La piccola grande storia della Valle dell'Orco

di MaikoxMilo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** La mia vita ***
Capitolo 3: *** L'incontro ***
Capitolo 4: *** Presentazioni compromettenti ***
Capitolo 5: *** Lunedì (e un'altra settimana di scuola ha inizio!) ***
Capitolo 6: *** Passeggiata con... sorpresa! ***
Capitolo 7: *** Imparare a conoscersi ***
Capitolo 8: *** Febbre ***
Capitolo 9: *** Comportamenti inaspettati ***
Capitolo 10: *** La famiglia Delacroix (prima parte) ***
Capitolo 11: *** La famiglia Delacroix (parte seconda) ***
Capitolo 12: *** Un nuovo inizio ***
Capitolo 13: *** Chi è realmente Cardia?! ***
Capitolo 14: *** Ritorno a scuola ***
Capitolo 15: *** Una zazzera inarrestabile (prima parte) ***
Capitolo 16: *** Una zazzera inarrestabile (seconda parte) ***
Capitolo 17: *** Il compleanno di Milo ***
Capitolo 18: *** La leggenda della Valle dell'Orco ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

 

“Sakura, aspetta un attimo, non possiamo…”

Ma io non bado neanche alla voce che, cercando di mantenermi calma, mi invita a non correre dentro l’edificio in preda ad una crisi di ansia … Inutile dire che non la ascolto neanche, essendo completamente avulsa dalla paura, terrore perché per la prima volta una persona a me cara sta rischiando di perdere la vita …

Entro nell’ospedale senza badare alle persone che mi stanno intorno, in questo momento potrebbe pure finire il mondo che non me ne accorgerei neanche! Come potrebbe essere altrimenti?! È stata tutta colpa mia, e il dolore assordante che mi sta lacerando il petto e lo stomaco non può certo essere comparato alla sensazione di vuoto che si sta impadronendo di me!

Corro come una forsennata nei corridoi gremiti di pazienti e di infermiere …

‘Un dottore, è possibile che non ci sia un medico neanche a pagarlo oro???’ penso, trafelata.

Un lieve rumore di rotelle al mio fianco mi fa voltare verso la direzione del rumore, facendomi ben sperare.

“M-Mi scusi … - inizio, titubante, appena mi avvicino al dottore che sta spingendo una sedia a rotelle con una signora di una certa età sopra - La prego, mi dica che lei ne sa qualcosa … Sapete niente di un certo Camus Delacroix? È venuto qui su un’ambulanza poche ore fa …” pronuncio il suo nome in un sussurro, quasi avessi paura che il solo fatto di nominarlo provochi conseguenze nefaste per lui stesso.

“Mi dispiace tanto, signorina, ma io sono addetto al reparto geriatria, mi occupo delle persone anziane” mi spiega con voce dolce, facendomi capire che capisce il mio stato d’animo e che è addolorato per la mia possibile situazione.

“Grazie comunque e scusi per il disturbo …” mormoro, abbassando lo sguardo e riprendendo la ricerca con ancor più enfasi.

Non ho idea di quanto tempo passi, ma mano a mano che interpello medici diversi e che ricevo da tutti risposte di diniego, la mia ansia si tramuta ben presto in rabbia incontrollabile.

“MA è POSSIBILE CHE NESSUNO IN QUESTO OSPEDALE SAPPIA QUALCOSA SU CAMUS?! EPPURE NON CREDO CHE UN NOME DI QUESTO GENERE PASSI INOSSERVATO!!!” grido per la disperazione, mentre le lacrime invadono il mio volto.

“Camus? Camus Delacroix, il ragazzo con i capelli blu che è venuto qui poche ore fa con una ferita da arma da taglio sul fianco sinistro?!”

Spalanco gli occhi al limite dell’umano possibile, voltandomi in direzione della voce gentile che mi ha risposto. Girandomi verso di essa noto che un dottore dall’aria pratica e dai lunghi capelli verde chiaro min sta fissando con aria grave.

Non perdo un attimo, con il cuore a mille corro verso di lui, sebbene le gambe mi tremino violentemente e facciano fatica a reggermi.

“Sì … La prego, ne sa qualcosa???” chiedo, mentre la nausea si fa sempre più forte dentro di me.

Il medico sospira, puntando i suoi occhi, di un incredibile colore rosa/viola, nei miei azzurri:

“Sono il dottor Sion, il primo a visitare il giovane che è giunto in ambulanza poche ore fa …" si prende una breve pausa, non trovando le parole giuste per proseguire.

“Come … sta?” ho solo la forza di domandare, sentendomi svenire.

“…Quando è giunto qui le sue condizioni ci sono apparse subito gravi e siamo intervenuti subito… In questo momento stiamo cercando di arginare la notevole perdita di sangue. Fatto questo, con ogni probabilità, dovremo attuare una splenectomia, poiché la sua milza è gravemente danneggiata. Non posso dirvi di più, la prognosi è riservata per il momento...” mi spiega, mettendomi una mano sulla spalla per farmi forza.

Istintivamente sento le gambe cedermi del tutto, facendomi rischiare di finire in terra se due braccia forti non mi avessero sorretto con una stretta gentile e decisa allo stesso tempo.

“Sakura, sono qui …!” mi dice solo Mu, il mio migliore amico, nonché colui che mi ha portata qui in macchina. I suoi occhi verdi, se pur distrutti dalla sofferenza come i miei, non smettono di guardare il dottore, in particolare i due nei, così tremendamente simili ai suoi, che spiccano sopra la fronte di Sion.

“Mu… Camus sta rischiando di morire per colpa mia, i-io…” non finisco la frase, perché i singhiozzi mi impediscono di farlo.

“Sakura, andrà tutto bene, vedrai …” prova a rincuorarmi, abbracciandomi e accarezzandomi delicatamente la testa.

“Rimanete in sala d’attesa, per favore! Noi faremo di tutto per salvarlo, è una promessa!” dice ancora il medico, scoccando un’ultima occhiata a Mu e dirigendosi poi nel salone di chirurgia.

Mu mi accompagna, sorreggendomi, nel luogo indicatoci dal dottore e mi costringe a sedermi accanto a lui. Io, incapace di compiere qualsiasi aziona tranne forse piangere, faccio come mi dice senza nemmeno oppormi.

“Sakura, andrà tutto bene, lo sai vero?! Conosco da relativamente poco Camus ma se c’è qualcosa che ho imparato di lui in questo breve arco di tempo è che non si arrende per nulla al mondo, a maggior ragione se sa che tu sei qui e che sei vicina a lui …” mi dice con voce flebile, mettendomi una mano dietro alla testa e facendola appoggiare contro la sua spalla.

“Sì ma è colpa mia se…” biascico, ingoiando a vuoto, ma l’arrivo tempestivo di un’altra persona che conosco fin troppo bene mi fa troncare la frase a metà.

“Milo…” lo chiama solo Mu, guardandolo con tristezza. L’interpellato, appena individuata la nostra posizione si dirige da noi correndo.

“Mu! Sakura! Che cosa diavolo… che cosa diavolo è successo a Camus???” esclama solo lui, mentre i suoi occhi non lasciano spazio che ha una sola emozione: la paura!

Con tutte le forze che ho tento disperatamente di placare i miei singhiozzi per cercare di pronunciare una frase dotata di senso logico:

“Milo, è tutta colpa mia! Camus... Camus mi ha protetto con il suo corpo, ricevendo così una pugnalata sul fianco sinistro che gli ha trapassato la milza. Maledizione a me, se solo non mi fossi girata di spalle!!! ”

 

 

 

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Sì lo so, il prologo è un po’ strano se messo a confronto con quello scritto nella presentazione, beh, vi basti sapere che questo è il presente, dal prossimo capitolo si farà un ‘salto indietro’ (che in verità è il fulcro centrale di tutta la storia) per scoprire meglio i personaggi e la storia della protagonista. Che dire? Mi auguro non mi lincerete per questo e che ‘mi farete compagnia’ anche in questo progetto. Ringrazio anticipatamente tutti coloro che troveranno il coraggio di leggere anche questa mia piccola follia, e ovviamente anche quelli che, eventualmente, lasceranno una recensione per descrivere le loro prime impressioni!

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Capitolo 2
*** La mia vita ***


CAPITOLO 1: LA MIA VITA 
 
Qualche tempo prima …
 
“Sono tornata a casa!” affermai, scaraventando la cartella sul pavimento e chiudendomi la porta dietro. Non mi stupii affatto quando vidi corrermi incontro i miei due cani: sempre i primi a salutarmi ogni qualvolta rientravo da scuola o da qualsiasi altro posto. 
 
“Mirtillo! Zeus! I miei due unici amori!” esclamai, felice più che mai dal vederli sempre così vivaci. Istintivamente mi inginocchiai e cominciai ad accarezzarli dietro alle orecchie, cercando di non essere buttata giù dalle loro zampe e di non farmi lavare la faccia dalla loro lingua appiccicosa. 

Mirtillo era il più giovane dei due, nonché ancora un cucciolotto malgrado le dimensioni già piuttosto considerevoli a dispetto dei suoi 9 mesi di età. Nulla di strano visto che gli Spinoni italiani sono cani piuttosto grossi; ed il mio color crema con le zampe e il muso di un marrone chiaro non faceva certo differenza!  
 
Zeus invece era un Pastore Belga color nero che si aggirava intorno ai 2 anni. Malgrado fosse più discreto dell’altro, quando rientravo a casa era sempre il primo a saltarmi addosso con un’enfasi non proprio degna del nome che portava (lo avevo chiamato con il nome del padre degli dei per dargli un’aria reverenziale, ma con scarsi esiti data la sua ingenuità).

Una cosa era certa: nessuno dei due era un buon cane da guardia, anzi, con ogni probabilità se mai fosse entrato un ladro, quest’ultimo sarebbe rimasto piacevolmente sorpreso dall’accoglienza canina che lo avrebbe riservato!  
 
“Buongiorno, Fiore di Ciliegio!” 
 
Così presa da Mirtillo e Zeus non mi ero nemmeno resa conto che Milo, mio fratello maggiore, era appena sceso dalle scale che conducevano alle nostre camere da letto con Asia, la micia di casa, in braccio. 
 
“Sakuraaaaaa!!!! Il mio nome è Sakura, fratello!” gli gridai, innervosita dal suo solito tono ironico. 
Milo scoppiò in una fragorosa risata e, posizionandosi di fronte a me, fece scendere la gatta dalle sue braccia. 
 
“Non è colpa mia se il tuo nome significa ‘Fiore di Ciliegio’!” esclamò, fissando le sue iridi azzurre nelle mie dello stesso colore. Quella caratteristica  era l’unica che avevo in comune con lui, per il resto completamente diverso da me. Fratelli, vero, ma talmente agli antipodi da sembrare due opposti che si attraevano e si respingevano senza mai darsi pace. Capelli blu-violaceo lui, castano chiaro io; solare e sicuro di sé lui, timida e insicura, a volte anche sin troppo impacciata, io … 
 
“Lo so bene anch’io che Sakura significa ‘Fiore di Ciliegio’; come sono consapevole che Ceresole Reale, il paesino di montagna in cui viviamo, indica secondo alcuni la presenza di piante di ciliegio (da qui l’idea di mia madre di chiamarmi con un nome giapponese) o l’abbondanza di acque, e infatti la nostra casa è in riva ad un lago!” risposi, sbuffando, facendo per andare in cucina a bere qualcosa, ma mio fratello mi sbarrò la strada. 
 
“Dove pensi di andare senza dirmi niente della tua giornata?! Com’è andata  a scuola?” mi domandò, iniziando a torturarmi le guance come faceva di solito per salutarmi. 
 
“Milov!! Lassciami, nonv riescov a parlarve coscì!!!!” tentai di oppormi, sbracciandomi. 
 
Mio fratello, sghignazzando ancora, mollò la presa su di me e mi guardò con sguardo curioso. 
 
“Ho 18 anni, Milo, compiuti da poco, è vero ma non c’è bisogno che mi fai ancora questi giochetti come quando eravamo bambini! Comunque a scuola è andato tutto bene, Mu oltre ad essere un amico prezioso è anche un ottimo compagno di banco!” dissi, massaggiandomi le guance e dirigendomi in cucina con passo incalzante. 
 
“Non ho dubbi! Muto durante le lezioni  lui, tu idem … Vi siete proprio trovati, non c’è che dire!” mi prese ancora in giro, ridacchiando. 
 
“Che io sappia a scuola si va per imparare … E poi non è vero che non parliamo, tutt’altro, però quando il professore spiega ascoltiamo con estrema attenzione!” ribattei, inarcando un sopracciglio e portandomi il bicchiere, pieno d’acqua, alla bocca.

Nel frattempo il mio sguardo navigò fuori dalla porta-finestra della cucina che si affacciava sul giardino di casa nel quale due pini svettavano maestosi verso il cielo … Quanto mi piaceva il luogo dove abitavamo! L’aria fresca della montagna era un toccasana per i polmoni ed io, nata e cresciuta in montagna, proprio non potevo concepire l’idea di vivere in una sporca e chiassosa città. Figurarsi, già il paese dove andavamo a scuola Mu ed io, Rivarolo Canavese situato parecchio più a valle di Ceresole Reale (e infatti ogni mattina sveglia alle 5 e pulmino alle 6 per poi ritrovarsi il più delle volte a correre per evitare di entrare tardi nell’edificio), mi sembrava sin troppo trafficato per essere considerato ‘montagna’.  
 
Rimasi a lungo a fissare l’azzurro del lago fare concorrenza al cielo straordinariamente dello stesso colore, sì, perché anche se l’Autunno era ormai arrivato da un po’ l’ultima scintilla d’Estate non aveva ancora deciso di svanire da quella valle, regalando agli abitanti del posto un clima ancora particolarmente temperato durante il giorno.  
 
“Ehi, miss Socrate, hai finito di perderti nei tuoi pensieri?! Devo parlarti!” mi richiamò mio fratello, in tono alto. 
 
Alzai gli occhi al cielo, per poi posizionarli sulla sua figura, intenta ad armeggiare una bottiglia di coca cola tra le mani.
 
La cucina non era molto spaziosa, ma compensava questa mancanza con i meravigliosi disegni quadrangolari dipinti sulle mattonelle, il bianco sgargiante degli elettrodomestici e il particolare odore di incenso che si aggirava nell’aria. 
 
“Mi ascolti o no?! Ho detto che a quanto pare sono venute delle nuove persone ad abitare in questo paese!” mi rimbeccò ancora Milo. 
 
Sbattei le palpebre, mormorando un “eh?” ben poco convinto: dovevo ammetterlo non avevo capito una sola parola di quello che mio fratello aveva cercato di dirmi! 
 
“Ecco, ci risiamo … Possibile che bisogna ripeterti 100 volte la stessa frase?! -sospirò Milo, amareggiato dalla mia incapacità di ascoltare le persone, anzi, la SUA persona visto che lui era l’unico che quando parlava non lo calcolavo minimamente - Ti ho detto che sembra che questa mattina sia arrivata una nuova famiglia, e pare che i loro membri saranno nostri concittadini per un po’! Sembra siano francesi …” ribadì, innervosito dal mio atteggiamento.  
 
“Ah, bene … E quindi?” domandai, confusa. Non riuscivo a comprendere perché Milo si sforzasse di dirmi una cosa simile, eppure avrebbe dovuto sapere che io non ero affatto come lui, che cioè non sarei andata a curiosare o a presentarmi, nemmeno se mi avessero pagato oro! 
 
Effettivamente forse la timidezza era il lato più negativo del mio carattere, nonché motivo preponderante di avere così pochi amici e di non possedere la benché minima fiducia in me stessa. 
 
“E quindi??? Quindi sai come sono le tradizioni qui: Ceresole Reale è un paesino di appena 170 abitanti, grosso modo ci conosciamo tutti, chi più chi meno, e se arriva gente nuova tutti devono andare a presentarsi e ad accogliere i nuovi venuti!” mi spiegò Milo, con una punta di stizza nella voce. 
 
“In tutta franchezza, Milo, non me ne può fregare di meno! Vengo da una dura settimana di scuola e oggi mi devo riposare! Domani farò il solito giro del lago che mi piace tanto con Mirtillo e Zeus ed io mi sento a posto così senza bisogno di conoscere altre persone!” esclamai, dirigendomi verso il salotto dove, tra tutti gli arredamenti, spiccava un grosso acquario da 250 litri contenente le più svariate specie di pesci dai più variopinti colori.

Prima di dare loro da mangiare mi soffermai ad osservare intensamente il gruppetto di Corydoras, un pulitore da fondo, che era intento a grufolare sulla sabbia del fondale. Quella particolare specie di pesce era la preferita mia e di mio fratello, motivo per il quale i nostri genitori ne avevano comprati un bel numero. 
 
“Sakura, sei sempre la stessa, non puoi fare uno sforzo per una volta?! Così renderai felice nostro padre e nostra madre!” insistette ancora Milo, facendo capolino dalla porta. 
 
“Per cosa?! Sei tu il loro cocco, le cose non cambieranno se ci vado anch’io!” ribattei, con una punta di acidità nella voce. Non volevo trattare male mio fratello, l’unica persona che mi era rimasta sempre accanto fin dalla più tenera età, ma sapevo che i nostri genitori non vedevano altro che lui e che io, per loro, brillavo solo di luce riflessa … riflessa proprio dallo stesso Milo. 
 
“Tu li giudichi troppo male, in realtà loro …” 
 
“Non dire altro, Milo! Per favore …” 
 
Senza aspettare una eventuale risposta uscii dal salotto e iniziai a salire le scale che conducevano su in camera mia. 
 
“Uff, sei proprio uguale a Mu, ci credo che è il tuo migliore amico!” commentò mio fratello, stranamente laconico. 
 
“Milo, i nostri genitori … li vedi da qualche parte in casa in questo momento?! Ecco, Mu, pur non conoscendo il padre ha sempre avuto la madre al suo fianco che parteggiava per lui, io … fin da quando ero piccola non ho avuto altri che te e una volta diventata un po’ più grande ho dovuto imparare in fretta a cavarmela da sola e a stare attenta che la tua ‘curiosità adolescenziale’ non ti portasse a compiere azioni potenzialmente pericolose … Come quando, appena quindicenne, ti sei ubriacato uscendo con i tuoi amici ed io, all’età di soli 13 anni ti ho dovuto riportare a casa … Puoi ben immaginare la reazione di mamma e papà, vero?!” affermai solo con un sospiro rassegnata, per poi salire le scale e dirigermi verso camera mia.

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Capitolo 3
*** L'incontro ***


CAPITOLO 2: L'INCONTRO
 
 
La mattina di Domenica mi svegliai insolitamente presto per i miei standard  festivi, probabilmente per evitare di beccare in giro i miei genitori che, quel giorno, rimanevano a riposarsi in casa. Giusto premio per le fatiche lavorative di una intera settimana! 
 
Non era infatti raro che passassi giorni e giorni senza neanche scambiare una parola con loro, d’altronde io cercavo di stargli il più lontano possibile, e loro di certo non si davano pena di chiedermi anche un semplice ‘come stai?’. 
 
Con Milo erano diversi, lui era sempre coccolato ed idolatrato, e da piccola non ne capivo il motivo. Perché lui era al centro dei loro pensieri ed io no?! Cosa avevo fatto di male per meritare una vita simile?!
 
Fu forse anche per alleviare a questa mancanza affettiva nei miei confronti che mio padre propose di farmi crescere in mezzo agli animali, così fecero e quella probabilmente fu, ed è ancora, l’unica cosa per la quale li ringrazio dal profondo del cuore, anche adesso che finalmente comprendo il motivo di una tale disparità di amore regalato a me e a Milo.
 
“Mirtillo! Zeus!” chiamai sotto voce i miei cani, i quali, udendomi, mi corsero subito incontro scodinzolando festosi. 
 
“Bravi, piccoli, siete proprio ubbidienti!” mi congratulai con loro, prendendo i guinzagli e mettendoglieli gentilmente. 
 
Presi la giacca di jeans e me la misi frettolosamente, uscendo poco dopo.
 
Il sole non era ancora del tutto sorto, sebbene il colore del cielo andava già tingendosi di un azzurrino chiaro e l’aria frizzantina della notte non fosse ancora del tutto passata. 
 
Sorrisi tra me e me, alzando lo sguardo dal lago alle Tre Levanne, già completamente coperte di neve. Queste tre montagne gemelle venivano chiamate così proprio in virtù della loro somiglianza e della vicinanza che le contraddistingueva, in modo tale che sembravano quasi una sola. Ricordai con un pizzico di nostalgia che, durante le giornate limpide d’Estate, l’immagine dei tre monti si rifletteva nelle acque del lago, creando una atmosfera di una bellezza senza pari. 
 
“Beh, non ha senso pensare al passato e alla bella stagione che ormai se ne è andata. Ora mi devo concentrare sul presente ed impegnarmi al massimo per essere ammessa alla Maturità di quest‘anno, nonché superarla a pieni voti!” dissi tra me e me, decisa più che mai. 
 
Certo, adoravo tutte le stagioni perché ognuna aveva le proprie peculiarità, ma l’Estate oltre a questo aveva il dono di farmi sentire più libera e meno piena di restrizioni, sì, in quel particolare periodo potevo andare dove mi pareva e piaceva in compagnia di Mu, che spesso e volentieri mi accompagnava nelle mie ‘avventure esplorative’ in cerca di animali o di posti meravigliosi. Era quella particolare stagione che mi faceva sentire davvero felice e viva. 
 
Così assorta nei miei pensieri non mi accorsi di essere già arrivata nella parte alta del paese  da dove ero solita partire per cominciare il mio abituale giro intorno al lago. 
 
“Buongiorno, Sakura! - mi salutò Shura, il cassiere dell’unico negozio di alimentari che aveva le più svariate merci disponibili - Anche oggi in giro con i cani, eh! Sei proprio instancabile! Beh, non ci si potrebbe aspettare altro da una ragazza come te, sempre solita prendere il pulmino praticamente tutti i giorni per andare a scuola!” 
 
Arrossii un po’ nel vederlo tutto trafelato e intento ad andare ad aprire il negozio, beh, come darmi torto del resto?! Era vero che aveva circa dieci anni più di me, ma la sua bellezza considerevole mi aveva già fatto passare per la testa due o tre pensierini ben poco... Ehm, casti! Che ci volevate fare?! Del resto dal basso dei miei diciotto ann di età appena compiutii mi sentivo parecchio attratta dai bei ragazzi, e Shura lo era in pieno! 
 
“Ehi, Shura! Sì, vado a fare il giro del lago per respirare a pieni polmoni quest’aria fresca!” gli risposi, cercando di distogliere l’attenzione dai suoi occhi scuri, quasi magnetici. 
 
“Fai proprio bene! Del resto questo clima così gradevole non è consono a questa stagione dell’anno visto che Ottobre è già iniziato da un pezzo. Per questo motivo bisogna cercare di sfruttare al massimo questa parentesi di stallo, perché quando inizierà a cadere la prima neve sarà molto più difficile muoversi in tutta libertà!” disse lui, mettendomi una mano tra i capelli e scompigliandomeli. 
 
Ridacchiai felice a quel contatto. Certo, anche Milo compiva quel gesto spesso e volentieri con me, ma regalato da un’altra persona che non faceva parte della mia famiglia mi sembrava quasi più... significativo, genuino...  Non saprei spiegare con certezza, ma di sicuro aveva tutto un altro sapore e retrogusto!
 
Salutato Shura, mi diressi immediatamente verso la discesa che conduceva direttamente al lago, mentre Zeus e Mirtillo mi seguivano fedelmente con la lingua a penzoloni di fuori, segno evidente che la sete si stava cominciando a far sentire. Nel frattempo la mia mente partiva nuovamente per la tangente…
 
Il lago di Ceresole Reale... un’opera idrica artificiale non indifferente, almeno per i miei standard! 
 
Da quanto avevo letto nei libri, la costruzione della diga iniziò nel 1925 ma fu inaugurata soltanto nel 1931, addirittura del re Umberto di Savoia che venne di persona ad ammirare la costruzione.  Ma tutti questi dettagli superflui non avevano alcun valore per me! Quello che contava era che il lago era un posto meraviglioso, un paradiso in terra con i suoi circa 9 km di passeggiata che offriva il suo giro completo.  
 
Fischiettavo allegramente al pensiero che avrei avuto un’altra occasione per ammirare il meraviglioso paesaggio del lago da vicino e da entrambi i lati delle sue sponde, quando mi accorsi che, da dietro i cespugli che separavano la stradina dalla “zona rocce” si cominciava ad intravedere l’azzurro delle acque del bacino farsi sempre più spazio tra la vegetazione. 
 
Sorridendo mi misi a correre in preda alla gioia con lo scopo di avvicinarmi ancora di più a quel fantastico paesaggio, ma quello che vidi ancora prima del lago completo mi fece immobilizzare per la sorpresa. 
 
Seduta, infatti, sugli scogli vi era una figura intenta a leggere un libro con estrema attenzione. Non seppi spiegare perché ma quella semplice visione fu in grado di farmi battere il cuore in una maniera inaudita e mai provata prima. Quello... chi diavolo era quel ragazzo dai lunghi capelli che se ne stava adagiato con una tale grazia sulla riva del bacino d’acqua?! In quel momento ne fui convinta: mai una tale apparizione avrebbe potuto essere più divina di quella! 
 
Mi diedi istintivamente una sberla. Che cavolo mi era passato in testa in quel momento?! Potevo vedere la figura solo di profilo e già la mia mente era partita per la tangenziale dell’immaginazione più assoluta, per non parlare dei miei ormoni! 
 
“Stai davvero esagerando, Sakura! -mi rimproverai da sola - va bene ammirare i ragazzi ma qui stai proprio superando ogni limite!” 
 
Eppure il mio sguardo non era altrettanto convinto visto che continuava imperterrito ad indugiare su quel ragazzo dall'aria così misteriosa ed elegante. La sua costituzione non era robusta, contrariamente a mio fratello Milo che già a vedersi dava l'idea di essere fisicamente potente. Nonostante questo non sembrava neanche un così detto "seghino", dimostrando invece una muscolatura non affatto male sulle braccia, ben visibili in quanto l'indumento che indossava non aveva le maniche.
 
Dalla mia postazione riuscivo bene a fissare i suoi lunghi capelli blu che gli ricadevano morbidamente sulle spalle quasi come se fosse la cosa più naturale del mondo; percepivo anche quasi la concentrazione del suo sguardo intento a leggere quel libro che, anche a distanza, profumava di antico. Il colore dei suoi occhi, i suoi lineamenti e la sua espressione mi risultavano ancora ignoti, aprendomi la strada alla più intensa immaginazione.
 
“Sarà meglio che vada prima di fare la solita figura barbina in presenza di un  esemplare dell’altro sesso!” sospirai tra me e me, accennando un passo nella direzione opposta a quella del ragazzo. 
 
Ma Mirtillo aveva deciso altro quel giorno... 
 
Infatti destino volle che un uccellino, nascosto tra i cespugli, prendesse il volo proprio in quel momento, e che Mirtillo, colpito da un tale movimento, desse un pesante strattone al guinzaglio. 
 
Le conseguenze furono inevitabili. Sbilanciata da quella repentina azione, mollai istintivamente l’altro cane, finendo comunque per rotolare giù dai cespugli con ben poca grazia. Un tonfo sordo sancì la mia caduta in stile, con tanto di gambe all'aria! 
 
Parbleu! Ed io che pensavo di aver trovato un posto tranquillo per leggere!”  
 
Il mio cuore perse istantaneamente un battito quando il mio cervello comprese che la voce dall’accento francese, con ogni probabilità quella del ragazzo che avevo adocchiato, si stava riferendo proprio a me. Mi maledissi mentalmente per la figura appena fatta, ancora di più per non aver avuto alcuna intenzione di compierla!
 
Rimasi quindi nella stessa posizione in cui ero caduta, rifiutandomi di effettuare anche un solo movimento, almeno finché Zeus, appena sceso dalla stradina, mi venne appresso e cominciò a leccarmi il volto con insistenza, forse preoccupato dalla  mia  ‘misteriosa’ apatia. 
 
“Sto bene, Zeus, tranquillo!” cercai di calmarlo, tentando di alzarmi. In realtà le ginocchia mi dolevano alquanto e probabilmente cadendo avevo messo male anche i polsi nell’estremo tentativo di ripararmi il viso. 
 
“Va tutto bene?” 
 
Non seppi né come né perché ma mi ritrovai magicamente in piedi con gli occhi del ragazzo a fissarmi con un pizzico di preoccupazione. In quell’esatto momento avvertii il mio respiro mozzarsi fino a farmi male, ma che importanza poteva avere?! Avevo il mare davanti al mio sguardo!!!
 
“Ti ho chiesto: stai bene?” ripeté lui, con una punta di nervosismo. 
 
“C-cche?? Che? Che??? Cosa, dove come, quando... AAAAAAHHH!!!” urlai all'improvviso, allontanandomi tempestivamente da lui per nascondere, con ben poco successo, il rossore delle mie gote ed il mio sguardo ebete. 
 
“Direi che stai bene!” sancì infine lui, sospirando, voltandosi e riprendendo nuovamente il libro lasciato precedentemente sulle rocce. 
 
Cercai di calmare i miei respiri ed i miei battiti, consapevole di aver fatto per la seconda volta una ben magra figura. Poi, grazie a chissà quale forza arcana, riuscì a trovare il coraggio di aprir bocca, anche se quello che uscì dalle mie labbra non era proprio la cosa più furba da dire in quel momento.
 
“ Ma tu... Ma tu sei un playboy! Non puoi pensare di andare in giro così senza che le ragazze ti caschino ai piedi!” gridai, assomigliando paurosamente ad una pazza isterica, ma cosa potevo dire altrimenti?! Già ero rimasta traumatizzata dai suoi occhi di un blu splendente, in più il suo abbigliamento, consistente in una camicia nera senza maniche sbottonata leggermente sul petto e sull'addome, coronato da dei pantaloni lunghi color marrone chiaro, non contribuiva certo a farmi ragionare a mente fredda! 
 
“Uhm? - mormorò lui con scarso interesse, probabilmente infastidito dal fatto che fossi ancora lì a girargli intorno, più o meno come un’ape si aggira con interesse attorno alla corolla di un fiore - Che io sappia, anche se mi sono appena trasferito qui, l’Italia è un Paese libero e questo comporta il privilegio di scegliere i propri usi e costumi, nonché il poter indossare quello che si vuole!” 
 
“Sì ma... Ma non puoi girare così, voglio dire è più caldo del solito va bene però tu sei... Sei proprio... - non terminai la frase, complice il fatto che un altro pensiero si era impossessato della mia mente - ASPETTA, TI SEI APPENA TRASFERITO???” urlai di nuovo, mordendomi il labbro inferiore. 
 
Nel frattempo Zeus cominciò a darmi delle musate frenetiche sul braccio, ma io non ci diedi troppo peso. 
 
“Quanto sei noiosa, ragazzina! Hai interrotto la mia lettura e ti ostini ad infastidirmi in questo tono troppo confidenziale!” esclamò lui, guardandomi male. 
 
Mi sentii immediatamente un verme e abbassai d’istinto lo sguardo: maledetta me, era proprio possibile sbagliare sempre approccio con tutte le persone?! Strinsi forte il pugno, trovando la forza di rispondere. 
 
“Scusami, ma mi hai detto che ti sei appena trasferito qui, ed essendo Ceresole Reale un paesino di appena 170 abitanti, molti dei quali nella brutta stagione vanno ad abitare a fondovalle, siamo soliti dare il benvenuto ai nuovi venuti” mormorai, in tono basso, consapevole di aver appena citato una frase di mio fratello Milo. 
 
“Va bene, allora ti basti sapere che sono abituato a queste temperature, prima vivevo in un paesino situato ancora più in alto di questo. Per me i 1620 metri sul livello del mare di questo luogo sono nulla, inoltre, come hai detto tu stessa, fa più caldo del solito” rispose lui, non degnandomi più di uno sguardo e tornando a leggere. 
 
Quella semplice frase mi aprì la strada ad un miliardo di altre domande da porre a quel ragazzo sconosciuto. Dovevo sapere di più, ad ogni costo, perché avevo come la sensazione che quella persona così sfuggente e in apparenza fredda celasse un universo di tutt'altra fattura dentro di sé. 
 
Ancora oggi trovo difficile capire il motivo di una tale impressione su di lui, resta il fatto che comunque quel giorno non ebbi il tempo di domandare altro. 
 
“Zeus, si può sapere cosa c’è?!” chiesi al mio cane, che nel frattempo aveva preso a mordicchiarmi la manica della giacca di jeans con ancora più insistenza.
 
Purtroppo la risposta non tardò a venire per bocca di un altro: 
 
“Correte!!! Correte!!! È tornato Golia!!!” urlò un signore, intento a scappare da qualcosa con tutte le forze presenti nel suo corpo. 
 
“Cavolo, Mirtillo!” esclamai d‘istinto, voltandomi di scatto verso la riva del lago per cercarlo con lo sguardo. Come potevo essere stata così sconsiderata da dimenticare che il mio Spinone era sfuggito dalle mie mani con tanto di guinzaglio attaccato al collare?! 
 
“Chi è... Golia?” mi domandò titubante il ragazzo dagli occhi del mare, un leggerissimo tremito nella sua voce. 
 
Non gli risposi, essendo riuscita a scorgere Mirtillo, del tutto incurante del pericolo incombente, intento a scavare una buca nella sabbia. Con la coda dell’occhio vidi che Golia, giunto dalla direzione opposta, stava puntando proprio al mio tanto adorato cucciolo. 
 
Non pensai, semplicemente furono i miei riflessi a decidere per me, facendomi compiere la cosa più sbagliata che potessi fare in quel momento: correre incontro a Mirtillo e mettermi proprio davanti a lui, non prima certo di aver ordinato a Zeus di rimanere seduto sul posto. 
 
Il mio movimento ebbe l’effetto sperato, Golia, innervosito dal mio movimento brusco, cominciò ad abbaiarmi in tono aggressivo, piegando le zampe come per prepararsi a saltarmi addosso. Ebbi così l’occasione di vedere distintamente le innumerevoli cicatrici che contraddistinguevano il suo manto nero e marrone tipico dei Doberman. 
 
“Non è colpa tua se sei così... - sussurrai al cane, sebbene fossi consapevole che non mi avrebbe mai ascoltato - è opera solo di quei... Quei mostri dei tuoi padroni!”
 
Era vero, conoscevo sin troppo bene i proprietari di quel cane, perché avevo avuto la sfortuna di averli sia come compaesani che come compagni di scuola. Erano delle persone spregevoli, che oltre a compiere azioni di vandalismo durante la notte, mandavano, di tanto in tanto, il proprio Doberman a spargere il terrore per il paese. Tutti ipotizzavano chi fossero i colpevoli, nessuno aveva mai raccolto una prova sufficiente per incastrarli. Purtroppo a perquisire la loro casa c’era andata pure la polizia, ma poco dopo era tornata con la coda tra le gambe perché non aveva trovato nulla, nemmeno un animale o un attrezzo compromettente. Come facevano ad essere così abili era un mistero per tutto il paese! 
 
Fissai tristemente negli occhi il Doberman. Sapevo che non avrei dovuto farlo, ma la sua situazione mi faceva stare talmente male da non riuscire a fare altrimenti. 
 
Nel frattempo Mirtillo, capendo anche lui la situazione, fece la cosa più stupida al pari di me, si mise al mio fianco ad abbaiare contro l’altro cane, il quale, accogliendo la sfida, piegò di nuovo le zampe dietro e fece per saltare addosso al mio cucciolo. 
 
“Mirtillo, dannazione, no!” gridai, abbracciandolo di getto in modo da  offrire il mio corpo invece che il suo ai canini spietati del Doberman. 
 
Chiusi di scatto gli occhi, preparandomi a ricevere alla bene meglio il dolore; dolore che, puntualmente, non arrivò. Avvertii solo un uggiolio e le zampe del cane ritrarsi di qualche passo. 
 
Riaprii quindi lentamente le palpebre, quello che vidi davanti mi fece spalancare gli occhi dalla meraviglia: il ragazzo dagli occhi blu era intervenuto per proteggermi!  
 
“SE-DU-TO! Hai combinato anche fin troppi danni oggi!” esclamò lui con voce decisa. In particolare riusciva ad imprimere una tale fermezza nei suoi modi e nel suo sguardo da risultare quasi regale e degno di ubbidienza. Poco dopo il cane, infatti, abbassò le orecchie a punta e indietreggio ulteriormente, come a voler sottolineare il suo nuovo status da subordinato rispetto al ragazzo che aveva avuto il coraggio di fronteggiarlo. 
 
“Bravo, vedi che sei ubbidiente? E ora va’, corri!” disse lui, accarezzandogli dolcemente la testa prima di dargli una leggera pacca sulla schiena per farlo andare via. Il cane non se lo fece ripetere due volte, quasi trotterellando, si allontanò dalla riva del lago.
 
Io non sapevo assolutamente cosa dire, quel ragazzo, di una bellezza stratosferica, aveva anche un portamento, un atteggiamento che mi lasciava sbigottita. Da dove diavolo veniva??? Chi era?? Fu forse in quel momento che mi accorsi veramente di provare il forte desiderio, per quanto innaturale, di stare vicino a lui, Non sapevo cosa fosse quel particolare sentimento che era già nato nel momento in cui lo avevo visto da lontano, ma che continuava a crescere dentro di me con una forza inarrestabile. Non era mai successo con gli altri ragazzi, mai!
 
Io ero sempre stata attratta dall'altro sesso, ma solo dal punto di vista fisico. Con questo ragazzo, invece... era forse gratitudine per avermi salvata?
 
“Devi stare più attenta, ragazzina!” mi disse, interrompendo la corrente dei miei pensieri e voltandosi verso di me. Ancora i suoi occhi nei miei, mente un leggero vento gli accarezzava i ciuffi davanti, rapendomi ulteriormente.
 
Ovviamente non risposi, emozionata com'ero avrei solo detto altre stupidaggini.
 
“Capisco il voler proteggere il tuo cagnolino, ma hai rischiato di rimanere ferita, piccola incosciente!” mi sgridò, ma avvertii una punta di preoccupazione in lui. 
 
Poi, senza aggiungere altro se ne andò, facendomi rimanere, con tanto di bocca aperta, ad ammirare la sua figura allontanarsi sempre di più.

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Capitolo 4
*** Presentazioni compromettenti ***


 
 
CAPITOLO 3: PRESENTAZIONI COMPROMETTENTI
 
 
“MILOOOOO!!!!” - urlai, entrando in casa, sbattendo la porta, e dirigendomi come un tornado in direzione di mio fratello che si trovava in cucina.
 
L’interpellato sussultò pesantemente, sorpreso e un po’ spaventato dai miei modi così casinisti. Ormai mi conosceva bene, un tale atteggiamento da parte mia significava solo una cosa: una richiesta! 
 
“Sakura, quante volte ti abbiamo detto di non sbattere la porta?!” mi sgridò mia madre, intenta a preparare il pranzo; mio padre invece, seduto a leggere il giornale, non mi degnò di uno sguardo. Lo stesso feci io con entrambi i miei genitori. 
 
“Milo! - lo chiamai ancora, poggiando le mani sulle sue spalle - dobbiamo presentarci ai francesi … ORA! SUBITO!” 
 
Milo sgranò, letteralmente, gli occhi: 
 
“Ma … Ma sei fuori??? Fino a ieri dicevi che …” 
 
“Non ha importanza! Ieri era ieri, oggi è oggi!” dissi, arrossendo violentemente al pensiero del ragazzo incontrato quella mattina. Purtroppo Milo, da buon fratello rompiballe, capì subito cosa mi frullasse per la testa. 
 
“Ah, fai poco la furbina con me, Sakura! Se hai cambiato idea vuol dire che hai fatto degli incontri parecchio emozionanti durante la tua passeggiata mattutina!” sussurrò malizioso. 
 
“Kkk … Non posso semplicemente averci rimuginato su mentre camminavo?!” tentai di depistarlo dalla sua affermazione, non riuscendoci. 
 
“Non sarebbe da te … Ma Sakura, davvero è tanto necessario trovare un ragazzo?! Guardami, hai come fratello il giovane più bello del paese e … AHIO!” imprecò, massaggiandosi la testa, in particolare dove l’avevo colpito con il guinzaglio di Zeus rimasto ancora tra le mie mani dopo aver liberato il cane. 
 
“Sei proprio un pirla, Milo!!! Non ho fretta di trovare il ragazzo, e lo dimostra il fatto di non aver mai avuto una relazione in vita mia … Ma con il giovane che ho visto ieri è diverso, è come se sentissi … Qualcosa di magico con lui!” provai a spiegare, con sguardo trasognato. 
 
“Ci risiamo! Un altro povero disgraziato che sarà costretto a sorbirsi le tue attenzioni finché non ti dirà chiaro  e tondo che non gli interessi” commentò Milo, sorridendo tra sé e sé. 
 
“Che strano … Quello mi sembri più te, nonché le povere gallinelle che devono sorbirsi i tuoi patetici tentativi di farti notare!” esclamai di rimando, facendogli l’occhiolino. Ovviamente stavo scherzando anche se c’era un fondo di verità nelle mie parole, d’altronde Milo era famoso in paese con il soprannome di ‘galletto Vallespluga’ che ci provava con ogni esemplare di sesso femminile avente un minimo di bellezza.  
 
“Ehi, come ti permetti, scimmietta pestilenziale???” ribatté lui, afferrandomi e iniziando a farmi il solletico. Per tutta risposta io mi acquattai per terra, facendolo sbilanciare e finire sul pavimento. Da lì la lotta riprese con ancora più enfasi, azzuffandoci tra di noi come due cuccioli di cane intenti a giocare. 
 
“Se avete finito di fare i bambini, che ormai non siete più da un bel pezzo, il pranzo è pronto!” ci riprese nostra madre, con una punta di nervosismo. Probabilmente in quel momento pensava che ero io la causa della scemenza di suo figlio, il che non mi avrebbe neanche fatto stupire più di tanto visto che non era la prima volta che me lo rinfacciava!  
 
Tra una risata e l’altra Milo ed io ci dirigemmo nell’accogliente atmosfera che era il nostro bagno per lavarci le mani e tentare di calmarci. 
 
“Ma sul serio … Com’è ‘sto francese da essere riuscito ad attirare così tanto la tua attenzione?!” mi chiese lui, curioso come non mai. 
 
“Beh, vedi, lui è … è Apollo sceso in terra! I suoi occhi blu sono di un magnetico e di un profondo che … Che, beh, non possono certo passare inosservati, ma oltre a questo c’è di più …” 
 
Raccontai quindi a mio fratello tutti gli avvenimenti che erano successi quella mattina, soffermandomi anche sulle sensazioni che mi aveva procurato il francese e i suoi modi di fare così regali e raffinati. In fondo aveva salvato la vita mia e di Mirtillo, e non sapevo se quello che provavo era estrema gratitudine o qualcosa di più, ma ero certa che dovevo conoscerlo e sapere almeno il suo nome! 
 
Milo, dal canto suo, pensava ad altro … 
 
“Quei maledetti bastardi!!! Lo hanno fatto di nuovo, non ci posso credere, e hanno rischiato di fare del male a te, a Mirtillo e a chissà quante altre persone!” ringhiò, stringendo il pugno con forza. Era solito fare così quando si preoccupava per le persone a lui care. 
 
“Beh, dai, almeno è finito tutto nel migliore dei modi e non si è fatto male nessuno!” provai ad essere positiva, sebbene quel che era successo mi aveva procurato una rabbia incontrollabile verso quelle persone senza cuore. 
 
“Sei sicura? - mi chiese in tono dolce, scostandomi leggermente per esaminarmi con occhio clinico - Eppure hai delle escoriazioni niente male sulle ginocchia!” 
 
Mi guardai sorpresa: non me ne ero affatto accorta! 
 
“Ahahahah!!! Non è niente, sono solo caduta; questi graffi sono una bazzecola per me, ci sono abituata! Peccato solo per aver rotto i pantaloni, ahahahha!!!!” ridacchiai tra me e me, felice. I nostri genitori non si erano accorti di nulla, invece Milo sì, e questo non poteva che farmi piacere! 
 
“Sarà, ma oggi prima di andare te li disinfetto per sicurezza, va bene, piccola?” mi chiese, scompigliandomi i capelli, e dovetti ammettere che quel gesto mi piacque alquanto. 
 
Quello era il mio rapporto con Milo, appunto come due calamite che si attraevano e si respingevano senza sosta. Provavo vergogna per quella sensazione che mi lacerava il petto … Amore, ma anche odio per mio fratello … 

Amore perché era stato lui ad accudirmi fin da piccola, ed era sempre lui a consolarmi nei momenti di crisi o quando tutti i castelli che mi ero creata in testa svanivano come una goccia d’acqua in mare; odio perché lo vedevo anche come un rivale, un rivale che purtroppo vinceva sempre nei confronti dei nostri genitori! 
 
La domanda che mi sorgeva spontanea era: più forte l’amore o l’odio?! Lo sapevo già, non sarei mai riuscita a trovare la risposta ad un simile quesito, e tutto per colpa della mia paura di scoprire la verità, ovvero il motivo per cui quella situazione si era formata. 
 
Mangiai mantenendo lo sguardo basso, come facevo di solito quando mi ritrovavo a tavola con i miei genitori, nel frattempo loro stavano parlando della situazione universitaria di Milo, non proprio allegra a quanto avevo capito, ma mio fratello sembrava più interessato al mio stato emotivo che non a parlare con loro; più di una volta  infatti mi aveva scambiato occhiate ricche di significato o dato piccoli calcetti per farmi riprendere dal mio torpore. 
 
Quando finii mi alzai, con l’evidente intenzione di andare in camera a prepararmi, se non che mia mamma mi richiamò: 
 
“Dove pensi di andare, signorinella?! Devi sparecchiare prima!” 
 
“Scusa, mamma … A volte dimentico che in questa casa l’unica che ha l’obbligo di sparecchiare sono io!” esclamai acida, per poi mettere il più velocemente possibile i piatti nel lavandino e uscire dalla cucina con passo pesante. 
 
“Sakura!” mi richiamò Milo, venendomi dietro. 
 
“Lasciami stare, ti prego, Milo, non voglio essere consolata, tanto meno da te!” dissi, tentando di allontanarmi salendo le scale, ma mio fratello mi bloccò. 
 
“Sai come sono fatti … Non devi prendertela …” 
 
“I-io non me la sono presa, sono solo …” 
 
Ma l’abbraccio che mi regalò Milo mi fece dimenticare tutto quello che avevo in mente, facendomi sorridere per quella breve ma intensa dimostrazione di affetto. 
 
“Io ci sarò sempre, lo sai, vero? Anche se i nostri genitori si comportano così con te non vuol dire che non ti vogliano bene, assolutamente!”. 
 
Ingoiai a vuoto, sentendomi un po’ meglio. Anche questo era mio fratello Milo, in apparenza superficiale ed ironico ma capace di consolarti con poche parole e un semplice gesto. 
 
“Grazie!” biascicai, sfregandomi gli occhi con forza. Milo mi mise una mano sulla testa con dolcezza: 
 
“Ed ora vai a prepararti, razza di piantagrane, e vedi di vestirti meglio che puoi visto che andremo a trovare il tuo principe azzurro! Ti aspetto in soggiorno per medicarti!” esclamò lui, facendomi strappare un sorriso. 
 
“Il principe azzurro non esiste!” affermai solo io, dirigendomi al piano di sopra. 
 
Mi preparai velocemente, agitata come non mai all’idea di rivedere il ‘mio lui’ e scoprire finalmente il suo nome. Pensai accuratamente a quali pantaloni mettermi, indugiando sui miei jeans, ma poi ricordandomi che Milo doveva ancora medicarmi, decisi in favore di un paio che mi stava abbastanza largo. 
 
Ridiscesi le scale mentre ero intenta ad armeggiare con il pettine, ma quello che udii dalla cucina  mi fece bloccare sull’ultimo gradino. 
 
“Tesoro, è necessario continuare così?! Non mi sembra una cattiva ragazza!” 
 
Era mio padre … 
 
“Sebastian, ricordi cosa ci disse il saggio del paese diciotto anni fa?! Dovevamo essere severi con lei, altrimenti il demone si sarebbe risvegliato e sarebbe stata la fine per tutto il paese! D’altronde anche se non volontariamente Sakura si è macchiata di un grosso peccato venendo al mondo e questo non lo possiamo cancellare!” spiegò mia madre, seria. 
 
Mio padre sospirò triste e il rumore della sedia che sfregava contro il pavimento mi fece intendere che si fosse alzato. 
 
“Milo non sa niente del fatto?” domandò ancora lui. 
 
“No, aveva solo due anni ed era troppo piccolo per comprendere … Quasi tutto il paese sa quello che è successo, e infatti sono molti quelli che le stanno a distanza e questo spiega le poche amicizie che ha …” 
 
Non udii altro, semplicemente mi diressi correndo in lacrime in soggiorno, la testa che mi pulsava violentemente … 
 
                                                     *******************     
 
“Sakura, vai piano! Cosa è successo per farti scioccare così tanto?!” esclamò mio fratello, preoccupato dal mio passo incalzante. Tra le mani teneva un’immensa cesta di frutta come dono di benvenuto da dare ai francesi.
 
Ero giunta in salotto in lacrime, e subito mi ero fiondata nelle braccia di Milo, singhiozzando disperata. Mio fratello, non sapendo come comportarsi e non volendo farmi parlare per forza, si era messo a medicarmi le ferite, dandomi il tempo per calmarmi ed uscire, in fretta e furia, da quella casa tanto odiata. 
 
Non sapevo perché ma, istintivamente, mi ero portata Mirtillo al mio seguito pur nella consapevolezza che, con ogni probabilità, lo avrei dovuto lasciare legato ad un albero nell’arco di tempo che avrei trascorso per presentarmi alla famigliola di francesi.
 
“Non sono scossa, sono semplicemente emozionata perché finalmente conoscerò il suo nome!” mentii in parte, non volendo raccontare a Milo quello che avevo udito per sbaglio. 
 
All’improvviso mi sentii afferrare per il braccio. 
 
“Sakura, non puoi mentirmi, ti conosco da diciotto anni e sono tuo fratello, capisco perfettamente quando c’è qualcosa che non va e rispetto il tuo silenzio, ma ti prego non venirmi a dire che è tutto a posto quando è palese che stai soffrendo!” mi disse lui, guardandomi negli occhi. 
 
“Perdonami, è che non so neanche io il significato di quello che ho sentito dai nostri genitori, ma mi ha fatto stare davvero male!” pigolai, imbarazzata. 
 
“Va bene, allora vorrà dire che nei prossimi giorni cercherò anch’io di captare qualcosa in più dai loro, te lo prometto, piccola! Ma ora pensa solo al presente, intesi?” mi chiese, facendomi l’occhiolino per incoraggiarmi. 
 
Annuii con vigore, non nascondendo un moto di gratitudine verso di lui: 
 
“Sai già dove abitano, Milo?” domandai, fremendo leggermente. 
 
“Eh! Eh! Ti pare che io possa non sapere un gossip così succulento?! Basta solo che mi segui!” affermò, mettendosi davanti a me con allegria. 
 
Camminammo per cinque minuti, fino ad arrivare nella parte alta del paese, che superammo senza esitazione … Ma insomma, dove abitavano ‘sti francesi?! Sul monte Everest?! 
 
“Eccola là, la vedi quella casetta in pietra su due piani? Ecco, là vive il tuo amato insieme alla sua famiglia!” mi disse, con una punta di ironia. 
 
Mi sentii avvampare per l’imbarazzo, massaggiandomi le guance per cancellare il loro rossore. 
 
“Non voglio sapere da quale fonti attingi sempre le ultime novità del paese!” esclamai, sbuffando in maniera eloquente. 
Milo ridacchiò rumorosamente, avvicinandosi alla porta con enfasi. Lo seguii, mentre il cuore, già martellante nel petto, accelerava ancora di più i propri battiti. 
 
Mi fermai momentaneamente davanti al campanello della porta, nel quale c’era scritto un tirato a lucido ‘famiglia Delacroix‘.
 
“Uhm, il nome promette bene, non trovi? Conoscendo la precisione quasi maniacale dei francesi non mi stupisco che hanno fatto già loro questa casa, sebbene siano arrivati solo l’altro giorno!” commentò Milo, premendo senza alcuna remore il pulsante per ben due volte. 
 
In quell’esatto momento ebbi tutti i ripensamenti che potevo avere, sentendo la paura crescere man mano che il tempo scorreva. Potevo scappare, perché no? Trascinare Mirtillo e Milo via da lì e far passare tutto per uno scherzo, ma non lo feci, vergognandomi di pensare anche solo ad un atto simile.
 
Pochi istanti dopo la porta si aprì, facendo emergere dai recessi della casa una signora sulla quarantina con i capelli e gli occhi di un blu penetrante: gli stessi che avevo visto nel mio salvatore! 
“Scusi per il disturbo, signora, ma sappiamo che siete arrivati da poco e volevamo darvi il benvenuto offrendovi questo modesto dono!” disse Milo, sorridendo sornione e porgendo il cesto di frutta. 
 
Ohhhh!!! Très belle! Très belle! - iniziò a saltellare la donna, probabilmente non aspettandosi un simile regalo - Albert! Albert! Vieni a vedere che simpatici alcuni ragazzi del posto, ci hanno fatto un dono!” esclamò poi, chiamando il marito con gioia. 
 
Da una delle stanze all’interno uscì un uomo abbastanza muscoloso di mezza età. Alcuni ciuffi dei suoi capelli presentavano il tipico colore bianco, ma gli altri erano di uno strano pigmento … Sembravano quasi … Verdi?! 
 
“Per l’amor del cielo, non mi sarei mai aspettato un’accoglienza simile!” disse solo in tono sorpreso, mettendo una mano sotto il mento per squadrarci meglio. 
 
“Cari ragazzi … Coraggio, entrate! Non siate timidi! ” esclamò la signora, sorridendoci con affetto. 
 
“Ma abbiamo il cane e non vorremo disturbare!” mormorai timidamente, sempre più agitata. 
 
“Nessun problema per il cane, noi siamo amanti degli animali, e poi dobbiamo presentarvi ai nostri figli che avranno grosso modo la vostra stessa età!” insistette la donna, mettendosi di lato per farci accomodare. 
 
Varcammo la soglia in punta di piedi, non sapendo come comportarci e avendo quasi paura di sporcare il pavimento splendente della casa con il sudiciume delle nostre scarpe. 
 
“Ha parlato di figli, quindi niente donzelle allegre … Che iella incalcolabile che ho!” commentò sotto voce Milo, leggermente deluso. 
 
Dal canto mio non avevo neanche capito che aveva parlato di ‘figli’, quindi di almeno due soggetti … ero talmente sotto pressione da non rendermi nemmeno conto di essere appena entrata nel mondo di quella che sarebbe diventata la persona più importante della mia vita. 
 
“Aspettate in cucina per favore, vi vado a chiamare quei due topi da biblioteca che sono i miei figli!” ci avvertì la donna, uscendo dalla stanza. Nel frattempo il padre si premurò di dare da bere a Mirtillo che aveva sete, e per farlo usò una scodella con scritto il nome ‘Ipazia’. Feci per avvicinarmi incuriosita ma un rumore di passi mi fece arrestare di colpo, come se una violenta scossa mi avesse attraversato il cervello. 
 
“Papà, la mamma mi ha detto che abbiamo visite, chi …?” 
 
Non attesi neanche che finisse la frase, semplicemente agii d’istinto e mi diressi verso di lui tutta tremante. 
 
“Ciao, ti ricordi di me???” chiesi, titubante, per non far presagire la mia paura di un eventuale rifiuto. 
 
“Oh, ehm …” iniziò il giovane dagli occhi blu, ma fu interrotto dall’arrivo di un altro ragazzo in compagnia di un cane. 
 
“Dégel, cosa … - la frase gli morì in gola nell’attimo stesso in cui i suoi occhi si posarono sulla mia figura - Oh, mon dieu! Di nuovo tu???” 
 
Non capii subito il significato di quell’espressione, se non quando non intervenne la madre dei due giovani. 
 
“Ma è meraviglioso, Camus! Vi conoscete già quindi! Diventerete ottimi amici, me lo sento!” esclamò lei, tutta felice. 
 
Camus … Camus … Che bellissimo ed indimenticabile nome! Però un secondo, se il mio salvatore era l’altro significava che … 
 
Guardai meglio e con una punta di terrore il ragazzo di fronte a me, notando per la prima volta che il colore dei suoi capelli era leggermente diverso da quello di Camus, sembrava più … Verde?! Esattamente come il padre …
 
“Oddio, oddio!!! Scusa!!!! - urlai all’improvviso al fratello (gemello???) di Camus, accorgendomi dell’errore - Che diavolo ho fatto???” esclamai ancora, andandomi a nascondere dietro le spalle di Milo. 
 
“Cosa hai fatto?! La tua solita figura di … aaaaaaahhh, lasciamo stare altrimenti divento volgare!” affermò Milo, con aria indifferente. 
 
“Oh, non abbatterti, cara, non sei la prima che scambia l’uno per l’altro! -mi tranquillizzò dolcemente la loro madre - D’altronde sono pur sempre gemelli!” continuò poi con un’espressione soddisfatta. 
 
“Mamma, perché li hai fatti entrare?! Sono comunque degli sconosciuti per noi e potrebbero non avere buone intenzioni!” esclamò ad un certo punto Camus, in un tono talmente freddo da ferirmi. Milo nel frattempo alzò leggermente il braccio a quella constatazione, segno inequivocabile che si stava iniziando ad innervosire. 
 
“Non essere sciocco, caro! Ci hanno portato un dono, non potevamo certo ringraziare senza nemmeno farli entrare un attimo!” lo rimproverò la madre, incrociando le braccia al petto.  
 
“Non imparerai mai la lezione, vero mamma?! Già una volta abbiamo dato troppa fiducia a chi consideravamo come un amico, ricordi poi cosa successe?! E ora di nuovo accogli questi sconosciuti in casa credendo fermamente che siano persone a posto senza nemmeno conoscerle!” esclamò ancora Camus, in tono crescendo. 
 
Milo, a quelle ultime parole, non seppe più trattenersi: 
 
“Senti un po’, bel damerino, ma chi ti credi di essere???” urlò, in preda alla rabbia. 
 
Mi cominciai così ad agitare ancora di più di quello che ero. La situazione stava prendendo una piega sbagliata, non mi sentivo affatto tranquilla! 
 
Camus fissò con aria truce Milo, che rispose a quell’occhiata con uno sguardo pieno d’odio … Andavamo proprio bene! Sembrava quasi che si potessero saltare addosso da un momento all‘altro! 
 
“Raffreddiamo i bollori! - intervenne il padre, mettendosi in mezzo - Figlio mio, come si vede che quella storia  ha lasciato una ferita profonda, che continua tuttora  a far male, dentro di te, ma non è questo il modo di atteggiarsi davanti a questi ragazzi così gentili che si sono solo preoccupati di venire a presentarsi! E poi … Ipazia non sembra affatto condividere il tuo astio!” disse infine con un sorriso, indicando la cagnolina che era arrivata insieme a Camus. 
 
Guardandola meglio vidi che era uno Spinone al pari del mio Mirtillo, e questo spiegava la sua attenzione per il mio cane conclusasi con il suo avvicinamento e la consueta ‘nasata del sedere’. Dal canto suo Mirtillo sembrava estremamente eccitato dalla sua presenza, visto il suo continuo rizzare le orecchie e scodinzolare come un ossesso! 
 
Camus non rispose, si limitò a sbuffare sonoramente e ad andarsene, non prima però di avermi scoccato un’occhiata indecifrabile. 
 
Nella stanza ricadde il silenzio, antitesi perfetta del tumulto interiore che il quel momento mi stava dilaniando le membra. Perché si era comportato così?! Certo, il giorno prima non mi aveva trattata proprio benissimo, ma era per merito suo se Mirtillo ed io eravamo usciti indenni  da quella situazione, e alla fine avevo avvertito chiaramente in lui una punta di preoccupazione verso di me, cioè una perfetta sconosciuta! Eppure perché in quel frangente, invece, non avvertivo altro che gelo provenire da lui?!
 
“Scusatelo, non è cattivo ma la delusione che ha ricevuto quel giorno ha lasciato una ferita inguaribile nella sua anima!” provò a spiegare il fratello di Camus, che fino a quel momento era rimasto in silenzio.
 
Guardandolo negli occhi potei avvertire un lampo di tristezza nel suo sguardo … Che anche lui avesse la stessa cicatrice interna che possedeva Camus?! 
 
“Sì, scusateci per questa spiacevole situazione, avremo voluto farvela evitare data la vostra gentilezza … Comunque non ci avete detto ancora i vostri nomi!” continuò il padre, guardandoci. 
 
“No, siamo noi ad aver sbagliato a venire qui … Comunque io sono Sakura e ho 18 anni, questo invece è mio fratello Milo, a Novembre diventerà ventenne!” risposi con un timido sorriso e facendo un breve inchino. Persino Milo tentò di nascondere la sua espressione infastidita davanti alle presentazioni con quelle persone in apparenza così gentili. 
 
Il fratello di Camus sorrise di rimando, avvicinandosi a me e stringendomi con forza la mano. 
 
“Io sono Dégel, il fratello gemello di Camus … So che quello che è successo oggi potrebbe sembrare fuori luogo con quanto sto per dirvi ora, ma … Considerate questa casa come se fosse la vostra, se vorrete ritornare noi saremo senz’altro qui ad accogliervi!”. 
 
E quello fu senza dubbio l’inizio di tutto!  

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Capitolo 5
*** Lunedì (e un'altra settimana di scuola ha inizio!) ***


CAPITOLO 4: LUNEDì (E UN'ALTRA SETTIMANA DI SCUOLA HA INIZIO!)
                                     
 
Quando la sveglia suonò, strappandomi da un incubo atroce, non seppi se gioire o imprecare per l’inizio della solita settimana scolastica. 
 
Mi alzai faticosamente a sedere, massaggiandomi le tempie nel tentativo di ricordarmi il brutto sogno appena avuto, con esiti praticamente nulli. L’unica immagine nitida che mi rimaneva al risveglio era quella di un bambino  seduto solo e sconsolato per terra sotto lo scrosciare impetuoso della pioggia … 
 
Il mio sguardo automaticamente cadde sulla finestra e sul cielo ancora scuro di quel giorno di Ottobre. 
 
“E’ così strano … perché a volte faccio incubi che mi lasciano questa terribile sensazione? Mi sembra quasi di essere … lacerata, divisa in due parti … Eppure non ricordo praticamente nulla di quello che ho sognato …” dissi tra me e me, sfregandomi gli occhi che automaticamente si posarono sull’ora indicata dalla sveglia. 
 
Erano le cinque in punto. Quel giorno avrei rivisto Mu e morivo dalla voglia di raccontargli tutti gli aneddoti del fine settimana, in particolare di Camus; chissà magari parlando con il mio migliore amico sarei riuscita a trovare un modo per avvicinarmi a quel ragazzo tanto bello quanto sfuggente! 
 
Mi vestii quindi velocemente con un abbigliamento casual e scesi le scale il più silenziosamente possibile. Del resto i miei genitori e Milo dormivano ancora della grossa e detestavano essere svegliati dai miei passi mattinieri. 
 
Sbuffai contrariata alla visione di mio fratello intento a russare sonoramente spaparanzato sul letto in chissà quali posizioni che solo lui era in grado di compiere.
 
Tentando di scacciare quella visione fastidiosa per una costretta come me a svegliarsi prima dell’alba, mi preparai velocemente la colazione e la mangiai con altrettanta lestezza, poi, una volta messo tutto a posto, afferrai quasi al volo la giacca pesante e chiusi la porta senza sbatterla. 
 
L’aria frizzantina della mattina mi colpì il volto, trasmettendomi un brivido che mi scese lungo tutta la schiena. Era vero che il clima era più caldo rispetto alle medie stagionali, ma comunque l’altitudine abbastanza elevata rendeva le mattinate fredde e plumbee. 
 
Aspettai con pazienza l’arrivo della corriera che mi avrebbe condotto a Rivarolo Canavese, il paese più a valle rispetto a Ceresole Reale che ospitava l’edificio della mia scuola: il liceo scientifico Aldo Moro. 
 
Non attesi a lungo, giusto pochi minuti e la corriera era già lì davanti a me pronta a caricarmi e a dirigersi verso la tanto agognata meta. 
 
Una volta salita a bordo riuscii subito a scorgere il mio amico Mu seduto come al solito in uno dei posti in fondo. 
“Muuuuuuuuuuuu!!!! Ciaoooooooo!!!!” esclamai, dirigendomi verso di lui e abbracciandolo con forza, certo non prima di avergli scoccato un grande bacio sulla guancia.  
 
“B-buongiorno, Sakura! Sono lieto di vederti allegra come al solito!” mi salutò lui, arrossendo appena e puntando i suoi occhi, di un verde sfavillante, nei miei del colore dei laghi glaciali di alta montagna. 
 
Era sempre così con Mu, non avevo bisogno di nascondermi dietro una maschera con lui, potevo tranquillamente essere me stessa senza vergognarmi di nulla. 
 
Mu era un ragazzo tranquillo e pacato come solo raramente un giovane della sua età poteva essere. Era più grande di me di un anno, ma frequentava la mia stessa classe: la quinta superiore. 
 
“Mu! Mu! Ti devo parlare!!!” urlai, prendendo posto a sedere vicino a lui. 
 
“Non avevo dubbi, Sakura, è da quando mi sono trasferito qui all’età di 7 anni che siamo amici e compagni di banco, ormai riesco a capire se ci sono novità in base al modo in cui cammini e alla tua espressione … Dimmi, dunque!” mi sorrise lui, con una punta di curiosità. 
 
Abbassai per un fugace attimo lo sguardo, ripensando al giorno in cui la maestra di matematica della prima elementare ci presentò Mu come nuovo compagno di classe. A quell’epoca il piccolo Mu non parlava ancora bene l’italiano, perché a quanto avevo capito sua madre, in cerca di un lavoro per sfamare sé stessa e il figlio, si era trasferita dal Tibet a Ceresole Reale, e grazie a dei parenti aveva trovato un lavoro soddisfacente alle poste del paese. 
 
Non fu quindi una sorpresa quando la maestra indicò a Mu il posto a sedere vicino al mio. Del resto malgrado la mia timidezza iniziale una volta che la persona conquistava la mia fiducia non smettevo di chiacchierare neanche per mezzo secondo! 
 
“A cosa pensi? Sei così imperscrutabile alle volte … Un secondo prima parli a raffica, poi all’improvviso ti ammutolisci di colpo!” mi riportò alla realtà Mu, cercando di acciuffare il mio sguardo. 
 
“Eh? Oh, scusa è che stavo divagando …” dissi solo, ridacchiando imbarazzata. 
 
“Sui tuoi genitori?” chiese lui in tono cauto. 
 
Mu sapeva il labile rapporto che legava me ai miei genitori, e ogni volta che mi chiudevo in me stessa si preoccupava che potesse essere successo qualcosa di brutto. 
 
“Oh no, tranquillo, pensavo al nostro primo incontro!” mi affrettai a rispondere per evitare che si iniziasse ad agitare troppo.
 
“Sicura?” 
 
“Sì, sì non preoccuparti, è passato il tempo in cui fuggivo di casa per venire da te! Non voglio più dare fastidio … Affronterò i miei demoni da sola!” aggiunsi, strofinandomi il volto imbarazzata. 
 
“Sakura, per quel che può valere … Io ci sarò sempre per te e se qualche volta ti sentirai sola non esitare a venire a casa mia per avere un po’ di affetto e comprensione. Anche mia mamma la pensa così, quindi non devi fartene cruccio, intesi?” affermò con decisione, serio più che mai.
 
“G-grazie, Mu, significa molto per me!” mormorai quasi commossa, abbracciandolo nuovamente. 
 
“Ed ora dimmi le novità! Dal tuo atteggiamento quando sei salita ho intuito che è una cosa di estrema importanza per te!” mi incoraggiò lui, sorridendomi con dolcezza. 
 
Immediatamente il mio cuore accelerò di colpo, spingendomi a fare un salto sul posto per sfogare, almeno in parte, quell’emozione così misteriosa e meravigliosa allo stesso tempo. 
 
“Mu! Io … Io credo di essermi innamorata! È un ragazzo bellissimo, con degli occhi da favola, però ho fatto un passo falso, cioè volevo dire non capisco come è caratterialmente, o forse sì …. Ma, vedi, Milo non lo trova simpatico e …” iniziai a parlare a raffica, mangiandomi le parole in bocca. 
 
Insomma, mi calmai solo grazie al dito che Mu mi posò delicatamente sulle labbra. 
 
“Sakura, vai piano! Faccio fatica a seguirti se blateri mangiandoti pure le parole!” mi rimproverò dolcemente lui, ridacchiando. 
 
Presi quindi un profondo respiro, cercando di darmi una calmata. Fuori dalla corriera, intanto, le case del paese avevano lasciato spazio alla folta vegetazione, segno inequivocabile che avevamo lasciato Ceresole Reale per dirigerci molto più a valle. 
 
“Allora … Ho conosciuto un ragazzo che si è trasferito da poco nel paese, il suo nome è Camus, un francese niente male per dire un eufemismo!” 
 
“Camus? Ed è francese … Ah, ora ricordo, sono i nuovi arrivati: una famiglia composta dai genitori e da due fratelli gemelli. Ne ho sentito parlare!” 
 
Arrosii di botto, sentendomi avvampare per l’imbarazzo, poi mi apprestai a raccontare al mio migliore amico l’insolito incontro con quel ragazzo misterioso e la visita mia e di Milo alla sua casa, ovviamente con annessi e connessi!
 
“Cavolo, Mu, non so come descrivertelo … Era così bello … Ma non solo per quello, sai? Le sensazioni che ho provato, il modo in cui ha calmato quel cane salvando la vita mia e di Mirtillo … Tutto di lui mi fa battere il cuore all’impazzata e non capisco perché!” provai a spiegare, mentre il rossore sulle mie gote diventava sempre più intenso mano a mano che continuavo a parlare. 
 
Mu ascoltò tutto con estrema attenzione, e solo quando terminai il discorso si sentì libero di pormi una domanda:  
 
“Ma …? Perché c’è un ‘ma’, giusto?” 
 
Sospirai afflitta, congratulandomi mentalmente con Mu per essere sempre in grado di presagire ‘l’altra faccia della medaglia’. 
 
“Ma … ho fatto un passo falso, anzi, più di uno! Sono riuscita ad infastidirlo e ora credo proprio che ogni volta che mi incrocerà per strada cambierà drasticamente direzione!” dissi, in tono triste. 
 
“Può darsi … Che sia un tipo schivo un po’ come me! - ipotizzò Mu, mettendosi una mano sotto al mento - Non lo so con certezza, Sakura, ma da quello che mi hai raccontato sembra che Camus stia soffrendo per una delusione infertagli da qualcuno di molto importante per lui …” 
 
“Sono senza parole, Mu! È proprio quello che hanno sottinteso i genitori parlando con il figlio, ma come fai a sapere? Non ti avevo raccontato questo particolare!” esclamai, sorpresa dall’acutezza del mio amico. 
 
“I-io non ho fatto niente di speciale! Semplicemente mi sono basato sui suoi comportamenti che mi hai descritto! Hai detto che era da solo a leggere e che cercava di mantenere una certa distanza da te, ma quando stavi rischiando grosso è comunque intervenuto per difenderti … poi hai aggiunto che quando sei andata a trovarlo non si fidava di te e Milo, e che se ne è andato subito dopo. Mi sembra chiaro in base a questo che Camus sia una persona di natura buona e gentile che però ha subito una profonda delusione da una persona per lui importante, per questo è diventato così sfuggente!” mi spiegò Mu, serio. 
 
“Non so proprio cosa dire … Dovresti fare lo psicologo da grande, altro che il chimico come dice tua madre!” riuscii solo a dire, non nascondendo la profonda ammirazione che nutrivo per lui. 
 
“Non esagerare! Ho scelto come scuola uno scientifico non solo per seguirti, ma anche e soprattutto perché adoro le discipline come la biologia e la fisica! Comunque ti consiglio di non arrenderti, Sakura, per la faccenda di Camus … Sei una ragazza dolce e sensibile, la persona perfetta per riuscire a risollevare l’animo di una persona ferita! Prova a conoscerlo meglio, vedrai che presto o tardi sarà lui a sbloccarsi con te, proprio come è successo a me!” asserì Mu, sorridendomi. 
 
Abbassai lo sguardo, imbarazzata. Non mi sarei mai arresa ma come sarei riuscita a convincere Camus a sbloccarsi con me?! D’altronde avevo sbagliato approccio con lui fin dall’inizio e dubitavo che avesse voglia di conoscere meglio una pazza come me che non aveva fatto altro che comportarsi da stupida, gridando come un’ossessa! Malgrado queste consapevolezze si diffondessero nella mia testa con sempre più forza, una nuova determinazione mi dava la forza di non arrendermi: Camus aveva salvato la mia vita e quella di Mirtillo, ed io … ed io avrei fatto di tutto per diventare almeno sua amica e risanargli le ferite, qualunque esse fossero, che gli avevano dilaniato l’anima. 
 
Certo, sembrava un proposito abbastanza folle, considerando che lo avevo appena conosciuto e non nei migliori dei modi per giunta, ma avvertivo con chiarezza la sofferenza nel suo animo, la stessa che sentivo in Dégel, e già allora avevo la sensazione che dovevo a tutti i costi fare qualcosa non solo per Camus ma anche per Dégel! 
 
Annuii con vigore, preparandomi a rispondere, ma una voce, proveniente dal posto davanti al mio mi fece raggelare il sangue. 
 
“Ooooohhh, ma come siamo carini! La piccola, dolce Sakurina si è innamorata di un tizio problematico!” 
 
“Megres …” dissi solo, regalandogli un’occhiata gelida. Accidenti a me e al mio tono di voce troppo alto!
 
Davanti a me infatti vi era un ragazzo dagli occhi di un particolare tipo di verde che ricordava uno smeraldo brillante, i suoi capelli di colore fucsia ben delineavano l’ovale che formava il suo volto. 
 
 Era un giovane innegabilmente bello se si escludeva il fatto che era uno stronzo patentato! 
 
In effetti Megres faceva parte del gruppo che io definivo ‘il Bello, il Brutto e il Codardo’, nonché la combriccola di famiglie che tenevano il Doberman e lo liberavano ogni tanto per far dilagare il terrore nel paese dove abitavo, e dove purtroppo vivevano anche loro. 
 
“Stai lontana da lei, Megres! Non ti permetto di chiamare in quel modo la mia migliore amica!” lo minacciò Mu, guardandolo con odio. 
 
“Non sto parlando con te, Lilloso del Tibet! Mi ha solo incuriosito quello che la piccola Sakurina ti ha rivelato!” ribattè Megres, ghignando. 
 
“Pochi convenevoli, Megres! Ti sei divertito ieri a liberare Golia, eh?! Ma immagino che sarai rimasto un po’ deluso quando è tornato da te con la coda tra le zampe e trotterellando con disinvoltura!” esclamai, buttandogli addosso tutto il disprezzo che provavo per lui.
 
“In effetti mi sono chiesto cosa gli fosse successo, ma ora che ne hai parlato con il tuo amico Lilloso ho capito tutto! Abbiamo un nuovo sceriffo in città … Muahahahahahahahah!!!!” 
 
Ebbi l’istinto di dargli un pugno in faccia senza troppe cerimonie, ma per fortuna mi trattenni,sebbene la mia mano fremesse impaziente. 
 
“Mi fai schifo!” dissi solo con disgusto. 
 
“Piano, signorinella, stai parlando con il grande Megres, dovresti inginocchiarti con il massimo rispetto quando gli rivolgi la parola!” 
 
Questa volta ad aprir bocca fu il “brutto” del gruppo, ovvero il Signor Zelos, più comunemente chiamato ‘Rospo Libidinoso’. 
 
“Aaaaaahhh, ci sei anche tu … Non ti avevo visto! Deve essere per colpa della tua bassezza o del ripugno che mi da la tua sola vista!” affermai, guardando schifata i brufoli che gli coprivano il volto e i denti sporgenti. Davvero un pessimo scherzo della natura per essere clementi! 
 
“Come ti permetti, stupida ragazzina?! Io ti …” 
 
Ma Megres lo bloccò afferrandolo per un braccio. 
 
“Stai calmo, devi ammettere che non ha tutti i torti …” asserì con un ghigno sadico stampato sul volto. Il suo tono mi fece strappare un risolino di scherno per quell’essere tanto inutile quanto brutto. 
 
“Oooooohh, Padron Megres!! Lei ha sempre ragione, lei sa sempre tutto ma non accetto che questa futile fanciulla esprima giudizi sul mio essere!” si lamentò lagnosamente Zelos, facendo la vittima, il che mi fece ancora più ribrezzo. 
 
Zelos era una persona spregevole, leccapiedi, e lo era ancora di più con Megres, il suo amicone fittizio. Ero infatti convinta che l’unica ragione per cui il Rospo Libidinoso stava al suo fianco era per interesse economico. La famiglia di Megres, infatti, era vergognosamente ricca, e il figlio, nato e cresciuto nel lusso più sfrenato, era abituato ad ottenere tutto quello che desiderava, anche con la violenza … 
 
“Oh, almeno ti rendi conto di essere un obbrobrio … bel passo avanti, rospo!” lo presi ancora in giro, inarcando un sopracciglio. 
 
“Come ti permetti?! Io ti spacco la testa e …” 
 
“Ragazzi, vi supplico, smettela!” 
 
Una terza voce, in concomitanza con il rumore della corriera che si fermava, bloccò la scena per qualche istante. 
 
Sollevai appena la testa in direzione della fonte sonora, e notai il terzo membro del gruppo, il Codardo, seduto nel posto davanti a Megres. 
 
“Unity... Cos’è hai paura che inizi a menare le mani?! Stai tranquillo, non sono così violenta!” dissi solo, guardando dritta negli occhi la sua figura intenta ad alzarsi dal proprio posto. 
 
Unity era un ragazzo abbastanza carino, dagli occhi azzurri e i capelli di un raro color argento. La sensazione che provavo ogni volta che lo vedevo si poteva tradurre con un’unica espressione: pena. 
 
Non avevo mai reputato, infatti, Unity come una persona cattiva, ma conoscevo fin troppo bene la sua debolezza di carattere, motivo preponderante della sua comunella con Megres e Zelos. 
 
“Ragazzi, vi prego fermatevi … - ripeté con insistenza in tono supplichevole - Chiudiamo l'argomento e andiamocene, che tra poco inizia la lezione!” finì il suo discorso, sempre più teso. Sembrava più agitato del solito, come se avesse capito qualcosa, nel dialogo, che a noi fuggiva, non lo avevo mai visto così refrattario a seguire le provocazioni del suo capetto. Era lampante volesse chiudere il discorso il più in fretta possibile. 
 
“Sì, lo sappiamo, Unity, che non smani dalla voglia di litigare con questi due idioti, però sei strano, amico mio, mi hai sempre seguito nelle baruffe, perché ora, che li abbiamo all'angolo, vuoi scappare?!” ribatté Megres, alzandosi a sua volta, mentre Zelos lo seguiva a ruota attaccandosi a lui.
 
 Io non distolsi lo sguardo gelido da lui neanche per mezzo secondo. Eravamo nel suo pugno, secondo lui?! Folle! 
 
“Semplicemente non voglio perdere la lezione per una bravata simile! Andiamo in classe, dai!” insistette Unity con enfasi, accelerando il passo. 
 
“D'accordo, allora! Ci vediamo, pusillanimi, eh! Eh!” sancì Megres con un ghigno, dandomi un pizzicotto con la mano destra che subito allontanai da me in malo modo: detestavo essere toccata, ancora più da uno come lui! 
 
Poi senza aggiungere altro, uscirono dalla corriera, ridendo sguaiatamente, tranne ovviamente Unity, ancora chiuso nella sua inspiegabile fretta di levare le tende. 
 
 
                                                *****************
 
“… E questo è quanto, ragazzi! Tra non molto ci sarà una verifica di chimica, quindi cercate di capire bene i concetti e gli esercizi perché non ve li spiegherò più di due volte!”  
 
Guardai con scarso interesse la professoressa rivolgerci un largo sorriso, come per addolcire la pillola … In verità tutta la classe era abbastanza nelle canne per il compito incombente, e anche se lei stessa lo sapeva continuava a conservare dentro di sé una piccola speranza di correggere qualcosa di decente.
 
Il suono della campanella sancì la fine della penultima ora, con somma gioia di tutti gli studenti … 
 
“Manca solo l’ora di italiano, Sakura! Resistiamo!” mi rincuorò Mu, vedendomi persa nei miei pensieri. Gli sorrisi di rimando, guardando con la coda dell’occhio fuori dalla finestra di fianco al nostro banco in seconda fila. 
 
Il cielo plumbeo e la pioggia che cadeva copiosa sugli alberi e sulle case mi trasmetteva una sensazione di tristezza e sconforto, accentuata forse dalla consapevolezza di dover fare presto ritorno a casa. 
 
“Non ce la farò mai, Mu, a prendere almeno la sufficienza nel compito di chimica … è troppo difficile per me, la mia mente si rifiuta di fare gli esercizi! So già che consegnerò il foglio in bianco!” dissi sommessamente, abbassando lo sguardo. 
 
In genere ero brava a scuola, ma la chimica si era dimostrata più volte un ostacolo di difficile superamento, e la verifica che pendeva come la spada di Damocle sulla mia testa non faceva altro che confermare le mie inquietudini! 
 
“Non dire stupidaggini, Sakura! Hai la media dell’8 e sei brava in tutte le materie, e poi siamo ad Ottobre! Anche se prendessi un brutto voto saresti in grado di recuperarlo subito!” affermò Mu, mettendomi  con affetto una mano sopra alla testa. 
 
“Lo so, Mu … Mi sto fasciando la testa prima di  essermela rotta, ma l’esame, i compiti … Ho così paura di non essere all'altezza …” continuai, osservando istintivamente Megres e Unity intenti a chiacchierare tra loro. 
 
Sbuffai infastidita, notando che il primo spesso e volentieri mi scoccava occhiate eloquenti. 
 
“Non pensarci ora, Sakura! C’è ancora tempo per quello!” mi riprese saggiamente il mio migliore amico. 
 
L’arrivo della professoressa di italiano tranciò di netto la nostra conversazione, mentre con un gesto lento e annoiato ci alzammo dalla sedia in segno di saluto e rispetto. 
 
“Ragazzi, prima di iniziare con  le avventure di Dante in Paradiso (per la verità alquanto piatte), vi devo fare un annuncio importantissimo!” sancì la professoressa, facendo sfuggire un risolino dalle nostre bocche. 
 
D’altronde l’insegnante di quella particolare materia era proprio forte! Con lei era impossibile annoiarsi durante la sua spiegazione anche se avessimo trattato di Cesare che parlava delle sue prodezze in ‘De Bello Gallico‘! 
 
“Cosa, professoressa?” la incitò Megres con un sogghigno radioso stampato sulla sua brutta faccia.
 
“Della gita di quest’anno, mio caro! Ho parlato con il Preside in qualità di coordinatrice di questa classe, e siamo entrambi d’accordo di accompagnarvi a sud, in particolare in Sicilia a vedere le rovine dei templi greci! Non è grandioso?!” spiegò la professoressa quasi saltellando per l’emozione. 
 
“In Sicilia?! - ripeté Unity, inarcando un sopracciglio - Quando?” 
 
“Pensavamo poco prima della vacanze natalizie, anche perché giù c’è un clima più temperato che qui e parallelamente non possiamo fare gite nel secondo quadrimestre perché ci saranno le prove per l‘esame di maturità, quindi prima di Natale è perfetto!” concluse l’insegnante, sorridendo. 
 
Lasciai cadere la testa sul banco, appoggiando il mento con rassegnazione. Intuivo già il resto perché era una particolarità della nostra scuola …
 
“Naturalmente potete portarvi qulcuno dietro come le volte scorse, quindi chiedete ai vostri famigliari o anche ad amici, più siamo e meglio è!” concluse, abbassando momentaneamente gli occhi sul libro di testo. 
 
Ecco lo sapevo! Un’altra gita da  trascorrere sola come un cane, forse farei prima a chiedere il permesso di portare o Zeus o Mirtillo … 
 
“Sakura, non ti abbattere! Vedrai che qualcuno …” 
 
“Chi, Mu??? L’unico sarebbe mio fratello ma è indaffarato con l’università e con l’esame di sistematica da dare! Non ho nessuno, proprio come gli altri anni!” mi lamentai, voltandomi verso la professoressa per non continuare il discorso. 
 
“Molto bene, ed ora torniamo al nosto amato Dante sulla barca dell’angelo nocchiero, pronti, ai posti e via!” sancì lei, mettendosi davanti alla classe e appoggiandosi alla cattedra. 
 
La lezione dell’ultima ora trascorse veloce e indolore, complici le battute della professoressa e l’interesse generale per la Divina Commedia. 
 
Al suono della campanella tutti gli alunni si alzarono in piedi e, dopo aver fatto le rispettive cartelle, uscirono dall’aula tra gli schiamazzi generali.
 
Mu ed io facemmo la stessa cosa, ma nel momento di uscire la professoressa mi richiamò. 
 
“Ti aspetto fuori, Sakura!” mi disse Mu, dandomi un veloce bacio sulla guancia. 
 
Annuii, cercando di non far trasparire la tristezza che provavo in quel momento per non farlo preoccupare inutilmente. 
 
“Come andiamo, Sakura?” mi chiese lei, gentilmente.
 
“Non c’è male, professoressa, non c’è male …” 
 
“Eppure ti osservavo e mi sembravi parecchio giù di corda!” 
 
“No,  è che sono già in ansia per l’esame, e poi questa gita …” non terminai la frase poiché non riuscivo a trovare le parole giuste per quello che provavo. Uff, era sempre così difficile per me spiegare!!! 
 
La professoressa, però parve capire quello che serbavo dentro di me, lo intuii grazie alla lieve carezza sulla mia testa e alle parole che proferì: 
 
“Lo capisco, Sakura, conosco la tua situazione famigliare, non è delle più facili, ma vedrai che quest’anno sarà diverso … C’è ancora tempo del resto, magari troverai qualcuno che ti accompagni!” 
 
Per un attimo sollevai lo sguardo e i miei occhi si posarono su quelli castano scuro della professoressa che riuscirono a trasmettermi tranquillità e pace. 
 
“Può darsi … Grazie, comunque, professoressa! Conserverò la speranza allora!” sorrisi alla fine, facendo per uscire. 
 
“Brava, Sakura, non abbatterti! Sai che mi aspetto grandi cose da te!” disse infine lei, dandomi una pacca sulla schiena. 
 
Annuii un’ultima volta, sentendomi orgogliosa, poi senza esitare oltre mi diressi fuori dall’aula con passo calzante, avendo ben chiari in testa i miei compiti scolastici e casalinghi da fare a casa.

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Capitolo 6
*** Passeggiata con... sorpresa! ***


CAPITOLO 5: PASSEGGIATA CON...SORPRESA!
 
 
“Vai piano, Mirtillo!!! Ahahahahah!!! Perché ti sei messo a correre così adesso?!” ripresi dolcemente il mio cane, ridacchiando. 
 
Era sabato pomeriggio e malgrado l’aria si fosse fatta più fredda, il tempo continuava a regalare giornate di sole.
 
La settimana scolastica per fortuna era passata in un lampo senza imprevisti o votacci, ma questo significava anche che il compito di chimica si avvicinava sempre di più e quindi di conseguenza il terrore collettivo era aumentato in maniera esponenziale! 
 
Era forse anche per questo motivo che ero letteralmente scappata via di casa senza neanche mangiare, giusto il tempo di salutare Milo e uscire con Mirtillo (Zeus era già proprietà di mio fratello quel giorno, perché il pirla sosteneva che gli serviva per pomiciare con le belle ragazze che erano solite sedersi in riva al lago). 
 
In ogni caso il motivo prevalente della mia ‘fuga’ era proprio il non pensare alla scuola, cosa che mi riusciva alquanto bene quando mi immergevo nella flora della riva opposta  del lago di Ceresole Reale. 
 
Mi trovavo quindi dall’altro lato della passeggiata, quello che io definivo famigliarmente ‘ la zona ombrosa dove il naufragar me dolce dei miei pensieri trova sempre riparo ’.  
 
Quel luogo, infatti, diventava spesso un ricovero sicuro dove la mia mente era libera di volare per le immense praterie celesti della mia immaginazione (tanto per citare un termine coniato dalla professoressa di latino). 
 
 In altri termini mi dirigevo sempre lì quando avevo bisogno di riflettere da sola, e di sicuro il verde dei pini e della vegetazione contribuiva parecchio al mio intento. 
 
In quel momento in particolare mantenevo lo sguardo basso e fisso sul mio cane che stava annussando per terra come se avesse individuato una pista di qualche tipo, chissà quale poi! 
 
“Mirtillo, si può sapere cosa hai??? Che odore senti?!” gli chiesi, retoricamente. 
 
Mirtillo mi fissò per un attimo con occhi penetranti e la lingua a penzoloni, poi riprese a strattonarmi con ancora più forza. 
 
Era davvero buffa la sua espressione, così non riuscii a trattenere una risata cristallina e genuina, tanto da farmi socchiudere gli occhi per qualche secondo, impedendomi di vedere la strada davanti a me. 
 
Certo, nella mia testa era ben chiara la mappa del percorso da seguire, e sapevo perfettamente che proprio in quel momento stavamo attraversando uno dei tre ponti in cemento che si trovavano lungo il percorso … ma come potevo intuire quello che mi sarebbe successo da lì a poco?!
 
Ebbi infatti giusto il tempo di arrivare alla fine del ponte che mi ritrovai spinta indietro da qualcosa di tremendamente duro.

Divaricai leggermente le gambe per evitare una caduta in grande stile, mentre nello stesso momento sentii qualcosa finire per terra. 
 
“Accidenti, scusi!!!” dissi in tono imbarazzato, aprendo gli occhi pur mantenendoli bassi. Raccolsi quindi l’oggetto che era caduto: un libro, e feci per porgerlo alla persona che avevo urtato.  
 
“Mi dispiace immensamente! Ecco, tenga il suo … - ma nel momento in cui i miei occhi si incrociarono con quelli dell’individuo, ebbi un tuffo al cuore che poteva essere tranquillamente equiparato all’altezza dell’Everest - Ma porc … Aaaaaaaaaahhhhhh!!!!” urlai, lanciando involontariamente il libro avanti a me e cominciando a girare in tondo per mascherare l’imbarazzo. 
 
Il ragazzo, alias Camus, che prima stava per aprire bocca, seguì con lo sguardo il volo del libro terminare il suo viaggio sfortunato proprio nei rovi sul ciglio della strada. 
 
“Il mio … libro! Il mio … libro, dannazione!”  riuscì solo a ripetere impotente, mentre il suo tono di voce così preoccupato riuscì ad arrestare il mio moto perpetuo e privo di un significato logico. Bene, avevo combinato un altro guaio!  
 
Rimasi in silenzio per qualche istante, ma avevo già preso la mia decisione …
 
Sì, quella volta ero ben decisa a riparare al crimine che avevo combinato, ad ogni costo! 
 
“Tienimi Mirtillo, per favore!” gli dissi solo, mettendogli il guizaglio nella mano sinistra e notando, con la coda dell’occhio, che ne teneva già un altro. 
 
Prima che Camus potesse rispondermi con una qualsiasi frase, mi diressi verso il rovo e, senza tante cerimonie, mi ci buttai dentro alla ricerca del prezioso libro.
 
Ero consapevole di comportarmi da cretina, ma cento volte meglio ferirmi con le spine che stare anche solo un secondo di più in presenza di quel … di quel ragazzo che, solo con la sua presenza, mi impediva di respirare regolarmente! 
 
No, in verità la cosa che mi spingeva ad agire così era il forte desiderio di riparare almeno in parte ai danni che avevo procurato a Camus … Di sicuro amava molto leggere e quindi con ogni probabilità teneva un sacco a quel volume!
 
“Ma dove diavolo è quel libro??? Aaaaaaaahhhh perché l’ho lanciato???” imprecai tra me e me, mentre avvertivo con chiarezza le spine procurarmi vari graffi nelle zone di pelle non protette dagli abiti. 
 
Alla fine la mia mano riuscì a sfiorare qualcosa di liscio … Urrààààà!!! 
 
“Sììììì, ce l’ho fatta!!!” sorrisi raggiante, prendendo finalmente il libro. Nel medesimo istante avvertii qualcuno afferrarmi per i fianchi e tirarmi fuori dai rovi. 
 
“Stupida ragazzina, ma cosa credi di fare???” 
 
Ovviamente era Camus che, dopo aver legato i due guinzagli ad un albero, era di nuovo intervenuto per aiutarmi. 
 
Mi sedetti per terra di riflesso, tenendo il libro in grembo come se fosse stato il più prezioso dei tesori. Mi sentivo avvampare tutte le guance per l’imbarazzo eppure feci in modo di nascondere velocemente il rossore. 
 
“T-ti ho ripreso il libro, non vedi?! Eccotelo!” ridacchiai, restituendogli l’oggetto e tentando di rispondere nel tono più normale possibile.  
 
“Sarebbe stato meglio se non me lo avessi lanciato!” disse solo lui, strappandomi quasi il libro dalle mani e restituendomi il guinzaglio di Mirtillo dopo esserlo andato a slegare insieme ad Ipazia, la sua cagnolina. 
 
Poi senza aggiungere altro mi diede la schiena senza calcolarmi più.
 
Sentivo il cuore battermi all’impazzata nel petto, e un brivido scorrermi lungo la schiena: se ne stava per andare di nuovo, ed io non avevo fatto nessun passo avanti!
 
“Quanto vorrei conoscerlo di più … Stargli vicino e scoprire tutti i segreti che nasconde, ma sono una terribile frana … Non ne combino mai una giusta con lui!” mormorai tra me e me, triste. 
 
Istintivamente posai il mio sguardo sul mio Mirtillo, che si era messo ad uggiolare disperatamente nel vedere che la cagnolina di Camus se ne stava andando con il suo padrone.
 
 Fu allora che  capii tutto: il mio cucciolo si era innamorato al pari di me, navigavamo nella stessa sorte lui  ed io … Dovevo fare qualcosa non soltanto per me, ma anche per il mio Mirtillo! 
 
“E-ehi, Camus, aspetta! - lo richiamai, alzandomi e dirigendomi verso di lui, il quale al mio richiamo si era voltato e aveva inarcato interrogativamente un sopracciglio  - Posso … Possiamo fare la strada insieme? Intanto devo anch’io tornare indietro per fare delle commissioni!” mentii in parte, guardandolo speranzosa. 
 
Per un fugace attimo ebbi l’impressione che le guance di Camus si colorassero di un leggero colorito rosato, ma probabilmente fu solo una mia impressione visto che l’istante dopo il suo volto era tornato come quello di sempre. 
 
“No!” rispose solo lui, voltandosi stizzito e accelerando il passo, ma non mi arresi. 
 
“Aha, spiacente, sono già al tuo fianco!” risposi, mettendomi in parallelo a lui e facendo in modo che Mirtillo fosse al fianco di Ipazia. 
 
Camus sbuffò sonoramente, ma non fece nulla per impedirmi di camminare nella sua stessa direzione. 
 
Passarono diversi minuti in cui nessuno parlò (d’altronde io non sapevo come iniziare un discorso, e Camus sembrava completamente assorto nel suo religioso silenzio, difficilmente sarei riuscita a smuoverlo!). 
 
Passai quindi il tempo ad osservare, divertita, gli atteggiamenti di Mirtillo per Ipazia, appartenenti probabilmente alla categoria ‘mille e uno modi canini per provarci‘. 
 
Dal canto sua Ipazia, esattamente come il padrone, aveva deciso di fare la preziosa e non si lasciava scomporre di certo dalle annusate ben poco caste che Mirtillo riservava al suo didietro! 
 
Sospirai. Beh, almeno la cagnolina di Camus qualche occhiata la riservava al mio cucciolo, a differenza di colui  che mi stava di fianco che non mi guardava neanche per sbaglio! 
 
Tentai quindi di intavolare un discorso partendo da quello che avrei sempre voluto dire al mio salvatore quando difese me e il mio cucciolo dalla furia di Golia:  
 
“Non ti ho ancora ringraziato, vero? Grazie, hai salvato la vita a me e al mio Mirtillo!” 
 
“…” 
 
Uff, andavamo proprio bene! Se non si scioglieva quando gli dicevo parole di gratitudine come potevo sperare di farlo parlare in altro modo? Ma non volevo assolutamente arrendermi! 
 
“Sei un tipo taciturno, vero? Lo si capisce solo guardandoti! Però io credo che nascondi ben altro sotto questo apparente strato di ghiaccio!” 
 
“…” 
 
Sorrisi tra me e me. Dovevo ammetterlo, stavo usando la tecnica migliore che mi aveva insegnato mio fratello Milo, cioè il ‘rompi fino a sfinire il tuo interlocutore’, e dovevo dire che stava già iniziando a funzionare visto il leggerissimo disappunto che la faccia di Camus faceva trasparire. 
 
“ Ipazia è molto carina, mi piace molto, ma quanto ha?” 
 
“…” 
 
“E’ una domanda diretta, Camus, devi rispondere, altrimenti …” 
 
“Santo cielo, ma non stai mai un secondo zitta?!?” esclamò lui, voltandosi per la prima volta nella mia direzione. Yeaaaaahhh!!! Un punto per me!!!  
 
“Uauuuu, allora ce l’hai la lingua per parlare, e ti sei anche girato!!! Ne sono onorata!!!” dissi con una sottile vena di ironia, ghighando. 
 
Camus sbuffò ancora , ma stavolta rispose: 
 
“Comunque Ipazia ha un anno, il tuo?” 
 
Sgranai gli occhi al limite dell’umano possibile: Camus mi aveva veramente appena posto una domanda diretta?! Ero sconvolta! 
“I-il mio ha 9 mesi appena compiuti!” balbettai, sorridendo tra me e me. 
 
Camminammo in silenzio ancora per qualche minuto, poi ad un certo punto, la mia bocca iniziò a parlare senza aver ricevuto un ordine diretto dal cervello. 
 
“Sai, secondo me gli animali sono molto meglio di alcune persone, sanno dare molto più amore di quel che pensiamo. Io … Io sono cresciuta con i cani e non riuscerei nemmeno ad immaginare una vita senza di loro, morirei di solitudine se non avessi Zeus e Mirtillo!” sussurrai, guardando tristemente la strada davanti a me.  
 
Inaspettatamente Camus mi scrutò per qualche secondo, come a voler scoprire i segreti che celava la mia anima; accorgendomi del suo sguardo inquisitore mi affrettai a scrollare via la tristezza che mi aveva avvolto. 
 
“Scusa, sto divagando, non è niente!”
 
Non volevo che lui sapesse della mia presunta maledizione, non volevo assolutamente che scoprisse di avere davanti a lui un piccolo demone che era allontanato da tutto e da tutti per motivi sconosciuti … Non volevo, eppure per un attimo avevo rischiato di rivelare tutto ad un perfetto sconosciuto! 
 
“Ho visto un’ombra coprire per un attimo i tuoi occhi … Beh, in ogni caso anch’io la penso come te sugli animali!” rispose solo lui, distogliendo lo sguardo. 
 
Sospirai di sollievo, felice di aver trovato un argomento con il quale discorrere con Camus.
 
“Comunque … non voglio essere indiscreto, ma … Cosa facevi in giro da sola con il tuo cane? Sei ancora piccola …”  
 
A farmi la domanda era stato ancora Camus, e questo mi aveva creato una sorta di tempesta interna che era sfociata fuori da me solo grazie ad un unico, impagabile gesto: la bocca spalancata a formare una ‘o’ praticamente perfetta!
 
“Scusa, forse non avrei dovuto porti un simile quesito, io …” 
 
“No, no, stai tranquillo! - mi affrettai a dire - Beh in genere preferisco passeggiare da sola, non vado … Non vado molto d’accordo con i miei coetanei …” affermai, omettendo una parte di verità, ovvero il fatto che praticamente tutto il paese stava alla larga da me.
 
“Capito …” 
 
“Ma guarda che non sono così piccola!!! Cioè fisicamente sembro più giovane ma ho 18 anni!” aggiunsi, temendo di essere scambiata per una quindicenne. 
 
“Io ne ho 20, e visto che quasi sicuramente mi inizierai a tempestare di domande, ti dico anche che vado all’università di scienze naturali!” esclamò lui, alzando lo sguardo verso la diga che ormai stavamo raggiungendo. 
 
“Non è vero, non ti avrei tempestato di domande! - mentii, fingendomi offesa, anche Camus come Mu doveva essere bravo in psicologia visto che aveva già capito che tipo ero - Comunque fai scienze naturali?! Uau, è la stessa che frequenta mio fratello!” 
 
“Tuo fratello, sì … Ho già … Ho già avuto modo di conoscerlo meglio!” ribatté lui in un tono strano. 
 
“Perché?” domandai, curiosa. 
 
“Siamo in aula insieme se così si può dire … I professori che ha lui ce li ho pure io e tuo fratello ha già fatto una sceneggiata Shakespeariana quando mi ha visto …”
 
Maledissi mentalmente mio fratello, immaginandomelo intento ad urlare frasi tipo:  ‘Dannato ghiacciolo, hai proprio deciso di intasarmi l’esistenza, eh???’  o anche ‘Specchio, specchio delle mie brame, chi è il più sfigato del reame??? Già c’è penuria di ragazze, mi ci mancava pure questo figaccione come rivale!!!’
“Spero non sia stato troppo idiota …” dissi, imbarazzata. 
 
Il suo silenzio mi fece capire che avevo appena proferito una domanda retorica. 
 
Arrivammo alla diga in poco tempo e la attraversammo senza aprire bocca. Colsi quel momento di repentino imbarazzo per distogliere lo sguardo dalla figura perfetta di Camus e dirigerlo sotto alla diga, in particolare seguendo il corso del torrente Orco che passava nei villaggi sottostanti.  
 
Mi avevano sempre dato una sorta di timore reverenziale le dighe, e ancora di più  quella del mio paesino; d’altronde l’episodio del Vajont era tristemente famoso, e aveva dato un esempio concreto di quanto le opere umane fossero un niente se paragonate alla forza incontrastabile di Madre Natura …
 
Certo, era anche vero che in quel particolare frangente non era stata la diga a cedere come invece era capitato nel disastro del Gleno, ma in ogni caso le immagini ancora nitide del documentario che avevo visto da bambina mi ronzavano in testa. 
 
“Stai tranquilla, non cederà questa diga!” 
 
Fissai sconvolta Camus … Come poteva sapere quello che stavo pensando?! Era inconcepibile per me, neanche Mu ci era mai riuscito pienamente!  
 
“Hai la faccia spaurita e guardi di sotto alla diga con terrore, non ci vuole molto per intuire i tuoi pensieri!” rispose pronto Camus, scoccandomi un’occhiata di circostanza.
 
“Ok …” riuscii solo a dire, tornando con gli occhi a fissarmi i piedi. 
 
Non riuscivo a capire perché in quel momento ero tornata nuovamente muta con Camus, eppure prima avevo rigettato indietro tutta la mia timidezza … perché in quel momento non riuscivo più a sbloccarmi?! Era forse la paura di un rifiuto?! Eppure Camus mi aveva rivolto la parola!!! 
 
“Sei strana, ragazzina … prima non la smettevi di parlare e ora ti sei chiusa a riccio …” 
 
“Come te del resto, Camus, solo che tu hai fatto il procedimento inverso!” tentai, sbuffando. 
 
“Tu conosci il mio nome ma il tuo mi sfugge in questo momento … A quale richiamo rispondi?” chiese Camus, arrossendo un poco. 
 
Sorrisi tra me e me, divertita dal modo in cui mi aveva posto la domanda, evidentemente per uno acculturato come lui era troppo semplice porre la domanda al modo classico!
 
“Sakura …” 
 
“Sakura? Non è un nome giapponese???” 
 
Non risposi, accellerando il passo, era il mio turno di fare la preziosa, eppure sentivo che non era solo quello il motivo che mi spingeva ad agire così, no, la verità era che mi sentivo a disagio, un disagio scaturito dalla consapevolezza di non essere alla sua altezza! 
 
Giunti dalla parte opposta del lago grazie alla diga, mi resi conto che quella sarebbe stata la fine della passeggiata mia, di Camus e dei due cani; e che a differenza di Mirtillo (il furbo alla fine era riuscito ad attirare l’attenzione di Ipazia combattendo il fuoco con il fuoco, ovvero fingendo indifferenza al pari della cagnolina), io non avevo ottenuto alcun risultato tranne quello di scambiare due paroline con l’impenetrabile francese. 
 
“Ecco, siamo arrivati dall’altra parte, grazie per avermi sopportato! Ora devo proprio andare, però!” mi affrettai a salutarlo, facendo per allontanarmi da lui il più presto possibile. 
 
“Che stupida! Che stupida che sono!!! Cosa spero di ottenere standogli vicino? Ho forse la pretesa che uno bello come lui si interessi a me?? Sono proprio un’illusa! Di sicuro quelli del paese gli avranno già detto di tenersi alla larga da me, e lui è anche stato fin troppo gentile dopo tutto quello che gli ho fatto!!” mi rimproverai a bassa voce, cercando di non piangere, mentre Mirtillo mi guardava con aria preoccupata. 
 
“R-ragazzina!!!” 
 
Non mi voltai, sicura più che mai che il richiamo non fosse rivolto a me. 
 
“S-Sakura!!!” 
 
Questa volta i miei piedi si fermarono prima che il cervello potesse dare un ordine preciso. Mi voltai, vedendo Camus fermarsi di colpo a pochi metri da me dopo aver fatto una breve corsa per raggiungermi. 
 
Rimanemmo così per diversi secondi: io con una faccia ebete stampata in volto, lui con il rossore delle guance che aumentava a dismisura con il tempo che passava, ed i due cani che si guardavano intensamente l’un l’altra scodinzolando festosi. 
 
“C-c’è qualcosa che non va?” chiesi, confusa dal suo atteggiamento. 
 
“N-no, è solo che … uff, va bene per te se ci vediamo ancora?” 
 
Il mio cuore ebbe una sorta di fitta violenta, talmente forte da farmi temere l’arrivo di un infarto fulminante, ma le parole che Camus si affrettò ad aggiungere dopo mi fecero sprofondare letteralmente nell’oblio …
 
“Lo faccio per Ipazia … Sembra parecchio interessata al tuo Mirtillo!” 
 
Non so per quanto rimasi a fissare la sua cagnolina con sguardo spento, ma di sicuro un bel po’ visto che Camus cominciò a preoccuparsi notevolmente. 
 
“T-tutto bene? Se non vuoi … pazienza!”  disse, cercando di sembrare indifferente, ma non riuscì a reprimere una particolare sfumatura di speranza nella sua voce. 
 
“Come no, come no! Non ho problemi a rivederti, ma lo faccio solo per Mirtillo!” risposi stizzita, dandogli le spalle e andandomene con la testa alta. 
 
Gesto che, puntualmente, mi impedii di vedere un sorriso appena accennato, ma infinitamente profondo, solcare le guance rosse di Camus. 
 

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Capitolo 7
*** Imparare a conoscersi ***


CAPITOLO 6: IMPARARE A CONOSCERSI
 
 
“EEEEETCIUUUUUU!!!!!” starnutii violentemente, mentre l’acqua che cadeva dal cielo, unita a quella delle numerose pozzanghere già formatesi, mi inzuppava completamente i vestiti. 
 
“Forza, Sakura! Siamo quasi arrivati alla corriera!” mi incitò Mu, intento a correre davanti a me. 
 
Sorrisi tra me e me, stringendo ancora di più la mano bagnata del mio amico che teneva la mia. 
 
Adoravo i temporali autunnali a sorpresa, soprattutto nell’esatto momento in cui la campanella di scuola suonava e si doveva uscire proprio quando diluviava ai massimi livelli! 
 
Certo, io ero tremendamente felice perché amavo la pioggia, ma la mia salute, già messa alla prova da un fastidioso raffreddore, lo era un po’ meno … 
 
Arrivammo alla fermata praticamente in simultaneità con l’apertura delle porte della corriera, arrivata con un certo anticipo, e accelerammo la nostra corsa per evitare di perderlo.
 
Salimmo quindi sul mezzo completamente inzaccherati e infangati (mi ero dimenticata l’ombrello a casa) e questo mi faceva ridacchiare tra me e me, ma il mio buonumore ebbe presto fine nel momento in cui vidi Megres occupare proprio il mio posto in fondo al pullman. 
 
“Come sei sexy, Sakura!!! Sembri un pulcino bagnato … Quasi, quasi mi fai tenerezza!” mi disse con un ghigno. 
 
“Vai a rivedere le tue priorità, Megres!” risposi con freddezza, dandogli senza troppe remore un calcio in pieno stinco.
 
“Levati di torno, Megres! - mi fece eco Mu, protettivo - O vuoi assaggiare la mia collera?!” 
 
“Va bene, ok … Ma non c’è bisogno di essere così asociali!” asserì il simpaticone, alzandosi, scoccandomi un bacio al volo (che puntualmente evitai disgustata)  e andando a sedersi vicino a Unity. 
 
Non riuscii a trattenere un ghigno nel vedere il ‘povero, piccolo’ Zellos fare una faccia incredula accorgendosi  che, per l’ennesima volta, il suo amicone non si era seduto vicino a lui al ritorno da scuola.
 
Mi sedetti quindi al mio solito posto, tirando su con il naso e tossendo un poco. 
 
 Uhm, la gola stava già iniziando a farmi male, potevo solo sperare di non aver preso l’influenza in seguito alla mia passeggiata di due giorni prima e al maltempo di quella giornata.
 
“Allora, oggi mi hai accennato che hai rivisto Camus l’altro giorno, ma non ho capito come è andata …” cominciò Mu, passandomi un fazzoletto e sorridendomi con affetto. 
 
Sospirai pesantemente, apprestandomi a raccontare il nuovo casino che avevo combinato e le conseguenze dovute alla mia sbadataggine. 
 
“Mi ha chiesto se ci possiamo rivedere, ma lo fa esclusivamente per la sua cagnolina Ipazia, dubito che sia veramente interessato ad una combina guai come me …” conclusi, abbassando lo sguardo. 
 
“Uhm, chissà se è veramente così oppure vuole solo che tu pensi questo per nascondere le sue reali speranze …” mormorò Mu, mettendosi una mano sotto il mento.  
 
Sbuffai, guardando fuori dal finestrino e chiedendomi come fosse possibile la positività così spiccata di Mu … Lui era il mio migliore amico, e quindi era più che naturale il suo tentativo di risollevarmi il morale, ma la verità era che io non credevo affatto in me stessa, ancora di più dopo quello che avevo sentito uscire dalle labbra di mia madre sul presunto peccato che mi aveva macchiata dalla nascita. 
 
Rimasi in silenzio per tutto il viaggio, guardando con una vena di malinconia la nebbia che ricopriva quasi nella loro totalità i monti. 
 
Mu rispettò la mia decisione, limitandosi a stringere la mia mano e a contemplare il paesaggio fuori insieme a me. 
 
Il tempo passò in fretta e la corriera arrivò velocemente presso la fermata in cui dovevo scendere. Sospirai tra me e me, non molto entusiasta all’idea  di dover andare a casa subito per colpa del maltempo, ma soprattutto di dover incrociare i miei genitori che quel giorno erano rimasti a casa. 
 
Salutai quindi Mu e scesi dalla vettura senza neanche degnare di uno sguardo Megres che tentava, con ben pochi esiti, di farmi lo sgambetto, dirigendomi verso la mia casetta il più in fretta possibile, giacché continuava ad imperversare una pioggia fitta fitta.
 
“Accidenti!! Non vedo l’ora di …” biascicai tra me e me, facendo per avvicinarmi alla porta di casa per aprirla, invece quella si spalancò da sola, arrivandomi dritta in faccia e facendomi cadere.
 
“Dove pensi di andare, signorinella??? Tuo padre ed io abbiamo pulito la casa stamattina e ci siamo spaccati la schiena per farlo! Ora a te tocca di andare a comprare su dal negozio di Shura. Non fare storie!” ordinò mia madre, prendendomi la cartella dalle spalle e infilandomi la borsa a tracolla per la spesa. 
 
“Ma mamma!!! Sono completamente fradicia, come posso …?!” provai ad obiettare, incredula. 
 
“Fatti tuoi se non sei previdente, e ora muoviti!!!” esclamò ancora, facendo per richiudere la porta, che bloccai in un impeto d’ira. 
 
“E scommetto che il vostro caro figlio Milo non si voglia scomodare ad andare a comprare, vero???” imprecai a denti stretti.
 
“Milo è stato all’università stamattina, ha bisogno di riposare e infatti sta dormendo ora! Non cercare scuse, piaga!!!” mi rimproverò mia mamma chiudendo a forza la porta e con essa parte della mia mano. 
 
Istintivamente la ritrassi ma ormai era troppo tardi per prevenire uno schiacciamento sufficiente a farmi spuntare sicuramente un bel livido entro pochi giorni!
 
“CHE SIATE TUTTI MALEDETTI!!!” urlai inviperita, sforzandomi di non scoppiare in lacrime. Perché …?  Perché diavolo mi era riservato un trattamento simile??? Non era per niente giusto!!! 
 
Mi sedetti istintivamente sotto uno dei due alberi del giardino, incurante di infradiciarmi tutta (del resto ero già completamente bagnata) e misi la testa tra le ginocchia, cercando di riprendermi da quell’improvviso attimo di scoramento che mi aveva colpito.
 
Non era la prima volta che subivo un trattamento simile, accadeva in determinati momenti, precisamente quando avevo il mio ciclo … ma perché?! Certo mio padre faceva sempre finta di niente, mentre mia mamma diventava proprio aggressiva, più aggressiva del solito! Sembrava quasi … paura? Assurdo, per cosa poi?! 
 
Mi asciugai in fretta le lacrime che, incuranti delle mie proteste, erano scese comunque a rigarmi le guance. Non dovevo piangere, nel modo più assoluto! I miei genitori non meritavano un tale spreco di forze! 
 
Armandomi di forza e coraggio, mi diressi quindi nella parte più alta del paese, mantenendo lo sguardo basso per evitare di incorrere nelle ire di qualche altra brutta conoscenza, o più semplicemente per non incorrere negli sguardi, taluni di pietà altri di disprezzo, dei passanti che mi scansavano in fretta e furia. 
 
Arrivai finalmente nella parte alta del paese, la pioggia continuava a scrosciare intorno a me e su di me con insistenza. Tutto questo ovviamente accompagnato da un tremolio che si faceva più intenso man mano che i minuti passavano: il mio. 
 
“Brrrr, devo sbrigarmi, non voglio ammalarmi e non andare a scuola domani, lì almeno … Lì almeno i professori ... Accidentii!!!!!” ebbi appena il tempo di dire, prima di inciampare in un’aiuola e ritrovarmi così distesa lunga in una pozzanghera. 
 
“Fantastico! Già ero bagnata, ma se non completi l’opera non sei felice, vero Sakura???” mi rimproverai a voce alta, sentendomi una stupida patentata. 
 
Cercai di sollevarmi (il verbo ‘arrendere’ non era nel mio vocabolario), ma una fitta di dolore alla mano infortunata, mi fece capire che il mio corpo non era della stessa opinione. 
 
“Santo cielo,  chérie, tutto bene???” 
 
Sentii una voce dall’accento francese e dal tono particolarmente dolce chiamarmi con una punta di preoccupazione.  
Non si trattava di Camus, questo era sicuro, eppure aveva un suono alquanto famigliare.
 
Poco dopo mi sentii sollevare da due forti braccia e mi ritrovai ben presto a fissare due splendide iridi blu che mi osservavano con preoccupazione. 
 
“Tu … Tu sei Dégel, vero?! Non mi sto … Non mi sto confondendo di nuovo con tuo fratello gemello, giusto?!” riuscii a biascicare, sorridendogli appena e provando un moto di gratitudine verso di lui. 
 
“Che è successo???” 
 
Un altro accento francese … QUEL particolare accento francese. L’unica voce, tra tutte, ad avere il potere di far accelerare all’impazzata i battiti del mio e cuore! 
 
“Non lo so, Camus, ho visto Sakura accasciarsi per terra e sono intervenuto subito per vedere se c‘era qualcosa che non andava, ma probabilmente è solo inciampata” spiegò Dégel, guardando il fratello. 
 
Io feci altrettanto, accorgendomi che Camus portava in mano due ombrelli e Dégel neanche uno, segno inequivocabile della tempestività dell’intervento di quest’ultimo, del tutto incurante di bagnarsi pure lui facendo così. 
 
“Sakura, va tutto bene? Cosa facevi in giro senza ombrello e soprattutto come ti senti ora?” mi chiese Dègel, apprensivo. 
 
Probabilmente il mio sguardo spento e la mia apatia lo fecero preoccupare ancora di più perché intervenne Camus a spingermi a parlare …
 
“Mio fratello ti ha posto una domanda, ragazzina, sarà meglio che tu risponda … Dègel si preoccupa troppo, anche per le estranee” disse Camus, marcando sull’ultima parola, ma ebbi come l’impressione di sentire una vena di ansia anche nel suo tono freddo. 
 
“Sto bene … Sono solo inciampata per sbaglio e ho dimenticato l‘ombrello a casa!” mi affrettai a dire, cercando di essere più convincente possibile. 
 
“Menomale, però … però stai tremando vistosamente, Sakura!” continuò Dégel un po’ più calmo ma non del tutto convinto dalla mia frase. 
 
“No, no tranquillo sto bene!” ribattei testarda, cercando di allontanarmi  da loro. Non volevo causare problemi, probabilmente erano usciti insieme per svolgere una commissione ed io non volevo creare ulteriori fastidi, ma scoprii quel giorno che Dègel per certe cose era addirittura più cocciuto di me. 
 
“Sakura, cerca di capire … è vero che non mi conosci e quindi non ti fidi, ma ti posso dire che sono iscritto alla facoltà di medicina e la prima cosa che ci hanno insegnato è capire quando il paziente ha qualcosa che non va e tu … e tu sembri non essere in perfetta forma!” mi spiegò lui, serio in volto. 
 
Lo guardai, colpita dalla sua sensibilità e dalla sua particolare capacità di guardare dentro le persone. 
 
“No, io sto b.. EEEEEETCIUUUUU!!!!!!” starnutii, iniziando a tremare con ancora più violenza di prima. Dannazione, l’influenza no!!! 
 
“Ecco, lo vedi?” mi riprese ancora Dègel, facendo per togliersi la felpa nera che indossava. 
 
“Dègel, no! Non puoi … ha detto che se la sa cavare da sola!” esclamò all’improvviso Camus, fermando il fratello come se avesse avuto paura di qualcosa. 
 
“Camus, la vedi come trema? Come posso non fare niente?!  So che per te quella storia è ancora una ferita fresca e VEDERLA è come mettere il dito nella piaga sia per me che per te … Ma devo rendermi utile in qualche modo!” rispose Dègel, guardando intensamente Camus, il quale abbassò lo sguardo. 
 
Non capii il loro scambio di battute, del resto non avevo ancora i mezzi per farlo, ma avvertii con chiarezza la tensione che permeava le loro parole, una tensione che aveva un retrogusto amaro … 
 
“ Ecco qui, piccola, ora avrai un po’ meno freddo!” mormorò Dégel, coprendomi con la sua felpa. 
 
“G-grazie!” biascicai, imbarazzata, alzando gli occhi per guardare meglio Dégel. 
 
Fu allora che la vidi per la prima volta …
 
Partiva dalla clavicola destra di Dègel e andava sfumandosi su per il collo, fino a diventare quasi invisibile: un’orrenda cicatrice che faceva presagire che qualcosa di irrimediabile era accaduto. 
 
Dégel colse la direzione del mio sguardo e istintivamente si sistemò meglio il colletto della maglietta leggermente scollata che indossava. 
 
“E’… è una lunga storia, non pensarci!!! “ esclamò Dégel, nascondendo il resto della cicatrice e mettendoci la mano sinistra sopra.  
 
Ricordi spiacevoli … per colpa mia probabilmente avevo revocato in Dégel un’esperienza orribile, maledizione a me!!! 
 
“Io … Mi dispiace, non volevo!!!” affermai, coprendomi il viso per la vergogna e correndo letteralmente via per evitare di fargli perdere dell’altro tempo.
 
Non mi fermai fino a quando non raggiunsi praticamente il negozio di Shura, ma prima di poter entrare venni fermata da un Camus e un Dégel particolarmente agitati. 
 
“Sakura, che diavolo fai??? Perché ti comporti così?!” esclamò il primo, afferrandomi per il polso dolorante. 
 
Purtroppo non riuscii a trattenere una smorfia di dolore, cosa che non sfuggì agli occhi dei due fratelli. 
 
“Oddio, Sakura, ma cosa …?!” dissero all’unisono, preoccupandosi nel guardare la mano tutta arrossata e tagliata in alcuni punti in seguito alla ‘punizione’ di mia mamma.
 
“Lasciate stare, non è niente!!!” mi affrettai a dire, facendo qualche passo indietro e rischiando di perdere l’equilibrio.
 
Non volevo che si preoccupassero, dannazione! Ma avevano appena scoperto quello che avevo tentato a tutti i costi di nascondere quindi mi avrebbero tempestato di domande a cui io non avrei risposto per tenere celato il mio segreto. 
 
Non sapendo che fare mi  nascosi la testa tra le mani, serrando con forza le palpebre: di sicuro non era il comportamento migliore per evitare la loro attenzione ma in quel momento non potevo fare diversamente!
 
“Non voglio crearvi disturbo! - ripetei, in tono tremante- Devo comprare solo delle cose, grazie di tutto ma da qui me la cavo da sola!” dissi, togliendomi la felpa di Dégel e facendo per entrare, ma il fratello di Camus mi bloccò per l’ennesima volta. 
 
“No, aspetta, non puoi fare tutto da sola con quella mano conciata così! Ti aiutiamo noi, non ti preoccupare. Non abbiamo niente da fare!” affermò Dègel, deciso, mentre Camus mi fissava preoccupato.
 
Sospirai tra me e me, non sapendo più che fare per evitare il loro aiuto, quindi mi limitai ad  annuire con poca convinzione. 
 
Allora entrai nel negozio insieme alle due ‘guardie del corpo’, individuando subito Shura intento a sistemare alcuni scaffali. 
 
“Buongiorno, Sakura, cosa fai in giro con questo tempo?! - mi salutò lui quando mi vide, poi i suoi occhi si posarono su Camus e Dègel. - Oh, vedo che hai compagnia oggi!!!” 
 
Mi avvicinai a Shura con capo chino. In circostanze normali lo avrei salutato con la mia solita allegria ma dopo quello che era successo con mia madre tutte le forze mi avevano abbandonato: provavo solo un intenso dolore fisico e psicologico! 
 
“Buondì, Shura, mi dispiace disturbarti ma ho bisogno di fare la spesa, mi ha mandato mia madre …” 
 
Quella semplice frase riuscì ad accendere la consapevolezza nei suoi occhi … Probabilmente aveva capito, ed ebbi la conferma quando mi rispose. 
 
“Santo cielo, Sakura, ma di nuovo??? Non è minimamente concepibile, sarebbero da denunciare!!!”  
 
“Per favore, Shura!!! Non di fronte a loro!!! Sai quanto rischi ogni volta che parli con me, no?!” esclamai agitandomi, accennando ai due fratelli. 
 
Shura si girò di spalle e strinse convulsamente le mani a pugno: 
 
“Lo so ma non sono per niente d’accordo con la mentalità di questo paese, e non starò zitto se i tuoi continueranno a trattarti così … ora vado a prenderti tutti gli alimenti che ti servono: la tua mano non sembra in grado di sorreggere pesi!” asserì Shura, dirigendosi verso il carrello e cominciando a prendere i soliti alimenti che mi servivano. 
 
Sospirai ancora, cercando di non incrociare lo sguardo dei due fratelli per evitare spiegazioni, ma purtroppo fu Dégel stesso a cercarle. 
 
“Sakura, ma cosa …? La situazione sembra più grave del previsto, chi ti ha fatto quello?! Non sarà stata … tua madre … vero?” tentò Dègel, tentando di afferrarmi nuovamente la mano, ma io lo scansai bruscamente. 
 
“Niente!!! Lascia perdere!” proferii solo in tono gelido. 
 
Mi dispiaceva trattarlo così, perché la sua unica colpa era stata quella di interessarsi a me e cercare di capire perché io fossi in quello stato, ma non potevo concedergli la mia fiducia, no, ne avrebbe pagato le conseguenze lui stesso in prima persona! 
 
“Va bene … Scusa la mia insistenza, davvero io non volevo! Vado … vado ad aiutare il cassiere per prendere la tua spesa …” biascicò Dègel con sguardo cupo, dirigendosi verso Shura. 
 
Sperai di avere un po’ di calma, giacché Camus parlava sempre poco a differenza del fratello, ma quel giorno purtroppo decise di dire anche la sua. 
 
Mi prese infatti per un braccio e mi costrinse a guardarlo in quei due zaffiri che erano i suoi occhi: 
 
“Non so cosa tu abbia o stia passando, e non lo voglio sapere visto che tu sei la prima a tenerlo nascosto, però ti devo avvertire di una cosa: la violenza va sempre punita, ancora di più se è in famiglia!” affermò lui, guardandomi intensamente per poi dirigersi verso Shura e Dègel. 
 
Rimasi da sola, riflettendo su quanto appena udito. Come potevo denunciare la mia famiglia?! Come potevo mettere sotto inchiesta tutto il paese di Ceresole Reale?! Del resto non era solo qualcuno ad avercela con la sottoscritta, bensì quasi tutti!

Magari c’era davvero qualcosa che non andava in  me, magari mi ero veramente macchiata di una colpa terribile che non ricordavo …  
 
Mi appoggiai istintivamente al primo della lunga serie di scaffali che mi circondava e sospirai pesantemente. 
 
La testa mi girava e doleva alquanto, mi sentivo calda e stanca come se avessi la febbre … dannazione, se davvero avevo contratto l’influenza si andava di male in peggio: odiavo dover dipendere da qualcuno, ancora di più da mio fratello Milo! 
 
“No, anche se ho la febbre non mi importa, mi comporterò come sempre e prenderò le medicine di nascosto. E’ ormai passato il tempo in cui Milo deve farmi da balia!” dissi tra me e me, sfregandomi gli occhi per scacciare via la stanchezza. 
 
“Sakura, stai male?” mi chiese Shura, preoccupato dal mio apparente stato catatonico. 
 
Avvertii appena il suo tocco delicato sulla mia fronte bollente, e mi ritrassi subito proprio in seguito a questo: dovevo evitare di far capire agli altri il mio malessere! 
 
“No, Shura, sto bene, sono solo stanca! - mi affrettai a dire, sorridendo - Grazie a tutti per l’aiuto che mi avete dato, ora pago e …” feci per prendere i sacchetti dalle mani di Camus ma quest’ultimo si scansò. 
 
“Cosa credi di fare con la mano conciata così?! Spiacente, dovrai sopportarci fino a casa tua perché la portiamo noi la spesa!”  sancì lui, non ammettendo repliche. 
 
“Cosa?! Ma no, non potete!!!” cercai di lamentarmi, ottusa. 
 
“Sakura, cerca di capire … non sei in condizioni di portare i sacchetti! Ti prometto che arriveremo solo fino alla soglia della porta e poi ti lasceremo, intesi?” mi spiegò Dègel, con dolcezza. 
 
Feci per aprire nuovamente bocca, ma Shura mi fermò avvicinandosi a me: 
 
“Hanno ragione, Sakura! Permettigli di darti una mano, mi sembrano entrambi dei bravi ragazzi! Io capisco che hai paura ma vedrai che non accadrà nulla, non … non vedranno tua madre!” mi rassicurò lui, sorridendomi. 
 
Sospirai affranta: tre contro uno non era leale! Mi avevano gabbato per bene e in quel momento l’unica cosa che potevo fare era accettare il loro aiuto senza obiezione! 
 
Pagai quindi il conto e mi diressi fuori, camminando davanti alle mie guardie del corpo malgrado i loro continui richiami di ripararmi sotto l’ombrello insieme a loro. 
 
Ero sorda alla loro voci semplicemente per il fatto che mi stavano aiutando anche sin troppo in quel momento così difficile, era proprio a causa della vergogna che non riuscivo neanche a guardarli negli occhi! 
 
Una volta arrivati nel giardino di casa mia mi voltai verso di loro, regalandogli il migliore sorriso che potessi dare. 
 
“Allora … grazie mille, ‘cavalieri‘!” li salutai, prendendoli leggermente in giro.
 
“Sakura, sei davvero sicura di sentirtela?” insistette Dègel, fissandomi preoccupato. 
 
“Sì sì tranquillo io …” 
 
Ma non terminai la frase perché in quell’esatto momento mia madre decise di aprire la porta per mettere fuori la spazzatura, proprio degno della mia solita, proverbiale, fortuna.
 
Fu un solo attimo, un solo breve attimo prima che la sua furia si abbattesse su di me con estrema violenza … 
 
Non riuscii a fare altro in quell’istante, nient’altro che incurvare la schiena per cercare di proteggermi dalle botte che, sapevo, avrei ricevuto da lì a poco. 
 
“SAKURAAAA, CHE DIAVOLO HAI COMBINATO?! Perché questi due ragazzi sono qui?! Hai fatto uno dei tuoi solito casini, pestilenza che non sei altro?!” ruggì mia madre afferrandomi per il polso infortunato e facendomi scappare un gemito di dolore dalla bocca. 
 
Con la coda dell’occhio vidi le facce di Camus e Dégel farsi sempre più sbigottite, poi una maschera di sdegno oscurò il volto del primo. 
 
“MA E’ COMPLETAMENTE IMPAZZITA?!?” gridò Camus, fremendo vistosamente.
 
Mia madre, colpita da una tale affermazione, si mise a fissare i due: 
 
“Ah, quindi voi due siete i nuovi e non sapete ancora niente di questa qui … bene, allora mi premunirò di mettervi subito al corrente della persona spregevole con cui avete a che fare!” 
 
Un brivido corse lungo la mia schiena … No! Perché dannazione??? Non voglio … non voglio perdere ancora degli amici!!!
 
“No, mamma!!! Non ti permetterò di parlare, NO! Ho il diritto anch’io di avere amici!!!” urlai con tutte le forze che avevo in corpo. 
 
Per tutta risposta lei mi storse il braccio con estrema violenza: 
 
“Come?! Non dovrei dire la verità, stupida ragazzina?! Non dovrei rivelarti per quello che sei?! Ovvero un terribile mostro?!” 
 
“No! No! Non sono quello che dici, NON LO SONO!!!” gridai ancora, mentre delle calde lacrime mi invadevano gli occhi e cominciavano a rigarmi le guance. 
 
Poi non seppi spiegare perché, mi ritrovai stretta tra le braccia di Camus, il quale probabilmente mi aveva strappato dalla presa ferrea di mia madre. 
 
“Io vedo solo che l’unico mostro qui è lei!!! Perché tratta così Sakura?!” esclamò Camus, serrando le labbra per trattenere l’ira. 
 
No riuscivo a crederci: lui … lui era veramente intervenuto per proteggermi?!
 
“Siete nuovi di qui, non sapete NIENTE e pretendete di poter giudicare il trattamento che riservo a mia figlia. C’è un motivo se mi comporto così!!!”  ribattè mia madre, infastidita dalla presa di posizione di Camus. 
 
“E’ semplicemente inconcepibile!!! - intervenne anche Dègel in mia difesa - Lei è sua madre??? Come può trattare così sua figlia?! E lei che le ha fatto male al polso?!” 
 
“Vi prego, basta! Non potete capire!” singhiozzai invece io, tremando vistosamente. 
 
Camus si accorse del mio stato d’animo e mi strinse con ancora più forza. Poi mi sussurrò parole che non dimenticherò mai: 
 
“Stai tranquilla, chérie, è vero che non so nulla della tua situazione famigliare, ma ora capisco chi ti fa stare così male! Ebbene io … io ti proteggerò, poiché odio le ingiustizie!” 
 
Arrossii di botto, mentre il mo cuore accelerava di colpo a seguito di quelle parole pronunciate con un po’ di imbarazzo. 
Nel frattempo il baccano provocato dallo scontro attirò l’attenzione delle persone presenti in casa, ovvero Milo e mio padre, i quali uscirono tutti trafelati in giardino accompagnati da Zeus e Mirtillo. 
 
“Che diavolo sta succedendo?!” esclamò mio fratello, confuso dal baccano. 
 
Camus non riuscì a trattenere un ringhio basso e sommesso nel vedere Milo con una faccia così stupita stampata in volto. 
 
“Tesoro, non stai esagerando ora? Stai creando un po’ troppo scompiglio! In fondo Sakura non sembra aver fatto nulla di male, si è solo fatta aiutare da questi baldi giovani!” tentò invece mio padre, appena capita la situazione. 
 
“Mi danno fastidio i vicini che pretendono di giudicare senza conoscere alcunché, se solo sapessero la verità …” 
 
“Mamma, dannazione, taci! Taci almeno!!!” 
 
A parlare questa volta fu Milo, non nascondendo una certa rabbia nel vedere la mia faccia terrorizzata a causa delle azioni di nostra madre. 
 
“Milo, io …” 
 
“Mamma entra in casa!!! Hai già fatti troppo danni oggi!” esclamò ancora mio fratello, scoccandogli un’occhiata velenosa.
 
Mia mamma sbuffò contrariata, ma poi fece come chiesto dal figlio, entrando in casa e sbattendo con forza la porta. 
 
Mio padre mi guardò quasi  con compassione, come se per un attimo riuscisse a capire il mio stato d’animo, ma subito dopo entrò anche lui in casa senza aggiungere altro. 
 
Istantaneamente scoppiai in lacrime un po’ per la paura e un po’ perché  stavo sempre più male. Camus per consolarmi mi accarezzo i capelli, proprio come faceva Mu quando sentivo tutto il mondo contro di me, e mi sussurrò parole di conforto: 
 
“Non è successo niente, Sakura, stai tranquilla! Ssssshh, è tutto finito ora!”
 
Dégel rimase ritto in piedi, incapace di aggiungere qualcosa dopo aver assistito ad una scena simile. 
 
Fu Milo  a fare il primo passo verso Camus: 
 
“Il pericolo è passato … ti dispiacerebbe gentilmente scostarti dalla mia sorellina?” chiese, con una punta di rancore nella sua voce. 
 
Camus lo fissò negli occhi per un tempo indeterminato, poi lentamente mollò la presa su di me per affidarmi a Milo: 
 
“Sei suo fratello maggiore, eppure non hai fatto niente per proteggere la tua sorellina, l’hai lasciata sola, ed è per questo che lei ora ha così paura: perché non ha nessuno su cui fare affidamento!” esclamò, gelido. 
 
“Ma come osi?! Chi sei tu per giudicare?!” ribatté mio fratello, fremendo vistosamente. 
 
Ma Camus si era già allontanato in direzione di casa sua senza aggiungere altro …
 
“Che tipo! In fondo una parte di ragione ce l’ha mia madre: quello si permette di giudicare senza sapere la situazione!” ringhiò Milo in tono basso. 
 
“Mi dispiace, Milo … Mio fratello non intendeva dire che non sei un degno fratello maggiore ma quello che abbiamo visto oggi ci ha sconvolto! - provò a spiegare Dégel, guardandomi tristemente - Diciamo … che la nostra famiglia è molto diversa dalla vostra!” concluse poi, sospirando e seguendo il fratello.  
 
Finalmente … finalmente il peggio era passato!
 
“Ehi, Sakura! Va … va tutto bene? Mi dispiace, io … io non avevo capito quello che aveva fatto nostra madre, altrimenti sarei intervenuto subito!” mi disse Milo, stringendomi forte. 
 
“No, Milo! Sono io che devo chiederti scusa per tutto!” riuscii solo a dire, prima di mettere la testa nell’incavo della sua spalla in cerca di un po’ di affetto. 

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Capitolo 8
*** Febbre ***


CAPITOLO 7: FEBBRE 
 
Stavo correndo con tutte le mie forze, cercando di non perdere di vista il bambino di fronte a me che stava fuggendo da un qualcosa che non riuscivo a capire. 
 
Con ogni probabilità eravamo in estate, lo capivo dai raggi caldi del sole che accarezzavano delicatamente la mia pelle e dalle cime frastagliate degli alberi che con il loro verdeggiante colore mi trasmettevano felicità.
 
A conferma di ciò quel giorno il tempo era magnifico, e gli uccellini cantavano sereni, rallegrati da quella giornata stupenda. 
Sembrava tutto così tranquillo fuori … ma quella era solo un’illusione se messa a confronto con il tumulto interno che avvertivo pesarmi sul petto con insistenza. 
 
Automaticamente accelerai la mia corsa, tentando disperatamente di raggiungere il bambino in fuga che correva disperatamente. 
“Eeeeeehiiiiii, fermati!!!” esclamai, compiendo vari balzi per evitare di schiacciare alcune felci che ricadevano sul sentiero; loro sì che erano del tutto ignare del rischio che correvano, ovvero quello di essere calpestate dai piedi umani che da sempre distruggevano tutto ciò che Madre Natura aveva creato.
 
Il bambino intanto non mi degnò di uno sguardo, continuando a correre guidato dall’istinto, un istinto quasi di sopravvivenza … 
 
“No, aspetta, dannazione! Di lì c’è …” 
 
Non ebbi il tempo di finire la frase che vidi, sgomenta, il bambino cadere proprio nel dirupo dal quale, invano, lo avevo cercato di mettere in guardia.
 
No pensai, agii d’istinto e mi buttai giù anch’io, cercando di frenare con i piedi grazie anche all’aiuto di alcuni rami che sporgevano dalle rocce. 
 
Una volta arrivata in fondo mi precipitai verso il bambino per offrigli il mio aiuto, ma quello che vidi prima ancora di notare l’enorme taglio che spiccava sulla sua fronte, mi fece impietrire all’istante. 
 
“N-non può essere … non è possibile! M-Milo?!” balbettai, sgranando gli occhi. 
 
Il bambino sdraiato di fronte a me intento a stringere la mano convulsamente sopra il petto, infatti, era completamente identico a mio fratello … o quasi! 
 
Rimasi imbambolata a guardarlo, non riuscendo più a muovere nemmeno un muscolo, almeno finché non vidi gli occhi del bambino aprirsi e fissare tristemente il cielo. 
 
“P-perché mi avete abbandonato?!”  
 
Un singulto sfuggì dalle mie labbra quando udì il suo tono di accusa: lui non stava guardando me, ma ebbi come l’impressione che le parole fossero rivolte anche alla mia persona. 
 
“Io devo andare … devo trovarla! V-voglio farle delle domande per avere delle risposte p-prima che sia la fine per me!” riuscì ancora a dire il bambino, prima di svenire del tutto. 
 
Rimasi ferma e immobile, capendo improvvisamente di non poter interferire in quella situazione, anche se il non fare niente davanti ad una persona sofferente mi faceva sentire male. 
 
Attesi quindi per qualche minuto, finché non avvertii l’avvicinarsi di qualcuno. 
 
Istintivamente mi voltai verso il rumore sempre più vicino e dall’erba alta fuoriuscì un cane, per l’esattezza un pastore tedesco, il quale dopo aver annusato e leccato il volto del bambino, si mise ad ululare per dare il segnale. 
 
“Santi numi, Sasha, lo hai trovato!!!” esclamò un uomo, probabilmente il padrone, appena sopraggiunto. 
 
La cagnetta si mise a guaire al signore, dando contemporaneamente musate al petto del bambino come ad indicare un qualcosa che io non compresi, ma che fece sgranare gli occhi all’uomo appena arrivato. 
 
“Santi numi, di nuovo!!! Dobbiamo soccorrerlo subito, Sasha!!!” affermò l’uomo, prendendo tra le braccia il bambino e controllandogli il polso. 
 
La cagnetta dal canto suo si mise a guardare intensamente il bambino, scodinzolando e uggiolando di nuovo. 
 
“Santo cielo, Cardia, sei proprio una peste! Perché vuoi scappare a tutti i costi da noi?! Io … davvero non capisco! - disse, posando delicatamente le labbra sulla fronte del bambino, laddove non era sporca di sangue - Sei bollente! Resisti, piccolo, ti portiamo al sicuro ora!” 
 
E senza aggiungere altro si voltò e si mise a correre verso la direzione da cui era giunto. La cagnolina, invece, rimase alcuni secondi immobile, poi inaspettatamente si voltò dalla mia parte, come se fosse l’unica capace di vedermi, e prima di seguitare il padrone mi scoccò un’occhiata indecifrabile e profonda. 
 
Automaticamente caddi a terra, mentre le lacrime uscivano dai miei occhi senza un  motivo preciso e i contorni delle cose svanivano intorno a me. 
 
“Cardia … Cosa? Perché questo nome …” riuscii solo a dire, prima che il buio mi avviluppasse  completamente … 

 
 
“C … a … r …?” 
 
Mi sentivo accaldata e completamente bagnata dalla testa ai piedi, quasi come se avessi fatto un bagno in piscina vestita, ma non era una sensazione piacevole ad avvolgermi, tutt’altro … avevo invece i sudori freddi.
 
“… r … d … i … a …”  dissi ancora, in preda al delirio totale. 
 
“Cosa stai biascicando ora, Sakura?” 
 
Una voce estremamente preoccupata al mio fianco mi fece voltare leggermente verso la fonte sonora. Non potevo vederlo perché non riuscivo nemmeno ad aprire gli occhi, ma ero più che sicura che si trattasse di mio fratello Milo. 
 
Un panno bagnato sulla mia testa mi diede un po’ di sollievo dalla fornace che stava divorando le mie membra, ma ciò non era sufficiente a farmi ridestare, solo a farmi sfuggire dalle labbra un mormorio indistinto. 
 
“Maledizione! E’ da tre giorni che versi in queste condizioni! La febbre non è scesa, i nostri genitori sono all’estero per lavoro e lo saranno fino alla fine della settima. Non c’è un medico qui, il primo ospedale si trova a Cuorgnè … ed io cosa posso fare? Se va avanti così …” esclamò Milo, mentre il suo tono di voce assumeva una sfumatura sempre più preoccupata. 
 
Tre giorni … da così tanto tempo ero rimasta incosciente?! Eppure mi sembrava quasi di aver vissuto da un’altra parte … in un’altra vita! 
 
Sentii la mano di Milo stringere la mia ancora dolorante in seguito allo scontro avuto con mia madre, ma quel semplice gesto riuscì a trasmettermi un calore ben diverso da quello che mi bruciava le membra … 
 
“Sakura, io … so di non essere mai stato un buon fratello maggiore per te, anzi molto spesso hai dovuto tu prenderti cura di me, mentre i nostri genitori non ti hanno mai dato nulla, neanche un briciolo di affetto! Ora voglio essere io ad occuparmi di te  per farti sentire meglio, ma non ci posso riuscire da solo …” mormorò mio fratello, accarezzandomi dolcemente i capelli. 
 
Non capii il significato delle sue parole, ma non volevo assolutamente che Milo si sentisse colpevole. Lui non c’entrava niente in quella situazione, perché i nostri genitori avevano sempre avuto cura di nascondergli i propri segreti, compreso quello legato alla mia nascita e al trattamento che mi era riservato. 
 
 Anche Milo si era sempre accorto della disparità di affetto dato a me e a lui, ma pur non condividendo il comportamento dei miei genitori e anzi difendendomi quando la situazione raggiungeva il punto critico, non poteva fare molto di più, purtroppo … 
 
Le sue labbra  posate sulla mia fronte mi parevano di ghiaccio, ma proprio grazie a questo interruppero la corrente dei miei pensieri. 
 
“Sei sempre più bollente … resisti, piccola, torno subito!” sancì mio fratello, in tono leggermente tremante. 
 
Il rumore della porta che si aprì e si chiuse all’istante mi fece capire che Milo se ne era andato per qualche ragione a me sconosciuta, lasciandomi nuovamente sola contro il gelo della stanza.
 
Istintivamente mi misi in posizione fetale sul fianco destro, la mia postura tipica di quando avevo paura, e mi appisolai all’istante, sprofondando in un limbo senza fine che mi allontanava dalla stanchezza fisica che provavo … ... ... 

 
 
Mi svegliai dopo quelli che mi parvero pochi minuti … c’era più di una presenza accanto a me in quel momento! Chi era sopraggiunto ad aiutarmi?! 
 
“Milo, hai detto che è svenuta poco dopo che ce ne siamo andati, giusto?!” 
 
Non era possibile! D-Dégel?! Cosa ci faceva lì in casa mia, non aveva ancora compreso il rischio che correva nell’avere a che fare con me?! 
 
“Sì … ti prego, Dégel, dimmi che puoi fare qualcosa! Sentendo il discorso dei tuoi l’altro giorno ho capito che il tuo sogno è diventare un medico per aiutare gli altri, per questo vai alla facoltà di medicina!” lo pregò Milo, avvicinandosi anche lui al mio letto. 
 
Dégel non rispose, ma io avvertii con chiarezza le sue mani farmi girare con dolcezza verso di lui per permettergli di visitarmi meglio.
 
“Povera piccola … dopo tutto quello che hai dovuto passare anche questo ti ha riservato il destino …” mormorò Dègel, controllandomi prima il polso e poi la mia temperatura corporea unicamente grazie l’ausilio delle mani.
 
Di una cosa fui ancora più sicura in quel momento: Dègel era solo al primo anno di università, ma se avessi dovuto scegliere a chi tra le persone che conoscevo avrei affidato la mia vita, beh … quello sarebbe stato senza ombra di dubbio Dégel! 
 
 “Milo, il polso di Sakura come va? Glielo hai medicato?” chiese ancora Dègel, accarezzandomi dolcemente la mano lesa. 
 
“Certo! Non sono così impedito fino a questo punto, io …” 
 
“Davvero?!” 
 
“Cosa vuoi insinuare, Camus???” 
 
Camus … anche Camus era al mio calvario … meglio di così non poteva proprio andare, ma cosa era saltato in testa a mio fratello?! 
 
“Insinuo semplicemente quello che vedo, ovvero che tu hai abbandonato tua sorella e che lei si è ritrovata da sola contro tutti, persino i vostri stessi genitori!!!” 
 
Il tono di Camus aveva assunto una particolare sfumatura, ma non seppi definire con precisione quale, probabilmente in seguito alla febbre che continuava a fiaccare le mie forze.
 
Comunque in ogni caso capii che anche l’algido ghiacciolo era, per qualche ragione, preoccupato per me. 
 
“Ehi, sottospecie di gelato ambulante, tu giudichi un po’ troppo per i miei gusti! Conosci Sakura da poche settimane e non conosci affatto me, nonostante questo ti senti arbitro in questo frangente! E poi chi diavolo ti ha chiamato?! Io avevo bisogno solo dell‘aiuto di tuo fratello Dégel, la tua presenza non era richiesta!” continuò Milo, digrignando i denti. 
 
“Sono qui per capire meglio, punto! Allora comincia nello spiegarmi perché si è creata questa situazione in casa tua, e perché è un’innocente a pagarne le conseguenze!” ribatté Camus, e io sentii distintamente il rumore dei suoi passi leggeri risuonarmi nelle orecchie. 
 
“Erk, io … io non lo so!” 
 
Il tono di Milo aveva assunto un’aria sommessa, quasi pentita … 
 
“Ma bravo! Vivi in questa casa e non sai neanche perché tua madre, sempre se quella donna si può definire tale, tratta così la tua sorellina … complimenti! Un vero e proprio esempio di maturità!” proseguì Camus, quasi spietato. 
 
Non potevo vedere il volto di mio fratello, ma avvertii con chiarezza il suo malessere crescere in concomitanza con il senso di colpa. 
 
“No, f-fratellino …!” 
 
Un sussurro riuscì a sfuggire dalle mie labbra, ma fu talmente impercettibile che solo Dègel lo udì. 
 
“Non lo so, Camus, punto!” rispose secco mio fratello. Di sicuro l’argomento trattato non era uno dei preferiti di Milo, ma Camus non parve capire il suo disagio crescente, infatti continuò … 
 
“Ed io in base a questo non dovrei giudicarti?! Sei semplicemente …” 
 
“COSA, Camus?! - urlò mio fratello all’improvviso, spaventandomi e facendomi sussultare- dillo, forza! Cosa sono?! Un CODARDO?! Un EGOISTA?! Un INFANTILE?! Ho cercato sempre di proteggere la mia sorellina quando mia mamma se la prendeva con lei, ma non posso sapere perché questa situazione si sia creata! Ero troppo piccolo, dannazione, e in ogni caso i miei stanno sempre ben attenti a non parlarne con me!” 
 
Nella camera cadde un silenzio agghiacciante, dovuto probabilmente allo sfogo di Milo e all’incapacità da parte di Camus di aggiungere altro al lungo monologo di mio fratello. 
 
“Uuuhh … uuuuu!” mi lamentai, agitandomi nel sonno. 
 
Non mi piaceva quella situazione e soprattutto non  volevo che Milo si sentisse così male per causa mia, aveva già sofferto tanto per colpa della mia situazione …
 
“Piccola, non ti agitare … - mi rincuorò Dégel, sempre al mio fianco, stringendomi dolcemente a sé, poi si rivolse ai due litiganti, e il cambiamento così radicale nel suo tono di voce mi disorientò - Avete finito di litigare come due bambini?! Sakura sta male e voi avete la brillante idea di battibeccare allegramente tra voi alzando pure il tono di voce!” 
 
Milo e Camus cominciarono a mormorare parole di scusa, pentiti. Dégel per tutta risposta prese un profondo respiro e mi strinse la mano ferita. 
 
“Quando qualcuno sta male ha bisogno di sentire affetto e serenità da parte delle persone care, perché deve trovare attorno a sé e dentro di sé la forza per reagire all’oblio che lo sta reclamando … Camus! Mi stupisco del tuo comportamento, fratellino, proprio tu che più di ogni altro mi sei stato vicino … e sai cosa intendo!” affermò ancora Dègel, sospirando impercettibilmente. 
 
“Non chiamarmi ‘fratellino’!!! Non importa se sei stato concepito prima, siamo comunque fratelli gemelli!” ribatté Camus, cambiando tempestivamente discorso. Ancora una volta ebbi come l’impressione che qualcosa di veramente irreparabile era accaduto nel passato di Camus e Dégel, un qualcosa che li aveva profondamente cambiati, lasciando una profonda cicatrice non solo sul corpo di Dègel, ma anche nelle anime dei due fratelli.   
 
“Dégel … per parlare così bene … deve esserti successo sicuramente qualcosa, amico!” tentò Milo, colpito dallo scambio di battute avvenuto tra i due Delacroix. 
 
“Non ha importanza, Milo … ora siamo qui per far stare meglio Sakura ed io so come fare! - affermò ancora Dègel, sistemandomi meglio sul letto e posandomi una mano sulla fronte - Dormi tranquilla ora, piccola, ci siamo noi a prenderci cura di te!” mi disse con dolcezza, e fu l’ultima cosa che udii prima di cadere lentamente in un sonno privo di sogni. 
 
 
*  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *  *    
 
Quando ripresi finalmente coscienza, tentai di alzarmi a sedere, ma il forte dolore alla testa e il capogiro istantaneo che mi colpirono mi fecero desistere dai miei propositi. 
 
“Stai tranquilla, Sakura! Non ti sforzare!” 
 
Aprii gli occhi, colpita dalla voce che giungeva alle mie orecchie, era davvero lui! 
 
“C-Camus?” chiesi, in tono sorpreso. 
 
Lui fece un breve cenno con la testa, incurvando leggermente le labbra in un mezzo sorriso accennato. 
 
“Accidenti! Dègel è incredibile, ha detto che si sarebbe svegliata entro breve e così ha fatto! E’ molto giovane eppure ha già la stoffa del medico!” esclamò mio fratello da un angolo scuro della mia stanza.
 
“M-Milo!” lo chiamai debolmente, desiderosa di vederlo meglio e di abbracciarlo, cosa che non si fece attendere a lungo visto il suo slancio improvviso verso di me. 
 
“Sakura! Mi hai fatto prendere veramente un colpo questa volta! Mi dispiace, mi dispiace così tanto!” disse mio fratello, stritolandomi nella sua morsa soffocante. Faceva sempre così dopo essere stato fortemente in ansia per qualcuno, era il suo modo per sfogare la tensione accumulata … già sfogarla stritolando l’oggetto della sua ansia! 
 
“Anche a me dispiace, Milo! Non avrei mai voluto farti preoccupare così tanto!” affermai io, posando la testa sulla sua spalla. 
 
Camus si allontanò di qualche passo da noi, probabilmente sentendosi un estraneo in quella situazione. Percepii in lui un certo disagio, un disagio misto a qualcos’altro di ben più forte e profondo …
 
“Milo, io … io non voglio litigare di nuovo, ma ho bisogno di sapere una cosa …” cominciò Camus dopo che mio fratello ed io ci staccammo, pur rimanendo incredibilmente vicini. 
 
“Cosa devi sapere ancora, Camus? Non ti eri forse già fatto un quadro limpido e completo della situazione famigliare mia e di Sakura?!” ribatté Milo, ironico. 
 
“…Perché non avete medicinali in casa? Voglio dire, per far guarire Sakura abbiamo dovuto andare a prendere le nostre. Vivete in un paesino sperduto tra le montagne, dove l'ospedale più vicino è notevolmente distante. E' pericoloso non avere alcun rimedio...” chiese lentamente Camus, addolcendo il suo tono e la sua espressione. 
 
“Perché i nostri genitori vogliono così. Infatti tutte le volte che Sakura ed io ci siamo sentiti male abbiamo dovuto trovare le medicine di nascosto e prenderci cura l’uno dell’altro perché loro non muovevano un dito e pregavano solamente!” tagliò corto Milo, sbuffando. 
 
“Ho capito … un po’ come i Testimoni di Geova!” affermò Camus, cercando si usare un tono di voce più piatto possibile. 
 
“Non sono Testimoni di Geova, sono …” cominciò Milo, ma l’entrata di Dègel nella stanza bloccò la frase a metà. 
 
“Non starete litigando di nuovo, spero!” esclamò lui, scoccando un’occhiata prima a suo fratello e poi a Milo. 
 
Gli sorrisi raggiante, felice e grata per tutto quello che aveva fatto, ma prima di poter dire parole di riconoscenza lui mi diede tra le mani la tazza fumante che stava portando. 
 
“E’ una tisana di cannella e chiodi di garofano. Bevila, Sakura, ti farà bene. E’ un ottimo aiuto contro l‘influenza, sai?!” mi spiegò lui, sorridendomi con dolcezza.  
 
“Gr-grazie!” riuscii solo a balbettare, affrettandomi a nascondere il mio rossore dietro al fumo che emanava la bevanda. Dégel … quel ragazzo riusciva a trasmettermi una fiducia senza limite. 
 
“Come ti senti, piccola?” 
 
“M-molto meglio!” balbettai, imbarazzata.
 
“Ne sono lieto! Ah, lo dico anche a te, Milo! Non so quando torneranno i vostri genitori ma è necessario che in questi giorni Sakura si riposi e beva questa tisana almeno due volte al giorno, sono stato chiaro?” spiegò Dégel, serio. 
 
“Lo farà senz’altro! Grazie, Dégel, grazie davvero! La mia sorellina ti deve la vita!” disse Milo, grato. 
 
“Non esagerare … avrei agito così per chiunque, e poi … non ho fatto nulla di speciale!” sorrise Dégel tra sé e sé, abbassando leggermente lo sguardo. 
 
Guardai attentamente l’espressione del fratello di Camus farsi sempre più buia e triste, ma fu solo un attimo, infatti si sforzò in fretta di mascherare il suo dolore dietro uno dei suoi soliti sorrisi che pur nella loro dolcezza avevano sempre un retrogusto amaro. 
 
“Cerca di riprenderti in fretta, va bene, piccola Sakura?!” mi disse, scompigliandomi delicatamente i capelli e alzandosi dal letto. 
 
Istintivamente guardai fuori dalla finestra per mascherare ancora una volta l’imbarazzo, fu allora che notai che il sole stava calando … sì, ma quanto era passato dalla discussione con mia madre?! 
 
Milo capì al volo il motivo della mia faccia sconcertata, pertanto rispose tempestivamente: 
 
“Sono passati cinque giorni, Sakura! Per questo ero tanto preoccupato per te. Sei rimasta un  bel po’ di tempo incosciente, piccola!” 
 
“C-cinque giorni?!” ripetei balbettando, poi all’improvviso la consapevolezza …  
 
“MONDO CANEEEEE!!! Il test di chimica!!! Mu!!!” cominciai ad urlare, alzandomi di scatto e dirigendomi come una pazza verso la porta. 
 
Ma non ci arrivai … 
 
Le mie gambe infatti avevano deciso di incespicare tra loro e di non reggere il peso del mio corpo. Per fortuna Camus fu lesto a sorreggermi per la vita, evitandomi un incontro ravvicinato con il parquet della mia camera. 
 
“Uh ..” biascicai, più per la vergogna che per il dolore anche se non mi sentivo affatto bene in quel momento. 
 
“Sakura, ma a te capita mai di ascoltare le persone?! Mio fratello ti ha appena detto di non sforzarti e tu che fai?! L’incontrario … logico direi!” mi rimproverò freddamente Camus, accompagnandomi quasi di peso verso il mio letto. 
 
Ciò non bastò però a calmarmi, anzi mi fece agitare ancora di più. 
 
“Milo! Miloooo!!! E Mu?! Manco da praticamente una settimana a scuola, sarà preoccupatissimo!!!” esclamai, divincolandomi dalla morsa di Camus, il quale sbuffò contrariato da tanta ottusità. 
 
“Sakura, ma secondo te non  ci ho pensato ad avvertirlo?! Lui voleva venirti anche a trovare ma gli ho detto che era meglio non disturbarti troppo perché eri molto debole!” spiegò Milo, sorridendomi con espressione furba. 
 
Sospirai, rilassandomi leggermente, ma fu un altro fugace attimo … 
 
“La verifica di chimica, dannazione!!! C’era questa settimana ed io l’ho allegramente saltata, oltre a questo non ho neppure studiato gli argomenti del compito e …” iniziai a blaterare, agitata. 
 
“Uff, che piaga che sei!!! Quale è il problema adesso?!” mi riprese Camus, fulminandomi con lo sguardo.
 
“Il compito di chimica … io non sono preparata!” ripetei, ansiosa. 
 
“E dove sta il problema, scusa? Ora come ora stai ancora male, non andrai a scuola prima di Lunedì, e quel giorno sarai già preparata!” affermò Camus, inarcando un sopracciglio. 
 
“No, io … io non sono molto brava in quella materia e …” 
 
“Capisco!” sancì Camus, alzandosi e dandomi le spalle. 
 
Lo guardai sbigottita: cosa capiva?! E soprattutto perché usava un tono così strano con me?  
 
“Sai, ragazzina, io ho bisogno di soldi per un progetto che ho in mente e … beh, me la cavo in chimica, quindi … se tu volessi delle ripetizioni io … sì insomma, sarei disposto a dartele se mi pagheresti con qualche euro …” 
 
Piegai istintivamente la testa di lato, confusa da suo atteggiamento  così cauto, il mio cuore nel frattempo ricominciò a battere al ritmo del tamburo, ma nella mia testa ronzavano soltanto tre paroline fastidiose: non … ti … illudere …
“Camus, ma cosa stai …? Non hai mai chiesto un compenso per …” balbettò Dégel, incerto forse più di me. 
 
“Sssssshhh!!!” lo fece zittire Camus, imprimendo nel suo sguardo un’occhiata ricca di significati nascosti. Dégel allora capì e fece un cenno di assenso. 
 
“Io … avrei bisogno di ripetizioni, sì … se tu … se tu vuoi darmele io … io te ne sarei grata per l’eternità!” risposi, cercando di essere il più naturale possibile. 
 
Per un attimo vidi le guance di Camus assumere un colorito rosato e i suoi occhi, in quel momento fissi nei miei, guizzare di speranza, ma fu solo un secondo … 
 
“Va bene, mocciosa, quando ti sentirai meglio vienimi a chiamare. Intanto sai già dove trovarmi: in casa o sulla riva del lago. Ti porterò in un luogo riparato e ti aiuterò in chimica.” decretò lui, voltandomi le spalle definitivamente. 
 
Il mio sguardo fu catturato dal movimento armonioso dei suoi lunghi capelli blu che dopo un breve guizzo ricaddero delicatamente sulle sue spalle: santi di quei numi, mi stava ritornando la febbre!!! 
 
Chi era in realtà quell’individuo?! Come poteva causarmi con un solo gesto così tante emozioni da farmi sentire completamente soggiogata da lui?! 
 
“Ehm … ehm …  gr .. gr … a … z ..” 
 
“ Ma sia CHIARO! Non mi fido ancora di te, per cui le ripetizioni non avverranno in casa mia, capito!?” decretò ancora lui, in un tono che non ammetteva repliche.  
 
In seguito a quelle parole così schiette e crude, la mia parte razionale per fortuna tornò a galla, donandomi la capacità per ribattere nella maniera più brusca possibile: 
 
“Grazie tante, lo so che la tua casa è off limits, orso che non sei altro!!!” esclamai, regalandogli una linguaccia e girandomi dall’altra parte, stizzita. 
 
Camus sbuffò sonoramente, andandosene senza salutare nessuno come al solito. 
 
Mai prima di allora costatai che l’amore era veramente assurdo come tutti dicevano, ma ebbi anche la conferma, in fondo al cuore, che Camus non era come dimostrava di essere, e che anzi celava ben altro dietro quell’aria fredda e indifferente che generalmente lo accompagnava.

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Capitolo 9
*** Comportamenti inaspettati ***


CAPITOLO 8: COMPORTAMENTI INASPETTATI

 

Avvertimento: in questo capitolo c’è una parte potenzialmente “pesantuccia” (anche se non così tanto da alzare il raiting), quindi mi sembrava giusto avvertivi anche se alla fine non succede nulla di che. Buona lettura!

 

 

Quando mi svegliai il giorno seguente, mi sembrava di essere rinata a nuova vita.

Le forze non mi erano ancora tornate del tutto, ma avevo una gran voglia di muovermi e saltellare di qua e di là in preda all’euforia per essere tornata di nuovo in salute (più o meno).

Mi tolsi le coperte di dosso in fretta, pur stando estremamente attenta a non svegliare Milo che si era addormentato con la testa sul bordo del mio letto.

Lo guardai per qualche secondo, grata per tutto quello che aveva fatto per me in quella settimana tanto difficile e che si stava per concludere.

Mi alzai quindi in piedi e mi diressi con passo felpato verso la porta, ma nel momento in cui la mia mano si posò sulla maniglia un nuovo pensiero mi fece immobilizzare … già, chi era il ragazzo dei miei sogni?!

Non era la prima volta che mi capitava di sognare quel bambino in determinati frangenti della sua vita, ma quella volta il sogno era stato talmente reale da sfiorare quasi una visione vera e propria …

“E così … ti chiami Cardia …” dissi tra me e me, come se parlassi ad un “tu” immaginario.

Non sapevo perché ma mi sentivo triste, il solo pensiero della vita che aveva vissuto quel bambino così simile a mio fratello mi faceva sentire male, un malessere che sfociava in un vero e proprio senso di colpa … Perché?

“Cavolo, se tu esisti veramente e sei da qualche parte là fuori non deve essere facile vivere per te, visto tutte le volte che ti ho sognato in un ospedale …” pensai ancora a voce alta, quasi come se il bisogno di parlare fosse più forte di me.

Era vero, avevo sempre visto Cardia nei momenti difficili della sua giovane vita, da quando si trovava in un ospedale con il respiratore sulla faccia fino all’ultimo sogno, dove il piccolo stava scappando da qualcosa, o forse … stava cercando qualcuno.

“Sakura!”

Sussultai pesantemente, convinta di aver rovinato i miei piani di fuga per colpa della mia parlantina, ma quando mi voltai verso il proprietario della voce, mio fratello, mi accorsi con sollievo che stava solo borbottando nel sonno come suo solito.

“Ti voglio bene … Sakura!” biascicò ancora, spostando leggermente la testa di lato.

Sorrisi tra me e me, ringraziando mentalmente Dio per avermi donato un fratello così decerebrato che, nella sua stupidità, rendeva le mie giornate un po’ meno terribili di quello che in realtà erano.

“Eh! Eh! Eh! Scherzo ovviamente, Miluccio! Sei la cosa più preziosa della mia vita insieme a Mu. Grazie … di esistere!” gli sussurrai all’orecchio, accarezzandogli dolcemente i capelli e dandogli un leggero bacio sulla fronte.

Poi mi diressi giù al piano di sotto, ritrovandomi davanti un comitato di accoglienza niente male …

“Zeus! Mirtillo! Persino Asia!” esclamai, vedendomi arrivare incontro i miei due cagnolini e la gatta.

Zeus e Mirtillo erano in eccitazione, come accadeva sempre quando non mi vedevano per un po’ di giorni (gli animali erano relegati al piano di sotto perché i miei genitori non li volevano nelle camere), quindi continuavano a saltarmi addosso nel disperato tentativo di lavarmi la faccia o di buttarmi giù per iniziare una specie di baruffa tra amici.

La gatta invece era più discreta come al solito, dopo una strusciata e una sonora ronfata sulle mie gambe, si andò a sedere sulla sedia a guardare con aria da superiore i due cani che non la smettevano di fare i pazzi e di saltarmi addosso.

“Zeus! Mirtillo! Bravi, fate i bravi!” li ripresi, accarezzandoli sulla schiena per farli calmare.

Mi diressi velocemente nel soggiorno e diedi una veloce occhiata ai pesci dell’acquario che nuotavano vivaci come sempre, poi presi carta e penna e scrissi un messaggio a Milo per informarlo di dove avevo intenzione di andare e di non preoccuparsi perché avevo recuperato quasi interamente le mie forze.

“So che Dègel mi ha intimato di rimanere a letto, ma è da troppo tempo che sono chiusa in queste quattro mura e inoltre … inoltre devo cogliere al volo l’occasione che mi ha offerto Camus, sia per ripassare chimica che per stargli un po’ accanto …” dissi tra me e me, tremando leggermente per l’agitazione.

Scoccai una veloce occhiata fuori dalla finestra, notando che malgrado le nuvole la luce del giorno illuminava tutto il paesaggio attorno.

Mi vestii velocemente e mi misi la giacca, gesti che fecero pensare a Zeus e a Mirtillo di stare per andare a fare una passeggiata, infatti sparirono per qualche secondo e ritornarono subito dopo con i guinzagli in bocca, cosa che mi fece sorridere.

“Oh, mi dispiace, piccoli, ma oggi no. Aspettate che Milo si alzi, vi porterà lui fuori!” gli dissi, accarezzandogli la testa con dolcezza.

Zeus capì al volo e buttò a terra il guinzaglio, uggiolando leggermente mentre se ne andava in cucina; Mirtillo invece mi diede con insistenza musate sempre più forti: aveva capito dove mi stavo dirigendo.

“Non fare il furbino, Mirtillo! Non posso portarti con me solo perché vado dove si trova la tua bella, altrimenti finisco per deconcentrarmi, e invece devo seguire la spiegazione di Camus con estrema attenzione!” sancii, accarezzandolo ancora e dirigendomi verso la porta, ma il mio cucciolo non si arrese, seguendomi.

“Uff, sei terribile … - gli dissi, guardandolo sedersi per terra e scodinzolare a più non posso, poi mi venne un’idea - Ehi, Mirtillo, valla a prendere!” esclamai, prendendo la sua palla preferita e lanciandogliela nel soggiorno.

Mirtillo, da buon cucciolotto giocherellone, vedendo la palla non capì più niente e corse a prenderla.

Fu quella la mia occasione: con un rapido gesto aprii di scatto la porta e la richiusi subito alle mie spalle, assaporando l’aria fresca che da troppo tempo non respiravo …

… Neanche il tempo di fare due passi fuori che un vento gelido mi fece rabbrividire all’istante!

Guardai istintivamente il cielo, notando le nuvole bianche sopra di me muoversi con estrema velocità verso sud.

Alla fine l’inverno era finalmente arrivato, lo capivo dalla corrente gelida che faceva smuovere le cime degli alberi e dal particolare colore delle nuvole che preannunciavano solo una cosa: l’avvento, presto o tardi, della neve.

“Era l’ora, mi stavo davvero iniziando a preoccupare! Faceva veramente troppo caldo per essere già a fine Ottobre!” dissi tra me e me, rimanendo ferma ancora per qualche secondo per gustarmi al meglio quell’arietta gelida che mi investiva la faccia e mi faceva capire di essere viva.

Mi infagottai per benino dentro la giacca e mi diressi quasi correndo verso la parte superiore del paese.

Non avevo paura di incontrare qualche brutta conoscenza, perché era un venerdì e solitamente nei giorni feriali i compaesani erano o a lavorare o a scuola.

Accelerai il passo e raggiunsi la parte alta del paese con estrema velocità. Una volta arrivata vicino al negozio di Shura, alzai lo sguardo verso il termometro per vedere quanti gradi effettivi ci fossero e rimasi sorpresa nel constatare che eravamo SOLO a -1.

“Ah, però! Mi sembrava che ce ne fossero di meno!” commentai, prima di dirigermi verso la casa Delacroix, ma uno strano verso non bene identificabile mi fece fermare di botto.

Cercai di capire da dove esso potesse provenire e non ci misi molto ad individuare la zona da cui quel richiamo giungeva: le scalette che conducevano alla casa del vecchio saggio del villaggio.

Mi diressi quindi verso quella direzione, cosciente di infrangere una regola che mi era stata imposta dai villici, ovvero quella di non avvicinarmi alla casa dell’anziano del paese, ma se quel verso apparteneva ad un uccello ferito, io non potevo permettermi di non andare in suo aiuto solo per rispettare quella stupidissima legge!

Scesi le scale prestando attenzione a dove mettevo i piedi, fino a quando non raggiunsi il primo cancello serrato.

Là la vidi. Era acquattata per terra, probabilmente incapace di prendere il volo a causa dell’ala rotta.

Era un corvidae, per l’esattezza una taccola già adulta e dalle piume color notte, ma cosa ci faceva lì e soprattutto cosa le era successo?

“Uhm, non ho mai visto una taccola qui a Ceresole Reale, in genere non è un tipo di uccello capace di vivere in alta montagna, almeno che sappia io … morirà per il freddo se non faccio qualcosa!” pensai ad alta voce, cercando di avvicinarmi a lei.

“Kya! Kya! Kya!” strillò quella, cercando di allontanarsi alla ben meglio da me, ma a causa dell’ala rotta era goffa e faticava anche solo a percorrere pochi centimetri, per questo la raggiunsi subito e la presi istintivamente tra le braccia.

“Chiak! Chiak!!!” sbatté disperatamente l’ala sana, beccandomi le mani per difendersi e procurandomi alcuni tagli di scarsa importanza.

“E fai la brava, non voglio farti del male! Ora ti porto al sicuro e …”

“Oh, ma come siamo carine, Sakura! Da quando è che bossi a scuola per fare azioni riservate al WWF?!”

Rabbrividii all’istante, riconoscendo la voce dietro alle mie spalle.

No, non era possibile, doveva essere a scuola perché invece era lì in quel momento?!

“Megres …” sibilai tra i denti, voltandomi verso il nuovo arrivato e trovandomi davanti agli occhi verde smeraldo del mio peggior nemico.

“In persona! Allora, Sakura, che fai di bello? Inizi a marinare la scuola pure tu?! Che hai fatto in questi giorni? Mi è mancata la tua presenza, sai? Rompere le palle solo a Mu non mi basta, devi esserci anche tu!” affermò Megres, facendomi l’occhiolino.

“Non sono cose che ti riguardano! Non è … non è affar tuo, capito?! Cosa stai facendo tu, piuttosto, hai abbandonato il tuo leccapiedi e Unity perché non avevi voglia di andare a scuola?” risposi, stizzita.

“Ah, come sei acida! Ogni volta che ti vedo sono sempre convinto che tu abbia le tue cose perennemente … comunque per tua informazione oggi non avevo voglia di andare a scuola e così ho marinato. Beh ho fatto bene, considerando che mi sono imbattuto in te!” ribatte lui, avvicinandosi di un passo.

“STAI LONTANO DA ME!” urlai, indietreggiando fino al cancello. Non mi piaceva la luce che emanava il suo sguardo, mi faceva presagire un qualcosa che riusciva a mettermi in soggezione.

“Sakura … Sakura … Sakura … hai infranto una legge venendo qui, se io lo dicessi al capo del villaggio tu sicuramente passeresti un brutto quarto d’ora …” cominciò a dire lentamente, mentre il suo ghigno si faceva sempre più largo.

“Me ne frego delle leggi di questo paese! Sono ingiuste e insensate! Io non rispetto regole di cui non capisco la ragione per cui sono state emanate, perché nessuno si è degnato di spiegarmi il motivo di un simile trattamento verso di me!” mi difesi, appoggiandomi al cancello.

La taccola intanto aveva smesso di beccarmi, probabilmente perché si era accorta che il pericolo che era davanti a sé era più incombente rispetto a quello che la teneva tra le braccia.

“Eppure, cara Sakura, anche se non sai il motivo di tali regole sei comunque obbligata a rispettarle se non vuoi ricorrere ad una sonora punizione! Ma stai tranquilla … non dirò niente di tutto questo al capo del villaggio, ad una condizione però …” continuò lui, avvicinandosi ancora di più a me.

Oramai io non potevo più indietreggiare. eEo in trappola, in trappola come una farfalla impotente nella tela del ragno.

Chiusi di scatto gli occhi nel momento in cui sentii con chiarezza le sue mani fredde iniziare a sbottonarmi la giacca che indossavo, tutto questo mentre la taccola cercò di divincolarsi per scappare via. Come la capivo in quel momento … sapevo che cosa stava cercando Megres, perché sentivo la sua eccitazione crescere sempre di più …

“Su, coraggio, Sakura avrai capito quale è il compromesso, non mi sembra un’idea malvagia, no?!” mi sibilò nelle orecchie lui, avvicinando il suo volto al mio.

Decisi in un lampo …

Quasi automaticamente la mia gamba destra si sollevò per colpire il bersaglio, ovvero la parte più vulnerabile che potevo percuotere in quel momento: la sua intimità.

Accadde tutto in pochi attimi … il calcio andò a segno e mi permise di trovare una via di fuga, ma forse a causa della mia salute ancora non del tutto recuperata non fu sufficientemente forte e la reazione di Megres non tardò ad arrivare.

“Brutta strega, dove pensi di andare?! Io sono così gentile da offrirti un compromesso e tu rispondi così?! Ora la pagherai cara!” esclamò lui, acciuffandomi e buttandomi per terra. La taccola volò letteralmente via dalle mie mani, cadendo pochi metri più avanti e rimanendo immobile.

Non ebbi però il tempo di muovermi in suo soccorso, perché sentii la pressione delle mani di Megres farsi sempre più forte sulla mia schiena.

“N-no, la … la taccola!” riuscii solo a balbettare, preoccupata più per l’uccellino che per la mia sorte.

“Sei così preoccupata per quella bestiaccia?! Dovresti tremare per te perché ora ti costringerò con la forza a …”

Improvvisamente avvertii la pressione sulla mia schiena calare fino a scomparire del tutto, poi udii un tonfo sordo, come di qualcuno che picchia brutalmente contro qualcos’altro.

Mi misi in ginocchio, girando la testa di lato per vedere cosa fosse successo; dei capelli lunghi e blu diedero la risposta a tutti i miei quesiti …

“C-Camus … c-cosa fai qui?!” riuscii solo a chiedere, mettendomi faticosamente a sedere per vederlo meglio.

La sua espressione era ricolma di rabbia, una rabbia quasi bestiale che non gli avevo mai visto in volto, i suoi occhi addirittura parevano emanare fuoco da quanto erano ricolmi di odio.

“Camus? Allora sei tu il famoso Camus, il nuovo sceriffo della città!” lo prese in giro Megres, pulendosi il sangue che gli era uscito dal labbro spaccato, probabilmente Camus gli aveva dato un bel pugno in faccia.

“Taci, vigliacco! Cosa diavolo pensavi di fare?!” esclamò Camus, furente di rabbia, mentre la sua mano tremava vistosamente per la collera.

“Non sono ‘vigliacco‘, sono Megres! Per la tua domanda … questa qui è una mia compagna di classe, ci stavamo soltanto divertendo un po’!” rispose ironicamente Megres, ghignando.

“Non dire menzogne! E’ palese che stavi unicamente costringendo Sakura a fare quello che TU volevi e in ogni caso questa ragazza non gradisce la tua compagnia, quindi sparisci all’istante prima che mi venga voglia di darti un altro pugno in faccia e di spaccarti tutti i denti!” lo minacciò ancora Camus, aumentando il tono di voce.

Non riuscivo a capire che cosa faceva infuriare così tanto Camus: il fatto che Megres stesse commettendo un’ingiustizia contro qualcuno in generale o il fatto che l’oggetto della sua violenza ero proprio io?

Ero più propensa a pensare alla prima ipotesi che alla seconda, conoscendo il senso di giustizia che era proprio di Dégel e Camus!

“Oh, sei proprio il nuovo sceriffo in città, Camus! Cosa è per te questa ragazzina?! Perché sei intervenuto in suo favore?”

“Taci, miserabile! Ti ho consigliato di andartene prima che la mia ira si scateni su di te!” ribatté Camus, ringhiando.

Di colpo, non seppi perché, il pensiero della taccola che aveva fatto un volo considerevole prima di cadere al suolo mi tornò in mente, facendomi tremare per la paura per la salute dell’animale.

“L-la taccola!” esclamai, alzandomi faticosamente in piedi e dirigendomi verso l’uccellino.

Fu un errore, perché il mio movimento fece distrarre Camus, il quale mi richiamò preoccupato:

“Sakura, non muoverti, potresti essere ferita!”

“Ma che tenero … quindi è vero quello che pensavo …” disse solo Megres, cogliendo l’attimo per sferrare un pugno estremamente forte nello stomaco di Camus, il quale, non aspettandoselo, si accasciò a terra per il dolore.

“Camus!” urlai spaventata, una volta raccolta la taccola da terra.

Camus provò ad alzarsi subito, ma Megres lo bloccò a terra con il piede sinistro.

“Ho capito perché sei intervenuto, Camus! Anche se tu tenti in ogni modo di nascondere i tuoi sentimenti … proprio per questo però non posso avere pietà di te, poiché sei un potenziale rivale!” spiegò Megres, ghignando sinistramente.

“Uh …”

“Megres! Lascialo stare, o giuro che chiamo la polizia come quell’altra volta!” intervenni io, minacciandolo.

La frase per fortuna ebbe l’effetto sperato, ovvero quello di deviare la sua attenzione da Camus.

“C-che hai detto? N-no, non lo farai mai!” biascicò, sgranando gli occhi.

“Oh, sì, invece!” risposi con decisione.

“N-non puoi farlo! Passeresti dalla ragione al torto, perché saresti stata tu ad infrangere per prima una delle leggi del paese!” tentò Megres, guardandomi.

“Hai ragione, ma se io spiegassi tutto alla polizia di certo tuo padre se la prenderebbe con te, giusto? Ed è tuo padre la cosa che ti terrorizza di più, non è forse vero?!” esclamai ancora, ghignando.

Seguirono attimi di silenzio, poi Megres inaspettatamente iniziò a ridere sguaiatamente.

“Muhahahha!!! Anche questo mi piace di te, cara Sakura! Sei subdola non te l’ha mai detto nessuno?! E sia allora, per questa volta lascerò perdere. Hai vinto questa battaglia, ma la guerra è tutt’altro che finita! - affermò lui, liberando Camus e avvicinandosi poi a me - Non mi arrendo facilmente … tu sarai mia, è chiaro, Sakura?!” mi sussurrò all’orecchio con fare quasi suadente, ma che a me procurava solo un gran ribrezzo.

“Preferisco morire pur di essere tua!” risposi con decisione, fulminandolo con lo sguardo.

Megres rise ancora di gusto, poi si allontanò a passi svelti, sparendo nel nulla quasi come era apparso.

“Camus!!” chiamai il mio salvatore, correndogli incontro e posandogli delicatamente un mano sulla schiena, mentre con l’altra sorreggevo la taccola che, fortunatamente, era solo intontita.

“Camus! Camus! Dimmi che stai bene!” lo richiamai ancora, preoccupata per la sua apatia.

“Ugh, sì, non c’è bisogno che ti preoccupi!” rispose lui, cercando di alzarsi, ma le gambe gli tremavano vistosamente.

“Non fare il solito ghiacciolo orgoglioso! Tu hai bisogno di aiuto!” risposi, passandogli la mano dietro alla schiena per sorreggerlo.

“T-ti ho detto che sto bene!” ripeté lui, mentre le sue guance si coloravano di rosso porpora.

“Sì, certo!” tagliai corto, sbuffando.

Camus distolse lo sguardo da me, posandolo invece sulla taccola.

“L’uccellino sta bene?” chiese, serio.

“Sì, è solo un po’ stordito!” risposi, sorridendogli.

“Bene … ora però dobbiamo occuparci sia di te che di questa taccola!” disse Camus, allontanandosi un poco da me, pur zoppicando.

Un singulto sfuggì dalle mie labbra nel vedere con distinzione la sua espressione sofferente imprimersi per un attimo nella mia.

“Camus, tu … hai subito un duro colpo, cerca di non sforzarti!” lo avvertii, cercando di avvicinarmi a lui per aiutarlo in qualche modo ma lui si scostò ancora una volta.

“Non ha importanza in questo momento … mi devi spiegare un bel po’ di cose e inoltre anche tu e la taccola non state bene! Vieni a casa mia, ti farò strada!” disse lui, tenendosi dolorante una mano sullo stomaco.

L’espressione che si dipinse quella volta sul mio volto a seguito delle sue parole fu un indescrivibile miscuglio di sorpresa, felicità e ansia.

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** La famiglia Delacroix (prima parte) ***


CAPITOLO 9: LA FAMIGLIA DELACROIX (PRIMA PARTE)

 

Sbattei le palpebre due o tre volte, sorpresa come non mai. Se fino a pochi giorni prima avevo sognato quel momento con tutti i miei sforzi, arricchendolo anche di fantasticherie e numerose congetture; in quella particolare circostanza ero invece completamente incredula e circospetta: davvero Camus aveva proferito una simile frase?!

“A casa tua?! Uhm, non avevi forse detto che non ti fidavi di me e per questo motivo non mi avresti mai fatto entrare?!” decisi di sdrammatizzare, inarcando un sopracciglio.

Era meglio essere prudente, se non altro per non rimanerne delusa!

“Uff, Sakura non ne ho voglia di stare qui a rispondere alle tue battutine stupide e degne di tuo fratello Milo! E’ un emergenza e inoltre … inoltre devi spiegarmi un bel po’ di cose! Allora, vuoi venire o no?!?” ribatté lui, massaggiandosi dolorante lo stomaco.

Forse il colpo che Megres gli aveva dato a tradimento era stato più forte del previsto e per quanto lui cercasse di mascherarlo gli procurava un dolore insostenibile.

“V-va bene …” riuscii solo a rispondere, non essendo in grado di aggiungere altro davanti all’espressione contratta dalla sofferenza del mio salvatore … già, salvatore per due volte nell’arco di neanche un mese!

Camus annuì, facendomi cenno con la testa di seguirlo, e così feci senza controbattere nulla, lasciando così che i pensieri cominciassero a riempirmi la testa.

Camus mi aveva già salvato due volte, prima dal cane Golia e poi dallo stesso Megres. Mi chiesi come fosse possibile che si trovasse sempre al posto giusto nel momento giusto, era forse il mio angelo custode mandato da una forza superiore per proteggermi?!

Era assurdo! Avevo smesso di credere nell’esistenza di Dio già da tempo, o meglio, a non pormi più il problema con domande inutili che non potevano trovare alcuna risposta. Semplicemente pensavo che ogni uomo avesse fede in qualcosa di superiore … anche gli abitanti di Ceresole Reale … e che questo qualcosa permettesse agli uomini di portare avanti il proprio ideale, giusto o sbagliato che fosse.

Probabilmente questa mia concezione era frutto di quello che avevo passato, anzi, che mi avevano fatto passare i miei compaesani e i miei genitori …

A causa di ciò, fin da piccola avevo imparato a cavarmela da sola e così avevo sempre fatto senza mai lamentarmi, almeno fino a quando la mia strada non si era incrociata con quella di Camus e Dégel Delacroix …

 

Già allora presagivo che quell’incontro avrebbe cambiato la mia esistenza in meglio …

 

“Hai idea di quali rischi hai corso, ragazzina?!” esclamò Camus ad un tratto, rompendo il silenzio che si era creato tra noi.

“Eh?” mormorai, distratta da ciò che stavo pensando.

“Ti ho domandato retoricamente se sai i rischi che hai corso!” ripeté Camus, con una punta di stizza nella voce.

“Uff, la taccola sta bene, è solo stordita! L’importante è questo, no?!” risposi, sbuffando, mentre strinsi contro il mio petto l’uccellino ancora semisvenuto in seguito alla disavventura capitatale.

“Non hai capito niente! Non intendevo la taccola, so che starà bene, ma tu … aaaaaahh, lasciamo perdere, ok?!” ribatté Camus, accelerando il passo con stizza sempre più mal celata.

Di certo, al di là delle apparenze, la pazienza non era esattamente il suo forte …

“Quello con cui ti sei azzuffato è un mio compagno di classe. E’ sempre stato così da quando lo conosco, lascialo perdere e per citare Virgilio nel canto III dell‘inferno dantesco: non ti curar di gente simile ma guarda e passa!” spiegai, rielaborando i versi della Divina Commedia, pur sentendomi imbarazzata dalle sue continue occhiate.

“Forse … non hai ben compreso la gravità del problema!” disse lui, stringendo con forza il pugno destro.

Sbuffai. Davvero Camus credeva che io fossi così stupida?! Sapevo benissimo quali erano le intenzione di Megres. Lui voleva … fare violenza sul mio corpo … e allora? Del resto i miei genitori e la maggior parte della gente del paesino nel corso della mia vita mi avevano fatto subire brutalità addirittura peggiori nel nome della loro giustizia.

Erano certi … erano certi di essere nel giusto nel riservarmi un simile trattamento … il perché, però, non mi era mai stato spiegato.

“Sakura?!”

Così avvolta nei miei pensieri, quasi non sentii la voce preoccupata di Camus risuonarmi nelle orecchie …

Già, quanto subii tale ingiurie ero troppo piccola per ribellarmi e per capire, d’altronde io stessa ero arrivata a pensare di essere una specie di demone e di meritare tutto quello in nome di Dio, o meglio, del LORO ideale. Ma ormai era giunto il temo di rinascere e di dimenticare tutto ciò che era stato.

“Sakura, cosa hai? Perché piangi?”

Sussultai pesantemente nel sentire con chiarezza, non la voce cristallina di Camus, ma bensì la sua mano fresca posarsi sotto il mio mento e farmi alzare con delicatezza il volto in modo che i miei occhi si potessero incrociare con i suoi.

Sentii le mie labbra fremere a seguito di quel contatto e di quei meravigliosi occhi blu, ma la voce mi mancò e le parole rimasero in gola, procurandomi un dolore atroce.

“Sakura, perché piangi?” mi ripeté con infinita dolcezza, in un tono che mi ricordava molto suo fratello Dégel.

“Io? Io sto davvero piangendo?” riuscii a biascicare alla fine, mentre le mie mani automaticamente si posarono sulle guance per vedere se effettivamente era vero.

Camus annuì con la testa, mentre la sensazione di bagnato mi fece capire che delle lacrime capricciose avevano deciso di uscire dai miei occhi.

“Non è niente! - mi affrettai a dire, allontanandomi da Camus e asciugandomi alla ben meglio - Tutto a posto! Allora, se ben ricordo manca poco alla tua casa, giusto?!” ripresi, cambiando discorso.

Camus mi guardò sorpreso e con una punta di tristezza negli occhi, come se la sua solita coltre di ghiaccio si fosse sciolta per pochi attimi.

“Sì … per di qua!” disse solo lui, tornando glaciale come sempre.

Tirai un sospiro di sollievo, felice di aver chiuso il discorso, evitando così di scoppiare nuovamente in lacrime.

Una volta giunti davanti alla porta della casa di Camus, quest’ultimo prese le chiavi dalla tasca dei jeans e con un rapido movimento aprì con decisione la porta.

“Sono a casa … c’è un’altra persona con me …” disse, togliendosi la giacca di dosso per poi metterla sull’attaccapanni.

“Urgh …” biascicai, affrettando il passo e voltandomi di scatto per non arrossire alla vista della maglia attillata che Camus indossava e che faceva ben immaginare le forme del suo corpo.

“Camus? Sei già rientrato?! - disse una voce proveniente dalla cucina, per l’esattezza quella di Dègel - Perché sei …”

Ma il fratello di Camus lasciò la frase a metà nel momento stesso in cui mi vide.

Ingoiai a vuoto, aspettandomi una ramanzina, una sonora rampogna tipica di un dottore che rimprovera il proprio paziente.

La mia mente si divertì a farmi immaginare la scena ancora prima che accadesse.

“Ehm, ciao, Dégel … Come butta???” lo salutai con la mano, facendo un sorriso di circostanza in attesa della sfuriata. Cosa che non si fece attendere …

“Sakura! Che diavolo fai qui?! Non ti avevo forse detto di rimanere a riposo a letto?! Incosciente! Rischi di ammalarti di nuovo con questo tempaccio!” mi sgridò Dégel, togliendosi la felpa e poggiandomela sulle spalle.

Arrossii abbastanza vistosamente, sentendomi in colpa per avergli disubbidito.

Mai nessuno si era realmente preoccupato per me ad eccezione di Milo, Mu, Shura e pochi altri, anche per questo motivo mi vergognavo se qualcuno si mostrava gentile.

“Scusa, Dégel … Però sto bene, ho recuperato le forze e …”

“NO! Non va per niente bene, Sakura, sei stata mezza stuprata da quel tipo!!! Perché diavolo continui a ripetere che non è successo nulla di grave?!” esclamò all’improvviso Camus, con rabbia. IL suo tono di voce mi fece sobbalzare con forza, facendo accelerare i miei battiti cardiaci.

“COSA?!”

“Sì, Dégel, vedi se riesci tu a farla parlare, perché con me non ha aperto bocca! Ora scusatemi ma vado un attimo su in camera mia …” e qui Camus non riuscì a trattenere una smorfia di dolore per il movimento brusco che aveva fatto durante al sfuriata e che gli aveva procurato una fitta allo stomaco.

Gesto che non sfuggì agli occhi esperti del fratello:

“Camus, ma cosa …?”

“N-non è niente! Dègel, occupati per favore di Sakura e della taccola che ha raccolto, io torno subito!” aggiunse Camus, e senza aggiungere altro salì,zoppicando, le scale.

Dègel attese qualche secondo, poi si rivolse a me:

“S-Sakura, è vero quello che ha detto Camus?! Chi ha tentare di farti del male?” provò a domandarmi lui, ma io, angustiata dalle condizioni della taccola, liquidai in fretta il discorso.

“Non ha importanza! La taccola! Puoi fare qualcosa per lei? Ha un’ala rotta e ha fatto un brutto volo, forse tu puoi aiutarla?!” chiesi, ansiosa.

Dégel guardò l’esserino tra le mie braccia muoversi leggermente, e capendo che in quel momento quella taccola era la mia priorità assoluta lasciò momentaneamente cadere il discorso.

“Stai tranquilla, Sakura, non è ferita gravemente, ora ce ne prendiamo cura, ok? Vieni con me in cucina!”

Annuii grata, facendomi guidare da lui fino alla cucina, dove mi indicò il posto dove sedermi, nello stesso momento prese dolcemente la taccola tra le sue braccia e la mise vicino al lavandino per apprestarsi a fasciargli l’ala rotta.

Mi abbandonai per qualche minuto con la testa appoggiata sul grande tavolo in legno al centro della cucina e chiusi gli occhi.

Mi sentivo stanca e mi era tornato sonno, ma non ero disposta a darlo a vedere a Dègel, perché altrimenti si sarebbe preoccupato ancora di più.

Rimasi in quella posizione finché non avvertii qualcosa che mi si strusciava sulla gamba. Convinta di trovarmi davanti Ipazia sorrisi raggiante verso la ‘cosa’ che si sfregava contro di me, ma al posto della cagnolina vidi invece un coniglietto nano di color marroncino chiaro.

“Ehi, ciao! E tu chi sei? Sei nuovo?” chiesi retoricamente, avvicinando la mano a lui per vedere la sua reazione.

“Ah, lui è Pancake, non credo tu l’abbia visto la scorsa volta, è il nostro coniglietto nano di un anno!” mi spiegò Dègel, sorridendomi.

“Pancake, eh? Che carino che sei!!!” esclamai, iniziando ad accarezzarlo. Lui per tutta risposta si strofinò ancora sul palmo della mia mano e chiuse gli occhi soddisfatto.

“Ah, gli piaci! In genere non reagisce così agli estranei! Da questo capisco anche che ami profondamente gli animali, esattamente come noi!” disse ancora Dègel, sorridendomi raggiante.

Mi guardai intorno alla ricerca della cagnolina di casa, ma non trovandola sospirai dispiaciuta.

“Dov’è Ipazia?” chiesi al fratello di Camus, mentre Pancake mi saltò direttamente in braccio in cerca di coccole.

“Ipazia è fuori con i nostri genitori, penso che torneranno entro breve … -mi rispose Dègel, tutto intento a finire di medicare la taccola -Ecco qui, ora l’ala va un po’ meglio!” sancì poi, voltandosi verso di me e posando l’uccellino sul tavolo.

Guardai ammirata il lavoro fatto da Dègel, e non potei non provare una certa venerazione per quel ragazzo che, oltre a riuscire a far sentir meglio le persone con un semplice sorriso, metteva tanto impegno in tutto ciò che faceva.

“Hai … hai fatto un ottimo lavoro, anche la taccola sembra più tranquilla!“ proferii, contenta più che mai.

“Oh, non esagerare! Se vuoi possiamo tenerla noi, almeno finché non si rimetterà. Ovviamente tu potrai venirla a trovare quando vorrai, perché sarai sempre la benvenuta qui! -affermò lui, prendendo una breve paura -Certo, magari la prossima volta cerca di venire quando sei in piena forma, intesi?!” concluse, scompigliandomi i capelli con dolcezza.

“C-certo … ma dimmi, Dègel, come fai a sapere così tante cose sia sugli animali che sulle persone?” chiesi, sentendomi rassicurata dal suo tocco.

“Beh, a me piace molto studiare e inoltre … i nostri genitori sono entrambi veterinari e si sono conosciuti, in una determinata circostanza, nella clinica dove lavoravano prima di trasferirsi qui! Loro ci hanno insegnato ad amare gli animali e a rispettarli, esattamente come le persone!” mi spiegò Dègel, con una strana luce negli occhi.

Ascoltai senza ribattere nulla, accorgendomi che, in fondo, era quello il motivo per cui Dégel e Camus amavano così tanto gli animali, ed era anche la spiegazione per cui, il giorno del nostro primo incontro, Camus era riuscito a tranquillizzare Golia con così abile maestria.

“Sai … -continuò ad un tratto Dégel, in tono però più lento -anche io da piccolo volevo diventare un veterinario come papà e mamma, ma poi è successa una cosa che mi ha profondamente segnato e che mi ha fatto capire che era un’altra la mia strada … è anche in seguito a questo … a questo fatto che ci siamo trasferiti qui per, diciamo, cambiare aria”

Notai con distinzione un’ombra scura passare negli occhi lucidi di Dègel, un qualcosa che mi trafisse il cuore con un impeto inaudito.

Non sapevo cosa fosse successo, ma era come se avvertissi con distinzione tutte le emozioni che permeavano Dègel in quel momento, ma in particolare una mi colpii più violentemente delle altre, era un qualcosa di tremendamente scuro e risucchiante come un buco nero, un qualcosa che anche io avevo provato nella mia vita e perciò sapevo a cosa portava: era vera e propria disperazione!

“D-Dégel …” riuscii solo a balbettare, afferrandogli la mano e accarezzandola con dolcezza.

Non sapevo spiegare la ragione che mi aveva portato a compiere un simile gesto, ma ero certa che avrei fatto di tutto per farlo riprendere dall’oblio che apparentemente lo stava avvolgendo.

Perché, in fondo, se non c’ero caduta io in quel buco nero chiamato esistenza, non avrei permesso neanche a Dégel di finirci!

Per fortuna lui, in seguito al mio tocco, si riscosse dai suoi pensieri nefasti (lo capii dal lampo di luce che passò per un attimo nei suoi occhi diventati improvvisamente vitrei) e arrossì di botto.

“Sc-scusami, Sakura, non volevo angustiarti!” si affrettò a proferire, tentando di mascherare il rossore sulle sue guance.

“Non ti preoccupare … l’importante è che tu stia meglio! Avevi un’espressione così sofferente dipinta in viso!” risposi, abbassando lo sguardo.

“Mi capitano questi momenti … per fortuna che stavolta non ero da solo. Grazie per essere rimasta, Sakura!” aggiunse poi, sorridendo tra sé e sé.

Nel mentre si diffusero nella stanza i passi incerti di Camus che scendeva, traballante, le scale.

“Se Socrate non la finisce di assillarmi con frasi tipo ‘ohi, ohi, Camus è messo male’ giuro che gli tappo il becco!” imprecò il fratello di Dégel, entrando in cucina.

Inghiottii a vuoto nel vederlo in tutta la sua bellezza.

Camus aveva cambiato abiti. In quel momento indossava un altro paio di jeans strappati leggermente sulle ginocchia sopra i quali spiccava una lunga camicia bianca con i bordini blu scollata sul petto; la manica del braccio sinistro era tirata su fino al gomito e la mano della stessa teneva con forza fianco, più precisamente il punto esatto dove Megres lo aveva colpito.

“Uhm, ehm … S-Socrate?” chiesi, cercando di mascherare il mio sguardo insistente.

“”Sì, Socrate è il nostro pappagallo cenerino, si trova su al primo piano nella nostra camera. -mi spiegò Dégel, dandomi una veloce occhiata, poi tornò a concentrarsi su suo fratello - Camus, stai bene?”

“Sto benissimo, sì, ho solo preso un leggerissimo colpo …” ribatté Camus, orgoglioso, ma si vedeva distintamente che in realtà faticava anche solo a reggersi in piedi.

“Maledetto, Megres, lui sa sempre dove colpire, sia con le parole che con le azioni!” ringhiai tra me e me, stringendo i pugni.

Megres era esperto nel ‘menare le mani’ e fin da piccolo suo padre, un pugile abbastanza famoso per quanto ne sapevo, gli aveva insegnato i punti dove colpire per procurare un danno permanente al malcapitato.

Io non sapevo come se la cavasse Camus con i pugni, ma ero più che convinta che lui non volesse fare del male a Megres e pertanto, malgrado la rabbia crescente, si fosse contenuto a differenza dell’imbecille che lo aveva colpito con tutte le intenzioni di fargli male!

“In ogni caso adesso non ha importanza! Già che Sakura è qui voglio farle la lezione di chimica che le avevo promesso!” biascicò Camus, deciso.

Dègel sospirò, arrendendosi davanti all’ottusità del fratello:

“Come vuoi … dirò ai nostri genitori di fermarsi in farmacia per …”

“Ho detto di NO! Sto bene, Dégel, davvero! -lo interruppe Camus, non ammettendo repliche -Sakura, io ti aspetto su e intanto preparo il materiale di chimica, vedi di non farmi aspettare troppo!” si rivolse poi a me, regalandomi una delle sue solite occhiate misteriose.

Annuii con poca convinzione, poi appena ebbi la sicurezza che Camus fosse entrato nella sua stanza, mi alzai in piedi e mi diressi verso Dègel:

“Dègel, poco lontano da qui, vicino alla farmacia, c’è l’erboristeria. Lì vendono una crema che si chiama ‘Arnica Montana’ specifica per gli ematomi … -presi una breve pausa - ho ragione di credere che Camus abbia subito un duro colpo per difendermi da quel … da quel coglione!” spiegai, cupa in volto.

Dégel rimase un po’ a guardarmi, poi intuì da solo cosa fosse successo:

“Ho capito … e menomale che Camus dice di aver preso un leggero colpo! Dovevo aspettarmi da lui un comportamento simile, con il conseguente tentativo di nascondermi quello che è realmente successo! E così … qualcuno ti voleva far del male e Camus, per difenderti, si è beccato un pugno in pieno stomaco, è giusto, Sakura?”

“Più o meno … mi dispiace, Dègel, io …” biascicai, imbarazzata.

“Non dirlo neanche per scherzo! Quel poco di buono, anche se non so chi sia, voleva farti del male. E’ naturale che Camus abbia agito per difenderti! Uff, se solo mio fratello non fosse così orgoglioso da nascondere il fatto che ora è lui a star male …” mi rincuorò Dègel, sorridendomi con dolcezza per poi incamminarsi verso la porta.

“Vai a prendere l’Arnica?” chiesi, con il cuore in gola.

“Sì, non dirlo a Camus però! Cerco di tornare il prima possibile, intesi? Tu intanto fai chimica con lui.” mi rispose, mentre indossava una giacchetta e avvolgeva il suo niveo collo in una stretta sciarpa.

Annuii decisa, cominciando a salire le scale per raggiungere la camera dove mi aspettava Camus.

Una volta salita al primo piano, mi accorsi che c’erano varie porte, ma per fortuna ognuna di esse era segnata da una scritta: ‘bagno’, ‘soggiorno’, ‘camera da letto matrimoniale’ …

Il mio sguardo indugiò un po’ sulla scritta ‘biblioteca’ (come, un’altra?! Non ce ne era giù una al piano terra?!), ma poi ricordando le parole di Camus mi affrettai entrare nella camera con la scritta‘locus Amoenus di Dègel e Camus’.

“Uff, era l’ora, ce ne hai messo di tempo!”

Avvertii appena la voce leggermente infastidita di Camus, perché tutti i miei cinque sensi erano concentrati ad ammirare la meraviglia che stava intorno a me (no, non Camus, bensì l’ambiente della stanza!).

Infatti le pareti della camera da letto erano completamente decorate, quasi come se fossero una grande tela dove l’artista si era divertito a disegnare un paesaggio di una bellezza sublime.

Rimasi letteralmente a bocca aperta nell’osservare la tappezzeria intorno a me perdersi tra mille sfumature di diverso colore, tra il bosco che si poteva ammirare in lontananza e qualche animaletto che sbucava dall’erba o saltava nel prato, era come trovarsi proprio nel mezzo di quell’ambiente meraviglioso. Inoltre i leggeri suoni della natura e dei versi degli animali, provenienti da chissà dove, completavano l’opera.

“Camus, ma è … è bellissimo!” riuscii solo a dire, non essendo capace né di proferire altro né di chiudere la mia bocca che si era tramutata in un muto ‘oooo’.

“Lo so. Questo è il luogo dove dormiamo, dove pensiamo e dove scriviamo Dègel ed io, e cambia anche in base alla stagione e al tempo: come puoi vedere ora siamo in autunno e infatti sullo sfondo al di là del bosco, colorato di sfumature rossastre, spiccano le montagne avvolte dalla neve. Di notte per esempio il soffitto diventa un cielo stellato e se è estate ci addormentiamo con il gracchiare delle rane e il canto dei grilli!” mi spiegò Camus, sorridendo appena.

“Ma come … come può cambiare un tale paesaggio? Io pensavo che fosse parte della tappezzeria” biascicai, ancora più confusa di prima.

“Mio padre da giovane, ancora prima di diventare un veterinario, era un artista come il nonno, e fu proprio grazie a lui che imparò questa arte. Non ho mai capito però come funziona, credo sia una sorta di proiezione dal computer che fa sembrare la tappezzeria dipinta in questo modo: mio padre ha dipinto questo paesaggio e lo riesce a cambiare proprio grazie ad un programma installato sul computer, non so altro. Sai, Dégel ed io siamo cresciuti in mezzo a questo ‘locus Amoenus‘, e i nostri genitori, appunto, hanno voluto fare lo stesso in questa nuova casa per farci abituare meglio all’ambiente!” disse ancora Camus, accennando con la testa ai muri intorno a noi.

“E’ … è davvero meraviglioso!” mormorai, sempre più estasiata da una tale meraviglia.

Il padre e la madre di Dègel e Camus si erano occupato in prima persona del benessere dei figli, già, a differenza dei miei genitori che erano totalmente indifferenti ai miei bisogni …

“Bando alle ciance! Sei qui per lavorare, Sakura, spiegami cosa non hai capito di chimica e quali argomenti fanno parte della verifica!” asserì Camus ad un tratto, sedendosi sulla sedia e cercando di nascondere il leggerissimo gemito che gli aveva procurato il movimento.

“Allora … -cominciai, prendendo un profondo respiro - il calcolo del ph, delle moli e degli atomi; inoltre la molarità e la molalità e, per finire il reagente limitante o in eccesso!”

Camus mi guardò per pochi attimi, forse chiedendosi se la mia professoressa fosse stata matta a darci tutta quella roba.

“In effetti è un bel programma … Beh, non abbiamo tempo da perdere: vieni a sederti qui Sakura, avrai tutte le spiegazioni che ti occorrono!” affermò lui, indicandomi la sedia.

Il mio cuore accelerò di colpo al solo pensiero di sedermi così vicino a lui e pertanto inghiottii a vuoto diverse volte, nel mentre una vertigine di emozioni tutte aggrovigliate tra loro si facevano sempre più largo nel mio cervello. Maledizione!

“B-bene, Sakura! Direi che se già sei messa così stai al fresco!“pensai tra me e me, massaggiandomi le gote che sentivo divampare.

“Sakura, non ti mangio se ti avvicini!!” mi canzonò Camus, divertito dalla mia espressione.

Scrollai la testa con forza, guardandolo con determinazione.

“Coraggio, Sakura, ricaccia i sentimenti indietro, non è questo il momento per loro, bensì il tempo dello studio per acchiappare un bel voto!” riflettei ancora, prendendo un profondo respiro e dirigendomi verso di lui con la migliore espressione indifferente che riuscissi a fare.

 

 

____________________________________________________________________

 

Angolo di MaikoxMilo.

E dopo tempo immemore eccomi qua ad aggiornare. Chiedo venia a tutti per il ritardo stratosferico, meriterei di essere picchiata ma per un motivo o per l’altro in questo periodo ho avuto da fare e sono riuscita a pubblicare solo l’altra storia! Perdonatemi davvero!!! Comunque dopo che si è finalmente conclusa “la prova della terza prova” a scuola sono tornata più agguerrita che mai, eheheheh!

Dedico il capitolo a DarkAngel’90 che più di ogni altra ha atteso con passione questo capitolo e che mi ha pungolato all’inverosimile per farmi continuare a scrivere, eheheheh ;) il capitolo è tutto per te, babba, spero che ti piaccia.

Come al solito rinnovo i ringraziamenti per colore che mi seguono, grazie a tutti!

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Capitolo 11
*** La famiglia Delacroix (parte seconda) ***


CAPITOLO 10: LA FAMIGLIA DELACROIX (PARTE SECONDA)

 

“Hai capito adesso? Dopo aver fatto questo calcolo devi necessariamente bilanciare tutto quanto, altrimenti il risultato ti viene sbagliato!” terminò di spiegarmi Camus, indicandomi con un dito il valore ottenuto.

“Sì, comprendo alla perfezione!” biascicai in tono trasognato, non riuscendo a distogliere gli occhi dalla sua figura.

“Perfetto! Ripetimi la definizione di mole, allora” proseguì lui, guardandomi dritta negli occhi.

“L-la mole è la quantità di sostanza che contiene unità elementari quanti sono gli atomi dell’isotopo carbonio 12” ripetei, arrossendo vistosamente e abbassando lo sguardo: ero stata beccata in pieno!

Eravamo su chimica da almeno due ore, cosa alquanto stancante per me, soprattutto considerando la quantità di emozioni che mi investiva stando così vicina a lui.

Certo, all’inizio mi ero sforzata di concentrarmi solo sulla materia senza badare al resto, ma il mio grandioso piano non aveva considerato l’incognita del calo di attenzione una volta passata la prima ora …

Certo, dal canto suo, pur inconsapevolmente, Camus non aiutava affatto con i suoi gesti semplici e naturali che facevano impazzire e danzare i miei ormoni, trasmettendomi di continuo brividi di discreta intensità.

Tutto ciò che riuscivo a pensare in quel momento era ‘santi numi, quanto è bello!’

Ingoiai per la milionesima volta a vuoto, mentre il mio sguardo si perdeva nella contemplazione del suo profilo tutto intento a guardare gli esercizi scritti sul foglio e alla sua mano che sfogliava con gesto elegante le pagine del libro di chimica.

“Dunque, per il calcolo del ph bisogna … Sakura, mi stai ascoltando?” chiese lui ad un certo punto, facendomi cadere dall’Olimpo in cui mi trovavo, circondata da fiori di ogni genere di forma e colore e in compagnia di un avvenente Camus indossante una nivea veste che gli ricadeva morbidamente sul corpo … già, un sogno ad occhi aperti niente male!

“Oh? Eh?!“ riuscii solo a mugugnare, tentando di prendere tempo per inventarmi qualcosa per scampare ad un’altra magra figura; per fortuna quella volta l’aiuto giunse dall’alto …

“Ninjaaa!!!”

Ebbi appena il tempo di sentire il gracchiare di una voce che un nanosecondo dopo un oggetto volante e non ben identificato planò a tutta velocità sulla mia testa.

“Socrate!!! Potevi startene buono ancora per un po’?!” imprecò Camus, alzandosi in piedi di scatto.

“S-Socrate?” domandai, ricordandomi che così si chiamava il loro pappagallo cenerino.

Alzai lo sguardo verso la scrivania, trovandomi davanti un uccello di medie dimensioni dal color grigio cenere ad eccezione della coda rossa, della faccia bianca e del becco scuro: un cenerino appunto!

“Camus coccola! Camus coccola!” disse il pappagallo, muovendo avanti e indietro la testa con fare buffo.

“No, non ti coccolo! Stavamo lavorando, Socrate! - rispose Camus, sospirando appena -Ma che ti è preso? In genere sei tranquillo quando ci sono persone che non conosci, perché questa volta la tua timidezza è durata solo un’ora e mezza?” chiese poi, retoricamente.

Socrate nel frattempo si mise a zampettare avanti e indietro sul quaderno di chimica, probabilmente cercando qualcosa di non ben definito.

“Ninja!” gracchiò ad un certo punto il pappagallo, afferrando con le zampe una matita e mettendosela in bocca.

“Uff, ho capito … vieni qui, Socrate!” mormorò Camus, rassegnato, porgendogli la mano. Il pappagallino non se lo fece ripetere due volte e, dopo aver posato la matita sul tavolo, risalì lungo il braccio del suo padrone fino ad arrivare alla spalla.

“Camus coccola Socrate!” ripeté diverse volte il pappagallo, almeno finché Camus non cominciò a grattargli delicatamente la testa, facendolo arrossire di piacere per dimostrare il suo benessere in quel momento.

“E’ tenerissimo!!!” commentai io, intenerita da quella scena.

“Uff, è una piccola peste! - mi spiegò Camus, sorridendo appena - Ma fa parte della nostra famiglia da 5 anni, la sua età! Sono stato io a svezzarlo!” disse ancora lui, con una punta di orgoglio nella voce.

“Quando sono entrata nella camera non lo avevo neanche visto, ero troppo presa ad ammirare il paesaggio intorno a me” proferii, guardandomi ancora intorno.

“In genere è timido con gli estranei. Non capisco perché questa volta abbia agito così!” continuò Camus, sedendosi stancamente sulla sedia con un lieve gemito.

“Ohi, ohi! Camus male! Camus male!” cantilenò ancora Socrate, saltellando sulle zampe.

Come tutti gli animali anche il pappagallino aveva un sesto senso assai spiccato, e avvertiva sicuramente che qualcosa non andava in Camus.

“Uff, non è nulla di grave, Socrate, ho solo preso un leggero colpo!” affermò quest’ultimo in tono dolce, cercando di rassicurarlo.

“Camus, forse è meglio se fai controllare la botta da tuo fratello Dégel, magari è più grave di quello che pensi!” provai io, tentando di prendergli la mano in cerca di un contatto, ma lui si ritrasse subito.

“No, Sakura, mi sembra di averti già detto che non è nulla di grave!” ribatté lui, guardandomi con severità.

Sospirai rassegnata, non sapendo più come comportarmi con lui. Per quel che ne sapevo, poteva anche trattarsi di una quisquilia, ma non era ancora esclusa l’ipotesi che si trattasse di qualcosa di serio visto il suo continuo e crescente malessere.

“S-Saka … la?” tentò di ripetere il pappagallino, non conoscendo la parola appena pronunciata da Camus.

Intanto quest’ultimo aveva preso a strofinarsi la fronte e a sfregarsi gli occhi, la sua espressione sinonimo di una sofferenza tangibilissima.

A quel punto agii d’istinto.

“Camus, te ne rendi conto?! Non puoi andare avanti così! Il tuo dolore … è così lampante!” affermai, prendendogli la mano tra le mie.

“S-sono solo un po’ stanco, Sakura … ti va se, per oggi, la finiamo qui con chimica? Ti prometto che ti aiuterò di più la prossima volta!” biascicò lui, arrossendo (ma le sue gote erano già innaturalmente rosse).

Mi accorsi del repentino cambio di discorso, ma decisi, per una volta, di fare il suo gioco.

“C-certo, non c’è bisogno di chiederlo! Mi hai già aiutato tantissimo, Camus!” esclamai io, sorridendogli.

“Grazie … T-ti va di pranzare con noi oggi? I miei saranno già tornati e inoltre Dègel sarà felicissimo di averti qui.” mormorò stancamente Camus.

Per un attimo ebbi l’impressione che le sue gambe tremassero e fossero addirittura sul punto di cedere.

“Camus … Camus … perché ti ostini a celarmi la tua sofferenza? Perché non mi permetti di aiutarti???” pensai tra me e me, sospirando impercettibilmente.

“P-per me non è un problema, naturalmente se non è un disturbo per voi!” risposi, abbassando amareggiata lo sguardo.

Tuttavia il gesto non passò inosservato … Le labbra di Camus fremettero più volte in cerca di qualcosa da dire in quella situazione imbarazzante, ma l’arrivo tempestivo di Dégel bloccò la scena.

“S-Sakura! Tuo fratello è giù di sotto e sembra parecchio infervorato!” disse lui, guardandomi preoccupato.

Mi misi, letteralmente, le mani nei capelli a seguito di quella rivelazione.

“Miseriaaaaaa, Milo!!! Me ne ero completamente scordata!!!” urlai, scattando subito a correre come una pazza per dirigermi al piano terra.

Appena arrivata di sotto fui investita istantaneamente da due ‘belve feroci’: i miei adorati cagnolini Zeus e Mirtillo, ovvero le creature più innocue e meno pericolose di questo mondo! Probabilmente Milo, preoccupandosi per la mia assenza, li aveva portati con sé.

“Ehi, ciao, piccoli!” li salutai, inginocchiandomi per accarezzarli meglio.

A seguito del mio contatto, Mirtillo cominciò a compiere capriole per terra, del tutto assuefatto dalle mie attenzioni, cosa che non piacque a Zeus.

Infatti il mio Pastore Belga era, sì, più pacato e tranquillo, ma anche molto più possessivo, e quindi cominciò a darmi delle musate per spingere la mia mano verso di lui.

“Ahahahahha, va bene, va bene … non c’è bisogno di fare così!” ridacchiai, non accorgendomi, tra l’altro, che un’ombra scura si stava avvicinando alle mie spalle.

“S-A-K-U-R-A … Che cosa, di grazia, va bene?!”

Istantaneamente saltai come una molla, terrorizzata dalla voce di mio fratello: era proprio vero che quando mi trovavo con gli animali perdevo completamente contatto con le altre cose!

“Ma porc …!!! M-Milo!!!” esclamai, girandomi verso di lui appena trovato il coraggio di balbettare qualcosa.

E fu così che i miei occhi si incrociarono con i suoi, furenti!

“Sakura, giuro che questa volta non la passi liscia! Io …”

Chiusi di scatto gli occhi, preparandomi a ricevere una sfuriata apocalittica, di quelle che Milo mi riservava raramente e solo quando combinavo qualcosa di grave. Ma l’unica cosa che avvertii furono le sue braccia possenti che stringevano il più dolcemente possibile il mio fragile corpo.

“M-Milo …” sussurrai, arrossendo a quella dimostrazione di affetto.

“So già tutto … Dégel mi ha spiegato a grandi linee quello che è successo. Perdonami, Sakura! Mentre tu subivi ciò io ero placidamente addormentato e del tutto ignaro dei fatti che accadevano!” disse lui, accarezzandomi i capelli.

Lo abbracciai a mia volta nel tentativo di rassicurarlo e di fargli capire che andava tutto bene.

“Non dirlo neanche, Milo! Tu non potevi sapere! Non è colpa tua!” esclamai, poggiando la mia testa contro il suo petto. Sotto di noi, intanto, Zeus e Mirtillo continuavano a scodinzolare allegri e a girarci intorno.

“Sakura, chi è stato? CHI DEI TRE STRONZI E’ STATO?! Scommetto che c’entra quel rospo deforme e viscido! Ora sono stufo, giuro che …!!!”

“Shhhh!!! Milo, non ha importanza adesso! Sono qui e sto bene, è questo che conta, no?!” lo provai a calmare, non desiderando in alcun modo la vendetta.

“Sei troppo buona, Sakura … l’ho sempre detto! Ed io che dovrei fare?! Uno stronzo ha provato a stuprare la mia sorellina, non posso lasciarlo impunito!”

Sospirai. Era davvero necessario calmare mio fratello per evitare conseguenze nefaste, d’altronde la famiglia di Megres aveva un grande potere sul paesino, lo dimostravano i continui e ripetuti atti vandalici che molto spesso vedevano loro come protagonisti indiretti o diretti (vedasi Golia).

“Milo, non devi fare alcunché! Non voglio che tu finisca in qualche guaio!!! Fallo per me, fratellino!” esclamai, fissando la mia espressione determinata nei suoi occhi azzurri lucente.

“Ma io …”

“Niente ‘ma’, Milo! E’ tutto finito per ora, se si dovesse ripresentarsi il problema faremo qualcosa, non adesso!” affermai, ancora più decisa.

Milo si staccò da me, osservandomi con sguardo severo e ricolmo di tensione. Era facile capire cosa gli passasse per la testa.

Mio fratello era stato sempre un tipo impulsivo, a volte addirittura irascibile, fin da piccolo, ancora di più contro chi se la prendeva con me e con Mu.

Certo, forse anche per questo motivo i nostri genitori avevano avuto cura di trattare tutta la mia faccenda con così tanta segretezza …

Per fortuna l’arrivo in contemporanea dei genitori dei due fratelli Delacroix dalla cucina; e di Camus e Dégel dalla camera, sbloccò la situazione.

Ebbi comunque solo il tempo di staccarmi da Milo, poiché pochi istanti dopo mi ritrovai subito stritolata da un altro abbraccio: quello della madre dei due fratelli.

Sbattei varie volte le palpebre, non riuscendo a credere a quanto avvertivo, la signora Delacroix mi stava davvero ...?!

“Santo cielo, Sakura!!! Che ti volevano fare?! E perché?!”

“Josephine, per amor di Dio, lasciala respirare, almeno!” intervenne il marito, forse accorgendosi del mio disagio.

Nel frattempo io mi sentivo avvampare sempre di più a seguito di quel gesto. Non lo riuscivo a comprendere, ecco tutto! Io, che nella mia vita avevo sempre avuto una madre e un padre freddi e lontani, mi ritrovavo invece davanti a quell’improvvisa dimostrazione di affetto, da una quasi sconosciuta poi …

Ebbi paura … ebbi paura e iniziai a tremare, cercando al contempo di allontanarmi da quella stretta.

“P- perdonatemi!” riuscii solo a biascicare, dopo essermi allontanata un poco completamente rossa in faccia e con lo sguardo rivolto ai miei piedi.

Sentivo gli occhi indagatori di Dégel e Camus su di me, e me ne vergognai immensamente: chissà che pena facevo in quel momento!

“No, scusa tu, Sakura. Mia moglie è molto espansiva e a volte non riflette prima di agire!” mi disse suo marito, in tono dolce.

“Ohhhh, Albert, andiamo! Non essere così rude con me! Ho pensato, sì, prima di agire, e ho creduto che dopo quello che ha passato questa povera piccola oggi, avesse bisogno di un po’ di affetto!” ribatté la moglie, fingendosi offesa.

Non sapevo proprio come rispondere … Mi sentivo solo ancora più meschina per aver reagito così a quell’abbraccio inaspettato.

Tra i presenti cadde un silenzio carico di tensione, al punto che fui tentata di trovare una scusa per andarmene. Ma di nuovo, repentinamente, Josephine sbloccò la situazione.

“In ogni caso visto che siete qui potete rimanere per pranzo, nulla in contrario, no?!”

Né io né Milo riuscimmo a dire di no.

 

 

* * *

 

“Mmmmmmm, ed io che pensavo che la cucina francese valesse poco o niente! Beh, devo ricredermi!!!” sancì Milo, massaggiandosi lo stomaco e pulendosi le labbra con un tovagliolo.

“S-senza peli sulla lingua, come sempre …” balbettai, guardando con insistenza il piatto nel vano tentativo di non avvampare per la frase di mio fratello.

In ogni caso Josephine non sembrò affatto contrariata da una simile rivelazione, anzi!

“Ahahahahahah! So perfettamente i pregiudizi che ci sono sulla nostra cucina, beh, mi fa piacere averti fatto cambiare idea, caro Milo!”

“E’ così espansiva … sembra quasi che abbia una forza tutta particolare dentro di sé, chissà da dove le deriva …” riflettei tra me e me, guardandola canticchiare allegramente un motivetto in francese.

Poi il mio sguardo passò ai due fratelli e al marito, Albert, molto più taciturno. Non seppi spiegare perché ma Camus mi ricordava molto di più suo padre come carattere, e Dégel invece assomigliava alla madre, almeno caratterialmente.

Già, doveva aver preso da lei, anche se mi era ancora oscuro il motivo per cui a volte il fratello maggiore (anche se di pochi minuti) si faceva prendere da una sorta di depressione che assomigliava paurosamente al buco nero, al nulla, che avevo tentato di affrontare per tutta la vita!

“U - urgh …!” biascicò Camus all’improvviso, prendendo un tovagliolo e sputando dentro di esso il boccone che aveva tentato, invano, di ingurgitare.

“Tesoro, che ti succede?!” domandò subito la madre, apprensiva, avvicinandosi al figlio.

“Non … non riesco più a mangiare …” rispose Camus, arrossendo un poco.

“E’ perché sei un testone, Camus! Non hai voluto né che ti controllassi la botta subita, né tanto meno che te la medicassi!” esclamò Dégel, visibilmente preoccupato.

“N- non ti ho forse detto che sto b-bene?” provò a ribattere Camus, con voce flebile.

In realtà non stava bene per niente!

Aveva mangiato veramente poco a pranzo, e, come se non bastasse, un pallore crescente si era sostituito al leggero rossore delle sue gote.

Istintivamente abbassai lo sguardo: per stare così male doveva esserci sotto sicuramente qualcos’altro … che diavolo gli aveva fatto quel maledetto Megres???

“C-Camus, forse sarebbe meglio che ti facessi controllare!” provai a convincerlo nuovamente, sospirando.

“N-no, Sakura!” ribatté lui, provando ad alzarsi, nonostante la precarietà dell’equilibrio delle sue gambe.

Dégel agì tempestivamente: ancora prima che Camus potesse fare qualche passo, lo afferrò per la vita, impedendogli di cadere.

“Camus, forse faresti meglio a seguire il consiglio della mia sorellina!” intervenne Milo, alzandosi a sua volta in piedi.

“N-no, io …”

“Camus, non ammetto altre repliche! Questo è un ordine perentorio, capito?! La tua temperatura corporea sta salendo, perciò ora andrai su in camera, ti sdraierai sul letto e mi permetterai di vedere le tue condizioni! PUNTO!”

Sussultai pesantemente nell’avvertire il tono di Dègel diventare così acuto e severo nell’arco di un così breve tempo.

Camus grugnì contrariato, mal tollerando la presa di posizione del fratello, ma in ogni caso non poté assolutamente obbiettare alcunché davanti allo sguardo tagliente di Dégel.

Quest’ultimo dal canto suo era irremovibile! Passò un braccio intorno alle spalle di Camus per sorreggerlo meglio, e, senza proferire nulla, lo accompagnò in camera.

Milo ed io ci scambiammo un’occhiata ricca di significati, poi mio fratello fece un cenno con la testa.

“Andiamo anche noi!” affermò solo, correndo poi su. Io lo seguii senza esitare, ma destino volle che le mie orecchie udissero comunque una parte del dialogo tra i due coniugi.

“Oddio, Albert … Spero non sia nulla di grave, dopo quello che è successo a Dègel non credo … non credo di essere in grado di reagire a …”

“Lo so, tesoro, lo so! Ora chiamo un medico che prescriva qualche cura per Camus e che, magari, ci spieghi meglio l’accaduto. Dègel è già molto abile nonostante la sua giovane età, ma è ancora troppo sensibile, di certo un parere più critico ci sarà d’aiuto!” affermò il marito, risoluto.

“Sensibile, già … ha tutte le ragioni per esserlo! Con quello che ha dovuto passare … povero il mio piccolo!” biascicò ancora Josephine, singhiozzando.

“Non dobbiamo pensarci, tesoro! E’ passato, ormai!”

“Non pensarci mi dici, ma è così difficile! Dègel è stato così vicino alla morte … e tutto per colpa di quel … di quello là!!!”

A metà scala mi bloccai a seguito di quelle parole, del tutto incapace persino di respirare.

Era così dunque. La morte non aveva portato via Dègel per un soffio, lasciando invece una cicatrice indelebile nel suo animo …

Istintivamente mi scoprii il fianco destro, toccando con mano tremante la piaga che mi aveva accompagnato per quasi tutta la vita: era un cicatrice lunga all’incirca 5 centimetri, la PRIMA, ma non di certo l’ULTIMA … Sospirai ancora e ancora.

“Dégel, forse quello che ho passato io non è nulla in confronto a quello che hai dovuto subire tu?!” mi chiesi, guardando in alto.

Provavo una tristezza infinita, ma quello non era il momento di perdersi in mille congetture.

Feci di corsa gli ultimi scalini, poi entrai nella camera dei due fratelli, ma mi bloccai immediatamente quando vidi la scena.

Camus era sdraiato sul letto, nascondendo una parte del volto con il braccio, l’altra mano invece era occupata a stingere convulsamente la camicia sollevata sul petto; Dègel stava al suo fianco con espressione sgomenta in volto.

Mi avvicinai a lui il più lentamente possibile per vedere meglio l’entità del danno e quasi non riuscii a trattenere un urlo nel vederlo.

“D-Dégel!!! Ma ha un ematoma di notevoli dimensioni e inoltre sembra soffrire così tanto!” esclamai, tesa.

“Lo so, Sakura … ciò che non mi è chiaro è come abbia potuto evolversi così tanto in così poco tempo!” provò a spiegarmi Dégel, in tono tremante.

“C-Camus …”

Lo chiamai, posando la mano sulla sua fronte.

Fu un gesto istintivo, che lo fece sussultare pesantemente, non capii perché però … forse non si aspettava un gesto simile, o più semplicemente il contatto con la mia mano gelida sulla sua pelle, oramai bollente, gli dava fastidio?

“Camus, siamo tutti qui! Certo che sei proprio un testone, eh! Una botta simile e tu non volevi fartela neanche controllare!” aggiunsi, provando a spezzare la tensione.

“N-no, Sakura! Ti prego, non guardarmi! Sono in condizioni pietose …” mormorò Camus con un filo di voce, provando a girarsi dall’altra parte, ma una probabile fitta lancinante non gli permise di voltarsi completamente.

“Camus, santo cielo, non muoverti troppo!” lo riprese Dégel, preoccupato.

“C- cosa vuol dire che non ti devo guardare??? Sei in queste condizioni per colpa mia!”

“Sakura … io … io non voglio che tu mi veda quando sono così debole. Io voglio … Io DEVO proteggerti!”

Spalancai gli occhi al limite dell’umano possibile, mentre Camus nascondeva il suo volto con l’aiuto del braccio sinistro. Doveva aver detto quelle parole a causa della febbre che stava salendo sempre di più, non c’era altra spiegazione!

Rimasta così imbambolata a seguito delle sue parole, quasi non vidi Socrate, il pappagallo Cenerino, compiere un volo dal trespolo su cui era appoggiato in precedenza per andare a beccare dolcemente la mano di Camus.

“Camus! Camus male sta, vero?!” pigolò il pappagallino, cercando di attirare l’attenzione del suo amico umano.

Camus aprì stancamente gli occhi e, con un titanico sforzo, accarezzò dolcemente la testa del volatile.

“No, piccolo mio, non è nulla di grave!” sussurrò, cercando di essere il più rassicurante possibile.

Socrate per tutta risposta si avvicinò ancora di più e inclinò la testa di lato in cerca di coccole.

“Camus, io ti devo ringraziare: hai protetto la mia sorellina quando ero assente, se non fosse stato per te …” iniziò Milo, facendosi avanti.

Lo guardai: sembrava imbarazzato di esprimere parole di gratitudine almeno quanto lo era Camus di riceverne. Infatti quest’ultimo si limitò a fare un breve cenno di assenso, mentre le sue guance diventavano rosse.

“Forse non sei il ghiacciolo che ti avevo definito all’inizio …”

“Gr-grazie, dopo questa rivelazione …”

“Ma fammi finire di parlare! - continuò Milo, imperscrutabile in volto - Penso che tra noi possa nascere … sì insomma, una specie di amicizia … siamo partiti entrambi con il piede sbagliato, ma ora possiamo ricominciare da capo. Ti andrebbe?” domandò Milo, leggermente a disagio.

“Non capisco dove tu voglia andare a parare …”

“Uff, Camus, questo malessere ti deve rendere proprio intontito visto che non capisci le mie parole: possiamo essere amici io e te???” esclamò Milo, sbracciandosi in gesti plateali.

“In breve vuoi la mia amicizia solo perché ho protetto tua sorella?!”

“No!!! Voglio provare a conoscerti meglio, perché ho espresso un giudizio troppo affrettato senza nemmeno conoscerti! Ti va?” chiese ancora mio fratello, porgendo la mano destra.

Per dei secondi interminabili gli occhi, stanchi, di Camus fissarono il viso di Milo, tanto che ebbi paura di un eventuale rifiuto. E invece …

“Va bene allora, Milo. Io sono Camus … Camus Delacroix, piacere di conoscerti!” disse alla fine, stringendo la mano di mio fratello, non senza riuscire a nascondere un’espressione ricolma di dolore.

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Capitolo 12
*** Un nuovo inizio ***


CAPITOLO 11: UN NUOVO INIZIO

 

Il giorno dopo le ripetizioni di Camus, coronate con tanto di malessere di quest’ultimo, era domenica, ed io colsi l’occasione per uscire con il mio amico Mu per raccontargli tutti i fatti accaduti...

Non lo avessi mai fatto!!!

“Ora giuro che chiamo immediatamente la polizia, Sakura, sono stufo degli atteggiamenti di quel dannato!!!” urlò Mu, pestando i piedi per terra con forza.

Sospirai tra me e me, alzando gli occhi al cielo mentre Zeus, il mio cane, dava dei forti strattoni in seguito ai gesti frenetici del mio migliore amico.

C’era sempre stata una forte intesa tra quei due se Mu era furibondo per un qualche motivo anche il mio cane avvertiva la sua tensione ed era nervoso a sua volta.

Tra l’altro vedere Mu arrabbiato era sempre stato uno spettacolo (naturalmente per chi non era l’oggetto di tale infervoramento, si intende!), poiché lui, persona solitamente tranquilla e pacata, cercava sempre di trattenersi... certo, trattenersi fino a quando qualcuno non sfiorava anche solo con un dito qualcuno a cui tenesse particolarmente!

“Mu, ti prego!!! Già Milo stava per combinare un casino, mi ci manca che anche tu, la mia spalla destra, segui le orme di mio fratello!” lo provai a fermare, in tono tremante.

“Sakura, forse non ti rendi conto della situazione! Megres ti stava per …”

“Mi stava per stuprare, sì, e ha fatto del male a Camus. Milo mi ha detto le stesse identiche cose! - dissi al suo posto, afferrandolo per un braccio - Ma cosa servirebbe chiedere l’aiuto della polizia del posto e degli abitanti del villaggio?! Anzi, probabilmente la mia situazione diventerebbe ancora più grave e insostenibile per me! No, Mu, è meglio lasciar perdere questa faccenda e sperare che non accada più!”

Mu mi guardò negli occhi con sguardo grave, e subito mi sentii rabbrividire.

“Che manigoldi!!! Vivono ancora sulle superstizioni di mille anni fa senza accettare nessuna innovazione! Sakura, ti giuro che quando finiremo la scuola ti porterò via da questo paese maledetto, così anche tu potrai vivere in pace!” esclamò ancora il mio amico, tentando di calmarsi.

Sorrisi tra me e me, rassicurata da quelle parole. Ci sarebbe voluto coraggio per cambiare drasticamente la direzione che aveva preso la mia esistenza in quel paese, ma grazie all'affetto che mi legava a Mu sentivo di poter superare qualsiasi ostacolo!

“In ogni caso non pensiamoci più! Oggi è una bella giornata anche se fa freddo, direi di fare la solita passeggiata intorno al lago, in modo da far divertire anche Zeus!” affermai, dando delle brevi pacche al mio cane.

“Dove vuoi tu, mia dolce amica!” ribatté Mu, prendendomi a braccetto e regalandomi uno dei suoi soliti sorrisi bonari.

Ridacchiai di gusto, preparandomi a scendere per la stradina che conduceva al lago. Ero del tutto persa nei miei pensieri quando, senza alcun preavviso, Zeus arrestò di colpo il suo moto, puntando qualcosa sulla sua sinistra.

“Zeus, cosa …?” iniziai, confusa, ma una voce famigliare mi spinse a guardare nella direzione in cui si guardava il mio cane.

“Ma signore, le ho appena detto che è un’emergenza! Mio fratello non sta per niente bene e in casa non abbiamo alcun tipo di medicinale utile!” esclamò Dégel cercando di implorare in tutti i modi il medico del villaggio.

“Quanto sei ostinato, ragazzo! Ti ho detto che oggi siamo chiusi, inoltre anche se volessi non potrei darti alcunché!” rispose l’altro, inamovibile.

Dègel serrò le mani in due pugni, abbassando il capo in segno di apparente resa... apparente!

“All'università mi hanno insegnato che il primo dovere di un dottore è curare il paziente, viene anche detto ‘giuramento di Ippocrate’! Non importa quando, perché o chi, ma ogni medico ha il dovere di …”

“Vivi ancora sul mondo della luna, ragazzo!!! Sono stufo di ascoltare i tuoi sproloqui! Se ami così tanto la medicina perché non ti inventi qualche pozione tu per aiutare tuo fratello?! Io ho di meglio da fare!” lo interruppe malamente l‘altro, facendo per chiudergli la porta in faccia.

Non potevo sopportare oltre una tale ingiustizia!

Scattai in avanti con Zeus, arrivando giusto in tempo per impedire la chiusura dell’entrata.

“Lei è totalmente fuori di testa!!! Cosa c'è di così difficile nel procurare una medicina per questo ragazzo?! Che razza di medico è lei?!?” gli inveii contro, spingendogli la porta in modo da dargliela dritta sul naso.

Poteva andare bene tutto finché si trattava di me, ma non potevo permettere in alcun modo che, ad una persona buona e gentile come Dégel, gli venisse riservato un simile trattamento!

“S-Sakura …!” biascicò quest‘ultimo, rimasto interdetto dal mio modo di fare così temerario.

“Aaaaaaahhh, Sakura!!! Vai via di qui! Tu e il tu cane portate il malocchio su di noi!” esclamò invece l’altro, trattandomi brutalmente.

Ma c’ero già abituata da anni ormai!

“Il malocchio, certo! Siete talmente ciechi che non vedete che la rovina di questo bellissimo paese siete solo e soltanto voi, gente priva di senno!!! Non me ne andrò finché non darà una mano al mio amico!” urlai, mentre Zeus abbaiava con ferocia contro l’individuo.

“Iiiiiiiiiiiiiiiiiiiihhhh!!! Porta quel COSO lontano da me!!! Oddio, se il Sommo Megres sapesse che sto parlando con te mi allontanerebbe dal villaggio subito!!!” sibilò ancora, in preda al terrore.

“Cosa?! Il padre di Megres??? C’entra ancora lui in questa faccenda?!” intervenne Mu, fiancheggiandomi.

“Maledetti!!! Mi fate parlare con la frode delle vostre belle paroline! Sì, il Sommo Megres ha preso tutti i medicinali e ora li tiene nel suo magazzino. Proprio per questo motivo non ho nulla!!!”

“C-come?! E lei glieli hai dati tutti?! E se qualcun altro stesse male?!?” esclamai, sgomenta.

“Certo che sì! Il padre del Sommo Megres, del resto, è il vecchio del villaggio, e a lui tutti i cittadini devono rispetto! E ora lasciatemi andare! Per colpa vostra oggi dovrò fare un sacco di riti purificatori per aver parlato con Sakura!!!” urlò ancora lui, chiudendosi dentro e serrando la porta.

Pestai un piede a terra, furente d’ira. Cosa aveva per la testa il padre di Megres?! Voleva forse rivendere le medicine a prezzi esorbitanti???

“Grazie per il vostro intervento, davvero! Non mi è mai capitato di avere a che fare con un medico simile, io... non sapevo davvero che fare!” mormorò Dégel, sospirando impercettibilmente.

“Poco importa... non siamo comunque riusciti a prendere il medicinale!” dissi, scoraggiata.

“Però sei intervenuta per difendermi e ti sei presa degli insulti atroci per me. Grazie... grazie davvero, Sakura!” continuò Dègel scompigliandomi i capelli con dolcezza.

Sorrisi a quel contatto, sentendo tutta la rabbia e la delusione sparire via in un istante grazie alla sua gentilezza.

“Capisci, Sakura, perché non possiamo continuare a rimanere con le mani in mano?! Quelli là hanno sempre più potere!!!” esclamò Mu, furioso.

Annuii, accarezzando al contempo Zeus per farlo tranquillizzare. Mu aveva proprio ragione, ma cosa si poteva fare in quella situazione?! La famiglia di Megres aveva già troppo potere, e inoltre le persone disposte ad aiutarmi erano veramente poche.

“Però non ho capito bene la situazione... chi sarebbe questo Megres e perché quell'individuo è stato così spietato con Sakura?!” domandò Dégel, ancora confuso.

Guardai istintivamente Mu in una muta richiesta di non rivelare tutto riguardante il mio passato, ovviamente il mio migliore amico capì subito i miei intenti.

“La famiglia di Megres è la più nobile e antica del paese, i loro antenati hanno costruito Ceresole Reale, questo è il motivo per cui sono così lodati. Però questa casata, con il passare del tempo, è diventata sempre più ambiziosa ed efferata e nonostante questo i villici continuano a seguirla. E’ per questo che Sakura è così malvista, diciamo che non è nelle simpatie della famiglia!” spiegò Mu, evitando ogni altro riferimento alla mia vita passata.

“U-urgh, ma non è... non è per niente giusto nei confronti della povera Sakura, e inoltre ci sono altre cose che non capisco. Questo Megres, figlio di Megres e figlio a sua volta del vecchio del villaggio, chi è?” chiese ancora Dègel, sempre più scettico.

Sospirai. Dovevo immaginare che un ragazzo intelligente come lui non si sarebbe mai fermato ad una spiegazione così sommaria …

Mu rimase a sua volta in silenzio, non sapendo più come ribattere. Decisi quindi di farlo io al suo posto:

“Megres è un mio compagno di classe … ed è colui che ha tentato di stuprarmi!”

Dégel sgranò gli occhi, e per un istante vidi passare un lampo di luce in quelle iridi blu tanto simili Camus.

“C-cosa?! Maledizione, Sakura, avresti dovuto dirmelo prima, se lo avessi saputo io... io...” iniziò, furente, ma a metà frase si bloccò, non sapendo più come continuare.

“Dègel, non ha importanza ora! Piuttosto, ho sentito che Camus sta male, è così?!” lo bloccai, spingendolo a cambiare discorso.

“Purtroppo sì... Ieri non siamo riusciti a contattare il medico e quindi ho tentato, per quanto lo permetteva la mia poca esperienza, di visitarlo io. In questo momento ha la febbre alta e l’ematoma ha assunto un colore blu-violaceo, diventando più grosso. Sospetto di una distruzione dei tessuti sottostanti e circostanti a carico sia delle cellule parenchimali sia dello stroma!” provò a spiegare Dègel, in tono grave.

“Uhm, a... a carico di cosa?!” biascicai, sgomenta.

“In sostanza penso che Camus rischi un’infezione, per questo che stavo cercando una medicina. Ho anche un altro sospetto, ovvero che siano presenti delle tossine nell'organismo di mio fratello, anche se non capisco dove le abbia prese. Però questo spiegherebbe la gravità e la velocità con cui il malessere si è manifestato!” disse Dégel, non riuscendo a nascondere la preoccupazione crescente.

Istintivamente misi le mani sulla bocca e ingoiai a vuoto: Camus stava veramente male ed era tutta colpa mia, ma che diavolo aveva escogitato e soprattutto usato quell'idiota di Megres?! Parenchima?! Stroma?! Come era possibile che un semplice pugno colpisse così in profondità?! No, ci doveva essere qualcos'altro sotto...

“Non ti angustiare, Sakura! Mio fratello è forte e non rischia di certo la vita! Ma sta soffrendo veramente tanto ed io devo poter fare qualcosa per lui!” aggiunse Dégel, intuendo i miei pensieri.

“Uhm, nel paese giù a valle, sotto alla diga, c’è una farmacia/erboristeria che è aperta 24 ore su 24. Puoi andare lì, anche se ti servirà un mezzo di trasporto!” intervenne Mu, sorridendo pacatamente.

“Oh, dici davvero?! Grazie, grazie veramente di cuore, mi dai un tale sollievo!” lo ringraziò Dègel, più sereno.

In quel momento mi accorsi di quanto quei due fossero simili … stesso sorriso e stesso modo di essere. Sentivo di provare una forte ammirazione per loro e starli a guardare rendeva più calma e tranquilla anche a me.

“Mi chiamo Mu, sono il migliore amico di Sakura!” si presentò lui, porgendogli la mano destra.

“Ed io sono Dègel, probabilmente avrai sentito che una famiglia francese si è trasferita qui da poco e, beh, io ne faccio parte. Il luogo è veramente incantevole, mi ha carpito fin da subito!”

“Ahahahaha, come potrei non aver sentito?! Inoltre Sakura non fa che parlare di voi!” rispose Mu, sorridendo cristallino.

Mi sentii avvampare istantaneamente. Accidenti, già ero solita fare magre figure per colpa della mia sbadataggine, ma per una volta che ero completamente innocente ci si metteva pure il mio migliore amico!!! Uffaaaa!!!

“Q-questo è un colpo basso, eh!!!” biascicai, imbarazzata sopra ogni limite.

Dégel e Mu scoppiarono a ridere quasi in sincronia, del tutto incuranti che in quel momento la mia voglia di unirmi a loro era inversamente proporzionale a quella che avevo di sprofondare nell'asfalto.

“La taccola come sta?” chiesi, tentando in tutti i modi di ritornare ad un colorito normale che non fosse il rosso pomodoro.

“Ah, lei sta bene, Sakura. E’ una mangiona e sta prendendo familiarità con l’ambiente famigliare. Appena starà meglio la libereremo e ovviamente tu dovrai essere con noi quando ciò avverrà!” disse Dégel, tornando composto come sempre e sfiorandomi una guancia.

Sorrisi a mia volta, sentendo il peso dell’imbarazzo volare via in un lampo grazie al leggero tocco del fratello di Camus. Era veramente incredibile!!! Mi chiesi se davvero Dégel non avesse un qualche potere speciale che faceva sentire le persone intorno a lui a proprio agio.

“Beh, noi andiamo a continuare la passeggiata, è stato un piacere, Dègel!” disse Mu, facendo un cenno con il capo in direzione del lago.

“Buona passeggiata, allora! Io cercherò le medicine per mio fratello, sperando vivamente di trovarle!” affermò Dégel, mentre le sue labbra si increspavano in una sorta di smorfia preoccupata.

“Ti prego, fammi sapere qualcosa al più presto e, anzi, se posso essere d’aiuto in qualche modo, perché è colpa mia se …”

Ma Dègel mi posò un dito sulle labbra, affinché terminassi subito il mio sproloquio insensato:

“Non dirlo neanche per scherzo, Sakura! Di certo ti farò sapere di Camus, ma tu levati dalla testa il senso di colpa! Tu non c’entri nulla in tutto questo, sono i villici di questo paese che sono assurdi!” mi rimproverò bonariamente lui, con una punta di severità nella voce.

A quel punto agii d’istinto. Non seppi spiegare né come né perché, ma mi ritrovai ben presto a tremare vistosamente abbarbicata a Dégel, le mie mani che stringevano convulsamente la sua giacca.

Lo avevo abbracciato senza un motivo apparente, ma quella stretta mi infondeva coraggio e rassicurava il mio cuore... o meglio, era il solo fatto di essere così vicina a lui che mi rassicurava, anche se il gesto non era ricambiato.

Dègel infatti si era irrigidito di botto, impossibile capire quali sensazioni lo invadevano in quel momento. Sorpresa? Fastidio?

In quell'istante il terrore mi invase completamente, trasmettendomi la spiacevole sensazione di aver nuovamente sbagliato approccio fin da subito. Con quel gesto potevo tranquillamente aver rovinato tutto già in partenza! Complimenti ancora una volta, Sakura!!!

“P-perdonami, io... non so perché l‘ho fatto!“ iniziai a biascicare, staccandomi da lui. I miei occhi erano lucidi, lo sapevo.

Che stupida che ero stata! Perché … perché la mia particolarità era sempre quella di distruggere ogni cosa?!?

Così presa dai miei pensieri non riuscii a scorgere un sorriso triste solcare il viso di Dègel, ma la stretta che mi riservò poi … quella sì che la avvertii pienamente!

“No, va bene così, Sakura! Non devi vergognartene! Se hai bisogno di un po’ di affetto o di sfogarti io e Camus ci siamo!” mi disse lui, rassicurante.

Sgranai gli occhi per la sorpresa, ricominciando repentinamente a tremare, e quella volta erano le mie sensazioni che non riuscivo proprio a comprendere.

Avevo una grande voglia di scoppiare in lacrime e di piangere appoggiata alla sua spalla, ma era quasi paradossale in confronto al calore che quel gesto di affetto riusciva a trasmettermi.

Per questo motivo sorrisi... sorrisi sebbene gli occhi mi si erano completamente inumiditi di lacrime. Era tremendamente buffa come sensazione!

“Gr-grazie davvero, io...” mormorai ancora nascondendo la mia faccia nell’incavo della sua spalla (e del resto Dégel era molto più alto di me).

Poi sentii le sue dita passarmi attraverso i folti capelli per accarezzarmi la testa e la sua voce gentile sussurrarmi ancora:

“Povera piccola, deve essere stata dura crescere in un villaggio del genere pieno di persone che non esitavano a trattarti male. Ma ora non sei più da sola, anche se non lo sei veramente mai stata, da adesso in poi ti prometto che anche Camus ed io faremo di tutto per difenderti! Questa assurda faccenda deve terminare!”

Non ero più da sola … non ero più da sola … Finalmente potevo fidarmi di qualcun altro che non fosse solo Mu o mio fratello Milo.

“Non sono più da sola …” ripetei a voce alta, staccandomi leggermente da lui per guardarlo negli occhi.

“Esatto. Da adesso in poi ci saremo anche noi al tuo fianco!” confermò lui, asciugandomi una lacrima capricciosa con il pollice e regalandomi uno dei suoi soliti sorrisi.

“Sakura, ti avevo detto che il futuro avrebbe potuto regalare cose meravigliose, e tu che non volevi credermi!” intervenne Mu, stringendomi con forza la mano.

Abbassai lo sguardo e sorrisi, osservando il mio cane che mi guardava con i suoi occhi profondi di color nocciola.

Non ero mai stata da sola, e lo sapevo, ma era comunque stato sempre difficile per me la situazione che ero costretta a vivere nel mio paese natio, in quel momento però mi sentivo forte come non mai e lo aveva dimostrato il fatto che non avevo esitato a rispondere a quel bel figuro che pretendeva di farsi chiamare ‘medico del villaggio’!

“Vai, ora, Sakura! Goditi questa giornata con Mu e non pensare più al passato, ora è tempo di cambiare vita!” affermò ancora Dégel, scompigliandomi un’ultima volta i capelli e andandosene dopo aver salutato Mu con un cenno della mano.

Aspettammo che la figura di Dégel scomparisse dietro al curva prima di riprendere il cammino per andare giù al lago.

“Ora capisco perché ti sia affezionata già così tanto a lui. E’ veramente un bravo ragazzo!” commentò Mu, sorridendomi con calore.

“Lo è infatti! Mu, tu sai che non mi affeziono velocemente alle persone per mia natura, ma con lui è stato diverso! Mi è entrato quasi subito nel cuore e la sua sola presenza mi infonde coraggio e calore. Non so davvero spiegare perché …” dissi. arrossendo un poco.

Era davvero strano per me provare così tanto affetto per qualcuno che avevo conosciuto solo poche settimane prima, ma con Dégel sentivo che era naturale e che, anzi, era inevitabile che accadesse!

“Tra l’altro ho anche intravisto la cicatrice che è costretto a portarsi dietro …” aggiunse ancora Mu, diventando improvvisamente pensieroso.

Sussultai pesantemente, non aspettandomi una simile frase:

“L’hai intravista?! E come … come ti sembrava?!” balbettai, sentendomi inaspettatamente tesa.

“Beh, con la giacca leggera che aveva era difficile non notarla anche se lui si sforza di far finta di nulla. Come mi è sembrata, mi chiedi, che dire … di sicuro è successo qualcosa di molto grave per avere una cicatrice simile!” mi spiegò lui, sospirando.

Deglutii a vuoto, fissando il terreno che Zeus stava annusando con grande insistenza vicino a me. Avvertivo un forte peso impossessarsi del mio corpo all’idea di ciò che Dégel avesse dovuto passare, e rabbrividivo ancora di più al ricordo del suo sguardo spento e vuoto che appariva in determinate situazioni.

Già, come se qualcosa di oscuro aspettasse l’occasione propizia per invaderlo completamente …

“In più quella cicatrice non sembra neanche troppo vecchia, anzi, dovrà avere qualche annetto visto che è ancora così marcata … - continuò Mu, lugubre, poi ad un trattò si fermò, guardandomi intensamente negli occhi -E’ come se … è come se un qualcosa di terribilmente rovente gli fosse finito addosso!” esclamò alla fine, come se avesse avuto un’illuminazione improvvisa.

Sgranai gli occhi, incredula e sbalordita sia per l’accurata osservazione di Mu, sia per le sue parole.

“Un … un qualcosa di rovente addosso??? Ma allora … allora significa che ciò che vediamo della cicatrice è solo un nulla in confronto alle sue dimensioni vere e proprie, perché … perché …” iniziai a balbettare, arrestandomi poi di colpo per l’incapacità di continuare ad articolare frasi con un certo senso logico.

In testa avevo solo l’immagine terribile di un Dégel sofferente avvolto dalle fiamme … Brrrrr!!!

“Calmati, Sakura! Non è detto che sia andata veramente così, la mia era solo un’ipotesi partorita sul momento e non necessariamente vera!” cercò di calmarmi Mu, stringendomi la mano.

“Io spero che non sia andata veramente così … cioè ho sentito i suoi che dicevano che Dègel è stato ad un passo dalla morte e la tua versione potrebbe essere tranquillamente quella giusta visto che significherebbe per Dègel un ustione di considerevoli dimensioni” mormorai, massaggiandomi la testa dolorante. Mi sentivo così male al pensiero di quello che avesse potuto passare una persona così buona come il tenero fratello di Camus!

“Perché il destino deve aver riservato a Dègel un’esperienza simile?! Non è per niente giusto!!! Io devo …” cominciai a dire, ma l’improvviso strattone che mi riservò Zeus mi fece finire direttamente a terra.

“Zeus, che ti prende???” gli chiese Mu, aiutandomi a tenere il guinzaglio.

Ci trovavamo alla fine della prima parte del nostro proverbiale ‘giro del lago’, e Zeus aveva preso a tirare con gran foga, come se una forza misteriosa lo spingesse a dirigersi verso il bosco più fitto.

La passeggiata intorno a lago era composta da due parti: una sabbiosa che si trovava sulla riva destra del bacino (dove in genere i pescatori si riunivano per catturare i pesci) e una a sinistra che si incuneava in una miriade di altre stradine che portavano al sottobosco.

A metà strada tra queste due parti, Zeus aveva preso ad agire come non aveva mai fatto prima in vita sua, rischiando di farmi seriamente male!

“Sakura, lascia il guinzaglio di Zeus prima che sia troppo tardi!” mi avvertì Mu, faticando non poco nel cercare di trattenere il cane e rimanere in piedi allo stesso tempo.

“Non posso!!! Deve aver sentito qualcosa di strano, non ha mai agito così! Se ora mollo la presa scapperà in direzione del bosco!!!” esclamai, mentre tentavo con tutte le mie forze di resistere al dolore che permeava le mie ginocchia.

Chiusi gli occhi nel vano tentativo di concentrarmi nel trovare una soluzione, ma subito dopo avvertii uno strappo e la pressione sulle mie braccia calare fino a scomparire del tutto.

Capii immediatamente cosa era accaduto …

“Zeus!!!” gridai, alzandomi, barcollante, in piedi e inseguendo il mio cane che era scappato appunto in direzione del bosco. Mu mi venne dietro, iniziando poco dopo ad ansimare per la fatica.

Seguimmo insieme il percorso del cane che ogni tanto si fermava per aspettarci. Probabilmente aveva sentito qualcosa di strano e voleva renderci partecipi della sua scoperta, ma era anche vero che non si era mai comportato così e che questo mi inquietava tantissimo.

“I cani hanno un sesto senso molto più spiccato del nostro, magari Zeus ha avvertito qualcosa di grave per comportarsi così!” mi spiegò Mu, tra un affanno e l’altro.

Nel frattempo Zeus aveva preso a salire una delle tante stradine che conducevano al fitto del bosco. Quattro balzi e scomparve dietro una felce.

“Mannaggia, dove diavolo si sta dirigendo?! Non siamo mai passati per di qui!” esclamai, cominciando a salire il percorso tortuoso aiutandomi con le mani.

“Non so cosa dirti, Sakura! Non ci resta che seguire gli abbai di Zeus per evitare di perderci!” affermò Mu, seguendomi come sempre.

In effetti il mio cane aveva fatto perdere le sue tracce, ma, siccome continuava ad abbaiare, riuscimmo comunque a seguirlo.

Attraversammo così un roveto e poi una pineta fino a raggiungere il sottobosco. Lì in quel luogo l’odore acre e pungente della terra umida ci investì in pieno le narici.

Avevamo momentaneamente perso del tutto le tracce di Zeus e temevamo di esserci smarriti anche noi, ma tutto ad un tratto il muso del mio cane apparve dietro ad un pino.

“Zeus, santo cielo, ci hai fatto prendere un colpo!” esclamai, avvicinandomi a lui per accarezzarlo, ma il mio cane si scansò di lato scodinzolando come un ossesso.

Non capii la sua manovra, almeno finché non cominciò a mordicchiare la mia giacca per spingermi nella direzione che voleva lui.

Sospirai. Non c’era alcun verso di farlo desistere dai suoi propositi e quindi, fatto un cenno a Mu, iniziammo a seguirlo.

Zeus era più tranquillo in quel momento, segno evidente che avevamo raggiunto quasi l’obbiettivo prestabilito. Infatti poco dopo il sottobosco si aprì una radura ai piedi delle Tre Levanne, le tre cime montuose che erano sempre state un particolare meraviglioso che caratterizzava il paesaggio intorno al lago, soprattutto quando queste erano completamente innevate proprio come in quella stagione.

Mi arrestai un secondo, guardandomi confusa intorno. Non ero mai stata lì fisicamente eppure … eppure mi sembrava un posto famigliare.

“Bauuuu!!! Bauuu!!!”

Mi richiamò Zeus, facendomi riscuotere dal mio strano torpore. Stava frugando con insistenza dietro un cespuglio, tutto impegnato ad assistere un qualcosa che io, dalla mia postazione, non potevo vedere con nitidezza.

Mi avvicinai con cautela e quasi non riuscii a trattenere un urlo nel vedere sbucare dal cespuglio le gambe di una persona che era stesa a terra, ma questo non fu nulla in confronto a quello che provai quando finalmente mi inginocchiai a fianco del tizio svenuto al suolo … già, semplicemente il mondo mi precipitò addosso nell’arco di pochi secondi!

Ero impietrita … come se di colpo tutti i miei muscoli fossero stati pietrificati da una Gorgone appena passata di lì … non poteva essere, no! Non era possibile!

Mu era nella mia stessa situazione, ma sapevo perfettamente che la sua perplessità era causata da tutt’altro genere di cose …

“S-Sakura, non può essere! Cosa … Cosa fa Milo qua???” chiese allibito, appena riuscì ad articolare qualche parola.

Come se fossi guidata da una forza superiore negai con la testa, mentre i miei occhi non si distoglievano dal petto e dal volto del ragazzo.

“Non è mio fratello Milo …” mormorai, in tono vacuo e lontano.

“C-cosa?! Ma allora chi???” esclamò Mu, ancora più sgomento di prima.

Aspettai prima di rispondere …

Nel frattempo dalle labbra del ragazzo uscì un gemito di dolore, e la sua mano destra strinse ancora più convulsamente la tuta in prossimità del cuore.

Non c’era più alcun dubbio. I capelli lunghi blu-violacei che gli ricadevano ribelli sulla fronte e sul petto, il respiro rotto, gli irrefrenabili battiti cardiaci che gli percuotevano il petto con forza, causandogli un forte dolore, e infine il taglio sulla sua fronte che gli sporcava il viso pallido, provocando un certo contrasto tra la pelle diafana e il colore rosso vivo del suo sangue …

Era sicuramente lui, anche se nei miei sogni aveva sempre avuto l’aspetto di un bambino e in quel momento, invece, mi trovavo davanti ad un ragazzo che grossomodo doveva avere la mia stessa età.

“S-Sakura, io non … conosci questo ragazzo identico a tuo fratello?!” domandò ancora Mu, sempre più incredulo e spaventato.

Annuii con la testa, poco prima di adagiare le mie mani una sul petto e l’altra sulla fronte del ragazzo. Era bollente!

“Sì, Mu … lui è Cardia, il bambino che da sempre popola i miei sogni!” dissi, in un sussurro.

 

 

 

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Angolo autrice : )

Beneeeeeeee, torno a pubblicare la mia AU (prometto che presto aggiornerò anche l’altra storia) . Ovviamente ho infilato Cardia pure qua (e come poteva essere altrimenti???) e spero di aver aperto altri 300 interrogativi XD.

Ah, una cosa, se vi capita di andare a Ceresole Reale, beh state tranquilli che gli abitanti non sono così come li ho descritti, non c’è nessun Megres, figlio di Megres (e qui mi sono rifatta all’anime) figlio a sua volta del vecchio del villaggio XD.

Certo ho detto un’ovvietà senza limite (ctr Cardia: ma brava!!! Appaio io e cominci a dire cose ovvie??? Io: zut! Stai zitto che sei mezzo morto in ‘sto capitolo U.U Cardia: come sempre del resto … non vedo l’ora di svegliarmi e spaccare i cu .. *censured*) .

Bene ehm dicevo, Ceresole Reale è un paese a cui sono molto legata fin da piccola e mi dispiace un po’ descrivere gli abitanti così ma … Muhahaahaha questioni di trama! :3

Beh grazie a tutti ancora una volta per continuare a seguire le mie pazzie : ) darò sempre il massimo!!!

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Capitolo 13
*** Chi è realmente Cardia?! ***



CAPITOLO 12: CHI E' REALMENTE CARDIA?!

Mu sbatté più volte le palpebre, totalmente incredulo:

“Cosaaaaaa?!? Questo ragazzo sarebbe il bambino che sogni sempre fin dalla più tenera età?! Non è possibile, Sakura, grossomodo deve avere per forza i tuoi stessi anni!” esclamò lui, sgranando gli occhi verde silvestre al limite dell’umano possibile.  

Avevo parlato più volte dei miei sogni al mio migliore amico, ma non avrei mai creduto che, un giorno, avrei rivisto quel ‘bambino’ sempre sofferente e un po’ scavezzacollo con i miei occhi reali anziché con quelli dei miei sogni confusi.

“Eppure è così, Mu! Lo … lo sento, capisci? Dal più profondo del mio cuore!” affermai ancora, poggiandomi una mano sul petto e avvertendo i suoi battiti aumentare di colpo alla mia affermazione.

Mu non seppe cos’altro dire, motivo per cui decise di inginocchiarsi di fianco a  me per toccare così la fronte del ragazzo sofferente. 

“ Oltre a ferite ed escoriazioni varie, ha la febbre alta e deve trovarsi qui da diverse ore visto che i suoi indumenti sono sporchi di terriccio. Dobbiamo trovare un modo per soccorrerlo e portarlo in un posto sicuro al più presto!” mi spiegò frettolosamente lui, prima di pulirgli via un po’ di sangue che gli era scivolato giù dal profondo taglio che gli capeggiava sul volto pallido.

“Poverino … dobbiamo portarlo immediatamente in un ospedale, Mu! Qui in questo paese non abbiamo alcun mezzo per prestargli le prime cure e inoltre se non facciamo subito qualcosa rischia di morire!” esclamai a mia  volta, sempre più agitata. 

“Sakura, l’ospedale più vicino è a Cuorgné, è impossibile portare là questo ragazzo in tempo.  Rifletti, sarebbe meglio invece se ci fermassimo a casa mia; mia mamma, che al momento è assente perché è giù a Pont a fare il suo secondo lavoro, è stata un’infermiera, sa come prendersi cura delle persone. Inoltre è esperta di erboristeria fin da giovanissima, è la persona giusta per prendersi cura di lui” spiegò pacatamente e razionalmente Mu, poggiandomi una mano sulla spalla.

“Quindi secondo te dovremo fare così?” gli chiesi, ancora titubante.

 “ Sì, inoltre non mi sembra saggio farsi notare troppo con un simile individuo al seguito …” mormorò ancora lui in tono apparentemente distaccato. 

Parole che, insieme alla sua stoicissima calma, mi fecero infuriare seduta stante:

“Mu!!! Non ti facevo così freddo, e che cavolo! Questo ragazzo sta soffrendo tantissimo e tu ti preoccupi delle apparenze?! E’ vero, è praticamente identico a mio fratello ma che importanza ha?! La nostra priorità ora è salvarlo, non preoccuparci di quello che diranno i villici se lo dovessero vedere!” gli gridai contro, furente d’ira. 

“Sakura, ti prego di calmarti! Sto solo cercando di analizzare la situazione per agire al meglio! Dalle tue parole e dai tuoi gesti capisco bene che la salute di questo ragazzo ti sta a cuore perché pensi che sia il bambino dei tuoi sogni …” iniziò cautamente lui.

“Non  è che lo penso. Ne sono sicura al 100x100 è diverso!” lo fermai, sbuffando e cominciando a toccarmi nervosamente i capelli. C’era poco tempo, maledizione, che stavamo a fare ancora lì a parlare?!

“Sakura … io sono solo preoccupato per te, vorrei che lo capissi!” ancora una volta  il mio migliore amico mi intercettò la domanda, cogliendomi di sorpresa. 
Ingoiai quindi a vuoto, in attesa di ascoltare il seguito.

“Come pensi che reagirebbero i villici se vedessero una persona praticamente identica a Milo?! E tuo fratello cosa pensi che farebbe?! E  ancora di più i tuoi?! No, Sakura, tu e Milo state rischiando troppo in questa situazione, è meglio se non facciamo sapere in giro che abbiamo trovato questo ragazzo nella radura!” continuò Mu, serio in volto. 

“Come al solito hai ragione, amico mio, ma io non riesco ad essere così razionale in questi frangenti e agisco di impulso … In questo momento la mia priorità è portare al sicuro Cardia!” dissi con determinazione, stringendo i pugni. 

 Mi stava a cuore la salute di quel ragazzo ancora di più della mia vita stessa. Ecco tutto ciò che riuscivo a capire da quella situazione assurda: era folle, era inverosimile, ma lo percepivo con chiarezza dentro di me, quasi come se io e lui fossimo stati in qualche modo legati dal destino e la stessa mano del fato avesse deciso di farmi incontrare con lui proprio in quel momento per qualche scopo preciso.

“ Quindi lo porteremo a casa mia! In due possiamo riuscire a trasportarlo senza faticare troppo. Ti va bene, Sakura?” mi chiese Mu, scoccandomi un’occhiata di intesa. 
“Certo, e farò del mio meglio! Zeus, forza, facci strada!” dissi poi al mio Pastore Belga, il quale si era messo a leccare minuziosamente il viso di Cardia. 

 Lo guardai intensamente, chiedendomi come avesse fatto ad avvertire che qualcuno si trovava in pericolo da così lontano. Si trattava solo di sesto senso o c’era qualcosa d’altro sotto?! Che avesse scambiato Cardia per Milo?  No, non era possibile, e di certo l’odore non era uguale, ma allora cosa aveva guidato le zampe di Zeus?!
 
“U-urgh, ma è pesantissimo!!!” imprecò Mu ad un certo punto, non riuscendo da solo a sorreggere l’ingente peso di Cardia. 

In effetti anche solo dagli indumenti che indossava si poteva intuire bene la robustezza della muscolatura del suo corpo.

“Proprio come Milo … - mormorai, tra uno sforzo e l’altro di sorreggerlo - Dannazione, questo tipo deve fare degli allenamenti pesantissimi per avere i muscoli così sviluppati. Altro che mio fratello che al massimo dorme sul divano in posizioni strane!” commentai ancora, paonazza in volto. 

Riadagiammo Cardia a terra con la massima  cura per evitare di arrecargli altri dolori visto che già sembrava patire le pene dell’inferno. Per trasportarlo efficientemente c’era un’unica soluzione: Mu ed io dovevamo sincronizzarci per sorreggerlo insieme e allo stesso tempo. 

“Beh io direi che al mio tre potremo sollevarlo!” propose Mu, posizionandosi alla destra di Cardia. 

“Quando vuoi io sono pronta!” affermai, decisa, mettendomi dall’altra parte.

“Va bene, uno … due … tre!” 

Al suono  dell’ultima lettera pronunciata da Mu, tirai con tutte le mie forze il braccio sinistro di Cardia, ovviamente coadiuvata dal mio amico che faceva lo stesso dall’altro lato. Finalmente dopo pochi minuti riuscimmo ad issarlo completamente sulle nostre spalle tra imprecazioni e tremolii vari.

 Mi sentivo già stanca per lo sforzo appena compiuto, ma il respiro sempre più affannoso di Cardia mi diede la spinta per non demordere. Non mi sarei mai arresa per nulla al mondo!

“Cardia, forza! Non arrenderti! Ora ti portiamo al riparo e ci prendiamo cura delle tue ferite, non mollare, mi raccomando!” lo incitai con naturalezza, come se lo avessi conosciuto da sempre. 

E forse era proprio così … 

Impiegammo più di un’ora per condurlo fino a casa di Mu e per fortuna, complice l’ora, non beccammo nessuno (tranne una giovane coppia di fidanzati che aveva altro per la testa che non stare ad osservare le nostre manovre di trasporto). 

La casa di Mu era situata più in alto rispetto al centro del paese, per l’esattezza anche abbastanza vicino alla villa dei Megres ma in ogni caso sufficientemente lontana per non avere fastidiosi grattacapi. 

In origine su tre piani ben distinti, la casetta del mio migliore amico, almeno per un imprenditore edile, non offriva alcun dettaglio degno di nota: innanzitutto il tetto  era parzialmente diroccato e quindi soggetto a infiltrazioni, il che rendeva inagibile interamente l’ultimo piano; alcune stanze inoltre presentavano sui muri un’insolita patina verdastra che faceva presagire appieno l’antichità di quella dimora; per ultimo i muri e le pavimentazioni che non erano certo all’ultima moda visto le innumerevoli crepe che sfoggiavano in bella vista. 

Ma allora perché la famiglia di Mu si era trasferita proprio lì e perdurava a vivere in quella casa così malconcia?! 

“Anf, anf… Siamo quasi arrivati, Sakura! Un ultimo sforzo e potremo finalmente riprendere fiato!” mi fece forza il mio amico, indicando dritto davanti a me i muri bianchi, tipici della sua dimora, che si intravedevano già in fondo alla stradina. 

Sorrisi tra me e me, felice di tornare in quel nido accogliente che era la casetta del mio amico; sarà stato per il verde pino di fianco  all’abitazione, o per le scale e le persiane in legno, o ancora per la sensazione di calore che mi avvolgeva ogni volta che entravo, ma quella casetta, era proprio unica nel suo genere. 

In fondo proprio per questo la madre di Mu l’aveva scelta appena era arrivata in questo paese. Non di certo ricercando gli ideali di perfezione come avevano fatto i Megres per la loro villa, ma bensì perseguendo a quei piccoli difetti che rendevano quella abitazione diroccata irripetibile e perfetta per far crescere un figlio. 

In fondo sono proprio i dettagli che trasformano gli oggetti normali in qualcosa di prezioso, e sicuramente tutti i lavori che la madre di Mu aveva attuato per rendere quella casa abitabile per suo figlio, rendevano l’intera abitazione un insieme di particolari perfetti per viverci e crescere insieme. Per esempio sfidando il freddo dell’Inverno nelle notte buie e gelide, magari seduti vicino al caminetto a parlare del più e del meno; o ancora nel cercare una traccia di frescura nei giorni limpidi e afosi che l’Estate portava con sé.

Raggiunta la casa di Mu, ci affrettammo ad entrare al suo interno per far coricare, finalmente, Cardia in un luogo comodo che non fosse la nuda  e umida terra dove lo avevamo trovato. Il mio amico, a questo scopo, scelse il letto ad una piazza e mezza di camera sua e fu proprio lì che adagiammo il corpo quasi rovente del sosia di mio fratello. 

Io non sapevo proprio cosa fare in una circostanza simile, ed ero come paralizzata dalla paura, una paura che, tra l’altro, era apparentemente ingiustificata considerando che la persona che avevo davanti era uno sconosciuto per me, eppure … la determinazione che mi aveva invaso prima era quasi del tutto sparita dal mio essere, sostituendosi con l’incertezza più completa.

Capivo di dover fare qualcosa e anche subito per aiutare Cardia, ma parallelamente la mia mente era incredibilmente vuota e incapace di agire razionalmente.

Per fortuna, a differenza mia, Mu  si era già azionato per dare le prime cure a Cardia:

innanzitutto era subito corso a prendere un bacinella di acqua fredda e dei panni bagnati, poi  aveva aperto con delicatezza i bottoni della polo nera che stava indossando Cardia in modo da scoprirgli il torace e, verosimilmente, controllare i battiti cardiaci.

Io non potevo fare altro che starlo a guardare in trepida attesa mentre passava un fazzoletto inzuppato d’acqua sul collo e sul petto dello sventurato. Provavo fastidio a stare lì senza far niente, ma mi rendevo anche conto che il mio amico Mu era di certo più pratico di me al riguardo e che la cosa più importante era prestargli delle cure immediate ed efficienti.

Tutto ciò che desideravo era che Cardia stesse bene e che aprisse gli occhi … ero così emozionata al pensiero di vederli e solo quelli avrebbero dato la conferma certa che il ragazzo che avevo davanti era  veramente il bambino dei miei sogni.

“Oh … oh no!” esclamò ad un tratto Mu, paralizzandosi all’istante.

Ebbi istantaneamente un tuffo al cuore nel sentire la sua voce così allarmata: 

“Cosa …?! Che succede?!”

“I battiti del suo cuore … continuano ad accelerare a ogni minuto che passa e, di pari passo, anche la temperatura corporea aumenta! E‘ come se … se il suo malessere fosse causato dal cuore stesso anziché dalle ferite!” mi spiegò Mu, sgomento, probabilmente neanche lui riusciva a capire cosa stesse succedendo. 

“O-oddio, ma se continua così …” iniziai, sgranando gli occhi per poi posare una mano sul petto e sulla fronte di Cardia. 

Era vero, il suo cuore sembrava come impazzito da quanto pulsava veloce e irregolare, procurargli così un dolore atroce, proprio come nei miei sogni … ma se la situazione era tale anche nella realtà voleva dire che … 

“Mi dispiace, Sakura, forse avevi ragione tu e dovevamo portarlo nell’ospedale più vicino, ma non ho ancora preso la patente e inoltre non saprei neanche …” biascicò Mu, tremando e serrando le palpebre con forza.
 
“No, Mu, invece è normale che Cardia sia in questo stato … è sempre stato così sin da piccolo!” dissi istintivamente, diventando seria. 

“S-Sakura, cosa vuoi …?” 

“Ha disturbi cardiaci particolari, non servirebbe a niente portalo in un ospedale perché a nulla valgono i loro medicinali e inoltre non capirebbero neanche la vera natura del problema che fa stare così male Cardia!” 

Avevo parlato con una voce che non mi era propria, e infatti l’espressione sgomenta di Mu, a metà tra la paura e la confusione, era un metro ottimo per farmi capire che avevo superato il limite della stramberia.

Ma non aveva importanza. Nella mia testa era tutto perfettamente chiaro, come un raggio di sole all’improvviso, e sapevo finalmente come agire. 

“Servono le erbe medicinali, visto che i farmaci mancano, e qualcuno di cui mi possa fidare ciecamente. Mu, tu rimani qui e dai un occhio alle numerose ferite e i lividi, io vado a chiedere consiglio a Dégel!” affermai, facendo per uscire dalla camera, ma il mio amico mi richiamò. 

“Sakura, sei sicura di star bene?” mi chiese, fissando i suoi occhi nei miei. 

“Sì, Mu, non preoccuparti! So che sembro una pazza isterica ora come ora visto che ho appena sproloquiato come se niente fosse, ma ti chiedo di avere fiducia in me, soltanto questo. E’ come se tutto fosse chiaro nel mio cuore adesso e so finalmente cosa fare” dissi, decisa. 

“Tu … lo sai, ma come fai a saperlo con così tanta convinzione?” mi domandò Mu, ancora scettico. 

“E’ impossibile da spiegare razionalmente … Io lo so e basta! Come sono consapevole che questo ragazzo si chiama Cardia e che è come se lo conoscessi da tanto, tantissimo tempo!” provai a spiegare, sorridendogli.  

“Va bene allora, Sakura! Io … non sono te e non riesco a spiegarmi come fai ad esserne così certa, ma se questo è l’unico modo per salvare una vita preziosa, che così sia! Sakura, mi fido ciecamente di te,  per questo motivo VAI! Io mi prenderò cura delle sue ferite e cercherò di abbassargli almeno la temperatura!” disse Mu, facendomi l’occhiolino per incoraggiarmi. 

Sorrisi di rimando, poggiando una mano sulla maniglia della camera per andarmene, ma nello stesso momento sentii  il naso umido del mio cane darmi delle musate sul braccio.

“Stai tranquillo, Zeus, torno subito! Tu rimani qui con Mu e Cardia, intesi?” dissi al mio ‘cucciolo’, accarezzandogli il folto pelo con entrambe le mani. Il cane uggiolò tre volte fissandomi attentamente negli occhi, poi si diresse da Mu e si sedette al suo fianco.  

Uscii dalla casa del mio amico senza guardarmi più indietro, correndo a più non posso in direzione della dimora dei Delacroix. Gli ultimi strascichi del mio malessere erano da tempo passati, così come la brutta esperienza che avevo avuto con Megres e infatti il giorno seguente sarei andata a scuola ancora più allegra e pimpante di prima proprio per fargli vedere che non mi aveva scalfita. Ma ovviamente sarebbe stato troppo facile passare una Domenica tranquilla, ed ecco lì che il bambino dei miei sogni, Cardia, era piombato nella mia vita sotto forma di un ragazzo della mia età che stava, per giunta, male … 

Sospirai, chiedendomi mentalmente come mai nell’ultimo periodo capitavano cose così strane nella mia vita e se fossero in qualche modo collegate tutte tra loro, ma scacciai velocemente quel pensiero dalla testa, accorgendomi di essere praticamente arrivata a destinazione. 

Ero ormai vicino alla mia meta e le mie gambe, dopo la corsa forsennata, non ne volevano più sapere di muovere un altro passo, ragion per cui fui costretta a rifiatare proprio davanti alla soglia della casa dei Delacroix. 

Passò qualche minuto prima che il dolore alla milza si placasse del tutto così come il tremolio alle gambe (sì forse non mi ero ancora ristabilita del tutto a dispetto di quello che pensavo!) e quando finalmente ciò avvenne le mie braccia si rifiutavano comunque di suonare al campanello.

Non sapevo se Dégel fosse ancora tornato e ancora di più non volevo certo disturbare Camus visto che sapevo del suo malessere. 

“E che cavolo, Sakura, muoviti! Adesso c‘è un‘altra urgenza!” mi rimproverai tra me e me, poco prima di allungare una mano per suonare il campanello …

Nello stesso istante però la porta si spalancò, facendomi compiere tre salti indietro per la sorpresa, il cuore che batteva a mille nell’immaginarmi la figura di Camus uscire dalla sua casa e fissarmi con i suoi occhi blu. Ma, purtroppo per me, non si trattava di lui … 

Strabuzzai più volte gli occhi, ancora più incredula nel constatare che la figura apparsa davanti a me era quella di una ragazza dalla bellezza senza pari. 

Se ne stava lì, appoggiata alla porta che aveva chiuso subito di scatto dietro di sé, con le palpebre serrate in un’espressione furente d’ira. Non mi era quindi possibile vedere il colore delle sue iridi, ma già mi sentivo completamente annichilita davanti a lei: i capelli lunghi di un particolare color nero corvino che assumeva tinte violacee a seconda della luce, la pelle candida e profumata che pareva fatta di seta, le forme armoniose del suo corpo che la rendevano più donna che ragazza … Chi diavolo era la persona che avevo davanti e da quale magico mondo era atterrata?!

“Uhmpf, maledetto Camus, come hai osato prenderti gioco di me fino a questo punto?! Ora stai male e non voglio infierire, ma non pensare che sia finita qui! Sono arrivata in questo paese desolato proprio per questo …” esclamò ad un tratto, stringendo i pugni e aprendo finalmente gli occhi in direzione di una finestra al primo piano. 
Ingoiai a vuoto nel tentativo di farmi piccola piccola per non essere vista, ma sfortunatamente il suo sguardo fu presto catturato dalla mia figura. 

Trasalii all’istante nel momento in cui i suoi occhi viola si posarono su i miei azzurri, accorgendomi ancora di più di quanto sembravo una bambina indifesa a suo confronto. 

“Chi saresti tu?” mi chiese, una volta finito di ispezionarmi con il suo sguardo. 

“S-Sakura, signora!” risposi istantaneamente e con una punta di nervosismo. 

“Pff, ‘signora’ … Non chiamarmi così, intesi?” ridacchiò tra sé e sé, divertita. 

Il mio istinto mi consigliò di abbassare lo sguardo, ma per una qualche strana ragione non lo feci, rimanendo invece a fissarla con un pizzico d’astio.

“Comunque se sei qui vuol dire che conosci questa famiglia, sei per caso la nuova fiamma di Camus?” domandò ancora, con naturalezza. 

“C-certo che no, sono solo una amica di Camus e Dègel!” esclamai con convinzione, non riuscendo però ad impedire alle mi guance di colorarsi di rosso. 

“Però sei arrossita … - constatò ancora lei, avvicinandosi a me - Ti do un consiglio, piccola: finché sei ancora in tempo non innamorarti di Camus, credimi, scappa finché sei in tempo!” mi consigliò, oltrepassandomi per andarsene. 

“E perché, di grazia?!” 

Non seppi spiegare perché ma quella semplice domanda uscì dalle mie labbra in un tono gelido e quasi provocatorio; forse era stato il suo ‘piccola’, che non avevo in alcun modo digerito o forse, più probabilmente, era stato l’aver toccato con così poca sensibilità i miei sentimenti. Insomma come pretendeva quella, che neanche mi conosceva, di dirmi delle frasi simili?!

“Ehi, calmati, giovane tigre, io ti ho dato solo un consiglio!” disse ancora lei, ancora più divertita. 

“Perché? Che ne sai tu di lui o di me?!” aggiunsi, stavolta trattenendo a malapena la rabbia.

“Di te nulla ma di lui conosco tutto, mi dispiace per te. Sei libera di credermi o no, ma non farti troppe illusioni! Non è un angelo come sembra dal suo volto e hai tempo per scoprire il demone che è in lui … Comunque ti saluto, mia giovane amica, se sei del posto di certo ci rivedremo da qualche parte!”  affermò infine, prima di andarsene per la sua strada e lasciare me sbigottita dalla sua ultima frase. 

Un demone che si traveste da angelo … possibile?! Avevo capito fin da subito che Camus  possedeva un carattere glaciale, ma avevo anche imparato a scorgere il calore dietro il suo comportamento algido e distante. Del resto non aveva esitato a ferirsi pur di salvare me da Megres e anche con Golia si era in messo in mezzo per proteggermi. Ormai ci potevamo considerare quasi amici ma in quel momento la frase che la ragazza aveva proferito era stata capace di far vacillare le mie certezze … e se fosse stato tutto un inganno?! 

Scrollai violentemente la testa per scacciare quel fastidioso pensiero dalla mia mente: 

“Non basarti su sciocchi preconcetti, Sakura! Io credo in Camus e nella sensazione positiva che ho avuto di lui, solo questo conta!” riflettei tra me e me, premendo finalmente il campanello senza esitare più.

Non dovetti attendere più di qualche secondo che udii dei passi, coronati da delle imprecazioni francesi, scendere le scale e fermarsi davanti alla soglia. Poco dopo un sonoro ‘click’ segnò l’apertura della porta:

“Che diamine, Pandora, ti ho detto che non voglio più … ugh, Sakura?!”

Ecco, era successo di nuovo … ero completamente paralizzata davanti a lui e non tanto per il nome che aveva pronunciato, ma bensì per la tenuta (o meglio la non tenuta) con cui Camus si era palesato davanti ai miei occhi. 

“S-Sakura, che  diavolo fai qui?!” biascicò ancora lui, cercando di coprirsi con un braccio l’addome nudo.

Era infatti privo di vestiti nella parte superiore del corpo dove l’unica zona parzialmente coperta da una benda era il fianco sinistro dove il pugno di Megres aveva colpito senza pietà. Sotto invece indossava i pantaloni del pigiama, ma in quel momento ero troppo presa ad ammirare i suoi addominali per accorgermene con nitidezza. 

“O-ohibo, scusami, io non pensavo che …” biascicai, una volta ripresa dalla visione,sforzandomi di guardarlo in faccia.

“L-lascia perdere, va bene? Piuttosto, perché sei qui?” domandò lui, cercando di rendere meno imbarazzante la scena. 

Distolsi lo sguardo, accorgendomi del tono sofferente che riusciva a mal celare dietro il leggero tremolio della sua voce. 

“C’è Dégel? Ho un bisogno disperato di lui adesso!” dissi tutto di un fiato, trovando nuovamente il coraggio di guardarlo in faccia.

Le sue sopracciglia assunsero una piega strana, indecifrabile … quasi infastidita, tanto che mi fecero temere chissà quale reazione da parte sua, invece si limitò a darmi le spalle. 

“Entra.” proferì in tono glaciale, lasciando la porta spalancata. 

“No, Camus, non voglio disturbarti oltre visto che stai ancora così male. Vorrei solo sapere se Dègel è già tornato o è ancora fuori!” insistetti, posandogli una mano sul braccio. 

“Mio fratello non c’è da un po’ e non so quando tornerà perché è andato a prendermi quelle stramaledette medicine! Uff, si preoccupa sempre troppo per me, in realtà io sto già più che bene!” rispose lui, sforzandosi di mascherare il dolore.

“Non mi sembra proprio, Camus! Ti reggi a malapena in pieni, è naturale che Dègel si preoccupi così tanto per te!” proferii, facendo qualche passo all’interno della casa. 

“Che ti importa?! Non sei venuta qui solo per parlare con mio fratello?!”  esclamò per tutta risposta lui, stavolta non curandosi di celare il suo disappunto. 

Per questo motivo rimasi completamente basita dalle sue parole, mentre lo vidi chiudere la porta dietro di me con la mano sinistra. Che avevo detto di nuovo di sbagliato?! Uff, era mai possibile che Camus fosse sempre così intrattabile?!

“Puoi aspettare il suo arrivo in cucina mentre io mi vado a mettere qualcosa addosso. Cerca di non combinare qualche guaio in casa mia, intesi?!” aggiunse, brusco, dirigendosi poi verso camera sua. 

“Dannazione, Camus, puoi finirla di fare il finto algido con me?!” esclamai in tono irritato, acciuffandolo per un braccio. 

Lui non si scostò e non ribatté nulla, si limitò ad inarcare nuovamente un sopracciglio con fare inquisitorio. Proprio di un bel tipo mi ero innamorata, eh?! E brava Sakura!
“Ascolta, se sono venuta a cercare Dègel è per una ragione ben precisa, non pensare minimamente che ti stia bistrattando!” spiegai, guardandolo dritto negli occhi con tutta al decisione che possedevo in quel momento.

“Davvero? Perché da quando sei qui non fai altro che chiedere di lui, ed io …” 

“MI DISPIACE, VA BENE!?” 

Camus spalancò le iridi blu scure, mostrandomi finalmente un’espressione diversa dalla sua solita aria di impassibilità: la più completa sorpresa.

“Sì, mi dispiace immensamente. Sei in queste condizioni per colpa mia ed io non posso fare niente per te. Anche Dègel sta sgobbando all’inverosimile per trovare una medicina che possa alleviare le tue sofferenze, e questo, ripeto, per causa mia - gli dissi, poggiandogli istintivamente una mano sopra la garza che gli copriva la parte lesa - Ma una persona rischia di morire e l’unica speranza è proprio tuo fratello. Ti prego, è il solo che conosco e di cui mi fido che ha qualche conoscenza medica!” conclusi, tremando appena. 

Movimento che non passò inosservato agli occhi di Camus: 

“S-Sakura, che cosa sta succedendo?! Qualcuno della tua famiglia sta male?” mi domandò in tono più dolce, poggiandomi una mano sulla spalla (un abbraccio probabilmente lo avrebbe imbarazzato troppo). 

Sulle prime fui tentata di rispondere con un ‘sì’ senza neanche saperne il motivo, per fortuna fui veloce a non cadere nell’errore: 

“N-no però … è tutto così strano, Camus, non saprei neanche come spiegarti!” biascicai, tesa, iniziando  a balbettare frasi sconnesse tra loro.

“Calmati adesso, non serve a nulla agitarsi se devi salvare qualcuno, anzi, occorre mantenere il sangue freddo, hai capito, Sakura?” mi consigliò lui, notando il mio malessere. Poi mi accarezzò una guancia con il pollice dell’altra mano, permettendomi inoltre di inclinare leggermente la testa per assaporare meglio quel contatto.
Presi un profondo respiro, cercando di scrollarmi via di dosso tutta l’ansia che stavo provando per Cardia e per il tempo che era già trascorso da quando avevo lasciato Mu e Zeus. Sorrisi rasserenata, puntando nuovamente gli occhi in quei due zaffiri splendenti che erano quelli di Camus. 

“Bene così, Sakura! - asserì lui, incurvando leggermente le labbra verso l’alto in una leggerissima manifestazione di letizia - Ora aspetta in cucina l’arrivo di mio fratello, io ci metterò un attimo a mettermi qualcosa addosso” aggiunse poi, staccandosi e iniziando a salire, non senza poche difficoltà, le scale che conducevano alla sua camera.
 
Mi diressi quindi in cucina dove mi sedetti subito sulla sedia più vicina, ma uno schiocco famigliare catturò quasi subito la mia attenzione, focalizzando il mio sguardo in direzione di una palla di piume scure che non accennava a fermarsi un attimo. Sopra una delle mensole, infatti, c’era la taccola che avevo soccorso e di cui Dègel si era preso cura. 

“Ooohh, mi sembri in discreta forma adesso!” dissi felice, alzandomi e dirigendomi cautamente verso di lei.

“Kyaaaa!” gracchiò lei, sbattendo energicamente l’ala sana mentre saltellava qua e là per la credenza. 

Sorrisi a quella vista, constatando che l’uccellino non aveva più paura degli uomini e che anzi si faceva anche accarezzare la testolina con un dito. Sicuramente era stato merito delle cure che gli aveva riservato il fratello gemello di Camus.

“E’ incredibile come riesca a farsi amare da tutti con così poco … questa taccola era impaurita e ferita … come me … e in poco tempo Dègel è riuscito a fare breccia nel suo cuore con i suoi modi cordiali e gentili” pensai tra me e me, ammirata.
 
Così persa a guardare i movimenti allegri della taccola, non mi accorsi neanche del rumore della porta che si apriva e si chiudeva e del suono cristallino che era la voce di Dègel: 

“Camus, sono a casa! Ti ho portato qualcosa di utile per alleviare il dolore!” affermò, mentre il rumore dei suoi passi si diffondeva per tutto il piano terra.

Sussultai per la sorpresa, prendendo istantaneamente la rincorsa verso l’atrio per fare più in fretta possibile. 

“Dégel, grazie al cielo sei qui!” esclamai, abbracciandolo di botto.

Lui, non aspettandoselo, fu costretto ad appoggiarsi alla porta per evitare di cadere; poi, constatato che non ero affatto un’allucinazione, fissò stupito le sue iridi nelle mie. 

“S-Sakura?! Cosa ci fai qui?! Non eri a fare una passeggiata con il tuo migliore amico?” mi chiese, piegando leggermente la testa di lato. 

“S-sì però, vedi, c’è stato un problema e tu sei l’unico di cui mi fido che può fare qualcosa per questa persona” spiegai, imbarazzata oltremisura nel fargli una nuova, pressante, richiesta.
 
“Cosa succede, Sakura? Dal tuo tono sembra una questione piuttosto urgente … per caso un tuo famigliare sta male?” domandò lui, poggiando il sacchetto di plastica contenente le medicine su uno scaffale lì vicino. 

“No, non è un suo famigliare, ma non ho recepito altro al riguardo, solo che non lo sa spiegare neppure lei” intervenne Camus, scendendo lentamente le scale. 

Aveva indossato una camicia di lino abbastanza leggera e continuava a stringersi il fianco con un’espressione dolorante stampata in volto. 

“Camus, dannazione a te, che diavolo fai in piedi conciato come sei?! Ti ho detto che può essere pericoloso muoverti nelle tue condizioni!” esclamò Dègel, assai allarmato nel vedere suo fratello sforzarsi di camminare in maniera normale. 

“E’ venuta Pandora a farmi visita, non chiedermi come abbia fatto a ritrovarci e dove andrà a stabilirsi …” disse solo il fratello minore, in tono grave. 

“P-Pandora?!” ripeté Dègel, sgranando gli occhi per poi fissare con sguardo spento il pavimento. 

“Esatto … subito dopo di lei è arrivata Sakura e quindi non ho avuto il tempo materiale per tornare a sdraiarmi sul letto. Comunque sto bene!” concluse, minimizzando come suo solito.  

Dégel rimase in silenzio per qualche secondo, gli occhi vitrei all’inverosimile e un leggero tremolio a scuoterlo, poi improvvisamente si riscosse e tornò a guardarmi: 

“Dunque cosa succede, Sakura?”

“E davvero difficile da spiegare, tuttavia ci proverò …” 

Presi un profondo respiro, apprestandomi a raccontare tutto, persino i dettagli in apparenza insignificanti. 

“… E questo è quanto. Non so davvero come sia possibile tutta questa faccenda, né l’aspetto così simile a quello di Milo, né tanto meno che io lo conosca attraverso i miei sogni. Però una cosa è certa: se non facciamo qualcosa morirà ed io … non potrei mai perdonarmelo!” 

E di nuovo, repentinamente, l’ultima frase uscì dalle mie labbra quasi inconsciamente, come se una forza dentro di me sapesse già tutto. Io ero sempre più confusa e, se possibile, spaventata, ma avrei dovuto fare in fretta a ritrovare il coraggio e la calma, proprio come mi aveva consigliato Camus: una persona necessitava del mio aiuto!
Dègel fece qualche passo nell’atrio, una mano sotto il mento a testimonianza del suo atto di pensare, poi ad un tratto si voltò verso di me, poggiandomi le mani sulle spalle e sorridendomi calorosamente.

“Sakura, io non so rispondere ai tuoi dubbi e paure, ma ho intrapreso l’università di medicina proprio per aiutare gli altri e il primo dovere di un medico è salvare vite.

Portami da lui, farò tutto ciò che è in mio potere per capire cosa ha e per farlo stare meglio!” esclamò deciso, guardandomi negli occhi. 

Di nuovo avvertii l’impulso irrefrenabile di abbracciarlo per manifestare la mia contentezza, ma feci del mio meglio per trattenermi: 

“G-grazie io … non so cosa dirti, sei sempre così disponibile da quando sei arrivato e questo malgrado io sia una piaga vivente che ti continua a fare richieste su richieste!” dissi solo, tremando per l’emozione. 

“Non dirlo neanche per scherzo! E’ un mio preciso dovere aiutare gli altri ed è la cosa che mi rende più felice al mondo!” ribatté lui, scompigliandomi i capelli per poi mettere una mano sulla maniglia della porta. 

“Perfetto, allora se è tutto deciso vengo anche io, datemi solo il tempo di prendere la giacca” intervenne Camus, dirigendosi verso l’attaccapanni. 
“C-cosa?! Neanche per sogno! Hai la febbre alta e …” iniziò Dègel, categorico.

“Sto bene. Sono sotto l’effetto della tachipirina, l’unica cosa che avverto in questo momento è solo un leggero dolore al fianco!” tagliò corto  l’altro, inarcando un sopracciglio come suo solito.

“Tu non ti muovi di qui, chiaro?! O io …” 

“Tu cosa? - la voce di Camus era diventata freddissima - Non puoi in alcun modo impedirmelo, meno che mai adesso che non sono al pieno delle mie forze! Ti conosco troppo bene … Non faresti mai del male alle persone, figurarsi se malate!” 

Dégel sospirò sonoramente, fissando per attimi interminabili suo fratello tutto intento ad indossare la giacca, poi decise di riprendere il discorso. 

“Fratellino … che devo fare con te?!” commentò, sorridendo amaramente. 

Il nomignolo datogli ebbe il potere di rendere l’espressione di Camus molto meno fredda e distante del solito. 

“Uff, dovresti saperlo … Tu ti preoccupi tanto per gli altri ma poi finisci sempre per affaticarti troppo. Non voglio farti fare le cose sempre tutto da solo, specialmente dopo quella volta in cui non ho potuto fare niente!” ribatté lui, sbuffando divertito. 

“C-Camus …” 

“Devo farlo, capisci? Per te … e per Sakura … - sussultai pesantemente al suono del mio nome appena sussurrato - Sei tu il futuro medico qui, è vero, però voglio almeno accompagnarti là e sostenerti nell’unico modo che conosco!” concluse poi, sorridendo appena.  

“Io … grazie davvero, fratellino, tu sei sempre stato al mio fianco, sempre! Tu solo sei riuscito a sorreggermi in quella situazione disperata e sempre tu mi hai teso la mano per farmi rialzare … Se non fosse stato per la tua ferma volontà la mia anima sarebbe finita in frantumi!” mormorò Dègel, mentre i suoi occhi diventavano lucidi. 
“Non chiamarmi ‘fratellino’! Quante volte te lo devo ripetere che non lo sopporto?! - ridacchiò Camus (e rimasi letteralmente incantata), abbracciando suo fratello con sincero affetto - Ciò che hai passato avrebbe distrutto chiunque, non potevo lasciarti solo!” aggiunse poi, allontanandosi leggermente da suo fratello ma continuando a stringergli una mano con forza. 

Distolsi lo sguardo, sentendomi per la milionesima volta di troppo e del tutto ignara di quello che aveva passato Dégel. Fin da quando li avevo conosciuti ero stata capace soltanto di chiedere loro favori su favori e loro non si erano mai lamentati delle mie richieste assurde. Mi avevano saputo dare così tanto in così poco tempo … affetto, sincerità, cure e attenzioni … Io invece cosa avevo fatto per loro?! Nulla … un niente privo della ben che minima importanza! 

Una mano sopra alla mia testa … 

“Scusa per l’attesa, Sakura, ma ora sono pronto a seguirti! Conducimi dal tuo amico immediatamente!” disse Dègel, tornando quello di sempre.

Chiusi gli occhi, stringendo forte i pugni: 

“Dègel e Camus … - li chiamai, poco prima di prendere un profondo respiro - Vi prometto, anzi vi giuro che io … TROVERO’ UN MODO PER SDEBITARMI CON VOI DUE E PER RIPAGARE TUTTE LE GENTILEZZE CHE MI AVETE SAPUTO DAREEEEE!!!”  

Proferii l’ultima frase velocemente, forse eccedendo anche con la voce, che raggiunse senza problemi il volume di 100 decibel.  In seguito allo sforzo fui costretta a rifiatare, piegandomi in due sulle ginocchia. 

Camus e Dègel sbatterono più volte le palpebre, confusi dalla mia reazione, almeno finché quest’ultimo non si decise a parlare: 

“S-Sakura, non ce ne è bisogno, davvero, noi …” 

“Ve l’ho promesso, Dègel! Saprò esservi utile in qualche modo, vedrete!” affermai ancora, allegra. 

“Sakura, tu sei … davvero una splendida persona! - mormorò solo Dégel, regalandomi un buffetto sulla guancia - Non so davvero che dire davanti alla tua affermazione, se non … grazie anche a te!” concluse, arrossendo leggermente. 

Annuii, sentendomi davvero felice di poter essere apprezzata da qualcuno e desiderosa più che mai di non tradire la fiducia che i due fratelli avevano riposto in me; poi uscii dalla porta, preparandomi a ritornare a casa di Mu il più velocemente possibile 



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Angolo di MaikoXMilo 
Saaaalveeee sono tornata con un nuovo capitolo della Valle che era in pausa da un bel po’! Che dire? Oltre a Cardia è apparsa anche Pandora, che ruolo avrà?! * oltre a me in che senso se sono ancora su uno schifosissimo letto che sto male?! Autrice!!! Voglio menare qualcuno!!! (ndr Cardia)  Cardia, taci che è meglio … posso farti fuori, lo sai?! XD (ndr me) … … (ndr Cardia)* Okei, tornando a noi … dove ero rimasta? Ah sì! Sakura ha un forte desiderio di ricambiare il favore ai due fratelli visto che ha sempre chiesto a loro per tutto. Ce la farà la nostra eroina ad essere utile??? Ehe, di certo avrà un ruolo fondamentale nelle vite di Camus e Dègel! 
Beh è il momento dei saluti, scusate per il ritardo colossale nel pubblicare questo capitolo ma alla fine ce l’ho fatta! Grazie di cuore a tutti (come sempre del resto) e arrivederci alla prossima punta … cioè capitolo! XD

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Capitolo 14
*** Ritorno a scuola ***


Capitolo 13: Ritorno a scuola

 

“Mmm …”

“E allora, Dégel, puoi dirci qualcosa? In che condizioni versa?” chiese Mu, rompendo il silenzio che già da un po' presiedeva questa stanza. Troppo.

Io non avevo avuto il coraggio di aprir bocca durante la ‘visita’ minuziosa che il maggiore dei fratelli Delacroix aveva riservato a Cardia, tanto meno riuscivo a muovermi liberamente per la stanza.

Era come se il freddo penetrante di un inverno che si cominciava ad avvertire avesse invaso le mie membra, rendendole fiacche e pesanti… era come se il malessere del ragazzo, che mi ostinavo a chiamare ‘Cardia’, mi colpisse intensamente, provocandomi un dolore lancinante al torace e all’addome.

Mi sentivo completamente paralizzata e non avevo la minima idea di come fare ad uscire dal mio torpore. Semplicemente ero lì, ritta in piedi accanto alla sponda del letto, tutta la mia attenzione rivolta alle manovre di Dègel che faceva del suo meglio per dare una diagnosi adeguata al ragazzo che si trovava lì davanti.

Camus invece era seduto su una sedia, la mano destra posata sul fianco ferito e una leggera smorfia di dolore a solcargli il viso candido. Vicino a lui stava il mio cane, Zeus, seduto e composto con la lingua a penzoloni in un’un espressione che poteva facilmente ricordare l’attesa trepidante.

Talvolta gli occhi di Camus si soffermavano a lunga sulla mia figura, ma si affrettavano anche a distogliere lo sguardo per tornare ad osservare il proprio fratello, evitando così di incrociarsi con i miei.

“Mmm, Mu, a dirla tutta non so dirti con certezza cosa abbia. Di certo le ferite e il clima freddo hanno influito molto sulla sua febbre, ma sono altrettanto sicuro che la causa principale risieda altrove…“ affermò infine Dègel, dopo una lunga pausa.

Tutti lo guardammo sbigottiti, persino Zeus sembrava catturato dalla sua voce.

“Come sarebbe?” interloquì Camus, non capendo le parole del fratello.

Dègel sospirò pesantemente, passandosi una mano sulla fronte per scacciare via alcune gocce di sudore che gli erano colate precedentemente dalle tempie.

“Significa che ho controllato i battiti del suo cuore e sono molto più veloci del normale. Questo stato patologico può essere dato da varie cause, tuttavia, nel suo caso specifico, temo un qualche malfunzionamento della valvola dell’organo in questione. Temo… temo di non poter fare molto in questa circostanza!”

“In sostanza una malformazione cardiaca presente dalla nascita!” dissi improvvisamente io, senza quasi accorgermene.

“Ho le mie ragioni per crederlo…” mormorò afflitto Dègel, poggiandosi al muro.

Nella stanza ricadde nuovamente il silenzio e questo mi permise di mettere insieme i miei pensieri una volta per tutte: sapevo il nome del ragazzo; lo sapevo ancora prima di conoscerlo veramente. Ero anche già a conoscenza della sua malattia, senza contare i frequenti sogni su di lui… ma come spiegare un simile avvenimento soprannaturale?

“Tu… lo sapevi già, Sakura! Come… come hai fatto?!”

La voce del mio amico Mu mi fece tornare nel mondo reale, un po’ frastornata dal tono così acuto del mio compagno di classe.

“Prego? Che significa?” domandò Dégel, non riuscendo a capire la perplessità di Mu.

“Sakura aveva già affermato qualcosa sui problemi cardiaci di questo ragazzo, eppure non lo abbiamo mai visto qui in paese e tanto meno sappiamo chi sia, anche se, per qualche ragione, è assai simile a suo fratello Milo!” cercò di spiegare il mio amico, un po’ titubante.

“Cardia… il suo nome è Cardia!” dissi ancora, leggermente infastidita dall’ottusità di Mu che continuava a chiamarlo ‘quel ragazzo’, nonostante gli avessi già spiegato che era proprio lui il bambino dei miei sogni. Lui capì il mio velato tono di accusa, decidendo di tacere e di aspettare la reazione degli altri, cosa che non si fece attendere.

“Cosa dovrebbe significare questo, Sakura? Stiamo parlando di cose realmente possibili? Tu… lo conosci senza averlo mai visto?” intervenne infatti Camus, scettico.

Ingoiai a vuoto, nella vana speranza di temporeggiare per trovare una soluzione alla situazione assurda che si era creata. Che Mu non mi credesse era lampante, oltretutto avrei potuto farmene anche una ragione nella convinzione che, prima o poi, sarei riuscita a fargli comprendere le mie emozioni e certezze. Ma con Camus… con Camus era nettamente diverso!

“Come ho già detto… è difficile da spiegare se non ci si trova invischiati dentro”

“Qui non è questione di esserne invischiati, stiamo semplicemente parlando di una cosa impossibile!”

Pratico. Dritto al punto. Quasi spietato.

Strinsi con forza i pugni, cercando di non far trasparire il fatto di aver incassato il colpo, fortunatamente fu Dégel ad intervenire, deviando il discorso.

“Questo è assolutamente irrilevante, soprattutto non aiuta questo ragazzo a star meglio. Mu, hai delle bende in casa? Del disinfettante? Se non possiamo fare nulla per il suo cuore almeno rimedieremo a queste ferite” spiegò risoluto Dégel, guardando il mio migliore amico. L’interpellato annuì con la testa, correndo poi a recuperare il materiale richiesto.

“Dégel, cosa puoi fare per aiutarlo? Sembra stare così male…” gli chiesi, avvicinandomi lentamente a lui.

Lo sguardo scrutatore di Camus era per me insostenibile, mi faceva sentire sempre indifesa e in balia di qualcosa di troppo arduo per me. In quella particolare situazione, poi, lo avvertivo ancora di più, come se il fatto di avere Cardia lì mettesse ancora più a nudo la mia anima.

Dégel sospirò, tornando a concentrarsi sul volto del ragazzo così simile a Milo.

“Come dicevo prima… non c’è molto che possa fare per il suo cuore, servirebbe il parere di un vero medico per questa questione. Per il resto, ovvero le ferite e la febbre alta, occorre senz’altro tanto riposo coadiuvato dalle medicine giuste, su questa questione ne parlerò direttamente con Mu, visto che la casa è sua. Mi sembra di aver capito che sua madre è esperta di erboristeria…”

“E’ esattamente così, Dègel, ma è strano che, un futuro medico come te, non sia contrario a questo sistema” affermai, incrociando le braccia al petto.

“Prediligo di certo l’uso della medicina ufficiale a quella, per così dire, popolare, fatta di erbe medicamentose, tuttavia è un indispensabile aiuto per la prima, soprattutto in luoghi sperduti e lontani dagli ospedali come questo” mi spiegò lui, sorridendo con dolcezza. Annuii con un gesto meccanico, tentando di non far trasparire troppo la mia ansia crescente. Io meno di tutti potevo fare qualcosa in una situazione simile, non potevo far altro che fidarmi ciecamente delle teorie di Dégel. Nel frattempo ritornò Mu con il materiale richiesto dal più grande fra noi (anche se di poco, come ripeteva sempre Camus), rimanendo quindi in silenzio ad osservare le sue manovre. Lo scrutai di sottecchi, chiedendomi tacitamente cosa pensasse di quella situazione. Cardia non aveva un posto dove andare in paese, tanto meno poteva essere ospitato da me, sarebbe quindi rimasto in quella casa, alle cure della madre del mio migliore amico, ma ella avrebbe accettato quella situazione assurda? Che dire? Che fare?

Mi grattai rassegnata la testa, sempre più tesa davanti a tutto quello che era successo quel giorno: un vero e proprio fulmine a ciel sereno!

Camus intanto dava segni di stanchezza, lo potevo presagire da quel suo sguardo sempre più spento e fiacco, del resto non stava ancora bene, lo sapevo, anche se non lo avrebbe mai ammesso. Fortunatamente anche Dègel se ne accorse, rivolgendogli così parole dolci:

“Fratellino, ho quasi finito qui, resisti ancora un poco!”

“Guarda che non c’è bisogno di dirmi questo, io sto…”

“…Bene, giusto? - lo interruppi io, guardandolo seria - Sì, lo sappiamo che tu stai SEMPRE bene, ma intanto non c’è molto che possiate fare qui, quindi tanto vale che torniate a casa a riposarvi” conclusi, facendogli la linguaccia. Camus mi fulminò con lo sguardo, malgrado il colorito delle sue gote che si fece più arzillo.

Dègel aveva ormai praticamente finito di medicare le ferite di Cardia con estrema cura. Per il cuore invece non c’era molto da poter fare, si sapeva.

“Ho fatto il possibile per lui… penso che con un po’ di riposo e i giusti medicamenti possa ristabilirsi, tuttavia… Mu, devo chiederti un grosso favore”

“Lo terremo qui, non preoccupatevi, spiegherò la situazione a mia madre, fortunatamente non ha mai visto Milo, quindi posso agilmente inventarmi una storia, sebbene non mi aggrada mentire”.

Dégel annuì con un accenno del capo, poi si alzò elegantemente, andando a recuperare la giacca. Camus lo seguì, un po’ incerto sulle ginocchia.

“Sakura… stante la situazione domani non verrò a scuola, ma tu vai, mi raccomando, del resto hai già saltato una settimana, non posso chiederti di più”.

Istantaneamente sbiancai, non avendo presagito un simile risvolto.

“Quindi domani devo andare a scuola da sola? Devo proprio?!?” esclamai, tremando appena. Certo, di tanti anni di Superiori era già capitato qualche assenza di Mu e sebbene non saltassi di gioia all’idea di affrontare Megres e i suoi scagnozzi, ci andavo comunque a testa alta. Tuttavia gli ultimi fatti probabilmente mi avevano sconvolta più di quel che credevo. Sentii con distinzione un brivido percorrermi la schiena, colpita ferocemente da quell’idea che mi era rimbalzata in testa. Io a scuola da sola, con Megres, che solo una settimana prima mi aveva cercato di…

“Mi spiace tanto, Sakura… capisco quello che provi ma domani mia madre non c’è durante il giorno, non posso certo lasciare da solo questo ragazzo” mi spiegò Mu pratico, accarezzandomi delicatamente la testa per rincuorarmi.

Annuii con poca convinzione, tuttavia riuscii comunque a regalargli il sorriso più raggiante che potessi possedere in quel momento.

“Sì, hai proprio ragione! Prenditi cura di lui, te ne prego …”

Da sola. A scuola. Con Megres. Dopo una settimana.

Cercai di scacciare dalla mia mente quel pensiero, dicendo a me stessa che andava fatto e basta.

“Comunque, Sakura… se domani sera venissi a dormire da me sarebbe un problema? Così mi racconti come è andata ed io ti dico come sta Cardia, come lo chiami tu. Sono sicuro che, se siete davvero collegati in qualche modo, avrà piacere ad avvertire anche la tua presenza” continuò Mu, cercando di incoraggiami.

Stavolta annuì con più convinzione, il pensiero di non dover passare almeno la serata con i miei genitori mi faceva stare dannatamente bene. Era solo questione di resistere la mattinata, quindi poche ore soltanto: era decisamente un quadro molto più roseo di quello precedente.

In quel momento rientrarono Dégel e Camus, quest’ultimo si avvicinò a me con passo diretto, tanto che devolsi tutti i miei sforzi per non trasalire nel vedermelo così vicino. Sempre senza aggiungere altro mi prese delicatamente la mano sinistra, nella quale mi lasciò qualcosa. Lo fissai sbigottita ancora per qualche secondo, poi decise di vedere di cosa di trattasse, facendomi così girare tra le dita un pezzo di carta in cui era stato scritto un numero. Sgranai gli occhi, certa di sbagliarmi, tuttavia le sue stesse parole bloccarono sul nascere la mia ipotetica domanda.

“Se te lo stai chiedendo, sì, è il mio numero di cellulare, - affermò infatti lui, allontanandosi di due passi da me e discostando lo sguardo - dopo quello che è successo qualche giorno fa non mi sento tranquillo a non avere contatti con te. Inoltre sei anche una combina guai impulsiva che non pensa un attimo prima di agire, quindi ho pensato fosse la soluzione migliore per…”

L’imbarazzo di qualche secondo prima svanì all'stante, sostituito dalla faccia più falsamente offesa che potessi esprimere.

“EHI, non sono così stupida, Cam…”

“Fammi finire di parlare, testa! - mi fermò immediatamente lui, tornando a guardami negli occhi, il suo meraviglioso sguardo aveva qualcosa di inspiegabilmente caldo, ma non riuscii a comprendere di cosa si trattasse - E’ da quando ti ho conosciuto che non fai altro che compiere azioni sconsiderate, in che altro modo potrei definirti?”

Fissai istintivamente il muro, colpita nel segno. L’attacco di Golia, il recupero dei libri tra i rovi, il salvataggio della taccola… effettivamente chiunque avrebbe pensato che la mia caratteristica distintiva fosse l’impulsività, a maggior ragione un temperamento così abituato a ponderare bene ogni cosa prima di agire come era Camus. Eravamo diametralmente opposti, c’era poco da dire, eppure… eppure pensavo a lui sempre più spesso, malgrado le nostri grandi divergenze.

“Quando tengo a qualcuno sono così, non ho tempo per pensare…” gliela buttai lì, mordendomi la lingua immediatamente dopo. Per quanto ancora sarei riuscita a fingere? Per quanto?!

Inaspettatamente mi sorrise, cosa che, tra parentesi, mi mozzò irrimediabilmente il fiato, peggio di un pugnale affilatissimo. Quel suo modo di porsi in maniera così naturalmente disarmante mi mandava sempre più in confusione, trasmettendomi sensazioni di difficile portata per il mio cuore già in subbuglio.

“Fai come ti dico io allora, renderà entrambi più tranquilli: sentiti libera di scrivermi quando vuoi, soprattutto PRIMA di combinare qualsiasi pasticcio come tuo solito, o anche… se domani ti senti sola in classe…” concluse poi, abbassando improvvisamente il tono nel pronunciare l’ultima frase. Non impedendo comunque a me di udirlo e di diventare inequivocabilmente rossa.

 

 

* * *

 

“ …Così questa è la fine della vita di una Nana Gialla. Per quanto concerne invece le stelle più grosse, il processo di esaurimento è nettamente diverso e molto più improvviso…”

Guardai distrattamente fuori dalla finestra della scuola, in cerca di un sole che non si faceva vedere. Un’altra giornata uggiosa era iniziata e, lo dovevo ammettere, detestavo follemente quel tempo che non significava niente. Se almeno avesse piovuto decentemente...

“…Dando così vita ad una gigantesca esplosione che viene chiamata ‘supernova’. Va da sé che questo generi di fenomeni non avvengono nel nostro sistema, in quanto la nostra stella madre è il sole che, come detto in precedenza, arrivata alla fine della propria vita, comincerà a bruciare l’idrogeno dei suoi strati esterni, diventando cento volte più grande” continuò la professoressa di Scienze della Terra e degli Astri, una strana luce nei suoi occhi leggermente allungati.

Conoscevo quasi a memoria quell’argomento, essendo, sin da piccola, appassionata dell’astronomia, ai pianeti, alle stelle e a quant’altro, ma era sempre un piacere ripassarli.

Proprio come aveva detto Mu il giorno prima, il mio amico non era venuto a scuola per occuparsi di Cardia, ancora svenuto. Mi soffermai a pensare a loro, un po’ contrita da trovarmi in quel luogo invece che con gli altri. Fortunatamente anche Megres e il rospo erano assenti quel giorno, evitandomi così la parte peggiore. Certo ero sola, non avendo alcun rapporto con gli altri, ma sempre meglio così che ritrovarmi a tu per tu con quello lì e il suo servo fedele. Sospirai sonoramente, mettendomi a scribacchiare qualche appunto extra. Avevo già parlato con la professoressa di Chimica, accordandomi con lei di recuperare la verifica perduta con una interrogazione che sarebbe stata a data da destinarsi, alias quando più aggradava a lei. Non aveva importanza: dopo le ripetizioni con Camus mi sarei fatta trovare pronta, in modo da renderlo orgoglioso di me. Sussultai al ricordarmi quel nome, mentre il cuore accelerava di botto. Già, Camus mi aveva dato il suo numero di cellulare e ciò mi procurava una felicità quasi innata al solo pensiero che avrei potuto sentirlo sempre, in qualsiasi momento avessi voluto.

La campanella suonò e con essa la fine della terza ora: ricreazione!

Rimasi seduta nel mio banco, rovistando nel mio zaino alla ricerca della merenda scomparsa tra i fogli, i libri e i quaderni. Nel frattempo tutti intorno a me si erano alzati, recandosi giù nel cortile per respirare un po’ di aria fresca. Io no, ovviamente. Con gli altri non avevo niente da spartire, in più c'erano delle urgenze ben più gravi in quel momento.

Presi infatti il cellulare, premendo distrattamente i tasti alla ricerca del numero di Camus. Impiegai poco a trovarlo ma immediatamente mi fermai. Volevo con tutto me stessa scrivergli, chiedergli qualcosa, insomma sentirlo, ma non avevo la più pallida idea della scusa da trovare per farlo. E se poi non mi avesse risposto? Se mi avesse mandato al diavolo? Ero completamente terrorizzata all’idea di fare un passo falso, soprattutto in quel momento che, finalmente, ero riuscita parzialmente ad avvicinarmi a lui. Avvertivo con nitidezza un nodo nello stomaco nel rimembrarmi alla perfezione i suoi gesti, le sue parole, tutto.

Nello stesso momento però un’altra immagine si insinuò fastidiosamente in me: la ragazza che, solo il giorno prima, avevo visto uscire dalla casa dei Delacroix. Chi diavolo era, quella?!

Automaticamente il mio cervello mi riportò particolari fastidiosi (o almeno, lo erano per me) della sua figura che non avevo considerato il giorno prima: le sue labbra carnose tracciate da un rossetto viola, i suoi abiti neri, i suoi occhi magnetici. Era dannatamente bella e avvenente, maledizione!

“S-Sakura, posso parlarti un attimo?”

Trasalì all’istante, rizzandomi in piedi come se mi avessero dato un poderoso calcio nella schiena:

“Non ho fatto niente, lo giuro!” gridai, voltandomi di scatto, ma la figura che mi ritrovai davanti mi immobilizzò completamente. Era Unity.

Lo fissai sbalordita, quasi certa di trovarmi davanti ad una visione. Invece no, era proprio lui, il suo sguardo sfuggente faceva da sfondo al suo atteggiamento remissivo.

“Devo parlarti un attimo, ma non qui, andiamo nella stanza con la televisione” disse solo lui, facendomi strada. Lo continuai a fissare incredula, mentre, con gesto elegante dei suoi capelli raccolti in una coda, mi faceva strada. Non avevo altra scelta che seguirlo, e così feci. Entrammo nell’aula adibita alla visione dei documentari, rimanendo però con la luce spenta. Tutto quel mistero mi puzzava, così come il suo voler parlare proprio con me, non eravamo forse nemici? E dunque cosa voleva da me?

Dopo un lungo silenzio si decise a parlare:

“Come stanno… i Delacroix?” chiese solo, ma fu proprio quella semplice domanda su quel dato argomento che mi destabilizzò del tutto.

“I… Delacroix?!” chiesi conferma, certa di aver capito male. Nella penombra della stanza, Unity annuì, non aggiungendo però altro.

“Stanno… abbastanza bene, direi” risposi cauta, sempre più confusa.

Lo sentii prendere un profondo respiro, rilassandosi un poco, poi senza aggiungere altro mi mise tra le mani un sacchetto di piccole dimensioni che conteneva, al tatto, delle scatolette rettangolari di dubbia provenienza. Feci per aprir bocca, ma lui fu più veloce di me.

“Non aggiungere nient’altro. Sono medicine varie, tipo Tachipirina, Ematonil e Oki; usale… come ti comanda il cuore!” spiegò brevemente, poco prima di dirigersi verso l’uscita.

Ma lo bloccai, afferrandolo per il braccio. Nella penombra della stanza ci guardammo, lo potevo sentire, come potevo avvertire il suo impercettibile tremore, ma necessitavo comunque di spiegazioni.

“Unity, tu conosci forse Dégel e Camus? Perché stai facendo questo, non siamo nemici?” lo incalzai all‘istante, andando dritta al punto. Lo avvertii sussultare, le rapide veloci del fiume che trasportano un sassolino, ormai vinto dal tempo.

“I Megres… - cominciò lentamente, soppesando le parole - Sono disposti a tutto per ottenere quello che vogliono, Alberich, essendo loro figlio, non fa differenza. Io, a volte, non mi trovo con il loro modo di comportarsi… ” disse solo, guardandosi intorno per cercare una via di fuga.

“Ma tu stai aiutando me, la persona che odiano di più, per quale motivo lo fai?”

“N-non lo faccio per te, e poi non è vero… quello che dici… non completamente, almeno!” mormorò lui, sempre più sfuggente.

“Unity, tu non sei un cattivo ragazzo, lo so, perché li segui allora?” continuai cocciuta, mentre la campanella suonò la fine della ricreazione. Un punto a vantaggio per lui, che infatti scostò il braccio che fino a pochi istanti prima trattenevo saldamente.

“Sakura, stai attenta le prossime volte, siamo nemici, io e te! - mi avvertì, aprendo cautamente la porta, poco prima di voltarsi un ultima volta nella mia direzione - Non fare parola con nessuno di questo, ok?” si affrettò a concludere velocemente il discorso tra noi. La porta si chiuse a seguito della sua uscita, lasciando me ancora più basita e assurdamente spaesata.

Perché quell’atteggiamento? Era tutto così insensato!

Quando mi recai in classe mantenni lo sguardo basso, cercando in tutti i modi di non incrociare gli occhi di ghiaccio di Unity. Era l’inizio della lezione di Matematica e mi attendevano altre tre ore prima di scappare finalmente a sincerarmi delle condizioni di Cardia. Non avevo la testa di mettermi a seguire tutti quei numeri proprio in quel momento, troppo caos nel mio povero cervello. Era lampante: Unity conosceva i Delacroix, ma come era ancora un mistero bello grosso. Sentii un nodo avvolgermi la gola, mentre una spiacevole sensazione languiva dentro di me, irrefrenabile. Quasi automaticamente, forse per il mio stato emotivo, forse perché non avevo ponderato ulteriormente i miei pensieri precedenti allo scambio di battute mio e di Unity, presi il cellulare dalla tasca dello zaino e, senza farmi vedere dalla professoressa, decisi di scrivere a Camus. Mi tremavano le mani e non sapevo bene cosa dire, ma il mio disperato bisogno di avere un contatto con lui zittì tutto il resto.

 

Ehilà, ciao, Camus, sono io, Sakura. Scusami per il disturbo, ma visto che sono a ricreazione volevo chiederti come stavi, va un po’ meglio il fianco?

 

Lessi e rilessi il messaggio all’incirca dieci volte, controllando che tutto fosse perfetto, altri dieci minuti li persi a decidermi di inviare il tutto. Ma alla fine lo feci, sentendomi più o meno come il primo scalatore del Cervino nell’atto di salire sulla vetta, un’epopea che, prima di lui, altri avevano fallito. Di assai più modeste dimensioni era la mia impresa, ma nel mio piccolo era un grande traguardo. Rimasi a fissare il vuoto per altri cinque minuti in direzione della lavagna, che tuttavia non vedevo realmente.

“Tanto non mi risponderà mai, tanto non mi risponderà mai” dissi tra me e me, cercando di convincere il mio cuore a non crederci troppo. Le dita della mano intanto andavano per i fatti loro, tamburellando il tavolo con encomiabile insistenza.

Poi… un tremore proveniente da sotto il banco, la schiena si rizzò, le iridi si spalancarono, il cuore perse un battito.

“L’incognita x deve stare dentro la parentesi quadra, riuscite a capire?”

La mia, di incognita, mi aveva appena risposto, invece.

Con le mani ancora tremanti presi, molto lentamente, il cellulare, accendendo lo schermo. “Hai 1 nuovo messaggio” recitava, ignaro di cosa quella frase potesse significare davvero per me. Le dita trepidanti schiacciarono irrimediabilmente il tasto di apertura. Lo lessi, non credendo ancora a ciò che avevo davanti.

 

Ciao, Sakura! Ti dirò, sto molto meglio. L’ematoma va riassorbendosi, lentamente, ma è in via di guarigione. Domani no, perché è il 1 Novembre, ma il giorno dopo penso di riuscire ad andare all’università. Non mi aggrada l’idea di fare il nullafacente in casa, e poi ho già perso oggi la lezione.

E tu invece cosa combini, non ti sarai già cacciata in qualche guaio, vero?

 

Inutile dire che il resto delle lezioni lo passai completamente inebetita, così presa dal mio mondo fantastico fatto di uccellini, fiumi laghi e montagne, dove Camus aveva già preso dominio su tutto, diventando forse, il sogno più bello che avessi mai fatto nei miei diciotto anni di vita.

 

 

* * *

 

Quella stessa sera mi recai da Mu, rincuorata dal non avere a che fare con i miei genitori per quel giorno e il successivo, essendo la festa di Tutti i Santi.

Mi sentivo ancora tremendamente euforica quando, zampettando per le strade buie del paese, in una nuvoletta di vapore che era il mio respiro, giunsi alla porta del mio migliore amico. Suonai un’unica volta, certa che mi avrebbero risposto subito, nel mentre il mio cervello era nuovamente partito per la tangenziale dei pensieri su Camus, impossibile fermarlo, ormai. Non attesi comunque molto, prima di essere accolta in quella dimora che consideravo quasi più casa della mia. La madre di Mu, una donna taciturna di giovane aspetto che, tuttavia, mostrava le prime rughe, mi aprì la porta con il suo solito sorriso gentile, capace di riscaldarmi il cuore senza proferire parola. Mi tolsi velocemente la giacca, mettendola sull’attaccapanni, mentre mi tenni la cartella sulla schiena. Pochi secondi dopo udii dei passi venire giù dalle scale, cosa che mi fece scattare immediatamente nella direzione della fonte sonora. Neanche il tempo di scendere dalle suddette che il mio migliore amico si ritrovò con me letteralmente attaccata al suo collo.

“Mu! Mu! Mu! - lo chiamai tre volte, fuori di me dalla gioia - Camus risponde ai miei messaggi, capisci?!” trillai, improvvisando un ballo sulle scale.

“C-ciao, Sakura, s-sono felice per te, ma non pensi che sia una cosa normale?”

“No che non lo è, Mu, potrebbe anche non rispondermi, ti pare?”

“Ma se gli poni delle domande ed è educato come sembra è normale ti risponda, no?!”

“Aaaaaaah, Mu, tu banalizzi sempre tutto, e che cavolo!”

Mi finsi offesa, staccandomi da lui e mettendo su il broncio come mi aveva insegnato mio fratello Milo. In verità sapevo benissimo che il mio migliore amico aveva ragione, si trattava davvero di un comportamento normale, eppure… eppure mi aveva reso così felice! Mi sentii divampare, reputandomi una stupida in quel particolare frangente. La sua semplice risposta mi aveva risollevato il morale per tutta la giornata, trasmettendomi qualcosa di caldo e di arcano che non se ne sarebbe andato per un po’ di tempo, tuttavia nel concreto non significava niente di così trascendentale, quindi perché io reagivo così?

“Come sta Cardia?” decisi di chiedere, sforzando di riportare la mia mente alla realtà.

“Non si è ancora svegliato da ieri, ma la febbre è scesa e sembra semplicemente dormire” mi rispose lui, leggermente teso.

Annuì, guardando meccanicamente fuori dalla finestra. Era buio giù da un bel po’, del resto l’ora era già stata cambiata e le giornate si sarebbero fatte sempre più corte fino a Dicembre, malgrado questo e nonostante amassi follemente il sole, la cosa, di per sé non mi dispiaceva affatto.

“Arriverà la neve tra non molto…” sussurrai al vuoto, non vedendo nient’altro intorno che quella finestra che dava sull’oscurità esterna.

“Questo è molto probabile, ma cosa c’entra adesso?”

“Niente...”

La serata passò molto velocemente, raccontandoci un po’ delle nostre rispettive giornate. Ovviamente non tirai fuori il discorso di Unity, proprio come mi era stato chiesto, limitandomi a ciarlare degli argomenti trattati a lezione e dell’assenza di Megres e del rospo libidinoso. Mu, da parte sua, mi raccontò di come si erano presi cura di Cardia, dei suoi dubbi sulla presenza del ragazzo misterioso che assomigliava così tanto a Milo e, infine, sulle possibili soluzioni verso i compaesani. Faticavo non poco a stare dietro ai suoi discorsi, giudicando arbitrariamente più importante il ristabilirsi della sua salute a tutto il resto. Quando sua madre ci chiamò per la cena, ci trovammo davanti una tavola piena di cibi cinesi di vario genere, dal riso bianco, al tofu fermentato, agli spaghetti di soia agli involtini primavera. Il tutto rigorosamente da prendere con le tipiche bacchette. Adoravo la cucina etnica e ancora di più quella cinese, ma anche quella giapponese (e del resto il mio nome aveva origini proprio da lì); trovare gli alimenti giusti per un pasto tipico non era affatto facile in un paese come Ceresole Reale, dove spesso anche l’emporio locale era sprovvisto delle più quotidiane cose. Tuttavia la madre di Mu riusciva sempre a reperirle in qualche maniera, preparando cene e pranzi favolosi. Mi sedetti al tavolo preparandomi a sbaffare tutto, del resto ero sempre stata una buona forchetta, non vi era alimento che non ingurgitavo con estrema voracità.

“Sakura, tu sei fortunata a non ingrassare di un etto con tutto quello che mangi, hai un ottimo metabolismo!” si congratulava sempre con me la madre di Mu, bevendo il suo the con estrema eleganza. Ne ero ben consapevole e… lieta! Ricordai che la mia, di madre, in una di quelle rare volte in cui riuscivamo a parlare pseudo normalmente, mi aveva detto che dopo avermi messa al mondo aveva cambiato costituzione, passando dall’essere sotto peso ad ingrassare abbastanza facilmente. La vedevo, quella particolare ombra nei suoi occhi quando me lo raccontava, la vedevo… ed ero sicura che fosse successo altro oltre al cambiare metabolismo in seguito alla mia nascita. Tuttavia il mistero era rimasto, diventando sempre più insostenibile con il passare degli anni.

Finimmo di mangiare e ci dirigemmo in camera, decisi più che mai a vedere il primo film de “Il Signore degli Anelli”, la versione integrale. Il giorno dopo era festa da scuola, significava solo una cosa: poter fare le ore piccole senza paura di non svegliarsi la mattina dopo!

Ci mettemmo a sedere sul divano, carichi come non mai, tuttavia non avevamo valutato la stanchezza dei giorni precedenti, fattore estremamente limitante nel vedere un film così lungo come quello che ci eravamo prefissati. Frodo era stato appena ferito con il pugnale maledetto dei Nazgul, quando mi resi conto che Mu era limpidamente crollato a dormire contro la mia spalla, il respiro leggero di chi stava già facendo un bel sogno. Cercai di resistere con tutte le mie forze, desiderando seguire la Compagnia dell’Anello per tutta la durata del film. Diavolo, adoravo quella trilogia, non potevo certo arrendermi davanti al sonno. Del resto, Frodo e Sam avevano combattuto mille pericoli per distruggere l’anello sul Monte Fato, potevo io gettare la spugna in una maniera simile? Tutto inutile! Eravamo infine giunti a Gran Burrone, quando decisi che, tutto sommato, avrei anche potuto chiudere gli occhi per qualche minuto. Così feci.

All’interno della mia testa, cullata dalle tenebre del sonno, non passarono che pochi minuti, quando avvertii qualcosa di non ben distinto toccarmi le guance e delineare il mio profilo. Contrassi le palpebre serrate, infastidita, chiedendomi mentalmente cosa diavolo ci facesse una mosca in quel periodo dell’anno e in un luogo simile. Poi ebbi un’illuminazione, man mano che il sonno lasciava largo alla veglia. No, non poteva trattarsi di un insetto, troppo ritmico il movimento e troppo pesante la pressione, allora cosa…? Aprii lentamente gli occhi, trovandomi una cascata di capelli ribelli davanti ai miei occhi. Nella quasi completa oscurità della stanza, schermata soltanto dalla luce del televisore, non vidi nitidamente la figura davanti a me, ma subito la ricondussi a mio fratello, convinta, forse ancora per il sonno che tardava a sparire del tutto, di essermi addormentata sul divano di casa mia.

“Eddai, Milo, sei proprio un rompiballe… - bofonchiai, sbadigliando sonoramente - Ora vengo a letto, tranquillo!” gli dissi, sfregandomi la faccia.

Ma il pensiero improvviso che quella non era affatto casa mia mi paralizzò all’istante. La figura misteriosa fece qualche passo indietro, inclinando la testa di lato, poco prima di toccarmi il naso con la punta del dito indice. Trasalii a quel contatto, avvertendolo come troppo, troppo caldo a confronto con la mia pelle.

“Ora lo so con certezza, me lo ha sussurrato proprio adesso il mio cuore: sei tu la persona che cerco da tanto tempo!” mi disse in un soffio, poco prima di scoppiare a ridere come se avesse vinto al Superenalotto.

 

 

 

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Angolo di MaikoxMilo

 

Sì lo so, sono passati 4 anni dal mio ultimo aggiornamento, 5 se contiamo l'ultimo capitolo pubblicato di questa storia. Sono stati anni ricchi di avvenimenti, di cambiamenti e, perché no, anche di stravolgimenti. In questo periodo ho avuto anche il tempo per correggere le altre due storie e migliorarle (La Guerra per il Dominio del Mondo è completamente revisionata, mentre Sentimenti che Attraversano il Tempo è attualmente corretta fino al capitolo 22). Nonostante questo, ero indecisa se pubblicare nuovamente i nuovi capitoli, una insicurezza che si è protratta per tutto il corso dell'ultimo anno; alla fine ho scelto di continuare, perché non mi piace lasciare le cose a metà e non concluse. Mi dispiace davvero molto di non aver più aggiornato dopo tutto questo tempo, non so quanti dei lettori che hanno seguito le mie avventure siano ancora presenti su EFP, ma mi sono comunque prefissata, quanto meno, di concludere le storie, con i miei tempi, certo, ma di portarle tutte a termine. E poi, chissà... le idee e i progetti non mancano, vedremo cosa riuscirò a fare!

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Capitolo 15
*** Una zazzera inarrestabile (prima parte) ***


Capitolo 14: Una zazzera inarrestabile ( prima parte)

 

 

Istintivamente cacciai un urlo, spaventata da quella risata quasi isterica e, soprattutto, dal trovarmelo lì davanti a distanza di respiro senza il benché minimo preavviso. Il ragazzo di fronte a me sussultò pesantemente, non aspettandosi una simile reazione così esorbitante.

“Che modi… - disse infatti - è così che ci si comporta con uno che ha fatto di tutto per incontrarti?!” mi redarguì, mentre con la mano destra tentava di afferrami il polso nel tentativo di calmarmi. Ma non glielo permisi, scattando invece di corsa ad accendere la luce.

Nel frattempo persino Mu, campione di sonno profondo, in mezzo a tutto quel baccano si ridestò, riemergendo dal divano con sguardo ancora vacuo.

“Sakura… ma cosa?” chiese alla figura davanti a lui, realizzando solo in un secondo momento che non si trattava di me. Il giovane comunque non sembrava affatto scombussolato da tutto quel chiasso e dal cambiamento di illuminazione, continuando invece a scrutare profondamente il mio amico.

“E così tu sei compagno suo? Davvero adorabili!” commentò, facendogli l’occhiolino.

“Oh, merda…” imprecò sottovoce Mu, in apparente tono tranquillo. In realtà solo io potevo ben sapere quanto quelle due parole in croce, dette dal mio migliore amico, significassero davvero.

Fissai sbigottita il volto di quel ragazzo, mentre un leggero senso di apprensione si impadroniva di me. Era sicuramente molto simile a mio fratello Milo, gli stessi occhi, i capelli ribelli. Un ritratto perfetto, ma più adulto, del bambino che popolava i miei sogni, tanto da farci sembrare quasi coetanei. Scrutandolo a fondo, notai che la mano sinistra era ancora posata sulla polo sbottonata sul petto, quasi a dimostrare ancora la sua sofferenza, malgrado il suo volto tendente al pallido fosse segnato da un profondo sorriso che aveva un qualcosa di irriverente.

Non avevo la più pallida idea di come comportarmi in quel frangente, da sempre lo avevo sognato, da sempre avrei voluto conoscerlo, sentendomi indissolubilmente legata a lui, tuttavia in quel momento ero totalmente paralizzata. In fondo era un estraneo, lo sapevo, e ciò mi faceva provare un arcano senso di timore.

“N-non so se ti ricordi il motivo del tuo malessere… - intervenne Mu, trovando il coraggio di parlare - ma ti abbiamo trovato in una radura qua vicino, ferito e privo di sensi, ti abbiamo soccorso e portato qui in casa mia, io sono Mu, lei è …”

“ …Sakura, lo so! E’ l’unica cosa che ricordo con certezza!” asserì l'altro, scoccandomi una veloce occhiata.

“N-non credo di…” biascicò Mu, in difficoltà.

“Come dire... ho dei buchi, non so cosa faccio qui, non so perché sono qui, però so chi è lei, quella ragazza là che mi sta fissando come se fossi un extraterrestre piombato in questa casa per caso!” tentò di spiegare, indicandomi con un dito.

Nella stanza cadde il silenzio, interrotto solo dal brusio appena accennato della televisione abbandonata a sé stessa. Sbattei le palpebre, certa di aver capito male, stava forse dicendo di aver perso la memoria? Con quale tono tranquillo, poi!

“Sc-scusaci, ci stai dicendo di avere una amnesia?” prese la parola Mu, tentando di capire. Ma il suo interlocutore era completamente assorto nella visione celestiale del lampadario, più o meno come una falena con la luce nel buio della notte. Non accennava alcuna risposta. Mu inarcò un sopracciglio, riflettendo su cosa fare in un frangente simile e su quale parole a adoperare per destare l’interesse del ragazzo misterioso, ancora assorto dalla fonte luminosa.

Poi improvvisamente si ridestò, scrollando la testa come a scacciare qualcosa di fastidioso, tornando a concentrarsi sul mio amico.

“Ehi, tu, lilla, come hai detto che ti chiami?”

Mu ed io sospirammo sonoramente, la faccenda era più complicata del previsto. Forse davvero Cardia aveva perso la memoria? Come poteva essere così tranquillo, allora? E soprattutto come poteva ricordarsi di me? Che davvero fossimo collegati in qualche maniera?

Un’infinità di domande mi ronzava nella testa, unita ad emozioni talmente ampie da traboccarmi il cuore… e tuttavia il mio corpo non ne voleva sapere di disgelarsi.

Con la coda dell’occhio, vidi Mu avvicinarsi a me, imprimendo i suoi profondissimi occhi nei miei.

“Sakura, la situazione non è delle più semplici, secondo me domani mattina sarebbe il caso di chiedere consiglio a Dègel!”

“S-sì, l’ho pensato anche io, m-ma…”

Abbassai lo sguardo, tesa. Se Cardia aveva davvero perso la memoria sarebbe stato il caso di chiedere consiglio ad un medico, tuttavia sarebbe stato davvero difficile dare spiegazioni sul suo aspetto, così simile a mio fratello, men che meno agli abitanti del posto. Non rimaneva che chiedere ai Delacroix, che avevo già spremuto per ogni più piccola cosa, dandogli non poche rogne. Mi vergognavo terribilmente a chiedere un nuovo favore a Dégel, mi faceva sentire, in qualche modo, sporca.

“Se chiediamo un parere a lui, sicuramente ne ricaveremo qualcosa sulle condizioni di questo ragazzo. L’ho visto ieri all’opera, avverto distintamente il suo animo gentile, so che ci possiamo fidare” continuò Mu, stavolta ignaro di quanto si muoveva nel mio animo.

“E’ s-sicuramente così, amico mio, ma…”

“Ehi, cosa avete da confabulare voi due?!”

Era di nuovo Cardia che, con passo incalzante, si dirigeva, a grandi falcate, nella nostra direzione. Se non altro, lo si vedeva, non sembrava avere evidenti danni fisici, se si escludeva il misterioso male al cuore.

“Scusaci, forse ti saremo sembrati dei maleducati a non chiederti nulla su te stesso, ma, diciamo, sei un po’ piombato qui come un fulmine a ciel sereno” tentò di spiegare Mu, imbarazzato.

“Te l’ho già chiesto il tuo nome? La ragazza so chiamarsi Sakura, so anche che sono qui per lei, anche se non ne ricordo il motivo” domandò di nuovo Cardia, ripetendo quanto già detto prima. Era evidente avesse dei grossi problemi a memorizzare, sconosciuta però la causa. Ingoiai nuovamente saliva a vuoto, sempre più tesa.

“S-sì me lo hai già chiesto, ma te lo ripeterò: mi chiamo Mu”

“Mu? Come il verso unico della mucca, oppure Mumu?”

Il mio migliore amico si massaggiò le tempie, la sua pazienza messa a dura prova. Cardia era in evidente stato confusionale, anche se non sembrava preoccuparsene troppo, come se avesse delle urgenze più importanti da svolgere. Non ero ancora riuscita a rivolgergli la parola, bloccata com’ero nella mia scorza, eppure volevo farlo con tutto il mio cuore.

“Piuttosto, non ci hai ancora detto come ti chiami, questo lo ricordi?” chiese ancora Mu, cercando disperatamente un appiglio in quella assurda conversazione.

“Certo che sì, ma il mio cognome è troppo lungo e non mi piace, chiamatemi semplicemente Cardia, per gli amici Car!”

Sussultai notevolmente a quella rivelazione che già sapevo e che dimostrava così che non fossi una pazza visionaria, tuttavia quella conferma non mi rendeva affatto più tranquilla, anzi, se possibile, mi scioccava ancora di più. Entrambi conoscevano i nostri rispettivi nomi. Entrambi senza esserci mai visti.

Anche Mu, sgranò gli occhi, sussurrandomi un “avevi ragione” tutto tremante. Avevo effettivamente ragione su tutto, ma non avevo alcuna spiegazione a riguardo.

Nel frattempo Cardia cominciò nuovamente a fissare le mosche invisibili per l’aria, gli occhioni ingenui di un bambino che vede il cielo per la prima volta. In quell’attimo capii, che avrebbe chiesto a Mu il suo nome per la milionesima volta.

“Scusami, lilla, davvero non c’è verso di farmi entrare in testa il tuo nominativo, va bene se ti chiamo con il colore dei tuoi capelli?” domandò infatti, sorridendo raggiante.

Non c’era proprio verso, eh, caso perso…

“Chiamami come vuoi, ma prima di tutto è necessario trattare di alcuni argomenti fondamentali” sancì lui, pratico, soprassedendo.

Cardia fece una faccia strana, quasi sbigottita, poi decise di sedersi sul divano e dondolarsi come un bambino.

“Vai, ti seguo”

Mu sospirò, del tutto sicuro del contrario, ma non si perse d’animo.

“Cardia, intanto devo chiederti di non uscire di qui per nessuna ragione al mondo!”

“Cioè, fatemi capire, sarei quindi vostro prigioniero?”

“Non è questo, è che… è che se tieni a questa ragazza non lo devi fare, altrimenti se la vedrebbe davvero brutta con quelli del paese!”

Cardia mi scrutò a fondo, con occhi indagatori, potevo ben vederle, quelle due iridi celesti e profondamente brillanti, come se emanassero luce propria.

“Tengo a questa ragazza, è vero, quindi sono costretto a stare rinchiuso?!”

“M-ma tu… come fai ad esserne certo?”

La mia voce uscì tremolante dalle mie corde vocali, ma si impresse bene nelle pareti verde acqua della stanza, quasi come se fosse dotata di volontà propria. Cardia mi regalò un largo sorriso, di quelli che ti potrebbero riscaldare il petto alla sola vista. Non seppi, ancora una volta, spiegare perché ma mi sembrava nitidamente di conoscerlo da sempre.

“Ne sono certo perché lo dice il mio cuore, il cervello può andare dove vuole, può non ricordare e avere dei buchi, come ora… ma le emozioni, quelle, non le puoi dimenticare. Io seguo il cuore, il solo che possa sentirle!” spiegò spontaneamente, con la stessa semplicità e naturalezza con cui si respira l'ossigeno.

Lo guardai per qualche secondo, ammirata, la sua disinvoltura mi lasciava completamente sbalordita, neanche in Milo avevo mai visto una tale sicurezza di esposizione.

“Cardia, non ho finito il discorso, io…” tentò di proseguire Mu, ma non aveva più la sua attenzione.

“Piuttosto, c’è qualcosa da mangiare in questa casa?" chiese di botto, alzandosi di scatto in piedi come se avesse avuto una molla sotto di sé.

“Non c’è verso, non ascolta…” sospirò Mu, sempre più corrucciato.

Nel frattempo Cardia scrutava i dintorni, aprendo i cassetti e ficcando il naso ovunque. A quel punto anche io lo fissai un po’ sorpresa, chiedendomi tacitamente se davvero seguisse unicamente il cuore a causa delle rotelle fuori posto del cervello che lavoravano ad intermittenza. Uno strambo tipo non c’era che dire!

“E-ehi, lì no, per favore! Mia madre tiene moltissimo a quei sopramobili a forma di gatto!!!” lo riacciuffò all’istante Mu, vedendolo avvicinarsi paurosamente alla vetrinetta del salotto.

“Ho fame!” protestò ancora Cardia, gonfiando le guance in maniera assai simile a me quando volevo fare la finta offesa.

“S-Sakura, ti prego, domani vai da Dégel, fammi questo favore personale, ti supplico!” mi implorò il mio migliore amico, scoccandomi un’occhiata di pura esasperazione. Istintivamente ridacchia, coprendomi le labbra con la mano destra.

 

 

* * * * * * * * * * * * *

 

Annaspai sul duro terreno ghiacciato della notte, infagottandomi ancora di più nella sciarpa che mi avvolgeva il collo e impediva all’aria gelida di raffreddarmi la pelle. La neve non era ancora sopraggiunta, malgrado il cielo fosse di un bianco che la presagiva, ma il freddo non aveva certo risparmiato la Valle dell’Orco, anzi! Eravamo entrati in novembre, uno dei mesi più cupi all’anno e, parallelamente, uno di quelli che sopportavo meno, nonostante il compleanno di mio fratello Milo. Sospirai, non potendone già più di quel grigiore più che naturale.

Quella notte alla fine Cardia, dopo aver ripulito il frigorifero di Mu e aver ispezionato gli anfratti della sua casa, si era addormentato come un bambino sul divano, rimanendoci anche fino alla mattinata. Era sorprendente davvero la sua innaturale vivacità, sebbene il cuore, lo si vedeva distintamente, gli stava dando ancora delle rogne non da poco. Il mio migliore amico era ovviamente rimasto a badare a lui e a impedirgli di combinare qualche altro guaio, delegando a me il duro compito di stressare, per la milionesima volta da quando si erano trasferiti in paese, i Delacroix. Sospirai contrita, stringendo il sacchettino che mi portavo dietro e che mi aveva dato misteriosamente Unity. Come promesso non avrei fatto alcuna parola a nessuno di quello.

Pochi minuti dopo mi ritrovai davanti al campanello della famiglia francese, sentendomi dannatamente in colpa. Suonai con gesto rassegnato, pensando che, prima mi sarei tolta il dente, meglio sarebbe stato.

Una voce femminile risuonò soavemente dentro, permettendomi di riconoscerla come quella di Josephine, la mamma di Camus e Dégel. Mi aprì proprio lei infatti, in pantofole e vestaglia, i suoi occhi blu furono una vera e propria stilettata al cuore, così somiglianti a quelli dei figli. Vi era il mare al proprio interno ed io, che vivevo in montagna, non potevo che esserne carpita dai suoi flutti.

“M-mi scusi, signora, sono sempre io, S…”

“Sakura, ma che meravigliosa sorpresa! E’ cosi bello rivederti!” trillò lei, soffocandomi in un poderoso abbraccio che quasi mi mozzò il respiro. Trasalii nuovamente a quel contatto così tempestivo per i miei standard. Mi faceva sentire paurosamente a disagio quella manifestazione fisica di affetto, così disabituata come ero a riceverne. Non ricambiai infatti la stretta, quasi pietrificata da quel gesto, ma avvertii comunque una arcana sensazione di calore invadermi il petto. Una cosa era sicura: Camus non aveva di certo preso da lei, e questo era senza dubbio un problema fra noi, così restii al contatto fisico da risultare due casi umani che avevano ben poche speranze di convergere su qualche punto di contatto.

“M-mi scusi per il disturbo…”

“Oh, no, tu non disturbi mai, cara, scommetto che sei qui per Camus, giusto?”

Arrossii di botto, chiedendomi tacitamente perché avesse tirato fuori proprio quel nome e perché avesse usato quella particolare sfumatura della voce. Tuttavia annuii, staccandomi leggermente da lei.

“Sì, e anche per chiedere una cosa a Dégel”

Josephine mi sorrise con tenerezza, facendomi poi entrare nella casa che, ormai, mi sentivo di conoscere abbastanza bene, per lo meno l’atrio e la cucina!

“Sai, Albert oggi è nel suo studio. Anche nei giorni di festa tendiamo a tenerlo aperto in caso di emergenze, del resto gli animali possono stare male anche in queste circostanze. Dégel invece credo sia in bagno, ma ti posso chiamare Camus, tranquilla!” affermò lei, scoccandomi un occhiolino davvero poco promettente. Deglutii all’istante, dirigendo il mio sguardo alla finestra della cucina nel vano tentativo di celare il mio imbarazzo.

Quella situazione era proprio assurda, la stessa famiglia mi sembrava totalmente fuori da ogni schema possibile. Mi faceva uno strano effetto essere in loro presenza…

Mi guardai intorno alla ricerca di Pancake, il loro coniglio nano, ma non lo vidi da nessuna parte, come non scorsi la taccola. Che fossero in un’altra stanza? Non potevo di certo andare a zonzo per le camere a cercarli, ma avrei tanto voluto poterli accarezzare di nuovo, almeno mi avrebbe tranquillizzata. Dopo pochi secondi di ricerca ci rinunciai, passandomi nervosamente una mano tra i capelli, perché ferma proprio non riuscivo a stare.

“Scommetto… che sei di nuovo qui per mio fratello Dégel, vero?”

Sussultai, voltandomi di scatto e trovarmi davanti Camus, appena entrato nella cucina. Improvvisamente avvampai, tentando in tutti i modi di non darlo comunque a vedere. Mi guardai intorno, nella vana speranza di scorgere sua madre, unico appiglio in una tale situazione, ma la signora era totalmente sparita, probabilmente rimanendo al primo piano per lasciarci così soli. Pessima idea davvero!

“Oh, ehm…” biascicai, indietreggiando.

“Non ti preoccupare, presto scenderà giù pure lui” continuò il bel francese, in apparente tono pacifico, in realtà si vedeva limpidamente il suo fastidio, a stento tenuto a bada. Che accidenti dovevo fare, con lui, per approcciarmi adeguatamente?!

“V-veramente non sono qui solo per lui…”

Camus concentrò tutta la sua attenzione su di me, addolcendo un poco la sua solita espressione glaciale in una leggerissima sfumatura di meraviglia.

Decisi quindi di avvicinarmi, mantenendo però lo sguardo basso e la testa quasi incassata nelle spalle. Solo quando mi trovai frontalmente davanti a lui, mi decisi a guardarlo negli occhi, emozionata all’inverosimile.

“C-Camus, so che mi hai scritto che stai molto meglio, ma io… io ti ho portato queste” dissi, porgendogli il pacchettino.

Il ragazzo lo prese, guardando incuriosito cosa contenesse al suo interno, quando lo capì, i suoi occhi tornarono sulla mia figura, trasmettendomi una nuova stilettata in prossimità del petto. Persa ero... proprio persa, dannazione!

“Sakura, queste sono medicine… che tu hai preso per me?” mi chiese lui, un leggero fremito nelle sue labbra.

“Me le ha date… un amico!” dissi solo, pregando che gli bastasse come spiegazione. Camus rimase in silenzio, impossibile capire cosa gli frullasse per la testa, ma almeno intuivo, per quel poco che lo conoscessi, che, se non altro, non era arrabbiato né infastidito dal mio gesto, tutto ciò mi faceva sentire più sollevata.

“Sakura, ti avevo detto che stavo bene, non occorreva che ti preoccupassi per una simile quisquilia!” mi rimproverò bonariamente lui, posando il sacchetto sul tavolo. Sorrisi tra me e me, rincuorata dal suo velato tono dolce che mi trasmetteva un arcano senso di felicità. Era terribilmente faticoso capirlo, ma quando ci riuscivo, provavo una grande gioia, quasi come se mi fossi avvicinata un altro po' ad un traguardo inespugnabile.

“Guarda…”

Lo udii ancora, non capendo però a cosa si riferisse, almeno finché non lo vidi aprirsi la felpa e sollevarsi la maglia sottostante per mostrarmi qualcosa; qualcosa che però ebbe solo l’effetto di mandarmi il cuore in gola, mentre le guance mi divamparono intensamente come un'intensa fiammata sui fornelli, dopo che il gas era stato tenuto acceso per troppo tempo.

“Porc… che cacchio stai facendo, Camus?!” urlai, bloccandogli i polsi con un gesto istintivo. Alzai automaticamente lo sguardo, trovandomi a pochi centimetri dalla sua faccia. Quando e in che modo vi ero arrivata, così vicina a quell’ovale meraviglioso che era il suo viso?!

Camus mi fissò sorpreso, le sue gote leggermente arrossate e gli occhi limpidi, così incredibilmente limpidi. Le mani stringevano ancora la maglia nell’atto di sollevarla, regalandomi una sensazione di ‘vedo, non ti vedo’ che non poteva che peggiorare il tutto.

Mi sentivo strana, accaldata, in più avvertivo una sorta di prurito non ben definito accavallarsi nel basso ventre, cosa che mi rendeva tremendamente irrequieta e che non accennava a scemare, tutt‘altro. Era questo il… desiderio?! Il non comprendere cosa cappero stesse succedendo al mio corpo mi spaventò non poco.

“S-Sakura… - iniziò lui, in un leggerissimo tono incerto, dopo una lunga pausa di sguardi - Non ti sto facendo una proposta indecente, tranquilla, volevo semplicemente farti vedere quanto si era ritirato l’ematoma rispetto ai giorni scorsi” mi spiegò, malgrado le sue guance non accennassero a tornare come prima.

Fremetti appena, quasi impercettibilmente, sforzandomi in ogni maniera di non guardare in basso, anche se, probabilmente, secondo le sue intenzioni, avrei dovuto farlo, ma come avrei potuto, di grazia?!

“S-stai scherzando, spero! R-rimettiti giù la maglietta che prendi freddo… fa freddo, q-qui…” balbettai, sempre più soverchiata da una emozione infinitamente più grossa di me. Una zattera in mezzo alle onde ero, sapevo fin troppo bene che nessuno avrebbe potuto aiutarmi.

“L’altro giorno sei entrata in casa mia che ero a petto nudo, la volta prima mi hai comunque visto gran parte dell‘addome, poiché Dègel ha voluto controllarmi, malgrado la presenza tua e di Milo in questa casa. Ora quale è il problema?” mi chiese, scettico.

Istintivamente strinsi ancora di più le mani sui suoi polsi, gesto che questa volta non passò inosservato. Possibile che non capiva?! O forse ero io ad essere esagerata?! Come si potevano unire tra loro due mondi così distanti?!

“Ah, quindi secondo te… il vederti, quelle due volte e questa, il vedere la tua pelle, non provoca nulla in me?! Mi è… indifferente, secondo il tuo modo di ragionare?! Andiamo, Camus, non mi vedi, forse?!?” lo interrogai, privandomi spontaneamente di qualsiasi filtro. Fu il suo turno di fremere vistosamente, colpito dalle mie parole.

Rimasi in silenzio, non avendo più il coraggio di parlare. Camus non era sciocco, di certo se l’era già data da un pezzo che gli sbavavo dietro, forse già dalla prima volta, eppure per correttezza nei miei confronti, o chissà per quale altra motivazione, faceva lo gnorri, fingendo di non essersene accorto.

Mi pentii quasi subito di quelle domande a bruciapelo, desiderando sotterrarmi nei recessi della terra e del fango, mi era sempre più difficile controllarmi e avevo una paura matta di quello che avrebbe potuto significare perdere le redini della ragione per poi saltare nel vuoto più completo. Debole, indifesa… e sola!

“Fino a questo punto, tu…?” sussurrò solo lui, ma tanto bastò per farmi mollare la presa sulle sue mani, che ricaddero così sui fianchi, molli.

Avvertii distintamente un nodo in gola, non seppi se per le lacrime, per il magone o per quant'altro, ad ogni modo tutto venne cancellato dall'abbraccio che mi regalò.

Mi ritrovai contro il suo torace, in un gesto talmente leggero e soffice che si sentiva appena. Non era di certo solito a manifestare le sue effusioni, lo si intuiva dalla sua goffaggine nel farlo, ma fu quanto di più bello avessi mai ricevuto in vita mia.

“C-Camus…”

“Sakura... non ho mai approfondito questo discorso con te, perché pensavo tu avessi preso una sbandata e nient'altro, ma visto che la situazione si sta facendo seria voglio dirtelo prima che sia troppo tardi: finché sei ancora in tempo… salvati!”

Trasalii al suono di quella parola, proferita in tono dolce ma giunta alle mie orecchie come un colpo a tradimento in un momento di debolezza.

Un singulto fuoriuscì dalle mie labbra, stanziandosi nelle corde vocali e procurandomi un gran male. Anche Camus, tremava, distintamente.

“Sakura… - ripeté il suono del mio nome, sillabandolo con cura – Tutto ciò che tu pensi di me è sogno, non corrisponde al vero. Per questo motivo… vai avanti, se puoi, lo dico per il tuo bene!”

Qualcosa doveva essersi intrufolato nei miei occhi, giacché iniziarono a pizzicarmi con insistenza, mentre il mio respiro era aritmico, come dopo una lunga corsa.

Camus rimase abbracciato a me ancora per pochi secondi, prima di staccarsi e fare qualche passo in avanti. Pensai che probabilmente avesse udito qualcuno in avvicinamento, infatti poco dopo un suono di passi che discendevano le scale si fece sempre più vicino, entrando poi nell’ingresso della cucina.

“Camus! Sakura! Cosa succede?” chiese una voce, che riconobbi come quella di Dègel, in qualche punto dietro alle mie spalle. Ero ancora girata rispetto alla fonte sonora, in modo tale da dare la schiena all’entrata della stanza.

“Nulla, stavamo semplicemente discorrendo” asserì tranquillamente Camus. Il suo tono fu quanto di ancora più spietato potessi sopportare in un simile frangente. Mi strinsi una mano al petto, desiderosa di urlare, ma sapevo che dovevo controllarmi ad ogni costo.

“Ho… interrotto qualcosa?” domandò ulteriormente Dégel, accorgendosi dell’aria pesante che tirava fra noi. Non potevo vederlo in faccia, non essendomi ancora voltata, ma dalla leggerissima sfumatura della sua voce intuii un leggero disagio.

“No, nulla, come ti ho detto, stavamo solo parlando”

“Davvero? E allora, Camus, perché quell’espressione contrita sul tuo viso? Sembra quasi… rimorso, ma che è successo?!”

Senza peli sulla lingua anche lui, non c’era che dire, chissà se sarebbe andato d’accordo con Cardia, malgrado la netta differenza di carattere erano limpidamente schietti entrambi. Il pensiero del ragazzo ferito mi riportò bruscamente alla realtà, facendomi vergognare per il tempo perso.

Dietro alle mie spalle intanto, i due fratelli stavano altercando tra loro, Dègel ad insistere con le domande scomode, mentre Camus a bofonchiare frasi come “è solo stanchezza”, “lasciami stare”, “fatti gli affari tuoi”. Era davvero buffo vederli bisticciare, tuttavia il mondo soggettivo che appariva ai miei occhi, ben slegato dalla realtà, era caotico, grigio e, non ultimo, appannato. Mi passai le dita sugli occhi, mentre la sensazione di bagnato si faceva sempre più fastidiosa. Lacrime...? No, dannazione, ci mancavano giusto loro in un momento del genere!

“Camus, tu non me la dai a bere, qualcosa è accaduto, inoltre Sakura è…” insistette Dègel, sempre più pressante. Decisi quindi di intervenire.

“Dègel, davvero, non è successo nulla, stavamo semplicemente parlando!” dissi in tono deciso, voltandomi verso di loro per regalargli un largo sorriso, nonostante gli occhi ancora arrossati.

Vidi nitidamente Camus fissarmi, per pochi istanti soltanto, sorpreso, forse non aspettandosi una mia simile reazione, o forse, chissà, colpito dall’assurdità della mia espressione. Del resto sorridevo, lo sapevo, ma ero altresì consapevole che il peso delle lacrime appena asciugate avesse comunque tracciato un solco ancora visibile sul mio viso. Decisi di non darci comunque peso, combattendo contro le mie stesse emozioni.

“V-va bene, Sakura, scusami per il ritardo, ma stavo facendo la doccia” spiegò Dégel, fissandomi tristemente. Probabilmente aveva inteso tutto, ma cavallerescamente non insistette ulteriormente, cosa di cui gli fui immensamente grata. Camus nel mentre discostò lo sguardo, sistemandosi meglio la maglietta e la felpa. Mi sforzai di non guardarlo più, malgrado la cosa mi procurasse un male allucinante, forse persino più che il due di picche che mi ero appena presa in faccia.

“No, Dégel, sono io a doverti chiedere scusa, visto che sono di nuovo qui a chiedere il tuo aiuto. T-ti giuro che capirò senz’altro se non vorrai più vedermi per un po‘!’” decisi di ironizzare nel tentativo di scacciare il magone che sentivo ancora nitidamente in gola. Dègel ridacchiò, una risata cristallina e limpida, poi si avvicinò a me, posandomi una mano in testa.

“Non dire sciocchezze, Sakura, sono davvero felice che tu riesca a fidarti così tanto di me. Significa molto, sai? - mi incoraggiò, guardandomi con dolcezza, prima di continuare - E’ per il ragazzo che avete trovato tu e Mu, vero? Si è svegliato?”

Annuii, rasserenata da quel contatto, ma subito un’ombra scura mi passò negli occhi:

“Sì, ma purtroppo sembra soffrire di una specie di amnesia, senza contare che, non lo dà a vedere, ma secondo me ha ancora dei dolori al cuore”spiegai, cupa.

“Un’amnesia? Ho capito, prendo la giacca e vengo subito. Mi racconterai tutto strada facendo, intesi?”

“Intesi!”

 

* * * * * * * * * * * *

 

Ci stavamo dirigendo a grandi falcate verso la casa di Mu, in bocca le condizioni fisiche di Cardia e nient’altro. Ne fui grata. Perlomeno non vi era stato più alcun accenno a me e Camus, anzi quest’ultimo era rimasto a casa sua, dicendo di essere stanco e raccomandandosi con Dégel di fare attenzione. Sospirai guardando il cielo bianco, scoraggiata. Pareva davvero sul punto di nevicare, quel giorno, ma di colpo non mi importava, trafitta com’ero da una prostazione che a stento riuscivo a comprendere.

Dègel intanto camminava frenetico accanto a me, il viso pensieroso di chi, dopo aver ricevuto una serie di dati, stesse elaborando una risposta, valutando tutte le ipostesi possibili.

“Potrebbe trattarsi… - cominciò ad un certo punto, leggermente scuro in volto - di amnesia globale transitoria!” decretò infine, accelerando il passo.

Lo scrutai per un attimo, colpita dall’ondeggiare elegante dei suoi capelli durante l’atto di muoversi. Senza dubbio un bel ragazzo anche lui, di portamento raffinato e dal cuore nobile. Più lo conoscevo più me ne rendevo nitidamente conto.

“Intendi che non si ricorda nulla, al di là di poche cose profondamente sedimentate in lui?” chiesi ulteriori spiegazioni, tornando a guardare avanti a me.

“Precisamente. Mi hai detto che dimostra difficoltà a memorizzare le informazioni nuove, nonché a riportare alla mente ricordi recenti, giusto? E’ senza ombra di dubbio una amnesia generale, di cui però non si conosce la causa scatenante, a meno che…”

Lo vidi sgranare gli occhi al limite dell’umano possibile, fulminato probabilmente da una intuizione subitanea, un vero e proprio insight, nel senso più ampio del termine. Potevo distintamente scorgerlo in quelle due iridi blu che parevano quasi fremere, come colte da un’improvvisa inspirazione. Mi si formò un nuovo groppo in gola, stavolta per la preoccupazione.

“Sakura, mi hai detto che il ragazzo probabilmente ha problemi cardici, giusto? Perché allora... perchè allora può essere stata questa, in parte, la causa.”

Strabuzzai gli occhi, non capendo il collegamento tra memoria e cuore, nel mentre eravamo a poca distanza dalla casa di Mu. La voce cristallina di Dègel tardava a palesarsi, lasciando me in balia dei pensieri, delle incertezze e delle supposizioni. Era come se avesse paura a continuare, rivelando qualcosa che, con ogni probabilità, era ben chiaro solo nel suo cervello. Esitai ancora per qualche istante, non sapendo come agire. Poi...

"Dégel, se davvero supponi qualcosa, ti prego di dirmelo" lo spronai, facendo per voltarmi verso di lui. L'interpellato mi guardo cupo, poi fece per aprire bocca, ma ancora prima di poter udire anche solo una sillaba, un qualcosa di non ben definito mi arrivò dritto in faccia, facendomi barcollare all'indietro e cadere, se Dégel non fosse stato lesto a sorreggermi. Mi massaggiai platealmente la fronte, intontita, poco prima di scorgere il mio amico Mu proprio davanti a me, la sua mano sul naso come se avesse ricevuto un bel colpo. Ecco allora cos'era quell'urto...

"S-Sakura! Dègel! Meno male che siete qui, Cardia... Cardia è scappato di casa, non lo trovo più!" esclamò Mu in tono nasale, ma palese era l'urgenza nella sua voce.

Impiegai diversi secondi prima di metabolizzare la notizia, ma quando mi resi conto delle possibili ripercussioni di quanto detto, il mio cuore accelerò immediatamente le sue pulsazioni: Cardia era ancora ferito e non stava bene; con un clima simile, con il freddo così pugente... santi numi, no! Se solo non avessi perso tutto quel tempo con Camus, dannazione!

Non controbattei nulla, ma probabilmente l'ansia era ben tangibile sul mio viso, poiché sia Dégel che Mu si approcciarono a me con estrema dolcezza.

"Sakura, lo so quanto rischi per il fatto che lui sia andato a gironzolare chissà dove, in più è ferito, ne sono consapevole, ma ti prometto che non succederà nulla né a te né a lui!" tentò di rincuorarmi quest'ultimo, prendendomi una mano.

"Se ci dividiamo possiamo trovarlo alacremente, il paese è molto piccolo, inoltre nelle sue condizioni non può essere andato troppo lontano!" proseguì Dégel, avvicinandosi ulteriormente a me per farmi coraggio.

Annuii con un breve cenno, sorridendogli come meglio potevo. Non ero sola, dopotutto...

"G-grazie, amici, per non lasciarmi sola in un simile frangente!" biascicai, imbarazzata, stringendogli le mani.

Mu ricambiò il gesto il gesto, guardandomi con dolcezza, mentre il viso di Dègel assunse un'espressione strana, che non gli avevo mai visto prima. Per la prima volta da quando lo conoscevo, lo vidi spaesato, quasi... a disagio, ma non ne capii il motivo. Non ebbi comunque il tempo per chiederglielo, poiché si discostò da noi di qualche passo, una strana luce negli occhi.

"Non abbiamo tempo da perdere, ordunque, dividiamoci e cerchiamolo prima che inizi a nevicare!"

 

* * * * * * * * * *

 

La temperatura era in continuo, drastico, calo, lo si percepiva nitidamente. Questo fortunatamente comportava anche il non incontrare praticamente nessuno per le vie del paese, cosa che mi faceva sentire leggermente più tranquilla. Le nubi bianco latte sopra di me erano sempre più incombenti, sembravano proprio voler aspettare un qualche presunto 'via' prima di sfoggiare i fiocchi di neve presenti al loro interno. Istintivamente mi sfregai le mani coperte dai guanti, ritrovandomi a pensare con maggior impegno a dove cappero potesse essersi cacciato quella peste di Cardia. Certo, il fatto che tutti i compaesani fossero rifugiati in casa attaccati al caminetto, faceva pensare che difficilmente qualcuno lo avesse notato vagabondare, complice anche la nebbia tipica che antecede sempre la perturbazione nevosa, ma al di là di questo era comunque ferito e indebolito.

Sospirai sonoramente, chiededomi le motivazioni che avessero spinto quel pazzo a uscire dalla casa di Mu; che non fosse tanto giusto nel cervello era lampante, quasi quanto il suo non star bene, e allora perché uscire? Per andare dove?

Improvvisamente un pensieri fulmineo, del tutto inconscio, mi fece arrestare in mezzo alla strada, volgendo lo sguardo in direzione dell'altro lato del lago, gremito di abeti e larici. Nei miei sogni, Cardia era sempre apparso in un luogo specifico, prima di ritrovarlo nella radura; un luogo specifico e che conoscevo fin troppo bene.

Automaticamente scattai in avanti, in direzione della diga, con tutte le intenzioni di attraversarla per raggiungere poi la sponda opposta. Da quella parte infatti, partivano un discreto numero di percorsi escursionistici, praticabili nel periodo estivo, che portavano a varie mete nel territorio del Parco Nazionale del Gran Paradiso, precluso ai cani allo scopo di proteggere piante e animali che vi abitavano. Tra tutte le possibili gite, solo una riscuoteva il mio interesse in un momento simile, ed era quella per raggungere il Lago di Dres, a est delle Levanne. Coronato da un bacino glaciale situato a 2087 metri di altezza, tale escursione, attraverso boschi di abeti, pini e larici, conduceva ad un bucolico pianoro, susseguito da prati molli detti "torbiere", le Torbiere del Dres, appunto!

Certo non ci sarebbe stato bisogno di arrivare fino a lì, lo sapevo bene, poiché, sempre nei miei sogni, il luogo di incontro con Cardia era davanti ad una cascata, che dipendeva totalmente dal lago omonimo. Senza contare che, in questo periodo dell'anno, il Dres era già ghiacciato, rendendo il percorso per arrivarci discretamente inagibile in mancanza di ciaspole.

Accelerai la mia corsa, ritrovandomi così in poco tempo nel bosco, la mappa del percorso da seguire ben chiara nella mia testa. Giunsi quindi ad inizio sentiero, laddove una via ancora abbastanza larga si divideva dalla strada maestra, quest'ultima assai più ampia e asfaltata per permettere il transito delle autovetture. Senza badare troppo all'ambiente circostante, iniziai a salire, adeguando la mia andatura alla fatica, allo scopo di non sperperare troppo le energie. Sorpassai il grosso formicaio posto sulla destra del sentiero, in estate gremito di parecchie formiche operaie che spesso, fin da piccola, mi divertivo a seguire con lo sguardo; feci ancora pochi metri, prima di cominciare ad udire il suono della cascata di Dres che, sebbene in questa stagione non fosse al massimo della sua portata, riusciva comunque a buttare giù acqua con notevole intensità. Giunta nei pressi del ponte, riuscii finalmente a scorgere una figura, volta ad ammirare l'immensa parete davanti a lui.

Sospirai di sollievo, tirando fuori velocemente il cellulare per scrivere a Mu.

 

L'ho trovato! Si trova dalla cascata di Dres, nei pressi del ponte. Se puoi, recupera Dègel e venite. Scusami per il disturbo.

 

Mi avvicinai ulteriormente a lui, limitandomi a tentare di capire le sue condizioni fisiche da lontano. La sua sola presenza mi metteva a disagio, malgrado avvertissi distintamente che, in qualche modo, eravamo collegati, ma parlare con lui si era rivelato più difficile del previsto, almeno da parte mia.

"Sapevo che saresti venuta..."

Trasalii all'istante nell'attimo stesso in cui il volto di Cardia, prima fisso sulla cascata, si rivolse alla mia persona. Annuii timidamente, accennando ancora qualche passo nella sua direzione, ma mi arrestai comunque dall'altro lato del ponte.

Calò un brusco silenzio tra noi, rotto solo dagli sciacqui dell'acqua che scendeva dalle pareti rocciose. Come immaginavo, la cascata in alcuni punti era già congelata, regalando all'intera struttura alcune formazioni ghiacciate che avevano del meraviglioso. Davvero mirabolante il potere della natura!

"Ti starai chiedendo perché io sia venuto qui, vero?" mi chiese Cardia, muovendosi nella mia direzione.

"In effetti sì, me lo chiedo... ci hai fatto preoccupare!" asserii, tesa. Cardia si fermò a pochi passi da me, forse intuendo la mia chiusura involontaria nei suoi confronti.

"Sai... continuo a non rammentarmi nulla. So che dovevo essere qui, so che dovevo incontrare te, ma le motivazioni, il perché, mi sfugge completamente. Tuttavia il fatto che anche tu sia venuta in questo luogo è la conferma ulteriore che sei proprio tu la persona che cerco!"

Istantaneamente capii, ciò che volesse dire, come se lo avessi sempre saputo e lo avessi scioccamente scordato.

"Anche i tuoi sogni ti conducevano qui... per questo che sei scappato da casa del mio amico per aspettarmi proprio in questo luogo. Hai ricordato..." dissi meccanicamente, trovando finalmente il coraggio di approcciarmi a lui.

Cardia tacque, limitandosi ad annuire come avevo fatto io in precedenza. Ormai la distanza tra noi si era notevolmente ridotta, ma la nostra postura faceva ancora presagire la poca confidenza tra noi.

"Ah, comunque non ti preoccupare per gli abitanti, non mi hanno visto e comunque non c'è nessuno in giro con questo tempaccio!" mi disse dopo pochi minuti di silenzio, accennando alla giacca con il cappuccio che indossava. Lo riconobbi all'istante, quel particolare indumento, glielo avevo visto molte volte indosso al mio amico Mu, malgrado sua madre gli avesse preso una taglia ben più larga rispetto alla sua costituzione; a Cardia invece, notevolmente più robusto, ci stava a pelo, dandogli l'aspetto di un fagotto ambulante.

"Sei un bel tipo, tu! Sei talmente nonchalance, malgrado le tue effettive condizioni, che quasi mi confondi. Come fai a non dare peso al dolore che senti? Le ferite non ti fanno male? E il cuore?" chiesi, sorridendogli con calore.

"Sto un po' meglio, sai? Certo, non posso dire di essere in ottima forma ma sto in piedi e riesco a camminare abbastanza agevolmente" afferma lui, regalandomi un largo sorriso.

Lo scrutai a fondo, sforzandomi di memorizzare ogni piccolo dettaglio del suo fisico, dalle cose tremendamente simili a mio fratello Milo a quelle in cui si discostava, come per esempio ai capelli, tenuti più lunghi e arricciati rispetto ai suoi. Nutrivo il forte impulso di chiedergli di più, del perché fosse a conoscenza del mio nome, dei sogni che lo avevano spinto ad andare fino a lì. Sospettavo fossero, in tutto e per tutto, simili ai miei, stesso luogo, stesse sensazioni, ma con me come soggetto; tuttavia aveva perso la memoria, in quelle circostanze sarebbe stato impossibile sapere di più.

Feci per aprire bocca, non reggendo più quel silenzio che si era creato, ma un soffice fiocco bianco, di un candore assoluto, destò la mia attenzione, facendomi capire che la neve aveva finalmente cominciato a scendere.

"Eccola qua... sapevo sarebbe arrivata!" esclamò Cardia, lo sguardo perso nei dintorni chiari e bucolici. Non dissi niente, limitandomi ad osservare la nevicata.

I delicati fiocchi non tardarono a diventare sempre più grandi e copiosi, quasi come se il primo cristallo avesse dato il via a tutti gli altri. La neve era infine arrivata, in ritardo rispetto agli altri anni, ma mantenendo la sua promessa di rendere meno sporco il mondo, ricoprendolo con il suo chiarore. Ne avremmo avuta fino ad aprile, come minimo, ma la cosa non mi dispiaceva affatto.

Di per sé era un momento magico e, senza nemmeno che me ne accorgessi, la mente mi riportò al viso di Camus che, per qualche strana ragione, mi rammentava proprio l'atmosfera invernale. Una fitta improvvisa allo sterno mi incupii, tentando comunque di non darla a vedere. L'essere stesso e il portamento di Camus mi ricordavo un cristallo di ghiaccio, un fiocco di neve, nonché la nevicata medesima. Era impossibile non notarlo, bello e splendente com'era, dai modi raffinati ed eleganti, ma parallelamente era impossibile acciufarlo.

Quasi inconsciamente presi proprio un coriandolo ghiacciato, come mi piaceva chiamarli, rimanendo estasiata ad ammirarlo. La neve a questa altitudine era ben rifinita, talmente tanto che ne era possibile vedere la formazione anche ad occhio nudo, e la cosa più bella era che ogni fiocco era diverso dagli altri, uno spettacolo unico e impareggiabile. Nonostante questo, a causa del calore della mia mano, ci mise poco a sciogliersi, trasformandosi in una gocciolina d'acqua che scivolò a terra. Camus era esattamente così, bello, unico e candido, ma del tutto restio al calore umano, previa la distruzione totale del suo stesso essere. Sicuramente c'era un motivo dietro a questo; un motivo che avrei tanto voluto conoscere, ma ormai...

"Ehi, non mi piace vederti con quell'espressione abbattuta, sai? Sicura di stare bene?" si interessò Cardia, scompigliandomi inaspettatamente i capelli con gesto confidente.

Sussultai a quel contatto, non aspettandomelo minimamente, tuttavia ottenne l'effetto sperato, portando la mia mente a pensare ad altro.

"Oh, scusami, ero distratta..."

"Questo lo vedo anche da me, ma potrei ritenermi offeso, visto che sono venuto apposta per conoscerti e vederti!" mi fece la linguaccia lui, fingendosi ferito a morte.

Istantaneamente ridacchia, divertita dalle sue mille e più espressioni: era sicuramente un tipo molto emozionale e diretto.

Presi ancora del tempo per scrutarlo a fondo, mentre la nevicata si faceva via via più fitta, incrementando la sua intensità di pari passo alla nebbiolina bianca che già aveva preso ad avvolgere le case di Ceresole sul lato opposto del lago.

Infine mi decisi a parlare, palesando le sensazioni che, fin da quando lo avevo visto per la prima volta, mi avevano avvolto e incappato in un vortice di domande senza risposta.

"Cardia, tu non ti ricordi nulla delle motivazioni che ti hanno spinto qui, ma è lampante il fatto che, in qualche modo, siamo collegati. Anche io faccio sogni su di te fin da quando ero piccolissima; sogni o visioni, non saprei nemmeno come definirle, e desideravo davvero tanto conoscerti, perché appunto ho la netta sensazione di essere legata a..."

Inaspettatamente Cardia fece un balzo verso la mia direzione, afferrandomi per un braccio e strattonandomi contro di sé, mentre con l'altra mano mi tappò la bocca. Subito mi irrigidì di botto, terrorizzata. Non amavo il contatto fisico di persone sconosciute, il fatto di averlo visto in sogno non cambiava le cose tra noi. Il mio cuore accelerò di colpo, trasmettendomi la giusta adrenalina per tentare di oppormi davanti a quel gesto inspiegabile e fonte di ulteriore stress per il mio piccolo, insignificante corpo.

"Mmmmmmh!!! Mmmmmmh!!!" mi opposi, divincolandomi strenuamente. La mia reazione così esagerata colse di sorpresa Cardia, il quale, non aspettandosi una tale ostilità, indietreggiò con me al seguito, finendo per sbattere contro una delle sbarre di legno del ponte.

"S-Sakura, calmati e fa silenzio, altrimenti non riesco ad udire bene i dintorni! Mi è sembrato di avvertire qualcuno in avvicinamento!" spiegò lui, dolorante.

Mi bloccai istantaneamente, colpita da quella affermazione. Io non avevo percepito nulla prima di quelle parole, ma nel momento in cui quella frase era stata pronunciata, concentrando al massimo tutti e cinque i sensi, anche io iniziai a recepire un frenetico crepitio sempre più vicino. Poteva essere qualunque cosa o chiunque ma era poco prudente rimaere lì, in bella vista sul ponte, soprattutto per Cardia. Non sapevo minimamente come comportarmi presi ad osservarmi intorno in cerca di una possibile scappatoia, che trovai nel mezzo del bosco di pini più avanti, ma non ebbi comunque il tempo di muovermi. Prima di poter compiere qualsivoglia azione infatti, mi ritrovai afferrata da dietro da due possenti braccia che mi posizionarono, con ben poca grazia, sopra la ben tonificata schiena di Cardia.

"Ti sarai senz'altro accorta che sono un tipo un po' impulsivo... – mi disse quest'ultimo nel vento, sorridendo raggiante – Limitati a fidarti di me, solo per questa volta, e a tenerti al mio corpo. Ne avrai senza ombra di dubbio bisogno adesso!"

Non capii il significato di quella frase frammentata e priva di senno, forse fu meglio così. Ben presto, senza avere occasione di chiedere delucidazioni a proposito e ancora frastornata da quel gesto, mi ritrovai il vento in faccia, segno inequivocabile di una rincorsa verso una meta a me ignota; quella meta era oltre le sbarre del ponte, nel vuoto dello scrosciare dell'acqua. Quando me ne resi nitidamente conto, Cardia stava già saltando a piedi uniti; sotto di noi la cascata mezza congelata, davanti, sulla riva opposta, le case lontante di Ceresole, ormai quasi celate dalla nebbia bianca.

Stavamo saltando. Dal ponte. Non vi era più nulla sotto. Nulla che potesse arrestare un simile atto di pazzia.

"AAAAAAAAAAAHHHH!!!" gridai di riflesso, arpionarndomi al collo di Cardia. L'ultima cosa che avvertii fu il vento forte nei miei capelli, unito ad una sorta di strappo vicino all'ombelico nel cadere nel vuoto sottostante.

 

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Capitolo 16
*** Una zazzera inarrestabile (seconda parte) ***


Capitolo 15: Una zazzera inarrestabile (seconda parte)

 

 

"Sakuraaaaaaaaaaa!!! Ma dove...?"

La voce preoccupata di Mu mi giunse alle orecchie, permettendo così al mio cervello di razionalizzare il fatto che ero ancora viva e vegeta, non spappolata su una roccia come invece mi ero immaginata.

Quel folle di Cardia mi aveva preso e, senza troppi rigiri, non aveva esitato a buttarsi giù dal ponte come via di fuga. Un gesto sconsiderato e, almeno per me, privo di ogni più piccola logica, di diverso parere era invece lui, del tutto a suo agio dopo la pazzia appena compiuta. In quel preciso momento mi trovavo ancora aggrappata al suo collo, completamente terrorizzata al solo pensiero di cadere, fattore che invece non era minimamente calcolato da Cardia, abile e veloce a trovare una rientranza abbastanza piatta e nascosta per passare inosservato. Mi chiesi se fosse esperto cacciatore o qualcosa di simile, perché davvero non era da tutti il colpo d'occhio di scorgere un'insenatura non ricoperta dal ghiaccio nella cascata.

Ad ogni modo, eravamo sani e salvi, potevo tirare un respiro di sollievo.

"Sakuraaaaaa!!!" mi chiamò ancora il mio migliore amico, apprensivo.

"Ehi, ma è il Lilla! Poteva dirmelo subito, che cacchio!" affermò Cardia, arrampicandosi nuovamente su con me al seguito. Mi strinsi a lui, ancora scombussolata. Ero in ansia per le sue condizioni fisiche, probabilmente non avrebbe dovuto fare sforzi, e invece... eccolo lì a correre, buttarsi a capofitto e scalare rocce a caso, tutte azioni che non potevano non avere un certo quantitativo di ripercussioni su un corpo già provato.

Tornammo quindi dal ponte, mentre Mu, scorgendoci, ci corse incontro, ansante.

"Ehi, Lilla! Potevi dirci che..."

"Che diavolo ti è salatanto in testa, Cardia?!? Ti dico di non uscire per non mettere in pericolo Sakura e la tua salute, e tu che fai? Vai a zonzo a fare il pazzoide, rischiando di mettere te e la mia amica nei guai!!!"

Cardia mi posò a terra, del tutto incurante dalla ramanzina di Mu e, anzi, divertito oltremisura dalle sue espressioni buffe, ma quando scorse un movimento dietro al mio amico, rizzò subito la schiena, tutti i muscoli tesi e l'espressione di un cane rabbioso pronto ad attaccare stampata in volto. Si sentiva senza dubbio in pericolo, ma fu il mio braccio a tranquillizzarlo, nonché la mia espressione a fargli capire che non aveva nulla da temere dalla figura che si stava avvicinando a noi con passo incalzante, perché davvero di Dègel si poteva dire di tutto e di più, ma nessuna cosa brutta o cattiva. Non avevo mai incontrato una persona migliore di lui, di questo potevo esserne certa, la sua sola presenza mi rendeva tranquilla.

"Scusate la mia intromissione, ma... abbiamo saputo da Sakura dove trovarti, Cardia, quindi siamo venuti fin qui, non volevamo mettervi in allarme, perdonateci!" spiegò lui brevemente, leggermente imbarazzato.

"Costui chi è? Ha un accento strano e una parlata sin troppo composta. Mi posso fidare?" mi chiese Cardia, senza peli sulla lingua, scoccandomi un'occhiata pari a quella di un bambino confuso da un oggetto mai visto prima. Mu si massaggiò le tempie, ritrovandosi per l'ennesima volta a chiedersi come ci fosse finito in una situazione così assurda.

"Lui è Dègel, studia alla facoltà di Medicina ed è un aspirante medico. E' ancora molto giovane ma è già esperto. E' lui infatti che ti ha curato le ferite, puoi fidarti totalmente!" dissi, sorridendo con affetto. Dègel diventò istantaneamente paonazzo in volto, forse vergognandosi per come lo avevo presenato, o chissà per quale altro motivo.

"N-non esagerare, Sakura..." balbettò, strofinandosi la punta del naso con il braccio sinistro. Era davvero adorabile! Nel frattempo Cardia rimuginava tra sé e sé, bofonchiando frasi come: "un francese verde dal muso allungato, mmm..."

Sicuramente ne stava per dire un'altra delle sue, lo si presagiva dall'espressione assorta e dalle sopracciglia corrucciate, ma non era proprio il momento di perdersi in simili congetture.

"Ascolta, Cardia, dovremmo..."

"HO TROVATO!"

Ecco, come non detto! Mu ed io ci scambiammo un'occhiata sconsolata, aspettandoci una nuova frase squinternata da quell'individuo così stravagante che rassomigliava terribilmente a mio fratello Milo, solo con qualche rotella in più fuori posto. Fu uno scambio di sguardi complice, di quelli che il mio migliore amico ed io capivamo al volo, ma Dégel, non avendo avuto ancora nulla a che fare con il Cardia cosciente, non colse affatto l'idiozia nell'aria.

"Prego? Cosa vorresti...?"

"MENTUCCIO!"

"Scusami, io non..."

"I tuoi capelli sono verdi, hai il viso allungato e profumi di pulito... assomigli sicuramente alla mentuccia. Hai presente, no, la pianta?"

"Oh..."

L'espressione di Dégel era quanto di più sconcertato possibile. Tutto l'opposto di Cardia che, invece, avendo trovato un nominativo, a suo pensare, perfetto, si gongolava dietro quello splendido nomignolo. Urgeva correre ai ripari prima di far imbarazzare troppo il povero Dègel... Mu decise di prendere parola.

"Cardia, come dicevo prima... ti avevamo chiesto di non scappare, ma visto che, pare, sia inutile parlare con te, che ne diresti almeno di tornare a casa mia? La tempesta di neve va incrementandosi, tra non molto sarà tutto coperto e comincerà a ghiacciare con l'arrivo della notte; Sakura ed io domani dovremo andare a scuola e tu sei ancora acciaccato... non sarebbe meglio parlare dietro una bella tazza di the fumante? Così anche Dégel potrà vedere nitidamente se le tue condizioni sono migliorate rispetto a ieri, perché davvero eri conciato parecchio male..." disse il mio amico, risoluto e impeccabile come al solito.

Cardia, come di consueto, non rispose subito, tornando a contemplare l'immensa cascata che, da lì a poco, sarebbe diventata una mirabolante scultura di ghiaccio; in bocca aveva quel solito sorrisetto scanzonato, che poteva significare tutto e niente allo stesso tempo.

"Ragazzino, non sottovalutare il mio corpo... sarò anche acciaccato, come dici tu, ma ti garantisco che sono abbastanza resistente nei confronti del dolore!" asserì, piccato.

Mu si passò una mano nei capelli, indeciso sul da farsi. Combattere con Cardia su una questione di principi era tempo perso, ma davvero era indispensabile trovare riparo, in quanto la tempesta di neve non si sarebbe certo placata, tutt'altro! Fortunatamente però fu Cardia stesso a sbloccare la situazione.

"Tuttavia odio il freddo e quindi mi trovi favorevole alla tua proposta. In più, se Sakura dice che del Mentuccio ci si può fidare, io non posso che darle fede!"

Arrossii di botto a quell'ennesima presa di posizione nei miei confronti: Cardia si fidava di me, per qualche strana ragione, e... cosa ancora più assurda, solo io avevo abbastanza ascendente da farlo ragionare. La cosa mi faceva piacere, ma, in fondo, mi metteva ancora più a disagio.

"Beh, vi siete ammutoliti di nuovo tutti? Ho detto che odio il freddo... andiamo, no?!" riprese lui, del tutto intenzionato a rintanarsi in qualche anfratto caldo.

Nessuno di noi rispose, ma, lentamente, ci dirigemmo verso casa di Mu.

 

* * *

 

Come da previsioni, la neve era davvero diventata più fitta, formando una spessa coltre di nebbia e coriandoli bianchi che rendeva l'atmosfera esterna densa e ovattata al tempo stesso. L'ondeggiare dei primigenei fiocchi di questa stagione non era più una danza, bensì un ampio baluginare di un chiarore quasi mortale, rassomigliante al vetro che si sgretola, sempre più simile al ritmo frenetico e incalzante del sirtaki greco.

Di certo veniva voglia di rintanarsi al riparo, magari accanto ad un caminetto a sorseggiare una tisana e a leggere un libro, oppure a parlare del più e del meno con le persone care. Il piumone caldo... i cibi nutrienti come le polente conce... il languire delle ultime foglie sugli alberi... il calore dei propri cari, già, dei propri cari...

Istantaneamente mi riscossi, avvertendomi intontita. La mia mente era solita perdersi in mille congetture, ma quando poi tornava alla realtà era com un tuffo nell'acqua gelida. L'inverno mi rammentava tutte le cose calde, accoglienti e riparate, come un nido di pulli appena nati, tuttavia per me era impossibile trovare tutte quelle cose a casa mia, dove regnava nient'altro che il gelo, capace anche di farmi rabbrividere persino nell'estate più calda. Inverno voleva dire stare chiusi in un luogo che non sentivo mio, perché molto spesso le condizioni esterne erano proibitive. Inverno era anche stare in gabbia più di quanto già non fossi, per questo la mia mente sgattaiolava alla disperata ricerca di un qualche tipo di tepore.

"Ohi, ma deve durare ancora tanto la vivisezione con 'sto coso? E' gelido!" si lamentò Cardia, sbuffando sonoramente.

Questo mi permise di tornare a concentrarmi sulla scena davanti a me.

Non eravamo tornati da molto alla casa di Mu ed avevamo da poco cominciato a riscaldarci. Grazie anche all'ausilio di una tisana bollente. Tuttavia Dègel, appassionato del suo futuro lavoro, aveva immediatamente chiesto, appena entrati, uno stetoscopio per auscultare il cuore di Cardia. La madre di Mu, del resto, era stata infermiera, in casa aveva sempre i medicinali adatti, gli strumenti perfetti e persino le erbe medicamentose. Tutto questo era sempre stata una fortuna per me, visto che i miei genitori, di contro, non tenevano nulla, neanche la tachipirina. Il motivo di quella scelta non l'avevo mai compreso, non riuscivo a credere che mio fratello Milo, semplicemente, se ne stesse di quell'assurda faccenda. Istintivamente la mente mi riportò a quando ero stata male, non era passato che pochissimo, eppure sembrava assai lontano nel tempo e nello spazio. Chissà perché... forse ero proprio io che, in quel periodo della mia vita, mi sentivo costantemente con il piede sull'accelleratore.

"Un secondo ancora, Cardia... solo un attimo..."

"Certo che sei un tipo ben strano tu... non mi conosci affatto e sembri preoccupato per me... ma chi sei realmente?"

Stavolta Dégel non rispose.

Effettivamente aveva l'espressione corrucciata e gli occhi velati da una certa paura. Mi ritrovai silenziosamente a pensare che, per diventare medico, gli mancava solo una cosa: ovvero di esercitare maggiormente il distacco, perché davvero, al momento, era troppo sensibile su tutto.

Passarono diversi minuti di silenzio in cui anche Cardia (miracolo!) percepiva uan certa tensione nell'aria, poi il rizzarsi della schiena di Dègel sbloccò la situazione.

"Cardia... - il suo tono era grave, tremendamente grave – Il tuo cuore, non so come dirtelo, ma è frenetico e irregolare... davvero non ricordi cosa abbia?"

Tutta l'attenzione dei presenti si concentrò su di lui, il mio respiro si mozzò.

"So solo che fa le bizze, non ricordo perché... ma di certo so che non è sano!"

"No, infatti... come ho pensato prima, i battiti irregolari del tuo cuore sono compatibili con una malformazione cardiaca, ma non posso dire con certezza quale, in più, mi ritrovo in una condizione in cui l'anamnesi del paziente, la tua anamnesi, è totalmente sconosciuta..."

Certo, se Cardia non ricordava le visite passate o le eventuali operazioni fatte, senza trascurare una qualche familiarità con la suddetta malattia, non ci si poteva fare niente, salvo rivolgersi ad uno specialista, ma anche quello era un casino, soprattutto in un luogo isolato come Ceresole Reale. Da dove diavolo era piovuto questo ragazzo? Perché l'amnesia? Mi sentivo sempre più inquieta e... tremendamente preoccupata! Mu mi mise una mano sulla spalla per infondermi coraggio, percependo il mio stato emotivo.

"Dégel... quindi non c'è niente da fare? Non abbiamo i mezzi per capire cosa abbia?" chiesi conferma, sempre più angustiata.

"Sono... desolato, Sakura! Non ho gli strumenti e forse neanche le conoscenze per approfondire più di così. Posso solo dire che, a volte, le amnesie sono causate da scompensi circolatori, questi ultimi potrebbero essere stati dettati proprio dalla malformazione cardiaca di questo ragazzo".

"Capisco..."

Dégel non aveva colpe, ma il mio tono fuoriuscì inavvertitamente deluso oltremisura. Lui lo percepì, lo compresi dal suo sguardo ricolmo di sensi di colpa, me ne dispiacque alquanto.

Per non dargli ulteriori pene, decisi di scendere al piano di sotto in cucina a bere un sorso d'acqua: ne avevo proprio bisogno!

La casa di Mu era davvero grande per viverci in due persone, non perfetta ma accogliente e, soprattutto, calda. Gli interni erano larghi, spaziosi e ben arredati; nonostante tutte le volte che mi ero recata da lui in tutti quegli anni di amicizia, non riuscivo ancora a racapezzarmi bene. Sorrisi mestamente, dirigendomi poi a prendere un sorso d'acqua, perché la mia gola era tremendamente secca e dolente. Diedi una veloce occhiata fuori dalla finestra, accorgendomi della luce, ormai morente, persino in quel bianco innaturale che era la tempesta di neve. Era stata una giornata talmente frenetica e piena di avvenimenti che mi ero dimenticata persino di mangiare... e il giorno dopo sarei dovuta andare comunque a scuola con i compiti che, proprio a causa della giornata così assurda, non avevo neanche iniziato. Sospirai, massaggiandomi la fronte: tutto quel trambusto proprio non ci voleva, come cappero potevo concentrarmi sugli esercizi da svolgere con la faccenda di Cardia tra le mani?! Sentivo di averlo a cuore, quel ragazzo, mi faceva male pensare al suo stato fisico.

In quel momento entrò Dègel in cucina, il passo un poco indeciso e il capo chino.

"Sakura, io... davvero, mi dispiace! Hai chiesto il mio aiuto ed io non sono in grado di fare altro per te, né per Cardia..."

Inavvertitamente sorrisi, rassicurata dalla sua sola presenza e cullata dal suo tono gentile. Ero davvero felice di averlo conosciuto, indipendentemente da Camus o meno!

"Dégel, tu non hai colpe... non angustiarti ulteriormente!" lo provai a rassicurare, gli occhi fissi sulla sua figura; occhi velati da una certa dolcezza.

Tuttavia le parole non sembrano sufficienti per risollevargli il morale, visto che sul suo viso continuava ad albergare quella solita espressione mesta e un poco malinconica.

Senza che il cervello prese nitidamente parte alla decisione, mi mossi guidata dall'istinto, andandogli appresso e acciuffandogli una mano. Solitamente rifiutavo il contatto fisico, ma con Dègel... con Dègel era così facile approcciarsi!

"E' tutto ok, sul serio! Ti ringrazio per le tue attenzioni nei suoi confronti!" asserii, fissando la mia espressione nella sua.

Lo vidi annuire leggermente con il capo, poco prima di socchiudere la porta con gesto meccanico.

"Sei molto preoccupata, per lui, vero?"

Feci un cenno di assenso con il capo, un poco confusa da quella azione che, ai miei occhi, pareva incomprensibile: sembrava quasi che Dègel volesse parlare a tu per tu solo con me.

"Sei una ragazza molto cara... - mi disse goffamente, in evidente stato di disagio – Proprio per questo è da un po' che vorrei parlarti, ma non ne ho avuto mai occasione..."

"Hai chiesto a Mu di poter parlare qui nella sua cucina mentre lui e Cardia sono al piano di sopra?" chiesi, cominciando a capire.

Dègel annuì nuovamente, ma si bloccò, in evidente difficoltà a continuare il discorso appena accenato. Non potevo percepirlo nitidamente, poiché ancora non lo conoscevo bene, ma ebbi la concreta sensazione che fosse oltremodo imbarazzato, come se il solo parlarmi risultasse perennemente difficile. Aspettai. Aspettati in trepidanze attesa, chiedendomi tacitamente che cosa mai gli procurasse così tanta tensione, eppure non aveva mai avuto difficoltà ad approcciarsi con me! Trascorse ancora qualche secondo, alla fine prese un profondo respiro, apprestandosi ad iniziare il suo discorso.

"Sai... un po' di tempo fa mi è successa una cosa per cui mi sono ripromesso di non stringere più alcun legame, al di fuori di quelli famigliari... – iniziò a mormorare, mentre la mano destra, istitivamente, passava le dita sul collo, esattamente sopra la cicatrice appena visibile – So che ti potrà sembrare stupido, ma dopo quel... fatto... non riuscivo a fidarmi più di nessuno. Certo, mi ero detto di mantenere la mia gentilezza con tutti, di essere cordiale con gli altri, perché anche gli altri, ogni giorno, combattono battaglie di cui noi non siamo a conoscenza. Tuttavia non ero più in grado... non ero più in grado di farmi nuovi amici e, senza rendermene conto, mi allontanai anche da quelli che avevo già, che pure avevano fatto di tutto per rimanere al mio fianco..."

Lo fissai senza spiccicar parola alcuna, sentendomi improvvisamente triste a seguito di quella rivelazione. 'Gentile con tutti, amico di nessuno'... quella era la strada che si era prefissata Dègel, ed era così doloroso che, proprio una persona come lui, la miglior persona che avessi mai incontrato, fosse arrivato ad una simile conclusione. Ancora una volta mi ritrovai a chiedere cosa fosse successo, nel suo passato, per far diventare un ragazzo così sensibile e altruista quasi pari ad un automa. Di certo c'entrava quella enorme cicatrice che si intuiva proseguire sotto la clavicola, chissà forse anche oltre il petto, fino a raggiungere l'addome. Era terribile. Non potevo indagare oltre, mi sentivo già terribilmente annichilita così.

"Trascorsero anni e questo stato permeava, portandomi a vedere il mondo come se fossi all'interno di una bolla di sapone; una bolla di sapone che per un nonnulla si sarebbe potuta rompere, tramortendomi di colpo. La verità, Sakura... è che sono sempre stato un codardo! Avrei dovuto combattere queste mie paure, avrei dovuto riporvarci, ma ero come congelato. Anche Camus... anche Camus si ritrovò nella mia situazione, seppur indirettamente, con la sola differenza che lui è sempre stato molto più combattivo di me sin da piccolo: io dal mondo scappavo, mi rifugiavo all'interno della mia corazza... lui invece, da sempre il più forte tra noi, cominciò a disprezzare gli altri, a non fidarsi più di nessuno e a disintegrare così ogni minima traccia di umanità in lui, o almeno... così avrebbe voluto fare, perché, si sa, tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare e, persino lui, così audace, ha lasciato uno spiraglio in cui poter entrare..."

Tutto questo fluire di parole mi confondeva ancora di più... cosa c'entrava Camus nella faccenda? Perché me lo tirava fuori così, dal nulla? Perché in maniera così incurante? E ancora... cosa facevo lì? Il giorno dopo sarei andata a scuola e, per la mia salute mentale, avrei dovuto cancellare il nome di Camus Delacroix dalla mia mente, come velatamente mi aveva fatto intendere anche lui. Eppure ero ancora lì, sballotatata dagli avvenimenti di quel giorno come una bandiera strappata e usurata.

Dègel percepì tutto questo nella mia espressione, infatti addolcì lo sguardo in un misto di tenerezza e cupa malinconia.

"Perdonami Sakura... so che non dovrei dirti questo proprio oggi, è che io... ho bisogno di parlare, necessito di condividere, almeno in parte, questo peso con te, perché io... Io ho distrutto la vera natura di Camus, la colpa è... stata... mia!"

Di nuovo quella voragine dentro di lui che, ancora una volta, lo stava risucchiando, dovevo intervenire, non avevo proprio il cuore di vederlo così!

"N-no, figurati! Immagino che il fatto a cui hai fatto riferimento c'entri con la tua cicatrice. L-l'ho vista quasi subito, sai? Ma non te ne ho mai parlato per non metterti a disagio. - presi un profondo respiro – Mi spiace tanto, Dégel... ne ho parlato anche con Mu in un momento in cui gli raccontavo di te e abbiamo convenuto insieme che... quella cosa... deve essere ben più estesa di quanto appare. Davvero, mi fa star male... mi far star male pensare a quanto avrai sofferto. Solo... riesco solo a dire che mi spiace!"

Anche io cominciavo ad avere difficoltà a continuare quel discorso inaspettato a casa del mio migliore amico, avevo persino difficoltà a respirare correttamente, ma ciò che mi premeva di più era scacciare quell'ombra nera dai suoi occhi.

"E' come dici tu..." biascicò solo Dégel, distogliendo lo sguardo, un poco meno sofferente, come se il cervello, per preservarsi, scacciasse in fretta il ricordo di quei drammatici momenti.

Annuii cupa, dirigendomi dalla finestra e aprendola di scatto. O l'ossigeno era calato bruscamente nella stanza o avevo un calo di pressione, ma mi era proprio impossibile continuare a rimanere lì, ritta in piedi a scrutare il fratello gemello di Camus.

Passarono altri secondi di totale silenzio, fino a quando non avvertii Dègel accennare qualche passo nella mia direzione, fermandosi tuttavia dal tavolo. Non vi era più quell'espressione dolente a solcargli il viso, gli occhi brillavano limpidi e sembrava aver recuperato una parvenza di serenità.

"Sakura, proprio in virtù di quello che ti ho detto... probabilmente non lo merito, ma te lo chiederò comunque... - si prese un ulteriore, breve, pausa, prima di porre la fatidica domanda – Vuoi essere... mia amica?

I miei occhi saettarono increduli nella sua direzione ancora prima che il mio cervello comprendesse la frase che, per me, era già incredibile di suo: q-qualcuno voleva davvero la mia amicizia, oltre a Mu?!

"So che non lo merito, ma..."

"Tu... tu vuoi essere mio amico?"

La grase mi fuoriuscì prima che lui concludesse la sua, fu il suo turno di fissarmi sgomento, come se avessi posto un quesito troppo ovvio per essere pronunciato.

"C-certo, io..."

"E' assurdo, Dègel, tu sei nuovo qui, non sai... non sai le regole che vi sono in questo paese. Voi già rischiate tantissimo a p-parlarmi, ci manca solo che... che..."

Fu un fruscio, la carezza di un respiro. Me ne resi nitidamente conto quando mi ritrovai tra le braccia di Dègel, un gesto ben più deciso e aperto rispetto a quello che, solo quella mattina, Camus mi aveva rivolto, decisamente di diverso sapore. Mi accorsi che stavo tremando con forza, e che qualcosa di incredibilmente caldo e salino mi bagnava le guance, senza che la ragione potesse fare alcunché per impedirlo.

"E' vero, non conosco le regole di questo paese e, a dirla tutta, neanche mi interessano. Sono consapevole della tua situazione, Sakura, non voglio tirarmi indietro!"

Il suo tono era straordinariamente temerario, quasi in antitesi con il dolce abbraccio che mi stava regalando. Ne fui commossa.

"D-Dègel, io tengo a voi... non voglio causarvi fastidi e, se diventassimo amici, questo accadrà senz'altro. Io porto sventura alle persone intorno a me, non possiamo proprio..."

"Questo lascialo decidere a me. Tu rispondimi solo con un sì o con un no: possiamo... possiamo provarci?" mi chiese lui, affondando il suo viso nella mia folta chioma.

"I-io tengo già a te e tuo fratello, non è un qualcosa che posso impedirmi di provare, ma non avrei mai pensato che tu volessi diventare mio... - avvertii un singhiozzo salirmi dalla gola, ma lo ributtato giù a forza – Per... perché proprio me?"

"Perché, dici? Perché, proprio come hai sottinteso adesso tu, i sentimenti non si possono controllare, quando ci avvinghiano è già troppo tardi. E' da un po' che te lo vorrei chiedere formalmente, ma non ho mai avuto il coraggio di farlo per la faccenda che ti ho accennato prima. Sono proprio un vigliacco, eh?" tentò di smorzare la tensione lui, ma si presagivano chiaramente tutte le sue emozioni.

"Anche io non te l'ho mai chiesto per paura del mio passato, se così si può dire... tutt'ora vorrei urlarti 'sì', ma ho timore per le conseguenze che di certo subirai se mi lasciassi andare..."

"Sakura, in che condizioni sei cresciuta per avere una simile paura? Quanto hai sofferto in questi anni? Possibile che solo Mu sia voluto diventare amico di una persona meravigliosa come te?!"

Non risposi, affondando ancora di più il volto nell'incavo della sua spalla. Non avevo parole da aggiungere e da pronunciare, ma mi sentii ferocemente stanca, come se, il nodo che cresceva in petto, mi prosciugasse tutte le energie. Chi mai avrebbe potuto voler diventare amico di un demone come me? Giusto qualcuno che non mi conosceva abbastanza bene, o Mu, infinitamente buono e gentile verso chiunque, persino con me.

"Non sei un mostro, se stai pensando a qualcosa di simile a questo!"

L'esclamazione di Dègel mi fece sussultare, spingendomi a distaccarmi leggermente da lui per vederlo bene in faccia. Nei suoi occhi era scesa un'altra ombra scura, ma il suo sguardo era fermamente rivolto a me, alla mia figura minuta, al mio viso.

"E' questo paese ad essere sbagliato, non tu!" concluse, risoluto, osservando con foga inaudita fuori dalla finestra. Sembrava arrabbiato, ma non di certo nei miei confronti.

"Non puoi dire queste cose, non qui, altrimenti..."

"Ho visto come ti hanno trattato, Sakura... tutto questo è fuori da ogni logica! Non permettere agli altri di pensare che tu sia un orco, nessuno lo merita, men che meno una ragazza come te!"

"Io... non ho mai accettato questo paese, non mi sono mai arresa a loro, al loro presunto dio, ma non voglio che voi altri veniate coinvolti in una battaglia mia, non lo posso accettare!"

"Tu... sei sempre stata da sola, sei abituata a difenderti con le tue sole forze e sai cosa significhi la solitudine. Ma se le cose sono andate così per diciotto anni non vuol dire per forza che debbano continuare così, non ora che qualcun altro è disposto a stare al tuo fianco!"

Strinsi con forza i pugni, tesa. Volevo Dègel come amico, lo volevo al mio fianco con tutto il cuore, ma non potevo permettere che venisse coinvolto, non con tutto quello che aveva già probabilmente sofferto.

"Succedono cose... brutte... alle persone che amo..."

Dissi quella frase quasi senza accorgermene, mentre il mio sguardo era tornato ad ammirare la neve sempre più fitta e il buio incombente. Tuttavia le mie parole non fecero affatto cambiare idea a Dègel.

"Ho vissuto l'inferno cinque anni fa... l'inferno, davvero... Mi dicessero di rigettarmi nelle fiamme per rimanere a fianco di una persona straordinaria come te, lo farei senz'altro! - ribatté lui, caparbio e incosciente, in un tono che non ammetteva repliche – Sakura, per anni non ho voluto né potuto fidarmi di nessuno, per anni non ho visto che un mondo in bianco e nero, velato, estraniato... ho perso tutto quello che avevo, al di là della mia famiglia, ora voglio ricominciare, perché avverto con distinzione qualcosa di meravigliosamente caldo provenire da te!"

"Dégel..."

"Anche per Camus sono sicuro che sia così..."

"PER CAMUS NON E' AFFATTO COSI'!"

Calò di nuovo il silenzio, mentre le ultime note della mia esclamazione svanirono nelle mura spesse della cucina. Mi allontanai ben presto da lui, sentendomi a disagio. No, per Camus non era affatto così, mi aveva detto di allontanarmi da lui e così avrei fatto, in un modo o nell'altro. Forse potevo ancora salvarmi, già... forse non era così tardi.

"Come sospettavo... è successo qualcosa tra voi stamattina, vero?"

Annuii, discostando lo sguardo.

"E immagino sia stato Camus a mettere dei paletti fra voi, giusto?"

Annuii di nuovo.

"Come immaginavo... Fratello, sei proprio un caso perso... a tal punto quella faccenda continua a pesare su di te, al punto da provare ad allontanare anche una come Sakura?! Io... maledizione, c'è qualcosa che possa fare per farti tornare quello di un tempo?!" commentò aspramente lui, interrogandosi a voce alta. Rabbia e impotenza, unite ad un dispiacere ben tangibile... decisi di provare nuovamente a tranquillizzarlo.

"Non ha comunque importanza, Dègel... Camus è stato onesto è diretto con me ed io ho compreso il suo messaggio. Ho solo bisogno di un po'di tempo per digerirlo..."

"Veramente no, non lo è stato affatto, preferendo allontanarti... ma non lo posso biasimare più di tanto. Se solo... se solo non fossi stato così debole!" sussurrò appena Dégel, in un mormorio che io riuscii ben ad udire, ma che risultò ancora più criptico alle mie orecchie.

Tutta quella faccenda mi stava cominciando a pesare, una parte di me non desiderava altro che distendersi sul letto, dormire e dimenticare tutto. Ma sapevo che era impossibile: io mi ero innamorata di Camus, sebbene la mia condizione me lo impedisse, o meglio, me lo avrebbe dovuto impedire, non sarebbe comunque stato facile non pensare più a lui. Mi sforzai di credere che così era meglio per tutti, in questo modo non lo avrei messo in pericolo e avrebe continuato a vivere la sua vita tranquillo, ma anche questa era una menzogna, una parte di me lo sapeva. Io lo desideravo, con tutta me stessa, e non poterlo più vedere mi doleva il petto tremendamente.

Il tocco di Dègel sulle mie spalle mi fece ridestare, in bocca aveva sempre quel sorriso gentile, mentre la pelle candida risaltava alla luce artificiale del lampadario.

"Sakura, per quello che può valere... non arrenderti con Camus! - mi disse in tono tranquillo, quasi che fosse la cosa più naturale da affermare in un momento simile – Sei un piccolo miracolo, non badare alle parole di mio fratello, spesso discordanti con i suoi reali pensieri, osserva i suoi atteggiamenti. Tu... sono sicuro che tu possa fare molto per lui, forse sei la nostra unica speranza. Ecco..."

"Può darsi sia come dici tu, anzi lo sarà senz'altro visto che lo conosci certamente meglio, ma quali che siano state le sue ragioni non ha davvero più importanza. Se lui preferisce così io posso solo accettarlo. Probabilmente è meglio per tutti!" lo interruppi, chiudendomi a riccio.

In verità ero lusingata dalle parole utilizzate da Dègel, nessuno mi aveva mai chiamato 'piccolo miracolo', tanto meno con un tono così dolce. In vita mia ero stata appellata in vari modi, come per esempio obbrobrio, mostro o orco... inutile dire che nessuno di questi era positivo!

A malincuore mi discostai da lui, non sopportando più quella situazione. Ero sempre più confusa da tutti gli avvenimetni di quel primo novembre, sarebbe stato di certo meglio tornarmene a casa per prepararmi per il giorno dopo, tuttavia non avevo tenuto in conto di una cosa...

Era caduto il silenzio tra noi, Dégel non sembrava più avere argomenti per persuadermi a diventare amici, ma qualcuno al di fuori di quella stanza non sembrava altrettanto d'accordo.

Non lo vidi chiaramente, ma il rumore della porta che sbattè violentemente contro il muro, unito ad un grugnito animalesco, mi fece sussultare.

"A starvi a sentire là dietro, mi è venuto mal di testa! Per la miseria, sono diversi minuti che cincischiate e ancora non avete ottenuto niente, ma che problemi avete?!?"

Era ovviamente Cardia, ancora a petto nudo, del tutto incurante di aver catalizzato tutta la nostra attenzione e, naturalmente, altrettanto noncurante di essere stato totalmente inopportuno.

"Per tutte le trote salmonate! Da quando si chiede formalmente di essere amici di qualcuno?! Che problemi avete, per farlo? Che fisime hai, Mentuccio, eh?! E poi... santi numi, sembravi così solenne che pareva stessi per farle una proposta di matrimonio!" starnazzò ancora lui, sbracciandosi.

Dègel arrossì di colpo, negli occhi un'ombra di fastidio per essere stato udito da orecchie estranee, ma l'arrivo di Mu sbloccò nuovamente la situazione.

"Scusatemi, ragazzi... Cardia mi aveva detto che doveva andare in bagno, invece è venuto qui... Quando mi sono insospettito era già attaccato alla porta, l'ho provato a fermare ma mi ha tappato la bocca e... e non sono riuscito ad oppormi. Perdonatemi..."

Il mio migliore amico sembrava totalmente prostrato dall'incidente, ma non avrebbe comunque potuto nulla contro la mole di Cardia, un fascio di muscoli e un'altezza considerevole. Malgrado la maleducazione dimostrata, fui grata di quella interruzione: la scena stava diventando davvero insostenibile.

"Fa niente, me ne dovrei comunque andare..." biascicai, indietreggiando.

"Ma che poi, Mentuccio, se non riesci a farti amico una come Sakura, con le ragazze devi fare proprio schifo, eh?! Ma hai mai copulato in vita tua?! Necessiti di dritte?!" continuò invece Cardia, del tutto inconsapevole di star dando spettacolo.

Persino la pazienza di Dégel, in quel caso, cedette...

"Hai origliato tutta la nostra conversazione, come se non bastasse ci interrompi e urli come un forsennato... lasciami dire che sei stato quantomeno inopportuno!" si lamentò Dègel, arrossendo un poco e discostando lo sguardo. Pareva inquieto.

"Ehi, Mentuccio... questo sarebbe il tuo mordente quando sei arrabbiato o infastidito? Lasciami dire che fa pietà!"

"Questi non sono affari tuoi!"

Non lo avevo mai visto rispondere così male a qualcuno, un brivido mi corse lungo la schiena nel vederlo così paurosamente al limite, così furente da soffiare come un oca disposta a tutto pur di difendere il proprio territorio. Poco prima mi aveva detto che gli sembrava di aver vissuto in una bolla di sapone per anni, una sensazione a me famigliare, sin troppo... e ora, in quel momento, la suddetta bolla era scoppiata, scoprendolo totalmente. L'ago in questione, l'ago che era riuscito a farlo in così breve tempo, non era altri che Cardia.

"Per gli dei, ma non è che sei gay, Mentuccio?! Mi è venuto in mente ora nell'assistere ai tuoi atteggiamenti! Certo che, per essere un maschietto, non sembri tale, eh, il tuo corpo pare delicato come il petalo di un fiore, i capelli... beh, i capelli così lunghi rispondono da soli, no?! Sì, sì, secondo me sei dell'altra sponda, e non intendo del lago, eh, ma..."

"Cardia, per favore, puoi... puoi piantarla?! Stai mettendo tutti a disagio con il tuo sproloquiare. Per carità, fermati!"

Il suono della mia voce risultò più duro del solito, cosa che mi meravigliò. Non volevo risultare così aspra con una persona, di fatto, appena conosciuta, ma il tono così confidente mi uscì d'istinto, come se, d'istinto, stessi parlando a mio fratello Milo.

L'interpellato istantaneamente tacque, squadrandomi scettico. Neanche lui si aspettava un intervento così rude, ma fece comunque quanto chiesto, sorprendendomi a dismisura: il feroce Cardia dalla lingua lesta e i modi un poco rozzi che se ne stava di una mia richiesta?! Sì, che eravamo collegati, ma non l'avrei mai detto!

"Come preferisci, Fiore di Ciliegio, ma se le cose stanno davvero così, per lo meno rispondi alla richiesta di Dégel di diventare amici!" disse apparentemente impassibile, e tacque.

Spalancai gli occhi al limite dell'umano possibile, stordita sia dal nome con cui si era rivolto a me, prerogativa unica di mio fratello Milo, sia dal fatto di essersi ricordato un appellativo che non avesse inventato lui, nello specifico Dégel.

"Uh, ecco, io..."

Il mio cellulare in quell'istante suonò, facendomi prendere un colpo. Quasi inconsapevolmente lo presi tra le mani un poco tremanti e...

"SAKURA, SI PUO' SAPERE DOVE DIAVOLO SEI?!?"

Era mio fratello Milo, furente, dall'altra parte dello schermo. Non risposi subito. Il fatto, di per sé, permise all'altro di continuare nel suo rimprovero.

"E' tutto il giorno che non ti fai viva! Non hai portato nemmeno i cani a fare i bisogni, per non parlare dei compiti per domani, quando pensi di farli?!? - proseguì, indomito, privandomi della più piccola voglia di controbattere. Non si fermò. - Io non posso coprirti ancora per molto, lo sai, no?! Quindi, ovunque tu sia, cerca di arrivare qui in fretta, che sta anche nevicando copiosamente e... beh, tu vieni e basta, al resto ci penso io con i nostri genitori!" addolcì un poco la voce, ma era troppo tardi per convincermi comunque a rispondere. Mi sentivo quasi svuotata, costretta a forza a tornare in un mondo che non mi piaceva e che, per tutto il giorno, ero riuscita a relegare in un qualche angolino del mio inconscio.

I presenti davanti a me intuirono il cambio di umore nel mio animo; lo intuirono anche dalla luce che si spense nei miei occhi. Io non la potevo vedere, ma la avvertivo limpidamente. In ogni caso, malgrado le occhiate preoccupate di Dègel e Mu, fu Cardia ad intervenire ancora una volta. E lo fece nella maniera più stupida possibile: togliendomi il cellulare dalle mani e rispondendo al posto mio.

"Ohi, ma chi cavolo sei tu che urli come un'aquila?! Ti si sente da due metri di distanza e sei irritante, sciallati!"

Silenzio dall'altra parte. Gelo tra noi. Poi...

"Con... con chi sto parlando? Non sei né Camus né Dègel, ma allora chi...?"

"La domanda te l'ho posta io, non pappagalleggiare!"

"Io non sto... ma, ehi, ti sembra il caso di interrompere una conversazione privata?"

"Ho capito, sei il fidanzato di Sakura!"

"COSA?!? Ma sei scemo?! Lei è mia sorella, non so chi tu sia, ma sarà meglio per te darmi delle valide spiegazioni, altrimenti io..."

"Se... suo fratello, dicono tutti così!"

"Ti ho chiesto chi diavolo sei... Hai fatto qualcosa a Sakura?! Prega per la tua anima, se così è, o..."

"Zitto, tu, stai parlando con il grande Car..."

Gli presi a forza il cellulare tra le mani, tutta tremante, terrorizzata dalle conseguenze possibili in tutto quello. No, quella storia doveva rimanere sepolta ancora prima di prendere piede, ne andava delle nostre vite e di quelle di tutto il paese: Cardia non doveva assolutamente subire quello accaduto a me in diciotto anni, no, non avrei permesso a nessuno di rimanere coinvolto!

"Pronto, Milo, sono io! Sono con Mu e Dègel e abbiamo beccato un ubriaco per strada! Vengo il prima possibile!" affermai, poco prima di chiudere la chiamata senza aspettare una eventuale risposta.

Fissai sgomenta il cellulare, tremando visibilmente. Il pericolo era momentaneamente scongiurato, ma mi sentivo ancora tremendamente scossa dal rischio corso.

"Cosa sarei io, un ubriaco?! Eh, no, Sakura, questo da te non..."

"LO CAPITE ORA PERCHE' NON POSSO AVERE ALTRI RAPPORTI?!? LA MIA FAMIGLIA E' UNA SPINA NEL FIANCO, LA MIA ESISTENZA E' DANNOSA PER TUTTI VOI! - urlai, sempre più fuori di me, tentando di dare sfogo all'immenso peso nel mio petto, ma me ne pentii subito, tornando lentamente alla calma. – Perdonatemi, io... io vi voglio bene, davvero... proprio per questo non posso permettervi di invischiarvi nella mia incasinatissima vita, io... porto sventura! E, in fondo, anche con Camus probabilmente è andata meglio così, stavo cedendo, ma lui me lo ha impedito. Lasciamo le cose così, vi supplico!"

Avevo iniziato a balbettare e apparivo visibilmente scossa, lo sapevo. Nessuno aveva più il coraggio di dir niente, anche questo era comprensibile, e forse... era meglio così anche questo!

Senza aggiungere altro, mi allontanai da loro, dopo aver sussurrato un: "ci vediamo domani a scuola, Mu", per poi mettermi la giacca, uscire e scomparire nella tormenta che congelava tutto, persino l'ossigeno nei miei polmoni, rendendomi il petto freddo e brullo come non mai.

 

 

* * *

 

La settimana trascorse con lentezza, senza che ci fosse alcunché a distrarmi dai miei doveri scolastici. Tutto era ferocemente statico, come cristallizzato nel tempo, lo stesso si poteva dire del clima, ancora fermo a nevicare su nevicare, gli accumuli erano ormai ingenti.

Dopo quanto accaduto a casa di Mu, non avevo visto più nessuno, ad eccezione del mio migliore amico e di mio fratello; il mio cervello continuava a ripetere che tutto ciò era un bene, ma la verità era che non mi sentivo affatto bene! Nessuna interferenza a scuola, persino Megres (per fortuna) non ricercava le mie attenzioni, tutto scorreva calmo e liscio come l'olio, in un susseguirsi di eventi placidi tipo verifiche, interrogazioni, ancora verifiche, ancora interrogazioni... tutto era tremendamente uguale a sé stesso, tutto era esattamente come prima; prima che incontrassi i Delacroix, prima di Cardia... mi continuavo a ripetere che era meglio così, la verità era altra: tutto così insopportabilmente piatto!

I miei voti non risentivano del mio stato di apatia, avevo persino recuperato il compito di chimica, anche se la professoressa non lo aveva ancora corretto, tutto sembrava continuare bene, tuttavia nulla era rimasto come prima... Io, per prima, mi sentivo cambiata. Irreversibilmente.

La decisione di rifiutare l'amicizia di Dègel, il fatto di non aver più rivisto Cardia, nonostante chiedessi ogni giorno a Mu come stava, e, più di tutto, lui: Camus!

Lo scacciai per la milionesima volta dalla mia testa, mentre l'ambiente intorno mi appariva del tutto insignificante, se paragonato alla mia interiorità. Dègel, Cardia... avevo tentato di lasciarli fuori dalla mia vita, con tutte le mie forze, ma quelli mi ritornavano sempre in testa, rimbalzandomi nelle tempie. No, no e poi no... sapevo la via migliore, me la indicava il mio cervello, allora perché mi sentivo così triste e scoraggiata?! Perché li volevo con me, nella mia vita, ben consapevole che quella fosse un gigantesco buco nero che li avrebbe inghiottiti?! Che patetica egoista mi rivelavo!

Conoscevo lo stato di salute e i movimenti di Cardia grazie a Mu, che, ogni giorno, mi raccontava di come stesse e di cosa combinasse, fortunatamente le ferite si stavano rimarginando e il ragazzo misterioso era sempre più allegro e vivace, malgrando la memoria non gli fosse ancora tornata. Ero consapevole che anche lui chiedesse spesso di me, insistendo per vedermi, ma il mio migliore amico, in accordo con me, gli diceva che era meglio di no. Esattamente così doveva essere, nonostante l'immenso dolore che mi affliggeva per le mie scelte... la battaglia l'avevo cominciata io, rifiutando di subire quanto pattuito dal paese, non avrei coinvolto altri, non più, non gli avrei permesso di fare la stessa fine di Mu, a sua volta messo alla gogna per aver accettato di condividere la mia stessa sorte. Già, all'epoca non ero che una bambina, non potevo sapere le conseguenze delle mie azioni, né la sofferenza che avrei procurato indirettamente al mio migliore amico, ma ora ero cresciuta, avevo capito e deciso il mio percorso in solitaria, unica via per non arrecare danno agli altri e, al contempo, ostinarmi a non arrendermi.

Tuttavia con Camus avevo fatto un passo falso, desiderando, per la prima volta senza resistere a tale pulsione, di stare al suo fianco. Per fortuna, tale scelta era stata ostacolata da lui stesso, permettendomi così di andare avanti.

O, per lo meno, sarebbe stato bello se fosse stato davvero così...

Era sempre Camus il problema, la vocina dentro di me che non mi lasciava quietare, il desiderio irrazionale che non riuscivo a far tacere, pur con tutta la forza che provavo a metterci nel dimenticarlo. Che, in realtà, contrariamente alle sue aspettative, fosse già stato troppo tardi?!

Mi misi la testa tra le mani, tentando di darmi una spiegazione al permeare del suo volto nei miei pensieri: mi aveva due di piccato senza mezzi termini, a parte lo smarrimento iniziale, mi aspettavo un recupero nei giorni successivi; nulla di tutto questo era accaduto e il bisogno di vederlo si acquiva sempre di più. Inconcepibile!

Non facevo che sognare di lui, a scuola spesso ero distratta durante le spiegazioni, solo durante le prove riuscivo a relegarlo in un angolino. Lui c'era, da qualche parte in me, non sussisteva possibilità di appello. Qualunque cosa facessi, il pensiero finiva sulla immagine mentale che avevo di lui. Inequivocabilmente.

Presi il cellulare dalla tasca posteriore dei jeans, fissandolo per secondi indefiniti. Solo la settimana prima ero riuscita a scrivergli un messaggio, ricordavo ancora distintamente la gioia provata quando lui mi aveva risposto, talmente tangibile che il cuore mi accelerava automaticamente. Una settimana dopo, eccomi invece lì, senza sapere più nulla di lui, né di suo fratello, ancora intenta a farli uscire dalla mia vita senza riuscirci, ma parallelamente perfettamente consapevole di doverlo fare.

"Sakura, non puoi continuare così, è da giorni che fissi con sguardo vuoto il cellulare, non ti fa bene questo! - sussultai nell'udire la voce di Mu dietro di me – Perché non lo provi a risentire? Hai rifiutato persino di diventare amica di Dégel!"

Il mio migliore amico era apparso dietro di me alla fermata del bus dove mi trovavo, non c'era da stupirsi, visto che ero più svampita del solito in quel periodo, ma erano le sue espressioni preoccupate che mi rattristavano ancora di più. Ero assente anche per lui, il mio unico amico che era rimasto comunque al mio fianco, non mi piaceva per niente, ma non avevo forze per oppormi.

"Tu sai... non voglio si ripeta quello che è successo a te, non voglio che loro abbiano tutto il paese contro, non lo meritano!" affermai, rimettendo il cellulare apposto.

"Sakura... se posso starti a fianco quello che è stato è nulla, Dègel la pensa uguale, per questo voleva diventare tuo amico, giusto? Non sei molto diversa da Camus, se fai così!"

"In ogni caso oggi pomeriggio ci vediamo per mio fratello Milo, no? Non è il caso di ciarlare su questo!"

Non mi ero mai chiusa a riccio con lui, mai! Questa era la prima volta e mi faceva stare male, ma anche qui non avevo alternativa alcuna.

Mu sembrò capire l'antifona, sospirò ma tacque, mite.

Eravamo alla fermata del bus per scendere a Noasca, il paese posto sotto la diga del Lago di Ceresole. Come accennato prima, il motivo di tale uscita pomeridiana era legata a mio fratello. Mancavano infatti pochi giorni al compleanno di Milo, l'otto novembre per precisione, ed io dovevo andare a ritirare il tanto agognato regalo dal mio negozio di fiducia. Noasca era anch'esso un piccolo paese di montagna al pari di Ceresole Reale e, nonostante la notevole differenza di altitudine con il luogo in cui abitavo, differenza di circa 500 metri, forse un pochettino meno; per certi versi mi trovavo meglio lì sotto che non nel luogo in cui ero nata. Non che la faccenda dell'orco non si fosse sviluppata anche lì, eh, troppo vicina al nucleo del problema, ma almeno in quel luogo avevo ancora qualcuno che stentasse a credere alla maledizione.

Guardai sconsolata il cielo bianco sopra di me, mentre qualche fiocchetto di neve si incastrò nella palpebra. Finalmente dopo una settimana di bufera la situazione si era acquietata, continuando però comunque a non farci vedere il sole.

Quando il bus arrivò, Mu ed io ci infilammo negli ultimi posti, rimanendo in religioso silenzio. Il mio migliore amico sapeva fin troppo bene quanto fosse difficile da sopportare per me il compleanno di Milo. Adoravo mio fratello e avrei dato la vita per lui, tuttavia erano davvero difficili i giorni antecedenti al suo compleanno; quell'anno, poi, che, di anni, ne compiva venti, la mia famiglia sembrava quasi assuefatta da quell'avvenimento. La preparazione per rendere indimenticabile la festa di Milo era già in pieno svolgimento, non un elemento avrebbe dovuto essere fuori posto, tutto doveva essere perfetto e i nostri genitori lavoravano giorno e notte per lui, naturalmente a sua insaputa.

Presi distrattamente il portafoglio dalla borsa, squadrando con disappunto i soldi che avevo, frutto della paghetta settimanale dei miei che, per quanto misera, mi permetteva di pranzare dopo scuola. Ebbene, non avevo mangiato a pranzo pe due settimane successive, unico modo per raggiungere una somma sufficiente per ciò che avevo in mente. Certo, non vedevo l'ora di trovare un lavoro per fare da me, ma essendo maggiorenne da poco e non avendo ancora la patente, non era facile muoversi dal mio paese natio e, ovviamente, in quel di Ceresole era praticamente impossibile che qualcuno mi accettasse in una attività, non con la nomea che avevo dietro.

Era tutto ciò che avevo da offrire a Milo... al solo pensiero dei regali maestosi che li avrebbero fatto mi veniva male, perché ripensavo al mio piccolo, patetico pensierino...

Sospirai ancora una volta, mentre la lunga galleria che separava Ceresole Reale da Noasca, dava di colpo fine al bianco del paesaggio. 500 metri di dislivello circa, un lungo tunnel scuro di pendenza 10%, sei tornanti... ecco cosa separava le due frazioni.

Una volta scesi, mi sforzai di sorridere al mio migliore amico, sentendomi nuovamente grata per tutta la sua pazienza e per essere sempre al mio fianco. Era vero, non avrei più permesso ad altri di condividere la mia ingrata sorte, ma ero davver felice che lui fosse con me. Era una duplice sensazione, talmente strana e in antitesi, da confondermi non poco.

Giunti finalmente dal negozio di souvenir, che faceva anche da cartoleria, entrai raggiante, ma purtroppo mi sentii dire che il lavoro non era ancora finito e che richiedeva ancora un'ora di tempo per essere completato. Poco male, avremmo girato un po' per il paesino, fremevo dalla voglia di vedere ultimato il regalo, ma avrei dovuto portare ancora un po' di pazienza.

Camminammo quindi per le vie del paese, chiacchierando del più e del meno e stando ben attenti a non tirare fuori alcun argomento, per così dire, delicato. Fu essenziale per non ripensare per la milionesima volta a Camus, ora un pallino intessuto in qualche parte del mio essere, fortunatamente, almeno per il momento, non più figura imperante dei miei pensieri, solo... una cornice lontana. Così avrebbe dovuto rimanere.

Ad un certo punto del nostro giro Mu si allontanò, dicendo che doveva comprare una cosa a sua madre, dirigendosi poi nel negozio di souvenir più vicino e sparendoci dentro. Un compotamento non consono a lui, ma non indagai ulteriormente, rispettando la sua volontà.

Passarono i minuti ma il mio amico non tornò. Quasi mi venne voglia di andarlo a cercare, ma un movimento veloce a poca distanza da me catturò il mio sguardo. A pochi metri dal supermercato del paese, infatti, vi era un grosso cane, di tipo Pastore tedesco, legato con il guinzaglio ad un palo. Pareva stesse aspettando qualcuno, da quanto uggiolasse, poi guardai meglio, scorgendo una museruola a legargli il muso. Non era di certo abbandonato, ma, per qualche strana ragione, mi rattristai, avvicinandomi a lui con cautela. Fin da piccola avevo amato follemente i Pastori tedeschi, non che gli altri cani non mi piacessero, anzi, ma per loro avevo una vera e propria devozione. Giunta a pochissima distanza, il cane, scorgendo il mio movimento, cominciò a ringhiare infastidito, forse non abituato ad essere particolarmente affabile con gli estranei. Decisi di accucciarmi lì, del tutto presa da quello splendido animale che avevo davanti, il pelo fulgido, i colori sgargianti, gli occhi determinati.

"Che meraviglia che sei... ma non ricordo di averti mai visto da queste parti, appartieni ad un turista?" chiesi interrogativamente, del tutto ammirata.

Il cane smise di ringhiare, abbassando più volte le orecchie con fare inquisitorio. Certo, i Pastori tedeschi avevano un caratterino particolare, se addestrati adeguatamente, ma erano anche fra i cani più buoni del creato.

"Non ti faccio niente, su... odora le mie mani, anche io ho dei cagnetti, sai? Sono la mia vita!" continuai in tono calmo, avvicinando le mani in segno di pace. Sapevo di rischiare una morsicata, del resto era giù successo, ma ero istintivamente portata a comportarmi così con ogni animale.

Il Pastore tedesco, per tutta risposta, fece quanto chiesto con fare scettico, poco prima di scodinzolare istintivamente e darmi una veloce musata. Il primo approccio era andato bene!

Sorrisi tra me e me, appropinquandomi ulteriormente per coccolarlo un po'. Alla fine dei conti era docile e giocherellone come i miei, sebbene mi sembrasse un po' più grande di età rispetto al mio Mirtillo.

Non mi resi conto del tempo che passava, perché, quando ero con gli animali, quasi perdevo il contatto con il mondo reale, finendo quasi in un'altra dimensione. Tuttavia, la voce dietro alle mie spalle la udii sin troppo bene, perché era quanto di meno avessi voluto incrociare in un frangente simile.

"Ho finito con le spese per lo Chalet, Ira, scusami se ci ho messo tanto, ora posso... UGH!"

Mi pietrificai all'istante, riconoscendo quel timbro vocale femminile, malgrado lo avessi udito un'unica volta. Impossibile sbagliarsi.

La cagnolina, che fino a poco prima giocherellava con me, concentrò tutta l'attenzione sulla nuova venuta, uggiolando per la gioia e compiendo grandi balzi. Lentamente mi alzai, voltandomi in automatico. Il mio cuore perse un battito e, a giudicare dalla breve luce in quei due occhi viola perlacei, lo stesso accadde a lei, per un istante impossibilitata ad aggiungere altro. Per un solo istante, appunto!

"Di tutte le persone che potevo incontrare quest'oggi... proprio tu!" commentò infine con supponenza, non sforzandosi nemmeno di celare il disappunto.

Come darle torto, lo stesso provavo io, pertanto mi chiusi involontariamente a riccio, facendo tre passi indietro. Non risposi e, stavolta, il mio sguardo fu più forte dell'orgoglio, perché cedette improvvisamente verso il basso, trovando interessante il marciapiede gelato sotto di me.

Pandora era davanti a me, un abito lungo, nero ed elegante a coprirla fino alle ginocchia, sopra di esso un cappotto con i bottoni dorati, sotto i collant e gli stivali, che slanciavano ancora di più la sua figura. Il trucco che le delineava gli occhi, accentuati dal mascara, la rendevano ancora più straordinariamente bella e piacente, davvero una meta inarrivabile per una ragazza piccola e insignificante come me, scambiata, non di rado, ancora per una quattordicenne.

In quel periodo come non mai non avevo difese contro di lei... perché il destino me l'aveva messa nuovamente davanti, riportandomi alla mente qualcuno che, da giorni, mi sforzavo di dimenticare?!

"Uhmpf, sei minuta come mi ricordavo, effettivamente sembri poco più che una bambina, ma non lo sei più, giusto? Quindi smettila di chinare così il capo, è irritante!" mi rimproverò lei, passandomi di fianco e liberando il suo Pastore tedesco, che immediatamente le saltò addosso per farle le feste.

Non avevo alcuna voglia di parlare, desideravo solo che Mu arrivasse a salvarmi il più in fretta possibile, ma non c'era traccia di lui.

La persona accanto a me invece era di altro avviso.

"Ti chiami Sakura, se non ricordo male, la nuova fiamma di Camus..."

Sussultai a quel nome, ma inspiegabilmente questo mi diede la forza di controbattere.

"Credo di averti già detto che sono solo una... amica... di famiglia!" biascicai, sforzandomi di scrutarla in viso senza quell'irritante riverenza che provavo in sua presenza. Di fatto, mi sentivo inferiore, in tutto, era tremendo...

"Certo, ed io ti credo, proprio! Piuttosto, come sta Camus?"

Ancora quel nome... lo faceva apposta?! Avrei continuato a permetterle di fare ciò che voleva?! Mi sentivo indifesa davanti a quella entità, ma non potevo certo continuare a mostrarmi tale!

"Non ne so più niente, non lo vedo da giorni!" ribattei, facendo per andarmene, desiderosa di troncare quel raffronto.

Ma vidi con distinzione una strana luce passare negli occhi di Pandora, come nuovamente ispirata.

"Non dirmi che... ti ha tagliata fuori, vero?!"

Ecco, colpita nel segno, mi sentii annegare.

Strinsi con forza i pugni sempre più furente, la misura era colma, ed io stavo facendo pateticamente il suo gioco come una scema, no, dovevo ribellarmi!

"Mi ha semplicemente detto di salvarmi finché sono in tempo, che ciò che penso di lui è sogno e di fuggire. Questo è quanto, sei contenta adesso?!"

Non seppi da dove mi fosse venuta quella ventata di sincerità, né dove trovai la forza per far saettare i miei occhi verso i suoi, ma la cosa che mi sorprese di più fu la sua espressione ammutolita diventare sempre più incredula e distorta; le guance paonazze, il sorriso rivoltomi, quasi di scherno, ghiacciato in un millesimo di secondo.

Cosa era successo per renderla così?! Che avevo detto di tanto nefasto?!

"Davvero... ti ha detto questo?" sibilò lei, velenosa. Quasi mi spaventò, ma non indietreggia, non più.

"Camus mi ha ricordato inconsciamente che non posso avere relazioni, ci stavo cascando, mi stavo per affezionare a loro, ma lui mi ha allontanato, meglio così, perché io..."

"MA A CHI VUOI DARLA A BERE, STUPIDA RAGAZZINA?!?"

Ammutolii di botto davanti a quella dimostrazione di rabbia malcelata e a stento repressa. Neanche dopo questo indietreggiai, chiedendomi invece cosa diavolo le fosse preso in quel momento.

"E' così, io mi stavo realmente per..."

"...AFFEZIONARE, VERO?! MI CREDI FORSE IDIOTA?!? - mi parlò nuovamente sopra, ormai fuori di sé, tanto che anche la cagnolina cominciò a fissarla preoccupata – Me ne sono accorta appena ti ho visto, sai?! Mi sono accorta di quanto sbavi per Camus, è lampante!"

"Ma cos... NO! E poi, anche se fosse, mi ha friendzonato, hai campo libero adesso!"

"Che lingua biforcuta che hai, a dispetto dell' apperenza!"

Aveva ragione... da dove mi era uscito, di nuovo, quel tono così confidente?! Continuavo a provare soggezione con lei, ma era anche come se, in qualche modo, dovessi difendere qualcosa di a me caro. Ma cosa, nella fattispecie?! La mia dignità?! Camus?! O altro?!

Cadde un silenzio assordante tra noi, ma nessuna delle due sembrava voler proseguire per la sua strada, come se un vecchio conto fosse aperto tra noi.

"Ma guarda questa... avevo ragione a temerti!"

"A temermi?! - inaspettatamente ridacchiai nervosamente – Mi ha due di piccato, se non l'hai ancora capito, piantala di continuare con questa storia!"

"Tu davvero non hai capito un cazzo di Camus Delacroix! Maledetta la tua ignoranza e dannata sia la mia consapevolezza, invece!"

Fremeva vistosamente, quasi sul punto di piangere. La guardai scioccata, del tutto incapace di razionalizzare quanto stava accadendo. Chi fosse, o meglio, chi fosse stata Pandora per Camus era più che ovvio; diverso invece il suo odio sviscerale verso di lui, che tanto andava decantando e che tanto era in contrasto con la sua reazione odierna. Che Pandora fosse ancora...?

"Camus non è più vergine da molto tempo, immagino che questo non te l'abbia mai detto, vero?"

Accusai un poco il colpo, più per l'argomento in sé che non per altro. Quali erano le intenzioni di Pandora?! Le avevo detto che non c'era niente tra noi, che era finita ancora prima di iniziare, perché allora provare a ferirmi con ogni mezzo?! Non aveva senso alcuno!

"Di cosa abbia fatto Camus della sua vita sessuale passata non è affar mio, il corpo è il suo, può usarlo come meglio crede, purché non lo adoperi per far male agli altri, e non mi sembra il tipo..."

"Non ti sembra il tipo, eh... che inguaribile sciocca che sei... di questo passo verrai spazzata via come un fuscello!"

"Farnetichi parole al vento quando ti ho già detto che mi sono ritirata dalla disputa... piantiamola qui, Pandora! Io voglio provare a dimenticarlo, non ha senso tentare di ferirmi ulteriormente!"

"Sei il classico tipo di persona che pensa agli altri e non a sé stessa; un tipo di persona che io non sopporto!" continuò invece lei, ancora rancorosa.

Era davvero troppo! Non si sarebbe fermata da sola, lo capii dalla sua cieca rabbia nei mie confronti, una rabbia in parte incomprensibile per me, ma non avrei continuato a fare il suo gioco, a costo di prendermene e andarmene via da quella strada troppo soffocante. Così feci, superandola per allontanarmi, ma lei mi prese per un braccio, stringendomi convulsamente.

"Sono stata io... io ho preso la sua verginità, lui la mia! Riesci a capire quanto sia importante questo, ragazzina?! C'è e ci sarà sempre un legame imperituro tra me e lui; un legame che nessuno potrà mai cancellare... neanche tu!"

Mi sentii mancare, mentre la testa cominciò a pulsarmi selvaggiamente, come spesso accadeva quando si tirava fuori QUEL particolare argomento. Mi salì alla gola uno spietato senso di nausea, che si tradusse nell'incespicare a vuoto dei miei piedi. Le gambe cedettero sotto il peso del corpo, poco dopo ero ginocchioni a terra, una mano davanti alla bocca e il respiro corto. Avrei vomitato se non avessi recuperato in fretta l'autocontrollo, l'ultima cosa che volevo era farlo davanti a lei.

Pandora, dal canto suo, aveva un poco addolcito l'espressione, forse non aspettandosi una reazione così innaturale davanti a qualcosa che, secondo lei, era invece perfettamente normale. Tale addolcimento si parafrasò anche nella sua voce, un poco più tranquilla, nonostante il peso delle parole che si portava dietro

"Questa cagnolina, che tu hai visto, è la mia preziosissima Ira, ha tre anni ed è il frutto dei miei sentimenti andati in frantumi. Dalle ceneri di quelli è nata una nuova me, che tuttavia è viva solo grazie e in virtù di quegli stessi sentimenti. Lei ormai è tutto per me, insieme a lei ho deciso di ricominciare!"

La fissai sgomenta, non trovando il coraggio di controbattere nulla. Il Pastore tedesco si chiamava Ira, come una delle pulsioni più violente e distruttive dell'uomo, che quello stato fosse dipeso da... Camus?!

"So che penserai che sono una stupida a reagire così, ma davvero io... la forza l'ho trovata grazie a lei, abbandonata ancora quando era una cucciola perché la zampa posteriore sinistra è malformata e non le permette di compiere grosse corse..."

Solo allora mi accorsi della veridicità delle sue parole, effettivamente prima non avevo notato che la zampa in questione fosse stranamente girata verso l'interno, non permettendo così all'animale di muoversi velocemente e con grazia.

Avrei voluto trovare il coraggio di dire qualcosa, ma le corde vocali pizzicavano e il senso di nausea, il desiderio di vomitare, continuava a permanere.

"Ho profuso quei sentimenti verso di lei, l'amore, l'amicizia, la solidarietà... sono rinata grazie a lei, ma l'ho chiamata Ira, per non dimenticare... - continuò a dire, come ipnotizzata, poi all'improvviso si riscosse – Io... rovinerò la vita a Camus Delacroix, l'ho giurato a me stessa, io... non avrò pietà alcuna nei suoi confronti, lo estirperò con le mie stesse mani!!!"

Sussultai, rabbrividendo al suono di quell'urlo strozzato che fuoriuscì da lei, un urlo carico di odio, ma che a me apparve velato di una certa tristezza. Ne fui travolta.

"E tu, ragazzina, se è come dici, non ho ragioni per prendermela con te, non mi hai fatto nulla, ti sei innamorata solo di uno stronzo a causa della tua giovane inesperienza. Non metterti più tra me e lui e andrà tutto bene, intesi?"

La guardai con infinita tristezza, chiedendomi cosa fosse accaduto per renderla così fuori di sé, eppure lo capii... di lui, di Camus Delacroix, ne era ancora perdutamente innamorata...

"L'odio non porta a niente..." balbettai solo, sospirando con inerzia.

"Umpf, e ora mi fai pure la predica?! Sei scusata solo perché piaci alla mia cagnolina, non è da tutti sappilo! - ribatté lei, tornado ad essere sicura di sé – Allora ci si vede in giro, ok? Io lavoro allo Chalet davanti al lago, sono riuscita a farmi prendere lì, quindi è fattibile che le nostre strade si incroceranno di nuovo. Ti saluto!" si accomiatò, andandosene come se nulla fosse.

Un altro brivido mi corse lungo la schiena nell'udire quella rivelazione... e così aveva trovato lavoro nell'albergo non distante da casa mia, questa non ci voleva proprio. Non ero affatto pronta ad un terzo raffronto con lei, e anche Camus... anche Camus si sarebbe trovato il 'nemico' in casa, sarebbe stato quindi facile rovinargli la vita, proprio come bramava lei...

Ma, in fondo, non erano cose che mi riguardavano, come già detto, mi ero autoeliminata io, seguendo il desidero di Camus, avevo quindi aperto gli occhi, rendendomi nitidamente conto che, per un soffio, nell'arco di un mese di conoscenza, stavo rischiando di coinvolgere persone innocenti nella mia nefasta vita, già, per un soffio... ma la ragione avrebbe ricondotto tutto sotto di sé, facendomi tornare alla mia solita vita. Non c'era spazio per il cuore, nella mia esistenza, men che meno con persone con cui mi ero affezionata così velocemente. Non lo meritavano...

Quasi non udii il breve singhiozzo che mi raschiò la gola, fuoriuscendo dalle mie corde vocale dopo un breve spasmo. Era la rinuncia più dura in tutti quegli anni, lo sentivo, ma dovevo essere forte ad ogni costo!

"Sakura!"

Finalmente la voce di Mu mi riscosse dalla voragine apertasi in me. Aveva una punta di urgenza nel tono, non capii perché, almeno finché non mi resi conto di essere ancora inginocchiata per terra.

"Cosa è successo, sei caduta?" mi chiese, una volta giuntomi appresso, poco prima di chinarsi ed aiutarmi ad alzare. Le gambe non mi sorreggevano ancora, tremando vistosamente, ma cercai di non darlo a vedere.

"Uh, sì... ho avuto un capogiro!" mentii in parte, decisa a non rivelargli niente del mio incontro con Pandora. Sarebbe rimasto tra me e lei quel dialogo.

"Mi spiace... ti ho fatto prendere freddo più del dovuto!" si scusò lui, rammaricato, poco prima di discostare lo sguardo.

Ridacchiai tiepidamente, rasserenata dal suo modo di fare così dolce. Diedi una breve occhiata al cellulare per vedere quanto tempo era passato da quanto il negoziante mi avesse detto di dover aspettare prima di prelevare il pacchetto, ne dedussi che il suddetto doveva essere ormai pronto. Feci quindi un cenno a Mu che era giunto il tempo, ma quest'ultimo mi bloccò inaspettatamente il polso sinistro, legandoci un bracciale di un bel colore rosso con attaccato un ciondolino a forma di aquila reale. Lo guardai per qualche istante, incantata dal suo tichettio, poi fissai i miei occhi interrogativi sul mio migliore amico, che appariva alquanto imbarazzato.

"Ho impiegato così tanto per questo... l'idea ce l'avevo già in testa, ma non riuscivo a trovare quello giusto per te"

"G-grazie, Mu, io... non so cosa dire. Io... ho usato tutti i miei miseri risparmi per mio fratello Milo, ora che mi fai un simile regalo non so proprio come..."

"Non ti devi preoccupare per quello, Sakura, da tanto volevo fartelo! - mi interruppe, sorridendomi teneramente – Tu, ecco... mi hai sempre ricordato un'aquila, sei forte e temeraria come lei, ma nascondi anche una certa fragilità dentro di te, unita ad una dolcezza che manifesti solo con pochi. Io sono tra questi e... ne sono davvero onorato! Devi sapere che l'aquila è l'equivalente celeste del leone, ma ti si addice molto di più. Lei... non ha confini, a volte rappresenta lo stesso sole, sfidando altezze improponibili e, non in ultimo, è un animale ben presente nel nostro meraviglioso Parco del Gran Paradiso, salvaguardato perché, in passato, ha rischiato l'estinzione"

Non sapevo davvero cosa dire davanti a quella frase impacciata e diretta che mi aveva detto, solo... corsi ad abbracciarlo, ringraziando una qualche divinità sovrumana per avermelo fatto incontrare.

Mu ricambiò immediatamente la stretta, posando il suo mento contro la mia testa, prima di aggiungere qualcos'altro.

"Con esso voglio anche rinnovarti la mia promessa: appena finiremo la scuola, appena potrò... ti porterò fuori da questo angusto mondo. Ti condurrò all'esterno, fuori da queste mura, fuori da queste regole, poiché tu meriti di vivere in un luogo dove non è necessario il tuo sacrificio per mantenere l'equilibrio, dove puoi scegliere chi avere come amico, senza la paura forsennata di rovinare le esistenze degli altri. Te lo giuro con tutto me stesso, Sakura!"

 

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

Chiedo venia per il ritardo, diciamo che questo capitolo è stato abbastanza tosto e quindi ho impiegato un po' di più. Scrivo questa breve nota per avvisare coloro che continuano a leggere questa storia, che, dopo averci pensato un po' s, aumenterò il raiting da giallo ad arancione. Questa storia, come forse si intuirà, non è "facile", più avanti si tratteranno sempre più argomenti delicati (spero di farlo bene), pertanto il cambio di raiting è praticamente obbligatorio.

Vi ringrazio ovviamente tutti, ma in particolar modo Hookina90 e narclinghe che, con le loro recensioni appassionate, mi spingono a continuare a scrivere.

Per chi volesse lasciare un commento o un parere alla storia ne sarei veramente grata. In ogni caso, mi impegnerò sempre al massimo! ^___^

Grazie a tutti!

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Capitolo 17
*** Il compleanno di Milo ***


CAPITOLO 16: IL COMPLEANNO DI MILO

 

 

"Bene, ragazzi, e anche oggi abbiamo finito con Dante! Siamo a buon punto del programma, ma non possiamo permetterci di adagiarci sugli allori. Quest'anno è molto facile che Letteratura Italiana sia esterna, per cui voglio portarvi alla Maturità il più preparati possibile!"

La campanella suonò nell'esatto momento in cui la professoressa abbassò il capo per mettere a posto le sue cose, decretando così il termine dell'intera giornata scolastica. Menomale!

Tuttavia all'improvviso la vidi riscuotersi e, mentre i miei compagni di classe erano già intenti ad alzarsi dalle sedie, l'insegnante chiese ancora qualche secondo di attenzione.

"Mi sono dimenticata di dirvi che, per quanto concerne la gita di quest'anno in Sicilia, ci sono delle novità. Pare infatti che dovremmo posticiparla a marzo, perché a dicembre, complice la fine del quadrimestre, diventa troppo difficoltoso..."

La nuova frase della professoressa fu accolta con schiamazzi vari, nonché un sonoro "nooooooo" prolungato che palesava nitidamente la reazione generale davanti a quella semplice frase. Sogni e speranze infranti in un millisecondo...

"Su, su, non ho detto che non si farà, il professor Giacometti ed io abbiamo già dato la nostra disponibilità ad accompagnarvi, e così sarà, solo... dovrete aspettare un po' di più, nient'altro. Buon pomeriggio a tutti!" si congedò da noi, uscendo poi dall'aula.

Mu ed io fummo veloci a prepararci per uscire e, del resto, quel giorno era molto speciale per me, visto che mio fratello Milo compiva gli anni. Finalmente... finalmente avrei potuto dargli il regalo che tanto avevo faticato a cercare, retaggio di almeno due mesi di pensieri su come fare con i soldi limitati e di duro, estenuante, lavoro. Ero emozionatissima.

Anche Mu era invitato alla festa, ma, al contrario di me, pareva avvolto da uno strano mutismo coronato da un'espressione scura in volto, già presente sul suo delicato viso dall'inizio della mattinata. Avvertivo qualcosa di strano in lui, un qualcosa che, per qualche motivo, non sembrava volesse rivelarmi. Rispettai questo suo desiderio.

Sul pulmino per risalire a Ceresole Reale, fissai silenziosamente fuori dal finestrino, tentando di non dare peso ai soliti schiamazzi che provenivano da Megres e dalla sua banda. Aveva smesso di nevicare la sera prima, ma il cielo era perennemente bianco, così come il terreno ghiacciato e ricoperto dalla neve. Per certi versi era qualcosa di perfettamente normale lì, ma anche di estraniante: i colori sembravano completamente spariti, dandomi così la fastidiosa impressione di vedere in bianco e nero come i cani.

Mio fratello Milo era giù in casa, lo sapevo. Da quanto avevo capito da quei pochi mesi di università, era tutto un mondo a parte, o almeno così era la sua facoltà. A quanto avevo afferrato in linea generale, si potevano saltare più o meno tranquillamente le lezioni senza dover portare una giustificazione; volendo, in casi estremi, si poteva tranquillamente fare il corso come non frequentante e avere comunque accesso agli esami che si svolgevano in determinati periodi all'anno.

Era tutto così strano lì, mi sarei mai adeguata a quel ritmo, così abituata ad essere sempre presente a scuola (e per forza, qualunque posto era meglio di casa mia!), ma ancora di più... i miei mi avrebbero mai pagato l'università? E se sì, quale avrei scelto? Se guardavo al mio futuro, un brivido di panico mi avvolgeva, riportandomi brutalmente al presente; al tranquillo presente, anche se ormai neanche da quello riuscivo a trovare un minimo di pace.

Una volta arrivati alla consueta fermata, scendemmo senza fiatare, nessuno di noi due pareva intenzionato a rompere quell'arcano silenzio. Ancora una volta, avvertii lo sguardo di Megres fisso su di me, portandomi il consueto disagio. Proprio per questo fui svelta a scendere, desiderosa come non mai di essere invisibile al suo sguardo, cosa che puntualmente non succedeva, rendendomi inquieta.

I rumori, nella neve, venivano attenuati, regalandomi una piacevolissima sensazione. In fondo, neanche l'inverno era così male, dai, bastava prenderci l'abitudine. Così presa dal bianco intorno a me, non mi resi subito conto che i passi di Mu si erano arrestati, mi fermai solo quando il suo tono grave giunse alle mie orecchie, facendomi rabbrividire.

"Sakura, io... ti devo parlare!"

Lo fissai, preoccupata, mentre mille e più ipotesi mi rimbalzarono in testa, tutte senza risposta. Ci fu un lungo silenzio fra noi, poi si appropinquò a me, lasciandomi tra le mani un foglio di carta stropicciato, al suo interno una calligrafia disordinata ma leggibile.

"Non ho il cuore di dirtelo a voce... leggi e capirai... scusami!" balbettò, allontanandosi un poco con espressione ricolma di rimorso.

Feci quanto chiesto.

 

Cara Sakura,

Penso di aver capito. Proprio per questo io me ne devo andare. Alcuni ricordi non sono ancora tornati, altri si sono assemblati nella mia mente, ma la cosa più importante è che io abbia compreso la situazione in cui ti ritrovi.

Scusami... non è da me fare questi discorsi seri e, in fondo, non ci conosciamo che da una settimana, malgrado abbia la netta sensazione di conoscerti da una vita, e forse è davvero così...

Come ti ho detto, io me ne devo andare, ma mi farò vivo qualche volta. Non ti abbandono mica, è una promessa! Sono l'ultimo dispensatore di consigli qui, quindi, se vuoi, hai diritto di mandarmi al diavolo, tuttavia mi sento di dirti queste cose, un po' come farebbe un fratello maggiore alla propria sorellina.

Allora, ci sei? Sarò breve!

1) Combatti sempre a testa alta e non chinare il capo davanti a niente e nessuno. Tu sai quanto vali e, nonostante l'intricata situazione dei compaesani, tu sei tu, sei mille spanne sopra di loro, fargli vedere chi sei!

2) Non rinunciare ai tuoi legami per paura di mettere nei guai chi vuole stare al tuo fianco. Del resto, il Lilla è sempre stato con te, no?! Perché non fare entrare anche Mentuccio nel tuo circolo?! E' un bavo cristo, forse un facilone un po' imbranato, ma lui la scelta l'ha già fatta, sarebbe spietato mettergli i bastoni fra le ruote, non ti pare?

3) Penso di aver intuito che tu sia innamorata di qualcuno, anche se non ho capito se si tratti del tizio che ti ha chiamato la scorsa settimana o un altro. Non ha comunque importanza, quello che ti volevo dire è di farlo tuo, senza se e senza ma. Se questo qui è un idiota che prova ad allontanarti per paura di provare sentimenti, allora vai e stendilo, e con "stendilo" intendo fagli capire quanto sia meraviglioso provare le emozioni. Forse ci metterà un po', perché da quanto ho subodorato è un imbecille piantato, ma nessuno può resistere alla tua dolcezza, al tuo meraviglioso mondo interno unico e irripetibile. Non arrenderti!

4) ...Uh? Esisteva una quarta raccomandazione? Ci sto prendendo un po' la mano, ehehehe! In ogni caso volevo ricordarti che ti voglio bene, Sakura... cioè, lo so che ora sembro io l'imbecille qui, che ti conosce da una settimana e già spara cuoricini nauseanti, ma la verità è che... così non è! Noi... ci conosciamo da molto di più, lo so io e lo sai tu, anche se entrambi non lo rammentiamo. Io... ora non ricordo bene, ma alcune cose stanno riaffiorando. Non posso dirti di più però e, onde evitare equivoci e situazioni incasinate, anche per questo me ne devo andare, ma tornerò, come già promesso, tornerò per vederti qualche volta!

Questo quindi è quanto. Se puoi, conserva questa lettera e non ti preoccupare per me, sto molto meglio e so badare a me stesso, quindi vai tranquilla fino al prossimo incontro!

 

Tuo Cardia

 

P.S: Ringrazia anche da parte mia il Lilla e il Mentuccio, è grazie a loro se sto meglio, non lo dimenticherò e, prima o poi, ripagherò il mio debito.

P.P.S: già che ci sei... puoi scoprire se il Mentuccio sia davvero gay?! Devo ammettere che è un bel ragazzo, se non ha donne che gli circolano intorno può essere solo perché appartenente all'altra sponda, mi piacerebbe averne la certezza al nostro prossimo incontro!

P.P.P.S: (questo è l'ultimo lo giuro!) al tuo bel moroso analfabeta sentimentale, tu di' che se osa farti soffrire lo sfracello a testate contro il muro finché i sentimenti non gli entrano a forza in quella testa bacata. Lo dico, lo faccio, non sarei il Grande Cardia, altrimenti!

 

 

Lessi il tutto mentalmente, ma fu impossibile trattenere dentro di me le reazioni davanti a quell'immensa mole di lettere che si avvicendavano una dopo l'altra e che per me significavano tutto. Percepivo le guance umide, gli occhi vedevano appannato... malgrado l'evidente tono scherzoso della lettera, volta allo scopo di non apparire troppo strappalacrime, mi sentivo irrimediabilmente sola, abbandonata. Cardia se ne era andato, non sapevo perché, o forse sì, ma se ne era andato... da quanto tempo non lo sapevo, ma non lo avrei mai più riacciuffato di mia volontà, ci saremmo rincontrati solo qualora lui lo avesse voluto.

"Ho trovato questa lettera stamattina, credo se ne sia andato prima dell'alba... non immagini quanto mi dispiaccia, Sakura! Io... dovevo controllarlo e invece... invece..."

"Mu... ma è terribile, per quanto dica di essersi ripreso è ancora ferito, no?! Non possiamo... non possiamo permettergli di..." biascicai, ma mi bloccai immediatamente. Erano già passate più di sei ore dalla sua partenza, avrebbe potuto essere dappertutto o in nessun posto e, cosa più importante, non aveva di certo intenzione di farsi trovare da noi. Sentii come un vuoto dentro di me.

"Sakura... io credo che Cardia se ne sia andato per non aggravare la tua situazione già preesistente... deve aver capito, poiché dotato di grande intuito, che la sua presenza qui ti avrebbe danneggiato, pertanto ha preferito allontanarsi. Non si farà trovare da noi, a meno che lui non lo voglia!"

Semplice e diretto come al solito. Sospirai tra me e me, abbassando le braccia in fare di resa. Mu non aveva di certo letto al posto mio la lettera, troppo riguardoso nei confronti delle scelte degli altri, ma doveva aver capito il contenuto della lettera dalle mie espressioni facciali.

Era esattamente come aveva detto.

"Non pensiamoci più... oggi è il compleanno di tuo fratello e tu ti sei impegnata così tanto per fargli il regalo che volevi! Sono sicuro che Cardia se la saprà cavare e, quando vorrà, si farà di nuovo vivo!" tentò di tirarmi su il morale Mu, posandomi le mani sulle spalle.

Annuii con poca convinzione, cercando di ricacciare indietro lo smarrimento che mi aveva colto. Di tutta quella faccenda, ciò che mi bruciava di più era il fatto di non aver trascorso abbastanza tempo con lui, già mi mancava... e mi sentivo una stupida ad averlo anche solo lontanamente bistrattato.

Così presa dal mio malessere interno, quasi non mi accorsi che le mie gambe si erano mosse da sole, dirigendosi, a passi lenti, verso casa mia. Me ne resi nitidamente conto solo quando, alzando lo sguardo, lo incrociai con quello indispettito di mia madre. La fissai impassibile, chiedendomi tacitamente perché quella donna fosse sempre mestruata.

"Signorinella, oggi i musi lunghi sono categoricamente vietati, quindi vedi di sforzarti di sorridere un po', che si tratta del compleanno di tuo fratello!"

"Come vuoi tu..." la liquidai velocemente, superandola di getto con l'intenzione di filare in camera mia a prepararmi. Avrei indossato la maschera, di nuovo, come sempre nella mia vita. quanto mi sentivo affine a Pirandello che stavamo studiando proprio in quel periodo, il suo pensiero sulle maschere imposte dalla società, dalla famiglia e da tutti coloro che erano esterni a noi, era quanto di più vero e concreto avessi mai imparato a scuola. Del resto, io per prima ero un 'uno, un nessuno, un centomila'... chi ero quindi in realtà?!

Giunta alle scale per salire in camera mia, mi incrociai con Milo, tutto in ghingheri per la festa e con un abito elegante che non gli s'addiceva per niente. Quest'ultimo infatti gli dava un'aria matura che non aveva nulla da spartire con la sua reale personalità, un'altra maschera, appunto!

"Fratello, con quel vestito sembri proprio un..."

Non ebbi il tempo di finire la frase che mi abbracciò di getto.

"Sakura, sono felice che tu sia qui, i giorni scorsi sembravi così distante che ho avuto paura di... vabbè, lascia perdere, ora sei qui... ne sono felice!" esclamò tutto di un fiato, arruffandomi i capelli.

Davvero ero apparsa così lontana?! Davvero i miei pensieri intimi mi avevano fatto allontanare da tutto e tutti?!

"Ora sono qui, Milo... se mi dai cinque minuti mi vado a mettere qualcosa di più elegante addosso!" lo rassicurai, massaggiandogli la schiena.

"Te lo ha imposto nostra madre, giusto?! Non ce ne era bisogno, sei splendida anche così, tuttavia, onde evitare conflitti famigliari, ti aspetto!" disse, sorridendomi con dolcezza, passando poi a salutare Mu, rimasto un poco in disparte.

Salii quindi le scale, risollevata almeno in parte grazie all'intervento di mio fratello. Ero emozionata e agitata al solo pensiero di dovergli consegnare il regalo: sarei riuscita a cogliere il momento propizio? Avrei avuto un momento di intimità con Milo?!

Con questi pensieri per la testa, salii in camera mia, chiusi la porta e mi spogliai, evitando accuratamente di guardare la mia immagine nuda allo specchio. Avevo un rapporto strano con il mio corpo, esteticamente mi piacevo abbastanza, malgrado le sembianze più piccole mi irritassero notevolmente, soprattutto quando a guardarmi erano altri maschi, eppure... c'era qualcosa, dentro di me, che mi impediva di riuscire a guardarmi allo specchio, qualcosa di sporco e vergognoso che era legato diabolicamente al mio fisico e che non se ne sarebbe mai andato, lo sapevo. Proprio per questo tendevo a non vestirmi elegante, men che meno scollata, nonostante quel particolare tipo di abiti mi piacesse. Ogni estate, poi, cominciava il vero dramma...

Scacciai in fretta quei pensieri, costringendomi ad indossare la consueta maschera che, per quel particolare frangente, doveva essere più radiosa e splendente del solito.

Mi sistemai con cura l'abito bianco che sfumava nel celeste, regolando le spalline alla ben meglio e lisciando la parte, per così dire, svolazzante. Come pensavo, non mi faceva sentire a mio agio, ma era molto bello e adoravo quei colori. Presi un profondo respiro per prepararmi a scendere, ma proprio in quel momento un'entità silenziosa mi passò in mezzo alle caviglie.

Abbassando lo sguardo vidi Asia, la mia gatta di color grigio-bianco, strusciarsi con insistenza su di me, dandomi così il benvenuto. Ridacchiai, ben sapendo che ai gatti e in particolare alla mia, il chiasso non piaceva proprio.

"Hai già intuito che oggi sarà una giornata stressante per te, eh? Del resto, dal tuo punto di vista, la casa, il tuo territorio, sarà invaso da gente rumorosa e senza ritegno, per questo ti sei già rifugiata qui, vero?!" le chiesi, prendendo ad accarezzarla con enfasi. Lei fece il pane con le zampette, strusciandosi poi sulla mia mano, infine tornò elegantemente sul letto, consapevole di aver fatto il suo dovere.

Sorrisi tra me e me, iniziando a scendere senza più alcuna esitazione. Dagli schiamazzi che si udivano di sotto, intuii che gli amici di Milo erano già arrivati, puntuali come al solito.

Mi diressi quindi in soggiorno, coprendomi un poco il petto e abbassando lo sguardo per via dell'imbarazzo; gli altri, nel vedermi dallo stipite della porta, si avvicinarono a me con la solita curiosità. Tentai di calmarmi e di recuperare la consueta maschera, perché davvero avevo i nervi a fior di pelle, ma quel giorno, stranamente, era più difficile del consueto. Fortuna che Mu era sempre al mio fianco, anche in quella circostanza.

"Eccola qui la sorellina di Milo, non ti si vede spesso in giro, eh? Sei sempre casa e studio?" mi chiese Kanon a mo' di saluto, rivelandosi come sempre sfacciato.

"Kanon, quante volte te lo devo ripetere che sbagli approccio con lei, guardala come l'hai fatta indietreggiare... eppure dovresti aver capito che non è la solita ragazza con cui sei abituato a discorrere tu!" lo rimproverò subito Saga, suo fratello gemello. Era davvero difficile riconoscerli, risultando del tutto simili a due gocce d'acqua.

Saga e Kanon erano amici di Milo dalle Superiori, scuola che avevano frequentato insieme e che, pur portandoli su due strade diverse, infatti i due fratelli gemelli si erano iscritti a Giurisprudenza, aveva rinsaldato il loro legame, permettendo così a quell'amicizia di continuare nonostante la distanza. Li fissai di sottecchi, mentre Kanon continuava a fare battutine sul mio conto. Il giorno e la notte, questo sembravano, oppure l'acqua di mare e l'acqua di lago. Diversissimi di natura ma in tutto e per tutto identici in apparenza.

"Sù, Saga... dovresti ben sapere che sono attirato dalle ragazze che dimostrano meno età di quella che hanno, no?! Guarda Sakura come sembra piccina, nonostante abbia compiuto diciotto anni... Che ha fatto al compleanno uno splendore come te?!"

"Niente..." fu la mia serafica risposta, sforzandomi di guardarlo negli occhi. La maschera stava cominciando a dare i suoi frutti.

"Come... niente?! Sei diventata maggiorenne, no?!"

"Non ho fatto comunque niente!" confermai nuovamente, dandogli le spalle. Era la verità, i miei non avevano preparato nulla per il mio compleanno, che cadeva il 10 ottobre, ma del resto c'ero perfettamente abituata.

Kanon si accorse di aver toccato un tasto dolente e si grattò la testa, a disagio, il tutto mentre Saga mormorava un "sempre il solito..."

Fu Milo ad intervenire per stemperare la tensione:

"Kanon, devo averti già ricordato che la mia sorellina è intoccabile, no?! C'è bisogno del mio benestare per mettersi con lei e, fino ad ora, nessun candidato si è rivelato meritevole, neanche tu!" affermò, posandomi un braccio sulla testa e sfidando gli altri con lo sguardo. Ovviamente scherzava, non c'era bisogno di alcun permesso, ma che mio fratello fosse così protettivo nei miei confronti era limpidamente vero e la cosa mi faceva piacere, in fondo.

Saga annuì soddisfatto del tutto in accordo con la presa di posizione di Milo, tornando poi a concentrarsi su me.

"E' un piacere rivederti, cara Sakura, ti vedo in forma!" mi salutò, guardandomi con quegli occhi profondamente verdi. In passato mi ero infatuata di lui, così altero, solenne, dai modi eleganti e raffinati, ma inaspettatamente il vedermelo di nuovo davanti in quel preciso momento della mia vita, non mi faceva alcun effetto, come se un incantesimo mi avesse di colpo tolto la capacità di apprezzare l'altro sesso, con un'unica eccezione...

Fortunatamente ci pensò Aiolia, un altro amico di Milo, a impedirmi di finire nella spirale dei pensieri su Camus, ancora ben vivo dentro di me, malgrado il mio sforzo di razionalizzare quel sentimento che si faceva sempre più forte. Ormai ero stremata...

"Ciao, Sakura, anche io sono felice di rivederti! Ultimamente ci siamo persi un po' di vista e, tutto sommato, al di là dell'università, anche Milo ed io non usciamo più tanto spesso, spero sia solo un momento di passaggio dovuto alle nostre incombenze!"

A parlare era stato appunto Aiolia, soprannominato 'Leo' per via dei suoi capelli che ricordavano la criniera di un leone da quanto erano folti e ribelli. Questo ragazzo era un amico d'infanzia di Milo, per cui si trattava di un'amicizia datata e che personalmente mi ricordava quella tra me e Mu. Erano cresciuti insieme, poi si erano separati alle Superiori, salvo poi ritrovarsi nella stessa università a Torino, ovvero Scienze Naturali. Era un ragazzo pacifico, buono come il pane ma che, all'occorrenza, rivelava una forza e una grinta che raramente avevo scorto in altri. Mi piaceva molto caratterialmente e, ai tempi, mi sarebbe piaciuto averlo anche come amico.

"Anche io sono felice di rivederti!" lo salutai, avvicinandomi a lui e sorridendogli, probabilmente avrei dovuto abbracciarlo, ma non era nella mia natura farlo con spontaneità.

Fu nel muovermi verso Aiolia che la vidi, l'unico essere umano femminile presente in queste quattro mura ad eccezione di me e mia madre, non l'avevo mai vista prima di oggi. Sbattei le sopracciglia nel scorgerla. Sulla mia destra, infatti, un poco nascosta da Kanon, stava una ragazza minuta e timida in apparenza, gli occhi dolci di color smeraldo e i capelli lunghi lilla incorniciavano il suo sorriso sincero. Ne fui, in qualche modo, tranquillizzata, ma... chi era?!

"Credo sia necessario fare delle presentazioni... Sasha, lei è Sakura, la mia dolce sorellina minore; Sakura, lei è Sasha, una... ehm... compagna di corso!" mi presentò, mentre il suo tono salì fino a quasi strozzarsi. Un comportamento strano, non c'era che dire!

"E così tu sei la sua famosa sorella, Milo parla spesso di te ai corsi, ti adora! Spero potremo, in un futuro, diventare amiche!" mi salutò lei, prendendomi le mani tra le sue. Un gesto sincerto che accolsi tuttavia, come di consueto, con un passo indietro.

E così era una compagna di corso, quindi la conosceva da poco, ecco spiegato tutto quell'imbarazzo.

"Il p-piacere è mio!" balbettai, arrossendo un poco. Lei sorrise di nuovo.

Le presentazioni e i saluti erano finiti, ne fui sollevata, poiché mi mettevano a disagio, eppure mio fratello continuava ad essere assurdamente ammutolito, mentre, con lo sguardo un poco lucido, fissava fuori dalle finestra.

Ah, ma vuoi vedere che mio fratello, tanto Don Giovanni con le ragazze ben curate, che appaiono mature e sicure di sé, si sia invece preso una sbandata per questa compagna di università?! Devo assolutamente indagare quando saremo da soli!

A sbloccare la situazione giunsero infine i miei, vestiti di tutto punto, che annunciarono il termine della preparazione della torta per il compleanno di Milo e ci invitarono pertanto a raggiungere la cucina. Tutti i presenti non se lo fecero ripetere due volte, golosi più che mai di assaporare il nuovo dolce (del resto, di mia madre si poteva dire di tutto, ma era risaputo che fosse una cuoca provetta). Anche io mi ritrovai concorde all'entusiasmo generale, trovando il lato positivo, in tutta quella manfrina piena di regali costosi e dispendiosi, nel poter mangiare almeno qualcosa di delizioso.

Feci quindi per dirigermi in cucina con Mu e gli altri, ma Milo mi prese momentaneamente da parte, lasciando che il marasma lasciasse il soggiorno per dirottarsi in cucina.

"Sakura... poi te ne parlerò meglio quando, stasera, torneremo dal pub, ma... volevo chiederti una cosa..."

Annuii brevemente, guardandolo in faccia, di cosa poteva trattarsi?

"Io... beh, sai, avevo invitato anche Camus quest'oggi, perché, dopo il pranzo dai Delacroix e dopo aver saputo che ti aveva protetto, mi ha incuriosito e ho avuto l'impulso di farmelo amico. Ecco, non siamo ancora tali, ma mi capita di parlare molto con lui, dopo le lezioni dell'università e... c'è una cosa che devo sapere..."

Già ad inizio del discorso, al suono di quel nome causa di tribolazione per me, un brivido mi era sceso lungo la spina dorsale, in quel momento poi, complice il tono ambiguo che aveva assunto la voce di mio fratello, il cuore mi accelerò di colpo. Non ci avevo più pensato, ma effettivamente anche Camus era iscritto all'università di Scienze Naturali, ed era un compagno di Milo. Era quindi, di per sé, impossibile da dimenticare... sembrava quasi che il destino ponesse contro di me tutti gli ostacoli possibili e immaginabili per impedirmi di metterci una pietra sopra, era quasi frustrante! Prima Dégel, poi Cardia, poi l'incontro con Pandora, infine mio fratello... tutti loro mi avevano tirato fuori quel nome e continuavano a farlo, non importava se io non lo avessi più visto e non ne avessi più saputo niente, lui c'era... C'ERA E CONTINUAVA AD ESSERCI!

Mi venne da sorridere nervosamente, mentre con le dita della mano destra mi massaggiavo la fronte con enfasi. Assurdo... era tutto così assurdo... un po' come l'espressione ambigua che, sapevo, aleggiarmi in viso in quel preciso momento.

"Sai... quando gli ho chiesto se volesse venire alla festa oggi, gli ho detto che non facevo nulla di speciale, solo mangiare la torta a casa mia e pub stasera, una cosa tra amici, insomma, ed ecco... ho visto un'ombra passare nei suoi occhi, poi ha detto una cosa strana..."

"Quanto... strana?" chiesi, priva di forze.

"Lui ha detto più o meno così: ti ringrazio per l'invito, Milo, ma temo di dover rifiutare. Per il bene di Sakura... è meglio che lei non mi veda, men che meno in questo periodo... - mi recitò lui, un'ombra anche nei suoi occhi – Sembrava davvero dispiaciuto, capisci? Pertanto, volevo sapere: cosa è successo tra voi? C'entra con il fatto che sei stata mentalmente distante per tutta la settimana?"

Non trovai il coraggio di rispondere, colta in fallo su tutti i fronti. Anche Milo lo aveva intuito, qui tutti avevano intuito la mia, anzi la nostra situazione complicata, Camus addirittura pareva preoccupato delle eventuali ripercussioni che io avrei potuto subire se lo avessi incrociato, eppure permeava a rimanere fermo nelle sue posizioni, io nelle mie. Dègel mi aveva detto di non arrendermi con lui, di non ascoltare le sue parole ma le sue azioni; ebbene le azioni avevano parlato proprio quest'oggi: nulla avrebbe schiodato Camus Delacroix dalle sue decisioni sofferte, il motivo ancora mi fuggiva ma i suoi intenti erano limpidi. Lo stesso potevo dire forse di me?! Anche io non mi sarei mai schiodata, impedendo così ad un sentimento appena nato, ma già accresciuto, di estinguersi nella razionalità?! Il mio cervello diceva di sì, la consapevolezza di non poter stringere le relazioni anche... eppure le mie emozioni erano di tutt'altro avviso e, ancora chiare in mente, avevo le ultime parole lasciatemi per lettera da Cardia: non rinunciare, non arrenderti, mai!

"Camus ed io..." iniziai, ma la voce di nostra madre sfumò le parole nell'aria.

"Parleremo di questo dopo il pub, è una promessa, piccola!" affermò lui, regalandomi una veloce carezza in testa, poi andò in cucina.

Seguii quindi a capo chino mio fratello, mentre il pensiero correva all'ormai onnipresente mentalmente Camus, motore delle mie cogitazioni. Mi sentivo una vera e propria idiota, ma... avvertivo un insano tepore incanalarsi nel petto e permeare lì: inconcepibilmente mi faceva piacere; mi faceva piacere ch Camus si preoccupasse per me. Quelle parole, se davvero le aveva rivolte a Milo, parafrasavano davvero il suo desiderio di allontanarmi per evitare che rimanessi, in qualche modo, ferita. Era assurdo e stupido come comportamento, una parte di me ne era infatti infuriata, l'altra sollevata, ma più di tutto c'era quello strano calore, via via sempre più forte.

"Mi pare di averti detto che non sono tollerati i musi lunghi, vero?! - senza sapere perché, mi ritrovai mia madre praticamente addosso, a distanza di un palmo da me – Quindi fatti scacciare in fretta quell'espressione corrucciata, è meglio!" mi rimproverò lei, una nota di avvertimento nella voce.

Figurarsi, già pretendeva che indossassi sempre la maschera, avrei dovuto anche controllare i miei pensieri?! GIAMMAI!

Sbuffai sonoramente, squadrandola con odio, poi mi diressi verso il tavolo, laddove mio padre, intuendo la scaramuccia tra me e lei, mi fece posto vicino a lui, offrendomi un bicchiere di aranciata. Metodo poco esaustivo ma efficace, non c'era che dire, almeno avevo la bocca intenta a bere quel liquido un poco aspro e non a mandare a spazzare quella serpe che mi trovavo come madre.

Quando tutti presero posto, fu la volta, in pompa magna, dell'arrivo della torta, fatta su tre strati, grossa, con in cima una serie di biscotti in stile 'gocciole'. Mi venne immediatamente l'acquolina in bocca alla sola vista. Adoravo la crema pasticcera, la nutella e, naturalmente, anche la panna, tutti e tre elementi ben presenti all'interno (e all'esterno!) del dolce. Una cosa era sicura: quella donna che mi trovavo come madre, oltre ad essere abile in cucina, sapeva organizzare le cose in grande stile, soprattutto quando si trattava del figlioletto adorato. Guardai brevemente gli altri, notando che anche nei loro occhi era passata una scintilla di letizia alla vista della torta. Erano tutte persone dai venti anni in su, ad eccezione di me e del mio amico Mu che, così avvolto nella camicia elegante, rassomigliava tremendamente ad un bambino, un po' come me. Malgrado tutti i protagonisti di quella simpatica vignetta fossero tutti dei giovani adulti, la consueta faccia stupita e meravigliata non si risparmiò, dando una parvenza di essere tornati, quantomeno, alle elementari. La torta venne quindi tagliata e divisa equamente tra gli astanti; per un fortuito caso del destino, dato da circostanze favorevoli, a me toccò pure un discreto bis, perché alcune persone, tra cui la misteriosa Sasha e il mio amico Mu, non vollero una seconda fetta, adducendo scuse di linea e/o motivi vari.

Venne così il tempo dei regali, ma non del mio, ancora accuratamente chiuso in camera di sopra. Preferivo poterglielo dare in un momento di intimità tra noi, non in mezzo agli sguardi indiscreti degli altri. La prima fu Sasha, che portava con sé un ciondolo blu notte da dare a Milo, unito ad un caleidoscopio che rappresentava, a suo dire, la personalità multipla di mio fratello.

"Perché tu, Milo, sembri tale e quale ai colori di un laghetto di montagna: celeste scuro, azzurro chiaro, verde acqua, cobalto... è impossibile acciuffarti, quindi quell'oggetto ti identifica completamente!" la sentii dire, rimanendo ammirata.

Sasha sembrava aver compreso perfettamente il carattere multisfacettato di mio fratello, ne fui sinceramente meravigliata. Non sapevo da quanto tempo si conoscessero, ma sembrava perfettamente a suo agio con lui, quasi come se fossero cresciuti insieme. Milo, dal canto suo, al suono di quelle parole, invermigliò improvvisamente, cominciando a sproloquiare frasi a casoo senza un minimo di nesso logico. Decisamente qui gatta ci covava, era lampante!

Finita la breve, ma intensa, parentesi di imbarazzo, fu il turno dei due gemelli che, a quanto pare, si erano uniti a fare un regalo, ovvero una playstation fatta e finita. Strabuzzai gli occhi, scioccata: possibile che tutti avessero così tanti soldi da spendere per mio fratello Milo?! Ed io... ed io con che faccia avrei potuto presentarmi con un pensiero così striminzito?! Mi vergognai selvaggiamente, percependo il malessere crescere in me. Dopo questo, toccò quindi ad Aiolia, che subitò sfoggiò una bella scatola contenente un'altrettanto bella macchina fotografica. Certo, non l'ultimo modello e nemmeno troppo costosa, ma compatta, leggera e maneggevole. La guardai incuriosita, accorgendomi che doveva trattarsi di una Bridge, decisamente un buon inizio se si voleva entrare nel mondo della fotografia.

"Uuuuh! Era proprio ciò di cui avevo bisogno!" lo ringraziò Milo, sorridendo affabile.

"E' per le uscite didattiche dei nostri corsi di quest'anno, quali per sempio il censimento dei caprioli, l'osservazione degli uccelli e la descrizione delle piante alpine. - spiegò Aiolia, soddisfatto della reazione – Ne abbiamo parlato a lungo lo scorso mese, quindi ho pensato di farti questo pensiero!"

Pensiero?!? Alla faccia! Giusto il mio era una sciocchezzuola, quelli degli altri erano dei Signor Regali!

Mi ritrovai a muovere nervosamente le dita le une contro le altre, cominciando davvero a sentirmi inadatta. Tuttavia il colpo di grazia doveva ancora arrivare, e arrivò per mezzo dei miei stessi genitori.

Finito infatti di scartare i regali, l'ultimo dei quali proprio del mio amico Mu e consistente in tre libri diversi, rispettivamente sul riconoscere gli alberi, i fiori e gli animali del Parco Nazionale del Gran Paradiso; i miei decisero di prendere parola, annunciando l'imminente arrivo di una macchina tutta per Milo.

Inutile descrivere le espressioni di puro sgomento che intercorsero in tutti i presenti, festeggiato compreso.

"Mamma... cosa vuol dire questo?" chiese infatti delucidazioni quest'ultimo, incredulo.

"Esattamente quello che hai sentito, mio caro! Hai preso la patente l'estate appena passata, è più che naturale darti una macchina per affinare la tua guida, no?! In più sarà anche più agevole andare all'università così!" disse semplicemente mia madre, serafica.

"Sì, ma..."

Lo sguardo di Milo si posò, per un breve istante, su di me, incrociando così il mio stentato sorriso nella sua direzione. Non era affatto facile, anzi mi costava una gran fatica, ma ero comunque felice per lui: la patente l'aveva presa senza essere bocciato nemmeno una volta, se l'era davvero meritata! Mio fratello probabilmente intuiva il mio malessere crescente, ben conscio che, per il mio, di compleanno, non era stato fatto nulla da parte dei miei genitori. Era rimorso quello che leggevo nel suo sguardo colpevole, un sentimento che soventemente provava soprattutto nei miei confronti, eppure lui, in quella storia, c'entrava solo in minima parte, non ce l'avevo in alcuna maniera con lui. Comunque non ci fu il tempo di alcun scambio di parole tra noi, perché i suoi amici, immediatamente, gli corsero incontro, regalandogli pacche sulla schiena e circordandogli le spalle con un braccio.

"E bravo, Milo, sei il primo, tra noi, ad avere un mezzo per muoversi, questo significa che ci accompagnerai a tutti, vero, amico?!" si congratulò Kanon, al settimo cielo.

"Bene, bene... guarda un po' i casi della vita, ne stavamo giusto parlando l'altro ieri di come muoverci per le uscite, e ora abbiamo un mezzo!" gli fece eco Saga, sorridendo bonariamente.

"Questo significa che siamo apposto anche per le uscite con l'università, vero?! Ricordarti di lasciare un posto al tuo amico d'infanzia!" esclamò Aiolia, festoso.

Milo si lasciò coccolare da quelle attenzioni, ridacchiando insieme agli amici. Tuttavia la sua postura era rigida, la potevo ben vedere sotto quell'apparente ilarità che sprizzava da lui: si sentiva a disagio.

Verso il tardo pomeriggio, come da piani, si sarebbe dovuti andare al pub, ma né io né Mu, ancora instillati nel circuito scolastico, ce la sentivamo. Proprio per questo, il mio migliore amico si affrettò a scusarsi con i presenti per il fatto di doversene andare e, fatti i consueti saluti di circostanza, si diresse, lesto, verso casa sua. Anche io dovevo finire i compiti per il giorno seguente, ma Milo fece di tutto per convincermi a seguirli nella parte bassa del paese, sotto la diga, dove un mini pub era il luogo designato per concludere in bellezza la festa ventennale di mio fratello.

"Sakura, sei proprio sicura che tu non voglia venire?" mi chiese infatti, mentre tutti erano intenti a mettere giacche, giacconi, sciarpe e guanti.

"Sì, Milo, è meglio così..." biascicai, sforzandomi di sorridere. Stavo raggiungendo il limite di sopportazione, quella maschera che dovevo indossare a forza, mi risultava sempre più stretta, non vedevo l'ora di salire in camera mia e togliermela.

"D'accordo. Solo che... è il mio compleanno, speravo potessimo trascorrere un po' di tempo insieme" mi disse, corrucciato, abbassando lo sguardo.

"Lo so, mi spiace... tu cerca comunque di divertirti con gli altri!" lo provai a rincuorare, a disagio. Non mi aspettavo una reazione così da 'cane bastonato'!

Milo sospirò più volte, dirigendosi a passi lenti verso gli altri. Ci teneva davvero tanto, eh...

"Fratellone, io..."

Ma mi bloccai. Dovevo dirglierlo, ora, del regalo, di quanto tenessi a darglielo in un momento di intimità, a spiegargli il motivo della mia scelta, ma... non ci riuscii, la testa ancora piena della consapevolezza di non essere abbastanza.

Mio fratello mi fissò, sperando in cuor suo di sentirsi dire chissà che cosa, forse che sarei andata con loro, o altro.

"Niente, lascia perdere!" mi riscossi, fuggendo poi al piano di sopra.

 

 

* * *

 

 

Le 11 e 15 di notte. Distrattamente chiusi le persiane, mentre la luce soffusa della strada illuminava debolmente le strade lastricate di ghiaccio. Era tornato il limpido, probabilmente il giorno dopo ci sarebbe stato un bel sole, decisamente meglio che quella nebbia spessa propria delle precipitazioni nevose. Sospirai tra me e me, andando a sedermi sulla sedia vicino alla scrivania. Milo non era ancora tornato, invano lo avevao aspettato sveglia, auspicando di potergli consegnare finalmente l'agognato regalo. Si stava facendo veramente tardi per i miei canoni, considerando che la sveglia sarebbe suonata solo sei ore dopo e che, quasi certamente, mi sarei pure risvegliata rincoglionita, ma continuavo a sperare in un arrivo immediato di mio fratello.

Trascorse ancora qualche minuto. Niente. Quasi inconsciamente cominciai a passarmi di mano in mano il bracciale che mi aveva regalato Mu: era davvero bello, con quell'acquila imperiosa e austera intenta a spiccare il volo. Mu diceva che ci assomigliavo, io mi percepivo più come un'insulsa pernice. Sorrisi al pensiero del mio amico, socchiudendo gli occhi e avvicinando il prezioso regalo al mio volto.

Nella mia testa non passò che qualche secondo, probabilmente nella realtà almeno dieci minuti, visto che fui svegliata da un qualcosa di meravigliosamente caldo e morbido che venne posato con gentilezza sulle mie spalle: una coperta?

Mi riscossi, sfregandomi gli occhi nel tentativo di mettere a fuoco la figura accanto a me che, nella luce della penombra, mi sorrise con dolcezza.

"M-Milo... ti stavo aspettando!" biascicai, lieta di vederlo.

"Ho visto, ma non dovresti fare così tardi per me, domani hai la sveglia presto, mentre io non ho corsi! - mi salutò lui, accarezzandomi la testa – Ma guardati, sei ancora vestita di tutto punto!" mi prese scherzosamente in giro, regalandomi un buffetto sulla guancia. Gesto che non apprezzavo particolarmente, ma che in quel preciso momento mi diede una intensa sensazione di calore nel petto.

"M-Milo io... prima non avevo il coraggio di dartelo, con gli altri, ma... ma ho un pensierino per te!" decisi di smascherare la mia carta, alzandomi maldestramente in piedi.

"Uhoh, un regalino? Sei la solita stupidina, Sakura, per quale ragione non volevi mostrarla agli altri?! I-io ero convinto che non mi avresti fatto niente, sai?"

Sembrava... imbarazzato, comportamento assolutamente non consono a lui, allegro e spavaldo come pochi, mi diede una sensazione di straniamento: davvero pensava che non gli avrei fatto nulla per il suo ventesimo compleanno?!

"Come hai potuto anche solo concepire la malsana idea che non ti avrei regalato nulla? Sei proprio uno sciocco, Milo, e poi dici di me!" lo presi scherzosamente in giro, sorridendo.

I suoi occhi i illuminarono nel buio, come una intensa fiammata che, assorbito il combustibile, mostra tutta la sua capacità.

Mi diressi quindi verso l'armadietto, contenta e un po' emozionata di avere finalmente un nostro momento di intimità, allo stesso tempo però permeava quel lieve senso di apprensione e inettitudine che mi aveva avvolto già dal pomeriggio. Pertanto presi tra le mani il pacco e glielo passai a Milo, allontanandomi un poco per mascherare il mio stato emotivo. Trucco che non sfuggì a quella adorabile spina nel fianco di mio fratello.

"Eh no, Sakura, non accetto una cosa del genere! Tu mi hai fatto un regalo, voglio che tu sia seduta vicina a me quando lo apro e lo guardo. Che ne diresti se ci sedessimo sul letto?" mi cantilenò infatti, sorridendo sornione.

Maledetta piaga da decupito, mi aveva messo all'angolo ancora una volta, come solo lui sapeva fare. In ogni caso, non avevo alternative, quindi annuii meccanicamente, andando poi a sedermi al suo fianco, mentre mio fratello, tuttto incuriosito, si apprestava a scartare il pacco.

E così il regalo si manifestò, il cuore che accelerava di colpo per l'agitazione e la speranza che potesse essere di suo gradimento.

Vidi Milo passarselo tra le mani, lisciando la copertina con cura poco prima di aprirlo, si trattava infatti di un libro, o almeno così appariva di primo acchito.

"Ma questo..." biascicò, capendo finalmente di cosa si trattasse.

"Sì... ho raccolto un bel po' di foto nell'ultimo periodo, non ti dico i rigiri che ho dovuto fare per scovarne qualcuna di esse, solo che non sapevo come metterle insieme, almeno finché non mi è venuta l'illuminazione su come fare. Sono quindi andata nel negozio di souvenir a Noasca, ch fa anche da cartoleria, e c'era questa offerta di fare una specie di libro personale con foto e frasi, allora mi sono azionata!" spiegai, evidentemente imbarazzata.

Milo non aggiunse altro, ma continuò a sfogliare le pagine e a leggere quanto c'era scritto in esse.

La mia idea originale era appunto quella di fare una sorta di libro di ricordi mio e di mio fratello, una specie di album che avrebbe racchiuso tutti i periodi della nostra vita, da quando eravamo bambini ai giorni nostri; solo che, strada facendo, mi era sopraggiunta un'altra idea: perché non integrare la nostra storia con quella del paese che ci aveva regalato i natali?!

Amavo Ceresole Reale, al di là delle difficoltà con i suoi abitanti, era il paese che mi aveva visto crescere, condividere esperienze e regalarmi la vita stessa. Lì avevo messo le radici, questo non sarebbe mai cambiato, in qualunque posto mi sarei trovata da quel momento in avanti.

Il libro cominciava con alcune foto (peraltro rarissime!) del paese prima della costruzione della diga, si parlava quindi dei primi anni '20 del secolo scorso, proseguendo poi con la costruzione della diga stessa e con altre foto del luogo, sempre più vicine al nostro tempo, fino ad arrivare alla nascita di mio fratello e poi successivamente alla mia. Da lì in poi una grossa scritta che recitava "la nostra storia" faceva da slogan ad alcune immagini di Milo quando era bambino, di Milo con me in braccio e poi di noi due piccoli, arrivando poi al giorno in cui Zeus, Asia e poi Mirtillo erano entrati a far parte delle nostre vite, completando così il quadretto. L'ultima foto era stata scattata quella stessa estate, in essa vi eravamo Milo ed io avvinghiati l'uno all'altro con i nostri cani tutti festosi, dietro di noi gli immensi prati del Colle del Nivolet, un luogo da favola a due passi dal vero e proprio paradiso. Ecco, quello era il paradiso per me!

Sorrisi tra me e me, persa nei ricordi, mentre Milo continuava a sfogliare ad intermittenza le pagine tra le dita, soffermandosi sulla scritta: "Ti voglio bene, Milo! Grazie per continuare ad essere il mio sostegno".

Mi sentii avvampare all'idea che mio fratello continuasse a leggere mentalmente quella frase, non dicendo però niente. Crebbe anche la mia sensazione di disagio.

"Sì, lo so che non è nulla di che... per quello che rappresenti per me meriteresti molto di più, perdonami, ma... era il massimo che potessi fare. Quando avrò più soldi da parte ti prometto che..."

Ma non ebbi il tempo di finire la frase che mi ritrovai contro il suo petto, l'intensità del suo abbraccio forte come mai l'avevo percepita. Mi tremarono le labbra, non riuscendo più a spiccicare parola.

"G-grazie, Sakura! E'... è la cosa più bella che abbia mai ricevuto!" mi sussurrò all'orecchio lui, emozionatissimo.

Sembrava davvero sopraffatto in un frangente simile, portandomi ancora una volta ad ingoiare a vuoto, tutta tremante.

"Non... non dire sciocchezze, li ho visti i regali degli altri, sono molto più..."

"Cosa? Costosi? Belli? Utili? Non ha importanza! Ciò che mi hanno fatto gli altri è sicuramente meraviglioso e non li ringrazierò mai abbastanza per il pensiero che hanno avuto per me. Tuttavia... il tuo regalo, Sakura, è mille spanne sopra il loro! In esso c'è tutta la tua anima, il tuo impegno, persino il tuo sacrificio... Non so quanto ti sia costato fare un regalo simile, ma di sicuro parecchio del tuo tempo e dei tuoi risparmi. Hai... hai materializzato vent'anni, forse più, della mia esistenza, riportandomi alla mente anche ricordi che avevo apparentemente dimenticato, io... grazie, Sakura, ti voglio bene!" ribatté lui, accarezzandomi la testa con dolcezza. Continuava a rimanere avvinghiato a me, tutto tremante, quasi come se la tremarella fosse passata da me a lui in un battito di ciglia.

"Io... davvero ti piace così tanto? Menomale, fratellino! Avevo paura non ti dicesse niente, mi sentivo così scialba in confronto agli altri che... che per un breve istante ho persino pensato di nascondere per sempre il regalo. Scusami..." gli rivelai, affondando il volto nella sua felpa.

"Perché sei un sciocca, Sakura! Guarda cosa hai fatto per me, guarda che belle foto che hai scelto, che frasi ricche di significato... avresti ben dovuto farlo vedere anche agli altri, gliavrei detto, anzi urlato, che sono il fratello maggiore più felice al mondo per avere una sorellina come te! Mi hai emozionato, davvero... forse più dello stesso regalo che mi ha dato Sasha!" ammise infine, tossicchiando poi per darsi un contegno.

Mi si accese immediatamente la lampadina, permettendomi così di sfuggire da quella situazione imbarazzante.

"Sasha, già... cosa mi nascondi, Milo?! Vi ho visto alla festa, eh!" lo punzecchiai immediatamente, scostandomi un poco da lui per regalargli delle scherzose gomitate sui fianchi.

Milo incespicò immediatamente con lo sguardo, diventando rosso pomodoro e voltandosi dall'altra parte per nascondere il suo imbarazzo crescente.

"I-io... niente, cosa dovrei nascondere?!" blaterò, paonazzo.

"Ma guarda... il grande Milo Don Giovanni che perde la testa per una sola ragazza dai modi gentili ed educati... questo sì che è da scrivere nell'album dei ricordi, se solo lo avessi saputo prima!" lo canzonai, sorridendo sorniona a mia volta.

"N-non è come pensi... lei è una mia compagna di corso!"

"Una tua compagna di corso della quale sei cotto a puntino... andiamo, conosco quell'espressione, fratellino!" insistetti, cercando di acciuffare il suo sguardo azzurrino dietro tutto quel rosso.

Milo prese un profondo respiro, cominciando a torturarsi le mani nel tentativo di manifestare il suo nervosismo, poi si decise a vuotare il sacco.

"Lei... la conosco da poco, ma siamo diventati amici velocemente. Non so come sia successo, non subito, credo, ma... beh, un giorno, parlando con lei, l'ho vista sistemarsi un ciuffo di capelli dietro all'orecchio come non avevo mai visto fare a nessuno e, senza che me ne accorgessi, il mio cuore ha accelerato i suoi battiti. Era davvero graziosa, i suoi movimenti, sinuosi ed eleganti, mi procuravano un ammasso di emozioni di difficile comprensione. Da quel giorno non c'è momento in cui i miei occhi non la cerchino, che sia a lezione, o a parlare con altri, o ancora a mangiare insieme a me. Sono come... carpito... fin dai recessi dell'anima!" tentò di raccontarmi, prendendosi delle breve pause per raschiarsi la gola.

Sensazioni che conoscevo fin troppo bene...

"Oh, Milo, sei... ti sei innamorato! Sei così adorabile così imbarazzato!" dissi, correndo ad abbracciarlo di nuovo. Un singulto sfuggì dalla sua bocca, mentre cominciò a sproloquiare frasi come: "ma no, che dici, non è vero!", o anche "mi sembra di essere tutto un fuoco anche adesso che ne sto semplicemente parlando".

Mio fratello Milo si era dunque invaghito della sua compagna di corso e, a sentirlo parlare di lei in quei particolari termini, non sembrava affatto una cosa passeggera come invece era capitata altre volte. Pareva davvero che fosse preso fin dai recessi dell'anima, non potevo che essere felice per lui. Sasha, di primo approccio, mi era sembrata subito molto simpatica, reputandola inconsciamente, forse, molto simile a me.

"E'... gentile, educata, riservata, ma dal cuore immenso... mi ricorda molto te, Sakura, forse proprio per questo che.... che la vorrei proteggere con tutto me stesso!" confermò lui, neanche leggesse nella mia mente.

Trasalii, tornando a guardarlo in volto, mentre i suoi occhi sfuggirono vacui in direzione della finestra chiusa.

Rammentai che un professore delle medie ci aveva rivelato che circa il... -ora non ricordo la proporzione- di individui, tendeva a ricercare nel partner connotati che riportavano alla mente le caratteristiche del genitore del sesso opposto. Milo quindi avrebbe dovuto cercare, così avevo sempre pensato, una vipera al pari di mia madre, invece il suo ideale di donna era, con ogni probabilità, assai simile alla mia natura. Non seppi se sentirmi lusingata o tremendamente imbarazzata.

"Piuttosto... - proseguì dopo una lunga pausa, e seppi per certo dove sarebbe andato a parare il discorso già dal tono usato – Dovevi dirmi cosa è successo tra te e Camus!"

"Oh... ehm..." balbettai, facendo un passo indietro. Non avevo voglia di parlarne, ma vista la settimana appena trascorsa e il discorso già abbondantemente aperto da innumerevole fessure, non avevo scelta.

"Semplicemente mi ha friendzonata. E' finita, ancora prima di incominciare. E' tutto!" decisi di andare subito al sodo, discostando lo sguardo. Era il mio turno di essere paurosamente imbarazzata.

"Eeeeeeeeeeehhh?! No, no, frena, frena! Qui urge un approfondimento!!!" urlò Milo, fuori di sé.

"Ssssssh, matto, cosi sveglierai i nostri genitori!" lo zittii, correndo a tappargli la bocca.

"Scusa... scusa! - abbassò il tono lui, a disagio – Ho bisogno di saperne di più, Sakura, perché quel coglione ti ha dato il due di picche?"

Sospirai, certa più che mai di dover raccontare tutto dal principio. Così feci, non lesinando in particolari e raccontando persino di Pandora. L'unica questione che non trattai fu di Dègel, evitando accuratamente di dirgli che avevo rifiutato la sua amicizia per paura di metterlo in pericolo con gli abitanti del paese, troppo lungo da spiegare, inoltre avrei dovuto tirare fuori discorsi e fatti che preferivo dimenticare per sempre, o meglio relegarli all'oblio della mia mente, perché scordarli era davvero impossibile. Naturalmente non citai nemmeno Cardia in tutto quel casino, ci sarebbe mancato altro!

Al termine di quel discorso mi accasciai sul letto, stremata, mentre Milo rimase ritto in piedi con fare pensieroso. Impossibile capire dove lo conducesse il suo cervello, almeno finché non ruppe il silenzio.

"Solo... questo?" mi chiese, scettico.

"Mi sentii ferita.

"Solo?! Più chiaro ed esaustivo di così si muore!" commentai acida, infastidita dall'atteggiamento di mio fratello. Avevo bisogno di un po' di comprensione, non di minimizzare una questione così importante per me.

Inaspettatamente Milo ridacchiò, ferendomi ancora di più, se possibile. Poi, quando vide la mia espressione delusa, si affrettò a spiegare.

"Sakura... Sakura... Sakura! Come si vede che sei totalmente inesperta su questo settore: Camus non ti ha affatto friendzonato, un maschio ha ben altri modi per farlo! Lui ti ha semplicemente allontanata perché gli stai cominciando a piacere!"

Un vero e propri colpo al cuore.

"E' uno scherzo, questo?! Non sei divertente, Mil..."

Per la seconda volta nell'arco di una serata, mi ritrovai avvinghiata a Milo, tutto preso ad abbracciarmi con tutte le sue forze e a sussurrare frasi come: "che testa che sei, sorellina!"

Sbuffai sonoramente, sentendomi avvampare.

"E' questo, lo vedi? Come si fa a resistere a te? Neanche Camus può farlo!"

"Milo, basta parlare per enigmi, cosa stai dicendo?!"

"Che Camus ti ha allontanata perché gli stai iniziando a piacere, è lampante! Non so cosa abbia la sua testa bacata per partorire una simile idea, forse c'entra con quella Pandora, ma, al di là di questo, non può certo controllare i suoi sentimenti!"

"Milo... Camus è stato molto esaustivo con me, credimi..."

Attimi di silenzio, poi...

"E' quello che ti stai ripetendo per paura di amarlo, o cosa?"

Strinsi con forza le dita, furente. Il tono canzonatorio usato da Milo non mi piaceva per niente, anzi mi offendeva proprio, eppure... un fondo di verità c'era!

"In ogni caso non vuole avere una relazione con me, per cui..."

"Non dire sciocchezze, Sakura! Nel tuo cuore sai, perché non sei stupida, che Camus non ti ha cassato completamente, che anzi ti ha lasciato una breccia per entrare, consapevolmente o no, e che tu, se lo vuoi, puoi penetrare da lì!"

Il suo tono aveva assunto un non so che di rude, mi sentii quasi fustigata sul posto senza possibilità di appello. Era vero, lo sapevo... non solo, Dégel e Mu me lo avevano ripetuto più volte, ora persino Milo. La domanda vera era: potevo cedere davvero? Potevo perseguire il mio egoismo?

"Quanto pensi... a lui?" mi domandò all'improvviso Milo, di nuovo calmo, tranquillo, e comprensivo.

"Oh, Milo... penso a lui ogni volta, che io lo voglia o no, il suo viso delicato si affaccia alla mia mente con così tanta frequenza da stordirmi. Mi manca... mi manca dannatamente, più vado avanti più penso che vorrei essere al suo fianco, anche se solo come amica, se non posso altro. Io... vorrei condividere tutto con lui e... e niente, sento di amarlo con tutta me stessa... so di essere stupida!"

"Lo supponevo... - asserì lui, affondando il suo volto nei miei capelli – Se le cose stanno così, vai... vai da lui, Sakura!"

"Io... non posso!"

"Perché? Perché limitarti questa possibilità?! Tu sai cosa vuoi, lo sai... e allora perché rinunciarci?!"

Non fiatai, discostando lo sguardo per poi perderlo nel vuoto della luce soffusa intorno a noi. Luce e tenebre. Desideri e possibilità.

"Sakura... lascia decidere agli altri se vogliono partecipare alla tua vita, non chiuderti porte preziose e, soprattutto, non badare alle parole di quell'algido di Camus. E' un tipetto problematico, di certo te lo sei scelto male su questo versante, ma si preoccupa genuinamente per te, chiede di te persino all'università!"

"Chiede... di me? Lo dici per consolarmi o è vero?"

"E' tutto vero, sai che non riuscirei a mentirti neanche se lo volessi! Perché credi ti stia dicendo di andare da lui, pensi che ti consegnerei nelle mani di un tipo qualsiasi?! Io... ecco, non riesco ancora a leggere nel suo cuore, ma capisco fin troppo bene quando bluffa, nascondendo la sua vera natura dietro parole inconsistenti. Questo è uno di quei casi! La sua natura... sfugge all'umana specie, così credo che lo desideri lui stesso, non so perché, ma non ha fatto i conti con te, con la tua sensibilità!"

Fissai la punta dei piedi sempre più agitata, torturandomi psicologicamente sul da farsi: potevo realmente cedere a quel sentimento, malgrado il mio essere demone non mi consentisse di stringere relazioni normali? Cosa era più forte? Questa consapevolezza, o il desiderio di stare al suo fianco, sostenendolo con tutta me stessa?

Milo nel frattempo spalancò teatralmente la finestra, fischiettando. Rabbrividii all'istante nel sentire il vento gelido dietro alla schiena, quasi mi si mozzò il respiro. Sembrava lo avesse fatto apposta, allo scopo di dissipare l'incertezza in me.

"E' abbastanza tardi, visto che è Mezzanotte, ma domani né io né Camus abbiamo lezione, quanto ci scommetti che è in camera sua a leggersi un libro complicato?!" ridacchiò Milo, facendomi l'occhiolino.

"Io... voglio stare con lui! Non importa a quale prezzo o a quale sofferenza per me, ma é ciò che voglio, con tutto il cuore! Fosse anche solo come amica, io... non voglio perderlo! E' una persona troppo importante per me!" affermai, decisa.

"E allora vai da lui e diglielo, Sakura! Non sprecare questa occasione, non sprecare la tua vita... sai quel che vuoi, vai e coglilo!" mi spronò, guardandomi dritta negli occhi.

Non me lo feci ripetere due volte. Annuii con convinzione, ringraziandolo mentalmente per le parole, dirigendomi immediatamente al piano di sotto per prendere al volo la giacca e la sciarpa da infilarmi a tutta velocità. Poi, senza ridestare i miei genitori, spalancai la porta e uscii, correndo a più non posso con una sola direzione stampata nel cervello. L'aria gelida mi investii in pieno e quasi scivolai alla prima asperità dell'asfalto ghiacciato. Non avevo indumenti minimamente consoni per il luogo e soprattutto per il clima, essendo ancora vestita con l'abito che avevo utilizzato per il compleanno di Milo, ma non me ne curai, del tutto euforica e col cuore stracolmo di emozioni al solo pensiero di poterlo rivedere. Rivedere lui, il suo viso delicato, come candida neve, il suo portamento elegante e, soprattutto gli occhi che mi rammentavano costantemente il lago più bello che avessi visto in vita mia: il Rosset, di un blu profondo e frizzante, adagiato oltre il Colle del Nivolet, nel mio paradiso terrestre.

Non ci misi niente a salire fino alla parte alta del paese, e questo nonostante le mani intirizzite dal freddo avessero perso ogni più piccola sensibilità (non avevo infatti indossato i guanti). Tuttavia, arrivata nella piazza centrale, non distante dalla casa dei Delacroix, mi bloccai improvvisamente, colta inaspettatamente dalla razionalità. Era scoccata la Mezzanotte da diversi minuti, era tardi, il paese desertico, il freddo che si insinuava sempre di più nel mio corpicino gracile. Avevo dato pienamente ascolto alle emozioni, mettendo a tacere il raziocinio, malgrado questo, era inaspettatamente tornato: cosa diamine avrei detto una volta arrivata alla porta? Cosa avrei fatto, una volta che quegli occhi blu cobalto si fossero posati sulla mia figura?!

Era... era ridicolo! Io, nel mezzo del gelo che mi facevo viva di punto in bianco, a Mezzanotte passata, dopo essere sparita dalle loro vite per più di una settimana. La sensazione che ne derivava era estraniante: da una parte una gioia innata al solo pensiero di rivederlo, dall'altra, la consapevolezza più concreta di star facendo una castroneria.

Presi un profondo respiro, il mio alito si disperse in una nuvoletta bianca che immediatamente sparì nel nulla. Guardai distrattamente le stelle sopra di me, la loro luminosità, quasi da poterle toccare con un dito. Tutte quelle stelle parevano molto più vicine quella notte, ebbi la netta sensazione, forse per la prima volta consciamente, di non essere sola in quel mondo, di non essere MAI stata sola.

Il freddo era più intenso, ma non importava più, era un nonnulla in confronto al calore immenso che serbavo dentro di me.

"S-Sakura, sei tu?"

Una voce dietro alle mie spalle mi fece sussultare, portando il mio viso a voltarsi nella sua direzione. Trasalii nel riconoscere la figura incappucciata e pesantemente coperta di Albert, il padre di Camus e Dégel.

"Sakura! Prenderai freddo così! Non mi sarei mai aspettata di incrociarti a quest'ora!" continuò lui, sorridendomi. Sembrava quasi felice nel vedermi, ma forse era solo frutto della mia immaginazione.

"Uh... b-buonasera, io..."

Mi venne quasi da scusarmi con lui per il fastidio creato, ma mi trattenni.

"Non c'è bisogno di essere così formale con me. Come dicevo prima, è una sorpresa incontrarti qui. Ne vengo dall'ambulatorio veterinario, oggi ho avuto un'emergenza bella grossa e mi sono trattenuto là fino a tardi!" mi spiegò lui, avvicinandosi a me.

"L'animale... sta bene?" chiesi, preoccupata. Non sapevo di che animale si trattasse, ma era essenziale, per me, chiedere informazioni su quella creatura.

"Sì, è fuori pericolo ora... sono contento di averlo salvato!"

Sorrisi, comprendendo pienamente il suo sollievo: salvare vite, umane o animali checchessia, quale meravigliosa scelta di vita!

"Vieni... a casa nostra?" mi chiese lui, cordiale.

"Uh, no, ci mancherebbe, è molto tardi! Solo... volevo solo sapere se Camus fosse ancora sveglio. Vorrei... ho bisogno di parlargli!" rivelai, arrossendo un poco.

"Certo, sono... sono davvero contento che alla fine tu... beh, ti faccio strada!" biascicò, non sapendo bene come comportarsi.

Lo seguii fino alla porta della casa, rimanendo comunque un po' distante dall'entrata quanto bastava per non dare fastidio.

Le stelle erano sempre più vicine, quella notte, brillavano a tratti e con insistenza, alcune di loro quasi opache, altre luminose. L'aria gelida congelava il respiro fin nei recessi della gola. Inavvertitamente tossii, massaggiandomi le spalle per ricreare un po' di calore. Le mani sembravano dei pezzi di ghiaccio, quasi mi veniva da tremare, malgrado sotto la veste tenessi dei collant assai pesanti.

In quel preciso momento un universo di emozioni mi invadeva, portando la mia mente a vagabondare a metà strada tra i miei desideri e speranze. Continuavo ad avere il dubbio se avessi fatto bene oppure no; dubbio che, con ogni probabilità, non mi sarei mai levato del tutto, ma che parallelamente incrementava ancora di più la fermezza della mia decisione.

Le stelle luccicavano sinuosamente con intensità variabile sopra la mia testa, quando...

"S-Sakura!"

Sussultai drasticamente, portandomi la mano al petto nel tentativo di placare la risonanza che avvertivo al suo interno. Il suono di quella voce... mi sentivo sul punto di esplodere.

Mi voltai, silente.

Camus era lì, bello come non lo avevo mai visto, illuminato dalla luce che traspariva dietro le sue spalle e che, ai miei occhi, sembrava quasi che non avesse nulla di artificiale. No, doveva essere una stella lui medesimo, non c'era altra spiegazione... una stella come quelle del firmamento, una stella che mi ricordava, ancora una volta, che, in fondo, io non ero sola in quel mondo.

Lo vidi avvicinarsi lentamente a me, sempre meno illuminato dalla luce dietro di lui ma, parallelamente, sempre più nitido al mio sguardo. Il volto era ancora parzialmente offuscato dalle tenebre intorno a noi, ma i lineamenti assumevano sempre più concretezza.

Non ci separavano che pochi passi, ma rimasi ferma e immobile.

"Sakura... cosa ti salta in mente di venire qui a quest'ora e con questo freddo?!"

Un rimprovero velato da una, in apparenza, debole preoccupazione. Tipico di lui!

Senza aggiungere nulla, gli sorrisi, mente i suoi occhi si illuminarono alla luce del lampione della piazza, crosta di ghiaccio illuminata dalla luna.

Era... bellissimo! Non facevo che ripetermelo in testa, più lo pensavo più mi pareva sempre più vero. Da piccola mi capitò di osservare una battuta di pesca notturna, i pesci sembravano totalmente ipnotizzati da quella luce che li avrebbe poi condotti a una prevedibile fine. Io mi sentivo affine a quei piccoli pesci, per lo più trote, che avevo visto nella mia infanzia: era la stessa luce che albergava negli occhi di Camus, splendida e ammaliante come non mai, pertanto pericolosissima per per la mia incolumità. Ma avrei avuto il coraggio di accettare i rischi, quella volta!

"Avevo bisogno... di vederti!"

Contrariamente al mio universo interno che si stava contorcendo, apparivo fin troppo statica, quasi pietrificata, davanti a lui.

Un singulto sfuggì dalle sue labbra, ora non più capaci di proferire parola. Sapevo anche questo: avrei dovuto continuare io!

"Vedi, io... non ce la facevo più, mi mancavi da morire e... e ci ho pensato a lungo..." iniziai il mio discorso con parole cadenzate in maniera assai lenta. Non c'era fretta alcuna, non mi avrebbe interrotto, non prima della fine del mio discorso.

"Tu... mi hai detto che non puoi darmi ciò che cerco, mi sta bene, però... però ti prego, permettimi... permettimi di rimanere al tuo fianco!"

"Rimanere... al mio fianco?"

Annuii di nuovo, sorridendo mestamente, nel farlo, non guardai più nella sua direzione, ma l'asfalto lastricato di ghiaccio. Mettere a nudo i proprio sentimenti... era così tremendamente difficile!

"Rimanere al tuo fianco, sì, come amica... o, se non vuoi neanche quello, come conoscente. So cosa sto dicendo, non preoccuparti! - spiegai, scorgendo il suo sguardo quasi colpevole – E' che... sei una persona speciale, Camus! Ho provato a salvarmi, come dicevi tu stesso, ma la verità è che è troppo tardi, io... sono già... persa! Con questo non voglio costringerti a darmi ciò che non puoi dare, non voglio costringerti a fare alcunché, solo... permettimi di proseguire con te, non... non allontanarmi, non voglio perderti! Non voglio perdere una persona come te..."

Seguì un lungo silenzio tra noi, ma non fu pesante come credetti, quanto... carico d'attesa, come il lampo che precede il tuono. Finalmente, dopo secondi interminabili, Camus prese parola, riscuotendosi dallo strano torpore che lo aveva colto. Attesi la sua risposta sul filo del rasoio, i nervi tesi a fior di pelle.

"Sakura... quanto ti dissi quelle cose non intendevo che tu avresti dovuto sparire completamente dalla mia vita, tuttavia non potevo nemmeno avere la presunzione di obbligarti a rinunciare a quello che provavi, per questo ti ho chiesto di salvarti, finché avresti potuto... - tentò di spiegare lui, prendendosi una breve pausa – Quello che mi chiedo è: ce la farai? Ce la farai a continuare a frequentarmi con ciò che serbi per me nel tuo cuore? Vedi, io..."

"Non puoi darmi ciò che vorrei, lo so..."

"La colpa non è tua, è il mio cuore che..."

"Mi sta bene!"

Troncai sul nascere qualsiasi spiegazione superflua, fissandolo con determinazione. Il suo sguardo sfuggì ancora una volta.

"Il mio cuore non è più capace di amare, per questo volevo allontanarti. Non meriti di soffrire per me, non tu, che sei così..."

"Lo so, ribadisco che mi sta bene!" esclamai ancora, sempre più decisa. Avevo capito, non vi era alcun bisogno di perseverare con frasi altisonanti. Sarebbe stato doloroso, ne ero consapevole, ma pur sempre meno doloroso che non vederlo più!

Camus allora si arrese, il capo chino, prostrato all'inverosimile. Non avrebbe più parlato, ma io non avevo ancora finito.

"Camus... sei un essere speciale, l'ho capito dalla prima volta, quando mi hai salvato da Golia, ma non è gratitudine la mia, non solo, almeno! Per cui... se io avrò occasione di avere te, nella mia vita, non preoccuparti per la mia sofferenza, perché sarà comunque meglio che perderti per sempre!" gli dissi ancora, regalandogli un largo sorriso.

L'interpellato mi fissò, un misto di incredulità, senso di colpa e meraviglia. Un misto di fattori che imprimevano sul suo delicato un viso un'espressione un poco dolorosa che non gli avevo mai visto prima.

"Che ti dicevo? Sei speciale, Ca..."

La mia frase venne bloccata dal suo abbraccio, del tutto inaspettato quanto... disperato... o forse quest'ultimo particolare era semplicemente frutto della mia povera mente innamorata.

"Da dove... da dove sei caduta tu? Perché sei entrata nella mia vita, così naturalmente come il sole irradia il suo calore? Perché?" si chiese retoricamente Camus, stringendomi a sé con forza. Il suo gesto non aveva nulla a che vedere con quello della settimana scorsa, soffice e appena percettibile, no, questo era un vero e proprio aggrapparsi a qualcosa.

Dunque... che dunque anche Camus avesse provato e vissuto, almeno un po', ciò che avevo sperimentato anch'io durante quella settimana? La cosa non aveva, di per sé, importanza, mi era mancata la sua vista, il suo tocco, la sua voce... tutto! Averlo di nuovo lì, tangibile, mi faceva provare una ripetuta fitta allo sterno, unita ad una gioia irrefrenabile.

"G-grazie, Camus! Io... non so neanche perché ti ringrazio, ma sento di doverlo fare!" biascicai confusamente, chiudendo gli occhi per assaporare quel contatto. Mio malgrado, mi sentii rabbrividire, cosa che non fuggì a Camus.

"Sei gelida... - constatò lui, staccandosi da me per poi guardarmi negli occhi – Sei avventata come tuo fratello Milo, non saresti dovuta venire qui con questa tenuta. Sei al Quinto Anno di Superiori, non puoi permetterti di ammalarti!" mi sgridò bonariamente lui, apparentemente severo.

Diniegai con il capo, riconoscendo il timore dietro il rimprovero.

"Come già detto... avevo davvero bisogno di vederti!" sussurrai, emozionata.

Improvvisamente Camus mi prese le mani tra le sue, portandosele al petto con un gesto delicato. Le racchiuse tra le sue lunghe e affusolate dita, carezzandomi il dorso con i polpastrelli allo scopo di riscaldarmi almeno un poco.

"C-Camus..." biascicai, sentendomi divampare.

"S-Sakura, ascolta, io..." iniziò lui, rosso a sua volta in viso, non smettendo però di ricercare un contatto con me, al di là delle nostre mani unite.

Dio, quanto era bello, con quella luce ad illuminare i suoi occhi blu contornati dal rosso acceso delle sue gote! Il suo corpo caldo e accogliente a poca distanza dal mio, la felpa pesante e i jeans che avvolgevano le sue membra delicate. Io gli arrivavo a stento alle spalle, ma ebbi l'impressione che, abbracciandoci, avremmo creato l'incastro perfetto. Bramavo il suo tocco e desiderai, con tutto il cuore, continuare a parlare con lui per tutta la notte, ma mi limitai a continuare ad osservarlo, del tutto rapita dalla sua corporeità, dalla sua concretezza, da tutto... tutto di lui mi creava un gran trambusto interno. Avrei potuto, in quell'attimo racchiuso tra tempo e spazio, toccargli le guance con le mie dita? E, se ci fossi riuscita, avrei forse trovato quel calore arcano che sembravano emanare, così rassomigliante al mio e che sentivo permearmi con nitidezza tutto il volto?

Chissà... non ebbi comunque il tempo di indagare!

"Pssss, Albert, te lo avevo detto, no? Te l'ho detto dall'inizio che sarebbero stati una bella coppia, vero?"

"Josephine cara, questo non lo metto in dubbio, ma... non ti sembra che stiamo esagerando a spiare quei due ragazzi in un momento così intimo?!"

"Ssssssh, non parlare con un tono così alto, ci scopriranno e... oh, no, temo sia troppo tardi!"

Immediatamente mi immobilizzai, mentre, con la coda dell'occhio, vidi due figure in direzione della casa che tentavano disperatamente di celarsi nell'oscurità. Le loro voci erano poco più di un sussurro, lo stesso Camus non le aveva udite, rivolto com'era di spalle rispetto alla fonte sonora, ma erano riconoscibilissime. Mi sentii avvampare al solo pensiero che non avevo la più pallida idea di quanto tempo si trovassero lì, ma, con ogni probabilità, dall'inizio della conversazione.

"Sakura, ti avverto improvvisamente rigida, che ti succede?" mi chiese ad un tratto Camus, percependo il mio stato.

"Oh, ehm... i tuoi g-genitori..." mormorai, al limite dell'imbarazzo, indicando la porta d'ingresso.

"I miei... cosa?"

La scena che ne seguì fu quanto di più divertente avessi assistito in quella settimana. Camus si voltò in direzione della casa e, quando riconobbe i due genitori intenti ad origliare, diventò immediatamente paonazzo come mai visto prima. Incespicò nei suoi stessi piedi, quasi cadde, mentre, con evidenti imprecazioni in francese, ordinava ai suoi di tornare subito dentro. Ne seguì una specie di diatriba, tutta in lingua francese, tra madre e figlio, mentre il padre, al limite dell'imbarazzo, si nascose immediatamente dentro, accennando parole di pentimento. Desiderai anche io sparire all'istante!

La discussione tra i due continuò con toni alterni, quasi da temere il risveglio in massa di tutto il paese. Io non capivo un'acca di quello che dicevano, non sapevo neanche come fermarli, cosa che, per fortuna, fece Dégel, appena sopraggiunto, al posto mio.

"Mamma! Fratellino! State dando spettacolo, vi prego di calmarvi!" affermò, uscendo di casa con passo ritmico. Vederlo illuminò il mio sguardo. Lo fissai come se fosse un'ancora di salvezza, un approdo sicuro in un mare in tempesta, una luce in mezzo alle tenebre... Probabilmente anche lui aveva saputo del mio arrivo, ma, rispettando la nostra intimità, era rimasto in camera, cosa che non aveva fatto invece sua madre, curiosa e speranzosa come non mai. Avvertendo quindi il chiasso fuori, aveva deciso di intervenire per troncare sul nascere qualsiasi litigio.

"Hai ragione, Dégel! Ma tuo fratello ha deciso di coronare la sua settimana di intrattabilità proprio oggi, rivolgendomi parole spietate. Non vuole che mi interessi alla sua vita, capisci?! Eppure Sakura mi piace così tanto, come ragazza, che spererei davvero che..."

"MAMMA, BASTA COSI'! Hai origliato una conversazione privata, almeno ora taci!"

"Oh, accidenti come sei sgarbato, ero solo preoccupata e..."

"E' LA MIA VITA, TU NON C'ENTRI, NON..."

"Finitela entrambi, o volete svegliare tutto il paese?!" intervenne ancora Dégel, raffreddando nuovamente i bollori.

Camus sembrava punto sul vivo, al limite dell'imbarazzo e quasi snervato: anche per lui, a giudicare dai pochi elementi che avevo a disposizione, doveva essere trascorsa una settimana assai dura, probabilmente ricca anche di scontri con i suoi famigliari. Ne fui immensamente dispiaciuta.

"Sì, hai ragione, tolgo le tende... - si rassegnò la madre, sospirando, poco prima di approcciarsi a me – Stammi bene, Sakura! Spero che tu... che tu ci venga a fare visita più spesso. Questa settimana, sai, non è stata affatto facile, e tu sei sempre la benvenuta qui!" si accomiatò, regalandomi un buffetto sulla guancia, prima di sparire dentro casa e socchiudere la porta.

Era tornata la calma, ma Camus sembrava ancora fuori di sé, carpito nella sua intimità e ancora aggressivo come un animale che aveva appena adocchiato un intruso nel suo territorio.

"Est-ce que tu veux, Dégel?" chiese infatti, quasi ringhiando.

"Nulla, non trovi che abbiamo già litigato abbastanza, questa settimana?"

"Io chiedo... visto che ultimamente sembrate molto pressanti sulla mia vita privata!" ribatté ancora Camus, discostando lo sguardo. Era ancora tremendamente rosso in viso.

"Sc-scusate, è colpa mia, sono io ad essere venuta da voi così tardi. Perdonatemi!"

"No, Sakura, perdona tu questo siparietto, l'importante è che, almeno voi, vi siate chiariti. Vi siete chiariti?" mi domandò Dégel, gentile come di consueto.

"Più o meno..." biascicai io, imbarazzata.

"Se voi non foste intervenuti, forse avremmo avuto anche occasione di approfondire maggiormente il discorso!" si lamentò ancora Camus, sbuffando.

"Ne sono lieto!" rispose Dégel, non curandosi del fratello, poi fece per allontanarsi, ma io gli presi lestamente la mano.

"Dègel... va bene quella cosa lì, scusami se ho tentennato, ma... va bene!" dissi solo, imbarazzata.

"Ti sta... bene? Significa che..."

"Sì, tengo a te e non vorrei metterti nei guai, ma non posso certo controllare i miei sentimenti. Ci ho pensato a lungo e... diventiamo amici! Non posso impedirmi di affezionarmi a te, è già successo, d'altronde!" spiegai, pratica.

Il viso di Dègel si illuminò automaticamente, mentre un'espressione infinitamente dolce si dipinse radiosamente sul suo giovane e inesperto viso. Provai un misto di tenerezza e desiderio di proteggere quel sorriso gentile, questo malgrado io fossi più piccola di lui. Avevo dimenticato il calore che si poteva provare quando si stringevano le relazioni, lo avevo dimenticato perché avevo avuto sempre il veto su questo fin da piccola, eppure... era così meraviglioso da riscaldare il cuore, persino nella notte più buia e fredda!

"Grazie, Sakura... sono pieno di problematiche e fatico non poco a fidarmi degli altri, ma farò di tutto per essere un buon amico per te! Tu e Mu non sarete più soli, lo prometto!" asserì, abbassando leggermente il capo e arrossendo un poco. Camus rimase sulle sue per tutta la conversazione, era impossibile ristabilire l'umore di prima, spazzato via come polvere, tuttavia provai ad approcciarmi nuovamente a lui, regalandogli un largo sorriso ricco di affetto.

"Allora, se per voi va bene, giacché abbiamo avuto la fortuna di conoscerci in questo attimo del tempo, proseguiamo il percorso insieme, poiché le nostre vite si sono ormai intrecciate indissolubilmente!" esclamai, più allegra del solito e ricca di una nuova vitalità. Mi sentivo stranamente più leggera, quasi che davvero, smezzare le gioie e i dolori, cioè il condividere, avesse il magico potere di darmi nuova speranza, nuova forza.

Non vidi direttamente l'espressione di Camus nella notte, non intercettai il suo sguardo per pochi istanti stupido, ma ebbi la tiepida sensazione di avvertire il suo velato sorriso solcare le gote ancora drasticamente rosse.

 

 

 

 

 

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Capitolo 18
*** La leggenda della Valle dell'Orco ***


Capitolo 17: La leggenda della Valle dell'Orco

 

 

Novembre aveva levato le tende, lasciando dietro di sé una pallida fragranza di abete e di pigna rosicchiata da qualche scoiattolo rosso ghiottone. Novembre se ne era andato, aveva ceduto il passo, dopo aver timidamente spogliato le fronde dei larici in una pioggia di aghi scarlatti, con la stessa intensità di un tenero amante con la propria donna. Quegli aghi privi della propria madre, abbandonati a sé stessi e successivamente coperti dalla gentil dama bianca, stavano ancora lì per terra, ogni tanto sbucavano tra la neve, come a ricordare ancora la loro presenza, il loro timido addio. Effettivamente non vi era più alcun angolo o anfratto che non fosse ammantato del colore bianco, tutto era coperto di ghiaccio brillante, totalmente intessuto da quel candore.

A Ceresole Reale, in un anno normale, la neve non si scioglieva mai da inizio novembre ad aprile e le precipitazioni erano sempre nevose. In quel dato periodo non pioveva quindi, le temperature erano sempre rigide, eppure per noi abitanti del posto quella era sempre stata una benedizione, ci preservava dalle valanghe che altrimenti avrebbero messo in pericolo la parte alta del paese. Gli anni meno freddi infatti avevano sempre visto fenomeni di questo tipo e, anche se eravamo corsi ai ripari con sistemi antivalanga, il rischio non era mai del tutto scemato, poiché talvolta capitava un anno più caldo del solito, ed erano grossi guai, per noi, ma anche per la vegetazione del luogo.

Neve e gelo qui erano sempre stati una benedizione e venivano sempre accolti, a buon diritto con gioia e tripudio: neve e gelo portavano il turismo qui, scacciavano via l'orco di queste valli, ristabilendo pace e tranquillità in una civiltà che di destreggiava tra le immense forze della natura.

Sorrisi tra me e me, guardando grata il cielo sopra la mia testa. Quel giorno era la prima domenica del mese di dicembre e finalmente, dopo un periodo di nevicate copiose, il sole aveva fatto nuovamente capolino tra le montagne, rendendo ancora più frizzantina l'aria ma migliorando il mio umore. Senza nulla togliere alla neve e al ghiaccio, che pure adoravo, ero follemente innamorata del sole, del calore che dava, delle belle giornate che ci regalava, e rivederlo dopo così tanto tempo mi permetteva di sprizzare gioia da tutti i pori.

Quel giorno poi era una giornata speciale, dall'inizio della settimana non facevo altro che il conto alla rovescia verso il week-end, non ne potevo davvero più di aspettare! Avevo pregato tutte le divinità conosciute affinché fosse una bella giornata e... e mi avevano dato ascolto, addirittura sopra le mie aspettative, perché non era solo una bella giornata, ma davvero splendida, nel vero senso della parola, poiché tutto brillava intorno a me, facendomi anche luccicare gli occhi da tanta meraviglia. Insomma, uno di quei giorni che ti rendeva grata verso vita e che valeva la pena di essere vissuto.

Quel giorno di dicembre... mi sarei vista con Camus, solo io e lui!

Certo, era tutto fuorché un'uscita romantica. La settimana prima mi aveva chiesto consiglio su dove portare la sua cagnolina Ipazia a sgranchirsi un po' le zampe, io gli avevo detto che conoscevo un posto meraviglioso, ma che era impossibile andarci in questa stagione, e allora mi ero offerta di accompagnarlo in un secondo luogo, più idoneo, visto il periodo, ma ugualmente incantevole, e lui aveva accettato, rendendo me la ragazza più felice del mondo.

Fischiettai allegramente, accelerando il ritmo totalmente assuefatta a quell'idea, tanto che non mi accorsi che il mio cane, Mirtillo, che ovviamente mi ero portata dietro, si era fermato al lato della strada ad urinare, ritrovandosi poi a guaire con enfasi al mio tirare del guinzaglio.

"Oh, scusami, piccolino, la mia testa va per conto suo oggi!" mi scusai, tornando sui miei passi e aspettando che facesse i suoi bisogni, poi tempestivamente pulii.

In quelle settimane mi ero continuata a frequentare con i Delacroix... come amici, ovvio! Naturalmente Camus aveva intuito benissimo che, da parte mia, non era solo amicizia, ma il mio forte desiderio di rimanere al suo fianco aveva infine infranto la sua dura corazza, permettendomi così di avvicinarmi a lui, senza toccarlo, era vero, ma sfiorandolo. Per il momento mi bastava! Ne ero perdutamente innamorata, lo sapevo, lo sapevamo, non mi sarei potuta salvare in alcun modo, sarei rimasta dannata per sempre, ma... tranciare ogni rapporto con lui mi avrebbe causato il doppio della sofferenza, anche di questo ne ero pienamente consapevole. Mi muovevo in un campo minato, un minimo passo e sarei rimasta dilaniata. Totalmente. Camus percepiva tutto questo in me e si preoccupava, per quanto era possibile, negli unici modi che conosceva, giacché ricambiare il sentimento sarebbe stato troppo per lui, cioè chiedendomi di uscire il week-end, come se fossimo due amici. In fondo al cuore non era ciò che volevo, forse con il tempo non mi sarebbe più bastato, ma era comunque molto di più di quanto mi sarei aspettata ad inizio della conoscenza. Stare al suo fianco mi rendeva genuinamente felice, mi faceva battere il cuore, e bastava; bastava il suo sorriso, la sua presenza, il nostro parlare del più e del meno a distanza quasi nulla, senza però poterci toccare.

 

Non è colpa tua, ma mia... è il mio cuore che non è più in grado di amare!

 

Cari studenti, ricordatevi che siete in Quinta, non è l'anno giusto per: innamoramenti, lutti, morti, crisi esistenziali, tradimenti... no, fidatevi di me che sono più vecchia di voi, se potete, evitate! Avrete tutto il tempo dopo per recuperare, per il momento... resistere... resistere... e resistere!

 

Sei un piccolo mostriciattolo che dovrebbe rimanere da solo a vita, lo sai questo, vero? E' stato decretato che tu non possa avere relazioni, ne va del bene degli abitanti del paese e dell'equilibrio di questa valle!

 

Mi appoggiai alla fredda roccia vicina a me per evitare di cadere, improvvisamente colta da un capogiro atroce: le voci di Camus, della mia adorata professoressa di storia e latino e del vecchio del villaggio mi rimbombarono nelle orecchie a cadenza e intensità diverse, ma bastò solo l'ultima per procurami un nodo allo stomaco che quasi mi privò del respiro, trasmettendomi poi una famigliare sensazione di nausea. Con la coda dell'occhio, vidi Mirtillo cominciare a darmi delle musate sul ginocchio, forse percependo il mio stato e il conseguente malessere. Lo provai a tranquillizzare con un sorriso e una carezza, scacciando in fretta quella sensazione spiacevole e dirigendomi così verso la parte alta del paese e la sua piazza: volevo solo essere felice, solo... essere felice! Finalmente avevo trovato delle persone che, oltre a Mu, mi apprezzavano per ciò che ero e malgrado tutto. Camus... Dégel... Cardia, anche se era scomparso da settimane... semplicemente non volevo che tutto quello mi fosse strappato dalle mani, soprattutto in quel momento che avevo visto la luce del sole e percpepito sulla mia pelle il calore di un rapporto autentico e sincero.

Non potevo in alcun modo rinunciarci, non potevo! Non importava se, così facendo, sarei andata contro il volere dei miei compaesani! Quella volta lì... avrei messo il mio bene in cima alla lista, non quello degli altri! O, almeno, ci volevo provare... perché non di rado i sensi di colpa mi tormentavano per le mie scelte, fratturando il mio essere dalle mie intenzioni e portandomi conseguentemente a stare male.

"Eccoti, Sakura, ti stavo asp... che ti succede?!"

Sussultai pesantemente a quella frase, non essendomi resa conto di essere giunta in piazza e, ancora di più, che Camus fosse già lì in attesa, puntualissimo come sempre, con la cagnolina Ipazia.

"Oh... c-ciao, Camus, scusami il leggero ritardo!" gli sussurrai, arrossendo timidamente. L'ansia di prima era del tutto scomparsa, ed era merito suo, lo sapevo. Lui annuì a sua volta a mo' di saluto, prima di passare all'argomento che gli premeva di più.

"Sakura, sei pallida... è forse successo qualcosa?"

"Mmm, no, no, è solo un po' di stanchezza" mugulai, affabile, sorridendogli raggiante.

"Eppure questo non è il tuo colore naturale, fammi sentire un attimo!" insistette, posandomi una mano sulla fronte e facendomi così impietrire seduta stante, nonché avvampare.

Rimasi fissa inebetita a guardarlo, mentre, con espressione seria, controllava la mia temperatura tramite il tocco. Mi sentii improvvisamente la gola secca ad avercelo così vicino, le sue labbra rosee serano tese in una linea quasi perfetta, gli occhi attenti, la fronte un poco corrugata. Dopo quella notte dell'8 novembre, in cui gli avevo chiaramente espresso il mio desiderio di stare al suo fianco, si era un po' più aperto con me. Era diventato protettivo, non nascondendo più il suo interessamento per me e per il mio stato di salute, come invece faceva all'inizio, ma, se poteva, manteneva pur sempre le distanze quanto bastava per un rapporto cordiale e affettivo, null'altro. Quella volta invece, le distanze, le aveva completamente azzerate, cosa insolita e rara, tanto da emozionarmi.

"Ca-Camus... sto... sto bene, d-davvero!" balbettai, allontanandomi di un passo e massaggiandomi la zona toccata da lui. Ero totalmente accaldata e agitata, potevo sentire i miei battiti cardiaci senza alcuno sforzo.

"Effettivamente non sembra che tu abbia la febbre, ma il tuo pallore non mi convince... te la senti comunque di andare?" mi chiese con educazione, fissandomi con interesse.

"Ma certo, te l'ho promesso! - risposi, grata, inginocchiandomi verso la sua cagnolina, tutta intenta a farmi le feste – Ehi, ciao bella, com'è che, ogni giorno che passa, sei sempre più splendida?"

Ipazia, per tutta risposta, si mise su due zampe e cominciò a leccarmi tutta la faccia, festosa, tanto da far ingelosire pure il mio cane, infastidito da tutte quelle attenzioni non riposte in lui. Rimasi quindi un po' a giocherellare con loro, pur avvertendo lo sguardo di Camus rivolto verso di me, almeno finché non lo udii prendere un profondo respiro e apprestarsi a parlare.

"I cani ti adorano... e anche la taccola che hai salvato diverso tempo fa si fidava completamente di te, pur non conoscendoti. Come puoi... come puoi essere così genuinamente buona con tutto e tutti, malgrado i maltrattamenti che hai ricevuto in famiglia? Come puoi, Sakura? Come riesci a fidarti degli altri, ad aprirti con gli altri, malgrado tutte le brutture che avrai certamente subito?"

"E-eh?" biascicai, interdetta, non avendo compreso la sua domanda perché totalmente assorta dai due cani. Una sensazione stranissima mi avvolse, simile alla consapevolezza di aver perso un ingranaggio importante.

"Niente... non ho detto nulla di importante, non darci peso!" tranciò il discorso di netto, allontanandosi a capofitto e obbligando così me a seguirlo di capocollo.

 

 

* * *

 

 

Camus aveva preso una vera e propria rincorsa, costringendo me a corrergli dietro per stare al suo passo. Non sapevo il motivo di un tale comportamento, ma riuscivo ad abbinarlo ad un lato del suo carattere: faceva sempre così quando si imbarazzava per qulcosa e non lo voleva dare a vedere, quello di certo non era cambiato in questo periodo di conoscenza.

Ad un certo punto lo riacciuffai, afferrandogli la mano e annaspando nei miei piedi nel tentativo di recuperare il fiato perso. Ci trovavamo già nella passeggiata sul lago, non la zona boscosa, ma quella sterrata, dal lato sinistro della valle.

"S-si era detto di fare una passeggiata insieme per portare i cani a sgranchirsi le zampe, oppure ognuno per conto suo?!" lo redarguii gentilmente, costringendolo a voltarsi nella mia direzione.

"Scusami... ero pensieroso!"

"Me ne ero accorta, visto che quando lo sei acceleri come una lippa!" esclamai, sorridendogli con calore.

Camus ovviamente non rispose ma finalmente si fermò, attendendo istruzioni da me su dove andare. Avevo i guanti addosso, lui no, non li indossava mai, ma quella breve stretta delle nostre mani, seppur breve, era in grado da sola di farmi emozionare ancora una volta, in balia dei sentimenti. Mi ritrovai a pensare a quanto bello sarebbe stato se avessimo potuto rimanere così durante la passeggiata, come le giovani coppie di ragazzi che trovavo sempre molto tenere, ma, ahimé, era un sentiero a me precluso, mi sarei dovuta accontentare di rimanere semplicemente al suo fianco ma a distanza, cosa che comunque mi rendeva felice e orgogliosa.

Camminammo vicini, al punto di sfiorarci, senza però farlo. Eravamo entrambi silenziosi, soprattutto io, non era mai facile incanalare un dialogo con Camus, così chiuso nella sua intimità da risutare etereo; avevo imparato che se non avessi fatto io il primo passo, lui non si sarebbe mai sciolto, ma quel giorno mi era più difficile del previsto. No riuscivo a far altro che guardarlo -e ammirarlo!- perché tutto in lui mi spingeva verso quel sentimento intenso che era l'amore. Non era stato un abbaglio, e nemmeno una momentanea dipartita, come invece mi era capitato soventemente con i bei ragazzi, no, era stato invece come un tornado di categoria nove, impossibile resistergli e impossibile tornare come prima, dopo un'esperienza simile: il mio cervello era andato semplicemente in pappa. Totalmente. Senza possibilità di appello.

"Come va la scuola, Sakura?"

Quasi alla fine del lago ormai ghiacchiato, Camus si era deciso ad intavolare un discorso, ne fui stupita alquanto, tanto che ci misi non poco a rispondere.

"B-bene, direi... non c'è male!" balbettai, tesa.

In verità la scuola non era più una mia priorità, mi sembrava un nulla, se paragonato a quell'immenso sentimento che mi legava emozionalmente a lui. Non andavo male, no, ad eccezione di chimica, dove raggiungevo a stento la sufficienza, ma ormai studiare mi era diventato doppiamente difficile, così preda di pulsioni che mi sbatacchiavano qua e là. Anni e anni di studi con il massimo dellì'impegno per poi finire così, a pensare di aver sprecato la mia vita. Se lo avessi conosciuto prima; prima di quella Pandora, se ci fossimo innamorati... avremmo di sicuro avuto ben più tempo a dispozione, delle intere estati, dove potevamo fare quello che volevamo, andare dove ci portava il vento, da giugno a settembre, invece eccomi lì con una Maturità da fare, il tempo ridotto al lumincino e zero voglia di impegnarmi, poiché tutti i miei pensieri erano per lui, mi portavano a lui, a briglie sciolte.

"E chimica come va?"

Eccola la domanda indiscreta, uff...

"S-sono migliorata, ma raggiungo appena la sufficienza..."

A quel punto Camus si accigliò, inarcando un sopracciglio, quasi come se lo avessi offeso a morte. Mi sentii giudicata.

"La sufficienza... appena?"

"Ehm, sì..."

"E' un po' pochino... richia di abbassarti la media e, in seduta di Esame di Stato, anche il voto..."

"Che ci vuoi fare... non sono brava come te..."

Forse... forse, piuttosto che parlare di quel dato argomento preferivo rimanesse zitto...

Camus fece ancora qualche passo, così raggiungemmo il ponte sul torrente Orco, ai minimi termini in quella stagione, prima di apprestarsi a fare un 'mea culpa' nel suo stile.

"Forse avrei dovuto seguirti di più su quella materia, mi dispiace! Ormai manca poco alla fine del primo quadrimestre, tra vacanze di Natale e tutto, non so se, con le ripetizioni, posso farti migliorare, ma, se vorrai, nella seconda parte dell'anno ti seguirò di più. Non voglio che ti si abbassi la media per un'unica materia!" mi propose lui, facendomi avvampare seduta stante.

Lo fissai sbigottita, lui, la sua espressione seria, gli occhi brillanti, la nuvoletta che usciva dalla sua bocca ogni volta che respirava e, non in ultimo, i movimenti eleganti della sciarpa che si portava al collo, sbatacchiata qua e là dal vento gelido che movimentava quella giornata limpida tra il bianco e l'azzurro terso.

"Ci mancherebbe! Anche tu avrai gli esami da fare, non perdere tempo con me, io e la chimica ci picchiamo da anni, ma alla fine ho sempre vinto io! - lo provai a tranquillizzare – E poi... e poi non è nelle mie priorità, la scuola, non più, quindi sarà quel che sarà, vorrei fosse già finita!" mi lasciai sfuggire, abbassando lo sguardo, forse sentendomi colpevole. La cosa, neanche starlo a dire, non sfuggì a Camus, il quale assotigliò subito lo sguardo, desideroso di carpire il reale significato di quella confessione.

"Non è... una tua priorità? Sakura, hai appena diciotto anni, quali altre priorità puoi avere? Non gettare tutto nel fuoco ora! Da quel che so, hai un'ottima media, se è solo chimica il problema io posso darti una mano!" provò a motivarmi, consegnandomi invece solo una pallida sensazione di fastidio.

"Lo studio è sempre stata una mia priorità, d'accordo?! Ci ho dato l'anima, e oltre! Ma... ma ora non è più così, in tutta frachezza mi sto rendendo conto che ci indottrinano per tutta la vita ad andare bene a scuola, ma ci sono cose immensamente più importanti, ed io queste cose, le ho perse; le ho perse proprio nei migliori anni della mia vita!" gli rivelai, giradomi dall'altro lato, colta in fallo. Avevo dimenticato che la sua indole era quella del professore paterno che stimolava sempre gli studenti, ma non era quello ciò di cui ho bisogno, non in quel momento, non da lui!

Cadde il silenzio tra noi, quella volta lì ero io ad aver aumentato le distanze, me ne resi conto e me ne dolsi, ma ormai era troppo tardi per rimediare.

"Sakura... - il tono di Camus giunse a me incerto, pieno di remore, ma andò fino in fondo – E' per colpa mia questo tuo stato? E'... per via di quello che provi per me?"

Mi ero incastrata... di nuovo! Come i piccioni che, non contenti di finire una volta nella trappola, ci ricadecvano scioccamente, mettendosi poi a tubare, non comprendendo nemmeno la motivazione di quell'errore.

"Ma... ma no, figurati! Tendi a darti troppa importanza, a volte, Camus... - gli mentii, desiderosa di riparare al più presto la mia situazione, che fragile com'ero ci mancava davvero poco per massacrarmi – Guardandomi indietro, mi sono solo resa conto di aver sprecato occasioni nella mia vita e ora me ne pento, null'altro!"

Non lo avevo convinto, sarebbe stato troppo facile così, ma per lo meno ero riuscita nell'intento di concludere il discorso, recuperando così la lancia per aprirne un altro.

"D'accordo, meglio così... - sospirò, un poco affranto, preoccupandosi comunque di dispensarmi un ultimo consiglio – Però tu pensaci seriamente, Sakura: davvero vuoi gettare tutto ora che sei quasi al traguardo? Ponderala bene questa scelta e, se puoi, stringi i denti fino alla Maturità, quando ce l'avrai fatta, allora potrai decidere del tuo futuro e del tuo presente, ma solo allora!"

Non risposi, tornando a soffermarmi invece sul torrente Orco che, inframezzato da rocce montonate ricoperte da diversi centimentri di neve, scorreva placido fino ad entrare nel Lago di Ceresole. Quello stesso torrente, così in apparenza tranquillo, in tarda primavera, nella fase di disgelo, dava invece spettacolo, spruzzando goccioloni d'acqua da tutte le parti e penetrando in quello stesso lago, rifocillandolo così del sacro liquido, fino a produrre un frastuono assordante.

"Per raggiungere il luogo che ti ho detto, bisogna seguire la riva sinistra del torrente ancora per un bel pezzo, ti va?"

"Certamente! Adoro camminare, inoltre un po' di moto non può che far bene sia a noi che ai nostri cani!" rispose, determinato, affiancandomi nuovamente e lasciandosi indirizzare da me.

Proseguimmo quindi per un bel tratto, sempre sfiorandoci, con i nostri cani dietro di noi e un sonoro e continuo CIAFF CIAFF dei nostri stivali che affondavano nella neve compattata. Mano a mano che la strada si faceva in salita, l'accumulo al suolo continuava ad aumentare ed era ben visibile a lati della strada, nonostante i mezzi spargisale chr arrivavano sempre fino alla località di Chiapili di sotto, proprio il posto in cui stavo conducendo il mio accompagnatore.

Mi ritrovai ben presto a fare il guru di questi luoghi da me così conosciuti e amati, partendo dalla leggenda sulla fondazione del paese di Ceresole Reale, proprio ad opera dell'Orco di cui la valle prendeva il nome.

"Scusami... questo 'orco' ha dato i natali al paese di Ceresole Reale, ma i suoi abitanti lo rifuggono e lo ripugnano, fino a fare riti propiziatori per allontanarlo, come è possibile?" mi chiese attentamente Camus ad un certo punto, percependo forte e chiaro il pauroso anacronismo nei rituali dei compaesani.

Ero sempre colpita dalla sua intelligenza e dalle sue domande argute, ed ero onorata che le rivolgesse a me, reputandondomi così all'altezza. Sorrisi mestamente e gli raccontai.

La leggenda voleva che dopo l'ultima Era Glaciale, ben prima del cosidetto 'optimum medievale', nelle località immediatamente sotto a dove poi sarebbe sorto, diverso tempo dopo, il lago di Ceresole, sorgessero piccoli rifugi e capannette, dove le comunità vivevano specialmente di caccia e raccolta. Ai tempi era impossibile salire più di così, il ghiacciaio, sempre minaccioso, serrava la valle, impedendo la vita, cosicché, soprattutto nella brutta stagione, venivano indetti balli sciamanici e riti dello stesso tipo per impedire che il suddetto si svilupasse ulteriormente. Finalmente, dopo una serie di età buie, nel periodo medievale, il ghiacciaio cominciò a ritirarsi, proprio grazie a questo Orco che era uno spirito della natura e che si adoperò in prima persona per far ritirare il permafrost e permettere così agli esseri umani di salire di altitudine e fondare così il paese di Ceresole Reale. Tuttavia, come tutti i demoni, l'Orco era un essere volubile, spietato e iracondo, quando gli essere umani pretendevano troppo, o non gli mostravano il giusto rispetto, e anzi lo seviziavano, decidendo arbitrariamente di non prendersi cura del territorio e quindi danneggiarlo indirettamente, questo Orco faceva espandere ancora di più i ghiacciai, arrivando a minacciare il paese e portando gli uomini alla fuga. Così accadde nella cosidetta 'piccola era glaciale', che cominciò circa nel XV secolo d. C. Le perdite furono altissime, morirono bambini,vennero distrutte case, alcuni anziani rimasero imprigionati nelle proprie case, spirando poi per stenti. Da quel momento in avanti fu deciso di eleggere una famiglia a capo del paese, intermediaria tra l'Orco e gli esseri umani... a tale discendenza, che si era contraddistita per riportare la pace, furono dati connotati sovranaturali. Essi parlavano al dio e per bocca del dio, il quale rinnovò quindi un contratto con il genere umano: se avessero fatto quanto chiesto e pattuito avrebbe garantito loro l'equilibrio e la salvaguardia dei suoi abitanti, permettendone il pieno sviluppo.

"E tale onore fu dato ai Megres..." arrivò alla conclusione Camus, serrando la mascella furente nel tentativo di controllarsi.

"Già, è la famiglia più vecchia del paese... i suo antenati hanno trovato un accordo con l'Orco e parlano in sua vece..." confermai, distogliendo lo sguardo, omettendo il resto.

Vi era tutta un'altra parte che non mi sentii di raccontargli in quel momento; quella parte narrava di come, ogni centocinquanta anni circa, veniva estratto a sorte, tra i bambini nati in quell'anno, colui o colei che avrebbe dovuto costituire il tributo da sacrificare per mantenere l'equilibrio tra gli esseri umani e i demoni, in sostanza un feticcio. Con questo sistema era andato tutto bene fino al giorno della mia nascita, quando fui designata io ad assolvere a questo sacro incarico, procedimento che tuttavia fallì, in quanto l'Orco, sempre volubile e nocivo, scelse me per incarnarsi, interrompendo così il processo. Non ero quindi più sacrificabile, poiché io stessa ero demone, ma l'accordo era stato annullato dall'Orco medesimo, quella era una ragione più che sufficiente per seviziarmi, isolarmi e, per quanto possibile, incatenare i miei poteri per rendermi inoffensiva.

"... a me sembrano una marea di cazzate!"

Sussultai a quella frase proferita da Camus, più o meno come un gatto quando, attirato da qualcosa, viene spaventato da una terza forza. Gli scoccai una occhiata indecifrabile, sorpresa e un po' spevantata dalla rabbia che presagivo dal suo sguardo.

"Non fraintendermi, Sakura! Il racconto è molto affascinante ed emozionante, mi piacciono le leggende, ma è aberrante che una tale recrudescenza del paganesimo, o di qualsiasi religione, sia il motore invisibile di un paese! Siamo nel XXI secolo, parbleu, dovremmo essere nel periodo per eccellenza del fiorire della ragione e del sapere scientifico!" spiegò, convinto delle sue parole.

"Ognuno vede i propri demoni in qualcosa, ognuno ha le proprie convinzioni... la piccola mente umana non è in grado di pensare all'immenso senza trovare una spiegazione, per cui vengono proposte soluzioni per fatti inspiegabili, magari false, magari vere, non importa... ciò che conta è che non scoppi il panico generale, ciò ch conta è raccontare i fatti in maniera umanamente capibile, per poi asservire le menti ai propri fini, e in questo, i Megres, ci riescono benissimo!" affermai, più democratica. Credevo nel sapere scientifico e nel pieno sviluppo delle facoltà umane, ma mi era altresì difficile non pensare anche all'Orco in questione, sebbene fosse una leggenda costruita ad arte per rabbonire i villici.

Forse era tutt falso ciò che mi avevano portato a credere di me stessa, eppure io ne subivo comunque le conseguenze. Fatti nella mia vita, sinistri presagi, sogni premonitori, mi avevano fatto pensare che un fondo di verità c'era, e che ero io... il mostro!

"La leggenda dell'Orco, è affascinante e tu me l'hai narrata con maestria, ma non si tratta altro che di una parafrasi, una metafora per definire e spiegare un gran cambiamento che è avvenuto in diversi secoli!"

Lo fissai inebetita, in attesa che proseguisse, totalmente carpita dalle sue parole. Non gli avevo rivelato che l'orco ero io, ma era come se in qualche modo lo avesse capito da solo, non oggi, non ieri, ma fin dal nostro primo incontro, il mio racconto emozionante, proferito con enfasi e una crescente immedesimazione, doveva avergli dato la conferma definitiva. I particolari gli sfuggivano ancora, come acqua che scorreva, ma aveva intuito la mia implicazione in quella faccenda per lui fuori da ogni logica.

"Guarda là, Sakura..." mi indicò un punto, sospingndomi con tenerezza burbera in direzione di una cascata situata in una forra, sotto la strada carrabile. La riconobbi, ed ebbi la certezza che eravamo quasi giunti all'ultima frazione della valle, esattamente dove lo stavo conducendo.

"Vedi? L'acqua, nel suo imperituro moto, erode la roccia sottostante, lentamente ma inesorabilmente, in questa maniera vengono creati i canyon, le forre, persino le valli. I ghiacciai si comportano in maniera non dissimile, perché anche loro si muovono, non percettibilmente, è vero, ma lo fanno!"

"Questo lo so... lo abbiamo studiato a Scienze della Terra, ma cosa c'entra con...?"

"E' perché l'Orco di cui parla la leggenda è solo un espediente fantasioso per trattare l'argomento da una prospettiva più semplice. Questa valle e, conseguentemente il paese di Ceresole, che poi ha assunto l'appellativo di reale, sono nate grazie all'azione di erosione del ghiacciaio e poi dell'acqua, in un certo senso la vita e la morte sono dipesi da questi due fattori, non è infatti un caso che il torrente prenda il nome di Orco e che i ghiacciai che circondano questo luoghi vengano chiamati 'ghiacciai della Valle dell'Orco'! Non esiste alcun demone maligno ordunque, nè la tanto decantata famiglia che comunica con lui e che si permette di tenere sotto scacco un paese intero! Esistono solo favole raccontate ad hoc a gente che, pavida della sua stessa ombra, non sa spiegarsi cosa sta accadendo attorno a sé senza avere degli intermediari fra il loro e il tutto. Provo perna per loro; una pena mista a rabbia!" continuò a ribadire, sempre più furente.

Io non aggiunsi altro, rimanendo invece sulle mie e prosegundo il mio cammino. Era tutto vero ciò che sosteneva Camus e sacrosanto... ma io ero cresciuta con la convinzione di essere un mostro per ragioni a me mai del tutto spiegate, se non con brevi frasi e per mezzo della violenza. Non era quindi per niente facile avere una qualche possibilitò di riscatto, non con il clima che si respirava in quel luogo da sogno abitato da persone da incubo.

Camus rispettò il mio silenzio finché non mi sentii io di parlare, ovvero quando ci trovammo finalmente dall'abitato di Chiapili di Sotto, in quella stagione praticamente disabitato. Fu la mia occasione di cambiare totalmente discorso per la seconda volta nell'arco di un paio di ore.

"Questa è Chiapili di Sotto... - presentai il paese, indicandondolo con un misto di orgoglio – c'è anche la frazione di sopra, ma è troppo alta e la strada, da un certo punto in poi, è chiusa in questa stagione, che te ne pare? C'è spazio a sufficienza per lasciar scorrazzare i nostri cani!"

Camus si guardò intorno, interessato. Il suo sguardo spaziava dall'agglomerato di abitazioni in legno, più in là, al torrente addobbato di neve, fino ai presunti prati che però erano totalmente coperti di bianco. Non si lasciò sfuggire nemmeno le cime accuminate che creavano, con la propria geomorfologia, un paesaggio di una bellezza senza pari.

"C'è... c'è qualcosa che non ti torna?" chiesi, titubante, vedendolo assorto nei suoi pensieri. Forse non vedeva la bellezza di quel luogo come me, forse per lui non era niente di speciale. Mi preoccupai di averlo deluso, almeno finché non fu lui stesso a tranquillizzarmi.

"No, affatto, è bellissimo, Sakura! Grazie per avermici portato... - mi disse, regalandomi uno di quei rari sorrisi – Mi ricorda un luogo vicino a dove abitavamo prima..."

Mi accorsi, tutto ad un un tratto, che non avevo la più pallida idea di dove abitasse prima. Effettivamente sapevo così poco di lui... lo avevao accettato nella mia vita, innamorandomene senza porre domande, accontendandomi di averlo con me da quel momento in avanti, ma il suo passato, persino il suo presente mi sfuggivano. Totalmente.

"E dove... dove abitavi prima?"

"Saint-Véran..."

Ci rimuginai un po' su, chiedendomi dove avessi già sentito quel nome affascinante in una lingua che non mi era propria, poi mi rammentai delle parole di Camus il primo giorno di conoscenza, quando mi disse che veniva da un luogo molto più alto di Ceresole e che pertanto era abituato a quel genere di clima. Feci due più due.

"Non è forse uno dei luoghi più alti d'Europa abitato durante tutto l'anno?" chiesi, affascinata.

"Sì, attualmente è il quarto, si trova ad un'altitudine di 2042 m.s.l.m. Ed è abitato da più di 250 persone. Si trova nel Parco Naturale Regionale del Queyras, ed è il luogo che ha visto i natali miei e di Dégel. I miei genitori sono entrambi di Annecy, ma dopo il matrimonio hanno scelto di andare a vivere in alta quota, curando gli animali delle zone limitrofe. Erano consci delle immense difficoltà che ci sarebbero state, erano consci che avrebbero scelto uno stile di vita frenetico, perché avrebbe dovuto muoversi con le intemperie per portare sollievo agli altri, ma lo hanno fatto comunque, facendo crescere me e Dègel con la stessa passione!" mi spiegò, più chiacchierone del solito, forse desiderioso di farmi conoscere una parentesi della sua vita che ancora non aveva trattato.

Gli sorrisi di rimando, nello stesso momeno in cui sia io che lui liberammo finalmente i cani, che subito presero una rincorsa per andarsi a fiondare nella neve, uggiolando felici. Fatto questo, Camus andò verso una roccia, gli tolse gentilmente la neve e si sedette lì, nuovamente irraggiungibile. C'era qualcosa di dolente in lui, che non andava, preferii non indagare, continuando a rimuginare su quel nome che continuava a ricordarmi qualcosa, ma non sapevo bene che cosa. D'accordo, uno dei Comuni più alti d'Europa, se non il primo, d'accordo la mia passione per la montagna, ma questo Saint-Véran mi diceva qualcosa.

"Eppure il nome mi ricorda qualcosa..."

"Ti starai di certo confondendo con Verrès, il Comune italiano situato in Valle d'Aosta..."

"No, sono sicura che... - poi mi illuminai, riportando alla luce una informazione che non rammentavo minimamente, e che pure, ai tempi, mi aveva impressionato e scosso – Ma certo, Saint-Véran!!! E' il luogo in cui cinque anni fa, in piena estate, c'era stato quel pauroso incendio in un albergo! Terrible, davvero terribile! Mi pare che ci sia morta anche una ragazza che... AHIA, Camus! Cosa... cosa sta succedendo?!"

"Tu... tu come lo sai?!?"

Mi spaventati nel vedere l'urlo silente che si percepiva dai suoi occhi in quel momento sgomenti e terrorizzati, così assurdamente terrorizzati. La sua mano si era mossa velocemente a stringermi il polso con impeto, quasi nell'impulso di farmi tacere, di non continuare in una frase troppo dolorosa per lui. Ero confusa e sofferente, ma non seppi dire se per l'espressione rivoltami o per l'intensità del suo sguardo carico di pena. Non ebbi comunque il tempo per chiederglielo che una sua nuova reazione non si fece attendere.

"TI HO CHIESTO DI DIRMI COME LO SAI!" mi urlò, facendomi spaventare non poco e incurvare la schiena per istinto di protezione.

"Lo... lo avevano raccontato ai telegiornali e... e mi era rimasta impresso, non... non so altro, solo che mi dispiaceva enormemente per quella ragazza! Passarono le foto al tg, aveva... aveva un sorriso così ampio e sincero, da scaldare il cuore..."

A quel punto Camus si alzò bruscamente in piedi, dandomi le spalle e allontanandosi di qualche passo. Non parlò più, rimase solo in piedi, lo sguardo lontano, le mani serrate in due pugni chiusi. Impossibile raggiungerlo. Il polso mi doleva alquanto, me lo massaggiai, sentendolo intorpidito, ma era nulla se paragonato alla prostrazione che percepivo per la sua reazione. Secca. Spietata. Ne ero ammutolita. Con Camus a volte sembrava di essere sulle montagne russe, così gentile ed educato, aggrazziato, tranquillo... eppure non era la prima volta che il suo umore cambiava così drasticamente, traboccando in un'ira spessa e impossibile da trattenere. E quando quell'ira sgorgava fuori dagli argini della sua mente, schiantandosi su di me, io non potevo far altro che venirme colpita in pieno, annaspando e soffrendo a dismisura, ben consapevole del suo dolore, che a quel punto diventava anche il mio.

"Sakura... - mi chiamò dopo un po', attirando la mia attenzione – Vai a soccorrere Mirtillo, è finito in una buca!"

Mi girai, era vero! Il mio baldo Spinone era finito sotto la neve, gli sbucava solo la coda mentre, imbranato com'era, provava ad uscirne, riuscendo solo a infossarsi ancora di più. Mi precipitai a soccorrerlo, seguita da Ipazia che, molto più sveglia e scaltra, si era tenuta ben distante da quell'affaraccio. Puntellai le gambe e lo presi praticamente di peso, mentre la cagnolina di Camus, per darci manforte abbaiava a intermittenza. Finalmente il mio Mirtillo fu fuori e dopo una bella ma poderosa scrollata per togliere la neve, mi saltò letteralmente addosso contento, seguito da Ipazia che fece altrettanto. Ero attorniata da code scodinzolate e da linguate insistenti. Risi tra me e me, felice e distesa nello spirito, malgrado lo screzio di prima. Rimasi ancora un po' a divertirmi e ad arruffarmi con i cani, finché lanciandogli un bastone racimolato dal terreno, non glielo scagliai più in là, lasciandoli a giocare tra loro e tornando dal mio amico. Camus si era di nuovo seduto sulla roccia, una mano a nascondere il volto, l'altra ancora stretta a pugno. Mi morsi le labbra nel vederlo così fragile e, ancora di più, a sapere che a renderlo così ci avevo pensato io, anche se non sapevo minimamente perché.

"Mi dispiace... ho parlato troppo... di nuovo!" mi scusai, affranta, sedendomi vicino a lui.

"Ora p-passa, non preoccuparti..."

Aveva gli occhi lucidi e il respiro corto, come di singhiozzo trattenuto nel petto. Il suo torace infatti fremeva insistentemente, ma nessun suono veniva prodotto dalla sua bocca, serrata e contratta in una smorfia di sofferenza.

"La... la conoscevi?"

Camus non rispose niente, ma annuì quasi meccanicamente. Sapevo che mi sarei dovuta fermare, perché quella era un chiaro segnale di rifiuto, di non stappare il vaso di Pandora, che non ci si sarebbe salvati dai demoni, giammai, eppure per qualche ragione provai l'impulso di continuare, troppo dispiaciuta per lui.

"A-avevi 15 anni all'epoca, e ce li aveva anche Dégel, perché immagino che la conoscevate entrambi..."

"..."

"Deve essere così, in un paesino si conosco tutti... è per questo motivo che, una volta finite le Superiori, avete voluto cambiare aria, immagino...Vi siete iscritti all'università di Torino e poi avete scelto un luogo idoneo per ricominciare, finendo qui, a Ceresole..."

"..."

"Ca-Camus, io posso solo immaginare quello che hai passato, anzi che avete passato, ma... ma lei è, e rimarrà, sempre nel vostro..."

"Per favore, Sakura, piantala! Conosco la scenetta patetica di quando uno rivela qualcosa di brutto ad un altro: espressioni di circostanza, frasi accorate, tentativi di avvicinamento... io preferirei solo il silenzio, pensavo lo avessi capito, dopo più di un mese di conoscenza!"

"Lo avevo capito, ma... ma non potevo lasciarti lì, da solo, chiuso nella tua sofferenza. Non voglio che tu..."

"E' ciò che voglio io, per cui lasciami stare e basta!"

"C-Camus... io non posso lasciarti solo ora, non... non me la sento, capisci? Ti porti dietro il lutto da cinque anni, è per questo che sei cambiato, vero? E' per questo che..."

"HO DETTO DI PIANTARLA, SAKURA!!! - esclamò, totalmente snervato, alzandosi in piedi di scatto e squadrandomi con astio – Cosa ne vuoi sapere tu, di quello che abbiamo passato io e mio fratello, cosa ne vuoi sapere, eh?! Dimmelo!"

"I-io non ne so... nulla..."

"ESATTO! Non ne sai nulla, per cui taci, sei l'ultima che può parlare di una simile situazione!"

"S-sarei l'ultima a poterti parlare? Per-perché, te lo posso chiedere, almeno questo?" biascicai, incurvandomi su di me, sulla difensiva. La sua esclamazione mi aveva ferito, anche se aveva tutti i diritti per potermela fare, ma l'effetto su di me era atroce.

"Tu... tu sei sempre così allegra e solare! Sembri il sole sceso in terra, da quanto risplendi! Nessuna cosa ti tocca nel profondo al punto da farti cambiare drasticamente carattere, non c'è nulla che ti faccia male, regali a tutti quel sorriso sincero e affettuoso, persino a chi non lo merita, ed è perché sei naturalmente propensa agli altri... una persona come te, che ne sa della sofferenza più intima?!? Che ne sa di sconvolgimenti tali da farti perdere il te stesso di un tempo?!"

Accusai il colpo, guardandolo incredula... davvero mi stava ponendo uan simile domanda? E con quali diritti poi?!

"Tu... tu l'hai vista la mia famiglia, no? Nonostante questo, hai comunque il coraggio i dire ciò?!" gli chiesi, gelida, e lo vidi mordersi il labbro inferiore, colpito e affondato.

La famiglia... fosse stato solo quello poi...

"A-appunto per questo che ti ho detto ciò, perché tu, malgrado la tua situazione insopportabile, non sei mai cambiata... abbiamo due modi diametralmente opposti di reagire alle cose, per questo dico che sei l'ultima persona a poter parlare del mio dolore, sei... troppo diversa da me, e quindi..."

"E quindi inferiore, vero?"

"Non ho detto questo..."

"Ma lo hai pensato, anche se solo per un istante..."

"N-no, io..."

Crollai a terra, sfinita, stavolta ero io a singhiozzare inconsolabile, non sforzandomi nemmeno di celare quell'ingrato spettacolo agli occhi di Camus, che pure in quel momento mi fissava con un rimorso ben tangibile.

"Sakura e Camus reagiscono in maniera diversa alla sofferenza... il secondo è in apparenza più intimo, serba in sé tutto il suo mondo, le sue emozioni, quindi è logico che soffra di più, no? - parafrasai il suo pensiero, respirando affannosamente – La seconda invece è stupidina, sorride a destra e a manca, è allegra e solare, quindi è altrettando logico che non soffra, o che non ci patisca come Camus, giusto? Poco importa se sta patendo le pene dell'inferno e non le mostra... ipse dixit, non si fugge di qui!"

"S-Sakura, i-io non volevo insinuare che..."

Ma non riuscii più a reggere il suo sguardo, desiderando solo di scappare via... già, secondo gli occhi di Camus che ne sapevo io, della sofferenza, che ne sapevo?!?

"Scusami, ho bisogno di stare da sola, non... non sono in me in questo momento e non vorrei dirti cose che potrebbero ferirti ulteriormente!" spiegai, corrrendo via, verso il torrente, perché quando ero particolarmente agitata avevo bisogno di essere vicina all'acqua. Lo raggiunsi, scoppiando in un vero e proprio pianto liberatorio: non volevo che finisse così, non volevo attaccarlo, avrei dovuto davvero sostenerlo, ma, ancora una volta, avevo fallito nei miei propositi. Camus era irraggiungibile, qualsivoglia strada provassi non facevo altro che allontanarmi da lui ancora e ancora, in un eterno ritorno che si ripeteva secondo gli stessi schemi. Era... era devastante! In fondo anche lui aveva ragione: eravamo troppo agli antipodi anche solo per sfiorarci, figurarsi camminare insieme!

 

Cosa ne vuoi sapere tu... della sofferenza?

 

Già, che ne sapevo, per lui, della sofferenza?! Cosa ne potevo sapere?! Io, così allegra e vivace, sempre contenta e di ottimo umore, io... che perdevo le bave con gli altri maschietti, che perdevo le bave per lui, come non potevo essere considerata... una stupida?! Molto probabilmente per Camus ero una stupida, una ragazza frivola, né più, né meno... con quali diritti mi ero avvicinata al suo mondo intimo? Era già tanto che lui mi avesse concesso la sua amicizia e questa qui, cioè io, ci era entrata così a cuor leggero, razzolando e calpestando un ricordo che lui, con ogni probabilità, voleva solo seppellire dentro di sé e dimenticare per sempre.

Cosa ne volevo sapere io... cosa ne voleva sapere lui, del fatto che la mia era solo una maschera?! Un patetico tentativo finito male di resistere, invano. Resistere... resistere... resistere... per non finire in pezzi, resistere... e dimenticare... ma non mi era concesso!

Non ero che una bambina, in fondo, quando mani spietate mi buttarono a terra e mi toccarono, più e più volte... non ero che una bambina, cosa ne poteva sapere una bambina di quello che le facevano?! Di cosa fosse giusto... di cosa fosse sbagliato...

 

Una bambina non sa, non capisce, non fino in fondo, almeno. Per una bambina l'estate è la stagione più bella, senza ombra di dubbio.

Sole.

Giochi.

Acqua.

Calore.

Bruciore.

Forza.

Violenza.

Impotenza.

Di nuovo il calore. Che diventa dolore. Duro. Penetrante.

Non respiro. Per una serie di secondi, non respiro... mi sento di morire, effettivamente forse è così. In estate, del resto, il caldo può diventare rovente, fino a bruciarti...

...E a dilatarti, come i grattacieli, finché non ti spezzi... e ti spezzi in mille frammenti!

C'è un vecchio sopra di me, potrebbe essere mio nonno, ma nessuna sensazione piacevole lo accompagna, nessun sollievo, ma almeno il dolore si sta attenuando. Non sento più nulla. Sono... vuota!

Il vecchio mi sorride forzatamente gentile, falsamente comprensivo, dicendomi che sono stata brava, che non è da tutti. Nel farlo mi accarezza una guancia e mi solletica il mento, in quello che avrebbe potuto essere un bufetto di tenerezza... avrebbe potuto...

Mi ripugna... ma non quanto me stessa: il mio corpo non è più mio, mi è estraneo, provo solo disgusto nel trovarmici dentro, vorrei sparire. Vorrei essere morta!

"Brava così, piccola Sakura! Ora sai quello che devi fare, eh, lo sai... mio orchetto... - sento ancora sussurrarmi alle orecchie, vicino, troppo vicino – Sei nata per soffrire, perché hai il sacro compito di mantenere l'equilibrio tra la nostra civiltà e la natura... non trovi che sia meraviglioso?! Continua così, bambina mia, e non accadrà nulla alla nostra amata Ceresole Reale!" mi sibila, toccandomi l'orecchio di destra con la punta della lingua.

Non avverto più nulla...

 

"S-Sakura?"

Qualcuno mi stava richiamando alla realtà... era una pallida voce, lontana dal mio essere, quasi inudibile, comunque non aveva la benché minima importanza...

Niente aveva importanza!

"Ehi, Sakura!!!"

La voce si faceva sempre più vicina, ma ancora non era abbastanza per scrollarmi dal torpore.

Continuava a non avere importanza.

"Per l'amor del cielo, Sakura, cosa ti sta succedendo?!"

Qualcuno mi aveva appena sfiorato, e continuava a farlo... no, non era così... qualcuno mi stava proprio scuotendo, qualcuno si era avvicinato a me senza il mio permesso, ancora ua volta, violandomi, senza che io potessi decidere alcunché, proprio come allora.

"SAKUR...!!!"

"Allontanati da me, maledetto!!!" gridai, ricolma d'ira, spingendo via l'intruso, rifilandogli anche un calcio nello stinco. Via!!! Ben distante da me! VIA!!!

Mi rannicchiai lì dov'ero, cingendomi le spalle con le braccia, in un estremo tentativo di difendermi. Singhiozzai, prima di scoppiare a piangere. Ero così sola... così... abbandonata!

Non seppi quanto rimasi in quella posizione, assolutamente chiusa nella mia corporeità, persi il filo conduttore che legava un essere umano al tempo, lo persi totalmente, almeno finché non avvertii con chiarezza un tartufo bagnato solleticarmi la guancia sinistra.

Sgranai gli occhi, riconoscendo Mirtillo in quello sfacelo. Il mio cagnolino aveva preso ad uggiolare, terrorizzato dal mio stato emotivo, riportandomi così alla realtà con i suoi latrati prolungati.

Ero lì da sola, abbandonata... eppure lui era riuscito a raggiungermi anche lì, perseverando fino a quando una cruna si era aperta, spirarglio di luce tra i miei tormenti.

Spalancai gli occhi, incredula, grata... e lo abbracciai, scoppiando in un lungo e prolungato pianto. Mirtillo rimase composto lì, improvvisamente fermo nel percepire il mio stato. Gli cinsi il collo e affondai il mio viso nei suoi peli un poco ispidi, raccogliendo quella stretta come una salvezza. Percepivo solo il freddo pungente, la neve sotto di me e lui, caro, semplice, e dolce Mirtillo, ci misi non poco a razionalizzare dove mi trovavo, mentre i ricordi recenti tornavano a galla, sopperendo quelli antecedenti. Di colpo ripiombai nel presente.

"Sa-Sakura!"

Mi riscossi nel vedere Camus a poca distanza da me, lo sguardo contrito, le mani strette a pugno nella neve, i capelli svolazzanti al vento. Era per terra come me, la gamba destra innaturalmente piegata in avanti Aveva l'aria di dolere. E capii. Capii che gli avevo dato un calcio con tutte le mie forze e che ero stata io a spingerlo, totalmente preda degli incubi. Sopraggiunse il rimorso. Istantaneo.

"Ca-Camus, scusami, non volevo..."

"Va tutto bene, sono io ad aver sbagliato ad approcciarmi così a te, non pensarci più!"

Annuii, chiudendo gli occhi e abbracciando il mio cucciolo, mentre Ipazia, più titubante, mi venne a sua volta vicino, dandomi delle musate per incoraggiarmi. La domanda era nell'aria, ma Camus era intelligente, non avrebbe indagato, se non avessi voluto io per prima. Infatti non lo fece, si limitò ad alzarsi con cautela e, sempre lentamente, avvicinarsi a me. Rabbrividì dalla paura.

"NO, FERMO! NON TI AVVICINARE!" gli urlai, e lui si fermò seduta stante, rigido. Vedeva che qualcosa non andava nei miei occhi, lo vedeva chiaramente, e provava l'impulso di rompere il guscio che mi ero creata per raggiungermi lì dov'ero finita. Ma non poteva e... e non glielo avrei concesso!

"Per favore... non ti avvicinare e... e non mi toccare, ti scongiuro!"

"Se non vuoi non lo farò... riesci comunque ad alzarti?"

Annuii, coagulando tutte le mie forze nelle gambe per rimettermi in piedi. Il mio respiro era corto, il corpo tremante... la mia postura era ricurva, come se avessi dovuto difendermi da qualcosa, o meglio da qualcuno. Ero nuovamente lì, patetico oggetto vuoto buttato nell'immondizia.

"Sakura, permettimi di fare tre passi, solo tre passi, nella tua direzione. Mi terrò a debita distanza, te lo assicuro!"

Bramavo il suo tocco dal primo istante che lo avevo visto, lo bramavo, eppure... in un certo qual modo mi ripugnava, inspiegabilmente, o, chissà forse perfettamente spiegabile, non ero mai stata adatta agli incontri ravvicinati, li volevo, ma anche li aborrivo, solo Dégel aveva costituito una eccezione, solo lui, oltre ovviamente a mio fratello e, a volte, il mio amico Mu... Persino il tocco di Camus, quel bellissimo e magnifico tocco che mi faceva battere il cuore all'impazzata, in quei momenti non era altro che un nuovo, e più cruento, trauma. La mia reazione agli abbracci era sempre stata quella di bloccarmi, come se in quegli attimi la mia coscienza scivolasse via da me e non appartenesse più alla ragazza chiamata Sakura. A volte riuscivo a defluire da quella spiacevole sensazione, tornando a galla e comportandomi come qualsiasi altra persona, altre volte no, ne ero invischiata e più mi dibattevo più ne ero vittima, annaspando per la mancanza d'aria.

Quel giorno aveva risvegliato anche in me ricordi, demoni, che preferivo sotterrare...

Camus, non ottenendo risposta da me, ancora ingarbugliata nella rete delle mie paure, accennò prima un passo nella mia direzione, poi un secondo, e un terzo.

"Sono qui, non ti farò niente, te lo prometto..." ripeteva a cadenza regolare, vincendo la resistenza del mio mutismo. Non rispondevo nulla infatti, ma il mio sguardo era perrennemente distante, verso il basso. Ancora una volta non avevo il coraggio di oppormi. Capitolavo.

Camus si fermò. Si fermò a breve distanza da me, pur senza sfiorarmi. Mi scrutava a fondo, intensamente, non capivo le sue intenzioni. Sapevo che era un bravo ragazzo, ma in quel momento avevo paura. Ancora una volta. E tremavo.

Non mi toccò, come promesso, ma ad un certo punto venni amorevolmente avvolta dalla sua sciarpa, che mi coprì il collo fino a cingermi le spalle, come un abbraccio.

Non dissi niente, ma mi ci affondai dentro, ingoiando a vuoto. L'odore di Camus... era così distinguibile dal resto, appiglio sicuro dal marasma che mi circondava e, ancora di più, da quello interno, che mi stava uccidendo. Lentamente. O forse lo aveva già fatto?

"Sakura... ho capito che non posso raggiungerti lì dove sei, con il mio corpo... - mi sussurrò, con voce di miele, non voleva in alcun modo ferirmi ulteriormente e percepiva nitidamente la mia fragilità, ma io ero chiusa ad ogni sua possibilità di agire, e anche quello aveva compreso – Permettimi quindi, almeno, di darti la mia sciarpa, stai tremando come un pulcino, e ho la sensazione che la colpa sia mia..." biascicò, mortificato, non sapendo comunque neanche lui cosa dire in una simile circostanza.

"Tu... tu non c'entri..." professai, in tono tremante, discostando lo sguardo.

Annuì, cupo, inditreggiando di qualche passo per farmi sentire più a mio agio. Eppure bramavo quel

tocco, dannazione, perché... perché?!?

"Non ha importanza comunque ora! Andiamo... andiamo a casa, ti accompagno io!

 

 

* * *

 

 

PIF! PAF!

Due feroci colpi alle guance mi fanno quasi girare su me stessa di 180 gradi... li accuso, rimanendo comunque in piedi e massaggiandomi le zone lese.

"Ma... mamma!!!" urlo, con quanto fiato ho in gola, del tutto incredula. Non ho nemmeno avuto il tempo di salutare, né di andare in camera mia, che sono stata accolta da due schiaffi, senza tanti rigiri di parole. Milo non è presente, passa la settimana con gli amici della facoltà. Zeus e Mirtillo sono fuori con lui, nella grande casa di Kanon. Sono sola, di nuovo, in un ambiente che dovrebbe essere caldo, accogliente e famigliare e che invece sta diventando sempre più un incubo. Un eterno incubo.

"Zitta, ragazzina, e non chiamarmi con quell'appellattivo, mi fai inorridire!"

Ingoio a vuoto, abbassando lo sguardo, la gola mi brucia, la pelle pure, sono sull'orlo delle lacrime ma non gliela darà vinta, neanche qusta volta.

Quell'essere che dovrei chiamare madre si avvicina nuovamente a me, incombente. Fa per colpirmi per l'ennesima volta, ma questa volta mi ribello, parandomi. Pessima idea, perché lei, furente, passa ad un vero e proprio pestaggio, centrandomi l'occhio destro e facendomi tonfare a terra, secca.

"Non vuoi proprio capire, stupida ragazzina, stai mettendo in pericolo tutti noi con il tuo modo di fare, te ne rendi conto?!?"

No, non me ne rendo conto. Non capisco. Cosa mi proibisce di farmi degli amici? Di conoscere altra gente? Camus... Dégel... mi sono entrati nel cuore, non voglio perderli!

"No, non capisco... non capisco!!! Perché mi dici questo? Perché mi picchi?!? Io... io non ho fatto niente, sono solo uscita con Camus, io..."

"E' proprio questo il problema, sciocca ottusa! Ti hanno visto con quel Camus! Di frequente ti vedono a casa dei Delacroix! Tu sei una bestia malefica che deve rimanere isolata, non puoi stringere rapporti di amicizia con nessuno! Già con Mu abbiamo e hanno chiuso un occhio, e tu, invece di sorridere grata e fare quanto chiesto, vuoi sempre di più, come gli ingordi! In questa maniera spezzerai l'equilibrio, ci ucciderai tutti, e la colpa sarà tua! SOLO TUA!"

"N-NO, IO NON VOGLIO... NON VOGLIO FARE MALE A NESSUNO!"

"Lo farai, se continuerai su questa strada! Le persone che hanno in qualche modo a che fare con te finiscono male, molto male, ma tu sei un'egoista, pensi solo a te stessa!"

"Non voglio che succeda qualcosa agli altri... NON VOGLIO!"

"E allora smetti di frequentare i Delacroix, o Camus morirà e la colpa sarà tua!" mi intima, andandosene via e lasciandomi lì, svuotata.

E singhiozzo. Sola. Impietrita e terrorizzata da quella eventaualità.

"Sei tu l'orco della valle, tu hai rotto il patto, Sakura, puoi solo accettarne le conseguenze!"

 

"Sakura!!!"

Mi rizzai istantaneamente a sedere, svegliata dalla voce impetuosa della mia professoressa di chimica. Un brivido mi colse nel vedere la sua espressione infastidita puntare su di me, pronta a incastrarmi, rea di essermi addormentata nelle sue lezioni.

"Sakura, posso capire che la chimica non ti si confaccia, ma non ti sembra, anzi una buona ragione per seguire attentamente le mie lezioni, invece di ronfare della grossa?"

Arrossii vergognosa, desiderando nascondermi sotto il banco. I miei compagni risero più volte, in particolare Megres sembrava particolarmente divertito da quello che mi stava succedendo.

"Non... non è così, professoressa, io... io ero solo molto stanca, mi perdoni!"

"Ho notato, e probabilmente quegli occhiali da sole non ti aiutano di certo a rimanere sveglia, ma hai detto che li devi tenere anche a lezione..."

"S-sì... ho sofferto di congiuntivite allergica in questi giorni, per questo che li devo indossare, altrimenti la luce solare, quella artificiale e il chiarore della neve mi danno fastidio!" mi inventai sul momento, pur con un fondo di verità perché davvero i miei occhi azzurri, con il cristallino chiarissimo, soffrivano saltuariamente di quel fastidio, soprattutto in primavera.

"D'accordo, non ti preoccupare... dimmi la definizione di mole che stiamo trattando e siamo apposto!"

"L-la mole è la quantità di sostanza che contiene unità elementari quanti sono gli atomi dell'isotopo carbonio 12" gli sciolinai, rammentandomi delle lezioni di Camus. La professoressa sorrise e annuì soddisfatta: me l'ero cavata!

"La tua ottima memoria non si smentisce mai, Sakura! Comunque la prossima volta segui la lezione, e vedrai che non dovrai più picchiarti con la mia materia per raggiungere la sufficienza!" mi consigliò comunque, tornando a scrivere sulla lavagna.

Altre risatine divertite che mi fecero arrossire nuovamente e rannicchiare, del tutto a disagio in quell'ambiente estraneo. Poco dopo venni colpita da una palla di carta, girandomi scorsi Megres, particolarmente rompicoglioni in quell'ultimo periodo, probabilmente perché Mu si assentava spesso, del tutto impegnato a prendere la patente il prima possibile.

"Sai sempre come cavartela, eh, Sakurina... ma presto la tua buona stella ti abbandonerà e... ZAC!" produsse un verso rauco, mentre con l'indice destro segnò, con una linea retta, il suo collo, facendomi intendere che presto me l'avrebbe fatta pagare, in un modo o nell'altro.

Non lo degnai di uno sguardo e mi rigirai, concentrandomi sulle spiegazioni della docente senza pensare al resto.

Buona stella, certo... ma dove?!?

Al termine delle lezioni, chiusi lo zaino e velocemente me ne andai, del tutto intenzionata a prendere la prima corriera che passava: prima mi defilavo da lì meglio sarebbe stato. Così feci, permettendomi un sospiro di sollievo quando vidi che Megres e i suoi compagnoni invece si dirigevano da un'altra parte, forse avendo delle commissioni da fare. Finlmente mi rilassai, sprofondando nel sedile. Erano passati quattro giorni dall'incidente con Camus, era giovedì, mancava poco alla fine della settimana e all'8 di dicembre. Dovevo resistere ancora per poco, davvero per poco. Naturalmente, neanche starlo a dire, non avevo avuto più il coraggio di sentirlo o di parlargli, troppa la vergogna per la mia scenata quasi isterica di domenica. Di certo ero una tipa problematica, più si andava avanti con la conoscenza più se ne sarebbe reso conto, inoltre... inoltre le parole spietate di mia madre mi risuonavano nelle orecchie, facendomi credere che forse sarebbe stato meglio, ancora una volta, chiudere i ponti, per la loro incolumità. Eppure non volevo... non volevo, dannazione!

Compii tutto il viaggio in religioso silenzio, talmente tanto da sembrare una perfetta statua greca eterea. Non mi accorsi neanche di essere arrivata, ma fortunatamente il conducente mi avvertì. Mi rianimai, ringraziandolo gentilmente, quindi scesi...

... e mi trovai davanti proprio il soggetto delle mie riflessioni!

Mi pietrificai seduta stante, irrigidendomi di botto, mentre lui si avvicinava a me, pur mantenendo le distanze. Non ci voleva. Non ci voleva proprio!

"Ciao, Sakura!"

"Ciao..." dissi solo, amorfa, rimanendo sulle mie a capo chino.

"Ti disturbo?"

"No..."

"Ecco... non ti fai sentire da domenica, mi chiedevo se... se avessi avuto dei problemi, io..."

"Tutto okei!" gli mentii, tanto ero abituata a farlo.

"... devi perdonarmi, Sakura, per quello che ti ho detto domenica, non avevo alcun diritto di parlare, sono stato un presuntuoso e..."

"E' tutto okei!" gli ripetei, accentuando un poco il mio tono, prima di svicolare via, o meglio, tentare di farlo, perché Camus non demordeva.

"Sicuro... che vada tutto bene?" mi chiese, affatto convinto.

Come potevo dirgli la verità? Come potevo assecondare il mio desiderio di stringerlo a me se, nello stesso momento avevo paura di farlo? Tutto ciò che volevo era lì, a due passi da me, eppure dare retta al mio egoismo gli avrebbe fatto solo del male.

Volevo solo camminare al suo fianco, null'altro, per farlo avrei rinunciato persino al mio sentimento per lui, eppure... eppure... a detta di mia madre, nemmeno quello mi era concesso. Rabbrividii, incassando la testa fra le spalle.

"S-Sakura..."

Camus provò un nuovo approccio, avvicinando dolcemente la mano al mio braccio, vedendo che non mi opponevo, fece lo stesso con l'altra, circondandomi così le spalle.

"Guardami, per favore..."

Non potevo farlo, anche se avrei voluto tanto, compiere quell'azione sarebbe equivalso ad attirare la sua attenzione nella zona che cercavo di nascondere a tutti i costi, pertanto mantenni lo sguardo basso.

"Guardami..." non era un ordine, ma un desiderio; un desiderio di instaurare un qualche tipo di rapporto tra noi dopo i fatti accaduti la domenica prima. Fui tentata di assecondarlo, condividendo quell'impulso, ma resistetti stoicamente.

"Sakura... perché indossi un paio di occhiali da sole in questa stagione? Inoltre oggi è nuvolo, non dovresti avere di questi problemi..."

"Ho il cristallino chiarissimo e soffro di congiuntivite allergica, in questi giorni si è accentuata..." gli spiegai, mentendo ancora una volta.

"Congiuntivite allergica? In questa stagione? Posso capire il riverbero del sole che ferisce i tuoi occhi, ma oggi, stante le condizioni atmosferiche, non dovrebbe essere così insostenibile..."

Non me lo sarei levato di torno tanto facilmente, lo sapevo, pertanto mi allontanai e decisi di cambiare discorso, sperando di distrarlo.

"Effettivamente dovrei comprare un po' di alimenti nel negozio di Shura, ti va di accompagnarmi?" gli chiesi, voltandogli le spalle.

"D-d'accordo..."

Gli feci strada, stando ben attenta a non incrociare il suo sguardo, sebbene tanto caro. Raggiungemmo così in un battibaleno la piazza centrale del paese e il negozio di Shura, lì gli chiesi se per favore poteva andare a comprare un po' di pane dalla commessa, io avrei pensato al resto. Fu un sollievo togliermelo di torno in quei minuti, mi permise di elaborare un piano affinché lui non mi potesse più chiedere spiegazioni a proposito dei miei occhiali da sole: una volta uscita di lì lo avrei salutato, adducendo come scusa che mio padre mi aveva chiamato chiedendomi di andare a casa il prima possibile. Era tutto perfetto, anche se non tanto elaborato, l'importante era che funzionasse, ma purtroppo la mia 'buona stella', come sosteneva Megres, fece cilecca un'altra volta, l'ennesima. Alzandomi sulle punte dei piedi per prendere la frutta di stagione più in alto, persi infatti l'equilibrio, andando così a sbattere contro un signore del paese, che si era sapientemente mantenuto alla larga da me. Purtroppo la perdita dell'equilibrio, mi era costato un avvicinamento a lui, il quale, sentendosi sfiorato da me, fece un balzo indietro per evitarmi, facendomi così sbattere sullo scaffare e capitombolare per terra.

"Iiiiiiiiiiik! Sakura, sempre tu, stai attenta una buona volta!" esclamò, franco, allontanandosi ancora un po', circospetto. Era uno dei più gentili del paese, non mi insultava vai, si limitava ad evitarmi, e anche quella volta non rincarò la dose con minacce o parolacce. Mi sentii in colpa.

"Mi scusi, la prossima volta presterò più attenzione a non importurnarla..." biascicai da terra, le mani sul pavimento e gli occhi chiusi, in un'espressioen densa di rammarico.

"Fa' niente, visto che non lo hai fatto di certo apposta! Ma stai attenta!" non mi aiutò, se ne andò semplicemente in silenzio, gliene fui grata.

In quel momento sarebbe bastato rialzarmi, prendere le ultime cose, pagare e filare via, ma impiegai più tempo del previsto a rimettermi in piedi, il tempo necessario a Camus per raggiungermi, raccogliere qualcosa vicino a me e porgemelo con gesto gentile.

"Uno più simpatico dell'altro in questo paese, non c'è che dire! - commentò aspro, come sempre combattivo – Tieni, Sakura, i tuoi..."

Ma si bloccò.

Io mi bloccai, accorgendomi dell'errore. Fatale.

Mi celai in fretta, voltadomi, ma era troppo tardi. Lui... aveva visto, tutti i miei favolosi piani andati completamente in fumo per colpa dell'incognita del signore.

"S-Sakura..."

"N-non... non è niente, ho solo picchiato contro uno spigolo!" farfugliai, in fretta e furia, strigendo i pugni frustrata. Che me ne fosse andata bene una, UNA! No, continuavo ad apparire come una ragazzetta fragile, sempre di più, davanti a lui... NO!

Non era una arancia quella che Camus si era fermato a raccogliere, ma i miei occhiali da sole, caduti durante l'urto.

"Non può essere uno spigolo... girati, Sakura, perché non può essere quello che vai dicendo!" mi disse, afferrandomi per il polso, che ritrassi subito.

"No... lasciami stare, Camus, lasciami, o... Urk!"

"Stai attenta!!!"

Mi afferrò per la vita prima che potessi cadere, infatti nell'atto di discostarmi da lui ero di nuovo andata a sbattere contro lo scaffare, rischiando di farmi male. Ebbene Camus, per impedirmi ciò, mi aveva preso e mi aveva trattenuto contro di sé, mentre io, scalpitante, gli urlavo di non preoccuparsi e di lasciarmi andare per la mia strada. Anche Shura fu attirato dai miei schiamazzi e sopraggiunse.

"Non posso... non posso abbandonarti! - mi disse Camus, con decisione, prima di accarezzarmi dolcemente la testa – Non posso, Sakura, lo capisci? Non posso continuare a far finta di niente!"

A quelle parole mi arresi, rimanendo contro di lui, umiliata e stremata. Il coronamento di una settimana di merda, altro che la mia 'buona stella'. Fanculo, Megres!

"Provi... provi così tanta pena per me?" gli chiesi amaramente, sentendomi nuovamente impotente. Per quanto mi arrabattavo, ero, e sarei sempre stata, una stupida, pavida, debole ragazzetta.

"Non è pena, la mia... e ora guardarmi..." mi chiese gentilmente, sollevandomi il mento e incrociando il mio sguardo con il suo. Me ne vergognai, ma mantenni i miei occhi su di lui, sebbene mi sentissi orribile, come un vero e proprio mostro, ancora di più con quel segno nell'occhio destro, coronato da un rigonfiamento ben visibile. Quella volta mi lasciai maneggiare, un po' come un cucciolo ferito che confidava nella mano umana che veniva protratta verso di lui. Non avevo ancora capito perché, ma le mie crisi non si manifestavano sempre. A dirla tutta, quella di domenica era capitata dopo un lungo periodo in cui io mi ero crogiolata nella pallida speranza che fossi finalmente riuscita a superare i miei traumi.

Il pollice gentile di Camus mi accarezzò delicatamente la guancia, fino a giungere al rigonfiamento sottocutaneo di color viola acceso che mi circondava l'occhio. Vidi la rabbia accendersi nei suoi occhi, ancora saldamente imbrigliata dalle redini della ragione, tuttavia fomentava sempre di più, irriducibile.

"Chi... chi ti ha fatto questo?"

La domanda era nell'aria già da un po', lo sapevo, aveva ronzato tra noi, prima di fuoriuscire da quelle labbra rosee e semplicemente perfette. Non risposi, abbassando lo sguardo e nascondendomi contro il suo petto.

"Rispondimi, Sakura... perché non mi permetti di aiutarti? Non sei più sola, te lo ha detto anche mio fratello, no? Perché allora ci escludi arbitrariamente dalla tua vita?"

"Lascia stare..."

Ma Camus non era tipo da lasciare stare, mai!

"E' stato quel bastardo di Megres? Oppure tua madre?!"

Continuai a non rispondere, gelosa del mio segreto. Volevo camminare al loro fianco, sostenerli, non avrei mai rinunciato a quel privilegio, ma non avrei altresì permesso a loro di rimanere invischiati nella mia esistenza maledetta. In questo modo li avrei preservati da morire per colpa mia, non sacrificando nemmeno il mio tempo con loro. Fore ero davvero egoista, ma non mi sembrava di chiedere chissà cosa. Delle relazioni normali, null'altro, perché solo io non potevo?!

Erano quelle le mie intenzioni, nessuno me le avrebbe strappate, ma proprio Shura, il negoziante che sapeva gli altarini della mia famiglia, mi tradì in quell'esatto momento.

"E' stata sua madre..."

"Co-cosa?!?"

"SHURA!!!" lo sgridai, agitata.

"Perdonami, Sakura, qualcuno lo doveva dire... sono l'unico dei compaesani, qui, a non credere alla leggenda della Valle dell'Orco, l'unico! Da solo non posso fare niente, non ho MAI potuto fare niente! Ma ora che qualcuno si sta interessando a te, qualcuno che ti può strappare dal tuo ingrato destino, non intendo continuare a tacere su questo fatto così turpe. E' una vergogna!"

"E' la verità, Sakura? E' stata tua madre a farti questo? Ti ha... picchiato?"

Continuai ottusamente a non rispondere, mordendomi le labbra con forza, ma stavo cedendo, lo si vedeva, il mio egoismo ancora una volta stava prendendo la meglio, portandomi a condifarmi con lui, anche se non potevo e non volevo. Ancora una volta fu Shura a parlare.

"Non è la prima volta... che accade!"

"MALEDETTA..."

A quel punto la rabbia di Camus traboccò. Ringraziò cordialmente il commerciante, pagò quanto doveva, poi mi trascinò letteralmente fuori, furente. A nulla valevano i miei tentativi di ribellione, sembrava completamente fuori controllo e mi spaventò: sapevo che odiava le ingiustizie ma non lo avevo mai visto così alterato.

"Adesso basta, Camus, stai esagerando!" tentai di fermarlo, opponendomi. Pessima idea.

"STO ESAGERANDO?!? - esclamò, livido di rabbia – Ti rendi conto della situazione, vero?!"

A quel punto anche io me la presi, staccandomi tempestivamente da lui. Ero stufa, stufa marcia di passare sempre per una nanerottola stupida che non si rendeva conto delle cose, la verità era che mi rendevo conto benissimo di tutto, non avevo certo bisogno di lui, l'ultimo arrivato, per accorgermi della mia situazione disperata.

"Camus, sono stanca di passare per stupida! Sono arcistufa di essere considerata tale da te! Sono consapevole benissimo delle mie condizioni, il fatto è che sono cazzi miei, non tuoi! Se non sai cosa fare della tua vita non venire a sconbussolare la mia, non mi sembra di chiedere la luna!" gli inveii contro, rincarando la dose con parolacce, che pure non ero solita dire, prima di pentirmente amaramente più o meno un secondo esatto dopo. La sua espressione infatti era nuovamente mutata, passando dalla rabbia al più atroce dispiacere... che avesse accusato il colpo? Desiderai ardentemente chiedergli subito scusa, del resto si era preoccupato solo per me e ciò dimostrava che ci tenesse alla mia salute, ma io mi ero lasciata andare, spaventata a morte dalla sola eventualità che Camus si legasse ancora di più alla mia nefasta esistenza, rimanendone così ancora più invischiato. E se ne fosse rimasto invischiato... sarebbe morto!

"C-Camus, io..."

"D'accordo... - prese un proofondo respiro, prima di tornare alla calma – Non ti aiuto di certo a comportarmi così..."

"Camus, lascia stare, davvero, o..."

"Non posso lasciare stare, te l'ho già detto... - mi fermò, stringendo i pugni fino a farsi imbiancare le nocche – Come ti posso far capire che non ti voglio più lasciare sola?! Sakura, hai detto di essere stanca, ebbene, pure io lo sono! Sono stanco... stanco di chiudere un occhio sull'argomento: stai subendo violenza domestica da molto prima rispetto alla mia venuta qui, non è forse vero? E' un reato perseguibile penalmente, penso tu lo sappia..."

"Non qui... qui non troverai neache una persona disposta a schierarsi al mio fianco..."

"Ci sarei io, Dégel, quel tuo amico Mu, e..."

"Valete tutti come il due di picche qui..."

Camus non era tipo da arrendersi, ormai si era capito, era un testardo, nonché in posssesso di un carattere forte e amante della libertà, odiava le ingiustizie, adoperandosi in prima battuta per combatterle.

"Tuo fratello Milo, invece?! E' mai possibile che sia talmente ingenuo, per non dire altro, da non rendersi conto delle violenze cui sei costretta a sottostare?!"

"Mio fratello Milo non è in casa... è ad un seminario con altri compagni di corso, dorme a casa di Kanon, il suo amico straricco, non lo vedrò prima della prossima settimana..."

"D'accordo, ma non deve essere la prima volta che accade, come può non..."

"Mia madre è abile a nascondere le tracce e a picchiarmi quando lui non è presente..."

"E tu... e tu non gli parli mai di quello che devi subire?! Lasci che continui a vivere nel suo mondo fantastico e magnifico, incurante che la presunta madre stia rovinando la vita alla figlia?!"

"Non voglio che abbia dissidi con i miei!"

"Che stronzata! - il tono di voce di Camus si era fatto più alto, fino a quasi strozzarsi – Quando imparerai a metterti davanti agli altri?! A pensare al tuo bene, PRIMA di pensare a quello degli altri!"

Non risposi, abbassando lo sguardo. Perché non potevo, tutto qui, dovevo accettare il mio destino da Orco e andare avanti così, non mettendo in mezzo gli altri. Dovevo combattere da sola, come avevo sempre fatto dall'età della ragione in poi, eppure proprio in quell'ultimo periodo avevo conosciuto i Delacroix, un mondo diverso dai miei schemi era apparso dalla mia mente, frastornandomi. Sentivo di non essere più in grado di combattere da sola, come avevo fatto prima, eppure non potevo, perché ricercare il loro aiuto gli avrebbe fatto rischiare la vita. Avevo bisogno di loro per andare avanti, per non arrendermi, eppure non potevo, mi sentivo dilaniata.

In quel momento Camus mi prese nuovamente la mano, ricominciando a muoversi con me al seguito, non avevo di nuovo le forze per ribellarmi, forse non volevo neppure. Tutto ciò di cui avevo bisogno era essere aiutata, non sentirmi sola, una carezza, una parola di conforto, ma sapevo di non potere, sapevo di stare per commettere una violazione al regolamento. Lo sapevo, ma mi lasciai condurre, sollevata del suo interessamto, dal suo volere testardamente stringermi la mano, senza mollarla mai più. Mi veniva quasi da piangere.

"Non mi importa cosa dicono le leggi di questo paese di malati di mente, solo un pazzo non si applicherebbe per cambiare questa assurda situazione! Potrai darmi i calci, ribellarti, gridarmi di tutto, ma per nessuna ragione ti abbandonerò a te stessa! Non sarai più sola, ragazzina, cerca di ficcartelo bene in testa, perché dovrai farci l'abitudine!" mi parlò, in tono aspro ma sincero, trasmettendomi la speranza che tanto andavo cercando. Gli strinsi goffamente la mano, ricambiando la stretta e balbettando dei ringraziamenti, Camus non si girò, non mi sorrise, ma con il pollice mi accarezzò il palmo, facendomi percepire la sua vicinanza.

Aspettavo solo qualcuno che mi venisse a prendere dal baratro in cui ero caduta, null'altro... quel qualcuno era arrivato ed ero sollevata, ma provavo anche una angosciante sensazione di paura e smarrimento crescente.

Mi condusse fino a casa sua, apri la porta, prima di chiamare a gran voce suo fratello, l'urgenza nella voce. Dégel, probabilmente al piano di sopra a studiare, corse giù, agitato da quel trambusto. Scoccando una veloce occhiata su di me, non ci impiegò molto a capire cosa era accaduto.

"Sa-Sakura, cosa ti è successo?! Ti hanno di nuovo percosso?!"

"Sua madre... - tagliò corto Camus, lasciandomi lì nell'atrio prima di dirigersi su – Tu dalle un'occhiata, per favore, forse con te riesce ad aprirsi di più. Io intanto vado a cercare le chiavi della macchina!" disse così, prima di sparire dal mio campo visivo per essere sostituito velocemente da Dégel.

Entrambi i fratelli Delacroix avevano avuto dei sospetti su mia madre da quella volta che avevano assistito a quella scena fuori da casa mia. Dopo gli ultimi fatti accaduti, i loro dubbi erano diventati realtà.

"Oddei, Sakura, hai un occhio nero... fammi dare un'occhiata!"

Come con Camus, mi lasciai maneggiare dalla mano esperta di Dégel che, proprio come il fratello, sapeva mettere una dolcezza inaudita nei gesti. Le sue dita mi accarezzarono delicatamente la zona lesa, applicando solo una leggerissima pressione per tastare meglio l'entità del danno. Non ero abituata ad essere trattata con quei riguardi, ad eccezione di mio fratello Milo e Mu, le mani che si erano mosse verso di me mi avevano procurato soltanto un gran dolore, tanto da farmi disdegnare il contatto fisico con tutte le persone, ad eccezione della mia stretta cerchia.

"Quando è successo, Sakura?"

"Domenica sera..."

"Domenica sera? - mi chiese conferma Camus, nuovamente sopraggiunto con il mazzo di chiavi in mano – Dopo la nostra uscita?"

Annuii, un poco tremante.

"Potevi avvertirmi, Sakura..."

Dégel invece continuò con la sua visita, ponendomi nuovi quesiti atti a rendere più chiara la mia situazione.

"Avverti formicolio, se lo schiaccio, o perdita di sensibilità?"

"No, solo un leggero dolore..."

"Ci hai messo del ghiaccio? O anche creme per ridurre il gonfiore?"

"Ghiaccio, sì, creme no... come sapete non abbiamo medicinali in casa!" risposi, un poco imbarazzata.

"Lo sappiamo anche fin troppo bene, è la ragione per cui ora andremo, in macchina, alla farmacia di Noasca per prendere i medicinali! - rivelò le sue intenzioni Camus, avendoci visto lungo già in partenza, poi si rivolse al fratello – Che ne pensi?"

"E' un livido sottocutaneo, per fortuna, malgrado la colorazione ancora violacea penso che con le giuste creme possa riassorbirsi in fretta nel prossimi giorni!"

"Hai qualche idea a riguardo?"

"Qualocosa come il Momendol Gel, o anche il Voltatrauma, coadiuvato da impacchi di argilla, o essenze vegetali come l'arnica, per lenire il fastidio mentre il medicinale svolge il suo effetto" propose Dégel, guardando intensamente il fratello.

"Ottimo! - Camus prese appunti sul foglio per ricordarsi il nome delle creme – Io Sakura andremo in farmacia giù a Noasca, mentre tu nell'erboristeria a Locana, va bene? In questa maniera acceleremo il processo di guarigione e faremo passare questo brutto livido!"

"Conta pure su di me, Camus, vado a mettermi la giacca!" disse risoluto Dégel, sempre il primo a muoversi per aiutare gli altri, precipitandosi verso l'attaccapanni.

"Vi preoccupate davvero troppo per me..." biascicai, prostrata, nel vederli così trafelati. Avranno avuto il loro bel da fare, eppure erano già lì, pronti a darmi un nuovo aiuto che non avevo chiesto, ma di cui avevo disperatamente bisogno.

"Sakura... - il tono di Dègel era grave nel chiamarmi per nome, scambiandomi un'occhiata profonda – Se ci preoccupiamo, è perché ti vogliamo bene!"

'Volere bene', che parole strane da accostare, eppure sembravano essere così naturali, semplici, essenziali... mi venne subito il magone a quella rivelazione, abbassando lo sguardo e fremendo visibilmente. Gli occhi lucidi non sfuggirono a Camus, in piedi vicino a me, mi passò delicatamente una mano tra i capelli, scompigliandomeli.

"Non ci vuole niente per raggiungere Noasca e Locana con una macchina, e ora in marcia, birba!" mi provò a rassicurare, alla sua maniera, regalandomi un raro sorriso che mi rasserenò il cuore.

 

 

* * *

 

 

Essendo scesi a Noasca in piena ora di pausa pranzo, dovemmo attendere una buona mezz'oretta, prima di poterci incamminare verso la farmacia. Dégel, invece, come pattuito dal fratello, si era recano in macchina a Locana, altro paese non molto distante da Ceresole, se ovviamente si possedeva un mezzo proprio, perché con gli orari della corriera era invece impresa titanica.

Si era messo a piovere, poiché le temperature erano nuovamente salite, complice un'alta pressione innaturale per quella stagione, infatti la neve si era sciolta, resisteva solo a Ceresole, ben più alto degli altri Comuni limitrofi.

Camus aveva aspettato con pazienza, accompagnandomi a fare un giro per il paese, incuriosito dai suoi scorci e dal paesaggio intorno. Non avrei mai smesso di meravigliarmi sui suoi interessi variegati, che spaziavano dagli animali, al trekking, alla storia, alle leggende, alla botanica..., non c'era una cosa che non destasse il suo interesse, facendomi ancora più innamorare di quel ragazzo straordinario che avevo davanti. Pandora mi aveva accennato al fatto che fosse una maschera, lo stesso Camus mi aveva messo in guardia sul fatto che ciò che pensavo di lui non fosse altro che sogno, eppure io più lo conoscevo più ero attratta da lui; più lo conoscevo più desideravo camminare al suo fianco; lo desideravo ardentemente.

Quel giorno scoprii anche che era un inguaribile romantico.

"Sai, dove vivevo io era pieno di baite abbandonate e alpeggi che un tempo fornivano il nutrimento alle greggi, ma non ho mai visto un paese abbandonato, mi piacerebbe poterlo fare un giorno..."

"Sei affascinato dal passato?" gli chiesi, un poco emozionata.

"Moltissimo! Quando vedo qualche reperto storico, un seccatoio, una baita, un vecchio mulino, mi sembra quasi di vederle, sai? Intendo... le persone che un tempo frequentavano quei luoghi. Sono ombre, ma sono ben nitide davanti a me, mi sembra quasi di poterle toccare... - poi si schiarì la voce, essendosi accorto di aver rivelato troppo – So che sembra strano da dire..."

Ma io avevo diniegato con la testa, carpita dalla passione che traboccava dai suoi occhi brillanti. Non avevo mai visto delle iridi così, mai...

"Tutt'altro! Camus, quando sarà stagione ti porterò a fare l'anello delle borgate, se vorrai, e anche il Vallone del Roc! Lì ci sono una marea di vecchie frazioni ormai abbandonate, in una c'è persino una vecchia scuola e si può godere di un panorama stupendo sulla valle e sulle cascate! Ti piacerà!" gli avevo detto, entusiasta. A lui ovviamente si erano illuminati gli occhi.

"Davvero?"

"Certo! E... e ti porterò anche sul colle dl Nivolet, visto che ti piace così tanto camminare!"

"Ne ho sentito parlare... pare sia un posto paradisiaco, pieno di pascoli, laghetti e di cime innevate! Davvero mi porteresti lì, quest'estate?!"

La sua passione era difficile da contenersi, persino per un tipo come lui che tentava, per quanto possibile, di celare le sue emozioni.

Glielo giurai sollennemente, sorridendo raggiante, e il tempo di attesa per far aprire la farmacia volò in un lampo.

Il mio umore si era girano magnificamente dopo quel pomeriggio, stare al suo fianco e passare del tempo con lui mi faceva bene, permettendomi di ricacciare indietro i brutti pensieri e la sofferenza. Pensai che la mia buona stella fosse girata nuovamente bene, prima di ricredermi nell'esatto momento in cui, avviandoci verso la farmacia, scorsi una figura conosciuta ma poco gradita proprio lì davanti, in attesa. Mi pietrificai immediatamente, rabbrividendo. Camus non se ne accorse subito, ma vide la mia espressione ancora prima del mio terrore.

"S-Sakura, cosa....?"

Non risposi, ci pensò l'altro, scorgendoci e avviciandosi a noi con sorriso canzonatorio.

"Ma guarda chi si vede, Sakurina e lo sceriffo della città, ma che piacere!" ci irrise Megres, arrestandosi a pochi passi da noi. Ecco dove erano andati all'uscita della scuola, ecco perché non avevano preso la mia stessa corriera... tutto quel rigiro e quella pallida sensazione di scampato periodo per ritrovarmelo nuovamente lì, subdolo.

Istantaneamente mi coprì il seno, indietreggiando notevolmente. Volevo darmi alla fuga, non ero in condizioni di poterlo affrontare, ma Camus era dietro di me, una mano sulla mia spalla per farmi sentire la sua presenza, lo sguardo fiero rivolto a lui, con tutte le intenzioni di affrontarlo.

N-no, Camus... non metterti di nuovo contro di lui, finirà male, ed io...

"Fatti indietro, Megres! Mi pare di averti già detto che questa ragazza non ha piacere ad avere a che fare con te, o vuoi incorrere nella mia ira?!" esclamò, temerario.

Gli occhi di Megres si fecero ancora più furenti di quello che già non fossero dopo il gesto portettivo di Camus nei miei confronti, saettarono come una vipera nella sua direzione.

"Camus... non mi ricordo se ti ho già detto che io sono nipote del vecchio del paese di Ceresole e che ciò che voglio lo ottengo... SEMPRE! Oppure vuoi incorrere in un altro pugno nell'addome?! - lo canzonò, iracondo, sbeffeggiandolo – Te lo ricordi bene quel pugno, vero? Deve averti fatto male per una serie di giorni, eh?!"

A quel punto mi feci coraggio, rigettando indietro la paura per fronteggiarlo nuovamente, deviando prepotentemente il discorso su altre rotte. Non mi impotava se minacciava me, ma non gli avrei categoricamente permesso di fare nuovamente del male a Camus.

"Megres, sciacquati la bocca e vai a razzolare da qualche altra parte, questo non è tuo territorio, tu e la tua famiglia non potete permettervi di spadroneggiare anche qua, Noasca non è Ceresole, la vostra giurisdizione non ha effetto in questa località, e adesso fuori dalle balle che abbiamo di meglio da fare che perdere tempo con te!"

"Ma presto lo sarà, mia cara Sakura! Del resto, Noasca e Ceresole, lo sai bene, sono contraddistinte da una origine comune, perché gli attuali abitanti del posto che ci ha dato i natali erano noaschini, c'è quindi un legame di sangue fra noi, come per tutte le comunità della valle dell'Orco!"

Un brivido mi passò lungo la spina dorsale ed esitai nei miei intenti. Era vero quanto diceva, Noasca e i Comuni limitrofi potevano vantare il beneficio di non avere la famiglia di origine più antica nei loro alloggi, ma la verità era che, se solo avessero voluto, i discendenti di quella stessa famiglia avrebbero potuti tenere sotto scacco tutta la Valle dell'Orco intera, e anche quelle di Lanzo e Soana... Questo non poteva significare altro che il totale monopolio sui negozi, nonché l'impossibilità di chiedere aiuto ai suoi abitanti.

Effettivamente... cosa ci faceva Megres lì? Istantaneamente mi ricordai el farmacista di Ceresole che si era rifiutato di darci i medicinali per Camus, a detta sua perché non ce li aveva, in quanto la famiglia di Megres li aveva presi. Se solo avessero voluto...

"Megres! Non vorrete possedere anche questa... questa farmacia?!" gli domandai, un nodo in gola e una paura atroce.

"Per il momento no, non occorre, ma tanto sanno bene anche qui che, sotto richiesta di mio nonno o di mio padre, la loro ubbidienza è assoluta, non c'è certo bisogno di ricordarglielo, tranquilla! - ridacchiò, ben contento di assaporare il tremore della mia voce – Ma non è questo il giorno... oggi sono qui in veste non ufficiale, ho solo accompagnato un amico a comprare dei medicinali!" si affrettò a spiegarmi, beffardo.

"Che magra vita dovete avere per provare gaudio a tenere sotto scacco degli ignoranti con storielle e favolette che non andrebbero neanche raccontate ai bambini!" commentò invece Camus, prendendo posizione. Lo guardai con terrore, turbata, si stava mettendo in grossi guai nel volersi mettere contro la famiglia di quel bastardo di Megres, non sapeva a cosa andava incontro, non lo sapeva, si stava buttando volontariamente nella forca, ed io glielo stavo permettendo, totalmente impotente.

"C-Camus, non..." ma mi bloccò, scambiandomi uno sguardo d'intesa.

"Sorcio... hai idea del confine che stai valicando? Hai idea di chi ti stai mettendo contro?!?" sibilò invece Megres, livido dalla rabbia. Camus non era come gli altri, Camus contrastava il suo volere, totalmente, era un ribelle e un bastian contrario per le cose in cui non credeva, forse era proprio questa ragione per cui quello stronzo di Alberich non poteva sopportarlo.

"Tu es un rien qui vit avec l'illusion d'etre tout! - gli rispose lestamente in francese, fronteggiandolo. Era più esile di Megres, ma decisamente più alto – Avete fatto il bello e il cattivo tempo fino ad ora, ma non vi permetterò di continuare con i vostri porci comodi! Proteggerò Sakura dalla nomea che le avete erroneamente affibiato! Svelerò il vostro giochetto, in modo che tutti si rendano conto dell'errore commesso! Non siete una nobile famiglia, non avete alcun tipo di onore, siete solo minutaglia priva di qualsiasi importanza!" esclamò, sempre più temerario, esemplificando le sue intenzioni nello stringermi il polso della mano sinistra con le sue dita eleganti.

Ero sempre più terrorizzata per le sue sorti, ma mi sentii istantaneamente avvampare, arrossendo a dismisura, cosa che non passò inosservata agli occhi rapaci di Megres, il quale, imprecando, mi scoccò un'occhiata indecifrabile, prima di parlare.

"Fai poco la finta santarellina che arrossisce, Sakura, e smetti di recitare la parte della brava ragazza, io meglio di chiunque altro so quanto sia turpe la tua vera essenza! - mi insultò, facendomi tremare, poi si rivolse direttamente a lui – Per quanto concerne te, Camus... mi stavi già sul cazzo prima, ma oggi sei riuscito a superarti, bravo!" gli disse, approcciandosi ulteriormente.

Erano ad un palmo dal muso, ma Camus non indietreggò, continuando a sfidare il suo sguardo, Megres lo squadrò ancora di più, truce negli occhi, vicinissimo talmente tanto da fiatargli sul collo, minaccioso.

"Ti stai avvicinando un po' troppo a Sakura, dovresti stare più attento! - gli sibilò, sinistro, prima di aggiungere – Gli insetti che si avvicinano troppo alla luce poi muoiono folgorati..."

Sgranai gli occhi, temendo il peggio. Megres lo aveva minacciato senza troppi rigiri di parole, ero spaventata per lui più ancora che per me e mi sentivo la gola secca, il respiro corto e il cuore in gola, ma Camus no; Camus non aveva esitato neanche un istante, non si era tirato indietro neanche di un millimetro, perseverando nel guardarlo dritto negli occhi, privo di paura, strenuo difensore della giustizia. Lo ammiravo, mi sentivo protetta... nondimento una paura viscerale mi aveva colto, sinonimo di un presagio ben nitido.

"...Anche gli uomini che non riconoscono i loro limiti e che abusano del loro potere prima o poi finiscono male, perché ci sarà sempre qualcuno più forte di loro!" affermò una terza voce, aggiungendosi a noi. Mi girai nel riconoscerlo, e vidi Dégel, ritto a poca distanza da noi, lo sguardo determinato e una insolita scintilla combattiva negli occhi.

Lo sguardo che invece gli regalò Megres era quanto di più allibito potesse manifestare. Squadrò prima Camus, ancora intento a reggere il suo sgurdo, poi Dégel, poi di nuovo Camus, rivolgendosi infine a me.

"Ma che brava, Sakura, due al prezzo di uno! Sapevo che, in fondo, non fossi altro che una sgualdrina, ma mi sorprendi... due gemelli?! MINCHIA!"

Abbassai il capo, provando l'istinto di nascondermi e coprirmi il seno con le braccia, mentre Camus prese ancora una volta la parola, nuovamente furibondo.

"Non osare... vigliacco!"

"Massì, massì, tenetevi la vostra bella sgualdrina, chissà i servizi sessuali che vi ha dato per far sì che voi vi uniste alla sua causa!"

Stavolta toccò a Dégel controrbattere, affiancandomi.

"Mi sembra quanto meno puerile, nonché subdolo, definire così una ragazza solo perché, con ogni probabilità, la vorresti possedere e lei non si è dimostrata collaborativa, opponendo invece una strenua resistenza! Questo è indicativo di quanto tu sia una persona meschina, proprio come avevo intuito in precedenza dalla descrizione che Sakura mi aveva fatto di te!" lo riprese Dégel, in apparenza più democratico, ma soppesando bene le parole per un affondo con i contro fiocchi. Dégel ci vedeva lungo, sempre!

"Attento, quattr'occhi, potresti starmi sulle palle più del tuo caro fratellino, sei sulla buona strada!" ribatté Megres, nervoso. L'intuito di Dégel aveva fatto centro. Di nuovo.

"Per quanto mi riguarda... stare in antipatia ad una persona come te è un privilegio, non di certo una maledizione!" risposte prontamente quest'ultimo, sistemandosi meglio gli occhiali che aveva precedentemente indossato con la mano libera. Con l'altra reggeva il sacchetto preso in erboristeria.

Megres fece per ribattere, per nulla vinto, ma l'arrivo di una quarta forza lo sbogliò dalla situazione, non proprio a suo favore.

"Eccomi, Alberich, scusa se ci ho messo..."

Prima ancora di potermi girare udì un sonoro frastuono, come di vetro che si rompeva in mille pezzi, voltadomi, scorsi Unity, pallido in volto, tremante, sgomento. Era terrorizzato, forse più di me. Indietreggiò, di uno, due, cinque passi, poco prima di mormorare un "n-no... no!"

Non riuscivo a capire, ero confusa e non sapevo cosa dire, per un solo istante condivisi la stessa sorte e la stessa espressività di Megres. Sui nostri volti lo stesso, pallido, stupore.

Poi la situazione si sbloccò, per mano di Camus.

"T-TU! Maledetto vigliacco, cosa fai TU qui?!?" ululò, fuori di sé dalla rabbia, come mai lo avevo visto prima. E scattò, probabilmente con intenzioni poco pacifiche, visto i pugni tirati su. Non seppi nè come nè perché, ma mi ritrovai a frappormi tra lui e il mio compagno di classe, abbracciandolo di getto nel tentativo di impedirgli di perpetrare azioni efferate.

"FERMATI, CAMUS!"

"Sakura, togliti dalla mia strada, non sai cosa ha fatto quel maledetto, non lo sai, altrimenti non ti saresti messa in mezzo!!!"

Era completamente fuori di sé, quasi non lo riconoscevo. Per la prima volta compresi le parole di Pandora, sfiorai il lato più tetro di Camus, ma non volli approfondirlo, non in quel momento.

"No, non lo so, non lo posso sapere, ma è un mio compagno di classe, fermati, ti prego!"

"COSA?!?"

Volevo dargli uan spiegazione, ma nello stesso momento Unity si sbloccò dallo stato di pietrificazione, sgattaiolando via a gambe levate per poi imboccare la pima stradina e svanire nel nulla, lasciando i medicinali rotti per terra. Continuavon trattenere Camus, ormai in preda ad un delirio crescente, non vedeva altro che lui e solo lui, e voleva fargliela pagare per qualcosa, a tutti i costi.

"Che storia interessante... pare che vi conosciate, voi tre! - commento Megres, ghignando – Il nostro incontro si conclude qui per oggi, ci si becca in giro!" fece eco, prendendo poi la stessa direzione dell'amico.

Non mollai la presa su Camus fino a quando non sparirono dalla nostra vista. Camus aveva smesso di lottare con me per evitare di farmi male, ma era ancora furioso, tanto che si allontanò di colpo, dandomi una occhiata di fuoco.

"Sarai contenta, ora, Sakura! Ottima presa di posizione, brava! Non fosse stato per te a quest'ora lo avrei già raggiunto, quel verme, facendogliela pagare cara, e invece!"

"E invece non rischi la prigione, non sei condannabile per omicidio volontario, che peccato, eh! Santo cielo, Camus, non ti ho mai visto così assatanato! Aveva ragione Pandora a..."

"TU PANDORA NON LA DEVI NEANCHE NOMINARE, CHIARO?!?"

Istintivamente mi rizzai, spaurita da quel tono di voce così spietato. Camus mi mostrava ancora una volta la sua faccia più tetra e pericolosa e, per la seconda volta, accadeva quando una parte del suo passato veniva a galla, facendogli assumere un atteggiamento scostante e spietato. Quella volta lì non mi ritrassi, avvicinandomi anzi a lui per toccarli il braccio, giacché vedevo distintamente che oltre alla rabbia traboccante, in lui c'era una spietata tristezza, che cresceva incommensurabilmente. Chiunque fosse stato Camus prima di conoscerci, era cambiato drasticamente a seguito di un evento nefasto, ormai era chiaro.

"Non otterrai nulla... così..." gli sussurrai, soave, riacciuffando il suo sguardo che era nuovamente perso nel vuoto.

"Hai... hai ragione... non otterrò più... - si trattenne, ingoiando a vuoto come a volersi disbrogliare di un immenso nodo alla gola, come se avesse inghiottito a forza uno singhiozzo troppo rumoroso e ora, quello stesso singhiozzo, gli sconquassasse il petto – L-la mia Seraphine..."

Seraphine... quel nome era uscito dalle sue corde vocali ricco di rimpianti e parole taciute. Era uscito, e lo sforzo era stato troppo elevato per lui, tanto da farlo ricadere amorfo per terra, vinto.

Seraphine... era lei la ragazza morta in quel nefasto incendio di cinque anni prima?! I nodi cominciaavano lentamente a venire al pettine, rabbrividii, ma non ebbi il tempo di pensarci ulteriormente, perché Dégel, rimasto scioccato immobile fino a quel momento, cadde a sua volta a terra, respirando a scatti, in preda a qualcosa di molto simile alle convulsioni.

"Dégel!!!" lo chiamammo allarmati sia io che Camus, raggiungendolo immediatamente per soccorrerlo. Era cosciente, ma fuori di sé, tremava veementemente ed era pallido, come privato di tutto il sangue che gli circolava nelle vene.

Cominciò ad urlare, divincolandosi come un forsennato, sgaurdi indiscreti e trafelati ci circondarono, taluni a chiedere timidamente se avevamo bisogno di una mano, altri a prendere il telefonino per fare una chiamata. Persi il contatto con la gente intorno a me da quanto ero nel panico per il mio amico, Dègel copriva tutto il mio campo visivo, e suo fratello con lui. Non so bene cosa fece Camus per calmarlo, ma ci riuscì, in qualche modo ci riuscì, scrollandolo poi per permettergli di tornare tra noi.

"D-Dègel, calmati... calmati ora, se ne è andato e non tornerà più, è tutto finito! Per gli dei, calmati, ne va della tua salute!"

Lo sguardo spento di Dégel navigò fino al fratello, totalmente in pena, gli strinse la mano, con impeto e un nocciolo di disperazione

"Cosa fa lui qua? P-perché l-lui... UNITY!"

Non riuscì ad aggiungere altro, perché diede di stomaco subito dopo.

 

 

 

 

Angolo di MaikoxMilo

 

Perdonatemi... perdonatemi e perdonatemi! E' da più di un anno che non aggiorno questa storia, essendomi concentrata sulla mia serie originale, non so neanche se ve la ricordiate, eppure rieccomi qui, con un capitolo parecchio lungo e denso di avvenimenti, uno di quei capitoli che si possono definire "bomba"!

Ma andiamo con ordine:

Allora intanto la sto correggendo, anche se le linee guida e la trama rimarranno sempre le stesse, purtoppo ci sono molti errori nella stesura, quindi non si finisce mai di farci delle modifiche, e poi, come avrete certamente visto, il mio stile di scrittura è molto cambiato in questi anni, tanto da mostrare una ben visibile spaccatura tra i primi capitoli, corti, scritti in certi punti male, e gli ultimi, decisamente più lunghi e più complicati.

Non so chi avrà voglia di riprendere a leggere questa storia, non so se tra voi qualcuno l'ha letta o al segue, ma in ogni caso la pubblico, sperando che possa piacere.

Gli argomenti trattati non sono affatto facili, sto anche pensando di farla diventare a rating rosso, ma ciò precluderebbe i non iscritti a non poterla leggere, verdrò!

Intanto vi dico che dal capitolo precedente a questo, nella storia, è passato quasi un mesetto, Sakura ha accettato di essere amica di Dégel e Camus, sebbene la scelta le pesi ancora e la faccia brancolare nell'incertezza, come se non bastasse, in questo capitolo vengono accennati alcuni fatti passati che hanno segnato i protagonisti, traumi di non facile superamento. Quello di Sakura, che si intuisce, sarà rivelato totalmente molto più un là, mentre quello di Camus e Dégel già nel prossimo capitolo. Sì, Camus e Dégel conoscevano molto da vicino Unity e la sorella Seraphine (ho usato il nome in francese perché originali della Francia) forse i più scaltri di voi avranno accostato il binomio "incendio" alla cicatrice, marchiata dal fuoco di Dégel, ma non possono sapere ovviamente il racconto nello specifico, che appunto sarà svelato nel prossimo.

Che dire, nonostante il tempo passato io ci riprovo a pubblicare, la storia mi piace molto e mi emoziona, spero che possa essere di gradimento anche a chi di voi non la conoscesse, se sarà interessato a proseguirla, e a chi, stoicamente, si ricorda di questa fanfiction e sarà ben contento di continuare a leggerla!

Al prossimo aggiornamento, sperando che non passi un altro anno (spero proprio di no!!!)

 

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