pianificando la morte dell’intero Ufficio
Auror.
Ma
da quando uno che è finito a Tassorosso è
competitivo
in quel modo?
Lanciò
un’occhiata
all’ex-serpeverde. Immaginava di dover dire qualcosa mentre
facevano lo stesso
tragitto verso gli ascensori.
“Come sta
Scorpius?” Esordì
con buone intenzioni.
L’occhiata artica
che l’altro
gli scoccò gli fece capire che era un argomento delicato.
“Si
riprenderà.” Disse però,
forse smorzando i toni al suo interesse sincero. O perché ci
teneva a
sottolineare che il frutto dei suoi lombi non era persona da
sottovalutare. “È
un Malfoy.”
Appunto.
Harry
però fu piacevolmente colpito
dall’assenza di accuse: si era immaginato che
l’ex-serpeverde avrebbe incolpato
lui e persino Thomas di aver attirato la Thule ad Hogwarts.
Vecchio
adagio. E invece…
Se ne vergognò:
in fondo, se
c’era qualcuno che sapeva come un adolescente potesse
trovarsi bloccato in una
situazione più grande di lui, era proprio Draco Malfoy.
Ignorò quindi la
frecciatina
che sentiva sulla punta della lingua. “Tuo figlio ha
disputato una splendida
Prova.” Disse invece. “Fagli i miei
complimenti… ci servirebbero proprio
ragazzi come lui.”
“Dove?”
Scandì il biondo guardandolo
come se fosse una specie molto raccapricciante di doxy. Harry lo
guardò
divertito, perché a ben vedere, il tono era di puro panico.
“Che ufficio
comando, Malfoy?”
Chiese ironico, fermandosi davanti agli ascensori. “James mi
ha detto che Scorpius
intende entrare all’ Accademia Auror, preso il diploma. Sarei
felice di averlo
trai miei uomini.”
Malfoy non disse nulla, ma
le
labbra improvvisamente illividite parlarono per lui.
“È un
bravo ragazzo.” Disse
sincero e vagamente consolatorio. Lo pensava in ogni caso, specie
perché il
figlio maggiore glielo ripeteva in continuazione, con un impegno
impossibile da
ignorare. “I miei figli lo adorano.”
“Sì, lo è.” Convenne
rigidamente glissando sulla seconda frase.
Harry represse un sorrisetto
e
calcò la pedana dell’ascensore non appena questo
si aprì davanti a loro. Lanciò
un’occhiata alle sue spalle. “Non vieni?”
“Aspetto il prossimo. Già a casa mia respiro
troppi geni grifondoro … dividere
lo spazio con il golden-boy
rosso-oro
mi sarebbe fatale.” Replicò sarcastico,
strappandogli una risata.
Non se la prese
perché intuiva
che non c’era voglia di ferire: a quel punto della sua vita
lo poteva capire
senza problemi. “Non cambi mai…”
“Posso dire la stessa cosa di te, Potter. Il tuo sviluppo
emotivo si è fermato
ai nostri quindici anni.” Ritorse l’altro mago, e
Harry giurò che fosse
divertito quanto lui. Poi si fece serio.
“Potter…” Si vedeva che si stava
sforzando per finire la frase. Quindi aspettò.
“… prendi quel figlio di puttana
e fa marcire ad Azkaban il suo teatrino degli orrori.”
Harry sorrise.
“Puoi giurarci,
Draco.”
****
Scozia,
Hogwarts. Cortile centrale. Pomeriggio.
Durante
l'inverno ho trovato che dentro di me c’era un'invincibile
estate²…
Tom non ricordava dove
avesse
letto quella frase, ma gli venne in mente all’improvviso,
mentre osservava la
neve caduta innevare il piccolo chiostro.
Era seduto in una delle
tante
rientranze tra il porticato e il cortile, debitamente coperto da
cappotto e mantello della divisa.
Le finestre
dell’aula di
Trasfigurazione erano schizzate di neve compatta, dato che una manciata
di
studenti vi stava giocando. Erano chiassosi, ma era ciò di
cui aveva bisogno.
Non
voglio sentirmi pensare.
Si era comunque nascosto
lì
per evitare che gliene arrivasse qualcuna addosso per sbaglio.
Perché solo per
sbaglio sarebbe potuto succedere.
Nessuno
tira palle di neve. Non a me.
E infatti fino a quel
momento
non era stato disatteso.
Sfogliò svogliato
il libro che
si era portato dietro, senza che una sola parola gli si imprimesse in
mente: altro non
poteva fare, per lasciar sgocciolare
via i minuti che lo separavano dall’incontro con il padrino.
Aveva provato a fare i
compiti, a leggere in Sala Comune, ma niente gli aveva dato sollievo.
Specialmente
perché Albus era in
riunione con professori, Prefetti e delegazione provvisoria: ovvero
preso completamente
dai suoi compiti di Caposcuola in preparazione per lidi norvegesi.
Rilassati.
Andrai con lui.
Osservò la
piccola folla che
giocava incurante del gelo. Vide Lily, in compagnia degli amici e
dell’imprescindibile
Hugo. E poi, poco distante, seduto sugli scalini della Torre di
Astronomia,
Luzhin.
Chiuse il libro con uno
scatto
secco: da lì il tedesco non poteva vederlo, ma lui al
contrario aveva una
visuale perfetta.
Luzhin era avvolto nella
pesante
pelliccia marrone della sua scuola, e indossava il colbacco abbinato,
probabilmente per proteggersi dal freddo conseguito dal restare fermo.
Guardava giocare Lily e gli
altri.
No.
Non sta guardando tutti. Sta guardando lei.
Luzhin non perdeva una sola
mossa delle movenze di Lily; del modo in cui scappava
dall’attacco combinato delle
amiche corvonero, del modo in cui rideva e cercava di liberarsi dalla
presa di
Hugo, che le aveva afferrato la sciarpa.
Sören Luzhin
sembrava rapito.
Sembrava abbeverarsi
a quel quadretto pre-natalizio. Come se non avesse mai
visto nulla del genere. Come se fosse la prima volta e non volesse
perdersi
neanche un momento.
Che
diavolo vuol dire?
Nulla, probabilmente. Ma era
comunque strano. Tutto era strano nel Campione di Durmstrang.
Vide poi Lily avvicinarsi e
afferrarlo per un braccio, invitandolo ad unirsi ai giochi.
Stranamente,
considerando quanto poco sembrava atto a certe cose, non ci volle molto
a
convincerlo.
Tom capì di
averlo beccato in
un momento di insperata quiete. Infatti non si vedevano in giro
studenti di
Durmstrang: gli unici stranieri erano Dominique, che stava costruendo
una sorta
di pupazzo di neve, e due suoi compagni, che la sorvegliavano
rassegnati e
infreddoliti. Vi riconobbe il biondino di Zabini, tal Mael e la tipa
dal doppio
cognome, amica di Malfoy.
Tom fu riscosso da un urlo
di
Lily. Allarmato si voltò, salvo per sentirla ridere
– e quando rideva Lily si
sentiva a due miglia di distanza.
Il tedesco l’aveva
presa in
braccio, forse per evitare di essere sommerso dalle di lei palle di
neve. O
forse semplicemente per divertirla.
Stava giocando. E stava
giocando perché non c’era nessuno a controllarlo.
Durante
l'inverno ho trovato che dentro di me c’era
un'invincibile estate…
Di nuovo quella frase. Stava
diventando un tormento.
Improvvisamente
sentì un
sibilo alla sua destra, e poi qualcosa di bianco gli entrò
nella visuale. Fece
appena in tempo a scansarsi che una palla di neve si
schiantò alle sue spalle.
“Mancato, che
peccato…” Disse
una voce maschile e delusa.
Albus era in piedi davanti a lui, sorridente e imbacuccato da capo a
piedi, con
tanto di orripilante berretto creato dalle mani prive di senso estetico
di Molly
Weasley.
La
nostra sciarpa è verde e argento. La sua giacca è
a
fantasia tartan verde e nera.
Perché indossa un berretto viola?
“Dove
l’hai preso, ad un’asta
di beneficienza per i poveri di Notturn Alley?”
Replicò freddamente,
rifiutandosi di mostrare la minima traccia di sollievo alla sua
presenza.
Anche se lo provava.
Al si tolse il cappello,
arruffandosi i capelli. “È il regalo di Natale di
nonna Molly… quello dell’anno
scorso.” Glielo porse. “Hai notato che i pon-pon
sembrano boccini?”
“Avrei voluto evitare.” Si rifiutò di
toccarlo. “Mi stanno sanguinando gli
occhi.”
“A me
piace!” Replicò l’altro,
cacciandoselo in testa con un sorriso sadico. Si sedette accanto a lui,
soffiandosi sulle mani. “Come fai a restare qui fuori, al
gelo, senza muoverti?
Non stai congelando?”
“Sai che non mi dà fastidio il freddo.”
Anche se la mano di Al, calda ed
intrecciato alla sua, era piuttosto piacevole. “…
e poi avevo bisogno di
respirare aria fresca. Non riuscivo a restare al chiuso.”
Al non disse nulla, ma
appoggiò
la spalla alla sua. “Tra quanto vai?” Chiese
piuttosto retoricamente. Lo
sapevano entrambi, e Tom era certo che entrambi contassero i minuti.
Un’ora,
venti minuti e … cinquantasei secondi.
Glielo disse, facendolo
ridacchiare. “Sei peggio di uno svizzero!”
“A guardare i miei natali, sembra che sia tedesco e russo in
due esatte metà.”
I natali del mio corpo… se invece
si
parla della mia anima. Beh. Sono felice di essere in patria.
Al non replicò,
stiracchiandosi invece le gambe. Lanciò
un’occhiata verso la sorella. E poi
sorrise. “Che carini…”
Esordì, riferendosi ovviamente anche a Luzhin, che al
momento stava raccogliendo il proprio berretto, caduto a terra a causa
di un
chirurgico tiro – Lily aveva una mira micidiale.
“Lo sono
perché non c’è in
giro la sua guardia.” Commentò Tom non riuscendo a
frenarsi.
“La guardia di chi?”
“Di Luzhin… quel Poliakoff. Stanno sempre assieme,
ma oggi non è qui.” All’occhiata
esasperata dell’altro, sbuffò. “Non sto
insinuando niente. È solo un dato di
fatto … sembra che si rilassi solo quando non è
in presenza dei suoi compagni.”
“Magari non gli piace stare a Durmstrang… come a
Meike.” Scrollò le spalle.
“Sai che vanno assieme al Ballo?”
“Chi, Poliakoff e Luzhin?”
“Non ce li vedo, come coppia.” Ridacchiò
Al. “No, mia sorella e Sören. Lils me
l’ha detto stamattina… mi ha assordato, in
realtà. Era davvero su di giri.”
“Beh, lui è un Campione e lei ama stare al centro
dell’attenzione. Sono la
coppia perfetta.” Ignorò la gomitata che gli altro
gli ficcò con abilità
consumata tra la terza e quarta costola.
“Comunque…” Fece una pausa in cui
tentò di spingerlo nella neve, senza risultato.
“Ho trovato un modo per entrare
in delegazione.”
Sapeva di essere stato estemporaneo, perché Al, che stava
ancora lottando con
il suo braccio, gli lanciò un’occhiata confusa,
prima di fare mente locale.
Sembrando preoccupato. “Ti prego, dimmi che non è
niente di pericoloso.”
“Dipende.”
“Tom!”
“Voglio propormi come assistente di Malfoy.” Ci
aveva pensato: era quella la
soluzione più comoda e priva di intoppi. Inoltre Scorpius
sarebbe tornato a
giorni, secondo la rete di pettegolezzi della scuola.
Gli
parlerò quando lo vedrò. Ma accetterà.
Deve accettare.
Al lo guardò
assorto per un
momento. Poi tirò un sospiro. “Dovrei convincerti
che è un’idea stupida, e che
ti stai gettando coscientemente nelle braccia del pericolo…
ma sarebbe inutile,
vero?”
“Già.” Convenne pacato. Era la
verità: oltre alla paura che provava, c’era
quella sorta di lucida consapevolezza: non poteva stare con le mani in
mano ad
attendere l’inevitabile.
Sarebbe
da deboli. Ed io non lo sono.
“E se Malfoy non
ti volesse?”
Tom fece spallucce. “È stato lui il primo a
propormelo, e al momento, visto che
ha rotto con Rose, non ha neppure supporto ufficioso.”
All’espressione alterata
dell’altro, si affrettò a correggere il tiro.
“Non intendevo dire…”
“Sei proprio stronzo.” Scattò comunque.
Mai toccargli la cugina, al momento
ancora alla deriva dei propri sentimenti.
Tom afferrò Al
prima che
decidesse di piantarlo lì. Non fu difficile afferrarlo per
la cintura, visto
che non tentava sul serio di scappare. Lo rimise bruscamente seduto e
parlò
prima che l’altro potesse prenderlo a pugni per
l’inciviltà del gesto.
“Non ti lascio
andare a
Durmstrang da solo.” Esordì. Fermezza ci voleva
con Al, prima di tutto. Anche
perché l’alternativa era un destro diretto alla
sua spalla. “E poi Malfoy ha davvero
bisogno di aiuto. È uno scambio
equo… e per Rose, non c’è niente che
possiamo fare. È lei a dover far chiarezza
su cosa vuole.”
Al rimase fermo per un tempo
sufficiente a fargli venire il dubbio che si fosse arrabbiato sul
serio. Sapeva
di stare facendolo preoccupare, ma non poteva lasciar perdere.
Hohenheim
mi ha sfidato ed io voglio chiudere questa
storia. Voglio chiuderla per sempre.
“Maledetto idiota
ragionevole…” Mormorò infine
mordicchiandosi un labbro. Si calò il berretto da
una parte, in un movimento che veniva fuori solo d’inverno,
con capi del genere
disponibili. Era così intensamente adorabile che era quasi
fuori luogo. “… Vuoi
che venga con te da papà?” Soggiunse.
“No.”
Scosse la testa. Non
sarebbe riuscito a rimanere calmo e determinato con quel paio di occhi
enormi
che lo fissavano inquieti. E Harry di conseguenza non gli avrebbe mai
dato
retta.
Gli
eroi parlano solo il linguaggio degli eroi. Nessuna
esitazione concessa dunque.
“Okay.”
Sospirò l’altro. “Senti,
mancano due ore all’appuntamento. Possiamo tornare dentro? Ci
facciamo portare
una cioccolata dagli elfi domestici. Davanti al camino.”
Suggerì invogliante.
“Sono troppo teso.
Sarò
insopportabile…” Replicò,
perché da un po’ di tempo aveva
necessità di essere
sincero. Lo faceva stare meglio, aveva scoperto.
“Tu lo sei sempre, Tom.” Fu l’adeguata
risposta. “Ma ti sopporto da quattordici
anni. Penso di averci fatto l’abitudine ormai.” Gli
sorrise. Tom afferrò la sua
mano tesa e si tirò su.
E un bacio ci stava come
Merlino avrebbe comandato. Labbra fredde e bocca calda. Tom si perse un
attimo
in quel gesto in apparenza tanto semplice. L’anno prima,
l’aveva riportato in
sé più volte di quanto
avesse adesso voglia
di contarne.
Durante
l'inverno ho trovato che dentro di me c'era
un'invincibile estate…
****
Hogsmeade,
Tre Manici di Scopa. Pomeriggio.
“No.”
Sapeva che non sarebbe stato facile.
Tom lanciò un’occhiata al padrino, che lo stava
fissando…
Beh, al momento lo stava fissando come se volesse incenerirlo. E
considerando
che gli aveva appena comunicato che avrebbe condotto le indagini per
arrestare
l’uomo che gli dava la caccia…
Sì.
È piuttosto bizzarro.
Forse aveva sbagliato a
dirglielo subito, senza mezze misure. A dirgli del supposto piano di
Hohenheim
e delle sue conseguenti intenzioni in merito.
Ma dopotutto quello
era il vero motivo per cui aveva
tanto atteso quell’incontro.
Perché
dovevo dirgli cosa voglio fare. Dovevo farlo. Ne
avevo bisogno.
“Harry…
ho già preso la mia
decisione.” Spiegò, osservando il proprio
cucchiaino girare nella tazza di the
che aveva ordinato. Aveva scoperto che concentrarsi su incantesimi
basilari lo
aiutava a mantenere la calma. “Te la sto semplicemente
notificando.”
Harry Potter il Salvatore per-intero-tutto-scandito
sembrava furioso. Tom l’aveva visto poche volte con la
mascella così tirata.
“Tom, non posso
credere che tu
sia così …” Si fermò,
evidentemente per non insultarlo. “Ascolta. Forse hai
ragione, forse dietro l’attacco dei Dissennatori
c’è un piano preciso. Ma che
sia vero o no, non puoi prendere una decisione così
sconsiderata come quella di
allontanarti da Hogwarts. Qui sei al sicuro!”
“Non è vero, e lo sai.” Negò
serrando le labbra. Avrebbe voluto che fosse così.
Una parte di sé, quella che ancora ricordava come si fosse
sentito felice e
protetto anni prima durante la sua prima traversata sul Lago
Nero… beh, quella
parte sperava che la scuola fosse ancora un porto sicuro. Ma era una
sensazione
fallace.
Ne
ho avuto la riprova più volte direi…
L’uomo in compenso
non gli
rispose subito, preferendo bere un sorso della proprio sidro. Lo fece
evidentemente di malavoglia, per calmarsi.
Sapevo
che non l’avrebbe presa bene… anche
perché non
sopporta l’idea che io esca fuori dal suo radar. Harry Potter
deve sempre avere
tutto, e tutti, sotto controllo.
E lo capiva. Fin troppo
bene.
“Harry…”
Disse infatti
cercando di scongelare un po’ l’espressione gelida
che sapeva di aver assunto.
Era un ostacolo in quel momento. “So che sei preoccupato per
me, che lo siete
tutti.” Prese un lieve respiro. “Ma Hohenheim mi ha
mandato un messaggio, con
quell’attacco.” Piantò gli occhi nei
suoi. “Farà del male ad altre persone
innocenti se non asseconderò il suo schema.”
“Thomas…”
Il padrino scosse la
testa, con una smorfia. Cercava di essere ragionevole. Di farlo
ragionare, più
probabilmente.“… questo è immolarsi.
Okay? Se andrai a Durmstrang, non avrai lo stesso grado di protezione
che hai
qui. Neppure vagamente paragonabile.”
“Ed è ciò che voglio.”
All’espressione sbigottita dell’altro, si
apprestò a
spiegare. “Non voglio immolarmi. Non mi sento una vittima,
né tantomeno un
eroe. Voglio semplicemente vivere senza dovermi preoccupare di aver
sempre
un’ombra alle spalle, che mi ricorda da dove vengo e cosa sono.” Il cucchiaino prese
a girare vorticosamente, spargendo
the bollente lungo il tavolo. Tom lo afferrò e lo
tirò fuori prima che rovesciasse
la tazza.
Calmati.
“Tu sei
Tom.” Ribatté Harry
con forza. “Non sei…”
“So chi sono.”
Lo interruppe. “E mi
trovo piuttosto bene con me stesso. Non è questo il punto.
Sono stanco di
aspettare il prossimi colpo, tutto qui. Perché mi sta
uccidendo.” Osservò
le mani del padrino. Erano forti,
adulte. Salde. Le sue soltanto magre. E tentava di non farle tremare.
C’era
tanto contrasto. Tanto, ancora, che doveva imparare.
Ma
le mie certezze le ho.
“Ti capisco,
ma…”
“Appunto perché mi capisci. Perché sai.”
Scandì con forza. “Non puoi chiedermi di
restare.”
Attorno a loro il chiasso
del
pub quasi strideva. Le decorazioni natalizie scintillavano sopra le
loro teste
e gli avventori chiacchieravano festosamente, agitando boccali
luccicanti.
È
quasi consolante pensare che il mondo va’ avanti anche
quando il tuo non fa che andare fuori asse…
“Allora
cos’hai intenzione di
fare?” Chiese pacato il padrino, aggiustandosi gli occhiali
sul naso. “Vuoi
andarlo a cercare?”
“Sarà lui a trovarmi. A fare la sua mossa. Credo
di capirlo, Harry…” Mormorò,
in una confessione che aveva negato persino a sé stesso fino
a quel momento.
“So che non è mio padre, io ho già un
padre.” Spiegò. “Ma quell’uomo
ha il mio
stesso sangue. E per quanto la cosa mi faccia ribrezzo…
penso di capire
cos’abbia in mente. Vuole un confronto. E finchè
non lo avrà, farà… cose
assurde…” Inspirò. “Certo,
potrebbe essere tutta una mia teoria…”
Aspettò una
negazione da parte del padrino. Non venne. Almeno lui, non lo
considerava un
mero paranoico. “… ma se anche lo fosse, sento che
è a Durmstrang che devo
andare.”
Harry gli lanciò
un’occhiata
valutativa. In quel momento era l’auror, non il familiare
affezionato.
“Spiegati.”
Decisamente un
tono da caserma. Ma Tom lo apprezzò: sempre meglio che
quella rabbia ansiosa e
protettiva.
“Tutto quello che
ha fatto…
dall’anno scorso…” Prese la tazza di the
tra le mani, riscaldandosi
piacevolmente la punta delle dita. Perché sentiva freddo fin
nelle ossa. “… trafugare
i Doni, corrompere un agente americano… e anche quello che
ha fatto adesso…
sembra che abbia solo un obbiettivo.”
Harry non ebbe bisogno di
chiederglielo. “Te.” Intuì grave.
Tom annuì.
“Per quanto ho
capito grazie al prezioso aiuto dell’agente
Scott…” Usò del sarcasmo e fu
contento di vedere un mezzo sorriso balenare nel volto
dell’altro. “… Hohenheim
è a capo di un organizzazione complessa. Lui è in
cima, ma c’è qualcosa sotto. Qualcuno.
Credo che… abbia cercato di
prendere i Doni per rapire me senza doversi giustificare.”
“Hohenheim
è il capo, e per esperienza
personale Tom… persone del genere non devono spiegazioni a
nessuno.”
“Voldemort.” Lo
pronunciò tranquillo,
e gli occhi del padrino ebbero guizzo indecifrabile.
“Voldemort era il genere
di leader che impostava tutto sul culto della sua persona. Riportare in auge il sangue puro era solo un
mezzo… Quello che voleva, era essere adorato.”
Elaborò. Sentiva un sapore amaro
in bocca, e bevve un sorso di the. Era amaro pure quello. “Ma
Hohenheim… lui
non è così. Ha ri-creato la Thule per ricercare
la conoscenza, per servirla.
Servirla, Harry… tutti lì,
devono avere uno scopo e portare dei risultati. Anche la punta della
piramide.”
“Non avevo idea che ne sapessi così
tanto…”
“Se cerchi informazioni, di solito le trovi. È
quel che ho fatto. Non si
combatte qualcuno, se prima non lo si conosce.”
Guardò fuori dalla finestra,
dove aveva preso a nevicare con forza invernale. I vetri tremavano
addirittura.
Al
sarà incollato al camino in questo momento…
Si riscosse e
riportò
l’attenzione sul padrino. L’uomo si stava pulendo
gli occhiali. Gli fece un
mezzo sorriso quando intercettò il suo sguardo.
“Sei proprio
deciso…” Mormorò.
“Merlino, Tom… non posso proibirti di
andare.”
“Non può farlo nessuno.” Convenne.
“A conti fatti, sono maggiorenne.”
Harry fece una breve risata,
amara però. “Alla tua età avrei detto
la stessa cosa. Avrei fatto, ed ho fatto,
la stessa cosa.”
“Ne è
valsa la pena?”
“Credo di sì. Sono qui, no?”
Stirò un secondo sorriso, infilandosi gli
occhiali. “Ma non posso fare a meno di pensare che adesso
capisco Molly. Sai…
tentò di fermare me e gli altri, tentò di
ostacolarci in ogni modo dal partire
per cercare gli Horcrux.”
“Ma non ci riuscì.”
“No, e non ci riuscirò neppure io.” Gli
lanciò un’occhiata così piena
d’affetto
che Tom ebbe l’impulso di scusarsi. A prescindere.
“Ho solo paura che sarà
troppo per te. La Thule… ha una task-force
internazionale che le dà la caccia, Tom. È un
organizzazione pericolosa, e per
guidarla, non si può essere che una mago pericoloso. Ed io
non potrò aiutarti
dove sarò. Non come potrei farlo qui. Sarai solo.”
“Non sarò solo. Ci sarà Al.”
È
anche per lui che vado. Ma questo non è necessario
che tu lo sappia. Già hai troppo da fare a preoccuparti per
me.
Harry
fece un sorriso triste, quasi
avesse indovinato i suoi pensieri. Ma era infattibile, giusto?
“Non sai questo
quanto mi
tranquillizza e spaventa assieme.” Mormorò. A Tom,
a volte, sembrava che
l’altro avesse capito.
Poi
però… Sa e finge di non sapere?
“Non
permetterò ad Hohenheim
di torcergli un capello.” Disse comunque, sottolineandolo
quasi per ricordarlo
a sé stesso. “Non voglio metterlo in mezzo ai
miei…”
“Lo so.” Lo fermò gentilmente l’uomo, dandogli
una lieve stretta al braccio. “Ma l’amore,
l’affetto e l’istinto di protezione
che ne conseguono sono spesso armi a doppio taglio. Ed io non voglio
perdere
nessuno di voi due…”
“Non succederà. Siamo serpeverde, non tendiamo ad
immolarci, ma a vendere cara
la pelle.” Replicò con una tranquillità
che era ben lungi dal provare. Harry
dovette intuire anche quello.
“Ne sono
certo…” Disse. “Riuscirò
a prendere quel bastardo prima che tu debba averci a che fare,
Tom.”
Spero di no.
Aveva bisogno di
confrontarsi
con quell’uomo. O forse, con la raffigurazione del suo
passato. E chiedergli
perché lo volesse così tanto.
Deve
sapere che preferirei ammazzarmi che stare al suo fianco. Con
l’anno
scorso deve averlo capito, se ha presa sulla realtà.
Allora… perché?
Rimasero in silenzio, ognuno
preso dai suoi pensieri. Era stato detto abbastanza, e nessuno dei due
era un
chiacchierone.
“A scuola la
situazione è
tranquilla?” Chiese comunque Harry per spezzare la tensione
che ancora
aleggiava tra di loro, pesante.
“A parte i soliti
drammi
adolescenziali e l’isteria pre-ballo?” Convenne
facendolo sorridere. “Hogwarts
si rialza sempre in piedi.”
“Assolutamente vero.” Convenne l’altro
con un sorriso.
Thomas era cresciuto.
Non tanto nel fisico, o nei
tratti del viso, che si erano comunque fatti più adulti,
più posati, ben
diversi dalla cupa introversione che li aveva contraddistinti fino
all’anno
prima.
Era cambiato dentro.
E in meglio: mostrava adesso,
invece che nascondere. Non che fosse diventato una persona con il cuore
appuntato al petto come poteva essere James…
Ma
non è più il ragazzino per cui devo preoccuparmi.
Che devo tener d’occhio, per vedere se prende la giusta
direzione…
Thomas l’aveva
presa da solo, e
la stava seguendo senza tentennamenti. Come lui aveva fatto un tempo.
Ma
probabilmente strepitando molto meno.
“Sai…”
Esordì mentre l’altro
gli scoccò un’occhiata incuriosita.
“… sembra solo ieri che ti ho preso tra le
braccia tirandoti fuori da quell’incendio. E adesso te ne
stai qui, a dirmi che
vuoi affrontare i tuoi demoni da solo.” Si sfiorò
la cicatrice in un vecchio
movimento allenato. “Suona un po’ da vecchio
nostalgico, vero?”
Il ragazzo fece un mezzo sorriso. “Sì, un
po’.” Ironizzò. “Ma non
staremo qui a
parlarne, se non fosse stato per te. Comincio a pensare che il Fato
abbia
scelto un’espiazione molto particolare per la mia
anima…”
Già…
Harry si trovò a
sorridere, suo
malgrado. Perché il giorno in cui era diventato un eroe
uccidendo la sua
nemesi, non avrebbe mai pensato che se la sarebbe ritrovata
vent’anni dopo
sotto forma di un ragazzo a cui voleva un bene tremendo.
“Quel che sia,
Tom… sei un
ottimo mago. Un ottimo uomo.”
Disse, mettendogli
una mano sul polso, con gentilezza. “Ed io sono orgoglioso di
te.”
Il ragazzo arrossì, cercando di nasconderlo con una mezza
smorfia. “Grazie
Harry…” Disse piano. “Grazie.”
Lo ripeté,
e l’uomo capì che non si riferiva solo alla
contingenza.
Anche quella fu
l’ennesima,
piccola riprova che le ultime ombre di quello strano, incredibile
ragazzo erano
scomparse.
Almeno Harry la vedeva
così. In
fondo, era un inguaribile ottimista.
O
non sarei vivo per raccontarlo.
****
Torre
di Grifondoro, Sala Comune. Dopocena.
“E così
andiamo tutti a
Durmstrang!”
Lily lanciò la frase in mezzo al consesso di cugini e
fratelli. Del resto,
c’erano solo loro: in quell’ora che poco precedeva
il coprifuoco il salottino
dei grifondoro era deserto.
La
mia banda…
- pensò affettuosa e un po’ infantile.
Rose, che se ne stava
rannicchiata nella poltrona più vicina al fuoco, debitamente
fornita di
cioccolata e libri. Hugo, steso sul tappeto, con un cuscino sulla
pancia e il
naso per aria, a elaborare complesse idee per ibridi magico-babbani.
E infine c’erano i
due
intrusi, ma sempre benvenuti Albus e Thomas, seduti sullo stesso
divano. Il
fratello, rannicchiato e sgranocchiante caramelle e Tom, adagiato con
perfetta
eleganza dal lato opposto.
“Io mica ci
vengo.” Rimbeccò
Hugo concentrandosi sulle lingue di fuoco del camino che funzionava a
pieno
regime per via del freddo che imperava fuori.
“Sì, e
mi mancherai
tantissimo.” Si imbronciò appena,
perché era vero. Però era contenta: cosa
poteva esserci di meglio che due mesi di vacanza in compagnia delle sue
persone
preferite?
“Non
sarà una vacanza.”
Replicò Tom con un lieve sospiro piuttosto umano.
“Dovremo comunque
studiare
Lils…” Aggiunse Al virtuoso. “E nel mio
caso, occuparmi di voi come farebbe una
balia.”
“Occuparci.” Si inserì Rose,
dalla sua postazione densa di disperazione
romantica. Quest’ultimo aggettivo, pensò Lily, mal
si adattava alla cugina.
Sembrava più altro preda di una brutta, brutta indigestione.
Forse era anche per la
cioccolata che si era ingurgitata in quella settimana.
Beh,
non è un’eroina tisica da romanzi
d’appendice. È…
Rosie.
Le sorrise. “Sono
contenta che
tu abbia inoltrato la candidatura per Caposcuola… sono
sicura che ti
prenderanno!”
“Sono disperati, certo che lo faranno. Non
c’è nessuno che voglia sobbarcarsi
di altri impegni, l’anno dei MAGO.”
Rimbeccò l’altra con una scrollata di
spalle.
Lily rimase in silenzio:
sapeva benissimo perché l’altra lo stava facendo,
anche se quella mattina
l’aveva annunciato at urbi et orbi
adducendo
il motivo di arricchire il suo già farcito curriculum
scolastico.
Malfoy
va a Durmstrang. Rosie, va a Durmstrang.
Era un’equazione
semplice,
tenera e dannatamente cocciuta. Insomma, alla Weasley.
Beh,
le cose funzionano così. Se vuoi riprenderti il
tuo uomo, non lo molli solo per mesi in scuole straniere. Facile.
Lily in quel momento,
imbacuccata in un vecchio maglione blu di James – che le
stava comunque deliziosamente
– e davanti al fuoco
natalizio, si sentiva molto saggia e felice.
Manca
solo Ren.
“Perché
la vostra Sala Comune
è più calda della nostra? È
fastidioso.” Borbottò dopo un po’ Tom.
Lily pensò che
sarebbe
sembrato più tagliente se non si fosse definitivamente
abbandonato sul divano,
con la testa sulle ginocchia di Al.
“Io lo trovo meraviglioso invece…”
Replicò quest’ultimo con un dolce mezzo
sorriso. “Vorrei essere a Grifondoro solo per il vostro
eccellente sistema di
camini.”
“In effetti i
sotterranei sono
una ghiacciaia.” Convenne Rose e attese. Al e Lily si
scambiarono un’occhiata.
Lily sospirò.
Sappiamo
tutti cosa attende… la controbattuta di
Malfoy.
Che ovviamente non
arrivò,
perché Malfoy non c’era.
Rose tese appena le labbra, e staccò con ferocia un morso
dalla sua barretta di
Mielandia. Ne aveva fatto rifornimento una settimana prima e nessuno
osava
toccare quelle sacre scorte consolatorie.
Neppure Hugo, sebbene
lanciasse loro languide occhiate desiderose.
“Comunque se ti fa
caldo,
perché sei qui?” Soggiunse Rose rivolta a Tom, che
fece spallucce.
“Al è
qui.” Disse con tono
definitivo, e l’altro gli sorrise contento.
“Hai incontrato
papà stasera?”
Chiese Lily, che aveva notato del sommovimento – di nuovo
– nelle faccende del
cugino acquisito.
Sta
succedendo qualcosa. Di nuovo quell’orribile
organizzazione?
Non che avrebbe mai avuto
risposte, lei. Tom infatti le
lanciò
un’occhiata incolore. “Sì, dovevamo
metterci d’accordo per Natale…
probabilmente quest’anno verrà anche la mia
famiglia alla Tana. Più Meike,
naturalmente.”
Mentiva, ma
l’informazione di
copertura era comunque interessante. “Meike…?
Parli di quella bambina tedesca
che ti ha ospitato?”
“Mi ha ospitato sua nonna, comunque sì.”
Puntualizzò il puntiglioso,
socchiudendo gli occhi pigramente alle carezze di Al, esattamente come
avrebbe
fatto un gatto. Sembrava stanco, come reduce da un’intensa
fatica.
Ma
il tragitto per Hogsmeade non è faticoso. Voglio
dire sì, nevica, ma papà
l’avrà materializzato ai cancelli… e da
lì la via è
breve.
Sembrava più che
altro stanco
di una fatica mentale, come quella che seguiva ad un esame difficile.
Lily non indagò
oltre però,
preferendo le facezie natalizie. Le preferiva sempre. Natale era il suo periodo dell’anno.
“E quando viene?
Non vedo l’ora di conoscerla!”
“È molto simpatica.” Convenne Albus
posando la mano delle carezze sulla spalla
dell’altro. Passarono pochi attimi prima che Tom la
afferrasse e la rimettesse dov’era
prima, ovvero trai suoi capelli.
Lily e Al si lanciarono uno
sguardo divertito.
A
volte somiglia ad un gatto… E come un gatto, si
lascia coccolare solo quando si sente in un ambiente protetto. Noi siamo
il suo
ambiente protetto.
Certo,
c’è voluto diciassette anni perché se
ne
accorgesse ma… meglio tardi che mai?
“Durmstrang chiude
per le
vacanze invernali il 5 dicembre. Tra due giorni…”
Spiegò intanto Tom, con aria soddisfatta.
“Meike starà da sua nonna fino al 23, poi
verrà da noi per la Vigilia e resterà
fino alla ripresa delle lezioni…” Il tono in cui
lo disse era più anodino di
quello di un’agenzia turistica, ma Lily poté
notare come si era rilassato a
spiegar loro la tabella di marcia.
È
contento di vederla. Tom sotto sotto è un tenerone. Molto sotto.
“Sì,
sapevo di San Nicola³! Me
l’ha detto Ren… la sua delegazione
resterà per il Ballo del Ceppo, però.
Impegni istituzionali.” Scandì bene la parola, con
divertimento. Gliel’aveva
detta l’amico quella mattina, e lei era scoppiata a ridere,
pensando che non
c’era proprio niente di istituzionale
in un branco di adolescenti che avrebbero reso una festa ufficiale
l’applicazione
pratica del caos.
Ma
è meglio se non glielo dico. Ho idea che lo
metterebbe in agitazione.
“A proposito del
ballo… voi ci
andate assieme, come coppia?” Chiese al fratello, ignorando
lo sguardo
orripilato di Hugo. Era buffo notare come tentasse strenuamente di
dimenticare,
ogni volta, che quei due stessero assieme.
“No, ci vado con
Rosie… A
proposito cuginetta, dobbiamo cercarci
entrambi il vestito!” Esclamò Al. Tom fece una
smorfia incommentabile, ma per
fortuna Lily fu l’unica a notarlo e a nascondere
conseguentemente una risata
tra le dita.
L’interpellata sbuffò, mentre fissava la neve
vorticare violentemente fuori
dalle finestre. “Per quanto mi importa, posso pure andarci
con un sacco di
juta.” Fece una pausa. “Probabilmente sarebbe
meglio del vestito che nonna
Molly ha promesso di farmi arrivare…”
“No.”
Esclamò Lily, sentendosi il
cuore tremare d’orrore. “Piuttosto ti cedo quello
che ho adocchiato io ad
Hogsmeade. Anche se forse non ti starebbe di seno…”
“Taci, donna scarlatta.” Ringhiò Rose.
“Di capelli e di
fatto!”
Trillò contenta.
“Vi prego, in nome
di tutti
gli usi del sangue di drago … potreste smetterla? Mi vengono
i brividi…” Borbottò
Hugo con aria tetramente disperata.
“Sarete entrambe
bellissime.” Si
inserì Albus diplomaticamente. “Dai
Rosie… non vuoi essere bella come una
principessa? Ci sarà Malfoy.” Aggiunse poi con un
colpo di coda da vera serpe.
Rose gli lanciò
un’occhiata
incendiaria, poi staccò un altro morso dalla cioccolata.
“Come se quel cretino
sapesse vestirsi…” Brontolò.
“Si veste meglio
di te.”
Replicò Tom con un ghignetto. “O di Al, che
è daltonico.”
“Ma basta con questa storia! Sai benissimo che non lo
sono!”
“Allora
è proprio masochismo,
quello di vestirti con certa roba…”
“Cosa?”
“Ehi.”
C’era una sola
persona in
tutto Grifondoro ad avere quell’accento snob, senza sembrare
snob.
Scorpius Hyperion Malfoy li
fissava dall’ingresso del quadro, in mantello da viaggio e
l’aria imbarazzata
di chi sapeva di aver interrotto qualcosa.
Però sorrideva,
come sempre.
Tutti si voltarono ovviamente verso Rose, che si era
cristallizzata sulla poltrona, quasi le avessero scaricato una palata
di neve
addosso.
Scorpius si
schiarì la voce. “Sono,
ehm, tornato…”
Fu incredibilmente Hugo il
primo a muoversi. Il goffo, spinoso, Weasley,
Hugo Weasley.
Si avvicinò in
due brevi,
dinoccolate falcate. E poi diede una pacca sulla spalla di Scorpius.
“Bentornato,
eh.” Disse, prima
di lanciare loro uno sguardo confuso. “C’abbiamo
Malfoy.” Aggiunse, come se
trovasse incredibile che non avessero ancora fatto nulla in merito.
In
effetti… e bravo Hughie!
Quello sbloccò
definitivamente
la situazione. Albus si alzò in piedi, andando ad
abbracciare il biondo, che
ricambiò divertito e un po’ preoccupato quando,
subito dopo, toccò a Tom
salutarlo.
Anche Lily se lo strinse per
bene. Era dimagrito, notò. “Bentornato splendore,
a te e ai tuoi muscoli…” Gli
disse con il suo miglior tono suadente. L’altro
ricambiò con un ghignetto grato.
Certe cose bisognava rimanessero le stesse per far funzionare tutto, ne
era
profondamente convinta.
Rose intanto era rimasta al
limitare del piccolo gruppo. Lily poteva capirla: come si salutava un
ex, che
non era un ex ma era solo un fidanzato in pausa?
Bel
dilemma. Questa non la so manco io.
Scorpius in compenso le
sorrise, facendo un passo avanti. “Ciao
Rosie…” Mormorò piano, mentre Lily si
sentiva diventare una figura di sfondo. E andava bene così:
quello non era un
momento corale, ma a due.
“Ciao.”
Deglutì l’altra.
“Stai… insomma. Stai bene?”
“Meglio. Adesso sto meglio.” Fece una breve pausa.
“… Posso abbracciarti?”
Aw.
Se
questi due fanno la fine di Romeo e Giulietta, quei
due babbani scemi, giuro che
li prendo a calci.
Gli occhi di Rose si fecero
enormi e pericolosamente lucidi. Odiava piangere, davvero. Anche
perché non
aveva fatto altro negli ultimi dieci giorni e la cosa le stava causando
emicranie irritanti e l’espressione perenne di un panda
stupefatto.
Ma quello…
Stupido
biondino idiota.
Fu un tutt’uno
pensarlo e
stringerlo in un abbraccio forse più adatto alla lotta
greco-romana che ad
aneliti romantici. Ma anche Malfoy rispose alla stretta con uguale
intensità,
quindi…
“Mi sei
mancato…” E al diavolo
tutti i suoi ragionamenti sul restare amichevole, cortese ma
distaccata. Erano
in pausa, ma lei non era in pausa dai suoi sentimenti.
“Anche
tu…” Borbottò Scorpius.
Lo sentì irrigidirsi, e Rose capì che stava
oltrepassando la linea che l’altro
aveva tracciato. E dietro cui era ancora.
Quindi si staccò,
sorridendogli con, sperava, sufficiente convinzione.
Faceva male, averlo vicino.
Ma
era un dolore sopportabile. Ed era comunque meglio di saperlo chiuso
nel suo
maniero a rimuginare.
Era ancora troppo presto, si
ripeté,
troppo presto: ma aveva tempo. Avevano
tempo.
“… ti
va di venire accanto al
fuoco? Sei appena arrivato, e fuori fa freddo…”
Gli chiese, e stavolta fu certa
di suonare serena e amichevole. Come se non fosse successo nulla. O
meglio,
come se fosse successo, ma l’avessero superato.
Scorpius
adesso ha bisogno di noi più che mai… Niente
piagnucolii. Niente richieste.
Miseriaccia,
fosse facile…
“Volentieri! Fuori
è un tempo
siberiano… o scozzese, a scelta.”
Esclamò l’altro togliendosi il mantello.
Sembrava immensamente, teneramente sollevato
dall’accoglienza. “Di che stavate
parlando? Ho sentito che mini – Potter è
daltonico.”
“Non lo sono, è solo Tom che fa il
cretino.” Rimbeccò suo cugino tirando una
gomitata esplicativa all’interpellato, che non emise fiato, a
parte un lieve
corrugarsi delle sopracciglia. “Parlavamo di vestiti per il
Ballo del Ceppo.”
Scorpius si aprì
in un sorriso
dei suoi. “Ah, il mio l’ho già scelto
con Potty. Vi farà impazzire!”
“C’entra
il fichissimo
tatuaggio che ti intravedo sul collo?” Chiese Lily e Rose le
fu grata, perché con
i convenevoli di prima aveva terminato la sua dose di
serenità amichevole.
“Brava piccola Potter. È un accessorio!”
Sorrise a Lily, ma poi si voltò verso
di lei. “Sai Rosie… ho un tatuaggio!”
E Rose seppe immediatamente cosa rispondere.
“Non dubitavo che
in assenza
di coetanei sani di mente accanto a te avresti fatto qualche
sciocchezza.” Scorpius
rise. E se le era mancata quella maledetta risata.
“Bentornato,
Malfoy…” Ripeté
perché sentiva che era giusto ribadire il concetto.
Scorpius le fece un gran
sorriso. “Mai stato più felice di averlo
fatto.”
È
qui. E non lo lascio andare via di nuovo.
****
Note:
Si ringrazia
non-mi-ricordo-chi-scusa! per l’osservazione su un probabile
daltonismo di Al. No,
non è daltonico. Sì, ha un senso estetico
talvolta atroce.
So di essere indietrissimo a
rispondere
ai commenti. Ma purtroppo, ho a malapena la forza di scrivere. E il
tempo,
soprattutto… il tempo!
Qui
la canzone.
E poi... poi, ecco qui
un MERAVIGLIOSO disegno di Iksia sul primo incontro tra Lily e Ren. Godetevelo, vi prego, in
tutto il suo meraviglioso splendore:
First Sight
1. TS: sta ovviamente per
Tiratori Scelti. Abbreviazioni! :D
2. La frase è di Albert Camus. La fonte è
“Return
to Tipasa” (1952).
3. San
Nicola (festeggiato il 6 Dicembre) in alcuni paesi del Nord
(Russia, Olanda, Germania) è considerato il giorno in cui si
festeggia Santa Claus,
ovvero, colui che porta i doni. È considerato più
questo giorno, come Natale,
che il 25 Dicembre. ;)
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Capitolo 35 *** Capitolo XXXIII ***
Capitolo XXXIII
Get
up, get out,
get away from these liars
'Cause they don't get your soul or
your fire
Take my hand, knot your fingers
through mine
And we'll walk from this dark room
for the last
time¹
(Open
Your Eyes, Snow Patrol)
4 Dicembre 2023
Scozia,
Hogwarts. Corridoio del Secondo Piano. Ufficio
del Preside.
Mattina.
“Lily, non mi
sembra una buona
idea…”
“Certo che lo è! Tranquillo, ho tutto
sotto controllo!”
“Sì, ma…”
Lily lanciò un’occhiata esasperata
all’amico teutone. Sbuffò appena, soffiandosi
via una ciocca di capelli dal viso. Prima del Ballo avrebbe dovuto
farseli
tagliare.
Erano nel corridoio davanti
all’ufficio del preside e lei aveva una missione.
Più
prosaicamente, doveva
prendere lo spartito per il suo assolo nel coro della scuola. E sapeva
benissimo che Vitious teneva tutte le partiture nel suo ufficio.
Entro,
lo prendo, esco.
Più semplice a
dirsi che a
farsi: dopotutto c’era una parola d’ordine da
pronunciare e lei non la
conosceva.
“Un po’
è anche colpa tua!” Lo
apostrofò mentre tentava di pensare alla parolina magica che
avrebbe potuto
smuovere la statua guardiana.
Sören
inarcò le sopracciglia.
“Mia?” Le corrugò conseguentemente.
“Sei tu che hai saltato le prove…”
“Già, ma per stare con chi?” Gli
puntellò un dito sul petto. “Con te.”
Il ragazzo fece un mezzo
sorriso. Lily adorava quel ghignetto sardonico, lo faceva sembrare
oscuramente
affascinante.
Solo
che quando gliel’ho detto è diventato di mille
colori. Divertente, comunque.
“Cosa
c’è?” Chiese comunque,
per non dargliela vinta.
Non
ti basta un sorriso per vincere una sfida verbale,
carino.
“Lilian,
non puoi darmi la colpa per
qualcosa che hai deciso tu.”
“… sai, da quando ti ho concesso l’onore
di essere il mio cavaliere ti sei
fatto più spudorato.” Replicò,
osservando divertita come l’altro si fosse
allarmato immediatamente.
“No, non
intendevo…”
“Neanche io. Prendi tutto troppo alla lettera,
Ren!” Rise. Si grattò poi una
guancia. “Dai… dammi una mano! La parola
d’ordine…”
Sören sbuffò, forse irritato
dall’affermazione di prima. “Non puoi
semplicemente indovinarla. Potrebbe essere qualsiasi cosa.”
Lily scrollò le spalle. “Oh, credimi, Vitious non
è così fantasioso. Sarà
sicuramente qualcosa che riguarda la musica o qualche strambo
incantesimo.”
“Che tipo di
musica predilige?”
“Predili… oh, che gli
piace.”
Tradusse in un linguaggio non fine settecento. Ci pensò su.
“Beh… classica? Classica
babbana. È fissato col farci cantare in latino,
anche… e poi canzoni
tradizionali. Pesca anche nel repertorio di musica leggera, sempre
babbana…” Fece
una smorfia rendendosi progressivamente conto che Sören aveva
ragione.
Può
essere davvero qualsiasi cosa. E considerando che
viene cambiata ogni settimana…
Emise un lieve lamento
scoraggiato,
appoggiandosi al muro di fronte all’ingresso. Sören
la imitò, anche se rimase
rigido come un palo, quasi dovesse montare la guardia, invece che farle
compagnia nello sconforto.
“Non ti ho mai
sentita
cantare…” Esordì dopo un paio di attimi
di silenzio.
“Mi piace. Tanto.
Ho preso
lezioni da bambina … sono brava.” Sorrise
stiracchiandosi. “L’assolo non lo
danno certo a chiunque, no?”
“Naturalmente.”
Convenne. “Mi
piacerebbe ascoltarti.”
“Oh, lo farai… certo, se riuscirò ad
imparare abbastanza bene la mia parte da
convincere il Preside.” Spiegò.
“Altrimenti sarò solo una voce nel coro.
Letteralmente. E non è accettabile.”
Stupida
me e stupida battaglia di palle di neve che mi
ha fatto completamente dimenticare le prove.
Ma
è stato così divertente…
Comunque, al di
là di quel
piccolo inconveniente, era una buona giornata.
Una buona giornata di una serie di buone giornate che anticipavano
l’evento dell’anno. Di questo, ne era certa. La
settimana prossima sarebbe
andata a comprare il vestito con l’aiuto critico di Roxanne e
poi…
E
poi sarò una maledetta principessa sulla pista da
ballo. Cosa ci può essere di meglio?
Quello che ci voleva era
ottimismo: ottimismo nel pensare che avrebbe avuto un vestito
meraviglioso, un
cavaliere ineccepibile e il suo primo debutto nella società
magica. Magari per
qualcuno erano cose frivole, ma la mettevano di buon’umore.
E
poi, non faccio male a nessuno. Anzi. Rischiaro
l’atmosfera, che di questi tempi non è che sia
esattamente luminosa.
“Ehi!”
Esclamò
improvvisamente, colta da un lampo che sperava fosse genio.
“Penso potrebbe
essere il pezzo corale che abbiamo deciso di eseguire a
Durmstrang!” Disse il
nome al gargoyle.
Quello non si mosse di un
millimetro.
“Direi di
no.” Osservò con
quieto dispiacere Sören.
“Già…”
Fece una smorfia,
scivolando a sedere. “La devo imparare per
mercoledì! E non è che abbia poi
questa gran memoria!”
“Non puoi chiedere
al Preside
di darti lo spartito? Perché devi…”
Esitazione. “Trafugarlo?”
“Non lo trafugo, me l’avrebbe dato comunque. Se fossi stata alle prove.”
Sbuffò. “Non sembra, ma Vitious è una
specie di nazista quando si tratta di adempiere ai propri doveri, ed io
non
l’ho fatto. Non mi va di essere sgridata.”
Borbottò, appoggiando il mento sulle
ginocchia. Guardò con odio la statua di pietra e gli
sembrò che ricambiasse con
un ghigno di superiorità.
“Cos’è
un nazista?”
Lily sorrise. Certe volte Sören le sembrava sprovveduto come
un bambino. Non
che fosse ignorante, ma per quanto riguardava il mondo babbano e
moderno
sembrava completamente scollegato dalla realtà.
Sarà
perché è un nobile purosangue. Scorpius una volta
ha riso per mezz’ora alla parola telefono.
Son
proprio strani…
“Una specie di
mangiamorte
babbano.” Gli spiegò facendo cenno di sedersi
accanto a lei. Aveva idea che
avrebbero dovuto aspettare: un’illuminazione o –
purtroppo – il ritorno del
Preside.
Sören scosse appena
la testa,
rimanendo in piedi. Si era irrigidito, notò.
“Tu…”
Iniziò, poi si fermò.
Contrasse appena le labbra. “La tua famiglia conosceva
Severus Piton?”
Lily batté le palpebre, perplessa. Quella domanda usciva
come un fulmine a ciel
sereno.
Non
è che stessimo parlando di questo!
“Sì,
certo. Ha insegnato ai
miei genitori e a tutti i miei zii. Era nell’Ordine della
Fenice e…”
“Questo lo so. Basta leggere un libro di storia della
Magia.” Replicò di
rimando. Era davvero teso. “Ma intendo dire… personalmente. Magari i tuoi
nonni.”
“Ehm, a quali ti riferisci?” La questione era
strana. Ma Lily era ferrata.
Oh,
se lo sono.
Sia lei che i suoi fratelli,
da bambini, avevano eletto a suo eroe preferenziale uno dei tanti del
loro
pantheon familiare. James aveva scelto – inutile dirlo
– i Malandrini e Albus,
il padrino Neville.
Lei aveva scelto Severus
Piton. O Il Principe, come
l’aveva
sempre cocciutamente chiamato, nonostante suo padre avesse tentato
più volte di
farle capire che era un soprannome e non un titolo.
‘Papà,
raccontami la storia del Principe!’
Beh,
avevo cinque anni e mi credevo una principessa.
Non si poteva pretendere altro.
“… in
che senso?” Spiò Sören
corrugando le sopracciglia. “Ah, certo.”
Annuì. “Erano tutti parte della stessa
organizzazione di resistenza.”
“Mno…
cioè sì, ma al tempo del Primo Ordine, Piton era
dall’altro
lato. Quello cattivo.” Fece un gesto esplicativo.
“Nel Secondo Ordine c’era, ma
allora i miei nonni paterni erano già morti.”
“Quindi erano i tuoi nonni materni a conoscerlo, va
bene.” Replicò, suonando
stranamente spazientito. “Non proprio. Diciamo che
è rimasto ambiguo fino alla
fine…” Esplicò con tono accademico.
“Anzi, si pensava fosse pure cattivo.
Almeno fino a quando, in punto di morte, non ha affidato i suoi ricordi
a mio
padre, che lo ha poi scagionato dalle accuse di aver fatto il doppio
gioco per
Voldemort.”
“Perché in realtà lo aveva fatto per
Silente.” Aggiunse Sören. Si mise a sedere
accanto a lei. Gli occhi gli brillavano di curiosità: era
voglia, intensa, di
sapere.
Non
sapevo fosse un fan del Principe. Come me!
Sorrise contenta.
“Già.
Comunque, per tornare alla tua domanda, sì…
c’è stato qualcuno che l’ha
conosciuto davvero. Mia nonna paterna.” Cercò di
contenere la piccola smorfia
che le salì alle labbra. “Erano amici prima che
lui… ecco, passasse al lato
oscuro.”
Amici
e non solo. Papà non l’ha detto chiaramente, ma
io mica sono stupida. Mai stata.
“Tua
nonna.” L’espressione
dell’amico era indecifrabile. Si girò
distrattamente l’anello col blasone tra
le dita. “Tua nonna Lily…”
Ripeté.
“Esatto.” Convenne appoggiando la nuca contro il
muro. Era gelato. La tolse
subito. “… erano vicini di casa. Sono cresciuti
assieme e assieme sono venuti
qui, ad Hogwarts. Sono rimasti molto legati fino a quando lui non ha
cominciato
ad interessarsi alle cavolate di Voldemort… e insomma, si
stavano formando gli
schieramenti per la Prima Guerra Magica…”
“C’era bisogno di fare delle
scelte…”
Lily si strinse nelle spalle. “Credo se ne sia pentito per il
resto della vita.
Sai, di aver dato retta a Faccia-di-serpente e alla sua
cricca.” Si attorcigliò
una ciocca di capelli attorno al dito.
Sören sorrise,
forse al
nomignolo dissacrante. “Non ho mai trovato, su carta, di
questa amicizia.”
“È normale.” Concordò con un
cenno della testa. “Papà non ha voluto divulgare
questa parte della storia… la sua
storia. Che Piton gli ha dato, letteralmente, perché
beh… era figlio di mia
nonna.”
Non sapeva se stesse facendo
bene a parlarne. Suo
padre del resto aveva
divulgato solo ciò che aveva poi riabilitato Piton agli
occhi dell’opinione
pubblica. Nient’altro.
Però
a me, ad Al e Jamie… a noi ha raccontato tutto.
La
Storia Del Principe…
“Manterrò
il segreto.”
Indovinò l’altro. Le sfiorò il
ginocchio con le dita. Lily represse un brivido.
Aveva le dita bollenti. “Te lo prometto.” Aggiunse,
con aria seria, quasi fosse
stato pronto a pagare con la morte in caso di infrazione.
Gli fece un sorriso.
“Ci credo,
Ren. È solo che è… personale. Credo
che mio padre l’abbia detta a me e ai miei
fratelli perché ce la ricordassimo.
Noi, in quanto figli. Capisci che intendo?”
“Memoria familiare.” Annuì.
“Certo.” E rimase in silenzio talmente tanto a
lungo che a Lily vennero in mente almeno quattro o cinque possibili
parole
d’ordine.
Prima che potesse provarle
però, l’altro parlò.
“E se ti dicessi
che Piton è
parte della mia famiglia?”
Lily fu certa di aver
assunto
un’aria stupida. Non stupita, proprio stupida.
“Eh?” Disse molto acutamente.
Momento
Weasley. Che sia messo a verbale che non accade
spesso.
“Alla
lontana.” Soggiunse
l’altro. Sembrava sulle spine, ma parimenti spinto da
qualcosa che non riusciva
a farlo stare zitto. “… alla lontana, io ho sangue
Prince come lui. Ti avevo
detto che Sören è un nome che si tramanda nella mia
famiglia, no? Sören in
tedesco…”
“… vuol dire Severus!”
Terminò per lui, quasi saltando in piedi. Si
limitò ad
afferrarlo per un braccio. “Oh, Morgana Benedetta! Dimmi che
non stai
scherzando!”
Era assurdo.
“… non
scherzerei su una cosa
simile. Perché dovrei?” Ribatté
l’altro perplesso. “L’ho scoperto qui
… parlando
con dei ritratti. Non sapevo che Piton fosse un Prince.”
“Ah, perché non lo sa quasi nessuno. Ha preso il
cognome di suo padre. È…”
Pensò ad una gamma piuttosto vasta di parole che potevano
esprimerla, ma alla
fine andò sul sicuro. “… è fantastico!”
Ren
è un Prince!
Ora
che ci penso, cavoli, hanno gli stessi occhi! E la
stessa aura austera!
Sören non sembrava
però
condividere il suo entusiasmo.
“Che
c’è?” Gli toccò una
spalla. “Insomma è bello essere imparentati con un
eroe di guerra. Perché lo
era.” Sottolineò, magari trovasse spiacevole
l’idea che un suo parente fosse
stato un mangiamorte.
“Sì, lo
so.” Confermò. Le
lanciò poi un’occhiata.
E Lily sentì di
nuovo quella
sensazione scomodamente intensa. Come se dovesse
succedere qualcosa.
… che ovviamente
non accadde,
perché l’altro fece seguire una domanda.
“Adesso pensi di potermi raccontare la
sua storia? Dopotutto è anche la mia
famiglia…”
Lily lanciò
un’occhiata alla
porta ermeticamente chiusa.
Mi
sa tanto che dovrò aspettare Vitious e farmi dare la
strigliata che mi merito…
Si mise comoda, per quanto
le
fosse concesso essendo seduta su un pavimento gelido in un corridoio
umbratile.
Si
può fare di meglio…
Si accostò quindi
all’amico,
spalla contro spalla.
Mh.
Caldo.
Notò un leggero
rossore nell’altro,
ma glissò: se glielo avesse fatto notare sarebbe peggiorato.
Ormai lo
conosceva.
“Okay, parto dall’inizio?”
“Come in ogni buona storia…”
E cominciò a
raccontare. Non
si era mai ritenuta una gran narratrice. Era quel genere di persona che
finiva
sempre per confondere tutto, cercando di arrivare subito ai punti
salienti.
Ma quella storia…
beh, quella
storia la conosceva così bene che ormai per lei era
trasfigurata in fiaba. E
punto primo, le fiabe dovevano
essere
raccontate bene. Punto secondo, come tutte le fiabe, aveva un finale
infinitamente triste.
Sono
felice di essere nata, senza mio nonno James non
sarei qui, e probabilmente al posto di papà ci sarebbe quel
mostro di Voldemort,
ma…
Ma le dispiaceva,
sinceramente, per quell’eroe solitario, che nonostante il
plauso dell’opinione
pubblica non riscuoteva la stessa solidale affezione di altri nomi
incisi su
fredde lapidi.
Okay,
papà mi ha fatto capire piuttosto chiaramente che
non era una persona… carina… però ha
fatto più lui per il Bene di chiunque
altro, compreso Signor-Manipolatore-Barba-Bianca!
Lily aveva deciso a cinque
anni e due mesi che sarebbe diventato il suo
eroe.
E
lo è ancora. Anche se probabilmente è una cosa da
ragazzine.
“E quindi, per
quanto poco mi
faccia piacere… porto il nome della donna per cui ha
sacrificato tutto. Ho
sentito, capisci, il bisogno di
conoscerlo… magari è stupido… anzi,
credo che lo sia.”
Sören non aveva
detto nulla,
durante il suo lungo racconto. Era rimasto in silenzio, ad ascoltarla
con
quella strana espressione vorace che aveva ogni tanto negli occhi,
quasi
volesse assorbire ciò
che gli veniva
detto, più che ascoltare.
“Non lo
è.” Le rispose.
“Quello che ha fatto quell’uomo per tua nonna
è…” Esitò, forse a corto di
parole.
“Orribilmente
romantico?”
Suggerì, perché con l’età al
semplice aggettivo si era aggiunto un avverbio.
Ha
rinunciato a vivere, Merlino Benedetto.
Sören fece una
smorfia. “Sì…
immagino si possa dire così.”
Lily intuì che
fosse agitato.
Ma non capiva da cosa. “Però… che modo
di amare pazzesco, eh?” Disse, forse per
alleggerire la tensione. Improvvisamente si sentiva… in
imbarazzo.
“È
vero.” Disse Sören
lanciandole un’occhiata. E non aggiunse altro.
Aggiungi!
Non lo fece naturalmente,
perché non le leggeva nel pensiero.
“Sì… e poi… sconvolgere
tutto ciò in cui
credeva … per lei. Cioè, non penso solo per lei,
ma soprattutto, capisci? Per mia
nonna.” Stava straparlando e se ne
rendeva conto dall’espressione dell’altro.
Improvvisamente non trovò più così
tanto geniale essersi appiccicata a lui. “Insomma,
è criticabile ciò che ha
fatto, e di sicuro non era il tipo che pensava al bene
dell’umanità intera, ma…”
“Ma?” Ren aveva il maledetto vizio di far domande
con il chirurgico intento di
avere una risposta.
Esistono
domande senza risposta, sai?
Lily si sentì
improvvisamente
piovere i suoi quindici anni addosso. E si rese conto di essere in un
corridoio
vuoto, la domenica mattina, accanto ad un ragazzo a cui aveva appena
raccontato
la storia d’amore più bella, univoca e straziante
che conoscesse.
E
non si è annoiato. Mi ha ascoltata.
C’era qualcosa in
Ren che non
andava. Lo sentiva. Ma c’era anche qualcosa di maledettamente
giusto.
“Ma…”
Se
fosse stato qualcun altro, l’avresti già baciato.
Ti
avrebbe già baciata?
Perché non vi state baciando?
Hai
quindici anni, basta così poco per piacersi, per
baciarsi…
Ma non con Sören.
In quel
momento, l’altro non la teneva a distanza con modi di fare
cavalieri e cortesi,
come al solito.
Pensavi
che non me ne fossi accorta?
La guardava invece come se
volesse scavarle dentro, profondamente, fino alle ossa. Per capirla. O
forse
per…
Per
cosa?
Era semplicemente troppo.
Lily si alzò in
piedi di
scatto, sentendo l’improvviso gelo del corridoio allo
staccarsi dall’altro.
“Io…” Esitò.
Che
cavolo sta succedendo?
Le sensazioni che provava
per Ren…
oh, no. Non le aveva mai provate per nessun ragazzo.
È
una cotta? Sei cotta?
Non
le sembrava. Non ricordava come fosse
iniziata, ma aveva raggiunto il suo picco massimo quando
l’aveva salvato dal
Dissennatore. Per poi continuare con l’incontro sulla nave e
arrivare a… quello.
Questo
che cavolo è?
Sören intanto era
rimasto a
sedere. Aveva una strana espressione in viso, quasi fosse
più turbato di lei.
Fortuna volle –
fortuna,
davvero? – che arrivarono dei passi a distrarli.
“Oh, Signorina
Potter!”
Esclamò il Preside, arrivando loro alle spalle.
“Dov’era finita? Ieri ha
saltato!”
“Professore!” L’avrebbe abbracciato. In
quel momento, sul serio. “Scusi se non
sono venuta alle prove, me ne sono completamente dimenticata. Avrei
bisogno
della mia parte per il solo.”
Non riuscì neanche ad inventarsi una scusa credibile.
Vitious stranamente
sembrò gradire l’onestà –
avrebbe dovuto usarla più spesso? - perché dopo
un
breve rimbrotto la invitò a seguirlo.
Lily gli andò
dietro, come un
anatroccolo riconoscente, riuscendo solo a mormorare un saluto in
direzione
dell’amico.
E no, non riuscì
a guardarlo
in faccia.
Sören
sentì il respiro
sibilargli trai denti. Li aveva serrati e gli diedero un leggero,
gelido
fastidio.
Che
diavolo stavi per fare?
La
domanda aveva il sapore di un
accusa, e lo era. Dura e impietosa.
Non ne aveva la minima idea,
in
realtà. Fosse stato chiunque altro, fosse stato
davvero Luzhin, forse avrebbe avuto una risposta. Sciocca e
avventata, come quella di un qualsiasi adolescente di fronte ad una
ragazza
attraente.
Ma
io non sono un qualsiasi adolescente.
Si passò una mano
sul viso. La
storia di Severus Piton l’aveva sconvolto, inutile fingere il
contrario.
Tornare lì, davanti all’ufficio dove per la prima
volta l’aveva notato, gli
aveva stimolato quella domanda.
Conoscere, sapere di
più su
quel suo valoroso cugino. Aveva chiesto a Lilian semplicemente
perché sapeva
che suo padre e la sua famiglia avevano combattuto al suo fianco.
Lo
immaginavo come un eroe a tutto tondo. Invece ho
scoperto che se è ha fatto la spia, è
perché inizialmente era dalla parte
sbagliata.
Condividevano altro, dunque,
oltre ad un ramo di un albero genealogico ormai estinto?
No,
nient’altro. Io non sono nel lato sbagliato. E non
ho scelto. Obbedisco, perché è ciò per
cui vivo.
Quel mantra ormai era poco
più
che una filastrocca sfilacciata e masticata. Ancora presente, nel suo
profondo;
ma non aveva più lo stesso effetto.
Perché un punto
di contatto
tra lui e la storia di Piton c’era.
Era Lily, la sua
Lily. Che fosse finzione o meno, lei
era sua amica.
Severus Piton, quando
eseguiva
gli ordini Voldemort credendovi ciecamente, aveva mai provato lo stesso
rimorso
che provava lui, all’idea che stava combattendo contro
l’amica d’infanzia?
Perché se tra lui
e Lilian le
cose erano diverse, nel tempo, nel luogo, nei sentimenti…
anche loro erano in
due schieramenti opposti. Come Severus e l’altra
Lily lo erano stati più di quarant’anni prima.
Notato
com’è finita? Hai ascoltato bene? Lui ha
tradito. Per lei.
E
tu? Cosa saresti disposto a fare per Lilian?
La domanda lo trafisse come
un
dardo.
Sciocchezze.
Sciocchezze senza senso. Non è la stessa
cosa.
La sua situazione emotiva
comunque
stava peggiorando.
Sta’
calmo. Hohenheim ti ha promesso che non le accadrà
nulla.
Rimarrà
ferita quando scoprirà la verità? Certo. Ma
sarà viva. E non è poco.
La
tradirai, ma sarà viva.
Si staccò a forza
dal muro e
si incamminò verso le scale.
Ti
odierà. Ma sarà viva.
No, non c’era
assolutamente
nessun punto di contatto tra lui e Severus Piton.
“Cosa ne
pensi?”
“Penso che non avrei voluto esser svegliato per qualcosa che
non mi riguarda
più.”
“Sei sempre stato un ottimo bugiardo, mio caro
ragazzo…”
****
Torre
di Corvonero. Pomeriggio.
Tom aveva faticato non poco
a
trovare Malfoy.
Quel tipo era un autentico
mistero. Un mistero bislacco; certe volte gli sembrava un cretino,
altre un
fine stratega dei rapporti interpersonali.
Forse, dopotutto, era
entrambi.
Lo trovò sul
tetto della Torre
di Corvonero. A quanto gli aveva detto Loki, era il suo posto preferito
quando era
in vena di solitudine e raccoglimento interiore.
Aprì la porticina
che portava
sul cornicione, e fu sorpreso di non trovarlo solo. Con lui
c’era quella
ragazza francese che tanto aveva impensierito Rose.
Come
ha detto Al? La sua promessa sposa di vittoriana
memoria?
No,
quest’ultima frase l’ho aggiunta io.
Stavano finendo di
chiacchierare ed entrambi avevano due espressioni rilassate. Non aveva
mai
visto la francesina sorridere in quel modo spontaneo.
Mh.
Se lo dicessi ad Al probabilmente ci troveremo
senza Campione. Filosofia protettiva del clan.
“Malfoy.”
Lo chiamò,
annunciando la sua presenza.
L’altro si
voltò, sorpreso. “Oh,
Dursley!” Esclamò tranquillo, come se non fosse
stato beccato a parlare in
solitaria con una ragazza.
“Interrompo
qualcosa?” Chiese
comunque.
“No.” Una sola, tranquillissima sillaba. Forse era
lui ad essere prevenuto.
“Me ne stavo
andando…”Esplicò
la francofona in un inglese curiosamente fluente. “Ci
mettiamo d’accordo in un
secondo momento allora.”
“Okay.” Confermò l’altro
facendole un cenno di saluto. “Attenta alle scale
e… mantieni
la calma con tu-sai-chi.”
La ragazza fece una smorfia, scrollando le spalle foderate dalla
leggera
pelliccia bianca in dotazione agli studenti di Beaux-Batons.
Sorpassò Tom, lanciandogli
un’evidente occhiata di apprezzamento.
Un
po’ troppo evidente … quasi parossistica.
“Avrei dovuto
iscrivermi qui.”
Sogghignò leggermente in direzione di Scorpius, che rise.
“Oh, ma Dursley
è il bello e
dannato della scuola. È un caso raro.”
Ironizzò, facendo irritare Tom. Gli
sembrava che alludessero ad una serie di sottointesi che lui non
coglieva.
Irritante, appunto.
Rimase però in
silenzio, finché
lui e Malfoy non furono soli.
“Non sapevo avessi
rapporti
così stretti con gli studenti di Beaux-Batons.”
“Solo con Violet, e perché siamo amici di
infanzia. Non ci siamo frequentati
per anni, ma…” Si strinse nelle spalle.
“Certe amicizie restano. È simpatica,
se scavi un po’.”
“Più di
Rose?”
La frecciatina ci stava
tutta,
anche se forse non fu un’idea brillante. Tom infatti vide
l’altro fissarlo come
se volesse gettarlo dalla balaustra.
Grifondoro.
È come stabilire un contatto con un ippogrifo
irritabile.
Era quasi tentato di fare un
passo indietro, quando Scorpius sospirò. “Tra me e
Rose le cose sono
complicate, ma non l’ho sostituita. E non con Violet.
Figuriamoci.” Borbottò,
quasi masticasse male le parole. Si appoggiò poi alla
balaustra e si mise a
fissare il nulla.
“Eppure al ballo
ci vai con la
francese.” Alla sua espressione sbalordita,
ghignò. Okay, stava forse
esagerando, ma…
Quanta
gente può vantarsi di far fare una faccia simile
a Malfoy? Solitamente è inscalfibile.
E poi doveva mostrargli le
sue
doti deduttive, no?
“Come diavolo fai a…?”
Balbettò l’altro, incredulo.
“Osservo.
Non si parla che del ballo. Vi stavate mettendo d’accordo
su qualcosa prima che vi interrompessi. Infine, sei obbligato
ad avere una dama, e visto che Rose ci va con Al…”
“Dannazione Dursley, usa il cervello che hai per farti i
fatti tuoi!” Sbottò
l’altro, serrando la mascella. Si passò una mano
trai capelli. “Sei
inquietante.”
“Sì, mi è stato fatto
notare…”
Tom si appoggiò accanto a lui. Doveva dirglielo, prima che
cominciasse a
sproloquiare di problemi che non gli interessavano.
Non che non stimasse
Scorpius.
Aveva sincero rispetto per lui.
Sono
le sue scelte di vita che non condivido. Tipo,
farsi ammazzare in nome di qualche redenzione familiare.
“Ho un'offerta da
farti.”
Esordì guardando il panorama di Hogwarts. Il lago era una
lastra di ghiaccio e
c’era neve a perdita d’occhio. In quel periodo
dell’anno la scuola e i suoi
terreni si chiudevano in se stessi, come se andassero in un lento,
pigro letargo.
Natale era vicino.
Scorpius gli
lanciò
un’occhiata perplessa. “Riguarda il ballo?
Perché senza offesa, con te non ci vado…
Non mi piacciono alti, scuri e attraenti. Mi piacciono femmine.”
Tom si trattenne dal
tirargli
un ceffone sulla nuca.
Non
devo essere il primo ad averne voglia.
“Stavo parlando
del Tremaghi.
Vorrei propormi come tuo assistente.” Scandì,
sperando che il concetto penetrasse
subito e senza problemi. Parlare con Malfoy era come comunicare con una
sfinge
dislessica.
Salta
di palo in frasca, fa battute, fraintende… È meno
complesso parlare con Nott.
Scorpius per tutta risposta
gli
scoccò un’occhiata sbigottita. “Mio
assistente?” Ripeté come se avesse appena
detto qualcosa di buffo.
“Te ne serve
uno.” Ribatté
tranquillo. Dentro cominciò a preoccuparsi. E se Al avesse
avuto ragione? Malfoy
poteva rifiutare. E se lo avesse
fatto, lui non avrebbe potuto farci nulla. “In questo momento
credo tu abbia
bisogno di tutto l’aiuto possi…”
“Taglia corto, Tom.” Lo interruppe
l’altro, abbandonando l’espressione giocosa
per sostituirla con una incredibilmente seria. Ora era tutto suo padre.
“Non ci
credo neanche se me lo giura Merlino in persona, che vuoi aiutarmi.
Senza
offesa, ma sei la persona più egoista che
conosco…”
Touché.
Non poté
ribattere, perché era
l’evidenza dei fatti a parlare.
“E poi te
l’ho chiesto un mese
fa, e mi hai detto di no. Sembrava che ti avessi insultato. Me lo
ricordo,
sai…” Aggiunse continuando nello scrutinio.
Inarcò le sopracciglia.
“Cos’è
cambiato?”
Tom capì di dover dire la verità anche a lui.
Sta
diventando peggio di un tic…
Quando finì
Scorpius lo
fissava come se gli fossero appena spuntate due corna ramose. E verdi.
“Amico…”
Disse lentamente. “…
sei sicuro di non essere un grifondoro?”
“Alla fine della storia non prevedo nessuna morte eroica.
Quindi sì, sono
sicuro.” Replicò sarcastico.
“Mi
proporrai come tuo assistente o no?” Cercò di
tagliare corto, perché
l’espressione ilare dell’altro lo stava
infastidendo.
Adesso
capisco perché non ci frequentiamo granché. Siamo
agli opposti della diversità umana.
Scorpius fece un mezzo
sorriso, infilandosi le mani nelle tasche del mantello e tirandone
fuori quello
che, a prima vista, sembrava un grosso fazzoletto macchiato. Glielo
porse.
“Che roba
è?” Spiò senza
prenderlo. Aveva l’aria di avere anche delle macchie di
sangue sopra.
“La bandiera che
ho dovuto
attaccare al collo della mia bestiola alla Prima Prova. È
l’indizio per la
Seconda. È un indovinello, ed io non ho idea di come
risolverlo.” La
sventolò leggermente, e Tom vi lesse delle
scritte tremolanti, come se fossero venute fuori a contatto con
il…
…
sangue. Sul serio? Macabro. Decisamente macabro.
La prese e se la
ficcò in
tasca. “Ti farò sapere.” Disse.
“Tu va’ a parlare con il Preside. Io devo
andare a Durmstrang.”
“Aye
aye Sir!” Replicò buffonescamente
l’altro. “Abbiamo un patto.
Tu fammi vincere con il tuo gran cervello, io ti farò fare
l’eroe a tuo
piacimento.” Gli strizzò l’occhio, prima
di sgusciare via, senza dargli il
tempo per ribattere.
Tom sbuffò.
Odiosi
grifondoro.
Ma chissà
perché, erano sempre
maledettamente necessari.
****
Londra,
Notturn Alley. Sera.
Ted stava facendo la pianta
da
appartamento esattamente come aveva previsto.
Con un bicchiere di whiskey
incendiario mischiato a chissà cosa in mano – i
cocktail magici erano
tendenzialmente più letali di quelli babbani – era
seduto sul divano a
chiedersi se quello fosse meglio
dell’attacco dei Dissennatori: era una buona domanda.
Mi
ricorda quella volta quando, a sedici anni, sono
stato invitato per
sbaglio ad una festa post-partita del
Grifondoro.
L’appartamento di
James e il Fichissimo Lionel era
rigurgitante
persone. Supponeva infatti che l’avessero ampliato
magicamente per farcele
stare tutte. C’era un caldo pazzesco, nonostante le finestre fossero aperte. Come se
non bastasse, musica
che alternava pezzi babbani e magici gli tartassava le orecchie.
He
smiles when she’s not looking
She
day-dreams when he is not there²…
Ma
come fanno gli altri a parlarsi?
Come se la situazione non
fosse abbastanza angosciante, James era andato in cucina a prendergli
un
analcolico venti minuti prima e non era ancora tornato.
Ted si sentiva un discreto
idiota. Avrebbe dovuto alzarsi e presentarsi a qualcuno, ma primo, gli
sembrava
imbarazzante, secondo…
Ho
già visto tre ragazzi che l’anno scorso sono stati
miei studenti. Merda.
Avrebbe voluto scomparire.
Ma
un po’ i suoi capelli, ora viola, un po’ il fatto
che fosse ben piazzato …
No,
è impossibile.
Preferì andare
sul balcone. Sapeva
che ce n’era uno che dava sulla maleodorante corte interna.
Sempre
meglio di niente.
Lo raggiunse e per fortuna
era
vuoto a parte una persona. Che era nientemeno che Malcolm Whitby,
Capitano di
Tassorosso, più grande di lui e sua prima cotta segnalante i
suoi gusti
sessuali.
Non
che al tempo mi fossi reso conto che era tale… Lo
ammiravo solo tantissimo.
Riconobbe
subito la mascella squadrata, i
folti – ora non tanto – capelli biondi. La sorpresa
fu tale da lasciarlo sulla
porta-finestra, a fissarlo sbalordito, quasi fosse
un’apparizione.
L’altro gli
sorrise. “Ti serve
il balcone? So che è un po’ stretto, ma possiamo
starci in due.” Propose.
“No, no! Io… ehm. Possiamo, certo… Sei
Whitby?”
“In persona.” Sorrise l’altro,
stringendogli la mano. “Mi sembra di averti già
visto… eri a Tassorosso?”
“Sì, tu eri al Settimo, io… un
po’ più indietro.” Non era quindi la
persona più
adulta della festa. Teddy si
sentì
immediatamente meglio. “Ted Lupin.”
“Oh, sicuro.” Sorrise l’altro,
evidentemente non riconoscendolo. “Come stai,
Ted?”
La cordialità Tassorosso… l’avrebbe
abbracciato.
“Bene…
sono qui per… ecco. La
festa.” Sbuffò. L’aria era gelata e il
cielo sputacchiava pioggia, ma era
quanto di meglio chiedesse al momento.
“Bisogno di una pausa, eh?” Chiese
l’uomo, facendogli spazio sulla ringhiera. “Anche
io. Merlino, ho trentun’anni , e un paio di quei ragazzini
potrebbero essere
miei figli!”
“Se li avessi avuti a quattordici anni.”
Mormorò tra sé e sé, perché
era
puntiglioso sulle incongruenze di tutte le specie. L’altro,
avendolo sentito, lo
fissò sbalordito, prima di ridacchiare.
“Ma certo! Sei il
piccolo
Lupin!” Schioccò le dita. “Eri un
ragazzino tutto studio ed educazione, ma con
dei capelli assurdi… un metamorfomago. Ora
ricordo!” Annuì. “Che ci fai ad un
ritrovo di grifondoro? Perché sai, temo proprio che
là dentro siamo gli unici a
non esserlo.”
Teddy sorrise, sentendosi
lusingato
per essere stato riconosciuto. “Il mio ragazzo è
uno degli inquilini.”
“Quale dei
due?” Chiese l’altro
con cortesia, ma a Ted non sfuggì la tensione della mascella.
“Qua lo chiamano
tutti Jimmy,
ma si chiama James.” Whitby si rasserenò
immediatamente.
“Oh, sicuro
… un vero
terremoto. Molto simpatico.” Disse di nuovo amichevole.
“L’ho conosciuto.”
“Tu perché sei qui? Voglio dire, non che tu non
possa, l’età non c’entra,
davvero…”
Ovviamente Ted non era capace di
fare
una domanda senza sentirsi in colpa per i sottointesi contenuti.
“Scusa…”
Il mago lo guardò
divertito.
“Diciamo che anch’io sono qui per il mio ragazzo,
ma sfortunatamente lui non
parla di me come il tuo Jimmy parla di te.” E sorrise
probabilmente ai suoi
capelli in virata di un blu intensissimo.
“Mi…
dispiace?”
L’altro scrollò le spalle, come un qualsiasi
estraneo che non sapeva che
farsene della compassione altrui. Gli dispiacque.
“Lenny
è un tipo complicato.”
Lenny? È il ragazzo…
cioè l’uomo di
Lionel?!
“Sai…”
Continuò quello. “È
fantastico su tante cose, ma per altre… la
fedeltà, per esempio.” Concluse
senza filtri. “Beh, lì non è proprio
affidabile.”
Teddy abbozzò una
smorfia
dispiaciuta. “Mi sembra un tipo molto… vivace.”
Eufemizzò.
Whitby sembrò
ascoltarlo a
malapena: sembrava invece in vena di sfogarsi, forse grazie anche ai
tre
bicchieri panciuti che vide ai suoi piedi.
“Lenny
è una forza della
natura … con lui non ti annoi mai. Pensa… io
neanche li guardavo i ragazzi,
prima di lui.” Si accese la pipa maldestramente.
“Sì… avevo avuto qualche
esperienza, ma cose di poco conto. Poi è arrivato lui. Ed ha
rivoltato il mio mondo
come un calzino.”
Mi ricorda qualcosa… o meglio qualcuno. Ehilà, ciao buon vecchio Ted. Trovi
delle
similitudini?
“I primi tempi
tutto bene…” L’uomo
tirò una boccata, soffiando fuori fumo celestino.
“Len lavorava qui, faceva un
corso di preparazione per spezza-incantesimi … ci vedevamo
tutti i giorni. Inseparabili.
Poi il tirocinio è finito ed hanno cominciato a spedirlo
ovunque. Abbiamo
cominciato a vederci una volta al mese, se andava bene… e
sai come vanno queste
cose. Un giorno non è semplicemente tornato a casa da
me.”
“Convi…
convivevate?”
“Già.”
Cazzo.
Gli uscì di
netto, mentre un
sudore gelido gli ghiacciava la schiena. Ed era già freddo.
“Penso lo avessi
forzato in
una situazione che non era ancora la sua. Io avevo i miei progetti, le
mie
tranquillità, volevo tornare a casa e trovare il camino
acceso e lui che mi
aspettava… e Lenny, beh. Lui voleva avere
vent’anni.”
Teddy trovò del tutto comprensibile vuotare in un sol sorso
il bicchiere che
teneva in mano.
Sembra
che stia raccontando la storia mia e di Jamie…
solo con una bella accelerata di un paio di anni.
E lui che aveva pensato di
andarci a convivere, con James.
Per
farlo scappare da un giorno all’altro perché
è una
vita troppo noiosa per le sue aspettative?
“… e
adesso?”
“Adesso…” Schioccò la lingua
e gli fece un sorrisetto amaro. “Adesso sono
ancora qui. È tutto ciò che posso pretendere. Io
amo Lenny, e sono sicuro che
lui ama me… ma forse siamo troppo diversi per poter stare
sullo stesso
binario.” Prese uno dei bicchieri a terra, ancora piene e
bevve due lunghe
sorsate.
“Io…”
Io sono terrorizzato.
Lo pensò
chirurgicamente
mentre vedeva una versione più vecchia di se stesso con il
cuore spezzato
perché aveva fatto le scelte sbagliate.
È
una specie di messaggio del Fato?
Se avesse perso James, se un
giorno si fosse svegliato in una casa priva della sua
presenza…
Probabilmente
impazzirei. Sono noioso anche in questo.
Impazzirei, tutto qui.
“… devo
andare a cercare il
mio ragazzo.” Mormorò con un filo di voce.
Whitby annuì
leggermente.
“Vengo con te. Vado a dire a Lenny che me ne vado. Il mio
ideale di serata non
è ubriacarmi ad una festa di ventenni. Semmai, lo faccio a
casa mia.” Spense la
pipa sotto il tacco.
Oddio.
Ha i mocassini come me!
Rientrarono dentro, e si
fecero
largo tra la calca di corpi umani. Ora alcuni ballavano un lento, con
meno
coordinazione e meno vestiti addosso di quanto fosse decoroso.
Che
ti aspetti? È una festa di ventenni appena usciti
da una scuola con severissime regole di decoro.
Oh
well, it seems likes such fun
Until you lose what you had won³
Odio
le canzoni babbane. Non possono parlare di
calderoni, pozioni d’amore e streghe affascinanti?
Perché devono essere così
generiche e così… azzeccate?!
“La cucina
è di là, credo…”
Disse Whitby con un cenno della testa. “Probabilmente sono
lì a tener d’occhio
gli alcolici. C’è troppa gente che ha alzato di
gomito, ho idea.”
“Okay.”
Disse, tuffandocisi dentro.
Quello che vide non migliorò affatto la sua situazione
emotiva.
James era stretto tra la
dispensa e le braccia muscolose di Lionel, che gli aveva appoggiato
qualcosa
sulla fronte, una pezzuola contenente del ghiaccio forse.
“Teddy!”
Esclamò James contento, masticando poi
un’imprecazione
perché si era voltato troppo velocemente.
“Un cretino ha
cercato di
appellare un barile di burrobirra e l’ha fatto finire in
testa a Jimmy.” Spiegò
a beneficio di chiunque Lionel. “Ed io non so dove ho
infilato la mia bacchetta
per fare un incantesimo di guarigione… oh, ehi,
Malcolm.” Notò l’altro mago in
quel momento. “Te ne vai?”
Il modo in cui lo disse mandò Ted il sangue alla testa. Era
così…
Disinteressato.
Come se non contasse niente la presenza
di un uomo che lo ama qui dentro.
“Già,
forse è meglio.” Mormorò
l’altro, con tono orribilmente rassegnato.
Teddy in una falcata
raggiunse
James e lo strattonò via dalle cure del coinquilino.
“Ahi!”
Si lamentò questo
perplesso. “Teddy, che cavolo ti piglia?”
“Niente, ce ne andiamo.” Sbottò,
sentendo l’impulso di schiantare quell’idiota
pieno di anelli, sicurezza di sé e crudeltà. Non
avrebbe permesso che James, il
suo altruista, appassionato Jamie diventasse il tipo di persona che non
batteva
ciglio all’idea di ferire qualcuno che lo amava.
“Ehi amico,
sta’ calmo … non
si è fatto niente!” Sbuffò il ragazzo
di colore, cercando di buttarla sul
ridere. “Non fare la chioccia. Jimmy mi ha detto che a volte
ti prende questo
impuls…”
“Mi chiamo Ted, non sono tuo amico e lui si chiama James.” Ringhiò, oh,
decisamente lo fece dalle loro espressioni
sbigottite. “E tu dovresti vergognarti. Ti comporti come se
fossi appena uscito
da Hogwarts e dovessi dimostrare a tutti quanto fico sei a sbattertene
della
gente e vivere alla giornata. Cresci.”
Poi prese James per un braccio e lo trascinò via, passando
tra la marea di
ubriachi, fino alla porta d’ingresso. Non si
fermò, continuando a camminare
come un Thestral cocciuto.
Si fermò solo
quando James si
strattonò via. “Teddy!”
Sbottò. “Fermati,
cazzo! Quanto hai bevuto?!”
La domanda era giustamente posta, ma era sobrio. Quasi. “Non
molto… e comunque.
Io…”
Si accorse in quel momento che li aveva trascinati fino in strada. Ed
erano
tutti e due senza giubbotto.
Si sentì un
idiota. Ma la
rabbia non gli passava. Perché la nuova vita di James lo
spaventava.
Il coinquilino insinuante, i
centinaia di tipi che non vedevano l’ora di perdere il
controllo in casa sua, li
party folli…
Certo, voleva che
l’altro
vivesse la sua adolescenza nel modo rumoroso e pazzo che lo
contraddistingueva.
Ma c’era una parte di sé che sapeva che se
l’avesse fatto fino in fondo,
lui non sarebbe stato compreso nel menù.
Vuoi
far la fine di Malcolm? A guardare un camino, con
a fianco una poltrona gemella alla tua, vuota?
James lo fissava stranito.
“Teddy, che ti è preso? Sembravi impazzito
lì dentro!” Chiese confuso. “Lenny
non ci stava provando! L’unica cosa che stava tentando di
fare era evitare che
mi venisse un livido grosso quanto una pluffa domani, tutto
lì!”
“Lo so…” Lo sapeva e sapeva di aver
esagerato. Che tra l’altro, neanche erano
fatti suoi, quelli tra Whitby e Lionel. Però aveva
empatizzato.
Brutta
abitudine.
James gli si
avvicinò. “Ehi,
che succede?” Gli chiese con quel tono un po’
ispido e dolce che aveva quando
gli si rivolgeva per farlo calmare. Gli tirò poi una ciocca
di capelli, che
sotto le sue dita tornò celestina, da amaranto che era.
“Hai presente
quell’uomo che
era con me?” Borbottò.
“Uh - uh. È tipo…
l’ex-fidanzato di Lenny. Una specie. Len ha incantato Peter
dopo che quel tizio si è messo di fronte alla porta tutta una notte. A bussare!”
Sbuffò. “Ti rendi conto?”
Noi tassorosso siamo leali. Una volta che
amiamo qualcuno, è difficile smettere…
“Lionel non
è stato molto
corretto con lui…”
“Ehi,
l’asfissiava! È un tipo
palloso… ciancia di famiglia, di sposarsi…
roba da matti. Continua a ronzagli intorno e a Len spiace,
così non riesce a
dirgli di no.” Scrollò le spalle James, ignaro del
fatto che l’altro avesse un
maglio che gli artigliava le viscere.
Anche
noi diventeremo così?
“Lo
ama.” Si sentiva la bocca
secca. No, non voleva parlare di quello.
“Comunque… non fa niente. Ero solo
stufo di stare lì. Mi dispiace, non mi ci sentivo a mio
agio.”
“Ookay.” Annuì James dandogli un
pizzicotto sul fianco. Si corrucciò quando non
lo vide reagire. “… magari potevi evitare di dire
quelle cose stronze al mio
amico, ma va bene. Lenny ha le spalle larghe.”
“Penso che tornerò ad Hogwarts.”
Mugugnò, cercando di sciogliersi
dall’abbraccio in cui l’altro l’aveva
avvolto. Non funzionò: James ormai doveva
aver subodorato qualcosa, perché serrò la presa.
“Stai scappando.” Disse, con sguardo
accusatorio. “Ora ne parliamo, e poi
torniamo assieme ad Hogwarts. Vengo
con te. Non sto ad una festa da cui te ne sei andato!”
Per quanto Teddy fosse
contento
della cosa… non era abbastanza. “James, stasera
non sono dell’umore…”
“Proprio per questo!” Lo prese per le spalle.
“Ehi, ricordi? Stiamo assieme,
quindi se c’è un problema lo
risolviamo!”
Teddy si morse un labbro.
Guardò negli occhi sinceri di James: era assurdo pensare che
avrebbe potuto
fargli una cosa del genere.
Ma
neanche Whitby se l’aspettava…
“Pensavo…
sai, a proposito di
prendere casa assieme…”
James sorrise. “Ah – ah! Finalmente ne
parliamo!”
“Non credo sia una buona idea.”
Il silenzio che ne
scaturì fu
pesante come un troll svenuto. James lo guardò come se
volesse tirargli un
pugno e Teddy sentì l’istinto di smaterializzarsi
immediatamente.
L’apoteosi
dei nostri peggiori difetti.
“Perché?”
Chiese poi l’altro,
quieto. Non era mai un buon segno quando lo era. “Okay, non avevamo
preso una
decisione definitiva, ma pensavo fosse più questione di
aspettare che finisse
il Tremaghi.”
“È che… tu stai bene qui.”
Incespicò, ficcandosi le mani in tasca perché non
se
le sentiva più. Faceva davvero freddo,
dannazione.“Hai i tuoi amici … ti sei
ambientato. L’hai detto tu. Ed io comunque devo restare ad
Hogwarts per la
maggior parte dell’anno e…”
“Puttanate.”
Lo bloccò con aria infuriata. “Dimmi
cos’è che t’ha
sfasato. E non raccontarmi stronzate, perché giuro ti prendo
a calci in culo
anche se sei tu.” Concluse cupo.
“Non penso tu sia
pronto alla
convivenza.” Buttò fuori di colpo.
“Senti, io ho già avuto… insomma, con
Vic. E
non è facile. Devi abituarti alle stranezze
dell’altro, ai suoi ritmi. Devi
fare dei compromessi.”
“E pensi che non
sarei capace
di farlo?” Il buio umido della strada rendeva i lineamenti di
James confusi.
Contratti. Probabilmente era una fortuna che fosse senza bacchetta.
“Non ho detto
questo… penso soltanto
che sia ancora presto, per te. Hai diciotto anni
e…”
“E sto con un ventiquattrenne cacasotto.” Ritorse
l’altro, tirando un calcio all’inferriata
di un portone che fece un rumore sferragliante. “Come al
solito è questo!”
“Non è
questo!”
“Invece
sì!” Urlò James.
Probabilmente l’alcohol aveva esacerbato le
sue emozioni, perché tiro un secondo calcio. “Sei
tu che non vuoi prendere casa
con me!” Lo afferrò per il bavero della camicia e
Teddy non riuscì a reagire.
Anche perché forse era meglio così. “Io
mollerei Lenny, il battente del cazzo e
queste feste piene di stronzi se tu mi chiedessi di venire con te!
Invece
stiamo parlando, di nuovo, di quanto io
sia immaturo! Quando il problema è solo tuo!” Gli
puntò il dito al petto,
perché aveva sempre una gestualità istintiva.
Efficace. “Avanti, dimmi che non
è così!”
Era vero. Jamie facendo
chiasso
come al solito, era arrivato dritto al punto.
Non riusciva a far entrare
un’altra
persona nella sua vita, non completamente. Per questo aveva
procrastinato la
decisione di prendere casa, quando sua nonna già aveva
venduto il cottage.
La sua unica esperienza di
convivenza, con Vic, era stato uno smorzante, continuo fallimento; col
senno di
poi, forse non ci aveva mai provato davvero.
Nessuno, a parte sua nonna,
era riuscito ad entrare nel suo bozzolo perfetto di solitudine.
Continuo
a sentirmi un orfano anche se sono circondato
da gente che mi fa da famiglia in modo eccellente…
James serrò le
labbra. Doveva
aver capito che il suo era un silenzio assenso.
“Jamie…”
“No, sta’ zitto.” Lo
apostrofò.
Stette zitto. James si passò una mano dietro la nuca,
inspirando. Quando riaprì
gli occhi sembrava più calmo.
“T’accompagno a King’s Cross?”
Gli chiese.
“Ormai
l’ultimo treno per
Hogwarts è partito.” Scosse la testa.
“Prenderò una stanza al Paiolo, e
partirò
domani mattina. Dovrei tornare in tempo per le mie lezioni.”
James annuì.
“Okay, allora ti
accompagno là.”
Si incamminarono in silenzio, ma Teddy fu costretto a fermarsi a
metà strada.
Le vie erano deserte, colorate di allegre luminarie natalizie che
facevano a
pugni con il loro stato d’animo: non potevano salutarsi in
quel modo.
“Sono una persona
noiosa, Jamie…
ed ho paura che finirai per stancarti di me.”
Confessò ben attento a guardarsi
le scarpe. “Non organizzo feste, mi sento a disagio alle
poche a cui vado… sono
pessimo ad ampliare la mia cerchia sociale. E la mia serata ideale
è leggermi
un libro davanti al fuoco. In certe cose siamo… antitetici.
Come Lionel e
Whitby.”
James non disse nulla, ma poi gli diede un colpetto sulla spalla con la
sua. Era
ancora corrucciato, ma più che altro sembrava rassegnato
alla gigantesca mole
delle sue seghe mentali.
“Quanto sei
stronzo. Come se
non le sapessi ‘ste cose.” Lo apostrofò
infatti. “Io ti amo da sempre.”
Fece una pausa. “Non è la
stessa cosa. Non andrebbe nello stesso modo.”
“Non puoi
saperlo…”
“Vero. Non se non proviamo.” Ribatté
cocciuto.
Camminarono fino
all’entrata
del Paiolo da cui spirava luce e calore. Teddy si sentì
infinitamente stanco.
“A questo punto
penso che ci vedremo
per la Vigilia, no?” Chiese James, con le braccia stretta al
petto. Erano
proprio stati due idioti a non salire a prendere giacche e mantelli.
“Sì.”
Confermò. “Per la
Vigilia.” Voleva baciarlo. Avrebbe rifiutato?
James risolse la questione afferrandolo per la nuca – e
tirandogli i capelli –
per baciarlo furiosamente. Ted replicò con uguale
intensità. Si staccarono, e
James appoggiò la fronte alla sua.
“Coglione…”
Sussurrò con
affetto. “Con te mi tocca sempre aspettare.”
Teddy ricevette un ultimo bacio frettoloso e poi l’altro
corse via,
probabilmente per evitare il congelamento.
Chi
è l’immaturo qui? Parliamoci chiari, Lupin. La
questione anagrafica è irrilevante. Jamie ti ha battuto su
tutta la linea.
Forse, stavolta, era il caso
si
facesse un bell’esame di coscienza. Perché aveva
consigliato a Lionel di
crescere: ma forse, quel suggerimento si adattava meglio su di lui.
****
Note:
1. Qui
la
canzone.
2.Questa.
Sì, lo so, è Wrock. Usiamolo visto che di canzoni
magiche la Row ne ha messe tre.
3.Questa.
Per chi volesse vedere
Piggie:
Violet
Parkinson-Goyle.
Un grazie a Shinu,
Elthefirst e Sarapanny
per le dritte tecnico – musicali!
|
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Capitolo 36 *** Capitolo XXXIV ***
Capitolo XXXIV
Sometimes
I think that I think too much
And
that it’s all in my head and I can’t touch
‘And
I’m chasing all my cares away
Fighting
for freedom for one day
(The
View, Beautiful¹)
13 Dicembre 2023
Londra,
Ministero della Magia.
DALM, Ufficio Auror, Mattina.
Harry era un tipo piuttosto mattiniero.
Non sempre, ad onor del
vero.
Solo quando c’era un caso che lo teneva impegnato. Ed essendo
il Capo
dell’Ufficio auror, ormai erano pochi i casi che passano
direttamente sotto le
sue mani.
Quella mattina era il primo
auror a timbrare il cartellino. Infatti l’enorme stanzone
compartimentato erano
sgombro, silenzioso e soprattutto privo di promemoria che svolazzavano
ovunque.
Salì di buona
lena la rampa di
scale a chiocciola che lo portava al suo ufficio e aprì la
porta
dell’anticamera augurando un buongiorno frettoloso alla sua
segretaria, l’unica
che lo battesse sul tempo.
“Signore,
c’è una persona che
la sta aspettando.” Esordì quella con tono
sorpreso. Quasi non si capacitasse
che alle sette in punto qualcuno oltre a loro fosse lì.
In
effetti…
“Dove?”
Chiese un po’
stupidamente; ma del resto non aveva ancora preso il suo
caffè.
La strega indicò
la stanza. “È
straniera.” Aggiunse incerta. “Ha insistito per
accomodarsi, ed io…”
Harry capì che si
trattava del
famoso agente di collegamento americano.
Speravo
di avere ancora un po’ di margine di autonomia…
Strinse appena le labbra,
cercando al tempo stesso di rasserenare la sua segretaria.
“Hai fatto bene.” Le
sorrise. “La aspettavo.”
Purtroppo.
Sorvolò sul fatto
che non
avrebbe voluto che si sedesse nel suo
ufficio prima del suo arrivo: dopotutto era meglio
così, se la sarebbe sbrigata
velocemente.
Le
darò le informazioni che vuole. Un intero fascicolo
da trecento pagine di informazioni. Dovrebbe tenerla impegnata per un
po’.
La squadra di Ron era
partita cinque
giorni prima con una passaporta per l’Islanda, direzione
‘Riserva’ – nome
eufemistico per definire la struttura di massima sicurezza dove
venivano tenuti
i Dissennatori – per parlare con i sorveglianti.
C’è
voluta una settimana per ottenere le
passaporte.
Maledetta
burocrazia magica. Merlino, vorrei davvero
che Hermione la smettesse di scherzare, quando dice che potrebbe
candidarsi a
Ministro. Perché potrei finire per proporla io.
In ogni caso, come
immaginava,
non era venuto fuori molto. I sorveglianti erano stati affatturati
– alcuni di
loro si trovava ancora in ospedale – e la barriera magica di
contenimento,
disattivata. Le testimonianze raccolte parlavano dell’arrivo
improvviso di una nebbia nera e di lumos inefficaci.
Come
al Torneo. Hanno usato lo stesso modus operandi.
I
guardiani non hanno neppure visto da dove arrivavano gli incantesimi.
In ogni caso, i Dissennatori
non erano andati in Scozia motu proprio.
Qualcuno doveva averli indirizzati.
Hohenheim.
La Thule. Anche se non hanno rivendicato
come avrebbe fatto Voldemort, la traccia è chiara.
È
il loro modo di fare le cose.
Entrò nel proprio
ufficio
chiudendosi la porta alle spalle. Quelle riflessioni
l’avevano messo di cattivo
umore, e quindi non si premurò neanche di stamparsi in
faccia un sorriso
cordiale.
La donna che si
voltò alla sua
entrata era senza dubbio l’agente di collegamento, dato che
indossava
l’uniforme del DALM americano. Però ad Harry fece
un’impressione diversa rispetto
ad Ethan Scott.
La strega doveva essere
all’incirca sua coetanea. Era una creola dai lineamenti
morbidi e capelli
leonini ad incorniciare un viso attraente.
Ma
fanno un casting per scegliere gli agenti del DALM?
Non
era però scattata in piedi al suo
arrivo, si era semplicemente alzata.
“Sergente Eleanor
Gillespie.” Si
presentò. “Ho preferito aspettarla qui. La sua
segretaria sembrava non avere la
minima idea di cosa farne di me.”
Harry odiava i convenevoli farciti di giri di parole a
quell’ora del mattino:
fu felice di non trovarne nelle parola dell’americana.
“Harry Potter. Prego …” Le
fece cenno, e la donna obbedì sedendosi. Lo seguì
però con lo sguardo mentre si
accomodava dietro la scrivania.
Harry capì che lo stava studiando: era abituato ad essere
osservato, da più
tempo di quanto ormai ricordasse, ma quello era uno sguardo analitico.
Lo stava
pesando.
Un
punto a lei.
Chi perdeva tempo a capire
se
c’era qualcosa oltre la leggenda del Prescelto, per Harry
meritava immediatamente
credito.
“Mattiniera…”
Osservò con un
mezzo sorriso, per rompere il ghiaccio.
“Sono arrivata con
la
passaporta angloamericana delle quattro.”
“Ha già trovato dove stare?” Poteva pur
concederle dei convenevoli, pensò un
po’ imbarazzato. Dopotutto sembrava aver passato una notte in
bianco.
Come
me.
“Sì, mi
sono accomodata ad una
locanda a Diagon Alley. Il Paiolo Magico?”
“La conosco molto bene. Vecchia, ma dal servizio
eccellente.”
Esauriti le formalità rimasero brevemente in silenzio. Harry
si chiese se non
dovesse chiamare Grace e farsi dare il faldone dell’indagine,
ma la donna lo
precedette.
“So bene che non
mi vuole qui.”
Esordì. Aveva un’espressione determinata, di chi
non aveva tempo da perdere e
voleva subito mettere le carte in tavola.
Un
piacevole cambiamento dopo quel damerino da
fotoromanzo… Non so se l’abbia scelta Malfoy, ma
se fosse, devo proprio
mandargli un cesto di frutta.
“Non mi
fraintenda…” Replicò,
non sapendo bene come metterla per non suonare sgarbato. Del resto non
aveva
motivo di avercela con lei per principio.
Anche
se fin’ora ho avuto solo pessime impressioni
dagli americani.
“Non lo sto
facendo.” Ribatté
la strega. “È stato chiaro. L’agente
Scott è tornato a Boston su tutte le
furie. Mi ha detto di essere stato più volte umiliato dal
capo dell’ufficio
auror, oltre che da una selva di ragazzini sfrontati
…”
“Cioè da me e dai miei figli.” Convenne
senza battere ciglio.
Se
si aspetta che mi scusi o giustifichi…
La strega inarcò
le
sopracciglia, poi scoppiò inaspettatamente in una risata.
Era solida e
piacevole. “Mi avevano detto che lei era un uomo senza mezze
misure, Signor
Potter… a quanto pare ciò che si dice degli
inglesi è veritiero. Sapete
combattere le vostre battaglie.”
“E ci riusciamo anche piuttosto bene.”
Annuì tranquillamente. “Mi ascolti, Miss
Gillespie…”
“Nora.” Lo
corresse. “Niente
formalismi. Li trovo stupidi.”
“Vale lo stesso per me.” Si sentì
sorridere Harry. Tentò di ricordarsi che
quell’agente sarebbe stato una spina nel fianco, ma la
realtà era che la
trovava piuttosto interessante. “Nora, devo parlarle
chiaramente. Non sono
abituato a essere frenato, quando indago. È vero, ormai sono
più che altro un timbra
- carte con un sacco di trofei sulla scrivania…”
Fece una pausa, quasi a
sottolineare che non fosse veramente
così. “… ma questa indagine mi sta a
cuore. E la seguirò personalmente.”
“Per via del suo figlioccio.” Soggiunse
l’altra andando al succo della
questione. Doveva essere una sua qualità. “Sa,
dalle mie parti lei sarebbe
stato tenuto fuori. Troppo coinvolto.”
“Per fortuna siamo in Inghilterra.”
Ribatté. “E per fortuna, questa indagine la
conduco io.”
La strega fece un lieve cenno di assenso. “Sì,
è una fortuna.” Ed Harry intuì
quello che non aveva capito durante il primo colloquio con Malfoy.
C’era un motivo
per cui improvvisamente il viscido Scott aveva deciso di dargli
informazioni
tramite Draco, nello specifico, sull’arrivo dei Dissennatori.
Voleva
che mi immischiassi.
Non sapeva se esserne se
provare un certo compiacimento – la sua fama serviva qualcosa
oltre a essere
seguito neppure fosse una superstar – o allerta.
Mi
considerano utile. Ma vogliono collaborare … o
usarmi?
“C’era
una strategia dietro
l’improvvisa voglia di chiacchierare dell’agente
Scott?” Chiese alla donna. “Mi
avete fatto avere le informazioni sull’arrivo dei
Dissennatori per
coinvolgermi?”
Quella fece un sorriso. “Sì.” Disse
senza mezzi termini. “L’anno scorso ha
messo le mani su John Doe. Comunque sia andato alla fine, lei
è il primo ad
averlo arrestato. È un risultato notevole. Molti dei miei
erano contrari al
coinvolgimento dell’Ufficio Auror. Ma io sono una di quelle
che ha votato pro.”
Accavallò le gambe e assunse una posa indubbiamente
rilassata. Il suo
esame era finito: lo riteneva idoneo.
Ma
non è finito il tuo, Nora…
Harry passò un
dito sulla
scrivania. Neppure un grammo di polvere, registrò distratto.
“Dovrei
ringraziarla?” Certe uscite gli uscivano da un recesso del
suo Io.
Probabilmente dove a lungo aveva soggiornato Voldemort.
La strega non si scompose.
“No.”
Era da apprezzare per le risposte trancianti. “Harry,
vogliamo la stessa cosa.
Hohenheim in prigione, che sia inglese o americana, e che la Thule
sparisca per
sempre dalla faccia della terra. Lei è un mago di valore, e
ci serve il suo
aiuto.”
Harry non rispose. Fece
invece
una domanda che lo angustiava ormai da mesi. “Scott era
particolarmente
insistente nel voler parlare con Thomas. Lo ha invitato a studiare da
voi, una
volta terminata la scuola.”
“Abbiamo ottime accademie di sperimentazione
magica.” Rispose la donna
stringendosi nelle spalle. “Mi pare di capire che uno dei
motivi principali
della sua sfiducia verso di noi sia la convinzione che il governo
americano
voglia… prendere il suo
figlioccio.”
Usò il termine con piena cognizione di causa. “Per
via delle sue
particolarità.”
“Non è
così?” Decisamente
l’anfratto-Voldemort.
“Le faccio una domanda, Harry. Se il suo figlioccio venisse
di sua sponte, lei
lo fermerebbe?”
Harry fece una smorfia: se
la metteva
in quel modo la sua risposta non poteva che essere una sola.
“No.”
Mormorò. “Se fosse
quello che vuole, certo che no.”
“Allora non vedo il problema. Il mio governo investe, ed
è sempre alla ricerca
di nuovi talenti. Ma non rapisce giovani maghi.”
Harry si sentì piuttosto stupido. E frustrato parimenti,
visto che era stato
trattato come un adolescente irragionevole. La strega parve intuirlo,
perché
fece un lieve cenno, come a scacciare qualcosa di molesto.
“Non sono qui per
questo, ma
per aiutarvi a prendere il cattivo.” Sorrise. “A
Boston hanno pensato che, dopo
l’esperienza con l’agente Scott, avrebbe preferito
collaborare con qualcuno di
più informato. Quel qualcuno sono io. La nostra task-force ha cinque anni. Io seguo la
Thule da dieci.” Spiegò, e
non c’era compiacimento, semplicemente attestazione.
“Capisco.”
Replicò, forse
freddamente. Poteva essere fissazione che affondava le radici nella sua
adolescenza, ma era meglio andarci coi piedi di peltro.
Vedendo però
l’espressione perplessa
dell’altra, si spiegò. “Il suo governo
non è mai sembrato troppo propenso alla
trasparenza, Nora. Pensi ciò che vuole, ma per me non
è semplicemente questione
di prendere il cattivo…”
Si tolse gli
occhiali. Se già cominciavano a pesargli, significava che la
giornata era
iniziata in modo impegnativo. Li pulì.
“… piuttosto di mettere fine a questa
storia ed assicurare a Thomas la serenità.”
“Harry…” La donna di sporse sulla
scrivania. “Mi creda, se c’è una cosa
che
voglio fare prima di morire, è sbattere quel figlio di
puttana in una cella.”
Il tono era duro, improvvisamente privo di ogni orpello educato. Harry
notò in
quel momento che la donna indossava due fedi nuziali, non una. Quel
gesto era
tristemente universale, purtroppo.
Chi
portava l’altra fede non ne ha più
bisogno…
“È una
vendetta personale?”
Chiese pacatamente.
L’espressione
della donna si
fece guardinga: era chiaro fosse combattuta sul dirgli la
verità o meno. Si
raddrizzò, prendendo evidentemente una decisione.
“Se lo fosse?” Chiese. “Le
causerebbe qualche problema?”
Gli occhi azzurri sembravano acciaio. Harry pensò che non
avrebbe voluto
trovarsi per nulla al mondo dall’altro lato della sua
bacchetta.
E pensò anche che
aveva
finalmente trovato un alleato, oltremare.
Rimase in silenzio per un
attimo. “Dipende. Non avrò obiezioni
finché terrà la bacchetta nel fodero e non
prenderà iniziative senza prima avermi
consultato.” Disse. “Ma deve essere una
promessa. Perché so quanto questo sentimento può
consumare… e mi creda, non
sarei qui se gli avessi dato ascolto.”
La donna non disse nulla, né Harry si aspettava che lo
facesse. Essere un
reduce di guerra – orrenda parola, ma calzante – ti
insegnava a non giudicare
le crociate altrui.
Solo
a prevenirle se vanno fuori controllo.
Preferiva comunque un agente
simile, ad un ragazzetto che cercava solo la prossima promozione .
“Si fida se gli
dico che ho
intenzione di mantenerla?” Chiese, e sembrava seria.
“Dobbiamo fidarci
l’uno
dell’altro, Nora. Ed apprezzo la sua sincerità.
Quindi sì.”
Si strinsero la mano. Ad Harry piacque la stretta. Aveva sempre pensato
che si
potevano capire molte cose da quel semplice convenevole. La mano della
donna
era forte, salda. Ne aveva strette molte: quella mano non avrebbe
vacillato al
momento opportuno.
Si accomodò di
nuovo, imitando
inconsciamente lo stesso movimento che la strega aveva fatto prima.
“Che altro posso
dirle?
Benvenuta in squadra, sergente.”
****
Londra,
Regent’s Street. Mattina inoltrata.
“Ma non era un
quartiere
malfamato questo?”
“No, tu parli dell’East End. Questo è il
West
End. E ci stiamo dirigendo verso
Mayfair.”
“… sono confuso.”
Tom alzò gli occhi al cielo, chiedendosi se non avrebbe
dovuto afferrare la
mano di Al per tenerselo affianco: l’altro ragazzo si
guardava attorno,
rischiando di sbattere contro i tanti indaffarati londinesi che
sfrecciavano bevendo
caffè, sbocconcellando sandwich e parlando agli auricolari.
“Forza
ragazzi!” Li apostrofò
sua madre, già a dieci passi da loro. Era incredibile come
riuscisse a
sgusciare tra la folla. In effetti la statura minuta aiutava.
“Voglio portarvi
in un posto delizioso per pranzo, ma rischiamo di trovarlo pieno se
ritardiamo
con la nostra tabella di marcia!”
Sorrideva però, e sorrideva ad Al che aveva l’aria
del pesciolino fuor d’acqua
e un gran sorrisone da bambino in un negozio di giocattoli.
Almeno
ha lasciato quell’orrendo berretto ad Hogwarts…
Portare Al in mezzo alla
Londra babbana era piuttosto divertente, comunque.
Ho
idea che non volesse accompagnare Lily e Rose per
scegliere il loro vestito.
Lo tirò da parte
prima che
fosse investito da una signora impellicciata con tanto di cocker
spaniel.
“Non eri mai stato
da queste
parti?” Gli chiese.
“Mno…” Borbotto l’altro
distratto, agganciando gli occhi all’insegna di uno
Starbucks. “Cioè, sì… sono
stato da queste parti, ma di notte. D’estate, con
Mike, per night-club. È diverso.”
“Night-club…” Si rabbuiò, poi
lo vide sorridere sotto i baffi. “Cosa?”
“Non è
vero Tom, dai!” Appena
captò il suo sollievo, aggiunse, veloce come un serpente.
“Erano gay-club!”
E poi trotterellò in
direzione di Robin, prendendola a braccetto.
Sbuffò,
raggiungendoli. Era
comunque … piacevole… vedere sua madre e il suo
ragazzo interagire cordialmente.
Robin ci aveva messo un po’ a perdonare il Mondo Magico e Al,
al suo ritorno,
era stato il primo mago verso cui mostrare freddezza. Adesso
però sembrava
tutto a posto, da come la donna si stava lanciando in appassionati
anatemi contro
il junk-food.
“Mamma, temo
proprio che vorrà
provarlo, con o senza la tua approvazione.”
Osservò, vedendo come l’altro
ragazzo guardava cupidamente le varie insegne colorate di pub e
caffè.
La donna scacciò l’eventualità con uno
sbuffo energico. “Sciocchezze! Al è
abituato a mangiare cibi di campagna, cose sane! Lo troverebbe
disgustoso.”
Al, diplomaticamente, fece uno di quei suoi sorrisi adorabili.
“Non so zia
Robbie. Mi piace l’insegna di quella Star…
Stabu…”
“Starbucks. Sì,
abbiamo afferrato il
concetto. Dopo ci andiamo.” Sospirò, facendo
ridacchiare gli altri due.
Era un momento di quiete.
Presto
avrebbe dovuto affrontare il carico multiforme dei suoi problemi.
Ma non oggi.
Quel giorno avrebbe preso le
misure per il suo vestito, avrebbe evitato che Al ne acquistasse uno
orrendo e
avrebbe trascorso il pomeriggio con sua madre. Tutto lì. Una
cosa normale.
Arrivarono alla boutique che
dove
aveva preso il superbo completo del processo.
Salive Row²…
Tom non si riteneva un
amante
dello shopping. Comprare libri e musica erano semplicemente coronamento
dei
suoi interessi. Ma lì era un altro discorso.
L’insegna recitava
‘Gieves & Hawkes³’
e poco sotto
‘abiti su misura’.
Tom sorrise. Sua madre
condivideva con lui un viscerale amore per gli abiti di alta sartoria.
Siamo
gli unici in famiglia a capire la differenza tra un
completo da tre pezzi e uno da due.
Così, quando in
una lettera ad
Alicia aveva accennato casualmente
al
Ballo del Ceppo… in una manciata di ore si era visto
arrivare una risposta
tramite Kafka, con le coordinate per ora, giorno e luogo in cui
dovevano
incontrarsi per acquistare l’abito perfetto.
Certo, aveva già
il vestito che
aveva usato per l’udienza…
Ma
non puoi usare lo stesso completo per due occasioni tanto
diverse, Tom!
“Sai, non mi
aspettavo che tua
mamma fosse tipa da negozio di lusso.” Sussurrò
Al, guardandosi attorno con deferenza.
L’unico negozio del genere in cui era mai entrato era Madama
McClan.
E
confeziona delle grosse sottane, checché ne dicano
tutti. Abiti da cerimonia? Sono sottane.
“Da chi credi
abbia preso il
mio buongusto? Non certo da mio padre o tantomeno dal
tuo…” Replicò, evitando
la conseguente gomitata micidiale in direzione costole.
“Tom, Al, venite
qui!” Li
apostrofò Robin, già in compagnia del sarto. Tom
vide Al guardare malissimo il
suddetto, colpevole probabilmente di essere giovane, carino e di
avergli
sorriso.
Ah,
è lo stesso dell’altra volta. Quello del
‘Thomas,
hai una figura così slanciata’.
Si tolse il cappotto e lo
passò ad Al, che lo prese docilmente.
“Ti
metterà le mani addosso?”
Chiese questo con falsissima indifferenza.
“È la
procedura.” Replicò con
lo stesso tono. “Non ci sono metri che si librano da soli
qui.”
“Se usa troppo le mani se ne troverà una in
più. Per magia.” Fu la risposta .
Tom dovette trattenersi
mentre
si dirigeva in camerino: se si fosse messo a ridere Albus
l’avrebbe
affatturato, Statuto di Segretezza o meno.
Una mezz’ora dopo,
e con tutte
le misure fatte, il suo ragazzo era dello stesso colore dei garofani
che erano
disposti sul bancone vicino alla cassa. E stava torcendo
il suo cappotto.
“Abbiamo finito,
Thomas… puoi
andare a rivestirti.” Gli annunciò il sarto con un
sorriso seducente. Tom si
chiese se non avrebbe finito per fargli scivolare il suo numero in
tasca. Per
la seconda volta.
Il tipo non doveva aver
notato
Al. C’era da dire che, infagottato in un maglione Weasley e
con i capelli
arruffati per colpa dell’umidità londinese non era
particolarmente degno di
attenzioni sofisticate.
Tranne
delle mie.
Rientrò nel
camerino, un largo
ambiente delimitato da una tenda di pesante tessuto navy.
Il flusso dei suoi
compiaciuti
pensieri fu interrotto però dallo scostarsi furioso della
tenda.
Conseguentemente venne
spinto
contro il muro opposto e baciato a morte da un Al che, lo dimenticava
sempre, aveva
una presa da boa constrictor e geni
Potter.
Mi
chiedevo quanto ci avrebbe messo… lui e i suoi
gay-club estivi con Zabini… così impara.
Tom lo distanziò
per evitare
che gli strappasse le labbra. Era piacevole, ma un po’
doloroso. “Al?”
“Io …
quello… dov’è
la mia bacchetta?” Borbottò,
innervosito dalla sparizione. “L’ho
persa!”
“Non fare il
James.” Lo
ammonì, beccandosi un’occhiata luciferina.
“Non l’hai persa. Te l’ho presa
mentre dormicchiavi sull’Espresso o l’avresti
persa.” Ghignò, parando un colpo alla spalla.
“Perché sei arrabbiato?”
“Quel tipo ti ha toccato il sedere! Ci stava provando con te!
E tu eri tutto soddisfatto!”
“Mi ha preso le misure per i pantaloni… nel mondo
babbano si fa così, te l’ho
già detto.” Obbiettò. L’altro
gli lanciò un’occhiata livorosa, perché
aveva
capito che lo stava rabbuffando come un cagnetto.
“Ti diverte che
voglia
strozzarlo?”
“Forse…” Concesse. “Abbiamo
finito, comunque. Mia madre passerà a ritirare il
vestito la settimana prossima e me lo spedirà via gufo. Ora
possiamo andare a
cercare il tuo.”
Al si imbronciò senza neppure tentare di nasconderlo.
“Non ne ho voglia.” Si
ficcò le mani in tasca. “Odio il mondo babbano. Mi
comprerò un abito da
cerimonia!”
Tom afferrò i due lembi della sciarpa che penzolava sul
maglione per tirarselo
contro. “Non te lo posso permettere. E comunque, mi sembra,
odi solo i sarti
babbani…”
“Stronzate.”
“Sei
geloso.” Constatò mentre
l’altro giocava con il colletto della camicia di prova.
Avrebbe dovuto togliersela,
visto che fuori c’erano ben due persone ad attenderlo.
Ma…
Al lo tirò
giù per arrivare
alla sua altezza. “È ovvio. Stronzo
vanesio.” Disse, e poi lo baciò.
Sicuramente tutta la
faccenda
dei cosiddetti ‘ormoni adolescenziali’ era
esagerata, ma Tom in quel momento
pensò che i fautori di tale teoria avessero qualche punto.
Specie perché Al si
stava facendo largo tra la porzione di pelle e la cintura in modo delizioso. E ultimamente, poi, aveva il
vizio di baciarlo sul punto più sensibile dietro la curva
dell’orecchio. Era
una cosa che lo faceva impazzire.
Okay.
Ragione. Ormoni. Adolescenti.
Tom soffocò un
gemito,
sentendosi un idiota senza che la cosa lo preoccupasse poi molto.
Infilò le
dita sotto il maglione dell’altro e ovviamente,
perché dopotutto erano in un
negozio pieno di gente…
“Tom, hai finito?
Al, tesoro,
gli dici di sbrigarsi?”
Al si staccò con
disinvoltura,
con le guance solo appena rosate.
Perché
stava ghignando?
La consapevolezza lo
raggiunse
con una forza di uno schiantesimo.
L’ha fatto di nuovo. Come in
infermeria,
dopo la prova… Si è controllato, mentre
io…
Mentre lui, al momento
attuale, non sapeva come diavolo allacciarsi i jeans senza evirarsi.
L’altro gli
sorrise
amorevolmente. “Sta venendo!” Aveva fatto davvero
un gioco di parole degno solo di quella sciagurata di Lily?
“Non provarci mai
più, a farmi ingelosire, Signor Figura
Slanciata…” mormorò, prima di scostare
la tenda e piantarlo lì.
****
Scozia,
Hogsmeade. Pomeriggio.
“Come diavolo ha
fatto Albie
ad andare a Londra? Dannazione!”
Lily, pensò Rose con un sospiro, era tendenzialmente una
ragazza allegra e di
buon carattere. Però si tramutava in una valchiria quando si
trattava di shopping.
“Te l’ho
già detto Lils. È
maggiorenne, ha la possibilità di assentarsi una mezza
giornata per motivi…”
“… gravi e comprovati!” Concluse
l’altra, incedendo come una regina per la High
Street. Il rosso accecante dei suoi capelli faceva pari col suo stato
d’animo.
Aveva già visto un paio di persone, maghi fatti, cederle il
passo. “Ma quali?”
“Penso abbia detto che doveva fare una visita al San
Mungo… e che la stessa
scusa l’abbia usata anche Tom.”
“Serpeverde…” Brontolò Hugo,
che aveva assunto un’aria remotamente patibolare
da quando gli era stato detto che sì, avrebbero visitato negozi.
Povero
fratellino. Maschi: allergici allo shopping. Tranne
quel vanesio di Jam.
Lily fece una smorfia.
“Non
capisco come il loro Direttore ci sia cascato.” Fece mente
locale. “Oh, giusto,
Al è il cocco della sua Casa e Tom pure.”
“Quanti negozi dovremo visitare?” Pigolò
Hugo, due passi dietro a loro. “Non
tanti, vero?”
“Moltissimi.” Replicò impietosa Lily,
poi sospirò. “Beh… chapeau
alle loro facce di bronzo. A me Neville non avrebbe mai
creduto.”
“No, non sei minimamente verosimile a due settimane dal
Ballo… e poi hai
quindici anni.”
“Non.
Ricordarmelo.” Sibilò la
ragazzina, affilando lo sguardo.
Rose ridacchiò,
alzando le
mani in segno di resa.
Stava… meglio.
Perlomeno non
aveva più voglia di gettarsi dalla Torre di Astronomia.
Certo, ogni volta che
rivolgeva la parola a Scorpius sentiva un orrendo magone
all’altezza del petto,
ma il peggio era passato.
Dopotutto, quella pausa si
stava rivelando quasi benefica. Scorpius aveva più tempo da
dedicare a sé
stesso e al Torneo, e lei per la preparazione dei MAGO …
…
ma chi voglio prendere in giro…
Si strinse la sciarpa al
collo, mentre vento misto a nevischio sbatté loro
impietosamente in faccia.
Scorpius le mancava, ma non
riusciva a trovare il coraggio di avvicinarlo per parlargli di quello.
Il biondo, del resto,
sembrava
vivere la loro pausa in modo sereno. Non la ignorava, no, ma la teneva
a
distanza, al di là di battutine e gran sorrisi da
fotomodello.
Rose sapeva di dover fare
qualcosa per sbloccare la situazione, ma non aveva idea di cosa.
Cioè,
sì, lo sapeva, ma non
era facile.
Papà
non fa che far rispondere la mamma alle mie
lettere, dicendo che è ‘occupato’ con le
indagini. Sarà pur vero, ma non vuole
parlarmi.
Per andare avanti, per
riavviare la situazione – pausa dannata – doveva
mettere un punto con suo
padre.
Dovrò
appostarmi fuori dal Ministero per sorprenderlo?
Presa da quei pensieri si
accorse a malapena che erano entrati ai Tre Manici per incontrare
Roxanne: Lily
non si muoveva senza di lei quando faceva shopping.
La ex-corvonero venne loro
incontro salutandoli allegramente. Era stata appena passata alle
regolari nelle
Harpies, e questo giustificava il
suo
inconsueto buon’umore. Lily e Hugo si lanciarono nei
complimenti d’occasione e
Rose, dopo averli imitati per non sembrare disinteressata, diede
un’occhiata al
locale.
Anche
Scorpius dovrebbe essere
qui … figurati se rifiuta la
possibilità di una libera uscita extra.
E infatti Scorpius
c’era. In
compagnia di Violet Parkinson - Goyle.
Rose non notò che
con loro era
seduto anche l’assistente di Dom. Registrò
soltanto che parlavano in francese,
e Miss Capelli D’Ebano stringeva il braccio di Scorpius con
familiarità.
Vanno
al Ballo assieme
– realizzò – Vanno
al Ballo assieme.
Quasi si scontrò
con la porta
nel tentativo di aprirla e lanciarsi fuori. Il trillare di un milione di campanellini natalizi
–
perché diavolo Hannah li metteva ogni anno? – fece
voltare parecchie persone,
compresi i suoi cugini e, naturalmente, Malfoy e compagna.
“Rosie!”
Esclamò il ragazzo, o almeno sembrò lo dicesse.
Del resto
era già scappata fuori con le lacrime agli occhi di
ordinanza.
Vanno
al Ballo assieme. Non mi ha neanche chiesto con
chi ci andavo. Va bene, siamo in pausa, ma perché ci deve
andare con la sua
fottuta promessa sposa?!
Era umiliante e voleva solo
materializzarsi in camera sua e scoppiare a piangere. O uccidere
Malfoy.
Entrambe le possibilità erano allettanti, ma materialmente
infattibili.
Quindi, corse nella prima
direzione in cui il suo dolore adolescente la indirizzò. Poi
venne afferrata
per un braccio da qualcuno che neanche aveva il fiatone per la corsa.
“Fiorellino!”
Sbottò Scorpius,
prima di rendersi conto che non era il momento di dar nomignoli.
“Okay… Rose.
Aspetta, ti…”
“Brutto stronzo!”
Gli urlò a pieni
polmoni, prima di tirargli una spinta. Non le interessava che fossero
in mezzo
ad una via trafficata. “Ipocrita!”
Scorpius la
guardò sbalordito,
e anche imbarazzato. Diede un’occhiata attorno e poi
l’afferrò per un braccio,
trascinandola nel primo vicolo disponibile.
Rose lo lasciò
fare, perché
capiva nebulosamente fosse meglio così.
“Di che diavolo
stai parlando,
Weasley?” Chiese poi con quella sua faccia da schiaffi. Fu
tentata di tirargliene
uno, in effetti.
“Lo sai
benissimo!” Sapeva che
la sua voce era stridula e poco piacevole ma…
‘fanculo. “Blateri di pause, che riprenderemo,
e appena volto la testa ti
trovo avvinghiato ad un’oca!”
Il ragazzo le
lanciò uno
sguardo dapprima confuso, poi incredulo. Se si fosse messo a sorridere
l’avrebbe ucciso.
“No, ascolta, hai
frainteso…”
“Frainteso
un cazzo!” Benissimo, anche la
scurrilità. Rose capiva
che non era una buona idea fare una scenata ad una persona che stava
valutando
se riprenderla nella sua vita, ma non le interessava. Voleva solo
soffocarlo in
un quintale di neve. “Quella stronza è la tua
promessa sposa, lo sanno tutti, e
appena mi molli, cominci ad
uscire con lei? Dove avrei frainteso esattamente?!”
Scorpius inspirò.
Sembrava piuttosto
arrabbiato anche lui, ma era evidente che si stesse trattenendo per
fare il
ragionevole dei due. “Non sto uscendo con Violet.”
Disse, pacatamente. “E dico
sul serio.” Aggiunse alla sua espressione riottosa.
“E per quella roba del
matrimonio combinato… sono cose che hanno caldeggiato
le nostre famiglia, ma non siamo obbligati. Penso che Violet
preferirebbe
buttarsi da un ponte, piuttosto che sposarmi.”
“Sì, si
vede da come ti
guarda.” Sputò fuori malmostosa.
Scorpius fece una smorfia
esasperata. “È tutta scena, ti assicuro che
proprio non le interesso!” Scandì
con attenzione. Rose lo fissò confusa. Sbuffò di
nuovo. “Non le interesso per
quello che sono.”
“Biondo?”
Scorpius lo guardò incredulo, poi non ce la fece,
scoppiò a ridere. “Merlino,
Rosie, solo tu potevi uscirtene con una battuta del genere!”
Ridacchiò,
rivolgendole un sorriso affettuoso. Come se sapesse che era mezza
matta, ma che
lo trovasse un pregio.
Si fissarono per un attimo,
imbarazzati. Rose si sentì una cretina.
Scenata
in mezzo alla strada. Da oca cretina.
“Però
al Ballo ci vai con
lei.” Esordì, cercando di mantenere la voce su un
tono saldo.
Scorpius fece spallucce.
“Devo
avere una dama, e lei… beh. Diciamo che il cavaliere
prescelto non è…
convenzionale.” Fece un mezzo sorrisetto tra sé e
sé. Rose si sentì esclusa, ma
ingoiò il rospo.
“Se non avessi
avuto Al…”
Mormorò invece, pianissimo. “… mi
avresti invitata?”
Voglio
saperlo. Devo saperlo. Ci vado con Al solo perché
avevo
paura che non mi avresti invitata.
Giocare
in anticipo. Forse a volte è una cazzata.
Scorpius
non disse nulla, ma le si
avvicinò. Le alzò il viso con le dita, una mossa
da Casanova, ma che addosso a
lui era carina. “Tu mi
avresti detto
di sì?” Le chiese serio.
“Perché so che i tuoi genitori e tuo zio saranno
lì
come invitati.” Non le lasciò il tempo di
rispondere. “Se te l’avessi chiesto,
avrei preteso tutti i balli e ti
avrei baciato in mezzo alla pista. Di fronte a tutti.”
Rose a quel punto lo baciò. Lei, che due anni prima si
sarebbe lanciata in una
lunga riflessione sulle implicazioni e i rischi possibili di quel gesto.
Lo voleva e se
l’era preso.
Tutto lì.
Scorpius comunque
lo ricambiò, passandole le braccia attorno alla vita e
spingendosela contro.
Riflessi
condizionati? Forse, ma Merlino, chi se ne
importa…
Si staccarono, e Scorpius
fece
un mezzo sorriso. “Non era nei patti.” Disse, ma
non sembrava dispiaciuto. A
dirla tutta, aveva una strana espressione addosso, quasi estremamente
concentrata.
Assurdo
stronzetto.
“Non sono in pausa
dai miei
sentimenti, cretino.” Borbottò sentendosi le
guance scottare.
“Neppure
io.”
“Allora
perché diavolo
continuiamo a starci lontani?” Sbottò incredula.
Non era uno stupido, né un
insensibile, doveva aver capito che quella situazione era uno schifo. “Sì, okay,
ho ancora quella
situazione tra il non detto e il non risolto con i miei,
ma…”
Beh,
dici poco – Considerò impietosa una
voce nella sua testa.
“Corteggiami.” Le disse, riattirando la
sua attenzione.
“… scusa?” La sua espressione doveva
essere tragicamente buffa, perché l’altro
soffocò un sorrisetto con un tic alla mascella.
E poi Rose comprese la
strategia di quella serpe travestita da leone.
Vuole
mettermi alla prova. Dopo la mia presa di parte
con mio padre, vuole vedere se sono disposta a rincorrerlo…
Se fosse stato qualcun
altro,
l’avrebbe mandato sontuosamente a quel paese, ma era Malfoy.
Ha
una parte di ragione, per quanto me lo stia
dimostrando in modo contorto.
“Tu
sei…” Inspirò cercando di
frenarsi dall’istinto di prenderlo a schiaffi e baciarlo di
nuovo. Si risolse
ad appoggiarsi al muro del vicolo e sbuffare.
“È
più facile di quanto pensi …
sono un ragazzo credulone.” Si sporse per darle un bacio
sulla guancia. “Devo
tornare. Ci vediamo a scuola?”
Rose lo ascoltò a
malapena.
“Sì… a scuola.”
L’avrebbe ucciso, era decisamente un Malfoy.
E lei si era innamorata di
quel Malfoy.
Vuoi
la scopa, mia cara? Ora impara a voltare.
Doveva decisamente scovare
suo
padre.
Dieci
minuti dopo, ai Tre Manici…
Scorpius si
arruffò
convulsamente i capelli. “Volevo baciarla! Volevo baciarla e
dirle che era
tutto dimenticato!” Piagnucolò sottovoce, che era
pur sempre il Campione di
Hogwarts.
Violet, dall’alto
della sua
esperienza decennale in Weasley, sebbene d’Oltre Manica,
roteò gli occhi al
cielo. “Scorpius, sei patetico. Ti dice niente la parola strategia?”
“Sì, è quella cosa che dovrà
fare Dursley per me.” Mugugnò distratto,
appoggiando la guancia contro il legno del tavolo. Si tirò
su, quando lo trovò
appiccicoso. “Tenerla a distanza.”
Ripeté
diligente, strofinandosi la guancia. “So che sta funzionando,
e so che è la direzione
giusta per avere
un rapporto funzionale ed equilibrato in futuro… ma quando
mi ha baciato non le
sono saltato addosso solo perché sono un Occlumante e mi
sono tappato!”
Mael gli diede una pacchetta sulla spalla. “Beh,
ma… se il punto è farle
trovare il coraggio per uscire fuori e farla in barba a suo
padre…”
“Sta funzionando.” Proclamò Violet.
“Tieni duro.”
“Rosiiee…”
Violet gli rivolse una
smorfia
disgustata. “E poi mi si chiede perché preferisco
le donne.”
****
Londra,
Piccadilly Circus. Pomeriggio inoltrato.
Albus aveva insistito per
andare ad ordinare non appena messo piede dentro lo Starbucks.
Tutto contento, dopo essersi
fatto ripetere tre volte le loro ordinazioni, si era diretto verso il
bancone.
Tom gli lanciò un’occhiata poco convinta dal
divanetto in cui si era accomodato
con la madre.
“Finirà per sbagliare a contare i
penny…”
“Dagli un po’ di fiducia, dopotutto Harry ha
vissuto con… i babbani.”
Fece una risatina divertita. “Scusa,
ma è un modo così buffo per definirci! Comunque.
Ci ha vissuto per anni. Avrà
insegnato ai suoi figli a contare le sterline!”
“Al fa fatica a dare il resto persino con la valuta
magica.”
Sua madre sbuffò, scacciando con un gesto evasivo la
possibilità. Lanciò poi
un’occhiata alla grossa busta di Burton
ai loro piedi. “Però su una cosa hai
ragione… ha un gusto tremendo. Dio, quel
completo a coste che voleva comprarsi…” Fece una
nuova risata, nascondendola in
una mano. “Ma nel mondo magico sono tutti
così?”
“Amano i colori vivaci. Motivi vistosi…”
Convenne raccogliendo con la punta
delle dita dei granelli di zucchero sul tavolo. Lanciò
un’occhiata all’altro
mago: stava borbottando tra sé e sé le
ordinazioni. Gli venne da sorridere. “…
ma effettivamente lui è particolare.”
“È vero…” Sua madre fece uno
strano mezzo sorriso che Tom le aveva visto solo
quando beccava lei ed Alicia a confabulare in giardino di
‘segreti tra donne’.
Che
poi l’ho sempre saputo. Parlavano di ragazzi. Sai
che segreti…
“Comunque
è una fortuna aver
trovato un gilet dello stesso esatto
colore della tua cravatta… il lavanda è proprio
il vostro colore.” Osservò,
ancora con la stessa espressione, mentre Al intanto scandiva
entusiasticamente
i nomi delle loro ordinazioni ad una divertita ragazza al bancone.
“Sarete così
carini, coordinati. Si usa anche ad Hogwarts coordinare i vestiti per
un ballo?”
Tom cominciò ad intuire dove voleva andare a parare. Solo,
gli sembrava impossibile.
Non aveva mai parlato a sua madre di certe
cose, e lei, stranamente visto quant’era
impicciona, non aveva mai chiesto.
“Se ci si va in
coppia, a
volte…” Si risolse a dire, guardingo.
“Beh,
infatti.” Fece una delle
sue disimpegnate scrollate di spalle aussie.
“Ci andate assieme.”
Era una certezza. Tom le lanciò uno sguardo sicuramente
sbalordito, perché
l’altra rise. “Cos’è quella
faccia?” Chiese osando
anche essere stupita.
“Mamma, mi hai appena detto che pensi che io e Albus siamo
una coppia.”
“E non è così?”
“Al ci va con sua
cugina
Rose.”
“Non hai risposto alla mia domanda.”
Quella conversazione stava diventa surreale.
Sua madre
incrociò le braccia
al petto. Era una posa piuttosto buffa ed espressiva. Ironica, anche,
visto che
l’assumeva solo quando doveva prendere in giro suo padre e i
suoi fratelli.
“Thomas…
sono tua madre.”
Esordì. “Pensi che sia così stordita da
non rendermi conto che ti sei innamorato?”
“Io e Al siamo
sempre stati
legati.” Tentò. Voleva vedere fino a che punto
aveva capito.
Siamo
così palesi?
“Sì,
è vero.” Concesse la
donna. “Ma in quest’ultimo anno è
cambiato qualcosa. Siete ancora più… vicini,
diciamo e non solo per quello che ti è successo.”
Scosse la testa. “E poi vi
siete appartati in camerino. Vecchio adagio, tesoro. L’ho
fatto anch’io con tuo
padre.”
Tom tacque, cercando di
raccogliere le idee. Sperò ardentemente che Al non
arrivasse, perché la sua
presenza probabilmente non avrebbe migliorato la situazione.
Sarebbe
capace di diventare paonazzo e rovesciarsi le
tazze addosso.
“Non ho confermato
né
smentito, mi sembra.” Cercò di darsi un tono,
perché essere trattato come un
bambino non doveva diventare un abitudine per gli adulti della sua vita.
Ho
già passato quella fase, grazie.
Robin appoggiò i
gomiti al
tavolo, con naturalezza. Lo scrutò con un lieve sorriso
affettuoso. “Allora
dimmi come stanno le cose. So che sei un tipetto pieno di segreti. Ma
questo
non è uno di quelli che devi mantenere con tua
madre.”
Tom sospirò,
facendo una
smorfia irritata. L’altra aveva vinto. “Non mi
piacciono i ragazzi. Mi piace Albus.
Credo.” Aggiunse, perché se avesse dovuto
scegliere, si sarebbe rapportato
mille volte ad un ragazzo come Loki o quel biondino francese, piuttosto
che a
Rose o a Lily.
“Credi che ti
piaccia Al?” Lo
stuzzicò, perché era ovviamente
arrossito. Odiava quel genere di conversazioni a cuore aperto. Le
odiava.
Sperava solo sua madre, dopo
quel coming out, non avrebbe
cominciato a parlargli di giornate dell’orgoglio gay, a cui
peraltro
partecipava attivamente, con rainbow - flag a decorare
l’intero caffè in cui
lavorava.
“Sì, mi
piace Al.” Confermò.
“È il resto degli esseri umani che non
tollero.”
Robin rise di nuovo. Tom si chiese se non fosse fortunato ad avere una
madre
che aveva abbracciato con amore il suo sangue magico e il suo
orientamento
sessuale.
Probabilmente
lo sono estremamente.
“È un
peccato che non andiate
assieme…” Prese un’espressione attenta e
piuttosto combattiva. “Non è un
problema di discriminazione, vero?”
“No … le discriminazioni sono sempre state di
tutt’altro genere.” Scosse la
testa.
E a
quanto pare, io ero il più esaltato.
Sentì una morsa
spiacevole
alla bocca dello stomaco. Quei pensieri gli sovvenivano random, ed era
difficile scollarsi quella sensazione di disagio, dopo. Sua madre lesse
la sua
espressione, ma fraintese il motivo. Gli strinse la mano attraverso il
tavolo.
“Dovresti
chiederglielo
tesoro, se vuoi andare con lui. Rose sono certa
capirà.”
Tom la guardò.
Una piccola,
energica australiana. Lo aveva sempre cresciuto col sorriso, accettando
con
tranquillità tutte le sue stranezze. Che, a posteriori,
erano davvero tante.
Le strinse la mano di
rimando.
“Non è per quello. Ci porterò Meike, al
Ballo… le farà piacere, e perlomeno non
sarò costretto a ballare con qualche ragazza.”
“Allora cosa
c’è?”
Al doveva davvero tornare con le
loro
ordinazioni. Lo vide al bancone dello zucchero, rovesciare bustine e
crema
dentro il suo bicchiere con la stessa concentrazione che avrebbe usato
per
preparare una pozione. Come non
detto…
Sua madre ebbe un lampo di
comprensione. Gli strinse la mano così forte da fargli quasi
male. “Non è per…
per quell’uomo?”
Tom esitò, poi decise di non dire niente. Non poteva
parlarne, c’era lo
Statuto. Ma non se la sentiva neanche di mentirle spudoratamente quando
era
così angosciata.
“Va tutto bene.
Harry si preoccupa
per me, e non mi lascia mettere un piede dove non devo.” Le
sorrise
rassicurante. O almeno, sperò di averlo fatto. Era
inefficace in quel genere di
esternazioni. “Ed ho capito la lezione.”
Sua madre annuì, con un sorriso debole, tenendogli la mano
tra le sue. “Dovrei
dire che ormai sono abituata a non sapere cosa fai quando sei nel tuo
mondo… ma
la verità Thomas, è che non mi sembra di fare la
cosa giusta standoti lontana.
Mi sembra di non proteggerti come dovrei.”
“Non è
colpa vostra. Non
potete…”
“Lo so.” Gli diede una pacchetta.
“Ma… è una cosa da genitori
Thomas… ci manchi
molto, tutto qui.” Non era tutto
lì,
ma Tom non indagò oltre. Sentiva che non sarebbe stato
pronto ad ascoltare il
resto.
Al
ha ragione. Devo ancora sviluppare come si deve la
mia capacità emotiva.
“Mi mancate anche
voi.” Buttò
fuori, suonando quasi aggressivo. Sua madre però gli
sorrise, facendogli una
carezza.
“Il mio
ometto…”
“Mamma, no.”
“Ecco qui,
ometto!” Chiocciò
Albus, con le loro tre ordinazioni su un vassoio in equilibrio
precario. Tom
era certo che avesse aspettato proprio il suo momento di maggior
imbarazzo per
entrare.
Prima
in camerino… e adesso. È il mio turno.
Albus aveva un modo tutto
suo
di fargli pagare le prese in giro e il fatto che lo trattasse da
campagnolo
quando erano nel mondo babbano. In realtà, era un gioco di
ritorsioni vicendevoli.
Certo, alla fine avevano
voglia di strozzarsi a vicenda, ma era anche divertente. E la versione
maligna
di Al piuttosto eccitante.
Ma
questa è una cosa mia.
Squadernò quindi
un sogghigno
che mise in evidente allarme l’altro. Prese il suo
caffè americano e ne diede
un sorso. Poi parlò.
“Mamma, sai che
nel Mondo
Magico non sanno proprio niente di
prevenzione dalle malattie sessualmente trasmissibili?” Vide
Al diventare
bianco come un cadavere. Il sesso, per lui, era qualcosa che non si
discuteva
ad alta voce. Non direttamente. Si alludeva.
Doveva essere un retaggio familiare, a giudicare quanto era pudico
Harry; per
non parlare di quel represso di Ron.
Comunque,
devo ammetterlo, il mio Potter – Weasley recupera
ampiamente a letto.
Sua madre abboccò
all’amo.
“Thomas! Vuoi dire che non usate il preservativo?”
Passarono la successiva mezz’ora a tentare di smacchiare il
maglione di Al da
ben due ordinazioni.
****
Hogwarts,
Dormitorio di Serpeverde, Stanza del
Caposcuola.
Dopocena.
“Sei stato
veramente stronzo.”
Tom fece un sorrisetto compiaciuto mentre riponeva con la bacchetta il
completo
di Al – finalmente poteva usarla indisturbato –nel
suo armadio. Con attenzione,
che non si sgualcisse. L’altro sarebbe stato capace di
impilarlo assieme ai
suoi terrificanti maglioni e alle mortificanti felpe sportive.
“Mi sono solo
vendicato… non
vedo dove stia il problema.” Osservò neutro,
voltandosi. Albus se ne stava
steso sul letto, con le braccia incrociate e genericamente
l’aria arruffata,
imbarazzata e ostile.
Era delizioso.
“Vendicato di
cosa?!”
“Forse dell’erezione che mi sono dovuto far passare
in camerino…” Gli fece
notare, e Al ebbe il buon gusto di ghignare.
Dopotutto erano serpeverde.
“Ma quella era per
il sarto
lascivo, visto che lo assecondavi.”
“Mh. Lascivo.”
Se la passò sulla
lingua, mentre l’altro tentava miseramente di non fissargli
le labbra. “Hai
imparato una nuova parola.”
“Stronzo!”
“Questa invece è sempre la stessa.”
Tom evitò per un soffio il lancio di Jenkins, parando con un
braccio. La mira
di Al era eccellente, ma anche piuttosto prevedibile. Almeno per lui.
Una
pausa… solo una piccola pausa da tutto quello che
mi sta aleggiando attorno…
Le indagini di Harry erano
partite, Scorpius l’aveva ufficialmente designato suo
assistente e sarebbe partito
per Durmstrang. Erano tutte buone notizie in sé, ma
complessivamente lo avvicinavano
allo Scontro Finale, come lo aveva ribattezzato Al.
Si mise in ginocchio sul
letto, raggiungendo l’altro, che tentò di
scostarsi. Tentò era la parola
giusta: non ne aveva difatti la minima intenzione. Ebbero una breve
colluttazione, dove Tom probabilmente avrebbe avuto la peggio
– l’altro era
stato temprato da risse infantili con James – se il suddetto
non si fosse
docilmente arreso dopo circa dieci secondi.
Tom si trovò
quindi sopra di
lui, a tenerlo fermo con una mano sul petto.
“Per me
quell’erezione puoi
tenertela per tutta la notte.” Ritorse Al, ficcandogli le
unghie nella pelle
del braccio.
“Quest’erezione.”
Specificò, e ad Al tremò un sorriso sulle labbra,
premendo per uscire. “Comunque ho vinto io.”
“Con l’agghiacciante conversazione sul sesso
babbano che ho dovuto sostenere
con tua madre, di sicuro.” Brontolò
l’altro, rabbrividendo al ricordo. “Non
sapevo che sapesse, comunque.”
“Non gliel’ho detto io…”
Lasciò la presa sul petto, ora che sapeva che non
sarebbe sgusciato via con consumata abilità da Cercatore.
Gli baciò il collo,
ottenendo in risposta un sospiro soffice. “L’ha
intuito da sola. In effetti, a
ben pensarci, davanti a lei mancava solo ci tenessimo per
mano…” Gli soffiò
sulla pelle.
“Non ti tengo per mano d’inverno… hai le
mani come due ghiaccioli.” Mugolò Al,
che in certi casi perdeva la capacità di parola spedita per
diventare un
piccolo cumulo di ansiti e gemiti. Non che a Tom spiacesse, beninteso.
Affatto.
Sollevò il
maglione Weasley e
glielo fece passare dalla testa mandandolo a morire da qualche parte
sotto il
letto. Al fece fare la stessa fine alla sua maglietta.
Tom pensò che
avrebbero dovuto
essere tutti così, i momenti della sua vita. Non perfetti,
ma giusti per loro.
E
ricaccerò sin nelle viscere dell’inferno Hohenheim
per continuare ad averne…
Al lo tirò a
sé per un bacio. “Non
siamo il genere di coppia che sta avvinghiata come un
polipo… per questo la
gente pensa che potremo esserlo, ma
non ha prove…” Interruppe il corso dei suoi
pensieri. “E poi neanche andiamo al
Ballo assieme.”
Tom inarcò le
sopracciglia. Aveva
sentito del rimpianto?
“Volevi che andassimo assieme?”
Al prese un’aria imbarazzata, fissandogli la clavicola destra
con intensità. “…
no.” Emise. “Cioè, ho dato da subito la
mia parola a Rosie e tu l’hai data a
Meike, e poi … non credo ci saranno tante coppie dello
stesso sesso.”
“Più di quante immagini, secondo Nott.”
Lo corresse studiandolo attentamente. “Se
non hai questo desiderio… cos’è che
vuoi?”
Al gli lanciò
un’occhiata, ma
non rispose. Preferì direttamente dargli un altro bacio. E
poi Tom smise di
chiederselo, ben preso da altro.
Quella era tutta colpa di
Lily.
Sì,
perché erano due settimane
che non faceva che parlare di quel maledetto Ballo e, come se non
bastasse, di
come avrebbe volteggiato tra le braccia del suo tedesco. Il che faceva tanto principessa delle fiabe, come
diceva a chiunque le chiedesse come si sentiva in merito.
Poi ci si era aggiunta Rose.
Era
ben determinata ad avere un ballo col suo Malfoy, cascasse il mondo.
Così gli
aveva confidato quella sera a cena, con aria da soldato in missione.
Ballo…
Ballo… dannato, stupido Ballo del Ceppo.
Intrecciò le dita
dietro la
nuca, mentre accanto a lui Tom dormiva profondamente. Avrebbe potuto
soffocarlo
con Jenkins e non avrebbe avuto reazioni percepibili.
Cos’è
che vuoi?
Voleva
un ballo. In minuscolo. Un ballo
con Tom.
Merda.
Sono una principessa.
****
Note:
L’ordinazione di Al è un Caramel
Macchiato. xD Capitolo di passaggio, ma ehi. Ogni tanto ci
vuole.
1
Qui la
canzone. Gruppo estremamente carino.
2. Savile
Row: è la via, nel quartiere di Mayfair, dedicata
interamente alla sartoria su misura. Si trovano boutique vecchie di
secoli,
molto prestigiose. È una passeggiata estremamente chic. xD
Qua per maggiori informazioni.
3. Gieves&Hawkes:
uno dei più vecchi negozi di sartoria del
quartiere, con tanto di benedizione della Regina. Molto costoso.
Qua per maggiori informazioni.
|
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Capitolo 37 *** Capitolo XXXV ***
Capitolo XXXV
Edward non è cattivo.
È solo sbagliato.
(Edward Mani di Forbice,
1990)
Il
vento era così forte, quella sera, che avrebbe
potuto staccare la testa dal collo di un uomo.
Così
aveva detto Johannes. Non smetteva mai di parlare,
Johannes, anche quando sarebbe stato indicato.
Sören
invece non era riuscito a dire una parola fino a
quel momento, anche avesse dovuto. Un groppo di panico gli aveva
attanagliato
la gola, come se un ragno di metallo gli avesse artigliato le corde
vocali.
La
casa in cui stavano per entrare era di una persona
importante. Di un americano. Era la prima missione di Sören
nel Nuovo
Continente. Non la prima per la Thule. In quel caso il mago era un
inventore.
Aveva scoperto un formula magica per scomporre il proprio corpo e
renderlo
penetrabile alle sostanze solide.
Aveva
ideato, più banalmente, un incantesimo per
oltrepassare muri, cancelli… caveau.
Un
incantesimo che la Thule voleva. A lui doveva
bastare quello. Cos’altro aveva bisogno di sapere del resto?
“Andiamo
principino… sta’ a te.”
Sören
aveva toccato il cancello, dove c’era l’apertura,
dove avrebbe dovuto entrarci una chiave.
La
magia gli aveva incendiato le vene del braccio.
Aveva fatto una smorfia, ma non aveva vacillato. Quel Colloportus
era davvero
complesso.
Normale. È la
villa di un
inventore che farà brevettare il suo incantesimo tra pochi
giorni. Tutto
normale.
La
porta finalmente si era aperta e lui aveva ritirato
la mano.
“Bravo.
Ora sta’ dietro a me, e bacchetta alla mano.
Non che ti serva… ma sempre meglio nascondere la propria
piccola arma segreta,
vero? Prendi la bacchetta.”
Sören aveva preso la bacchetta.
Erano
entrati nel giardino. Era grande e ben curato, si
poteva notare anche nell’oscurità. Gli oleandri
ondeggiavano al vento come se
stessero danzando. Sören si era distratto a guardarli. Ma solo
per un attimo,
dopotutto non l’aveva visto nessuno.
La
casa, dentro, aveva una grossa scalinata centrale,
bianca e di legno, che portava ai piani superiori.
“Dividiamoci.”
Aveva detto Johannes. “Può tenere la
formula nel laboratorio o nello studio. Tu va’ sopra, io
andrò di sotto.”
Sören
aveva annuito. Quando l’altro se n’era andato,
aveva preso le scale. La casa era silenziosa: era molto tardi,
l’inventore e la
sua famiglia probabilmente stavano dormendo. Era passato di fronte ad
una fila
di porte bianche, tutte uguali. In due di esse c’erano nomi
con grafia
infantile: Logan
e Matt. Bambini, suppose. La vernice era
piuttosto
fresca, quindi era un lavoro recente. Bambini piccoli.
Non che abbia importanza.
Non
l’ha mai.
Lo
studio era stato chiuso da un secondo Colloportus.
Sören l’aveva disincantato con lo stesso metodo. La
mano gli bruciava, ma era
più sicuro che usare la bacchetta. Johannes gli aveva detto
che gli americani
erano specializzati in incantesimi di allerta.
Non si aspettano che al
posto
della bacchetta ci sia una mano, principino.
Era
entrato dentro, e aveva cominciato a frugare. Non
gli ci era voluto molto: l’incantesimo era dentro un cassetto
prima chiuso, scritto
in carta da bollo: formula, illustrazione del movimento della
bacchetta. Era pronto
per essere inviato all’Ufficio Brevetti
per Incantesimi Sperimentali.
L’aveva
fatto levitare con la bacchetta fino a lui e
poi l’aveva infilato dentro un piccolo tubo di metallo. Se
l’avesse toccato a
mani nude, avrebbe fatto scattare l’ennesimo allarme.
“Fermo dove
sei!”
La
voce l’aveva fatto gelare sul posto. Una voce di
uomo. Nemico.
“Voltati lentamente, tenendo le mani bene in
vista.”
Dov’era Johannes? Perché non si era accorto che
c’era qualcun altro, oltre a
loro?
Si era voltato, tenendo la testa china, il cappuccio del mantello
calato a
nascondergli il viso. Non che avrebbe funzionato a lungo.
“Butta la bacchetta a terra e calciala nella mia direzione. E
togliti il
cappuccio.” Appunto.
L’uomo
era un agente della forza di polizia magica
americana. Aveva l’uniforme e il viso illuminati di un lumos
brillante.
Sören aveva obbedito a tutti i suoi ordini, compreso quello di
abbassare il
cappuccio. Aveva quindi visto sgomento, e poi confusione sul volto
dell’altro.
“Ma
sei un ragazzino…” Aveva mormorato. Aveva poi
riflettuto. “Dov’è il tuo
complice?”
“Sono solo.” Gli aveva risposto. Il mago aveva
serrato la presa sulla
bacchetta: era per il suo accento. Sapevano tutti che la Thule aveva
affiliati
soprattutto in Germania. Lui era tedesco. Non era una coincidenza. Era
un
buon’indizio per mantenere la massima allerta invece.
“Non
è possibile che mandino…” Si era
bloccato. “Quanti
anni hai?”
“Sono solo.” Quanto ci avrebbe messo Johannes a
rendersi conto che era rimasto
bloccato? Quanto?
“Non
puoi essere solo!” Era sbottato, guardandosi
attorno, come se si aspettasse che il suo partner si materializzasse
dalle
ombre. Avrebbe potuto, pensò Sören, ma non in quel
caso. Sempre tenendolo sotto
tiro, l’uomo si era portato alle labbra quello che sembrava
un orologio da
polso. “Richiedo rinforzi alla villa del Professor Eastwick.
Ripeto. Richiedo
immediati rinforzi alla villa del Professor Eastwick.”
Se solo si fosse avvicinato abbastanza … Sören non
poteva scagliargli uno
schiantesimo da quella distanza. Con l’arma
non poteva. No, per funzionare doveva
toccarlo.
“Come
ti chiami?” L’agente era stato insistente.
Sören
aveva serrato le labbra, e quello stranamente aveva sorriso.
Perché sorrideva?
“Okay.
Io mi chiamo Jeremiah. Ho una figlia della tua
età… dovresti avere sui quattordici anni,
vero?” La bacchetta non si era
abbassata, ma le difese di quello stupido mago sì. Glielo
aveva letto nella
postura. “Senti, non so come sei finito in questa situazione,
ma può finire
diversamente. Può non finire male.”
Dubito –
aveva pensato – ma non per me.
“Devi solo darmi quell’incantesimo.
Avanti…” Aveva teso la mano. “Dammi
l’incantesimo e andrà tutto bene. Lo vedo che sei
spaventato…”
Non era spaventato. Aveva quattordici anni, sì, ma non era
spaventato. Era la
sua quinta missione quella.
Poi
aveva notato che la mano che stringeva il tubo di
metallo, la sua mano… stava tremando. E quel sudore che gli
aveva coperto il
viso? Da dove era venuto fuori?
Era
stata quella mano tesa a spaventarlo. Era stata la
gentilezza. Quella comprensione. Non aveva senso.
“Andrà
tutto bene figliolo…”
Non
è vero – aveva pensato
una parte di sé, con rabbia. E poi gli aveva afferrato
la mano.
L’uomo
non aveva fatto in tempo ad allarmarsi che Sören
aveva mormorato l’incantesimo: era crollato a terra come una
marionetta a cui
erano stati tagliati i fili.
A
quel punto era arrivato Johannes. “Ehi! Dannazione,
stanno arrivando le teste di latta…” Si era
fermato a guardare l’agente, forse
perché gli era quasi inciampato addosso. “E questo
che diavolo ci fa qui?”
“Doveva essere di sorveglianza alla casa.” Aveva
mormorato. “Mi ha sorpreso.”
“Beh, poco importa.” Aveva scrollato le spalle
l’altro. “Hai con te
l’incantesimo?”
Sören aveva annuito ed era andato ad aprire la finestra, loro
via di fuga. Poi
un lampo verde. Quando si era voltato, l’agente era nella
stessa posizione di
prima. Ma non respirava più.
“Perché?”
Non si era reso conto di averlo urlato finché
l’altro non l’aveva sbattuto contro il muro per
tappargli la bocca.
“Perché
ti ha visto in faccia, piccolo idiota. E obliviare
uno
yankee è inutile. Hanno in brevetto un contro-incantesimo
anche per questo.”
Gli aveva sussurrato. Vedendo la sua espressione, aveva fatto un
ghigno. “Che
c’è, rimorsi? Io non ne ho. Sei tu che ti sei
scoperto ed io ho dovuto ucciderlo.
Andiamo, prima di svegliare
l’intera casa.”
Sören l’aveva seguito, e buffo, gli era venuto in
mente che quell’uomo non
avrebbe più teso la mano a sua figlia.
Che spreco farlo con me per
l’ultima volta – aveva
pensato, mentre si
lanciava giù dalla finestra.
16
Dicembre 2023
Scozia,
Hogwarts, Vascello di Durmstrang. Mattina.
Sören
schiacciò la faccia
contro il cuscino, prima di alzarsi in piedi con un unico, fluido
movimento.
Odiava il dormiveglia: non
era
incerto come il mondo dei sogni. C’erano i ricordi, nel
dormiveglia.
Poliakoff si
voltò
insonnolito. “Già in piedi?” Chiese
sbadigliando.
“Devo
allenarmi.”
“Ti raggiungo.” Annuì l’altro.
“Per colazione, intendo.”
“No, salgo ad Hogwarts.”
L’altro ghignò. “Dalla tua bella
inglesina?” Perché la sua espressione, solitamente
stolida, ora gli ricordava quella di Johannes? Perché gli
sembrava che quella
domanda contenesse un fondo indagatorio?
Lo stava controllando?
Era una sensazione che aveva
da un po’. La sensazione che Kirill non fosse lì
solo per assisterlo e fargli
braccio destro.
No,
zio si fida di me. Non ha motivi per non fidarsi di
me. Non ne ha mai avuti.
“Beh, vai da
lei?” Incalzò
l’altro, ignaro delle sue riflessioni.
Non gli e non si
rispose, infilandosi la casacca da
allenamento, uscendo.
Il rimedio migliore per un
brutto sogno, gli aveva detto una volta qualcuno, era tornare al mondo
reale.
Quindi sì, andava
da Lily.
****
Hogwarts,
aula undici. Lezione di Divinazione del
Quinto anno.
Mattina.
Lily lanciò
un’occhiata
divertita a Fergus che, accanto a lei, dormiva appoggiato al tronco
nodoso di
un albero. Finto albero. Albero trasfigurato. Quel che era, insomma.
In ogni caso, dei suoi
amici,
probabilmente era l’unica a seguire con continuativo
interesse le lezioni di
Divinazione: Hugo e Gail al momento fissavano l’artificiale
volta stellata con
l’aria remota di chi poco capiva, ma cercava di non darlo
troppo a vedere.
Il professor Fiorenzo
passava tra
di loro, con morbido rumore di zoccoli sulle zolle di muschio umido che
facevano da pavimento all’aula. La sua voce musicale parlava
di eclissi, stelle
e pianeti.
Lily adorava quel posto. Si
respirava
odore di bosco e le sembrava di tornare bambina quando, dopo un
pomeriggio
passato a giocare si addormentava sotto le fronde di qualche grande
albero del Devonshire.
Detto così,
sembrava
apprezzasse solo l’ambiente. In realtà,
Divinazione era una materia che
l’affascinava. C’era qualcosa di misterioso e
oscuro, in come Fiorenzo spiegava
che gli astri influenzavano, ma non costringevano il corso del Destino.
Lily non credeva esattamente
in quel tipo di destino. Ma
semplici
coincidenze non avrebbero potuto farle conoscere un parente del Principe.
Corsi e ricorsi storici,
aveva
pensato dopo la chiacchierata con Ren. Decenni prima due amici di una
vita si
separavano. Anni dopo lei e Ren si conoscevano e diventavano amici. Non
era una
coincidenza.
Amici?
È questo ciò che siete?
La voce le
pungolò un angolo
remoto della coscienza: era leggera, ma presente da…
Da
un bel po’, mi sa. Solo che prima non la ascoltavo.
Qualche giorno prima era
andata ad Hogsmeade per il suo agognato abito. Da
Stratchy&Sons, aveva finalmente
potuto parlare con Roxanne in santa pace, dato che Rose era infossata
in un
camerino e Hugo era stato eletto a suo recalcitrante ‘parere
maschile’.
Roxanne era il suo metro di
giudizio: poteva essere brusca, o dai giudizi senza
possibilità di appello, ma anche
sincera. E la conosceva meglio di chiunque altro sulla faccia della
terra.
E
con conoscermi, intendo la vera me.
Quella
che si riempie di seghe mentali invece di seguire la lezione…
“Così
ci vai col Campione di Durmstrang.”
Non era una domanda. Del resto era certezza: sarebbe andata al ballo
con Sören
Luzhin.
“Già!”
Aveva confermato infatti distratta. “Pensi che
dovrei vestirmi in azzurro o in rosso? L’azzurro è
il mio colore, ma l’uniforme
di Durmstrang è color porpora. Però ho i capelli
rossi, e l’insieme sarebbe… troppo
rosso. Che
ne pensi?”
Roxanne era seduta su uno dei divanetti di fronte ai camerini di prova.
C’era
un bel viavai, tra studentesse alla ricerca della mise perfetta e commesse che si aggiravano indaffarate
attorno a coloro
che, dritte su una pedana, si stavano facendo aggiustare il vestito ad
hoc.
Roxanne
era seduta e aveva anche il cipiglio delle
Grande Occasioni. “Cosa c’è tra di
voi?” Aveva buttato fuori senza mezzi
termini.
Lily,
tra le dita un paio di décolleté color pan di
zucchero, l’aveva fissata per mezzo secondo senza capire.
“Tra me e Ren?” Aveva
detto poi. “Siamo amici, perché?”
“Non sembrate amici.” Aveva ribattuto
l’altra. “È la prima volta che parli
così
tanto di un ragazzo.”
Colpita
e affondata. Lily si era sentita arrossire
diffusamente, ma aveva ignorato il tutto. Roxie no, da come le aveva
servito un
sorrisetto consapevole.
“Non è vero. Parlo sempre di
ragazzi!”
“Appunto. Ragazzi,
plurale. È la
prima volta che ce n’è solo uno.”
“Ma… perché…” Si
era chiesta se Rosie avesse finito di divincolarsi in camerino
per entrare nel vestito. Perché le serviva proprio un
time-out. “…è un tipo
particolare!” Si risolse a dire alla fine. “Non
è che stando ad Hogwarts
conosci gente nuova! Sono sempre le solite facce!”
“Vero.”
Non aveva aggiunto altro, e Lily si era
irritata. Talvolta non sopportava l’aria sorniona che la
cugina più grande
assumeva. Era l’unica persona al mondo a farla
sentire… piccola.
“Senti…
anche se… e dico se, avessi
una
cotta per lui, che ci sarebbe di male? Non è la prima volta
che mi prendo una
cotta!”
“Già.”
“Allora
cosa c’è?”
Roxanne aveva scrollato le spalle. “Niente.”
“Non è niente! Non hai la faccia da niente.”
“Neanche tu.” Aveva ribattuto la mora, poi le aveva
fatto cenno imperioso di
sedersi. Lily aveva obbedito. “Ascolta… non mi
sono mai preoccupata di vederti
innamorata del ragazzo sbagliato, come è successo a me
più volte di quanto
abbia voglia di ricordare.” Aggiunse malmostosa, e Lily
pensò che la cugina non
avrebbe mai digerito la faccenda Rupert Chang.
“Perché, Lils, tu non ti sei mai
innamorata.”
“Beh,
ho quindici anni, non ho certo voglia di
straziarmi per qualcuno. Voglio divertirmi!”
“Ben venga, ma non è questione di
voglia… il punto è che non sei mai stata
veramente coinvolta. Mentre stavi con qualcuno già pensavi
al prossimo.”
Roxanne le leggeva troppo bene dentro.
Lily
si era appoggiata con la schiena al divanetto.
“Non capisco dove tu voglia arrivare.”
“Ci
scriviamo spesso, a volte mi sembra di essere il
tuo diario segreto, Rossa.” Usò il loro nomignolo
confidenziale e Lily si sentì
un po’ più bendisposta. “Sai bene dove
voglio andare a parare.”
Roxanne
era sempre stata molto protettiva con lei.
Forse era il sangue che condividevano, o proprio
le loro diversità. L’altra era stata
ragazzina dalle grandi passioni ma dall’irrisolta
incapacità di esternarle, e
lei una bimbetta curiosa a cui fare confidenze proprio in ragione della
sua
giovane età. Era da Roxie che aveva capito quanto i ragazzi
fossero semplici,
ma spesso incostanti come nuvole in balia del vento.
Improvvisamente
aveva capito dove voleva andare a
parare.
“Non
mi sono innamorata di Ren!” Era sbottata, e solo
perché il negozio era pieno di voci femminili nessuno
l’aveva sentita. Visto
che aveva urlato.
L’altra
aveva inarcato le sopracciglia. “Davvero.”
Odiava quando appiattiva il tono, per far sembrare domande
constatazioni. Perché
Lily si era accorta che no, forse non era davvero.
Aveva
sbuffato, reclinando la testa sull’imbottitura
dei cuscini. “… okay, beccata.” Aveva
ammesso, sentendo il cuore fare un tuffo.
“Forse… e dico forse…
Ren è diverso dagli altri.”
“Questo me l’hai scritto circa un migliaio di
volte.” Le aveva dato una
pacchetta sulla testa. “E poi?”
“E poi… mi sono legata a lui. Per vari
motivi.” Non aveva avuto voglia di
raccontarle delle loro parentele parallele. Erano una cosa tra lei e
Ren, aveva
deciso. Si era quindi schiarita la voce, per darsi un tono.
“Non vuol dire che
ne sono innamorata. E poi cos’è innamorarsi?
È così diverso dal prendersi una
cotta?” Aveva argomentato, accalorandosi.
“Perché finisce sempre nello stesso
modo. Ci si molla quando ci si stanca! Ecco tutto! Non è tanto diverso!”
Roxanne
l’aveva guardata con indulgenza. E poi aveva
usato una delle sue frasi trincianti.
“Benvenuta
nel club.”
Non
era riuscita a ribattere.
Poi per fortuna Rose era
uscita
dal camerino e la questione era finita lì.
Ma Lily ci rimuginava sopra
da
trentasei ore. Era davvero innamorata di Sören? E se
sì, che cavolo di futuro
poteva avere un sentimento del genere se l’altro viveva
normalmente a miglia da lei?
Ma
sto andando troppo avanti… non so neanche cosa lui provi
per me.
Era anche quello il
problema. Normalmente,
se si prendeva una cotta per qualcuno, era perché quel
qualcuno le aveva già dimostrato
di ricambiare il sentimento. Nessuna incertezza percepita.
Ren
invece…
Sì, teneva a lei,
questo era
riuscito a capirlo – grazie tante,
poteri
– ma nient’altro. Era un enigma vivente, chiuso in
uno scrigno e gettato dentro
una fossa atlantica.
Per
eufemizzare.
Quella mattina, ad esempio,
era venuto a far colazione come sempre, ma era rimasto zitto tutto il
tempo,
limitandosi ad ascoltarla parlare con gli altri. Quando gli aveva
chiesto cos’avesse
l’aveva guardata con stupore, quasi non si fosse accorto del
suo attacco di
asocialità.
Era strano, Ren. Era come se
un’inquietudine continua gli scorresse sottopelle. Non poteva
dimenticare ciò
che aveva visto sulla vascello, la furia angosciata con cui si
allenava. A
volte, poi, lo beccava a fissare il nulla con aria smarrita.
Beh,
sarà per il Tremaghi. Pressioni, rischio della
vita. Sarà preoccupato per la Seconda Prova.
Ma non era quello. Quando
parlava del Torneo era distratto, sembrava quasi non interessargli.
E ad aggiungere stranezza al
quadretto, più di un paio di volte aveva sorpreso Tom a
spiarli.
Cosa
diavolo mi sto perdendo? È come l’anno scorso?
Succedono delle cose e io non le capisco?
Non era una bella
sensazione,
e cercò di scacciarla per l’ennesima volta.
È
solo una roba mia. Dentro la mia testa. Pensa al
ballo. Pensa al Ballo del Ceppo.
Sentì le persone
muoversi accanto
a sé e si rese conto che la lezione era finita.
Perfetto.
Non ho seguito affatto. E se devo affidarmi a
Hugo o Gail…
Fece
una smorfia: era colpa sua però, c’era
poco da fare. Si alzò, mettendosi la borsa a tracolla,
pronta a seguire gli
altri fuori dall’aula
“Lily Potter, una
parola,
prego.”
La voce del professore la riscosse, e si voltò per
incrociare i suoi grandi – e
piuttosto inquietanti – occhi color zaffiro. Sì,
stava parlando con lei. Del
resto chiamava tutti per nome e cognome, non ci si poteva sbagliare.
Deve
essersi accorto che ero distratta. È ingiusto
però,
non dice mai niente a nessuno di solito!
Annuì con un
sorriso
colpevole, facendo un cenno di commiato agli amici.
Comunque
è una mania, fermarmi dopo le lezioni. Tra lui
e la McGrannitt…
Il centauro gli fece cenno
di
chiudere la porta e Lily obbedì. Aveva un buon rapporto con
il docente. Di
solito, era una delle poche a non fissarlo sperduta durante le lezioni.
Le
stelle sono luminose stasera…
“Senta, mi
dispiace, so che
avrei dovuto seguire, ma…” Era una nuova tecnica:
sembrava che i docenti
fossero positivamente colpiti dal suo cambio di rotta verso la
sincerità.
Beh,
di solito sono la regina
delle
scuse.
“Non ero questo
ciò di cui
volevo parlarti.”
Lily ammutolì,
guardandolo
incuriosita: a volte con Fiorenzo si aveva l’impressione che
non fosse davvero
lì, in quell’aula, ad insegnare. Ma nella sua
foresta. Parlava di
costellazioni, di comete e avvicendarsi dei pianeti, e loro
ascoltavano,
bruciando in salvia e malva. Erano lezioni strane.
Fergus e Abigail, che avevano la madre Nata Babbana, le avevano detto
che
quelle lezioni erano praticamente astrologia in pillole. Ma
lì non si trattava
di predire il campionato di Quidditch o l’esito di una
verifica. Il centauro
parlava di macro-eventi, bene contro male e roba del genere.
Lily adorava Divinazione.
Si sedette su uno dei
tronchi
tagliati che facevano da sedile a chi non aveva voglia di sporcarsi
l’uniforme
d’erba. Aspettò, perché un centauro non
aveva esattamente la stessa concezione
del tempo di un essere umano.
È
mooolto più rilassata…
“Marte
è crescente. Sono anni
che non succede.” Disse dopo un po’. Lily lo
guardò perplessa.
“Okay…
è una brutta cosa, giusto?”
Mormorò, senza capire perché lo dicesse proprio a
lei. “Stiamo parlando di guerra?”
Chiese poi, inquieta. “Sa,
Marte…”
Marte.
Pianeta. Il pianeta rosso. Marte, il latore di
battaglie.
“Le stelle
influenzano, non…”
“… costringono¹.” Concluse al
suo posto, facendolo sorridere.
“Sei una buona
studentessa,
Lily Potter. Credi nel Destino.”
Okay,
ma che cavolo vuol dire?!
Era
così parlare con Fiorenzo.
Adoro
questa materia. Però a volte è dannatamente
frustrante.
“Sì…
ci credo.” Convenne. “Senta…
sta cercando di dirmi che corro qualche pericolo? Io o qualcuno che
conosco?” Cercò
di intuire, di pescare a caso nel mare delle possibilità che
la frase gli
offriva.
Marte
è crescente. Marte non è un gran bel pianeta, e non
dovrebbe
crescere. Proprio no.
Il centauro le sorrise.
“Come ti
ho spiegato, leggere i transiti dei pianeti è una scienza
che richiede a volte
anni per capire il significato di ciò che si vede. Nessuno
ha la certezza di comprendere
con precisione. Neppure noi centauri.”
“Okay…”
Non avrebbe ricavato
nient’altro. Ma il solo fatto che l’avesse detto a
lei…
Significa
che in questa storia di Marte c’entro.
Sarà
per quello che è successo nell’ultimo periodo? Tom
è stato rapito… e poi quei serpentoni, e i
Dissennatori. Di certo Marte è un
bel po’ agguerrito di questi tempi.
“È
molto vicino. Ma lo è anche
Venere.”Aggiunse il centauro con quel suo tono pacato.
“Presta attenzione, Lily
Potter.”
Uscì dall’aula con una sensazione di ansia
indefinita; Fiorenzo non era tipo
che avrebbe messo angoscia ad uno studente per esibire le sue
capacità, come
suo padre le aveva raccontato facesse la precedente professoressa. Se
le aveva
detto quelle cose, era perché credeva che le sarebbero
servite.
Marte
e Venere. Okay, mi servirà saperlo. Ma sapere cosa?
Mi
sto davvero perdendo qualcosa?
****
Hogwarts,
Biblioteca.
Dopopranzo.
Tom aveva pensato, non
troppi
giorni prima, che stimava Scorpius Malfoy, al di là del loro
diverso modo di
vedere il mondo.
Al momento attuale si
sarebbe
rimangiato tutto con piacere. Scorpius Malfoy era un babbuino.
“Mi stai
rallentando…”
“Ti sto aiutando nel
risolvere
l’indovinello!”
“Non ho l’abitudine di pensare in compagnia,
Malfoy.”
“Si vede. Ti dà fastidio persino che
respiri!”
Si fissarono ostili dai lati
opposti di un tavolo della Biblioteca. Da quando la Pince era andata in
pensione il regime di terrore era finito. Non che fossero permessi gli
schiamazzi Alla Malfoy – termine da lui coniato circa cinque
minuti prima - ma
si poteva perlomeno parlare.
Almeno,
io ho un dispaccio speciale. Non ne vado
fiero, ma resta il fatto.
La nuova bibliotecaria era
la
ragazza che aveva corrotto l’anno prima per entrare nella
Sezione Proibita. Non
lo guardava in faccia per la vergogna, e quindi riteneva improbabile
che
sarebbe venuta a dir loro di smorzare i toni. Era una situazione
ideale.
Lanciò un
ennesimo sguardo
esasperato al grifondoro, che per tutta risposta incrociò le
braccia al petto. Non me ne vado - sillabò senza
voce.
Tom ebbe l’impulso di colpirlo ripetutamente, e con forza,
con la costola di un
libro; del resto ce n’erano molti sul tavolo. Si
cullò brevemente nel cruento
pensiero e poi diede un ennesimo sguardo al fazzoletto sporco che
Malfoy si era
faticosamente sudato. Le parole erano stiracchiate, quasi illeggibili.
Devono
essere stata scritte con una soluzione che
prevedeva una reazione chimica con il sangue.
Posso
dire che è disgustoso?
“Ihcco
ilg non erouc li ottelfir.” Lesse con una smorfia
disperata
l’altro. “Che lingua è per le sottane di
Merlino? Sembra runico tradotto male!”
“Non è runico.” Tom sospirò,
sfogliando svogliato l’ennesimo dizionario di
qualche lingua morta. “E
neppure
goblinese, greco antico, latino, norreno, gallico
o…” Si fermò, perché
l’altro
aveva l’aria di uno che voleva suicidarsi.
“Troveremo una soluzione.”
Troverò.
Va’ ad esercitare i tuoi muscoli rosso-oro.
Qua ci penso io.
Scorpius si
succhiò un labbro
con aria concentrata, ignorando i suoi ordini mentali. “Lo
spero… perché okay,
manca più di un mese, ma queste prove mi sembrano sempre
più complicate!”
“Se mi lasciassi lavorare in pace…”
Tentò di nuovo. Scorpius lo guardò come se
l’avesse appena offeso.
“Sono il Campione.
Tu sei il
mio assistente. Assisti.”
Batté
significativamente un palmo sul tavolo. “Sono io che devo
arrivare alla
soluzione, non tu!”
“Cosa credi che
facciano gli
altri campioni? Delegano.” Suggerì insinuante, ma
l’altro assunse
un’espressione orrendamente eroica.
“No.”
“Penso che finirò per ucciderti.” Gli
confessò senza mezzi termini.
Scorpius sorrise deliziato.
“Ah,
Dursley… lo sanno tutti che non mordi davvero.”
L’istinto di provocargli ferite
gravi con un libro riapparve prepotente. “Anche se,
confessione per
confessione, non so come tu faccia a non prenderti un pugno in faccia
ogni
volta che apri bocca. Sei insopportabile.”
Si guardarono nuovamente,
con
tensione da film western – Tom ne aveva visti tanti, volente
o nolente, durante
la sua infanzia.
E poi il vistoso tatuaggio
di
quel cretino. Da lì sembrava proprio un serpente che,
stilizzato, si inerpicava
lungo il collo in inchiostro nero. Tom odiava i serpenti.
Penso
di aver conseguito un trauma psicologico di
rilevante entità grazie ai Naga, l’anno scorso.
Mi
si può dunque biasimare?
“Quello
è un serpente?” Si
informò, perché la puntigliosità era
il suo forte.
“No, è
un drago. È parte dello
stemma araldico della mia famiglia.” Fu la risposta.
Ah.
Tom comunque
lo detestava; ma doveva far buon viso a cattivo gioco.
Ho
preso un impegno e se non lo mantengo, niente
Durmstrang.
“Collaboriamo?”
Capitolò
quindi. L’altro gli fece un gran sorriso soddisfatto.
“Questo
è parlare!”
Mezz’ora dopo Tom
aveva di
nuovo leggermente cambiato idea.
Scorpius Malfoy era ancora
un
primate, ma se non altro, sapeva stare in silenzio. Aveva anche
appuntato della
parole che potevano somigliare a quelle scritte sulla pezzuola, ma ogni
volta
che ne scriveva una sembrava sempre meno convinto; quando incrociarono
gli
sguardi, entrambi eruppero nello stesso sospiro.
“Secondo me,
stiamo sbagliando
approccio.” Esordì Scorpius, ma lo disse talmente
serio che Tom fu disposto a
concedergli udienza.
“Che intendi
dire?”
“Non sembra una lingua straniera! Guarda il non, Dursley. È non… è
nella nostra lingua!” Picchiettò la stoffa.
“Potrebbe
essere un rebus.”
“Tipo una sciarada?”
“Tipo, sì.” Confermò,
inclinando la testa, quasi potesse avere una visuale
migliore. “Magari parole mischiate a caso.”
Tom sentì una
spiacevole
sensazione di deja-vu. L’anno scorso proprio una sciarada
l’aveva trascinato in
una situazione orrenda. L’altro gli lanciò
un’occhiata.
“Dici che
è una stronzata?”
Interloquì fraintendendo
il suo
silenzio.
“No, non direi.” Non che lo avrebbe mai ammesso, ma
era proprio negato nel
riconoscere quel tipo di indovinelli. Scrutò la scritta, poi
fece una smorfia.
“Proviamo a combinare le parole, allora.”
Si rimisero al lavoro. Ma
Tom
ormai aveva la testa da un’altra parte. Probabilmente ci
sarebbero voluti anni
per smettere di associare cose assolutamente innocue alle sue orrende
esperienze.
Stai
andando nella tana del lupo. Dove Hohenheim ti
vuole. Sei più stupido di Cappuccetto Rosso.
Serrò le labbra,
appoggiando
la penna fuori dal foglio per non macchiarlo di inchiostro. Scorpius
intercettò
il suo sguardo, e si grattò un sopracciglio. “Sei
preoccupato per la faccenda…
sai. Della Thule?”
“No.” Mentì. Aveva dovuto dirgli la
verità per farsi dare il posto di assistente
ma non era tenuto a continuare a farlo. L’altro
scrollò le spalle: impossibile
capire se gli avesse creduto o meno.
“Siamo comunque
più avanti
rispetto agli altri Campioni!” Tentò di
consolarlo. “Domi non ci sta lavorando,
lo so perché mi ha detto che il suo assistente è
tutto preso dal ballo. E per
quanto riguarda il tedesco…” Arricciò
il naso. “Luzhin è strano”
“… in che senso?” La sua attenzione
lasciò completamente la pergamena per
concentrarsi sull’altro ragazzo. Era quello che lui diceva da
settimane. E
Malfoy la pensava come lui?
Interessante.
“Beh.”
Iniziò Scorpius
dondolandosi sulla sedia. Non riusciva a stare fermo per più
di un attimo,
aveva notato. “A parte il fatto che segue la piccola Potter
come un cagnolino
innamorato.” Stirò un ghignetto. “Ehi,
lo posso capire. Lilian è carina, e si
dice in giro che le tipe di Durmstrang siano le controparti femminili
dei
maschi. E hai visto i maschi che razza di torri sono?”
“A parte il fatto?” Lo incalzò.
L’altro
scrollò le spalle. “Non
sembra uno studente. È … come se non gliene
fregasse nulla del Torneo. Non è
normale. Io ci penso sempre, ventiquattr’ore non stop, e
così fa Dominique,
anche se non sembra. Persino il giorno della Prova sembrava pensare ad
altro.”
Prese la piuma e se la rigirò tra le dita con una certa
destrezza. “E poi usa
continuamente l’Occlumanzia.”
“L’Occlumanzia?”
Il biondo annuì.
“Come te la
spieghi quell’aria costipata altrimenti?”
Sghignazzò e persino a Tom uscì un
mezzo sorriso. “A parte gli scherzi… tra
Occlumanti ci si annusa a miglia di
distanza. Quello lì si protegge neppure fosse la
Gringott.”
“Perché?” Non aveva senso usare una
tecnica così stancante dal punto di vista
emotivo, in un contesto studentesco in cui nessuno, per quanto ne
sapeva lui,
padroneggiava il Legimens. Lo zio
dell’attuale Capocasa di Serpeverde, il professor Lumacorno,
era stato peraltro
l’ultimo docente ad averla padroneggiata. Ed era in pensione
da anni.
Scorpius sembrò
intuire le sue
perplessità. “L’Occlumanzia a volte si
attiva senza che tu te ne accorga. È una
difesa naturale come, chessò, cadere con le mani avanti per
proteggersi la
faccia.” Mimò il gesto. “Secondo me, ha
paura che qualcuno scopra qualcosa su
di lui e inconsciamente… bam!
Si
chiude.”
Tom fece una smorfia. Non
era
convinto. Luzhin gli aveva dato l’idea di un soldato. Un tipo
che non sprecava
energie inutilmente.
Si
accorgerebbe se usa una tecnica che non gli serve a
nulla. Ne avrebbe ragione.
Forse sbagliava a crede di
capirlo
fino a quel punto.
Ma
non credo. È più simile a me di quanto non
voglia.
Ed io farei così, se avessi la sua preparazione.
“Oppure…”
Lo riscosse
Scorpius. “… c’è un Legimante
nelle vicinanze e la sua magia lo percepisce. E
quindi si attiva in automatico fiutando il pericolo. Se sei abbastanza
potente
e portato, succede.”
Legimante
nelle vicinanze…
Tom si sarebbe dato
dell’idiota. Si trattava di collegare due fatti, che peraltro
Scorpius gli
aveva sottolineato pochi momenti prima.
Segue
la piccola Potter come un cagnolino. Si protegge
manco fosse la Gringott.
Lily era una Legimante
Naturale: dormiente per la sua stessa sicurezza, ma comunque tale.
Capace, in
linea teorica, di leggerlo.
È
da lei che si protegge. La percepisce come un
pericolo perché potrebbe scoprire qualcosa su di lui. Ormai
è chiaro. Nasconde
qualcosa.
Ne avrebbe parlato ad Harry,
se avesse avuto delle prove concrete alla sua tesi. Che era poi molto
semplice.
Luzhin
potrebbe essere coinvolto con la Thule. Proprio
perché è il Campione: chi sospetterebbe mai di un
giovane mago scelto per i propri
meriti a concorrere ad un Torneo?
I
colpevoli di solito sono proprio di chi non si
sospetta.
Ma, come si auto-ripeteva
fino
alla nausea, non aveva prove: con i sospetti non si accusava nessuno.
“Dursley?”
Malfoy gli tirò una
pallina di carta, che schivò con irritazione. “Sei
dei nostri?”
“Stavo solo pensando.”
“Fai
qualcos’altro da quando
sei nato?” Lo prese in giro, girando poi la pezzuola verso di
lui. “Avanti, pensa a
questo.”
Tom sbuffò, ma
focalizzò di
nuovo la sua attenzione sul fazzoletto. Distolse però lo
sguardo, dato che un
raggio di sole, che si era riflesso sulla finestra davanti a loro, lo
aveva
abbacinato.
Riflesso.
Avrebbe detto
‘eureka’ se
fosse stato dignitoso. Balzò invece in piedi, afferrando la
borsa di Malfoy e
frugandoci dentro. “Hai uno specchio comunicatore. Quando
è spento funziona come uno
specchio, vero?”
“Ehi!”
Esclamò l’altro sbalordito.
“Sì, me l’ha regalato Jamie, ma che
stai…”
Lo tirò fuori e lo aprì con uno scatto secco,
posizionandolo davanti alla
pezzuola. La superficie di vetro riflesse la scritta. Al
contrario.
“Leggi.”
Ghignò trionfante.
“Credo che adesso abbia senso.”
Scorpius si sporse, perplesso, e poi sgranò gli occhi.
“Rifletto il cuore, non gli occhi!
Ha senso!”
Esclamò sbalordito. “Grande Dursley!”
Berciò, e si
beccarono entrambi una caterva di sibili inducenti al silenzio.
Si risedettero quieti, ma,
notò Tom divertito, con due sogghigni speculari.
“Rifletto
il cuore, non gli occhi…”
Ripetè l’altro contento. “Beh,
già
meglio! Non so che cavolo vuol dire, ma…” Alla sua
espressione irritata,
scrollò le spalle. “Comunque sei stato grande. Era
una stronzata da decifrare,
ma come al solito, quando ce l’hai sotto il
naso…” Gli fece un gran sorriso.
“Dovresti averne sempre, di queste illuminazioni!”
Tom fece un mezzo sorriso in
risposta. Sì, avrebbe dovuto davvero averle.
Così
trasformerei i miei sospetti in certezze. Perché
Luzhin deve
giocare un ruolo in questa partita. Solo non
so qual è.
Tom era un tipo che amava
fare
tutto da solo. Di solito. Ma in quel momento, si chiese se non fosse
meglio
farsi dare una mano. Non poteva avvicinare direttamente Luzhin
– non ne avrebbe
ricavato niente.
Segue
la Piccola Potter come un cagnolino…
Ma c’era una
persona che
sembrava conoscerlo bene.
****
Germania
del Nord, sera.
Residenza
Estiva dei Von Hohenheim.
Bretch Van Der Linde nella
vita di tutti i giorni era uno stimato mago olandese. Purosangue da ben
sette
generazioni – oltre non era saggio andare –
commerciava in legname per
bacchette. Attività redditizia che si integrava fecondamente
al titolo di
nascita. Viaggiava verso i sessanta ma, come amava ripetere, il buon
sangue
magico lo manteneva ancora attraente per le giovani streghe della
società
mittle-europea.
Questo era Bretch Van Der
Linde per il consesso magico.
Quello che nessuno sapeva
era
che quel mago dall’aria mite faceva parte della Thule. Quello
che nessuno
sapeva era che la fitta rete di amicizie che l’Organizzazione
gli aveva offerto
su un piatto d’argento aveva dato modo alla sua ditta di
sviluppare contratti
che l’avevano reso famoso in tutto il globo.
C’era tanto che il
mondo
magico non sapeva, su Bretch Van Der Linde.
Invece, qualcuno ancora
ricordava che aveva frequentato Durmstrang negli stessi anni di
Alberich Von
Hohenheim e gli era stato amico.
Per questo in quel momento
sedeva nell’anticamera del suo studio.
Era preoccupato. Ma di una preoccupazione strategica, condivisa con
altri
membri dell’Organizzazione.
Attendeva e sapeva che era
tutta scena: il tedesco lo stava faceva attendere solo
perché poteva.
Irritante
bastardo… - Pensò senza troppo
livore, dato che non era nella sua indole.
La porta si aprì,
segno che
finalmente aveva
deciso di riceverlo.
All’interno dello
studio
ardevano malamente braci spente e il gelo invernale filtrava dalle
spesse
tende, ben tirate. Quindi quasi non vide Hohenheim avvicinarglisi.
“Bretch.”
Disse questi.
Lo trovò
dimagrito. Quel
genere di considerazioni, a dirla tutta, mal si adattavano sulla figura
di un
uomo che aveva rifondato una società come la loro. Ma era la
verità: Hohenheim
aveva visibilmente perso peso e aveva esattamente lo sguardo che temeva
di
trovargli addosso.
Quello di un uomo mangiato
da
un’ossessione.
“Alberich, amico
mio…” Gli
tese la mano e gliela strinse, valutandone la presa. Quella
dell’altro era
salda come sempre. Fece dunque un breve sorriso tirato. “Ti
trovo bene.”
“Vale lo stesso per te.” Replicò
quietamente. “Prego, siediti. Posso offrirti
qualcosa?”
Convenevoli inutili, ma tra
purosangue non potevano mancare.
L’olandese fece un
cenno
dismissivo. “Perché no? Hai ancora quel vino
elfico della nostra ultima cena?
Era una delizia.”
“Lo faccio portare.”
Dato l’ordine,
Hohenheim gli
offrì del tabacco turco e si accese la propria pipa di
rimando. “La tua visita
mi giunge inaspettata…” Esordì. Se
c’era una cosa che si poteva dire di lui,
era che non amava usare giri di parole. “Se non sbaglio, il
prossimo incontro
si terrà tra un mese. E so che ami passare il Natale in
famiglia.”
“Ed è ciò che
farò.” Convenne con un nuovo sorriso. Faceva
davvero freddo in
quel maledetto studio. Perché l’altro non ordinava
di ravvivare il fuoco? Tirò
la propria pipa. “Tuo nipote tornerà per le
vacanze?”
“Com’è ovvio che sia.”
Non c’era modo di iniziare la conversazione partendo da un
argomento neutro,
pensò Bretch sentendo il nervosismo filtrargli dai pori. Ma
era naturale: stava
parlando ad un uomo che leggeva le debolezze altrui fin troppo bene.
La bottiglia di vino elfico
fu
portata e stappata. Bretch notò che l’altro
assaggiò appena il calice.
“Riscalda il
palato e
rinfranca lo spirito…” Osservò.
“Dovrei procurarmene una cassa.”
Hohenheim non ribatté. “Perché sei
qui?” Ripeté invece.
Era arrivato il momento. Tirò fuori il suo miglior sorriso
di rappresentanza. “Noi
fratelli… ci stiamo chiedendo come stia andando al missione
del tuo promettente
nipote.”
“Bene.”
Gli occhi di Hohenheim erano
la prima cosa che notavi, quando lo avevi davanti; del colore del mare
in
tempesta, trasmettevano lo stesso gelo che avrebbe provato un naufrago
in balia
della furia degli elementi. Sin da quando erano ragazzi, aveva sempre
pensato
che Alberich fosse furia pura, trattenuta. Passione, legata dai fili
della
razionalità.
“Noi fratelli ci
chiediamo…”
Bevve un altro sorso per evitare di sembrare in una posizione di
debolezza,
quando non lo era. Alberich era il fondatore. Non il loro capo. Se lo
ripetè
più volte. “Qual è il tuo piano? I Doni
sono ormai irraggiungibili, le ricerche
parlano chiaro.”
“Non sono i Doni il mio obbiettivo.”
Interloquì l’altro senza scomporsi.
“Rivoglio mio figlio. Credevo fosse chiaro.” Il
tono si fece improvvisamente
sferzante.
L’olandese
posò il calice
panciuto sul tavolo. “Lo è. Quello che non
capiamo, Alberich, è se tu rivoglia
un esperimento che non avrebbe mai dovuto lasciare la culla
dell’Organizzazione
o…”
“Dov’è la differenza per voi?”
Lo interruppe, schernendolo con un sorriso. “O
meglio, cosa stai cercando di dirmi? I nostri fratelli…”
Il tono era puro sarcasmo. “… non sono contenti di
come
sto gestendo la cosa?”
L’uomo tentò di dominare il nervosismo. Alberich
non era un mago più potente di
lui. Alberich non poteva reclamare nessuna obbedienza. Eppure.
Eppure
il carisma, il carisma… quello che te l’ha fatto
seguire finita la scuola…
“Non sto
dicendo…”
“È ciò che sembra.”
“Alberich.” Sbottò passandosi una mano
trai capelli. “Sono qui in veste di
amico, ma anche come portavoce di un’inquietudine comune.
Stai esponendo troppo
l’Organizzazione alle luci della ribalta. Gli auror inglesi
non sono maghi da
prendere sottogamba. Li comanda Harry Potter. Abbia avuto modo di
vederlo in
azione l’anno scorso, non è solo una vecchia
gloria di guerra! E per quanto ne
sappiamo, hanno persino aiuto da oltre oceano.”
“Gli americani non
faranno di
più di ciò che hanno sempre fatto. Arrivare
sempre un passo dopo a me.”
A
me? A me! Sta usando mezzi dell’Organizzazione,
fondi, e quel povero sfortunato di suo nipote per un suo desiderio
cieco!
Serrò la
mascella, furioso
all’espressione controllata che mostrava l’altro.
“Vogliamo solo tu sia più
cauto…”
“È un desiderio o un ordine?”
“La tua iniziativa
ci porterà
alla rovina!” Sbottò infine, saltando in piedi e
sentendo il cuore accellerare
di paura e frustrazione.
Alberich sorrise.
“Ecco, mio
caro. Ora siamo arrivati al vero nocciolo della questione.”
Bretch aveva sempre pensato
di
poter riconoscere un folle, avendocelo davanti. Ma in quel momento, si
chiese
se Alberich avesse davvero perso contatto con la propria
sanità mentale come si
vociferava nell’Organizzazione.
Perché la follia
non poteva
avere un volto così lucido.
“Capiamo i tuoi
crucci…”
Mormorò tentando di nuovo, perché non era solo un
ambasciatore.
Non
possiamo permettere che ci trascini nel fango… ma
dobbiamo essere accorti. Molto accorti.
Perché tutti
loro, i fratelli, erano maghi che
per
l’opinione pubblica erano magnati, politici, gente che nulla
aveva a che fare
con un organizzazione che abbatteva ogni barriera morale in nome dello
sperimentalismo magico.
Ricordava Alberich nella
stanza che dividevano all’Istituto, mentre con gli occhi
infiammati parlava di
conoscenza, di frantumare le eterne e bigotte leggi della magia, a
sperimentare
nuove frontiere.
Quanto lo aveva ammirato
allora…
Ma
il tempo dei sogni di gloria senza risvolti economici sono finiti. E
Alberich non è mai passato
oltre quel giorno di diciotto anni fa.
“La Thule non
è stata creata
per crociate individuali, quale questa è.”
Riprese. “Non era per i Doni, non è
vero? Non lo è mai stato.”
Il tedesco non rispose: non che se lo aspettasse.
“Io riavrò
mio figlio. Io gli ho dato la vita, io lo rivendico.” Disse
invece e negli occhi c’era la stessa febbricitante
determinazione della loro
gioventù. “Ma se volete fermarmi, temo che
potrebbe non piacervi il modo in cui
andrò avanti.” Si sporse appena, ma
sembrò che incombesse.
Il tono di voce era velluto, e Bretch ricordò
perché,
anni prima, fosse stato disposto a donargli reputazione e capitali.
“Perché se
cado, mio buon amico, porterò tutti voi giù con
me.”
****
Note:
Le dolenti note. Sappiamo qualcosina in più su Alberich.
È diverso da come
pensavate che fosse? Beh, dopotutto l’abbiamo visto solo
attraverso qualche
ricordo e gli occhi intimoriti di Ren. ;)
1. Frase detta da Tommaso d'Aquino.
A proposito, una foto mi ha
ispirato il pezzo di Ren quindicenne. Questa, un Ben Barnes (il volto
prestato
al nostro crucco) piccino davvero.
Ren quindicenne .
Qui
la
canzone.
E ora un po’ di
fan-art
adorabili.
Da Elezar81
Snowball War,
Tell me e Tom
e Sy . Dalla disponibilissima SwNok
Albus
and Thomas
.
Come si fa a non essere super-riconoscenti? :D
|
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Capitolo 38 *** Capitolo XXXVI ***
Capitolo XXXVI
Non avessi mai visto il sole avrei
sopportato
l'ombra,
ma
la luce ha aggiunto al mio deserto una
desolazione inaudita.
(Emily Dickinson)
19
Dicembre 2022.
Londra, Ministero della Magia.
Ufficio auror. Mattina.
“Non possiamo far
finta che
non ci sia, Ron.”
“Basta ignorarlo!”
Harry Potter, Capo-ufficio auror in servizio, fissò con
malcelato divertimento
l’enorme gufo che li squadrava con severi occhi gialli.
Appollaiato sullo
schienale della sedia dell’amico, incombeva come il rapace
che era. “Forse dovresti
prendere la lettera.”
“No.”
Harry lanciò un secondo, piccolo sospiro. Ron era un padre
meraviglioso,
attento e dedicato ai suoi figli. Sapeva scherzare, ma anche essere
severo
all’occasione. Era un buon padre, lo era davvero.
Ma in quel momento stava
avendo uno dei suoi attacchi di irragionevolezza acuta. Il motivo era
molto
semplice e piuttosto buffo, dal punto di vista di un osservatore
esterno.
Sua
figlia si è innamorata del ragazzo sbagliato. Il
più sbagliato al mondo, se proprio vogliamo dirlo.
“Rosie ti chiede
solo di
parlare… non mi sembra questa gran cosa.”
Esordì lanciando uno sguardo al gufo
che cercava di beccare le orecchie dell’amico.
“Non ho intenzione
di parlare
con lei! O meglio…” Si corresse, suonando forse
troppo duro persino alle sue stesse
orecchie. “Finché non dirà qualcosa di
sensato.”
Harry sapeva che a momenti sarebbe arrivata l’agente
Gillespie per conoscere
Ron, e quel quadretto non era indice di serietà lavorativa.
Doveva dunque
correre ai ripari.
“Ron, non stai
reagendo
razionalmente al…”
“Al fatto che mia figlia è impazzita e si
è messa con un Malfoy?!” Sbottò di
colpo, quasi saltando sulla sedia per l’indignazione. Harry
afferrò la tazza di
caffè prima che si rovesciasse, con un vecchio movimento da
Cercatore.
“Dovresti davvero parlarci.”
Replicò senza dare giudizi. “Almeno sentire
cos’ha da dire?”
Ron gli scoccò
un’occhiata
riottosa, curiosamente simile a quelle della loro adolescenza.
“Lo dice anche
Hermione.” Sbuffò poi, scacciando con un gestaccio
il gufo, che si appollaiò
però poco distante con la lettera stretta tra le zampe.
“Ma non sono d’accordo,
okay? Non approvo questa follia! Mia figlia e il figlio di
Malfoy!” Sbottò,
come se avesse detto una… follia, appunto.
“E ignorare le sue
lettere
funziona?”
Ron storse la bocca. “Non molto.” Ammise.
“Non faccio in tempo a buttarne una
che mi arriva un altro gufo, più battagliero del primo per
giunta!”
“Tua figlia è testarda.” Sorrise Harry.
“Chissà da chi ha preso.”
Ron emise un lungo sospiro,
sedendosi. Lanciò un’occhiata velenosa al pennuto
postino. Fu ricambiata. “È
solo che non voglio litigare con lei.” Brontolò
fissandosi le mani. “Ma mi
sembra di non conoscerla più. Un anno fa pensava che quel
mocciosetto fosse un
cretino montato, e adesso lo rincorre per tutto il Castello dopo che ha
minacciato me!
Non posso credere che mi stia facendo una cosa del genere. Le
ho
sempre detto di tenersi lontana dai Malfoy!”
Harry fece una smorfia
spazientita: capiva cosa si agitava nella testa dell’amico.
L’antico odio che
legava i Malfoy ai Weasley. La personale animosità che
serpeggiava tra Ron e
Draco. E per finire, l’istinto di naturale protezione di un
padre verso la
figlia femmina.
Un
cocktail micidiale, in effetti…
Dulcis
in fundo,
Hermione non lo appoggiava minimamente in questa sua crociata.
“Credo ci sia una
cosa sola
che non capisco, in tutte quelle che hai detto.”
Proferì pacato. “Rosie non sta
facendo nulla a te. Si è
solo
innamorata. Ha diciassette anni, prima o poi doveva
succedere.”
Per
quanto riguarda Lily naturalmente dovrà accadere
tra circa un milione di anni. Grazie.
“Lo
so, ma è un…”
“E questo l’abbiamo capito.” Lo
interruppe spazientito. “Ma che importanza ha?
Scorpius è entrato nel gruppo di amicizie dei nostri figli.
È un dato di fatto.”
Ron emise uno sbuffo seccato. “Mi ha mentito.” Si
scollò dal palato. “Hermione
gliel’ha chiesto, e lei le ha detto che sì, stava
con Malfoy. Ma dopo. Non me l’ha
detto. Chissà per quanto ce
l’ha tenuto nascosto!”
Harry bevve un sorso dal suo caffè. Si aggiustò
gli occhiali, perché sapeva che
quello che stava per dire avrebbe potuto avere delle conseguenze.
Odiava fare
l’avvocato del diavolo, ma lì si stava sfiorando
il ridicolo.
“Non credi che ti
abbia
mentito proprio perché aveva paura di questa
reazione?”
Ron lo fissò
incredulo,
aprendo la bocca per rispondere battagliero. Per fortuna la segretaria
scelse
quel momento per bussare alla porta. “Signor Potter?
L’agente Gillespie è
arrivata.”
“Perfetto, falla accomodare.” Sospirò di
sollievo Harry. Lanciò un’occhiata
all’altro. “Ne parliamo dopo.”
Il rosso richiuse la bocca, poco contento ma finalmente operativo.
“Sissignore.”
Borbottò ironico.
“Ron…
prendi la lettera dal
gufo.”
Quando entrò l’americana l’ufficio era
finalmente sgombro da volatili.
“Harry,
buongiorno.” Gli
sorrise. Aveva già l’aria stanca e reggeva un
faldone di documenti. Harry riconobbe
lo stemma impresso: era quello del DALM americano. Gli strinse la mano,
e poi
guardò incuriosita Ron, che si alzò in piedi,
finalmente professionale.
Meno
male. Questa storia di Rosie lo sta facendo uscire
pazzo…
“Ron
Weasley.” Si presentò
stringendole la mano. “Capo-squadra.”
“Nora, spero di vostro aiuto.” Replicò
l’altra ironica, facendoli sorridere.
“Posso offrirti
qualcosa?”
Chiese Harry, recitando la commedia delle buone maniere, ma con un
pizzico di
sincero desiderio di esserle utile. Sembrava che la donna non avesse
dormito
che poche ore.
Se
le ha dormite.
“No, grazie, ho
mangiato
qualcosa alla locanda.” Scrollò le spalle questa.
“Ho atteso tutta la notte il
pacco. Le spedizioni via Passaporta sono terribili. Sono a tempo, il
pacco
viene rimandato indietro se non lo intercetti e firmi la ricevuta di
pagamento.” Mise sulla scrivania il plico, e
scoccò un sorriso vedendoli
perplessi. “E’ tutto ciò che abbiamo
sulla Thule. Penso che lo scambio di
informazioni debba essere reciproco. Io ho letto i vostri rapporti, voi
leggerete quelli della mia squadra.”
“Ottimo!” Esclamò Ron, lanciandole un
chiaro sguardo di approvazione. Harry invece
scrutò il fascicolo. Era voluminoso, ma non come si sarebbe
aspettato.
Possibile
che in anni abbiano redatto solo questi
rapporti? Saranno al massimo trecento pagine!
Nora sembrò
leggergli nel
pensiero perché fece una breve risata. “Non voglio
sembrarvi presuntuosa, ma
sembra che il vostro sistema di archiviazione sia un po’
obsoleto.”
“Come?” Esclamò Ron confuso.
“Che vuol dire?”
La strega indicò la scrivania. “Forse è
meglio che facciamo un po’ di spazio. Vorrei
evitare di far danno.” Osservò gentilmente i molti
portafoto. “Ci sono cose
preziose qui.”
Liberata la scrivania in
pochi
attimi, Harry la fissò interrogativo. “Usate un
incantesimo di estensione
irriconoscibile?”
“Una specie.” Concesse, prima di toccare il plico
con la punta della bacchetta
e mormorare qualcosa sottovoce. Sotto i loro occhi, i fascicoli
cominciarono a
duplicarsi l’un l’altro, vomitando fogli su fogli.
Una valanga di carta in
ordine sommario invase ben presto l’intero ripiano.
“Li comprimiamo, per farla
semplice.” Spiegò. “Risparmia spazio e
ci permette di trasportali molto più
facilmente.”
“Vedo…” Annuì Harry ammirato.
Avrebbe dovuto chiedere al Ministero se potevano
adottare quell’incantesimo. I loro schedari rischiavano
mensilmente il collasso,
e ogni anno venivano ampliati con incantesimi, ahimè, non
molto stabili.
Non
puoi allargare all’infinito uno spazio finito.
“Questa Hermione
vorrà proprio
vederla…” Disse Ron divertito.
“È geniale!”
Nora ridacchiò
del loro
stupore. Non sembrava stupita dalla loro reazione.
Siamo
così arretrati in Inghilterra?
“Sarei felice di
insegnarvelo.” Si avvicinò poi alla scrivania,
pescando a colpo sicuro un
fascicolo numerato. “Questo è il primo caso in cui
sia stata nominata la Thule,
anche se allora pensammo ad un furto isolato. Da un centro brevetti
della Louisiana
venne trafugato un prototipo di incantesimo trasfigurante.”
Harry si
avvicinò,
sbirciandone il contenuto. “Quanti anni fa?”
“Una ventina. Non fui io a lavorarci, anche se accadde nel
mio distretto di
competenza. Se ne occupò mio marito. Come si suol
dire… fu il primo ad unire i
puntini.”
“Quindi sono
praticamente dei…
ladri?” Ron
corrugò le sopracciglia,
sporgendo la testa e torreggiando su entrambi. Nora scosse la testa.
“Diciamo che li
abbiamo
individuati perché rubano.
Ma non si
limitano a questo. Trafugano oggetti e incantesimi sperimentali,
è vero, ma ne
ideano anche di propri. Lavorano a progetti. Il modo in cui
è nato il Signor
Dursley…” Esitò, guardandoli.
“Quello
era un progetto.”
Harry serrò la mascella, al ricordo del figlioccio. Per
quanto lo amasse non
poteva ignorare il fatto che la sua nascita fosse illegale e moralmente
poco
digeribile.
“È questo il motivo principale per cui sono
ricercati…” Continuò la donna.
“Tuttavia, i primi casi vennero archiviati come fenomeni
isolati. Mai un
testimone, mai un indizio risolutivo. Cold
case.”
“Mai
risolti.” Intuì Harry.
C’era un intero universo di parole che gli erano estranee.
Per gli americani
invece erano lemmi ormai consolidati. “L’America
non era il solo terreno di
caccia, suppongo.”
“Esatto. E questo non ha aiutato ad individuare un solo
colpevole per più
crimini …” Convenne Nora, voltandosi e cercando di
nuovo qualcosa. Recitò un accio
e un codice alfanumerico e subito
le schizzò in mano una mappa; la dispiegò
facendola ondeggiare sospesa di
fronte a loro.
Il cartiglio rappresentava i
cinque continenti ed era pieno di puntini rossi. Harry non ci mise
molto a
capire cosa significavano.
“Sono i luoghi
dove hanno
colpito?”
“Quelli fin’ora conosciuti,
sì.” Confermò la creola, mentre Ron
spalancava la
bocca in una muta esclamazione di sorpresa. “Operano da
decenni, ma questi
rilevanti sono stati fatti dalla mia squadra, che è stata
creata pochi anni fa.
Fate i vostri calcoli.”
“Ma quanti
sono?” Ron sembrava
impressionato, e anche Harry sentì una sensazione spiacevole
di smarrimento.
Aveva sempre pensato alla Thule come una setta di scienziati pazzi.
Ma
è leggermente più complesso, temo.
“Tanti.”
Rispose senza mezzi termini l’americana.
“L’Organizzazione
ha all’attivo un centinaio di elementi, tra scienziati,
alchimisti e uomini di
fatica. E altrettanti agenti dormienti.”
“Dormienti?” Ron corrugò le
sopracciglia. “Significa che normalmente sono
gente… normale?”
“Gente che nella vita quotidiana lavora, ha una famiglia e
una reputazione
rispettabile. Non tutti sono John Doe, il Camaleonte.”
Chiarì Nora, e Harry
vide quanto questo le bruciasse, dalla piega dura delle labbra. Prese
poi un
altro grosso foglio, delle dimensioni della mappa e lo
spiegò accanto ad essa.
Era un organigramma. Era la catena di comando della Thule.
“In cima vi
è il Consiglio. Tra di
loro si chiamano fratelli. Non ci
sono criminali o maghi
schedati a questo livello. Solo maghi rispettabili, incensurati.
Purosangue che
decidono le sorti dei propri affari alla luce del sole… e
poi, nel tempo
libero, della Thule.”
“Vedo che funziona come una specie di azienda.”
Ragionò Harry studiando lo
schema. Era piuttosto semplice, da quel che poteva vedere.
Un
oligarchia che controlla cellule separate e non in
contatto tra di loro.
Non
è facile tagliare la testa all’idra. Ci sono
troppe
teste. E le braccia lavorano separatamente.
“Scusate…”
Esordì Ron, dopo
che era rimasto in silenzio per qualche minuto. “Ma
dall’organigramma qui…
sembra che non ci sia un leader.”
“Perché non c’è. Come potete
vedere, c’è un assemblea che prende le decisioni
all’unanimità. È tutto molto
rigido.”
“Perché allora nell’indagine sulla
trafugazione dei Doni e del rapimento di
Thomas è venuto fuori solo
il nome di
Von Hohenheim?” Chiese Harry a bruciapelo, perché
aveva capito dove stavano
andando a parare le domande dell’amico. E voleva sapere. “Ci avete dato ad
intendere fosse lui l’unico mandante.
Però adesso ci hai appena detto che la Thule opera a
maggioranza.”
“Hohenheim
è il fondatore.
Dichiarato. Sappiamo che è lui, ed è
l’unico per cui attualmente ci sia mandato
di cattura.” Replicò la donna. “Ma non
prende decisioni in solitaria.”
“Quindi?”
Incalzò di rimando. “Ci
avete mentito?”
L’americana li
squadrò. Ad
Harry sembrò di essere pesato nuovamente, ma stavolta
l’analisi durò meno.
Stava cominciando a fidarsi.
Perché
facciamo le domande giuste.
“No.”
Rispose infine. “Adesso…
comincerò con le ipotesi. Non c’è
niente di certo di quello che sto per dirvi.”
Harry le sorrise. “Tranquilla Nora. Andiamo forti in questo
campo.”
****
Hogwarts.
Vascello di Durmstrang. Ora di Pranzo.
Disciplina.
Si trattava di avere disciplina. In qualsiasi, singola ora del giorno.
La sera i suoi muscoli erano tesi e scattavano nel sonno, i nervi gli
facevano
tremare le mani. Ma era una fatica buona. Dormiva senza sogni e si
risvegliava
come se la notte fosse passata solo per permettergli di riprendere
forze.
Quella mattina non era
salito
ad Hogwarts per colazione. Lily gli aveva detto che avrebbe passato
ogni
momento libero a provare combinazioni estetiche per il ballo, e che
quindi
poteva raggiungerla solo nel tardo
pomeriggio.
‘Devi
vedere il prodotto finito, Ren! Non il processo!
Quindi, sciò!’ Gli aveva detto
ridendo.
Sören aveva
obbedito di buon
grado. In quelle ultime settimane la vicinanza di Lily era foriera di
strane
sensazioni. Aveva infatti notato un lieve cambiamento nel modo di fare
della
ragazza: sembrava quasi lo stesse studiando, ma non con gli stessi
intenti
indagatori dell’inizio.
Sembra
cercare qualcosa in me… però non capisco cosa.
Scosse la testa,
concentrandosi sul lanciare un nuovo incantesimo verso il manichino da
allenamento. Parò il contrattacco e schivò il
secondo colpo a sorpresa.
“Sören,
ah, sei qua!”
Fece una smorfia alla voce di Poliakoff. L’assistente era
appena entrato nella
saletta degli allenamenti. Aveva delle briciole sulla bocca e doveva
aver
appena fatto pranzo.
“Sei
sporco.” Sentenziò,
mentre l’altro si passava goffamente una mano sulla bocca.
“Cosa vuoi?”
“Che accoglienza!” Esclamò il russo
infastidito. “Ti ricordo che sono il tuo
assistente, non un servo!”
“Ne sono
consapevole.”
Replicò, rinunciando a continuare i propri allenamenti; era
evidente che
l’altro fosse in vena di chiacchiere. Prese un asciugamano e
si pulì il viso
dal sudore.
In quei giorni si erano a malapena frequentati. Kirill stava lavorando
all’indizio sulla Seconda Prova e lui si era limitato a tener
compagnia a Lily
ed allenarsi.
Erano state delle buone giornate.
“Sì,
come no.” Ribatté l’altro.
“Ti ricordo che sono l’unico a cui puoi affidarti
qui.”
Sören strinse un sorrisetto trai denti. “Affidarmi?
Tu sei qui per ordine di
mio zio. Non ho richiesto io la tua presenza.”
Detestava l’arroganza che cominciava a manifestarsi
nell’altro.
Nessuno
di noi è indispensabile alla Thule. Non io, non
tu.
Il russo gli
scoccò
un’occhiata rabbiosa. “Ho cercato di essere cortese
con te, Prince…”
“Non chiamarmi così. Io qui sono
Luzhin.” Lo ammonì, anche se erano soli. Ma un
ambiente ristretto come la plancia di una nave aveva orecchie ovunque.
Anche
se le suddette sono informate della natura della
mia presenza qui.
Kirill gli servì
un improvviso
ghigno. “Questo teatrino comincia a piacerti, eh?”
“Prego?”
“Oh, non cercare di fingere con me… sono quattro
mesi che sto con te. Ti ho
capito.” Gli si avvicinò, i lineamenti tesi in una
linea compiaciuta. “Comincia
a piacerti, essere Sören Luzhin, il Campione. Il cavaliere
senza macchia che
corteggia la piccola dama inglese.”
“Non la sto corteggiando.” Ribatté
subito, stupendosi lui stesso del tono aspro
che gli uscì. L’altro invece non sembrò
sorpreso, anzi, parve quasi aspettarselo.
“Cosa pensi di
stare facendo
con lei, Prince?” Replicò suonando incredulo.
“Cosa pensi che lei pensi di
te?”
“Non capisco dove vuoi andare a parare.”
Sentì un sapore ferroso in bocca e capì
di essersi morso l’interno della guancia. “Assolvo
al mio compito. Mio zio mi
ha detto di tenerle compagnia e entrare…”
“… nelle sue grazie.” Terminò
per lui con aria divertita. Sören sentì
l’impulso
di picchiarlo. “Davvero non hai capito cosa le stai
facendo?”
“Non le sto
facendo niente.”
Lo
so cosa sto facendo. La sto ingannando. Ma ingannati
si può vivere. Questo basta. Deve.
“Oh,
beh… quando tutti gli
altarini verranno scoperti, le spezzerai il cuore.” Si
divertiva a tormentarlo,
intuì improvvisamente. Poliakoff rideva
di lui. “Te lo ricordi, sì, che non sei un bel
cavaliere dall’armatura
scintillante ma il drago che la divorerà?”
Sören non rifletté quando lo colpì in
pieno volto. Sentì soltanto i muscoli
tendersi come una sartia della nave e poi il braccio scattare.
Poliakoff emise un lamento
sorpreso, barcollando indietro. “Che diavolo ti
prende?!” Sbottò soffocato.
Sören non sapeva esattamente cosa
diavolo
gli stesse prendendo, ma il suo corpo trovò
sensato attaccare di nuovo l’altro.
Lo fece cadere su una sedia con un semplice colpo mirato al plesso
solare che
gli tolse il fiato. Poi lo afferrò per il colletto della
casacca e gli puntò la
bacchetta alla gola. L’altro neppure tentò di
difendersi.
“Vogliamo parlare
di te, Kiriev?” Chiese,
usando il nomignolo che
sapeva l’altro detestasse. Glielo aveva detto durante uno dei
suoi infiniti monologhi.
“Vogliamo parlare di chi va oltre
i
suoi compiti?”
Il russo lo guardò con occhi allarmati, mentre il sangue sul
labbro usciva a bagnargli
il mento e il colletto della divisa. “Allontana quella
bacchetta!”
“Parlo di quando hai convinto Lily a seguirti, il giorno
della Prima Prova…” Lo
ignorò, premendone la punta sulla guancia sudata.
“Parlo di quando l’hai
lasciata da sola in mezzo ai Dissennatori.”
La paura fece fremere i lineamenti dell’altro, e
Sören capì che non era solo
una supposizione; Lily gli aveva detto che era stato lui ad
indirizzarla alla
Tenda dei Campioni. Inizialmente aveva pensato che fosse stata lei a
costringerlo. Sapeva essere cocciuta.
Ma
è il contrario. È lui che ha
preso l’iniziativa.
“È
… è stata lei a chiedermi
dov’eri! Non potevo lasciarla andare da sola…
così le ho detto dove ti avevo
visto l’ultima volta! L’ho accompagnata, ma poi
l’ho persa di vista!”
“Non è vero. Lily conosce i Dissennatori. Non si
sarebbe mai mossa per
cercarmi, se qualcuno non l’avesse convinta che ero in
pericolo immediato. Da
sola, per giunta. È impulsiva, ma non stupida.”
Poliakoff rimase in
silenzio,
ansimando e fissando la bacchetta come se da un momento
all’altro ne potesse scaturire
una maledizione.
“Perché
l’hai messa in
pericolo? Cosa speravi di ottenere?” Lo incalzò.
“Io…” Iniziò quello
umettandosi le labbra. Si vedeva come cercasse
disperatamente una spiegazione. Sören provò un moto
di furia e disgusto.
Ha
avuto un’idea balorda e l’ha seguita. Tutto qui.
“Volevo vedere
quanto fosse
disposta a fare per te!” Sbottò improvvisamente.
“Tuo zio… il… il Magister, ha
detto che voleva capire che razza di strega fosse. Ed ho pensato,
che… non
c’era di meglio per valutare il suo attaccamento!”
…
tutto qui?
“Hai rischiato la sua vita!” Urlò. Si
sentì urlare, e probabilmente
l’espressione sgomenta del russo era gemella alla sua.
Inspirò, aggrappandosi
alla poca calma che provava. “C’erano altri modi e
tu non eri autorizzato a
fare una cosa del genere.”
Poi gli sovvenne un pensiero.
Il
modo in cui sono caduto ed ho perso i sensi. Come se
qualcuno mi avesse aggredito…
Poliakoff
indietreggiò ancor
prima che potesse afferrarlo di nuovo. Non servì a molto
comunque, visto che
era intrappolato contro lo schienale della sedia.
“Sei stato tu ad
aggredirmi?”
L’altro
batté le palpebre con
aria confusa. “Cosa…?”
Articolò.
“Alla tenda dei
Campioni.
All’arrivo dei Dissennatori qualcuno, approfittando della
confusione, mi ha
colpito e fatto perdere i sensi.”
Sul volto però
stavolta
apparve solo smarrimento. “Non so di che parli!”
Esclamò. “Perché diavolo avrei
dovuto fare una cosa simile?!”
Non
è stato lui?
Sören
lo lasciò di colpo, allontanando
la bacchetta.
Allora
sono semplicemente caduto. Chi altro avrebbe
avuto motivo di aggredirmi, altrimenti?
Nessuno
sa di me, di noi.
Poliakoff si
aggiustò sulla
sedia, rassettandosi l’uniforme. Tentò anche di
tamponarsi con il fazzoletto il
labbro tumefatto.
Sören
provò un modo di
disgusto per quel tremante idiota. Non capiva neppure lontanamente in
cosa era
inciampato. Pensava fosse un onore, servire la causa. E tentava
maldestramente
di farsi notare.
Quelli
come te, finiscono ammazzati…
“Se ti azzardi di
nuovo a
prendere iniziative personali dovrai risponderne a me.” Gli
comunicò tentando
di calmarsi. Il fiotto di rabbia che gli aveva annebbiato il cervello
era
ancora lì, presente. “Io
mi occupo di
Lily Potter. Nessun’altro.”
Il russo tentò un
ennesimo tamponamento
della ferita, ma poi ci rinunciò. Si leccò le
labbra, con espressione
incattivita. “Occuparti… oh sì, te ne
occupi sul serio.”
“Smettila con gli
scherzi. Sai
che non li tollero. Oltretutto, mio zio dovrà essere
informato della tua alzata
di ingegno.”
“Scherzo?” Lo apostrofò Kirill
sarcasticamente. Non sembrava preoccupato
dall’eventualità della delazione.
L’aveva anzi ignorata. “Quale scherzo? È stato forse per
scherzo che l’hai tenuta
fuori dalla Prima Prova?”
Sören sentì un brivido gelido ghiacciargli
repentino la nuca.
Come
l’ha saputo?
Poliakoff si alzò
in piedi,
malfermo. Era evidente che l’adrenalina gli facesse ancora
tremare le gambe.
“Io prendo
iniziative
personali… ma le prendi anche tu, principino.” Non quel nomignolo, pensò
Sören sentendo l’ansia montare come una
marea. “Pensi che non mi fossi accorto che
l’inglesina non era alla Prova? Pensi
che non mi fossi accorto che era reduce da un oblivion?”
Schioccò la lingua con una smorfia. La bocca doveva
fargli male. L’aveva colpito forte. “Non farmi la
predica… perché il tuo
compito è ingannarla, non proteggerla dai
cattivi.” Storse un ghigno. “Abbiamo
entrambi i nostri segreti. Ma sta’ tranquillo. Io ti sono
fedele, se tu lo
sarai con me.”
Sören avrebbe
voluto colpirlo
di nuovo. No, peggio. Avrebbe voluto ammazzarlo.
Sentì la collera
montargli
fino a quasi serrargli la gola, quasi fosse una brutta reazione
allergica.
Strinse entrambi i pugni sentendo il braccio, quel
braccio, bruciargli.
Era in collera, ma aveva
anche
paura. Perché Poliakoff aveva ragione.
Non
era un ordine. Era un’iniziativa personale.
Non ribatté.
Uscì dalla
saletta, perché sentiva le pareti stringerglisi addosso.
Doveva uscire dalla
nave. Doveva uscire subito.
Camminò come un
automa fino ad
Hogwarts. Non aveva con sé il mantello e fitto nevischio gli
sbatteva in viso.
Affondò più volte nella neve e si rese conto che
non aveva gli stivali adatti:
si era lasciato quelli con cui si allenava.
Non voleva pensare. Pensare
non avrebbe dovuto essere concesso ad uno come lui.
Guarda
che succede, quando pensi. Iniziative personali?
Credere di dover proteggere una tua vittima? Volerle bene?
Le vuoi bene, non è vero?
Si
passò le dita trai capelli,
tirandole via bagnate da grossi fiocchi di neve mentre varcava il
portone ignorando
i ragazzi che giocavano in cortile.
Come
quando hai giocato con lei a palle di neve? Quello
faceva parte del compito?
Sei
un egoista. Ti bagni alla sua luce, ti prendi i
suoi sorrisi, e cosa le darai in cambio?
Doveva trovare Lily.
Senza rendersi conto di come
ci fosse arrivato, si trovò in un corridoio che non aveva
mai visto.
Sembra
che la planimetria cambi disposizione almeno due
volte al mese.
“Signor
Luzhin.”
Si voltò di scatto, sentendosi il cuore schizzare in gola.
Il corridoio era vuoto,
quindi…
Guardò i ritratti
appesi e
trovò ciò che cercava. O meglio, chi
lo
stava cercando.
“Buongiorno Preside Silente…”
Mormorò, mentre l’urgenza lo spingeva ad
andarsene. “Mi scusi, in questo momento sono di
fretta.”
Il vecchio mago lo
fissò attentamente
dietro gli occhiali. Quei maledetti, penetranti occhi
azzurri…
Non
mi leggono dentro, vero? È solo un quadro. Un
quadro.
“Lo vedo, ragazzo
mio.”
Convenne in tono da conversazione. “Speravo, in
verità, avesse un minuto…”
“Ha visto Lily?” Lo apostrofò senza
ascoltarlo. Poteva averla vista
dopotutto. I maghi ritratti si spostavano
continuamente di cornice in cornice.
Solo dopo ricordò
che con Lily
poteva indicare almeno una ventina di studentesse.
“Lily …” Disse questi meditabondo.
“Lilian, la figlia di Harry Potter, presumo.”
Indovinò.
“Esatto.” Non aveva tempo per chiedersi come avesse
fatto a capirlo al primo
colpo. “La sto cercando.” Non riusciva ad
accantonare quell’urgenza. C’era; non
poteva fare a meno di risolverla. “Sa
dov’è?”
“Non ne ho idea.” Confessò
tranquillamente. “In ogni caso non si preoccupi, sta
bene.”
“Come…?” Non gli aveva fatto una domanda
sullo stato di salute. Ma perché
allora si sentiva improvvisamente sollevato quasi gli avesse dato la
risposta
che cercava?
“La sua amica sta
bene.” Ripeté
l’anziano mago con aria rassicurante.
“Ora… se non ha impegni improrogabili,
vorrei presentarle una persona.”
Sören
corrugò le sopracciglia.
Si sentì di colpo piuttosto stupido. Era arrivato
lì, animato da una fretta
incomprensibile.
Perché
dovrei cercare Lily, quando non ne ho motivo?
Doveva essere stato lo
sgradevole faccia a faccia con Poliakoff ad agitarlo tanto.
“Certo…”
Si risolse a dire.
Del resto gli sembrava scortese non accontentare l’anziano
stregone quando era
stato disponibile con lui. “Con piacere.”
Silente sembrò
deliziato dalla
sua risposta. “Ottimo!” Un’ombra si
insinuò dentro il quadro. Ad una seconda
occhiata, Sören capì che era piuttosto
un
uomo interamente vestito di nero. Quando lo riconobbe quasi
sobbalzò. “Le
presento il Professor Severus Piton.”
****
Sala
Grande, Poco dopo pranzo.
“Lily.”
Lily stava bellamente pensando a tutto fuorché ai venti
centimetri per
Incantesimi che la aspettavano sul tavolo della Sala Grande, davanti a
lei.
Quindi sussultò, non aspettandoselo.
“Oh,
Tom!”
L’interpellato le
rispose con
un cenno della testa. Aveva la borsa piena di libri e probabilmente era
lì per
il suo stesso motivo. Era forse l’unico
della scuola che in quel periodo avrebbe studiato davvero.
“Compiti?” Le
chiese.
“Ci sto
provando.” Replicò con
un sorriso. “Mi fai compagnia?”
Hugo era sparito da qualche parte con Fergus, a trovare il coraggio di
invitare
ragazze per il ballo. Abigail invece era ancora nel delirio di scelta
del
vestito. Aveva rifiutato ogni aiuto e si era chiusa in stanza a mandare
Gufi
alla madre in cerca di nuovi fondi per acquistare quello perfetto.
Dunque era
sola.
E
mi sto annoiando a morte.
“Certo.”
Tom si sedette
accanto a lei, stupendola di nuovo. Non si aspettava avrebbe accettato
l’invito: non studiava mai con qualcuno che non fosse Albus.
Si lanciarono
un’occhiata in
contemporanea. “Non sei qui per fare i compiti assieme a me,
vero?” Indovinò.
L’altro le
servì
un’espressione innocente quanto quella di un assassino
seriale. “Perché non
dovrei?”
“Perché
chiunque ti
deconcentra, Tommy.” Lo canzonò, vedendolo
corrucciarsi. “Sai che ti adoro…
però è vero. Non abbiamo mai studiato
assieme.”
“È il
concetto dell’insieme che
mi irrita. Perché
condividere qualcosa che si dovrebbe far da soli?”
Ribatté con sussiego. Lily
represse una risatina.
C’era stato un
periodo in cui
Tom metteva in soggezione chiunque. L’anno prima era
addirittura diventato inquietante.
Adesso però era diverso. Era sempre il solito allampanato
scorbutico, ma si
era… addolcito.
Se
glielo dicessi mi ammazzerebbe.
“Beh,
sai… se ragionassero
tutti come te le scuole non esisterebbero. Faremo tutti lezioni
private.”
“Il mio sogno.” Replicò tirando fuori i
libri e il necessario per scrivere.
“Che
bugiardo…” Gli servì un
sorrisetto, disegnando un fiore al lato della propria pergamena.
“Ti piace da
morire compararti alla massa e uscirne vincitore. Se studiassi da solo
sopra
chi ti eleveresti, Signor Oltre Ogni Previsione?”
Tom le scoccò un’occhiataccia, ma lo vide anche
incurvare le labbra in un
sorriso. “La ragazza superficiale con un
cervello…” La apostrofò.
“E il misantropo
con un indole
da romanticone.” Rintuzzò beccandosi uno sguardo
raggelante. “Piuttosto, con
chi ci vai al ballo?”
Tom fece una smorfia, incrociando significativamente le braccia al
petto. “È la
domanda standard delle ragazze, in questo periodo?” Chiese
con un sorrisetto sarcastico.
Ah,
povero Bello e Dannato…
“Tanti
inviti?” Lo prese in giro.
“La tua metà del cielo è arrivata a
tendermi agguati.”
Lily rise, pensando a come Al in quei giorni fosse d’umor
nervoso. C’era dunque
una spiegazione.“Ci vai con la tua piccola amica tedesca,
no?”
“Sì, le farà piacere.” Disse
con il tono di
chi l’aveva ripetuto più volte e
sapeva di fare una buona azione.
Ah-ah.
“Sarà
lei a fare un piacere a te, visto
che non sai ballare.” Abbassò il tono di
voce, perché sapeva quanto
all’altro bruciasse non essere in grado di fare qualcosa.
“Con una dama vera
avresti dovuto imparare, no? Probabilmente un undicenne non si aspetta
che la
guidi sulla pista da ballo… ragazzo astuto.” fece
una pausa. "Pensavo ci andassi con Al, però..."
"Con Albus? Ci va con Rose."
"Ci va con Rosie per farle compagnia..."
"Sì, lo so. E quindi?"
Lily sospirò: Tom a volte era proprio un tragico incapace
nelle relazioni sociali.
Non puoi fare il bello e
misantropo senza essere anche un rincoglionito sociale. Se vuoi la
scopa, ti toccan anche gli scossoni.
Tom la fissò di
nuovo, stavolta con aria indagatoria. E poi fece la domanda per cui
probabilmente le aveva rivolto la parola in
primis.
“Posso chiederti
una cosa?”
“Potrei mai
negarti qualcosa,
Tommy?” Scherzò, anche se un po’ era
vero. La sua prima, notevole, cotta
l’aveva avuta per lui, alla veneranda età di nove
anni. E glielo aveva pure
detto.
Anche
se l’unico risultato che ho ottenuto è stato
vederlo scappare inorridito da Al…
Tom dovette concludere che
era
davvero disposta a concedergli parola, battute a parte.
“Luzhin… tu lo conosci
bene.” Esordì.
Lily confermò con
un cenno
della testa, perplessa. “Sì, certo…
perché?”
Tom rifletté. Si vedeva che cercava di formulare la domanda
in modo da avere la
risposta che cercava. “Ti è mai sembrato
strano?” Si risolse infine, con una smorfia
scontenta.
“Strano?”
Ripeté, sentendo
suonare un campanello d’allarme. Allora non era una sua
impressione, Tom stava davvero
spiando l’amico. “È straniero!”
“No, intendo
dire…” Fissò con
apparente interesse la copertina del suo libro di Trasfigurazione.
“… come se
nascondesse qualcosa.”
“Pensi che stia truccando il Tremaghi?” No, non
pensava quello, stimò Lily. Certo,
Tom era diventato l’assistente di Malfoy e quindi poteva essere quello.
Ma del Torneo in realtà non gliene
importa niente
Non era l’unica ad
essersi
accorta che Sören aveva atteggiamenti singolari, dunque.
Forse
siamo gli unici in tutta la scuola. Io perché…
beh. Si sa. E Tom, perché è un paranoico.
Ma
un paranoico che ha la brutta abitudine di avere
ragione.
“No, non
è quello.” Disse
infatti il ragazzo. “Per esempio, alla Prima
Prova…” Esordì.
“Non c’ero.” Lo anticipò
subito. “Non ci sono andata.” Tom le
scoccò
un’occhiata perplessa. “Sì, beh. Mi sono
addormentata poco prima.” Scrollò le
spalle. Perché adesso la guardava come se volesse
dissezionarla? “Che c’è? Sarò
stata stanca!”
“Non lo trovi strano?” E ancora. Lily
sentì l’irritazione salirle. Non capiva,
in realtà, dove volesse andare a parare. E la cosa non le
piaceva: di mezzo
c’era Sören.
“Vuoi piantarla di
ripeterlo?
Succedono un sacco di cose di cui spesso non si ha spiegazione!
È andata così,
non c’è bisogno di guardarmi come avessi fatto
qualcosa di assurdo!”
“Non ricordi di esserti addormentata.” La
apostrofò l’altro. “Ti sembra normale?”
Lily sentì una
spiacevole
sensazione di disagio. No, non lo era. Ma aveva accantonato quelle
riflessioni
perché portavano a ragionamenti che non le piacevano.
Sentì
l’impulso improvviso di
andarsene. Non voleva entrare nei ragionamenti contorti di Thomas. Gli
voleva
bene, ma non voleva avere nulla a che fare con la storia in cui era
invischiato.
“Non so che dirti,
Tom…”
E
dire che quest’estate non vedevo l’ora di essere
coinvolta nell’azione. Che cretina. L’azione fa
paura.
“Invece penso di
sì.” Ribatté
afferrandola per un polso, forse percependo il suo desiderio di darsi
alla fuga.
“Penso che tu abbia capito che Luzhin ha qualcosa che non va.
Che sta
nascondendo qualcosa… penso che tu possa saperlo meglio di
chiunque altro.” E
serrò la presa, appena, ma a Lily sembrò di
essere bloccata.
“Lasciami
andare.” Disse di
colpo, senza riuscire a trattenersi. L’altro
aggrottò le sopracciglia,
cocciuto. “Non ho niente da dirti su Ren. Per quanto ne so
io, è un ragazzo
perfettamente normale!”
Un ragazzo perfettamente normale
spaventato da qualcosa che non c’entra niente con il Tremaghi.
Un
ragazzo perfettamente spaventato di cui mi sono
innamorata.
La realizzazione –
che poi
tale non era, lo sapeva già – le fece strattonare
il polso via dalla presa
dell’altro.
Tom non amava essere
contraddetto, lo sapevano tutti. Ancor meno amava che le persone non si
comportassero come voleva lui. Cercava di nasconderlo, ma a volte non
ci
riusciva. Come in quel momento, perché tento infatti di
riacciuffarla. “Lily,
mi devi ascolta…” Non finì la frase
perché la ragazza-che-doveva-ascoltarlo
lo schiaffeggiò. A cinque dita.
Tom la guardò
sbigottito,
bloccandosi nell’atto di incomberle addosso.
“Lascia in pace
Ren!” Sbottò,
e poi corse via, tra gli sguardi di tutta la Sala.
****
Lily aveva saputo da Hugo
che
Sören la stava cercando.
Beh,
non proprio.
In realtà il
cugino le aveva
detto che aveva visto il crucco
– Malfoy
doveva averlo contagiato con quella sua fissazione di dare nomignoli a
tutti –
entrare come una furia dentro la scuola. Da solo.
Lily era certa che cercasse
lei per il semplice motivo che, se fosse stata una faccenda del
Tremaghi,
l’amico sarebbe venuto accompagnato dal proprio Direttore.
Quindi sì, Ren la
stava cercando.
E
considerato che non ha ancora imparato ad orientarsi
qua dentro, potrebbe pure essersi perso.
Ovviamente
mancavano solo una manciata di minuti alle inevitabili prove con il
coro della
scuola, e lei saliva e scendeva scale ignorando lo scorrere del tempo.
Era nervosa:
non sarebbe potuta andare alle prove serena se prima non
l’avesse trovato,
accertandosi che stesse bene.
La colpa era tutta di
Thomas,
ormai avviato sulla promettente carriera di stalker pazzo.
Come
se Ren centrasse qualcosa coi suoi problemi! Si
sono a malapena rivolti la parola in quattro mesi!
Guardò dentro
l’ennesimo
corridoio vuoto. A quell’ora gli studenti erano tutti nelle
proprie Sale Comuni
a finire i compiti o fuori ad approfittare degli ultimi minuti prima
del buio;
la luce invernale dava colori quasi spettrali al castello, disegnando
ombre
lunghe e scure.
Lily fece un sospiro,
rassegnata. Probabilmente l’amico si era arreso prima di lei
ed era tornato
alla nave.
Si stiracchiò,
ritornando alla
scale mobili e aggrappandosi con nonchalance ad una particolarmente
vivace.
Tornò al primo piano, diretta con tutte le sue migliori
intenzioni in Sala
Grande.
Se
tardo un'altra volta il Preside mi trasforma in un
canarino per un’intera settimana.
E poi se lo trovò
davanti.
Sören, non Vitious. L’amico era di fronte ad un muro
e lo… fissava?
Lily inarcò le
sopracciglia,
perplessa. Subito dopo capì che non fissava la nuda pietra,
bensì un ritratto.
Lo guardava così
ferocemente
che neppure si era accorto di lei. Sembrava volerlo strappare e fare in
mille
pezzi.
“Ren?”
Lo apostrofò e l’altro
si voltò di scatto, quasi sussultando. “Che stai
facendo?”
“Niente.” Sbottò teso, frapponendosi in
una frazione di secondo – lo vide quasi
pensare – tra lei e il
dipinto. “Che
ci fai qui?” La accusò quasi.
“Ci studio?
È la mia scuola.” L’altro
era tremendamente sulle spine, come se da un momento
all’altro volesse
acchiapparla e portarla via di lì. L’espressione
di urgenza era quella,
perlomeno. “E poi ho saputo da Hugo che eri qui, in giro. Mi
cercavi?”
“Sì.”
Confermò quasi con
sollievo. “Andiamo, voglio vedere le prove del tuo
coro.” E questa era
palesemente una scusa inventata sul momento, pensò Lily,
dato che lo vide
sbirciare gli spartiti che le spuntavano dalla borsa.
“Perché
stavi fermo a guarda
il vuoto?” Gli chiese senza spostarsi di un millimetro.
“Non stavo guardando il vuoto. Non sei in ritardo?”
Sembrava davvero agitato e
Lily per un momento pensò quasi di rinunciare. Per un
attimo, poi la curiosità
la vinse e lo spostò letteralmente di peso. Sören
non poteva fermarla, a meno
di non costringerla. Lo sapevano entrambi.
Nessuno
ferma la mia curiosità divorante.
Nessuno ad eccezione di un
dipinto animato raffigurante Severus Piton.
Oh.
Per. Tutti. I Troll. Della. Gran. Bretagna!
Ammutolì e fu
certa di
assumere un’aria assolutamente cretina: James diceva sempre
che nei momenti di
stupore assoluto sembrava uno scoiattolo arruffato.
James era un idiota, visto
che
lei non assomigliava a nessun maledetto animale della foresta. Ma
comunque.
Severus Piton era
lì. Sveglio,
quando tutti sapevano che il suo dipinto dormiva da decenni. Sveglio e
che la
fissava come a pesarla su una bilancia estremamente sensibile.
Lily arrossì.
Fece in tempo a
far solo quello perché perché l’amico
l’afferrò improvvisamente per un braccio.
“Ce ne andiamo.” Sbottò rabbioso. Detto
questo, la tirò via. Non riuscì a
divincolarsi, a meno di non farsi seriamente male.
“Ren! Ehi,
lasciami! Aspetta!”
Tentò, ripetendolo più volte, ma senza che
l’altro gli desse ascolto. Fecero
praticamente di corsa le scale che collegavano quel piano
all’ingresso di
fronte alla Sala Grande. “Mi fai male!” Gli
urlò infine, perché era vero.
Solo allora
l’altro sciolse la
presa, serrando le labbra. “Io…”
Iniziò, guardandole il polso, su cui
spiccavano cinque segni rossi. “ Scusa…
ho…” Ispirò bruscamente.
“… ho stretto
troppo?”
“Direi!” Esclamò massaggiandosi la parte
offesa, incredula. “Se non ti avessi
dato retta me l’avresti rotto! Ma non sei capace di dosare la
forza?!”
“… non
volevo.”
“Lo
spero!”
Ren esitò e poi,
probabilmente
senza rendersene conto, si portò la mano alle labbra per
martoriarsi un’unghia.
Aveva notato che si mangiava le mani, ma davanti a lei non
l’aveva mai fatto.
Stress?
Lily sentì la
rabbia scemare.
Un pochino, almeno. “Ma
che è
successo?”
Sören aggrottò le sopracciglia. “Ho avuto
una conversazione… spiacevole.” Si
risolse a dire. “Ti fa tanto male?” Disse poi,
occhieggiandole il polso. “Sono
mortificato, non era mia intenzione…”
Continuò frettoloso, come se gli avesse
appena strappato un braccio per darlo in pasto ad un licantropo.
“Non mi fa male, tranquillo.” Mentì
abbassando la manica del maglioncino con
indifferenza. “Però non azzardarti a farlo
più. Ti assicuro che le fatture Orcovolanti
della mia famiglia sono leggendarie.”
Sören le sorrise debolmente e Lily si sentì
disarmata. L’amico aveva un’aria così
abbattuta, che non ebbe più tanta voglia di fargli milioni
di domande.
Con Tom era stato diverso,
le
sovvenne. Tom si era meritato quel ceffone.
Prendersela con
Sören sarebbe
stato accanimento.
“Hai avuto una
brutta
giornata?” Disse invece, mettendogli una mano sulla spalla.
L’altro si
irrigidì, ma dopo una breve pacchetta rassicurante, le
concesse un accennato
rilassarsi.
“Sì,
direi di sì…” Concordò.
“Ho
litigato con Kirill.”
“È
successo anche col ritratto
del Preside Piton?” Tentò, ma l’altro
scosse la testa. “No? Perché pareva di
sì.”
“È…” Chiuse la bocca e la
riaprì. “Non ho voglia di parlarne.”
Tagliò corto.
Ma
non era ansioso di sapere tutto su
Severus
Piton? Come mai adesso sembra il contrario?
“Okay.”
Gli concesse senza
indagare. Per il momento. “Quindi diciamo
che sei venuto per vedermi cantare…” Non ci
credeva minimamente. Ma non era
quello il punto.
“Sì.”
Confermò grato. “Posso?”
Lily sospirò. Tom
si era
meritato quel ceffone, ma non perché era un pazzo stalker e
paranoico.
Ma
perché, come al solito, ha una buona parte di
ragione. Sì, Ren è
strano.
Tommy,
ti odio.
Non voleva pensarci, si
disse
cocciutamente. Non voleva, punto e basta.
Tese la mano
all’altro
ragazzo. “Certo che puoi, e poi canto benissimo e tu dovrai
coprirmi di una pioggia di
complimenti.” Vide che Sören
le fissava la mano esitante. Merlino Benedetto, le persone si
prendevano per
mano continuamente.
“Andiamo?” Gliela
tese di nuovo.
Ne
hai bisogno, qualsiasi cosa ti sia successa. Non ci
vogliono milioni di parole, me l’ha insegnato papà
che a volte basta un gesto.
Sören si decise
infine ad
afferrarla, stringendola piano. Lily
evitò volutamente il suo sguardo, perché sapeva
che la stava fissando di nuovo come se fossero in mezzo ad un deserto e
lei
fosse l’unica persona viva sulla terra.
“Forza, che siamo
in ritardo!”
Stavolta fu lei a trascinare lui, e andò molto meglio.
****
Dormitorio
Serpeverde. Prima di cena.
Tom lanciò uno
sguardo tra
l’avvilito e l’irritato ad Albus, che stava finendo
di scrivere in bella copia
la sua relazione di Pozioni. Ignorandolo.
La guancia gli bruciava da morire e il suo orgoglio non vessava in
condizioni
dissimili.
Schiaffeggiato
sulla pubblica piazza. Questa mi
mancava.
Aveva cercato di trovare
solidarietà
nel più piccolo, ma Al prima l’aveva guardato come
se fosse deficiente, poi gli
aveva detto che se l’era meritato. Aggiungendo come postilla,
che lui, al posto
della sorella, avrebbe lavorato di bacchetta.
“Mi fa male.” Si lamentò,
infuriato dalla mancanza di sensibilità
dell’altro.
Al gli lanciò
un’occhiata
dalla piccola scrivania davanti alla falsa - finestra della stanza.
Fece un
sospiro. “Dai… non è possibile. Sono
passate ore.”
“Invece
sì.” Borbottò,
tenendosi una pezzuola bagnata sulla guancia, unico conforto che gli
era stato
concesso. I pugni di Zabini erano stati meno dolorosi.
Forse
perché Al ti ha curato subito. Mentre stavolta no.
“È solo
uno schiaffo, per l’amor
di Merlino!” Fece un sorrisetto divertito e finalmente si
alzò dalla sedia, per
avvicinarglisi. “Smettila di fare il moribondo sul
letto… hai una soglia del
dolore ridicola.”
“Non è vero. È tua sorella che ha le
mani di uno scaricatore di porto.”
Ringhiò, sentendo l’umiliazione montare di nuovo.
Se non fosse stata Lily,
gliel’avrebbe fatta scontare con gli interessi.
Ma
è la piccola, dolce Lily. Nel caso tu ti volessi
vendicare, ti troveresti addosso l’ira di metà
clan Potter-Weasley ivi
stanziato.
Albus si sedette sul ciglio
del letto, scacciandogli la mano con uno schiaffetto e togliendo il
fazzoletto
ormai asciutto. “Wow.” Ammise. “Bei
segni.”
“Appunto. Se mi restano anche domani giuro
che…”
“Non dire cose di cui ti potresti pentire.” Lo
fermò, alzandosi e cominciando a
frugare nei cassetti. L’ordine di Al, persino quando aveva
una camera tutta per
sé, era tendente al caos. “Dovrei avere una pomata
da qualche parte…” Mormorò
distratto.
“Le ho solo fatto
delle domande.” Riprese
il filo del discorso.
Non che si fosse aspettato totale collaborazione dalla ragazza, ma
perlomeno
che convenisse con lui. Il modo in cui aveva reagito però
gli aveva comunque
dato delle risposte.
Luzhin
nasconde qualcosa, se persino Lily diventa
nervosa.
Al tirò fuori un
barattolo,
lanciandolo in aria e riacchiappandolo. “Sapevo di averlo
ancora! Sarebbe per
le contusioni da caduta, ma andrà bene lo stesso. Dovrebbe
ridurre il
gonfiore.”
Mi
sta ignorando.
“Albus.”
Lo apostrofò. “Ti sto
parlando.”
“Sì, ti ascolto…” Si
risedette, svitando il tappo e cominciando ad applicare la
pomata. “Cosa vuoi che ti dica?” soggiunse
inarcando le sopracciglia. “A volte,
pur essendo intelligente, manchi completamente di empatia.”
“Che significa?” L’unguento aveva un
fresco odore di menta e gli diede
immediato sollievo. Ringraziò silenziosamente la mania di
Al, in quanto
Cercatore Serpeverde, di essere più attrezzato di un
medimago alla Coppa del
Mondo di Quidditch.
L’altro gli rimise
la pezzuola
a contatto con la guancia, intimandogli con un gesto di tenerla
lì.
“Significa…” Iniziò buttando
la pomata dentro il cassetto del comodino,
totalmente a caso. “… che Lily non ti
darà mai retta, anche nel caso remoto
condividesse le tue idee sul tedesco.”
Tom aggrottò le
sopracciglia.
“Perché non dovrebbe?”
Al aveva una gran stima
delle
capacità deduttive del suo ragazzo. Seriamente.
Però a volte Tom non ci arrivava. Poteva capire i punti
deboli di una persona, poteva capire se aveva certi sentimenti per
un’altra. Ma
poi non si evolveva a comprendere le implicazioni del caso.
Un
giorno ci arriverà e diventerà un bambino grande.
“Tom…
l’hai detto tu, tempo fa.
Probabilmente si è presa una cotta per
Sören.” Gli fece notare quietamente.
“Quindi qualsiasi cosa cattiva tu dica su di lui, lei la
prenderà sul
personale. Molto sul
personale.”
“Ma le ho solo chiesto se lo trovava strano!”
“… appunto.” Sospirò,
perché quella fissazione per Luzhin stava cominciando a
diventare pesante. A suo parere, Tom aveva bisogno di trovare un
obbiettivo,
qualcosa di fisico, qualcuno verso
cui indirizzare le sue angosce.
E
non una figura inquietante che trama a miglia di
distanza…
Luzhin era semplicemente lì. Ed in effetti era
sufficientemente
chiuso e sinistro da poter soddisfare i requisiti.
“Ascolta…”
Incrociò le braccia
al petto, meditabondo. Aveva milioni di cose a cui pensare, ma non
appena Tom
chiamava, lui le buttava alle ortiche. Forse non era giusto, ma date le
contingenze, se ne fregava. “… mettiamola
così. L’anno scorso, un sacco di
gente si era accorta che eri completamente fuori di testa.”
“Grazie.” Ma lo sguardo si fece attento.
“E tu eri tra questi.”
“Già… e ti difendevo davanti a tutti,
ti giustificavo. Ti assicuro, non era
facile.” Gli
diede un colpetto sul
fianco, gentilmente. Tom non disse nulla: ci sarebbero voluti anni,
probabilmente, prima di togliergli quell’espressione cupa
dalla faccia davanti
a certi argomenti. “Non capisci? Se una persona ha dei
problemi, e non dico che
Luzhin li abbia… chi gli vuole bene tende a proteggerlo. A
fargli scudo davanti
alla curiosità altrui. Tu hai ficcanasato, e Lily si
è chiusa a riccio, perché
è sua amica.”
“Sì, ha
senso.” Ammise Tom
sfiorandosi con una smorfia la guancia offesa. Poi lo
inchiodò con uno sguardo di
colpo trionfante. “Ma perché difenderlo
così aggressivamente, se non ha
problemi?”
Albus ammutolì, fregato dal suo stesso ragionamento. In
effetti, la reazione di
sua sorella era stata esagerata, non da lei. Lily era una ragazza
impulsiva, ma
non violenta: se passava alle mani, era proprio perché non
ci vedeva più dalla
rabbia.
Tom, intuendo i suoi
pensieri,
si tirò a sedere, chinandosi su di lui con un sorrisetto
vittorioso. “Allora…
le mie fissazioni cominciano ad avere senso?”
Al si umettò le labbra, pensieroso. A lui Luzhin sembrava il
tipico studente
dell’Istituto, niente di più. Aveva interagito con
molti durmstranghiani, prima
come Caposcuola, poi come coordinatore di delegazione; erano tutti
ugualmente
chiusi e poco inclini ai dialoghi rilassati.
Certo
è pur vero che con lui ho parlato una volta sola.
Per il resto, convenevoli.
“Non lo
so.” Concesse. “In
fondo siamo tutti molto tesi per quel che è successo alla
Prima Prova… e
ricordati che Sören è un Campione. Sarà
sotto una quantità di stress enorme.”
Tom fece una smorfia
insofferente. “Si parla di tua sorella, Al.” Era di
certo una bieca tecnica per
tirarlo dalla sua parte, ma c’era anche sincera
preoccupazione nello sguardo di
Tom: era bravo a fingere le emozioni, ma un disastro a nasconderle.
“Lily si è
legata una persona di cui non sappiamo nulla… e dato i tempi
che corrono, dato
quel che è successo l’anno scorso con la
Prynn… Hai piena certezza che i miei
siano soltanto ragionamenti campati in aria?”
Al non ribatté.
Forse era il
momento facesse due chiacchiere con Sören Luzhin,
però.
****
Devonshire,
Casa Potter – Weasley (Il Mulino).
Poco
prima di cena.
La neve si stava posando in
grossi fiocchi nei terreni attorno al Mulino.
Vent’anni esatti prima quel posto era poco più che
un rudere, meno di una casa.
Harry ci era passato davanti durante una passeggiata con Ginny e aveva
pensato
che non gli ricordava affatto la
casa
dei suoi genitori a Godric’s Hollow. Quindi l’aveva
comprata.
Dopo un massiccio restauro
durato quasi un anno, Ginny vi aveva fatto crescere le
giunchiglie¹ più belle e
panciute dei dintorni. James era nato alla fioritura dei primi
boccioli.
Harry amava quella casa
proprio perché non gli ricordava nulla:
a vent’anni aveva voluto una vita nuova, non oberata dai
fantasmi di quella
vecchia. C’era riuscito? Forse.
Osservò
pigramente il giardino,
adesso debitamente coperto da incantesimi permanenti che impedivano al
freddo di
far gelare la terra. Posò una mano sul vetro del bovindo e
disegnò distratto,
seguendo gli arabeschi gelati.
Si sentì abbracciare da dietro. “Ehilà,
Signor Potter.”
“Signora Potter…” Le sorrise, voltandosi
per un bacio e per offrirle un sorso
di the caldo. “Sei arrivata presto, oggi.”
“Non c’è molto da fare in questo
periodo…” Ribatté la donna accettandolo
con un
sorriso. “La stagione sportiva è lontana. Con
questo tempo poi, persino il
Puddlemere ha sospeso gli allenamenti.”
“Il Puddlemere allenato da Baston?”
Chiese
un po’ incredulo.
Ginny rise, appoggiando il
mento sulla sua spalla. “Diciamo che dopo un certo
articolo polemico sui metodi stakanovisti dell’allenatore che
hanno causato infreddature a ripetizione dei titolari, il suddetto si
è messo
una mano sulla coscienza.”
“Incredibile.”
“Vero?” Ginny intrappolò la lingua trai
denti, in un’espressione monella che
gli ricordò sia la loro adolescenza, sia Lily.
“Che dire… a Natale siamo tutti
più misericordiosi.”
Harry abbozzò un
sorriso,
lasciandole il resto della tazza mentre si scioglieva
dall’abbraccio e si
sedeva sul divano, accanto al fuoco.
Il colloquio con
l’agente
Gillespie era stato… illuminante. E preoccupante in ugual
misura. Non riusciva
a smettere di pensarci, nonostante i casuali pensieri dovuti
all’atmosfera casalinga,
capace di rilassarlo anche dopo la più dura delle giornate.
Ginny gli lanciò
un’occhiata
indagatoria, a cui rispose con una scrollata di spalle. Non che
servì: la
moglie infatti gli
si sedette accanto,
facendo scivolare le gambe di traverso alle sue.
“Allora.”
Esordì inarcando un
sopracciglio. “Le mie doti di giornalista sportiva mi dicono
che oggi hai
ricevuto delle brutte notizie sul lavoro.”
“Non ti si può nascondere
nulla…” Sospirò ironicamente.
“Ma no, in realtà non
sono state esattamente brutte. Ti ho parlato di quel nuovo agente di
collegamento americano?”
“Sì, la bella creola.”
Ribattè Ginny con sguardo quieto solo in apparenza. Alla
sua espressione sconcertata, spiegò. “Come ben
sai, mio fratello ha la brutta
abitudine di non pensare quando apre bocca. Hermione mi ha riferito
tutto. L’ha
persino incrociata al Ministero.”
“Ah…”
Deglutì a disagio. “Non
avevo notato fosse attraente. Davvero!”
“Certo, Potter, certo.” Lo canzonò
bonariamente, tirandogli un calcetto.
“Comunque sì, ho presente. Continua.”
Harry si schiarì
la voce.
“Oggi ci ha portato i loro rapporti sulla Thule e…
ne abbiamo discusso. È un’organizzazione
più ramificata di quanto credessi.”
“Più dei Mangiamorte?” Chiese Ginny, che
aveva molti meriti e conoscenze, ma
non nella criminalità magica internazionale. Per fortuna.
“Peggio. Perlomeno, i Mangiamorte avevano un capo
riconosciuto. Lì prendono
decisioni a maggioranza, sono divisi in cellule separate. I livelli
più bassi
non si conosco tra di loro e…” Prese a raccontare
la superfice di quello che
aveva saputo. Ma c’era altro.
Il campo delle
‘supposizioni’
dell’agente Gillespie si era rivelato molto più
interessante delle informazioni
da protocollo.
“Abbiamo
avuto informazioni da una fonte interna,
secondo cui Hohenheim sta prendendo iniziative personali.”
“Personali in che senso?”
“Tutta la faccenda del tuo figlioccio, Harry. È
personale. Il primo tentativo
era combinato con la trafugazione dei Doni. Appoggiato, dunque. Ma
sembra che
questo secondo non sia benedetto dalla maggioranza.”
“Significa che agisce alle spalle
dell’organizzazione?”
“Non proprio. Il Consiglio sa cosa sta facendo e chi sta
impiegando. C’è un
infiltrato, nel Torneo, secondo voci…”
“Che voci?” Ron aveva sempre il merito di rivolgere
la domanda giusta.
“Sempre
il nostro informatore, ma prima che tu me lo
chieda Ron no, non conosciamo la sua identità. I suoi Gufi
non sono
tracciabili.”
“…
va bene. Questo informatore vi ha detto che è lui, e
solo Hohenheim, che vuole Thomas? Gli altri quindi non sono
d’accordo?”
“Gli altri si stanno preoccupando, Hohenheim si sta esponendo
troppo. L’anno
scorso ha perso uno dei suoi gregari più fidati,
Doe… e adesso ha infiltrato
qualcun altro, sembra non chiedendo il parere o il beneplacito del
Consiglio.”
Aveva fatto una pausa. “È un nuovo modus
operandi, quello che sta usando. Non
manda una squadra, ma un solo elemento fedele a lui, più che
all’Organizzazione
stessa. Come ho detto, è personale.”
“Avete
idea di chi possa essere l’infiltrato?”
“No, purtroppo. La vita privata di Hohenheim è
come una cassaforte di una
banca. Inaccessibile se non dal diretto interessato.”
“Non può essersi infiltrato, chiunque sia. Sono
stati controllati tutti gli
addetti al Tremaghi!” Era intervenuto di nuovo Ron.
“Più volte. Gli spettatori,
anche. I professori sono tutti regolari dipenti delle rispettive
scuole. Da
anni! È impossibile che abbia passato i controlli!”
“Allora c’è una falla nella vostra
sicurezza.” Vedendo le loro espressioni
riottose, Ron in testa, si era affrettata a correggere il tiro.
“Oppure si è
nascosto maledettamente bene.”
“Quindi il padre
di Tom è una
specie di cane sciolto…” Interloquì
Ginny aggrottando le sopracciglia. “Non è
una buona notizia, Harry. Tipi del genere sono doppiamente
pericolosi.”
“Lo so.” Confermò guardando scoppiare un
ciocco dentro il camino. “… ma è anche
un vantaggio, da un certo punto di vista. Se la sua organizzazione non
lo
appoggia più, significa che non lo proteggerà. A
quanto mi ha detto Nora, la
Thule funziona bene perché è un meccanismo
oliato, come un azienda. Ognuno ha
un compito.”
“E se qualcuno
devia dal
compito assegnatogli…” Iniziò la donna.
“…
probabilmente prima o poi
commetterà un errore che non verrà
coperto.” Finì per lei Harry, accarezzandole
gentilmente una gamba. “Una volta Luna mi disse che da soli,
non si è mai una
grande minaccia. Ho sempre pensato che avesse ragione.”
Ginny gli sorrise.
“Speriamo
sia vero anche in questo caso…”
Harry la baciò di
rimando.
Speriamo,
sì.
****
Note:
Eh, non proprio un capitolo
allegrissimo. Ma coraggio. Nel prossimo arriva Meike, ci
sarà un bel po’ di
Teddy ‘Ragione e Sentimento’ Lupin, Rose in assetto
da battaglia e si scoprirà
che diavolo ha detto Piton al nostro Ren.
Qui la canzone. Ascoltatela, perché
personalmente, la adoro. *_*
1.Le giunchiglie o
più
comunemente narcisi. Ne ho viste nello stesso periodo in Irlanda, e me
ne sono
innamorata.
Qui la
foto che ho scattato al St. Stephen Green.
|
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Capitolo 39 *** Capitolo XXXVII ***
Capitolo XXXVI
We
won't say ours goodbyes,
we won't break, we won't die
It's
just a moment
of change
All
we are, it's everything that's right.
(All We Are, One
Republic)
22
Dicembre 2022
Hogwarts,
Vascello di Durmstrang.
Sören ormai viveva
in funzione
della routine cabina-allenamenti-Lilian:
era un dato di fatto.
Non che questo lo rendesse
impermeabile
al trascorrere del tempo; sapeva benissimo che al Ballo del Ceppo
mancavano tre
giorni e alla Vigilia due.
La mattina dopo infatti
sarebbe tornato, via Passaporta, a casa di suo zio. Sarebbe tornato ad
Hogwarts
solo per il ballo.
Serrò le dita,
sentendole
graffiare contro il bordo di legno del parapetto della nave; era uscito
sopracoperta proprio sulla scia di quel pensiero…
soffocante.
Non gli era mai piaciuto
tornare a casa per le vacanze. E l’idea di lasciare la scuola
inglese,
stranamente, lo immalinconiva.
Mentre rimuginava cupi
pensieri au contraire attorno a lui
c’era atmosfera di festa. Hogwarts era l’apoteosi
dello spirito natalizio: il
castello era stato decorato da cima a fondo, forse per impressionare
proprio
loro, gli studenti stranieri.
Lily aveva occupato quei
giorni portandolo in giro, mostrandogli orgogliosa le meraviglie
– il più delle
volte sconcertanti, come armature che intonavano carole natalizie
– che avevano
trasformato la scuola britannica in un incrocio tra una grotta del
profondo nord
e un negozio di giocattoli.
Sören aveva trovato
alcune
trovate infantili, ma poi aveva notato le esclamazioni felici degli
studenti
più piccoli e aveva capito. Aveva dunque evitato commenti,
anche perché Lily
condivideva quell’entusiasmo; aveva
infatti passato l’intera settimana a rintronarlo con un fiume
di chiacchiere
sui suoi natali – dimenticandosi che glieli aveva
già illustrati per lettera.
Non a lui, naturalmente. Al vero Luzhin.
Era stato…
piacevole. La
ragazza aveva inoltre preso l’abitudine di prenderlo per mano
e trascinarlo in
giro come un bambino con un pessimo senso dell’orientamento:
se inizialmente ne
era stato imbarazzato, alla fine si era semplicemente abituato.
Era egoista, forse.
Abbeverarsi a quel modo a gesti che in altre situazioni non gli
sarebbero mai stati
concessi: sconvenienti per la sua posizione, impossibili per via di chi
era.
Non riusciva ad immaginare,
difatti, una qualsiasi ragazza prenderlo per mano – per quella mano, poi – sapendo esattamente
chi era.
Lanciò uno
sguardo alla mole castello.
E pensò a quello a cui non aveva voglia di pensare, proprio
perché lo faceva infuriare.
Era un sentimento piuttosto
nuovo, quella rabbia sottopelle, che improvvisamente usciva dal suo
controllo e
lo faceva sbottare, o prendere a pugni gente come Poliakoff.
Se il ritratto di Severus
Piton non fosse stato tela e colori, probabilmente avrebbe preso a
pugni pure
lui.
…
“Le presento il Professor Severus Piton.”
Sören
era rimasto immobile come uno stoccafisso di
fronte all’uomo che ultimamente aveva riempito la sua testa
con pensieri
inopportuni. Non era riuscito neppure a presentarsi adeguatamente ed
era dunque
stato Silente a rompere il silenzio creatosi.
“Bene!”
Aveva trillato il mago più anziano. “Vi lascio
soli!”
E prima che lui o l’altro mago, che sembrava piuttosto
contrariato, potessero
obbiettare Albus Silente era scomparso
dalla tela.
“…
Dov’è andato?” Aveva chiesto
stupidamente.
“Dove
vanno tutti i quadri quando decidono di lasciare
una tela.” Aveva ribattuto Piton lasciandolo comunque nel
dubbio. “Così…” La
sua voce era piatta, ma non priva di carattere. Era come se la tenesse
sotto
controllo. Era la voce di un insegnante. “… lei
è un Prince.” Aveva concluso.
“Da parte di madre.” Aveva risposto pronto.
“È una parentela cadetta, non porto
il cognome.”
“Quanti
anni ha?”
Si era leggermente rilassato all’incalzare di quelle domande.
Ci era abituato.
“Diciassette.”
Diciannove.
“Capisco.” Era stata la
risposta.“Non
ravviso nessuna somiglianza.” Aveva aggiunto poi.
Sören
si era morso un labbro, sentendo
un’incomprensibile fitta di dispiacere.
“È naturale.” Aveva risposto comunque,
ragionevole. “Come ho detto…”
“Aveva bisogno di chiedermi qualcosa, mi ha riferito il
Preside.” Lo aveva
interrotto. Non stava neppure tentando di instaurare una conversazione,
neppure
tramite convenevoli. Era scortese.
Sören
se ne sentì suo malgrado affascinato come lo era
stato in principio dai modi scomodamente diretti di Lily.
“Non esattamente.”
Aveva obbiettato, sentendosi sotto giudizio. Gli occhi di
quell’uomo, per
quanto fosse solo una parvenza, sembravano esaminarlo nel profondo.
“No… in
realtà, ho solo…”
“Se non ha domande che richiedano la mia presenza…
buona giornata Signor
Luzhin.” Lo aveva interrotto di nuovo, voltandosi per
andarsene. Sören si era sentito
preso in giro: se ne stava andando senza alcun riguardo, semplicemente
dandogli
le spalle?
“In
realtà una domanda la avrei.” Lo aveva fermato.
“Naturalmente se non le rubo del tempo.” Aveva
aggiunto, e l’ironia l’aveva
colta persino il ritratto, perché si era voltato con un
sorriso sarcastico.
“Rubarmi
del tempo? Le ricordo che sono un quadro.” È un Prince, come me, aveva pensato Sören sentendo una specie di
calore allo stomaco.
Era
una sensazione molto diversa dalla rassegnazione
che provava quando pensava alla sua famiglia.
“Beh,
Signor Luzhin? Parli. Se io ho tempo, sono certo
che lei non possa dire lo stesso. Un Campione avrà molto da
fare…”
Sören si era umettato le labbra, ignorando la frecciatina.
Lily gli aveva pur detto
che non era una persona piacevole.
Ma non pensavo fosse un uomo
che parla solo tramite sarcasmo.
“Non
ha… mai conosciuto nessuno della nostra famiglia?”
C’era molto, troppo che voleva domandargli. Forse era meglio
iniziare da un
argomento neutro. “Intendo dire, a parte sua
madre…”
L’argomento
non era sembrato tale al quadro, perché
aveva assottigliato lo sguardo. “Signor Luzhin…
per i Prince, io ero un
bastardo. Pensa veramente che qualcuno di loro sia venuto a portare
doni, alla
mia nascita? O che abbia cercato contatti, in seguito?”
Sören
si era sentito arrossire. Nella sua disperata ricerca
di una domanda iniziale, aveva scelto forse la più spinosa.
“Naturalmente… io
non intendevo. Mi perdoni.” Aveva mormorato.
“È solo che non conosco molto del
ramo britannico della mia famiglia.”
“Lo stesso vale per me.” Era stata
l’aspra risposta. Gli aveva lanciato uno
sguardo. La linea amara delle labbra del mago era tesa. Sì,
Lily aveva ragione.
Severus Piton era un uomo difficile. “Ha altri quesiti a cui
non posso
rispondere da sottopormi?”
“Perché ha tradito Voldemort ed è
passato dalla parte della resistenza?” Era
sbottato, e improvvisamente si era reso conto che era quella,
l’unica domanda
che voleva fargli.
Voleva
sapere perché un mago che aveva creduto in
un’ideale – non poteva essere altrimenti, Piton
sembrava un uomo intelligente,
non certo un ottuso gregario – avesse scelto di tradirlo in
nome di
un’amicizia. Al di là della visione romantica di
Lily, lui vedeva altro: un amore
non corrisposto non poteva aver
fatto fare inversione di rotta alla mente di un uomo perché
sì.
Ho bisogno di sapere
perché. Il
perché.
Il
silenzio del ritratto gli aveva fatto arrischiare
un’occhiata. Gli si erano bloccate le parole in gola quando
aveva visto
l’espressione del mago. Era furioso.
“Sono
risposte che può trovare agevolmente nella
melensa carta straccia scritta in mio onore…”
Aveva sputato secco. Alla sua
espressione sconvolta, aveva aggiunto. “Non creda che non
abbia capito il suo
giochetto, ragazzo idiota. Lei non è certo il primo che
vuole farsi raccontare
le mie gesta in prima persona… anche se, ammetto,
è il primo che usa la lacrimevole
scusa della parentela.”
“Non è una scusa!” Era sbottato
incredulo, serrando i pugni. “Ho davvero sangue
Prince!”
“E questo dovrebbe commuovermi? Darle un dispaccio
speciale?” Fece una smorfia
sardonica. Sören aveva sentito un tremito incontrollabile in
ogni fibra nel suo
corpo. Mai, mai era stato trattato in modo così sprezzante.
Persino Doe, con i
suoi lazzi e i suoi soprannomi, aveva saputo quando fermarsi.
“Lei
è maldestro, Signor Luzhin. Può aver convinto
Silente
con questa storiella raffazzonata, ma non me. So benissimo che la
famiglia di
mia madre, al tempo in cui nacqui, contava solo due eredi in grado di
portare
avanti la linea di sangue. Mia madre e un fratello. Nessuna sorella che
andò a
sposarsi Oltre Manica.”
Sören si morse il labbro. Se avesse cambiato la sua versione,
sarebbe stato
sospetto. Se gli avesse raccontato la verità, sarebbe stato
in pericolo.
Aveva
quindi dovuto rimanere in silenzio, mentre il
mago gli lanciava un’occhiata sprezzante.
Svuota la mente. Prendersela
con un quadro è stupido. Non è neppure una
persona vera, ma solo una parvenza.
Perché
allora a stento riusciva a dominare la collera?
Anche
Piton aveva dovuto accorgersene, ma aveva finto
di ignorare la sua espressione.“ Pur le avessi creduto, non
avrebbe funzionato.
Persino la sciocca ultimogenita di Potter ha tentato di venire a
conoscermi…” Aveva
teso una smorfia. “… fortunatamente le difese
dell’ufficio hanno retto.”
“Lily.” Aveva indovinato subito. Una nuova ondata
di collera lo aveva scosso.
Fantastico: da quando non riusciva più a controllare le
proprie emozioni?
Svuota
la men…
Al diavolo.
Stavolta
l’aveva interrotto prima che aprisse bocca. “Non parli
così di
lei.”
Il
mago era sembrato per un attimo sconcertato.
Sicuramente irritato per il suo tono totalmente privo del rispetto che
aveva
cercato di usare fino a poco prima. “Prego?”
Le illazioni di Poliakoff gli erano tornate alla mente. Era stufo di
essere
preso in giro, ingannato, tenuto all’oscuro. E la colpa di
fare la stessa cosa
a Lily lo stava rodendo vivo.
“Ho
detto…” Aveva sbattuto una mano contro il muro per
non fare a pezzi il quadro. “Non si azzardi a parlare
così di lei!”
Poi,
quasi fosse stata chiamata, era apparsa Lily.
Si era comportato in modo
incomprensibile persino a sé stesso. Piton era stato
sgradevole, ma non l’aveva
insultato. Aveva semplicemente supposto che lo stesse prendendo in
giro.
Ha
davvero fatto finta di non notare le nostre
somiglianze? Le ha riconosciute persino Albus Silente!
Non riusciva a capire se
fosse
rimasto più scottato dalle insinuazioni alla sua persona o
da come l’altro mago
avesse apostrofato Lilian. Forse da entrambe.
Forse
è meglio che il mio soggiorno ad Hogwarts sia al
termine…
Quest’atmosfera mi sta corrompendo. Scoppi d’ira
così non ne avevo mai avuti.
Mai.
“Luzhin.”
Si sentì chiamare.
Si voltò per trovarsi di fronte Dionis Radescu.
Replicò con un
cenno della
testa, in allerta.
“È
arrivata una consegna per
te da Hogsmeade.” Gli porse un pacco. Sören lo
prese: per quanto avesse trovato
urticante la conversazione con Piton, aveva seguito l’unico
suggerimento che
gli aveva dato.
Sono
risposte che può trovare nella melensa carta
straccia scritta in mio onore…
“È un
libro?” Chiese l’altro curioso.
Decise che non rischiava
nulla
a rispondergli. “Sì. Non era nella biblioteca
della nave, così ho dovuto
ordinarlo alla libreria del villaggio.” Scartò
l’involucro e ne tirò fuori, un
po’ sconcertato, un grosso volume dall’abbagliante
copertina fucsia.
Radescu ebbe una specie di
spasmo alle labbra, tremendamente simile ad una risatina.
Sören gli
scoccò
un’occhiataccia. “E’ la biografia di
Severus Piton, curata da Rita Skeeter.”
Spiegò. “Mi è stato detto che
è la più completa
sull’argomento.”
Il rumeno prese
un’aria divertita.
“Se ami la cronaca rosa…” Notando la sua
espressione confusa, inarcò le
sopracciglia. “Non conosci la Skeeter? È una
giornalista di qui, molto famosa.
All’estero però credo sia conosciuta
più come biografa. Ad esempio, ha scritto la
biografia, per quanto non autorizzata, di Krum. Viktor
Krum?” Alla sua aria poco colpita sospirò.
“Comunque… il suo
stile non è obbiettivo.” Vedendolo infine
corrucciarsi, aggiunse per buona
misura. “… ma è indubbio che i suoi
libri siano molto minuziosi.”
Sören
annuì, incartando
malamente il libro. La copertina era un’offesa per gli occhi.
Non capisco…
Radescu stava lì,
e stava
chiacchierando con lui come se fossero compagni.
Cosa
vuole da me?
“Mi stai
spiando?” Sbottò.
Avrebbe dovuto essere più sottile, ma al momento non era
dell’umore.
L’altro
serrò le labbra. “No.”
Ribatté secco. “Comunque, di che ti preoccupi? Non
è come se ti denunciassi agli
auror.” Indovinò i suoi pensieri. “La
delegazione è tutta sotto Voto Infrangibile.
Ma immagino tu lo sappia.”
No, non lo sapevo –
pensò Sören sbalordito.
Non che fosse colpa sua, la spada
di
Damocle che pendeva su quei ragazzi, naturalmente, ma…
Perché
stiamo coinvolgendo tutte queste persone? Per
una singola persona mettiamo a rischio tanta gente? Studenti?
La
Thule non si è mai comportata così. Cerchiamo
sempre
il risultato senza meno complicazioni.
E
qui sono pieno di complicazioni.
“Una precauzione
ulteriore…”
Continuò intanto il ragazzo. “Sanno tutti che noi
allievi, oltre ogni cosa o
persona, siamo fedeli al Direttore e alla scuola.”
Durmstrang
über alles¹.
Sören ricordava il
motto dei suoi
sette anni all’Istituto. Era naturale che Radescu, allievo
parte dell’élite,
fosse devoto a tale principio come un soldato lo sarebbe stato al
proprio
comandate; Durmstrang era piuttosto famosa per la sua disciplina ai
limiti del
marziale.
Entri
in un’età dove sei estremamente malleabile,
psicologicamente parlando. Vi resti per sette anni, con contatti minimi
con il
mondo esterno…
Una simile forma
mentis avrebbe potuto toccarlo,
certo. Se non avesse avuto suo zio e la Thule.
Io
ho una fedeltà primigenia. Solo a quella rispondo.
Non riusciva a capire
però perché
Radescu non lo guardasse come facevano gli altri. Non aveva il dovere di essere amichevole con lui.
“Perché?”
Gli chiese.
Ultimamente era una domanda che rivolgeva spesso.
“Perché sei gentile con me?”
Il rumeno gli
scoccò
un’occhiata indecifrabile. “Tu non sei come
Kirill.” Disse. “Kirill è avido e
gretto. È un ratto.” Sören non rispose.
Del resto gli dava ragione su tutta la
linea. “Ti ho osservato.” Continuò.
“Non ho la presunzione di capirti… ma ho
capito questo. Tu sei fedele. E lo
saresti a discapito della tua vita.” Fece una breve pausa,
tirando un sospiro.
“Questo devo rispettarlo.”
Sören
batté le palpebre,
colpito. Il rumeno annuì, quasi a rafforzare la precedente
affermazione. “Te
l’ho detto. So riconoscere un guerriero quando ne vedo
uno…” Poi si fermò,
aggrottando le sopracciglia.
Stava
per pronunciare il mio nome, ma non vuole usare
quello falso..
“Mi chiamo
Sören. Il mio vero
nome, intendo. È … Sören, lo
stesso.” Mormorò.
“Sören.”
Confermò quello.
Lanciò uno sguardo al castello. “Spero che, per
quanto i tuoi fini siano altri,
terrai alto l’onore di Durmstrang. Dopotutto, sei stato uno
di noi.”
Si trovò ad
annuire. “È mia
precisa intenzione.”
L’altro gli fece
un cenno
della testa, un commiato. “Buona lettura.”
Aggiunse, indicando il libro. Poi
rientrò sottocoperta.
Sören
sospirò.
****
Londra,
Ministero della Magia.
“Ti ringrazio per
essere
venuto…”
“Figurati Tom, ci mancherebbe altro!”
Tom fece un mezzo sorriso alla figura del padrino, appena uscito da uno
dei
tanti ascensori del Ministero.
Sopportò di buon grado la pacca maschia che ne
conseguì: non avrebbe mai
apprezzato simili dimostrazioni, ma poteva fingere
di farlo.
Era il minimo se Harry
perdeva
tempo ad accompagnarlo fino all’ufficio del Trasporto Magico,
sezione Passaporte,
dove avrebbero riscontrato Meike in arrivo dalla Germania.
Harry lo
affiancò, passandosi
stancamente una mano dietro la nuca. Aveva l’aria di chi
stava pensando a
tutt’altro: lo poteva capire. Al di là della
quieta contentezza che provava
all’idea di rivedere quel folletto teutone, non dimenticava
l’episodio con Lily
di pochi giorni prima.
E
se persino Albus non ha tentato di dissuadermi dalle
mie ‘deliranti idee’ stavolta… se
l’ho convinto…
“Allora, come va a
scuola?”
Chiese il padrino, facendogli cenno di entrare in uno degli ascensori
appena
liberatisi. Dettò il piano al funzionario addetto e poi gli
scoccò un’occhiata.
“Bene…
nulla di diverso
dall’ultima volta che ci siamo visti.”
Scrollò le spalle, togliendosi la sciarpa
e piegandola accuratamente nella tasca del cappotto. “A parte
l’aumento
esponenziale di decorazioni, si intende.”
Harry ridacchiò. “Ah, mi ricordi i Natali ad
Hogwarts… magici!”
“Mh.” Non commentò di rimando; tutta
quell’overdose di colori, luci e carole
natalizie non erano nelle sue corde, e questo sin da bambino.
Forse
è il trauma delle molteplici festività alla Tana?
Naturalmente Albus era
elettrico, da bravo adepto del Clan: da giorni trotterellava in giro
per i
sotterranei con un maglione con un grosso abete sopra; né
lui né Zabini erano
riusciti a dissuaderlo dall’indossarlo.
La
cosa peggiore è che nessuno lo prende in giro. Con
tutte le cariche che ricopre gli altri sono terrorizzati
dall’eventualità che
tolga punti a Serpeverde per ‘oltraggio a scolastico
ufficiale’.
…
preferivo quando lo prendevano in giro.
“Lils…
uhm. Lei come se la
passa?”
Tom lanciò un’occhiata interessata al padrino.
L’uomo aveva la solita
espressione di tranquilla gentilezza stampata in faccia, ma vide un
leggero
nervosismo trapelargli sulle labbra.
“È
molto eccitata per il
Ballo, come puoi immaginare…” Osservò
neutralmente, spiandone le reazioni. “…
del resto, andrà accompagnata dal Campione di
Durmstrang.”
“Sì, lo so, non parla d’altro da un
mese.” Si schiarì la voce. “Sai, non
conosco il ragazzo… che tipo è?”
Ho
già sentito questa domanda… vediamo, dove? Ah,
sì.
Da me.
Solo
che qui è semplice gelosia paterna, palese e terribilmente
tale.
Sospirò: Harry
aveva già
troppe gatte da pelare, senza i suoi sospetti volatili su Luzhin: e
poi, a
dirla tutta, aspettava il parere definitivo di Albus sulla faccenda.
Sapeva
sarebbe arrivato presto, ora che aveva messo la pulce
nell’orecchio dell’altro
serpeverde.
“Luzhin
è… riservato.”
Eufemizzò. “Al di là dei meriti che lo
hanno portato a ricoprire la sua
posizione dicono tutti sia piuttosto noioso.”
Harry sembrò
rilassarsi.
“Noioso?” Chiese però confuso;
conoscevano entrambi Lily: poteva essere una
ragazza cordiale con tutti, ma in genere non mostrava particolare
interesse per
tipi alla Percy Weasley.
“Non è
tipo da stare al centro
dell’attenzione come Malfoy, ecco tutto.”
Ghignò del sorrisetto divertito
dell’uomo. “Comunque sta soprattutto con Lily e i
suoi amici, non lo conosco
bene.” Harry gli fece un sorriso di assenso, mentre le
mascelle meccaniche
dell’ascensore si aprivano con un cigolio.
Il Dipartimento del
Trasporto
magico era … spazioso. E
l’aggettivo non
gli rendeva giustizia, dato che serviva come punto di arrivo e di
partenza per
tutte le Passaporte Nazionali per la e dalla Gran Bretagna. Non essendo
facile
ottenerne una – chili e chili di scartoffie burocratiche
– i viaggi oltre
Manica era piuttosto rari, e organizzati sempre in gruppi. Quella di
Meike era
la Passaporta da Schwerin² delle undici e mezzo.
Guardò l’orologio.
Una
decina di minuti…
Harry lesse l’ora
sporgendosi
dalla sua spalla. “Oh! Manca poco…”
“Già.”
Il padrino lo condusse
attraverso un grosso arco di pietra; passatolo, si aprì
davanti a loro un’enorme
superficie, grande come la sala d’ingresso di Victoria
Station. Anche le
piattaforme d’attesa ricordavano vagamente quelle di una
stazione: solo che al
posto dei binari c’erano quadrati erbosi riempiti di cuscini.
Continuo
a pensare che i trasporti magici dovrebbero
essere decisamente aggiornati.
Meike non aveva mai preso
una
Passaporta internazionale: l’atterraggio non sarebbe stato
dei migliori.
“Ecco…
quella dovrebbe essere
la piattaforma dalla Germania.” Indicò Harry con
aria incerta. Arrivati risultò
fortunatamente essere quella giusta.
Tom diede
un’ennesima occhiata
al suo orologio babbano, ignorando il sorrisetto benevolo del padrino.
Sette
minuti…
Il giorno prima, finalmente,
era
arrivata una lettera da Cordula. Ovviamente poche righe, ma aveva avuto
il
potere di farlo infuriare e preoccupare in ugual misura.
Quando l’aveva
tradotta per
Albus perlomeno aveva avuto supporto altrettanto veemente.
Caro
Stronzetto,
ti
sembra
che abbia valuta magica? Come diavolo hai potuto pensare che potessi
pagare un
gufo per risponderti?
Per
fortuna Meike aveva qualche spicciolo e così ecco qua.
Si trova male a Durmstrang e quindi sì, voglio che si
trasferisca da voi il
prossimo anno. Non dare retta alle palle che si inventerà.
So
che te
ne occuperai, perché ti conosco.
Stammi
bene, stronzetto. E buon Natale.
Cordula
PS:
Salutami il tuo ragazzo, la famiglia e quell’eroe.
La vecchia Wollin aveva
avuto il
dono, in poche righe, di riassumere mesi di lontananza.
E
mi conosce ancora alla perfezione.
Toccò con la
punta delle dita
la lettera, dato che l’aveva messa in tasca; non pretendeva
di conoscere gli
usi e costumi di Durmstrang – quel poco che sapeva era per
sentito dire, sui
libri si trovava ben poco a proposito dell’Istituto. Ma era
chiaro che i suoi
dubbi circa la politica che la scuola nordica usava con le minoranze
magiche
erano fondati.
Ancora
una volta, ho ragione.
Guardò di nuovo
l’orologio.
Cinque
minuti. Ma che diavolo ha che non va il tempo?
Fece
uno sbuffo spazientito,
ovviamente udito da Harry, che ridacchiò.
“Non essere
impaziente…” Lo
ammonì scherzosamente.
“Non lo
sono.” Replicò secco.
“Ci sono novità sul caso?” Chiese per
farlo smettere di sogghignare. L’uomo
infatti perse il sorriso e prese un’aria attenta.
“Sì, in
effetti.” Sospirò.
“Pare che le tue sensazioni sulle intenzioni di tuo padre non
fossero
sbagliate. È una cosa
personale.”
E tre. Ultimamente sono pieno di ragione.
Si sentì correre un lungo brivido ghiacciato lungo
la schiena.
Assentì quieto,
lisciando le
frange della sciarpa verde-argento. Erano tremendamente
attorcigliate… e quella
era una macchia di cioccolato?
Fantastico. Ho preso quella di Al.
“Non sappiamo
ancora perché tua
padre sia così ossessionato da te.” Aggiunse
l’uomo. “O meglio, è immaginabile.
Sei suo figlio…”
“Allora perché concentrare gli sforzi solo adesso?
Diciott’anni fa³ non lo ero?”
“Forse perché ti ha trovato, solo adesso.
Ricordati che sei cresciuto nel mondo
babbano…”
“Di questo non
potrò mai
ringraziarti abbastanza…” Fece una pausa
all’aria sbigottita dell’uomo.
“… odio
il rock magico.”
Harry scoppiò a
ridere e Tom
suo malgrado sorrise. Detestava quando gli altri si preoccupavano per
lui.
Mi
irrita.
Un improvviso lampo
squarciò
la piattaforma e dovettero distogliere lo sguardo, abbacinati. Quando
Tom si
riabituò a non sentirsi cieco, sentì una vocetta
sopra tutte. Che chiamava il
suo nome.
Si alzò di scatto
in piedi,
mentre la figurina bionda di Meike si liberava dell’impaccio
di due grossi
cuscini per corrergli incontro, mollando dietro di sé armi e
bagagli.
Sì, era il suo
folletto di
Rügen: capelli biondi, milioni di lentiggini ed enormi occhi
verdi. C’era
tutto, come se non fossero passati che pochi giorni da quando gli
saltellava
attorno chiedendogli di scaldarle l’acqua
dell’oceano.
Fu preparato all’assalto dell’undicenne. Si
chinò per afferrarla e tirarla su e
fu gratificato da una risata contenta. Quando la strinse –
c’era ovviamente un
motivo per quel suo
slancio affettuoso fuori copione - sentì quant’era
magra sotto i vestiti.
Darò
fuoco a Durmstrang – pensò
ferocemente, mentre si faceva arpionare il
collo dalle braccia della bambina. “Tom!”
Gli strillò nelle orecchie. “Sei venuto! Mi sei
mancato tanto! Il viaggio è
stato stranissimo! Hai visto come sono atterrata bene?”
Continuò in un fiume di
tedesco che cercò di assorbire frastornato.
“Dicono che la prima volta ci si fa
un sacco male!”
“Sì,
sei stata brava…”
Convenne dandole una pacchetta sulla schiena. Era troppo
magra. Non poté analizzarle l’anatomia del viso,
dato che lo
teneva saldamente conficcato nella sua scapola, ma aveva già
la sua diagnosi.
Durmstrang l’avrebbe pagata. “Hai fatto buon
viaggio?”
“Te l’ho detto! È stato troppo
strano! Però mi è piaciuto!”
Replicò, tirandogli una ginocchiata nelle costole
tentando di assestarsi. Avrebbe dovuto far notare a lei – ma
anche ad Al – che
non c’era bisogno di procurargli lividi e abrasioni per
dimostrargli affezione.
Non
adesso però.
Vide con la coda
dell’occhio
Harry con il sempiterno sorrisetto urticante prendere i bagagli. Lo
ignorò; in
compenso la bambina finalmente si degnò di guardarlo in
faccia.
Cordula doveva averla
rimpinzata fino al collasso, ma comunque non aveva potuto riempire le
guance
che ricordava molto più piene e lentigginose.
“Tom!”
Emise contenta.
Immediatamente dopo gli occhi le si riempirono di lucciconi e prese a
singhiozzargli
sulla spalla.
Cosa
diavolo…
Lanciò uno sguardo preoccupato al padrino – terrorizzato,
lo avrebbe poi descritto Harry alla moglie, la sera stessa.
“Meike,
cos’hai? Ti senti male?”
Chiese, senza avere risposta. Forse era per la materializzazione? Si
era fatta
male?
Harry si
avvicinò,
accarezzandole la testa solo come i padri sapevano fare,
“È solo stanca… È
stato un lungo viaggio, non è vero?” La bambina
fece un piccolo assenso,
tirando su con il naso. “Forse è meglio se la
portiamo subito a casa dei tuoi…”
Aggiunse.
Tom annuì, e nonostante le sue braccia non fossero fatte per
portare bambine
piangenti, glissò e seguì il padrino verso gli
ascensori.
Persino arrivati alla
macchina
Meike si rifiutò di mollare la presa e così non
gli restò che sedersi dietro
con la bambina sulle ginocchia, quando di solito preferiva il sedile
accanto al
guidatore. Da solo.
“Cos’ha?”
Chiese al padrino
una volta che si fu addormentata, all’altezza di Claygate:
dopo un paio di
commenti sui campi sotto di loro che sembravano coperte patchwork, gli
aveva
posato la testa su una spalla ed era crollata di botto.
Era una fortuna che la
delegazione di Durmstrang fosse ancora ad Hogwarts.
Così
potrò affatturare quel figlio di puttana del loro
Direttore. Non era presente? Non ha importanza.
Uno
paga per tutti.
Harry gli lanciò
un’occhiata
poi sorrise alla sua aria temporalesca. “Troppe emozioni,
penso. È tanto tempo
che non ti vede, dopotutto.”
“Ridicolo. È chiaro invece che Durmstrang
l’abbia traumatizzata.”
Harry ridacchiò. “Ha undici anni … e
forse sì, non si è trovata bene. Ma le
passerà, ora che è con te.”
“Non tornerà laggiù.”
Replicò serrando la mascella; Cordula gli aveva dato un
compito e di certo non aveva intenzione di disattenderlo.
Dovessi
mettere sotto imperio qualcuno.
Harry gli lanciò
una seconda
occhiata. “Al mi ha già parlato della sua
situazione. Faremo il possibile.”
“Non è abbastanza.”
L’altro alzò gli occhi al cielo. “Lo
sarà, Tom… ora pensiamo a farle passare
delle belle vacanze.”
Suo malgrado, dovette
acconsentire.
“Cerchiamo di
passarle tutti…”
Aggiunse con un
sospiro. Tom non rispose
subito, preferendo assestare Meike su una posizione più
comoda. Per entrambi.
Ci rifletté, e non se la sentì di fare il cinico.
“Faremo del nostro
meglio.”
Harry gli sorrise.
****
“Ehi,
Malfoy!”
Scorpius si voltò, rischiando di perdere l’assetto
e ruzzolare giù per le scale
che collegavano la Torre al Sesto Piano.
Ma del resto, se era Rose a chiamarlo, era disposto anche a fratturarsi
un
osso. Più o meno.
Si voltò
dunque.“Ehi Rosie.”
Sorrise di rimando. “Finite le lezioni?”
Quel giorno era ufficialmente terminato il trimestre. Scorpius si
sentiva di
umor allegro, anche se il suo assistente aveva lasciato il castello
anzitempo portandosi
dietro gli appunti che avevano preso.
Mostro
il cuore non gli occhi. Nel mio cuore, al
momento, c’è molto odio per Dursley.
La ragazza annuì.
“Sì,
Aritmazia era l’ultima… Il professor Finch
-Fletchley ci ha caricato di
compiti.”
Scorpius annuì,
chiedendosi
perché Rose avesse comunque l’aria soddisfatta.
“Uhm, sei contenta per la mole
di compiti?” Indagò.
Rose fece una risatina divertita. “Non esagerare, neanche io
sono così
secchiona.”
“Giuusto… quindi?”
“Non noti niente di diverso?” Chiese con un
sorrisetto incoraggiante. Scorpius
la scrutò, cominciando a sudare interiormente.
Per
tutti i troll. Quando le ragazze dicono così
c’è sicuramente
qualcosa. Solo, cosa?
Forse
i capelli? No, non mi pare… e non porta più
quella trappola babbana ai denti, l’ha tolta al
Quarto anno. Quindi…
Rose guardò
divertita
l’espressione di Scorpius accartocciarsi nel dubbio.
“Taglio di capelli nuovo?”
Tentò angosciato. Alla sua espressione, aggiunse in fretta.
“Oh, ti prego, non
odiarmi! Non ne ho idea!”
“Deficiente, non ti odio per così
poco…” Sospirò, sentendosi
improvvisamente a
disagio. Non era stato facile averlo trai piedi in quelle settimane
volendolo
ma dovendo aspettare, come per ogni buon piano.
La
mia attesa è finita, domani torno a casa. Papà
non
potrà sfuggirmi.
“Okay…
dunque.” Borbottò
l’altro contrito. “Dai, cosa? Non ci
arrivo!”
“Va bene, ti do un indizio. Petto.”
“… ti sei incantata le tette?”
Rose non seppe se scoppiare a ridere o ucciderlo a colpi di borsate sui
denti. Tirò
un lento sospiro, poi indicò la porzione di stoffa sotto lo
stemma di
Grifondoro, dove faceva mostra una nuova spilla, ben più
grande e con diverse
iniziali rispetto a quella di prima.
“Caposcuola!”
Esclamò l’altro, colto finalmente da
illuminazione.
“Sei diventata Caposcuola!”
“Ho una buona media ed ero già un Prefetto.
Praticamente ho spazzato via la
concorrenza.” Spiegò, quando in realtà
la concorrenza non si era neanche fatta
viva.
La
candidatura più facile della storia della scuola. Il
Preside mi ha quasi ringraziata.
Scorpius le fece un gran
sorriso. “Ottimo lavoro Weasley!” Poi fece un
buffo movimento indeciso. Era
chiaro volesse abbracciarla, ma c’era quella cosa della pausa
addizionata dal
fatto che doveva fare il principe azzurro irraggiungibile.
E
poi, siamo inglesi. Non abbracciamo granché.
“Malfoy, non
stiamo assieme,
ma siamo amici.” Ribatté, complimentandosi per il
tono colloquiale che le uscì.
“Penso che un abbraccio di congratulazioni vada bene in
questi casi.”
Scorpius sembrò rilassarsi, e la strinse stupendamente a
sé. Per quanto avesse
mediamente le mani gelate, sapeva abbracciare come nessun altro.
Beh,
suppongo il fatto che voglia mettergli le mani
addosso aiuti…
Si beò
virtuosamente del
contatto e ignorò elegantemente il suo bisogno di baciarlo a
morte quando si
staccarono. “Allora… domani torni a
casa?”
Scorpius annuì.
“Potevo anche
restare qui per il banchetto della Vigilia, ma voi non restate e mia
nonna ci
tiene che ci sia per le feste. Poi sai, scartare i regali a mezzanotte
da noi è
una specie di rito. Un po’ ingessato, ma siamo tutti
ingessati. Siamo Malfoy.”
Blaterò come suo solito.
Rose ascoltò a metà, anche perché
aspettava solo l’imbeccata. Passò quindi le
dita sulle cinghia della borsa. “A questo
proposito… io vado domattina, e visto
che stasera in Sala Comune ci sarà tutta
Grifondoro…” si schiarì la voce
all’aria perplessa dell’altro. “Vorrei
darti il mio regalo. Adesso.”
“Regalo…”
mormorò l’altro. Poi
gli occhi gli si accesero di una luce maniacale.
Bingo.
Era universalmente nota,
dalla
Vigilia prima, l’autentica fissazione che Malfoy aveva per i
regali di Natale.
Ed
io ho intenzione di sfruttarla.
“Pensavo me li
mandassi per
posta come gli altri!” Esclamò, puntandole la
borsa come un segugio da caccia.
“Ma va bene lo stesso! Anzi, meglio! Posso aprirlo ora?”
Rose sospirò con aria paziente, come se fosse indecisa,
frugando nella borsa.
“Dovresti aspettare …”
“Va bene comunque,
se mi dai
il permesso!” La fermò. “Posso
assicurarti che è una legge non scritta del
Natale!”
“Che bugiardo.” Sbuffò, poi gli tese il
pacchetto. “Va bene, dai. Ma vedi di
trovarmi un regalo adatto da spedirmi via Gufo.” Aggiunse,
mascherando l’ansia
all’idea che non glielo avesse fatto.
L’altro si
congelò, con la
mano tesa.
Come
pensavo, visti gli ultimi sviluppi è normale… - pensò, sentendo un dolore
sordo al petto.
“Il tuo
regalo!” Sbottò invece l’altro.
“Hai ragione! Vado a
prendertelo! Così ce li scambiamo!”
Annunciò, prima di voltarle le spalle e
scappare verso la Torre di Grifondoro.
…
okay. È pazzo.
Rose dovette frenarsi da
ridere dal sollievo: c’erano un po’ troppi ritratti
che avevano seguito il loro
scambio di battute con aria interessata.
Non fece in tempo a
chiedersi se
si fosse ammazzato per le scale a chiocciola del dormitorio, che
l’altro tornò
col fiatone e un pacchettino stritolato in mano.
“Eccolo!”
Annunciò trionfante.
“Te l’ho… ehm, comprato mesi
fa.” Aggiunse per buona misura, perché lei lo
stava ancora corteggiando.
Argh.
“Okay…
ed ecco il tuo.” Glielo
tese, prendendo poi il maltrattato pacchetto. “Inizia
tu.”
Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte: si liberò
della carta con una
furia primitiva.
Tipica
dei bambini viziati…
Non
riusciva a trovarlo un difetto,
neppure quello.
Stadio
terminale.
“Sono occhiali,
Malfoy…”
Sospirò all’aria perplessa quando li
tirò fuori. “Occhiali da
sole babbani.” Specificò mentre questo
cercava di pulire le
lenti, ignaro del fatto che non fossero sporche, ma nere.
“Servono durante le giornate di sole. Visto che ti ostini a
stenderti a pelle d’orso sull’erba senza nessuna
protezione…”
Scorpius, capitone la
funzione, li indossò immediatamente. “Sono
meravigliosi!” Esclamò. “Non ci vedo
un tubo, li indosserò per il Ballo!” Aggiunse
senza logica. “Saranno perfetti
con il completo.”
Ah,
ecco. Il completo meraviglioso che nessuno ha
ancora visto. Tremo.
“Si
usano all’esterno, non dentro un
castello.” Glieli raddrizzò, sentendo
un’ondata d’affetto sommergerla. La
tacitò a colpi di forza interiore. “Comunque non
credo che la tua dama apprezzerebbe
…”
Quella
vacca francese.
“Ma
tu sì!”
Seguì un silenzio
scomodo.
Rose ebbe l’impulso di sbattere la testa contro il muro.
Non
dirmi certe cose quando poi vuoi che stiamo lontani,
stupido idiota!
“Malfoy…”
“Scusa.” Intuì, avendo il buon gusto di
sembrare imbarazzato. “Non apri il
tuo?” chiese poi, pieno di aspettativa. Rose
sospirò, glissando sul battito accelerato
del cuore. Scartò il pacchetto con la stessa furia
– okay, forse Malfoy non era
viziato.
Era una collanina con un
ciondolo smaltato di bianco, e il ciondolo era a forma…
“È un
fiore di cactus. Prima
di andare in gioielleria mi sono informato sulla forma. Insomma, non
è un fiore
che si usa molto, per… le collane.”
Borbottò l’altro, sempre con quegli stupidi
occhiali addosso.
Il Piano di Violet prevedeva
che Rose avrebbe finito per sedurlo, o saltargli addosso. Lui, allora,
magnanimo – e interiormente felicissimo – avrebbe
acconsentito. Risultato:
storia vissuta alla luce del sole e vissero tutti felici e contenti.
‘Vedrai
Scorpius, la tua Weasley non potrà resistere a
lungo… e non sarai tu, stavolta, a corrergli dietro come un
povero scemo.
Certo, poi forse tuo padre ti
diserederà…’
Il resto del discorso non
l’aveva ascoltato.
Il problema di tutta la
strategia, Scorpius se n’era accorto solo dopo,
era uno.
Non
abbiamo calcolato la fibra morale di Rose.
Gli aveva promesso
che avrebbe messo le cose a posto con suo padre, prima di
riprendere la loro storia.
Sfortunatamente
quel cavolo di pel di carota si è reso
irrintracciabile!
Il che significava che lui
non
poteva riprendersela perché aveva messo su tutto quel
teatrino e lei non si
sarebbe mossa finché non avrebbe risolto le cose con quel
rompipalle.
Tradotto.
Più di un mese.
Non che non avesse accolto
volentieri
quella pausa: gli era servita per far chiarezza dentro di
sé.
Anche
sa avrò un suocero orripilante, so che
è lei la
donna che voglio accanto per il resto della mia vita.
Anche perché solo
la donna
della sua vita avrebbe guardato quel ciondolo con gli occhi pieni di
lacrime.
“… ti
piace?” Chiese, sapendo
bene la risposta. Le donne non piangevano quando detestavano un regalo.
Quelle
che aveva conosciuto lui, di solito te lo tiravano in testa o lo
distruggevano
a parole.
“È…
ehm.” L’altra si schiarì la
voce. Tre volte. “Devo andare.”
“Non lo indossi?” Le chiese. “Ti aiuto ad
allacciartela se vuoi!”
“Devo.
Andare.” Scandì
stringendo la collanina in pugno e poi scappando a gambe levate in
direzione
opposta alla Torre. Curiosamente, verso i sotterranei.
Ah,
dove c’è mini – Potter. Una
chiacchierata tra
ragazze è un buon segno, giusto?
…
non è che ho sbagliato a questo giro?
****
Albus si
stiracchiò, risalendo
la via dai sotterranei all’ingresso principale.
Rose era la sua cugina
preferita ma a volte ricordava perché fossero in Case
diverse; in effetti,
soltanto una grifondoro avrebbe potuto irrompere nella Sala Comune di
Serpeverde chiedendo di lui come se fosse questione di vita o di morte,
salvo
poi rivelarsi banali problemi di cuore.
Pensavo
che Zabini l’avrebbe affatturata. Odia quando
viene interrotto durante una partita a scacchi.
Si era davvero rischiato
l’incidente diplomatico, ma per fortuna un paio di scuse a
Michel e l’aver
trascinato Rose in camera sua, ben lontana da qualsivoglia serpeverde,
avevano
risolto la faccenda.
Malfoy
è un sadico comunque… darle un regalo del genere
e poi volere solo amicizia?
Forse
dovrei farci una chiacchieratina…
Non che avrebbe funzionato;
l’altro
grifondoro era repellente a qualsivoglia minaccia o avvertimento.
O
non sarebbe amico di di quella capra di Jamie.
Si stiracchiò di
nuovo: quella
notte aveva dormito male. Decisamente
male.
Era un po’ imbarazzante, ma ormai per avere sonni
confortevoli doveva avere Tom
tra le lenzuola. E l’altro era andato via il giorno prima,
per recuperare Meike
e, supponeva, passare tempo extra in famiglia.
Non
che lo ammetterebbe mai…
Salutò con un
sorriso un paio
di studentesse che lo guardarono con risolini pieni di significato.
Oh
- oh.
Si sentì
congelare il sorriso
sulla faccia.
Mi
sa che non si è ancora chiusa la caccia al
cavaliere…
Accelerò
l’andatura, onde evitare di
essere placcato: aveva chiesto a Lily di spargere la voce che aveva
già una
dama, ma sembrava non aver funzionato.
Certo,
non sono stato praticamente molestato com’è
successo a Tom, e non ci sguazzo neppure come Mike… ma
insomma. Non capiscono
che non sono interessato?
Lily gli aveva assicurato di sì, ma aveva aggiunto
che per alcune ragazze i
suoi orientamenti sessuali erano un dettaglio insignificante. Il suo
cognome,
il suo aspetto e le sue cariche, au
contraire, estremamente appetibili.
Specialmente
per le Corvonero e naturalmente, per le
ragazze della mia casa.
Svoltò
bruscamente l’angolo e
questo gli permise di trovarsi praticamente ad un paio di passi Luzhin,
che si
stava allacciando il cappotto, pronto ad affrontare le intemperie
esterne.
Deve
essere stato a trovare Lils…
Non ci rifletté
tanto prima di
raggiungerlo. “Sören!” Esclamò
affiancandoglisi. “Cercavo proprio te!”
Il tedesco sembrò
sorpreso di
vederselo apparire affianco. “Albus…”
Esordì, senza saper cosa aggiungere. Non
che avessero rapporti tali per giustificare quel piglio amichevole.
“Sì, ehm, ciao.” soggiunse frettoloso,
lanciando uno sguardo alle sue spalle.
Erano aumentate? Erano aumentate. E ora stavano puntando persino il
durmstranghiano!
Ma
se Lily ha urlato ai quattro venti che è il suo
cavaliere? Avvoltoi!
Sören
sembrò intuire la fonte
delle sue preoccupazioni, dato che sembrò altrettanto a
disagio. “In cosa posso
esserti utile?” Chiese comunque con cortesia.
“Si dà
il caso che abbia…”
Pensò velocemente. Voleva andare a controllare Fanny, prima
di tornare a casa,
e sapeva che ogni tanto si faceva vedere alla Capanna di Hagrid.
“Vorrei andare
dalla mia fenice.” All’aria sbalordita
dell’altro, aggiunse. “Sì, ne ho una.
Cioè, ne conosco
una… solo che ho
dimenticato la mia bacchetta in camera e affogherei nella neve prima di
arrivare alla Capanna del Professor Hagrid. Mi
accompagneresti?”
Il ragazzo sembrò
valutare la
richiesta. Gli occhi passarono da lui al gruppetto di ragazze
ridacchianti.
“Sì, ci
stanno puntando.” Convenne
Al con aria seria. “Siamo prede.”
Luzhin parve piuttosto angosciato dalla cosa. “Molto
volentieri.” Borbottò,
facendogli cenno di fargli strada.
Uscirono
dall’ingresso
principale in fretta, seguiti da mormorii di delusione. Suo malgrado,
Al fece
una risatina divertita.“Merlino, va bene che ci sono
più streghe che maghi a
scuola… ma sono davvero…”
“Spaventose.” Terminò sorprendentemente
il tedesco, aggrottando le
sopracciglia. “Io ho già
una dama.”
“Anche io! Ma suppongo siano arrivate ad attentare persino ai
cavalieri
occupati…” Fece una sorriso, a cui
l’altro rispose con una smorfia. “Ma non
preoccuparti, mia sorella difenderà il presidio!”
La reazione di Luzhin fu solo un lieve rossore in zona guance e collo.
Rimasero in silenzio
attraversando il cortile centrale. Poi Luzhin tirò fuori la
bacchetta e cominciò
a sciogliere la neve alta e compatta – ben due piedi - che
imbiancava il
sentiero per la capanna di Hagrid.
“Ti
ringrazio.” Esordì Al dopo
un po’ mentre le parole di Tom gli rimbalzavano tra le
sinapsi.
Lily
sta frequentando una persona di cui non sappiamo
nulla…
Lily stessa aveva smesso di
parlarne a getto continuo. Il che era… strano.
“Nessun
problema.” Replicò
l’altro concentrato nell’incantesimo scongelante.
Albus si
mordicchiò un labbro,
stringendosi le braccia al petto. Il freddo e il vento non aiutavano la
conversazione, ma doveva parlare. Doveva capire.
Stranamente, fu Luzhin a
riprendere la conversazione. “Così hai una
fenice…”
“Ehm, non è che la possiedo. Siamo
amici.” Si schiarì la voce all’occhiata
confusa dell’altro. “L’ho vista per la
prima volta l’anno scorso e… beh, quando
sono nei guai si fa trovare nei paraggi. Mi aiuta, ma non è
che sia il mio
famiglio. Ho già un gufo.”
“Le fenici non si legano facilmente agli esseri
umani.” Replicò l’altro,
lanciandogli un’occhiata valutativa. “Se lo fanno,
lo fanno con maghi di
estremo valore.”
“Ah, non è il mio caso!”
Agitò la mano, imbarazzato. “Te l’ho
detto, ogni tanto
viene a trovarmi. È successo anche a mio padre,
sai.” Aggiunse per dare
credibilità alla cosa. Luzhin avevano uno sguardo scettico.
“… la fenice era di
Silente, ma si mostrava quando aveva bisogno di aiuto. A
volte.”
“Un tratto familiare…”
osservò. “Non c’è dubbio, voi
Potter siete maghi insoliti…”
Alla sua espressione confusa, si schiarì la voce.
“Ho notato che sembrate
provare fastidio, quando vi vengono fatti complimenti sulle vostre
capacità
magiche.”
“Non è
fastidio…” Al capì che
Lily doveva aver avuto uno dei suoi moti di intolleranza ai complimenti
che non
riguardavano la favolosa sé stessa.
Allora
si è aperta davvero con lui, se è arrivato a
notare che non usa la bacchetta solo per incantesimi
cosmetici…
“È
più che altro che… beh. Siamo
stati messi sotto il mirino dell’opinione pubblica
praticamente da sempre. Sai,
figli di eroi di guerra… dell’eroe
per eccellenza poi!” Sbuffò. Non amava
particolarmente Diagon Alley proprio perché
ogni volta che ci metteva piede era tutto uno sguardo. Perlomeno ad
Hogsmeade ormai
i paesani lo conoscevano tutti e avevano smesso anni prima di additare
lui e i
fratelli come fossero bestie a tre teste.
“Fama
riflessa.” Convenne
Sören.
“Esatto! Certo, i
nostri
genitori ci hanno protetto, non siamo come i figli delle star babbane,
in
realtà viviamo una vita normale, sia a scuola che a
casa…” Vedendo che l’altro
non coglieva, riprese il filo del discorso. “…
quello che voglio dire, è che
essere sempre riconosciuti, e
quindi
messi sotto giudizio, ti porta a sviluppare dei meccanismi di difesa.
Piuttosto
che mostrare a tutti quanto abbiamo ereditato da nostro padre,
preferiamo
evitare del tutto di paragonarci a lui. E da qui, la modestia
aggressiva.”
Sorrise a Sören.
Beh, a parte Jamie.
È da
quando siamo piccoli che non fa che berciare che supererà
papà.
Sören
capì l’hint e sorrise di
rimando. “Anche a Lilian non piace parlare della sua forza
magica.”
“Lo odia,
vero?” Rise. “Però è
brava. Si sforzasse di imparare qualcosa che non siano incantesimi su
come
rendere liscia la pelle o aggiustare i vestiti…”
L’altro fece un
sorriso, poi
tornò serio. “Non è soltanto brava. A
mio parere, tua sorella è straordinaria.”
Al capì allora
perché Lily
fosse tanto attirata da quel tizio austero: i suoi complimenti non
erano
ammantati da falsità. Non erano neanche gentili, visto che
li diceva con una
faccia serissima. Erano attestazioni.
E
Merlino solo sa quanto in fondo Lily sia insicura
sulle sue capacità magiche… Un estraneo che non
la blandisce, per lei dev’essere
una vera e propria scoperta.
Quando giunsero a
destinazione
Hagrid li accolse sulla porta, dato che stava liberando il vialetto di
ingresso
dal ghiaccio. Luzhin si presentò rispondendo educatamente ai
convenevoli del
vecchio professore, ma non prese parte alla conversazione. Si
allontanò
piuttosto di un paio di passi, lasciando poi vagare lo sguardo sulla
Foresta e
sui terreni innevati.
“Se vuoi puoi
andare… la via
adesso è libera, posso tornare da solo.” Disse Al
dopo una manciata di minuti;
gli dispiaceva farlo attendere al freddo quando era chiaro si stesse
annoiando.
“Non preoccuparti, ti riaccompagno. Non ho impegni
urgenti.” Fu la risposta.
“Perché
non entrate in casa che
ci offro una tazza di the caldo?” Propose Hagrid lanciando
uno sguardo incuriosito
a Sören che in effetti, rifletté Al, sembrava
montare la guardia più che aspettare
la fine della conversazione. “Ho fatto dei
dolcetti!”
Oh, nonononono!
“Come se avessimo
accettato…” Si
schiarì la voce. “Dov’è
Fanny? Volevo mostrarla a Luzhin. È qui?”
“Ah, vero! Con questo tempo, non è facile
cacciare, vale anche per lei…
dovrebbe arrivare tra pochetto.” Convenne l’omone
grattandosi la barba. “Ma
magari è meglio se ce l’aspettate dentro
casa!”
Prima che ad Albus venisse
dato l’onere di rifiutare, Fanny apparve dal folto della
Foresta.
Davvero,
mi salva ogni volta… - pensò
sorridendo, mentre la fenice volteggiava
attorno al capanno.
“Una
fenice…” Mormorò Luzhin,
con un’espressione di sorpresa assoluta.
Credeva
mentissi?
“Te
l’avevo detto, no?”
Fischiò per attirare l’attenzione del rapace che
dopo un breve, sinuoso giro
finì per appollaiarsi vicino allo steccato a pochi metri da
loro.
“Sì…”
Convenne l’altro.
Guardava la fenice con un misto tra stupore e timore.
Cosa
c’è da aver paura? È solo…
beh. Fanny?
L’aveva introdotta
alla
famiglia quell’estate. Ne erano rimasti tutti estasiati.
L’unico che ne era
rimasto poco impressionato era stato, ovviamente, Thomas.
Ma
è naturale. Odia tutti i volatili, meno Kafka e solo
perché è suo.
“Ah, eccola
qua… ci vuoi dare
un po’ di pappa, Albie?”
Tentò di non arrossire al nomignolo, dato che il tedesco gli
lanciò un’occhiata
velatamente divertita. “Grazie Hagrid…
Ren!” Lo apostrofò in uno slancio di
simpatia. “Ti va di darmi una mano a darle da
mangiare?”
Insomma,
è rimasto solo per potermi riaccompagnare!
Il tedesco si
schiarì la voce,
in difficoltà. “Non credo sia il caso…
le fenici allo stato brado sono molto…”
“Ah, sciocchezze!” Lo fermò. Fanny si
era fatta coccolare da Lily, quando
si erano conosciute. “Non ti farà
niente!” Prese una manciata di semi da un secchio attaccato
alla staccionata.
“Dai, ti faccio vedere come si fa!”
Luzhin lo seguì
con la faccia
meno convinta della storia.
“Ti fa
paura?” Chiese
gentilmente. “Anche a Tom non piace molto. Dice che somiglia
ad un avvoltoio.” Ne
seguì uno stridio oltraggiato – la fenice sentiva
e soprattutto, capiva tutto.
“Non è questo…”
Ribatté il durmstranghiano, incrociando le braccia al petto
in
un chiaro gesto di chiusura. “È solo che tendo a
non avere familiarità con
creature non addomesticate.”
Al sorrise: Sören aveva la stessa espressione di Tom quando
tentava di
nascondere il timore per cose relativamente innocue.
“Sta’ tranquillo. È del
tutto…” Si interruppe, perché Fanny
iniziò a cantare. Batté le palpebre
stranito: l’unica volta in cui l’aveva fatto era
stato un anno prima, durante
il loro primo incontro.
Ero
parecchio giù… anzi, diciamo pure avrei voluto
buttarmi da un ponte. E il suo canto mi ha fatto bene. Mi fa bene anche
adesso.
Ma in quel momento non aveva
bisogno di un’infusione di coraggio.
Se non io, Luzhin?
Lanciò uno sguardo dietro di sé e
scoprì che l’altro non sembrava affatto
confortato: era terrorizzato.
Fissava la fenice quasi fosse la creatura che aveva dovuto affrontare
alla
Prima Prova, anzi, peggio.
“Io…
devo… scusate. Devo
andare.” Mormorò affrettato, prima di voltarsi e
correre via.
Ma che diavolo…?
Hagrid gli si affiancò, altrettanto confuso.
“Che gli è preso? Che, si
sente poco bene?”
“Non lo
so…” Rispose, perché davvero
non ne aveva idea. Accarezzò la testa di Fanny, che
pigolò soddisfatta mentre
beccava il mangime dalla sua mano.
Perché
ha reagito così?
Poi ricordò una
frase che
aveva letto.
Il
canto della fenice infonde coraggio nei buoni e
terrore nei…
“…
malvagi?”
****
Teddy si affacciò
alla porta
della serra principale di Erbologia.
Sapeva che Neville era lì: quando non era a lezione o a casa
con la famiglia,
era con le mani nella terra.
Bussò con le
nocche ad una delle
finestrella di vetro. “C’è nessuno?
Posso entrare?”
Seguì un gran rumore di cocci.
“Nev!” Entrò dentro e raggiunse la fonte
del rumore; il buon professore era
finito lungo disteso, coperto di terra e con cocci sparsi ovunque.
“Nev, per
Nimue… mi dispiace tanto, ti sei fatto male?”
Chiese chinandosi per tirarlo su.
L’uomo fece un
gesto
dismissivo, spazzandosi via il terriccio dai vestiti e guardando
malinconicamente quello che doveva essere un vaso da trapianto.
“Non è
niente, non è niente…
Sono il solito maldestro.” Sospirò con un mezzo
sorriso gentile ad illuminargli
il volto. Nev era una persona
gentile.
Per questo aveva un disperato bisogno di confidarsi con lui.
Si
ritorna al solito punto. Quando non si ha amici
stretti, ci si rende conto di quanto sia difficile prendere decisioni
da soli…
“Posso
aiutarti?” Chiese
sollecito. “Spero che la mia entrata non ti abbia
spaventato…”
“No, no.” Gli assicurò, frenandolo dal
tirare fuori la bacchetta. Prese la sua
e pulì il disastro in pochi attimi. Una volta gli aveva
confidato che la sua
bravura con gli incantesimi di pulizia derivava da
un’infanzia passata a
rimediare alle conseguenze della sua goffaggine. “Ho fatto
tutto da solo… non
ti avevo neppure sentito.”
Ted annuì, poco
convinto.
“Posso…?” Tentò ancora.
Neville gli lanciò un’occhiata un po’
esasperata. “Va tutto bene. Posso fare io
qualcosa per te?”
Teddy deglutì:
dall’anno prima
i loro rapporti si erano… raffreddati.
Normale.
Quando è venuto a sapere della mia relazione
con Jamie deve aver pensato che l’abbia frequentato quando
eravamo ancora
insegnante e allievo.
Cosa
che ho fatto, in effetti.
L’unico motivo per
cui era lì
era perché, nonostante tutto, Neville era l’unica
persona a cui potesse
chiedere consiglio. L’unico con cui fosse riuscito ad aprirsi
senza avere una
crisi di angoscia.
Mi
ha aiutato l’anno scorso, quando ero completamente
fuori assetto. Magari…
Era un tentativo azzardato,
ma
del resto non sapeva da chi altro andare.
Ho
bisogno di un parere. Prenderò una decisione, ma ho bisogno di
un
parere.
“Sì…
beh, speravo avessi un
po’ di tempo. Dovrei parlarti… se
hai
tempo.” Sottolineò.
Neville si grattò
la nuca,
tirando subito indietro la mano e facendo una smorfia alle sue unghie
sporche.
“Beh… va bene.” Acconsentì.
“The?”
Dieci minuti dopo erano nel
piccolo ufficio dell’uomo, direttamente ricavato
dall’ex-stanza per gli
attrezzi. C’era odore di erba e terriccio e a Teddy era
sempre piaciuto, anche
quando era studente.
Neville si
appoggiò allo
schienale della propria poltrona, inarcando le sopracciglia.
“Allora, cosa
c’è?”
Ted si umettò le
labbra,
guardando la tazza come se da essa potesse provenire una risposta.
“Ted?”
Lo richiamò.
“Pensi che la mia
relazione
con James sia sbagliata?” Sparò a bruciapelo. Non
era ciò che voleva
chiedergli, ma doveva pur sempre sondare il terreno.
Neville fu altrettanto
diretto
nel rispondergli. “Sì, lo penso. E immagino tu
sappia perché.”
Ted strinse la tazza tra le dita, sentendo la familiare ondata
d’ansia e
inadeguatezza investirlo. Intrappolò una scusa tra le
labbra. “Sì, lo so. Ma
non…” si fermò, inspirò.
“… non mi importa. Non l’ho favorito, e
l’ho sempre
valutato come qualsiasi altro mio studente. Sai che non avrei fatto
diversamente. E adesso…”
Neville lo fermò
con una mano.
Gli lanciò un’occhiata meditabonda, poi
inaspettatamente sorrise. “Lo so.”
Esordì. “Ti conosco da quando eri un bambino
… hai sempre fatto la cosa giusta,
non hai mai disatteso una regola. A volte, sembrava quasi non ne fossi capace…”
Si strinse nelle spalle: era un’analisi piuttosto veritiera.
Aveva sempre
seguito le regole perché erano… tranquillizzanti.
Fare
ciò che ti viene detto, non disubbidire, è la
cosa
più semplice del mondo. La più sicura.
Ti
fa sentire protetto.
“Mi aspettavo
prima o poi che
facessi qualcosa di assolutamente insensato.” Soggiunse
l’altro professore. Ted
alzò la testa, guardandolo confuso. “Andiamo,
Teddy!” Rise. “Fare qualche
sciocchezza rende umani.” Gli lanciò
un’altra occhiata. “Non sono deluso da te,
o meglio, lo sono stato, ma poi ci ho riflettuto
e…” Sospirò. “In fondo James
non era uno studente qualunque di cui ti sei invaghito. Voi due siete
sempre
stati legati da qualcosa… almeno ora questo qualcosa ha un
nome.”
Ted sentì un
groppo alla gola
e dovette costringersi in silenzio per qualche minuto.
L’altro uomo aspettò
paziente.
“Come si fa a
smettere di aver
paura di fare sempre la cosa sbagliata?” Sussurrò
infine a mezza bocca,
tuffandosi subito dopo in un sorso di the. Era una bevanda terapeutica,
l’aveva
sempre pensato.
Neville si grattò
il collo,
pensieroso. “Beh, da buon grifondoro ti direi… si
smette di aver paura quando
la si fa. Affrontare il problema, di petto.”
“Sono un
Tassorosso, Nev…”
“Il Cappello ti mette in una casa, Teddy, ma non dice chi sei
a tutto tondo.”
Replicò l’uomo, stringendogli appena il braccio.
“Affrontare i tuoi sentimenti
per James e portarli alla luce del sole è stato
coraggioso.”
Teddy sospirò.
“Non volevo
perderlo. In fondo, anche quella è stata paura.”
“Beh, paura per paura, ne hai vinta una. Consideralo un
traguardo!”
Ted sorrise, sentendosi meglio. Parlare con Neville aveva sempre avuto
quell’effetto, sin da quando, durante una crisi
particolarmente acuta di
nostalgia da casa, il buon professore l’aveva invitato ad
aiutarlo a travasare
dei bubotuberi.
“C’è
un’altra cosa che devo
affrontare…” Iniziò. “James
vuole venire a vivere con me.”
Neville inarcò le sopracciglia in piena sorpresa, ma fu
abbastanza cortese da
non sembrare troppo sbigottito. “Oh, beh.” Disse
schiarendosi la voce. “Il
ragazzo ha le idee chiare.”
Ted sbuffò un sorriso. “Puoi giurarci.
È sempre stato così, no?”
“E tu non vuoi?” Aggrottò le
sopracciglia, e Ted l’avrebbe abbracciato. Nev non
commentava mai, molto raramente. Preferiva capire, grazie a Merlino.
“Non ti
senti pronto?”
“Per quanto sembri assurdo, non è questo. Ho
paura…” Si fermò ad
un’occhiataccia dell’altro.
“Basta,
Teddy.” Lo apostrofò
con una certa durezza. “Se lo pensi diventa reale. Ascolta.
Dicono che chi è
smistato a Grifondoro non rifletta mai… beh, non
è vero. Quando arriviamo alle
cose importanti, lo facciamo. Eccome. Solo, non rimuginiamo. Capisci la
differenza?”
“È cristallina.” Convenne, capendo
l’allusione. “Quindi non pensi sia
prematuro?”
Neville scrollò le spalle. “Come posso saperlo?
È una cosa tra te e James.
Quello che posso dirti… consigliarti…
è che se è quello che vuoi, dovresti farlo. Ti
conosco da una vita, Teddy…”
soggiunse affettuoso. “E raramente hai fatto qualcosa che
volevi davvero. Hai
sempre fatto di tutto per accontentare gli altri. Tua nonna, Harry, gli
altri
studenti, noi professori… mi sbaglio?” No,
per niente – pensò, ma
preferì non rispondere. Tanto era una domanda
retorica. “Allora Teddy…
cos’è che vuoi?”
Ted serrò appena le labbra.
Fregarmene.
In dieci minuti aveva
realizzato quello che non era riuscito a fare in una settimana: non
tenersi
tutto dentro serviva sul serio.
Fece un mezzo sorriso.
“Nev… al
momento vorrei una cosa.”
“Dimmi pure!”
“Una mano con una certa questione, e penso che solo un
residente di Hogsmeade
possa aiutarmi…”
****
Note:
E non dite che non
è
mastodontico! ;D
Qui
la canzone.
1 . Durmstrang
über alles: Durmstrang al di sopra di tutto,
letteralmente.
L’originale è riferito alla Germania, ma comunque
esprime il concetto della
fedeltà a qualcosa. In questo caso, alla scuola.
Per gli occhiali di Malfoy,
Qui
2. Schwerin è la capitale del
Lander Meclemburgo – Pomerania che si
affaccia proprio davanti alla penisola di Rügen.
Qui per informazioni.
3. Tom ha
diciotto anni. Rispetto ad Al e agli altri ha un anno (in
realtà
una manciata di mesi) in più. Questo perché,
nonostante la sua nascita sia
stata registrata nel 2005, è nato a Luglio del 2004. Quando
Harry l’ha trovato,
infatti, aveva già cinque mesi.
|
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Capitolo 40 *** Capitolo XXXVIII ***
Capitolo XXXVIII
I
don't know where I am/ I don't know where I've been
But I know where I want to go
(The
First Day of My Life,
Bright Eyes)
24
Dicembre 2022
Hogsmeade,
Centro. Mattina.
“Cento metri
quadri, panorama,
due camere e uno studio. Cosa ne pensa?”
Teddy non rispose subito: dopotutto non era ancora entrato.
Neville gli diede una pacca
sulla spalla. “È davvero spaziosa. Più
della prima casa mia e di Hannah.”
Ted sorrise, lanciando uno
sguardo al proprietario, un sottile vecchietto dal viso gentile. Gli
aveva
fatto subito una bella impressione. “Il camino è
collegato alla Metropolvere?”
“Sì, professore, naturalmente!” Convenne
il mago. “Il sistema di tiraggio è un
po’ vecchiotto, ma sono certo che un giovanotto in forze come
lei potrà aver
ragione di qualche piccola manutenzione.”
Ted sorrise di nuovo. Una casa. Era una casa vera, vuota, pronta per
essere
arredata.
Sentiva una strana
sensazione
alla bocca dello stomaco, ma non era cattiva.
Aveva avuto una buona
intuizione
a chiedere a Neville: l’uomo conosceva la situazione
immobiliare di Hogsmeade.
Chi vendeva, chi acquistava, chi affittava. Lui voleva comprare.
Sapeva bene che James si
aspettava qualcosa da lui. E la risposta era quello.
Un
gesto eclatante. Una presa di posizione.
Forse era un regalo
azzardato.
Forse Jamie era ancora arrabbiato con lui. Forse non voleva trasferirsi
in un
villaggio e preferiva rimanere a Londra. Ma c’era un solo
modo per scoprirlo.
Vedere
se funziona.
Era la mattina della Vigilia
e
tra una manciata di ore avrebbe dovuto attendere alla pantagruelica
cena della
Tana; aveva tutte le intenzioni di presentarsi a James con le chiavi in
mano.
Probabilmente
avrò un infarto per la tensione… ma se
sopravvivo, potrebbe funzionare.
Era stufo di deludere la
gente
attorno a lui, specialmente il suo ragazzino.
Ispirò una
boccata d’aria
fredda e sorrise all’aria comprensiva del suo vecchio
professore di Erbologia.
Teddy si lanciò
poi
un’occhiata intorno: era una graziosa villetta, proprio al
limitare di
Hogsmeade, già nella pendenza delle grandi montagne. Il
giardino aveva bisogno
di una mano ferma, e il vecchio divano a dondolo pregava solo di essere
riparato.
“Ormai la casa
è troppo grande
per me solo.” spiegò l’uomo, varcando la
porta d’ingresso. Ted aspirò l’odore
che filtrava dall’anticamera. Un largo sorriso prese
certamente possesso dei
suoi muscoli facciali.
Odore
di libri.
Come se non bastasse a farlo
sorridere come un bambino davanti a Mielandia, il salottino esplodeva
di luce
invernale.
Neville si guardò
attorno,
picchiando leggermente le nocche sugli infissi e mettendo la testa
dentro il
camino. “Avrà bisogno di un po’ di
restauro, Teddy…”
“Non è un problema.” Forse era stupido,
ma l’odore di libri, il vecchio dondolo
e la luce che illuminava ogni singolo angolo del salotto erano molto
più
importanti di qualche passata di calce.
Neville gli sorrise.
“Ti piace
allora? Ho scelto bene?”
“Sì…” Convenne passando le
dita su un vecchio scaffale vuoto, dove la polvere
aveva mantenuta impressa le impronte quadrate dei libri.
“Sì, mi piace. Però
dovrà piacere anche a Jamie.”
“Non gliene hai
ancora parlato?”
Chiese l’altro stupito.
“No, è
una sorpresa.” Si morse
un labbro. “Pensavo di versare la caparra oggi e poi decidere
insieme.”
Ho
fatto male? Lo sapevo che era un’idea…
No.
Dannazione. È un’ottima
idea.
Neville annuì,
senza fare
ulteriori commenti. Gliene fu grato. “Beh, fai un giro e vedi
se ti piace.”
Consultò l’orologio da taschino con una smorfia.
“Mi aspettano per andare a
Diagon Alley, ultimi regali e un ovvio
giro ai Tiri Weasley.” Sospirò ironico.
“Cedric sta diventando un piccolo
maghetto viziato.”
Teddy sorrise. “Scommetto che non è solo colpa di
Hannah.”
“Oh, no! È tutta colpa mia, lo ammetto!”
Rise l’uomo. Poi gli diede un
abbraccio che ricambiò
di tutto cuore.
“Buon Natale, Ted. È davvero una bella casa, a
James piacerà.” Aggiunse
strizzandogli l’occhio.
“Beh, vuole fare
un giro?”
Chiese l’ometto quando rimasero soli.
“Però la devo avvertire… tra
un’oretta ho
un altro possibile acquirente, quindi…”
“Non si preoccupi.” Lo fermò, anche se seccato
dall’avere così poco tempo. Aveva intenzione di
studiare millimetricamente la
casa: andarci ad abitare meritava almeno una riflessione ponderata.
Ma
è la Vigilia, e probabilmente avrà fretta di
concludere la vendita…
“La chiamo quando
ho finito.
Ma penso che la prenderò.” Disse con tono sicuro.
Non aveva certo intenzione di
farsi soffiare l’acquisto
Il vecchietto
annuì,
informandolo che l’avrebbe aspettato al caldo del Tre Manici.
Teddy, rimasto solo
sospirò.
Non sentiva James da giorni,
se non tramite brevi Gufi. In quel periodo aveva gli esami di
metà corso e Teddy
ricordava bene quanto fossero duri. L’aveva quindi lasciato
stare. L’ultima
lettera che si erano scambiati era stata solo per assicurare la
reciproca
presenza alla Tana.
Come
se potessimo evitarla… ci verrebbero a prendere di
peso.
Si soffiò
distrattamente sulle
mani intirizzite, sebbene coperte dai mezziguanti che usava quando
correggeva i
compiti. In quel periodo dell’anno alcuni punti di Hogwarts,
specialmente le
torri controvento e lui alloggiava in una di esse, erano simili a
ghiacciaie.
Ma
qui c’è un bel camino…
Non poté fare a
meno di
immaginarsi seduto in poltrona, con i piedi rivolti al fuoco, lasciati
scaldare
piacevolmente. Un libro sulle ginocchia e James stravaccato davanti al
tappeto
mentre divorava una di quelle riviste di Quidditch di cui era tanto
appassionato e collezionava con la precisione di un filatelista.
Okay: probabilmente se non
si
fosse deciso a terminare il giro della casa avrebbe finito per trovarsi
il
prossimo, odioso aspirante acquirente trai piedi.
Mentre scendeva le scale
dopo
aver visionato il secondo piano, sentì aprirsi di nuovo la
porta.
Ma
non è possibile, saranno passati al massimo dieci
minuti! Che diavolo!
Scese gli ultimi gradini
infuriato, pronto a dirne quattro al proprietario, che da una
rappresentazione
magica di Babbo Natale era appena diventato Scrooge.
Si fermò di
botto, con in
faccia un’espressione demente da record – non aveva
bisogno di controllare ad uno
specchio – quando vide che con il vecchio c’era un
James più sorpreso di lui.
“Jamie?”
Esordì stupidamente.
L’altro batté le palpebre come se avesse visto un
Marino seduto davanti al
camino intendo a scaldarsi la coda.
“Teddy…” Esalò più
sbalordito di lui.
Okay,
abbiamo appurato che siamo tutti sorpresi.
“Vi
conoscete?” Disse
ovviamente, come da copione Scro-… il proprietario.
“Alla
grande.” Spiegò impassibile
James. Era chiaro stesse cercando di far quadrare i conti dentro la sua
testa.
“Non eri ad Hogwarts?”
“Permesso.” Mormorò, poi si
schiarì la voce. “Mi scusi, potrebbe lasciarci
soli?”
“Naturalmente… ma vi prego di non litigare.
C’è abbastanza spazio perché
l’affittiate entrambi, se l’opzione vi
aggrada.” Suggerì il buon uomo con aria
pratica. Poi fortunatamente se ne andò senza ascoltare la
risposta.
“Tu…”
Iniziò James, ma Ted fu
lesto a fermarlo.
“Sono venuto qui
per comprare
questa casa. O meglio, per vederla… e poi decidere se
comprarla.”
“Per chi?” Chiese l’altro aggrottando le
sopracciglia: probabilmente qualcun
altro avrebbe già tirato le somme, ma Ted doveva ammettere
che la loro ultima
conversazione aveva virato su tutt’altre
eventualità.
È
chiaro sia confuso. Okay, un po’ troppo
confuso…
ma è James. Ha bisogno di risposte dirette.
Si avvicinò e gli tolse il berretto di
lana, perché
sapeva che l’altro avrebbe cominciato a trovarlo
fastidiosissimo entro pochi
secondi, e poi gli passò le dita trai riccioli corti. James
socchiuse gli occhi
al tocco, ma non disse niente. Aspettava lui.
“Tu
perché sei qui?” Gli
chiese allora.
“Per comprarla,
che storie!”
Sbuffò. “Un mio amico dell’Accademia
abita qui, e mi ha detto che c’era una
casa niente male a buon prezzo dove aveva vissuto gente che amava i
libri… e
così ho pensato che…”
“Ho pensato la stessa cosa.” Sorrise spontaneo
all’aria sbigottita dell’altro.
“Volevo comprarla per noi.”
James si scostò leggermente dal suo tocco, fissandolo di
sottecchi. “Avevi
detto che non ti sentivi pronto.”
“E tu che avresti aspettato…” Ritorse
senza vera intenzione di farlo. James
dovette accorgersene, perché fece un ghignetto.
“Beh, magari
volevo un po’
forzare la mano.” Gli diede una pacca sul fianco, facendo un
passo ed
eliminando qualsiasi distanza fisica tra di loro “E tu?
Volevi strapparmi dalle
braccia di Lenny?”
“Certo che n…” Cercò di
negare ma poi notò che al tentativo aveva fatto
corrispondere un abbraccio piuttosto serrato.
Dannato
istinto.
“…
forse.” Ammise mentre James
ridacchiava. “Ma soprattutto… provarci. Con
te.” Si schiarì la voce, e pensò
nebulosamente che avrebbe dovuto tagliarsi i capelli perché
lunghi in quel modo
finivano sempre per entrargli nella visuale e fargli realizzare che
erano un
arcobaleno, quando c’era di mezzo quel ragazzino.
“Beh, provarci in
che senso?
Perché abbracciarmi così è
già provarci,
Teddy…” Lo canzonò, sporgendosi a
tirargli un morsetto giocoso all’attaccatura
della mascella. Ted ingoiò un brusco sospiro.
“Niente
morsi.” Lo ammonì.
“Ma a te
pia…”
“Il plenilunio è tra tre giorni, Jamie.”
“Ooops! Scusa.” Ghignò.
“Comunque cosa intendi con provarci? Serio, eh.”
Ted fece un respiro profondo
e
poi tornò sul binario della ragionevolezza. Della
serietà.
Facilissimo
farlo con un adolescente con le smanie…
…
e non mi riferisco a James.
“Provare a vivere
assieme.
Perché…” Il soffitto aveva bisogno di
una mano di vernice robusta, e
probabilmente avrebbero dovuto anche controllare l’eventuale
presenza di
perdite nell’impianto idraulico. C’erano delle
macchie sospette. Comunque.
“… perché stavolta so che
posso farcela. E se avessi dei dubbi… tu li cancelleresti.
È così che fai
Jamie. Mi fai sentire al sicuro facendo cose che mi
terrorizzano.” Concluse fissando
una macchia che assomigliava tremendamente a Grop.
Non si accorse quindi delle
mani di James che gli si piazzarono sulle guance, ma sentì
il bacio fenomenale
in cui l’altro lo coinvolse.
Avrebbe portato nella tomba
gli occhi umidi di Jamie e il suo tentativo di frenare la gioia che gli
tremava
sulle labbra.
“Puoi contarci,
Teddy. Ti
proteggerò io dalle tue seghe mentali.” Promise
solennemente.
Ted ridacchiò,
stringendoselo
addosso ed ispirando il suo odore come da bambino aspirava quello
dell’erba
appena tagliata. Era la stessa sensazione. Era bella.
James alzò gli
occhi al
soffitto, forse per darsi un tono come aveva tentato di fare lui poco
prima.
“Woh
Teddy, guarda là! Quella
macchia assomiglia a Grop!”
I
especially am slow
But I realized that I need you
And I wondered if I could come home…
****
Devonshire, Casa
Potter-Weasley. Mattina.
“Così
si è spaventato quando
la tua fenice ha cominciato a cantare…”
“Non è la mia… ah, lascia perdere. Non
era spaventato comunque, era
terrorizzato!”
“Non penso che questo lo renda malvagio.”
…
cosa? Sto davvero parlando con Tom?
Albus cercò di
non farsi
scivolare la cornetta dalle mani per la sorpresa. Il telefono:
l’unico mezzo
per comunicare con Thomas prima di vederlo di persona quella sera alla
Tana.
Così si era
ritrovato in
salotto a sforzarsi di digitare correttamente la sequenza di numeri che
corrispondeva al telefono di casa dell’altro. Ci aveva messo
un po’, ma alla
fine l’aveva avuta vinta.
Solo
che adesso mi dice che… non pensa sia malvagio! Ma
Fanny non può sbagliarsi è… Fanny!
“Ma
si dice che il canto delle fenici getti
terrore nel cuore dei malvagi!”
“Si dice,
appunto.” Lo fermò. “Se questa
frase fosse vera in senso letterale, sarei malvagio
anch’io.”
“…
come, scusa?”
“Non mi piace la
tua fenice.”
Mormorò. Meike doveva essere nei paraggi.
“… perchè…” Ah no.
Stava esitando
perché era uno di quei casi in cui odiava ammettere una sua
debolezza. “… perchè
mi fa paura.”
Paura?
Non gli era sembrato
particolarmente spaventato quando quell’estate gli aveva
presentato Fanny in
occasione del compleanno di zio Percy.
Pur
vero che effettivamente le ha dato un’occhiata e
poi è andato a chiacchierare con zia Hermione.
“Ma tu hai paura
di tutte le
cose che volano…”
“Non di tutte. Ho
Kafka, ti
ricordo. E i Gufi mi sono indifferenti.” Ritorse irritato.
“Ho problemi con la
tua fenice perché è una
fenice.” Fece
una breve pausa, in cui sentì un fruscio provenire dalla
cornetta.
Probabilmente aveva cambiato posizione. “… non so
spiegarti bene cosa provo, ma
quando me l’hai fatta vedere… ho provato
ansia.”
Al non rispose, cercando di processare la notizia. Certo sì,
Tom aveva fatto
degli errori e a volte era attratto da cose che la maggior parte dei
maghi di
buon senso evitava, ma…
“Non sei cattivo,
hai solo un
carattere orribile!”
“Grazie.” Replicò l’altro
asciutto. “Ma sono
ciò che è rimasto dell’anima di
Riddle.” A volte avrebbe dovuto esser meno brutale
in certe affermazioni. “Volente o nolente, sono pieno di magia oscura.”
“Non capisco…” Lo ammetteva, era
confuso.
“Ascolta.”
Iniziò Tom, già
spazientito dalla sua mancanza di ricettività. Nei periodi
festivi aveva sempre
i nervi a fior di pelle. “Si dice che il canto della fenice getti terrore nel cuore dei malvagi. Chi
pensi sia universalmente noto per usare la magia oscura?”
“Un mago… malvagio?” Cominciò
a capire. “Quindi in realtà spaventa chi usa la
magia oscura?”
“Molto bene, Signor Potter.” Lo lodò
canzonatorio.
“Sei
sicuro?” Non l’aveva
visto scritto in nessun libro. E di libri sulle fenici ne aveva letti.
Dovevo
pur informarmi su Fanny.
“Penso
sia così.” Ammise. “Ti ricordi cosa ci
hanno insegnato al
Primo Anno? La magia lascia sempre una traccia nel corpo di un mago
…” Lo sentì
quasi fare una smorfia. “Abbiamo avuto prove
di questa teoria.”
“Quindi Luzhin ha usato magia oscura!”
Realizzò di colpo e la cornetta gli
scivolò di nuovo dalle mani. La riprese al volo.
“Data la reazione
che ha avuto
temo la usi tutt’ora.” Il tono era sarcastico, ma
lo sentì teso. E come poteva
dargli torto?
Quel
tipo ronza attorno a mia sorella! Gira nei nostri
corridoi!
“Dobbiamo
immediatamente
comunicarlo alla Commissione del Torneo!” Sbottò
sentendo la collera
esplodergli nel petto. “È pericoloso!”
“No.”
Al batté le palpebre, sbigottito. Forse il telefono aveva il
difetto di
distorcere le parole altrui?
“No?”
Chiese per sicurezza.
“No.”
Gli fu nuovamente
confermato. “Non denunceremo Luzhin. Questo lo farebbe solo
allontanare.”
“Ma è quello che vogliamo!”
“Non esattamente.” Ribatté Tom pacato.
“Abbiamo solo il sospetto
abbia fatto uso di incantesimi oscuri. Durante il Torneo
ha giocato pulito.”
“Come lo sai?”
“Ci sono degli incantesimi di rilevamento durante le Prove.
Non lo sai,
Caposcuola?” Lo canzonò. Al inghiottì
un insulto, anche se Merlino, se l’avesse
avuto davanti gli avrebbe sicuramente sbattuto quella zucca impossibile
contro
il muro.
“Non
l’ha usata al Torneo, e
allora? Basterà fare un Prior
Incantato
alla sua bacchetta, e se c’è qualcosa
verrà fuori!” Esclamò lanciando
un’occhiata
verso la Tana. Erano tutti lì, ignari di quello che lui e
Thomas stavano
scoprendo. La cosa non gli dava una bella sensazione.
“Sì,
vero.” Tom aveva l’irritante
abitudine di farti ragionare esattamente come
voleva. “… ma devi avere un motivo per
farlo. Durmstrang non permetterà
facilmente che la bacchetta del suo Campione sia esaminata, soprattutto
se a
chiederlo fossero due studenti per motivi non chiari.”
“Allora diciamolo
a papà!”
Esclamò, colto da illuminazione. “Sta investigando
proprio su questo! Potrà
ordinarglielo lui, è un auror!”
“Sta investigando sull’attacco durante la Prima
Prova.” Obbiettò Tom. “E non
credo che quello sia opera di Luzhin. Non aveva il tempo di uscire,
produrre quel
fumo nero e schiantare i Tiratori Scelti attorno allo stadio.
È sempre stato in
vista, prima nell’arena, e poi nella Tenda dei
Campioni…”
“Un complice, forse?” Suggerì . Aveva
voglia di sbattere la testa contro il muro:
la vigilia di Natale si trovava a speculare sulla
pericolosità di un tipo che portava
al ballo sua sorella di quindici anni.
Posso
almeno urlare?
“Un
complice…sì, potrebbe.”
Convenne l’altro meditabondo, ignaro dei suoi pensieri.
“Forse quel Poliakoff.”
“Tom, dobbiamo parlarne
con papà.”
Insistette. Ormai era diventato una specie di disco rotto.
Ma
con lui non fa mai male ricordargli che non siamo
noi contro il resto del mondo, ma esistono degli adulti che magari
possono
evitarci il peggio.
Non quella sera
però: per un
giorno voleva solo perdersi nel caos della sua famiglia. Era chiedere
troppo?
Probabilmente
per qualcuno con il mio cognome… sì.
“Se gli auror
cominciassero ad
indagare, Luzhin si allarmerebbe…” Fu la risposta
cocciuta. “E poi prima di Fanny
pensavi anche tu che esagerassi. Il canto spaventoso di una fenice? Il
suo
strano comportamento? Non un granché.”
“E il suo assistente?” Chiese ed ebbe finalmente il
potere di zittirlo. “Se è
stato lui, dando un alibi a Luzhin, sicuramente si sarà
assentato. Qualcuno
l’avrà visto andarsene dalla Tenda dei
Campioni!”
“Questo…”
Si sentiva che Tom
era riluttante. “Forse.”
Al ebbe l’impulso
di lanciare
la cornetta contro il muro.
“Massì,
teniamoci tutto per
noi!” Sbottò di colpo. “Mi sembra
un’idea geniale!”
“Al?”
Chiese l’altro con una
lieve nota di preoccupazione nella voce. Era un sollievo sentirla.
Perlomeno
vuol dire che mi ascolta.
“L’anno
scorso con questa
strategia hai rischiato di farti ammazzare.” Dava
soddisfazione fargli chiudere
il becco ogni tanto. “Diremo a papà dei nostri
sospetti. Se Luzhin è così furbo
come dici, allora avrà già una difesa.
Altrimenti, forse, rischieremo di
assicurare alla giustizia l’artefice di questo
casino e magari sapremo anche
cos’ha
in mente Hohenheim.”
Fu quasi certo di potersi
immaginare la faccia colpevole di Tom al di là del filo.
“… non
so quanto gli auror
potranno investigare.” Tentò però.
“L’anno scorso nessuno ha smascherato la
Prynn, e c’era un’inchiesta in corso. Se Luzhin e
compagno lavorano davvero per
Hohenheim, avranno una copertura a prova di Veritaserum.”
“Spiacente, stavolta non ho intenzione di giocare al piccolo
investigatore.”
Replicò fermo. Mantenere il punto. Se Tom vedeva
un’incertezza, colpiva peggio
di un Battitore da Nazionale. “Non c’è
in gioco solo la tua sicurezza, ma anche
quella di Lily.”
Tom non disse nulla per qualche istante. “Va bene.”
Sospirò infine. “Facciamo a
modo tuo.”
Albus sorrise: l’anno prima non avrebbe ceduto
così facilmente.
Non
mi avrebbe neanche comunicato i suoi dubbi. Mi
avrebbe detto che la fenice si era sbagliata e poi ci avrebbe
rimuginato su. Da
solo.
Era felice che fosse passato
un anno. Decisamente.
“Stasera a che ore
pensate di
venire?” Cambiò discorso, perché si era
stufato di tutte quelle teorie da complotto.
Era la Vigilia, per tutti i Troll della Gran Bretagna!
In ogni caso, avrebbe
parlato con
Lily: se Tom si era beccato un ceffone era perché aveva
avuto l’empatia di un
mucchio di sassi. Premendo i tasti giusti, sua sorella avrebbe parlato
come un
fiume in piena.
Devo
capire cosa Luzhin voglia da lei.
“Non ne ho
idea.” Rispose
intanto Tom. “Mio padre non è convinto, minaccia
di portarci a Cokeworth¹.”
Sbuffò, facendolo ridacchiare. “Ma penso che mia
madre lo chiuderebbe nel
portabagagli piuttosto che passare un altro Natale a litigare con
Petunia. Verremo.”
“Il regalo per Meike?”
“Non glielo abbiamo già comprato?”
Obbiettò con tono da martire. Albus soffocò
un nuovo eccesso di risa – che poi erano anche un modo per
sciogliere la
tensione di poco prima.
Chi
ha detto che parlare di cose stupide è stupido?
Il giorno
dell’acquisto dei
loro vestiti, aveva avuto la malaugurata idea di tirare fuori
l’argomento
‘regalo di natale per la povera Meike’. Robin aveva
colto la pluffa al balzo, trascinandoli
in una serie infinita di negozi per bambini. Avevano finito per
comprarle un
vestito molto grazioso per il Ballo.
Tom
alla fine aveva l’aria di poter cruciare sul serio
qualcuno.
“Veramente quello
è il regalo di
Robin.” Gli fece notare. “Lo ha pagato lei,
ricordi?”
“Gli daremo i
soldi.” Obbiettò
pronto.
“Tom!”
“Va bene.”
Ringhiò di rimando. “La porto a Diagon Alley per
pranzo e
vedrò se si interessa a qualcosa.”
Sbottò malmostoso. E riattaccò senza dargli
tempo di dire altro.
Al fece un mezzo sorriso,
posando la cornetta sul supporto.
Mai
un giorno di quiete…
Michel aveva avuto ragione e
continuava ad averla: stare con Thomas Dursley non era stare con un
ragazzo
qualunque. Era dieci volte più complicato.
Allargò appena il
sorriso.
…
credo di avere un debole per i ragazzi Oltre Ogni
Complicazione.
****
Londra,
Casa Weasley – Granger.
Ron Weasley stava
impacchettando gli ultimi regali per la famiglia. Non era
un’operazione da
poco, dato che aveva circa una ventina di persone in lista. Hermione
quell’anno
aveva preteso che perlomeno li
confezionasse, visto che era del tutto refrattario allo shopping
natalizio.
Sentì
improvvisamente il
rumore della porta del salotto che si apriva, salvo poi richiudersi.
E la serratura scattare.
…
ma cosa?
Perplesso si
voltò e rimase
bloccato come un tonno preso alla rete quando vide che sua figlia Rose
era
nella stanza e che aveva appena chiuso la porta a chiave in modo
estremamente
determinato.
“Rosie…”
Iniziò a disagio. La
figlia non replicò il sorriso. “Ehm, hai bisogno
di qualcosa?”
“Sì.” Disse con un’intonazione
che gli ricordò paurosamente sua moglie da
ragazza. “Parlare con te papà.”
Ron si alzò in piedi di scatto, lottando con lo scotch con
cui stava incartando
un pacco voluminoso. “Non adesso tesoro, devo finire tutti
questi pacchi e poi
caricarli in macchina.”
Sapeva cosa stava per
succedere, e se c’era un modo per evitarlo
l’avrebbe fatto; del resto era
riuscito ad evitare di restar solo con la figlia sino a quella mattina.
Harry
mi ha guardato male, ma lo Sparaschiocco del
Venerdì sera è
un’istituzione.
Non era stato scappare dalla
figlia riparando a casa dell’amico la notte prima. Affatto.
“Papà.” Lo fermò, con quella
determinazione d’acciaio negli occhi che poteva
essere solo Granger. “Noi parleremo adesso.”
Ron aveva fatto una smorfia,
sentendo l’irritazione salire. Era il padre, era un adulto e
aveva ragione.
E non importava che sua
moglie
gli fosse contro e che sua sorella si rifiutasse di dargli ragione.
Non Malfoy.
“Rosie, se
è di quello là
che mi vuoi parlare, sprechi
fiato. Non ho intenzione di affrontare quest’argomento con
te.” Esclamò, donando
nuova attenzione ai regali.
Rose resistette
all’impulso di
gridare e prendere a calci qualcosa.
Suo padre era un maledetto
testardo. E stava eufemizzando.
Quando era tornata da
Hogwarts, la sera prima, lei e Hugo aveva trovato la casa occupata solo
da sua
madre che aveva comunicato loro che suo padre si sarebbe fermato a
dormire da
zio Harry.
Neanche
Hugo si comporta così! Perché fa
così?!
Non che avesse molta
importanza.
Avrebbero parlato, a costo di legarlo alla sedia con un incantesimo
adesivo.
Gli si sedette accanto.
“Papà.” Sottolineò quando lo
vide in dirittura di alzarsi. “Per
favore.”
L’uomo storse le
labbra, gli
occhi incollati su scampoli di carta colorata. “Non capisco
perché tu ti sia
tanto fissata. Non è come se mi chiedessi il permesso,
giusto?” Ribatté tagliente.
“Tu e Malfoy…” E non aggiunse altro.
“Dovrei chiederti
il permesso?” Chiese
incredula. Non riusciva
a credere suo padre fosse arrivato a quello. Certo, era protettivo, ma
non
aveva mai pensato di dover avere un dispaccio per frequentare un
ragazzo. “Sono
maggiorenne!”
“Sai che non
è questo.”
Replicò immediatamente, tendendo la mascella. “Non
ho nulla in contrario con il
fatto che ti veda con dei ragazzi… ma dipende dal tipo di ragazzo.”
“Scorpius è il miglior ragazzo che
conosca!” Sbottò, trascinando il problema
direttamente
nella stanza. Di peso e svenuto: l’atmosfera difatti si fece
immediatamente
pesante.
“Sarà.”
Le concesse, ma era
sarcastico. “Ma ha una famiglia orrenda.” Poi si
abbandonò sullo schienale,
massaggiandosi la sella del naso. Tirò un lungo sospiro, e
Rose sentì la
disagiante sensazione di stare sbagliando tutto.
È
così che ti fregano i genitori. Li deludi? Che una
voragine possa inghiottirti.
“Ascolta
Rosie…” Iniziò
pacato, ma evitando accuratamente di guardarla. “Non ho
niente contro
Scorpius.”
Prego?
“Non hai niente contro…” Si
fermò, prima di compiere un patricidio con il
nastro da regali. “… papà, non
è vero! Tu lo sopporti e non ti entra in testa
che per me invece sia tutto il contrario! Io lo
a…” Ma fu immediatamente
fermata da un gesto nervoso dell’altro.
“No.”
Sbottò cocciuto. “Non detesto quel ragazzino,
anche se penso
che sia arrogante esattamente come suo padre. Ma ha diciassette
anni… alla sua
età può anche essere giustificato.”
Rose lo guardò confusa. Ma se non era per Scorpius in
sé, allora…
No.
Sul serio. Ancora questa storia?
“Scorpius
è un Malfoy.” Era
quella storia, decisamente. Suo padre era rigido, poteva capirlo senza
toccarlo. Sprizzante malevolenza. Rose sentì un nodo
spiacevole allo stomaco.
Come
ci si sente quando invece i genitori deludono te?
Scorpius si era fatto in
quattro per dimostrare a tutti che i Malfoy potevano avere qualcosa di
diverso
da una cattiva reputazione. Scorpius era il migliore amico di James,
settario
da morire sulle amicizie.
Questo papà deve
saperlo.
Eppure…
“I Malfoy, Rosie,
sono persone
cattive.” Disse infatti, con il suo miglior tono cocciuto.
Quante volte aveva
sentito quella filippica durante la sua infanzia? “Io li ho
conosciuti, ho
visto come si sono comportati durante la guerra. Pensano solo a
sé stessi e a
cosa può favorirli. Una famiglia è ciò
che ti forma e Scorpius è cresciuto con
loro. Può essere diverso, ma la natura non si cambia.
Finirà per ferirti… ed è
questo che mi spaventa. Perché conosco quelli come loro. Non
ti accetteranno
mai.”
A Rose strinse le dita contro la stoffa morbida del maglione,
slargandolo. Era
furiosa, era ferita. Non si era sentita così neppure
quando…
No, decise. Non ci si era
sentita mai, in quel modo.
Come
ci si sente quando l’eroe della tua infanzia
disattende le tue aspettative alla grande?
Forse aveva sempre evitato
quel confronto proprio per paura inconscia di scoprire quanto
suo padre potesse disilluderla. Forse era per questo che
aveva avuto tanta paura a dirglielo.
Perché
sapevo che sarebbe finita così.
L’uomo dovette
notare la sua
espressione, perché le scocco un’occhiata
preoccupata. “Rosie…”
“Non è Scorpius che mi ha ferito.”
Sentì la voce caricarlesi di pianto e si
scostò quando suo padre tentò di toccarla.
“Scorpius non mi ha mai ferito… sono
io che ho ferito lui per difendere te.
E ora mi chiedo se non abbia sbagliato tutto.”
“Ascolta Rosie… gli Weasley e i
Malfoy…”
BASTA.
La famosa miccia tanto
decantata fece esplodere il vaso.
Altro che goccia.
“La
mia famiglia!” Sbottò, e
sentì che in realtà urlava.
Gli occhi sgranati di suo padre
erano un buon indicatore “Il mio cognome! È
questo, no? È sempre stato questo
il problema! Ci definiamo un clan! Un maledetto, schifoso
clan!”
“Rosie!” Sbottò l’uomo
afferrandola per una spalla. “Calmati!
Cosa…” Vedeva la
confusione sul suo volto e capì che davvero non ci arrivava.
Una parte di lei capiva che
non era del tutto colpa di suo padre: era solo il prodotto di uno
stupido odio
generazionale, rinforzato da comportamenti singoli.
E chi ne aveva pagato le
conseguenze era stato proprio Scorpius, che lei si era offerto
semplicemente
per quello che era.
Ed
io ho sempre ragionato con mio padre. Ma ho cambiato
idea.
Perché
per papà deve essere così difficile?
“Io sono Rose, non
una Weasley nel
campionario!” Seppe di
aver scosso suo padre con quell’affermazione. E fu una
soddisfazione, perché
era vero. Amava la sua famiglia, ma era stufa di doversi giustificare
per
essere andata contro le sacre leggi insite nel loro cognome.
“Scorpius è solo
Scorpius. Io sono solo io. È tutto qui! Potrà
avere una famiglia orrenda, ma
non me ne frega niente, perché non voglio stare con la sua
famiglia, voglio
stare con lui! E lo stesso vale per lui!”
Suo padre serrò
le labbra. Gli
tremarono le parole sulle labbra, ed era certa che fossero cattive.
Poi si risedette di colpo
sulla sedia, dandole le spalle. “Come vuoi, Rose. Non posso
impedirtelo, ma
scordati che sia d’accordo.” Fece una breve pausa,
ma poi lo disse. “Mi hai
deluso.”
“Tu
hai deluso me.” Non appena lo disse capì la
portata di
quell’affermazione da come suo padre si voltò per
guardarla. Ma non si rimangiò
la frase.
Perché
è la verità.
Ricordò
quando l’abbracciava e le
diceva orgoglioso quanto fosse una brava bambina e di come
assomigliasse a lui.
Ma
non sto sbagliando. Non faccio la cattiva. Sono solo
me stessa.
Inspirò
lentamente, cercando
di calmare i battiti furiosi del suo cuore. Era la prima volta che
gridava così
con suo padre. Era la prima volta che litigavano, direttamente.
Forse
è per questo che ci abbiamo messo tanto. Nessuno
di noi aveva il coraggio di arrivare a questo…
Le spalle di suo padre erano
una linea dura. Non poteva toccarlo o avvicinarsi quando era di
quell’umor
tempestoso.
“Io ti voglio bene
papà…” Disse
e fu felice che non le tremasse la voce. “… ma non
posso abbandonare Scorpius
solo per renderti tranquillo. Io e lui balleremo assieme al Ballo del
Ceppo. E
vorrei tanto che tu fossi felice per me. Perché io ho tutta
l’intenzione di
esserlo.”
L’altro non rispose: non che se l’aspettasse.
Tirò un sospiro e poi uscì dalla
stanza senza aggiungere un’altra parola.
Trovò Hugo
raggomitolato nel
corridoio, con aria corrucciata.
Deve
aver imparato ad origliare da Lily…
“Cavolo,
Rosie.” Disse
grattandosi una tempia. “Cavolo.”
Ripeté. Suo fratello non era mai tipo di
molte parole. E fu felice che fosse così anche quella volta.
“Va’ da
papà.” Gli sorrise.
“Penso che adesso abbia bisogno del figlio giusto.”
“Ma va’, non sei sbagliata!”
Esclamò. “Vai alla grande… e anche
Malfoy. È a
posto. Molto a posto.” Soggiunse con un sorrisetto incerto.
Rose gli arruffò
i capelli
senza peggiorare la già scombinata situazione.
“Chi dice che sei scemo, non
capisce niente.”
Hugo fece un sogghigno. “È mica lo stesso che dice
che mia sorella non ha le
palle?”
****
Diagon
Alley, Londra. Primo pomeriggio.
“Ma è
super-buona!”
Tom lanciò un’occhiata a Meike che si era sporta
dal tavolino. Come risposta, si
limitò ad un cenno disimpegnato. “Sta’
attenta a non sporcarti.”
“Looo so!” Sbuffò. “Non sono
scema!” Si risedette però obbediente,
sorseggiandola con esagerata attenzione. Tom fece un mezzo sorriso.
La telefonata con Al ancora
gli ronzava in testa, ma cercava di non pensarci. Meike e il suo
entusiasmo gli
rendevano il compito più facile, anche se stare seduto in un
bar magico, in
mezzo a una cinquantina di altre persone in piena overdose da Natale
Magico, non era la sua tazza di the.
Ma
posso sopportarlo… per un’altra ora al massimo.
Purtroppo l’onere
di scortare
Meike nel suo primo bagno di folla magica londinese spettava a lui.
In compenso, non avevano
trovato
nulla che potesse andarle bene come regalo. Avevano visitato le
principali
botteghe del quartiere, e in tutte Meike si era comportata in modo
strano: si
avvicinava a oggetti che potevano interessarla. Quando poi
però lo beccava a
fissarla – per capire se fosse quello il regalo
giusto– perdeva immediatamente
interesse.
Ogni.
Singola. Volta.
Era stato molto
frustrante. Era inoltre chiaro ci fosse qualcosa che non
andava, sin dal suo arrivo.
Quando l’aveva
portata a casa
dai suoi si era prevedibilmente intimidita.
Non appena però aveva capito che sarebbe stata
vezzeggiata fino alla
nausea, aveva riempito tutti di chiacchiere.
Esattamente come si era
aspettato.
Solo
che non mi aspettavo mi si appiccicasse come una
Puffola Pigmea.
Aveva prima di tutto preteso
di dormire nella sua stanza: non aveva fatto in tempo a spiegarle che
non
poteva che sua madre, cuore tenero, aveva piazzato la brandina degli
ospiti
attaccata al suo letto.
Aveva dovuto ordinarle
di non seguirlo in bagno.
Non
può essere normale. A Rügen non ha mai fatto
così.
Sua madre non gli aveva dato
spiegazioni
in merito; le si erano solo inumiditi gli occhi, e aveva detto
‘stalle vicino
tesoro’.
Detesto
l’istinto materno.
“Hai
finito?” Le chiese quando
la vide infilare il dito nella tazza per leccare la cioccolata rimasta.
“Nein,
Ich…”
“Inglese, Meike.” La corresse: se doveva
trasferirsi ad Hogwarts – e sarebbe
successo - meglio che
imparasse subito a
non rispondere automaticamente nella lingua madre.
Meike annuì
obbediente. “No,
non ho ancora finito. C’è n’è
un po’!”
“I negozi stanno
per
chiudere.” Alla sua aria poco interessata,
sospirò. “Non vuoi fare un ultimo giro?”
Al mi ucciderà se non ti trovo un
regalo.
Un regalo enorme e vistoso, possibilmente.
“Naah.”
Replicò l’altra
impietosa. “Ho già visto tutto, no?”
Tom si frenò dal
mettersi una
mano sulla faccia. Decise dunque di giocare la carta della brutale
onestà.
“Al vorrebbe farti
un regalo.
Quindi fammi il favore di scegliere qualcosa di tuo gradimento,
possibilmente
non dai Tiri Infern… Vispi di
George
Weasley, così possiamo tornare a casa.”
Meike batté le palpebre confusa. Poi a sorpresa si morse un
labbro. “Ma ce l’ho
già un regalo… il vestito che mi ha fatto tua
mamma per il ballo!”
“Solitamente a Natale i regali sono più di uno. Ne
riceverai parecchi
quest’anno, ho idea.”
“Ma non li voglio!” Sbottò di colpo,
arrabbiata. Sbatté con forza la tazza sul
tavolo. “Non sono una… una bettler!”
Concluse, non sapendo il corrispondente in inglese.
Tom cercò di
ricordare quale
fosse. Lo ricordò. E serrò le labbra.
“Accettare dei regali non significa
mendicare, Meike. Come ti viene in mente?” Chiese in tono
calmo.
Queste
non sono idee che gli hanno messo in testa la
gente di Rügen. Lì hanno tutti lo stesso tenore di
vita. È stata Durmstrang.
La bambina
abbassò lo sguardo:
era umiliazione quella, bella e buona. “È
che… io non vi ho fatto niente.
Allora non è davvero scambiarsi
i
regali.”
“Tu hai undici anni. La gente non si aspetta che tu faccia
loro regali. Hai per
caso soldi tuoi? Lavori?”
“No…” Borbottò lanciandogli
un’occhiata di sottecchi.
“Però…”
“Chi ti ha detto che sei una mendicante?” La
apostrofò quasi con durezza; non
era uno psicologo dell’infanzia, non sapeva se stesse
affrontando quei traumi
in modo giusto.
…
probabilmente no, ma so quali misure prenderò per
evitargliene in futuro.
Meike chiuse le labbra,
ostinata.
“Meike.”
La richiamò con tono
fermo. “Dimmelo.”
“… le altre bambine. Quelle del
dormitorio.” Buttò fuori infine, dondolandosi
sulla sedia con aria riottosa. Era tornata al tedesco, ma non la
corresse. “Però
non preoccuparti. Sto bene.”
“Pensi che sia
stupido?” La
apostrofò con leggerezza. L’altra lo
guardò allarmata e scosse la testa. “Allora
perché pensi che mi beva le tue bugie?”
Cadde il silenzio mentre Meike si dondolava tenacemente sulla sedia.
Tom si
sporse per fermarla. “Tu non sei una mendicante.”
Si assicurò che la bambina lo
guardasse, prima di continuare. “Tua nonna non è
ricca, ma ti ha sempre dato un
tetto sulla testa e cibo nel piatto. Sono stato con voi quasi un anno,
e sono
stato bene. Quindi spero non
crederai
a quel che ti hanno detto delle ragazzine viziate.”
“No che non ci
credo!”
Obbiettò l’altra con forza.
“Però…” Le lacrime le
salirono di nuovo agli occhi.
Eruppe in un singhiozzo. “… non ci voglio
più tornare lì, Tom!”
Finalmente
la verità.
Si guardò
attorno, imbarazzato
dalle famigliole che stavano fissando lo spettacolo. La prese per mano,
ben
attento a non trascinarla e si allontanò dal locale.
Le lacrime non si fermarono, ma almeno in strada poté darle
un fazzoletto senza
che fosse guardato con tenerezza da una ventina di streghe.
“Smettila di
piangere.” Le
ordinò continuando sul filone tedesco, dato che
l’inglese in quelle condizioni era
impossibile. “Dovrai finire l’anno a Durmstrang, ma
poi farò di tutto per farti
trasferire ad Hogwarts.” Tradì il suo proposito di
non dirle nulla prima di
averne la certezza, ma Meike piangeva.
A quella notizia
l’altra si
aprì in un istantaneo sorriso entusiasta.
“Potrò venire a scuola con te e Al?”
“L’anno prossimo io e lui non ci saremo. Questo
è il nostro ultimo anno.”
Esitò, alla sua aria delusa. “… ma ci
saranno Lily e Hugo. Non permetteranno
che nessuno ti tratti male.”
“Fico…” Mormorò senza molto
entusiasmo. “Ma tu proprio
non ci sei?”
“Mi diplomo, Meike.” Le fece notare. Era forse una
colpa? “Ma verrò a trovarti,
e sono piuttosto certo che Al accorrerà ogni volta che lo
chiamerai.”
Meike gli rivolse un gran
sorriso. “Allora… ehm. Posso cercare il vostro
regalo?”
La
volubilità dei bambini…
“Sì.”
Confermò. “Ma visto che
hai rifiutato tutte le alternative proposte, lo sceglierò
io.”
Aveva avuto un’illuminazione: la bacchetta di Meike era la
stessa che aveva
usato lui durante il suo soggiorno a Putgarten, quella del padre. Meike
gli
aveva confidato che non ci si trovava bene.
Il
che significa che è totalmente inadatta.
La bambina gli prese la mano
fiduciosa. “Okay!” Fece una pausa meditabonda
“Però se non mi piace lo cambio!”
Aggiunse.
Sarebbe
una splendida serpeverde…
Quando arrivarono di fronte
a Olivander,
lo trovarono però sprangato. E con un lezioso cartello
canterino che informava
gli spettabili clienti che l’esercizio rimaneva chiuso fino a
Gennaio.
Tom fece una smorfia.
Al
pretenderà la mia testa.
“Volevi comprarmi
una
bacchetta? Fico!” Intuì l’altra,
purtroppo eccitata dall’eventualità.
“Non
preoccuparti, magari ci sono altri negozi
di bacchette!” Esclamò liberandosi dalla sua mano.
“È
l’unico… non c’è un mercato
competiti … Meike!”
Esclamò quando la
bambina sparì in un vicolo senza battere ciglio o dargliene
annuncio.
Dovrei
comprarle un guinzaglio?
La seguì per
evitare di
sgolarsi come un idiota in mezzo alla via.
“Meike.”
La richiamò secco. Quella spuntò qualche secondo
dopo, con
un gran sorriso e la sciarpa allenata per la corsa.
“Ne ho trovato un
altro!”
“Non dire sciocchezze.” La riprese, aggiustandole
la sciarpa dato che erano in
aria da sostanziosa nevicata. “Ti ho già detto che
c’è n’è uno solo.”
“Ma io
l’ho visto!”
Protestò concitata, indicando
l’interno del vicolo. “Là!”
Tom diresse lo sguardo nella
direzione indicata dalla ragazzina. Non vide nulla.
“C’è, non dico bugie!” E lo
prese per la manica del cappotto. Onde evitare che
glielo strappasse – sapeva essere cocciuta quando voleva
– la assecondò.
Effettivamente nel vicolo
c’era una porta fornita di insegna con tanto di bacchetta.
“È un laboratorio.”
Le spiegò, indicando la dicitura appena sotto.
“Qui fabbricano bacchette, non
le vendono al pubblico.”
“Quindi le hanno.” Ribatté
con tono di chi cercava di spiegare qualcosa ad
una persona piuttosto tarda.
“Ma non
le vendono.” Spiegò spazientito: voleva tornare a
casa e farla
finita con quel bagno di socialità. Gliene aspettava uno
peggiore quella sera,
e voleva avere almeno
un’ora di
quiete, lontano da qualsiasi essere vivente.
Ma non aveva calcolato la
testardaggine della piccola tedesca, che si mise a cercare il
campanello per
farsi aprire. A sorpresa, non fu necessario. La porta si
aprì e ne emerse un uomo
sulla cinquantina, sottile, con grandi occhi sporgenti di un marrone
pastoso. Era
vestito… curiosamente.
È
raro vedere un commerciante di Diagon Alley indossare
un vestito babbano. Che
peraltro lo fa
sembrare un maggiordomo degli anni ’50.
“Posso esservi
utile?” Chiese,
e per un attimo Tom si chiese se non fosse uno svitato alla Lovegood,
dato che
guardava nella direzione opposta alla loro. Poi vide come tendeva le
dita saggiando
la dimensione spaziale attorno a lui.
È
cieco.
“Cerchiamo una
bacchetta!” Fu
la vocetta acuta di Meike a rompere il silenzio.
Il mago si voltò
nella loro
direzione. “Non è questo il posto giusto,
signorina, questo è un laboratorio.”
Anche il tono era antiquato, di una gentilezza che ricordava vecchi
film in
bianco e nero.
A Tom quei film piacevano.
Tranquillizzato,
fece un passo avanti. “La bacchetta è per
lei.” Spiegò. “Capisco che non vende
al dettaglio, ma Olivander è chiuso.”
“Chiuso?” La menzione dovette colpirlo
perché i baffi squadrati tremarono
appena. “Per quale motivo?”
“È la Vigilia, signore!”
Esclamò Meike un po’ confusa.
“Non è davvero un buon motivo per privare una
signorina di una bacchetta…”
Sembrò riflettere brevemente. “Venite pure dentro.
Forse troveremo qualcosa.”
“Mi chiamo Meike!
E lui è Tom!”
Disse la peste al mago con aria soddisfatta.
A Tom non restò
che seguire
entrambi.
Il laboratorio
era… un
laboratorio. Tom non poté comunque fare a meno di guardarsi
attorno. Aveva
subito sin da bambino la fascinazione per luoghi simili dove idee
prendevano
forma e creavano cose.
L’ambiente era
ordinato,
pulito e con una chiara disposizione spaziale, probabilmente per
facilitare
l’artigiano. Ovunque sobbollivano alambicchi e
c’era un forte odore di legno,
cera per bacchette ed erbe secche.
“È la
sua prima bacchetta, signorina?”
“Sì! Fin’ora ho usato quella di
papà… ma non funziona tanto bene.”
Spiegava
intanto l’interpellata, saltellando attorno
all’uomo. “Tom dice che forse è
perché non va bene per me!”
“Capisco. Molto bene, vediamo cosa possiamo fare.”
Tom notò che il mago cercava
di capire dove fosse e si schiarì la voce per rendere chiara
la sua posizione.
“Meike, non
toccare nulla.”
Aggiunse perché come qualsiasi undicenne che aveva avuto
poco a che fare con il
Mondo Magico, la bambina era totalmente eccitata e rischiava di
travolgere
qualcosa.
“Pensavo che fosse
Olivander a
creare le proprie bacchette.” Soggiunse, avvicinandosi alla
piccola libreria in
fondo al locale. I titoli non erano in braille. Che fossero incantati
per
leggersi da soli?
“Il vero
Olivander era un Fabbricante.” L’uomo si mosse
verso una serie
di scaffali contenenti scatole scure ed allungate. “Ma
l’attuale proprietario
del negozio, il signor Brooke… beh, è un semplice
commerciante.”
“E lei
no.” Osservò leggero.
L’uomo sorrise.
“No.” Confermò
quieto. Poi si toccò la tempia, come a ricordarsi qualcosa.
“Che sciocco, non
mi sono presentato. Potete chiamarmi Stevens.”
“Ma non è un nome!” Obbiettò
Meike imbronciandosi. “Lei ha solo il cognome?”
“Meike, non essere invadente.” La riprese
distratto. Notò che trai libri
c’erano trattati di Pozioni, Incantesimi e Alchimia. E molti
di essi iniziavano
con ‘Trattato su’.
No,
non è un banale commerciante.
“No, certo che
no.” Annuì Stevens
scorrendo con le dita la superficie ruvida delle scatole. “Ma
è più facile che
venga riconosciuto grazie al mio cognome.”
“Curioso, visto che è di origine
babbana.” Tom notò un lieve fremito di allerta
nei lineamenti dell’uomo.
Avrà
una cinquantina d’anni. Durante la guerra era
giovane. In età da rappresaglia di Mangiamorte.
Forse non era gentile
analizzare un estraneo che stava facendo loro un favore, ma era curioso.
Dopotutto
è il primo Fabbricante di bacchette che incontro.
Si era sempre chiesto come
venisse alla luce una bacchetta, come fosse possibile far confluire il
potere
magico di un mago in un semplice agglomerato di legno e elementi
organici. Quindi si sentiva
legittimato ad
appagare quella curiosità.
“Anche il tuo e il
mio lo
sono!” Replicò Meike, ignara del sottotesto.
“E poi i cognomi purosangue non
sembrano neanche veri!”
Tom fece un sorrisetto e
sorrise anche il Fabbricante. “Signorina, sarebbe
così gentile da darmi le sue
mani?”
“Le mie mani?” Lanciò
un’occhiata a Tom, che annuì una conferma.
“Okay!” Gliele
mise sulle sue invece di tendergliele, con un tatto che probabilmente
lui alla
sua età non avrebbe avuto.
Tipico
di persone come lei e Al capire il gesto giusto senza
che nessuno spieghi loro nulla.
L’artigiano vi
passò la
propria bacchetta, che Tom notò era un superbo esemplare
finemente intagliato. Non
sembrava uno dei prodotti dell’attuale Olivander.
“Vende le sue
bacchette a Ol…
a Brooke?” Chiese.
“La maggior parte. Ma ha anche altri fornitori. Il mio
è un piccolo
laboratorio, ed ho la deprecabile tendenza ad avere lunghi tempi di
consegna.”
Rispose il mago, e con un lieve cenno di ringraziamento,
lasciò le mani della
bambina. “Bene, posso avere la sua bacchetta?” Le
chiese poi.
La bambina obbedì, usando lo stesso gesto di prima per
consegnargliela. “Cioè,
funziona!” Aggiunse un concitata, quasi fosse sua la colpa.
“Però non funziona benissimo,
ecco.”
Il mago se la
rigirò tra le
dita, mentre la ruga che aveva tra le sopracciglia si approfondiva.
“È ovvio.”
Decretò. “Non è una bacchetta adatta a
lei.”
“Perché?” Chiese Tom.
“È uso piuttosto comune passarsi bacchette di
generazione
in generazione, nelle famiglie di maghi.”
“Sì, ma
non dovrebbe essere
così. Specie quando…” Sorrise a Meike,
interrompendosi. “Vede quelle scatole? Contengono
bacchette. Le apra pure tutte, e trovi la sua.”
“Davvero?”
Esclamò gioiosa, lanciando
uno sguardo dall’uno all’altro. “Posso
Tom?”
“Il negozio non è mio. Se ti è stato
dato il permesso…” Meike non aspettò
che
finisse la frase e si fiondò verso lo scaffale come una
scheggia.
Tom capì che
l’uomo voleva
parlargli in privato e quindi si avvicinò.
“Cos’ha la bacchetta che non va?”
Usandola in prima persona
aveva notato che faceva resistenza persino ad incantesimi banali.
Ma
pensavo che fosse colpa mia, dato che ero abituato
ad un legno diverso.
“Le
bacchette non sono mai buone o
cattive.” Esordì Stevens rigirandosela tra le dita
e carezzandone il manico
squadrato. “Ma ogni
proprietario vi
lascia un’impronta. La trasforma. La rende simile a
sé.”
“Il padre di Meike, mi viene da supporre, per lei non era un
buon
proprietario…”
“Secondo la bacchetta, non era un buon’uomo.
È una bacchetta rovinata, questa.”
Scosse appena la testa. “Non va bene per una
bambina.”
Tom non disse nulla: non
sapeva nulla del defunto Wollin; solo che si chiamava Karl e aveva
abbandonato
il Mondo Magico per amore di una babbana. Non molto, quindi. Non si era
neppure
interessato, a dirla tutta.
È
morto. Non è più un problema.
“Gliene
comprerò una nuova.”
Scrollò le spalle. “Una bacchetta che risponda
solo a lei.”
“Saggia
scelta.” Convenne il
Fabbricante con un sorriso. Spostò leggermente in viso in
direzione di Meike. “Temo
che il processo decisionale potrebbe andare
per le lunghe. Gradisce una tazza di the…”
Inarcò un sopracciglio con
intenzione.
“Tom Dursley. E
sì,
volentieri.”
Dopo qualche minuto Meike
era
ancora con il naso negli scaffali e loro sorseggiavano the come si
conveniva a
due estranei di origine inglese costretti a passare del tempo assieme
per cause
di forza maggiore.
“Posso vedere la
sua
bacchetta?” Esordì Stevens dopo un paio di sorsi.
“Perché?” Istintivamente la
cercò nel cappotto. Notò che il movimento non era
sfuggito all’altro, per quanto cieco.
Altri
sensi compensativi, suppongo.
“La sua aura
magica è
particolare.” Lo stupì. “Vorrei sapere
come ne risponde la sua bacchetta.”
“La mia
aura?” Percepire l’aura
magica era una leggenda mai confermata: esistevano modi per misurarla
ovviamente, per capire ad esempio se una maledizione avesse intaccato
le
capacità di un mago. Anche a lui era stata misurata alla
nascita, visto il suo
ritrovamento. Ma si trattava comunque di usare incantesimi di
Medimagia.
Non
di percepire l’aura di un mago come si sente vento
sul viso.
“Noi fabbricanti
di bacchetta
non siamo bottegai.” Fu la risposta, mentre tendeva la mano
in una muta
richiesta. “Siamo studiosi. Molti di noi, semplicemente,
finanziano i loro
studi attraverso la vendita.”
“Studiate cosa?”
“L’Arte delle Bacchette². Non si aspetti
che sia più specifico di così.” Si
scusò con un lieve cenno della testa. Dopo un attimo
riprese. “La guerra fu
impietosa con il povero Olivander… così, prima di
morire, decise di formare un
apprendista. Disse che non avrebbe lasciato la Gran Bretagna priva di
un Fabbricante.”
“È lei era quell’apprendista.”
Intuì.
“In persona.” Tese di nuovo la mano. “Le
bacchette sono soggette ad usura… e mi
sembra che ultimamente la sua abbia avuto tempi duri. Me la lasci
controllare.”
“Sente anche questo?” Lo canzonò,
sentendosi però a disagio. E parimenti intrigato.
Possibile
che davvero percepisca…?
“Sono cieco,
ragazzo, ma ho
altri sensi che rendono la mia vita meno dura.” Gli rispose.
A Tom non restò dunque che consegnargliela. Era interessato,
e l’altro doveva
averlo capito.
La
curiosità un giorno mi ucciderà.
L’uomo chiuse gli
occhi, un
movimento involontario o forse per concentrarsi, e se la
passò tra le dita come
aveva fatto con quella di Karl Wollin. “Ah, una delle
mie.” Disse con
tranquillo compiacimento. “Agrifoglio, piuma di fenice,
quattordici pollici.”
Iniziò. “… leggermente
rigida.” Fece un mezzo sorriso. “Non le piace stare
in
mano altrui. Neppure nelle mie, ed io sono il creatore.”
“… e
questo come lo sa?” Gli
uscì sbigottito, e poi si morse un labbro irritato.
L’uomo non prese
in giro il
suo tono di infantile sbalordimento. Si limitò a rispondere.
“Si sente chiaramente.
Ha per lei una fedeltà cieca. La riconosce come il vero
padrone… e quindi non
tollera di essere separata da lei. Cosa già successa,
credo?”
“Sì. Per un periodo.” Tagliò
corto, aspro. “Comunque è la mia prima,
è normale
mi sia fedele.” Smorzò un po’ i toni,
lanciando un’occhiata a Meike che apriva
e chiudeva scatole in allegria, completamente dimentica della loro
presenza.
“Non si preoccupi,
la lasci
cercare…” Rispose quasi gli avesse letto nella
mente. Piuttosto fastidioso. “E
non è così comune come si pensa. Le bacchette
riconoscono il padrone in chi la
possiede, è vero, ma in teoria sono capaci di funzionare con
chiunque. La sua temo
non sarebbe funzionale in mano a nessuno.”
“Perché
è mia.” Ammise infine,
e l’altro fece un sorrisetto sottile.
“Precisamente.
È un’ottima
bacchetta e sa a chi appartiene. Ha
dovuto affrontare molte prove… e
avrebbe
bisogno di una buona manutenzione.” Aggiunse.
Ah,
ecco. Non è solo un bottegaio, eh?
“Sono qui solo per
comprarne
una. Non per me.”
Il Fabbricante
capì l’hint e
ridacchiò. “Era un offerta disinteressata. Non mi
sarei fatto pagare. E
comunque… ne avrebbe bisogno. Perché non
è bacchetta che ama gli incantesimi
oscuri. Non le è piaciuto essere costretta.”
Dannazione.
Tom lanciò
un’occhiata a
Meike, che al momento agitava una bacchetta con decisione. Quando
riportò lo
sguardo sull’uomo sentì in sottofondo un gran
rumore di cocci.
Spero
non si tiri addosso uno scaffale come ha fatto
Al.
“Come fa a
saperlo?” Che ci
fosse stata qualche soffiata, che l’avesse letto su qualche
giornale? No,
impossibile. Harry non l’avrebbe mai permesso.
“Lo leggo in
questo legno come
lei legge un buon libro, ragazzo. Ha un’amica devota. Veda
di non usarla per certe cose.”
Tom era indeciso se essere irritato
dall’invasività o o chiedergli come
riuscisse a capire tutte quelle cose.
Essere
un Fabbricante ti fa capire così tanto di un
altro mago?
“Lei ne parla come
se potesse
pensare.”
“Non pensare, ma provare dei sentimenti. Fedeltà,
slealtà…” Fece un mezzo
sorriso. “La faccenda del possesso di una bacchetta non ha
forse permesso ad
Harry Potter di vincere Voldemort?”
Ah. Corsi e ricorsi storici…
“Sì, fu
una storia complicata.”
“Fu una storia poco capita.” Obbiettò
riconsegnandogliela. Tom la mise al
sicuro, anche se non ce n’era bisogno. Ma la precauzione non
aveva mai ucciso
nessuno. “Molti maghi non capiscono l’importanza
che questi oggetti hanno nelle
loro vite.”
“Penso che chiunque possa capirlo senza sforzo.”
“No, non credo.” Sorrise beato
all’ennesimo schianto causato da Meike. Forse
era davvero un po’ matto. “La bacchetta non
è un utensile. È parte di un mago. Di
un solo mago. Se non si capisce
questo, il mondo sarebbe colmo di Bacchette di Sambuco,
l’unica bacchetta
capace di tradire con intenzione. Non è la bacchetta che
deve fedeltà al mago.
È il mago che deve guadagnarsela.”
Tom guardò la
sua. Il discorso
di quello strano uomo vestito da maggiordomo aveva un certo grado di
senso. Per
lui particolarmente: senza la sua bacchetta, negli otto mesi tedeschi,
si era sentito
mancante.
“Mestiere
singolare, quello
del Fabbricante.” Concesse finendo il suo the.
“Mestiere unico e
non alla
portata di chiunque.” Fu la risposta.
Tom non disse nulla per un
po’.
Ma pensava.
È
in un posto del genere che vorrei lavorare, un giorno…
è sotto una persona del genere, che vorrei imparare. Uno
studioso. Non un
timbra carte … - pensò.
Aveva scoperto, date le recenti esperienze, che il Ministero non faceva
per
lui: c’era troppo rapporto interpersonale da curare, e
doversi eventualmente
piegare ad idioti come Scott, avrebbe finito per avvelenarlo. Non
possedeva la
diplomazia di Al o la simpatia carismatica di James.
Aveva sempre pensato ad un
lavoro prestigioso, per ammansire la sua ambizione. Ma la sua sete di
conoscenza era molto più stimolante.
Non era una scrivania
ciò di
cui aveva bisogno. Ma di un laboratorio.
“L’ho
trovata!” Esordì Meike,
trotterellando verso di loro con in pugno la bacchetta
d’elezione. Tom capì che
era quella giusta da come la bambina sembrava sollevata. Si produsse
inoltre in
un efficace incantesimo di levitazione delle loro tazze da the.
“Mi sembra
adeguata.” Si alzò
in piedi, portando la mano dentro il cappotto. “Quanto le
devo?”
“È un
regalo.” Scosse la testa
l’uomo. “Non è forse Natale?”
“Wow, grazie
signore!” Meike gli
prese la mano di slancio stringendola. “Lei è
meglio di Babbo Natale!”
“Non possiamo
accettare.” Ribatté
invece Tom. “È una bacchetta, non un
giocattolo.”
“Appunto.” Sorrise questi, alzandosi in piedi con
la fluidità di chi sapeva
calcolare senza sforzo lo spazio attorno a sé. “So
di aver lasciato questa
bacchetta in ottime mani.” Sorrise in direzione di Meike, che
avvampò
compiaciuta. “Gliel’ho già detto, Mister
Dursley. Non sono un commerciante in
senso stretto.”
Tom detestava avere debiti,
persino con persone che suscitavano il suo apprezzamento.
“Insisto.”
“Allora… se devo pensare ad un compenso, forse
poter studiare la sua bacchetta?”
“La mia
bacchetta?”
“Ogni bacchetta racconta la storia del mago che la
possiede.”
Serrò le labbra.
Un altro? “Quindi
vuole studiare me.”
“No, la sua bacchetta.” Ripeté paziente.
“Ogni bacchetta diventa un pezzo unico
quando si adatta alla magia del suo possessore.” Fece un
gesto che abbracciava
il laboratorio. “Puro studio accademico.”
“Se
avrò bisogno di una
manutenzione, verrò da lei.” Non si
sbilanciò, prendendo per mano Meike che
intanto stava tentando di sollevare l’intero servizio di
porcellana.
Non era la prima persona che
si interessava a lui: per quanto lo interessasse di rimando, non era
quello il
periodo adatto per lasciar entrare un estraneo nella sua vita.
L’uomo non
sembrò adontarsi
della risposta fumosa, e aprì loro la porta.
“Bene, allora… Buona Natale,
ragazzi.”
“Buon Natale signore!” Trillò allegra
Meike. Tom lanciò un’occhiata
all’insegna,
uscendo. Non disse nulla, lasciando che Meike cinguettasse in
libertà elogi sul
regalo. Ma pensò.
****
Note:
Non volevate un capitolone?
Bene, questo è diviso in due parti.
Grasso, grosso natale Weasley.
Perché ho fatto tutto questo pippone finale sulle bacchette?
Servirà. In
futuro. Terza parte. ;D
(La mia
logorreaaah…)
Questa la canzone.
Al di là di
tutto. Bellissima. Un grazie a Shinu per
avermela fatta conoscere. ^^
1.Cokeworth:
da Pottermore. È il villaggio natale di Lily Evans, e
per traslato, di Petunia. Ho sempre pensato che dopo aver lasciato
Privet
Drive, Petunia non vi sia mai tornata, anche se da brava borghese,
abbia tenuto
la casa per il figlio.
2.Arte
delle Bacchette. In inglese, Wandlore.
È praticamente intraducibile. Comunque, lo studio delle
bacchette, dal punto di vista storico, fisico e di fabbricazione.
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Capitolo 41 *** Capitolo XXXIX ***
Capitolo XXXIX
Those
Christmas lights, Light up the streets
Down
where the sea and city meet
May
all your troubles soon be gone
Oh
Christmas lights, keep shining on
(Christmas
Lights, Coldplay)
24 Dicembre 2022
Devonshire, La Tana.
Il Natale alla Tana era la
teoria del caos applicata alla realtà.
Niente di più,
niente di meno.
Frotte di persone
– la maggior
parte dei quali con capelli rossi – correva da un luogo
all’altro, ridendo,
urlando, inciampando, mentre carichi delicatissimi come vassoi, piatti
o interi
set di suppellettili erano lasciati a danzare nell’aria da
incantesimi di
levitazione.
Nonna Molly, la matrona di
casa, impartiva ordini dalla cucina come un generale, acchiappando di
tanto in
tanto un figlio nella massa e snocciolando corvee da far impallidire
Auror
vissuti.
Lily da bambina si era
sempre
divertita un mondo: con i cugini era tutto un cercare di rubare qualche
leccornia dal lungo tavolo della cucina prima che la nonna se ne
accorgesse.
Al momento si godeva quei
ricordi seduta sul divano del salotto in uno dei rari attimi di calma
che
precedevano il pantagruelico cenone. Le cuginette Lucy e Molly, eredi
di tale
tradizione, si erano acquattate dietro la porta socchiusa della cucina
in
attesa del passaggio del prossimo vassoio. Hugo, con loro, tentava di
tenersi
la bacchetta in tasca, mentre le impietose bambine cercavano di
impadronirsene.
“E manca ancora
metà famiglia…”
Sbuffò Roxanne, seduta accanto a lei. Con un deciso colpo di
bacchetta richiuse
la porta, tra i moti di delusione delle due bambine, gemelle.
“Goditi
l’atmosfera, cugina!”
La apostrofò Dominique, che mangiava da mezz’ora e
nessuno aveva ancora capito
da dove avesse rubato la sua scorta infinita di cibo. Neanche nonna
Molly, che
l’aveva presa sul personale.
“Sì,
prima che arrivi quel
guastafeste di Tommy. Con la sua aura lugubre ci farà
cascare le palle a tutti!”
Esordì James che si rosolava le mani al fuoco del camino.
Lily vide il libro in
cui si era rifugiato Teddy tremare leggermente.
Fa
un pessimo lavoro, se pensa che non ci si accorga
che sta ridendo là dietro.
“Crepa
James.” Fu la naturale
e conseguente risposta di Al.
“È il
casino che non
sopporto.” Le confidò Roxie con un sospiro, mentre
le due rosse cuginette
avevano assalito l’altrettanto fulvo Hugo, nel tentativo di
rubargli la bacchetta.
“Difenditi con
onore, Gogo!”
Motteggiò sadica Dominique, mentre il poveretto tentava di
liberarsi dalle
grinfie delle figlie di Percy Weasley.
“A me invece
piace… dico,
questa confusione. È famiglia.” Rise Lily,
osservando le scene che si
svolgevano di fronte a loro. Quello per lei era Natale, e non riusciva
ad
immaginarlo diversamente.
Rose era l’unica
silenziosa
del gruppo, se si escludeva Teddy. Stava guardando fuori dalla
finestra, seduta
accanto ad Al. Non aveva però l’aria patibolare
degli ultimi tempi, ma quasi
l’espressione… tranquilla.
Anche
se quando è entrata stava tipo a venti metri da
zio Ron. Devono aver litigato. E sono piuttosto sicura di sapere qual
è stato
l’argomento.
Lily si voltò
verso la cugina,
ignorando le grida del suo valletto deputato seguite da rumori sospetti
come
qualcuno di ben più pesante di due bambine che gli si sedeva
sulla schiena.
Probabilmente Dominique. “Ehi
Roxie… sai
dov’è zia Aud?”
“Deve essere su.” Rispose l’altra
distratta, ridacchiando allo spettacolo del poveretto
attaccato da ben tre cugine, di cui una era appunto la micidiale
anglofrancese.
Lily si alzò,
approfittando
della distrazione generale. Sua zia Audrey era una magi-infermiera al
San
Mungo. E lei da un paio di giorni a quella parte aveva un pensiero che
le
frullava per la testa.
Ren.
Beh, non esattamente da un
paio di giorni, ma erano nuove le sue intenzioni a riguardo. Se voleva capire, doveva usare l’unica
cosa di cui
non era fiera. Il suo essere una LeNa.
Non aveva però idea da dove cominciare, con quel suo potere:
da bambina funzionava
senza che potesse farci niente.
Ma
adesso sono cresciuta. Forse è cambiato qualcosa?
Quando Ren e James si erano
sfidati a duello aveva funzionato, in qualche modo. Aveva sentito le
emozioni
dell’altro.
E
se potessi sentire anche i suoi pensieri? Sarebbe più
semplice. Potrei aiutarlo.
…
e capire anche di cosa ha parlato con il Preside
Piton, forse?
Lily vide con la coda
dell’occhio che Albus la stava guardando, ma lo
ignorò. Era arrabbiata con Thomas,
e per una strana osmosi dei sentimenti sentiva che doveva avercela
anche con il
fratello maggiore.
Quei
due sono simbiotici! Il dubbio che pensino anche
in contemporanea viene. Sarebbe una certezza, se non bisticciassero
sempre…
Sua zia Audrey era
effettivamente al piano di sopra, intenta a sistemare la ex-camera di
suo
marito di modo che ospitasse anche lei e le bambine. Stranamente
c’era solo zia
Angelina con lei, e non una pletora di altre zie, o cugine, o parenti
sparsi: era
il momento perfetto per chiederle un consulto.
“Zia
Aud?” Chiese, e la donna rotondetta,
si voltò con un sorriso tutto denti. Zia Audrey le era
sempre sembrata simile
ad una di quelle pagnotte dolci che si sfornavano nelle grandi
occasioni di
festa: morbida, profumata e che andava presa a piccole dosi, onde
evitare
indigestione.
Parla
il triplo di una persona normale…
“Oh, Lils, ciao
tesoro! Ti
serve qualcosa? Merlino, come sei carina oggi… questo
vestitino ti sta
benissimo! Il rosso spesso non sta bene a chi ha i capelli rossi,
ma…” Cominciò
infatti.
“Sì,
ehm, grazie.” La fermò. “Vorrei
parlarti. In privato.” Aggiunse.
“Vado di sotto a
vedere se
Molly ha bisogno di una mano in cucina.” Zia Angelina era una
delle sue parenti
acquisite preferite, avendo la meravigliosa abitudine di non
fare domande.
Caratteristica
rara, in questa famiglia.
Rimaste sole, Lily si
prodigò
nell’aiutare l’altra donna a riporre la roba delle
bambine nella cassapanca.
Certi piccoli gesti rendevano sempre più disponibili persone
del genere. “Zia …
ecco, avrei una domanda.” Iniziò.
“… medica.”
“Medica?”
La donna entrò in
modalità professionale, esattamente come aveva sperato.
“Ti senti poco bene
tesoro?”
“No, no sto
benissimo. È più
una curiosità. Cioè, io sono una LeNa,
no?” Iniziò con tono casuale, mentre
piegava golfini e maglioncini minuscoli. “Mi
chiedevo… dovrò tenere l’orecchino
di controllo, tipo, per tutta la vita?”
Aveva cercato di essere il più noncurante possibile, ma
davanti all’espressione
incuriosita dell’altra, seppe che non era stata poi
così brava.
“Ti dà
fastidio? Forse si è
danneggiato… vieni, fammi dare
un’occhiata.” Lily obbedì e si fece
docilmente
controllare. L’orecchino funzionava benissimo ed era ormai
parte di lei come i
capelli che aveva in testa. Non era quello il punto. “No,
sembra tutto a posto.”
Le fu infatti comunicato.
“Lo so.” Convenne. “È solo che
vorrei sapere se ne ho ancora
bisogno.” Spiegò.
L’altra
rifletté un momento.
“Lils, io non sono una Guaritrice, e non mi sono mai occupata
di questa branca
della Medimagia. Però questo genere di dispositivi sono
fatti per durare una
vita. Il che significa, suppongo, che tu debba
portarli…”
“… per una vita.” Non era dove voleva
che il discorso andasse a parare. Doveva
calcare un po’ la mano. “Ma se volessi togliermelo,
cosa pensi mi succederebbe?”
La donna fece un breve
sospiro, sedendosi sul letto. “Vediamo… la
Legimanzia Naturale è una
caratteristica della propria forza magica, come il metamorfismo dei
Metamorfomaghi.
Solo che mentre la seconda è stancante più o meno
quanto lanciare un Lumos…
la Legimanzia
Naturale è molto più
dispendiosa, in termini di sforzo fisico e magico.” Scosse la
testa. “È ciò che
ricordo dalle lezioni all’Accademia, Lils… non
ricordo molto altro.”
“Va bene… è già
qualcosa.” Rifletté: in effetti si era sentita sul
punto di
svenire quando l’aveva usata durante il duello tra James e
Ren. “Però tu la
paragoni al metamorfismo. Ted può decidere quando usarlo.
Non potrei farlo
anch’io?”
La donna scosse la testa. “Non funziona così,
tesoro. Questo genere di
caratteristiche possono essere sfruttate a comando, è vero,
ma sono anche
legate ai propri stati d’animo. Il che significa che se il
mago subisce una
forte emozione, i poteri si attivano senza che lui ne abbia il
controllo.”
“Ah…sì, è vero.”
Teddy sembrava non rendersi conto dei cambiamenti cromatici in
atto sulla sua testa. Era uno dei motivi principali per cui lei e James
lo
prendevano in giro quando erano bambini.
Perdere il controllo era
precisamente ciò che le era successo ad Hogsmeade.
Volevo
sentirle. Ma non è come se avessi puntato la
bacchetta e pronunciato un incantesimo.
È
successo e basta. E non potevo fermarmi in nessun
modo.
Cavolo.
“È
pericoloso Lily.” La
strappò ai suoi pensieri la zia, con aria seria.
“Capisco che tu sia attirata
dall’idea di sentire cosa pensano gli altri… chi
non lo sarebbe?” Sorrise tra
sé e sé. “Ma non saresti in grado di
controllarti. Potresti consumare…”
“Consumare?”
“La magia non è infinita. È come il
sangue. Può essere rigenerata, ma se ne
perdi troppa in incantesimi, o utilizzando caratteristiche come la tua
che
comportano un grande sforzo magico…”
“Muori?” A quello non aveva pensato.
No,
no, no. Non
è un opzione praticabile.
La donna le sorrise,
alzandosi
e prendendo in mano uno dei golf del marito per liberarlo da un filo
pendente.
“Non esageriamo. Il corpo umano ha dei
meccanismi di difesa. Prima di arrivare a quello, probabilmente
perderesti i
sensi. Poi per un bel po’ dovresti stare lontana da bacchette
e incantesimi.” Le
spiegò dandole una pacchetta sulla spalla.
“È raro che si muoia in questo
modo.”
Raro ma non impossibile? Mi basta.
“Insomma, non devo
togliermelo.” Riassunse, frustrata. Non aveva intenzione di
sentirsi male,
neppure per scoprire cosa passava nella testa del suo teutonico amico.
“Ma se
imparassi a controllarmi? Ci deve essere un modo!”
La strega stavolta le scoccò un’occhiata
perplessa. Probabilmente la sua
insistenza era un tantino sospetta. “Sì, immagino
di sì… te l’ho detto, è una
branca molto specifica, non ne so molto… ma
perché vuoi togliertelo?”
Esibì la sua espressione più innocente.
Sfortunatamente sapeva fosse poco
credibile. “Non lo so. Immagino sarebbe…
interessante… leggere nella testa
delle persone, come hai detto tu.”
Se solo avesse potuto
leggere i pensieri
dell’amico sarebbe stato tutto
più semplice. Non solo le sue emozioni. Con quelle ci faceva
ben poco. Capire
cosa provava non le forniva la causa.
So
come si sente, okay.
Ma non so il perché e chi lo fa
sentire così.
La donna assunse
un’aria
diffidente. “Dovresti chiedere al guaritore che ti ha messo
l’impianto. E
comunque, tesoro, non piace a nessuno sapere di aver vicino qualcuno
che gli fruga
trai pensieri…”
Già.
Si morse un labbro. Certe
pratiche
non erano accettate neppure nel Mondo Magico.
I
pensieri sono la cosa più personale e segreta che si
ha… in nessuno dei due mondi va a genio chi cerca di
rubartela.
“Hai
ragione…” Sorrise
scrollando le spalle. “Era solo una curiosità.
Sembra una cosa troppo
pericolosa comunque. Grazie zia, mi hai tolto un bel po’ di
domande dalla testa!”
La donna sembrò
rasserenata
dalla risposta, e le sorrise di rimando.
Uscita dalla stanza, Lily
sospirò.
Okay,
piano bocciato.
Avrebbe dovuto limitarsi ad
usare
gli strumenti che aveva già a disposizione.
Forse
dovrei solo cercare di farlo confessare… cioè.
Farlo aprire. Farlo parlare.
Cosa piuttosto difficile a
farsi, se ne rendeva conto.
****
“Sei
sicuro?”
“Papà…”
“No, devi dirmi se sei sicuro che
non
faranno uno di quei vostri trucchi…”
Tom alzò gli occhi al cielo, mentre accanto a lui Alicia e
sua madre
ridacchiavano sotto i baffi. Com’era ovvio Dudley Dursley era
terrorizzato
dall’eventualità di entrare in una casa che
pullulava di streghe e maghi di
ogni età e taglia. Anche Vern era tutto
un’occhiata ansiosa.
“Sì,
useranno la magia, ma no,
non lo faranno per spaventarvi.” Ripeté per circa
la ventesima volta da quando
erano partiti da Privet Drive. “Non mi sembra che nessuno di
voi abbia mai
agitato una presa elettrica di fronte ad Harry o ai suoi figli per
divertimento,
no?”
“Non è
la stessa cosa.”
Ribatté testardamente l’uomo, mentre la moglie gli
accarezzava supportiva un
braccio.
“Sta calmo, Big
D.” Lo
apostrofò con gli occhi che le ridevano. “Harry e
la sua famiglia sanno che la
magia ti innervosisce. Tom gliel’ha detto, non è
vero tesoro?”
“Sì.
Gliel’ho ripetuto, a
dirla tutta.” Aprì il
cancello sgangherato della proprietà, lanciando
un’occhiata alle finestre
illuminate della vecchia casa.
Meike accanto a lui diede
una
pacchetta solidale alla mano di Dudley. “Non si preoccupi Herr Dursley!”
Squadernò di colpo la propria bacchetta. “Se le
fanno qualche scherzo, io la difendo!”
Robin afferrò il
marito prima
che facesse uno schizzo indietro. “Grazie Meike, sei molto
cara. Hai sentito D? Sei ben
difeso.”
“Smettetela di prendermi in giro…”
Borbottò aggiustandosi il cappotto. “E tu,
ragazzina… che t’ho detto su quel
legnetto?”
“Bacchetta.” Precisò la bambina con
puntiglio così simile al suo, che Tom si
sentì sghignazzare sua sorella alle spalle. “Lo so
che non la devo tirare fuori
in casa, però adesso non siamo proprio proprio a casa, no?”
“Meike, via la bacchetta.” Tom dovette frenare un
sorrisetto.
Alicia invece non fece lo
stesso. “Andiamo papà, fattene una ragione, ne
vedrai un sacco questa sera!” Lo
apostrofò con aria eccitata, lanciando un’occhiata
curiosa alla casa.
Vernon aggrottò
in
contemporanea le sopracciglia. “Ma… è
tutta storta. Come fa a reggersi in
piedi?”
“Magia.” Ribatté Tom con una certa
soddisfazione, mentre il fratello adottivo
prendeva un’aria ancora più preoccupata.
“Sicuro che ci
regga tutti?”
“Più sicuro che un piano regolatore ben
eseguito.” Replicò, afferrando il battente
del portone e bussando un paio di volte. “Comunque dormiremo
da Harry e la sua
famiglia, non qui.” Spiegò: il viaggio di ritorno,
con un mezzo babbano sarebbe
stato troppo lungo. Robin aveva quindi accettato entusiasticamente
l’invito di
Ginny a trascorrere la notte da loro. Tom l’aveva saputo quel
pomeriggio
stesso.
Avrei
dovuto immaginarlo, dato le distanze. Adesso
capisco perché papà non voleva venire.
Una
serata sì, ma un’intera notte?
“Chissà
com’è dormire in una
casa magica…” Fantasticò Alicia.
Tom le sorrise appena,
mentre
acchiappava Meike per il cappuccio, onde evitare che si scapicollasse
in
giardino. Stava infatti puntando uno gnomo che tentava di passare
inosservato.
“In realtà non è diverso che dormire a
casa nostra. I letti non fluttuano
mentre dormi.”
A meno che tu non abbia imbarazzanti
strascichi di Magia Innata come James.
“Quello
è uno gnomo!” Strillò
Meike. “Non ne ho mai visto uno!”
“Potrai lanciarlo dopo.” La apostrofò,
non potendo fare a meno di notare che
suo padre e Vernon si erano praticamente messi alle sue spalle in cerca
di
protezione.
“Lanciarlo, sul
serio?!”
Tom roteò gli
occhi al cielo
nell’esatto momento in cui Al aprì la porta.
“Benvenuti e Buon
Natale!”
Esordì con la solita quieta giovialità. Questo
prima di vedere Meike ed aprirsi
in un largo sorriso. “Meike!”
“Al!”
Esclamò la bambina con
gioia, placcandolo alla vita. Al non fece una piega probabilmente
perché c’era
abituato grazie al Quidditch.
Mh.
A
quanto pare le sue lettere erano più sentimentali
delle mie, se gli si è affezionata tanto.
“Hai visto Al?
Guarda! Ho una super-nuova
bacchetta! Me l’ha regalata
Tom! Cioè, me l’avete regalata voi!”
Cinguettò felice, rischiando di
ficcargliela in un occhio per l’entusiasmo. “Grazie
per il regalo!”
“È
davvero bellissima, Meike.”
Al gli
scoccò un’occhiata e Tom non si
sentì più l’ultima ruota di scorta. In
realtà, si sentì molto
considerato. “Ma prego, entrate! Ha nevicato, vero? Venite a
scaldarvi!” Apostrofò il resto della famiglia,
salutandoli poi uno ad uno.
Tom aspettò nelle
retrovie.
Quando arrivò Harry riuscì a far spostare suo
padre e suo fratello, immobili,
dall’ingresso. Ringraziò il padrino con
un’occhiata e quello gli sorrise
comprensivo.
La
situazione si normalizzerà non appena capiranno che
nessuno vuole trasformarli in animali della fattoria…
Rimasti
tra soli maghi, Al tirò una
ciocca di capelli a Meike, rimasta saldamente abbracciata al suo
fianco.
“Allora… ti piace
l’Inghilterra?”
“È bellissima! Ci voglio venire a vivere, e so che
Tom mi farà venire ad
Hogwarts!”
“Ti
farà?”
Tom si schiarì la voce di fronte all’aria
divertita dell’altro. “Intendeva dire
… che faremo tutti in modo che il suo trasferimento sia
facilitato.”
“Sì, come ti pare.” Lo smontò
la peste. Guardò dall’uno all’altro.
“Ora vi
baciate?” Chiese dal nulla.
Tom vide Albus avvampare
come
se avesse messo il viso troppo vicino alle fiamme del camino.
“… eh?”
“C’è il vischio.”
Replicò imperturbabile, indicando una fronda particolarmente
cespugliosa sopra le loro teste. “Quando
c’è il vischio chi si vuole bene, si deve baciare.” Aggiunse con
teutonica
certezza.
“Non è
stata un mia idea.” Si
affrettò a spiegare loro Al, in piena agitazione.
“È stata Lily… e Freddy,
forse. Io…” Lo guardò in cerca di aiuto.
Spero
che non perda mai questa timidezza adorabile.
“L’hai
sentita. Ci si deve
baciare.” Replicò tranquillo,
facendo un sorrisetto d’approvazione alla bambina.
Al gli lanciò
un’occhiataccia.
“Bene.” Si chinò all’altezza
di Meike e le diede un bacio sulla guancia. “Ma al
momento non sono abbracciato a te, Tom. E quindi il bacio spetta a
lei.”
Meike fece un versetto che a
Tom sembrò inquietantemente civettuolo. Poi per fortuna fu
attirata di colpo da
una forte luce colorata proveniente dal salotto. “Ehi, Al!
C’è anche quel tuo
zio che fai i fuochi magici?”
“Certo, zio George.” Le assicurò.
“Credo ne abbia acceso uno proprio adesso.
Perché non vai a vedere?”
“Fico!” Esclamò, e li piantò
su due piedi senza aggiungere altro.
Al ridacchiò alla
sua
espressione perplessa. “Stasera dovrai dividerla con almeno
venti persone. Puoi
sopportarlo?”
“Naturalmente, voglio che faccia amicizia.”
Replicò sostenuto.
“Amici alla fine
della serata
non le mancheranno, sta’ sicuro.” Gli si
avvicinò, lanciandosi un’occhiata
distratta alle sue spalle, sentendo l’ennesimo botto e
scroscio di risa. “Alla
fine tuo padre si è convinto…”
Tom si spazzò la
neve dal
cappotto. “Credo sia grazie al tuo. Avrà fatto
pressioni.”
“Forse l’ha semplicemente convinto.”
Osservò. Poi gli passò le braccia attorno alla
vita con una naturalezza che
rilassò immediatamente Tom: poteva detestare il chiasso in
cui di lì a poco
sarebbe stato forzato ad entrare. Ma non detestava Albus.
Dato
di fatto ineluttabile come il sorgere del sole.
“Sono tanto, tanto
contento.”
Aveva le guance ancora rosse. Dunque non era imbarazzo per il vischio.
Scommetto
che anche quest’anno James e Fred gli hanno
corretto il succo di zucca.
Poi si ricordò
che quella era
la tipica frase iniziale che l’altro, da bambini, utilizzava
per salutarlo
quando riusciva a venire a Natale. Sogghignò di rimando.
“Mi hai
fatto il regalo
Tom?” Replicò, imitando la sua vocetta
infantile in maniera piuttosto
convincente.
Albus gli mollò un pugno leggero sulla spalla. Poi
però si fece serio di colpo.
“Certo che me l’hai fatto.”
Sussurrò piano. “Sei qui.”
“Al…”
Non finì
la frase che l’altro si alzò leggermente
in punta di piedi e appoggiò le labbra sulle sue. Tom
ricambiò il bacio sentendosi
sparire dalle spalle il peso che l’aveva quasi schiacciato
tre secondi prima
ricordando il motivo per cui Al aveva rimarcato la sua presenza.
Okay.
Niente sensi di colpa a Natale. Funziona così
questa festa ridicola, no?
“Lo sai che ti
hanno corretto
il succo, vero?” Gli sussurrò sulle labbra, che in
effetti avevano un vago
sentore alcolico.
Al sbuffò.
“Lo fanno ogni
anno. Ne ho bevuto solo un po’.” Poi gli strinse il
braccio, mentre il sorriso
prendeva una sfumatura maliziosa. “A proposito di
regalo… che dici, se mi dai
il permesso posso scartarlo?”
Tom fece mente locale.
Cenone,
famiglia a pochi metri. Molta
famiglia a pochi metri.
“Mi stai di nuovo
punendo per
qualcosa?” Chiese in tono informativo. Ormai illuderlo e poi
mollarlo eccitato
come un qualsiasi ormonale idiota era diventato il suo metodo di
rappresaglia
preferito.
Non
credo di aver fatto nulla di sbagliato stavolta. Ma
non si sa mai.
Al ridacchiò.
“No… o meglio,
dipende da come ti comporti stasera.” Lo sciolse
dall’abbraccio. Si obbligò a
non riacchiapparlo. “Tuo padre sembra molto teso…
e anche tuo fratello non
scherza. Se fossi un po’ più sociale
del solito e li aiutassi ad interagire con gli altri, magari potrebbero
rilassarsi.”
“E cosa ci guadagno?”
Al inarcò le
sopracciglia, già
sullo stipite della porta che dava sul salotto. “Il tuo
regalo?”
“Quello me lo devi fare comunque.”
Osservò piazzando una mano sul pomello per
evitare che la aprisse spalancando le porte dell’inferno
Weasley.
Al lo guardò da
sopra la
spalla con un’espressione furba. “Io parlavo dell’altro regalo.”
Rimase un attimo in
silenzio.
Poi ispirò. “Profondamente sleale, Signor
Potter.”
“Lo so. Siamo tremendi noi serpeverde, vero?” Gli
fece la linguaccia.
Tom fece un mezzo sorriso,
poi
tornò serio. “Dobbiamo parlare con
Harry.”
“Stasera?”
Fece una smorfia. “È la Vigilia!”
“Non qui, quando saremo a casa.” Vedendo che non
era convinto, andò sul pragmatico.
“Non abbiamo molto tempo. Luzhin tornerà per il
Ballo, ma il vascello di
Durmstrang salperà per Santo Stefano. Il ventisei, tra tre
giorni.” Soggiunse
vedendo che non capiva. “Fuori dal territorio britannico per
tuo padre sarà
difficile avere influenza. O direttamente indagare.”
Al sospirò.
“Va bene.” Mugugnò
sconfitto. “Andiamo adesso? Vorrei ricordarti che ci sono
persone che ci aspettano.”
Non aspettò un suo cenno
affermativo e spinse la porta, sparendo all’interno del
salotto.
Tom sospirò. Poi
lo seguì.
****
Albus osservò
ridendo l’animata
partita di neve che si disputava nel giardino della Tana.
Finita la cena era stato
proposto da Hugo di andare fuori a respirare un po’
d’‘aria pura’.
Naturalmente
una parola in codice…
Alicia e Vernon avevano
acconsentito volentieri, meno a disagio dopo aver scoperto che molti
dei loro
parenti acquisiti non erano totali alienati e conoscevano
l’uso dei basilari
sistemi di intrattenimento babbano. Hugo specialmente aveva intavolato
una
fitta conversazione sui videogiochi con Vern.
Appena fuori, Freddy e James
avevano aperto le danze. In meno di qualche minuto, l’aria si
era riempita di
decine di palle di neve. L’unica regola: niente uso della
magia.
Non
c’è niente di meglio che tirarsi blocchi di
ghiaccio congelato per fare amicizia.
Persino Alicia, che
possedeva a
volte la stessa indifferenza distaccata di Tom, al momento era rossa in
viso e ridente,
mentre cercava di ripararsi dagli attacchi di Freddy, le gemelle e
Dominique.
A
Natale siamo tutti meno misantropi.
Rose, seduta accanto a lui
su
un enorme e vecchio divano lasciato lì per essere buttato e
poi dimenticato, sospirò.
“Gliel’ho detto.” Esordì
mentre davanti a loro passava Hugo inseguito da
un’implacabile
Meike.
Al le scoccò
un’occhiata. “A
tuo padre?” Indovinò al primo colpo: facile del
resto, dato che suo zio Ron
aveva passato tutta la cena con un broncio infinito.
“Già.
Pensavo peggio. Pensavo
avrebbe cominciato a lanciare oggetti, sinceramente.”
Ironizzò, stringendosi
nel giubbotto. “Certo, probabilmente non mi
parlerà per decenni. E
mamma dovrà trascinarlo schiantato al matrimonio mio e
di Sy.”
“Wow, già pensiamo al matrimonio?” La
prese in giro, e l’altra arrossì.
“Non ho intenzione
di mollare la
presa su qualcuno che è riuscito a farmi litigare con mio
padre. È una
questione di principio. Poi, vedremo.” Mugugnò.
“Intanto beh… amo quello
stupido biondino.”
Al le strinse la mano,
ingoiandosi una risata. Rose sapeva diventare violenta quando era in
imbarazzo,
come metà dei membri femminili della loro famiglia.
“E tua mamma che ne pensa?”
“Credo che preferisca mantenersi neutrale finché
non ha raccolto tutti gli
elementi necessari ad un’analisi.”
Scherzò. “E mi sta benissimo. Non ho bisogno
di un’altra voce in testa al momento…”
Al le passò un
braccio attorno
alle spalle, e la strinse in un abbraccio che l’altra
ricambiò grata.
“La sua famiglia
non mi
accetterà mai, vero?” Soggiunse piano, ma senza
lacrime o incertezze.
“Penso che ci
vorrà tempo, per
entrambe le nostre famiglie. Ma io e
gli altri renderemo le cose più facili. Te lo
prometto.” Le baciò la tempia
fredda con affetto. Rose gli sorrise di rimando. Poi si
alzò, spazzolandosi i
pantaloni.
“Vado a
controllare che non mi
ammazzino Hugo. Vieni?” Fece un sorrisetto.
“Scommetto che stavolta riesco a
tirartene almeno una.”
“Impossibile. Ho riflessi da Cercatore.
Serpeverde.” Puntualizzo strizzandole
l’occhio. Poi guardò il campo di battaglia. Lily
non c’era. Strinse appena le
labbra. “Vai tu, io ti raggiungo tra un momento.”
Quando la cugina se ne fu
andata, rientrò immediatamente in casa. Gli adulti erano
seduti in salotto, sui
divani, a bere il digestivo alle erbe di nonna Molly e chiacchierare.
Sentì a
sorpresa la voce baritonale di Dudley associata a quella di suo zio
Ron. Chissà
di cosa parlavano due persone tanto diverse.
È
davvero la magia del Natale…
Lanciò
un’occhiata all’interno
e intercettò lo sguardo di Tom, seduto con zia Hermione
davanti al fuoco.
Tipico.
Se non lo conoscessi bene, sarei pure geloso
della sua cotta intellettuale. Passa tutte le feste al suo fianco.
Di Lily però non
c’era
traccia. Evitare il chiasso per lei era un sintomo preoccupante. Albus rifletté:
l’anno prima era stato lui
l’asociale della storia. E dove si era rifugiato?
Seppe di colpo
dov’era sua
sorella.
La soffitta della Tana era
il
luogo di raccoglimento interiore per eccellenza. Isolata dalla baraonda
dei
piani sottostanti, sufficientemente incasinata dal potercisi nascondere
sentendosi al sicuro.
La trovò seduta
di fronte alla
bassa finestrella che dava luce alla stanza quando era giorno.
Osservava il
buio fuori e aveva acceso un paio di candele per non averlo dentro.
“Ehi…”
La chiamò gentilmente.
Lily sobbalzò lo stesso, lanciandogli un’occhiata
allarmata. “Scusa, non volevo
spaventarti.”
“Pare che ci si spaventi quando si pensa troppo.”
Borbottò. Sembrava proprio
avercela con lui.
Tirò fuori la sua
aria più
confusa e dispiaciuta. “Lils, sei arrabbiata con me? Ho fatto
qualcosa?”
La sorellina arrossì, a disagio. “No…
cioè… no. Dai.” Sbuffò
arresa.
“Siediti.”
Al obbedì
trionfante, ma non
le chiese perché fosse lì. Non era il modo giusto
per iniziare quella
conversazione.
“Questo Natale
è molto
babbano, eh?” Le disse invece. “Sono contento che i
genitori di Tom si siano
ambientati. Certo, c’è stato quel momento in cui
Freddy ha quasi fatto
esplodere la sedia sotto il sedere di zio Dudley,
ma…”
“Pensavo che nonna l’avrebbe trasformato in una
zucchina.” Ridacchiò la
sorella. “Meno male che Jamie l’ha fermato in
tempo.”
“Chi l’avrebbe mai detto. Nostro fratello ha
finalmente l’età che dimostra, e
non cinque anni.”
“Tu dici? Io
gliene darei
dieci.”
Risero entrambi. Lily finalmente si era rilassata. Era quindi il
momento
giusto. “Emozionata per domani?” Le chiese con
noncuranza.
Lily scrollò le
spalle. “Ho il
vestito. Ho un appuntamento dal parrucchiere. Sono preparata.”
“E non
dimenticarti il
cavaliere.” Aggiunse dolcemente. Lily si irrigidì,
di nuovo. Però poi gli
sorrise.
“Sì,
giusto. Ed indosserà
l’uniforme di gala. Ci
pensi? Solo
zia Hermione ha avuto questa fortuna, e comunque zio Ron
pensò bene di
rovinarle la serata. Mai notato che zio Ron è un
rovina-serate?” Era chiaro
tentasse di cambiare discorso. Al non rispose e l’argomento
cadde da sé.
Lily si morse allora il
labbro, aggrottando le sopracciglia. “Perché a
nessuno di voi piace Ren?”
Sbottò di colpo, aggressiva. Protettiva, in
realtà. Ecco dove Tom aveva
sbagliato: aveva visto solo l’aggressività e aveva
reagito incalzandola fino
all’inevitabile ceffone.
Invece
vuole solo difendere il suo amico.
“Non ho mai detto
che non mi
piaccia.” Osservò quieto. “Sembra un
bravo ragazzo.” Ed era vero. Tralasciando
l’episodio sinistro con Fanny, Luzhin si era sempre
comportato da perfetto gentiluomo,
con tutti. Solo con James aveva perso la calma.
Ma
Jam sa come fa saltare i nervi a qualcuno…
Si comportava molto meglio
della maggior parte dei ragazzi della loro età. Specialmente
con Lily: la
portava praticamente in palmo di mano.
Ce
lo vedo a stendere il mantello su una pozzanghera,
per farla passare.
Inoltre sembrava sincero.
Non
poteva dimenticare come aveva parlato di Lily, la sicurezza nel suo
tono. Non gli
aveva detto quelle cose per ingraziarselo: gliele aveva dette
perché ci
credeva.
Ciò
non toglie però che abbia qualcosa che non va.
Lily nel frattempo
sbuffò.
“Allora se non ce l’hai con lui, mi spieghi
perché sia tu che Tom lo spiate?”
“Spiamo?”
Mantenne un tono
sorpreso, anche se la vera sorpresa era che se ne fosse accorta.
Neppure
tanto. Lo sai quanto è sveglia su queste cose…
“Sì, lo
spiate. Soprattutto
Tom. Perché?” Al si sentì un tantino
agitato, quando Lily gli piantò gli occhi
nei suoi. Sua sorella era un vero mastino, quando si trattava di avere
delle
risposte.
Non
molla finché non le ottiene.
Capì quindi che
doveva
concederle qualche rivelazione, per farla aprire di rimando. Era una
legge
vecchia come il mondo. “Tom pensa che nasconda
qualcosa… Pensa che Durmstrang
possa essere coinvolta nell’attacco della Prima
Prova.”
Non era vero: ma dirle la
verità, cruda e diretta, non sarebbe stata una buona idea.
Se
è innamorata di lui…
“Durmstrang? La
scuola?” Lily
batté le palpebre confusa. “Sì, beh, in
effetti dopo l’attacco dei Dissennatori
il Torneo è stato spostato là.
Magari…” Fece una pausa. “Credi che Ren
sia
coinvolto?”
“Credo che possa saperne qualcosa. Dopotutto è il
loro Campione.” Spiegò calmo.
Se le avesse detto che c’entrava quasi sicuramente la Thule,
Lily sarebbe
andata nel panico. Non c’era alcun bisogno di coinvolgerla.
Poteva aiutarli a
capire Ren…
Ma
non deve essere trascinata in questa storia.
“Ti ha colpita
qualche suo comportamento
particolare ultimamente?”
Lily nicchiò a lungo, infine fece un sospiro.
“Sembra… preoccupato. Spaventato.”
Si corresse. “Da qualcosa… o da qualcuno.
È come se avesse sempre… non so.
Ha…”
Esitò. “… ha la faccia di chi in un
vicolo buio pensa di essere seguito.”
Lily. Sia benedetta la sua capacità
di
dare immagini riassuntive perfette.
“Capito.”
Le sorrise.
“Comunque non preoccuparti. Sai com’è
fatto Tom. Pieno di teorie cospirative.”
Si alzò, sentendo che fuori gli altri stavano rientrando.
Presto qualcuno si
sarebbe chiesto dove erano finiti. “Io scendo.
Vieni?”
“Sì,
certo.” Annuì tranquilla.
Al fece per voltarsi quando, a sorpresa, Lily lo afferrò per
un braccio. Aveva
un’espressione concentrata, insolitamente seria. Si
mordicchiò il labbro un
momento, prima di parlare.
“Ren…
lui… non farebbe male ad
una mosca.” Mormorò. “Non ne sarebbe
capace. Qualsiasi cosa stia pensando Tom…
Ren non l’ha fatta. Ne sono sicura.”
Albus le sorrise: cosa
avrebbe
potuto dirle? Era chiaro che la sorellina non avrebbe mai potuto pensar
male
dell’amico. Ma lui… beh. Poteva aver tacciato per
mesi Tom di paranoia. Ma non
poteva più farlo, non dopo del collegamento di Luzhin con la
Magia Oscura.
Avrebbe voluto dirle di
allontanarsi, ma la conosceva: si sarebbe opposta per principio. In
questo
erano maledettamente simili.
Mi
hanno detto in tutti modi di star lontano da Tom, di
mettere la giusta distanza tra di noi.
L’ho
mai fatto?
Certo, tra Sören e
Lily non
c’era lo stesso rapporto che passava tra lui e Thomas: per
sua sorella
probabilmente era solo una cotta tenace.
Ma
sfortunatamente la nostra tenacia assomiglia
terribilmente alla testardaggine …
Lily non doveva
assolutamente
scoprire cosa lui e Tom supponevano del tedesco.
Meno
sa di tutta questa storia, meglio è. Non deve fare
domande, non deve sapere. Niente.
“Non
preoccuparti.” Le diede
un leggero colpetto sulla spalla, nel modo più rassicurante
che gli riuscì.
Lily gli sorrise appena di
rimando. “Okay.” Disse, e poi gli si
affiancò, scendendo con lui le scale.
Dobbiamo
tenerla fuori dai guai. Da questi
guai. A
tutti costi. Non anche mia sorella.
Io
ho scelto di farmi coinvolgere. Ma lei no.
Tom non aveva tutti i torti:
dovevano parlare con suo padre. Quella sera stessa.
****
Germania
del Nord
Residenza estiva degli Hohenheim.
La pendola vicino al camino
aveva appena segnato le dieci di sera e la cena non era ancora stata
annunciata.
Sören tese appena
le labbra in
una linea incerta, sfiorando con le dita la copertina del libro che
stava
tentando di leggere per distrarsi.
Non era da suo zio un
comportamento del genere.
Suo zio, che aveva sempre
preteso assoluta puntualità, rispetto delle tradizioni,
rispetto
dell’etichetta, persino quando erano soli.
Ma con la nuova casa, erano
arrivate nuove regole. A Sören era stato ordinato di non
lasciare i propri
appartamenti, a meno che non fosse espressamente chiamato. E
così aveva fatto
da quando era arrivato il giorno prima.
Suo zio l’aveva
accolto con
poche parole e un abbraccio cerimonioso. Nulla di inusuale.
Ma quel ritardo nel servire
la
cena della Vigilia non andava bene. Non era… normale.
Scrollò la cenere
della propria
pipa nel fuoco, riponendola poi dentro il panciotto. Si era vestito di
tutto
punto, come si conveniva ad un’occasione del genere, ma
questo era accaduto ore prima.
Doveva andare a controllare.
Si buttò addosso
il leggero
mantello che usava in casa per spostarsi lungo i corridoi gelidi: suo
zio non
amava il calore generato da incantesimi riscaldanti. Lo trovava
fastidioso.
Invece
non lo è. Ad Hogwarts è piacevole non trovarsi
perennemente con le punta delle dita congelate.
Impiegò svariati
minuti per
raggiungere le cucine. Non ricordava bene dove si trovassero: quella
tenuta
l’aveva visitata poco da bambino. In realtà, era
stata usata poco dallo stesso
Hohenheim.
Le trovò seguendo
il suono di
voci e il riverbero di candelabri. I servi dovevano essere
lì.
Si accostò alla
grande porta
ellittica, sentendoli ridere. Probabile stessero consumando la loro, di
cena.
Sentì un crampo
allo stomaco,
ma lo ignorò. Avrebbe sempre potuto farsi portare qualcosa
dopo.
Risentire il tedesco del
Nord
dopo tanto tempo era piacevole. Kirill e i ragazzi di Durmstrang
parlavano il
tedesco della Baviera, comprensibile per lui, ma dai suoni meno aspri,
meno
suoi.
“Povero
Signorino…” Udì. Era
la voce di un uomo. Forse il vecchio Etzel, servitore di suo zio da
decenni.
“Pensate che dovremo portargli qualcosa da
mangiare?”
“Sei matto, vecchio?” La seconda voce era giovane.
Un ragazzo. Doveva essere il
nuovo sguattero. “Sai come funziona meglio di me, qua.
Nessuna iniziativa
personale!”
“Ma starà morendo fame… il pranzo
è stato ore fa.”
“E che muoia!” Fu la risposta. “Tanto,
son tutti uguali quelli della loro
schiatta. Pensano che gli dobbiamo leccar le suole degli stivali per il
loro
sangue puro. Beh, ti dirò una cosa Etzel. Anche la mia, era
una famiglia di
purosangue. E dato che son nato Magonò, hanno ben pensato di
cacciarmi ad
elemosinare nelle strade di Lubecca!”
“Taci,
Milo!” Lo apostrofò una
terza voce, femminile. Sören la ricordava bene. Era la serva
che da bambino
aveva curato spesso le sue ferite dopo gli allenamenti. “Qui
lo siamo tutti, e
dovremo esser grati al padrone che ci ha dato un tetto sopra la testa e
pane da
mordere!”
“Grati
sì…” Sbuffò. “Lo
sono,
sicuro. O lo ero, mica lo so. Andiamo… lo avete visto come
si comporta in ‘sti
ultimi tempi! Ci ordina di restar confinati nei nostri quartieri, non
esce dal
suo studio… e se gli gira storto, non ci pensa due volte ad
agitar la
bacchetta! Hilda l’ha vista la mia schiena, dopo che il
padrone mi ha punito
perché avevo rovesciato un solo, fottuto
bicchiere!”
Sören
inspirò: suo zio che
usava violenza ai servi. Non era mai accaduto prima. Sì, era
un uomo duro,
inflessibile, e non perdonava gli errori. Ma ferire un ragazzo per un
bicchiere
rovesciato era… troppo.
“Zitto, zitto…” Mormorò
l’uomo, e il tono di voce era teso, spaventato.
“Non si
parla male del padrone. Lascia perdere. Fa’ silenzio. Pensa a
mangiare.”
“Bel Natale che è… rinchiusi qui con un
pazzo. Una belva.” Grugnì il ragazzo.
Poi seguì rumore di mascelle; avevano ripreso a mangiare.
Sören rimase
appoggiato alla
porta della cucina, pensando.
Sapeva bene che i
magonò
tendevano sempre ad esagerare le loro condizioni per farsi compatire.
Era una
lezione che gli era stata insegnata sin da bambino. Ma il tono di quel
servetto
esprimeva frustrazione e paura, dietro l’irritante
sfacciataggine. Non stava
esagerando.
Come
gli avrà ridotto la schiena?
Le comunicazioni con suo zio
in quei mesi erano state poche. Circostanziali alla sua missione. Non
aveva mai
pensato di chiedergli nulla, ma solo di rispondergli.
Quando
me ne sono andato era perfettamente in sé …
Certo è pur vero che son stato qui pochi giorni. Sono
tornato dalla Russia, ho
chiuso il vecchio maniero e poi qui… una settimana, forse.
Forse meno.
Decise che era il momento di
capire. Esagerazione dei servi o meno, qualcosa non andava.
Percorse la distanza tra le
cucine e lo studio di suo zio in pochi attimi, sentendo i crampi allo
stomaco
farsi sempre più forti e dolorosi. Non era solo la fame. Era
ansia.
Serrò i pugni, ma
poi bussò
alla vecchia porta in noce davanti cui aveva atteso tante volte. Non
era la
stessa, certo, ma era un simbolo.
Non ebbe alcuna risposta.
Normale, pensò nebulosamente. Non era stato annunciato.
E
se si fosse sentito male? I servi sembrano aver
talmente paura di lui che non saranno di sicuro entrati.
Si fece coraggio ed
aprì la
porta. Il fuoco baluginava morente nel camino, e le tende erano come
sempre
tirate. Sören non ricordava di averlo mai visto lavorare alla
luce naturale del
sole, persino durante le luminose giornate estive che talvolta
graziavano la
loro terra.
“Zio?”
Lo chiamò, non
riuscendo a capire se fosse seduto alla poltrona della scrivania. Era
troppo
buio e le ombre si allungavano e tremavano dinnanzi alle braci del
focolare,
inghiottendo tutto.
“Sören.”
La voce di Alberich
von Hohenheim non proveniva dalla scrivania, bensì vicino
alle grandi finestre
oscurate. Sören inspirò, voltandosi in quella
direzione. “Non mi sembra di
averti mandato a chiamare.”
“No.” Confermò con un lieve inchino di
saluto. “Ma è molto tardi e la cena non
è stata servita.”
“Lo so.” Fu la risposta inaspettatamente quieta.
Sören prese un
nuovo sospiro.
“Mi… mi stavo chiedendo il perché.
È la Vigilia, zio.”
“La
Vigilia…” Mormorò questi.
“Sì, naturalmente. Se hai fame, puoi chiedere di
farti preparare qualcosa. I
servi dovrebbero ancora essere in cucina.”
“Non è questo.” Obbiettò,
abbassando subito lo sguardo quando vide che l’uomo
si avvicinava nella sua direzione. “È che
… ho ascoltato i servi parlare, e ho
inteso… che neppure Voi avete cenato.”
“Non ho fame.” Tagliò corto.
“C’è dell’altro?”
C’era
dell’altro. C’era molto.
Sören si morse le labbra fino a
sentire il sapore ferroso del sangue.
Cosa
sta succedendo? Perché uno sguattero si permette
di darti del folle?
Perché il piano che sto eseguendo sembra far acqua da tutte
le parti, e fa
rischiare a me e a Poliakoff continuamente?
Qual
è l’obbiettivo finale?
C’è, un obbiettivo finale?
Erano un fiume di domande,
che
gli si erano formate lentamente, ma tenacemente in testa, come un
cancro silenzioso.
E non volevano saperne di andarsene, per quanto provasse a chiuderle
fuori.
“Non
c’è altro.” Disse però.
Poteva pensare, ma parlare… era tutta un’altra
storia. “Ero solo preoccupato.”
“Sei un buon
nipote.” L’uomo
uscì dal cono d’ombra. Sören trattenne un
esclamazione soffocata. Durante i
loro contatti l’aveva visto, ma sempre nebulosamente dietro
la cortina fumosa
del Fuoco Magico.
Dal vivo, si rese conto di
quanto suo zio fosse dimagrito, pallido. Non emanava più
quell’aria di
imponenza che l’aveva sempre paralizzato sin da bambino.
Non che questo lo rendesse
meno spaventoso ai suoi occhi.
Di colpo capì
cosa intendeva
il giovane Milo.
Sembra
una belva in gabbia…
Come se qualcosa lo
consumasse, un pensiero. Aveva l’aria di un uomo che stava
pensando troppo.
Ma
non è solo questo… è…
“Un nipote
affezionato.”
Riprese l’uomo, con quella sua voce bassa, che si insinuava
nel padiglione
auricolare come una lama avrebbe fatto elegantemente nella carne.
“Ma la tua
unica preoccupazione deve essere il piano che porterai a
termine.” Gli mise una
mano sulla spalla. “Solo quella.”
“Sì, zio.” Esitò, poi lo
disse. “Potremo cenare qui, se lo
desiderate…” Capì di
aver oltrepassato il segno quando vide lo sguardo dell’uomo.
“Al diavolo la
cena!” Ruggì di
colpo e Sören istintivamente fece un passo indietro.
“E tutto ciò a cui pensi,
sciocco ragazzo?! Questo tua non richiesta pietà un giorno
ti costerà cara! E
prega che non costi anche a me!”
“Io…” Si sentiva la bocca secca e il
cuore battere furioso nel petto. Sapeva
che era stupito essere terrorizzato e sentirsi in colpa per aver
semplicemente
proposto un’idea. Ma suo zio non aveva mai avuto quegli
scatti d’ira
improvvisi. Certo, a meno che non sbagliasse durante gli allenamenti.
Ma lì si
supponeva lo meritasse per essere goffo e poco reattivo.
“Sono Vostro servo
fedele.” Sussurrò in fretta, automaticamente.
L’uomo fece una
smorfia. “È
bene che tu lo ricordi.” Inspirò lentamente.
“Dammi un bicchier d’acqua.” Gli
ordinò secco.
Sören
obbedì, ma quando si
voltò a versarlo sentì un colpo secco, come di
qualcosa, qualcuno, che cadeva a
terra. Si voltò di scatto e vide l’altro mago
reggersi con forza alle tende
delle finestre. “Zio!” esclamò,
avvicinandoglisi in fretta, e afferrandolo per
un braccio per frenare la probabile caduta.
Sentì
immediatamente un dolore
accecante al volto e fu scagliato via con forza, a sbattere contro uno
dei
divani. “Non osare!”
Ruggì l’uomo.
“Non ho bisogno del tuo aiuto, patetico moccioso!”
Sören si
raddrizzò, sentendo
il sangue rombargli nelle orecchie e scaldargli il lato del viso
colpito. Cercò
di riflettere velocemente.
È
quasi caduto, respira male…
È
malato. Gravemente malato.
La realizzazione lo
ghiacciò
sul posto. Doveva esser così, dato che Alberich Von
Hohenheim difficilmente si
sarebbe fatto abbattere da una banale influenza. Da che ricordava, in
quella
casa l’unico a beneficiare delle cure del loro Guaritore
personale era stato
lui. Mai suo zio.
L’uomo nel
frattempo sembrò
essersi ripreso. Tirò un profondo respiro.
“Va’.” Gli ordinò. Ma la sola
sillaba bastò evidentemente a togliergli le poche forze che
aveva riacquistato,
perché le guance persero nuovamente colore.
“Zio…”
“Non darmi altri motivi per punire la tua
insolenza.” Replicò l’uomo.
“Ti ho
ordinato di congedarti. Ubbidisci.”
A Sören non
restò che
inchinarsi e lasciare la stanza. Allontanandosi lungo il corridoio,
incrociò
una dei servitori, la donna, Hilda. Reggeva un vassoio con piatti
coperti.
“Signorino…” Mormorò
sorpresa, occhieggiandolo. “… siete
ferito!”
“Non è nulla.” Tagliò corto.
“Stava portando la cena a mio zio?”
“No, Signorino.” Mormorò in tono
incerto. “La stavo portando a Voi. Il padrone
ci ha ordinato di non disturbarlo, ma abbiamo immaginato che potevate
aver fame.”
Sören sorrise appena, facendo una smorfia alla fitta che ne
conseguì. Il colpo
doveva avergli tagliato il labbro sui denti. “La ringrazio
Hilda. Posso
portarla sopra da solo.” Gliela prese dalle mani, senza
curarsi delle deboli
proteste. “È la Vigilia, dovrebbe essere
dispensata dai doveri dall’ora di
cena, credo.”
“Sì, Signorino, ma…”
“Buon Natale.” La fermò. La
Magonò capì l’antifona,
perché fece un breve cenno assertivo.
“Buon Natale anche a Voi, Signorino.” Si
inchinò, per poi allontanarsi. Sören
guardò il riverbero del candelabro che la donna reggeva per
farsi luce
spegnersi lentamente. Poi tornò sui suoi passi.
Appoggiò il
vassoio davanti
alla porta dello studio e bussò di nuovo.
“Zio.” Chiamò, sapendo che stava
ascoltandi. “Vi ho portato qualcosa da mangiare…
Vi prego almeno di assaggiarla.”
Non aggiunse altro. Prese il tozzo di pane che accompagnava la zuppa di
aringhe
– sapeva che l’uomo lo faceva sempre avanzare - e
se lo infilò in tasca,
tornando poi nei suoi appartamenti.
Quando si sedette sulla
poltrona accanto al fuoco, poté realizzare con calma la
portata di ciò che
aveva visto.
Zio
è malato. Non ho idea di quanto sia grave, ma una
malattia capace di piegarlo non dev’essere cosa di poco
conto.
Chiuse gli occhi, mordendo
il
pane per calmare i morsi della fame. La bocca protestò, ma
finì il suo frugale
pasto impietosamente.
Domani
spedirò un Gufo al nostro Guaritore…
L’avrebbe firmato
a nome di
suo zio; era capace di imitare la firma di chiunque. Era stata una
delle cose
che aveva dovuto imparare collateralmente
da Johannes.
Caricò la pipa.
Quello non era
disubbidire. Era molto peggio. Era prendere iniziative, era mentire,
era…
È
capire. Devo
capire.
Cosa
diavolo sta succedendo?
La pendola suonò
improvvisamente, facendogli quasi rovesciare il tabacco sulle gambe.
Ascoltò i
dodici rintocchi spegnersi lentamente nel silenzio della camera.
È
mezzanotte. È Natale.
Fuori non nevicava. Non
avrebbe nevicato quell’anno. Lanciò
involontariamente uno sguardo verso il
baule da viaggio: sapeva bene cosa ci fosse dentro, oltre ai libri, ai
vestiti
e ai suoi effetti personali. Si alzò lasciando perdere la
pipa e lo aprì. In
mezzo alle sue cose, spiccava una busta dai colori sgargianti e dal
fiocco
traslucido.
Il
regalo di Lily…
La prese.
“Ren!”
La sua carrozza era già arrivata ai cancelli di Hogwarts; si
era attardato per
semplici motivi burocratici legati al Torneo e aveva evitato lo sguardo
di
Albus Potter per tutta la riunione tra delegazioni.
“Lilian…”
Aveva visto Lily correre verso di lui dal
pendio soprastante e l’aveva quindi aspettata.
“Te
ne stavi andando senza salutarmi!” L’aveva accusato
tirandogli una botta con la borsa.
Sören
aveva fatto una smorfia al colpo. “Ma l’ho
fatto.”
Aveva obbiettato. “Stamattina, a colazione.”
C’era stato un momento di pausa. “Beh, di saluti
non se ne ha mai abbastanza!” Aveva
replicato l’altra senza scomporsi. Poi aveva frugato nella
borsa e ne aveva
estratto un pacchetto soffice che gli aveva messo in mano. Alla sua
espressione
confusa, aveva sospirato di nuovo. “È il tuo
regalo, tonto.”
“Regalo…” Aveva deglutito penosamente.
Certo, era Natale e lo scambio dei
regali era la norma. “Io…”
“Sarà meglio che tu me ne faccia uno entro la
mattina del venticinque.” Aveva
intuito con la solita, inquietante perspicacia. “Puoi
spedirmelo tramite Posta Gufica!”
Gli spiegò squadernando il dito espressivamente.
“Io ho preferito dartelo di
persona, ma solo perché a casa non abbiamo Gufi capaci di
traversate
continentali.”
“Capisco.”
L’aveva riposto nella tasca del mantello.
“Avrai notizie del tuo regalo.” Le aveva sorriso
preparandosi all’abbraccio che
era arrivato puntuale come un orologio. “Non
preoccuparti.”
“Non
lo faccio.” Aveva risposto Lily. Poi si era
staccata e con un saluto si era allontanata. Poi si era poi fermata di
botto,
voltandosi. “Oh, quasi dimenticavo… Buon
Natale!”
Era arrivato il momento di
scartarla come tradizione richiedeva.
Sören si sedette sul letto e tirò fuori una massa
soffice color bianco avorio,
seguita da un biglietto.
Ho pensato
che dato che da te fa davvero freddo (anche se in Scozia non si scherza, vero?)
magari poteva
servirtene una in più. È fatta a mano. Da me. Ti
terrà al caldo!
Buon Natale,
Ren. Sono sicura che
quando la scarterai (e indosserai!) già sentirò
la tua mancanza.
Con tanto
affetto,
Lily.
Se
la mise al collo. Era calda come prometteva il biglietto. Si
passò il tessuto
tra le dita, portandoselo al viso e aspirandone il profumo.
Sapeva
di Lily.
Le
sue labbra si mossero praticamente da sole.
“Mi
manchi anche tu…”
****
Inghilterra,
Devonshire, Casa Potter-Weasley.
“Avete fatto bene a dirmelo.”
Harry si aggiustò gli occhiali salvo poi toglierseli con un
gesto stanco.
Albus non era così sicuro che avessero fatto bene a parlare
con il padre,
tornati stanchi e satolli dalla Tana. Erano in salotto, con il
caminetto acceso
e davanti alle poltrone. Tutto urlava tranquillità e pace,
tranne le loro
espressioni.
Tom
gli lanciò un’occhiata. “Luzhin
è una persona strana. Non sappiamo esattamente
cosa voglia dire, quel che ti abbiamo detto.” Gli
confessò.
“Che probabilmente dovrò fargli un paio di
domande.” Replicò l’uomo con tono
grave. “Trovarsi in un posto e avere addosso prove che
è stato altrove, il
fatto che sia un Occlumante e che stia usando i suoi poteri…
e poi il sospetto
di uso della Magia Oscura.” Sospirò.
“Sono tutti indizi di cui devo prender
nota. Pur vero che potrebbero dare un buco nell’acqua, ma non
dobbiamo lasciare
nulla al caso. L’anno scorso con la Prynn, purtroppo, abbiamo
fatto
quest’errore…”
“Anche
lei sembrava a … posto, vero papà?”
Chiese Al, sentendosi sempre più a disagio.
Stavano facendo bene? Era quella la strada giusta?
E se Luzhin fosse davvero coinvolto? Mia
sorella è stata amica di penna di un ragazzo simile per anni?
Davvero
non si è mai
accorta di nulla?
“Però
papà…” Mormorò, con quel
tarlo che gli
era spuntato in testa. “… Lily lo conosce da
tanto.”
“È
vero.” Confermò il mago, massaggiandosi la nuca
con una smorfia. “E questo mi
rende solo più preoccupato, Albie.”
“Potrebbe anche avergli rubato
l’identità.” Esordì Tom dal
nulla. “Del vero
Luzhin, intendo.”
“E
come avrebbe fatto?” Esclamò Al sconvolto. A
quella eventualità non aveva
proprio pensato. Per lui Sören Luzhin era
Sören Luzhin. Non qualcun altro. “Scusa, Lily
dovrà aver ricevuto una sua foto
agli inizi della loro corrispondenza. Si fa così, tra amici
di piuma, ne sono
sicuro!”
Tom
esitò. “… vero.
Però qualcuno l’ha mai
vista?”
Al
scrollò le spalle. “Jamie la prendeva in giro in
continuazione, dicendole che
si era trovata il ragazzo… e così per evitare che
ficcanasasse ha nascosto
tutte le sue lettere. Foto compresa, ovvio.”
Suo
padre li stava ascoltando assorto. “Che rapporto
c’è tra lui e Lily?”
Al guardò Tom e venne ricambiato: era arrivata quella domanda.
E
come si fa a dire a
papà che Lily si è presa una cotta per il tedesco?
“Luzhin
con lei è un gentiluomo…”
Iniziò pieno di buone intenzioni.
“Albus,
non sono stupido.” Lo fermò con aria tremendamente
seria. “So che passano molto
tempo assieme. Che sono molto amici e che la tratta bene. Me lo avete
già
detto.”
“Lilian si è innamorata di lui.”
Andò brutalmente dritto al punto Tom. Al
avrebbe voluto tirargli un calcio, ma l’espressione di suo
padre non permetteva
intramezzi semi-comici. “Quando abbiamo cercato di capire se
avesse notato
qualcosa anche lei, è diventata aggressiva. Lo ha
giustificato.”
“Lo ha difeso!” Ribatté Al,
perchè l’altro stava esagerando.
“È suo amico, era
solo preoccupata!”
Tom
lo ignorò, rivolgendosi direttamente al padrino.
“Se provi a sapere qualcosa da
lei, si metterà in allarme e probabilmente
allerterà anche Luzhin. Se proverai
ad allontanarla da lui mentre viene chiarita la sua posizione, otterrai
solo
che ti antagonizzi.”
“Tom!” Quasi saltò in piedi, sentendosi
trascinato in causa. Poteva aver
ragione, ma era troppo.
Anche
io mi sono
comportato così l’anno scorso. E per difendere te,
pezzo di idiota!
Harry
li guardò entrambi, sempre con quella sua aria che lo faceva
sembrare a dirla
tutta persino un po’ distratto. Suo padre quando pensava lo
sembrava sempre.
“Thomas, conosco mia figlia…” Disse
calmo, e anche se non era un’accusa, il
messaggio passò comunque. Tom distolse infatti lo sguardo
imbarazzato.
“Lo
so. È solo che sono…” Prese un respiro.
“… preoccupato. Luzhin non mi convince
da quando ha messo piede ad Hogwarts. È come se fosse venuto
per un motivo
completamente diverso dal Torneo. Penso che ci sia un piano dietro. Non
so se
lo coinvolga, ma c’è. E mi fa impazzire
non…” Si passò una mano sul viso,
chiudendo gli occhi senza terminare la frase. Al capì che
era stanco. La serata
doveva essere stata particolarmente impegnativa per lui.
Ciò
non toglie che
deve piantarla di dissezionare i sentimenti altrui come fossero
Vermicoli!
Però,
il solito: vederlo con quelle ombre negli occhi gli faceva passare la
rabbia
come la neve si sarebbe sciolta al sole.
“So
quanto possa essere frustrante non capire le mosse
dell’avversario…” Mormorò
suo padre. “Ma non sei da solo, ricordatelo.” Li
guardò entrambi. “Avete
fatto bene a dirmi dei vostri
sospetti. Domani ci sarò anch’io al Ballo,
terrò gli occhi aperti.” Il sorriso
prese una sfumatura … piuttosto Serpeverde.
“… e naturalmente mi farò
presentare il cavaliere di mia figlia. Mi farò
un’idea.”
“Poi ce la dirai.” Era quasi un ordine, ma era Tom.
Al si trovò a guardare suo
padre e sorridere assieme.
“Sì,
Tom. Vi terrò informati.” Si alzò in
piedi, stiracchiandosi. “Ora andate a
letto. È tardi, e domani non vorrete perdervi
l’apertura dei regali, no?”
“Come mai potremo.” Replicò Tom con tono
cimiteriale, beccandosi stavolta una
meritatissima gomitata nelle costole.
“Ci
ha creduto subito, eh?”
Al si stese sul letto, accarezzandosi pigramente lo stomaco. Avrebbe
finito per
digerire in tempo per la Seconda Prova, probabilmente.
Tom
si infilò una delle sue magliette deprimenti che usava come
sopra del pigiama. “Perché
non avrebbe dovuto? Diversamente da
te, lui si fida del mio intuito.” Replicò con tono
sostenuto. Non doveva
essergli piaciuto esser ripreso davanti al suo adorato padrino,
riflettè Al.
“O
forse, siete sulla stessa lunghezza d’onda. Di
paranoia.” Alzò le mani in segno
di resa all’occhiataccia che ne conseguì.
“Non ho detto sia una brutta cosa! A
volte avete ragione.”
“A
volte? Finora non ho mai sbagliato.” Ribatté,
infilandosi sotto le coperte con
lui. Al tentò di avvicinarsi ma si beccò una
spinta sul petto.
Si
raddrizzò cercando di frenare l’istinto di
tirargli un calcio in zone indifese.
“Va bene. Quasi sempre.
Però hai
l’empatia di un fondo di calderone.” Non
mollò il punto. “Con Lily sei stato
orribile.”
“Lei è stata
orribile con me.”
Ritorse aggrottando le sopracciglia. Ma stavolta Al riuscì
ad insinuarsi tra le
sue braccia, per quanto l’idiota continuasse ad essere rigido
come un pezzo di
legno.
“Ti
ha tirato uno schiaffo. Sai quanti ne ha presi James? Non ne ha mai
fatto il
dramma che stai facendo tu.” Gli accarezzò piano
un braccio, comunque consolatorio.
“E poi con me ha parlato.”
Tom
lo guardò con improvviso interesse. “Cosa ti ha
detto?”
“Che le sembra che Luzhin sia tormentato da qualcuno.
Credimi, se lo dice lei,
può essere vero sul serio.”
“Mh.” Tom si lasciò cadere sul cuscino.
Discorsi seri, ma erano pur sempre
dentro un letto caldo mentre fuori aveva ripreso a nevicare con forza.
Era
l’atmosfera. “Di sicuro Hohenheim è il
peggior fiato sul collo che possa
capitare.”
“Già.”
Rimasero in silenzio. Albus non aveva sonno, forse per gli avvenimenti
della
giornata o forse perché il respiro di Tom, che gli aveva
appoggiato le labbra
sui capelli, gli dava un piacevole brivido lungo la schiena.
“Temevo
che Meike finisse per voler dormire con noi… a casa mi segue
come se avessi un
sacchetto di dolci in ogni tasca dei miei pantaloni.” Disse
Tom, con tono
insofferente.
Al
ridacchiò. “È inutile che fingi, tanto
lo so che sei contento che sia qui. Non
l’avresti lasciata salire sulle tue ginocchia per
più di metà cena, altrimenti.”
“Sono contento che abbia
fatto
amicizia con Lily e Alicia e che se la siano portata a dormire con
loro.”
Replicò gelido, dandogli un pizzicotto. “E sai
perché Meike ti ha chiamato Mutti
per tutta la sera?”
Al
rimase in silenzio, massaggiandosi il braccio. “No. Non credo
di volerlo sapere…
e comunque probabilmente gliel’hai suggerito tu.”
La
neve cadeva silenziosa imbiancando il resto del mondo. Al
reclinò la testa per
guardarla posarsi dolcemente sul ramo del pesco vicino alla finestra.
“A
me non sembra che Luzhin sia malvagio.” Disse.
Tom
non replicò, ed Al pensò che si fosse
addormentato. Poi però rispose.
“Neppure
a me… ma non sta a noi giudicare.”
Al
sorrise, stringendo appena la presa sul corpo spigoloso
dell’altro. “Con
quest’affermazione ti sei appena
meritato…”
“… il regalo.” Gli ricordò, e
stava sogghignando. “Voglio il mio regalo.”
“È
già mezzanotte?” Finse, mentre Tom
l’aveva già acchiappato a dovere e
schiacciato trai cuscini.
“Il
mio regalo.”
Insistette, sordo ad ogni monito temporale.
Al
soffocò una risata contro le sue labbra e tirò le
coperte sopra di loro.
I
go singing out of
tune
Singing
how I've always loved you, darling
And
I always will…
****
Note:
Ormai capitoli che sono storie a sé, dalla lunghezza. Damn.
Qui la
canzone. Da quanto
volevo usarla! La adoro.
Quando
Al e Tom parlano all’ingresso, il dialogo è
ripreso dalla 10song
challenge scritta più di un anno fa.
Coerenza, Signori! XD
Next: The Prom Il
Ballo del Ceppo!
|
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Capitolo 42 *** Capitolo XL ***
Capitolo XL
Ti amo non per chi sei tu,
ma per chi sono io quando sto con te.
(G. G.
Márquez)
25 Dicembre 2022
Wiltshire,
Malfoy Manor.
Nott e Zabini sarebbero venuti al Manor per accompagnare Scorpius e la
di lui
ospite Violet ad Hogwarts con la carrozza di quest’ultimo.
Scorpius di primi
acchito ne era stato contento: tra lui e i due serpeverde
c’era un’amicizia che
non si manifestava come quella che aveva con Potty. Ma c’era.
E poi non sarebbe stato solo
nel sorbirsi le crisi isteriche pre-ballo della sua graziosa dama.
Al momento attuale, in
realtà,
avrebbe dato fuoco ad entrambi.
“No, assolutamente
non quegli
occhiali!”
“Cos’ha che non vanno per l’amor di
Merlino?!”
“Stai scherzando?”
Scorpius pensava che stare
chiusi nel suo armadio dei vestiti
–
cabina armadio la chiamava pomposamente Mike – da
più di due ore in cerca della
combinazione di accessori perfetti per il suo vestito avesse un
po’ esacerbato
entrambi. Vedendo inoltre che
l’aria
battagliera di Zabini non cedeva di una virgola, decise di buttarsi
sulla
diplomazia. “Mike, hai un evidente problema con gli accessori
babbani. Posso
capirlo. Ti voglio bene lo stesso, amico. Ma voglio
mettere quegli occhiali.”
L’altro non sembrò impressionato dalla sua
maturità: normalmente, lo sapevano
tutti, Michel non scendeva dal suo piedistallo. Ti guardava
dall’altro e
arricciava le labbra disgustato.
Gli unici momenti in cui si
scaldava erano quelli precedenti ad un evento sociale.
Per
l'appunto.
“Sono io a
decidere in questa
stanza. Sono io l’arbiter elegantiae, e tu non indosserai
quegli orrendi occhiali babbani!”
“Non è
una stanza, è un
dannato stanzino e siamo chiusi qui dentro da troppo
tempo!”
Da lontano, ovvero sia
dentro
la sua vera stanza, si udiva Loki
sghignazzare al sicuro.
“Voglio questi
occhiali!”
Ripeté forse per la ventesima volta. “Sono belli e
me li ha regalati Rose!”
“E questo sarebbe un motivo sufficiente per non
indossarli…”
Scorpius, spazientito, decise di uscire facendo uno spavalto passo
avanti. Il Capitano
di Serpeverde gli sbarrò la strada.
“Passerai sul mio
cadavere.”
Lo informò serissimo.
Scorpius emise un lamento:
Michel
era un avversario tostissimo; non importava che al momento fosse
rivestito di
un completo a tre pezzi di seta borgogna. Non importava che si fosse
autodichiarato un dandy. Era grosso e forte quanto lui. E con la
bacchetta a
portata di mano.
“Stiamo facendo
tardi.” Tentò,
mentre da lontano le risate di Loki sfumavano in sghignazzi.
E
vaffanculo pure a lui.
“Persone
come noi si fanno attendere.”
Replicò imperturbabile.
“Siamo il fiore all’occhiello della
gioventù magica della Gran Bretagna. La
festa non inizia senza di noi.”
Scorpius lo guardò, indeciso se schiantarlo e scavalcare il
suo corpo esanime o
soccombere alle sue fissazioni. “Okay.” Disse,
perché non poteva uccidere un amico
d’infanzia sponsorizzato dall’Associazione PurosanguePerSempre
e passarla liscia. “Allora siamo in una fase di
stallo.”
Dalla stanza si sentì un sommesso rumore, un chiudersi e
aprirsi della porta.
“Si può
sapere che state
combinando qui dentro? Siete peggio di una ventina di
ragazze!” La voce di
Violet Parkinson-Goyle fu un balsamo per le orecchie di Scorpius.
“Violet,
aiuto!”
“Mike ha preso
Scorpius in
ostaggio.” Spiegò garrulo Loki. “Oppure
lo sta molestando. Ti va di scomm…”
“Chiudi il becco, Snaso.” Lo apostrofò
spiccia e Scorpius fu certo che la
mancata replica di Nott fu dovuta alla sua indignazione.
“Michel, smettila di
fare la fata madrina! Siamo in ritardo, la carrozza ci sta
già aspettando!”
Michel fece una smorfia
scocciata. “Parkinson, vuole portare quei cosi.”
Ci fu una pausa al di là della porta.
“Ti sei fregato da
solo
negandoglieli. Ora è diventato un punto di principio fare il
contrario. Sono
stata in Inghilterra tre volte quando ero bambina e ho capito il Piccolo Lord Malfoy alla seconda. Tu no?
” Scorpius annuì all’affermazione
beccandosi un’occhiata nauseata. “Lasciaglieli
portare e facciamola finita.”
“Perché ti
rivolgo ancora la parola?”
Soffiò Michel, guardando con odio i suddetti agganciarsi al
taschino della
giacca. “Ti prego, almeno non indossarli o tuo padre
pretenderà le nostre teste.”
Dieci minuti dopo erano
finalmente tutti pronti. Scesero nel salone centrale, dove li
aspettavano i
suoi genitori. Scorpius notò che esprimevano emozioni
contrastanti: suo padre,
vestito interamente di nero, aveva una faccia in tono. Sua madre,
fasciata di
seta color oltremare, sembrava esprimere invece pacato orgoglio.
“Siete bellissimi,
bambini.”
Sorrise loro, baciando le guance a Zabini, come fosse solo merito suo.
In
effetti non ha dato tregua né a me, né a Violet e
Loki per le ultime quarantotto ore… con Violet ha rischiato
pure un paio di
maledizioni.
Le
ragazze sono così permalose…
“Non è
colpa mia, Signor Malfoy.”
Disse Michel, guardando con apprensione la faccia tirata del
capostipite della loro
nobil casata. “Sugli occhiali Scorpius non ha voluto sentir
ragioni. E per la
veste da cerimonia, ecco…”
“Immagino valga la stessa scusa.”
Replicò suo padre, divertito; ma Michel non
conoscendo la cinestesia Draconiana
non
poteva saperlo.
Probabilmente
gli sembrerà sarcastico o insultante. A
scelta.
“Già!”
Replicò Scorpius in
allegria, mentre alle sue spalle Loki soffocava una risatina.
“Non siamo
bellissimi, papà?”
“Sembrate dei babbani.” Fu la caustica risposta.
“Certo che lo
siete, tesoro.”
Sua madre si alzò sulle punte per baciargli la guancia.
“Adesso però andate.
Noi saremo nella carrozza dietro alla vostra.”
“Violet, ti prego di tenerlo sotto controllo.”
Inspirò suo padre, rivolto alla
francofona dama, che batté le palpebre un po’
intimidita, annuendo.
“Specialmente
niente dolci.”
Soggiunse. “Come hai avuto modo di notare in questi ultimi
due giorni, lo
rendono eccitabile.” Scorpius sbuffò, notando con
divertimento che Violet
sembrava proprio non captare l’ironia.
Quella
di papà è un po’ tanto
sottile…
“Allora ci vediamo
ad
Hogwarts!” Salutò i genitori.
Quando si
accomodò nella
carrozza assieme agli altri guardò fuori dal finestrino,
lasciando poi vagare i
pensieri mentre le foreste del Wiltshire sfrecciavano loro ai lati in
una
macchia scura e confusa.
Il Natale era stato molto
meglio di quanto si fosse aspettato: Violet, Loki e Michel
l’avevano passato
con lui. Quando aveva chiesto di chi fosse stata l’idea di
rimanere al Manor, i
tre avevano rimpallato la risposta da un’insinuazione
all’altra.
Scorpius aveva capito che
l’avevano fatto più o meno tutti per lo stesso
motivo: non fargli sentire
troppo la mancanza del clan Potter-Weasley e collateralmente -
c’era sempre un
tornaconto - star lontani dalle proprie famiglie che, in vista del
Ballo,
speravano nel consolidamento di rapporti fruttuosi con gli ospiti
presenti
tramite i loro pargoli.
Specialmente
Violet… credo che abbia chiesto asilo
politico alla mamma o roba del genere.
Insomma, era stato una bella
Vigilia, anche se molto purosangue.
Non c’erano state battaglie a palle di neve, ma chiacchiere
davanti al camino
sorseggiando liquori alle erbe.
Però
al quarto bicchiere sono riuscito a convincerli a
giocare a nascondino!
…
beh, Violet l’abbia trovata dopo tre ore, che si era
persa, però è stato divertente.
Era stato una buona Vigilia,
ma non vedeva l’ora di tornare ad Hogwarts e re-indossare i
suoi panni di Sy.
Violet gli tirò
un calcetto,
dato che gli era dirimpettaia, interrompendolo nelle sue riflessioni.
“Se
continui a sorridere così, ti verrà una
paresi.” Lo apostrofò, lisciandosi
l’elaborato vestito di satin, di un colore che Scorpius non
sapeva
classificare, ma che ben si abbinava al suo completo babbano.
Le
ragazze coi vestiti sono proprio straordinarie…
“Lascialo
fare.” Replicò
Michel in un inaspettato anelito protettivo. “Dopotutto
è comprensibile… rivedrà
la sua bella dama di campagna.”
“Di tutta la frase
lascerei
soltanto di campagna.”
Replicò
Violet, ma senza troppa cattiveria. Sapevano entrambi che aveva poco su
cui
ironizzare.
Non
con la dama che ti saresti scelta tu, Piggie.
“Non ha delle gran
tette, ma
ha spirito, la tua Weasley.” Chiosò Loki
placidamente, lucidando il suo
orologio da taschino.
Scorpius ritenne doveroso
rifilargli un calcio nello stinco, che però, dato il poco
spazio, prese Violet
che per tutta risposta gli tirò un cuscino in faccia.
“Per favore.” Li
apostrofò Michel sdegnato, scostandosi con un fluido
movimento. “Se parlare di una Weasley scatena queste
reazioni, non parliamone
mai più. Datevi un contegno… siete
infantili.”
Fu giustamente seppellito da
una valanga di cuscini.
And I
can see our days are becoming nights
I could feel your heart beating across the grass
We should have run, I would go with you
anywhere¹
Scozia,
Hogwarts. Sette di sera.
“Tenetela
ferma!”
“Non ci riesco!”
“Lasciatemi, dannate britanniche!”
“Lily!”
Lily stava bellamente
fingendo
che alle sue spalle, nella stanza delle ragazze del Quinto anno, usata
come
base per prepararsi, non si stesse scatenando l’inferno.
Prepararsi
a casa era fuori questione. Molto meglio lontane
dalle censura parentale. Specie nel mio caso.
Si disegnò una
linea scura
sulle palpebre, per dare profondità allo sguardo. Doveva
avere gli occhi capaci
di inchiodare un ragazzo alla sedia quella sera.
“Poi trucchi anche
me?”
Cinguettò Meike, sporgendosi a guardarla con occhi tondi e
supplichevoli.
“Non posso
Mei.” Si scusò con
un sorriso. “Thomas pretenderebbe la mia testa. Ho
già rischiato con il
lucidalabbra, sai.”
“Uffa, Tom è un bacchettone!”
Sbuffò la bambina, in piena ragione.
“Lilian
Luna Potter!” Le interruppe Rose, mentre tentava di
mettere
a sedere l’indomabile Dominique, cioè la causa di
tutte quelle urla. “Vieni a
darci una mano!”
“Sul serio, è tua cugina, non la mia!”
L’apostrofò Abigail, già vestita ma con
i capelli impazziti a furia di tutto quell’agitarsi.
“Ho detto che non
me li tolgo
i tatuaggi!” Sbraitava Dominique, in uno dei suoi rarissimi
attacchi di
irragionevolezza, tenendosi a distanza delle due ragazze. Le altre
compagna di
stanza erano già scese, forse fiutando l’aria che
si era trascinata dietro
l’anglofrancese non appena aveva calcato il suolo della Torre
di Grifondoro
munita di vestito, accessori e un pessimo umore da record.
“Tua cugina
è pazza?” Si
informò Meike, facendo fare una ruota al vestito forse per
la ventesima volta
nell’ultima ora.
“Solo un
pochino.”
“Forte!”
“Non puoi aprire
le danze
tatuata come un marinaio!” Sbottò intanto Rose.
“La tua Preside non ha forse
detto che sarebbe capace di trascinarti di nuovo in Francia?”
“Ha anche detto che mi avrebbe tagliato il braccio come
estrema soluzione, mica
dice la verità.” Fece spallucce
l’interpellata, appiattendosi contro il muro
dato che sia lei che la volenterosa Gail guadagnavano terreno.
“Mi avete già
fatto indossare questa roba, mi avete fatto togliere i
piercing… ma i tatuaggi no!”
Lily distolse lo sguardo
dallo
specchio, con un sospiro: aveva imparato ad accettare
l’inevitabile chiassosità
della sua famiglia. Dominique era solo una delle espressioni, e neppure
la più terribile.
Rose per esempio, aveva passato tre ore a riordinare compulsivamente il
bagno
delle ragazze del suo anno, ripetendosi a nastro continuo
ciò che avrebbe
dovuto dire e non dire durante la serata.
Sono
questi i momenti, brevi attimi, in cui vorrei
essere un ragazzo. Insomma, Fergus e Hugo, per non parlare di Jamie
sono splendidi in
queste occasioni. Nessuna paranoia, solo… beh, noia.
“Guarda che
chiamiamo i
ragazzi e ti facciamo tenere ferma!” Rose stava raggiungendo
il punto di
rottura. Era in ansia per la serata, e soprattutto, per la presenza
congiunta
dei suoi genitori, quelli di Scorpius e Scorpius stesso.
Accompagnato
da un’altra.
Lily, già pronta,
con un
cavaliere inappuntabile ad attenderla e non un cugino, si
sentì un po’ egoista;
quindi
infilò la bacchetta nella
pochette e si alzò, fronteggiando la ribelle Dominique.
“Non provarci,
nanetta.”
L’apostrofò quella sardonica.
Ah,
sì?
“Non
io. Vic.”
Stillò la sillaba lentamente, in modo che l’altra
recepisse
in pieno. Tirò fuori il suo specchio comunicante e lo
agitò davanti al naso
della cugina. “Chiamo tua sorella e le dico che fai i
capricci?”
La minaccia, come Lily aveva sperato, sortì il suo effetto:
Dominique assunse
un’espressione furiosa, poi incredula e infine rassegnata.
Victoire.
L’unica persona al mondo capace di esasperare
Dom a tal punto da farla capitolare.
La francese si sedette con
uno
sbuffo scornato sul suo letto, tendendo il braccio in direzione di
Rose.
“Procedi. Ma che sia una cosa temporanea.” La
minacciò.
“Te li disilludo e
basta,
smettila di comportarti come se ti mozzassi un braccio.”
Sbuffò questa,
appoggiando la bacchetta sulla pelle e recitando la formula.
Abigail fu ben lieta di
poter
tornare accanto a Lily, di fronte al grande specchio della stanza.
“Tua cugina ha
più piume di
zucchero in tasca che buon senso in testa.”
Esordì, quando fu sicura che l’altra
non sentisse, troppo occupata a lamentarsi a gran voce con Rose.
“È solo il suo modo di esprimere
disagio.” Spiegò picchiettandosi il rossetto
sulle labbra per stenderlo in modo uniforme: Trucco
Acqua e Sapone. I Babbani erano proprio dei geni, alle volte.
“È una strega d’azione, non da salotto.
E poi non sa ballare.”
“Tu di certo non
avrai questo
problema.” Sorrise Gail cospiratrice. “Ma il tuo
cavaliere? No, perché è una
vera e propria stregoneria complessa beccare un ragazzo che sappia
mettere due
passi di fila.”
Lily rifletté, poi scrollò le spalle.
“Sören è un purosangue. A quanto ne so,
insegnano loro a ballare da quando sono capaci di stare in piedi. Non
puoi far
politica se non sai condurre la dama giusta sulla pista da
ballo.”
L’amica si sporse
nella
quadratura dello specchio per mettersi un riccio dietro
l’orecchio. “Ha senso.”
Mugugnò invidiosa. “Sei fortunata.”
Lily sorrise senza
risponderle: Ren le aveva spedito il suo regalo, quella mattina. Era
stata
infatti svegliata da uno sparviero dall’aria minacciosa che
le si era posato
alla finestra. Si era buttata sul povero pennuto, che vezzeggiato e
ringraziato, si era rivelato piuttosto mite.
Dopo averlo rifornito di
cibo,
aveva chiuso la porta a doppia mandata – casa sua in quei
giorni era proprietà
condivisa– e aveva aperto il pacchetto.
Si sfiorò il
polso ornato dal
presente: un braccialetto d’argento a doppio filo con una
pietra che riluceva
azzurro torbido, anche al buio; doveva essere magica.
Era stato un regalo talmente
bello ed elegante che lei, la regina delle pretese natalizie, si era
sentita
intimidita.
E pure un po’
cretina, ad
avergli regalato una sciarpa fatta a mano.
Ren sicuramente aveva
passato
la Vigilia tra cibi raffinati e cristalli, tra persone importanti e
regali di
buon gusto; doveva essere rimasto
perplesso dal suo regalo da pochi zellini, giusto quelli necessari a
comprare
la lana.
Che
cavolo mi è venuto in mente?
“Lils?”
La riscosse Gail
dandole un leggero colpetto sulla spalla. “Ti sei
incantata?”
“Ci
sono!” Sorrise all’amica. “Anzi,
senti… mentre finite di prepararvi, vado giù ad
aspettare con Hugo e Gus. Mei,
vieni con me?” Si rivolse alla bambina, che guardava
affascinata lo spettacolo
di Dominique che aveva tolto la bacchetta a Rose, con gran disperazione
di
quest’ultima.
“Stare con la
vostra famiglia
è sempre così buffo!”
Esclamò, prendendole la mano obbediente. “Tom
è l’unico
musone.”
Lily rise, chiudendosi la porta alle spalle. “Ma gli vogliamo
bene lo stesso,
vero?”
“Sì!” Sorrise. “Anche se non
sa ballare! Però è il mio cavaliere, quindi lo
difendo.” Le lanciò un’occhiata che
già prometteva un’adolescenza
all’insegna
della furbizia femminile. “È carino il tuo
cavaliere?”
“Tanto. Anche lui è serio, ma i ragazzi seri vanno
bene.”
“Benissimo!”
Le confermò,
liberandosi dalla sua mano per scendere le scale due a due.
Lily avrebbe voluto
condividere quell’entusiasmo; ma per quanto fosse emozionata
all’idea di ciò che
la stava aspettando, c’era sempre una specie di pungolo,
sottile come uno
stiletto, che le tratteneva il sorriso che avrebbe dovuto avere sulle
labbra.
Durmstrang
coinvolta nell’attacco dei Dissennatori?
Sembra così assurdo… solo per uno stupido Torneo?
E
Ren? C’entra qualcosa, sa
qualcosa? È
questo che lo angoscia?
Si sentiva piccola;
c’erano tante cose che non
capiva, che non sapeva. E le sembravano enormi.
Nella Sala Comune ebbe però modo di tirarsi su di morale: la
concitazione che
precedeva un ballo era sempre divertente, specialmente a Grifondoro,
l’anima
festaiola di Hogwarts. Le chiacchiere, le risate, la musica suonata
dalla radio
del salotto e i vestiti colorati non potevano non metterla di
buon’umore.
Sorrise all’aria
impacciata di
Hugo, in un vestito rosso fuoco che ricordava curiosamente quello del
famoso cantante
babbano con i capelli a banana.
Elvisqualcosa?
“Abigail…
ehm, è pronta?”
Chiese in un sorrisetto sghembo: era finalmente riuscito, dopo
settimane di
tentennamenti, a farle la fatidica domanda e, con suo grande
smarrimento, la
più piccola dei Finnigan gli aveva risposto sì,
molto volentieri.
“Tra pochi minuti,
non
mangiarti le mani.” Lo ammonì scherzosa,
voltandosi poi verso Tom e Al, che
chiacchieravano seduti sul divano con Meike tra di loro.
Ovviamente
sono perfetti … perfetti e perfettamente
coordinati.
Al di là
dell’ironia, pensò
che due anime gemelle dovessero avere esattamente
quell’aspetto: non c’era bisogno si tenessero per
mano o si baciassero. Stare
seduti l’uno accanto all’altro era già
sufficiente. Erano talmente belli che glielo
disse di getto, beccandosi un’occhiataccia da Tom, ma un
sorriso affettuoso da parte
del fratello maggiore.
“Anche tu sei una
meraviglia.”
Le disse alzandosi per abbracciarla. “Meno male che Jamie ti
vedrà solo in Sala
Grande. O non ti avrebbe fatto uscire per paure che tu faccia girare la
testa a
tutta Hogwarts.”
“Questi
sono i complimenti che mi merito.” Esclamò
fissando Tom con
intenzione, il quale la ignorò bellamente mentre Meike
ridacchiava divertita.
“Eccoci.”
Si inserì la voce di
Rose alle loro spalle: sfibrata, trascinava Dominique come avrebbe
fatto con un
cavallo recalcitrante.
Lily dovette ammettere che
la
cugina d’oltremanica, stretta in un vestito vaporoso, come la
moda magica
imponeva, e senza tatuaggi, era…
Sbuffò una
risatina. Stava
bene, dato il fisico da indossatrice di biancheria intima –
definizione di
Jamie.
Però…
Sentì alle sue
spalle Hugo
tirarsi un pugno nello stomaco per non ridere. Persino Albus nascose
una
risatina voltando il viso alla ricerca di qualcosa alla sua destra.
… però è come
mettere decorazioni
natalizie su un ombrellone.
La bionda ignorò
con dignità
le risatine attorno a lei, così come le occhiate incuriosite
dei grifondoro.
“Dai, ci
divertiremo.” Tentò
Al, che tentava anche, male, di contenere l’eccitazione, pari
forse a quella di
Meike.
Dominique
inspirò, lanciando
un’occhiataccia a Rose, che la ricambiò di tutto
cuore. “Bando alle cazzate.”
Disse col solito tono pratico, piazzandosi le mani sui fianchi. “Facciamo
iniziare
questo maledetto Ballo!”
There
will be no rules tonight
If there were we'd break 'em
Nothing's gonna stop us now
Let's get down to it²
****
Sören non aveva
più avuto modo
di parlare con suo zio.
Quella mattina si era
svegliato all’alba per poter prendere la Passaporta per
Hogwarts e non l’aveva
incrociato per i corridoi.
Tornato al Vascello aveva
ingannato il tempo allenandosi e leggendo. Arrivata l’ora
opportuna, si era
rinfrescato e poi vestito con l’uniforme di gala; aveva di
conseguenza
sopportato i complimenti falsi di Poliakoff sul perfetto stato della
sua
uniforme, che ad onor del vero, aveva solo due anni di
anzianità rispetto alle
altre.
E
non che l’abbia usata, diplomato.
Al momento aspettava
l’arrivo
di Lily di fronte alle possenti scale di marmo che portavano al primo
piano del
castello: assieme a lui attendevano un nutrito gruppetto di studenti di
tutte e
tre le scuole, tra cui riconobbe Scorpius Malfoy che pensò
bene di
avvicinarglisi.
“Luzhin!”
Lo apostrofò vestito
di una babbana giacca bianca su camicia nera. Dei babbani,
Sören apprezzava i
colori sobri. “Le dame si fanno attendere, eh?”
“Già.” Replicò stringato:
dopo l’episodio della sera prima non si sentiva
d’umor socievole. L’altro non sembrò
accorgersi del suo desiderio di troncare
la conversazione, perché gli sorrise di nuovo.
“Sai, ho sempre
voluto
indossare la vostra uniforme… è davvero marziale.
Quando ero piccolo ho anche pensato di iscrivermi da voi.
Però Durmstrang mi è
sempre sembrata poco ospitale. Lo è?”
“Avrai modo di farti un’opinione quando
verrete.” Notò che l’altro non lo stava
ascoltando, da come occhieggiava la scalinata. Smise dunque di parlare.
Riflettendo sulla vecchia Alma Mater, Sören non
poté fare a meno
di sentirsi inquieto: se suo zio aveva fatto mettere sotto Voto
Infrangibile la
delegazione, o comunque l’aveva resa complice, non aveva
certo potuto fare lo
stesso con tutta la scuola.
A
parte i ragazzi del Primo anno, il resto noterà che
il loro Campione è uscito dal nulla.
Aveva espresso quel dubbio,
all’inizio di Dicembre; gli era stato assicurato che tutto
era stato preparato
affinché non ci fossero fughe d’informazioni.
Come
sempre ne so meno di quanto dovrei.
La cosa cominciava a
irritarlo: meglio, cominciava a fargli maturare l’idea che
quel piano così
apparentemente ben congegnato, in realtà fosse totalmente
affidato al caso.
Non era un bel pensiero.
“Oh, ecco le
ragazze di
Grifondoro!” Esclamò Scorpius, strappandolo dalle
sue riflessioni. Voltò lo
sguardo verso la scalinata. Eccole
era la parola giusta: c’erano almeno una dozzina di ragazze
che scendevano le
scale, chi già accompagnata, chi alla ricerca del suo
cavaliere. Un nugolo di
vestiti coloratissimi, risatine e baluginii di monili.
Lily?
La vide e
cancellò con un
colpo di spugna tutte le altre.
Era sempre stato abituato a
vederla nella castigata uniforme della scuola oppure con vestiti
comodi,
sebbene alla moda.
Adesso era come fosse stata
trasfigurata. Il vestito la fasciava alla perfezione, la stoffa azzurra
esaltava i capelli rossi e gli occhi chiari. Era diversa, eppure era
lei.
Era… strano.
Il suo corpo decise, di
colpo,
di fare stato a sé, perché sentì il
cuore schizzargli in gola e l’odiato
rossore diffonderglisi lungo il viso, scottandolo.
Si irrigidì,
scattando in una
stupida posa da soldato, mentre la ragazza lo cercava, lo individuava e
finalmente gli sorrideva.
“Ren!”
Esclamò, prendendo il
piccolo strascico con la punta delle dita per scendere le restanti
scale più agevolmente.
Gli si fermò davanti e per un attimo gli sembrò
che fosse rossa sulle guance:
ma dovevano essere le luci.
“Wow, stai
benissimo, l’uniforme
ti dona da morire!” Disse con la consueta schiettezza,
dandogli una pacca sulla
spalla. Sören si ricordò finalmente le buone
maniere e riuscì a comporre un
sorriso che non sembrasse una paresi.
“Anche tu, Lily.
Sei… bellissima.”
Le prese la mano e vi posò le labbra: non era mai stato
così contento che vi
fosse un galateo a salvarlo dall’imbarazzo di dover
improvvisare.
Perché Lily era
splendida quella
sera e lui era rimasto senza parole come un povero idiota.
Attorno a loro le varie
coppie
si cercavano, si formavano e sciamavano verso la Sala Grande: lui e
Lily, come
una mezza dozzina tra Campioni e studenti meritevoli erano invece stati
istruiti ad attendere il segnale del cerimoniere; sarebbero entrati
solo a sala
piena e per aprire le danze.
Vide con la coda
dell’occhio Thomas
allontanarsi con la propria dama, curiosamente, una bambina. Non gli
importò
che lo guardasse, non in quel momento. Si sentiva troppo frastornato.
“Ren, sei
silenzioso, va tutto
bene?” Lily richiamò la sua attenzione, rompendo
quell’attimo di impacciato
silenzio.
Le sorrise in automatico.
“Perdonami, ero sovrappensiero. Hai passato una buona
Vigilia?”
“Incasinata come sempre!” Rise scrollando le
spalle. Erano nude, pallide e
sembrava, estremamente morbide. “Ah, e grazie per il
regalo!”
Quale
rega… ah, naturalmente. Il mio regalo, il
braccialetto.
Notò che lo
indossava ma non
le chiese se le fosse piaciuto. Aveva ben altro
in testa, purtroppo.
Impacciato le
offrì il
braccio, occhieggiando il cerimoniere affaccendarsi per contare le
coppie. Era
quasi ora. Ne fu sollevato: ballando, non avrebbero dovuto conversare.
Al
momento non se ne sentiva in grado.
Anche Lily notò
il movimento e
gli si strinse al braccio. “Vedrai, saremo la coppia
più bella della serata.”
Disse forse per celare il nervosismo. “Saremo
fantastici.”
“Non ne
dubito.”
Per un attimo Sören
si cullò
nell’illusione che fosse tutto lì: una semplice
serata con una ragazza che gli
era cara. Vedendola sorridergli decise che quell’illusione
sarebbe durata un
po’ di più.
You
change your position, You're
changing me
Casting
these shadows where
they shouldn't be³
Rose aveva fatto tutto come
si
doveva. Si era lasciata pettinare da una magi-parrucchiera ad
Hogsmeade, aveva lasciato
scegliere il vestito a Roxie e Lily e infine aveva analizzato i
probabili esiti
della serata da ogni angolazione possibile.
Insomma, si era preparata.
Ciò non toglieva,
che scese le
scalinate di marmo con il braccio di Al a sostenerla –
detestava quei tacchi
fragili che le avevano fatto comprare le cugine – si era
sentita morire,
vedendolo.
Non che stesse facendo
niente
di che: Scorpius era appoggiato al muro, con le braccia conserte e
l’espressione tranquilla mentre chiacchierava con la sua
elegantissima dama
francese.
Non
ce la farò mai a riprendermelo… questo vestito
è
orribile, non so camminare coi tacchi e…
Al le toccò la
mano che
stringeva forse un po’ troppo saldamente il suo avambraccio.
“Rosie.” Mormorò
gentile al suo orecchio e Rose rimise a fuoco il mondo.
“Sei meravigliosa, andrà tutto bene.”
Aggiunse aiutandola a scendere incolume gli
ultimi insidiosi scalini. Non cosa da poco, visto quanto entrambi
fossero
soggetti all’inciampare.
Giusto,
ho Al.
Si sentì un
po’ meno sperduta;
ma non meno agitata di fronte a tutte quelle ragazze che camminavano
con
sicurezza ridendo di risate argentine.
Ti
prego, fa’ che non inciampi … Oh miseriaccia, chi
me
l’ha fatto fare di diventare Caposcuola? Ora dovrò
ballare davanti a tutti!
Beh,
sì, visto che sono la dama di Al avrei dovuto
farlo lo stesso, però…
“Grazie.”
Borbottò, allentando
la presa dal braccio, dato che al momento era in salvo e
miracolosamente in
posizione eretta. Notò il cugino tirare un sospiro di
sollievo. “… scusa, fatto
male?”
“No, mi stavi soltanto bloccando la circolazione
venosa.” Ridacchiò, dandole un
buffetto. “Andiamo a salutare Malfoy?”
“Mi viene da vomitare.” Con Al poteva essere
brutalmente onesta. E lo era.
“Sei solo un
po’ nervosa.
Andrà tutto a meraviglia.” Le ripeté.
Rose sorrise, o almeno tentò: in quel
momento aveva una voglia pazza di trascinare via Al, prendere un chilo
di
gelato dalle cucine e rannicchiarsi nel suo abbraccio di serpeverde
affettuoso.
Papà
sarà in Sala Grande. Perché ho fatto la spaccona?
Perché gli ho ordinato di essere felice per me?!
E
se rovinasse tutto? E se mi odiasse? E se…
…
se non la faccio finita, finirò per scappare urlando.
Inspirò
coraggiosamente e
prese lei stessa l’iniziativa di andare a salutare Scorpius e
dama: Albus la
seguì senza obbiettare.
Scorpius quando la vide si
comportò da… Scorpius. Ovvero le rivolse un
sorriso accecante.
“Rosie!”
Esclamò allargando
teatralmente le braccia. “Sei uno schianto!” Si
rivolse poi a Albus per buona
misura. “Mini-Potter, sei uno schianto anche tu.”
La Parkinson non
sembrò
pensarla alla stesso modo dall’occhiata che lanciò
loro, ma ebbe perlomeno il
buongusto di starsene zitta.
“A…
anche tu.” Balbettò Rose
con molta dignità. Lo pensava … più o
meno. Il completo di Scorpius era un po’
troppo babbano per l’occasione, ma addosso a lui dava
un’idea di distratta
eleganza.
Naturalmente,
stiamo parlando del Piccolo Lord di
Hogwarts.
Vide poi che aveva
agganciato
i Ray-Ban al taschino della giacca. Questo riuscì a farla
sorridere per la
prima volta da ore. “Li
hai portati
davvero…” Osservò.
“Sicuro!
Completano l’insieme
magnificamente, non trovi Rosey-Posey?” Gli uscì
naturale e non se ne pentì,
Rose lo capì dal successivo sorrisetto furbo.
“Sì,
assurdità per assurdità,
suppongo si annullino.” Ribatté facendolo ridere.
Poi si trovarono a guardarsi,
tanto a lungo che Rose scordò che avrebbe voluto strozzare
la Parkinson per
essere lì ed osare respirare.
Al si schiarì
d’improvviso la
voce, facendoli sussultare. “Dovremo metterci in fila, tra
poco dovremo
entrare.”
“Giusto mini-Potter.” Concordò Scorpius
che invece aveva fatto un profondo
sospiro. “Ci vediamo dopo, Rosie.”
“Certo…”
Si lasciò condurre
via docilmente dal cugino, che sembrava indeciso se mettersi a ridere o
scuotere la testa.
“Che
c’è?” Sbuffò quando si
furono messi dietro una francese di Beaux-Batons e il suo enorme
cavaliere
durmstranghiano.
“C’è
che da un momento
all’altro poteva partire una canzone delle Sorelle
Stravagarie. Qualcosa di
retrò, magari.” La prese in giro. “Fai la
tua mossa finale, non aver paura, anche lui ti vuole…”
Canticchiò.
“Cretino.” Rose non poté trattenere
né lo schiaffo sulla spalla dell’altro,
né
il sorrisetto che le spuntò incontrollato sul viso.
“Posso tramortire
mini-Potter
e rapire Rosie?”
“No.”
“Posso rinchiudere in uno sgabuzzino mini-Potter
e…”
“No.”
“Posso assicurarmi tutti i suoi prossimi balli minacciando
l’interno corpo
stu…”
“Scorpius.”
L’interpellato
fece il suo
miglior sorriso di scuse e Violet alzò gli occhi al cielo.
“Che Morgana mi
dia la forza,
tuo padre ha ragione.” Mugugnò. “Sei
peggio di un bambino in overdose da Api
Frizzole.”
Scorpius scrollò
le spalle,
guardando perplesso gli ampi gesti del cerimoniere. Capì
dopo qualche attimo
che avrebbe dovuto mettersi in testa alla fila.
Ah,
giusto. Sono il Campione della scuola ospitante…
Stava pensando a
tutt’altro.
Quel tutt’altro era il suo schianto personale, si trovava
deliziosamente a
disagio e lo stava divorando con lo sguardo dalle retrovie.
“Scorpius, giuro
che ti acceco
se non la fai finita.” Sibilò Violet sottovoce,
tirandogli un violento
pizzicotto sul dorso della mano. “Un po’ di
contegno! In teoria, la tua dama
sono io.”
Scorpius fece una smorfia
infantile, perché se lo sgridava come un moccioso, da tale
si sarebbe
comportato. “Sei solo invidiosa perché la mia, di
dama, mi guarda.”
Violet arrossì furibonda e gli tirò un secondo,
micidiale pizzicotto, arte in
cui ricordava fosse esperta sin dalla più tenera infanzia.
“Se mi avvicino a Nicky,
quella è capace di staccarmi le dita a morsi.”
Borbottò.
Scorpius le batté
una
pacchetta comprensiva sulla mano mentre la guidava in prima fila.
“L’ho vista
abbastanza sul piede di guerra in effetti…”
“Lo è, le hanno fatto indossare un
vestito.” Tagliò corto. Rinunciò a
riprenderlo, quando voltò di nuovo lo sguardo per cercare
Rose.
Avremo
dovuto essere assieme, stasera.
Le porte della Sala Grande,
rimaste chiuse per permettere quella stupida coreografia cerimoniosa,
si
spalancarono lentamente e Scorpius inspirò, guardando
indietro un’ultima volta;
dopo avrebbe dovuto concentrarsi su ben altro.
Rose gli restituì
lo sguardo e
abbozzò un sorriso.
Avrebbero dovuto essere
assieme quella sera. Ma non era detto che le cose non potessero
cambiare.
****
Harry ricordava molto bene
il
suo Ballo del Ceppo. Ricordava nitidamente quanto si fosse sentito a
disagio e
troppo giovane.
Una bella ridda di
sentimenti
che guardava ormai da lontano, quasi con nostalgia; il suo Torneo non
era mai
stato suo veramente, dato l’inganno di cui era stato
preda… ma per i suoi
figli, per quei giovani maghi e streghe che avevano invaso la Sala
Grande
colorandola e rendendola più viva, beh… per loro
era reale.
Sorrise alla moglie, che gli
appoggiò una mano sul braccio. “Decorazioni
splendide… ma non all’altezza di
quelle ordinate da Silente. Te le ricordi?” Chiese, guardando
la neve magica
scendere dal soffitto incantato.
“Le trovo comunque
notevoli.”
Si inserì cortese l’agente Gillespie: era stata
espressamente invitata come
parte del corteo del Ministro. Sembrava peraltro piuttosto a suo agio,
nonostante non conoscesse praticamente nessuno. Harry un po’
la invidiò. “Avete
un vero talento per la Trasfigurazione qui ad Hogwarts.”
“Abbiamo un eccellente professoressa.” Convenne
Harry indicando con un cenno
Minerva McGrannit che sorvegliava con la severità di una
volta le giovani ed
entusiaste coppiette. “Ma Silente…beh, lui era
davvero magico.”
L’americana
sorrise
gentilmente. “Mi sarebbe piaciuto conoscerlo.” Si
era messa l’uniforme di gala
del suo Dipartimento e Harry doveva ammettere che era molto
più sobria di
quanto avesse immaginato.
Ho
sempre pensato che gli americani fossero chiassosi
in tutto…
In confronto quella degli
auror britannici era molto più squillante, tra mostrine
argentate e mantelli sgargianti.
“Lei dove ha
studiato?” Si
informò Ginny, che dopo una lunga panoramica e qualche
convenevole aveva
decretato che Nora era una donna a posto. Harry ne era stato molto sollevato.
“All’Accademia
di Magia, a
Salem. Tutti i maghi e le streghe del Nord America vanno
lì.” Spiegò senza
smettere per un attimo di scandagliare la sala con lo sguardo; Harry
aveva
capito che stava cercando qualcosa. Avrebbe voluto chiederle cosa, ma
aveva
purtroppo promesso alla moglie che quella sera l’argomento
lavoro non sarebbe
stato tirato fuori.
Lanciò
un’occhiata a Ron, che
ascoltava con aria mortalmente annoiata una conversazione tra Hermione
e una
loro ex-compagna di scuola, ora nel settore dei Trasporti Magici.
L’altro gli
scoccò un mezzo sorriso supportivo. A prescindere.
Harry vide con la coda
dell’occhio il piccolo Hugo nel suo vestito buono, scortare
una ragazza carina
e ricciuta verso un tavolo. Sorrise: i suoi ragazzi erano nel corteo
d’onore e
avrebbe ancora dovuto aspettare un po’ prima di vederli.
Si sentì dare una
pacca sulla
spalla e si voltò, trovandosi di fronte James e Teddy. Il
primo indossava l’uniforme
– ogni occasione era buona, aveva ironizzato Lily –
e il secondo un tranquilli
completo ibrido, come andava tra l’ultima generazione di
maghi con sopra il
mantello nero che identificava i docenti hogwartsiani.
“Ragazzi.”
Li salutò con
piacere. Aveva paura fosse Percy, che era solo a pochi metri da lui e
in
dirittura di arrivo nella sua conversazione con il buon vecchio Baston.
“Ottima
scenografia, Teddy.”
Il giovane professore sorrise. “Non mi prendo alcun merito,
sono stato soltanto
umile manodopera. I veri ideatori sono il professor Flitch-Fletchey e
il
Preside.”
“Sì, sì, tutto bello… ma
speriamo che questa festa si tolga il gesso di dosso,
odio dover restar fermo come un pinguino della buona
società!” Replicò invece
James, tormentandosi un bottone.
“Ti posso
assicurare che gente
come Malfoy e Nott non lascerà che la festa rimanga
così.” Rispose Teddy
divertito. “E so che lo
sai.”
James fece un sorrisetto malandrino. “Oh, beh, ho i miei
uomini all’interno.”
Confessò facendoli ridere.
Harry lanciò
l’ennesimo sguardo
all’agente americana. Continuava a chiacchierare vivacemente
con sua moglie, ma
si vedeva che l’attenzione era altrove.
Crede
di poter trovare qualche infiltrato della Thule?
Ma la sicurezza…
La sicurezza a volte poteva
fallire, anche se il sergente Smith era ormai un autentico paranoico in
tal
senso.
Ricordò le parole
di Al e Tom,
la sera prima: avrebbe dovuto dire a Gillespie i sospetti dei suoi
ragazzi sul
campione di Durmstrang?
Non subito, decise: prima
voleva conoscerlo di persona.
Non dovette attendere molto,
dato che le grandi porte della sala vennero aperte.
Guidava la fila il giovane
Malfoy, accompagnato da una brunetta che Harry non aveva mai visto.
Poco
distante da sé vide Draco Malfoy e signora. La donna
sorrideva con l’orgoglio
negli occhi e Malfoy pareva, per una volta in vita sua, non avercela
con il
mondo intero.
Già
molto.
Subito dopo veniva sua
figlia
con Luzhin: Harry scrutò bene il ragazzo dato che
l’aveva visto solo da
lontano, durante la Prima Prova. Ron aveva avuto ragione ad ironizzare
sullo
scarso physique du rôle.
Non sembrava
uno studente di Durmstrang. Però non era affatto esile come
era sembrato
nell’arena. Dava l’idea piuttosto di una pianta
sottile, ma con radici salde a
terra: i suoi movimenti erano calcolati al millimetro, non rigidi, ma
precisi.
Deve
allenarsi molto. Non solo con la bacchetta, ma
anche a livello fisico.
Ad Harry dava
l’idea di un
militare di professione, di quelli che ogni tanto aveva visto nei film
militari
che suo zio Vernon guardava d’estate.
Era uno studente di
Durmstrang, ma non sembrava affatto un adolescente.
Detto questo, conduceva sua
figlia con gentilezza. Arrivati al centro della pista si
comportò come mai lui
sarebbe riuscito a fare con la sua sfortunata dama vent’anni
prima. Poi iniziò
il valzer.
****
A Lily pareva di sognare.
Anche se in effetti nessuno dei suoi sogni da bambina erano stati
così…
Beh,
così e basta.
La Sala Grande era stata
letteralmente trasformata in una location onirica. Dal soffitto
vorticavano
grossi fiocchi di neve magica, che si scioglieva nell’aria
prima di cadere a
terra. Le gotiche colonne di pietra erano state sostituite da statue di
ghiaccio raffiguranti naiadi dai lineamenti delicati. I soliti tavoli
di legno
scuro erano stati sostituiti da grosse tavole circolari che sembravano
spuntare
direttamente dai ghiacci. Al centro, uno specchio d’acqua
ghiacciata.
Questo vedeva Lily, mentre
al
braccio di Sören varcava l’arcata del portone,
applaudita e guardata da tutti.
Si era immaginata a
dispensare
sorrisi e baci, ma si sentì un po’ intimidita di
fronte a quella calca composta
da così tante facce: sì, molti erano suoi
compagni di scuola, ma erano così
diversi, vestiti con abiti da cerimonia o smoking di foggia babbana.
Sentì allora la
mano di Sören
coprire la sua. Gli lanciò un’occhiata: nonostante
tenesse lo sguardo dritto di
fronte a sé si era accorto del suo nervosismo.
Era felice di essere
lì con
lui.
Non ci sarei andata con nessun altro.
La delegazione venne poi
diretta
verso la pista da Ballo. Sören le si mise di fronte, facendole
un fluido
inchino; Lily aveva trovato gli inchini sempre piuttosto buffi, dato
che di
solito chi li compieva era rigido e impacciato.
Ma
lui è nato per questa gestualità…
Replicò con una
riverenza
leggera – si era esercitata allo specchio – e fu
ricompensata da un sorriso del
ragazzo.
“Andava
bene?” Mormorò a bassa
voce.
Sören
annuì con un lampo
divertito nello sguardo. “Benissimo.”
Le note del valzer si
diffusero nella sala, suonate dall’orchestra posta a lato,
mentre cessavano i
chiacchiericci.
Okay.
Ci siamo. Wow. Sono agitata.
Sören la prese tra
le braccia,
posandole una mano sul fianco. Era bollente. Era quella singolare mano
sempre
caldissima. Lily si sentì immediatamente più
calma, più sicura.
Sono
Lily Potter, che cavolo!
Sorrise all’amico,
che
ricambiò, chinandosi poi all’altezza del suo viso.
“Sei perfetta.” Le sussurrò
all’orecchio: certo, probabilmente era solo per
incoraggiarla…
Ma comunque Lily, anche a
posteriori, ricordò quello come il momento perfetto.
All I
wanted to say
All I wanted to do
Has fallen apart now⁴…
“Bel
tipo.” Osservò
Ginny
affiancandosi ad Harry. “Non pesta i piedi alla mia bambina e
sa condurla in un
valzer.”
“Non cosa da
poco.” Convenne
Hermione, saggia.
“Col
cavolo!” Borbottò poco
distante James. Harry sorrise; sapeva quanto suo figlio fosse
protettivo con la
sorella minore, spesso irragionevolmente.
Forse stavolta non tanto…
“Andiamo a
prendere qualcosa
da bere?” Chiese Ted, dopo avergli lanciato una breve
occhiata valutativa. Non
aspettò risposta, e lo portò via recalcitrante.
“Lils ha detto che
fa parte
della nobiltà della Bassa Sassonia.” Sua moglie
non nascose un sorriso da
ragazzina maliziosa. “Bisogna ammetterlo… non
è una bellezza, ma ha quel qualcosa.”
“Quel qualcosa
quale?” Si
inserì Ron. Fu ignorato.
“Mi ricorda un
po’ Viktor.” Aggiunse
Hermione, impermeabile alle occhiate assassine del marito.
“Lilian ne parla
molto, eh?”
“Moltissimo. Ci ha mai
dato tregua
ieri?” Replicò Ginny e stavolta fu lei a beccarsi
un’occhiataccia.
Harry guardò la
figlia
volteggiare assieme alle altre coppie. Era bellissima, naturalmente, ma
per lui
lo sarebbe stata sempre. Non era quello il punto. Fu la sua espressione
a
colpirlo. Lily sorrideva come mai le aveva visto fare. Sorrideva a
Luzhin.
Doveva farsi
presentare quel ragazzo.
L’occasione fu a
portata di
mano non appena il ballo finì. Luzhin la condusse lontano
dalla pista, portandola
verso uno dei tavoli a disposizione degli studenti. Le
scostò la sedia, sorrise
di un probabile lazzo alla Lily e
la
fece accomodare.
Le
perfette maniere di un gentiluomo…
Poi si allontanò
verso il buffet,
probabilmente per prenderle qualcosa da bere. Lily si guardò
un po’ attorno,
poi li individuò. Fu lei ad avvicinarsi.
“Papà!”
Esclamò talmente
radiosa che Harry non poté fare a meno di sorriderle.
“Mi hai vista?”
“Certo tesoro, hai ballato cento volte meglio di quanto possa
fare io.” La fece
ridere.
Luzhin era al piccolo
rinfresco
e stava riempiendo due bicchieri di succo
zucca di zucca ghiacciato.
Non aveva niente che non
andasse, eppure…
Forse
sono prevenuto. I discorsi di Al e Tom, e poi il
fatto che Lily sembra …
“Sören
è un ottimo ballerino.”
Lo lodò Ginny, materna e soprattutto ignara.
“Quando ce lo presenti?” Harry le
fu grato. Non aveva idea di come chiederlo senza farsi rimbrottare.
Lily doveva
essere di ottimo umore, perché non sembrò
irritata dalla richiesta, ma anzi
compiaciuta. “Anche subito!” Fece un cenno per
farsi individuare. “Ren, sono
qui!”
Se il ragazzo fosse stato preso di sorpresa o fosse poco contento di
conoscerli, non lo diede a vedere. Li raggiunse obbediente, con un
sorriso di
pura educazione.
“Ecco il tuo
succo, Lilian.”
Esordì porgendoglielo. Poi si rivolse loro.
“Signori Potter, finalmente ci
incontriamo.” Era una frase fatta, ma ben detta. Parlava un
ottimo inglese,
appena accentato. “Lilian mi ha parlato molto di
voi.”
Lily sorrise, agganciandosi al suo braccio con naturalezza. Un
po’ troppa, considerò
Harry. “Lui è Ren, e Ren, loro sono i miei
genitori… tra cui possiamo
annoverare il famoso Harry Potter.” Aggiunse scherzosa.
Il ragazzo fletté
leggermente
la testa, alla maniera militare dell’Istituto, stringendogli
poi la mano. “È un
onore.” Disse soltanto.
Harry sorrise, cercando di
trovare la domanda giusta da porgli. Forse non c’era, per le
risposte che
voleva. Si limitò quindi a ricambiare la stretta guardandolo
negli occhi. Aveva
uno sguardo determinato, com’era ovvio: era un Campione del
Tremaghi dopotutto.
Ma guardandolo appena più a lungo delle normale cortesia,
Harry non vide… nulla.
Nulla?
Aveva già
incontrato occhi
simili, rammentò stupito. Quelli di un vecchio professore.
Occhi che non
esprimevano. Gli occhi di Severus Piton, il miglior Occlumante di
Hogwarts.
Al
e Tom me l’avevano detto … sta usando
l’Occlumanzia?
Non poteva esserne certo, ma
se lo stava facendo, era certo per via di Lily.
Lanciò un’occhiata alla figlia, ma questa
sorrideva mentre si presentava
all’agente Gillespie. Se il ragazzo si stava Occludendo, la
sua piccola LeNa non
se n’era certo accorta.
“Sergente
Gillespie, lui è
Sören, il mio cavaliere!”
Fu un attimo. Harry lo vide
fare una panoramica sull’uniforme dell’americana e
riconosciutala, non riuscì a
celare un’espressione allarmata.
“È un
piacere conoscerla.”
Mormorò con un sorriso di evidente circostanza. Poi si
rivolse a Lily. “Temo di
dover fare una comparsata al tavolo del Direttore prima che inizi la
cena. Ti
raggiungo tra poco.” Dopo averli salutati con un cenno
cerimonioso della testa
se la diede letteralmente a gambe.
Harry ormai aveva esperienza
nel notare quando qualcuno lo faceva, sebbene dissimulandolo.
Lily gli toccò un
braccio,
riscuotendolo. “Allora papà?”
Esclamò con pura aspettativa. “Che ne pensi di
Ren?”
Harry le sorrise: era
inutile
metterla in allarme. “Mi sembra un bravo ragazzo.”
Si risolse a dire.
Lily per tutta risposta gli
scoccò una strana occhiata, ma annuì.
“Bene! Vado anch’io… credo che Rosie
abbia bisogno di avermi attorno.” E qui la frecciatina fu
tutta per Ron, che
finse di non averla captata.
Harry aspettò che
la figlia si
fosse allontanata tra la folla, che stava sciamando verso i tavoli
assegnati
per la cena di gala, prima di sospirare.
Dannazione…
che razza di situazione.
Nora gli si
affiancò, mentre
moglie e amici si apprestavano ad accomodarsi alla tavola
d’onore già colma di
funzionari, Ministri e ospiti. “Harry.”
Richiamò la sua attenzione. “Mi sembri
pensieroso.”
Non
ha idea di quanto…
“Un po’
di gelosia paterna. È
il primo ballo di società in cui non sono io ad accompagnare
Lily.” Scherzò, ma
l’altra non ricambiò il sorriso.
“So che questa
sera non
vorresti parlare di lavoro…” Iniziò con
tono colloquiale, onde evitare che
qualcuno notasse che la loro conversazione virava su
tutt’altro. “… ma ho come
l’impressione che tu mi abbia appena mentito.”
“Legimante?”
Spiò, per
sicurezza. Non che maghi esperti in quell’arte spuntassero
come funghi, ma
comunque…
“No, semplice
intuito.”
Replicò infatti l’altra.
“Allora?”
Harry sospirò, sentendo gli occhi della moglie su di
sé: aveva promesso, certo.
Ma
il lavoro è il lavoro. E poi, per me è quasi una
vocazione di vita temo.
“Il ragazzo che
accompagna
Lily… Thomas e mio figlio Albus pensano che possa essere
coinvolto nell’attacco
dei Dissennatori. Lui e il suo Assistente.”
Nora non fece una piega, lo
prese invece sottobraccio con naturelezza e lo guidò verso
la tavolata,. “Hanno
prove?” Domandò in tono pratico.
Harry cercò di ribellarsi all’idea che due
adolescenti dovessero avere delle
prove. Poi ricordò la sua, di adolescenza. “Non
schiaccianti.” Disse. “Più che
altro sparizioni ingiustificate e strani atteggiamenti.”
“Ho notato che sembrava innervosito dalla mia
presenza.” Rivelò la donna,
confermando i suoi precedenti sospetti. Fece un mezzo sorriso.
“Ma sai com’è…
l’uniforme spesso intimidisce.”
Harry sorrise amaro. Avrebbe voluto crederci: la sola idea che quel
ragazzo fosse
l’infiltrato della Thule e che stesse frequentando sua
figlia…
Quello che più lo
spaventava
era il perché lo stesse
facendo.
Chiese un parere a Nora. Erano ipotesi, pensò accomodandosi
con lei a tavola.
Solo ipotesi.
“Beh, non si dice
forse tieniti vicino gli amici, ma ancor
più
stretti i tuoi nemici?” Fece una smorfia, guardando
distratta il foglio del
menù. “Essere un Campione lo tiene lontano dai
sospetti… Chi sospetterebbe mai
di un ragazzo considerato un vessillo per la sua scuola? E poi
può controllare
le nostre mosse attraverso tua figlia.” Fermò la
sua protesta con un cenno
della mano. “So che è estranea ai fatti, ma
è pur sempre tua figlia,
nonché amica di Thomas.”
Harry deglutì: si sentiva come se avesse bevuto veleno. Nora
aveva ragione,
aveva detto cose che aveva pensato anche lui. Accanto a sé
Ron, che nulla sentiva
a causa dell’incantesimo silenziante che aveva castato, si
voltò.
“Di che state
parlando, non si
sente che ronzii!” Esclamò. Sembrava quietamente
disperato, notò Harry.
Probabilmente il doversi trattenere dallo strozzare un Malfoy a caso lo
stava
logorando. Ignorando lo sguardo esasperato di sua moglie, che sveglia
com’era
aveva già capito tutto, Harry recitò di nuovo la
formula per includere l’amico,
nonché colui che, sulla carta, conduceva le indagini.
“Parliamo di
lavoro.” Ammise.
“… o meglio, di Sören Luzhin.”
“Ah, il ragazzo sospetto!” Riassunse
l’altro. Harry l’aveva informato quella
mattina, dato che aveva chiesto asilo politico a casa sua. Tra lui e le
femmine
di casa c’era maretta, gli aveva confidato come se ce ne
fosse bisogno. “Sai, è
strano.” Osservò meditabondo. “Ti
aspetti che un sospetto sia sfuggente, no?
Invece quel ragazzo ha l’aria… Harry, non lo
so.” Si grattò il mento. “Di uno a
posto.”
“Non lasciatevi ingannare.” Ribatté
Nora. “Non stiamo parlando di ladri di
calderoni, di gente che sa di
essere
nel torto e se ne frega. La Thule ha adepti che credono ciecamente
in ciò che fanno. Per
la conoscenza.” Recitò mente gli occhi
le si incupivano. “Più si è giovani,
più si è influenzabili. E, purtroppo,
insospettabili.”
Harry si chiese se ne avesse
mai incontrato uno, di quei giovani adepti.
“Parole da
veggente.” Sbuffò
Ron. “Che facciamo, andiamo a farci due
chiacchiere?”
“Non stasera.” Scosse la testa Harry.
“C’è troppa gente, troppi giornalisti.
Se
la Stampa vedesse due Auror e un agente del DALM americano fare domande
ad un
Campione potrebbe farsi strane idee.”
Ron scoccò uno
sguardo dritto
verso un punto. Dov’era Lily, capì Harry.
“Ma Lils…” Esordì.
“Insomma, è il
suo…”
“Lo so.” Si passò una mano sulla nuca.
“Ma al momento non sta facendo nulla che
giustifichi un suo interrogatorio.”
Cercò sua figlia;
era seduta
assieme ai cugini e ovviamente in compagnia di Luzhin. Gli toccava una
spalla
confidenzialmente, mentre il ragazzo si era chinato per ascoltarla.
Sorridevano
entrambi. Due ragazzi normali che si parlavano, ecco ciò che
sembravano.
Forse
quello che Luzhin non è.
“Non
stasera…” Ripeté.
“…ma il
prima possibile.”
****
Note:
Il capitolo sarà
diviso in due
parti. Questa più impostatella, la seconda
più… ‘OMFG che sta
succedendo’.
Niente di grave. Solo adolescenzialate. ;D
Qui il
braccialetto che mi ha ispirato il
regalo per Lily.
La canzone a cui si
riferisce
Al è questa
con l’opportuna traduzione. Ve la
ricordate? :D
Qui la comoda playlist. Le prime quattro canzoni
sono.
1.
“I Still Rembember” Bloc
Party.
2.
“Our Time Now” Plain
White T’s.
3.
“The Writer” Ellie
Goulding.
4.
“Mercy” The Fray.
|
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Capitolo 43 *** Capitolo XL (II° Parte) ***
Capitolo XL (II°Parte)
Si
conobbero. Lui conobbe lei e se stesso, perché in
verità non s'era mai saputo.
E
lei conobbe lui e se stessa, perché pur
essendosi saputa sempre,
mai s'era potuta riconoscere
così.
(Il Barone Rampante, Italo
Calvino)
“Dammi da
bere.”
“… eh?”
Albus si voltò solo in tempo perché James gli
impattasse contro, nella calca
del post-cena.
Stava servendosi due Acqueviole per sé e per Rose e
improvvisamente, dal nulla,
suo fratello si era materializzato.
“Dammi da
bere.” Ripeté prendendogli
il bicchiere. “C’è una fila pazzesca!
Metti un po’ di alcool e finisce che
tutti ci si buttano come cavallette.” Vuotò il
bicchierino schioccando la
lingua. “Aw, ma che schifo! È
Acquaviola!”
“Spero tu sia allergico.” Replicò
irritato.
“Lo sai che non
sono allergico
a niente!”
“Un’allergia improvvisa. Accade. Shock anafilattico
e sei morto.”
James lo afferrò
per la
collottola e gli strofinò vigorosamente le nocche sulla
testa, tirandosi
indietro quando tentò di sferrargli un calcio.
“Aw, Albie, quanto sei carino!”
Lo sfotté allegro.
Certe
cose non cambiano mai…
La Sala Grande era molto
movimentata. Era stato invitato nientemeno che il conduttore degli
‘Ascolti di
Marvin’ su Radio Strega Network: vi era dunque una playlist
tutta babbana, con gran
scorno da parte delle autorità più conservatrici,
e gran gaudio da parte della
restante folla. Numerosa.
I
feel like dancing tonight
I'm
gonna party like it's my civil right¹
Com’era ovvio,
James era nel
pieno della sua estasi festaiola. Aveva già ballato con
metà sala, coinvolto
Malfoy in una danza virile e molestato Tom in più occasioni
facendo ridere come
una matta Meike.
Per questo Al se lo voleva
tenere lontano.
“Jam, dov’è Teddy?”
“A fare il
vecchietto.” Gli fu
prontamente risposto.
“Dovrebbe tenerti
d’occhio.”
“Mi ama, si fida.” Ghignò.
“Jamie, levati dai
piedi.” Sospirò,
rimettendosi a fare la fila per prendere da bere alla sua
imparanoiatissima
dama; Rose aveva ballato con lui, si era divertita ma erano trascorse
ben tre canzoni dalla fine della
cena e
stava giungendo il Gran Momento.
Quello
in cui farà qualcosa di stupido ed eclatante per
convincere Malfoy.
Ah,
l’amore.
Passò avanti ad
un paio di
ragazzi con la nonchalance di un’infanzia passata a volere ed
ottenere sempre
la fetta di torta ideale. Si ritrovò James affianco dopo
dieci secondi.
“Se lo rifai ti
spezzo le
dita.” Lo informò, ottenendo solo una sghignazzata
arrogante. “Okay. Allora un qualsiasi
giorno delle prossime vacanze farai
colazione con la tua pinta di succo di zucca e ti troverai impotente
perché te
l’avrò avvelenato.” Stavolta la minaccia
funzionò perché l’altro smise la sua
aria strafottente per lanciargli un’occhiata preoccupata.
“Serpe.”
“Scimmione.” Sbuffò. “Cosa
vuoi?”
“Il tuo cervello.” Replicò.
“Hai notato che Rosie e Malfoy non hanno ancora
combinato?”
“Naturalmente.” Sospirò suo malgrado.
“Ma temo non possiamo farci nulla.”
Dopotutto non poteva far molto neppure per Tom, nel pieno di una crisi
di
misantropia: non voleva lasciare il tavolo, neppure per prendere da
bere
qualcosa con lui. L’unica con cui aveva mostrato un
po’ di coinvolgimento
emotivo era stata Meike. L’aveva perfino fatta ballare un
po’, ma poi la
bambina aveva captato l’umore dell’altro ed era
andata a cercarsi facce più
allegre.
Bimba
furba, sempre detto.
“Sì,
beh, anche tu e Tommy non
siete proprio una coppia che sprizza unione stasera.” Lo
apostrofò James,
notando la traiettoria del suo sguardo. “Che gli
piglia?”
“Pensieri.” Tagliò corto. Era sicuro che
non fosse solo uno dei suoi
insopportabili momenti da lupo solitario. Non poteva biasimarlo,
dopotutto, se
non aveva voglia di far festa. Un anno prima avrebbe fatto in modo che
tutti
sapessero che era l’assistente del Campione, adesso invece
aveva chiacchierato
giusto qualche minuto con Lord Malfoy dato che Scorpius era venuto a
prelevarlo
forzosamente per presentarli.
Penso
che ormai gli sia passata la voglia di essere al
centro dell’attenzione.
Del
tutto.
Mise a tacere la damina
affranta che soggiornava nel suo Io e prese finalmente da bere.
“Certo che solo io
e Ted siamo
riusciti a venire assieme, voi vi siete tutti portati qualcun
altro!” Esclamò James
con il solito, apprezzabile, tatto da troll in un negozio di
porcellane.
“Vaffanculo
James.”
“Ehi!”
“Che succede?” Ted doveva essersi stufato di invecchiettirsi – verbo coniato
da James, insolitamente geniale –
ed era andato a cercare il suo ragazzo. “State di nuovo
litigando?”
“Condizione naturale, direi.” Gli sorrise, mentre
il giovane professore dava
una leggera tiratina d’orecchi a James.
“Non ho iniziato
io!”
Protestò.
“Inizi sempre
tu.” Ribatté. “Lascia
in pace Albus e vieni con me.”
“Quello sempre Teddy!” Esclamò allegro,
facendolo arrossire tricoticamente.
“Però, sul serio, stavamo cercando di ideare un
piano per far coronare il sogno
d’amore di Malfuretto e Rosie. Sono lenti come due
Scopelinde!”
Al inarcò le
sopracciglia.
“Stavamo facendo questo?
Certo che
sei impiccione.”
“Parla per te,
diario segreto
delle femmine di famiglia!”
“Oh.”
Ted batté le palpebre,
ignorando con abilità consumata il loro battibecco.
“Beh, immagino che Rosie
abbia bisogno di una piccola spinta…” Di fronte
all’aria stupita di entrambi,
si schiarì la voce. “Diciamo che da persona a
persona … devo un favore a Scorpius.”
“Che
favore?” Chiese James
incuriosito. Ted scrollò le spalle imbarazzato e Al
intuì al volo.
Mi
sa che quella volta, al Solstizio di Ottery St.
Catchpole c’è arrivato solo perché
qualcuno ce l’ha spedito. Malfoy, per
l’appunto.
Ted intanto riprese.
“Dicevo…
mi sono accorto anch’io che sono in una situazione di stallo.
È chiaro che uno
dei due ha bisogno di fare il primo passo.”
Albus si trovò suo malgrado intrigato
dall’insolita iniziativa di Ted, l’unico
uomo al mondo che sembrava privo di voglia di farsi gli affari altrui.
Suppongo
che tutti cambino.
E
suppongo che Jamie gli abbia anche fatto una testa
così per tutta la sera.
“E
quindi?” Guardò i due drink
e Rose, che seduta ad un tavolo giocherellava con una ciocca di capelli
lanciando occhiate in una sola, perenne direzione.
Scommetto
che oltre la calca c’è Malfoy.
Ted fece uno di quei suoi
sorrisi miti, apparentemente privi di malizia. Non è che
fosse del tutto vero;
Al sapeva bene, da bravo serpeverde, che l’assenza di malizia
non era una qualità
di questo mondo.
“Forse ho
un’idea…”
****
Rose si sentiva pronta. Sul
serio.
Ma come si faceva a capire
quand’era il momento giusto?
Il Ballo era nel suo
culmine,
dato che finalmente la cena era terminata e la musica da valzer leggeri
si era
tramutata in qualcosa di più giovanile.
Gli adulti ormai erano stati
relegati nello sfondo, e la notte era diventata ufficialmente loro.
Aveva intravisto Scorpius
più
volte, tra la calca: spesso ballava con la sua dama, ma stranamente
questo non
l’aveva angosciata; più che una coppia danzante,
le erano sembrati una coppia
di amici che si divertiva. Scorpius buffoneggiava molto e la ragazza
rideva,
più che provarci sensualmente.
Comunque
è strano. Voglio dire, per quanto sembrava
provarci all’inizio dell’anno scolastico…
Cos’è
cambiato?
Al momento Rose era seduta
ad
uno dei tavolini, in attesa che Al le portasse qualcosa di fresco da
bere: ci
stava mettendo troppo e quindi non poté fare a meno di
cercare Malfoy ancora
una volta, anche se sapeva benissimo dov’era; seduto al
tavolo dei genitori con
nessuna intenzione di schiodarsi di lì.
Come
cavolo faccio ad invitarlo a ballare se rimane in
territorio nemico?!
Sapeva che doveva andare
là,
ma curiosamente i piedi sembravano esserlesi attaccati al pavimento.
Sentiva ogni tanto
un’occhiata
trafiggerle la nuca ed era certa che si trattasse di suo padre. Si era
progressivamente rilassato durante la serata, vedendo che lei e Malfoy
erano
sempre ad una ventina di persone di distanza. Minimo.
Dannazione.
Improvvisamente le si
parò
davanti James.
“Ehilà,
cugina!” La apostrofò
accaldato, con il sopra dell’uniforme abbandonato al suo
destino e la camicia
slacciata e rimboccata sui gomiti.
L’uomo
della festa.
“Ehi
Jamie.” Mormorò distratta;
suo cugino era l’ultimo dei suoi pensieri al momento.
“Ti vanno due
salti in pista?”
“Ho saltato come una cavalletta fin’ora. Mi sto
riposando. A proposito l’hai… argh!”
esclamò quando l’afferrò
per un polso e la strattonò su con
un movimento fluido. “Ti ho detto che
non…”
“Blah blah blah.”
Replicò l’altro
imperturbabile portandola in pista senza che potesse opporsi. Non
poteva, non
con quei tacchi e con il rischio di capitombolarci. Le fece fare una
giravolta
da girare la testa mentre suonava una canzone scoordinata come il pazzo
che la
stava conducendo.
They
say… "You've got the right to remain on the dancefloor
So
show us what you've got cause you know you've
got more!"
“Jamie,
ho i tacchi! Vuoi farmi rompere una caviglia?” Sbottò imbarazzata. Era
molto meglio ballare con Al, eccellente
quanto prudente ballerino.
A
quanto pare l’estate scorsa ha imparato nei migliori
club gay della Londra babbana.
James…
no.
“Veramente voglio
agitarti un
po’ di fronte al naso del Malfuretto.”
Ghignò abbozzando un casquet che la fece
seriamente temere per la sua vita. Non che ballasse male, beninteso, ma
l’allievo auror Potter era irruento in tutto. Il ballo non
faceva eccezione.
“Non ce
n’è alcun bisogno!” Lanciò
un’occhiata verso la tavola dei Malfoy e pomposi ospiti.
Scorpius li stava
guardando con un’espressione indecifrabile. “Non
è lui che deve fare la prima
mossa!”
“Ah no?” James la tirò di nuovo su. Le
stava venendo il mal di mare. “Sei tu?
Allora che aspetti? È tutta la sera che vi lanciate occhiate
struggenti!”
“Ha una dama, non è che posso chiederle di levarsi
dai piedi!”
Anche se vorrei. Tanto.
James roteò gli
occhi al
cielo. “La francesina è tutt’altro che
interessata al Malfuretto.”
“Lo dice anche lui, ma sinceramente ho avuto
pro…”
“È lesbica.” Esclamò,
ridacchiando della sua espressione sbalordita. Riuscì
peraltro
a farle fare un’altra giravolta senza che protestasse.
“Stai
scherzando?!” Chiese con
un filo di voce quando il mondo smise di vorticare impazzito.
“No, per niente. Le ho chiesto di ballare per allontanarla
dal nostro biondino e
mi ha guardato come se fossi una specie di schiopodo
lebbroso.”
Rose sbuffò. “Certo, si rifiuta di concedersi a
te, quindi è per forza
omosessuale. Non sei il metro
della sessualità di nessuno, idiota.”
“Non esserne tanto sicura!” Replicò
offeso. “Ah, e poi Domi è venuta a dirmi
che mi avrebbe strappato le braccia se glielo avessi chiesto di
nuovo.”
“Domi…?” Avrebbe finito per rotearla
sopra la sua testa senza che emettesse
protesta, se continuava a darle certe rivelazioni. “Mi stai
dicendo che …”
“Sono stupito anch’io, che ti credi. Pensavo che
fosse asessuata o roba del
genere!” Sbuffò divertito. “Comunque
rimane il punto. Esistono al mondo coppie
più assurde di voi due. Tu e Malfuretto siete quasi
noiosi!”
Rose capì il
sottotesto, e
sorrise a quell’impossibile scimmione del cugino. Forse per
questo Al non stava
tornando con i loro drink.
I
Potter hanno modalità tutte loro per farti capire che
è ora di darsi una mossa.
“Jamie, vatti a
trovare una
nuova dama.” Lo apostrofò.
“Sicuro!”
Le fece un gran
sorriso, mollandola di colpo. Rose, che se lo aspettava, rimase in
piedi piuttosto
dignitosamente e si diresse poi fuori con l’incedere
dell’Espresso per
Hogwarts.
Se
mi fermassi, non sarei più capace di ripartire.
Ci mise pochi attimi ad
arrivare al tavolo dei Malfoy. Erano tutti e tre schierati, e per un
attimo
Rose pensò di tirare dritto e andare a schiantarsi contro il
muro; Scorpius la
stava guardando un po’ sorpreso, con un drink in viaggio
verso le labbra. Non
riuscì a guardare i di lui genitori, ma fu certa che Lord
Malfoy la stesse
fulminando con il suo temibile sguardo da becchino durante una
sepoltura. Notò
anche la non-presenza di Violet e ne fu felicissima.
“Rosie.”
Esordì Scorpius.
“Ehm, cia-”
“Malfoy, mi faresti l’onore di questo
ballo?”
Avrebbe davvero voluto
essere
più sciolta, quasi ironica, estremamente auto-consapevole e
intelligente. Non riuscì
in nessuna di queste cose, ma gli tese comunque la mano. Scorpius
allora le
fece un enorme sorriso, tra l’incredulo e il divertito.
“Molto volentieri
Weasley.” Le
prese la mano tirandosi su e liberandosi del drink.
Rose sentì anche
qualcuno
fissarla alle sue spalle e sperò
che
fosse suo padre.
Non
so decidermi? Beh, state a guardare.
Lanciò
un’occhiata che sapeva
essere molto sfrontata, ai genitori del suo
Malfoy. Come sospettava, Lord Malfoy sembrava trattenere un brutto
accesso di
tosse, ma Lady Astoria le sorrise.
Oh.
Le sorrise di rimando e poi
trascinò
Scorpius sulla pista da ballo mentre molte persone guardavano. Troppe
persone
guardavano.
E
che guardino. ‘Fanculo. Che guardino io che ballo con
il mio ragazzo.
Si sentiva intoccabile in
quel
momento. Scorpius aveva accettato la sua mano e sì, le era
sembrato che
aspettasse proprio quello. Forse
non
era una richiesta usuale, ma Rose sapeva che con Malfoy
l’usuale non funzionava
un granché. Per fortuna.
Scorpius in effetti era divertito dalla sua situazione a
ruoli rovesciati. Gli si leggeva in faccia a chiare lettere; la prese
tra le
braccia, perfettamente cavalier danzante e gentiluomo.
…
ah. Gli ho chiesto di ballare e non ho neanche idea
di che canzone…
And
I'd give up forever to touch you
Cause I know that you feel me somehow
You're the closest to heaven that I'll ever be
And I don't want to go home right now²
La canzone che
cominciò era
miracolosamente una ballata. Troppo
miracolosamente.
Rose capì che non
era fortuna
quando vide Al e Hugo affiancare il giovane mago che si occupava di
alternare i
dischi.
Ah,
ecco dov’era finito quella serpe…
Al, incrociando il suo
sguardo, le mostrò i pollici in segno di vittoria. Scorpius
se ne accorse e
ridacchiò.
“L’intero
tuo clan sezione
giovanile ha cospirato perché questo
accadesse…”
“Non
c’è di che stupirsene.”
Sbuffò. “Sono degli impiccioni.”
“O tifano per
noi.” Replicò.
“In ogni caso, fiorellino…” Rose non
avrebbe mai creduto che le sarebbero mancati quei nomignoli idioti. E
invece… “…
che dici, riavviamo il nostro tempo?”
“Sarebbe anche ora, Malfoy.”
Non parlarono
più, mentre la
musica sembrava annullare qualsiasi rumore e tutti erano sfondo. Rose
si
dimenticò della sua famiglia, di suo padre e di…
insomma, di tutti.
Non avevano la minima,
stramaledetta importanza. Sentì l’ansia scivolare
via, e sorrise anche lei.
Perché quello era
il momento.
Non ci fu bisogno che si
sporgesse per baciarlo perché si andarono incontro.
“Ron, dove stai
andando?”
“Hermione, li hai vis… dannazione! Quel moccioso
ha osato…!”
“Nessuno ha osato niente.” Hermione Granger aveva
visto e pensato abbastanza da
farsi un’opinione su sua figlia, il giovane Scorpius e tutte
le implicazioni
del caso.
Per questo aveva afferrato
la
manica della veste del marito impedendogli di lanciarsi al salvataggio assolutamente non richiesto della
figlia.
“La sta baciando!
Mia figlia,
davanti a…”
“Si stanno
baciando.” Lo corresse con
fermezza. Hermione aveva le sue opinioni e Merlino solo sapeva che
nessuno
poteva impedirle di esprimerle. “Rose è andata a
chiedergli di ballare e lui ha
accettato. Ora tu accetta che nostra figlia è innamorata del
figlio di Draco
Malfoy. Penso sia ora.”
Era un ordine e sapeva che suo marito li mal digeriva.
L’espressione era
esplicativa. Quindi addolcì il tocco e il tono.
“Non una decisione che spetta a
noi, in nessun modo… e in fondo, lo sai anche tu.”
Ron non replicò, non che Hermione se lo sarebbe aspettato.
Quella sua
cocciutaggine era il suo maggior difetto. “Ma è il
figlio…” Iniziò infatti.
“Anche lei è una figlia, lo siamo
tutti.” Lo fece risedere, ma meno riluttante
di quanto si sarebbe aspettata; dopotutto, forse, il suo testardo
marito voleva essere fermato.
“Basta guardarli,
Ron, per capire che non sarebbe giusto.
Forse noi genitori non ci piacciamo, ma sai bene che questo deve andare
oltre
alle nostre reciproche antipatie. Loro l’hanno
fatto.” Gli toccò la mano. “Non
possiamo sapere come andrà in futuro … ma adesso
non rovinare loro questo
momento.”
Ron obbedì
perché non poteva
non farlo. Forse ricordava anche lui gli errori del loro Ballo del
Ceppo.
Rimase a guardarli con aria
indecifrabile, prima di sbuffare. “Quel ragazzino ha vinto la
lotteria, con la
nostra Rosie…”
E si
sedette, vinto.
When
everything's made to be broken,
I
just want you to know who I am
****
Sören aveva
trascorso la
serata diviso. Esattamente
così.
Ciò che di buono
stava
provando, era a causa di Lily. Era Lily ad averlo distratto, dopo
l’incontro
con l’agente del DALM americano, era stata lei a farlo ridere
e imbarazzare in
ugual misura tentando di ballare quegli strani, moderni ritmi babbani.
Per la prima volta in vita
sua
si era divertito.
Non
è stato solo divertente però…
Le decorazioni della Sala,
il
valzer di apertura, il vestito di Lily, il loro toccarsi anche quando
non
danzavano, la complicità che aveva provato
sorridendole… era
diverso da tutto ciò che aveva mai provato.
Era simile ad un’ebbrezza.
Non era certo fosse
appropriato.
Sono
confuso… tanto per cambiare.
Al momento stava osservando
la
folla seduto ad uno dei tavoli; la sua dama non c’era. Era
andata a consolare
un’amica, Abigail, reduce da un appuntamento disastroso con
il cugino.
Bevve un sorso dal suo drink
tanto per fare qualcosa. Andata via quella piccola scia di energia
vivace, si
sentiva di nuovo assalire dal pungolo dell’ansia.
L’agente
americano…
Quando l’aveva
vista aveva
dovuto trattenere ogni emozione, anche se non era certo di esserci
riuscito del
tutto; del resto era chiaro che quella donna fosse lì per
lui. O meglio, per la
Thule.
La
stessa cosa.
Non gli era sembrata
interessata alla sua persona, per fortuna.
Perché
dovrebbe? Sei un Campione. Sei il cavaliere
della figlia di Harry Potter.
Eppure non riusciva a
scrollarsi
di dosso quella sensazione angosciosa, quasi si sentisse preso
all’angolo.
Si sentì toccare
la spalla. Si
voltò e si trovò di fronte Poliakoff. Trattenne
una smorfia scontenta, perché
non aveva senso provasse irritazione al vederlo.
In
realtà sì, dato che lo detesti e ti sta
ricattando.
“Luzhin!”
Lo apostrofò. Dal
respiro pesante e alcolico, capì che aveva bevuto.
“L’hai vista?”
Annuì un
po’ stupito: Kirill,
nonostante non fosse precisamente in sé, si era accorto
della presenza
dell’agente.
Beh,
non che sia difficile. Non fa certo nulla per
nascondersi, non è neppure in borghese.
“Sì.”
Confermò, facendogli
cenno di sedersi accanto a lui: non gli piaceva torreggiasse dietro la
sua
sedia come un dannato avvoltoio. L’altro ragazzo
obbedì.
“Che
facciamo?”
“Nulla. Qualsiasi iniziativa attirerebbe
l’attenzione, ed è l’ultima cosa che
ci serve al momento.”
“Ah,
già…” Replicò
stolidamente l’altro. “Però…
l’ho vista confabulare con Harry Potter.”
“Non è lui a capo delle indagini per
l’attacco alla Prima Prova?” Scrollò le
spalle. “Probabilmente collaboreranno.” Non era
così tranquillo come dimostrava,
neppure lontanamente, ma non voleva dar motivo al russo di fiutare il
suo
nervosismo.
“Hai avuto anche
missioni in America,
giusto?” Lo incalzò avvicinandosi al suo orecchio;
non c’era alcun bisogno di
sussurrare dato che il tavolo a cui erano seduti era vuoto eccetto
loro. Lo
stava facendo per infastidirlo? Registrò la frase e
serrò le labbra: sì, lo
stava infastidendo.
“Certo.”
Confermò. “E con questo?”
“Beh,
c’è da tenere gli occhi
aperti…” Borbottò il russo, preso in
contropiede. Forse si era aspettato di
trovarlo più preoccupato.
“Non serve che me
lo ricordi, Kiriev.”
Replicò asciutto, scostandosi al
suo tocco e raddrizzandosi. “Grazie per la
premura.” Il tono era conclusivo e
l’altro lo intuì perché
schioccò le labbra contrariato, ma si alzò.
“Va bene, va
bene… ti lascio
alla tua bella dama.” Fece un sorrisetto. “Posso
chiederle un ballo?”
La sua espressione dovette parlare da sola, perché
l’altro fece una breve
risatina, ma che non poté nascondere del tutto il
nervosismo. “Non fare quella
faccia, me lo ricordo quel che mi hai detto! Lily Potter è
tua, nessun
problema.” Alzò le mani in segno di resa, prima di
allontanarsi e sparire tra
la folla.
Sören
inspirò, sentendo i
muscoli rilassarsi gradualmente; si contraevano di colpo ogni volta che
Poliakoff era nei paraggi.
Con
un paio di frasi è riuscito a rovinarti
l’umore…
Bevve un sorso sostanzioso
dal
suo whisky incendiario. Ne aveva preso solo uno dall’inizio
della serata,
lasciando che Lily ordinasse per lui: aveva avuto
l’impressione che alla
ragazza non piacesse vederlo bere.
Sentì di nuovo
una mano sulla
spalla, ma stavolta fu diverso. Era morbida, femminile. Sorrise appena,
voltandosi. “Lily.” La chiamò e gli fu
sorriso.
“Ehi, scusa
l’assenza. Gail
aveva bisogno di una spalla terapeutica.” Alla sua
espressione confusa, scosse
la testa, sedendosi accanto a lui. “Tutto a posto. Alcune
persone non si… mixano
bene assieme, ecco tutto. Sarebbe
bello potersene accorgere subito.” Soggiunse pensierosa.
“Non accade tanto
spesso…”
Disse per dire qualcosa.
Gli fece un mezzo sorriso
disimpegnato. “Vero.”
Rimasero in silenzio. Non c’era molto di cui parlare a festa
inoltrata. Lily guardò
in direzione di un punto preciso della folla, e fece una risatina.
“Era ora…”
Gli diede un colpetto contento sulla spalla. “Mia cugina e
Malfoy… vedi? Sono
tornati assieme, da come sono avvinghiati. E non
c’è stata neppure una faida
familiare! È proprio la magia del periodo
natalizio.”
“Ne sono lieto.” In realtà non gliene
importava nulla e non aveva dato che
un’occhiata distratta alla coppia: era attratto invece dal
modo in cui le
candele che fluttuavano sul soffitto giocavano con i riflessi ramati
dei capelli
dell’altra. Lily intercettò il suo sguardo,
inarcando le sopracciglia.
“Ho qualcosa trai
capelli?”
“No…” Scosse la testa, lanciando
un’occhiata al braccialetto. Il regalo era
stato straordinariamente semplice, quando aveva fatto mente locale. Lo
aveva
fatto commissionare da un orafo che si occupava della pulizia periodica
dei
gioielli degli Hohenheim: appena l’aveva visto nel suo
catalogo, aveva capito
che era quello.
Ormai
conoscono i suoi gusti… dopotutto, è
ciò che
dovevo fare.
Lily notò anche
quella
occhiata, e fece tintinnare il monile al polso. “È
stupendo. Non te l’avevo
ancora detto?” Non aspettò risposta. “Mi
piace tantissimo, sul serio!” Ebbe una
lieve esitazione e le guance, non poteva sbagliarsi, le si tinsero di
imbarazzo. “… sì, insomma. Mi
dispiace…”
“Di cosa?”
“Il mio
regalo…”
Sören si trovò a disagio, ricordando di aver
dormito con quella sciarpa
appoggiata al cuscino. Non aveva mai dormito così bene
nell’ultimo periodo.
“Mi …
mi è piaciuto molto.” Si
risolse a dire. La frase non parve convincere l’altra che
fece una smorfia
ancora più accentuata.
“Lo so che non
è bello o di
valore come il tuo, non serve che ti sforzi.”
Mugugnò.
“Non mi sto
sforzando!” La
voce gli uscì piuttosto incredula, se ne rese conto da solo.
“È il miglior
regalo che abbia mai ricevuto.”
Lily sembrava più perplessa di lui, ma anche sottilmente
compiaciuta. Del resto
stava sorridendo. “Ora mi prendi in
giro…”
“No.”
Disse fermo. “Lo è
davvero. Non mi era stato mai donato qualcosa di fatto a
mano.”
“Non
è…” Iniziò, salvo
scuotere la testa divertita. Sören capì che aveva
di nuovo frainteso qualche
sottotesto. Non sembrava importante, comunque. “…
è solo che è la prima volta
che sento qualcuno dire qualcosa del genere a proposito di una sciarpa.
Però
suppongo ci sia sempre una prima volta.” Aggiunse
velocemente. “E poi, sei il
primo a cui la regalo in effetti.”
Cadde di nuovo il silenzio.
Uno di quei silenzi che ormai Sören aveva imparato a
riconoscere: erano il
preludio a qualcosa, solo non sapeva cosa.
Lily lo guardava infatti di sottecchi, come se si aspettasse
un suo gesto.
Siamo
ad un Ballo…
“Ti va di
ballare?” Chiese
incerto. Lily sembrò delusa, poi fece uno di quei suoi
sorrisetti allegri.
“Certo, non
dubitarne mai!”
Sören non capiva,
sul serio,
ma sembrava andar bene lo stesso. Si alzò e le porse la
mano; la ragazza la
prese sistemandosi il vestito con leggeri tocchi delle dita: sembrava
essere
nata per indossarlo.
La condusse in mezzo agli
altri ballerini e aspettarono un po’ scioccamente la fine
della canzone, a
quanto pareva troppo movimentata per incontrare i gusti della sua dama.
Al ricominciare di
un’altra però
si illuminò. “Morgana, questa mi piace un
sacco!” Esclamò.
There
used to be a graying tower alone on the sea
You became the light on the dark side of me
Love remained a drug that's the high and not
the pill³
Le sorrise. “Ti
piacciono
tutte le canzoni d’amore?” La prese in giro.
Lily stette al gioco,
accarezzandogli civettuola la spalla. “Ma non lo sai, caro il
mio Ren, che la
maggior parte delle canzoni lo sono?”
“Si imparano
sempre cose
nuove.” Rispose non impegnativo, perché quella
canzone, ad ascoltarla, era meno
fumosa delle altre. Parlava di una situazione curiosa. Una situazione
simile
alla sua.
Poi Lily gli appoggiò la guancia sul petto, abbandonandovisi
con una fiducia
così spontanea che Sören provò di nuovo
quella singolare ebbrezza. “È la più
bella serata della mia vita.” Gli mormorò.
Non le rispose: aveva notato
che a volte Lily tendeva ad esagerare un po’, a tendere verso
l’assolutezza. Poteva
essere uno di quei casi. Ma non per
lui.
But
did you know, that when it snows,
the light that you shine can be seen?
Sentiva il suo respiro
tiepido
solleticargli il collo. Senza rendersene conto, serrò appena
la presa sulla
vita. Sembrava così fragile, e piccola. Lo era. Eppure era
lui a sentirsi
quello debole.
Perché non poteva
essere
davvero il suo Ren? Perché non poteva essere Sören
Luzhin?
I
compare you to a kiss from a rose on the gray
The more I get of you, the stranger it feels
Per Lily quella era la
serata
perfetta.
Non avrebbe potuto essere
migliore: Rose e Scorpius si erano finalmente ritrovati –
molto meno stress per
tutti. Teddy e James erano assieme, felici: li aveva visti scambiarsi
un bacio
bellissimo.
Al e Tom avrebbero finito la
serata assieme, ci scommetteva da come aveva visto
quest’ultimo cercare Al con
lo sguardo, non trovarlo e andare rapidamente alla sua ricerca. Persino
Dominique non era da sola, ma con quella francese, che le sedeva
accanto posandole
la testa sulla spalla. La cugina sembrava molto meno inferocita adesso,
quasi
tranquilla.
Ah,
lo sapevo!
Persino il povero Hugo che,
dopo una serie infinite di gaffe era stato scaricato dalla sua dama, si
era
consolato giocando con Meike un’ardita partita a Mazzo
Incendiario.
E poi c’era Ren.
Ren era stato semplicemente
incantevole.
“Ren?”
Lo chiamò, anche se non
pensò minimamente di scostarsi dalla sua comoda posizione.
Era la migliore per
ballare, abbracciarlo e non farlo notare troppo in giro.
“Dimmi
Lily.” Le fu risposto.
Non che avesse una vera e propria domanda in mente, era
più…
Sì,
insomma.
Era cotta di lui in modo
inesorabile e trovava del tutto legittimo dimostrarglielo. Del resto,
per come
si era comportato quella sera, per l’affetto e le attenzioni
che le aveva
dimostrato…
Insomma,
non posso sbagliarmi.
Pensieri a parte, lo stava
guardando. Si stavano guardando e
ormai ballare era poco più che inerzia.
Lily si aggrappò
con
leggerezza alla sua spalla e si alzò in punta di piedi.
Notò un lampo di
smarrimento nello sguardo dell’altro ed ebbe
un’esitazione. Poco più di un
secondo, perché poi facendo valere tutti i suoi quindici
anni lo baciò.
Sören ci mise
più di qualche
istante a capire cosa stesse succedendo.
Di solito era piuttosto
rapido
nei processi mentali: era naturale, gli era spesso stato necessario per
sopravvivere o non farsi catturare.
Ma stavolta sentì
il cervello
incepparsi, lo sentì, quasi fosse un meccanismo mal oliato.
Poi realizzò.
Lily lo stava baciando.
E non sulla guancia, non
sulla
fronte. Non c’era nulla di amichevole in quel gesto, o
affettuoso.
Non
va bene.
Il cervello riprese a
funzionare. Lo realizzò in un lampo.
Non
va bene. Non va affatto bene.
Si
staccò. “Non… Lily, che stai
facendo?” Mormorò cercando di tenere il tono fermo
o, che Faust glielo
risparmiasse, alzare la voce.
Lily corrugò le
sopracciglia,
mentre un lampo ferito le passò nello sguardo.
“Non si vede?” Replicò sfacciata
per coprire l’evidente delusione. “Tu mi piaci,
Ren. Pensavo…”
“No.”
Realizzò in
quel momento. Fu come una doccia gelida.
Lily era quella ingannata, e
lui colui che ingannava. Questo lo sapeva. Ma c’era
dell’altro. Era lui, il
problema; come un povero idiota si era ingannato da solo, con le sue
mani.
Quello che provava per lei
era
eccessivo e sbagliato, ridicolo… e ormai inevitabile.
Poliakoff aveva ragione: si
era illuso di essere Luzhin a tal punto che era diventato
Luzhin.
Non
sei invaghita di me. Ma di lui. Di Luzhin, non di
me. Io in tutto questo non esisto.
Si scostò
bruscamente sotto lo
sguardo sbigottito della ragazza.
“Ren,
cosa…?” Tentò, cercando
di toccargli un braccio. Fece un altro passo indietro. Non doveva
toccarlo.
“No…”
Ripeté. “… non è
vero.”
Sì, se l’era detto più volte ma non
aveva mai realizzato del tutto la portata
di ciò che stava facendo.
Lily non sarebbe mai stata
sua
amica. Né tantomeno innamorata di lui. Non di Sören
Hohenheim. Mai.
Io
per lei non esisto.
Si sentì
improvvisamente
soffocare, come se la Sala gli incombesse addosso: le belle candele
ghiacciate,
la volta piena di nevischio, i tavoli eleganti, gli astanti, Lily. Lo
stavano
soffocando.
Quello che provava era
reale.
Lo era maledettamente, nessun dubbio su quello. Eppure, allo stesso
tempo, non
lo era affatto.
Stava soffocando.
Si allontanò
dalla pista da
ballo senza voltarsi.
To me
you're like a growing addiction that I can't deny
Won't you tell me is that healthy?
Lily rimase impalata in
mezzo
alla pista. Non molti avevano visto ciò che era accaduto tra
lei e Sören, ma
abbastanza dal sussurrarle alle spalle.
Appena
succede qualcosa ad un Potter, tutto sulla bocca
di tutti!
Sentì un groppo
chiuderle la
gola e le lacrime premere prepotenti per uscire.
No,
no. Non azzardarti a piangere, o finirà nel
giornalino scolastico!
…
si fotta il giornalino scolastico.
Che
diavolo è… che diavolo…
Si sentì voltare
piuttosto
gentilmente anche se un po’ goffamente. Era il suo Hugo.
Magari per qualcuno la legge
del Clan Potter-Weasley era poco più che ironia applicata ad
una famiglia
allargatissima. Non era vero: Hugo sapeva sempre
quando aveva bisogno di lui perché lui era un Weasley e lei
una Potter. Perché
erano due Potter-Weasley.
“Ohi.”
Disse. “Ti va di
ballare, eh? Sì, vero? Ecco.” E
l’afferrò con una certa sicurezza, sperimentando
qualche passo.
È
più coordinato con me che quando era con Gail… - pensò distrattamente.
Si sentiva frastornata, come
se avesse preso uno schiaffo in faccia.
Mi
ha rifiutata.
Hugo invece le aveva appena
risparmiato una figura patetica, dato che il suo primo istinto era
stato quello
di correre dietro al suo fuggitivo cavaliere.
Non
è vero? Non è vero cosa?
Abbracciò con
forza il cugino,
approfittando dei ritmi lenti della nuova canzone.
“Ch’è successo?” Chiese Hugo
con un borbottio. “Vuoi che vado a picchiarlo?”
Lily strinse ancora di più la presa. “Portami
via…” Riuscì a dire e non fu
male, dato che aveva solo voglia di scoppiare in singhiozzi.
“Per favore, non
voglio più ballare.”
“… ricevuto.” Hugo era un vero asso
nelle fughe tattiche da ambienti che non
gli erano congeniali. In men che non si dica Lily si trovò
seduta ad un tavolo
con accanto il cugino che la fissava tutto arruffato e con
l’espressione
angosciata. Le
porse un fazzoletto.
“Vuoi un bicchier d’acqua? Che chiamo Al?
Rosie?” Snocciolò frettoloso. “Dai,
dimmi qualcosa, cacchio!”
Lily sapeva che era davvero
una rarità che non aprisse bocca.
Beh,
è anche una rarità che qualcuno mi abbandoni
sulla
pista da ballo dopo che l’ho baciato.
E dopo il trauma, venne la
rabbia.
Mi
ha piantata! Senza una spiegazione! L’ho baciato,
non minacciato di morte!
“Un bicchiere
d’acqua va
benissimo.” Si sentì dire, quasi fosse
un’altra persona ad avere quel tono
tranquillo e cordiale. In effetti il cugino la guardò in
modo strano, ma annuì,
alzandosi e scappando sollevato verso il rinfresco.
Lily si alzò in
piedi e uscì
fuori dal salone. Avrebbe trovato Sören; non aveva il minimo
senso ciò che era
successo. Certo, era consapevole del fatto che non poteva piacere a
chiunque e che
c’era la possibilità che non piacesse
all’amico.
Ma
non mi avrebbe mai piantata così. Non per
com’è
fatto. Se non avesse voluto baciarmi me l’avrebbe
semplicemente detto!
Dopo essere salita al Primo
piano per pura inerzia – era quella la strada che faceva ogni
giorno – prese un
profondo respiro. Non poteva vagare alla sua ricerca a caso. Doveva pensare.
Appoggiò una mano
ad una
parete, sentendola freddissima; era quello che le serviva per tornare
in sé.
Sören era
letteralmente
fuggito: non c’era verbo migliore che esprimesse il concetto.
Era fuggito quasi
avesse visto l’inferno spalancare le sue porte.
Potrebbe
essere andato alla nave.
Improbabile,
pensò subito: il
vascello era troppo distante. Nessuna persona sana di mente avrebbe
camminato
mezzo miglio con parecchi gradi sotto zero e solo un’uniforme
di gala a proteggerlo.
Si morse un labbro
frustrata;
cercarlo non era semplice. Poi le sovvenne un pensiero.
Cosa
farei io, se fossi scossa come lo era lui?
La soluzione le si
presentò in
pochi secondi.
Andrei
a sciacquarmi il viso. Quindi andrei in un
bagno.
I primi bagni erano al piano
terra, Sören lo sapeva per forza, dato che li aveva usati.
Tanto valeva
provare.
Ridiscese la scalinata di
marmo e quasi si scontrò con Rose e Malfoy, usciti dalla
Sala Grande in
direzione della porta principale: forse volevano andare a godersi il
giardino
magico realizzato per l’occasione.
“Lils!”
Esclamò Rose. Doveva
avere un’espressione piuttosto eloquente se la cugina la
guardava con quella
preoccupazione. “Va tutto…?”
“Sì!” Sbottò in fretta,
sorpassandoli. Ignorò il richiamo dell’altra
ragazza e
si infilò senza colpo ferire nel bagno dei ragazzi; era
deserto.
Naturale.
Nessuno studente utilizza i bagni di servizio
quando sopra ha i propri… e per quanto riguarda gli ospiti,
beh… se ne sono già
andati quasi tutti.
Il bagno era immerso nel
silenzio e Lily poteva sentire il ritmo veloce del suo respiro. Aveva
fatto le
scale di corsa, ed erano tante.
Poi capì che non
era lei a
respirare così; era un’altra persona. Di fronte al
grande lavabo centrale, chinato
in avanti con le braccia a puntellarsi sul ripiano di pietra,
c’era Sören.
La casacca era stata
abbandonata a terra, quasi se la fosse voluta togliere di dosso il
più
velocemente possibile, senza l’onere di posarla da qualche
parte. Sulla leggera
camicia di lino sottostante si stava allargando una grossa macchia di
sudore.
Quando
ha sudato così? Fa freddo tra l’altro!
La schiena si alzava ed
abbassava. Stava respirando male.
…
ma che…
Doveva capire. Doveva capire
a
costo di… beh, di parecchio. Si toccò il lobo
dell’orecchio, percorse la
cartilagine con le dita. Inspirò. E poi si tolse
l’orecchino di controllo.
Sören non sembrava
essersi
accorto della sua presenza, quindi poté avvicinarsi senza
che l’altro la
notasse. Il viso gli gocciolava d’acqua: come aveva supposto,
era andato a sciacquarsi
il viso. Teneva gli occhi chiusi e l’espressione…
Di
nuovo quell’espressione.
Un tormento profondo,
l’avrebbe definito.
“Ren.”
Lo chiamò e il ragazzo
si irrigidì. Le lanciò un’occhiata
molto simile a quella di qualcuno consapevole
di essere braccato da qualcosa di spaventoso.
Cavolo.
Sono io? No, non è possibile. Che gli prende?
“Lily.”
Disse e il tono era
talmente in controllo da suonare falso. “… non
dovresti stare qui, è il bagno
dei ragazzi.”
Lo ignorò. Non
meritava
neanche risposta. “Che ti prende? Stai bene?”
“Sì… sto benissimo.” Era una
palla talmente assurda che suonava quasi
grottesca.
Lily capì che non
aveva senso:
non era per il bacio. O meglio, non solo. C’entrava il bacio,
ma non sembrava
entrarci lei, in quanto ragazza da rifiutare.
Riesco
a capirlo perché sono senza orecchino?
Non
poteva saperlo naturalmente. Ma
doveva. Approfittandosi dell’attimo di sorpresa
dell’altro – non si era
aspettato che lo seguisse perché era il bagno dei ragazzi?
Illuso – lo afferrò
con forza per il polso. Fu un gesto istintivo, non sapeva cosa sarebbe
successo. Per gli incantesimi serviva una bacchetta, per il suo
potere…
Beh, sembrava bastasse
toccarlo. Perché sentì.
Un terrore infinito, angoscia, orrore le ghiacciò
l’intero corpo e si sentì
quasi mancare l’aria.
Era quello che
Sören provava
in quel momento?
Oh, Merlino…
E poi vide un volto. Le
balenò
davanti quasi fosse un incubo. Un volto di uomo, occhi freddi,
lineamenti
familiari, capelli scuri.
Tom?
Non
era Tom, naturalmente, ma gli
somigliava da morire.
“Smettila!”
L’urlo la riportò bruscamente alla
realtà, ma non fece
in tempo a rimettere a fuoco la situazione che Sören
l’afferrò per le spalle e
la sbatté contro uno dei cubicoli in cui era diviso il
bagno.
“Ren!”
Esclamò frastornata.
Chi era quell’uomo? Cos’aveva visto?
Il volto
dell’amico era
vicinissimo al suo, sfuocato in un’espressione aggressiva. “Non…
frugarmi nella testa.” Il tono era
basso, poco più di un sussurro ma Lily ne fu più
spaventata che se avesse
urlato.
“S…
scusa.” Le uscì in un
soffio. Avrebbe dovuto provare paura di fronte a
quell’attacco? L’aveva
aggredita, certo. Aveva paura. Ma
non
di lui.
Ho
paura e basta. E non è la mia paura. È la sua.
Si umettò le
labbra. Sören la
teneva schiacciata tra lui e il legno del cubicolo: le sembrava di
sentire il
cuore dell’altro batterle contro impazzito.
“Voglio…” Riprese controllo sulla
poca voce che aveva. “… voglio solo aiutarti.
Dimmi che ti succede, per favore.”
Le uscì, perché era vero. A questo punto era
inutile negare l’evidenza: il suo
principe non era poi tanto azzurro e aveva un gigantesco problema.
“No, non
puoi.” La risposta fu
sferzante, rapida. Non ci aveva neanche pensato, ci scommetteva.
“Devi…” Vide
l’esitazione tremargli sui lineamenti, ma poi
continuò. “… devi starmi lontana,
d’ora in poi.”
“Cosa?”
La voce le tornò
piuttosto prepotente. Era un giocare d’istinto lì.
“Non puoi…”
“Stammi lontana.” Ripeté, serrando la
presa.
“A…
allora…” Dannata voce
tremante. “… perché non mi
lasci?” Le uscì naturale, non filtrato. Era quello
che pensava, ma non avrebbe voluto dirlo. Voleva che Sören le
stesse vicino;
certo, magari senza farle male come in quel momento, ma…
Come
si fa a credere a qualcuno che ti ordina di
allontanarti e poi fa in modo che tu non lo faccia?
Sören
inspirò, assumendo di
colpo quella sua espressione smarrita, che le faceva stringere il cuore.
“Io…”
E poi sentì il senso di colpa. Di nuovo non suo, dato che
non aveva nessun
motivo per provarlo.
“Lily!
Dove sei?”
Era la voce di Rose, la sentì chiara a pochi metri da loro.
Era fuori dai
bagni, la sua brillante cugina; doveva aver capito che era quella la
sua meta e
l’aveva quindi seguita.
Sören si
staccò di colpo, come
se si fosse scottato. Non disse una parola e afferrò la sua
giacca caduta a
terra.
“Ren,
dove…”
“Stammi lontana.” Mormorò senza
guardarla. “Fallo e basta.”
Qualsiasi cosa stesse
pensando
o provando, Lily non riuscì più a coglierla
perché uscì fuori dal suo raggio
d’azione uscendo da quel bagno.
Averlo
vicino. Funziona così.
Pochi attimi dopo Rose
entrò
di gran carriera, seguita da un Malfoy incredibilmente serio.
“Lily, per tutti
gli inferni
brulicanti!” Esclamò abbracciandola
d’istinto. “Stai bene?”
“Sì, non è successo niente.”
Stava bene, e nessuno doveva pensare che Sören le
avesse fatto qualcosa. Perché non l’aveva fatto.
Cioè,
sì, mi ha spinta, ma non è che…
“Luzhin
è uscito come un bolide,
qualcosa è successo per forza.” Replicò
Scorpius, guardando l’ambiente, le
chiazze d’acqua ovunque e infine lei.
“Merlino, che ti
ha fatto?!”
Esclamò Rose, e Lily abbassò lo sguardo. Si
spaventò un po’ quando vide che
aveva cinque segni rossi su entrambe le braccia. E bruciavano anche.
Non se
n’era accorta a causa dell’adrenalina.
“Ti ha strattonata, quel figlio di…”
“No!”
Esclamò d’istinto. Okay, le
aveva fatto qualcosa, ma era certa
che non fosse stata sua intenzione. Lo sapeva, punto e basta.
“Non è… insomma,
stava male! Non voleva!”
“Niente di quello che può succedere ad un ragazzo
può giustificarlo dall’afferrare
una ragazza come una fune da scalare.” Scorpius aveva
un’espressione tesa,
bellicosa. Non c’erano bacchette in vista, ma non era detto
che non ce ne
sarebbero state se non avesse dato qualche spiegazione. Tipo, subito.
Solo,
quale?
In condizioni normali gli
avrebbe dato ragione su tutta la linea. Anzi, si sarebbe personalmente
incaricata di andarlo a denunciare al suo Direttore e di fargli
assegnare la
punizione più sgradevole.
…
ma non voleva farmi male. Non se ne sarà neanche
accorto, come quando mi ha afferrata dopo il colloquio con il ritratto
del
Preside Piton…
Inspirò.
“Per favore, non
ditelo a
nessuno.” Di fronte all’espressione incredula dei
due amici, scosse la testa. “Ve
l’ho detto, non voleva farmi male.”
“Col cavolo, Lily! Ma ti ascolti?!”
Sbottò Rose. “Sembri una di quelle donne
maltrattate!”
Quella fu la vera doccia fredda. Perché Rose, per quanto
tendesse sempre al
dramma, stavolta aveva ragione. Non era da lei coprire così
qualcuno. Per
niente.
“Sentite, non lo
so.” Ammise
per quanto le costasse farlo. Di nuovo, come durante il duello con
James, aveva
capito cosa provava, ma non il perché. “Ha perso la
testa e non lo so…
forse è lo stress per il Tremaghi.”
Azzardò, sapendo di mentire.
Scorpius si tolse la giacca,
mettendogliela sulle spalle. “Non diremo niente, se
è quello che vuoi.” Iniziò,
fermando con un’occhiata l’accenno di protesta
della sua ragazza. “… ma penso
tu sia abbastanza sveglia, Piccola Potter, da capire che da uno
così devi stare
lontano minimo due piani di scale.”
Lily bloccò una
rispostaccia.
Dopotutto Malfoy la stava solo consigliando. Non le stava ordinando
nulla. Ed ha
pure ragione…
“Sono abbastanza
sveglia
Malfoy.” Gli sorrise. “Anche di
più.”
Scorpius annuì,
ricambiando il
sorriso. “Vuoi tornare alla festa?”
“Non se ne parla!” Si intromise Rose senza mezzi
termini. “Manca solo che
incontri di nuovo quel pazzo!”
“Non credo che sia
tornato in
Sala Grande, ma comunque sì, niente festa…
preferisco andare a letto.” Annuì.
Aveva solo una voglia incredibile di rannicchiarsi sotto le coperte.
Ho
bisogno di crollare. Bisogno sul serio, accidenti.
“Va bene, vengo
con te.”
Sorrise sua cugina, già più tranquilla.
“Sono un po’ stanca anch’io.”
Okay,
vuole controllare che vada a letto come se avessi
cinque anni. Ma con quel che m’è
successo…
…
sì, mi sa che glielo devo.
“Vi accompagno.
Non ho
intenzione di essere placcato dai miei appena rimetto piede in
sala.” Soggiunse
Scorpius facendo loro l’occhiolino, forse per alleggerire la
situazione, forse
perché era Malfoy, l’uomo ammiccante.
Rose gli fece un
microsorriso,
poi le passò un braccio sulle spalle, protettiva.
“Sei sicura di non voler…”
“Non voglio denunciarlo.” La interruppe.
“Ho le mie ragioni.”
Gli altri due si guardarono,
ma per fortuna rinunciarono a replicare.
Non
avrei proprio la forza di mettermi a discutere
adesso.
Si lasciò
accompagnare fino
alla sua stanza da Rose, vuota ad eccezione di Gail, a prima vista
già nel mondo dei
sogni. Le augurò la buonanotte e si chiuse la porta alle
spalle.
Che.
Diavolo.
Non aveva neppure voglia di
piangere. Tutto quello andava ben oltre al suo orgoglio ferito, ben
oltre ai
suoi sentimenti presi a calci.
Molto
oltre.
Sentì Gail
muoversi sotto le
coperte. “Ehi…” Mormorò
assonnata. “… sei tornata presto. Tutto
okay?”
Lily sforzò un sorriso. “Brutta serata anche per
me.”
Per fortuna Gail non chiese delucidazioni, così
poté infilarsi sotto le coperte
senza dover parlare; si tolse solo le scarpe e posò la
guancia sul cuscino
freddo; se la sentiva bruciare. Il braccialetto di Ren
catturò un raggio di
luna che filtrava dalle finestre, brillando; il cielo dalla finestra
era terso,
non c’era neppure una nuvola.
Una
serata perfetta…
Stavolta le lacrime neppure
ci
pensò a fermarle.
Che
diavolo significa, Ren?
****
Albus non avrebbe mai
pensato
di finire la serata a fare il guardone.
Cioè, non
precisamente.
Ma come altro si poteva
chiamare il ruolo impostogli da un brillo e scaricabarili Direttore
Lumacorno?
Avrei
dovuto dirgli di no e andarmene a letto. Tanto,
questa serata è stata una schifezza.
Aprì
l’ennesimo sportello,
trovandovi all’interno due ragazzi intenti a scambiarsi
effusioni vivaci.
Due ragazzi maschi.
Aaah…
meglio mi sento.
“Scendete.”
Borbottò
illuminandoli con un fastidioso quanto efficace lumos.
“Avanti.”
“Fatti i fatti tuoi, Potter!” Rispose uno dei due,
poco preoccupato di trovarsi
di fronte un Caposcuola.
Mh.
Sesto anno, Boyd Brennan.
“Grifondoro,
eh?” Chiese
ottenendo un’occhiata allarmata. “Sì,
Grifondoro. Dieci punti in…”
“Va bene, va bene!” Esclamò
l’altro occupante clandestino, rivestendosi alla
meno peggio. “Andiamo, dai! È un Caposcuola,
può toglierci i punti!”
Brennan fece una smorfia, ma
acconsentì sotto la pressione del compagno.
“Guardone!” Gli urlò quando furono
a distanza di sicurezza, prima di scappare via.
Albus ebbe l’
impulso di
sbattere la testa contro la prima superficie dura disponibile.
Tom l’aveva
ignorato
praticamente per tutta la sera. Era stato di un umore talmente metifico
che
solo Meike era scampata alle sue frecciatine al vetriolo.
Quando anche Rose
l’aveva
abbandonato per Malfoy – ne era stato contento, sul serio
– aveva fatto per un
po’ compagnia a Michel, salvo che questi si era mostrato
più interessato a
concludere con un piccoletto francese, che a dargli retta. Il
francesino
inoltre l’aveva fissato malissimo finché non li
aveva salutati.
E
Nott… sì, vabbeh, Loki in queste occasioni
è reperibile
quanto sangue di unicorno.
Si era divertito comunque,
aveva ballato quanto e come aveva voluto.
Ma
avrei voluto ballare con Tom.
Magari non così
platealmente
come avevano fatto sua cugina e Malfoy: quel genere di gesti non gli si
confacevano. Li trovava belli sì, ma un pochino esagerati.
Roba
da Grifondoro, insomma.
Aprì
l’ennesima carrozza,
stavolta trovandola fortunatamente vuota.
Beh,
mi farò odiare solo da
circa una dozzina di
coppie. Perché diavolo il Direttore ha bevuto
così tanto? Odio l’innata
capacità serpeverde di scaricare la patata bollente a
qualcun altro.
Si voltò e per
poco non gli
prese un colpo. Tom era lì, quasi l’avesse
chiamato pensandolo. Aveva però poca
neve sul mantello invernale, il che significava che era appena uscito
dal
castello.
“Che stai
facendo?” Gli chiese
blandamente divertito.
“Il lavoro del
Professor
Lumacorno.” Replicò neutro, chiudendo lo sportello
e incamminandosi verso la carrozza
seguente. Ondeggiava leggermente e Al tremava d’orrore
all’idea di cosa avrebbe
potuto trovarci.
Tette
al vento? Urgh.
“E tu che ci fai
qui? Stancato
di far festa?” Non aveva potuto fare a meno di usare il
sarcasmo.
Sentì un lieve
sospiro da
parte dell’altro. “Cercavo te.” Fece una
pausa. “Sei arrabbiato?”
No, adoro
passare un evento del genere da solo mentre tutte le coppie tubano nel
grande miracolo natalizio!
“Sono
stanco.” Disse, giusto
per fargli capire che non lo era, ma che non gli avrebbe rivelato la
causa. “E
non è piacevole essere il guastafeste della
situazione.”
Tom lo afferrò
per una mano e
strinse. “Allora smettila.” Lo strattonò
appena. “Vieni.”
“Ho da
fare.”
Tom aggrottò le
sopracciglia.
“Sei
arrabbiato.”
“Wow, sei davvero
geniale come
dicono.”
Tom lo voltò verso di sé. Lo scrutò un
po’, poi rilasciò un lungo sospiro.
“Sembravi
divertirti con Rose.”
Al stavolta si trattenne seriamente da strozzarlo con la sua sciarpa
coordinata
al cappotto. “Certo che mi diverto con Rose, è mia
cugina! O volevi che
mettessi il broncio e fissassi il nulla cosmico come te?”
Tom ebbe quasi
un’espressione
colpevole. “La serata non è finita.”
Tentò.
“È
finita. La gente si imbosca e gli ospiti se ne vanno.”
“Non per noi.” Lo afferrò di nuovo per
mano. “Vuoi venire o no?”
Al era curioso, suo
malgrado.
Tom non avrebbe mai improvvisato nulla, non ne era capace: sicuramente
aveva
già qualcosa in mente da prima.
Solo
l’ha tirata un po’
lunga sulla tempistica.
“Va
bene…” Concesse
liberandosi dalla sua presa. “… ma non ti tengo
per mano. Hai le mani gelate.”
Tom fece una smorfia
irritata,
ma non ribatté. Al dovette trattenere un sorriso, quando lo
vide strofinarsele
per produrre un po’ di calore e infine, vinto, infilarsele
nelle tasche del
cappotto. “Di qua.”
Al lo fissò un
po’ stupito: di là
c’era il giardino ornamentale
creato per onorare lo spirito del Ballo del Ceppo, o più
prosaicamente, ogni
occasione era buona per stupire gli ospiti stranieri.
Il giardino era molto
più
caldo rispetto all’ambiente circostante sebbene fosse
interamente fatto di
ghiaccio; fino a poco prima dovevano avervi passeggiato coppie ed
ospiti ma
adesso era vuoto e si sentiva persino la fontana centrale zampillare,
colma di
succo di zucca ghiacciato.
Questa
dev’essere stata un’idea del Preside…
Tom si fermò poco
distante
dalla fontana. Esitò sotto il suo sguardo indagatore.
“Volevi che
passassimo la
serata assieme?” Chiese infine.
Decisamente era quello che
Al
voleva.
Non era un fine interprete
delle emozioni altrui, ma l’espressione dell’altro
era un libro aperto.
“Perché
non me l’hai detto?” Non
amava quelle serate di socializzazione forzata, ma Al invece le
adorava.
Meglio, ci si divertiva. Invece lui, dopo quello che gli era successo
l’anno
prima, aveva perso ogni interesse nelle pubbliche relazioni.
Non
ho certo intenzione di diventare una pedina o
rientrare nell’interesse di qualcuno. Mai più.
Io
gioco da solo.
Al scrollò le
spalle. “A che
sarebbe servito? Ti conosco, so che quando sei di cattivo umore non
cambi
idea.”
Perfetto.
Aveva fallito su tutta la
linea. Durante i giorni precedenti, vedendo l’eccitazione
dell’altro, aveva
intuito che per lui era importante, in qualche modo. Ma preso dai suoi
pensieri, dalle sue preoccupazioni e non ultimo, da Luzhin, si era
completamente dimenticato della cosa.
Oltretutto,
l’aveva visto
divertirsi assieme a Rose e alcune compagne di scuola. Aveva pensato
che non
aveva certo bisogno del suo muso lungo nei paraggi.
E
invece.
Però aveva una
soluzione. O
meglio, la soluzione l’aveva perché qualcuno
gliel’aveva suggerita.
Incredibilmente, Meike.
“Non
ci balli con Mutti?”
“… come?”
Tom
ci aveva messo qualche secondo a ricordare che Al
ormai era noto così, tra loro due.
“Non
ci balli con Al?” Ripeté la bambina, comodamente
sedutagli in braccio. Si era fatta prendere per poter vedere meglio la
Sala, dato
che era così super-alto.
“Mutti
balla un sacco ed è pure bravo, poi vado a
chiedergli se vuole ballare con me.” Spiegò la
bambina, perdendosi un po’ nel
ragionamento. “…ma voi vi baciate, quindi dovete ballare!”
“Una
cosa non presume l’altra.”
“Non ho capito, ma devi ballarci.”
Una pausa. “Scemo!”
Ah, ecco. Sta prendendosi
troppe libertà. Colpa di Al.
“I
maschi non ballano assieme, Meike.” Tentò di
spiegarle.
“Invece sì! L’ho visto in tv! E poi
prima c’era pure una coppia, l’ho vista!”
“Sì,
ma io e Al non balliamo. Assieme.”
“Perché tu non sai ballare?”
“Non è questo il punto.” Lo era,
collateralmente. Sì, okay, principalmente.
Albus era sempre stato bravino: da bambino l’aveva spesso
visto ballare in
camera sua canzoni che in effetti avrebbero dovuto aprirgli uno
squarcio
chiarificatore sui suoi gusti sessuali.
…
lui invece non aveva mai mosso un passo. Non. Uno.
“Devi
ballare! Un ballo lento… con quello sono bravi
tutti, devi solo ondeggiare un po’,
così!” E si era dimenata come
un’anguilla,
con il rischio concreto di cadere. L’aveva afferrata
più saldamente.
“No.”
“Guarda che Mutti ti molla!”
“Non
mi lascerebbe per una sciocchezza simile.” Si
rifiutava di essere inquietato delle supposizioni di un undicenne.
Meike
aveva inarcato un sopracciglio come aveva imparato
a fare da lui.
“Sarà
meglio che ti inventi qualcosa, Tom.” Gli aveva puntato
un dito sul petto. “Perché tu sei il
suo cavaliere!”
… e qualcosa
aveva in mente,
per quanto lo imbarazzasse profondamente. Il suo piano coinvolgeva un
oggetto
babbano che aveva recuperato dai dormitori – non suo, di Al
– e la presenza, di
Al.
Glielo doveva. Albus
sopportava perennemente le sue crisi, i suoi guai e la sua irrisolta
incapacità
di considerare gli esseri umani più importanti di un libro.
Io
mi piaccio come sono. Ma lui non è tenuto a fare
altrettanto.
Al guardò con
curiosa
perplessità Tom tirare fuori dal mantello l’ipod
viola che gli aveva regalato
per Natale.
Lui
a me.
“Perché
l’hai preso?” Non che non funzionasse; funzionava. Attaccato al fondo del lettore c'era un semplice, minuscolo brillantino rosso, circolare e non più grande di un'unghia. Prodotto dei Tiri Vispi, ancora da brevettare, emetteva un leggero campo magico che proteggeva il congegno dal campo magnetico invece emesso da Hogwarts.
Tom lo sfiorò con la punta della bacchetta, azionandolo. “Perché
la selezione musicale
di stasera fa schifo.” Disse.
Gli venne da ridere
all’espressione sdegnata dell’altro. Sulla musica
non transigeva. Gli aveva
regalato quel lettore multi - qualcosa e l’aveva caricato
personalmente.
Tom si chinò,
mettendogli gli
auricolari. “Ehi!” Gli venne un po’ da
ridere, perché gli stava facendo il
solletico. “Che fai?”
“Per ballare serve
la musica.”
Disse, e prima che potesse ribattere qualsiasi cosa,
schiacciò il tasto
d’avvio. O play. Era poco
avvezzo a
tutta quella terminologia babbana.
Le prime note della canzone
gliela resero immediatamente familiare.
Honey
you are a rock, upon
which I stand
And
I come here to talk, I
hope you understand
Tom doveva conoscerla bene,
quella canzone, da come l’aveva scovata a colpo sicuro in
mezzo a tutti quei
titoli. Anche lui la conosceva, gli piaceva. Si sentì poi
prendere per mano.
Cavolo.
Quella posizione era
inequivocabile.
…
Ssì, insomma…
Tom stava ballando. Stavano
ballando.
“Ascolta le
strofe.” Gli
disse. Al ascoltò.
The
green eyes, shines
upon you
And
how could, anybody,
deny you
I
came here with a load and
it feels so much lighter
Now
I've met you…
…
razza di scemo…
Le guance gli presero fuoco.
Perché era quello che voleva: non grandi dichiarazioni, o
scene parossistiche
da film. Gli bastava che Tom scegliesse una canzone per lui e che gli
stesse
vicino. Che fosse il suo Tom, tutto lì.
“Mi
dispiace.” Gli mormorò, e
nonostante la voce fosse bassa e la canzone fosse alta, lo
sentì comunque. “Sei
la persona più importante che ho, non pensare mai il
contrario.” Guardò ovunque
tranne che lui, anche se a quanto pare erano importanti anche i suoi
occhi verdi. “La prossima
volta…”
“… mi
basta che abbiamo questo
ballo.” Concluse per lui, ricacciando eroicamente i lucciconi
dove dovevano
stare. Lontani.
“… anche se deve
parlare di cose lugubri.”
“Falla finita.” Disse con una lieve smorfia.
“Tanto lo so che ti piace ciò che
ascolto.”
“Mi piace
perché mi ricorda
te, zuccone.”
Honey
you should know
That
I could never go on
Without
you…
Tom lo strinse a
sé e quindi
Albus trovò del tutto giustificabile appoggiargli la testa
sulla spalla.
Le feste in fondo
funzionavano
così, ad alti e bassi. Ora era decisamente un alto.
“Dici che abbiamo
vinto la
palma della coppia più stucchevole della serata? Un
po’ in corner, ma…” Gli
mormorò contro la stoffa del mantello.
Tom gli diede un lieve bacio
sulla testa. “Puoi giurarci.”
“Stai per avere
una crisi di
allergia allora?”
“Già.”
“Facciamo prima finire la canzone però.”
“Facciamo prima finire la canzone.”
The
green eyes
You're
the one that I wanted to find…
****
Note:
Capitolo dedicato alle due festeggiande Andrea
Moon e Anastasia_Malfoy!
Sfortunatamente l’aggiornamento della prossima settimana, salta.
Sono a
Vienna. ;)
Un ringraziamento a Stitch84 per avermi dato una mano col
banner. ^^
1. ‘I feel like dancing (tonight)’ All
Time Low
2.
‘Iris’ Goo Goo Dolls
3. ‘Kiss from a
Rose’ Seal
Rimando alla playlist
della scorsa volta.
La quarta canzone è
questa che io ho sempre ricollegato a tutti i
portatori di occhi
verdi della famiglia Potter. Meno Harry. xD
|
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Capitolo 44 *** Capitolo XLI ***
Capitolo XLI
This
is my life, It’s not what it was before
All these feelings I’ve shared
Somebody shake me, ‘cause I, I must
be sleeping
(Far
away, Staind)¹
26 Dicembre 2022
Scozia,
Hogwarts, Lago Nero. Mattina.
Non era stato affatto
semplice
richiedere un permesso per perquisire il vascello di Durmstrang.
Naturalmente, politica.
Ron aveva passato
un’intera,
prima mattinata rimpallato tra l’Ufficio Cooperazione Magica
Internazionale e
quello dei Giochi e Sport Magici. Se nel secondo caso aveva trovato
porte
aperte e grandi sorrisi – la maggior parte dello staff era
composto da vecchi
compagni di Casa – naturalmente il Dipartimento di
riferimento di Draco Malfoy –
sebbene quest’ultimo fosse ancora in ferie - era stato
più restio a concedergli
la firma sul dannato modulo di permesso di indagine.
Nora in tutta quella trafila
era stata molto utile. La sua influenza transnazionale e le sue
chiamate rapide
via camino all’ufficio centrale di Boston per contattare
‘amici di amici’ avevano
snellito i tempi d’attesa.
Alla fine Ron era tornato in
ufficio seguito dalla donna, nervoso ma trionfante, stringendo in pugno
il
cuoio che rivestiva le bolle ufficiali con tanto di firme-che-contavano.
Harry allora aveva chiesto
se
poteva accompagnarli, dato che dopotutto
non era sua l’indagine. Era stato guardato
dall’amico con divertimento, tanto
quanto da Nora.
“Harry, pensavo
fosse
scontato…” Aveva ironizzato l’americana.
Così, una
materializzazione ad
Hogsmeade e una lunga camminata nel parco imbiancato di Hogwarts
più tardi, si
trovarono di fronte al vascello della scuola nordica. Era completamente
sprangato e le vele ammainate. Sembravano non voler neppure comunicare
con
l’esterno.
Non
penso stiano semplicemente dormendo.
“Da ragazzino mi
faceva
impressione.” Commentò Ron storcendo appena le
labbra. “Mi sa che non ho
cambiato idea.” Si scrollò poi la neve dal
mantello e ordinò ai due giovani
auror, una versione ridotta della sua squadra, di rimanere sulla
banchina a
tenere la guardia. Sembrava essere perfettamente concentrato sulle
indagini, ma
Harry sapeva quanto e come avesse la testa da tutt’altra
parte.
Con
quello che è successo ieri, temo sia normale.
Non se la sentiva di
solidarizzare troppo con l’amico però, e dunque
giustificarlo.
Dopotutto
Scorpius, carattere esibizionista a parte, è
un bravo ragazzo. Luzhin ho paura che non lo sia.
Ad un certo punto della
serata
peraltro aveva perso Lily di vista; solo grazie alle rassicurazioni di
Hugo,
che aveva detto lui fosse tornata alla Torre di Grifondoro, non era
andata a
cercarla forsennatamente per tutti i sette piani del castello.
Essere
obbiettivo… è da un anno a questa parte che
è
un’opzione.
Prima
Thomas, adesso Lily…
Ron nel frattempo si era
avvicinato all’entrata principale. La passerella di imbarco
era ancora lì, ma il
boccaporto di ingresso era chiuso. Lanciò lui uno sguardo ed
Harry gli fece
cenno, un po’ scoraggiato, di bussare.
“Non credo vi
sentiranno.”
Obbiettò Nora.
“Credo che abbiano
i loro
modi, invece.” Replicò Harry, lanciando uno
sguardo al cielo livido sopra le
loro teste. Minacciava pioggia o molto più probabilmente,
nuova neve. Inoltre,
la superficie violacea del lago e il legname scuro di cui era fatta la
nave
aggiungevano cupi dettagli ad un quadretto già poco allegro.
Sono
passate solo poche ore dal Ballo, ma sembra che
Durmstrang se lo sia ben lasciato alle spalle.
Un rumore di chiavistello
girato nella toppa li fece voltare. Dalla porta uscì un
ragazzo, seguito da
altri due che gli stavano alle spalle, in formazione di stampo militare.
Vedendoli, fece un breve
inchino, imitato dagli altri due. “Il mio nome è
Dionis Radescu.” Si presentò.
“Primo Ufficiale di coperta. Posso fare qualcosa per
voi?”
Il tono era garbato, ma Harry si accorse dello smarrimento negli occhi
degli
altri. Il giovane ufficiale era invece più calmo.
O
più controllato.
“Capo-squadra Ron
Weasley.” Si
presentò Ron, un po’ sconcertato: non era certo
abituato a rapportarsi in via
ufficiale con ragazzi coetanei ai suoi figli. “Abbiamo
bisogno di scambiare
qualche parola con Sören Luzhin.”
Radescu stavolta tradì sorpresa, mostrando alla perfezione i
suoi diciassette
anni. “Luzhin…” Si riprese subito
però, irrigidendosi maggiormente nella
posizione di attenti. “Se è un inchiesta ufficiale
devo vedere i permessi.
Altrimenti non mi è concesso lasciarvi passare.”
Questi
ragazzi si rapportano al mondo come fossero
soldati. Merlino, sono felice che i miei figli siano tutti nati
nell’orbita di
Hogwarts.
“Devo farli vedere
a te?” Non
riuscì a trattenersi Ron. L’allievo non fece una
piega e annuì cortesemente.
“Temo di
sì, signore. Come ho
detto, sono l’ufficiale in carica. Il nostro Direttore
è al momento assente.”
“Dove?” Si intromise Harry.
“All’Istituto.”
Fu la pronta
risposta. “Preparativi, Signore.” E rimase in
silenzio, attendendo.
Ron con uno sbuffo e
un’occhiata esasperata nella sua direzione glieli tese. Il
ragazzo li scorse
con lo sguardo; dietro l’aria formale era smarrito, come un
qualsiasi adolescente
che aveva di fronte agenti della polizia magica.
Com’è
normale, grazie a Merlino.
Riconsegnò loro i
documenti.
“Prego, da questa parte.” Disse, facendo cenno agli
altri due di farli passare:
essendo di stazza piuttosto considerevole, con la loro sola mole
avevano
bloccato l’entrata.
Entrarono dunque dentro la
pancia ‘del mostro’: Lily l’aveva
appellato così nella loro corrispondenza
autunnale e Harry trovava che avesse centrato perfettamente il punto.
Era
quella l’impressione che si aveva camminandovi dentro.
Radescu e compagni
illuminavano loro la strada con la bacchetta, ma era un rimedio esiguo per contrastare le
tenebre umide e dal
sapore salmastro che li circondavano.
Harry fu piuttosto sollevato
quando finalmente varcarono un boccaporto accedendo ai piani superiori;
c’era
luce almeno, seppur poca e filtrata dagli oblò.
Quei corridoi non erano
però
più animati; si sarebbe aspettato più
vivacità da una scolaresca maschile priva
del suo Direttore. Invece non volava una mosca.
“Dove sono gli
altri
studenti?” Chiese Ron anticipando la sua domanda.
“Nelle proprie
cabine.” Fu la
risposta. “La partenza è oggi, dobbiamo mettere
ordine nei nostri effetti
personali prima di salpare.”
Harry non ricordava
così gli
studenti di Durmstrang: li ricordava sì un po’
rigidi, ma non così formali, e
non così privi di…
…
non sembrano neppure ragazzi.
Non c’era
spontaneità
nell’espressione del giovane ufficiale Radescu né
tantomeno in quelle dei suoi
due subalterni. Questo non significava però che non vi fosse
nulla.
C’è
eccome.
Sembravano controllati.
Controllati da qualcuno, ma non da un incantesimo. Non c’era
nessun imperio, ma Harry sentiva
l’aria tesa,
costretta.
“Ehi, ma
è questa la direzione
delle cabine?” Chiese Ron all’improvviso. Harry,
preso dai suoi pensieri, non
si era ben accorto della direzione presa; in effetti non avevano
oltrepassato
le fitte porte dei dormitori.
“Pensavo avreste
preferito
accomodarvi nel nostro salotto degli ospiti.”
Obbiettò Radescu.
“Preferiamo andare
direttamente da Luzhin.” Replicò Ron spiccio.
“Portaci alla sua stanza.”
Questo
si limitò ad annuire.
Tornarono indietro, e dopo
una
manciata di minuti furono davanti ad una porta. L’alloggio
non sembrava più
spazioso o migliore rispetto agli altri. Sembrava che nel vascello
regnasse un
clima egalitario, ben diverso dello smaccato trattamento di favore che
Krum
aveva avuto anni prima.
Radescu bussò
alla porta due
volte prima che gli venisse aperto. Non fu Luzhin a presentarsi
però, ma un
ragazzo bassetto, dalla barba caprina e gli occhi assonnati.
L’assistente.
Quindi dividono anche la camera…
Si lanciò
un’occhiata con Ron
e intuì che l’amico aveva pensato alla stessa cosa.
Non
può non essere coinvolto, se lo è Luzhin.
Il ragazzo si rivolse
aspramente al giovane ufficiale, con un tono così
irriverente che era chiaro
che fosse qualche gradino sopra nella scala gerarchica. Poi li vide e
l’espressione mutò completamente.
Ecco,
questa è un’espressione spaventata come si deve.
“I Signori sono
qui per
parlare con Luzhin.” Spiegò calmo Radescu, in
inglese. “Kiriev, falli
passare.” Aggiunse poi con tono sbrigativo vedendo
che l’altro non accennava nessun movimento.
“Dov’è
Herr Direktor?” Chiese, e
per tutta risposta si piazzò di fronte
alla porta. Radescu serrò appena le labbra, in una chiara
smorfia spazientita e
nervosa.
“È
fuori. Hanno i permessi di
indagine. Dov’è Luzhin?”
Stava accadendo qualcosa,
intuì Harry. Era chiaro che il Primo Ufficiale volesse
collaborare, forse per non
attirare attenzione su di sé o forse perché loro
erano adulti e tutto quello
era ufficiale.
Quel Kiriev invece stava
chiaramente facendo ostruzione, e la stava facendo perché
era nel panico. “Ragazzo,
togliti di lì o penseremo che tu
non voglia farci entrare.” Lo avvertì Ron stufo di
doversi relazionare
formalmente con ragazzi che avrebbe invece voluto sgridare.
“Io…”
“Che sta
succedendo?” Una voce
dall’interno della cabina lo fece ammutolire. Harry la
riconobbe come quella di
Luzhin. Poco dopo infatti entrò nella loro visuale; era
stato probabilmente
colto di sorpresa nelle sue abluzioni mattutine a giudicare dalle
ciocche di
capelli umidi e la mancanza della giacca dell’uniforme che
sembrava parte
obbligatoria del vestiario degli altri. Fece cenno
all’assistente di spostarsi
e quello lo fece senza fiatare.
“Posso esservi
utile?” Chiese
con la stessa formale cortesia di Radescu. Harry provò a
trovare qualche segno
di sorpresa o preoccupazione nella sua espressione. Non
c’era. Di nuovo, non
c’era niente.
Occluso
anche stavolta?
Non deponeva certo a suo
favore.
“Vorremo scambiare
qualche
parola con te, ragazzo.” Riprese Ron. “A proposito
della Prima Prova.” Poi
lanciò uno sguardo anche al caprino assistente. “E
anche con te.”
Ancora nessuna reazione percepita da parte del tedesco. Harry
lanciò
un’occhiata a Nora, ma la donna gli rimandò uno
sguardo privo di risposte.
Ancora
troppo presto per farsi un’idea.
“Certo.”
Dichiarò neutro. “Ma
prima vorrei sapere…”
“Qual è
il problema?” Sbottò
l’altro, interrompendolo. “E poi, avete il diritto
di stare qui?Questo è suolo
di Durmstrang, e…”
“Hanno i permessi.” Si inserì Radescu,
ma non guardò lui, ma Luzhin. “Li ho
visionati io.”
Ci fu uno scambio di sguardi tra quest’ultimo e il giovane
ufficiale. Poi Luzhin
fece un lieve cenno della testa. “Va bene.” Disse.
“Suggerirei però di
spostarci nel salotto degli ospiti, temo che la nostra cabina sia
troppo
piccola.”
In effetti,
l’ambiente non
dava la possibilità di ospitare cinque persone. Conteneva a
malapena due cuccette,
una piccola scrivania e due bauli simmetrici aperti a mostrare un
contenuto in
linea con gli oggetti che avrebbe dovuto avere un qualsiasi studente.
Lo
sguardo di Harry però fu catturato da qualcosa di bianco che
sporgeva dal baule
alla sua sinistra. Una sciarpa bianca, stonata in tutti quei colori
bosco,
scuri.
La riconobbe: era la sciarpa
che Lily aveva sferruzzato per buona parte delle vacanze di Natale.
Si sentì
improvvisamente
fissato. Si voltò verso Luzhin, ed era proprio lui: doveva
aver intercettato il
suo sguardo e l’oggetto che l’aveva colpito. Vi si
frappose.
“Saremo da voi tra
pochi
minuti.” Disse il ragazzo. “Dateci solo il tempo di
prepararci.”
Sappiamo
entrambi che gliel’ha fatta mia figlia.
Non sapeva cosa
significasse,
ma sapeva una cosa: non gli piaceva.
****
“Cosa facciamo
adesso?!”
Sören stava tentando di pensare, ma non era facile dato che
Poliakoff stava avendo
una vera e propria crisi di nervi.
“Sören,
cosa facciamo!?” Si
agitava, sudava e non voleva rimanere fermo nella cabina, riempendola
di passi
e parole. “Quelli sospettano di te, di noi!
Hai visto come mi ha guardato il rosso! Maledizione,
siamo…”
“Sta’ zitto.” Non serviva alzare la voce
per farsi obbedire, se sapevi come
usarla. E al momento l’ultima cosa di cui avevano bisogno
entrambi, era urlare.
Kirill infatti si bloccò, guardandolo in attesa.
“Lascerai parlare me.” Aggiunse.
“Risponderai solo se ti faranno delle domande dirette. Sii
vago, non credo ti
sarà difficile.”
Il russo serrò la mascella poco convinto. “Ti
rendi conto di quello che sta
succedendo?! Siamo nella merda!”
“Non lo saremo, se manterremo la calma.” Lo
fermò, indossando la giacca e chiudendo
gli alamari con cura. Era quello il trucco. Cura, perché non
gli tremassero le
mani.
Aveva notato lo sguardo di
Harry Potter la sera prima. E come se non bastasse, c’era
anche quell’agente
americano. Inspirò.
Dopo quello che era successo
con Lily…
La mano sbagliò
l’incastro con
l’asola e scivolò sul bottone d’osso.
Ripeté l’operazione e finì di chiudersi
il colletto.
Dopo ciò che era
successo con
Lilian, tutto era passato in
secondo
piano. Si era dimenticato dell’agente americano e dello
sguardo analitico di
Harry Potter.
Avevano fatto presto, troppo
presto dal nutrire sospetti all’interrogatorio ufficiale.
Speravo
saremo salpati in tempo per lasciarceli alle
spalle.
Ma così non era
stato e ora
poteva solo mantenere la calma e farlo fare anche a Kirill.
Poliakoff si
passò i palmi
delle mani sul viso sudato. “Il Direttore non
c’è, dobbiamo chiamarlo!”
“L’avrà già fatto
Radescu.” Ribatté. “Vorranno controllare
le nostre bacchette,
prendi la tua.”
“Sei impazzito?! Scopriranno…”
“Non scopriranno niente,
se lascerai
parlare me come ti ho detto.” Il suo cervello lavorava
febbrile, ma era
una condizione che durava dalla sera
prima; non aveva dormito affatto, anche se con Kirill in stanza aveva
finto.
I suoi sentimenti in quel
momento dovevano essere disciplinati. Uno di essi, uno solo, una
smorfia,
un’espressione, avrebbe potuto tradirlo.
Aveva la bocca secca e il
cuore in gola, ma paradossalmente era meglio
rispetto alla sera prima. Tutto era meglio rispetto alla sera prima.
Infilò la
bacchetta dentro il
fodero attaccato alla cintura.
La
forma prima di tutto. La forma, la disciplina che
deriva da essa.
Quel mantra
l’aveva sempre
aiutato a mantenere la calma e funzionò anche quella volta.
“Kirill.”
Si rivolse al
ragazzo. Quello lo guardò spaventato: comprensibile. Avevano
ben tre agenti a
cui rendere conto, uno dei quali era nientemeno che il leggendario
Harry
Potter. “Torna in te e rifletti. Se hanno dei sospetti su di
noi, non vuol dire
abbiano delle prove. Forse è una semplice procedura, forse
anche gli altri
Campioni sono stati interrogati.”
“E se non fosse così?”
Deglutì.
Vedeva finalmente oltre il
cieco
desiderio di distinguersi agli occhi di suo zio?
Era ironico pensare che
Hohenheim
con ogni probabilità neppure ricordava il suo nome.
Siamo
pedine e nessuno ci perdonerà per ciò che abbiamo
fatto. Nessuno mi perdonerà.
“Sören,
se non fosse così?” Lo
incalzò Poliakoff. “Se ce l’avessero
proprio con noi?”
Si riscosse. “Allora non daremo loro modo di metterci
all’angolo.”
L’altro
annuì più rincuorato.
L’idea di scaricare la responsabilità e il rischio
a qualcun altro doveva
tranquillizzarlo enormemente. “Va bene. Allora…
andiamo?”
“Andiamo.” Convenne.
****
Non era esattamente facile
sgattaiolare
fuori dal letto quando il tuo ragazzo ti avviluppava nella stretta
possessiva
del suo bicipite da stramaledetto portiere di Quidditch,
nonché Campione del
Tremaghi.
Rose fissò il
soffitto del
letto a baldacchino di Grifondoro con cipiglio riflessivo.
Passare la notte con
Scorpius
era stato dannatamente, fottutamente – ogni tanto serviva
qualche espressione
colorita – imperativo.
Aveva aiutato il fatto che
alcuni
studenti, compresi tutti i suoi cugini, avevano deciso di dormire ad
Hogwarts e
rientrare a casa con l’Espresso del giorno dopo. Era stata
una buona copertura
con i suoi. Beh, con mamma…
papà ha
borbottato qualcosa e sono sicura di non volerlo sapere.
Ovviamente anche lei avrebbe
trascorso gli ultimi giorni a casa, ma quella sera, beh…
Era
nostra. È stata nostra. Alla grande.
Sorrise appena, lanciando
uno
sguardo al volto addormentato del suo ragazzo.
Mio.
Ah! Scapolo d’oro un cazzo.
Non aveva ancora parlato con
i
suoi genitori – cifrato, suo padre – ma andava bene
così. Dopo l’exploit del
ballo aveva preferito sgattaiolare via con il compagno alla ricerca di
un posto
appartato in cui passare finalmente del tempo assieme.
Ci
sarà tempo per le spiegazioni… e mi sa che
sarà un
tempo mooolto lungo. Ad iniziare da questo pomeriggio, temo.
Ma andava bene. Non aveva
più
paura ora che aveva saltato quel maledetto fosso, ora che tutti, ma
proprio
tutti sapevano che amava Scorpius Hyperion Malfoy e che era ricambiata.
… nonostante
questo, doveva davvero andare in
bagno.
Sgusciò con una
certa abilità
dalla presa del ragazzo e si guardò attorno.
Uh…
Era
il dormitorio dei ragazzi del
Settimo e per una strana serie di coincidenze, Scorpius e lei erano
stati gli
unici ad usufruirne quella notte. Questo non significava
però che quella camera
non fosse un casino e che non vedesse la sua biancheria. Né
la sua bacchetta
per appellarla.
E
no, neanche una maledetta camicia maschile. Ma dove
abbiamo messo tutto?
Per un attimo folle
pensò ad
uno scherzo di James prima di ricordarsi che era tornato a casa con Ted
di
fronte ai suoi occhi.
Odio
la mia famiglia.
Ricordando James,
l’associazione di idee la portò a Lily. Doveva
andare a vedere come stava.
Questo
dopo essere andata in bagno ed essermi messa
qualcosa addosso. Qualsiasi
cosa.
Sbuffò vinta,
afferrando la
trapunta rosso oro che copriva il letto e tirandola via dal peso di
Scorpius. In
punta di piedi e avviluppata nell’enorme coperta si diresse
verso il bagno.
Dopo circa cinque
nanosecondi
la risata di Scorpius riempì la stanza.
“Rosie, ma che
stai facendo?”
Lo spettacolo di Scorpius beatamente seminudo e sdraiato sul letto
valeva
sempre la pena di una lunga occhiata.
“Cerco di andare
in bagno.”
Replicò con dignità.
“E devi andarci
come se
dovessi affrontare una tormenta di neve?” Ghignò.
“Andiamo, ti ho guardata
tutto il tempo stanotte, e pure quando dormivi! Un sacco!” Si
aprì in un
sorriso. “Visione mattutina?”
Rose si sentì
avvampare come
un idiota. “Sei un maniaco.”
“No, sono il tuo ragazzo!” Replicò
allegro, tirandosi a sedere. “Ed ho freddo,
quella è la mia
trapunta.”
Rose gliela
lanciò
praticamente in testa, con una mira che avrebbe reso suo fratello, il
piccolo
maniaco di Quidditch, orgoglioso e poi si tuffò in bagno tra
le risate del
deficiente.
Ehi,
ognuno ha il proprio senso del pudore!
Tornare a letto e stringere
Scorpius in un abbraccio e sentirlo così rilassato contro il
suo seno però fu
bello. Non ce la faceva proprio a rimanere arrabbiata con lui, anche se
era un
ridanciano cretino. Si beò di un suo lungo bacio, quello del
buongiorno.
Adesso capiva
perché Al, nel
primo periodo del ritorno di Thomas, era sempre pronto ad eclissarsi.
La
mancanza fisica diventa dipendenza.
“Buongiorno
fiorellino di
cactus.” Le sorrise Scorpius strofinando il naso contro la
sua guancia. “Possiamo
barricarci qui dentro per le prossime quarantotto ore?”
“Temo di no. Impegni familiari.” Ad uno sbuffo
scontento, sospirò. “Sai come
sono i miei impegni familiari. Non
posso scappare, verrebbero a sfondarmi la porta.”
“Avete un karma schifoso, voi Potter-Weasley.”
“Mai stata più d’accordo.” Gli
accarezzò i capelli, più corti sulla nuca e
ancora più biondi. “… È
Lily, sai.”
Scorpius alzò la testa, corrugando le sopracciglia.
“Ah… già.” Ammise.
“Ieri
sera è stata piuttosto allarmante. Sembrava in preda alla
Sindrome di
Stoccolma.”
“Quella riguarda
rapimenti o
roba del genere…” Ricordò
nebulosamente, scuotendo la testa. “No, sembrava
più
una specie di fidanzata maltrattata che non vuole denunciare il suo
ragazzo.
Lily non si è mai comportata così. I
ragazzi…”
“… li comanda a bacchetta, ho notato.
Però ha pur sempre quindici anni.” Sorrise
appena Scorpius attorcigliando la catenina, suo regalo, attorno ad un
dito. “…
e possono esserci delle spiegazioni.”
“Scusa? Chi era pronto a fare la pelle a Luzhin ieri
sera?”
“Ehi bambina, sono un Grifondoro, sono impulsivo.”
Si strinse nelle spalle.
“Ma, se come dici, la Piccola Potter non è quel
genere di ragazza, allora forse
la faccenda non è solo bianca o nera.”
Rose ci rifletté: Scorpius come al solito aveva ragionato ed
aveva notato
qualcosa che a lei invece era sfuggito alla grande.
“Lils di sicuro
è cotta di
Luzhin.” Disse infine. Era l’unica cosa che aveva
chiara in quella faccenda.
Non aveva in effetti idea di che tipo fosse il durmstranghiano. In quei
mesi
era stato l’ombra di Lily.
Di
un’ombra non si capisce mai molto.
Scorpius
rotolò al suo fianco per
stiracchiarsi al meglio. Poi afferrò il cuscino,
ficcandoselo sotto la testa e voltandosi
verso di lei. “Beh, questo è normale.”
Osservò. “Voi ragazze andate pazze per i
belli e tenebrosi… guarda Dursley. È umanamente
agghiacciante eppure tutte gli
muoiono dietro.”
“Non io.”
“Per questo ti amo.” Replicò tutto un
sorriso. Rose accantonò momentaneamente
il discorso Lily per farsi baciare e stropicciare a dovere. In fondo il
letto
era caldo e loro erano ancora avviluppati nelle maglie del primo
risveglio.
Non
quarantotto ore, ma una mezz’oretta sì,
miseriaccia
…
Quando scesero per
colazione,
la Sala Grande era di nuovo tornata alla normalità.
L’unico segno che la sera
prima si era tenuta la festa erano i ghiaccioli ancora avviluppati alle
travi
che sostenevano la volta. Molti degli studenti erano già
tornati a casa, ma i
suoi cugini erano ancora tutti lì.
Osservò
preoccupata la piccola
Meike circondata da ben quattro serpeverde, il cui unico elemento
adatto ad una
bambina era suo cugino. L’aggiunta della Parkinson-Goyle e di
Dominique non
migliorava la situazione. L’undicenne però
sembrava divertirsi un mondo tra
quei loschi ceffi, a giudicare da come chiacchierava animatamente.
Al intercettò il
suo sguardo e
le sorrise, facendole cenno di unirsi a loro.
Ma
anche n…
“Uniamoci a loro,
mia
diletta.” Replicò Scorpius passandole un braccio
attorno alle spalle. Rose
capitolò, dato che quel giorno il suo buonumore era tale da
esser difficilmente
scalfito.
“Avete passato una
bella
serata, vedo…” Ghignò Zabini intento a
servirsi il the con precisione da
piccolo lord qual’era. Smontava un po’ la sua
espressione. “I vostri vestiti
parlano per voi.”
“Gran serata! Un divertimento pazzo!” Convenne
Scorpius, evitando una sua
gomitata densa di imbarazzo e scostandole la sedia. “E
voi?”
“Nessun ha ferite permanenti, quindi alla grande.”
Esclamò Dominique tra
sguardi sconcertati.
“Non eravamo in
un’arena,
razza di primitiva.” Sbuffò Violet. Rose le
guardò: sì, erano davvero assurde
di primo acchito, ma curiosamente sua cugina aveva un’aria
meno matta
affiancata alla francese.
“Parla per te, io
mi ci sono
sentita.” Rimbeccò Domi, prima di gettarsi sulla
colazione.
Rose lasciò perdere le due – doveva ancora
abituarsi all’idea bizzarra che la Veela-per-un-quarto
avesse un interesse
amoroso, al di là del sesso del suddetto – per
guardare il tavolo occupato.
Lily non c’era. Guardò altri tavoli e vide Hugo in
compagnia di amici, ma solo
lui.
“Lils?”
Chiese ad Al, che si
strinse nelle spalle.
“Non è
ancora scesa.”
Rose intercettò lo sguardo di Scorpius.
Allora
non sta bene…
Sfortunatamente Tom
intercettò
il loro. “Le è successo per caso
qualcosa?” Chiese, intempestivo come un Nato
Babbano ad un raduno di Mangiamorte. Difatti l’intera
tavolata ammutolì, Meike
compresa.
Dannazione!
Era
pessima a tenere i segreti, e tra
parentesi neanche voleva tenerlo, uno come quello. Avrebbe voluto dire
tutto a
James ed Al perché facessero giustizia piuttosto.
Giustizia
di muscoli e cervello da fratelli maggiori.
“Credo abbia
litigato con il
suo cavaliere.” Fu lesto a rispondere Scorpius, mago nelle
bugie dette a metà.
“Con
Luzhin?” Si intromise Al,
con una delle sue famose espressioni calcolatrici che giustificavano la
spilla
che aveva appuntata al petto. “Nulla di grave, spero.”
“Non ci è sembrato grave, no.” Sorrise
Scorpius, prima di servirsi una generosa
porzione di torta alla melassa. “Ma dovreste chiederlo a
lei… noi l’abbiamo
solo riaccompagnata alla Torre, vero fiorellino?”
In effetti…
Al avrebbe di certo chiesto
spiegazioni alla sorella a giudicare dalla sua espressione e Rose si
sentì un
filino meno colpevole. “Sì.” Una
semplice sillaba poteva dirla. Detto questo,
preferì riempirsi la bocca con la colazione piuttosto che
usarla per parlare.
Non
mi piace. Non mi piace questa storia… perché Al
ha
quella faccia lì?
Evitò con cura di
guardare
nella direzione del cugino. Aveva fatto una promessa e
l’avrebbe mantenuta, ma
sperava, per la prima volta in vita sua, che la sua
espressività l’avesse già
tradita alla grande.
****
“Possiamo offrirvi
qualcosa da
bere? Vino, un distillato?”
Forse c’era un
corso opzionale
a Durmstrang sul come mantenere la calma fino a rendersi
insopportabili,
rifletté Harry. Luzhin li aveva fatti accomodare in un
salottino sfarzoso, dove
il colore predominante era il rosso vinaccia e il verde militare dello
stendardo della scuola. Ron, alla sua destra, sembrava trovare la
poltrona
molto scomoda. Harry poteva capirlo: il cuoio di cui era rivestita era
duro
come un osso.
Certo
non hanno l’ospitalità nel sangue …
“No
grazie.” Replicò senza
sorridere, imitato da Nora e l’amico.
Luzhin annuì
leggermente.
“Come preferite.”
Il silenzio cadde come una
coperta pesante. Ron si schiarì la voce. “Iniziamo
dalla Prima Prova…” Esordì.
“Cos’è successo dopo che sei rientrato
nella tenda?”
Il ragazzo
rifletté
brevemente. “Sono stato curato dall’infermiera per
una ferita al braccio. Mi
sono seduto sul lettino che mi era stato assegnato e poi ho aspettato
la
conclusione delle prove degli altri due concorrenti.”
“Non hai notato
niente di
strano durante quel lasso di tempo?”
“No, non direi.” Scosse la testa.
“Inoltre non mi era concesso allontanarmi
dalla tenda.”
“Sì,
questo lo sappiamo.” Ron
fece un gesto evasivo con la mano, poi si rivolse
all’assistente. “E tu dove ti
trovavi?”
Lì era tutta
un’altra storia.
Harry poteva vedere il sudore condensarsi sulla fronte del ragazzo e da
come
teneva le mani ancorate ai braccioli era chiaro si frenasse dal
torcerle l’una
contro l’altra.
Nervoso.
Non che sia indice di colpevolezza, ma
comunque…
“In tenda. Suono asistente, dovevo…
insomma…
asistere?” Mormorò incespicando sulle vocali.
“Io…”
“È stato con me tutto il tempo.” Si
intromise Luzhin quietamente. Rispondeva a
Ron, ma Harry sentiva lo sguardo su di sé. Era chiaro che lo
ritenesse il suo
vero interlocutore. Ogni tanto qualche occhiata era riservata anche a
Nora.
Ron inarcò le
sopracciglia.
“Ah. Però i Tiratori di guardia alla tenda hanno
detto che ti sei allontanato, ad
un certo punto…”
“Duovevo andare in
bagno!” Esclamò
frettoloso. “In tenda no c’era!”
“Certo,
certo.” Lo rassicurò
Ron, usando il suo famigerato tono ironico, famoso per far perdere la
calma
alla maggior parte dei suoi interrogati. “E sei tornato
subito?”
“No.” Fu di nuovo Luzhin a rispondere.
“Poi c’è stato l’attacco dei
Dissennatori.”
“Mi piacerebbe che rispondesse il tuo amico.” Lo
riprese Ron.
“Mi
scusi.” Fu la cortese
risposta. Ad Harry però non sfuggì il lieve cenno
di permesso che diede al
russo.
Può
essere anche rigida gerarchia scolastica, ma è
chiaro qui chi tiri le fila, dei due.
“Come ha detto
Sören…”
Borbottò Poliakoff. “… è
diventato tuto
nero. Mi sono spaventato e sono scapato
verso castello, cuome
tutti.”
All’occhiata
interrogativa di
Ron, Luzhin diede la sua risposta. “Sono rimasto nella tenda
finché non ci ha
aggrediti un Dissennatore. Qualcuno deve aver castato dei patronus. Nella fuga ho sbattuto contro
qualcosa, non si vedeva
nulla. Ho perso i sensi. È l’ultima cosa che
ricordo.”
Quel ragazzo non usava
subordinate. Frasi staccate piuttosto, frasi esatte.
Forse era per via della barriera linguistica, ma Harry non
ne era del tutto sicuro.
Merlino,
parla come un robot.
“Un ricordo
comodo.” Commentò
Ron a mezza bocca. La reazione, prevista e voluta, però non
arrivò; Luzhin si
limitò a guardarlo incolore, aspettando evidentemente la
prossima domanda.
Dava enormemente ai nervi.
“Non ricordi
proprio nulla di
quel lasso di tempo?” Gli chiese allora Harry. “Sei
stato trattato per un
aggressione da Dissennatore. Qualcuno deve averti soccorso.”
La mano posata casualmente
sul
bracciolo si contrasse appena sulla punta delle dita.
“No.” Disse però con voce
chiara. “Ero incosciente. Suppongo sia stato uno dei
vostri.”
Harry sospirò
impercettibilmente: non c’erano appigli, né
tentennamenti. L’anello debole era
chiaramente l’assistente, ma era chiaro che la presenza di
Luzhin lo controllasse
abbastanza da non farlo cadere in contraddizione.
Avremo
dovuto interrogarli separatamente, dannazione. Ormai
è troppo tardi.
“Abbiamo
saputo…” Continuò Ron.
“… che non era
la prima volta che visitavi l’infermeria di
Hogwarts.”
“È
vero.” Confermò. “Ho avuto
un malore mentre mi allenavo. I rischi di essere un
Campione…” Sorrise appena. Un’aggiunta
oculata, distensiva.
Questo
ragazzo non risponde alle domande. Gioca una dannata
partita a scacchi!
“Eri molto lontano
dal terreno
concesso per gli allenamenti ai Campioni stranieri.”
Obbiettò Ron. “Sei stato
ritrovato ai cancelli di Hogwarts. Può dirci
perché eri lì?”
“Mi ero allontanato per prepararmi su un terreno accidentato,
quale quello del
bosco è.” Spiegò. “Non mi ero
reso conto di essermi allontanato tanto. È stata
una fortuna che Potter e Dursley mi abbiano trovato.”
“Avevi del
ghiaccio sulle
scarpe, Luzhin.” Ron scoccò quella freccia con
maestria, facendoglielo semplicemente
notare. Non era ancora
un’accusa. “Non
faceva così freddo. La nostra idea è che tu ti
sia materializzato fuori dai
cancelli e lo sforzo ti abbia fatto perdere i sensi.” Fece
una pausa. “Dov’eri
andato?”
Lo sguardo del ragazzo perse
di colpo ogni espressione gentile. Quello
l’aveva messo in allarme, finalmente. Sorrise, ma era una
smorfia meccanica,
senza nessun calore. “Da nessuna parte. Correggetemi se
sbaglio, ma i cancelli
di Hogwarts sono di norma protetti da incantesimi. Come avrei fatto a
materializzarmi
allo stremo delle forze e forzare subito dopo il cancello?”
Buon
punto…
“Forse hai perso i
sensi
dopo.” Obbiettò Ron senza scomporsi.
“Quel che è evidente è che non ti stavi
allenando.”
“Quel che è evidente, con tutto il dovuto rispetto
agente, è che non avete
prove per dimostrarlo.” Ribatté. Il tono aveva
perso la calma di prima. Era
chiaro che non si aspettava sapessero della sua piccola fuga.
“Non abbiamo
prove, ma…”
“No, non le avete.” Lo interruppe. “Come
non ne avete che io o il mio assistente
abbiamo portato i Dissennatori ad Hogwarts.”
Tutte le carte erano in tavola ed erano state brutalmente calate. Ron
gli
lanciò un’occhiata, quella definitiva, del
passaggio del testimone.
Harry prese quindi la
parola. “Ammetterai
Sören, che una sparizione priva di spiegazioni e il fatto che
il tuo assistente
si sia assentato proprio prima dell’attacco diano da
pensare.”
“La mia sparizione è ancora da dimostrare e Kirill
non era l’unica persona ad
essere fuori dall’arena in quel lasso di tempo.” Il
tono vibrava di molte cose
non dette e la calma ormai aveva fatto posto
all’aggressività. Ma sempre
controllata, come un cane a cui stavano tirando il guinzaglio.
Ad Harry diede
quell’impressione anche se forse l’immagine non era
molto rispettosa.
“Stiamo soltanto
facendo il
nostro lavoro ragazzo. È anche nel tuo interesse che il
colpevole sia preso.”
Rimbeccò Ron. “Dovreste collaborare.”
“Lo stiamo facendo. Non ci siamo rifiutati di rispondere alla
vostre domande.”
Harry fece cenno a Ron di
non
ribattere. “Sì, è vero.”
Rispose. Com’era vero che quel colloquio non stava
portando a nulla. Spunti, forse, ma nessuna risposta certa. In pratica
un buco
nell’acqua. Così Ron giocò la loro
ultima carta.
“Dovremo chiedervi
le vostre
bacchette adesso.”
Il russo si agitò
e,
nonostante l’occhiata ammonitrice dell’altro.
“Mi rifiuto!” Sbottò. “Non
avete
diritto di chiedere nostre bacchette, voi inglesi!”
“Kirill.” Mormorò Luzhin. “Ce
l’hanno, hanno un mandato.” Si alzò in
piedi,
estraendo la propria dal fodero e porgendola a Ron dalla parte del
manico.
“Prego.” Vedendo che l’altro esitava gli
fece un cenno piuttosto imperioso
aggiungendo qualcosa in tedesco, un ordine esplicito probabilmente.
Il russo fece una smorfia e
obbedì.
Ron eseguì
l’incantesimo di
reversione su entrambe le bacchette. Sotto i loro sguardi si
avvicendarono
lampi rossi, bianchi, molti incantesimi, la maggior parte dei quali di
difesa,
nel caso della bacchetta del Campione. E poi una serie ravvicinata di
schiantesimi da quella del russo. Harry ne contò ben tredici.
Il
numero di Tiratori Scelti di pattuglia all’arena.
Ron sembrò
pensare la stessa
cosa. “E tutti questi schiantesimi?”
“Kirill mi ha
aiutato negli
allenamenti. Li ha lanciati a me.” Spiegò Luzhin
stringendosi nelle spalle. “Come
avete potuto constatare negli ultimi tempi ho eseguito molti
incantesimi difensivi.”
Sfortunatamente il Prior Incantatio non dava tempistiche.
Inoltre dalla bacchetta del tedesco non risultava nessuna magia
sospetta. Anzi;
quella bacchetta non aveva un solo briciolo di magia oscura nel suo
nucleo.
Luzhin la riprese,
rinfoderandola con cura. “Se non c’è
altro, agenti, dovremo tornare nella
nostra cabina per gli ultimi preparativi prima della
partenza.” Era di nuovo
privo di espressione. Aveva vinto, capì Harry, e quindi si
era tranquillizzato.
“Chiamo Radescu per farvi accompagnare
all’uscita.”
Dannazione.
L’irritazione era
tale che
dovette trattenersi. Al e Tom non si erano sbagliati, quel ragazzetto
era
storto da capo a piedi. Sembrava un soldato dedicato ad una causa, e la
Thule
era proprio il tipo di setta che prevedeva tipi del genere.
“Conosciamo la
strada.” Disse
Ron, allacciandosi il mantello. Nora non aveva aperto bocca per tutta
la durata
del colloquio ma Harry era certo, o meglio aveva la
speranza che avesse altro da aggiungere usciti di
lì.
Perché
maledizione, stiamo brancolando nel buio.
Sören
aprì loro la porta.
Harry ebbe voglia di dirgli qualcosa, qualsiasi cosa, ma
l’intimidazione non
era trai suoi diritti di Capo dell’Ufficio Auror.
Non con gli stessi doveri
era
però Ron. Afferrò il tedesco per un braccio,
talmente fulmineo che l’altro non
ebbe neanche il tempo di scostarsi.
“Ascoltami bene
moccioso.” Lo
apostrofò strattonandolo verso di sé.
“Non è finita qui.” Lo
strattonò ancora
per farsi guardare. “E un’altra cosa. Nessun
sospetto frequenta la mia nipotina
di quindici anni.”
“Agente Weasley.” Lo richiamò senza
convinzione. Era quello che doveva fare in
quanto capo, ma fosse dannato se era ciò che voleva.
Un lampo di rabbia invece
passò nelle iridi del durmstranghiano. Stavolta
l’Occlumanzia non poté frenare
un’espressione furiosa. Il contatto fisico non richiesto era
stato un innesco
niente male.
“Di questo non si
deve
preoccupare.” Proferì duramente, strattonandosi
via. “Lily è al sicuro.”
Lily è al sicuro?
Era una frase di cui lo stesso Luzhin si pentì
all’istante, dall’aria che
assunse. Non disse altro tuttavia, scostandosi per farli passare o
più
prosaicamente per invitarli a levarsi dai piedi.
Quando furono fuori dal
salotto Ron eruppe in un’espressione colorita che
né lui né Nora si premurarono
di bacchettargli. “Col cazzo che Lily è al sicuro
con quello!” Sbottò. “Se si
avvicina ancora alla piccolina giuro che un paio di schiantesimi non
glieli
leva nessuno!”
Harry pensò a
come Luzhin avesse
nascosto la sciarpa regalatagli da Lily. Un gesto sciocco, istintivo.
Un gesto
che il ragazzo dell’interrogatorio non avrebbe fatto.
Pensò anche a come sua
figlia parlava di lui.
Certo,
è ancora una bambina però…
Le aveva insegnato a non
fidarsi delle persone solo perché erano gentili. E Lily in
quelle cose aveva
sempre imparato più in fretta dei suoi fratelli.
Ma anche se si fidava di sua
figlia, non poteva semplicemente fare quello. Non avrebbe
più permesso che
nessuno dei suoi figli venisse messo in pericolo.
Il
sospetto meno sospetto con cui abbia mai avuto a che
fare. Merlino…
****
Lily non si era svegliata
meravigliosamente. Per niente.
Si era svegliata da sola, di
cattivo umore, dolorante e con un malditesta che sembrava una goccia
cinese.
Probabilmente si era pure
persa la colazione, dato che il sole ormai filtrava dalle finestre
colpendo la
porta del bagno; più semplicemente, era tardi.
Aveva indossato un paio di
jeans ed un maglione, prendendoli dal guardaroba minimo permanente nel
suo
armadio scolastico ed era morbidamente franata sulla rientranza che
dava sulla
finestra. I terreni della scuola erano di un bianco compatto accecante,
fastidioso.
Al momento infatti aveva gli
occhi chiusi: non riusciva proprio ad aprirli e farsi uccidere dalla
luce.
Uh,
è come quella volta che ho voluto provare con Roxie
il distillato di zia Muriel. È praticamente come avere di
nuovo cinque anni ed
essere in post-sbronza.
Lily,
bambina cattiva.
Probabilmente era a causa
dell’orecchino. Non se l’era ancora rimesso.
Dovette dunque aprire gli occhi e
gemere nauseata a tutta quella luce. Rovistò un paio di
minuti nella pochette, sul comodino
e dentro i
cassetti.
Cavolo.
Non
c’era: cercò di fare mente locale.
La sera prima se l’era tolto in preda
all’agitazione e ovviamente non ricordava
dove l’avesse messo. Ma aveva già frugato nei
luoghi in cui istintivamente
avrebbe riposto qualcosa di piccolo.
L’ho
perso?
Sarebbe
stato un bel guaio. Sua madre
probabilmente l’avrebbe uccisa. Al di là del costo
del dispositivo, piuttosto
alto a quanto aveva capito, non doveva
stare senza.
Okay,
teoricamente è tutto a posto. Per ora. Non è che
sento niente, anche se sì, sono sola e non mi sento
emotivamente stimolata, ma…
oh, accidenti!
Si morse un labbro.
Oltretutto
non si sentiva bene, per niente. Forse erano stato il carico emotivo,
forse
quello magico, non ne aveva idea, ma si sentiva le guance scottare e un
dolore
diffuso alle ossa.
Febbre?
Un’ondata di
ricordi la
sommerse di nuovo e inspirò.
Ren.
Che cavolo… razza di idiota.
Doveva assolutamente
parlargli
prima che partisse. Doveva capire che diavolo gli fosse preso e
perché si fosse
comportato come un bruto senza cervello.
Non
proprio…
In realtà il
comportamento
dell’amico più che da bruto, era stato da
psicopatico.
Sören era sembrato
letteralmente terrorizzato da quel bacio; poteva non aspettarselo, ma
non era
precisamente quello il punto. Il punto era che le aveva detto di starle
lontano.
Si rifiutava di sentirsi
ferita, di sentirsi angosciata o confusa. Davvero, si rifiutava quindi non ci si sentiva. Avrebbe avuto
le sue spiegazioni.
Le
avrò e poi … sì, ci spiegheremo. Siamo
amici, tra
amici le cose si risolvono sempre.
Ci voleva ordine: prima di
tutto doveva coprirsi bene, che se aveva veramente
un’influenza in fieri non
era il caso la tramutasse
in simpatica polmonite, affezione, quella, che colpiva sia maghi che
babbani.
Fatto questo scendere ai piani inferiori, possibilmente non vista e
sgattaiolare
fino alla Roskilde – sì, si era pure imparata
il nome di quella stupida, orribile nave.
Per
entrare… beh, mi inventerò qualcosa o
minaccerò di
morte Poliakoff.
Con quel piano ben chiaro in
mente si vestì e scese. Passò oltre la Sala
Grande e ignorò la presenza dei
suoi cugini e per fortuna fu ricambiata; non la videro, neppure Hugo.
A
volte paga essere poco più alta di un maledetto
elfo…
Scendere il leggero declivio
che portava alla banchina di attracco non fu ugualmente semplice; il
freddo, se
inizialmente le aveva quasi fatto piacere, adesso le aveva reso la
testa
leggera.
Per
la bacchetta di Morgana… perché non sono come
Jamie, che non si ammala mai?
Quando fu a pochi metri
dalla
rimessa in cui venivano ospitate le barchette del Primo anno, vide
qualcosa che
per poco non la fece inciampare sui suoi piedi; suo padre, suo zio Ron,
l’agente donna del DALM americano e un paio di auror erano
appena usciti dalla
nave.
Fece appena in tempo ad
appiattirsi contro la parete della rimessa che le passarono affianco.
Le
passarono a fianco parlando.
“…
dobbiamo ottenere un altro
permesso di indagine. Rivoltare quella maledetta bagnarola da cima a
fondo!”
Disse suo zio Ron; era rosso in viso e particolarmente acceso sulle
orecchie.
Doveva essere molto arrabbiato.
“Non servirebbe a
nulla,
Ronald.” Ribatté l’americana.
“E comunque temo che non sarà così
facile
stavolta… continuare su questa pista potrebbe far pensare ad
un accanimento.”
“Accanimento di cosa?” Suo zio era davvero fuori
dai gangheri. Lily ebbe una
brutta sensazione; era chiaro che Durmstrang fosse coinvolta in
qualcosa. In
quella cosa della Prima Prova dunque? Uscivano dalla loro nave
dopotutto.
Ren?
“Ron, Nora ha
ragione…” La
voce di suo padre era… non l’aveva mai sentito
parlare in quel modo. Era
agitato, i lineamenti tesi. La spaventò.
“… non abbiamo ottenuto niente, solo
di metterli in allarme. Siamo stati
troppo precipitosi.”
“Ma quale altra
alternativa
avevamo, Harry?” Replicò suo zio allargando le
braccia in un chiaro segno di
impotenza. “… salpano stasera, e quando saranno a
Durmstrang saranno
intoccabili!” Si arruffò i capelli frustrato.
“Quel maledetto moccioso. Come
diavolo ha fatto a ripulirsi la bacchetta?”
Doveva essere gergo auror, pensò Lily confusa.
Però, ad intuito, non pensava si
trattasse di manutenzione della suddetta.
“Quella bacchetta
non ha mai
castato incantesimi oscuri.” Si intromise l’agente
americana. “Il Prior Incantatio
non può essere
ingannato.”
“Potrebbe averne utilizzato un'altra?” Chiese suo
padre.
Ma
chi? Di chi cavolo state parlando?
Lily
aveva le pulsazioni
spiacevolmente accelerate. Avrebbe voluto saltare fuori dal suo
nascondiglio e pretendere che le
venisse spiegato
tutto: ma no, non era una buona idea. Si abbracciò le
ginocchia, si costrinse
fisicamente.
“Non durante il
Torneo.” Negò
suo zio Ron. “Smith può essere un figlio di
puttana, ma tra lui e gli
organizzatori questo posto è peggio di Azkaban. Non avrebbe
mai potuto
introdurne una nell’arena, né lui né
quel ciccione del suo assistente.”
È
Ren.
Si sentì come se
le si fosse
ghiacciato qualcosa dentro; sì, Albus le aveva suggerito che
Sören avrebbe
potuto essere coinvolto in quella brutta faccenda dei Dissennatori, ma
non ci
aveva pensato più di tanto. Non ci aveva creduto.
E invece suo padre e suo zio
stavano indagando su di lui. E suo padre…
È
papà. Non è uno che si fissa a caso sulla gente.
E
anche zio Ron, è… sono degli ottimi auror.
Suo padre fece un lungo
sospiro. “È meglio se andiamo. Dobbiamo scrivere
il rapporto e poi decidere il
da farsi.” Diede una pacca a suo zio e poi si incamminarono
lungo il pendio.
Lily non poteva muoversi
subito dietro a loro, pena l’essere scoperta; e comunque
neppure ne aveva
voglia. Si sentiva le gambe pesantissime.
Ren
è un sospettato? Il mio Ren?
Le
sembrava ridicolo, una sciocchezza;
il suo amico, il ragazzo che la aiutava a studiare, che la ascoltava,
le
portava la borsa, le sorrideva e che sembrava ingenuo come un
bambino…
È
lo stesso ragazzo che ieri sera ti ha aggredita,
Lily.
Sentì ululare
Odino, il
molosso gigante di Hagrid. Probabilmente il professore era
lì vicino; spesso
veniva a togliere il ghiaccio dalle cime a cui erano assicurate le
barchette. Era
il caso di uscire dal suo nascondiglio prima che la sorprendesse come
una
stupida. Si alzò e si incamminò
nell’esatta, opposta direzione di suo padre e
gli altri auror. Verso il vascello.
Non ci poteva credere.
Doveva
di sicuro essere una sorta di orribile, grosso sbaglio.
Eppure
ieri sera…
Comunque la mettesse, aveva
solo una gran voglia di urlare e chiedere a qualcuno, a chiunque, di spiegarle. Ma non poteva: se avesse
chiesto al padre, avrebbe finito per farsi proibire qualcosa, di sicuro.
Rimaneva Ren.
Arrivò alla
banchina e percorse
la breve passerella che la univa alla nave. Il boccaporto era chiuso ma
batté
lo stesso, con forza, sul legno appiccicoso di sale marino e
umidità lagunare.
Non ci volle molto prima che
qualcuno venisse ad aprirle; riconobbe il ragazzo rumeno che
l’aveva scortata
nella sua seconda visita.
“Signorina Lily.” Ricordò nebulosamente
anche di avergli chiesto di chiamarla
per nome. Ovviamente quello era stato il risultato. “Posso
fare qualcosa per
lei?”
“Sì, voglio vedere Ren.”
Il ragazzo scosse la testa.
“Mi dispiace, non è possibile.”
Si chiamava Dionis, se lo
ricordò all’istante. “Per favore,
Dionis.” Non era neppure uscito per
appoggiarsi sulla passerella come aveva fatto l’ultima volta.
Non era un buon
segno. “Devo vederlo.”
L’altro assunse
un’aria
costernata; sembrava proprio un bravo ragazzo, ma in quel momento
avrebbe
voluto dargli un pugno in faccia. “Mi dispiace, è
stato dato ordine di non far
più entrare nessuno. Stiamo per salpare.”
“Non ci
metterò molto!” Gli
occhi lucidi li aveva perché tirava vento.
“Solo…”
“Non è possibile, mi dispiace.” La
fermò. “Signorina Lily…”
Esitò, poi afferrò
la porticina. “… lasci perdere, la
prego.” Detto questo non le diede il tempo
di dire nulla, perché le chiuse la porta in faccia.
Lily capì che era
il caso di
rientrare prima di diventare patetica. Neppure lei era così
testarda.
Entrò
dall’entrata principale senza
incontrare nessuno, per fortuna: appena varcata la grande soglia ad
arco si
accorse di tremare. La sciarpa strategica e il pesante mantello
invernale non
avevano potuto proteggerla dall’ormai inevitabile febbrone in
corso.
“Signorina Potter,
si sente
bene?” La voce della professoressa McGrannit la fece
sobbalzare. Le era
sembrata arrivare da lontanissimo, quando in realtà era
semplicemente alle sue
spalle.
“Oh…
io…” Balbettò: eccola lì,
l’unica donna al mondo capace di metterla in sacrosanta
soggezione. In quel
momento fu felice di sentire quello e non altro.
“… no, per niente.” Confessò
infine. “Sto da schifo.”
“Moderi il suo
linguaggio, non
è un ragazzaccio di strada.” La squadrò
da capo a piedi. “Venga, credo sia
opportuna una visita in infermeria.”
“Sissignora …” Sorrise appena.
L’anziana donna le scoccò un’occhiata
indagatrice, ma grazie a Merlino non le chiese delucidazioni di alcuna
sorta.
Neppure per le lacrime.
****
“Possibile che
droghino
chiunque anche solo per un raffreddore?”
“Ssh, Tom! Sta riposando!”
“Ma la droga non è quella cosa brutta?”
Al lanciò un’occhiata al proprio ragazzo che
fissava il lettino in cui riposava
Lily con il classico sguardo da sto-criticando-perché-io-posso.
Meike era lì invece perché, semplicemente,
seguiva Tom come un cucciolo
curioso.
C’è
da dire che attorno a lui succedono sempre le cose
più assurde…
Per una volta non era Tom il
problema, ma Lily. Che aveva le guance arrossate dalla febbre e il
respiro
affrettato, nonostante stesse profondamente dormendo.
C’era voluto un
intero
pomeriggio per capire dove fosse; alla fine era stato ovviamente
Hugo a trovarla, facendo capolino in Infermeria a causa
di un indigestione di dolci, problema che lo affliggeva in modo
ricorrente da
quando la natura l’aveva fornito di denti.
“Sta riposando ed
è sotto un
Distillato Soporifero.” Spiegò loro.
“È leggero, e Madama Chips sa quel che fa,
come Tom ricorda bene dato che ha approfittato delle sue
capacità l’anno scorso…”
Soggiunse lanciando un’occhiataccia all’altro.
“È per farla stare meglio, Mei.”
“Ah…” La bambina sorrise sollevata.
“Meno male.” Corrugò le sopracciglia in
quel buffo modo che imitava in modo mirabolante il cipiglio snob di
Tom. “…
però mica sembra stare bene, eh!”
Al sorrise un po’ stancamente. Non sembrava ci fosse un
giorno, da un mese a
quella parte, in cui non succedesse qualcosa.
Si sedette sul ciglio del letto della sorella e le
accarezzò la mano.
Scommetto
che ieri si è coperta poco per mostrarsi
tanto. E da qui, l’infreddatura.
“È solo
un po’ d’influenza.
Anche le migliori streghette la hanno.” Le strizzò
l’occhio. “Perché non vai a
chiedere a Milly se ti fa vedere dove vengono preparate le medicazioni?
È
piuttosto fico.”
“Fico!” Gli fece eco la bambina. “Sicuro
che ci vado!” Esclamò prima di correre
via a cercare l’assistente –infermiera con cui
aveva già fatto conoscenza
all’entrata. Era stata lei a permetter loro di vedere Lily.
Poppy
ci avrebbe fisicamente costretto a stare lontani.
Non sopporta più di una persona a paziente, ultimamente.
“Se continua ad
urlare in modo
così grifondoro non faremo mai di lei una
serpeverde.” Mormorò Tom pieno di
disappunto, facendolo ridacchiare.
“Temo, come ben
sai, che la
scelta non sia nostra, ma di un certo malmesso cappello.”
Replicò scostando una
ciocca sudata dalla fronte di Lily.
“Questo
è tutto da vedere… Il
Cappello tiene conto delle proprie scelte, non lo sa Signor
Potter?” Tom si
chinò a dargli un bacio morbido dietro l’orecchio,
per infastidirlo e per
rimarcare la sua presenza lì.
Ci
mancherebbe. Dedico a qualcun altro le mie
attenzioni, fosse pure mia sorella…
Tom lanciò poi
un’occhiata
alle grandi vetrate, che il vento frustrava violentemente di nevischio.
Fuori
doveva essere un clima da orsi polari. Al lo lasciò ai suoi
pensieri,
approfittandone per occuparsi della sorella. Forse alcuni rimedi della
Medimagia erano un po’ arcaici e poco innovativi secondo la
moderna scienza
babbana, ma avevano il pregio di funzionare.
Beh,
perlomeno per noi maghi e streghe…
Prese una pezzuola di lino
da
quelle accuratamente impilate sul comodino e la bagnò con un
po’ d’acqua della
caraffa. Lily sospirò di sollievo quando gliela
posò sulla fronte.
Cavolo,
scotta proprio…
“Pensi che per
domattina si
sarà rimessa?” Si informò Tom con
noncuranza falsa quanto una promessa di Loki.
Sapeva che teneva a Lily in uno strano modo ispido e cauto.
“Sì,
abbastanza da prendere L’Espresso.
Appena nonna saprà che si è beccata
l’influenza la vorrà alla Tana a costo di
portarcela in braccio.”
Al strizzò il panno per immergerlo nuovamente e rinfrescare
le guance della
povera, al momento inerme, sorellina. A guardarla così,
dormiente, pareva
precisamente le quindicenne che era. A volte gli sembrava
più grande, con i
suoi lazzi e la sua innata capacità di capire le persone.
Ma non lo era.
Fu allora che si accorse che
non indossava l’orecchino di controllo. Ci mise un attimo a
realizzarlo, dato
che per lui era solo qualcosa che Lily indossava da una vita e che
quindi non
era più abituato a notare.
“Dov’è il suo orecchino?”
Chiese a bassa voce, quasi
a sé stesso. Non che fosse solo: Tom si sporse per guardare
ed aggrottò le
sopracciglia.
“Non dovrebbe
indossarlo
sempre?”
“Già…
ma non ce l’ha. Forse è
caduto sul cuscino?” Lo cercò attentamente, ma
niente. Eppure lo ricordava come
un cerchietto di metallo piuttosto grosso, istoriato di rune magiche a
lui sconosciute:
sapeva solo che contenevano un incantesimo di sigillo per impedire che
sua
sorella utilizzasse incautamente un potere che non era in grado di
controllare.
Ricordava bene le raccomandazioni dei genitori a lui e James quando la
sorellina era tornata dal San Mungo con un sacchetto di dolci e un
orecchio
arrossato: non
farglielo togliere e
neppure provare a rubarglielo per scherzo.
“Dobbiamo
trovarlo, non può
stare senza.” Spiegò a Tom, che per una volta non
fece obiezioni ma si limitò
ad annuire.
“Porto Meike con
me. Se è
capace di trovare granchietti in una pozza d’acqua che li
mimetizza alla
perfezione, sarà capace di trovare un orecchino di metallo
in un castello.”
Rose entrò
proprio in quel
momento e li guardò con aria confusa. “Ehi, ho
sentito che Lils ha la febbre…
ma…”
“Sì, ha la febbre ed ha pure perso il suo
orecchino di controllo.” Era
arrabbiato con Lily. Perché non era venuta a dirglielo per
farsi aiutare?
“Ah.”
Disse Rose mordendosi
l’angolo del labbro. “Vi do una mano. Avete
controllato sul cu…”
“Già fatto.” La interruppe Tom, che
detestava gli venissero suggerite cose già
state fatte. “Altri posti dove può esserselo tolto
o averlo perso?”
“Stamattina solo in Dormitorio. E poi…”
Ci pensò, poi di nuovo
quell’espressione colpevole.
Decise di lasciar correre,
almeno per il momento. “Dove?”
“Ieri sera era nel
bagno dei
ragazzi, quello all’ingresso, può averlo perso
lì.”
Al non ne fu tanto stupito. Lily era cresciuta con lui e Jamie, e non
si
preoccupava troppo delle differenze di genere: non aveva problemi ad
usare il
bagno dei ragazzi del suo anno per farsi una doccia, nel caso la sua
fosse
occupata dalle compagne, con grande imbarazzo di Hugo e amici. Doveva
essere
stato quello il caso. Dopotutto la scuola era stata colma oltre ogni
misura, in
quelle ore.
“Quella sua strana
Legimanzia…
pensi che l’abbia usata?” Il tono di Rose era davvero strano e sia lui che Tom le
lanciarono un’occhiata.
Prevedibilmente arrossì in modo furioso in zona orecchie.
“Chiedevo solo!
Magari è per questo che non si sente bene.”
Sì,
mi sta nascondendo qualcosa.
“Se l’ha
fatto, non è stato
con noi.” Disse Tom, poi non aspettò le loro
reazioni, prendendo per una spalla
Meike, accorsa dopo che era stata chiamata. “Vieni, andiamo a
cercare una
cosa.”
“Dolci?” Chiese speranzosa, allentando un
po’ l’aria tesa. Curiosamente l’aveva
portata proprio Rose.
“No, un
orecchino.” Le diede
un colpetto sulla testa. “Andiamo.”
Lanciò loro un’occhiata di commiato e poi
risalì la scalinata, sparendo oltre la porta.
Albus a quel punto seppe che
doveva sapere; la faccenda
dell’orecchino poteva attendere. Rose gli stava nascondendo
qualcosa, perché
solo un segreto poteva farle venire quella faccia ansiosa. Era
così sin da
quando erano bambini.
Solo
che adesso i segreti mi piacciono ancora meno…
“Allora…
io vado a controllare
su, alla Torre…” Tentò.
“Rosie?”
L’apostrofo con
gentilezza, ma con tono sufficiente fermo da immobilizzarla sul posto.
“Credo
che tu abbia una gran voglia di dirmi che sta succedendo.
Vero?”
****
“Eccolo,
l’ho trovato!”
Meike aveva davvero gli occhi buoni che ricordava perché
trotterellò da lui con
l’orecchino di Lily stretto in pugno. Glielo
mostrò orgogliosa. “Visto?”
“Molto brava.” La lodò, dandole una
pacchetta sulla testa.
“Dai!”
Sbuffò. “Mi si
scompigliano tutti i capelli!”
Tom inarcò le
sopracciglia all’improvviso
interesse: non ricordava le fossero mai importati poi molto dato che a
Rügen li
teneva sempre sciolti e pieni di sale. Doveva essere colpa di Lily e
Alicia.
Osservò poi
l’orecchino che
gli aveva posato in mano. Non sembrava rotto, di primo acchito.
“Però,
che strano!” Esclamò
Meike saltando sul lavabo agilmente per mettersi a sedere. Alla sua
occhiata, sbuffò.
“Una volta ho messo gli orecchini della nonna, per
gioco…” Spiegò afferrandosi
i lobi delle orecchie”… ed uno l’ho
perso perché non non si era chiuso bene. Però
questo è chiuso super-bene!”
Tom rifletté; Meike aveva ragione. La chiusura era
resistente, fatta apposta
per evitare incidenti di quel tipo. Nessuna storia, Lily se
l’era tolto di sua
sponte.
Perché?
Non
c’era modo di avere una risposta
immediata, quindi si limitò a riporlo nel fazzoletto e
avvolgerlo in modo che
fosse impossibile gli sfuggisse nelle tasche.
“Chiederemo a Lily
quando si
sentirà meglio.” Disse più a
sé stesso che alla bambina, del resto già
distratta
da una nuova deriva di pensieri.
“Andiamo alla Guferia? Mi ci porti?” Per
l’appunto. “Voglio andare a trovare
Kafka!” Tese le braccia per farsi prendere. Tom supponeva
fosse ormai nell’età
in cui ci si sentiva troppo grandi per essere maneggiati come poppanti.
Perlomeno per lui era stato così.
Ma
forse io non ero un bambino normale.
Con un sospirò la
prese in
braccio, aiutandola a scendere. Fu allora che notò il segno
di una striatura
bruna, simile ad una bruciatura, proprio in corrispondenza di uno dei
lavabi.
Il lavabo era di pietra.
Non
credo esistano tante cose capaci di scaldarlo a tal
punto da lasciare un segno… di sicuro non un fuoco normale. Magico
sì. Un
duello, forse. Ma non ci sono tracce di altri incantesimi.
Esitò, preso da un’idea. Posò
la mano sulla bruciatura. Aveva la forma
esatta di un palmo umano. Grossolano, incerto, ma sembrava come
se…
Si puntellò
imitando la posa.
Sì, era quella. Qualcuno si era fermato di fronte ad un
lavabo, in una posa che
indicava tensione. Una tensione tale da bruciare con la magia della
nuda
pietra.
Doveva essere successo
qualcosa in quel bagno la sera prima. Qualcosa che coinvolgeva Lily e
il suo
orecchino di controllo.
“Tom! Dai, ti
muovi? Non so
mica la strada!”
“Arrivo.”
Avrebbe lasciato Lily ad Al, naturalmente. Aveva imparato la lezione.
Ma questo puzzle vedrà anche il mio
contributo.
****
“Stiamo
salpando.”
Sören non si voltò, dato che poteva riconoscere la
voce anche senza guardare
l’interlocutore in viso.
Radescu era affacciato alla porta del salottino privato dal Campione.
Sören
poteva immaginarlo mentre lo scrutava, indagatore.
“Grazie per avermi
informato.”
Non seguirono rumori di commiato.
“C’è
altro?”
“…
è tutto a posto?” Gli
rispose con una domanda; era quello, naturalmente. La comprensibile
paura nel
vedere delle uniformi auror. Dionis era un allievo ufficiale, ma era
pur sempre
un ragazzo di diciassette anni che non voleva essere coinvolto in
qualcosa a
cui non avrebbe mai preso parte se la decisione fosse spettata a lui
solo.
Poteva capirlo.
“È
tutto a posto.” Lo
rassicurò. “Non credo torneranno a disturbarci,
non per il momento. Quando
saremo all’Istituto avranno più
difficoltà a replicare un’azione
simile.”
Aggiunse. Avrebbe dovuto parlare con suo zio, ma gli sembrava, da un
lato, un
esercizio sterile.
Dovrò informarlo dei nuovo sviluppi
però.
Questo sì.
“Bene…”
Radescu tirò un grosso
sospiro esitante. Si voltò per guardarlo incuriosito e lo
scorse grattarsi la
nuca imbarazzato. “Sören… è
venuta qui Lily Potter. Voleva parlarti.”
Sentì lo stomaco
dargli una
fitta dolorosa. Qualcuno gli aveva detto, non ricordava chi, che il
dolore se
rifiutavi di pensarlo, filtrava nelle vene e faceva male.
“Non
l’ho lasciata entrare,
come mi avevi detto di fare.” Continuò.
“Pensavo volessi saperlo.”
No,
non volevo.
“Hai fatto
bene.” Vedendolo
ancora sulla porta si spazientì. Non aveva voglia di
parlare, tantomeno di Lily
e del suo ovvio tentativo di chiedere spiegazioni sulla sera
precedente. Non
aveva tempo per quello. Non voleva. “Ti ringrazio Dionis,
puoi andare.” L’altro
ragazzo stavolta capì l’antifona e dopo il
cerimonioso e familiare battere di
tacchi, se ne andò.
Sören, finalmente
solo, chiuse
gli occhi per ascoltare il rumore della risacca contro i fianchi della
nave.
Era un rumore che gli dava tranquillità. Gli ricordava
l’infrangersi delle onde
contro gli scogli di calcare che sentiva da bambino poco prima di
addormentarsi.
Comunque si stavano
muovendo;
tra poco si sarebbero immersi.
Lily…
Quella vivace ragazzina dai
capelli rossi era stata la parte più bella di un mondo che
non gli sarebbe mai
appartenuto. Ora che la sua esperienza ad Hogwarts si era conclusa e
con
l’arrivo a Durmstrang, il piano si avvicinava al suo
compimento.
Lily…
Data l’assenza di
ordini in
merito e l’assicurazione dell’estraneità
di Lily al piano, non le si sarebbe
più avvicinato. E non importava quanto questo facesse male.
Il bacio era stata la
realizzazione finale di quanto si fosse spinto troppo in là.
Era stato un
campanello d’allarme.
E se lo sentiva ancora
premere
sulle labbra.
****
Note:
1. La
canzone
.
Non so se riuscirò ad aggiornare costantemente, dato il
periodo convulso. Ma
per il momento, godetevi questo farci-capitolo. ;)
|
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Capitolo 45 *** Capitolo XLII ***
Capitolo XLII
Could this be
out of line?
To say you're the only one breaking me down
like this
(So
contagious, Acceptance)
29 Dicembre 2011
Londra,
Diagon Alley. Mattina.
“Sei
sicuro?”
Tom inarcò le sopracciglia all’aria incerta di Al.
“Non sto andando a Notturn Alley, solo dietro
l’angolo.”
“Che è molto
vicino a Notturn Alley.”
Gli fece notare stringendo la mano di Meike, che guardava
dall’uno all’altro
con aria curiosa. Era una tersa mattinata invernale e la neve era stata
ordinatamente accumulata ai lati delle stradine di Diagon Alley. Era
anche uno
degli ultimi giorni di Meike in Inghilterra e Al era stato ben contento
di
accompagnarli per un’ultima visita nel quartiere magico per
eccellenza. Tom
aveva subdorato fosse contento anche di allontanarsi di casa, anche se
non
aveva capito perché.
Lo
scoprirò, ma dopo.
In ogni caso, Al era rimasto
di buon’umore finché non aveva capito il reale
motivo di quella spedizione. Tom
sospirò. “Starò via per poco. Devo fare
delle domande a quel Fabbricante.”
“Di’ ciao da parte mia al Signor
Stevens!” Esclamò Meike, distratta
dall’insegna di Fortebraccio che si vedeva
dall’angolo della strada. “La sua
bacchetta funziona benissimo!”
“La tua
bacchetta.” La corresse. Poi
si rivolse ad Al. “Quell’uomo è un
esperto di bacchette e di incantesimi. È il
suo lavoro.”
“Credo che questi tuoi sospetti… dovresti prima
parlarne con papà.”
I sospetti su Luzhin e il suo modo tutto
particolare di non avere una bacchetta.
“Gliene
parlerò quando avrò
una tesi da sottoporgli. Presto.”
Aggiunse
vedendo che apriva la bocca per protestare. “Ha
già molte piste da seguire e
non voglio dargli un pensiero in più, ma fatti.”
Al gli lanciò
un’occhiata in
tralice. “Va bene.” Acconsentì infine.
“Saremo a Fortebraccio. Se fai delle
domande…” Esitò poi fece un sorrisetto.
“… cerca di empatizzare.
O sai come finisce.”
“Grazie per il consiglio.” Ironizzò.
“Ci vediamo dopo.”
“Non fare il
musone!” Fu
l’ultima raccomandazione che lo colpì alle spalle.
Sentì anche una risata di
Al.
Fantastico.
Sono diventato la vittima preferita di quei
due.
Non poté comunque
nascondere
un sorrisetto. L’ironia intelligente poteva perdonarla.
Il sorrisetto
sparì
velocemente quando si trovò di fronte al laboratorio del
Fabbricante Stevens.
Aveva una teoria e non aveva idea se avesse senso o meno. A lui
sembrava l’avesse…
ma poi bisognava anche scontrarsi con la realtà delle leggi
magiche. E non
poteva chiedere ad Harry ed aspettarsi che si mettesse a fare una
ricerca anche
su quello. Voleva portargli dei risultati e non gli interessava se non
era
tenuto a farlo, anzi tutto il contrario dato che era coinvolto nel caso
come
vittima; non voleva sentirsi in quel modo. Non voleva sentirsi
impotente.
Impazzirei.
Prima che suonasse il
vecchio
campanello ossidato gli fu aperta la porta e l’allampanato
Fabbricante di
bacchette fece la sua comparsa; era una delle poche persone che
riusciva ad
equipararlo in altezza, e questo avrebbe dovuto innervosirlo. In
effetti, era
così. “Signor
Dursley… non l’aspettavo
così presto!” Esclamò sorpreso. Il
sottotesto era piuttosto chiaro.
Pensava
che non sarei mai tornato nonostante
gliel’avessi dato ad intendere. Ed ha ragione.
“A
che serve un campanello se sa già
che qualcuno è alla porta?” Ritorse, sentendosi
inspiegabilmente come un
bambino colto con le mani sul barattolo della marmellata.
Il Fabbricante sorrise senza rispondere. “Ha considerato la
mia offerta?”
“Sono qui per delle domande.”
All’espressione finalmente confusa dell’uomo,
spiegò. “Domande sulla magia delle bacchette.
Serve per forza una bacchetta per
poter usufruire della forza di una
bacchetta?”
Non sapeva se avesse
spiegato
bene il concetto che si agitava in mente. Probabilmente no.
A sorpresa Stevens sorrise di nuovo. “Prego, si accomodi.
Stavo giusto servendo
il the.”
****
“Non vuole parlare
con
nessuno… neppure con Roxanne.”
Harry lanciò un’occhiata perplessa alla moglie. Ci
impiegò più di qualche
attimo per capire che stava parlando di Lily.
“Perché?”
Gli uscì fuori
intelligentemente. Era un uomo, non doveva giustificarsi se non
comprendeva
l’universo dei sottointesi femminili.
La donna si sedette accanto
a
lui, versandosi una tazza di caffé con la ruga delle Grandi
Preoccupazioni che
le solcava la fronte. Questo lo mise in allerta; erano giorni che
tornava a
casa ad orari indecenti, dopo aver passato ore e ore trai doveri
insindacabili
di Capoufficio che si erano accumulati in maniera imbarazzante.
Terminati quelli,
la sua attenzione ufficiosa era tutta rivolta al caso della Thule.
Quindi no, non aveva fatto
molto caso a cosa accadeva tra le mura di casa sua.
È
quello che c’è fuori a spaventarmi.
“Lo sai
com’è quando si ammala.”
Continuò Ginny alzando gli occhi al cielo.
“… e per il resto non ne ho la
minima idea. Te l’ho detto, si rifiuta di parlare. Con tutti.
Se proprio deve,
dice che sta benissimo.”
“E non sta
bene?”
“Non sembra, no.”
Harry aggrottò le
sopracciglia: non aveva pensato a Lilian in quei giorni, forse
perché la
sicurezza di averla in casa lo aveva tranquilizzato a sufficienza da
accantonare il problema.
“Non
si preoccupi. Lily è al sicuro.”
Luzhin
e Lily… Che cosa le ha fatto?
Era la prima cosa che gli
venne in mente, da bravo auror. E da padre apprensivo provò
rimpianto nel non
aver messo almeno un pizzico di paura in corpo a quel ragazzetto
inquietante.
“Ha problemi a
scuola?” Chiese
più diplomaticamente, da bravo marito.
“Non che io
sappia… ma forse
con suo padre parlerebbe.” Era una frecciatina, e Harry
l’accettò. Se la
meritava dopotutto. “Sai che dà più
retta a te che a me.”
“Va bene, provo
io.” Le
sorrise dandole un bacio sulla guancia a mo’ di scusa. Si
beccò uno
scappellotto distratto. Espletata la sua punizione, salì le
scale e bussò alla
porta della figlia con una tazza di the caldo e biscotti di Molly
Weasley
freschi di mattinata. Era un’offerta di pace da non
sottovalutare.
“Lily? Sono
papà… vengo in
pace ed ho dei biscotti.” Esordì scherzoso. Ci fu
un breve silenzio al di là
della porta seguito da un teatrale sospiro.
“Non vengo corrotta così facilmente.”
Sì, era di cattivo umore. “… I biscotti
sono della nonna?” Chiese dopo una seconda, meditabonda,
pausa.
Harry frenò una mezza risata. “Puoi contarci
piccola.”
La porta venne liberato del Colloportus
ribelle con cui era stata chiusa. Harry sorrise.
Quando era nata Lily, per la prima volta in vita sua aveva capito
com’era
vivere con una bambina per casa, una femminuccia al cento per cento,
che faceva
i capricci per un vestito nuovo e piangeva se Jamie le tirava le
trecce.
Era stato uno shock, avendo
sempre avuto riferimenti come Ginny ed Hermione. Ma Lily era la sua
principessa, e nessuno era riuscito a frenarlo dal viziarla
spaventosamente.
Non aveva mai capito il desiderio di avere una fauna di pupazzi, di
volere la
camera tutta rosa o di avere una trapunta soffice come una nuvola. Ma
aveva acconsentito
a tutto, e persino adesso non poteva fare a meno di sorridere come un
allocco
di fronte all’aria poco incline all’amore filiale
della figlia minore.
“The?”
Offrì posandolo sul
comodino. “Bevine un po’, ti farà
bene.”
“Non sono più malata.”
Replicò sostenuta, anche se lanciò
un’occhiata
calcolatrice alla tazza fumigante. “Per i capelli di Morgana,
detesto essere malata.”
Aggiunse. “Non
succede mai a nessuno in famiglia! Jam quando
mai è stato malato? Una volta in vita
sua, forse?”
“Beh, non funziona proprio così. E poi siamo
fortunati.” Scosse la testa.
“Dovresti vedere come si ammalano facilmente i babbani. Noi
maghi siamo più
resistenti.”
“Parla per te.” Borbottò afferrando la
tazza e dandone un cauto sorso. Tirò su
con il naso. Era chiaro fosse reduce da un febbrone coi fiocchi, ma
c’era
dell’altro. Per quanto detestasse essere bloccata a letto, di
solito era ben
felice quando passava in convalescenza e poteva farsi viziare
dall’intero
consesso maschile che gravitava attorno alla casa.
Stavolta era diverso.
Harry diede
un’occhiata
attorno. Notò che sul comodino c’era una boccetta
senza etichetta.
Albie.
La pozione doveva essere un
tonico distillato dalle mani ingegnose del piccolo pozionista di casa.
Lily però non l’aveva bevuta; era strano. Era
l’unica in famiglia che si era
sempre fidata del fratello sin dai suoi primi tentativi sulla strada
della
Medimagia.
Era il momento di indagare
un
po’. O più prosaicamente, di una bella
chiacchierata padre-figlia.
“Posso
sedermi?” Chiese con il
suo miglior tono pacifico.
Si beccò
un’occhiataccia. “Perché
volete tutti sedervi?” Rispose storcendo il naso e
mordicchiando un biscotto.
“Non è che tutte le volte che mi prendo un
raffreddore deve arrivare una
processione addolorata! Al, Tom, la mamma, Roxie… non sto
morendo!”
“No, certo. Ma da
quando in
qua si tratta male qualcuno che si preoccupa?”
Osservò gentile.
Lily si
mordicchiò un labbro.
“Scusa.” Borbottò.
“È che…”
“Sì?”
“Non voglio parlarne.” Sbottò.
Lily era una quindicenne. Una
quindicenne con qualcosa che la tormentava. Non avrebbe parlato:
piuttosto, per
punto di principio avrebbe nascosto tutto fino a sentirsi male.
Doveva quindi cambiare
strategia. “Va bene.” Acconsentì senza
scomporsi. “Ma lo vedo che ti stai
annoiando. Ti va una partita a scacchi?”
“Papà, facciamo schifo tutti e
due…” Aveva finalmente aperto una breccia, dal
sorrisino in tralice che gli lanciò. Probabilmente aveva
intuito la sua
diversione, non era affatto una sciocchina anche se ci si comportava
spesso. Ma
sembrava averla accettata.
Si strinse nelle spalle.
“Beh,
allora sarà una battaglia ad armi pari. E poi, per una
volta, forse avrò la
possibilità di vincere. Con tuo zio Ron non
c’è mai storia.”
Lily stavolta gli sorrise
apertamente. “Ah, lo vedremo!”
****
Londra,
Diagon Alley.
“Potenza e
precisione di una
bacchetta ma senza
bacchetta.”
Stevens sorseggio con accuratezza la sua tazza di the. Non spillava
neppure una
goccia. I movimenti di quell’uomo erano quelli che ci si
sarebbe aspettati da
un orologiaio babbano. In effetti, la precisione del suo lavoro non
doveva
esser poi molto diversa.
“Esattamente.”
Confermò. “Non
so se mi sono spiegato bene…”
“Non saprei.” Ammise con un mezzo sorriso.
“… lei non intende Magia senza
Bacchetta, vero?”
“No.” Sospirò. “So che non ha
molto senso quello che sto dicendo. Il fatto è
che conosco bene la Magia Senza Bacchetta… non è
lontanamente potente come
quella che ho visto e soprattutto, precisa.”
“Può essere
precisa.” Osservò
spingendo verso di lui un piatto di biscotti. “Nella mia vita
ho visto maghi di
valore non aver bisogno di una…”
“Sì, lo so.” Lo interruppe. Fece una
pausa e si morse un labbro. Come riusciva
a spiegarsi ad uno sconosciuto, per quanto intelligente, se non
riusciva a
capire neppure lui? “Colui che ha utilizzato questa magia
è troppo giovane per
avere quella capacità di controllo. Viene con gli anni, con
l’esperienza.”
“Su questo posso
darle ragione.”
Inarcò appena le sopracciglia. “Quindi se non
è senza bacchetta ma neppure con,
che cos’è?”
“Speravo potesse avere un’idea in
merito.” Confessò bevendo subito dopo un
sorso bollente. Si sentiva un idiota. Venir fuori con domande assurde
come
quella, per giunta ad uno sconosciuto… ma ne apprezzava la
mente brillante. E
il fatto che non avesse assunto quell’espressione di
scetticismo un po’
preoccupato che ogni tanto aveva Albus nei suoi confronti.
“Magia di una
bacchetta ma
senza bacchetta…” Mormorò
l’uomo meditabondo. “Siete sicuro che una bacchetta
non sia coinvolta?”
“Certamente. L’ho visto con i miei
occhi.” Subito dopo una parte remota del suo
cervello registrò che non era carino far riferimento alla
capacità mancante
nell’uomo, ma quello non parve neppure registrare la gaffe,
perché si alzò. Andò
verso la piccola ma capacissima biblioteca all’angolo del
grosso stanzone da
lavoro. Scorse i titoli con la punta delle dita per un po’,
poi fece un
sospiro. “Non ricordo dove l’ho messo…
ma non ha importanza.” Fece un cenno
evasivo. “Forse ho un’idea.”
Tom alzò la testa dalla contemplazione dei fondi della sua
tazza. Cercò di
calmare l’urgenza nel tono di voce. “Me la
spieghi.” Sbottò comunque. Si
schiarì la voce, mentre il Fabbricante ridacchiava.
“L’impazienza
della gioventù…”
Fu così gentile da non rammentare l’arroganza, e
Tom si sentì arrossire.
“Intendevo
dire…” Tentò.
“La sostanza non
cambia,
Signor Dursley.” Scosse la testa divertito, sedendosi di
nuovo. “Comunque… anni
fa ho letto un libro. Un lavoro di ricerca piuttosto interessante ad
opera di
un giovane alchimista inglese.”
“… il
nome?”
Fece un cenno evasivo.
“Si
firmava con uno pseudonimo. Un metodo sicuro se si azzardano idee che
cozzano
con le leggi del Ministero.” Si appoggiò contro lo
schienale della vecchia
sedia. “In questo testo spiegava come fosse possibile avere
la magia di una
bacchetta senza bisogno di averla fisicamente tra le mani.”
Tom aggrottò le
sopracciglia.
Non si riteneva un idiota, tutt’altro, ma quel discorso
sfuggiva alla sua
comprensione. Il Fabbricante dovette percepire il suo stato
d’animo, perché si
apprestò a continuare.
“Una piccola
premessa… la
bacchetta è solo, di fatto, l’involucro. Qualcosa
che serve a tenere assieme la
magia che vi è dentro. Il Nucleo, è
ciò che fa una bacchetta, non il suo
legno.”
“Intende crini di unicorno, corde di cuore di
drago…”
“Sì, esattamente.” Convenne.
“Il legno si armonizza con il nucleo e dà la
precisione di colpi, la forza. Però, in teoria, non
è indispensabile. Solo che
ovviamente tenere in mano un nucleo e provare a fare magie con
esso…” Fece un
mezzo sorriso. “Sarebbe come avere del tritolo e tentare di
accendervi una pipa.”
Tom annuì.
“Quindi senza legno
una bacchetta non…”
“Non è una bacchetta.”
Sorrise. “Il
nucleo è il catalizzatore della magia di un mago. Capisce?
Il tramite in cui
l’energia viene convogliata, rinforzata e si disperde. Il
legno è ciò che la
rende impugnabile.”
Tom ebbe un famoso momento
da
‘eureka’. Se lo sentì arrivare addosso
come una consapevolezza. “Quindi
potrebbe esserci il modo di impiantare il nucleo in qualcos’altro
che non sia il legno di una bacchetta?”
“Sì, è possibile.” Convenne
l’uomo con un mezzo sorriso.
“Impiantarlo su
una persona.”
Quasi inciampò con le parole, dalla fretta che ebbe di
pronunciarle. “Sarebbe
possibile impiantare un nucleo non so… nel braccio di un
mago?”
L’uomo si pizzicò il mento pensieroso.
“In linea del tutto teorica…”
“Lei è un Fabbricante.” Lo
incalzò. “Sarebbe possibile?”
“Come le ho detto, Signor Dursley, in
linea teorica sì.” Convenne con un
sospiro. “Ma bisogna considerare il
fatto che carne e sangue non sono legno. L’essere umano
contiene carbonio come
il legno, ma non è
legno. Il processo
sarebbe meccanicamente fattibile, forse legando il nucleo ai tendini e
all’arteria brachiale…” Scosse la testa.
“Ma sarebbe un azzardo. Un rapporto
così diretto, non mediato…
Un’operazione del genere, a livello morale sarebbe
inconcepibile.”
“Perché?” Gli uscì di getto e
subito dopo arrivò la colpa. Una voce interiore
che aveva il tono di Al gli ricordava che aprire il braccio di una
persona e
infilarci il nucleo di una bacchetta non poteva essere
un’operazione da nulla
come togliersi una spina dal piede.
L’uomo fu
così gentile da
risparmiargli una risposta tagliente, anche se gliela lesse in faccia.
“Sarebbe
pericoloso per la
vita del amgo.” Disse invece. “Una forzatura al suo
naturale equilibrio magico.
Dubito che qualsiasi mago adulto potrebbe sopravvivere ad
un’operazione del
genere. Nel migliore dei casi, tutta la sua magia fuoriscirebbe dal
braccio in
un’esplosione. Il legno di una bacchetta ha delle valvole di
controllo al suo
interno. Non credo sia del tutto ricreabile all’interno di un
arto umano… ma
stiamo parlando di teoria.” Si fermò e si sporse
verso di lui. “Ha conosciuto
qualcuno…?” Lasciò aleggiare la
domanda. Tom si sentì meno solo e paranoico
quando vide una scintilla di interesse accendere lo sguardo opaco
dell’artigiano.
“Non ne sono
sicuro.” Tagliò
corto. Non era lì per dare informazioni, ma per riceverne.
“Ipotizziamo un
bambino che non ha ancora ricevuto la sua prima bacchetta…
sarebbe il ricevente
ideale?”
Stevens inspirò
leggermente.
“Dio…” Si lasciò sfuggire
dalle labbra. “Le confesso che questi discorsi mi
stanno mettendo a disagio.”
“Non è l’unico.” Lo
rassicurò, ma forse più che altro rassicuro
sé stesso. Si
sentiva male. Ma quello che più lo inquietava era che
nonostante tutto, la
curiosità lo spingeva a continuare a fare ipotesi. Si
sentiva eccitato come
forse una persona normale al suo primo appuntamento.
“Per pura teoria
allora…” L’artigiano
si passò una mano sulla guancia. “Un bambino che
ancora non ha imparato a convogliare
la sua magia tramite un elemento esterno sarebbe il candidato con
più
possibilità di riuscita. Nove, dieci anni. Più
piccolo sarebbe troppo
instabile.” Sospirò. “Ma chi farebbe mai
una cosa così disumana?”
Quella singola frase fu
peggio
di una doccia fredda.
Mio padre.
Se
ha strappato un’anima dall’oblio per darle il corpo
di suo figlio, può anche torturare un bambino per avere
l’arma perfetta.
Serrò appena le
labbra. “Spero
nessuno.” Mentì. Si alzò in piedi.
“La ringrazio del suo tempo.” Voleva uscire
di lì; improvvisamente si sentiva costretto.
L’artigiano
sembrò indovinare
i suoi pensieri. “Si figuri. È raro che qualcuno
venga a discutere della
materia, a meno che non si tratti di ordini in pendenza.”
Sorrise tendendogli
la mano.
Gliela strinse.
“Mi è stato
molto utile.”
“Lo spero.” Trattenne la mano ancora qualche
attimo. “Signor Dursley… la devo
avvertire. Se conosce una persona con un artificio simile…
gli stia ben
lontano.”
Tom batté le palpebre. L’espressione del
Fabbricante era seria, quasi
preoccupata. “Perché?”
“Immagini un momento di rabbia, un momento in cui
è non è il caso abbia la sua
bacchetta in mano… Le è mai capitato?”
Non aspettò risposta; non che servisse.
Arrivava un momento nella vita di molti maghi e streghe in cui
accadeva. A lui
era successo un po’ più di una volta.
“Immagini allora quanto possa essere pericoloso
un mago che non ha la possibilità di posare la sua
bacchetta.”
La pietra bruciata…
Tom immaginò. E
nell’istante
in cui visualizzò, non volle averlo fatto.
Albus era nel bel mezzo di
una
partita a sparaschiocco con Meike quando Tom entrò nel
locale; Fortebraccio
aveva un sacco di giochi a disposizione dei clienti più
piccoli ed era ben
lieto di vederli utilizzare, che causassero esplosioni o meno.
Al vide Tom arrivare
accompagnato da una faccia tremenda e quindi fermò con
gentilezza Meike da
aggiungere la carta che probabilmente avrebbe fatto esplodere
l’intero mazzo.
“Ehi, siamo qui!” Lo chiamò con un cenno.
Che
è successo? Chi gli ha
detto cosa? Cavolo.
Persino Meike si accorse della sua espressione.
“Che hai?” Chiese un po’
apprensiva. “Vuoi una cioccolata calda?”
Offrì immediatamente.
Tom a quel punto si scongelò appena, con un sorriso.
“Vammene a prendere un
po’, sì.”
“Ma quale? Ci sono tantissimi gusti!”
“Quella che piace a te.” Il messaggio sottointeso
era chiaro e Meike non fece
rimostranze. Doveva essere abituata ad esser spedita a far altro dai
tempi di
Rügen. Si allontanò trotterellando, promettendogli
la più buonissima di
tutto il locale.
“Tom, che
è successo? Va tutto
bene?” Gli chiese toccandogli una spalla. Il contatto parve
riscuoterlo di
colpo perché batté le palpebre prima di
afferrarlo per la sciarpa slacciata sul
collo e baciarlo. Al ricambiò il bacio tra la sorpresa e
l’allarme. Non che non
si fossero mai baciati in pubblico, ma non in quel modo: non serviva la
Legimanzia per sentire che Tom ne aveva bisogno.
Si staccò con il
respiro corto.
Si poteva dire molte cose di Thomas Dursley, ma non che sapesse come
essere
travolgente. “… okay.”
Mormorò. “Non che non mi sia piaciuto, ma per
cos’era?”
Tom non rispose limitandosi
a
fissare con improvviso interesse il mazzo disordinato di carte.
“… Sono felice
che Harry mi abbia trovato.” Mormorò soltanto. Il
che non era precisamente una
confessione rivelatoria. Al lo sapeva. Era il fatto che reiterasse il
concetto
a preoccuparlo.
Gli prese la mano
stringendogliela. “Lo siamo tutti.”
Ribatté pacato: sommergerlo di domande in
quel momento sarebbe stato controproddutivo, oltre che inutile.
“Farò
in modo che mio padre
paghi per tutto quello che ha fatto.” Sussurrò in
tono così basso che Al sentì
un brivido corrergli lungo la schiena; Tom era sempre Tom, ma
c’era qualcosa
dentro di lui a volte, un’ombra che gli avviluppava il cuore.
Che avesse paura
o fosse arrabbiato, si manifestava e gli faceva dire quelle cose,
gliele faceva
pensare.
“Non sta a te
farlo.”
Gli venne scoccata
un’occhiata
ancor più preoccupante del tono, ma forse il rafforzarsi
della stretta alla
mano servì, perché Tom serrò appena le
labbra. “Vorrei che stesse a me,
invece.”
“Non credo proprio.” Sorrise a Meike che
posò orgogliosa la tazza ancora piena
di crema e panna sul tavolo. “Sei solo uno
studente.” Sottolineò a bassa voce.
Tom prese la cioccolata
regalando un mezzo sorriso alla bambina. “Per fortuna,
no?” Ribatté con una
punta di ironia. Ma non aggiunse altro, rivolgendo la sua attenzione
alla
piccola tedesca.
Al non si illudeva che fosse
finita lì. Ma per il momento, decise, bastava.
****
“Questo mi sembra
un arrocco,
vero papà?”
“Ehm.”
“Papà!”
Harry ridacchiò, alzando le mani in segno di scusa.
“Lo sai benissimo che la
logica e la memoria non sono il mio forte. E lo sanno anche questi
pezzi.”
Sbuffò mentre le sue due torri si strattonavano
l’un l’altra. Quelli di Lily
erano più disciplinati, o più semplicemente
totalmente ammaliati da lei. Era la
scacchiera di Albus, ma i bianchi di Lily la chiamavano da
mezz’ora ‘Sua
Maestà’ indefessamente.
“Non ti ricordavo
così
schiappa.” Ghignò attorcigliandosi una ciocca
ramata attorno alle dita. “Sul
serio, concentrati almeno un po’!”
“Beh, io invece non ricordavo che fossi così
brava.” La riprese pizzicandole il
naso per gioco. Lily stranamente non cercò di schivare
lamentando a gran voce
la sua età inadatta a certi buffetti, ma perse invece il
sorriso.
“Mi ha insegnato
Ren.” Disse
con un filo di voce. “Ogni tanto giocavamo assieme. A lui gli
scacchi piacciono
molto.”
Ah.
“È un
bravo giocatore?” Chiese
in tono neutro. Sua figlia non doveva
sapere. Era una specie di mantra che aveva quasi fatto
ripetere a Ron, casomai
si facesse venire la malsana idea di dire tutto a Lily per tenerla
lontana dal
tedesco.
Poteva ritirare Lily da
scuola. Poteva farlo e sarebbe stata la soluzione migliore. Ma prima di
arrivare a quella misura drastica doveva capire alcune cose.
Lily intanto stava fissando
i
propri pezzi, apparentemente per studiare la prossima mossa.
E non aveva risposto alla
domanda.
“Lily?”
Chiese non
impegnativo.
“Sì,
è bravo.” Sbottò. “Non lo
so, cioè… sicuramente farebbe una gran partita
con Tom o zio Ron.”
“Non ha mai giocato con i tuoi cugini?” Prese un
biscotto e gli diede un morso.
“Con Tom o Rose, per esempio. So che Rosie non dice mai di no
ad una buona
partita.”
“No, Ren non ha frequentato molto gli altri…
neanche Rosie.” Borbottò stuzzicando
un pedone senza farlo muovere veramente. “Stava sempre con
me. È timido.”
Non
mi è sembrato affatto timido.
Ma non lo disse ad alta
voce,
preferendo un sorriso. “Capisco.”
Osservò la mossa svogliata della figlia.
“E…”
Beh, si supponeva dovesse indagare, ma lì si sconfinava in
un territorio in
cui, anche alla veneranda età di quarantatré
anni, si sentiva un novellino. “…
e lui ti è simpatico?”
Infatti fu guardato come se avesse detto una cosa stupida.
“Papà, siamo amici
da tre anni. Se non mi fosse simpatico, credi che avrei continuato a
scrivergli
ed avrei accettato di frequentarlo?”
“A questo proposito…” Si
schiarì la voce. Lo sguardo di Lily si era fatto un
po’ troppo analitico per i suoi gusti.
“… era come te lo aspettavi?”
Lily gli lanciò un’occhiata di tremenda
consapevolezza. Abbandonò totalmente la
scacchiera per raddrizzarsi sui cuscini. “Che vuol
dire?”
“Nulla, era
solo…”
“Stai indagando su di lui.” Lo freddò di
colpo. “Su di lui e su Durmstrang.”
Harry si sarebbe mangiato la lingua. Con l’età
aveva a contenere i lati più impulsivi
del suo carattere. Si chiamava maturità. Era questo che
l’aveva reso un buon
capo-squadra. Ma mantenere quel genere di distacco con i suoi figli gli
era
impossibile.
“Chi te
l’ha detto?” Preferì
quindi giocare a carte scoperte, e magari strigliare chi aveva avuto la
brillante idea di fare domande troppo rivelatorie alla sua bambina.
Sempre
che non sia stato Tom. In quel caso temo che
nessuna ramanzina potrebbe attecchire.
“L’ho
scoperto da sola.”
Poteva essere vero, come poteva tentare di discolpare il delatore. Con
Lily
entrambe le possibilità erano probabili.
“Sören non sarebbe mai capace di fare
quello di cui lo incolpate!”
“Nessuno lo sta
incolpando di
nulla.” Disse fermo. “Ma devi capire che zio Ron e
la sua squadra stanno
svolgendo delle indagini. E ci sono degli indizi…”
“Non sono veri!”
Stavolta proprio
urlò, e trasalirono in due. Lui e Lily.
Poi arrivarono le lacrime.
“Ren non è … non è come
pensate che sia! Perché diavolo dite tutti che lo
è? Al…
Al ha detto delle cose orribili, e non sa niente!”
Harry non ribatté, capendo che non era il caso.
Però registrò il commento.
Per
questo non ha bevuto la pozione?
Albus ovviamente era stato
con
lei in que giorni. Era quello che in casa le era stato più
vicino. Harry non li
aveva sentiti litigare, ma forse era accaduto quando era al lavoro.
“Tesoro…”
Cosa avrebbe potuto
dire per migliorare quella situazione assurda? Ferire la propria
bambina gli
sembrava un delitto capitale.
Ma
non posso neanche starmene a guardare mentre quel
piccolo bastardo la manipola.
Si sporse, passandole un
braccio attorno alle spalle e stringendosela contro. Lily non si
ritrasse, per
fortuna. Non era ancora il cattivo della storia, perlomeno.
“Ascoltami. So che
Sören è tuo amico.” Sospirò.
“Ma può essere che sia coinvolto in qualcosa di
più grande di lui.”
“Com’è successo a Tom l’anno
scorso?”
Proprio no. Tom è uno dei nostri.
Le sorrise.
“Forse. Nessuno
vuole incolparlo ingiustamente. Vogliamo solo capire. Vogliamo fare in
modo che
quello che è successo a Tom non ricapiti più. A
nessuno di voi.”
“Neppure io lo voglio.” Mormorò Lily,
posandogli la testa sul petto, più calma.
Harry notò che non aveva negato la sua ultima presa di
posizione.
Allora
sa qualcosa?
“Pensi che
Sören si sia cacciato
in qualche guaio?” Le chiese con tutta la gentilezza
possibile. Sapeva che era
come camminare su gusci d’uovo.
Lily non rispose subito.
“Non
lo penso.” Mormorò infine. “Lo
so.”
…
come sospettavo…
Cercò di frenare
il desiderio
di mettere al sicuro tutta la propria, allargata famiglia,
possibilmente in
qualche posto lontano dall’intera umanità.
“Quindi capisci che … è meglio se
per un po’ tu e lui state lontani?”
A quell’azzardata
richiesta si
sarebbe aspettato un secondo scoppio d’ira adolescenziale, ma
non arrivò. Anzi,
Lily gli si aggrappò con più forza al maglione.
“Non ti devi
preoccupare,
papà…” Le stesse parole di Luzhin?
“… non mi vuole più vedere.”
Harry batté le
palpebre: ora
era confuso. La frase di Luzhin gli era sembrata detta proprio per
affermare il
contrario. Invece…
Non
ha senso. Se si è avvicinato a Lily per monitorare
Tom e gli altri, come ha supposto Nora… perché
adesso l’ha allontanata?
A che razza di gioco stava
giocando?
In ogni caso non poteva
rischiare la vita di sua figlia su una semplice incongruenza
caratteriale. Che
l’avesse allontanata o meno, decise, Lily non sarebbe andata
a Durmstrang.
“Lily, ascolta…” Sospirò. Il difficile
arrivava adesso.
****
Surrey, Little Whining, Privet
Drive.
Albus era tornato da Tom
perché la situazione a casa sua era diventata peggio di un
uragano non
annunciato.
Sapeva bene che i Dursley – più che altro il
capofamiglia – non apprezzavano
gli auto-inviti, ma del resto la finestra di Tom era chiusa e non
rispondeva
alla ghiaia che tirava ai vetri. Probabilmente stava ascoltando musica
in
cuffia.
Quando fu Dudley ad
aprirgli,
Al inscenò il suo sguardo più mortificato. A
quanto pareva suo zio – o cugino
di secondo grado, o quel che era – era psicologicamente
fragile a grandi occhi
tristi.
Sensi
di colpa che risalgono ad un’infanzia da bullo?
“Ciao zio, scusa
l’ora e il
non preavviso. Tom è in casa?” Non poteva essere
da nessun’altra parte, ma la
commedia andava recitata a menadito. Era buona educazione.
L’uomo
sbuffò. “Sì che
c’è. Ma
con cosa sei venuto?”
“Non lo vuoi sapere.” Sorrise amabile.
“Posso entrare?”
“Certo, certo…” Si spostò.
“Tutto bene da te?”
“Meravigliosamente.” Convenne perché era
quello che bisognava dire in quei
casi.
E
non, mia sorella ci odia tutti perché papà le ha
proibito di andare a Durmstrang ed io ho peggiorato la situazione
arrivando al
momento sbagliato, cercando di calmarli e finendo per dire a
papà la cosa per
cui Lily non mi parla da due giorni.
“Mutti!”
Al non seppe se correggere
Meike per la centesima volta o arrendersi all’inevitabile
sarcasmo made in Thomas che la
piccola aveva
sviluppato. Nel frattempo ricambiò l’abbraccio
entusiasta con cui lo placcò.
“Ciao Mei.”
“Guardavamo un
film alla tv.
Tutti meno Tom!” Chiosò togliendosi un cucchiaio
da gelato dalle labbra. “C’è
un sacco di gelato!”
Disse infatti.
“Mi piacciono le marche inglesi!”
“Mutti?”
Suo zio Dudley aveva una strana espressione in faccia. Gli
tremavano i baffi. Al capì con orrore che l’uomo capiva il tedesco. Perlomeno le basi.
“Mei, vado da Tom. Buon film e buon gelato.
Ci vediamo dopo.”
Mugugnò infilando per le scale, inseguito dalla risata
roboante di Dudley
Dursley.
Ucciderò
Tom.
Era una giornata orribile.
Iniziata in modo poco simpatico e finita in modo orrendo. Voleva solo
avere a
che fare con una persona che non sbraitava, e Tom sì, aveva
molti difetti, ma il
suo tono di voce base era meravigliosamente basso. Monotono forse, ma
c’era
talmente abituato che lo trovava riposante.
Non bussò alla
porta, sapendo
benissimo che l’altro non l’avrebbe comunque
sentito. Lo trovò infatti disteso
sul letto, con le cuffie e un libro di narrativa babbana in mano,
completamente
assorto.
“Ehi.”
Diede un calcetto al
materasso. Tom sobbalzò di colpo, rivolgendogli
un’occhiataccia.
Oh,
cavolo. Fantastico. È ancora nervoso.
“Che ci fai
qui?” Per
l’appunto. Al sentì l’umore precipitare
sotto la suola delle scarpe e
cominciare a scavare.
L’ultima cosa
che aveva sentito chiudendo la porta di casa era stata una sequela di
recriminazioni su quanto fosse un delatore, uno spione e un serpeverde.
Lily
quando vuole sa essere insopportabile. E pure Tom.
Amo gente insopportabile.
“Fai finta che io
sia
un’allucinazione. Ora me ne vado.”
Replicò asciutto facendo per voltarsi. Per
fortuna Tom aveva migliorato le sue capacità di reazione in
quell’ultimo anno.
Si alzò con uno scatto piuttosto impressionante per un
ragazzo che faceva dei
libri la sua ragione di vita e si frappose tra lui e la porta con una
certa
eleganza.
Poteva semplicemente
chiedermi di restare. Ma immagino sia già abbastanza che non mi
abbia sbattuto la porta in faccia
con la magia.
“Aspetta.”
Lo scrutò. “Cos’è
successo?” Si schiarì la voce.
“Intendevo dire questo, non cacciarti via.”
“Come no…” Sbuffò dirigendosi
verso il letto. “… a volte mi illudo che la tua
incredibile mancanza di tatto sia passeggera.”
Tom piegò le labbra in un sorrisetto. “Mea
culpa.” Convenne. “Che è
successo?” Ripetè sedendosi sul materasso,
invitandolo ad imitarlo.
Al fece una smorfia: in
realtà
non aveva voglia di parlare di quello che era successo.
Si sentiva frustrato e sapeva che se avesse
vomitato tutto addosso a Thomas per farsi consolare, probabilmente
l’avrebbe
solo turbato.
In
fondo si parla sempre del solito argomento. Pazzo
psicotico e Sette Assassina.
“Che stavi
ascoltando?” Chiese
invece agganciando con un dito il filo degli auricolari.
“Siouxie and the
Banshees.”
Replicò con un sorrisetto. “Perché mi
chiedi sempre cosa ascolto se non hai la
minima idea di chi siano?”
“I babbani sanno cosa sono le banshee?”
“Per loro sono
folklore
irlandese. Meglio che rimangano nell’ignoranza.”
Prese l’Ipod e lo posò sul
comodino. Gesto tipico per dirgli che era disposto a dare udienza.
“Ora vuoi
dirmi perché sei qui e non al capezzale di Lily come la tua
indole da
crocerossina ti suggerisce?”
“Stronzo.”
“Già.” Gli passò le dita trai
capelli, toccandogli gentilmente la nuca. Al
sentì la tensione abbandonarlo, anche se solo un
po’. “Parla.” Lo incitò con
quei suoi imperativi impossibili. Al non l’avrebbe mai
ammesso se non a sé
stesso, ma li trovava eccitanti.
Tranne
quando mi irritano oltre ogni misura.
E raccontò. Di come avesse saputo da Rose che Lily
era stata aggredita da Luzhin
la sera del Ballo del Ceppo. Di come quando le avesse riportato
l’orecchino
chiedendole spiegazioni avesse ricevuto una sostanziale porta in
faccia.
“… le
ho chiesto perché
diavolo stesse coprendo quel bastardo e sai che mi ha
risposto?”
“Ti ha preso a schiaffi?” Suggerì Thomas
incolore. Fissava un punto qualsiasi
della stanza con estrema concentrazione. Era il suo modo di ascoltare
al cento
per cento. Al per un attimo si pentì di averglielo detto:
aveva evitato di
farlo non appena saputolo proprio per evitare di alimentare quella sua
malsana
ossessione per il tedesco.
Ma
ormai… forse tanto malsana non è.
“No, mi ha
risposto che Rosie
aveva esagerato. Ho tentato di
chiederle se avesse ancora i lividi sulle braccia. Pessimo
errore.” Inspirò.
“Ma ero incredulo… ovviamente dopo mi ha cacciato
di camera.”
“Ma li aveva?”
“Non lo so. Penso che se avessi tentato di spogliarla mi
avrebbe fatto crescere
un naso in più.” Brontolò a mezza
bocca. Tom non sorrise. “Comunque è Lily.
Odia trovarsi anche solo un graffio addosso. Avrà preso
qualche unguento per
farli riassorbire il giorno dopo, quasi sicuramente.”
“Questo
è accaduto due giorni
fa. Ed oggi?”
“Quando sono
tornato da Diagon
Alley ho trovato una Terza Guerra Magica.” Si
guardò le mani strofinandosi il
pollice particolarmente sporco sotto le cuticole. Era una vera rottura
tagliare
radici con il kit di pozioni che aveva a casa. Non era neanche
lontanamente
buono come quello che teneva a scuola. Digressioni a parte,
continuò. “…Sono
giorni che è chiusa in camera sua, era ovvio che prima o poi
papà cercasse di
capire. L’ha fatto oggi. E deve essere arrivato alle mie
stesse conclusioni.”
Tom aggrottò le sopracciglia. “Niente
Durmstrang.” Intuì.
“È il minimo visto quel che le è
successo!” Sbottò esasperato. “Invece di
capire la situazione… quando sono arrivato stepitava che
nessuno poteva impedirle
di andare all’Istituto, ti rendi conto?”
“In realtà i vostri genitori possono.”
“Ha solo peggiorato la situazione ricordarglielo.”
Sospirò. “Papà cercava di
farla ragionare, lo sai com’è fatto…
quando sono arrivato io però, la
situazione è precipitata.”
“È
colpa tua!”
Lily si arrabbiava raramente. Questo non significava che non fosse
capace di
farlo in modo spettacolare.
Albus
aveva appena messo piede nella stanza della
sorella per capire il motivo di tutto quel trambusto, dato che si udiva
sin dai
piani inferiori, e aveva trovato quest’ultima e i suoi
genitori nel bel mezzo
di una discussione.
“…
Che ho fatto?” Gli era uscito confuso.
“Sei
stato tu a mettere in testa a papà che Sören
è il
colpevole! Tu e Thomas!”
L’utilizzo
del nome completo di Tom non era un buon
segno.
“Lily,
non è così.” Aveva replicato suo padre.
La voce
era calma, ma forzatamente tale. Al si ricordava bene come le
arrabbiature di
Lily non fossero eredità Weasley, ma Potter. Lì
c’erano due vulcani inattivi
con al momento una bella attività. Aveva guardato sua madre,
e questa gli aveva
restituito un’occhiata estremamente consapevole.
“Lilian.”
Era intervenuta poi. “Ascolta quello che
tuo padre ti sta dicendo. Durmstrang è troppo pericolosa in
questo momento.”
“Al e Tom ci vanno! Per loro non lo è?”
Aveva sbottato sarcastica. “Hanno un
dispaccio speciale?”
“Sono maggiorenni.” Aveva tagliato corto suo padre.
“Non posso impedirgli di
prendere le loro decisioni.”
“A me sì invece, vero? Per ventiquattro mesi di
differenza sono un’infante con
zero capacità decisionale!” Lily era furiosa, ma
più che altro sembrava spaventata
dall’eventualità di essere costrettaa
rimanere ad Hogwarts. Si
intuiva dal
tono concitato con cui parlava. I loro genitori non erano severi, ma
erano
coalizzati e inamovibili nelle rare decisioni che imponevano loro. Se
decidevano una cosa, non cedevano.
“Non
è un argomento di cui discutere, Lily.” Aveva
detto
infatti suo padre. “Non lascerò che tu metta la
tua incolumità in pericolo per
un capriccio.”
“Merlino!” Lily si era passata le dita trai capelli
ora leonini. “Non è un
capriccio! È per Ren! Lui ha bisogno di
me, è mio amico!”
Albus
a quel
punto aveva capito qual’era il vero
nocciolo della questione. E l’irritazione e
la preoccupazione che aveva provato quei giorni lo avevano di nuovo
morso alla
gola. Rose aveva tentennato molto prima di confessargli tutto, ma
quando
l’aveva fatto la sua espressione era stata inequivocabile.
Sua cugina si era
spaventata, e non era certo una tipa impressionabile con tutte le volte
che si
era azzuffata con James e Freddy.
“Lily,
Sören è il vero pericolo, non la sua
scuola.”
Aveva replicato serio, con l’attenzione di tutti
improvvisamente catalizzata su
di lui. “Al di là delle accuse che pendono su di
lui, non è un bravo ragazzo.”
“Tu non lo conosci!” No, non lo conosceva, ma gli
bastava abbondantemente
ricordare l’espressione di Rose. E la sua espressione quando
aveva visto Fanny.
Il canto della Fenice getta
terrore nel cuore dei malvagi…
“Ti
ha aggredita Lily, a me basta questo.” L’aveva
detto, anche se sapeva che avrebbe definitivamente fatto perdere la
proverbiale
calma a suo padre. L’aveva detto e basta.
“Ed è
successo?”
“Non ho mai visto papà così arrabbiato.
Mamma ha dovuto incollarlo alla sedia
con un incantesimo adesivo.” Sorrise appena, suo malgrado.
Solo l’istintivo
intervento materno aveva probabilmente evitato che suo padre prendesse
la prima
passaporta per la Norvegia per andare a giustiziare sommariamente il
tedesco. “Comunque
alla fine l’ha calmato. Ovviamente questo ha solo rafforzato
la decisione dei
miei. Papà ha già scritto un Gufo al Preside.
Lily non andrà a Durmstrang.”
Tom non disse nulla, ma gli
passò un braccio attorno alle spalle. Al sospirò,
sentendosi meno in colpa e
arrabbiato con il mondo. Si accoccolò vergognosamente contro
di lui, ma andava
bene dato che non c’era nessuna Mei a chiamarlo
‘mammina’ o nessun Dudley a
ridere a crepapelle.
“Hai fatto la cosa
giusta.”
Disse piano, contro la sua tempia. “Lilian è
geneticamente irragionevole.”
“Credo tu abbia appena insultato anche
me…”
“Sì.” Ghignò appena.
“Però siete fatti così. È il
vostro principale difetto e
maggiore pregio.”
“Mi ha detto che
mi odia.” Era
stupido, ma l’aveva ferito. Perché nonostante la
razionalità della decisione
dei suoi, nonostante il suo sacrosanto diritto di informare suo padre
dell’aggressione… la capiva.
Luzhin poteva essere un
problematico bastardo, ma Lily gli voleva bene.
Lo feriva sapere che sua
sorella, al di là delle sparate da adolescente incompresa,
stava passando
qualcosa di simile a quello che aveva passato lui l’anno
prima.
Si sentì
improvvisamente
afferrare per un braccio che lo fece stendere sul letto.
“Stanotte dormi qui.”
Sentenziò Tom. “Diro a Meike di dormire con
Alicia.”
“Ma no, sono i
suoi ultimi
giorni…”
“Non le
dispiacerà se le
spiegherò che devo consolare Mutti.”
Al si sentì avvampare, ma non ribatté. Aveva
ribattuto abbastanza per tutta la
giornata.
E
pure per la prossima settimana.
Si lasciò invece
spogliare
docilmente del maglione e toccare i capelli. Quello lo rendeva
assonnato e
arrendevole dalla veneranda età di due anni. Tom lo sapeva.
“Lily è
forte. Vedrai che le
passerà.” Disse in tono non impegnativo. Al
sospirò; avrebbe voluto dargli
ragione, ma vedere sua sorella piangere parzialmente per colpa sua lo
aveva
fatto sentire sentire un verme. Rimasero in silenzio ed era tutto
ciò di cui Al
aveva bisogno in quel momento.
Rilassante,
confortevole, amato silenzio.
Tom poi gli toccò
leggermente il
ginocchio. “Ho capito come Luzhin è riuscito a
fare magie da bacchetta senza
una bacchetta.”
…
le ultime parole famose…
Al
non aveva voglia di parlare ancora
del tedesco, ma immaginava che
l’altro si fosse tenuto quei pensieri dentro per tutta la
giornata e per buona
parte della loro conversazione. E non era il caso che li spedisse
tramite gufo
suo padre. Non quella sera. Aprì quindi gli occhi.
“Come?”
“Potrebbe avere un
Nucleo Magico
nel braccio. Non è rilevabile ai sensori magici, non
è visibile ad occhio nudo.
È il modo per utilizzare una bacchetta senza avere una
bacchetta.”
Al aggrottò le
sopracciglia. “Dentro il
braccio?” Sembrava proprio una
cosa da Setta Segreta di Alchimisti. Questo non lo confortò
affatto. Non che
avrebbe dovuto. “Ma com’è possibile?
Intendo dire… è possibile
fare una cosa del genere?”
“Secondo il Fabbricante con cui ho parlato,
sì.” Disegnò fili invisibili sul
suo braccio nudo, con aria concentrata. “Probabilmente
è stato un esperimento
unico nel suo genere.” Esitò, poi gli
lanciò un’occhiata. “È il
genere di cosa
che farebbe mio padre.”
“Hohenheim.” Lo corresse, puntellandosi sui gomiti.
“Sì,
Hohenheim.” Mormorò
distratto. “Secondo Stevens, Luzhin deve aver sofferto.
Un’esperimento del
genere è rischioso… ha anche detto che
è vivo per miracolo.”
“Mi dispiace per lui… ma questo non lo
giustifica.”
“Lo so.”
Al attese perché
c’era dell’altro. “Non
voglio…”
“Non importa. Dimmelo.” Lo incoraggiò.
Non era ancora arrivato il momento in
cui non ne poteva più. Forse sarebbe arrivato, ma non era
quello il momento.
“Avrei potuto
essere come
lui.” Buttò fuori. “Avrei potuto essere
Sören Luzhin.”
Al non disse niente. Perché era vero, Tom avrebbe potuto
crescere con Alberich
Von Hohenheim. Avrebbe potuto essere un parco per esperimenti. E, nella
peggiore delle ipotesi, se suo padre non l’avesse sentito
piangere durante
l’incendio …
Lo abbracciò di
slancio,
perché sì, era istintivo, troppo spontaneo e
tutto il resto. Ma supponeva che
fosse uno dei motivi per cui l’altro ricambiava sempre i suoi
abbracci. Forte,
come in quel momento.
“Una giornata da
cancellare.”
Scherzò sciogliendosi dalla presa. Tom sorrise appena.
“Hai qualche rimedio per
togliercela dalla testa?”
“Di sotto stanno
guardando un
film assolutamente ridicolo. Credo sia una commedia
americana.”
“Fantastico.”
Lo baciò sulle
labbra. “Adoro gli svaghi babbani.” Fece per
alzarsi, ma l’altro lo trattenne
afferrandolo per la punta delle dita. “Tom?”
“Mi disp…” Dovette tappargli la bocca
con un altro bacio, perché se l’avesse
fatto con la mano si sarebbe impermalito a morte.
“Questo
è uno dei rari casi in
cui non devi scusarti, Signor Dursley.” Lo prese in giro, ma
non troppo.
“Approfittante.”
Tom prese
un’espressione
assorta. Poi gli sorrise, per fortuna. “Va bene.”
Acconsentì. “Mi dispiace.”
Ripeté ma stavolta con tono
completamente diverso. Al ridacchiò e si chinò
per dargli il bacio che
desiderava.
Tom sentiva il respiro regolare di Al accanto al suo; il ragazzo si
mosse
leggermente nel sonno, mugugnando soddisfatto quando ebbe trovato la
posizione
giusta. Quindi se lo trovò incollato addosso.
Sorrise, ma poi
pensò.
Avrei
potuto essere come Luzhin.
Trovava che la
pietà fosse un
sentimento stupido. Ogni uomo al mondo faceva le sue scelte, e
raramente potevano
essere aliene da sue colpe. Non aveva provato pena per Parva Duil,
l’uomo che
si era venduto a John Doe, non aveva provato pena per Ainsel Prynn
quando era
stata uccisa davanti ai suoi occhi.
Non provava pena neppure per
Sören.
Ma poteva capirlo. Sospirò.
Capire ti faceva sentire
molto
peggio.
****
Note:
Non sparate sulla scrittrice, fa’ del suo meglio! ;D
Mi dispiace per il ritardo, ma sfortunatamente è un periodo
denso, tra stage,
esami e tesi.
Qui
la
canzone.
|
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Capitolo 46 *** Capitolo XLIII ***
Capitolo XLIII
La realtà dell'altra
persona non è in ciò che ti
rivela,
ma in ciò che non
può rivelarti.
(Le
parole non dette, Kahlil
Gibran)
1
Gennaio 2023
Germania
del Nord, Residenza estiva degli Hohenheim.
Il vento sbatteva impietoso
contro le finestre rinforzate. Al Nord tutte le finestre avevano quella
patina
opaca, quella forte patina che impediva alle intemperie di entrare
nelle
stanze.
Sören
guardò distratto il mare
livido gonfiarsi di cavalloni. Dalla torre dove si era stabilito si
godeva una
vista eccellente della baia.
Dove si era stabilito…
Sorrise amaro strofinando i
polpastrelli sulla carta ruvida del libro che aveva in grembo.
Dove era stato confinato era
decisamente un termine più adeguato.
Tornato da Hogwarts suo zio
aveva ripetuto la stessa scena della Vigilia. Lo aveva salutato con un
abbraccio aspro, prima di consigliargli di riposarsi e che
l’avrebbe mandato a
chiamare quando avrebbe avuto bisogno di lui.
Aveva aspettato giorni prima
di capire che non ci sarebbe stata nessuna chiamata. Non gli era stato
espressamente
vietato di abbandonare i suoi appartamenti, ma non aveva importanza;
sapeva
leggere tra le righe di Alberich Von Hohenheim.
Era un recluso senza sbarre.
Scese dal letto e si
affacciò
al bovindo, osservando il panorama di fronte a sé senza
vederlo veramente.
Non aveva ancora capito che
male attanagliasse suo zio. Quando aveva tentato di raggiungere la
Guferia
aveva infatti avuto un’amara sorpresa. Aveva
l’ambiente vuoto, privo di
qualsivoglia volatile. Quando aveva chiesto informazioni ad Etzel aveva
scoperto che non avevano più una voliera e che lo sparviero
di suo zio era
l’unico animale postino portato dalla vecchia casa. Non
avendo mai posseduto un
Gufo o qualcosa di simile, Sören era rimasto, come avrebbe
detto Lily, fregato.
Suo zio aveva tagliato ogni
contatto con il mondo esterno, tranne lo stretto indispensabile; e,
sembrava,
li avesse tagliati anche con lui. Pur vero che suo zio lo chiamava al
bisogno.
Si assicurava che le sue necessità fossero sempre
soddisfatte, ma non lo
chiamava per una partita a scacchi serale.
Ma
stavolta è diverso. Non vuole
vedermi.
Cosa sta cercando di fare?
Non poteva tagliarlo fuori
dall’operazione perché era lui
l’operazione.
Non
si fida più di me?
Aveva sentito molti
movimenti
nel castello, in quei giorni. Dalla
torre vedetta in cui abitava aveva anche uno scorcio del cortile
interno. Aveva
visto arrivi: uomini venuti da lontano, tirapiedi a giudicare dagli
abiti e dal
modo in cui suo zio si rivolgeva loro. Quasi sicuramente mercemagi,
maghi dell’Est
prezzolati e con ben pochi scrupoli morali.
A
cosa gli servono? Perché non chiama adepti della
Thule?
Sentiva qualcosa di molto
simile ad una sorta di tensione rabbiosa che gli scorreva sottopelle.
Suo zio pensava che un
atteggiamento
simile non avrebbe avuto ripercussioni sul suo stato d’animo?
Conoscendolo non doveva
averci
neppure pensato. Era ciò che era nel suo braccio a fare di
lui ciò che era, non
altro. Il resto era… ininfluente.
Aveva smesso da tempo di
sperare che Hohenheim avrebbe potuto sviluppare qualcosa di simile
all’affetto
per lui. Ma questo andava oltre l’anaffettività.
Lo stava tagliando fuori.
Era talmente teso che
sobbalzò
quando bussarono alla porta.
“Avanti.”
Disse voltandosi e
sforzandosi di far scivolare via qualsiasi espressione dal volto. Aveva
scoperto che diventa sempre più difficile. Una volta era un
automatismo.
Lily
non sopportava le tue espressioni
‘assenti’… Le
chiamava così, no?
Serrò la mascella
per impedire
un fenomeno in realtà ormai inarrestabile. Infatti, quando
il giovane magonò
entrò gli venne lanciata un’occhiata guardinga.
“Brutto momento Signore?”
Chiese squadrandolo.
“No.”
Scosse la testa. “Entra
pure.”
Il ragazzo era molto
più alto
di quanto non avesse notato nella cucina in cui l’aveva visto
mangiare. Era il
manifesto del ragazzo tedesco: capelli biondo grano, presenza massiccia
e
colorito sano. Doveva essere della vicina Lubecca, a giudicare
dall’inflessione.
“Sono venuto a
portarvi il
pranzo, dove posso metterlo?” Reggeva il vassoio che
Sören aveva imparato a
conoscere come parte integrante della sua routine giornaliera.
L’unica novità
era proprio l’avvento del ragazzo.
“Sulla
scrivania.” Mormorò
distratto. Una piccola novità ininfluente, ecco tutto.
“Signore.”
Obbedì svelto il ragazzo.
… o forse no.
Sören gli
lanciò un’occhiata
incuriosita: aveva sempre pensato che i maghinò fossero
immancabilmente anziani
e dall’aspetto dimesso. Quel ragazzo era l’antitesi
delle sue idee; solo la
pettorina di chi serviva in quella casa, nei fatti, lo identificava
come uno
dei servitori. Neppure l’atteggiamento era quello giusto:
aveva le spalle
troppo dritte, e già un paio di volte l’aveva
fissato dritto negli occhi.
Sören credeva nella
gestualità
del corpo e del viso. E quella sì che era una
novità.
“Sei
nuovo.” Azzardò.
“Sono stato
assunto quando vi
siete trasferiti. A settembre, Signore.” Ripeté
diligentemente. Lo studiava di
rimando. Doveva essersi aspettato di essere notato a malapena.
E
normalmente sarebbe stato così.
Forse era
l’espressione di
fondo ad averlo catturato. Aveva già visto quello sguardo
vivo, intenso.
Lilian.
Erano due esempi di essere
umano completamente diversi, eppure…
Oppure.
Oppure
sto immaginandomi cose che non ci sono.
Ma poteva essergli utile. Di
certo aveva più possibilità di muoversi
all’interno del palazzo di quanta non
ne avesse lui. Doveva quindi stabilire un contatto.
Certo.
Facile per te, vero?
Era pessimo in quello:
avrebbe
fatto un buco nell’acqua anche con Lilian, se non fosse stato
per l’esuberanza dell’altra.
“Spero che ti
trovi bene a
servire questa casa.”
Gli venne restituita un’occhiata che ebbe quasi la forza di
metterlo in
allarme. Decisamente le parole sbagliate. “A nessuno piace
servire per sopravvivere,
Signore.”
Pronunciò l’ultima parola
con aperta strafottenza e Sören seppe che dopotutto se
l’era cercata. Ma doveva
mantenere il punto.
“Mio zio ti
dà il permesso di
esprimerti così?”
“No.” Replicò stringendosi nelle spalle.
“Per come m’esprimo? Mi ha frustato.”
Sören
inspirò; conosceva bene quel
metodo di persuasione; i babbani utilizzavano lunghe corde di cuoio, ma
i
maghi… beh, non aveva termine di paragone, ma era un
semplice movimento di
bacchetta: più la crudeltà era facile,
più vi si indulgeva.
“Mi
dispiace.” Gli uscì
spontaneo.
Il ragazzo
aggrottò le
sopracciglia, indeciso se considerare le sue parole una presa in giro.
Alla
fine dovette propendere per un’ipotesi diversa,
perché sospirò. “Hilda si è
raccomandata di dirvi di mangiare subito, finché la zuppa
è calda. Non sappiamo
riscaldare il cibo con la bacchetta, noi.” Soggiunse ironico.
“Ringraziala, è sempre tutto squisito.”
Aveva scoperto che la vecchia cuoca
conosceva i suoi cibi preferiti. Non le aveva mai detto quali fossero,
ma in quei
giorni, vedendoli apparire con costanza, aveva capito che a volte le
persone
potevano sorprenderlo. O forse, era qualcosa che la donna aveva sempre
fatto.
Solo
che tu non ci hai mai fatto caso.
Non aveva mai fatto caso ad
un
sacco di cose, prima di conoscere lei.
“Ho bisogno che tu
faccia
qualcosa per me.” Lo disse di getto e non se ne
pentì. Aveva bisogno di sapere,
anche se non avrebbe dovuto. Non aveva importanza, non a quel punto.
Il ragazzo si fermò sul ciglio della porta. “Io
rispondo solo ad ordine diretto
di…”
“Di mio zio, lo so.” Lo interruppe.
“Infatti si tratta di un favore.”
Il magonò fece
una breve
risata. Non sembrava allegra. “Quelli come me non fanno
favori ai maghi. Come
potremo mai esserne capaci?”
Sören
capì dove voleva andare
a parare. “Ti posso pagare.”
Questo parve accendergli
qualcosa nello sguardo. Richiuse infatti la porta con delicatezza,
fissandolo
incuriosito. “Beh, se si tratta di un compito,
la cosa si prospetta diversa.” Tese la mano, in un gesto
chiaro più di mille
parole.
Stranamente la cosa non lo
fece arrabbiare; avrebbe dovuto, in quanto il loro dislivello
culturale, di
classe e altro era tecnicamente abissale e non doveva permettersi di
rivolgerglisi così. Ma non lo fece.
Sören prese dal suo
piccolo
forziere da viaggio una manciata di galeoni che depositò nel
palmo aperto.
“Questi adesso, il resto dopo.” Spiegò
brevemente.
“Abbiamo un
accordo, Signore.”
Il ripetersi ossessivo e canzonatorio di quel titolo invece
sì che lo irritava.
“Sören. Se devi
pronunciarlo come se
fosse un insulto, preferisco mi chiami per nome.”
La spontaneità
per lui era
cosa nuova, e non era certo di averla del tutto afferrata, ma dovette
funzionare, perché il ragazzo ghignò.
“Va bene signorino.” Fece un sorriso alla
sua certa smorfia. “… Sören.
Perdonami.” Non sembrava aver bisogno della sua
grazia, però. “Non sono più abituato a
chiamare un mago per nome.”
“Ma sei abituato a trattarlo come tuo pari.”
Rimbeccò, ma non gli diede tempo
di ribattere. “Devi trovarmi un Gufo e spedire questa
lettera.” Gli mise in
mano la missiva per il dottore di famiglia. “E quando arriva,
devi portarmi la
risposta. Nessuno deve sapere che l’ho mandata. Neppure il
padrone.”
“Neppure il padrone.” Ripeté diligente.
“Ho capito.”
E Sören ci credette; perché quel ragazzo detestava
Hohenheim e probabilmente
anche lui. Non lo avrebbe tradito proprio perché non aveva
nessuna fedeltà o
devozione verso la loro Casata, a differenza di Etzel e Hilda.
“Fallo il prima
possibile.”
Scoperchiò il piatto del pranzo. Aveva fame, lo
sentì in quel momento. Era difficile
accorgersi persino dei bisogni primari, quando il tempo scorreva sempre
uguale.
“Appena esco di
qui.” Confermò
riaprendo la porta. “Verrò a portarvi la cena e la
vostra lettera.”
“Bene.”
Non c’era molto altro
da dire e quindi lo lasciò accomiatarsi.
****
Ministero
della Magia, Ufficio Auror.
Tom era seduto sulla sedia
dirimpettaia alla scrivania del padrino. Controllava con pigrizia le
lancette
del funzionale orologio da tavolo. Segnavano un’ora molto
vicina al pranzo. Non
aveva fame.
Aveva appena messo Meike
sulla
Passaporta per Schwerin e il suo umore era tutto fuorché
improntato a
considerazioni allegre.
Meike sarebbe tornata a
Durmstrang il giorno dopo, e non avrebbe dovuto. Non era semplicemente tollerabile. Albus poteva prenderlo in
giro quanto voleva, ma lui ricordava com’era sentirsi
tagliato fuori da
qualcosa. Ci aveva messo anni prima di capire che la sua famiglia era la sua famiglia, legami di sangue a
parte. A Meike non era stato neppure concesso quel lusso.
Tolse un inesistente
granello
di polvere dal tavolo. A proposito di famiglia, quella mattina aveva
avvertito
i suoi genitori della trasferta in Norvegia. Un po’ tardi, ma
aveva temporeggiato
proprio per non rovinargli il Natale. Ovviamente non ne erano stati
contenti,
specialmente suo padre.
“Se
alla ragazzina quella scuola non piace, perché devi
andarci anche tu?”
“È per il Torneo Interscolastico. Il Torneo
Tremaghi, ve ne ho parlato.”
“Non è quel torneo a cui ha partecipato anche tuo
zio?”
Suo padre aveva un’ottima memoria e a volte ripescava ricordi
decennali con
precisione svizzera. Per sua sfortuna, era stato quello il caso.
“Sì.”
“E non è quello dove c’è
morto un suo amico? Cedric qualcosa?”
No, non ne erano stati
affatto
contenti, e quella mattina era uscito per andare a Londra
più presto del
previsto proprio per sfuggire ad una sicura predica infinita.
Sono
preoccupati per me. Lo capisco. Ma non aiutano.
Avrebbe voluto
tranquillizzarli, ma non gli era venuto nulla di intelligente da dire.
Non era
riuscito a rassicurarli neppure Al, venuto per gli ultimi saluti a
Meike.
Il suddetto, tra
l’altro, dopo
che Meike era partita, gli aveva chiesto se voleva compagnia
nell’attesa dell’incontro
con gli auror. Aveva declinato; aveva fatto fin troppo. E poi
l’idea di vederlo
agitarsi man mano che lui e Harry elaboravano congetture e vagliavano
ipotesi…
No, se poteva tenerlo fuori
da
quella storia, per quel che poteva, l’avrebbe fatto.
Sentì lo specchio
comunicante
scaldarsi dentro la tasca dei jeans e lo tirò fuori.
C’era un messaggio che
fluttuava in volute viola. Pervinca, avrebbe contestato Albus, dato che
la
scelta era stata sua.
‘Non
mi sarebbe pesato accompagnarti,
lo sai. Fa’ il bravo e sii rispettoso. Sei maggiorenne solo
anagraficamente.’
Sbuffò. Quasi
fosse una
risposta, arrivò un secondo messaggio.
‘Comunque
sono fiero di come stai
affrontando le cose. Ti amo.’
Era assolutamente non
necessario, non aveva certo bisogno di essere tirato su di morale. Si
impose di
non sorridere neppure un po’ e si infilò lo
specchietto in tasca quando sentì
aprirsi la porta dietro di sé.
“Oh, sei
già arrivato?”
La voce di Harry glielo fece
quasi cadere dalle mani.
Tempismo
perfetto…
“Le Passaporte internazionali hanno il pregio di essere
puntuali. Meike è
partita senza problemi.” Mormorò
forse
con troppa asprezza.
“Mi
occuperò anche di questo,
Thomas.” Gli sorrise tranquillo, sedendosi alla scrivania.
“Nessuno di noi
vuole che Meike frequenti una scuola che non le piace.”
Tom fece una smorfia. “Sai bene che non è solo
questo.”
“So bene che sei preoccupato.” Replicò.
“Non c’è niente di male ad essere
protettivi. Non è un difetto.”
“Dillo a Ron.”
Harry stavolta non trattenne una breve risata, ma tornò
subito serio. “Lui e
Nora arriveranno tra poco. Sei sicuro di sentirtela?”
“Cosa? Parlare? Credo di potercela fare.”
Ironizzò. “Come ti ho detto via Gufo
sono sicuro che le mie ipotesi abbiano fondamento.”
Harry si passò le
dita trai
capelli, meditabondo. “Il nucleo di una bacchetta nel
braccio… sembra
incredibile.”
“Di cose incredibili è pieno il mondo babbano.
Figurarsi quello magico.”
Ironizzò di nuovo, facendo sorridere l’uomo.
“È l’unica spiegazione possibile a
tutto ciò che è accaduto con Luzhin come
protagonista.”
“Può essere.” Ammise cauto.
“Ma questo farebbe di quel ragazzo una specie di
arma in grado di pensare.” Gli passò
un’ombra nello sguardo e Tom seppe che
stava pensando a Lily.
“Oppure un ragazzo
con un
braccio capace di funzionare come una bacchetta.”
Replicò quieto, sentendosi
inspiegabilmente in colpa.
Luzhin era un mezzo,
esattamente
come lo era stata la Bacchetta di Sambuco. Non era John Doe, non lo
aveva mai
avvicinato per provocarlo o per attirarlo in un gioco di specchi
malato.
Sembrava, più che
altro, un
pedone riluttante.
Il
buonismo di Al deve avermi definitivamente
contagiato. Ci sono voluti anni, ma infine…
Harry fece un lieve cenno,
come a dargli buona l’ipotesi. Ma era un padre. Probabilmente
l’unica
possibilità che avrebbe dato al Campione tedesco sarebbe
stata quella di
scegliere tra Azkaban e Nurmengard.
Tom non avrebbe mai voluto
trovarsi sulla strada del Salvatore quando avrebbe avuto tutte le carte
giuste nel
proprio mazzo.
Non
stavolta almeno.
Harry lo riscosse.
“A cosa
stai pensando?”
Non poteva dire la
verità,
quindi optò per una diversione.
“Lily deve
averla presa male.”
L’uomo serrò la mascella così tanto che
Tom vide il tendine scattare. “Non ha
importanza.” Pessimo punto da sottolineare, gli
suggerì esasperata la voce di
Al, praticamente parte della sua coscienza. “La sua sicurezza
è più importante
di quello che al momento pensa di me.”
Posso
solo immaginare cosa vi siate detti se Al ne è
uscito tanto abbattuto.
Si astenne comunque dal
dirlo
ad alta voce, intuendo che non era argomento in cui aveva
capacità di
interloquire senza far danni. Sentì la porta aprirsi di
nuovo e vide con la
coda dell’occhio entrare Ron e l’agente americana.
Non sorrideva come la fu
Ainsel Prynn – anche se aveva scoperto in seguito che non era
neppure il suo
nome.
Ne fu contento.
“Thomas.”
Lo salutò con un
cenno della testa e un sorriso distratto. Pareva incredibile, ma non
gli
dispiaceva essere ignorato in quel caso.
“Ehi.”
Interloquì Ron,
lanciandogli un’occhiata sorpresa e poi una confusa a Harry.
Tom sbuffò.
Naturalmente era il perenne adolescente da salvare.
Non.
Lo. Sono.
“Tom è
qui perché ha una
teoria, e vorrei che la ascoltaste.” Spiegò Harry
in tono pacato, facendo cenno
loro di sedersi. L’americana lo fissò con aperta
curiosità, mentre Ron con la
solita, prevedibile espressione esasperata.
Detesto
i padri di famiglia. Non avrò figli, se il rischio
è di diventare
paternalistico con l’intero universo.
Non perse tempo e la
illustrò
in maniera concisa. Sapeva bene che perdersi in inutili spiegazioni
avrebbe
solo invalidato la sua teoria, peraltro supportata da pochi fatti e
tante
congetture.
Alla fine le espressioni non
erano molto incoraggianti.
“Una bacchetta nel
braccio.
Questa è bella!” Esclamò Ron.
“Non si può mica fare una roba del
genere!”
“Forse vent’anni fa.” Osservò
con il suo miglior tono controllato, anche perché
Harry lo monitorava, pronto a frenarlo se avesse affilato la lingua.
“È il
progresso.” Non poté fare a meno di aggiungere.
“Le bacchette
hanno sempre funzionato in
un solo modo.” Fu la replica cocciuta. Remotamente poteva
capire i suoi paletti
mentali. Ron era un purosangue, cresciuto credendo che la Magia fosse
immutabile e certa come una roccia.
Dall’altra parte
era irritato,
enormemente.
Sono
quelli come lui che non permettono il progresso. E
sono quelli come lui che impediscono a quelli come me di imparare.
“In
realtà non è proprio
così…” Esordì
l’americana e Tom provò un insolito moto di
simpatia, dato che incarnava
un governo che voleva usarlo come un burattino. “…
sono stati fatti degli
studi, sperimentali, sulla possibilità di montare il Nucleo
Magico su altri
tipi di supporti. Come ad esempio, supporti che migliorino la
precisione di
tiro.”
“Come la
differenza tra una
pistola e un fucile da cecchino?” Chiese sentendo la
curiosità scalciare
violentemente. L’America era lontana e manipolatrice, ma a
volte maledettamente
interessante.
La donna fece un breve cenno
d’assenso.
“Una cosa
simile.”
“Cosa diavolo è un fucile da ciecato?”
Ron si passò una mano sulla barba. “Scusate, ma
credevo si parlasse di
bacchette e di Mondo Magico!”
“Paragonare
è sempre utile. I
babbani non sono poi così diversi da noi su certi
aspetti.” Spiegò l’americana.
“In ogni caso, non sono mai state usate… cavie
umane.”
“Luzhin lo è.” Ripeté
“Avrebbe senso, considerando che sembrerebbe aver
abbattuto la creatura magica della
Prima Prova a mani nude. Oltretutto, il segno lasciato nel bagno non
poteva
essere stato fatto dalla punta di una bacchetta. Aveva la forma di una mano.”
Ron scosse la testa.
“Luzhin è
quasi sicuramente il nostro uomo… ma questa faccenda della
bacchetta mi sembra
assurda.”
Tom detestava la
condiscendenza nel suo tono, ma perlomeno il padrino e
l’americana sembravano
considerare le sue idee. Probabilmente, era il massimo che poteva
ottenere da
quel consesso.
“Spiegherebbe
però come mai
non abbiamo trovato tracce di magia oscura all’interno della
sua bacchetta.”
Mormorò Harry e improvvisamente la teoria
acquistò punti, da come cambiarono lo
sguardo degli altri due.
Quindi
non hanno trovato Magia Oscura nella bacchetta
di Luzhin.
Questo
avrebbe potuto scagionarlo,
certo. Se non ci fosse stato il resto.
Stavolta fu il turno
dell’americana di esibire un’aria poco convinta.
“Fermi. Capisco che Luzhin sia
il candidato ideale. All’interrogatorio non urlava certo alla
sua innocenza.
Però non vorrei che cercassimo prove schiaccianti dove
c’è l’esatto contrario. Potrebbe
avere la bacchetta pulita perché effettivamente
non ha lanciato incantesimo oscuri.”
Tom osservò Harry
e Ron
assumere un’aria quasi indignata.
A
quanto pare non tutti hanno le stesse idee…
“Stai dicendo che
pensi sia
innocente?” Chiese il padrino con calma.
L’espressione era antitetica però.
L’americana
indurì lo sguardo.
“No. Sto dicendo che per incriminare un ragazzo dobbiamo
avere delle prove
che sia colpevole.”
“E questo lo sappiamo bene. Ma se continuiamo a cercare di
scagionarlo invece
che…”
“Harry, capisco la tua posizione.” Lo
fermò. “Voglio chiudere questa storia, tutta questa storia quanto
te…” Doveva
esserci ben altro che il prestigio del Ministero Americano da
ripristinare per
quella donna dall’aria fiera. “… ma ho
fatto controllare la famiglia Luzhin e
non è venuto fuori nulla.”
“Spiega il
nulla.” Le intimò senza
mezzi termini. Il padrino in certe situazioni aveva inevitabilmente il
piglio
da unico eroe della situazione che mal digeriva interferenze.
Certi
traumi non si lasciano alle spalle…
La strega però
non sembrò
irritata, né tantomeno intimidita dal tono secco. Sotto gli
occhi di Tom
estrasse dalla tasca dell’uniforme qualcosa che assomigliava
alla copertina di
un libro. Era la copertina di un
libro. Dopo un incantesimo sussurrato, divenne però un
intero fascicolo.
Decompressione
di documenti. Quanto prendono
esattamente delle idee dei babbani?
Se Al
fosse stato lì, probabilmente
gli avrebbe fatto notare che stava sbavando
come un mastino davanti ad un osso.
“Non è
stato facile reperire
informazioni sul ragazzo. I fascicoli scolastici di Durmstrang sono
essenzialmente
blindati.” Esordì la donna dando una copia sia ad
Harry che a Ron. Poi gli
sorrise e gliene allungò una terza.
Non
fare in modo che ti stia simpatica. Non farlo.
Inghiottì il
sorriso di
rimando e si tuffò sul plico di carta pergamenata. La prima
cosa che notò, era
che mancava la foto identificativa. Ad Hogwarts era obbligatoria. Lo
era stata,
a dirla tutta, anche nella scuola babbana che aveva frequentato da
bambino. “La
sua foto?” Gli uscì di getto.
La strega fece un mezzo
sorriso amaro. “Non vengono scattate foto agli
allievi.”
“E per quale diavolo di motivo?” Ron aveva dato
voce al pensiero comune.
“Ragioni di
privacy, mi è
stato detto. Pare che così si limitino fughe di
informazioni. Giornalisti.”
Aggiunse alle loro
espressioni confuse. “Durmstrang è famosa per
istruire rampolli di famiglie
altolocate, figli di politici, magnate e via di scorrendo. È
aperta anche alle
persone normali per motivi di immagine, ma…”
“… di base è una scuola
classista.” Terminò per lei, ricordando lo sguardo
mesto di Meike e le sue lacrime. Era disgustoso pensare che gente di
talento
venisse sfavorita a discapito di mocciosi il cui unico pregio era avere
nobili
natali.
Come
ha fatto Voldemort a fondare una setta su questi
ideali?
Ah, già. Attecchiscono terribilmente sugli imbecilli.
“Tom…”
Mormorò Harry, ma con
un’ombra di sorriso negli occhi. Ammonizione inutile: quella
sua presa di posizione
era ben vista dal padrino. E lo sapevano entrambi.
“Si può
dire così.” Convenne
la strega senza scomporsi. “I voti del ragazzo sono
eccellenti, è
vice-presidente del Club dei Duellanti, di quello di Pozioni
e…” Fece un cenno
dismissivo. “Ditene uno, e ne sarà
membro.”
“Praticamente un Campione da Tremaghi perfetto.”
Sbuffò Ron. “Fin qui, nulla di
strano.”
“Non c’è nulla di poco chiaro nel suo
curriculum, come vi ho detto. Nessuna
nota di demerito, nessuna punizione. Per quanto riguarda la sua
famiglia…
pagina trentaquattro.” Soggiunse e ci fu un gran fruscio di
fogli. “… figlio di
Frederick e Olga Luzhin. Purosangue, il padre è di una
rinomata famiglia di
Gottinga. ”
“Parli goblinese per me.” Gli fece notare Ron e
Harry soffocò una risatina.
“Comunque… connessioni con la Thule?”
L’americana scosse la testa. “Non sembra.
È una famiglia come se ne trovano
tante nella Bassa Sassonia.”
“La
madre?” Chiese Harry.
“Non è di origine nobile, i suoi erano piccoli
commercianti della Renania. I
matrimoni di questo genere sono molto frequenti…”
Soggiunse. Tom pensò automaticamente
a Malfoy; Astoria Greengrass, per quando ne sapeva, non aveva nessun
blasone.
Aveva senso. Era frustrante. “Ha ereditato dal padre una
piccola azienda che
importa polvere volante dall’India. Ora è
l’azienda di famiglia.”
Tom scorse la lista di informazioni, smettendo di ascoltare. Era tutto
praticamente inutilizzabile. I Luzhin sembravano maghi banalissimi,
solo più
agiati della media. Lo stemma della Casata coincideva con quello
portato al
dito da Sören. Erano semplici purosangue reinventatisi
commercianti per
sfuggire a debiti di generazioni.
Debiti…
“La situazione
finanziaria.” Disse
e probabilmente interruppe qualcuno perché fu guardato con
rimprovero. Non gli
interessò. “C’è modo di
conoscere la situazione finanziaria della famiglia?”
“Immagino di sì.” Convenne la strega un
po’ stupita. “Ma per quale motivo?”
Tom ringraziò le maratone di telefilm polizieschi che Vernon
si ingurgitava bulimicamente
ogni estate, piazzandosi nel salotto buono. “La Thule
corruppe Parva Duil.
Potrebbe essere successa la stessa cosa anche stavolta.
Dovrà risultare da
qualche parte. Soldi. Sono commercianti… i commercianti
hanno alti e bassi. E
rischiano più dei salariati.”
Stavolta fu guardato con
molta
meno perplessità rispetto alla sua articolata spiegazione
sul Nucleo Magico.
“Giusto Tom!” Esclamò Harry sorridendo.
“La Gringott tiene un registro di tutti
i versamenti e prelievi di ciascun mago. Sarà
così anche per le banche
straniere!”
“È ovunque così. Il mercato bancario
non ha tanta inventiva… e poi, è
interamente monopolizzato dai folletti.” Confermò
l’agente. Sembravano tutti
caduti dalle nuvole, il che era piuttosto bizzarro. Tom
intuì che nel mondo
babbano certe cose erano scontate, ma non in quello magico.
Globalizzazione.
Flussi di capitali fruibili e
prelevabili in tutto il mondo. Conoscendo i folletti… non
credo.
Sembrano
praticamente allergici all’aprirsi a
qualsivoglia tipo di accordo.
“Spedisco un paio
di Gufi.” Disse
l’americana. “Ottima idea, Thomas.”
“Potremo anche
contattare i
genitori. Voglio dire, magari un interrogatorio via camino non dovrebbe
essere
impossibile da organizzare…” Propose Ron.
“Metterli sotto torchio, no?”
“Infattibile.”
Sospirò la
strega. “Pare che siano partiti per un viaggio di lavoro a
Bangkok.”
Harry inarcò le
sopracciglia.
“Tempismo insolito.”
Ron fece una smorfia.
“Più
indaghiamo su questo ragazzino, più diventa
colpevole.”
Nessuno commentò
la frase. Non
ce ne fu bisogno.
****
Germania
del Nord. Residenza estiva degli Hohenheim.
Pomeriggio
inoltrato.
Sören si accorse
che qualcosa
non andava perché non stava arrivando la cena
Certo, c’era stato
l’episodio
della Vigilia, ma era stato un caso isolato, dovuto alla mancanza di
ordini. E
dato che non aveva fatto alcun torto a suo zio, e che, ancor meno,
vedeva suo
zio a cambiare le disposizioni, era chiaro che ai piani sottostanti era
accaduto qualcosa.
Dunque, scese. I lunghi
corridoi erano completamente silenziosi. Quella casa…
sì, era esattamente come nel
palazzo della sua infanzia. Un palazzo morto, dove l’unico
rumore che sentivi
era quello del tuo respiro. Sören era cresciuto nel silenzio,
ma non lo
apprezzava più come una volta.
O forse non
l’aveva mai
apprezzato; semplicemente, era tutto quello che conosceva. Persino gli
anni
dell’Istituto erano stati silenzio, almeno per lui. Hogwarts
invece era
chiacchiere, risate, rumore, allegria adolescenziale. Lilian era una
figlia di
Hogwarts.
E lui si era abituato.
Arrivò fino alla
cucine ma
trovò solo le braci che baluginavano fioche. Nessuna
presenza umana.
Per un folle momento
pensò di
essere stato lasciato solo.
Poi sentì delle
voci. Attutite
e distanti parecchi metri in linea d’aria, udibili solo
perché non c’era nessun
altro rumore a coprirle.
Si concentrò e ne
capì la
provenienza. Non avrebbe voluto farlo, dacché provenivano
dallo studio di suo
zio. Poi sentì la pelle del braccio, di quel braccio,
formicolare spiacevole.
Conosceva quella sensazione. Un incantesimo oscuro era stato appena
lanciato.
Senza pensarci percorse a
ritroso il corridoio, correndo per tutta la rampa di scale che divideva
gli
ambienti della servitù dal piano nobile dove
c’erano gli alloggi e l’ufficio di
Hohenheim.
Le voci provenivano da
lì. Al
momento non ne sentiva, ma non poteva sbagliarsi. Si
accostò, posando la
guancia contro il legno freddo e pesante della porta, i nervi tesi,
pronti a
scattare nel caso qualcuno l’aprisse di colpo.
Poi quel qualcuno
urlò. Un
urlo di dolore, straziante. Un urlo che Sören
percepì come pieno di rabbia e paura.
Era la voce del nuovo servitore, di Milo.
L’ha
scoperto.
“Mi pare di aver
detto a te e
agli altri di non uscire dal palazzo. Non amo ripetermi.” E
la voce di suo zio.
Sören aveva ben
chiaro cosa
stesse succedendo al di là della porta, anche senza vederlo.
Conosceva bene la
punizione per chi trasgrediva un ordine. Suo zio non si arrabbiava, non
alzava
la voce né chiedeva spiegazioni.
Azione
e reazione. Azione e Reazione Sören. Non
credermi che mi piaccia farlo. Ad ogni azione corrisponde un principio
uguale e
contrario. E contrario.
Posò la mano sul
pomello,
sentendolo gelato. Meno gelato della punta delle dita o di come si
sentiva
interamente.
Un altro urlo.
Ricordava
l’incantesimo. Lo
ricordava impresso sulla sua pelle, sulle lunghe cicatrici ormai
bianche e
impercettibili che portava sulla schiena. Lo ricordava quando dopo il
bagno la
pelle nuova si era tesa per tanto tempo facendogli inghiottire il
dolore come
manciate d’aria viziata.
Non era stato annunciato e
non
poteva entrare. Nessuno poteva entrare nell’ufficio di suo
zio, se non gli era
stato dato il permesso.
Aprì la porta
come se fosse
stato qualcun altro a farglielo fare. Ma la aprì, e
notò a malapena i due
uomini ai lati degli stipiti che si voltarono minacciosi. Vedeva solo
il
giovane magonò biondo, rannicchiato nell’unico
angolo della stanza privo di
tappeti, la casacca in cui si allargava una grande e disgustosa macchia
rossa.
Non riuscì a
sostenere lo
sguardo che suo zio certamente gli stava rivolgendo, ma
parlò. “Non è colpa
sua. Sono stato io. Io gli ho detto di uscire. Gliel’ho
ordinato io.”
Ci fu un lungo attimo di
silenzio in cui Sören sentì il cuore rombargli
furioso addosso.
“Sei stato
tu?” Suo zio
sembrava sorpreso. Genuinamente tale. Dall’espressione non
sembrava essersi aspettato
quella sua presa di posizione.
E
non ha tutti i torti.
“Sì.”
Confermò. “Gli ho
chiesto di uscire per una commissione.” Se fosse stato bravo
ad improvvisare,
sarebbe stato una persona diversa. “Avevo bisogno che
comprasse un libro. La
Seconda Prova sarà tra poco ed ho bisogno di
materiale.”
Suo zio lo stava guardando e a quel punto dovette sostenere lo sguardo.
L'Occlumanzia era qualcosa che era stato chiaro avrebbe dovuto imparare
sin dalla
più tenera età. Vi si aggrappò con la
forza di un naufrago alla propria
scialuppa. Perché stava mentendo.
“Non se ne
dovrebbe occupare
il figlio dei Poliakoff?”
“Non è quello che chiamerei un mago dalle
intuizioni brillanti. Ho preferito
lavorarci da solo.” Replicò. Sentiva i respiri
secchi e dolorosi del ragazzo a
pochi metri da sé e questo paradossalmente lo rendeva
lucido. Stava perdendo
sangue, aveva bisogno di cure immediate. Non poteva permettersi di
esitare.
Hohenheim fece un breve
sorriso di apprezzamento; l’aveva convinto. Fece infatti
cenno ai due uomini di
avvicinarsi al magonò. “Portatelo dai
suoi.” Ordinò semplicemente. Non sarebbe
bastato. I maghinò potevano distillare pozioni come i maghi,
ma lì c’era
bisogno di un incantesimo curativo. Quelle ferite potevano infettarsi
facilmente a contatto con il sudore. Sören lo ricordava. Anche
suo zio doveva.
Ma non gli importava, evidentemente.
Incrociò lo
sguardo del
ragazzo, ma gliene venne restituito uno vitreo.
Sta
per svenire. Per fortuna.
La porta si richiuse loro
alle
spalle; suo zio si voltò verso di lui, con un lieve
inarcarsi delle
sopracciglia. “Mi sembrava ti fosse stato insegnato ad
annunciarti.”
“Sono spiacente, zio.” Chinò
immediatamente la testa, ma sentiva una rabbia
sorda ribollirgli nel petto. Senso di colpa, continuo. Forse era quello
ad
alimentarla. Forse
era il senso di colpa
a farlo sentire così arrabbiato.
“Hai
qualcos’altro da dirmi?”
Sören decise di mettere da parte i suoi sentimenti e avere
risposte. “Tra pochi
giorni tornerò a Durmstrang come Luzhin. Ma non sono
Luzhin.” Chiedere era
l’unico modo per sapere qualcosa. Almeno
qualcosa. “Gli studenti lo sanno. Sanno chi è il
vero…”
“Di questo non devi preoccuparti, pensi forse che siamo dei
babbani?” Il tono
era irritato. Era chiaro che dare spiegazioni non era tra le
priorità di suo
zio.
“Come?”
Non poteva più tirarsi
indietro. Era successo qualcosa di inarrestabile dalla serata del Ballo
del
Ceppo. O forse era iniziato tutto quando aveva preso il nome di
quell’ignoto
studente il cui unico merito era essere un ponte di collegamento tra
loro e i
Potter. Era iniziato tutto quando Lily l’aveva salutato.
“Spille.”
Disse l’altro mago.
“Le spille della scuola. Ad eccezione della delegazione
dovranno indossarle
tutti gli studenti dell’Istituto. Conterranno un incantesimo
di disillusione.
Ti vedranno come Luzhin, sarai
Luzhin.” Concluse, prima di avvicinarsi alla scrivania per
caricare la propria
pipa.
Sì.
Ha senso.
L’idea avrebbe
funzionato. Avrebbe
dunque dovuto essere sollevato. Focalizzato, sicuro di sé.
Non sentiva nessuna di quelle cose. C’era troppo che sfuggiva
al suo controllo.
Un tempo non si sarebbe neppure posto un pensiero con dentro una parola
simile.
Quando arrivavano gli ordini, arrivavano.
Adesso
è diverso.
“Capisco.”
Disse però. Suo zio
sembrava stare bene. Non aveva più lo sguardo o la postura
della Vigilia. Ma
non poteva essere stato un abbaglio, Alberich Von Hohenheim aveva
davvero
qualcosa che non andava.
A
partire dal fatto che ha assunto, a pagamento,
mercemagi invece di affidarsi ai pedoni dell’Organizzazione.
Non che abbiamo
problemi finanziari, ma…
“Perché
i mercemagi?” Suo zio
si fermò dall’accendere la pipa. “La
Thule…”
“Fai troppe domande.” Fu la replica sferzante.
“Da quando sei così curioso?”
Aveva teso troppo la corda. Esagerando, avrebbe ottenuto
l’effetto opposto.
Avrebbe ottenuto una punizione. Chinò di nuovo la testa.
Quante innumerevoli
volte aveva osservato i tappeti di quell’ufficio? Se
l’era scordato.
“Se non hai altre
richiesta da
soddisfare, sei congedato.” Si limitò ad annuire e
lasciare l’ufficio. Suo zio gli
aveva dato poca attenzione, ma doveva comunque stare attento, se non
voleva
insospettirlo.
Insospettirlo
riguardo a cosa? Di cosa
dovrebbe
sospettarti?
Inspirò lentamente, sentendo l’aria
più fredda del corridoio filtrargli nel
respiro. Aveva altre priorità che rispondere a domande che
gli fioccavano in
mente, prive di senso.
Si diresse verso i quartieri
della servitù; in quel palazzo si trovavano ai piani
inferiori, vicino alle
cantine, poco sotto le cucine. Non era mai stato là, anche
se ne conosceva
naturalmente l’ubicazione.
Scese alcune rampe di scale
sconnesse e scivolose per l’umidità salina che
filtrava dalle possenti mura di
pietra e si ritrovò in un ambiente dimesso, poco diverso da
quello delle
taverne economiche in
cui a volte aveva
soggiornato con Johannes durante le loro missioni.
Dovevano aver sentito i suoi
passi, perché fu la vecchia cuoca ad andargli incontro,
reggendo un candelabro.
“Signorino!” Attestò confusa.
“Cosa possiamo fare…”
“Nulla, Hilda. Sono qui per… Milo.” Lo
pronunciò con una lieve esitazione, ma
mai quanta ne vide dipinta nel volto della maganò. In
effetti non sapeva se era
stata una buona idea. L’istinto non era qualcosa che gli era
stato insegnato a
seguire.
L’anziana lo
guardò come se
gli avesse appena visto spuntare una seconda testa. Sarebbe stato
divertente,
se non fosse stato per la situazione.
“Hilda, portami da
Milo.”
Ripeté gentilmente, ma formulandolo stavolta come un ordine.
Questo parve
riscuotere la donna che annuì facendogli cenno di seguirla.
Aprì una porta
non molta
diversa dalle altre. Si apriva su una stanzetta, persino più
piccola della sua
cuccetta sulla Roskilde. Era pulita e ben tenuta, ma misera e spoglia.
Sören
registro la presenza di libri, un vecchio mantello consunto che
doveva a
malapena assolvere alla sua funzione e un violino. Fu la cosa che lo
colpì di
più.
Curioso
che i maghinò abbiano dei nobili svaghi, eh
Sören?
Si
vergognò di quel pensieri.
Poi vide il ragazzo. Fu come
un pugno nello stomaco, un deja-vu non voluto: era disteso sul letto,
completamente
fasciato sulla schiena; ma nonostante la fasciatura bene fatta, si
intravedevano macchie rosse sulle garze.
Non
ha ancora smesso di sanguinare.
“Vi posso portare
una tazza di
brodo, Signorino? Fa molto freddo quaggiù … con
l’umidità che c’è il camino
non
tira bene, di questo periodo.”
Sören sentiva una strana morsa allo stomaco. Non era solo per
la scena
familiare. Lui veniva curato diversamente… venivano date lui
pozioni che lo
rimettevano in piedi in poche ore. Lì invece…
Non aveva mai conosciuto la
miseria, data la sua posizione. Eppure l’aveva a pochi passi.
Quante
cose non ho visto?
“Sto bene
così Hilda. Lasciaci
soli.” Gli ordini e non la gentilezza. Era naturale che la
servitù nata e
cresciuta in casa di suo zio li accettasse più serenamente.
Era nella loro forma mentis, non
poteva stupirsi. La
donna infatti chinò la testa, obbedendo senza far
rimostranze.
A porte chiuse,
Sören si
avvicinò al letto senza la minima idea di cosa fare.
Supponeva avrebbe dovuto
scusarsi: era colpa sua se quel ragazzo aveva finito per essere punito.
Le
scuse sono inutili in questa situazione, temo.
Il respiro pesante del
ragazzo
non gli faceva capire se stesse dormendo o meno. Prese quindi
l’unica sedia
presente e si sedette accanto alla sponda del letto. Poi stese la mano.
Ricordava piuttosto bene gli incantesimi di guarigione per quel genere
di
ferite.
Non ricordava
però che non funzionassero.
“…
ehi.” La voce del magonò
era roca, ma straordinariamente calma. “…gli
incantesimi di guarigione non
funzionano con noi maghinò.”
Sören
batté le palpebre. “Come?”
“Il sangue…” Sussurrò,
aprendo gli occhi e piantandoli nei suoi. Era
incredibile come persino in quella situazione fosse sfacciato. Doveva
avere una
forza d’animo non indifferente. “…
è il sangue.” Ripeté.
Sören
capì.
Naturalmente.
È il sangue che fa reazione agli
incantesimi curativi stimolando la riparazione dei tessuti. Il sangue
dei
maghinò non è magico. Nessun effetto, quindi.
Tolse la mano, sentendo la
strana sensazione alla bocca dello stomaco intensificarsi.
“Mi
dispiace… non volevo che…”
“La tasca interna del mantello.” Doveva essere un
vizio, quello di
interrompere. “Guardateci dentro.”
Sören
obbedì, perché in quei
casi non si poteva stare a pensare cosa doveva permettersi o meno un
magonò.
Tirò fuori, con sua grande sorpresa, una lettera. Ma non la
sua, la risposta.
“Il medico sta a
Lubecca. Non
si fidava a dirmi tutto a voce, così vi ha
scritto.” Fece un sogghigno storto.
“Sono andato coi mezzi babbani. Peccato però che
c’ho messo troppo e se ne sono
accorti…”
Sören la
intascò senza sapere
cosa dire.
Dopotutto
l’hai pagato. Poteva non accettare.
Avrebbe dovuto lasciare
quella
misera stanzetta, dato che era inutile rimanesse. Anche sconveniente,
gli
suggeriva la sua educazione. Invece si sedette di nuovo. Non poteva
fare
niente, ma poteva restare.
Il ragazzo non diede segno
di
essersi accorto del suo gesto. Le ferite sembravano aver
definitivamente avuto
ragione della sua tempra. Poi, quando Sören già lo
pensava addormentato, parlò.
“Tu sei
diverso.” Aveva usato
un tono colloquiale e non doveva essere un caso.
“Diverso da chi?” Gli uscì spontaneo.
Stavolta l’altro rise, anche se dovette smettere subito con
una smorfia di
dolore. “Dal padrone. Da tutti i maghi che ho
conosciuto.” Fece una pausa. Era
incredibile riuscisse a parlare nonostante la pozione antidolorifica
che doveva
aver preso. “Perché diavolo rimani?”
Soggiunse.
“Non lo
so.” Ammise. La verità
era che non aveva un posto in cui tornare. Aveva una camera sfarzosa,
un intero
sistema di stanze per ogni necessità, certo. Ma non era
lì che voleva stare. “Suoni il
violino?”
Doveva sembrare un idiota
con
quelle domande prive di contesto, ma gli uscivano spontanee. Era colpa
di
Lilian, naturalmente. Prima di lei, non aveva mai dovuto trovare
argomenti di
conversazione. Ora gli veniva spontaneo cercarne.
Spontaneo…
all’incirca.
“Già.”
Essere fissato da un
magonò come se fosse una creatura improbabile mancava al suo
bagaglio di scarse
esperienze interpersonali. “… Sul serio,
perché sei qui?”
“Perché
non voglio stare
lassù.” Era una confessione che avrebbe potuto
fare a chiunque. Meno che a se
stesso.
Milo – non era
difficile da
ricordare come nome. Solo due sillabe. Come Lily –
aggrottò le sopracciglia. “Preferisci
qui?” Scosse appena la testa. “L’ho
detto, sei strano mago.”
Sören non risposte,
ma una
parola gli venne alla mente, slegata dal contesto ma veloce come un
incantesimo. Era buffo, perché apparteneva al gergo marinaio
della Roskilde e
veniva spesso pronunciata con ironia e sussurri dai suoi compagni.
Ammutinamento.
Forse non era poi
così slegata
dal contesto.
****
Inghilterra,
Surrey, Little Whinging.
Privet Drive.
Non c’era modo di
rendere quel
commiato semplice.
Se ci fosse stato, di certo
Tom avrebbe trovato una scusa per far abbandonare a sua madre il
compito non
necessario di ricontrollargli la leggera sacca da viaggio con cui
tornava ogni
anno per le vacanze di Natale.
Da
Sette anni. Ormai dovrei aver imparato a farla da
solo.
“In Norvegia
c’è un freddo
incredibile, Thomas… non puoi semplicemente andarci con quel
tuo cappotto da
spaventapasseri!”
“Se intendi farmi indossare quegli orribili giacconi sportivi
di Vernon…
scordatelo.”
“Li vorrai quando la temperatura scenderà sotto
zero!”
“Scende sottozero anche in Scozia.”
“Non così tanto!”
Tom sospirò, lasciando che sua madre infilasse cocciutamente
l’ingombrante e
colorato giaccone di suo fratello in mezzo alla sua
roba. Avrebbe dovuto fare in modo che Al non lo vedesse o
sarebbe morto soffocato dalle proprie risate.
O
da me.
Capiva l’angoscia
di sua
madre. La Norvegia era lontana e Durmstrang non era sicura. I suoi
genitori non
sapevano tutto, ma non erano stupidi, specialmente quel mostro di
intuito che
era sua madre. Non capiva quelle premure, non del tutto, ma dovevano
tranquillizzarla. Quindi supponeva di non poter interferire.
Sopportò dunque
passivamente anche un paio di guanti da sci. Ai para-orecchie
sentì che doveva
mettere un freno a quella follia.
“Mamma…”
Tentò allora. La
donna lo ignorò platealmente. “… mamma,
non mi ammalerò. Non mi ammalo mai.”
“C’è
sempre una prima volta.”
Tom evitò di dirle che probabilmente il suo corpo non
reagiva allo stesso modo
di quello di un comune babbano, o forse, direttamente di un essere
umano.
Non era il caso.
Le posò invece
una mano sulla
spalla, voltandola con gentilezza. “Starò attento.
Non mi succederà niente, e
farò in modo di tenermi in contatto con voi.”
Snocciolò tutte le frasi di rito
che conosceva e fu ricompensato da un abbraccio stritolante. Lo
sostenne e lo ricambiò.
Era così che andava fatto. “Starò
attento…” Ripeté.
“Lo so che sei un
ragazzo
attento, Tom, ma a volte…” Sua madre non
finì, preferendo nascondere la voce
fioca e schiarirsi la gola. “Ho preso un secondo paio di
guanti anche per Al.
Magari i maghi non hanno il teflon.”
“Ne dubito, ma hanno altri modi…”
Sospirò, e lasciò perdere.
“… Sì, gli
piaceranno di sicuro.” Le sorrise. Si sedette poi
definitivamente sul
materasso, lasciandole infilare tutto ciò che desiderava
nella sua già provata
borsa.
“Robbie, che stai
facendo?”
Suo padre aveva il raro potere di apparire quando più era
opportuno. Fu quello
il momento. “Non ha bisogno di tutta questa roba!”
“Va in Norvegia!”
Forse non avrei dovuto dire a due babbani
dov’è presumibilmente ubicata una scuola
intracciabile.
Ops.
“La Norvegia non
è
l’Antartide, e scommetto che saranno pieni di modi strani per
tenersi al
caldo.” Obbiettò ragionevolmente suo padre.
“E poi è ora di cena! Ho fame!”
“Ah, ecco. Ovvio.” Sbuffò sua madre
alzando gli occhi al cielo. “Hai due mani
ed un cervello, Dudley, sei capacissimo di mettere qualcosa nel
microonde.”
“Ma sei hai detto tu che dovremo mangiare più
sano.” Ritorse l’uomo con una
certa, calcolata perfidia. Tom inghiottì il sorrisetto che
gli era spuntato
perché sapeva che rendersi impermeabile a quei bisticci era
il modo migliore
per non venirne coinvolto.
La donna li fissò
entrambi risentita,
per l’ovvio assioma che tutti i maschi erano ugualmente
colpevoli. “Perfetto, vado
a cucinare qualcosa allora! Del resto il posto di una donna, come ama
ripetermi
tua madre, è in cucina!”
“L’hai detto tu, non io.”
Sua madre lasciò
la stanza con
un verso stizzito per evitare il degenerare della lite. Suo padre la
sapeva
lunga, perché fece un sorrisetto che non sarebbe sfigurato
sul volto di un
ragazzino viziato.
“Grazie.”
Disse, perché
supponeva suo padre non fosse venuto per la cena. Non solo, almeno.
“Le madri a volte
esagerano.
Sono madri, lo devono fare.” Replicò scrollando le
spalle. Lanciò un’occhiata
al letto ingombro di vestiti e il borsone strapieno. “Vedo
che sei pronto ad
ogni evenienza.”
“Dalla tempesta di neve all’ondata anomala di
caldo.” Convenne.
“Fosse questo il
problema.”
L’espressione di suo padre si spense. “Tom, non
mentirmi. Quanto è pericoloso?”
Tom a volte dimenticava,
perché Dudley Dursley era l’essenza stessa del
babbano, ma suo padre aveva
sfiorato la Guerra del Mondo Magico. Non vi era mai entrato, ma era
dovuto
scappare a causa di essa. Aveva incontrato dei Dissennatori e aveva
quasi perso
la propria anima.
Non era facile dargliela a
bere.
“È
pericoloso.” Ammise. “Ma
non sono solo.”
L’uomo, a
sorpresa, fece un
mezzo sorriso. “Una volta non l’avresti
detto…”
“Cosa?”
“Avresti detto… so
badare a me stesso.”
Prese un paio di guanti dal mucchio ordinato di vestiti e gli
lanciò
un’occhiata pensierosa. “Pensare di poter fare
tutto da soli… beh, ragazzo. È
da idioti.”
“Ho avuto modo di
notarlo.” Non
sapeva cosa fosse giusto dire, o rispondere; lui e Dudley non avevano
mai fatto
le conversazioni padre-figlio che invece abbondavano nel rapporto tra
Harry e
Al.
Non
siamo quel genere di persone.
Però doveva
essere una di
quelle conversazioni, se suo padre non era lì per ricoprirlo
di raccomandazioni
come sua madre. Supponeva.
“Pensi che vedrai
quell’uomo?”
Alla sua espressione confusa, aggiunse. “So che
c’entra quel bastardo che ti ha
abbandonato, Thomas. Harry mi ha spiegato un po’ di
cose.”
Ah, Harry… Lo Statuto di Segretezza
e le
eccezioni di Harry Potter.
“Non lo
so.” Non lo sapeva
davvero. E preferiva non congetturare troppo su
quell’eventualità. “Potrebbe.”
Suo padre sembrava
interessatissimo alla fitta fantasia oltremare del suo copriletto.
“Digli che
sei un Dursley, ragazzo.” Borbottò di colpo.
“Fagli capire quanto vali.”
Tom sentì la terrificante sensazione del dopo-processo,
quando aveva finalmente
avuto modo di rilassarsi con Al. Quella sensazione che gli aveva fatto
pizzicare
gli occhi e venire un insopprimibile voglia di …
“Naturalmente.”
Ottimo, il
controllo della sua voce non veniva mai meno. “Io sono un Dursley.”
Suo padre sembrava avere il suo stesso problema a controllare le
espressioni
facciali. “Eccellente.” Masticò.
“Bene. Sei un bravo ragazzo, Tom.” Assunse
quell’aria concentrata che aveva sempre quando faticava a
spiegare qualcosa.
Ovvero le proprie emozioni. “Un bravo ragazzo.”
Ripeté.
“… ci
provo.” Fece un passo
indietro, perché farne uno avanti avrebbe significato forse
abbracciarsi, e non
erano pronti. Nessuno dei due, non ancora. Non era stato più
lo stesso da
quando lui era entrato nel Mondo Magico, ma stavano migliorando. Ed era
pur
qualcosa, no? “Ci provo papà.”
“Lo so.” Si schiarì la voce.
“Bene…” Ci fu una pausa imbarazzante per
entrambi.
“Vado a vedere cosa combina tua madre.” Soggiunse
frettoloso.
Tom, lasciato solo, ebbe la
frastornante sensazione di sentirsi felice anche se non era il momento
adatto.
Ci
provo.
Prese a svuotare il borsone.
E
ne vale maledettamente la pena.
****
Note:
Capitolo dedicato ai due cuginetti tetri. xD Sì,
ricordiamoci che Sören e
Thomas sono, a tutti gli effetti, cugini di primo grado.
Anche se Tom è
uno stronzetto
viziato, come ben si evince, per colpa di Dudley.
La canzone che mi ha ispirato il capitolo è
questa . Godetevela, perché come tutte le loro, è
favolosa.
|
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Capitolo 47 *** Capitolo XLIV ***
Capitolo XLIV
A part
of you that'll never show
You're the only one that'll ever know
Take your time, would you understand
What it's all about?¹
(Little
House, The Fray)
5
Gennaio 2023
Scozia,
Hogwarts, Torre di Grifondoro. Dormitorio delle
ragazze del Quinto.
Abigail Finnigan era amica
di
Lily da quando erano al Primo Anno.
Probabilmente
perché erano a
Grifondoro, probabilmente perché entrambe avevano una
rumorosa famiglia in cui
erano anagraficamente le più piccole o quasi, ma si erano
sempre intese bene.
Loro, Aimee e Jane erano amiche, ma lei e Lily erano la cosa
più vicina ad
essere migliori amiche.
Vicina perché per
quanto Lily
fosse una persona con un cuore enorme, non si confidava veramente con
nessuno,
lei compresa.
Un po’ doveva
essere perché
sin da piccola era stata abituata ad essere vista in funzione delle sue
parentele – e questo, poteva immaginarlo senza sforzo, non ti
portava a fidarti
facilmente del consesso umano - un po’ perché, a
discapito della sua indole
estrosa, in realtà della vera sé lasciava
intravedere pochissimo. Gli unici che
avevano questo privilegio erano i fratelli e i cugini – e
neppure tutti, ne era
piuttosto certa.
Abigail tutto questo lo
sapeva, perché cinque anni nella stessa sezione della Torre
di Grifondoro
volevano dire qualcosa. Volevano dire molto.
Quindi, quando quella
mattina
si erano viste sull’Espresso dopo le vacanze di Natale, aveva
subito capito che
l’amica aveva qualcosa che le frullava in mente. Era un
cambiamento
impercettibile, ma quando pensava a qualcosa di grosso limitava le
chiacchiere
ascoltava – sembrava – molto di più.
(Jane aveva potuto
raccontare
tutte le sue vacanze senza essere interrotta neppure una volta.)
Al momento erano tornate
alla
Torre e Lily scherzava con il resto delle sue compagne di stanza di
buon grado,
dopo la distribuzione posticipata dei regali di Natale che facevano
ogni anno.
Era Lily ad aver inventato quella tradizione.
“Noi scendiamo per
pranzo. Voi
venite?” Chiese una delle tre.
“Tra un
attimo!” Rispose
prevedibilmente Lily. Sì, stava architettando qualcosa. Era
un po’ che non
succedeva. L’ultima volta era stata al Secondo anno, quando
avevano deciso che,
limite di età o meno, sarebbero tutte andate ad Hogsmeade
nella prima settimana
di libera uscita. L’amica era riuscita a portare sia lei che
le altre fino ad
un passaggio segreto. Poi purtroppo Rose Weasley – fossero
dannati, gli Weasley
– le aveva scoperte.
Quando furono finalmente
sole,
Abigail non ebbe neppure bisogno di chiedere. Fu Lily ad aprire la
conversazione.
“Mi serve la tua
civetta.”
“Per fare cosa?” Richiesta legittima dato che
l’altra condivideva senza
problemi un gufo con il fratello di mezzo.
Lily prese dal borsone da
viaggio una pila di maglioncini di cachemire babbano che le aveva
sempre
invidiato mostruosamente. “Devo ordinare una cosa dal negozio
di scherzi di mio
cugino Freddy.” Spiegò senza spiegare un bel
niente.
“Perché non usi Anacleto?”
“Serve ad
Al.” Scrollò le
spalle evasiva, lanciandole un’occhiata da sopra la spalla.
“Allora, posso
contare su Bàn²?”
“Sì, certo.” Sbuffò poco
convinta. “Però…”
“Grazie!” Le sorrise allegramente prima di
afferrare il mantello e
drappeggiarselo addosso. “Ci vediamo in Sala
Grande.”
“Lily.” Doveva
sapere cosa stava
succedendo, perché chiunque conoscesse Lilian Luna Potter
concordava con la
massima babbana, l’acqua cheta
distrugge
i ponti.
Venne fissata con
l’aria più
falsamente innocente dall’epoca dei Fondatori.
“Cosa?”
Era capace di far saltare il
Tower Bridge, quando era di quell’umore. C’era
quella voce di corridoio secondo
cui suo nonno paterno era stato uno dei massimi ideatori di guai di
tutta
Hogwarts.
Quel tizio e James erano dilettanti, se paragonati alla
capacità
spaventosa di ficcarsi nei casini della sua amica dai capelli rossi.
Neppure al
Terzo anno, quando si poteva, Lily aveva visitato Hogsmeade. Questo
perché la
volta del Secondo anno non era stata l’unica in cui aveva
infranto le regole.
Ha
tentato di scappare altre sedici
volte… quindici
delle quali ha avuto successo, prima che il Professor Paciock la
scoprisse.
Se
vuole una cosa, Lily la ottiene.
Abigail ebbe
un’improvvisa
illuminazione. “Ti prego… dimmi che non
è per il Tremaghi.”
Doveva essere
per il Tremaghi. Non ci voleva un genio per capire che tra lei e il
Campione di
Durmstrang era successo qualcosa la sera del Ballo. Qualcosa di poco
piacevole,
dacché Lily era tornata in camera troppo presto e con gli
occhi rossi. L’aveva
sentita piangere, anche. Se lei aveva avuto una bella delusione con
quell’idiota – idiota!
– di Hugo,
altrettanto Lily l’aveva avuta con Luzhin.
Infatti a
quell’affermazione
si rabbuiò di colpo, tanto che Abigail desiderò
essersi morsa la lingua. “Io e
il Tremaghi non potremo essere più lontani di
così.” Mugugnò.
“… ma
scusa, non vai a
Durmstrang con il coro?”
“Contrordine, i miei non hanno firmato il
permesso.” Ribatté funerea. “Non
vogliono che ci vada.”
Abigail batté le
palpebre
sorpresa: conosceva i Potter, ed erano i genitori più
permissivi del mondo. I
suoi in confronto erano diplomatici quanto il muro di pietra dei
sotterranei
Serpeverde. Lily e i suoi fratelli invece erano sempre stati liberi di
aderire
a qualsiasi iniziativa, che fosse fare provini per la squadra di
Quidditch o
brevi gite fuori scuola.
Non potevano non sapere che
razza di occasione favolosa fosse
per
loro visitare una scuola straniera.
“Perché?”
“Pensano che sia pericoloso. Sai, con la faccenda dei
Dissennatori. Hanno paura
che succeda qualcos’altro alla Seconda Prova.”
Masticò fuori, cincischiando con
la sciarpa. “… però Al e Tom ci vanno.
Per loro non lo è.”
“Merlino, mi spiace…” Mormorò
supportiva, dandole una carezza sul braccio. “Ma
troverai sicuramente il modo per sentirti lo stesso con
Sören.”
L’espressione di
Lily mutò
ancora. Serrò le labbra con aria determinata, e poi le
sorrise di nuovo,
sfavillante. “Sì, infatti!” Disse.
“Ci vediamo a pranzo. Grazie per Bàn, te lo
riporto stasera!”
E senza darle tempo di dire altro, si chiuse la porta alle spalle.
Abigail sospirò
appena: era
sempre stata una ragazza molto giudiziosa. Con tre fratelli maschi e
una
sorella maggiore in delirio di onnipotenza le era toccato capire molto
in
fretta quando era il caso di intervenire per fermare una probabile cazzata.
Lily stava per farne una.
Non
aveva idea della portata, ma non aveva poi molta importanza. Doveva
quindi armarsi
di coraggio e andare a parlare con l’Idiota:
l’unico essere umano a cui Lily desse un minimo ascolto era,
purtroppo, proprio
Hugo.
****
“Stai andando ad
un funerale o
a Durmstrang?”
Ted fece un mezzo sorriso non impegnativo, impegnato in effetti ad
impilare una
decina di libri che non aveva cuore di lasciare soli
ad Hogwarts.
James, steso sul suo letto
– i
colori della trapunta erano quelli di Tassorosso e prevedibilmente
James aveva
speso anche quella volta parole ironiche – gli lanciava
occhiate pigre, più che
altro impegnato a sfogliare la rivista ufficiale dei cannoni di
Chudley’s
chiamata, con pochissima fantasia ‘I Ruggenti
Cannoni’.
“Sono solo un
po’ stanco… ieri
sera il Grande Ritorno dopo le vacanze, oggi ho avuto tre classi e poi
una
riunione dei docenti.” Snocciolò accarezzando la
costola del suo compendio
preferito di creature magiche della Scandinavia. Ne aveva due edizioni
di
quello.
Forse
è meglio portare quella più economica…
Ripose l’amata
edizione
manoscritta nella libreria e prese quella di comoda carta stampata.
“No, non sei
stanco, sei depresso.”
James saltò a sedere sul
materasso, ne udì il cigolio. “Davvero,
Teddy… c’è gente che pagherebbe
per vedere com’è fatta
Durmstrang! C’è tutto questo grande
segreto…” Agitò le mani
significativamente.
“Eh?”
Ted fece una smorfia.
Vestiti.
Il mantello regolamentare forse è troppo
leggero però…
Beh,
pur vero che qua in Scozia il freddo non scherza,
ma…
Sentì altri
cigolii alle
proprie spalle, ma vi diede poco retta. James del resto era incapace di
restar
fermo per più di qualche minuto. Se era rimasto steso a
letto durante il loro
breve scambio di battute era solo perché aveva allenamenti
massacranti da
almeno due settimane.
Un soffio caldo, dritto
all’orecchio lo fece sobbalzare di colpo.
“Buh.”
Disse James esattamente in piedi dietro di lui. “Dammi
ascolto.”
Si massaggiò l’orecchio che prudeva maledettamente
– lui e i suoi punti
sensibili, era così per tutti? “Jamie, ho da fare
i bagagli se non lo avessi
notato…” Borbottò.
Il ragazzino
non parve scomporsi al suo tono velatamente nervoso. In
effetti, non lo faceva mai. “Tu non ci vuoi
andare.” Constatò.
E
dieci punti al Signor Potter…
Ted si guardò
attorno: la sua
stanza era disseminata di vestiti, mantelli, libri e sopratutto tre
borsoni
dalla capienza notevole. Odiava l’incantesimo di Estensione
Irriconoscibile, e
per questo girava sempre carico come un mulo, nei suoi sporadici viaggi.
L’ultimo
è stato dalla Francia alla Scozia…
Si guardò attorno
e vide,
realizzò, che sarebbe stato ben tre mesi
all’estero.
Il nervosismo si
tramutò in
sconforto puro.
No,
non ci voglio andare.
“Non ci voglio
andare…”
Ammise, sentendo che il suo tono virava verso un borbottio ben poco
maturo.
James però non lo prese in giro: si limitò a
sorridere dandogli una pacca sulla
spalla.
“Beh, il primo
passo è
ammetterlo.” Ironizzò.
“Perché non lo dici al Preside?”
“Pensi possa farlo? Non posso!” Esclamò
nascondendo il viso tra le mani. Si
sentì un po’ ridicolo e smise subito: la
terapia-struzzo non funzionava mai,
comunque. “Me l’ha chiesto, ma in pratica se mi
rifiuto di accompagnare la
delegazione… non lo so.” Sospirò di
nuovo, sedendosi sul letto. “Non vuole
altri che me e la McGrannit ad accompagnarlo.”
James ridacchiò,
sedendosi
accanto a lui. “È fico che si fidi tanto di
te.”
“È inadeguato.” Scosse la testa.
“Non sono questa gran protezione per gli
studenti… voglio dire, naturalmente sono il professore di
Difesa, ma…”
“Dici poco.” Replicò James. “E
quei tre anni di Accademia?”
“Beh…” Odiava quando le persone avevano
ragione. Sapeva di stare comportandosi
in modo immaturo, ma del resto non aveva molta scelta, se non farlo tra
quelle
quattro mura e con James. Il Preside aveva dato per scontata la sua
presenza, e
così il resto dei professori. Neville l’aveva
addirittura proposto di prima facie.
Senza
contare nonna. Era così orgogliosa di me quando
gliel’ho detto…
James gli lanciò
un’occhiata
di sottecchi. “Andiamo, sei
la
persona giusta, e lo sai. L’anno scorso con i Naga hai fatto
scintille. E anche
quest’anno coi Dissennatori…”
Aggrottò le sopracciglia. “Certo che
pensandoci…
che due anni di merda.”
Ted non poté fare
a meno di
mettersi a ridere. Capì anche perché aveva
sentito l’unico moto di contentezza
della giornata quando aveva visto apparire James dal camino: il
primogenito
Potter era una delle poche persone che vedendo i suoi malumori non si
scomponeva e, soprattutto, aveva il potere di farlo ridere.
Ben pensandoci, era
l’unica.
Gli accarezzò un
ginocchio
sorridendogli. “Sì, beh… diciamo che
non sia portati per vivere una vita
tranquilla.”
“Non potevi dirlo meglio!” Ghignò
l’altro. “Ma se non vuoi andarci, dovresti
dirglielo. Dico, protestare. Non possono incastrarti in ‘sta
cosa, se non
vuoi.”
“Non è questo.” Si passò una
mano trai capelli. Oh, beh… color verde acqua era
buon compromesso con il verde palude che aveva fino a poco prima. James
stranamente non glielo aveva fatto notare. Forse aveva avuto un moto di
pietà. “Devo
andarci. Ci sono Albus e Tom. Voglio
andare. È solo…”
“Che ti mancherò. Mi mancherai anche
tu.” Concluse per lui con aria seria,
mettendogli una mano dietro il collo e avvicinando i loro visi. Quella
sua
gestualità era a volte troppo marcata, ma dannatamente
efficace.
Improvvisamente non si sentì più tanto depresso.
Merlino, avrebbe mai avuto
ragione della sua improvvisa e non voluta adolescenza?
“Non è questo… cioè, anche,
naturalmente… Ma lo sai, mi conosci, sono un tipo
sedentario…” Balbettò tentando di
svicolare. Rotolarsi tra le lenzuola di primo
pomeriggio, come gli suggeriva il suo istinto, non era razionale quando
doveva
preparare tre valige per la partenza serale.
“Quando tornerai la nostra casa sarà
già pronta.” Gli assicurò, ignorando il
suo sconnesso parlare per dedicarsi al sollevamento del suo maglione.
“Tranquillo, Teddy. Troveremo il modo di sentirci.”
“Non
è…” Si accigliò
realizzando il senso intero della frase. Era compito arduo quando il
giovane
uomo affascinante che aveva davanti decideva di aderirgli addosso come
una
seconda pelle. “… Ci lavorerai da solo?”
“In mancanza dell’altro inquilino.”
Scrollò le spalle. “Magari mi faccio dare
una mano da…”
“No.”
Tanto
lo so che lo chiederesti a Lenny.
“Ma
non sai neanche chi viene a darmi
una mano!” Obbiettò divertito. Lanciò
uno sguardo ai suoi capelli. “Oh,
Teddy-arrabbiato. Ricevuto.” Sorrise. “Pensavo ti
avrebbe fatto piacere tornare
ed avere una casa pronta, fornita di biblioteca, tazze di the e camino
funzionante!”
Ted sentì che
stava covando un
altro sospiro e preferì invece lasciarsi andare sul
materasso. “È proprio di
questo che parlavo.” Mormorò. “Perdermi
le cose qui, Jamie. Le cose importanti.
La ristrutturazione, lasciare i miei Tassorosso… lasciare la
nonna. E… non
vedere te.” Concluse passandogli le dita trai riccioli
arruffati che gli ricadevano
sulla fronte. “Come se non bastasse, non ho una bella
sensazione in merito al
Torneo.”
“Istinto da lupo?” Chiese faceto, ma neppure
troppo. Si buttò accanto a lui
intrecciando le braccia sotto il mento e guardandolo. Erano quei chiari
occhi
nocciola a fargli venir voglia di mandare tutto a monte.
Stava per cominciare una nuova vita, una vita che si preannunciava
piena, una
vita che aveva scelto in ogni suo singolo afflato.
…
e poi, arriva la Cruda Realtà…
“Chiamalo come
vuoi, ma non mi
sento tranquillo. Per questo voglio partire e per questo…
vorrei restarmene
qua.”
“Ted Lupin, un uomo diviso.”
Ridacchiò. “Merlino, puoi giurarci.”
James si sporse per dargli
un
bacio a fior di labbra, e poi restò dov’era, semi
sdraiato su di lui. “Non hai
idea di quanto vorrei venire con te.” Gli borbottò
contro il collo.
E non scherzava. Ted sapeva quanto l’altro si frenasse per
non infilarsi in
quella storia. C’erano i suoi fratelli, Rosie e il suo
migliore amico
invischiati. Conosceva la lealtà cieca che era capace di
provare, e la
sofferenza che sentiva quando non poteva aiutare chi amava.
Geni
Potter…
“Lo so.”
Non disse che avrebbe
voluto averlo con lui. Anche se voleva. Perché James era
sì, il suo ragazzino,
ma era anche un giovane uomo capace di affrontare le emergenze. Lo
aveva
dimostrato più volte. “Ma sei più utile
qui. Lily non ha preso bene il dover
rimanere in Scozia.”
“È bene che se ne stia lontana da quel
tipo.” Brontolò facendolo sorridere. “Ho
sentito certe cose…”
Anche Ted aveva sentito quelle cose,
ma non voleva tirare in ballo quel discorso; aveva la vaga impressione
che il
suo ragazzo aspettasse solo una mezza parola di supporto per partire
con una
crociata contro Durmstrang e un suo studente in particolare.
“Rimarrà ad
Hogwarts, quindi non preoccuparti.” Disse non impegnativo.
“Piuttosto stalle
vicino.”
James sbuffò di
nuovo. “Non
c’è bisogno che me lo dici. È mia
sorella.”
“Dica.”
“Merlino, sei più palloso di un libro
stampato!”
Sorrise e lanciò
un’occhiata
alle borse ancora vuote. Le avrebbe riempite con pezzi necessari della
sua vita
dopo. Era sempre stato un tipo che
amava avere tutto pronto subito per evitare l’ansia
pre-viaggio, ma poi
arrivava James e… niente.
Se lo tirò
addosso solo un
altro po’. “Che vuoi farci… è
da quando ho memoria che è un punto di principio
pestarti un po’ di educazione in testa.”
James capendo tono e intenzioni ghignò. “E ci sei
mai riuscito?”
“Sono
un tipo paziente …”
I’ll be gone by the
nights end
But I’ll be home in a little while
Lover, I’ll be home³
****
“È lo
Specchio delle Brame.”
Scorpius si riscosse dal compito arduo di riordinare il suo cassetto di
effetti
personali post-vacanze natalizie perché Thomas Dursley era
sul ciglio della
porta della sua stanza.
Era sempre straniante vedere
un serpeverde vestito di tutto punto presenziare in quei locali. Il
piccolo
Potter, a ben pensarci, difficilmente veniva a Grifondoro in uniforme.
Dursley invece sembrava
quasi sfoggiarla.
“Buon pomeriggio a
te.”
Sorrise chiudendo il cassetto straboccante nuovi oggetti, regali
scampati ad
una selezione impietosa; la maggior parte dei presenti che riceveva
dalla sua ramificata
parentela non gli si addicevano per nulla o, peggio, erano
potenzialmente
oscuri.
Cernita,
cernita!
Suo
padre per una volta non aveva
questionato i suoi brutali metodi di valutazione; in effetti, non aveva
protestato per niente.
L’aveva visto
sì e no due volte dopo il Ballo. Gli era più che
altro apparso davanti, prima
di scomparire nel suo ufficio o nei suoi appartamenti.
Credo
che processerà tutto quel che è successo
più o
meno per il prossimo Natale. Secondo mamma in meno.
È
sempre stata un’inguaribile ottimista.
“Anche a
te.” Replicò Dursley
riportandolo alla realtà. “Saltiamo i
convenevoli?”
“Sicuro!” Annuì raggiungendolo.
“Hai spaventato qualche nostro primino mentre
venivi qui?”
Il serpeverde
aggrottò le sopracciglia
senza capire. Preferì infatti glissare. “Stavo
dicendo… ho capito a cosa si
riferiva la frase sul fazzoletto. Non
rifletto il volto ma il cuore.” Recitò.
“È scritta sulla cornice dello
Specchio delle Brame.”
“Cos’è lo Specchio delle
Brame?” Interloquì, facendogli cenno di
accomodarsi. I
suoi compagni di stanza erano ancora in Sala Comune a chiacchierare e,
compiacendo
Merlino, ci sarebbero rimasti fino ad ora di cena: vedere uno come
Dursley
seduto su uno dei loro letti avrebbe potuto scatenare un incidente
diplomatico.
E
poi Mister Oltre Ogni Previsione è così bravo a
non
far saltare i nervi…
Tom ad ogni buon conto non
si
sedette, preferendo rimanere impalato come un fuso in mezzo alla
stanza. A
Scorpius ricordò, con una certa dose di divertimento, il
padre; avevano lo
stesso modo di squadrare le spalle quando si trovavano in un ambiente
che non
consideravano piacevole.
Serpeverde…
L’ho già detto?
“Lo Specchio delle
Brame è un
oggetto magico.” Gli fu nel frattempo spiegato. “Ho
fatto delle ricerche
incrociate su vari testi. Rifletto
mi
ha messo sulla giusta strada… era ovvio dovesse trattarsi di
qualcosa…”
“… che rifletteva.” Concluse per lui con
un sorriso. Tom fece una smorfia
seccata, ma annuì.
Come
fanno Mike e Lo a non aver voglia di interromperlo
continuamente?
È
troppo divertente la faccia che fa!
“…
quindi ho trovato un
oggetto che corrispondeva alla descrizione. E c’era una
foto.” Tirò fuori dalla
tasca del mantello un quadratino di pergamena accuratamente ripiegato.
“L’hai strappato da un libro?”
Esclamò incredulo. Pensava che quelli come
lui fossero moralmente incapaci di fare del male ai loro fidati amici
di carta,
spesso eletti compagni di vita.
“Non essere
ridicolo.” Replicò
infatti irritato, e Scorpius vide che si frenava
dall’aggiungere un insulto sicuramente
sinonimo di ‘babbuino’. “Ho usato il Gemino.”
“Mea
culpa.” Fece un sorriso di scuse, prendendola e
dispiegandola;
era una vecchia foto, ormai immobile; succedeva quando il sangue di
drago in
cui era stata sviluppata perdeva il suo effetto.
Deve
essere molto vecchia.
C’era una stanza,
di pietra e
piuttosto spoglia. Lo specchio, alto fino al soffitto, era al centro
della
scarna composizione. Aveva una massiccia cornice di legno dorato che si
avviluppava in volute complesse e proprio sulla sommità
c’era quella frase.
Esatta.
“Wow. Ottimo
lavoro!” Esclamò
ammirato. “E… cosa fa esattamente?”
Tom gli lanciò
un’occhiata di
sufficienza. “Quello che dice.”
“Dursley, è una licenza poetica grossa come un castello. Potresti gentilmente
spiegarmi?” Gli suggerì paziente. Ad
ogni nuova conversazione capiva sempre di più
perché la sua Rosie lo avesse
tanto a noia. Era insopportabile per chiunque non avesse una scorta
pressoché
infinita di pazienza. Il mini-Potter doveva possedere una
serenità d’animo
simile a quella dei centauri.
L’altro,
dall’alto della sua
intelligenza inespressiva, sembrò comprendere i suoi limiti.
“Significa che ciò
che questo specchio riflette non è la persona, ma la sua
coscienza.” Disse. “Il
cuore viene considerato, nell’immaginario comune, custode dei
desideri più
profondi.”
“È così, sai.”
Rintuzzò. “Quindi mostra i propri
desideri?”
“Sì.” Confermò.
“Così c’era scritto.”
Scorpius notò un
altro
particolare, questo piuttosto curioso: la stanza in cui era stata
scattata la
foto aveva qualcosa di familiare. L’architettura,
soprattutto, e la cornice
della finestra…
“Ma è
stata scattata ad
Hogwarts!” Esclamò. “Questa è
una finestra di Hogwarts!”
“Lo specchio è stato qui. Anni prima che noi
nascessimo. Tuo padre doveva avere
undici anni all’epoca.”
“Molto preciso.” Fece mente locale.
“Qualcuno dei tuoi l’ha visto?”
Tom esitò un attimo, poi annuì.
“Sì, Harry. Ci si è persino imbattuto.
Gli ho
chiesto delucidazioni… e mi ha detto questo. Mostra
ciò che più desideri al
mondo. Non mi ha voluto dire altro,
perché…” Scrollò le spalle
rassegnato. “…
crede dobbiamo scoprirlo da soli.”
Scorpius sbuffò:
dei dettami grifondoro
non poteva soffrire quel senso di onestà a volte ottuso. Era
una cosa da
Tassorosso. Perché ampliarla anche a loro? Comunque
c’era poco da fare. Intascò
la foto. “Come pensi funzionerà la
Prova?”
Mostrerà
ciò che più desidero al mondo… E
questo come
dovrebbe costituire una prova?
Devo rinunciarci? Pensare a qualcosa di nobile?
Gli
sembrava piuttosto assurdo.
L’unica cosa che desiderava in quel momento già
l’aveva: l’amore della sua
Weasley.
Il
problema è farlo perlomeno tollerare, se non
desiderare, a mio padre.
“È
possibile si tratti di
scegliere la cosa giusta da fare.” Osservò Tom.
“Nella Prima hanno misurato il
tuo coraggio. Adesso è il turno del cuore.
Fegato-cuore-mente, la triade del
Tremaghi.” Inarcò un sopracciglio e a Scorpius
venne da sorridere; sì, quel
genere di linguaggio metaforico era terribilmente trito. Ma non gli
diede la
soddisfazione di convenire.
“Coraggio,
sentimenti e
intelligenza.” Ripeté invece, riflettendoci sopra.
Si sedette sul letto. “Solo
a me sembra strano mettere Sentimenti
e Durmstrang nella stessa frase?
Dalle descrizioni, quel posto ispira tutt’altro che
condivisione dei propri
sentimenti.”
Dursley stirò un mezzo sorriso.
“Già.” Ammise. “Ma
vinceremo.”
Scorpius gli lanciò un’occhiata: sapeva che era
suo Assistente per un motivo
che poco c’entrava con il Tremaghi e più che altro
con la sua crociata
personale. “Dovrai pensare ad altro quando sarai
lì… posso cavarmela anche da
solo.” Non lo disse atteggiandosi a vittima; sapeva per
esperienza che quando
c’era di mezzo famiglia e affermazione di sé non
c’era nulla che potesse
mettersi in mezzo.
Tom lo guardò
valutativo, poi
scosse la testa. “No, ti aiuterò.”
Inaspettatamente gli tese la mano. “Per
Hogwarts.”
Scorpius gliela strinse con
un
sorriso. Sì, era un insopportabile saccente, un serpeverde
fatto e finito. Ma
questo non gli impediva, dopotutto, di essere una brava persona.
“Per
Hogwarts.”
****
Rose era contenta di partire
per Durmstrang.
Beh, contenta magari era una
parola grossa, ma…
No, era contenta.
Salutò con un
sorriso suo
cugino Albus, prima che venisse inghiottito nelle scale buie dei
sotterranei di
Serpeverde. Non le sarebbero mai piaciuti.
Beh,
sono anche le ultime volte che li vedi.
La riunione tra Caposcuola,
nonché capi-delegazione, e professori si era svolta senza
scossoni. Al era un
eccellente espositore e lei… beh, lei era brava
nell’organizzare. In effetti,
la loro coppia era vincente e i professori erano rimasti soddisfatti
dal loro
operato.
Quella sera sarebbero
partiti
dalla stazione di Hogsmeade con un espresso transnazionale che li
avrebbe portati
fino all’Istituto. Sarebbe stato un lungo viaggio dato che
non potevano
attraversare l’oceano né volare con la carrozze. A
quella sua osservazione
però, Teddy aveva sorriso divertito, e così gli
altri docenti.
Non
se la levano mai questa mania di dirci le cose
all’ultimo minuto, vero?
Beh, di certo non sarà un treno volante.
Inspirò, frugando
distrattamente nella borsa per controllare di non aver lasciato nulla
in Sala
Professori.
Era felice di andare a
Durmstrang perché lì suo padre e i suoi
rimproveri silenziosi sarebbero stati
lontani.
Avrebbe mentito se avesse
detto che le cose si erano aggiustate grazie alla sua rivelazione.
Anzi; Ron
Weasley non aveva processato un bel niente. Tutt’ora usava il
trattamento del
silenzio e del parlarle per interposta persona.
Credo
che mamma sia stata sollevata quanto me dalla mia
partenza… non ne poteva più di fare da tramite. E
così Hugo.
Era riuscita a vedere
Scorpius
in quei giorni solo grazie all’intercessione di James e alla
sua casa a
Notturne Alley.
Porto
franco.
Non che il suo ragazzo non
avesse avuto problemi con suo padre…
Ma
se non altro il suo gli parla. Poco, ma…
Sospirò
incamminandosi verso
la Torre di Grifondoro. Non c’era nulla che potesse fare in
merito, quindi era
inutile arrovellarvicisi. Persino sua madre alla fine aveva dimostrato
apertamente il suo supporto.
‘Se
ne farà una ragione Rosie. Prima o poi. Tu non
preoccuparti e divertiti a Durmstrang.’
Se persino Hermione Weasley,
che non era certo una fan dei Malfoy, si prendeva la briga di
rassicurarla,
allora voleva dire che le cose si sarebbero aggiustate.
Prima
o poi.
Svoltò
l’angolo e, presa da
quei pensieri, quasi andò a sbattere contro Lily che veniva
nella direzione
opposta.
Lo spostamento repentino
fece
cadere le borse ad entrambe. Lily non la portava mai a tracolla, ma
sulla
spalla, e per quanto la riguardava, l’aveva ancora in braccio
alla ricerca
della sua agenda.
“Attenta!”
Esclamò sua cugina
stizzita. Quando si accorse che era lei sbuffò.
“Accidenti, Rosie…” Si chinò
a
raccogliere ciò che le era caduto. Rose notò un
pacco piuttosto voluminoso,
fermato da due giri robusti di spago. Notò anche il logo dei
Tiri Vispi
stampato a margine.
“Posta?”
Chiese incuriosita.
Lily non era tipo da ordinare materiale dal negozio di scherzi di
famiglia. Solo
a dodici anni avevano ordinato, assieme alle amiche, dei filtri
d’amore.
Sfortunatamente, quel buontempone di Freddy li aveva corretti e il
risultato
era stato far starnutire il dormitorio del Secondo anno per una
settimana.
(Quello collaterale era
stato
regalare a Freddy una coda da porcellino per un mese.)
Sua cugina
alla domanda prese il pacchetto e lo infilò
in borsa. “Niente di che.” Borbottò un
po’ troppo velocemente.
Rose non era per niente
stupida. Forse molte cose le passavano sotto il naso, ma non quella.
“Lily, che
cos’è?”
“Niente!” Esclamò afferrando la borsa e
tirandosi su. La guardò meglio: era
arruffata e accaldata. Doveva essere stata in Guferia e aveva corso
nella via
del ritorno. E diavolo, se sembrava sulle spine.
Era strano,
perché era raro
vederla così. Di solito aveva sufficiente faccia da schiaffi
per far passare
sotto silenzio qualsiasi sua idea malandrina.
“Lily?” Ripeté. “Se non
è niente
perché lo nascondi?”
La quindicenne a quel punto sbuffò. “Okay.
È una cosa che… che vorrei spedire a
Ren.”
Improvvisamente il contenuto
del pacco non le interessò più così
tanto. Ma il destinatario sì. “Lily! Ti ho
già detto che è meglio se gli stai lontana! Quale
parte non hai capito?”
“Beh, più lontana di un paio di Stati!”
Rintuzzò stringendosi nelle spalle. “Forse
non lo vedrò mai più, visto che non posso venire
a Durmstrang.” Serrò appena le
labbra. “Volevo dargli un regalo prima di… non lo
so, perdere i contatti, no?”
“Li perderai davvero?” Doveva. Luzhin era
maledettamente inquietante, oltre che
con seri problemi di gestione del controllo della rabbia. Ci mancava
solo che
sua cugina si facesse venire una fissazione per un tipo del genere.
Se
già non ce l’ha. Che poi sarebbe pure di famiglia
prendersi sbandate per tetri bastardi.
Lily roteò gli
occhi al cielo.
“Siamo onesti… quest’anno si
diplomerà, e comunque viviamo in due Stati
diversi. È vero, ha dei difetti… ma è
stato un buon amico. Tu dovresti capire
com’è quando ti manca una persona.” Le
piantò gli occhi in faccia, e Rose si
sentì un po’ a disagio.
“Scorpius
è una brava persona,
Luzhin…”
“… Sören non lo è, ma questo
non fa di lui un mostro.” Ribatté secca.
“È solo
un regalo. Se vuoi, è un modo per augurargli buona fortuna e
dirgli addio. Ho
capito da sola che non è il caso di continuare i rapporti,
okay? Ma questo non
significa che non possa chiuderli amichevolmente.”
Rose la guardò e non vide nulla che potesse far pensare che
mentisse. Era
seria, con un’aria forse… beh, triste. Sembrava
sincera.
“Okay…”
Sospirò. Non poteva
impedirle di spedire un pacco. Si sarebbe comportata come suo padre, e
non ne
aveva la minima intenzione dati gli ultimi sviluppi del loro rapporto.
“Ti
serve un Gufo per spedirglielo? Se vuoi puoi prendere il
mio.”
Lily sorrise. “Non
preoccuparti. Prendo in prestito la civetta di Gail. È
più veloce, glielo
recapiterà prima.” Serrò appena le dita
sulla tracolla e poi le mise una mano
sulla spalla, fissandola improvvisamente seria. “Se non ci
rivediamo per cena,
buona Durmstrang. Ti divertirai.” Squadernò di
colpo uno di quei suoi ghigni
fieramente perversi. “Tu e Scorpius finalmente potrete
stropicciarvi in ogni
luogo!”
“Lilian!”
Esclamò avvampando, perché
non erano sole in quel corridoio. Improvvisamente, anche se stavano
passando
solo due ragazzini del Terzo anno, lo percepì
affollatissimo.
Sua cugina rise e ne
approfittò, ovviamente, per sgattaiolare via.
Rose sospirò,
finendo di
raccogliere le sue cose. L’agenda, come pensava, non
l’aveva dimenticata in
Sala Professori. La raccolse e la spolverò distrattamente.
Certo
che però… cosa ci fa uno come Luzhin con un
articolo dei Tiri Vispi?
Lily sospirò,
appoggiata al
muro di fronte al ritratto della Signora Grassa. La scuola era appena
diventata
un campo di battaglia. In realtà, lo era diventata da quando
la sua mente era
stata letteralmente folgorata da un
proposito. Perché nessuno
dei suoi
cugini o fratelli o parenti acquisiti doveva scoprire cosa aveva in
mente.
Ho
un piano per andare a Durmstrang.
Tirò fuori la
busta dalla
propria tracolla, guardandola assorta: non era stato difficile far
credere a
Freddy che aveva intenzione di organizzare uno scherzo coi fiocchi
all’indirizzo di una ragazza serpeverde rea di averle mancato
di rispetto. Suo
cugino era un Grifondoro semper fidelis:
aveva passato i suoi anni scolastici a punzecchiarsi con la loro
conclamata
controparte scolastica verde-argento.
Ovviamente non era per uno
scherzo.
Strappò la carta
dal pacchi e
un lieve baluginio le si presentò davanti. Sorrise; era
figlia di un auror,
figlia dell’uomo che possedeva Il Mantello
dell’Invisibilità.
Non poteva avere quello, ma
poteva
comprarne un altro.
****
Germania
del Nord, Residenza estiva degli Hohenheim.
Era arrivato il momento di
partire.
Sören osservò i servi caricare gli ultimi bagagli
nella carrozza tirata dai
cupi Thestral, parte integrante del serraglio della famiglia Hohenheim
da
generazioni.
Lanciò
un’occhiata al giovane
Milo. In realtà, era ironico apostrofarlo in quel modo dato
che dovevano essere
più o meno coetanei. Ma in confronto ad Etzel, era un
ragazzino.
Un
ragazzino che dovrebbe essere ancora ferito…
I
suoi movimenti erano infatti cauti e
centellinati al millimetro; sembrava comunque che gli infusi e i
generici
rimedi Magonò avessero avuto effetto.
Il magonò strinse
l’ultimo
legaccio che assicurava il suo baule al tettuccio della carrozza e poi
scese.
Si scambiarono poco
più di uno
sguardo. “Buon viaggio, Signore.”
Mormorò a mezza bocca. Sören replicò con
un
cenno dismissivo. Il ragazzo gli lanciò una seconda occhiata
di sbieco, ma
c’era un’altra presenza che richiamava
all’ordine entrambi, anche se per motivi
diversi.
Alberich Von Hohenheim era
di
fronte all’ingresso principale, ad osservare la partenza. A
presenziare, per
meglio dire.
Sören si recò da suo zio per gli ultimi saluti,
come etichetta comandava. “Vi
contatterò non appena sarò arrivato.”
L’uomo fece un
breve cenno
della testa. “Molto bene. Fa’ buon viaggio
Sören.” Gli strinse brevemente la
mano. Non vacillava, ma era fredda.
Aveva letto lal lettera del
Guaritore di famiglia. Non era stato affatto risolutiva: il
buon’uomo lo
conosceva dalla sua infanzia, ma nonostante questo non era riuscito a
mettere
la verità nero su bianco.
Gli aveva però
proposto una
conversazione via camino non appena avesse avuto un fuoco magico sicuro
a
disposizione.
Sicuro…
Le cose diventavano sempre
più
incomprensibili. Lanciò un’occhiata ai Mercemagi
poco lontani; erano nei pressi
del pozzo, apparentemente presi a scherzare trivialmente. Non erano
tutti, ed
erano comunque una dozzina.
Perché
ci serve un piccolo esercito?
“È ora
che tu vada.” Lo
riscosse suo zio. “Ti aspetta un lungo viaggio.”
“Naturalmente.” Convenne docile. Si
inchinò per un ultimo formale saluto e poi
salì la scaletta della carrozza.
Quando si fu accomodato trai
cuscini e sentì i Thestral dare lo strappo di partenza
inspirò; era ora di
tornare a vestire i panni di Luzhin.
Non sarebbe stato facile,
affatto.
****
Scozia,
Hogwarts, Ora di Cena.
Aveva detto un campo di
battaglia?
Si sbagliava, era una corsa ad ostacoli.
Lily inspirò: fu
un moto di
sollievo dato che aveva finalmente seminato il cugino: non le dava pace
da
tutto il pomeriggio. Alla fine aveva dovuto inventarsi una convocazione
dal
buon vecchio Neville per sfuggirgli. Naturalmente, Hugo si era offerto
di
accompagnarla.
È
tutto il giorno che cerca di capire se sto
organizzando qualcosa per Durmstrang! Argh!
Sfortunatamente
il suo valletto, dietro
l’aria arruffata e
macilenta, aveva un cervello di prim’ordine, ereditato per
via direttissima
dalla famigerata, cervellotica, madre. E doveva entrarci in qualche
strano modo
anche Abigail. Era piuttosto certa, infatti, che avesse fatto la spia.
Su
cosa non lo so… ma evidentemente non sono così
brava
ad inventarmi scuse.
…
sì, in effetti ho sempre fatto abbastanza schifo.
Si appoggiò al
muro di pietra
all’imbocco della Torre di Grifondoro. Dentro,
c’erano i preparativi tumultuosi
di chi andava. Tra un paio d’ore il treno sarebbe partito.
Ed
io sarò là sopra, costi quel che costi.
Si guardò
attorno; c’era un
motivo per cui aveva deciso di uscire, oltre che per liberarsi del
cugino.
Se
Gail mi vedesse armeggiare con una borsa adesso…
beh, capirebbe tutto.
Percorse tutto il corridoio
e
finì all’imbocco delle scale mobili.
Lì, due fiere armature nascondevano ciò
che aveva accuratamente preparato e occultato. Si chinò e
tirò fuori il
compatto zainetto da viaggio che usava per portare parte del suo
ragguardevole
bagaglio annuale per Hogwarts. Non era molto grande, ma conteneva il
necessario
per partire. Inspirò di nuovo poi se lo nascose sotto il
mantello; doveva
portarlo perlomeno fino alla Sala Grande, nasconderlo nel bagno e
aspettare che
tutti fossero usciti per seguirli con il mantello.
Sarebbe
tutto più semplice se Hugo non sospettasse.
Cavolo!
C’erano
pochi studenti in giro. Molti
erano nelle proprie Sale Comuni, alcuni già accomodati a
servirsi la cena. Era
l’occasione per agire
indisturbata.
Mangerò
come tutti, fingerò di essere stanca e mi
ritirerò nella mia stanza… Gail non mi
seguirà di sicuro. Sarà tutta presa a
dimostrare a Hughie quanto sta bene senza di lui. E Hugo
sarà troppo
concentrato a sobbollire.
A
quel punto tirerò fuori il mantello, passerò
invisibile in Sala Comune, uscirò, prenderò lo
zaino dai bagni e mi accoderò
alla delegazione.
Ripeterselo da ore aiutava a
renderlo reale; e poi era perfetto. Infatti riuscì a
nascondere perfettamente lo zaino e
il mantello
pesante dentro il bagno delle ragazze, sotto il lavello. Soddisfatta ne
uscì
con un gran sorriso. Dovette rientrare bruscamente dato che Al e Tom le
passarono davanti, diretti probabilmente verso la Sala Grande.
Dannazione!
Seguire un piano perfetto
era
più difficile di quanto non credesse.
Se
Al e Tom sospettassero qualcosa…
Non erano Hugo,
né Rosie.
Sarebbero stati capaci di legarla al letto della sua stanza e
somministrarle
forzosamente una pozione soporifera, il tutto per impedirle di fare una
cavolata.
Serpeverde.
Sexy, adorabili e dannatamente coalizzati
nel fare buone azioni moralmente discutibili…
Passato il pericolo si
incamminò di buona lena verso la Torre di Grifondoro; doveva
rassicurare Hugo
circa la sua totale innocenza, e non c’era niente di meglio
che farsi scortare
a cena.
Nel tragitto
incontrò una sequela
di quadri che osservò pigramente; il Primo anno ne era stata
affascinata. Un
dipinto che si animava era ben diverso da una fotografia. Li aveva
sempre
trovati poetici, in qualche modo. Da matricola si era persino fermata
qualche
volta a conversare con loro.
E a
dire il vero, ho anche cercato di trovare il
Preside Piton…
Sfortunatamente non
c’era mai
riuscita.
Beh,
questo prima di incontrarlo mentre litigava con
Ren. Litigavano, non c’è storia.
C’erano tante cose
che non le
tornavano; per questo doveva andare, per questo doveva fare delle
domande e
avere delle risposte. I suoi genitori avrebbero dovuto capirlo.
Capiscono
se si tratta di Al e Tom… ma non di me?
Serrò
appena le labbra.
So
delle cose… Non sono fuori da questa faccenda, è
inutile che tentino di allontanarmi!
E poi c’era anche
il volto che
aveva visto quando aveva usato la Legimanzia Naturale su
Sören; non l’aveva
scordato, non aveva potuto in quel periodo sebbene convulso. Era come
se
qualcuno glielo avesse stampato in mente e appiccicato davanti agli
occhi.
Chi
era l’uomo che ho visto? Un parente di Ren? Non gli
somigliava per niente…
Alla fine, proprio per non
perderlo, aveva usato uno dei regali di Natale che le erano stati
fatti; ironia
della sorte i suoi genitori le avevano regalato una macchina
fotografica
mnemonica. Era in tutto e per tutto simile ad una macchina fotografica
a
pellicola, tranne che al posto di sviluppare ciò che
c’era davanti
all’obbiettivo sviluppava ciò che immaginavi nel
momenti in cui scattavi.
Tirò fuori dalla
borsa la foto
sviluppata: la custodiva gelosamente nella propria agenda e
l’aveva guardata un
bel po’.
L’uomo aveva
un’età
indefinibile e assomigliava tremendamente
a Thomas. Sfortunatamente era in bianco e nero –
l’unico modo per sviluppare
foto di quel genere. Ma l’immagine era vivida abbastanza per
metterle
inquietudine.
Sì,
assomiglia a Tommy, ma…
Tom non aveva quello sguardo
inespressivo. Non era un mostro di comunicatività, ma
quell’uomo, chiunque
fosse, non aveva dipinta in volto una sola emozione. Né
nella piega delle
labbra, né nella curva sottile delle sopracciglia. E, cosa
peggiore, i suoi
occhi erano come gusci vuoti.
Ci passò il
pollice
pensierosa. Improvvisamente non ebbe più voglia di andare a
riscontrare Hugo e
inscenare la commedia delle buone intenzioni.
Sarò
nei guai fino al collo quando sarò su quel treno…
Ormai aveva deciso e non
sarebbe tornata indietro, ma sapeva bene a cosa andava incontro.
Oh,
starò in punizione per secoli…
Improvvisamente qualcosa di
molto nero le entrò nella visuale. Non capì
subito perché un allegro quadro di
giochi campestri si era improvvisamente rannuvolato. Poi
notò che non era il
quadro, era il soggetto ad essere cambiato – i festosi
campagnoli in effetti si
erano dispersi piuttosto velocemente.
“Preside
Piton!” Esclamò senza
riflettere, perché era proprio l’eroe della sua
infanzia che le stava passando
davanti. Quello non
diede segno di
averla sentita e tirò dritto.
Sta
passeggiando trai quadri? Ogni tanto ho visto
Silente, ma lui non l’ha mai fatto!
“Professor
Piton!” Tentò di nuovo, ma
la figura nera e austera interruppe una partita di sparaschiocco tra un
paio di
maghi molto barbuti e continuò il suo incedere.
Doveva
parlargli; era un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela
sfuggire. L’uomo
ritratto aveva litigato con Sören.
E
non si litiga con qualcuno come il Preside… beh, il
quadro del preside … se non si hanno ottime ragioni.
“Severus!”
Tentò infine e in
effetti, stavolta, accadde qualcosa. Il mago si fermò e si
voltò, guardandola
come se stesse per decidere se darla in pasto ad una muta di Crup o
abbandonarla nella Foresta Proibita alla mercé delle
Acromantule.
“Noto con piacere
che la
sfacciataggine è una dote genetica, nei Potter.”
La voce era proprio come suo
padre gliel’aveva descritta; monotona, bassa e maledettamente
angosciante.
Lily sentì
improvvisamente il
peso del suo essere una studentessa di quindici anni.
“Mi
scusi.” Mormorò. “Ma non
si fermava.”
“Non le è venuto in mente che avevo ottime
ragioni?”
“Va di fretta?” Chiese stupita.
“Cioè, lei è un quadro, non avete
esattamente…”
Smise di parlare all’ennesima occhiataccia raggelante. Si
fece coraggio, perché
conosceva quel genere di mimica. Tom era stata una bella palestra.
“… non avete
il senso del tempo.” Concluse.
Piton sospirò
distintamente.
Chi aveva dipinto il quadro era stato poco generoso
nell’ingentilire quei
tratti arcigni.
Realismo
eccessivo?
Però
c’era qualcosa di Ren in Piton. O
viceversa. E guardarlo le dava una strana sensazione di deja-vu. Era
piuttosto
doloroso.
“Voi marmocchi
vivete
nell’illusione che noi ritratti amiamo conversare amabilmente
a vostra
richiesta.” La riscosse.
“Beh, di solito è così.”
Stavolta ignorò la smorfia con naturalezza.
“Voglio
dire, è così.
Comunque vorrei farle
solo una domanda.” Non era brava come Albus nel fare gli
occhi dolci, e
dubitava che un oggetto inanimato come un dipinto potesse cadervi
preda, ma
comunque… “Per favore.”
Mormorò con il suo migliore tono bisognoso.
Che fosse un pezzo di tela o
meno, qualcosa cambiò impercettibilmente
nell’espressione dell’uomo. Perse
espressione, a dirla tutta. Lily si aspettò rassegnata un
rimbrotto, ma invece
ci fu un sospiro. “Parli.”
Era troppo stupita per
gioire
della sua insperata fortuna. “Lei ha … insomma, un
paio di settimane fa ha
parlato con Sören. Sören Luzhin, il Campione di
Durmstrang.”
“Lo ricordo.” La rintuzzò infastidito.
“Abbiamo avuto una conversazione
decisamente spiacevole.”
“È la stessa cosa che ha detto lui.”
Confermò senza scomporsi; dall’espressione
dell’amico e da come l’aveva tirata via era stato
piuttosto ovvio che non si
fossero scambiati memorie familiari. “Perché avete
litigato?”
“È questa la domanda?” Fece un
sorrisetto sarcastico. Suo padre gli aveva
descritto efficacemente anche quelli. In effetti, irritavano da morire.
“Dovrebbe chiederlo a lui.”
“Non me l’ha voluto dire e adesso è
partito.” Si strinse nelle spalle,
ignorando il tono palesemente indagatoria del ritratto.
“Io… so che qualcosa lo
turba. Non so cosa, ma so che è piuttosto qualcuno.”
Le venne in mente che forse Piton poteva sapere chi era
l’uomo che aveva visto.
Con un po’ di fortuna poteva essere un loro parente comune.
Tirò fuori la foto dall’agenda
mettendola davanti alla cornice. “Conosce
quest’uomo?”
Piton aggrottò le sopracciglia. “Non so chi
sia.”
Lily la rimise al suo posto, un po’ delusa. Doveva
aspettarselo; del resto
quello non era il vero Piton, ma solo una sua parvenza ed in ogni caso,
pure
l’uomo in carne ed ossa poteva non averlo conosciuto.
“Signorina
Potter…” Il mago
riportò piuttosto bruscamente l’attenzione su di
sé. “Quello che io e il Signor
Luzhin abbiamo discusso, è affare che non la riguarda in
nessun modo. In ogni
caso… posso dirle questo.” Lily drizzò
le orecchie perché se non ne stava
parlando, ci stava andando maledettamente vicino. “Non
è chi dice di essere.
Non è affar mio quel che…”
“Che vuol dire?” Quell’affermazione non
era qualcosa su cui poteva far
compromessi. “Che vuol dire che non
è…”
“Signorina Potter.”
Stava giocando
con il fuoco; quella era un’occasione assolutamente unica
poter parlare con il
dipinto più misantropo di Hogwarts. Ma proprio per questo
non poteva avere
riguardi.
“Ren è
mio amico.” Lo disse con
forza, perché
l’avrebbe ripetuto finché non le avessero tappato
la bocca. E allora lo avrebbe
pensato. “Gli sta succedendo qualcosa e nessuno vuole dirmi
in che guaio si è
cacciato. Voglio scoprirlo.”
“O che guaio si sta portando addosso.”
Interloquì il ritratto. “Ha cercato di
avvicinarmi millantando una parentela nei miei
confronti…”
“Ma è vera!”
“Ha detto che sua madre era una Prince, ma mia
madre aveva solo un fratello.” Inarcò le
sopracciglia. “Curioso, non trova?”
Lily cercò di far
mente
locale; in pochi attimi vagliò tutte le ipotesi possibili, i
motivi per cui
Sören avrebbe dovuto mentire ad un suo parente, peraltro
racchiuso in una
cornice.
Non ne trovò uno
valido e
restò stupidamente in silenzio, stringendo la borsa come se
fosse un
salvagente.
“Non ho idea del
perché abbia
dovuto inventare una storiella simile, ma ho sentito voci in
giro… i ritratti
hanno la fastidiosa abitudine di spettegolare. Il suo… amico…” Non sembrava
un insulto ma neanche un complimento da come
l’aveva pronunciato. “… è
evidentemente invischiato in qualcosa da cui lei,
sciocca ragazzina, deve star lontana. Oppure oltre alla sfacciataggine,
da suo
padre ha ereditato anche l’ incoscienza?”
Lily avrebbe dovuto forse offendersi, ma in realtà non le
importava. Perché sì,
era ufficialmente sfacciata e sconsiderata. Stava per partire per
Durmstrang
solo per avere delle risposte, dopotutto.
“Qualsiasi cosa
dicano i
ritratti… o la gente… io so
che Ren è
mio amico.” Sbottò sentendosi le guance scottare
per l’agitazione. “Lo
conosco.”
“Toccante.”
Era come avrebbe risposto il vero Piton. E per un momento, Lily
desiderò che
fosse vero, carne, ossa e cattivo carattere, e non una sua riproduzione
di
carta, per quanto interattiva. Perché avrebbe voluto dirgli
che gli dispiaceva.
Per lui. Lo aveva sempre pensato, ancor prima di capire che, dopotutto,
Piton
aveva fatto le sue scelte e ad esse aveva risposto.
Avrebbe
dovuto esserci qualcuno che combatteva per lui
come io faccio per Ren…
Sorrise a quei tratti
austeri
e amari. “Dovrei lasciar perdere secondo lei?”
“Sarebbe consigliabile.”
“Beh, non posso.” Si strinse nella spalle e sorrise
di nuovo all’espressione
scettica dell’uomo. “Io Ren non lo
abbandono.” Non aspettò risposta perché
sapeva che non ci sarebbe stata. Aveva smesso di guardarla male,
però. Più o
meno. Il che, considerando il soggetto, era già molto.
“Grazie Signore, mi è
stato molto utile!”
“Questa buona azione indubbiamente rischiarerà la
mia serata.” Commentò aspro
il mago. “Sono libero di tornare al mio quadro o ha altre
sciocche domande da
sottopormi?”
“No, nessuna!”
Detto fatto, il ritratto
se ne andò senza articolare neppure un saluto,
allontanandosi con un gran
svolazzare di mantello.
In
pieno stile Piton, avrebbe detto papà…
Lily si
raddrizzò. C’era
notizie, e non erano buone. Ma non aveva tempo di pensarci, non
davvero.
Avrebbe avuto un intero
viaggio in treno per farlo.
****
Note:
E questo capitolo
è anche,
collateralmente, un buon compleanno a Red_93!
Auguri, ragazza!
1.
Questa la canzone
2. Bàn significa
“bianco” in gaelico
irlandese. Sì, la civetta di Gail è una civetta
delle nevi come quella di
Harry. ;D Ed è un maschio, per inciso.
3.
Questa l’altra canzone. È un
inedito quindi non è scaricabile. :/
|
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Capitolo 48 *** Capitolo XLV ***
Capitolo XLV
Darkness is a harsh
term don’t you think?
Yet, it dominates the things I see
It’s not the long
walk home that will change this heart
But the welcome I receive with every
start¹
(Roll Away Your Stone, Mumford & Sons)
5
Gennaio 2023
Scozia, Stazione di Hogsmeade, sera.
Era l’Espresso di
Hogwarts
eppure sembrava diverso. Forse era qualcosa nella forma delle
locomotiva, o
forse nei pochi vagoni che le erano attaccati. Cinque non erano certo
il numero
canonico.
Teddy non vi era ancora salito, troppo preso a controllare la truppa di
due
dozzine di elementi esagitati dalla partenza. Persino Al, che era
Caposcuola e
mediamente un ragazzo pacato, non riusciva a non fare casino
esattamente come
il coro, chiacchierando entusiasta con Rose.
Umanamente, era
comprensibile:
Hogwarts non organizzava mai gite fuori porta, ad eccezion fatta per
Hogsmeade.
Lì si trattava addirittura di cambiare paese.
Dei tutti, quasi preferiva
Tom
che se ne stava nel suo spazio vitale dal diametro di circa tre metri,
con la
sacca da viaggio a tracolla e lo sguardo perso nel nulla della Foresta
Proibita.
“I permessi,
ragazzi… prima di
salire fatemi avere i permessi. Alla
mano!” Esclamò fermando per un braccio
un entusiasta Quarto anno
Grifondoro, parte del coro, che si stava lanciando sull’unica
entrata aperta
del treno.
“Se vuole li
raccolgo io
professore!” Esclamò Malfoy, in mezzo alla mischia
e con un gran sorriso
allegro. Sembrava il più esaltato di tutti e ad ogni buon
conto doveva esserlo.
Il
problema è che è un esagitato e agita
empaticamente
chiunque gli stia vicino…
“Lo
faccio io, sono il Capodelegazione!”
Replicò infatti Al, ricordandosi i suoi doveri nel momento
sbagliato.
Ted inspirò
lentamente; aveva
lasciato James da un paio d’ore e già aveva voglia
di prendere a testate
qualcosa o infilarsi sotto una coperta come faceva da bambino. Non
sapeva se
fosse dipendenza o semplice disperazione. Optava per entrambe.
Avrei
dovuto farmi aiutare almeno dalla McGrannit…
Aveva pensato che fosse
opportuno lasciare i due anziani professori prendere posto nei
rispettivi
scompartimenti mentre lui pensava a far salire la delegazione e
controllare che
non ci fossero intrusi.
…
è come avere centinaia di Snasi potenzialmente
più
pericolosi. Al momento passerebbero sul mio cadavere…
“Ci penso
io!” Aggiunse Rose.
“Fatela finita!” Strillò, ignorata dai
più.
“Osate ignorare la mia fidanzata?!”
Tuonò Scorpius quando vide un
indisciplinato serpeverde fare un gestaccio in direzione della ragazza.
“Tu,
sei morto!”
“Lascia stare
Patton!” Si erse
a sua difesa Al, salvo acchiappare il ragazzino per il bordo del
mantello e
dirgli qualcosa all’orecchio che bastò a farlo
sbiancare come un lenzuolo.
Oh. Mio. Merlino.
“Adesso basta!”
Tuonò con il suo
tono migliore e, miracolosamente, tutto tacque. Effettivamente, gli era
sempre
stato detto che quando si arrabbiava era spaventoso. Dovevano essere i
capelli.
E il fatto che alcuni dei suoi studenti fossero davvero minuscoli a suo
confronto.
Si schiarì la
voce. “Molto
bene. Adesso mettetevi in fila, permesso alla mano, così finalmente partiamo.” Tese la
mano al primo ragazzino che annuì,
cacciandoglielo in mano efficientissimo.
Ted sentì
qualcosa frusciare
alle sue spalle quando si scostò per farlo passare. Si
voltò: non c’era nulla
però, solo il vano che introduceva al vagone, illuminato
fiocamente da una
lanterna.
Strano…
mi era sembrato che qualcosa mi sfiorasse…
Ma le risatine sottovoce e i
mormorii un po’ ridimensionati dei ragazzi potevano tratte in
inganno. Si voltò
di nuovo e controllò il secondo permesso.
****
“Io voglio quel
letto, quello sopra!”
“Va bene, Malfoy. Nessuno ti sta impedendo di
prenderlo.”
“… ah, beh. Attestavo.”
Al sospirò, lanciando un’occhiata di sbieco a Tom
che ricambiò con una lieve
smorfia compartecipe. Tra loro e i componenti maschi del coro erano
otto e
infatti quattro letti a castello erano stati fatti entrare nello
scompartimento
che, per l’occasione, era stato tramutato in un dormitorio
compatto ma allo
stesso tempo funzionale.
Chissà
perché non hanno utilizzato un incantesimo di
ampliamento…
Non che si stesse stretti,
ma
dal modo in cui Tom aveva serrato le labbra quando vi era entrato, era
chiaro
che la sistemazione fosse per lui soffocante.
Lui
e i suoi venti metri quadrati di spazio vitale.
“Mi ricorda il
Nottetempo.”
Borbottò infatti con tono funereo, buttando il proprio
borsone in uno dei letti
in alto, sfidando un ragazzo del Quinto ad osare avvicinarsi. Al si
scusò con lo
sguardo, ed occupò frettolosamente il letto di sotto prima
che potessero
scatenarsi incidenti diplomatici ancor prima di partire.
“Oh, il
Nottetempo!” Esclamò
Scorpius, che sembrava aver ingerito una Pozione Risvegliante, a
giudicare da
come saltellava in giro.
“Ho sempre
desiderato farci una corsa, ma mio padre me l’ha
proibito!”
“Un uomo saggio.” Mormorò a mezza bocca
Tom, prima di arrampicarsi sulla
stretta scaletta e sparire oltre le sbarre del letto.
“Cattivo
umore?” Gli chiese
confuso.
Al scosse la testa.
“È Tom.” Fu
sufficiente, perché il Grifondoro si limitò ad
annuire con aria saputa, prima
di buttarsi seduto sulla branda dirimpettaia alla sua.
“È un
peccato viaggiare di
sera… ci perderemo un bel po’ di
paesaggi!” Esclamò, fissando il finestrino che
rifletteva solo il buio fuori e lo sbuffo compatto della locomotiva in
stallo.
“Arriveremo domani
sera… credo
vedremo paesaggi fino alla nausea.” Dal letto di sopra non si
udivano rumori e
Al seppe che Tom aveva già tirato fuori il proprio fido
lettore mp3 per
infossarsi nel suo autismo musicale.
“Oh, a proposito.
Secondo te
come facciamo a passare la Manica? Siamo in treno!” Chiese il
biondo e anche Al
ci fece un pensiero in merito.
Non ci si
soffermò più di
tanto però. “Con la magia.” Era una
risposta diplomatica, quanto stringata, ma
era stanco e si sentiva inquieto. Andare a Durmstrang stava diventando
reale e non
riusciva a condividere l’entusiasmo di Malfoy e degli altri
ragazzi. Sarebbe
stato lontano da casa; e non lontano una mezza giornata di treno, ma
lontano oltre-confine. Certo, non
era la prima
volta, ma in Germania era stato diverso; lì aveva ritrovato
Thomas, ed era
stato un rush, un impulso.
Stavolta
è diverso. Stavolta l’abbiamo pianificato.
Ma,
onestamente, quando mai le cose vanno come spero?
L’altro
ragazzò gli lanciò
un’occhiata, forse intuendo il suo stato d’animo.
Si sporse verso di lui. “Ehi,
mini-Potter.” Lo apostrofò dandogli un colpetto
sulla gamba. “Sta’ allegro!
Siamo gente in gamba, ce la caveremo.”
Gli sorrise; non era il discorso incoraggiante dell’anno, ma
era comunque avere
un amico, e Malfoy aveva un’aura incredibilmente positiva.
Dominique aveva
ragione a chiamarlo Raggio di Sole.
E
per una volta è bello vedere un viso sorridente …
mi
fa ricordare che questa è anche una vacanza.
All’incirca.
Era bello avere qualcuno che
si prendeva la briga di consolarlo; gli sarebbero mancati Michel e Loki.
Beh,
soprattutto Mike… Lo non è proprio tipo che
consola. Ghigna solo un sacco.
“Grazie
Scorpius.” Rispose.
“Vado a vedere come se la cava Rosie con le ragazze, mi fai
compagnia?”
“Non aspettavo altro!” Esclamò saltando
in piedi. Probabilmente era vero.
Rise, imitandolo.
Lanciò uno
sguardo in alto; Tom era steso sul materasso e teneva una mano a
sostenersi la
nuca, dato che il cuscino doveva essere troppo sottile per lui. Le
cuffie erano
già al loro posto. Gli sfiorò la mano e
l’altro aprì gli occhi, aggrottando le
sopracciglia in una muta domanda.
“Vado a fare un
ultimo giro di
controllo.” Non sapeva se avesse sentito, ma diede comunque
un segno di
assenso. Lo prese per buono.
La locomotiva si mise in
moto
in quel momento con un fischio acuto. Tom gli trattenne la mano di
colpo, ma
come l’aveva afferrata la lasciò, dandogli le
spalle in un tacito messaggio.
Non
preoccuparti per me… certo Tom, come no. È così facile
dopo
che hai questi scatti…
Sospirò appena,
facendo cenno
a Scorpius di seguirlo. Fu grato che l’altro non commentasse
il gesto, anche se
di sicuro l’aveva visto.
Il corridoio di passaggio
era
molto stretto e soprattutto, per fortuna, vuoto; dalla carrozza accanto
potevano sentire le ragazze chiacchierare allegramente e persino il
rumore di
una radio.
“Non si
dormirà facilmente
stanotte, ho idea. Festa in pigiama!”
Ghignò Scorpius. “Chiamiamo gli altri e ci uniamo
alle ragazze?”
Sapendo che non avrebbe potuto comunque fermare una cosa simile,
neppure i
professori se lo sarebbero aspettato, Al scosse la testa. “Tu
fa’ pure… io non
mi fermo, faccio il giro…” Ci rifletté.
“…il rettilineo
a dirla tutta, del treno.”
Malfoy ridacchiò, annuendo. “Come vuoi. Ma,
seriamente, chi ti aspetti vada a
gelarsi le chiappe per infrattarsi negli altri vagoni? Non saranno
neanche
riscaldati!”
Si strinse nelle spalle;
sapeva
bene che non c’era bisogno di controlli, dato che i Tiratori
scelti avevano
passato a setaccio tutto il treno prima del loro arrivo, ma era un modo
per
farsi passare il nervoso che lo attanagliava. “Dì
a Rosie che non c’è bisogno
venga con me.” Anticipò.
Scorpius annuì
distratto, già completamente
focalizzato sull’organizzare un meeting intra-Casa.
Malfoy
è proprio caos racchiuso in un corpo umano.
Passò in silenzio
nel vagone
dei professori. Ted e gli altri adulti erano chiusi nelle loro stanze;
nessuno sembrava
aver intenzione di lasciare le proprie confortevoli stanze per andare a
gelarsi
svariate estremità nell’ultimo vagone, quello
bagliagli, dove erano stipati
bauli e oggetti pensati per tre mesi di trasferta.
Illuminò
l’ambiente con la
bacchetta, guardandosi attorno. Passò le dita sulla custodia
voluminosa e di
cuoio solido che proteggeva la sua scopa da corsa. La verità
era che non voleva quel clima di
festa; forse era la
pioggia che batteva sottile contro i finestrini, oppure …
Oppure
il fatto che te la stai facendo sotto. È reale.
È appena diventato reale.
Sentì un fruscio
alla sua
destra e sobbalzò. Si diede dell’idiota quando
notò che era Anacleto, il suo
gufo. Riconosceva la base della gabbia, coperta da un panno di lana per
difenderlo dal freddo.
“Scusa
Cleto… sono un po’
nervoso.” Sussurrò infilando le dita nelle sbarre
per farsele beccare
affettuosamente. “Mi dispiace per la sistemazione, ma con il
tempo che c’è,
attraversare l’oceano è fuori discussione. Porta
pazienza, okay?” Si voltò a
cercare Kafka dato che la cornacchia gracchiava piuttosto
veementemente. Tolse
la copertina dalla gabbia.
Curioso…
di solito Tom non la rimbocca così. Dice che
la rende claustrofobica.
Curioso era anche il fatto
che
non fossero stati i soli a farsi sentire. Anche il resto dei Famigli
era
agitato.
Sarà
che sono entrato in fretta e furia…
“Ehi,
chiacchierona…” La
apostrofò affettuoso, senza però azzardarsi a
infilare nulla di potenzialmente dilaniabile
tra le sbarre. Kafka era un uccello sanguinario.
“Preferisci la
compagnia dei
volatili agli esseri umani?” Lo riscosse una voce. Era Tom,
in maglietta e
pantaloni della tuta che usava solo, rigorosamente, per dormire. Si
erano tutti
già inseriti nell’ottica della notte. Tutti tranne
lui. “Devo averti
contagiato.”
Sorrise di rimando.
“Succede
quando passi del tempo con una persona con gravi carenze
sociali.”
Tom non disse nulla, ma gli
si
avvicinò, tirandolo a sé in un abbraccio. Fu
abbastanza inaspettato, ma non se
ne lamentò; anzi, lo ricambiò con forza,
seppellendo il viso dove la stoffa era
ruvida per la trama di un disegno sicuramente tenebroso. Ne aveva
bisogno.
“Se io sparisco,
nessuno lo
trova strano. Se sparisci tu vanno tutti in ansia,
Caposcuola.” Sussurrò al suo
orecchio. “Sono di là ad infrangere il coprifuoco
e si chiedono dove tu sia.
Andiamo?” Tom avrebbe preferito un milione di volte starsene
in pace con la sua
musica, piuttosto che accompagnarlo ad un’occasione
conviviale.
Però…
lo fa per me, ho idea.
“Va
bene.” Gli prese la mano e la
trovò singolarmente calda. “Ma… sei
caldo?”
Tom sbuffò. “Il sangue circola. Se le tengo in
tasca, si scaldano.”
Non gli chiese se ricordava
l’appunto
sulle sue mani da morto. Conoscendolo, se l’era presa a
morte. Lo baciò e gli
strinse la mano, un po’ più saldo e un
po’ meno spaventato.
****
Lily stava letteralmente
congelando.
Seriamente, dentro il vagone
bagagli ci sarebbe morta.
Inspirò
lentamente aria fredda
e rilasciò umida condensa.
Decisamente morta.
Si strinse addosso la
coperta
che aveva messo nello zaino; era stata previdente. Aveva infatti previsto – in quel momento
amava quella
parola – che il vagone dove si sarebbe nascosta non sarebbe
stato graziato del
comodo sistema di riscaldamento magico delle altre carrozze.
E
stiamo pur sempre attraversando la gelida Scozia…
Non era stato facilissimo
intrufolarsi nel treno, ma neppure difficile come la sicurezza di
Hogwarts
aveva pensato; era bastato nascondersi tra le delegazione, armata di
Mantello,
e aspettare il momento giusto in cui Ted avrebbe lasciato un varco
aperto tra
lui e la porta. Quel momento era arrivato quando il ragazzino che aveva
squadernato il permesso si era attardato nel dispiegarlo per
consegnarlo ben
visibile al professore.
A
volte paga essere basse… e veloci.
Non avrebbe mai ringraziato
abbastanza la capacità di reazione fulminea ereditata dalla
madre.
Aveva rischiato, certo; Ted
avrebbe potuto comunque accorgersi della sua presenza. Il Mantello la
celava
alla vista, ma Teddy aveva una specie di super capacità
sensoriale per
acchiappare chi tramava alle sue spalle.
Jamie
ne ha fatto per anni un punto personale cercare
di spaventarlo ad Halloween… mai riuscito.
Fortuna aveva voluto che il
chiasso della delagazione aveva offuscato le super-percezioni
dell’amico di
infanzia. Quindi era riuscita a salire sul treno e correre verso il
luogo meno
frequentato dei pochi vagoni approntati per la partenza.
Le sue vicissitudini
però non
si erano fermate lì; poco dopo la partenza Al era entrato
nel suo nascondiglio,
e per poco non le era inciampato addosso. Solo la fortuna aveva voluto
che
avesse deciso di accoccolarsi tra due bauli per creare un effetto
‘caverna’
necessario a preservare un po’ di calore.
Aveva trattenuto il fiato
per
tutta la permanenza del fratello.
Per
nascondermi devo aver urtato un bel po’ di roba. Ho
fatto chiasso. Al è entrato dopo, non l’ha
sentito, ma i Famigli sì, eccome.
Specie quella carogna di Kafka.
Poi per fortuna era arrivato
Tom e se l’era portato via.
Sbuffò appena,
giocherellando
con le frange della fida coperta di lana. Fare un incantesimo
riscaldante non
era sicuro, non con le probabili barriere che i Tiratori Scelti
dovevano aver
appiccicato un po’ ovunque.
Si strofinò le
mani sulle
guance, sentendole appena più calde rispetto al ghiaccioli
che aveva come dita.
I guanti aiutavano, ma solo ad evitare la cancrena per congelamento.
Non aveva mai pensato
sarebbe
stata una scampagnata, ma era… dura.
E la solitudine, il silenzio
del vagone la stavano facendo pensare. Meglio, riflettere.
Sto
facendo la cosa giusta?
… sì. La cosa giusta. Ma non è detto
che sia quella che avrei dovuto fare.
Non era quello il punto,
ovviamente; sapeva che doveva trovare Sören, che doveva
parlargli. Quello era
il punto. Qualsiasi cosa stesse facendo, doveva fargliela smettere
perché in
tutti quei mesi, Sören era stato un dannato treno sparato
verso l’abisso.
La paura che aveva letto nel
suo comportamento, i suoi scatti, le sue strane sparizioni e le sue
ferite…
erano tutti pezzi di un puzzle che aveva
un senso.
Forse non stava a lei
deviare
quei binari o roba simile. Non era certo un eroina e non intendeva
esserlo per
nulla al mondo – aveva visto che rischi si correvano, dato
che scorrevano nel
sangue Potter.
…
ma non posso abbandonarlo. Non posso. So che lo
rimpiangerei per il resto della mia vita.
E
cavolo, sarebbe un sacco di
tempo!
Si rannicchiò
dentro la
coperta. Ormai non poteva più tornare indietro; sarebbe
quindi andata avanti.
****
Scandinavia,
Istituto Durmstrang.
“La tua stanza, Sören.”
Dionis reggeva una torcia magica: Sören ne aveva viste tante
durante la sua
infanzia, ma tutte appese ai muri, mai rette da una persona. Era quello
a
rendere Durmstrang diversa da Hogwarts: i fuochi erano accesi
raramente, e solo
per scopi magici. Le torce appese ai muri erano poche, quelle bastevoli
e ben
poco illuminavano.
Ricordava Durmstrang. Sette anni passati in un posto non erano nulla.
La
ricordava, ma non la teneva nei suoi ricordi felici. Era semplicemente
un
ricordo.
Radescu tirò fuori una chiave elaborata che aveva appesa al
collo e aprì la
porta della sua stanza. “Sai come funziona… la
puoi aprire solo tu, con la tua
bacchetta.” Si schiarì la voce. “Ed io,
naturalmente.”
“Sei il custode delle chiavi?” Chiese con un mezzo
sorriso, e l’altro ricambiò.
“Già.
La mia famiglia lo è da
tre generazioni.” C’era orgoglio nel suo tono di
voce e Sören poteva capirlo:
custodire le chiavi dell’ala dell’élite
era un grande onore.
L’Ala Nera
– chiamata così per
via di qualche leggenda che aveva francamente dimenticato - era una
porzione
esigua del castello, la più distante dal corpo centrale e,
paradossalmente, la
più prestigiosa. Lì dormivano il corpo scelto di
Durmstrang, l’eccellenza tra
gli studenti.
Era la prima volta che
visitava quel posto.
Essere
chi sono significa anche non dare nell’occhio. Ed
essere uno dei prescelti, è come avere un cartello appeso al
collo. In colori
sgargianti, peraltro.
La stanza non era poi molto
diversa da quella che aveva utilizzato nei suoi veri
anni scolastici: una branda, una scrivania, una piccola
libreria e un’alta finestrella da cui spirava aria di mare.
Le pareti erano
pura roccia, essendo l’Istituto stato edificato a ridosso
della montagna. Notò
qualche scarno effetto personale. Un paio di libri di testo scolastici,
un set
di scacchi magici dall’aria costosa. Nessuna foto: Luzhin non
era certo un tipo
che amava arredare.
Oppure
ha liberato la stanza in vista del mio arrivo.
Non si era mai chiesto che
fine
avesse fatto; supponeva che suo
zio
avesse pagato profumatamente lui e la sua famiglia per starsene fuori
dai
piedi.
E
se non sono bastati i galeoni, penso siano state
sufficienti le pressioni.
“Il tuo baule
arriverà tra
poco… hai bisogno di qualcos’altro?” Lo
riscosse Radescu, girandosi la chiave
tra le dita. Gli dispiaceva vederlo nervoso: era evidente che non si
sentisse a
suo agio con l’idea di averlo lì.
È
un élite, e l’élite sta negli spazi a
lei dedicati.
Nessun altro ha il permesso di entrare, o non avrebbero un custode
delle
chiavi.
Ma non poteva preoccuparsi
anche di quello.
“No,
grazie.” Scosse la testa.
Ci ripensò. “Poliakoff è già
arrivato?”
“Ieri sera, sì.” Annuì,
fermandosi sul ciglio della porta. “Te lo vado a
chiamare? Dovrebbe essere in refettorio.”
“Digli che sono
qui, sì.”
Confermò. Doveva aggiornarsi con il russo. Non
c’era molto che dovesse dirgli,
ma forse Kirill aveva nuove informazioni.
Non
sarebbe così improbabile che mio zio dicesse più
a
lui che a me.
Fece
una smorfia e congedò con un
cenno della testa Dionis che si tirò dietro la porta con
delicatezza.
Finché non
arrivava il baule
con dentro il suo Fuoco Magico portatile, parlare con il dottore di
famiglia
era impossibile; a Durmstrang di camini ce n’erano pochi,
quelli bastevoli per
le lezioni o per le cucine.
Passò le dita tra
la pelliccia
di orso che copriva il letto. Era più morbida di quella in
cui aveva dormito per
sette anni.
Era ironico che occupassa la stanza del ragazzo che doveva impersonare
senza
sapere quasi nulla di lui; sì aveva le informazioni
bastevoli per rendere
credibile la sua recita, ma…
Ma non sei Luzhin. Sei tornato ad essere
lui, tutti ti credono lui.
Aveva incrociato ragazzi
sconosciuti e persino volti che ricordava nebulosamente appartenessero
ai suoi
ultimi anni di scuola. Tutti lo avevano salutato usando quel maledetto
cognome,
alcuni gli avevano persino sorriso e si erano complimentati per la
risultato ad
Hogwarts. Il piano di suo zio, dopotutto, stava funzionando.
…
ma non sei lui. Non sei lui.
Non fare nulla lo stava
logorando. Ma in effetti, dalla Prima Prova, cosa aveva fatto di
operativo?
A parte ingannare Lilian…
Si alzò di scatto, gettando un incantesimo
riscaldante attorno alla stanza;
i brividi di freddo che lo scuotevano stavano diventando
insopportabili.
Aveva bisogno di fare
qualcosa, qualsiasi cosa; l’immobilità gli
avvelenava la mente, gli faceva
sanguinare le cuticule delle unghie morse ferocemente.
Sentiva il veleno della sua
incertezza, della sua rabbia, della sua confusione stillargli doloroso
nelle
vene.
Sentì bussare
alla porta.
“Avanti.” Possibile Poliakoff fosse già
arrivato?
Non lo era, ma era l’elfo domestico che trascinava il suo
baule. Lo congedò
velocemente e finalmente ebbe la possibilità di aprire il
forziere contenete il
fuoco magico e chiamare il dottore.
Agrippa, l’aveva
sempre
conosciuto così, era un lontano parente di suo zio. Era un
uomo dall’aria in
apparenza fragile, e la barba e i capelli grigi gli davano
un’aria quasi
polverosa. Sören aveva sentito durante tutta la sua infanzia
la punta della sua
bacchetta sfiorargli la pelle per esaminarla, guarirla.
“Sören,
ragazzo mio, che
piacere!” Sorrise al di là delle fiamme
verdognole. “Anche se ormai dovrei
rapportarmi a te come l’uomo che sei.”
“Buonasera Agrippa.” Replicò cortese.
“Come state?”
“La salute è cosa labile, figliolo.”
Scrollò le spalle. “Ma ammetto che essere
un Guaritore aiuti i miei acciacchi.”
“Ne sono lieto.” Prese un respiro. “Devo
farvi delle domande.” Vedendo l’uomo
premere le labbra in una linea nervosa, aggiunse. “So che non
vi sentite a
vostro agio. Immagino mio zio vi abbia intimato il segreto.”
“Vige anche il principio tra Guaritore e Paziente,
Sören. Il giuramento di
Ippocrate non è solo cosa da babbani…”
“Lo capisco.” Lo interruppe. “Ma
è mio zio.”
L’anziano
sospirò. Lo poteva
vedere anche attraverso il fuoco. “Vostro zio…
è malato.”
Lo sapevo.
Lo sapeva, ma non poté fare a meno di sentire una stretta
allo stomaco, e una
potente ondata di panico scuoterlo. Suo zio era l’uomo che
l’aveva plasmato,
allenato, punito e che gli aveva dato uno scopo fino a quel momento.
Suo zio
doveva essere indistruttibile, eterno, inscalfibile.
Invece era un essere umano,
come lui. Naturalmente lo sapeva, ma non l’aveva compreso fino a quel momento.
“Quanto…
quanto gli resta?”
Perché era quello. Hohenheim stava morendo. Non aveva
bisogno di conferme per
leggerlo nel viso quieto e dispiaciuto del Guaritore che aveva servito
per
generazioni la loro famiglia.
“Non credo che ci sia pozione o incantesimo che possa
guarirlo, ormai.” Esitò.
“Genetica. Non si può combattere. Sono i suoi
polmoni.”
“Non
può essere guarito?”
Neppure con tutta la magia, le Arti Oscure e l’Alchimia che
avevano a
disposizione? Si sentiva frastornato, incredulo. Suo zio sarebbe morto.
E
allora? Cosa succederà? La Thule andrà avanti,
immagino… immagino, credo. Ma
io?
“Temo che non sia nelle mie possibilità,
né in quella di un altro
Guaritore. Vostro zio lo sa.” Ci fu una nuova esitazione. Era
ovvio che
l’anziano mago non sapesse tutto, ma sapesse abbastanza da
voler tenerlo
segreto.
“Cos’altro,
Agrippa?”
“Null’altro che non possiate immaginare…
sta mettendo in ordine i suoi affari,
mi ha detto. È tutto ciò che so, e tutto
ciò che mi ha detto quando gli ho
comunicato che non potevo far molto per aiutarlo, tranne allieviare le
sue
sofferenze.”
Sören
sentì le unghie
premergli sulla parte morbida del palmo, premere e fare male.
Mettere
in ordine i suoi affari…
Non era una mera figura
retorica, un fare testamento, un predisporre un piano per le sue
esequie.
Vuole
fare qualcosa di drastico. Vuole suo figlio, e
non credo sia solo per parlargli o affidargli le fortune di famiglia.
No, era qualcosa di molto
peggio. Non aveva idea di cosa fosse, ma non aveva poi molta importanza.
Perché
ci trascinerà tutti giù con sé, per
farlo…
I mercemagi, la perdita di
contatti costanti con l’Organizzazione, la mancanza di
informazioni,
l’affiancargli un ragazzo inesperto come Poliakoff,
quell’insensato attacco dei
Dissennatori, il portare Thomas lontano
dall’Inghilterra…
“Signore?”
La voce di Agrippa
lo riscosse. “Mi dispiace avervi dovuto dare questa
spiacevole notizia… sarebbe
stato meglio se ve ne avesse parlato vostro zio…”
“Sapete bene quanto me che non l’avrebbe
fatto.” Tagliò corto. Si stupì della
durezza che sentì nel suo tono, ma non cercò di
aggiungervi una diversione
cortese. Non era affatto dell’umore, per eufemizzare.
L’uomo
sembrò infatti a
disagio. “Non dite così, siete il suo unico
nipote…”
No, sono un mezzo. Come lo siete voi,
come lo è Kirill, o la Thule …
“Grazie Agrippa.
Sarete
ricompensato per la vostra sincerità.” Disse,
ammorbidendo l’asprezza che
sentiva premere lungo la gola. “Naturalmente questa
conversazione deve rimanere
tra me e voi.”
“Naturalmente.” Confermò il Guaritore;
Sören poteva fidarsi del silenzio
dell’anziano mago. Una delazione avrebbe portato guai anche a
lui. “Temo di
dovermi congedare…” Infatti non vedeva
l’ora di terminare quella conversazione.
Non era il solo.
“Certo, porti
saluti alla sua
famiglia.”
“Lo farò. Sempre vostro servo, Signore.”
Con un lieve cenno ossequioso della
testa sparì tra le fiamme.
Sören fece appena in tempo a chiudere il forziere che
sentì bussare alla porta.
“Sören, sono Kirill!”
“Entra.” Tempismo imperfetto, ma andava bene
così. Fu quasi sollevato di
vederlo; non aveva voglia di restare solo con i propri pensieri.
Il ragazzo si chiuse la porta alle spalle, guardandosi attorno.
“Ma come? Non
ti sei già sistemato?”
“Il baule è arrivato pochi minuti fa.”
Scrollò le spalle. Il russo lanciò
un’occhiata al fuoco portatile, ma non disse nulla. Si
guardò attorno e poi
sbuffò.
“Beh, mi avevi
mandato a
chiamare, no?” Dalle briciole presenti sulla sua divisa era
chiaro gli avesse
interrotto un pasto. Uno dei tanti.
Direi
che gli ho fatto un favore… le vacanze natalizie
non hanno aiutato la sua dieta.
“Hai ricevuto
ordini da mio
zio?” Gli chiese a bruciapelo. Non si preoccupò
dell’impressione che poteva avere
l’altro sentendolo chiedere, invece che sapere.
Kirill aggrottò
le
sopracciglia, poi si strinse nelle spalle. “Nessuno. Pensavo
li avessi tu…” Un
lampo confuso gli balenò nello sguardo, ma
null’altro. Perché non chiese.
Non
è preoccupato?
“Dobbiamo andare
avanti con il
piano.” Si risolse a dire, per non fare seguire un silenzio
forse rivelatore
della sua inquietudine. “Aspettare la Seconda Prova. Hai
materiale per me?”
“Certo.” Confermò con un cenno.
“Se vuoi te lo posso mostrare adesso. La mia
camera è poco distante da qui.” Sembrava
tranquillo e fu questo a metterlo in
allarme.
Gli
ho appena detto che praticamente non ho ordini da
mio zio e lui non chiede perché?
Lo
guardò a lungo, ma non vide niente
che potesse fargli intendere che nascondeva qualcosa. Sempre la stessa
espressione stolida, sempre la stessa piega arrogante delle labbra.
E non è un Occlumante…
me ne accorgerei.
Poliakoff, lo
realizzò in quel
momento, era un elemento imprevedibile, in quella storia. Sembrava
troppo
stupido per avere la confidenza e soprattutto, la fiducia, di suo zio.
Eppure …
Eppure non devo presupporre che sia tutto
qui.
Perché ora, tutto
quello, era un problema. Era una
corsa verso
l’abisso. E forse un tempo non si sarebbe accorto di stare
per cadervi dentro.
Anzi, se suo zio glielo avesse chiesto, avrebbe addirittura accellerato
fino a
non sentire più il terreno sotto i propri piedi.
Ma adesso
quell’abisso lo
vedeva. E lo spaventava, a morte.
****
Highlands,
Scozia. Notte.
Rose rischiò
quasi di ficcare
un piede nello sterno di qualcuno quando tentò di
stiracchiarsi.
L’idea del pigiama-party poteva essere carino, ma quando si
era sedici persone
pigiate in uno scompartimento che doveva contenerne otto non era
esattamente
agevole. Loro e il gruppo del coro avevano chiacchierato, aperto dolci
e
persino cantato vecchi successi babbani e wrock fino a tardi. Quando il
sonno
era arrivato, era finito tutto in un gran caos di coperte, cuscini e
persone
che dormivano per terra. Tom e Albus erano gli unici veramente comodi,
anche se
dividevano un solo letto; Rose supponeva che nessuno sano di mente
avrebbe
chiesto a Thomas Dursley di
lasciargli un po’ di spazio sul materasso. Tranne Albus, che
gli aveva
appoggiato la testa su petto con la naturalezza di anni di dormite alla
Tana.
Devo ammetterlo… quando dorme Tom
riesce persino
a sembrare carino. Dopotutto
è privo
di sensi.
Era bizzarro che fosse
rimasto, ma dopotutto era strano anche che avesse riportato loro Albus
dopo che
era scomparso con la scusa del giro di perlustrazione.
“Rosie?”
Si sentì chiamare
nella penombra. Malfoy le era appiccicato addosso, caldissimo e
incuneato tra lei
e la parete. Doveva stare scomodo, considerando la sua stazza non
esattamente
da matricola. “… Sto perdendo un
braccio.” Piagnucolò infatti.
Rose sbuffò, ma
non aveva
tutti i torti. Non si sentiva i piedi da mezz’ora.
“Andiamo a prendere un po’
d’aria. E vedi di non uccidere nessuno, passando.”
“Parla per te, Weasley.” La rintuzzò e
dal tono sembrò immensamente sollevato.
“Noi Malfoy siamo leggiardi.”
“Allora la
leggiadria deve
aver saltato una generazione.” Replicò.
Con molti tattici passi in diagonale e qualche calcio non voluto,
seguito da
lamenti assonnati, riuscirono ad uscire in corridoio. Fuori dai
finestrini il
buio della brughiera era punteggiato da qualche scarsa luce; paesini
babbani
ignari che un treno magico sfrecciava sulle loro terre.
“Woah!”
Scorpius si stirò
smodatamente. “Stavo per perdere l’uso degli arti!
E poi chi lo diceva a quelli
del Torneo?”
“Esagerato.” Sbuffò stringendosi la
vestaglia addosso con un brivido di freddo;
all’interno del vagone letto faceva un caldo torrenziale.
Fuori, un freddo
abbacinante.
La dinamica dell’escursione
termica…
“Questa
promiscuità farà
venire un infarto alla vecchia McGrannitt domattina.”
Ghignò l’altro per tutta
risposta. “Ma dopotutto che si aspettano? Non hanno messo
muri o scale
scivolose a guardia di voi graziose fanciulle.”
“Come se avessimo bisogno di guardiani…”
Sbuffò divertita, inarcando poi un
sopracciglia al leggero pigiama dell’altro. “Ma non
hai freddo?”
“Bambinaal Malfoy Manor questa temperatura è
considerata gradevole. Vieni tra le
mie forti braccia!” E la attirò a sé,
strizzandola un po’. “E riscaldati!”
Rose si mise a ridere, non potendone farne a meno. Gli battè
una pacchetta sul
petto. “Sì, Malfoy… funzionerebbe se
non avessi la temperatura interna di un
rettile.”
Scorpius spalancò la bocca oltraggiato. “Guarda
che non è colpa mia se ho i
piedi freddi!”
“Sono due pezzi di ghiaccio, non li hai soltanto
freddi.”
L’altro
sbuffò, senza mollarla
di un centimetro. Rose sapeva di essere mediamente più calda
di quel vampiro
biondo, quindi si limitò a farsi usare con scaldino con enorme spirito di sacrificio.
“Mini-Potter era strano…”
Mormorò dopo un po’ Scorpius, con la guancia
appoggiata sui suoi capelli. “… sembrava
angosciato.”
“Puoi biasimarlo?” Sospirò guardando
verso lo scompartimento. Se Al e Thomas,
due notabili solitari, preferivano passare del tempo con un branco di
Grifondoro e Tassorosso – era questa la maggioranza
– significava solo una
cosa.
Vogliono
pensare il meno possibile.
“No.”
Confermò Scorpius serio.
La sciolse dall’abbraccio. “È
solo… che vorrei davvero
poterli aiutare. L’anno scorso in qualche modo siamo stati
utili, no? Invece quest’anno…”
“È meglio così.” Si
appoggiò alla parete di legno, scivolando a sedere, subito
imitata dal suo ragazzo. Aveva un suono dolce quella parola.
Probabilmente
la userò al posto del suo nome per
mooolto tempo.
“Pensaci,
l’anno scorso
abbiamo rischiato di metterci nei guai un sacco di volte.”
Riprese. “E poi,
alla fine, le cose si sono sistemate senza che avessimo voce in
capitolo. Forse
è giusto così.” Si strinse nelle
spalle; ci aveva pensato, a chiedere ad Albus
se potesse essergli utile, in qualsiasi modo. Ma la realtà
era che tutta quella
storia era spaventosa, oltre le loro possibilità. Il cugino
ci era entrato non
per il malato desiderio di provare emozioni forti, ma perché
non voleva
abbandonare Tom.
Odiava Tom, per quello; lo
odiava perché aveva forzato Albus ad entrare in una
situazione che, lei lo
sapeva bene, lo spaventava a morte. Al non era Harry Potter. Era il suo
migliore
amico, che voleva diventare Guaritore e che dormiva ancora con un
peluche.
Si sentì sfiorare la guancia da un dito. “Uno
zellino per i tuoi pensieri.” La
apostrofò Scorpius, inarcando le sopracciglia indagatorio.
“Sto solo
pensando…” Esitò,
poi continuò perché quel pungono andava
condiviso. “… sto solo pensando che se
succedesse qualcosa ad Al… sai, per la faccenda di Tom e di
suo padre…” L’altro
annuì. “Beh… sarebbe tutta colpa di
Tom.”
Scorpius la fissò perplesso. “Non credo che
Dursley volesse questo per lui e
mini-Potter.”
“Sì,
ma…” Detestava quando l’altro
la faceva sentire sciocca; perché ci si sentiva. Ma non
poteva fare a meno di
pensare che Thomas fosse orribile ad … essere chi era.
Scorpius si fece serio, sospirando. “Rosie, vuoi bene ad Al.
Normale. Ma non è
un bambino… ha scelto lui di stare accanto a
Dursley.” Si grattò la nuca. “E in
tutta franchezza, non so se sarei capace di fare una cosa del genere
per
qualcuno. È tosto.”
“Al è
straordinario.”
Convenne, e poi rimasero in silenzio. Il rumore dei binari, secco e
monotono,
la cullò nel dormiveglia. Si avvicinò
maggiormente a Scorpius: poteva essere un
ghiacciolo, ma non era importante al momento. Fu ricompensata da un
braccio
attorno alle spalle e dal profumo di pulito del suo pigiama costoso
filato
sfruttando chissà quanti elfi domestici.
“Durmstrang non
sarà una
passeggiata, vero?” Mormorò. “Per
nessuno di noi.”
“Diventeremo grandi e forti.” Rispose Scorpius
dandole un bacio sulla fronte.
“E un giorno, avremo un sacco di cose da raccontare ai nostri
dodici figli.”
“Dodici…”
Si bloccò. “Dodici?”
“Voglio una famiglia numerosa, fiorellino!”
Ghignò l’altro con aria beata. E
anche un filino maniacale, come sempre quando partiva per la tangente
delle sue
elucubrazioni mentali “Pensaci, potremo fare a
metà. Metà dei nostri figli
avranno nomi della tradizione Malfoy, e l’altra
metà…”
“L’altra metà scordatelo, idiota. Sono
una ragazza, non un forno.” Le veniva da
ridere, anche se fino ad un momento prima si era sentita sperduta, come
quel
piccolo treno in mezzo ad una dannata distesa di nulla. “E
non chiamerò mio
figlio Aldebaran.”
“Che ne dici di Cygnus?”
Rose non potè fare a meno di scoppiare una risata che
sciolse il magone come
neve al sole. Il matrimonio sembrava, ed era, una cosa lontanissima. Ma
andava
bene parlarne; era meglio che riflettere troppo su Durmstrang.
Sentirono la porta dello scompartimento aprirsi. Ne uscirono un
arruffatissimo
ed insonnolito ad Al, seguito da un apparentemente sveglio e
compostissimo Tom.
Sembra
sempre non dorma mai. Forse ha una bara da
vampiro a casa sua e ad Hogwarts fa finta.
“Ehi.”
Sbadigliò Al. “Che fate
qui fuori?”
“Mi avete
svegliato.” Li
accusò Tom con aria mortifera. Al gli rifilò una
gomitata che lo reso molto
meno spaventoso. Più che altro, dolorante.
“Parliamo.” Scrollò le spalle Scorpius.
“Lì dentro manca l’aria e al mio corpo
statuario
anche lo spazio.”
“Sei un cerebroleso, Malfoy.” Sospirò
Tom. “Tutte quelle cadute dalla scopa…”
Si trovarono tutti e quattro
a
guardarsi, sapendo esattamente cosa ciascuno di loro stava pensando.
Cosa
temeva sarebbe successo e sperava invece accadesse.
Scorpius si
strofinò le mani
per riscaldarsele. “Allora!” Esclamò
spezzando il silenzio e Rose fu quasi certa
di vedere un lampo grato nello sguardo di Thomas. “Partita a
Sparaschiocco?”
Morgana, se amava il suo
Malfoy.
****
Poliakoff si richiuse la
porta
della stanza dietro le spalle: non aveva molto tempo prima che
Sören tornasse.
Non era tipo da gustarsi una cena. Mangiava poco, meccanicamente.
Era una vera pena capitale
vedere come si alimentava, perché mangiare non era un verbo
adatto; dubitava avesse
persino un cibo preferito.
Per sicurezza
castò un
incantesimo di rilevamento attorno alla porta, poi aprì il
baule del fuoco magico
portatile. Vi lanciò una scarna manciata di polvere
– Sören non doveva
accorgersi della diminuzione nel piccolo cofanetto.
Il volto di Hohenheim si palesò immediatamente. Sapeva che
aveva un fuoco
portatile sopra la scrivania. Il Maestro non poteva essere tipo che si
inginocchiava davanti ad un focolare.
“Ode alla
Thule.” Recitò.
“Poliakoff.
Aspettavo la tua
chiamata.”
“Mi scusi, ma Sören ci ha messo più del
previsto a disfare i bagagli e non
dispongo di un fuoco portatile…
inoltre…”
“Quale novità mi porti?” Lo
bloccò. “Le tue impressioni, ragazzo.”
Kirill ispirò. Era un onore. Era un onore il compito che gli
era stato dato, da
Von Hohenheim in persona. “Credo che lei abbia ragione.
È inquieto.” Inspirò
passandosi le dita tra il ciuffo di capelli che gli era caduto sugli
occhi.
Tutta quella storia lo faceva sudare. E le scale che portavano
all’ala dell’élite
non erano poche. “… Si comporta in modo strano.
Forse sospetta qualcosa.”
“Questo è certo. Mio nipote non è un
idiota. Non glielo avrei permesso.”
Replicò. Poliakoff chinò la testa in assenso.
“Devi tenerlo d’occhio. Non
lasciare il suo fianco neppure per un attimo.”
Kirill annuì di nuovo; così, dunque, Von
Hohenheim pensava che Sören potesse
tradire la Thule. All’inizio di quella storia gli sarebbe
parso assurdo. Quel
damerino gli erano sembrato una specie di manichino senza spirito, che
viveva
in attesa di ordini.
Ma
poi ha perso la testa per la gallinella che doveva
avvicinare…
che imbecille.
“Per il resto,
Signore?”
“Va’ avanti con il piano. Tieni tranquillo mio
nipote, e informati sulle
routine di mio figlio. Non devono esserci errori, non
stavolta.”
“Sarà fatto.”
Non ci furono saluti o commiati, il fuoco sparì in uno
sbuffo di fumo, e Kirill
fu lesto a richiudere il bauletto e riporlo sotto la branda dove era
stato
precedentemente posizionato.
****
“Milo.”
Essere un servitore era dura. Passare il tempo a cercar riparo nel
quartiere
magico di Lubecca e non trovarlo era peggio, certo, ma ore intere a
rimanere
fermo in un angolo ad attendere ordini era… sfibrante.
“Signore.” Si fece avanti. Hohenheim aveva avuto
una breve conversazione in una
lingua che non conosceva, forse russo a giudicare dai suoi slavi che
aveva
percepito. Sembrava infastidito, ma era difficile dirlo visto che non
vi erano
lineamenti più duri di quelli di Alberich Von Hohenheim.
“Prendi il
candelabro.” Voleva
che lo scortasse; era un po’ che succedeva. Era molto
però, aveva sentito dire
da Etzel, che il padrone non utilizzava la bacchetta, neppure per un lumos.
In ogni caso obbedì e accese il grosso manufatto in ottone
che rischiarò i loro
passi; poteva essere giorno come notte. A volte gli sembrava di vivere
una
notte senza fine.
Capisco
che non è sempre lo stesso giorno dal fatto che
le mie ferite stanno guarendo. Solo da questo.
Affiancando lo stregone non
aveva bisogno di sapere dove stessero andando. In cima ad una scala,
l’uomo
tese la mano. “Da qui continuo da solo.”
Milo gli passò il candelabro senza una parola; ogni palazzo
aveva delle stanze
proibite, o segrete. Ed infatti; lavorava lì da cinque mesi,
e non era la prima
volta che veniva in quell’ala del castello. Soloper scortare
il padrone che poi
spariva inghiottito da una porta che si riapriva solo molte ore dopo.
“Aspettami
qui.” Gli ordinò.
Milo si limitò ad appoggiarsi alla parete fredda dietro di
sé. Non che dovesse
ribattere; si lasciò dunque inghiottire dalle tenebre
docilmente.
Perché sapeva, ad
istinto, che
erano di gran lunga meglio quelle, rispetto a ciò che
c’era là sopra.
****
Note:
È passato un
delirante periodo
di tempo, lo so. E questo capitolo non è neanche allegro.
Il prossimo però sarà esplosivo. Al
goes wild.
(Immaginate anche perché :P)
In questo periodo mi sono stati fatti tanti regali meravigliosi. Vorrei
linkarli tutti , ma visto che sono un culopeso da paura, vi invito a
friendare la mia pagina facebook sopra alla mia pagina profilo(dicendomi magari chi siete ^^) ed
ammirarli nella loro fulgida bellezza nella cartella immagini.
Dio, ho bisogno di una vacanza dalla vita reale... ah! Risponderò alle recensioni il prima possibile. Le leggo e davvero, GRAZIE.
1. Qui la canzone.
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Capitolo 49 *** Capitolo XLVI ***
Capitolo XLVI
Nella vita di un uomo, prima
o poi,
arriva un giorno in cui,
per
andare dove deve andare, se non ci sono porte né
finestre, gli tocca sfondare la parete.
(Rembrandt's
Hat, Bernard Malamud)
6 Gennaio 2023
In viaggio verso Durmstrang.
Al fu svegliato da rumore di
qualcosa che strideva.
Sul momento non capì cosa fosse; di certo era molto
più semplice rotolarsi trai
rimasugli delle poche ore di sonno che si era fatto. Accanto a
sé sentiva il
corpo di Tom premere contro il suo nel ritmo regolare del sonno.
Si stropicciò gli occhi alla luce impietosa del mattino
facendo un breve recap
della situazione attuale; avevano finito per tornare nei dormitori
maschili,
lui, Rosie e gli altri. Vedeva i capelli castagna matura di della
cugina come
una macchia sfuocata a pochi metri di distanza.
Promiscuità…
se non torniamo tutti ai nostri posti
prima che si sveglino i professori siamo fregati.
Sbadigliò,
pronto a riportare tutta la
delagazione ai posti assegnati e farsi insultare per questo; quando
sarebbero
stati capaci di intendere e di volere, avrebbero ringraziato.
Lo stridio si
ripeté, poco
distante dal finestrino. Buffo, sembrava un gabbiano.
Siamo vicini ad una città di mare?
Siamo
già arrivati?
Gli sembrava strano. Secondo i suoi calcoli sarebbero dovuti
arrivare verso
sera, se non direttamente il giorno dopo ancora.
Un
treno non è veloce come una nave. Credo. Insomma, ci
mette più tempo, non può fare certo una linea
dritta dall’Inghilterra a
Durmstrang.
Si
stiracchiò doverosamente, dando il
buongiorno alle proprie vertebre; lo divertiva sempre notare come Tom
evitasse
quel gesto, onde evitare rumori inquietanti.
Se
rifugge lo sport poi non deve lamentarsi se cigola
come una vecchia porta.
Aveva voglia di respirare un
po’ d’aria fresca e gli sembrò
un’idea del tutto legittima andare alla finestra
ed aprirla. Con un po’ di fortuna il baccano avrebbe
svegliato almeno Tom.
Quando si avvicinò alla finestra rimase perplesso;
c’erano sul serio gabbiani
che svolazzavano ad altezza uomo.
Bizzarro.
Si bloccò vedendo
che c’era
acqua al di là del finestrino; ma non era un fiume,
né una costa che lenta
digradava verso l’Oceano.
C’era acqua e basta. Acqua cobalto, onde spumose e…
Dov’è la terraferma?
Si appoggiò di colpo al davanzale pensando di
stare ancora sognando o
avendo allucinazioni piuttosto vivide.
Non le aveva, il treno era davvero sul mare. Dentro il mare. Nel mare.
Per
tutti i boccini della Gran Bretagna!
I
vagoni stavano solcando il mare come
avrebbe fatto una nave; e non c’erano binari a dare direzione
alla sua corsa,
ma avanzavano spediti a giudicare dal fumo che beccheggiava
all’angolo del
finestrino.
Era magia. Era una magia
così
straordinaria che Albus si sentì salire spontaneo il sorriso
sulle labbra;
quello che poteva aspettarli poteva essere poco bello, ma solo il
viaggio valeva
la pena di essere lì. Per il momento. In quel
momento.
Tornò da Tom e lo
scosse per
una spalla. L’altro aprì gli occhi di scatto,
aggrottando subito dopo le
sopracciglia. “Perché mi stai svegliando? Non ho
voglia di fare colazione.”
“Non è per questo, alzati!” Lo
incitò.
Tom con un sospiro gli obbedì; appena sveglio, prima che
mettesse in moto tutti
i suoi processi misantropi, era piuttosto collaborativo. Lo
trascinò di fronte
alla finestra. “Guarda!”
Tom sbadigliò sporgendosi poco convinto. “In che
città siamo, che sei tanto
eccitato?”
“Nessuna città.” Sorrise, e poi
ghignò quando vide Tom spalancare gli occhi di
pura e genuina meraviglia.
“Stiamo
affondando?” Chiese
con vago tono allarmato.
Il solito disfattista.
“No, scemo.” Sbuffò divertito.
“A dirla tutta, stiamo solcando i mari.”
Tom si sporse, quasi volesse
eludere
la barriera del finestrino e afferrare l’acqua con le mani
per sincerarsi fosse
vera. “È una magia complessa.”
Mormorò con quel tono speculativo che preludeva
una chiusa totale in biblioteca per eviscerare i segreti
dell’incantesimo di
turno. Per fortuna, non c’erano biblioteche per miglia. Marine.
“Pazzesco.”
Convenne,
sporgendosi accanto a lui. “Hogwarts è grandiosa,
eh?”
Tom gli lanciò uno sguardo di sottecchi; sì,
intendeva esattamente dire che se
Hogwarts era capace di quello, sarebbe stata anche capace di
proteggerli. L’altro
dovette intuirlo, perché accennò un mezzo
sorriso.
“Hogwarts,
Hogwarts del mio
cuore, te ne preghiamo, insegnaci bene giovani, vecchi,
o del Pleistocene…”
Recitò a mezza bocca. Al pensò che fosse
un filino inquietante che Tom potesse afferrare così
agevolmente i suoi
pensieri. Poi pensò che, visti i precedenti, non era poi
cattiva cosa.
Fa schifo ad
empatizzare
con chiunque, ma è meglio che sia perlomeno decente nel
farlo con me.
“Hai
sempre odiato quella canzone.” Ridacchiò,
osservando il volo breve eppure
aggraziato dei gabbiani. Dovevano averli seguiti dalla terraferma.
“Non hai mai
voluto cantarla.”
“Perché è stupida.”
Scrollò le spalle. “Alcune cose di Hogwarts sono
francamente ridicole… avanzi della presidenza Silente, del
resto.”
“Tom…”
“Albus.” Ghignò
schivando una gomitata. “Però… ci ha insegnato,
questo
è vero.” Ammise piano. “È
capace di mettere un treno sull’acqua.”
Al
appoggiò il braccio contro il suo. “Mi manca
già…” E sapeva che per Tom era lo
stesso; era stata la loro casa per sette anni, e abbandonarla prima del
previsto, prima dello scadere del tempo, faceva comunque uno strano
effetto.
Tom
si chinò appena per sfiorargli con le labbra la fronte, e
lì rimase. Erano gli
ultimi momenti che avevano per loro in quella giornata, e probabilmente
per le
seguenti; Al sapeva di avere una scaletta da violazione dei diritti
umani per
quanto riguardava le relazioni con Durmstrang.
“Sin
da prima mattina? Ragazzi, ci sono dei maschi eterosessuali
impressionabili
qui!”
Al
quasi sobbalzò e lanciò uno sguardo imbarazzato a
Scorpius che stava
sbadigliando, seduto sul proprio letto.
“Malfoy, fa’ un favore al mondo e regala al tuo
cervello sovra-eccitato
un’altra mezz’ora di sonno.”
Replicò gelido Tom, che Al scommetteva fosse imbarazzato
quanto lui, ma molto meno disposto ad ammettere la parte di ragione del
biondo.
“Nah,
sono riposato.” Si alzò in piedi, dando un
colpetto alla mano di Rose, stesa
vicino a lui. La ragazza alzò la testa dal cuscino.
“C’è un motivo per cui mi svegli
all’alba?” Bofonchiò.
“Oh… no, aspetta non è
l’alba.” Si tirò a sedere, di colpo in
allarme. “Non è che i professori ci
hanno beccato?”
“No, non ancora.” Scosse la testa Al, divertito
dallo scandagliare forsennato
della cugina; aveva quello singolare senso di adesione alle regole che
la
portava a preoccuparsi di seguirle, sì. Ma solo quando le
aveva ben che
infrante.
“Ma
quelli sono gabbiani?” Esclamò
Scorpius, facendosi spazio tra di loro.
Tom lo incenerì con lo sguardo, ma fu ignorato; Scorpius
doveva aver capito capito
che l’altro serpeverde era molto facciata e poche intenzioni
quando qualcuno gli
era, più o meno, simpatico.
E Scorpius, a modo
suo, gli
piace.
“Ehi!”
Sbottò Scorpius di colpo. Quando era eccitato sembrava non
importargli di
alzare la voce fino ad assordare qualcuno. “Siamo navigando!”
Esclamò
con la loro stessa meraviglia dipinta negli occhi. Li raggiunse Rose,
altrettanto perplessa e poi sbalordita alla stessa vista.
Vedere le onde dell’oceano schizzare di schiuma un finestrino
del treno era
piuttosto… insolito.
Come
vedere i delfini che saltavano a neppure un metro di distanza da loro,
giocosamente.
Al
si trovò estasiato come un bambino di sei anni, tirando il
braccio a Rose e
viceversa. Subito dopo, dovettero convincere Malfoy a non aprire il
finestrino
per accarezzarli.
“Siamo
in troppi. Affacciatevi da altri finestrini.”
Sbuffò Tom, tirandosi indietro
per non rischiare ulteriori contatti con gli altri due. “E
comunque sono solo pesci.”
“Sono
mammiferi, ignorante.” Ribatté Rose scoccandogli
un’occhiata da film western. Al
ricordò con terrore come le indoli di Tom e la cugina si
assomigliassero,
appena alzati.
“Prego?”
“Eddai, Dursley!” Esclamò Malfoy con un
piglio da paciere per cui Al l’avrebbe
baciato. “Si chiama condividere un’esperienza.
Goditelo, fa parte del bagaglio
di ogni essere umano!”
“Evito
volentieri, grazie.”
Sentirono
un lieve schiarirsi di voce alle loro spalle. Era Teddy, già
vestito e sbarbato
– beh, per lui non era difficile compiere la toilette
mattutina dato che poteva
farsela sparire, la barba. Li stava fissando con un
blando sguardo
divertito.
Ha assistito a
tutta la
pantomima? Ceeerto che sì.
“Ops.”
Mormorò Malfoy.
“Fingerò di non sapere che Rose ha dormito qui e
che il resto delle delegazione
è in una sola stanza come non dovrebbe.” Sorrise
divertito. “E sì, il treno è
incantato. Saremo a Durmstrang prima di mezzogiorno. Cioè
tra poche ore.”
Al
fece un mezzo sorriso di scuse, mentre gli altri fingevano di non
essere lì in
più gradi di imbarazzo. Tom ignorava il tutto.
“Vado a non svegliare gli
altri, che non dormono in una stessa stanza,
professor Lupin.”
“Bene.” Convenne Ted. “Ci vediamo nel
vagone ristorante.”
****
Lily si svegliò a
causa di un
grosso scossone. Non ebbe ben chiaro cosa lo avesse provocato, ma quasi
le
cadde addosso una gabbia con tanto di occupante in testa.
Doveva essere stato uno scambio rugginoso o roba del genere. Non che
fosse
ferrata in materia.
Si sbadigliò,
sentendosi anchilosata
e intirizzita; una combo micidiale che avrebbe ucciso chiunque, se non
si fosse
preventivamente coperta con più strati di stoffa.
Aveva fame. Aveva
sbocconcellato un panino la sera prima ma adesso percepiva i morsi della fame.
Solo
ancora un po’… solo ancora un po’.
Inspirò,
liberandosi del
mantello dell’invisibilità che le aveva protetto
il sonno e si stiracchiò.
Sentiva uno strano,
singolare
odore salmastro.
Siamo
già arrivati? Ottimo!
In realtà non lo
era affatto;
era arrivato il momento topico del suo piano e si rendeva conto, sempre
più
velocemente, che non sarebbe piaciuto a nessuno.
Mi
sono preparata… ho fatto le mie ricerche. Andrà
tutto bene.
Non
possono sbattermi fuori.
Il training autogeno era
l’arma migliore in quelle situazioni. Si risedette nel suo
giaciglio di fortuna
e pescò dallo zaino un’arancia, che
sbucciò con attenzione, aspirandone
l’odore. Passare un’intera notte in compagnia di
Famigli, alcuni dei quali
mammiferi dalla scarsa igiene, non era stato esattamente… piacevole.
Morgana,
darei il mio regno per una doccia bollente e
vagonate di bagnoschiuma.
Succhiò la polpa
aspra del
frutto, guardandosi attorno; non si sbagliava, era cambiato qualcosa
dalla sera
prima. Gli scossoni regolari dovuti alle rotaie erano scomparsi e
sentiva…
Acqua?
Possibile che senta il rumore dell’acqua?
Non c’erano
finestre in quel
vagone, tranne una serie di minuscole feritoie in alto per arieggiare
l’ambiente; le era quindi impossibile capire dove si trovasse.
Le prese di colpo un panico
inspiegabile; non sapere dov’era, o cosa stesse succedendo,
la fece alzare di
scatto in piedi e ingoiare gli ultimi spicchi di arancia.
Era ridicolo
perché il vagone
andava dove andava il treno, e non era quindi stata separata dal gruppo.
Eppure.
Sentì aprirsi la
porta di
colpo. Fece un balzo per afferrare il mantello, ma non ebbe il tempo di
indossarlo del tutto, perché le si palesò davanti
il volto sbalordito e pallido
di un suo compagno del coro; Harper, un Corvonero del Primo.
Oh,
cavolo.
“Harp…” Tentò, ma
quello cacciò un urlo degno di una
banshee.
In effetti vedere una testa ondeggiare nel nulla poteva essere un
filino
insolito.
Oh,
CAVOLO.
****
“Guardate, si vede
la
terraferma, siamo vicinissimi!”
Albus alzò la testa dalle cinghie del proprio zaino. Quello
dove aveva infilato
le cose che potevano servirgli al momento; quello dove Tom aveva deciso
di
infilare quattro libri dalla
copertina rilegata dal peso complessivo specifico di un cadavere.
Si riscosse dunque dalla
contemplazione del suo zaino-cassa-da-morto. A parlare era stato un
ragazzo del
coro. Ci fu una specie di raggruppamento folle attorno ai finestrino,
che vide
Malfoy arrivar primo con uno scatto da centometrista.
“È
vero! E’ tutta… seghettata!”
Esclamò tra l’approvazione
generale.
“Si chiamano fiordi.” Sospirò Tom
mentre uno spasmo
segnalava quanto trovasse dolorosa l’ignoranza altrui.
“Siamo in Norvegia.”
Dato che tutti ignorarono la sua spiegazione, Al, impietosito, decise
di dargli
udienza. “La scuola quindi sarà su un
fiordo?”
“Presumibilmente.” Convenne, mentre il resto della
delegazione maschile congetturava
dove esattamente si trovassero al momento. Lanciò loro
un’occhiata luciferina,
ma lasciò perdere. “La delegazione di Durmstrang
è arrivata in nave. È ovvio
che abbiano un porto e dunque un accesso al mare o ad un lago collegato
ad esso
tramite fiume.”
“Come Hogwarts.” Riflettè, tirando fuori
il libro più pesante e gettandoglielo
in grembo. Tom fece una smorfia ma non cercò di infilarcelo
una seconda volta.
Anche
se ci riproverà di sicuro nel viaggio di ritorno.
“Secondo i miei
calcoli
dovremo trovarci nella parte Ovest della
Norvegia…” Aprì il libro che si
rivelò
nient’altro che una guida turistica babbana. Al
notò sorpreso che era piena di
carte geografiche molto più complesse di quelle magiche.
“Dovremo essere più o
meno qui.” Tom indicò un punto nella pagina,
ancora mare, ma vicino alla
terraferma. “Se ci abbiamo messo così poco
dobbiamo aver proceduto in linea
retta… ad occhio e croce dovremo trovarci nel Vestlandet¹.”
Al finse di non trovare
piuttosto sexy la pronuncia germanica – sicuramente
sbagliata, ma poco
importava, di Tom. Non era il momento.
Stupidi
ormoni.
Riportò un occhio
sulla guida
dell’altro. “Quindi… fiordi.”
Articolò esitante. Per quanto lo riguardava
quella cartina era un insieme caotico di linee frastagliate, segni
incerti e
pallini colorati.
Tom sospirò
divertito. “Voi
maghi non sapete assolutamente niente di geografia.”
“Io non sono andato a scuola come te!”
Ribatté piccato, sentendosi arrossire.
“Comunque non è colpa mia se metà dei
luoghi magici sono Intracciabili sulle
mappe, non rendono facile lo studio della materia.”
“In effetti…” Chiuse la
guida e la infilò nel proprio borsone. Kafka era
l’unica cosa che aveva messo
in stiva. Viaggiava leggero, e quasi lo invidiò.
Mamma
mi ha costretto a portare una valigia extra…
La porta scorrevole che
separava il vagone-letto dal corridoio si spalancò di colpo,
con un gran rumore
di legno sbattuto.
“C’è
una testa mozzata sul
treno!” Urlò un ragazzino che Al
ricordò si chiamasse Harpie o direttamente Harper.
L’avrebbe ignorato come ignorava gli scherzi roboanti di
James – perché
sembrava tanto uno di quelli - se non fosse che Harpie sembrava
più pallido di
un lenzuolo.
Decise di prendere la situazione in pugno, vedendo il luccichio
pericoloso
negli occhi di Malfoy.
Niente
crociate, grazie. Non abbiamo messo ancora piede
in Norvegia.
“Dove
l’hai vista?” Chiese
gentilmente. Con i primini si doveva usare ogni premura per farli
parlare.
O
si spaventano. Sono così fragili…
“Ne…
nel vagone bagagli. Ero
andato a controllare il mio topo e a dargli da mangiare e…
ho visto la testa di
una ragazza fluttuare nel
vuoto!”
Sussurrò concitato, mentre tutti facevano cerchio con facce
preoccupate – ed
eccitatissime nel caso di Malfoy.
“Che aspetto
aveva? Aveva del
sangue addosso?” Chiese il biondo, che presumibilmente era
cresciuto a racconti
dell’orrore come fiabe della buonanotte. “Le
mancavano dei pezzi?”
“Non aveva la testa,
Malfoy.” Si
inserì puntiglioso Tom.
“No…
non lo so.” Bofonchiò Harper–
ecco sì, era il cognome – mentre un compagno gli
allungava pietoso della
cioccolata. “Sono subito scappato… non
l’ho guardata in faccia, ma… ecco, aveva
i capelli rossi.”
Al si sentì piovere un orribile presentimento sulla testa.
Di quelli che
avevano la forma e il peso specifico di un’incudine.
Testa
fluttuante. Capelli rossi.
…
due elementi ricorrenti nella mia famiglia.
Ti
prego, no.
“Sei
sicuro?” Chiese sentendo
lo sguardo di Tom su di sé. Doveva aver già
capito, di sicuro.
“Sì.”
Confermò, orribilmente
certo.
TI
PREGO, NO.
“Va bene Harper,
grazie.” Gli
sorrise incoraggiante. “Siediti e mangia la cioccolata. Vado
subito a parlarne
con i professori.”
“Vengo con
te!” Si inserì
Malfoy, ormai incontenibile. Seriamente, doveva avere quella malattia
babbana
per cui gli era impossibile restar fermo per più di pochi
secondi.
“No.”
Tagliò corto. “Vado da solo.” Il tono fu
sufficientemente
fermo dato che l’altro, per puro miracolo, non
ribatté, limitandosi a guardarlo
indispettito e mogio.
“Fa’
attenzione.” Disse Tom,
anche se lo sguardo diceva tutt’altro.
Non
credo nelle coincidenze – diceva.
Non ci credeva neanche
Albus.
Pochi attimi dopo
– gli
sembrava di aver volato dalla
camerata al vagone dei professori – bussò allo
scompartimento di Teddy. Quello
gli aprì con un sorriso perplesso.
“Al, qualche
problema?”
“Sì.” Non imbellettò la
situazione. Perché quel presentimento era ormai
incombente sulla sua testa. “Harper ha visto una testa
mozzata nel vagone
bagagli. Una testa mozzata nel vuoto.”
Ted non era uno sciocco e
soprattutto
aveva passato un’intera adolescenza a badare a loro, i figli
di colui che aveva
passato anni scolastici ad occultarsi sotto
un mantello dell’invisibilità.
Perse espressione. “Dannazione. Pensi si tratti di
Jamie?”
“James non ha i
capelli
rossi.”
Ted perse ancora più espressione se possibile. I capelli
erano in compenso un
vero turbinio di fiamme. “Merda.”
Imprecò con tutti i crismi, afferrando il
mantello e prendendo la bacchetta. Ad Al non restò che
seguirlo, sperando con
tutte le sue forze di sbagliarsi.
Perché non poteva
essere stata
così cretina. Semplicemente, non poteva.
Aprirono lo scompartimento e
Ted balzò dentro a bacchetta spianata. C’era un
gran odore di arancia.
Nessun
Famiglio mangia arance… neppure il topo di
Harper.
“Homenum
Revelio.” Scandì Ted, puntando la
bacchetta in una
direzione precisa, esattamente tra pile ordinate di borsoni e valige.
Successero due cose
contemporaneamente;
l’interfono presente in tutto il treno si accese e una voce
preregistrata,
identica a quella dell’Espresso per Hogwarts, li
informò che erano appena entrati
nelle acque territoriali della Norvegia.
… e Lily apparve
sotto i loro
occhi, imbacuccata, arruffata e con l’aria di chi aveva
passato una notte
all’addiaccio.
Si
è nascosta qui! Per questo ieri sera i Famigli erano
tanto irrequieti. Perché c’era lei!
“Cosa
diavolo…” Era l’unica
frase da pronunciare. Quindi la pronunciò con il tono lento
di un ritardato. Si
rifiutava di avere processi mentali
veloci, perché avrebbe portato ad un’unica
realizzazione.
Mia
sorella è qui.
Lily, che si diceva avesse
una
faccia tosta paragonabile solo a quella di zio George quando era ancora vivo il gemello, si
alzò in piedi. Ebbe la
decenza di non ghignare, ma di limitarsi ad un sorriso. Non che fosse
meglio, beninteso.
“Ciao.”
Disse soltanto.
Per la prima volta in vita
sua
Al sentì l’urgenza di diventare
ultimogenito.
****
Londra,
Ministero della Magia. Ufficio Auror.
Harry guardava un punto
preciso nella mappa. Albus e Tom stavano arrivando in Norvegia in
quell’esatto
momento.
Aveva dovuto insistere molto per far accettare ad Al un incantesimo
localizzatore del genere; forse era stato anche un gesto eccessivo, ma
era pur
sempre un padre, e soprattutto, un mago con le capacità
necessaria a tracciare
la presenza di suo figlio oltremare.
L’idea era stata di Molly, che per anni aveva seguito
apprensiva gli
spostamenti dei suoi due maggiori, Bill e Charlie; applicarla ad Al e
al
figlioccio gli era sembrata doverosa.
Così
Durmstrang è in Norvegia. Beh, è un posto
sufficientemente gelido, direi.
Sentì bussare
alla porta e
ritornò con i piedi per terra; era in ufficio e da
capoufficio doveva
comportarsi, purtroppo.
“Avanti.”
Si sentì spuntare un sorriso in viso vedendo che non era la
sua segretaria con
il solito agghiacciante faldone di circolari, ma Ron e Nora.
“Accomodatevi.”
Li avrebbe
quasi abbracciati. Qualsiasi nuova sul caso era migliore che fissare un
puntino
rosso, tutto ciò che poteva vedere di suo figlio al momento.
Ron gli fece un cenno,
sedendosi con evidente piacere. “Natale è passato
e nessuno che abbia
rispettato un buon proposito… là sotto
è un inferno, amico. Ho dovuto mollare
un paio di casi a O’Loughlin, o avrei dovuto dormire qui per
seguirli tutti.”
“Mi ricorda
l’estate di
servizio a Detroit.” Sospirò Nora.
“Avevo a malapena il tempo di mangiare
qualcosa che qualche novità spuntava sulla mia
scrivania.”
“A questo
proposito, novità
sul caso?” Sapeva che erano lì per quello, non
certo per lamentarsi sterilmente.
Ron annuì. “Sulla famiglia del ragazzo.”
Si guardò con l’americana, e Harry fu
contento di constatare che si erano presi in simpatia. Gillespie sapeva
come
muoversi tra le gerarchie, e Ron aveva sempre apprezzato le persone che
sapevano stare al loro posto.
Specie
quando non tentano di scavalcare il suo…
Ron aveva una cartellina in
mano e l’aprì, leggendo di riga in riga.
“Abbiamo seguito la traccia della
famiglia… Nora aveva dei contatti in Germania. Pare che i
coniugi Luzhin siano
partiti verso Agosto, e che siano tutt’ora in
Indonesia… così abbiamo
contattato il vice dell’azienda. Dice che non li sente da
mesi, ma che non è
la prima volta che fanno viaggi di lavoro e
si rendono irreperibili.” Si grattò una guancia
perplesso. “Hanno lasciato un
piano di lavoro semestrale. In questi giorni stanno aspettando quello
di
Gennaio.” Aggrottò le sopracciglia.
“Solo a me sembra sospetto che qualcuno
molli la propria azienda e faccia perdere le tracce di sé? E
poi, Indonesia? È
comodamente lontana.”
“L’Indonesia sta aprendo il mercato alla Polvere
Volante.” Ribatté Nora. “Stanno
ampliando in questi anni le loro reti via camino. È normale
che un’azienda del
genere cerchi di preparare il terreno per una sua filiale.”
“Ma non avere contatti con la madrepatria per così
tanto tempo… no, non è
normale. Perché le condizioni in cui se ne sono andati non
lo sono.” Harry si
mordicchiò un labbro. “Sören è
un Campione del Tremaghi. Hanno almeno lasciato
un contatto di emergenza in caso succedesse lui qualcosa?”
“No, nessuno.” Negò Ron sfogliando il
fascicolo. “Almeno a quanto ci ha detto
il Vice. Ci abbiamo parlato via camino… sembrava nervosetto
a dirla tutta.”
Soggiunse. “Non vedeva l’ora che finissero le
domande.”
“Potremo farlo
venire qui per
un interrogatorio formale.” Riflettè Harry. Il
problema era che avrebbe dovuto
chiedere una delega scritta dal DALM tedesco.
“Posso chiamare il
Ministero
tedesco.” Si inserì Nora. “Conosco delle
persone che potrebbero farci avere
l’estradizione in una manciata di giorni.”
“Sai, sei spaventosa.” Mormorò Ron,
sinceramente impressionato. “Quanta gente
conosci?”
La donna sorrise appena. “Molta. O molto semplicemente,
l’America ha molti
maghi che hanno mantenuto i contatti con le proprie origini…
non è difficile
per noi conoscere persone del Vecchio Continente.”
Harry scoccò
un’occhiata a
Ron.
Mi
chiedo a che punto saremo con le indagini senza di
lei…
Stava rivalutando
l’operato
americano; non si illudeva che in America gli agenti fossero tutti come
Eleanor,
certo; ma poteva sperare che non fossero tutti come Scott.
“E per quanto
riguarda la loro
situazione finanziaria?” Il suggerimento di Thomas era stato
eccellente, e a
posteriori, Harry si era chiesto se non dovesse organizzare qualche
corso di
aggiornamento nel suo ufficio: le forze di polizia babbane sembravano,
per
certi versi, più
evolute di loro.
Ron schioccò le
dita. “Questo è
il pezzo forte.” Ghignò, lanciando
un’occhiata a Nora, che ricambiò divertita.
“Sia chiaro, la Gringott è sicura e non muoverei
uno zellino da lì, ma
umanamente preferisco la Banca Interfederale Magica Tedesca.
Perché, prima di
tutto, ci lavorano anche i
maghi… e
non solo come Spezzaincantesimi. E poi, sono molto più
carini quando alleghi alla
richiesta una bolla di indagine.”
Harry sorrise.
“Quindi avete
avuto accesso ai conti dei Luzhin?”
“Molto meglio… a tutti
i loro
movimenti bancari. Entrate e uscite. Quando hanno saputo che era
un’indagine
intercontinentale hanno collaborato da matti.”
“La Banca Interfederale fonda il suo prestigio sulla totale
trasparenza e
soprattutto, sull’evitare cattiva
pubblicità.” Spiegò
l’americana. “Un’indagine
in corso e agenti dappertutto vorrebbe dire perdere portafogli
clienti.”
“Quindi…”
Riprese Ron. “Abbiamo
scoperto quello che Thomas aveva supposto.” Sembrava poco
contento di aver
assecondato il nipote acquisito, e Harry poteva capirlo.
Tom
a volte è tremendamente supponente, e beh…
soprattutto con lui.
“Quindi sono stati
corrotti?”
“Non è così
chiaro…” Spiegò Ron scuotendo la testa
e passandogli una lunga
pergamena che Harry svolse sotto i suoi occhi. Era piena di cifre e
date da far
girare la testa e chiese quindi con lo sguardo un riassunto conciso.
“Sì,
insomma.” Riprese l’amico. “…
a Settembre sono stati depositati quattromila
galeoni sul loro conto.”
“Da chi?”
“È qui
che le cose si fanno
interessanti.” Ron si avvicinò, cerchiando con il
dito un nome scritto in
calligrafia illeggibile. Si leggeva solo ‘Volo’.
“È un vivaio specializzato in Fiori
Volanti² con cui la ditta dei Luzhin ha
rapporti commerciali.” Spiegò Ron. Poi fece una
pausa presumibilmente
significativa.“La ditta ha sede legale in Canada.”
Harry li guardò
confuso. “E
quindi?”
“In Canada non c’è l’obbligo
di segnalare il motivo per cui versi soldi a
qualcun altro.” Si inserì Nora. “La
situazione bancaria è molto simile a quella
di qui. Finché hai i soldi, ai banchieri
canadesi…”
“… peraltro tutti folletti come i
nostri…” Soggiunse Ron.
“… a loro non interessa che uso
ne fai. Io e
Ronald abbiamo cercato di rintracciare la ditta in questione, ma non
esiste.”
“Non esiste?” Harry si sentiva sempre
più confuso. Quel genere di ragionamenti,
sin da ragazzo, non avevano mai fatto per lui. Cercò di fare
il punto della
situazione velocemente. “Significa che qualcuno si
è servito di un nome falso?”
Capì di colpo dove gli altri due volevano andare a parare.
“Hohenheim, se n’è
servito?”
“Non ci sono prove certe, ma è piuttosto singolare
che una ditta che dovrebbe
essere pagata per i suoi prodotti, paghi chi compra da lei.”
Convenne Nora.
“Oltretutto, l’azienda dei Luzhin non se la passava
bene prima di questa iniezione
di liquidi. Il mercato tedesco preferisce importare la Polvere Volante
dalle
Indie… costa meno.”
“I soldi sono serviti a salvare la ditta dalla
bancarotta.” Harry si aggiustò
gli occhiali con un gesto nervoso. C’era qualcosa che non gli
tornava, una
spina che pungolava il suo istinto. “Così hanno
comprato il ragazzo.” Si fermò.
“E prima di questo non ci sono prove che i Luzhin abbiano
avuto a che fare con
la Thule o Hohenheim?”
“Nessuna fin’ora.” Annuì Ron.
“Voglio dire… a parte questa storia sono puliti.
Li abbiamo rigirati come calzini. Non hanno amicizie poco
raccomandabili, né
affari loschi in ballo. Sembra un episodio isolato.” Lo
scrutò perplesso. “Cosa
c’è che non ti convince, amico?”
Harry sorrise appena: il buono di avere il suo migliore amico come
collega era
che non doveva dilungarsi nell’esplicitare le sue sensazioni.
L’altro le
indovinava al volo.
“La Thule utilizza
i suoi
adepti, non persone esterne, giusto? Al massimo se ne serve,
com’è successo con
Parva Duil.”
“Esatto.” L’agente Gillespie era una
donna intelligente, perché
dall’espressione che le apparve sul viso fu chiaro avesse
capito. “… e i Luzhin
sono estranei, secondo le nostre indagini.” Soggiunse
infatti.
“Potrebbero tradire.” Concluse per lei.
“Chi crede in te non ti tradirà, ma chi
viene pagato…” Inspirò.
“Cos’è successo a Parva Duil?”
“È morto.” Mormorò Ron.
“È stato ucciso da John Doe quando era ad Azkaban
per
non farlo parlare. Credi che…”
Quella storia diventava sempre più spiacevole ogni giorno
che passava. Harry se
ne sentiva nauseato. Avrebbe voluto avere la sua bacchetta e un nemico
vero da
combattere, come Voldemort. Invece aveva un albero ramificato di
spietata e
calcolata malvagità che faceva capo ad un’ombra.
Ed era in un altro Paese.
Avrebbe preferito Voldemort.
Posò gli occhiali sul tavolino e si massaggiò la
radice del naso. “Credo che il
nuovo piano lavorativo non arriverà mai al loro Vice. E
credo che lui lo
sappia.” Mormorò. “Dobbiamo farci una
chiacchierata.”
****
Ted sapeva di avere una
specie
di maledizione pendente sulla testa, che lo portava inevitabilmente ad
infilarsi in situazioni in cui mantenere la calma era una
priorità, ma dare di
matto un desiderio fortissimo.
Perché si trovava di fronte la faccetta serena di Lily e
aveva voglia di
tirarle il collo.
Invece aveva dovuto impedire
ad Al di strangolarla – seriamente, era la prima volta che
vedeva il mite
serpeverde così infuriato - per scortarla poi nel suo
scompartimento, al sicuro
da rappresaglie fraterne.
Del
tutto legittime…
Adesso sperava davvero che
il
Preside e la McGrannit riuscissero a risolvere quella situazione con il
minimo
spargimento di sangue possibile.
Perché Lily non
doveva essere
lì per niente al mondo, e invece c’era;
c’era avendo infranto una decina di regole scolastiche e
alcune meramente di
buon senso.
Perlomeno aveva il buongusto
di sembrare avvilita; o forse, semplicemente, era infreddolita da una
notte all’addiaccio.
“Signorina
Potter… si rende
conto di quel che ha fatto?” Esordì il Preside,
dopo il lungo silenzio
sbigottito che era seguito alla chiamata dei due anziani professori.
Quando
aveva chiamato la McGrannit Ted aveva quasi visto rassegnazione nei
suoi occhi.
Sì,
penso non sia il primo Potter che gli combina un guaio
del genere…
“Sì.”
Disse Lily, alzando lo
sguardo. “E sono pronta ad affrontare le
conseguenze.”
Oh, no che non lo sei…
Ted poteva capire
l’istinto
omicida che aveva colto Al. Lo stava provando ininterrottamente da
venti
minuti. Quello e l’acuto desiderio di appenderla per le
orecchie ai finestrini
del treno in corsa.
Un
gesto simile me lo sarei aspettato da un Jamie
quindicenne… non da lei!
Purtroppo doveva ammettere
che
Lily aveva, sin dall’infanzia, una versione tutta sua di
aderenza alle regole,
che le venissero dettate dai genitori o da autorità
costituite come quelle
scolastiche. Solitamente questa sua insubordinazione di fondo era
tenuta buona
dal suo buonsenso, dato che Lily se voleva qualcosa – e la
voleva sul serio -
preferiva ottenerla in modi meno appariscenti.
Cosa
vuole stavolta?
Ted era pronto a giurare che
avesse fatto quella bravata non per il gusto di farla –
quello era il modus operandi di
James - ma per un
motivo estremamente preciso.
Che in quel momento non gli interessava.
“Signorina Potter,
è pronta
anche a rischiare l’espulsione, forse?”
Osservò la McGrannit e Ted le scoccò
un’occhiata preoccupata; sperava non si arrivasse a tanto,
anche se
tecnicamente il Preside avrebbe potuto.
Lily sbiancò di
colpo e
qualcosa di molto simile alla realizzazione di aver commesso fatale
cazzata le
si dipinse in volto.
Ted la vide serrare le mani
tra di loro e deglutire penosamente. “Se… se
proprio devo.” Mormorò.
Anche
quando è nel panico riesce a sembrare sfacciata…
Merlino,
dacci la forza. Dammi la forza, tanta,
collateralmente.
Lily, la Lily che conosceva
non avrebbe mai rischiato
un’espulsione per un semplice puntiglio o capriccio. Era
testarda, ma non
stupida.
Che
c’è di così importante per lei a
Durmstrang, che
vuole venirci a tutti i costi?
“Non faccia
ironia.” Ribatté
la vecchia strega con durezza. “Lei è minorenne e
la responsabilità della sua
presenza qui, adesso, ricade su di noi.”
“Non… non era questa la mia intenzione, non volevo
mettere nei guai qualcuno!”
Esclamò di colpo, avvampando. “Ed in ogni sono
stata regolarmente invitata! Ero
la solista del coro, lo sono ancora!” Si rivolse al mezzo
folletto. “Non è vero
Preside?”
Vitious si
schiarì la voce. “Sì,
beh… vedi, Potter, non è questo il
punto.” I Corvonero avevano sempre quella
fissa di spiegare le cose anche quando l’altrui persona non
aveva bisogno di
chiarimenti. “Essendo minorenne hai bisogno di
un’autorizzazione scritta dei
tuoi genitori. Quella che avresti dovuto consegnarci per poter salire.
Invece
ti sei nascosta. Non penso che questo possa essere qualcosa di regolare.”
Lily tacque; stava riflettendo molto velocemente. Si risedette di
colpo.
“Adesso volete mandarmi a casa?”
“Sarà
la prima cosa che faremo
arrivati a Durmstrang, Potter.” Replicò la
McGrannit. “Questo dopo aver
avvertito i suoi genitori della sua inutile bravata.”
“Potete avvertire i miei genitori…” Non
era tanto normale avesse quel tono
sicuro. No, non preludeva niente di buono. “Ma non potete
rimandarmi indietro.”
“Prego?”
“Non sono io il
problema.” Si
schiarì la voce. “Come avete detto, sono minorenne.
E sono appena entrata nel sistema di Tracciamento Magico Minori
norvegese. Da…
da quando abbiamo passato il confine marino o roba del
genere.” Indicò fuori
dal finestrino. “Secondo le leggi del loro Ministero non
potete rispedirmi a
casa prima che non sia stato dimostrato che non sono autorizzata a
stare qui.
Ci vogliono un sacco di
procedure.”
Dall’aria attenta
con cui la
grifondoro stava scandendo le parole Ted ebbe l’orrida
sensazione che le avesse
lette da qualche parte.
E gli sovvenne un
particolare
di quelle vacanze invernali; Lily che tampinava suo zio Percy con
un’insolita
costanza e moine che non aveva usato in quindici anni di frequentazione.
E
Percy adora essere ascoltato, specie se poi può
consigliare ai nipoti letture extracurriculari.
“Di cosa sta
parlando Potter?”
Di qualcosa che non conoscevano, pensò Ted, guardando la
sorpresa dipingersi
sul volto dell’anziana professoressa. “Ci sta forse
prendendo in giro?”
“No,
Minerva… non se la sta
inventando. Non credo almeno.” Mormorò il piccolo
Preside con tono grave. “Ho
letto qualcosa in merito.” Soggiunse. “Il Ministero
norvegese ha
particolarmente a cuore la condizione del fanciullo ed ha stipulato
molte
convenzioni bilaterali con vari paesi a questo
riguardo…”
“Infatti l’ho letto in un libro di Diritto
Internazionale Magico. Controllate
se non mi credete.” Replicò Lily, suonando
rinfrancata. Ted avrebbe voluto
sbattere la testa al muro, se fosse stato coerente con la sua figura
professionale.
E
non lo è.
C’era
da restare sbalorditi, ad ogni
buon conto: Lily aveva effettivamente
letto un libro serio per la prima
volta in vita sua. E peraltro pieno di procedure e codicilli.
La McGrannit
inspirò, aggiustandosi
gli occhiali sottili sul naso. Torreggiava sulla ragazza che sembrava
aver più
timore di lei che del Preside e di lui messi assieme.
Okay,
ha senso. Come Preside è stata … notevole per
incutere timore. Me lo ricordo bene.
“Arrivati a
Durmstrang vedremo
come procedere.” Si lanciò uno sguardo con
Vitious. “Nel frattempo professor
Lupin, la Signorina Potter è sotto la sua
custodia.”
Ecco, tanto per cambiare. Maledetto
karma.
“Sissignora.” Rispose comunque.
Aprì la porta agli anziani professori e se
la richiuse alle spalle.
Lily rimase seduta, giocherellando con un braccialetto che aveva al
polso. Ted
notò distrattamente la pietra che brillava alla luce
presente nella cabina.
Sembrava catturarla completamente.
Si sedette sulla cuccetta,
sospirando. Lily per tutta risposta si morse un labbro.
“Ted, io… mi dispiace.”
Mugugnò,
sottolineando con forza le ultime due parole. “Non volevo
mettere nessuno nei
guai, devi credermi!”
“Beh, lo hai fatto. Le tue intenzioni non cambiano le
cose.” Non ci girò
attorno, perché doveva perlomeno capire cosa aveva
innescato.
La quindicenne non rispose, ma si limitò a fissare il
braccialetto come se da
esso potesse provenire ogni risposta. Ted sperava che fosse pentita del
suo
gesto, ma ne dubitava.
“Lils, non sei una
sciocca…”
Riprese. “… né di solito ignori quel
che ti viene detto di fare. Sai perché
Harry ti ha negato il suo permesso, vero?”
“Certo.” Replicò sbuffando.
“Perché non
capisce.”
“Non capisce cosa?”
Per tutta risposta l’altra distolse lo sguardo, verso il
finestrino. “Mi dirai
che è stupido… come tutti gli altri. E
francamente sono stufa di sentirmelo
dire.”
Sembrava infelice e
spaventata, Ted lo realizzò in quel momento; al di
là dell’esasperazione che
poteva provare e l’emicrania che già si sentiva
premere all’idea che avrebbe
dovuto dire al padrino dove si trovasse davvero
sua figlia…
Lily era come una sorellina. E lui il solito fesso emotivo.
Le fece cenno di
raggiungerlo
sul letto e quando si sedette accanto a lui le prese la mano,
coprendole con le
sue. “Prometto che non dirò che è
stupido. Tu dimmi perché ti sei cacciata in
questo casino.”
Lily alzò lo sguardo, mentre un vago rossore tra il titubare
e l’imbarazzo le
tingeva le guance. “È per Ren…
Sören. Ho paura che stia per succedergli
qualcosa di orribile. Lo so Teddy.
E
mi sarei sentita morire se non fossi stata qui adesso, ma ad Hogwarts,
a farmi
spedire Gufi che tornano tutti indietro…”
Esitò e le parole si ruppero in un
singhiozzo.
Ted aggrottò le sopracciglia: non sapeva molto del rapporto
che c’era tra il
Campione di Durmstrang e l’amica d’infanzia, ma
sapeva, dato che le voci ad
Hogwarts si diffondevano con la velocità di una mattia
endemica, che era
sospettato nell’indagine di Harry riguardante la Thule. Era
abbastanza.
“Cosa pensi di
poter fare per
lui?” Cercò di suonare ragionevole,
perché era l’arma migliore che aveva, da
sempre. Non che funzionasse con Jamie. Ma la capra era un caso a parte.
“Onestamente,
se è implicato in qualche…”
“Non lo so!”
Esclamò. “Ma è meglio
che rimanere ad Hogwarts! L’ho detto a tutti, ma tutti
continuano a dirmi che
non capisco il pericolo! Lo capisco!” Sbottò.
“Ma non posso, non potevo
restarmene in Scozia… Non… non ce la
facevo!” Eruppe e poi arrivarono le
lacrime.
Ted non disse nulla lasciando che Lily lo abbracciasse stretto,
stringendola di
rimando. Non era il momento delle spiegazioni sensate. La
lasciò piangere per
scaricare la tensione che doveva aver provato in quelle ore.
Gli sembrava un gesto totalmente fuori scala, fuori
personalità per Lily. Ma
era pur vero che l’ultimogenita della famiglia Potter era
spesso un enigma.
E
le acque chete sono famose per essere imprevedibili…
Oh,
un po’ lo sono stato anche io. Più o meno.
Non
si sentiva in umor da predica,
cosa che comunque non sarebbe spettata a lui; non poteva incolpare una
quindicenne di non avere sufficiente maturità per capire
cos’era sbagliato e
cos’era giusto da fare quando l’istinto puntava in
un’unica direzione.
“Avrai una
punizione
colossale, Lils…” Sospirò
accarezzandole i capelli. “Spero che tu lo sappia.”
“Sì, lo so…”
Mugugnò contro il suo maglione. “Probabilmente
riavrò la mia vita
sociale verso i quarant’anni.”
“Puoi giurarci.” Le porse il proprio fazzoletto.
“Ne valeva la pena?”
Lily lo fissò senza espressione e Ted ricordò
come domande simili, ad un
Potter, non avevano molta ragion d’essere.
“Sì.”
Per l’appunto.
“Okay.”
Sospirò mentre l’altra
si soffiava il naso. “Non posso dire che sono contento di
averti qui, Lily. Non
lo è nessuno…” Si sedette accanto a
lei. “Cosa hai intenzione di fare una volta
arrivata all’Istituto?”
Lily aprì la bocca per rispondergli, ma qualcosa
attirò la sua attenzione fuori
dal finestrino.
“Siamo
arrivati!” Esclamò
alzandosi in piedi. “Vedo la terraferma! Montagne!”
Ted suo malgrado la raggiunse, sporgendosi per controllare se non
avesse
semplicemente usato una diversione per evitare di rispondergli. Affatto.
Un maestoso fiordo stava inglobando il treno; alte pareti rocciose, di
pietra
scura si stavano richiudendo sopra di loro. Anche con
l’angolazione migliore,
non riusciva a vederne la fine.
Era piuttosto impressionante.
Era difficile che una nave
babbana riuscisse ad arrivare fin lì, rifletté.
Aveva letto che maelström³ magici
venivano evocati per scoraggiare le navi a proseguire su quella rotta,
comunque
sufficientemente perigliosa da scoraggiare anche il più
intrepido capitano.
“Wow…”
Mormorò la ragazzina
sotto di sé, schiacciando il viso per poter avere una
visuale migliore, come
lui senza successo. “Dov’è la
scuola?”
Ted scosse appena la testa.
“Non saprei. Credo sia…” Non
terminò la frase perché l’Istituto
apparve
dinnanzi a loro, spuntando da uno spuntone di roccia grande quanto
l’intero
parco di Hogwarts, o così almeno gli sembrò.
L’Istituto Magico
di
Durmstrang si innalzava direttamente dalla nuda pietra, modellandosi
basso e
scuro sui vari dislivelli. Ne contò quattro. Il
più alto era aggrappato al
picco del fiordo e da lì sventolava una imponente bandiera
che beccheggiava i
colori della scuola.
A Ted diede la spiacevole
sensazione di una fortezza militare pronta all’uso.
Lanciò uno
sguardo a Lily; la
ragazza era ammutolita e fissava ad occhi sgranati ciò che
avrebbe, a regola,
dovuta essere una semplice scuola di formazione.
“Ora capisco un
sacco di cose.”
Sussurrò. “Questo posto fa impressione. Credono di
essere in guerra?”
Ted non rispose; ma sperò, di tutto cuore, che non fosse
così.
****
Harry stava contemplando
distratto Ron aggredire una costata di manzo alla mensa del DALM.
Accanto a lui, Nora sembrava impressionata dalla quantità di
cibo che il rosso
era capace di ingurgitare.
“A scuola era
anche peggio…”
Le spiegò, sfogliando distratto il rapporto di prima.
Ron deglutì con
un grosso
sorso di succo di zucca. “Hermione mi ha messo a dieta.
Dev’essere quella cosa
dei dentisti sul mangiar sano…i suoi sono
dentisti.” Scrollò le spalle. “Dice che
ho una cosa chiamata colestalto.
Sempre che esista.”
Nora trattenne una mezza risata. “Temo che sia il colesterolo
alto, Ronald…”
Decifrò scoccandogli un’occhiata
divertita. “Ed esiste, credimi.”
“Ah, sono un mago!” Fu l’ovvia risposta.
“Qualunque cosa sia, non funziona per
me. Herm ha ancora quelle sue strane credenze babbane. A casa va pure
bene, ma
qua mi sfogo, miseriaccia.”
“Non sono credenze…” Cercò di
spiegargli la donna, ma sotto il suo sguardo
scoraggiato, rinunciò.
Furono interrotti
dall’arrivare
trafelato della sua segretaria. “Grace…”
La salutò con un sospiro. Era una ragazza adorabile,
probabilmente un’autentica
compagnia piacevole fuori dal lavoro. Come segretaria, dato il ruolo,
per lui
era assimilabile ad una minaccia continua alla sua
tranquillità.
“Signor
Potter…” Mormorò con
un lieve fiatone. “È arrivata una lettera da
Hogwarts. Sembra molto urgente… il
gufo che l’ha recapita ha voluto assolutamente che scendessi
a consegnargliela.”
Doveva esser così dato lo stato pietoso dei capelli della
povera ragazza.
Harry la prese perplesso;
Ted
era in viaggio e dubitava che Lily o Hugo avessero problemi talmente
urgenti da
istruire il proprio Famiglio a non dar pace a Grace.
La aprì. Gli bastò una frase per congelare
letteralmente. Che poi solo una vi
era scritta, nella grafia convulsa di Hugo.
Lily
è scappata a
Durmstrang.
****
Note:
Sono imperdonabile. *Si chiude le orecchie nei cassetti come Dobby*
Ma nel frattempo Real Life,
più un
certo progetto
Repayment che mi
ha preso
un po’ di tempo. (Spammo, me ne rendo conto, ma ci credo
davvero. Ecco.)
Questa la
canzone del capitolo. Dopo aver bevuto
l’intero album, dovevo
citarli.
1.Vestlandet:
Costa dell’Ovest, letteralmente. Geograficamente, la
regione più ad Ovest della Norvegia, bagnata
dall’Oceano Atlantico.
Qui per maggiori informazioni.
2.Fiori
Volanti: su HP Wiki sono chiamati semplicemente Floo, e da essi si ricava la Polvere
Volante utilizzata nei camini. Datemi una migliore definizione, e
giuro, la
inserirò grata.
3.Maelström: (in
norvegese moskstraumen,
"corrente di Mosken") è un fenomeno simile a un gorgo,
causato dalla
marea lungo la costa atlantica della Norvegia.
Qui per info.
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Capitolo 50 *** Capitolo XLVII ***
Capitolo XLVII When the future's architectured by a carnival of idiots on show If you love me, won't you let me know? (Violet Hill, Coldplay) 6 Gennaio 2023 Norvegia, in dirittura di arrivo per Durmstrang. “Non posso crederci.” “Beh, devi. Lily è qui.” Rose fissava con gli occhi fuori dalle orbite Al, e Tom pensò che quell’espressione le si addiceva. Poi pensò anche che se l’avesse espresso ad alta voce sarebbe stato ucciso e buttato a mare. Albus era tornato nel vagone con i lineamenti tesi, e c’era voluto più di qualche insistenza per fargli infine dire tutto. Lily era lì; si era imboscata nel vagone merci per tutta la durata del viaggio con l’aiuto di un Mantello dell’Invisibilità recuperato quasi sicuramente dai Tiri Vispi. Adesso Ted l’aveva in custodia. Tom non si sarebbe aspettato tanta capacità organizzativa da una ragazzina che sembrava l’emblema stesso dell’accidia. Invece Lily aveva organizzato un piano, un vero piano, funzionante al cento per cento. Se non fosse che aveva appena complicato i delicati equilibri di quella spedizione, l’avrebbe quasi stimata. “Quella cretina…” Sussurrò Rose. “Oh, questo la metterà in punizione per sempre!” Come se fosse questo il problema… Albus non ribatté, limitandosi a stringere con ancora più forza le cinghie della propria borsa da viaggio, cosa che faceva ininterrottamente da cinque minuti con il rischio di romperle; Tom intuì che il perseverare di quella discussione gli avrebbe fatto saltare definitivamente i nervi. E non è facile farlo calmare quando succede. Questa faccenda rischia di essere il suo punto di non ritorno. “Non ha importanza.” Intervenne, ignorando l’occhiataccia di default da parte di Rose. “Non resterà. La imbarcheranno quanto prima per Hogwarts. Non capisco come abbia potuto pensare di riuscire ad entrare a Durmstrang senza farsi scoprire e rispedire indietro.” Doveva essere per Luzhin; era per Luzhin, dato certo. Abbiamo sottovalutato la sua ossessione per lui. Come altro può esser chiamata del resto? Lo conosce a malapena, si prende una cotta e perde la ragione. “Ehm, veramente…” La voce di Scorpius fece capolino nella loro conversazione strettamente a tre; il resto della delegazione infatti commentava in modo più o meno ammirato la bravata. Forse era anche quello ad esacerbare Al. Senza il forse. “Veramente cosa?” Mormorò Al, e persino la grifondoro assunse l’aria di chi si era appena accorta di essere in bilico su una lastra di fragile cristallo. Meglio tardi che mai. Malfoy, che aveva invece il senso di autoconservazione di un salmone, scrollò le spalle. “Veramente non credo sia così semplice riportarla in Scozia. C’è una legge sulla Traccia magica che viene applicata ai minori che mettono piede sul suolo norvegese. Perché siamo tipo in Norvegia, no?” “Sì, e quindi?” Tom vide con la coda dell’occhio Rose far cenno al proprio di ragazzo di tacere. Questi non la vide o la ignorò. Un salmone che risale la corrente per andare a morire. “La legge in questione dice che i minori che vengono messi sotto Traccia magica in Norvegia non possono essere rispediti al mittente e basta. Deve essere avviata una procedura amministrativa o roba del genere. Adesso Lily è parte della popolazione magica norvegese, in parole povere.” Si grattò la nuca. “Non sono sicurissimo di come funzioni, ma so che c’è. L’ho studiata quando ero bambino, e non potevo dimenticarmi niente che riguardasse i trattati magici internazionali. È il lavoro di mio padre e doveva essere anche il mio. Solo che farò l’auror.” Sottolineò a casaccio. “Ah.” Al fece un lungo respiro. Rilasciò aria, e poi sorrise. “Bene. Penso che non mi resterà torcerle il collo.” Comunicò loro con serenità. Tom sentì che era il momento di intervenire. “Non mi piacerebbe vederti rinchiuso a Nurmengard.” Non era una frase che significava molto in realtà, ma serviva a mettere un punto. Albus si stava chiaramente trattenendo dall’urlare e prendere a calci qualcosa; glielo leggeva nello sguardo e nel modo in cui era teso, contratto. Il fatto di dover mantenere la calma di fronte a tutti lo stava facendo impazzire più che la situazione in sé. Suppongo non possa dar di matto, dato la figura che ricopre. Tom era ben conscio del fatto che, al momento attuale, non potesse fare molto. Si limitò quindi a sostenere il suo sguardo e respirare il più piano possibile. L’ho visto infuriato. E ha la deprecabile tendenza a picchiarmi. “Già, è vero.” Mormorò infine l'altro ragazzo, e ci fu un collettivo, impercettibile, respiro di sollievo. “Penso che andrò in bagno.” Fulminò Rose con un’occhiata che la immobilizzò come se fosse stata fissata da un Basilisco. “Da solo.” Detto questo marciò fuori e si chiuse la porta alle spalle. “Però. Mini-Potter sa essere spaventoso.” Commentò Scorpius dopo un breve, impacciato, silenzio. “È andato a prendere a pugni la specchiera del bagno per caso?” Rose sospirò. “Qualcosa di meno autolesionistico, ma sì.” Si mordicchiò un labbro, guardando fuori dal finestrino l’approssimarsi della terraferma. Il fiordo aveva una lunghezza interna ragguardevole. “Lily... che razza di demente. Non posso credere abbia fatto una cosa del genere!” “Io ci credo eccome.” Replicò Scorpius. “Voglio dire, hai presente i suoi genitori?” “Sì, Scorpius. Sono i miei zii.” Tom si estraniò dalla conversazione, ormai sterile; come aveva detto Malfoy, non c’era molto che si potesse fare per cambiare quella situazione. Era seccato; era seccato perché la presenza di Lily avrebbe complicato ulteriormente le cose. Ma soprattutto le avrebbe complicate ad Al, che si sarebbe roso nel continuo terrore di aver lì la sorella minore e doverla proteggere da qualsiasi cosa li aspettava scesi dal treno. Anche se Lily non interessa a Hohenheim. Era solo un mezzo per avvicinarmi. Tom rifletté: il treno era in dirittura d’arrivo e non poteva permettere che Albus calcasse il suolo di Durmstrang fuori di sé, sebbene con una faccia appropriata all’occasione. Quindi abbandonò il vagone e bussò alla porta del bagno dei ragazzi in cui l’altro si era rifugiato. “Non adesso Rosie.” Fu la risposta vibrante tensione. “Ho bisogno…” “Sono Tom ed hai bisogno di calmarti, questo è chiaro.” Replicò tenendo il tono di voce volutamente basso. C’erano troppe orecchie tese in giro. “Ma non succederà se ti rinchiuderai in un bagno a prendere a calci le pareti.” “Non sto…” “Stai.” Ci fu un lungo sospiro, poi la porta venne aperta. Tom se la chiuse alle spalle. Al era seduto sul vano finestra con l’aria di voler far esplodere qualcosa; probabilmente neppure gli sarebbe servita la bacchetta. “Non doveva succedere. Cosa diavolo hanno controllato gli auror?” Sussurrò, con la mascella serrata in una linea dura. In quel momento sembrava la fotocopia appena maggiorenne di Harry. “E la scuola?! Teddy si suppone sia qui anche per controllare noi studenti!” “Può essere entrata dopo il controllo degli auror, mentre il professor Lupin era distratto a controllare i permessi. C’era il modo. Nessun metodo di controllo è infallibile. Specie quelli magici.” “Veramente…” “I babbani vi sono di molto superiori in quanto a sicurezza. È un dato di fatto.” Replicò, ma non approfondì l’argomento perché non era quello il luogo né il momento. “Lily ha chiaramente pianificato tutto, per questo c’è riuscita.” “Saperlo non mi fa stare meglio.” Si passò una mano sul viso, passandosi poi le dita trai capelli arruffati e tirando. “Non mi fa star meglio affatto.” Una pausa. “È tutta colpa mia. Avrei dovuto controllarla.” Tom ritenne a quel punto di dover intervenire. Gli afferrò i polsi e districò le dita dal povero e bistrattato cuoio capelluto. “Smettila. Se continui, diventerai calvo a trent’anni.” “È più probabile che succeda a te.” Fu la ritorsione. Glissò, perché Al sapeva diventare carogna in modo splendido quando era sotto pressione. “Non è colpa tua. Lily non è un pupazzo che hai portato dove non dovevi. Ha capacità di pensiero e d’azione. Sa mentire. È questo che l’ha portata qui. Nient’altro.” Espose pacato, e fu soddisfatto di vedere che Al seguiva avidamente il suo ragionamento. “Detto così sembra sensato.” Borbottò strofinandosi di nuovo le mani sul viso. “Ma non riesco a togliermi dalla testa che avrei potuto evitare tutto questo casino.” Tom si appoggiò alla porta del bagno, impedendo aperture ad opera di esterni dalla vescica debole. “Come?” “Sapevo che Lily voleva mettersi in contatto con Luzhin, di nuovo. Insomma, dai, era chiaro!” Si massaggiò la nuca; stava incubando un’emicrania da stress niente male. “Ho sottovalutato quanto e soprattutto come lo volesse. Ed ora eccola qui.” “L’abbiamo fatto tutti.” Replicò: anche a lui sembrava sconcertante che Lily fosse arrivata fino a quel punto. Ma supponeva di non doversi stupire più di tanto, in realtà. È tipico dei nuovi Potter infilarsi in situazioni più grandi di loro per inseguire qualcuno. “Papà avrà un infarto…” Mugugnò Al, reclinando la testa vinto. “E Merlino, quanto vorrei prenderla a schiaffi.” “Potrai farlo. Ne avresti tutto il diritto.” “Non assecondarmi.” Gli afferrò la mano e la strinse. Era cercare contatto consolante, e non glielo avrebbe mai negato. “A volte vorrei non essere un Potter.” Sussurrò piano. “Avrei delle sorelle che non tentano cose folli, e fratelli con più cervello. E un dna da Eroe che non si tramanda in modo devastante.” Tom sorrise. “Io no. Mi piace che tu sia un Potter.” Replicò la stretta alla mano. “Il migliore, peraltro.” Al arrossì, sbuffando. Il fatto che sorridesse appena era però un segno incoraggiante. Forse, almeno finché non si fosse trovato di fronte Lily, avrebbe mantenuto un minimo di buon’umore sindacale. “Sì, in effetti senza di me non saresti sopravvissuto alla tua idiozia.” Fece una smorfia, ma fu ricompensato da un Al che si alzò per stampargli un bacio all’angolo della bocca. Tom si appoggiò meglio alla porta, chinandosi per far evolvere quel bacetto da terza elementare in qualcosa che gli era dovuto, visto come aveva affrontato la crisi. In quel momento, l’interfono del treno decise di attivarsi per comunicar loro che erano arrivati. Seguì un potente scossone. “Terraferma.” Mormorò Al, impallidendo un po’, ma riprendendo contegno. Tom si scostò dalla porta, irritato ma dedicato alla causa. “Pronto Caposcuola?” Al gli sorrise, ma evitò di rispondere. Non pretese lo facesse.
**** “Hogwarts è arrivata.” Sören non aveva bisogno che Kirill bussasse alla sua porta, né che si facesse aprire per comunicargli quel che già sapeva. I rumori fuori dalla sua stanza erano chiari, come chiaro era stato l’ordine di quella mattina; indossare l’uniforme di gala ed essere pronti ad accogliere le delegazioni in ogni momento. Beaux-Batons era arrivata poche ore prima e l’imponente cerimonia che era stata allestita in loro onore aveva intimidito non poco i francesi. Poteva capirli; erano una piccola, sebbene prestigiosa scuola nazionale. L’Istituto Durmstrang ospitava buona parte della gioventù dell’Europa del Nord, oltre a quella mittle-europea come lui. Norvegia, Svezia, paesi baltici, Russia, e una fetta nutrita dell’Est Europa. “Sì, lo so.” Rispose aggiustandosi l’ultimo bottone d’osso della propria uniforme. “Scendo subito.” “Ti aspetto fuori.” Gli comunicò il russo, chiudendosi poi la porta dietro. Conta ogni mio passo… Ormai era un dato di fatto che non poteva ignorare. Poliakoff lo stava controllando per conto di suo zio. Zio si fida più di lui che di me. Cancellò con un poderoso sforzo mentale quel ragionamento e raggiunse l’altro, che sostava appena fuori dalla porta con la schiena appoggiata al muro. “Cos’è quella faccia?” Lo apostrofò scherzoso. “Ricordati che devi dare il benvenuto ai nostri amici britannici, non un addio!” “È la mia faccia.” Replicò secco e Poliakoff fece una smorfia annoiata. “Per Agrippa, se sei noioso! Stasera avremo cibo a volontà, idromele e persino animazione gentilmente fornita da Hogwarts. C’è il loro coro…” Fece una smorfietta, come a sottolineare quanto trovasse ridicola quel tipo di attività extra-curriculare. “Di che ti lamenti?” “Non mi sto lamentando.” Aveva notato che il russo cercava di stuzzicarlo per fargli perdere la pazienza. Ci vuole ben altro che qualche battuta fiacca. Sono stato temprato da Johannes. Per non sprofondare nell’ansia doveva solo fare una cosa; andare avanti passo dopo passo, senza farsi domande, esattamente come avrebbe fatto un tempo. Tralasciando che nulla era più come un tempo. Sulle scale che portavano al piano inferiore furono raggiunti da un trafelato Radescu. “Ah, siete qui! Sbrigatevi, stanno arrivando!” “Lo sappiamo Dionis, falla finita!” Sbottò sgarbato Kirill. “Con tutti i bauli e il serraglio di Famigli che si saran portati non scenderanno tanto presto!” Sören non ribatté, limitandosi a controllare per l’ennesima volta che la fibbia della sua cintura fosse ben allacciata. Si sentiva la bocca secca e il cuore pompare violentemente nel petto, e non aveva idea del perché. In realtà la ho. Hogwarts stava per tornare sotto i suoi occhi, sebbene in forma ridotta. Una Hogwarts fatta da Thomas Dursley, il suo obbiettivo. Da Albus Severus Potter, che sospettava di lui. Una Hogwarts senza Lily. Inspirò bruscamente e gli fu lanciata un’occhiata attenta dal russo. Va’ all’inferno. Lo sorpassò senza una parola affiancandosi a Radescu. Anche quello gli lanciò un’occhiata attenta. “Sono tanto interessante?” Lo apostrofò forse con eccessiva durezza. Anzi, tolto il forse. Aveva esagerato dall’aria imbarazzata che assunse l’altro. “No, no … affatto.” Mormorò a bassa voce. Lanciò un’occhiata a Poliakoff, che si grattava via una macchia dalla manica dell’uniforme. “Conosci il rumeno?” Gli chiese dal nulla. “Sì.” Conosceva la maggior parte delle lingue neo-latine ovviamente. Era parte del bagaglio culturale che gli era stato inculcato sin dall’infanzia da fior di precettori. “Perché?” “Perché mi sembra che tu non voglia parlare di fronte a lui.” Gli rispose Dionis nella lingua madre. Sören afferrò il senso generale del discorso e tornò a farci l’orecchio quando continuò. “Che succede?” “Niente che possa interessarti.” “Mi interessa se l’Istituto è in pericolo.” Fu la risposta secca. “Lo è? Perché sei preoccupato, si vede lontano un chilometro.” “Non sono preoccupato.” Replicò cercando di non suonare aspro. Poliakoff era distratto dalla macchia tenace, ma si sarebbe presto accorto che stavano parlando tra loro in modo sospetto. “Va tutto bene.” Continuò in tedesco. Radescu si limitò ad un cenno della testa, senza aggiungere altro. Non avrebbe comunque potuto, dato che era stato categorico. Si morse un labbro; era dunque tanto palese la sua tensione? Non andava bene. Non andava bene affatto. Scesero le tortuose scale a chiocciola che avrebbero portato all’ingresso principale; ricordava bene come le varie zone del castello fossero collegate da ripide scalinate, create il più delle volte nella pietra nuda della montagna, senza troppi fronzoli, spesso senza corrimano. Ricordava anche come d’inverno gelassero e fossero teatro di incidenti da parte delle incaute matricole. Ricordava molto, ma non gli importava nulla. In quel momento avrebbe voluto essere lontano chilometri dall’Istituto. Perché per quanto fosse ridicolo da pensare, non aveva un solo amico là dentro. Nessuno a cui potesse rivolgersi, o affidarsi. Era solo. Rilasciò lentamente l’aria dai polmoni e raddrizzò la schiena. Basta piangersi addosso. Basta. Lo era sempre stato. L’unica differenza era essersene accorto.
****
Scendere dal treno ed alzare lo sguardo era stato un tutt’uno. Lily aveva notato come fosse stata approntata una sorta di rotaia finale, appena arrivata la terraferma, in cui il treno aveva agganciato le proprie ruote per terminare la corsa all’asciutto. Teddy quando l’ultimo scossone di assestamento era terminato, le aveva fatto cenno di uscire. Aveva quindi preso il suo zaino e si era assicurata una copertura totale, tra mantello e sciarpa. Del resto mica possono tenermi qua dentro. Aveva nascosto un sorriso vittorioso perché non era il caso e aveva seguito l’amico d’infanzia. Alzare la testa era stato consequenziale per l’appunto, perché Durmstrang sorgeva da una parete di roccia ripidissima, molto più ripida di quanto le era sembrata vedendola da lontano. L’Istituto era costruito praticamente in verticale, nato dalla roccia stessa, su tre piani. Il più alto era il più estremo, a picco sulla scogliera a strapiombo che digradava tra alte guglie e il mare. L’entrata principale era di fronte a loro. Lily si accodò alla piccola delegazione, sbirciando. Vedeva in prima fila Albus e sapeva che avrebbe dovuto tenersi lontana da lui finché non gli fosse passata. Forse tra un anno… Inspirò leggermente; sapeva che il fratello non le avrebbe perdonato facilmente quella storia, come invece sembrava aver fatto Teddy, dato il suo sostanziale cuore tenero. Non le importava. Affatto. Proprio lui! Dovrebbe capirmi, visto quel che ha combinato per Tom l’anno scorso! Decise di concentrarsi su altro, per esempio sull’ambiente del tutto nuovo che la circondava L’imponente portone della fortezza era anch’esso in pietra, riccamente istoriato di disegni di animali stilizzati in ghirigori complicati. Da quella distanza – più di un centinaio di metri di spessa neve li separavano dall’ingresso – vedeva poco e le sembravano forme prive di senso. In ogni caso il portone era dannatamente d'impatto, alto il doppio rispetto a quello di Hogwarts – che di certo non era piccolo. La delegazione incedeva compatta e infreddolita mentre soffiava un vento duro, che odorava di sale marino. Lily si strinse tra mantello e sciarpa pregando di arrivare prima di morire per assideramento istantaneo. Perché, per tutti i troll della Gran Bretagna, non sono venuti a prenderci? Non che se lo aspettasse; poteva quasi immaginare la soddisfazione di quell’antipatico del Direttore dell’Istituto mentre li osservava, al calduccio, arrancare nel ghiaccio per poi bussare alla porta, quasi dovessero supplicare ospitalità. La neve faceva affondare voracemente i suoi stivaletti; con sorpresa intuì che sotto lo strato di ghiaccio c’era sabbia. Sabbia scura a giudicare dagli schizzi terrosi che seminavano gli altri di fronte a lei. Ted la afferrò gentilmente per un braccio. “Ce la fai?” “Sembrano sabbie mobili.” Mugugnò. “Ma davvero, prendermi in braccio sarebbe troppo.” L’altro sorrise appena. “Non credo sia il caso.” Le fece notare. Okay, ce l’avete tutti con me… ma non sono una prigioniera! Sapeva di essere irragionevole, testarda e forse pure un po’ stupida. Sapeva che ci sarebbero state delle conseguenze. Non le importava. Tutto quello a cui riusciva a pensare in quel momento è che avrebbe rivisto Sören. Ren. Perché abbandonarlo non era un’opzione. In testa alla delegazione c’era il Preside, notò, e fu lui a salire la bassa scalinata che portava all’ingresso. Lily, adesso più vicina, poté notare un’enorme battente, della dimensione della ruota di un carro. Ora poteva vedere con chiarezza quali fossero le figure rappresentate su tutto il portone, quasi in un horror vacui. Era una sola figura in realtà, una lunga figura che si ripeteva ininterrottamente quasi fosse un serpente dal corpo chilometrico. Aveva più teste, a volte di orso, a volte di leone, e faceva una cosa sola; mangiava il resto delle decorazioni, che fossero animali o arbusti. Era terrificante. Ted sembrò seguire la direzione del suo sguardo. “Tutto bene?” “Questa è la loro arte decorativa?” Sussurrò piano. “Che diavolo hanno in testa?” Ted lanciò uno sguardo al portone, apparentemente poco impressionato. “Beh, la Norvegia ha una lunga tradizione guerriera. Hai mai sentito parlare dei vichinghi?” Le chiese, senza aspettare risposta. “Credo che abbiano ripreso alcuni elementi dalla loro arte tradizionale.” “Che cosa carina…” Borbottò, avvicinandosi alla sua presenza rassicurante. La sensazione di inquietudine che aveva provato quando aveva avvistato Durmstrang, ora che c’era praticamente davanti, non era diminuita, anzi. Si era amplificata. Lanciò uno sguardo ai propri compagni di fronte a sé; sembravano debitamente impressionati, ma non spaventati. Del resto neanche Hogwarts è proprio un posto chiaro e luminoso. Ma qui è… diverso. C’è un’aria cattiva. Non la sente nessuno? Tom si mordicchiava ossessivamente un labbro da quando aveva calcato il suolo del fiordo. Avrebbe dovuto esser contento di non essere più su un treno che non affondava solo grazie alla magia – alcune superstizioni babbane gli sarebbero rimaste sempre addosso - ma non si era sentito sollevato. Anzi, tutt’altro. Non riusciva infatti a scacciare il senso di oppressione che gli pesava sul petto. Durmstrang era come se l’era immaginata: compatta per non disperdere calore con torri battute dal vento, più simile ad una fortezza che ad un castello, scura e costruita della stessa pietra della montagna, per renderla ancora più nascosta e di difficile individuazione di quanto già non fosse. Durmstrang non era una sorpresa, ma era scocciante sentirsi così… oppresso. Inspirò, lanciando un’occhiata ad Albus che guardava con attenzione il portone. “È più grande di quello di Hogwarts, no?” Disse. Erano le prime parole che pronunciava da quando erano scesi dal treno e gliene fu inspiegabilmente grato. “Sì, direi almeno una ventina di piedi.” Convenne. “Deve avere una sua funzione, immagino.” “Intimorire i visitatori?” Sorrise Al, scoccandogli uno sguardo. “Ti sanguina il labbro.” Attestò poi con tono neutro. “Lo so.” Fece una smorfia infastidito. Gli pulsava caldo, fastidioso. Detestava dimostrare nervosismo, ma non poteva farne a meno. Non in quel frangente. Albus volse di nuovo lo sguardo al portone. Il Preside era salito per la breve scalinata e aveva estratto la bacchetta; con un tocco di bacchetta suonò l’enorme battente in ottone che gli restituì un cupo suono metallico. “Che decorazioni strane.” Osservò, tanto per dire qualcosa, ma Tom gli diede attenzione; tutto meglio che rimuginare. “Sembrano essere parte di un disegno solo. Tipo, quando non stacchi mai la penna… Strani animali. Che creature magiche hanno qui, Tom?” “Non è una creatura vera, né per noi, né per i babbani.” Mormorò. “È un essere mitologico, un simbolo della tradizione vichinga.” Aggiunse, vedendo la confusione nello sguardo dell’altro. “La bestia che afferra, significa forza e vitalità. Violenza, a dirla tutta.” Soggiunse. Al non ribatté, limitandosi a guardare le decorazioni assorto. “È tutto fuorché un caldo benvenuto.” Si limitò a dire, smuovendo distratto con un piede un cumulo di neve. Scorpius si sporse tra di loro; Tom vide con la coda dell’occhio il biondo accecante dei suoi capelli. “Posso dire che questo posto mette i brividi?” Esordì. “A voi no?” “Chiunque sano di mente ti darebbe ragione.” Soggiunse Al, e Tom d’improvviso si sentì meno idiota ad esserne così inquietato. “Penso sia voluto. O forse no.” “Non dev’essere sempre stato così.” Si inserì Rose, che aveva l’aria di chi avrebbe voluto un camino, e subito, dalla quantità di vestiti che le si gonfiavano sotto il mantello. “A mia madre era stata raccontata come … insomma sì, poco ospitale, ma adesso sembra una fortezza militare o roba del genere.” “Pensa che mio padre voleva mandarmi qui, Rosellina.” Sospirò Scorpius. “Sono contento che mamma si sia opposta.” “Anche io. Perché ti avrebbero buttato a mare dopo due settimane.” Scorpius annuì serio, lanciando un’occhiata verso il punto più alto del castello. “Sì, in effetti sono un tipo troppo… brioso… per l’ambiente.” “Tremendamente.” Ironizzò questa, ma neppure troppo dall’espressione preoccupata che lanciò al proprio ragazzo. “Per le sottane di Morgana, sto congelando. Quando si decidono ad aprire?” Quasi avesse aspettato quella precisa frase, il portone si spalancò con l’eleganza di ingranaggi oliati o magia potente. Vitious si fece rapidamente indietro, prendendo di nuovo posto in testa alla fine assieme alla McGrannit. Tom vide Rose mormorare qualsiasi di simile ad un ‘finalmente’ quando la delegazione si mosse e varcò l’ingresso in modo frettoloso e sollevato. Farci aspettare al freddo… È questa l’ospitalità nordica? L’ingresso era quanto di più simile ad una caverna, per metà scavata dalla natura e per l’altra da mani umane, a vedere il lungo colonnato che portava ad una scalinata alta quanto una piccola collina. Ma non era la sala il punto. Era ciò che c’era dentro. Perché quello che fece inspirare bruscamente tutta la delegazione come un solo uomo furono le persone; l’intera scuola era lì ad accoglierli come avrebbe dovuto, ovviamente. Ma l’intera scuola era praticamente la popolazione di una cittadina babbana. L’enorme marea di uniformi allineate lungo il colonnato, in più file, era impressionante. Tom si trovò senza parole. La scuola non è un’inutile spreco di imponenza. Deve contenerli tutti. Meike gli aveva accennato al fatto che fossero tanti, ma non così tanti. Sentì Al irrigidirsi al suo fianco. “Ma quanti diavolo sono?” Sussurrò Rose. “E poi… perché se ne stanno zitti?” Era forse quello a dare più effetto alla cosa. Il fatto che fossero tutti silenziosi come morti, irrigiditi in una posizione di riposo che ricordava quella dei militari babbani. Tutti con l’uniforme color fango regolamentare e con i capelli rasati o appuntati, nel caso fossero ragazze. Tom cercò Meike con lo sguardo, ma non la vide; essendo una matricola doveva trovarsi nelle ultime file, troppo minuta per poter esser scorta. Notò però una violenta macchia rossa al ridosso della scalinata. La delegazione della Prima Prova. Luzhin è lì. “Preside Vitious!” Il silenzio fu spezzato dal rimbombare delle parole del Direttore Jagland che si avvicinò loro con rapide falcate. L’espressione gioviale non si estendeva però agli occhi. Come sempre. Come attore fa schifo. Il mago strinse brevemente la mano al piccolo Preside e poi baciò il dorso di quella della McGrannit. “Spero sia stato un viaggio agevole. Benvenuti a Durmstrang, da Durmstrang.” Fece un gesto omnicomprensivo e come un solo uomo, l’intera scuola si mise sull’attenti. Tom sentì Rose sobbalzare e poi la vide afferrare il braccio di Scorpius come a trarne conforto. Sì, oggettivamente impressionante. “Hogwarts, Hogwarts del nostro cuor…” Borbottò Scorpius, recitando senza intonazione e dando una pacchetta sulla mano contratta della propria ragazza. “Mai stato più felice di non essermi iscritto qui.” Decisamente. Al di là di questo, Tom apprezzò silenziosamente la coreografia austera e la marzialità dell’insieme, come il rigore delle uniformi e la compostezza delle espressioni. Era una scuola precisa come un orologio, e questo per lui era un pregio, non un demotivante difetto. Forse adatta a me. Ma non di certo per Malfoy, o Al, o Rose. E soprattutto, non adatta a Meike. Adesso capiva le occhiaie della bambina, le sue lacrime e la sua riluttanza a tornarvi; una scuola simile alimentava la disciplina interiore, la conoscenza. Ma certo non lasciava liberi di esprimersi. Senza contare il sicuro nonnismo dei più grandi verso i più piccoli. Doveva trovare Meike, finita quella cerimonia. Se c’era qualcosa su cui poteva aver controllo in quel momento, era la serenità del suo folletto di Rügen. Non su suo padre, non sulle bravate di Lily, non su Luzhin. Meike. Doveva darsi un obbiettivo immediato, o la tensione avrebbe finito per fargli fare qualcosa di stupido. “Prego, venite.” Li incalzò il Direttore. “Sarete stanchi per il lungo viaggio.” Muoversi di nuovo fu quasi un sollievo. Tom abbassò lo sguardo verso Al, e lo trovò che fissava il nulla senza espressioni particolari in viso. Tradotto, era teso come una corda di violino. Gli toccò leggermente il braccio con il suo e immediatamente l’altro gli afferrò il polso quasi fosse una cima lanciata ad un naufrago. Conosceva la sensazione. “Dimmi che non abbiamo fatto una follia a venire qui.” Sussurrò, così piano che fu certo che né Rose né Malfoy l’avessero sentito, benché fossero subito dietro di loro. “Dimmelo.” Tom rifletté, poi disse l’unica cosa sensata, date le contingenze. “Se non fossimo qui, Lily l’avrebbe fatta franca.” E poi, chi affronterebbe mio padre? Al serrò la presa sulla sua mano e poi la lasciò. Intravide un sorriso piegargli l’angolo delle labbra. “Ti amo.” Mormorò, perché certe cose si dicevano a bassa voce, sembrava. Tom sorrise di rimando. “Sì, lo so. Anch’io.” Ma si dicevano. Lily aveva visto il rosso delle uniformi dell’élite. Era impossibile non notarle, in tutto quel mare di mortificante color fango spiccavano come una luminaria di Natale. L’ex-delegazione di Durmstrang era in fondo all’enorme fila di sinistra, accanto alla lunga scalinata di pietra che si apriva su un portone ad arco che doveva portare al primo piano e forse alla zona abitabile. Lo sperava, perché avrebbe dato un braccio per potersi sedere al fuoco rinfrancante di una stanza riscaldata. Comunque lì c’era Sören. Inspirò, cercando di calmare il battito furioso del proprio cuore; era certa chiunque potesse sentirlo. Lanciò infatti uno sguardo a Ted che le era accanto, e fu ricambiata da uno sguardo interrogativo. Nota sempre se qualcuno lo guarda. Sesto senso mezzo-lupesco o ansia da prestazione? “Tutto bene?” Le chiese con un sorriso gentile, ma distratto; era infatti piuttosto occupato a fissare le schiene potenzialmente indisciplinate dei suoi alunni. Che però stranamente marciavano in silenzio. Più che tranquilli in realtà, in soggezione. Se volevano farci sentire a disagio, ci sono riusciti perfettamente. “Sì, più o meno. In realtà sono estasiata dai loro metodi di accoglienza.” Replicò e notò che l’altro si ingoiò una risata, cercando di mantenere distanze e contegno. “Sì, non hai tutti i torti.” Mormorò a mezza bocca. “Ma è il modo in cui lo fanno, quindi dobbiamo… accettarlo, suppongo.” Aggrottò le sopracciglia, poi raddrizzò la schiena, quasi a voler dare più autorevolezza alle sue parole. Pensi anche tu che tutto questo sia agghiacciante, Teddy. Eddai. “Sicuro.” Sorrise però, tanto per dire o fare qualcosa. La sottile linea rossa si avvicinava e lei doveva essere pronta. Beh. A fare nulla in realtà, che certo non sarebbe saltata addosso a Ren pretendendo spiegazioni; non in quel consesso e non subito almeno. E se non ci fosse? Era improbabile, ma di cose improbabili ne erano successe tante in quell’ultimo periodo che ormai non credeva più alle sue previsioni ragionate. Spesso si rivelano un bel buco nell’acqua. Grosso, tra l’altro. Inspirò di nuovo. Poche manciate di secondi e l’avrebbe visto. Forse, allora, avrebbe saputo cosa fare. Perché sì, non aveva la minima idea di cosa avrebbe fatto adesso che l’aveva finalmente a disposizione. Sören ricordava com’erano le adunate dell’Istituto. Venivano fatte ad inizio di ogni anno scolastico per l’arrivo delle matricole. Per accoglierle, si diceva. Si rivedeva, undicenne, varcare quel grande portone, spaesato. Vedendo quella mole di gente, cresciuto sempre con la presenza di poche persone accuratamente selezionate, aveva quasi avuto un capogiro. Ricordava il sudore freddo che gli congelava la schiena, le mani e il viso bollente, la sensazione di profonda inadeguatezza. Sicuramente non era stato il solo, tra quelli del suo anno, a sentirsi così ma gli era sembrato. Ricordava quel giorno perché lo vedeva riflesso nei volti degli studenti di Hogwarts; vi leggeva lo stesso timoroso sgomento. Persino il loro Preside sembrava intimorito, sebbene le spalle dritte e il viso fermo indicassero qualcuno di non facile intimidazione. Lanciò uno sguardo anche alla seconda professoressa accompagnatrice. Era la donna che aveva fermato il duello tra lui e James Potter. La donna ricambiò il suo sguardo duramente; si sentì in dovere di abbassarlo, e distoglierlo. Notò quindi con la coda dell’occhio Albus Severus Potter, pallido e serio; un’espressione ben diversa da quella quieta e gioviale che aveva conosciuto. Poteva capirlo. Accanto a lui, come previsto, Thomas Dursley: per un attimo pensò che si fosse occluso, prima di ricordare di non averlo mai visto con una singola espressione chiara in viso. Era povero di espressioni come un Occlumante. Poi vide qualcosa di rosso. Per un momento, registrò che erano capelli, capelli rossi. Sentì lo stomaco stringersi in una morsa. Razionalizza. Non è lei. Lei è ad Hogwarts adesso. È solo una ragazza con i capelli rossi, in Gran Bretagna è pieno di persone coi capelli rossi. Trovò di nuovo il ritmo del proprio respiro e alzò il viso, tornando nella posizione di attenti che ci si aspettava dal campione di Durmstrang. E la vide. Se la trovò precisamente di fronte perché nel tempo in cui il suo ridicolo intelletto ragionava, la delegazione scozzese era avanzata. Lily era lì. Con precisione chirurgica – con istinto, pensò con il senno di poi – aveva alzato lo sguardo proprio nel momento in cui Lily gli era sfilata accanto. Che… cosa… Sentiva le sinapsi come congelate, quasi si fosse risvegliato dopo un sonno intenso. Razionalmente – ah, parola meravigliosa. Inutile al momento, ma meravigliosa – Lily Luna non poteva essere lì. Eppure Lily lo fissava in viso, apertamente. Era lì e lo guardava con quei suoi enormi occhi spudorati, verdissimi, e spaventosi. Sentì la saliva seccarsi in gola e se gli avessero chiesto di parlare in quel momento, in quel preciso momento, non sarebbe stato in grado di articolare una sola sillaba. Fu solo un attimo; Lily non poteva fermarsi. L’aveva vista rallentare, certo, testarda e inadeguata come solo chi non conosceva l’etichetta o se ne fregava poteva essere, ma poi il giovane professore accanto a lei le aveva fatto cenno di avanzare, toccandole il gomito con una mano. È qui. La delegazione gli passò oltre e subito dopo sentì un leggero colpo sul fianco. Era Radescu. “La fila.” Sussurrò. Non capì subito. Poi vide che c’era quasi un passo di distanza tra lui e il rumeno. Si era sporto, aveva fatto un intero passo in avanti. Verso Lily. Tornò immediatamente indietro. Non controllò se qualcuno l’avesse visto, perché sapeva di avere gli occhi di Poliakoff piantati sulla nuca. Maledizione. Ripararsi dietro una barriera di Occlumanzia fu la prima cosa che gli venne in mente; doveva far chiarezza mentale, doveva impedire al proprio cuore di galoppare come un dannato Thestral imbizzarrito, doveva capire perché Lilian fosse lì, nonostante glielo avessero proibito – e lo avevano fatto, questo era certo come il sole che sorgeva al mattino. Ma soprattutto, doveva piantarla di sentire quel desiderio incontrollabile di andarle dietro. ****
Inghilterra, Londra, pomeriggio. Ministero della Magia, Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale. Ufficio Internazionale della Legge Magica. “Signor Malfoy … c’è un problema.” Quando la sua segretaria si annunciava facendo una pausa studiata, significava che un problema c’era sul serio. Rachel – si ricordava solo il nome - era stata a Serpeverde un paio d’anni dopo di lui, e possedeva la grazia efficiente e discreta delle segretarie del Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale. Oltre a questo, sapeva essere una sottoposta intelligente, invece che stolidamente ammirata, come spesso capitava in altri Dipartimenti. O uffici. Auror. Abbassò il plico che stava consultando sulla scrivania, e le lanciò comunque un’occhiata di seccata sufficienza. “Che succede?” “Mi ha detto di avvertirla se quella persona fosse tornata qui.” Replicò senza scomporsi. “Quella persona adesso è qui.” Fece nuovamente una delle sue calcolate pause. “E sta urlando contro uno dei nostri funzionari.” “Non mi aspettavo niente di meno, da un suo ingresso.” Commentò facendo sorridere leggermente la donna. “Che ufficio?” “Ufficio Locazioni Errate.” Draco Malfoy inarcò le sopracciglia perplesso; per quale motivo Il Bambino Meraviglia doveva sbraitare in quell’ufficio? Locazioni errate era uno sportello molto specifico. Serviva a dare consigli di procedura a maghi o streghe che si erano trovati materializzati, per sbaglio o per dolo – questo era ininfluente ai fini del consulto – nel territorio di un altro Ministero, cosa che faceva scattare immediatamente sanzione e arresto, se privi della documentazione necessaria. Si alzò e si diresse, dopo un breve cenno di commiato alla segretaria, verso l’ufficio, che si trovava peraltro distante dal suo. Potter, la solita seccatura. Il problema del Dipartimento Cooperazione era che non vi era una sola indicazione e le geometrie architettoniche tendevano ad assomigliarsi drammaticamente. Anni di consumata faccia tosta gli permisero di arrivare a destinazione senza dover chiedere ad un solo collega. Del resto era bastato seguire quelli giusti. Le urla del Salvatore si sentivano persino oltre la porta chiusa. Non distingueva il tono, ma il tenore sicuramente. Era infuriato come solo un bamboccio viziato da mille porte aperte in suo onore poteva essere. Entrò senza bussare, e si trovò di fronte un atterrito funzionario, quasi riparato dietro la sua scrivania e Potter che torreggiava – riusciva a farlo nonostante non fosse affatto imponente – sull’intera stanzetta. Dietro di lui vide la mole stolida e ciondolante di Weasley. Weasley, in effetti, fu il primo a notare le sua presenza. “Che diavolo ci fai qui Malfoy?” Sbottò spazientito. “Ci lavoro.” Replicò godendosi la mancanza di parole dell’altro. Potter doveva essere talmente infuriato da intimorire anche la sua spalla comica. Si rivolse poi all’altro auror. “Potter, smettila di maltrattare i miei funzionari. Non siamo nella vostra stalla di eroi, qui il machismo non sortisce alcun effetto.” Questo si voltò scoccandogli un’occhiata di fuoco. Per un attimo Draco sentì l’impulso, giovanile ma saggio, di fare un passo indietro e andare a chiamare la sicurezza. “Allora dì al tuo funzionario di darmi risposta chiare invece di blaterare di procedure senza senso!” Ringhiò. “Non sono qui per imparare il vostro regolamento!” “Sei qui per comportarti come un essere umano. Cosa che so, al secondo piano, non riesce facile.” Replicò, ignorando le orecchie rosse di Weasley, in dirittura di esplosione. L’importante era che Potter non cominciasse a lanciare mobili; l’espressione gli faceva temere quell’eventualità. “Randolph, vatti a prendere un caffè in sala ricreativa. Qua ci penso io.” “Sì, signor Malfoy.” Sussurrò il ragazzo, che ricordava nebulosamente avesse sostituito il vecchio funzionario deputato a quell’ufficio qualche mese prima. Potter non aveva avuto fortuna. Quando il giovane fu letteralmente volato via con le ali ai piedi, Potter rilasciò un lungo sospiro. “Ho bisogno di una mano.” Ammise francamente, sempre con la mascella tesa, ma meno da guerriero sul campo di battaglia. “E mi serve subito.” Draco assaporò il luccichio disperato negli occhi dell’altro. Doveva essere successo qualcosa di grave per farlo reagire così. Cosa può far perdere la testa a Potter, a parte qualunque cosa? Data la sua furia, poteva trattarsi solo di un pericolo immediato. E l’unica cosa che mandava davvero il cervello del Salvatore a farsi una passeggiata era una minaccia diretta ai suoi cari. Famiglia. “A quale dei tuoi figli è successo qualcosa?” Chiese, e ghignò alla faccia sconcertata dell’altro. “Siamo onesti, Potter. Hai la sindrome della chioccia e non sai controllarti. Mettere insieme i pezzi non è difficile. L’unico problema è che consideri figli almeno una decina di persone. Quale, dunque?” L’ex-grifondoro tacitò con un cenno della mano in tentativo di intromettersi di Weasley. “Lily.” Disse serio. “La più piccola. Ha quindici anni, e adesso è a Durmstrang.” “E quindi?” “Non dovrebbe stare lì.” Si intromise Ron, perché Potter stava di nuovo avendo un attacco di collera obnubilante, a giudicare dal colorito terreo che aveva assunto. “Harry e mia sorella gliel’avevano proibito. È scappata.” “Complimenti per la sorveglianza.” “Malfoy, se sei qui per prendere per il culo…” Iniziò il rosso e Draco, davvero, trovava delizioso poter fargli saltare i nervi. Ma non aveva tempo da perdere. Sono un po’ troppo ansiosi per aver spedito una ragazzina in una semplice scuola. “Sono qui perché, come ho detto, questo è il mio lavoro. “ Tagliò corto. “Randolph è uscito da Hogwarts l’anno scorso. A parte blaterare di codici e regolamenti non può far molto per aiutarvi. Non è neppure la persona giusta.” “E allora chi è?” Sbottò Potter inspirando come se dovesse andare in apnea. Al di là della collera, era chiaro fosse spaventato a morte. Da Durmstrang. Meraviglioso. Ho mandato Scorpius là volontariamente. Davvero meraviglioso. Cancellò con un colpo di spugna quel pensiero e si concentrò sul togliersi dai piedi quei due rozzi, incivili grifondoro. “Un minorenne che scappa in un altro Stato non è cosa da tutti i giorni, Potter. Non esiste un ufficio deputato, non ufficialmente.” Spiegò sentendosi infinitamente paziente. “Di solito i ragazzini scappano nel mondo babbano. Di solito, tornano spaventati e ben risoluti a non metterci più piede.” Chiosò con leggerezza, e fu un po’ deluso da non ottenere reazioni. Potter ad ogni buon conto lo fissava con lo sguardo di un falco. Non poteva far altro che l’auror. O il serial killer. “Va’ avanti.” Lo incalzò. “La Norvegia, dove ormai tutti sappiamo si trovi Durmstrang…” Scorpius si era premurato di blaterarlo a chiunque gli desse udienza quel Natale. “… ha leggi particolari per quanto riguarda i minorenni. Qualunque minore di diciassette anni si trovi nel suo territorio è nella sua giurisdizione, e gli viene quindi assegnata una Traccia.” “Spiegati meglio, Malfoy.” Fu l’unica reazione di Weasley che si era evidentemente perso. “Ci stavo arrivando.” Replicò irritato. Per questo odiava gli auror. Di ogni conversazione, ne facevano un interrogatorio. Tralasciando che questi due esemplari li odio da ben prima. “La Traccia segnala la posizione e non solo ogni volta che un ragazzino usa la magia. Sempre. Considerando la scarsa comunità magica, i grandi spazi inabitati e la facilità con cui un bambino si perde, è stata una misura precauzionale doverosa.” Fece una pausa. “Ora, il problema è che questa Traccia impedisce la Materializzazione del minori fuori dai confini norvegesi. Lo stesso vale per un viaggio con la Polvere volante, Passaporta o imbarco via nave. Qualsiasi passaggio. Ogni volta che ci si prova, il ragazzo viene ri-materializzato alla posizione iniziale.” Di fronte alle espressioni sbalordite, soggiunse. “È una misura che è stata presa dopo che un gruppo di dodicenni si era perso sui monti a confine con la Svezia nell’idiotico tentativo di scappare di casa.” “Ma la nostra delegazione?” Chiese Weasley in un lampo di rara lucidità. “Non so se avete notato il permesso che vi hanno fatto firmare i vostri figli.” “Non avevamo bisogno di firmare niente, Draco. Sono tutti maggiorenni.” Replicò Potter. “Se lo sono firmati da soli.” Draco ignorò la frecciatina, continuando come se non l’avesse sentita. “Il permesso è un contratto magico. Con la loro firma o quella di un parente o tutore, la Traccia non viene attivata. Sfortunatamente, a quanto mi è stato dato di capire, Lily non aveva il permesso con sé quando è scappata.” “La Traccia su di lei si è attivata.” Concluse Potter sempre più pallido. Probabilmente era l’idea di non poter controllare la situazione a mandarlo in panne. Quello o il fatto che ha spedito metà della sua progenie in un posto a rischio di attacco terroristico. “Scommetto che era ciò che cercava di spiegarvi Randolph.” Confermò annoiato. “Riportarla indietro non sarà facile. Togliere la Traccia ad un minore non è cosa semplice, ci vorranno settimane solo per ottenere i permessi.” Potter inspirò di nuovo. Sembrava prendere aria, quasi ne fosse a corto. “Quante settimane?” “Non posso dare una stima precisa.” Alzò gli occhi al cielo. Grifondoro, tutti uguali. Tutto e subito erano le uniche opzioni disponibili per loro. “Dipende dalla velocità con cui si muoverà il Ministero norvegese. Considerando che hanno alcuni uffici de-localizzati in Svezia e Danimarca? Non ne ho idea.” L’altro si mosse nella sua direzione. E di nuovo Draco sentì la vaga sensazione di doversela dare a gambe. Dietro quell’aria da scrivano – Potter aveva tutto fuorché il physique du rôle – si nascondeva il ragazzo che aveva ucciso il mago più oscuro di tutti i tempi. Un dannato guerriero quattr’occhi. Non era una cosa da prendere sottogamba. Specie se il suddetto occhialuto lo stava puntando come un maledetto cane da caccia. “Te ne occuperai tu, vero?” Non era una domanda, lo percepì dal tono. Non si sarebbe fatto mettere i piedi in testa passivamente. “Potter, ci sono altrettanti validi funzionari…” “Tu sei il migliore.” Lo bloccò. Lo guardò in viso per capire quale fosse il trucco: se fosse una presa in giro o un’improvvisa svolta verso la follia. Non sembrava nessuna delle due opzioni. “Voglio che sia tu a lavorarci. Per favore.” Soggiunse senza cambiare espressione. Stavolta toccò a lui sospirare. Avrebbe potuto rifiutarsi. Avrebbe voluto; il fatto era che quella questione lo colpiva al fianco come un colpo sleale. Perché se la mocciosa di Potter era in pericolo, chi gli assicurava che Scorpius fosse invece perfettamente al sicuro? L’unico modo per avere informazioni, era esser parte della storia. “D’accordo.” Replicò. Non aspettò il ringraziamento che l’altro stava già formulando sulle labbra.“Ma ad una condizione. Non voglio vedere la tua faccia se non sarà espressamente convocata. Se avrò informazioni o aggiornamenti, lo saprai.” Ci pensò attentamente, perché Potter era meno sciocco di quanto non desse a vedere. “Né qualcuno del tuo clan, dei tuoi affiliati o dei tuoi auror dovrà di nuovo metter piede qui per questa faccenda. Intesi?” L’altro lo fissò per un attimo senza espressione. Poi fece un mezzo sorriso, tendendogli la mano. “Affare fatto, Draco. E grazie.” “Non ringraziarmi, evito che qualcuno dei miei funzionari abbia un infarto prima del tempo.” Commentò asciutto, stringendogli la mano. Lo stavano facendo un po’ troppo spesso negli ultimi tempi. L’ex-grifondoro fece un secondo mezzo sorriso, poi si congedò con un cenno, portandosi dietro un incupito Weasley a cui non era andato giù tutto quel contatto fisico tra di loro. Sapessi io, Lenticchia. “Pensi davvero che ci si possa fidare di Malfoy?” Lo apostrofò Ron, appena usciti da un ufficio in cui Harry si era sentito mancare l’aria per tutto il tempo. La filosofia dell’open-space degli auror era di gran lunga migliore. “Suo figlio è lì, Ron. Se c’è qualcuno che vuole sapere esattamente cosa sta succedendo e come tirare fuori un ragazzo prima del tempo in caso di pericolo, è proprio Draco.” L’amico gli lanciò un’occhiata valutativa. “Allora… era a lui che puntavi!” Esclamò di colpo. “Mi sembrava strano che fossimo andati da quel ragazzetto che non sapeva spiccicare una parola!” “Non avevo idea se ci fosse qualcuno in grado di aiutarmi ufficialmente, ma ufficiosamente? Sì. Lui.” Replicò senza scomporsi all’aria sconvolta dell’amico. “Dovevo solo attirare la sua attenzione.” Concluse. Avrebbe riportato indietro Lily. A qualunque costo. E poi starà in punizione fino ai trent’anni. Minimo. Non gli interessava sapere perché l’avesse fatto, anche se il Gufo che Ginny gli aveva spedito poche ore prima sollevava quell’interrogativo. Non gli interessava il perché. Gli interessava il come. Come avrebbe ripreso il controllo su una situazione che già prima sembrava sfuggirgli dalle dita. “Comunque dovremo cominciare a fidarci di lui prima o poi.” Osservò, mentre premeva il pulsante di chiamata dell’ascensore. Ron fece una smorfia poco convinta. “E perché?” Harry fece un sorriso dispiaciuto. “Perché abbiamo già suo figlio in famiglia. E temo che Scorpius venga con tutto il pacchetto.” L’altro si infilò in ascensore senza una parola. Non stava a lui convincerlo, e lo seguì senza aggiungere altro. “Figli…” Masticò Ron a mezza bocca. “A volte ti verrebbe voglia di non riprodurti, ah?” Harry non rispose ma, suo malgrado, fu dannatamente d’accordo.
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Capitolo 51 *** Capitolo XLVIII ***
Capitolo XLVIII
Now the time has
come to
leave, keep the flame and still believe
Know that love will shine
through darkness, one bright star to light the wave
(Mo
Ghile Mear, Celtic Woman)
6
Gennaio 2023
Norvegia,
Durmstrang.
Quasi
ora di cena
Ad Albus non piaceva
Durmstrang.
Non voleva passare per
ingrato, non voleva neppure passare per xenofobo.
Ma non gli piaceva.
C’era qualcosa in
quel
castello che ispirava sfiducia; forse era il silenzio dei suoi
strettissimi
corridoi in pietra, forse era l’illuminazione praticamente
assente – non che
Hogwarts fosse luminosa come una giornata di Marzo, ma perlomeno vedevi
dove
mettere i piedi – forse, più semplicemente, era il
pregiudizio che si portava
dietro a rafforzare
quelle cupe
impressioni.
Appena entrati dal grande
portone ad arco, il Direttore Jagland li aveva indirizzati verso tre
studenti
all’ultimo anno a giudicare dall’altezza e
corporatura – più che crescere, gli
allievi dell’Istituto si sviluppavano in muscoli ed
espressioni anodine.
Uno aveva preso in consegna
i
professori, un altro la delegazione e l’ultimo, tutto per
lui, lo aveva
invitato a seguirlo; l’avrebbe scortato fino alla sua stanza.
“Ho una
singola?” Aveva
chiesto solo leggermente lusingato.
Davvero, appena appena, specie quando aveva incrociato gli sguardi
smaccatamente
indispettiti di Malfoy e di Tom.
L’unica risposta
che aveva
ottenuto era stato una faccia confusa.
Domanda
idiota?
Non
aveva più aperto bocca, e così
aveva fatto il suo accompagnatore.
Scale a chiocciola, corridoi
asfittici, pietra gelida ovunque e l’ululato del mare li
avevano accompagnati
per il resto del tragitto. Si era così ritrovato
all’ultimo piano della
fortezza. Il ragazzo aveva aperto una porta dall’aria anonima
prendendo una
grossa chiave da un mazzo che aveva attaccato alla cintura e poi gli
aveva
fatto spazio. Al era così entrato nella sua stanza. Si
guardò attorno; l’ambiente
era spoglio, funzionale, arredato per ospitare, più che per
una lunga
permanenza. Il letto era spazioso e coperto da una fitta pelliccia
scura, che
temeva appartenesse a qualche specie in via d’estinzione. Un
angolo salotto era
arredato da due poltrone dall’aria comoda e un tappeto
anch’esso di pelliccia.
Concludeva l’ambiente un massiccio focolare incassato nella
parete.
Viste
le premesse, pensavo peggio… Almeno qui fa caldo.
“Se le serve
qualcosa, basta
chiamarmi.” Disse l’allievo, distogliendolo dal
flusso dei suoi pensieri. “Mi
chiamo Dionis e sono al vostro servizio.”
“Vostro?” Si chiese a chi altro si riferisse oltre
a lui, prima di rendersi
conto che parlava solo di lui.
Arrossì. “Non c’è bisogno di
darmi del Voi, siamo coetanei!”
Il ragazzo gli restituì uno sguardo neutro. “Per
chiamarmi basterà agitare la
bacchetta.” Gli fece vedere il movimento con la sua, e Al
seppe di esserselo
dimenticato giusto un attimo dopo. “La cerimonia
avrà luogo tra un’ora. Vi
consiglio di…”
“Ti.”
Tornò alla carica, cocciuto.
Quella situazione era sempre più sconcertante; non voleva
essere apostrofato
come un generale da un ragazzo che lo superava in peso e in altezza.
Era assurdo.
“Sul serio, ci tengo. Mi chiamo Al. Albus.”
Rettificò, sperando che almeno il nome completo sortisse
qualche effetto.
Già
è abbastanza cerimonioso di suo.
Il
durmstranghiano non espresse pareri
o emozioni particolari. Si limitò ad annuire.
“Come preferisci Albus. La
cerimonia avrà luogo tra un’ora.”
Ripeté. “Ti consiglio di cominciare a
prepararti. Per il resto, sono al tuo ser…”
“Sì, va bene, ho capito, grazie.”
Sorrise nervoso. Gli sembrava di esser
precipitato in quei cupi racconti di guerra di cui era tanto
appassionato
James.
Quando il ragazzo se ne fu
andato, dopo avergli consegnato la chiave della sua stanza, Al
tirò un sospiro
di sollievo togliendosi il pesante mantello da viaggio. Senza curarsi
di dove
fosse esattamente finito si diresse verso il focolare, stendendo le
mani per
rosolarsele a dovere.
Per
tutti i calzini sporchi di Merlino, finalmente le
sento di nuovo!
In quel momento non aveva la
minima voglia di pensare, riflettere, elucubrare; voleva recuperare
tutte le
funzioni vitali, compresa una temperatura corporea umana. Tutto
lì.
Non
voglio pensare a cose come mandare un Gufo a papà e
avvertirlo che sì, Lily è qui, e no, non posso
darle la prima Passaporta che
c’è a disposizione per tornare a casa. Non voglio.
Sentì la porta
aprirsi dietro
di sé. “Dionis, non mi serve niente.”
Borbottò seccato. Sperava di non
trovarselo dietro ad ogni due per tre, perché a Tom non
sarebbe affatto
piaciuto.
“Chi è
Dionis?”
La voce incolore del suo ragazzo arrivò intempestiva come un
temporale durante
un giorno estivo. Si voltò per vederlo sulla porta, con il
borsone a tracolla e
l’aria infastidita. Doveva ammettere che quelle atmosfere
umbratili gli si
addicevano, specialmente alla sua figura alta e scura; avrebbe
presumibilmente passato
tutto il loro soggiorno a spuntare da angoli in ombra silenzioso come
un gatto.
Facendo
prendere un accidenti al sottoscritto.
“Il mio assistente
personale.”
Gli comunicò comunque con serenità, voltandosi
nella sua direzione. “Piuttosto,
che ci fai qui?”
La domanda cadde nel vuoto. Tom buttò il borsone sul suo
letto e gli scoccò una
seconda occhiataccia. “Perché hai un assistente
personale?”
“E che ne so?
Durmstrang è
strana.” Replicò mantenendo la facciata
tranquilla. Un minimo di indecisione
avrebbe scatenato una crisi di gelosia in piena regola.
“Posso avere una
risposta alla mia domanda?”
Tom lo ignorò una seconda volta, affiancandoglisi e
stendendo le mani al fuoco.
Al aspettò pazientemente che recuperasse un minimo di
capacità sociali.
“Non
dormirò in una camerata
con Malfoy e un sacco di ragazzini rumorosi.” Disse infine,
mentre Al si era
già allontanato per disfare i bagagli. “E intendo letteralmente. Non riuscirò a
prendere sonno in loro compagnia.”
“Serpeverde ti ha viziato.”
“Serpeverde ha
rispetto degli
spazi personali di una persona.” Fu l’ovvia
replica. Non che potesse dargli
torto, dopotutto. “Durmstrang invece ci considera ammassabili
come una mandria
di mucche.”
Al soppresse una risatina; assecondarlo nei suoi capricci era cosa che
aveva
imparato ad evitare sin da bambino. “Non esagerare. Sono
sicuro che la vostra camerata
è spaziosa e ben riscaldata.”
Tom non rispose, ma era un sì, da come si incupì
scornato.
“Non
dormirò. Passerò un mese
insonne.”
“Allora dormi da me, no?” Sorrise prendendogli il
borsone. Trovava divertente
che Tom si fosse, più o meno, premurato di chiedergli se
poteva rimanere.
Come
se non sapessimo entrambi che non riusciamo a
dormire bene, se non siamo assieme.
Notò gli angoli
delle labbra
dell’altro ragazzo incurvarsi impercettibilmente in un
sorriso sollevato. “Bene.
Ero qui per questo.” Disse infatti. “Anche se
suppongo non sia permesso.”
“E allora? Non sono un problema nostro, le loro
regole.” Scrollò le spalle.
Siamo
qui assieme. Non separati. Assieme.
Tom stavolta
ghignò
apertamente. Sembrava sempre divertito – e anche piuttosto
affascinato – quando
aveva quegli attacchi di ribellione all’autorità
costituita. “No?”
“Esatto.” Confermò e poi
ridacchiò quando si sentì acchiappare e tirare
tra le
braccia dell’altro per un bacio a labbra fredde, le quali
diventarono un
problema secondario non appena si spostarono poco sotto
l’orecchio in un bacio
leggero e maledettamente eccitante. Avrebbe davvero
voluto sincerarsi della comodità del letto verso cui Tom lo
stava spingendo, ma
c’erano altre cose da fare.
Molte,
purtroppo.
Si staccò a
malincuore, dandogli
un colpetto sul petto. “Dobbiamo prepararci per la cerimonia
di accoglienza.”
Tom si accigliò di nuovo. “Dobbiamo indossarle sul
serio?”
Al batté le palpebre confuso, cercando di far mente locale.
Quando capì a cosa l’altro
si stesse riferendo, dovette trattenere un ghigno.
“Sì, Tom. Temo proprio sia
nelle nostre regole.”
“Non mi metterò una sottana.”
Alzò gli occhi al cielo; quei pregiudizi babbani spuntavano
fuori dal nulla, ma
erano difficilissimi da scacciare una volta che si presentavano.
“Sono tuniche
cerimoniali. Tutti i maghi le
indossano.”
“Tuo padre non la
indossa. Ron
non la indossa.”
“Sono auror, non
possono
rischiare di inciampare nei propri vestiti.”
Afferrò la tunica verde petrolio –
lo stesso tipo di verde della loro Casa - che intravedeva tra sciarpe
di scorta
e guanti voluminosi; era stato un regalo di quel Natale e Tom,
bisognava
ammetterlo, si era sforzato un po’ oltre il solito minimo
sindacale per non accettarla
con una smorfia.
Perché,
indovina chi gliel’ha regalata? Zia Hermione.
“Dammi un motivo
per
indossarla.”
“È da
mago!” Sbuffò, con il
sacrosanto impulso di fargliela ingoiare pezzo per pezzo. “Tu
sei un mago, è
regolamentare e dobbiamo
indossarla.”
Tom piegò le labbra in una smorfia sprezzante. “La
indossano solo i
purosangue.”
Albus sospirò: a
volte pensava
che quei categorici rifiuti per le espressioni più
conservatrici della magia
avessero radici più profonde della sua educazione babbana.
Credo
che non gli piaccia avere niente a che fare con un
certo tipo di ideali… quelli dei purosangue e…
beh, di Voldemort.
Erano riflessioni che si
teneva per sé: c’erano angoli della coscienza del
suo ragazzo che non andavano
stuzzicati se non era strettamente necessario.
“Tralasciando il
fatto che sei un
purosangue…” Sottolineò con il
suo miglior tono gentile, tendendogliela e facendogliela accettare,
finalmente.
“… ti sta bene. La indosseremo tutti e
sarà solo per stasera. Dai.” Sospirò
con
il suo miglior tono bisognoso. “Non rendermi le cose
difficili, non anche tu.”
Tom serrò le labbra e un vago lampo colpevole e allo stesso
tempo indispettito
gli passò nello sguardo.
Signori,
ho ufficialmente vinto questa discussione.
“Va
bene.” Borbottò. “Devo
andare a cercare Meike. La porto qui?”
“Ah.” Fece mente locale, sentendo che era il suo
turno di sentirsi in colpa.
Con il casino di sua sorella, si era completamente dimenticato della
presenza
della loro piccola amica tedesca. “Certo, ma non metterti nei
guai.”
“Io?” Ghignò l’altro
slacciandosi i bottoni della camicia, con un’aria
così innocente
da essere inquietante. “Quando mai?”
****
Lily si sentiva
un’appestata.
Poteva capire le ragioni per
cui le ragazze del coro la guardavano a distanza, ed evitavano
direttamente di
incrociare lo sguardo con il suo.
Sì,
è stato figo quel che hai fatto, ma metti che i
guai son contagiosi e me li attacchi.
Non le biasimava, ma non
biasimava neppure sé stessa.
Passò le dita
sulla pelliccia
che ricopriva il letto che l’avrebbe ospitata, a dire dei
professori, finché
non sarebbero riusciti a farla tornare a casa.
Non
sarà così semplice. Non mi sono fatta venire il
malditesta per nulla. Farebbero prima a rassegnarsi.
Tutto questo non
l’aveva detto
ad alta voce; in realtà, da quando Ted l’aveva
assegnata ad una arcigna Rose
non aveva avuto modo di aprire bocca. Sua cugina aveva scortato lei e
altre nel
dormitorio che era stato loro assegnato e poi era sparita, chiamata
dalla
McGrannit per chissà quale magagna organizzativa; sapeva che
di quell’aspetto
se ne occupava più lei che Albus, deputato invece ai
rapporti con lo studentato
di Durmstrang.
È
una fortuna che parlino tutti inglese, o quasi. Anche
perché Al non sa una parola di tedesco.
Era stato Sören a
dirgli che
era quella la loro lingua franca.
Ren…
Inspirò, tirando
un calcetto
distratto al mobiletto accanto al letto. L’aveva visto,
l’aveva vista, si erano
visti. E non era stata una sua impressione, aveva percepito
qualcosa fremere nei lineamenti dell’altro.
Sorpresa,
sicuro e poi… non che fosse contento di
vedermi, ma forse è l’unico che non sembra
totalmente fuori di testa all’idea
di avermi qui. Il che è tutto dire.
Doveva trovare un modo per
incontrarlo, anche se non sarebbe stato semplice. Non come aveva
immaginato
perlomeno. Sembrava infatti che in quella scuola ci fosse una sorta di
coprifuoco perenne.
Si succhiò il
labbro
pensierosa, guardando con invidia le altre ragazze prepararsi per
l’esibizione
che si sarebbe tenuta di lì a poco; ridevano, si davano una
mano a chiudere le
elaborate tuniche di scena, provavano le melodie.
A Lily piaceva cantare. Sin
da
bambina l’aveva trovata un’eccellente valvola di
sfogo per ogni suo
nervosismo. I suoi
fratelli avevano il
volo, lei la musica. I suoi ricordi più belli coinvolgevano
la radio, un
tappeto su cui stendersi e canzoni da intonare a beneficio di Hugo. Non
era
solo questione di farsi ammirare da un uditorio; era azzerare i
pensieri e
concentrarsi completamente su qualcosa.
In ogni caso, dubitava che
l’avrebbero lasciata anche solo avvicinare al palco come
spettatrice.
Sentì un colpo di
tosse
affianco a sé. Si voltò per vedere una delle
ragazze, Tassorosso, accettare
grata un bicchier d’acqua da una compagna premurosa.
“Morgana, con
questo freddo
temo proprio di essermi presa qualcosa!” La sentì
lamentarsi con voce roca.
Che
sfortuna.
…
No. Momento.
Batté le palpebre
velocemente,
voltandosi. “Linnie, hai mal di gola?” Chiese a
bruciapelo.
La ragazza la
guardò sorpresa
dal suo improvviso inserirsi. “Sì…
cioè, credo di sì. È questo
freddo… Mi
ammalo sempre, d’inverno.” Seguì un
altro violento attacco di tosse. “Speravo
che il Decotto Tiramisù sistemasse le cose, ma che
vuoi… me l’ha preparato mia
zia prima di partire. È negata per le pozioni!”
“Non ci
voleva.” Si intromise
la ragazza del bicchier d’acqua. “Sei una delle
soliste, non puoi ammalarti
adesso!”
“Non credo di avere la febbre, è la tosse che mi
preoccupa. E se tossisco
quando sono sul palco?”
Lily sorrise, mostrando una
faccia accorata d’occasione mentre di sé sentiva
ruggire trionfo.
Già.
Sei una delle soliste. E lo sono anche io. E il
Preside farebbe di tutto
perché l’esibizione
sia perfetta.
Non era mai stata tipa da
gioire delle disgrazie altrui.
A
meno che non vengano a mio favore. Ehi, sono umana.
Rimase però in
silenzio,
limitandosi ad ascoltare le due ragazze rassicurarsi a vicenda. Rose
rientrò in
quel momento, con la grazia femminea di un generale che visitava le
truppe.
Lily sentì quasi l’impulso di mettersi
sull’attenti quando le si piantò davanti
tendendole una lettera.
“È per
te, dallo zio.” Sbottò
e poi si voltò per tornare al suo posto letto senza
un’altra parola.
Wow.
Trattamento del silenzio. Prevedibile. Per
fortuna.
Deglutì, reggendo
la busta tra
le mani. L’esaltazione che l’aveva colta fino ad un
momento prima si era
sgonfiata come un palloncino babbano.
Strappò la carta,
sfilando la
lettera.
Almeno
non è una Strillettera. Ma non è lo stile di
papà. Quella è più la
nonna… o la mamma.
Contò fino a
cinque – non che
avesse senso, ma comunque – e poi lesse.
Lily,
Quello che
hai fatto è stupido.
Non c’è altro modo per definirlo, e dirti che non
me l’aspettavo da te è
scontato.
Posso
immaginare perché tu abbia
deciso di fare questo. Posso capirlo. Non posso scusarlo. Non solo
perché hai
disobbedito ad un ordine mio e della mamma.
Vorrei che
capissi da sola perché
quello che hai fatto è molto grave.
Lily sentì un
groppo serrarle
la gola, e accartocciò la lettera tra le dita, quasi
volesse, stupidamente ne
era consapevole, nasconderla. La cosa peggiore non era aver
disubbidito, ma
aver tradito la fiducia dei suoi genitori.
La cosa peggiore è che lo farei di
nuovo.
Non c’era mai
stato niente in
vita sua di cui era stata più sicura. Doveva
essere lì.
Aveva sempre deriso chi
faceva
stupidaggini in nome di quel sentimento.
Rideva delle dichiarazioni appassionate delle sue amiche, volubili come
vele al
vento. Aveva detto a Roxanne che non si sarebbe mai innamorata.
E
invece eccomi qui. Cotta come una zucchina e
altrettanto idiota.
Sperava soltanto che suo
padre, capendo, l’avrebbe anche perdonata. Prima o poi.
Si sentì toccare
una spalla e
si voltò. Era Linnie. “Ehi.” Disse e
Lily in quella interiezione rassegnata e
frustrata vi lesse quel che si aspettava. “Non credo di
potermi esibire. Tu la
mia parte la conosci, dovevamo dividercela.”
Non poté far altro che annuire, mentre sentiva lo sguardo
della cugina
trafiggerle la nuca.
La tassorosso
esitò a lungo e
poi sospirò, vinta dall’evidenza di un nuovo e
violento colpo di tosse. “Se il
Preside è d’accordo, potresti prendere il mio
posto… Pensi di farcela?”
“Certo.” Magari non sapeva come raggiungere
Sören, ma il Fato – per dirla come
l’avrebbe detta Fiorenzo – stava aggiustando la
strada per lei.
E lei credeva nel Fato.
****
Tom non si era perso.
Indossava una stramaledetta
tunica e non si era perso. Stranamente però, quella certezza
non faceva che esacerbare
la sua irritazione. Se qualcuno, chiunque, anche il Direttore della
scuola in
persona, lo avesse infastidito intimandogli di rimanere negli ambienti
preposti
alla delegazione, in quel momento l’avrebbe maledetto su due
piedi.
Inspirò
lentamente, rilasciando
ossigeno e incamerando serenità d’animo. Fallendo.
Arrivare da Albus non era
stato difficile. Aveva semplicemente salito una rampa di scale. Quindi,
quando
aveva lasciato l’ultimo piano, aveva percorso la strada
all’indietro, ma
qualcosa era andato storto.
Forse
è stata quella scala … la seconda che ho preso.
Quella scuola sembrava
frutto
di un allucinazione escheriana. Hogwarts, con la sua planimetria
mobile, in
confronto era uno scherzo. O più semplicemente, conosceva la
sua scuola e i suoi capricci
architettonici.
Sette
anni contro poche ore…
Come se la situazione non
fosse abbastanza scoraggiante, non c’era nessuno a cui
chiedere indicazioni;
sembrava che l’intera scuola fosse disabitata.
Evidentemente
passeggiare trai corridoi non è uso a
Durmstrang.
Forse non era uso neppure
percorrerli
per spostarsi da un ambiente all’altro. Magari gli studenti
si materializzavano, invece che
camminare.
Per quanto ne sapeva, ammise amaramente, poteva esser così.
Com’è
possibile visto quanti sono? Non ce n’è neppure uno in giro?
Dove
diavolo è il dormitorio del primo anno?
Poteva essere al piano
terra,
se l’élite – ultimo anno, studenti
meritevoli – alloggiava all’ultimo. Aveva
senso. Doveva trovare la scala giusta;
se non altro non una che lo facesse tornare al punto di partenza.
C’era anche
l’eventualità che
Meike lo stesse cercando; dubitava che l’undicenne fosse
rimasta buona ad
aspettare un’occasione per vederlo. Non si sentivano da
quando l’aveva messa
sulla passaporta per Schwerin e Meike detestava
l’interrompersi delle loro comunicazioni.
Sospirò notando
come il
corridoio che stava percorrendo non desse cenno di aver fine; era
completamente
al buio e aveva dovuto lanciare un lumos
per riuscire a vedere dove mettere i piedi.
Non
pensavo che ‘accendiamo i fuochi solo per scopi
magici’¹ significasse un
castello senza illuminazione.
Proprio
un luogo ameno. Non c’è neanche una finestra.
La non presenza di feritoie,
o
finestre forse significava un corridoio interno. Forse.
Abbassò la bacchetta
che rischiarava i suoi passi e tirò un secondo sospiro.
Adesso
capisco perché ci hanno scortato. Non erano
cerimoniosi, erano funzionali.
Sondò con i
polpastrelli il
manico rassicurante e familiare della propria bacchetta.
Doveva ammettere
l’evidenza; si
era perso.
Non
è più grande di Hogwarts. Ma senza luce,
orientarsi
è impossibile.
Quella realizzazione
portò a
due cose: un’ondata di fastidio e una serie di rumori. Rumori
veri, tangibili e
in linea d’aria ad un centinaio di metri da lui –
Durmstrang si sviluppava in
lunghezza, più che in altezza. Tese le orecchie e
ascoltò: erano due voci ed
una di esse suonava familiare. La prima era di una ragazza che parlava
un
tedesco da seconda, forse terza lingua. Una studentessa
dell’Istituto. La
seconda, anch’essa femminile, ma infantile e madrelingua. Era
Meike.
Stavano litigando. Questo
bastò per fargli raggiungere la fonte dell’alterco
senza perdere un solo
attimo.
Guidato dalle voci, si
trovò
di colpo di fronte alle due, che però non lo notarono. Spese
la bacchetta e si
nascose.
Sentiamo
com’è che si comportano a Durmstrang.
“Voglio
andare dai miei amici!” Tom si stupì del
tono di rabbia
cocente che sobbolliva nella voce solitamente squillante della bambina.
“Non resterò nella mia
stanza!”
“Sei in punizione, Wollin!”
Tom notò
che la ragazza, più grande e quindi un Prefetto o un ruolo
equivalente, aveva
afferrato il braccio di Meike, che tirava nella direzione opposta, con
una
testardaggine che neppure un milione di castighi avrebbero domato.
“Non fare l’idiota!”
“Idiota mi ci chiami già,
che differenza!”
Si divincolò con una smorfia, ottenendo solo di essere
afferrata con più forza.
“Non costringermi ad usare la
bacchetta!”
Tom aveva ascoltato abbastanza. Anzi, forse per un lato piuttosto
scomodo del
suo carattere aveva ascoltato fin troppo. Accese di colpo la bacchetta
ed
appoggiò una mano sulla spalla del Prefetto – o
quel che era.
“Tom!”
Meike si aprì in un sorriso estasiato mentre la ragazza
faceva
un salto sul posto; a giudicare dalla sua espressione di shock si era
spaventata.
Tom sentì un
piccolo moto di
soddisfazione. Il terrore – se inflitto a piccole dosi e a
chi lo meritava –
era divertente.
Buh.
“Cosa…
chi sei?” Esclamò con un notabile
controllo, considerando che
l’aveva detto in tedesco che no, non era la sua lingua.
“Vieni da Hogwarts?
Cosa vuoi?” Indovinò dai suoi vestiti, passando
quindi all’inglese. Apparentemente
gli studenti dell’Istituto erano versatili nelle lingue.
“Lei.” Indicò Meike con un cenno della
testa, mentre la bambina si apriva se possibile
in un sorriso ancora più enorme. Sorrideva come Al, senza
pietà per i suoi
poveri muscoli facciali. “E abbassa la bacchetta, non vorrei
che qualcuno si facesse
male.” Aggiunse vedendo che l’aveva levata contro
di lui in un istinto che dava
da pensare.
Nervosetti
da queste parti.
La ragazza
obbedì. “Non
intendevo puntartela contro. Mi hai colto di sorpresa.”
Borbottò imbarazzata,
lanciando uno sguardo frettoloso alla sua, di bacchetta.
“Lo
spero.” Replicò neutro.
L’ho
abbassata prima di te. Ma non significa non possa
alzarla, prima di te.
Si rivolse poi a Meike.
“Vieni.” Le disse semplicemente. “Andiamo
da Mutti.”
Meike fece un risolino deliziato, sgusciando con una certa
abilità dalla presa
del Prefetto.
“Wollin
è in punizione.” Si
riscosse di colpo questa. “Inoltre, chi diavolo
sei?”
Tom se l’era aspettato; e aveva lavorato, in merito.
Tirò fuori un foglio da
una tasca della tunica. “Il suo tutore.” Glielo
porse. “Sono stato incaricato
da Cordula Wollin. Devo occuparmi di sua nipote durante la mia
permanenza.”
“Sul serio?” Esclamò
Meike con grandi
occhi tondi. “Adesso non mi possono punire?”
Se
alzeranno ancora la bacchetta contro di te li farò
pentire di essere nati.
Quindi
diciamo di sì.
Preferì comunque
riferire una
versione edulcorata. “Adesso
non
possono afferrarti come un mucchio di stracci.” La spinse
leggermente dietro di
sé, e fece qualche passo in direzione della ragazza. Forse
era la sua altezza,
forse era perché era spuntato praticamente dal nulla o forse
era l’atmosfera
che non angosciava solo gli ospiti, ma quella fece un rapido passo
indietro.
Nervi
molto tesi. Interessante.
“Wollin non
dà mai retta.”
Sbottò. “È in punizione per non aver
rispettato gli ordini ricevuti.”
“Quali?”
“Mettere in ordine i suoi effetti personali, oltre ad essere
scappata.”
Sostenne il suo sguardo stavolta. La tempra delle ragazze
dell’Istituto non era
cosa da sottovalutare. Era inquieta, glielo leggeva
nell’espressione, ma non
spaventata, non più.
“Metterò a posto dopo che avrò salutato
i miei amici, lo
prometto!” Propose Meike alle sue spalle, con la ritrovata
vocetta squillante, Tom la registrò con un certo sollievo.
“Penso sia un
compromesso
accettabile. La riporterò io al suo dormitorio.”
Le porse di nuovo la lettera e
la ragazza stavolta la prese, anche se con una certa riluttanza.
“La
farò vedere al Direttore.”
Disse, infilandosela nella giacca dell’uniforme. Anche quella
delle ragazze
aveva un taglio militare. “Nel frattempo Wollin deve tornare
con me. Non ho
l’autorità per autorizzare una cosa del
genere.”
“Ma hai
l’autorità per usare
la bacchetta su di lei?” Chiese quasi gentilmente. Ovviamente
no, dall’occhiata
allarmata che gli venne lanciata. “Immagino ti abbiano detto
che, quando non
vieni obbedita, tu possa farlo, ma
che non sia opportuno che se si
sappia in giro. Pessima pubblicità.” Si
voltò verso la bambina, che sembrava
quasi aver ripreso colore. Adesso le si vedevano le lentiggini.
“Meike, dille chi
è Mutti.”
“È il Caposcuola di Hogwarts e mi vuole tanto
bene!” Cinguettò Meike, a cui non
sfuggiva nessun sottointeso. Del resto stava ghignando.
Ne
farò un eccellente Serpeverde. Eccellente.
“Non credo che il
vostro
Direttore sarebbe contento di sapere che si parla male di Durmstrang in
un’altra scuola.” Soggiunse. Che avesse usato la
bacchetta su Meike con
intenzioni dolorose o meno, non aveva importanza.
Nessuno
tocca le mie
persone.
“Viene con
me.” Prese per mano
la bambina quasi a sottolineare il concetto. La strinse leggermente,
rassicurante, quando la sentì aggrapparglisi alle dita.
“La riporterò in tempo
per l’appello.” Aggiunse, perché non
aveva intenzione di creare veri imbarazzi
diplomatici.
Al
mi ucciderebbe.
“Bene…
per l’appello va bene.”
Inspirò il Prefetto. “Farò vedere la
lettera.”
“Non è un falso. Contattate sua nonna, se non
è sufficiente. Vi dirà le stesse
cose.” Replicò quieto. Aveva avuto
l’impulso di affatturare la ragazza, ma
spaventarla e metterla in una posizione di debolezza l’aveva
appagato abbastanza. Per il
momento. “Andiamo.”
Incitò la bambina.
Meike, svoltato l’angolo, prese a trascinarlo con la forza di
un piccolo treno
a motore. Dopo
cinque minuti ritenne
doveroso rallentare prima che sfondasse una parete con la testa.
“Meike,
fermati. Non è una corsa ad ostacoli.”
L’undicenne si voltò, mordicchiandosi un labbro
con due occhi enormi. “Voglio
andare da Mutti!”
“Stiamo andando da
Al, ma
rallenta.” Le intimò e quel che ottenne fu di
venir placcato ad altezza vita in
un abbraccio stritolatore.
Strano
non fosse ancora arrivato…
“Mi sei
mancato.” Borbottò
contro la stoffa della sua orrenda tunica. “Mi sei mancato,
questo posto fa
schifo, voglio venire con te e Al ad Hogwarts!”
“Sì, questo posto fa schifo.”
Confermò mettendole una mano sulla schiena e
sentendola calda e sudata anche sotto l’uniforme spessa e
grigia. Doveva aver lottato per
arrivare fin là. “Non posso
portarti ad Hogwarts, non quest’anno.” La
sentì stringersi con più forza. “Ma
sono qui, Al è qui. Non ti lasceremo sola.”
Sentì la bambina tirare su con il naso. “Hai una
gonna.” Fu la sua toccante replica.
Ragazzini…
Tom
stirò le labbra, ingoiandosi una
rispostaccia. Fu piuttosto difficile. “È una
tunica.”
“Sembra una gonna.”
“È una tunica.”
Meike alzò la testa con un sorrisetto. “Okay, come
ti pare, però eri
spaventosissimo! Tipo prima, quando sei uscito dal nulla, di
botto!” Esclamò, saltando
di palo in frasca come avrebbe fatto Malfoy. O forse era Malfoy ad
avere la
logorrea di un undicenne. “Hulda se l’è
fatta sotto, facevi paura con quell’espressione
arrabbiata, sai? Ti riesce proprio bene fare il cattivo!”
Tom trattenne un sogghigno amaro, perché
l’entusiasmo della bambina era
genuino. “Sì? Dillo ad Al. Dice che come cattivo
non valgo niente.”
Meike si strinse nelle spalle. “Però come buono
sei fico.”
Tom sorrise.
****
“Al,
c’è un problema.”
Rose si accomodò accanto a lui, scivolando sul sedile di
pietra che era solo
uno dei tanti – proprio tanti
– che
popolavano la sala comune di Durmstrang. A quanto gli aveva detto il
suo
durmstranghiano personale la sala si chiamava Montering.
Cosa volesse dire, Al lo ignorava, ma in ogni caso il
gigantesco ambiente non ricalcava affatto la loro Sala Grande.
Più che
svilupparsi in ampiezza si sviluppava in in verticale. I posti a sedere
non
erano ad un tavolo, ma in file che si disponevano in un semicerchio che
sprofondava a picco di diversi metri. In fondo vi era una larga pedana
circolare che doveva ospitare l’oratore
d’occasione. In quel caso avrebbe
ospitato il loro coro.
“Ohi, ma mi
ascolti?” Rose gli
colpì leggermente il braccio. “Ehi.”
“Sì, scusa… stavo guardandomi
attorno.” Replicò. Da lì era
facilissimo avere le
vertigini; bastava alzare lo sguardo. Non si vedevano che uniformi
scure a
perdita d’occhio.
Non
pensavo che a Durmstrang fossero così tanti.
Rose sbuffò.
“Sì, è
impressionante.” Convenne. “Comunque…
c’è un problema.” Ripeté.
Si voltò verso di lei, lanciando anche un’occhiata
distratta a Tom, seduto
accanto a Scorpius. Erano gli unici della delegazione ad aver preso
posto
accanto a loro.
Il
resto è coro. E poi, Lily.
I due si guardavano attorno
con espressioni diverse; Malfoy sembrava entusiasta, anche se in modo
contenuto, trovandosi tra estranei. Aveva assunto il vecchio sorriso
gentile ma
un po’ beffardo con cui l’aveva conosciuto.
Tom prevedibilmente era
illeggibile. Sembrava che avesse esaurito tutte le sue emozioni nella
breve
conversazione avuta con Meike nella loro stanza, prima che dovesse riconsegnarla – era stato
proprio lui ad
usare quel termine, aggiungendovi una smorfia significativa.
Occupiamoci
di un problema per volta… Per il momento
Meike è al sicuro. Tom
avrà minacciato a
dovere chi di dovere.
“Al!”
Rose stava perdendo la
pazienza a giudicare dallo schiaffo scocciato che gli diede sulla
spalla. “Mi
vuoi dar ascolto?”
Sospirò, facendogli un sorriso di scuse. “Scusa,
hai ragione. Qual è il
problema?”
“Lily.”
Ricacciò indietro l’irritazione che si
sentì montare. “E dove sta la
novità?”
“Sì,
è che… no.” Si impappinò.
Poi si mordicchiò un labbro. “Madaleine Anderson
si è presa una brutta
infreddatura.”
“Decotto Tiramisù.” Consigliò
in automatico, prima di capire che l’altra stava
girando attorno all’argomento. “E perché
la cosa è collegata a Lily?”
“Lily la
sostituirà sul
palco.” Dovette intellegire il suo pensiero immediato da come
lo squadrò
apprensiva. “A dirla tutta, stavolta non è colpa
sua… Non ha certo fatto
ammalare la Anderson!”
“Conoscendola sarebbe capace di avvelenare qualcuno per
salire sulle luci della
ribalta.” Replicò piatto, e una parte di
sé lo pensava sul serio; se sua
sorella voleva qualcosa non si faceva troppi scrupoli ad ottenerla. Di
solito i
modi di riuscita non coinvolgevano o mettevano nei guai nessuno.
Di
solito. Con questa bravata ci ha coinvolti tutti
però.
Rose giocherellò
con il
ciondolo a forma di cactus che ormai portava quasi fosse
un’estensione della
sua persona. Al capì che esitava perché non
voleva vederlo arrabbiarsi.
Ci sono dannatamente vicino,
già…
“Ne va
dell’esibizione, Al…”
Tentò piano. “E lo so, sei arrabbiato. Lo siamo
tutti, ma… in fondo lo facciamo
per la scuola, no?”
Al non replicò
nulla. Avrebbe
voluto appendere sua sorella per le orecchie ad un punto molto alto
finché non
fosse rinsavita, tutto lì.
Ma
neppure questo servirebbe ad un granché. Non è
tipa
che impara dai suoi errori.
“Avevo
capito che stava architettando
qualcosa.” Borbottò Rose, palesando
l’origine dei suoi tormenti.
Al le lanciò uno
sguardo e
vide che aveva le orecchie paonazze. Gli venne da sorridere e le prese
una
mano, stringendola gentilmente. Rose aveva una capacità
tutta masochista di
assumersi responsabilità che non le competevano, se si
trattava della loro
famiglia. In questo lei e Teddy si somigliavano.
Straordinario
masochismo o spirito del branco?
“Rosie, non
è colpa di
nessuno, tantomeno tua. Avevamo capito tutti, più o meno,
che stava
pianificando qualcosa.”
“Non pensavo
sarebbe arrivata
a… a questo!” Sbottò per tutta risposta.
Al sospirò.
“Già, neppure io.”
“Io
però la ammiro.” Se ne
uscì Malfoy, che fino a quel momento sembrava non averli
uditi per la cacofonia
di tante persone che parlavano tutte assieme. Aspettare non era dote
neppure
degli allievi.
Per
fortuna, o avrei pensato non fossero umani.
Al squadrò
perplesso il
biondo, che gli restituì un sorriso dei suoi. “La
ammiri?”
“A quindici anni non mi sarebbe mai saltato in mente di
infilarmi di nascosto
in un treno diretto oltre confine, solo per stare vicino ad un
amico…
tralasciando il fatto che non avevo
amici.” Sorrise rassicurante all’aggrottarsi delle
sopracciglia della
fidanzata. “La
tua sorellina è tosta.”
“È
testarda, è diverso.” Fece
una smorfia. “E non riesce a capire i no.”
“Perché, Potter, tu ci riesci?”
Ghignò. “L’anno scorso era tutto un
proibirti
qualcosa. E mi risulta che tu sia finito in una caverna e con una certa bacchetta in mano.”
Al si sentì arrossire, preso in contropiede.
Ignorò lo sguardo di Tom, che
aveva rivolto loro l’attenzione proprio nel momento
sbagliato. “Era diverso.”
Incrociò le braccia al petto, consapevole che non era una
grande espressione di
sicurezza. “Non ho mai preteso di aver fatto la cosa giusta.
Solo quella necessaria.”
Malfoy si strinse nelle spalle, consultando con un movimento fluido il
suo
orologio da taschino. Sembrava avere smeraldi incastonati a giudicare
da come
brillava. “Forse la sta facendo anche tua sorella.”
“Luzhin ha
aggredito Lily!”
Esclamò Rose, riportandoli sul piano fattuale.
“Hai visto anche tu i lividi,
Scorpius!”
Il ragazzo convenne con un cenno della testa. “Sì,
li ho visti e non penso sia
una bella persona chi fa una cosa del genere.” Fece una
pausa, prima di
scuotere la testa. “Ma la piccola Potter non la pensa
così. E al momento, quel
che pensa lei non è da sottovalutare. In fondo
l’ha portata qui, no?”
Lo
abbiamo sottovalutato fin troppo in effetti… - Pensò Al,
scambiandosi uno sguardo con Tom. L’altro
indicò poi verso l’alto e Albus seguì
la direzione del dito: vide una macchia
di color amaranto accomodarsi nell’ultima fila, quella
più in alto, quasi a
ridosso dell’entrata.
L’ex-delegazione.
Persino a diversi metri di
distanza in linea d’aria riconobbe Sören Luzhin.
Spiccava per la corporatura
più magra e i capelli non rasati. Non c’erano
molti ragazzi coi capelli lunghi
in quella scuola.
Le fiaccole che avevano
illuminato fino a quel momento l’ambiente persero forza,
facendo gradualmente calare
la penombra.
“Stanno per
iniziare!”
Sussurrò Rose.
Al si accomodò
per quanto
poteva sul sedile di pietra. Poteva avercela con Lily per aver fatto
qualcosa
che, lo sapeva meglio di tutti, avrebbe potuto portarle conseguenze a
lungo
termine. Ma l’avrebbe applaudita. Perché era sua
sorella.
****
Sören si
accomodò dove
Poliakoff lo invitò a sedere. Voleva avere una buona
visuale, ma qualunque
posto in realtà andava bene. L’élite
godeva dei posti migliori, sempre. Misurò
con lo sguardo l’intera platea, ma non fece in tempo a
focalizzare nessuno in
particolare che la regolazione delle torce venne abbassato al minimo.
Stanno
per iniziare.
Di colpo si accesero le
torce
sul palco, con un lampo che suscitò un sospiro di sorpresa
nell’uditorio. Poi
entrò il coro di Hogwarts; erano una dozzina di elementi,
vestiti con tuniche
da cerimonia che baluginavano del bronzo che ornava lo stemma
multicolore di
Hogwarts. Quelle dei ragazzi erano molto semplici, lineari. Le ragazze
indossavano corpetti sottili e gonne ampie.
Hogwarts era una scuola che
non badava a concetti come la sobrietà e
austerità; anzi, sembravano esserle del
tutto estranei.
Forse
è questo il suo maggior pregio.
Non dovette consumarsi gli
occhi cercando la sua sagoma tra le
ombre. Lily era sul palco.
Inspirò, facendo
ben
attenzione a congelare ogni espressione o movimento; dubitava che
Poliakoff
avesse il dono di vedere al buio, ma era meglio esser prudenti.
Il coro iniziò a
cantare una
melodia che a Sören sembrò inspiegabilmente
familiare.
Sé
mo laoch
mo Ghile Mear
‘Sé
mo
Chaesar, Ghile Mear,
Suan
ná séan
ní bhfuaireas féin
Ó chuaigh i gcéin mo
Ghile Mear.
Gaelico.
Di colpo qualcosa
scattò nella
sua memoria; la melodia era diversa, ma le parole, quelle le ricordava.
Gli venne
di colpo in mente suo padre.
Elias Prince non era tipo da
cantare o intonare motivetti, ma Sören ricordò un
vecchio disco, la puntina che
grattava il vinile, una voce di uomo che cantava una canzone fatta di
parole
incomprensibili.
“Sai
che lingua è questa, Sören? È gaelico
irlandese.
Viene da una terra distante dal Continente. Un’isola in mezzo
al mare.”
“Voi lo sapete parlare, padre? Capite cosa dice?”
“Certo. Ti ho detto che parte della nostra famiglia viene da
quella terra, lo
ricordi?”
“Sì, me lo ricordo.”
Un’esitazione. Curiosità. “Di che parla
la canzone?”
Gli
era stata elargita una carezza sulla testa, secca e
breve come quando stringeva un nodo. “Di quel che di solito
parlano le poesie
del mio vecchio paese, Sören.” C’era stato
un sospiro, e suo padre non
sospirava mai. “… Parla di abbandono e di
esilio.”
Non aveva dimenticato
quell’episodio.
L’avevo
semplicemente racchiuso in quel posto.
Era una scatola nella sua
testa. Era lì che teneva chiusi tutti i ricordi che
preferiva lasciar dietro un
velo di Occlumanzia. Li aveva nascosti lì quando suo zio
aveva cominciato a
dargli lezioni in quella disciplina; ed ora eccola lì, Mo Ghile Mear, sulle labbra dei ragazzi
di Hogwarts e sulle labbra
di Lily.
Era tra le soliste; in prima
fila e le sue mani, i suoi fianchi, il suo intero corpo si muoveva a
ritmo
della musica. Lo facevano anche gli altri, ovviamente, ma a
Sören sembrava ci
fosse solo lei.
Gli sembrava di non vederla
da
secoli, il che era ridicolo. Come era ridicola la nostalgia che
sembrava
stringergli lo stomaco in una morsa di ferro.
Si concentrò
forzosamente
sull’esibizione corale. Le soliste cantavano una strofa a
testa, in inglese; era
una bella canzone, eseguita in modo coinvolgente. Aveva già
avuto modo di
sentir provare il coro di Hogwarts, ma lo scenario era diverso, e
paradossalmente più adatto alle atmosfere della canzone.
Lanciò uno
sguardo ai ragazzi
accanto a sé e li trovò ammaliati dalla musica.
Dove
ho letto che la musica è una magia al di là di
qualsiasi altra²?
Voleva godersi
l’esibizione,
ma non gli fu possibile. Perché Lily si staccò
dalle altre e pronunciò la sua,
di strofa. In quanto solista, le competeva. In quanta sua
dannazione personale,
pure.
Now the time has come to leave
Keep the flame and still believe
Know that love will shine through darkness
One bright star to light the wave
La sua voce era bella,
limpida
nelle note dell’adolescenza. Era brava, di quelle bravure
nate con semplicità e
sviluppate con piacere. Sorrideva. Era quello ad averlo sempre
intrigato di
lei; la gioia schietta che provava nel fare le cose.
“Ren, ti sono
piaciuta, oggi, alle prove? Sei pregato di rispondermi elogiandomi
moltissimo.”
“Ah, sì. Ho capito. È stato
come…”
“Come?”
“… no, non importa.”
“No, adesso me lo dici. Subito. Ora!”
“… al cristallo. Quando hai cantato ho pensato al
cristallo. Sai… quando…
quando vi batti con una forchetta, per sbaglio, mentre mangi. Bicchieri
di
cristallo, intendo.”
“Non ne ho a casa, mi spiace, ma…
è… wow. È un complimento…
è il più bel
complimento che mi hanno fatto sulla mia voce.”
“…
Sul serio?”
“Ren, sto arrossendo,
se non si nota. Sul serio.”
Pensava ancora che Lily
cantasse con la purezza del cristallo.
E questo rafforzava il suo
malessere; doveva sapere perché si trovasse lì,
perché non fosse ad Hogwarts, al
sicuro. Ormai non rivestiva più un
ruolo di interesse per suo zio. Se fosse rimasta in Scozia si sarebbe
definitivamente lasciata quella storia alle spalle.
La canzone prese ritmi
serrati, ci furono violini e l’incalzare di percussioni. Vide
persino Radescu,
il ragazzo immagine di Durmstrang, battere i palmi delle mani sulle
ginocchia, ammaliato.
Quando tutti si alzarono
applaudendo – un po’ per dovere, un po’
per sincero plauso – si alzò anche lui.
****
Lily sapeva di aver cantato
bene. Si era esercitata per mesi, e non c’era una canzone del
repertorio che
non avesse provato fino alla nausea; il Preside da quel punto di vista
era un
perfezionista e pretendeva molto da loro. Da lei specialmente.
Per
questo non mi ha incenerito quando io e Linnie gli
abbiamo proposto la cosa.
Secondo
me, sotto sotto, era contento che mi esibissi…
Ovviamente di questi suoi
pensieri non aveva reso partecipe nessuno. E adesso, a spettacolo
finito ci si
crogiolava in segreto, chiacchierando con i compagni che avevano
lasciato alle
spalle ogni imbarazzo e l’avevano riaccolta nel gruppo. Non
era male.
Aveva cercato Sören
con lo
sguardo non appena le torce si erano riaccese ma non l’aveva
visto; doveva aver
abbandonato i posti non appena gli era stato dato l’ordine di
farlo. A quanto
le era stato detto l’ex-delegazione era stata la prima a
lasciare gli spalti.
Io
non ho visto lui, ma lui di certo avrà visto me. Anche
da lassù, i miei capelli rossi spiccano. Voglio dire, a
parte Billy King, sono
l’unica nel coro ad averli.
Mi
ha visto, di certo.
Usciti dalle quinte si
incontrarono con il resto dei compagni e a Lily morirono le parole in
gola.
Suo fratello era lì, assieme a Tom, Rose e Scorpius. Si
fermò di fronte a loro,
con un sorriso. Era uno dei suoi, gentili e affabili, ma non si
estendeva agli
occhi.
Manco
per sbaglio…
“Siete stati
bravissimi, i miei
complimenti!” Esclamò con calore.
“Adesso ci sposteremo nella sala refettorio
della scuola per la cena in onore della nostra delegazione e quella di
Beaux-Batons. Avete un po’ di tempo, vi consiglio di
approfittarne per andare a
cambiarvi.” Li informò, continuando in quel
sorriso che le ragazze definivano incantevole
e lei falso come una
promessa di Pix. Non guardò una sola volta nella sua
direzione e Lily si sentì
avvampare di rabbia e dispiacere.
Fu quella sensazione di
indefinita ingiustizia che le strappò una smorfia.
“Io posso venire o sono in
punizione?”
Albus a domanda doveva rispondere. Anche se sorrideva,
Lily intuì che si stava frenando per non sbottarle contro.
“Il Preside ha detto
che puoi. Quindi sì.” Due frasi secche e gelate
come una palla di neve in piena
faccia. Si rivolse di nuovo agli altri. “Ci vediamo dopo, e
ancora complimenti.”
Detto questo voltò loro le spalle e si incamminò,
con sua enorme sorpresa,
verso un ragazzo di Durmstrang che sostava impettito poco distante. Era
nientemeno che Dionis.
Ma
che…
“È il
suo studente di
riferimento. La sua controparte durmstranghiana. Lo scorta
ovunque.” Gli
comunicò Tom e Lily quasi sobbalzò; non si era
resa conto che durante lo
scambio di battute l’altro le si era spostato accanto.
“Bella
tunica…” Disse per
recuperare charme e tranquillità.
“Sta’
zitta.” Borbottò l’altro
facendola ridacchiare.
“Lo conosco. Dico,
quel
ragazzo.” Replicò mentre gli altri venivano
radunati da Rose; nessuno sano di
mente si sarebbe avventurato da solo nella strada di ritorno per il
dormitorio.
“È a posto… per i canoni di Durmstrang,
si intende.” Vedendo l’espressione
irritata di Tom, le uscì suo malgrado un ghignetto.
“Guarda che gli piacciono
le ragazze. Mi ha chiesto di andare al Ballo del Ceppo
assieme.”
Tom ammorbidì il
cipiglio.
“Meglio così.” Le scoccò
un’occhiata. “Non vai con gli altri?”
“Subito.” Confermò. Esitò,
perché se c’era qualcuno che poteva capire, oltre
all’esperimento fallimentare di Albus, era Thomas, lo strano
ragazzo
meraviglia. “Al…
è…”
“Sì, è.”
La anticipò. “Comprensibile,
direi.”
“Un corno! Proprio
lui si mette a farmi la
ramanzina?” Lanciò
un’occhiata a Rose, la donna dalle mille orecchie e
rimproveri. Fortunatamente
era troppo occupata a gestire Scorpius e il resto della delegazione per
notarla.
Al
li ha mollati su due piedi. Cavolo, è proprio
infuriato, accidenti a lui.
“Non mi ricordo te
ne abbia
fatta una.”
“Usa il
trattamento del
silenzio sdegnato, credi sia meglio?”
Tom rifletté
fissandola attentamente;
se non si era abituati, l’atteggiamento da sezionamento
chirurgico del cugino acquisito
poteva mettere molto a disagio.
Però,
almeno, è l’unico che ancora mi parla…
“Penso che sia
perché si è
trovato nella tua situazione, o in una simile, che sia così
arrabbiato.” Spiegò
con espressione assorta. Quel genere di ragionamenti empatici non
facevano per
lui, ma Lily ne apprezzò lo sforzo. “Non penso
stia a me dirti che ne ha
sofferto, visto che ne ero la causa.” Concluse e non ci fu
più nulla da
ribattere.
Colpita
e affondata.
“Raggiungi la
delegazione, o
ti perderai.” La riscosse. Poi si incamminò nella
direzione opposta.
“Sicuro che non ti
perderai
tu?” Gli gridò dietro, tra il lazzo e la reale
preoccupazione. Quella scuola
era labirintica. Tom non si voltò neppure per risponderle
male.
Troppo
orgoglioso per ammettere l’eventualità, ho idea.
Si sbrigò a
raggiungere il
bagliore dell’ultima bacchetta della delegazione, che
peraltro si stava
allontanando con una certa fretta.
Non fece in tempo a farlo che qualcuno la afferrò
nell’ombra e ce la trascinò
dentro.
****
Note:
Bastardatona finale! :D
Cercherò di aggiornare il prima possibile – anche
se sono entrata in un periodo
infernale, detto sessione d’esami E
tesi e davvero, non posso promettere niente. Anche se vorrei T_T
Questa
la canzone. Guardatevi l’esibizione. Guardate chi canta la
strofa di Lily, la
ragazza col vestito dorato. Hayley Westenra è praticamente
una Lily cresciuta.
*_* Tra parentesi la cover del capitolo è proprio presa dal
live linkato. ;)
La versione che invece
Sören
ricorda mi piace pensare sia
questa . Che Elias Prince fosse un babbanofilo? XD
In ogni caso la canzone è una ballata piuttosto antica e
soprattutto, vista
come una delle canzoni tradizionali dell’Irlanda e Scozia per
eccellenza.
Qui per info.
1. Direttamente dalla penna
della Rowling. Pare che a Durmstrang non vadano d’accordo con
l’illuminazione. “…and fires are only lit for magical purposes.”
(da Hp Wiki)
2. La citazione, un
po’
modificata, è di una frase di Albus Silente:
“La musica! Una magia al di là di tutto
ciò che facciamo”.
|
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Capitolo 52 *** Capitolo XLIX ***
Capitolo XLIX
Dear my love,
haven't you wanted to be with me
And dear my love, haven't you longed to be free
I can't keep pretending that I don't even know
you
I've dreamt so long I cannot dream anymore
(Anywhere,
Evanescence)
Norvegia,
Durmstrang, ora di cena.
Lily pensò che
sarebbe morta
in quel preciso istante.
Un momento prima stava
seguendo la luce dell’ultima bacchetta della coro, quello
dopo un maglio di
ferro le aveva tappato la bocca e trascinata nell’angolo
presumibilmente più
appartato dell’intero castello – e ce ne voleva,
visto che era tutto buio.
La sua reazione non si fece
attendere; tentò di piazzare calci mirati contro le gambe o
le parti più
sensibili del suo aggressore. Che stranamente non cercò di
stordirla o
strattonarla per farla smettere. Serrò solo la presa contro
la vita. Non sulla
bocca.
“Lilian, sono
io!”
Avrebbe riconosciuto anche dopo un milione di anni quel tono di voce;
basso,
accentato e maschile.
Ren!
Si
bloccò di colpo. Sentendola calma,
Sören la liberò permettendole finalmente di
voltarsi. Le torce della sala
riverberavano fin lì e vide che era proprio lui. Capelli
lunghi, uniforme e
quegli occhi scuri che avrebbero mozzato il fiato a qualunque persona,
di
qualsiasi sesso sulla faccia della terra.
“Cosa…”
Inspirò, ritrovando la
voce. “… che diavolo
ti è saltato in
testa, sei impazzito?!” Esclamò sentendo un fiotto
di rabbia cancellare il
sollievo come un colpo di straccio. “Mi hai spaventata a
morte! Pensavo
volessero aggredirmi!”
L’altro non rispose, limitandosi a guardare alle sue spalle
quasi il vero
aggressore dovesse ancora arrivare. “Che ci fai
qui?” Le chiese.
Mi
ha almeno ascoltata?
Inspirò,
intimando al proprio
cuore di piantarla di battere come una grancassa. Avrebbe potuto
schizzarle
fuori dal petto, a quei ritmi. “Sono nel coro. Non mi hai
vista?”
“Sì, ti ho vista.” Incrociò
per un attimo il suo sguardo, ma subito lo puntò
oltre a lei. Ancora. “Questo non risponde alla mia
domanda.”
Lily ebbe
l’impulso di
scrollarlo per le spalle ed intimargli di darle attenzione, che era
chiaro che
non avesse ascoltato una singola parola di quel che aveva detto.
Non lo fece però,
perché a
guardarlo non aveva l’aria di uno che poteva esser afferrato
senza conseguenze.
E aveva visto di cos’era capace.
Sören si stava
comportando in
modo incomprensibile; non che l’ultima volta che si erano
incontrati fosse
stato meglio.
Ma
almeno mi guardava … Adesso sembra che aspetti che
qualcuno ci piombi addosso per farci fuori!
“Faccio parte
della
delegazione e sono qui perché faccio parte del coro della
scuola, come ti ho
già detto. Sono una delle soliste, mi hai
visto…”
Sören le inchiodò gli occhi addosso, tanto che il
tuffo al cuore che sentì era
più che altro un’avvisaglia di infarto.
“Non è vero. I tuoi genitori ti hanno
proibito di venire. Non avresti dovuto prendere il treno, né
esibirti.” Il tono
era tagliente, diversissimo da quello che aveva sempre usato con lei,
gentile e
pieno di cura.
Lily sentì un
magone, come
qualcosa di sgradevole che non riusciva a deglutire. Quella frase era
peggio
della freddezza di suo fratello, del trattamento del silenzio di Rose e
della
lettera di suo padre.
Quanto
sono scema.
“Io…”
Se avesse pianto avrebbe
mandato tutto all’aria. Tutto ciò a cui aveva
rinunciato e che aveva rovinato
per quel viaggio non avrebbe avuto senso.
L’avevi
messo in conto che non ti avrebbe accolto a
braccia aperte. Lo sapevi.
Allora
perché cavolo fa così male?
Sören
sembrò accorgersi della
sua lotta contro l’emotività e qualcosa
mutò nella sua espressione; gli occhi
persero quell’orribile durezza e si ammorbidirono, anche se
di poco. La bocca
continuava a mantenere una piega fredda e nervosa invece.
“Lilian…”
Iniziò e non si
sbagliava, anche la voce era cambiata. Quando le parlava normalmente
perdeva sempre molto del suo accento.
“In
realtà mi chiamo Lily.” Le
uscì spontaneo e ignorò l’espressione
sconcertata che ne conseguì. “Sì, ti ho
detto che mi hanno battezzata Lilian e Lily è un diminutivo,
ma non è vero.
Dico sempre così perché non mi piace il mio nome.
Ti ho detto una bugia.”
Sören rimase in silenzio; era evidente che non si aspettasse
quella confessione
fuori contesto ed aveva ragione. Ma le serviva per riprendere controllo
sull’impellente
desiderio di scoppiare a piangere.
Funzionò;
funzionò perché di
colpo realizzò che l’unico modo in cui
l’altro poteva sapere della sua
non-autorizzazione era aver letto le sue lettere. Quelle che gli aveva
mandato
dopo il Ballo e che non avevano mai avuto risposta.
Le
ha lette.
Non era molto, ma era abbastanza. Batté le palpebre
per
scacciare gli occhi lucidi. “Ti ho detto una bugia e te ne
stavo dicendo
un’altra. È vero, non sono qui con il permesso dei
miei genitori. Mi sono
imbucata.”
L’espressione di
Sören sarebbe
stata buffa, se non fosse stato serio il contesto. Era puro, semplice
smarrimento.
“Imbucata? Che significa?”
Doveva ricordarsi che l’altro non era avvezzo ai
colloquialismi. “Intendo dire
che ho preso il treno nascondendomi nel vagone merci.”
Spiegò. “Mi hanno
scoperto, ma a quel punto era troppo tardi, perché eravamo
in territorio
norvegese.”
“La Traccia…”
Lily annuì,
sentendosi di
momento in momento più forte. Quello che aveva fatto era
sbagliato, ma l’aveva
fatto bene. Inutile negarlo.
“Starò
qua con altri finché
non troveranno il modo per rispedirmi in Scozia.”
Scrollò le spalle. Avendole
nude sentiva un gran freddo, ma poteva ignorarlo, per il momento.
“Secondo le
mie ricerche però, ci metteranno tempo. Un bel
po’.”
Senti Sören
inspirare
lentamente. Un respiro profondo, quasi dovesse incamerare aria per
andare a
lungo in apnea.
“… non
dovresti essere qui…”
Mormorò ed era un tono pieno di controllo, falso quanto le
bacchette che vendeva
suo zio George. Ormai capiva quando Sören fingeva.
“Perché allora?”
Era la domanda campale. Formulata male, ma non poteva aspettarsi molto
dalle
capacità oratorie dell’amico. Era chiaro non
fossero il suo punto di forza.
Quella domanda se
l’era
aspettata, e si era anche preparata un discorso che avrebbe fatto solo a lui. Un discorso sensato,
organizzato,
che l’avrebbe convinto che poteva fidarsi di lei e che gli
avrebbe fatto
realizzare che poteva aiutarlo, qualunque fosse il guaio in cui si era
cacciato.
Ma occhi negli occhi
– ehi,
era romantico, ma anche inevitabile visto che Sören adesso la
guardava, eccome
– non riuscì a ricordarsene neanche
metà. Neanche un quarto. Per niente.
Sentì le guance
prendere fuoco
e il cuore riprendere la sua sfrenata corsa verso un malore. Si
umettò le
labbra e racimolò tutta la sfacciataggine che le era rimasta.
“Per te, Ren. Non
ti
abbandono.”
Che poi, era il succo del
discorso.
Sören avrebbe
voluto urlare.
In realtà, no. O forse sì.
Forse sarebbe impazzito
perché
provare tutte quelle emozioni concentrate in una manciata di secondi
non doveva
essere sano.
Sentiva rabbia; rabbia
perché
Lilian – no, anzi Lily
– era lì e
avrebbe dovuto essere miglia lontana.
Sentiva paura;
perché anche se
suo zio voleva Thomas, non significava che quelli che lo circondavano
sarebbero
stati evitati nel processo di appropriarsene. E lui cosa avrebbe potuto
fare
per tenerla al sicuro?
E poi c’era
qualcosa di ancora
più profondo, che gli scuoteva il corpo come una febbre, ma
la sensazione non
era sgradevole. Era un misto tra esasperazione, nervosismo e la
sensazione che
aveva provato le poche volte che suo padre l’aveva carezzato,
o quando Lily
l’aveva preso per mano la prima volta.
E
poi quella mano non te l’ha lasciata. Si intende
metaforicamente. Anche adesso.
E infine il senso di colpa;
quello sommergeva tutto il resto.
Lily era una bambina; una
bambina vestita con un meraviglioso abito di festa, che sorrideva ed
era felice
quando cantava. Sprovveduta, con una famiglia che la amava e una vita
perfetta.
Stava bene alla luce. Lui invece vi sembrava grottesco.
“Mi dispiace per
averti
spaventato, prima.” Iniziò, perché per
prendere le distanze si doveva iniziare
così. “Volevo solo ribadirti quello che ti ho
detto al ballo. Devi starmi
lontana.”
Lily non sembrò particolarmente turbata dalla sue parole.
Sembrava aver
acquistato una nuova sicurezza. Si chiese cosa diavolo
gliel’avesse data. Cosa
avesse sbagliato.
“Non ha
funzionato, ti pare?”
Replicò e fece persino un mezzo sorriso. “Senti,
rispondi solo ad una domanda.”
“Lily…”
“Mi piace più quando mi chiami Lilian.”
Era sfacciata, inopportuna … e ci stava
ricascando di nuovo. Avrebbe dovuto metterla in guardia, spaventarla.
Invece la
stava ascoltando obbediente. “Siamo amici?” Fece
persino un passo verso di lui.
“È solo una domanda, a tutti è concessa
una domanda. Siamo amici, Ren?”
Una domanda infantile.
Sciocca, avrebbe detto suo zio. Con la vita che aveva non gli era
concesso
avere amici. Erano rischiosi, gli amici.
Era bello, avere
un’amica.
“Ti sei fatta
un’idea
sbagliata di me. Pensi…” Perché nessuno
gli aveva mai insegnato a gestire quel
genere di situazioni? Suo zio non aveva minimamente considerato
quell’aspetto.
“… pensi di avere come amico una persona
che…”
Che non esiste. Che è stata
inventata
solo per te.
“Che sta qui
davanti a me.”
Era esattamente tutto il
contrario. Ma non poteva contraddirla, perché farlo avrebbe
significato far
saltare la copertura.
Sören ritenne che
rimanere
senza parole era il danno collaterale minore, tutto sommato.
“Ren, sei davanti
a me.”
Continuò Lily e gli afferrò la mano, dal nulla.
Trasalì e si frenò da compiere
qualsiasi gesto di difesa. Doveva ricordarsi che Lily non era una
minaccia.
Non
fisica, almeno.
“Lo so.”
“Sei la stessa
persona che mi
portava i libri, che mi dava ripetizioni di Incantesimi e che
è diventato il
mio cavaliere… Sei Ren.” Gli toccò la
base del collo e stavolta Sören non tentò
neppure di scostarsi. Si sentiva come uno di quei serpenti indiani,
ipnotizzato
dal suono di un flauto.
È
davvero lei la sola ad essere stata presa in giro?
Direi
proprio di no.
Sören aveva il
battito accelerato
di chi stava per schizzare via da un momento all’altro,
eppure era immobile e
la fissava come se fosse l’esatto centro di una voragine. O
di uno scrigno del
tesoro, non riusciva a decidere.
Avrebbe mentito se avesse
detto che non era inquietata. Sentiva che in quel momento teneva un
ragazzo tra
le sue mani. E non in senso metaforico, malizioso o simili.
Letteralmente. Era
una sensazione assurdamente nitida.
Sören non era un
ragazzo
normale; uno che con un paio di fatture Orcovolanti ben piazzate
avrebbe potuto
allontanare se diventava molesto. L’aveva visto allenarsi,
aveva visto la
calcolata furia di cui era capace. Avrebbe potuto renderla un
mucchietto di
polvere con un colpo di bacchetta.
Eppure Lily aveva la
sensazione che in quel momento il potere, trai due, l’avesse
lei. Il che era
dannatamente bizzarro.
Aveva quindici anni, in
pochi
mesi ne avrebbe avuti sedici, e gli unici ragazzi che aveva conosciuto
era
innocui, ormonali, scemi.
Non erano Sören.
Forse, in
effetti, era proprio quello il punto focale dell’intera
faccenda.
Poi l’universo
– insomma, loro
in quel momento – si mosse tutto assieme. Sören la
spinse e poi venne il freddo
del muro di pietra.
Lily non tentò neanche di divincolarsi. In
realtà, non aveva la più pallida
idea di cosa fare.
Cosa…
che fa?
Sentì i capelli
dell’altro
sfiorarle le guance. La sua altezza era sotto la media dei ragazzi che
conosceva, ma comunque era più alto di lei e le toccava con
la guancia la
fronte. Aveva una peluria leggera, morbida. Non gli aveva mai visto un
filo di
barba addosso. Forse non gli cresceva.
Era… strano.
Avrebbe dovuto
sentirsi in imbarazzo ad averlo così vicino, eppure, non
sapeva come, aveva la
certezza che non ci fosse niente che preludeva a baci o cose del
genere.
Era come quando
l’aveva afferrata
in bagno – anche se meno doloroso, in effetti.
Era una versione tutta
sbagliata di un abbraccio.
“Sì…
siamo amici.”
Fu poco più che
un sussurro.
Sembrava la voce di un bambino che aveva paura di dire ad alta voce la
forma
che pensava avrebbe preso il suo Molliccio.
“Ren…”
Gli sfiorò la guancia
con le dita. Era bollente come al solito; sembrava avesse la febbre.
“… Ren,
che succede? In che guaio ti sei cacciato?”
Sören a quella
domanda – che
poi era quella vera, quella che voleva fargli da sempre – si
irrigidì di botto.
Si scostò, facendo un intero passo indietro. “Sai
tornare al tuo dormitorio?”
Lily annuì
frastornata da quel
repentino cambio di situazione. “Sì,
credo… credo di sì.” Esitò.
“Non è che ora
sparisci di nuovo?”
Per
quello che ho detto? Voglio solo aiutarti,
accidenti!
Sören non
mutò espressione. Si
era chiuso di nuovo in quel suo guscio irraggiungibile. Solo che non
c’era più
tanta gentilezza attorno. “È Durmstrang. Non
sparirò.” Replicò. “Torna al
tuo
dormitorio. È quasi ora di cena.” Non
aspettò che lo salutasse e marciò via.
Lily si accorse
improvvisamente di avere un gran freddo. Non voleva pensare, processare
in quel
momento ciò che era accaduto.
In effetti non sapeva che pensare.
Tornò indietro,
verso le luci
della sala e in dirittura del loro dormitorio.
Non si accorse minimamente
di chi
era dietro le porte da cui filtrava la luce.
****
Germania,
Bassa Sassonia.
“Conrad
Blecher?”
L’uomo si congelò nell’atto di infilare
in una valigetta una pila di documenti.
Harry non sorrise, anche se il ghigno divertito che gli tendeva le
labbra
premeva per uscire. Ma non era professionale.
Conrad Blecher era il factotum della famiglia Luzhin; colui
che al momento mandava avanti l’azienda nell’attesa
che i coniugi tornassero.
Colui che aveva risposto evasivamente alle domande di Ron, colui che
aveva dato
loro accesso a documenti sì, ma superficiali.
Colui che qualcosa sapeva,
ma
che aveva preferito non dire.
Lo sguardo
dell’uomo, sulla
tarda quarantina, saltò da lui, all’uniforme e il
fodero della bacchetta fino
alla porta. “Wer sind Sie?”
Esclamò
tra lo spavento e l’oltraggio.
Ron entrò in quel
momento
seguito da Nora.
“Buonasera.”
Sorrise il suo
vecchio amico, di quei sorrisi che non avevano niente di amichevole e
molto di
minaccioso. Lanciò un’occhiata alla ventiquattro
ore di pelle. “Non
disturbiamo, spero.”
Il mago si umettò le labbra. Sembrava oscillare tra il
nervosismo e
l’irritazione per essere stato colto con le mani nel sacco.
Il
sacco di chi se la dà a gambe. Appena in tempo.
I permessi di indagine erano
arrivati quella sera, a cena. Un Gufo da parte di Nora li aveva subito
fatti
correre all’Ufficio Passaporte. Per una volta né
Ginny né Hermione si erano
lamentate del pasto saltato. Ginny l’aveva addirittura
aiutato a mettersi il
mantello.
“Chi
siete?” Disse il mago,
stavolta in un inglese passabile.
“Sergente Auror
Ronald
Weasley, Sergente Gillespie… e Harry Potter.”
Snocciolò Ron. Nora si chiuse con
delicatezza la porta alle spalle.
“Harry
Potter…” L’uomo sembrò
sgonfiarsi come un palloncino. Ad Harry non piaceva vedere come il suo
nome
facesse ancora effetto sulle persone. Quella volta ne fu soddisfatto.
“Pensavo di aver
risposto alle
vostre domande.” Borbottò, abbandonando la
valigetta e lisciandosi nervosamente
le falde del mantello. “Vi ho detto tutto ciò che
so sui miei datori di
lavoro.”
“Ancora nessun piano di lavoro?” Spiò
Ron allungandosi sulla sedia di fronte
alla scrivania, pigramente, quasi dovesse riposarsi per un lungo
viaggio. Lungo
non era stato, ma faticoso eccome; la Passaporta Continentale per
Hannover li
aveva lasciato nauseati e frastornati.
Ci
sono ottimi motivi per non abbandonare la nostra
gloriosa nazione…
L’uomo ebbe uno
scatto
nervoso. Un ridicolo scatto verso la valigetta e un’occhiata
verso la porta.
Harry con la coda dell’occhio notò che Nora vi si
appoggiò contro, bloccandola.
“Si sieda, Herr Blecher. Gli Auror hanno ancora
qualche domanda per lei.” Disse in tono calmo, ma talmente
ferreo che ebbe
l’effetto di un ordine. Il mago infatti si sedette dietro la
scrivania,
slacciandosi il panciotto con un sospiro. Aveva cominciato a sudare.
Se
c’è una cosa che ho capito della Thule,
è che non
prende manodopera stupida. Gli stupidi sono materiale, piuttosto. Lui
sembra
proprio fatto di quel materiale.
“Va
bene…” Prese la pipa
dall’interno della giacca e cominciò a caricarla.
“Va bene, sono sempre a
disposizione delle forze di polizia magica. È mio dovere di
cittadino del mio
Ministero.” Fece un sorrisetto esile. “In cosa
posso aiutarvi?”
“I Luzhin l’hanno contattata dalla nostra ultima
conversazione?” Chiese Ron;
l’amico aveva saltato la cena, un pasto vitale per lui
– ma quale non lo
era? – solo per buttarsi un mantello
addosso ed essere sparato su suolo germanico. Harry sapeva che era
preoccupato
quanto lui. Anzi, forse di più; Ron aveva un senso della
famiglia che rasentava
la devozione che un soldato babbano avrebbe avuto per la propria
Patria. L’idea
che Lily o Rose, o Albus fossero nei guai riusciva persino a fargli
bypassare i
suoi istinti più atavici.
“No,
no… nessun contatto.”
Scosse la testa il mago. “Ve l’ho detto,
l’ultima volta che li ho sentiti,
tramite Camino, era Settembre. I primi di Settembre.”
Specificò. “Hanno lasciato
un piano di lavoro dettagliato, a cui ci siamo attenuti
scrupolosamente… Herr
Luzhin mi aveva detto che si
sarebbe messo in contatto con me per metà Novembre, ma non
l’ha mai fatto.”
“E non si è preoccupato?”
L’uomo schioccò le labbra, tirando una boccata di
fumo. “Ve l’ho già detto. È
già capitato che Herr Frederick
e sua
moglie si rendessero non rintracciabili. Quando sono in Asia non hanno
le
stesse possibilità di comunicazione che abbiamo qui in
Europa. È già tanto se
si trova un camino funzionante ogni dieci villaggi di maghi.
È per questo che
vogliamo arrivare in quelle zone.” Scosse la testa.
“Non ci siamo allarmati
perché era già successo.”
“Per così tanto tempo?”
L’uomo scoccò loro un’occhiata.
“No.” Ammise lentamente.
Nora si staccò
dalla porta,
affiancandosi alla poltrona di Ron. Harry sapeva che avrebbe dovuto
sedersi, ma
non ci riusciva. Bruciava dal desiderio intenso di afferrare quel tipo
per il
bavero del mantello e scrollarlo fino a farlo confessare.
Qualsiasi
cosa.
La donna dovette accorgersi
del suo stato d’animo, perché gli rivolse un
sorriso comprensivo.
Sì,
so di essere irragionevole. So che come capoufficio
e ormai imbratta-carte non dovrei neppure essere qui.
Al
diavolo.
“Sören…”
Ed ecco di nuovo quel
fremere nervoso nella labbra del factotum.
Stavolta non se l’era immaginato, c’era stato
davvero. “… Sören, il figlio.
È
il Campione di Durmstrang. Concorre per il Torneo Tremaghi …
è un onore non
privo di rischi.”
“Conosco il Torneo.” Commentò secco
l’uomo. “Siamo tutti molto orgogliosi di
lui.”
“E i genitori?” Incalzò Ron.
“Sono tanto orgogliosi da essersene dimenticati?”
“No!” Esclamò quasi saltando sulla
sedia. Era una molla carica, notò Harry. Ma
c’era sincera indignazione nel suo tono. E paura.
“Lei non…”
“Ci spieghi, Conrad.” Disse con il suo miglior tono
calmo. “Perché ci sono
punti in questa storia che ci rendono perplessi.”
“Le vostre finanze per esempio.” Esordì
Ron. “L’anno scorso l’azienda era
sull’orlo del lastrico, destinata a chiudere. Adesso sembra
essere tornata
sulla breccia, tanto che pensate di espandere il vostro mercato in
Asia. I
conti non tornano… un benefattore, forse?” Chiese
mentre l’uomo perdeva
velocemente colore. “Magari canadese?”
“Come…”
“Abbiamo controllato, Signor Blecher.” Si
inserì Nora. “E abbiamo notato
l’incongruenza. Com’è possibile ricevere
un’iniezione di liquidi da un’azienda
che coltiva in serra Fiori Volanti quando l’azienda in
questione non ha mai
avuto rapporti con voi prima di allora?”
“È
stata…” Altra boccata. “…
è
stata un’idea di Herr
Frederick. Ci
hanno finanziato ricerche di mercato per…”
“Sulla fiducia? Ad
un’azienda
in perdita.” Ron inarcò le sopracciglia, con
un’aria magistralmente stupefatta.
“La cosa davvero strana, Signor Blecher, è che
l’azienda benefattrice risulta…
Com’è
che dite voi americani, Nora?”
“Fittizia.” Rispose la strega con un lieve sorriso.
“Non esiste nessun’azienda
canadese. Però i soldi sono stati versati.”
“La domanda è da chi, Conrad?”
Il mago aveva le mani che
tremavano. Harry lo registrò quando la pipa gli
scivolò dalle mani e dovette
riacchiapparla al volo prima che rovesciasse tabacco su tutto il
tavolo. Non
era nervoso, era terrorizzato.
“Non
ne ho idea. È stata un’idea di Herr
Luzhin…”
Ripeté meccanicamente. “Ha molti contatti
all’estero, viaggia molto. Io mi
occupo delle vendite all’ingrosso in Germania, di mandare
avanti l’azienda
quando lui è in viaggio. Di cercare nuovi portafogli clienti
e cose del genere
se ne occupa il padrone.”
Sta
mentendo.
Harry non era arrivato ad
esser a capo dell’Ufficio Auror solo per la sua vecchia
cicatrice. Non era un
Legimante, non avrebbe mai padroneggiato un ramo simile della Magia
– Piton gli
aveva reso dolorosamente chiaro quanto fosse negato. Ma si poteva
scoprire
molto anche solo osservando.
“La Thule.” Lasciò cadere quelle tre
sillabe come se scaricasse un peso
gravoso. Blecher congelò all’istante.
“Ne ha mai sentito parlare?”
“No…”
Sussurrò. “… cioè,
sì.
Come tutti… è quella setta, no? Sui giornali. Ne
ho letto sui giornali, come
chiunque.” Borbottò.
Harry si lanciò
un’occhiata
con Ron. “Lei ha frequentato Durmstrang, vero?”
“Sì, cosa c’entra questo?”
Spiò il mago sconcertato da quell’improvvisa
diversione.
“Negli stessi anni
del Signor
Luzhin?”
“No, ero qualche anno più avanti.”
Scosse la testa. “Cinque per la precisione.”
Ron gli lanciò
una seconda
occhiata; era un azzardo. Non c’era nulla, sulla carta, che
collegasse il factotum alla Thule o
a Alberich Von
Hohenheim. Conrad Blecher era un purosangue di una famiglia
relativamente poco
agiata, un ramo cadetto dei Luzhin. Lui e il Capofamiglia erano cugini
alla
vicina, e questo doveva essere uno dei motivi principali del suo
impiego. Una
persona come Hohenheim, influente e dominante, difficilmente si sarebbe
avvicinato ad uno come Blecher, un mago che si poteva tranquillamente
definire
di seconda mano.
A
meno che non ci sia stato un periodo della loro vita
in cui erano pari.
C’era una cosa che
collegava
Von Hohenheim all’uomo di fronte a loro.
Sono
coetanei. Entrambi allievi a Durmstrang. Gli
schedari di quella maledetta scuola sono accessibili quanto la
Gringott,
l’abbiamo visto con Sören, ma si può
sempre fare un tentativo alla cieca…
Diede un lieve cenno
d’assenso
a Ron.
“Ha frequentato
l’Istituto
negli stessi anni in cui l’ha frequentata il loro leader, o
uomo di facciata,
che dir si voglia.” Disse Ron. “Mi sembra strano
che non l’abbia conosciuto.
Alberich Von Hohenheim?”
La reazione non si fece
attendere. Blecher come Occlumante sarebbe stato una frana totale,
perché
l’espressione di panico che gli spuntò in viso era
inequivocabile.
Eccolo
qua, il collegamento trai Luzhin e Von
Hohenheim.
“Non…
non ricordo. Può
essere.” Mormorò con una cautela del tutto
inutile. Scrollò la cenere della
pipa un’altra volta, anche se il caricatore era vuoto.
“Nel nostro anno non
eravamo pochi, non abbiamo Case che ci dividono come da voi…
eravamo divisi per
anno, in dormitori misti.” Continuò tentando di
montare una storia il più
rapidamente possibile.
Harry ne aveva abbastanza di
stare ascoltare chiacchiere sterili. Si avvicinò in una
falcata e sbatté la
mano sul tavolo, con forza, abbassandosi all’altezza
dell’uomo. Quello sussultò
come se gli fosse esploso un incantesimo sotto il fondoschiena.
“Blecher, se
volessi sentire una storia di fantasia ascolterei la radio. Voglio la
verità.”
“Sto…”
“Possiamo fare un controllo e vedere se soggiornavate nello
stesso dormitorio.”
Si inserì Nora; forse stava bluffando, anzi quasi
sicuramente. Ma il tedesco
non poteva saperlo. “Non ci vorrà molto.”
“Blecher, fai un favore alla nostra pazienza e al tuo
sedere.” Sbottò Ron.
“Dicci quel che sai.”
L’uomo fece un
ultimo
disperato tentativo di guardare la porta, ma questa era saldamente
ostruita da
Nora. E di fronte, aveva la mole fulva di un inglese di nome Ron
Weasley.
Si passò le mani
sul viso,
sfregandole. “Io… sì. Lo conosco.
Conoscevo.” Rettificò con un filo di voce.
“È
stato tanto tempo fa, eravamo ragazzi. Erano solo incontri…
un gruppo di studio.
Se stava organizzando la sua …
associazione…”Esitò sulle parole, ma
poi
continuò. “… io non ne sapevo
nulla.” Non tolse le dita dagli occhi, premendole
appena. “Alberich era un tipo a cui davi retta. Da stimare,
uno di quegli
studenti portati in palmo di mano. Aveva quel modo di parlare che
subito… beh,
ti ritenevi fortunato che ti rivolgesse la parola, specie se eri una
persona da
nulla come me, uno che non portava neppure
l’anello.”
Harry guardò confuso Ron, che sospirò.
“Nobiltà cadetta.” Spiegò.
“Non hanno il
diritto di portare l’anello col blasone di
famiglia.” Scrollò le spalle, con
l’aria di chi la riteneva una grande cavolata.
“Siete rimasti in
contatto
durante questi anni?” Chiese Harry e il mago
ridacchiò come se avesse sentito
qualcosa di molto divertente. Tolse le mani dal viso e prese a caricare
di
nuovo la pipa.
“No, Alberich non
era precisamente
un tipo da rimpatriate, se capite cosa intendo.” Fece un
mezzo sorriso. Harry
notò che aveva smesso di tremare. Per quanto fosse ancora
pallido e nervoso,
sembrava meno spaventato.
Scaricarsi
la coscienza fa questo effetto.
Lo pensò con
rabbia sorda, ma
cedere ai propri sentimenti sarebbe stato contro produttivo a quel
punto
dell’interrogatorio.
“Quindi come siete tornati in contatto?”
“Un anno fa, circa… l’azienda navigava
in cattive acque. Pessime, a dirla
tutta.” Fece una smorfia, seguita da un tiro di pipa.
“Il padrone e sua moglie
mi chiesero consiglio. Mi chiesero se conoscevo qualcuno che poteva
aiutarli.”
Fece una breve pausa. “La verità è che
è stato lui a cercarmi.” Inspirò.
“Non
ho idea di come abbia fatto, ma non me ne stupisco. Uno come Alberich
ha
orecchie e occhi ovunque.”
Harry non disse nulla,
processando le informazioni; Hohenheim non era il solito nemico che si
ergeva
solo, con una corte di devoti sottoposti a danzargli attorno come
burattini.
Era chiaro che la sua organizzazione funzionasse indipendentemente dai
limiti
che poteva avere in quanto persona. Lui, semplicemente, la usava.
Una
famiglia a rischio rovina. Un ragazzo coetaneo di
Tom. Un infiltrato perfetto.
Ma
solo un ragazzo… com’è possibile che
abbiano scelto
un adolescente come spia?
Certo, a quanto gli aveva
detto Nora la Thule sceglieva adepti giovani, la cui
personalità in formazione
si adattava benissimo ad essere plasmata.
Ma
il ragazzo, facendo i conti, è stato contattato meno
di un anno fa. È poco tempo per un’operazione
così delicata. Dissennatori,
infiltrarsi…
Dato il modus
operandi della Thule gli sembrava insolitamente incauto.
“Io ho solo fatto
da
intermediario.” Continuò il mago. “Herr
Luzhin ha voluto fare tutto da solo… mi sono soltanto
limitato a ritirare una
lettera nella taverna in cui vado di solito.”
“Una lettera?”
L’uomo si chinò ad aprire un cassetto basso nella
scrivania. Harry vide Ron e
Nora portarsi la mano destra alla cintura, ma poi il mago
tornò su e gli porse
una lettera la cui ceralacca era stata già strappata.
“Il padrone mi ha chiesto
di conservarla. Per sicurezza.” Spiegò.
“Gli è stata recapitata da… beh, lui.”
Harry lesse. Era un
indirizzo.
Ad una sua occhiata interrogativa l’altro chiarì.
“È un indirizzo qui ad
Hannover, nel nostro quartiere magico. È esolo un numero
civico in mezzo ad una
strada. Una casa abbandonata. È lì che Herr
Luzhin deve essersi incontrato con Von Hohenheim.”
O più probabilmente con un suo
tirapiedi.
“Non so come si
siano svolte
le cose dopo, cosa abbia comportato accettare quei soldi. Non credo sia
stata
beneficienza.” Disse Blecher, con una smorfia amara.
“So solo che verso
Settembre sono partiti per l’Asia e da
allora…” Tacque e un’ombra gli
passò
nello sguardo. “Avevo avvertito Herr
Frederick…
gli avevo detto che ogni cosa ha un suo prezzo, e che tutti questi
galeoni ci
avrebbero salvato, sì, ma erano… troppi.”
Sussurrò chiudendo gli occhi per un attimo. “Ogni
cosa ha un suo prezzo.”
“Dove sono adesso i Luzhin, Blecher?” Chiese Ron, e
dall’espressione che Harry
gli vide era chiaro avesse già la risposta.
“Non lo so. Non so
se la loro sparizione
c’entri con Alberich o con la Thule.” Sembrava
sincero e Harry pensò che
neppure il migliore Veritaserum avrebbe potuto fargli avere
quell’espressione
di disarmata angoscia. Ron
lanciò
un’occhiata alla ventiquattro ore e alla piccola cassaforte
alle spalle del
mago.
“È per
questo che stava
scappando?”
Il tedesco serrò
appena le
labbra. “Cosa vi aspettate che facessi? L’azienda
è stata tutta la mia vita, ma
visti i presupposti, visto che persino degli Auror inglesi sono venuti
a farmi
domande… credevo fosse meglio sparire per un po’.
E di mia spontanea volontà.”
“E
Sören?” Spiò Harry; per
quanto quel ragazzo fosse una possibile minaccia, era pur sempre una
vittima.
È
stato offerto dai suoi genitori a Hohenheim per
salvare l’azienda.
Sentiva la rabbia che
sobbolliva, e non era scattato solo grazie alla mole spaventosa di
tensione che
aveva dovuto processare durante tutta la sua infanzia.
Ragazzini.
Questa è una maledetta guerra tra ragazzini.
“È a
Durmstrang.” Rispose
l’uomo ottusamente. “È il Campione del
Tremaghi.”
“Non ha pensato che possa essere stato coinvolto?”
“Sören?” L’uomo apparve
sconcertato all’idea. “Per quale motivo?”
Harry si scambiò
un’occhiata
con Ron e Nora; la reazione dava da pensare, ma poteva essere
comprensibile
alla luce di un uomo che non aveva idea come funzionassero le strategie
di Von
Hohenheim.
“Si è
tenuto in contatto con
lui?”
“No… non abbiamo corrispondenza.”
Scrollò le spalle. “Sono solo il factotum
dell’azienda. Se avesse bisogno
di qualcosa certo, mi manderebbe un Gufo, ma fin’ora non
è mai successo.”
“E non
è mai tornato a casa?”
Blecher scosse la testa. “No, è andato
direttamente all’Istituto.”
“E non
l’ha trovato strano?”
Il mago aggrottò
le
sopracciglia. “È da anni che non lo vedo, da
quando è entrato all’Istituto. Non
viene mai ad Hannover, passa le vacanze in Baviera. La famiglia di sua
madre ha
una casa sul lago Chiemsee¹.” Si mosse sulla sedia.
“Gli è successo qualcosa?”
Harry improvvisamente
ricordò
una cosa che gli aveva detto Tom.
Potrebbe anche non essere il vero
Luzhin…
Potrebbe anche avergli rubato l’identità.
Lì per
lì non gli aveva data
molta udienza; era infatti impossibile che un altro ragazzo si fosse
sostituito
al Luzhin originale. C’era un’intera scuola che
l’avrebbe smascherato
immediatamente.
Però…
abbiamo la magia. E la magia risolve molte
incongruenze.
“Nessuno
dell’azienda lo vede
da quando ha undici anni, è esatto?”
L’uomo esitò. “Beh, di persona. Ho visto
le sue foto sul giornale.”
“L’ha trovato cambiato?”
Era cosciente del fatto che
Ron e Nora lo stessero guardando perplessi, ma gli si stava formando
un’idea in
testa. Un’idea che gli dava i brividi, ma che partiva proprio
da quella serie
di opportune coincidenze.
Un
ragazzo che nessuno ad Hannover o nell’azienda di
famiglia ricorda. Un ragazzo che non torna a casa da anni, che
è sempre rimasto
chiuso in una scuola Intracciabile.
“Com’è
naturale direi, tutti
cambiano in sette anni.”
Si limitò ad un
cenno
d’assenso, lasciando che Ron continuasse
nell’interrogatorio.
C’era assoluto
bisogno di
trovare i genitori di Sören Luzhin; gli unici, a quanto pare,
capace di dirgli
se suo figlio fosse stato sostituito.
****
Norvegia,
Durmstrang. Notte.
Rose stava cercando di
trovare
la posizione adatta per dormire.
Era stata una giornata densissima di avvenimenti e l’ultima
cosa di cui aveva
bisogno era passare la notte in bianco.
Non che dipendesse da lei;
trovarsi in un ambiente così distante dal silenzio delle
foreste della Scozia, era
disagiante. Era inquietante sentire quel continuo mugghio, quasi una
bestia
della favole soffiasse sulle mura del castello.
Aprì gli occhi,
sbarrandoli
nel buio della camerata. Le imposte erano state chiuse e da esse non
filtrava
luce.
Di colpo notò
qualcosa di improbabile.
C’era una luce. Una luce
che filtrava
dalla porta della stanza, da sotto. Sembrava la luce di una candela o
di una
lanterna. Era intermittente.
Sembra quasi… non è
possibile. Sembra
codice morse!
Conosceva quel particolare codice grazie ad una passione
tutta personale di
Hugo per i linguaggi cifrati; aveva passato notti intere a giocare con
il
fratello nel loro grande appartamento di Mayfair, a lanciarsi segnali
con le
torce – o si chiamavano pile?
Dubitava però che
qualcuno dei
suoi compagni conoscesse quel codice.
Anche
se…
C’era una persona
a cui
l’aveva insegnato per comunicare durante le noiose lezioni
del professor Rüf. Che
poi era la stessa persona che stava facendo quei segnali luminosi, dato
che a
decifrarli, veniva fuori un nome.
Scorpius.
Si alzò dal
letto, infilandosi
la vestaglia e afferrando la bacchetta sul comodino. Si
appoggiò alla porta
chiusa. “Ehi, sei tu?”
“Ehi.” Gli rispose la voce familiare del suo
ragazzo. “In persona, fiorellino.
Dormivi?”
“Certo, come no.” Ironizzò.
“Tu?”
“C’è uno del coro che russa come una
grancassa. È tremendo.” Sospirò.
“Posso entrare?”
Rose guardò alle sue spalle; sentiva i respiri pesanti delle
ragazze
addormentate. Anche Lily era crollata, anche se aveva passato buona
parte del
post-buonanotte a fissare il soffitto con gli occhi sbarrati. Non era
un sonno
pesante, però, ne era sicura, con la sicurezza di sette anni
passati a dormire
in compagnia altrui.
“Meglio di
no… Alcune
potrebbero avere una sincope a vedersi un maschio a pochi centimetri
dal letto.”
“Primine.” Sbuffò il ragazzo.
“Allora vieni tu?”
“In una camerata di ragazzi? Scordatelo. Ho già
passato esperienze olfattive
oltre il tollerabile in quella di Grifondoro.”
“No, intendevo… in un posto.” Il tono si
fece vago. “Qui in giro.”
A Rose sovvenne un pensiero.
“Da quant’è che sei in
giro?”
Sospettava che James gli avesse passato alcune deprecabili abitudini.
Prima tra
tutte, le passeggiate notturne.
“Svariato tempo.” Fu la replica sibillina.
“Mi apri? O dobbiamo sussurrarci
come amanti clandestini? Pensavo avessimo passato questa
fase.”
Rose ridacchiò, stringendosi la cintura della vestaglia ed
infilandosi la
bacchetta in una delle tasche. Aprì la porta con tutta la
cura possibile e se
lo trovò di fronte, bardato di mantello e lanterna.
“Una lanterna, sul serio?”
“Un uccellino mi
ha detto che
se qui accendi un lumos
è come
mettere una freccia enorme e luminosa sopra la tua testa.”
Rose batté le palpebre, stupefatta.
“Rilevano…”
“Già.” Confermò con un mezzo
sorriso. “E non vogliamo che qualcuno ci scopra in
una scuola straniera dopo il coprifuoco, vero fiorellino?”
Ghignò e Rose non
poté non pensare che quell’espressione le faceva
venire le farfalle allo stomaco.
Sempre
fatta. Prima però le scambiavo per irritazione. Faccia
da schiaffi Malfoy.
Inarcò le
sopracciglia, perché
dargliela vinta al primo round sarebbe stato controproducente per il
loro
rapporto. E poco divertente, anche. “Cosa ti fa pensare che
ti venga dietro
senza colpo ferire?”
Scorpius batté le palpebre. “Il tuo amore
imperituro?”
“Ritenta, sarai più fortunato.”
Il ragazzo si grattò una guancia, poi squadernò
un gran sorriso. “La tua
curiosità vorace. Ehi, siamo a Nord. Facciamo i
turisti!”
“Malfoy, sii
comprensibile.”
“Non è divertente.” Scrollò
le spalle come se fosse una spiegazione del tutto
sensata. “Dai, fidati. Ti porto in un bel posto. Prendi il mantello e
mettiti gli stivali da
viaggio.”
Rose inspirò. “Io… credo che potrebbe
essere pericoloso. Non siamo ad
Hogwarts.”
Quella scuola le dava i
brividi..
Persino Dominique, che
facendo
parte della delegazione francese era arrivata il giorno prima, si era
espressa
in termini simili.
Beh,
più o meno. Alla Domi, insomma.
“’Sti
tipi sono simpatici come un dente di drago su per
il culo.” Aveva chiosato scivolandole accanto alla fine del
pasto. Il tavolo di
Beaux-Batons era accanto al loro e il passaggio era stato notato solo
dalla
Parkinson-Goyle che aveva fatto finta di guardare dall’altra
parte. Come al
solito.
“Domi!”
“Beh? È vero. Prova a parlare con uno di loro. O
fingono di non capirti o
mettono su la commedia del soldatino. Non son contenti di averci qui,
parola
mia.”
Scorpius
sbuffò. “Ti sei fatta
influenzare da Dursley. È un accademia, non una
prigione.”
Rose sospirò.
“Solo un giro
veloce.”
“Promesso.”
Dopotutto non era vera vacanza, per il suo sangue Weasley, se non
c’era
un’avventura di mezzo.
Si fece guidare dalla mano
di
Scorpius, e la luce della lanterna che ondeggiava a pochi passi da lei
era
l’unica cosa che vide durante tutto il tragitto. Di
Durmstrang, tornata a casa,
avrebbe descritto soprattutto il buio.
Sperava non fosse perenne,
che
perlomeno la mattina il sole sorgesse.
Salirono delle ripidissime
scale, scivolose e ghiacciate; il cambio di temperatura si fece sentire
di
colpo. “Scorpius…”
“Stiamo uscendo sul tetto, copriti bene.” Le
consigliò, voltandosi e
regalandole un sorriso che la fece desistere da ulteriori obiezioni.
Era quel
maledetto sorriso da Raggio di Sole
che le aveva fatto voltare le spalle alla forma
mentis di suo padre e metà della famiglia.
Le avrebbe fatto anche
percorrere delle maledette scalette gelide.
Sentì una porta
cigolare sopra
le loro teste; era una botola. Si chiese come Scorpius la conoscesse,
ma poi lasciò
perdere. Non c’erano limiti alle informazioni che quella
testa matta riusciva
ad ottenere dalla sua famiglia o da Zabini e Nott.
“Chiudi gli
occhi.”
“Mi ammazzerò su queste scale!”
“Ti tengo per mano, non ti romperai niente. Weasley
malfidata.”
“Detto da quello che di cognome fa Malfoy.”
Replicò sentendolo ridacchiare. Perché
sì, nel mentre gli occhi li aveva chiusi
sul serio. Sentì la forte morsa gelida del freddo e poi
mosse qualche passo su
una superficie liscia, grossi quadratoni di pietra, pavimento; erano
usciti.
Scorpius la aiutò a compiere i restanti passi verso
qualcosa. Sperava non verso
un’altezza sconsiderata perché non aveva simpatia
per le voragini aperte nel
vuoto.
“Okay, apri gli occhi.”
Rose lì aprì e, come la volta in cui
l’aveva fatta salire su una scopa per
sorvolare la Foresta Proibita, si sentì mozzare il fiato. Il
cielo non era cupo
e scuro come si sarebbe aspettata. Era anzi luminoso come il giorno, in
mille
rifrazioni di colore che si muovevano come onde sinuose
nell’atmosfera.
“Aurora
boreale…” Sussurrò.
“Da queste parti
si vede.”
Confermò affiancandolesi. “Me ne aveva parlato mia
madre tempo fa. Tenuto a
mente.” Si picchiettò la fronte. “Come
dico spesso, fiorellino, a volte bisogna
vedere le cose da una diversa prospettiva. Durmstrang non è
orribile. È solo
diversa.”
Rose distolse lo sguardo dallo spettacolo naturale per fissarlo sul
suo, di
spettacolo personale; Scorpius aveva fiutato la sua angoscia. E come
sempre,
aveva fatto la mossa giusta.
Lo abbracciò
stretto, grata e
innamorata. Erano cose che andavano piuttosto bene a braccetto.
“Non
c’è di che.” Indovinò
Scorpius baciandole i capelli. “Non ti sei innamorata di un
cretino, sai?”
“Sì, invece.” Alla sua espressione
offesa rise, baciandolo. “Ma sei un cretino
fantastico.”
Scorpius assunse
un’espressione riflessiva. “Posso sposarti, un
giorno, Rosie?”
Rose inspirò
bruscamente,
perché se sarebbe morta d’infarto, un giorno,
sarebbe stata colpa di quel bislacco,
pazzo biondo. “… direi di sì.
È una proposta?”
Scorpius le prese il viso
tra
le mani. “Puoi contarci. Lo giuro su questo milione di
particelle luminose. Un
giorno, Weasley, io ti sposo.”
Rose diede
un’occhiata
all’aurora. “Beh, allora dov’è
il mio anello?” Scherzò. Intercettò
l’improvviso
accendersi dello sguardo dell’altro.
…
Oh.
“Sì,
ho pensato anche a questo.”
“Svegliati.”
“Mh?”
Albus rotolò sullo stomaco, sentendo la mano di Tom
scuoterlo con una certa
urgenza. D’istinto afferrò la bacchetta sul
comodino, cercando di mettere a
fuoco la situazione. “Che succede?”
“Niente che richieda una bacchetta.” Lo
tranquillizzò. Riusciva a vedere nel
buio l’ombra del suo profilo e persino il vago disegno
deprimente della t-shirt
elettiva di quella sera.
“Sì, ma
… è già ora di alzarsi?”
Intravedeva un lieve lucore alle imposte della finestra.
Se
è questa tutta la luce che avremo…
“No, è
notte. Vieni a vedere
una cosa.” Lo incitò e Al, remissivo come solo il
rincoglionimento gli
permetteva, si trascinò infreddolito fino alla finestra. E
spalancò gli occhi
di colpo.
Non aveva la minima idea di cosa fossero quelle scie di luce verdi che
lampeggiavano
nel cielo notturno. Incantesimi? Troppo brillanti e continuate. Lanciò
un’occhiata preoccupata a Tom, ma vide
che l’altro sorrideva divertito.
“Non è magia. Si chiama aurora polare, o boreale.
È un’illusione ottica causata
dall'interazione di particelle di origine solare con
l’atmosfera terrestre. È un
fenomeno naturale.” Gli spiegò. “Siamo
alla latitudine giusta per apprezzarla
al meglio.”
Al capì solo
metà dei termini
che l’altro snocciolò. Si limitò ad apprezzarla
al meglio. Era uno spettacolo che neppure nel Mondo Magico
aveva uguali, e
sì che di luci e colori loro ne erano pieni.
“La possono vedere
anche i
babbani?”
Tom inarcò le sopracciglia. “Fenomeno naturale, ho
detto.”
Al arrossì. Si era chiesto, durante il viaggio, quale
sarebbe stata la sua
utilità in tutta quella faccenda una volta arrivati a
Durmstrang. Non per la
delegazione, ma per Thomas. Era bravo con le erbe, e con gli
incantesimi
curativi. Ma non sapeva nulla di duelli e a quanto pare, della maggior
parte
delle cose del mondo. Quell’Hohenheim invece sembrava un
pozzo di conoscenza,
se aveva reso Tom chi era.
“Un'altra prova
della mia ignoranza.”
Ironizzò incrociando le braccia al petto, reprimendo un
brivido.
“Non sei
ignorante, sei nato mago.”
Aggrottò le sopracciglia alla parola, ma la ritenne valida,
perché continuò. “Sei
settoriale.”
Tom aveva l’aria
di qualcuno
che non era riuscito a chiudere occhio, neppure per riposarsi.
Quindi
ha trovato una scusa per svegliarmi. Non è
romantico? Beh, è Tom. Va bene così.
“È
molto bella, ma io ho
freddo.” Si voltò verso di lui. “Se non
vuoi che torni a letto e dorma forse
dovresti ovviare al problema.”
L’altro lo
guardò
attentamente, poi fece un mezzo sorriso. Lo abbracciò
passandogli le mani
ancora calde di letto lungo le spalle e le braccia, fermandosi sulla
vita. Erano
quello che qualcuno avrebbe chiamato ‘coccole’, ma
non il suo spigoloso
ragazzo; aborriva quella parola come se fosse una tremenda maledizione
arcaica.
Gli appoggiò la guancia sulla spalla, baciandola e ispirando
il leggero profumo
di cotone e dentifricio. “Andrà meglio
domani.” Gli promise e si promise. Forse
non era un duellante abile, né un eroe da prima ora. Forse
era quello il suo
compito. Non esserlo. “Domani, andrà molto
meglio.”
Tom non rispose ma strinse la presa.
Sì,
eccolo qui il mio compito – pensò
lanciando un’occhiata a quell’aurora, che
illuminava di verde e azzurro la loro prima notte a Durmstrang.
****
Note:
Questa la
canzone. Non mi ricordo neanche di che album sia, ma la adoro.
1.Il
Chiemsee, detto anche bayerisches Meer,
cioè mare bavarese, è il
più grande lago della Baviera e, dopo il lago di Costanza ed
il Müritz, è il
terzo lago della Germania per estensione. (da Wikipedia)
Spero di riuscire ad
aggiornare in tempi brevi, ma come sapete, non posso promettere niente.
Un grazie fantastilioso a tutte le ragazze di facebook. Ricordo ancora
che per
chi mi vuole contattare o avere informazioni sui capitoli, nel mio
profilo c’è
anche il bottone facebook. Chiedetemi l’amicizia, solo
specificate chi siete^^
A presto! – spero, sigh.
|
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Capitolo 53 *** Capitolo L ***
Capitolo L
Per vivere
con onore bisogna struggersi, turbarsi, battersi, sbagliare,
ricominciare
da capo e buttare via tutto
e
di nuovo ricominciare e lottare e
perdere eternamente.
La
calma è una vigliaccheria dell'anima.
(Lev
Tolstoj)
7
Gennaio 2023
Norvegia, Durmstrang.
Mattina.
Quella mattina Durmstrang aveva un aspetto decisamente migliore.
Svegliarsi con il sole era
stata una piacevole sorpresa; Albus appena alzato aveva chiesto a
Thomas – che
già vestito e pulito divorava un libro alla finestra - se
fosse un fenomeno
certo, di tutti i giorni. Voleva rassicurazioni. Gli era stata scoccata
un’occhiata che l’aveva qualificato come il
geograficamente più ignorante di
quella stanza.
Lui
e le sue stupide scuole primarie babbane. Ma non
erano i paesi del Nord ad avere meno luce?
Tom poi, mentre lui cercava
di
aver ragione della sua inestricabile massa di capelli mattutina, gli
aveva
spiegato che si trovavano alla stessa latitudine di Hogwarts e quindi
le famosi
notti perenni non erano cosa di cui doveva preoccuparsi.
Per
fortuna, aggiungerei.
La mattina era migliorata
lentamente, ma in modo costante. Certo, Tom era chissà dove
ad accompagnare
Scorpius a rilasciare un intervista per il quotidiano locale, ma era
uno scotto
da pagare se si era assistenti del Campione. Scorpius inoltre non
sapeva una
parola di tedesco, lingua in cui si sarebbe tenuta la conversazione.
Gli farà bene avere a che fare con
Malfoy
per qualche oretta.
Se
ne torna sempre felicissimo di stare con me.
Al varcò la porta
del refettorio
e anche lì notò come tutto fosse pieno di luce;
una splendida luce accecante. Il
rumore di centinaia di mascelle gli avevano ricordato la Scozia.
Non era male.
Si servì dal
lungo tavolo
delle cibarie situato in fondo alla sala e intercettò con un
sorriso Dominique
seduta con la delegazione di Beaux-Batons. Anche loro sembravano
più spensierati
rispetto alla sera prima.
Possibile
che un po’ di luce cambi un ambiente?
Ad ogni buon conto non
vedeva
nessuno dei suoi, eccezion fatta per qualche ragazzo del coro; fu quasi
tentato
di sedersi con la cugina francofona – per quanto poco amasse
i suoi lazzi e le
sue chiacchiere sconclusionate, era meglio che gestire la sua
delegazione.
Poi, come una visione,
apparve
Rose, in uniforme impeccabile e la spilla da Caposcuola bene in vista.
Al le
fece cenno e venne raggiunto in un batter d’occhio.
A guardarla da vicino,
più che
investita dell’aria luminosa della giornata, sembrava irradiarne.
Uh?
“Wow, certo che da
giorno a
notte questo posto cambia completamente!” Esclamò
occhieggiando il tavolo
imbandito con fare distratto. “Dove ci sediamo?”
“Dove non vengo
subissato di
domande o richieste di spiegazioni se non ti spiace. Lontano dai
nostri,
quindi.” Le sorrise. “Vado a cercare un
posto.”
Rose annuì con la stessa espressione raggiante di prima. E
anche un po’ vacua.
A dirla tutta, si guardava attorno come se fosse lì per
sbaglio e non spinta
dall’atavico bisogno di nutrirsi.
Ripeto.
Uh?
“Rosie?”
La apostrofò quando
vide che non si sarebbe mossa manco per sbaglio verso la colazione.
“Non vai a
prendere qualcosa?”
“Oh, giusto!” Esclamò riscuotendosi di
colpo. “Vado subito.”
Al la seguì con lo sguardo mentre si serviva afferrando cose
che per la maggior
parte non avrebbe neppure
assaggiato.
Da
quando mangia aringhe a colazione?
Decise di aspettare che
fossero seduti. Scelse apposta un tavolo vuoto, circondato da tavoli di
soli
durmstranghiani occupati a rifocillarsi chiacchierando rumorosamente in
un
pastone di lingue nordiche.
Operazione
prudenza conclusa.
Quando Rose si sedette non
perse tempo. “Che hai? Sembra ti abbiano tirato una botta in
testa.”
“Eh?” Rose batté le palpebre nello
stesso, esatto modo di prima. Come se non
capisse la domanda o meglio, come se non l’avesse neanche
ascoltata. “Non ho
niente, sto bene.”
Le brillavano gli occhi come
ad un Cacciatore dopo un tiro particolarmente fortunato e decisivo.
“Sì,
certo.” La prese in giro.
“O qualcuno ti ha versato della Felix Felicis sullo
spazzolino da denti o hai
appena perso una quantità consistente di neuroni.”
Rose a quel punto ebbe una
strana reazione; si guardò furtiva in giro e poi
squadernò un sorriso che
definire entusiasta era riduttivo. Non l’aveva vista
sorridere così neppure
quando aveva preso il suo primo Ogni Oltre Previsione a Storia della
Magia.
Era un po’
inquietante.
“Non hai notato le
mie mani?”
Chiese mentre le teneva saldamente sotto il tavolino.
Al si sentì
genuinamente
confuso. “A parte il fatto che non le vedo se le tieni in
quel modo… ma poi
perché dovrei?”
Rose si appoggiò
sullo schienale
della sedia. “Beh, non so…” Gli
piazzò la mano destra a pochi centimetri dal
naso. “Magari per questo.”
Albus mise a fuoco un lampo brillante. Un cerchio molto brillante al
dito della
cugina. Poi, naturalmente, realizzò.
Metà del
refettorio si girò
all’esclamazione di sorpresa che lanciò
– e temette che fosse perché era stato tutto
fuorché virile, ma al diavolo. “Oh, Merlino
benedetto! È un…”
“… una pantofola.” Terminò
per lui Rose, lanciandogli un’occhiata di
avvertimento. “Una bellissima e inaspettata pantofola.”
Al capì
l’antifona. La
comprese. Poi le afferrò la mano per esser certo di aver
visto bene. Era la
prima volta che vedeva un anello di fidanzamento indossato da una
cugina, del
resto.
Se
non si conta quello di Vic. Io e Lils abbiamo boicottato
la visione per solidarietà verso Jamie. E per convincerlo a
non
trasfigurarglielo in un cobra reale, anche.
L’anello che
brillava al dito
di Rose era straordinariamente… carino.
Un semplice cerchio d’oro rosa intrecciato con motivi celtici.
Straordinariamente
perché mi sarei aspettato una roba
da venti carati da uno come Malfoy.
Ma
non da Rosie… furbo, il ragazzo.
Rose arrossì in
quel modo
tutto particolare delle ragazze di mostrarsi in realtà
super-compiaciute. “Me
l’ha dato ieri sera e… beh, credo di averglielo strappato di mano.”
Avvampò completamente. “Poi il resto è
piuttosto nebuloso. Devo aver avuto un crollo psicotico.”
Al ridacchiò. “È una meraviglia. E
credo che il crollo psicotico fosse compreso
nella reazione.”
Rose coprì la
mano incriminata
e fece un mezzo sospiro. Era cambiata, la sua rigorosa cugina, in
quell’ultimo
anno. Era buffo – e un po’ nostalgico –
ricordarsi com’erano prima che
accadessero quella serie di eventi terribili e convulsi; Rose con i
suoi trancianti
pregiudizi e lui con le sue annose insicurezze.
Stiamo
crescendo tutti. Accorgersene non è male.
“L’anello
non significa che ci
sposeremo subito. Tipo, appena usciti da Hogwarts.”
Spiegò sfiorandolo con il
pollice. “È solo un … memorandum,
secondo Scorpius.”
“Furbo, il
ragazzo.” Tradusse
a voce, facendola ridacchiare. “Gioca
d’anticipo.”
“Conoscendo le nostre famiglie, è
sensato.” Si schiarì la voce. Era ovvio che
avesse passato tutta la notte a rigirarselo e coccolarselo con lo
sguardo. Lo
stava facendo anche in
quel momento. “Ci
vorranno anni per far accettare
l’idea di un matrimonio a papà… o al
Signor Malfoy.” Ma non sembrava
particolarmente preoccupata. “Strategia.”
Al ghignò dandole una pacchetta sulla mano. Accanto a loro
le colazioni
giacevano per il momento dimenticate. “Non mi risulta che la
strategia faccia
brillare gli occhi, Rosie.”
L’altra sbuffò con un sorriso tenace che le
aleggiava sulle labbra. “Dentro di
me sto urlando come ad una finale di Coppa. Conta?”
“Moltissimo.”
“Ehi,
di che state parlando?”
Rose si rese conto del cambio di atmosfera dalla faccia di Al; il
cugino aveva
appena realizzato di avere alle spalle la sorella.
Lily non era stata confinata
negli alloggi della delegazione; alla fine il Preside, anche per
evitare che
l’Istituto si rendesse conto che avevano portato
un’imbucata, aveva
acconsentito a farla stare in giro esattamente come tutti gli altri.
Albus non poteva saperlo, considerando che la notizia era stata
comunicata nel
dormitorio delle ragazze quella mattina.
“Perché
sei qui?” Gli chiese,
ed era il tono gelido delle grandi incazzature.
Nessuno
vuole vedere Al arrabbiato e in
controllo. Se
è furioso, paradossalmente, è quasi meglio.
Se Lily era rimasta male all’accoglienza gelida,
non lo diede a vedere,
preferendo una smorfia scocciata da bambina viziata di cui era suprema
esperta.
“Non sono mica una prigioniera!”
“No, ma non sei
neanche la
benvenuta.”
“Al…” Tentò; il mondo le
sembrava un posto così bello che era un peccato che
quei due fossero in rotta per una faccenda che, a conti fatti, era
inevitabile
nel breve periodo. Non che suo cugino avesse tutti i torti, aveva tutte
le
ragioni piuttosto; ma Rose sapeva che a volte il torto o la ragione non
c’entravano molto, nei rapporti interpersonali. Quasi per
niente, a dirla
tutta.
Lily serrò le
labbra. “L’unico
a non aver accettato che sia qui sei tu. Ci sono, fattene una
ragione!”
“Non quando potrò metterti sulla prima Passaporta
disponibile.” Replicò Al,
voltandosi di nuovo verso Rose; aveva la mascella tirata e gli occhi in
tempesta, ma le sorrise comunque. Era spaventoso. “Rosie,
devo andare. Ci
vediamo alla prima lezione. Tra un’ora, giusto?”
“Sì, tra un’ora.”
Confermò. Dividere le lezioni con i durmstranghiani in una
lingua a lei aliena – e con la magra speranza che gli
incantesimi di traduzione
facessero il loro lavoro - non le arrideva, ma tutto era meglio che
rimanere con
quei due allo stesso tavolo.
O
nella stessa stanza, se è per questo. Non pensavo
l’avrei mai detto, ma vorrei che Jamie fosse qui.
Albus si alzò,
lasciando la colazione
intoccata. “A dopo.” Ripeté prima di
afferrare la tracolla e marciare via senza
pronunciare un’altra sillaba.
“Lily, lascialo
sbollire, lo
sai che non gli passerà in un paio di
…” Cominciò Rose, perché sapeva che la cugina non si sarebbe
seduta, non dopo essere stata abbandonata senza poter dire la sua
– un’onta.
“No.” Disse
infatti, seguendo il
fratello in piena testardaggine.
Rose sospirò e
prese un sorso
dal suo caffè ormai freddo.
“Perché
non riesci a capire?”
Lily voleva davvero che suo
fratello
capisse. Non che la perdonasse, quello non se lo aspettava da uno come
Albus,
capace di restare imbronciato per giorni se solo qualcuno osava
scombinargli i
piani.
Voleva che comprendesse che
si
trovava esattamente nella situazione in cui lui
si era trovato l’anno prima; voleva che smettesse di
guardarla come se avesse
fatto la cosa più stupida del mondo perché
sì.
Al, chiamato, si
fermò;
raggiungerlo non era stato difficile, dato che aveva lasciato la scena
senza
nessun vero motivo.
Si voltò e Lily
si irrigidì,
pronta a ribattere a qualsiasi cosa gli avesse detto di cattivo. I modi
di
arrabbiarsi di Albus erano due. Quello avventato e spesso manesco che
contraddistingueva le sue liti con James – e qualcuna anche
con Tom - e un
altro, ben più temibile. La rabbia gelida, che lo piazzava
in una categoria a
parte rispetto all’impulsività tipica del loro
clan.
Suo padre aveva detto una
volta, scherzosamente ma non troppo, che giustificava perfettamente il
secondo
nome di Al, quello sempre dimenticato.
Severus.
Al si chiama Albus Severus.
“Io capisco.”
Disse avvicinandolesi. Lily ebbe la sensazione che forse
tampinarlo fino all’esasperazione non era stata poi
un’idea così felice. Forse
avrebbe dovuto dare retta a Rose. Forse.
“Allora se lo
sai…”
“È per questo che non ti voglio qui!”
Sbottò facendola sussultare. “Non è
stato
divertente l’anno scorso, non è stata una grande
avventura! Non è stato eroico
essere rapiti da uno psicopatico che voleva usarmi come carne da
bacchetta! È
stato orribile.”
Abbassò ulteriormente
il tono di voce, sentendo persone avvicinarsi. Al non era tipo da
scenate
roboanti. Si vergognava o le giudicava vergognose; con lui il confine
era
labile.
“Al…”
Tentò, ma non c’era
spazio per le repliche.
“È stato qualcosa che non mi
dimenticherò mai, finché avrò
vita.” La
interruppe. “Le persone che vogliono Tom sono disposte ad
uccidere per averlo.
E ci sono quasi riusciti. Non credo abbiano smesso di volerlo. Questo
tu lo
capisci?”
Lily non aveva mai visto
quell’espressione addosso al fratello; era oltre la rabbia
fredda, o come
diavolo l’aveva chiamata. C’era paura, e dolore.
Non sapeva se poteva intuirlo
perché era lei, o
perché Al aveva
perso presa su qualcosa che si teneva dentro e non aveva mai lasciato
uscire.
In entrambi i casi, le si
strinse il cuore vedere come mostrava a tutti il suo sorriso e rimaneva
ferito
dentro.
Tom
lo sa? Ditemi che lo sa.
Al incrociò le
braccia al
petto distogliendo lo sguardo. “Mi ha cambiato. Sono
cambiato. Non mi pento di
ciò che è successo o delle scelte che ho
fatto… Ma non voglio che tu le viva
perché pensi che sia fico.”
“Ma è
finita bene.” Lo
interruppe. Non sopportava di vederlo ferito. Non sopportava di
sentirsi
spaventata da quello. “È finita bene, no? Tom sta
bene, tu stai bene.”
Al ispirò
leggermente. “Non è
finita.” Fece una pausa, aggrottando le sopracciglia come se
riflettesse
velocemente. “Quando papà o gli zii ci raccontava
della loro adolescenza
sembrava così emozionante, vero?”
Lily annuì; le storie di guerra erano state la prima cosa
che tutti loro
ricordavano di aver sentito, ben prima di Baba Raba o la storia dei Tre
Fratelli.
James era diventato un auror
per viverle, lei aveva conosciuto il Principe. Tom le aveva sviscerate
con
centinaia di domande. Al le aveva bevute in silenzio, senza una parola.
Quelle
storie c’erano sempre state, in tutti loro, da quando erano
nati. Erano nei
loro nomi. Erano nel loro sangue.
E Lily dovette ammettere che
erano anche quelle storie ad averla portata lì.
“Dover affrontare
qualcuno che
ha intenzioni orribili… non è come ci hanno
raccontato.” Riprese Al. “Papà ha
cercato di non spaventarci. Di farci vedere il lato bello della cosa.
Io non
sono papà.” Sorrise debolmente e Lily ebbe
l’impulso di abbracciarlo. Ma era
contratto, distante. Conosceva abbastanza suo fratello per sapere che
c’erano
dei momenti, anche per lui, in cui respingeva. Era uno di quelli.
“Io…
voglio solo aiutare una
persona a cui voglio bene, come hai fatto tu con Tom.” Disse,
perché se non
poteva abbracciarlo, poteva almeno parlargli.
“È la verità.” Era quello che Al
doveva capire.
Le venne lanciata
un’occhiata.
C’era un misto di affetto, esasperazione e pena in quegli
occhi verdi che
entrambi avevano ereditato, ma che solo Al aveva fatto con tutti i
crismi.
Gli
occhi di Lily Evans.
“Se vuoi aiutare
… devi anche
trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
Lily ebbe la distinta
impressione di essere lei a dover capire stavolta.
E non le piacque affatto.
****
Inghilterra,
Londra, Ministero della Magia, Ufficio
Auror.
Mattina.
“Signor Potter,
suo figlio la
aspetta in ufficio.”
Grace aveva il raro dono di riportarlo con i piedi per terra quando
aveva la
testa persa trai pensieri, come sopratutto – doveva
ammetterlo – gli succedeva al
lavoro ultimamente.
La segretaria lo guardò con paziente aspettativa.
“L’ho fatto accomodare.”
Spiegò alla sua espressione confusa.
Si riscosse, perché darsi un tono quando eri capo-ufficio
era un dovere. “Certo
Grace, hai fatto bene.”
Ma… Jamie?
Di altri figli, acquisiti compresi, non si poteva trattare,
dato che erano
ad un oceano di distanza – anche se una di essi non avrebbe
dovuto, lo ricordò
come se ne era ricordato quella mattina non appena riaccesi tutti i
circuiti
mentali. Con profonda, scoraggiata irritazione.
Harry aprì la
porta del suo
ufficio, perplesso; James quella mattina, come tutte le mattine, doveva
trovarsi in Accademia. Era forse successo qualcosa?
Qualcos’altro?
“Ehi
papà!” Lo accolse suo
figlio, stravaccato sulla sedia davanti alla scrivania. Non indossava
l’uniforme. Si alzò subito però, quasi
fosse stato preso da un improvviso
desiderio di placcarlo. Ovviamente non accadde, ma il linguaggio
corporeo di
James era trasparente come acqua di fiume sin da quando era bambino;
era chiaro
fosse nervoso e volesse parlargli a tutti i costi.
Coraggio.
Sentiamo.
“Ciao
Jamie.” Gli sorrise
comunque contento di vederlo: in quel periodo convulso lo aveva un
po’
trascurato. “Non dovresti aver lezione?”
“L’ho
saltata.” Replicò senza
troppi giri di parole. “C’è ben altro da
fare.”
Harry si sentì
piuttosto
stupido; forse non era ancora del tutto sveglio. Ingurgitare del
caffè e
materializzarsi a Londra, il tutto in una mezz’ora, non dava
freschezza
mentale. Specie se passavi la notte insonne. “Scusa non ti
seguo… Cosa dobbiamo
fare?”
James lo fissò come se trovasse la domanda completamente
fuori luogo. “Come
cosa?” Esclamò aggrottando le sopracciglia.
“Lily! Dobbiamo andare a
riprendercela!”
Harry sospirò.
Avrebbe dovuto
prevedere che il primogenito avrebbe reagito mettendosi in prima linea.
Specialmente alla luce del fatto che fosse sempre stato molto
protettivo con la
sorellina, come tradizione Weasley voleva.
Forse
avrei avuto una storia di fidanzamento più lunga
se non avessi temuto la reazione di Ron.
James e Lily inoltre erano
legati; bisticciavano spesso, ma Lily se aveva un problema, qualcuno
che la
infastidiva, era sempre andata dal fratello maggiore per farselo
risolvere.
“Ci stiamo
già muovendo James.
La faccenda è meno semplice di quanto sembri
e…”
“Non mi importa!” Sbottò
interrompendolo. “Lils non può stare
là, è una specie
di comune di psicopatici!”
Harry sorrise appena,
strofinandosi la mano dietro la nuca. Si sedette sul ciglio della
scrivania,
perché trovava ridicolo mettersi nella posizione di comando
per antonomasia con
suo figlio.
“Durmstrang
è una scuola,
Jamie.” Obbiettò paziente. “È
più
sicura di molti altri posti… Il punto non
è quello. Il punto è che tua sorella è
scappata.”
James piegò le
labbra in una
smorfia. “Tutto per quel tipo sinistro.”
“Luzhin?”
Sospirò. Non era il
primo che glielo diceva.
Persino Ginny
ne era strenuamente convinta.
Una
fuga romantica…
“Chi
altri?” Sbuffò James
arruffandosi i capelli frustrato. “Io l’avevo
capito che non avrebbe portato
che guai, dalla prima volta che l’ho visto! Non mi
è mai piaciuto!”
Harry non disse nulla,
limitandosi ad un lieve cenno della testa; aveva preso sottogamba
l’antipatia
di James per il tedesco. E come avrebbe potuto fare diversamente del
resto?
Non è obbiettivo quando si tratta
di
ragazzi e sua sorella, come non lo era Ron con Ginny.
E Luzhin è un maledetto Campione.
“Stiamo indagando
anche su di
lui. Lily è sorvegliata da Ted e la professoressa McGrannit.
Oltre al preside.”
Soggiunse. “Non devi preoccuparti.”
“Non è…” James si
fermò, tentennando. Voleva dirgli qualcosa, ma era incerto.
“… non è questo.” Concluse
con un borbottio.
“Jamie?”
Era chiaro che quella
testa arruffata si stesse arrovellando su qualcosa. A volte ad Harry
sembrava
di vedersi allo specchio.
Era sempre stato
più facile
capire James, che Al o Lily. James Sirius era immediato, lineare,
diretto fino
alla brutalità, ma di indole semplice. Albus invece era un
autentico puzzle,
sin da quando aveva pronunciato la prima parola o fatto il primo
sorriso. E
Lily…
…
è imprevedibile come il vento, dannazione.
“Se hai qualche
idea dimmela.”
Incoraggiò il figlio. “So che Lils si confida con
te.”
“Confida…” Il ragazzo sbuffò
quasi divertito. “Non sui ragazzi, no di certo. È
una cosa… un pensiero che ho in testa da un po’.
Ma è una… stronzata, credo.”
Concluse stringendosi nelle spalle. Ma non lo pensava davvero, glielo
leggeva
nella piega dura delle labbra.
“Dimmela e poi
valuterò.”
James gli lanciò
uno sguardo
incerto, poi tirò un sospiro. “So
perché Lily è completamente partita per quel
tedesco. Insomma… perché si è
comportata così. Perché è pericolosa,
tutta
questa storia, per lei.” Soggiunse un po’
frettoloso, quasi tentasse di
costruire una giustificazione.
Harry aggrottò le sopracciglia. “Perché
si è presa una cotta?” Si sentiva a
disagio a parlar di quello con James, e a dirla tutta, ci sentiva a
disagio in generale. Nella sua
testa, per quanto
Ginny lo prendesse in giro, i suoi figli erano ancora abbondantemente
sotto la
decina di anni.
Tutti.
E grazie, preferisco continuare a vederli così,
almeno per certe cose.
James scosse la testa.
“Sì,
quello è il risultato… dico, perché si
è tanto
fissata. Ma l’hai guardato bene quel tipo? Non ti
è sembrato somigliasse a
qualcuno?”
Harry rifletté,
riportandosi
alla mente il volto del ragazzo; gli era sembrato poco tedesco, quello
sì. In
generale, un viso poco continentale. Al loro unico incontro gli era
persino
sembrato inglese, prima che aprisse bocca.
“No, non mi viene
in mente
nessuno.” Ammise sinceramente.
James lo guardò
un po’
spazientito. “A Severus Piton, papà.”
Alla sua espressione sconcertata fece uno
sbuffo imbarazzato. “Sì, insomma… lo
ricorda. Non è uguale. Per esempio non ha
quell’enorme probosci…”
“Piton.” Erano anni che non sentiva quel nome. Gli
dava ancora un sottile
disagio pronunciarlo. Aveva messo il nome di quell’uomo
contorto ad Albus, ma
in realtà era poco più che una riga sottile di
inchiostro che suo figlio doveva
scrivere sui documenti ufficiali. Nessuno ce l’aveva mai
chiamato.
Era grato per quello che
aveva
fatto, lo sarebbe sempre stato. Ma non era mai riuscito a sbrogliare i
sentimenti che provava verso di lui. A dirla tutta, neppure aveva
voluto,
preferendo chiuderli dietro una porta, come tante delle cose che erano
accadute
durante la guerra.
“In
effetti… un po’ gli
somiglia.”
James annuì.
“Non me ne sono
accorto subito, ma quando l’ho conosciuto faceva lo snob, mi
squadrava come se
fossi cacca di doxy. Poi mi sono ricordato del vecchio ritratto del
Preside.
L’avrò visto tipo un milione di volte in
Presidenza.”
“Non capisco dove
vuoi
arrivare…” In realtà cominciava ad
intuirlo. E non gli piaceva.
James si ficcò le
mani in
tasca, guardandosi la punta degli anfibi con aria seria.
“Lily avrà una cotta
per il crucco, ma secondo me ce l’ha perché ha
sempre avuto una cotta per…
Com’è che lo chiama?” Fece un sospiro
divertito. “Il Principe.”
Harry raramente si sbagliava
quando aveva un’intuizione.
Per
l’appunto. Sbagliare qualche volta? Stavolta?
“Quante volte ti
ha chiesto di
raccontarci la sua storia? Io e Al non ne potevamo più. E
quando hai smesso se
la raccontava da sola.”
Alzò lo
sguardo. “Era ossessionata, miseriaccia.”
Specie perché ho avuto
l’idea infelice di
dirle che le ho dato il nome di sua nonna…
E
credo di aver fatto più danni che altro.
“Aveva sette anni,
James.”
Obbiettò ragionevole come il padre che era e che doveva essere. “Non credo
che…”
“Lils ha la brutta abitudine di fissarsi,
papà.” Replicò. “Su cose.
Persone.
Faccende. Per anni. Magari non sono
tante, ma sono sempre quelle. Io me lo ricordo il periodo della storia
del
Principe. Figurati se non se lo ricorda lei.”
Harry rimase in silenzio
Lily
era sempre stata una bambina vivace, non c’era modo di farle
colorare un
disegno in tranquillità o aiutare Ginny a fare i dolci.
Quello era Albus. Avere
lei e James a pieno regime era stato particolarmente stressante quando
entrambi
avevano raggiunto il traguardo della prime Magie Accidentali.
L’unica cosa che
riusciva a tenere sua figlia ferma per più di cinque minuti
era paradossalmente
la sua voce. E una storia avvincente.
Terminate le classiche fiabe
–
Lily era un’ascoltatrice attentissima, capace di sgamare la
stessa storia detta
in modo diverso – aveva finito inevitabilmente per attingere
alla realtà. Alla
sua realtà, anche se debitamente edulcorata.
La storia di Piton, data la
sua poca immaginazione e le richieste pressanti, gli era sembrata
sufficientemente avventurosa per poter essere rielaborata in una
favola. Gli
era sembrato quasi doveroso, infine, tirarla fuori e raccontarla ai
suoi figli.
Era risultata essere La Storia, per sua figlia. Specialmente
quando aveva ricollegato il suo nome a quello della nonna.
“Io
mi chiamo come la nonna?”
“Sì, ti sei chiamata così per lei, e
Luna per…”
“Lo so, per zia Luna! E il Principe voleva bene alla nonna,
no?”
“Direi proprio di sì.”
“Avrebbe voluto bene anche a me?”
Naturalmente
Lily. Saresti stata la sua principessa.
Aveva trasformato Piton in
un
eroe. L’aveva fatto per la sua principessa, l’aveva
fatto perché…
Perché
ero un idiota e se Piton – o anche solo il suo
quadro – lo scoprisse mi maledirebbe all’istante.
“Non avevo idea
che su Lily
avesse avuto quest’effetto…”
James si strinse nelle spalle. “Lils ha quindici anni, e
anche se fa tanto la
cinica è persino più romantica di quella lagna di
Rosie. È arrivato quel
crucco, che si comporta come un cavaliere del cazzo e somiglia a Piton,
ma in
versione bella. È convinta di vivere
un’avventura.”
Questo spiegava perché Lily avesse deciso quel colpo di
testa così inusuale per
lei. Non la giustificava, ma rendeva comprensibile il tutto.
Non che fosse meglio. Se
Lily
credeva che quel ragazzo fosse il suo Principe – o comunque
un’imitazione molto
veritiera – se la sarebbe trovata trai piedi durante le
indagini. Forse c’era
già.
Dannazione.
Harry
inspirò. “Non l’avevo
considerata da questo punto di vista.”
James annuì.
“Neppure io. In
realtà ero arrivato fino alla somiglianza con
Piton… È stato Hugo a dirmi il
resto. Mi ha mandato un Gufo.” Si grattò una
guancia. “Secondo lui quel tipo ha
davvero qualcosa a che fare con Piton… e pensandoci, si
chiama Sören.”
“Quindi?”
“Sören
è la versione crucca di
Severus.” Gli spiegò. “Ce l’ha
detto lui. Ed ha detto anche che è un nome che
si tramanda nella sua famiglia.” Inarcò le
sopracciglia. “Papà, quante famiglie
magiche al mondo pensi che abbiano quel nome come tipico?
Secondo me, non tante.”
“Pensi che sia
davvero
imparentato con …” Non aveva riscontrato nessuna
parentela anglosassone nei
Luzhin. Ron e Nora non l’avevano trovata, o sicuramente
gliel’avrebbero
segnalata nell’approfondito rapporto che avevano redatto.
Un
altro punto alla mia tesi. Alla tesi a cui non
voglio pensare. Ma un altro punto, comunque.
“Io penso di
sì.” Lo riscosse
James. “Quel che ti ho detto può
aiutare?”
Harry prese il mantello,
gettandoselo sulle spalle. “Non lo so, ma è una
pista. Vale un’occhiata
perlomeno.” Lo guardò divertito, notando
aspettativa in ogni singolo movimento
facciale “Visto che tanto oggi hai deciso di saltare, ti va
di accompagnarmi ad
Hogwarts, recluta Potter?”
James si aprì in
un sorriso
entusiasta. “Non dirlo neanche, capo!”
****
Norvegia,
Durmstrang.
Primo
pomeriggio.
Tom non riusciva a capire
cosa
fosse preso ad Albus.
Quella mattina si era svegliato di buon’umore, contento della
semplice presenza
del sole. Lo aveva salutato
con un lungo
bacio che sapeva di dentifricio ed era sparito a fare colazione.
Poi l’aveva
ritrovato a
lezione – Magia Applicativa, ovvero una versione piuttosto
complessa del corso
progredito di Incantesimi – incupito e contratto. Aveva
lanciato l’incantesimo
di traduzione necessario per seguirla ma poi non aveva preso un solo
appunto.
Tom sapeva che quando Albus
voleva esser lasciato solo non si dovevano mai
fare tentativi di rompere il suo guscio di malumore. Rose naturalmente,
da
brava cugina ficcanaso, aveva fatto domande fino a che
l’altro non era scattato
in piedi annunciando che sarebbe andato a farsi un giro sulla scopa.
Neppure
Malfoy ha osato chiedergli se voleva compagnia.
Tom l’aveva quindi
lasciato
andare a cercare il suo facchino durmstranghiano – quel
Ionescu, o Radescu. Non
aveva emesso rimostranze e, tranquillo, era andato a cercarsi Meike; aveva passato il pomeriggio
con lei,
aiutandola con i compiti e tenendo genericamente lontane le attenzioni
di
quella faccia di troll del suo prefetto.
Adesso però si
trovava a
congelare sugli spalti del campo da Quidditch dell’Istituto,
il quale naturalmente era stato
edificato
nell’angolo più ventoso, aspro e gelido
dell’intero fiordo, in una rientranza
tra due speroni di roccia, sospeso nel vuoto a picco sul mare.
Gli venivano le vertigini
solo
a spostare lo sguardo dal salvifico libro che si era portato appresso.
In una situazione normale
avrebbe aspettato che Albus gliene parlasse di sua sponte: lo faceva
sempre,
era tipo da condividere i malumori in maniera relativamente immediata.
Non
stavolta.
Al sfrecciava
nell’aria, incurante
del vento freddo che lo prendeva vigorosamente a schiaffi. Persino da
lì vedeva
come la saggina della sua scopa era piegata dal vento.
Non poteva lasciarlo solo in
balia della sua testa e delle intemperie.
Lui
non l’ha mai fatto con me.
Al aveva sempre creduto nel
valore terapeutico dell’attività fisica; non si
definiva uno sportivo, ma
sapeva che spingere il suo corpo al limite, sentire
l’adrenalina e la
conseguente stanchezza da essa derivata era il modo migliore per
abbattere
l’inquietudine.
Era stato così
per suo padre
durante l’adolescenza, era così per lui e James.
Quel giorno non stava
funzionando un granché. Non stava funzionando per
niente, per quanto la sua scopa fosse veloce, il vento
sferzante e l’adrenalina buona.
Adorava volare, ma il suo
amato Quidditch non poteva sciogliere il groppo di tensione che si
sentiva
pesare sul petto. Stava congelandosi per nulla.
Ora di finirla.
E poi era quasi certo che
Tom
stesse rischiando l’assideramento, fermo sugli spalti.
Scese di quota e
puntò verso
le gradinate scavate direttamente nella pietra della montagna. Quando
toccò i
piedi a terra quasi incespicò; la terraferma lo rendeva
molto più goffo
dell’aria.
Sentiva il sudore gelido
scorrergli
lungo la tuta di allenamento che si era portato dietro; aveva i colori
di
serpeverde e l’aveva sempre fatto sentire bene dalla prima
volta che l’aveva
indossata.
Non
basta.
Tom alzò lo
sguardo dal libro
che stava leggendo. “Possiamo andare adesso?”
Chiese con un tono che chiunque
avrebbe definito antipatico.
Se
non sapesse che è quello che usa sempre, di default.
“Non eri tenuto a
rimanere
qui.” Scrollò le spalle. Sapeva che non aveva
senso prendersela con il suo
ragazzo, ma non riusciva ad essere gentile, neppure con lui.
Tom non replicò,
limitandosi
ad alzarsi. “Qual è il problema?” Chiese
riponendo il libro all’interno del
mantello. “Perché c’è
un problema.”
“Niente di nuovo.” Controllò che la
saggina della scopa non si fosse danneggiata
a causa del vento. Nulla che il kit di riparazione non avrebbe potuto
riparare.
“Si tratta sempre di Lily.”
Solo pronunciare il nome di sua sorella gli provocava fastidio e Tom se
ne
accorse perché fece un mezzo sospiro. “Mi sembrava
di aver capito che non le
avresti più rivolto la parola.”
“Non è così semplice, se la persona con
cui non vuoi parlare ti tende degli
agguati.” Replicò mettendosi la scopa sulla spalla
e incamminandosi verso
l’entrata laterale della fortezza. Non voleva sviscerare il
problema lì. Stava
tornando il buio.
Il
sole tramonta presto… Chissà perché
non lo trovo
sorprendente.
Era il buio a spaventarlo,
di
quel posto. Non gli era mai piaciuto, ma dopo l’anno passato
aveva acquistato
nuovi significati. Era stato buio nelle viscere della montagna in cui
John Doe
aveva rinchiuso Thomas, era stato buio nella tomba di Silente. Era
notte quando
si svegliava e si rendeva conto che Tom non c’era e forse non
sarebbe mai
tornato.
Non gli piaceva il buio.
“Pensi troppo a
Lily.” Lo
sorprese la voce del suo ragazzo. Scrutò la sua espressione,
ma come spesso gli
accadeva non vi lesse nulla di risolutorio.
Non era come Lily, lui.
Conosceva
il ragazzo che aveva di fronte da che aveva memoria, ma
c’erano dei momenti in
cui non aveva la più pallida idea di cosa gli passasse per
la mente; e così era
per gli altri, per tutti.
Non
sarebbe bello, non sarebbe più semplice, se si
potessero capire le intenzioni altrui come quelle di un avversario
durante una
partita a scacchi?
Tom fece una smorfia,
distogliendolo dalle sue riflessioni. “Non siamo qui per tua
sorella, Albus, né
lo sono le persone che stiamo combattendo. Smettila di preoccuparti per
lei.”
Al sentì il peso
intensificarsi nel petto. Non poteva aspettarsi che Tom capisse. Era
dall’altra
parte della storia, era stato il rapito. Quello ferito e preso.
Nessuno
pensa mai a chi rimane. A chi non assiste di
persona, a chi non è in prima fila, a chi non è
il maledetto personaggio
chiave.
Accelerò il
passo,
ignorandolo.
Ovviamente non
funzionò. Tom
odiava essere trascurato, o che qualcuno non replicasse ai suoi
ragionamenti. Sentì
la sua mano bloccargli la spalla. La strattonò via.
“Non sei solo tu,
Tom, quando
lo imparerai?!” Sbottò. “Non ci sei solo
tu in questa maledetta storia!”
Tom sembrò genuinamente confuso da come guardò la
mano respinta e poi lui.
Aggrottò le sopracciglia. “Lo so, ci
sei…”
“No, non io.” Lo interruppe. “Fai sempre
gli stessi sbagli. Io so come ci si
sente ad essere la persona
che non è presa di mira. È quella che rimane ad
aspettare notizie, quella che
pensa che sia colpa sua e che rimane ferita, ma nessuno si prende la
briga di
controllare dove!” Sentiva il suo tono di voce salire e
l’espressione
sbigottita dell’altro era solo benzina sul fuoco.
“Non voglio questo per mia
sorella. Perché sì, è invischiata,
l’ha fatto tutto da sola e non si può
incolpare che lei… ma c’è.
Come me.
Pensi che sia tanto strano che mi preoccupi del fatto che
finirà per stare
male?”
Vide un lampo di comprensione negli occhi dell’altro e il
conseguente irrigidirsi.
Rimase in silenzio, e poi distolse lo sguardo.
“Vado a farmi una doccia.” Non gli restò
altro da dire. Tom annuì scostandosi
per lasciarlo passare. “Non…”
Sì, c’era ancora qualcosa da dire,
perché
dannazione a lui, con Tom c’era sempre.
“… non sono arrabbiato con te. È
solo…”
“Ho capito.” Replicò. “Ci
vediamo dopo.” Il tono era freddo, ma era il suo modo
per rinchiudersi nel suo guscio a riflettere. Era meglio
così.
****
Scozia,
Hogwarts. Pomeriggio.
“Harry…
sei sicuro?”
Neville era il ritratto dello sconcerto. Harry non poté fare
a meno di
sorridere ; capiva perché fosse tanto sorpreso dalla sua
richiesta.
Non
succede tutti i giorni che qualcuno venga a
chiedere di parlare con il ritratto di Piton.
Specialmente
se quel qualcuno sono io.
“Al cento per
cento.” Confermò
passando un dito sul legno istoriato della sedia di fronte alla
scrivania del
Direttore di Grifondoro. “Devo fargli delle
domande.”
Accanto a lui James si
stiracchiò. “Zio Nev, sembra che ti abbia chiesto
l’impossibile!” Scherzò. “Non
è che, per quanto è brutto, l’avete
bruciato quel dipinto?”
“Jamie…” Lo ammonì.
“C’è qualche problema?”
Spiò, notando che Neville sembrava
un po’ troppo incerto.
“No, teoricamente nessuno… in quanto Vice-Preside,
e attualmente Preside in
carica, finché non tornerà Vitious ho il potere
di chiamarlo.” Spiegò,
emettendo poi smorfia imbarazzata. “Il problema è
che non verrà.”
Harry annuì; se l’era aspettato e pensava che
sotto sotto fosse anche una
questione di volontà; Neville era stato uno delle vittime
predilette del
vecchio professore, e probabilmente non aveva nessuna
voglia di battibeccarci ora che era
adulto.
“Non importa,
vorrà dire che andremo
a cercarlo.” Si alzò in piedi.
“È nell’ufficio di Vitious,
immagino.”
Neville sembrò rincuorato dall’opzione che gli si
era parata davanti senza
sforzo. “In realtà non credo sia
lì.” Confessò. “Ieri sono
andato a prendere
dei documenti e la sua cornice era vuota.”
Harry batté le palpebre sorpreso. “Vuol dire che
si è svegliato?” Quello era molto
strano; per due decenni aveva dormito senza soluzione di
continuità.
Perché
si è svegliato? Proprio ora, poi.
“Così
pare.” Gli fu
confermato. “Però in giro non l’ho
visto. Ultimamente vedo spesso il Professor
Silente, ma non lui. Forse è da qualche parte nei dormitori
di Serpeverde.”
“Ci sono cornici?
Con tutta
quell’umidità nei muri?” Per quel che
ricordava dalla sua unica visita nei
sotterranei, non aveva mai notato quadri.
“No che non ci
sono.” Si
intromise James. “Cioè…”
Soggiunse ricordando che quell’informazione non
avrebbe dovuto, come Grifondoro, essere in suo possesso. “Me
l’ha detto Albie.”
Borbottò alle loro espressioni divertite.
“James ha ragione,
non ci sono
quadri nei sotterranei.” Replicò Neville.
“È un mistero dove sia finito.”
“Caccia!” Esclamò il ragazzo alzandosi
in piedi entusiasta. “Che aspettiamo?
Sarà divertente!”
Due ore e mezzo dopo la cosa
aveva smesso di esser divertente ed era diventata irritante.
“Dove diavolo si
nasconde quel
vecchio pipistrello?!” Sbuffò suo figlio,
buttandosi sfinito sulle scale del
terzo piano – almeno ad Harry sembrava fosse il terzo,
giravano da così tanto tempo
che la planimetria gli si era confusa in testa. “Per le
sottane infeltrite di
Morgana, abbiamo rivoltato il castello come un maledetto
calzino!”
“Non ne ho idea, Jamie.” Ammise imitandolo e
alzando lo sguardo verso il
soffitto ad arco, parecchie decine di metri più in su.
“… Se sa che lo stiamo
cercando è probabile che si stia nascondendo.”
“Insopportabile tela.” Borbottò
arruffandosi i capelli. “Ma cosa gli vuoi
chiedere poi, papà?”
Harry rimase in silenzio, riflettendo. “Sto
seguendo… un pensiero.” Confessò
infine. “Non saprei dirti se porterà a
qualcosa.”
“Credi che sappia qualcosa sul crucco unto?”
Harry si frenò
dal ridere al
nomignolo poco rispettoso. Non era il momento, né il caso.
“Non lo so, ma … ecco.
Mettiamo il caso che qui ci fosse il ritratto di nonno James. Vorresti
parlargli?”
“Sicuro, certo che sì!” Rispose di
slancio il ragazzo. “Scommetto che sarebbe
uno spasso!”
Harry sorrise. “Ho
immaginato
che se sono imparentati, Luzhin potrebbe aver cercato di contattarlo.
Il
professor Piton è un eroe di guerra, è conosciuto
anche all’estero. Inoltre, si
è svegliato. Proprio adesso. È una coincidenza
curiosa.”
James si grattò un pezzo non rasato di guancia.
“Pensi che si sia svegliato
perché è parente di quello
lì?”
“Le cose potrebbero essere connesse,
sì.” Annuì. Si alzò di nuovo
in piedi,
spazzolandosi i pantaloni. “Coraggio, continuiamo.”
James fece una smorfia ma
scattò su. “Che ne dici se ci dividiamo? Ci
metteremo di meno!”
Harry esitò. “Jamie, non credo che sia
così semplice fermare un uomo… un
ritratto.” Si corresse. “… Del genere.
Credo che…”
“Sì, so che mi ignorerebbe.” Fu la
replica tranquilla. “Ma so come fermarlo.”
Gli spuntò in bocca un sorriso malandrino. “Fidati
capo, ho un piano.”
Ad Harry, dato che non aveva idee migliori, non restò che
fidarsi.
Una decina di minuti dopo
sentì la voce di James chiamarlo dal piano inferiore a
volume sostenuto. Sbigottito,
lo raggiunse il più in fretta possibile.
“Papà, è qui!”
Effettivamente,
qualcosa di molto, molto nero era raffigurato in una tela di fronte al
ragazzo.
Una tela ben separata dalle altre appese al muro. In effetti sia a
destra che a
sinistra corrispondevano due posti vuoti. I quadri, notò
Harry con stupore,
erano stati staccati a messi a terra.
“Li riattacchi
subito,
ridicolo ragazzo!” Sbottò la voce del defunto
professore, che sembrava
sorprendentemente bloccato all’interno del dipinto. Poi Harry
capì.
Gli
ha tagliato le vie di fuga. Le figure dipinte si
possono spostare solo di cornice in cornice, con un’esatta
sequenza che non è
mai cambiata negli anni. C’è un motivo per cui
è raro che i quadri vengano
cambiati di posizione ad Hogwarts. Si deve re-incantare tutte le
cornici vicine
per creare loro un passaggio.
Quello era uno dei tanti
aneddoti che Hermione aveva sviscerato durante i pomeriggi oziosi alla
Tana;
doveva immaginare che il suo malandrino si fosse ricordato una cosa del
genere
prima di lui.
James ghignò, ficcando le mani in tasca in piena
soddisfazione. “Non se la
prenda, le ho detto che è importante!” Si
voltò verso di lui con aria
trionfante. “Tutto per te papà!”
“Potter…” Ringhiò Piton.
“Dovevo immaginare che dietro tutto questo ci
fosse lei. A cosa devo il dispiacere di questa
cattura?”
“Mi dispiace professore.” Deglutì un
po’ a disagio, cercando disperatamente di
trattenere l’ilarità. Il mago era
l’apoteosi dell’umiliazione e della furia.
Non era il caso di esacerbarlo ulteriormente. “Ho chiesto io
a James di
fermarlo, non se la prenda con lui.”
“Un Potter vale l’altro. Siete la mia
rovina.” Decretò acido, scoccando ad
entrambi un’occhiata bruciante. “Riattaccate quei
quadri così posso andarmene.”
Ingiunse.
Merlino,
l’hanno reso uguale. Se chiedete a me, un
pessimo utilizzo del sangue di drago.
“Solo un
momento…” Chiese nel
suo tono più gentile, anche se una parte di sé
sentiva riaffiorare la vecchia
irritazione di un tempo. Gli era grato e tutto il resto, ma
l’antipatia non
sarebbe mai scomparsa. “Ho delle domande.”
“Non mi dica,
anche lei?”
Esclamò Piton con una smorfia esasperata. “Ho
l’aria di essere un chiosco
informazioni, forse?”
Anche lei? Allora non mi sbagliavo.
Luzhin l’ha contattato.
“È
proprio di questo che
volevo parlarle.” Spiegò. Vedendo che
l’espressione arcigna non si smuoveva di
un millimetro cercò l’accordo.
“Attaccherò i quadri immediatamente se mi
promette di non andarsene.”
“Non è nella posizione per avanzare
richieste.”
“Neppure lei professore.” Replicò
imperturbabile, mentre James dietro di lui
soffocava una risatina. Se ne accorse anche Piton e così la
vena pulsante sulla
sua fronte.
“E sia. Ma quel
disgustoso
moccioso deve andarsene.” Tuonò l’uomo.
“Sono stufo delle tua progenie,
Potter.”
Stufo?
Vuol dire che… Dannazione. Vuol dire che ha
parlato anche con Lily.
“Ehi, senti un
po’ brutto…”
Partì in quarta il suo sanguigno pargolo. Harry
racimolò calma che mai aveva
avuto, ma che alla sua veneranda età riusciva perlomeno a
fingere.
“Jamie, aspettami
nell’ufficio
di zio Neville. Per favore.”
Quello lo guardò oltraggiato, ma dopo un’occhiata
al ritratto sospirò. “Okay, ma
vado da Hagrid. Sono in debito di un the. Mi trovi
lì.” Poi si congedò con
un’inevitabile linguaccia che Harry finse di non aver notato.
“Mi scuso per
James.” Iniziò
prima che l’altro mago potesse dire qualcosa che avrebbe
minato definitivamente
le basi di quella conversazione. Non era dell’umore per
sentir insultare
nessuno dei suoi figli.
Non
lo sono mai.
“Avrebbe dovuto
pensarci prima
di metter su famiglia.” Persino su tela era il solito
bastardo unto, avrebbe
detto il buon vecchio Ron. Harry si ripeté come un mantra
che non l’aveva di
fronte in carne ed ossa e che se ce l’avesse avuto gli
avrebbe comunque dovuto la vita.
Questo lo calmò
un po’. “Ha
detto che non è la prima volta che qualcuno la contatta
quest’anno.” Esordì
preferendo andare subito dritto al punto. “È per
questo che si è svegliato?”
Piton aggrottò le sopracciglia ed emise uno sbuffo sentito.
“Silente.” Disse
soltanto.
Oh.
I rapporti interpersonali rimangono anche tra
quadri allora.
“Era convinto che
dovessi
mettermi in contatto con quella che poi, a conti fatti, si è
rivelata una
frode.” Continuò. “Prevedibile, ma il
Preside è sempre stato un convinto
sostenitore della buona fede dell’umano creato.”
Ironizzò.
“Che genere di frode?”
“Immagino che lei sia qui per Sören
Luzhin.” Ipotizzò, ghignando alla sua
espressione sorpresa. “Sono un ritratto, non un idiota. Come
ho detto, non è la
prima persona che mi infastidisce. Prima quel piccolo impostore e poi
sua
figlia.”
“A proposito di
cosa?”
“Entrambi erano sostenitori della stessa, grottesca
teoria.” Si mise le mani
dietro la schiena e fece una lunga e sadica pausa. “Ovvero
che il ragazzo ed io
abbiamo legami di sangue.”
Dannazione.
Se i suoi pensieri avessero avuto il sonoro, in quel momento
sarebbero
state urla.
La domanda era
perché. Perché
Luzhin stava ingannando sua figlia?
Se faceva parte della Thule
ed
era ai diretti ordini di Von Hohenheim, perché coinvolgere
una quindicenne di
nessun interesse per loro, con un
potere
sì, ma inibito e comunque non così speciale nel
Mondo Magico?
Perché?
“L’ha
fatto credere a mia
figlia? Che è imparentato con lei, intendo.”
Chiese e sentì il suo tono di voce
straordinariamente tranquillo. Non credeva di essere un così
bravo attore.
“Non ne ho
idea.” Ammise
sinceramente il mago. I ritratti di Hogwarts erano stati dipinti per
aiutare la
scuola e chi vi alloggiava. Per quanto Severus Piton fosse stato
nient’altro
che un bastardo con lui, il suo ritratto poteva rendergli le cose
difficili, ma
non mentirgli. “So solo che entrambi, in tempi diversi, sono
venuti millantando
la stessa cosa.”
“Quindi non è suo parente.”
Piton fece una smorfia.
“Mi
ascolti quando parlo, Potter. Il ragazzo era una frode. Non aveva fatto
neppure
le ricerche del caso. Mi ha detto di essere figlio della sorella di mia
madre,
ma mia madre aveva un solo fratello, maschio.”
Harry aggrottò le
sopracciglia
confuso; quello non aveva il minimo senso. Se si era voluto fingere un
Prince
per guadagnarsi l’ammirazione e la conseguente fiducia di
Lily, perché non fare
un minimo di ricerche e crearsi il giusto passato? Per un adepto della
Thule l’accesso
a certe informazioni avrebbe dovuto essere un gioco da ragazzi.
Perché
sbagliare in modo così grossolano?
A
meno che…
“È
sicuro che non stesse
mentendo intenzionalmente?” Harry sentiva il cervello
lavorare febbrile, senza
ingranare il giusto binario. Era frustrante, ma a furia di ripetere i
tentativi
era certo che sarebbe giunto a qualcosa.
Per una volta ebbe
l’onore di
contemplare confusione su un volto che un tempo era stato anodino. “In che
senso?”
“Forse voleva
coprire il suo vero grado di
parentela. Magari sperava
che non sapesse quanti fratelli aveva sua madre.” Era quello,
comprese di
colpo, come un fulmine a ciel sereno.
Luzhin aveva voluto
informarsi
perché era un Prince.
Forse aveva
chiesto a Lily. Ma sua figlia conosceva solo la storia di Piton. Per
avere
informazioni più estese aveva dovuto chiedere al diretto
interessato.
E
anche se è un quadro, non ha voluto dirgli la
verità
per paura che la dicesse a qualcun altro…
Era un ragionamento debole,
ma
con un certo grado di senso, se si pensava quanto fossero
maledettamente
macchiavellici i piani di Hohenheim.
“Questo
fratello… mi parli di
lui.” Non gli importava di esser cortese. Aveva capito che il
ritratto aveva riflettuto
– se poteva riflettere – su quella serie di
interrogativi e strane incongruenze
quanto lui.
E
se è continuato a rimanere sveglio, forse non gli son
tornare come non sono tornate a me.
Piton gli scoccò
un’occhiata
scontenta, ma parlò. “Elias Prince. Era il
fratello minore di mia madre.”
“Quanto minore?”
“Molto. Era della generazione di studenti precedente alla
mia.”
Quindi non è il nonno, ma il padre
del ragazzo. Frederick Luzhin è
Elias
Prince?
“Seppi della sua
esistenza
quando entrai ad Hogwarts parlando con studenti più grandi
che l’avevano
conosciuto. Mi dissero che si era trasferito in Germania non appena
presi i
MAGO. Matrimonio combinato, allora era piuttosto frequente nella
famiglie in
rovina.”
Germania.
Harry sentiva la bocca secca
e
faticò a deglutire. “Per caso ricorda il cognome
della strega?”
Frederick
Luzhin è davvero Elias
Prince? Perché
cambiare nome? Per sfuggire all’onta di famiglia?
“Non l’ho mai saputo.” Fu la
risposta scoraggiante che lo riportò con i
piedi per terra. “Al tempo non la ritenni
un’informazione interessante.”
Harry si passò
una mano trai
capelli: aveva la testa piena di ipotesi, pensieri e connessioni. In
quel
momento avrebbe voluto avere Ron, con la sua praticità e
Nora con la sua acutezza.
Con loro non avrebbe avuto l’incredibile impulso di prendere
a testate il muro.
Sto
cominciando a rimpiangere le scartoffie del mio
ufficio.
Una sola ipotesi
però,
spaventosa ma sempre più concreta, galleggiava enorme nel
mare di congetture.
Ovvero
che Luzhin non sia veramente
Luzhin.
Nessuno
a casa sua ha idea di che faccia abbia. I suoi
genitori sono scomparsi. Ha parentele che non dovrebbe avere.
“Lei cosa
crede?” Mormorò
sentendosi infinitamente stanco. “Mentiva?”
Il ritratto rimase in silenzio. “Si è infuriato
quando gli ho dato del
bugiardo. Se un tempo sono stato un Legimante, non lo sono certo
adesso. Ma sì,
sembrava sincero.” Ammise infine.
Harry sospirò.
Non c’era molto
altro da dire. Rimaneva però una domanda collaterale.
“Ha parlato anche con
Lily?”
“Sua figlia mi ha inseguito fino a prendermi per
esasperazione, sì.” Confermò
salace. “Mi ha chiesto per quale motivo io e il piccolo
impostore avessimo
avuto un alterco. Gliel’ho spiegato come l’ho
spiegato a lei adesso.
Naturalmente non ha creduto a me, ma al suo…
amico.” Pronunciò quella parola in
tono piatto, ma anche privo di ogni malignità precedente.
Ci fu uno strano, lungo
silenzio,
poi Piton disse qualcosa che Harry non avrebbe mai creduto di poter
sentire da
un uomo che aveva in odio l’intera stirpe Potter.
“Assomiglia a lei.”
Disse, con tono così rigido che
sembrò quasi un’accusa.
Perché
sappiamo entrambi di quale lei sta parlando.
“Lo dicono
tutti.” Mormorò non
sapendo bene cosa dire.
“Come se
l’avessero
conosciuta…” Ritorse con una piega amara sulle
labbra.
Per la prima volta in vita
sua,
Harry sentì dolore all’idea di non poter parlare
con l’uomo vero, in carne ed
ossa. Non sarebbe stato facile, quello era sicuro.
Ma
sarebbe stato giusto.
Harry inspirò.
“Grazie
professore. Non la disturbo ulteriormente.” Prese i quadri e
li riattaccò con
tutta la precisione di cui era capace. Il mago passò
immediatamente in quello a
sinistra. “Se ricorda qualcos’altro…
faccio preparare una cornice nel mio
ufficio. Può venire quando vuole.”
Non era il momento dei
vecchi
rancori, quello. Se era riuscito a seppellire la bacchetta con Draco in
nome
dei figli, ci sarebbe riuscito anche con ciò che rimaneva di
Severus Piton.
Fu ricompensato con una
prevedibile occhiata nauseata. “Dovrà congelare
l’inferno prima che accada,
Potter. Non ci rivedremo.”
“Io lo spero
invece.” Replicò
e per la prima volta lo pensò davvero. “Magari non
all’inferno. Magari,
semplicemente, dall’altra parte.”
Il ritratto rimase in silenzio, quasi non sapesse che replicare.
Neppure tutta
la magia del mondo era capace di prevedere cosa avrebbe risposto. Era
stranamente triste.
“E cosa mai
dovremo dirci?” Si
risolse infine.
“Nulla.” Si strinse nelle spalle e sorrise appena.
“Forse vorrei solo dirle grazie
di tutto.”
****
Durmstrang,
Ora di cena.
“Tom è
qui?”
Scorpius gli lanciò un’occhiata divertita e Al se
la prese tutta; poteva
chiaramente immaginare che Malfoy avesse intuito qualcosa. Era un tipo
sveglio,
oltre ad avere una discreta capacità di leggere anche la
persona più ostica.
Con
il padre che ha…
“Sì,
è qui.” Confermò
appoggiandosi allo stipite della porta del dormitorio della delegazione
maschile. “Che gli hai fatto? Ha una faccia da cane
bastonato!”
Al sentì una fitta di senso di colpa anche se era certo di
aver fatto bene a
mettere le cose in chiaro, che spesso a Tom le cose andavano sbattute
in faccia
senza troppi giri di parole. La sua freddezza nei confronti di Lily gli
aveva
fatto male.
Rimase comunque sulle sue
posizioni. “Ah sì?”
L’altro ragazzo scrollò le spalle. “No,
in realtà. Ha un’aria spaventosa ed ha
terrorizzato gli altri.” Chiarificò con un ghigno
che al di là delle parole,
sembrava deliziato. “Credo sia il suo modo di essere triste.
Mio padre fa più o
meno la stessa faccia quando lo è.”
Sottolineò. “Riprenditelo, o stasera dormiremo
tutti con la bacchetta sotto il cuscino.”
Al frenò una
mezza risata,
dandogli una pacca sulla spalla. “Ricevuto. E, ah…
congratulazioni per la…”
“Pantofola. Già.” Lo anticipò
disinvolto. “La mia rosellina meritava questo ed
altro. Le comprerei tutte le pantofole della terra, se fosse
necessario.”
Concluse serissimo, con gli occhi che gli brillavano, secondo alcuni,
del vago
lampo della follia. Era un tipo strano, Malfoy. Ma uno dei migliori
tipi strani
che gli fossero mai capitati davanti, il che, supponeva, fosse okay.
“Non avrei
permesso questa …
pantofola… ad altri che te, Malfoy.” Gli sorrise e
lo pensava davvero.
Rosie
ha talmente tante paranoie che gli serve un tipo
spensierato. Spensierato ma con un cervello.
“La tua
approvazione,
Mini-Potter, è per me vitale.” Gli
assicurò con una smorfia buffa, poi gli fece
spazio. “Prego. Se ne sono tutti andati a cena largamente
in anticipo per lasciare alla tua dolce metà lo spazio
per incupirsi a suo piacimento.”
“E tu sei rimasto
qui?”
Interloquì incuriosito; non riusciva a capire come Scorpius
considerasse Tom. Sembrava
ci fosse curiosità genuina da parte del rampollo Malfoy,
mentre Tom era invece piuttosto
freddo, anche se si vedeva come i loro battibecchi sotto sotto lo
divertissero.
Gli
piace quando trova qualcuno con cui litigare che è
alla sua altezza.
L’altro
si strinse di nuovo nelle
spalle. “Ho come l’impressione che gli vada dato un
occhio, di tanto in tanto.”
Sorrise e non aggiunse altro, ed Al capì cos’aveva
fatto.
Si
preoccupa per lui.
“Grazie
e… mi dispiace se non
è stato propriamente amabile.” Si scusò
in automatico; non che i cattivi umori
di Tom fossero di sua stretta competenza, ma a volte ne era la diretta
conseguenza.
“È
Dursley, no?” Gli fece un
cenno di saluto. “Ci vediamo a cena.”
Tom era seduto sul letto che
gli doveva essere stato assegnato; era in mezzo agli altri, con la
sola,
sparuta barriera di un comodino. Troppo poco per un serpeverde abituato
ad un
letto a baldacchino ed un armadio personale. “Ehi.”
Esordì con buone intenzioni.
Tom non alzò neppure lo sguardo.
Mh, mi ha sentito entrare.
Si sedette sul ciglio del
letto. “Scorpius mi ha detto che hai terrorizzato
metà delegazione.”
A quel punto l’altro alzò lo sguardo dalla
bacchetta. “Osavano troppo.” Si
limitò a dire, rimirando il lavoro perfetto che
sicuramente aveva ripetuto più volte. Si da
quando l’aveva comprata da
Ollivander sette anni prima era stato un maniaco della manutenzione.
La
sua bacchetta non ha mai una sola impronta.
“Hanno osato fare
cosa?”
“Respirare.”
“… Li
hai spaventati a morte,
vero?”
Tom fece un sorrisetto
sottile.
“Già. Non averli attorno mi ha aiutato a
riflettere.” Soggiunse. Al preferì
glissare sui metodi agghiaccianti con cui il suo ragazzo si rilassava e
metteva
in contatto con la sua interiorità. Se funzionavano, era un
compromesso quasi accettabile.
“Andiamo a
prepararci per la
cena? È tra poco.” Suggerì.
“E le tue cose non sono qui.”
Tom lo seguì obbediente. Albus dovette a mettere che la cosa
lo metteva a
disagio; era abituato ai malumori infiniti e offesi. E sapeva che
dopotutto,
anche se non era stato intenzionale e aveva detto cose maledettamente
giuste,
si era sfogato.
Tom aspettò che
fossero nella
stanza per parlare. Si chiuse la porta alle spalle e si diresse verso
il
camino, stendendo le mani in un movimento inconscio e non doveroso,
dato che
nella stanza c’era un piacevole tepore.
“Non ho intenzione
di
abbandonare né te, né Lily. O Meike. O chiunque
di voi.” Esordì con tono
misurato. Fissava le fiamme del camino senza guardarlo. “Non
posso… comprendere
cosa hai passato un anno fa. Non ho idea di cosa prova chi
resta.” Sceglieva
con cura le parole, e Al capì che ci aveva riflettuto tanto.
“Ma non intendevo
considerare Lily un fattore non rilevante.”
Al inspirò.
“Volevi solo che
smettessi di preoccuparmi?”
Tom fece una smorfia. “Non ha funzionato, temo.”
Fece una lunghissima pausa in
cui lo vide, con la coda dell’occhio, mordersi le labbra.
“Ci provo, ma non è
facile. Per me. A volte…” Si fermò e
aggrottò le sopracciglia.
“A
volte?” Lo incalzò. Se c’era
un modo per uscire relativamente sereni e sani da tutta quella faccenda
era non
nascondere niente l’uno all’altro. Thomas aveva
convenuto, ma era sempre il più
riluttante ad adottare quella linea di pensiero.
Le
persone non cambiano da un giorno all’altro.
Maturano. Ci stiamo provando.
“A volte mi sento
come se
mancasse qualcosa che invece gli altri, tu, Lily avete.”
Ripete. “A voi importa.”
Al non dovette abbassare lo
sguardo per sapere che Tom stringeva i pugni con forza. “Ho
paura che nella mia
testa le cose funzionino in modo diverso.”
“Non è
vero.” Lo rimbeccò
accarezzandogli piano il dorso della mano anche per costringerlo a dare
ai
bistrattati palmi. “A te importa. Molto più che a
certe cosiddette brave
persone… È che ti è più
difficile realizzarlo, credo.” Cercò il suo
sguardo
finché non incontrò quegli straordinari occhi del
colore del mare in tempesta.
Chiunque l’avesse notato la prima volta, aveva centrato in
pieno la cromia. “So
che vuoi bene a Lily. Mi ha detto che l’hai difesa un
po’ più di un paio di
volte quest’anno.”
“Quella stupida adora i guai come un’ubriacone ama
la bottiglia.” Borbottò,
infastidito dall’essere stato colto sul fatto.
“Dev’essere un tratto di
famiglia.”
Albus ridacchiò.
“In realtà
sono i guai che ci trovano, non viceversa. Lily è
l’eccezione che conferma la
regola.” Fece una pausa e tornò serio,
perché serio era il concetto che doveva
ficcare in quella testa impossibile. “Tu tieni a noi, Tom. Lo
sappiamo.”
L’altro non
replicò per un po’.
“Allora non respingermi più in quel
modo.” Sputò fuori infine.
Quale…
oh. Quando gli ho schiaffeggiato via la mano.
Si sentì
ufficialmente in
colpa. La fisicità per Tom era vitale; i gesti per lui erano
più chiari, più
inequivocabili rispetto alle loro parole. Per questo i gesti di Tom,
sin da
quando era bambino, erano sempre riflettuti, calcolati al millimetro.
A
differenza dei miei.
Era evidente che
più delle
parole rabbiose che gli aveva rivolto, l’aveva ferito il
rifiuto fisico. Gli
passò un braccio attorno alla vita, lentamente, in modo che
potesse prevedere la
mossa e scostarsi se avesse voluto. Lily aveva ragione a paragonarlo ad
un
gatto sospettoso. Lo era.
Sorrise appena del pensiero,
mentre Tom aggrottava le sopracciglia. “Cos’hai da
sorridere?”
“Nulla.” Scrollò le spalle.
“Mi dispiace. Ero arrabbiato, mi conosci. Scusa?”
“Forse.”
… gli dai un braccio? Si prende la
mano.
“Che vuol
dire?”
“Non ho fame. Restiamo qui.” Non era neanche una
proposta, era un ordine.
Al fece una smorfia.
“E se
putacaso io ne avessi? Ho passato
il pomeriggio
su una scopa. L’attività fisica mette
fame.”
“Ci faremo portare qualcosa dopo dal tuo schiavo.”
“Non è il mio schiavo! Radescu è
un…” Lo guardò in viso e
lasciò perdere. “Devi
davvero lavorare sul tuo
vocabolario.”
“Lo descrive
bene.” Fu la replica
imperturbabile. Stava già pensando ad altro, era evidente.
Era evidente anche dallo
sguardo che gli lanciò.
Tom si chinò per
allineare il
viso al suo. Lo guardò da sotto le ciglia scure, senza dire
niente.
Stupide
ciglia lunghe.
“Dovrei leggerti
nei pensieri?”
Gli chiese anche se non ne aveva bisogno. Il suo cuore aveva deciso di
raddoppiare i battiti e si sentiva caldo sul viso.
Non
ho bisogno di rifletterci, proprio no.
Non avevano avuto tempo per
stare assieme da quando erano partiti. Prima la forzata convivenza con
gli
altri e poi un primo giorno massacrante.
“Come
Occlumante faresti schifo, ma suppongo
di poterti spiegare cosa ho in
mente…”
Concesse magnanimo, prima di baciarlo. Fu un bacio tiepido e languido.
Al gli
allacciò le braccia attorno al collo spingendoselo
maggiormente contro, quasi
facendoselo crollare addosso. Non importava, anzi.
Tom gli passò le
mani lungo le
spalle, fino alle clavicole, per poi accarezzargli i fianchi,
facendogli il
solletico e facendolo sbuffare appena contro le sue labbra.
“Troppo sensibile, Signor Potter.”
“Pervertito.” Ribatté con un sorrisetto,
mentre gli mordicchiava il mento. Tom
fece una smorfia, prima di tendere un nuovo sorriso. Lo spinse
leggermente
contro il letto e stavolta non c’erano tuniche o spettacoli a
cui dovevano
attendere di mezzo. Al si sedette e Tom puntellando un ginocchio sul
materasso
gli fu subito sopra, in un bacio che racchiudeva un discreto
concentrato di
desiderio inespresso.
Chi
pensa che sia freddo e semi-asessuato…
Non
lo conosce, e a me sta benissimo
così.
Tom cominciò a
scendere con le
labbra, lungo il petto e lo stomaco. Aveva indubbiamente una fissazione
per la
sua pancia, il che era strano, ma meno strano di altre sue fissazioni,
come
ordinare la biancheria per colore e utilizzo.
Lo considerò
nebulosamente
mentre Tom gli tracciava un cerchio leggero con la punta della lingua
attorno
all’ombelico. Inspirò quando l’altro gli
fece scivolare i pantaloni
dell’uniforme lungo le gambe e agganciò il pollice
al bordo degli slip.
“E se io non
volessi? Ho fame
sul serio.” Replicò capriccioso, anche se
l’altro non ci avrebbe mai creduto.
Essendo due maschietti, si notava
il
suo coinvolgimento nella cosa.
Tom, quasi a volerlo
sottolineare silenziosamente, tracciò una linea invisibile
con il dito
dall’interno della gamba fino alla leggera peluria poco sopra
al suo inguine. E
poi inarcò un sopracciglio.
“Dicevi?”
Al si dimenticò
del motivo per
cui doveva resistergli mentre l’altro faceva scivolare le
dita lungo il suo
sesso e prendeva a toccarlo, gentilmente, quasi fosse un movimento poco
interessante.
“Scontro
tra… titani.”
Sussurrò con il poco cervello che gli rimaneva. Gli
infilò le dita trai
capelli, ravviandogli una ciocca che gli era caduta sul viso. Tom gli
prese la
mano, baciando i polpastrelli uno ad uno.
Al non aveva la minima idea
di
dove l’altro avesse imparato quel genere di
gestualità. Forse erano entrambi
due convinti autodidatti.
“Ora…”
Gli disse. “… sta’
zitto.”
Tom sapeva usare la bocca: che fosse per fare il primo della classe,
minare
l’orgoglio di qualcuno o far sfoggio del suo cervello, sapeva
come usarla.
Questo, in senso metaforico.
In senso letterale, anche se
Al non aveva molte esperienze in merito, trovava fosse un baciatore
fenomenale.
Ma lì doveva fermarsi, visto che Tom si rifiutava
categoricamente di
sperimentare; lasciava a lui il piacere, ma non se ne parlava di
reciprocare.
Non
penso proprio che stavolta sarà dive…
Il cervello di Al
andò
completamente in bianco quando l’altro fece scivolare il suo
sesso in bocca.
Albus era la cosa
più maledettamente
eccitante che esistesse nell’intero universo, magico e non.
Perché solo Al
poteva
diventare paonazzo, sgranare gli occhi e spalancare la bocca in una
‘o’
perfetta e umida senza sembrare un completo cretino, ma invece
spedirgli una
scarica di eccitazione capace di spazzare via ogni pensiero, ogni
problema.
Amava Al – una
delle poche
certezze emotive della sua vita - e comportarsi come un idiota con
capacità
empatica pari allo zero non aveva dovuto migliorare l’umore
dell’altro.
Lui
è qui per me.
Se lo ripeteva,
perché quello
che stava facendo non era tra le sue cose preferite
all’interno di un’alcova.
Cominciò a
diventare
improvvisamente molto più interessante quando Al prese a
gemere. A discapito di
quanto si potesse pensare, era un tipo silenzioso a letto. Tom in quel
momento
invece si chiese se non dovesse fare un mufflatio
alla stanza.
Poi Albus lo
afferrò per i
capelli e diede uno strattone in corrispondenza di una manovra
particolarmente
ben riuscita.
“Al.” Mormorò staccandosi. “I
miei capelli.”
“Perché ti sei fermato?”
Piagnucolò con gli occhi tondi di un peluche
inquietantemente
adorabile. “Ancora?”
Qualsiasi cosa avrebbe detto avrebbe potuto essere usata contro di lui
in un
secondo momento, quindi Tom preferì il silenzio, tornando ai
suoi compiti.
Al quando raggiungeva
l’orgasmo era uno spettacolo. Gli occhi gli diventavano
enormi e gli si
aggrappava stretto – nel post Tom aveva notato anche la
comparsa di lividi in
corrispondenza della mano prendi-boccino – come se non
volesse lasciarlo
andare.
Quell’orgasmo fu
esattamente
così, perché Tom lo aveva pianificato, e si era
ritirato in tempo, sostituendo
dita alle labbra per poterlo guardare in viso.
Il ritratto di un santo
babbano al cospetto del paradiso e tutti gli angeli schierati non
rendeva bene
l’idea.
Ci
si avvicina però.
Lo baciò
all’angolo delle
labbra quando l’altro mormorò sfiatato il suo
nome, tirandoselo contro.
“Hai
tentato di strapparmi i capelli.”
Osservò, perché andava detto. La politica della
totale trasparenza doveva essere
adeguata anche per quei casi.
“Potresti diventare comunque pelato.” Gli
sussurrò con tenerezza terrificante,
mentre gli strofinava il viso contro il collo e giocherellava allusivo
con i
primi bottoni dei suoi pantaloni.
“…
niente più sesso orale per
te. Comunque, non mi piace.”
“Quando io lo faccio a te non la pensi
così.”
“Se a te piace farlo, sono felice che a te piaccia.”
“Stronzo…” Mormorò con un
lamento, ma lo sentì sorridere contro la sua pelle.
“Comunque
ti amerò lo stesso, sai.”
“Pelato?”
“Sì, e persino con un’empatia terribile.
Come tu mi ami anche se do di matto.”
Gli sorrise. “Funziona così.”
Tom gli baciò
piano una
tempia. “Per fortuna.”
****
Note:
Questo capitolo è gigantesco per farmi perdonare
dell’orribile ritardo con cui
posto in questo periodo. Purtroppo la Real Life impera e posso dedicare
solo
pochissimo tempo a tutto questo, che amo ben più della tesi
o degli esami. ;_;
Questo
è il massimo di lemon a cui riesco ad arrivare. Ed
è più o meno lemon come un EstaThe,
ne sono consapevole. xD
Questa la canzone. Ogni tanto bisogna esser seri,
con le canzoni. Per il resto, ancora grazie da abbraccio forte a chi mi recensisce, mi contatta su fb e tutto il resto. Siete la cosa bella di questo periodo, davvero.
|
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Capitolo 54 *** Capitolo LI ***
Capitolo LI
Everything
I know is wrong/ Everything I do just comes undone
You left the sweetest taste in my mouth / Your
silver lining the clouds
I wish
that I could work it out
(The
Hardest Part, Coldplay)
13
Gennaio 2022
Norvegia, Durmstrang. Dormitori dell’élite (Ala
Nera).
Sören non aveva
tempo da
perdere. C’era una Prova in vista, nessuna direttiva da suo
zio e un mucchio di
problemi che gli gravitavano attorno.
Fortunatamente vivere nell’Ala Nera gli permetteva di
allenarsi, dormire e
rifocillarsi senza sostanziali interruzioni. Nessun contatto che non
fosse
strettamente necessario. In quella settimana aveva visto solo Dionis e
Poliakoff. Non doveva neppure presentarsi alle lezioni, essendone
esonerato per
la preparazione al Tremaghi – e sospettava perché
il Direttore non lo volesse
vicino alla sua innocente e fallibile scolaresca.
Uscì dalle docce
comuni del
piano strofinandosi vigorosamente il telo umido sui capelli. Una doccia
bollente aveva lavato via la fatica degli allenamenti mattutini.
Avrebbe
pranzato velocemente prima di mettersi a lavorare sulla Seconda Prova.
Lavorare sul Torneo era un
buon modo per scaricare la tensione.
“Oh, eccoti
qua!” Lo sorprese
una voce. Alzò lo sguardo e si trovò di fronte al
suo assistente. “Ti ho
cercato ovunque!”
“Sono appena tornato dall’allenamento nella
foresta. Cosa c’è?” Si
avvicinò ai
suoi vestiti, indossandoli con calma, sentendo i muscoli sciolti
dall’acqua
tendersi al brusco cambio di temperatura. O forse per la presenza non
attesa dell’altro.
Cacciò via il pensiero come avrebbe fatto con dello sporco
sul pavimento.
Il russo fece una pausa e
Sören non dovette guardarlo in faccia per sapere che lo stava
scrutando.
“L’inglesina.” Disse soltanto e fu
sufficiente.
“Cosa?”
“È un problema?” Era la prima volta che
il suo assistente affrontava un
problema di petto, senza giri di parole o tentennamenti tremolanti.
“Dovrebbe
esserlo?” Replicò.
Gettò l’asciugamano sulle panche in pietra che
disseminavano il locale delle
docce e si chinò per indossare i pantaloni
dell’uniforme. Era un buon modo per
evitare che l’atro vedesse la sua espressione.
Capirebbe
che stai nascondendo qualcosa.
Angoscia,
non è vero Ren?
“Dimmelo
tu.” Kirill si
appoggiò ad una delle scansie, puntellandosi con le mani
grassocce. Era ironico
che un ragazzo in apparenza tanto incapace potesse tenerlo in pugno.
Solo
con le parole. Gli bastano quelle. Gli basta una
chiamata allo zio. Una sola, e un sospetto.
“Sono sorpreso
quanto te che
sia venuta fin qui. Ma questo non è un ostacolo ai piani.
È solo un sassolino
sulla strada, nulla di più.” Si
allacciò la camicia con attenzione e lo
specchio di fronte a sé gli restituì
l’immagine di un ragazzo troppo magro, con
pieghe nervose attorno alla bocca e borse sotto gli occhi.
Non era nel suo periodo
migliore.
Per eufemizzare.
“Bel
paragone.” Osservò
l’altro accarezzandosi la barbetta. “Ma anche un
sassolino, se si infila nello
stivale, può dar fastidio.”
Dannazione.
Si voltò,
fissandolo con la
sua espressione più neutra. “Ho detto che non
è un problema.”
“Ad Hogwarts lo stava diventando.”
Osservò quello con un mezzo sorriso. Era
sgradevole e storto. Sembrava quello di Johannes.
“È curiosa, quella
ragazzina…”
“L’ho allontanata la sera del Ballo e questo chiude
la questione.” Si ravviò i
capelli con una mano. Ciocche bagnate gli finirono negli occhi ma non
se ne
curò. C’erano tante cose di cui non si curava, da
quando era tornato
all’Istituto. I capelli avevano bisogno di una spuntata,
erano troppe le
ciocche irregolari.
Non
è un bene che tu ti stia trascurando, Ren.
Dov’è la
tua famosa disciplina?
Poliakoff si
staccò dalla
parete, avvicinandoglisi. “Spero che lo sia. Mi dispiacerebbe
se rimanesse
invischiata in questa storia… beh, più di quanto
già non sia.”
“Che intendi
dire?” Si
complimentò per l’assoluto disinteresse che
trapelò dalla su voce. Quella
doccia bollente era stata davvero un toccasana.
“Nulla di
particolare. Era
solo un’osservazione.” Fu la replica.
“Soltanto, ora come ora, è troppo
rischioso avere a che fare con lei.” Fece un sospiro
scocciato. “Non le hai
parlato dalla sera del ballo di Yule, vero?”
“No. Ho mai
abbandonato l’Ala
Nera se non per allenarmi?”
Poliakoff si strinse nelle
spalle. “Chiedevo. Non possiamo permettere che il piano venga
messo a rischio per
una gallinella ficcanaso. Abbiamo già avuto una visita degli
auror britannici,
vediamo di evitare le forze magiche scandinave.”
“Non
c’è bisogno che tu me lo
dica.”
L’altro fece un cenno dismissivo con la mano. “Non
farei il mio lavoro se non
ti dicessi queste cose. Sei terribilmente nervoso da quando siamo
qui.”
Un’altra di quelle sgradevoli occhiate che lo facevano
sentire una sorta di
cavia. Sensazione conosciuta peraltro. “Sei sicuro che vada
tutto bene?”
Sören strinse i pugni e si concentrò nel nascondere
dietro un muro di
Occlumanzia il grumo di emozioni che stava tentando di sfondargli la
cassa
toracica. Doveva decisamente
evitare
di aggredire il compagno, sia verbalmente che, soprattutto, fisicamente.
Nessun
ulteriore sbaglio sarà tollerato. Non con i
sospetti che nutre su di me. So che li ha. So che appena
avrà occasione o
sicurezza li dirà allo zio. E Lily sarà in
pericolo, più di quanto già non sia.
Aveva un compito, una
missione. Ma aveva anche un desiderio: proteggere Lily.
Suo padre gli aveva
insegnato
che i debiti di vita erano qualcosa che marchiavano l’anima,
nel profondo. In
quei giorni, dopo l’impetuoso incontro avuto con la minore
dei Potter, aveva
raggiunto la consapevolezza che l’unico modo per ripagarla
era tenerla lontana da
tutto ciò che sarebbe successo. Perché sarebbe
successo, non aveva dubbi su
quello.
Lontana
da tutto e soprattutto da te.
…
Eppure.
Ti
manca, no? Vorresti vederla ancora. Ti ricordi la
sensazione della sua pelle contro la tua?
Nessuno l’aveva
toccato tanto
quanto aveva fatto Lily Potter. Aveva scoperto che era bello.
Non
è importante. Non mi serve. È controproducente.
Oltretutto…
riusciresti a guardarla negli occhi?
“Fa’ in
modo che nessuno degli
studenti di Hogwarts abbia accesso diretto all’Ala
Nera.” Si sentì dire, e per
fortuna era la cosa giusta. Quel magone allo stomaco ormai gli dava la
nausea. “Sai
meglio di me che, date le contingenze, è
meglio se evito il contatto con la famiglia Potter. Almeno fino a nuove
direttive.”
Kirill annuì. “Per quanto riguarda la Prova
invece… stai studiando la documentazione
che ti ho passato?”
“Naturalmente.”
Si allacciò la
casacca. “Sarò nella mia stanza per
un’altra ora. Poi andrò alla caletta.
Assicurati…”
L’altro sbuffò, alzando le mani in segno di
esasperata resa. “Ho capito, ho
capito! Non ci saranno, fidati. Né il clan dei Potter,
né gli altri Campioni.”
Sorrise. “Lascia fare a me. Tu concentrati
nell’essere il nostro perfetto
Campione.”
Sören ingoiò una smorfia sarcastica; era stato a
stretto contatto con Kirill
Poliakoff in quei cinque mesi. Sapeva bene di avere un Assistente
più sveglio
di quanto non dessero ad intendere le apparenze.
Kirill si
accomiatò con un
cenno di saluto dal suo Campione. Assistito. Sorvegliato speciale.
Comunque la mettesse, erano
tutti sinonimi.
Fece un sorrisetto,
scuotendo
la testa; c’era una parte di lui che provava pena per
Sören Von Hohenheim. Era
un mago letale, praticamente un’arma su due gambe. Un
confronto in merito alle
loro rispettive forze magiche non poteva neppure essere immaginato.
Eppure per
certe cose, l’arma letale sembrava un dodicenne. Imbranato,
per giunta. Era
quasi ridicolo.
Non
l’hai più sentita, eh? E il rendez-vous
strappalacrime la sera della cerimonia d’accoglienza?
Non si era neppure accorto
che
li aveva spiati, perché troppo concentrato a stringersi al
petto quella sciocca
streghetta inglese.
C’era decisamente
bisogno che
facesse una certa chiamata via camino. C’erano aggiornamenti.
****
“È una
mia impressione o ci
stanno tenendo sotto controllo?”
Era stata Rose a rompere il silenzio della biblioteca di Durmstrang.
Albus le
lanciò a malapena un’occhiata, molto
più concentrato a cercare di capire come
leggere nel giusto ordine le rune del libro di testo che aveva davanti
e Tom e
Scorpius erano immersi in un profondo battibecco sibilato a proposito
della
Prova, uno specchio magico e lì si fermava la sua voglia di
sapere, davvero.
Batté le
palpebre, notando che
la cugina aveva scritto solo pochi centimetri della sua pergamena per i
compiti
del giorno dopo, il che era strano; non appena Rose aveva scoperto che
le
materie di Durmstrang avevano un’impostazione diversa da
quelle inglesi si era
subito stabilita in biblioteca per sessioni feroci di studio
comparativo
trascinando con sé il suo riluttante fidanzato.
Era passata quasi una
settimana
dal loro arrivo e non c’erano state sorprese o colpi di
scena. La routine
dell’Istituto li aveva inglobati come avrebbe dovuto. Non avevano molti contatti con gli
allievi della scuola, ma in
compenso trascorrevano molto tempo con la delegazione francese che
aveva
accesso alle loro stesse aree della fortezza.
Sì,
perché tralasciando i nostri dormitori, il
refettorio, il campo da Quidditch e la biblioteca non è che
possiamo andare
dove ci pare. Non che vogliamo.
C’è sempre il rischio di perdersi, qua dentro.
Forte di quella riflessione,
tornò
all’espressione incerta di Rose. “Che intendi
dire?” Le chiese.
“Intendo dire…” Sospirò,
mentre anche gli altri due smettevano di bisticciare
per dar loro attenzione. “… che sono sempre molto
attenti ad organizzare
attività per noi, sai, come la gita fuori porta di due
giorni fa, quando siamo
andati a visitare quel vecchio cimitero pagano.”
“È stato divertente!” Si intromise
Scorpius. “Spettrale e tutto quanto!”
“Non lo è stato.” Borbottò
Tom togliendogli di mano la penna stilo – babbana e
quindi sua – che l’altro era in dirittura di
mordicchiare.
“Non ti è piaciuta perché Dominique ti
ha spaventato.” Ghignò l’altro.
“Ammettilo.”
“No.”
Al fece un mezzo sorriso, ricordando come il suo ragazzo fosse letteralmente saltato in aria quando la
platinata anglofrancese era saltato fuori da dietro una tomba urlando.
Ho
dovuto evitare che la maledisse…
Al si rivolse di nuovo alla
cugina. “Beh, non vedo cosa ci sia di strano…
Anche noi abbiamo organizzato
cose del genere per loro quando erano in Scozia. È per farci
conoscere i
dintorni.”
Rose fece una smorfia; era
un
paio di giorni che era inquieta e trasparente com’era, si
notava molto. Forse
era dovuto al fatto di aver realizzato che aveva un anello al dito e
che
avrebbe dovuto dire anche quello
al
padre.
Forse
stavolta è la volta buona che zio Ron ha un
infarto.
Scorpius, notando la sua
espressione, le prese la mano e la intrecciò alla sua,
baciandone le nocche.
“Fiorellino, cosa
cerchi di
dirci dietro complessi giri di parole?” Le chiese
allegramente; il perenne
buon’umore del grifondoro era un balsamo, e non solo per la
sua fidanzata,
anche per loro. Che avesse percepito o meno la tensione che correva tra
quelle
mura, era sempre pronto a stemperare una conversazione tesa con una
battuta o
con una diversione.
Buffo
a dirlo, ma senza di lui penso che avremo
litigato un po’ di più e riso un po’ di
meno.
“Che
‘sti vichinghi non ci
tolgono gli occhi di dosso un secondo, biondo.”
Era Dominique, Al lo seppe
prima di voltarsi dato che aveva di fronte Thomas, il quale aveva
assunto
un’aria tra l’irritato e lo sconfortato.
Ha
questa faccia solo quando è in presenza di Jamie o
Dom. E visto che Jam non c’è…
La suddetta infatti
afferrò
una sedia, voltandola e mettendocisi a cavalcioni, ignorando che fosse
riccamente istoriata e che il resto della sala la stesse guardando in
vari
gradi di sconcerto. La biblioteca di Durmstrang era enorme, spaziosa e
soprattutto, antica e sembrava del
tutto inadeguata ad ospitare gesti del genere.
Metà degli scaffali ospitavano rotoli di
pergamena, invece che libri
rilegati. Sugli archi che si aprivano sul soffitto a volta erano incise
rune
che neppure Rose, che le studiava dal Primo Anno, era riuscita a
decifrare.
“Nicky, abbassa la
voce!”
C’era anche la ragazza francese dal nome inglese. Sembrava
contrariata
dall’essere lì a giudicare dalle braccia
incrociate e l’aria genericamente infastidita.
“Violet!”
Esclamò Scorpius,
l’unico apparentemente felice di vederla.
“Sì, ci
siamo entrambe
purtroppo.” Sbuffò questa, quando si rese conto
che non poteva bacchettare due
persone nello stesso momento. Si sedette rigidamente accanto
all’altra, quasi
dovesse esser dipinta per un ritratto familiare.
“Siamo in una
biblioteca,
Malfoy. Abbassate il tono prima che ci caccino.”
Concordò Rose. Dato il
silenzio scomodo che ne conseguì, Albus si sentì
in dovere di riprendere la
parola, seppure a bassa voce.
“Vi sentite
controllate?”
Considerate le contingenze, non poteva trascurare nulla. Anche le cose
più
sciocche potevano essere sintomo di qualcosa.
“Sicuro! C’è sempre qualcuno che ci sta
attaccato al cu…” Esordì Dominique,
prima che un’occhiata raggelante dell’altra le
facesse roteare gli occhi al
cielo. “… al fondoschiena.
L’abbiamo
notato un paio di giorni dopo il nostro arrivo. Non siamo mai veramente
sole,
se non in dormitorio.”
“Anche per noi è così.”
Confermò Rose e Al, suo malgrado, dovette far mente
locale e rendersi conto che ad eccezione della camera da letto, era
sempre
seguito come un’ombra da Radescu.
L’unico
motivo per cui non è qui è
perché… Beh, qui
dentro è pieno di allievi.
“Ad Hogwarts non
era così.” Si
intromise Violet. Il suo spiccato accento londinese sembrava tutto
fuorché
francese. Era la prima volta che Al la sentiva parlare che non fosse
per
civettare con Malfoy. “Non che potessimo muoverci ovunque, ma
qui ci stanno pedinando. Non siamo
le sole ad averlo
notato, anche i ragazzi hanno avuto la stessa impressione.”
“Mael. È un nanetto paranoico, ma stavolta penso
abbia ragione.” Soggiunse Dominique.
Aveva assunto un’aria seria ed era dannatamente credibile con
quell’espressione
addosso.
“Ne avete parlato
con la
vostre Preside?” Chiese Rose.
Violet fece una smorfia
dismissiva. “Voi ne avete parlato al vostro? Non ci darebbe
mai retta, direbbe che
ce lo stiamo immaginando. In effetti è più che
altro una sensazione.”
“Non ce l’hanno tutti.” Concluse
Dominique afferrando una delle penne di Tom e
osservandola incuriosita prima che questo gliela strappasse di mano.
“Perché
dovrebbero fare una
cosa del genere?” Chiese Al.
Dominique si
guardò con
Violet, e fu di nuovo questa a parlare. “Non ne abbiamo idea.
Ma è chiaro che fanno
di tutto per sapere dove siamo tutti quanti, in ogni momento. Anche
adesso.”
Era molto meno scema di quanto avesse millantato Rose, pensò
Al, e doveva
essersene accorta anche la suddetta dalla strana espressione di
scornata
confusione che aveva assunto.
Scorpius si
stiracchiò,
approfittandone per dare uno sguardo tutto attorno. “Eh, mi
sa che è vero. Ci
sono un paio di allievi che guardano dritto verso di noi da un
po’.”
“Da quando siamo
entrati qui.”
Mormorò Tom.
“Questo Torneo ha
qualcosa di
strano.” Sbuffò Violet. “Ed è
anche più inquietante di quanto non dovrebbe
essere normalmente.” Fissò Scorpius.
“Voi cosa sapete?”
Malfoy non batté ciglio, limitandosi ad un sorriso
disimpegnato. “Nulla di più
di quello che sapete voi.”
“Sciocchezze.” Lo interruppe. “Sapete
qualcosa perché qualcosa è successo da voi l’anno scorso. Era su
tutti i
giornali. Sta succedendo di nuovo?”
“Non sono affari tuoi, Parkinson.”
Sbottò Rose, che evidentemente non digeriva
il tono di comando dell’unica donna oltre a lei in quel
consesso.
Domi
non conta.
Era uno scontro di
volontà
femminili, capì Albus preferendo far finta di non aver
notato la cosa.
L’altra
assottigliò lo sguardo
serrando le labbra. “Sono affari miei, Weasley. Calpesto il
vostro stesso suolo
e questo basta per mettersi nei guai, secondo ciò che si
dice della vostra
famiglia.”
Le orecchie di Rose stavano
diventando pericolosamente paonazze. Albus non era l’unico ad
averlo notato,
perché Malfoy intervenne un secondo prima che la ragazza
desse fiato alla sua
rabbia.
“Violet, non
c’è alcun
pericolo per Dom.” Proferì calmo. “Se
succederà qualcosa… e non sto dicendo che
sia cosa sicura, non coinvolgerà i Campioni del Tremaghi, ti
do la mia parola.”
Non
avrei potuto dirlo meglio.
Al si segnò
mentalmente di
ringraziare Scorpius circa un centinaio di volte finita quella storia.
La ragazza
arrossì leggermente
sulla guance, facendo una smorfia ed evitando di guardare proprio in
direzione
dell’interpellata.
“Sai che vuol dire
in francese
il tuo cognome?” Borbottò.
“Ho parenti francesi da qualche parte, certo che lo
so.” Ghignò il ragazzo. “Ma
io sono speciale. Della mia parola ti puoi fidare.”
“Io mi fido.” Convenne Dominique placidamente.
“Il punto però resta. Questi son
tutti sulle spine da quando siamo qui. È come se non ci
volessero ma gli tocca
far buon viso a cattivo gioco. Una roba del genere”
Scrollò le spalle.
“Pensavamo fosse giusto dirvelo.”
“Io non lo pensavo, è stata un’idea
tua.” Continuò malmostosa la mora, prima di
alzarsi in piedi. “Se non avete intenzione di metterci a
parte dei vostri
piccoli segreti ce ne andiamo.” Non aggiunse altro, lanciando
un’occhiata
significativa a Dominique prima di marciare via tutta impettita.
Quella sospirò
lanciando
un’occhiata verso l’ultimo lembo di gonna azzurra
che spariva tra gli scaffali.
“Mi sa che devo andare. Ohi, a proposito,
dov’è Lils?” Chiese, come se tutta
quella conversazione fosse stata costellata da banali convenevoli e
aneddoti familiari.
Albus era sbalordito ed insieme invidioso della capacità
della cugina d’Oltre
Manica di essere sempre al di sopra di qualsiasi preoccupazione.
Si
deve viver bene così.
“In
punizione.” Le rispose.
“Ah, quella rossa!” Ghignò affatto
turbata dalla notizia – e perché avrebbe
dovuto, dato che le punizioni scolastiche erano una costante nella loro
famiglia?
“La Parkinson
è una
rompipalle.” Sbottò Rose quando se ne furono
andate. “Ma poi che voleva?”
Scorpius scrollò le spalle. “Andiamo Rosie,
è ovvio! Violet è preoccupata . Non
è tipa che te lo dice apertamente, ma ha paura per la sua
ragazza. Parecchia o
non sarebbe mai venuta a cercarci di persona.”
“Mi sembra ancora
incredibile
che lei e Domi siano una coppia…”
“Volevano capire
se erano le
uniche ad aver avuto una sensazione che può tacciarti di
paranoia.” Soggiunse
Tom continuando a fissarsi le mani come se fossero la cosa
più interessante al
mondo. Altamente probabile che il suo cervello stesse lavorando a pieno
regime.
“Beh, non lo
sono…” Sbuffò
Rose ravviandosi una ciocca di capelli. “Anch’io
sono preoccupata per
Scorpius.”
“Sei tenera Rosellina.”
“Sono angosciata, è diverso.”
Inspirò. “Perché ci stanno
sorvegliando?”
****
Lily si sarebbe suicidata
dalla noia entro dieci minuti esatti d’orologio.
Ne era talmente certa che
stava già progettando come sarebbe avvenuta la sua morte. Un
defenestra mento
sembrava l’ipotesi più fattibile e meno dolorosa.
Uccisa da qualche scoglio
aguzzo o dall’impatto con l’acqua.
Persino
coreografico. Romantico. Scenico. Mi piace.
“Signorina Potter,
non ha
tempo da perdere con il naso per aria. I compiti non si faranno da
soli.”
Lily lanciò un basso mugugno, tutto ciò che le
era concesso di fronte
all’espressione di pietra di Minerva McGrannit. Finite le
impraticabili lezioni
della mattina – erano tutte
in
tedesco e lei era una schiappa con gli incantesimi di traduzione
simultanea - era
stata portata da Ted nelle stanze assegnate alla vecchia professoressa
e da lì non
era più uscita, neppure per pranzare dato che aveva mangiato
sotto la sua
disagiante supervisione.
“Perché
non posso studiare in
biblioteca con gli altri?” Chiese fissando la propria
pergamena intonsa ad
eccezione di un paio di scarne righe. Trasfigurazione non era
più il suo Gramo,
ma rimaneva comunque una materia ostica.
Senza
le spiegazioni di Ren, tra l’altro.
“Perché
è in punizione.” Le fu
ovviamente comunicato.
“Studiare non
è come andare ad
una festa o ad una gita…” Borbottò a
mezza bocca. Poteva capire l’esser
tagliata fuori dai divertimenti organizzati per le delegazioni
– a cui non voleva
comunque partecipare, dato che erano più che altro tetre
visite in cimiteri o
esplorazione degli impervi dintorni.
Ma
studiare. In biblioteca!
Non
avrei mai pensato che avrei desiderato una cosa del
genere. Mai, nella mia vita.
“Come ho detto,
lei è in
punizione.” Ripeté l’anziana strega.
“Questo significa che le è preclusa la
possibilità di passare del tempo ad oziare.”
Lily batté le palpebre. “In biblioteca?”
Tentò di nuovo.
Fu quasi certa di vedere una
lieve contrazione nella bocca della professoressa. Se fosse stato un
sorriso o
una smorfia era però difficile stabilirlo. “Visto
che ha una particolare
inclinazione ad eludere la sorveglianza dei suoi fratelli o dei
Prefetti, il
Preside ha ritenuto che fosse opportuna una più stretta
sorveglianza.”
Il
Preside… diciamo pure papà.
Non disse nulla
però,
limitandosi ad ingoiare una risposta salace e rimettersi al lavoro
sulla
pergamena. Perlomeno con Teddy era meno
noioso.
Aveva infatti avuto la
possibilità di scambiare quattro chiacchiere e farsi
aiutare, e non fissare con
sguardo giudicante; ma quel giorno il vecchio amico era dovuto andare
in paese
– ovunque fosse – a sbrigare delle faccende e
quindi la Pluffa era stata
passata alla McGrannit.
Lanciò uno
sguardo fuori dalla
finestra; sembravano passati anni da quando Sören aveva
giocato con lei e i
suoi amici. Da quando avevano riso insieme ed era tutto normale, e
bello.
Le mancava Sören;
le sembrava
assurdo essere nello stesso castello, dividere la stessa aria e non
poterlo
vedere.
L’aveva cercato
con lo sguardo
in quei giorni, in refettorio, nei corridoi, nelle aule. Ovunque.
Sembrava essere scomparso e qualsiasi contatto con gli
allievi di Durmstrang si era rivelato un continuo, smorzante
fallimento. Se
aveva tempo di fermarne uno, sembrava che enormi barriere linguistiche
li
ostacolassero. E la delegazione del
Tremaghi si è smembrata. E chi li riconosce, se non sono
tutti assieme?
Come se non bastasse, era
controllata a vista; da sua cugina quando era in dormitorio, da Al
durante le
ore di lezione e per il post c’era un ovvio Teddy a scortarla
ovunque.
Non
dovrebbe essere Tom quello nei guai? Perché hanno
messo in regime di sorveglianza speciale soltanto me?!
Tirò un ennesimo,
rumoroso
sospiro e a quel punto l’anziana strega fu costretta ad
alzare gli occhi dall’incantesimo
sferruzzante che stava controllando. “Potter.”
Esordì con tono carico di
esasperazione. “Sarebbe opportuno cercasse di rimanere
concentrata almeno per dieci minuti
di fila. I suoi
compiti ne trarrebbero giovamento, mi creda.”
“Non ci riesco!” Sbottò sentendo la sua
voce avere uno sgradevole picco
infantile. Non che fosse una novità; di fronte alla vecchia
strega scozzese si
sentiva sempre infantile.
“Io… non
riesco a rimanere concentrata. Ho troppe cose in testa!”
Quella ripose il lavoro a
maglia nell’apposito cestino e incrociò le mani in
grembo. “Ad esempio?”
“Ad esempio…” Esitò,
perché se non aveva trovato comprensione da suo fratello,
Ted o gli altri dubitava di poterne trovare in un’eroina di
guerra, dura come
la roccia, inflessibile e… zitella. “Non
capirebbe.” Brontolò amareggiata.
“Mi metta alla
prova.” Fu
l’inaspettata replica. Il tono non si era addolcito di una
virgola, ma perlomeno
non stava tentando di riportarla ai suoi doveri. Era un progresso.
“È per
via di Sören Luzhin che
sono qui. Il piano era stargli vicino…”
Strofinò con forza una macchia di
inchiostro sulla nocca. Detestava avere le mani macchiate, era
decisamente poco
femminile. “… ma è andato tutto
storto.”
“Suppongo non
avesse
considerato la punizione che ne sarebbe conseguita.”
Osservò con un sorriso
sottile.
Lily si sentì
arrossire e per
un folle momento le sembrò di vedere volteggiare la sua
età nell’aria, quasi
fosse stato lanciato un incantesimo Flagramus¹.
Stupida,
stupida quindicenne.
“No… mi
sa di no.” Ammise. “Però
non è solo questo. Sören non è mai in
giro ed ho paura che… insomma, che non
stia bene e che qualcuno gli stia facendo del male.”
La McGrannit inarcò le sopracciglia. “Qui, a
Durmstrang? Al suo Campione?”
“Lo so che è assurdo.” Si
mordicchiò un labbro, continuando a tentare di
strofinarsi via la maledetta macchia. Con tutto quel movimento di polso
vedeva baluginare
il braccialetto che l’amico le aveva regalato per Natale.
Faceva male. “Vorrei solo
vederlo. Vorrei
sapere se sta bene. E non ci riesco.” Cercò con
tutte le forze di ricacciare
indietro il groppo che sentiva alla gola. Ormai era ospite fisso dei
suoi
migliori magoni. “Non mi sembra una cosa tanto pazzesca
da chiedere, no?”
Non alzò lo
sguardo perché in
quel momento non sarebbe stata capace di fronteggiare una donna che
aveva
votato la sua vita ad alti valori morali e che di certo la trovava una
minorenne cretina, riempita di sciocchezze ormonali. Poi
sentì un sospiro.
Rassegnazione?
È rassegnazione. Mi piace la
rassegnazione. Significa vittoria Forse.
“È
stato il Signor Luzhin a
darle ripetizioni nella mia materia?”
Annuì rapidamente. “Sì, proprio lui!
Non sarei migliorata tanto se non… cioè,
mi ha motivato.”
Rettificò, dato che
non era il caso di dare tutto il merito ad un esterno di fronte alla
docente in
questione. “Me l’ha fatta vedere
diversamente.” Sperò andasse bene.
La McGrannit non disse
nulla,
limitandosi a riprendere con un colpo di bacchetta il lavoro a maglia.
Sembrava
ne stesse venendo fuori qualcosa di molto tartan.
Scozzesi…
“Finisca i suoi
compiti.”
Disse facendola ripiombare nello sconforto. “Se termina prima
che faccia buio
forse potrà godere di una rinfrancante passeggiata fino alla
caletta qui
vicina.”
Lily la guardò senza capire; perché mai avrebbe
dovuto interessarle congelarsi
e dover poi risalire un pendio solo per vedere una caletta, per quanto
potesse
essere rinfrancante?
“Pensavo sapesse dove si allenano i Campioni, Signorina
Potter.”
La McGrannit era ufficialmente diventata la sua professoressa preferita.
****
Inghilterra,
Londra, Ministero della Magia.
Ufficio Auror.
“Luzhin potrebbe
non essere
Luzhin.”
Harry colse quella frase mentre osservava il magma indaffarato che era
l’ufficio auror quel pomeriggio; non era, lavorativamente
parlando, l’ora di
punta. Era sempre così entrare nella loro sezione;
promemoria volanti ovunque,
auror che entravano ed uscivano presi da una fretta insostenibile.
Checché se
ne dicesse, quel caos convulso – eppure stranamente
funzionale - era Grifondoro
con una lieve spruzzata di indefessa operosità Tassorosso.
Osservare quello spettacolo
lo
aveva sempre tranquillizzato.
Non
adesso.
Voltò le spalle
alla grande
vetrata che si apriva sul suo ufficio e guardò Ron, appena
entrato. A breve
distanza c’era Nora. Era stata lei a parlare.
“Notizie sui
genitori di
Luzhin?” Chiese.
“Ancora nessuna.” Scosse la testa Ron. “E
indovina un po’? Casa loro ha un
Custode Segreto, che sembra essere Frederick Luzhin stesso. Non
possiamo
neanche ottenere un mandato per una perquisizione in cerca di indizi.
Non
riusciamo a trovarla!”
“La Thule ha fatto le cose come si
deve…” Mormorò sciogliendo le mani da
dietro
la schiena e misurando l’ufficio con i propri passi.
Mantenere la calma e la
freddezza mentale era una priorità assoluta.
Da adolescente sarebbe
andato
avanti a capo chino; ma non lo era più da parecchio tempo.
E
non posso comportarmi come tale. Come Lily.
Ron si buttò
sulla sedia di
fronte alla scrivania, passandosi una mano trai capelli.
“Fantastico, siamo
punto e da capo. Nulla di fatto!” Fece una smorfia
lanciandogli un’occhiata
indecifrabile. “Pensi davvero che la teoria della
sostituzione di persona sia
valida?”
“Sì.
Sören Luzhin non è chi
dice di essere. Non ci sono prove schiaccianti… ma
circostanziali? Troppe.” Osservò
le foto che teneva sulla scrivania. I suoi figli lo salutavano
sorridendo, con
una serenità che gli dava uno strano senso di impotenza.
Non sapere quali fossero i
piani di Hohenheim era peggio di un veleno; aveva già
assaggiato quella bevanda
sgradevole con Voldemort.
Avrei
voluto che fosse l’ultima volta. Vorrei che non
vi fossero coinvolti i ragazzi…
…
Ma spesso volere qualcosa, non è ottenerla.
“Pensi che un
adepto della
Thule abbia preso il suo posto?” Lo riportò alla
realtà Nora.
“Sì, lo
penso.” Confermò
secco, voltandosi di nuovo verso di loro. “I suoi genitori
sono
irrintracciabili, i loro dipendenti non ricordano che faccia abbia.
Prima di quest’anno
era solo uno studente come tanti, non particolarmente famoso o di
rilievo.
Perfettamente sostituibile, dunque.”
“Ma
com’è possibile che
nessuno se ne sia accorto a Durmstrang?” Sbuffò
Ron. “Insomma, i professori, i
compagni… il Preside! A meno che non stia sotto Polisucco
dall’inizio
dell’anno.” Ci rifletté brevemente, poi
scosse la testa. “È impossibile, ci
sono i controlli preliminari del Tremaghi!”
“Allora potrebbero
essere
d’accordo.” Realizzò Nora lanciandogli
uno sguardo. “Il Preside, i professori…
Pensi che sappiano, Harry?”
“Forse non tutti. È difficile corrompere
un’intera scuola. Ma non esiste solo
la Polisucco, ci possono essere incantesimi. Fatture.”
“Difficile, ma non impossibile.” Nora
sospirò. “Di certo la Thule non manca di
incantesimi potenti.”
Ron fece una smorfia.
“Scusate,
ma devo chiederlo… È una delle idee di Thomas?
Perché sembra una delle sue
paranoie.” All’espressione che dovette assumere
fece un sospiro. “È che mi
sembra assurdo che un ragazzo possa essere sostituito
così… tra l’altro
diventando Campione e sbattendo la sua faccia su tutti i quotidiani
magici
d’Europa!”
Harry comprendeva lo
scetticismo dell’amico; anche a lui sembrava inconcepibile
che una sostituzione
simile potesse aver avuto atto. Ma la Thule era stata capace di
rintracciare i
Doni l’anno prima, e appropriarsene sotto il naso di un
intero corpo docenti e
metà polizia magica britannica.
Impossibile
è un vocabolo da ridefinire con loro.
Ron fiutando la loro
esitazione tornò alla carica. Era l’avvocato del
diavolo, come avrebbe detto un
babbano, e anche se era uno sporco lavoro, Harry in fondo gliene era
sempre
stato grato.
A
volte temo che non sia Tom l’unico ad avere un debole
per le teorie complottistiche.
“Quello che mi
chiedo è perché.”
Esordì. “Perché montare tutto
questo teatrino, l’attacco dei Dissennatori e
l’infiltrarsi a Durmstrang? Diamo
pure per scontato il fatto che il padre di Thomas lo
rivoglia… tutto questo
caos solo per riaverlo indietro? Ci sono modi molto più
discreti di agire. Ne
potrei elencare almeno cento.”
“Ronald ha
ragione. Non è il
solito modus operandi.”
Convenne
Nora. “Il loro principale vanto è sempre stato
colpire per poi sparire nel
nulla. Qui invece sono state lasciate tracce vistose.
Un’operazione della Thule
non avrebbe lasciato tutti questi indizi sulla famiglia di
Luzhin.”
“Avevamo preso come punto fermo il fatto che questa non
è un’operazione dell’Organizzazione,
ma un’iniziativa personale di Von Hohenheim.”
Ricordò loro. “Si è staccato
dalla sua Organizzazione, e lavora in proprio.”
“Quindi si suppone che il ragazzo lavori per lui e lui
soltanto.” Nora inspirò.
“Abbastanza giovane per passare per studente, ma
addestrato.” Si incupì. “Per
quando ne sapevamo, aveva un solo braccio operativo personale, John
Doe.
Evidentemente non è così.”
“Non è una prima leva, la sua Prima Prova ne
è stato esempio. Era oltre
l’eccezionale.” Convenne Harry.
“Sören Luzhin è il prodotto di un
formazione
magica superiore a quella scolastica. Durmstrang può essere
rigorosa, ma quel
ragazzo si comportava come un agente scelto, non come uno
studente.”
La
sua mimica facciale, la sua postura. I modi. Penso
che darebbe filo da torcere persino ai nostri migliori auror.
“E
Lily?” Ron fece la domanda
che Harry accuratamente evitava da giorni. “Lils che
c’entra in tutto questo?”
“È solo un mezzo per avvicinarsi alla vostra
famiglia.” Scrollò le spalle Nora.
“Luzhin era suo amico di piuma. Quale occasione migliore per
avvicinarsi a
Thomas?”
Harry non disse nulla,
lasciando che Ron convenisse al posto suo.
Non
ne sono sicuro.
Lily si era affezionata a
Sören in maniera tenace. Profonda. Era persino scappata per
potergli stare
vicino e non era una cosa che sua figlia avrebbe fatto a cuor leggero.
Non era
quel genere di ragazza. Era chiaro che si era instaurato tra loro un
rapporto
più intimo di quello di un’amicizia basata su una
conoscenza per lettera.
“Luzhin si
è finto parente di
Piton con Lily. E forse lo è davvero.”
Osservò pacato. Era la prima volta che
lo diceva ad alta voce e la reazione non si fece attendere; Ron quasi
si
strozzò con la sua stessa aria e Nora assunse
un’espressione di totale
confusione.
Aveva aspettato tanto a
dirlo
perché aveva dovuto rifletterci, da solo. Aveva chiesto a
James di non dire
nulla e si era assicurato che il messaggio arrivasse anche ad Hugo. Poi
aveva
passato un’intera serata a fissare i riverberi del camino con
un bicchiere di
Whiskey Incendiario tra le mani.
L’idea che un mago
del genere avesse
dei legami con il suo vecchio professore e ne avesse istaurati con sua
figlia –
Lily - l’aveva
quasi mandato in crisi.
E più ci aveva
riflettuto più
si era dato dell’idiota a non aver notato la somiglianza la
prima volta che gli
si era presentato.
I
suoi occhi mi ricordavano quelli di qualcuno. Neri,
come voragini. Non era Occlumanzia, o meglio, non solo. Sono gli stessi
occhi
di Severus Piton.
“Stai
scherzando!” Quasi gli
intimò Ron. “Piton non aveva famiglia magica, al
Sesto anno abbiamo scoperto
che suo padre era un babbano, non ti ricordi? Per questo si faceva
chiamare
Principe Mezzosangue!”
Harry annuì. “Sì, ma non lo era sua
madre. Eileen Prince era una Purosangue. I
Purosangue non hanno mai un solo figlio, se possono, no?”
Ron aprì la bocca
e la
richiuse un paio di volte. “Ma … si è
solo finto, giusto? Lily ha quella mezza
cotta stramba per il vecchio pipistrello. Ne avrà
approfittato per farsela
amica!”
Harry trattenne un sorriso,
ricordandosi perché l’altro avesse in memoria
un’informazione del genere.
L’ha
preso in giro di fronte a lei quando aveva otto
anni … e credo che sia stato lo scoppio di Magia Accidentale
peggiore che Lily
abbia mai avuto. Ron non ha potuto sedersi per un mese intero.
“Non ne sono
così sicuro. Ha
cercato il ritratto di Piton per avere informazioni sui Prince, voleva
che
qualcuno gli parlasse di quella famiglia.”
“Per rendere più verosimile la sua
storiella!” Lo interruppe l’altro, ruggendo
rabbia. “Per ingannare ancora meglio Lils! Piccolo, viscido
bastardo!”
“Qual è
il grado di parentela che
ha detto di avere con Severus Piton?” Nora sembrava poco
convinta, ma aveva il
merito di saper far domande, più che pretendere spiegazioni.
“Sono
cugini.” Replicò. “Oltre
ad Eileen Prince c’era un fratello, Elias. Sembra essere suo
figlio.”
Nora lo guardò
confusa.
“Sembra? Ci sono altri fratelli?”
Harry scosse la testa.
“No… ma
il ragazzo ha detto a Piton di essere imparentato con lui per parte di
madre. Ha
mentito. L’ha fatto, credo, per nascondere di chi era davvero
figlio. Per inquinare
le acque. I Luzhin non hanno legami con l’Inghilterra,
né tantomeno con la
famiglia Prince, almeno non secondo le nostre indagini.”
“Elias
Prince.” Nora fece un
cenno di assenso, scribacchiandolo sul taccuino di pelle nera che le
vedeva
spesso estrarre durante i resoconti di indagine. Avrebbe dovuto farne
comprare
un po’ anche per i suoi, sembravano utili per fissare le
idee. “Dirò ai miei
ragazzi di fare una ricerca sui nostri archivi.”
“Avete un archivio
anche sui
maghi europei?” Chiese Ron tra l’ammirato e il
preoccupato. “Accidenti, non
dirmi che avete schedato anche noi!”
Nora ridacchiò. “Temo di non poterne parlare
liberamente, Ronald.”
Ron fece una smorfia. “Miseriaccia… voi americani
siete tremendi!”
Harry sorrise appena allo scambio di battute trai due; era felice di
avere un
valido aiuto da Oltre Oceano. Doveva trovare le prove che
Sören Luzhin non era
chi diceva di essere. E aveva bisogno di tutto l’aiuto
possibile per farlo.
****
“Le mie gambe non
mi
permettono di proseguire oltre.”
Lily si voltò verso la professoressa McGrannit che, avvolta
nel proprio
mantello e in una vistosa stola di tartan scozzese, la guardava dal
ciglio del
sentiero che digradava violentemente fino alla famosa caletta.
“Ah.”
Emise senza saper bene
cosa dire. Ovviamente era stata
accompagnata dato che non poteva muovere un passo senza che qualcuno le
stesse
col fiato sul collo. Lanciò un’occhiata in basso.
Sören era lì, poteva essere
lì. No. Era lì. Lanciò
un’occhiata frustrata alla donna. “… ma
mi aveva
promesso…”
“So cosa le ho promesso.” Fu la replica pacata.
“Vada dunque.”
Lily ebbe la sensazione di aver assunto una faccia da completa
deficiente. “… Scusi?”
“Considerando il dover scendere e risalire, considero
all’incirca venti
minuti.” Fece una breve pausa. “Sto già
contando.”
Lily non se lo fece ripetere due volte, per quanto non capisse cosa
diavolo
fosse preso a quella che, a conti fatti, era stata la professoressa
più rigida
e amante delle regole della scuola, secondo i suoi genitori.
Oh,
beh. Al diavolo!
Scese di corsa il viottolo,
sufficientemente largo per non metterle ansia. Non aveva problemi con
le grandi
altezze a strapiombo, ma con le cadute e le morti certe, sì.
La caletta era stretta e battuta dalle onde. La lingua di sabbia che la
delimitava era grigiastra e crepitava sotto i suoi piedi come se fosse
fatta di
gusci d’insetti. Era un posto abbastanza largo per potersi
allenare, a
giudicare dai segni di bruciature di incantesimo sulla sabbia. Non
capiva però perché
fosse considerato tale; dentro la fortezza di sale dedicate agli
allenamenti dovevano
essercene a bizzeffe.
Lo capì quando
per poco
un’onda non le fece completamente il bagno. Fece un balzo
indietro, stupita.
Evidentemente la conformazione della caletta non dava la sicurezza di
essere all’asciutto.
Per
la concentrazione? Beh, certo, lanciare incantesimi
con il rischio di essere affogati non deve aiutare.
Sarà
un allenamento per la Seconda Prova…
A proposito di quella, Sören. Non lo vedeva da nessuna
parte.
Fece ruotare lo sguardo su tutta la spiaggetta, ma non c’era
traccia di anima
viva. Inspirò, sentendo la delusione investirla; ci aveva
sperato di poterlo
vedere.
Era
un’occasione perfetta. Lui si allena da solo, non
si porta dietro quel viscido e io …
E poi lo vide proprio dove
non
l’aveva, per ovvi motivi, cercato; era in mare.
C’era uno scoglio
che spuntava
in mezzo a tutta quell’acqua tumultuosa e il suo amico era
lì, in piedi e con
gli occhi chiusi. Lily non capì cosa stesse facendo
finché non notò che le onde
sembravano evitare lo scoglio con una precisione che poteva essere solo
magica.
Non aveva idea di cosa stesse facendo, ma doveva essere un incantesimo.
Sembrava
profondamente concentrato.
Allora
sì, è un allenamento sulla concentrazione.
Chissà
in che cavolo consiste la Seconda Prova.
Non aveva la bacchetta e
quello era ancora più sbalorditivo. Ren era sbalorditivo.
In ogni caso, si presentava
un
interrogativo. Chiamarlo o meno?
Lily non ci mise molto a scegliere; il tempo concesso dalla
professoressa era
esiguo e scendendo ne aveva già sprecato un bel
po’. “Ren!” Lo chiamò con
forza, per sovrastare il rumore delle onde. “Ren!”
Non diede segno di averla sentita, ed era possibile. “Ren,
sono Lily! Ehi, mi
senti?” Non desistette e a quel punto notò che
l’espressione dell’altro, prima
imperturbabile come quella di una statua, si contrasse.
Vattene.
Lily quasi
sobbalzò quando
sentì quel pensiero, non suo, esplodergli in testa come un
petardo di zio
George; era possibile…
Certo che lo era, lo capì dall’espressione di
Sören, specchio gemello di
quell’ordine. Sapeva che c’erano incantesimi che
erano simili al concetto di
Telepatia babbana, anche se non così immediati. Non
c’era modo nel Mondo Magico
per chiacchierare in silenzio, ma si poteva parlare
nella testa degli altri. Più lunga era frase, più
oneroso era l’incantesimo.
Forse, concentrato com’era a far altro, era il massimo che
aveva potuto dirle.
Ma era bastato per farla
sentire uno schifo.
Inspirò.
“No, non me ne vado!
Devi parlarmi!”
Sören non ribatté, né a voce
né tramite pensiero. Le voltò invece le spalle,
in
un gesto plateale che valeva più di mille parole.
“Hai detto che
siamo amici,
idiota!” Urlò al vento, frustrata. “Gli
amici non dicono cose del genere!”
Di nuovo nessuna risposta;
Sören aveva ripreso il suo allenamento.
Sentì il sacro fuoco dell’arrabbiatura
infiammarla. Se c’era una cosa che
detestava sopra ogni altra era essere ignorata.
Come se non bastasse, essere
ignorata da qualcuno che non voleva farlo sul
serio; perché era sicura che Ren non avesse la
minima intenzione di
allontanarla, non dentro di sé.
O
non mi avrebbe abbracciato. O non mi avrebbe detto
che siamo amici. Gliel’ho dovuto strappare di bocca, sembrava
mi avesse appena
detto una profanità, ma l’ha detto.
Il tempo stava scadendo e
anche se non aveva idea di cosa sarebbe successo passati i venti minuti
– le
sembrava improbabile che la McGrannit venisse a riprenderla fin
laggiù – non
voleva, per la prima volta in vita sua, disattendere ad un ordine.
La
professoressa mi ha aiutato. Avrebbe potuto non
farlo, anzi mi sa che non avrebbe dovuto.
Sono venti minuti e lo saranno. Ti
costringerò a parlarmi adesso.
Inspirò guardando
le onde
tumultuose che le schizzavano le scarpe da ginnastica. Se le tolse e
poi
continuò a camminare. Sentì l’acqua
gelida lambirle le caviglie ma continuò a
camminare.
Se la Fontana della Buona sorte non va
dal mago, il mago va dalla Fontana della Buona Sorte.
Le onde dovettero quasi
lambirle la vita prima che Sören si accorgesse di cosa stava
facendo.
L’espressione di
totale
sbigottimento che assunse quasi la ripagava del gelo agghiacciante che
sentiva.
“Che stai
facendo?!” Urlò e fu
niente male sentire di nuovo la sua voce. “Qui è
pieno di correnti, torna
indietro!”
“Solo se vieni con me!” Ribatté sentendo
che non toccava più. Niente panico,
sapeva nuotare.
Anche se nuotare nel lago della Tana non
è proprio come nuotare qui.
Non le importava di fare una
cosa stupida dietro l’altra. Scappare da scuola, disobbedire
alle regole,
nuotare in un mare gelido pieno di correnti.
A
volte bisogna fare cose stupide per fare quella
giusta.
Lo pensò e un
secondo dopo
qualcosa le afferrò la caviglia e la trascinò a
fondo.
Sören pensava che
Lilian fosse
matta. Non c’era altra spiegazione per la cocciutaggine con
cui si ostinava a
stargli dietro, a pretendere la sua amicizia. A fare quello che stava
facendo.
Era matta, perché
nessuna
ragazza sana di mente avrebbe resistito così tanto per uno
come lui.
L’aveva aggredita,
respinta,
allontanata. Eppure l’altra era continua a tornare, a
sorridergli e a dirgli
che erano amici.
Perché?
Sono solo stato gentile con lei, e neppure
sempre. Molti ragazzi sono gentili con lei. Troppi.
Sapeva perché
Lily era sua
amica, perché voleva proteggerla, ma non capiva
perché Lily ricambiasse quel
sentimento.
Non che fosse importante.
Poteva reprimerlo, doveva
reprimerlo.
Nel momento in cui
sparì trai
flutti, Sören comprese con precisione agghiacciante che non
avrebbe più potuto
reprimere un bel niente.
Non poteva credere che
sarebbe
morta in modo così assurdamente cretino.
I suoi l’avrebbero
uccisa, Al
in testa. Se non fosse affogata prima, beninteso.
Sentì
l’aria sparire, l’acqua
rovesciarglisi nei polmoni. Era orribile. Era spaventoso e non riusciva
a
risalire, qualcosa le tratteneva le gambe, come una morsa di ferro.
E poi, per fortuna, qualcosa
la afferrò per le braccia. Altre braccia la strinsero e
sentì la familiare
sensazione della Materializzazione.
La seconda cosa che
percepì,
dopo la realizzazione che non sarebbe morta, era aria. Aria che le
bruciò li
polmoni, facendola tossire acqua e spavento.
“Lily,
respira… calmati e
respira! È tutto a posto, hai solo bevuto un
po’!” Sentiva la presenza
dell’amico tutto intorno a sé. La stava
stringendo, le passava le mani sul viso
per liberarla dai capelli fradici e nonostante il freddo
dell’acqua e del
vento, era caldo.
Tossì ancora una
volta,
sentendo le lacrime scivolarle sulla faccia per lo sforzo.
Alzò lo guardo e
vide che Sören la fissava e sembrava persino più
spaventato di lei.
“Scusa?”
Le uscì, perché in
effetti non era stata un’idea brillante, decisamente no.
Scala
la classifica delle mie dieci idee peggiori.
L’espressione di
Sören si
ruppe. Non c’era altro modo di dirlo, perché un
viso di solito inespressivo
poteva fare solo quello. Le prese il viso tra le mani, facendo
scivolare i
pollici lungo le guance e appoggiò la fronte contro la sua e
tirando un forte
sospiro. Era un attestare che era lì, assicurarsene. Ancora,
Lily non vi vide
nessun significato romantico.
Avrebbe dovuto esser ferita
dal
non reciprocare dell’altro. Sören non
l’avrebbe mai baciata o non si sarebbe
mai messo con lei, era qualcosa che semplicemente sapeva.
Ma non si sentiva scaricata, affatto. Aveva capito da tanto
tempo che Sören non ragionava come un ragazzo normale.
Questo
non significa che non provi niente… Prova
troppo, mi sa. Almeno per i suoi standard.
“Sei
matta.” Sussurrò. Era un
attestazione bella e buona, ma di nuovo, Lily non se la prese.
Sorrise invece.
“Sì, in effetti
per come mi comporto…” Gli accarezzò la
nuca perché non esisteva che se ne
stesse ferma. “Ma è quello che fanno gli amici,
Ren.”
“Davvero?”
Lily sospirò appena, dovendo dire tutta la verità
e nient’altro che quella.
“Beh… no. Non tutti.”
C’era un legame e
andava oltre
le loro parentele, oltre a tutto. Sin dalla prima volta che avevano
incrociato
lo sguardo in Sala Grande ad Hogwarts Lily aveva capito che
Sören non sarebbe
stato uno dei ragazzi di cui sbagliava il nome e a cui sorrideva senza
vera intenzione.
E sapeva che era lo stesso per
l’altro.
“Perché
ci tieni tanto? Ad
essere mia amica, intendo.” Quella domanda invece era di una
semplicità
disarmante.
“Perché
ti voglio bene.” Fece
un mezzo sorriso. Ormai si era abituata a quel genere di domande
allucinanti.
“E prima che tu me lo chieda, non si sa perché si
vuole bene a qualcuno.
Succede, e basta.”
Sören distolse lo
sguardo.
“Io… non me lo merito.”
“Non è una cosa che dipende interamente da te,
sai.” Avrebbe maledetto chiunque
gli aveva messo in testa quelle idee. Era impossibile
che l’altro si stesse comportando in quel modo di
sua spontanea volontà.
Ha
cambiato atteggiamento da un giorno all’altro. E non
essendo schizofrenico…
Era evidente che qualcuno lo
stava costringendo.
È
stato il padre di Tom.
Sören era
invischiato in
quella storia; ricattato e costretto a fare qualcosa e soprattutto, a
comportarsi in quel modo. Doveva essere così; dopotutto le
cose che Tom aveva
combinato l’anno prima erano state influenzate da
quell’uomo orribile.
Ma non disse niente;
chiedere
apertamente l’avrebbe solo fatto chiudere a riccio, e doveva
arrivare in altro
modo alla verità.
Gli
interrogatori li lascio a papà e agli auror.
Lo sentì
sospirare e poi
staccarsi. Ecco, ora faceva freddo. Quasi le avesse letto nel pensiero,
Sören tirò
fuori la bacchetta e asciugò entrambi con un Incantesimo
Riscaldante. “Devo
riportati indietro.” Esordì dopo un breve silenzio
scomodo. “Qui fa troppo
freddo, e sei caduta in acqua. Se non torni al caldo ti
ammalerai.”
“Va bene.” Convenne a malincuore. Essere malata non
l’avrebbe aiutata
minimamente in quella storia. Doveva essere in forze, non poteva
permettersi di
ritrovarsi come dopo il Ballo, raffreddata e debole.
“E poi mi aspettano sopra.”
Sören annuì, tendendole la mano per farla rialzare.
“Ci materializzeremo. È più
veloce.”
A volte bisognava giocare secondo le regole e, soprattutto, secondo i
limiti
altrui. Lily si tirò quindi in piedi, stringendogliela.
“Lo sai che tornerò a
cercarti, vero?”
Sören le scoccò uno sguardo indecifrabile.
“Sì, lo so.” Disse. “Ed io non
mi
farò trovare. È più sicuro per
te.”
“Lascia decidere a me cos’è
sicuro!”
“No.” La fissò serio.
“È evidente che non ne sei capace.”
…
Touché.
Lily non rispose,
limitandosi
a stringere più forte la mano. La stretta fu ricambiata.
Subito dopo,
l’insopportabile
sensazione di essere costretta in uno spazio soffocante. Detestava ed
avrebbe
sempre detestato la Materializzazione, anche a conti fatti le aveva
appena
salvato la vita.
Riaprì gli occhi
all’imbocco
del piccolo sentiero. La professoressa McGrannit era lì, e
sembrava non essersi
mossa da quando l’aveva lasciata.
Alla
sua età vorrei davvero esser così dritta e
… uhm,
imponente.
“Ha fatto
presto.” Esordì
guardandoli entrambi. “Signor Luzhin.”
Salutò.
“Professoressa.” Mormorò quello di
rimando, lasciandole la mano. Lily percepì
il vuoto, davvero. “Con permesso, torno ai miei
allenamenti.”
Ci fu uno scambio di sguardi tra l’anziana strega e Ren. Lily
non aveva la
minima idea di cosa significasse, ma fu abbastanza lungo. Poi
Sören fece il
breve e solito inchino cerimonioso degli allievi di Durmstrang e
ridiscese il
sentiero senza voltarsi indietro.
Lily si rifiutò
di esserne
ferita, perché doveva aspettarselo che l’altro
avrebbe finto di non essersi,
all’incirca, riconciliato con lei. Forse qualcuno lo spiava.
“Ha trovato la
passeggiata
rinfrancante?” Le fu chiesto strappandola dalle sue
riflessioni. L’espressione della
professoressa era impenetrabile; che fosse un’Occlumante?
O
forse proprio non riesco a leggere persone come lei.
Lily annuì.
“Sì… sì, molto.”
Non aggiunse altro, perché anche la McGrannit poteva essere
in contatto con suo
padre – anzi, ne era quasi sicura.
Non
voglio che Ren finisca nei guai. Non almeno finché
non ho capito se posso aiutarlo senza che lo arrestino.
Non era una totale
sprovveduta. Era cresciuta in una famiglia di servitori della legge
dopotutto; Tom
diceva sempre che nel loro mondo si tendeva a perdonare poco e
sanzionare
tanto. Era infatti rimasta sorpresa quando il cugino aveva riavuto la
sua
bacchetta.
Papà
deve aver intercesso o roba del genere… Per Ren
non lo farebbe. Perché dovrebbe? Pensa che sia colpevole.
“Non voglio sapere
cosa vi
siete detti, Signorina Potter.” Fu di nuovo richiamata
all’ordine. “Adesso
andiamo. Sta per calare il sole.”
Lily ebbe l’impressione che non avrebbe mai saputo
perché Minerva McGrannit le
aveva permesso di cercare Sören, come ebbe
l’impressione che non ci sarebbe
stata una seconda volta.
“Grazie.”
In ogni caso, glielo doveva.
****
Teddy si asciugò
i capelli
passandosi l’asciugamano piacevolmente caldo sul cuoio
capelluto; aveva sempre
preferito usare rimedi babbani che incantesimi riscaldanti. Una doccia
bollente
era quanto di meglio ci fosse, dopo un pomeriggio passato al gelo per
commissioni
che non erano neppure sue.
Sospirò,
accomodandosi nella
poltrona davanti al fuoco e reclinando la testa sullo schienale. Non
pensava
che badare a dodici studenti avrebbe potuto essere più
stressante che badare ad
una Casa intera.
Certo,
a Tassorosso non ci sono Tom, né Scorpius… e
neppure Lily.
Grazie
a Merlino, aggiungerei.
Come se non bastasse Harry
gli
aveva già mandato dieci Gufi. Dieci, poveri Gufi
ministeriali che erano
arrivati alle mura della fortezza di Durmstrang più morti
che vivi.
Se
dipendesse da lui non dovrei staccarmi dai ragazzi
neppure per un istante.
La realtà
è che non trovava
Durmstrang così pericolosa; certo, quando faceva buio non
era il luogo più
ameno del pianeta e sembrava che pericoli si annidassero in ogni cono
d’ombra,
ma forse proprio per questo l’intera delegazione inglese
sembrava piuttosto
riluttante all’idea di allontanarsi dagli ambienti comuni.
Lily, Tom e Albus
non facevano eccezione.
Si frugò nelle
tasche della
vestaglia da camera e ne estrasse l’orologio. Sorrise, dato
che era arrivato il
momento di chiamare la sua capretta del Devonshire, al secolo
conosciuto come
James Sirius Potter.
Gettò una
manciata di Polvere
Volante all’interno del focolare e aspettò che si
materializzasse il soggiorno dell’appartamento
dell’altro a Notturn Alley. “Jamie?”
Sentì un gran trambusto, come di qualcuno che correva a
piedi nudi sul
pavimento e poi il suddetto quasi arrivò in scivolata.
“Ehi… oh! Appena
arrivato!” Esclamò con il fiatone.
“Miseriaccia!”
Ted sorrise divertito. “Ciao anche a te.” Si
sistemò più comodo sulla poltrona.
“Accademia?”
“Uh, no… Cena a casa-base.”
Tirò su con il naso, togliendosi il cappuccio che
gli copriva la testa. Era una delle tante mode babbane che assorbiva
come una
spugna. “Ultimamente, con la felice dipartita di Lils,
c’è bisogno che stia in
zona, capisci.”
Dovette trattenere una risata. “Dipartita non è il
termine che credi tu. È
sinonimo di… beh, di solito è accoppiato con la
parola defunto.” Gli fece
notare, mentre l’altro spalancava la bocca.
“Cazzo, no!
Cioè, non
intendevo… sei sicuro?” Come al solito era su di
giri, e Ted era felicissimo di
sentirlo. Gli mancava da morire, più di quanto credeva
sarebbe stato possibile.
Certo, avevano passato i precedenti mesi più o meno
separati…
Ma
almeno eravamo entrambi in Gran Bretagna. Se ci
organizzavamo, potevamo vederci.
“Sono piuttosto
sicuro, sì.”
Confermò alla sua espressione di buffo imbarazzo.
“Ricordami di comprarti un
dizionario per il tuo compleanno.”
“Va’ all’inferno.”
Sbuffò con un’ombra di sorriso sulle labbra.
“Come stai, mio
Teddy?”
Era la prima volta che riuscivano a sentirsi da quando era arrivato a
Durmstrang e Ted sentì che doveva essere onesto.
“Stanco. Preoccupato… Lily
scalpita, Albus e Tom confabulano tra loro e non è mai una
buona cosa, per
quanto ricordo.”
“Mai.” Confermò l’altro
grattandosi la fronte. “Anche qui le cose non vanno
granché … Papà è abbastanza
fuori di testa per la storia di Lils, anche se fa
di tutto per nasconderlo. Non gli riesce granché.”
Si strinse nelle spalle.
“Come se non bastasse, continuano a saltare fuori storie
inquietanti su Luzhin.
Dieci a uno che è il colpevole dietro tutta questa
storia.”
Ted aggrottò le sopracciglia, raddrizzandosi sullo
schienale. “Ma avete … hanno
qualche prova?” Si corresse mordendosi la lingua.
L’ultima cosa che voleva era
che James si sentisse parte delle indagini.
Anche
se a quanto pare Harry ha pensato bene di coinvolgerlo,
anche se è ancora un allievo
auror.
Ma non avrebbe sindacato le
scelte del padrino; dubitava che qualcuno avesse mai avuto voce in
capito su di
esse.
James scosse la testa, senza
dar segno di aver notato i suoi ragionamenti interiori.
“È proprio questo il
punto. Per arrestare qualcuno ci vogliono
delle prove. E tutto quello che papà e zio Ron
hanno sono un sacco di
indizi. Non puoi spiccare un mandato di cattura, internazionale a
‘sto punto,
su degli indizi!” Tese la mascella. Anche con
l’imperfetta definizione del
fuoco magico lo vide incupirsi. “Comunque, quel che davvero
importa è che Lils
e la coppia delle meraviglie se ne stiano lontani da quel
tizio.”
“Per quanto ne so, è così.”
Lo rassicurò.
James aveva bisogno di
sfogarsi. Sapeva che tutta quella storia non lo prendeva che di
striscio, ma
rimaneva il fatto. Voleva essere coinvolto e al tempo stesso sapeva che
non
c’era un vero motivo per cui potesse esserlo. Era stressante.
Parlare con Malfoy tramite
specchi comunicanti gli aveva fatto fare quattro risate,
l’aveva aggiornato
sulla situazione, ma non aveva sciolto tutti i dubbi. Ted era
l’unico a cui
poteva rivolgersi, da sempre, per un compito del genere.
“Non è
solo la questione di
Albie e Tom…” Iniziò. Aveva una voglia
pazza di gettarsi nel fuoco come un
cretino, nel tentativo di placcarlo, baciarlo e tutto il resto.
La loro nuova casa era
ancora
vuota e non era maledettamente giusto.
Tremaghi
del cazzo. Ha portato più rogne che altro.
“Allora
cos’è?”
“È
… tutto. Altro.” Balbettò.
Tentò di cambiare discorso, perché nonostante
tutto erano informazioni sensibili.
“Teddy, era in previsione
della nostra chiacchierata che non ti sei rivestito?”
Ghignò, sentendo la
familiare sensazione di mancanza acuirsi. Averlo vicino significava
anche toccarlo,
baciarlo e dannazione, fare l’amore con lui. Avere diciannove
anni, dei bisogni
e un ragazzo lontano ventimila miglia era la peggiore delle mancanze.
“No,
perché è un sacco sexy.”
Ted non si lasciò
scomporre
sebbene i suoi capelli, au contraire,
presero fuoco – il miscuglio di arancione e rosso deputato ai
momenti in camera
da letto. Si schiarì la voce e si chiuse la vestaglia con un
movimento da
educanda. “Non
ci casco. Cos’è questo altro?”
E a James non restò che vuotare il sacco; suo padre
sì, gli aveva chiesto di
non parlare dell’indagine – di quel poco che sapeva
– con anima viva. Ma Teddy
non era una persona qualunque ed in ogni caso, era invischiato quanto
lui.
Siamo
una famiglia, lo siamo tutti.
Quando ebbe finito
tirò un
sospiro, sentendosi enormemente sollevato. I capelli di Ted avevano
assunto una
nuance di un lillà vivace. Stava riflettendo.
“Certo. È un modo eccellente per
avvicinarsi a Lily, quello di fingersi parente del Professor
Piton.” Mormorò.” Questo
almeno spiega perché si sia tanto
incaponita con questa storia.” Fece un sospiro.
“Anche se non ne sono del tutto
sicuro. Penso che siano diventati amici sul serio. Almeno, per
Lily.”
“Sarà.
Ma a volte avrei voluto che
papà ci avesse
dato dei nomi tipo Jack, Sally e John.” Sbuffò
sentendo la sensazione di
impotenza amplificarsi. Persino l’Accademia era diventata un
posto scomodo
ormai.
Dato
che non posso essere in Norvegia.
Ted rise leggermente.
“Sinceramente? Non ti vedo come un Jack, o un John.”
“Sicuro, ma sarei stato una splendida Sally.”
Ghignò facendolo ridere
apertamente stavolta. “Cazzo Teddy, mi manchi da
morire.” Esplose perché
neanche quello poteva esser tenuto dentro.
L’altro sorrise,
tendendo una
mano, verso la sua guancia, quasi potesse raggiungerlo oltre le fiamme
magiche
e le miglia. “Anche tu mi manchi Jamie.
Moltissimo.” Fu un’attestazione pacata,
ma ci avevano lavorato un sacco in quell’anno e mezzo e James
ne fu più felice
che se gli avesse scritto una splendida poesia d’amore in
rima baciata.
“Non mi sto
perdendo granché,
vero?” Chiese.
“No, davvero non
un granché.”
Sapeva che la risposta era una bugia o lo sarebbe diventata, ma a conti
fatti
non c’era molto che potesse fare.
Crescere significava anche
mordersi le labbra e ingoiare il rospo. “Comunque, se so
qualcosa da papà ti
faccio sapere. Fai lo stesso con me?” Vide l’altro
esitare. “Teddy, sono i miei
fratelli, okay?”
Questo assunse la sua
proverbiale espressione colpevole. “Certo, hai ragione. Ti
farò sapere,
promesso.”
Era ora di cambiare
argomento,
lo vedeva dal nervosismo con cui l’altro giocherellava con
l’orologio da
taschino.
Del
resto non ci siamo mica chiamati per parlare di
Lily e compagnia bella…
James
quindi si accomodò meglio sul
duro pavimento di legno del proprio salotto. Poi sorrise.
“Allora… parlavamo di
questa vestaglia.”
****
“Quindi ha
mentito.”
“Sì, sua Eccellenza. Ha mentito.”
Un breve silenzio.
“Non
l’avrei mai pensato, non
di Sören… Evidentemente, non avevo calcolato dove
si sarebbero manifestate le
sue debolezze.”
“Se posso permettermi…”
“Parla, Kirill.”
Una frazione di secondo di esitazione, forse dovuta alla realizzazione
che
Alberich Von Hohenheim finalmente
lo
considerava degno di esser chiamato con il proprio nome di battesimo.
“Sören ha
completamente perso la capacità di giudizio. È
nervoso, scatta facilmente… non
si fida di me. Ha capito che lo sto tenendo sotto controllo e cerca di
nascondere qualcosa. Temo che sia la sua debolezza per Lily
Potter.”
“Credi sia così grave, dunque.”
“Ne ho la certezza.”
“Un
tradimento?”
“Non ancora. Ma è ragionevole pensare a questa
possibilità, Signore.”
Un impercettibile sospiro.
Una
dimostrazione di umanità da parte di uno stregone che
Poliakoff era certo non
avere debolezze. Ne rimase inebriato. Significava che si fidava di lui,
era
ovvio. “Sören è sempre stato un
esperimento problematico.” Considerò o forse
attestò. “Bene. Credo sia arrivato il momento di
passare alla parte finale del
piano. Inutile dirti che sarai tu a guidare, adesso.”
Kirill respirò eccitazione mentre era chinato sul focolare
magico della stanza
del Principino; non sarebbe tornato prima di qualche ora, seguendo i
suoi
allenamenti una routine ferrea. Entrare e uscire dalla sua stanza era
facile
come bere idromele. Gli incantesimi protettivi la cui manutenzione era
affidata
a Radescu erano facilissimi da spezzare e poi ricreare.
Specie
se si ha l’aiuto della Thule.
“Sono vostro servo
fedele.”
****
Note:
Non mi si può accusare che sia un capitolo breve!
C’è un po’ di tutto!
1.Incantesimo
Flagramus:
genera nell’aria un’ardente linea di fuoco, che
viene
tracciata e modellata dalla bacchetta nelle forme volute. (Lexicon)
Per avere un’idea
della
caletta vicino a Durmstrang, qui
e qua
le foto che mi hanno ispirato la scena – con tanto di
spuntone di roccia nella
seconda, dove sta Ren. Documentazione! xD
Questa
la
canzone del capitolo. E questa
nella
parte Lily/Ren.
|
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Capitolo 55 *** Capitolo LII ***
Capitolo LII
Il vero amore è come una
finestra
illuminata in una notte buia.
Il
vero amore è una quiete accesa.
(Giuseppe Ungaretti)
19 Gennaio 2023
Norvegia,
Durmstrang.
Alba.
Tom amava
l’oceano.
Era una passione nata a
Putgarten, quando ogni mattina si svegliava con il rumore del mar
Baltico nelle
orecchie. Lo calmava sentire che c’era qualcosa di vivo,
ruggente, che in
qualche modo riusciva ad essere persino più tormentato di
lui nelle giornate di
bufera.
A Durmstrang il mare era
diverso; il fiordo intrappolava molta della sua forza burrascosa. Non
era così
selvaggio, così forte.
È intrappolato. Come me.
Aveva perso il conto di
quanto
era rimasto a guardare fuori dalla finestra; le prime luci del mattino
avevano
illuminato l’insenatura da un po’. Le aveva viste
sorgere.
Non riusciva a dormire la
quantità di ore che invece macinava Albus; lanciò
un’occhiata verso il letto.
Come al solito, spuntava solo la sua arruffatissima capigliatura
– ogni mattina
veniva sottoposta ad un trattamento intensivo per sembrare perlomeno quelli di un appartenente alla
razza umana.
Per un attimo
sentì il tepore
del letto chiamarlo, e fu tentato dal languore che sarebbe deriva dallo
spogliarsi di nuovo e premere la pelle di Al sulla sua, sentirne il
calore,
l’odore del sonno, baciargli le spalle nude e sentire
mormorare il suo nome.
Scacciò quel pensiero come avrebbe fatto con una mosca
molesta.
Non riusciva a dormire
perché era
perdere tempo. Il sonno era una perdita di tempo, necessaria e
inevitabile, ma
comunque tale. Tutto, lì all’Istituto, era
un’enorme, gigantesca perdita di
tempo.
Devi
aspettare Thomas. Aspettare.
Disegnò distratti
ghirigori
sulla finestra ghiacciata, seguendo gli arabeschi lasciati dal
ghiaccio.
Hohenheim, come
l’anno prima, era
sparito. Era un gioco. L’uomo che gli aveva dato la vita
– si rifiutava di
chiamarlo in altro modo – stava giocando con lui come un
gatto avrebbe fatto
con un topo. Di nuovo. Lo voleva sfibrare, fargli abbassare le difese
prima di
colpire, ne era certo. Non c’era altra spiegazione per
quell’attesa così
innocua, calma. Logorante.
Inspirò
bruscamente; sapeva
benissimo che quella deriva di pensieri non gli avrebbe affatto
giovato, ma non
poteva fare a meno di sentirsi ogni giorno sempre più
agitato. Seguire le
lezioni, andare a ridicole gite organizzate, trascorrere del tempo a
studiare e
a pestare in zucca a Malfoy qualche informazione basilare per non
essere
buttato fuori dal Torneo era stupido.
Stupido perché quella che lo aspettava era probabilmente la
battaglia della sua
vita; non sarebbe stata classica, non avrebbe affrontato nessuna armata.
Affronterò
tutto quello che avrei dovuto essere e che
non sono. Ed è peggio che un campo di battaglia.
Doveva indurre Hohenheim a
fare una mossa. Magari esponendo il suo tirapiedi, Luzhin. Harry nelle
sue
lettere non gli aveva detto chiaramente che le indagini si stavano
chiudendo
attorno all’amichetto di Lily, ma era palese. Non
c’erano altri indiziati, o
glielo avrebbe detto. C’era solo Sören Luzhin.
Il problema era che prima di
farlo cadere, doveva trovarlo. Luzhin non lo cercava, non lo
stuzzicava, anzi,
tutt’altro. Lo evitava.
Era questo a mandarlo fuori
di
testa. Ma non l’avrebbe persa. No.
Ho
fatto in modo che Doe sparisse. Pensi che sarà
diverso per il tuo nuovo tirapiedi? Quando tutti i pedoni sono stati
sacrificati è il Re a dover scendere in campo.
La
mia anima è più vecchia e sporca della tua. Pensi
davvero di intimorirmi con così poco?
Percepì
distintamente la magia
crepitargli nelle vene, come una cattiva scossa elettrica. Il vetro
della
finestra, spesso e adatto a sopportare venti nordici, si
crepò sotto le sue
dita.
Scendi
in campo e gioca.
“Tom?”
Sì irrigidì, dandosi dell’idiota
perché si sentiva come se fosse stato colto
con le mani nel sacco.
Non si voltò in
direzione del
letto, preferendo prendere la bacchetta e sistemare il danno prima che
Albus se
ne accorgesse.
“Non farmi venire
lì.” Venne
ammonito. “Si gela ed io non ho idea di dove sia finito il
mio pigiama.”
Si voltò; Al lo
guardava accigliato
dal groviglio di coperte e Tom ricordò di colpo che quel
giorno era il suo
compleanno.
Il loro
compleanno a dirla tutta, dato che Robin aveva pensato bene di
dichiarare all’anagrafe che il suo cadeva esattamente un
giorno dopo quello
dell’altro ragazzo.
‘All’epoca
pensai che sarebbe stato carino, no? Fare la
festa con tuo cugino, intendo.’
In effetti i suoi compleanni
non sarebbero stati così divertenti senza la gioia esplosiva
di Albus a
costellarli.
Di
sicuro mi sarei rifiutato di festeggiarli e avrei piuttosto
preteso nuovi libri e di esser lasciato solo per poterli leggere.
“Buon
compleanno.” Sospirò e
l’altro fece un mezzo sorriso dismissivo.
“Grazie.”
Poi gli tese la
mano. “Non farmi venire lì,
Tom.” Ripeté, e l’avrebbe fatto se non
gli avesse obbedito. La prese e si
lasciò tirare di nuovo a letto. Lasciò
passivamente che lo tirasse sotto le
coperte e lo stringesse in un abbraccio. Sentiva il battito del cuore
contro la
sua schiena, calmo e rassicurante. Avrebbe voluto starsene zitto, dato
che era
il suo compleanno. Non poteva.
“Non ce la
faccio.” Mormorò, e
riassumeva piuttosto bene la sua condizione. “Ho bisogno che
finisca. Ho
bisogno di farlo finire.”
La presa di Al si serrò appena, mentre la mano gli sfiorava
il petto,
aggrappandosi alla stoffa della sua maglietta. “Lo
so.”
“Non lo
prenderanno mai, come non
l’hanno preso l’anno scorso. Dovrò
essere io. Sai che dovrò essere io.” Quella
maglietta gliel’avrebbe strappata, ed era un peccato,
perché ci teneva, dato
che era originale ed era dei The Smiths. “… non
farò nulla di idiota.”
Soggiunse perché il battito del cuore dell’altro
era triplicato.
Almeno
per adesso.
“Tu sei
un idiota.” Gli giunse soffocato. Gli parlava con la bocca
contro la schiena, il respiro caldo era come se gliela bruciasse.
“Per fortuna ho te
a
ricordarmelo.” Ironizzò, voltandosi
nell’abbraccio nel momento stesso in cui Al
lo tirò a sé. Lo baciò e fu caldo, e
fu anche mordersi le labbra ma era vivo e giusto.
Se avesse creduto in un dio
–
lasciava certe cose ai babbani e alle loro strampalate teorie sulla
Creazione –
lo avrebbe pregato di trovare un modo per fare ammenda con Al. Per
chiedergli
scusa in un modo che andava oltre le parole, che a volte sembravano
solo suoni
che uscivano dalle labbra.
Perché
non è la tua guerra, ma te la sto facendo vivere
lo stesso.
Si staccarono e Al lo
guardò
con uno di quei suoi sguardi duri, determinati. In quei momenti la
somiglianza
con Harry era straordinaria. “Siamo assieme in questo, te lo
ricordi?”
“Sì.”
Fece un mezzo sorriso.
“In ogni caso, sembra che sia meglio che non stia troppo
solo. Tende ad avere
conseguenze disastrose.”
In
questa e nell’altra vita.
“Direi.”
Al ridacchiò contro
la sua spalla, strofinandoci contro la guancia. Era incredibile come,
alle
soglie della maturità, non avesse un filo di barba ma la
pelle di un bambino.
Tom tornò ai baci, e al calore della pelle nuda. Essere
adolescenti voleva
dire, ringraziando Merlino, avere istinti. Istinti che spazzavano via
ogni
pensiero in favore del languore che prima aveva tanto rifiutato.
Perché
so cosa mi fa. So cosa mi fa Al. Mi rende
debole. Mi rende umano e fallibile molto più di quanto non
sarei senza di lui.
C’era quella
parte, quella
oscura, che ogni volta sibilava scontenta. Furiosa. Ma come gli aveva
detto
Loki Nott mesi prima, gli esseri umani non erano cose, non erano
pupazzi. Erano
dotati di volontà e di fedeltà. Non
c’era solo lui e le sue ombre, c’era anche Albus
e la sua luce. Non accecante, che sarebbe stata insopportabile. Era
calda e si
trovava bene tra le sue ombre. Forse senza di esse non sarebbe stata
neanche
così bella.
“Tu sei mio, lo
sai?” Fu Al a
sussurrarglielo all’orecchio, piano, come una confessione.
Più che altro un
attestazione.
Del
tutto legittima.
“Sì.”
Che quella parte andasse a farsi fottere.
****
“Dove sono finiti
mini-Potter
e Dursley? Sono in ritardo!”
“Indovina,
biondo.”
Alle lezioni di Arti Oscure – a quanto pare Durmstrang non
aveva a simpatia i
suffissi - ai ragazzi delle delegazioni erano assegnati in maniera
irrevocabile
i posti in cima alla classe e dunque, con un filo di irritazione, Rose
si ritrovava
perennemente trai piedi quella matta di sua cugina. In sé
Dominique, se
ignorata, era tollerabile; il problema era che Scorpius aveva la
deprecabile
tendenza ad entrare in risonanza con qualunque persona fosse
più rumorosa di
lui.
Ovvero,
Domi. Insieme? Micidiali.
“È il
compleanno di Al, oggi.”
Venne comunque in soccorso al suo ragazzo. “A dirla tutta, il
compleanno sia
suo che di Thomas. È nato domani, ma lo hanno sempre
festeggiato assieme.”
“Oh.
Ah… ooh.”
Aggiunse mentre l’anglofrancese sghignazzava al suo fianco.
Il
grifondoro, che notoriamente andava d’accordo più
con le ragazze che con
i ragazzi, aveva trovato in quest’ultima
una compagna di guai quasi pari a James. In quegli ultimi giorni aveva
passato
più tempo a riprenderli mentre si mandavano bigliettini
idioti da un banco
all’altro che a seguire le lezioni.
Almeno
qualcuno si diverte…
“Beati
loro.” Sbuffò Scorpius puntellandosi
sulla lunga fila di banchi scuri. “Anch’io voglio
far tardi per rotolarmi tra
le lenzuola!”
“Scorpius!”
Lo redarguì senza
troppa convinzione; dopotutto la pensava allo stesso modo. Aveva un
anello al
dito eppure erano ritornati ad una sorta di castità
vittoriana, persino
peggiore di quella ad Hogwarts.
Almeno
in Scozia ti potevi imboscare. Qua hai paura che
un Lethifold spunti dall’angolo buio in cui ti sei nascosto
per mangiarti vivo.
“Ho dei bisogni,
caramellina.”
Mugugnò questo, guardandola con falsissimi occhi affranti.
“Sono stufo di
dormire con una mezza dozzina di altri ragazzi. Perché loro
sì e noi no?”
Rose scrollò le spalle. “Sono due ragazzi. Non per
fare differenze di genere,
ma sono meno dichiarati di noi due.”
Oltre
al fatto che ad Al hanno dato una camera singola
e a me no. Dannati maschilisti.
“Da
quant’è che le cose si
sono fatte romantiche tra Sissy e Tommy?” Chiese Dominique,
in un raro slancio
di curiosità femminile.
“Da…
sempre?” Scrollò le
spalle. “Stiamo parlando di Al e Tom dopotutto. Hanno solo
ufficializzato.”
Lanciò poi un’occhiata attorno a sé: i
ragazzi di Durmstrang non facevano
neppure finta di considerarli. Forse era la barriera linguistica,
rifletté
Rose, ma era anche una certa dose di sospetto verso la loro
vitalità. Scorpius
e Dominique facevano chiasso per almeno una dozzina di persone ed era
evidente,
dalle espressioni perplesse e a disagio, che il rumore umano
non fosse cosa di tutti i giorni all’Istituto.
Grazie
a Merlino sono nata inglese. È troppo persino
per me.
“Stasera
organizziamo qualcosa
per quei due, vero?” La riscosse Scorpius.
“L’anno scorso mini-Potter ci ha
impedito di mostrarci gioiosi, ma quest’anno è
tutto a posto!” Ci rifletté
brevemente. “Beh, più o meno… comunque,
festa!”
“Non ci ho capito
niente, ma
appoggio.” Convenne Dominique, con un’inquietante
guizzo di eccitazione negli
occhi. “Festa.”
“Ragazzi…” Iniziò piena di
buone, sensate
intenzioni. “Non siamo ad Hogwarts, né a
Beaux-Batons. Credo dovremo chiedere
dei permessi, o…”
“Lascia fare a noi. Siamo belli, biondi e nordici. Ci
apriranno tutte le porte!”
La interruppe il suo folle fidanzato. “Andiamo, ne abbiamo bisogno.”
Non aveva mai visto
Dominique
con un’aria supplice. La vide in quel momento. “Per
tutti gli ippogrifi, sì! Festa.
Ti prego. Piacerà a tutti e impedirà di farci
scoppiare il cervello con tutta
questa austerità!”
Rose esitò. I due non avevano tutti i torti. Forse
organizzare qualcosa di
divertente avrebbe allentato la tensione che ormai era cifra stessa di
quelle
giornate.
E
in quanto Caposcuola dovrei occuparmi di tirare su il
morale collettivo, credo.
“Magari prima
è meglio
parlarne con i diretti interessati.” Si intromise Violet, a
sorpresa. Doveva
aver ascoltato tutto ma straordinariamente non era intervenuta facendo
la
stronza. Anzi, aveva detto l’unica cosa sensata.
“Le feste a sorpresa
funzionano solo con certi tipi di persone. Che, a quanto mi
è stato dato di
capire, non hanno l’indole di chi finisce a
Serpeverde.” Concluse, impassibile
alle espressioni sofferenti dei due.
In
effetti… Al ha sempre detestato le feste a sorpresa.
Gli mettono ansia. E Tom… beh, lui credo detesti le feste in toto.
“Sì…
hai… ehm, ragione.”
Borbottò evitando di guardarla. Ora che non era
più una diretta minaccia alla
sua storia con Scorpius non aveva idea di come prenderla. Continuava a
trovarla
fastidiosa, ma immaginava di non aver più così
tanti appigli per avercela con
lei.
Al
di là del fatto che è un insopportabile saccente.
…
T ricorda qualcuno, Rosie?
Violet si limitò
ad un sorriso
distaccato, ma non aggiunse altro. Forse Dominique le aveva detto
qualcosa, forse
no.
In quel momento entrarono
Albus e Thomas, trafelato il primo, come al solito torvo il secondo.
Litigavano
a bassa voce. Rose captò frammenti della reprimenda di Al,
che coinvolgevano
parole come ‘seminudo’, ‘non si apre la
porta’ e ‘quel poveretto’.
Che
diavolo ha combinato quel pervertito spilungone?
“Felice compleanno
ragazzi!”
Esordì Scorpius, impermeabile all’aria
temporalesca che trasudava da entrambi.
“È il
mio compleanno, non il
suo.” Replicò gelido Al, sedendosi al banco e
tirando fuori l’occorrente per la
lezione. Rose vide con la coda dell’occhio Dominique
allontanarsi di un paio di
centimetri, lentamente, come avrebbe fatto in presenza di una creatura
pericolosa. “Il suo è domani.”
“Fino a mezz’ora fa era anche il mio.”
Obbiettò l’altro sedendoglisi accanto ed
ignorando l’occhiataccia che gli scoccò.
“Seriamente, stai facendo una
questione per niente.”
“Aprire la porta a
Radescu coperto
solo dall’asciugamano
è niente?!”
Sibilò, prima di rendersi
conto di avere pubblico e arrossire furiosamente.
Tom non si scompose di una
virgola, calcolandoli come al solito come infinitesimali. “Mi
viene da chiedere
il motivo per cui sia venuto a bussarti.”
“Non mi aveva visto a colazione, pensava mi fossi
perso!”
“Di
nuovo?”
“Oh,
sta’ zitto, questa scuola
è un maledetto labirinto.” Sbuffò Al
esasperato, fingendo di non accorgersi che
tutti li stavano ascoltando. Le orecchie paonazze erano il segnale che
no, non
sapeva fingere. “Era imbarazzato a morte. Ho dovuto
spiegargli che eri appena
uscito dalla doccia!”
“Molto opportuno.
Così ha
capito anche perché me
ne ero fatta
una.”
“Questo
è perché glielo hai
detto tu!”
Tom non ribatté a
quella che
doveva essere l’evidenza, prendendo piuttosto il suo calamaio
e posizionandolo
con precisione davanti a sé. A Rose non sfuggì il
sorrisetto che tentava di
nascondere.
Cretino
possessivo.
Scorpius, che tratteneva una
risata trai denti, si schiarì la voce. “A
proposito di compleanni… tuo o suo,
non importa.” Si affrettò a spiegare
all’aria mortifera di Albus. “Stasera
pensavamo di organizzare qualcosa. Niente di impegnativo, solo per
stare
assieme.” Sorrise incerto. “Non maledirmi, per
favore?”
Al aggrottò le
sopracciglia,
poi si sciolse in un sospiro. “Sì…
certo. Ci avevo pensato anch’io. Potremo chiedere
la disponibilità di una delle sale
ricreati…” Alle espressioni di sconfinata
gioia dei due biondi, si interruppe. “Una cosa tranquilla.
Non voglio che il mio
compleanno sia la scusa per una rivisitazione della Battaglia di
Hogwarts.”
“Sarebbe stato
divertente!” Esclamò
Dominique, facendo subito dopo un sorrisetto sghembo e palesando lo
scherzo. “Non
preoccuparti Sissy. La festa è vostra.”
“Mia.”
“Al…”
Rose ridacchiò dell’espressione scornata di Tom e
quella di ormai finta
indignazione del cugino.
Sì, c’era davvero bisogno di allentare la corda.
Almeno per una sera. Non
avrebbe fatto male, no?
****
Inghilterra,
Londra, Diagon Alley.
Il Paiolo Magico, ora di pranzo.
Per Harry pranzare con sua
moglie il mercoledì era diventa una specie di istituzione.
La redazione della
gazzetta era vicinissima al Paiolo Magico ed era lì che ogni
mercoledì si
ritrovava con Ginny per un piatto caldo e un po’ di
chiacchiere senza pensieri.
Questo detto, Harry cercava disperatamente di seguire la conversazione,
perché la
sua dolce metà gli stava parlando di qualcosa e lui non
aveva la minima idea di
quale fosse l’argomento.
“Sì…
beh, certo. È naturale.”
Borbottò masticando il proprio stufato come se non mangiasse
da giorni. Era un
buon metodo di diversione a casa Weasley.
“È
naturale che la
sostituzione di Wilkinson con O’Malley all’ultima
partita, persa tra l’altro,
del Puddlemere?” Spiò sconcertata.
Ops.
“No,
io… beh.” Si schiarì la voce.
Ginny sospirò,
appoggiandosi
allo schienale della sedia. “Non mi stavi
ascoltando.” Attestò pacata.
Harry chinò la
testa,
contemplando la schiuma della sua birra al frumento.
“No.” Ammise. “Ginny è
che…”
“Lo so.” Lo anticipò con un mezzo
sorriso. “Non mi aspetto che tu mi ascolti.
Ma non possiamo neppure mangiare in silenzio. È
deprimente.” Raccolse le
briciole con la punta dell’indice. “Ci sono
novità?”
Era la frase che più aspettavano, e puntualmente non ce
n’erano. Nora e Ron
continuavano ad indagare, ed ogni mattina venivano a far rapporto, ma
non vi
era davvero niente di rilevante, o di nuovo.
Neppure Malfoy si era fatto sentire per la questione del rimpatrio di
Lily; ad
un suo Gufo di sollecito era corrisposto un silenzio inequivocabile.
Maledetta
burocrazia magica. È così anche per i
babbani? Adesso capisco Vernon e i suoi monologhi infiniti contro il
loro
governo.
“Nessuna.”
Rispose e seppe di
aver fatto passare un bel po’ di tempo dalla domanda. Ginny
aveva finito la sua
acquaviola nel frattempo. “Se non altro i ragazzi sono a
scuola.”
“Non che questo impedisca granché.”
Mormorò di rimando Ginny, lanciandogli
un’occhiata eloquente. Harry ricordò come sua
moglie, all’età dei suoi figli,
aveva condotto una resistenza interna ed era stata torturata e
maledetta
svariate volte per finire a combattere in una battaglia
all’ultimo sangue.
Ma
la guerra è finita…
Avrebbero dovuto avvertirmi che le guerre hanno più
declinazioni.
Le posò una mano
sulla sua.
“Teddy e la McGrannit li terranno al sicuro.” Le
sorrise, anche se era tutto
fuorché dell’umore di rassicurare chicchessia.
“Eravamo
così da adolescenti?”
Sospirò questa, facendolo ridacchiare. “No, non
dirmelo, lo so. Eravamo peggio.”
“Assolutamente.
Dovremo
chiedere scusa ai tuoi per averli fatti preoccupare.”
Ginny si sporse per dargli un lieve bacio sulle labbra.
“Quando tutto sarà
finito.”
“Harry!” Il tono
di voce di Ron, baritonale
e di presenza, li sorprese alle spalle. L’uomo a giudicare
dai capelli
arruffati e lo svolazzare del mantello di ordinanza aveva letteralmente
fatto
irruzione nel locale. A distanza lo seguiva Eleanor, più
composta ma comunque
trafelata.
“Harry, Ginevra.
Scusate
l’interruzione.” Disse con un mezzo sorriso di
scuse. Harry pensò che sotto
sotto la teatralità del suo vecchio amico divertisse
l’americana.
Fece un cenno dismissivo.
“Novità?”
Chiese. Era diventata la frase di quel periodo, davvero.
“Puoi
giurarci!” Esclamò Ron
con un sorriso trionfante. “Abbiamo passato
l’intera mattinata al camino con un
tizio del Ministero Indiano. Questi burocrati sono insopportabili
ovunque!”
Harry sospirò
impaziente,
perché anche se aveva pensato la stessa cosa pochi attimi
prima, non era il
momento per lanciarsi in commenti. “Ron, le
novità.”
“Ah,
sì!” Esclamò l’altro con
aria colpevole. “Abbiamo trovato i Luzhin! O meglio, dove
soggiornano quando
sono in India. Un posto che si chiama Dimaper…
o…”
“Dimapur.”
Gli venne in
soccorso Nora.
Per Harry fu un tutt’uno gettare il tovagliolo sulla sedia ed
alzarsi in piedi,
chiedendo con un cenno ad una delle cameriere il conto e il proprio
mantello.
“Avete chiamato l’Ufficio Passaporte
per…”
“Già la abbiamo. Dobbiamo solo partire.”
Lo anticipò l’agente americana. “Il
mio contatto ci aspetta tra mezz’ora nel quartiere magico
della città. Dobbiamo
sbrigarci.”
Harry annuì, dando poi un’occhiata alla moglie,
che gli sorrise, facendo un
cenno dismissivo. “Vai. Al resto penso io.”
Non se lo fece ripetere, ed uscì dal Paiolo senza mantello e
con un conto da
saldare, ma finalmente, con un dannato obbiettivo.
****
Norvegia, Durmstrang.
Pomeriggio.
“Al non
vorrà che venga.”
Rose alzò lo sguardo dalla lista che avrebbe consegnato agli
elfi domestici di
Durmstrang. Conteneva molto cibo e un sacco di sidro di mele
– che sperava
caldamente non fosse alcolico.
Lily le stava davanti, con l’aria della bambina che aveva
ferrea certezza di non
poter essere invitata alla festa perché era antipatica al
festeggiato.
Un po’ le dispiacque, poi capì che era tutta una
messinscena per farla
intercedere al posto suo.
“Oh, piccola
Potter, non potrà
rifiutarti una festa, se è quella del suo
compleanno!” Esclamò Scorpius,
intenerito dai grandi, falsissimi, occhi tristi.
Lily sospirò.
“È davvero
arrabbiato con me, Sy… E sa mantenersi arrabbiato per un sacco di tempo.”
Quel beota del suo fidanzato la guardò con dispiacere.
“Ma è una festa…
Vedrai che non sarà così
malvagio!”
“Albus non è malvagio, ha ragione.”
Borbottò Rose a mezza bocca, dato che l’altra
si stava praticamente abbracciando Malfoy e ciò non era
tollerabile. “E tu
falla finita. Va’ da lui e chiedigli scusa.”
Lily aggrottò le sopracciglia. “Non sono certo
venuta qui per fargli un dispetto!”
“Non è questo il punto.”
Sbuffò appoggiandosi allo schienale del divanetto del
piccolo salottino che l’Istituto aveva loro concesso per la
festa.
Francamente
non speravo ci dessero davvero uno spazio…
Le capacità di
persuasione di
Scorpius e Dominique erano state superiori alle aspettative.
Lily, che era lì
soltanto
perché tutti i professori erano al momento impegnati, fece
una smorfia irritata.
“Spiegamelo allora, questo punto.”
“Sei viziata.” Replicò impietosa.
“Ti aspetti che chiunque ti perdoni solo
perché pensi di aver ragione. O che basti aver agito senza
aver intenzione di
fare del male. Non funziona così.”
La cugina stranamente non ribatté, limitandosi a mordersi un
labbro. “È
difficile chieder scusa a qualcuno che non vuole parlarti.”
“Trova il modo.” Scrollò le spalle,
riprendendo la lista da dove l’aveva
lasciata. Ignorò l’occhiata irata e il conseguente
allontanarsi dell’altra.
Finché rimaneva in vista, non era un problema.
Scorpius si
grattò una tempia,
sedendosi sul bracciolo del divano. “Non credi di aver
esagerato un po’?”
“No, per
niente.” E lo
pensava. “Lily è sempre stata abituata ad ottenere
tutto ciò che vuole solo
sorridendo ed essendo carina. Deve imparare a prendersi la
responsabilità di
ciò che fa.” Vedendo che l’altro
rimaneva nella sua espressione dubbiosa – era
un cuore tenero, Malfoy – si sciolse in un sospiro, posando
per l’ennesima
volta la maledetta pergamena. “Non fraintendermi, lo dico per
il suo bene.
Nella nostra famiglia non siamo tanto bravi a chieder scusa…
È bene che impari.”
Spiegò. “Prima di quanto abbia fatto io, se non
altro.” Soggiunse.
Scorpius sorrise.
“Tu mi hai
chiesto scusa molto bene.” Le prese una mano tra le sue,
quella dell’anello, e
la intrecciò alla sua, baciandone il dorso. “Tanto
che voglio passare il resto
della mia vita ad importi la mia meravigliosa presenza.”
Rose cercò disperatamente di non morire in una pozza di
gioia, congelando i
lineamenti che premevano invece per esibirsi in un sorriso entusiasta.
“Devo
finire di ordinare il cibo per il rinfresco.”
Proclamò rigidamente.
“E anche da bere.
Alcolico,
intendo. Sai, per noi maggiorenni.” Sottolineò
Scorpius, scivolandole accanto e
cercando le sue labbra per un bacio. “Che festa è
senza un po’ di adolescenti
ubriachi?”
“James ha avuto una pessima influenza su di te.”
Sospirò, lasciando che le
voltasse leggermente il viso con un dito e la baciasse. Il bello di
aver
palesato al mondo i suoi sentimenti, pensò, era poter
baciare quel matto del
suo ragazzo senza doversi nascondere.
Si sentì di colpo
sfilare la
pergamena dalle dita, e prima che potesse realizzare chi fosse stato,
vide un
lampo argentato all’angolo della visuale, seguito da un forte
sghignazzo.
Oh,
no.
“Domi! Dammi la
lista!”
“Beveraggio! Inebriante
ambrosia
degli dei!” Ululò la platinata cugina, brandendo
il foglio come se fosse la
Coppa del Tremaghi tra le risate e gli applausi – sul serio? – degli astanti.
“Sono in missione per conto del dio del
divertimento!”
Rose sentì Scorpius ridere contro la sua spalla e
capì l’inganno. Tirò
conseguentemente una botta sulla testa del deficiente. “Razza
di idioti! Sarà
una festa tranquilla, l’avevate promesso!”
Scorpius si massaggiò il punto colpito con il suo miglior
sorriso da schiaffi.
“Non dirlo a me, fiorellino. Pensa piuttosto a fermarla prima
che consegni la
lista agli elfi delle cucine.”
Violet, in fondo alla stanza
e
in apparenza non intenzionata a fermare la sua ragazza – lo
sapeva, era anche un’alcolizzata
– fece un sogghigno
inquietantissimo. “Corre molto veloce. Ti consiglio almeno di
provarci, Weasley.”
Rose, mentre partiva
all’inseguimento,
pensò che, dopotutto, Lily e i suoi aneliti da eroina
romantica erano il male
minore.
“Scusa.”
Al guardò sorpreso la sorella. Era marciata fino al suo
tavolo, per tutta la
biblioteca e ora lo guardava come se volesse dirgliene quattro invece
che
implorare il suo perdono. Aveva persino le orecchie paonazze, come
succedeva
solo nei momenti di più grande agitazione emotiva.
Indubbiamente
assomiglia più a Jamie che a me.
Lanciò
un’occhiata a Ted –
doveva averlo costretto a scortarla fin lì – e
rispose con un mezzo sorriso al
suo cenno di saluto sprizzante pazienza.
“Per
cosa?” Chiese, posando la
piuma perché non sgocciolasse sui libri. Accanto a lui Tom
spulciava un enorme
tomo polveroso in tedesco per la Seconda Prova. Meike era con loro e
stava
tentando disperatamente di eludere la sorveglianza di entrambi e
collateralmente farsi fare i compiti dal vecchio amico.
Lily inspirò.
“Lo sai per
cosa.” Fece una pausa lanciando un’occhiata
all’altro serpeverde. “Possiamo
parlarne da soli?”
Albus lanciò
un’occhiata
all’espressione curiosa di Meike e quella di falsissimo
disinteresse del suo
ragazzo. “Certo.” Sospirò suo malgrado.
Il fatto era che, nonostante
tutto, se sua sorella aveva quell’aria abbattuta non poteva rimanere arrabbiato. Lily Luna
aveva il potere di
esasperarlo e intenerirlo in ugual misura sin da quando erano bambini.
Era la
sua sorellina dopotutto; gli era stata vicina quando Tom se
n’era andato, era
riuscita a farlo ridere quando fare un sorriso era l’ultima
cosa a cui avrebbe
pensato. L’unica che non avesse tentato di convincerlo a
rassegnarsi, ma che
l’aveva solo abbracciato.
Quell’estate Lily
gli aveva
detto qualcosa che gli era rimasto impresso.
Mi
nascondo perché aspetto che valga la pena uscire
fuori…
In quegli ultimi mesi sua
sorella era letteralmente uscita dal suo guscio di ragazzina un
po’ capricciosa,
ma tranquilla. Se non altro, molti lati inaspettati del suo carattere
si erano
scatenati con passione inaspettata.
E
tutto per Sören Luzhin?
Allontanarla era la
strategia
sbagliata, lo aveva realizzato in quei giorni.
Se
continuo a tenerla a distanza, è più difficile
controllare
che sta combinando.
Si appartarono tra due
scaffali. “Senti… mi dispiace.”
Iniziò Lily guardando dappertutto tranne che
nella sua direzione. Dietro quella sua aria da bambolina nascondeva un
orgoglio
che faceva concorrenza a quello dei loro genitori. Assieme.
“Non volevo farti preoccupare. Ho fatto una cosa cretina,
e ti chiedo scusa. Sul serio.”
“Vuoi venire alla
festa di
stasera, eh?”
Lily gli scoccò
un’occhiata
colpevole. “Però le scuse sono
sincere…” Mugugnò.
Al dovette trattenere un
sorriso, perché era pur sempre un fratello maggiore
e in vece dei suoi, da tale si doveva comportare.
“Sul serio?”
Lily inspirò bruscamente. “Per favore, facciamo
pace. Sai come far sentire
qualcuno colpevole, credimi, mi ci sento moltissimo… e poi
mi manchi.”
Albus le passò un braccio attorno alle spalle e si fece
doverosamente stritolare,
come codice fraterno comandava. “Ora va meglio.”
****
India,
Nagaland, Dimapur.
Pomeriggio.
Harry non pensava che
avrebbe
visitato l’India due volte in meno di un anno e mezzo. Quando
la Passaporta
Intercontinentale – persino peggiore di quella per la
Germania – li aveva fatti
apparire nell’unico punto di Materializzazione della
città si era sentito
frastornato come se l’avesse investito un treno. Aveva a
malapena salutato in
modo dignitoso il contatto di Eleanor, un magro indiano dalla
carnagione scura che
si era presentato come Dhansiri.
O
qualcosa del genere.
Il contatto, vestito con una
casacca
bianca e rossa e
una specie di pareo che
aveva spiegato ad uno sconcertato Ron chiamarsi dhuti
panjabi¹, li aveva fatti attraversare velocemente il
quartiere magico; del posto Harry aveva solo memorizzato
un’orgia di colori,
stoffe, odori penetranti, donne con copricapi elaborati e uomini dalla
barba
più lunga di quella, leggendaria, di Silente. Poi erano
saliti su un carro coperto
trainato da cavalli macilenti e adesso stavano attraversando una
trafficata
strada babbana, in mezzo ad auto, motorini e animali di svariata taglia
e
genere.
Lanciò
un’occhiata a Ron, che
da quando erano saliti si era messo un lembo del mantello attorno al
naso e
aveva rifiutato di guardare ovunque tranne che i suoi piedi.
L’unica che
sembrava
perfettamente a suo agio era Nora. O forse era talmente concentrata a
rimuginare che non notava neppure la cacofonia di suoni e odori attorno
a loro.
Tossì
all’ennesima nuvola di
polvere e fuliggine che li investì.
Adesso
capisco perché i Luzhin pensavano di poter
esportare Polvere Volante. Viaggiare così è un
inferno.
“Mi scuso.
È il miglior mezzo
di spostamento che abbiamo. Il più sicuro.”
Esordì Dhansiri con un mezzo sorriso;
non doveva essere la prima volta che aveva a che fare con maghi
stranieri poco
avvezzi al contatto forzato con il caos babbano.
“Babbani.” Indicò infatti un
po’ tutto attorno. “Qui le loro autorità
sono molto attente. Niente
materializzazioni, niente focolari.”
“Camini per la MetroPolvere?” Chiese, mentre Ron
gli lanciava lunghe occhiate
dolorose.
“Rischioso.”
Scrollò le
spalle. “Ci vogliono soldi, tempo. Molte
protezioni.”
Harry non era in vena per
approfondire il discorso quindi si limitò ad un sorriso
disimpegnato. “Manca
molto?”
“Dobbiamo uscire dalla città, poi
un’altra ora. Le case dei maghi stranieri
sono molto lontane dal centro. Più sicuro.”
Ripeté.
Il resto del viaggio non fu particolarmente degno di nota. Usciti dalla
città
li aggredì la stessa vegetazione rigogliosa che avevano
visto quando erano
andati a cercare i Naga. Harry si spostò vicino alla strega
americana,
lanciandole un’occhiata. Ormai la considerava un membro
effettivo della sua
improvvisata squadra di indagine; aveva fatto molto affidamento su di
lei,
forse persino troppo per una persona che conosceva appena.
Non
ho dimenticato il motivo per cui, in prima istanza,
ci ha voluto aiutare…
Eleanor Gillespie era una
strega intelligente e soprattutto, con un’innata
capacità di avere relazioni
fluide con chicchessia. Aveva molti contatti, supponeva, non solo in
quanto
agente del DALM americano, ma proprio per come riusciva a stimolare la
fiducia
nelle persone.
“Cosa pensi
troveremo?” Chiese
neutro, prendendola da lontano.
Un lampo di sorpresa
attraversò le iridi della donna; era chiaro fosse
completamente persa nei suoi
pensieri. “Non saprei.” Iniziò pacata
come sempre. “È una casa che i Luzhin
hanno in comproprietà un’altra famiglia.
È stato un vero tiro fortunato fare
un’indagine più approfondita sulla loro cerchia di
amici. I nobili tedeschi non
sono molto propensi ad ammettere che non riescono a permettersi case
all’estero, pare.”
Harry sorrise appena. “Adesso è vuota?”
“Sì, i comproprietari con cui abbiamo parlato ci
hanno detto che la usano
raramente ora che i parenti che avevano qui si sono ritrasferiti in
Germania.
Ci hanno comunque dato tutte le formule degli incantesimi di
protezione. Non la
usano da almeno due anni.”
“Potrebbero essere
cambiati
allora?”
“Dubito. Hanno un
contratto
magico che lo impedisce.” Fece un sorrisetto.
“Finalmente non troviamo un muro,
no?”
“Nora, come mai per te è così
importante prendere Hohenheim?” La spiazzò, era
evidente dall’espressione scombussolata. Ron
lanciò loro un’occhiata ma
continuò a guardare la strada come se non li avesse sentiti.
Gliene fu grato.
“La prima volta che ci siamo conosciuti mi hai detto che era
personale.”
“Non l’ho detto.” Disse e non le si erano
irrigiditi solo i lineamenti. Era
tesa, sulla difensiva. La donna che aveva di fronte in quei mesi di
frequentazione lavorativa non aveva mai messo un muro tra di loro, era
sempre
stata aperta e onesta. A domanda, aveva risposto senza esitazione o
tentennamenti burocratici. Le poche volte che aveva messo un freno alla
loro
curiosità non era stato per pregiudicare
l’indagine.
Adesso
lo sto facendo. È personale.
“Me
l’hai fatto capire.” Si
sporse e le posò una mano sulla sua. “Ti ho anche
chiesto se fosse una
questione di vendetta. E ti ho risposto che non mi importava,
finché potevo fidarmi
di te.”
Nora guardò la mano, poi serrò appena le labbra.
“Ed io ti ho risposto che avresti
potuto.” Replicò. “Quindi adesso cosa
vuoi sapere?”
Harry tolse la mano.
“Quello
che ti ho chiesto.” Disse molto semplicemente. “Ho
bisogno di saperlo.”
“Alberich Von Hohenheim ha ucciso mio marito.” Lo
disse staccando le parole,
senza fretta, fissandolo direttamente negli occhi. Era uno sguardo
vuoto, però,
privo di qualsiasi calore o richiesta di comprensione. Era una mera
attestazione. “Non direttamente, ovvio.” Soggiunse.
“L’ha fatto uno dei suoi
agenti, durante una delle loro operazioni.”
Harry vide con la coda
dell’occhio che le spalle di Ron si erano mosse in un
profondo sospiro. Anche
da lì sentiva l’empatia che stava investendo
l’altro. “Lavoravamo nella stessa
unità, all’epoca.” Continuò
Nora. “La Thule, come ti ho detto, non era ancora
stata ufficialmente riconosciuta come organizzazione criminale di
stampo
internazionale. O conosciuta, in generale. Jeremiah fu chiamato per
quella che
sembrava una banale effrazione domiciliare.” Fece un messo
sorriso amaro. “Il
caso fu archiviato perché diventò una pista
fredda. Nessun indizio, nessuna
prova lasciata sul campo. Gli agenti che se ne occuparono lo
classificarono
come un semplice tentativo di furto.”
Harry aggrottò le
sopracciglia. “Non fosti tu ad occupartene?”
Nora lo guardo quasi divertita. “Mi dissero che ero troppo
coinvolta.”
Come te adesso, diceva la sua
espressione. Harry d’improvviso comprese perché
non si era mai opposta, né
all’inizio né in seguito a tutte le interferenze,
o al fatto che la squadra di
indagine fosse guidata da Ron.
Ci
è già passata.
“Ma tu non hai mai
creduto che
fosse solo quello.”
“Mio marito era un buon agente, uno dei migliori del nostro
distretto.” Replicò
con fermezza. “Non sarebbe mai andato solo, ignorando la
procedura, se non
avesse pensato che era un caso diverso
dall’ordinario.” Si girò la seconda fede
che indossava tra le dita. “Già allora eravamo
sulle tracce della Thule, anche
se erano solo gli inizi, i primi pezzi del puzzle… Jeremiah
era passionale in
tutto ciò che faceva, specialmente nel nostro lavoro.
Seguiva il suo istinto,
diceva.” Fece un mezzo sorriso. “Un po’
mi ricorda voi due.” Indicò con un
cenno Ron, che ormai aveva smesso di fingere di non ascoltare.
“Hai mai saputo
chi fosse
l’esecutore?” Chiese infatti ed Harry fu certo che
se l’amico ce l’avesse avuto
davanti avrebbe maledetto il suddetto sul colpo. Non era un mistero che
Ron
nutrisse una forte simpatia per l’americana e stesse
cominciando a rivedere
molti dei suoi preconcetti per i loro cugini di oltreoceano grazie a
lei.
Nora fece di nuovo un
sorriso
amaro. Erano domande a cui aveva dovuto rispondere molte volte,
rifletté Harry.
“C’erano degli Avversaspecchi incantati per
monitorare lo studio. Sappiamo chi
è stato. Il Camaleonte.”
“John Doe?” Sentì autentico dispiacere
all’idea di non aver tolto di mezzo
personalmente quell’avanzo di galera quando ne aveva avuto
l’occasione.
Nora annuì.
“Era il braccio
destro di Von Hohenheim. Pagato profumatamente, ma dava
lealtà solo a lui. Ma
erano in due.” Si infilò di nuovo la fede.
“L’altro era un ragazzino a
giudicare dalla corporatura.”
Harry si lanciò un’occhiata con Ron. Era una
coincidenza che tra loro e il
padre naturale di Thomas ci fosse sempre un ragazzo? Ne dubitava.
E
se fosse sempre lo stesso?
“Pensi
che…”
Nora scosse la testa. “Come ho detto, tra gli adepti della
Thule ci sono anche
ragazzi appena diplomati. Poteva non essere il falso Sören. Ma
se lo fosse…”
L’espressione era quella di una leonessa in gabbia.
“… avrebbe altre domande a
cui rispondere.”
La villa era completamente
in
legno, recintata da alti cancelli in pietra, magici, che restituivano
agli
ignari babbani la vista di una vecchia catapecchia in rovina. Quello
che gli
occhi di un mago vedevano era invece una casa ben tenuta, in legname
dipinto di
un rosso mattone e dal tetto scuro, sviluppata su due piani. Non
particolarmente lussuosa, ma comunque comoda e adatta a quelle
temperature.
Considerazioni generali a
parte, il posto sembrava disabitato da un po’.
L’erba del prato all’inglese era
alta centimetri, come se per mesi nessuno si fosse preso la cura di
tagliarla e
erbacce erano cresciute ovunque. Le numerose finestre che si aprivano
sui
bovindi raccontavano invece una storia diversa.
“Quando
c’è la stagione delle
piogge, qui?”
“Tra Giugno e Settembre.” Intervenne
l’indiano, aprendo il cancello con un
complicato movimento di bacchetta che era riprodotto su un taccuino che
aveva
cacciato fuori dalla casacca.
Harry indicò le
finestre.
“Sono state pulite. Qualcuno è stato qui di
recente.”
“Non l’altra famiglia. Abbiamo
controllato.” Ribatté Ron, tamburellando le dita
sulla fodera della bacchetta con aria impaziente. “Credi che
siano in casa?”
“No, la casa sembra disabitata, ma sono
stati qui.”
Entrati, perquisirono la casa come da procedura. C’erano
evidenti segni che
qualcuno vi avesse soggiornato di recente; vestiti negli armadi, scorte
di cibo,
libri e persino delle ricevute dello spaccio magico della
città.
“C’è il guardaroba minimo per tre
persone.” Esordì Nora uscendo da una delle
camere del piano di sopra. “Sören è stato
qui.”
“L’impostore o…”
“Quello vero, Ron. Lui e i suoi genitori. Si sono nascosti
qui, dove nessuno li
avrebbe potuti rintracciare. Neppure il loro factotum
sapeva dell’esistenza di questo villino.” Rispose
Harry
all’amico che rivedeva gli estratti con aria concentrata.
“Non se ne sono
andati da
tanto. Questi conti risalgono ad una settimana fa.” Li
sventolò sospirando. “Li
abbiamo mancati di poco.”
Dhansiri rientrò
in quel
momento. Indicò con un cenno il giardino.
“C’è qualcosa che dovreste vedere,
agenti.”
Uscirono tutti nel giardino
sul retro. L’indiano si diresse a colpo sicuro verso una pila
di frasche,
probabilmente tagliate dagli alberi che debordavano sulla
proprietà. Le scostò
con un colpo di bacchetta e rivelò terra smossa.
Ad Harry non ci volle che
qualche secondo per realizzare per quale motivo era stato scavata. La
forma, la
dimensione della buca riempita era inequivocabile.
“È una
tomba.” Mormorò Nora impallidendo.
Ron imprecò,
dirigendosi ad
ampie falcate verso la zona. Si chinò premendo una mano sul
terriccio fresco.
“Non più di una settimana.”
Stabilì con tono brusco. “Non ha neppure
cominciato
a compattarsi.” Si passò una mano sul viso e non
disse altro.
Harry non replicò
mentre la
rabbia e l’impotenza lo investiva come un’onda
maligna; non aveva potuto fare
niente per evitare la morte dei Luzhin, nonostante li avesse cercati
per mesi.
Niente.
Mi
dispiace. Dannazione. Mi dispiace.
Si strofinò la
cicatrice,
mentre Nora gli lanciava un’occhiata attenta. “Non
è colpa di nessuno, né
nostra né tantomeno tua.” Disse mettendogli una
mano sulla spalla. “Sono stati
loro stessi a rendersi irrintracciabili. Come potevamo proteggerli se
non
sapevamo dov’erano?”
“Ma qualcuno li ha trovati e li ha messi a tacere. La stessa
persona che li
aveva fatti temere per la loro incolumità. Non erano qui per
aspettare che il
Torneo finisse, Nora. Si stavano nascondendo.”
“Non potevi
salvarli, Harry.”
Ripeté l’altra con fermezza. Non rispose, sapendo
che era vero, che i Luzhin si
erano scavati letteralmente la fossa con le loro mani cadendo nella
rete di
Alberich Von Hohenheim.
Nonostante questo, non
poteva
fare a meno di sentirsi in parte responsabile. Probabilmente era la
sindrome da
eroe. O patologia, come sosteneva Ginny.
Non
sono arrivato in tempo. Non li ho salvati.
“Tiriamoli fuori
di lì.”
Disse, e sembrava la voce di un altro, non la sua.
“Identifichiamoli. Dobbiamo
essere sicuri che siano loro prima di procedere. In ogni caso, la loro
morte ci
permetterà di aprire casa loro e trovare le prove che ci
servono.”
“Harry…” Lo richiamò Ron,
mentre si alzava spazzolandosi i pantaloni. “Qualcosa
non torna.” Esordì e alla sua espressione confusa,
spiegò. “Erano tutti e tre
qua, giusto? Le scorte, i vestiti indicano che c’erano sia i
genitori che il
ragazzo. Ma la dimensione della fossa e il volume di terra
smossa…” Scosse la
testa. “Potrei sbagliarmi, ma…”
“Ma cosa?”
“Sembra che siani stati seppelliti due corpi, non tre
.”
****
Norvegia,
Durmstrang.
Dopocena.
La festa era divertente come
Lily si era aspettata; del resto mettere un evento nelle mani di
Dominique era
automaticamente portarlo al successo. Aggiunto a lei, Scorpius era un
insospettabile ma eccellente selezionatore di canzoni wrock e babbane.
Persino
Tom alla fine si era rilassato abbastanza per esibire qualche magro
sorriso,
tenendosi comunque ben lontano da qualsiasi ipotesi danzante, a
differenza di
Al, che al momento stava facendo ballare Meike ed elargiva a chiunque
ringraziamenti e sorrisoni. Era contenta che suo fratello si fosse
finalmente
buttato, almeno per un po’, la tensione alle spalle.
Comunque non era quello il problema.
Finì il suo cocktail miscelato per lei appositamente dalle
mani bislacche di
Dominique; aveva un ottimo sapore, ma era un po’ tanto forte, tanto che già le
girava la testa. Posò il calice da
qualche parte e si diresse verso l’entrata del salottino,
dove la musica era
attutita e nessuno cercava di coinvolgerla in nessuna conversazione.
Aveva pregato Albus di farla
partecipare, ma dal momento in cui la festa era iniziata non si era
sentita
affatto di umor festaiolo. Anzi, tutt’altro.
Chissà
Ren cosa sta facendo adesso…
Perché il karma
esisteva e ce
l’aveva con lei – non gliel’aveva forse
detto, Fiorenzo? – la canzone cambiò e
ne venne una che Lily non conosceva, ma che sfortunatamente aveva molto
più
senso di tutte le altre fino a quel momento ascoltate.
All of the
things
that I want to say, just aren't coming out right
I'm tripping on words,
you got my head spinning
I don't know where to go from
here
Era orribile essere
innamorate. Oltre a quello, già complicato di per
sé, si aggiungeva quella
dannata situazione allucinante.
Approfittando del fatto che tutti fossero distratti – anche
Teddy, che stava
chiacchierando di cose barbose con Rose – aprì la
porta ed uscì fuori, per
respirare un po’ d’aria fredda e ricomporsi prima
di farsi beccare con gli
occhi lucidi da chicchessia.
Non sapeva davvero che fare
con Sören; aveva fatto la spaccona, aveva detto che
l’avrebbe cercato, aiutato,
ma la realtà è che non aveva idea di come.
Dopotutto era solo una studentessa
del Quinto.
Quindici,
schifosissimi anni.
Se Al e Thomas avevano
potuto
vivere la loro grande, spaventosa avventura e salvarsi a vicenda lei
non
riusciva nemmeno a parlare con l’altro senza che scappasse
nella direzione
opposta.
“Se
vuoi aiutare … devi anche trovare qualcuno che
voglia essere aiutato, Lils.”
E se Albus avesse avuto
ragione?
Immersa nel buio,
notò subito quando
una luce apparve alla fine del lungo, snodato corridoio. Dovevano
essere da
qualche parte nell’ala Est, anche se non ne era troppo sicura
dato che aveva
semplicemente seguito Rose e il resto delle ragazze.
La luce, quella di una
torcia
a giudicare dal colore caldo – il lumos
era bluastro – si stava avvicinando a passo d’uomo
e Lily si passò velocemente
le mani sulle guance, pregando che il trucco babbano che le era stato
regalato
per Natale avesse tenuto come prometteva la confezione.
Non si sarebbe mai aspettata
di trovarsi di fronte Poliakoff. Neppure lui, a giudicare dalla smorfia
che
fece. “Inglesina.” La apostrofò con un
sorrisetto e un inchino cortese ma di
facciata. “Sempre in giro, vedo.”
“C’è un compleanno.”
Replicò con una scrollata di spalle. “E comunque
non
preoccuparti, non ho la minima intenzione di andare in giro a
ficcanasare.”
“Ren detto me differente.” Replicò senza
stare troppo attento alla forma. Tanto
Lily aveva capito il sottotesto. “… So di vostro
incontro in caletta.”
“Come lo
sai?” Di certo Tappo Tombo
– adorava Dominique e i suoi nomignoli – non
l’aveva saputo dalla McGrannit. Stava
bluffando? No. Sapeva davvero qualcosa.
Il russo si strinse nelle
spalle. “Io suo assistente. Lui me parla, sai.”
Inarcò le sopracciglia. “Ma tu
piange?”
“No.” Le
sembrava assurdo che
Sören si fosse confidato con quel tizio, ma del resto aveva
scoperto che erano
assurde tante altre cose e inoltre, in quella caletta erano
indubbiamente soli.
Ren aveva parlato.
E
non a me.
“Lui tiene a
te.” Esordì il
russo a sorpresa. Si passò la torcia nell’altra
mano e le porse un fazzoletto
insospettabilmente pulito, visto il tipo. Fece un sorrisetto
tollerante.
“Avanti. Io no te piace, io so. Ma fraülein
che piange, non si lascia piangere. È codice di
Istituto.”
Dopotutto era solo un fazzoletto e quindi Lily lo prese e si
asciugò il viso.
Il trucco aveva retto, era tutto il resto che era indicativo,
supponeva. Gli
lanciò un’occhiata; Tappo Tombo si stava
comportando in modo anomalo e diceva
cose anomale. Non sembrava intenzionato a provarci con lei, non era
quello
l’atteggiamento. Manteneva una distanza adeguata e le aveva
passato il
fazzoletto senza tentare di toccarla.
Allora
cosa?
“Certo che tiene a
me, siamo
amici.” Borbottò soffiandosi il naso. Gesto dubbio
o meno, un fazzoletto le
serviva. Il vestito corto che indossava e il coprispalle che lo
accompagnava erano
carini e alla moda sì, ma non erano forniti di tasche.
“Quello che mi chiedo è
come lo sappia tu.”
“Tu forse non sa tante cose di Sören, ma neanche di
me. Tu non è unica che è
stata con lui in questi mesi.”
“Non mi siete mai sembrati amiconi.”
Ribatté caustica. Non le importava di
essere sgarbata. Si ricordava come l’avesse mollata in mezzo
ai Dissennatori
alla Prima Prova, e come fosse stato disgustoso in generale.
E
poi Ren l’ha sempre tenuto a distanza quando era con
me. Un motivo ci sarà.
Il russo si strinse nelle
spalle. “Niet, non lo
siamo, è vero.
Però questo no significa che io non sappia.” E qui
si fermò, guardandola con
intenzione. “Lui è nei guai, e io so che guai sono
perché ci sono anche io
dentro.”
Lily finse con tutte le sue
forze di non far vedere che il cuore aveva preso a batterle come una
gran
cassa.
Perché
ne parla a me?
“Hai passato tutti
i mesi di
Hogwarts a tentare di allontanarmi da Ren…”
Iniziò cercando disperatamente di
capire cosa si nascondesse dietro l’espressione poco
intelligente di Kirill
Poliakoff. Era una LeNa, anche senza orecchino capiva le persone. Si
accorse
con sorpresa che non gli arrivava niente
dal suo interlocutore.
Si
è Occluso? No, insomma… credo di no. Non lo
so… Perché
non funziona?
Fraintendendo la sua
espressione, l’altro sorrise. “Erano
ordini.”
“Da chi?”
Non gli rispose.
“Se vuoi
aiutare Ren, tu deve fidarti di me.”
“Col cavolo!” Esplose facendosi guardare con
sbalordimento. “Perché dovrei?”
L’altro sembrava
ad un passo
dal perdere la pazienza, ma sorrise di nuovo. Quello schifoso
sorrisetto
untuoso che gli avrebbe cancellato dalla faccia tanto volentieri.
Magari con
uno schiaffo. “Perché possiamo fare in modo che
tuo Ren non finisca a Nurmengard.”
E non c’era
nient’altro che
dovesse dirle, davvero.
Lily, che fino ad un momento
prima si era abbastanza accaldata dalla temperatura alla festa,
sentì freddo.
Tanto. Si strinse nel coprispalle e gli lanciò
un’occhiata, facendogli cenno di
continuare.
“Lui è
indagato, e Auror sono
bravi.” Obbedì il ragazzo. “Nurmengard
è brutto posto. Peggio di vostra
Azkaban, mi hanno detto. Carcere duro. Non esci, solo entri. Per
sempre.”
Lily sapeva, aveva già interiorizzato che Sören
aveva la sua dose di colpe. Ma
nonostante questo non poté fare a meno di avere
un’improvvisa, violenta, voglia
di gridare e piangere. “È stato lui…
con i Dissennatori?”
“Costretto.”
Convenne. “Come
me. Tu sa chi ha costretto noi… potente, impossibile
rifiutare. Pericoloso.
Questione di vita o di morte. Lui ha minacciato nostre famiglie. Tu
capisce?”
Chiese grave.
Lily non capiva, ma poteva
accettarlo. Se qualcuno dei suoi fosse stato minacciato, avrebbe ceduto
alle
richieste di un mostro? Forse. Probabilmente. Di sicuro.
“Sì… credo di sì.”
“Io no voglio
finire in
prigione. Tu vuoi che Ren finisca?”
“… no.
No, certo che no!” Era
confusa, spaventata. Era stata così stupida
a voler essere invischiata nell’azione. Eppure
c’era e ora le si chiedeva di
fare una scelta. “Perché non parli con il tuo
Direttore?”
Con
un adulto, maledizione!
Il ragazzo fece una smorfia
sarcastica. “Tu non fidi di me, ma anche io non fido degli
altri. Herr Direktor è
in contatto con
quell’uomo.”
Lily inspirò; doveva immaginarlo. Era impossibile che non ne
sapesse qualcosa,
ma diversamente da quanto avrebbe fatto il loro Preside, gli stava
benissimo
che quel mostro del padre di Thomas spadroneggiasse nella sua scuola e
ricattasse i suoi studenti.
“Sören
non si fida degli
altri. Si fida solo di te.” Aggiunse. Lily lo
guardò e sembrava, con tutti i
crismi, sincero. Non percepiva menzogne, non c’era niente
nella sua espressione
che lo mostrava. “Io non posso convincerlo a parlare ad
Auror, tu ancora non ci
sei riuscita. Ma insieme, forse possiamo.”
Lily prese un ennesimo
sospiro. Chi le aveva detto che l’importante era respirare?
Piantò gli occhi
in quelli
dell’altro. Sicurezza. Era importante anche quella.
“Okay. Che devo
fare?”
****
Note:
E infatti, mi odierete come
ho
detto su effebbì.
Prossimo capitolo,
puntone massimo di svolta.
Da qui, si finisce presto! ;D
Canzone capitolo qui.
La maglietta di Tom, visto
che
documento tutta la cronistoria delle sue t-shirt, è
questa
Il prezzo? Vi stupite che Tommy sia un collezionista? Ce l’ha
nella – aehm –
anima. xD
1.Qui
per maggiori info.
La canzone che Lily sente
invece è questa
una roba che se non sei di buon’umore… da
sotterrarsi. Per l’appunto.
|
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Capitolo 56 *** Capitolo LIII ***
Capitolo LIII
If I
act accordingly will it save my humanity?
You're
either you or a loyalty disowned
Conviction
seems to follow accusations alone
When love alone is enough to set you free
(15 Min
Fame, Poets of The
Fall)
20 Gennaio 2023
India,
Regione del Nagaland, Dimapur
Prima
mattina.
Vista l’indagine
in corso,
Harry aveva ritenuto opportuno rimanere a Dimapur finché non
avessero avuto
riscontro sull’identità dei cadaveri trovati
– Ron aveva avuto ragione, erano
due, non tre. Non appena capito chi fossero, avrebbero potuto iniziare
le
ricerche del terzo. Nora aveva già preso i contatti con le
forze di polizia
magiche del posto per farli partecipare in prima linea.
Come
al solito, non ci resta che aspettare.
Mandati Gufi di spiegazioni
alle rispettive famiglie, Dhansiri si era prodigato per trovar loro una
sistemazione confortevole per la notte. Al momento stavano consumando
la
colazione in una piccola locanda nel cuore del Quartiere Magico della
città. Erano
seduti sulla veranda di legno che si apriva su un rigoglioso giardino
pensile
ed era una buona giornata, né troppo soleggiata
né in dirittura di pioggia. Ron
stava generosamente addentando l’ennesima porzione di un pane
fritto, molto
dolce e speziato, il poori, piatto
tipico delle colazioni indiane. Eleanor leggeva il quotidiano locale
bevendo
caffè che, a giudicare dal colore e la consistenza, sembrava
esser stato
preparato con l’intento di svegliarla. Harry si chiese per
l’ennesima volta se
dormisse la notte. “Dovresti provarci, sai.” Si
lasciò sfuggire.
Nora inarcò le sopracciglia, colta di sorpresa. “A
fare cosa?”
“Dormire un po’.” Le sorrise.
“Dicono aiuti a pensare meglio.”
La strega fece una smorfia divertita. “Soffro
d’insonnia sin dall’adolescenza e
quando seguo un caso peggiora, niente da fare. E non sono mai stata una
fan
delle pozioni soporifere.”
Harry annuì, anche se non pensava fosse tutta la
verità; supponeva che, come
lui, la creola facesse fatica a prendere sonno proprio per
l’impostazione
personale che aveva dato a quel caso particolare. L’unico ad
essere immune al
demone della veglia notturna era Ron. Lo invidiava, e non doveva essere
l’unico.
Quello, quasi avesse sentito
i
suoi pensieri, lanciò loro un’occhiata.
“Secondo voi quanto ci metteranno?
Dico, a identificare i due corpi e capire cosa li ha uccisi.”
L’agente americana sospirò. “Possiamo
solo aspettare. C’è una semplice clinica
qui, non attrezzata per le diagnosi magiche post-mortem. Hanno
materializzato i
corpi a Dehli¹. Ci vorrà un
po’.”
L’uomo emise una smorfia scontenta. “Hermione mi
ucciderà. Oppure troverò le
mie cose fuori dalla porta, uno dei due. Vale lo stesso. Le avevo detto
che ci
avrei messo in tutto una mezza giornata… ed eccoci qua,
arrostiti dal sole e
mangiati dalle zanzare!” Allargò le braccia in
modo teatrale, salvo poi per
farle ricadere sconfitto. “Merlino, se odio
la Thule.”
“Siamo
arrivati ad un punto di svolta con le
indagini, non ci vorrà molto e poi potremo tornare a casa
dalle nostre
famiglie.” Disse Nora tentando di consolarlo.
“Scommetto manchi
un sacco a
tua figlia…” Sbuffò l’altro
con un mezzo sorriso subito dopo. Harry la guardò
sorpreso. “Hai una figlia?”
“Sì, Ama. Ha diciannove anni.” Sorrise
la donna. “Manco da mesi e lei manca a
me.”
“Non vedo
l’ora che tutta
questa storia sia finita… Così avrò la
certezza che Rosie e Hugo sono al
sicuro.” Sospirò Ron; ormai aveva perdonato la
figlia per frequentare un
Malfoy, ma era restio ad ammetterlo per imbarazzo. Harry aveva intuito
che gli
eventi che si erano scatenati in quel periodo e la lontananza della
figlia
maggiore avevano convinto l’amico di una vita a rivedere le
sue posizioni. Almeno
un po’.
Furono interrotti nel
piacevole chiacchierar di nulla dall’arrivo di Dhansiri, che
portava un
bauletto dall’aria vissuta e con grosse venature ad
intersecarlo.
“Una chiamata via
fuoco magico
per lei, Signor Potter.” Esordì posizionandolo di
fronte a lui, previo
scostamento di tazze di caffè e cesti di pane e frutta.
Harry inforcò gli
occhiali che
aveva abbandonato per godersi un po’ del tepore dei raggi di
sole che
filtravano dal tetto in vimini. “Da parte di chi?”
“Lord Draco Malfoy.” Alla menzione, Ron si
alzò in piedi e con un cenno brusco
abbandonò il tavolo e veranda. Nora lo guardò
interrogativa. Harry sospirò.
“Lunga storia. Ti
dispiace?”
Chiese indicando il baule chiuso, ma dal quale proveniva un tenue
bagliore.
Lasciato solo e ringraziato Dhansiri che si accomiatò
immediatamente, non gli
restò che aprire il cofanetto con un colpo di bacchetta. Non
vi erano che
fiamme verdognole e danzanti; non vide dunque Malfoy, ma
sentì la sua voce. “Potter.”
Iniziò con la classica cascata di snobismo. “Siamo
soli?”
“Sì, Ron non c’è.”
Sospirò di nuovo, con la certezza che avrebbe passato i
prossimi anni a fare da stato cuscinetto tra due maghi cresciuti ma
testardi
come gli adolescenti che erano stati. Il che, visti i suoi trascorsi
adolescenziali con Malfoy, aveva dell’ironico.
Ci fu un breve silenzio, poi
finalmente l’altro parlò. “Ti ho
chiamato solo per dirti che tua figlia sarà
imbarcata con la prossima Passaporta per Inverness.”
Harry sentì il sollievo investirlo come una corrente
benefica; almeno uno dei suoi
ragazzi sarebbe stato lontano da quell’inferno. Lily, poi,
era diventata la più
testarda e ribelle. Sì, era decisamente una buona notizia.
“Bene…
molto bene.” Disse.
“Quando?”
“Accetto i tuoi doverosi ringraziamenti, Potter.”
Replicò sarcastica la voce
oltre le fiamme. “Domani, comunque. Quella delle cinque in
punto.”
Si passò il
fazzoletto sulla
fronte; il caldo piacevole di poco prima cominciava a scottare.
“Quindi è tutto
risolto con il Ministero Norvegese?”
“Scandinavo.” Lo corresse con sussiego.
“Sì. Non ho l’abitudine di chiamare
insopportabili Ragazzi Meraviglia se non ho la certezza di aver
rimediato ai
guai dei loro pargoli.” Harry ignorò la
frecciatina, perché dopotutto non
poteva dire che l’altro avesse torto. “Hanno
sbloccato la Traccia di tua figlia
questa mattina.”
“Non
può prenderla oggi quella
Passaporta?” Sarebbe andata a prenderla, decise; avrebbe
strigliato quella
piccola incosciente e poi l’avrebbe abbracciata stretta.
“Non c’è.” Il tono
dell’altro mago era definitivo e Harry gli credette.
L’importante era che Lily tornasse in Gran Bretagna. A casa. Ventiquattro ore non erano molto,
in fondo.
“Grazie
Draco.” Sorrise anche
se l’altro non poteva vederlo. “Ti sono
debitore.”
“Oh, lo so.” Fu la risposta ed era certo che stesse
anche ghignando. “Richiama
pure il tuo tirapiedi peldicarota, devo andare.” E le fiamme
si spensero con
uno sbuffo di fumo.
Harry inspirò, ma non fece in tempo a ricomporsi e nettarsi
di nuovo la fronte
– il caldo era davvero insopportabile e repentino in quel
paese – che Dhansiri
rientrò di fretta, accompagnato da Nora e Ron.
Ron lanciò un’occhiata al fuoco portatile.
“Il Furetto Rimbalzante mi ha appena
chiamato tirapiedi peldicarota o
è
stata una mia impressione?”
“Una tua impressione.” Replicò Harry con
un cenno dismissivo. “Che succede?”
Ron fece una smorfia, evidentemente poco convinto, ma vedendo che lo
scrigno
era silente e spento si decise a parlare. “Sono arrivati i
risultati degli
esami post-mortem.”
“E…?”
“I due corpi appartengono a Frederick e Olga
Luzhin.” Sbuffò. “Significa che il
ragazzo è ancora vivo e che forse è riuscito a
scappare dai sicari di Hohenheim.”
Harry si alzò in piedi. “Se è riuscito
a scappare potrebbero esserci tracce nel
villino. Dhansiri, prepara il carro. Torniamo là.”
****
Norvegia,
Istituto Durmstrang.
Mattina.
Rose si beava del contatto
delle labbra del suo ragazzo. Il bacio mattutino, poco prima di
colazione, ancora
fresco di dentifricio, era forse il suo preferito. Erano soli, dato che
le
altre ragazze si erano dirette verso il refettorio dopo aver lanciato
occhiatine e risatine in direzione del loro Campione.
Oche.
Cominciava a rivalutare la
Parkinson-Goyle; perlomeno aveva smesso con quel ridicolo atteggiamento
da
damigella in pericolo che invece affliggeva tutte le altre ogni volta
che vedevano
il Campione di Hogwarts in tenuta da allenamento nera e rossa.
“Menta?”
Chiese Scorpius
baciandole l’angolo della bocca. “Mi piace la
menta.”
Rose ridacchiò arruffandogli il caschetto biondo che gli era
valso da parte di
Dominique il titolo di petit prince.
“Sei pronto per la
Prova?”
“Sicuro! Dursley, anche se brontola tanto, sta facendo un
buon lavoro. Evitasse
di colpirmi con le costole dei libri nel punto più tenero
della nuca magari
sarebbe meglio… ma è Dursley. È un
uomo crudele.” Sospirò con piglio eroico.
“In questo caso
Tom ha tutto
il mio appoggio.” Gli accarezzò comunque il punto
offeso e questo le valse un
secondo, profondo bacio.
“No, ma continuate
a fare
finta che sia un pezzo d’arredamento … Tanto mi
piace guardare.” Li informò una
voce squillante.
Sua cugina Lily li guardava
con il sopracciglio debitamente inarcato e la borsa scolastica molto
meno piena
di quanto avrebbe dovuto. Era certa che scroccasse pergamene e libri di
testo
ai poveri compagni maschi da una vita.
Scorpius si volse verso di
lei
con il solito, inscalfibile sorriso adamantino. “Oh, piccola
Potter! Ci sei
anche tu?”
“La tua dolce
metà dovrebbe
scortarmi a colazione.” Scrollò le spalle.
“Ma si è dimenticata di me per
gettarsi tra le tue braccia muscolose.” E le
occhieggiò con intenzione. “Non
che non la capisca.”
Scorpius gonfiò il petto come un tacchino.
“Davvero pensi che siano muscolose? Perché
sai, sto facendo questo allenamento per i bicipiti
che…”
“Sì, okay. Andiamo.”
Borbottò, prima che il suo idiota personale facesse la
ruota di fronte a quella gatta cretina che condivideva metà
del suo genoma.
“Siamo in ritardo per la colazione.”
Lily fece uno dei ghignetti per cui era tristemente famosa, ma non
aggiunse
niente di imbarazzante o troppo esplicito. Le tese invece la sua borsa,
questa
adeguatamente preparata, senza una parola.
Meno
male!
Si incamminarono per i
corridoi
asfittici della fortezza mentre la cugina attaccava un chiacchiericcio
querulo
con Scorpius. Pareva di ottimo umore, ma Rose non ci cascò;
quella mattina si
era comportata in modo normale ed
era
stato questo ad insospettirla. Niente bronci, niente rispostacce o
evitare il
suo sguardo.
Non
doveva essere arrabbiata con me perché la seguo
come un’ombra e non la lascio scappare dal suo tedesco?
Le lanciò
un’occhiataccia, ma
le fu rimandato indietro un sorriso sereno, di chi non aveva un
problema nella
vita.
“È vero
che torni a
casa?” Chiese Scorpius facendole interrompere il contatto
visivo.
“Sì.” Confermò Lily senza
particolari inflessioni. Sospettosissimo. “Sono
riusciti finalmente a sbloccare non so che incantesimo che mi
permetteva di
rimanere qui. Sapete, quella Traccia.”
“Mi spiace che tu non possa rimanere fino alla Prova, non
c’è proprio modo?”
Lily fece una lieve smorfia.
“Temo di no… Mi piacerebbe, ma tutto quello che mi
aspetta è la Scozia e una
strigliata dei miei.”
“Almeno ne sei
consapevole.” Si
inserì Rose. Sua cugina doveva andarsene, non
c’era altro da aggiungere.
Così
potremo finirla di farle da balia. Beh, almeno ad
Albus ha chiesto scusa…
Arrivarono in refettorio e
Lily si voltò di colpo verso di lei. “Mi spiace di
averti rovinato il soggiorno.”
Esordì con quieto sguardo dispiaciuto. “Volevo
solo aiutare un amico, ma l’ho
fatto nel modo sbagliato. Ora lo capisco… scusa
Rosie.”
Rose rimase senza parole.
Data
la deriva di pensieri precedenti non si era aspettata
quell’uscita estemporanea.
Si sentì arrossire. Il suo principale difetto, Scorpius
glielo aveva fatto
notare in più di un’occasione, era la tendenza a
sparare giudizi. Giudicare. E
ci era cascata di nuovo. “Uhm… beh, okay. Scuse
accettate.” Borbottò.
“L’importante
è che tu abbia capito.”
Lily si limitò ad
annuire con
un sorriso mite, prima di andare a prendere posto tra le altre ragazze
del coro.
“Sembra essersi
rassegnata, no?”
Intervenne l’altro grifondoro, prendendole la borsa e
dirigendosi verso il
tavolo che ospitava Albus, Dominique e Violet e in fondo,
all’angolo
misantropo, Thomas.
Rose scrollò le
spalle.
Conosceva l’altra da che aveva memoria, e se aveva una
certezza era che non ci
si poteva fidare di quel che le usciva dalla bocca.
Speriamo
che stavolta mi sbagli.
Rose era una maledetta
diffidente.
Lily aveva ben chiaro che non poteva permettere a nessuno
– il suo Leviatano personale in testa - di scoprire cosa
era successo la sera prima.
Non era facile; se
imboscarsi
nel treno le aveva preso poco meno di mezzo pensiero e zero senso di
colpa,
adesso ne provava a palate.
Stava di nuovo agendo alle
spalle della sua famiglia e soprattutto di Albus. Non la piaceva per
niente, la
faceva sentire una bugiarda. Aveva promesso al fratello, seppur
implicitamente,
di piantarla con i casini. E invece.
Però sapeva di
fare la cosa
giusta. Ed era questo a darle la forza e farle tenere la bocca chiusa.
Se
avesse spifferato tutto ad Al prima del tempo, prima di aver convinto
Sören a
costituirsi, sarebbe stato tutto inutile.
Al
ha la sua battaglia per Tom. Io ho la mia.
Non poteva tirarsi indietro,
non con Ren che rischiava Nurmengard. Il suo amico era una Pluffa
sparata verso
gli abissi e non poteva permettergli di perdersi per colpa di un mago
pazzo,
delirante e cattivo.
Naturalmente non si fidava
di
Kirill. Era un tipo viscido e le dava cattive vibrazioni. Inoltre era
palese
che non gliene importasse un fico secco di Sören e che volesse
solo salvarsi la
pelle. Però c’era poco da fare, era
l’unica mano che le era stata tesa in quei
frangenti. Non poteva schiaffeggiarla via solo perché la
metteva a disagio.
“Domani
sera io porterò te da Sören. Lo
costringerò a
parlarti. Parlarci.” Si era corretto. “Se
funzionerà chiamerai tuo padre e
chiederai lui di portarci in Inghilterra.”
“In Inghilterra? Perché?”
Il russo aveva sbuffato come di fronte ad una bambina lenta di
comprendonio.
“Noi chiedere asilo politico a tuo paese. Se verremo presi in
custodia da tuo
Ministero sarà… meglio.”
“Come fai a saperlo?” Il Ministero inglese non era
conosciuto per essere
clemente. Tom l’anno prima si era cacciati nei guai, da
minorenne, eppure aveva
subito un processo con tutti i crismi oltre ad aver rischiato di veder
rotta la
sua bacchetta.
Poliakoff
aveva fatto un sorrisetto dei suoi, sgradevole
da morire. “Tu ha tanti parenti in Ministero, no? Figlia del
famoso Harry
Potter, il Salvatore. Tu non vuole salvare noi?”
“Veramente solo Ren.” Aveva ribattuto sostenendo il
suo sguardo, anche se sentiva
un brivido di disgusto all’idea che avrebbe finito
inevitabilmente per aiutare
entrambi. Non poteva scegliere la merce nel pacchetto, doveva prenderlo
tutto
intero.
“Se
tu vuole trovare tuo Ren, fraülein,
serve
mio aiuto. Do ut des,
sì?” Disse
infatti l’altro, tendendole la mano. “Abbiamo un
accordo?”
Lily
gliela strinse. “Abbiamo un accordo, russo. Ma
niente scherzi.” Aveva detto con il suo miglior tono di
ghiaccio. Le era valso
un sorrisetto divertito. L’aveva detestato con la forza di
mille soli.
Poliakoff,
ignaro dei suoi pensieri, aveva fatto un inchino
cerimonioso. “Tu ha mia parola, fraülein.”
Poi le aveva teso una moneta, una valuta
che Lily non aveva mai visto e che aveva segni che sembravano cirillico
incisi
sopra. “Tu prende questa. Domani sera, quando calda, trova
modo per uscire da
tuo dormitorio e venire in refettorio. Tu farcela?”
“Sì.” Avrebbe trovato il modo. A costo
di schiantare qualcuno, se lo ripromise
con la bocca secca e lo stomaco serrato. Aveva serrato la moneta in
pugno,
sentendola stranamente fredda al tatto. “E poi?”
Il russo aveva fatto una faccia sorpresa. “E poi io porto te
da Sören, no?”
Lily ingoiò un
sorso di succo
di more – versione locale di quello di zucca – e
inspirò lentamente,
rispondendo distratta ad una domanda della ragazza accanto a lei.
Avrebbe trovato il modo di
non
mancare all’appuntamento con Kirill e avrebbe seppellito il
senso di colpa che
provava verso Albus.
Avrebbe salvato
Sören, ad ogni
costo.
****
“Abbiamo trovato
tracce di
sangue.”
Harry si voltò in direzione di Dhansiri, che aveva scoperto
essere la sua
versione locale. Per aiutarli aveva infatti fatto chiamare un manipolo
di
giovani Tracciatori, corpo scelto di agenti della polizia magica che si
occupavano di individuare indizi nelle scene del crimine.
Dovrei
proporlo alla Direttrice Jones. Non sarebbe male
avere gente che si occupa selettivamente degli indizi, magari con
incantesimi ad
hoc.
Avevano infatti tutti sonde
magiche attaccate alle cinture delle loro vesti e bacchette
più lunghe della
norma, che gli era stato detto servissero per lanciare Incantesimi
Scandaglianti più potenti del normale.
Si avvicinò
all’uomo dalla
pelle mangiata dal sole. “Dove?”
“Da questa parte,
prego.” Gli
fece strada attraverso il giardino incolto della proprietà,
salvo fermarsi in
un punto qualsiasi del muro di cinta che la circondava. A caso non era,
perché
chinandosi, Harry vide che c’erano tracce luminescenti che
coloravano alcuni
ciottoli.
“Cosa
sono?”
“Abbiamo spruzzato una Soluzione Rilevatrice sul muro. Tutto
attorno.” Spiegò
indicandogli il punto. “Qui il sangue ha fatto
reazione.” Spiegò.
“Sembra che
qualcuno l’abbia
scavalcato di gran fretta.” Si inserì Ron,
avvicinandosi assieme a Nora e
chinandosi per osservare meglio. “Saltato, in
realtà… ma non vedo come abbia
potuto ferirsi.” Passò una mano sui ciottoli tondi
e leggermente regolari che
sporgevano dalla muratura. “Qui è tutto
liscio.”
“Doveva essere già
ferito.” Commentò la
creola mordendosi un labbro. “È chiaro, il ragazzo
deve essere riuscito a
scappare, a differenza dei suoi.”
“Sì, ma
dov’è?” Ron lanciò uno
sguardo all’intricata selva di alberi pluviali che si snodava
di fronte a loro.
“Là dentro? C’è da perdersi,
miseriaccia!”
Harry si tolse gli occhiali.
Con l’umidità appiccicosa di quel posto gli davano
un fastidio immenso. Li pulì
per l’ennesima volta e se li rimise. “Cerchiamo di
capire la dinamica.” Fece il
punto. “I Luzhin sono stati uccisi in casa, sono stati
sorpresi. Non c’era
segno di lotta, né nella villetta né sui loro
corpi. Il ragazzo è stato più
svelto, è riuscito a mettersi in salvo, ma è
rimasto ferito. Quanto
gravemente?”
Dhansiri si voltò
verso uno
degli agenti, parlottando brevemente. Il giovane a cui si rivolse, che
sembrava
essere al comando, si espresse in modo certo e sicuro. Il loro contatto
poi
tradusse. “Dev dice che la quantità di sangue e la
velocità di impatto sui
ciottoli fa pensare ad una ferita importante. Non così grave
da non poter
correre però.”
“Quindi
è scappato nella
foresta per nascondersi. Ha la bacchetta con sé,
perché non l’abbiamo trovata
da nessuna parte, né nella fossa, né in casa.
Può essersi curato.” Riassunse
Harry. Era una flebile speranza quella che li guidava alla ricerca di
Sören
Luzhin. Una corsa contro il tempo. Il giovane mago non era un
autoctono,
difficilmente avrebbe potuto orientarsi in una foresta simile,
spaventato e
ferito. Avendoci avuto a che fare l’anno prima, quando i Naga
li avevano
scortati al loro villaggio, aveva notato come fosse semplice perdere i
punti di
orientamento. Anche se si era medicato – cosa che sperava
– avrebbe comunque
dovuto combattere contro la fame, ma soprattutto la disidratazione.
Ed
è più di una settimana che è
lì dentro.
“Per quanto si
estende?” Fece
un cenno verso il verde. L’espressione di Dhansiri fu
inequivocabile.
“Miglia. Una
persona può
arrivare a non tornare mai a casa se si perde.” Si strinse le
spalle con aria
rassegnata. “Con le creature, magiche e non che la abitano,
se non ha imboccato
la direzione giusta troveremo solo le sue ossa.”
Harry inspirò bruscamente. “Non possiamo saperlo.
È un ragazzo cresciuto in
Norvegia, in paesi che hanno grosse distese boschive. Inoltre,
Durmstrang è
famosa per dare un’eccellente preparazione tattica ai propri
allievi. Aveva
tutti i mezzi per riuscire a sopravvivere. Dobbiamo solo
trovarlo.”
“E se i sicari di Von Hohenheim ci avessero
preceduto?” Si inserì Ron. Esitò
alla sua espressione conseguente. “Okay, allora che
facciamo?” Allargò le
braccia esasperato. Non era l’unico ad essere messo a dura
prova dal clima
indiano. “Seriamente, Harry… è come
cercare una bacchetta in una foresta
disboscata! Luzhin ormai sarà a miglia da qui. Ha visto
ammazzare i suoi
genitori, è in fuga!”
Harry cercò di
pensare
velocemente; l’altro aveva ragione, non potevano andare a
cercarlo in mezzo a
quel labirinto di arbusti, né poteva chiedere a Dhansiri e
la sua squadra di
venire con loro. Non avevano tempo e non potevano passarlo a cercare
nella
direzione sbagliata.
Se
solo ci fosse un modo per localizzarlo…
Fu un lampo che gli
attraversò
il cervello. Di colpo seppe esattamente cosa fare.
“Dhansiri, hai un
fuoco
portatile con te?” Chiese. Al cenno affermativo del mago,
continuò. “Voglio
parlare con il responsabile del Vostro Ufficio Regolazione e Controllo
delle Creature
Magiche. Subito.”
L’indiano se fu sorpreso della bizzarra richiesta non lo
diede a vedere,
annuendo e incamminandosi verso il carro che li aveva portati
lì. I suoi
compagni invece lo fissarono in piena confusione.
“Amico, ma che
c’entra…?”
Esordì l’amico e anche Nora lo guardò
con perplessità.
“I Naga,
Ron.” Sorrise trionfante.
“Sanno percepire l’aura magica a miglia
di distanza. L’anno scorso hanno trovato Thomas. E la
tribù che abbiamo
conosciuto è precisamente ciò che fa al caso
nostro. Possono trovare Luzhin.”
“Vuoi tornare da quei lucertoloni assetati di carne magica?
Sei matto?!” Esclamò
inorridito e Harry
vide vacillare persino la di solito solida
americana. “L’altra volta avevamo Scamandro con
noi, ma a questo giro nessuno
ci eviterà una morte lenta e dolorosa!”
Harry sospirò: sapeva che era un azzardo, per molti versi
una pensata del tutto
folle. Ma erano l’unica speranza di quel povero ragazzo e non
si sarebbe fatto
venire dubbi solo per dettagli come l’incertezza
dell’intera situazione.
O
il fatto che i Naga non sono assolutamente tenuti ad
aiutarci ed è improbabile che lo faranno volentieri.
“Ho fatto in modo
che l’uomo
che li aveva rapiti la pagasse. L’altra volta hanno
collaborato.” Spiegò con la
sua migliore espressione calma. “Vale almeno un tentativo.
Non ricordo dove sia
il villaggio, ma a giudicare dalla quantità di zanzare e di
piante che mi
ricordo dall’ultima volta, non deve essere distante da
qui.”
“Sì,
c’è una tribù di Naga ad
un paio di miglia da qui… Siamo nella regione dei loro primi
insediamenti.”
Mormorò Nora, quasi cercasse di capire se fino a quel
momento avesse obbedito
agli ordini di un completo sciroccato senza saperlo.
“Però Harry… non sono noti
per essere amichevoli con i maghi. Non parlano neppure la nostra
lingua.”
“Ma io parlo la
loro.” Replicò
disinvolto, ignorando l’espressione scioccata della donna.
“Tu parli il
Serpentese?”
Aggrottò le sopracciglia. “Ma non era una
capacità che avevi perso con la morte
di Voldemort?”
Harry le sorrise. “Confido nel fatto che
quest’informazione rimanga
confidenziale, agente Gillespie.” Quando vide il cenno
affermativo della donna,
scrollò le spalle. “Che posso dirti? La magia
lascia sempre delle tracce.
Questa è la mia.”
Nora scosse la testa, prima
di
ridacchiare. “Parola mia, Harry… sei davvero il
Ragazzo Meraviglia che tutti
descrivono.”
Rise di rimando, cogliendo l’espressione esasperata, ma al
contempo divertita
del vecchio amico d’infanzia. “Uomo ormai. Ma
sì, temo di sì.”
****
Norvegia,
Durmstrang, Foresta attorno all’Istituto.
Pomeriggio.
Sören quasi si
scontrò con
Albus Severus Potter. Quasi perché all’ultimo
momento riuscì a evitarlo e
finirono per fissarsi sconcertati nel bel mezzo di un incrocio tra due
viottoli.
L’inglese gli si era parato davanti uscendo da una fila di
pini.
“Mi dispiace, non
ti avevo
visto.” Disse respirando profondamente per regolarizzare il
respiro. Era una curiosa
coincidenza incontrare qualcuno nell’immensa foresta che
cingeva i terreni di
Durmstrang.
Eppure era accaduto e ora si
trovava di fronte il fratello di Lily, anche lui vestito con una tuta
– la
foggia sembrava babbana – palesemente nel pieno di una
sessione di allenamento.
“Errore
mio!” Sorrise questo,
dopo essersi ripreso dalla sua stessa sorpresa. “Ero
concentrato, ho svoltato
quel gruppo di alberi senza guardare… Certo non mi
immaginavo di incontrare
qualcuno!” Diede un’occhiata attorno. La foresta
era silenziosa, interrotta
saltuariamente da qualche grido di uccello.
Sören sorrise
neutro, senza
saper bene cosa dire. Era uscito per l’allenamento
quotidiano, ormai l’unica
routine a cui si dedicasse con costanza. Era utile per scaricare la
tensione.
Era venuto lì sperando di non incontrare nessuno.
E
invece.
“Ti stai allenando
per il
Tremaghi?” Riprese l’inglese, asciugandosi la
fronte sudata con una manica
della felpa. Babbana, senza ombra di dubbio. Era persino di una taglia
più
grande, all’incirca. Non doveva essere sua.
“Sì.”
Sapeva di dover dire
qualcosa per non sembrare inadeguato. O sospetto.
“Tu?”
“Solito allenamento quotidiano.” Scrollò
le spalle. “Ad Hogwarts gioco a
Quidditch e qui ho portato la scopa per tenermi allenato. Oggi
però tira troppo
vento e vorrei evitare di finire contro una parete di roccia.
Così, ho optato
per una corsetta.”
Sören
annuì di nuovo. Non si
aspettava di dover avere di nuovo a che fare con il figlio di mezzo di
Harry
Potter, nonché amico intimo di Thomas. Non sapeva dunque
come comportarsi.
“Allora…”
Iniziò, tentando
disperatamente di trovare un modo per accomiatarsi senza che
l’altro capisse
che non voleva aver nessuna interazione con lui. Poteva essere
pericoloso.
“Facciamo un pezzo
di strada
assieme?” Gli propose dal nulla, facendogli serrare lo
stomaco. “Correre in due
è più divertente… e poi, ho sempre
paura di perdermi.” Fece un sorriso enorme,
con la stessa sfumatura e inclinazione di quello di Lily. Lo
colpì allo stomaco
come un pugno.
“…
Certo.” Mormorò. A quel
punto non poteva smarcarsi, sarebbe sembrato sospetto.
Ripresero a correre senza
una
parola. Fortunatamente era meglio non parlare se non volevano sentirsi
mozzare
il respiro dopo un centinaio di passi, dato che il terreno era un
susseguirsi
di discese e relative salite accidentate.
Sören comunque non
poté fare a
meno di lanciargli un’occhiata di sottecchi; Albus Severus, o
Al, sembrava in
apparenza la creatura più mite del pianeta. Era basso per la
sua età, dalla
costituzione esile e dal viso gentile. I grandi occhi chiari gli davano
un’aria
un po’ spaurita, che all’Istituto gli sarebbe valsa
feroce nonnismo da parte
degli altri studenti.
Ma…
Era un Caposcuola e
apparteneva alla Casa più competitiva e classista di
Hogwarts. Qualcuno doveva
averlo eletto, ed erano le stesse persone che lo accettavano come
guida. Aveva
notato come gli altri inglesi rispettassero la sua opinione e le sue
decisioni.
La parola chiave con quel
ragazzo era apparenza. In
realtà, per
quasi tutti i Potter di cui era a conoscenza. Lily con la sua aria
frivola che
nascondeva una mente acuta e reattiva, e come non pensare poi al
Salvatore,
simbolo del ragazzo dall’aria qualunque che riusciva a
diventare leggenda?
Sören non aveva
avuto modo di
parlargli granché nei mesi di permanenza in Scozia, ma
ricordava il loro unico
incontro; Albus Severus possedeva una fenice. Non era certo qualcuno da
sottovalutare.
Si accorse di colpo di
essere
stato scoperto nella sua analisi; il ragazzo infatti gli
restituì uno sguardo consapevole
e un lievissimo sorriso.
Sentì una fitta
al costato e
seppe di doversi fermare prima di rimettere il frugale pranzo che si
era
concesso. Rallentò e l’altro, quando se ne
accorse, decelerò e lo raggiunse.
“Tutto a
posto?” Gli chiese
con aria preoccupata; era quello che detestava dei figli di Harry
Potter.
Perché
siete gentili con me?
Lo facevano sentire soltanto
più sbagliato e disgustoso.
“È solo
un crampo, tu va pure
avanti.” Si sedette su una roccia al lato del sentiero. Si
sentiva il cuore
battere a mille, e non era certo per la corsa.
“Sei un Campione,
tra poco ci
sarà la Seconda Prova, non devi sottovalutare un problema
del genere.” Replicò
l’altro inginocchiandosi davanti a lui. “Fammi
vedere. Ne capisco abbastanza,
voglio fare il Medimago.”
“No, non ce
n’è bisogno…”
Tentò, cercando di alzarsi. Non voleva che lo curasse, che
lo toccasse. Albus
Severus e Lily dovevano stargli lontani. Miglia. Vide con la coda
dell’occhio
l’altro tirare fuori la bacchetta e non poté
impedire al suo corpo di
irrigidirsi e scattare in piedi. “Ho
detto di no!”
Il silenzio che
conseguì alla
sua esclamazione – maleducata, fuori luogo –
sembrò assordare l’intera foresta.
Al non aveva trovato Luzhin
per caso. Affatto.
Se non poteva fermare Lily,
a
meno di legarla ad un letto e farcela rimanere fino al giorno dopo,
quando
finalmente avrebbe preso la Passaporta per la Scozia, poteva sondare il
terreno
con l’altra controparte della tragedia shakespeariana.
Sören Luzhin doveva
essere il
nemico numero due, il braccio armato del mostro. Eppure sembrava tutto
fuorché
quello.
Tom sosteneva stesse
adottando
una strategia pensata per sfibrare, fiaccare il nemico. La persona
sfibrata tra
di loro, in quel momento, sembrava il tedesco, persino più
di Tom. Non aveva
mai visto qualcuno con un’aria più tormentata.
Curioso…
Ad ogni buon conto, trovare
Luzhin non era stato difficile: come Caposcuola era a conoscenza degli
orari
degli allenamenti di Malfoy, e carpendo quelli di Dominique aveva
semplicemente
dedotto i suoi.
Luzhin non si era
minimamente
sbottonato durante la corsa. L’aveva solo beccato, una volta,
a guardarlo e
aveva capito perché sua sorella avesse ciarlato tanto degli
suoi occhi.
Oggettivamente, scuri e profondi com’erano, affascinavano.
Non aveva fatto passi falsi,
comunque.
Fino a quel momento. Si era chinato per aiutarlo – per
controllare in realtà se
fosse un crampo vero o una scusa – e l’altro era
scattato in piedi neppure
avesse cercato di attaccarlo.
Poi capì. Aveva
tirato fuori la
bacchetta.
Il durmstranghiano era
rigido
e con i lineamenti serrati. “Qual è il
problema?” Gli chiese con il suo tono
più pacato. Era consapevole del fatto che Luzhin non era
precisamente un mago
alle prime armi. A dar retta alle paranoie di Thomas era un letale,
addestrato ad
uccidere a comando.
Cerchiamo
di non pensarci…
“Non ho nessun
problema.” Gli
fu risposto. Secco, sulla difensiva. “Posso curarmi da solo,
ti ringrazio.”
“Perché allora ti sei spaventato? Non avevo certo
intenzione di schiantarti…”
Se c’era una modalità soldato per i maghi,
Sören Luzhin ne era la
manifestazione; schiena dritta come un manico di scopa, mano vicino al
fodero della
bacchetta legato alla coscia. “…Pensi che avessi
intenzione di farlo?”
Era un tiro fortunato. Non aveva certo la Legimanzia nel sangue come
sua
sorella. Ma capì di aver centrato il punto quando lo vide
impallidire.
La persona che aveva davanti
sembrava sull’orlo di un crollo nervoso. Non ci voleva certo
uno psicomago per
intuirlo.
Altra
storia rispetto a John Doe. Davvero questo
ragazzo è l’arma letale di Hohenheim?
Perché
sarà pure un’arma letale … ma ha la
capacità di
bluffare di un Tassorosso.
“Scusa se insisto,
ma hai
l’aria di qualcuno che paura di essere aggredito da un
momento all’altro…” Fece
una pausa oculata. “… È
perché pensi voglia proteggere Lily?”
Come aveva pensato, Albus
Severus non era tipo da sottovalutare.
Nel giro di pochi attimi da
innocuo era passato a pericoloso. Aveva persino cambiato faccia; non
aveva
niente del ragazzo impacciato e gentile di poco prima. La sua aura
magica non
vacillava neppure un po’. Un’aura magica talmente
pura da aver attirato una
fenice. Pura come mai sarebbe stata la sua.
No, non pensava
l’avrebbe
attaccato; l’inglese non aveva l’aria di un
duellante, la presa che aveva sulla
bacchetta era da manuale, facilmente neutralizzabile.
Gliel’avrebbe potuta
strappare con l’incantesimo di disarmo più
semplice.
Eppure Sören per la
prima
volta in vita sua ebbe paura di qualcun altro oltre Alberich Von
Hohenheim.
Forse era questo che un
malvagio come lui doveva provare quando si trovava di fronte ad un
giusto.
“Non so di cosa tu
stia
parlando.”
Guardava la sua bacchetta
come
se gliela volesse spezzare. Al ingoiò l’ansia che
si sentì strisciare addosso.
Una mossa falsa e la situazione avrebbe potuto precipitare e non era
certo che
a quel punto ne sarebbe uscito indenne.
“Lily è
venuta qui per te. Lo
sai? Immagino abbia trovato il modo di dirtelo nonostante la sua
punizione.” Esordì
con sicurezza. Insistere su sua sorella sembrava la giusta via. Era una
magra consolazione,
ma sembrava fosse davvero un punto debole per l’altro.
“Non so chi tu sia… non
so quale sia il tuo scopo qui.” Non replicò e Al
la considerò una vittoria
personale. E una consapevolezza piuttosto angosciante. “Ma
hai ragione ad avere
paura…” Neppure stavolta fu smentito.
“… perché se le succede qualcosa, sarai
il primo che verremo a cercare.”
E lo pensava veramente.
Qualcosa guizzò
di colpo negli
occhi del tedesco. “Non farei mai del male a Lily.”
Aveva persino ripreso
colore, a giudicare dalle guance chiazzate di rosso. Rabbia. Si era
arrabbiato
al pensiero che lo ritenessero capace di farle del male.
Inarcò le
sopracciglia.
“Davvero?” Doveva capire. Se era davvero il braccio
armato di Hohenheim, perché
si scaldava tanto?
Al
limite, Lily dovrebbe essere un mezzo per
raggiungere Tom.
Sören
sentì il sangue
confluire di nuovo dove doveva. Si sentì anche respirare con
più sicurezza. La
rabbia era buona, era sana. Inoltre su quello
non poteva mentire, perché su Lily aveva solo
certezze.
“Preferirei morire
piuttosto
che farle del male.”
La confusione negli occhi di Albus Potter era palese. Non era tenuto a
dargli
spiegazioni. Il giovane, temerario inglese avrebbe dovuto accontentarsi
della
sua parola.
A quel punto non
c’era altro
da aggiungere; Potter non poteva accusarlo apertamente.
“Credo sia opportuno
continuare entrambi per la propria strada.” Esordì
dopo un attimo di silenzio.
“Se non hai altro da dirmi.”
L’altro sembrò tornare l’adolescente che
avrebbe dovuto essere, perché arrossì
tra l’impotenza e lo sdegno. “No, ho detto
tutto.” Replicò intascando la
bacchetta. Doveva essere di famiglia, voler avere sempre
l’ultima parola. “Sta’
attento a quel crampo.”
Quei Potter erano
incredibili.
Nonostante la tensione prossima allo scontro, riusciva ad uscirsene con
una
frase premurosa. “Lo farò.”
Entrambi presero sentieri
diversi, ma a lungo Sören si sentì gli occhi
dell’inglese sulla schiena.
****
“Non so come
diavolo tu ci sia
riuscito, amico…”
Ron guardava con aperta apprensione le code serpentine strisciare di
fronte a
loro. Nel bel mezzo della boscaglia, con nessun punto di riferimento e
le
bacchette che al massimo potevano dare un nord incerto, era meglio non
perdere
le loro impensate guide.
“Dobbiamo
ringraziare Nora e i
suoi agganci. Il tipo dell’Ufficio Creature sembrava tutto
fuorché contento di
collaborare con noi.” Replicò sorridendo
all’americana, che fece un cenno
dismissivo.
“Io ho solo i
contatti giusti.
Sei stato tu a parlare con i Naga e loro ti hanno ascoltato.”
“Il capotribù si ricordava di me. A quanto pare,
essere l’unico mago di loro
conoscenza che parla il Serpentese ha aiutato.” Si strinse
nelle spalle di
fronte all’aria tra lo sconcertato e l’esilarato
della donna. Non avrebbe mai
creduto che parlare una lingua oscura avrebbe potuto essere una cosa
buona, un
giorno. Qualcosa per cui venir valutato positivamente, persino.
Mai
dire mai…
Ron scostò una
fronda con una
smorfia. “Siamo sicuri che abbiano sentito
qualcosa?”
“L’aura magica di un essere umano per loro
è come una sorta di segnale sonoro.”
Replicò. “O almeno così mi hanno
spiegato… dicono che ci sentono. Siamo molto
rumorosi, pare.”
“Ma non si confonderanno con le nostre?” Avevano
lasciato a Dimapur Dhansiri e
la sua squadra, ma erano comunque tre maghi piuttosto potenti. Harry ci
rifletté su.
“Glielo chiedo.”
“Sì, okay… ma non farli venire troppo
vicino.” Borbottò l’amico e anche Nora
sembrò di simile opinione.
Harry sospirò, ma
annuì con un
cenno della testa e raggiunse i tre guerrieri che Lootra, il
capotribù, aveva
dato loro per la ricerca.
“Sahmi?”
Chiamò quello che
sembrava il capo. Era il più grosso e dall’aria
più feroce. Harry tentò di
ricordarsi che secondo la rigida etica guerriera un amico del
capotribù era
intoccabile anche per il più assetato dei giovani Naga e
dunque erano tutti e
tre relativamente al sicuro.
La creatura si
voltò verso di
lui, forse con un’aria interrogativa. Difficile dirlo tra le
zanne notevoli e
gli occhi da rettile, color del sangue.
“Siete
sicuri che le nostre auree magiche non vi diano problemi?”
Si
risolse a non girarci troppo attorno. Non era certo che il suo
Serpentese fosse
ottimo come la sua lingua madre.
“Sì.”
Disse semplicemente il guerriero. “Dì
ai tuoi compagni di non rimanere indietro.”
Aggiunse, lanciando
un’occhiata dietro di loro. “Non
possiamo
perdere tempo a cercare altri umani. Tra poco sarà buio. Ci
sono creature qui,
che neppure noi possiamo affrontare con così pochi guerrieri.”
Harry annuì.
“Non
preoccuparti, non perderemo il passo.” Ad un cenno di
commiato tornò pochi
passi indietro. Sia Nora che Ron, nonostante il caldo fiaccante, erano
stati
addestrati a sostenere ritmi di marcia piuttosto sostenuti e se la
stavano
cavando bene.
“Che ha
detto?” Chiese Ron,
deglutendo nel vedere altro oltre alla coda serpentina, per la
precisione
lancia e cresta retrattile.
“Che non ci sono
problemi.”
Riassunse. “Forza, se cala il buio non saremo più
capaci di trovarlo.”
“Con il vero Sören avremo la prova schiacciante del
complotto di Von Hohenheim
e potremo finalmente spiccare un mandato di cattura internazionale per
il falso
Luzhin. Quei grigi burocrati non potranno alzare una sola
protesta…” Osservò
Nora dopo una manciata di minuti di marcia silenziosa. Gli occhi grigi
erano
acciaio. “Potremo andare a prenderlo di persona.”
“Non vedo l’ora.” Sorrise ferocemente
Harry. Quei due anni erano stati un
incubo per i suoi figli. Era qualcosa che gli faceva bruciare
l’anima persino
peggio che durante la sua adolescenza.
Si
tratta dei miei ragazzi.
Appena messe le mani
sull’impostore,
gli avrebbe fatto sputare ogni singolo piano di quel mostro del padre
naturale
di Thomas. L’avrebbero così trovato e ficcato nel
buco più profondo del pianeta
e lì rinchiuso. Per sempre.
Il cerchio si stava
chiudendo
e non c’era nulla che Von Hohenheim potesse fare.
Dobbiamo
trovare il ragazzo… Il cerchio si chiude, se
lo troviamo.
Un sibilo attirò
la sua
attenzione. Apparteneva al giovane Naga a cui si era rivolto prima. Si
andarono
incontro.
“I miei guerrieri hanno trovato
qualcosa
oltre il ruscello.” Si sentiva infatti rumore
d’acqua. “Seguiteci.”
Harry tradusse per i suoi. Quando arrivarono sul posto vide le altre
due
creature vicino ad una pozza d’acqua. Vicino c’era
quello che sembrava uno
straccio. Lo fece levitare fino alla sua altezza per poterlo guardare
al
meglio.
Non era uno straccio, ma un
pezzo di camicia strappato con un recido
netto. Ed era insanguinato.
“Deve essersi
fermato per
tamponare la ferita e curarla.” Disse Nora osservando la
pezzuola. “Il sangue è
ancora fresco. Non è riuscito a
chiuderla…” Si morse il labbro. “Ferita
da
maledizione.”
“C’è
odore di sangue.” Si inserì Sahmi.
“Molto. Chi cercate è qui
vicino. Volete che andiamo a vedere?” Si
offrì.
Harry gli sorrise, ma scosse la testa. “No,
avete già fatto troppo, Sahmi, ti ringrazio. Da qui ci
pensiamo noi.
Aspettateci qui.” Per quanto l’offerta
fosse stata generosa, l’ultima cosa
di cui un ragazzo ferito e che si sentiva braccato aveva bisogno, era
vedere
tre enormi serpenti dalle forme antropomorfe.
“Meglio che se ne
stiano
nascosti…” Borbottò Ron a bassa voce,
come se avesse capito il loro scambio di
battute. Era intuitivo, il suo buon amico. “Che facciamo, ci
dividiamo?”
“Sì, e tenete la bacchette poco in vista, ma alla
mano. Potrebbe scambiarci per
i sicari, vediamo di evitare che
ci
attacchi.”
Quando si furono divisi,
Harry
avanzò per un centinaio di metri.
“Sören!” Chiamò in inglese,
sperando che il
ragazzo fosse abbastanza lucido per riconoscere una lingua straniera.
“Mi
chiamo Harry.” Riflettè, poi aggiunse.
“Sono Harry Potter, capo dell’Ufficio
Auror di Londra. Siamo qui per aiutarti!”
Non vi fu alcuna risposta. Pochi attimi dopo però
sentì una morsa alla nuca;
istinto di una vita quello di sentire quando qualcuno gli puntava la
bacchetta
al collo.
Alzò le braccia
in segno di
resa, gesto di resa che li accumunava ai babbani.
“Sta’ calmo… sono un amico,
non sono qui per farti del male.” Disse staccando con cura
ogni parola, per
fargliela recepire. “Adesso mi sto voltando.”
“Lentamente.”
Disse una voce
giovane, sfinita ma abbastanza salda per fargli intuire che il suo
proprietario
avrebbe potuto difendersi in caso di scherzi.
Si voltò, e si
trovò di fronte
il ragazzo; lacero da capo a piedi, i vestiti di buona fattura erano
ridotti a
brandelli sporchi. Aveva una larga ferita sulla coscia, bendata in modo
ineccepibile, ma sanguinante. Nora aveva ragione, doveva averlo colpito
una
maledizione.
Era comunque il figlio dei
Luzhin. La bocca del padre, i capelli e gli occhi della madre. Gli
stessi occhi
che lo riconobbero di colpo anche oltre la febbre e il terrore.
A
volte è una fortuna avere una faccia che è sulle
copertine dei libri e quotidiani di tutto il mondo.
“Harry
Potter…” Sussurrò
abbassando immediatamente la bacchetta.
“Cosa…?”
Harry sorrise, tra la pena e la feroce gioia. “Ciao
Sören. Sta’ tranquillo, è
tutto finito.”
****
Norvegia,
Durmstrang.
Dopocena.
“Tu hai fatto cosa?”
Al non vide l’espressione di Thomas precedente alla frase,
dato che si stava
strofinando l’asciugamano sui capelli, reduce da una
piacevole doccia bollente.
Ma percepì il tono e non poté frenare un sorriso.
“Sono andato a
parlare con
Luzhin.” Ripeté diligentemente. “E
l’ho minacciato.”
Sentì Tom alzarsi
dalla
poltrona di colpo per poi strappargli via l’asciugamano dalla
testa. Lo stava
guardando come se avesse una gigantesca ferita mortale e sanguinante.
Esagerato.
Non distolse lo sguardo,
sostenendolo con la sua migliore espressione neutra. “Non
è successo niente…
anzi, mi sa che l’ho spaventato.”
Tom sembrava indeciso se strapparsi i capelli o strapparli a lui.
“Ti rendi
conto che hai minacciato un sicario
di mio padre?” Sillabò lentamente, quasi avesse a
che fare con un ritardato.
Beh,
messa così in effetti non ci faccio una bella
figura.
“Ti rendi conto
che se avesse
alzato la bacchetta contro di me, che mi trovavo nella foresta durante
il suo orario
d’allenamento, i sospetti
sarebbero immediatamente ricaduti su di lui?” Gli fece notare
di rimando,
avvicinandosi al fuoco e al suo piacevole tepore. Aveva solo i
pantaloni
addosso, ne aveva bisogno.
L’altro quasi
avesse
indovinato i suoi pensieri gli fece arrivare con un colpo di bacchetta
una
delle sue magliette. In faccia, ma se lo aspettava, quindi la
indossò senza un
lamento.
Tom non disse niente per un
po’ anche se, aguzzando bene l’orecchio, si
potevano sentire gli ingranaggi del
suo cervello lavorare a pieno regime.
“Lo avevi pianificato.” Disse infine.
“Perché non mi hai avvertito?”
“Perché
avresti insistito per
andarci al posto mio, e non mi sembrava un’idea brillante
lasciarti solo con un
tipo che potrebbe rapirti.” Osservò sedendosi
sulla poltrona precedentemente
occupata e versandosi una tazza di the fumante che l’altro
serpeverde si era
fatto portare dalle cucine – o direttamente dal povero
Radescu.
“Avrebbe potuto
rapire te!” Fu il ringhio
conseguente. “Sei completamente
fuori di testa?”
Al non ribatté;
comprendeva la
rabbia, e in realtà era così tranquillo
perché al momento si trovava in
compagnia e in camera, al sicuro.
Non
è stata una passeggiata dirgli quelle cose. Salazar,
mi tremavano le gambe!
Sospirò.
“Siediti.” Lo invitò
con tutta la gentilezza di cui era capace. “Per
favore…” Soggiunse notando la
sua aria riottosa. “Non vuoi sapere cosa ci siamo
detti?”
Lo voleva, glielo leggeva nella curiosità che gli divorava
lo sguardo.
Tentennò, ma infine si sedette, per quanto fosse rigido come
un pezzo di legno;
non gli serviva toccarlo per saperlo.
Sembra
essersi seduto su un manico di scopa. Ma al
contrario.
“Parla.”
Gli intimò. “E non
nascondermi niente. Non azzardarti .”
“Lo so.” Sorrise appena, bevendo un sorso di the.
Era ben fatto, all’inglese.
Niente limone, niente latte. Non era come essere a casa, ma era
comunque una
consolazione sapere che i norvegesi erano in grado di preparare il the
delle
cinque. “È stato un impulso in
realtà… Ci ho pensato stamattina a
lezione.”
“Gli impulsi dovrebbero essere inibiti alla nascita, a voi
Potter.”
“Ma se adori
quando gioco d’astuzia!”
Lo prese in giro, ma con cautela vedendolo rabbuiarsi. “Tom,
era un rischio
calcolato. Pensi davvero che dopo quel che è successo
l’anno scorso…”
“L’anno scorso sei caduto in una trappola come un
tassorosso del Primo.” Gli
fece notare monocorde, ma con una punta di compiacimento che
giudicò davvero
malvagia.
Visto
che è stato per colpa tua.
“Non
ero lucido.” Rimbeccò arrossendo.
“Stavolta lo ero, ed infatti…”
“Non è successo niente, me l’hai
già detto.” Lo interruppe con un gesto
infastidito della mano. “Va’ avanti.”
Albus raccontò
per filo e per
segno l’incontro avuto con Luzhin. Si soffermò
particolarmente sulle sensazioni
che aveva avuto, su come il tedesco avesse reagito alle sue
provocazioni. Alla
fine Tom, più calmo, prese la scacchiera da viaggio
– babbana, regalo del suoi
genitori – e dispose le pedine per la loro solita partita
serale. Anche Al le
preferiva a quelle magiche.
Se
non altro, non ti urlano contro.
Presero a giocare in
silenzio,
e Tom si prese lo spazio di un’intera mossa verso uno dei
suoi alfieri prima di
parlare. “Continua a comportarsi come se fosse
innocente… peccato che sia tutto
fuorché quello.” Considerò con
sarcasmo. “Anche stavolta ha montato la commedia
dell’amico affezionato.”
“Credo invece che quella parte sia vera.”
Obbiettò meditabondo, cercando di trarre
in salvo il povero pezzo, minacciato dal cavallo dell’altro.
“Credo anche
un’altra cosa… anche se è un
po’ un’ipotesi buttata lì e mi darai
dell’ingenuo.”
Tom si rilassò contro lo schienale, concedendogli un mezzo
sorriso. E
mangiandogli il povero alfiere. “Quello sempre.
Sentiamo.”
Al, giusto per sottolineare
che non lo era, gli tirò un calcio sulla caviglia, dato che
con quelle dannate
gambe da fenicottero si era impossessato di metà tappeto,
compresa la sua parte. E si prese
un pedone nero. Se
la girò tra le dita con attenzione. “Penso che
Luzhin sia come un alfiere.” Disse
poi; giocare gli aveva fatto venire in mente la definizione calzante
che
cercava da quel pomeriggio. “Non una torre.”
Tom aggrottò le
sopracciglia.
“Che diavolo significa?”
“Beh…” Esitò, non sapendo
bene come spiegarsi. Si mordicchiò un labbro, eseguendo
un arrocco per difendere il suo re, considerando che Tom tentava
sempre, nei
primi minuti di gioco, di sfondare la linea. “Un alfiere non
ha la possibilità
di controllare tante caselle, no? Rispetto ad una torre, la
metà o quasi. Ha
delle limitazioni molto forti nel gioco.”
“È un pezzo leggero, sì. Vale e si
muove meno della torre o della regina.” Convenne
un po’ seccato dalla moltitudine di metafore. Non era tipo da
seguirle
facilmente. “Grazie per la lezione di scacchi.
Quindi?”
“Quello che ti ho detto.” Insistette.
“Inoltre ho come l’impressione che gli
stiano dando ordini che non gli piacciono, che lo mettono a disagio e
che forse
non capisce.” Arrivò ad azzardare. Era nel mondo
delle congetture, se ne
rendeva conto.
Tom inarcò le
sopracciglia.
“Come può non capirli? Non mi è
sembrato un mentecatto…” C’era una punta
di derisione,
e Al la ignorò perché altrimenti avrebbe dovuto
rovesciargli la teiera vuota in
testa.
“Dico solo che,
dal punto di
vista delle pedine, le cose non sono mai chiare.”
Ribatté paziente. “Anche nel
mondo reale spesso non sai per quale motivo ti ordinano di fare
qualcosa.
Guarda i soldati. Intendiamoci, io e te siamo abituati ad avere adulti
che hanno
in mano le leve del potere, che sanno o possono sapere tutto.”
Tentò di spiegare e fu felice di vedere che Tom aveva
smesso di fissarlo con sufficienza. “Siamo abituati al fatto
che ci spieghino perché
dobbiamo fare qualcosa, sia a
scuola che a casa. Ma non va sempre così.”
“Ho capito.” Replicò con una ruga di
concentrazione che gli solcava le
sopracciglia. “Ma questo non cambierebbe la sua
pericolosità o le sue colpe.”
“Sì, vero.” Convenne osservando la
triste fine del suo ennesimo pedone. “Però
mi è venuta in mente un’altra cosa.”
Tom fece un mezzo sorriso,
in
cui Al scorse sincero compiacimento; gli piaceva quando gli dimostrava,
a detta
sua, di essere all’altezza. Si sporse infatti verso di lui,
visto che le loro
sedie erano voltate l’una verso l’altra per la
partita e gli accarezzò il
profilo del viso con un dito.
“Una vera fucina
di idee,
Potter.”
Al tentò di non arrossire come un idiota. Non doveva farsi
distrarre da un
seducente cretino che adorava avere sempre il controllo e che per
giunta gli
stava vincendo la partita. Gli afferrò il polso e
bloccò la discesa della mano
verso il collo. “Penso che Luzhin sia uno specchietto per le
allodole.”
Tom batté le
palpebre, quasi
non avesse capito. “… Stai dicendo che il vero
colpevole non è lui?”
“Non dico che non abbia portato i Dissennatori ad Hogwarts.
Dico che non è lui
che tuo padre ha scelto per fare la sua mossa finale.” Prese
coraggio e
aggiunse. “Non sa bluffare, sta andando in pezzi, e tuo padre
è tutto fuorché
uno sprovveduto. Non poteva non calcolare che non avrebbe retto la
pressione
delle indagini, delle domande. Ha calcolato te,
e non ti conosceva. Non può far affidamento su una persona
così, secondo me. ”
Tom si liberò
dalla sua presa,
alzandosi in piedi e accostandosi al camino. Le fiamme gli danzavano
sui
lineamenti, dando ai suoi occhi una sfumatura scura, quasi nera.
“Potrei
sbagliarmi.” Mormorò
vedendo la linea della mascella dell’altro tendersi, quasi
sul punto di spezzarsi;
non aveva potuto tenersi quei pensieri per sé, ma sapeva che
ne sarebbe
conseguito un prezzo notevole. “Insomma, è solo
un’idea…”
“No.”
Mormorò Tom piano.
“Credo tu abbia ragione. Luzhin non si comporta come Doe.
Luzhin non sembra
sapere quello che fa.” Fece una smorfia ironica.
“È un alfiere che si comporta
da torre non potendolo fare. Definizione perfetta, Signor
Potter.”
Al si alzò,
avvicinandoglisi.
Gli premette il braccio contro il suo, in un muto gesto di conforto.
Non c’era
molto altro che potesse fare.
“La domanda
è una sola… Se
Luzhin è l’alfiere.” Disse Tom,
osservando il fuoco come se da esso potesse
spuntare una risposta risolutoria. “Chi è la
torre?”
****
Lily quasi sentì
bollire la
moneta sotto la federa del cuscino. Vi aveva chiuso sopra il pugno e lo
tolse
velocemente per non bruciarsi. Inspirò.
È
il momento.
Lanciò
un’occhiata alle
compagne. Era ormai notte fonda, e le altre dormivano senza soluzione
di
continuità. Si alzò a sedere, si vestì
e si avvolse il mantello attorno alle
spalle, il tutto il più silenziosamente possibile. Per
sicurezza lanciò
un’occhiata al letto di Rose; la cugina era seppellita dentro
le coperte,
freddolosa com’era e respirava regolarmente nei ritmi del
sonno.
Ottimo.
Calzò le
pantofole per non
fare rumore e scivolò fuori dal dormitorio reggendo la
bacchetta illuminata dal
più tenue lumos che era
riuscita a produrre.
Non c’era tempo per pensare o riflettere su quel che stava
facendo. Doveva solo
andare.
Arrivare al refettorio non
fu
difficile. Aveva fatto quella strada almeno tre volte al giorno in
quelle
settimane. Il grosso stanzone era al buio e le sedie erano state
rovesciate sui
tavoli per pulire il pavimento dopo la cena, mentre le molte finestre
riflettevano un temporale in corso, con tanto di lampi che illuminavano
a
tratti i muri di pietra.
Deglutì,
stringendosi il
mantello addosso. Non era così freddo durante il giorno e
soprattutto, non era
così dannatamente inquietante.
“Fraülein.”
La voce di Poliakoff le fece fare un salto e quasi le
scappò la bacchetta di mano. “Calma, sono
io.” Sogghignò alla luce di una
lanterna.
Lanterna?
“È
meglio se spegne bacchetta. Qui
rilevano anche piccoli incantesimi.” Le consigliò
toccandone la punta con le
dita. Lily ritrasse il braccio e la spense.
“Ren
dov’è?”
Il russo scrollò
le spalle.
“Non qui. Dobbiamo andare in altra parte di castello. Tu
segue.”
Lily inspirò. Se solo avesse potuto scoprire se le stesse
dicendo la verità! Si
toccò l’orecchino, ma non fece in tempo a sfilarlo
che l’altro si voltò di
nuovo verso di lei. “Presto, sì?”
Si morse il labbro, ma annuì; l’ultima cosa che
voleva era rivelargli che era
una LeNa. Avrebbe dovuto aspettare il momento adatto.
Che non ci fu,
perché
Poliakoff non gli tolse gli occhi di dosso neppure per un momento. Si
affiancò
a lei per farle luce con la lanterna e non le lasciò neppure
un cono d’ombra in
cui avrebbe potuto sfilarsi l’orecchino.
Dannazione,
avrei dovuto farlo prima!
Scesero
e salirono rampe di scale,
ripide, a chiocciola, semplicemente intagliate nella pietra. Lily ad un
certo
punto perse semplicemente il senso dell’orientamento.
“Dove stiamo andando?”
Chiese per l’ennesima volta.
Il volto porcino del ragazzo
si voltò verso di lei, e sorrise di nuovo. Non
l’aveva mai visto sorridere
tanto; non sapeva però se fosse una cosa buona.
“Siamo quasi arrivati, fraülein.
Pazienza.”
Arrivarono di fronte ad una
porticina, simile ad almeno altre dieci in quel corridoio. Il russo
prese un
mazzo di chiavi dalla cintura e ne inserì una nel grosso
chiavistello di ferro.
La fece girare un paio di volte nella toppa, poi estrasse la bacchetta
e fece alcuni
movimenti piuttosto complicati. La porta si aprì silenziosa
come fosse fatta
d’aria e non di legno e cardini arrugginiti.
“Vieni.”
“Non ci penso neanche!” Esclamò. Non
sarebbe entrata in una dannata stanza buia
con un tipo che le metteva i brividi. Non era così
imbecille.
Il russo sospirò,
aprendo del
tutto la porta. Posò la lanterna su un sostegno accanto al
muro e le indicò un
tenue lucore distante da loro la lunghezza dell’intera
stanza. “Sören.” Disse
semplicemente.
Ren!
Era
la luce di una lanterna quella,
non c’era ombra di dubbio. Lily si staccò dal
fianco dell’altro per entrare
nella stanza e dirigersi verso l’amico, ripassandosi a mente
il discorso che
avrebbe dovuto fargli. Avvicinandosi sempre di più
notò però che la sagoma che
scorgeva assieme alla fiamma danzante era … strana. Sembrava
sfumata, come
quella di…
Si trovò di
fronte ad uno
specchio, enorme e alto una decina di piedi. Uno specchio che
rifletteva la
lanterna di Poliakoff.
Cosa…
Si voltò e fece
appena in
tempo a sentire uno strappo violento alla mano. La bacchetta
volò in mano al
ragazzo, che nella penombra dell’unica finestra era a
malapena riconoscibile.
“Ridammela!”
Esclamò
sentendosi subito stupida, mentre la paura le ghiacciava le vene.
Era
una trappola, che idiota, idiota, idiota! Era una
trappola!
Il russo
ridacchiò, ma non
fece in tempo ad aprire bocca per risponderle che una seconda luce
illuminò
violentemente la stanza. “Butta via la bacchetta!”
Era una voce femminili, e
per Lily estremamente familiare. “Allontanati da lei e butta
la bacchetta a
terra, subito!”
Rosie!
La
cugina aveva finto di dormire come
mai l’avrebbe ritenuta capace di fare e l’aveva
seguita. Per un momento Lily
ringraziò ferocemente la malafede di Rose e
sperò. Sperò prima di rendersi
conto che qualcosa
non andava nel
ragazzo di fronte a loro. Quando l’aveva avuto accanto non
gli era sembrato
così alto, né tantomeno … biondo?
Rose sgranò gli
occhi, notando
probabilmente la stessa cosa. “Il ragazzo
biondo…” Sussurrò quasi le mancasse
di colpo la voce.
Chi
è il ragazzo biondo?! Che sta succedendo?!
Poliakoff non era
più
Poliakoff. Davanti a loro stava un mago di una ventina
d’anni, dai lineamenti
tutto fuorché slavi.
“Grazie per averlo
notato, tesorino.”
Sorrise in un perfetto, impeccabile inglese venato solo da un leggero
accento secco.
Lo stesso di Sören. “Non ne potevo più di
impersonare quel sacco di lardo. Una
vera seccatura portarmi addosso tutti quei chili, se chiedete a
me.”
“Rosie…” Sussurrò piano. La
cugina le restituì un’occhiata e Lily vi lesse non
vi lesse che sconcerto e paura. “… Rosie, che sta
succedendo?”
Il ragazzo si voltò con un movimento elegante.
L’uniforme gli stava corta, sui
polsi e le caviglie ma nonostante questo non era ridicolo, faceva paura
e basta.
“Oh, principessa. Succede che adesso io e te andiamo in un
posto.”
“No!”
Esclamò Rose facendo un passo avanti, anche se Lily poteva
vedere come le tremasse la bacchetta. Leale e coraggiosa Rose, non
l’avrebbe
abbandonata neanche di fronte al Molliccio più terrificante.
L’altro
inarcò le sopracciglia
con aria confusa. “No?”
“Eri morto! Devi
essere morto!
Tom aveva detto…”
“Ah, il signorino Hohenheim!” Fece una breve
risata. Sembrava divertirsi un
mondo a vederle terrorizzate. Aveva un’espressione giovanile,
allegra, ma
distorta da qualcosa di profondamente cattivo,
Lily poteva sentirlo anche con l’orecchino.“Quando
ci si crede maledettamente
in gamba … è un difetto di famiglia, beninteso,
non è del tutto colpa sua.”
Scrollò le spalle. “Ma basta parlare, ora di
sbrigarci. Fa’ la nanna ragazzina.
” Puntò la bacchetta sulla cugina che non
riuscì neppure a levare la sua; un
lampo bianco e Lily la vide sbattuta contro il muro come un pupazzo di
stracci.
“Rose!”
Urlò con quanto fiato aveva in gola, prima che la mano
callosa del ragazzo le tappasse la bocca. Aveva occhi azzurri che
sembravano
biglie di vetro. Il sorriso non si estendeva manco per sbaglio ad essi
e Lily
capì perché non aveva potuto leggere le sue
intenzioni; non era un ragazzo
pieno di sé, non era uno qualunque.
Era John Doe, il mago che
aveva rapito Thomas. Il mago che adesso voleva rapire lei.
“Niente chiasso,
principessina.” Ghignò questo, intascando la
bacchetta con un movimento fluido.
“Disturbi il sonno della tua amichetta.”
Tentò di
divincolarsi, ma il
biondo rise, prima di spingerla brutalmente contro lo specchio. Lily
gridò,
aspettandosi schegge acuminate e fragore di vetro rotto.
Urlò ancora di
più quando lo
attraversò come fosse fatto d’aria.
****
Note:
Non ve lo aspettavate eh?
Dai, parliamone. Possibile che un tipo come Doe fosse davvero
morto in mezzo al mare come un tirapiedi qualunque? Ve
l’ho
nominato un po’ troppo spesso perché fosse
stramorto, no?
…
Sì, merito una
scarica di
legnate. Ma abbiate fiducia!
(Saprete anche che fine ha fatto Kirill, giuro.)
La canzone è
questa
. L’album che la contiene mi ha ispirato
tantissimo. Quindi
prendetevela con i Poets of The Fall, ecco! XD
1.Dehli. Una
delle città più antiche del mondo, che conta 13
milioni di abitanti. È un
agglomerato urbano, ma si sviluppa in tempi antichissimi. Probabile che
al più
nutrita comunità di maghi, in India, si trovi qui,
così come il loro Ministero.
Per il titolo del capitolo:
è
persiano per scacco matto, o letteralmente “il re
è indifeso”.
Per tutto il pezzo
scacchistico, rimando alla voce
su Wikipedia. Gioco, ma in modo totalmente casuale e da principiante,
ci tengo
a sottolinearlo. Però mi ero ripromessa di infilarceli e
…that’s it. Se
mi legge qualche scacchista … che mi perdoni.
|
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Capitolo 57 *** Capitolo LIV ***
Capitolo LIV
Cos'è un ribelle? Un uomo
che dice no.
(Un uomo in rivolta, Albert
Camus)
21
Gennaio
Norvegia,
Durmstrang.
Cinque
del mattino.
Un braccio gli
artigliò la
spalla strappandolo dalle maglie profonde del sonno.
Sören si
alzò di scatto, cercando
la bacchetta sotto il cuscino non potendo utilizzare il braccio. Troppo
rischioso, gli ricordò la sua mente, mentre il resto del
corpo urlava
oltraggiato dal risveglio repentino.
“Sören,
sono io!” Esclamò una
voce che sul momento non riconobbe. Registrò la cadenza
slava e la mancanza di
pause dovute ad un respiro affrettato. Non era Kirill, quindi chi?
Non appena gli occhi si
furono
abituati alla luce della torcia tenuta in mano dall’altro,
riconobbe la testa
rasata e gli occhi scuri ed espressivi di Dionis Radescu.
“Radescu?”
Mormorò passandosi
la mano sulla barba notturna. “… Che ci fai
qui?”
“C’è
un problema.” Andò subito
al punto; era vestito e dotato di mantello per uscire
nell’inclemente tempo
mattutino e sembrava piuttosto teso.
Questo lo svegliò
di colpo. Si
liberò delle coperte ed indossò la vestaglia,
ignorando i morsi del freddo; mantenere
un incantesimo riscaldante durante il sonno non era mai una buona idea,
se non
si voleva bollire vivi. L’altra faccia della medaglia era
svegliarsi in una stanza
gelida. “Quale?”
“Dobbiamo essere
io e
Poliakoff ad issare la bandiera sulla torre principale
stamattina.” Esordì un
po’ sgrammaticato, comprensibile considerata l’ora
e la fretta con cui parlava.
“Noi élite lo facciamo a turno ogni
giorno.” Aggiunse. “Sono andato a chiamarlo
dieci minuti fa. Ho bussato, ma non mi ha risposto.”
Sören
sospirò. “È probabile
che non ti abbia sentito. Ho avuto modo di notare che ha il sonno molto
pesante.”
Accese la lanterna da tavolo che rischiarava la stanza quando il fuoco
era
spento. Detestava parlare quando una fiamma come quella che reggeva il
rumeno
gettava ombre cupe nella stanza. “Apri la porta e sveglialo.
Sei il custode
delle chiavi… come sei entrato qui, puoi entrare da
lui.”
Sapeva di esser stato
scortese,
ma riuscire a mettere insieme qualche ora di sonno diventava ogni notte
una
conquista. Guardò l’orologio appeso al muro;
segnava le cinque scarse del
mattino.
Due
ore. Ho dormito meno di due ore. Nessuna conquista
oggi.
Radescu inspirò.
“Lo so, è
solo che… ho una brutta sensazione.” Sembrava
indeciso se continuare a parlare,
ma dopo avergli lanciato un’occhiata, continuò.
“Conosco Kiriev da sette
anni e anche se è pigro, non tralascerebbe mai un
compito come questo solo per dormire. C’è una
punizione dura per chi
trasgredisce, e…”
“Aspettami fuori.” Lo interruppe. Era quello che
l’altro voleva sentirsi dire,
evidentemente, dall’aria sollevata che gli mostrò.
Era quasi ironico che gli si
affidasse quando era proprio lui che aveva portato i guai
all’interno dell’Istituto.
E
poi… ha più remore ad entrare nella stanza di
Kirill
che nella mia?
Aveva
dell’assurdo. Praticò le
abluzioni mattutine piuttosto velocemente e dopo aver indossato
l’uniforme praticamente
al buio – la luce della lanterna bastava soltanto a non farlo
inciampare – lo
raggiunse.
La stanza di Poliakoff non
era
molto distante dalla sua; la chiudeva una porta uguale. Radescu, per
mostrargli
forse che non aveva mentito, bussò un paio di volte
chiamando sottovoce il nome
del compagno. Non vi fu risposta.
“Va bene, ho
capito. Apri.”
Gli ordinò secco. Una lieve inquietudine gli si era
parimenti insinuata
sottopelle. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, prendendo una
delle
chiavi dal mazzo e dando un vigoroso giro di chiavistello.
“Vado avanti io.”
L’ultima cosa che voleva era che Radescu fosse attaccato da
qualcosa, Poliakoff
appena svegliato in testa.
O
altro…
Deglutì, ma si
rifiutò di
lasciare spazio all’immaginazione; probabilmente il russo
doveva aver ecceduto
nella dose serale di vodka incendiaria che si concedeva ed era
precipitato in
un profondo sonno alcolico. Non era la prima volta che succedeva, dunque doveva essere quello.
Entrato si fermò
subito; la
stanza era piccola quanto la sua, anche se disordinata e piena di
ciarpame
inutile. Il letto, per quanto non rifatto, non conteneva nessuno.
Toccò le
lenzuola con una mano e le sentì fredde; Poliakoff non vi
aveva dormito quella
notte.
Dove
diavolo è a quest’ora?
“Sören?”
Si sentì chiamare dal
ciglio della porta. Radescu entrò guardandosi attorno.
“Non c’è nessuno.”
Considerò, prima di arrossire alla sua occhiata irritata
dalla constatazione
superflua. “Perdonami. È che non me lo
aspettavo.”
“Già, neanch’io.” Dovette
ammettere, mentre gli prendeva la fiaccola di mano per
far luce nella stanza; accendere il fuoco del caminetto avrebbe preso
troppo
tempo e Sören voleva cercare di tornare a letto per recuperare
qualche ora di
sonno prima della colazione.
Non
ci riuscirò, ma devo almeno provare.
“Forse
è in bagno?” Tentò
questo, avvicinandosi alla scrivania oberata di pergamene e libri
trattati con
la presunzione di chi li vedeva solo come mezzi. Sören ebbe un
fremito di
indignazione quando vide che alcuni esibivano una grossa chiazza
circolare,
come se vi fosse stata appoggiata sopra una tazza sporca.
“No, il letto
è freddo. Non ha
dormito qui stanotte.” Rispose sentendo l’ansia
crescere come un morbo vorace.
Kirill era il suo assistente, ma anche persona informata dei fatti,
complice. E
apparentemente, il nuovo protetto di Von Hohenheim.
Dov’è?
Cos’è andato a fare per conto di mio zio?
Radescu allargò
le narici.
“Non senti uno strano odore?” Fece una smorfia.
“Come di qualcosa andato a
male?”
Sören annuì. “Con tutti gli spuntini che
fa, non mi stupirei se ne dimenticasse
qualcuno a marci…” Si bloccò,
focalizzandolo per la prima volta. Quando
realizzò cos’era, un conato gli strinse le
viscere.
“Qualcosa
è morto, qua
dentro.” Mormorò piano, mentre l’altro
lo guardava sconcertato. “È odore di
decomposizione.”
Aggiunse; non era la prima volta che sentiva quell’odore
dolciastro, disgustoso.
Come adepto della Thule, non era la prima volta che incontrava la morte
sul suo
cammino.
Il rumeno se sembrò spaventato, lo diede poco a vedere.
Strinse la mascella e
fece una nuova panoramica della stanza. “Viene
da…”
“Dall’armadio.” Lo precedette. Era
utilizzato per gli effetti personali che non
potevano rimanere nel baule, come vestiti o uniformi, ed alto quasi
quanto una
persona, ma poco profondo.
Non
dovrebbe essere possibile nasconderci un corpo.
Solo pensarlo gli fece
venire
il cuore in gola. Non sarebbe stato possibile nel mondo babbano forse,
ma la
magia era in grado di piegare il tempo e sopratutto lo spazio.
“Fermo.”
Apostrofò il rumeno
che si era immediatamente diretto verso il mobile per aprirlo.
“Faccio io, tu
fammi luce.”
Il ragazzo fu lesto ad obbedirgli, dimostrando che non aveva tutta
questa
voglia di essere colui che avrebbe confermato i loro timori.
Sören poteva
capirlo; era coraggioso, non certo un vile, ma era pur sempre un
ragazzo con
esperienze minime di vita reale.
Non
ci tengo ad essere io a dargliene.
Aprì uno degli
sportelli e
dovette fare un repentino passo indietro, mentre la realizzazione lo
investiva
con orrore; qualcosa cadde dall’armadio, troppo grossa per
essere contenuta a
meno di un incantesimo di Estensione Irriconoscibile. Qualcosa che
aveva la
forma e il peso di un essere umano.
Qualcuno che
era il cadavere di Kirill Poliakoff.
Sentì Radescu
accanto a lui
esplodere in un’esclamazione soffocata nella sua lingua
madre. Non urlò, né
tentò di scappare con la torcia e di questo gliene fu
profondamente grato. “È…”
Sussurrò piano, tentando di padroneggiar il tedesco anche
nel pieno dello
shock. “… È morto.”
Attestò lentamente.
Quello che un tempo era
stato
un arrogante e vitale giovane mago adesso sembrava un grosso sacco di
patate o
un orribile bambola a grandezza naturale.
Sören
sentì l’impellente
desiderio di vomitare e scappare il più possibile lontano da
lì. Il suo braccio
destro era morto e lui non aveva idea del perché, anche se
sapeva per colpa di chi.
Zio.
L’ha ucciso lui.
“Fammi
luce.” Ripeté dopo un
tempo che gli parve infinito. Erano rimasti a fissarlo inebetiti come
due
mocciosi che negavano l’evidenza.
Se
per Radescu è comprensibile… Vergogna,
Sören. Sei
davvero un debole.
L’allievo gli
obbedì
immediatamente; alla luce del fuoco Sören si chinò
sul corpo riverso del russo
e lo voltò per una spalla.
Quello che vide ebbe quasi
il
potere di far cedere Radescu, a giudicare da come la luce della torcia
tremò
violentemente. Il volto di Kirill era una maschera di sofferenza, con i
lineamenti stravolti alla disperata ricerca di salvezza. E aria.
Aveva già visto
quell’espressione addosso ad un cadavere. La ricordava con la
precisione
orribile di un incubo.
È
morto soffocato.
Solo una persona al mondo
poteva far assumere un’espressione simile alle proprie
vittime.
Non
è possibile. È morto, morto smembrato da una
Passaporta rotta. Dursley è sopravvissuto, ma lui
è morto. Zio mi aveva detto
che era morto.
…
Come se non fosse la prima volta che Hohenheim ti
mente.
Deglutì
sentendosi la gola di
carta vetrata. Se Johannes era ancora vivo, l’omicidio del
suo assistente
acquistava improvvisamente senso.
Ha
preso il suo posto.
E l’unico modo per farlo in modo veloce, indolore, senza
organizzare un’onerosa
sparizione del vero Poliakoff… era ucciderlo e occultarne il
cadavere.
A giudicare dal rigor mortis e dal fetore di
decomposizione che un incantesimo mascherativo non era del tutto
riuscito a coprire,
il corpo doveva essere lì da molti giorni, se non una
settimana.
Ha
preso il suo posto e neppure me ne sono accorto…
“… Che
sta succedendo?” La
voce di Radescu lo riportò bruscamente alla
realtà. Sören si alzò in piedi,
coprendo il corpo con il lenzuolo preso dal letto. Lanciò
un’occhiata all’
improvvisato compagno e lesse nel suo sguardo confusione e paura.
Cercava delle
risposte ed era palese le aspettasse da lui.
Potrai
aspettare in eterno.
L’ultima cosa di
cui aveva
bisogno era di qualcun altro invischiato in quella faccenda.
Specialmente
perché il primo a voler capire era lui.
“Non ne ho
idea.”
“Menti!” Esclamò di colpo e ad alta
voce. Lo inchiodò con uno sguardo
determinato che doveva averlo reso l’élite che
era. “Devi sapere cosa sta
succedendo. Kirill era stato incaricato di
seguirti, di darti una mano nella tua missione, non è
così?” Strinse con forza
la mano sulla bacchetta, ma non la levò contro di lui,
voleva assicurarsi di
averla, intuì. “Kiriev
non mi
piaceva, ma lo conoscevo da sette anni. Non eravamo amici, ma era un compagno.” Rimarcò
con forza la parola.
“E adesso è morto. Qualcuno l’ha ucciso
ed io voglio sapere chi, e perché.
Questa è la mia
scuola.”
Sören
serrò le labbra.
Comprendeva la rabbia del durmstranghiano, peggio, la apprezzava.
Persino in
una situazione del genere, riusciva a mantenere il sangue freddo
sufficiente a
fare domande. “Non ne ho idea.” Ripeté
con più calma. “Ho delle supposizioni, solo
queste.”
“L’hai ucciso tu?” La domanda
suonò come lo scoppio di un incantesimo nella
stanzetta silenziosa.
Certo,
è ovvio che te lo chieda.
Averne la consapevolezza non
lo fece sentire meglio.
“No.” Ci
fu un lungo scambio
di sguardi, e alla fine Radescu abbassò il suo.
“Ti
credo.” Disse piano,
guardando il lenzuolo bianco che copriva quello che un tempo era stato
Kirill
Poliakoff. Sören si impose di non sentirsene sollevato dato
che non avrebbe
dovuto importargli. “Faust solo sa perché, visto
chi sei, ma ti credo. Non ne
sapevi niente, giusto?”
“Giusto.” Convenne. Doveva sbrigarsi,
realizzò. Se Johannes era a Durmstrang,
c’era per un motivo. Doveva raggiungerlo, doveva capire. “Devo andare. Tu torna
nella tua stanza e non fare parola
con nessuno di ciò che hai visto.”
“Non posso. Devo …” Inspirò.
“Devo denunciare la cosa. Non posso far finta di
niente!”
“Lo capisco.” Lo interruppe. E davvero, era
così. Aveva imparato in quei mesi a
stimare quel giovane mago valoroso, la sua rettitudine morale e la sua
incapacità di usare sotterfugi. In un altro mondo, sarebbe
stato onorato di
avere la sua amicizia.
Ma
non è quel mondo. Non lo sarà mai.
“Fa’
quel che devi, ma vattene. Non vuoi
essere coinvolto in questa cosa, credimi.”
Io non
voglio che tu sia coinvolto. Troppe persone innocenti lo sono
state. Troppe. Basta.
Radescu invece di dargli retta, esitò.
“Che sta succedendo Sören?”
Ripeté
inaspettatamente. “Qual è il motivo per
cui…”
“Non ti coinvolgerò, dannazione! Quindi smettila
di chiedermelo!” Sbottò
irritato; stava cercando di mettere assieme le idee, di ancorarsi ad un
frammento di ragione in quel mare di follia e quel ragazzo, con i suoi
ragionamenti, non faceva che interromperlo.
Johannes era lì
per un motivo.
Per rapire Tom, forse? Gli
sembrava
improbabile, il ragazzo era troppo sorvegliato e comunque in perenne
presenza
di Albus Severus. Non era quello il piano di suo zio, non
dall’inizio.
Potrebbe
essere cambiato. Ma dubito.
Un terribile sospetto si
insinuò di colpo tra le sue sinapsi; era sciocco, non aveva
senso, ma prese
possesso di lui come un ordine dato sotto imperio.
Lily.
“Dov’è
il dormitorio delle
ragazze di Hogwarts?” Chiese di botto, rimediando
un’occhiata stranita dall’altro.
“Al secondo piano,
ala Nord.” Gli
fu però risposto senza la minima esitazione; Radescu,
realizzò, era capace di
orientarsi alla perfezione nel labirinto che era la fortezza di
Durmstrang, a differenza
sua. Poteva tornargli utile dunque, adesso che tutte le sue
facoltà
intellettive erano puntate in unica direzione. Verso
un’unica persona.
Lily.
Non voleva coinvolgerlo, ma
non vedeva altro modo. Non era mai stato l’uomo che dettava
l’azione, era un
gregario, un soldatino, avrebbe detto Doe; non aveva la minima idea di
come
procedere senza ordini, senza aiuto.
“Portami
lì.” Gli ordinò.
L’altro non ebbe reazioni. Gli scoccò invece
un’occhiata. “Perché?” Gli
chiese.
“Dimmi almeno un
perché, ed io farò
come dici. Non farò altre domande, ma dimmi
perché vuoi andare dalle ragazze di
Hogwarts.” Sören serrò le labbra;
evidentemente temeva che avrebbe fatto loro
del male.
Non
io.
Aveva fretta, non poteva
perder tempo a girare attorno all’argomento o trovare una
scusa credibile. “Ho
paura che gli uomini di mio zio siano qui per rapire qualcuno.
L’assassino di
Kirill ha preso le sue sembianze per potersi muovere
indisturbato.” Riassunse
stringatamente, ignorando la voce che gli urlava di tacere, che stava
solo
dando materiale ad un testimone oculare che avrebbe in seguito potuto
parlare
con gli auror. Non gli importava. Avrebbe cominciato a farlo una volta
vista
Lily, forse.
Radescu inarcò le
sopracciglia. “È un Metamorfomago?”
“Non proprio.” Spalancò la porta.
“Non c’è tempo per le spiegazioni. Se
vuoi
essere d’aiuto, portami là.”
“Vuoi
fermarli?”
Era quella la domanda da un milione di galeoni, avrebbe detto la sua
piccola
amica inglese. La sua risposta sarebbe stata una sola, campale. Avrebbe
testimoniato il definitivo tradimento o la fedeltà alla
Thu…
Al
diavolo.
“Sì,
voglio fermali.” Si sentì
pronunciare, e per la prima volta in vita sua, seppe che aveva detto
esattamente ciò che sentiva. Che voleva.
Né più, né meno. “Fammi
strada.”
Radescu, esibendo uno strano
accenno di sorriso di cui non capì il motivo, fece un cenno
affermativo e lo
guidò fuori dalla stanza.
Arrivare al dormitorio delle
ospiti inglesi fu veloce come un battito di ciglia, o così
sembrò a Sören:
Radescu lo guidò attraverso passaggi nascosti dietro
armature o arazzi, che si
potevano sbloccare solo toccando determinate parti dei suddetti e in
una certa
sequenza. Non vi prestò molta attenzione, comunque.
Lily.
Suo zio aveva sempre nutrito
un certo interesse per lei; inizialmente per le sue qualità
di LeNa, ma poi di
quelle non ne avevano più parlato. Quante volte
però aveva cercato di sondare
il rapporto che intercorreva tra di loro?
Ed
è amica di Dursley. Dursley tiene a lei, la
considera parte della sua famiglia. È una leva. Mio zio
potrebbe considerarla
una leva per ricattare suo figlio.
Alberich Von Hohenheim non
agiva mai per vie dirette. Se voleva qualcosa, la otteneva lavorando
con calma
e pazienza, e colpendo dove meno ci si aspettava.
Come
ad una partita a scacchi.
Radescu si fermò,
sbucando con
lui su un corridoio uguale a tanti altri. Notò
però una porta piuttosto grossa
in fondo. Doveva essere quella del dormitorio. “È
lì.” Disse infatti l’altro.
“Adesso che facciamo?”
“Tu resta di
guardia e assicurati
che non arrivi nessuno.” Gli tese la mano. “Dammi
le chiavi.”
Il rumeno fece un istintivo passo indietro, e sul viso gli
passò un’ombra di
diffidenza silenziosa. “Devi fidarti.” Non
trovò di meglio da dire. E sapeva
che era una richiesta assurda da parte di uno come lui.
Aspettò una replica
salace, ma questa non arrivò. Arrivò piuttosto il
mazzo di chiavi nella sua
mano. Alla sua espressione sorpresa, l’altro fece un mezzo
sorriso.
“Te l’ho
detto, solo Faust sa
perché, ma sento che non sto sbagliando ad
aiutarti.” Mormorò senza traccia di
esitazione alcuna.
Sören non
poté far altro che
annuire. Non c’era tempo per chiacchierare, a malapena per
ringraziare, così si
diresse verso il dormitorio. Fece scattare il più piano
possibile la serratura
e socchiuse la porta. Si sentiva a disagio a sbirciare
nell’intimità di una
decina di ragazze. Persino in quel momento la sua ridicola indole
riusciva a
metterlo in imbarazzo.
Imbarazzo che fu spazzato
via
con un colpo di spugna quando si rese conto che c’era un
letto vuoto. Ed era
quello di Lily perché riconobbe il libro di mitologia
norrena che aveva preso
in prestito da lui senza mai restituirlo. Sentì un maglio
artigliargli le
viscere e la vista offuscarsi.
Chi avrebbe mai detto che il
terrore potesse esser capace di farlo venir meno?
“Sören!”
Sussurrò una voce
alle sue spalle. Si rese conto di essere quasi crollato contro lo
stipite della
porta perché trovò il braccio di Radescu a
reggere il suo. “Che ti prende?”
“L’ha
presa…” Sussurrò,
sentendosi parlare come da una caverna molto profonda. Il sangue gli
rombava
nelle orecchie, rendendo distorte persino le parole
dell’altro.
L’ha
presa. Ha preso Lily, la mia Lilian… mio zio la
vuole.
Adesso
che faccio?
Radescu lo fissò
a lungo senza
una parola. Potevano, per quanto ne sapeva, esser passati cento anni.
“Non può
essere uscito dalla fortezza. Ci sono incantesimi
anti-smaterializzazione e il
mare è troppo agitato per usare un imbarcazione.”
Se era un modo per
confortarlo, non stava funzionando. Si sentiva il cervello ovattato,
come
avvolto da un grande e soffocante manto bianco. Non sapeva neanche se
il suo
compagno di fortuna avesse capito a chi si stava riferendo.
Non
ha importanza. Non ha importanza niente… l’ha
presa. Mio zio vuole lei, non vuole Thomas. Vuole lei.
Perché?
“Sören!”
Si sentì scuotere per un braccio e poi un dolore alla
guancia rimise di colpo a fuoco il mondo. Radescu l’aveva
schiaffeggiato. La
sua espressione doveva essere notevolmente espressiva,
perché l’altro assunse
un’aria mortificata.
“Scusami. Ho
dovuto farlo.”
Borbottò imbarazzato. “Chi hanno preso?”
“Lily Potter.” Dirlo ad alta voce gli fece venir
voglia di vomitare. Trattenne
un conato per il bene degli stivali dell’altro allievo. Se
non altro, il colpo
inaspettato gli aveva fatto ritrovare un po’ di presenza.
“Aspetta, tuo zio?
Tuo zio è
il tuo contatto nella Thule?! Morții
mă-tii¹!”
Radescu con quell’esclamazione
roboante quasi lo mollò sul colpo, ma fu abbastanza accorto
da non farlo del
tutto. Non si sentiva le gambe, e quel continuo mugghio nella sua testa
gli
rendeva difficile prestare attenzione.
Lily.
“Mio zio è la Thule. Alberich Von
Hohenheim ti dice qualcosa?” Inspirò,
incamerando aria e realtà. Doveva riprendere il controllo,
subito. Non poteva
permettersi di crollare. E neanche di notare l’espressione
shockata e
inorridita del ragazzo di fronte a sé.
Ha
fatto rapire Lily. Mi aveva promesso che non le
sarebbe successo niente.
Qualcosa cominciò
a scottargli
il petto, il viso, facendogli formicolare le mani e soprattutto quel braccio. Era rabbia,
realizzò. Non
era mai stato così arrabbiato in vita sua con qualcuno.
Quel qualcuno era suo zio.
Tutto,
puoi farmi tutto, sono solo un cane al tuo
servizio. Lo so. Da sempre.
Ma
non Lily. Non lei.
Qualcosa nella sua
espressione
doveva essere cambiata, perché Radescu si
arrischiò a mollargli il braccio. Con
sua stessa sorpresa, notò che le gambe reggevano. Non avrebbe mai pensato che
la rabbia potesse
essere un sentimento più rinfrancante di cinquanta sorsi di
vodka incendiaria.
“Perché
ha rapito la Signorina
Potter?” Il rumeno aggrottò le sopracciglia.
“Per via delle sue parentele?” Vide
confusione nelle iridi del durmstranghiano, ma non se ne
curò. La nausea era
sparita e così il rumore nella sua testa. Non era mai stato
tanto lucido in
vita sua.
Doveva tornare alla villa
dei
Von Hohenheim, trovarla e portarla via di lì. Il piano era
semplice e l’unico
possibile al tempo stesso. Non gli interessavano le conseguenze, il
tradimento
verso la Thule, verso l’uomo a cui doveva vita, educazione,
terrore e
obbedienza. Era stato tutto spazzato via dalla pura furia che gli
incendiava le
vene.
Non
Lily. Non dovevi toccarla.
Mai, in anni di fedele
servizio aveva chiesto nulla allo stregone che per lui aveva quasi
assunto la
statura di un dio. Non aveva questionato un ordine, avanzato una
richiesta,
preteso qualcosa.
Ma c’era qualcosa
che Elias
Prince gli aveva insegnato, qualcosa che portava dentro come un
talismano. Il
suo codice morale; ed esso metteva sopra a tutto una frase.
Mai
infrangere le promesse.
Suo zio gli aveva promesso
che
non sarebbe stato fatto alcun male all’ultima figlia di Harry
Potter. Suo zio gli
aveva mentito.
Non ne era stupito,
ovviamente. Era nel modus operandi
di
Hohenheim non curarsi delle emozioni altrui. La cosa nuova era avere un
intenso
desiderio di fargliela pagare per questo.
“Come pensi che
siano entrati?”
Il custode delle chiavi era l’inaspettata voce della sua
coscienza. Sören
rifletté guardandosi attorno nella densa ombra del
corridoio; Johannes se n’era
già andato, ne era certo come era certo che il sole sarebbe
sorto di lì a poco,
rivelando la sparizione di Lily.
Come
ha fatto? Deve aver avuto un aiuto come quando è
entrato ad Hogwarts.
Poliakoff.
Quel nome gli
balzò alla
mente, e dovette sovvenire anche a Radescu. “L’ha
fatto entrare Kirill!”
Esclamò infatti e poi incredibilmente aggiunse. “E
so anche come.”
****
India,
Dimapur
Otto
e trenta di mattina (ora locale)
Il giovane Luzhin si era
svegliato pochi minuti prima, e Dhansiri era andato immediatamente a
chiamarli.
La piccola clinica magica di Dimapur aveva le dimensioni di un ufficio,
con
pochi lettini e una sola infermiera ad aiutare un guaritore che aveva
più
l’aria di un santone indiano. Persino l’infermeria
di Hogwarts, pensò Harry,
era più grande.
Il ragazzo era steso su uno
dei lettini vicino alla finestra e guardava fuori, anche se aveva
l’aria di non
notare affatto il panorama. Era di un altezza allampanata, che ancora
tentava
di destreggiarsi tra le maglie dell’adolescenza e i primi
segni dell’età
adulta. Aveva i lineamenti sottili, occhi di un celeste slavato tipico
delle
popolazioni teutoniche e un accenno di barba bionda. Le privazioni di
quella
settimana avevano dato al viso un pallore ossuto; aveva
l’età di Albus, ed
Harry provò una dolorosa tenerezza.
“Ciao
Sören.” Esordì,
facendolo voltare. Dietro di lui le presenze silenziose ma necessarie
di Nora e
Ron; senza di loro non avrebbe potuto affrontare quel colloquio
straziante.
“Possiamo rubarti un minuto?”
Il giovane fece un lieve
cenno
con la testa e si passò le mani una sull’altra,
andando automaticamente con lo
sguardo alla bacchetta posata sul comodino. Il guaritore che
l’aveva visitato
aveva detto che le ferite sarebbero guarite in una settimana.
Quelle
fisiche. Per quelle psicologiche, temo non ci
sia un tempo stimabile.
Nora aggiunse qualcosa in
tedesco, che Harry intuì si trattasse di una richiesta circa
la lingua che
preferiva parlare.
“Va bene
l’inglese, lo capisco.”
Disse con forte accento, ma comprensibile. Gli lanciò
un’occhiata. “Lei è
davvero Harry Potter?”
Harry sorrise, sedendosi
sullo
sgabello in vimini vicino al letto. “Sì, piacere
di conoscerti.” Gli tese la
mano, e il ragazzo gliela strinse di rimando, tradendo
un’espressione
emozionata .
“È un
onore.” Mormorò con
ancora la voce roca dalla disidratazione, ma più ferma della
sera prima. “Per
mio padre lei era un eroe.” Il fatto che utilizzasse il
passato rese Harry
vergognosamente sollevato. Avrebbe odiato dovergli dare quella notizia.
Io
vi ho sempre convissuto… ma è diverso. Uguale, ma
diverso.
“Condoglianze per
la tua
perdita.” Si sentiva disgustoso ad utilizzare quelle formule
di rito e non
aggiunse altro. Del resto il ragazzo non diede cenno di averle gradite,
né di
averle ascoltate. Al suo posto avrebbe fatto lo stesso.
“Vorremo farti
alcune domande
su cosa è successo.” Si inserì Ron con
lo stesso tono che riservava ai figli
dopo un grosso spavento. Harry gli fu grato di aver preso la parola; il
peso
dell’empatia che si sentiva in fondo allo stomaco era
equivalente ad un
macigno.
Il tedesco annuì,
e Ron
continuò. “Puoi raccontarci come sei finito nella
foresta?”
“Sono
scappato.” Rispose
fissando le lenzuola come se vi stesse leggendo le risposte.
“Il Guaritore mi
ha detto che ho passato una settimana là fuori, ma io
… non ricordo. Mi è
sembrato molto meno.” Ammise con aria smarrita.
“Sono arrivati degli uomini alla
villa. Erano due e parlavano male la mia lingua. Forse ucraini,
perché
sembravano parlare russo, ma io conosco il russo e loro non sono
riuscito a
capirli.”
“Li avevi mai
visti prima?”
“No, Signore. Credo fossero mercemaghi.” Harry si
morse un labbro,
intercettando l’occhiata di Nora.
Mercemaghi?
Allora è vero, Hohenheim non ha più la
copertura della sua Setta.
“Sono entrati in
casa… hanno
distrutto le barriere protettive del cancello. Stavamo facendo
colazione quando
sono arrivati, papà
li ha sentiti
forzare la porta. Volevo seguirlo, combattere… ma mia madre
mi ha ordinato di
scappare.” Fece una pausa e strinse la coperta tra le dita
forse per cercare di
frenarne il tremito. “Un allievo di Durmstrang non scappa,
ma…” Deglutì
penosamente. “… ma quando ho sentito il rumore di
incantesimi ho avuto paura e…
sono stato un vigliacco.” La voce gli sparì e Nora
si mosse verso di lui,
mettendogli una mano sulla spalla. Il ragazzo stranamente non si
irrigidì.
Harry notò ancora una volta come le donne nel consolare
fossero imbattibili.
“Non sei stato un
vigliacco.” Rimarcò
pacato. “Hai fatto ciò che ti ha chiesto tua
madre, ciò che era giusto.” Ad
un’occhiata di Nora, si schiarì la voce.
“Hai qualche idea di chi abbia potuto
farti questo?”
Il ragazzo alzò
gli occhi
arrossati, ma non piangeva. “Sì,
signore.” Disse con voce asciutta. “La Thule. Uno
dei loro è venuto da mio padre quasi un anno fa e gli ha
promesso che avrebbero
salvato la nostra azienda. Mio padre era disperato, aveva paura che
avremmo dovuto
vendere tutto per pagare i debiti … Non voleva che io e mia
madre finissimo per
strada ad elemosinare come maghinò.”
Inspirò bruscamente. “Per questo ha
accettato. Lui è… era…” Si
corresse strizzando gli occhi. “… un mago
onorevole,
dovete credermi.”
“Ti
crediamo.” Lo rassicurò
Harry perché non c’era altro da fare. Non avrebbe
certo rovinato i ricordi di
un orfano con puntiglio da poliziotto. “Cosa volevano in
cambio?”
Erano domande di cui avevano
già la risposta, ma avevano bisogno di particolari, prove,
connessioni. E quel
ragazzo smunto era la chiave.
“Il mio
nome.” Disse senza
esitazione. “Uno dei loro ha preso il mio posto a Durmstrang.
So solo questo,
non so come ci sia riuscito. Dopo che sono tornato per le vacanze
estive ci
hanno detto di andarcene dalla Germania per un
po’… e così abbiamo fatto. Ci
mandavano soldi, il pagamento.” Abbassò di nuovo
lo sguardo. “Poi hanno smesso…
ed abbiamo capito che le cose non stavano andando come dovevano. Mio
padre ci
ha portato qui, ha detto che saremo stati al sicuro,
ma…” Non terminò la frase
e tacque.
Harry non provava rabbia
verso
il ragazzo, nonostante fosse stato complice di quell’orrenda
operazione. Era
spaventato, e il non guardarli era un segno evidente che provasse
umiliazione,
oltre che dolore. Era una vittima, e questo gli bastava ampiamente per
perdonarlo.
Ma
devo sapere.
“Sören…
tu hai una
corrispondenza con mia figlia Lily, giusto?” Il ragazzo
alzò lo sguardo
confuso, come se lo ricordasse per la prima volta da quando
l’aveva visto.
“Lily Luna,
sì. È una delle
streghe a cui scrivo… seguo un programma chiamato Amici di Piuma da quando ero al primo anno di Istituto. Mi serve per
imparare nuove
lingue.” Convenne perplesso. “Io…
è un problema? Cosa c’entra
con…”
“L’hai
detto al ragazzo che ha
preso il tuo posto?”
“No.” La
realizzazione gli dipinse
i lineamenti di sconcerto ed impallidì. “Ma i miei
genitori lo sapevano, non
gliel’ho mai nascosto.” Arrossì.
“Non fraintendetemi, non mi sono mai vantato
di averla come amica di piuma, io…”
Harry interruppe il
balbettare
sconnesso del ragazzo. “Tuo padre può averlo detto
alla Thule?”
Il ragazzo aveva
un’aria atterrita.
“È per questo che siete
qui…?” Chiese. “È per questo
che la Thule si è
interessata a noi, che ha ucciso i miei genitori? Per delle lettere che scambiavo con sua
figlia?”
Nora gli scoccò
un’occhiata,
quasi per impedirgli di ribattere. “Sören, vorrei
che dessi un’occhiata ad
alcune foto e mi dicessi se riconosci il ragazzo ritratto.”
Si inserì. Tirò un
fascicolo fuori dalla tasca interna del mantello – che Harry
aveva scoperto
essere capiente come una borsa e sicuro come un mokessino². Con sua sorpresa, estrasse
da esso una
serie di foto del falso Luzhin, tutte scattate durante il Ballo del
Ceppo.
Non
ho notato stesse scattando foto, come diavolo ha
fatto?
Prese nota di chiederglielo
in
un secondo momento, preferendo osservare le reazioni del ragazzo.
“È lui che ha
preso il mio posto?” Chiese prendendole. “Non ci ho
mai parlato, i contatti li
ha presi e mantenuti mio padre…” Esitò,
poi continuò. “Però l’ho
già visto.”
“Dove?”
Quasi lo aggredì,
tanto che il poveretto sobbalzò sul lettino.
“E… era
due anni avanti a me,
Signore. A Durmstrang. Credo che si chiami come me… e che
sia tedesco.”
Dunque
non fingeva l’accento né il fatto che fosse un
allievo. Per questo ci ha ingannato tutti. Non ha dovuto fingere poi
molto.
“Il
cognome?” Chiese Nora, che
aveva lo sguardo d’acciaio della grande caccia, sebbene si
sforzasse di
mantenere un tono gentile per non inquietarlo.
“Novyj³,
ma credo fosse falso. Girava una voce…”
Passò le dita sulla
coperta ancora una volta. Era troppo presto, date le sue condizioni,
per
ridargli la bacchetta senza che perdesse istantaneamente le forze, ma
Harry
comprese il suo desiderio di stringerla. “… Si
diceva che fosse nipote di un
uomo terribile, uno stregone tedesco. Alberich Von Hohenheim.”
****
Norvegia, Durmstrang.
Cinque e mezzo del mattino (ora locale)
Radescu
l’aveva riportato alla stanza di Kirill facendo il percorso
inverso senza una
parola.
Sören
non poté far altro che seguirlo e fidarsi; tra poco
l’Istituto si sarebbe
svegliato e la sparizione della figlia di Harry Potter sarebbe stata
sotto gli
occhi di tutti. Per quel tempo, doveva essersene andato o non avrebbe
più
potuto farlo. Era il primo sospetto che avrebbero cercato e messo in
stato di
fermo e non poteva semplicemente permetterselo. Doveva uscire di
lì, e usare la
stessa via di Johannes era l’unico modo.
Il
rumeno si diresse a colpo sicuro verso la caotica scrivania del russo,
spostando appunti e
leggendoli
febbrilmente. “Ho letto qualcosa prima…”
Gli spiegò. “Se è stato lui a far
entrare gli uomini di tuo zio, avrà dovuto trovare il modo.
E Kiriev non avrebbe mai nascosto
degli
appunti come si deve.”
“Credi che abbia scritto
su pergamena
una cosa del genere?” Era talmente sbalordito che Radescu
ridacchiò della sua
espressione.
“Di
che ti stupisci, lo hai avuto come compagno di cuccetta, hai visto
com’è
disordinato… era.”
Tornò serio, lanciando
un’occhiata al corpo coperto dal lenzuolo. “Nenorocitule⁴…”
Mormorò in rumeno. “Aveva più vodka in
vena che buonsenso in testa. Era entrato
nell’élite per via di suo padre, lo sapevamo
tutti. Credo che la cosa avesse
finito per pesargli.”
Sören non disse nulla; non aveva ucciso materialmente
Poliakoff, ma era come se
l’avesse fatto. Aveva capito da tempo che il russo era un
idiota ossessionato
col farsi notare, ma vi aveva mai posto rimedio, o cercato di
avvertirlo.
Lo
disprezzavo troppo.
“Ecco!”
Radescu esclamò di
colpo tirando fuori un rotolo di pergamena dal caos.
“È scritto in russo, non
lo so tradurre bene… ma credo che ci sia scritto passaggio. Forse parla di come
è riuscito a portarli qui?”
Sören gli prese il foglio dalle mani. Capì
immediatamente di cosa si trattava;
era una serie di appunti riguardanti la Seconda prova, ma non solo;
c’erano
delle annotazioni frettolose a lato posteriori alla prima stesura.
Riconobbe un
incantesimo e riconobbe cosa era
stato incantato. Ancora una volta dovette trattenere
l’ammirazione per l’arsenale
di incantesimi della setta: suo zio poteva essere impazzito, ma il suo
lavoro
era e sarebbe sempre stato straordinario.
“La Seconda Prova
sarà
affrontare lo Specchio delle brame…”
Mormorò a bassa voce. Erano informazioni
che aveva già da qualche settimana, ma che aveva
accantonato. “E lui l’ha reso
una Passaporta.”
L’altro inarcò le sopracciglia sbalordito.
“Kirill?”
“Non è
difficile se devi solo
seguire le istruzioni.” Ad una seconda scorsa
trovò la riga che localizzava lo
specchio. La mostrò e tradusse a Radescu che fece un breve
cenno affermativo.
“So
dov’è, andiamo.”
Ormai l’Istituto
aveva assunto
i contorti di un incubo allucinato. Sören vedeva di fronte a
sé la schiena
coperta dal ruvido tessuto dell’uniforme
dell’allievo rumeno e pensava che
comunque sarebbe finita quella storia, lui non sarebbe stato vivo per
raccontarla.
Sto
per tradire mio zio, l’uomo a cui ho dedicato tutta
la mia vita.
Non
era spaventato; aveva accettato
che non ci sarebbe stato un lieto fine per lui, che accertato il suo
tradimento
sarebbe stato punito, perché un’arma non si
ribella mai al proprio padrone. Una
bacchetta veniva spezzata, lui sarebbe stato ucciso. E la cosa
più sconcertante
è che non gli importava.
Non
se Lily vive.
Lily in quel momento stava
probabilmente realizzando che la persona a cui voleva bene era un
falso, che
era nient’altro che un piano costruito ad
hoc. L’avrebbe odiato.
Non
importa. Te lo meriti.
Ciò che era
importante era
salvarla; doveva ripagare il debito che aveva contratto con quella
piccola,
straordinaria strega, che con la sola forza della sua anima era
riuscita a
salvarlo dalle tenebre in cui era affogato dal giorno che suo padre era
morto.
“Siamo
arrivati.” Disse
Radescu strappandolo alle sue riflessioni. Lo vide aggrottare le
sopracciglia,
vedendo che la porta di fronte a cui sostavano era socchiusa.
“È aperta.”
Mormorò, afferrando la bacchetta dal fodero sulla cinta con
un movimento sicuro.
“Potrebbe…”
“No, ormai sono lontani. Non si sono preoccupati di
chiuderla, tutto qui. Ormai
hanno ciò che vogliono.” Spiegò,
facendogli cenno di scostarsi e sguainando la
sua. Dopotutto la prudenza non era mai troppa.
La stanza era grande, e doveva essere stata un magazzino prima che vi
fosse
posizionato un grande specchio a cornice alto almeno dieci piedi.
Lo
specchio delle brame…
Sören
illuminò l’ambiente, con
la fiaccola sentendo dietro di sé la presenza di Radescu, il
quale emise di
colpo un’esclamazione soffocata.
“C’è qualcuno a terra!” Si
voltò di colpo; era
una ragazza, ma aveva i capelli castani.
Non
è lei.
“È solo
svenuta.” Mormorò
Radescu con enorme sollievo. “Ma che ci fa qui?”
“È Rose, sua cugina.” Disse lanciando
un’occhiata verso lo specchio. Lily in
quel momento era nelle mani di Johannes. Doveva essersi spaventata a
morte
vedendo aggredita la cugina. Forse le aveva prese assieme, rapendole
dai loro
letti. “Deve essere
stata presa
in ostaggio per convincere Lily a seguirli.” Considerate le
contingenze,
Radescu faceva al caso suo. “Resta con lei. Io
vado.”
L’altro si alzò in piedi, dopo aver coperto la
ragazza con la sua casacca.
“Dove? Non puoi!” Esclamò
fronteggiandolo. La sorpresa di vederlo con un
atteggiamento aggressivo lasciò Sören senza parole.
Si riprese subito però.
Non ho tempo.
Strinse le labbra e, per
quanto lo disgustasse dopo tutto quello che l’altro aveva
fatto per lui, gli
puntò la bacchetta contro. Radescu
alzò
le mani e un’espressione tradita gli passò sul
viso, prima che lo corrucciasse
arrabbiato.
“Non ti voglio
impedire di
andartene, ma se te ne vai adesso, senza una spiegazione, verrai
considerato
colpevole quanto gli uomini di tuo zio!”
“Sarebbe solo la
verità.” Replicò
abbassando il braccio. Ignorò lo sguardo sgomento
dell’altro per puntarlo nuovamente
verso lo specchio. “Prendi la ragazza e portala in
infermeria. Dammi dieci
minuti, poi dai l’allarme.”
“Torniamo
assieme!” Fu la
replica cocciuta. “Se rimani potrai spiegarti, ed io
testimonierò in tuo
favore! Dirò che non c’entri nulla con
l’omicidio di Kirill! Puoi aiutare gli
auror a salvare la Signorina Potter!”
Sören sentiva un nodo allo stomaco. Una piccola parte di
sé voleva dargli
retta; rimanere avrebbe potuto garantirgli forse immunità
come reo confesso.
Forse Harry Potter stesso l’avrebbe graziato pur di ritrovare
sua figlia.
Ma non poteva. Era colpa sua
se Lily era stata rapita. Era certo che suo zio sapesse del loro legame
e che
rapirla non fosse solo un modo per attirare a sé Thomas.
È
anche un modo per richiamarmi all’ordine.
Aveva passato diciannove
anni
a spiare ogni sua mossa per compiacerlo e farsi amare. Non
c’era mai riuscito,
ma aveva perlomeno carpito qualcosa dei suoi meccanismi mentali.
“Sören,
può andare a finire
bene…” Mormorò Radescu in tono
accorato, così strano per il rigoroso ragazzo
immagine di Durmstrang; ma aveva un cuore buono, nessun dubbio su
questo. “Tu
non sei come Kirill, non sei come la Thule… puoi
cavartela!”
Curiosamente erano le stesse parole, non identiche ma comunque simili,
che gli
aveva rivolto quell’agente americano, anni prima. Stavolta
però non provò
rabbia e smarrimento, ma consapevolezza. Radescu e
quell’agente avevano
ragione.
Sono
diverso. È proprio questo il punto. Non posso
essere come Hohenheim, ma non posso neppure essere come voi. Posso solo
salvare
Lily, o morire tentando.
“Devo
andare.” Disse, e il tono fu
sufficiente a far desistere l’altro, che lasciò
ricadere le braccia lungo il
corpo, rassegnato. “Ti chiedo solo di concedermi dieci minuti
di vantaggio.
Puoi farlo?”
“Sì… credo di sì.”
Gli si avvicinò. Non sapeva cosa dire, come accomiatarsi
dall’espressione. “Buona fortuna.”
Risolse poi, tendendogli una mano. Lo
fissava con un’espressione per lui indecifrabile; non era mai
stato un
cinesteta.
Ricambiò comunque
la stretta,
riuscendo persino a trovare la voglia per un breve sorriso.
“Grazie Dionis.”
Utilizzò il nome perché era quello che si faceva
in quei casi, supponeva. “Mi
hai chiamato guerriero, ma sei tu ad esserlo. Senza il tuo aiuto non ce
l’avrei
fatta.”
L’altro sorrise. “Ce ne vuole uno per riconoscerne
un altro, te l’ho detto.”
Gli lasciò la mano e fece un passo indietro. “Che
Odino ti assista, Sören.”
Non c’era
più nulla da dire,
quindi raggiunse lo specchio. Aveva memorizzato l’incantesimo
usato da Kirill
per aprire la Passaporta; doveva essere ancora incantata verso la
destinazione,
se aveva interpretato bene i piani di suo zio. Lo lanciò e
la superficie dura
dello specchio diventò liquida dopo un lampo di luce
azzurra. Sentì alle sue
spalle Radescu trattenere il respiro.
Lui non lo fece,
semplicemente
attraversò lo specchio.
****
Norvegia, Durmstrang.
Dieci del mattino (ora
locale)
Rose si svegliò sentendo come
se la testa le fosse stata infilata sott’acqua. Capiva che
qualcuno stava
parlando accanto a lei, ma non riusciva ad afferrare le parole,
distorte e
distanti un intero oceano. Tentò di aprire gli occhi ma
dovette richiuderli perché
la luce la ferì come una lama.
Qualcuno accorse al suo
capezzale. “Rosie!”
Era la voce di
Scorpius, nessun dubbio su questo. Era molto agitata. “Rosie,
ehi, come ti
senti?”
Uno
schifo, Sherlock
– rispose indispettita la parte meno rintronata della sua
testa mentre
le labbra si limitavano ad un lamento poco impegnativo. Non riusciva a
capire
dove fosse e perché mettere a fuoco fosse così
difficile. Poi qualcuno gli
premette sulle labbra la superficie fredda di un bicchiere; bevve
avidamente e
senza domande.
Il liquido era dolciastro e
probabilmente una pozione perché subito il mondo divenne
meno accecante e le
voci più intellegibili. Si trovò di fronte il
volto pallido e tirato di
Scorpius e, a sorpresa, quello di Dominique. La Parkinson chiudeva il
cerchio e
reggeva il bicchiere; doveva essere stata lei a somministrarle la
pozione. Ammutolì
per la sorpresa.
“Lo sapevo, la
botta l’ha
fatta diventare scema.” Esordì sua cugina, mentre
Scorpius perdeva ancora più
colore se possibile; sembrava uscito miracolosamente vivo da un
frontale con il
Nottetempo.
“Sto…
bene.” Articolò
scoccandole un’occhiataccia e prendendo la mano del suo
ragazzo e stringendola
più forte che poteva. “Sto bene Scorpius, sul
serio.” Ripeté più sicura.
Il mondo era tornato in
assetto e lei cominciava a ricordare il motivo per cui si trovava
apparentemente nel lettino dell’infermeria di Durmstrang.
Merda.
“Mi chiamo
Scorpius, e non mi
ci chiami mai.” Mugugnò questo.
“Dì qualcosa da Rosie!”
Sbuffò,
tirandogli un
pizzicotto sulla mano, facendolo sussultare. “Sei sveglio,
questa è la realtà e
non sono morta, demente.” Borbottò brusca data la
presenza del ritrovato ghigno
di Domi e dell’espressione sorniona della Parkinson-Goyle. Lo
scemo però fece
un sorriso enorme, e questo la ripagò
dell’imbarazzo che provava.
“Dov’è Lily?”
Ditemi
che è stato un brutto sogno e quella piccola
idiota al momento sta facendo colazione.
Scorpius e Dominique si
scambiarono un’occhiata tornando seri.
“È sparita.” Disse
l’anglofrancese.
“Tipo nel nulla. Un ragazzo dell’Istituto ti ha
trovata stesa dove tengono la
roba per la Seconda Prova e ti ha portata qui.” Fece un cenno
vago verso
l’uscita dell’infermeria. “A proposito,
cacchio ci facevi lì?”
Rose non rispose. La prima
frase le aveva già chiarito tutto; nessuno sapeva, ma lei
sì.
John
Doe. Lily. Lily è stata rapita.
Si sentì la gola
riarsa e finì
inevitabilmente per fissare la sua ex-rivale, che inarcò un
sopracciglio. “Non
sono un infermiera, Weasley. Ti ho dato la pozione perché
temevo che Scorpius
l’avrebbe rovesciata per l’emozione e
Nicky…” Guardò con scorata sufficienza
la
propria ragazza, che sghignazzò come la squilibrata che era.
“… avevo paura ti
ci affogasse.”
Rose arrossì,
mentre Scorpius le
versava sollecito l’agognato bicchier d’acqua che
trangugiò grata. “Io…” Disse
stringendolo dalle dita. “… Lily non è
sparita”
“Sicuro che lo è!” Esclamò
Dominique perplessa. “La stanno cercando in tutto
l’Istituto, sia i nostri che i nordici. Sarà
andata a combinare qualche guaio
da rossa.”
“È stata rapita.” Sbottò
facendola ammutolire di colpo. “Io c’ero, ero con
lei…
o meglio, l’ho seguita quando stanotte è scappata
dal dormitorio.” Inspirò,
sentendosi sufficientemente in forze per alzarsi a sedere sul letto. Le
braccia
di Scorpius che la ressero comunque aiutarono molto.
“Dov’è Al?” Era lui che la
preoccupava; Albus in quel momento doveva essere fuori a cercare la
sorella.
Dominique si alzò
immediatamente in piedi. “Vado a chiamarlo!”
“Non sarebbe
meglio chiamare i
professori? O i Presidi?” Obbiettò Violet
sconcertata; comprensibile che non
conoscesse il modo Weasley di reagire ai guai, ma Rose non aveva tempo
per
spiegare.
“Domi,
va’ a cercare Al.” Ripeté.
La ragazza era già pronta a lanciarsi fuori con uno scatto,
che fu
l’interpellato stesso a palesarsi entrando dalle porte
dell’infermeria. Era
seguito dall’immancabile Thomas.
“Rosie.”
Sorrise appena, ma
era tutta scena. Come aveva supposto, era uscito fuori a cercare la
sorella a
giudicare dal mantello da viaggio e la bacchetta in pugno.
Saltò i convenevoli.
“Cos’è successo?”
“Lily
è stata rapita da John Doe.”
Quella frase ebbe il potere
di
scatenare un’intera gamma di reazioni. Dominique e Violet la
guardarono tra lo
sbalordito e il confuso, mentre quest’ultima chiedeva chi
diavolo fosse la
persona appena menzionata. Scorpius serrò le labbra, e
lanciò un’occhiata ai
due appena arrivati.
“John
Doe?” Mormorò Tom
lentamente, quasi dovesse assorbire la notizia. “John Doe
è morto.”
“No. Mi ricordo di lui, una faccia così non si
dimentica.” Ribatté con forza,
perché non si sarebbe fatta dare della bugiarda quando
ancora sentiva il
terrore strisciarle addosso come una brutta e lunga febbre.
Rabbrividì istintivamente
e sentì subito un braccio di Scorpius cingerle la vita. Gli
rivolse un breve
sorriso grato, prima di continuare. “La persona che ha preso
Lily era John Doe.
Ero lì, ho seguito Lily quando è sgattaiolata
fuori dal letto ieri notte. L’ho
seguita fino alla stanza dello Specchio e l’ho
visto.” Occhi del genere e un
ghigno simile potevano solo appartenere all’allucinante
braccio destro del
padre naturale di Thomas. “Credo che avesse preso
l’aspetto dell’assistente di
Luzhin per attirarla lì… ma poi si è
trasformato.”
“Trasformato…”
Tom non
aggiunse nulla, ma la perdita totale di espressione parlava da sola.
“… C’era
Luzhin con lui?”
Rose fece mente locale, poi scosse la testa. “No, era
solo.”
“Luzhin
è sparito.” Ribatté,
come se fosse colpa sua la non-presenza del suddetto sulla scena del
rapimento.
“Se era coinvolto
non lo so, ma non era lì!”
Sbottò spazientita. “So
ancora contare quante persone mi trovo davanti, sai?”
Tom fece per ribattere qualcosa ma un rumore improvviso e violento li
fece
girare tutti verso la fonte. Era stato Al; aveva rovesciato una sedia e
probabilmente l’aveva fatto con un calcio.
“Non importa chi
sia stato…
non arriverà a vedere la luce di domani.” Disse
con un’orrenda voce priva di
inflessione. In quel momento nessuno sulla faccia della terra avrebbe
paragonato gli occhi di Al a smeraldi, prati verdi o altre cose carine.
Hanno
il colore di un maledetto Avada Kedavra.
Rimasero
tutti in silenzio, persino la
loquace Dominique, che sembrava valutarlo di colpo sotto una luce
diversa;
poteva capirla. Era la prima volta che vedeva Al perdere il controllo e
non
sapeva quanto potesse essere impressionante.
Tom tentò di
avvicinarglisi,
ma l’altro fece un passo indietro e un cenno con la mano che
bastò a fermarlo.
‘Non
toccarmi’…
Rose ingoiò
l’orribile senso
di colpa che sentiva alla bocca dello stomaco.
Dovevo
impedirle di lasciare il dormitorio… Non avrei
dovuto seguirla, ma fermarla.
Scorpius si
schiarì la voce. “…
Perché Lily?” Disse piano, quasi avesse paura di
disturbare un drago dormiente.
“Insomma, non voleva…”
“Vuole me.” Lo interruppe Tom, che sembrava
notevolmente più in controllo di
tutti loro messi assieme. “Sa benissimo che non ci sarei mai
andato di mia
spontanea volontà, quindi non ha colpito me. Mi ha
ricattato.” Rose gli vide
stringere i pugni e realizzò che calmo non lo era affatto.
Era rassegnazione,
non calma, quella che aveva negli occhi. “Ha rapito Lily per
costringermi a
scambiarmi con lei. La mia presenza in cambio della sua.”
“Come puoi esserne sicuro?” Ribatté
Scorpius perplesso. “Ti ha contattato …”
“No.” Lo fermò Tom raddrizzando la sedia
caduta e lanciando un’occhiata di
sbieco ad Al, che non si era ancora mosso di un millimetro.
“Ma lo farà.
Altrimenti perché prenderla in ostaggio?”
“Avete informato
zio Harry e
papà, vero?” Chiese. Il suo primo istinto in quel
momento era di chiamare gli
adulti e genericamente gridare aiuto. Gli adulti avrebbero saputo cosa
fare. I loro adulti. Avrebbero
risolto le cose
come avevano fatto l’anno prima, ne era certa.
Qualcuno
deve aggiustare le cose.
La risposta di Tom la
strappò
alle sue riflessioni. “Il Professor Lupin ha mandato loro un
Gufo
intercontinentale.”
Sentì il panico salirle assieme alla voglia di vomitare.
“Un Gufo ci metterà
giorni! Quei pazzoidi hanno già un vantaggio!”
“Sta continuando a tentare con il Fuoco Portatile, Rosie, ma
ci sono delle
interferenze. Le chiamate da paese e paese sono difficili, ma vedrai,
il
professor Lupin li troverà!” Si inserì
Scorpius accarezzandole un braccio nel
tentativo di consolarla. Non funzionò, non con Al che
sembrava diventata una
statua di sale vendicativa e Lily in mano a dei mostri, ma
apprezzò il gesto.
Nessuno si era aspettato
quella svolta. Lily era stata vista come una seccatura, come
un’ospite non
gradita e un motivo di preoccupazione, ma mai in vero pericolo.
Non
ha legami diretti con Tom… ma è pur vero che
è
parte della famiglia.
Lily era l’anello
debole e
nessuno di loro se n’era accorto. Avevano ignorato fino a che
punto la
quindicenne sarebbe stata capace di mettersi nei guai.
Eppure
dovevamo capirlo. Ha ideato un piano per venire
qui.
Quando l’aveva
vista
sgattaiolare via dal letto l’aveva seguita pensando ad un rendez-vous notturno con il campione di
Durmstrang, niente di più.
Uno di quegli sciocchi ma comprensibili colpi di testa delle ragazze
innamorate.
Ero
già pronta a riportarla in stanza a calci nel
sedere…
Non si sarebbe mai aspettata
quello.
Cercò di fare il
punto della
situazione; era stata svenuta per buona parte della mattinata, a
giudicare dal
fatto che sembravano tutti già vestiti da un po’.
Guardò l’orologio e per poco
non sobbalzò sorpresa.
Le lancette andavano
indietro.
Segnavano le due del mattino.
Ma
che…
“Che
c’è?” Si informò Scorpius
seguendo la direzione del suo sguardo.
“Il mio orologio
va indietro
e… non
l’ha mai fatto. È babbano, non
dovrebbe comportarsi così!”
“L’hai
settato sul cronometro
probabilmente.” Dichiarò lapidario Tom, irritato
dal loro distrarsi.
“Non è
digitale, ha le
lancette!” Replicò sfilandoselo come se fosse una
granata babbana. Al si
riscosse di colpo dalla sua contemplazione di propositi omicidi per
avvicinarlesi. Aveva quasi un’espressione umana il che,
supponeva, fosse
positivo.
“Fammi
vedere.” Le chiese. Prese
l’orologio e se lo rigirò tra le dita, con una
ruga di concentrazione che gli
solcava la fronte. Sfilò la bacchetta dai pantaloni e
picchiettò sopra la cassa
che ospitava la batteria. Quella produsse cinque o sei scintille
bluastre. “È
stato incantato.” Decretò. “Ha fatto
reazione con la bacchetta.”
“Incantato da
chi?” Chiese
Violet, tentando miseramente di non sembrava voracemente incuriosita.
“Doe. John Doe
l’ha incantato
per un motivo, per lasciarci un messaggio… Come un anno fa
ha fatto recapitare
una lettera ad Harry con una ciocca di capelli di
Al…” Rose fu quasi contenta
che Tom non avesse completamente perso la testa o fissasse confuso gli
altri in
cerca di risposte. Lo detestava cordialmente giorno per giorno, ma
vederlo
padrone di sé era una consolazione.
Forse
lui sa cosa fare… Cosa possiamo fare…
“Sì, ma
mandare indietro le
lancette di un orologio non è quello che chiamerei un
messaggio chiaro.”
Replicò Violet. “Che significa?”
“Un conto alla
rovescia. Ve lo
dico io, quell’orologio sta facendo un conto alla
rovescia.” Dominique aveva la
rara dote di dire la cosa giusta al momento giusto. Non era mai stata
una gran
chiacchierona, né una riflessiva, ma aveva la mente agile
come un gatto. Zio
Charlie diceva che era la caratteristica fondante di un buon guardiano
di
draghi.
Viva
i guardiani di draghi.
“Per
cosa?” Poi vide con la
coda dell’occhio Al serrare la mano sull’orologio e
capì. “Un conto alla
rovescia prima di cosa?”
Si corresse
ed era purtroppo una domanda retorica.
“Mancano due ore a
mezzogiorno. O a mezzanotte. L’ora zero.”
Rifletté Al. “Abbiamo due ore.”
“Ho
due ore.” Lo corresse Tom. “Ho due ore per andare
da mio padre.”
Cercò di muoversi verso l’altro per prendere
l’orologio, ma Albus indietreggiò
allontanando la mano.
“Mi sembrava di
essere stato
chiaro… Non andrai da solo.” Era uno scontro di
volontà, ma il vincitore era
già stato deciso.
A
vederli e conoscerli poco, sembra tutto il contrario…
Invece era Al che teneva in
pugno la volontà tirannica ed impulsiva del loro sinistro
cugino acquisito.
Questo infatti
tirò un lungo
sospiro interrompendo il contatto visivo e segnando la vittoria
dell’altro.
“Da soli non si
è mai una
grande minaccia.” Aggiunse Al intascandosi l’
orologio. “Ora sappiamo cosa
vuole Von Hohenheim, e quanto tempo abbiamo per darglielo.”
“Vuoi consegnargli
Dursley?” Esclamò
esterrefatto Scorpius, prima di
arrossire di fronte all’occhiata linciate
dell’altro. “Scusa, domanda idiota.”
Rose si mosse inquieta; la
determinazione sul viso di suo cugino non le piaceva affatto. Parlava
di
iniziative prese lontano da qualsiasi autorità, che fosse
genitoriale o
scolastica. Parlavano di decisioni prese subito, e senza consultare chi
di
dovere.
Non le piaceva.
“Dobbiamo
aspettare zio
Harry…” Tentò, poi si fece coraggio,
anche se il senso di colpa le impediva di
guardare direttamente verso Al. “Dobbiamo aspettarli, sono
loro che devono
agire, non noi!”
Sentì Al
sospirare. “Non noi,
io e Tom.” Non appena lo disse, esplose un coro di proteste
dai due biondi.
“Voi
due?!” Esclamò Scorpius.
“Vi farete ammazzare!”
“Avete due
Campioni del
Tremaghi e non ci utilizzate? Mi sento offesa!”
Proclamò Dominique, alzandosi
in piedi ed ignorando l’occhiataccia scoraggiante della
propria ragazza. “E poi
siete due topi di biblioteca, cosa pensate di fare con quelle braccia
tisiche?
Vi faranno saltare la bacchetta di mano in pochi secondi!”
Tom serrò le
labbra, infuriato
dall’allusione della sua incapacità di duellare.
“Non si tratta di una guerra,
teste vuote.” Li apostrofò senza mezzi termini.
“Non ci sarà da menare la bacchetta.”
“E come pensi di
andartene, se
non stendendo qualcuno, genio?” Replicò Dominique
minimamente scalfita dall’aria
mefistofelica di quest’ultimo e quella della propria ragazza
combinate. Rose la
ammirò moltissimo. “Vuoi diventare tu, il nuovo
ostaggio? Sul serio… non
conosco questo cattivone, ma una cosa sui cattivoni la so. Non
mantengono mai i patti.”
“Non credo proprio che lasceranno andare la piccola Potter
per te, Dursley.”
Convenne Scorpius, e Rose con orrore si accorse che Albus li stava
guardando
meditabondo.
Non
staranno davvero pensando di andare?!
“Siamo tutti
studenti!”
Esclamò interrompendo la diatriba. “Non possiamo
pensare di batterci contro
un’organizzazione che esiste da decenni ed ha maghi come quel
John Doe!”
“Vi farete
ammazzare, e questa sarà
la fine della vostra grande idea. I
vostri genitori vi troveranno pronti per un funerale.”
Sibilò Violet, il cui
pallore denotava lo stesso grado di paura che Rose si sentiva addosso.
Sa
anche lei che uno Weasley è come un fiume in corsa
se si mette in testa una cosa. Inarrestabile. E qui, tra Al e Domi, ce
ne sono
ben due…
Scorpius la
guardò combattuto.
Trai tre, era l’unico che sembrava aver mantenuto un
po’ di buon senso. “La
piccola Potter ha letteralmente le
ore contate, Rosie.” Disse però. “I
vostri genitori non arriveranno mai in
tempo per salvarla… e dubito che quel tizio ci
concederà una proroga. Le
lancette parlano chiaro.” Si grattò la nuca,
lanciando un’occhiata verso Al e
Tom. Tentò un lieve sorriso. “Come dice quel
racconto babbano sugli spadaccini?
Uno per tutti, tutti per uno? Non
possiamo abbandonarla.”
“È la
cosa più idiota che
abbia mai sentito!” Rose provò un moto di
istintivo affetto verso Violet, il
che era assurdo, ma doveroso dato che l’altra al momento era
la sua più potente
alleata.
“L’anno
scorso sei stato tu a
dirmi che non potevamo invischiarci in storie su cui non potevamo avere
controllo!” Convenne dandole manforte. Se solo Al avesse
smesso di avere
quell’aria così dannatamente
determinata…
“Che
sta succedendo qui?”
Rose si voltò
verso la voce
con il cuore gonfio di sollievo. Era la Professoressa McGrannitt,
scortata da
Ted. L’amico aveva i capelli del viola più cupo
che gli avesse mai visto
addosso e l’aria mite che lo contraddistingueva era stata
spazzata via da qualcosa
che lo rendeva decisamente figlio
di
un lupo mannaro. Metteva in soggezione.
“Stanno decidendo
in che modo
andare a farsi ammazzare, professoressa!” Esordì
Violet, ignorando il tentativo
di Dominique di acchiapparla per farla tacere. Si divincolò
dalla sua presa.
“Voglio andare a salvare Lily Potter!” Si
voltò verso di lei. “Weasley,
diglielo anche tu!”
Rose dovette annuire.
Cercò in
ogni modo di non voltarsi verso Al, perché sapeva che in
qualche modo lo stava
tradendo.
Scusa.
Non voglio che ti succeda qualcosa. Non anche a
te.
L’anziana strega
li guardò ad
uno ad uno con quel suo sguardo da falco. Poi si rivolse ad Albus,
quasi avesse
capito che era lui il leader di quell’improvvisata
combriccola. “Signor Potter,
capisco la preoccupazione per sua sorella, ma lei non è un
auror, né tantomeno un
mago qualificato ad affrontare pericoli di questo genere. Pensa di
poter far
meglio di agenti scelti ed addestrati?”
“No professoressa,
non lo
penso.” Replicò con calma. Sembrava dannatamente
adulto, così diverso dal
ragazzino spaventato e sotto shock dell’anno prima da
sembrare quasi un’altra
persona. “Ma questo non cambia le cose.”
Continuò. “Alberich Von Hohenheim ci
ha dato un conto alla rovescia e adesso, a quel conto mancano due ore.
Trascorse, temo che farà del male a
mia sorella. Mio padre e i suoi auror non arriveranno mai in tempo, e
anche se
riuscissimo a contattarli e spiegar loro la situazione neppure il fuso
orario
giocherebbe a nostro favore. Tra qui e l'India, dove sono adesso per
indagini, c'è un fuso-orario di quattro ore. Qualcuno deve
andare, e dubito che le autorità
locali si muoveranno. Non abbastanza velocemente, comunque.”
Il discorso venne fatto nel
completo silenzio della stanza, interrotto solo
dall’improvviso temporale che
schizzava di pioggia le finestre.
Fu Ted a prendere la parola.
“Due
ore Al?”
Venne ripetuta la
spiegazione
dell’orologio, e non ci furono tentativi di smentirla da
parte dei due
professori; era evidente che Thomas ci avesse preso al primo colpo.
La
genialità va a braccetto con quant’è
odioso…
“È una
trappola, ve ne rendete
conto?” Interloquì Ted restituendo
l’orologio ad Al, che a quel punto ne era
diventato l’ufficiale depositario.
“Lo
sappiamo.” Prese la parola
Tom. “Ma c’è scelta? Ci ha presi di
sorpresa, ha preso Lily perché non ce lo
aspettavamo… Non avrei mai pensato avrebbe preso
lei.” Per un momento la voce
parve incrinarsi, ma fu solo un attimo, perché poi
tornò il consueto tono
arrogante. “La
uccideranno. Come hanno
ucciso Ainsel Prynn l’hanno scorso e come probabilmente si
sono sbarazzati del
vero Kirill Poliakoff.” Inarcò le sopracciglia.
“Perché è morto, non è
vero?”
Il loro vecchio amico
serrò le
labbra preso in contropiede. “Come l’avete saputo?
La notizia non è stata
comunicata agli studenti.”
Al sospirò appena e lanciò un’occhiata
all’altro serpeverde. “Non era difficile
da scoprire. A colazione mancavano sia lui che Luzhin e gli altri
allievi erano
molto scossi. Di Luzhin si hanno notizie?” Rose fu felice che
Albus non
sembrasse così a suo agio nel parlar di cadaveri. Non era
sicura gli piacesse
quel nuovo lato del cugino, disposto a parlare di cose terribili con
una
sicurezza spietata.
Anche
se meglio questo che le crisi di panico dell’anno
scorso.
Ted scosse la testa.
“No, a
quanto c’è stato dato di capire. E non
è molto.” Soggiunse con una lieve
smorfia, atta a nascondere il disappunto dovuto ad un alterco con il
corpo
scolastico ospitante. “Lo stesso allievo che ha trovato Rose
ha anche trovato
il corpo di quel povero ragazzo. Adesso è chiuso in
presidenza.”
Lontano
da occhi ed orecchie inglesi… cioè, nostre – il sottotesto era
evidente.
“Niente
Luzhin.” Tom si
scambiò uno sguardo con Al. “È strano.
Se non era con Doe, ma non è neppure in
un sacco come Poliakoff… Dove diavolo
è?”
“Non ha
importanza.” Lo
riprese Al. “A questo punto, non è lui il
problema.”
“Signor Potter, il
problema è
che state prendendo una decisione impulsiva e temo molto
sbagliata.” Replicò la
McGrannit, ma Rose notò che non ne stava parlando come se
volesse fermarli. Con
orrore, si rese conto che non ne aveva la minima intenzione.
“Come ha detto
Tom,
professoressa, non c’è scelta. Chi resta
avvertirà i nostri genitori e gli
auror…” Fece un lieve sorriso.
“… Con un po’ di fortuna, arriveranno i
rinforzi
prima che ce ne sia davvero bisogno.” Fece una pausa, poi
disse la parola che
Rose aveva temuto fino a quel momento. “Siamo maggiorenni.
Non potete
obbligarci a rimanere se non vogliamo.”
“Siete anche
studenti.” Gli
fece notare la donna con espressione severa.
“Pensa che la
paura di una
punizione o di un espulsione sia più importante di mia
sorella?” Disse Al, in
un impeto grifondoro che evidentemente fece piacere alla vecchia
professoressa,
da come i lineamenti, sebbene austeri, si accesero di una scintilla di
comprensione.
Ci
sono dei momenti in cui davvero, come grifondoro,
non ci capisco.
“Non possiamo
impedirvelo, è
vero.” Convenne Ted con il suo famigerato tono pacato.
“Ma io posso venire con
voi.” Fermò con una mano la protesta di Al.
“Sono un vostro professore, Albus.
Maggiorenne.” Soggiunse con tono inequivocabilmente ironico.
Ted sapeva essere
il re delle frittate girate.
Tom fece una smorfia.
“Stiamo
diventando un vero corpo di spedizione…” Ma Rose
non era del tutto sicura fosse
scontento di avere persone che combattevano accanto a lui.
È
proprio vero, stiamo cambiando tutti…
“E come contate di
salvarla?”
Si inserì Violet, il cui tono era prossimo
all’esplosione, ma si teneva buona
perché in presenza di due professori. Come lei, sembrava
tener di conto
l’autorità scolastica. “O meglio, come
pensate di andarvene di qui? Non sapete
neppure dove l’hanno portata!”
Ci fu un denso, lungo attimo
di silenzio, poi Tom parlò.
“L’orologio.” Disse come se fosse ovvio.
“Stanno
usando gli stessi schemi dell’anno scorso, le stesse mosse.
Il che significa
che l’orologio è una Passaporta.”
“Potter, mi faccia
vedere.”
Replicò la McGrannitt. Albus tese l’orologio da
polso all’anziana strega, che
se lo rigirò tra le dita prima di picchiettarci con la
bacchetta come aveva
fatto l’altro, ma più a lungo ed utilizzando
formule che Rose non conosceva.
“Il Signor Dursley ha ragione.” Decretò
infine. “È una Passaporta. Ed è
carica.”
“Pare
semplice…” Mormorò
Dominique. “… hanno proprio una gran voglia di
vederti. E se ci materializzasse
chessò, in mezzo all’oceano o in dirittura di
sfracellarci su una montagna?”
Sua cugina riusciva ad avere
dei rari momenti di lucidità, sembrava. Tom no,
perché scosse la testa.
“È
sicura. Mi vogliono lì.”
Rose sentiva che avrebbe
dovuto dire o fare qualcosa. Ma mentre gli altri si mettevano
d’accordo su come
attuare il piano con il beneplacito di ben due professori,
pensò che non le
restasse che pregare.
Ted aveva dato ordine di
uscire dall’infermeria, tornare nelle proprie stanze e
prepararsi all’ora x
– così chiamata da un’esaltatissima
Dominique. Scorpius sapeva che Rose era tutto fuorché felice
di come si erano
messe le cose, ma non poteva certo fermarle. Non da solo, e comunque
non
voleva.
Suo padre
l’avrebbe preso a
calci, ma il suo indomito lato grifondoro urlava al salvataggio e non
era una
cosa che poteva reprimere solo per inezie quale la sua
incolumità.
Voglio
diventare un auror, non posso certo fare la
ragazzina spaventata!
Erano rimasti soli
nell’infermeria e Rose fissava le finestre con
un’ostinazione tenera e un po’
triste.
“È la
cosa più stupida che
abbiate mai fatto. Tutti assieme, per giunta.”
Mormorò serrando le dita sulla
coperta. “Non riesco a capire perché la
professoressa vi abbia dato il
permesso.”
“Non si tratta di darcelo o no, sai.”
Replicò sedendosi in fondo al letto e
toccandole una gamba. La ritirò cocciuta. “Siamo
maggiorenni, Rosie.” Sospirò.
“Per il Mondo Magico siamo in grado di prendere una
decisione, compreso
andarcene da scuola per andare a salvare qualcuno. I tuoi genitori
dovrebbero
dirti qualcosa in merito.”
La ragazza gli
scoccò
un’occhiata. Tratteneva le lacrime e Scorpius si
sentì infinitamente infimo.
“Vorrei solo trovare questa cosa sensata.” Gli
confessò “So che qualcuno deve
andare, ma non voglio che sia tu o Al e gli altri!”
Tirò su con il naso. “Ed è
orribile nei confronti di Lily…” Lasciò
scivolare due grosse lacrime lungo le
guance. “È tutta colpa mia… avrei
dovuto fermarla prima che arrivasse da
quell’uomo orribile e…”
“Ehi, no! Non lo è!” La sua fidanzata
era un controsenso vivente, ne era
convinto ogni giorno di più; era coraggiosa, capace di
affrontare una fortezza
buia e un ragazzo armato di bacchetta per salvare sua cugina senza
pensarci un
solo istante, ma quando era il turno degli altri si spaventava e tirava
fuori
tutte le insicurezze che avrebbe dovuto provare per sé
stessa. Aveva un cuore
buono e leale e la amava per questo. Si spostò vicino a lei
e la strinse in un
abbraccio che ricambiò con forza. “Non
è colpa tua. Non potevi certo sapere che
quel Doe era vivo e che avrebbe rapito la piccola Potter…
nessuno di noi se l’aspettava,
Al compreso.” Prese il fazzoletto e le asciugò il
viso – benedette
raccomandazioni di suo padre di averne sempre uno pulito in tasca come
si
addiceva ad un vero lord. “Sei stata fantastica! Non credo
che tutte le cugine
del mondo avrebbero affrontato un castello tetro e un tipo pericoloso
come hai
fatto tu.”
“Già, non che sia servito a molto.”
Borbottò, ma sembrò essersi un po’
rinfrancata. Lodare il coraggio con uno Weasley faceva sempre presa,
Rose non faceva
eccezione. “Comunque continuo a pensare che sia folle quello
che state per fare…”
“Sei la voce della ragione.” Le sussurrò
all’orecchio, baciandoglielo.
“Quale
ragione… l’abbiamo
persa un anno fa.” Borbottò. “Branco di
pazzi.”
“Sì, ma
siamo anche i buoni.
Mi è stato detto che ai buoni va sempre meglio, in
proporzione.” Doveva mostrarsi
forte e sorridere. Quella storia era pericolosa ed esser cupi non
avrebbe
soffiato un vento positivo sulla loro spedizione.
È
la tua famiglia, rosellina. Ma pare che sia diventata
anche la mia.
E la cosa gli dava una
strana,
forte ebbrezza. Essere parte di qualcosa probabilmente voleva dire
quello.
Rose gli prese il viso tra
le
mani e lo baciò. Uno di quei baci che si davano ai cavalieri
in partenza per la
guerra e quindi epici. Si staccò e lo guardo con quegli
occhi nocciola che
l’avevano fatto cadere fulminato alla decisiva età
di quattordici anni. Tutto
quello era accaduto, in fondo, perché si era innamorato di
Rose Weasley.
Annessi e meravigliosi connessi. “Riportali tutti interi,
Malfoy.”
Indossò il suo sorriso migliore.
“Contaci.”
****
Note:
Questo penso sia il capitolo più obeso che abbia mai
sfornato. Anf!
Questo detto, come immaginate, ci stiamo avviando allegramente alla
fine. Questa
la
canzone del capitolo. Vi consiglio di guardare anche il testo. Non
è deprimente
come canzone, ma perché questo capitolo non è
deprimente. È di decisioni! ;D
1. Morții mă-tii:
Letteralmente, e non sto scherzando, il
rumeno per ‘li mortacci tua’. Adoro Radescu. Non
potevo esimermi da fare un
parallelo con l’altrettanto adorato intercalare romano.
2.Mokessino:
da Harry Potter e i Doni della Morte. È un sacchetto
tascabile che Hagrid regala ad Harry per il suo diciottesimo
compleanno. Ha la
particolarità di poter essere aperto solo dal suo
possessore.
3.Novij:
si pronuncia ‘novìc’ è di
origine russa e per ora non diro
nient’altro sull’argomento. ;D
4.Nenorocitule:
in rumeno, colloquiale per ‘povero diavolo’.
|
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Capitolo 58 *** Capitolo LV ***
Capitolo LV
Ogni
azione, anche la più piccola, apre e chiude una porta.
(Marguerite Yourcenair)
21
Gennaio 2022
Germania,
Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Tre
del mattino (ora locale)
C’era qualcosa che
gocciolava
da qualche parte.
Lily lo sentiva ma non voleva alzare la testa per vedere,
perché era in un
maledetto sotteraneo buio e rendersi conto che non era effettivamente
in grado
di vedere l’avrebbe solo gettata nel panico.
Più di quanto
già non era,
beninteso.
Quando aveva ripreso i sensi
aveva cercato, a tentoni, di capire dove si trovasse e ora che lo
sapeva
avrebbe voluto rimanere nell’ignoranza. Era in uno stanzone
di pietra, con una
grossa porta di legno rinforzato da sbarre di metallo; aveva provato ad
aprirla
ma sembrava inchiodata.
Perché
è qui che tengono i prigionieri.
Stringersi le ginocchia al
petto ed affondare il viso nelle pieghe della gonna non serviva a
molto; non
serviva a niente e non la faceva
sentire più calda o più sicura.
Aveva paura. Sentiva il
cuore
battere impazzito e non aveva idea da quanto fosse in quelle
condizioni; non
c’erano finestre che potevano mostrarle l’alba, o
la notte.
Papà…
C’era solo quella
parola nella
sua testa. Voleva suo padre perché le sembrava di essere
nelle viscere stesse
della terra e aveva il terrore che ci sarebbe rimasta per sempre.
Non aveva la minima idea di
come fosse arrivata lì. Sapeva solo che aveva oltrepassato
uno specchio invece
che schiantarcisi contro, poi aveva perso i sensi. L’unica
cosa certa era che era stata rapita da
John Doe, il mostro che l’anno prima aveva fatto tanto male a
Tom.
Perché
io?
Le domande avevano solo il
potere di farla sentire ancora più esposta e spaventata.
Strizzò gli occhi,
sentendo le lacrime pungerle di nuovo le ciglia. Ne lasciò
andare un paio.
Sperava che Rose stesse
bene;
l’aveva vista crollare come un sacco di stracci e non
muoversi più dopo che
John Doe l’aveva colpita. Pregò e pregò
che sua cugina in quel momento fosse al
sicuro, sveglia e magari arrabbiata con lei.
Voglio
tornare a casa.
Voleva abbracciare Al,
voleva
chiedergli scusa, perché era stata un idiota e lui aveva
avuto ragione; tutta
quella storia era orribile e non era affatto come nelle avventure
raccontate dai
loro genitori.
Soffocò un nuovo
singhiozzo.
Un forte rumore di
catenaccio
la fece sobbalzare. Sentì poi dei passi scendere lungo delle
scale ed
avvicinarsi. Alzò la testa e vide un chiarore tenue
trapelare dalla feritoia
bassa intagliata nella porta, probabilmente usata per passare cibo e
acqua
senza dover entrare. Si addossò alla parete di pietra,
sentendo l’umido
bagnarle i vestiti.
John
Doe.
Ci fu
un rumore di chiavi che venivano
spulciate e trovate e poi venne dato un rugginoso colpo alla serratura.
La
figura di un uomo entrò nella cella e Lily avrebbe voluto
essere ingoiata dalle
pareti; non le restava che rimanere immobile e respirare il
più piano
possibile.
Appena gli occhi si furono
abituati alla luce, si rese conto che non si trattava di John Doe;
anche se
altrettanto biondo aveva una corporatura diversa e capelli lunghi e
scompigliati, non rasati a zero. Indossava una casacca e pantaloni di
stoffa
grezza e quelli che sembravano zoccoli. Era giovane, poco
più che suo coetaneo.
Il sollievo comunque
durò poco;
il ragazzo tese la torcia nella sua direzione e Lily notò
che reggeva
nell’altra mano una pezzuola e una fialetta intrappolata tra
medio e indice.
Pozione.
Veleno.
Rinculò
così forte che sbatté
la testa contro il muro mentre il suo carceriere la guardava stupito.
Poi le sorrise
e quel sorriso, palesemente divertito e beffardo, la mandò
su tutte le furie.
“Cosa
vuoi?” Lo apostrofò
aggressiva sentendosi lo stomaco attorcigliato in una morsa.
“Stammi lontano, o
…” Tacque di fronte all’evidenza di una
bacchetta mancante.
Il biondo non diede segno di
aver percepito la minaccia, perché agitò
l’ampolla e fece qualche passo. “Mediko.”
Disse con un forte accento
gutturale. Era tedesco, Sören pronunciava le parole nello
stesso modo.
Ren…
Dov’era in quel
momento?
Sapeva che era stata rapita? Doveva, visto che il padre di Tom lo stava
ricattando facendolo lavorare per lui. Sapeva dell’imboscata
di John Doe?
No.
No, è impossibile. Non poteva saperlo, l’avrebbe
fermata.
“Mediko.”
Ripeté il ragazzo facendo un altro passo in avanti.
Sembrava studiare le sue reazioni, il che era stupido; era lei quella
disarmata, lui di sicuro la bacchetta la aveva.
Bacchetta…
Anche se non gliela vedeva
in
mano né addosso. Niente fodere, niente cinture in cui
infilarla. Non aveva neppure
tasche dei pantaloni.
Dov’è
la sua bacchetta?
Si umettò le
labbra, vedendo
la fiala e la pezzuola di lino che teneva in mano.
“Vuoi… vuoi curarmi?” Decifrò
confusa. Non era ferita, quindi doveva essere una scusa. “Non
sono ferita,
stammi lontano!”
Il tipo aggrottò
le
sopracciglia. Era chiaro non capisse una parola di quel che gli diceva.
Scosse la
testa e si inginocchiò alla sua altezza, indicandole le
gambe. Solo allora Lily
notò di avere una caviglia gonfia ed escoriata. Doveva
essersi fatta male
quando era atterrata dall’altra parte. L’adrenalina
e il fatto di esser seduta
le stava semplicemente attutendo il dolore.
“Oh…
non… non me n’ero
accorta.” Ammise, lanciandogli un’ennesima
occhiata.
Perché
curarmi? Vuol dire che non vogliono uccidermi?
Che vuol dire?
Le domande e la paura le
facevano girare la testa, ma doveva mantenersi lucida. Buio o meno, il
tempo
continuava a scorrere e altre cose stavano accadendo.
Le venne porta pezzuola e
pozione. “Tu.” Disse e gliele tese testardo
finché non le accettò. “Mediko.”
“Sì, ho
capito!” Esclamò
spazientita. Versò il liquido leggermente vischioso sulla
pezzuola e lo annusò.
Non aveva un cattivo odore; sapeva di erbe e aveva
l’odore pungente dell’alcool. La
appoggiò e
fece una smorfia. Bruciava come l’inferno. Se la tolse
subito. “Ma che diavolo
è?!”
Il ragazzo emise un
sorrisetto. “Babbano. Alkohol.” Si strinse nelle spalle.
“ Sehr Gut?”
“Gut
un accidente. Fa male! Perché mi state curando con i rimedi
babbani?!” Essere arrabbiati scacciava la paura.
Più o meno.
Il tipo ghignò,
sembrando estremamente
divertito dalla sua esclamazione. “Keine
Magie, fraülein. Nein.” Si strinse
nelle spalle.
Lily capì: mesi
passati con
Sören le avevano insegnato per osmosi qualche parola.
Niente
magia? Ma allora…
Realizzò di
trovarsi di fronte
ad un Magonò. La sorpresa fu tale che rimise la pezzuola
sulla caviglia e si
scordò di urlare. Si fissarono per qualche attimo in
silenzio, poi il ragazzo
si alzò in piedi spazzolandosi svogliato i pantaloni che ad
un’occhiata più
approfondita mostravano più rammendi che cuciture e le fece
cenno di alzarsi.
Non
usano elfi domestici usano… esseri umani.
Obbedì confusa.
La caviglia
gli diede una fitta fastidiosa ma resse il colpo.
“Dove… dove andiamo?” Le
venne indicato il soffitto, quindi forse i piani superiori. Il
magonò dovette
notare il suo rapido impallidire perché tentò un
sorriso. “Nein. Calma,
calma.” Si toccò le labbra.
“Parlare.”
Non le avrebbero fatto male,
era questo il succo dello zoppicante discorso. Inspirò ed
annuì, e solo allora
il magonò aprì la cella e la condusse fuori. Gli
fu grata di aver aspettato e
di non averla tirata fuori a forza. “Sono… mi
chiamo Lily.”
Il ragazzo batté
le palpebre
sorpreso da quella presentazione; lo era anche lei, ma la paura faceva
fare
cose stupide, incluso cercare uno sguardo gentile in mezzo
all’orrore. “Milo.”
Le fu risposto.
“Allora…
grazie per la
medicazione Milo.” La caviglia le faceva male, ma era in
grado di camminare
piuttosto agevolmente. Forse non era del tutto un rimedio babbano;
sapeva che i
Maghinò avevano pozioni tarate per la loro mancanza di magia
o cose del
genere.
Milo aggrottò le
sopracciglia.
Non riuscì a capire se avesse compreso le sue intenzioni
perché si limitò a
spingerla leggermente; non le restò che salire assieme a
lui.
Era un vero e proprio
palazzo,
lo scoprì salendo scale che da pietra scivolosa diventarono
legno ben
costruito. Non poteva capire però quanto e come fosse
sfarzoso perché era
completamente immerso nel buio; doveva ancora essere notte.
Quante
ore sono passate? Era appena mezzanotte quando
Poliakoff… no, John Doe mi ha chiamato.
Era impensabile e spaventoso
pensare che aveva risposto alla chiamata di un assassino.
Inspirò bruscamente e
non poté neanche pensare di rallentare o fermarsi che la
mano del Magonò la
spinse subito in avanti. “Sì, mi sto
muovendo!” Sbottò nervosa. Parlare ad alta
voce in quel posto era strano. Era come urlare dentro un cimitero,
inappropriato.
Tacque.
Passarono un corridoio pieno
di armature e arazzi alti il doppio di lei che raffiguravano velieri e
battaglie navali in modo così dettagliato da sembrare veri,
quasi si stesse
affacciando sulla scena. Buio o meno, quel poco che vedeva grazie alla
torcia
rendeva davvero ricco il padre di
Tom.
“Dove mi stai
portando?”
Chiese e ovviamente non ebbe risposta alcuna.
Se fosse stata Al, o Thomas,
sicuramente si sarebbe fatta venire qualche idea geniale, avrebbe
trovato il
modo di scappare e chiamare aiuto, ma non era loro e non lo sarebbe mai
stata.
Sono
solo… io.
E il suo cervello era bianco
dal panico.
Arrivarono di fronte ad una
porta in quercia, non grande abbastanza da essere un ingresso, ma
sufficiente
per nascondere una stanza importante. Una sala da pranzo o forse un
ufficio;
non era ferrata in Magi-Architettura. Milo bussò con forza e
la porta si
schiuse con un sonoro rumore di ferro. Poi la guardò. Doveva
entrare.
No,
no… no, no, no!
La
sua espressione dovette essere
indicativa perché l’altro la prese per un braccio
e la spinse dentro.
Lily precipitò di
nuovo nell’oscurità
totale e sentì il cuore schizzarle in gola; voleva la
torcia, voleva il sole.
Cercò di gettarsi contro la porta, ma la trovò
chiusa; il Magonò doveva
essersela tirata dietro senza possibilità di riaprirla.
Dopo qualche attimo
notò che
c’era un fuoco acceso in fondo alla stanza, anche se erano
solo braci. Non le
importava se era una trappola, ci si diresse senza indugio. Raggiunse e
si
accostò al camino e tese le mani al poco calore che ancora
emanava. Passarono
minuti, o forse ore; il suo senso del tempo, nel buio, era
completamente confuso,
sballato. Il cuore accelerava e decelerava a suo piacimento. Sentiva
freddo, e
poi caldo. Non era mai stata così spaventata.
Cosa
ci faccio qui?
Aveva bisogno di risposte,
ma
la sola idea di chiederle al padre di Tom o a John Doe le ghiacciava il
sangue
nelle vene.
Presa da quei foschi
pensieri
notò in ritardo che la stanza si stava gradualmente
illuminando; si guardò
attorno e notò prima una scrivania accanto a sé,
e poi qualcuno seduto dietro.
Il padre di Tom.
Rimase bloccata come un
cervo
di fronte ai fari di un camion babbano, senza sapere cosa dire o fare.
Cosa…
L’uomo era lo
stesso che aveva
visto nei ricordi di Ren; sulla cinquantina, dai lineamenti sottili e
gli
stessi occhi di Tom. Indossava vesti sontuose e decisamente da
Purosangue.
“Vuole che ravvivi
il fuoco?”
La domanda fu così inaspettata che Lily non
riuscì ad aprire bocca. “Sembra
infreddolita.” Era disagiante sentirlo parlare,
perché aveva la stessa cadenza
apatica di Tom, mischiata però all’inglese che
Sören parlava all’inizio della
loro frequentazione; un inglese appreso nei libri, vecchio, quasi di
un’altra
epoca.
“Io…
no.” Mormorò recuperando
la voce. “No, sto bene.”
“Si sieda
dunque.” Fece un
cenno della mano e una delle due sedie davanti alla scrivania venne
scostata.
Lily capì che non c’era modo di rifiutare
l’offerta, così obbedì.
“Gradirà qualcosa
da bere.” Aggiunse e un bicchiere colmo di un liquido ambrato
apparve di fronte
a lei.
La
legge di Gamp… No, deve averlo materializzato dalle
cucine già riempito.
Anche in quelle situazioni
riusciva a pensare a cose totalmente idiote.
“Beva.”
Lily stavolta non
obbedì. Era terrorizzata, ma non stupida; le era stato
insegnato che nel Mondo
Magico non andava mai bevuto o mangiato nulla di cui non si conosceva
la
provenienza. Non avrebbe rotto quell’insegnamento nemmeno
sotto tortura.
L’uomo dovette
indovinare i
suoi pensieri perché tra la barba castana e curata apparve
un lieve sorriso.
“Non è avvelenato, né corretto.
È solo Whiskey incendiario, uno dei vostri.”
Spiegò. “Se avessi voluto drogarla
l’avrei già fatto.” Soggiunse con tono
leggero.
Lily aveva freddo e quel
bicchiere prometteva calore immediato, quindi lo afferrò e
mandò giù. Il
liquore le bruciò la gola, ma le fece
anche tornare colore sul viso e fermezza nelle gambe.
Strizzò gli occhi e
riprese a respirare.
Era chiaro che non
l’avrebbero
uccisa, non subito. Era stata curata e portata nell’ufficio
personale del padre
di Tom. Forse voleva interrogarla.
Ma
a proposito di cosa? Io non so niente!
“Mi chiamo
Alberich Von
Hohenheim. Sa chi sono?” L’interrogatorio era
già iniziato dunque. Quella
domanda però era facile.
“Il padre naturale
di Tom. La
persona che l’anno scorso gli ha quasi fatto uccidere mio
fratello e mio
padre.” Non avrebbe pianto, non avrebbe implorato di essere
liberata. Sarebbe
stato stupido, sterile, da bambina spaventata. Era spaventata, ma
sarebbe morta piuttosto che
mostrarlo.
Sono
una Potter. E tu sei un fottuto, malato mostro.
Il mago inarcò
appena le
sopracciglia, ma non commentò l’ultima frase.
“Vedo che possiamo saltare i convenevoli.
Me ne rallegro.” Era pallido, Lily lo notò in quel
momento. Dietro l’aspetto
curato c’erano occhiaie e un pallore livido che gli scavava
le guance e rendeva
più acuti gli occhi.
Quest’uomo
è malato…
Non aveva bisogno di
togliersi
l’orecchino per capirlo. Ogni singola fibra di
quell’uomo gridava poca salute.
Vuol
dire qualcosa? C’entra qualcosa con la sua
ossessione per Tom?
“Lily Luna
Potter.” Disse
strappandola dalle sue riflessioni. “Ultimogenita del famoso
Harry Potter,
studentessa della Casa di Grifondoro e Legimante Naturale.”
Fece un secondo
sorriso – neppure stavolta si estese agli occhi –
alla sua espressione
sbigottita. “Sì, so della sua piccola
particolarità e so anche dell’orecchino
di controllo. Vorrei se lo togliesse.”
“Perché?” Non aveva il minimo senso; se
sapeva che ne aveva uno, sapeva anche
che il portarlo per anni aveva compromesso irrimediabilmente le sue
capacità.
“Non …”
“Devo chiamare qualcuno che esegua la mia richiesta al posto
suo?” Lily pensò a
John Doe e non aspettò una seconda minaccia per toglierselo.
Arrivò
immediatamente. Fu come
sentirsi soffocare. La vista le si offuscò e quello che
provò fu rabbia,
frustrazione e un dolore così accecante che non perse i
sensi solo perché non
era suo.
Quando riprese coscienza si
accorse di essere quasi caduta dalla sedia.
“Notevole…
una LeNa sopita
percepisce tutto questo.” La voce di Von Hohenheim sembrava
provenire da molto
lontano. Ci mise più di qualche attimo per sentirla vicino a
sé come avrebbe
dovuto. “Non dev’essere per il suo sangue
Peverell.”
“Peverell…”
Ricordava qualche
lontana parentela con quel cognome. Inspirò, notando che in
pochi attimi si era
coperta di sudore freddo, malsano. Si raddrizzò sulla sedia
e trovò subito
pronto un secondo bicchiere. Stavolta lo bevve senza fiatare.
“… Che c’entrano
i Peverell?”
“Solo una
considerazione.” Stornò
quasi con gentilezza. “Si sente meglio?”
“Cosa…
cos’era quello?”
Non ebbe risposta, ma lo
indovinò. Era ciò che provava il mago di fronte a
lei. Il che non aveva senso,
ma era spaventoso comunque.
Niente
ha senso qui dentro. La mia presenza, questa
conversazione, quello che mi ha lasciato vedere di lui…
Che
sta succedendo?
“Cosa ci faccio io qui?” Riprese coraggio. Che
vantaggio
poteva avere nel rapirla? Non era come se potesse usarla per fare
alcunché.
“Attende, come
me.” Le fu
risposto. “Ho necessità di parlare con mio
figlio… e temo che questo sia
l’unico modo per avere una conversazione con lui.”
È pazzo!
Serrò le labbra. “Tom non
verrà qui per salvare me! Lo faranno gli Auror!
Mio padre non lascerà che si prenda questa
responsabilità!”
L’uomo fece un
gesto
infastidito, quasi volesse scacciare una mosca molesta. “Non
ci sarà tempo per
decidere.” Prese la pipa da una scatola istoriata vicino a
sé e cominciò a
caricarla. “Mi è stato fatto notare che gli
affetti sono qualcosa di potente,
capace di creare legami e doveri, Signorina Potter.”
Cambiò discorso. “Mio
figlio verrà qui per salvarla, esattamente come lei
è qui perché ha tentato di
salvare Sören.”
Ren?
Il
mago inarcò appena le sopracciglia
e non ci fu bisogno di parole; Lily capì che sapeva.
Sapeva di loro due. “Non sono finita
qui, sono stata rapita!” Sbottò.
“Dov’è Ren?” Chiese e le
venne restituito uno sguardo indecifrabile. “Che gli avete
fatto?!”
“Non certo quello
che pensa.”
Accese la pipa e tirò qualche breve boccata. Lily si accorse
con stupore che
conosceva l’odore di quel tabacco. Era lo stesso che fumava
il suo amico; troppe
volte l’aveva ripreso per quell’abitudine malsana e
puzzolente per non
ricordarselo. “Sören gode di ottima salute e della
mia incondizionata
gratitudine.”
“Per cosa? Per averle permesso di usarlo come un burattino e
di spaventarlo a
morte?!” Non le importava di essere disarmata, né
di trovarsi di fronte ad uno
stregone capace di trasformarla in un mucchietto di cenere. Ricordava
la paura
che aveva letto negli occhi dell’amico, il modo in cui
l’aveva stretta e il
terrore che aveva letto quella volta nel bagno delle ragazze. Non
l’avrebbe
scordato mai. “Lei è un mostro!”
Senza orecchino Lily sentiva
che Von Hohenheim era divertito dalla sua rabbia e solo un
po’ infastidito,
come lo sarebbe stato di fronte ad un insetto molesto.
Avrebbe voluto ucciderlo, e
realizzare che era un anelito ridicolo era ancora più
frustrante
“Credo che ci sia
un
fraintendimento di fondo … Lei predica l’innocenza
di una persona che non lo
è.”
“Sören è innocente!”
Il mago fece un sospiro.
“È
dunque quello di cui si è convinta… Non pensa che
sia stato questo a farla
finire qui?”
“Siete stati lei e
John Doe a
farmi finire qui!” Qualsiasi cosa stava tentando di fare o di
convincerla a
pensare non ci sarebbe cascata. Mai.
“Mi
avete rapita!”
“Semantica.”
Ora era solo
divertito. “Nega forse il suo desiderio di salvare
Sören? Nega forse di aver
ignorato le raccomandazioni dei suoi amici, della sua famiglia e di
aver
infranto regole e buonsenso per seguirlo?”
Lily esitò.
Quello non poteva
certo negarlo, era la verità. “Lei non mi sembra
una ragazza sciocca.”
Considerò. “Immagino quindi che sapesse di correre
dei rischi quando ha deciso
di acconsentire al piano di Kirill Poliakoff.”
“S…
sì.” Mormorò. Forse Sören
si trovava nel castello in quel momento. Oppure era ancora a
Durmstrang? A
quell’ora aveva sicuramente saputo del suo rapimento.
O
lo sapeva già? Sapeva che sarei stata rapita? Sapeva
di John Doe?
Un attimo prima sarebbe
stata
pronta a giurare che ne era all’oscuro, ma
realizzò che non ne era più capace.
Lo
sa? Se lo sa perché non l’ha fermato? È
mio amico,
avrebbe dovuto.
“Voleva evitargli
il carcere.
Ammirevole, non c’è dubbio.” Era quello
che gli aveva detto Poliakoff… no, Doe.
Evitaci il carcere. Non era vero,
dunque. Era stata un’idea di Von Hohenheim dirle quelle cose,
farle credere che
avevano bisogno della protezione di suo padre e del Ministero inglese?
“Sono le scelte
che ha preso
che l’hanno portata a parlare con me, adesso. È
forse un ragionamento
scorretto?”
Lily distolse lo sguardo e
lo
fissò sulle mani; aveva le dita aggrappate alla gonna,
talmente strette da
avere le nocche bianche. Adesso capiva come Tom era quasi riuscito a
perdere se
stesso l’anno prima. Von Hohenheim non stava tentando di
convincerla,
semplicemente attestava. Era
arrivato
al cuore delle sue incertezze come un Guaritore avrebbe fatto con un
paziente e
lì aveva cominciato ad operare.
“Mi …
mi avete fatto prendere
quelle scelte!” Sbottò e nel momento stesso in cui
lo disse realizzò che era
vero.
Io…
io non ho scelto niente. Sono qui perché sapevano che
non avrei detto di no a Poliakoff.
Era lei l’anello
debole della
catena. Non Thomas, non Albus o gli altri. Era lì
perché era l’unica che
avrebbe potuto cadere nella trappola del mago di fronte a
sé.
Per
salvare Ren…
“Se vuoi
aiutare … devi
anche trovare qualcuno che voglia essere aiutato, Lils.”
Aveva sempre supposto che
Sören fosse una pedina riluttante, perché quello
urlava il suo atteggiamento e
la sua sofferenza.
Pensando questo si era
dimenticata ciò che sapeva da quando aveva scoperto di
essere una LeNa.
Le
persone mentono.
“In tutta
onestà, quando ho
chiesto a Sören di avvicinarsi a lei non avrei sperato in un
risultato così
soddisfacente…”
“…
Cosa?” Aveva captato solo
la fine della frase, ma ricostruirla fu semplice. Come semplice fu
capirne il
sottotesto. “Sören è il mio amico di
piuma! Lo è da anni, lo conosco
da anni! Non mi ha avvicinato,
ci conoscevamo già!”
Le
persone mentono, Lily. Lo sai, lo sai perché l’hai
visto, l’hai letto nei loro sorrisi, nelle loro smorfie, nei
loro occhi. Ci
sono vari gradi di bugie. Bugie innocue, bugie sciocche, bugie palesi,
bugie
impossibili da scovare, bugie tremende. Le persone mentono.
Tutte.
“Lei conosce due
Sören. Il suo
amico di piuma è il primo… e non è la
stessa persona di cui stiamo parlando
adesso.” Non aveva senso, non aveva il minimo senso quello
che usciva dalla
bocca di quell’uomo disgustoso. Ne era certa. Voleva solo
farla confondere per
poi chiederle chissà cosa. O chissà, forse per
divertimento.
Le
persone mentono.
Alzarsi e liberarsi dalla
comodità della poltrona fu tutt’uno.
L’uomo osservò quel movimento senza
particolari reazioni. Forse l’aveva previsto, come aveva
previsto tutto il
resto.
“Sarò
più chiaro.” Tirò
l’ennesima boccata del tabacco di Sören.
“È stata avvicinata sotto mio ordine.
Il Sören di cui stiamo parlando è il suo
corrispondente sono due persone
diverse. Uno è uno sfortunato ragazzo di cui non credo
avrà più notizie… e
l’altro, è mio fedele servo e nipote.”
Nipote…
“Sta
mentendo!” Aggrapparsi a
tutto, anche all’impossibile. Forse, era stupido, forse era
idiota, ma Ren
esisteva. Il suo dolce, e impacciato Ren che l’aveva
ascoltata, fatta ballare,
aiutata… salvata. Che l’aveva abbracciata su
quella stupida scogliera come se
fosse la cosa più importante del mondo.
Esiste.
Ren esiste… Non mi ha mentito. Non può avermi
mentito per tutto questo tempo per fare del male a Tom. Per fare del
male a me.
“Forse ha bisogno
di una prova,
lo capisco…” Nessuna comprensione. Nessuna
empatia. Lily se ne intendeva di
empatia abbastanza per non vederla riflessa nel volto
dell’uomo. “Perché non si
volta?” Voltarsi? E per cosa?
Lo fece. Non volle averlo
fatto.
Non volle perché
si accorse
che si era voltata per vedere un quadro. Un quadro di quelli che i
purosangue
si facevano fare per appenderli, silenti e giudicanti, nelle loro case.
Un
quadro che raffigurava Alberich Von Hohenheim…
E Sören.
Nessun dubbio su quello;
occhi
neri, capelli lunghi e corvini, vestito come un Purosangue.
Sören.
Sören era nello
stesso
ritratto con un assassino, con il folle padre di Tom perché
era suo nipote.
A Lily venne da vomitare.
“Come ho
detto… l’affetto crea
legami, doveri. Dipendenza. Risultati inaspettati, anche.” La
voce continuava a
parlare, ma Lily aveva smesso di ascoltarla, sentirla, analizzarla.
“La devo
ringraziare, Signorina. Ora so se riporre fiducia in mio nipote e
rivedrò mio
figlio.” Fece una breve pausa. “Mi sembrava
corretto farle avere i miei
ringraziamenti di persona.”
Lily non disse niente. Dopo
qualche attimo, o forse secolo, si sentì prendere per un
braccio con la stessa
delicatezza di prima. Era il ragazzo Magonò;
com’era entrato? Non aveva
importanza, comunque.
Fu riportata indietro, nella sua cella, ma non protestò una
sola volta.
****
Inghilterra,
Londra. Ministero della Magia
Undici del mattino (ora locale)
Avevano portato il giovane
Luzhin con loro, dato che il ragazzo non poteva rimanere con le
autorità
indiane, né aveva espresso il desiderio di tornare
immediatamente a casa.
Doveva essere ancora ufficialmente dimesso, quindi era stato portato al
San
Mungo e lì lasciato alle cure dei Medimaghi e Guaritori.
Harry era così
tornato al
Ministero. “Dobbiamo far spiccare un mandato di cattura per
Sören Novij …
sempre che sia questo il nome.” Soggiunse; ormai
l’unica certezza che avevano
era che il ragazzo che per mesi era stato una spina nel fianco lo era
davvero.
Il
nipote di Alberich Von Hohenheim. Il cugino di Tom.
Stesso sangue di Tom e di suo padre…
Dannazione.
“Novij
è un cognome di origine russa.”
Osservò Nora affiancandoglisi lungo il grande atrio, a
quell’ora già gremito di
maghi e funzionari di svariato genere e taglia. “I Von
Hohenheim hanno
connessioni con la nobiltà magica di quel paese tramite
matrimonio … credo.”
Fece una smorfia. “Dovrei consultare il mio archivio per
esserne sicura.”
“Se chiedete a me,
non
sembrava russo. Aveva un accento tedesco, no? E poi quella storia che
era
imparentato con i Prince?” Replicò Ron.
“Allora era vero che era una
montatura!”
“Non ne sono convinto.” Replicò Harry,
ignorando l’occhiata esasperata del
compagno. “Può essere un cognome presente nella
famiglia ma non suo. Von
Hohenheim non avrebbe mai usato il suo cognome per iscrivere suo
nipote, Ron.
Avrebbe attirato attenzioni non desiderate.”
“Questo
è vero…” Ammise
l’altro guardando l’orologio da taschino.
“Diamine, con questi fusi-orari del
diavolo non si capisce nulla! Siamo partiti dopopranzo e qui
è quasi ora del brunch!
Non so neppure se ho voglia di
dolce o di salato!”
“Può
dar fastidio, vero?”
Sospirò compartecipe Nora, dandogli una pacca sulla spalla.
“Ti rimetterai in
sesto entro stasera, non preoccuparti.”
Harry fece loro un breve sorriso. Era preoccupato. Aveva tentato di
contattare
la moglie per sapere se poteva andare a prendere Lily, che sarebbe
dovuta
tornare quella sera stessa con la Passaporta per Inverness. Non
c’era riuscito.
Né con lo specchio magico – la distanza di ben due
continenti non aveva reso
possibile la chiamata – né con il fuoco portatile,
dato che non l’aveva trovata
al camino del suo ufficio alla Gazzetta del Profeta.
Sarà
fuori per un’intervista, forse.
Quando varcò
l’ufficio auror
fu quasi placcato dalla sua segretaria. La povera ragazza aveva
l’acconciatura
fuori posto e gli occhiali di traverso e, in generale, l’aria
di chi aveva
fatto uno scatto da centometrista per andargli incontro.
“Signor Potter!”
Ansimò. “Sua moglie l’aspetta nel suo
ufficio… e anche la sua, Caposquadra
Weasley.” Aggiunse a beneficio di Ron che la
squadrò perplesso. Poi abbassò il
tono di voce e si guardò attorno quasi avesse paura di
parlare ad alta voce. “…
e c’è anche Lord Malfoy.”
Harry si scambiò un’occhiata gemella di puro
stupore con l’amico d’infanzia.
Malfoy,
Hermione e Ginny? Assieme? Che diamine sta
succedendo?
Le domande era troppe, ed
era
meglio perciò tagliar corto. “Grazie Grace.
Fa’ strada.” Le ordinò spiccio,
facendo cenno ai propri auror – che fingevano malamente di
non essersi
assiepati attorno a lui per carpire qualche scampolo di conversazione
– di
tornare al lavoro.
Ron gli si
affiancò. “Harry,
solo io trovo assurdo…” Iniziò, ma lo
fece tacere con un cenno della mano. Non
lo trovava assurdo, lo trovava preoccupante. Sua moglie non si sarebbe
mai
assentata dal lavoro se non per motivi gravi, e lo stesso valeva per
Hermione le
cui udienze si svolgevano soprattutto di mattina.
Senza
contare Malfoy. Non si allontanerebbe dal suo
Dipartimento per venire nel mio neppure per tutti i galeoni del mondo.
Quando aprì la
porta dopo aver
congedato Grace, si trovò di fronte proprio ciò
che aveva temuto; Ginny era
seduta di fronte alla scrivania, con un fazzoletto stretto in pugno e
gli occhi
rossi. Hermione stava letteralmente scavando un selciato nel suo
tappeto e Malfoy
era appoggiato alla libreria come un avvoltoio o un attaccapanni molto
lugubre.
Si voltarono tutti verso di lui e per un momento Harry ebbe
l’orrendo deja-vu
di trovarsi di nuovo nella stanza della Necessità con tutta
la resistenza di
Hogwarts che aspettava di sentirlo parlare.
“Che sta
succedendo?” Tagliò
corto.
“Non…
non hai ricevuto nessun
Gufo?” Chiese sua moglie con uno strano tono esitante. Era
raro che Ginny si
facesse sopraffare dalle emozioni. Rarissimo e per questo spaventoso.
“No, quando me
l’avete
mandato?” Scosse la testa. “Lasciate perdere, con
il fuso orario continentale è
un vero inferno. Cos’è successo?”
Ripeté.
“Tua figlia,
Potter.” Si
scollò dal palato Draco, ignorando la selva di occhiatacce
che lo investì.
Stranamente il tono beffardo che lo contraddistingueva non
c’era. Lily non aveva
combinato qualche guaio. Lily era
in
qualche guaio, e persino l’istinto paterno di Malfoy era
stato attivato.
“Cos’è
successo a Lily? Sta
bene?” Esplose Ron con aria preoccupata.
“Lily è
stata rapita.” Mormorò
Hermione, ma ebbe l’effetto di risuonare come un incantesimo
esplosivo. “Ieri
notte… Harry.” Disse eliminando la distanza tra di
loro in pochi passi e
stringendogli un braccio. “Harry, noi…”
E rimase completamente senza parole.
Sembrava un mondo alla
rovescio,
pensò sentendosi stordito come se gli avessero tirato uno
schiaffo. Ginny
piangeva, Malfoy non faceva il bastardo e Hermione rimaneva senza
parole.
Come un automa si sedette
dietro la scrivania, notando che gli altri sembravano stupiti dal suo
contegno.
Come poteva dire loro che l’automatismo di essere il capo
dell’ufficio auror
era l’unica cosa a cui potesse rimanere ancorato per
mantenersi lucido?
“Spiegate.”
Disse scegliendo
con cura la parola ed infischiandosene del tono basso che fece
impallidire
Hermione e quasi scattare sull’attenti Malfoy.
“Ieri notte Lily
è scappata
dal suo dormitorio per incontrare l’assistente di Luzhin.
Forse per parlargli,
forse per farsi portare dal ragazzo.” Iniziò
Hermione. Toccava sempre ad
Hermione gestire ed esporre le patate bollenti. “Rose
l’ha seguita di nascosto per
tentare di riportarla indietro, ma l’assistente…
è risultato essere in realtà
John Doe. È stato lui a rapirla.”
“Ma è morto!” Esclamò Ron
incredulo. Non tentò di perorare ulteriormente
quell’idea però, perché
soffocò un imprecazione subito dopo. “Dannazione,
affogato in mare … era troppo semplice!” Poi si
bloccò. “Rosie?” Gli uscì e
Harry non lo biasimò per quell’attacco di egoismo
paterno.
“Rose è
stata schiantata.”
All’espressione del marito si affrettò a
rassicurarlo. “Sta bene, Ron. È stata
lei a chiamarci con la professoressa McGrannitt e a raccontarci tutto.
Un
ragazzo l’ha trovata e portata in infermeria per
fortuna.”
“Perché
Lily?” Ginny aveva la
voce roca ma manteneva una fermezza invidiabile, che
gliel’aveva fatta amare da
quando erano ragazzi. Non avrebbe mai dovuto rassicurare Ginny Weasley
o
preoccuparsi delle sue lacrime, questo aveva pensato. Ed era un
sollievo enorme
anche in quel momento.
“È una
leva.” Rispose
inaspettatamente Malfoy. “Ha creato una connessione con quel
supposto Campione
di Durmstrang … ha fatto in modo che vostra figlia si
fidasse di lui e,
evidentemente, del suo assistente. L’ha resa un perfetto
target proprio perché
improbabile.”
Harry non disse nulla,
mentre
gli altri snocciolavano congetture, chi schierandosi dalla parte di
Malfoy chi,
come Ron, negando per principio. Vennero anche tirati in ballo le loro
scoperte
in India, compresa la reale identità del Campione di
Durmstrang. Le reazioni
non si fecero attendere, ma Harry le lasciò gestire a Ron.
Malfoy aveva
ragione; Lily era una leva e lo era per Tom. Conosceva abbastanza il
suo
figlioccio da sapere che in quel momenti si stava dando tutta la colpa
di quel
che era successo.
Tom gli aveva detto che era
sicuro di capire la mente di suo padre; ma era evidente che la cosa
fosse
vicendevole.
Anche
Von Hohenheim ha capito come ragiona Tom.
“Nora.”
La sua voce fece
quietare la discussione di colpo come se avesse sparato un incantesimo
in aria.
L’agente americano guardò verso di lui, in
silenziosa attesa. Non aveva emesso
una parola per tutta la durata della scena. “Voglio che tu mi
dica esattamente
quante e dove sono ubicate le residenze di Alberich Von Hohenheim. So
che avete
questo genere di informazioni…” Non lo sapeva, ma
poteva indovinarlo da come
l’americana tradì sorpresa.
“L’avranno portata in una di esse.”
“Come puoi esserne sicuro?” Replicò
Hermione confusa. “John Doe l’anno scorso
nascose Tom in una caverna nella foresta di Hogwarts.”
“Von Hohenheim non si fida più di nessuno. Nora,
me l’hai detto tu che ha
tagliato fuori la sua stessa organizzazione.” Si rivolse alla
creola, che
annuì. “Ha bisogno di un posto sicuro, che conosce
e in cui può difendersi… Avrà
dei mercemaghi al suo servizio, probabilmente gli stessi che hanno
ucciso i
Luzhin.” Ignorò le espressioni di amiche e mogli.
“Poi, che messaggio ha
lasciato? Avrà voluto mettersi in contatto. Lily non
è l’obbiettivo, è Thomas.”
Sapeva che avrebbe dovuto
mostrarsi più emotivo. Forse rovesciare la sedia e
pretendere di precipitarsi a
casa di quel lurido figlio di puttana avrebbe aiutato, ma non era
così che avrebbe
salvato la sua bambina.
Morirai.
Non mi basta vederti in prigione, voglio
vederti morto.
Lily aveva solo quindici
anni ed
era una ragazzina spensierata. Avrebbe dovuto annoiarsi a lezione, non
essere
nelle mani di un mago psicotico che perseguitava un povero ragazzo la
cui unica
colpa era avere il suo stesso sangue.
Hermione si
scambiò
un’occhiata con Ginny, poi parlò.
“È questo il punto… John Doe ha
lasciato una
Passaporta. Ha incantato l’orologio da polso di Rose per
attivarsi ad una certa
ora e probabilmente portare chi lo indossa o tocca da Von
Hohenheim.”
“Dov’è quest’orologio
adesso?”
Ci fu un lungo, scomodo
silenzio. Ginny strinse il fazzoletto tra le dita e Hermione
serrò le labbra
come quando si trovava di fronte un membro del Wizengamot
particolarmente
tenace nel contro-interrogatorio. “Ce l’hanno i
ragazzi…” Si risolse a dire
infine, e Harry davvero, non capì.
“In che senso
Herm?” Chiese
Ron con lo stesso stupore dipinto nello sguardo. “Non
l’ha presa in consegna
Ted, o chessò, la McGrannit? Persino le loro
autorità di lì avranno fatto
domande, gliel’avranno mostrata!”
“Per quanto ci ha
detto
Minerva no, non sono ancora arrivati agenti a Durmstrang. Le indagini
stanno
andando a rilento, anche perché là sta nevicando
e i trasporti sono bloccati.”
“I ragazzi sono
andati a
salvare Lily.” Era Ginny e ormai aveva recuperato del tutto
la sua solita,
pratica fermezza. Anche gli occhi erano asciutti ed Harry ci mise
più di
qualche secondo a processare cosa gli aveva veramente detto.
“Anche mio
figlio.” Soggiunse
Malfoy e fu chiaro di colpo perché fosse lì ed
avesse quell’espressione austera
e priva di arroganza, ma piuttosto pallida e grigiastra come ai tempi
di
Voldemort. Era terrorizzato.
“Hanno
fatto… cosa?”
Ron era persino più pallido se
possibile, prima di avvampare di colpo, come nei suoi migliori momenti
di
rabbia. “La McGrannitt è impazzita?! E Ted, Ted si
è bevuto il cervello?! Hanno
la Passaporta e l’hanno attivata?!”
“Urlare come un
ossesso non
cambierà la situazione, Weasley. I vostri figli e il mio
sono andati a
recuperare la ragazzina. L’abbiamo saputo quando il danno era
già stato fatto,
all’incirca non più di mezz’ora fa. La
Passaporta è stata attivata.” Sbottò
Malfoy serrando le dita sulle braccia specialmente dove una volta era
il marchio.
Harry aveva sentito dire che nei momenti di stress emotivo alcuni
ex-mangiamorte percepivano ancora dolore all’avambraccio,
come una vecchia
ferita quando cambiava il tempo.
Doveva essere quello il
caso.
“Teddy
è con loro…” Tentò
Hermione, ma fu messa a tacere da una sua occhiata. Non ci volle
però che
qualche secondo perché si riprendesse. La sua vecchia amica
non avrebbe mai
smesso di parlare per una semplice occhiataccia.
“… Harry, per quanto sia
letteralmente fuori di me dalla rabbia, e per quanto voglia appendere
ognuno di
loro, singolarmente, per i piedi c’era un conto alla
rovescia.” Spiegò con la
stessa calma con cui probabilmente convinceva che i suoi assistiti
erano maghi
dabbene e pilastri della comunità. A ragione, peraltro.
“La Passaporta si
sarebbe attivata una sola volta. È terribile, ma
…”
“Sono maggiorenni,
e noi
abbiamo fatto ben di peggio.” Concluse per lei senza battere
ciglio. “Lo so.”
Era da quando avevano messo in campo la Passaporta che aveva capito che
Al, Tom
e gli altri non sarebbero rimasti ad aspettarli.
Tom
e Albus non l’hanno fatto l’anno scorso.
Perché
avere buonsenso adesso?
C’era una certa
ironia nella
calma che si sentiva addosso ora che aveva appreso la notizia
principale; forse
non erano molti gli adulti che ricordavano le gesta idiote fatte da
adolescenti. Lui sì.
Ancora
peggio, le ho esaltate di fronte ai ragazzi.
Sarebbe stato ipocrita
aspettarsi ubbidienza e buonsenso dal sangue del suo sangue.
E
sarei un pessimo padre e padrino a non punirli fino
ai settant’anni quando tutto sarà finito.
“Chi altro
c’è con loro?”
“Dominique e
Scorpius.” Disse
sua moglie. “E Teddy, ovviamente.”
“L’unica
persona che ha un
addestramento auror… Credo che andrò a
vomitare.” Sussurrò a denti stretti Ron.
“Che diavolo è saltato in mente a quei
bambini?”
“Più o
meno le stesse cose che
pensavamo noi alla loro età.” Replicò
ignorando l’occhiata incredula di Ron.
“Lily è la sorella di Al, la cugina di Tom e
Dominique ed è amica di Scorpius…
Von Hohenheim contava su questo. Sull’affetto, sulla paura.
Sul tempo.”
C’era un fuoco che
si sentiva
bruciare nel petto. Erano anni, decenni che non lo sentiva deflagrare
fino a
bruciarlo. Solo Voldemort aveva avuto quel potere su di lui; a distanza
di anni
era tornato, ma stavolta la bacchetta non era puntata verso di lui, ma
verso
Thomas, Lily, Albus, Ted, Dominique e Scorpius.
Quel fuoco divampava.
“Vuole Tom, e non
gli importa
di prendere tutto il pacchetto…”
Mormorò Hermione. “Non ha contato che
sarebbero venuti anche gli altri?”
“Credo, come hai
detto tu, che
non gli interessi.” Si tolse gli occhiali e li
pulì con cura prima di
indossarli di nuovo. Spesso gesti insignificanti davano più
presa sulla realtà
di mille parole. “Come l’anno scorso ha sbagliato a
considerare Tom solo,
malleabile… sbaglierà anche stavolta. I ragazzi
non sono soli.”
“Sì, certo, hanno noi!”
Esclamò Ron alzandosi sulla sedia. “Ma come
facciamo a
raggiungerli se la Passaporta è già stata
attivata?”
“Come ho detto a
Nora, ci
serve l’ubicazione di tutte le residenze dei Von
Hohenheim.”
“Molte saranno
Intracciabili.”
Osservò Malfoy aggrottando le sopracciglia. “Tutti
i Purosangue le rendono
tali, è una prassi consolidata nei secoli,
Potter… non esiste magione
purosangue che sia alla luce del sole.”
“Non è
del tutto corretto.” Intervenne
Nora mentre stava scrivendo concentrata qualcosa sul taccuino, che
aveva l’aria
di essere una lettera da spedire tramite Fuoco Magico.
L’uomo
inarcò le sopracciglia.
“Prego?”
“Malfoy Manor, due miglia a Nord di Stonehenge, Wiltshire,
Inghilterra. Se
vuole ho coordinate più accurate.” Sorrise
all’aria sgomenta di questo. “Ma
credo voglia terminare questa conversazione qui.”
“Una di esse
sarà dove hanno
portato Lily e dove sono stati materializzati i ragazzi.”
Spiegò Harry a
beneficio degli amici e della moglie. Nora del resto aveva
già capito e sposato
la sua linea di pensiero.
Penso
che, più di me, non veda l’ora di puntare la
bacchetta alla trachea di Von Hohenheim.
Non era certo che le avrebbe
lasciato questo onore.
“E come facciamo a
sapere qual
è quella giusta?” Osservò Ron.
“Ne avrà molte, non possiamo perquisirle tutte
finché non troviamo quella giusta!”
Harry osservò con
attenzione
le proprie dita tamburellare sul legno della scrivania. Notò
che anche la
moglie faceva lo stesso sul bracciolo della poltrona e le sorrise,
oltre la
preoccupazione e la furia silenziosa che gli scorreva nelle vene. Ginny
gli
restituì uno sguardo che parlava; gli stava ordinando di
riportare a casa sua
figlia facendo più danni possibile.
È
precisamente ciò che ho intenzione di fare.
“Abbiamo
insegnato ai nostri ragazzi
che possono fidarsi di noi.” Esordì.
“Non penso abbiano intenzione di fare
tutto da soli. Ci contatteranno. Dobbiamo solo essere nel posto giusto
al
momento giusto.” Si voltò verso Hermione.
“A proposito del ragazzo che ha
trovato Rose… Sai dirmi qualcosa in
più?”
“Solo il nome, Dionis Radescu.” Al suo conseguente
irrigidimento, lo squadrò
attenta. “Lo conosci?”
“Non era
l’ufficiale di
coperta o Vattelappesca nel vascello di Durmstrang?” Chiese
Ron.
“Sì,
era lui. E sembrava anche
essere in rapporti con Novij e il suo assistente.” Fece un
cenno a Malfoy. “In
quanto puoi farci avere una Passaporta per la Norvegia?”
“Non lavoro nel
Dipartimento
Trasporti Magici, Potter!” Scattò irritato
l’uomo, prima di fare una smorfia.
“Un’ora.” Soggiunse. “Anche
meno se riesco a mettere un po’ di fretta a quei
troll.”
“Bene.” Si alzò in piedi, facendo cenno
a Nora e Ron di fare lo stesso.
“Dobbiamo parlare con il ragazzo. Credo che possa darci
informazioni utili, e
non le potremo certo avere se le chiediamo di seconda mano…
Hanno rapito Lily
perché qualcuno in quella scuola l’ha permesso.”
Serrò la mascella. “Quello Jagland, il
Direttore… Non credo proprio fosse
all’oscuro della faccenda. Penso vorrò parlare
anche con lui.”
“Potter, non
potete andare lì
a pretendere di interrogare come se foste su suolo britannico! Creerete
un
incidente internazionale di proporzioni epiche.”
Sbuffò il suo ex-rivale, ma
sembrava parimenti poco propenso a fermarli. “Il Ministero
Scandinavo vorrà la
vostra testa su un piatto d’argento!”
“Che provi a
prenderla,
allora.” Replicò senza battere ciglio.
L’altro emise una
smorfia
disgustata. “Cerca almeno di non ammazzare nessuno nel
mentre, perché non
salverò il tuo ridicolo fondoschiena da Nurmengard. Ne
gioirò piuttosto.” Si
staccò dalla libreria e sorpassò Ron che si
scostò, una volta tanto non con
l’intenzione di tirargli una spallata o qualche colpo
mancino. Non con
rispetto, era chiedere troppo, ma piuttosto con accettazione
dell’inevitabile.
Già
qualcosa.
“Voglio quella
Passaporta in
mezz’ora, Malfoy.”
“Va’
all’inferno, Potter.” Fu
l’ovvia risposta prima che la porta venisse richiusa
violentemente alle sue
spalle. Harry ebbe la certezza che gliel’avrebbe portata in
venti minuti.
“Chi
l’avrebbe mai detto che
ci saremo affidati e fidati del
furetto.” Mormorò Ron quasi si sentisse svuotato
da quell’affermazione. “Ma per
Lily…”
“Per Lily tutto, Ron.” Disse, e non ci sarebbe
stato mago oscuro, stregone o
cattivo della storia che avrebbe visto la luce del giorno dopo.
“Tutto.”
****
Germania,
Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Sette
del mattino (ora locale)
Sören quasi cadde a
terra data
la forza con cui lo specchio gli fece attraversare il camino
dell’ufficio di
suo zio; lo riconobbe subito, dacché l’aveva visto
innumerevoli volte durante
la sua infanzia e recentemente attraverso lo scrigno del Fuoco Magico.
Von Hohenheim non era
presente
a completare il quadro però; vi era invece Johannes, che
seduto scompostamente
con gli stivali sul tavolo, sgranocchiava arachidi gettandosele in
bocca da una
mano colma. Dunque era vero, era vivo. Suo zio gli aveva mentito, non
era morto
nelle profondità del Mar Baltico.
Il sorriso di Johannes era
come lo ricordava:
sardonico, storto… e malvagio.
“Buongiorno
principino.” Lo salutò come
per anni aveva fatto, e Sören dovette reprimere un brivido.
“Dov’è
Lily?” Lo apostrofò
senza mezzi termini. “Dove l’hai portata?”
“Oh, non
preoccuparti per la
tua principessa…” Scrollò le spalle.
“Sta benone. Certo, per come si possa star
bene dentro una cella.”
“L’avete messa nelle segrete?”
Deglutì un grumo di rabbia che minacciava di bloccargli il
respiro. “Non ce
n’era alcun bisogno!”
L’uomo fece un gesto vago, dondolandosi sulla sedia
riccamente istoriata. Davvero
suo zio gli lasciava fare quello nel suo prezioso ufficio?
Non aveva mai capito molto del rapporto che intercorreva trai due;
sapeva che quest’ultimo
veniva pagato profumatamente per i suoi servigi, ma non era solo uno
stipendiato, era qualcosa di più; suo zio si era sempre
affidato a lui come ad
un braccio destro, come al migliore dei suoi uomini.
Come
ho potuto pensare che fosse morto in modo così
stupido?
“Non credo proprio
tu abbia
molta voce in capitolo ragazzo.” Disse squadrandolo con
attenzione. “… Sai, il
padrone è molto deluso.”
Sören serrò le labbra. Non ci sarebbe cascato, non
avrebbe lasciato che il
terrore e il senso di colpa per aver disubbidito – non sei un bravo bambino, Sören?
– vincessero.
Lily.
Devo salvarla, devo tirarla fuori di qui prima
che la usino come merce di scambio… Prima che rischi la vita
per qualcosa che
neppure la riguarda.
Non era il momento per
chiedere spiegazioni; non avrebbe chiesto perché era stato
completamente
tagliato fuori dai piani. Dubitava peraltro che avrebbe avuto una
risposta
soddisfacente da quel giullare ghignante e letale.
“Lily Potter non
c’entra
niente con questa storia. È soltanto una
ragazzina… rapirla esacerbererà solo
la rabbia del Salvatore. Non porterà a nessuna conseguenza
positiva per noi.”
Johannes fece una breve
risata, gettandosi in bocca un’ennesima nocciolina.
“Noi?
Principino… non c’è nessun noi. Persino
tu devi aver capito
capito che il padrone non si fida più di te.”
Sören
notò come la bacchetta
dell’altro mago fosse posata accanto alla ciotola di
arachidi, perfettamente a
portata di mano. Conosceva la rapidità letale di Johannes.
Ma
anche la sua propensione alle chiacchiere… Non
c’è
niente che adori come spiegare quant’è stato in
gamba e geniale.
“Non si
è fidato di me dal
principio se non mi ha detto che eri ancora vivo.”
Argomentò in tono neutro.
Sembravano esser soli nell’ufficio; dov’era suo zio
e perché aveva deciso di
fargli incontrare Johannes al posto suo?
Non
vuole neppure sprecarsi a parlarmi…
La rabbia tornò
fedele e
potente, e scacciò il senso di ansia che gli contraeva lo
stomaco e gli faceva
sudare le mani; una presa scivolosa sulla bacchetta avrebbe potuto
essergli
fatale, ed usare quel braccio era
troppo rischioso dato il suo stato d’animo.
“Sbagliato!”
Scosse l’indice
con fare paternalistico. “Via, via Sören…
ti stava mettendo alla prova. Non era
quello che volevi? Più compiti, più
responsabilità… più stima? Il nostro
buon
padrone ti ha voluto dare una
possibilità…” Schioccò la
lingua. “Inutile dire
che hai fatto un disastro, vero?”
“Cercare di
evitare danni
collaterali non è fare disastri. È fare la cosa
giusta.” Johannes era solo un
tirapiedi con troppo margine di manovra. Un mago capace sì,
ma non quanto lui. Poteva
batterlo perché l’altro aveva troppa fiducia in
sé stesso, era un narcisista.
Adorava parlarsi addosso e questo lo portava automaticamente ad
abbassare la
guardia quando lo faceva.
Come
adesso. Come l’anno scorso…
L’uomo fece una
risatina.
Sembrava davvero trovare esilarante la sua aria seria.
L’aveva sempre trovata
tale ed era stato questo a farglielo odiare tanto, da sempre.
“Giusta? Solo
perché ti sono andati in
fiamme i calzoni per una puttanella non significa che tu sia diventato
l’eroe
della storia.”
Sören
frenò la mano nella
corsa alla bacchetta; aveva trascorso l’infanzia a subire i
lazzi di Johannes e
dunque sapeva cosa l’altro stava tentando di fare; voleva
fargli perdere la
calma per poi approfittarne per sbatterlo a terra, inerme. Quante volte
era
stato schiantato da quel ghigno orrendo?
Mi
avete insegnato a reprimere e controllare fino alla
morte. Non sprecherò l’insegnamento.
Non
posso. Lily ha bisogno di me.
“E cosa mi dici di
te, John Doe?” Lo
apostrofò con il nomignolo
con cui era conosciuto presso gli inglesi, riuscendo persino a produrre
un
sorriso sarcastico. “Mio zio è contento del
fallimento dell’anno scorso?” Vide
un lampo cupo passare nelle iridi dell’uomo. Chi aveva un ego
come il suo
recepiva male le critiche, specialmente se fondate. “Ti ha
fatto uccidere un
povero disgraziato e prendere le sue sembianze per rapire una
ragazzina… Davvero
un compito di prima scelta.”
“Non l’ha fatto fare a te, ragazzo.”
Sì, c’era riuscito, l’aveva fatto
infuriare. “Questo la dice lunga su che fine farai. Sai dove
finiscono gli
attrezzi rotti?” Lo vide ghignare, perché
sì, dannazione, il colpo era andato a
segno. “E tutto per una mocciosa… Una mocciosa che
peraltro ti odia. Te l’ho
detto principino, non sei l’eroe. Sei il mago
cattivo.”
Sören sentì il sangue ghiacciarsi nelle vene alla
scelta del tempo verbale.
Aveva usato il presente, non il futuro. Questo significava solo una
cosa.
“Gliel’avete detto…”
“È stato tuo zio.” Si strinse nelle
spalle. “Ehi, la principessina doveva
sapere la verità.”
Non percepì
neppure l’istante
in cui decise di mettere mano alla bacchetta. Percepì
piuttosto il rumore
potente del suo incantesimo e quello basso e sibilante dello scudo
usato da
Johannes. E la sua risata.
“Non
nell’ufficio del padrone!
Sai quanto tiene alla…” Non lo lasciò
finire perché attaccò di nuovo. Non gli
interessava in quel momento la tappezzeria, suo zio, mantenere il
controllo. Johannes
sembrò intuire le sue intenzioni, perché il
sorriso gli sparì dalle labbra e
cominciò a fare sul serio.
Non
basta. Non basta per me. Mi
avete
cresciuto per essere un’arma.
Ecco
qua.
Non aveva mai combattuto con
Johannes con l’intento di fargli male, neppure quando
l’altro non si era
risparmiato in maledizioni o ferite sanguinanti durante gli
allenamenti; era un
alleato, non era mai riuscito a concepire il concetto di arrecargli
dolore per
vincere un duello. In quel momento neppure gli importava della
vittoria. Voleva
solo vederlo morto.
Johannes soffocò
un’imprecazione quando il suo ennesimo scudo venne infranto
in una miriade di schegge
bluastre. Perse l’equilibrio e cadde a terra rovinosamente,
sbattendo contro il
tavolo su cui prima si era tanto sollazzato. La bacchetta
rotolò lontano da lui
e Sören fu lesto a pestargli il polso prima che si rialzasse a
prenderla.
L’altro strinse una maledizione tra le labbra.
“Portami da
Lily.” Disse.
Qualcosa nel suo tono funzionò, perché Johannes
gli lanciò un’occhiata
allertata.
“Vuoi ammazzarmi
principino?
Sì, te lo leggo negli occhi…”
Mormorò con tono soffocato. Il duello doveva aver
impegnato molta della sua magia, perché adesso aveva
l’aspetto di un
cinquantenne, ovvero
la sua età reale.
“Davvero? Vuoi tradirci così? Tutto
per…” Pestò con forza sul polso
troncandogli la parola a metà.
“Portami da
Lily.” Ripeté.
Tradimento? Certo che stava tradendo e certo che Lily
l’avrebbe accolto con
odio e livore. Oltre la furia erano cose che aveva già messo
in conto. Non
voleva essere amato o applaudito per aver scelto la parte dei buoni.
Non voleva
essere perdonato e non stava lavorando affinché avvenisse.
Aveva un obbiettivo,
tutto lì.
“Sören.”
Quella voce l’aveva perseguitato per tutta la sua vita. Non
poteva che farlo irrigidire,
fargli sudare le mani e rabbrividire.
Suo zio era entrato in quel
momento o forse c’era stato sin da prima, annidato nelle
ombre come un lupo che
osservava la preda. Non che avesse importanza; era lì.
Si voltò nella
sua direzione e
lo vide ergersi come un idolo troppo grande per lui. Troppo immenso.
Sentiva la
sua magia, solenne e potente come il mare schiacciare la sua, che in
confronto
non era altro che un ruscello fangoso. “Abbassa la bacchetta
e lascia rialzare
Johannes.”
Fece un passo indietro, mentre l’uomo riassumeva le sue
sembianze da ragazzo e
si raddrizzava, spazzolandosi la giacca. “Grazie Vostra
Eccellenza, oggi il
bimbo è un po’ irre…”
“Silenzio.” Tuonò. “Lasciaci
soli.”
“Come desiderate.
Se mi
cercate, sono a portata d’orecchio.” Fece un
inchino e dopo avergli
disgustosamente strizzato l’occhio lasciò la sala.
Suo zio si spostò
dietro la
scrivania, facendo evanescere con un colpo di bacchetta i gusci e le
noccioline
lasciate dal tirapiedi. “Siediti.”
“… No.” La sua stessa voce lo
stupì. Ma era vero, non voleva sedersi. “Sto in
piedi.”
Suo zio gli lanciò un’occhiata, ma non
commentò. “Sono deluso, Sören.”
Esordì.
“Avrei voluto che le cose finissero diversamente …
ma non posso dire di essere
sorpreso. La tua debolezza si è manifestata quando avevo
maggior bisogno di te.
Ho dovuto affidarmi ad altri per un compito che era tuo.” Se
c’era dispiacere
nel suo animo, certo non traspariva da quegli occhi immoti, freddi.
“Ti ho
cresciuto ed addestrato. Sembra che non sia servito a molto.”
Sören si umettò le labbra ma non rispose. Si
sentiva il cuore in gola e sapeva,
sapeva che non avrebbe mai potuto battere suo zio. Questo non
significava che
non avrebbe perseguito comunque il suo obbiettivo. “Liberate
Lily Potter, zio…”
Mormorò. “Non vi è di nessuna
utilità ormai. Avete già ottenuto ciò
che
volevate attirando l’attenzione sul suo rapimento. Lasciate
che la riaccompagni
dai suoi.”
“Così
sarai arrestato…”
Osservò con tono neutro. “La giustizia non
sarà tollerante con te.”
Represse il brivido all’idea di passare il resto della sua
vita in prigione.
Suo zio aveva ragione, non avrebbe visto più la luce del
sole. “Non ha importanza.”
Non l’aveva, non se Lily poteva tornare a casa dalla sua
famiglia, al sicuro da
uno scontro che si preannunciava imminente.
L’uomo sembrava
incuriosito.
Non vi era rabbia nei suoi lineamenti, ma da che lo conosceva verso di
lui non
ve n’era stata mai, se non collaterale.
Sono
sempre stato troppo insignificante ai suoi occhi per
provocargli emozioni più forti dell’indifferenza.
Era sempre stato
così per
tutti. L’unica persona che aveva provato dei sentimenti per
lui era chiusa in
una cella piani più sotto.
“Dunque il debito
che hai con
lei è più importante di quello che hai con me?
Del sangue?” Era una domanda
sincera. “È talmente forte che ti rende
indifferente la tua incolumità?”
Non avrebbe mai potuto
levare
la bacchetta contro suo zio, quella era una certezza che andava a
braccetto con
il fatto che non era solo un debito quello che lo legava a Lily Potter.
Gli
restava dunque solo la sincerità.
“Sì.”
Il dolore arrivò
e non poté
dire di non esserselo aspettato. Sentì la forza nelle gambe
abbandonarlo come
se fosse una marionetta a cui erano stati appena tagliati i fili.
Paragone
calzante.
Il Dolore –
meritava una
maiuscola – si irradiò ovunque, coprendolo di
sudore, impedendogli di far
nient’altro che crollare a terra e reggersi il braccio anche
se avrebbe voluto
strapparselo.
“Dovrei
ucciderti…” La voce di
suo zio oltrepassava il bianco accecante dell’agonia e gli
forava il cervello
come un ago. “… ma non meriti che sprechi le mia
magia per te. Come tuo padre, alla
fine ti sei rivelato un debole.”
Mio
padre…
“Sì, lo
era.” Rispose la voce,
quasi avesse intuito la sua domanda. “Colui che fugge per
mondarsi di un’onta
familiare se la porta dietro come un demone, è inevitabile.
La sorella maggiore
di tuo padre fece una scelta scellerata, e così fece lui.
Perché quando capì a
cosa serviva il nostro lavoro, il lavoro per te… per
renderti l’arma che sei,
cercò di distruggere tutto. Peccato fosse più
portato a creare. Il lavoro
rimase e lui morì.”
Suo zio probabilmente
pensava
di parlare a qualcuno che era alle soglie dell’incoscienza;
si doveva esser
scordato che la soglia di dolore aumentava con l’esperienza e
lui non era nuovo
a tutto quello.
Il
fumo, il laboratorio in fiamme… Non è stato un
incidente. Mio padre non è morto in un incidente.
Tentava
di salvare… me?
Non capiva perché
glielo
stesse raccontando; suo zio non era stato tipo da confessioni
all’ultimo
minuto. Forse voleva umiliarlo prima di farlo uccidere da Johannes o
qualcuno
dei suoi recenti tirapiedi. Aveva senso, ma non stava funzionando. Ad
Alberich Von
Hohenheim non era mai interessato capire i sentimenti altrui e non si
era certo
mai sforzato di capire i suoi; dunque non poteva intuire quello che
quel
discorso significava per lui.
Mio
padre è morto per salvare me.
“Ho cercato di
renderti un Von
Hohenheim, ma ho fallito.” C’era forse del
rimpianto nella sua voce? No, doveva
essere il Dolore a distorcere tutto. “Un Prince rimane sempre
un Prince. Avrei
dovuto lasciarti morire con lui.”
La sua coscienza urlava di
lasciarsi andare, concedersi sollievo da quell’agonia, del
riposo. Sentì chiamare
un nome e poi un paio di braccia lo presero di peso e se lo caricarono
sulle
spalle. Svenne e riprese conoscenza un paio di volte. Poi qualcuno gli
spinse a
forza una ciotola contro le labbra, forzandolo a bere. Si
rifiutò, tentò, ma
gli venne tappato il naso e fu costretto ad ingoiare.
E finalmente
arrivò il buio.
****
Note:
;D
Mi odiate vero? Ma è tutto a posto… tutto a
posto! No, sul serio. Davvero.
Ecco.
Questa
la canzone che mi ha ispirato ed ha anche ispirato il titolo del
capitolo (you don’t say?).
Un po’ di vecchio NW
come si deve.
I ragazzi andranno al
salvataggio nel prossimo, promesso.
Vi invito inoltre a guardare gli orari; non sono
messi a caso, ma
rispettando i fuso-orari mondiali. Sì, li ho calcolati
utilizzando la simpatica
app dell’Iphone. Questo spiega anche perché Harry
sia costantemente in ritardo.
;)
Per le recensioni, giuro che risponderò! È che
è un periodo abbastanza di
fuoco. L
|
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Capitolo 59 *** Capitolo LVI ***
Capitolo LVI
Possiamo lasciare
che la storia ci spieghi se
siamo buoni o cattivi.
A
lasciare che sia il passato a
decidere per il nostro futuro.
Oppure
possiamo scegliere. E
forse inventare qualcosa di meglio è il
nostro compito.
(Soffocare,
C. Palahniuk)
21
Gennaio 2023
Germania,
Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una
del mattino.
Desislav Ganin era
consapevole
del fatto che la vita di un Mercemago era più dura di quella
di un mago con una
professione onorevole.
Ciononostante, da dove
veniva
lui fare il Mercemago era l’unico modo per non finire come un
pezzente a
mendicare per un tozzo di pane e un po’ di minestra. Certo,
anche nel loro
lavoro c’erano momenti di bonaccia: capitava ci fossero
giorni in cui buttare
giù un po’ di vino elfico che sapeva
d’aceto era l’unico modo per combattere i
morsi della fame, ma c’erano anche grandi occasioni.
Come era capitato a loro due
mesi prima, quando erano stati arruolati da Alberich Von Hohenheim;
Desislav
non sapeva granché sul mago tedesco che dava loro vitto e
alloggio in cambio di
semplici pattugliamenti dei suoi terreni. Neanche gli importava
finché aveva
abbastanza soldi da poter spendere alla taverna e qualche procace
Incantatrice
dalle labbra di miele sulle ginocchia.
Quel giorno però
era stato
diverso; il Capitano li aveva svegliati all’alba e aveva
intimato di disporsi
attorno alle mura della fortezza, chi dentro, chi fuori. A lui era
toccato il
compito più infame, rifletté sputando tabacco
vischioso sul terreno
accidentato; doveva infatti sorvegliare dall’alto il
porticciolo in cui
attraccavano le imbarcazioni.
Infame perché
tirava un vento
del diavolo, freddo e tagliente come un coltello. Non c’era
neanche un po’ di
sole, dacché il tempo in quella terra schifosa variava da
piovoso a nuvoloso.
Desislav non ricordava
l’ultima volta in cui aveva visto il sole.
Riflettendo cupamente sul
suo
compito, e chiedendosi quando Bogdan sarebbe venuto a dargli il cambio,
rimase
totalmente abbacinato dall’improvviso lampo di luce che
esplose all’interno della
rimessa delle barche. Scattò in piedi dalla posizione
accovacciata che aveva
assunto per mantenere un po’ di calore e sfilò
prontamente la bacchetta dal
fodero. Prima di gettarsi a capofitto a controllare lanciò
però un incantesimo
di segnalazione ai compagni; non avrebbe fatto la fine del pollo. Un
Mercemago
non arrivava alla vecchiaia facendo l’eroe.
Lo scoppio della
Materializzazione
portò da lui Bogdan e Ghena, una strega della Dobrugia a cui
nessuno di loro
aveva mai pensato di fare avances, neppure da sbronzi; il solo occhio
glauco
che ti trafiggeva ti lasciava le viscere molli e la sensazione che
fosse meglio
non scherzare con lei; alcuni dicevano fosse una Megera.
“Che succede Ganin?” Fu lei ad apostrofarlo con il
bulgaro sporcato di accento
rumeno tipico delle sue zone. “Sarà bene che sia
qualcosa di importante o…”
“Lo è!” La anticipò sputando
a terra il resto del tabacco, ormai masticato in
abbondanza. “È come aveva detto il Capitano,
qualcuno si è Materializzato con una
Passaporta alla rimessa, laggiù!”
Indicò il posto con un cenno della testa.
“Andiamo.”
Disse
immediatamente questa.
Nella rimessa era piuttosto
buio ma fu facile individuare il pacco appena arrivato; il ragazzo che
si era Materializzato
doveva averlo fatto male, perché era seduto a terra, con la
schiena appoggiata
ad una parete. Si teneva una spalla con la mano e respirava forte,
pallido in
volto.
Qualcuno
ha fatto una brutta caduta…
“Non ti muovere,
tu.” Lo
apostrofò Ghena in tedesco puntandogli la bacchetta addosso.
“Sei Thomas?”
Desislav squadrandolo meglio
notò che aveva una certa somiglianza con il loro generoso,
quanto inquietante,
datore di lavoro. Era piuttosto giovane però dato che
indossava un uniforme
scolastica; non doveva fare neanche venti primavere.
“Sì,
sono io.” Disse. “Non…
non fatemi del male.” Mormorò con tono spaventato,
guardando le loro bacchette
spianate. “Non sono armato.”
“Questo lo controlliamo subito.” Ghena non era
donna che andava contraddetta,
così lui e Bogdan si affrettarono ad afferrare il ragazzo e
perquisirlo.
Ovviamente trovarono la bacchetta infilata nei passanti posteriori dei
pantaloni. Bogdan se la rigirò tra le dita e poi se la
infilò nel vecchio
pastrano consunto con soddisfazione; avrebbero riparlato di quel suo
prendersela senza colpo ferire. Sembrava un buon legno, non avrebbe
lasciato
che la avesse solo perché era stato più svelto a
scovarla.
“Non eri armato,
eh?” Ghignò
Ghena. “Voi piccoli Chistata Krŭv¹
siete tutti uguali. Credete di poterci far fessi solo perché
non abbiamo il
blasone!”
Il ragazzo fece una strana
espressione. Il pallore sembrò ridimensionarsi notevolmente,
e Desislav, non
senza una certa inquietudine, lo vide serrare la mascella e fissarli
con uno
sguardo che in una taverna sarebbe bastato a decretare un Duello
all’ultimo
sangue. “Ridatemi la bacchetta. Ora.”
Desislav non si considerava
un
cervello fino, ma non ci voleva un genio per capire che il ragazzino
non
sembrava più così spaventato. Forse non lo era
mai stato, realizzò.
Ma
che…
Bogdan invece fece una
risata
divertita, logico considerando che avevano di fronte un adolescente
secco come
un albero e disarmato. “Mi sa che ora è mia, bel
musetto.” Gli afferrò il viso
con una mano e lo voltò verso di lui; nella compagnia era
conosciuta la
passione che aveva il valacco per i bei ragazzi.
Desislav si voltò
verso la
Megera per chiederle con uno sguardo di rimettere in riga Bogdan, che
c’era
qualcosa che non gli tornava, ma poi sentì un gemito di
dolore; Bogdan era
crollato a terra con le mani sul viso. Sconcertato capì che
era stato il
ragazzo.
“Ops.”
Disse soltanto
soffiandosi via una ciocca di capelli dalla fronte. “Mi
dicono sempre che ho la
testa dura.”
Ghena fu svelta a reagire;
con
una falcata gli fu accanto e gli spinse la bacchetta contro la gola.
“Non siamo
balie che lasciano giocare i mocciosi.” Ringhiò.
“Desislav, rialza quell’idiota,
portiamo il mostriciattolo al castello!”
Desislav obbedì
ma non appena
toccò il valacco sentì uno scoppio esplodergli
vicino, rintronandolo. Era un
incantesimo, era più di
un
incantesimo. Rotolò a terra e castò un immediata
barriera che gli impedì di
essere letteralmente investito da una selva di incantesimi che
arrivavano da
tutte le parti. Ghena lanciò un paio di Schiantesimi, mentre
dalle barche
ormeggiate saltavano fuori quattro figure armate. Un lampo argento
– erano i capelli? - fu
addosso alla Megera che abbandonò
la presa sul ragazzo per difendersi.
Desislav ignorò
l’ormai esanime
Bogdan ed estrasse la bacchetta; avrebbe dovuto dar retta alle sue
sensazioni.
Era una trappola. Doveva immediatamente lanciare l’allarme,
prima che…
Prima che un lampo rosso lo
centrasse in pieno petto.
“Dovevi aspettare
il segnale!”
Naturalmente Lupin doveva avere a ridire. C’era da
aspettarsi che l’insopportabile ragazzo biblioteca gli
facesse notare lo
sbaglio. Si chinò sul Mercemago svenuto che aveva osato
prendere in ostaggio la
sua bacchetta e se la riprese, stringendola e promettendole che
nessuno, oltre
a lui, l’avrebbe più toccata. Si frenò
dal gettarlo in acqua solo perché gli
altri vigilavano.
Seccante.
“Avevano la mia
bacchetta.”
Spiegò, e notò un’occhiata di
approvazione da parte di Malfoy. “Nessuno prende
la mia bacchetta.”
“Teddy dai, ha recitato la parte del tipo cacasotto da
schifo… Segnale o non
segnale, avrebbero fiutato la trappola comunque!”
Esclamò Dominique, che aveva
neutralizzato la controparte femminile degli avversari come faceva
tutto.
Rapida e con un sogghigno sulle labbra come se fosse tutto un gioco.
Forse
in certi contesti è
utile.
“Non ho chiesto di
aspettare il
segnale convenuto per un capriccio.” Ribatté
cocciuto il metamorfomago, i cui capelli
erano un manto di fiamme e l’espressione quanto
più lontana da quella mite che
approntava per i suoi impressionabili Tassorosso. Erano di quel colore
da
quando era stato annunciato il rapimento di Lily. “Thomas,
l’improvvisazione
non ha mai … Albus!”
Tom si voltò per
vedere il suo ragazzo tirare un calcio al Mercemago ladro e al momento,
gemente.
“Cosa?”
Chiese questo,
suonando anche sorpreso. “Avete visto come guardava
Tom!” Borbottò mentre le
occhiate raddoppiavano. “Non mi è bastato
schiantarlo, tutto qui …” Vedendo
l’espressione dell’altro, sbuffò
“Alla fine li abbiamo neutralizzati, no? È
questo l’importante!”
“Siamo stati
grandiosi!”
Convenne Scorpius.
“Le forze di Von Hohenheim non sono certo tutte
qui.” Fece loro notare Ted,
ingoiando un grosso sospiro e probabilmente una serie di improperi.
“Riflettete. Pensate davvero che siano venuti tutti?
Questa è solo una pattuglia.”
Tom dovette ammettere che
quel
ragionamento aveva senso; per quanto mal sopportasse Ted, sapeva che
era un
uomo intelligente e con tre anni di studi all’Accademia Auror
alle spalle.
Dubitava, con il cervello metodico e rigido che aveva, che li avesse
dimenticati.
“Tra poco ne
arriveranno
altri.” Considerò meritandosi
un’occhiata d’approvazione da Lupin.
“Sì.
Dobbiamo nascondere loro
e andarcene noi, il tutto senza farci vedere. Scopriranno sicuramente
che siamo
qui, ma non sapranno dove.
È questo
che conta.” Lanciò un’occhiata alla
scogliera, ripida ma praticabile, che
portava al grosso agglomerato che era la fortezza sopra di loro.
Tom capì che
stava valutandone
la conformazione e le vie d’accesso alle mura. Per un momento
provò uno
sconcertante moto di stima per l’altro mago. “Va
bene.” Convenne e glissò
sull’occhiata stupita di quest’ultimo.
Anch’io
so essere ragionevole.
Gli altri, ovviamente, non contrastarono il fatto
che Lupin avesse
preso il comando, aiutando a legare, imbavagliare e nascondere i
Mercemaghi
nelle barche ormeggiate. Si fidavano di lui da sempre, come Dominique e
Albus e
avevano imparato a stimarlo come docente nel caso di Malfoy. Lui invece
aveva i
suoi motivi, oltre al generale buonsenso, nell’affidare il
comando all’altro.
Non
devono affidarsi o guardare a me. Perché non
abbiamo gli stessi obbiettivi.
Lily doveva essere salvata
ad
ogni costo, ma non sarebbe stato lui a farlo. Per quello
c’erano Lupin e gli
altri.
Io
devo vedere mio padre.
Vide con la coda
dell’occhio
che Albus lo stava guardando. “Va tutto bene?” Gli
chiese facendolo sentire
stupidamente in colpa; era stupido perché non coinvolgere Al
in quella sua
decisione aveva senso, non era sbagliato.
Ti
ho già coinvolto troppo, vi ho già coinvolto
troppo.
Questa è una cosa tra me e Von Hohenheim.
Era un discorso a due
interlocutori.
Non avrebbe trascinato Al o gli altri nella follia dell’uomo
che gli aveva dato
due volte la vita.
Per quanto fosse razionale
la
sua decisione il senso di colpa però non se ne andava; stava
di nuovo nascondendo
qualcosa ad Albus.
“Sì,
sto bene.” Gli sorrise. “Così
sei stato tu a schiantarlo?”
Al annuì.
“Ho esagerato però,
in fondo era già a terra.” Tom notò in
quel momento che aveva un taglio sulla
guancia, forse dovuto ad uno striscio di incantesimo. Si
sentì serrare lo
stomaco. Prese la bacchetta e richiuse l’abrasione mentre
l’altro si toccava la
guancia stupito.
Giocatore
di Quidditich… Non si accorgono di sanguinare
finché non crollano a terra.
“Mi so difendere
da solo.” Gli
disse sopprimendo l’impulso di rivoltarlo come un calzino per
accertarsi non
avesse altre ferite. E quello era solo l’inizio; una breve
scaramuccia e Al era
già ferito.
Non
permetterò che ti succeda qualcosa… Non ancora.
Forse
Al poteva aver ragione di un
Mercemago, ma non di Doe né di Von Hohenheim.
Non dovrai neppure vederlo. Sarò io
ad
occuparmi di lui.
Al non rispose; mentre gli
altri si affrettavano ad uscire di lì, lo afferrò
per il bavero del mantello e
gli parlò direttamente sulle labbra, piano, per farsi
sentire solo da lui. “No
che non lo sai fare… Spero te ne ricordi.”
Tom si chiese per quanto
sarebbe riuscito a nascondere il suo piano ad Al. Perché la
parola insieme non era soltanto un
concetto a
cui affidarsi; era anche qualcosa da cui non si poteva fuggire.
****
Norvegia,
Dintorni di Durmstrang.
Due
del pomeriggio.
Harry era furioso.
Furioso con la situazione,
naturalmente, ma anche furioso perché aveva dovuto
confrontarsi nel giro di
poche ore con le sue peggiori paure; sapere che uno dei suoi figli era
in
pericolo e ferirne un altro lui stesso.
La Passaporta li aveva
materializzati nel piccolo villaggio adiacente ai terreni
dell’Istituto – assai
più vasti di quelli di Hogwarts, e principalmente costituiti
da rocce a
strapiombo e una foresta di pini che si estendeva a perdita
d’occhio. Al
momento lasciava che fosse Ron a trattare con il conducente del
noleggio di
slitte del villaggio, l’unico mezzo di locomozione usato dai
locali in quel
periodo dell’anno.
James naturalmente aveva
saputo ciò che era successo; glielo doveva aver detto Ginny,
oppure l’aveva
saputo per vie traverse. Chi fosse stato non aveva importanza,
ciò che era
importante era stata la decisione immediatamente presa.
Venire
con noi.
Era irrotto
nell’ufficio auror
poco dopo che Malfoy era tornato con la Passaporta e i permessi
d’attivazione,
con la povera Grace alle calcagna.
“Vengo
con voi!” Aveva esclamato, facendoli ammutolire
tutti. Aveva il fiatone e l’uniforme da allenamento
dell’Accademia; appresa la
notizia doveva aver mollato tutto ciò che stava facendo per
raggiungere il
Ministero.
Lodevole,
ma decisamente non richiesto.
“No,
Jamie.” Aveva esordito prima che chiunque altro
potesse aprire bocca. Dopotutto fino a prova contraria il capo era lui.
“Andremo io, Ron e il Sergente Gillespie.”
“Non
potete lasciarmi qui!” Era sbottato. “Si tratta di
Lils e Al! E Merlino, c’è anche Teddy e Scorpius
e… Domi? Persino Domi!”
Harry
sapeva che le osservazioni erano pertinenti;
non gli importava. Non avrebbe permesso che tutti i suoi figli rischiassero la vita, per quanto
fosse fiero del senso di
amore e coesione che regnava tra di loro. In quello era in accordo con
la
moglie, dato che gli era bastata un’occhiata per captare
l’appoggio dell’altra.
“Per quanto tu sia in gamba, non posso portare un allievo
Auror in missione. È
contro le regole e soprattutto, contro il buonsenso.”
“E
gli altri? Sono studenti!” James sembrava stupefatto
dal suo rifiuto; Harry si era appuntato di fare un discorso ai suoi
figli,
finito tutto, sull’importanza di non darsi
responsabilità che non avevano.
“Le
contingenze sono diverse, James.” Era intervenuta
Hermione. “Non credere che non li avremo fermati, se fossimo
stati lì.”
“Si
tratta dei miei fratelli! Si tratta del mio ragazzo
e dei miei amici! Non potete chiedermi di restare qui ad aspettare
notizie come
un moccioso!”
Harry
aveva capito; aveva capito e sposava a pieno le
ragioni del suo Malandrino; era certo che si sarebbe battuto con
valore, ed era
proprio questo il punto. James avrebbe affrontato la Morte stessa pur
di
salvare i suoi fratelli e i suoi amici. Era come lui, ed esattamente
come lui
non era ancora pronto per quel compito. Non era giusto che lo fosse,
come non
lo era stato per lui.
“È
un no, James. Resterai qui, con tua madre e zia
Hermione. Sarete i primi a cui daremo notizie.”
“Non me ne frega un accidente! Io verrò
con voi!” Si era avvicinato con due falcate
alla scrivania e vi aveva sbattuto le mani. Harry aveva avuto lo
sconcertante deja-vu di rivedersi
ragazzo. Solo che stavolta era
lui il Silente della situazione
“Tu
non verrai con noi.” Anche il tono era da Silente,
ed Harry si era odiato, ma non aveva vacillato. “Devo
occuparmi di riportare a
casa i tuoi fratelli, James. Non ho tempo di badare anche a
te.”
Era stato meschino, se ne
era
reso conto non appena pronunciato quelle parole. Aveva lasciato che il
figlio
maggiore se ne andasse com’era venuto, come una furia. Ginny
gli era andata
immediatamente dietro, promettendogli con uno sguardo che
l’avrebbe riportato
alla ragione.
Non
ci sono torti o ragioni in questa storia… Se ci
fossero, non dovrei raggiungere dei ragazzi che combattono.
Nora gli si
avvicinò, stretta
nella pelliccia in cui aveva trasmutato il proprio mantello.
“So che non sono
affari miei… ma una parola da genitore a
genitore?”
Harry suo malgrado sorrise. L’americana aveva una
straordinaria empatia, e
questo gliel’aveva definitivamente resa amica.
“Permesso accordato, Sergente.”
La strega gli restituì il sorriso. “Hai fatto bene
con tuo figlio. Sembra un
ragazzo di cuore, ma abbiamo bisogno di averti concentrato. Non lo
saresti
stato con lui accanto… Come non lo sarei stata io con
accanto Ama.” Fece una
breve pausa in cui entrambi osservarono Ron pagare il conducente della
slitta.
“Sai, anche lei lavora al Dipartimento.” Alla sua
espressione sorpresa sospirò.
“C’è da aspettarselo no? I nostri figli
ci vedono tornare a casa a notte fonda
sin da quando sono bambini, sanno che lavoro facciamo, sanno che
combattiamo i cattivi. Anche nel
Mondo Babbano non è
raro che ci siano generazioni di servitori della legge.”
“A volte vorrei che non fosse
così…” Confessò.
“Vorrei che James avesse scelto
di fare, chessò… Il giocatore di Quidditch.
È molto bravo con la scopa.”
Pensare ad altro, persino pensare alla lite era meglio che pensare alla
piccola
Lily nelle mani di Von Hohenheim e Al, Tom e gli altri al suo folle
salvataggio.
“Non possiamo
decidere del
futuro dei nostri figli. Sta qui la fregatura.”
Sospirò la strega facendo
annuire di rimando. “Sei un buon padre, Harry.” Gli
diede una pacca sulla
spalla. “Aggiungi anche questo alla lista dei tuoi infiniti
meriti.”
Harry sospirò;
apprezzava il
tentativo, ma era stato piuttosto vano, date le contingenze.
“A volte vorrei
che fosse il
solo.”
Arrivati
all’Istituto si
trovarono di fronte un’enorme porta. Tanto enorme che a causa
del nevischio che
vorticava impazzito non era possibile vederne la fine. Ron
pagò il conducente e
lo congedò frettolosamente prima di avvicinarsi,
stringendosi nella grossa
sciarpa che Hermione aveva insistito – con tutte le ragioni
– per fargli
indossare.
“Miseriaccia,
è enorme! Come
bussiamo?”
Nora indicò l’enorme battente incastonato proprio
al centro; era grande quanto
una ruota di carro e si supponeva molto più pesante. Lo
fecero risuonare con la
magia e attesero. La porta si aprì quasi immediatamente,
rivelando che qualcuno
era già stato avvertito del loro arrivo.
Dall’enorme atrio di cui erano
visibili solo la prima fila di colonne, apparve una donna bionda
dall’aria
rigorosa che indossava l’uniforme standard
dell’Istituto, unicamente abbellita
da una spilla con un grosso rubino al centro. La seguivano due
energumeni
persino più alti di Ron, ma dai lineamenti ancora imberbi.
Una
docente e due studenti.
“Sono la
Professoressa Tjader
Jaspersen, assistente del Direttore.” Si presentò
con la rigidità tipica dei
sottoposti di una struttura militare. “Posso sapere le vostre
generalità e il
motivo della vostra visita?”
Harry aveva poca voglia di ripassare cerimoniale e protocolli
diplomatici,
buoni forse per un ministeriale come Malfoy. “Sapete
benissimo chi siamo e il
motivo per cui siamo qui.” Esordì asciutto.
“Mi porti dal suo Direttore, subito.”
Il tono dovette sortire un certo effetto, perché le labbra
tirate della donna
fremettero prima di tornare all’immobilità.
“I permessi d’indagine” Tentò.
“Sono Harry Potter e mia figlia è stata
rapita.” Con un cenno fermò il braccio
di Nora, la quale già stava cercando materiale cartaceo che
chiudesse la bocca
all’altra strega. Non serviva; per una volta avrebbe fatto
esattamente quello
che Piton gli aveva sempre rinfacciato. Il bullo.
“Se volete
contattare il Ministero
Britannico siete liberi di farlo, ma nel frattempo sarà
meglio che il suo
Direttore mi riceva.” Fece una calcolata pausa.
“Altrimenti le posso giurare su
Merlino che riempirò la vostra scuola di Auror e qualsiasi
tipo di forza di
polizia Magica. Sono stato chiaro?”
Lo era stato,
perché la donna
non tentò una seconda obiezione e li fece immediatamente
entrare.
Ron si schiarì la
voce. Doveva
essere l’elemento razionale del gruppo, ed era meglio che si
muovesse
velocemente ad assolvere quel compito. “Dove sono gli agenti
del vostro
Dipartimento di Polizia Magico?”
“Bloccati dal
maltempo.
Richiede una Passaporta necessita ore … di
solito.” Harry ignorò la
frecciatina; che lo accusassero pure di smuovere mari e monti a suo
favore.
L’avrebbe fatto letteralmente
se
questo avrebbe significato riportare la sua bambina a casa.
“Noi inglesi siamo
gente
sveglia.” Replicò Ron come se ottenere Passaporte
nel giro di una ventina di
minuti fosse cosa da tutti i giorni. “Ah, oltre al vostro
Direttore vorremo
parlare con un allievo, Dionis Radescu. Ha trovato Rose Weasley nel
luogo del
rapimento di Lily Potter… abbiamo bisogno di fargli qualche
domanda.”
“Di questo dovrete
parlarne
con Herr Direktør.”
“Il ragazzo
è maggiorenne, no?
Se non ha nulla in contrario non credo ci saranno problemi.”
“Herr
Direktør…” Iniziò
di nuovo ed Harry ne ebbe abbastanza.
“Il suo prezioso
Direttore è
probabilmente complice del rapimento di una minorenne straniera e
connivente di
un Mago Oscuro ricercato in due Continenti.”
Ringhiò. Oh, lo fece davvero. “È
accaduto qui, nella sua scuola, sotto gli occhi
di voi professori. Vuole davvero continuare a fare
ostruzione?” Sentì la
mano di Nora sul braccio ed ispirò forte, vedendo che la
docente era
impallidita come uno straccio. “Ci porti da lui.”
Borbottò infine.
La donna non aprì
più bocca,
guidandoli attraverso un labirinto infinito di corridoi e salotti dalle
volte
altissime. Incontrarono abbastanza studenti per farsi l’idea
generale che tutti
sapessero cos’era accaduto, ma preferissero abbassare lo
sguardo e badare ai
fatti propri. Naturalmente non si poteva dar la colpa a ragazzi
dell’età di
Lily, Albus e Thomas. Tuttavia…
Lily
è stata presa qui. Qualcuno, molte persone hanno
distolto lo sguardo.
“Harry.”
La voce di Nora lo
riscosse. Si accorse che aveva stretto tra le dita il fodero della
bacchetta e
che da esso uscivano piccole scintille rosse. Allentò la
presa e scoccò
un’occhiata interrogativa all’americana.
“Come ci dividiamo per gli
interrogatori? Per economizzare i tempi.” Spiegò.
Sì, quello aveva
senso. “Io
andrò dal Direttore, tu e Ron dal ragazzo. Dopo andremo
assieme da Rosie e
dalla McGrannit.” Aggiunse a beneficio dell’amico,
che però sembrò tentennante.
“Credo sia meglio
che venga
con te.” Mugugnò con l’aria di chi
avrebbe preferito ingoiare un cucchiaio di
Puzzalinfa piuttosto che mettere in discussione la sua
obbiettività di fronte
ad estranei.
Come
ha appena fatto.
“Vengo
io.” Si inserì Nora
come se non si fosse appena seduta su una polveriera di sua sponte.
“Non sono
molto brava negli interrogatori, ma mi è stato detto che
Ronald è notevole.”
Ron arrossì di piacere alla lusinga. “Se per te
non è un problema.” Lo squadrò
e Harry lesse comprensione ma anche ferrea intenzione di non fargli
mandare
tutto alla malora.
Si piegò all’evidenza della sua poca
obbiettività. “Non lo è.” Si
rivolse alla
professoressa. “Qualcuno può accompagnarlo da
Radescu?”
La donna fece fremere di
indignazione le labbra una seconda volta, ma a parole non
obbiettò. “Sì,
possono farlo gli allievi.”
Decise le disposizioni, ad
Harry non restò che prepararsi mentalmente
all’interrogatorio. Aveva come
l’impressione che ci sarebbe voluto tutto il suo
autocontrollo.
****
Ginny seguiva da un
po’ il
figlio maggiore. Dopo aver praticamente corso per tutta la rampa della
scale di
servizio che portavano alla piazza centrale del Ministero aveva
rallentato,
salvo per finire, adesso, a sedersi su una delle panchine di fronte
alla
fontana dedicata ai tre fratelli Peverell, costruita dopo la guerra in
sostituzione di quella precedente, distrutta durante la battaglia al
Ministero.
James doveva aver capito di
esser stato seguito, ma non dava cenno di considerare la sua presenza.
Così
finì per sedersi vicino a lui. Da
quell’angolazione vedeva il filo teso della
mascella del suo povero ragazzo.
Aspettò che fosse
lui a
parlare però.
“Sono la mia
famiglia.”
Mormorò lentamente. “Sono i miei fratelli, i miei
amici… Teddy. Sono la mia
famiglia. Come può non capirlo?”
“Lo so, tesoro.” Replicò pacata. Vedendo
che l’altro non aveva reazioni se non
un lieve sorrisetto sarcastico, quasi a dimostrazione del fatto che lei non poteva capire,
sospirò. “Sai
bene che tuo padre non si presentò per il suo Settimo anno,
vero?”
James aggrottò le
sopracciglia. “Andò a cercare gli Horcrux con zio
Ron e zia Herm, sì.” Le
scoccò un’occhiata interrogativa. “E
quindi?”
Era il momento di
condividere
un po’ di vecchi rimpianti con uno dei suoi figli; Ginny non
si era mai
ritenuta donna che guardava al passato. Ma se serviva per trarne
insegnamento, poteva
anche indulgervi. “E quindi non considerò neppure
l’idea di rendermi partecipe
della spedizione.” Replicò con tono discorsivo, ma
fu contenta di notare come
adesso avesse attenzione completa. “Ero ancora minorenne,
certo… Un anno meno
di lui e molta meno esperienza, forse. Ma non me lo chiese neppure.
Decise, ed
io dovetti adeguarmi.”
“Potevi insistere… Insomma, minacciarlo di
seguirlo!” Si mordicchiò il labbro.
“Non credevo tu volessi…”
“Aiutarlo? Più di ogni altra cosa, James. Rimasi
ferita quando mi disse che non
mi avrebbe portata con sé.” Aspettò che
avesse recepito il messaggio e
continuò. “Ma poi riflettei… Riflettei
bene sulle sue ragioni, perché, a dirla
tutta, era l’unica cosa che potevo fare. E smisi di essere
arrabbiata. Capii.”
James si voltò verso di lei. “Cosa?”
“Che se avessi
insistito per
andare con lui l’avrei soltanto fatto soffrire.”
Gli mise una mano sulla sua.
“Avrebbe finito per cedere, perché sapevo che
aveva bisogno di me. Ma avrebbe
finito per consumarsi nell’intento di proteggermi a tutti i
costi.”
“Potevi badare a te stessa come posso farlo io! Sei sempre
stata una tosta,
ma’!” Ginny sorrise a quell’accorata
dichiarazione; era sempre piacevole quando
uno dei suoi figli glielo ricordava. “Avresti potuto aiutarlo
davvero nella
ricerca di quei cosi!”
“Forse.”
Concesse. “Ma non è
questo il punto… Tuo padre aveva paura per me. Ed era questa
percezione che lo
avrebbe distolto dal suo obbiettivo. Doveva esser certo di sapermi al
sicuro.”
James abbassò lo
sguardo.
“Stai dicendo che sarei stato un peso?”
“Sto dicendo che
tuo padre
deve affrontare una prova molto dura. Lily è in
pericolo… e non è riuscito a
fermare tuo fratello.” Inspirò, imponendosi di
continuare quel discorso e non
concentrarsi sullo spavento che provava. “Non sarebbe
concentrato a sufficienza
sapendo che ci sei anche tu.”
“Ha bisogno di
sapermi al
sicuro…” Sospirò. Si era rilassato nei
lineamenti, e Ginny conosceva abbastanza
il suo maggiore per sapere che stava processando la notizia, lentamente
ma in
modo costante.
“Proprio
così.” Gli strinse
con forza la mano. “Hai ereditato il mio destino tesoro, mi
spiace.”
James sorrise, stringendole
la
mano di rimando. “Spero di aver preso anche il tuo essere
tosta, allora.”
Ginny gli
accarezzò i capelli
corti e ispidi sulla nuca. “Assolutamente tesoro.”
****
Germania,
Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Una
e mezzo.
Sören riprese
coscienza
lentamente, vedendo un alone sfumato cominciare a prender contorno,
sempre più
velocemente finché non si accorse di fissare una candela
appoggiata su un basso
tavolino. Aveva una sete dolorosa così cercò di
dirlo; quello che venne fuori
fu un rantolo privo di senso.
“Ah, sei
sveglio!” Lo sorprese
una voce che rimbombava dalle profondità degli abissi.
Quando gli fu avvicinato
un bicchiere alle labbra bevve avidamente e senza fare domande.
“Ti sentirai
meglio.” Disse la
voce che Sören riconobbe per come trascinò
l’ultima sillaba. Era il dialetto di
Lubecca. Era Milo, uno dei tre Magonò a servizio di suo zio.
Mise a fuoco la figura
atletica del ragazzo. Era seduto sulla sedia di paglia accanto al
letto, più
che altro una branda a giudicare dalla scomodità.
Realizzò di essere nella sua
stanza e negli appartamenti della servitù.
“Meglio?”
Chiese il ragazzo
finendo di arrotolare una sigaretta di tabacco. “Credo di
sì… per voi Maghi le
nostre pozioni funzionano meglio che per noi. Ironico, no?”
“Che ci faccio
qui?” La voce
era tornata salda e sì, si sentiva effettivamente meglio.
Con meraviglia
ricordò di aver appena subito una punizione. Meraviglia,
perché non sentiva
alcun dolore al braccio.
Sono
stato curato, dunque.
Milo si accese la sigaretta
sfregando un cerino sul muro. “Sei al sicuro.”
Tirò una boccata di fumo e poi
gliela passò. “Ti ho salvato il sedere,
Signorino.”
Sören la prese e vi
diede una
boccata. Il sapore forte del tabacco non erano Vodka incendiaria ma gli
diede
un po’ di stabilità in più. Si sentiva
ancora girare la testa. “Cos’è
successo?”
Il Magonò fece schioccare la lingua. “Cosa stava
per succedere piuttosto… Avrei
dovuto mollarti nelle segrete e lasciarti agonizzare, secondo
ordini.” Piantò
gli occhi nei suoi, e ancora una volta Sören fu sorpreso di
vedervi una
fermezza d’animo senza pari.
“Invece…” Lasciò aleggiare la
frase.
“Invece non
l’hai fatto.”
Disse per lui. “Se lo sapesse mio zio ti
ucciderebbe.”
“Puoi
giurarci.” Replicò con
un sogghigno. “Forse mi farebbe pure di peggio. Sembra
nervosetto di questi
tempi.”
Sören cercò febbrilmente di fare il punto della
situazione; era di nuovo in
grado di camminare, correre, battersi. Poteva ancora salvare Lily.
Tutto questo
era stato possibile grazie all’intervento del
Magonò. La domanda fu
sequenziale. “Perché vuoi aiutarmi?”
Milo gli lanciò
un’occhiata.
“Non ci vuole un cervello da Purosangue per capire che qui le
cose stanno
andando a puttane.” Si riprese la sigaretta e ne diede una
soddisfatta boccata.
“Io son venuto qui per evitare la strada e avere la pancia
piena. Non per farmi
arrestare da voi maghi come complice nel rapimento di una
ragazzina.”
Aveva senso. Sören
controllò
di avere piena motilità e controllo delle gambe e delle
braccia, poi si alzò in
piedi. La testa gli girava un po’, ma sarebbe passato. Era a
posto.
Si voltò verso
l’altro. “Temo
tu non ci abbia guadagnato molto a salvarmi… Non sono certo
dalla parte dei
buoni.” Ironizzò richiamando le parole di Doe;
chissà dov’era Johannes. Sperava
ben lontano di lì.
“Sì, ma
non sei neanche cattivo…”
Virgolettò le parole. “Davvero
ragioni in bianco e nero, tu?”
Sören lo fissò confuso e l’altro scosse
la testa. “Lascia perdere. Vuoi salvare
la ragazzina, no?”
“Esattamente.”
“Bene, ti aiuterò.” Decretò
alzandosi in piedi e spazzolandosi i pantaloni. “Se
la Rossa riesce a tornare a casa forse eviterò Nurmengard.
Personalmente non
voglio neanche trascorrerci un solo giorno… Uno come me non
ama gli spazi
angusti.”
Sören
ascoltò a metà il
chiacchierare dell’altro. Estrapolò piuttosto
ciò che gli interessava. “Puoi
aiutarmi?”
Milo fece un sorriso
divertito. Chissà se era capace di farne sinceri.
“Si dà il caso che sia il
carceriere.” Fece tintinnare con un colpetto di dita delle
chiavi attaccate
alla cintura. “Tuo zio pensa proprio zero di noi
SenzaMagia.”
“È
difficile pensare che uno
di voi si ribelli rischiando la sua ira. Forse non crede voi siate
capaci di
prendere decisioni razionali.” Replicò senza il
vero intento di offendere o sottintendere
la debolezza di nessuno. Era così che ragionava Alberich.
L’altro fece una
smorfia, ma
sembrò accettare il punto. “Non posso dargli tutti
i torti. I due vecchi se la
stanno facendo sotto nelle loro stanze… L’unica
cosa di utile che han fatto è
stato prepararti la pozione, e solo perché sei il padroncino.” Fece una smorfia
nauseata. “Sai come funziona? Tecnica
degli Snasi. Nascondi la testa e aspetta che passi la
bufera.” Diede un’ultima
boccata poi gettò il mozzicone nel fuoco. “Io
nella bufera però non ci voglio
affogare e mi dispiacerebbe veder affogare pure quei due.”
Gli tese la mano. “Siamo
d’accordo? La nostra salvezza per la tua bella
Rossa.”
Sören non esitò prima di stringerla; aveva capito
sulla sua pelle che non
poteva salvarla da solo. Aveva bisogno dell’aiuto di quello
strambo,
irrispettoso Magonò. “Lily non è
mia…” Puntualizzò però,
sentendosi un idiota
non appena lo ebbe detto: che senso aveva chiarirlo in quel momento?
Milo inarcò le sopracciglia. “No? Ci avrei
scommesso cinque galeoni che era la
tua fidanzatina. Quando l’ho portata giù, dopo che
quel vecchio con la faccia
da moccioso l’aveva rapita, mormorava il tuo nome. Da
svenuta. Non sarà tua, ma
nella sua testa tu ci sei di sicuro.”
Sören
sentì una stretta allo
stomaco; chissà cosa doveva aver provato Lilian quando aveva
scoperto tutto
dalla bocca crudele di suo zio. Non poteva immaginarlo… ma
forse tradimento era
un’espressione calzante.
“È mia
amica.”
Il Magonò gli
scoccò
un’occhiata indecifrabile, gemella di quella che gli aveva
dato quando era
rimasto con lui dopo che era stato torturato. “Parola mia,
Von Hohenheim… sei
un mago ben strano.”
Sören sorrise
appena. Lo era;
ma se quella sua stranezza avrebbe aiutato Lily a scappare era la
benvenuta. “Vorrei
un favore.”
“Un altro?” Motteggiò, ma gli fece cenno
di continuare mentre accendeva la
lanterna con cui avrebbero attraversato l’oscurità
del castello.
“Non sono un Von Hohenheim. Sono un Prince. Puoi
ricordarlo?”
L’altro non
ribatté, ma fece
un inchino, tutto fuorché umile, ma neppure irrispettoso.
Forse era il suo modo
per attestare che aveva capito la sua richiesta.
“Come desideri,
Sören Prince.”
****
Norvegia,
Durmstrang.
Due del pomeriggio.
Il Direttore Helmut Jagland
atterrò con tutto il suo peso di quasi due metri sulla
sedia, con una
precisione che aveva del notevole considerando il fatto che
c’era stato spedito
da un pugno. Il pugno, per precisione di notizia, apparteneva al
Salvatore dei
Due Mondi, all’Eroe che aveva sconfitto il Mago
più oscuro di tutti i tempi.
In breve, Harry Potter, che al momento si stagliava di fronte
all’uomo quasi
fosse il doppio in altezza e in imponenza. Perlomeno, a giudicare dal
colorito
terreo del norvegese, lo sembrava.
“Lei…
Come… come osa?”
Balbettò in pessimo inglese; la maschera di boria e
supponenza era
completamente scomparsa non appena il Capo Auror era entrato nel suo
ufficio,
bypassando i due nerboruti allievi posti a suo presidio.
C’era da dire che
i suddetti,
riconosciutolo, non avevano tentato di fermarlo.
“Chiudi il becco,
feccia.” Poche
persone avevano avuto il privilegio di vedere il Leggendario
Bambino-che-era-sopravvissuto-due-volte seriamente infuriato, e Nora
realizzò
di essere appena entrata nel novero. Non tentò di fermare la
rabbia del collega
d’Oltre Oceano però; comprendeva perfettamente il
suo stato d’animo, e finché
non avesse tirato fuori la bacchetta, creando un precedente magico che
avrebbe
potuto crear loro grattacapi, non avrebbe alzato un mignolo.
Mai
piaciuti i Purosangue fieri di esserlo. Fortuna che
ormai in America sono più rari delle eclissi di sole.
“Mia figlia
è stata rapita
sotto la tua tutela… E non perché non te ne sei
accorto, ma perché hai voltato lo
sguardo.” Il tono di
Harry era di una calma mortale, ma c’era dietro talmente
tanta rabbia che
nessun uomo sano di mente avrebbe ribattuto. Jagland infatti non
aprì bocca.
“Sei della Thule.” Era un’affermazione, e
a questo il senso del dovere di Nora
pizzicò.
“Harry…”
Disse soltanto, e
l’altro recepì anche se non si voltò a
guardarla. Le bastò sentirlo inspirare
bruscamente.
Non
so se sia vero quello che dicono dei Grifondoro, ma
basandomi solo su Harry e Ronald… Sì.
Non sono difficili da capire. Da fermare, piuttosto.
“Riformulo la
domanda… Conosci
Alberich Von Hohenheim?” Sbatté la mano sul tavolo
di quercia nobile non appena
l’uomo tentò di protestare. “Facciamola
semplice.” Disse. “Rispondi con un sì o
con un no. Preferisco. Non ho tempo da perdere.”
“… Sì.” Sussurrò
l’altro mago, terrificato. Lo sguardo volava per tutta la
stanza, ma si soffermava spesso sul fuoco magico. A Nora fece quasi
pena; era
ovvio che l’inglese non l’avrebbe fatto muovere di
mezzo centimetro in
direzione di qualsivoglia forma di comunicazione.
“Hai fatto
infiltrare qui suo
nipote, Sören?”
“Sì…”
“Hai fatto in modo che venisse scambiato per il suo omonimo,
Sören Luzhin.
Come?”
Nora si accorse che Harry non aveva ancora revocato l’ordine
di risposta
binaria, così si schiarì la voce.
“Parli pure liberamente.”
“Tramite…
delle spille. Sono
incantate. Le indossano tutti gli studenti e il corpo
docente… In questo modo il
ragazzo aveva l’aspetto di Luzhin. Per tutti.” La
voce del norvegese era
ridotta un sussurro; sembrava incredibile, ma nonostante la stazza e
l’espressione distinta era ormai ridotto ad un vecchio
tremante.
Proprio
vero che la paura è lo specchio dell’anima.
“Per tutti tranne
chi?” Lo
incalzò Harry. “Chi altro sapeva della
sostituzione?”
“La delegazione
del Tremaghi…
ed io. Solo io.”
Nora gli lanciò
un’occhiata;
comprendeva, ma non poteva permettere che si facesse una caccia al
colpevole
tra minorenni. “Come ha convinto i suoi allievi a non
denunciare la cosa?”
Il Direttore la
guardò come se
non capisse la domanda. Era mal formulata in effetti; era piuttosto
probabile
che quel manipolo di ragazzi fosse stato cresciuto nella più
ferrea obbedienza
e disciplina.
Ma
dovevano comunque tutelarsi da un’eventuale crisi di
coscienza…
“Come poteva esser
sicuro che
non avrebbero parlato? Magari senza volerlo.”
“Erano tutti sotto
Voto
Infrangibile.” Disse infatti e stavolta Nora dovette frenare
l’Auror
afferrandolo per un braccio. Con la coda dell’occhio aveva
visto la mano
scattargli troppo vicina al fodero.
“Harry,
no.” Disse piano
mentre Jagland aveva l’aria di chi stava per svenire o
rimettere. “Affatturarlo
non ci porterà da nessuna…”
“Ha messo dei
ragazzi sotto
Voto Infrangibile.” La interruppe con gli occhi che
bruciavano. “Sai cosa
succede se, anche solo per sbaglio, per una parola di troppo, lo si
rompe?”
“Sì.”
Gli strinse appena un
polso e con sollievo vide l’altro rilassarsi e allontanare le
dita dalla
fondina. “È solo un burattino… Non
è lui che ha preso queste decisioni.
Probabilmente non ha mai visto Von Hohenheim in vita sua.”
“È…
è la verità!” Esclamò
l’altro mago, concitato; con disgusto Nora ricordò
come l’avesse trovato
distinto al Ballo del Ceppo. “Mi è stato dato
ordine tramite terzi!”
Harry si era liberato della
sua presa e aveva fatto un paio di passi verso la finestra quindi ora
il
testimone passava a lei. Era quasi un sollievo constatare che persino
un uomo
della sua tempra arrivava vicino al punto di rottura.
“Chi?”
“Non so chi
fosse… I corrieri
sono sempre diversi. Era la prima volta che ne ricevevo uno, a parte
quando
sono stato nominato Direttore.” Jagland non era furbo come
sembrava, perché
stava praticamente vuotando il sacco sulla corruzione della sua nomina,
in modo
così stupido da essere quasi imbarazzante.
“Non importa. Lo
descriva.”
“Era… biondo. Sì, biondo. Un ragazzo
giovane. Credo fosse tedesco dall’accento,
parlava molto… era irrispettoso.” Il Camaleonte.
Così era stato quell’avanzo di
laboratorio a predisporre le cose per l’arrivo del nipote di
Von Hohenheim. “Non
so altro… ho solo obbedito a ciò che mi
è stato chiesto di fare!”
“Peccato che lei non stesse lavorando per la Thule, ma per un
uomo da cui la
sua Organizzazione ha preso le distanze.” Gli
rivelò. “Alberich Von Hohenheim
non rappresenta più niente, se non una mina impazzita, un
rapitore e un
assassino. E lei, Signore, ne è complice.”
Nora non si giudicava una persona impietosa, ma vedere un vigliacco
realizzare
di essere mortalmente fottuto era appagante. Prese poi la bacchetta e
materializzò una pergamena nuova di fronte
all’uomo.
“Questa…
a che serve?”
“Alla sua confessione. Partendo dalla Thule, se non le
spiace.” Sorrise, poi si
rivolse ad Harry. “Tu raggiungi il sergente Weasley, qua
finisco io.”
L’uomo si limitò ad un breve sorriso.
“Perfetto.” Esitò, poi aggiunse.
“Grazie.”
“No, grazie a te.” Una volta Jeremiah le aveva
detto che ad accompagnarsi a
persone di valore portava sempre a qualcosa di buono. In quel momento
Eleanor
Gillespie pensò che se poteva mettere una pietra sul suo
incubo personale lo
doveva a quell’uomo con l’aria da ragioniere e
l’interiorità di un eroe.
Harry fu sorpreso quando
vide
che nell’infermeria, oltre che a Rose e la McGrannitt
c’era anche il giovane
sotto-ufficiale con cui aveva parlato ad Hogwarts. Ron lo accolse con i
lineamenti notevolmente più rilassati; vedere la figlia sana
e salva, con un
buon colorito addosso, doveva essere stato un notevole sollievo.
“Signor
Potter.” Lo salutò la
McGrannitt. Harry si sentì diviso: se da una parte voleva
prendersela con lei
per aver permesso ai suoi figli di compiere quell’idiozia,
dall’altra il
rispetto e la stima che nutriva glielo impediva.
“So cosa
pensa.” Lo anticipò.
“Ma come ho spiegato al Signor Weasley, il mio margine di
manovra era minimo.
Legalmente, i suoi figli sono maggiorenni… Personalmente,
sarei andata io
stessa se fossi stata in grado di essere un aiuto e non un peso. Ho
visto ragazzi
ben più giovani battersi come eroi… e due di essi
sono in questa stanza.”
Ron prese un’aria
imbarazzata.
Anche Harry si trovò a corto di parole; la donna aveva
centrato il cuore stesso
delle loro indoli. Sospirò. “Non sono qui per
accusarla, professoressa. Sono
qui per riportare indietro tutti sani e salvi.” Sorrise a
Rose. “Come ti
senti?”
“Molto meglio
zio.” Fece una
smorfia insofferente. “Mi tengono qui per sicurezza, ma sto
bene.”
“Hai avuto una
commozione
cerebrale, Rosie!” La apostrofò suo padre con
forza, ma poi finì per guardarla
con affetto. “Non lascerai quel letto prima di
un mese, se chiedi a me.”
“Meno male non
devo farlo…”
Borbottò “Zio, io…” Lesse
colpa negli occhi della nipote, e si affrettò a
sorriderle come meglio poté.
“Sei stata molto
coraggiosa.
So che hai fatto del tuo meglio… grazie.” La
ragazza arrossì, ma non ribatté né
sembrò rincuorata. Poteva capirla, ma doveva passare oltre.
Si rivolse dunque
al giovane durmstranghiano. “Radescu, giusto?”
Il ragazzo annuì; aveva l’aria sveglia e molto
meno rigida rispetto al loro
primo incontro. Si avvicinò e gli strinse la mano.
“Grazie per aver soccorso
mia nipote.” Lo scrutò; se era sotto Voto
Infrangibile l’interrogatorio con Ron
doveva essere stato un buco nell’acqua. “So che sei
sotto Voto…” Esordì e Ron
annuì. Forse era la gratitudine per avergli salvato la
figlia, ma sembrava comunque
ben disposto verso il giovane.
“Sì, ho
fatto un Incantesimo
di Rilevamento quando me l’ha detto. C’è
dentro fino al collo.” Confermò i suoi
sospetti. “Ma è qui comunque per
aiutarci.”
Harry si chiese come, ma fu
lo
stesso Dionis a venirgli in aiuto. “Non posso parlarvi di
quello che è successo
quando … Luzhin…” Disse cauto, poi
sospirò. Doveva essere tremendo avere una
spada di Damocle del genere sulla testa. “… era
con noi. Ma posso dirvi quello
che è successo ieri sera.”
“Non rientra nel Voto Infrangibile?” Chiese
perplesso e si scontrò con l’aria
confusa dell’amico e quella valutativa della McGrannitt.
Il ragazzo sorrise.
“Ho
studiato bene il Voto. Per capire se c’era modo di
parlare… Non c’è.” Disse
subito. “Ma si tratta di un giuramento. Di altre parole. Io
ho giurato di non
tradire l’identità del ragazzo presentatosi come
Sören Luzhin. In senso lato,
ho giurato di proteggerlo.”
“Dunque?” Non capiva. Se era lì per
aiutarli fare muro attorno al nipote del
padre di Tom non era la strategia giusta.
“Ieri notte io e
Sören abbiamo
scoperto che Kirill Poliakoff, il suo Assistente era stato
ucciso…”
Harry si scambiò uno sguardo con Ron, ma quello gli fece
solo cenno di
ascoltare. “Sören non ne sapeva niente. È
stato messo da
parte… Quindi ha fatto una
scelta. Ed è per questa scelta che io posso
parlare.” Prese un profondo
respiro. “Con questi occhi, Signore, io ho visto
Sören scegliere di andare a
salvare sua figlia.”
“Lily?”
Dovette appellare
tutto il suo auto-controllo per non sbottare contro il ragazzo.
“È colpa di
quel ragazzo se mia figlia…”
“Con tutto il rispetto, Signore.” Lo interruppe
incredibilmente. Era pallido,
ma determinato. “So che la persona di cui stiamo parlando non
si può definire
un mago perbene. Però è un guerriero.”
La definizione sarebbe stata ridicola in
bocca a molte persone, ma non a quel ragazzo che un guerriero lo
sembrava
davvero. “Si è votato ad una causa sbagliata,
è indubbio. Ma testimonio sul mio
onore che la persona che ho visto non è più un
nemico. Non per sua figlia, non
per lei. Quella causa, Signore, l’ha abbandonata sotto i miei
occhi.”
“Dice che Novij ha usato lo Specchio delle Brame per andare
da suo zio e per
convincerlo a rilasciare Lily.” Sbuffò Ron.
Sembrava incerto se cedere alla
fiducia che ispirava quel ragazzo rigoroso o cedere al suo scetticismo
da
Auror.
Harry scelse il secondo. “Dionis, Sören Novij
è il nipote di uno stregone
oscuro che si è macchiato di innumerevoli crimini. Non vi
è onore in persone
del genere, né crisi di coscienza… Quel ragazzo
è stato cresciuto sotto l’ala
di suo zio. Perché avrebbe dovuto rinnegarlo? Ti ha
ingannato per farsi
aiutare.”
Il Durmstranghiano non si
scompose. “ Per sua figlia, Signore.” Disse come se
fosse la cosa più naturale
del mondo. “Sono amici.”
Harry non rise solo
perché
l’espressione di quel ragazzo era troppo seria per farlo.
Conversioni del
genere non esistevano nella vita reale. Nessuno passava dal male al
bene solo
per affetto.
Sicuro?
Un precedente lo conosci… e curiosamente, è
pure parente del ragazzo.
Severus
Piton. Ha rinnegato Voldemort per salvare tua
madre. No?
Guardando il volto pallido e
tirato di Rose e quello stanco della McGrannitt decise di accantonare
quel
problema, per il momento. Non poteva continuare a far domande su
qualcosa che
comunque non gli avrebbe fatto guadagnare tempo ma piuttosto il
contrario. “Hai
detto che ha usato lo Specchio delle Brame per andarsene.
Come?”
“Lo ha trasmutato in una Passaporta.” Fu
l’immediata risposta. “Ha usato un
incantesimo per attivarla.”
“Lo ricordi?”
Il giovane rumeno sorrise.
“Posso fare di meglio, Signore. Posso mostrarvelo.”
****
Milo si voltò per
controllare
la presenza del mago dietro di sé; quel Prince era
silenzioso come un gatto e
non lo si sentiva camminare, né tantomeno respirare.
“Entrato in
modalità spia?”
Venne squadrato con
confusione;
c’era tanto di sorprendente in quel tipo. Si vedeva da come
si muoveva, dalla velocità
con cui reagiva a tutto ciò che gli circondava che era
letale, però al tempo
stesso era capace di espressioni da bambino sperduto. “Non
importa.” Scosse la
testa. “Non perdermi di vista e non entrare nel raggio della
torcia… Se ti
vedono siamo fottuti. Tuo zio ha già detto a tutti che non
sei più parte della
banda.”
“Lo immaginavo.” Replicò senza
particolari emozioni. Alternava una faccia
anodina a quell’aria da cucciolo smarrito, che certo avrebbe
sciolto più di una
ragazza e pure qualche ragazzo con la fissa per i ragazzi
più bassi di lui e
che amavano vestirsi da mago cattivo.
Di
certo qui ci sarebbe tanto da lavorare per uno
strizzacervelli babbano… È il controsenso di se
stesso.
Scesero le lunghe scale a
chiocciola che portavano da una sezione della torre di centro alle
segrete, situate
parecchi piani più sotto. Dallo spiffero umido che tirava
fuori doveva aver
cominciato a piovere.
“Tuo zio ha
arruolato altri
Mercemaghi.” Continuò sottovoce. “Ora
sono una specie di piccolo esercito
maleodorante e con pretese assurde. Non sarà facile uscire
dal castello, lo
pattugliano da cima a fondo.”
“Di questo non preoccuparti.” Fu l’ovvia
risposta da macho della situazione.
Però era stranamente convincente.
“Piuttosto… Vuoi che porti fuori anche
voi?”
“Voi chi?” Poi intuì che si riferiva
anche ai due vecchi Maghinò. “No,
scordatelo. Prima di tutto, sarà già un inferno
portar fuori una persona…
Secondo, saremo dei bersagli mobili. Ho un coltello, ma non
è un granché contro
due dozzine di bacchette incazzate.”
Sören sospirò, ma non disse niente; in quella sua
stramba testa dovevano esser
state ficcate anche nozioni di strategia. Quel discorso terra terra
doveva aver
senso anche per lui.
“Ce la
caveremo.” Si sentì in
dovere di dirgli. “Quando arriveranno i buoni diremo che non
sapevamo che stava
succedendo e oh, avevamo tanta paura per le nostre misere
vite…” Scimmiottò un
tono piagnucoloso e si voltò a guardare l’altro.
Aveva fatto un mezzo sorriso.
Beh,
perlomeno non gli hanno cancellato il senso
dell’umorismo.
“Tu mi hai aiutato
però.”
Osservò. “Mio zio non ci metterà molto
a capire che sei stato tu.”
Milo Meinster non era nato stupido; senza Magia, ma non senza cervello.
Fece un
sorrisetto. “Motivo per cui
io…” Si
fermò e vide che anche il mago si irrigidì
facendo scattare la mano vicino al
fodero della bacchetta; erano dei passi piuttosto affrettati.
Tre,
due… Quanti diavolo sono?
“Sta arrivando
qualcuno!”
“Tre
persone.” Replicò Sören
con sicurezza. “C’erano guardie nei
sotterranei?”
“Fino a due ore fa
no!”
Masticò un’imprecazione. “Devono averle
messe mentre ero sopra… Nasconditi!”
Sören non se lo fece ripetere e sparì inghiottito
dalle ombre e forse anche da un
incantesimo di Disillusione veloce.
Come previsto, arrivarono
tre
Mercemaghi, trai più cenciosi e maleodoranti,
stimò con disgusto.
Solo
perché non hai abbastanza Galeoni per avere dei
vestiti di ricambio non significa dover farsi marcire addosso quelli di
tutti i
giorni. Io i miei li lavo.
Quant’è
difficile?
“Ehi,
Magonò!” Lo apostrofò
uno dei tre, il più in alto nella loro traballante scala
gerarchica a giudicare
dai vestiti meno unti e più cicatrici. “Che ci fai
qui?”
“Controllo la
prigioniera?”
Chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo;
sfortunatamente così non
era, perché tutto quello che doveva fare erano darle da
mangiare o spostarla.
E
non ho ordini di spostarla, né ho un piatto in mano.
Merda. Giochiamoci la prima.
“Non abbiamo
saputo di nessun
spostamento. Che ci fai qui?” Insistette il tizio,
avvicinandosi e facendogli
arrivare alle narici puzza di vino elfico e stantio. Milo, che era
stato
condannato ad avere un naso sensibile, si concentrò sul non
rimettere.
Merlino,
persino un cassonetto della spazzatura ha un
odore migliore…
“In
realtà sono venuto per i
vostri brutti musi.” Replicò con il suo ghigno
migliore; se Prince era furbo
avrebbe approfittato di quella diversione per andare dalla sua
amichetta.
E
per aprire la porta si inventerà qualcosa… Non
è il
ragazzo meraviglia del padrone?
Pensò questo e
poi sentì un
dolore lancinante al costato. Nessuno si era mosso o lo aveva colpito,
ma la
bacchetta del Puzzone era levata. Una fattura. Crollò in
ginocchio.
“Fa’
anche lo spiritoso, il
Sangue Marcio… La magia con voi serve solo per farvi
strisciare.”
Milo notò che un’ombra si era mossa al lato della
sua visuale; bene, Prince non
era un’idiota. Era consolante. “Veramente Sangue
Marcio sono quelli con i
parenti babbani…”
Puntualizzò; non era
la prima fattura che si beccava, e i Maghi non entravano mai
nell’ordine di
idee che anche quelli come loro potevano sviluppare una certa
resistenza – o
sopportazione – alle stesse.
Chiuse gli occhi quando vide
il Mercemago preparare il secondo colpo, ma poi sentì una
specie di guaito. Li riaprì:
Sören, uscito dal cono d’ombra, era piombato sul suo
aguzzino, tirandogli un
colpo al braccio e facendogli cadere la bacchetta. Il bastardo si
voltò subito,
riflesso condizionato per capire cosa diavolo l’avesse preso;
errore. Si vide
arrivare un colpo a mano aperta al setto nasale, che lo fece esplodere
in un
grumo di sangue e muco.
Sören prima che cadesse come una bambola, lo usò
come scudo contro gli
incantesimi degli altri. Neutralizzò gli altri due nello
stesso modo con un
efficienza che aveva dello spaventoso.
Cazzo.
A mani nude?
“A mani
nude?!” Ripeté ad alta
voce. Sören si chinò ad aiutarlo e lo rimise in
piedi; magrolino, ma con dei
muscoli d’acciaio. Li sentì tendersi quando lo
tirò su di peso.
“Gli incantesimi
fanno
rumore.” Replicò. Gettò
un’occhiata ai tre corpi svenuti e malmenati.
“Anche
loro erano rumorosi.”
“Dove diavolo hai imparato quella roba da babbani?”
La fattura non doveva
essere stata di prima classe, perché il dolore stava
scemando. “Dico sul serio,
cos’era, kung-fu?”
Prince gli scoccò
l’ennesima
occhiata confusa. “Non so cosa sia. Mi è stato
semplicemente insegnato a
difendermi in qualsiasi situazione. Anche quando non ho una bacchetta e
non
posso usare…” Tacque, inspirando.
“Andiamo.”
“Non dovremo
nasconderli o
qualcosa del genere?” Diede un calcetto al tipo di prima. Era
svenuto sul serio
e forse stava affogando nel suo stesso sangue.
Crepa.
L’altro
aggrottò le
sopracciglia. “Dove? Questa è una scala. In ogni
caso, prima o poi se ne
accorgeranno comunque. Sarò fuori prima del prossimo turno
di guardia.”
“Arrogante bastardo…” Ghignò
divertito. “Grazie, comunque. Potevi aggirarli e
andartene, lo sai?”
Sören fece un mezzo sorriso. “Sì, lo
so.” Non era tanto sveglio nei doppi
sensi, ma qualche sottotesto sembrava coglierlo.
Scesero un altro paio di
rampe, poi Milo gli mise una mano sulla spalla per richiamare la sua
attenzione.
La gratitudine era una brutta bestia; sapere che la persona davanti a
lui gli
aveva appena risparmiato un bel ciclo di torture lo metteva in una
posizione
scomoda.
Non
posso diventare sentimentale adesso… Per un mago,
poi!
“Ascolta, non
posso venire con
te.” Gli disse, staccandosi le chiavi dalla cintura e
porgendogliele. “Come hai
detto tu rischio troppo. Deve sembrare che me le hai rubate…
Schiantami.”
Sören esitò, poi sembrò considerare la
cosa velocemente. “Sei sicuro che i
Mercemaghi che abbiamo appena incontrato non sospetteranno? Posso
portarti con
me fuori di qui prima che lui se ne accorga.”
“Nah,
sono troppo stupidi per fare due più due.”
Ribatté. “E poi te
l’ho detto, non posso abbandonare i vecchi. È una
questione da grande famiglia
Magonò. Devo tornare da loro.” Vedendo che esitava
sbuffò. “Andiamo, non hai
tempo!”
Sören annuì; apprezzava il fatto che fosse un tipo
di poche parole. “Sei
pronto?”
“Fallo sembrare
convincente,
mi raccomando.” Gli strizzò l’occhio e
si beò ancora di quella faccia da
cucciolo smarrito; sul serio, come poteva un tizio letale essere
così
adorabile? Era disturbante. “Terza cella a destra.
Va’ a salvare la tua
principessa.”
****
Sören
posizionò la torcia che
gli aveva consegnato Milo sul supporto accanto alla cella. Lilian era
lì, non
c’era tempo da perdere. Prese le chiavi e le
inserì nella serratura; il
movimento avrebbe neutralizzato la barriera che era stata messa per
impedire ad
esterni di aprirla con la magia. Dall’interno era chiusa allo
stesso modo.
Sentì un rumore
al di là della
porta e si sentì serrare lo stomaco; come avrebbe potuto
convincerla a fidarsi
di lui ora che sapeva la verità?
Aprì la porta e una lama di luce entrò dentro la
cella. “Lily.” La chiamò.
“Sono io, Sören.” Cercò di
tenere la voce ferma, anche se tutto quello che
voleva era chiedere perdono. “Va tutto bene.” Non
erano le parole giuste,
forse.
“…
Sören?” La voce, era la sua
voce. Respirò sollievo sentendola; certo, sapeva che era
viva, Milo gliel’aveva
assicurato implicitamente portandolo lì.
Tuttavia, era viva.
Si avvicinò
all’uscita,
strizzando gli occhi per la luce improvvisa. Aveva ancora
l’uniforme scolastica
spiegazzata e anche rotta in più punti. Doveva esser caduta
e si stringeva le
braccia al petto come a difendersi dal freddo.
“Sören…?” Mormorò,
quasi non
credesse alla sua presenza.
Le tese la mano.
“Ti porto via
di qui.” Vedendo che non accennava a muoversi si
sforzò di trovare parole più
adatte. Non avevano tempo, ma non voleva usare la forza. Voleva
convincerla.
Voleva che gli credesse. “Al sicuro, Lily… ti
porto al sicuro. Via.”
Sei
patetico. Perché dovrebbe?
Gli occhi della sua piccola
amica erano grandi di spavento e confusione. Non parlava,
però. Non chiedeva,
non protestava, non urlava accusandolo di essere come suo zio, come
Johannes.
Perché?
Le porse nuovamente la mano.
“Non c’è tempo, Lilian. Ti prego, devi
fidarti.” Cercò di infondere in quelle
parole tutta la convinzione che provava. Aveva abbandonato suo zio per
lei. Era
stata la scelta più giusta della sua vita, la più
vera. Come poteva
comunicarglielo però?
Lily rimase a guardarlo per
un
tempo che gli parve infinito. L’espressione sul suo viso era
illeggibile, oltre
al pallore dello shock. Avrebbe tanto voluto essere un Legimante in
quel
momento, invece che un banale Occlumante. “Lily…”
“… Non
ho la bacchetta.” Disse
all’improvviso. “Non ho la mia bacchetta.”
“Johannes te la deve aver presa. Non preoccuparti,
io…”
“Voglio una bacchetta. Per difendermi.” Il tono era
incolore, ma lo sguardo determinato.
“Verrò con te, ma voglio una bacchetta.”
“Ti fidi?” Gli venne spontaneo chiederlo, sperarlo.
Forse con il suo essere
Legimante Naturale aveva capito la bontà delle sue
intenzioni. Forse.
“Sì.”
Disse. “Ma…”
“Va bene.” Estrasse la sua dal fodero e gliela
porse dalla parte del manico.
“Puoi prendere la mia per il momento. Penseremo dopo a
cercarne una.” Usare quel
braccio in un eventuale scontro non
era l’idea migliore del mondo, ma non poteva neppure lasciare
Lily disarmata,
se era l’unica condizione che gli imponeva per seguirlo.
“E tu?”
“Io me la caverò.” Scosse la testa.
“Adesso dobbiamo andarcene, non c’è
più tempo.”
Lily gli prese la mano. Era stranamente fredda, ma forse non era
così strano
considerando che aveva passato le precedenti ore in una cella gelida.
Il palmo
toccò il suo e poi Sören si sentì
strattonare. Non capì finché non vide la
punta della sua bacchetta puntata contro il petto.
“Stupeficium.”
Sören
istintivamente si
protesse il petto con quel braccio
e
questo gli impedì di essere schiantato sul colpo. Non
poté impedire però che
perdesse l’equilibrio e crollasse a terra. Lily
saltò indietro, agile come un
gatto e con una manata richiusa la porta.
Lei fuori, lui dentro.
“Lily!”
Saltò in piedi
ignorando il dolore al petto; si era protetto, ma non era stato
abbastanza per
evitare, forse, la frattura di una costola. Lo Schiantesimo era stato
pronunciato con un intento solo.
Neutralizzarmi.
“Lily,
aprimi!”
Sentì dare un giro di chiave; le maledette chiavi erano
rimaste nella toppa,
all’esterno e l’altra le aveva appena usate.
“Lily!”
Urlò sbattendo il pugno contro il legno pesante e incantato.
“Liberami!”
“Almeno su questo non hai finto…”
Sentì dire la voce dell’altra. Era fredda,
piena di rancore. “Non sai davvero renderti conto quando
qualcuno ti prende in
giro.” Esattamente come aveva immaginato e come gli aveva
detto suo zio, Lily Potter
lo odiava.
Ma
non così… non avevo immaginato questo.
“Non…”
Non sapeva cosa dire,
era quella la verità. Avrebbe dovuto saperlo che Lily non
l’avrebbe mai visto
come il suo salvatore, come l’eroe, ma come uno dei cattivi,
venuto forse ad
ingannarla. Come aveva fatto Johannes, come gli aveva chiarificato suo
zio. “Ti
prego.” Mormorò appoggiando la fronte contro la
porta. “Ti prego, non riuscirai
ad uscire di qui … Non da sola. Avrai bisogno del mio
aiuto.” Nessuno gli aveva
mai insegnato ad affrontare una cosa simile. Come poteva sapere
qual’erano le
parole giuste? C’era modo per saperlo?
“Hai… hai detto che siamo amici.”
“Ho detto a Sören Luzhin che eravamo amici. Tu sei
Sören Luzhin?” La voce aveva
avuto un tremore. Aveva solo quindici anni, e lui le aveva stravolto la
vita.
L’odio andava bene con le lacrime, non con la fiducia.
Premette la fronte contro il
legno, sentendola bruciare per il freddo del metallo innestato.
“No… non sono
Sören Luzhin.” Sussurrò. “Mi
dispiace… mi dispiace tanto.”
“Ti dispiace?
Io mi fidavo di
te!” Urlò. “È colpa tua se
sono qui! È per salvare te, come la povera idiota
che sono, che sono finita in questa situazione! Ed era tutto falso!
Tutto
quanto!”
Sören si scostò dalla porta, riprendendo fiato e
contegno. Non era mostrandole
quanto era dispiaciuto che si sarebbe fatto aprire, ormai era ovvio.
“Hai tutto
il diritto di odiarmi per quello che ti ho fatto…”
Anche se questo non lo
rendeva meno facile. “Ma devi credermi, non sto lavorando per
mio zio, adesso.
Sto lavorando per te.”
“Le persone mentono.” Sentì un paio di
passi. Era indietreggiata, se ne stava
andando.
“Sei una
LeNa!” Se fosse
scappata non avrebbe più potuto aiutarla. I Mercemaghi, o
Johannes l’avrebbero
trovata e nascosta in un altro posto, mentre lui sarebbe rimasto
lì, impotente.
“Guarda dentro di me, scopri se sto mentendo!”
I passi si fermarono. Lily
stava valutando seriamente la cosa. Non poteva vedere nulla ma poteva
percepire
la sua esitazione. O forse voleva solo crederlo.
“Va’
all’inferno…” I passi si
allontanarono. Sören chiuse gli occhi: era finita.
Poi sentì una
risata; e la
riconobbe subito, come riconosceva tutto di Johannes.
“Ma
così mi rendete il lavoro una passeggiata!”
No.
No, no, no… Non dovrebbe essere qui. Come ha
saputo? Come ha saputo che…
Sbatté le mani
contro la
porta. “Lily, aprimi! Aprimi subito!”
Urlò, ma non poteva sapere se l’altra
fosse lì, o se fosse già nelle mani di Johannes.
“Scappa!”
“Ren…”
Fu un sussurro e gli
sembrò, assurdamente, che fosse al suo orecchio.
E poi, un lampo verde. Un
boato. Quel lampo verde.
Johannes, John Doe. Uno dei
pochi maghi di sua conoscenza capace di lanciare un Avada Kedavra senza
aprire
bocca.
****
Note:
Okay, prometto che dal prossimo capitolo niente cliff-hanger.
Qui la canzone. Gran colonna sonora, the Avengers.
<3
1.Sangue puro in bulgaro.
Per capirsi, immagino il
castello
così però che si affaccia in un
paesaggio come
questo .
|
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Capitolo 60 *** Capitolo LVII ***
Capitolo LVII
I was
looking for a breath of life
For a
little touch of heavenly light
But all the choirs in my head say, no
Who’s
side am I on? Who’s side am I?
(Breath
of life, Florence &
The Machine)
Germania,
Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Un lampo verde, almeno nel
Mondo Magico, voleva poter dire solo una cosa. Il verde non era un gran
colore
in certi ambienti, e sicuramente non in quello di Sören.
Lo vide, capì.
Non ci fu il
passaggio successivo in cui realizzò che se Johannes aveva
colpito Lily, Lily
era morta.
Sentì solo il
controllo che
veniva spazzato via dal terrore e dalla rabbia. Mai, nella sua vita,
aveva
provato tanta paura.
Ma non per sé,
stavolta.
La Magia era cosa
strettamente
legata alle oscillazioni del proprio animo; la sua magia, in special
modo, era
legata a doppio filo alle sue emozioni. Per questo Von Hohenheim si era
adoperato
in ogni modo per reprimerle, schiacciarle, renderle morte.
Perché quella
mano era
un’estensione di se stesso; era se
stesso. L’aveva sempre vista e considerata con repulsione,
perché lo
qualificava come un’arma, come qualcosa che aveva perso ogni
umanità.
Eppure a quella mano fu
grato,
perché fu lei, fu lui a
far saltare
il portone incantato dalla barriera protettiva. Vide il metallo dei
cardini e
dei rinforzi scaldarsi, diventare arancione, il legno bruciare ed
esplodere in
un milione di schegge che gli volarono tutto attorno, senza
però colpirlo. Il
braccio proteggeva e distruggeva.
La porta esplose.
La seconda cosa che vide
oltre
il pulviscolo di segatura e schegge fu l’espressione di
Johannes; era evidente
che non si fosse aspettato quella svolta degli eventi. Forse era stato
lui
stesso a incantare il portone, o potenziare la barriera già
presente. A volte
rimaneva sorpreso dal fatto che lo
considerassero così poco.
Mi
avete creato voi.
La terza cosa che vide fu
Lily, anche se gli sembrò la prima; Lily che era a terra. I
capelli rossi,
persino in quella penombra da torcia sembravano fiamme liquide.
A terra.
Johannes levò la
bacchetta ma
era lento. Sul serio, lo era, perché l’incantesimo
che gli lanciò era così debole
che lo scacciò via con una
manata.
Mi
avete creato voi. Davvero non sapete di cosa sono
capace?
Il braccio bruciava come se
glielo avessero infilato nella lava bollente e si sentiva il respiro
mozzo, il
cuore in gola. Lo stava usando male, non stava neanche tentando di
controllare
la magia che gli veniva risucchiata dalle vene per poi uscire fuori
come
fulmini durante un temporale. Se continuava così non sarebbe
durato a lungo.
Non aveva importanza.
Johannes tentò di
attaccarlo
di nuovo; aveva smesso di parlare, ridere, prenderlo in giro.
Evidentemente persino
un bastardo della sua risma si rendeva conto quando la situazione gli
era
sfuggita di mano.
Ne aveva abbastanza. Non usò un incantesimo, neppure una
formula, ma a volte
bastava l’intenzione, perché prima della parola,
c’era la volontà.
Infranse lo scudo protettivo
di Johannes con una vampata. Lo vide sbattere contro il muro, battere
la testa,
scivolare a terra. Morto? Perdeva molto sangue dalla testa e non si
muoveva. Di
certo non era più in grado di fare del male.
Individuò la sua bacchetta e gliela
bruciò in una pioggia di schizzi di luce e scoppi.
Lily.
Si voltò verso di
lei, le
corse incontro ignorando le fitte dolore del braccio; lo aveva usato
troppo, lo
aveva usato male e non aveva importanza.
Lily,
ti prego… Lily.
Non poteva essere morta. Non
doveva essere morta. Le principesse
come
lei, glielo avevano insegnato le poche storie che aveva letto durante
la sua
infanzia, non morivano, non era possibile. Le si inginocchiò
accanto, ma non la
toccò; se aveva battuto la testa non doveva muoverla, non
poteva rischiare di …
Di
peggiorare la situazione? E se è…
No.
Aveva il viso voltato di
lato
ed era pallida; gli occhi erano chiusi, ma non spalancati nel vuoto,
quindi
forse…
Ti
prego. Ti prego, ti prego, ti prego…
Pregare qualcuno o qualcosa
era roba da babbani. Certo, si poteva pregare un avversario di
risparmiarti la vita,
ma non era quello il caso dato che non stava pregando per
sé.
Le tastò il
polso, ma era
troppo agitato. Gli sembrava ci fosse del battito, debole. Non ne era
certo…
Come si prendeva poi il battito? Era una cosa da Guaritori e lui non lo
era.
Aveva un’unica
certezza che gli
impediva di impazzire: l’Avada Kedavra non doveva averla
colpita, dato che chi
moriva per La Maledizione Senza Perdono aveva gli occhi spalancati, il
volto
livido e l’espressione di chi aveva visto la Morte. Lily non
aveva nessuno di
quei segni che aveva imparato così bene a riconoscere.
Ti
prego, ti prego, ti prego…
Sören si accorse di
stare
pregando qualcuno, in effetti; stava pregando proprio lei, la Morte,
che non la
portasse via dal mondo, che non si prendesse una ragazzina innocente.
La sua
ragazzina innocente, la sua innocenza. La sua migliore amica.
“Lily…”
Voleva chiederle di
svegliarsi, di reagire, ma gli sembrava di aver la lingua legata, fatto
salvo
per quelle uniche due sillabe. Le teneva la mano come un inutile
idiota, mentre
la magia dentro di lui ribolliva. Non poteva farla uscire,
perché era certo che
in quel momento avrebbe distrutto tutto, loro compresi. Non poteva far
nulla,
se non rimanere lì e chiamarla.
Perché
sì, Lily non era stata
presa dall’Avada Kedavra. Ma non si svegliava.
****
Il lupo si
avvicinò fiutando
il terreno ghiacciato da più strati di neve compatta, resa
dura dal camminare
di scarponi umani. Annusò il terreno e si
avvicinò circospetto alle enormi mura
grigie e lisce come se il vento le avesse lavorate per secoli. E
probabilmente
era così.
Non poté
avvicinarsi però alla
nuda pietra che subito qualcosa di indefinito sembrò far
tremare l’aria, quasi
le molecole si fossero agitate come foglie mosse dal vento. Un attimo
dopo
sulle merlature si affacciarono due uomini a bacchette spianate.
“Rilassati Jeno,
è solo un
lupo.” Disse uno dei due ritirando la bacchetta nel mantello.
“Queste foreste
ne sono piene, anche se i babbani hanno fatto un bel lavoro
nell’ammazzarli. Metti
via la bacchetta, che ti congeli le mani.”
L’altro
ignorò il suggerimento
del compare e lanciò piuttosto un incantesimo che si
abbatté con uno scoppio al
lato dell’animale, che balzò via sparendo dietro
una fila di cespugli
circostanti.
“Jeno, sei un
idiota!”
Questa fu l’ultima
cosa che il
lupo udì prima di trotterellare nella direzione da cui era
venuto. Corse per un
po’ nella boscaglia, prima di svoltare una fila di alberi e
trovarsi di fronte
quattro ragazzi chiusi nei propri mantelli che si riscaldavano le mani
ad un
fuoco azzurrino e privo di fumo.
“Ehi, eccoti
qua!” Esclamò
Albus alzandosi in piedi e porgendogli un fagotto di vestiti.
“Com’è andata?”
“Non sa parlare in quella forma.” Gli fece notare
Tom arricciando il naso e
strofinando le mani prima di infilarle dentro il mantello.
“Devi sempre
puntualizzare,
vero?”
Il lupo sembrò
quasi sorridere
di quel battibecco, prima di sparire dietro una serie di massi rocciosi
con il
fagotto trai denti. Ne uscì qualche minuto dopo
stiracchiandosi, di nuovo in
possesso dei suoi pantaloni tweed, del suo maglione infeltrito e del
suo
mantello più caldo.
“Non sapevo fosse
un Animagus,
professore!” Esclamò Scorpius. “Era un
lupo davvero figo!”
“Un Metamorfomago,
Scorpius.
Posso prendere l’aspetto di qualunque creatura che abbia
più o meno la taglia di
un uomo.” Spiegò brevemente; non era il momento di
fare lezione dopotutto. Si
sedette poi in mezzo a loro e tese le mani al fuoco. “Come
pensavo c’è una
barriera protettiva attorno al castello.” Soggiunse.
“Se ci si avvicina scatta
un allarme.”
“Beh, e allora?
Possiamo
affrontarli!” Esclamò Dominique, insofferente a
quella situazione di stallo e
raccolta informazioni. Ted non era sicuro fosse la più
nervosa del consesso
però; Tom infatti si passava le mani l’una
sull’altra guardandosi la punta
delle scarpe.
Evita
lo sguardo degli altri…
Li
guardò uno ad uno; erano poco più
che maggiorenni, nessun Auror dotato di un grammo di cervello si
sarebbe
affidato a dei ragazzi non ancora diplomati, per quanto due di loro
fossero
Campioni del Torneo Tremaghi. Certo, erano svegli e capaci; la riprova
l’aveva
avuta quando avevano affrontato i tre Mercemaghi al porticciolo delle
barche.
Ma
è stato un caso che non ci siano stati danni… Tre
Mercemaghi e per poco Al e Tom non sono stati schiantati. Tom non mi ha
obbedito e Dom non ha aspettato la copertura di Scorpius e si
è avventata a
testa bassa.
Non erano addestrati, il
problema era tutto lì. Ma se c’era una cosa che
gli era stata insegnata all’Accademia
era che non era importante quanto la situazione fosse disperata.
L’importante
era sfruttare al meglio i mezzi che si avevano a disposizione.
“Ascoltatemi
bene.” Ripeté, e
fissò lo sguardo in particolar modo su Thomas che gli
restituì un’occhiata
indecifrabile e diffidente come sempre. “L’unico
modo per entrare è avere un
piano.” Prese la bacchetta e cominciò a disegnare
in mezzo alla neve una
rudimentale piantina del castello. I segni presero una colorazione
arancione,
ben visibile. “Ho fatto il giro del perimetro e le mura sono
circondate, ogni
posizione è stata coperta, nessun angolo cieco. Ci sono
almeno una dozzina di
Mercemaghi sulle merlature. Non ho visto l’interno, ma si
può ipotizzare che ce
ne siano altrettanti sparsi dentro, se non di più.”
“Almeno una trentina? Per le palle di drago, noi siamo solo
in cinque!”
Borbottò Dominique un po’ meno spavalda. Era
capace di contare e realizzare
dopotutto.
“Forse dovremo
aspettare gli
Auror?” Chiese Malfoy incerto. “Voglio dire, so
che…”
“No.” Lo interruppe Tom. “Ricordati che
c’è un conto alla rovescia che sta per
scadere.”
Ted si passò trai
capelli,
notando come il colore rosso non accennasse ad andarsene.
“Thomas ha ragione,
non possiamo aspettare Harry e le sue squadre. Oltre al fatto che non
ci vorrà
molto prima che si accorgano che quelli che abbiano affrontato non
stanno
tornando.” Spiegò. “Per tornare al
discorso… L’unico modo per entrare è
creare
un diversivo.”
“Qualcuno resta fuori e fa casino?” Chiese Scorpius
perplesso. “Perché io e
Domi possiamo farlo, ma…”
Ted sorrise. “No, con diversivo io intendo un
mascheramento.”
Intercettò
l’espressione
confusa di Al e gli sorrise; era soprattutto a lui che si affidava per
controllare Thomas. Perché sì, non si fidava
dell’altro serpeverde; lo
conosceva e sapeva bene come le sue intenzioni fossero sempre ammantate
di un
tornaconto personale.
Non che non voglia bene a Lily…
Non metteva in dubbio
quello.
Il punto era che Tom non era lì per il loro stesso motivo,
era più che evidente
dal suo atteggiamento, e Ted non poteva permettere che si separasse dal
resto
del gruppo per le sue crociate personali.
Se
gli succedesse qualcosa Harry mi ucciderebbe ed io
non me lo perdonerei mai.
Doveva tenere assieme quei
ragazzi; non aveva potuto impedirgli di venire lì e
combattere per un’amica,
per una sorella. Come avrebbe potuto del resto? La pensava come loro.
Ma non
poteva permettersi di lasciarne indietro neppure uno, Thomas compreso.
Devo
riportarli a casa. Tutti quanti.
“È
per questo motivo che abbiamo rubato i
vestiti a quei Mercemaghi?” Gli chiese Al strappandolo dalle
sue riflessioni.
“A proposito, se li tengo ancora nello zaino mi verranno le
piattole!” Si
lamentò Scorpius. “Davvero, a che ci
servono?”
Ted sorrise
all’aria schifata
del più giovane dei Malfoy. In certe espressioni era
incredibilmente suo padre.
“Se dici così, Scorpius… credo che non
ti piacerà quanto sto per proporvi.”
“Sono tornati
Ghena e gli
altri! Aprite la porta!”
Il complicato sistema di sbloccaggio del portone principale venne
attivato;
meccanismi oliati si mossero e le due mezzelune di legno si aprirono
mentre
sotto lo sguardo della dozzina di Mercemaghi che occupavano la corte
interna
entravano Ghena, Desislav e Bogdan, conosciuti solo tramite nome,
perché i
Mercemaghi, era fatto noto, non avevano bisogno di cognomi.
La pioggia mista a nevischio
che
si stava abbattendo sulla regione da giorni non permetteva di vedere il
volto dei
due uomini, ma Ghena era a capo scoperto, l’occhio guercio
che fissava il
nulla. Con loro portavano due ragazzi, infreddoliti e
dall’aria molto giovane.
“Fateci
entrare.” Disse
questa. “Dobbiamo portarli da Von Hohenheim.”
“Non sei tu a dare
gli ordini,
megera!” La apostrofò uno della dozzina,
manchevole di un pezzo di naso e dei
capelli. Aveva però il mantello migliore, foderato di
pelliccia di lupo e due
orecchini d’oro ai lobi. Doveva essere il Capitano, anche se
non vi erano
mostrine a qualificarlo. “Conosci le consegne, Ghena. Nulla
entra od esce senza
che abbia il lasciapassare di quel Johannes.”
La strega per tutta risposta
afferrò il braccio del più alto dei due e lo
frappose tra di loro. “Questo è
ciò che chi ci paga cerca. Glielo abbiamo
portato… serve davvero farci gelare
qui mentre aspettiamo quel buffone?” Soggiunse sprezzante.
Il mago senza naso fece una
smorfia incerta. “Chi sono?” Chiese.
“Thomas
Dursley e Albus Severus Potter…” Fu la risposta. “Lo smilzo
è il figlio del nostro datore di lavoro, l’altro
è un amico. Te l’ho detto, è
ciò che cerca. Facci entrare.”
Il Capitano
esitò, scoccando
un’occhiata verso Desislav e Bogdan. Infagottati nei pastrani
avevano qualcosa
di strano. “E son venuti da soli?”
“Da soli, sì… non
c’è voluto niente a catturarli.”
C’era qualcosa di
strano in
Desislav e Bogdan, davvero; Il Capitano si avvicinò ai due,
che tenevano le
teste chine per ripararsi dal nevischio che sferzava i volti di tutti,
rendendoli rigidi e doloranti. Nel silenzio ovattato dalla neve
sentì del cuoio
piegarsi su se stesso. Desislav aveva stretto il mezzo guanto della
mano
destra. “Cos’hai? Come mai non spiccichi parola,
ah?” Lo apostrofò in un bulgaro
approssimativo, dato che quella lingua barbara non era la sua.
L’altro non
rispose, limitandosi a spostare il peso da un piede all’altro.
“Avete intenzione
di fare una
chiacchierata?” Chiese la strega della Dobrugia, ma stavolta
aveva un tono
nervoso impossibile da ignorare.
Non c’era dubbio
che ci fosse
qualcosa di strano. Di dissonante,
avrebbe detto se avesse conosciuto la parola in questione.
Bogdan era troppo alto, ecco
cos’era. Il pastrano bisunto che era suo marchio di
riconoscimento invece che
arrivare alle caviglie arrivava a metà polpaccio.
“Toglietevi i cappucci.”
Ordinò loro mettendo mano al fodero della bacchetta. I due si guardarono, e poi
guardarono verso
Ghena. La strega non batté ciglio. “Qual
è il problema, Capitano?” Chiese.
“Non sto parlando
con te, ma
con loro… Perché nascondono il viso? Han paura di
spaventare qualcuno, forse?”
Un paio di risatine serpeggiarono tra gli uomini, ma furono subito
spente da
una sua occhiataccia. “Abbassate quei dannati cappucci prima
che vi schianti,
feccia!” Tuonò.
Il Capitano non vide
muoversi
i due Mercemaghi, ma se avesse avuto ancora piena
funzionalità dell’occhio
sinistro – danneggiato da una Maledizione l’estate
prima – avrebbe visto Ghena tirar
fuori la bacchetta dal fodero.
“Copritevi
gli occhi!” Disse in una voce e una lingua che non
erano
le sue.
Il lampo accecante che si
riverberò nella neve però lo vide eccome. Lo vide
e poi divenne cieco.
Le urla dei Mercemaghi
accecati
dal Lumos Solis che il professor
Lupin aveva lanciato riempivano le orecchie di Scorpius. Anche se
accecati dal
riverbero causato dalla neve, i Mercemaghi non erano disarmati e
stavano
lanciando incantesimi a grappolo, con una mira pessima, ma non per
questo meno
letale.
Quanto
sono idioti! Rischiano di prendersi tra loro!
…
e sì, di prendere pure noi!
Ne schivò uno e
poi schiantò
il pazzo furioso che glielo aveva lanciato. Sentì puzza di
bruciato vicino alla
tempia e sperò di non essere diventato pelato.
“Bel
colpo!” Esclamò
Dominique, la quale sembrava perfettamente nel suo elemento. Tanto per
cambiare.
Scagliò infatti un Impedimenta
che
mandò a gambe all’aria un Mercemago, il quale
incantesimo finì per colpire una
statua vicino a loro; venne sbriciolata come se fosse stata fatta di
biscotti.
Merda!
Merda!
Non era molto Malfoy avere
quella parola in testa a nastro continuo, ma diavolo se era adatta alle
contingenze!
“Verso
l’ingresso! Andate
verso l’ingresso!” Urlò Ted, di nuovo il
buon professore che conosceva e non
quella Megera terrificante. Non l’aveva mai visto usare il
suo potere da quando
lo conosceva; ora che sapeva di cos’era capace un
Metamorfomago era felice che
fosse una dote rara.
Vide sfrecciare Dursley e il
Mini-Potter davanti a sé; da bravi serpeverde avevano uno
scatto verso la
salvezza niente male. Dursley però si voltò un
paio di volte per deflettere gli
incantesimi e piazzarne di veloci e precisi come se li scoccasse da un
arco.
Però,
allora serve a qualcosa tutto quel suo
amoreggiare con la sua bacchet-… Merda!
Quasi
scivolò su una lastra di
ghiaccio, e solo i riflessi da Quidditch lo ressero in piedi e gli
permisero di
tener dietro agli altri due.
Ho
già detto merda?
“Dentro!”
Urlò di nuovo Ted. Gli incantesimi dei Mercemaghi
sembravano essersi fatti più esatti. Si stavano riprendendo
e non ci sarebbe
voluto molto prima che li usassero come bersagli in movimento.
Scorpius corse il
più
velocemente possibile, sorpassando persino Al e Dursley.
Spalancò la porta di
legno con un calcio ben piazzato; fortuna volle che per una volta era
una
semplice porta di legno, forse quella usata dai domestici, quella di
servizio, pesante
ma non incantata. Si aprì docilmente di schianto.
“Forza!”
Li incitò, afferrando
il braccio del Potter di mezzo e tirandolo dentro, dato che persino in
quelle
situazioni riusciva a inciampare su se stesso. “Dobbiamo
chiuderli fuori!”
“Come?” Ansimò Thomas, il meno atletico
di loro a giudicare dal colorito
violento che aveva assunto il suo di solito pallido incarnato.
“Non c’è…”
“Se ci seguono in questo labirinto siamo fregati, ci
prederanno uno ad uno.” Lo
interruppe Al inspirando ed espirando lentamente. “Ted! Domi!” Fece loro ampi
cenni; sia l’anglofrancese che Lupin
erano rimasti indietro per coprir loro le spalle, era evidente anche
senza
bisogno di nozioni tattiche.
Scorpius ignorò
una parte di
sé che urlava di rimanere al sicuro e uscì
tirandosi su il cappuccio per
proteggersi dalla neve che adesso vorticava impazzita; gli mancava solo
esser
accecato da quella.
Raggiunse Domi che se la
vedeva con due tizi grossi il doppio di lei e lanciò un Petrificus a quello che stava per
aggredirla da dietro. Fece
aderire la schiena alla sua per avere entrambi le spalle coperte.
“RaggioDiSole!”
Esclamò
voltandosi verso di lui con il viso imbrattato di sangue; un semplice
taglio al
sopracciglio per fortuna. Si strofinò la manica sul viso
come se nulla fosse. “Sei
il vero erede di Godric!”
“Al momento lo
prendo come un
insulto!” Ringhiò un po’ disperato.
Era un delirio, lo era
veramente e lui era terrorizzato; ma questo non aveva importanza quando
eri nel
bel mezzo della mischia, scoprì. L’adrenalina
teneva in piedi, ed era buona.
Buonissima.
Okay,
sono fuori di testa. Sarò un fantastico Auror, me
lo sento.
Lupin riuscì poi
a farli
ripiegare verso il portone mentre Tom e Al coprivano loro
l’entrata con dei Protego Totalum
che facevano onore alla
loro nomea di secchioni.
“Chiudete il
portone!” Esclamò,
ma Scorpius sapeva che non sarebbe bastato, non per fermare
un’orda di
Mercemaghi, dimezzati sì, ma infuriati per essere stati
messi in scacco da
quattro ragazzini ed un adulto; inoltre non c’era modo di
arrivare al battente
e non essere crivellato dal fuoco nemico.
Lo sapeva e quindi fu
sequenziale fare un gesto che lo qualificò come il punto di
non ritorno del
vero grifondoro. Fece esplodere l’ingresso
con il miglior Confringo della sua
storia personale; porta, cardini e pietra franarono in un solo ammasso
di
calcinacci, chiudendo l’entrata. Definitivamente.
Il silenzio che ne
conseguì,
mentre fuori i lampi colorati degli incantesimi si infrangevano sulla
nuda
pietra senza risultati, fu riempito dalle facce sbalordite dei suoi
compagni di
ventura.
Non era stata precisamente
un’idea venuta dal nulla; gli incantesimo esplosivi erano gli
ultimi arrivati
nel suo parco armamenti personale.
Poo
e il suo esplodere porte per salvare docenti in
mezzo alle fiamme… Sono un ragazzo con una buona memoria,
fatemene una colpa.
Questo
è per te, James.
Si liberò del
pastrano
disgustoso che aveva dovuto indossare e lo gettò
nell’angolo più buio e più
lontano dai suoi occhi. “Dovevamo guadagnare tempo e chiudere
la porta.” Disse
al muto consesso. “Ha funzionato, no?”
Ted inspirò,
guardando la
frana. “Sì, in un certo
senso…” Decretò passandosi una mano
trai capelli amaranto.
Se quello era il colore dedicato alla battaglia, Scorpius lo trovava
adeguato.
“James ti ha
contagiato.
Condoglianze.” Sospirò Al, ma non sembrava
propenso alla rabbia. Piuttosto alla
calma e controllata rassegnazione; doveva esserci abituato, visto il
cognome.
Si spostò vicino a Domi e prese a medicarle il viso. Questa,
immobile per
ordine di Al, trovò comunque il modo di rifilargli una pacca
sulla spalla. “Bel
colpo, asso.” Ghignò. “Ormai sei uno di
famiglia!”
“Muoviamoci.” Li spronò Ted togliendosi
il mantello della Megera e gli ultimi
scampoli del suo scomposto aspetto. “Lily è qui,
da qualche parte.”
“Nelle
segrete.” Disse Thomas
aggrottando le sopracciglia. “Deve essere nelle
segrete.”
“Quindi si deve scendere, giusto?” Dominique si
stirò il collo con uno schiocco.
“Scendiamo!”
Scorpius si
affrettò a seguire
gli altri, ma non prima di aver dare un’occhiata al suo
disastro costruttivo.
Concedetemi
un momento di trionfo personale.
Aveva funzionato, anche se
probabilmente tutti i Malfoy, dalla prima generazione a quella di suo
nonno, si
stavano rivoltando nella tomba. E Rosie l’avrebbe ucciso.
Fece un sorrisetto.
Forte.
****
Tom sentiva una voce.
Non era però la
stessa voce
che sentiva quando la rabbia prendeva il posto della
razionalità e gli diceva
di fare cose che faceva fatica a non trovare sensate.
Quella voce ormai era un
mormorio infuriato, ma talmente debole da esser quasi patetico.
No, la voce che sentiva
nella
testa non era la voce del suo vecchio Io. Non l’aveva mai
udita, e gli chiedeva
una sola cosa.
Vieni.
Non ci voleva un genio o
l’essere una LeNa per capire che si trattava di suo padre; se
era lo stregone
geniale che tutti dicevano fosse, era ovvio che sapesse come parlare
alla sua
coscienza. Era uno di quegli incantesimi straordinari che doveva
conoscere e
che a lui erano preclusi.
Vieni.
Strizzò gli
occhi, sentendo
una fitta attraversargli il cervello come un ago rovente.
“Tom?”
Sentì la mano di Albus
sfiorargli il braccio. “Tutto a posto? Sei ferito da qualche
parte?”
“No, sto
bene.” Scosse la
testa. Al era accanto a lui come un’ombra e la cosa lo
rincuorava e irritava al
tempo stesso. In quel modo non c’era, il modo, per
allontanarsi dal gruppo.
Al gli lanciò
un’occhiata, la
presa sulla bacchetta ben salda. Aveva i capelli totalmente impazziti e
l’aria
provata, ma anche quell’espressione di pietra negli occhi che
significava guai
per chi aveva la sfortuna di trovarsi dall’altra parte del
suo legno. Quei due
anni lo avevano trasformato, reso più duro e meno disposto a
dar fiducia alle
sue affermazioni, almeno in certi frangenti.
Era certo che Al non si
fidasse delle sue parole.
Ed
ha ragione.
“Da questa
parte.” Disse Ted,
che teneva la bacchetta levata in un Lumos
tenue ma bastevole a rischiarare i loro passi. Era infatti tutto
completamente
avvolto nell’ombra, salvo le poche porzioni illuminate dalla
bacchetta; il
pavimento era interamente coperto di tappeti dalla foggia morbida che
rendeva i
passi privi di rumore. Sembrava che il buio fosse lì da
anni, decenni, e vi si
fosse sedimentato come sporco nell’angolo di una stanza.
“Scorpius, stiamo
andando
nella direzione giusta?” Chiese Lupin.
“Siamo nella
sezione centrale
del castello, quindi sì. Tra poco dovremo trovare la torre
maestra, e lì ci
saranno delle scale. Cucine e poi segrete, subito sotto.”
Snocciolò il
purosangue con sicurezza. “Cavolo, ma nessuno di voi sa
com’è fatto un
castello?”
“Nessuno di noi ci
abita
tranne te, piccolo lord.” Motteggiò Dominique.
“Sono solo io ad inciampare ad
ogni passo? Cacchio è tutta ‘sta
tenebra?”
Ted sospirò.
“È per evitare
che persone come noi si orientino.”
“O forse il padrone di casa odia la luce.” Fece una
smorfia Al. “In ogni caso
questo posto mette i brividi.”
“Che novità… ultimamente vado solo in
posti spaventosi.” Borbottò Scorpius.
“Casa mia in confronto è ridente.”
“Silenzio adesso.” Li redarguì il
professorino, tale che era. “Potrebbero
esserci altri Mercemaghi qua attorno.”
Nessuno obbiettò
quell’osservazione e ripreso a marciare in fila indiana. In
questo modo Tom era
bloccato, dacché era Al che chiudeva la fila, non lui. Se
solo avesse provato a
rallentare per poi allontanarsi avrebbe sbattuto contro
l’altro e sicuramente
si sarebbe pure beccato una fattura per averci provato.
Avrebbe
fatto prima a mettermi un guinzaglio…
Poi, arrivò,
puntuale come un
orologio.
Vieni.
Non c’era bisogno
glielo
ripetesse in continuazione; era lui a voler andare, ma come poteva
spiegarlo a
quattro persone che avevano una missione completamente diversa dalla
sua?
Nessuno avrebbe mai capito perché voleva incontrare suo
padre.
Nessuno dotato di genitori normali, che li avevano amati dal primo
giorno della
loro nascita, con cui condivideva sangue, ossa, carne, spirito. Amava
la sua
famiglia, amava ogni singolo Dursley e si sentiva tale, ma solo
perché
l’avevano accettato.
Di tutte le persone che
conosceva,
forse solo Meike ed Harry potevano capire cosa provava ogni volta che
pensava
al concetto di famiglia. E forse neppure loro.
Aveva bisogno
di conoscere quella persona, ma doveva farlo da solo; non
avrebbe permesso ad Albus e gli altri di rischiare la vita per
accompagnarlo.
Perché avrebbero rischiato, molto di più che a
combattere qualche mago cencioso
per la salvezza di quella sciocchina.
Forse era il karma
– Lily gli
aveva fatta una lunga ed estenuante lezione in merito qualche estate
prima – ma
dal nulla si sentì sibilare qualcosa e poi
l’esplosione di luce violenta e fumo
allertò tutti.
Incantesimi.
I Mercemaghi erano riusciti
a
entrare, o forse, come aveva detto Lupin, ce n’erano altri
dentro il castello.
Era il momento. Non ci
sarebbe
stata un’altra occasione, e forse l’aveva proprio
creata Von Hohenheim, mentre
come un aquila famelica osservava tutto dalla torre più alta.
La confusione di
incantesimi,
fatture e protezioni aveva completamente assorbito Al e gli altri; il
suo
ragazzo era protetto da un’armatura dietro cui si era
nascosto, perché da lì
gli incantesimi non potevano raggiungerlo.
Vieni.
Strizzò di nuovo
gli occhi,
sentendo come se la sua testa si fosse divisa in due. Una parte di
sé gli
urlava di rimanere, di combattere per riportare a casa Lily e ignorare il richiamo
di Von Hohenheim.
L’altra invece lo spronava a muoversi, che non appena la
scontro fosse volto in
favore dei suoi – e a giudicare da come stavano avanzando era
questione di poco
– non avrebbe più avuto possibilità di
andarsene.
E
tu, cosa dici?
Era la prima volta che si
rivolgeva all’Altro. Di solito lo ignorava mentre sibilava,
ringhiava e
ordinava a destra e a manca.
Liberati
dal demone. Liberati dal demone e potremo
essere noi stessi.
Fece un mezzo sorriso;
quello
era il primo buon consiglio che gli dava.
Guardò la schiena
di Al
un’ultima volta; se avesse potuto se la sarebbe impressa a
fuoco nella retina.
Avrebbe voluto il suo viso, i suoi occhi, ma doveva accontentarsi,
visto che
stava scappando.
****
Norvegia,
Durmstrang.
Attivare la Passaporta
presente nello Specchio delle Brame – Harry se
l’era trovato davanti e aveva
provato una nostalgia fortissima – era stato più
difficile del previsto. Anzi,
peggio, era stato impossibile.
Radescu li aveva portati
nella
camera del defunto Poliakoff e aveva consegnato loro gli appunti; era
persino
venuto con loro fino al magazzino per aiutarli a decifrare il
cirillico, che
nessuno parlava o scriveva, Nora compresa. Tuttavia non erano riusciti
ad
aprire il passaggio.
“Dannazione!”
Esplose facendo
sussultare il povero allievo.
“Mi dispiace
Signore… ho visto
Sören farlo, e credevo fosse semplice.”
Mormorò come se la colpa ricadesse
interamente sulle sue spalle.
Harry che l’aveva
ormai preso
in simpatia gli posò una mano sulla spalla. “Non
è colpa tua, Dionis. Novij è
un mago addestrato, e probabilmente Poliakoff ha avuto più
tempo di noi per
esercitarsi.”
Ron seduto su una catasta di vecchi scatoloni dall’aria
muffita sospirò.
“Dovremo chiamare qualche esperto del Dipartimento
Trasporti?”
“E come lo
portiamo qui?”
Replicò schioccando le labbra frustrato.
La McGrannit che, dopo
essersi
assicurata che Rose avesse compagnia e che il Preside badasse alla
delegazione,
era venuta con loro, fissò con aria severa lo specchio,
quasi volesse
redarguirlo. Poi parlò. “Devono aver chiuso il
passaggio dall’altra parte.” Fece
un sospiro. “Per questo non funziona.”
“Forse è questo il problema.” Si
inserì Nora. “Noi non siamo compresi nel
pacchetto. Hanno chiuso il passaggio dopo che i ragazzi sono
entrati.”
Harry scosse la testa. “Dobbiamo continuare …
È la nostra unica possibilità di
raggiungerli.” Prese un profondo respiro. I crampi della fame
non gli davano
tregua da ore, ma diversamente da Ron aveva rifiutato qualsiasi
tentativo di
fargli mangiare qualcosa. L’avrebbe fatto dopo.
“Nora, come stiamo messi con la ricerca dei possedimenti di
Von Hohenheim?”
“Sta
procedendo.” Fu la replica.
“Ho dato l’ordine ai ragazzi di Boston, ci staranno
sicuramente lavorando in
questo momento.”
Ron aggrottò le sopracciglia. “Ma la risposta
arriverà in tempo? Un Gufo
Continentale…”
Nora fece un sorrisetto, tamburellando con le dita sul taccuino di
pelle assicurato
alla sua cintura. “La risposta mi arriverà qui.
Tutti gli agenti della mia
squadra hanno lo stesso tipo di taccuino, e sono comunicanti nelle due
pagine
finali.” Alle loro espressioni sbalordite, quella di Radescu
compresa, assunse
un’aria divertita. Harry pensò che ai suoi occhi
gli europei dovevano sembrare incantatori
alle prime armi. “Avete anche voi incantesimi simili. Specchi
comunicanti? Il
principio è lo stesso. Un po’ approfondito, in
effetti.” Ammise.
“Sai Harry, finita
questa
storia dovremo farci fare un corso d’aggiornamento o roba del
genere.” Borbottò
Ron grattandosi la barba a disagio. “Ci mangiano la pappa in
testa, questi
coloni.”
L’americana fece
per ridere,
ma la risate le si spense sulle labbra quando nel magazzino entrarono
una mezza
dozzina di maghi in uniformi rosse con una croce gialla su entrambi gli
avambracci¹. Harry non ci mise molto a capire che
appartenevano alla forza di
polizia magica della Scandinavia.
Ci
voleva pure questa!
“Capo Ufficio
Potter, Sergente
Weasley, Sergente Gillespie… In nome del Ministero
Scandinavo Unito vi dichiaro
in arresto.” Esordì uno di loro, con
più mostrine e l’aria indubbiamente
marziale. A Harry ricordò immediatamente Scrimgeour; la
capigliatura leonina
era la stessa.
Harry fermò con
un cenno
l’immediato e furioso alzarsi di Ron. “Con quali
accuse?”
“Aggressione di un
funzionario
del Ministero, sconfinamento territoriale e infrazione dello Statuto
del 1289
sulla Non Interferenza in Affari di Natura Nazionale.”
Snocciolò l’uomo in un
inglese pulito ed efficiente. Harry avrebbe scommesso la sua intera
camera alla
Gringott che era un ex-allievo dell’Istituto.
“Vogliate seguirci, prego.”
“Un momento… Siamo qui per una nostra indagine, un
rapimento! Sono affari nostri!”
Esclamò Ron le cui orecchie paonazze
rischiavano l’ustione.
La McGrannit fu pronta a dar
manforte. “Una minorenne, inglese, è stata rapita
con la connivenza del
Direttore di questa scuola.” Disse con
l’indignazione che le bruciava gli occhi.
“Questi uomini sono qui per riportarla a casa…
Dovreste arrestare il Direttore,
non loro.”
“Siamo a
conoscenza
dell’intera faccenda, Signora. Ce ne occuperemo.”
Rispose senza scomporsi il
mago. “Tuttavia l’azione degli Auror qui presenti
non è stata autorizzata dal loro
Ministero, dato che non è stata data nessuna comunicazione
al nostro.” Gli
uomini dietro di lui si mossero come uno solo nella loro direzione.
“La loro presenza
non è autorizzata, ed è dunque classificabile
come ostile.”
Harry si maledisse; avrebbe
dovuto aspettarsi che quel ratto di Jagland avrebbe cercato di
contattare la
polizia per imbastire la scena della vittima. Avrebbe dovuto farlo
sorvegliare
da Nora. Alle forze di polizia nordiche ci sarebbero volute ore, forse
giorni,
perché la verità venisse a galla.
Non
possiamo permettercelo. Non possiamo assolutamente
permettercelo.
“Dannazione, razza
di idioti,
ci sono dei ragazzi in pericolo, lasciateci fare il nostro
lavoro!” Ruggì
Ron, mettendo mano al fodero. Gli
scandinavi sfoderarono immediatamente le bacchette, quasi avessero
previsto il
movimento, e Harry fu costretto ad afferrare il braccio
dell’amico prima che
esplodessero incantesimi da tutte le parti.
“Non siamo
ostili.” Disse
cercando di controllare il desiderio di schiantare tutti e rimettersi
al
lavoro. “Se dovete arrestare qualcuno, arrestate me. Sono io
che ho aggredito
il Direttore Jagland, io che ho portato qui queste persone. Sia il
Sergente
Weasley che il Sergente Gillespie erano in buona fede. Gli ho mentito,
ho detto
che avevamo le autorizzazioni per operare nel vostro
territorio.”
“Harry!” Esclamò Ron incredulo. Lo fece
tacere con un’occhiata.
Qualcuno
deve continuare a lavorare e salvare i
ragazzi… Se devo essere il capro espiatorio lo
sarò.
Qualcuno
deve andare dai ragazzi.
L’agente lo
fissò incerto,
guardando poi da Nora a Ron. “Prediamo atto della sua
dichiarazione.” Disse.
“Tuttavia la situazione non cambia. Dobbiamo trattenervi in
stato di fermo
finché la vostra posizione non sarà chiarita dal
Ministero inglese. La vostra
indagine è sospesa.”
Harry inspirò
lentamente,
sentendo il richiamo della bacchetta. Erano solo sei uomini,
schiantarli non
sarebbe stato difficile. Con la bufera che imperversava fuori dalla
finestra
difficilmente ne sarebbero arrivati altri a breve.
Ma c’erano il
ragazzo rumeno e
la McGrannit; non poteva rischiare di coinvolgerli o peggio, ferirli.
Oltre
al fatto che aggredire degli agenti stranieri …
Stavolta neppure Hermione potrebbe salvarci.
Come amava ripetere e odiava
ricordare, non era più il ragazzino legittimato a valicare
le regole in virtù
del suo statuto di Prescelto.
“Non posso parlare
per i miei
colleghi inglesi…” Esordì dal nulla
Nora, infilando la mano all’interno della
giacca dell’uniforme e sfilandone una bolla
dall’aria ufficiale con tanto di
ceralacca ancora integra. La porse allo scandinavo.
“… ma credo che questa mi
tolga dal conteggio degli arrestati.”
L’uomo scorse il documento. “Immunità
totale?” Esordì.
Cosa?
Harry scoccò
un’occhiata
all’americana, ma quella non gliela restituì.
“Contattate pure
il mio
Ministero, o l’agente di collegamento al vostro. Vi
dirà quello che vi sto
dicendo adesso… Ho giurisdizione ad operare nel vostro
territorio e in quello
di tutti gli stati europei.” Inarcò le
sopracciglia. “È tutto scritto
lì.”
Il mago lo rilesse, poi annuì. “Bene, Sergente
Gillespie. In questo caso, vi
prego di accettare le mie scuse e quelle del Ministero. Continui pure
le sue
indagini.” Fece cenno ai suoi uomini. “Mettete in
sicurezza gli inglesi.”
Ron venne subito afferrato e
disarmato dai due più robusti. Non si sarebbe mai ribellato
se non avesse avuto
la certezza di esser seguito, e Harry non mosse un muscolo. Stava
cercando di
capire perché Nora si fosse tirata fuori di colpo e
perché avesse nascosto loro
un particolare così importante.
La guardò
finché l’altra non
si sentì fissata. Allora gli restituì lo sguardo
e poi, mentre gli scandinavi
erano distratti, mosse le labbra in una scarna frase, comprensibile
persino a
chi, come lui, non sapeva leggere il labiale.
Fidati.
Harry non poté
far altro,
anche se l’esperienza gli aveva insegnato che la fiducia era
cosa labile ed Eleanor
aveva appena tirato fuori una carta dal mazzo senza fargliela vedere.
****
Germania
del Nord, Residenza estiva dei Von Hohenheim.
Era stato un idiota a
pensare
che sarebbe stato facile. Ogni passo che faceva era una tortura, dato
che il
senso di colpa lo affossava e cercava di tirarlo indietro.
Se
gli succedesse qualcosa mentre non ci sei? Se
venisse ferito? Se si affidasse a te per proteggersi le spalle e tu non
ci sei?
Al. Non appena se ne accorgerà vorrà ucciderti.
Un anno prima avrebbe
considerato con fastidio l’idea di avere bisogno fisico di essere al fianco di un altro.
Ma era un dato di fatto; Al
non aveva sbagliato quando aveva detto che si appartenevano a vicenda.
Forse
non era un guinzaglio. Forse era un filo che li legava dal giorno in
cui Harry
lo aveva posato nella culla dell’altro per mere ragioni di
spazio.
Non
è questo ad averti salvato?
“Dove
diavolo credi di andare?”
Appunto.
Tom non poté dire
di non
esserselo aspettato, in fondo; era impossibile che Albus non percepisse
la sua
mancanza perché lui percepiva la sua. Sempre. Era stato come
un dolore sordo
per otto mesi.
Si voltò inspirando. “Al, io…”
Avrebbe dovuto aspettarsi anche il pugno che gli impattò sul
mento, mandandolo
a sbattere contro un arazzo pieno di polvere. Al diventava fisico in
modo
babbano quando era infuriato.
“Razza di
coglione!” Sbottò,
quasi ficcandogli la bacchetta in un occhio, e accecandolo per buona
misura con
un Lumos. “Che diavolo
pensavi di
fare?!”
Tanto per cambiare, aveva
sottovalutato l’altro. E non doveva essere una bella cosa a
giudicare
dall’espressione omicida che gli vedeva riflessa negli occhi.
Deglutì, sentendo
il sapore ferroso del sangue riempirgli la bocca.
Capisco
il suo punto di vista… ma perché deve sempre
picchiarmi?
“Lo
sai cosa penso di fare…” Borbottò
passandosi la lingua sul labbro, e trovando quello inferiore ovviamente
ferito.
Al aveva i pugni di uno scaricatore di porto dietro
quell’aria da cerbiatto
indifeso. Sciocco da parte sua scordarsene. “E comunque sei
scappato anche tu.”
“Per venire dietro a te!”
Urlò rosso
in viso. E Tom pensò di colpo che lo amava,
perché contro ogni previsione era
assolutamente felice che gli fosse andato dietro.
In
effetti, sono un coglione.
“Scusa.”
Mormorò scostando la
bacchetta accecante con la sua; non si fidava a toccarla con la mano,
aveva
paura che gli avrebbe mandato indietro una scarica di magia non
indifferente.
“Sai bene che devo…”
“No che non devi! È una trappola! Tutti i piani di
tuo padre volevano portare a
questo… a tu che vai da lui!”
Tom inspirò.
“È vero.” Ammise.
“Ma è l’unico modo…”
“L’unico
modo per cosa?” Al non
avrebbe accettato una
spiegazione raffazzonata, né si sarebbe accontentato di
qualche frasetta
strappalacrime. Glielo leggeva negli occhi che avrebbe perso la sua
fiducia per
sempre se non gli avesse detto la verità.
“Devo capire
perché sono
nato.” Fermò con una mano l’immediata
obiezione dell’altro. “Mi sembra di
averti già fatto questo discorso… ma lo
ripeterò.” E faceva male farlo, perché
ogni volta era come ricordare l’ingiustizia della sua
presenza sulla terra. “Tu
sai perché sei nato. Harry e Ginny ti hanno voluto, sei nato
da un atto
d’amore. Io sono nato e non avrei dovuto. Avrei dovuto pagare
le mie colpe con
l’oblio e il dolore eterno piuttosto.”
Vide l’espressione
dell’altro
ammorbidirsi. Non era pena quella che gli leggeva nello sguardo
però e gliene
fu grato. Era comprensione. Sapevano entrambi che non aveva molto senso
sostenere il contrario.
“Ho bisogno di
conoscere la
persona che mi ha fatto tornare.” Non poteva guardarlo negli
occhi mentre
diceva quello.
“Credi di dovergli
qualcosa?”
Sentì la pressione della mano di Al sul palmo. Dovette
guardarli quei dannati
occhi. Li amava, era quello il punto. Gli strinse la mano di rimando.
“Tom,
credi di dovergli ciò che sei?”
“No.” Il
buio aiutava, pensò.
Era più facile parlare al buio, che risultava ovattato,
fuori dal tempo e dallo
spazio. Lily sarebbe stata salvata, le cose si sarebbero risolte. Erano
gli
eredi di maghi e streghe che avevano combattuto il Male; non potevano
fallire.
In quel momento tutto quello
non contava. C’erano solo loro due e chi li spiava della
torre più alta.
“Voglio dirgli che
non gli
devo niente e che perciò deve lasciarmi in pace.”
Si risolse a dire infine; era
la verità in fondo. Raggiungere quell’obbiettivo
era tutto un altro discorso,
ma non lo disse.
Al si limitò,
dopo un tempo
che gli parve infinito, ad un lungo sospiro. “Lo
capisco.” Ammise, e fu
sollievo, se lo sentì filtrare nelle vene; ne aveva bisogno.
“Lo capisco … ma
questo non rende più pericolosa la situazione.”
Soggiunse. “Non ti lascerà
andare, Tom. Ha scatenato tutto questo orrore solo per averti qui.
È pazzo.”
“Non gli permetterò di prendermi.” Si
avvicinò fino ad essergli a pochi
centimetri e Al non si scostò, anzi gli passò il
pollice sul labbro
maltrattato. Baciarsi fu inevitabile e fu un bacio lungo, doloroso per
parte
sua, ma liberatorio come una boccata d’aria fresca dopo una
lunga apnea. Si
erano a malapena toccati in quelle ore, ed era stata dura, per quanto
la
situazione decisamente non fosse consona; erano due adolescenti in
fondo e non
avrebbero dovuto affrontare tutto quello.
Peccato
che altri abbiano scelto per noi.
“Idiota.”
Sentiva l’odore
della neve, del lieve sudore dovuto allo scontro, di bruciato degli
incantesimi. L’odore di Al. Sì, il cuore aveva
smesso di dolergli come se un
filo glielo stringesse. Gli baciò l’angolo che le
labbra formavano con la guancia.
Non sarebbe stato male morire così.
…
a dire il vero, forse no. Ci voglio vivere,
così.
Si scostò.
“… Vieni con me?”
Al scrollò le
spalle. Era
ancora arrabbiato, ma era lì. Sarebbe sempre stato
lì. Per fortuna.
“Dove altro dovrei
andare
secondo te?”
“Siamo
nell’ala giusta, non
preoccuparti.”
Non
è per questo che mi preoccupo, scemo.
Albus
levò la bacchetta per guardare
l’ennesimo arazzo sfarzoso; gli sembravano tutti uguali. Come
uguali gli
sembravano i corridoi e le porte. Era un castello enorme, non grande
quanto
Hogwarts, ma comunque pazzesco. Thomas, a ben vedere, era
l’erede legittimo di
tutto quello e il concetto faceva un po’ girare la testa.
Aveva provato a chiedergli
cosa pensava che avrebbe fatto il Ministero tedesco dei possedimenti di
Von
Hohenheim una volta che fosse stato catturato –
perché sarebbe successo, non c’era
alcun dubbio.
Tom aveva replicato, con
durezza,
che non gli interessava e che per quanto lo riguardava poteva pure
bruciare
tutto dalle fondamenta; non gli aveva più chiesto niente.
“Come fai a sapere
che non ci
siamo persi?” Chiese affiancandoglisi. Tom aveva un colorito
pallido, ma anche
un’aria determinata. Gli teneva la mano da quando avevano
deciso di
incamminarsi, soli, in direzione della voce che diceva di sentire.
Detta
così, sembra che stia assecondando un pazzo.
E forse lo stava facendo, ma
non aveva possibilità di scelta, perchè
l’altro sarebbe andato con o senza di
lui. Lo conosceva abbastanza bene da sapere che si sarebbe dannato
l’esistenza
per tutta la vita se non avesse risolto quella faccenda una volta per
tutte,
anche a rischio della sua incolumità.
Tom sospirò
interrompendo il
flusso dei suoi pensieri. “La voce.” Disse.
“Diventa sempre più chiara. Pare
che sia un incantesimo che si rafforza con la vicinanza.”
Aggrottò le
sopracciglia. “Vorrei tanto sapere di cosa si tratta. Non ne
conosco di
simili.”
“Beh, glielo potrai chiedere, no?” Non
potè fare a meno di suonare sarcastico e
ignorò l’occhiata dell’altro e lo
stringersi immediato della presa sulle sue
dita.
“…
Scusa.”
“È due anni che me lo dici, comincia a non fare
più effetto sai.” Replicò fissando
un punto qualsiasi delle tenebre che li avvolgevano. Non appena Teddy
avesse
scoperto della loro fuga sarebbe impazzito. Si sentiva in colpa, ed era
tutto a
causa di quel cretino che chiedeva scusa.
Comunque c’era
qualcosa di
folle nel modo in cui, nonostante tutto, comprendeva le ragioni
dell’altro.
Chissà
se è così per tutti innamorarsi di qualcuno
oppure
è una fortuna tutta
mia…
“Vuoi sapere cosa
voglio fare
una volta diplomato?” Lo sorprese. Gli scoccò
un’occhiata, ma la penombra del Lumos
rifletteva un volto indecifrabile.
Albus non poté far altro che annuire.
“…
Voglio lavorare da quel
Fabbricante di bacchette. Voglio chiedergli di prendermi come
apprendista.” Non
gli diede il tempo di commentare, perché continuò
con lo stesso tono senza
emozioni, e per questo, nervosissimo. “Con i soldi
dell’apprendistato voglio
prendere in affitto una casa a Diagon Alley, un appartamento
all’ultimo piano.
Dovrà esserci molta luce, niente stanze fredde o
buie.” Specificò. “So che ti
piace stare in posti alti e con la luce… Hai sempre
invidiato James e Lily per
la Torre di Grifondoro.”
…
Oh.
Al sentì il
familiare groppo
alla gola; solo Tom poteva uscirsene con idee del genere in una
situazione
tanto disastrata.
Decisamente
inopportuno…
Per questo lo amava.
“Possiamo
prenderci un gatto?” Gli chiese di rimando, come se stessero
prendendo un gelato
da Fortebraccio e non fossero in procinto di fare la cazzata
più grossa della
loro storia personale. “Ho sempre voluto un gatto, ma Jam
è allergico. Però non
nero.”
Tom sorrise appena, versione
tutta sua di un’esclamazione di gioia radiosa. “Se
ci tieni…”
“Fabbricante di
bacchette…
suona bene, ti vedo adatto.” Continuare a parlare smorzava la
paura e la
tensione; Tom, incredibilmente, l’aveva capito prima di lui.
“Del resto sei
sempre stato morboso con la tua bacchetta.”
“Perché
è la mia.” Fece
un ghignetto. “E poi, ho sempre amato l’argomento,
fin da prima di nascere.”
“Umorismo macabro,
Tom.”
“È
inglese.”
Ridendo, Al sentì
un lieve
spostamento d’aria; lì per lì non ci
fece caso. Castelli del genere erano
sempre pieni di spifferi. Tom era davanti a lui, come sempre a causa di
quelle
sue dannate gambe da fenicottero. Abbassò lo sguardo sulle
loro mani
intrecciate e con sgomento si accorse di poterle vedere
perché da esse scoccò
una scintilla.
Poi un lampo violento e si
sentì sbalzare via.
****
Okay,
sono morta.
Lily aveva questa
consapevolezza.
Sul serio, la aveva e non si sentiva spaventata, neppure un
po’.
Quando
si è morti, si è morti – pensò
facendosi coraggio e aprendo gli occhi.
Rimase di stucco,
perché
l’aldilà se l’era immaginato un
po’ diverso; suo padre gli aveva detto che prendeva
la forma dei ricordi, o comunque di qualcosa che si era già
visto in passato,
solo con contorni poco definiti, da sogno.
Di certo non poteva essere,
dunque, un parco comunale pieno di erbacce, panchine sgangherate, uno
stagno
deprimente e una serie di altalene che avevano bisogno di una robusta
mano di
antiruggine.
Lily si alzò in
piedi, dato
che si era ritrovata stesa a terra, tra polvere e cicche di sigarette.
Notò che
indossava l’uniforme scolastica, non una tunica bianca di
cristiana memoria.
…
Che cos’è questa storia?!
Si guardò
attorno, sentendo
una certa irritazione montarle addosso mentre si spazzolava con cura la
gonna
impolverata. Quel posto non poteva
essere la sua meta finale.
Questo
posto fa schifo!
Mosse
alcuni passi, sentendo le scarpe
battere contro la terra secca e grigiastra. Non c’era
nessuno, il parco
sembrava abbandonato da secoli, anche se a giudicare da una serie di
cartacce
di caramelle, l’età moderna doveva esser perlomeno
arrivata.
Non sapendo cosa fare
– si
supponeva dovesse venir qualcuno a prenderla o cosa? - si sedette su
una delle
altalene; stranamente non cigolò. Per essere il gioco
più sgangherato che avesse
mai visto dondolava liscia e senza un rumore.
Dove
diavolo sono?
Non era così che
sarebbe
dovuta andare. Aveva quindici anni, un futuro e un sacco di cose da
fare e
sperimentare, tipo la maggiore età. Invece
l’ultima cosa che ricordava era
stato un lampo verde e il rumore spaventoso di un tuono che le era
esploso
nelle orecchie. Inequivocabile.
Avada
Kedavra.
Quel mostro che
l’aveva rapita
era tornato e l’aveva uccisa. Sembrava fosse successo
così. Del resto aveva
usato una Maledizione Senza Perdono, la più mortale.
Rabbrividì,
nonostante non
tirasse un alito di vento, anzi, ci fosse un caldo appiccicoso da far
schifo.
Nell’aldilà l’estate era inglese.
Gridare non sarebbe servito
a
niente, protestare ancor meno… In ogni caso,
gridò.
Gridò fino a che
la voce non
le fece male e non si sentì il petto dolere.
Gridò perché era stata tradita da
una persona a cui voleva bene, perché lasciare la sua
famiglia mentre metà di
essa tentava di salvarla era una cosa orribile. Gridò
perché non poteva essere
morta.
Strizzò gli occhi
con forza,
ma lì riaprì esattamente nello stesso posto.
Ingoiò un singhiozzo che bruciava come
acido.
“Questo posto fa
schifo.”
Tradusse a parole e a beneficio di nessuno.
“Sì,
in effetti è proprio bruttino!”
La voce ebbe il potere di congelarla sul posto mentre la paura che
diceva – fingeva –
di non provare tornava
prepotente. Chi aveva parlato era una ragazza ed era vicinissima,
talmente
vicina che poteva esserle seduta…
… accanto.
La ragazza si dondolava
sull’altra altalena come se fosse sempre stata lì,
vestita nell’uniforme di
Hogwarts come lei. La foggia però era totalmente
fuori moda, dati la gonna da educanda, lunga fino a
metà polpaccio. Non
aveva neanche provato ad accorciarsela, come ormai facevano tutte, a
scuola. L’unico
particolare davvero stonato però, era la mancanza di scarpe
e calzini; aveva i
piedi nudi. Facendosi coraggio, la guardò in viso.
Oh,
Miseriaccia.
Conosceva quella ragazza,
anche se non ci aveva mai parlato.
Del resto, non si poteva
parlare con i morti – morti sul
serio,
non fantasmi. Quindi non aveva mai potuto parlare con Lily Evans, sua
nonna.
“Ciao
Lilian.” Le disse come
se non avessero fatto altro che parlarsi tutta la vita. “Come
stai?”
Non poteva rimanere muta
come
una povera scema di fronte a lei.
Cos’è,
sono finita all’inferno?
“… Sono
morta.” Si trovò a
borbottare come una perfetta scema.
Sua nonna – nonna
che
dall’aspetto sembrava avere la sua età –
sorrise. Aveva il sorriso di Al. “No
che non lo sei.” Disse. “Ti dispiace se parliamo un
po’?”
****
Note:
Mancano tre! (Credo. O
quattro. Beh, dipende, quanto volete ciccioni i capitoli? ;D)
Un sacco di situazioni aperte e, spero, un colpo di scena inaspettato.
C’entrerà
qualcosa con Se
Sparissero le Ombre, la Lily/Severus che ho scritto
qualche tempo fa.
In un certo senso, è collegata. Intelligenti
pauca. ;)
Questa la canzone del capitolo. Gran canzone e
colonna sonora di un
film che, nonostante la protagonista, dovrò vedere.
1. La bandiera
con la croce rossa in
campo giallo è quella dell'unione di Kelmar, unione
politica delle
repubbliche scandinave voluta
da Margherita I di Danimarca nel 1397. Prende il nome dalla
città svedese di Kalmar dove venne istituita. Conclusasi
alla fine del 1523. Essendo i maghi sempre un po' indietro
per quanto riguarda i rivolgimenti territoriali e politici del mondo
babbano, ho supposto che al contrario dei loro connazionali babbani,
abbiano mantenuto l'unione politica e amministrativa della
penisola .
Per la bandiera
qui . Per maggiori info qua
.
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Capitolo 61 *** Capitolo LVIII ***
Capitolo LVIII
The
cycle repeated /As explosions broke in the sky
All that I needed /Was the one thing I couldn't
find
(Burn It
Down, Linkin Park)
“…
Sono morta.” Si trovò a borbottare come una
perfetta
scema.
Sua nonna sorrise. “No che non lo sei.” Disse.
“Ti dispiace se parliamo un
po’?”
“Tu, parlare con
me?” Lily si
sentiva stupida. Si sentiva tale perché Lily Evans
– sì, la sua augusta nonna –
la guardava come se fosse tutto perfettamente normale. Per un momento
allucinato pensò che tirasse fuori una torta, come
l’altra nonna – quella che
le piaceva – faceva ogni
volta che
lei e i fratelli andavano a trovarla.
Per fortuna non successe.
“Vedi altre
persone?” Chiese
invece, dandosi una spinta leggera sull’altalena.
“Siamo solo io e te.”
“Sì, l’ho notato.”
Replicò aspra, alzandosi in piedi e facendo dieci doverosi
passi. La distanza era un buon metodo per esprimere sconforto.
Sono
morta e chi mi viene a prendere è la Perfettissima?!
Grazie tante!
L’altra ragazza
inarcò le
sopracciglia. “Non hai voglia di parlare, vedo.”
“Ma dai!” Anche a dieci passi di distanza poteva
vedere la piega perfetta dei
suoi capelli. Ci si svegliava di sicuro, non doveva stare
mezz’ora di fronte
allo specchio come lei, che doveva domare il suo terrificante Dna
tricotico ogni
giorno. Senza contare i lineamenti da bambola di porcellana, le forme
statuarie
–era una fottuta elfa a confronto - la pelle chiarissima e
…
Sì,
vabbeh, gli occhi.
“Posso sapere
perché mi
detesti tanto?”
Lily aprì la bocca, ma dalle labbra non le uscì
alcun suono.
Perché
ti detesto?
A parole non era semplice
spiegare
perché non sopportasse doversi confrontare con lei, persino
in un luogo onirico
e dunque deposto alla pace e alla serenità.
L’aveva spiegato a Ren – a quello
che credeva fosse Ren –
ma dirlo in
faccia a Lily Evans era tutt’altra storia.
“Perché…
non sarò mai come
te.” Buttò fuori, sentendo lo stomaco dolere e le
ciglia pizzicare di lacrime
trattenute. Non sarebbe mai stata tutto ciò che
rappresentava il suo nome; non
così coraggiosa, non così intelligente e piena di
buonsenso. Sua nonna era
un’eroina, lei sarebbe stata sempre e solo Lilian, la
sciocchina, la ragazza
che faceva fatica a concentrarsi sulle cose importanti e sbagliava
giudizi
sulle persone, nonostante avesse un dono che le facilitava il compito.
Quella
delle scelte sbagliate.
Insomma,
una deficiente.
Le venne scoccata
un’occhiata
sorpresa. “E perché mai dovresti
esserlo?” Si alzò dall’altalena e la
raggiunse.
Lily fece un passo indietro.
“Non…
non lo so.” Borbottò presa in contropiede. Faceva
caldo, realizzò. Faceva
davvero caldo, molto più di prima. Forse era il sole che
picchiava impazzito,
fortissimo, arroventando tutto. Panchine, altalene, terreno, ogni cosa.
“Possiamo spostarci all’ombra?”
“Qui non c’è ombra.” E non
poteva sbagliarsi, per un momento Miss Perfezione aveva
smesso di sorridere e fatto una smorfia. “Perché,
ti dà fastidio?”
“Beh, magari con un paio di occhiali da
sole…” Le uscì spontaneo, salvo
arrossire alla risata dell’altra.
“Tu non sei come
me, Lilian.”
Disse inclinando la testa di lato per guardarla meglio. Era un gesto
che faceva
anche lei. Merlino, se la odiava. “Per fortuna,
aggiungerei.”
“Fortuna per te.”
“Per te.” Le fece eco. “Vorrei farti
notare che sono morta.”
Touché.
“Quindi … io non lo sono?”
Già, aveva dimenticato quel piccolo particolare.
Le era stato appena confermato di essere viva. “Ma
l’Avada…”
“Non ti ha preso.” L’anticipò.
“Diciamo che sei scivolata.”
“Scivolata?” Aggrottò le sopracciglia;
ricordava di aver cercato di scappare, o
comunque buttarsi a terra, quando aveva visto John Doe levare la
bacchetta
contro di lei. Lei e i fratelli avevano ricevuto precise istruzioni da
padre sin
dall’infanzia. Se non puoi
combattere,
non fare l’eroe. Il concetto era permeato. Ma non
ricordava di essere
riuscita ad evitare il colpo. “Come ho fatto?”
L’altra Lily fece un mezzo sorriso enigmatico. Davvero,
sorrideva come Albus –
o più probabilmente, suo fratello sorrideva come lei. Un
sorriso simile l’aveva
visto solo in un dipinto babbano a Parigi. Monna Lisa, le sembrava si
chiamasse.
“Non puoi
dirmelo?” Spiò,
anche se un dubbio l’aveva.
“Cioè… sei stata tu?”
“Tu che
dici?” Rise della sua
espressione sicuramente scornata. “Dall’Altra
Parte, Lilian, vi osserviamo, lo
dissi anche a tuo padre. Quando siete nati, io e tuo nonno siamo stati
felicissimi. Per noi non c’è modo di
dimenticarvi.”
“Tipo angeli custodi?” Era un po’
ridicolo, ma ricordava qualche nozione
babbana dai discorsi della nonna di Rose, che era cattolica o una cosa
simile.
Lo sguardo di sua nonna si
illuminò. Forse le ricordava le sue, di origini.
“Sì, una cosa simile.”
Confermò.
Nel silenzio che ne
conseguì
Lily sentì frinire le cicale; quel posto sembrava immerso in
una delle rare
estate inglesi, dove il sole sembrava voler scaldare ogni cosa per
ripagarli
del fatto di esserci così poco il resto dell’anno.
“Quindi non sono
morta… Okay.”
Fece il punto della situazione. “Allora che ci faccio qui?
Non è, tipo… l’Altra
Parte questa?” Prese un respiro profondo. Le stava andando a
fuoco la testa, a
dirla tutta.
Davvero,
neanche un po’ d’ombra? Sicuri non siamo
all’inferno?
“No.”
Negò l’altra Lily soffiandosi
via una ciocca di capelli liscissimi. Per avere quell’effetto
lei doveva
lavorarci tre ore. Comunque. “Qui siamo ad una frontiera. Un
lembo di terra tra
due mondi, un posto in cui uno spirito, come me, può
incontrare una persona
viva come te.”
Wow.
Dovrei essere impressionata?
Non lo era, sul serio.
Neanche
un po’.
“Sì,
vabbeh … ma come ci sono
finita? Se non sono morta, che mi è successo?”
Insistette; tutti quei sorrisi sibillini
non l’avrebbero certo fatta fessa. Era una LeNa, lei.
Sua nonna non
sembrò seccata
dalla sequela di domande; anzi, sembrava quasi piacerle. Tipa strana.
“Hai
battuto la testa quando sei scivolata ed hai perso i sensi…
È una condizione
mentale fertile a questo genere di contatto.” Ci
pensò, poi aggiunse. “Tuo
padre ha sperimentato qualcosa di simile, ti ricordi?”
Lily annuì;
sì, quello aveva
senso. “Sei qui perché c’è
qualcosa che devi dirmi?” Tirò ad indovinare.
Le venne fatto cenno di
camminare, ma nel mentre e dopo sua nonna rimase alla distanza di
sicurezza che
le aveva imposto. Questo dovette apprezzarlo, sebbene a malincuore.
“Sì.”
Guardò il sole e aggrottò le sopracciglia;
sembrava piuttosto contrariata dall’astro,
quasi avesse il potere se scegliere di splendere o meno.
“Si tratta del tuo
amico
Sören.”
****
“Al!”
Sentire Tom chiamarlo in
quel
tono allarmato era un fenomeno più unico che raro, dato che
era quasi
confermata la teoria secondo cui fosse incapace di utilizzare le corde
vocali oltre
un certo limite. Alzare la voce? E quando mai?
Al batté le
palpebre e si tirò
seduto, massaggiandosi con una smorfia la testa; ricordava solo una
gran luce e
poi un’altrettanta gran botta. Era rimasto stordito per
qualche attimo, seduto
contro le gambe di una grossa cassapanca di legno.
Vide Tom a qualche metro da
lui, immobile. “Tom? Aiutarmi ad alzarmi no?”
Bofonchiò tirandosi in piedi.
L’altro per tutta
risposta stese
una mano di fronte a sé; con enorme stupore Albus vide
formarsi una patina
luminosa attorno ad essa, quasi solida.
“C’è
una barriera.” Disse. Il
tono sfumò di nuovo nella preoccupazione, e così
l’espressione ansiosa. “Stai
bene?”
“Gran botta,
nessun danno… sai
che ho la testa dura.” Sorrise appena. Poi
realizzò che se c’era una barriera
dalla parte di Tom, molto probabilmente valeva lo stesso principio
dalla sua.
Si avvicinò e ripeté il gesto
dell’altro. Stessa reazione.
“Maledizione…”
Mormorò
sgomento. “Com’è successo?”
“Credo fosse una trappola.” Tom misurò
un paio di passi, da un lato all’altro
del corridoio, già di per sé non molto ampio,
almeno in larghezza. In
lunghezza, sprofondava verso l’infinito. “Si
è attivata quando siamo passati.”
“Come facciamo a
romperla?”
“Non
possiamo.” Lo freddò. “Ci
ho già provato. Mi ha rispedito indietro qualunque
incantesimo. Raddoppiato.”
“Non puoi aver
provato tutto. Quanto sono
stato…”
“Abbastanza.” Lo interruppe brusco. Si morse un
labbro. “Non è questione di
trovare l’incantesimo giusto… il fatto
è che qualunque esternazione magica
viene rimandata indietro. È una barriera complessa.
Oltre…” Fece un respiro
profondo, quasi dovesse ingoiare un cucchiaio di una medicina
disgustosa. “… È
oltre la nostra portata.” Ammise infine.
“Maledizione.”
Ripeté, realizzando
che Tom non gli stava mentendo; non era una delle sue macchinazioni per
andare
da Von Hohenheim escludendolo dalla faccenda. Era
l’agghiacciante realtà.
Si avvicinò il
più possibile
all’altro, finché non sentì sfrigolare
l’energia della barriera. Si fermò di
colpo quando vide Tom assumere una faccia così ansiosa che,
in altre
contingenze, avrebbe meritato una foto. “Che
facciamo?”
L’altro
abbassò lo sguardo. “Tu
devi tornare dagli altri.”
“Cosa?! Non
pensare di
liberarti…”
“Non voglio liberarmi di te!” Sbottò di
rimando e con immediata violenza.
“Visto quel che ho fatto prima non mi crederai, ma
non…” Chiunque avesse visto
Tom in quel momento non avrebbe pensato a lui come un mostro di
glacialità e
freddezza, ma tutto l’opposto. “… non
volevo questo.” Concluse passandosi una
mano trai capelli. Frustrazione, rabbia, paura. Al capì che
non avrebbe potuto
manifestare quelle emozioni, anche se le provava; c’era
già Tom a provarle a
sufficienza per entrambi.
Fece un profondo respiro.
Calmare il cuore era il primo passo. Poi avrebbe pensato al resto.
“E tu?”
“Anche se mi
trovassero non mi
farebbero niente… Von Hohenheim vuole parlarmi, non
può rischiare che mi
uccidano.” La voce della ragione. Tom stava riacquistando
lucidità, ed era un
sollievo. Nei brevi momenti in cui era stato incosciente per la botta
doveva
averlo spaventato a morte. “Al, devi trovare Lupin e gli
altri. Saranno già con
Lily adesso.” Fece un tentativo piuttosto debole di sorriso.
“Non ce l’ha
insegnato Harry? Da soli, mai.”
“Per questo non
voglio
lasciarti, cretino… Non è mai una buona idea
farti fare le cose in solitaria.” Era
la verità, sentimentalismi a parte. L’unica volta
in cui erano rimasti separati
davvero, l’anno prima,
l’altro era
stato rapito, sfruttato e quasi ucciso.
Non
lo chiamerei un gran precedente…
“Questa volta non
puoi
decidere tu.” Tom fece un passo in avanti, appena un
movimento, non di più. Un
altro millimetro e sarebbe stato calciato indietro dalla magia oscura
che
pulsava tra di loro come un organo malato. “… Al, va’
via.” Soggiunse con un tono che l’avrebbe
ferito, se non fosse stato indice di un sentimento tutto contrario.
“Se c’è una
barriera sensibile al movimento ci sarà anche un allarme. I
Mercemaghi non
toccheranno me, ma non posso assicurarti lo stesso
trattamento.” E non sapeva
se glielo stesse dicendo per spronarlo, o perché fosse vero.
Ma
può esserlo.
“Torneremo a
prenderti.” Gli
assicurò. “Hai capito?” Avrebbe voluto
sfondarla quella barriera, farla a pezzi
a mani nude. Dividerli in quel modo era forse la cosa più
crudele che quel
mostro di Von Hohenheim aveva fatto sino a quel momento. “Tornerò a
prenderti.” Aggiunse, perché se gli altri lo
avrebbero
fatto per dovere e amicizia lui l’avrebbe fatto per un solo
motivo.
Io
senza di te non mi muovo. Né avanti, né indietro.
Resto fermo e ti aspetto.
Tom
sorrise. “Lo so.” Tese la mano
nell’aria, quasi volesse toccarlo. La ritirò
subito dopo, imbarazzato, ma il
gesto c’era stato, e valeva più di mille
dichiarazioni. “L’hai sempre fatto.”
Continuò distogliendo lo sguardo. Imbarazzato, appunto.
“Ti ho mai
ringraziato?”
Al sorrise, inghiottendo l’odioso groppo alla gola, ma
lasciando che gli occhi
gli si inumidissero. Sperava che il buio aiutasse a dissimulare
l’incipiente
principio di pianto.
“No, direi di no,
razza di
ingrato.”
“Quando ti ho
detto che ti amo…”
Inarcò le sopracciglia. “… supponevo
fosse implicito.”
Al stavolta rise, lasciandosi sfuggire qualche lacrima.
“Visto tutto quello che
hai combinato, me lo devi dire almeno cento volte.”
“Cinquanta.”
Finse di
barattare. Nessuno aveva mai visto il sorriso Tom diventare dolce,
salvo una
ristretta cerchia di eletti. Qualcuno avrebbe detto che sembrava quasi
fuori
posto in quel viso cupo e un po’ austero.
Che
quel qualcuno vada a farsi fottere.
“Al.” Lo
richiamò. “Vai.”
Stavolta era uno dei suoi ordini.
Gli voltò le
spalle e corse
via senza voltarsi; altrimenti sapeva che nessuno dei due avrebbe avuto
il
coraggio di fare un altro passo lontano dall’altro.
****
Harry lanciò
un’occhiata a
Ron; l’amico di una vita contava le crepe sul muro della
stanza in cui li
avevano rinchiusi – con tanto di sorveglianza alla porta
– con la
concentrazione di chi teneva la mente occupata per evitare reazioni
inconsulte.
Lui aveva perso il conto
delle
crepe mezz’ora prima.
Un’ora intera era
passata, e
nulla si era mosso. La McGrannitt e Vitious stavano facendo carte false
per
poter mettere becco nella situazione; era certo infatti di aver sentito
l’alterato accento scozzese della vecchia strega al di
là della porta; doveva esser
arrivata fino al corridoio, ma poi gli zelanti agenti nordici
l’avevano
prontamente rimandata indietro.
Dannazione,
stiamo perdendo tempo!
Ormai era diventato un
mantra
ossessivo, un dannato, insopportabile ritornello dentro la sua testa.
Sentì
un’imprecazione robustamente
colorita provenire dall’amico. Subito dopo si alzò
di colpo, cominciando a
misurare a gran passi la piccola stanza che altro non era che
l’appartamento
privato di un professore, messo a disposizione dalla solerte, quanto
insopportabile,
segretaria del Direttore.
“Giuro che faccio confringere la porta e schianto quei due
idioti che ci stanno a palo!” Esclamò a voce
sufficientemente alta da dar
intendere che voleva render palesi le sue intenzioni.
“Sta’
calmo.” Lo riprese senza
convinzione. “Ci sbatterebbero a Nurmengard senza battere
ciglio. E da lì,
credimi, sarebbe ancora più difficile uscire.”
Ron sbuffò scornato, risedendosi sulla sedia della
scrivania. “Okay, ma dobbiamo
fare qualcosa!”
“Cosa? Abbiamo già tentato tutto… il
camino non è collegato alla Metropolvere,
le finestre sono inchiodate e non abbiamo un gufo.”
Elencò stringatamente.
“Ron, credimi, se ci fosse qualcosa…”
“E dov’è finita Nora?” Lo
interruppe. La forte simpatia e stima che provava per
l’americana aveva subito un duro colpo. Era evidente come il
suo tirarsi fuori
gli avesse fatto una brutta impressione.
Come
non dargli ragione?
“Non lo
so.” Scosse la testa,
sedendosi sul ciglio del davanzale. “Il fatto è
che abbiamo sbagliato.”
“Cosa?”
Harry sospirò; si
era reso
conto, riflettendo oltre la rabbia della prima mezz’ora che
il loro venire lì,
minacciare un Direttore – un pubblico funzionario –
di un altro stato non solo
era stato avventato, ma anche stupido. Aveva usato il suo essere Capo
Auror per
avere le informazioni e raggiungere dei risultati, e questo era andato
bene
finché si era trovato in Inghilterra e in India,
notoriamente un protettorato
magico della prima.
Ma
non ho messo in conto che agendo come ministeriale,
e non come privato cittadino, avrei avuto molta meno indulgenza qui. La
Scandinavia non è esattamente famosa per avere un sistema di
regole elastico.
Neppure
noi, ma in Inghilterra io sono Harry Potter.
Non biasimava gli agenti
nordici per averlo arrestato; al loro posto avrebbe fatto lo stesso.
Lo spiegò a Ron,
e vide
l’altro raggiungere la sua stessa consapevolezza.
“Siamo proprio nei casini, eh
Harry?” Disse con un tono che gli ricordò
curiosamente la loro adolescenza e i
primi guai. “Almeno fossimo riusciti a raggiungere i
ragazzi…” Si passò una
mano trai capelli. “So che sono in gamba e tutto, e che
c’è Teddy con loro,
ma…”
“Li raggiungeremo.” Lo fermò.
“Li tireremo fuori di lì, Ron, non
preoccuparti.”
L’altro fece un sorriso tra l’esasperazione e
l’affetto. Gliene venivano
rivolti spesso, sia da lui che da Hermione. “A volte mi
chiedo perché diavolo
ti ho sempre dato retta, anche quando hai queste idee da scoppiato come
un
calderone.” Rise. “Poi mi ricordo che hai anche una
fortuna sfacciata. Ci credi
davvero?”
Harry fece per rispondere,
ma
l’aprirsi della porta lo allertò. Saltarono
entrambi in piedi, rivelando l’uno
all’altro quanto in realtà fossero coi nervi tesi.
Entrò il tipo con i capelli
a spazzola di prima. “Capo Auror Potter, Sergente
Weasley…” Esordì facendo loro
spazio, e il gesto era inequivocabile. “La vostra posizione
è stata chiarita.
Siete liberi di andare.”
“Eh?” Ron non poté frenarsi, anche se
arrossì immediatamente per l’uscita poco
sveglia. “Che significa che la nostra posizione è
chiarita? Chi l’ha
chiarita?”
L’agente non
rispose ed Harry
intuì che se qualcosa era successo, era stato ai piani alti;
l’ordine doveva
esser stato comunicato senza spiegazioni. “La
ringrazio.” Disse, dando un
colpetto al gomito dell’altro per farlo tacere.
Fuori furono invitati da
Capelli a Spazzola a seguirlo. Harry stava cominciando a capire la
dinamica dei
fatti. C’era stata una comunicazione tempestiva, un ordine,
un eludere le
regole.
Ora
bisogna solo capire se gioca a nostro favore.
Furono condotti
nell’ufficio
del Direttore, ma non vide traccia né dei durmstranghiani
che sorvegliavano il
portone né dell’antipatica segretaria. Tantomeno
vi era Jagland. Quando
entrarono vi trovarono invece Nora. Era in piedi di fronte alla
scrivania e
sembrava perfettamente in controllo, tanto che fu lei a congedare
l’agente
scandinavo; quello obbedì senza fiatare.
“Nora!”
Esclamò Ron in totale
sbalordimento. “Per tutti i calzini sporchi di Merlino, che
diavolo sta
succedendo?”
Quella sorrise. “Pensavate vi avessi abbandonato?”
Ron si schiarì la
voce, guardandolo
in cerca di aiuto. Harry non lo lesinò.
“Sì.”
“Harry!” Esclamò l’amico
esterrefatto. Ma non negò neppure.
Nora annuì. “È comprensibile,
l’avrei pensato anch’io.”
Replicò senza battere
ciglio. “Il fatto è che dovevo tirarmi fuori, per
potervi aiutare. Se avessi
cercato di difendervi senza avere una base solida sarei finita
confinata come
voi due… ed era l’ultima cosa di cui avevamo
bisogno.”
“Eleanor, parla
chiaro.” Non
avevano tempo, ma le spiegazioni lì erano doverose. Ce
n’erano state poche, ed
era stato quello ad averli infilati in quel ginepraio.
“Ho usato un
influenza che non
ho.” Esordì sibillina. Continuò subito
dopo però. “Ho una serie di permessi di
indagine, bolle ufficiali che mi permettono di muovermi da voi, come
qui o in
Germania. Ne ho fatto valere una che in realtà, se
controllano bene, non
parlano di immunità d’azione anche per gli agenti
che mi accompagnano.”
“Non capisco…” Borbottò Ron
aggrottando le sopracciglia. “Hai fornito loro un
permesso che ci autorizza ad indagare ovunque come te… Ma
noi non l’abbiamo una
cosa simile, e dubito che il tuo Ministero ce l’abbia
rilasciato sulla
simpatia.” Sgranò gli occhi, raggiungendo la
consapevolezza. “Hai falsificato
una bolla d’indagine?”
Harry non disse nulla; non
bisognava essere il Capo dell’Ufficio Auror per sapere che se
l’americana aveva
fatto una cosa simile, aveva non solo scavalcato la legge, ma
l’aveva proprio
presa a calci.
“Siamo tutti
servitori della
Legge Magica, Ronald.” Replicò la donna con la
calma surreale tipica di chi aveva
appena preso una decisione epocale. “Ma, come ho detto ad
Harry, il mio
obbiettivo … il vero obbiettivo per cui mi alzo ogni
mattina, è prendere vivo
Alberich Von Hohenheim e vendicare la memoria di Jeremiah.”
Non c’era
esitazione, o rimpianto nel suo tono e nella sua espressione. Harry si
sentì in
colpa per averla considerata una voltagabbana. Aveva dimenticato quanto
la
vendetta potesse rendere una persona affidabile. Del resto, Piton non
aveva
fatto lo stesso?
Anche se non si parla della stessa tipologia
di persona, affatto. Per fortuna.
“Senza di voi non
posso
farcela.” Continuò la strega. “Senza di
me, scusate la franchezza, ma non
potevate farcela. Capito questo, la decisione da prendere era una
sola.”
Harry sentì
crescere
ulteriormente, se possibile, la stima per quella donna
d’acciaio. Erano donne
come lei, Ginny, Hermione e Luna che facevano girare il mondo nel verso
giusto,
ne era assolutamente certo.
“Bene.”
Disse; non era il
momento giusto per perdersi in ringraziamenti e gratitudine.
“Rimane però un
problema… la Passaporta dentro lo Specchio delle Brame. Non
funziona.”
Nora sorrise di nuovo.
“Ho
avuto la fortuna di conoscere degli eccellenti docenti inglesi,
qui… Sembra
che, in fondo, per certe cose, abbiamo ancora tanto da imparare dalla
Madrepatria.
La Passaporta è attiva, Harry. Possiamo andare.”
****
“Sören?”
Sentirsi quel nome in
bocca le dava un
sapore amaro. Come aver inghiottito per sbaglio una spezia che doveva
solo
insaporire il piatto che stava mangiando. La spezia in questione
però era indigeribile.
Sua nonna non
sembrò notare la
sua espressione. “Certo. Sören. O preferisci che lo
chiami Ren?”
“Non preferisco
nessuno dei
due.” Lo stomaco le si serrò in una morsa
spiacevole. Rabbia, umiliazione. Era
questo che provava quando pensava a lui. “Non voglio
parlarne.”
L’altra assunse un’aria comprensiva che le fece
venir voglia di urlarle contro.
Come poteva capire?
…
beh. In realtà, cocca, capisce eccome. In famiglia, la
più grossa delusione in tema amicizia se
l’è presa lei, a pari con nonno James
e il ratto.
Finse di non cogliere
l’allusione. Non voleva, non ci pensava neppure a trovare un
punto di contatto tra
di loro. “Non è mai stato mio amico.”
“Ma l’hai considerato tale.”
“Non
era mio amico!” Non doveva piangere. Non serviva a
niente e
probabilmente, con tutto quel sole, si sarebbe disidratata.
“Era… ha soltanto
finto, per potersi avvicinare a me! Era ordini di suo zio, non certo
… Non era
nemmeno il Sören vero.”
“Ah, intendi il tuo amico di piuma.” Era
inquietante come sapesse tutto di lei.
La spiava o cosa?
Non
dev’essere difficile, quando sei qui. Inquietante,
sul serio.
“Però,
scusa… Sören Luzhin
l’hai mai visto dal vivo?”
“No, ma che
c’entra?” Ne
stavano parlando. La cosa più irritante era rendersi conto
di come sua nonna
riuscisse a manipolare la loro conversazione nella direzione da lei
voluta. Non
era l’ingenua eroina piena di buone intenzioni che le avevano
sempre descritto.
È
una gran stronza!
“In questi mesi
hai avuto modo
di conoscere quel ragazzo più di quanto tu abbia fatto con
il vero Sören
Luzhin, mi sbaglio?”
Lily fece una smorfia
insofferente; negare era stupido, ma non darle ragione un punto di
principio.
Si guardò attorno
per non
dover guardare l’altra. Perché poi quel parco? Era
quello comunale di Cokeworth,
ne era sicura, come era sicura di avere le scarpe ai piedi.
Poi capì: era il
posto in cui
sua nonna e Severus Piton si erano incontrati per la prima volta. Non
poteva
essere che quello. C’era addirittura il cespuglio dove il
Piton ragazzino si
era nascosto.
Questi
paralleli cominciano a venirmi a noia…
“Perché
mi hai portato qui?”
La apostrofò, cercando di sviare il discorso.
L’altra ragazza si
strinse nelle
spalle. “Non sono stata io, sei stata tu. Questa è
la tua festa¹. Hai
immaginato il parco ed hai chiamato me.”
“Non è
vero!”
Sua nonna non rispose.
Dannatamente irritante. Decise di glissare, e nel farlo, fu proprio lei
a
tornare al punto. “Non capisco dove vuoi arrivare.
Sören… o come diavolo si
chiama davvero, mi ha preso in giro. Non c’è altro
da dire.” Ripeté per forse
la milionesima volta. Sentiva il sudore cominciare a bagnarle la pelle,
scendere fastidiosamente lungo la nuca. Lanciò uno sguardo a
sua nonna, ma
quella non sembrava affatto risentire della calura.
Certo,
è un fantasma.
“Pensi davvero
ciò che dici?”
Le lanciò
un’occhiata. L’altra
Lily la stava guardando con uno sguardo severo che prima non aveva.
Boccheggiò
a corto di parole. Era ridicolo, ma si sentì
inspiegabilmente in colpa.
È
quel che è successo. Sören era tutta una montatura.
È
la verità… Perché te la prendi con me?
Sua
nonna tornò verso le altalene. Non
le restò che seguirla; ormai c’era cascata con
tutti i piedi, in quella dannata
conversazione. La curiosità era una gran brutta bestia.
“Il fatto, Lilian,
è che non
esiste il bianco e
il nero.” Disse.
“Alla tua età lo credevo… La mia
esperienza mi aveva insegnato che il mondo si
divideva sempre in due parti. Maghi e Babbani, Magia e
normalità, io e Petunia,
Serpeverde e Grifondoro… luce ed ombra.”
“Non è
così?” Le uscì spontaneo.
“Insomma, è vero che esistono sia luce che
ombra.”
Sua nonna si
illuminò, quasi
avesse detto la frase del secolo. “Sia.”
Ripeté. “È proprio
così… sia. Sia luce che ombra, esistono entrambe.
Coesistono, entrambe. È
questo che io
non capivo.”
Come
si fa a non capire una cosa così banale? È
stupida?
“Okay,
non c’è il buio assoluto o la
luce assoluta, anche se qui ci stiamo andando
vicino…” Strizzò di nuovo gli
occhi. Quel sole l’avrebbe accecata. “Grazie tante,
è come dire che il mare è
salato. Lo sanno tutti.”
“Ma non tutti lo
capiscono.” Si
sedette di nuovo sull’altalena, e si diede una spinta con i
piedi nudi. Si alzò
una lieve nuvoletta di terra. Da quant’è che non
pioveva in quel posto? Anni?
“Sì, ma
questo cosa c’entra
con Re… con Sören?” L’abitudine
era dura a morire, le disse una voce che era
come un coltello che affondava compiaciuto nel suo stomaco.
“Amicizia e
indifferenza. Sono
altri due opposti.” La ignorò. “Tutti
pensano che sia l’odio, ma in realtà,
l’odio è solo una reazione, una
conseguenza… È l’indifferenza il vero
opposto
dell’amore.”
“Ma che diavolo…”
“Pensi davvero che
tu sia
indifferente a quel ragazzo? Che stesse solo eseguendo gli ordini?
Pensaci
bene.” Inclinò la testa per guardarla. I grandi
occhi chiari rendevano quasi
scialbi il resto dei lineamenti. Sua nonna era tutta occhi, o almeno,
così
sembrava a lei.
“Io…”
“No, non lo
pensi.” La
anticipò. “Hai abbastanza cervello per sapere che
gli hai cambiato la vita. Hai
anche abbastanza cuore per sapere che ve la siete cambiata a
vicenda.”
Lily non disse nulla, mentre
le lacrime a quel punto uscirono gloriose e al diavolo la
disidratazione.
Era vero, Sören
l’aveva
cambiata. L’aveva fatta uscire fuori dal guscio comodo in cui
si era rinchiusa.
L’aveva fatta uscire a giocare in prima linea,
l’aveva fatta esporre come
nessun ragazzo era mai riuscito. Per dirla semplice, era il suo
maledetto,
primo amore. Ed era anche più di quello, se lo sentiva nelle
ossa.
Perché
non posso avere delle esperienze normali?
Banali, anche! Banale va bene, banale è bello.
Invece no. Dopotutto, era
pur
sempre una Potter.
“Entrare nella
vita di
qualcuno, anche per una serie di circostanze che non dipendono da noi,
significa prendersi delle responsabilità. Non vale solo per
chi è in torto, in
un’amicizia… ” Continuò sua
nonna. Sentì un tuono. Era così lontano che fu
costretta a voltarsi e strizzare più volte le palpebre per
vedere che nel
lenzuolo turchese che c’era al posto del cielo si stavano
addensando delle
nuvole.
Le
estate inglesi cambiano così in fretta…
Lily era stanca di stare in
piedi, così si sedette nell’altalena accanto a
quella dell’altra. Solo perché
era stanca, tutto lì. “Di cosa sarei
responsabile?” Chiese comunque, nel suo
tono più sgarbato. Non si sentiva particolarmente gentile,
date le circostanze.
“Di essere cascata nella trappola?”
“No, quello non
c’entra. Sei
responsabile di essergli diventata amica. Di avergli teso la mano
quando
credimi, nessun altro l’aveva mai fatto.”
Lily aggrottò le
sopracciglia.
“Non stiamo parlando solo di me, vero?”
Indovinò. “Si tratta di te e del
Preside Piton.” Ora quei paralleli avevano improvvisamente un
senso.
“Preside…”
Fece una breve risata.
Non sembrava molto allegra, per niente. “È
così strano. Nella mia testa resterà
sempre Sev.”
“Lui ti ha
tradita.” Era così
che suo padre gliel’aveva raccontata. Un po’
più edulcorata, ma anche da
bambina aveva letto oltre le righe il giudizio del genitore. E adesso
lo
comprendeva a pieno. Il tradimento era un concetto comprensibile solo
se veniva
provato in prima persona.
“Non userei una
parola così
forte…” Certo, perché era morta e
quindi era tutta pace, amore e serenità. Ma
lei sapeva la verità. Il tradimento esisteva, ed era la
sensazione più schifosa
della Terra.
“L’hai
perdonato?” La aggredì
quasi.
“Non
c’è mai stato niente da
perdonare. Una parola… ma Lilian, se ne dicono
così tante. ” Scosse la testa, e
un tuono suonò ancora più vicino. “Ero
una bambina, ero sciocca. Pensavo di
avere tutte le ragioni del mondo, ma la storia mi ha insegnato
altrimenti.”
“Sì, ma ti ha ferita!”
“Ed io ho ferito lui.” Il tono non dava spazio ad
obiezioni, così Lily tacque.
“La mia morte l’ha legato ad una vita
terribile.” Chiuse gli occhi e quando li
riaprì erano in due ad averli lucidi. “Severus era
pieno di ombre, ed io pensavo
che la luce fosse meglio. Fosse tutto. Mi sbagliavo.”
Lily si morse un labbro; il
caldo stava diventando umido, come se una coperta bagnata le si fosse
appoggiata addosso. Ma con quello, sarebbe arrivata anche la pioggia.
“Fra me e
Sören non è la stessa
cosa.”
Sua nonna
sospirò. “No, è
vero. Ma lui ha bisogno di te adesso … e tu hai bisogno di
perdonarlo. In fondo
questo è uguale.” Stese il braccio e le prese la
mano stringendola nella sua.
Non tentò di divincolarsi. Non voleva, anche se era
scomodamente calda. “Hai un
dono, Lilian. Gli hai letto nel cuore quando è tornato a
prenderti, no?”
“La Legimanzia non fa leggere i pensieri della
gente.”
“Mentiva o no?” La riprese. “Tu lo
sai.”
Lo sapeva. E sapeva anche la risposta, anche se faceva male e rendeva
tutto più
complicato.
“Non posso
perdonarlo.” Prese
una boccata d’aria. Era umida ora, e fresca. “Non
so… non so come fare.”
L’altra le strinse la mano. “Lo imparerai. Hai
tempo… e non sei me.”
“Tu non sapevi perdonare?”
“Sono sempre stata
un po’
lenta in certe cose.” Ironizzò, ma vi lesse
tristezza in quella frase. Perché
era implicita un’altra.
Non
ho avuto tempo.
Lily non replicò
la stretta ma
lasciò che sua nonna continuasse a stringere, senza
divincolarsi neppure un
po’. “Si può sapere perché
dobbiamo essere sempre noi Potter a salvare capra e
cavoli?” Esclamò per togliersi di dosso
l’idea di abbracciare l’altra. Era
orrenda.
La ragazza rise.
“Penso che
sia pessimo karma.” Ghignò – oh, era
proprio un ghigno – alla sua aria
indispettita. “Non sei la sola a saper
cos’è, sai?”
Lily sbuffò,
alzandosi in
piedi. “Come faccio a tornare indietro?
C’è un passaggio, una porta, un treno,
qualcosa?” I nuvoloni ormai si addensavano velocemente e
spirava un vento
gelido e secco. Forse non era una questione di clima, era una questione
di stato
d’animo. Il suo. Comunque era piacevole dopo tutta
quell’afa.
Sua nonna non si
alzò
dall’altalena. Si limitò a dondolare leggermente.
“Sta arrivando la pioggia.”
Disse soltanto. “A te piace?”
Lily scrollò le
spalle
rassegnata dall’assurdità di quella conversazione;
uno psicologo babbano da
quel dialogo ci avrebbe tratto una diagnosi coi fiocchi, probabilmente
piazzandoci pure qualche bella psicopatia. “Se non ci fosse
sarebbe un bel
guaio, no? È necessaria.”
“Già,
hai proprio ragione.” Le
prime gocce cominciarono a colpire il terreno, e furono bevute da esso
come se
non piovesse da anni. Lily si accorse che sua nonna, mentre la pioggia
diventava più fitta, era sempre più sfumata. Come
un acquerello bagnato da una
mano maldestra.
Come
un fantasma…
Sentì
l’insopprimibile voglia
di chiederle un altro milione di cose. Di arrabbiarsi di nuovo con lei.
Di
dirle che le dispiaceva. Di abbracciarla.
“L’hai
incontrato?” Ormai
vedeva solo rosso e i colori spenti della divisa. “Hai visto
Severus dopo?”
Sua nonna si spinse sull’altalena, che cominciò ad
ondeggiare avanti e
indietro. “Certo.” Rispose, e la voce sembrava
provenire da molto lontano.
Lontanissimo. “È stato bello.”
E Lily si rese conto che non
era sua nonna a sbiadire. Era lei. Era vero, se ne stava andando; il
parco, le
panchine, le altalene si scioglievano? No, era lei.
“Aspetta!”
Ora sì che le
veniva da piangere, ed era da autentiche idiote. Aveva passato tutta la
vita a
detestare sua nonna, il simbolo che rappresentava, e ora aveva paura di
lasciarla.
“Non so che fare! Non so che cavolo fare quando
tornerò indietro!”
“Vivere, bambina
mia. Devi
vivere.” E la voce adesso era quella di un’adulta.
Chissà se era la stessa che
aveva sentito suo padre, quella che gli aveva dato la forza di
affrontare
Voldemort. “È tutto qui, alla fine.”
Fu come venir svegliati
quando
il corpo aveva tutte le intenzioni di dormire; non sentirsi le ossa, i
muscoli
e la pelle, e poi immergercisi di nuovo, di colpo.
Fu piuttosto doloroso.
Lily spalancò gli
occhi e la
prima cosa che vide fu nero. Ombre ovunque, il che era ovvio, dato che
era
stata abituata al sole accecante del… sogno? Era stato un
sogno? Ne avrebbe
parlato con suo padre, una volta finito tutto.
Il nero poi si
definì in ombre.
Ombre di torce, lingue di fuoco che baluginavano. Il pavimento era
freddo, e
umido e si sentiva odore di mare.
Era tornata al castello. Era
tornata indietro. Percepì poi una pressione alla mano; per
un attimo credette che
fosse ancora sua nonna a stringerla.
“Lily…?”
Era Sören.
Sören, che
inginocchiato accanto a lei le teneva la mano stretta nella sua. I
contorni
della stanza – no, era un corridoio– si fecero
più definiti, e così la figura
del ragazzo. Era davvero vicino a lei, e la guardava come se fosse
risorta
dalla tomba.
Quant’ero
messa male?
Non era quello il punto,
comunque. Doveva piuttosto dire qualcosa, alzarsi a sedere magari,
dimostrare a
sé stessa e all’altro che era tutta intera, mente
e corpo.
Poi si accorse che
Sören
piangeva. Non aveva mai visto nessuno piangere senza singhiozzare,
diventare
rosso in faccia e tremare. Sören, al solito, era
l’eccezione. Le lacrime gli
scorrevano sul viso come fili d’acqua sottili. Erano lacrime
di sollievo.
“…
Stai piangendo.” Gli sembrò un attestazione
piuttosto intelligente, date le contingenze. Non sapeva cosa dire.
Sentiva male
alla testa, nausea e paura. E rabbia. E confusione.
Può
esplodermi la testa, così la facciamo finita,
grazie?
“Cosa?”
Si toccò il viso e si
guardò la mano, con una perplessità che aveva
dell’incredibile, perché sincera.
Non se n’era davvero accorto. “Io…
sì, credo di sì.” Attestò
con una nota di
stupore. “Non ti svegliavi, e… non
rispondevi.” Concluse e distolse lo sguardo.
Non
farlo. Non provare a sembrare …
Era
meglio pensare alla cose pratiche.
“Dov’è John Doe?” Dopotutto
poteva essere ancora in giro e aver voglia di
finire il lavoro.
Sören si
strofinò la manica
ruvida dell’uniforme di Durmstrang sulle guance, con il
risultato di peggiorare
ulteriormente la situazione. “Non è più
in grado di nuocere a nessuno. Sei al
sicuro adesso.” Disse. La dicotomia più folle.
Aveva gesti di un bambino e il
tono di un adulto. Era quello ad averla maledettamente attratta sin da
subito;
quell’impacciato controsenso.
Non
provare a sembrare innocente!
“Sono nel castello
di un
pazzo, nei suoi sotterranei, sono tutto fuorché al
sicuro!” Replicò, ma si
pentì immediatamente di quel tono aspro. Sören
sciolse le loro mani serrate
l’una all’altra; non si era accorta di aver
ricambiato la stretta finché l’altro
non l’aveva lasciata.
“… Mi
dispiace…” Un mormorio,
accentato. Le emozioni non andavano d’accordo con
l’esprimersi in un’altra
lingua. “Lily, mi dispiace tanto.”
“Lo so.”
Ed era vero. Era
questo a rendere più straziante il tutto. Capire, grazie al
suo essere LeNa, o
semplicemente un essere umano funzionale, che Sören stava
dicendo la verità.
“Dispiace anche a me.”
“Mi
odi?” Era assurdo sentirsi
in colpa con qualcuno che le aveva, anche senza rendersene conto a
pieno, fatto
a pezzi fiducia nel genere umano e cuore. Era assurdo,
eppure…
“Non lo
so…” Ignorò
l’espressione dell’altro, perché si
rifiutava di provare empatia. La provava
comunque. “… Forse. È perché
ti ho voluto bene.”
Non poteva dire altro. Non
sapeva neanche lei cosa provare in quel momento. L’unica cosa
che voleva fare
era scappare il più lontano possibile da quel castello, da
quel corridoio, da
Sören.
L’altro
abbassò lo sguardo. “È
giusto.” Si inginocchiò, tendendole la mano per
aiutarla a rialzarsi. Poi le
piantò gli occhi in faccia e Lily non riuscì a
distogliere lo sguardo. Non ci
sarebbe riuscita mai, se la guardava in quel modo.
“Voglio solo che
tu sappia una
cosa. Hai il diritto di non considerarmi più una persona
amica… ma tu, per me,
lo sarai sempre, finché avrò vita.”
Lily non disse niente. Non
aveva la forza, la capacità o il coraggio di analizzare
quella frase e
interiorizzarla. Sören del resto non sembrava volere una
risposta. Meglio così.
Prese la mano che le veniva porta e si tirò su. Le girava un
po’ la testa, ma
era sopportabile. La caviglia però aveva ripreso a darle
delle fitte pazzesche;
la pozione del Magonò doveva aver finito
l’effetto. “Voglio andarmene.” Disse.
“Portami via di qui.”
Sören
annuì. “Ce la fai a
camminare?” Non aspettò la risposta; gli
bastò guardare come posava il piede a
terra per tirare fuori la bacchetta e curarle la caviglia.
“Ora è a posto.
Andiamo.”
Lily non dovette dire una parola in merito e per la prima volta fu
contenta di
non doverlo fare.
****
Qualcosa ticchettava nel
profondo, nelle viscere stesse del castello.
Il ticchettio non era altro
che l’incedere del tempo. L’incedere del tempo
legato, ovviamente, come nella
migliore delle tradizioni, ad un conto alla rovescia.
Il ticchettio si
arrestò, e
qualcosa cominciò a bruciare.
****
Milo rinvenne e
immediatamente
capì che c’era qualcosa che non andava.
Ovviamente c’era
qualcosa che
non andava da prima; il castello
era
assediato dai Mercemaghi, il padrone era impazzito. Date le
contingenze, lui
aveva avuto la meravigliosa idea di
collaborare – rischiando le penne – con
l’unico erede, preso da senso di colpa
verso la sua fidanzatina.
Speriamo
che alla fine della storia, la cazzata si
riveli una bella pensata.
Tuttavia, c’era
qualcosa in
più, di storto. Il sesto senso gli stava dicendo che
qualcosa era accaduto di
nuovo nel castello e che, in toni generali, non gli sarebbe piaciuto
affatto.
Credeva a quella sensazione
perché del suo sesto senso ne aveva fatta un’arte.
I Mercemaghi che lo avevano
attaccato erano ancora riversi a terra, svenuti; il piccolo principe
aveva
avuto più riguardo per lui, che per quei tre avanzi di
galera.
Dovrei
ringraziarlo, se non mi suonasse una grancassa
tra le tempie.
Si tirò in piedi
e si spazzolò
i poveri vestiti bistrattati; si segnò l’ennesimo,
inevitabile, rammendo.
Una cosa per volta, decise;
se
doveva togliersi dai piedi in tempo utile, e portarsi dietro i due
vecchi,
doveva cominciare subito.
C’era uno strano
odore però;
un odore che non aveva niente a che fare con il sale del mare, o con
quello chiuso
e penetrante dei sotterranei. Era un odore sgradevole, come qualcosa di
marcio.
Cadaveri?
No, non ce
n’erano. I tre
Mercemaghi erano malmessi, ma ben vivi a giudicare dai lamenti. In ogni
caso,
odore o meno, doveva andarsene prima che qualcuno lo beccasse con quei
tre e
traesse le conclusioni più sbagliate.
Tornò negli
appartamenti della
servitù. L’odore era persistente, come
l’improvviso caldo che sentiva in quegli
ambienti. Era così strano, sentirsi a suo agio con i vestiti
che indossava,
dato il tepore, che dava quasi fastidio.
Ci
si abitua anche al gelo segamani, pare.
Hilda ed Etzel erano seduti
di
fronte al camino; Milo provò sia pena che rabbia a vedere
come stessero affrontando
le incombenze di tutti i giorni, come se fuori non stesse accadendo
nulla, o
peggio; come se non avesse importanza per loro, parti di un ingranaggio
che non
doveva mai deviare.
“Ehi.”
Li apostrofò. “Lasciate
perdere… Le cose si stanno mettendo male. Dobbiamo
andarcene.”
“Come,
Milo?” Chiese Etzel
fissandolo sbigottito. “Che dici?”
“Dico che il
padrone ha rapito
una ragazzina, e quella ragazzina è figlia di un pezzo
grosso del Ministero britannico.
Harry Potter, ne avrete sentito parlare anche voi, no?” Non
aspettò risposta.
“Adesso è qui, e non ci vorrà molto
prima che se la vengano a riprendere in
pompa magna, con incantesimi e arresti lampo. Il padrone ha toccato il
fondo,
ed io non voglio affogare. Voi?”
I due rimasero congelati,
come
buffe e tristi statue di sale. Inevitabile, doveva insistere.
“Non ci arrivate?
Verremo arrestati come complici! Ai maghi non interessa sapere come e
quanto
siamo invischiati nei loro affari, daranno per scontato che siamo parte
del
pacchetto!”
“Ma non possiamo…” Esordì
Hilda guardandosi smarrita attorno, come se dagli
oggetti della misera stanza potesse provenire una risposta.
“… non possiamo
andarcene. Dove andremo? Serviamo questa casa da tre decadi!”
“Sei sicuro di
ciò che dici,
ragazzo?”
Milo fece una smorfia; la
titubanza poteva capirla, ma non la paura dell’ignoto.
Perché quello che li
aspettava se fossero rimasti era decisamente peggio. “Non
avete sentito movimenti
fuori?” Tirò ad indovinare. Era rimasto svenuto
per tutto il tempo, ma era
certo che il piccolo principe avesse già fatto quel che
doveva, allertando metà
castello, se non tutto. Dalle espressioni ansiose dei due,
capì di averci preso
in pieno.
“Pensate che il
padrone vi
congederà, o vi dirà che potete andarvene prima
che arrivino gli agenti? Che vi
salverà? Dobbiamo
salvarci da soli.”
Sapeva di premere in modo violento su tasti che per quei due poveri
anziani
erano quanto più di sensibile. Non aveva importanza, se alla
fine dei giochi
restavano vivi e soprattutto, liberi.
Fu Hilda, dopo aver serrato
le
mani sullo strofinaccio con cui stava pulendo un candelabro, a parlare.
“Pensi
davvero che ci arresteranno?”
“Hilda!”
Scattò Etzel,
guardando in alto, quasi avesse paura che Von Hohenheim scendesse come
una
sorta di vendicativo deus ex machina.
“Milo non
è uno sciocco!” Lo
rimbeccò la donna. “Ed hai sentito e visto anche
tu! Forse sono già entrati… Ci
sono stati molti rumori, incantesimi… Qualcuno si
è scontrato con quei
Mercemaghi.” Spiegò a suo beneficio.
“Allora sono
già qua.” Tagliò
corto. Avevano meno tempo del previsto. Chissà che fine
aveva fatto Sören? Non
che gli importasse, beninteso. “Dobbiamo levare le tende, ora.”
I due anziani si guardarono
di
nuovo; Milo in un certo senso ammirava il modo in cui prendevano le
decisioni
assieme, consultandosi solo con un’occhiata o con un gesto.
Supponeva che
quello volesse dire amore. Non che ne avesse mai avuto prova concreta e
personale.
“Va
bene.” Disse infine Etzel,
mentre la moglie gli stringeva il braccio con forza, quasi a dargli
supporto
silenzioso. “Va bene, Milo. Cosa dobbiamo fare?”
Finalmente!
“Andate
nella vostra stanza, prendete
solo quello che riuscite a portare con facilità. Niente roba
pesante, o
ingombrante. Taglieremo per la foresta, verso Lubecca, è la
strada più sicura.
Lì ho dei contatti, ci aiuteranno loro.” Li
rassicurò con il suo miglior
sorriso, vedendoli stringersi l’uno all’altro.
“State tranquilli, andrà tutto
bene.”
Almeno
spero.
C’era qualcosa che
non gli
tornava però. Quell’odore schifoso gli si era
piantato nelle narici. Che ci
fosse qualche perdita nell’impianto di scarico?
Nah. Conosco l’odore del liquame e
non è
questo.
“Sentite anche voi
questo
odore?” Li richiamò mentre se ne stavano andando.
“Dico, questa puzza?”
Hilda lo guardò
confusa,
mentre l’altro uomo si limitò ad una leggera
smorfia. “Sì, lo sento… Forse
qualche problema di tubature? Sono molto vecchie.”
Milo scrollò le
spalle;
evidentemente era tutta una sua suggestione, e forse erano davvero le
tubature.
Il caldo però non si spiegava.
Aveva comunque
un’ultima cosa
da fare prima di darsela a gambe e lasciare per sempre quel castello
degli
orrori. “Dove vai?” Lo apostrofò
l’anziana, vedendo che non prendeva la strada
delle loro stanze, ma quella in alto, verso i piani padronali.
Milo ghignò.
Poteva essere
considerato una brava persona per aiutare due vecchi, ma restava sempre
un tipo
tirato su dalla strada. E sapeva bene che in tre non sarebbero durati
che pochi
giorni senza qualcosa da barattare con la fauna locale di Lubecca.
“Il nostro ultimo
stipendio.”
Prima che la donna potesse ribattere qualcosa, corse via. Non aveva
proprio
voglia di farsi redarguire per voler rubare un po’ di
argenteria a quello
stronzo di Von Hohenheim.
****
Tom non aveva bisogno di una
guida per sapere dove stava andando; c’era la voce che
funzionava meglio di una
bussola babbana.
Quel castello avrebbe potuto
essere suo, rifletté. Tutta quella ricchezza,
quell’opulenza maestosa nascosta
dall’oscurità avrebbe potuto essere parte dei suoi
possedimenti. I Von
Hohenheim erano palesemente molto, molto ricchi, sia in termini magici
che
babbani. Se fosse cresciuto lì, lo sarebbe stato anche lui.
Eppure non provava nessun
rimpianto all’idea di rimanere figlio di babbani che pagavano
religiosamente le
tasse e sceglievano con accortezza, ogni anno, un luogo di
villeggiatura
economico.
Non pensava cose banali come
‘l’amore di una famiglia è meglio dei
soldi’, perché non era quello il punto.
Era vedere come tutta quella ricchezza a niente servisse se non
rimanere soli,
e odiati.
Perché
l’uomo che gli aveva
dato la vita non era precisamente circondato da affetto, o anche solo
da
sostenitori.
Cos’ha?
John Doe? Il falso Luzhin? Non un granché.
Certo, in quel momento era
solo anche lui, ma sapeva che qualcuno sarebbe tornato a prenderlo. La
differenza stava tutta lì.
Albus, Harry, la sua
famiglia,
quella marmaglia di parenti acquisiti e più o meno amici che
gli riempiva la
vita, esasperandolo ma facendolo anche sentire un essere umano
funzionale.
Erano loro ad essere la differenza.
Erano loro ad averlo reso la persona che era.
Se non lo fosse stato poi,
Albus l’avrebbe preso a pugni.
Non aveva paura; o meglio.
Ne
aveva, ma era anche sicuro che qualsiasi cosa gli avesse detto Von
Hohenheim
non l’avrebbe fatto perdere in se stesso come
l’anno prima. L’avrebbe ferito
forse. Se John Doe era riuscito a farlo scappare da tutto
ciò che amava, non
aveva dubbi sul fatto che il suo padrone avesse una lingua ancora
più
biforcuta.
Fece un mezzo sorriso.
Avresti
dovuto far resuscitare qualcuno di più
arrendevole di me. Si sa che ero un tipo tenace.
Non
lascio ciò che è mio. E tutto questo non
è mio. La
mia famiglia, invece sì.
Si fermò di
fronte ad un
portone. Era salito per le scale più ripide, più
alte. Doveva dunque essere
arrivato. La porta infatti si aprì silenziosa, lasciando
intravedere luce al di
là di essa.
Avrebbe lottato, e avrebbe
vinto. Perché quella volta era dalla parte giusta.
“Benvenuto,
Thomas…”
****
Albus non vedeva
più in là del
suo naso ed era piuttosto sicuro di essersi perso.
Comunque, si rifiutava di
lasciarsi andare allo sconforto. In qualche modo sarebbe riuscito a
trovare Ted
e gli altri. L’aveva promesso a Tom … e alla sua
stessa incolumità.
Anche
se il mio senso dell’orientamento, specialmente
al buio, fa schifo.
L’unica cosa di
cui poteva
rallegrarsi era il fatto di non aver incontrato Mercemaghi, almeno fino
a quel
momento.
C’era troppo
caldo, comunque.
Un caldo strano, simile a quello che si provava quando si stava troppo
vicini
al fuoco. Aveva dovuto togliersi il mantello e piegarlo sotto il
braccio.
Svoltò
l’ennesimo, anonimo
angolo, cercando disperatamente di ricordare se avesse visto la serie
di
dipinti che gli si parava davanti.
…
Boh.
Non aveva prestato
granché
attenzione all’arredamento purtroppo, dato che litigava con
Tom.
Avrei
dovuto trovarmi dei punti di riferimento. Sono un
idiota.
Un rumore lo
allertò. Non
poteva sbagliarsi, erano passi. Spense la bacchetta e si nascose dietro
una
grossa armatura – c’erano più armature
lì che ad Hogwarts. Attese, cercando di
respirare il più piano possibile. Come si faceva, poi, a
respirare piano?
La domanda rimase senza
risposta, perché una luce piuttosto forte
illuminò vicinissimo al suo
nascondiglio; con stupore vide che si trattava di una torcia, e non di
una
bacchetta. La reggeva un ragazzo biondo, ma non John Doe. Non si
sarebbe
dimenticato mai quella faccia.
Lo vide avvicinarsi ad una
vetrinetta riccamente istoriata ed aprirla con una chiave; ne aveva
tante attaccate
ad un mazzo che portava appeso alla cintura. Con stupore lo vide poi
togliersi
uno zaino dalle spalle e cominciare ad infilarci dentro oggetti
dall’aria ricca
e costosa.
Un
ladro? Adesso? Con tutto quel che sta succedendo?
La scena era talmente
surreale
che Al ci mise un po’ a capire che non avrebbe potuto
andarsene, non senza
farsi notare.
Oh,
dannazione!
Scattò fuori
dalla sua nicchia
e lanciò uno Stupeficium,
ma l’altro
fu più svelto di lui. Che l’avesse già
sentito, o che avesse i riflessi pronti,
riuscì a gettarsi a lato e farsi mancare.
Al prese di nuovo la mira;
sarebbe quasi stato disposto a lasciarlo andare, ma poteva sempre
avvertire i
suoi compari. Di certo, da com’era poveramente vestito
– in maniera
tradizionale tra l’altro – doveva essere uno dei
Mercemaghi.
“Nein!”
Esclamò quello levando le mani. “Halt mal! Ich habe kein Zauberstab, ich bin ein
Squib²!”
Tedesco,
favoloso.
Non aveva la minima idea di
cosa gli stesse dicendo, ma l’aria spaventata e le mani
levate in segno di resa
lo bloccarono.
Perché
non ha preso la bacchetta per difendersi?
“Non ti
capisco!” Sbottò
innervosito. Se ci fosse stato Tom sarebbe stato un gioco da ragazzi,
dato che
l’altro il tedesco lo conosceva.
Già,
ma non c’è.
Inspirò; non
poteva neanche
dargli le spalle e correre via. Se fosse stata tutta una messinscena e
l’avesse
poi colpito alle spalle?
Solo
che… ah, cavolo! Non mi piace schiantare la gente
che non si difende!
…
questo è molto, stupidamente, Grifondoro.
“Inglese? Sind Sie Engländer³?” Gli venne chiesto in
quella lingua pietrosa. “Io … no
magia. Magonò?” Tentò incerto, spiando
la sua reazione.
È
un Magonò? Cavolo!
Non posso schiantare un Magonò!
Il problema è che
non c’era
modo di credergli sulla parola; la sua condizione non l’aveva
scritta in
faccia.
“Alzati.”
L’unica cosa sensata
da fare era perquisirlo. Se aveva la bacchetta, l’aveva
addosso.
L’altro parve
capire l’ordine
ed obbedì, alzando le mani con una smorfia insofferente.
Ringrazia
che non ti ho spedito a dormire!
Guardò ovunque e
gli frugò
nelle tasche; la bacchetta non c’era, e non c’era
neanche nello zaino di corda
che si portava dietro, anche se abbondava ogni tipo di argenteria e
metalli
preziosi, dalle posate ai soprammobili.
“Lo sei davvero,
dannazione…”
Possibile che un Magonò avesse deciso di rubare proprio
quando stava succedendo
il finimondo? Poi notò un particolare che risolse
definitivamente il dilemma; lo
stemma cucito sulla casacca che indossava. Era lo stemma impresso su
ogni
singola cosa lì dentro, quello dei Von Hoenheim.
“Sei …
lavori qui?” Indovinò,
anche se era strano vedere un essere umano e non un elfo domestico
vestire quei
panni. Sapeva però che gli elfi domestici erano
più che altro una prerogativa
inglese, al massimo francese.
“Ja.”
Confermò. Un po’ di inglese allora lo capiva.
“Andare?” Tentò.
Col
cavolo!
Quel
tipo sapeva muoversi in quel
labirinto senza rischio di perdersi. Gli puntò la bacchetta
al petto e lo vide
sbiancare di un paio di toni. Non gli importò.
“Adesso mi accompagni a cercare
i miei amici.” Fece mente locale. “Ingresso.
Portami all’ingresso.” Teddy aveva
detto che, nel caso si fossero persi, di ritrovarsi tutti
lì.
Il Magonò lo
guardò con
sguardo ottuso, ma sapeva che era tutta una messinscena.
“Falla finita, lo so
che mi capisci! Abbastanza almeno da sapere cosa ti sto chiedendo.
Ingresso.”
Ripeté.
L’altro gli
lanciò
un’occhiata. Sbuffò, ma poi annuì,
raccattando lo zaino e indicando davanti a
sé. “Dort.
Là.” Tradusse poi a suo
beneficio.
“Prima
tu.” Gli fece cenno con
la bacchetta. Il Magonò non se lo fece ripetere due volte e
prese a camminare.
Speriamo
non faccia scherzi.
Anche se lo riteneva quasi
sicuro. Un servitore ladro non era certo quello che poteva definirsi
una guida
affidabile.
Avanzarono per un paio di
metri in una direzione che Al era certo non aver mai preso; sperava
solo non lo
stesse portando in un vicolo cieco. Sperava solo di aver preso la
decisione
giusta.
Il caldo cominciò
a diventare
più opprimente. Non era il solo a sentirlo, dato che vide
l’altro ragazzo
passarsi una mano sulla fronte, forse per pulirsi dal sudore.
Che
sta succedendo?
“Fermati, dove
siamo?” Lo
apostrofò, ma quello si voltò guardandolo
incerto. “Dove. Siamo?” Ripeté
più
lentamente.
“Ingresso.”
Replicò. “Di là.”
“Perché
fa così caldo?”
Nessuna risposta. Se lo capiva, non lo capiva abbastanza. Era
frustrante.
Poi arrivò il
fumo. Dapprima
fu un penetrante odore di marcio, poi cominciarono a tossire, poi
sentì gli
occhi lacrimare. La penombra si fece più definita,
più chiara. Troppo
chiara.
Vide il Magonò
sgranare gli
occhi e non ci fu bisogno di traduttore per capire quello che poi
urlò.
“Feuer!”
****
Note:
E nella prossima puntata… un drago volante sputafuoco! :D
Okay, a parte gli scherzi, so che ci sto dando dentro con i
cliff-hanger. Forse
troppo. Ma non è colpa mia se il capitolo finisce proprio bene in ‘sto modo! Non
odiatemi, tutti i nodi verranno al
pettine! >_<
Questa la canzone del capitolo. Tamarra ma comunque
adatta. Specie
nella parte non cantata ;D
1. Non ve lo siete
immaginati.
È la stessa cosa che Silente dice ad Harry quando sono nel
limbo. ;)
2.
‘No, fermo! Non ho la bacchetta, sono un
Magonò!’ Traduzione ad
opera della bravissima e disponibilissima Blankette_Girl.
Grazie ragazza!
3. ‘Sei
inglese?’
|
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Capitolo 62 *** Capitolo LIX ***
Capitolo LIX
And –
which is more – you’ll be a man, my son!
(If, Rudyard Kipling)
“Resta dietro di
me.”
Non che Lily avesse intenzione di far altro; aveva ormai capito
abbastanza di
quella situazione per sapere che meno prendeva iniziative, meglio era.
Magari
per sempre.
Sören le aveva
lasciato la sua
bacchetta e lei non aveva protestato; si sarebbe sentita ancora peggio
senza,
anche se era consapevole del fatto che probabilmente non avrebbe saputo
neanche
asciugarcisi i capelli. Era così diversa dalla sua, e
aliena. Scura e dritta,
senza un solo nodo, o asperità. L’impugnatura era
quasi inesistente. Ma la cosa
più straordinaria era il fatto che a Sören non
servisse; non aveva infatti
bacchette in pugno, ma piuttosto una sfera di luce gli brillava nella
mano come
un piccolo sole.
Non gli aveva fatto domande in merito, e l’altro non le aveva
dato spiegazioni.
Si voltò poi
nella sua
direzione; Lily non tentò neppure di leggerlo, di capire
cosa provasse.
Davvero, non le interessava.
“La via
è libera.” Le
comunicò.
“Va bene.” Sapeva di essere totalmente nelle mani
dell’altro. Non aveva fiducia
in lui, quella no, ma non era preoccupata. Sapeva, aveva la certezza, che Sören
l’avrebbe guidata
fuori di lì, anche a costo della sua stessa vita.
Era questo a rendere tutto
più
incasinato.
“… Il
tuo vero nome. Come ti
chiami davvero?” Si
sentì formulare
la domanda mentre una parte di sé le intimava di far
silenzio.
Non
deve interessarti. Finita questa storia devi
cancellarlo. Al diavolo quello che hai sognato, o le allucinazioni che
hai
avuto. Al diavolo!
Lo vide irrigidirsi, poi
voltò
il viso di tre quarti. “Sören. Mi chiamo
Sören.” Mormorò.
“Io… non ti ho sempre
mentito.”
“Ma davvero!” Il tono le uscì
più sferzante del previsto, ma non se ne scusò.
Aveva tutte le ragioni del mondo del resto. “Su cosa mi
avresti detto la
verità?”
“Sul mio nome, sul
fatto che
sono un Prince… e su quello che provo per te.”
Anche a qualche passo di distanza
lo sentì deglutire. “Non ho mai provato niente del
genere prima, per qualcuno.
Quindi credo mi sarebbe anche difficile mentire.”
Lily ignorò l’ultima parte del discorso. Doveva,
doveva assolutamente. Non
avrebbe mai creduto che si potesse andare in overdose di sentimenti.
“Tua madre
era una Prince? Perché il ritratto di Piton era convinto del
contrario, ed io
credo più al suo ritratto che a … te.”
Smise di parlare, perché la schiena
rigida dell’altro faceva troppo male a guardarsi.
È
perché ti ho voluto bene…
C’era un modo
corretto – e
possibilmente poco doloroso – per affrontare tutto quello?
“Ti ho mentito
solo da chi ho
preso il cognome.” Riprese Sören. “Mio
padre si chiamava Elias Prince, ed ha
sposato una Von Hohenheim, la sorella del padre di Thomas.”
“Quindi
siete… cugini?”
“Sì.”
Avrebbe creduto
più in una
parentela con Il Principe che con
Tom; non si somigliavano affatto, anzi, fisicamente sembravano giorno e
notte.
A
parte l’aria seria.
Presero delle scale. Erano
le
stesse che aveva fatto all’andava, di legno scuro. Non le
piacevano, ma si
rifiutò di avvicinarsi alla presenza, suo malgrado
rassicurante, del traditore.
“Non mi
credi?” Lily si
riscosse. Era una sua impressione, poi, o cominciava a fare caldo?
Sicuramente,
dato che il viso dell’altro era bagnato di sudore.
Quest’ultimo si frugò nella
tasca dell’uniforme e poi tirò fuori un anello,
porgendoglielo. Non era quello
che aveva indossato durante l’anno scolastico. Era diverso,
di metallo
completamente ossidato. Lo prese e se lo rigirò tra le dita,
inevitabilmente
curiosa. Raffigurava due mani stilizzate che stringevano una corona.
“È lo
stemma dei Prince.” Le spiegò. “Non ti
sarà difficile controllare in un libro
di araldica magica, una volta tornata a casa.”
“Se
tornerò a casa.”
“Tornerai a casa.
Sul mio
onore.” Replicò con perfetta, insopportabile
sicurezza.
Perché
così ci credo anch’io.
Glielo
tese indietro. “Non mi
interessa.” Disse brusca. Non poteva guardarlo negli occhi e
sarebbe stato
meglio non parlargli. Eppure non poteva, non quell’ultima
cosa.
Non
se vuoi sapere perché.
Doveva essere la botta in
testa a farle quell’effetto, perché
quell’ultima frase aveva avuto
l’intonazione e il tono di voce di sua nonna Lily.
Sören se lo
riprese. Sfiorarsi
le mani non avrebbe dovuto farla sentire come se qualcuno le avesse
violentemente preso a calci lo stomaco. Invece fu precisamente
così.
Che
diavolo. Quanto sono stupida? Quanto…
“Lily…”
Distolse lo sguardo e gli cacciò in mano quel maledetto
anello. “Smettila!” Le
veniva da piangere e non era giusto; la gente quando batteva la testa
perdeva
semplicemente i sensi, non sognava sua nonna morta da
quarant’anni che le
intimava di perdonare qualcuno di imperdonabile.
Facendolo
sembrare perfettamente sensato poi!
Sören non disse
niente, ed era
sicura che avrebbero ripreso quella lunga marcia agonica, quando si
fermò di botto.
Non ebbe il tempo di
chiedergli che gli fosse preso, perché un bagliore
improvviso comparve di
fronte ai loro occhi. Veniva dall’alto, ma era sempre
più luminoso, sempre più
caldo. Cominciò a tossire quando il fumo si
riversò su di loro come un banco di
nebbia degno del Devonshire. La sua reazione fu di rimanere instupidita
come
un’autentica idiota da manuale. Sören no. La prese
per un braccio e senza
troppi complimenti le premette il suo fazzoletto sul viso.
“Non respirare!” Le
intimò prima di essere scosso da un colpo di tosse. Lily
avrebbe voluto dirgli
che il consiglio valeva anche per lui, ma fu brutalmente spinta in un
angolo,
una rientranza che era stata scolpita per permettere una curva migliore
agli
scalini. Questo prima che un enorme, spaventoso, fottuto
muro di fuoco si abbattesse su di loro.
Gli
incendi esplodono?
Le venivano in mente le
frasi
più idiote nei momenti più sbagliati, era sempre
stato un suo difetto. Si coprì
il viso, rannicchiandosi istintivamente, ma non sentì
bruciare, non sentì
dolore né calore. Anzi.
Freddo?
Quando si
arrischiò ad aprire
gli occhi capì perché tutti i babbani che
conosceva facevano facce instupidite quando
produceva anche le magie più banali. Perché la
magia era eccezionale e lo era
ancora di più quando abitava il corpo di un mago oltre la
media. Si sentì una
babbana a confronto.
Il motivo per cui non erano
bruciati vivi dalla propagazione violenta del fuoco era semplice;
Sören aveva
eretto un muro di ghiaccio tra loro e le fiamme, talmente spesso che
non era
possibile vedervi attraverso. Gli ultimi fili di ghiaccio gli
scorrevano tra le
dita della mano.
Lily si strinse la bacchetta al petto, perché lei per essere
strega aveva
bisogno di un legno; ora si spiegava però perché
l’altro non aveva avuto
problemi a consegnargliela… non gli serviva!
Dannazione!
“…
Straordinario.” Le uscì
dalle labbra, e non era ciò che doveva dire viste le
contingenze e un
inspiegabile incendio in corso a pochi metri. Silenzio, era doveroso il
silenzio, ma …
Dannazione,
un muro, un intero muro di
ghiaccio a mani nude!
Sören si voltò battendo le palpebre,
stupito dalla sua reazione. Gli vide apparire
sulle labbra un sorriso, ma poi perse colore di colpo e si
accasciò a terra
come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.
E quello non era un buon
segno.
“Ren!”
****
La Passaporta contenuta
nello
Specchio delle Brame li aveva materializzati all’interno di
uno sgangherata rimessa
per le barche che evidentemente non veniva usata da decenni, a
giudicare dal
legno marcio e dalle imbarcazioni coperte da più strati di
ghiaccio e sporco.
La vera sorpresa era stata
però vedere cosa, o meglio chi,
contenessero le barche attraccate; due maghi e una strega male in
arnese,
legati e spogliati dei loro vestiti. Ron era stato il primo a suggerire
–
nascondendo una smorfia divertita – che Ted e i ragazzi
fossero passati di lì. Harry
aveva sposato a pieno l’ipotesi.
Hanno
rubato i vestiti ai Mercemaghi per infiltrarsi. Trucco
vecchio, ma sempre valido.
“Ho
mai detto quanto odio i viaggi con Passaporta?”
Disse poi Ron. “Certo, sempre meglio che viaggiare con quei
trabiccoli
infernali degli arei
babbani…”
“Aerei.” Lo corresse Harry distratto, mentre Nora
abbozzava un sorrisetto.
Sembrava che gli americani di errori simili fosse raro ne facessero.
“Dov’è il
castello?”
Nora indicò il
promontorio che
si ergeva coperto di pini e neve di fronte a loro. “Alza la
testa.”
Il castello dei Von Hohenheim, per quanto dovesse essere una residenza
secondaria, era enorme. Più piccolo di Hogwarts, aveva
comunque un’architettura
che lo rendeva altrettanto imponente. La pietra chiara e le guglie
scure lo
avrebbero reso un esempio piuttosto magnificente di stile germanico, ma
in sé vi
era qualcosa di lugubre, nonostante tutto il candore che imperversava,
trai
colori delle fondamenta e la neve.
Sembra
una bara … una bara bianca, come quella di
Silente.
Il paragone sorprese lui
stesso. Inspirò, poi fece un cenno agli altri due.
“Sbrighiamoci.”
Ron e Nora annuirono e misero mano alla bacchetta; non sapendo se vi
fossero
barriere magiche dovevano inevitabilmente risalire a piedi. Rischiare
di
Spaccarsi era l’ultima cosa di cui avevano bisogno.
Specie
perché siamo solo in tre. Maghi capaci, ma solo
in tre.
Avrebbe voluto avere la sua
vecchia squadra degli esordi a coprirgli le spalle; il gigante
Flannery, la
sveglia Stump e l’esperto Paulson. I tre ormai erano a capo
di altrettante
squadre Auror e in ogni caso, certamente, non poteva chieder loro di
venir lì
dall’Inghilterra.
Già
con quanto ci abbiamo messo noi… E con i guai
che ci
porterà a posteriori.
Ron stava parlottando con
l’americana e la sua espressione sconcertata era piuttosto
curiosa. “Cosa?”
Chiese inserendosi nella conversazione.
“Nora mi sta
dicendo che ha
contattato la Polizia Magica Tedesca.” Disse Ron, con la
tipica espressione
incerta che assumeva quando non sapeva se arrabbiarsi o piegarsi alla
ragionevolezza dell’evento.
“Dovevo
farlo.” Replicò la
strega con aria tranquilla. “Non possiamo arrestare nessuno.
Io non ne ho
l’autorità, in quanto agente di collegamento.
Posso seguire le indagini,
spostarmi all’interno del territorio magico europeo e posso
ovviamente agire in
mia difesa e in quella altrui, ma non posso effettuare arresti. E
neppure voi,
visto…”
“… visto che questa non è
l’Inghilterra. Giusto.” Sospirò Harry;
quando avevano
interrogato il factotum dei Luzhin
avevano in realtà fatto pesare
un’autorità che non avevano.
Per
fortuna non poteva saperlo…
Ma arrestare Von Hohenheim,
per quanto fosse un desiderio fortissimo, non era possibile.
“Se avesse agito
su suolo
britannico sarebbe stato vostro. Avrei voluto che foste voi.”
Ammise.
Harry si sentì un
idiota a
realizzarlo in quel momento. Aveva sempre pensato che sarebbe stato lui
a
sbattere il bastardo a Nurmengard.
Ma
già il fatto che si tratti di Nurmengard e non di
Azkaban avrebbe dovuto aprirmi gli occhi.
Se ci fosse stata Ginny, gli
avrebbe ironicamente fatto notare come il suo complesso da Salvatore
gli
facesse sempre credere di essere l’uomo della situazione
quando in realtà non
lo era da più di vent’anni.
“Siamo stati degli
idioti a
non realizzare…” Replicò. “Ma
tu lo sapevi da quando Von Hohenheim ha rapito
mia figlia. Però non hai detto nulla.”
Non era propriamente
un’accusa. Infatti la risposta di Nora non fu una
giustificazione. “Spesso non
si può scegliere con chi lavorare, Harry. Ormai ti sarai
reso conto anche tu
che entrambi condividiamo alcune visioni su cosa un funzionario di
polizia
dovrebbe fare. Incontrarvi per me, oltre ad un onore, è
stata una fortuna.”
Sorrise. “Come ti ho detto, non mi è mai
interessato sapere dove finirà Von
Hohenheim o chi lo arresterà. Quello che mi interessa
è vederlo sparire nelle
viscere di qualche prigione.” Sospirò poi.
“Spero sia lo stesso per te, perché
se vogliamo continuare a fare questo lavoro dovremo essere
spettatori.”
“Alla
fine.” Vide Ron ghignare
alle sue spalle con la coda dell’occhio. “Solo alla
fine però.”
Nora ricambiò il sorriso. “Mi trovi perfettamente
d’accordo.”
Risalirono il crinale in
silenzio. Dovevano mantenere fiato e concentrazione in vista di cosa
gli
aspettava finita la scalata.
Quello che trovarono li
lasciò
completamente basiti.
Trovarono i Mercemaghi che
si
erano aspettati e difatti estrassero le bacchette pronti allo scontro.
Erano
due dozzine e corsero loro incontro come un’orda.
Corsero loro incontro e poi
li
superarono. Parzialmente nascosti da un gruppo di arbusti che cingeva
il
fossato erano comunque visibili ad un occhio attento. Ma quegli uomini
non
stavano attaccando loro, fuggendo da qualcosa.
“Che miseriaccia
sta
succedendo…?” Mormorò Ron sbalordito.
“Non lo sapremo
finché non ne
fermeremo uno. E stanno scappando.” Harry uscì dal
goffo nascondiglio colpendo
– se ne vergognò un po’ – alle
spalle uno dei Mercemaghi con un incantesimo di
Pastoia.
A
mali estremi…
Quello cadde come folgorato
e
rotolò per qualche metro nella neve. I compagni non si
fermarono, né diedero
segno di aver notato l’attacco o il lampo di luce da esso
scaturito. Sembravano
totalmente concentrati nello scappare il più velocemente
possibile. Alcuni di
loro, notò Harry, nella rovinosa ritirata tossivano
violentemente.
Ma
cosa…
Con Nora e Ron si
avvicinò al
prigioniero di fortuna, immobilizzato in un’espressione di
sorpresa. Si
assicurò di averlo legato con un Impedimenta prima di
terminare l’altro
incantesimo. Rianimato, quello si mosse tra il sorpreso e il furioso,
prima di
guardarli in faccia e vomitare qualcosa in un idioma che Harry non
aveva mai
sentito.
“Che cavolo
blatera?” Esclamò
Ron. “Ehi, parla normale. Parla inglese!”
“Ronald, non siamo in Inghilterra, la nostra non è
la lingua madre qui.” Lo
riprese blandamente la creola, ma con un piglio decisamente alla
Hermione,
tanto che questo borbottò istintivamente.
“Incantesimo di
traduzione?”
Suggerì Harry con una punta di comprensione; né
lui né l’amico erano abituato a
scontrarsi con barriere linguistiche avendo sempre vissuto e lavorato
in una
nazione forte della propria lingua. Mai come in quel periodo avevano
fatto
tanta fatica a farsi capire.
“Credo sia
bulgaro, ma non
conosco una formula per la traduzione in inglese. Provo con il
tedesco.” Si
scusò Nora, prima di rivolgerglisi nella suddetta lingua.
Fortuna volle che il
Mercemago quello un po’ lo parlasse. Si scambiarono qualche
breve battuta, ed
Harry vide con sorpresa la donna impallidire.
Non
un buon segno. Non un buon segno affatto.
“Che sta
dicendo?” La incalzò
Ron che doveva aver notato la stessa cosa. “Che succede
Nora?”
La donna guardò
verso il
castello, poi verso di loro. “Dice che è scoppiato
un incendio.”
“Un
incendio?” Ron guardò
verso il castello. Immobile, silente, come un quadro babbano.
“Ma che stai
dicendo? Non c’è fumo, non ci sono fiamme!
Dovrebbe esserci almeno il fumo che
esce dalle finestre…”
“Gliel’ho detto. Dice che c’è
una barriera attorno alle mura che impedisce alla
gente di uscire ma, pare, anche alle cose. Fuoco compreso.”
Harry sapeva che
l’ultima cosa
che doveva fare era perdere la testa; anni, decenni prima, nelle grigie
elementari che aveva frequentato, aveva imparato una poesia che non
aveva
dimenticato neppure durante i suoi anni magici. Per quanto la
situazione fosse
inadatta, la pensò.
Se
riesci a conservare il controllo quando tutti
attorno a te lo perdono¹…
In fondo era quello il suo
maggior pregio, che sapeva di aver passato di peso a James, il suo
maggiore.
Vide le espressioni pallide, spaventate di Ron, ma anche della roccia
Nora,
perché il fuoco era un mostro che spaventava
l’umanità dall’alba dei tempi, che
fosse magica e babbana. Perché neanche la magia
più potente, di fronte al
fuoco, poteva aver sicurezza di riuscita e non di morte del mago.
E capì che come
al solito, era
l’unico che riusciva a pensare ancora. Non grandi pensieri,
non era Hermione e
non lo sarebbe mai stato.
Ma
pensieri efficaci.
“Se sono usciti,
c’è anche un’entrata.”
Disse dopo un lungo silenzio. “Chiedigli da dove sono
scappati. È da lì che
entreremo.”
****
Era come se il suo intero
corpo fosse stato paralizzato da un veleno a diffusione rapida.
Sören avrebbe
dovuto sapere
che utilizzare quel braccio avrebbe
avuto delle conseguenze; certo, lo sapeva, ma l’aveva
ignorato per l’urgenza di
portare Lilian fuori di lì. Di metterla in salvo ed
assolvere al suo compito.
Il
mio ultimo, forse…
Si sentiva le punte delle
dita
intorpidite, e quella sensazione stava propagandosi e pulsando in ogni
sua
fibra. Era ancora cosciente e per questo sapeva di essere paralizzato.
Se
dormissi…
La barriera sarebbe durata a
sufficienza per farla scappare, rifletté. Doveva solo
indicarle il modo per
uscire di lì.
“Sören!”
Sentì la voce dell’altra trascinarlo bruscamente
nella
realtà. Sentì come se gli avesse preso a calci la
mente, e forse Lily l’aveva
fatto sul serio, essendo LeNa.
Notò che gli si era inginocchiata a fianco, e lo scrollava
per la casacca
dell’uniforme. “Sören!”
Ripeté. “Cos’hai? Rispondimi!”
Era troppo difficile, lungo e doloroso da spiegare, e non
c’era tempo in ogni
caso. “La barriera…” Volse lo sguardo
verso il muro di ghiaccio. Cinque, forse
sei minuti. Forse anche meno. Non era mai stato molto bravo in quelle
stime. Erano
suo zio e Johannes che si preoccupavano di prendere le misure della sua
magia.
“… la barriera non durerà a lungo. Poi
arriverà il fuoco.” Chissà da cosa era
stata scatenato poi. “Stammi a sentire…”
Parlare in inglese era difficile
quando tutto era sfuocato. “Se torni indietro e finisci il
corridoio c’è
l’accesso … l’accesso per il passaggio
della servitù.”
La vide aggrottare le
sopracciglia come se non capisse. Eppure era certo di essersi espresso
in un
inglese corretto. “Che significa?” Gli fu chiesto.
“Il passaggio
della servitù
non dovrebbe essere stato raggiunto dall’incendio,
è dall’altra parte del
corridoio, da dove siamo venuti … Porta ad
un’altra ala del castello, e poi ad
un’uscita secondaria. Da lì potrai
scappare.”
“Perché parli al singolare?” Sembrava
furiosa, e davvero, non ne capiva il
perché. Gli aveva anche afferrato la casacca come se volesse
scrollarlo.
Sentiva le sue unghie premere contro la pelle. Non capiva. Le stava
offrendo
ciò che voleva, ciò che le aveva promesso. Forse
aveva paura di non farcela da
sola. Ma poteva. Era Lily.
“So di non stare
onorando la
mia promessa… ma non riesco…”
Sospirò. “Non riesco più a muovermi, mi
dispiace.”
“E quando quella
roba di
ghiaccio si scioglierà, ed io sarò via e tu non
potrai muoverti?” La domanda
era strana, perché c’era una sola risposta.
Sören non la disse perché non ce
n’era bisogno. Si limitò a rimanere in silenzio.
Lily era una ragazza
intelligente, avrebbe ca…
Lo schiaffo che gli
arrivò gli
fece bruciare la guancia come l’inferno stesso.
“Brutto
idiota!” Sören ci mise qualche attimo
prima di realizzare
che l’altra si stava faticosamente puntellando per tirarli
entrambi in piedi.
“Non azzardarti!”
“A fare… a fare cosa?” La guancia
bruciava e il mondo era di nuovo a fuoco. Il
dolore poteva essere anche buono, quindi.
“A
suicidarti!” Sbuffò
sonoramente prima di tirarlo su. Sören tentò di
aiutarla come poté. Le gambe
perlomeno aveva conservato un po’ di forza per non crollarle
completamente
addosso. “Se solo ti azzardi ad immolarti come il grande eroe
tragico che credi
di essere giuro che ti vengo a riprendere dall’Altra Parte
solo per ammazzarti
di nuovo!”
Non erano vere minacce di morte. Le conosceva bene e sapeva che non
avevano
quel tono e soprattutto non erano accompagnate da quella faccia. Lily
aveva l’espressione
concentrata, con le labbra ridotte ad una linea sottile e serrata.
Aveva gli
occhi lucidi.
Non voleva che piangesse,
non
ancora.
“Non voglio
immolarmi.” Cercò
di farle capire, anche se non aveva la minima idea di cosa volesse
dire. Forse
c’entrava con il sacrificarsi, ma non ne era sicuro.
Comunque, non capiva il
nesso. Lasciarlo lì ed andare avanti era la cosa
più razionale da fare.
Come
se Lily fosse una creatura razionale. È tutta
sentimenti, la conosci bene.
Data la situazione, lo
schiaffo e la rabbia dell’altra era quantomeno bizzarro che
si sentisse contento. Eppure era
quello il
sentimento che lo placcò improvviso come un centauro
bizzoso. “Ti rallenterò,
sono pesante e non auto-sufficiente.” Andava detto. Andava
spiegato. Lily forse
non sapeva cosa stava rischiando portandoselo dietro. “Non
sono più in grado di
proteggerti, piuttosto il contrario. Devi lasciarmi qui.”
“Morgana, non tentarmi…”
Ringhiò, e
fu
proprio un ringhio. Inquietante in bocca ad una ragazza che sembrava
capace di
dire solo cose graziose. “Ascoltami bene. Devi scontare i
casini che hai
combinato e … non
tutto quello che hai
fatto è stata colpa tua.” Esitò, poi
fece una smorfia. “Molto, ma non tutto.”
“Io…”
“Sta’ zitto!” Lo interruppe con veemenza,
cominciando a camminare. Anche
volendo non avrebbe potuto sciogliersi dalla stretta. Gli stringeva il
polso
con forza, passandosi l’altro
braccio
sulle spalle, quello innocuo; esili, eppure abbastanza tenaci da
reggere il suo
peso. “Ci manca solo che tu muoia.”
Borbottò. “Questo
sarebbe rovinarmi la vita.”
“Non
voglio…”
“Perché lo faresti.”
Continuò, ignorando il suo tentativo di inserirsi in
quello che sembrava un monologo. “Quindi vedi di uscire tutto
intero da questo
casino mostruoso.” Gli piantò gli occhi in faccia
e la contentezza fu spazzata
via dalla strana sensazione di disagio e aspettativa che aveva provato
molte
volte in sua presenza. Non era mai riuscita ad identificarla.
“Se vuoi farti
perdonare, devi vivere.”
Sören
percepì le sue dita
stringere la presa sulla spalla di Lily. Sembrava fragile, quella di
una
ragazzina, eppure aveva una forza straordinaria. Perché Lily
era straordinaria.
“Te lo prometto.” Mormorò. E lo
intendeva con tutto il cuore. Che sì, checché
ne dicessero suo zio e Johannes, ne aveva uno. Faceva male e poi
smetteva, e
poi faceva di nuovo male e così via.
Era averne uno, no?
Lily si morse le labbra.
“Bene,
fantastico.” Disse stringendo la presa contro la sua vita.
Era lì che teneva la
bacchetta. “Direzione, Ren. Dove dobbiamo andare?”
Sören non le fece notare che aveva ripreso ad utilizzare quel
nomignolo, che era
ormai diventato a lui così caro. Ingoiò il
sorriso perché in certe cose bisognava
stare molto attenti, l’aveva imparato.
“Da quella
parte.”
****
“Teddy, che
diavolo facciamo?”
“Professor Lupin!”
Ted si sentiva diviso in due come se qualcuno lo avesse tagliato in due
parti
esatte. Sapeva che doveva essere quello a prender le decisioni, che
Dominique e
Scorpius erano solo due ragazzi, e non doveva stare a loro il compito
di
abbandonare, coscientemente, Al e Thomas per cercare Lily.
Era proprio quello il punto;
come prendere la decisione giusta, se una decisione giusta non
c’era?
Guardò i due; Scorpius era pallido e tirato, e si voltava
continuamente
indietro. Guardava indietro e guardava lui. Era chiaro che fosse nella
sua
esatta situazione. Dominique invece aveva perso ogni espressione
giocosa per
sostituirla con una del tutto priva di emozioni, ovvero
la sua versione di preoccupazione.
“Dividiamoci.”
Propose la ragazza
con voce decisa. “Posso andare a cercare io i due secchioni
mentre voi andate a
prendere la rossa, nessun problema.”
Ted doveva prendere una decisione, in quanto professore, in quanto
adulto, in
quanto l’unico che poteva sopportarne le conseguenze. Non
avrebbe addossato un
peso simile a due ragazzini.
“No, nessuna
divisione.”
Replicò con tono forse eccessivamente duro, ma necessario
per farsi dar retta
dalla bionda testa platinata che aveva imparato a conoscere negli anni
provenzali
come una sorella minore. “Andremo tutti assieme. Da
Lily.”
“Ma Dursley e Mini-Potter…”
Tentò Scorpius incerto.
“Non ci hanno
separato, sono
loro ad aver scelto di prendere un’altra strada.”
Anche se parlò al plurale era
sicuro che la decisione fosse stato presa da uno solo dei due; Thomas.
E
da quando sono capaci di reggersi in piedi che Tom si
mette nei guai e Al lo segue per correggere i suoi maledetti errori.
Era frustrante, ma
inevitabile
come il fatto che il sole sorgesse ogni giorno. Aveva rinunciato a
capire il
rapporto che intercorreva tra quei due, anche se istintivamente ne
riconosceva
la forza. Niente avrebbe potuto separare Al da Tom. Quando aveva notato
l’assenza dei due, non lo aveva neanche sfiorato il pensiero
che non fossero
assieme.
E
questo la dice lunga…
Scorpius aggrottò
le
sopracciglia. “Intendi dire che se ne sono andati
spontaneamente?”
L’espressione che scaturì da quelle parole parlava
da sola.
Sì,
anche i Serpeverde possono essere dei cretini
patentati, Scorpius.
“Andiamo biondo,
da quando in
qua Tommy si imbarca in salvataggi all’altrui
persona?” Motteggiò Dominique
scrollando le spalle. “Era chiaro che non gliene fregasse un
tubo di salvare
Lils. È qui per qualche altro motivo tutto suo che a me non
interessa.” Si
strinse nelle spalle. “Il capo ha parlato. Andiamo a salvare
la rossa.”
Scorpius fece una smorfia.
“Mi
sento tanto tassorosso delle cause perse … senza offesa per
i presenti.” Gli
lanciò un’occhiata di scuse neppure troppo
convinta. “Ma se noi ci occupiamo
della Piccola Potter… Chi si occuperà di quei due
piantagrane?”
“Non ho detto che
non
torneremo a prenderli.” Replicò Ted con un
sospiro. “Ho detto solo che dobbiamo
avere delle priorità. Restare qui fermi non
aiuterà né loro né Lily.”
“Ben detto,
Teddy!” Esclamò
Dominique. “Muoviamo le chiappe? Che tra parentesi questa
puzza di fumo proprio
non mi piace.”
“Fumo?”
Ted si diede
dell’idiota per non aver notato prima la stimolazione di un
senso che, a dirla
tutta, aveva piuttosto sviluppato – eredità
lupesca, l’avrebbe chiamata Jamie. Troppo preso ad
usar cervello e
razionalità, come al solito, aveva dimenticato
l’istinto.
Era odore di fuoco, ma vi
era
anche qualcosa di marcio. Non Ardemonio, stimò con relativo
sollievo. Sarebbero
già morti tutti, data la velocità di propagazione
del suddetto.
Questo
non significa che non sia fuoco magico.
“Lo conosco
‘sto odore! Alla
Riserva non c’è cosa che non puzzi
così!”
Ted dalle parole di
Dominique
estrapolò la soluzione; era Fuoco Di Drago. Non vi era un
drago vero,
naturalmente, ma si potevano estrarre le pietre focaie presenti nella
gola di
tale creatura per farne inneschi per qualsiasi tipo di fuoco magico; da
quelli
d’artificio venduti ai Tiri Vispi ai temibili Fuochi
Ritardanti usati dalle
squadre di Tiratori Scelti per stanare i fuggitivi; questi ultimi i
Babbani li
avrebbero chiamate bombe.
“Merda!”
Esclamò Scorpius
sgranando gli occhi. “Non ditemi che c’è
anche
un incendio!”
“È
l’effetto di un Fuoco
Ritardante, Scorpius, riconosco l’odore.” Si
sentì in dovere di dirgli; la
distanza alunno-insegnante che intercorreva tra le mura scolastiche
lì non
poteva valere. E poi, quei due ragazzi gli avevano dimostrato testa e
cuore.
No, decisamente non poteva più trattarli come bambini.
“Hanno usato Fuoco di Drago come innesco?”
Dominique inarcò le sopracciglia.
“Allora siamo nella cacca. La velocità di
propagazione non è come quella
dell’Ardemonio, ma ci vuole più di qualche
secchiata d’acqua dalla bacchetta
per spegnerlo.” Proclamò serena.
Scorpius fece un sorriso
nervoso. “Merlino, ma che razza di sfiga scatenano i
Potter?” Era sempre più
pallido, ma Ted apprezzò il fatto che nonostante tutto non
avesse ancora perso
la testa. Che c’e n’era ben donde.
“Credo sia inutile
dirvi che se
c’è ancora una possibilità di
andarsene, è adesso ragazzi.” Spiegò
calmo, ma
senza infiorettare la cosa. “Siete entrambi in gamba.
Entrambi potete uscire
adesso, da soli.”
Scorpius e Dominique si guardarono, e fu questa a parlare.
“Certo Teddy.” Fece
una delle sue smorfie buffe. “Ti lasciamo tuuutto
da solo a salvare le chiappe della rossa e dei due secchioni.
Com’era la storia
che non dovevamo separarci?”
“Siamo con te, Professore.” Ghignò
Scorpius e non era
un titolo, pareva detto come un nomignolo. “Meglio un
Tassorosso che un
Grifondoro a prender decisioni. Pare che, statisticamente, portiate a
casa la
pelle più di frequente.”
Ted sorrise. Non c’erano bisogno di parole, quindi si
limitò ad una pacca
ciascuno. “Scorpius, solitamente quante vie
d’accesso ci sono alle segrete?”
Chiese poi.
Il ragazzo
aggrottò le
sopracciglia, meditabondo. “Almeno due.”
Stimò. “Quella normale e quella di
servizio, per i servitori o… carcerieri. Non ci piove che
sia così anche qui,
l’architettura è simile.”
“Siamo
vicini?” Incalzarlo con
le domande era un buon metodo per distrarlo. Scorpius infatti dava il
meglio di
sé quando veniva messo al centro dell’attenzione
di qualcuno, meglio se un
gruppo.
In
questo lui e Jamie sono due gocce d’acqua.
“Dovremo
esserci.” Fu la
pronta, lucida risposta. Malfoy indicò di fronte a
sé una rampa di scale che si
apriva nel vuoto e nel buio. Erano strette e nascoste parzialmente da
un arazzo
che vi pendeva mollemente sopra. La porta era aperta.
“Sì, è quello il
passaggio di servizio.”
Ted sentì odore
di umido,
salmastro, terra. Era la direzione giusta, gli suggeriva Il Lupo
– sì, chiamava
così quella parte di sé.
“Scendiamo. Ora.”
Non ci furono obiezioni.
Scesero velocemente le
scale,
con solo l’aiuto delle proprie bacchette. Ted, nonostante
avesse chiesto
silenzio, sentì i due ragazzi confabulare dietro di lui.
“In caso io muoia,
ed è
abbastanza probabile… Devo prima sapere una cosa. Capisci,
Weasley, proprio non
posso finire nella tomba e non saperlo.”
“Habla,
RaggioDiSole.”
“Ma tu e Violet siete…”
“Stiamo.” Fu la
tranquilla
proclamazione. Ted non poté fare a meno di esserne
meravigliato a sua volta; dopotutto
sorprendeva la scoperta che Dominique potesse avere una relazione di
coppia con
qualcuno.
Pensavo
neppure le interessassero, gli esseri umani.
“Assurdo!”
“Non dirlo a me!” Uno sghignazzo. “Per
essermi infilata in questo casino?
M’ammazzerà se tornerò viva.”
“Per favore, io ho una Rosie.
La mia
pallocchetta è assai brutale.”
“La tua
morde?”
Un breve silenzio
meditabondo
“… No, in effetti quello non lo fa.”
“Allora poche storie, ho vinto io.”
“Ragazzi…” Li riprese. Capiva
perché quei due scherzassero; non c’era medicina
migliore delle sciocchezze, per allentare la tensione. Tuttavia
abbassare la
guardia non era una buona idea. “Fate silenzio, potrebbero
esserci…” Si bloccò
perché quasi li avesse chiamati, arrivarono dei passi. Fece
cenno ai due di
fermarsi e quelli obbedirono all’istante smettendo
chiacchiere e sorrisi. Le
bacchette furono spente all’istante.
Poco dopo arrivò
il fioco lume
di una bacchetta. Un lumos tenue,
unico.
Una
sola bacchetta.
Il problema era che i passi
sembravano di due coppie di piedi. Trattenne il respiro, poi
batté la mano sul
braccio di Scorpius, immediatamente dietro. “Vado a vedere.
Restate qua.”
“No,
Profes…” Tentò quello, ma
scese prima che potesse dargli tempo di rispondere. Se i due
sconosciuti lo avessero
attaccato, Dominique e Scorpius sarebbero stati l’effetto
sorpresa.
Il bagliore fioco si faceva
sempre più vicino, brillante. Svoltato l’angolo
della tortuosa scala si
sarebbero trovati faccia a faccia. Inspirò e
chiamò a raccolta forza e
concentrazione; un altro scontro stava per arrivare.
Odio
la violenza. La odio.
Voler essere Auror come sua
madre era stata la scelta meno oculata della sua vita.
Fortuna
ho cambiato idea in tempo.
Levò la bacchetta
e lanciò il
Lumos più brillante che gli riuscì per accecare i
due in arrivo; un buon metodo
per neutralizzare senza far troppi danni.
Tutto si sarebbe aspettato
fuorché
la reazione conseguente.
“Che
diavolo!”
Era una voce femminile,
giovane e inglese che conosceva benissimo. Perché era la
voce di Lily Luna.
Sbalordito si
trovò di fronte
proprio la ragazza che erano venuti a salvare con tutti i pericoli del
caso.
Lily, con i capelli arruffati, l’uniforme sporca e ovviamente
abbacinata.
Lei e il ragazzo tedesco
sparito
nel nulla, Sören Luzhin. Ted notò solo in un
secondo momento che l’amica teneva
in piedi il ragazzo sostenendolo. Lo notò e poi si
sentì letteralmente
schiacciare contro il muro. Era stato il tedesco che, come un fulmine
lo aveva sbattuto
contro il muro; gli torse il polso per fargli cadere la bacchetta
mentre con
l’altra mano gli tolse aria stringendo alla gola. Presa
ineludibile.
Dannazione,
li ho accecati e non riescono a vedermi!
“Ren, che cavolo
sta succ… Non
vedo niente! Che stai facendo?!” Gridò Lily
strizzando gli occhi inutilmente.
Ted provò a parlare ma il maledetto ragazzino aveva tutta
l’intenzione di
strozzarlo.
Dann…
Pensare stava cominciando a
diventare difficile, dato che l’aria faticava ad arrivare al
cervello.
Vide un baluginare alle sue
spalle, e subito arrivarono Scorpius e Dominique, disattendendo
fortunatamente
ai suoi precedenti ordini.
“Lily?!”
Esclamò Scorpius
sgomento. Comprensibile; la scena che gli si era parata davanti doveva
essere
quantomeno sconcertante. “Professore! Ehi, lascialo
subito!” Esclamò subito
dopo, pronto a lanciarsi contro Luzhin per liberarlo dalla sua presa
mortifera.
No,
no, no! Fermi!
Qualunque fosse il motivo
della presenza di Luzhin, quel gioco di fraintendimenti stava per
scatenare un
disastro.
“Sören,
no!” Esclamò di colpo Lily.
“Fermati, è Scorpius, sono
amici!” Fece qualche passo incerto, inciampando a causa della
visuale ridotta.
“Basta!”
Quest’ultimo,
quasi Lily
avesse spento un interruttore, lasciò la presa e
scivolò dal lato opposto della
parete facendo un profondo sospiro. “Non vedo… non
potevo saperlo.” Mormorò.
“Scusa.”
“Sì,
neanche io, ma non è un
buon motivo per aggredire gente a caso!” Sbottò
con un insolita furia. Poi si
calmò, voltandosi nella loro direzione.
“Scorpius…?”
“Sì, e
Dominique. E Teddy.”
Recitò Dominique con lo sguardo che saettava dalla cugina al
tedesco,
concludendosi con lui. “Qualcuno mi spiega che diavolo sta
succedendo?”
Lily esitò,
strizzando ancora
una volta gli occhi. Li puntò su di lui, il che significava
che la visuale era
parzialmente ritornata. “Teddy?” Chiese infatti.
“Io… cioè. Stavo scappando?”
“E noi stavamo
venendo a
salvarti, Piccola Potter. Ma vedo che ti sei portata avanti con il
lavoro.” Si
inserì Scorpius. Lanciò uno sguardo eloquente e
battagliero a Luzhin. “Lui?”
Lily si morse un labbro. Ted
conosceva bene quel gesto; stava per eludere la conversazione.
“Lunga storia,
c’è un incendio, possiamo parlarne
do…”
“Sappiamo
dell’incendio.
Abbiamo tempo.” La interruppe; non era vero, ma dovevano
chiarire la posizione
del tedesco prima che uscissero fuori nuove svolte e sgradite sorprese.
“Che ci
fa qui?”
Allora
è vero che lavora per Von Hohenheim.
Lily guardò verso
Luzhin, poi
sospirò. “Non è davvero Luzhin
è… il nipote del padre di Tom. È
… è
complicato.” Scosse la testa, rassegnata all’idea
di non potersi spiegare.
“È cugino di Tom?” Scorpius
inarcò le sopracciglia. “Momento. Al
diavolo la parentela. Significa che è coinvolto
in questa storia?”
“Ti ha rapita
lui?” Dominique
aveva assunto un’espressione poco raccomandabile, a
differenza del suddetto
rapitore. A Ted bastò un’occhiata per capire che
Lily non lo stava sorreggendo
perché si era storto una caviglia. Era sudato, pallido e
allo stremo delle
forze. Doveva aver utilizzato le ultime energie per attaccarlo.
“Lily.”
La richiamò. Quella si
voltò verso di lui con un’espressione ansiosa.
“È vero? Ti ha rapita?”
“No!”
Esclamò. “Altrimenti
perché me lo starei portando dietro?” Chiese
retorica, prima di scuotere la
testa alle sue stesse parole. Sembrava più confusa di loro.
“Cioè… faceva parte
del piano, ma è stato John Doe, Sören mi ha tirata
fuori dalla cella in cui mi
avevano rinchiusa! Il padre di Tom voleva liberarsi di me, ma
lui…” Si morse di
nuovo il labbro. Se lo stava martoriando e non era da lei.
“Ho già detto che è
complicato?”
Ted guardò di
nuovo verso il
tedesco. Aveva lo sguardo piantato a terra e respirava male. Di certo
non
costituiva un pericolo più grande di un incendio o di una
dozzina di
Mercemaghi.
“Okay, fantastico.
Chissenefrega.” Tagliò corto Dominique,
prendendola per un braccio. “T’abbiamo
trovata, quindi leviamoci dalle scatole prima di morire arsi vivi. Mi
piacerebbe campare un altro paio d’anni. Ho cose grandiose da
fare, sì?”
“E di lui che ne
facciamo?”
Scorpius lo teneva sotto tiro, a cinque doverosi passi di distanza. Non
lo
biasimava; doveva aver visto l’espressione omicida che il
ragazzo aveva dipinto
in volto quando lo teneva per il collo.
Mi
avrebbe ucciso senza esitare se avesse Lily non
l’avesse fermato.
“Lo molliamo
qui!” Proclamò
Dominique. Non c’era da aspettarsi opinione diverse dalla
ragazza, che
giudicava in base ad una dicotomia perenne. In questo lei e James si
somigliavano come gemelli.
“Col
cavolo!” Lily si liberò
dalla presa della cugina e si frappose tra loro e il tedesco.
“Lo portiamo con
noi! Non è in grado di andarsene da solo, e scommetto che
neppure voi sapete
con precisione dov’è l’uscita! Ci
può dire come uscire, è casa sua!”
“Lily, è il nipote di Von Hohenheim, non possiamo
fidarci di lui su due piedi.”
Le spiegò con tutta la gentilezza che gli era rimasta. Non
era molta. “Capisco
che sia tuo amico…”
“Non è mio amico.” Era un tono
definitivo, freddo e risoluto. Così poco da Lily
che ne rimase colpito, e non in senso positivo. Non piangeva, ma era
pallida e
ferita. Quell’espressione Ted l’aveva
già vista addosso a persone che avevano
perso molto. Non avrebbe mai voluto vederla sul viso di una ragazzina
di
quindici anni. Specialmente sulla spensierata Lily Luna.
“Quello che ha
fatto, fingersi
un altro per avvicinarsi a noi è imperdonabile.”
Continuò senza guardarlo. Ted
vide però che il tedesco non guardava altri che lei.
“Ma non è stato lui a
rapirmi, né a cercare di uccidermi. Mi ha salvata. Conosce
la strada per uscire
di qui, e ci porterà fuori. Me l’ha
promesso.”
“Ti ha ingannato
per tipo un
anno e tu credi alle sue promesse?” Dominique
inarcò le sopracciglia. “Sul
serio, rossa, non ti facevo scema! Ci darà in pasto allo
zietto e tanti saluti!”
“Non lo
farò.” Era la voce del
ragazzo. Si rialzò in piedi e scostò gentilmente
Lily. Sembrava reggersi in
piedi per pura volontà, ma la voce era sicura. “Ho
promesso a Lilian di
portarla fuori di qui. Vi porterò tutti fuori di qui. Non le
chiedo e non vi
chiedo di fidarmi di me. Tuttavia, non avete scelta.”
“Posso
picchiarlo?” Borbottò
Dominique. “Sul serio, già non mi piaceva prima
… ma ora.”
Scorpius inspirò.
“Però ha
ragione.” Si strinse nelle spalle all’occhiataccia
dell’anglofrancese. “Stiamo
andando un po’ a caso. Fin’ora ho azzeccato la
planimetria, ma per uscire di
qui ci servirà qualcosa in più che la fortuna e
le similitudini con casa mia. ”
Ted come al solito
sentì il
dovere di prendere una decisione. Lily non aveva avuto parole gentili
per il
tedesco, eppure si era frapposta tra lui e Dominique e Scorpius, la
prima
cocciutamente – e ragionevolmente – impietosa e il
secondo equilibrista tra due
fazioni opposte come solo chi aveva sangue Malfoy poteva essere.
Non c’era tempo
per indagare
su cosa muovesse le decisioni dell’ultimogenita Potter,
né tantomeno su quelle
del suo improbabile protetto. In realtà c’era
tempo solo per prendere una
decisione. E dunque, la prese.
“Viene con
noi.” Decretò. “Lils,
sta’ con Scorpius e Domi. Di lui mi occuperò
io.”
Stavolta Lily non
protestò; si
mise trai due biondi facendo un lieve sorriso a Scorpius, che
ricambiò e le
passò un braccio attorno alle spalle con fare protettivo.
Ted si voltò
verso il falso
Luzhin. Questo non aveva smesso un momento di seguire i movimenti della
ragazza;
era come se avesse il terrore di perderla di vista. “Come
posso chiamarti?” Gli
chiese interrompendo la visuale.
“Sören.
È il mio vero nome.”
Lo disse come se non fosse la prima volta. Rassegnato.
“Voglio che ti sia
chiara una
cosa allora, Sören.” Fece in modo che lo guardasse
negli occhi. Non fu facile.
“Se avrò il sospetto che ci stai portando dalla
parte sbagliata sarò io stesso
a darti in pasto alle fiamme.” E non scherzava,
perché il suo buon cuore gli
poteva suggerire di salvare uno scagnozzo di Von Hohenheim, ma non di
tendergli
una mano se avesse dimostrato di non meritarsi quella
possibilità.
Il ragazzo annuì.
“Non mi
aspetto nient’altro.” Non chiese scusa,
né perdono. Non cercò un intercessione.
Non aveva neppure l’aria ansiosa del reo confesso che cercava
simpatia per
scampare ad una futura condanna. Stava lì ed attendeva una
sua reazione.
“È vero
che l’hai salvata?”
Chiese. Sciocco da parte sua forse, ma voleva sentire la risposta.
Sören distolse di
nuovo lo
sguardo da dove era Lily, oltre Scorpius e Dominique. Ted avrebbe
scommesso mille
Galeoni che avrebbe saputo trovarla anche in mezzo al buio e centinaia
di
persone. Era inquietante.
“È lei
che ha salvato me.”
Non aggiunse altro.
****
“Che stiamo
facendo qui?!”
Il ragazzino dai grandi
occhi
verdi oltre che carino era insopportabile e rumoroso come una batteria
di
coperchi che cadeva a terra.
Questo detto, il tipetto per
poco non era bruciato vivo, rimanendo fermo come un rincoglionito
mentre il
fuoco avanzava vorace. Non c’era di che stupirsene; gente non
abituata a vender
cara la pelle ogni giorno non era brava ad usare il cervello quando
andava nel
panico.
Lo aveva così
trascinato via,
tornando esattamente su suoi passi. Il fuoco – che era
scoppiato un fottuto
incendio, come a voler peggiorare ulteriormente le cose –
andava in alto, non
in basso, e c’era più possibilità di
scappare dai quartiere della servitù che
dalle vie canoniche.
Lo aveva spinto dentro la
cucina e aveva chiuso la porta con forza, prima di dirigersi verso la
sua
spoglia cameretta. Non avrebbe lasciato al fuoco l’unica cosa
che avesse
veramente valore per lui. Certo, si era allontanato per prendere la sua
meritata liquidazione, ma questo non voleva dire che non sarebbe
tornato per lui.
Tese le orecchie; il
silenzio
in cui era immerso il posto voleva dire che Etzel e moglie se
n’erano già
andati. Bene, gli avevano dato retta. Ora doveva solo raggiungerli
nella
foresta.
“Ehi, sto parlando
con te!
Perché mi hai portato qui?!”
L’inglese
arrabbiato era più
facile da capire che quello da conversazione. Occhi Verdi era pieno di
disappunto per non esser morto arso vivo, probabilmente.
Coglioncello.
Neanche un grazie, eh.
Senza una parola
sollevò il
materasso per prendere l’unico amore della sua vita. Il suo
violino. Controllò
che lo spago attorno alla frusta custodia di marocchino fosse integro.
Lo era.
Lo infilò dunque con tutta cura nella sacca.
“Cos’è
quello?!”
Cavolo,
ma non sta mai zitto?
Sbuffò a guance
piene,
voltandosi. “Violine.”
Spiegò
indicandolo. Forse utilizzando la radice latina, condivisa anche da un
anglosassone,
l’altro avrebbe capito.
“Meine Violine.”
“Eh?”
Sgranò gli occhi, sempre
con la bacchetta spianata. Forse pensava stesse nascondendo
un’arma babbana –
l’unica che in effetti avrebbe potuto utilizzare.
Milo fu così
costretto ad
aprire la custodia con uno scatto secco. “Violine.”
Ripeté indicandolo. “Es
ist nur ein
Violine!²”
L’altro
inspirò, distogliendo
lo sguardo ed arrossendo. Era buffo, gli si leggeva in faccia ogni
espressione.
“Va bene, scusa… pensavo…
beh.” Borbottò. “Ma che ci facciamo
qui?”
Milo fece una smorfia
frustrata. “Sicuro.” Stentò. “Qvesto
posto sicuro.” Aveva vissuto qualche anno a Berlino,
miscuglio infinito di
facce, persone, etnie e lingue, oltre che porto tollerante verso i
Maghinò.
Avendo dovuto rapportarsi con gente da ogni parte del Mondo Magico
aveva imparato
un po’ d’inglese. Abbastanza da capirlo –
e fingere di non saperlo fare – ma
non da parlarlo.
Il ragazzo si
guardò attorno.
“Okay, ho capito che vuoi uscire quanto voglio uscire io.
C’è un incendio. Ma
perché siamo tornati indietro?”
“Uscita grande kaputt.” Lo capì
perché impallidì di
brutto. “Altra. Altra uscita.”
Occhi Verdi si
mordicchiò il
labbro. Era definitivamente carino. Chissà in che sponda
pescava. Probabilmente
in quella dove sguazzavano maschietti par suo. Il che era giusto, dato
il
delizioso fondoschiena di cui era fornito.
Milo…
Ridacchiò di
sé stesso,
chiudendo la sacca e buttandosela in spalla.
“Andare?”
“Devi riportarmi
dov’ero
prima.” Lo ghiacciò. Non era sicuro di aver inteso
bene, e anche l’altro parve
intuirlo perché si ripeté. “Devi
portarmi dov’ero prima. C’è una persona
che ho
lasciato, una persona che non saprebbe che fare in un
incendio.”
“Sei pazzo?” Gli uscì di cuore, e anche
piuttosto correttamente. Gli insulti
erano la prima cosa che imparava in una lingua straniera. “Tu
muore!”
Occhi Verdi tentennò vistosamente, ma poi deglutì
con indomito e assolutamente
cretino coraggio. “Non me ne andrò senza di
lui.” Decretò.
Lui
chi? Chi se ne fotte! Affari tuoi!
Fece una smorfia, alzando le
mani. I patti erano portarlo fuori di lì, non imbarcarsi in
una missione
suicida per riportare indietro altra gente, probabilmente ormai oltre
la
barriera di fiamme. La bacchetta gli faceva paura, certo: ma gli faceva
molta
più paura il fuoco.
Il ragazzo parve capire il
ragionamento dietro il suo gesto. Lo vide con una certa sorpresa fare
un
sorriso che proprio non si addiceva a quella faccetta
d’angelo. Perché gli
angeli non ghignavano.
“Se non vieni con
me, io
morirò. E se morirò tu avrai lasciato morire uno
dei figli di Harry Potter.
Conosci Harry Potter? Mi chiamo Albus Severus e sono suo
figlio.”
Merda.
E chi
non conosceva il Salvatore dei
Due Mondi? Era il maledetto Che Guevara dei maghi.
Così
Bambi è un figlio d’arte. Grandioso.
Non che volesse poi dir
molto.
Fece una smorfia divertita. “Io e te soli. Se tu muore, io
non parla.” Replicò
sereno.
La risposta fu un
incantesimo
che lo prese in pieno petto. Non fu doloroso come si aspettava,
però, dato che
riuscì a rimanere in piedi. Era stato più che
altro uno spintone. Si premurò
comunque di guardarlo storto.
Se
non avessi la bacchetta ti prenderei a calci in
culo, maghetto!
L’altro non aveva
smesso di
sorridere però, il che era inquietante. “Sai che
ho appena fatto?” Gli chiese
scandendo bene le parole. “Ti ho colpito. Non preoccuparti,
è un incantesimo
leggero, l’avrei sentito anche tu.” Aggiunse.
“Ma la magia lascia tracce. E ora
chi ti troverà, e ti troveranno perché ci sono
già gli agenti di mio padre qua
fuori, saprà che hai avuto a che fare con me.”
Abbassò la bacchetta. “Ti ho
scritto il mio nome addosso. Sapranno tutti che sei l’ultima
persona con cui ho
avuto a che fare.”
Piccolo
figlio di puttana!
Essere colpevole della morte
di un rampollo dell’alta società magica non era un
buon biglietto di
presentazione per le teste di latta, che fossero tedesche o inglesi.
Certo, poteva
star bluffando, ma chi glielo assicurava? Anche se fosse scappato chi
gli
assicurava che le teste di latta di tutta Europa non gli avrebbero dato
la
caccia?
Dannazione!
Avrebbe voluto liberarsi di
lui, più di ogni altra cosa al mondo, ma non c’era
storia. Era fregato. Si
limitò a fissarlo in cagnesco. Perlomeno era stato
infinocchiato da un tipetto
astuto.
Magra
consolazione.
“Scommetto che
conosci un
passaggio sicuro per arrivare da Von Hohenheim. Un passaggio senza
fiamme,
intendo.”
Certo che lo conosceva, ma
non
era quello il punto.
Da
Von Hohenheim?
Lo guardò con
tanto d’occhi ma
l’altro non vacillò. “Fammi
strada.” Ripeté scostandosi dalla porta.
“Perché?”
Perlomeno doveva
sapere il motivo per cui rischiava la vita.
Occhi Verdi lo
fissò con
un’espressione indecifrabile. Ferma, avrebbe detto. E anche
rassegnata in un
certo senso. Gli si addiceva. “Perché devo andare
a prendere un idiota che non
sa badare a se stesso.”
Un
idiota che è andato a parlare con il padrone? Ma
quello, dato l’incendio, sarà già
scappato!
Glielo disse, ma la risposta
fu un gesto di diniego. “Saranno già assieme
adesso.”
Chi poteva essere il tipo da
salvare? Forse il tanto discusso figliol prodigo? Quel Thomas? Ne aveva
sentito
parlare da Etzel e Hilda, ma di certo non abbastanza per aver chiara la
situazione.
Non
che me ne freghi granché.
Sospirò.
“Pericoloso.” Disse
soltanto, ma l’altro parve non udirlo neppure. Gli fece di
nuovo cenno di
fargli strada.
Odio
i maghi.
Fece una smorfia e
uscì dalla
stanza.
****
“Vieni avanti,
Thomas.”
Uno studio. C’era luce, a differenza del resto del castello.
Luce dovuta ad un
grosso camino, ma comunque sufficiente per poter spegnere la bacchetta
e farsi
avanti senza dover inciampare rovinosamente nei propri piedi.
E poi, Alberich Von
Hohenheim.
Era seduto su una poltrona, non dietro uno scranno come la sua
immaginazione
l’aveva sempre dipinto. Una poltrona di broccato con di
fronte un’altra,
gemella. Tra di loro un tavolino, sgombro di tutto tranne una
scacchiera.
Tom provo irritazione
immediata a quella messinscena. Una partita a scacchi era
ciò che quell’uomo
credeva di aver vissuto fin’ora?
Gli
scacchi sono un gioco. Nessuno muore negli scacchi,
nessuno viene ucciso.
Strinse la bacchetta e
l’uomo
colse il gesto. Sorrise.
“Non ho intenzione
di duellare
con te.” Fece una breve pausa. “Siediti, ti
prego.”
Tom guardò la
sedia, poi la
porta alle sua spalle. Avrebbe potuto ucciderlo e andarsene.
L’effetto sorpresa
l’avrebbe aiutato.
Saresti
davvero in grado di uccidere, Tom?
Oh,
io sì. Ma tu? Saresti capace di ricominciare?
La voce dell’Altro
gli
solleticava le orecchie, ponendo quesiti ora più che mai.
Quesiti a cui, a
dirla tutta, non era poi così volenteroso di dar risposta.
Si sedette, appoggiandosi al morbido schienale. Si prese il tempo per
guardare
l’uomo che gli aveva tolto il sonno e la serenità
per quei lunghi diciotto
mesi.
Era come guardarsi allo
specchio; stessi lineamenti sottili, eppure volitivi. Stessi capelli,
benché
quelli dell’uomo fossero lunghi alla maniera dei Purosangue
di due generazioni
precedenti e più chiari. La barba era corta, curata. Le
vesti erano ricche,
probabilmente intessute a mano da esperti e laboriosi sarti.
Sarei
potuto essere così, se fossi vissuto qui?
Non si rispose,
perché era
molto più interessante notare come dietro l’aria
imponente, si nascondessero
degli indizi interessanti. Il volto infiacchito, le guance cascanti. Ma
erano
gli occhi ad essere rivelatori. C’era qualcosa che vi
bruciava dentro, e non
era un’emozione. Era un malessere che si propagava nelle
palpebre gonfie.
Era come vedersi ad uno
specchio, sì. Ma deformato.
L’ uomo con un
cenno della
mano fece apparire due bicchieri di cristallo e una bottiglia panciuta,
sigillata. “Ho passato il tuo esame, Thomas?” Gli
chiese con tono leggero,
palesando che aveva letto perfettamente le sue intenzioni.
“Non
c’è stato alcun esame.”
Replicò. “Cosa vuoi da me?”
Questo fece un breve
sorriso.
“Dritto al punto, vedo.” La bottiglia fu stappata
con uno schiocco. Magia senza
bacchetta. Semplice ma d’effetto.
Non
per me. Queste cose le sapevo già fare un anno fa,
prima del mio esilio a Rügen.
“Ho
fretta.” Replicò
osservando il liquido paglierino versarsi con un gorgoglio nel
bicchiere dal
suo lato. “E non ho sete.”
“Peccato. È un eccellente liquore importato dalle
Ardenne.” Lo verso per sé e
ne sorseggiò il contenuto. “Durante certi tipi di
conversazioni bere qualcosa è
un’etichetta non scritta. Sei maggiorenne, no? Puoi bere.
”
La voce era calma, rassicurante. Un certo timbro caldo la rendeva
affascinante.
Il genere di voce che parlando pacatamente riusciva ad animare intere
folle.
“Cosa
vuoi?” Ripeté senza
vacillare. Non se ne sarebbe andato senza delle risposte. Non se ne
sarebbe
andato senza averlo ucciso e tolto per sempre dalla sua vita come un
chirurgo
babbano asportava un cancro.
Per
cortesia, moccioso. Davvero credi di poter levare
la bacchetta e togliere una vita umana?
Cosa
ne penserebbe Albus?
Serrò le labbra.
L’uomo
sorrise ancora. Impossibile che sapesse cosa stava accadendo nella sua
testa,
eppure…
“Voglio vedere mio
figlio,
forse?”
“Non sono tuo figlio.”
Fece un cenno assertivo.
“Vero. Mio figlio è morto diciotto anni fa, la
notte in cui nacque. Permettimi
comunque di considerarti una mia creatura.”
Tom sentì un oppressivo peso al petto. Quello non poteva
contestarlo,
razionalmente. Non poteva contestare di aver avuto vita, una nuova
vita, per
mano del mago che gli stava davanti.
“Mi hai fatto
venire qui per
farti ringraziare?” Ritorse con un sorriso agro.
“Perché non lo farò. Non ti ho
chiesto io di farmi tornare.”
“Eppure sei qui.” Inarcò le
sopracciglia. “Respiri, possiedi la Magia, hai
fatto esperienze, conosciuto persone, ti sei legato ad altre. Stai
vivendo una
seconda possibilità.” Bevve un altro sorso leggero
e posò il calice sul
tavolino, accanto ai suoi pedoni neri. “Non dirmi che questo
ti dispiace.”
Non poté
ribattere, non quella
volta.
“Lo
immaginavo.” Continuò.
“Non fraintendermi, non cerco gratitudine. Mi sono rassegnato
da tempo ad aver
persone ingrate attorno a me.” Si passò un dito
sulle labbra, meditabondo. “Era
tutto per arrivare a questo, Thomas. Per arrivare a
noi. Che ti piaccia o meno, il tuo sangue appartiene ai Von
Hohenheim.”
Tom serrò le dita
sui
braccioli di stoffa. Sentiva l’Altro urlare nella sua testa,
e la sua bacchetta
chiamarlo.
“Il mio sangue
appartiene a
me.” Ribatté. “Della gente è
morta per questo grandioso
momento.” Motteggiò feroce. “Della gente
che amo è stata
ferita per colpa tua… solo per parlarmi?”
L’uomo non rispose
subito. Si
limitò ad appoggiarsi sullo schienale. “Avresti
accettato un invito formale via
Gufo in cui ti spiegavo chi ero e cosa volevo?”
Cosa…?
Von Hohenheim fece un cenno
dismissivo, come se si scusasse della frase precedente. “Sai
bene chi sono. Sai
bene che patetici fattucchieri con poca immaginazione mi cercano per
tutto il
globo. Il nostro incontro non avrebbe potuto avere luogo in altro modo
che
così. Né il tuo padrino né altri lo
avrebbero permesso. Tu stesso … ti saresti
fidato, forse? Ti hanno cresciuto per cercare approvazione e regole da
altre
persone. Questo ti ha reso debole. Manipolabile. Sia da loro, che da
me.”
Tom si trattene dal saltare
in
piedi ed attaccarlo; la furia che gli era divampata nel petto non era
facile da
trattenere ma aveva delle domande. Domande a cui voleva una risposta,
domande che
fino a quel momento non aveva fatto neppure a sé stesso.
Von Hohenheim, almeno per il
momento, gli serviva vivo.
“Rapire la figlia
di Harry
Potter per portarmi qui… Decisamente un metodo valido. Senza
conseguenze,
soprattutto.” Sibilò afferrando il suo bicchiere,
e giocando a far rilucere i
riflessi. Non bevve però; bottiglia sigillata o meno, la sua
paranoia
galoppante gli aveva sempre salvato la pelle.
“Sei qui
adesso.”
“Qui assieme ad altre persone, con il mio padrino in arrivo.
Perché arriverà.”
L’uomo sorrise.
Non vi era
calore in quella esternazione. “Nutri molta fiducia in
lui.”
“Mi ha salvato.” E non disse altro, anche se frasi
intere, immagini, verità
intercorsero in quel breve instante.
E
mi ha combattuto e ucciso, una volta.
“Certamente.”
Replicò Von
Hohenheim. “Comunque è già
qui.”
Harry…?
La sua espressione dovette
essere di pura meraviglia e speranza, perché la vide
riflessa nel sarcasmo di
cui si tinse il volto dell’altro.
“Sei un ragazzo,
Thomas. Ti
affidi ancora così tanto agli adulti?”
Tom sentì
Voldemort – le cose
andavano chiamate con il loro nome -
urlargli di nuovo nella testa.
Chiedigli
ciò che abbiamo bisogno di sapere, e poi
uccidilo!
Non
te ne libererai mai se non lo uccidi. Non saremo
mai liberi dall’idea che quest’uomo ci ha dato la
vita e può anche darci la
morte.
La
soluzione finale è la morte!
“Sono
un esperimento.” Disse piantando
gli occhi sulla scacchiera. Era una partita già iniziata, e
in stadio avanzato.
Ben giocata, da mani esperte, per quello che poteva vedere e
comprendere. “Un
esperimento alchemico, mi disse John Doe.”
“Cosa vuoi
sapere?” Lo
anticipò lo stregone. “Se sei umano?”
Tom non rispose. Si stava
imponendo di guardarlo negli occhi, ma era difficile. Era come fissare
una
voragine infinita, come fissare il suo abisso personale e vederci
dentro tutto
ciò che lo teneva sveglio la notte, che solo la presenza di
Al il suo abbraccio
riuscivano a lenire. E non sempre.
I
morti, l’oscurità, l’anima spezzata.
Sette volte.
Sette volte.
Sette
peccati. Quale mancava al tuo appello? Nessuno,
vero?
Distolse lo sguardo e lo
abbassò sulle mani. Tremavano. Impercettibilmente, ma
tremavano.
Non
importa quello che ti ha detto Al, quello che ti ha
assicurato Harry. Non avresti dovuto avere una seconda
possibilità.
Non
te la meriti.
Quell’uomo,
versione distorta
di una parte di sé, del suo sangue, gli stava mettendo di
fronte le sue più
grandi paure.
“Il tuo corpo lo
è. La tua
anima lo è stata.” Osservò la voce di
Hohenheim, lontana, eppure gli sembrava
gli parlasse all’orecchio. Da una parte Voldemort,
dall’altra suo padre. Decisamente
disagiante. “Ma come hai detto tu, sei un
esperimento… un prototipo, se mi
passi il termine.” Fece una breve pausa. “Non so
cosa ne sarà di te.”
Era sincero. Era sincero proprio perché, se ne accorse in
quel momento, aveva
già bevuto due bicchieri. Due bicchieri pieni, e
nell’aria vi era un aroma che
prima non aveva percepito a pieno. Lo catalogò e riconobbe.
Era odore di
infermeria, di erbe officinali, di San Mungo. C’era odore di
pozioni.
Il fuoco scoppiettava e
illuminava il viso di Alberich Von Hohenheim. Un viso scarno,
giallastro.
Malato.
Sembrava davvero leggergli
la
mente, perché annuì, quasi avesse risposto ad una
sua domanda silenziosa. “A
tua differenza, Thomas, io conosco sin troppo bene ciò che
mi riserverà il
futuro. Un futuro immediato, oserei dire.”
“Stai
morendo.” Non ci voleva
un genio per fare due più due. Neppure per realizzare che
aveva di fronte un
uomo già condannato a morte. Forse era per questo che aveva
messo in piedi quel
teatrino degli orrori? Perché l’incombere della
morte l’aveva portato a non
aver nulla da perdere o remore morali o razionali da rispettare?
“È per
questo che mi hai
voluto qui? Che ti sei fatto terra bruciata attorno?” Si
guardò attorno. “Non
hai nessuno. Neppure il tirapiedi che mi hai spedito l’anno
scorso. Sei solo.” Era
l’altro ad essere debole, non
lui.
Mai.
Alberich fece un cenno
evasivo.
“Pedine. Non ho pianto certo la loro perdita. Era necessaria
per arrivare qui, a
questo momento. In fondo, alla fine del gioco non restano poi molti
pezzi sulla
scacchiera. Restano i Re.”
Era pazzo. O forse no. Tom
non
poteva dire di conoscere il confine labile tra sanità e
follia. Forse non c’era
neppure, perché aveva avuto riprova che la ragionevolezza
era cosa grandemente
sopravvalutata.
“Non rimangono
solo i Re, non
si conclude una partita così.” Replicò
con un puntiglio forse infantile. Ignorò
il sorrisetto dell’altro.
“Cosa vuoi da
me?” Gli
sembrava di ripeterlo all’infinito. Perché forse
era quella la vera domanda. La
domanda.
L’uomo
posò il bicchiere, e
poi si tolse la bacchetta dalla cintura. Tom si mise immediatamente in
allarme,
prima di vederlo posarla di fronte a sé. Rivolta a
sé dalla parte del manico.
Cosa
diavolo…?
“La stessa cosa
che vuoi tu,
Thomas.” La spinse nella sua direzione. “Che tu mi
uccida.”
****
Entrati si resero conto di
quanto l’incendio fosse vero.
Una cortina di fumo li fece
immediatamente arretrare. Harry si tamponò il viso con un
risvolto del
mantello, mentre sentiva gli occhi lacrimare violentemente dietro gli
occhiali.
“Moriremo
soffocati se
facciamo qualche altro metro!” Tossì Ron,
coprendosi naso e bocca con la manica
della divisa.
Riflettè
velocemente. “Nora!” Esclamò.
C’era sempre bisogno dell’elemento erudito nel
gruppo. E né lui né Ron avevano
mai risposto al requisito. “Pensi che possa andare qualcosa
come un incantesimo
Testabolla?”
La creola afferrò
il taccuino
e vi scribacchiò qualcosa, lanciandoglielo poi.
“Prova questa formula, dovrebbe
funzionare anche fuori dall’acqua!”
Harry la lesse con gli occhi
che bruciavano come tizzoni e poi la eseguì. Una patina
gialla gli offuscò la
visuale ma al tempo stesso riprese a respirare. Passò il
taccuino a Ron, e in
pochi attimi furono tutti e tre in grado di avere aria pulita nei
polmoni.
L’amico
toccò la sostanza
solida e giallastra che avvolgeva la sua testa come un palloncino e,
assicuratosi che non sarebbe scoppiata, fece un sospiro sollevato.
“Okay, da
che parte ora?”
In quel momento sentirono
dei forti
rumori provenire alla loro sinistra, verso una serie di scale che
scendevano.
Qualcuno però stava salendo. Un gruppo di persone che
camminava allo stremo
delle forze, a giudicare dai passi incerti e faticosi. Harry fece cenno
di
fermarsi e portare le bacchette alla mano. Potevano essere Mercemaghi
che
tentavano di scappare. Li avrebbero aiutati, ma non disarmati.
Scese la prima rampa di
scale.
Corse, quando si accorse chi era il capofila.
Sua figlia. I suoi capelli
rosso tiziano erano troppo peculiari per essere scambiati con quelli di
qualcun
altro.
“Lily!”
Esclamò, ma evidentemente l’incantesimo Testabolla
modificato non gli permetteva di farsi udire. La ragazzina
però lo vide e
sgranò gli occhi.
Si strappò il
pezzo di stoffa
che si era legata attorno al viso.
“Papà!” Harry vide che subito dietro
spuntava Malfoy, talmente sporco di fuliggine da avere i capelli scuri.
La
spingeva in alto, tentando di non crollare al tempo stesso. Prese in
braccio
sua figlia, afferrando il ragazzo. “Ron!”
Urlò senza successo. Fortuna voleva che il fido compagno
fosse subito dietro di
lui; afferrò il giovane Malfoy da sotto le ascelle e se lo
caricò sulle spalle.
Dietro vi erano altre tre
persone. Dominique, la quale sembrava stare meglio degli altri
– i geni Veela o
le sue ripetute estati in mezzo a draghi sputa fuoco dovevano aver
aiutato – e
infine Ted, che portava sulle spalle…
Sören
Von Hohenheim?
Il figlioccio era un bagno
di
sudore e i capelli avevano perso ogni colore, metà per il
fumo e l’altra metà
sicuramente per la spossatezza. Non riuscì a dire nulla, ma
lo sguardo fu più
che eloquente.
No,
dannazione, non mi devi chiedere scusa Teddy.
Ma
dove sono Al e Tom?
Mancavano
all’appello, questo
era il fatto.
Fu Nora a soccorrere il
giovane, dividendo il peso del tedesco con lui. “Fuori di
qui, subito!” Gridò a
voce alta e chiara. Ovvio che l’americana conoscesse il modo
per farsi sentire
oltre la bolla.
Fecero a ritroso la strada
in
fretta e furia e nel cortile si tolsero l’incantesimo, mentre
i ragazzi
tossivano e crollavano a terra in più gradi di debolezza.
Dominique si stese a pelle
d’orso sulla neve, chiudendo gli occhi. “Per tutte
le palle di drago.” Sussurrò
con voce arrochita. “Ed io che pensavo di voler fare un
mestiere fuori di
testa. Forse dovrei candidarmi per l’Accademia Auror o
giù di lì. Perché questa
roba è stata veramente
fuori di
testa.”
Scorpius ridacchiò, passandosi sul viso la pezza con cui si
era protetto fino a
quel momento per togliersi lo sporco che lo imbrattava. “Ti
passo il modulo per
la domanda d’ammissione allora.”
“Grazie biondo, ma preferisco vivere.”
Harry posò a
terra Lily, che
si guardò attorno spaesata. La luce pomeridiana che
rifletteva la neve doveva
abbacinarla da come strizzò gli occhi.
“Papà…” Disse e non
riuscì a dire altro
prima di stringerlo forte e scoppiare a piangere. Harry la
abbracciò di rimando
mentre tra i singhiozzi la sentì scusarsi infinite volte.
“È
tutto a posto, streghetta,
va tutto bene…” Borbottò impacciato,
perché poteva anche essere l’uomo che
salvava la situazione – e in quel caso lo era stato solo
grazie a forti aiuti
dall’esterno – ma con le parole non sarebbe mai
stato bravo. A parte quando
doveva pronunciarle per fare il suo lavoro. “Lily, dove sono
Al e Tom?”
Non
ditemi che l’hanno fatto ancora.
Teddy perse il poco colore
che
i suoi capelli avevano riacquistato. “A quanto pare il fuoco
si è propagato
molto più velocemente di quanto pensassimo.”
Abbassò lo sguardo. “Al e Tom
…”
“Dursley ha deciso che aveva di meglio da fare e Albus
l’ha seguito. Sono
andati da Von Hohenheim, per quanto ne abbiamo capito.”
Terminò per lui
Scorpius, accettando grato una delle borracce che Nora aveva fatto
apparire per
tutti.
Ron, vicino a lui,
spalancò la
bocca. “Quel piccolo coglione!”
“Non posso che darle ragione.” Replicò
Scorpius con una smorfia. “Volevamo
andarli a cercare, ma l’incendio… beh, ha reso le
cose un po’ difficili.”
“Non c’è bisogno che ti giustifichi
ragazzo!” Esplose Ron in un singolare
anelito di empatia verso il biondo, tanto che questo lo
guardò sbalordito.
“Giuro che prendo a calci il sedere quel coglioncello non
appena ce l’ho tra le
mani!”
Harry, senza sciogliere
dall’abbraccio Lily, guardò verso il castello, e
poi verso i tre ragazzi. “Da
che parte?”
“Ah,
boh.” Borbottò Dominique
trangugiando acqua come se fosse Elisir di Lunga Vita.
“Chiedilo al
mangiapatate zio, è lui il signorotto del
castello.”
Harry guardò in
direzione del
tedesco che se ne stava seduto come gli altri bevendo dalla bottiglia
che gli
era stata assegnata. Non aveva aperto bocca e fissava la pietra del
selciato
come a volervi scomparire. Represse l’impulso di prendere la
bacchetta e
maledirlo. “Tu.” Lo apostrofò e questo
alzò immediatamente la testa. “Dove si
trova tuo zio?”
Sentì Lily
irrigidirsi nel suo
abbraccio. “È nel suo studio. È
sicuramente lì.” Mormorò il ragazzo.
“Posso
portarvici.”
Stavolta Lily si mosse e
Harry
sciolse la presa capendo le sue intenzioni. “Papà,
non può.” Disse a bassa
voce, guardando ovunque tranne che in direzione del giovane Von
Hohenheim. “Ha
perso quasi tutta la sua magia e non si regge in piedi. Se lo riporti
là dentro
morirà.”
Harry stava per obbiettare
che
poco gli importava di quello spregevole ragazzino, ma qualcosa nello
sguardo di
sua figlia gli fece morire le parole in gola. Per qualche ragione che
non comprendeva,
Lily lo stava ancora proteggendo. “Lily…”
“Noi non siamo come loro.” Lo fermò.
“Noi siamo migliori. Dovrà pagare per
ciò
che ha fatto, ma non così.” Deglutì e
si asciugò l’ennesima lacrima facendogli
stringere il cuore e ribollire il sangue di rabbia. “Non
così, papà, ti prego.”
Dovette annuire. Sua figlia aveva ragione, e ringraziava Merlino che
glielo
avesse ricordato prima di commettere un grave errore dovuto alla furia
che
provava. Non era un giustiziere, era un maledetto Auror. “No,
tu resterai qui.”
Disse al tedesco. “Dicci solo come arrivarci.”
Sören
annuì. “Non posso
assicurarvi che la strada sia libera però.”
“Non preoccuparti.” Si guardò con Ron
che annuì deciso. “A quello pensiamo
noi.”
****
Il ragazzo lo stava guidando
per dedali infiniti. Ma erano ancora vivi, il che, supponeva, fosse
già molto
considerando il fumo che tossivano ad ogni piè sospinto.
Albus aveva strappato
un pezzo del mantello che aveva poi gettato via – troppo
pesante, troppo caldo
– e se l’era legato al viso. Ne aveva fatto uno
uguale per il Magonò che non
aveva neppure ringraziato.
Beh,
lo stai obbligando ad andare incontro alle fiamme,
chiaro non sia dell’umore.
Appena aveva capito che Tom
era tra loro e il fuoco non aveva esitato un istante; non avrebbe mai
abbandonato
quell’idiota a sé stesso ora che aveva una guida
capace di eludere barriere
magiche e fiamme. Non l’avrebbe lasciato a confrontarsi con i
demoni interiori
che sicuramente l’incontro con Alberich Von Hohenheim gli
avrebbe scatenato.
Sono
stato costretto ad andarmene. Esser costretti non
significa rinunciare.
Era terrorizzato, sapeva di
star facendo una cosa stupida, ma non aveva importanza. Uscire di
lì senza Tom
sarebbe stato inutile.
Tanto
vale che mi butti dalla scogliera.
Perché poco da
fare, non
poteva sopravvivere se l’altro non viveva. Accanto a lui,
possibilmente. Vita
natural durante, ancora meglio.
Tutto
questo è molto Grifondoro, Signor Potter.
Sorrise appena; in fondo,
certe eredità non si potevano eludere per la decisione di un
cappello male in
arnese.
Milo premette
l’ennesimo
mattone dell’ennesimo anonimo muro. Si aprì
l’ennesimo passaggio segreto. Tossì
e gli fece cenno sbrigativo di passare. Al obbedì. Fece
appena in tempo a
vedere una lingua di fiamme investirlo che fu afferrato da sotto le
ascelle
come una specie di cucciolo di gatto e tirato indietro, mentre il
Magonò
calciava il mattone richiudendo il passaggio tra sbuffi di fiamme e
fumo.
“Scheisse!”
Sbottò coloritamente, perché quello era un
insulto di
sicuro. Ricordava di averlo sentito pronunciare da Meike e il
conseguente
rimbrotto di Tom. “Passaggio kaputt!”
“Ho notato…” Mormorò
controllando di non aver preso fuoco. Sarebbe stato
spiacevole. Fortuna voleva che conoscesse un paio di incantesimi
ignifughi,
insegnatigli da nonna Molly per evitare scottature durante i pomeriggi
estivi
passati ad imparare a cucinare alla Tana. Non l’avrebbero
salvato da un
incendio aperto, ma avevano tenuto per qualche fiamme ribelle.
Diversamente però
era andata
all’altro ragazzo che si guardava le mani con una smorfia
dolorante. A
giudicare dalla puzza dove esserglisi bruciata le peluria degli
avambracci e le
mani stesse non erano in condizioni migliori. Gli si
avvicinò sollecito, ma lo
vide ritrarsi di scatto, fissando la bacchetta. Sospirò:
evidentemente non si
fidava dei maghi, e a giudicare dalle cicatrici che gli vedeva sulle
braccia, notabili
ma vecchie, ne aveva ben donde. Quel tipo di cicatrici erano il
risultato di
fatture.
Non
si fida eppure mi ha salvato la pelle. Certo, può
averlo fatto per non dover spiegare come sono morto,
però…
Non esisteva solo il bianco
e
il nero al mondo. Quel ragazzo non era un complice di Von Hohenheim,
era un suo
servitore. E probabilmente una vittima. “Non voglio farti
male, voglio curarti.
Studio Medimagia.” Spiegò gentile, inventando ma
neppure troppo. Dopotutto
stava davvero studiando – con molta
calma – per il concorso che si sarebbe tenuto
l’anno dopo.
Merlino,
ora come ora sembra impossibile sedermi in un
aula per fare un test.
Mostrò al
Magonò la sua
migliore faccia innocente, e quello fece una smorfia, facendo cenno di
procedere.
Okay.
Magonò. Significa che la maggior parte degli
incantesimi curativi su di lui non ha effetto.
Puntò la
bacchetta in
direzione delle mani tese.
Proviamo
l’Incantesimo a Fattore Rigenerante. Non
funzionerà come per un mago, ma almeno gli darà
un po’ di sollievo.
Sorrise quando vide
l’altro
spalancare gli occhi di fronte al fatto che le sue mani avevano di
nuovo pelle
sana, anche se leggermente scottata. Doveva però essere un
dolore sopportabile
a giudicare dal distendersi dei lineamenti. “Dovrai comunque
farti curare, era
una brutta scottatura.” Lo informò un
po’ a caso, dato che non era capito.
L’altro con sua
somma sorpresa
annuì. “Vielen danke.”
Gli fece
cenno. “Di qua.”
“Allora mi capisci!”
Gli venne servito un ghignetto che rispondeva ampiamente alla sua
domanda.
Merlino,
possibile che ho a che fare solo con ragazzi
stronzi? Ho un’attira-stronzi in tasca?!
Sbuffò seguendolo
di rimando.
Non fecero che pochi passi che un’enorme esplosione li
gettò a terra.
Al, tra il dolore e la
sorpresa, capì immediatamente che si trattava del passaggio
che Milo aveva
richiuso prima.
Abbiamo
costretto l’incendio, ma l’incendio non
può
essere costretto. Esplode!
Si sentì tirare
su di peso
dall’altro. “Corri!” Gli urlò
in inglese strattonandolo. Il fuoco stava
ruggendo alle loro spalle. Albus si tirò in piedi e
scattò via con tutte le sue
forze.
Ci
raggiungerà! Dannazione, siamo un corridoio senza
finestre, senza sbocchi, è incanalato!
Milo si gettò
sulla porta alla
fine del corridoio, ma con orrore si accorsero che era sbarrata. Al
tentò un Alohomora ma
non si mosse di un
millimetro.
Il fuoco stava arrivando e
dunque tentò il tutto per tutto. La bacchetta
sputò un getto d’acqua violento che
si abbatté contro il fuoco facendolo dissolvere in una nube
di vapore. Ma lo
stava confinando, non estinguendo.
Che
razza di fuoco è?!
“Apri quella
porta!” Intimò al
ragazzo. “Devi aprirla o moriremo!”
L’altro si chinò sulla serratura, estraendo dalla
sacca qualcosa di
tremendamente simile ad un kit da scasso. Si mise al lavoro, mentre Al
si
voltava per concentrarsi sull’incantesimo. Era fradicio, la
bacchetta era
bollente e al di là della cortina di vapore acqueo sentiva
il fuoco bruciare.
Non
posso morire così, non posso!
Eppure sentiva venir meno le
forze, la testa girare. Non era abituato ad usare tutta quella magia,
specialmente in così poco tempo. Era stanco, talmente stanco
che sapeva che
ancora pochi attimi e il getto si sarebbe estinto.
“Sbrigati!”
L’altro si voltò,
pallido in volto, e poi riprese la sua opera di scasso. Non funzionava,
forse
c’era una barriera simile a quella che aveva diviso lui e
Tom.
Sentì
letteralmente la magia finire e
chiuse gli occhi.
Merda.
E poi qualcuno lo
afferrò per
la cintura dei pantaloni e lo strattonò indietro. Il
Magonò forse, ma era tutto
inutile, la porta non si apriva e…
“Albus!”
Aveva
le allucinazioni? Perché non
poteva essere suo padre a chiamarlo. Poi di colpo sentì
vento fresco tutto
attorno a sé. Spalancò gli occhi e vide suo padre
e zio Ron circondare lui e Milo
a bacchette spianate. Il fresco era dovuto ai getti ghiacciati
provenienti
dalle loro bacchette; le fiamme vennero congelate.
“Papà!”
Esclamò voltandosi. Sentì le braccia del genitore
avvolgerlo,
e strinse con forza di rimando. Un singhiozzo violento gli
squassò il petto e non
gli importò che questo lo facesse regredire
all’età di cinque anni.
C’era suo padre.
“Albie…”
Si sentì accarezzare
i capelli come un bambino. Ma andava bene, persino
l’infamante nomignolo. Alzò
il viso e c’era davvero suo padre, i suoi occhiali fuori moda
e il viso e duro
e deciso dell’eroe. Perché lo era davvero, al
diavolo la facile ironia. Era il suo
eroe. “È tutto a posto adesso. Come
stai?”
Papà
… l’unico
uomo a sentirsi in imbarazzo dopo che ti ha salvato la
pelle.
“Bene.
Adesso.” Gli fece eco,
sorridendo all’altro mago. “Grazie… non
ce la stavamo cavando granché.” Se
c’era suo padre forse voleva dire che molto di quel casino
era stato risolto.
“Lily?”
“Lily e gli altri sono già fuori. Con loro
è rimasta Nora, te la ricordi?” Annuì.
Fu davvero la più bella notizia che potessero dargli, date
le circostanze. Lily
era salva; l’obbiettivo principale di quella missione suicida
era riuscito
anche senza di lui.
“È stato un caso trovarti, ti abbiamo sentito
urlare. A proposito, lui chi è?”
Chiese suo zio facendo cenno verso il Magonò che
ricambiò l’occhiata sospettosa
con una del tutto strafottente nonostante avesse i vestiti
bruciacchiati e
tossisse l’anima.
“È un
servitore del castello,
mi stava portando…” Non c’era tempo da
perdere. “Tom è con Von Hohenheim,
papà!”
L’uomo
masticò un’imprecazione
a mezza bocca. “Pensavo foste assieme.” Disse
spazzolandogli quello che restava
della sua povera felpa. “Cos’è
successo?”
“Ci ha separato
una barriera
magica.” Spiegò e finse di non notare che suo
padre dava per scontato che
avesse seguito l’altro. Forse scontato lo era davvero, e non
solo ai suoi
occhi. “Sono sicuro che è stato quel
tipo!”
“Ovvio, voleva che Thomas fosse solo.” Suo padre
aveva un’aria omicida
meravigliosa, e Al si trovò nella posizione di sentirsi
felice che quella
rabbia fosse indirizzata verso la persona spregevole che cercava di far
del
male al loro Tom.
Facciamogliela
pagare, papà.
“Va
bene.” Gli venne sorriso
brevemente, un tentativo poco convinto di tranquillizzarlo.
“Adesso zio Ron vi
porterà fuori da questo inferno. Io vado a
cercarlo.”
“Vengo con
te.” Non dovette
neanche rifletterci. Perché, poi? Di fronte al formularsi di
evidenti obiezioni
sulla bocca di suo padre, lo bloccò. “Ho fatto una
promessa a Tom, papà. Gli ho
promesso che sarei tornato a riprenderlo e intendo
mantenerla.” Levò una mano,
e ignorò l’aria corrucciata di suo zio.
“E poi, andare da soli non è una buona
idea. Posso esserti ancora utile papà. Non sono
più un bambino che devi
proteggere.”
“Ma se vi abbiamo appena salvato la pelle! Stavate per
morire!” Giusta
obiezione da suo zio Ron purtroppo. Al fece una smorfia, ma suo padre,
diversamente
dall’altro, sospirò.
Vittoria?
“Va bene. Albus
verrà con me.”
“Harry!”
Suo padre scosse la testa
all’esclamazione dell’altro mago. “Credo
che avrò bisogno di qualcosa di più
efficace di una bacchetta per affrontare
quell’uomo.” Non disse altro, ma ad Al
fu chiaro che lo portava con sé solo perché
sapevano entrambi che Tom non
sarebbe stato nelle condizioni di ascoltare eventuali ragionamenti
razionali.
Se l’anno prima la strategia di John Doe era stata metterlo
in crisi, era ovvio
pensare che anche Von Hohenheim avrebbe seguito quella linea. Non
sarebbe stato
uno scontro canonico buoni contro cattivi.
Tom
quando si premono certi tasti non riesce a rimanere
lucido… E sappiamo bene cosa succede quando perde il
controllo.
“Non potete andare
soli!”
“Lo so, Ron.” Gli sorrise suo padre dandogli una
pacca sulla spalla. “Ma tu
devi portare questo ragazzo fuori, prima che si senta male.
È ferito e gravemente
intossicato. E poi, credo proprio che Nora avrà bisogno di
una mano quando
arriveranno gli agenti locali.”
L’uomo
sospirò. “Sai sempre
cosa dire quando serve, eh Harry?” Scosse la testa e gli
diede una solida pacca
sulla spalla in quel segreto linguaggio virile che Al aveva sempre poco
compreso. “Cercate di tornar vivi, o Ginny mi ammazza. Voi
Potter avete un
abbonamento per le missioni suicide, miseriaccia!”
Al si scambiò un’occhiata con suo padre, e quello
sorrise appena. “Che vuoi
farci. Il sangue non è acqua.” Gli mise poi una
mano sulle spalla e strinse
appena. “Sei sicuro Al? Da qui non si torna indietro.
Notò la
dismissione
dell’infamante nomignolo. Doveva esser segno di qualcosa.
“Lo sono,
papà. Andiamo a
riprenderci Tom.”
****
“Ucciderti?”
Gli sembrava impossibile
aver
udito quelle parole. Eppure il viso di Von Hohenheim non diede segno di
fraintendimento.
“Uccidermi.”
Inarcò le
sopracciglia. “Non è ciò che vuoi?
Liberare il mondo e soprattutto te
dalla mia presenza?”
Lo era, certo. Lo era ed era
spaventoso che l’altro conoscesse i suoi pensieri, quelli
più cupi, oscuri.
“I Babbani, esseri
inferiori
certo, ma meno di quanto ci si aspetti, sostengono che
l’uccisione del padre
sia un processo dovuto, per la maturità di un giovane
uomo.” Sorrise. “Anche se
da loro viene inteso in senso metaforico.”
Tom inspirò
bruscamente e
altrettanto bruscamente respinse la bacchetta. “Non ti
ucciderò.”
Ed era vero. Per quanto quel desiderio malsano gli corrodesse le
viscere sapeva
che alla fine dei giochi non vi avrebbe dato seguito.
Non
posso diventare un assassino. Non posso per loro.
Per Harry, Albus e la sua
famiglia, per le persone che amava. Non
meritavano di soffrire sapendolo macchiato di una colpa
simile, per
quanto spregevole fosse stata la vittima.
“Non ne ho
bisogno. Morirai
comunque. Perché sporcarmi le mani?”
Passò le dita sui braccioli della
poltrona, trovandoli bollenti. Forse perché si sentiva
bruciare.
Uccidilo.
Proprio perché è comunque condannato la pena
sarà più lieve da sopportare.
È
vendetta. Vendicati per quello che ti ha fatto, che
ci ha fatto. Che ci farebbe, se potesse.
Negli occhi
dell’uomo apparve
un lampo di collera, subito soffocato. Scosse la testa.
“È una giusta
obiezione…” Ammise. “Prendilo dunque
come un gesto di misericordia, se
preferisci. La mia fine sarà orribile, già sono
stato avvertito. Porre fine
alle mie sofferenze…”
“Perché
dovrei?” Ripeté
interrompendolo. “Non ti uccido per pietà. Non ti
uccido perché non ne ho
bisogno. Non provo niente per te.”
Non era vero, non del tutto;
provava odio e paura. Quell’uomo gli aveva dato la vita e
altrettanto
facilmente poteva togliergliela. Usare misericordia su di lui? Mai.
“Torniamo
piuttosto alle mie
domande… Avrò la vita di un qualsiasi essere
umano?”
Il mago fece un cenno
dismissivo. Sembrava, per il momento, d’accordo con
accantonare la sua
richiesta. “Ti stai chiedendo se ti ho dato
un’aspettativa di vita maggiore o
minore rispetto alla media?”
“Esattamente.”
“Come ho già detto, hai il corpo di mio
figlio.” La bacchetta era ancora tra
loro e non vi era segno che se la volesse riprendere però.
Questo lo rendeva
nervoso. “Un corpo umano, il corpo di un mago. Non sono un
indovino, non ho
idea di cosa il futuro riserberà per te. Ce l’ha
forse qualcuno?”
Cadde il silenzio. Tom non
riusciva a distogliere lo sguardo dalla bacchetta. Era così
diversa dalla sua,
così scuro il legno, non anglosassone. Anche la fattura
apparteneva alla moda
di decenni prima.
Concentrati
sui particolari. Non concentrarti sul fatto
che potresti ucciderlo e nessuno saprebbe che l’hai impugnata
tu. Non è tua,
vero Tom?
Nessuno
potrebbe mai avere la certezza che sei stato
tu. Il ragionevole dubbio, mio caro.
“Così
sei deciso a
risparmiarmi.” Tom fu riscosso dalla voce. Perdersi in se
stesso, aveva davvero
ragione Albus, non era mai una buona idea. Si sentiva lo stomaco
serrato e la
bocca asciutta.
“Non ti
ucciderò.” Ripeté. “Non
sono affari miei cosa decidi di fare di quel che resta della tua
patetica
vita.”
Il mago rise di rimando,
lasciandogli l’amara sensazione di non aver afferrato
qualcosa. “Speravo
davvero di non doverlo fare.” Era un bluff,
decretò. Era la frase che preludeva
ad un bluff. “Checché ne dicano i miei detrattori,
odio arrivare a misure
estreme.”
“Non c’è niente con cui tu possa
ricattarmi.” C’era, c’era eccome se Von
Hohenheim dava mostra di capirlo così bene.
L’aveva spiato, il maledetto. Era
certo che aveva passato quei quasi due anni a carpire informazioni su
di lui
come uno sparviero avrebbe studiato la propria preda.
Von Hohenheim prese la
bacchetta e con un lieve cenno – che lo fece comunque
impallidire per lo sforzo
– appellò a sé quello che sembrava un
bacile d’argento profondo poche dita.
“Un
Pensatoio…”
“La funzione
è simile.”
Convenne, prima di pronunciare qualche parola in latino e sfiorare la
superficie
con la punta della bacchetta. Essa si riempì di un liquido
azzurrino. “Saresti
così cortese da guardare?” Gli chiese.
“Ti posso assicurare che non corri rischio.
È solo uno schermo.”
Tom gli lanciò
un’occhiata ma
aveva colpito un altro dei suoi punti deboli; la curiosità
vorace. La superficie
si fece brumosa e in pochi attimi si palesò, davvero come in
uno schermo
televisivo, un corridoio. Un corridoio invaso dal fumo.
“Lo
riconosci?” Chiese Von
Hohenheim, che neppure guardava ma sembrava non ve ne fosse bisogno.
“È un
corridoio di questo
castello.” Intuì. “Perché me
lo stai mostrando? Cos’è questo fumo?”
“È
fuoco.” Una risposta
semplice eppure spaventosa. Tom ci mise più di qualche
attimo a realizzare cosa
stava dicendo l’altro.
“ …
Incendio. C’è un
incendio?” La cascata di conseguenze lo investì
come un tifone. Era bloccato su
una torre, ma gli altri? Erano riusciti ad uscire?
“Non è
vero, mi stai mentendo.”
Non poteva aver dato fuoco al suo stesso castello con lui dentro.
Come
se non volesse morire, eh Tom?
“Immaginavo
avresti pensato ad
una menzogna. Guarda pure fuori dalla finestra. Aprila, se preferisci,
così
sarai certo che non l’ho incantata.”
Tom si alzò di scatto dalla poltrona, tirò le
tende pesanti a mani nude, sentendole
sganciarsi dai supporti perché erano fatte per aprirsi con
la magia. Spalancò
la finestra che si apriva sulle merlature del castello. Merlature
invase dal
fumo, finestre sfondate dalla furia del fuoco e fiamme, fiamme ovunque.
“Se ti chiedi
perché questa
zona non sia stata colpita la risposta è semplice
… C’è una barriera. Non so
per quanto resisterà, ma dovrebbe darti sufficiente tempo
per scappare.”
Tom non riusciva a
distogliere
lo sguardo da quello spettacolo orribile. Non ascoltò
neppure parola dell’altro.
Perché non gli importava.
Gli
altri … Al. Sono riusciti a scappare?
Harry
… no, non può essere venuto a cercarmi. Non
può.
Non deve.
Avevano un vantaggio
consistente su di lui. Persino Al doveva essere riuscito a tornare
indietro e
ricongiungersi a Lupin, Malfoy e le due ragazze. Anche Lily,
naturalmente.
Dovevano aver
avuto tempo prima dell’incendio.
“Dove
sono?” La voce non
sembrava neanche la sua. Sentiva la bacchetta bruciare nella tasca del
mantello. “Dove sono i miei amici?” Non ebbe
risposta. “Dimmelo!”
Ringhiò e
vide le
candele accanto a lui tremare violentemente; no, non andava bene. La
sua Magia
stava reagendo troppo velocemente al suo stato d’animo.
Sta’
calmo. Mantieni la calma.
Neppure le tecniche che gli
aveva insegnato Cordula sembravano servire.
L’uomo sorrise
appena. “La bacinella,
Thomas. Ha risposte più efficaci delle mie. E temo che a me
non crederesti.”
Si gettò su di
essa e quella,
quasi avesse recepito il suo desiderio, si fece torbida di nuovo e
mostrò,
quasi fosse uno Specchio delle Brame al contrario, proprio
ciò che non
desiderava vedere.
C’era Albus in
compagnia di un
ragazzo biondo che non aveva mai visto ma indossava vesti da servitore.
Correvano rincorsi dalle fiamme. Albus cadeva, si rialzava e poi
arrivavano ad
una porta. La porta era chiusa, non riuscivano ad aprirla.
L’immagine cambiò di
nuovo. Lupin, Malfoy, quella matta di Dominique e Lily avanzavano in
mezzo al
fumo, tossendo e incerspicando. Non riuscivano a respirare. Di nuovo.
Harry e
Ron venivano investiti da una cortina di fumo.
Sono
dentro. Non sono riusciti ad uscire.
“È una
menzogna…” Sussurrò e
no, la voce non sembrava proprio la sua. Trasfigurata in qualcosa di
meccanico
e orribilmente privo di emozioni. Non per molto, comunque. Si conosceva
abbastanza bene per sapere che sarebbe arrivato il momento. Quel
momento, in
cui lui e l’Altro erano una cosa sola, la stessa persona.
Voldemort.
“Nella mia
condizione non sono
in grado di creare visioni così dettagliate. Vedi la
realtà, Thomas. Solo
quella.” Disse l’uomo con calma surreale. Non
vedeva la sua faccia? Non capiva
che gli stava facendo vedere il suo peggiore incubo?
Moriranno
per colpa tua, Tom. Lily è stata rapita a
causa tua, Al ti ha seguito, gli altri sono qui perché tu
esisti. Moriranno
perché esisti.
Tutto
per colpa tua. Ancora una volta, porti morte.
Si allontanò di
scatto dal
tavolino, con violenza e questo si rovesciò mentre il bacile cadde a
terra con un rumore
metallico spargendo liquido azzurrino sul tappeto. Von Hohenheim non
batté
ciglio. “Ritira l’incendio!” Gli
intimò. “Richiama quelle fiamme!”
“Non
posso.” Si guardò le mani
e la bacchetta che giaceva tra di esse. “Non sono stato io a
scatenarlo e anche
se ne fossi in grado e non lo sono, non lo farei.”
Discorreva. Sembrava parlare
del più e del meno e non di vite umane.
Eri
così, Tom. Eri così anche tu.
“Moriranno!”
Era patetico, se
ne rendeva conto. Von Hohenheim non sorrideva, ma lo guardava piuttosto
come un
insetto curioso. Chissà, forse non si era aspettato la sua
disperazione.
“Quello che hai
visto non era
in tempo reale. È accaduto venti minuti fa. Sono
già morti.”
Qualcosa dentro di lui si
ruppe. Una diga, o forse, se si voleva esser precisi, il suo cuore.
Con un cuore rotto non si
andava avanti. Non si sentiva, non si provava niente.
Era
ora, ragazzo. Dormi, e lascia fare a me.
****
Entrare nella sezione della
torre padronale e non trovarvi né fumo, né
calore, né tantomeno fiamme era
stato un sollievo, quanto un inquietudine. Significava che erano nel
posto
giusto, ma anche che di lì a poco avrebbero dovuto
confrontarsi con un mago
considerato uno stregone, per le
sue
capacità.
Non
era Silente ad esser stato nominato Stregone? È
l’unico che conosco.
“Al, tutto a
posto?” Gli
chiese suo padre stringendogli il braccio, sia per sentirlo, sia per
assicurargli che c’era. Al gradì molto.
“Sì, un
po’ affumicato, ma
quest’incantesimo americano è
fantastico!” L’aria era viziata
all’interno della
bolla, ma c’era ossigeno e questo bastava. Ad un cenno di suo
padre la sciolse
però; ora potevano respirare agevolmente anche senza
l’aiuto della magia.
Quest’ultimo sembrava persino più teso di quando
erano nuovamente entrati
nell’incendio.
“Papà,
che c’è?”
“Sono preoccupato
per Tom.”
Sorrise appena. “Ovvio, no? Dai, andiamo.”
“C’è qualcos’altro.”
Non appena lo ebbe detto realizzò che era vero, da come
venne
guardato. “Hai … hai paura che Tom faccia qualcosa
di stupido?” Tentò di
indovinare.
Suo padre serrò
la mascella.
“Al, Tom è… lo sai
com’è. È particolare, non
è…”
“So che ha l’anima di Voldemort. Che in
un’altra vita è stato … quel
tizio.”
Replicò tranquillo, o almeno fingendo di esserlo. Lo sguardo
di suo padre non doveva
farlo vacillare. “Ma non
è Voldemort.
Giusto?”
“Giusto…”
Si morse un labbro.
“Non intendevo dire questo, comunque. Ti ricordi la faccenda
degli Horcrux,
vero? Come sono stati creati, intendo.”
Al annuì, mentre un brivido spiacevole gli correva lungo la
schiena. Come
poteva dimenticarsi di quella tecnica orribile, anche se la conosceva
solo a
grandi linee.
E
non intendo approfondire la cosa, grazie.
“L’anima
di Voldemort è stata divisa
sette volte. Tom ha … è…”
Si corresse
mentre salivano le scale. Parlare sì, ma non perdere tempo.
Era questo che
adorava di suo padre. “ … è il settimo
pezzo. Non sono un esperto, non so come
funzioni, ma… credo sia questo a renderlo diverso da
noi.”
Vero.
Tom l’anno prima
era stato
pesantemente influenzato dalla Pietra della Risurrezione e forse lo era
stato
proprio perché non era tutto intero.
Era
stato influenzato e messo sotto Imperio da John Doe non
perché fosse un mago
debole. Tutt’altro.
È
la sua anima ad esserlo.
“Pensi che possa
di nuovo
esser messo sotto maledizione?”
Suo padre non si
voltò,
continuando a salire. Faceva fatica a stargli dietro, ma non perse il
passo.
“No, non è questo di cui ho paura. Non solo
almeno.”
“Allora
cosa?”
Lo sentì
sospirare
profondamente. Non si voltava e forse era perché non voleva
fargli vedere quanto
angosciato fosse.
Come
se non lo capissi.
“Ho paura che la
sua anima sia
molto più a rischio della mia o della tua, in certe
situazioni. È più facile …
che si perda, capisci?”
Ad Al venne da rimettere.
Non
era giusto; Tom aveva vissuto diciotto anni forse non perfetti, ma da
essere
umano che lottava ogni giorno contro i propri difetti.
Non era giusto che la sua
anima contasse così poco.
“Non la
perderà. Forse sarà un
po’ malridotta, ma adesso appartiene ad una persona
buona.” Disse con tono
sicuro, tanto che suo padre si voltò per guardarlo.
“Lo so, papà. Lo conosco.”
Fece una breve pausa. “E comunque non glielo permetteremo,
giusto?”
Suo padre sorrise.
“Giusto.”
Un rumore improvviso, di
qualcosa di metallico che cadeva sopra le loro teste li fece
sobbalzare. Non si
dissero nulla; solo, presero a correre.
Tom!
Ad Al sembrava di non avere
più le gambe quando arrivarono in cima a quella torre
infinita. Suo padre non
perse tempo. Con un incantesimo che non gli aveva mai visto fare, ma
che doveva
appartenere all’arsenale super-segreto degli Auror,
scardinò la porta che
crollò con un tonfo. La saltò, entrando dentro.
Lo seguì a ruota.
Si trovarono di fronte una
scena
che avevano paventato.
Tom teneva la bacchetta
puntata al petto di un uomo seduto su una poltrona, disarmato. Gliela
teneva
puntata così forte che la stoffa della veste si era bruciata
tutta attorno.
“Tom!”
Urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
L’interpellato non
si voltò
neppure, e Albus capì di colpo cosa
aveva
temuto suo padre. Alla luce impietosa del giorno – la
finestra era aperta e
rifletteva il pomeriggio nevoso – gli occhi di Tom erano
rossi.
No,
no, non di nuovo!
Non
era Imperio, o lo era. Non aveva
importanza. Ciò che importava era che il ragazzo di fronte a
loro aveva di nuovo
perso il controllo, lasciando che quel poco che era rimasto di
Voldemort si
impadronisse di lui.
“Dannazione…”
Sentì mormorare
suo padre. “Thomas, allontanati da Von Hohenheim!”
L’uomo –
che dunque era il mostro
– fece un quieto sorriso,
senza neppure guardarli. Li aveva sentiti, e gongolava. Voleva morire?
Perché?
“Avanti. Sei
venuto qui per un
motivo e adesso hai anche la possibilità di esaudire il tuo
desiderio. Fallo.”
Serrò le dita sulla punta della bacchetta, spingendosela
contro. “Uccidimi.”
No,
non è vero! Non è venuto qui per ucciderti!
Un
ghigno orribile deformò il viso di
Tom. Si era sbagliato; voleva. Qualsiasi cosa avesse detto o fatto quel
mago
disgustoso, lo aveva spinto a desiderarne la morte. Ma Al era certo che
anche
se l’altro ci aveva pensato, non avrebbe mai agito.
Non
è capace di uccidere. Non vuole più uccidere. Tu
non lo conosci!
Vide con la coda
dell’occhio
suo padre puntare la bacchetta in direzione dei due. “No,
papà! Se tenti di
disarmarlo…”
“Lo so, potrei innescare una reazione con la sua bacchetta e
far partire
l’Avada.” Non c’era dubbio che volesse
usare L’Anatema Che Uccide a giudicare
dalle scintille che già gli sprizzavano dalla bacchetta.
Erano verdi. “Ma Al,
non c’è altro modo. Non posso stare a guardare
mentre…”
“C’è!” Insistette
interrompendolo. “Dobbiamo farlo tornare in
sé!” Si voltò
verso questo. “Tom, razza di cretino! Guardami! Non devi
ucciderlo, è quello
che vuole!”
Lo vide aggrottare le
sopracciglia. Una parte di lui sembrava ancora connessa con la
realtà
circostante, e dunque doveva averli sentiti. Solo c’era
qualcosa che lo
bloccava.
Cosa?
Cosa l’ha mandato fuori di sé?
“Morti…”
Mormorò. “Sono tutti
morti per colpa tua…”
Ed ecco la soluzione.
Gli
ha fatto credere che siamo morti nell’incendio!
“No,
razza di stupido!” La bacchetta
aveva scintille sempre più ravvicinate, sempre
più verdi. “Non siamo morti,
siamo salvi. Tutti!” Di nuovo una leggera smorfia e stavolta
il ghigno vacillò
e si spense. Gli occhi però era ancora rossi. Un dannato
rosso rubino.
“Guardami, sono qui davanti a te!”
“Al,
continua…” Sussurrò suo
padre. “Continua, sta’ funzionando.”
A lui non sembrava. Le scintille c’erano ancora e
così l’espressione di trionfo
di Von Hohenheim. Ma fosse dannato se si sarebbe arreso. Doveva
trascinare Tom
fuori dagli abissi della sua coscienza prima che perdesse per sempre
l’uscita.
Un
omicidio. Un omicidio danneggia l’anima di chi lo
compie.
La
sua è convalescente. Reggerebbe il colpo?
“Ti ho promesso
che sarei tornato
a prenderti, no?” Fece qualche passo nella sua direzione e
vide l’altro
irrigidirsi. Aveva sentito la sua presenza, anche se solo fisicamente.
Andiamo,
idiota! Andiamo!
“Te l’ho
promesso … eccomi
qui. Non potrei mai morire in modo così cretino ed
abbandonarti!” Si umettò le
labbra mentre sentiva lo sguardo di suo padre su di sé.
Al
diavolo.
“Io mantengo le
mie promesse.
Sempre. Quindi mantieni la tua e torna da me. Adesso.”
Forse non era il caso di dare ordini a qualcuno che non
sembrava neanche notificare la tua presenza.
Eppure.
Tom fece una smorfia di
dolore, come se qualcosa lo avesse colpito. E finalmente si
voltò nella loro
direzione. Fu come vederlo prendere in faccia una secchiata
d’acqua. Sgranò gli
occhi e inspirò bruscamente.
“Al…” Sussurrò.
“Sei…”
Bentornato, cretino – gli
veniva da
piangere, ma il sollievo era ancora fuori luogo.
“… vivo.” Terminò per lui.
“Sono un Potter, ho nove vite come i gatti, non lo sai? Siamo
vivi, tutti. Gli
altri sono al sicuro.”
Suo padre abbozzò
un sorriso,
senza però togliere lo sguardo o la bacchetta in direzione
dallo stregone.
“Thomas,
allontanati.” Disse
pacato. “E abbassa la bacchetta.”
Tom si guardò la mano e poi Von Hohenheim. Dovette
realizzare cosa stava per
fare, perché si tolse come se fosse sui carboni ardenti.
“Figlio di puttana!”
Ringhiò. “Aveva detto…”
“Che Al e gli altri erano morti
nell’incendio.” Annuì suo padre.
“Ho capito
benissimo la situazione. Lascia che sia io ad occuparmene.”
Tom non se lo fece ripetere due volte. Gli si mise accanto senza una
parola, e Al
provò il desiderio violento di stringerlo, e baciarlo fino a
togliergli il
respiro. Scoppiare a piangere, eventualmente.
Non era il momento.
Dopo.
Tu, da camera, non esci per una settimana.
“Ciao.”
Disse invece. “Sei un
idiota.”
L’altro sorrise appena e c’era un intero universo
di sentimenti dietro quel
sorriso. Scommetteva dieci galeoni che Von Hohenheim non
l’avrebbe mai saputo
notare. Per questo aveva perso. Aveva visto solo una delle centinaia di
sfumature che componevano Thomas Dursley.
“Ho come
l’impressione che tu
me l’abbia detto almeno dieci volte negli ultimi cinque
minuti.”
“È perché non mi ascoltavi.”
Si morse le labbra, mentre l’altro gli stringeva
forte il polso. “Dovevo ribadire il concetto. Spero che
adesso sia chiaro.”
“Chiarissimo.”
Von Hohenheim aveva perso
tutta la sua aria trionfante. Sembrava preso da una furia indicibile,
per
quanto non sembrasse intenzionato a far nulla. Al capì. Non
poteva. Sembrava un
sacco vuoto su quella sedia.
“Sta
morendo.” Mormorò Tom
indovinando i suoi pensieri.
“Questo non lo
salverà dalla
prigione.” Si intromise suo padre, tenendo il mago sotto
tiro.
“È
così Thomas?” Lo apostrofò
con gelido disprezzo. Ad Al non sfuggì
l’intensificarsi della presa sul suo
polso. La sciolse e gli afferrò la mano, intrecciando le
dita alle sue. “Alla
fine ti sei rivelato un debole. Ti sei fatto convincere dalle parole di
un
ragazzino.”
Tom inaspettatamente inarcò le sopracciglia. Guardo lui e
poi guardò l’uomo che
diceva di essere suo padre. Al non aveva mai visto nessuno
più lontano da quel
concetto.
“Non sono
debole.” Replicò
pacato. “Sono un essere umano.”
Quella frase fece scattare
qualcosa nel volto dell’uomo. Si incendiò,
letteralmente, di furia. Con un urlo
disumano si gettò sulla bacchetta posata sul tavolo.
No!
Suo
padre però non era un ragazzino
paralizzato dalla sorpresa e dalla paura. Afferrò la
bacchetta e si frappose
tra loro e il mago.
“Expelliarmus!”
Il
suo marchio di fabbrica, il suo
incantesimo preferito. Un lampo di luce attraversò la stanza
e colpì Von Hohenheim
in pieno petto, sbalzandolo un metro più indietro. Questo,
con espressione
dolorante e sorpresa incespicò senza equilibro.
Incespicò verso la finestra
aperta dietro di sé.
A volte le morti avvenivano
a
rallentatore, o almeno questa era la percezione di alcuni. A volte
invece in un
battito di ciglia.
Fu in un battito di ciglia
che
l’uomo, il mago, lo stregone e il capofila della Thule
attraversò la finestra e
precipitò nel vuoto.
Al vide suo padre tentare di
andare in suo soccorso e quasi cadere lui stesso, prima di afferrarsi
alla
ringhiera e frenarsi. Corsero anche loro verso il parapetto.
Alberich Von Hohenheim
giaceva
parecchi metri più sotto, scomposto come un burattino, sul
tetto, morto.
Si voltò verso
Tom e gli prese
il braccio, senza dire niente. L’espressione
dell’altro era indecifrabile. Era
dentro che gli si stava scatenando una bufera.
Fu suo padre a rompere il
silenzio. Senza una parola gli passò un braccio attorno alle
spalle e se lo
tirò contro. “È finita.”
Disse, e con quel tono lo era, finalmente. “È
morto
Tom. È finita.”
L’espressione del
Ragazzo Che
Era Nato Due Volte ebbe un fremito e poi si ruppe in un singhiozzo.
Forse era
la prima volta che suo padre vedeva Tom piangere. Non diede adito alla
minima
sorpresa però, e strinse solo l’abbraccio.
Dopotutto, era quello che
faceva un vero padre.
****
Note:
Gente, ci siamo. Questo era l’ultimo capitolo. Ultimo sul
serio.
(Cioè, poi ci sarà l’Epilogo. Ci sono
ancora due o tre cosette da spiegare. ;D)
Questa
la canzone che fa da leitmotiv al
capitolo. Direi che è perfetta, specialmente il testo che vi
invito a guardare.
Un grazie a Blankette_Girl e alla
sua cultura musicale, sempre impeccabile, per avermela suggerita.
1.Verso della poesia
“Se” (If) di
Rudyard Kipling, più conosciuto
per aver scritto ‘Il Libro della Giungla’ e
‘Capitani Coraggiosi’.
2.“È
un violino, un semplice violino!” letteralmente, la
traduzione.
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Capitolo 63 *** Epilogo ***
Epilogo
Quando
la tempesta sarà finita, non saprai come hai fatto ad
attraversarla e a uscirne
vivo.
Anzi,
non
sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non
c'è dubbio.
Ed
è che
tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato.
(Kafka
sulla spiaggia, H. Murakami)
Lily era stata la prima ad
avvistare Harry, Al e Thomas. Teddy aveva visto la ragazzina alzarsi in
piedi ancor
prima che spuntassero dalla collina scoscesa che digradava verso la
rimessa
delle barche – luogo ultimo e sicuro in cui avevano deciso di
spostarsi.
“Sono
loro!” Gridò correndogli
incontro, insolitamente vitale per una mezza intossicazione da fumo. Ma
era la
forza di volontà, e soprattutto la tensione di saperli
ancora dentro, ad averla
tenuta in piedi fino a quel momento. Ad averli tenuti tutti,
in piedi.
Fu Albus a staccarsi dalla
piccola comitiva. Era il più malconcio e bruciacchiato dei
tre a giudicare
dallo stato della sua felpa sportiva, una volta verde, adesso
grigiastra e
piena di bruciature. Più malconcio, eppure ebbe la forza di
andare verso la
sorella e strizzarla in un abbraccio.
Teddy poté
immaginare
facilmente cosa si stessero dicendo, dalle lacrime della ragazzina e
l’aria
sollevata e un po’ irritata dell’altro. Lily doveva
star profondendosi in scuse
e il fratello maggiore doveva pensare che metà di esse fosse
dovute solo al
senso di colpa.
Andò loro
incontro, facendo
cenno a Dominique e Scorpius di restare seduti a respirare dalle
maschere di
ossigeno portatile che gli agenti tedeschi – preventivamente
avvertiti –
avevano portato con sé. Non controllò il giovane
Von Hohenheim; grazie a
Merlino, non era più affar suo.
“Scusa!”
Lily aveva l’aria di
averlo detto almeno cento volte. “Mi dispiace,
io…”
“Basta, Lils.” La fermò Al facendole una
carezza e sporcandola di fuliggine su
tutta la guancia. “Sai bene che non siamo qui solo per te.
Non fare
l’egocentrica.” Motteggiò senza asprezza.
Lily fece una piccola
smorfia
consapevole, guardando poi verso Tom. “Stai bene
Tommy?”
Thomas aveva
un’espressione molto
diversa dalla solita facciata d’indifferenza che approntava
per urbi et orbi. Doveva essere
piuttosto
provato. “Sì.” Disse. “Ed
è Tom.”
Lily ridacchiò e
poi andò ad
abbracciarlo. Sorpresa ulteriore, il ragazzo non si irrigidì
né si scostò
infastidito ma ricambiò con un certo trasporto. Rigido come
uno stoccafisso,
avrebbe detto James, ma era pur sempre un abbraccio.
Merlino,
voglio tornare da Jamie.
Era un desiderio
così acuto
che solo il buonsenso gli impediva di tentare una Smaterializzazione
intercontinentale.
Rivolse allora lo sguardo ad Harry che si stava pulendo gli occhiali
con il
risvolto del mantello d’ordinanza, infischiandosene
dell’etichetta e della
sacralità dell’uniforme. Notatolo,
l’uomo interruppe l’operazione e andò a
stringergli la spalla. “Teddy, credo di doverti la mia
completa gratitudine.”
Aggrottò lui stesso le sopracciglia al tono formale e si
sciolse quindi in
un sorriso. “Meno male che c’eri, ragazzo
mio. Meno male.”
Ted si sentì arrossire di disagio e piacere. Non era molto
virile, ma quello
era il suo padrino.
“Grazie
Harry.” Si schiarì la
voce. “Avrei voluto avere il potere di fermarli.”
Non chiese scusa e fu
straniante; ma anche stranamente giusto.
“Sappiamo benissimo che era impossibile!” Rise
infatti l’altro scuotendo la
testa. “Hai fatto quello che dovevi, li hai tenuti al sicuro.
Grazie.”
Ted strinse la mano sulla sua spalla. “Non pensarci neppure.
Dopotutto
rimangono miei studenti. Lo dico senza il rischio di sembrare fuori
luogo … ho
solo fatto il mio lavoro.”
Harry annuì.
“Con pessimi
studenti, oserei dire.” Suggerì con sguardo che
suggeriva tutt’altra opinione;
dietro l’aria doverosa da padre severo era chiaro come il
sole che fosse
orgoglioso dei suoi figli.
E
della loro capacità di attirare guai? Anche. Harry a
volte è proprio strano…
“Oh,
credimi, quest’anno i Tassorosso
hanno ottime probabilità
di vincere
la coppa delle Case.” Motteggiò di rimando.
“Cosa?”
Fu la voce di Tom a sorprenderli. “Significa che ci verranno
tolti dei punti per quello che abbiamo fatto?”
“Non se ne
parla!” Gli diede
manforte Lily. “Voglio dire, sono pronta a non uscire di casa
prima dei quarant’anni
e pulire tutti i gabinetti di Hogwarts con uno spazzolino da denti, ma non puoi togliere punti a Grifondoro
Teddy! Stavamo vincendo!”
“Veramente no.”
Le fece eco Al
inarcando le sopracciglia. “Mi ricordo i valori della
Clessidra, Lils. Eravamo
sopra a voi di almeno cento punti.”
“Ah, saranno sicuramente migliorati dall’ultima
volta!” Ribatté quella con
sicurezza. “I due secchioni di Serpeverde sono in gita e non
potevate fare
punti a Durmstrang.”
Lui ed Harry si guardarono
prima di mettersi a ridere; era bello vedere come nonostante tutto,
nonostante
le cicatrici che sia Lily che Tom avevano riportato, riuscissero ancora
a pensare
a cose come i punti delle proprie Case.
Va
bene. È ottimo. È buon materiale per lasciarsi
tutto
questo orrore alle spalle.
“Hai ragione Lily.
È meglio se
ti preoccupi della punizione che ti aspetta a casa.” Disse
Harry, e dietro il
sorriso era maledettamente serio. La quindicenne parve intuirlo
perché fece un
sospiro scornato e annuì. Gli occhi le andarono
immediatamente verso il falso Luzhin,
che, piantonato da due agenti e ammanettato, non muoveva muscolo. Teddy
l’aveva
però beccato più volte a fare lo stesso gioco di
Lily. Ma sempre in tempi
alterni; i loro sguardi non si erano mai incrociati.
“Sono arrivati gli
Auror … o
credo siano tipo Tiratori Scelti tedeschi.” Disse Lily
mordicchiandosi le
labbra. “L’agente Gillespie e lo zio ci stanno
parlando da un bel po’. Non
capisco il tedesco, ma credo li stiano interrogando. Hanno fatto
domande anche
a noi, in inglese.”
Il sorriso del padrino
scomparve come neve al sole. La realtà, oltre la
felicità di saperli tutti vivi
e in salute, tornò prepotente. “Bene.”
Disse. “Adesso vado a parlarci io. Al,
Tom … voi bevete e sedetevi, non voglio sentir rimostranze.
Lily, vale lo
stesso per te.” I tre ragazzi si avviarono ubbidienti verso
Scorpius e
Dominique; i due maschi furono accolti a pacche sloga - legamento e
borracce
d’acqua debitamente incantate con un Rabbocco. Lily si
limitò a sedersi vicino
a Dominique e ascoltarla ciarlare sconclusionatamente come suo solito.
Arrivò dunque il
momento delle
domande. “Von Hohenheim?”
“È
morto.” Ad una sua protesta
Harry levò una mano significativamente.
“È precipitato da venti metri di torre
e abbiamo visto il suo corpo venir aggredito dalle fiamme. Credo sia
abbastanza, e voglio che con Tom se ne parli il meno
possibile.”
“… È stato lui?”
Un lampo scuro passo nelle
iridi chiare del Salvatore. “No. Sono stato io. Tom non ha
levato la bacchetta
contro suo padre.”
Ted deglutì. “Va bene.”
Mormorò guardingo. Credeva ovviamente alle parole del
padrino, ma non era del tutto sicuro che l’adolescente che in
quel momento
stava bevendo acqua e scherzando con gli altri non ne sarebbe stato in
grado.
Meglio
così.
“Non
poteva essere diversamente.”
L’espressione dell’uomo era incredibilmente seria.
“Thomas non dovrà mai
uccidere nessuno, in nessuna
circostanza … la sua anima non ne reggerebbe il
peso.”
Ted aggrottò le sopracciglia, poi capì.
“È perché è già
stata divisa, vero?”
Harry annuì.
“Non sono bravo
in queste cose, ma credo che una settima parte di anima sia un
po’ poco per
reggere quello che un omicidio comporta. Von Hohenheim doveva saperlo,
è suo
figlio.” Sospirò. “Credo volesse farla
finita portandosi tutto ciò che aveva creato
con sé, Tom compreso. Il modo migliore era renderlo un
assassino. Nulla di
bello sarebbe accaduto alla sua anima, se avesse preso la vita di suo
padre.”
Voltò il viso verso il castello. La barriera che le
racchiudeva doveva aver
ceduto, e ormai l’intera struttura era in fiamme.
Ted si passò una
mano trai
capelli. Ci sarebbero voluti giorni perché tornassero
colorati e brillanti come
era la norma. Giorni e James.
“Farsi
uccidere…” Meditò.
“… sei sicuro che fosse questo il suo fine
ultimo?” Esitò
vedendo l’espressione dell’altro. “Voglio
dire … tutto quel che ha fatto … Per
farsi uccidere da suo figlio?”
Harry sospirò.
“Era pazzo.”
Scrollò le spalle. “In ogni caso non ha
più importanza. È finita.”
Ted annuì con un
sorriso. “Non
vedo l’ora di tornare a casa.”
L’altro si massaggiò la nuca con una smorfia.
“Merlino, a chi lo dici … Un
bagno di dieci ore e un buon the.” Spalancò gli
occhi quasi immaginasse quella
meraviglia. “Ma temo che prima ci siano alcune questioni da
sbrigare.”
Soggiunse a malincuore, guardando Von Hohenheim Nipote.
“Lui?”
“Non ha detto una parola da quando ve ne siete andati. Gli
agenti sono venuti e
l’hanno preso in consegna, credo che vogliano interrogarlo
alla loro centrale.
Per noi bastano semplici deposizioni, ma per lui…”
Harry annuì,
dandogli una
pacca sulla spalla. “Ma … quel ragazzo biondo?
Quello venuto con Al?”
Ted assunse
un’espressione
imbarazzata. “È scappato.” Si risolse a
dire grattandosi la guancia e guardando
verso la fitta foresta che si apriva a pochi metri dalla rimessa.
“Nessuno lo
stava sorvegliando perché … beh, tu e i ragazzi
eravate dentro, gli agenti
erano appena arrivati e bisognava spiegar loro la situazione
e…”
“Ed ha preso il volo.” Harry sospirò.
“Beh, c’era da aspettarselo. Credo fosse
stato messo in mezzo da Al.” Si strinse nelle spalle.
“Era un Magonò. Forse è
meglio così, non era giusto che venisse messo in mezzo. Non
è come se avesse
partecipato attivamente alla cattura di Lily.”
Ted convenne con un cenno
della testa, accompagnando il padrino verso gli agenti.
L’uomo si presentò
all’impeccabile agente-capo con due enormi baffi biondissimi
e l’aria marziale.
Da una certa latitudine, agli occhi di Ted, i maghi si somigliavano
tutti.
“Come stavo
spiegando alla sua
collega, Capo Auror Potter, prendiamo in consegna Sören Von
Hohenheim.” Esordì
questo. “Il caso, come potrà immaginare, passa
ufficialmente a noi per motivi
geografici. Tuttavia il nostro Ministero sarà lieto di
collaborare con il
vostro, nel caso lei e i suoi agenti vogliate prendere parte agli
interrogatori
… come ospiti.” Ci tenne a specificare, rimarcando
il fatto che il merito della
cattura sarebbe andato a loro.
Poco
giusto. Ma considerando le centinaia di regole e
regolette degli Statuti di Cooperazione Magica che sicuramente son
stati
infrante…
“Vi
ringrazio.” Sorrise Harry
con la sua miglior espressione da copertina. Era piuttosto affascinante
e energica,
e i tedeschi parvero gradirla da come si rilassarono immediatamente.
“Dateci
solo un po’ di giorni per riprenderci, poi saremo a vostra
completa disposizione.
Come potrete ben capire, voglio dedicarmi alla mia famiglia.”
“Natürlich!”
Esclamò il mago con aria
comprensiva. Ron ghignò alle spalle del suddetto.
L’obbiettivo principale della
messinscena del padrino era evitare la sua, di deposizione. E ci stava
riuscendo perfettamente.
Forse
Al è finito a Serpeverde per un motivo ben preciso.
L’ho sempre pensato, ma … è un
po’ come il Grande Segreto dei Potter. Sarebbero
potuti essere tutti degli eccellenti Serpeverde. Tranne James.
“Abbiamo
già completato le
deposizioni dei vostri figli, quindi credo che non ci sia motivo per
cui
restiate ulteriormente qui. Dell’incendio e la sicurezza
della zona ci pensiamo
noi.” Concluse il teutonico funzionario.
“Herr Blumstein ci ha
gentilmente
fornito una Passaporta per tornare a Londra.” Si
inserì Nora mostrando con un
certo divertimento uno stivale dall’aria vissuta.
“Chissà perché avete questa
fissazione per render le calzature Passaporte, qui in
Europa…” Soggiunse.
Harry ridacchiò
all’aria
perplessa del tedesco; era ovvio che ormai intercorresse un intenso
cameratismo
tra il padrino, Ron e la strega d’oltreoceano. Era raro che i
due uomini si
fidassero così apertamente di qualcuno, ad eccezion fatta
delle loro mogli.
Doveva essere una donna notevole.
“Bene!”
Esclamò con forza
Harry. “Credo sia ora di andare, oltre che il caso. Ginny ed
Hermione saranno
preoccupate a morte, per non parlare di Rose, Hugo e James!”
“Li troveremo
tutti alla Tana.”
Lo rassicurò Ron. “Certo però che
è meglio non perder tempo.”
Ted capì il sottotesto e si affrettò ad andare
dai cinque adolescenti che si
erano riuniti e stretti tra di loro, raccontandosi le vicendevoli parti
in
quella faccenda. Non gli sfuggì come Al e Tom stessero
accostati, dividendo la
stessa borraccia e battibeccando sulla suddetta – Tom non
voleva bere quanto l’altro
gli stava consigliando di fare. Non si tenevano per mano, ma quella
vicinanza
era più esplicita di un bacio da film.
Incrociò lo
sguardo di Harry,
che guardava proprio in quella direzione. Sorridendo.
Ma
lo sa?
Sarebbe stato il Secondo
Segreto dei Potter, sicuramente.
Harry
sa o meno di quel che succede tra Thomas e Al?
“Ragazzi, ora di
andare.” Li
riscosse. Scorpius fu il primo a saltare in piedi, mollando la
mascherina e
mettendosi a tracolla la borraccia.
“Grandioso! Devo
raccontare
quanto sono stato eroico alla mia Rosie. Mi amerà e non
faremo che fare sesso
per le prossime venticinque settimane!”
“Questo eviterei di dirlo in presenza di zio Ronnie, biondo.
Ci tieni ai tuoi
attributi, no?” Ghignò Dominique facendolo
impallidire vistosamente.
Lily non si alzò
come gli
altri. O meglio, si alzò, ma guardò ovunque
tranne che in direzione del padre e
della Passaporta. Guardava verso il falso Luzhin, o il vero Von
Hohenheim.
Teddy trovava piuttosto inquietanti quei suffissi.
“Lui…
che fine farà?”Chiese
con un filo di voce che non le si addiceva. Ted pensò che ci
sarebbe voluta più
di qualche risata condivisa e affetto familiare perché la
quindicenne superasse
quella storia.
Di
noi, forse è stata quella più colpita. Forse
persino
più di Tom.
“Lo ha preso in
consegna il
Ministero Tedesco, com’è ovvio che sia visto che
siamo in Germania e lui è tedesco.”
Le spiegò come se stesse parlando del tempo. Gli altri erano
tutti ammutoliti.
“Gli faranno delle domande, e se si dimostrerà
collaborativo…”
“Finirà a Nurmengard?”
Ted si trovò a
corto di parole
perché percepiva dolore nella voce dell’altra.
Sorprendentemente, fu Scorpius a
prendere la parola, prendendo anche da parte la ragazzina.
“Ascolta…
Sì, finirà in
prigione, perché quel che ha fatto non può
prevedere altro.” Gli sentì dire, in
tono pacato e maturo, così lontano dal suo solito smaccato e
gioviale da
sembrare quasi quello di un’altro. “Però
credo che saranno clementi con lui. Dopo
che l’avranno interrogato sarà chiaro come il sole
che ha fatto quel che ha
fatto perché suo zio gliel’ha ordinato. Non ci
andranno giù troppo pesanti,
specie perché è un testimone prezioso.”
“Sei sicuro?” Lily teneva gli occhi incollati alle
scarpe e ma tutto il resto
del corpo sembrava teso verso il tedesco, ad una decina di metri di
distanza.
Il suddetto sembrava non aver
notato
la cosa; ma aveva lo stesso atteggiamento fisico dell’altra.
Ha
notato che stanno parlando di lui, eccome.
“Ehi, stai
parlando con un
tizio che ha avuto metà famiglia ospite ad
Azkaban!” Sogghignò il biondo, con una
spigliatezza che nascondeva uno stato d’animo contrario. Lo
si capiva dagli
occhi. “Mio padre ha fatto cose poco carine quando era
giovane, ma è riuscito
comunque a trovare la sua strada ed avere una vita dignitosa. Una bella vita. Se Sören vuole,
può
uscirne.”
Favoloso
Scorpius
– Ted lo pensò con affetto. Quel ragazzo aveva
più cuore e cervello di
tanti suoi coetanei e di molteplici adulti.
Rose
non avrebbe potuto scegliere persona migliore.
Lily gli sorrise grata.
“Okay.” Si voltò di nuovo in direzione
degli agenti e del loro arrestato. Poi
guardò lui, l’autorità probabilmente
più vicina. “Teddy, pensi che possa andare
a salutarlo?”
“Lily, non lo
so…”
“Solo salutarlo!” Insistette, poi
inspirò. “Forse è meglio se vado a
chiedere a
papà.”
“Meglio, direi.” Si inserì Albus con
espressione poco contenta, ma senza aperte
rimostranze. La presenza di Tom e gli eventi che lo avevano reso
protagonista
quel giorno e l’anno prima non glielo permettevano.
Chiedere a suo padre una
cosa
del genere era come tirargli un calcio nel sedere mentre era chinato.
Una cosa
del genere. Sicuramente altrettanto urtante.
L’espressione con
cui accolse
la notizia infatti fu quella di chi aveva ricevuto un colpo
inaspettato.
“Voglio solo
salutarlo prima
che la Passaporta si attivi!” Inghiottì un groppo
di incertezza, perché anche
suo zio Ron e l’americana li stavano guardando. “Io
… credo di doverglielo.”
“Tu non gli devi nulla, Lils!” Sbottò
suo zio con forza. “Quel piccolo, viscido
bastardo…”
“Mi ha salvato la vita.” Lo interruppe ignorando
suo padre. Era molto più
facile parlare senza guardarlo in viso. “So benissimo quel
che ha fatto e non
intendo perdonarlo, ma devo dirgli addio.” Ecco le parole
giuste. “Se voglio
lasciarmi questa storia alle spalle … ecco, sento
che devo farlo.”
Sentì suo padre sospirare. “Va bene.”
Acconsentì facendo finta di non vedere
l’espressione
di protesta sul viso dell’amico di una vita. Si rivolse alla
strega. “Nora,
puoi spiegare la situazione agli agenti prima che si allarmino? Credo
che il
loro inglese sia limitato al gergo professionale.”
“Nessun problema.” Replicò sorridendole.
“Vieni.”
Lily sentì il
cuore
stazionarsi in zona gola quando si avvicinò agli agenti,
tipi enormi e
minacciosi. Sören era stato fatto sedere a terra e aveva le
mani legate da
manette magiche, dietro la schiena. Quando la vide sgranò
gli occhi ma non aprì
bocca. Riprese però colore, e questo era talmente palese che
non doveva esser
l’unica ad essersene accorto. Le guance pallide si erano
tinte di rosso.
Dannazione.
Lily sentì a
malapena le
parole che si scambiarono gli adulti in quell’idioma pietroso
che era il
tedesco; era infatti troppo presa a fissare l’altro e farsi
fissare di rimando.
Da fuori dovevano sembrare due idioti. Poi uno dei tre tedeschi disse
qualcosa
a Sören e questo si alzò immediatamente quasi
l’avessero caricato a molla. Era
rincuorante – anche se sbagliato
pensare che lo fosse – sapere che anche l’altro
voleva parlarle.
Come se non bastasse tutti – ma proprio tutti
– li stavano guardando come se fossero due pesci tropicali in
un acquario
babbano.
“Possiamo avere un
paio di
minuti? Da soli?” All’espressione degli agenti
crucchi mise su la sua migliore
aria contrita. “Per favore?”
Come
se volessi fargli scivolare una bacchetta in
tasca! Sarei la vittima, qui!
Nora parlottò
nuovamente con
quello che sembrava il capo, a giudicare dalle mostrine. Quello fece un
cenno
svogliato, ma accondiscendente. L’americana le mise una mano
sulla spalla.
“Solo un paio di minuti.” Le raccomandò,
allontanandosi poi con gli altri tre
maghi.
Sören
tirò un lungo sospiro, e
Lily si trovò di colpo a corto di parole.
Sono
un idiota.
“Lily…”
“Volevo solo dirti addio.” Impostò il
tono di voce nel modo più neutro che
poté. Il suo proposito si infranse miseramente sullo sguardo
dell’altro.
Dovrebbero
bandirli, occhi così. I cattivi devono esser
cattivi, i buoni buoni.
…
Sì, come se funzionasse così, nella vita reale.
“Grazie.”
Replicò Sören
distogliendo lo sguardo quasi avesse capito che la metteva a disagio.
“Lo
apprezzo molto.” Prese di nuovo un forte respiro.
“Io, Lilian … mi dispiace.”
“Lo so.” Ancora quel discorso. Non sarebbero mai
andati avanti e il tempo
sarebbe finito chiedendo e sentendosi dire quella stupida parola.
Scusa.
Non serve a niente scusarsi. Non cambierà quel
che è successo.
“Non sei
cattivo.” Buttò fuori
e evitò accuratamente di notare l’ espressione di
genuina sorpresa che ne
conseguì. Sören era troppo vulnerabile per non
farle male. Di nuovo. “Tu … non
sei una persona cattiva.” Ribadì. “Non
so se … se conterà qualcosa per gli
altri. Ma per me sì.” Le scarpe avevano la forma
più interessante del mondo
quando si volevano trattenere le lacrime.
Perché
dev’essere così … così
maledettamente
complicato?
“Grazie.”
Dovevano proprio
tenerlo ammanettato? Era maledettamente difficile non piangere quando
una
persona a cui voleva bene si rivelava un inganno. Era doloroso
realizzare che
l’affetto non era sparito di un’oncia. Sua nonna
– o le sue allucinazioni –
avevano ragione. Sören era sempre lì, non era
diverso dalla persona che aveva
conosciuto. Sorrideva nello stesso modo, schivo e incerto, la guardava
nello
stesso modo, come se fosse un mondo nuovo in cui era appena atterrato e
non
vedesse l’ora di scoprire.
Dannazione.
“Non
ringraziarmi.” Tirare su
con il naso non era come piangere, vero? “Diventa una persona
decente,
piuttosto.”
Qualcosa si accese nello
sguardo dell’altro. Lily si rifiutò
categoricamente di capire cosa.
“Te lo prometto.” Replicò.
“Posso…” Sören
guardò verso gli agenti. Era ben chiaro che il tempo si
fosse
già esaurito. “… Posso
scriverti?” Deglutì e lanciò
un’altra occhiata verso i
suddetti, in rapido ed efficiente avvicinamento. “Se ne
avrò la possibilità, si
intende.”
Lily lasciò ricadere le braccia lungo i fianchi. Non si era
accorta di averle
tenute serrate al petto per tutto quel tempo. In fondo non era come una
promessa. Non era niente e…
No,
è decisamente qualcosa e dovrebbe dirgli di no.
Non
lo farai mai
- diceva la voce di quella gran stronza di sua nonna.
“Sì.
Non so se potrò
risponderti però.” Ammise sincera; era altamente
probabile che suo padre
avrebbe intercettati i Gufi, specie se provenienti da una prigione,
facendo poi
due più due.
Uguale
quattro. Uguale Lily non pensare neanche di
corrispondere con un galeotto che ha cospirato per farti rapire e quasi
uccidere.
Uguale
diamine papà, hai proprio ragione.
Era una promessa che non
aveva
senso, e doveva saperlo anche l’altro. Eppure.
“Non fa niente, ti
scriverò
comunque.” Le sorrise appena. “Addio
Lilian.”
Lily sapeva di essere una
persona irrazionale. Per questo, solo per la sua
irrazionalità, gettò le
braccia al collo di Sören e strinse forte. Forse gli fece pure
male, ma non lo
sentì irrigidirsi affatto per il dolore. Se c’era
un modo per ricambiare un
abbraccio ammanettato, Sören lo fece.
Lily si staccò e
corse via
senza voltarsi. Farlo sarebbe stato del tutto folle, dato quel che
sentiva
agitarsi nel petto. Tornò da Al e gli altri e fu grata a
tutti di non sentire
dire una sola parola sulla scena a cui sicuramente avevano assistito.
“La Passaporta
è attiva.”
Disse suo fratello. Lily annuì e si lasciò
portare via. Non guardò neanche una
volta verso Sören Von Hohenheim, verso Sören Prince.
Ma ebbe la certezza che
lui stesse guardando lei.
****
“Non posso credere
di essermi
perso tutta l’azione!”
Ted sorrise stringendo la presa sulla vita di James, seppellendo il
viso nell’odore
caldo e familiare della pelle del suo ragazzo.
“Se non altro ti
sei
risparmiato un intossicazione da fiamme magiche. Non sono mai stato
tanto
contento di aver abbandonato l’Accademia per
l’insegnamento…” Borbottò
mentre
il fuoco nel camino scoppiettava vivace e salvifico, considerando che
avevano
abbandonato i vestiti da un bel pezzo; avrebbero dovuto montare un
impianto di
riscaldamento quanto prima.
Ci
penseremo non appena inizieranno i lavori. Magari tra
un mese.
Il calore del camino e una
quantità bastevole di coperte e cuscini stesa a terra
componevano comunque il
giaciglio perfetto, fuori dal mondo, e Ted lo trovava perfetto per
concludere
una giornata a dir poco infernale.
Avevano cenato alla Tana,
raccontato, esplicato, rassicurato. L’intero Clan era accorso
da tutte le parti
della Gran Bretagna per accogliere i valorosi. Era stato rinfrancante,
allegro.
Ma non aveva fatto altro che desiderare portar via James per tutto il
tempo,
chiudere le porte della loro casa e sprangarcisi dentro per almeno una
settimana.
Me
lo merito, direi.
Nessuno infatti aveva mosso
obiezioni quando aveva declinato l’invito di Molly a restare
per la notte;
addirittura Harry aveva sorriso e aveva augurato loro serenamente la
buonanotte.
Beh,
c’è di peggio che immaginare me e James nello
stesso letto. Tipo, quello che è accaduto oggi.
Alzò lo sguardo
verso il viso
imbronciato dell’altro. Corrucciato, avrebbe detto il ragazzo.
Imbronciato,
decisamente.
“Jamie, posso
farti notare che
è stato pericoloso e piuttosto spaventoso?”
Considerò pigramente, baciandogli l’addome.
L’altro fece un sospiro compiaciuto, ma tenne il punto.
“Esatto! Sono un
allievo
auror, avrei dovuto esser presente più di tanti
a…” Gli tappò la bocca con un
bacio, e non ci furono rimostranze.
Devo
cominciare a rivalutare la fisicità. Non è tanto
male, se ci si pensa. Efficace, senza dubbio.
James gli passò
le dita lungo
i capelli, ritirandosi poi perplesso. “Teddy … te
lo devo proprio dire.”
Considerò. “Hai i capelli pastello.”
Ted inarcò le
sopracciglia all’espressione
con cui guardava la sua povera testa. “Mi sto già
adoperando nella cura.” Gli
fece notare, e l’altro fece un sogghigno.
“Vedo. E sento.” Mormorò
strofinandosi significativamente contro di lui. “Oh,
tho … ‘sti
colori accesi tutto di un tratto!”
Ted
ridacchiò, nascondendo il viso nell’incavo
del collo dell’altro. Il suo concetto di ‘riposo
del guerriero’ aveva l’odore
di erba appena tagliata, sudore e James.
Sfido
a trovarne uno migliore.
“Mi han detto che
sei stato
grandioso, là fuori. Davvero ti sei trasformato in un lupo o Malfoy ha avuto le
allucinazioni?” Chiese buttandosi nel
disastro di coperte, piumoni e cuscini e tirandoselo rudemente dietro.
Ted non
si lamentò.
“Ho solo fatto il
mio dovere.”
Replicò. “E poi, se fai Potter di cognome, o
Weasley di ascendenza non sai
badare a se stesso. È un po’ una costante a cui
bisogna porre rimedio. E chi
meglio di un Lupin?”
“Ma che
stronzo!” Gli mollò
uno schiaffo sulla schiena, però gli ridevano gli occhi.
“Ehi, comunque non
scherzo … Secondo me, il vero eroe di tutta questa faccenda,
mio Teddy, sei tu.”
“Lo pensi
davvero?” Chiese,
buttando la modestia dalla finestra per una volta.
James lo guardò
come se fosse
un cretino integrale. “Tu che dici? Hai tenuto insieme la
baracca per tutto il
maledetto tempo. Ti dovrebbero dare una medaglia, o almeno, dedicarti
un
brindisi!”
“Non vedo medaglie
o bottiglie
di Burrobirra.” Scherzò di rimando. “
… ma non mi lamento, ho qui tutto quello da
cui volevo tornare.” E su questo non scherzava.
James ghignò,
come suo solito per
nascondere un incipiente principio di occhi lucidi e commossi.
“Vorrei vedere.”
Si stese sui cuscini
e allargò le
braccia. “Bentornato a casa, mio eroe!”
Ted scoppiò a ridere.
****
Il ritorno a casa era stato
un’ordalia, ma anche precisamente come se lo aspettava.
Tom aveva dovuto infatti,
nell’ordine: telefonare ai suoi ed assicurargli che era sano
e salvo, oltre a
promettere che non sarebbe tornato immediatamente ad Hogwarts, ma
sarebbe prima
passato da loro per il fine settimana. Rassicurare tutti gli occupanti
della
Tana – ovvero tutto il Clan Potter-Weasley in seduta plenaria
– che era ancora
in sé e che non stava affatto
elaborando il lutto per la perdita di quell’immenso figlio di
puttana di Von
Hohenheim. Evitare di essere ingozzato a morte da Molly durante la
cena. Rispondere
poi a svariati Gufi, da quello di Meike, prioritario, a quello di Loki,
inaspettato. Infine, evitare di mettere le mani addosso ad Al in
presenza di Hugo
e Fred Junior, che avrebbero diviso la camera con loro quella notte.
Il
compito più difficile di tutti …
Aveva invidiato Lupin che,
con
una faccia di bronzo invidiabile, aveva salutato tutti e si era portato
via
James quasi di peso.
Sesso
post-guerra per loro. Il migliore.
La situazione era tornata
alla
normalità solo a tarda notte, quando finalmente tutta la
mandria di teste
più-o-meno-rosse aveva lasciato tavola e raggiunto le camere
da letto,
impilandovisi in più modalità.
Scorpius stesso aveva
lasciato
la casa solo una mezz’ora prima, portato via da un carro
trainato da funebri
cavalli neri, marchio Malfoy per eccellenza.
Dalle
triple porzioni che gli han servito e dal fatto
che potesse baciare Rose senza essere decapitato da Ron, è
indubbio che ormai
sia ufficialmente parte del clan.
Dopotutto
si è quasi fatto ammazzare. La prova di rito per
essere ammesso l’ha passata a pieni voti.
Lui non era andato a letto.
O
meglio, aveva finto, ma quando aveva sentito Hugo russare, Fred fare lo
stesso e
Al dormire profondamente era scivolato via, preso le scale e poi la
porta sul
retro, quella che dava sul giardino.
C’era una coltre
di neve che copriva
tutto; dimenticava sempre come il tempo in Inghilterra fosse bizzarro.
Era
lieto lo fosse, perché il silenzio della neve era quanto di
più pacifico vi
fosse.
Silenzio,
finalmente.
Ne aveva bisogno per restare
solo con i suoi pensieri. Non che avesse una gran voglia di pensare in
realtà,
per una volta. Quando riaprì gli occhi, scoprì di
non essere solo; Lily era
seduta sulla vecchia altalena legata alla quercia secolare che si
ergeva tra la
sterpaglia e i vecchi attrezzi babbani che Arthur tentava di usare
senza
successo ad ogni falciatura. Era fornita di sciarpa e una grossa felpa
appartenuta a James, a giudicare dai colori accesi nei toni del rosso.
Si guardarono brevemente,
poi
Tom la raggiunse.
“Ehi.”
Disse l’altra con un
mezzo sorriso. “Non dormi?”
“Potrei farti la
stessa
domanda.” Si sedette sul basso steccato, dopo aver spolverato
via la neve che
vi si era depositata. “Avremo la stessa risposta.”
Lily ridacchiò. “Credo di
sì.” Non vi era spensieratezza in quella
esternazione
e Tom perse la voglia di congedarsi e tornare dentro.
“È stata una giornata …
beh, trovalo tu un aggettivo, super-cervellone. Sei tu quello con il
vocabolario stampato in testa.”
“Non credo esista una parola adatta per
classificarla.” Scrollò le spalle e
guardò
la frangia della sua sciarpa di Serpeverde. Non sua; era tutta
spiegazzata.
Ho
di nuovo preso quella di Al.
“Già.”
Lily si spinse
sull’altalena che fece un cigolio forte quanto uno scoppio di
incantesimo. Si
fermò. “È finita, giusto?”
“Sì.”
Convenne guardando verso
la Tana. Era completamente immersa nel buio, eppure sembrava
più luminosa e
calda di una giornata d’estate. Doveva fare
quell’effetto avere un posto da
chiamare casa. “Ma non era questa la domanda,
vero?” Indovinò.
“Sei chiacchierone
stasera,
Tommy.” Motteggiò l’altra con una
piccola smorfia. Poi annuì. “Finirà
mai?
Voglio dire … questa sensazione schifosa. Come sentirsi
scollati dal mondo,
intendo.”
Tom capì
perfettamente quello
che provava; era la stessa cosa che aveva provato per otto mesi a
Rügen e che
stava sentendo in quel momento.
Sono
vivo, non è morto nessuno. Stiamo tutti bene.
Davvero?
Scosse la testa.
“Ci vorrà del
tempo. Comunque credo di doverti delle …”
“Se mi stai per chiedere scusa ti do un pugno sul naso. Ne ho
sentite fin
troppe. Per una vita intera, direi.” Lo fermò
aggrottando le sopracciglia. E
Tom intuì da chi altro le avesse sentite.
“Le mie hanno il
pregio di
esser vere.”
“Anche le sue.” Ritorse con forza, con rabbia. Non
le ribatté. “Non è questo il
punto, comunque… È che non servono a niente.
No?” Anche stavolta non diede
risposta. Non era come se ne fosse richiesta una. “Sai, ho
mentito a zio Ron …
quando gli ho detto che non ho perdonato Sören.”
Riprese. Per l’appunto, era un
monologo. Ma andava bene, perché non si sentiva
particolarmente loquace. “Non
l’ho perdonato, non ancora … ma so che lo
perdonerò, prima o poi.” Inspirò con
forza, dando un calcio ad un cumulo di neve che aveva scavato davanti a
se con
un piede. “È … è normale?
È giusto?”
“Perdonare?
Sì, per fortuna.” Si
strinse nelle spalle e un solo nome gli venne in mente; il proprietario
al
momento dormiva il sonno dei giusti, perché se si fosse
svegliato l’avrebbe
ammazzato per non essergli accanto a dormire come avrebbe dovuto.
“Parlo a
titolo personale, come puoi ben immaginare.”
Lily fece un mezzo sorriso,
ravviandosi
i capelli con le mani. La vide serrare appena le dita sulla cute.
“Merlino, che
schifo di giornata.” Mormorò facendolo sorridere.
L’umorismo era qualcosa che
apprezzava profondamente, in Lily. “Tutti a dirmi che
è finita, Tommy … ma perché
ho l’impressione che sia appena iniziata?”
Sospirò.
“Non finisce mai con
la morte del cattivo. È una cosa che succede solo nelle
fiabe.” E chi poteva
sapere meglio di lui? “Ma non dovrai mai affrontare tutto
questo da sola. Credo
che questo conti qualcosa.”
Non lo siamo, non lo sono. Questo fa
tutta la differenza del mondo.
Lily gli sorrise apertamente
stavolta. “Puoi giurarci.” Si aggrappò
alle corde dell’altalena. “Mi daresti
una spinta?” Chiese dal nulla.
La guardò
perplesso. “Non
abbiamo più cinque anni.”
“Come se l’avessi mai fatto quando li
avevamo.” Ritorse, poi il sorriso
vacillò. Appena, non si notava neppure, ma successe. Tom non
poteva classificare
quell’espressione, perché non era una LeNa e non
era neppure una persona
empatica.
Si staccò
comunque dalla
staccionata. “Cinque anni…”
Borbottò facendola ridacchiare. Però spinse e
l’avrebbe fatto anche se non aveva senso, per lui.
Era proprio questo essere
umani.
****
Bretch Van Der Linde
rincasò
tardi quella sera. Era certo di essersi dimenticato di dire agli Elfi
di lasciare
qualcosa in caldo per cena ma dopotutto andava bene così,
non aveva fame.
Von Hohenheim era morto.
C’era
di che festeggiare, ma esser stato un piccolo ingranaggio che aveva
contribuito
ad innescare quella serie di eventi lo rendeva comunque nervoso.
È
normale, è normale vecchio mio… Un buon
bicchierino e
tutto andrà a posto.
Essere
l’informatore della task-force
anti-Thule era stato un
rischio, ma calcolato; anonimo, puntuale e calcolatore, proprio
così. Von
Hohenheim andava fermato. E se il pazzo avesse parlato? Averlo fatto
prima di
lui gli avrebbe garantito un salvacondotto verso
l’immunità.
Che gli altri andassero pure
al diavolo, lamentandosi e disperandosi della perdita di un mago
geniale, Alberich
era stato un pazzo fino all’ora
della sua morte ed era stata un’autentica fortuna che fosse
morto portandosi i
loro nomi.
Sospirò, aprendo
la porta
dello studio con un colpo di bacchetta; l’indomani mattina
avrebbe fatto le
valigie, diretto nelle sue proprietà in Sudamerica. Con un
po’ di fortuna il
suo nome sarebbe sbiadito dalla memoria comune in qualche decennio.
Andò verso il
mobiletto di
cristallo che ospitava la sua amata collezione di bottiglie di rara
stagionatura e si versò un bicchierino di ErbaVerde delle
Ardenne,
sorseggiandolo con piacere.
Alla
tua memoria, Alberich.
Lo sputò
immediatamente quando
sentì le vie respiratorie chiudersi di colpo. Troppo tardi;
l’alcool tracimò
dalle sue labbra. Crollò a terra.
Veleno!
Fu allora che vide
un’ombra
scura, languidamente allungata sulla sua poltrona preferita, quella
più vicina
al fuoco. Qualcosa era appollaiato sopra lo schienale, come un
avvoltoio. No,
erano i suoi sensi sconvolti. Era una persona.
“Il buon vecchio
Brecht ha
sempre le stesse abitudini.” Cantilenò la voce di
un uomo, infantile e per
questo sballata, inquietante. “Sempre un bicchierino per
conciliare il sonno …
o la coscienza sporca.” L’avvoltoio si
chinò su di lui con un tanfo di tabacco
e pessimo whisky. Questo prima che anche il naso smettesse di
funzionare,
lasciandolo a boccheggiare come una carpa fuori dall’acqua.
“Beh, dovevi
aspettartelo
vecchio mio.” Rise la voce. “A nessuno piacciono
gli spioni.” La voce si
allontanò e tornò verso l’altra ombra.
“Non è vero, mia regina?”
Inside
this cold heart is a dream
That's locked in a box that I keep
Buried a hundred miles deep
Deep in my soul in a place that's surrounded by
aeons of silence¹…
****
Note:
Trolololo.
Ho fatto la troll fino
all’ultimo, ne sono consapevole. *occhi angelici*
Comunque,
questa¹
la canzone che chiude la storia.
Ascoltatela, è
bellissima,
azzeccata e … vabbeh, ho già detto belissimimisisimissima?
Ora, in chiusura…
Che dire, sono stati due
anni
(due anni!) lunghi e bellissimi. Ad Umbra Lumen non sarebbe stata
quello che è se
non fosse stato per VOI. Sì, tutte le persone che leggono,
disegnano, recensiscono
i miei disperati e mi contattano tramite fb. Un grazie immenso,
perché non
siete il carburante della storia, ne siete Il MOTORE.
I piani per il futuro degli
sciagurati … Come ho detto su Facebook, ho intenzione di
scrivere il Settimo
anno di scuola di Dominique e Violet, una specie di shot estiva e poi,
sì,
inevitabile: la Terza Parte.
(Dan-dan-dan!)
Sto già lavorando al plotting da un po’, quindi
non credo si dovrà attendere
molto. Forse addirittura prima di Settembre!
Insomma, diciamocelo: ci sono ancora molte cose da spiegare, no? :P
A presto quindi!
Dira
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