Trying not to Love You

di Dani85
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I cap. ***
Capitolo 2: *** 2 Cap. ***



Capitolo 1
*** I cap. ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.
Note: Post DdP9, What if – Titolo da “Trying not to Love you” di Nickleback

 

Triyng not To Love You

Triyng not to Love You

Trying not to Love You
'Cause trying not to love you
Only makes me love you more

So I sit here divided, just talking to myself
Was it something that I did?
Was there somebody else?


«Ma tu guarda questo... ma chi si crede di essere... ma non ha capito nulla...»
Monti entrò borbottando in ufficio e scaraventò malamente cellulare e cappello sulla sua scrivania o, per meglio dire, sulla scrivania a cui in quel momento sedeva Elena. La Argenti sobbalzò sorpresa quando il cappello del collega atterrò dritto dritto sulle carte che stava leggendo.
«Ah no, ma se pensa di poter fare quello che vuole... anzi, se pensa che io farò quello che vuole lui, sta fresco!» esclamò l'uomo gesticolando.
«Voulez vous coucher avec moi, ce soir... uh... voulez vous coucher avec moi...» il canticchiare stridulo di Mancini invase a sorpresa l'ufficio, insieme al rimbalzo ritmico della sua pallina sul pavimento. Elena boccheggiò un paio di volte, alternando lo sguardo dall'uno all'altro.
«No ma buongiorno anche a voi, comunque!» esclamò scuotendo sconsolata la testa, mentre Gabriele si buttava a peso morto sulla sua poltrona facendola girare un paio di volte su se stessa.
«Oh puoi ben dirlo ma belle: è proprio un buon giorno! Cioè è stata una nottata strabiliante: quella ragazza è semplicemente...»
«ALT! Basta Gab, ti prego... risparmiaci i dettagli!» lo bloccò Elena con una smorfia disgustata che fece il paio con l'eloquente occhiataccia rifilatagli da Monti. «Tu piuttosto,» e la ragazza indicò proprio Lorenzo, «con chi ce l'avevi prima?»
«Con Jacopo: cioè si è messo in testa che la festa di compleanno di Chiara deve essere a tema “danzante”!» rispose lui calcando l'ultima parola e mimando con le dita il gesto delle virgolette.
«Oh ma che cosa carina!»
«Oh ma che cosa figa!» esclamarono in coro Elena e Gabriele e stavolta fu Lorenzo a boccheggiare guardandoli. I due colleghi si scambiarono una rapida occhiata prima di mettersi a ridere mentre l'altro, decisamente abbattuto, si passava le mani sulla faccia.
«Dai Lore', qual è il problema? È un'idea dolce e romantica!» sospirò Elena rigirandosi una penna tra le mani.
«No è un colpo basso, altro che idea romantica! È tutta strategia perché lui sa ballare e quindi ci farà una bella figura mentre io...» ribatté lasciando la frase appesa con lo sguardo che si abbassava sui propri piedi.
«Aspetta aspetta aspetta... non sai ballare!?»
Mancini aveva scavalcato la scrivania e ora penzolava le gambe dal bordo.
«Non è che non so ballare... è che non mi piace muovermi, ecco!» borbottò Monti sulla difensiva.
«Eh be', capisco...pigro  come sei!»
«Ehi...»
Elena si sfilò gli occhiali ridacchiando rassegnata: era appena cominciato uno dei soliti battibecchi tra Monti e Mancini, uno di quei botta e risposta che si sarebbe trascinato fino a quando qualcuno non li avrebbe interrotti. Ovviamente quel qualcuno sarebbe stato proprio lei, sfiancata dal sentirseli blaterare nelle orecchie. Stavolta però, li aveva bloccati molto prima del solito, attirata dal suo nome pronunciato con enfasi dal francesino.
«Elena cosa, scusa!?» chiese allarmata.
«Dicevo a Lorenzo che di sicuro tu sarai disposta a darci una mano, vero Elenina!?» cinguettò Gabriele saltellando dietro di lei e stingendola per le spalle.
«A fare cosa!?»
«Ad insegnargli a ballare, no!?» e con un gesto rapido la afferrò per un braccio tirandola in piedi.
«Ma tu sei scemo! Niente di personale Lore' sia chiaro, ma non ho nessuna intenzione di farmi coinvolgere in una delle stramberie di 'sto qua!» esclamò Elena divincolandosi dalla presa del collega.
«Ma Elenuccia, non puoi essere così senza cuore, dai! Come puoi negare un aiuto ad un padre che vuole imparare a ballare solo ed esclusivamente per amore della figlia!?, una dolcissima ed adorabile ragazza che compie gli anni proprio oggi!?» insistette lui sfoderando i migliori occhi dolci di cui era capace. Monti provò a sua volta ad imitarlo, con il risultato però di somigliare ad un cane bastonato. Oddio pensò Elena, Lorenzo doveva essere davvero disperato se accettava le iniziative di Gabriele e se addirittura improvvisava malriuscite occhiate dolci per convincerla. Quel pensiero le fu fatale: pagò quell'attimo di distrazione ritrovandosi tra le braccia di Gabriele che prese a volteggiare per l'ufficio inscenando qualcosa che nelle sue intenzioni doveva essere un valzer o qualcosa di simile. Monti seguiva la scena fissando i piedi dei colleghi e, per la prima volta da quando lo conosceva, trovava che Mancini avesse avuto una buona idea: magari davvero entro sera avrebbe potuto imparare un paio di passi per fare almeno mezzo ballo con la figlia.
«Guarda Lore', eh!» lo richiamò Gabriele mentre gli girava intorno contando i passi con Elena che gli urlava contro di tutto. Monti aguzzò la vista, attento e concentrato, nel tentativo di memorizzare qualcosa prima che la Argenti riuscisse a staccarsi da Mancini per fargli ingoiare, così come lo stava minacciando, la sua adorata pallina. Prese, dunque, a fargli eco ripetendo tra sé e sé gli un-due-tre un-due-tre con cui il collega accompagnava il ballo.
«Elena...»
La voce di Luca che richiamava la collega irruppe di colpo nell'ufficio ispettori facendo fermare di scatto Gabriele che mollò subito Elena.
«Oddio!» si lamentò lei. Le girava la testa dopo tutto quel vorticare per la stanza e per cercare di mantenersi in equilibrio allungò istintivamente le mani a cercare un appiglio. Si ritrovò afferrata per le braccia da Luca che la guardava a metà tra il preoccupato e il confuso.
«Tutto bene!?» le chiese squadrandola attento.
«Oh... sì... sì, ora sì!» gli sorrise, «Qualcun altro però non potrà dire lo stesso tra un po'!» aggiunse sibilando in direzione di Mancini che fischiettava palleggiandosi tra le mani la pallina.
«Ah... va be', poi mi spiegherete... senti, dovresti andare con Anna a fare un controllo...» esclamò il commissario porgendole un foglio con un indirizzo.
«Ti ho mai detto che ti adoro Luca!? No perché sennò inizio da ora eh...» esclamò di rimando lei con un ampio sorriso, mentre afferrava il pezzetto di carta con una mano e il braccio di Anna con l'altra. «Noi andiamo, a dopo!» salutò ad alta voce tirandosi dietro l'amica.
«Ok, ora spiegatemi perché Elena è praticamente scappata e cosa stavate facendo prima!» e a braccia incrociate Luca si appoggiò ad una delle scrivanie aspettando che Gabriele e Lorenzo parlassero.

***


Elena e Anna avevano passato l'ultima mezz'ora ad annuire ad una vecchina che le aveva raccontato vita, morte e miracoli della vicina di casa, la donna su cui Luca aveva chiesto loro di fare un controllo.
«Eh sì che dovevamo solo scoprire se la Minardi conosceva o no 'sto Riva!» esclamò ironica Anna risalendo in auto.
«E invece adesso, grazie alla discretissima vicina di casa, sappiamo anche a che età ha avuto il morbillo! É stato un controllo meticoloso, oh: Luca sarà fiero di noi!» esclamò di rimando Elena strappando all'amica una risatina leggera.
«Almeno così avrà qualcosa di cui essere fiero di me!» chiosò amaramente la Gori mettendo in moto.
«Anna...» provò a controbattere l'Argenti ma l'altra la fermò subito.
«No Ele, è così: ultimamente non ha condiviso e appoggiato nessuna delle mie scelte!» sospirò, lo sguardo fisso sulla strada. Elena si abbandonò all'indietro contro il sedile voltandosi a guardare dal finestrino. Aveva capito perfettamente a cosa si riferiva Anna e, doveva ammetterlo, l'amica aveva ragione: l'indagine sui Russi aveva avuto, per lei e per Luca, conseguenze che si stavano ancora trascinando subdole e infide. Sbuffò impercettibilmente prendendo a mangiucchiarsi le unghie: avrebbe voluto dirle che si sbagliava ma, lei per prima, sapeva che c'erano state molte cose nel modo dell'amica di condurre la propria infiltrazione tra i russi che a Luca non erano andate giù. E anche lui aveva le sue ragioni. Insomma, in qualunque modo la mettesse e da qualunque punto di vista la vedesse, quella era una situazione in cui ognuno aveva la sua parte di ragione: Anna per aver voluto portare a termine quella missione a tutti i costi, Luca per il comportamento non proprio ortodosso di lei.
«Il fatto che non condivida alcune tue scelte non significa che non sia fiero di te, che non si fidi o roba del genere...» esclamò alla fine Elena, interrompendo il silenzio che era sceso in auto.
«Boh non lo so...» soffiò Anna dubbiosa.
«Ma scusa, se hai 'sto dubbio, perché non gliene parli?»
«Perché non credo che abbia voglia di sentirsi nominare Dorian e se parlassimo dei Russi sarebbe inevitabile!» rispose a tono con un sorrisino che sapeva più che altro di smorfia.
Elena si morse le labbra per evitare di dire quello che aveva sulla punta della lingua, ovvero che non poteva aspettarsi qualcosa di diverso vista la spiccata di gelosia di Luca per quell'uomo e per quell'ultimo periodo della sua vita.
«Però se continuate a far finta che sia tornato tutto come prima, non risolverete mai niente!» finì comunque per dire, in un sforzo di diplomazia, puntandole un dito contro.
«Ma non stiamo facendo finta, almeno io! Voglio davvero che le cose tornino come prima, non mi piace il male che ci siamo fatti in questi mesi!» ed Anna tornò col pensiero alle tante parole e alle azioni più o meno volontarie con cui si erano feriti.
«No scusa, ma stai dicendo sul serio!? Cioè spiegami come può tornare tutto come prima se tu sei stata innamorata di lui!?» scattò Elena facendo mezzo giro sul sedile.
«Sono successe tante cose da allora...» pigolò lei tra i denti parcheggiando davanti al Commissariato.
«È vero! Eppure, nonostante tutto, tu ami ancora Luca! E anche lui, secondo..»
«ELENA!» esclamò tagliente e ad alta voce, «Lo hai detto tu stessa che era una storia difficile, impossibile, complicata e tutto il resto no!? Be', appunto per questo, voglio che il mio rapporto con Luca torni com'era: non ho più né la voglia né la forza di illudermi che ci possa essere qualcosa di diverso!» tagliò corto, cominciando a scendere dalla macchina.
«Anna!? Anna, aspettami!» le urlò dietro mentre tentava di sganciare la cintura di sicurezza. «Cioè, ma di tutto quello che dico lei deve ricordarsi proprio quella frase?» borbottò tra sé e sé litigando con il gancio tra i sedili. Era assolutamente vero: era stata lei a definire “complicata” ed “impossibile” una storia tra Anna e Luca ma, da quella frase, ne era passata di acqua sotto i ponti. Ne era passato di tempo e in quel tempo aveva visto Anna buttarsi praticamente ad occhi chiusi in una relazione che si era trasformata fin troppo velocemente in una pericolosa missione e aveva visto Luca perdere il sonno, la salute e la serenità dietro a tutto quello.
«Evviva!» esultò quando finalmente riuscì a sganciare la cintura, potendo così fiondarsi dietro l'amica. Voleva dirle quello che pensava davvero e che secondo lei, ora, forse, lei e Luca, se c'avessero provato, se avessero voluto, se avessero rischiato, avrebbero potuto avere un'opportunità. Un po' troppi se, forse! rifletté varcando il portone del X^ mentre allungava il passo in direzione dell'ufficio ispettori. Le occhiate divertite che alcuni agenti lanciavano verso il corridoio alle sue destra la bloccarono e incuriosirono. Quando si voltò seguendole notò un piccolo capannello di persone assiepate davanti allo spogliatoio, in fondo al piccolo corridoio.
«Si può sapere cosa state facendo tutti qui?» chiese giungendo alle spalle del gruppetto.
«Oh, siamo in pausa!» rispose tranquillo Ingargiola sorseggiando il suo caffè come se stesse al bar.
«E la pausa la fate stando in contemplazione dello spogliatoio!?» domandò ancora con tono incerto.
«No no, non dello spogliatoio ma di loro!» intervenne Vittoria facendo cenno verso la stanza. Elena allungò il collo oltre le spalle di Anna per poter spiare l'interno dello spogliatoio e quasi se ne pentì quando gli occhi le caddero su Monti che maldestramente girava su sé stesso e su un disperato Ugo che si prestava al ruolo di dama con la stessa aria di chi sta andando al patibolo.
«Gabriele!» sospirò rassegnata lasciando cadere le spalle.
«Oddio, sì!» ridacchiò Luca girandosi verso di lei, in mano un pacchetto di patatine, «È già almeno un quarto d’ora che vanno avanti così: Mancini che fa il verso a qualche canzone e quegli altri due che tentano di ballare!»
«Ma come gli è venuto in mente…» piagnucolò Elena stringendo le braccia al petto e scuotendo la testa.
«Ah, non so che dirti… So solo che quando sono andato in archivio a cercare Ugo, lui non c’era. Allora ho seguito delle sottospecie di urla e mi sono ritrovato qui, davanti allo spogliatoio con loro due che già ridevano!» continuò Luca accennando con la testa a Vittoria e Giuseppe.
«E così avete deciso di godervi un po’ lo spettacolino eh!?» commentò ironica Anna tuffando la mano a rubare un paio di patatine dal sacchettino del loro giovane commissario.
«Eh sì! È molto più divertente questo che prendere il caffè fissando il muro dietro la macchinetta!» esclamò Ingargiola svuotando in un ultimo sorso il suo bicchierino.
«Decisamente!» accordò Luca mentre si appoggiava allo stipite della porta con un largo sorriso.
«Luca!» lo richiamò impercettibilmente Anna rifilandogli una piccola manata su un braccio e il sorriso del ragazzo si trasformò in una vera e propria risatina, di quelle che finivano per contagiare un po’ tutti. Vittoria e Giuseppe infatti si lasciarono trasportare ed iniziarono a ridacchiare indicando ora Monti, ora Ugo. Anna invece era rimasta fissa su Luca, lo sguardo calamitato dal suo viso, da quegli occhi illuminati dall’allegria, da quel sorriso che gli incurvava le labbra. Elena chiuse e riaprì gli occhi un paio di volte per essere sicura di non fraintendere la scena ma c’era ben poco da equivocare: Anna si era appena imbambolata a fissare quello che era il suo capo, il suo coinquilino, il suo migliore amico, il suo amore mai vissuto, quello irrealizzabile, impossibile, che mai sarebbe potuto esserci. Beh, doveva ammetterlo, quantomeno quella ragazza predicava bene e razzolava male. Aveva tanto da dire che ormai si era rassegnata, che loro non sarebbero mai stati altro che amici, se poi praticamente continuava a sbavargli dietro esattamente come avrebbe fatto un’adolescente con il ragazzo per cui moriva. E Luca doveva essersene accorto perché improvvisamente si era fatto serio e l'espressione scanzonata si era trasformata in un intenso sguardo, un'occhiata tanto profonda quanto fugace. L'aveva deviato nel giro di una frazione di secondo, imbarazzato, mettendosi a fissare il sacchetto di patatine che ancora aveva in mano, fin troppo interessato alle scritte sulla confezione.
Ok, era assodato: Luca aveva decisamente bisogno di un paio di lezioni su come dissimulare l'imbarazzo, esattamente come Anna ne necessitava per imparare a non dare nell'occhio. Elena ripensò a tutto il discorsetto che aveva intenzione di fare all'amica e a quel punto le parve inutile: un po' perché già lo sapeva che in fondo lei non l'avrebbe neanche fatta finire di parlare, e un po' perché le era balenata per la testa un'idea che le sembrava sarebbe stata ben più efficace delle parole. Le occhiate che Anna e Luca si stavano ancora furtivamente scambiando la dicevano lunga su quanto sarebbe potuta essere concreta per loro la possibilità di stare insieme. Bastava solo che ne fossero convinti e che si facessero una discreta dose di problemi in meno... e che qualcuno gli desse una piccola spinta. E la Argenti si sentiva perfetta per quel ruolo. Tossicchiò un paio di volte attirando l'attenzione degli altri e facendo istintivamente allontanare Anna da Luca, che riservò alla collega uno sguardo perplesso.
«Bene, direi che è il momento di intervenire!»
Con un unico passo si fece spazio tra i colleghi e quando si ritrovò sulla soglia dello spogliatoio bussò contro lo stipite della porta guadagnandosi immediatamente tre paia d'occhi puntati addosso. «Ugo, ti dispiace lasciarci soli?» domandò al collega che, con immensa gioia, poté finalmente sfuggire alla presa di Monti e sgusciare fuori dalla stanza mentre lei chiudeva la porta. Con le braccia incrociate Elena vi si poggiò contro squadrando attentamente i due amici.
«Tu vuoi sempre imparare a ballare entro stasera!?» chiese a Monti e lui annuì con un deciso cenno della testa,.
«E tu vuoi sempre che io ti aiuti ad insegnarglielo!?» domandò ancora, ma stavolta rivolta a Mancini e quando anche lui annuì, lei si concesse un sorriso che definire compiaciuto sarebbe stato riduttivo. Aveva l'aria un po' diabolica di chi stava macchinando qualcosa quando, dopo un mezzo giro su sé stessa, si girò ad aprire di nuovo la porta. I colleghi si erano spostati di qualche metro e ora rifacevano capannello davanti all'ufficio denunce. Ingargiola e Ugo si parlavano l'uno sull'altro con il primo che quasi sicuramente stava prendendo in giro il secondo, rosso di imbarazzo e rabbia, mentre Vittoria cercava di fare da paciere. Luca e Anna erano più defilati invece, con lui che stava firmando qualche carta a Tamara.
«Anna!?» gridò Elena richiamando l'amica.
«Sì, dimmi!» le andò incontro lei.
«Puoi ragguagliare da sola Luca sul nostro controllo? No perché io avrei un attimo da fare con questi due individui qui...» le spiegò indicando Monti e Mancini con uno svogliato cenno della mano.
«Ma sì, tranquilla!» ridacchiò la Gori scuotendo la testa, mentre tornava sui suoi passi e scansava per un pelo la manata che Ugo aveva malamente cercato di rifilare a Giuseppe.
«Ok, ora basta!» sentì dire a Luca mentre richiudeva la porta e si girava per appoggiarcisi contro. Gabriele e Lorenzo erano ancora lì, fermi dove lei li aveva lasciati, e la fissavano con occhi carichi di attesa.
«Quello sguardo non mi piace!» borbottò Monti puntandole un dito contro e, per tutta risposta, il sorriso di Elena si allargò in modo incontrollato. «Ok, ora mi fai proprio paura!» chiosò lui facendo un passo indietro, certo che la Argenti sarebbe scattata urlandogli addosso qualcosa di poco carino. Ma Elena, invece, continuava a sorridere, le spalle alla porta, le mani intrecciate dietro la schiena e la testa inclinata di quel tanto che le serviva per scoccare ai colleghi un'occhiata in tralice.
«Cos'hai in mente Elenina!?» sussurrò Gabriele con uno spontaneo tono cospiratore, mentre piegava la testa da un lato per restituirle lo stesso sguardo storto.
«Pensavo di dare una spintarella al destino di un paio di persone a caso... giusto un aiutino, mi capisci!?» ammiccò lei e, nello spazio del basso «Capisco!» con cui rispose, gli occhi di Mancini luccicarono di una luce che Monti registrò immediatamente come diabolica e pericolosa.
«Ehi, Bonnie e Clyde!?, toglietevi dalla testa qualunque cosa abbiate intenzione di fare ad Anna e Luca!» esclamò severo Monti, mentre recuperava il suo cappello dalla panca su cui giaceva, i due colleghi lo squadrarono sorpresi. Be', cosa avevano da guardarlo così? Sì, era il solitario e taciturno ispettore Monti ma non era così fuori dal mondo da non notare la situazione tra Luca e Anna e non era così stupido da non capire che la folle – perché qualunque cosa fosse, era sicuramente folle – idea di Elena riguardava loro due.
«Guarda che non voglio mica rapirli o torturarli. Voglio solo dargli una mano a chiarire un po' le cose!» si difese Elena mordicchiandosi un labbro.
«Non sono due bambini: non hanno bisogno di qualcuno che decida per loro!»
«E infatti voglio solo creare la situazione per cui abbiano la possibilità di parlarsi per davvero! E tu mi aiuterai!» tagliò corto alla fine lei, indicando Gabriele e ignorando Lorenzo che sgusciò fuori dalla stanza imprecando tra i denti qualcosa di indefinito.

***


Doveva essere successo qualcosa di strano nello spogliatoio. Sì, decisamente doveva essere successo qualcosa di strano lì dentro. Luca ne era sicuro. Era l'unica spiegazione possibile alle fugaci occhiatine che Elena e Gabriele si stavano scambiando da quando erano usciti da lì. All'inizio aveva addirittura pensato che si fossero sbarazzati di Monti una volta per tutte, magari chiudendolo a chiave in uno degli armadietti ma, poi, Lorenzo era spuntato dall'archivio con un paio di fascicoli tra le braccia e lui aveva dovuto abbandonare l'ipotesi omicidio da occultare.
«Luca, ma mi ascolti?» stava protestando Anna picchiandolo con una penna su una mano. Lei gli aveva appena riassunto cosa avevano scoperto sul caso e lui non aveva ascoltato nulla.
«No scusa, ero distratto!» ammise sinceramente con un sorriso colpevole. Seduti ciascuno alla propria scrivania, Elena e Gabriele puntarono insieme gli occhi su Anna e Luca, quasi stessero aspettando che quello scambio di battutine si trasformasse in una dichiarazione d'amore o in qualcosa di molto simile.
Stavolta anche Anna percepì lo strano comportamento dei colleghi e si voltò verso Luca con espressione interrogativa. Il ragazzo scosse la testa e le concesse una scrollatina di spalle e un Boh mormorato.
«Senti, facciamo così: prendi il fascicolo – così me lo studio stasera – e andiamo a casa! Vado a prendere la giacca, tu aspettami in macchina!» fece Luca defilandosi e Anna non se lo fece ripetere due volte. Conoscevano entrambi abbastanza bene i loro amici da sapere che conveniva darsela a gambe quando quei due tramavano qualcosa. E quella sera c'avrebbero giurato: Elena e Gab stavano tramando qualcosa.

«Non me la raccontano giusta!» esordì Luca salendo in auto, la chiave già pronta per mettere in moto.
«Su questo non ci piove! Mmm... si saranno coalizzati contro Lorenzo, no!?» ipotizzò Anna ridacchiando.
«Ci avevo pensato anche io ma, ecco, non ti è parso che guardassero noi un po' troppo spesso?»
Anna soppesò quelle parole e sì, effettivamente, anche lei aveva avuto la sensazione di essere osservata ma non ci si era fissata più di tanto concentrata com'era su Luca e sulla conversazione con lui. Più su Luca che sulla conversazione, per amore di verità.
«Comunque, qualunque cosa sia, non voglio saperne niente!» esclamò infine riprendendo il controllo dei suoi pensieri.
«Siamo in due!» si accodò lui e risero insieme. Non capitava spesso ultimamente che fossero così sereni e spensierati da lasciarsi andare ad una risata di cuore. E ad Anna mancavano quei momenti anche se, lo sapeva, qualcosa si era incrinato nel loro rapporto e, forse, si era incrinato per sempre. Si erano fatti troppo male, si erano urlati contro troppo cose per pensare che fosse davvero tutto passato, tutto risolto. Ma di risolto c'era poco e niente, tra loro e nelle loro teste. Lui alternava momenti di grande complicità ad attimi in cui sembrava ancora arrabbiato a morte per tutto il casino dei Russi e lei cercava ancora di convincersi che non lo amava, perché non c'erano speranze, perché semplicemente non poteva. Si sforzava di convincersi. Poi non ci riusciva ok, ma questo era un altro discorso.
«Ma tutte quelle carte lì, cosa sono?»
La domanda di Luca interruppe il silenzio dell'abitacolo e Anna seguì lo sguardo dall'amico che, per un attimo, era balenato dalla strada al cruscotto ingombro di depliant. Allungò una mano e ne afferrò un paio dal mucchio.
«Università di biologia marina... a Trieste...» biascicò titubante scorrendone uno tra le dita.
«Ah... allora sei proprio convinta...» sibilò lui tra i denti. Duro, freddo, distante.
«Ci sto pensando... non ho deciso nulla ancora...» mormorò lei sulla difensiva. Era sempre sulla difensiva quando parlava con Luca di quella strana idea, di quel sogno di bambina, di quella passione per il mare tornata ad ardere e che le stava facendo pensare di lasciare la polizia, di lasciare Roma, di lasciare tutto e tutti. E l'unica cosa che ancora la teneva lì era lui e l'illusione che, dal nulla, da un momento all'altro, le cose potessero cambiare. In quel momento però, in quella macchina che sfrecciava silenziosa sull'asfalto, con gli incredibili occhi di Luca che fissavano la strada duri e quasi feriti, Anna si scoprì un po' più convinta che qualcosa si fosse davvero rotto, definitivamente. E con sua enorme sorpresa, si ritrovò a sperare che Elena e Gabriele stessero davvero architettando qualcosa per lei e Luca.

 

...continua...

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Capitolo 2
*** 2 Cap. ***


Disclaimer: Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Taodue srl; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. Gli elementi di mia invenzione, non esistenti in DdP, appartengono solo a me.
Note: Post DdP9, What if – Titolo da “Trying not to Love you” di Nickleback


 

Trying not to Love You

Triyng not to Love You

Now I see the silver lining, from what we’re fighting for
And if we just keep on trying, we could be much more
‘Cause trying not to love you

Oh, yeah, trying not to love you
Only makes me love you more
Only makes me love you more


Un altro minuto di quell'assordante silenzio e Anna sarebbe esplosa. Davvero. Non potevano finire a non parlarsi più ogni volta che il discorso cadeva su Trieste e su biologia marina e su quella sua strampalata idea di mollare tutto e partire.
Nuova città, nuovo lavoro, nuova vita e una bella definitiva passata di spugna a tutto quello che era stato fino a quel momento. Una nuova Anna, un po' più vicina a quella Giulia che si era finta per mesi: spensierata, decisa, audace, irresponsabile. Leggera. Non ne poteva più di tutti i casini e dei problemi e delle complicazioni in cui tutta la sua esistenza si era impantanata.
Era così difficile capire che voleva la leggerezza e la spensieratezza che non le erano mai state permesse?
È così difficile comprenderlo? E accettarlo? Eh Luca, è così difficile?
Gli occhi di Anna sembravano cieli in tempesta mentre si spazzolava seccamente i capelli davanti allo specchio in bagno e pensava che adesso sarebbe uscita da lì, a passo di marcia su quei trampoli che le avevano spacciato per tacchi alti, avrebbe afferrato Luca per le spalle e glielo avrebbe urlato in faccia.
Sì, lei avrebbe urlato e poi lui si sarebbe incazzato a morte e infine avrebbero litigato. Succedeva sempre così, Luca finiva per arrabbiarsi e poi tutto precipitava in una dolorosa litigata. Ecco sì, gli avrebbe chiesto anche cosa aveva da arrabbiarsi così ogni volta che parlavano di Trieste. Glielo avrebbe urlato. Tutto pur di interrompere quell'allucinante silenzio.
Già sul piede di guerra, si chiuse la porta del bagno alle spalle con uno scatto secco e imboccò il piccolo corridoio, i tacchi che rimbombavano sul pavimento come una grandinata.
Luca era seduto sul divano, già pronto, e stava studiando il fascicolo che le aveva fatto portare a casa dal distretto. O quanto meno ce lo aveva tra le mani. Perché non aveva per niente l'aspetto di uno che stesse leggendo. Lo sguardo era puntato verso il balcone, distante, e le spalle si piegavano appesantite ad ogni sospiro.
All'improvviso le domande arrabbiate che avrebbe voluto fargli si dissolsero tutte e al loro posto se ne formò una sola: Perché sei triste, Luca?
E Anna avrebbe voluto semplicemente sussurrarglielo, mentre lo abbracciava stretto come faceva una volta, prima che tutto si guastasse. Alla fine, Anna non fece nulla. Solo si lasciò annunciare dal ticchettio dei tachi e poi lo chiamò piano, in un soffio cauto.
«Luca? Sono pronta!»
E lui si alzò, il fascicolo posato sul divano, e la raggiunse davanti alla porta, mentre srotolava le maniche della camicia e infilava la giacca.
«Dopo di te!» disse solamente, indicandole l'uscita con un paio di occhi tristi che erano un pugno nello stomaco.

 

***


C'era qualcosa di comico in quella festa, Anna lo aveva pensato dal primo momento in cui aveva visto che gli unici adulti presenti erano loro – e con loro intendeva i colleghi del X –, in mezzo a un gruppo di ragazzini che occhieggiava gli alcolici come fossero una promessa di trasgressione. Per un attimo, appoggiata al parapetto della terrazza, Anna sospettò che Monti li avesse invitati proprio per questo, per fare da supervisori, per intervenire al primo bicchiere che non fosse stato di aranciata. Ma fu un attimo davvero, perché poi ricordò l'entusiasmo con cui Chiara li aveva accolti e dovette ammettere che erano lì solo perché a lei faceva piacere.  
Sorrise e si guardò intorno: il salone illuminato a giorno, le portefinestre spalancate sul patio e la musica che rimbombava contro i muri. Era una serata fresca, un venticello leggero si infiltrava tra gli ospiti con la sua scia di vaniglia rubata alle tante minuscole candele che bruciavano all'esterno. L'intera villa pareva ballare al ritmo della musica, sospesa in una sorprendentemente limpida. Anna vide Elena – lei e il suo vestitino verde lime – parlare con Gabriele, le teste vicine che quasi si toccavano e l'atteggiamento furtivo di chi sta tramando qualcosa, e la sensazione che quei due stessero architettando chissà cosa tornò prepotente. La vide assestare una pacca sulla spalla a mancini e poi farle un occhiolino, per nulla preoccupata che lei la stesse osservando. Ogni tanto quella donna le faceva paura, davvero!
«Una birra per i tuoi pensieri!» esclamò Elena, mentre le allungava la bottiglia e si appoggiava anche lei sul parapetto.
«È da oggi pomeriggio che mi chiedo cosa state confabulando tu e Mancini!» buttò lì Anna, le dita che si stringevano attorno al vetro della bottiglia.
«Roba per la festa, niente di importante!» minimizzò l'altro con uno svolazzo della mano.
Anna non le credeva, ma non insistette né fece ulteriori domande: in fondo in fondo, sperava ancora che ciò che stavano tramando fosse per lei e per Luca. Tornò a guardarsi intorno, la notte un po' più scura e le candele un po' più luminose.
I ragazzi si muovevano a gruppetti tra il salone e la piscina, la terrazza come punto di passaggio:  ballavano, ridevano, i più audaci provavano infruttuosi assalti al tavolo delle bevande, respinti ogni sacrosanta volta da Monti, le braccia e i piedi incrociati, mentre mezzo seduto sul tavolo li squadrava tutti con occhiate di fuoco.
Greta, Vittoria e Sofia si affaccendavano attorno al buffet e si parlavano urlando un po' per  sovrastare la musica, mentre Chiara, la festeggiata,  luccicava nel suo vestito argentato al centro di un gruppetto di amiche. Sostavano a bordo piscina, ciascuna con una bibita in mano, e ridacchiavano con la sfrontatezza della loro giovane età, gli sguardi puntati ora verso Luca e ora verso Gabriele. Anna poteva immaginare che tipo di occhiate fossero e come risuonassero maliziosi quei risolini, mentre anche lei si perdeva ad osservare Luca.
Si erano trascinati alla festa nello stesse pesante silenzio in cui quei dannati depliant sull'università di Trieste li aveva gettati, immobili e distanti pur camminando insieme, vicini, ad un soffio l'uno dall'altra. Come estranei – o forse come due che appena si conoscono – avevano  consegnato il loro regalo a Chiara e poi si erano separati: lei sequestrata da Elena, lui coinvolto in uno dei discorsi di Ingargiola. Il loro silenzio si era incrinato, si era mischiato alle vibrazioni della musica e alle voci, ai bisbigli, alle risate che salivano da ogni parte di quella casa.
Anna aveva riso riso quasi fino alle lacrime di Monti che ripassava i tre passi – tre di numero! – di danza che aveva imparato, pestando i piedi ad Elena, lì nascosti per metà dietro i divani in fondo al salone: aveva visto Luca parlottare serenamente con Giuseppe, mentre Vittoria ogni tanto puntava un dito contro uno di loro due scherzando di chissà cosa. Poi, mentre Monti diventava solo un'ombra scoordinata accanto a lei Luca si era accorto che lo stava guardando e le aveva puntato addosso uno sguardo che era tale e quale al suo, ugualmente assorto e greve, solo infinitamente più triste.
Perché sei così triste, Luca? si era chiesta di nuovo, mentre distoglieva gli occhi, una sonora imprecazione di Elena a guastare il momento. Quando poi si era girato di nuovo non lo aveva più trovato, il suo posto accanto a Giuseppe desolatamente vuoto.
Anna aveva sospirato, mentre tutto il suo piccolo mondo continuava la sua lente deriva, mentre il suo rapporto con Luca si faceva sempre più irriconoscibile, mentre sperava che tutto quello finisse.
A piccoli passi era poi sgattaiolata in terrazza, intanto che Elena e Monti si parlavano addossi, chiassosi come ragazzini.
«Dio, mi fanno malissimo i piedi!» si lamentò proprio Elena, spostando il peso da un piede all'altro.
«E come mai? Monti non balla bene?» la prese in giro Anna.
«È un disastro!» rise Elena, mentre spintonava piano l'amica, «Ho già compassione per i piedi di Chiara!» chiosò con un tocco di melodramma e entrambe e entrambe si voltarono a guardare Lorenzo. Ridacchiarono un po' scioccamente nascoste dietro le loro bottiglie di birra mentre l'uomo continuava a fare la guardia al tavolo delle bevande, occhiate fulminanti a ciascuno dei ragazzetti che vi si avvicinavano. Anna ne approfittò per guardarsi per l'ennesima volta attorno. Vittoria, Greta e Sofia gironzolavano ancora nei paraggi del buffet, Chiara e le sue amiche erano ancora a bordo piscina e Luca era ancora con Gabriele, impegnato in un'accesa partita di biliardino contro Ugo e Giuseppe.
«Ehi tu, torna qui!»
Lorenzo urlò da qualche parte alle sue spalle e Anna lo vide correre dietro ad un ragazzo, capelli sparati in aria e una bottiglia di birra brandita come fosse un trofeo.
«Posa la bottiglia! Posala!» urlava ora Monti, mentre girava intorno alla piscina e i ragazzi ridevano come pazzi e facevano il tifo.
«Ma tu guarda che idiota!» esclamò Elena scuotendo la testa. «Gab?» chiamò poi, dopo un fischio acuto e il ragazzo si voltò di scatto a guardarla.
«Andiamo a recuperare il matto!» spiegò ad Anna, mentre indicava a Mancini il loro collega. Gabriele lo fissò per un attimo a testa inclinata, poi si strinse nelle spalle e si buttò al suo inseguimento.
«Posa la bottiglia!» urlava ancora Monti, arrancando in affanno appresso al giovane e Luca alzò la testa a guardare Anna. Si scambiarono uno sguardo incredulo, poi nello stesso preciso momento nascosero le proprie birre dietro la schiena, al riparo dalla furia moralista di Lorenzo. Scoppiarono a ridere, tutta la distanza di quelle ore annullata così.

 

***


La corsa di Monti si era esaurita in fretta. Intercettata da Gabriele, si era dissolta in un'affannata filippica sugli alcolici, sui ragazzini e sui ragazzini che bevevano alcolici.
Mancini lo aveva trascinato, ridendo un po' come un idiota, su in terrazza, lontano dai ragazzi e dallo sguardo oltraggiato e imbarazzato di Chiara; Elena, invece, lo aveva seguito spiegandogli con estrema chiarezza ogni singolo motivo per cui lo considerava matto, basse risatine sciocche di contorno a dare il ritmo alle sue parole.
«Certo che quel ragazzo la birra se l'è proprio meritata!»
Anna se n'era rimasta ferma al suo posto, a godersi lo spettacolo, e sobbalzò sentendo la voce di Luca, stupita e sorpresa.
«Oh sì, se l'è proprio guadagnata sul campo!» ridacchiò lei, mentre guardava il ragazzo che esultava in mezzo agli amici, accanto al tavolo delle bevande ormai liberamente accessibile, e Luca le si faceva impercettibilmente più vicino, fino a sfiorarle appena una spalla.
«Mi dispiace! Sì be', per prima intendo, in macchina... non volevo essere così odioso, davvero!» esclamò con impaccio, una mano che sfregava nervosamente la nuca.
«Oh Luca, il problema non è stato stasera in macchina, lo sai... sono giorni che è così, ogni volta che parliamo di Trieste e io non lo capisco il perché, credimi! Prima sembri d'accordo ed entusiasta per me e poi perdi la testa ogni volta che sfioriamo l'argomento!»
Anna quasi ingoiò l'ultima parola mentre la pronunciava, quasi volesse rimangiarsi tutto di quello sfogo fatto nel momento e nel posto sbagliato.
Lui sospirò appena e l'occhiata dura che lei già aveva immaginato non arrivò mai.
«È complicato!» disse solamente mentre la presa, che diventava spasmodica attorno alla bottiglia, tradiva tutta la sua ansia.
«Ma cosa è complicato, Lu'? Cosa? Cosa c'è di complicato nello spiegarmi cosa cazzo sta succedendo eh? Perché reagisci così? Perché sei così triste?»
le domande di Anna si erano rincorse in tono concitato, la voce che si era alzata e poi era sfumata in un pigolio colmo di mille cose diverse.
Luca vi riconobbe a pelle la tristezza, specchio perfetta della sua, e fu tentato di dirle tutto. Fu tentato di prenderle le mani tra le sue e dirle, lì davanti a tutti, con la notte scura intorno, ogni più piccola cosa. Dirle la verità. Dirle tutto. Dirle che il problema, quello vero, era proprio il fatto che lei volesse andare a Trieste, che volesse mollare tutto, che volesse mollare lui. Dirle che era un gigantesco ipocrita che le aveva mentito perché lui, in realtà, non voleva affatto che andasse via. Dirle che...
La guardò negli occhi, che si erano fatti lucidi e grandi, e la tentazione di dirle tutto gli attorcigliò lo stomaco. La frase si spezzò a metà, come accadeva sempre, e naufragò insieme a tutti gli altri pensieri senza voce. Annegò in mezzo a tutto quello che avrebbe voluto dire e che non disse. Nemmeno quello volta, si limitò a scuotere la testa.
«È complicato!» ripeté lentamente e lei gli strinse istintivamente un braccio.
«Spiegami perché!» gli domandò, così piano che fu appena comprensibile in mezzo alla musica che martellava.
«Non posso!»
Luca avrebbe voluto, davvero, ma non poteva, per quanto una parte di sé, il suo cuore, volesse disperatamente dirle come stavano le cose, non poteva. Dirle che non voleva se ne andasse, dirle che l'amava, dirle che aveva bisogno di lei, non poteva. Perché se era andare via ciò che Anna voleva, era giusto lo facesse. Amare era lasciare liberi e, anche se il cuore gli si ribellava in petto, lui l'avrebbe lasciata libera di fare ciò che voleva e quello che lei voleva non era lui. Non era più lui da un pezzo.
«Non posso!» mormorò, tacitando la battaglia che gli imperversava dentro.
«Come no? Puoi dirmi tutto, prima mi dicevi tutto...» protestò Anna.
«Prima era diverso!» ribatté lui e la presa di Anna si sciolse e la mano le ricadde mollemente lungo il fianco.
Luca aveva ragione, per quanto quella frase la ferisse, doveva ammettere che era assolutamente vera. I mesi appena trascorsi avevano cambiato tutto, doveva farsene una ragione.
La musica tutt'intorno cambiò e il ritmo sincopato lasciò spazio ad un lento dalle note delicate.
«Vai con le danze!» esclamò Gabriele dalla sala e Anna lo vide afferrare Elena e farle fare una giravolta. La ragazza barcollò un po' nel movimento improvviso ma poi si lasciò stringere e condurre nel ballo, mentre Monti strascicava i piedi verso Chiara.
«Balli con me?»
Luca si era spostato e aveva fatto scivolare la mano in quella di Anna e ora la stringeva delicatamente, lei avrebbe voluto dirgli che era assurdo fare così, nemmeno parlarsi e poi ballare insieme. Ma c'era qualcosa negli occhi di Luca, e non era solo tristezza, era qualcosa di più doloroso e rassegnato, qualcosa che somigliava dannatamente all'ultimo desiderio di un condannato. Improvvisamente, mentre gli restituiva la stretta alla mano, Anna capì tutto. Trieste era il problema perché a Trieste lei stava scappando. E lo stava lasciando.
Gli sorrise con le lacrime che le serravano la gola e si lasciò tirare verso la sala.
E mentre lo abbracciava e prendeva a dondolare con lui, Anna capì di non aver nessuna voglia di lasciarlo.
Pregò che quel ballo non fosse un addio mentre si nascondeva contro il collo di Luca, a respiralo, a farsi respirare.

 

***


La casa si era svuotata ormai a notte fonda, con i ragazzi che erano sciamati via l'uno dopo l'altro. Era rimasto Jacopo, il fidanzatino di Chiara, con enorme gioia di Monti, ed erano rimasti Elena, Anna e Luca. Gabriele aveva insistito che restassero fino alla fine, incurante dei colleghi che lasciavano la festa prima, dell'ora tarda, delle tiepide proteste degli amici. Elena, in realtà, aveva protestato per due secondi netti, poi aveva continuato a ballare come niente fosse. Aveva estorto una danza anche a Luca, mentre rideva e beveva un cocktail dello stesso preciso verde lime del suo vestito.
«Perfettamente intonata!» aveva commentato il ragazzo con uno schiocco della lingua, prima che l'amica volteggiasse divertita tra le braccia di Gabriele restituendo così Anna alle sue.
«Il modo in cui quei due si stanno guardando da tutta la sera mi fa davvero paura!» aveva sussurrato Anna mentre gli allacciava di nuovo le braccia al collo.
«A me quei due fanno paura sempre, sai?» aveva ribattuto lui sorridendo, una mano che le accarezzava lentamente la schiena.
Luca aveva ripercorso mentalmente quel breve scambio di battute proprio mentre Gabriele e Elena spingevano lui e Anna verso le camere al piano superiore della villa.
«È tardissimo ormai,» aveva detto Mancini, «perché non rimanete qui stanotte? Ci stringiamo un po' e ci stiamo tutti!» aveva esclamato con un sorriso che era assolutamente da schiaffi.
Luca dubitava – dubitava seriamente – che in quell'enorme villa non ci fossero stanze disponibili per tutti, ma non ebbe neppure il tempo di pensarlo per bene, figuriamoci per dirlo ad alta voce.
Gabriele li aveva sospinti lungo un corridoio dalle ampie finestre e dalle molte porte chiuse, mentre spiegava come aveva sistemato le stanze.
Elena avrebbe dormito con Greta nella stanza di Monti, Lorenzo si sarebbe spostato in quella di Gabriele e Jacopo, il fidanzatino di Chiara, se ne sarebbe stato confinato sul divano, assolutamente lontano dalla camera della ragazza.
Mancini si era zittito solo per augurargli la buona notte, sulla soglia della stanza, mentre Elena lo imitava e mollava tra le mani di Anna due bottiglie di birra.
«Ma siamo sicuri sia solo birra? Quei due devono aver bevuto qualcosa di pi forte stasera... ma li hai visti?» esclamò Anna perplessa, le due bevande poggiate sul comò.
«Temo siano così di loro, altro che alcool!» borbottò Luca mentre aggirava il letto e si avvicinava alla finestra. La socchiuse e si appoggiò al davanzale, intanto che arrischiava un'occhiata alla camera. Era una bella stanza. La testata del letto, i comodini e il comò erano di semplice legno scuro, elegantemente intarsiato con un motivo floreale, le coperte e le tende erano color crema e nel complesso aveva un'aria di calda accoglienza.
«Pensi l'abbiano fatto di proposito? Voglio dire, farci finire nella stessa stanza...» ridacchiò Anna sedendosi sul letto.
«Di sicuro! Credo che faccia parte di quello che stavano architettando in commissariato!» rispose Luca stringendosi nelle spalle.
Non erano stupidi, potevano far finta quanto volevano che non ci fossero problemi e che gli altri non li vedessero, ma sapevano che non era così. E quel finire insieme, praticamente chiusi a forza nello stesso spazio – in una casa che di spazio ne aveva a volontà – non era di sicuro una casualità. Le occhiate complici e confabulatorie di Gabriele ed Elena, erano state poi la conferma definitiva.
«Direi che è stato fatto tutto per costringerci a parlare!» spiegò Luca, le dita che seguivano il bordo della finestra.
«Peccato che tu non voglia!» commentò Anna e l'occhiata e il sorriso che ricevette in cambio furono tremendamente amari.

 

*


La poltroncina si stava rivelando decisamente scomoda e Monti si rigirò per l'ennesima volta cercando una posizione che fosse almeno un po' decente.
«E dai Lore', vieni qui!» esclamò Gabriele, battendo la mano sul posto libero accanto a sé sul letto.
Monti non gli dedicò che un suono indistinto, a metà tra il ringhio e lo sbuffo, perché no, lui non avrebbe mai diviso il letto con mancini. Andava bene – benissimo – dividere l'ufficio e i turni e la casa e persino la camera, ma il letto assolutamente no.
«potresti dormire comodo e non vuoi: sei proprio masochista però, eh!» lo punzecchiò Gabriele.
«Che sono masochista l'ho capito la prima volta che ti ho rivolto la parola!» ribatté lui a tono, mentre prendeva a pugni il cuscino e l'amico saltava a pie' pari giù dal letto.
«va be', senti, tanti su quella poltrona non riuscirai mai ad addormentarti: che ne dici di venire con me ad indagare?» propose il giovane con una nota di preoccupante eccitazione nella voce.
«Ad indagare su cosa?» chiese cautamente Lorenzo, un solo occhio appena un po' aperto.
«Ma come su cosa? Sulla storia tra Anna e Luca! Sono curioso di sapere come stanno andando le cose tra di loro: se stanno parlando o litigando o magari se si stanno picchiando! Dai, andiamo?» chiese di nuovo, esaltato.
«Se non la smetti immediatamente, sarò io a picchiare te!» sibilò Monti, contrariato, intanto che incrociava le braccia al petto e si assestava meglio sulla poltrona. «E comunque l'ho già detto in commissariato che non voglio avere niente a che fare con quello che tu e quella matta della Argenti avete orchestrato!»
«Come sei antipatico! Io e Elena non abbiamo fatto niente di male: li abbiamo solo messi nella stessa stanza, si parleranno finalmente! E che sarà mai! Dai, muoviti, andiamo!» insistette Gabriele e, per dare un senso alle sue parole, afferrò l'amico per un piede e lo strattonò giù dalla poltrona.
«Mancini!» strillò Lorenzo, inviperito.
«Quante storie! Sarà divertente, dai! E nel tragitto potremmo anche fare una capatina in salone... così, giusto per vedere se Jacopo è ancora lì!» e Gabriele ammiccò spudoratamente.
Monti si fece improvvisamente interessato.

 

*


«Se non ci decidiamo a parlare, tra dieci minuti esploderemo e sarà un gran disastro, lo sai?»
La domanda di Anna pronosticava con assoluta esattezza tutto ciò che sarebbe successo da lì a breve se non si fossero decisi, una buona volta, a palarsi, a dirsi tutto, a vomitarsi addosso ognuna delle cose che si erano taciuti fino ad allora.
Luca era sicuro che sarebbe successo un disastro in ogni caso, anche se si fossero parlati, ma lo tenne per sé. Non fece altro che scuotere la testa e sussurrare.
«E di cosa dovremmo parlare, secondo te?»
Senza farci del male, magari! aggiunse mentalmente, una tempia appoggiata contro il vento fresco della finestra.
«di noi, Lu'! Di noi, di quello che ci è successo, di quello che ci sta facendo litigare da mesi, di quelli che ci fa arrabbiare!» esclamò Anna, esasperata.
Ci faremo molto male! pensò Luca mentre chiudeva per un istante gli occhi e sospirava.
«Lo sappiamo entrambi cosa è successo e qual è il problema, non serve che ce lo diciamo!» esclamò stancamente.
«E invece sì che serve! Serve e come! Perché non me lo dici in faccia, una volta per tutte, quello che pensi di me! Dimmelo chiaramente, invece di guardarmi con disapprovazione ogni volta!»
Quasi urlò Anna, mentre spalancava le braccia a offrirsi in tutta la sua inadeguatezza.
«Non fare la vittima ora!» scattò lui, misurando a passi nervosi la stanza.
«Ma io sono la vittima, Luca! Lo sono! Sono vittima dei tuoi silenzi, della tua rabbia, di quelle tue occhiate con cui mi giudichi dalla testa ai piedi!»
«Non l'ho mai fatto, Anna! Mai! E lo sai! L'ultimo periodo non conta perché tu avevi perso la testa e c'era bisogno che qualcuno ti facesse ragionare. Ma guarda un po', tu non mi hai ascoltato per niente. Per niente!»
Stavolta era stato Luca ad alzare la voce, l'espressione dura e ferita.
«Non avevo perso la testa, ero sotto copertura!» si difese lei, stizzita.
«Cazzate! Ti eri innamorata Anna! Ti eri innamorata di Laszlo e non eri lucida! Devo ricordarti quante volte hai rischiato di mandare a monte l'indagine o quante volte hai rischiato la vita?»
Anna avrebbe voluto controbattere, ma sapeva di non potere. Eppure, il suo orgoglio le impedì di piegare la testa e lasciare l'ultima parola a Luca.
«Non mi ero innamorata di Dorian!» protestò, sembrando né più né meno che una bambina incapace di ammettere le cose.
Luca sbuffò un suono strano, la bocca che si arricciava in una piega amara.
«Non lo negare, Anna! So cosa ho visto, non serve negare! È andata così, lo sappiamo entrambi!»
Luca tornò accanto alla finestra, le mani sprofondate nelle tasche dei jeans, mentre Anna metabolizzava le sue ultime parole. Cosa aveva visto? A cosa si riferiva? Si passò le mani sudate sulle ginocchia e poi si alzò e camminò fino a fermarsi a pochi passi da lui.
«Cosa hai visto? Me e Dorian?» chiese con un filo di voce.
«Te e Dorian che facevate l'amore!» sputò fuori Luca, come se ogni parola gli bruciasse sulle labbra. «Eh sì, una sera sono stato così stupido che sono andato alla villa di Laszlo: avevo voglia di vederti! Avevo bisogno di vederti, nemmeno immagini quanto! E invece avrei fatto meglio a restare a casa ad ubriacarmi magari! Quelle tende lasciavano poco all'immaginazione...» spiegò al riflesso sbigottito di Anna, mentre la guardava proiettata sul vetro della finestra. Lei ingoiò a vuoto, non era quello che voleva sentirsi dire. Con uno sforzo di volontà ricacciò indietro l'imbarazzo mentre cercava di mettere insieme voce e parole.
«Capisco che ti abbia dato fastidio, io...» iniziò, ma Luca si girò di scatto e la fulminò con gli stessi occhi tristi che gli aveva visto a casa.
«Fastidio? Ero geloso, Anna!»

 

*


Mancini aveva toccato il tasto giusto nominando Jacopo e aveva convinto Monti a seguirlo fuori dalla stanza e lungo il corridoio.
A piedi scalzi, Gabriele percorse quei pochi metri con un sorriso diabolico sulle labbra, mentre Lorenzo gli andava dietro borbottando sottovoce, un orrendo paio di calzini bianchi ad attutire i suoi passi.
«Shhh, zitto!» fece il primo, bloccando il secondo con una manata in pieno petto. Con la testa accennò l'ultima porta in fondo al corridoio, da dietro la quale provenivano le voci di Anna e Luca. Erano soffocate dal legno ma si percepiva il loro tono alterato.
«Stanno litigando, genio!» esclamò Monti, «Grande idea costringerli insieme!» commentò con sarcasmo mentre si appoggiava al muro e incrociava le braccia.
«Vedrai che ora si chiariscono!» lo contraddisse Mancini, sicuro, e accostò un orecchio alla porta per ascoltare meglio.
Restò immobile e in silenzio per una buona manciata di secondi e, intanto, Lorenzo lo fissava con le sopracciglia inarcate e un fastidiosissimo sorrisetto sarcastico.
«Visto? Non si sente più niente, ergo non stanno più litigando!» gli sillabò appena, per non farsi sentire. Poi le voci ritornarono, dapprima labili come mormorii e poi più consistenti, e anche Monti cedette alla curiosità di ascoltare. Scivolò in avanti, vicino a Gabriele, e testa contro testa, anche lui cercò di origliare.
Se la situazione precipita, almeno saremo pronti per intervenire! si disse per giustificare il suo comportamento e per non dover ammettere – nemmeno a se stesso – che in realtà, in tutta quella storia, lui era curioso esattamente come il collega. Appiccicò un po' meglio e un po' di più l'orecchio alla porta e si mise in ascolto.

 

*


Geloso! Quella semplice parola aveva praticamente paralizzato Anna. L'aveva ammutolita e sembrava una statua di sale lì, in piedi di fronte a Luca, i loro riflessi indistinti sul vetro della finestra.
«Non  fare quella faccia, non dovrebbe essere una così grande sorpresa!» osservò lui e aveva ragione. E Anna ne era consapevole. La gelosia reciproca era una di quelle cose che ormai avevano dato per assodata da un'infinità di tempo. Nonostante questo, però, Anna ne fu colpita ugualmente, perché sottintendeva dei sentimenti da parte di Luca che lei credeva non esistessero più, andati persi tra le braccia di un altro uomo.
«Io non immaginavo...» iniziò Anna ma le parole le morirono in gola, le mani mosse in un gesticolare incerto.
«Cosa? Che provassi ancora qualcosa per te? Che ti amassi ancora?» chiese Luca a bruciapelo. Lei sobbalzò, l'ultima domanda che la scuoteva come una scossa d'elettricità.
Che ti amassi ancora?
La domanda si ripeté e si rincorse nella sua testa mentre cercava di capire dove l'avesse lasciato questo amore di Luca, dove fosse quando lo desiderava e non poteva averlo, dove morisse ora che la lasciava andare, da un'altra parte, in un'altra vita, a diventare quell'Anna che voleva somigliare alla Giulia che li aveva divisi e distrutti.
«Perché me lo dici solo ora?» riuscì a dire poi, lo sguardo sofferente che incrociava quello di Luca.
«Anna, te l'avevo detto, dopo quel casino del letto, che quello che provavo per te non lo avevo mai – mai – provato per nessuno in vita mia e, cazzo, cazzo dovevi darmi solo un po' di tempo! Un attimo, un momento solo, per sconvolgere tutto quello per cui avevo lottato e ammettere che sì, mi ero innamorato di una donna! Ma tu questo tempo me lo hai dato e te lo sei ripreso così, con uno schiocco delle dita, perché all'improvviso non ti fidavi più, non mi conoscevi più, non andavo più bene...»
Luca aveva urlato, sputando le parole una dietro l'altra, prima che potesse ragionarci o pentirsene, perché tanto a quel punto la tentazione di dirle tutto era già diventata esigenza, necessità, inevitabilità.
«Non andava più bene l'amore a modo nostro: fino a quando pensi mi sarebbe bastato? E poi tu avevi paura, Luca! Non avevi nessuna intenzione di trovare un posto per noi!» protestò lei, strattonandolo per un braccio.
«Perché tu sai sempre tutto, vero? E quando l'hai capito questo? Nei due giorni tra la tua assurda scenata con tanto di pedinamento per l'uscita con Gianluca e il colpo di fulmine per Laszlo? Magari poco prima di cadergli tra le braccia?»
Era stato cattivo, Luca e Anna aveva accusato il colpo, le frecciatine diventate tutte bile nello stomaco.
«Dio, non lo sapevo nemmeno io in quel momento cosa sarebbe successo!»
Quando Luca parlò di nuovo, lo fece con le mani tra i capelli, abbandonato sul bordo del letto, e quasi si poté sentire il pianto sul fondo della voce.
Anna sentì la rabbia crescere come un fiume in piena e avrebbe volentieri preso a pugni Luca, per fargli rimangiare ognuna delle cattiverie che le aveva velenosamente sputato addosso. Ma una parte di sé, minuscola e rumorosa – che era la Anna di prima, la Anna di Luca – la tenne inchiodata sul posto, consapevole che un po' se le meritava quelle cose, consapevole di aver sbagliato anche lei, quanto e più di lui.
E a tenerla bloccata lì era anche la figura di Luca che le si demoliva davanti, con le spalle curve e i gomiti puntati sulle ginocchia, con le mani tra i capelli e gli occhi chiusi. Quella disperazione che sapeva di rimpianti sgretolò la rabbia e la mutò in una furia diversa, mille cose che si affastellavano l'una sull'altra, che correvano tra i pensieri e si affollavano tutte lì, sulla punta della lingua.
Quando finalmente riuscì a muoversi, seguì l'istinto e si ritrovò in ginocchio davanti a Luca, le gambe lasciate scoperte dal vestito che sfioravano il tappeto morbido. Prendendo un bel respiro, gli afferrò un polso e gli scostò la mano dai capelli; forse fu un po' brusca ma ottenne che lui la guardasse in faccia e, occhi negli occhi, iniziò a parlare, le parole che davano l'impressione di spintonarsi, tanta era la foga con cui si rincorrevano. Perché doveva dire tutto, Anna. Spiegare tutto. Chiarire tutto. Ricostruire tutto.
«Ho sbagliato, ok? Ho avuto fretta, non ho saputo aspettare, non lo so... ma ero confusa anche io, d'accordo? Tu eri indeciso, non capivo cosa volessi davvero, dicevi una cosa e ne facevi un'altra: mi baciavi e poi scappavi, facevi il geloso ma non ti smuovevi dall'essere il mio migliore amico, mi baciavi di nuovo e poi sembrava non fosse successo niente... era un gran casino, Luca! Un enorme casino! E quello non è stato un bel periodo, lo sai! La morte di Carlo, i miei sensi di colpa, noi che non ci capivamo più... Dio, mi scoppiava la testa! E poi ho conosciuto Dorian e con lui potevo essere un'altra, senza problemi, senza casini. Era bello, stavo bene, mentivo anche a me e fingevo andasse tutto bene... ma poi, poi cazzo, è andato tutto male, ho perso il controllo, ok? Hai ragione, ho perso la testa e non ho capito più nulla e ho...»
Le farneticazioni confuse di Anna si tacitarono di colpo. Luca aveva liberato il polso dalla sua presa e le aveva afferrato il viso con entrambe le mani. Era stata questione di un attimo, di un attimo solamente, e Luca l'aveva baciata. Ed era sembrato di tornare indietro di mesi, a quel pomeriggio al parco, a quel bacio disperato, affamato di tempo e possibilità. E come quel giorno, Anna si era aggrappata alle sue braccia, a tenerlo lì, ad assicurarsi che fosse reale. La differenza arrivò subito dopo, nelle mani di Luca che dal viso scendevano alle spalle e poi alla braccia sottili di Anna e la tiravano su, a sedersi sulle sue ginocchia. Il bacio rallentò e divenne meno famelico e vibrò di dolcezza mentre lo approfondivano, abbracciati tanto stretti da sentire l'uno il corpo dell'altra.
«Stai con me!» pregò Luca, e fu assordante nel silenzio dei baci.

 

*


Gabriele si spostò lungo la destra della porta alla ricerca di un punto da cui i suoni arrivassero più chiaramente, ma la situazione non cambiò di molto. Dopo qualche minuto di toni abbastanza alti che gli avevano permesso di farsi almeno un'idea della discussione tra Anna e Luca, il volume si era abbassato di nuovo.
«Non si sente niente 'n'altra volta!» fece notare Monti, la fronte aggrottata.
«Già!» concordò Mancini raddrizzandosi, mentre si piegava a spiare dal buco della serratura. Peccato che la presenza della chiave nella toppa rendesse praticamente impossibile vedere qualunque cosa. «Uff, non si vede nemmeno niente!» sbuffò infatti, intanto che si appoggiava con la mano alla maniglia della porta e, senza accorgersene, la faceva scattare. Fu un suono leggerissimo, un click quasi impercettibile, e la porta si aprì appena, disegnando una sottilissima lama di luce sul pavimento del corridoio buio.
Con uno sguardo complice, Gabriele la spinse un altro pochino indietro, fino ad ottenere lo spazio sufficiente, per sé e per Lorenzo, per sbirciare cosa stesse accadendo nella camera.
«Cosa stare combinando voi due?» ed Elena emerse dalle ombre, minacciosa e pericolosa.

 

*


«Stai con me!» pregò di nuovo Luca, mentre le circondava la schiena con le braccia e i baci scivolavano lungo il collo e l'incavo della spalla, morbidi e caldissimi.
«Stai con me, anche se vorresti andare a Trieste! Resta qui!» le chiese ancora, mentre nascondeva il viso contro di lei, i suoi buoni propositi di lasciarla libera di andarsene annientati dal suo sapore sulle labbra e dal suo calore tra le braccia.
«Non mi importa più niente di Trieste! Sto qui! Sto con te!» esclamò di slancio Anna, mentre gli passava una mano tra i capelli e gli faceva alzare la testa.
«Sto con te!» lo rassicurò, facendo sfiorare le fronti, intanto che le bocche si cercavano da sole e si trovavano per un nuovo bacio.
«Ti amo!» si lasciò sfuggire Luca e Anna sorrise contro le sue labbra, tutto il suo mondo che si ricostruiva in quelle due parole.
Un tonfo al di là della porta suggellò quel nuovo inizio, un tramestio ovattato fece da colonna sonora a quella specie di dichiarazione d'amore da cui Anna e Luca sarebbero usciti come coppia, una serie di voci sovrapposte attirano la loro attenzione e li costrinse ad alzarsi.
Mano nella mano, le dita strettamente intrecciate, Luca e Anna si accostarono alla porta e notarono che era aperta, di poco, lo spazio di qualche centimetro appena ma abbastanza perché qualcuno li spiasse. Di scatto, con un movimento improvviso, Luca spalancò la porta e Gabriele, Elena e Lorenzo caracollarono davanti a loro.
«È colpa sua, io non c'entro!» esclamarono Elena e Gabriele in coro, mentre si indicavano e si accusavano a vicenda. Monti sparì nell'ombra, appiattito contro il muro.
E Anna rise, felice, la mano ancora intrecciata a quella di Luca, finalmente al suo posto appoggiata contro di lui.

 

Fine

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