Figli delle Nebbie

di Odd WesternLollipop
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ulyssa Brown ***
Capitolo 2: *** Xzavier Robinson ***
Capitolo 3: *** Il Mondo ***



Capitolo 1
*** Ulyssa Brown ***


Nessun dubbio che parlasse di fate, la studentessa di Bradford Ulyssa Brown, quando alla psicologa della scuola fu costretta a descrivere le dame in abito bianco apparse nella sua cucina. Quella sera Ulyssa aveva bruciato alcune foglie di quercia.

Dubbi sull'esistenza delle fate non ne aveva di certo lei, Ulyssa Brown, famosa in tutta la scuola per i suoi discorsi insensati e le sue strane tisane. Ragazza colta e in grado di vedere oltre, diceva lei. Con l'accusa di essere matta, di avere forse una psicosi, nel 2006  venne costretta a presentarsi prima di tutto dalla psicologa della sua scuola. Non seppe mai chi le parlò per prenderle l'appuntamento. Allora c'era una cassetta, in segreteria, a disposizione di tutti gli studenti. Quindi chiunque, non visto, poteva lasciare cadere lamentele, suggerimenti e accuse contro compagni e insegnanti. Prontamente i foglietti finivano nelle mani della preside. Quello che parlava di Ulyssa Brown venne poi condegnata alla psicologa.

Costei era protestante. Non fu quindi una seguace della Chiesa di Roma, ma di essa imitò ed enfatizzò il rigore cattolico nel demonizzare ciò che non conosceva. Ricordava quasi l'inquisizione. Ma l'ultima strega condannata, buona o cattiva che fosse, morì nel 1782, in Svizzera, per cui non c'era nulla da temere.
La Bibbia continuò però ad insegnare che le streghe esistono e devono essere uccise. "Non lascerai vivere la strega." Questa è la legge universale di Dio.

Ci mancherebbe proprio che non fosse strega, per quella psicologa un po' arretrata, questa Ulyssa Brown che comunicava con gli esseri fatati, ne era allieva e seguace, e peggio ancora non li temeva. Anzi: li descriveva come spiriti buoni ed amabili.

Lei, la psicologa, solo a parlar di fate si sentiva rizzare i capelli in  testa, come dovrebbe accadere ad ogni buon cristiano. Per provare il brivido della paura bastava prendere una macchina e allontanarsi da Bradford e dal vociferare dei suoi trentamila abitanti e inoltrarsi in un bosco deserto, scosso da un vento inquieto. E' qui, e certo non solo nella stregata cucina di Ulyssa, che le fate, come quelli che si fanno chiamare neopagani sanno, amano sorprenderti alle spalle, apparire e sparire fra i cespugli o gli alberi dove hanno dimora, all'interno di certe colline ricoperte da alberi, le cui radici affondano giù giù, fino all'inferno, direbbe la psicologa.

Nessun dubbio infatti, per la spicologa, protestante o cattolica che fosse, circa la vera natura di quegli spiriti sottili chiamati nei secoli "fate". Spiriti che molto tempo addietro la Chiesa di Roma e la Riforma avevano definito di natura satanica. O Satana stesso si tramutava in essi, essendo il Diavolo tanto abile,si sa, ad assumere qualsivoglia aspetto, bruco o fata o lupo o bella donna, gnomo o elfo, pur di tentare le creature mortali e strapparne l'anima al Signore dei Cieli, per dannarla.

Ciò che non è di Dio appartiene a Satana, non finiva di ripeterlo. Di questa verità Ulyssa Brown non riesce a convincersi, nonostante le risate dei suoi compagni, e le continue visite dalla psicologa. Nè si convince che fu il Diavolo, come sosteneva la psicologa, e non le fate ad ammaestrarla sui segreti delle erbe medicinali, sui cicli naturali, sulla sua veggenza.

Nessu dubbio per Ulyssa Brown, ragazza saggia e che vedeva oltre, che oltre al regno visibile delle creature mortali, esistano ben altri regni, e non solo di materia. Sono questi i regni che appartengono alla Natura, governati dalla sua energia vitale, dalla sua forza rigeneratrice e misteriosa, dai suoi cicli di Sole e di Luna. Linfa, albero, gemma, fiore e frutto, acqua e pietra, creatura animale, pianta ed erba risanatrice o velenosa, di quei regni Ulyssa Brown tutto conosce.

Conosce la qualità degli spiriti che animano la Natura. Mondi invisibili scorrono paralleli a quello visibile:  Ulyssa sa discernere l'invisibile nel visibile, il sovrannaturale nel naturale. Chi come lei possiede la secoda vista crede nelle fate perchè le vede, a differenza della sua psicologa che nelle fate crede pur senza riuscire a vederle.

"Chi guarda, vede", affermava Ferne Palmer, gran Sacerdotessa dei Figli delle Nebbie, che sulle creature appartenenti al mondo soprasensibile scrisse nella prima parte del suo libro, mai pubblicato, sul nuovo paganesimo.

Evidentemente, Ulyssa sapeva guardare. Del resto Ferne Palmer - la cui morte nel 2027 fu preannunciata, a quanto si dice, da un'eclissi totale - affermava che tutto ciò che aveva imparato sulle erbe e sui cristalli le era stato insegnato da altre streghe, specializzate come erboriste, creatrici di tisane ed esperte di farmaci naturali, donne sagge capaci di trattare sostanze benefiche e veleni nella giusta misura. Magnifiche nel risanare. Che secoli prima sarebbero state accusate di uccidere dal potere laico e da quello ecclesiastico.

Sul foglio scarabocchiato dalla psicologa, leggiamo dunque che le fate apparvero a Ulyssa Brown in un pomeriggio di ottobre.

Fu il primo incontro. Ulyssa non era sola nella piccola cucina di casa sua. Altri sedevano con lei. Fuori, oltre i palazzi, si scorgeva vagamente il crepuscolo autunnale, mentre le luci artificiali si apprestavano a schiarire la notte. Dentro, una fiamma accesa in una piccola scodella d'acciaio, dava vigore all'aroma delle erbe mediche, legate da Ulyssa in mazzi e appese in stretta successione ad una cordicella tesa a poca altezza dalla scodella. Quell'aroma invadeva l'aria frammisto all'odore delle foglie di quercia, che stavano bruciando nel fuoco alimentato esso stesso da legno di quercia, pianta sacra in assoluto. Su di essa, fra cielo e terra, cresce il magico vischio, farmaco incomparabile, che racchiude in sè il potente spirito della pianta che lo ospita.

Seduta al tavolo, accanto alla fidanzata, Ulyssa stava pensando che fra pochi mesi, quando il vischio avrebbe iniziato a verdeggiare sulle querce, sarebbe uscita di casa prima dell'alba e si sarebbe recata nei boschi meno lontani. Avrebbe scorto, bassa all'orizzionte, la costellazione del Toro. Aveva mparato dai suoi libri che questo era il tempo della raccolta del vischio, al colmo delle sue virtù curative. Ulyssa rifletteva che, al solito, avrebbe disposto alcuni rametti di vischio sopra la porta della cucina, perchè oltre a risanare il corpo, il vischio sa come tener lontano gli spiriti maligni dalla casa, e quindi dall'anima.

Sulla tavola Ulyssa aveva deposto alcune focacce di avena impastata con uova e latte, fatte a mano da lei stessa. Chiacchiere, risate, pettegolezzi, si incrociavano intorno a lei. A un certo punto vennero bruscamente cancellati da chissà quale gesto magico per lasciar spazio a un silenzio da cui Ulyssa si sentì circondata come da un sudario. Tratta in un'altra dimensione da quel silenzio sospeso, Ulyssa percepì qualcosa davanti a lei. Abbassò lo sguardo verso il fuoco e fu allora che le vide.

Raccontò alla psicologa di aver subito guardato spaventata la sua fidanzata e poi gli altri intorno al tavolo: continuavano palesemente a parlare fra di loro anche se lei, Ulyssa, non riusciva ad udire le loro parole. Non badavano a lei e tantomeno parevano essersi accorti del gruppo fatato apparso nel centro della tavolata. A nessun altro in quella stanza, se non a lei, apparivano le fate. Insieme al loro, Ulyssa scorse Xzavier Robinson.

N.d.a.: tratto da qualcosa di vero..forse. Continua.

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Capitolo 2
*** Xzavier Robinson ***


Dal foglio scarabocchiato della psicologa sappiamo che Ulyssa era wiccan, ma non sappiamo quando rifiutò il cattolicesimo per convertirsi alla wicca. Suo cugino, a cui era molto legata, Xzavier Robinson, era rimasto cattolico, ardente al punto da credere fermamente in Satana e decidere di schierarsi nelle sue file, mettendo in gioco la vita in spericolate bravate contro il parroco della sua città. Bravate tanto catastrofiche, le sue, che se ne parlava in ogni angolo di Lancaster, adulando o deridendo colui che rischiò più volte di morire affogato nel fiume vicino al quale sorgeva la chiesa. 

Lungo le sponde dei fiumi, nei luoghi lontani dalle città,  nelle notti di luna, tragiche fate veggenti, pallide creature sovrannaturali, chiamate banshees, lavano i sudari per coloro che, per morire scelgono la battaglia. Anche quella di Xzavier Robinson poteva essere considerata una battaglia e si sperava sempre che non avessero da sciacquar il suo, di sudario, le banshees, poco lontane dai confini di Lancaster, mentre i suoi amici bivaccavano intorno ad un certo Powell, loro inesperto comandante, che quella notte, scambiando una pattuglia della polizia per una normale auto scura, avrebbe condotto i suoi seguaci diritti nella tana del lupo.

Per il momento, l'inizio dell'ennesima bravata era ancora lontana. Nell'oscurità percorsa dal frusciare della acque, dal bagliore della luna nella corrente, dall'umida fragranza del sottobosco, le banshees andavano e venivano lievi fra la riva del fiule e la cupa macchia del bosco. Là erano folti i noccioli, simbolo di saggezza e di bellezza, incontaminate entrambe, perchè racchiuse nel piccolo frutto compatto, che il duro guscio protegge dai veleni dell'animo umano. Per la sua incorruttibile natura, il nocciolo era sacro per la popolazione mitica dei bardi e dei celti.

Sui noccioli che fruttificano saggezza e bellezza, le banshees stendevano i sudari perchè asciugassero, pronti ad accogliere i morti di quella notte e del giorno seguente. Dall'altra sponda, Xzavier Robinson le aveva seguite con lo sguardo, notti addietro. Possedeva la seconda vista, lui che era stato rapito dalle fate quando era in culla e restituito al padre da adolescente. Intorno a lui tutti, compagni, polizia e prete, in quella notte che precedeva l'ennesima bravata, seppur divisi da confitti religiosi o semplicemente dal dovere, erano uniti da una comune credenza: ognuno di loro sapeva, le si vedessero o no, che secoli addietro si raccontava delle banshees, premonitrici di morte che stavano vagando fra i sacri noccioli. Un tempo tutti credevano nell'esistenza delle fate, indipendentemente dalla religione o dalla fede politica per cui erano disposti ad uccidere o a farsi uccidere.

Nella mentalità collettiva la credenza nelle fate era tanto radicata, nonostante non se ne parlasse più, da pervadere di sè la quotidianità del poliziotto e del ribelle, del prete e del vescovo, della madre di famiglia e della donna d'affari, dei matti e degli psichiatri, degli operai e dei contadini, dei commercianti e dei politici.
Era la travagliata epoca della libertà di culto presa un po' troppo alla lettera, che portava a piccole bricconate come a grandi guerre. C'era chi passava con fervore da una confessione all'altra e chi continuava a credere con altrettanto fervore nel mondo sovrannaturale e negli esseri elementari.

Se forme di paganesimo erano presenti in tutta Europa, più che mai lo erano in Inghilterra, in Scozia, in Irlanda, dove il cristianesimo, secoli addietro, aveva stentato a farsi strada nelle lande, nelle foreste e nelle montagne, tanto potente era il legame di quelle genti con gli invisibili esseri della Natura. Alcuni potevano, poi, come Xzavier Robinson agli inizi, inginocchiarsi davanti ad un prete cattolico al mattino e frequentare le fate di sera. Si poteva abiurare il cattolicesimo per la wicca, come Ulyssa Brown, grazie alla personale credenza  nelle fate e con essa la convinzione che dalle fate si potessero apprendere i segreti delle erbe che risanano, della rugiada che suggerisce i cambiamenti del tempo, delle acque curative, dell'influenza degli astri, il proprio futuro, il proprio destino.

Da secoli la Chiesa aveva iniziato una lotta senza quartiere al popolo fatato e al mondo magico. Eppure nei cuori dei più, queste antiche leggende e Cristo potevano tranquillamente convivere.

Convivevano nel cuore di Xzavier Robinson, allievo di fate e morto affogato, cadendo nell'acqua dai margini del fiume, per impedire che una particolare fede venisse imposta a chi non lo voleva. O così pensava lui. 

Presumibilmente Cristo e le fate, sia pure sotto una luce diversa, avevano convissuto anche nel cuore del prete che Xzavier combatteva, che praticava magia e che non avrebbe però mai rotto i ponti con il papato, che ripudiava la sua stessa sorella, da lui indicata come strega. E che, si diceva, tentava in certe notti di luna, di sorprendere le fate mentre danzavano intorno ai magici cerchi di pietra e sotto le sacre betulle, sperando di convincere la loro regina a svelargli i luoghi dove erano sepolti i leggendari tesori.

N.d.a.: tratto da qualcosa di vero..forse. Continua.

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Capitolo 3
*** Il Mondo ***


All'inizio del nuovo millennio, segnato dagli scontri, dai vertici mondiali e persino da una nuova valuta, c'era chi continuava dunque a credere all'esistenza delle fate e al potere della magia. Non solo se, come Ulyssa Brown, si era streghe e si sapeva guardare.  Nelle congreghe sparse in tutto il mondo, pozioni magiche e cappelli fatati escorti a esperti di cabala e di occultismo, suscitavano lo stesso interesse dei monologhi di George Carlin.

Anche quelli sono stati a loro modo tempi di indomito coraggio e di grandi avventure della mente e dell'audacia individuale, mentre il mondo andava pian piano perdendo il senso del magico e del sovrannaturale. Tempi in cui sulle navi non era più possibile imbarcare animali, anche se c'era ancora chi era sicuro che un gatto nero con legato alla zampa un rametto di timo, pianta prediletta dalle fate, sarebbe riuscito a placare ogni tempesta. Un gatto a bordo era il protettore delle navi, credenza diffusa fin dall'antichità e divenuta norma nel codice di leggi stilato dal re del Galles nel decimo secolo. Una nave che non avessea a bordo il gatto protettore si sarebbe trasformata ben presto in relitto. Forse era per quello che le navi, dieci secoli dopo, non duravano poi così tanto.

Per sfortuna, o per fortuna, non erano più nell'epoca del re del Galles, quando sulle carte geografiche i naviogatori andavano mano a mano sostituendo al nulla il profilo di nuovi continenti dalle coste popolate di sirene -fate acquatiche-, la concezione dell'univero intero veniva ridisegnata da uomini di genio, e quando la distanza tra genio e magia era breve quanto quella fra corda e impiccato. O fra legna e rogo.

Il sacerdote di Bradford Derick Mitchell, per evitare problemi con la sua rigorosissima famiglia, si vide costretto a rivelare in punto di morte -avvenuta nel 2043- la sue teorie sul mondo fatato. Teorie, le sue, che spogliavano l'uomo del privilegio di essere una creatura capace di percepire tutto ciò che la circonda con esattezza. Meno prudente di Derick Mitchell, passato a miglior vita beneamato da tutti e nel letto della casa di famiglia, fu la cantante di Lincoln Elise Chapman, in quanto strega e frequentatrice di personaggi troppo legati all'occulto, venne buttata fuori casa il 16 febbraio 2006, per aver spifferato ai quattro venti le sue strane visioni. Esse svelavano il suo avvicinamento al paganesimo e allo spiritismo, a cominciare dalle affermazioni di una strana dama pervasa da una luce bluastra.

Agli inizi del nuovo millennio, la studentessa di Sunderland Nelda Parker ruscì a salvare la reputazione nonostante  condividesse apertamente le teorie di un nuovo arrivato nella sua congrega, Xavier Bell: fu buttato licenziato per aver incautamente sottoscritto la teoria di Derick Mitchell, cercando di dimostrare che sono gli esseri sovrannaturali a vedere tutto, e non gli esseri mortali.

Bell, che si inchinava di fronte alla spiritualità della Natura, da parte sua cercò tutta la vita di spiegare alle altre persone quanto ritornare ai ritmi naturali sarebbe stato benefico per il corpo come per la mente. Nel contempo venne perseguitato dal padre perchè tornasse al cattolicesimo, e per molti anni venne assillato dalle accuse di stregoneria di alcune persone che osavano esternare di credere in certe cose. Venne perseguitata da tali accuse anche la madre, famosa astrologa.

I gruppi di ragazzini Europei, e così quelli Inglesi, spalancavano le menti a quelli che loro definivano grandi artisti, intrattenitori, intellettuali e scrittori, e tutti, compresi i gruppi meno aperti, continuavano a premunirsi di portafortuna e amuleti di ogni genere. Se, nonostante questi, fallivano nel loro scopo, o si ammalavano lo stesso, allora preferivano seguivano l'usanza di cercare qualcuno che di magia e malocchio si intendesse davvero, le streghe.

Una professoressa della scuola di Ulyssa stessa era ricorsa al suo aiuto, mostrandole i segni di una pesantissima stanchezza, per i quali il parroco della sua chiesa le aveva prescritto un infallibile padre nostro perchè i suoi problemi in famiglia si risolvessero in fretta. Impacchi naturali consigliati dalla ragazza risanarono in poco tempo la pelle e sgonfiarono le borse, unitamente a una tisana che poteva farle passare il forte mal di testa, rendendole le giornate lavorative più facili, in attesa della risoluzione ai suoi problemi, per la quale lei stessa avrebbe potuto pensare meglio, senza quei piccoli fardelli.

Si ricorreva ai medici volentieri, ovviamente, soprattutto se di medicina alternativa, negli ultimi tempi. La scienza cercava di indirizzarsi sempre meno nei laboratori e sempre più ai prati e alle foreste più folte, poichè, alcuni affermavano, a guarire sono anche le erbe medicinali e le piante che crescono in quella magnifica e sterminata farmacia che è la Natura.

Le streghe la sapevano lunga, loro, sulla Natura e su come si cura un infermo non grave, nel corpo e nello spirito. Alcune avevano alle spalle generazioni e generazioni che di madre in figlia tramandavano gli insegnamenti appresi dalle creature dei boschi e delle acque. Questi insegnamenti erano ritenuti sacri, prima che all'orizzonte comparissero uomini rivestiti da tonache e sai. Uomini che portavano con sè croci e libri in cui era contenuta la loro verità. La Chiesa aveva portato alle popolazioni pagane Cristo. E con esso, Satana. Gli insegnamenti delle fate vennero trasformate in formule demoniache. Le donne sapienti in streghe.

Il nuovo millennio era tempo in cui il vero demone era la guerra, che si lasciava alle spalle fiumi di sangue e rovine, carestie e fame, nella noncuranza dei più. Mentre signorotti che si credevano grandi della storia si combattevano in terra straniera, per conquistare potere e denaro, e non per portare civilizzazione, come invece amavano affermare, le streghe non ardevano più, ma non riuscivano ad illuminare il mondo del loro sapere in altro modo.

Le fate e il loro popolo, comunque, continuiavano a vivere nel sempre più stretto arboreo rifugio di boschi e foreste.


n.d.a.: tratto da qualcosa di vero..forse. Continua.

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