Yume Sakura

di detoxIretox
(/viewuser.php?uid=139121)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1~ I fell for him at the moment I saw him ***
Capitolo 2: *** 2~ I'll definitely be playing the violin here tomorrow ***
Capitolo 3: *** 3~ His mere existence has colored all in me [...] ***
Capitolo 4: *** 4~ But I know I have to get mature sometime ***
Capitolo 5: *** 5~ Unforgivable but ardent feelings towards you ***
Capitolo 6: *** 6~ Just for now… let me love my dearest! ***
Capitolo 7: *** 7~ If only I could love you for the rest of my life ***
Capitolo 8: *** Epilogue ~ Dreamy cherry blossoms, please don’t die. ***



Capitolo 1
*** 1~ I fell for him at the moment I saw him ***


 Yume Sakura, please don’t die...

- I’m not forgiven to abandon everything to love you for the rest of my life -

 
 
1~ I fell for him at the moment I saw him
 
Era stata una serata orribile, il che era tutto dire. Rin era stata vagheggiata e corteggiata da quasi tutti i giovani presenti nel salone da ballo, ma non perché fosse bella. Non era da buttare, o almeno così si considerava lei: ma l’unico vero motivo per cui in tanti le avevano chiesto di ballare - uno dopo l’altro, senza sosta, quasi si fossero messi d’accordo sui turni - era che Rin aveva soldi. Molti soldi.
Ed essendo la figlia di un consigliere dell’imperatore, come poteva essere altrimenti? Poteva considerarsi più ricca di tutta la gente presente al ballo messa insieme... e probabilmente anche la più triste.
Odiava la sua vita per una serie di valide ragioni.
Prima di tutto, era costretta a vivere sottomessa al volere degli uomini della sua famiglia, e non solo. Il fatto che avesse quindici anni la salvava - ancora per poco, però - dai doveri di moglie e madre; ma avere anche solo quelli di figlia, era estenuante e deprimente per una mente così libera.
Secondo; ogni settimana, per non dire ogni giorno, arrivavano da lei più e più principi e nobili da ogni parte del Giappone per chiederle la mano. E lei aveva il permesso di vederli? No, se non da lontano, ovviamente. Era autorizzata a passarci qualche pomeriggio, così, tanto per conoscere meglio l’uomo con il quale avrebbe dovuto condividere una vita? Neanche per sogno. Quella era una possibilità ben lungi dall’essere anche solo presa in considerazione. Bastava l’approvazione del padre, e il matrimonio era bello che fatto.
Fortunatamente il padre di Rin era un uomo dai gusti difficili, e fino a quel momento non aveva permesso a nessuna povera anima di mettere il naso nella loro lussuosa casa, nemmeno al miglior partito che gli si fosse presentato. Il che voleva dire che, finché qualche buon uomo avesse ottenuto la piena approvazione del consigliere, Rin rimaneva libera come l’aria... o almeno, solo da quel punto di vista.
La terza ragione per la quale la ragazza odiava la sua vita era proprio quella: l’assoluta mancanza di libertà.
Le pareti affrescate e costruite in marmo o avorio, che sfoggiavano una ricchezza oltre ogni immaginazione, le sembravano ogni giorno restringersi sempre di più intorno a lei, ed era certa che un giorno le avrebbero impedito di respirare fino a soffocarla. Era bloccata in una vera e proprio gabbia d’oro.
Le capitava molto spesso di sognare ad occhi aperti una vita molto diversa da quella che stava trascorrendo passivamente. Si sedeva di fronte a una finestra delle sue stanze e guardava... qualunque cosa le si trovasse di fronte.
Ogni volta era diverso. I suoi occhi curiosi guizzavano di qua e di là e si posavano su ciò che attirava meglio la sua attenzione: una foglia che si staccava pigra da un ramo, che cadeva accarezzata dalla brezza e terminava il suo ultimo viaggio sul terreno umido; uno scoiattolo che saliva su per un tronco con quella che pareva una fretta del diavolo; una nuvola che aveva proprio la stessa identica forma di un albero di ciliegio.
E passava interi pomeriggi a esplorare con la fantasia un mondo che non avrebbe potuto vedere realmente.
Quella famosa sera del ballo Rin uscì dal salone quasi correndo, tanta era la voglia di respirare un po’ di aria fresca notturna e fuggire agli sguardi interessati dei suoi pretendenti, e a quelli esigenti dei genitori. Non credeva che qualcuno si fosse realmente accorto della sua assenza, tutti presi com’erano a ripassare le regole del galateo per far colpo su di lei - o meglio, per far colpo su suo padre. Che a lei piacesse o meno un uomo da sposare, poco importava; in fondo ciò che pensava lei era del tutto superfluo, no?
Si aggiustò il fiocco tra i morbidi capelli meglio che poteva, inalando aria; quasi senza accorgersene si allontanò il più possibile dal palazzo nel quale si stavano ancora svolgendo i festeggiamenti mondani, non facendo realmente caso alla direzione che stava prendendo, ma semplicemente camminando. Quando si rese conto che le scarpe col tacco le stavano facendo gridare i piedi dal dolore, si rannicchiò un attimo per togliersele - e già pregustava quanto sarebbe stato bello sentire la morbidezza dell’erba bagnata di rugiada sotto i piedi nudi, ma il filo dei suoi pensieri venne interrotto da una musica flebile in lontananza, un punto imprecisato al di là degli alberi.
Rin piegò la testa di lato sporgendo il collo in avanti, incuriosita. Il suo orecchio esperto in fatto di musica (era una cosa che amava più di tutto, ascoltarla e suonarla in egual misura) captò all’istante il suono che produceva un archetto su delle corde tese.
Qualcuno stava suonando il violino, lì nelle vicinanze.
E pensare che se ci fosse stata anche solo un po’ di brezza in più, a scompigliare le foglie sui rami degli alberi in rigogliosa fioritura, non sarebbe riuscita a seguire quella melodia dolce fino a una radura circondata da ciliegi.
È questo che la gente chiama destino?
 

***

 
Rin era praticamente cresciuta con il suono di violini e altri strumenti classici nelle orecchie, e quella era una delle poche cose che amava sul serio della sua vita. Essendo ricca la sua famiglia si era premurata di farle imparare a suonare pianoforte, violino, violoncello, clarinetto e chi più ne ha più ne metta. Per questo il suo senso musicale allenato sapeva riconoscere all’istante se qualcuno sapesse il fatto suo in quanto a trattare con uno strumento musicale.
E quel ragazzo di certo si faceva dar del voi.
Non seppe, inizialmente, cosa la portò a nascondersi dietro uno degli alberi e origliare quella melodia malinconica per tutta la sua durata. Fu forse l’atmosfera che si era creata? Probabile. Aveva sempre amato i fiori di ciliegio... quel rosa pastello, così delicato, dava l’idea di un qualcosa pieno di speranza e dolcezza, di qualcosa che non potesse appassire né spezzarsi mai. I raggi della luna poi sembravano accentuare il loro colore facendolo splendere come non mai.
Forse, si disse, era proprio il ragazzo ad averla rapita. Per quanti sforzi facesse, Rin non riusciva a cavargli gli occhi di dosso: era di profilo, quindi non poteva vedergli l’intero volto, ma la sua bellezza bastava a farle battere il cuore così forte da sembrare in grado di distruggerle il petto e schizzare fuori. I capelli biondi e lunghi erano sparsi sbarazzini intorno al volto concentrato, e alcune ciocche che non volevano saperne di stare al proprio posto ricadevano sulla fronte, pur sempre non celandogli il volto avvenente. Gli occhi erano bassi e coperti dalle palpebre, tuttavia non pareva stesse scrutando il violino; come tutti gli amanti della musica ben sapevano, e perciò anche Rin, ciò che maggiormente contraddistingueva un vero musicista era la sua capacità di controllo dello strumento, che diventava una parte di sé. Un vero violinista, ad esempio, non guardava mai ossessivamente l’archetto o che le corde fossero ben tirate; maneggiava il suo violino come se fosse un vero e proprio arto.
E anche lo spartito per un musicista era una debole traccia, e non una guida obbligata da osservare per tutta la durata del pezzo. Quello che un artista suonava gli era dettato dal cuore, e solo quella poteva essere definita musica a tutti gli effetti. La musica non è forse un meraviglioso modo per esprimere i propri sentimenti? Allora non dovrebbe essere affidata a una risma stampata in fitto di note e accordi. Tutto ciò che serve a un musicista è la passione. Era con questo credo che Rin era cresciuta e non aveva mai smesso di ragionare in quel modo, nemmeno quella sera.
I sentimenti e la passione che il ragazzo metteva nei gesti ben misurati, in quell’aria seria eppure in un certo senso libera ma quasi sofferente, erano così tangibili che Rin sentì chiara la sensazione della pelle d’oca sulle braccia scoperte. Si lasciò sfuggire un basso sospiro, e a quell’attimo di distrazione la musica si interruppe e gli occhi azzurri del violinista si posarono su di lei, con un’espressione sorpresa.
Rin sentì le guance andarle in fiamme quasi subito, eppure non riuscì a muoversi. L’interruzione della melodia triste aveva completamente ucciso l’atmosfera, e quelle iridi così radiose che sembravano illuminare l’intera radura l’avevano immobilizzata, esattamente come un cerbiatto che alla vista di una luce improvvisa nel buio non riesce a continuare a correre.
Alla fine, la prima a cedere ed abbassare gli occhi fu proprio lei. Mai come in quel momento ringraziò il cielo che quell’incontro fosse avvenuto con il buio; sarebbe morta di imbarazzo al solo pensiero che qualcuno potesse averla vista arrossire così vistosamente.
“Mi dispiace molto... io non volevo...” borbottò quasi inudibile. “Ora me ne...” e senza la forza di terminare la frase, si voltò e imponendosi di non correre, tanto per mantenere un’ultima aria di dignità, si avviò veloce lontana dalla radura.
“Ehi, aspetta!” la chiamò il ragazzo.
Lei si fermò, incapace di ignorare una voce come quella. Chissà perché, ma le provocò un brivido ancora più forte di quando aveva ascoltato il suo violino suonare.
“Scusa” lo sentì dire, dietro di lei. “Ti ho spaventata?”
“No, non preoccuparti” assicurò Rin.
“E’ che non mi capita spesso di avere un pubblico...” spiegò lui.
Rin spalancò gli occhi. Un ragazzo così bravo, che non aveva nessuno disposto ad ascoltarlo? Non poteva crederlo possibile. Si voltò per guardarlo in faccia. Era anche più bello visto di fronte. “Sul serio? Nessuno sa quanto tu sia talentuoso?”
“Be’”, arrossì leggermente per il complimento, “suonavo per i miei genitori, ma da quando sono morti non me la sento di far ascoltare la mia musica a chiunque. Era una specie di rito, ecco...”
“Oh” fu tutto ciò che riuscì a dire lei. Abbassò lo sguardo imbarazzata per l’enorme gaffe commessa. “Scusa” mormorò. Non sapeva nemmeno lei di cosa si stesse scusando, ad essere sincera; forse era per il poco tatto che aveva usato davanti a uno sconosciuto, o magari anche per il fatto di aver interrotto una specie di cerimonia così importante... e l’ultima cosa che voleva era che quel ragazzo fosse irritato dal suo comportamento invadente.
Ad ogni modo, anche se lo fosse stato, non lo diede per niente a vedere. Al contrario, sorrise prima di replicare: “Figurati” e avvicinarsi a lei. Le tese la mano. “Io mi chiamo Len.”
“Sono Rin” si presentò la ragazza. Lui prese tra le dita quelle di Rin e le baciò galantemente.
Quella sera almeno una cinquantina di giovani dovevano averle rivolto lo stesso gesto, ma nessuno le aveva provocato un misto di compiacimento e piacevole sorpresa. Le parve persino di sentire il cuore perdere un battito con un tumulto sonoro, così tanto che si sorprese che Len non lo avesse sentito, vicino com’era.
“Quindi... vieni a suonare sempre qui?” chiese Rin. Cominciò a guardarsi intorno senza apparente motivo e mostrando finto interesse per gli alberi che circondavano la radura; riuscì a mascherare i sentimenti contrastanti solo fino a quando Len ricominciò a parlare, e sentì nuovamente le guance in fiamme.
“Sì, tutti i giorni. Nel posto dove abitavo prima io e i miei suonavamo in una radura simile, e se non fosse per loro non saprei suonare, adesso.” Sorrise nostalgico. “Spesero tutti i loro soldi per regalarmi il violino e mi insegnarono loro stessi. Dicevano che erano molto fieri di me... spero... che lo siano ancora.”
Rin mantenne un silenzio rispettoso, incerta su come fosse stato opportuno reagire. Non aveva mai dovuto affrontare un lutto importante in vita sua, e non aveva idea di come gestire la conversazione.
Fortunatamente il momento malinconico venne interrotto dallo stesso Len, che tornò al presente. “Tu sai suonare qualcosa?”
“Sì, ma non sono brava quanto te.”
E la sua non era affatto modestia; Rin era stata del tutto sincera. A dirla tutta, non era sicura di aver mai sentito qualcuno suonare bene come quel ragazzo, se non pochi professionisti.
“Posso essere indiscreto? Cosa ci fai da queste parti a sera inoltrata?”. Le rivolse uno sguardo perplesso. “Non è pericoloso?”
Per una qualche ragione Rin si era quasi dimenticata delle circostanze che l’avevano portata fino a lì; ma quando, alla domanda di Len, le tornò tutto in mente quasi folgorandola, si esibì in un’espressione di stupore e si rese finalmente conto di essere mancata davvero troppo a lungo dalla festa. Se qualcuno se ne fosse accorto, una volta tornata, avrebbe dovuto affrontare una marea di guai.
“Scusa!” implorò voltandosi di scatto. “Mi staranno cercando... devo andare!”
“Ehm... va bene” improvvisò Len, mettendo da parte la sorpresa per la reazione della ragazza. Rimase immobile a guardarla allontanarsi di corsa, le scarpe ancora in mano e il vestito che svolazzava. “Comunque... è stato un piacere conoscerti! Spero di rivederti...” le ultime parole si persero a causa della distanza che si stava facendo sempre più grande.
E che Rin stava cominciando a percepire come un dolore quasi fisico.

_______________________________________________________________


http://www.youtube.com/watch?v=Egf3Sbtp9TQ

Allora.
Prima di tutto: no, non sono morta! *realizzazione*
Secondo, io vi avevo avvertiti che sarei tornata a rompere scrivere, giusto? E che ritorno! Con una storia ancora più smielosa di tutte quello che io abbia scritto in vita mia. Ma non posso farci nulla. La storia di Yume Sakura
 mi ha ispirata troppo. Sin da quando l'ho ascoltata per la prima volta, lentamente, ha risalito la classifica delle mie canzoni Vocaloidose preferite fino a superare Paradise of Light and Shadow e posizionarsi in vetta (be', non proprio LENTAMENTE ad essere sinceri... dopo un minuto che la acoltavo ho decretato: ok, questa è la mia nuova ossessione quindi si salvi chi può).
Ps. Tutti i titoli dei vari capitoli, come anche quello della storia intera, sono delle frasi prese dalla traduzione del testo. L'unica traduzione in italiano che ho trovato è un po' bruttina, ed ho preferito mettervi quella inglese che io amo e venero çwç (lato negativo di frequentare un liceo linguistico Dx)
A chiunque mi seguirà (leggi: nessuno), vi voglio bene e al prossimo aggiornamento <3

AVVISO: provvedete a prendere un appuntamente con il vostro dentista al più presto. La storia potrebbe provocarvi carie.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2~ I'll definitely be playing the violin here tomorrow ***


2~ I'll definitely be playing the violin here tomorrow
 

“Ti rendi conto di averci fatti preoccupare inutilmente?”
“Sì, padre.”
“E che le tue azioni avranno sempre delle conseguenze?”
Rin sospirò. “Sì, padre. Mi dispiace tanto.”
Il ritorno alla sala da ballo dopo l’incontro con il violinista non era stato certo piacevole quanto l’incontro in sé, ma quasi nulla del resto della sua serata lo era veramente stato. Una volta messo piede al ballo tutti gli invitati avevano smesso di muoversi e parlare, e, neanche il tempo si fosse arrestato, si erano volti all’entrata con un sincronismo perfetto, a guardarla.
Nell’immobilità generale l’unico a muoversi era stato il padre, che l’aveva raggiunta a passo di marcia e con cipiglio più severo di quanto lo avesse mai visto. L’aveva presa per un polso, senza dire una sola parola, e lei si era lasciata trascinare passivamente fuori dal salone seguita a ruota da sua madre, e accompagnata dal brusio insopportabile di tutta la gente che aveva assistito alla scena con curiosità piuttosto fastidiosa.
Quello sì che sarebbe stato un argomento bello caldo di cui parlare in paese.
Ad ogni modo, lei non avrebbe mai potuto sapere di cosa si sarebbe parlato in paese, siccome, per il suo comportamento inadeguato, venne reclusa nelle sue stanze fino a nuovo ordine.
Non che fosse poi così diverso dalla vita che conduceva normalmente. La regola era che non le era permesso uscire dalla loro enorme abitazione se non per andare a visitare i suoi parenti, e in ogni caso non poteva essere sola. Quindi relegata nell’intera casa o solo in un paio di camere, che differenza faceva, in fondo? Il tempo lo passava nello stesso medesimo modo: osservando il paesaggio fuori dalle finestre.
Ora però una nuova fantasia si era aggiunta alle sue solite; infatti, dovunque spostasse lo sguardo, vedeva Len, il violinista. Sapeva bene che erano immaginazioni - che, a dirla tutta, non gli rendevano nemmeno un briciolo di giustizia - ma non poteva fare a meno di sentire un piacevole vuoto alla bocca dello stomaco ogni volta che la sua mente le giocava quegli scherzi di pessimo gusto.
Non faceva che chiedersi se lui fosse lì, nella radura della sera precedente, a suonare il suo violino per un pubblico inesistente. Aveva detto che vi andava tutti i giorni per onorare la memoria dei suoi genitori, questo voleva dire che ci era sempre andato? E lei non lo aveva mai notato?
Si imbronciò solamente a un pensiero del genere. Come poteva essersi persa, per tutto quel tempo, una cosa del genere? Poter frequentare un ragazzo al di fuori di casa sua o dell’approvazione del padre era impensabile - se la gente ne fosse venuta a conoscenza, ovviamente. Ma se solo fosse rimasto un segreto, allora avrebbe potuto passare del tempo in sua compagnia. In fondo, suo padre era sempre a palazzo per volere dell’imperatore; sua madre e le sue ancelle passeggiavano per intere ore per i parchi e le strade della città, mentre il resto della servitù della casa non era certo ossessivamente interessata a ciò che faceva Rin nel suo tempo libero. Nessuno si sarebbe accorto se fosse mancata per un paio d’ore.
Ma il problema era proprio questo; Len aveva detto che andava nella radura tutti i giorni, ma non aveva precisato esattamente quando. Era impossibile che ci andasse di sera, se no lo avrebbe specificato; ciò restringeva il campo alla mattina e il pomeriggio.
Rin, da parte sua, pregava che si trattasse della seconda opzione; la mattina sua madre era presente e le dedicava del tempo per insegnare alcuni lavori che, una volta diventata moglie e madre, le sarebbero stati utili. Prima dell’ora di pranzo, quindi, non sarebbe riuscita mai a liberarsi.
Guardò attentamente fuori dalla finestra della sua stanza a pian terreno: uscire da lì sarebbe stato un giochetto. La camera dava sul giardinetto sul retro della casa, che a sua volta lasciava il via libera a un boschetto di rovi che, una volta oltrepassato, se non sbagliava... portava dritto alla radura di ciliegi.
Quella stessa mattina controllò scrupolosamente che il giardino avesse un’uscita per il bosco di rovi; quando lo ebbe appurato del tutto, sorrise sentendosi invadere da una bizzarra, quasi insensata gioia. Decise che avrebbe tentato la sorte quel pomeriggio. Di più non sarebbe riuscita ad attendere.
 

***

 
Come aveva sperato, non senza una certa sorpresa per le sue supposizioni azzeccate, Len andava a suonare il violino nella radura di ciliegi ogni pomeriggio. Vi rimaneva per almeno un’ora, poi raccoglieva strumento, archetto e custodia e silenzioso se ne andava com’era arrivato.
Sulle prime Rin avrebbe voluto mostrarsi a lui e parlare un po’, ma poi si sarebbe sentita un mostro, come una profanatrice di quel rito che Len compiva ogni giorno per i suoi genitori. Quella prima sera aveva avvertito quanto amore mettesse in quel gesto abituale, e non aveva alcuna intenzione di interromperlo solo per fare quattro chiacchiere. Inoltre, ascoltare la sua musica di nascosto si era rivelato un qualcosa di così tranquillizzante e spontaneo che Rin si sorprendeva di quanto un’ora durasse poco in sua compagnia.
Sin dal primo pomeriggio che era sgattaiolata fuori di casa, con la stessa eccitazione che contraddistingue chi fa qualcosa di sbagliato e sa di infrangere le regole, era giunta alla radura prima di Len. Si era chiesta a lungo se aspettarlo nel bel mezzo del prato o nascondersi dietro un albero, e aveva iniziato un’ardua battaglia con se stessa su come sarebbe stato meglio farsi vedere. Ma una volta che lo aveva sentito avvicinarsi aveva dimenticato tutti i suoi ragionamenti e gli arti avevano agito al posto suo, facendola appostare dietro il primo tronco che aveva trovato.
E così era rimasta per tutto il tempo che Len aveva suonato; seduta, la testa abbandonata sulla corteccia e gli occhi chiusi, mentre stava ben attenta a non fare un solo rumore che potesse interrompere quella melodia, com’era già successo.
I giorni si susseguirono così: Rin fuggiva ogni pomeriggio da casa e raggiungeva la radura appena pochi minuti prima che arrivasse Len. Poi godeva in silenzio della musica che il ragazzo creava, motivi sempre diversi ma che conservavano perennemente un che di tormentato. Si sentiva benissimo che quel ragazzo doveva aver sofferto parecchio. Rin avrebbe voluto aiutarlo in qualche modo, farlo parlare, ma non aveva mai il coraggio di alzarsi e interrompere i suoi componimenti. Per quanto belli erano così personali che la ragazza ogni tanto si vergognava ad assistervi così di nascosto.
Un pomeriggio di quelli Rin era più stanca del solito. Aveva fatto di tutto, la mattina, pur di liberarsi dei suoi impegni, siccome la madre aveva in programma di insegnarle a cucire per tutto il giorno. Arrivò appena in tempo per sedersi sotto il solito albero e appoggiare la schiena all’arbusto, poi abbassò le palpebre già pesanti e tutto intorno a lei divenne ovattato: si stava addormentando. Solo la dolce melodia rimaneva nitida nella sua testa e la trasportava attraverso un vortice indefinito e caldo di colori e profumi...
Finché una voce non la riportò, brusca, alla realtà.
“Oggi ti sei addormentata? In effetti questo è uno dei miei pezzi più lenti in assoluto” ridacchiò con tono divertito.
Rin ci mise un po’ per mettere a fuoco la scena, ma già dalle prime immagini sfocate aveva capito chi si era rannicchiato di fianco a lei e la stava guardando da vicino. Portò le mani al viso imbarazzata, per nascondere l’improvviso rossore, e imprecò mentalmente - questa volta non aveva il buio dalla sua parte. “Mi... mi dispiace!” pigolò. “Non volevo...”
“Cosa? Addormentarti? Spiarmi?”
Quelle parole la colpirono come un pugno, e i suoi occhi cercarono un piccolo indizio di irritazione o presa in giro nell’espressione di Len, che tuttavia sembrava serena. Allora stava solo scherzando, o cosa?
“Non fare quella faccia!” rise Len, risata che fece arrossire la ragazza ancora di più. “Sul serio, smettila di sentirti così a disagio. Insomma, per tutte le volte che sei venuta ad ascoltarmi ormai dovresti esserti abituata alla mia presenza, come io mi sono abituata alla tua.”
“Tu... sapevi...?”. L’aria le si mozzò in gola per l’improvvisa scoperta. Non avrebbe mai immaginato che Len sapesse sul serio di essere origliato da quasi una settimana a quella parte.
“Certo, fin dall’inizio. Ma mi stava bene così, davvero.”
“Allora non ti ho offeso?” chiese lei preoccupata.
Len le sorrise con dolcezza. “Mi fa molto piacere che qualcuno apprezzi ciò faccio, Rin”.
Non lo aveva ancora sentito pronunciare il suo nome, e la sensazione che ne derivò le piacque parecchio.
“Quindi... non hai nulla in contrario se rimango? Non sono invadente o fastidiosa, vero?”
“Ti fai troppi problemi”. Len si alzò e le tese la mano per aiutarla a fare lo stesso; lei accettò cercando di controllare il tremore delle dita. “Non è mica una pratica segreta o cos’altro. Il suono di un qualsiasi strumento musicale, come quello di una voce, è stato inventato apposta perché appaghi le orecchie e i sensi di qualcuno che ascolta.”
“Ami molto la musica, vero?” chiese Rin premurosa. Non aveva mai potuto fare a meno di notare il tono reverenziale con il quale Len ne parlava.
“Be’, è ovvio. Vedi, dopo il... il... terremoto” sembrava che pronunciare quella parola fosse stato molto difficile per lui, tuttavia continuò imperterrito, “insomma... dopo che i miei genitori sono morti, mi è rimasta solo la quella.”
“Non hai nessuno che ti accudisca?”
“Sì, certo. Però non è come prima. Le cose sono tornate lentamente alla normalità, o quasi... però certe cose come una catastrofe naturale... non si dimenticano molto facilmente.” Si portò una mano al petto, dove batteva il cuore. “Alcune volte sento che mi fa male, come se si stesse stritolando, e penso che forse sto per morire. Poi ricomincio a suonare e le note mi entrano dentro... è difficile spiegarlo. Però mi salvano. È come un lenitivo. Ed è per questo che davvero non posso fare a meno della musica. È la mia ancora di salvezza e l’unica cosa a cui aggrapparmi per andare avanti.”
“Se hai bisogno di qualcos’altro a cui aggrapparti, ci sono io adesso” propose audacemente Rin, sentendosi poi invadere le guance da un’ulteriore vampata di calore. Non si era resa subito conto di ciò che aveva detto, ma poco dopo avrebbe preferito mordersi la lingua per punirsi della sua sfacciataggine.
Len però non sembrava pensarla allo stesso modo. “Ti ringrazio molto, Rin. Sei...” sembrava stesse cercando la parola adatta per descriverla, e quando la trovò, la pronunciò fissando gli occhi limpidi in quelli di Rin, “particolare. In senso buono, però. Nessun altro si avvicinerebbe a uno come me, lo sai, vero?”
Prese in mano il violino, poi le lanciò uno sguardo interrogativo. “Ti dispiace se continuo? So che ormai ne avrai abbastanza, ma proprio non riesco a stare senza.”
“Ti ascolto, Len” disse solo la ragazza, ferma in piedi di fronte a lui.
Così Len ricominciò a suonare, e ogni altro suono molesto parve tacere per tutto il tempo che la melodia riempì l’aria della radura; come se tutto il mondo avesse smesso di girare, solo per non disturbare quell’atto di rispetto e passione che il ragazzo creava passando un archetto sulle corde tese. Se Rin non fosse stata in piedi, ma avesse continuano a sonnecchiare all’ombra dell’albero di ciliegio dove Len l’aveva trovata, avrebbe giurato che quell’armonia fosse frutto di un suo sogno; era davvero troppo bella per essere vera. Però era diversa da quelle con cui si era esibito in precedenza: era sempre triste, certo... ma sembrava conservare un tono di speranza.
Quando terminò, gli altri suoni e rumori ricominciarono e tutto ciò che era rimasto sospeso per non interromperla iniziò di nuovo a vivere.
“E’ una delle migliori che tu abbia suonato” mormorò Rin quasi folgorata. “Ce l’ha un titolo?”
“Non proprio... pensavo...”, sembrò esitare un attimo, “...ma no. È difficile da spiegare.”
Rin lo guardò curiosa. “A cosa avevi pensato?”
“Ecco, il fatto è che questa l’ho composta di recente... e forse... credo di essermi ispirato a te per scriverla” confessò, gli occhi bassi e il tono di chi sta rivelando un qualcosa di molto segreto e personale. “Quindi pensavo di chiamarla... Yume Sakura*. Non chiedermi perché, però.”
“Va bene, non ti chiederò il perché”. Rin acconsentì alla sua richiesta e si sentì colmare di una gioia e compiacenza ingenua, sentimenti che ormai non le appartenevano più da troppo tempo. Era come se fosse rinata. Alzò gli occhi per incontrare quelli chiari, sofferenti di Len. “Non è che potresti suonarmela di nuovo?” pregò.
Len annuì e la magia ricominciò, avvolgendo il mondo in un barlume di luce soffusa che lo fece divenire un sogno invaso dai fiori di ciliegio.

 
______________________________________________________

*Yume Sakura = Sogno dei fiori di ciliegio. (O almeno è la traduzione più decente che sia riuscita a fare... Martina aiutami, tu che hai una conoscenza dell'inglese illimitata 
)
Non lo so. Sta diventando sempre più smielato. Non è un po' troppo esagerato, secondo voi?
E anche voi, non vi avrò davvero provocato una seduta d'urgenza dal dentista per le troppe carie, vero?
BTW, vi ringrazio per le recensioni e per chi ha già messo la storia tra i preferiti/ricordati/seguiti.
Nel prossimo capitolo arriveranno altre Vocaloid. Simpatiche. Davvero. AncheMikucoooooff.
Bacio e vi voglio taaaaaaanto bene 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3~ His mere existence has colored all in me [...] ***


3~ His mere existence has colored all in me since his violin sounds surrounded me
 
Yume Sakura stava diventando una vera ossessione per Rin. Quella melodia le aveva riempito il cuore in modo così forte e definitivo che la sentiva ovunque, non la abbandonava mai, nemmeno durante i pasti. Si ritrovava a canticchiarla con le labbra strette e si faceva persino riprendere dalla madre, poiché cantare a tavola era maleducazione. E insieme alla canzone, ovviamente, la perseguitavano il volto e la voce del suo compositore.
Len era il primo pensiero quando si svegliava la mattina e l’ultimo prima di addormentarsi. In quell’unica ora che avevano a disposizione nell’intero giorno per stare insieme, Rin gli si posizionava esattamente di fronte, mentre lui suonava e la faceva salire in Paradiso solo con un paio di accordi. Si cibava letteralmente della sua musica; era diventata l’unico vero sprazzo di luce che colorava le giornate tutte uguali a cui era costretta.
Non era intenzionata a perdere nemmeno uno di quegli incontri che la facevano sentire così viva, ma non sempre tutto poteva andare secondo i piani, e Rin lo imparò a sue spese una giorno della seconda settimana che la loro “storia segreta”, se così si poteva definire, era iniziata.
Erano arrivate a casa sua alcune amiche proprio nell’istante in cui Rin avrebbe dovuto infilarsi fuori dalla finestra del pian terreno e raggiungere la radura. Quando la madre arrivò ad avvertirla finse di guardare interessata il paesaggio primaverile e l’aria piena di petali di fiori di ciliegio.
“Sono arrivate Miku, Gumi e Neru, tesoro. Sono venute a trovarti” la informò.
Rin si esibì nel suo sorriso più tirato che potesse mostrare, ma la donna non notò nulla di strano e disse solo: “Ti stanno aspettando nell’atrio, cara.”
Dopo aver rivolto un’ultima occhiata triste alla finestra semi aperta, seguì sua madre a salutare le ragazze.
Decisero di prendere il tè al tavolo basso nel salotto dei ricevimenti e iniziarono a parlare del più e del meno, ma Rin non riusciva ad entrare in conversazione. Non che fosse davvero interessata alle futilità delle quali stavano discutendo; i suoi pensieri erano tutti rivolti in un’unica direzione.
Len sta suonando il violino e io non ci sono. Len penserà che non voglio più stare in sua compagnia. Len si starà preoccupando. Len se ne andrà via senza vedermi, oggi. Len suonerà Yume Sakura senza di...
“...che ne pensi, Rin?”
“Ehm?” fu tutto ciò che uscì dalla sua bocca quando tornò alla realtà. Fino ad allora, nel tempo nel quale le altre ragazze non le avevano rivolto la parola, aveva potuto vagare indisturbata con la mente per la radura di ciliegi al fianco di Len. Ora che tutta la magia era svanita - o meglio, loro l’avevano fatta svanire - si sentì infastidita senza apparente motivo. “Che c’è?”
Insospettita dal suo tono brusco, Gumi si sporse verso di lei. “Sicura di stare bene? Non hai detto niente!”
“Se non ho detto niente è perché non ho niente da dire” replicò acida Rin.
Gumi arrossì imbarazzata ed abbassò lo sguardo, facendole provare un sottile senso di colpa, mentre la reazione delle altre fu ben diversa. Miku rimase perfettamente impassibile, Neru si agitò sul cuscino.
“Che modi” si lamentò, arricciando le labbra. “Ti ho solo chiesto cosa ne pensi.”
“Di cosa?”
Neru sbuffò esasperata. “Lo vedi che non stai attenta? Ho appena detto che mio padre ha approvato il mio imminente matrimonio con Hiyama” ripeté orgogliosa.
“E’ fantastico” commentò Rin, sorseggiando il suo tè.
Gli occhi di Gumi scintillarono, completamente dimentica della rispostaccia ricevuta precedentemente; lei era sempre stata la più romantica ed esaltata di tutte, riguardo ai sentimenti. Ogni volta che si parlava di matrimoni o fidanzamenti era la prima ad iniziare e l’ultima a finire. “Io trovo che sia una cosa magnifica!” squittì, la voce quasi caramellata. “E’ bellissimo trovare l’amore della propria vita e avere un padre tanto comprensivo da permetterti di stare con lui!”
“Lo so, è stata una fortuna. Non mi è andata bene come a Luka”. Neru fece una smorfia. “Poverina, sembra che il marito con il quale è stata costretta a sposarsi l’abbia picchiata più volte. Mi chiedo come una donna possa continuare a vivere un’umiliazione del genere.”
“Dovresti chiederti come un essere umano possa essere così spregevole, più che altro” si intromise Miku con il solito tono di chi non è veramente interessato alla conversazione, riferendosi evidentemente al marito di Luka. “Io mi rifiuterei di sposare un delinquente del genere.”
“Ma c’è chi non può scegliere!” protestò animata Gumi. Era più che evidente che la sola idea la infastidisse parecchio. “Le figlie di famiglie molto ricche e importanti non potrebbero mai permettersi di opporsi a un matrimonio combinato!”
“Come Rin.”
L’affermazione schietta di Neru la fece trasalire, risvegliandola dalla nuova trance nella quale era caduta, e facendo sfumare l’immagine di Len che le era ritornata inesorabilmente in mente.
Realizzò, nell’attimo in cui un silenzio tombale gravò sulla sala, ciò che la sua cosiddetta amica aveva asserito, poi socchiuse gli occhi. “Grazie per avermi ricordato di non avere scelta, Neru” disse solo.
“Dev’essere orribile il pensiero di non potere decidere con chi passare il resto della propria vita. È come condurre un’esistenza passivamente in attesa che qualcun altro faccia delle scelte al posto tuo, come essere in prigione” continuò Neru, melliflua.
Gumi trattenne il fiato curiosa di sapere come sarebbe andata a finire, mentre Miku rimescolava il suo tè nella preziosa tazzina di porcellana con aria disinteressata, questa volta palesemente finta. Rin fece un mezzo sorriso triste in direzione dell’amica bionda. “Se non avresti potuto sopportarla, allora è una vera fortuna che non ti sia toccata questa sorte. Tu e Hiyama starete benissimo insieme e auguro agli sposini tanta felicità. A quando le nozze?”
La voce candida che Rin aveva usato spaventò Gumi e fece sgranare gli occhi di Miku e Neru, che mai l’avevano sentita parlare in quella maniera.
Neru abbassò gli occhi sul suo tè. “Come siamo nervose oggi” fece, tagliente.
“Ho solo chiesto quando si svolgerà il matrimonio” rispose Rin con finta innocenza.
“Ti ho sentito” sbottò l’altra. Appoggiò delicatamente la tazza di tè sul tavolo di legno pregiato e si alzò. “Ci sposeremo quest’estate, e spero vivamente di non rivederti fino ad allora.”
“Sentimento reciproco” rispose serena Rin, e non aggiunse altro. Guardò impassibile Neru schizzare fuori di casa come una scheggia, seguita a ruota da un’emozionata Gumi e una più esitante Miku, che invece la fissava preoccupata. “Sicura che vada tutto bene?” le chiese.
Rin annuì. Non aveva voglia di sprecare altre parole in una discussione anche con lei, o avrebbe perso troppo tempo prima di raggiungere la finestra e scappare nel posto nel quale avrebbe dovuto essere fin dall’inizio.
 

***

 
Quando però riuscì a giungere alla radura, si rese conto che era troppo tardi. Len doveva già essere andato via da un pezzo, e lei non era riuscita a fare in tempo nemmeno a vederlo.
Si insultò mentalmente. Possedeva solo un’ora, un’ora soltanto in tutto il giorno in cui potesse condividere il suo tempo con lui. Non parlavano quasi mai, ma nessuno dei due pareva avvertire la mancanza delle parole, né averne davvero bisogno; tutto quello che dovevano comunicarsi, lo facevano con sguardi complici e con la musica che aleggiava nell’aria. Ed erano proprio quelle cose, che potevano sembrare piccole o insignificanti agli occhi di chi non le vive, che riuscivano a colorare l’esistenza di Rin da due settimane a quella parte. Effimeri momenti senza un particolare senso, che la facevano sentire bene: dunque perché sprecare delle occasioni d’oro come quelle, solo per degli inutili litigi con delle ragazzine arroganti e snob come Neru? Non che non volesse bene alle sue amiche - Gumi era dolcissima, e forse era l’unica per la quale si sarebbe davvero sentita in colpa - ma in quei giorni solo una persona aveva la priorità assoluta.
Era ancora impegnata a tenersi la testa fra le mani e infuriarsi con se stessa, quando, contro ogni previsione o logica, Len entrò nella radura. Nel suo solito vestito nero e sobrio, la sua figura saltò subito all’occhio davanti a quella abbagliante rosa candido dei fiori di ciliegio che lo circondava.
La prima cosa che Rin notò era che non aveva la custodia del violino. Sebbene sapesse che l’educazione richiede che quando si incontra una persona per la prima volta in un giorno si saluti, in quel momento l’etichetta passò in secondo piano e la domanda di Rin salì spontanea alle labbra: “Dov’è il tuo violino?”
Len sorrise enigmatico. “Ciao anche a te. Com’è andata la tua giornata?”
All’espressione confusa di Rin a causa di quella risposta inaspettata, Len scoppiò in una risata divertita. “Andiamo, ti metto davvero così in soggezione quando parlo?”
Rin, per tutta risposta, abbassò lo sguardo imbarazzata.
“Va bene, scusa” le disse lui. Dopo un po’ si fece serio. “Scusa. Mi sa che mi preferisci quando suono e sto zitto, vero?”
“No, mi piace la tua voce” confessò Rin.
Len la fissò per un istante che parve interminabile, con un’espressione difficile da descrivere. Pareva tra il sorpreso, il curioso e il divertito. Rin non poté fare a meno di chiedersi cosa lui ci trovasse di così interessante in lei; ogni volta che il ragazzo posava i suoi occhi nei propri, sembrava trapassarla da parte a parte e scavarle dentro.
“Comunque, il violino l’ho appena portato via” ricominciò a dire, dopo aver distolto lo sguardo da lei. “Ero venuto un’ora fa come sempre, ma tu non arrivavi e sono tornato a casa... non so cosa mi abbia portato a tornare qui, dopo. Chiamala intuizione. Però in un certo senso sentivo che saresti venuta prima o poi.”
“Alcune mie amiche mi hanno relegata in casa a prendere un pessimo tè” si giustificò Rin.
Len fece una smorfia. “Ah, neanche a me piace il tè” le disse in tono complice. “Ad ogni modo, sai come si dice... meglio tardi che mai. E a me fa piacere vederti.”
“Anche a me.”
“Mi dispiace solo che non potrò suonarti Yume Sakura oggi...”
“Non importa” Rin sorrise. “La suonerai domani. Vedrai che non mi farò attendere come una prima donna.”
“Non è stata mica colpa tua...”. Il sussurro di Len si spense mentre Rin si guardava intorno, in cerca di qualcosa che potesse riavviare una conversazione. Oltre al fatto che non era mai stato troppo brava con le parole, si aggiungeva l’assoluta inesperienza nel parlare con Len. Non era mai capitato loro di doversi fare una chiacchierata. Non aveva idea di cosa dire.
Len, a quanto pareva, invece sì. “Sai, Rin... stavo pensando a una cosa. Io un po’ della mia vita te l’ho raccontata, vero? Sai del terremoto, eccetera... però non conosco molto della tua.”
Ecco una nota dolente: non avevano mai parlato della vita di Rin, perché lei aveva sempre evitato volutamente quell’argomento. Non che si vergognasse di essere schifosamente ricca, ma non le sembrava adeguato parlare di una vita dorata a un orfano che aveva perso i genitori in seguito a una catastrofe.
E, a dirla tutta, c’era anche una seconda ragione, quella che la terrorizzava più di tutte. Aveva paura che Len avrebbe iniziato a vederla diversamente... non più come una ragazza normale, ma una ragazza ricca. Una da frequentare solo e unicamente per il denaro.
Si schiarì la voce. “Oh, in realtà non c’è molto da dire. Non siamo né troppo poveri, né troppo benestanti. Siamo una famiglia esattamente nella norma, e facciamo cose esattamente nella norma.”
“Davvero?” Len assunse un finto sguardo dubbioso. “Qualche settimana fa ho sentito delle voci molto divertenti in paese. Dicevano che la figlia di un consigliere dell’imperatore, quella sera, era sparita da una festa mondana per quasi mezz’ora, facendo preoccupare tutti gli invitati. Quando è tornata non portava nemmeno le scarpe, sai?”
Rin deglutì.
“E’ una cosa buffa. Ho subito pensato a quando ti ho incontrato; sembrava proprio tu fossi appena scappata da una specie di ballo ed eri scalza. Ho pensato che fosse una strana coincidenza.”
“Davvero?”
“Già” confermò Len. Riusciva a stento a trattenere le risate. “Insomma... non hai nulla da dirmi, quindi?”
“Ehm” fu il modo brillante di Rin di iniziare, cosa che fece ulteriormente sorridere il violinista, “come posso dire... mi dispiace molto” esordì.
Len annuì, come a dire: “va bene, è un buon inizio”.
“Ecco... mi dispiace molto di non avertelo detto prima ma... avevo paura che...”
“Che?”
“Che... le cose non sarebbero più state le stesse” ammise Rin. “E che... avresti cominciato a pensare a me solo a una da frequentare perché è ricca.”
Un silenzio snervante seguì quell’affermazione, durante il quale Len cacciò le mani nelle tasche dei pantaloni e osservò, con gli occhi azzurri leggermente adombrati, un punto indefinito di fronte a sé. “Ah, allora è così” fece, e Rin fu sicura di percepire, con orrore, un tono di disappunto nelle sue parole.
“Le...”
“Non dire niente” la interruppe lui. “Se è questa la considerazione che hai di me... be’, non credo ci sia molto da dire a questo punto.” Ridacchiò. “Se hai paura che continuerò a stare con te per i tuoi soldi come una specie di cacciatore di dote, allora è meglio se smettiamo di vederci.”
“No, Len.”
Lui fece un gesto secco con la mano. “Che importa? Andrò a suonare da un’altra parte.”
Si voltò, ma non fece in tempo ad avanzare di un solo passo in direzione dell’uscita dalla radura, che sentì il contatto con un corpo caldo sulla schiena, e un paio di braccia esili gli circondarono la vita. Rimase così sorpreso da quell’improvviso, inaspettato gesto d’affetto da parte di Rin che non ebbe nemmeno la forza - o la voglia - di dimenarsi e scrollarsela di dosso.
“Non...” la voce di Rin gli giunse ovattata, soffocata dalla stoffa della giacca nera nella quale la ragazza aveva affondato il viso, “non andartene.”
“Rin, io...” fece Len interdetto, ma lei lo anticipò.
“Non volevo dire quelle cose. È solo che non è facile, quando la gente fa finta di provare qualcosa per te solo per il denaro. Non volevo che succedesse anche a noi, avevo paura. Però non andartene, ti prego...”
Il ragazzo sentì distintamente il rumore nasale che la gente fa quando sta cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime; con una tenerezza infinita constatò che Rin non poteva essere più sincera di così, e si sentì sciogliere il cuore.
“Ascolta, va bene. Non è importante, ti perdono.” Non doveva essere troppo convinta, così aggiunse, in tono scherzoso: “Ti perdono, ma solo per questa volta”. La sentì sfregare il viso sulla sua schiena con un accenno di risata, e si sentì sollevato nell’accertarsi che la ragazza fosse felice delle sue parole.
“Ehi, Rin... ti ho perdonato. Adesso puoi lasciarmi” mormorò dopo una manciata di minuti che lei gli stava ancora aggrappato.
“Non abbraccio mai nessuno. Ti dispiace se rimango ancora per un pochino?”
“No, certo” acconsentì Len.
“Se vuoi puoi ricambiare.”
Len sorrise triste. “Così complicheremmo un po’ le cose.”
“Non importa. Mi va bene anche stare così.”
Nemmeno Rin riuscì a comprendere quanto quelle parole fossero vere per lei, fin quando non ebbe terminato di pronunciarle; si morse il labbro e continuò a cingere la vita di Len, che nel frattempo realizzava quanto dannatamente gli fosse mancato il calore di un abbraccio.

______________________________________________

Ditemi, si nota tanto che detesto Neru? Il fatto è che non riesco a sopportarla per una serie di valide ragioni:
1- E' praticamente la versione gialla di Miku con un solo codino. Oltre ad aver fottuto il colore sacrosanto dei Kagamine si è pure impossessata del corpo di Hatsune: la cosa mi infastidisce.
2- Ha anche la voce identica a quella di Miku, o, ancora peggio, a quella di Rin. La cosa mi dà sui nervi.
3- La shippano molto spesso con Len. *odio profondo*
Neru: Ma queste non sono ragioni valid--
Me: *spara* Vorresti contraddirmi per caso, o tu creatura immonda? ò.o
Neru: WTF ò.ò *fugge*
Non comparirà per il resto della fic, comunque ^^ Gumi, per fortuna, shì ** e tanto ** (non si capisce che l'adoro, no).
E anche Miku, che sarà uno dei personaggi portanti. Affilate le mannaie per la guerra, o mie fangirls sfegatate.
Detto questo, vi saluto e vi stimo per il fatto che sopportate ancora questa... questa roba... che io chiamo fanfiction. Kissu <3

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4~ But I know I have to get mature sometime ***


4~ But I know I have to get mature sometime
 
“Rin, tesoro, tuo padre vorrebbe dirti qualcosa.”
Al richiamo della madre, Rin alzò gli occhi dalla zuppa di riso e carne che i cuochi avevano preparato per la cena, posandoli sulla figura imponente del padre che, sebbene fosse inginocchiato, pareva troneggiare su tutta la lunghezza del tavolo. Masticava lentamente, come se non avesse sentito ciò che sua moglie aveva appena detto; tuttavia, come Rin sapeva bene, un uomo poteva prendersi tutto il tempo che voleva per parlare, e rispondere a suo piacimento quando fosse stato pronto. Così attese la notizia che doveva darle - e che già intuiva leggermente, a dire il vero - con le labbra strette. L’appetito le era passato tutto d’un tratto.
Alla fine il padre di Rin la fissò con quel suo sguardo austero, che provocava sempre soggezione su chiunque lo incontrasse. “Ho finalmente deciso chi potrà avere la tua mano, se vi intenderete bene.”
Rin non reagì affatto; quella non era una sorpresa. Eppure, sentì da qualche parte dentro il suo petto il cuore chiudersi in una morsa dolorosa. Prese un respiro senza farci caso e domandò: “E chi è, padre?”
“Non lo conosci ancora. Verrà probabilmente tra una settimana e rimarrà nostro ospite per qualche giorno, per fare in modo che vi conosciate meglio.”
‘Qualche giorno’ significava che non avrebbe potuto incontrare Len per parecchio tempo. Ma in fondo non poteva farci niente... se era stato suo padre ad ordinarglielo, lei non era nessuno per potersi tirare indietro.
“Potreste dirmi almeno il suo nome?”
Per un attimo temette di aver osato troppo, ma uno sguardo bonario di sua madre raggiunse il marito, che sospirò e rispose: “Kamui Gakupo.”
 

***

 
“Kamui-san! Lo conosco!”. Le guance di Gumi si tinsero di un improvviso rosso a quelle parole, e lei abbassò lo sguardo imbarazzata. “Ecco... l’ho visto in paese qualche settimana fa, e siccome era un così bell’uomo” altra vampata di fiamme sul viso, “ho voluto saperne di più da mio fratello. Mi ha detto che è un soldato celibe e di alta casta familiare. Gode di grandissima considerazione tra i comandanti degli eserciti, e credo abbia ricevuto anche un riconoscimento per il suo valore in guerra dall’imperatore stesso.”
Rin avrebbe volentieri evitato quell’argomento, ma ormai che ne stavano parlando ascoltò più interessata di quanto le piacesse, suo malgrado, ammettere. In fondo si parlava sempre di un valido candidato a diventare suo marito.
Nel frattempo invece, per tutta la durata del monologo di Gumi su quanto fosse bello e conosciuto il fantomatico Kamui Gakupo, Miku aveva continuato ad immergere delle foglie di limone nel tè con aria annoiata. Rin non poteva biasimarla; il discorso avrebbe annoiato anche lei, se non ne fosse stata interessata direttamente.
“Potresti darmi una descrizione?”
Gumi si riprese in un secondo dall’imbarazzo di poco prima e si riattivò come un vulcano in piena eruzione. Adorava i pettegolezzi almeno quanto l’amore, e se le due cose erano messe insieme, non la fermava più nessuno. “Certo che sì! Per quanto riguarda l’aspetto, è alto quasi un metro e novanta”, e qui perfino Miku si lasciò destare dal suo disinteresse; era molto raro che un uomo giapponese raggiungesse quell’altezza vertiginosa, “ha lunghi capelli viola che tiene in una coda e un fisico ben proporzionato. Ah, ed è ovviamente un fustaccio”, ridacchiò, “vorrei proprio vedere. È uno dei soldati migliori del Giappone!”
“E caratterialmente?” chiese Rin. Cercò di non sembrare troppo impaziente o inquieta, ma quella era la parte che le premeva più di tutto.
Evidentemente, però, non riuscì nell’intento di rimanere impassibile: Gumi le sorrise rassicurante. “Non devi preoccuparti di questo. Oltre al fatto che confiderai nel giudizio di tuo padre, ho sentito dire che è la persona più gentile e pacata che si possa immaginare.”
Solo a quel punto Rin poté davvero tirare un sospiro di sollievo, sebbene quello stesso dolore al cuore che aveva sentito la sera prima a cena fosse perennemente presente. E sapeva anche perché: Kamui Gakupo poteva essere il miglior marito del mondo, ma non sarebbe mai riuscito a possedere il cuore di Rin, che apparteneva già ad un’altra persona.
Non ci aveva messo molto, in realtà, a capire di essere innamorata di lui; subito dopo ciò che era successo l’ultima volta che si erano incontrati, era tornata a casa con il cuore che pareva impazzito. Solo quando si era resa conto che sembrava volerle dire qualcosa, chiuse gli occhi e il volto del violinista proruppe nella sua mente, come un muto ma forte messaggio.
Quindi, sì. Kamui Gakupo poteva essere il miglior marito del mondo, ma non sarebbe mai stato Len.
“Direi che è una buona notizia” commentò a sorpresa Miku, senza guardare nessuna delle due amiche in faccia. “Smettila di fare quell’espressione, Rin, ti è andata bene.”
“Infatti ne sono felice” avrebbe voluto dire Rin, ma prima che potesse formulare la parola “infatti”, Gumi, di fianco a lei, gonfiò le guance e tese la schiena verso Miku, che per effetto si piegò all’indietro. “Cosa stai dicendo!? Miku! Mi sorprendo del tuo modo di pensare!”
La ragazza dai lunghi capelli turchini sgranò gli occhi dello stesso colore, mentre il volto di Gumi le dardeggiava di fronte a pochi centimetri di distanza. “Ma che ti prende? Non hai detto anche tu che questo Kamui Gakupo sarà un buon partito?”
“Ma magari Rin non si innamorerà di lui!”
“E allora?”
“E... allora!?” ripeté Gumi, esasperata dal fatto che Miku non capisse. “Allora, come potresti dormire la notte all’idea che una delle tue più care amiche sia costretta a sposare un uomo che non ama!?”
Rin guardava la scena mezza divertita, mezza intenerita. Le preoccupazioni di Gumi le fecero quasi salire le lacrime agli occhi per la commozione, mentre la reazione che Miku ebbe dopo quelle parole trasformarono le lacrime di commozione in lacrime di risate.
“Sei fuori di testa, Gumi!”. Si rivolse a Rin. “Che hai messo in questo tè, si può sapere?”
“Oh, ragazze” sospirò Rin dopo essere scoppiata in una risata fragorosa. Appoggiò delicatamente una mano sulla spalla di Gumi. “Ti ringrazio di tutto, ma non c’è bisogno che tu stia così in pensiero per me. Addirittura non dormirci la notte mi sembra esagerato!”
“Esagerato!?” I suoi occhi brillarono: erano diventati lucidi. “Rin, io non sono insensibile come certe altre persone qui”, fece un cenno in direzione di un’imbronciata Miku, “e non ho nessun problema nel dirti che ti voglio bene e desidero che tu sia felice. Se così non fosse, be’... mi si struggerebbe il cuore!”
“E io non sono una fanatica come qualcun altro” si intromise Miku, riferendosi alla ragazzina dai capelli verdi, “per questo, anche se voglio bene a Rin anch’io, sono più realista. Ma questo non vuol dire che sia distaccata, capito? Dico le cose come stanno. Rin sapeva sin dall’inizio la sua sorte e se fossi in lei, adesso, sarei sollevata a pensare che il mio matrimonio combinato sarà con un uomo dal carattere accomodante. Dico bene?”
Guardò Rin con occhi pieni di aspettativa, e lei non se la sentì di darle torto. In fondo si sentiva così, come aveva detto Miku; ma si riconosceva anche nella versione di Gumi. La verità era che non sapeva se la notizia del probabile matrimonio con Kamui Gakupo fosse qualcosa di rassicurante, o di terribile.
 

***

 
“Dimmi, Len, tu ti sei mai innamorato?”
In altre circostanze Rin non si sarebbe mai sognata di interrompere una delle sue composizioni mentre venivano suonate, ma quella era una domanda che la stava tormentando da un po’ e aveva deciso di fargliela prima di conoscere Kamui Gakupo. Il perché, non lo sapeva; sapeva solo che ne aveva un bisogno impellente, anche se insensato.
La musica si interruppe, e Len portò la punta dell’archetto sul mento, in un’espressione pensierosa. “A dire il vero, sì. Mi sono innamorato recentemente.”
“Davvero?” chiese lei piuttosto stupita.
“M-mh.”
“E lei lo sa?”
Scosse la testa. “Non ho ancora avuto il coraggio di dirglielo.”
In un qualche modo, Rin quasi si convinse che stesse parlando proprio di lei; abbassò lo sguardo e sussurrò: “Sono sicura che se glielo confessassi, non potrebbe rifiutarti.”
Len fece un risolino. “Come fai a saperlo? Non la conosci nemmeno...”
“Magari se mi dici chi è potrei aiutarti...” lasciò la frase in sospeso, come a invitarlo a dire qualcos’altro che potesse darle un indizio su chi fosse la ragazza fortunata. Len non raccolse l’esortazione e stette in silenzio.
“Perché questa domanda?”
“Perché credo di essermi innamorata anch’io.”
Len si irrigidì, quasi impercettibilmente. “Ah, bene” fu tutto ciò che riuscì a dire. Si mise a fissare il violino e non distolse lo sguardo finché Rin non ebbe finito di replicare: “Ma è una cosa fin troppo improbabile, Len. Questa persona non potrà mai stare al mio fianco. Apparteniamo a due mondi totalmente diversi, e io sarò promessa ad un altro uomo molto presto. So che dovrei dimenticarmene e cercare di vedere le cose come stanno, ma non riesco a domare questi sentimenti incontrollabili. È totalmente impensabile che io smetta di amarlo.”
Mentre Rin lo guardava di sottecchi, cercando di mostrarsi il meno imbarazzata possibile, Len prese la custodia del violino e ve lo adagiò all’interno, richiudendola con un paio di scatti che riecheggiarono nel silenzio teso che si era creato.
“Tu sei un ragazzo intelligente.” Rin guardò davanti a sé, incapace di girare il volto in direzione del violinista, col timore di vedere la sua reazione. “Ovviamente avrai capito che parlo di te.”
“Sì, l’avevo intuito” lo sentì mormorare piano. Poi, più forte: “E’ per questo che me ne sto andando. Non posso rimanere qui, rischieremmo di oltrepassare un limite dal quale non potremmo più tornare indietro. Non voglio complicare le cose, non voglio metterci nei guai. Spero che tu lo capisca.”
Rin represse un piccolo singhiozzo, mettendoci tutta se stessa per non farsi sentire. “Cer... Certo.”
“Allora va bene.” Il ragazze esitò un attimo. “Non credo che verrò, domani.”
“D’accordo.”
Senza aggiungere altro, preso violino e custodia, a larghi passi nervosi si inoltrò nelle chiome rosa dei ciliegi, che ne nascosero la figura.
Solo in quel momento Rin si concesse di abbandonarsi a un pianto di sfogo. Aveva trattenuto le lacrime da quando la conversazione era cominciata, e le parole di Len l’avevano ferita in modo che non avrebbe potuto immaginare. Col senno di poi, si sarebbe data della stupida egoista. Davvero era così piena di sé da pensare che il mondo le girasse intorno, e che un ragazzo qualunque si sarebbe innamorata di lei come lei si era innamorata perdutamente? Davvero era così illusa che le storie d’amore ricambiate esistessero davvero, se non nelle favole? Quella era un’ulteriore prova che avrebbe fatto meglio a darsi una svegliata, prima o poi, e diventare l’adulta che gli altri volevano fare di lei.
Ma ogni volta che pensava alla sua situazione, era una nuova pugnalata al petto e altre lacrime incandescenti che le solcavano le guance.
Presto si sarebbe sposata, e non sarebbe mai stato con Len. Pugnalata numero uno.
Le responsabilità di moglie e madre non si sarebbero fatte attendere. Pugnalata numero due.
Aveva paura di diventare grande e affrontare il mondo non più nella bambagia. Pugnalata numero tre.
Len non la amava. Pugnalata numero quattro.
A quel punto, si disse, aveva solo due scelte: lasciarsi morire per le troppe brucianti stilettate, o fingere che andasse bene e farsi scivolare tutto sulla pelle. La scelta più facile e allettante, si sorprese di pensare, risultò essere quella di piombare nel baratro. Almeno così non avrebbe provato più nessun dolore acuto al petto...
“Però non piangere...”
Quella voce la distolse dallo stordimento. Mentre le lacrime cadevano incessantemente, si rese conto con un tuffo al cuore che proveniva dal punto nel quale Len era scomparso.
“Sei... sei ancora lì?” chiese con tono arrochito.
“Sì.”
“Mi dispiace per lo spettacolo penoso” si scusò, “è solo che non ero mai stata rifiutata prima d’ora. L’ho presa male, ecco tutta”. Sebbene stesse cercando di sminuire la cosa, lei stessa capì di non risultare troppo convincente. Si asciugò in fretta e furia un po’ le guance bagnate e attese una reazione di Len.
“Rifiutata”. Lo sentì sospirare in segno di rassegnazione. “Rin. Non sei ad essere stata rifiutata, sono io che sono un maledetto bugiardo.”
Rin non fece in tempo a capire cosa quelle parole volessero dire, che il ragazzo riemerse dalle fronde e, con un paio di rapide falcate, la raggiunse, facendola trasalire. Quando si rese conto di aver indietreggiato fino ad aderire con la schiena contro un tronco d’albero, non riuscì a dire nulla a causa delle labbra di Len che si posarono, più veloci, sulle sue. Rimasero a baciarla così a lungo che presto acquisirono il sapore salato delle sue stesse lacrime.
Quando il bacio finì, con uno schiocco sonoro, Rin inalò ossigeno per cercare di tornare lucida, mentre il violinista le sfregava i pollici sulle guance, in un timido tentativo di asciugarle.
“Len...?”
“Sono innamorato di te.”
“Ma...”
La fece tacere con un nuovo bacio, più morbido ma allo stesso tempo più determinato del primo, che la fece andare in visibilio. Quando le labbra di Len abbandonarono la sua bocca, riuscì ad articolare: “E il punto di non ritorno...?”
Non la lasciò nemmeno finire. “A questo punto che importa?” biascicò, quasi sarcastico.
“Avevi detto che non volevi complicare le cose...”
“Mentivo.”
“Avevi detto che non volevi metterci nei guai...”
“Mentivo... Rin. Te l’ho detto che sono un bugiardo.”
La baciò ancora, mentre Rin non riusciva a smettere di singhiozzare. Ma era ancora tristezza, gioia, o che altro?
“Non piangere...”. Un altro bacio. “Non piangere...”
Non capiva più nulla, così non seppe nemmeno quanto tempo stettero stretti l’uno all’altra a baciarsi e carezzarsi. Rin non smetteva di piangere e sentiva sempre nuove lacrime bagnarle la pelle... ma erano sempre e solo le sue? Erano così tante e inarrestabili che le venne il sospetto si fossero aggiunte anche quelle di Len...
Ma non importava. In quel momento non importava nulla. Neanche i fiori di ciliegio che sbocciavano e cadevano in un circolo perpetuo, che si posavano sui loro capelli e che sembravano aver percepito che tutto, di lì a poco, sarebbe inesorabilmente precipitato.

__________________________________________________

E siamo arrivati alla dichiarazione supersuperzuccherosa! Finalmente!
Non biasimatemi, per favore. Sono reduce da "
William Shakespeare's Romeo + Juliet" di Baz Luhrmann. Quell'uomo è un grande! E tutti i suoi personaggi sono così romantici. **
Mavabbè. Dicevamo? Ah sì, la dichiarazione.
Da adesso si creano tutti i casini che potete immaginare, e anche di più. x)
Perché io i miei personaggi preferiti li faccio soffrire!!
E non è detto che mi riferisca solo a Len e Rin (semi-spoiler).
Alla prossima x3 e grazie e chi continua a seguire, ovviamente! <3

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5~ Unforgivable but ardent feelings towards you ***


5~ Unforgivable but ardent feelings towards you
 
La settimana precedente alla visita di Kamui Gakupo fu all’insegna di incontri clandestini e baci incessanti. Nessuno dei due sembrava avere bisogno della musica come prima; a dire il vero, Len non suonò per tutti i pomeriggi che i due si incontravano nella radura di ciliegi. Non appena vedeva emergere Rin dai rami in fioritura, un improvviso disinteresse per il violino lo saturava e abbandonava lo strumento nella custodia, andando incontro alla ragazza e baciandola ancora e ancora, godendosi ogni singolo istante che il destino riservava ancora loro per stare insieme.
Già si erano resi ampiamente conto di quanto fosse sbagliato ciò che stavano facendo. Eppure, stranamente, ogni paura o pensiero svaniva alla vista dell’altro. Non avevano bisogno di approvazioni, rassicurazioni né tanto meno elogi di nessun genere; per essere disperatamente felici bastavano loro due.
Il pomeriggio prima del primo incontro con Kamui Gakupo, Rin era pericolosamente suscettibile. Per la prima volta, sentire Len suonare non la fece calmare, ma anzi le provocò un senso di nervosismo che la fece andare in bestia più di quanto già non fosse. Imponendosi di non perdere la pazienza con Len, che non c’entrava niente con la sua insensata rabbia, si strofinò le tempie con le dita mormorando: “Fermati... fermati un attimo.”
Len obbedì e la melodia si interruppe, facendo sfuggire alla ragazza un piccolo sospiro. “Lo metto via.”
Anche lui pareva molto più teso di quanto non fosse mentre suonava. Nel vedere Rin in quelle condizioni, le si affiancò e la prese per i fianchi. Lei si lasciò guidare dalle sue mani e gli si sedette vicino, facendosi circondare dalle sue braccia e abbandonando la testa sul suo petto.
“Sei preoccupata?”
“Tu sì che mi capisci bene” soffiò, ma subito dopo aver detto quelle parole pesantemente sarcastiche si pentì di avergli parlato in quella maniera. “Scusa, scusa... non volevo...”
“Non fa niente”. Len sospirò. “Ti consento di trattarmi come vuoi per scaricare la tensione, che ne dici?”
“Ah, diavolo” imprecò Rin, poi affondò ancora di più il volto nell’incavo tra il mento e la spalla del ragazzo, chiudendo gli occhi. “Fammi pensare... la tua camicia è troppo sgualcita e ti fa sembrare un idiota. Quando baci hai le labbra screpolate e mi danno sui nervi. E poi spesso mi stringi così forte le spalle che devo darti una gomitata per farti allentare la presa... e ancora,...”
“Avevo detto trattarmi come vuoi, non di insultarmi” la interruppe Len. “Questo è un lato di te che non conoscevo. Diventi una belva quando sei nervosa.” Il suo tono tra l’amareggiato e il divertito le fece atteggiare le labbra in un piccolo sorriso tirato, che si spense quasi immediatamente nell’istante in cui il nome di Kamui Gakupo proruppe nella sua testa con la forza di una frustata. Si esibì in un verso di stizza e allacciò le dita dietro la nuca di Len con forza, costringendo il suo collo a una posizione davvero poco comoda; a quel punto lui sbuffò. “Rin, se andiamo avanti così non arriveremo a nulla però.”
“Mi dispiace... non riesco ad essere per niente serena.”
“Andrà tutto bene, lo sai” la incoraggiò lui. Accompagnò quelle parole con un paio di bacetti tra i capelli.
Lei, per tutta risposta, annuì. “Lo so, lo so che andrà bene. È solo che non tollero il pensiero di vedere, tra qualche ora, il volto del mio futuro marito... che...”
Si abbandonò a un sospiro caldo, che solleticò la pelle di Len, prima di terminare: “...che non sarà mai il tuo, dannazione.”
Il ragazzo le alzò delicatamente il mento per fare in modo che lo guardasse; le sue iridi, limpide ma come sempre leggermente adombrate da quella traccia di sofferenza che lo accompagnava sempre, la scrutarono in cerca di darle una piccola sicurezza. Sapeva di non esserle molto d’aiuto, e il senso di impotenza aumentò quando vide delle lacrime cominciare a formarsi negli occhi di Rin, impreziosendone le ciglia con piccole gocce che sembravano perle.
Le baciò la guancia già umida. “Quante volte ti ho detto che non sopporto di vederti piangere, eh?”
“Ti... ti sembro depressa?”
“Un pochino” ammise Len. Sfiorò le proprie labbra con quelle di lei. “E poi è strano baciarti mentre piangi. È tutto troppo umido.”
“Stu... stupido.” La ragazza sorrise esitante e lo abbracciò stretto, mentre Len sentiva il cuore gioire per averla fatta stare un po’ meglio, almeno per quel solo istante.
Più tardi, poté dirsi alquanto fortunata ad essere sopravvissuta alla preparazione di sua madre, la quale l’aveva letteralmente infilata a forza nel suo vestito buono, dopo averle scaraventato in aria l’armadio in cerca di qualcosa di elegante e, come aveva detto lei, “presentabile”.
Perché a quanto pareva possedere tre interi armadi guardaroba contenenti, o per meglio dire, straripanti di abiti dai tessuti più rari e preziosi in Giappone significava avere roba appena presentabile. Mentre la maggior parte delle persone normali non poteva permettersi nemmeno un decimo di tutto ciò che aveva lei.
E poi la gente si chiedeva perché Rin odiasse essere schifosamente ricca.
E specialmente perché odiasse ostentarlo.
Perché, in fondo, era quello che era stata costretta a fare quella mattina. Ostentare la propria ricchezza. Per apparire bella agli occhi del suo futuro sposo, certo, ma specialmente apprezzabile dal punto di vista economico e con una dote.
E sorridere, sorridere finché non le venivano i crampi alle guance; e non ci misero molto a farsi vivi.
Sua madre si aggirava in preda al panico intorno alla sua figura, sistemandole una volta i capelli che le ricadevano sul viso - “questo volto grazioso dev’essere messo in mostra, tesoro” -, una volta il fiocco leggermente storto, una volta l’abito che prima sembrava troppo scollato, poi troppo chiuso, poi volgarmente scoperto. Rin tirò un sospiro di sollievo nel sentire uno scalpiccio di zoccoli sul sentiero che portava a casa sua, così sua madre poté finalmente allontanarsi da lei e smettere di tormentarla. Un ultimo bisbiglio da parte sua - “mi raccomando, cara, mostrati matura e seria, non fare la frivola come tuo solito” -, un’occhiataccia da parte di Rin alla suddetta per via della raccomandazione/insulto, e la sagoma di un uomo alto e dal petto largo apparve davanti a loro.
Rin affilò lo sguardo per vederlo meglio: portava una camicia apparentemente semplice - fu il tessuto leggero e pregiato a tradire la sua ricchezza - con un gilet nero dischiuso e dei normalissimi pantaloni, infilati in pratici stivali. Rin si vergognò all’istante del fatto che lui si fosse vestito in modo piuttosto comune, mentre lei era stata costretta ad indossare un cavolo di kimono a motivo floreale e, se fosse stato per sua madre - ma lei si era rifiutata categoricamente - perfino un centinaio di gioielli.
Per quanto riguardava l’aspetto, era esattamente come Gumi lo aveva descritto. Alto, in forma, capelli lunghi e sguardo bonario e gentile. Quando si avvicinò alla ragazza, accompagnato dal padre di Rin, si inchinò e con fluidità le fece un perfetto baciamano. Rin arrossì, come sempre quando le si rivolgeva quel gesto; tuttavia stette bene attenta a cercare di captare altri eventuali sentimenti che quell’atto le avesse smosso: nulla di nulla.
Solo Len ci è riuscito, vero?
Scosse la testa senza farsi troppo notare da Kamui Gakupo, che nel frattempo adulava sua madre complimentandosi per l’abito.
Cattiva Rin. Non si pensa a Len oggi. Non pensarci.
Certo. Era più facile a dirsi che a farsi...
“Come avete già visto, questa è mia figlia Rin” la presentò suo padre.
“Incantato”. Kamui Gakupo aveva una voce profonda e rassicurante.
 “E’ un piacere.”
Rimasero a chiacchierare tutti e quattro per un po’, sotto il portico di fronte all’ingresso della casa di Rin, mentre i suoi genitori facevano alcune domande e Gakupo rispondeva prontamente e sembrava sempre dire la cosa giusta al momento giusto. Pareva possedere un senso innato di stare a proprio agio in mezzo a persone che eppure aveva appena conosciuto. Da parte sua, Rin cercava di farsi il più piccola possibile, lasciando gli adulti ai loro bei discorsi.
...Già, adulti.
Presto sarebbe dovuta diventare adulta anche lei, giusto?
“Rin, perché non andate a fare una passeggiata?”
La ragazzina annuì, prendendo il braccio che Gakupo le porgeva e iniziando a camminare, lasciandosi trasportare da lui - conscia che quel gesto avrebbe caratterizzato la sua vita da allora in avanti.
In fondo non fu un pomeriggio tanto disastroso come si era immaginata; lei e Gakupo percorsero parecchi sentieri lungo le campagne lussureggianti che circondavano il loro paese, attraversando giardini pieni di petali di fiori che cadevano.
Il suo futuro marito era un uomo con cui era facile avere conversazione e trovare dei punti in comune; era un amante della musica e del silenzio, non amava la vita mondana e spesso aveva bisogno di un contatto con la natura per azzerare un po’ di quello che gli stava intorno e che lo infastidiva, esattamente come Rin. Che poi fossero cose vere, e non dette per fingere di andare d’accordo con la sua futura moglie, quello era un altro paio di maniche.
Non era per nulla autoritario, sebbene la sua immagine lo suggerisse, e sembrava molto accondiscendente; molto di più di quanto Rin si fosse potuta aspettare, e di più di quanto avesse mai visto in qualsiasi altro uomo della sua vita. Persino Len, per quanto gentile e tutto il resto, ogni tanto veniva assalito da una forte gelosia quando erano insieme; Gakupo non pareva interessato davvero, invece, al fatto che Rin si allontanasse troppo da lui o non gli desse ascolto. Solo da quei semplici dettagli la ragazza capì quasi immediatamente di essere stata affidata a buone mani - Dio solo sapeva quanto tempo aveva passato a pregare che il suo promesso sposo non fosse di carattere dispotico come suo padre: non avrebbe mai retto di passare dal comando di un uomo a un altro, sempre al servizio di qualcuno.
Restava il piccolo dettaglio che, una volta sposato Gakupo, Rin non avrebbe mai più potuto vedere Len... nonostante sapesse benissimo che la solita scusa “è ancora presto per pensarci” non reggesse più da tempo, continuava a ripeterselo come un mantra religioso nella mente, facendo del suo meglio per illudersi che il momento dell’inevitabile addio fosse lontano - quando invece era più vicino di quanto potesse immaginare.
Infatti, quando Gakupo le svelò che il loro matrimonio si sarebbe svolto alla fine della primavera, per Rin fu terribilmente difficile mantenersi impassibile. Tuttavia riuscì a far passare quel singhiozzo improvviso per un piccolo starnuto, senza che Gakupo se ne accorgesse - comunque, non si sarebbe preoccupato, nel caso l’avesse vista piangere.
“Avete detto che vi piace la musica, vero?” chiese dopo un po’ Rin, la voce roca per la fatica di mandare giù le lacrime. Gakupo stava osservando un albero i cui fiori sembravano restii al voler sbocciare, mentre intorno a loro le chiome erano già del tutto dipinte di un rosa perlato. A quella domanda si voltò sorridendo: “Sì, molto.”
“Ogni tanto sento... sento...”, deglutì rumorosamente, mentre Gakupo tornava a rivolgere la sua attenzione ai rami sopra di lui, “qui nei pressi... sento qualcuno suonare il violino.”
“Nei pressi?”
“Sì. Ho cercato a lungo questo violinista, ma non l’ho mai potuto vedere... vi andrebbe di aiutarmi a trovarlo? Spesso vado in giro per conto mio, ma...”
“Non è ben indicato per una ragazza sola” la interruppe lui serio.
Rin sospirò di finto rammarico. “Avete ragione, è quello che stavo per dire. Non me la sento di allontanarmi così tanto da casa mia in solitudine” mentì. “Perché non venite con me, oggi?”
L’espressione di Gakupo si fece pensosa per meno di un secondo, e fu col suo solito sorriso bonario che accettò di accompagnarla all’interno del bosco di ciliegi.
Rin finse per tutto il tragitto di essere combattuta su che strada scegliere, o di guardarsi titubante intorno come per cercare di ricordare qualcosa di difficile - recita che la faceva sentire stupida ogni momento di più, siccome avrebbe trovato la strada per la radura anche ad occhi chiusi. Facendo sempre finta di non essere del tutto sicura dei sentieri che prendeva, condusse Gakupo, che la seguiva docilmente, molto vicino al luogo in cui Len suonava di solito, così tanto che ormai si poteva sentire chiaramente la melodia familiare delle sue composizioni preferite. Rin arrossì quasi involontariamente, e si voltò per evitare di farsi vedere, aspettando il momento in cui anche Gakupo avesse sentito la musica e l’avrebbe trascinata là da dove proveniva.
Passò un minuto che sembrò un’eternità, ma alla fine l’uomo si accorse del suono e picchiettò leggermente Rin su una spalla. “Credo di averlo trovato...”
“Sul serio?”. Rin cercò di usare tutto il tono sorpreso di cui era capace al momento.
“Sì... venite, da questa parte.”
Le prese la mano e la guidò nella direzione che lei aveva desiderato percorrere più di ogni altra cosa per l’intera giornata; portando le dita della mano libera al volto per celarlo, Rin sorrise tra le lacrime.
Era incredibile come in un solo giorno di assenza Len le fosse mancato così tanto; quando lo rivide a suonare nella solitudine beata con nient’altro che la sua passione, pensò di non aver mai capito quanto bello fosse veramente. A ogni occhiata in più riusciva a cogliere un dettaglio a cui prima di allora non aveva mai fatto caso, e non poteva fare a meno di chiedersi con rabbia perché si fosse innamorata perdutamente di lui e non di Gakupo, perché Len fosse orfano e povero, perché diavolo non le fosse concesso di amarlo alla luce del sole.
“E’ bravo” concesse in un sussurro Gakupo, distogliendola dalle sue domande senza risposta.
Bravo? Bravo? Lui era splendido. Talentuoso, passionario, elegante, dolce, lui era... lui era tutto.
Avrebbe voluto urlargliele in faccia, quelle parole, avrebbe voluto farglielo capire con tutte le energie di cui disponeva; ma non fece nemmeno in tempo a prendere fiato per una risposta che Gakupo si diresse verso Len allungando il braccio e esclamando un esitante: “Scusatemi...!”
Rin si prese la testa tra le mani. “Cosa diavolo fa?” le scappò in un mormorio che lei stessa faticò a sentire, mentre la musica si interrompeva bruscamente e Len si voltava sorpreso.
“Sì?” chiese leggermente smarrito. Non aveva ancora visto Rin tra gli alberi.
“Mi chiamo Kamui Gakupo...”
A quel nome gli occhi di Len scattarono più veloci della luce dal volto del suo interlocutore a ciò che vi era dietro la sua schiena, trovandovi uno sguardo di scuse da parte di Rin. Si irrigidì impercettibilmente; la ragazza dubitava che Gakupo, però, se ne fosse accorto.
“...e la mia fidanzata...”
Len sbatté le palpebre in una specie di tic nervoso, ma Gakupo continuò imperterrito: “...vi ha sempre sentito suonare, e vorrebbe conoscervi.”
“Oh” fece Len, più confuso di prima. “Ah. Ehm, certamente.”
“Rin, venite!”
Nessuno dei due avrebbe mai potuto immaginare di trovarsi una situazione più imbarazzante di quella. Se le circostanze non avessero richiesto una certa serietà, erano certi che sarebbero scoppiati a ridere più di quanto avessero mai fatto in vita loro. Tuttavia, il loro “futuro” dipendeva dal fatto di essere bravi attori - dote che nessuno dei due poteva vantare di possedere, purtroppo.
Gakupo rimase immobile a guardare Rin e Len col sorriso soddisfatto stampato in faccia, evidentemente convinto di aver fatto la mossa giusta; i due, dal canto loro, non avevano il coraggio di alzare gli occhi.
“Insomma...” Len si decise, infine, a interrompere il silenzio. “Io sono... io mi chiamo... Len.”
“Oh. Io sono Rin. È un piacere.”
“E’ un onore.”
“Vivete da queste parti?”
“Insomma... più o meno...”
Silenzio snervante.
“Siete... molto bravo con il violino.”
“Ah... grazie mille. Voi siete...”, Len esitò un attimo, indeciso su quale complimento rivolgerle, “ehm... siete... bionda.”
Rin temette di essersi rotta un paio di costole a forza di trattenere le risate.
E Len temette di prendere fuoco da un momento all’altro, dal tanto che era arrossito.
Entrambe le reazioni però, fortunatamente, sfuggirono all’occhio inattento di Gakupo, il quale si guardò intorno come rapito e respirò l’aria primaverile a pieni polmoni. “Venite spesso a suonare qui, dove nessuno può sentirvi?”
“Ehm, io... sì.”
“E come mai?” chiese Gakupo.
“Oh, è una cosa che facevo sin da piccolo.” Len si schiarì la voce, guardando Rin a disagio con occhi piuttosto eloquenti.
Gakupo era sul punto di fare un’ulteriore domanda - e probabilmente l’interrogatorio si sarebbe protratto a lungo, se Rin non gli avesse afferrato un lembo della camicia mormorando: “Si è fatto tardi, non pensate?”
“Oh, sì...” Gakupo parve cadere dalle nuvole. “Vi riaccompagno a casa. Len, è stato un piacere.”
“Ah, ehm...” fu tutto ciò che riuscì a sillabare lui, la gola secca, reduce ancora dall’imbarazzo della gaffe di poco prima. Come sempre, Gakupo non ci fece molto caso e con un gesto cordiale lo salutò. Rin non ebbe il coraggio di voltarsi e, man mano che si allontanavano, la voglia di ridere scompariva così come era venuta.
 

***

 
“Era strano quel ragazzo, non trovate?”
Rin si riscosse, e fece un mezzo sorriso; allora Gakupo non era così distratto come sembrava fare intendere. “Cosa vi è sembrato strano di lui?” chiese, col cuore in gola; inutile dire che avesse il terrore che Gakupo potesse aver intuito qualcosa.
L’uomo fece spallucce. “Non sembrava parlare molto bene. Forse è povero e non ha una gran cultura...”
Rin strinse i denti fino a farsi male. “Voi... voi dite?”
“Non saprei. Non mi pareva neanche una brava persona, a dirla tutta.”
“Perché mai?” chiese lei, cercando di nascondere la rabbia.
Gakupo si appoggiò al tronco di un albero, guardando il torrente che scorreva a pochi metri da loro. “Non conosceva l’etichetta. E quella battuta laida che vi ha rivolto è stata davvero poco educata. Quella del fatto che siete bionda. Si comportava come se fossimo confidenti, mentre avrebbe dovuto portarci più rispetto, visto il rango elevato di cui facciamo parte.”
“Se una persona non conosce il galateo, non vuol dire che sia un poco di buono” replicò Rin.
“Avete ragione. Ma non avrebbe dovuto permettersi di mancarvi di rispetto comunque, o di evitare di salutarci a modo quando ce ne siamo andati.”
Rin abbassò gli occhi per un istante; come aveva potuto illudersi che Gakupo fosse diverso da tutti i ricchi che la sua famiglia frequentava? Tutti con i loro bei pregiudizi sulla gente che non aveva soldi, parenti, o casa; tutti a considerarsi migliori, solo per essere nati con una dote, aver ricevuto insegnamenti da intellettuali, potersi permettere di comprarsi titoli con cui farsi grandi davanti a quelli che loro chiamavano “ignoranti”, “contadini”, e altri termini molto meno gentili che Rin aveva sentito usare molte, troppe volte. Se solo avesse potuto decidere, sarebbe voluta nascere tra i “plebei” un milione di volte di più che in una famiglia come quella. Invece, era costretta a far parte di una classe cui sentiva di non appartenere davvero, con cui non condivideva nulla... se non il fatto di essere ricca...
Voltò il collo lentamente, quel poco che le consentì di vedere, con la coda dell’occhio, la sagoma di Len che li osservava seminascosto dalle fronde. Tornò a rivolgere la sua attenzione a Gakupo: aveva appena afferrato un sasso, e ora lo aveva lanciato in modo da farlo rimbalzare sulla superficie piatta dell’acqua. Guardandola, doveva aver frainteso lo sguardo pensieroso di Rin per un’occhiata ammirata per il suo tiro; così sorrise e le si avvicinò. “Ti è piaciuto?” chiese, riferendosi compiaciuto al suo colpo da maestro.
Rin annuì, non potendo fare a meno di notare che Gakupo le aveva dato del tu.
“Vorresti che ti insegnassi?”
A quel punto, che importava? Avrebbero dovuto passare una vita insieme, e Rin avrebbe fatto meglio a smettere di pensare e rassegnarsi a ciò che la aspettava. Annuì una seconda volta, mentre permetteva a Gakupo di cingerle i fianchi con tocchi leggeri e carezzarle le braccia, con il pretesto di posizionarle nel modo migliore per lanciare il sasso e farlo rimbalzare.
Girò nuovamente la testa: Len era scomparso.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6~ Just for now… let me love my dearest! ***


6~ Just for now… let me love my dearest!
 
“Perdonami! Len, mi dispiace così tanto!”
L’esclamazione lo fece trasalire, ma non lo sorprese più di tanto; sapeva che per prima cosa, una volta nella radura, Rin si sarebbe scusata. Lui mantenne lo sguardo fisso perso davanti a lui, indeciso se posarlo su di lei e tranquillizzarla, o lasciare che si sentisse ancora in colpa per quello che era accaduto.
Alla fine decise per la seconda opzione, e non disse nulla. Rin strinse i pugni e gli si inginocchiò di fianco a lui, scuotendogli la spalla. “Hai sentito quello che ti sto dicendo? Mi dispiace per averti fatto assistere a... a...”
“Basta, finiscila” la interruppe secco lui. Non avrebbe sopportato di sentirla pronunciare il nome del suo promesso sposo.
“Non pensavo che lui ti avrebbe parlato”. Rin ignorò completamente la sua scontrosità. “L’avevo portato lì solamente perché volevo vederti. Non avevo intenzione di metterti in difficoltà in quel modo. E non credevo che avresti visto me e Gakupo così...”
La parola “vicini”, che era sul punto di uscire dalla bocca di Rin, ebbe vita piuttosto breve. Venne interrotta e sostituita dallo sguardo amareggiato di Len che in uno scatto d’ira sbottò: “Ma che importa? Seriamente, Rin, qual è il tuo problema? In fondo, voi due state per sposarvi, no?”
“Stupido” sibilò Rin. “Lo dici come se dipendesse da me.”
“Non è ciò che intendevo, e lo sai benissimo.”
“Sei uno stupido lo stesso.”
Un silenzio teso gravò sulla radura, e durò per tutto il tempo che impiegò Rin a decidere di terminare quei discorsi deliranti e fare pace, perché non era mai stata sua intenzione litigare con lui. Ma nel momento in cui tese una mano per carezzargli la guancia, lui la trattenne, guardandola dritta negli occhi.
“Questa cosa non va bene. Non va bene per niente.” Lo disse in un modo così definitivo che Rin ebbe l’impressione che la terra le fosse mancata improvvisamente sotto i piedi.
“Come?” domandò con un filo di voce, incerta di ciò che aveva appena sentito.
Ebbe la conferma, però, che il suo udito funzionasse alla perfezione quando Len ripeté: “Non va bene.”
“Di che stai parlando?”
“Di ciò che stiamo facendo. Ci stiamo solo facendo del male. A noi e alle persone che amiamo...”
“Len, io amo solo te” fu la risposta pronta della ragazza, che fece tacere Len per un paio di minuti.
Abbassò la testa, sconfitto: anche lei sapeva benissimo che ciò che diceva aveva senso, ma preferiva cullarsi in una stupida utopia di un mondo infinito e immaginario nel quale la loro relazione era accettata dalla società. Rimase in quella posizione a lungo; solo quando ebbe il coraggio di alzare gli occhi e guardare Rin, si rese conto che era ad un passo dalle lacrime.
E l’ultima cosa che voleva, era vederla piangere: quello era certo.
Len sospirò, rendendosi improvvisamente conto di essere stato troppo duro. “Rin, te l’ho mai detto il motivo per cui ho deciso di comporre una melodia dedicata a te?” chiese a bruciapelo.
Lei negò con la testa, incapace di proferire parola.
“Perché la prima volta che ti ho vista mi hai folgorato in modo così potente da farmi perdere la testa, e ho sentito una marea di sentimenti esplodere dentro di me: così tanti che non ce l’ho fatta a mantenerli solo nella mia memoria. Così ho deciso di riversare molti di quei sentimenti in qualcosa di relativamente materiale, come la musica.”
“Ah, è così?” La voce di Rin era spezzata; nonostante ciò, era così presa dalle parole di Len che le lacrime non scesero.
“Sì, esatto. E sai perché l’ho chiamata Sogno dei Fiori di Ciliegio?”
“No. A suo tempo mi hai detto di non chiedertelo, giusto?”
“Vero. Ma credo sia il momento di rivelartelo. Ho amato sin da subito tutto quanto di te, ma la prima cosa che mi è rimasta impressa quando ti ho conosciuta era il tuo sorriso. Un sorriso soffice come un petalo di un fiore e talmente bello da sembrare irreale, come quello di un sogno. La luce che irradiavi il primo giorno che ti ho vista sembrava persino oscurare il candore dei fiori che ti circondavano, e io...” deglutì, prendendo fiato, “io avevo già deciso che saresti stato il mio sogno, il mio mondo infinito; mio, e di nessun altro, capisci?”
Rin rimase senza parole. Non si sarebbe mai aspettata delle frasi come quelle, da Len; lui generalmente non parlava molto né volentieri, e non sembrava nemmeno bravo con le conversazioni - un po’ come aveva dimostrato con Gakupo, giusto? Credeva che fosse capace di esprimere tutti i suoi sentimenti con il violino; ma quelle parole suonavano meglio di qualsiasi melodia chiunque altro avrebbe potuto dedicarle al mondo.
“È andata così. E se...” riprendendo il discorso, Len si sporse verso di lei, “e se non vedessi più quel sorriso, sai... non credo che sarei capace di suonare Yume Sakura come si deve. Dico bene?”
“Eh... immagino di sì” balbettò Rin.
“E allora sorridi, ti prego.”
Se c’era un desiderio che Rin non si sentiva capace di soddisfare, in quel momento, era proprio quello che le aveva chiesto Len: tutto intorno a loro stava precipitando, e lei non si sentiva affatto dell’umore.
Tuttavia quando Len le solleticò con l’indice le labbra, non poté fare a meno di atteggiarle in un accenno di sorriso, a causa dei riflesso incondizionato.
E a quel punto Len la baciò con decisione.
“Facciamo così: per ogni sorriso, un piccolo premio” le mormorò all’orecchio.
Rin rise ancora esitante, e Len iniziò a premere sempre e sempre più le proprie labbra contro le sue, finché preso dall’impeto non le circondò i fianchi e le portò il petto sempre più vicino al proprio-
“Rin.”
Se una bomba fosse scoppiata all’interno della radura, probabilmente avrebbe provocato una reazione più contenuta da parte di entrambi: quando quella voce sconosciuta e stravolta li raggiunse, i due si separarono così velocemente che per un attimo non capirono nemmeno da dove fosse venuta, né se per caso se la fossero immaginata.
Quando però gli occhi di Rin si posarono su Miku, posizionata esattamente alle spalle di Len, non poté non reprimere un brivido lungo la schiena. Il suo sguardo sembrava allucinato: non l’aveva mai vista così. L’unica immagine che Rin aveva sempre avuto dell’amica, era quella della ragazza disinteressata che tingeva foglie di limone nel tè.
Nessuno dei tre disse nulla per un bel po’. Infine, Miku si guardò esitante dietro le spalle, come... in cerca di una sorta di via di fuga.
E agli occhi di Rin parve assolutamente scontato ciò che stava per accadere.
“Miku...”
“Si può sapere che stai facendo?” La domanda era nel classico tono: “ho capito benissimo ciò che succede, ma voglio metterti in difficoltà il più possibile costringendoti a negare l’evidenza.”
E fu quello che, ovviamente, Rin fece. “Non è come sembra” fu l’unica, patetica cosa che le venne in mente da dire. Len sospirò quasi rassegnato.
Miku ridusse gli occhi a due fessure: “A me sembra che tu stia baciando uno sconosciuto che non è il tuo promesso sposo in una radura. Dunque, davvero non è come sembra?”
“Miku, possiamo parlarne tranquillamente-“
“Da quanto va avanti questa storia?” Perché guardava Len, e non lei? Sembrava che la domanda fosse rivolta a lui, come se Miku lo conoscesse. E perché Len non osava alzare lo sguardo?
Rin era troppo sconvolta per trovare anche solo una risposta a quelle domande, e aveva di meglio a cui pensare. “Poco” rispose precipitosa.
Quanto tempo?” ringhiò Miku.
No, Rin non era capace di mentire, nemmeno se le circostanze lo richiedevano in maniera disperata. Ad una domanda tanto diretta, agli occhi accusatori di un’amica puntati dritti in faccia, non fu in grado di dire una bugia tanto eclatante. “Un... un mese.”
“Un... mese.” La voce con la quale Miku pronunciò quelle due parole le facevano sembrare qualcosa di davvero, davvero grave. “Mio Dio. Ancora prima che Kamui-san...” La ragazza scosse la testa. “Rin, ma che cosa ti è saltato in mente, si può sapere? Questa è... una follia!”
“Miku...”
“Avresti dovuto porre fine ad una situazione del genere secoli fa!” la interruppe, furiosa. “O non metterti nei guai sin dall’inizio.”
“Tu non puoi capire” tagliò corto Rin, alzandosi il più lentamente possibile, evitando qualunque movimento brusco che potesse permettere a Miku di fare ciò che lei doveva impedirle...
“Capisco che non sei stata capace di fermare questa pazzia.” Miku fece un passo indietro. “E visto che tu non ce l’hai fatta, sarò costretta a fermarla io stessa.”
Non ebbe nemmeno terminato di pronunciare quelle parole minatorie che era già scattata indietro, sui suoi passi, e dopo un acuto: “NO! MIKU!” Rin l’aveva inseguita correndo a perdifiato. Non poteva permetterle che raggiungesse casa sua e denunciasse la storia sua e di Len, non poteva lasciare che i suoi genitori lo venissero a sapere... sarebbe stata davvero un disastro senza precedenti. Non la preoccupava tanto ciò che avrebbero potuto fare a lei, ma Dio solo sapeva ciò che sarebbe potuto accadere a Len, invece...
“Ti scongiuro, Miku, FERMATI!”
Miku non rispose, risparmiando evidentemente fiato per la corsa. Ma non giunse neanche a metà strada della distanza tra la radura e la casa di Rin, che inciampò in una radice e cadde rovinosamente sul terreno umido. Cercò di rialzarsi il più rapidamente possibile, ma ormai Rin l’aveva raggiunta e la stava afferrando per una manica del kimono, impedendole di alzarsi.
Non riuscì a frenare la lacrime. “Ti scongiuro, per favore, non dire niente ai miei genitori!”
Nel frattempo, Len aveva seguito le due ragazze, ed ora era arrivato a destinazione e si era fermato a debita distanza, ascoltando più sconfitto che mai la loro conversazione.
“Come posso ignorare questa cosa?” gridò Miku, spietata. “Cresci, Rin! Se non hai mai pensato alle conseguenze di questo gesto, vuol dire che sei ancora un’immatura! Hai idea, se si venisse a sapere in giro, di come il nome della tua famiglia verrebbe macchiato? Non ci hai pensato, vero, al disonore che porteresti-“
“Non me ne importa un accidenti! Del disonore!” Ora Rin aveva alzato la voce anche più di lei. “Cosa mi interessa, eh? Il nome della mia famiglia! Che assurdità! Ho passato la mia vita ad assecondare quella gente, a fare la brava figlia e fingere che tutto ciò che mi imponevano mi andasse bene, tutto per renderli dannatamente felici! Che cosa c’è di sbagliato, dimmelo tu adesso” la strattonò con insistenza, “che cosa c’è di sbagliato se ora penso alla mia, di felicità?”
“C’è che non ti è concesso, hai capito?” Al contrario di Rin, Miku sembrava perfettamente in sé, senza neanche un capello fuori posto o il viso arrossato. Sapeva ciò che diceva, e lo diceva con una sicurezza tale da far vacillare persino quella di Rin, che non si era mai sentita debole come in quel momento.
“Ascolta” continuò Miku con tono leggermente più dolce, “so che ti farà male, ma devi accettare la realtà: Len non fa parte del tuo mondo. Chiaro? Né ora, né mai.”
Rin inarcò il collo verso il basso e curvò le spalle: il peso di quelle parole la stava annientando. Era così disperata che in un primo momento non si accorse di ciò che nella frase di Miku di poco prima stonava. Quando se ne rese conto, le inviò uno sguardo tra l’esitante e l’interrogativo. “Un attimo... non mi sembra di averti detto il suo nome...” mormorò, con voce innaturalmente roca.
Solo a quel punto l’espressione di Miku divenne qualcosa che si avvicinava all’imbarazzato, e lei ammutolì.
Fu Len, dietro di loro, a dare la risposta a quella domanda implicita. “La famiglia di Miku è quella che mi accudisce da quando persi i miei genitori, Rin. Io e lei conviviamo.”
Come se tutto ciò che era appena successo non fosse stato sufficiente a provocarle dolore, adesso anche quella notizia...
“E’ anche grazie a lei se ho scoperto chi eri, vedi” spiegò ancora Len. “A casa si parla spesso di te e della tua famiglia. Ed io, non è che vada così volentieri in paese, poi.”
“E’ come un fratello” dichiarò la turchina a voce bassissima.
Rin guardò di sottecchi Miku, che evitava volutamente il suo sguardo. Non c’era certo bisogno di un genio per capire ciò che lei provava per il suo cosiddetto “fratello”. Si impose di non mostrare un sorriso amareggiato - in quel momento, sarebbe stato fin troppo fuori luogo - e chiuse gli occhi: improvvisamente si sentiva stanca, come se fosse invecchiata tanto in soli pochi minuti di conversazione.
“Rin, ascolta. Se questo ti farà stare meglio, prometto che terrò la bocca cucita. A patto che tu, però, metta fine a questa storia il prima possibile. È chiaro?” propose Miku.
Rin non rispose.
“Dimmi qualcosa. Rin...”
“Ti ho sentito” singhiozzò la ragazza, strizzando gli occhi: non aveva intenzione di riaprirli per vedere ancora una volta quello sguardo imbarazzato tipico di una persona... sì, di una persona innamorata. E gelosa. Non l’avrebbe sopportato, non dopo ciò che era successo.
Il rumore di passi sul terriccio umido che si allontanavano indicò che Miku se n’era andata; passi più pesanti sostituirono i suoi, i quali però le si avvicinavano, fino a fermarsi di fianco a lei.
“Ehi, Len.” Rin non aveva più forza nelle membra per alzarsi. “Tu le piaci, non è vero?”
“Sì, tanto” fu la risposta che non si fece nemmeno attendere.
“E i suoi genitori? Che cosa ne pensano?”
“Pensano...” Len le carezzò i capelli dorati, poi le tese una mano, che lei guardò tristemente, “pensano che ci sia aria di nozze, immagino. Ma sono sempre stati dei tipi fin troppo velleitari, sai.”
“Oh, Dio. Len...”
“Dimmi.”
“Voglio che tu mi accontenti in un’ultima cosa, Len.” Lo guardò con occhi supplichevoli, e lui non poté fare a meno di giurare che l’avrebbe fatto, di qualunque cosa si fosse trattata; persino morire.
“Dimmi” ripeté.
“Chiunque, ma non lei. Per favore.”
Len si sentì sollevato. Per fortuna non avrebbe avuto alcun problema ad acconsentire a quel desiderio. Le afferrò la mano con delicatezza e la aiutò ad alzarsi. Notò che aveva smesso di piangere, ma sembrava più devastata di quanto non fosse mai stata. La abbracciò forte, temendo che l’avrebbe potuta uccidere per il troppo amore con cui voleva riempirla. “E c’è qualcos’altro in cui potrei accontentarti, Rin?”
Lei parve pensarci un attimo. Ma quando riaprì bocca era ovvio che la risposta fosse stata formulata ancora prima della domanda. “Ti va di venire a casa mia?”
“Potrebbero vederci.”
“A nessuno importa dove sono il pomeriggio. Per favore...”
“Va bene.” Appoggiò la fronte sulla sua. “Certo che ti piace complicare sempre di più le cose, eh?”
 
***
 
Quando giunsero alla finestra della camera di Rin a piano terra, dalla quale lei ogni pomeriggio usciva, Rin entrò decisa, mentre Len esitò un attimo di fronte a lei.
“Che aspetti?” chiese lei in un soffio, facendo per afferrargli la manica, ma Len si ritrasse.
“Forse non dovremmo-”
“Ti piace essere pregato?” sbottò Rin.
Len la guardò triste. “Forse non dovremmo cacciarci nei guai” continuò. “Abbiamo già sbagliato per così tanto tempo... forse aveva ragione Miku, un taglio netto...”
“Senti, non importa se oltrepassiamo un limite. Se dobbiamo scontare una pena per questo sbaglio, almeno sbagliamo fino in fondo.”
Nonostante l’assoluta sicurezza che ci teneva ad ostentare, Len riusciva a vedere che aveva paura. Ma non poteva farci nulla, con la sua determinazione: ottenere ciò che voleva - il suo carattere leggermente dispotico, per certi versi - era anche ciò che amava di lei. Rimanere a fissare quegli occhi che, anche se preoccupati, rimanevano fermi e decisi, lo convinse. Tuttavia, rimaneva consapevole eccome del rischio che correvano.
Non appena dentro, si sedette sul davanzale, a guardare la camera di Rin. Non c’era davvero molto da vedere. Era spaziosa, grande, un po’ spoglia e molto luminosa. Un letto a due piazze posizionato esattamente al centro della stanza - e Rin seduta sul materasso, che lo carezzava nervosamente.
Nessuno dei due disse niente per un bel po’.
Poi Len, finalmente, si decise.
“Com’è?”
“Cosa?” chiese Rin fissandolo di rimando, e si preoccupò: sembrava a pezzi.
“Com’è... Gakupo?” Fece due sforzi, uno per ripetere la domanda che già di per sé l’aveva perseguitato abbastanza, e l’altro per pronunciare quel nome. “Insomma, un uomo educato... eccetera?”
Non era quello che voleva sapere, ovviamente.
Per fortuna Rin lo intese prima che si disturbasse a spiegare la domanda. Per come si sentiva, mentalmente, non pensava che l’avrebbe retto. “Oh, sì. Buono e gentile. Hai potuto vederlo. Non posso lamentarmi.”
“Bene, ottimo” fu tutto ciò che gli venne da dire, anche se sentiva che nulla intorno a loro meritasse quegli aggettivi. “E quando... a quando...?”
“La fine della primavera.”
“Bene, bene.”
“Bene? Bene, Len?”
Len alzò lo sguardo su di lei, e subito fu tentato di riabbassarlo per lo stupore: i suoi occhi sembravano sprizzare scintille da tutta la rabbia che esprimevano. Ebbero il potere di farlo rimanere interdetto, attonito, per una manciata di secondi che servirono a Rin per replicare: “Non va affatto bene. Niente va bene. Siamo stati scoperti, e presto lo sapranno tutti, e presto dovremo lasciarci, e io sposerò Gakupo, e tu probabilmente Miku, e quella è innamorata di te, e a mio padre non interessa nulla, e tutto questo dovrà finire, e-”
Sembrava in uno stato di shock. L’espressione quasi folle non fece che duplicarne la gravità. Len non ci mise molto a capire di dover intervenire, prima che perdesse del tutto il controllo: si alzò dal davanzale e la abbracciò forte, pronto per il pianto imminente - che non arrivò.
Invece, Rin trattenne il respiro e strinse la stoffa della sua giacca.
“Ci sono. Ci sono, Len.”
Lui la guardò interrogativo. Le sue iridi brillavano. “Fuggiamo. Scappiamo, è l’unico modo. Ma certo”, e cominciò a ridere di una risatina isterica, battendo piccoli pugni sul suo petto, “ma certo, come abbiamo fatto a non pensarci prima? Ce ne andiamo! Via! io e te e nessun altro, Len...”
“Oh sì, questa è un’ottima idea.”
Rin non fece nemmeno in tempo a elaborare quelle parole; ciò che le fece capire subito il messaggio fu il tono con cui vennero pronunciato. Tagliente sarcasmo, che sulla bocca di Len stonava parecchio.
“Come?...”
“Con quali soldi?”
“Io sono ricca” protestò animatamente Rin.
“I tuoi genitori sono ricchi, e a te non daranno mai il becco di un quattrino materialmente. Dove?”
“Lontano...”
“Lontano non è una risposta” ribatté Len. “Ti rendi conto che se fuggissi dovresti rinunciare a una vita normale? Senza i tuoi agi, a spasso per la strada, senza un tetto sulla testa? Oh, e questo è il problema minore.”
Rin stava già per rispondere a quelle domande palesemente retoriche, ma Len non gliene diede il tempo e accompagnava le sue parole stringendole le spalle sempre di più. “Una giovane ragazza, figlia del consigliere dell’imperatore, sparisce nel nulla. Promessa sposa di uno dei più accreditati guerrieri giapponesi, il soldato muove l’esercito per ritrovarla, e setaccia ogni angolo del Paese. Viene trovata in compagnia di un ragazzo e sebbene continui a ripetere che no, non è stata rapita!, è stata una fuga volontaria, nessuno le dà ascolto perché è una donna e lui viene arrestato, o giustiziato, chissà?”
Disse tutto d’un fiato, e Rin non poté nemmeno trovare un solo argomento a confutazione di ciò che aveva appena detto. Abbassò le palpebre stancamente; senza la minima intenzione di fare un gioco di parole, non vi era via di fuga.
“E allora dimmelo tu cosa dobbiamo fare.”
Stette zitto per un po’. Poi, con una voce che sembrava aver perduto ogni speranza, definitivamente, mormorò: “Niente. Ecco cosa. Dovremo lasciare che le cose vadano come devono andare, in un modo o nell’altro, e abituarci al pensiero che tutto ciò che desideriamo... non si avvererà. Dovremo arrenderci all’idea che tu passerai il resto della tua vita con un altro uomo e io con un’altra donna. E basta.”
“Sarà facile? Smetterà di fare così male?”
“Prima o poi...”
Rin lo baciò avidamente, con lo stesso impeto di chi è perfettamente consapevole di essere a un passo dal perdere ciò che più amava al mondo, e che altro non desiderava che possederlo per sempre. Era quello, dunque, il momento adatto per unirsi? Se anche non lo fosse stato, non pensava ne sarebbero arrivati altri, e non poteva permettersi il lusso di aspettare, con la solita vecchia scusa “c’è ancora tempo.”
Tempo non ce n’era. C’era solo il desiderio e una speranza già morta. E con la morte di quella - come si diceva? La speranza era l’ultima a morire? - non c’era più nulla da fare, se non approfittare di ogni singolo momento insieme, esattamente come doveva essere. Prima che venissero separati, prima che gli venisse portato via tutto, prima che loro potessero appartenere a qualcun altro... dovevano sentire di appartenere a loro stessi.
“Ma quando il sogno morirà? Quando la figura di Gakupo si sovrapporrà a Len, cosa farai tu?”
Stranamente non si rendevano conto del tempo che passava, come se tutto si fosse arrestato e il mondo avesse smesso di girare. I petali dei fiori fuori dalla finestra si erano bloccati a mezz’aria e loro due erano gli unici a muoversi in tutta quell’immobilità apparente... i pensieri però si muovevano anch’essi, guizzavano di qua e di là nella loro testa. Ma mentre Len continuava a chiedersi come avrebbe potuto resistere all’idea che qualcuno potesse portargli via ciò che di più prezioso aveva, il pensiero di Rin era uno e uno soltanto. Che martellava doloroso e non le dava tregua.
Quando il sogno morirà... morirò anch’io con esso.
Nient’altro da dire: la decisione era presa.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7~ If only I could love you for the rest of my life ***


7~ If only I could love you for the rest of my life
 

A quell’unione ne seguirono tante, tante altre. Per le seguenti due settimane non bastò più a nessuno dei due semplicemente starsene nella radura con la loro musica. Ciò che però non era cambiato era probabilmente che entrambi sembravano non aver tanto bisogno delle parole. Quando si parlava tutto diventava troppo reale da poterlo tollerare; la parola era come una sorta di strumento assassino di verità assoluta e insopportabile.
No, molto meglio rifugiarsi nell’utopia che tutto quello fosse il paradiso, che stessero facendo un sogno bellissimo e che non si sarebbero svegliati mai.
E Rin si era praticamente convinta che l’unico modo per evitare di svegliarsi fosse... non svegliarsi mai più. Terminare la propria patetica vita. In una parola, morire.
L’aveva sempre spaventata l’idea della morte, ovvio. Non amava andare incontro a qualcosa di cui non sapesse nulla, odiava essere spaesata come un cieco che brancola nel buio senza sapere che direzione prende, e a cosa va incontro. Ma tutto - tutto - sarebbe stato meglio che essere condannata a una vita matrimoniale con un uomo che non amava. E, ancora peggio, vivere con il pensiero che colui che possedeva il suo cuore potesse essere lontano e irraggiungibile.
Così, aveva deciso per l’estrema soluzione, quella che la gente prende quando è disperata e non resta nient’altro da fare: il suicidio.
Si era chiesta a lungo se Len non l’avesse potuta odiare per quello. Ogni volta che lui le sussurrava che la amava e la inebriava di quel potente sentimento, devastante ma allo stesso tempo così delicato, si chiedeva se una volta scoperto che si era uccisa non avesse sofferto le pene dell’inferno.
In quel caso sperava che Len potesse comprendere la sua disperazione assoluta; la frustrazione per ciò che l’attendeva, e il pensiero dell’impotenza per evitare l’inevitabile. Sperava che potesse andare avanti - in fondo, in un modo o nell’altro avrebbe dovuto abituarsi alla sua assenza. Rin non ci sarebbe mai riuscita; lui era forte. In un qualche modo sarebbe andato avanti anche senza di lei.
Solo dopo eterni ripensamenti, infiniti discorsi auto convincenti, e tanti complessi e paure da abbattere - paura della reazione di Len e dell’ignoto, soprattutto - arrivò il giorno in cui Rin non ce la fece più a sopportare l’attesa; erano passate esattamente sedici notti da quando lei e Len avevano giurato a Miku di farla finita; e tra soli tre giorni ci sarebbe stato il matrimonio del secolo. Se avesse aspettato ancora, probabilmente non ci sarebbe più stata l’occasione di trovare un momento adatto; doveva farlo quell’esatto martedì, e dopo non ci sarebbe più stato nulla a cui pensare, tutto sarebbe finito davvero.
Capì di aver deciso per il giorno perfetto proprio quando suo padre le disse che quella stessa mattina sarebbe andata a trovare Kamui Gakupo nell’accademia nella quale si addestrava e insegnava alle giovani reclute l’arte della guerra. Rin avrebbe sicuramente colto l’occasione per trovare una qualche arma con cui farsi fuori. Bastava che fosse appuntita e avesse terminato tutto con un colpo netto. Nessun dolore.
L’accoglienza di Gakupo fu come sempre ben misurata e cordiale, quando Rin e padre arrivarono all’accademia. La prima cosa che disse? “Oggi siete incantevole, Rin. Vi va se vi mostro l’accademia?”
Quella era una buona idea. Probabilmente l’avrebbe portata in un’armeria o qualcosa del genere, e avrebbe potuto rubare tutto il necessario che voleva, nascondendolo sotto il kimono largo che indossava appositamente per l’operazione. Per un attimo la sua sicurezza vacillò - davvero non avrebbe mai sospettato che si sarebbe data all’arte del furto, prima di allora, e la paura di diventare una specie di criminale era fomentata in parte anche dal briciolo di buon senso che le rimaneva.
Subito scacciò il pensiero: lei, proprio lei che stava per suicidarsi, si preoccupava se commetteva il furto di un pugnale in un’armeria probabilmente fornitissima? Tanto non avrebbe nemmeno avuto il tempo di pentirsene, no?
Dopo essersi messa, almeno relativamente, il cuore in pace, accettò di buon grado la passeggiata per i corridoi dell’accademia al braccio di Gakupo. Chissà perché, l’idea che stava per morire la aiutava a portare avanti la commedia meglio di quanto avesse fatto fino ad allora.
Gakupo le mostrò le aree destinate agli addestramenti delle reclute, in una zona più bassa dell’edificio; man mano che si saliva, si raggiungevano i posti più ricchi e attrezzati, quelli dei veterani, di cui lui faceva parte - probabilmente, era anche il più giovane tra loro. Rin giurò di averne visto uno di più di sessant’anni. Avevano tutti un’aria molto truce e determinata. E decisamente patriottica. Doveva essere praticamente i migliori nel difendere il loro Paese.
Pensò che Gakupo era uno di quelli. Pensò che per ogni guerra che faceva, guadagnava montagne di soldi. Pensò che ogni donna del paese avrebbe dato tutto ciò che possedeva per essere al suo posto, la ricca moglie di un ancor più ricco (e bello, niente da dire) soldato. Pensò che, se fosse rimasta con lui, avrebbe avuto di tutto, e forse anche di più.
E poi pensò a Len.
Len sarebbe stato contento se Rin avesse vissuto una vita degna, piena, felice. Lui diceva sempre che se lei stava bene, tutto andava per il meglio. Se fosse morta, be’, tutti quei discorsi non avrebbero più avuto valore e magari... magari Len sarebbe stato male. Troppo male.
Ma non solo lui. Sua madre le voleva molto bene. Gakupo, non è che la amasse, ma aveva sviluppato per lei una certa simpatia. Suo padre... era pur sempre suo padre. E Gumi? La dolce Gumi? Che l’aveva sempre sostenuta, e ci teneva tantissimo a lei. Lei come avrebbe reagito?
Rin tentò di immaginare la reazione di Gumi se per caso fosse venuta a sapere l’intera vicenda.
Non poté fare a meno di vedersi davanti gli occhi scintillanti e le mani congiunte, mentre trillava con voce zuccherosa: “Una storia d’amore così intensa eppure così impossibile e struggente? Rin, tu non capisci! Questo è oro colato per il romanticismo! È l’amore sventurato per antonomasia! Tu e Len siete destinati a stare insieme, e nemmeno la morte potrebbe separarvi!”
E invece, come avrebbe reagito se avesse saputo il suo piano di uccidersi?
“Oh! E’ così romantico. Andresti incontro a qualunque cosa, per quanto ignota, pur di non perdere la tua libertà e non rinnegare il tuo amore.”
Ma... ci sarebbe stato un ma, se lo sentiva.
“...Ma tu non puoi desiderare la morte. Altrimenti lui vorrà morire insieme a te. Saperti salva, viva e vegeta persino in un mondo in cui non può raggiungerti almeno farà in modo di alleviare il dolore, a la cicatrice potrebbe rimarginarsi più in fretta. E poi, è orfano. Ha perso tutto. Come puoi essere così crudele da volerlo privare anche della tua stessa vita?”
“Ma che differenza fa? Se non può avermi perché sono di un altro, o se non può avermi perché sono morta, non cambia nulla. Anzi, cambia. Per lo meno non soffrirà di gelosia. E poi andiamo, lui ama la vita. E sa che io non gli permetterei mai di decidere una cosa del genere... morire anche lui, dietro di me! Se lo facesse, sa che non glielo perdonerei mai; io desidero solo la sua vita.”
“Anche lui desidera solo la tua! Se le parti fossero invertite? Che faresti?”
“Be’... farei di tutto per impedirgli una tale pazzia. Però, se mi assicurasse che non c’è via di scampo... che altrimenti soffrirebbe tutta la vita... forse riuscirei a capire che in fondo è il male minore. E rispetterei la sua scelta.”
Vide la Gumi della sua testa diventare più determinata di quanto non l’avesse mai vista in realtà. “No, Rin. Non è così che funziona. Fai ragionamenti troppo logici, troppo meccanici. Una persona che ama non ragiona così. Anzi, non ragione affatto. L’amore sarà bello quanto vuoi, ma è insano, irrazionale. Stai certa che Len non si farà troppi complessi prima di decidere che non può vivere in un mondo dove non ha nessuno. So quello che stai per dire; avrà Miku, magra consolazione, avrà la musica. Ma ricordi la prima volta che vi siete parlati, la sera dopo del vostro incontro? Ricordi cosa vi siete detti? Non aveva nient’altro a cui aggrapparsi, e tu gli hai offerto te stessa e il tuo amore. Lui ha accettato quest’ancora di salvezza. Quanto credi che possa resistere al dolore se dovesse perderla? Credi veramente che la musica potrebbe risollevarlo?”
A quel punto Rin non aveva nient’altro da controbattere. Ma nel momento in cui si rese conto che in un litigio tra sé stessa e una Gumi inventata, stava vincendo la falsa amica, si infuriò così tanto che si costrinse a farla svanire dalla sua mente, pensando intensamente: “Non mi interessa. Chiamami egoista, se vuoi, ma io non sono abbastanza forte da poterlo sopportare. Len se ne farà una ragione, e con lui tutti gli altri: io morirò oggi pomeriggio, e nessuno potrà impedirmelo.”
La falsa Gumi, ovviamente, non replicò, né si fece viva per protestare quando Rin riuscì ad approfittare di un momento di distrazione di Gakupo e mise le mani su un pugnale dall’elsa riccamente intagliata.
Il sole della bandiera giapponese si stava alzando sulla lama. Lei, dal canto suo, non vedeva l’ora che venisse il tramonto, così tutto sarebbe piombato nella notte infinita.
 

***

 
Ci misero almeno una quindicina di minuti per cercare di declinare tutti gli inviti che Gakupo faceva a Rin e padre, per cercare di trattenerli più tempo possibile; alla fine riuscirono a liberarsi dell’insistenza del soldato, e a tornare a casa in tempo per un tè con la madre.
“Che programmi hai per il pomeriggio, cara?” chiese delicatamente a Rin.
“Credo che farò un po’ di pratica... cucito e il resto” fu la risposta evasiva. Anche solo quelle parole furono in grado di strappare un sorriso orgoglioso al padre.
“Avrai bisogno di aiuto?”
Rin fece un cenno di diniego con la testa, stanca di dover parlare. Per fortuna presto avrebbe smesso. Si alzò dal kotatsu, congedandosi educatamente - sentiva un po’ la voglia di salutare come si doveva i suoi genitori, che non avrebbe rivisto mai più; ma il tutto sarebbe sembrato troppo sospetto, così si limitò a raggiungere una delle sue stanze, chiudersi il pannello scorrevole alle spalle e sospirare pesantemente.
Non appena era arrivata a casa aveva nascosto il pugnale con il sole sorgente sotto il materasso. Controllò che si trovasse ancora lì, ma non lo prese fuori - non aveva ancora quella briciola di coraggio che le mancava per completare l’operazione. La falsa conversazione con Gumi l’aveva spossata e scombussolata parecchio; ora non era più tanto sicura come prima sul da farsi.
Avrebbe voluto fare una conta, una di quelle che le balie le insegnavano da bambina, e lasciar decidere alla sorte se fosse stata vita o morte. Ma non poteva lasciare che il destino decidesse anche quello al posto suo. Per una volta, voleva essere padrona della sua esistenza. Era stata manipolata fin troppo, e da troppe persone. Concluse che l’avrebbe finita lì e ora; quella era la sua decisione definitiva, nessun ripensamento di alcun genere.
Si impose di fermare i flussi di ogni pensiero, ma più cercava di scrollarsene, più ne arrivavano di nuovi.
In un vortice confuso di immagini, la più nitida e dolorosa era senza dubbio quella di Len, con gli occhi sgranati e un’espressione di orrore stampata in faccia, che guardava il suo cadavere, afferrava il pugnale con il sole sorgente e-
Ma quello non sarebbe successo, si disse Rin. Non sarebbe successo. Perché Len era abbastanza intelligente da capire che Rin avrebbe fatto ciò che andava fatto perché lui fosse in grado di continuare a vivere per entrambi, portare avanti quel sogno dal quale erano stati costretti a svegliarsi...
...O no?
“Len-se-ne-farà-una-ragione” fece ad alta voce, i denti serrati, sottolineando ogni singola parola mentre stringeva tra le mani il pugnale. “Basta. Basta. Non pensare più, maledizione, non pensare.”
Chiuse gli occhi, ma non aiutò molto. Dei due peggiorò la situazione.
Rin proruppe in un grido di frustrazione; come poteva fare per liberarsi di tutti quei pensieri molesti?!
Adagiò la testa sul cuscino e alcune timide lacrime iniziarono a scendere, senza che Rin se ne accorgesse davvero; stava cercando di ricordare una conversazione che aveva avuto con Len parecchio tempo prima che Miku li scoprisse, quando ancora l’idea di un addio sembrava lontana e di poca importanza. Parlavano della concentrazione di un musicista, se non ricordava male.
“Ogni volta che provo a suonare qualche composizione davanti agli ospiti dei miei genitori”, si ricordava di aver confessato, “non riesco a non pensare che sbaglierò qualcosa e tutti rideranno di me.”
“Capisco ciò che intendi, ma non puoi lasciare che la paura ti freni. Proprio non puoi permettertelo, a un musicista non è concesso pensare mentre suona.”
“E come ci si libera dei pensieri? Io ci ho sempre provato, ma anche quando provo a liberare la mente, comunque penso sempre a qualcosa, e cioè a liberarmi la mente.”
Len aveva ridacchiato, e a quel ricordo Rin sorrise nostalgica. “Va bene, ti insegnerò il trucco che i miei genitori insegnarono a me” aveva detto, in tono altamente confidenziale. “Siccome è impossibile liberare del tutto la mente, bisogna concentrarsi su un solo pensiero. Uno solo. Il più felice che hai. Può essere un ricordo, una persona, un momento passato... io, quando suono, penso ai miei genitori che battevano le mani ogni volta che avevo finito una composizione e che mi lodavano. È per questo che, modestia a parte, mi vengono bene come dici tu.”
Concentrarsi su un solo pensiero... un pensiero bello... Rin decise che valeva la pena tentare, tanto di quel passo non sarebbe nemmeno riuscita a procurarsi un tagliettino su un polpastrello.
Afferrò l’elsa decorata del pugnale, guardò la sua lama immacolata - probabilmente non era mai uscita dall’armeria, né aveva mai visto sangue. Al pensiero di tanta purezza Rin perse ancora una volta la concentrazione - “No, Rin, ricorda cos’ha detto Len. Un solo pensiero. Un pensiero bello.”
Si asciugò le lacrime e si deterse quel poco di sudore che le imperlava la fronte. Sperò di non tremare troppo nel colpirsi al ventre, altrimenti il tutto avrebbe raddoppiato l’agonia e forse non sarebbe nemmeno morta subito, ma solo in seguito a un dissanguamento - “Un pensiero bello. Un pensiero bello.”
Appoggiò delicatamente la punta della lama (che era veramente appuntita) alla stoffa del kimono, all’altezza dell’addome.
Le mani le tremavano ancora; non era riuscita a trovare un bel pensiero, sebbene stesse cercando e cercando nei meandri della sua memoria. Pensare a Len, sebbene fosse ciò che di più bello conservava, la faceva stare troppo male. I suoi baci, la sua voce, i suoi continui, sinceri “ti amo”...
La composizione! La sua composizione. Yume Sakura, ecco con che cosa sarebbe morta. Con quella melodia rassicurante nelle orecchie. Che sapeva di speranza, di futuro.
Era perfetta. Tanto perfetta che ora non tremava più. La sentiva riecheggiare nella mente, proprio come se la stesse ascoltando.
E mano a mano tutto intorno a lei si faceva meno reale, persino la percezione dell’elsa fredda tra le sue mani o la lama sull’abito.
I battiti del cuore andavano rallentando, come se stesse per addormentarsi. Finì persino per convincersi che tutto quello fosse un sogno. Sì, un’illusione. Che non appena si fosse colpita, e avesse sentito la stilettata acuta penetrare nella sua carne, si sarebbe svegliata.
Sospirò un’ultima volta. Sì, quello era il momento adatto per morire. Non seppe da dove ne trovò la forza, ma sorrise, mentre l’ultima nota della composizione svaniva nella sua testa...
E poi lo sentì. Un suono che non era né quello immaginario del violino, né qualcosa di naturale come il canto di un uccello. Ma non ne era troppo sicura, perché tutto era ancora troppo ovattato a causa della melodia.
Così fece finta di nulla e riprese da dove si era fermata.
Però quel suono - meglio dire rumore - si ripeté nuovamente, uguale a prima. Ma cosa stava ripetendo? Sembrava un nome. Un nome molto corto. Il suo, magari?
Nonostante il mezzo intontimento (a quanto pareva, il pensiero di Yume Sakura aveva avuto una specie di effetto anestetizzante su di lei), riuscì a muovere piano la testa di lato per vedere da dove provenisse quel rumore. Strizzò gli occhi per riconoscere meglio la sagoma fuori dalla sua finestra: quando lo riconobbe, ovviamente era certa che fosse un’allucinazione. Len non poteva essere lì veramente, non poteva fissarla con quello sguardo disperato e la mano tesa verso di lei, come una specie di preghiera.
Rin batté le palpebre un po’ di volte, mentre vedeva le labbra di Len muoversi ma non sentiva nulla, solo la melodia in testa. Forse era impazzita, alla fine.
O forse era mezza morta, perché magari si era colpita male e aveva le visioni - insomma, si diceva che una persona in punto di morte potesse prevedere eventi futuri. Magari stava vedendo Len che si disperava per la sua morte, no?
Abbassò lo sguardo sulla lama. No, era ancora bianca come prima. Il sole sorgente non si era ancora tinto di rosso. Avrebbe solo dovuto dare una spinta e nulla di più. A quel punto le sembrava davvero facile. Chissà perché si era preoccupata tanto per quel momento?
“Guardami. Guardami.” Un altro richiamo che questa volta sentì nitido la fece voltare verso la figura di Len fuori dalla finestra. La stava lentamente aprendo, nel frattempo la fissava dritta negli occhi con un lucore terrorizzato. “Esatto, brava, guardami così. Continua a guardarmi.”
Rin obbedì, ma sentiva anche che, se avesse voluto concludere il tutto, quello sarebbe stato il momento opportuno. Cominciò a comandarsi di spingere la lama nel ventre, ma non successe nulla, perché era troppo impegnata a vedere Len che, con gesti cauti e lenti, entrava nella stanza.
“Bravissima. Rimani immobile e guardami negli occhi” continuava a ripetere. Rin continuava ad obbedire, docile, fino a che Len non fu davanti a lei, e in meno di un secondo si fu inginocchiato alla sua altezza e le ebbe afferrato con forza il pugnale dalle mani, strappandoglielo senza che lei opponesse un minimo di resistenza e gettandolo di fianco.
Solo a quel punto Len osò tirare su col naso in una sorta di singhiozzo liberatorio, e la abbracciò, stringendola talmente forte da farle male.
“Ma sei impazzita? Sei totalmente impazzita? Cosa stavi per fare, eh? Me lo spieghi?” Ora che il pericolo che potesse pugnalarsi era passato, si sentì libero di parlare ad alta voce, usare movimenti meno misurati, strattonarla per farla tornare in sé. Sembrava davvero in stato catatonico. Ma per adesso, l’importante era che era viva. “Cosa ti è saltato in mente!? Proprio non ci pensi a me, vero?”
“Io ci penso a te...” riuscì a mormorare Rin, “era per questo che volevo farlo. Per te.”
“Per me? Per me!?”
Len le afferrò il volto, imprigionandolo in entrambe la mani, e la costrinse a guardarlo. Era il vero e proprio volto della disperazione. Chissà come sarebbe stato trasfigurato se, invece che in procinto di morire, l’avesse vista in una pozza di sangue... per la prima volta la ragazza sembrò realizzare come l’avrebbe davvero presa Len. “Rin, e secondo te ucciderti sarebbe stata una soluzione presa per... per me? Mi prendi in giro!?”
Balbettò un po’ incerta, senza sapere cosa rispondere, né cosa fare. Si limitò a lasciarsi cullare da lui, nel silenzio più assoluto.
“L’avevo capito” ammise Len dopo un po’, accompagnando le parole con un sospiro basso. “Avevo capito che c’era qualcosa che non andava da un po’. Eri troppo assente, più del solito. Era ovvio che qualcosa di malsano ti frullasse in testa. E, testarda come sei, scusa” ridacchiò incerto, “non mi sorprende che tu ce l’abbia quasi fatta.”
“Perché sei qui?”
“Te l’ho detto, mi preoccupavo.” Tacque, poi riprese: “Sono un tipo ansioso. Se qualcosa ti assilla lo capisco. E oggi che non arrivavi avevo paura che potessi commettere un qualche errore... in realtà, non potevo immaginare che fosse tanto - tanto idiota. Ho cominciato a intuirlo man mano che mi avvicinavo. E poi ti ho vista qui. Oh, Rin” affondò il volto nei suoi capelli, “la prossima volta avvisa prima di farmi quasi morire d’infarto. C’ero più vicino io a restarci secco, credimi.”
“Sì, scusa” mormorò con un tono così basso da essere praticamente inudibile. Era sincera; sinceramente le dispiaceva di averlo fatto stare così male - e ora si rendeva conto di quanto male sarebbe potuto stare, se fosse morta. Ma come le era venuta in mente un’idea del genere? Come aveva potuto essere così menefreghista nei confronti delle persone che amava...?
Ah, giusto... la disperazione, no? “Perché non me l’hai lasciato fare, Len?” chiese, mettendo nelle parole più rabbia e determinazione di quanto in realtà provasse.
“Hai la faccia tosta di chiedermelo, anche?” replicò lui, aspro. Poi la mollò e la fissò severo. “Se credi che con la tua morte avresti, che so, fatto un favore a me e a tutti, non hai capito nulla. Ai tuoi genitori, avresti procurato dolore inutile. E a me? Semplicemente sarei morto anch’io.”
“Non ti saresti mai ucciso” protestò Rin. “Sei più intelligente di così, abbastanza da capire che non era questo che avrei voluto!”
“Su questo ti do ragione. Non mi sarei ammazzato, se ci avessi ponderato sopra. Eppure so che l’avrei fatto” spiegò, e Rin lo guardò senza capire. Quella frase non aveva senso.  Len sospirò. “Non credo che il buonsenso avrebbe fatto in tempo a fermarmi, sai. Il mio primo istinto è quello di stare con te e non lasciarti mai andare. Dovunque tu vada, di seguirti. Se ti avessi vista moribonda, non sarei stato capace di ragionare e... sarebbe finita in tragedia. Puoi starne certa.”
Ah, ora capiva. Era esattamente come le aveva detto la falsa Gumi. L’amore era irrazionale. Alla fine aveva ragione.
Len afferrò il pugnale con il sole nascente inciso lì dove la lama si fondeva con l’elsa. “Questo non ti servirà più, sono stato chiaro? Non osare ripetere un gesto simile. Se ci riprovi e muori, giuro che ti uccido.” Sorrise, e Rin sorrise insieme a lui, abbracciandolo.
E quando aprì gli occhi, un po’ della serenità momentanea che quello scambio veloce di battute le aveva portato svanì completamente, provocandole una morsa lacerante al petto - ancora peggio di quando aveva visto Miku nella radura osservarli allucinata.
Quello che stava vedendo appariva molto più pericoloso, perché Kamui Gakupo in persona era entrato nella sua stanza con il sorriso sulle labbra - magari con l’intenzione di farle una sorpresa. Ma ora il sorriso era paralizzato, congelato, sul suo volto sorpreso. Non si era nemmeno preso il disturbo di scomparire. Gli occhi saettavano da lei, a Len, al suo pugnale.
Non ci volle tanta perspicacia per capire che aveva frainteso tutto.
“Gakupo-” fu tutto quello che Rin fu capace di proferire, staccandosi da Len, prima che il diretto interessato si muovesse rapido nella loro direzione.
Non lo vide nemmeno mentre li separava fulmineo, e piantava un calcio in faccia a Len, col chiaro intento di allontanare il più possibile quell’aggressore da una giovane ragazza indifesa, nella sua stanza... la figlia del consigliere dell’imperatore... sola.
Rin rimase paralizzata dalla paura per una manciata di secondi - ma a lei sembrò molto di più, perché vedeva Gakupo picchiare Len per difenderla, anche se il pericolo non esisteva. Ma quello lo sapeva solo lei! Perché non reagiva!? E intanto Gakupo non dava nemmeno il tempo di parlare al ragazzo. Gli aveva già fatto un occhio nero e tagliato un labbro. Sembrava una furia inarrestabile. E Len così preso di sorpresa da non riuscire nemmeno a difendersi-
“Basta così! BASTA COSI’!” La voce di Rin era tanto alta che non sembrava nemmeno la sua. Si alzò e raggiunse Len, piazzandosi proprio tra lui e un altro calcio destinato al suo volto - Gakupo si fermò appena in tempo, prima di colpire lei.
Rin piangeva disperata. “Non voleva farmi del male!” gridò, e si lasciò cadere accanto a lui, abbracciandolo e al contempo proteggendolo col suo corpo da altre eventuali percosse. Lo guardò in faccia - rabbrividì, era uno spettacolo davvero miserabile. Non poteva credere che Len fosse stato ridotto così solo perché era entrato per salvarla dalla sua stessa stupidità...
Per colpa sua!
Vide con la coda dell’occhio Gakupo, che spostava lo sguardo sconvolto sul pugnale che era caduto mentre se la prendeva con Len - no, era decisamente troppo elegante, elaborato, brillante per appartenere a un poco di buono qualunque. Inoltre, portava anche il simbolo dell’esercito giapponese, il sole nascente... segno inequivocabile che quello provenisse da un’armeria di una qualche accademia... come la sua...
Allargò gli occhi nel momento in cui intuì tutta la verità. Ma non si mosse nemmeno quando sentì Rin balbettare: “Mi dispiace... mi dispiace...” Capì che quelle scuse non erano rivolte a lui.
“Non fa niente. Forse è meglio che me ne vada, eh?” Len cercò di mostrarsi meno sofferente di quanto in realtà fosse, e ammiccò anche - cosa che gli provocò un piccolo lamento.
Rin non riuscì a dire nulla. E forse fu anche un bene, o le cose si sarebbero protratte all’inverosimile.
Come Len aveva desiderato, tutto fu molto netto. Non ci fu nemmeno un ultimo bacio.
Sgusciò fuori dalla finestra, e qualcosa a causa di quel gesto si infranse echeggiando. Rin era abbastanza sicura che fosse qualcosa dentro di lei, perché l’aveva capito abbastanza bene, fra le righe - l’aveva capito che non l’avrebbe rivisto mai più.


------

Sherlock Giu alla riscossa! 8D AliYe, questo è per te. E' sempre bello cercare le immagini su ZC, con un "kagamine twins, wings" l'ho trovata subito. Spero che sia questa, ma da come me l'hai descritta non credo di essermi sbagliata. Ecco qua:

http://static.zerochan.net/Vocaloid.full.582670.jpg
http://www.youtube.com/watch?v=LB-dG5xtFo8

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Epilogue ~ Dreamy cherry blossoms, please don’t die. ***


Epilogue ~ Dreamy cherry blossoms, please don’t die.
 
“Ahi, madre… mi state facendo un po’ male…”
In effetti ‘un po’ male’ è un eufemismo, quando vostra madre cerca in tutti i modi di sgrovigliare quel nido di nodi che sono diventati i tuoi capelli, dopo una mattinata intera passata a cercare di districare l’elaborata acconciatura tutta trecce e nastri creata per uno delle solite feste mondane a cui Rin era condannata a partecipare.
Sua madre prese il pettine tra le dita, in una sorta di minaccia muta per il povero cuoio capelluto della figlia. Solo a vedere quei fittissimi dentini, pronti a strapparle più lamenti di dolore che capelli o nastri, le veniva il batticuore. “Madre, madre, è davvero necessario?”
“Sì, cara. A meno che tu non voglia rimanere l’equivalente di un gomitolo di lana calpestato a vita.”
Rin strinse le labbra e si costrinse a sopportare il dolore. Quando, dopo vari strattoni e altri gesti poco delicati - di sicuro, non ci si aspettava tanta veemenza da parte di una donna così raffinata - la pettinatura finalmente fu sciolta, e i suoi soliti capelli morbidi furono ricaduti sulle spalle (un po’ più sconvolti del solito, a dire il vero) Rin riuscì ad espirare tutta l’aria che aveva inalato per la durata dell’operazione.
Sentiva la testa pulsare un po’. Ancora, però, quell’un po’ era un eufemismo.
“Grazie, madre.” Cercò di sembrare convincente, nonostante le lacrime agli occhi.
“Sai, mi è dispiaciuto disfare un’acconciatura così bella. Eri davvero meravigliosa, ieri sera. Tutti avrebbero voluto farti la corte. Furbacchioni” ridacchiò, “come se non sapessero che non sta bene fare la corte ad una donna sposata!”
Rin ricordò quell’uomo che si era accostato a sua madre, durante i festeggiamenti, e l’aveva adulata complimentandosi per l’abito e dicendo che non dimostrava più di vent’anni; all’immagine di lei che rispondeva con una risatina da civetta, storse la bocca. “Già, ma anche le donne non dovrebbero starci” sussurrò. Lei non colse l’allusione e si allontanò dalla toletta.
“Oh, stai crescendo così in fretta, piccola mia” sospirò. Il tono era il classico di quei genitori che sembrano realizzare per la prima volta che la loro figlia ha già diciassette anni e sta per compiere un anno di matrimonio.
Prima che sua madre potesse scoppiare in lacrime di commozione, Rin la raggiunse e l'abbracciò. “Non così tanto, poi. Sono ancora come qualche anno fa, ricordi?”
“No, non è vero. Sei sposata da un pezzo. Presto avrai anche dei figli, immagino. Ne hai parlato con Gakupo, come ti ha suggerito tuo padre l’altro giorno?”
“Ehm, io...” La verità? Non le era nemmeno passato per l’anticamera del cervello. Ma questo non poteva certo confessarlo. Per fortuna, sua madre intuì tutto, e la interruppe prima che potesse aggiungere altro: “No, ho capito. È ancora un po’ presto. Va benissimo, in fondo” le prese il volto tra le mani, “io sono ancora troppo giovane per essere nonna! Non dimostro nemmeno più di vent’anni!” miagolò.
“Esatto” confermò Rin ridendo.
Quando sua madre fu uscita dalla stanza, Rin cercò di sistemarsi alla meno peggio i ciuffi sparuti che non ne volevano sapere di stare al loro posto. Poi si guardò allo specchio.
Non era cambiata affatto. Nulla in lei testimoniava che fosse già passato un anno dagli eventi traumatici dei giorni prima del matrimonio con Gakupo. Be’, forse ciò che era davvero nuovo - e a cui Rin faceva ancora fatica ad abituarsi - era la fede all’anulare sinistro. Al suo interno era incisa la data della loro cerimonia di nozze.
Essere sposata con Gakupo non era poi così male. Il più delle volte lui la lasciava fare ciò che voleva, e non osava nemmeno comandarla a bacchetta. Convivevano più o meno come potrebbero convivere due amici, spesso si ignoravano e basta, o parlavano del tempo meteorologico ogni mattina, quando lei faceva da mangiare prima che lui andasse all’accademia. Si davano il bacetto mattutino, Gakupo usciva, Rin passava la giornata con sua madre o alcune sue cameriere, che erano diventate ottime amiche - non vedeva più Neru, Gumi... Miku.
Però aveva sentito dire che si era sposata anche lei, di recente. Fortunatamente, Rin aveva avuto una specie di illuminazione, che la portò ad allontanarsi dalla stanza prima di sentire il nome del giovane fortunato. Aveva ancora il terrore di quel nome di tre lettere. Non lo aveva più pronunciato né sentito pronunciare dal giorno del quasi suicidio, e per lei era stato molto meglio così. Non che lo avesse dimenticato, era impossibile - però col tempo si era abituata alla sua assenza...
Rin fece un sorrisetto amaro, che lo specchio ricambiò simultaneamente. Triste, eh?
Dopo che lui se n’era andato, Rin era rimasta a singhiozzare per terra a lungo, in stato pietoso. Per quanto ne sapeva Gakupo era rimasto lì per tutto il tempo, perché quando un po’ riuscì a riscuotersi, era entrato quasi subito nella sua visuale.
La stava fissando particolarmente triste, ma non deluso. Come se fosse stato dispiaciuto per lei. Le aveva chiesto se voleva essere lasciata sola, e lei aveva annuito - a quel punto aveva aperto il pannello scorrevole ed era uscito, e Rin si era calmata un po’. Si era imposta di smetterla di piagnucolare come una bambina, tanto non sarebbe servito a riportarlo indietro e a cambiare le cose.
Da allora cercò di mostrarsi il meno traumatizzata possibile, davanti ai suoi genitori (che non intuirono mai nulla) e a Gakupo, che ormai aveva già capito come stavano le cose, ma che dopo quel giorno non osò mai tornare sull’argomento - Rin gli era debitrice per quello. Non aveva bisogno di altro, se non che lui facesse finta che tutto quello non fosse mai successo, così poteva illudersi che fosse davvero così.
Una sola volta aveva provato a ripercorrere da sola la strada fino alla radura, di pomeriggio. Lui non c’era. Si era convinta che fosse meglio così ed era tornata indietro. Non aveva più provato a cercarlo, da allora.
Guardandosi allo specchio, si rese conto che le piaceva ricordare i bei momenti passati insieme, col senno di poi. Se c’era una cosa di cui era certa, era che non si sarebbe mai pentita di tutto ciò che avevano passato. Oh, aveva sofferto, e anche parecchio, ma era anche stata felice. Davvero felice. E quelli erano ricordi che appartenevano solo a loro due, e lo sarebbero stati per sempre. Le avrebbero fatto compagnia nei momenti di solitudine.
Però la notte piangeva ancora. Era più forte di lei.
Rin si alzò dalla toletta e raggiunse la sala dei ricevimenti della casa nella quale viveva con Gakupo da un anno a quella parte. Cominciò a bollirsi del tè, i pensieri sguinzagliati a destra e a manca, così confusi che non sapeva nemmeno quale valesse la pena di seguire. Lasciò semplicemente che tutto svanisse nel calduccio familiare del tè, che le scendeva giù per la gola bollente.
“Ah, neanche a me piace il tè.”
Era vero, a lui non piaceva... se fossero stati marito e moglie, si sarebbe premurata di eliminare ogni singola foglia di tè dai dintorni della loro casa, per impedire che lo disturbassero. Si sarebbe accontentata di altre bevande che sarebbero piaciute ad entrambi. Si sarebbero seduti sul porticato, abbracciati l’uno all’altra, e avrebbero guardato insieme un’altra primavera arrivare, accompagnata dagli alberi in fiore, e poi un’altra ancora e un’altra ancora. Finché morte non ci separi. Le aveva dette a Gakupo, quelle parole - ma persino lui aveva capito che non era rivolte allo sposo. Neanche un po’.
“Oh...” Rin si lasciò sfuggire un’esclamazione soffocata. Sentiva gli occhi pizzicare. “Non è un buon momento per piangere, Rin” si rimproverò a mezza voce. Poi guardò fuori dalla finestra; il sole era alto nel cielo. “Sì, ce l’hai un po’ di tempo per fare una passeggiata, Rin” mormorò.
Afferrò un copri abito e uscì.
 

***

 
Davanti a chiunque avrebbe giurato di no, ma in fondo lo sapeva perché aveva deciso di intraprendere quella strada. Era lunga, arrivare da casa sua a quella dei suoi genitori, ma in un qualche modo non le sembrò poi così difficile raggiungere il retro dell’abitazione, lì dove si affacciava la finestra della sua camera al pianterreno. Guardò il boschetto di rovi su cui dava il sentiero appena accennato.
Per un attimo si chiese se non fosse troppo azzardato - o doloroso - ripercorrere quella strada. Di solito, dall’altro capo c’era sempre - sempre...
“Oh, dai” sussurrò, seccata. Non riusciva nemmeno a pensarlo, quel nome. C’era sempre Len.
Prese un gran sospiro, e fece dietrofront, decisa a tornare indietro.
Ma Len non ci sarà. Come l’altra volta, no? Tu stai solo facendo una passeggiata, in memoria dei vecchi tempi.
Fece un’ulteriore dietrofront, per ritrovarsi nella stessa posizione di prima. “Giusto. Una passeggiata” mormorò, e si gettò a capofitto nel boschetto, superandolo del tutto.
A quel punto, quasi si aspettava di sentire echeggiare il suono di un violino - le sue aspettative vennero, per la seconda volta in un anno, distrutte; tutto taceva. Meglio così, continuava a ripetersi tra sé e sé, ma la sua convinzione era ormai a un livello così basso che raggiungeva la suola dei suoi stivali.
E proprio mentre stava davvero riuscendo a persuadersi che effettivamente era meglio così, la sentì.
Flebile, come la prima volta.
Così tanto che se ci fosse stato del vento, non l’avrebbe sentita. Come la prima volta.
Il suo buon senso la raggiunse nel momento in cui faceva un passo avanti in direzione della melodia. Cominciò a urlare, dentro la sua testa: non andare! Non andare! Lo sai che non sta per succedere niente di buono, torna a casa ad aspettare tuo marito!
Quel cosiddetto buon senso, stranamente, aveva la voce di Miku. Ragione in più per cui Rin fu felice di ignorarlo e andare avanti per la sua strada.
I primi metri tentò di mantenere il passo più lento che poteva, come se stesse ancora passeggiando senza meta. Gli ultimi, però, proprio non riuscì a trattenersi e insieme all’andatura anche il battito del cuore accelerò. Alla fine esitò appena. Come sarebbe stato sbucare fuori in quel modo, dopo un anno che non si vedevano, entrambi sposati? Len come l’avrebbe presa?
Sperò intensamente che sarebbe andato tutto bene, siccome ora era nella radura e lo guardava suonare. Non sarebbe riuscita a tornare indietro comunque, perché ormai l’aveva vista.
Nemmeno lui era cambiato più di tanto. Era diventato un po’ più alto, notò subito. Gli occhi erano sempre gli stessi, a differenza degli abiti - molto più curati che in passato, e il violino sembrava nuovo di zecca. Chissà, ora che era sposato con la figlia di un aristocratico, quanti privilegi doveva avere.
Un momento... sposato! Ma quella che aveva all’anulare sinistro non era una fede. Era un semplice anello di fidanzamento.
Forse esagerava, ma Rin non si era mai sentita così sollevata in vita sua. Non era Miku. L’aveva accontentata davvero, alla fine.
“Rin? Che ci fai qui?”
La ragazza sentì la frase, ma la bocca di Len non si era mossa. In effetti, quella era una voce un po’ troppo femminile per appartenere a lui, che la fissava con uno sguardo di avvertimento. Come se stesse cercando di dirle: “Non parlare.”
La fantomatica fidanzata doveva essere lì con lui, e la cosa le smosse un’immediata gelosia. Len portava un’altra ragazza nella loro radura, anche dopo tutto ciò che era successo lì! Non le interessava se fosse la sua promessa sposa, avrebbe dovuto mantenere quel luogo segreto. Si sarebbe infuriata come una belva e gliene avrebbe dette quattro, se non ci fosse stata quella ragazza lì con lui...
Quella ragazza... Rin ci mise un po’ prima di realizzare che: uno, quella ragazza che in teoria non avrebbe dovuto conoscere l’aveva chiamata per nome. Due, ora che ci faceva caso, era anche una voce abbastanza familiare. Quando la vide andarle incontro, il cuore fece un balzo improbabile fino a schizzarle in gola, e lì rimase per un bel po’.
“Gumi.” Cercò in tutti i modi di sfoderare il tono più amichevole che aveva in repertorio.
Anche Gumi sembrava tutta emozionata per quell’incontro inaspettato, ma la sua almeno era una reazione sincera.
Rin pensò che non significava nulla se c’era lei, nella radura. Magari erano amici. Magari era arrivata nello stesso momento in cui era arrivata lei, attirata dalla musica, e non conosceva Len. Ma quando si azzardò ad abbassare gli occhi sulla sua mano sinistra, notò l’anello di fidanzamento.
Non seppe dire se era più sconvolta per il fatto che Gumi le avesse portato via Len, o per il fatto che l’amore di Len per lei fosse del tutto fittizio. Perché, sinceramente, secondo Rin l’unica persona tra quelle che conosceva che più di tutti meritava l’amore autentico era proprio Gumi.
“Ah, quasi dimenticavo” fece la ragazza, ammiccando. “Un’amante della musica come te non avrebbe mai tirato dritto dopo aver sentito le sue composizioni, dico bene?”
Rin annuì.
“E’ da tanto che non ci vediamo. Scommetto che ancora non sai che mi sto per sposare, e che lui è il mio fidanzato” illustrò Gumi. Len tese la mano cortesemente e Rin fece altrettanto; eseguì un tesissimo baciamano. “Ci sposeremo tra una settimana!”
“Gumi... io... è bellissimo” si limitò a dire Rin, con voce leggermente rotta. Non ebbe nemmeno la forza di sorridere - ma era per la perdita definitiva di Len, o forse perché non aveva la faccia tosta di mentire così sfacciatamente a Gumi? In entrambi i casi, ovviamente Gumi si accorse che qualcosa non andava. A dispetto delle sue aspettative, però, non disse nulla. Aggiunse: “Uh, a proposito... la senti ultimamente Miku?”
“No. So che si è sposata.”
“Lei...” lanciò uno sguardo esitante a Len, “in realtà, lei doveva sposare Len. Ma poi è successo - be’, le cose sono andate un po’ male e l’ha presentato a me.”
Rin si irrigidì. “Ah... capisco.” Guardò Len anche lei, e dalla sua espressione poté aggiungere dettagli alla versione di Gumi. Probabilmente, lui doveva averla rifiutata, e lei, così arrabbiata per le ovvie ragioni che le avevano impedire di avere Len, aveva comunque tentato di avere una certa autorità su di lui decidendo con chi si sarebbe sposato. A quel punto, Len non avrebbe potuto rifiutare ragazze all’infinito.
Il solo pensiero che tutto quello fosse successo davvero la fece arrossire di rabbia.
Gumi si rivolse a Rin: “Non è che ti andrebbe di fare una passeggiata e due chiacchiere, Rin? Dobbiamo recuperare un anno di pettegolezzi.”
Rin annuì e la seguì, dopo un ultimo sguardo a Len che ricominciò a suonare.
“Viene qui quasi tutti i pomeriggi” spiegò Gumi quando furono fuori dalla radura. “Suona per i suoi. Sono morti durante un terremoto, è una specie di rito...”
“Oh” Rin era l’immagine dell’impassibilità. E così rimase per i successivi dieci minuti. Quando, infine, si rese conto che Gumi non aveva ancora iniziato a parlare a briglia sciolta - cosa bizzarra, specialmente ora che stava per sposarsi - si decise a guardarla in faccia. Aveva un’espressione assorta, come di qualcuno perso in pensieri malinconici e nostalgici. No, decisamente non era da Gumi un’espressione del genere. E sebbene ne avesse tutt’altro che voglia, Rin decise di indagare. “Gumi? C’è per caso qualcosa che non va?”
“Uh? In che senso?” fece l’altra, riscossa, con un tono privo di intonazione. Quasi... apatico. Ora Rin iniziava a preoccuparsi veramente. Stavolta la faccenda, di qualunque cosa si trattasse, doveva essere seria. “Sei strana. È successo qualcosa?”
“In realtà...” Gumi distolse lo sguardo. Sembrava combattuta. Ma a causa di cosa? “No, no, in realtà no” balbettò. “Sto bene, benissimo. Grazie. Sto benissimo.” E, detto questo, fece due rapidi passi in avanti e continuò a camminare dandole la schiena.
Rin gonfiò le guance, proprio come aveva fatto l’amica un anno prima contro Miku; allora stava cercando di darle conforto, e Rin non poteva non ricambiare il favore. Raggiunse tutta infervorata Gumi, prendendola per le spalle e facendola voltare per guardarla in faccia... ma la sua gola non fu capace di produrre suono.
Gumi piangeva. Ma non sembrava nemmeno accorgersene del tutto. Aveva gli occhi ben spalancati, la bocca socchiusa, e le lacrime scorrevano come avrebbero potuto fare sul vetro di una finestra. “Non guardarmi” mormorò, scrollandosela di dosso.
“Gumi... stai piangendo...”
“Pare che tu abbia ragione” replicò lei, amareggiata. “Ci crederesti che le lacrime di una sposa non sono sempre di felicità, o pensi che io sia patetica?”
“Non potrei mai pensare una cosa simile di te” replicò Rin. “Ma se mi spiegassi che succede...”
“Oh, dai, non dirmi che non l’hai ancora capito.” Si sedette all’ombra di un albero, la schiena premuta contro il tronco, e Rin la imitò. “Len è un ragazzo d’oro, sai? Ma per qualche strana ragione che ora mi sfugge, non sono innamorata di lui. Tutto qua. Sì, è una cosa stupida, ma siccome ero una bambina che credeva ancora alle favole e al principe azzurro, vedi, quando ho scoperto di non esserne innamorata sono rimasta sconvolta. Ma ormai i giochi erano fatti, dovevo sposarlo. E ora, dopo una vita intera passata a sognare il mio matrimonio, potrò celebrarlo... senza amare.” Serrò i denti, digrignandoli. “Buffa la vita, vero?” aggiunse.
“Oh, Gumi...”
“No, ti prego” mormorò, celandosi il volto con le mani. “Non provare compassione per me. Mi basta la mia. Mi faccio pietà da sola, ma proprio non posso fare a meno di essere così infantile. Invece di rassegnarmi e sposarmelo, quello, ogni notte la passo a piangere e a chiedermi cosa ci sarà di così sbagliato in lui. Anche se lo so, che se c’è qualcuno che ha qualcosa di sbagliato, quella sono io... perché mi sono rifiutata di crescere, e guarda dove mi ritrovo.”
A quel punto Rin non aveva idea di come controbattere. Si sentiva in un vicolo cieco. Ma aveva paura che a rimanere in silenzio non si sarebbe risolto nulla. Doveva dire qualcosa. Qualunque cosa, anche un commento banale sul tempo, cambiare argomento, farla smettere di piangere... “Io lo amo” disse infine.
Rimase così sorpresa nel sentire pronunciare quelle parole dalla sua stessa bocca, che per un po’ non fu capace di proferire altro. Sentiva lo sguardo interrogativo di Gumi su di lei, e di certo non poteva biasimarla - be’, per lo meno adesso aveva smesso di piangere.
“Ami chi?” chiese Gumi, con voce tremante. Rin non credeva che avrebbe sopportato un’altra notizia come quelle che si portava nel cuore, così si mise a pensare a come salvare la situazione. Alla fine, folgorata da un’idea improvvisa, abbassò le palpebre stancamente. “...Gakupo. intendevo Gakupo.” Poi sospirò, e il peso di ciò che stava per dire le sgorgò dalle labbra senza la difficoltà che si era aspettata: “Mi sono accorta che dopo un anno che conviviamo, i miei sentimenti hanno cominciato a cambiare. E ora viviamo una di quelle storie d’amore che mi raccontavi sempre tu, sai. Siamo molto felici insieme.”
Le opzioni erano due: o in un anno le sue doti di attrice erano migliorate notevolmente, o Gumi era così accecata dalla delusione che alla prima possibilità di ribaltare la sua situazione che si presentava, anche se poco probabile, ci si aggrappava all’istante. “Dici davvero?”
“Certo. E sono sicura che accadrà la stessa cosa a te e Len.”
“Ma sarà facile? Smetterà di fare così male?”
“Una persona mi disse... tanto tempo fa...” Rin deglutì, e si costrinse a ripetere le parole di Len, “prima o poi...”
Gli occhi di Gumi si inumidirono ancora di più, e altre lacrime cominciarono a caderle sul viso - ora però le iridi brillavano un po’ più speranzose di prima; sempre meno del normale, ma non era comunque poco. A Rin dispiacque averle mentito così, ma se era per il suo bene alla fine fu addirittura sicura di aver fatto la cosa giusta.
Gumi la prese per mano, dandole un veloce, tiepido abbraccio. “Grazie, grazie” la sentì sussurrare al suo orecchio, poi iniziò a trascinarla di nuovo in direzione della radura, asciugandosi frettolosamente le guance.
 “Len!” chiamò. “Secondo me Rin sarebbe felicissima di ascoltare una tua composizione” fece, e Rin per conferma annuì. Sentiva la testa stranamente più leggera.
“Oh, bene. Mi sembra un’ottima idea.” Len posizionò il violino sulla spalla, e mosse l’archetto con un movimento la cui familiarità non sfuggì a Rin. L’aveva visto migliaia di volte. Ogni volta significava l’inizio di un sogno, dal quale entrambi - e anche Gumi, a giudicare da come stavano le cose - avevano dovuto svegliarsi troppo presto.
Quando Yume Sakura finì, Rin si ricordò di respirare.
“E’ davvero splendida” mormorò. “Ce l’ha un titolo?”
Len la fissò con uno sguardo tanto intenso che Rin si sentì quasi possedere da esso. “Ci ho pensato, ma è difficile da spiegare” disse infine.
“A cosa avevate pensato?”
“Ecco, il fatto è che questa l’ho composta di recente. E forse... credo di essermi ispirato a una persona che ho amato, ma che purtroppo non mi appartiene più... per scriverla.” Le stava scavando dentro un solco così profondo che per un attimo a Rin mancò l’aria per respirare. “Quindi pensavo di chiamarla... Yume Sakura. Non chiedetemi perché, però.”
“Va bene.” La ragazza chiuse gli occhi, perdendosi nel mondo infinito in cui esistevano solo loro due. “Non vi chiederò il perché”. 

***

NdA.
Credo che in me ci sia qualcosa di maledettamente sbagliato. E ora vi illustro il perché in tre punti.
1) Len, Rin, Gumi e Luka in teoria sono i miei Vocaloid preferiti. Len e Rin finiscono per essere separati per sempre, Gumi sposa uno che non ama e soffre come due cani messi insieme e Luka a quanto pare vive con un tizio che la picchia. Ottimo, non vi pare?
2) Miku e Gakupo mi stanno abbastanza indifferenti. Miku non ha potuto avere il matrimonio che desiderava, eppure possiede qualche libertà mentre a Gakupo Rin non ha mai fatto caldo né freddo, ma gli sta abbastanza simpatica.
3) La cosa peggiore di tutte. Neru. La detesto. E l’ho fatta sposare con il suo principe azzurro, colui che amava sin dall’inizio, col quale vivrà per sempre felice e contenta.
...
Che cos’ho che non va, secondo voi?
Perché nemmeno Hitoshizuku, per quando sadica (o masochista, a seconda di come si guarda la faccenda), riuscirebbe a raggiungere le vette di crudeltà che ho raggiunto io in questa fic.
Sono veramente sconvolta... e... spiacente. Scusate.
Ora vado a ritirarmi tra le montagne e divento un’eremita senza connessione a Internet, così la smetto di distruggere OTP a destra e a manca - che nel caso di noi fan del Kagaminecest non sta per One True Pairing, ma per Only Tears and Pain. [cit.]
Andate in pace. Amen.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=910661