You're Fucking Perfect To Me.

di xCyanide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Ricordo ancora benissimo il giorno in cui l’avevo conosciuto. E’ stato forse il più bello della mia vita, ma anche quello che ha dato inizio ad un sacco di problemi. Problemi che fortunatamente io e lui siamo stati capaci di superare, insieme.
Sorrido al pensiero di quella sera. Ancora non sapevo che avrei trovato un tesoro a quella festa a cui, tra l’altro, non volevo andare.
 
-Dai, Ray, non spingermi! – gli urlai contro. Il riccioluto sorrise e continuò imperterrito a darmi piccole botte per incitarmi ad entrare in quella casa piena zeppa di gente e di musica che, sinceramente, mi faceva schifo.
Sbuffai sonoramente, nonostante sapessi che non poteva sentirmi dato il vociare delle persone, e misi piede nell’abitazione, ritrovandomi davanti a un’accozzaglia di gente, appiccicata l’una all’altra, che ballava.
-Soltanto perché sei il mio compagno di stanza, non hai il permesso di trascinarmi a qualsiasi festa truzza ci sia in giro, capisci? – mi alzai in punta di piedi e gli parlai direttamente nell’orecchio, vedendolo ridere di gusto. Ah, era divertente vedermi in difficoltà? Bastardo di un afro.
-Andiamo, ragazzino, magari trovi la persona che fa per te! – esclamò, come se fosse ovvio. Mentre parlava, la sua mente non era certamente lì con me, dato che già stava cercando Christa, la sua pseudo-ragazza.
Sbuffai di nuovo e mi rassegnai al fatto che avrei passato la serata da solo, probabilmente, e che entro mezz’ora avrei accusato un mal di testa inesistente e sarei tornato a casa con i mezzi.
Mi andai a sedere in un angolo, vicino all’isola che era ricoperta di alcolici, e mi sporsi per prendere una birra e scolarmela fino all’ultimo goccio.
Volevo bene a Ray, per carità, ma doveva sempre trascinarmi in posti dove non volevo certamente andare. Credeva che per il semplice fatto che mi avesse offerto il suo letto libero nell’appartamento, dovessi seguirlo dappertutto. C’era anche da dire un’altra cosa: lui non era preso di mira da quelli della facoltà di economia. Cosa che invece pativa il sottoscritto.
E a quello festa c’erano tutte le facoltà: quella di arte, di economia, di medicina e la mia, quella di psicologia.
Riconoscevo un sacco di persone, la maggior parte della quali almeno una volta mi avevano lanciato in un cassonetto. Sorrisi al pensiero, ero fragile. Riuscivano a demolirmi con poco, ma col tempo ci avevo fatto il callo, non gli davo più tutta quella importanza. O almeno facevo finta di non dargliela.
Presi un sorso dalla birra e mi sentii subito meglio, guardandomi intorno e cercando qualcuno che potevo considerare “amico”.
Sgranai gli occhi quando visualizzai la figura scura di Way proprio qualche metro di distanza da me.
Non che lo conoscessi, eh! Ma la sua reputazione lo precedeva e,  purtroppo per lui, da come lo descrivevano era proprio il ragazzo che stavo cercando da anni.
Di lui si diceva che fosse parecchio silenzioso e che passasse la maggior parte del tempo a disegnare in casa (quando ovviamente non aveva dei corsi alla facoltà). Viveva con quella che doveva essere la sua migliore amica, che da quello che avevo capito si chiamava Alicia, che era allo stesso tempo la ragazza di Mikey, il fratello di Way.
Non ricordavo bene il nome, ma era qualcosa tipo Arnold. Ma probabilmente sbagliavo di grosso. Mi grattai la testa e decisi di andare a parlargli, magari era simpatico.
Mi alzai e mi diressi verso di lui, cominciando a scorgere sempre più dettagli: la schiena un po’ curva sull’isola, le braccia incrociate come a proteggersi da non so cosa e il viso triste, di chi non si sta divertendo per niente.
Presi una sedia e mi piazzai vicino a lui, sperando di non infastidirlo, e cercai di sorridergli. Lui parve non accorgersi di me in un primo momento, ma saltò quando scorse la mia figura.
-Ciao – lo salutai, cercando di sovrastare il volume della musica spacca timpani.
Lui si esibì in quello che era il prototipo di un sorriso e girò il busto verso di me, cercando di essere amichevole.
Rimasi un attimo interdetto. Era bellissimo, forse il più bel ragazzo che avessi mai visto. Bocca rossa, naso all’insù,  mani affusolate… e un paio di occhi verdi talmente tanto liquidi da sembrare ialini. Se avessi avuto l’occasione di guardarlo meglio, senza tutte le luci accecanti che mandavano nella casa, avrei potuto asserire che si poteva leggere tutto di lui solo guardandolo dentro quelle due pozze trasparenti.
Mi ripresi un attimo e mi decisi a porgergli la mano. Lui la strinse, scuotendola in modo quasi euforico, come se fossi una delle prime persone che gli si avvicinavano in un arco di tempo lungo.
-Mi chiamo Frank, e tu? – gli domandai, cercando invano di ricordarmelo. Ce l’avevo sulla punta della lingua, ma molto probabilmente il mio cervello si era messo contro di me per farmi fare una figuraccia.
Il ragazzo mi guardò quasi dispiaciuto e abbassò il capo, prima di sospirare. Fece cenno di no con la testa e lo vidi quasi piangere.
-Ehy, cosa succede, il gatto ti ha mangiat---
Non riuscì a finire la frase che sentii una mano stringermi un braccio e portarmi via velocemente.
Guardai davanti a me, per capire la provenienza di tutta quella voracità e mi resi conto che a trascinarmi era una ragazza con i capelli neri come la pece. Si stava facendo spazio tra la folla a suon di gomitate e stava arrivando alla porta sul retro. Credo volesse portarmi fuori.
Tentai invano di divincolarmi e lei tirò fuori un suono che sembrava un ruggito, prima di riuscire ad aprire l’agognata porta e a sbattermi addosso al muro.
-Tu! – sputò a bassa voce, puntandomi un dito sul petto. Era una bellissima ragazza, lo ammetto, ma lo sguardo che aveva era talmente incazzato che per un attimo ebbi paura per la mia incolumità.
-Cosa… cosa ho fatto? – domandai, a bassa voce, intimorito.
-Cosa stavi dicendo a Gerard? – mi chiese, continuando con quel tono che non aveva niente da invidiare a un assassino.
-Io mi stavo solo presentando! – mi difesi, alzando le mani in aria e cercando di sorridere.
-Volevi… volevi sfotterlo? – la sua voce stavolta vacillò un poco, come se quelle parole le facessero davvero male.
Solo in quel momento, mi resi conto di chi fosse davvero quella ragazza. Mi avevano descritto anche lei, pure se non credevo fosse così bella come avevano detto. Alta, magra, statuaria, occhi azzurri e labbra carnose. Alicia Simmons.
-Perché avrei dovuto sfotterlo? – chiesi più a me stesso che a lei. Quel ragazzo, quel Gerard, non mi aveva fatto niente.
-Mi stai prendendo in giro?! – esclamò, allontanandosi da me e guardando in cielo, come se stesse cercando una risposta. Ringraziai qualsiasi divinità per il fatto che eravamo da soli in quella specie di cortiletto sul retro, altrimenti avremmo dato spettacolo. –Quando sono arrivata gli stavi chiedendo se il gatto gli avesse mangiato la lingua!
-Non mi rispondeva! – urlai, con fare ovvio. –Volevo solo fare amicizia!
-E’ ovvio che non ti rispondesse! – disse, con tono esasperato. –Gerard non può parlare, okay? Io non credo che le voci non siano arrivate anche a te!
-Mi hanno detto che è una persona di poche parole… - riflettei, cercando di ricollegare il tutto. –Lo stavano solo prendendo per il culo – sussurrai, rendendomi conto che Alicia aveva salvato Gerard da un’altra battutaccia (nonostante io non fossi al corrente di tutto).
-Già… - rispose lei, del tutto demoralizzata. –Senti, amico, mi dispiace per il mio comportamento avventato, ma conosco Gerard da anni ed è come un fratello per me, capisci? – mi domandò, assumendo un tono dolcissimo. Era lunatica, bene. –Troppe persone l’hanno preso in giro, quando invece lui riesce a farsi capire meglio di chiunque altro – poi mi porse una mano, non per presentarsi, ma per fare in modo che la prendessi. –Se mi prometti che farai finta di niente, ti farò conoscere Gee – mi propose.
Presi la sua mano in modo saldo e le sorrisi. –Promet---
Ma venni interrotto per la seconda volta nel bel mezzo della frase dal suono di una porta che sbatteva.
Mi girai di scatto e mi ritrovai davanti Gerard, con la bocca spalancata, che ci guardava confuso.
-Gee, vieni qui – lo incitò Alicia, sorridendogli.
Lui sorrise di rimando, improvvisamente e per davvero, e mi lasciò a bocca aperta per la sua bellezza. Ma mi resi conto subito che la bellezza che io vedevo in quel ragazzo non era solo esteriore, ma interiore. Emanava una tranquillità che nessuno mi aveva mai trasmesso e mi ritrovai a distendere le labbra anche io,senza pensarci due volte.
Lui arrivò davanti a me titubante e mi porse di nuovo la mano. La strinsi velocemente e mi decisi a parlare. -Ho saputo che ti chiami Gerard – cominciai. –Credo sia un bellissimo nome, sai?
Lui mi lasciò la mano e venni scosso da un milione di brividi, per cimentarsi in una specie di inchino, forse per ringraziarmi. Poi ritornò a guardarmi e mi fece un cenno con la mano, distendendo il ditone e l’indice, in modo da indicarmi una lunghezza. Spinse le dita una verso l’altra e in quel momento mi illuminai.
-Ti piace di più il diminutivo del nome? – chiesi, sperando di averci indovinato. –Gee? – ripetei quello che avevo sentito prima da Alicia e lo vidi annuire in modo vivace.
-Io… vi lascio soli – disse la ragazza, sorridendo maliziosa a Gee e dileguandosi in modo veloce.
Lo vidi abbassare la testa e scuoterla, come se fosse rassegnato al comportamento di Alicia e poi dondolò un piede avanti e indietro.
-Vuoi… ti piacerebbe ballare con me? – azzardai.




xCyanide's Corner
Sono tornata per vostra sfortuna e sono qui con una nuova FF tutto fluff (proprio per staccare dalla drammaticità dell'ultima che ho scritto).
Spero vi piaccia come inizio e spero anche che non decidiate di odiarmi per la condizione di Gerard, io lo trovo molto dolce e poi, si, mi piace rovinargli la vita in qualche modo, ormai è il mio lavoro.
E per ultima cosa, ma non meno importante, vorrei dedicare questa FF a xVenom, Gee_Echelon, Hey_Ashes e tutti i miei amici perchè mi sono sempre vicino per tutto <3
Alla prossima, Motorbabies! 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Camminavo su e giù per il corridoio del condominio, aspettando che Ray finisse di prepararsi, così saremmo andati a lezione insieme.
Il fatto di girare con l’afro mi salvava da un sacco di prese in giro e roba varia, dato che lui era più grande (frequentava l’ultimo anno) e nessuno se la sarebbe presa con l’amico di uno che frequentava l’ultimo anno.
O perlomeno, questo ragionamento funzionava con tutti, tranne che con Gerard.
Nonostante anche lui fosse all’ultimo anno, lo prendevano tutti per il culo e ciò mi faceva rendere conto di che sorta di mondo di merda avevo intorno.
Mi accorgendo di che persona meravigliosa fosse Gee ogni momento di più. Il mio pensiero andava spesso a lui, da quando gli avevo proposto di ballare quella sera di una settimana e mezzo prima.
Avevamo parlato molto, se così si può dire. Io gli avevo fatto domande, scegliendo attentamente quelle a cui avrebbe potuto rispondere anche solo con un cenno della testa, e lui mi aveva fatto capire molto della sua vita.
Aveva venticinque anni appena compiuti, voleva un bene dell’anima a suo fratello, passava le giornate a disegnare e considerava Alicia come una specie di mamma super-apprensiva che però amava con tutto il cuore. Aveva anche senso dell’umorismo, devo ammettere. Mi ero divertito molto, anche se avevo notato che per tutta la sera aveva tenuto maggiormente lo sguardo basso, come se si vergognasse.
Così gli avevo chiesto se si fosse stufato e se volesse andare a casa, ma lui mi ha fatto capire che si sentiva a disagio.
Io mi sono sentito ancora di più una merda, non sapevo come fargli capire che per me andava benissimo così e che aveva ragione Alicia: lui si faceva capire meglio di chiunque altro.
Sospirai e sperai con tutto il cuore di vederlo sorridere un giorno, insieme a una persona che finalmente lo faceva stare bene.
-Ehy, Iero, ci sei? – mi chiese Ray, uscendo finalmente dalla porta e raggiungendomi nel corridoio.
-Io ci sono, sei tu che mi stavi facendo aspettare – sputai, quasi cattivo.
-Dai, non fare il cattivo, stavo soltanto cercando di sistemarmi i capelli per Christa. Mi ha detto che non le piacciono quando cono troppo gonfi – si giustificò.
-Aaaaaah – sospirai. –Vedi? Un altro motivo per essere gay: nessuno ti dice cosa devi fare perché l’importante non sono i capelli!
-Smettila di vantarti del tuo orientamento sessuale e cammina giù, altrimenti faremo tardi! – esclamò, dandomi una piccola spinta. Quell’uomo si divertiva a punzecchiarmi.
 
Sbuffai, cercando di dare retta alla lezione. Stavano parlando di un qualcosa di cui sinceramente non me ne fregava niente. Mi ero segnato all’università solo per fare contenta mia madre, che sosteneva che l’arte non pagava il pane.
Cazzate. Solo enormi cazzate. Io e la mia Pansy avremmo potuto migliorare il mondo.
Mi accomodai meglio sulla sedia, raddrizzando la schiena e guardai la ragazza che mi era vicina. La squadrai per bene: gonna grigia, camicia con ricami, occhiali poggiati sul naso. E sicuramente bigotta, chiusa mentalmente e probabilmente razzista.
Mi sentii chiamare da vicino e girai la testa dalla parte opposta, ritrovandomi davanti agli occhi la faccia da cazzo di Lewis, uno strafottente, uno di quelli che non perdeva occasione per prendere per il culo.
Lo guardai con aria interrogativa e lui sorrise sadico. –Allora… - sussurrò, cominciando. –Tu e Way state insieme.
-Co-cosa? – esclamai, forse un po’ troppo forte. Fortunatamente nessuno si girò verso di me e tirai un sospiro di sollievo.
-Gira voce che siete andati insieme alla festa di Trevor – mi spiegò, continuando a guardarmi come se fossi un alieno. Era così strano che qualcuno passasse del tempo con Gerard?!
-L’ho incontrato lì e abbiamo fatto amicizia, niente più – mi difesi, ma non per colpa di Gerard, solo perché non volevo problemi con Lewis.
-Con quello? Hai fatto amicizia con quello? – mi chiese.
-E’ un ragazzo simpatico, sai? – lo provocai. –Molto simpatico, sicuramente più di te.
-Ho saputo che è una persona di poche parole – mi rispose, sadico come non mai.
Dentro di me si creò solo rabbia. E odio, tanto odio. Io non ero una persona irascibile, ma mi pizzicarono le mani, segno che volevo spaccargli la faccia fin quando non sarebbe rimasta solo una poltiglia.
Ma respirai profondamente e mi limitai ad alzarmi e farmi spazio dietro la sedia della ragazza che avevo vicino. Mi apprestai ad uscire e sentii un vociare di sottofondo. Sapevo che il professore non mi avrebbe detto niente, non era la prima volta che dovevo uscire dalla classe velocemente, ma sicuramente me l’avrebbe fatta pagare.
Mi ritrovai nel corridoio della facoltà e mi diressi verso l’uscita, vedendo la luce del sole appena fuori dalla porta.
Una ventata di aria fresca mi colpì il viso e mi ritrovai improvvisamente più calmo e rilassato. Chiusi gli occhi in un riflesso incondizionato e mi sentii un po’ osservato.
Mi guardai intorno, rendendomi conto che c’era Gerard a un lato del cortile, seduto a terra con un album da disegno tra le gambe, che si stava sbracciando per farsi vedere.
Gli sorrisi e corsi verso di lui, sorpreso di vederlo lì fuori. Mi fece spazio nel suo angolo e mi sedetti, sporgendomi per dargli un bacio sulla guancia.
Guardai poi, il foglio che aveva tra la gambe e lo vidi arrossire. Cos’aveva?
Il disegno era bellissimo: era il ritratto di un ragazzo che apriva le braccia verso un altro ed esclamava “Credevo non uscisti mai!” Il chiaro-scuro era perfetto e quei due ragazzi eravamo proprio io e lui.
Spalancai gli occhi e mi resi conto solo in quel momento di cosa significava. Lo guardai e gli spostai una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Poi lo convinsi ad alzare lo sguardo e lo vidi tutto rosso.
-Mi stavi aspettando? – gli domandai, un po’ stupito. –Sarei uscito tardi, se non me ne fossi andato prima.
Lui annuì energicamente e prese un altro foglio, apprestandosi a scrivere. Lo vidi muovere la mano velocemente sul foglio e quando me lo porse mi ritrovai davanti una scrittura disordinata e piccola, ma comunque bellissima. Gli si addiceva proprio.
Non sapevo quando saresti uscito, così ho deciso di aspettarti.
-E perché? – gli chiesi curioso. Lui alzò le spalle e mi guardò come se non avesse importanza e forse non ce l’aveva. –Beh, ti ringrazio.
Lui di rimando prese di nuovo il foglio di carta e scrisse. Poi me lo adagiò sulle gambe e mi guardò speranzoso.
Io… volevo passare un po’ di tempo con te, ma se non puoi non è un problema.
Alzai velocemente lo sguardo su di lui e lo rassicurai. –Sai che ti dico? Andiamo a pranzo insieme, ti va?
Lui si alzò velocemente da terra, raccattando tutti i suoi fogli e sistemandoli in una borsa (di quelle che ti aspetteresti di veder indossare da uno studente della facoltà di arte) e mi porse la mano, per aiutarmi ad alzarmi.
Poi mi guardò interrogativo e indicò la porta dell’università. Inizialmente non lo capii, ma poi mi riscattai dai pensieri e cercai di rispondergli. –Perché sono uscito prima? – mi fece un cenno affermativo con la testa e sospirai. –La gente è cattiva, Gerard. E odia.
Lui si limitò ad abbassare la testa come a darmi retta e ad incamminarsi verso l’uscita della piazza, per raggiungere la strada.
Lo vidi un po’ triste, così mi affrettai a raggiungerlo e a prendergli la mano. Intrecciai le mie dita con le sue e lo vidi alzare la testa velocemente, come stupito.
-Ti… ti da fastidio? – domandai alzando le nostre mani per metterle in evidenza. Lui scosse la testa, facendo finire alcune ciocche di capelli corvini sugli occhi, e mi sorrise. –Non essere triste, okay? So che sono stronzi, ma non ascoltarli.
Lui in uno slancio, mi passò il braccio libero intorno al fianco e mi strinse forte, come a ringraziarmi anche solo di essere lì con lui.
Ma non si rendeva conto che per era un piacere averlo intorno, nonostante fosse solo la seconda volta che lo vedevo.
Risi e lo strinsi a mia volta, beandomi del suo profumo. Sapeva di acrilico e pastelli e improvvisamente mi ritrovai ad amare l’arte.
Quando ci staccammo, lo guardai e mi sentii un po’ in imbarazzo, perché Dio, era così vicino!
-Dove… dove vogliamo andare a pranzo? – domandai, non aspettandomi certamente una risposta. –Io conosco un ristorante qui vicino che potrebbe piacerti, che ne pensi?
Lui strinse ancora di più la mia mano e mi fece cenno di fargli vedere la strada, ritornando a sorridermi.
Mi incamminai e lo strattonai un poco per farlo andare alla mia velocità. Lui mi guardò confuso e io mi limitai a scuotere la testa.
In realtà non volevo che lo vedessero con me. Non perché avessi paura di essere preso in giro, ma perché avevo paura lo prendessero di mira. La sua reputazione era quella che era, ma io ero comunque uno degli sfigati di turno, non potevo permettere a tutti quelli che ce l’avevano con me di ferire anche lui.
Camminammo vicini e non parlai per niente, non per imbarazzo, ma perché ogni parola avrebbe rovinato il momento.
Buttai forse un po’ troppe volte l’occhio sulle nostre mani e sorrisi, come vidi fare a lui.
Non potevo innamorarmi di un ragazzo che avevo visto si e no due volte, non era una cosa che avrei fatto di solito.
Ma il suo profumo, i suoi occhi e le sue labbra un po’ storte mi inducevano a fare tutto il contrario. Mi inducevano a guardarlo sempre più spesso e a sorridere senza motivo.
Quando ci sedemmo al tavolo del ristorante e me lo ritrovai davanti, con la possibilità di guardarlo di nuovo negli occhi mi resi conto di una cosa molto importante.
Lui era IL ragazzo, e non un ragazzo qualsiasi. Lui era quello che mi avrebbe fatto felice, ne ero sicuro.
Lui era quello che abbassava la testa spesso per paura di essere preso in giro, che sorrideva appena qualcuno gli rivolgeva la parola, che disegnava per farsi capire e che era entusiasta per tutto, anche per le piccole cose.
E fu proprio per quello, per quelle piccole cose, che mi resi conto che ci ero cascato. Lo volevo.



xCyanide's Corner
Ecco finalmente il secondo capitolo, spero vi sia piaciuto anche questo e ringrazio tutte le persone che hanno recensito, messo tra i preferiti, i ricordati e i seguiti :3 
Allora, non potrò aggiornare per una settimana perchè mi trascinano in vacanza (cosa che io avrei tranquillamente evitato, perchè non amo il mare, il sole e l'estate in generale). Per cui appena tornerò a casa, la prima cosa che farò sarà aggiornare, promesso!
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Beh… ci avevano visto. E le voci erano girate. E il mio occhio sinistro era nero e dolorante.
Non era la prima volta che mi capitava, certo, ma faceva più male del solito.
Forse non era proprio l’occhio che mi faceva male, ma le parole che mi avevano sputato contro Lewis e quelli del suo gruppo mentre mi prendevano a pugni. Parole che di certo non ripeterò perché, per quanto io possa essere una persona poco delicata, non mi abbasso certamente ai loro livelli.
Mi guardai un’altra volta allo specchio prima di sbuffare e di tornare verso la cucina, dove c’erano Christa e Ray seduti al tavolo, che mi aspettavano.
-Allora, fa ancora male? – mi chiese la ragazza, alzandosi e avvicinandosi a me. Ispezionò il mio occhio e storse la bocca. –Fortunatamente questo è il segno che si vede di più, Frankie.
-Si, perché non vado in giro a petto nudo – le spiegai. –Ho un sacco di lividi sulla stomaco che fanno un male cane.
Mi sedetti a fatica su una delle sedie intorno al tavolo e mi presi la testa tra le mani, evitando accuratamente di non toccare l’occhio.
-Come lo copro? – domandai, sentendo le guance bagnate. –Non voglio che Gerard lo veda, si renderebbe conto di tante cose.
Ray, a cui avevo precedentemente raccontato tutta la storia, si limitò a far scivolare la sua mano sul tavolo e a stringerla alla mia, abbozzando un sorriso.
-Chi è Gerard? – chiese Christa confusa, andando ad aprire la credenza per prendersi un pacco di biscotti.
-E’ un ragazzo che ha conosciuto Frank – spiegò velocemente l’afro, mentre io cercavo di riprendermi.
-E quand’è esattamente che ti sei innamorato di questo ragazzo? – mi domandò lei, sgranocchiando un biscotto.
-I-io non mi sono innamorato di Gerard – mentii. –E’ solo che non voglio che lui sappia che questo casino è colpa sua.
-Perché dovrebbe essere colpa sua, scusa? Se la sono sempre presa con te – osservò Christa, sedendosi sulle gambe di Ray.
-E’ che… ci hanno visto insieme e, beh, ci stavamo tenendo la mano – alzai la testa verso di loro, diventando improvvisamente rosso.
-E siamo sicuri che a te questo ragazzo non piaccia? – mi chiese lei, con tono malizioso.
-Senti, io non lo so, okay? Cioè, credo di essermene innamorato, ma sono confuso – sussurrai.
-Sei pazzo – disse, ridendo. –Iero, non devi vergognarti di noi, lo sai vero?
-Vorrei andarlo a trovare – confessai. –Chris, puoi aiutarmi?
 
-Ah, Christa! FERMA FERMA FERMA! –urlai, divincolandomi. –Fa un male bestia!
-Frank, non dirmi che sopporti di farti tatuare per cinque o più ore di seguito e non sopporti questo?! – Ray rise di gusto e lo sentii buttarsi sul divano.
Bravo, lui si rilassava mentre io pativo le pene dell’inferno per colpa della sua ragazza! –Questa me la lego al dito, afro! – esclamai, tornando a guardare Christa.
-Devi solo stare fermo e faremo subito. Ringrazia Dio che hai la mia stessa carnagione – ridacchiò, tornando a prendere un po’ di fondotinta con la spugnetta, per passarmelo sull’occhio.
Sbuffai sonoramente, cercando una posizione comoda sul bidet e incrociando le braccia al petto.
-Fai l’uomo – sussurrò, prima di riappoggiare quell’arnese infernale sul mio livido, tentando ci coprirlo.
Repressi un urlo e mi innervosii ancora di più. –Non potevo farlo da solo?
-Si, Frankie, così poi avresti avuto un occhio marrone – mi sfotté. –Non sai calcolare le dosi, non credo tu abbia mai usato roba del genere.
-No, questo no – dissi, abbastanza offeso. Non ero un fottuto bambino a cui serviva qualcuno. Io avrei saputo passarmi quella roba appiccicosa da solo, tsk!
-Abbiamo quasi finito – mi tranquillizzò.
-Che sia lodato Dio! – esclamai.
-Ma devo darti una brutta notizia – aggiunse, col sorriso che svaniva lentamente. Le feci un cenno con la testa e la guardai interrogativa. –Il livido non si copre bene, mi dispiace. Si vede che ti è successo qualcosa.
Sospirai e mi mossi per scuotere la frangia, che mi ricadde sull’occhio sinistro. –Va meglio così?
-Si vede ancora meno – mi carezzò una guancia modo mamma-apprensiva e poi mi abbracciò. –Sono sicura che anche Gerard sia innamorato di te.
-Speriamo – sussurrai soltanto, chiudendo gli occhi e ritrovandomi a sperare per davvero.
 
Sono un idiota! , mi urlai contro da solo. Un grandissimo megagalattico idiota!
“Vorrei andarlo a trovare”
Si, Frankie, una bellissima idea davvero, ma c’era solo un piccolo problema.
NON AVEVO LA MINIMA IDEA DI DOVE ABITASSE!
Avevo solo una fortuna: gli appartamenti che componevano i dormitori degli studenti si trovavano tutti in un quartiere e io avevo la possibilità di andarlo a cercare.
Presi un respiro profondo e mi incamminai per quella via che mi sembrava infinita, trascinando i piedi e facendo rumore con le suole delle scarpe.
Mi fermai ad ogni porta, setacciando velocemente tutti i nomi sui citofoni cercando forse invano quello di Gerard.
Battei i piedi a terra svariate volte, beccandomi qualche occhiataccia dalle persone che passavano, ma fregandomene altamente.
Dovevo trovarlo, avrei fatto di tutto per poterlo vedere.
Decisi, quindi, di ripartire da capo e rileggere tutti i nomi dei citofoni, convinto di poterlo finalmente trovare.
Mi feci forza e presi forse un respiro troppo lungo, che mi portò a dovermi fermare un attimo per via del dolore allo stomaco.
Quegli stronzi mi avevano davvero distrutto, ma forse era colpa mia. Ero già distrutto per conto mio e ciò rendeva più facile il loro lavoro. Non è difficile far cadere una persona che era già a terra, ma dovevano solo aspettare di vedermi in piedi di nuovo. Gliel’avrei fatta pagare, oh se gliel’avrei fatta pagare. Avrei avuto la mia vendetta.
Il fatto era che li vedevo contenti solo quando mi osservavano sanguinare e ciò mi rattristava. Una persona non può vivere per far soffrire, credo sia la cosa più bastarda che si possa fare. Non si può vivere nutrendosi di rabbia e tristezza, assaporando le lacrime di altre persone. Prima o poi cadi a pezzi anche tu.
Chissà a proposito come si sentiva Gerard. In confronto a lui non avrei dovuto lamentarmi assolutamente, sicuramente aveva passato una vita molto più difficile della mia e ringraziai Dio, in un attimo, che lui avesse Alicia e il fratello che lo rendevano felice.
Ma, mi promisi, se qualcuno gli avesse fatto qualcosa, qualsiasi cosa, avrei scatenato l’inferno. Ora che l’avevo trovato, non avrei permesso a nessuno di far scendere anche solo una lacrima dai suoi occhi, costasse quel che costasse.
Passai in rassegna i nomi dell’ennesimo citofono, rendendomi conto che purtroppo nemmeno su quello scorgevo il suo cognome.
Mi diedi mentalmente del deficiente, ma improvvisamente una lampadina si accese nel mio cervello.
Avrei potuto chiamarlo al cellulare! Si, avrei potuto davvero!
Ma subito mi riscossi da quel pensiero e mi ricordai che primo, non avevo il numero del possibile telefono di Gee e secondo, lui non aveva un cellulare.
Lui non poteva avere un cellulare, perché ero stato così stupido da pensarlo?
Mi battei una mano sulla fronte ripetutamente, risistemandomi subito dopo la frangetta davanti all’occhio infortunato e mi resi conto di una cosa molto importante.
Dovevo misurare per bene il mio linguaggio quando mi trovavo con Gerard. Non potevo chiedergli pareri cominciando con “Che ne dici se…” e quelle cose del genere. Non avrei potuto chiamarlo da un’altra stanza ed aspettarmi di sentire la risposta e non avrei certamente potuto fargli domande troppo aperte, lo avrei messo a disagio.
Era una situazione così complicata, ma allo stesso tempo così bella.
Forse perché mentre pensavo a tutti i contro del conoscere Gerard, mi accorgevo che erano certamente minori dei pro e mi attaccavo a quelli.
Io volevo Gerard, volevo essere il suo migliore amico, volevo amarlo come nessuno lo avrebbe amato.
Mi promisi che ce l’avrei fatta, avrei superato tutte le difficoltà e l’avrei aiutato. Sentivo dentro di me che era quello per cui mi trovavo al mondo.
Perso nei miei pensieri, non mi ero accorto che era la terza volta che rileggevo i nomi sul citofono di quel condominio e che proprio davanti al mio naso c’era scritto “Way-Simmons”.
Esultai di gioia e saltellai un poco, felice come non mai. Mi sbrigai a spingere il bottone vicino quelle due parole e attesi un poco, sperando vivamente che in casa ci fosse anche Alicia.
-Si? – sentii rispondere, ma era una voce maschile. Avevo sbagliato?
-Emh… sono un amico di Gerard, è in casa? – azzardai timidamente.
La voce sembrò riscattarsi, come se fosse entusiasta delle mie parole e sentii il portone fare uno scatto e aprirsi lentamente.
-Vieni su, Gerard è in camera sua ma sarà sicuramente felice di vederti. Siamo al quarto piano – mi spiegò.
-Ti ringrazio! – esclamai, entrando nel portone e salendo le scale.




xCyanide's Corner
Sono tornata dalle vacanze finalmente. Ho passato una settimana sotto l'ombrellone con protezione 25 proprio per non prendere il sole (dato che odio la pelle abbronzata) e mi sono sorbita gli insulti e le prese in giro degli amici dei miei genitori, ma sono sopravvissuta! Ecco a voi il terzo capitolo, spero vi piaccia e vi ringrazio tutti per le recensioni. Siete stati carinissimi, davvero! :3

Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Arrivai al quarto piano distrutto e col fiatone. Me e le mie fottute sigarette!
C’erano tre porte e, fortunatamente, visualizzai Alicia che mi aspettava sulla soglia di quella infondo al corridoio. Le sorrisi e mi diressi verso di lei più lentamente, cercando di darmi un contegno e magari smettere di ansimare per la fatica.
-Qual buon vento? – mi domandò, facendomi cenno di entrare.
-Io… volevo passare a trovare Gee, ma se è impegnato posso venire un altro giorno – sussurrai, mettendo piede in casa e guardandomi intorno.
Lei mi squadrò e la vidi fare una faccia strana, come se stessi dicendo un’eresia. –Credo che Gerard non sarebbe mai impegnato quando si tratta di te – mi disse, poggiandomi una mano sulla spalla.
-Che… che intendi dire? – le chiesi, ma la vidi dileguarsi e chiamare Gee a voce alta.
Squadrai l’appartamento e mi resi conto che era molto accogliente, con il parquet sia nel salone che nell’angolo cottura e una libreria di legno sulla parete dietro il divano di pelle nera. Una televisione al plasma si trovava proprio a pochi passi dal divano e un corridoio che doveva portare probabilmente alle camere e al bagno si estendeva vicino la libreria.
Sospirai, passando il mio peso sul piede sinistro e mi guardai le scarpe. Cercai di rilassarmi perché avevo la gola asciutta e gli ormoni a mille, ma venni scosso da una voce alle mie spalle.
-Amico, non rimanere sulla porta, siediti sul divano se vuoi – mi propose lo stesso ragazzo che mi aveva risposto prima, con il tono gentile.
-No, grazie, rimango in piedi – gli risposi, porgendogli la mano. –Mi chiamo Frank, piacere.
-Piacere mio, Frank. Sono Michael, ma tutti mi chiamano Mikey – mi sorrise e mi resi conto assomigliava in modo un po’ lontano a Gee. Aveva lo stesso sorriso, ma gli occhi erano diversi, castani, i capelli erano biondastri e si andavano a poggiare sui suoi occhiali. Mi sembrava tanto un nerd a dirla tutta. –Sono il fratello di Gerard – mi spiegò.
-L’avevo immaginato – confessai. –Avete lo stesso sorriso.
Sentii qualcuno tornare dal corridoio e distesi le labbra in modo automatico perché sapevo che era lui.
Vidi Mikey guardarmi malizioso e abbassai lo sguardo, prima di puntarlo verso il suono dei passi, ritrovandomelo vicino, praticamente davanti.
-Scusalo, si è appena svegliato! – esclamò Alicia, facendolo sembrare un rimprovero e apparendo da dietro Gerard. Lui le diede uno schiaffo delicato sulla schiena mentre lei lo superava e andava a raggiungere Mikey che si era andato a sedere sul divano.
Gee fece due passi verso di me, in modo imbarazzato e io colmai lo spazio andando ad affondare il volto nel suo petto. Gli passai le braccia dietro la schiena e lo strinsi, sentendolo appoggiare la guancia sulla mia testa. Mi resi conto solo in quel momento che avevamo dieci centimetri di differenza. Ero fottutamente basso.
Alicia e Mikey parlottavano tra loro e li sentii ridacchiare un poco, prima di staccarmi da Gee e guardarlo negli occhi, facendo molta attenzione a non far muovere la frangia dal mio occhio, non avrebbe dovuto vederlo per niente al mondo.
Mi fece un cenno con la testa verso il corridoio, poi si incamminò prendendomi per mano e trascinandomi dietro di lui. Passammo oltre due porte e arrivammo all’ultima infondo, che aprì invitandomi a entrare.
Venni travolto dall’odore di acrilici e bombolette, venni investito dai disegni e da quello che avevo intorno. E da Gerard.
Quelle pareti ricoperte di fogli, quei muri colorati erano.. lui. Quella era la sua massima espressione, mi stava facendo scavare dentro di lui, dentro il suo cuore e la sua anima. Gli strinsi ancora di più la mano e lo vidi allontanarsi un po’ da me per andare a prendere non so cosa dalla scrivania, quella coperta di CD che si trovava vicino al letto.
Io, intanto, mi apprestai ad osservare i disegni, ma erano veramente troppi e troppo tristi per poterli guardare senza sentirti male. Mi si chiuse lo stomaco quando lessi “I hate myself and I want to die” su un foglio. Sapevo bene che era una cosa che aveva detto Kurt Cobain, ma non volevo lui pensasse quelle cose, davvero.
Mi girai di nuovo verso Gerard che stava trafficando con un astuccio e stava tirando fuori quantità industriali di matite, ma forse voleva solo una penna. Sbuffò e si passò le mani tra i capelli.
Ma fortunatamente mi resi conto che la penna che voleva si trovava vicino a lui, ma non l’aveva vista.
Mi sporsi verso la scrivania e la presi, passandogliela davanti alla faccia.
Lui mi sorrise come a ringraziarmi e mi alzai sulle punte per dargli un bacio sulla guancia.
Chiuse gli occhi e poi tornò a sorridermi, prima di sedersi sul letto e farmi cenno di sedermi con lui.
Mi piazzai al suo lato e gli tolsi una ciocca di capelli dalla faccia.
-Buongiorno – parlai finalmente. –Allora è vero che ti sei svegliato ora – ridacchiai indicando il letto sfatto.
Annuì e distese le labbra, andando a scrivere su un quaderno (che credo fosse la cosa che aveva preso prima dalla scrivania)
Come mai qui?
Lessi, quando me lo mise davanti.
-Volevo solo venirti a trovare, ma non sapevo dove abitassi per cui ho cercato sui nomi fuori da ogni condominio per trovare il tuo. Ci ho messo pressappoco un’ora, ma ora sono qui – sussurrai, vedendolo sgranare gli occhi.
Si sbrigò a tornare con gli occhi sul foglio e mosse la mano velocemente.
Ti ringrazio tanto.
-Di cosa? – domandai, stupito. –Volevo vederti, in realtà – confessai. –Mi mancavi.
Lui arrossì e abbassò lo sguardo. Impugnò saldamente la penna e scrisse, con un po’ di rabbia. Stavolta ci mise più tempo, spingendo per bene sul foglio, come a sottolineare il concetto e quando me lo fece vedere, mi affrettai a leggere.
Mi dispiace. Di essere così, di non poterti dire quello che penso liberamente. Vorrei solo non essere me, capisci? Anche tu mi sei mancato, ma non potrò mai sussurrartelo all’orecchio, oppure urlartelo addosso. E questo mi fa incazzare.
-Non devi – fu la prima cosa che mi uscì dalla bocca quando lo guardai. –Non devi mai e dico mai pensare una cosa del genere quando ci sono io, capito? – gli presi il mento tra le mani e lo guardai duro. Aveva gli occhi lucidi e mi sentii improvvisamente impotente. –Non fare così, per favore – sussurrai, passando le mie braccia intorno al suo busto e cercando di confortarlo.
Lui si sporse completamente contro di me, finendomi quasi in braccio, e appoggiò la testa alla mia spalla. Sentii la mia maglia bagnarsi lentamente e mi venne da piangere anche a me. –Ssssh, Gee, non piangere – cercai di tranquillizzarlo, con la voce che tremava. –Non fare così – ripetei.
Lui di rimando mi strinse ancora di più e lo sentii prendere aria. Mi stava spingendo sullo stomaco e ciò mi stava facendo vedere le stelle per colpa dei lividi ma rimasi in silenzio, preoccupandomi solo di accarezzarlo e fargli capire che quello che vedeva lui quando si guardava allo specchio non era la stessa cosa che vedevo io.
Lui sicuramente non vedeva un uomo determinato e forte, sempre sorridente e con un cuore grande. Non vedeva quegli occhi da bambino e quelle ciglia lunghissime che li rendevano ancora più dolci. Non vedeva la persona meravigliosa che vedevo io, proprio no.
Lui pensava di se stesso cose completamente errate, brutte e negative.
E ciò lo portava a piangere sulla mia spalla.
Sospirai e lo spinsi un po’ indietro, cercando di guardarlo negli occhi. Le ciglia erano bagnate e ancora stava lacrimando, ma gli sorrisi per rassicurarlo.
Gli passai le mani sulle guance, asciugandole e poi gli carezzai i capelli, tirandoli indietro e lasciando la faccia scoperta.
-Tu non ti rendi conto di quanto sei bello, vero? – domandai, maledicendomi subito dopo per la domanda stupida. Lui sembrò un attimo interdetto e mi sbrigai a continuare. –Non ci credo che nessuno ti abbia mai detto che sei stupendo.
Lui scosse la testa, facendo tornare i capelli sulle guance.
-Beh, allora sono il primo – sussurrai. –Quando me lo dai un premio?
Sorrise e abbassò lo sguardo, diventando del colore dei peperoncini.
-Ehi, non pensare mai più quello che mi hai scritto, mi hai capito? – lui annuì e io presi un respiro. –Sei uno dei miei primi amici, escludendo Ray, il mio compagno di stanza. Anzi, forse sei il mio migliore amico e io sono qui per esserti vicino.
Lui parve riscattarsi a quelle parole e tornò a sorridere.
Mentalmente mi congratulai con me stesso: lui stava sorridendo e io ero la causa.
Tornai ad abbracciarlo, sperando che mi avrebbe davvero dato retta.



xCyanide's Corner
Spero che anche questo capitolo vi piaccia e mi raccomando continuate a recensire! Ringrazio innanzitutto tutti quellic he l'hanno già fatto, siete la mia gioia :3
Credo che aggiornerò di nuovo domenica e credo proprio che vi piacerà molto come capitolo, ma non spoilerro *Me sadica*
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Sbuffai pesantemente rientrando in casa. Mi passai le mani tra i capelli e mi appoggiai alla porta con la schiena.
Non ce la faccio più, pensai, spalmandomi una mano sulla faccia.
Mi ero stufato di Lewis e di tutte le sue battutacce. Era da quando mi aveva visto con Gee che continuava a insinuare che io e lui stessimo insieme. Non che a me dispiacesse, eh, sia chiaro! Ma non volevo che la voce girasse e la gente se la prendesse con Gee.
Il problema era che vivevamo in un mondo di omofobi stronzi di merda. Tutti pronti a puntare il dito, pronti a farti un occhio nero o a prenderti in giro. Cristo, anche il fatto che Gee non potesse parlare per loro diventava esilarante! Non era possibile.
Sorrisi ricordando lo sguardo che Gee mi aveva dedicato una settimana precisa prima, quando lo avevo consolato. Almeno a qualcosa servivo.
Sospirai di nuovo e buttai la mia borsa a terra, vedendo il libro di psicologia scivolare lentamente fuori. Gli diedi un calcio ben assestato e decisi di cercare di rilassarmi.
Mi incamminai verso il divano, intento a mettermi a vedere la televisione, ma per poco non scivolai su un qualcosa che mi sembrava un foglio. Guardai a terra, un po’ confuso, e mi resi conto che era davvero un pezzo di carta.
Mi chinai e lo presi, andando ad accendere la luce per capire cosa c’era scritto. Lo spiegai e lo tirai dai lati, in modo da togliere le pieghe che si erano create.
Spero veramente tu abbia trovato questo biglietto. E se per caso l’avessi trovato, che ne diresti di cercare gli altri?
Mi grattai la testa e la inclinai a sinistra, cercando di capirne il senso. Sapevo per certo che era la scrittura di Gee, e questo fece fare al mio stomaco una giravolta.
Distesi le labbra senza nemmeno pensarci e mi misi alla ricerca degli altri fogli.
Mi guardai intorno e mi resi conto che ce n’era un mucchio sul divano. Mi affrettai a prenderli e sperai vivamente non avessero un ordine, altrimenti sarei stato fottuto.
Ma, conoscendo almeno un po’ Gerard, mi resi conto che stavo sperando invano in una cosa facile, perché molto probabilmente non lo era per niente.
Li aprii uno per uno squadrandoli per bene. Erano quattro ed erano uno il seguito dell’altro probabilmente, proprio come avevo temuto.
Li misi in fila e cercai di capirne l’ordine, concentrandomi. Poi una lampadina si accese nel mio cervello e scambia l’ordine, mettendo il primo per ultimo e il secondo per terzo. Così avrebbe dovuto andare, presumevo.
Sai, quando ti ho incontrato, ho pensato non fosse vero. Ho ringraziato molte volte Alicia per avermi trascinato a quella festa, ma credo fosse proprio quello il suo intento: farmi conoscere te.
Sapeva che ti osservavo da lontano da un anno intero e molto probabilmente voleva solo aiutarmi…
…come stai facendo tu, d’altronde. E ti ringrazio tanto.
Ma i biglietti non sono finiti, vorresti vedere gli altri?

Il mio cuore batté ancora più velocemente e mi resi conto di avere le guance rosse. Cosa aveva in mente Gerard? Sospirai e mi alzai dal divano, portando con me i fogli: volevo tenerli tutti.
Tornai ad osservare l’appartamento e mi chiesi se ci fosse un ordine anche nel ritrovamento, forse poi dovevo rileggerli uno ad uno proprio per capirci qualcosa. Ma fino a quel momento, il discorso mi sembrava abbastanza sensato, forse non stavo sbagliando del tutto.
Chiusi un attimo gli occhi e mi chiesi dove avrei appoggiato gli altri biglietti se fossi stato Gee. Forse nella cucina, ma dato che Gerard non aveva mai visto il mio appartamento (e avrei dovuto chiedergli com’era entrato) forse sbagliavo.
Ma mi diressi comunque verso la cucina, osservano il tavolo… e che cazzo, ci avevo indovinato! Saltellai un poco, dandomi mentalmente del deficiente e ringraziando Dio che nessuno mi avesse visto.
Presi velocemente gli altri quattro fogli in mano, dopo aver lasciato quelli “vecchi” sul tavolo.
Feci la stessa cosa che avevo fatto con gli altri: li aprii e li sistemai davanti a me, squadrandoli per bene. Ma stavolta ci misi di meno a capire l’ordine e mi congratulai da solo.
Sai perché ti ho osservato un anno intero?
Perché sei bello, Frankie. Stupendo, come nessun altro è.
E amo il tuo essere così… te stesso! Il fatto è che all’inizio credevo fossi solo un altro dei montati stronzi con cui dovevo aver a che fare tutti i giorni, ma poi mi sono reso conto che sei molto meglio…. meglio della merda che c’è in giro, meglio di tutti gli altri. Meglio, punto.
E, boh, forse ti ho stancato, ma ti prometto che se trovi gli altri quattro biglietti che mancano ti dirò dove sono.

Io… meglio? Era impazzito? Io non ero meglio di un bel niente, non vedevo niente di bello in me. Ma mi faceva bene sapere che lui pensava quelle cose di me, perché mi faceva sentire maledettamente amato per la prima vera volta in vita mia. E più che altro, perché era stato lui a scriverlo. Lui, capite? Gerard!
Mi ficcai bene in testa che dovevo trovare gli altri quattro biglietti e presi un respiro profondo, setacciando di nuovo la cucina, in cerca di nascondigli che avrebbe potuto usare. Controllai addirittura nella credenza, ma niente.
Mi stavo anche innervosendo, a dirla tutta. Ero eccitato all’idea di sapere cosa c’era scritto negli altri biglietti, volevo che ci fosse scritto quello che desideravo, ma forse mi stavo solo creando favole nella mente. Illuso.
Poi, un lampo: la mia cameretta! Perché cazzo non ci avevo pensato prima?!
Corsi letteralmente verso la porta della mia camera, ma rischiai di nuovo di cadere su un altro foglio. Lo presi e quasi lo strappai per la frenesia di spiegarlo.
Devi solo andare avanti…
Lo richiusi e lo presi in mano, infilandolo nel mucchio con gli altri. Chiusi gli occhi e feci un altro passo, riaprendoli velocemente e guardandomi intorno. Mi accorsi che al muro ce n’era un altro, attaccato con dello scotch bianco. Lo guardai e sorrisi automaticamente.
Ci ho pensato molto, sai? Mi sono dannato ma sono arrivato a una conclusione.
Possibile che fosse davvero quello che pensavo io? Ridacchiai di felicità e sentii gli occhi pizzicarmi. No, non potevo commuovermi, non in quel momento.
Mi guardai davanti e mi resi conto che ce n’era un altro sulla porta.
Perché non entri?
Si, cazzo, entro subito! Afferrai la maniglia e la girai velocemente, entrando in camera come un uragano. Ma quello che mi ritrovai davanti fu la scena più dolce che avessi mai visto in vita mia.
Gerard, sdraiato di lato sul mio letto, teneva stretto il suo quaderno. Con gli occhi chiusi, molto probabilmente si era addormentato aspettandomi tornare. Abbassai lo sguardo, sopprimendo una risata e tentando di non svegliarlo mi avvicinai.
Sgranai gli occhi quando visualizzai il tredicesimo biglietto proprio accanto a lui. Lo presi ritraendo subito la mano e lo strinsi al petto, come se fosse stata la cosa più importante del mondo.
Contai fino a trenta lentamente, non volevo rovinarmi l’attesa guardandolo subito. Magari non sarebbe stato quello che pensavo, magari era solo la lista della spesa, e quello era un modo carino per chiedermi di accompagnarlo al supermercato. Stavo delirando.
Decisi di aspettare ancora di più, prima di girarlo, e contai di nuovo fino a trenta. Stavo per diventare matto, però, ma era tutta colpa mia.
Quindi mi convinsi a girarlo e lo fissai, senza capire realmente cosa c’era scritto. O forse non volevo capire, forse mi sembrava tutto troppo bello per essere vero.
Sono abbastanza convinto di essere fottutamente innamorato di te.
Quelle nove parole mi rimbombarono in testa e non potei fare altro che tirare un urletto di felicità, che però non svegliò Gee.
Appoggiai tutti i fogli a terra e mi avvicinai a lui, sedendomi al suo lato sul letto e accarezzandogli la testa.
Si girò a pancia in su, cominciando ad aprire gli occhi.
-Ehy, piccolo – sussurrai, sporgendomi verso di lui e baciandogli la guancia. Mi sentivo iperattivo, quasi, mi sembrava tutto un maledetto sogno. –La vuoi sapere una cosa?
Lui aprì del tutto gli occhi e mi guardò imbarazzato, annuendo lentamente con la testa.
Sorrisi di rimando, attaccandomi al suo orecchio. –Sono anche io abbastanza convinto di essermi fottutamente innamorato di te.
Lui sgranò gli occhi e si tirò su, guardandomi come se non ci credesse. Si affrettò a prendere il suo quaderno (che era volato via da qualche parte) e impugnò la penna nera che prese dal comodino. Scrisse qualcosa e poi mi mostrò il quaderno.
Dici davvero?
Io mi limitai ad annuire e gli carezzai una guancia. Lui si appoggiò alla mia mano, intrappolandola sulla spalla e la sfregò con la testa.
Fissò, poi, di nuovo il foglio, tornando a scrivere.
Non credevo fosse possibile…
Gli tolsi il quaderno di mano e mi feci passare la penna, lui mi guardò incuriosito. Decisi che avrei usato anche io quel foglio, proprio per non rompere il silenzio che si era creato.
Perché non dovrebbe essere possibile? Gli domandai.
Lui fece spallucce e guardò altrove. Ripresi a scrivere, sventolandogli dopo il quaderno in faccia.
So che credi ancora che la mia sia solo una presa in giro, non importa quello che dici. Confessai.
Lui mi tolse l’oggetto dalle mani e spinse la penna sul foglio. Poi me lo porse di nuovo.
Non credo sia una presa in giro, credo solo di non essere abbastanza.
Aggrottai la fronte e mi decisi a fargli una domanda che credevo non avrei mai avuto il coraggio di porgere.
Perché non la smetti di prendertela con te stesso, ti avvicini e mi baci?
Lui sgranò gli occhi di nuovo e poi prese un respiro profondo. Si sporse verso di me e gli presi una mano, sedendomi meglio sul letto, inginocchiandomi e ritrovandomi un pochino più in alto di lui.
Lo guardai negli occhi e li vidi più verdi del solito e ancora più ialini. Sentii il suo respiro sulla bocca e mi decisi a farmi avanti, baciandolo lentamente.
Le sue labbra sapevano di gomma alla fragola e in quel momento mi sembrarono la cosa migliore del mondo. Sorrisi nel bacio e mi poggiò la mano libera sul fianco, carezzandomi.
Approfondì un po’ il bacio, aprendo la bocca e lasciando alla mia lingua lo spazio per entrare.
Nonostante avessi gli ormoni a mille, mi resi conto che non c’era niente di più dolce che baciarlo. E mi chiesi come avessi fatto a non farlo fino a quel momento.
Quando ci staccammo, mi dissi che sicuramente avevo la faccia stravolta, e quando aprii gli occhi, mi ritrovai davanti il suo bellissimo sorriso.
-Sai Gee? – chiesi, baciandogli la guancia. –Se prima ero abbastanza convinto di essere fottutamente innamorato di te, ora ne sono sicuro.
Lui abbassò lo sguardo, diventando un peperone.



xCyanide's Corner
Credo non ci sia niente di particolare da dire su questo capitolo tranne il fatto che credo sia il più bello che io abbia scritto finora per questa fic.
Ormai i due hanno capito che si piacciono (sono perspicace eh?) e ora vedremo cosa gli riserva il futuro u.u
Aspetto vostri pareri, critiche o anche solo scleri, mi fanno davvero felice! Grazie a chi ha recensito finora, siete davvero tanti! :3
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Mi diressi barcollando nel salone, sbadigliando di nuovo e scompigliandomi i capelli.
Non avevo dormito per niente quella notte, le immagini dei biglietti che mi aveva lasciato Gerard, di quella bocca sulla mia mi avevano tenuto sveglio. Certo, era una bella ragione per non chiudere occhio, ma non quando ti ritrovi con due occhiaie che arrivano ai piedi e le lezioni pomeridiane che ti aspettano.
Sbuffai, entrando in cucina e facendomi inglobare dall’odore di latte e caffè. Inspirai a pieni polmoni, prima di rendermi conto che c’era Ray davanti ai fornelli che stava armeggiando con non so cosa.
Mi sedetti e guardai la sua schiena, prima di decidere ad aprire bocca.
-‘Giorno, afro – borbottai, con la voce ancora roca.
-Dormito male, nano? – mi chiese, girandosi e porgendomi una tazza gigantesca con del caffè. Gli sorrisi per ringraziarlo e poi soffia sul liquido per farlo freddare.
-In realtà non ho chiuso occhio – confessai, prendendo il primo sorso.
-Problemi con Gerard? – mi domandò, sedendosi davanti a me cercando di aprire una scatola di biscotti.
-No, per carità, con Gerard tutto bene – sorrisi al pensiero e abbassai lo sguardo. –E’ che non sono riuscito a dormire per niente…
-Ma com’è andata ieri? – alzai velocemente la testa a quella domanda e mi chiesi come facesse a saperlo.
-In che senso “ma com’è andata ieri?” – feci il finto tonto, sperando di sembrare innocente.
-Chi credi abbia dato le chiavi di casa a Gerard? – alzò un sopracciglio, in segno di sfida.
-Ah, ora capisco! – esclamai. –Non ho avuto il tempo di chiederglielo, ma sinceramente ero curioso di sapere come avesse fatto a entrare.
-E quindi ora sei un uomo impegnato? – mi guardò malizioso e poi rise.
-Diciamo di si – sussurrai, anche se sapevo che la giusta risposta sarebbe stata “Cazzo, si!”
Ray sorrise ancora di più e mi batté un pugno sulla spalla. –Sono contento per te, amico!
-Grazie Ray – dissi, sinceramente. –Grazie di aver capito la situazione e di avergli prestato le chiavi, sei stato molto gentile.
-Di tutto per te – mi rispose, intingendo un biscotto nel latte. –E poi credo che abbia uno di quegli sguardi a cui non puoi dire di no.
-Già, sembra Bambi quando ci si mette – osservai, con il tono dolce.
-Cavolo, sei proprio perso – ridacchiò. Io lo guardai e alzai le spalle.
-Forse solo un po’ – sminuii. –E…
Ma il suono del telefono di casa che squillava mi interruppe. Mi guardai intorno e poi vidi Ray alzarsi dalla sedia e a passo lento raggiungere il salone per rispondere.
Mi presi la testa tra le mani e chiusi gli occhi, cercando di rilassarli un poco.
Andando avanti così, mi sarei addormentato in classe, ne ero sicuro. Mi lasciai andare e sbattei la testa sul tavolo, ma non me ne curai, l’importante era che non avessi preso in pieno la tazza di caffè.
Sentii Ray parlare con quella voce tipica di quando ti chiama qualcuno che non conosci bene, quando cerci di dimostrarti dolce e delicato, ma invece non lo sei.
Risi un pochino e mi resi conto che la voce di Ray era davvero ridicola quando cercava di fare il bravo ragazzo.
Rimase un altro po’ al telefono e poi lo vidi ricomparire in cucina, con la faccia un po’ confusa.
-Frankie, è tua madre, ha detto che vuole parlarti urgentemente – mi spiegò.
Mi affrettai ad alzarmi e a raggiungere il telefono, preoccupato del fatto che fosse stata lei ad avermi chiamato, dato che di solito dovevo farlo io.
Mi spinsi la cornetta sull’orecchio e respirai profondamente. –Mamma, è successo qualcosa??
-Frankie! – esclamò, con la voce contenta. –Piccolo mio, volevo solo sentirti!
-Mi hai fatto prendere un colpo, ma’! – urlicchiai.
-Non puoi vivere come se fossi sempre sul punto di scappare per un attacco a sorpresa, amore – osservò, ridacchiando un poco. –Comunque – cominciò –come va l’università? Fatto nuove conoscenze?
-L’università va tutto bene, oggi pomeriggio ho alcuni corsi, ma ho molto sonno e non so se mi addormenterò sul banco – sorrisi. –E ho incontrato un ragazzo.
Mia madre, che conosceva i miei gusti, fece un verso felice e si sbrigò a riprendere a parlare. –Chi è? Come si chiama? E’ carino? Ti piace, vero? Oh, lo sapevo che avresti trovato l’uomo per te! Sicurament---
-Mamma! – cercai di fermarla. –Calmati per favore!
-Si, ma raccontami tutto di lui, però! – disse, abbastanza eccitata.
Sbuffai leggermente, scuotendo la testa per il suo comportamento. La amavo molto, soprattutto perché non mi aveva visto in modo diverso quando le avevo detto che mi piacevano i ragazzi, ma era diventata iperattiva, le piaceva sapere che fossi felice con una persona. –Si chiama Gerard e frequenta la facoltà d’arte. E comunque si, è molto carino, mamma, tanto so che è questo che vuoi sapere.
-Ah, quindi ti piace! – me la immaginai che mi puntava il dito addosso e risi un po’.
-Si, mi piace – ammisi.
-E te piaci a lui, vero?
-Si, anche questo è vero – confessai, diventando rosso.
-Oh, Frankie, sono così felice, tesoro! – urlò e sentii una voce dietro di lei che le intimava di abbassare la voce.
-Chi c’è? Emily? – domandai, alzando gli occhi.
Emily: la mia sorellastra. La figlia del compagno di mia madre. Io la odiavo, lei mi odiava. Era così, a casa mia, da quando sei anni prima mia madre aveva deciso di far trasferire John a casa nostra.
Uno dei loro problemi era che non credevo andassero tanto a braccetto con la mia sessualità e questo mi mandava in bestia, davvero. Che cosa importava a loro?
-Si, è Emily – mi rispose un po’ titubante, come se sapesse che anche solo sentirla nominare mi urtasse.
-Salutamela tanto – dissi, con la voce acida. –Mi manchi mamma – continuai poi, addolcendo la voce. –Mi piacerebbe tanto farti conoscere Gerard, sai?
-Oh, anche a me piacerebbe conoscerlo, piccolo – stette un attimo in silenzio e poi prese un respiro. –Ci sarà sicuramente modo, tranquillo.
-C’era… c’era qualcos’altro che volevi dirmi?
-Oh, si! – alzò la voce, come se si fosse ricordata improvvisamente. –Vorrei che venissi a farci visita Frankie, magari la settimana prossima, che dici?
-Dovrei saltare le lezioni… - osservai, ma improvvisamente delle lezioni non me ne fregava niente. L’importante era andare a trovare mia madre. –Quanto potrei rimanere da te?
-Quanto vuoi, cucciolo, anche una settimana intera, che ne dici?
-Io… okay, va benissimo – accordai. –Allora, hai detto la settimana prossima?
-Si, la settimana prossima sarebbe perfetta. Farò prendere a John qualche giorno di pausa al lavoro, così potremmo stare tutti insieme come facevamo quando non andavi all’università – disse, con la voce così contenta.
-Non vedo l’ora, davvero – aggiunsi, per una volta davvero contento di quello che dicevo.
-Oh, sono sicura che anche Emily sarà felicissima di rivederti!
-Immagino… - sussurrai. –Come sta andando a scuola? Dopotutto, questo è il suo penultimo anno, no?
-Mah, tutto bene, i voti sono quelli di sempre e ha anche trovato un ragazzo.
-Oh, davvero? Beh, è una bellissima donna, è normale – alzai le spalle, pensando che effettivamente era davvero una bellissima ragazza, con quegli occhi azzurri e quei capelli biondi. E quei venti centimetri di vantaggio su di me.
-John è molto felice, perché questo ragazzo, questo Andrew è molto carino e gentile con lei e le sta dando una mano con i progetti per la scuola – la sentii sorridere.
-Devo conoscerlo, voglio approvarlo anche io. Dopotutto sono il fratello maggiore – risi, cercando di allentare l’atmosfera.
-Oh, Frankie! – urlicchiò mamma, improvvisamente illuminata. –Perché non fai venire anche Gerard con te? Dormirà in camera tua e mangerà con noi! Lo voglio conoscere – quasi mi pregò e sorrisi senza pensarci.
-Dici davvero?
-Si che dico davvero! Sarà un piacere – mi assicurò.
-Beh, in questo caso, devo spiegarti alcune cose, mamma, perché non vorrei faceste figuracce, okay?
-Mi stai facendo preoccupare.
-Nah, non preoccuparti, non è niente di davvero importante a mio avviso.



xCyanide's Corner
Scusatemi per l'attesa e per non aver postato ma ho deciso che i capitoli apparranno magicamente tutte le domeniche e non più spesso, perchè devo avere il tempo per finirla nel frattempo u.u 
Allora, per quanto riguarda il capitolo, la mamma di Frankie è una persona molto dolce e lui e Gee andranno a trovarla, ma non si sa ancora come reagiranno gli altri componenti della famiglia! *me sadica*
Spero come sempre vi sia piaciuto e vi ringrazio veramente tanto per le recensioni e per averla messa tra seguite/ricordate/preferite, siete la mia gioia :3
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Dai, Gee, non farmi scendere dalla macchina, non mi va, pensai sbuffando lentamente.
Il fatto era che avevo fatto le valigie e le avevo dovute portare per le scale senza aiuto e in quel momento mi facevano male le gambe. Non avrei resistito ad altre quattro rampe, sarei collassato prima.
Spinsi lentamente sul clacson, cercando di fare meno rumore possibile e appoggiai la testa al sedile. Mi guardai intorno nella macchina e mi congratulai perché l’avevo pulita davvero bene, non volevo che mia mamma credesse che non ci tenessi per niente. Cosa vera, okay, non mi fregava niente della macchina, ma non volevo darglielo a vedere.
Per favore, pregai, chiudendo gli occhi.
-Frankie? – mi sentii chiamare da una voce femminile che mi sembrava Alicia. Osservai i finestrini ma non la vidi, per cui mi sporsi fuori e alzai la testa, in direzione della finestra di casa loro.
-Si? – chiesi, mettendomi una mano sopra gli occhi per proteggerli dal sole.
-Gee sta scendendo, Mik gli da una mano  portare le valigie. Ora arrivano – mi rassicurò, sorridendomi.
-Okay, grazie – risposi. –Sicura non gli serva una mano?
-Non credo, non ha portato molte cose, è solo una settimana d’altronde – mi ricordò. –Allora fate buon viaggio, Frankie, salutami la tua famiglia.
La ringraziai prima di vederla chiudere le ante della finestra e tornare dentro.
Sorrisi, quando vidi il portone aprirsi e Gee e Mik uscire. Scesi dalla macchina (nonostante mi fossi promesso che non l’avrei fatto) e gli andai incontro.
-Buongiorno – salutai, prendendo la valigia dalle mani di Gee, lasciandogli però la sua tracolla. Lui fece un cenno della testa, come a ringraziarmi del gesto, e poi distese le labbra.
Non ero ancora abituato a vedere quel sorriso dedicato a me, era solo una settimana che stavamo insieme, per cui mi sentii avvampare e abbassai la testa, per poi salutare anche Mikey.
Gli mostrai come mettere le valige nel bagagliaio e le incastrammo per bene, in modo da non doverci fermare per rimetterle a posto.
-Quanto ci metterete ad arrivare? – mi chiese Mik, mettendomi una mano sulla spalla.
-Pressappoco un’ora e mezza credo, non ci vuole tanto da qui a Belleville. Spero solo non ci sia traffico – riflettei.
-Allora buon viaggio, ragazzi – ci augurò, prima di abbracciare stretto Gerard e sussurrargli all’orecchio un “divertiti, mi raccomando”.  Poi mi fece un cenno con la mano, sorridendomi allegro e se ne andò, rientrando nel portone.
Guardai Gee e allungai le braccia  verso di lui, aspettando che mi stringesse. Poggiai la testa sul suo petto e sentii la sua mano accarezzarmi i capelli.
Alzai la testa e fissai i miei occhi nei suoi. –Hey, splendore – sussurrai.
Lui si sporse per baciarmi e assaporai le sue labbra, non potendo evitare di sorridere nel bacio.
-Pronto per il viaggio? – chiesi, quando ci staccammo.
Lui annuì e diede una piccola pacca sulla schiena, come a incoraggiarmi a salire in macchina.
Lo presi per mano e gli aprii la portiera, aspettando che si sedesse, e poi la richiusi.
Mi diressi verso la parte del conducente e salii, infilando la chiave e sentendo i lamenti che faceva la macchina prima di partire.
Mi sporsi ad accendere lo stereo e infilai un CD dei Misfits. Guardai Gerard e lo vidi sorridere prima di aprire la tracolla e tirare fuori il suo album da disegno e delle matite.
-Emozionato? – domandai. –Insomma, non ti mangeranno, eh!
Lui annuì, continuando a sorridermi, e mi prese la mano destra da sopra il cambio.
-Ti devo avvertire di una cosa, però – cominciai, quando appoggiò la matita sul foglio. –Mia madre sarà molto appiccicosa.
Mi guardò confuso e risi.
-Cioè, era così contenta di sapere che saresti venuto anche tu che ha cominciato a urlicchiare e sono sicuro ti accoglierà saltandoti addosso.
Lui scosse la testa divertito e tornò a disegnare.
-Ti spremerà le guance stile vecchia-zia-zitella e poi comincerà a parlare e parlare e parlare – sospirai, prendendo l’autostrada e immettendomi nel traffico di New York.
Lui prese l’album e lo girò, cominciando a scrivere sulla parte dietro. Poi me lo mostrò e, appena ne ebbi l’occasione, lessi velocemente.
E’ stata… contenta? Cioè, lei sa?
Mi battei mentalmente una mano sulla testa e mi resi conto che gli avevo detto che sarebbe venuto con me, ma non avevo specificato come l’avrei presentato. Non gli avevo spiegato che sarebbe stata la prima volta che l’avrei chiamato “il mio ragazzo” davanti ad altre persone (e ciò mi emozionava particolarmente)
-Si, cioè lei sa che sono gay e sa chi sei tu, Gee – gli sorrisi per rassicurarlo e vidi una tristezza infinita nei suoi occhi. –I tuoi genitori sanno?
Mia madre fa finta che non gliel’abbia detto e mio padre non mi ha più voluto vedere. L’unico che mi ha appoggiato è stato Mik, ha capito la situazione e mi ha aiutato a superare quel momentaccio.
Io annuii, registrando l’informazione. Era stata una cosa bastarda da parte dei suoi genitori, sinceramente. Lui aveva già molti problemi, perché rifiutarlo? Perché non farlo essere quello che era e lasciarlo in pace?
Mi vennero subito in mente i volti di John ed Emily e mi resi conto che non erano gli unici stronzi allora.
-Sai, mio padre accetta il fatto che io sia gay, ma non lo vedo da anni quasi. Mia madre ha un compagno ora. Stanno insieme da nove anni e lui si è trasferito a casa nostra da sei e ha portato con lui la figlia di diciassette anni – presi un respiro profondo e cercai di andare avanti. –Mamma ci ha messo molto a convincersi a dirlo a John, aveva paura fosse omofobo o qualcosa del genere, no?
Gee annuì lentamente e vidi la paura nei suoi occhi. Anche io sarei stato intimorito a sapere che il posto cui dovevo andare con il mio ragazzo era pieno di persone poco tolleranti.
-Ma alla fine gliel’ha confessato e lui ha cercato di capirmi il più possibile nonostante, si, sia omofobo – sentii la mano di Gee, ancora sulla mia, che mi stringeva, come a proteggermi. –Non gli sono mai stato molto simpatico e i primi tempi uscivano sempre fuori battutacce sulla mia sessualità davvero tristi e banali. E soprattutto, battute che avrebbe potuto risparmiarsi tranquillamente.
Vidi lo sguardo di Gerard, ed era uno sguardo che sapeva. Uno sguardo che aveva provato quello che avevo provato io a farmi prendere in giro.
-Poi si è deciso ad accettarmi del tutto, ma è arrivato il periodo in cui non lo voleva far sapere agli amici e ai vicini, quasi soffocandomi – sbruffai, al ricordo.
Gerard tornò al suo disegno, tenendo comunque gli occhi tristi.
-Mia madre ci ha litigato spesso, perché voleva che innanzitutto anche la mia sorellastra ne venisse a conoscenza, e poi perché credeva che non fosse nulla di cui vergognarsi.
Girò di nuovo il foglio e scrisse di continuo a quello che aveva scritto prima.
E tua sorella? Come l’ha presa lei?
Io strinsi i denti e cercai di fermare il respiro, che stava diventando affannoso. –Lei mi ha urlato contro – cambia marcia –non mi ha parlato per un anno intero e appena poteva mi faceva scherza dementi. Una volta mi ha fatto cadere dalle scale e mi sono fatto davvero male, ma poi mia madre si è impuntata, l’ha sgridata spesso ed Emily si è convinta che forse non c’è niente di sbagliato in me, anche se nemmeno io in quel momento ne ero davvero convinto.
Svoltai e presi un po’ di velocità, non essendo più impantanato nel traffico.
Che ti diceva Emily, Frank?
Una volta letto, mi domandai se davvero volevo dirglielo. Magari lo avrei spaventato ancora di più e se la sarebbe presa con me perché non gliene avevo parlato prima. Mi morsi il labbro e presi un respiro profondo.
-Lei mi ha detto svariate volte quanto le facessi schifo e ripeteva che se non portava il suo fidanzato (o perlomeno, il fidanzato che aveva in quel periodo) a casa, era solo colpa mia, non voleva che lui sapesse chi fossi e aveva paura mi potessi innamorare di lui. Mi ha fatto sentire una maledetta puttana per un sacco di tempo – sussurrai l’ultima frase, come se la volessi tenere solo per me.
E loro sanno chi sono? Oppure, come devo comportarmi?
Mi affrettai a scuotere la testa e a guardarlo male, riportando immediatamente gli occhi sulla strada.
-Gee, ora le acque si sono calmate, loro sembra abbiano capito e tu ti comporterai per quello che sei, chiaro? – dissi, duro. –Non devono condizionarci. Sei il mio ragazzo, come Emily è padrona di portare a casa il suo, io posso portarti a casa mia e posso baciarti e abbracciarti tutte le volte che voglio. Se loro hanno problemi con questo, che li risolvano.
Gerard mi sorrise e annuì.
-Sarà una settimana tutta per noi, fai come se loro non esistessero, okay?
Lui mosse la testa per acconsentire e mi calmai un poco.
-Mi sono anche un po’ rotto il cazzo sinceramente di sentirmi osservato e preso a male parole da loro, è ora che si abituino e che accettino che io sono questo, non posso cambiare perché a loro non sta bene.
Lo vidi scrivere, ma ci mise un po’ più del solito, segno che quello era un discorso lungo. Mi chiesi come avrei fatto a leggerlo dato che stavo guidando ma mi dissi che ce l’avrei fatta, anche a costo di leggere una parola per volta.
Quando lo girò verso di me, mi affrettai a guardarlo, in modo da registrare la maggior parte delle parole. Le ricollegai e riuscii finalmente a capire quello che mi voleva dire.
Ti ammiro, sai Frank? Io non ho avuto il tuo coraggio, io sono scappato via, me ne sono venuto a New York e non ho più voluto sentir parlare dei miei genitori. Ogni tanto Mikey ci parla ma io mi rifiuto di rivolgerli la parola di nuovo. Forse, il fatto è che credevo mi avrebbero capito, pensavo di andare sul sicuro. Invece quando l’ho detto, mi hanno urlato e sbraitato contro, mia madre si chiedeva cosa avesse sbagliato con me. Mi ha fatto male. Ma tu sei coraggioso Frankie, sei rimasto lì a testa alta e ora mi stai portando a casa tua, incurante del fatto che sicuramente ci prenderemo qualche occhiataccia.
Riflettei su quello che avevo appena letto e non riuscii a riconoscermi tutto quel coraggio. Io avevo passato pomeriggi interi a piangere, notti insonne a pensare di essere uno scherzo della natura. Ma poi era arrivato Gee e, non so come, riusciva sempre in qualche modo a farmi sentire speciale, a farmi sentire importante.
-Ti ringrazio – sussurrai. –Mi fai sentire bene.
Lui arrossì e, in un lampo, si sporse verso di me per lasciarmi un bacio sulla guancia. Io sorrisi e lo vidi tornare al suo disegno, da cui non staccò gli occhi per il resto del viaggio.



xCyanide's Corner
Scusate, scusate, scusate! Chiedo immensamente perdono! Credevo di riuscire ad aggiornare stamattina ma la preparazione psicologica per il primo giorno di liceo (domani) e un libro che mi ha prestato una mia amica ("Il mondo dei ragazzi normali", vi consiglio di leggerlo) mi hanno fatto perdere la cognizione del tempo e avevo completamente dimenticato di aggiornare. C'è anche da dire che oggi pomeriggio ho fatto la bella vita e sono andata al cinema con i mei amici a vedere the Brave (tra l'altro la protagonista ha i capelli come i miei LOL) e non ci ho proprio ripensato. Potete frustarmi, ve lo concedo :3
Comunque, è un capitolo alquanto inutile ma si può vedere che Frank e Gee si aprono un pò di più e "parlano", scoprendo cosa nuove dell'altro. Chissà cosa succederà quando i piccioncini arriveranno a casa! Ci vediamo domenica, splendori <3
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


-Ehy, piccolo, siamo arrivati – dissi, spegnendo lo stereo e girandomi verso Gee.
Lui alzò la testa di scatto e si guardò intorno, sorridendo quasi sornione, e poi si piegò per raccogliere la sua tracolla e infilarci dentro il disegno. Mi sporsi per cercare di capire cosa avesse disegnato, ma lui fu troppo veloce e lo nascose.
Gli feci la linguaccia e lui alzò il dito medio nella mia direzione, con la faccia divertita.
Scesi, poi, dalla macchina e mi diressi verso la sua portiera per aprirgliela e gli presi la mano.
-Ricordati cosa ti ho detto: mamma è appiccicosa, Emily scorbutica e John probabilmente parlerà poco – ripetei. Lui annuì convinto e gli diedi un leggero bacio prima avviarci per il vialetto che precedeva casa mia.
 Mi era mancata. L’odore di rose, quelle che piantava mamma, gli uccellini che cantavano, la ghiaia sotto i piedi… Tutta roba che era difficile da trovare a New York.
Mi resi conto che la vernice di casa era un po’ rovinata, ma era comunque carina e non intaccava la bellezza del giardino e del portico ben tenuto.
Gerard osservava tutto molto attentamente, come credevo facesse chiunque fosse un artista, e sorrideva quando vedeva una cosa che attirava particolarmente la sua attenzione.
Sentii i miei cani da dentro abbaiare come se fossero stati impossessati e risi, perché mi erano veramente mancati molto.
La porta si aprì velocemente e Sweet Pea, Mama e il Professor Buckley mi vennero incontro scodinzolando e saltellando. Risi di cuore alla vista di tanta voracità e mi piegai per accarezzarli.
-Piccolini, mi siete mancati! – esclamai, stringendoli tutti in un abbraccio di gruppo.
Il professor Buckley, che era un boxer adulto, mi piantò le zampe sulle spalle, proprio come ad abbracciarmi e cacciò via Sweet Pea e Mama, che erano decisamente più piccole e basse.
Loro andarono incontro a Gee, che si inginocchiò e le carezzò felice, mentre loro gli leccavano la faccia e ogni centimetro di pelle disponibile.
-Cagnone, ti fanno dannare quelle due donzelle? – chiesi al professore e lui guaì in risposta. –Beh, non capita spesso di avere un bel ragazzo come te vicino. Tienitele strette, amico, potrebbero tornarti utili.
Lui mi leccò la guancia un’ultima volta e poi mi decisi a guardare verso la porta. Mi resi conto che c’era mia mamma che mi guardava e scuoteva la testa ridendo. Era appoggiata allo stipite con le braccia incrociate e in un lampo mi sembrò ancora più giovane di quello che era.
-Mamma! – esclamai, andandole incontro a braccia aperte. Intanto, vidi il professore aggregarsi alle ragazze per fare le feste a Gerard e risi di gusto.
Mamma mi strinse forte e sentii le costole fare un leggero crick. Le passai le mani dietro al schiena e le diedi un bacio sulla guancia. –Mi sei mancata – le sussurrai nell’orecchio e lei mi abbracciò ancora più stretto, se possibile.
-Vai a liberare quel povero ragazzo dalle tue bestie, per piacere – mi pregò ridendo e guardando l’ammasso di cani che si era formato intorno a Gee.
Io annuii con il sorriso sulle labbra e fischiai. Le ragazze e il professore si misero subito sull’attenti e io gli indicai la porta di casa. Loro ubbidirono e corsero dentro, non prima di aver quasi fatto inciampare mamma per la corsa.
Mi diressi verso Gee e gli porsi una mano per aiutarlo ad alzarsi e lui si sfregò i pantaloni per pulirli.
Poi alzò lo sguardo e fissò gli occhi in quelli di mia mamma, distendendo le labbra e sorridendole.
Lei lo squadrò per bene e poi si girò verso di me, annuendo fiera. –Beh, Frankie, avevi proprio ragione: è davvero carino.
Io e Gerard avvampammo nello stesso momento e lui distolse lo sguardo, vergognandosi.
Io mi piazzai vicino a lui e lo spinsi verso mia mamma. –Gerard, lei è Linda. Linda, lui è Gerard – sussurrai, facendo finta non lo sapessero già.
Gerard porse la mano a mamma, ma lei la usò per attirarlo a sé e abbracciarlo forte. Lui rimase un attimo interdetto, ma poi ricambiò la stretta.
-Cavolo, sei davvero davvero un bellissimo ragazzo, Gerard! – esclamò lei. –Frank non mi aveva detto dei tuoi occhi, sono veramente particolari, ragazzo.
Lui si staccò da mamma e le fece un inchino per ringraziarla (che mi ricordò vagamente quando gli avevo fatto i complimenti per il nome la prima volta che ci eravamo visti).
Lei gli strinse una guancia tra il pollice e l’indice e rise, indicandoci la porta.
-Volete entrare oppure scaricate le valige prima?
-Le valige – scelsi, tornando indietro alla macchina e cominciando a tirarle fuori.
 
Una volta sistemato tutto in camera mia, io e Gerard scendemmo le scale e vidi mamma farmi un cenno verso il salone. Mi affacciai e mi guardai intorno, rendendomi conto che non avevano spostato niente. Le poltrone erano sempre lì dove le avevo lasciate l’ultima volta, come il divano e la televisione dopotutto.
L’unica cosa che stonava era John seduto sulla poltrona ed Emily sdraiata insieme a un ragazzo sul divano.
Sicuramente erano tornati mentre noi sistemavamo le cose, perché non li avevo visti quando ero entrato la prima volta.
Diedi una pacca sulla schiena a Gerard e poi mi incamminai verso il centro del salone, preparandomi un sorrisone falso e cercando di mettere insieme alcune parole che avrei dovuto usare per presentare Gerard.
-Buonasera! – esclamai, sentendo i passi di Gee direttamente dietro i miei.
Le persone nella stanza si riscossero ed Emily si alzò a sedere per guardarmi meglio.
-Sbaglio, o ti sei abbassato? – mi chiese, con la faccia strafottente.
-Nah, non credo – negai. –E’ solo che sei tu che ti alzi sempre di più – Sii una persona civile, Frankie, sii una persona civile. Non rispondere male, mi ripetevo tipo mantra. –Vedo che vi sono mancato.
-Ma si che ci sei mancato, ragazzo, però sai come si comporta Emily, no? – mi chiese John, continuando comunque a fissare la televisione su cui stavano trasmettendo un talk show scadente.
-Vorrei presentarvi una persona, se non vi dispiace – sussurrai. Il ragazzo che si trovava vicino ad Emily, che era tipo il triplo di me sia in muscoli che di altezza, strinse la ragazza a sé, aspettando che parlassi.
-Lui è Gerard – annunciai, prendendogli la mano.
Gli occhi di Emily guizzarono subito alle nostre dita intrecciate e vidi il suo ragazzo, che credevo fosse Andrew, fare una faccia un po’ scioccata. –State insieme? – mi chiese Em, con un tono che non faceva presagire niente di buono.
-Si, è il mio ragazzo, e siete pregati di trattarlo come si deve, grazie – risposi acido. Potevano anche prendersela con me, ma non avrei permesso per niente al mondo di vedere qualcuno che guardava in quel modo il mio Gee.
Inaspettatamente, vidi John alzarsi dalla poltrona e sorridere, prima di porgere la mano a Gerard. –Linda ci ha parlato di te, ragazzo – cominciò, poi lo vidi titubante, come se gli facesse schifo dire quello parole. –Benvenuto in famiglia.
Gee sgranò gli occhi e poi sorrise, ringraziando con lo sguardo John. Strinse la sua mano e lo sentii rilassarsi un poco.
Il compagno di mamma guardò la figlia e lei si convinse ad alzarsi per porgere la mano a Gee, proprio come aveva fatto il padre.
-Emily – disse soltanto prima di sedersi di nuovo vicino al ragazzo.
-Tu devi essere Andrew, non è così? – chiesi, sfoderando il miglior sorriso che avevo. –Mia mamma mi ha detto che Em si era trovata un ragazzo – spiegai.
Lui fece una smorfia che doveva essere uno pseudo-sorriso e mi porsi per stringere la sua mano.
-Sono Frank, il fratellastro di Emily – mi presentai. Vidi lei sull’orlo del pianto, sapevo quanto le dava fastidio che io mi presentassi così e credo la infastidisse ancora di più in quel momento, dato che poco prima avevo presentato il mio ragazzo proprio davanti ad Andrew. Mi sentii sadico, mi piaceva farla sentire in imbarazzo, davvero.
-Andrew, hai indovinato – disse lui, con una voce che mi ricordò vagamente quella del giocatore di football che mi chiudeva sempre dentro gli armadietti al liceo.
Strinsi ancora di più la mano di Gee e lo strattonai per andarmi a sedere vicino ad Emily e Andrew. Gee si appollaiò sul bracciolo del divano e alzai lo sguardo verso di lui per rassicurarlo.
-Come va l’università, Frankie? – mi chiese John, non davvero interessato.
-Tutto bene, qualche problema con i prossimi esami di psicologia, ma spero di poterli superare.
-E il tuo compagno di stanza? Come si chiamava, Ray, vero? – mi chiese Emily. –Cioè, non sei geloso che dorma in casa con un altro ragazzo? – domandò, girandosi verso Gee.
Lui si affrettò a scuotere la testa con uno sguardo che non ammetteva repliche.
-Ray è fidanzato con una ragazza che spesso viene a dormire a casa nostra, io ho la mia cameretta, perché Gee dovrebbe essere geloso? – mi difesi. Non volevo mi facessero passare da puttana anche quella volta.
-No, che ne so. Era una domanda legittima, in fondo.
Feci spallucce e presi un respiro profondo, tentando di calmarmi. –Tu, invece, che università hai intenzione di prendere? – le domandai, cercando di spostare il discorso su qualcosa che non implicasse immaginarmi a letto con qualsiasi ragazzo le venisse in mente.
-In realtà ancora non lo so, ma credo prenderò economia, proprio come Andrew – rispose, quasi convinta.
-Si, vi vedo molto bene a quella facoltà, sapete? – osservai. –C’è un sacco di gente che potrebbe starvi simpatica – e un sacco di gente che ce l’ha con me, mi sarebbe piaciuto aggiungere, ma fortunatamente ci interruppe mamma, che ci avvertiva che la cena era pronta.




xCyanide's Corner
Scusate se ho aggiornato di nuovo così tardi, ma oggi ho fatto una maratona di Saw con i miei amici *^* AnyWay, mi affretterò a rispondere a tutte le vostre recensioni, lo prometto e chiedo perdono. 
Allora, in questo capitolo si capisce che la sorella di Frank non è molto propensa alla sua relazione con Gee e premetto che quello che succede in questo capitolo non è niente in confronto a quello che dirà in seguito D:
mi piace farli soffrire *risata sadica*
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Mi rigirai nervosamente, sentendo Gerard intrecciare le sue gambe alle mie.
Sorrisi automaticamente, erano le prime volte che ci trovavamo nello stesso letto, precisamente era la terza sera che dormivamo insieme.
Ma, a differenza dalle altri notti, lo sentivo muoversi continuamente, senza riuscire a trovare una posizione comoda. E non riuscivo a chiudere occhio nemmeno io.
In realtà era per quello che era successo in tre giorni. Credo di non aver mai odiato così tanto Emily in vita mia. Avevo sperato che Gee non la sentisse, ma dalla sua faccia sembrava tutto il contrario.
Non che lei facesse niente per nascondersi. Ci insultava come se non fossimo nella stanza. Spesso mamma l’aveva rimproverata e lei aveva tirato fuori quei due occhioni che fanno tenerezza a tutti e l’aveva scampata.
Il problema in realtà era quando eravamo soli in casa con lei ed Andrew. Il suo ragazzo, infatti, si divertiva a reggerle il gioco. E stavo sopportando poco anche lui.
Ero una persona pacifica, ma stavo mandando tutta la mia pace a farsi fottere per colpa loro.
Vedere Gerard con quel broncio mi mandava ai matti, gli avevo promesso che nessuno l’avrebbe ferito più, invece l’avevo portato direttamente nella tana del lupo. Mi stavo maledicendo.
Ma in fondo io non potevo farci niente, Emily era quella che era, aveva sempre cercato di distruggermi per sentirsi bene con se stessa. Ma non volevo facesse la stessa cosa con Gee.
Lui non lo meritava, lui aveva già patito troppo per sentirsi schifare da una persona così insignificante. Avrei voluto urlarle addosso di tutte le ferite che avevo dovuto rimarginare e di tutte quelle che ancora persistevano sul mio corpo, ma non volevo creare ulteriori attriti.
Ma mi stava portando sull’orlo della sopportazione. Non perdeva occasione per offendere, appena vedeva Gee le sentivo sputare un “frocio” a bassa voce, e lui purtroppo la sentiva.
L’avevo sentito piangere nel bagno e mi ero sentito una merda, davvero una grandissima merda. Io volevo solo rendere partecipe la mia famiglia della mia felicità, ma loro non capivano. Io avrei combattuto comunque fino alla fine per farmi rispettare, anche se sapevo che i risultati sarebbero stati davvero minimi.
Emily e John davvero non capivano che l’amore non è contraddistinto dal sesso, ma dalla persona. Io amavo Gee, non quello che aveva tra le gambe.
Sbuffai leggermente sentendomi ripetere di nuovo nella mia mente “lui e quel frocetto del suo ragazzo sono davvero troppo mielosi” con quella voce dal tono cattivo.
Io e Gerard non eravamo gay, ma solo innamorati. Mi hanno sempre dato fastidio le distinzioni. Okay, ero omosessuale, ma si trattava pure sempre di amore, niente più.
E se Gee faceva bene a me e io a lui, allora non avremmo dovuto ascoltare nessun altro.
Anche se quei spintoni addosso al muro e i lividi che rimanevano e quelle parole sputate con cattiveria e le lacerazioni che lasciavano nel cuore davvero non accennavano ad andare via.
Avrei dovuto fare davvero un’operazione di convincimento con Gee appena tornati a casa, avrei dovuto fargli capire che quella sbagliata era lei, non noi. Noi eravamo maledettamente giusti, forse troppo per essere veri.
E si, me lo confermava il calore del suo corpo addossato al mio e quel respiro dolce sul collo. Si era appena accoccolato contro di me, stringendomi forte con le braccia e facendo un respiro profondo.
Avevo imparato che ogni respiro di Gee significava qualcosa. E quello che aveva appena lanciato era un sospiro triste. Sapevo che stava pensando e ripensando a quello che aveva detto Emily e a tutti i lividi che avevo sulle braccia, ma sapevo anche che non l’avrebbe mai ammesso. Era una persona troppo orgogliosa per darmi retta.
Mamma mi aveva avvertito, questo glielo concedo. Quando le avevo detto dei miei… gusti, lei mi aveva detto che avrei dovuto essere forte, o non sarei sopravvissuto nel mondo reale nemmeno un giorno. Avrei voluto risponderle che loro non sarebbero sopravvissuti nemmeno una notte nel mio.
Avevo passato momentacci e non volevo che Gee ne passasse quanto me, anche se sapevo che probabilmente era stato molto peggio. Sicuramente era stato molto peggio.
Serrai gli occhi per evitare di piangere e lo strinsi forte a me, baciandogli la fronte.
Sentii il suo respiro mozzarsi e alzò lentamente lo sguardo stanco su di me, sorridendo debolmente.
-Piccolo – sussurrai, con la voce leggermente roca. –Non riesci a dormire?
Lui accennò un piccolo movimento con la testa, come a farmi capire che non riusciva a chiudere occhio e io automaticamente gli passai una mano tra i capelli, dividendoli in piccole ciocche.
-Sei nervoso?
Di nuovo un cenno negativo.
-Sei triste? – azzardai, sperando vivamente in un altro no.
Ma lui chiuse leggermente gli occhi, riaprendoli subito e annuendo lentamente.
-Non… ascoltarla, okay? – continuai a sussurrare per non rompere il silenzio dolce che c’era sempre tra noi. –Lei non sa cosa significa.
Si issò sui gomiti, per guardarmi dall’alto e mi carezzò lentamente una guancia.
-Lei non capisce niente, okay? – dissi, più per convincere me stesso che lui. –Lei… lei non ha mai tenuto così tanto a nessuno in vita sua, è una persona insensibile e superficiale.
Lui continuò ad annuire lentamente, come se fosse d’accordo ad ogni minima cosa che usciva dalla mia bocca. E forse era proprio così.
-E io.. tengo davvero a te, lei se lo sogna di voler così tanto bene ad una persona – sorrisi dolcemente, sporgendomi per baciarlo delicatamente, facendo appena incontrare le nostre labbra.
Si morse il labbro inferiore, come a incastonare il mio sapore per sempre lì. Gli passai piano la mano sul petto nudo, rendendomi conto solo in quel momento che non avevo pensato minimamente al fatto che l’unica cosa che avevamo addosso erano i boxer.
Arrossii debolmente e ringraziai il buio, non poteva vedere il mio cambiamento di colorito.
-Grazie per essere qui con me, nonostante tutto – aggiunsi. –So che fa male, io ci sto di merda anche dopo tutto questo tempo. Ormai dovrei essere abituato – sospirai. –Ma prendi il lato positivo…
Lui mi guardò curioso, aspettando che colmassi il silenzio.
Ma non riuscii a parlare, perché le sue labbra mi attiravano troppo. Le feci incontrare di nuovo con le mie, schiudendole leggermente e permettendo alla sua lingua di giocare con la mia.
Gli poggiai una mano sulla guancia, per non farlo staccare da me. Lui intrecciò le dita con le mie, provocandomi tutti piccoli brividi lungo la spina dorsale.
Mugugnai lentamente, continuando a muovere le mie labbra sulle sue.
In quel momento mi resi conto di una cosa che mi lasciò completamente di sasso.
Era la prima volta che pensavo a Gee sessualmente parlando.
Cominciai ad immaginare il mio corpo schiacciato contro il suo, il sudore che scende dalle mie tempie e i nostri baci famelici.
Mi sentii strano, ma non riuscivo a pensare a nient’altro se non al mio corpo nel suo, incastrato perfettamente. A tutte le spinte dolci che avrei consumato, al suo respiro affannato e al suo nome sfumato in un gemito nel momento dell’orgasmo.
Cominciai a sentirmi stretto nel mio corpo. Non avrei dovuto pensare a lui in quei termini, io ero quello che lo doveva proteggere, non voler violare.
Eppure quel pensiero non accennava ad abbandonarmi, soprattutto quando sentii la sua lingua accarezzare dolcemente il mio palato.
Immagini di lui sotto di me con lo sguardo perso nel mio mentre lo violavo dolcemente mi invasero la testa prepotentemente, non riuscendo a farmi pensare ad altro.
Mi staccai di malavoglia da lui, con il respiro leggermente mozzato e feci affondare il mio sguardo nel suo.
Quando incontrai quelle iridi verdi che tanto amavo, non riuscii più a ragionare. Avrei soltanto voluto sentirlo mio ulteriormente, prenderlo dolcemente e farlo sentire bene. Volevo sentirmi bene.
Mi uscii un ansito leggero, che lo confuse ancora di più.
-Facciamo l’amore, Gee… - sussurrai, leccandomi lentamente le labbra per trattenermi dal sorridere.
Lo vidi fare una faccia sorpresa, prima di abbassare leggermente lo sguardo, distogliendo gli occhi dai miei.
Mi resi conto che forse era stata una cazzata, quella di dirglielo.
Poggiai due dita sotto il suo mento e lo costrinsi a guardarmi.
-Piccolo, ascoltami – dissi serio. –Non… non ti farò male come ti hanno fatto tutti, okay?
Continuava a distogliere lo sguardo e sentivo dal calore della sua pelle che stava arrossendo all’inverosimile.
-Io… prometto che ti tratterò come un principe, mh? – mi sporsi per baciargli delicatamente una guancia. –L’ultima cosa che sogno è ferirti in alcun modo.
Scosse leggermente la testa, come a protestare, ma poi i suoi occhi finirono di nuovo nei miei e percepii il nocciola e la giada che si fondevano.
Vidi il cambiamento tramite il suo sguardo, capiva la necessità che avevo perché l’aveva anche lui.
-Voglio che tu sia mio, Gee – sussurrai, con la voce alterata dall’eccitazione. –Voglio prenderti e voglio farlo dolcemente.
Lui sorrise, improvvisamente felice di quelle parole e tornò a baciarmi prima delicatamente e poi in modo famelico e umido.
Lo feci sistemare sotto di me e per la prima volta in vita mia sentii che una persona mi amava davvero. Sentii di appartenere e possedere qualcuno. Era una cosa reciproca, lui era mio e io ero suo.
Nel letto della mia camera nel New Jersey amai davvero per la prima volta.



xCyanide's Corner
Okay, non lapidatemi. So che non sono brava a scrivere scene del genere ma volevo talmente tanto mettere una cosa "a rating rosso" che ho tralasciato il fatto che probabilmente è scritta di merda C_C
Spero che comunque vi piaccia e che non decidiate di odiarmi a vita per questo schifo.
Vi ringrazio per le recensioni e mi scuso per non rispondere alla velocità della luce ma tra la scuola e una pseudo-cotta con risvolti ossessivi non ho davvero tempo LOL
A domenica prossima allora,
xCyanide

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Mi sgranchii le gambe lentamente, sentendo la bocca impastata e secca.
Mi carezzai il palato con la lingua, cercando di riacquistare un po’ di saliva e provai a muovermi, sentendo però il peso di un corpo sul mio.
Sorrisi automaticamente, portando una mano nei capelli di Gee e sospirando felice.
Quello era… un sospiro da innamorato. Ancora non ero abituato, non avevo mai tenuto tanto ad una persona per sentirmi innamorato, era la prima volta.
Era la prima volta di tutto, in realtà.
I primi veri baci che davo, i primi veri sorrisi alla persona che amavo e i primi veri pensieri non egoisti.
Mi capitava sempre più spesso di pensare prima a Gee che a me, di pensare cosa stava passando lui o come se la stava passando, e poi di pensare a me.
Qualsiasi cosa facevo, mi veniva in mente cosa ne avrebbe pensato Gee, cosa ne sarebbe venuto fuori per lui e se sarebbe potuta essere una cosa bella.
Lui era… il mio ragazzo.
Cavolo, lui era il mio ragazzo! L’avevo già chiamato in quel modo, okay, ma era la prima volta che lo sentivo davvero.
Sarà stato per il calore del suo corpo addossato al mio, per il suo respiro dolce sul collo, per la sua pelle calda e diafana sotto le dita. Per i ricordi della sera prima.
Era.. era stato tutto perfetto. Avevo paura di sbagliare, di fare troppo rumore, magari, o di farlo sentire in soggezione.
Ma non era successo niente di ciò, fortunatamente.
Lo avevo baciato delicatamente e avevo cercato in tutti i modi di farlo sentire a suo agio. L’avevo sentito sorridere sulle mia labbra, mentre lo carezzavo, mentre entravo piano dentro di lui.
Aveva sorriso dolcemente, come se anche lui capisse quanto era importante quel passo per noi.
E no, non l’avevo preso sottogamba come gesto. Era stata la prima volta in cui ero riuscito a fargli capire realmente quanto era perfetto per me nonostante tutto, quanto lo amavo. Senza nemmeno doverglielo dire.
Avrei voluto dirglielo, questo si. Mi sarebbe piaciuto guardarlo negli occhi e dirgli quelle due parole che mi aleggiavano in testa da un po’ di tempo, ma avevo paura di andare troppo di fretta. Avevo paura di vederlo andare via un po’ spaventato, un po’ sorpreso.
Sapevo che c’erano due situazioni in cui potevo incappare: una, come già detto, era una situazione di distacco e sorpresa, ma l’altra.. l’altra era diecimila volte meglio.
Lo immaginavo che abbassava lo sguardo imbarazzato, arrossendo e cercando di reprimere il sorriso. Lo immaginavo con gli occhi lucidi, più trasparenti del solito mentre cercava di nascondere il suo sguardo da me. Io avrei tirato su il suo mento, facendo incontrare dolcemente i nostri nasi e ripetendoglielo piano. E avrei continuato così per giorni, avrei passato ore intere a ripeterglielo.
Ma non potevo, non era ancora ora.
Avrei amato dirgli una cosa così importante, ma più lo guardavo, più gli baciavo piano la testa cercando di convincermi che quello era il momento giusto forse, più il mio stomaco si chiudeva al pensiero di un suo comportamento negativo.
Sospirai di nuovo, indeciso, pensando e ripensando a quanto quelle due semplici parole pesassero nella mia testa.
Un sacco di persone riuscivano a dirsi quel “ti amo” senza farsi tutti quei problemi, ma io ero complessato. Io creavo mondi e galassie intorno a due semplici parole, ponderando le varie situazioni e reazioni che si sarebbe potute creare.
Dovevo imparare ad essere impulsivo. Dovevo decidere di fare una cosa e farla subito.
Sciogliere quel fottuto nodo che avevo allo stomaco e farlo.
Come avevo fatto la sera prima. Avevo pensato e avevo agito, e io e Gee avevamo fatto l’amore. Avevamo amato, ci eravamo amati, ci eravamo sentiti, eravamo diventati una cosa sola per la vera prima volta.
E allora perché non potevo farlo anche con quelle due parole? Non eravamo certo le prime persone che le dicevano. E allora perché mi facevano tanto paura?
Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.
Due fottute semplici parole da dire a due splendidi occhi appartenenti ad una persona altrettanto splendida.
Mi morsi un labbro, decidendomi a provare.
Lui dormiva, non mi avrebbe sentito, avrei potuto dirlo senza problemi.
Avrei potuto dirlo a quegli occhi chiusi, a quelle labbra carnose che lasciavano uscire respiri profondi, a quel nasino che si arricciava per via di un probabile sogno che stava facendo e a quelle gambe intrecciate alle mie.
Avrei potuto dirlo, e nessuno l’avrebbe saputo. Anche io avrei fatto finta di non saperlo, fin quando non ne fossi stato pronto. Fin quando non avessi avuto il coraggio di prendere il suo viso tra le mani e dargli un leggero bacio per poi sussurrargli quel “ti amo” che tanto agognavo.
Inspirai a pieni polmoni preparandomi a dirlo. Chiusi gli occhi lentamente, pensando che non avrebbe fatto male a nessuno tentare.
Infilai le mie dita tra i suoi capelli, accarezzandoli lentamente e dolcemente, prima di lasciargli un altro bacio sulla testa, delicato.
Sistemai i miei pensieri e aprii la bocca, tirando fuori la voce.
-Gee, ti…
Ma venni interrotto bruscamente da una porta aperta prepotentemente, sentendo il sangue gelarsi nelle vene.
E la porta era quella della mia camera e la ragazza sull’uscio della porta con gli occhi spalancati e la faccia letteralmente verde era Emily.
Mi girai piano, strizzando gli occhi e sperando che lei sparisse. Ma sentivo comunque il suo respiro incazzato e immaginavo che i suoi occhi sarebbero caduti sul pavimento prima o poi.
Io aprii i miei, piano, ma lei era sempre e comunque lì che mi guardava con una faccia talmente tanto schifata che mi sentii sprofondare.
Provai a parlare, ma lei lanciò un urlo che mi fece spalancare gli occhi e fece svegliare Gee.
Lui, con le palpebre ancora pesanti e il sonno che incombeva, si guardò intorno confuso, fermando lo sguardo su mia sorella e sentendosi improvvisamente davvero sveglio.
Lo vidi avvampare, ricordandomi improvvisamente che eravamo tutti e due completamente nudi e che lei avrebbe potuto, anzi avrebbe e basta, pensato male.
Trattenni il respiro, sporgendomi un po’ per prendere il lenzuolo e coprirci entrambi, mentre Gee nascondeva la testa nell’incavo del mio collo. Cercai di farlo sentire al sicuro, passandogli una mano sulla schiena, mentre Emily ancora ci guardava male.
-Io non ci credo.. –sussurrò con la voce cattiva.
La guardai confuso, ancora senza proferire parola e decisi che le avrei tenuto testa, non sarei stato lì a farmi squadrare in quel modo con Gee stava morendo dal terrore, solo perché lei credeva di potermi mettere i piedi in testa.
-A cosa non credi? – le chiesi come se non ci fossimo stati io e il mio ragazzo nel mio letto completamente nudi.
-Almeno rivestitevi! –tuonò, alzando la voce.
Gee si strinse ancora di più a me, e gli cinsi il bacino con le braccia per incoraggiarlo a stare bene.
-Fino a prova contraria, questa è la mia camera – la sfidai.
-Fino a prova contraria – cominciò con la voce leggermente incattivita –questa è la casa dove abitiamo io e mio padre. E tu –mi indicò in modo aggressivo –non vieni qui per scopare con quello!
Sentii la rabbia montare nel mio petto. Non potevo alzarmi per picchiarla perchè avrei lasciato Gee da solo ad affrontare la situazione e ops, ero un attimo nudo! Ma potevo difendermi con le parole, perché lei non poteva permettersi di parlare così di lui.
Spalancai gli occhi e la guardai in cagnesco prima di decidermi a parlare.
-Per prima cosa – dissi, non riconoscendo quasi il tono della mia voce –lui ha un nome e tu devi portargli rispetto. Il suo nome è Gerard. Devi e dico devi chiamarlo così. Lui non è “quello” okay? – alzai la voce, incazzato più che mai –E secondo, sei talmente tanto superficiale da non capire un cazzo, davvero. Io e Gee non.. scopiamo, okay? Io e Gee stanotte abbiamo fatto l’amore, che è ben diverso. E a te non deve fregare un cazzo di niente, non sono affari tuoi e questa non è la tua sta-
-Oh, ma come sei romantico, Frankie! – mi prese in giro, interrompendomi, allargando le braccia con fare teatrale. –“Io e Gee facciamo l’amore bla bla bla” – continuò, cercando di rifare la mia voce  alterandola. –Sei solo una checca, mh? E mi fai anche abbastanza schifo. Scoparti il tuo ragazzo a casa di tua madre…
Gee girò lo sguardo verso di lei per la prima volta da quando era entrata e la fulminò, facendola stare zitta.
-Se devi stare qui a prendere per il culo, puoi anche andare via – sussurrai sull’orlo delle lacrime. Riusciva sempre a distruggermi, fottuta.
Lei mi squadrò di nuovo, sapendo di aver vinto e girò i tacchi, sbattendo la porta e sculettando via.
Sentii il peso sul petto farsi ancora più pesante e cercai di non piangere, per non far preoccupare Gee ancora di più.
Lui strisciò su, piano, e si issò sui gomiti, carezzandomi piano una guancia vedendo i miei occhi gonfi e rossi. Io sorrisi per rassicurarlo, ma un singhiozzo mi invase la bocca, rendendo il mio tentativo invano.
Chiusi gli occhi, sentendo le lacrime che mi rigavano le guance e Gee sospirò triste, passandomi una mano tra i capelli per calmarmi.
Si sistemò meglio in mezzo alle mie gambe, facendo appoggiare il suo petto al mio e passandomi le braccia dietro la schiena per stringermi forte. Mi baciò piano il collo mentre io mi lasciavo andare ad un pianto isterico quasi, un pianto per sfogo.
Piansi per la tensione, piansi per colpa della cattiveria della gente e per il fatto che nessuno capiva quello che provavo davvero.
Gee mi coccolava, mi dava piccoli baci sulla mascella, sul collo e sulle guance, faceva di tutto per non farmici pensare.
Io cercai spesso di calmarmi, prendendo respiri profondi che mi si strozzavano in gola. Gerard continuò ad accarezzarmi la schiena lentamente, creando tutti piccoli disegni immaginari.
In quel momento, mi resi conto che probabilmente anche lui mi amava. Che altrimenti non mi sarebbe rimasto vicino dopo tutta la cattiveria gratuita di Emily nei suoi confronti. Che non mi avrebbe sopportato ogni giorno, se non fosse stato per quello.
E ne ebbi la conferma quando per farmi smettere di singhiozzare mi baciò le labbra, prima piano e poi facendo incontrare le nostre lingue dolcemente. Mi baciò come non aveva mai fatto, senza la timidezza che c’era di solito tra noi, senza la titubanza. Solo con amore.
Sorrisi tra i singhiozzi, sorrisi sulle sue labbra  e mi resi conto che non c’era momento migliore.
Poggia le mani sul suo petto scostandolo un poco e lasciando le sue labbra. Lo guardai negli occhi e accarezzai le sue guance.
-Gee, io ti amo – dissi, tutto in un fiato.



xCyanide's Corner
I capitoli diventano sempre più sdolcinati e alle volte devo prendermi per le spalle e schiaffeggiarmi per ricordarmi che io odio tutto, soprattutto in questo periodo u.u Coooomunque, spero come sempre che vi sia piaciuto il capitolo e vi ringrazio veramente tanto per le recensioni, siete una gioia ** 
Mi scuso di nuovo per non rispondere velocemente ma non ho tempo C_C
Lo so che è notte, ma ho postato ora perchè domani ho il Romics e devo vestirmi da Gothic Lolita e non avrei proprio tempo di aggiornare tra viaggio e studio di storia dell'arte al ritorno D:
Per cui niente, alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Mi mordicchia le labbra scendendo le scale piano, con la paura di incontrare Emily che girava per casa e di doverla sentire mentre si lamentava di me e Gee di nuovo.
Gee… quel ragazzo avrebbero dovuto farlo santo.
Io gli avevo detto che lo amavo e lui, sorridendo dolcemente, aveva mimato con le labbra un piccolo “anche io” direttamente sulla mia bocca, prima di tornare a baciarmi piano.
Mi sentivo bene, perché lui ricambiava, perché anche lui mi amava e finalmente potevo esserne sicuro. Perché non mi ero mai sentito più felice, il mio ragazzo era una persona speciale e non potevo chiedere di meglio.
E non importava il fatto che tutti credevano fosse uno sfigato, che fosse un ragazzo strano, con la pelle troppo chiara e i capelli troppo scuri.
Per me, non era né troppo né poco. Per me era la perfezione. Anche il fatto che non potesse parlare rendeva ancora tutto più bello. Non che io fossi contento del fatto che non potesse esprimersi, sia chiaro, ma mi piaceva poter dire che ero una delle poche persone che lo capiva davvero bene, mi rendeva fiero di me stesso.
Tutti quelli che dicevano che lui era un poveraccio, tutti quelli che lo prendevano in giro, beh, potevano anche morire.
Lui era mio, lui era la mia piccola perfezione, la parte che preferivo della vita e del mondo.
E ne ero felice, dopotutto.
Mi sfregai le mani tra loro avvicinandomi alla porta della cucina e rimanendo un attimo ad ascoltare Emily e John che parlavano in modo animato.
Sospirai, sapevo che stavano parlando di me, ne ero sicuro. Ma volli sentire lo stesso, giusto per farmi un’idea di quanto schifo potessi fargli.
-No, davvero papà, stavano scopando! – esclamò la ragazza con la voce acuta. –Puoi non credermi ma li ho sentiti benissimo! O perlomeno, ho sentito Frank.
-Emily, non parlare così – la ammonì John mentre, da quel che potevo sentire, stava mangiando un cornetto.
-Così come? – esclamò lei, con la voce ancora più alta. –Come devo parlare di quei due, scusa? Non mi sembra che io ed Andrew ci siamo mai permessi anche solo di baciarci davanti a voi e quei due “fanno l’amore” mentre siamo tutti in casa?
Mi sentii leggermente in colpa, in realtà. Non aveva tutti i torti, forse era stata una mancanza di rispetto consumare la nostra prima volta in casa di mia madre.
Ma, ripensando allo sguardo che mi aveva rivolto Gee mentre ci stavamo rilassando nel letto ancora affaticati e sudati, uno sguardo pieno di… di quello mi era sembrato appagamento, desiderio, non riuscii a maledirmi.
Averlo tutto per me, farlo mio fisicamente era la stata la cosa migliore del mondo, punto.
E pensare che il suo respiro irregolare era dovuto a una cosa che gli stavo facendo io, pensare che anche lui aveva voluto affrontare quel passo importante con me mi rendeva il ragazzo più fortunato del mondo.
-Emily, davvero, non fare così tanto il gradasso tesoro – disse, quasi scocciato John, per cercare di darle un contegno. –Frank, o peggio Gerard, potrebbero sentirci.
Mi stupii nel sentire il compagno di mia mamma difendermi e accennai un sorriso debole, aspettandomi un pugno come risposta.
-E se anche ci sentissero? – Emily sbatté qualcosa sul tavolo della cucina e sbuffò sonoramente. –“Abbiamo un ospite, trattatelo bene! Emily non farti sentire” E se anche mi sentisse? Come lo direbbe a Frank, scusa? Il povero frocetto è anche muto! – quasi urlò l’ultima parte e mi sentii morire. –Uno peggio non poteva trovarselo, che cazzo. Che altro difetto o malattia avrà?
Ecco fatto: pugno ricevuto.
In pieno stomaco, preso benissimo.
Sentii le gambe decisamente molli e lo stomaco che si contorceva. Poteva prendermi per il culo, poteva dirmi che ero un frocio, poteva fare quello che voleva. Ma non doveva categoricamente attaccare Gerard su quel lato.
Lui purtroppo non aveva mai potuto dirmelo, ma immaginavo quanto potesse fare male sentirsi prendere in giro per una cosa che non aveva voluto lui.
Ero sicuro che Gee avrebbe voluto parlare, esprimersi liberamente senza l’aiuto di un foglio o dei gesti, chissà magari sarebbe stato un cantante.
I miei occhi si riempirono di lacrime al pensiero di quanto potesse starci male Gerard.
-Ora basta! – urlò John per farla zittire. –Ti ho lasciato fare, ma ora basta. Il fatto che il ragazzo di Frank sia muto non è motivo di scherzo, o no? Puoi scherzare sul fatto che stanno insieme, non me ne frega niente perché anche io sono contro, e lo sai. Ma se Harold o come-si-chiama è muto, non è colpa sua.
Mi asciugai velocemente gli occhi e mi decisi a fare il mio ingresso in cucina, anche solo per ringraziare John per averlo difeso per una volta.
Era già un inizio, diciamo.
Presi un respiro profondo e camminai fino al bancone della cucina, per sporgermi ad aprire la credenza, sotto lo sguardo stupito e gli occhi spalancati di Emily.
Risi sotto i baffi perché probabilmente non si aspettava una mia entrata in scena e presi il pacco dei cereali portandomelo al petto per aprirlo.
-Ti sei rivestito, complimenti – osservò lei, con la voce schifata.
-Non potevo scendere nudo, o no? – la guardai e presi una manciata di cereali cominciando a mangiarli piano.
-Ragazzi vi prego – sussurrò esasperato John, passandosi una mano sul viso.
Risi e mi sedetti con ancora il pacco di cereali in grembo e una manciata nella mano sinistra, continuando a sgranocchiare.
-Sarai stanco – mi disse Emily, punzecchiandomi.
-Oh si, molto – annuii sorridendole per farla arrabbiare. –Davvero molto, insomma non c’è niente di più stancante che dormire con il tuo ragazzo addosso, te lo garantisco.
Lei ringhiò quasi e sbatté i piedi fino ad arrivarmi davanti, con gli occhi sbarrati e incazzati. –Dormire? – domandò, in preda a una crisi di nervi. –Frank, vaffanculo tu e quel malato del tuo ragazzo okay?
Ricacciai indietro le lacrime e mi alza facendo cadere i cereali a terra, solo per fronteggiarla.
-Non è malato – sussurrai incattivito. –Non è fottutamente malato. Credi che gli piaccia vivere in una condizione del genere? Credi davvero che sia facile per lui non poter esprimersi come vorrebbe?
John mi fissava stupefatto, forse perché era la prima volta che rispondevo davvero ad Emily. Era lui che mi dava forza.
-E’ quello che si merita – rispose lei con aria di sufficienza. –E’ quello che meritano le persone come te, perché fate schifo!
-Se io non mi sono ammazzato è grazie a lui, mh? – feci un passo in avanti, cercando di non cedere alle lacrime e al dolore che sentivo dentro. –I lividi che ho sulle braccia, i lividi che ho nel cuore sono tutti per colpa tua, Em.
-Oh si, fai il povero frocetto distrutto ora, dai! – alzò le braccia al cielo, con fare teatrale.
-Non tirare sempre fuori il fatto che sono frocio, che ora non c’entra un cazzo – dissi, con la voce rotta. –Non riesco a capire perché ti piaccia tanto ripeterlo, cos’è, sei gelosa?
-Non sarò mai gelosa di un essere così contro natura come te.
-Quindi l’amore è contro natura. Buono a sapersi – corrugai la fronte e sospirai. –Ma che provo a dire? Sei solo una puttana, non puoi capire.
-Frank! – urlò John, alzandosi a sua volta. –Non parlarle in questo modo.
-Sapete che vi dico? Che io me ne vado da questa fottutissima casa. Voglio rivedere solo mia madre, non me ne frega più un cazzo di voi – diedi un calcio alla scatola dei cereali e mi affrettai ad uscire dalla cucina, più incazzato che mai.
Salii velocemente le scale e, prima di aprire la porta feci un respiro profondo per non farmi vedere così sconvolto.
-Gee amore – sussurrai entrando e lui, ancora sdraiato sul letto e probabilmente ancora nudo si rigirò tra le coperte e mi guardò sorridendo. –So che ti avevo promesso la colazione a letto – mi sedetti vicino a lui e gli tolsi una ciocca di capelli impicciati dal viso. –Ma mi hanno fatto arrabbiare e quindi ci fermeremo ad un autogrill mentre torniamo a casa, te lo prometto.
Gerard mi guardò confuso e feci un gesto con la mano, come per dirgli di lasciar perdere.
Lui sospirò, come se avesse capito e si sporse per baciarmi piano la mascella.
Gli sorrisi e annuii appena. –Non preoccuparti, sto bene. E grazie, tesoro. Ti preoccupi sempre per me.



xCyanide's Corner
Allora, umh, potete bastonarmi/darmi fuoco/lapidarmi/soffocarmi/annegarmi/lanciarmi ponycorni rosa che vomitano arcobaleni. Vi ho fatto aspettare davvero troppo ma ho deciso di postare oggi perchè beh, è un mese preciso che mio nonno se n'è andato e io avevo smesso di postare quando l'hanno ricorverato. Okay, c'è un ragionamento lungo dietro, l'importante è che il capitolo è qui. E non so quando posterò perchè comunque questa storia è pesante da scrivere per me perchè mi ricorda nonno. Spero comunque che vi piaccia e che siate felici almeno voi.
Prometto che se mi lasciate tante recensioni, metto una foto della mia faccia da culo nel prossimo capitolo(?!?!?!?!?!) :'''D
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


Una settimana dopo
 
-Frankie? – mi chiamò Ray, la sua voce proveniva dalla cucina. Non mi andava davvero di alzarmi, perciò rimasi spalmato sul divano e continuai a fare zapping sbadigliando.
-Frank? – mi chiamò di nuovo.
Ormai avrebbe dovuto saperlo che non mi sarei alzato a meno che non si fosse trattato di cibo. E, annusando l’aria intorno a me, non sentii odori particolari. Altro motivo per rimanere sdraiato.
Cambiai di nuovo canale e il viso di Ronnie Radke, il cantante dei Falling In Reverse, mi sorrise dalla televisione. Pf, quel ragazzo era la nuova cotta platonica di Gee. Mi faceva sempre vedere sue foto e comprava tutti i giornali in cui c’era un suo poster e/o una sua intervista.
Anche a me piaceva la sua voce e la canzone che avevano mandato alla televisione era una delle mie preferite. Ma no, mi dava fastidio che il mio ragazzo gli sbavasse dietro.
Non gli avevo mai detto niente, nemmeno quando mi ero accorto che aveva messo nella sua camera, direttamente sopra il letto, una sua gigantografia.
E credetemi, fare l’amore col proprio ragazzo mentre un Ronnie Radke sorridente vi fissa non è proprio il massimo.
Ma sorrisi lo stesso. Gee amava la musica, davvero. E se i Falling In Reverse erano la sua nuova fissa, andava tutto bene.
-Franklyn Anthony Thomas Iero III – un Fro tutto incazzato mi si piazzò davanti, con le mani sui fianchi e l’espressione corrucciata. –Quando ti chiamo, devi perlomeno rispondere.
Feci spallucce e mi mordicchiai le labbra guardandolo scocciato. Scossi la testa e mi sporsi dal bracciolo per continuare a guardare il video. Se a Gee piacevano, avrei fatto in modo di amarli anche io.
Magari avrei imparato qualche canzone e gliel’avrei cantata, non avevo davvero problemi.
Che poi, cosa ci trovava di tanto bello in quell’uomo? Non era meglio, non so, io?
Sicuramente ero più coccoloso e non mi sembra che Ronnie Radke sopportasse i suoi sbalzi d’umore e le sue crisi di pianto. Ero meglio io, punto.
Sbuffai e socchiusi gli occhi ascoltando per bene l’assolo di chitarra della canzone.
Oh, quello riuscivo a copiarlo di sicuro! Alla faccia dei Falling.
-Frankie, mi stai ascoltando? – mi domandò Ray, ancora più incazzato e si sporse per spegnere la tv. –Ascoltami, invece di stare a guardare la televisione, per piacere.
Mi girai verso di lui e mi misi a sedere lentamente guardandolo confuso. Gli feci un cenno con la testa, segno che poteva parlare e lui si sedette vicino a me, girato nella mia direzione.
-Vorrei parlarti un attimo di una cosa a cui ho fatto caso in quest’ultima settimana – mi guardò serio e mi resi conto che per una buona volta Ray non voleva aprire un discorso inutile o idiota. –Insomma, riguarda te e Gerard. Ma più te che lui.
Mi sentivo sempre più confuso e al contempo curioso di quello che voleva dirmi. Cos’era successo con me e Gerard?
Lui la sera prima era stato a casa nostra, Ray ci aveva preparato la cena e avevamo invitato anche Christa, Mikey e Alicia.
Appena finito di mangiare, ci eravamo presi un momento per noi e ci eravamo chiusi nella mia camera per farci un po’ di coccole e per “parlare” di come era andata la giornata in università.
Gee, scrivendo, mi aveva detto che continuavano a prenderlo in giro ma ora che aveva qualcuno come me che lo capiva così bene, non gli importava più di tanto. Non li ascoltava, e io ero fiero di lui per questa scelta.
Non era successo niente di che, poi. Eravamo tornati in salone per mano e ci eravamo aggregati agli altri, che in un primo momenti erano rimasti in silenzio come se non volessero farci sapere quello che stavano dicendo, ma che poi avevano tirato fuori le carte da poker e ci avevano proposto una partitina.
Gerard si era rifiutato, sosteneva di non saper giocare. Così gli avevo chiesto se avesse voluto imparare, ma lui si era limitato a poggiare la guancia alla mia spalla e ad osservare come mischiavamo le carte.
Ogni tanto mi dava un bacino sulla guancia, magari quando vincevo una mano o quando mi vedeva triste perché stavo perdendo inesorabilmente.
Ma tutto mi era sembrato normale, davvero. Si era fermato a dormire con me e, invece di chiudere occhio, avevamo passato la nottata a coccolarci stretti nel mio letto a una piazza sola. Avevo cantato per lui, non che avessi una voce straordinaria, ma a lui piaceva.
Volevo trovare un modo per… ringraziarlo, e quindi avevo provato a riprodurre una canzone dei Bon Jovi. La sua reazione? Era scoppiato in lacrime appena avevo sussurrato “thank you for loving me”.
L’avevo stretto a me e avevo continuato a cantare, cercando di farlo calmare. Sapevo però, che per una buona volta il suo era un pianto felice e non disperato.
Sorrisi al pensiero di averlo fatto contento, e mi resi conto improvvisamente che Ray mi stava guardando confuso. Scossi la testa e gli feci cenno di parlare, perché ero curioso di sapere cosa c’era di strano in noi, secondo lui.
Se fosse stata un’altra cosa brutta non mi sarei fatto scrupoli a urlare anche contro di lui. Volevo vivere con il mio ragazzo in modo tranquillo, non chiedevo molto credo. O no?
-Sai, ci siamo resi conto che… ti sta facendo un brutto effetto passare tutto questo tempo con Gerard – sospirò dispiaciuto ma vidi dai suoi occhi che si mise subito sulla difensiva. –Fammi spiegare.
Lo guardai forse male e lui sospirò di nuovo, ancora più avvilito. Dopo cinque secondi, notai che ancora non aveva cominciato a spiegarmi e gli feci cenno di andare avanti con le mani.
-Lo vedi?! – esclamò copiando il gesto che avevo appena fatto. –Non parli quasi più!
Corrugai la fronte e scossi la testa: come già detto, la sera prima avevo addirittura cantato per Gee. Io parlavo eccome, forse ero leggermente più silenzioso perché mi era presa l’abitudine di scrivere quando ero con Gerard, per non farlo sentire menomato.
-Stai sempre zitto, parli a gesti e spesso mi lasci post it per casa per indicarmi cosa devo comprare per pranzo o cosa manca in bagno! – si avvicinò di più a me e mi guardò dritto negli occhi. –Franklyn, non ti permetterò di non parlare più per colpa sua.
… “colpa sua”? Ma che discorso era?
La colpa, come la chiamava lui, non era di Gee. Non era di nessuno.
Scossi la testa e mi presi il viso tra le mani, ridendo appena. Sentii lo sguardo di Ray addosso, più confuso che mai e lo guardai di sfuggita.
-Sai perché rido? – domandai, con la voce un po’ roca. Avevo parlato poco quel giorno, non perché non volessi, ma perché non ce n’era bisogno. –Perché sei ridicolo – sussurrai. –Io preferisco non sprecare voce e la colpa è di Gerard? – chiesi divertito, ma sentii comunque la rabbia montarmi dentro.
-Non sto dicendo questo, Frankie. Non sto dando la colpa a Gerard – mi disse annuendo appena, come se stesse parlando con un cerebroleso. –Sto solo dicendo che tu che puoi farlo, devi parlare. Farti capire. Non devi stare zitto per solidarietà, capisci?
Spalancai le labbra e sgranai gli occhi. Ray, vedendomi in quello stato, si rese conto di aver fatto un’enorme cazzata a dirmelo in quel modo così sfacciato.
Mi alzai in piedi e presi un respiro profondo, per non urlare.
-Tu – gli puntai il dito contro. –Ray, davvero, sei il mio fottutissimo migliore amico, ma questa stronzata potevi risparmiartela senza problemi – guardai altrove e mi accorsi che stava cercando le parole per spiegarmi ulteriormente quello che voleva dire, ma non gli lasciai il tempo. –Attento, che potresti sparare altre cazzate se parli. Gerard si fa capire, si fa capire benissimo.
-Ma io non intendevo…
-Si fa capire meglio di te e me messi insieme – lo interruppi. –Non può parlare, ma un suo sguardo, una sua lacrima, una sua sola espressione o inclinazione del viso significano diecimila volte di più di cinquanta nostre parole.
Ray alzò le mani come per difendersi da quello che gli stavo dicendo e sbuffai dirigendomi verso la porta.
-Ah e vaffanculo anche tu, okay? – lo guardai e lo vidi alzarsi per raggiungermi.
-Se hai le mestruazioni, non prendertela con me, Pansy! – urlò, davvero incazzato. –Ti ho solo detto che devi parlare di più, non farti trascinare giù dal tuo ragazzo. Mi sta bene tutto, ma vedere il mio migliore amico che si autodistrugge e smette di parlare per un capriccio mi pare troppo.
-Un capriccio?! – aprii la porta e feci per uscire. –Mi fa piacere che anche tu consideri il mio primo amore serio, un capriccio – mi mordicchiai le labbra per non scoppiare a piangere. –Grazie, davvero. Ah, e stasera non torno a casa, dormo dal mio “capriccio”.
E per la seconda volta in due settimane mi chiusi una porta dietro le spalle, convinto di non voler tornare in quel posto.


xCyanide's Corner
Emh, ciao! Sono tornata prestissimo, ma oggi stranamente mi girava bene (no la verità è che mi girava particolarmente male ma sti cazzi) e quindi ho deciso di scrivere il capitolo e aggiornare almeno, se mai succederà che non posterò per un pò di tempo, avrò una giustificazione(?)
Mi dispiace per Jackii ma io scherzavo quando ho detto che avrei messo una mia foto :'''D Davvero tesoro, mi rovinerei la reputazione (?) a mettere una mia foto qui, prenderebbe a tutti un colpo!
Ah, e comunque si, se ve lo state chiedendo Ronnie Radke è la mia fissa più recente LOL
Grazie a tutte quante per le recensioni che ho adorato e grazie davvero per la comprensione di tutte. Vi amo <3
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e mi raccomando continuate a lasciare recensioni che mi fate sorridere!
Alla prossima (spero presto)
xCyanide

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Gerard P.O.V.
Mi strinsi a lui e sorrisi tra le sue braccia. I tremori non erano andati via del tutto, ma sentivo meno freddo. Sospirai sulla pelle del suo collo e lo sentii rabbrividire.
-Come va? – sussurrò con voce dolce, portando una ciocca di capelli dietro il mio orecchio.
Annuii appena e feci spallucce, come per dire che mi stavo sentendo meglio. Il suo sorriso si allargò e mi baciò la fronte per sentire se scottassi ancora.
Arricciò il nasino e fece il labbruccio.
-Gee, mi sa che hai ancora la febbre alta – disse, alzandosi dal letto per andare verso la scrivania.
Sbuffai a mi rigirai tra le coperte. Avevo un pigiama larghissimo, intero, con uno scheletro disegnato sopra. Si, nonostante i miei venticinque anni ero ancora un bambino dentro.
Prese il termometro e scossi la testa stringendo ancora di più il lenzuolo.
-No, ehi, devo sapere quanta febbre hai – esordì, come se fosse un ordine. –Non farmi pregare e apri di poco la zip del pigiama così ti aiuto a sistemare questo aggeggio.
Mi sporsi verso il comodino e presi la mia penna col quaderno e ci scrissi sopra un bel “Vieni qui e raccontami che è successo”.
Quando glielo mostrai lui sospirò e si sedette accanto a me con una faccia afflitta.
Mi avvicinai a lui gattonando sul letto e mi sedetti, facendolo sistemare tra le mie gambe e feci posare la sua schiena al mio petto. Gli baciai piano il collo e lo sentii rilassarsi sotto le mie labbra.
Poggiai le miei mani sul suo ventre e lui intrecciò le dita alle mie con una dolcezza assoluta.
-Cosa vuoi sapere? – sussurrò, ma forse la risposta era ovvia. –Okay, okay, comincio dall’inizio e ti spiego.
Sentendolo così vicino mi venne voglia di… di fare di nuovo l’amore con lui. Arrossi involontariamente e ringraziai un qualunque dio per il fatto che lui non potesse vedermi in faccia. Scacciai quel pensiero, d’altronde l’avevamo fatto solo una volta ma non potevo volermi far prendere in quel momento davvero.
Insomma, avevo la febbre, lui era appena entrato in casa mia con un visino addolorato e non mi avevo voluto spiegare niente. Si era solo preoccupato della mia salute e io ovviamente in cambio dovevo ascoltarlo e consolarlo per quello che potevo.
Era in quei momenti che mi odiavo per il mio mutismo. Avrei voluto parlargli, dirgli che lo amavo da morire, ridere con lui per le più grandi cazzate e magari poter ricambiare i suoi gemiti mentre facevamo l’amore.
Ma mi era negato, mi era tutto fottutamente negato dalla nascita. Le persone danno per scontato la parola, quando si dovrebbero rendere conto che in un mondo come il nostro niente è scontato.
Gli diedi un pizzicotto sull’ombelico per farlo parlare e lui rise appena prima di schiarirsi la voce.
-Ho litigato con Ray – ammise con la voce che tremava. Lo strinsi leggermente di più a me e lui poggiò la nuca sulla mia spalla. –Per una cazzata – annuì –perché lui sostiene che quando non sei con me io sto sempre davanti alla televisione a rincoglionirmi quando dovrei studiare. Insomma, io non so che fare in casa no? Le lezioni le seguo, le nozioni le so, Pansy la suono tutte le sere quasi… un po’ di tempo per la televisione e il relax posso averlo?
Sapevo che stava mentendo. Spudoratamente.
Dalla faccia che aveva fatto appena Alicia mi aveva detto che era a casa nostra, avevo immaginato fosse una cosa molto più preoccupante. E sapevo anche per certo che prima di entrare in camera aveva parlato con lei di non so cosa.
Sospirai appena e mi decisi a dargli retta comunque, male che vada avrei chiesto ad Alicia cosa fosse successo davvero.
Annuii appena e mi sporsi leggermente per baciargli la guancia. Lo guardai con riguardo e preoccupazione e lui si sforzò di sorridermi.
-Non preoccuparti, okay? – sussurrò carezzandomi la guancia e gli feci cenno di alzarsi.
Quando si mise in piedi con le ginocchia che spingevano sul materasso, gli sorrisi e poggiai le mie labbra sul suo mento, inginocchiandomi davanti a lui, sempre sul letto.
Gli chiesi quasi il permesso di baciarlo con gli occhi e lui annuì mordicchiandosi il labbro inferiore.
-Baciami, mh? – sussurrò. –Non mi importa della febbre, la prendo per un buon motivo – rise appena.
Avrei voluto tanto ridere anche io ma mi limitai a far toccare le mie labbra con le sue, in modo lento. Mugolò appena e prese il mio vis0 tra le mani e chiuse gli occhi.
Il silenzio era la cosa migliore del mondo quando riuscivo a sentire lo scocco leggero e umido della sua lingua sulla mia. Mi eccitai all’inverosimile nel sentire quel suono e strinsi i suoi fianchi con le dita pallide ed esili.
Senza staccarmi da lui, caddi all’indietro sulle lenzuola e lo portai con me per poi farlo accomodare con il bacino sul mio.
Chiusi gli occhi a mia volta, anche se i suoi, semichiusi e così vicini, erano splendidi e mi preparai mentalmente a una nottata molto piacevole.
Lo amavo anche per quello, dio.

Arricciai il naso quando delle gocce di quello che dall’odore mi sembrava caffè, mi scivolarono sulle labbra.
Cercai di togliere il fastidio, convinto di stare sognando, e mi spalmai una mano sul viso.
Maledicendomi subito dopo. Quel fottuto mi aveva riempito quella parte di pelle tra il naso e il labbro superiore di panna e io ci avevo appena affondato le dita.
Avrei fatto un suono infastidito, davvero, ma poi sentii le sue, di dita, sui miei occhi che spalmavano bellamente altra fottutissima panna. Li spalancai come per guardarlo male ma la sensazione di pesantezza sulle ciglia mi fece lacrime.
Lo sentii ridacchiare come un cretino e mi resi conto che si stava quasi sbellicando nel vedermi così.
Mi alzai a sedere sul letto senza nemmeno il cenno di un sorriso sul viso e fissai lo sguardo di ghiaccio nel suo.
La sua espressione si spense lentamente e lasciò cadere la bomboletta spray di panna. –Devo correre vero?
Annuii appena e lo vidi sgusciare via dalla porta, mentre tornava a ridere come un idiota.
Frankie e i suoi scherzi del cazzo, pensai mentre mi infilavo velocemente i boxer per corrergli dietro.
Quando entrai in salone, mi guardai intorno per poi visualizzare una ciocca dei suoi capelli intrecciati e sporchi che spuntava da dietro il divano.
Sorrisi sghembo e salii sul divano per poi lanciarmi sul suo corpo sorpassando con un balzo goffo lo schienale. Lui rise ancora di più quando gli immobilizzai con una mano i polsi sulla testa e presi a fargli il solletico.
Si dimenava sotto il mio corpo e mi sentii davvero sadico, ma invece di smettere spinsi il viso sul suo in modo da sporcarlo a sua volta di panna.
-Gee! – esclamò lamentandosi. –Gee basta, ti prego! G… - non riuscì a finire la frase perché gli avevo spinto due dita nel fianco e aveva tirato un urlo di dolore, pur sempre divertito.
Una porta in casa sbatté e mi bloccai.
Non avevo controllato l’orario, non avevo controllato se Mik e Alicia fossero ancora in casa, se stessero ancora dormendo.
Alzai lo sguardo sull’orologio a muro e notai che erano le sei e mezza ma essendo vicina l’estate era ancora giorno.
Mi resi anche conto, in un millesimo di secondo, poco prima di sentire Alicia urlare, che la febbre mi si era abbassata notevolmente.
-Porca troia! – esclamò la ragazza. –Io tra due ore devo essere all’università, fatemi risposare!
Ma si zittì all’improvviso quando ci raggiunse e notò che eravamo sporchi di panna e insomma, eravamo in una posizione non poco ambigua.
Non riuscivamo a non fare figure di merda.

 

 
xCyanide's Corner
Okay, umh, non chiedetemi perchè ma questo capitolo è dal punto di vista di Gerard. Ho voluto farlo e sono anche sicura che non sia bello come gli altri, perchè non so davvero cosa pensi una persona affetta da mutismo :c Ora, spero che a voi comunque sia piaciuto e mi raccomando lasciate tante recensioni che mi fate sorridere.
Ah, e ne approfitto per avvertirvi che alla fine di questa ff mancano al massimo tre-quattro capitoli. 
Alla prossima,
xCyanide

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Frank P.O.V.
Mi stropicciai gli occhi cercando di calmarmi mentre camminavo avanti e indietro nel corridoio davanti la porta di casa mia.
Avevo detto che non ci sarei rientrato? Sbagliato. Alicia aveva sputtanato il mio litigio con Ray a Gerard e lui mi aveva minacciato.
Si, minacciato. Quel cosino con gli occhioni a palla sempre lucidi mi aveva minacciato. Mi aveva fatto trovare un biglietto  il giorno dopo che avevo dormito da lui con su scritto “Se non fai pace con Ray, non ci vediamo più”.
Avevo chiesto spiegazioni. Plausibile, no? Cioè, il tuo ragazzo che ti dice che ti lascia se non fai pace con il tuo migliore amico. Fantascienza, almeno per me.
Avevo cercato di fargli capire che davvero non volevo vedere l’afro. Se Alicia gli aveva raccontato tutto, Gerd avrebbe dovuto sapere anche che Ray aveva dato tutta la colpa a lui dicendo che non si sapeva far capire.
Gli avevo detto che a me bastava avere lui, mi bastava che mi tenesse la mano e non pensasse alle cazzate che sparavano gli altri ma lui era stato impassibile.
Così ora mi ritrovavo incastrato in quel buco di corridoio a scavare una fossa circolare che segnava il punto preciso dove affondavo i piedi mentre andavo avanti e indietro sulla moquette.
Guardai a terra massaggiandomi le tempie e sentii Ray urlava contro la ragazza di Mik. Sapevo che dentro casa c’era anche Gerard che era convinto a far cambiare idea all’afro, ma mi salì un moto di rabbia nel pensare che doveva assistere a una discussione del genere.
Il brutto del rapporto tra me e Gerard era che entrambi volevamo dimezzare le sofferenze all’altro. Ma era impossibile, dato tutta quella apprensione. Credo che anche lui pensasse che assistendo a un litigio mi avrebbe alleviato il nervosismo ma pensarlo lì me lo faceva solo aumentare.
Fosse stato per me l’avrei messo in campana di vetro antiproiettile, giusto per proteggerlo. E magari avrei fatto costruire una porta blindata con una serratura particolare di cui avrei avuto solo io la chiave.
Egoistico, lo so. Molto egoistico.
Ma Gerard era una creatura fragile, da tenere sotto protezione e volevo farlo nel migliore dei modi.
Alicia mi aveva fermato dicendomi che in quel modo avrei solo fatto capire a Gee che non volevo che lui fosse libero di scelta e sapevo quanto a lui dava fastidio la gente restrittiva.
Stavo quindi soffrendo in silenzio mentre sentivo che Christa cercava di calmare Ray e Mikey diceva qualcosa a Gerd.
Fottutissime pareti di cartongesso, se non avessi potuto ascoltare niente sarebbe stato meno frustrante.
Era un pensiero sconclusionato, lo sapevo bene, ma avrei fatto di tutto pur di non innervosirmi ancora di più.
Mi infilai una mano nella tasca e tirai fuori il mio cellulare cliccando sull’icona dei messaggi.
Nuovo messaggio. Destinatario: “Dolcezza”
Checca, ero una fottuta checca, ma mi capitava spesso di chiamare il mio ragazzo in quel modo quindi avevo deciso di rinominarlo così nella rubrica.
Presi a scrivere quasi in modo febbrile, digitando i tasti velocemente sul touch screen.
“Quanto vi manca lì dentro? Sto impazzendo qui fuori e sinceramente a sentire tutte queste urla mi è anche venuto in mente che stiate facendo un’orgia. Beh se fosse così, Gerd, ti dovresti sentire una merda a non avermi invitato.”
Inviai e appoggiai la schiena contro il muro respirando lentamente. Udii indistintamente la suoneria dei messaggi di Gerard e risi tra me e me pensando a come si sarebbe arrossato il suo visino a cuore nel leggere “orgia”.
Era molto pudico, lui. Diventava rosso per un nonnulla e si tappava le orecchie appena io nominavo una qualche volta in cui avevamo fatto l’amore. Aveva però capito che essendo il suo ragazzo lo capivo e cercavo in tutti i modi di metterlo a suo agio. Io invece col tempo avevo appreso che la mia parte pervertita era sempre stata nascosta in un angolino dentro di me e aveva sempre urlato per uscire.
Non che il sesso fosse la cosa più importante per me, ma mi piaceva. Da matti. E se pensavo che la mia prima volta era stata con Gerd e che sicuramente avrei fatto l’amore solo con lui per il resto della mia vita, la prospettiva diventava ancora migliore.
Il cellulare vibrò nella mia tasca e sobbalzai appena prima di prenderlo di nuovo tra le mani per leggere il messaggio di Gerard.
“Frank… ti sembro il tipo da orgia? E comunque stiamo facendo ragionare Ray. Fattelo dire, è testardo.”
Annuii appena come per dargli retta e feci per rispondere, ma la porta di casa mia si aprii rivelandomi la figura scura di Gerard che mi sorrideva debolmente.
-Ehi, aspetta – dissi confuso. –Non mi hai appena scritto che avevate quasi fatto?
Lui mi guardò con una piccola smorfia buffa sul volto e si sporse verso di me per prendermi la mano e intrecciare le dita alle mie con dolcezza, facendo spallucce.
Lo seguii dentro e osservai casa. Insomma, l’avevo vista due giorni prima, non era potuto cambiare niente, ma mi sembrò un posto molto più calmo.
Inspirai appena e vidi Gerard sorridermi come per incoraggiarmi mentre mi portava in cucina.
Quando feci capolino con la testa dentro la camera da pranzo, Ray mi  dedicò un sorriso sbilenco e si alzò venendomi incontro.
-Mi abbracci? – mi domandò, alzando un sopracciglio.
-No – dissi, convinto e lo osservai per bene.
Immaginai la bocca di Alicia che si apriva e toccava a terra per lo stupore. Mikey mi raggiunse e mi prese delicatamente per un orecchio per farmi girare verso di lui.
-Frank, senti, anche io sono incazzato per quello che ha detto di Gerard e so che tu lo ami – a queste parole, percepii il colorito del mio ragazzo passare da bianco cadaverico a rosso cremisi ma cercai di non farci caso –ma io, Alicia e Christa ci abbiamo messo tutta la buona volontà per farvi fare pace e ora tu non puoi mandare a puttane il nostro lavoro per orgoglio.
Mi morsi il labbro inferiore e guardai di nuovo Ray. –Non mi avete fatto finire di parlare però – scrollai le spalle.
-Su forza, finisci – mi incitò la ragazza di Mikey. –Ma sappi che se sento uscire un’altra cosa negativa dalle tue labbra dopo che io ho sprecato tutta la mia voce per farvi fare pace, giuro che ti stacco le palle e te le faccio ingoiare.
Sembrava così tanto seria che mi chiesi se davvero l’avesse fatto. Gerard deglutì appena nel sentire Alicia e strinse leggermente più forte la mia mano.
-Io non ti abbraccerò – mi rivolsi all’afro –fin quando non ti inginocchierai, non mi bacerai la punta delle scarpe e non mi chiederai scusa.
Vidi gli occhi del mio amico sgranarsi e mi fissò con un’espressione divertita sbattendo poi più volte le palpebre.
Gerard poggiò la fronte sulla mia spalla e lo sentii sorridere sulla mia pelle. Solo lui aveva capito che scherzavo probabilmente.
Mi guardai intorno e non so come, mi avevano preso tutti per serio. Le loro facce sbigottite erano così stupide che io non potei fare a meno di scoppiare a ridere.
Ray, capendo che non stavo dicendo sul serio, mi si lanciò addosso stringendomi forte e tirandomi su da terra.
-Oh cazzo! – esclamai quando mi fece volteggiare e dovetti lasciare la mano di Gerard che aveva gli occhi lucidi contento che si fosse risolto tutto.
Allacciai le braccia dietro il collo di Ray e gli baciai la guancia mentre lui mi chiedeva continuamente scusa e mi diceva che non mi avrebbe più detto una cosa del genere.
Quando mi lasciò a terra, Gerard ci raggiunse e mi strinse da dietro ringraziando il mio amico con lo sguardo. Ray gli scompigliò i capelli in modo felice e io potei girarmi verso Gerd per baciargli dolcemente le labbra.
Lui arrossì perché nessuno lì in mezzo ci aveva mai visto baciarci sulla bocca e io feci strusciare la punta del mio nasino sul suo.
-Grazie – sussurrai appena prima di staccarmi da lui per rivolgermi agli altri. –Abbraccio di gruppo?
Annuirono tutti e ridendo venni soffocato da una miriade di braccia che mi stringevano forte e da tutte voci che urlavano felici.
Io però riuscii solo a guardare Gerd negli occhi e a non urlare a mia volta, per farlo sentire meno solo.
Lui mi baciò la tempia e prese a saltellare nell’abbraccio come stavamo facendo tutti mentre una voce, quella che mi sembrava di Mikey, urlò un qualcosa come “Amici per sempre, vero?”
Cercai di stringerli tutti e annuii felice.


xCyanide's Corner
Vi ho fatto aspettare 2 mesi precisi infatti mi sto martellando sulla fronte da sola sperando che mi perdoniate e continuiate a leggere la storia. E' che ho avuto un pò di problemi con gli amici, problemi a casa e a tutto questo si è sommato altro nervosismo che avevo accumolato e non avevo davvero ispirazione. L'altro giorno invece ho cominciato un nuovo quadro e mi sono resa conto che si stava sistemando un pò tutto. E oggi, ascoltando i Simple Plan ho avuto l'illuminazione. Quindi ringraziate loro! E ringrazio voi per avere tutta sta pazienza, siete fantastici. Questo comunque è il penultimo capitolo, il prossimo sarà quello conclusivo. Mi dispiace :c 
Grazie per le recensioni e tutto quanto, sono quasi 100 e amo il fatto che questa storia nonostante tutte le complicazioni che ho avuto io per scriverla abbia fatto tutto questo "successo"
Alla prossima,
xCyanide

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Su Animal Planet dicono che i serpenti possono infilarsi nelle tubature e uscire dalla tazza, pensai mentre rientravo in casa. Però se gli facessi la pipì addosso non si azzarderebbero più, no?
Animal Planet e i serpenti mi avevano davvero rovinato la vita. Non riuscivo più a fare i bisogni in santa pace, che l’immagine di un cobra che sbucava dal cesso mi annebbiava i pensieri e non potevo fare a meno di sbrigarmi e correre via dal bagno per andarmi a nascondere tra le bracci di Gerd.
Lui sorrideva sempre divertito quando gli dicevo che avrebbe potuto esserci un fottutissimo essere strisciante e viscido nelle tubature di casa nostra.
A proposito! Si, io e Gerard abbiamo una casa tutta per noi ora. Dopo tre anni di relazione eravamo stanchi di sentire Alicia che ci batteva sul muro per non farci fare l’amore o di vedere Mikey catapultarsi in camera mentre ci stavamo dedicando alle coccole post-sesso.
Era stancante non avere un attimo di privacy, quindi beh, Gerard era riuscito a trovare un lavoro alla Cartoon Network e io invece facevo le consegne a domicilio per una pizzeria, tutto per pagare l’affitto del nostro appartamento.
Era un monolocale, in realtà sarebbe andato bene per una sola persona, ma io e il mio ragazzo ci stringevamo ed eravamo molto felici di aver trovato quella casetta.
Avevamo sistemato un letto a una pizza e mezza nella nostra mini-camera coperta di poster e disegni e avevamo sistemato un tavolinetto tra l’angolo cottura e il salone, come a formare una cucina, perché era tutto attaccato purtroppo.
Gerard mi aveva promesso che prima o poi mi avrebbe trovato un castello, perché sosteneva fossi il suo principe. Tutte le volte che me lo diceva arrossivo da morire e mi chiedevo come avevo fatto a trovare una persona così speciale da avere accanto.
Pareva che alla Cartoon Network gli andasse tutto bene, stavano per mandare in onda il suo nuovo cartone, The Breakfast Monkey, e lui era tutto eccitato all’idea
Mi faceva fare da supervisore delle tavole che consegnava al lavoro, rimanevamo svegli fino a tardi così potevo coccolarlo e farlo rilassare mentre disegnava gli sketch con quella specie di scimmietta tanto carina.
Ero fiero di lui, si era fatto un sacco di amici lì a lavoro, spesso cenavamo con loro e tutti sapevano che fossi il suo ragazzo. Una cosa bella di lui era che non si era fatto problemi ad ammettere la sua omosessualità con gli altri.
Era spontaneo, spesso quando stava lavorando mi mandava messaggi per chiedermi di raggiungerlo e ormai il suo capo mi conosceva e mi faceva entrare senza problemi. I suoi colleghi mi salutavano e io sorridevo felice che fossero così carini con lui. Poi arrivavo alla sua postazione, gli baciavo le labbra e gli chiedevo come stava andando.
Si era creata questa specie di routine tra noi, lo andavo a trovare spesso, uscivamo spesso quando non avevo molto da studiare all’università. Dopotutto era il mio ultimo anno, dovevo andare per forza bene. Lui si era laureato da un anno, era uscito col massimo dei voti.
Si era fatto crescere i capelli e si era tinto di biondo. Era diventato tutt’altra persona da quando aveva trovato delle persone che gli volevano bene per quello che era e io ero felicissimo per lui.
Poggia la mia borsa a tracolla sul piccolo divano e raggiunsi Gerard al tavolino sedendomi davanti a lui e sfilandogli una cuffia. Lui, accortosi di me, nascose subito il foglio che aveva davanti dietro la sua schiena, come a non farmi capire cos’era e spalancò gli occhi.
-Amore, se tiene la musica così alta, potrebbe entrare un ladro e fottersi tutto con te in casa – risi e lo vidi rilassarsi mentre mi sporgevo a baciargli piano le labbra. –Come stai? – feci finta di non importarmi del foglio che aveva fatto sparire, anche perché sapevo che non era qualcosa di negativo. Sicuramente era una qualche sorpresa per me, lo speravo almeno.
Lui annuì appena per rispondere alla mia domanda e io poggia di nuovo le mie labbra sulle sue miagolando piano il suo nome.
Gerard sorrise nel bacio e mi mordicchiò appena il labbro inferiore. Lo faceva spesso, una volta mi aveva fatto capire che era perché gli piaceva tantissimo il mio sapore. Io strofinai il nasino sul suo e poi tornai seduto davanti a lui indicandolo.
-Dammi il foglio – gli porsi la mano ma lui scosse la testa serio e prese un respiro forse per calmarsi. –Dai Gerd! Che sarà mai?
Lui spalancò gli occhi e scosse di nuovo la testa, in modo quasi convincente. Ma purtroppo per lui, volevo leggere quel foglio e l’avrei fatto, in tutti i modi.
-Da come ti comporti, sembra che sia una proposta di matrimonio! Che sarà mai, me ne hai regalate a bizzeffe di lettere splendide, questa non sarà da meno – gli sorrisi per calmarlo e lui deglutì violentemente tremando appena. –Che hai, dolcezza? – domandai preoccupato e lui scrollò le spalle passandomi finalmente il foglio.
Lo osservai per bene, l’inchiostro che aveva usato si era parzialmente asciugato (si perché era l’unico che nel ventunesimo secolo scriveva ancora con il pennino a piuma e la china), ma era sbavato su alcuni punti. C’erano delle cancellature, ma niente di che. E stranamente la sua scrittura era ordinata e quasi dolce, e non spigolosa e incasinata come sempre.
-Ora stai calmo che leggo questa cosa e poi sicuramente mi renderò conto di amarti ancora di più e faremo l’amore così tante volte che ti stuferai di me! – risi ma lui non accennava a sorridere, aveva però uno sguardo dolce e intenerito e gli occhi quasi lucidi dall’imbarazzo.
Mi chiesi cosa c’era scritto davvero in quella lettera e la puntai con gli occhi cominciando a leggere lentamente, come a saggiare ogni parola e imprimermela nella mente.

“Ehi Frankie!
Cavolo, non so davvero come cominciare questa cosa. Sarà la quindicesima volta che la riscrivo e mi sento un completo idiota inetto che non sa fare niente. Non sa nemmeno chiedere al proprio ragazzo di compiere il passo più importante della sua vita con lui.
E io so che probabilmente tu hai già capito cosa voglio fare e non sai quanto io mi maledica per non potertelo dire con la voce, per non potermi inginocchiare davanti a te e chiederti se lo vuoi davvero fare. Dovremmo accontentarci amore mio, okay? Per forza.
Non so come dirtelo ma sono sicuro di volerlo fare con te. Sono sicuro di voler passare il resto della mia vita al tuo fianco perché beh, ho bisogno di averti. Si, averti Frank, avere la tua anima e il tuo corpo e sapere che sei mio e di nessun altro. Sapere che ami solo me, che parli solo con me in quel modo, che guardi solo me così.
E’ un discorso da egoista, lo so benissimo, ma per la prima volta in vita mia voglio essere egoista e negarti al mondo intero solo per averti.
Se sarà necessario ti chiuderò in una stanza, solo io e te, per non farti scappare. Ma da quello che vedo anche tu vuoi stare con me. O sbaglio?
E’ da bastardi tenersi tutta per se una meraviglia come te, Frankie. Sto facendo lo stesso gioco che hanno fatto i francesi quando si sono presi la Gioconda agli italiani e l’hanno chiusa nel Louvre. L’unica differenza tra te e quell’opera? Tu sei migliore. Tu sei la mia opera d’arte, sei la statua più bella, la pennellata più sentita, anche la composizione meglio scritta.
Sei tutto per me, ecco. Se dovessi descriverti a qualcuno direi che sei tutto, assolutamente.
Ma sto cercando di spiegarmi per una volta, poi giuro che non ti romperò più.
Nel mio cuore c’è un insieme di rumori e sensazioni che si presentano solo quando sto con te, solo quando mi stringi in quel modo protettivo e mi dici che mi ami da morire. Lo sai vero che i sorrisi che ti rivolgo dopo quelle due parole stanno a significare che anche io ti amo? Vorrei poterti dire anche questo.
Sei come… sei come un supereroe, ma tu per fortuna non indossi quella stupida maschera e il mantello. Tu sei l’uomo più forte che io conosca e hai deciso di prendermi con te e farmi stare bene. Mi hai stravolto, in senso buono ovviamente. Mi hai davvero cambiato.
Mi hai stretto nei momenti più difficili, mi hai sussurrato all’orecchio sono perfetto nonostante tutto, che mi ami come se fossimo ragazzini. E mi hai salvato sai? Mi hai salvato, mi sono buttato in questa relazione tre anni fa e non avrei potuto fare niente di meglio. Mi ricordo come mi scoppiava il cuore al nostro primo bacio, mi ricordo davvero tutto di noi. Mi ricordo il luccichio dei tuoi occhi quando ti sei reso conto che ti stavo urlando con lo sguardo di salvarmi da quello che stavo diventando. E’ come se avessi tutto impresso nella mente, come se fossi marchiato a fuoco proprio sul cuore.
E beh, Frankie, ti prometto che nella nostra stupidità e incoerenza porteremo avanti questo amore fin quando tutti i rumori non saranno cancellati e non ci saremo solo noi, con noi.
Ti prometto che rimarrò per sempre qui, a ripeterti che il mio cuore è tuo. Solo tuo.
A una condizione però! Si, proprio QUELLA condizione.
Franklyn Anthony Thomas Iero III, vorresti sposarmi? Perché sei fottutamente perfetto per me.”


Alzai lo sguardo dalla lettera con gli occhi lucidi e appannati e tirai su col naso alzandomi dalla sedia per raggiungerlo.
Lui mi guardò titubante mentre mi abbassavo quasi in ginocchio e mi sporgevo per baciargli la fronte. Lo sentii trattenere il respiro e chiusi appena gli occhi facendo scendere delle lacrime sulle mie guance.
-S-si che lo voglio – sussurrai appena con la voce rotta prima di stringerlo fortissimo a me e scoppiare a piangere sulla sua spalla. Mi resi conto che stava sorridendo e mi dissi che quel sorriso mi avrebbe tenuto in vita per sempre.
E fu proprio quello che accadde.


xCyanide's Corner
E' L'ABBIAMO FINITA! Mamma mia, questa ff mi ricorda talmente tante cose brutte che davvero, credo sia la prima per la quale gioisco della fine. Sono comunque contenta di come si conclude perchè si, è una cosa dolcerrima e anche se non è da me, un pò di endovena di zucchero ogni tanto serve. Spero vi sia piaciuta la ff, perchè in caso vi sia piaciuta mi sentirò importante ad aver scritto un qualcosa che ha fatto felice qualcuno(?) Ringrazio ovviamente chiunque abbia recensito, messo tra le seguite/preferite/ricordate. Siete stati fantastici e avete avuto un sacco di comprensione nei miei confronti. *lancia biscottini a tutti*
Spero di riuscire a scrivere qualcosina presto, magari anche solo una OS a random, giusto per non sparire!
Ah, ne approffitto per dire due cose che davvero non c'entrano niente. Ascoltate tutti quanti Ungrateful degli Escape The Fate, per favore, perchè il video ma soprattutto le parole della canzone hanno un significato enorme, ovviamente contro la violenza fisica e psicologica. E' un tema che ho particolarmente a cuore (essendo stata io per prima vittima di violenze fisiche a scuola tanto da arrivare ad avere un trauma cranico) quindi non so, mi piacerebbe che quella canzone diventi davvero famosa.
E ah! Mi sono fatta instagram, chiunque voglia cercarmi sono sachacyanide. Sono così invasata da sta cosa che non mi ci stacco un attimo :'D
Grazie di nuovo a tutti, alla prossima ff!
xCyanide

 

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