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Questa è un'opera di pura fantasia,
il riferimento a fatti, persone od associazioni realmente esistenti, è
puramente casuale.
PROLOGO.
Galerians. Un semplice parola,
formata solamente da nove lettere, eppure, nella sua brevità, nasconde tanti
segreti. Tante cose incoffessabili, che non si conoscono nemmeno nei recessi
dell'anima più profonda. Galerians, una parola che incute terrore anche
all'uomo più coraggioso. La parola che la legge vieta di dire, tale è la sua
pericolosità. Alcuni la conoscono, altri non sanno della sua esistenza...ma, in
fondo, è molto meglio così.
Quella sembrava una notte come
un'altra, semplice e fresca, come ogni oscura sera di primavera. Inue si era
attardato molto, a causa del suo lavoro, e l'idea di attraversare tutti quegli
isolati per raggiungere la metropolitana, non lo rassicurava affatto. Odiava
Michelangelo City, come odiava tutti coloro che vi abitavano. Lui era del sud,
proveniva da una calda e luminosa cittadina, dove conosceva tutti quanti, dove
non c'era bisogno di avere paura. Era stato costretto a trasferirsi a causa del
suo nuovo impiego che lo occupava, delle volte, notte e giorno.
La fermata 127 si trovava a sette
isolati da lui, ed erano già le 23.00. Camminava a testa bassa, evitando di
lanciare sguardi a chi si trovava vicino a lui. C'erano per lo più bande di
teppisti, spacciatori, ragazze che battevano in strada. Il quartiere di Custlee
era malfamato, come molte zone in periferia. Vide alcuni stranieri che
parlottavano tra di loro, giocando con un coltello; corse ancora più forte. Scacciò
i brutti pensieri, cercando di ricordare le parole di una canzone che gli
piaceva. Si isolò dal mondo che lo circondava, si sentì subito meglio, più
leggero.
Scese le scale della metropolitana
stringendo la valigetta. Non vide nessuno, il che gli pareva decisamente
strano. Aspettò che arrivasse il vagone seduto su una poltroncina, vicino alle
rotaie. Quel silenzio di tomba lo rendeva irrequieto, il suo cuore cominciò a
palpitare molto velocemente, come se fosse vicino al collasso. Non era mai buon
segno quando succedeva, significava che c'erano dei guai in vista. Anche il suo
sesto senso si era svegliato e, nel frattempo, una voce dentro di lui urlava
"Vattene Inue, non restare in questo posto!".
Si svegliò da quello stato di trance
quando udì, in lontananza, un fischio. La metropolitana stava arrivando. Si
alzò, pulendo con una mano i pantaloni raggrinziti. Si avvicinò alla porta,
respirando profondamente. Chiuse un attimo gli occhi ed entrò.
Non c'era nessuno all'interno,
nessuno a parte una ragazza. Indossava un lungo giaccone, blu come il cielo al
crepuscolo, che copriva in modo aggraziato le sue forme. Il suo viso era
inespressivo ma, al tempo stesso, molto bello e delicato. I suoi occhi di
ghiaccio scrutavano attentamente il pavimento, muovendosi lentamente e
dolcemente. I capelli neri le ricadevano distrattamente sulla fronte e le
accarezzavano le spalle. Se l'avesse incontrata in un'altra occasione,
l'avrebbe scambiata sicuramente per una modella. Sotto al cappotto primaverile
indossava un top nero e un paio di elegantissimi pantaloni, come quelli da
cerimonia.
Inue si era incantato a guardarla ma,
quando lei lo fissò con i suoi occhi gelidi, si voltò dall'altra parte, un po'
imbarazzato.
Quella ragazza non aveva fatto una
piega. Si era girata di nuovo e, in quel momento, guardava il muro che scorreva
dal finestrino. Abbassò un attimo la testa e frugò in una tasca, tirando fuori
una sigaretta. Si tirò indietro i capelli con una rapida mossa e l'accese. Sospirò
un attimo e poi guardò l'orologio, infine si volse di nuovo verso il ragazzo,
guardandolo.
Lui era stato colto un po' di
sorpresa. Ma, ad ogni modo, non voleva assolutamente sprecare un'occasione del
genere. Infondo, la serata non era finita così male come credeva. Si alzò e si
mise seduto vicino a lei, sorridendole.
"Senti, avresti una sigaretta
anche per me?" Chiese, in seguito. Stava cercando di instaurare una
conversazione. I suoi occhi ritornarono inespressivi.
Non lo guardò, non rispose. Fissò per
un secondo il vuoto poi, guardando le sue mani, fece cenno di sì con la testa. Con
infinita calma, tirò fuori un pacchetto di "Loucura" e gliene porse
una. In seguito, fece comparire come dal nulla un accendino completamente nero,
che dava l'idea di essere in netto contrasto con la luce gialla del piccolo
fuoco.
Passarono istanti infiniti, come se
il tempo si fosse fermato d'improvviso. Inue si sentiva avvampare ma allo
stesso tempo gelare, provava un senso di paura-attrazione per quella ragazza,
come se una forza misteriosa lo stesse attirando a lei. Si sentiva a disagio,
il collo della sua camicia sembrava stringersi sempre di più. Fumavano in
silenzio, come due lupi solitari, ognuno immerso nei proprio pensieri. Poi,
d'improvviso, lei si voltò con uno scatto. Il ragazzo, colto alla sprovvista,
sussultò.
"Lavori al CrV?" Chiese,
con voce bassa e fredda. Il suo tono era incolore, niente traspariva attraverso
le sue labbra.
"Eh?" Rispose lui,
decisamente spiazzato. Non si aspettava una reazione del genere. Era assorto
nel sentire le ruote che battevano nel freddo acciaio delle rotaie, provocando
un rumore sordo e rimbombante.
"Ti ho chiesto se lavori alla
CrV."
"S-si. Come mai me lo hai
chiesto?" Chiese, titubante.
"Dai tuoi occhi. Sono arrossati
e stanchi, segno che lavori molto stando davanti ad un computer."
"Caspita, che spirito
d'osservazione!" La lusingò.
Lei fece un sorrisetto di
circostanza, poi si voltò nel verso opposto, fissando la porta che univa i due
scompartimenti. Si alzò in piedi e fece schioccare il collo, girandolo prima a
destra e poi a sinistra.
"Sei un programmatore,
sbaglio?" Azzardò, mettendo le mani in tasca.
"Esatto. Inue Colin, dipendente
n° 36 della CrV." Fece un ampio sorriso, nella speranza di riuscire a
rompere quell'aria pesante che si era venuta a creare. "Beh, visto che ora
mi sono presentato, potresti dirmi qual è il tuo nome, non ti pare?"
La ragazza si voltò, lanciandogli uno
sguardo di ghiaccio. Come se niente fosse, cominciò a camminare su e giù per il
piccolo corridoio, con passi lenti e felpati. Lui fu un po' risentito della
mancata risposta, tanto che si girò e cominciò a fischiettare. D'un tratto, la
voce roca di lei inondò l'aria.
"Ci sono delle voci che parlano
di un nuovo virus, molto potente, che dovrebbe ditruggere definitivamente Nova.
E' una notizia molto interessante, non credi? Mi hanno detto che lo stanno
progettando alla CrV, che strana coincidenza...tu ne sai qualcosa?" Si
mise a sedere di fronte a Colin, sfoderando un sorriso che non lasciava
presagire niente di buono.
Il ragazzo sentì un brivido che gli
correva lungo tutta la schiena. Istintivamente, prese tra le braccia la sua
valigetta.
"Queste non sono cose che vado a
dire alla prima bella ragazza che incontro. Ho l'obbligo del segreto
professionale..." Rispose, un po' inviperito. Vide il suo volto
aggrottarsi in una smorfia, sembrava quasi arrabbiata.
"Potrei ucciderti per molto
meno, vedi di portarmi rispetto." Tuonò con voce che non ammetteva
repliche.
"Tu...chi sei?" Domandò,
spaventato. Vide il suo volto cambiare di nuovo, assumendo un'espressione
divertita.
"Già, chi sono? E' una bella
domanda...perchè non provi ad indovinare?" Si alzò e si avvicinò a lui,
dondolando.
"Non lo so, non mi interessa
nemmeno saperlo!"
Cercò di fuggire da un'altra parte,
provò ad aprire le porte ma erano chiuse, a chiave. Fu tentato di urlare
quando, dietro di lui, sentì un rumore metallico. Si voltò, lentamente, e si accorse
che quella ragazza gli stava puntando una pistola alla tempia. Rimase immobile,
sentendo il suo cuore battere all'impazzata dentro il suo petto. Se avesse
saputo che quella, probabilmente, sarebbe stata la sua tomba, avrebbe dato
ascolto al suo sesto senso.
"Tu sei un ragazzo molto
cattivo, non si fa male alla gente." Disse lei, con voce suadente e
cinica.
"Io...io non faccio male a
nessuno! Cerco soltanto di essere un onesto cittadino lavoratore." Replicò
lui, tremando.
"E' proprio questo il punto"
Si inginocchiò fino a quando non potè guardarlo dritto negli occhi. "E' il
tuo lavoro che reca disturbo, è il tuo lavoro che fa male a mia madre...nostra
madre...anche tua madre!" Si lasciò sfuggire una risata sadica.
"T-Ti prego, lasciami
andare!" Una lacrima gli solcava la guancia destra, lasciando dietro di sè
una scia salata e bagnata.
"Non se ne parla. Prima dammi il
virus poi vedrò cosa fare di te."
"Io non ho nessun virus!" Provò
a mentire.
"Non mi far arrabbiare!" Fece
leva con forza alla sua tempia. "Nel caso non lo sapessi, potrei cercarlo
anche nel tuo cadavere, a me non creerebbe alcun tipo di problema. Anzi, è
molto più facile e veloce." Urlò, facendo riecheggiare la sua voce
all'interno del vagone.
"N-No! Tienilo, prendilo, basta
che mi lasci andare!" Le porse un disco, con le mani tremanti.
Lei lo studiò per un po'. Le sua dita
lunghe ed affusolate lo stavano toccando, accarezzando. Lo portò vicino ad un
occhio e vi si specchiò, rimirando la sua figura. Il suo volto era teso ed
aveva un'espressione truce ed incredibilmente dura. Guardò un attimo davanti a
sè e vide che Inue non c'era. Era dall'altra parte, mentre cercava di
scassinare la serratura della porta. Lei sorrise poi, con la freddezza di un
killer, gli sparò ad una gamba. Lo vide urlare ed accasciarsi, mentre cercava
di arginare la quantità enorme di sangue che fuoriusciva, probabilmente, da una
grossa vena.
"Molto male, signor Colin."
Si avvicinò a lui, molto lentamente. "Mi avevano avvertita di questa
possibilità e sai che cosa mi hanno suggerito di fare?" Lo vide voltarsi
verso di lei, con gli occhi sbarrati. "Ucciderti"
Fu un colpo secco, preciso, in mezzo
alla fronte. Il sangue usciva a fiumi e aveva formato una grossa pozza sotto il
corpo inerte di Inue. Lei sorrise compiaciuta, mentre spostò il suo cadavere
con un calcio. Bussò energicamente tre volte. D'improvviso la metropolitana
cominciò a rallentare, fino a fermarsi del tutto. Un ragazzo alto, biondo,
venne ad aprirla. Fece per uscire quando, rivolgendosi all'uomo senza vita,
disse:
"E comunque mi chiamo Erian,
anche se adesso non te ne importa più nulla."
L'altro rise mentre, gentilmente, la
invitava a seguirlo. Salirono le scale nel più completo silenzio, cercando di
non farsi vedere. Udirono l'urlo di una donna in lontananza, non ci fecero
particolarmente caso. Arrivati in superficie, sospirarono.
Desidero fare questa ultima nota,
cercando di evitare le accuse di plagio che mi verranno probabilmente rivolte.
Questa storia è stata ideata e scritta nel 2002, finita precisamente ad
ottobre. Quella che potete leggere è una specie di riedizione visto che,
rileggendola, mi sono accorta della forma scorretta e poco scorrevole. Ci sono
alcune parti che potrebbero far riferimento al telefilm "Dak Angel"
ma, credetemi, io l'ho scritta prima che si potesse vedere in Italia.
Dopotutto, è stato mandato in onda solamente nel 2003. Se non mi credete, sarò
ben felice di rispondere alle vostre critiche via e-mail attraverso il servizio
dei contatti. Spero, in ogni caso, che crederete alla mia buona fede. Grazie.
LA MUSHROOM TOWER.
Un lampo squarciò il cielo, rapido e
veloce come solo la luce sa fare. Per un attimo illuminò il cupo manto
notturno, rendendolo incredibilmente bello e surreale. Poi, sempre più piano,
si avvicinò un rumore forte, un boato. Il suono di quell'evento così lontano
era infine giunto alle orecchie, irretite da quel suono così particolare,
tipico dei temporali. Se si restava in vibrante ascolto, si poteva persino
sentire l'odore acre di qualcosa che bruciava, in lontananza, colpito dal
fulmine.
Erian chiuse gli occhi ed aguzzò i
sensi, cercando di percepire quelle informazioni che solo l'aria sa darti. Si
era isolata da ciò che le stava intorno, chiudendosi in un mondo fatto
solamente di cielo e terra, senza palazzi, senza gente. Le cadde una goccia
sulla punta del naso, poi in una spalla, infine tra i lucenti capelli corvini.
Stava cominciando a piovere.
Ritornando in sè, si voltò indietro,
alla ricerca del ragazzo. Aprì gli occhi e, per effetto del tempo, diventarono
dello stesso colore delle onde che si infrangono sugli scogli. Trovò il suo accompagnatore
al suo fianco, che la guardava. Aveva uno strano modo di osservarla, con i suoi
luminosi occhi verdi. C'era una vena di divertimento, di cinismo. Poi le
sorrise. Lei non fece altrettanto e, voltandosi verso la gigantesca struttura
che le si stagliava di fronte, cominciò ad avanzare.
La Mushroom Tower era anche chiamata
'il fungo maledetto', a causa della sua strana forma ma, soprattutto della sua
funzione. Sotto il grigio cielo di Michelangelo City, quello che poteva
sembrare un grattacielo, si ergeva imponente, come se controllasse l'intera
città. In quanto a grandezza, non è che fosse molto grande però, se si parlava
di altezza, il discorso cambiava radicalmente.
La sua struttura era fatta
interamente di acciaio, senza l'ombra di qualche colore; semplice. Non vi erano
finestre se non nella parte finale che, a vederla, sembrava proprio il cappello
di un fungo: ampio e grande, rispetto la parte sottostante. Tutto era grigio,
un colore freddo come la stessa torre. Molti sapevano qual'era la funzione,
pochi in realtà vi erano mai entrati.
Essa, infatti, era la sede di Nova.
Tutti sapevano chi fosse Nova; il supercomputer, dotato di un'intelligenza
artificiale, che controllava l'intera città, se non l'intera prefettura. Dalle
fattezze quasi umane, era un essere privo di qualsiasi sentimento, incapace di
provare amore od odio. Lei sapeva solo distruggere, distruggere ciò di cui
aveva paura. Era stata programmata, molti anni fa, da alcuni scienziati che
avevano riposto in lei molta fiducia, nella speranza di creare qualcosa che
avrebbe combattuto contro le guerre e la fame nel mondo.
Ma, si sa, che molti sogni dell'uomo
sono destinati a rimanere utopia. In un primo momento, Nova apprendeva con
piacere tutto quello che c'era da sapere sul pianeta in cui viveva...finchè non
le avevano parlato di Dio. Le avevano detto che era un'essere onnipotente, che
aveva creato tutte le persone, di cui tutti avevano timore.
Così aveva cominciato a creare i
Galerians, per essere come Dio stesso. Degli esseri, o per meglio dire degli
automi, che agiscono con il suo potere e per il suo interesse. Li controllava
come se fossero burattini, li trasformava in macchine di morte. Non si
distinguevano tra la gente, si confondevano con gli umani. Poi colpivano,
veloci e letali come mantidi religiose. Chiunque ne abbia riconosciuto uno, non
è vissuto abbastanza per poterlo raccontare in giro. Anche il precedente
sindaco. Aveva provato a fare qualcosa e, per tutta risposta, era stato ucciso
e appeso al mausoleo, come segno di ammonimento per tutti gli altri che
volevano distruggere Nova.
Erian era arrivata all'entrata
della Mushroom Tower, dove c'erano a guardia alcuni soldati. Si guardò intorno,
ne riconobbe qualcuno, altri non li aveva mai visti. Di solito erano dei
semplici cittadini, che non sapevano riconoscere la sottilissima differenza che
esisteva tra un galerians e un umano. Erano buon pagati, ciò bastava; non
desideravano conoscere altro. Proseguì, mostrando un lasciapassare al custode,
che la fece entrare senza troppi convenevoli. Si trovò subito nell'atrio,
grande e spoglio. Il ragazzo la seguiva a ruota, senza mai toglierle gli occhi
di dosso.
Si avvicinarono ad un piccolo
ascensore, entrando. Non digitarono alcun piano, la telecamera posizionata
sopra di loro li aveva già riconosciuti. Cominciarono a salire, mentre
Michelangelo City dormiva sotto di loro. Erian odiava quello spazio angusto, le
sembrava di ritrovarsi chiusa dentro ad una bara. Non che soffrisse di
claustrofobia o cose del genere, ma dividere quel poco di posto che c'era con
un altro, così vicino, le faceva venire il voltastomaco.
Cercò di non pensarci, mentre i
numeri sopra le porte dell'ascensore continuavano ad
aumentare...50...51...52...
Arrivati al 77° piano, si
fermarono di colpo. Uscirono e si ritrovarono in una stanza abbastanza piccola,
tutta dipinta di rosso bordeaux; c'era solamente una porta. Rispetto all'intero
ambiente, era incredibilmente maestosa. Interamente fatta di metallo e di legno
bianco, guardava tutti dall'alto dei suoi 3 metri d'altezza. Con passo felino,
Erian si avvicinò, bussando.
"Avanti" Disse una voce
metallica, al di là della porta. Era roca e dalle parvenze femminili.
Così come le era stato chiesto,
entrò. Subito le sue narici furono inondate di quel tipico odore che solo
alcuni ospedali riescono a darti. Un'aria umida, asettica, senza alcun tipo di
profumo. Erano entrati in una stanza enorme dove, al centro, troneggiava una
gigantesca macchina e, al suo interno, si trovava una figura dalle fattezze
umane. Era alta e snella, a vederla da lontano poteva sembrare una donna. Non
aveva capelli, non aveva vestiti, il suo corpo grigio risplendeva, il che
faceva capire immediatamente che era fatta di metallo. Gli occhi erano rossi
come il sangue.
Dopo alcuni secondi, che parvero
quasi interminabili, i due ragazzi si inginocchiarono, abbassando la testa.
"Madre, la vostra umile
figlia Erian è appena ritornata dalla missione da voi affidatagli" Disse
la ragazza, con tono solenne e austero. Portava rispetto per la sua creatrice,
tanto da non voler parlare con lei in piedi ma inchinandosi. Nova si avvicinò,
lentamente, scrutando i suoi fidi Galerians.
"Allora, hai fatto quello che
ti avevo chiesto?" Disse in seguito, fissandola.
"Sì." Una risposta
secca, tanto da non ammettere repliche. La madre cominciò a ridere di gusto,
mentre la sua strana voce riecheggiava dappertutto.
"Molto bene. Il signor Colin
si è comportato bene?" Domandò, con scherno.
"Non ha regito bene così l'ho
ucciso, come voi mi avete ordinato. Non posso permettere che uno stolto vi
uccida, madre." Poi si voltò verso il ragazzo. "Rion ed io non
abbiamo fatto in tempo a pulire tutto quel disastro, abbiamo abbandonato la
metropolitana."
Il volto di Nova si accigliò un
po', ma tornò subito rilassato. Cominciò a guardare con curiosità il ragazzo
vicino a lei, come se le fosse venuta un'idea stuzzicante in mente. Si
allontanò un poco dai due, per poterli vedere meglio.
"Dimmi Erian, tu vuoi bene a
Rion?" Domandò, con voce autoritaria. A quella domanda, lo vide sussultare.
"Con tutto il rispetto che ho
per voi, madre, l'addestramento non prevedeva niente del genere. Non so cosa
può significare voler bene ad una persona." La sua voce era gelida,
incolore. Nel dire quelle cose, non provò un benchè minimo sentimento.
"Certo, ogni tanto non
rammendo che tu sei il Dark Angel." Si guardò intorno, prendendo poi un
bastone colorato interamente nero. "Alzati Erian, prego, vieni qui vicino
a me." Lei, un po' sorpresa, lo fece come se le avesse dato un ordine. Si
avvicinò, mettendosi di fronte a lei, a testa bassa. "Ti piacerebbe avere
quest'arma?"
Nel dire questo, premette un
bottone nascosto sul bastone. Velocemente, due lame spuntarono fuori dalle due
estremità. Erano lucenti, levigate, pulite, quasi trasparenti. Persino all'interno
di quel salone così tetro, brillavano di luce propria. Erano molto lunghe ed
affusolate, avrebbero tagliato una testa in pochi secondi.
"Mi perdoni, madre, ma di
che..." Non fece in tempo a finire la frase che Nova, con un gesto
fulmineo, appoggiò una delle lame sulla mano di Erian. Al solo contatto, un
rivolo di sangue cominciò a sgorgare da un piccolo taglio.
"Di che materiale sono fatte?
Di diamante, duro ed infrangibile. E' la riproduzione di una vecchia arma usata
nel medievo per le torture, interessante, non è vero? Prendila, è tua. Sarà la
tua nuova arma."
La prese, incredula. Era stato un
dono veramente ottimo, un'arma unica ed invincibile.
"Vi ringrazio." Si
inginocchiò di nuovo, facendo ritornare le lame al suo posto.
"Ora andatevene immediatamente.
Ho dei compiti da assolvere." Detto questo, si girò e cominciò ad
esaminare alcuni file in un computer.
I due, senza proferir parola,
aprirono la porta ed uscirono. Tra quelle stanze vigeva la regola del silenzio
assoluto, in ogni momento. Presero una boccata d'aria e poi, ritornando
all'ascensore, si prepararono a ritornare a casa.
Nessun
galerians ama particolarmente dividere la propria casa con altre persone. Sono
esseri molto schivi di natura, preferiscono passare le ore libere imparando
nuove tecniche di combattimento o studiando a fondo una missione. Amano i luoghi
piccoli, non troppo luminosi, in città. Si sentono bene quando le loro narici
sono pervase dai gas di scarico delle macchine, dall'odore di zolfo che viene
dalle sporche fogne cittadine. Ad ogni galerians viene affidato un
appartamento, che devono tenere in ordine e, soprattutto, deve essere il luogo
di riferimento per gli emissari di Nova.
Erian
era un'eccezione. Ella, difatti, sebbene avesse sporto reclamo già due o tre
volte, doveva dividere la sua dimora con Rion, suo fidato compagno di missione.
Era uno squallido locale con tre stanze, in uno squattrinato condominio, non
troppo lontano dalla Mushroom Tower di modo che, se ci fosse stata qualche
emergenza, sarebbe potuta accorrere ad aiutare sua madre. Ma la cosa che più la
infastidiva non era la sua convivenza forzata con lui che, in fin dei conti,
era una persona di poche parole. Lei odiava la sua natura.
I
galerians si dividono in due branche fondamentali: coloro che sono stati
programmati su base umana e coloro che, invece, sono stati creati totalmente in
modo artificiale. I primi, in un remoto passato, erano stati degli esseri umani
mentre i secondi sono a tutti gli effetti macchine, più o meno mortali. In un
primo momento venivano usate delle cavie, poi si era passati ai barboni e alla
gente di strada, infine il reclutamento era volontario. Chiunque voleva porre
la parola 'fine' alla sua vita, preferiva diventare un galerians piuttosto che
suicidarsi. Molto spesso era una specie di vendetta nei confronti dello stesso
genere umano, che raramente dimostrava di avere compassione verso la gente meno
fortunata.
Rion
era un umano, soltanto per questo Erian lo odiava. Lei considerava ogni
rappresentante di questa fascia un inetto, perchè avevano troppa pietà per i
loro nemici. Non riuscivano a guardare con freddezza l'avversario, si
lanciavano spesso in discussioni stupide e senza senso, invecchiavano e,
infine, morivano. Quelli come lei, fatti di chip e metallo, conservavano la
loro bellezza anche per più di cento anni, senza sfiorire. Non si riteneva la
migliore, ma considerava gli altri un palmo al di sotto di lei. C'era sempre
stata questa discriminazione, con le radici troppo affondate nel passato
affinchè si cambiasse la consuetudine.
Camminavano
in silenzio, l'uno accanto all'altra, evitando di guardarsi o di fare
riferimento alla missione che avevano compiuto poco fa. Erano invitati al
segreto più assoluto tanto che, al di fuori della torre, non doveva essere
fatta parola degli ordini che ricevevano o che avevano ricevuto da Nova. La
loro casa distava all'incirca quattro isolati e, a piedi, ci voleva un quarto
d'ora, niente di più. Le bande di teppisti che incontravano lungo la strada, li
temevano, visto che, l'ultima volta che li avevano fermati, erano andati tutti
quanti all'ospedale, con una o più fratture.
Salirono
le scale del condominio velocemente, sotto lo sguardo spaventato del custode.
Non sapeva chi fossero, l'unica cosa che gli interessava era il pagamento
dell'affitto, e loro erano sempre stati puntualissimi. Non appena varcarono la
soglia, sentirono subito l'aria pesante e consumata, dovuta all'oscurità
permanente che vigeva in quella casa. Aprivano raramente le finestre e, le
poche volte che succedeva, era perchè dovevano pulire il balcone infestato dai
topi.
Erian
si diresse subito verso la sua camera, cercando di riposare un poco, quando la
voce di Rion la costrinse a fermarsi.
"Allora,
a quanto pare la madre è rimasta molto soddisfatta di quello che hai
fatto." Disse, con voce tranquilla. Gli piaceva molto fermarsi a discutere
con gli altri ma, purtroppo, la ragazza era un tipo di poche parole.
"Così
pare." Lo liquidò in un istante, sbattendo violentemente la porta. Non
voleva instaurare una conversazione, a meno che non ci fosse stato il bisogno
impellente.
Il
ragazzo fissò per un attimo la porta e, sospirando, scosse la testa. Sapeva di
non esserle simpatico e, le poche volte che parlavano, le loro discussioni
andavano avanti un monosillabo alla volta. Certo, non che lui volesse fare le
classiche parlate da bar, però voleva cercare di socializzare, nel limite del
possibile. Si ripeteva in continuazione 'Vedrai, prima o poi riuscirà a dirti
qualcosa' ma, ancora, quel momento non era arrivato.
Era
quasi mezzanotte e, sebbene l'ora di cena era passata da un pezzo, mangiarono
qualche avanzo che c'era in frigorifero. La vita dei galerians non aveva orari,
ognuno si doveva adattare alla missione affidata che, delle volte, poteva
occupare l'intero pomeriggio. Alcuni erano costretti a pranzare alle 8.00 di
mattina o cenare alla 4.00 di notte. Era questo il prezzo per essere macchine
al servizio di Nova: essere dei completi burattini nelle sue mani.
Anche
durante il loro pasto fugace rimasero in silenzio, cercando di ingerire quanta
più roba possibile in poco tempo. Ogni tanto, Rion le lanciava qualche sguardo
ma lei osservava il vuoto davanti a sè, come incantata da una forza misteriosa.
Erian, dal canto suo, era molto preoccupata. Doveva andare di nuovo in
missione, fin lì niente di strano, però la madre le aveva donato un'arma...non
era mai buon segno quando accadeva. Significava che c'era qualcosa di grosso in
vista, di molto grosso.
"Ho
sentito delle voci in giro, due o tre giorni fa, alla Mushroom Tower."
Esordì il ragazzo, attirando l'attenzione. "Pare che siano
tornate..." La forchetta che Erian teneva in mano cadde rovinosamente a
terra.
"Loro?"
Domandò, rivelando un po' di stupore nel suo tono di voce.
"Esattamente.
Ma non è questo quello che mi turba. Pare che Alhena ed Adhara vengano con noi,
in missione." Al pronunciare quei nomi, rabbrividirono entrambi.
Erano
tristemente famose, tutte e due. In un primo momento si pensò che fossero
amiche, poi saltò fuori che erano sorelle, anche se non si somigliavano
affatto. Entrambi erano a conoscenza della loro reputazione di assassine fredde
e spietate, che non provavano ilminimo
sentimento nell'uccidere la persona più innocente e pura del mondo. Si diceva
che, ai tempi della grande guerra civile, fossero state rapite dallo
'sfregiato', un uomo che torturava e seviziava le bambine, dopo aver rovinato i
loro volti con una lama da barbiere. Adhara ed Alhena furono le sue vittime.
Quando quell'essere fu catturato, erano già orribilmente mutilate, tanto che fu
deciso di mandarle in un orfanotrofio che gestivano alcune suore. Ma le cose, invece
di migliorare, erano peggiorate. Venivano prese in giro dagli altri bambini e,
infine, dopo neanche un anno, fuggirono.
Avevano
sentito parlare di Nova alla televisione, di nascosto, quando la madre
superiora non c'era. Presero una decisione: quella di diventare Galerians. in
un primo momento furono rifiutate ma, data la loro insistenza, le operarono.
Sostituirono le parti mancanti del volto e impiantarono nel cervello dei
congegni elettronici. Erano rinate. Alcune leggende metropolitane dicevano che
la loro prima vendetta fu verso le suore. L'orfanotrofio fu interamente
distrutto e tutti coloro che erano al suo interno...uccisi, con un solo colpo
di pistola alla tempia.
"Tu...le
hai mai viste?" Chiese Rion, un po' titubante. Era ancora immerso nei suoi
pensieri.
"No.
Le conosco solamente di fama. Se verranno a lavorare con noi, ben venga, mi
piace il loro modo di fare: sono veloci, efficienti e non lasciano tracce"
C'era un velo di ammirazione nella sua voce, una sorta di ammirazione
platonica.
"Beh,
se vuoi vai a letto, ci penseremo domani a pulire. Buonanotte." La
salutava sempre prima di andare a dormire, anche se lei non ricambiava mai. E
anche questa volta si alzò senza proferir parola ma, prima di entrare, gli fece
un cenno con la mano. Fu, inaspettatamente, contento. Anche se non voleva
ammetterlo, sapeva che era preoccupata perchè, in fin dei conti, la prossima
missione non si prospettava per niente facile.
Puntualità, una delle regole fondamentali da osservare per poter
essere un buon galerians. Nova esigeva la puntualità più assoluta perché
considerava il ritardo come una cosa disdicevole ed irrispettosa. Preferiva più
che qualcuno arrivasse in anticipo, piuttosto che in ritardo.
Erian e Rion erano arrivati davanti alla Mushroom Tower in
perfetto orario. Si erano alzati molto presto e non avevano fatto colazione,
onde evitare di perdere ulteriore tempo. Si erano vestiti molto velocemente e,
come al solito, avevano optato per dei vestiti comodi che davano poco
nell'occhio. Entrare nei loro armadi equivaleva ad essere immersi in un mondo
cupo ed oscuro. La maggior parte dei loro vestiti era di colore nero e blu e,
qualche volta, faceva capolino qualche capo viola; ma molto raramente.
Alcuni addetti li accompagnarono fino all’ascensore, stando bene
attenti a non guardare mai negli occhi i due ragazzi. Esisteva, infatti, una
leggenda metropolitana per la quale, se si guardava un galerians negli occhi,
si diventava come lui. Logicamente era tutta un’invenzione. Arrivati al grande
portale, lo aprirono con molta deferenza, stando bene attenti a non fare troppo
rumore.
Videro Nova che stava parlando con due ragazze, molto
probabilmente Alhena ed Adhara e, ad Erian, parve alquanto strano il fatto che
non fossero inginocchiate. La madre esigeva sempre il massimo rispetto dalle
sue creature, anche nelle piccole cose. Lei e Rion si scambiarono uno sguardo
d’intesa e, quando quegli occhi rossi si girarono verso di loro, si
inchinarono, abbassando la testa. Il corpo esile e metallico di Nova si
avvicinò piano, misurando i passi con grande fervore ed ansia. Il suo volto
era, come sempre, molto inespressivo, ma si poteva cogliere una nota di divertimento
nel suo atteggiamento, più spigliato rispetto alle altre volte. Non appena fu
sufficientemente vicina, Erian cominciò a parlare.
“Madre, i vostri umili figli Rion ed Erian sono arrivati.” Disse,
con voce atona e ligia.
D’un tratto, una delle altre due, si avvicinò. Aveva un portamento
molto altezzoso e, delle volte, anche volgare. Si avvicinava a grandi falcate,
mentre i suoi capelli biondi come il grano ondeggiavano. I lineamenti del suo
volto erano delicati, minuziosi, regolari. Aveva una bella bocca, grande e
carnosa, un volto liscio e delicato e due profondi occhi blu come il mare. La
sua espressione, tuttavia, era contrastante rispetto alla sua apparenza
angelica. I suoi occhi erano incurvati fino a formare un ghigno di disprezzo,
mentre sulle sue labbra si stava formando un sorriso ironico.
“Siete voi due i novellini?” Chiese, con sfacciataggine.
Per un momento, Rion fu tentato di alzarsi e di darle un pugno. E’
vero, non è che fossero molto grandi, nel senso di età, però avevano molta
esperienza. Di certo, non potevano essere considerati delle matricole. Cercò lo
sguardo di Erian, che però non riuscì a cogliere. Poi, d’un tratto, cominciò a
tremare. Nova non adorava le mancanze di rispetto.
“Sì, Adhara, sono loro.” Rispose la madre, senza essere
particolarmente arrabbiata od ostile. Era strano, molto strano.
Lo sguardo della ragazza era veramente raggelante, come se mille
pugnali acuminati gli attraversassero il cuore. Si poteva quasi sentire a pelle
un velo di disgusto, mentre incrociava le braccia al petto. Era molto alta di
statura, quasi 1.80 e, la sua espressione, non faceva altro che aumentare quel
senso di repulsione che si provava nell’osservarla.
D’un tratto, quasi per istinto, Erian si voltò verso l’altra, che
doveva essere senza ombra di dubbio Alhena. Si aspettava di trovare la stessa
ostilità ma, contro ogni sua aspettativa, vide due occhi che la fissavano,
molto dolcemente. Anche lei era piuttosto alta, forse più di Adhara, ma dava la
stessa sensazione che si può provare stando sotto all’ombra di un grande
albero. Aveva un aspetto umile eppure aggraziato, come una Madonna di
Raffaello. I suoi capelli ondulati, color mogano, risplendevano sotto la luce
artificiale della stanza.
Aveva due occhi color nocciola, molto espressivi, che sembravano
emanare un dolce profumo di rosa.
“Allora siete voi i ragazzi con cui lavoreremo. Piacere di fare la
vostra conoscenza, il mio nome è Alhena.” Si era avvicinata con passo felpato,
quasi come un felino.
Rion lanciò uno sguardo interrogativo ad Erian che, questa volta,
rispose allo stesso modo. Rimasero entrambi esterrefatti. Uno dei più temibili
galerians che era stato creato negli ultimi anni, uno dei preferiti di Nova,
era il realtà una donna dolce dallo sguardo gentile? Era tutto molto, molto strano.
Ci doveva essere qualcosa sotto, la fama di assassine non si guadagna da un
giorno all’altro.
“Dunque, tu devi essere…Erian mentre tu sei Rion, sbaglio?”
Domandò Alhena, sorridendo serenamente.
Rimasero tutti e due incantati a fissarla.
“Allora, vi siete forse mangiati la lingua? E’ buona educazione
rispondere ad una domanda, non vi pare?” Li rimproverò Nova, guardando le altre
due.
“Scusatemi…sì, siamo noi le persone con cui lavorerete.” Disse
Erian, un po’ turbata.
“Dunque, se ora non vi dispiace, mettetevi tutti in fila davanti a
me.” Ubbidirono all’istante. “Bene, prima di illustrarvi la missione vorrei
fare quattro presentazioni. La ragazza con i capelli neri, qui di fronte a me,
è Erian; Ha diciassette anni. Rion è l’unico ragazzo ed ha la stessa età della
ragazza di prima. Alhena è la donna con i capelli mossi; ha diciannove anni.
L’ultima, infine, è Adhara di diciotto anni.” Cominciò a camminargli intorno.
“Passiamo allo scopo di questa importantissima missione. Come ben sapete, da
molti anni un gruppo di ribelli cerca di opporsi al mio potere, qui a
Michelangelo City. Alcuni di loro sono stati catturati e, sebbene li abbiamo
sottoposti a molte torture, non ci hanno rivelato il luogo dove si radunano.
Tuttavia, grazie ad alcuni miei informatori, sono riuscita a sapere che stanno
preparando un ragazzo, che avrebbe le facoltà di uccidermi.Sono anche a conoscenza che, questo prescelto,
frequenta la Straub High School. Voi frequenterete quel prestigioso liceo e
dovete distruggere la persona che può uccidermi, è questo il vostro lavoro.”
Erian, nel sentire quelle
parole, sussultò. L’idea di Nova, effettivamente, era ottima, ma cercare un
ragazzo all’interno della scuola, è come sperare di trovare un ago in un
pagliaio. Per non parlare dei guai che sarebbero saltati fuori se i professori
avrebbero saputo della natura, del fatto che loro erano galerians. Sarebbe solo
un inutile spargimento di sangue.
“Erian, ti vedo perplessa. Non
hai forse capito?” Chiese Nova, con tono molto autorevole.
“Al contrario, madre, ho capito
alla perfezione.” Rispose.
“Eccellente. Ora andate a
cambiarvi, una macchina vi aspetta fuori per portarvi a destinazione.”
Salutarono la madre tutti e
quattro, facendo un piccolo inchino. Presero l’ascensore e raggiunsero il decimo
piano, dove erano situati gli spogliatoi. Non appena entrarono, videro delle
sgargianti uniformi. C’è chi fece una faccia sorpresa, ad Alhena scappò un
risolino, mentre Erian assunse una faccia disgustata. Odiava tutto quello che
poteva avere qualcosa a che fare con gli umani, qualunque cosa. L’idea di
mettere una loro uniforme, poi, superava tutte le sue più terribili
aspettative.
Si vestirono e scesero nel
cortile nel silenzio più assoluto, mentre una macchina nera li stava aspettando
per portarli alla loro destinazione.
L'idea di rinchiudersi dentro ad uno squallido edificio per alcuni
mesi, non allettava nessuno. Sebbene fossero combattenti al servizio di Nova,
odiavano restare troppo a lungo in una situazione sgradevole. Quasi tutti i
Galerians, al di fuori delle missioni, adoravano la libertà, anche se essa era
rappresentata solamente da un piccolo balcone in una casa sudicia. Volevano
essere indipendenti, nei loro limiti, senza essere costretti a sostare in
luoghi a loro non particolarmente consoni. Ma quella scuola...aveva qualcosa di
strano, di sinistro.
Era situata nel quartiere di Phlorin, dimora abituale di
giovani famigliole piene di soldi. Si potevano vedere villette dovunque si
girasse e, per qualche straniero, poteva sembrare una città a parte rispetto a
Michelangelo City. Era un luogo luminoso e allegro, dove si potevano incontrare
spesso alcuni bambini giocare per a strada. Poi, verso la campagna, si ergeva
quell'imponente edificio. Completamente nero, come la pece. Non era molto alto ma,
a lunghezza, superava decisamente l'ettaro quadrato. Aveva due piani e, come
tutti i licei più prestigiosi, aveva l'orologio nella torre centrale. Riusciva
a dare i brividi perfino alla persona più coraggiosa di questo mondo.
L'unica cosa che risaltava era, in assoluto, la divisa. I ragazzi
che entravano sembravano usciti da un cartone animato, tali erano sgargianti i
colori. Le ragazze portavano una giacca celeste, avvitata, una camicetta
bianca, una gonna blu oltremare e un fiocco rosso. I volti allegri e
sorridenti, poi, le rendevano quasi irreali. La gonna a pieghe che svolazzava
al vento e i capelli lasciati sciolti e selvaggi, conferivano un aspetto
aggraziato alle giovani che correvano per il lungo viale.
I ragazzi indossavano una giacca, sempre azzurra, un paio di sobri
pantaloni neri, la camicia bianca e una cravatta rossa. Assieme alle ragazze
formavano un delizioso quadretto giovanile, come in un film degli anni '60. Ma
ora eravamo nel 2052, che senso aveva tanta stravaganza? Nessuno riusciva a
capirlo. Il preside diceva di essere una persona tranquilla e mite, a cui piace
ricordare i bei tempi che furono. Intanto, quell'edificio nero ma al contempo
colorato, lasciava perplesse molte persone.
La maggior parte degli studenti che si iscrivevano alla Straub
High School erano ragazzi di buona famiglia a cui piacevano i colori
sgargianti. I quattro Galerians, al contrario, odiavano portare addosso quei
vestiti così particolari. Proprio loro che, come gli era stato insegnato,
dovevano andare in giro vestiti nel modo meno vistoso possibile. Abiti scuri e
niente cose troppo stravaganti. Adhara non era contenta della gonna troppo
corta, Rion odiava portare la giacca e la camicia, Erian non sopportava di
vedere tutti quegli stramaledetti colori tutti insieme. Lei che, nel suo
armadio, aveva esclusivamente abiti neri, fatta eccezione per il suo cappotto
blu scuro. L'unica che non si stava facendo troppi problemi era Alhena.
"Non mi sembra il caso di arrabbiarsi a causa della divisa.
E' vero, è un po' lontana dai nostri standard, ma nonostante tutto non
indosseremo più cose del genere perciò...tranquillizzatevi." Aveva detto
così, sfoderando un sorriso solare. Riusciva ad infondere calma e tranquillità
a chiunque si avvicinasse; sembrava più un'insegnante di musica piuttosto che
una macchina per uccidere.
Ognuno di loro fu dislocato in classi diverse, a seconda della
loro età. La vicepreside si era dimostrata subito molto disponibile e, dopo
aver fatto fare a tutti e quattro un giro completo della scuola, li aveva
accompagnati nelle rispettive classi. Era una donna piuttosto giovane, sulla
trentina, molto ben vestita. I suoi capelli ricci e rossi le davano l'aspetto
di una straniera e, persino i suoi occhi verdi, sembrava sprizzare vivacità.
Era una neolaureata, proveniva dalla vicina Wavell University. Parlava molto e
sorrideva spesso...insomma, una persona ai loro occhi odiosa. La prima da
uccidere, nel caso che fossero stati scoperti, era proprio lei.
Rion ed Erian, dato che avevano entrambi 16 anni, furono messi in
classe insieme nella 3° E. Alla ragazza non andava propriamente a genio, però
erano ordini superiori e, di conseguenza, andavano rispettati senza fiatare.
Erano in un'aula nord, molto ben illuminata. Avevano 25 compagni e compagne di
classe. Non appena varcarono la porta, tutti cominciarono a fare commenti sui
nuovi arrivati; soprattutto perché avevano una bellezza capace di mozzare il
fiato. Erian e i suoi occhi di ghiaccio, Rion i suoi capelli biondi e gli occhi
verdi. Erano così perfetti da non sembrare nemmeno umani e, in fondo, era
proprio così.
"Loro sono Erian Vickers e Rion Steiner. Sono i due nuovi
alunni di cui vi avevo parlato qualche giorno fa. Vi prego di essere gentili
con loro." Disse il professore, rivolto alla classe. Poi, girandosi verso
i galerians, disse "Accomodatevi. Vi abbiamo assegnato due posti vicino in
fondo all'aula."
Annuirono e si incamminarono, senza fiatare.
Alhena era stata condotta fino al 5°C, una classe che si trovava
quasi in fondo al lungo edificio. Era in un padiglione a parte dove, oltre a
quell'aula, c'erano soltanto i laboratori di chimica e fisica. Camminava
allegramente, con il sorriso sulle labbra. Alcune matricole che passavano per i
corridoi si erano fermate ad osservarla. Non era cosa di tutti i giorni vedere
una ragazza così alta, quasi 1.85m, e al contempo così bella. I suoi capelli
mossi si muovevano con lei, ritmicamente, mentre avanzava a grandi falcate.
Bussò leggermente alla porta e, quando il professore la fece entrare, si
accorse che era la nuova alunna.
"Prego, ti stavamo aspettando." La fece entrare,
gesticolando con la mano. "Bene ragazzi, questa qui è la vostra nuova
compagna."
"Il mio nome è Alhena Martineau, piacere di conoscervi."
Abbassò la testa, inchinandosi un poco. Si levò un leggero sibilo di
ammirazione.
Adhara, invece, non era dell'umore ideale per spargere sorrisi ai
quattro venti. Girare con quegli stupidi vestiti la faceva imbestialire, senza
contare che odiava con tutto il cuore quella stupida della vicepreside, così
maledettamente sdolcinata. Camminava velocemente, mentre la sua espressione
diventava man mano più rabbiosa, facendo tremare di paura i ragazzi che
incrociavano il suo sguardo. Entrò in 4°B senza neanche bussare, sbattendo la
porta. Le venne incontro una signora abbastanza anziana, sorridendo.
"Oh, tu devi essere senza ombra di dubbio Adhara Irwin, non è
vero? Mi hanno detto del tuo arrivo." Si voltò verso la classe.
"Questa ragazza, d'ora in poi, sarà la nostra nuova compagna. Su, dì
qualcosa!" La esortò. Lei rimase in silenzio, muta, con il suo sguardo di
fuoco.
"Secchiona..." Disse qualcuno, dal fondo della classe.
Lei fece finta di non sentire e si diresse verso il suo banco, l'unico vuoto.
Le prime tre ore passarono molto velocemente, talmente velocemente
che i quattro non se ne resero neanche conto. Fecero finta di niente,
ascoltando le lezioni e, di quando in quando, prendendo degli appunti. Non
appena sentirono il suono della campanella, si diressero verso il tetto della
scuola, uno dei posti più tranquilli dell'edificio. C'erano alcuni ragazzi a
fare colazione, ma non ci fecero molto caso. Si fermarono in un angolo, lontano
dalla rampa delle scale.
"Ditemi, come vi trovate nelle vostre rispettive
classi?" Esordì Alhena, incrociando le braccia. Si appoggiò alla
ringhiera.
"I nostri compagni sembrano proprio degli stupidi inetti.
Parlare con loro è un passatempo assai stupido" Rispose Erian, scocciata.
Odiava conversare con le altre persone, la irritava perfino parlare con Nova,
sebbene fosse necessario. Inoltre, avere qualche rapporto stretto con degli
esseri umani, la disgustava profondamente.
"Mi permetto di dissentire, Erian." La rimproverò.
"Magari parlare con loro non può essere gradevole, ma è strettamente
necessario per il buon esito della nostra missione. Trovare il prescelto non
sarà così semplice, perlomeno non come le missioni che abbiamo svolto fino ad
ora. Questa scuola è piena di ragazzi che potrebbero essere dei possibili
prescelti, perciò instaurare un rapporto fiduciario ci aiuterà a fare
prima." Parlava con un vasto vocabolario, pieno di parole strane ed
estremamente varie. Possedeva una straordinaria abilità oratoria, capace di
azzittire chiunque, perfino il più tenace parlatore.
Rion lanciò uno sguardo ad Erian, come per ammonirla della sua
ultima affermazione.
"Tu puoi dire quello che ti pare, a quei stupidi non
rivolgerò mai la parola!" Controbatté Adhara. Non appena sentì la
campanella suonare se ne andò senza salutare. L'amica sospirò, scuotendo la
testa.
"Ne parleremo a casa. Ora sarà meglio tornare a
lezione..." Disse, incamminandosi, seguita dagli altri due.
Finite le altre ore di lezione pomeridiana, i quattro galerians
poterono finalmente tornare a casa. Non avrebbero mai creduto che ascoltare
tutte quelle spiegazioni da parte dei professori fosse così estenuante. Loro,
che fin dalla tenera età, erano stati iniziati a ore di studio a livelli
universitari, trovavano noiose tutte quelle moine per riuscire a spiegare dei
teoremi così semplici. Matematica, fisica, chimica, biologia, italiano, storia.
Con la loro preparazione culturale potevano tenere un seminario in qualsiasi
facoltà.
Nova esigeva la massima rigidità nell'addestramento di ciascun
galerians. Ognuno di loro doveva passare minimo otto ore sopra i libri, dedito
a studiare dai poemi classici fino ai nuovi libri sull'evoluzione informatica.
Affiancato a tutto ciò, c'era un severo allenamento fisico: atletica, arti
marziali, sviluppo dei poteri psico-mentali, tiro con l'arco, uso di armi da
fuoco. Terminati i quattro anni necessari per il preparamento, ogni macchina
era in grado di badare a sè stessa e, soprattutto, di proteggere la madre. Era
così che funzionava, alla Mushroom Tower. Chiunque trasgrediva le rigide
regole, veniva frustato e rinchiuso nella cella di isolamento per una
settimana. Tutti, prima o poi, c'erano stati.
I primi a rientrare furono Alhena e Rion, visto che Adhara ed
Erian erano state trattenute a scuole. Difatti, i professori e la vicepreside,
volevano avere qualche informazione sulla famiglia dei quattro, il loro
indirizzo e un numero di telefono con il quale rintracciarli. Gli altri due
avevano camminato sempre l'uno accanto all'altro. Delle volte il ragazzo
lanciava qualche sguardo furtivo verso di lei che, ogni qual volta se ne
accorgeva, ricambiava sorridendo. Più la conosceva, meno Rion riusciva a capire
quale fosse il carattere di Alhena. Poteva benissimo indossare una maschera
sorridente e, se ce ne fosse stato bisogno, toglierla per mostrare il vero
volto. Però i suoi occhi non sembravano mentire...avevano solo una profonda
tristezza.
"C'è una pace irreale qui dentro. Per nostra fortuna, abbiamo
mandato Adhara ed Erian a parlare della nostra situazione familiare. Mi piace
stare in tranquillità quando lavoro e, credimi, sentire quelle due litigare mi
fa sentire male. Non capisco come mai, forse è per incompatibilità di
carattere. Non trovi?" Domandò Alhena, guardando il ragazzo. Lui,
imbarazzato, sorrise debolmente e varcò la soglia.
"Effettivamente..." Cominciò. Gli piaceva parlare, però
si trovava a disagio. "...sì, senza sentire quelle due che bisticciano si
sta molto meglio."
"Lo sai, mi sembri un ragazzo molto a posto." Sentenziò
lei, mettendosi a sedere sul piccolo sofa. Stava sorseggiando una tazza di the
freddo, che aveva trovato prontamente in frigorifero. Probabilmente i servi di
Nova li avevano riforniti di cibo. L'espressione beata di lei le dava un'aria
eterea, come se esistesse in un mondo a parte, un mondo popolato di miti e di
dei. Era come se mille farfalle volassero intorno a lei.
"E' stanca?" Gli faceva uno strano effetto darle del
lei, però gli era sembrato giusto e doveroso. Gli avevano insegnato che
bisognava portare rispetto alle persone più anziane. Lo considerava molto
onorevole e rispettoso. Vide che il volto di lei si era fatto curioso.
"Io? No, grazie per l'interessamento. Magari mi sono un po'
arrugginita visto che è da un po' di tempo che non vado in missione ma,
credimi, mi sono abituata al peggio." Rispose, ridendo. "Piuttosto,
non darmi del lei. Immagino che lo fai perchè ho due anni più di te, però non
mi piace. Mi fa sembrare molto più vecchia di quella che non sono. Dammi del
tu. Va bene?"
"Sì...Alhena." Lo aveva tranquillizzato. Per la prima
volta, dopo tante ore, era riuscito a non irrigidire i muscoli. Avrebbe voluto
farle tante altre domande, chederle tante cose, solo che non si sentiva pronto.
Era ancora molto intimorito, quella ragazza gli nascondeva ancora troppe cose
e, se avesse chiesto qualcosa di troppo personale, probabilmente lei non
avrebbe avuto una reazione non troppo gradevole.
Dopo qualche minuto di imbarazzante silenzio, anche Adhara ed
Erian tornarono da scuola. Probabilmente non avevano passato dei bei momenti
insieme, a giudicare dal volto contratto ed arrabbiato. Andarono nelle
rispettive camere senza fiatare, non salutarono nemmeno gli altri due che, per
mangiare, li avevano cortesemente aspettati. Rion guardò per un attimo Alhena,
nella speranza di trovare uno sguardo complice, invece trovò degli occhi molto
strani, avevano una luce che non aveva mai notato fino a quel momento. Qualcosa
in grado di far tremare la terra.
Il pasto fu consumato nel più assoluto silenzio. Ognuno mangiava
avidamente ciò che trovava nel suo piatto, senza badare agli altri. I servi di
Nova, come avevano immaginato, gli avevano fornito un piccolo quantitativo di
cibo, tale da sopravvivere per due o tre giorni. Nelle camere, inoltre, avevano
fatto trovare alcune buste con del denaro, necessario per fare la spesa. Erian
era di cattivo umore, l'aver passato tutto quel tempo con l'odiata compagna,
non aveva fatto altro che alimentare dei focolai. La odiava, sia per il suo
comportamento superiore, sia per il fatto che era la preferita della madre.
Rion aveva avvertito immediatamente quello stato di incredibile tensione.
"Allora ragazzi, vogliamo riprendere il discorso da dove
l'abbiamo interrotto questa mattina?" Disse Alhena che, inconsapevolmente,
aveva letto nei pensieri del ragazzo. "Vedete, per la buon riuscita della
missione, vorrei tanto che voi parlaste con i vostri compagni di classe. Lo so
che sarà difficile ma, evolvere allo stadio di conoscenti, può facilitare il
nostro compito, non trovate?" Sorrise. Non trovò altrettanta felicità nei
suoi interlocutori.
"Seriamente Alhena, seriamente, io odio questi discorsi. Li
odio con tutto il profondo del mio cuore. Non mettiamoci a parlare di amicizia
e di umani, le due cose che odio di più al mondo." La sentenza di Adhara
sorprese tutti quanti, sua sorella compresa. Aveva parlato in tono molto acido,
facendo ben intendere che, ciò di cui stava parlando, la disgustava
profondamente.
"Quello che tu dici può essere indubbiamente vero. Però la
situazione dipende solo da noi, e se la missione non riuscirà sai benissimo
che..." Non riuscì a terminare la frase che vide Adhara alzarsi.
"Dove pensi di andare?"
"Non ho la benchè minima intenzione di starti ad
ascoltare." Rispose, incamminandosi.
"Mettiti seduta..." La sorella non la stava ascoltando.
"Mettiti immediatamente seduta..."
"Te lo puoi pure scordare!"
Tutto accadde in pochi secondi. Alhena, furibonda, si alzò dalla
sedia camminando a grandi falcate. Rion ed Erian stavano osservando la scena,
incapaci di formulare un pensiero logico. La videro avvicinarsi con gli occhi
iniettati di sangue, mentre afferrava i capelli biondi di Adhara, che
strattonava a destra e a sinistra.
"Ascoltami bene, stupida ragazzina arrogante. Chi ti credi di
essere? So benissimo che non ho l'autorità di Nova e tu sai bene che io odio
alzare la voce per farmi rispettare dagli altri. Ma per quello che mi riguarda,
io non farò affatto una pessima figura. Se, d'ora in avanti, mi risponderai
come hai fatto questa sera, senza portare il minimo rispetto per me o per loro
due..." Disse, indicando Erian e Rion. "...non vedrai nemmeno l'alba
di domani. Mi sono spiegatao c'è bisogno che te lo ripeta ancora?"
Adhara era stupefatta. Sapeva che sua sorella non era il classico
tipo che adorava urlare ed umiliare gli altri, però questa volta l'aveva
riscoperta diversa. Aveva davvero a cuore la fine della missione e, se ciò
comportava calpestare il suo orgoglio, non importava. La stava fissando come un
leone fissa la sua preda, affamata, pronta a mangiarla se avesse risposto in
mal modo o se ne fosse andata.
"No, ho capito..." Disse molto piano. Sentì la stretta
di Alhena che si affievoliva sempre di più, lasciandola andare. Sua sorella se
ne andò in camera, sbattendo la porta. Fissò per un attimo gli alti due, che
avevano assistito a tutta la scena. "Beh, che avete da guardare?"
Rion fissò la ragazza che, contemporaneamente, aveva fatto lo
stesso. Insieme, si alzarono dal tavolo e si diressero verso le rispettive
camere, cercando di essere il più possibile freddi e distaccati. Nel volto di
Erian, però, l'espressione di profonda confusione non voleva proprio andarsene.
Quelle due galerians le stavano dando non pochi grattacapi. Prima le aveva
dipinte in un modo, ora doveva ricredersi. Prima di chiudere la porta, fissò
per un attimo Adhara, che era rimasta in piedi in cucina. Non riuscì a capire
se, quella cosa luminosa che vide, fu una lacrima.
La mattina seguente sembrava che niente
fosse accaduto. Niente lasciava intravedere la discussione della sera
precedente, tutto sembrava come relegato in una parte delle mente nascosta,
dove vengono archiviati i ricordi poco piacievoli. Si alzarono tutti di
buon'ora, facendo una fugace e semplice colazione. L'aria era colma di
tensione, si sentiva benissimo, però nessuno proferiva parola. Preferivano
vivere in una tormentata tranquillità piuttosto che rivedere la rabbia di
Alhena.
Proprio lei, la persona che più di
chiunque altra sembrava così calma e tranquilla. Se la guardavi, potevi
benissimo scambiarla per una madre dolce ed affettuosa, che aspetta trepidante
i suoi figli che escono da scuola. Gli occhi sempre così colmi di amore, che ti
guardavano con tenerezza e premura. La bocca socchiusa in un bel sorriso, il
viso sempre molto solare ed allegro. Ma la sera precedente era come se qualcuno
o qualcosa si fosse impadronito di lei. Una bestia feroce, un essere pivo di
umanità. Il volto contratto in un'espressione dura, mentre fissava la sorella
nei bei occhi blu. Solo in quel momento Erian avvertì una strana sensazione. Di
disagio, dolore, tristezza. Era qualcosa arrivato all'improvviso e, altrettanto
velocemente, era scomparso. Quella notte ci aveva ripensato diverse volte prima
di addormentarsi...
Si avviarono in silenzio, uno dietro
l'altro. Alhena era a capo della fila, senza il suo solito sorriso che rompeva
il ghiaccio. Si percepiva chiaramente che era ancora di cattivo umore. Adhara
sembrava assente, lo sguardo perso nel suo vuoto, la sua bocca che tentava di
aprirsi per sussurrare qualcosa, una parola, una frase. Non sembrava più la
tipa arrogante di sempre, era come se fosse un vegetale che vive solo per forza
d'inerzia. Rion si sentiva di troppo, in quella scenetta familiare. Gli
sembrava di essere un elemento scomodo, che doveva togliersi subito dai piedi.
Erian guardava le due sorelle con diffidenza. Anche lei avvertiva quella grande
tensione eppure, dentro di sè, sentiva che qualcosa doveva ancora accadere.
Non appena arrivarono davanti
all'ingresso della scuola, Adhara si fermò improvvisamente. Incrociò lo sguardo
della sorella che, come per magia, ne capì subito il motivo. Si voltò
dall'altra parte, le sorrise velocemente e superò il cancello. Poco dopo arrivò
Rion, lei gli fece cenno di andare avanti ma, quando fu il turno di Erian, la
bloccò con le braccia.
"Lasciami passare" Intimò. Lei
non accennò a muoversi, anzi, girandosi verso di lei, cominciò a fissarla.
"Ho bisogno di parlare con te."
Disse, con tranquillità. Non sembrava malintenzionata.
"Di tante persone è fatto il mondo,
molti sono i galerians nostri fratelli. Parla con chi vuoi, l'importante è che
mi lasci passare." Sentenziò, imperturabile.
"Non voglio parlare con altri, io
voglio parlare con te. In questo momento non ti sto affatto costringendo, non è
nelle mie intenzioni. Ma se tu non vorrai collaborare e non starai a sentire
quello che ho da dirti, allora mi vedrò costretta ad usare la forza. Ma tu, in
fondo, sei intelligente e sai bene che le mie non sono solo parole. Perciò te
lo ripeto, ho bisogno di parlare con te." I suoi occhi irradiavano una
strana luce...che però non aveva niente di malvagio.
"....va bene" Fu costretta ad
accettare. Se non fosse stata lei, se non fosse stata Adhara Irwin, persone
importante e potente, avrebbe volentieri rifiutato. Ma quelle parole, quelle
due semplici parole che avevano il sapore amaro di una sconfitta, le aveva
dette senza mezzi termini. Non poteva competere con lei, in forza e tecnica.
"Vi è concesso di restare a parlare
per un'ora soltanto. Mi farebbe piacere che voi ritornaste in classe quanto più
presto possibile. Non desidero assolutamente che siano sporti dei reclami
appena il secondo giorno di scuola." Alhena cercò di raccomandarsi, senza
nemmeno girarsi. La cosa che più le avrebbe dato fastidio sarebbe stata quella
di problemi relativi alla missione. Ogni cosa doveva filare liscio.
Adhara annuì con la testa e, facendo
cenno ad Erian si seguirla, si incamminò verso l'edificio scolastico.
Camminavano in silenzio, mentre alcuni studenti avevano cominciato a fare dei
commenti sulle due. Alcuni erano lusinghieri, altri un po' meno. Fecero finta
di non sentire, mentre salivano le scale per arrivare al tetto. Non appena
spalancarono la porta furono avvolte dall'odore tenue, ma allo stesso ricco di
profumi, del vento. Il sole le aveva momentaneamente accecate e, per riuscire a
vedere meglio, dovettero mettersi una mano davanti agli occhi. I loro capelli
volavano tranquilli, cullati dolcemente dalla brezza.
"Ascoltami con attenzione Erian,
non intendo ripeterlo due volte..." Cominciò Adhara avvicinandosi al
parapetto. "...so bene che tu non trovi pace, non sai perchè io ti odio
così tanto. Oppure, più semplicemente perchè odio così tanto chiunque, a parte
la mia cara sorella." Si voltò verso di lei, sorridendo cinicamente.
"Lo sai, sei molto famosa alla Mushroom Tower, ammetto di essere un po'
invidiosa."
"Non vedo il motivo per cui tu
debba esserlo. In fondo, tu sei molto più famosa di me. Sei conosciuta per la
tua bravura e la tua malvagità." Sorrise ironicamente anche lei.
"Già, forse hai ragione. Ma la
pecca di essere così brave è di vedere la sofferenza nel volto della gente che
uccido. Vedo i loro occhi supplicanti, li vedo invocare aiuto, per un momento
vorrei risparmiarli. Quella profonda paura mi attanaglia il cuore, sembra che
me lo stringa fino ad uccidermi. Ma poi rammendo qual è la mia utilità e così
affondo la lama. Poi quelle brutte sensazioni spariscono e spero con tutto il
cuore che non ritornino mai più. E invece accade il contrario. Ogni volta
urlano a gran voce dentro di me." Abbassò gli occhi, fissandosi i palmi
delle mani.
"Non vedo come questo discorso
poetico c'entri con me. Io non ho pietà delle mie vittime, come loro non hanno
pietà per la madre." Asserì Erian, sicura. L'altra ragazza le andò
incontro, prendendole le mani.
"Lo senti? Senti l'odore pungente
del sangue che ci impregna le mani? Riesci a sentirlo..."
In quel momento accadde una cosa
impensabile. Un tornado d'aria le avvolse, facendole sussultare. Adhara chiuse
gli occhi, mentre piegò la testa all'indietro come in preda alle allucinazioni.
Erian sentì una forza incredibile attraversarle il corpo finchè non vide. Tutti
i suoi ricordi, i ricordi di ogni persona che aveva ucciso. Sentì la loro
sofferenza, il loro timore. Si piegò, tanto era il dolore che le lacerava il
petto. Per la prima volta nella sua vita capì cosa significava stare dall'altra
parte. Per la prima volta comprese cosa significava essere la vittima e non il
carnefice. Aprì gli occhi e vide le sue mani, piene di sangue, così tanto
sangue che le aveva sporcato addirittura i vestiti. In quel momento Adhara la
lasciò e tutto tornò esattamente com'era. Quello che la ragazza aveva
sperimentato era uno dei poteri mentali del galerians. Un potere tanto semplice
quanto devastante.
"Perchè l'hai fatto?" Le
domandò Erian che, stremata, si accasciò al suolo.
"Per farti comprendere quanto sia
grande il dolore. Perchè io lo sperimento ogni volta che uccido, e ogni volta
mi sento sempre più umana. Ho avuto qesto dono da Nova, se di dono si può
chiamare. Per non soffrire più ho dovuto chiudere il mio cuore. Anche tu sei
come me...solo che tu hai chiuso il tuo cuore per non ricordare." Le tese
una mano. "Noi non siamo dei diavoli, ma ancor meno dei santi. Noi siamo
solo degli angeli portatori di morte. Tutti ci temono, tutti ci schivano. Ma,
in fondo, credo che anche noi possiamo essere capaci di amare. Possiamo amare profondamente,
come riusciamo ad odiare. E tu cosa ne pensi? Dopo questa esperienza credi
ancora di essere solo una gelida macchina? Ognuno è fragile a modo suo, come io
sono fragile con mia sorella Alhena. Dunque, se sei d'accordo, puoi prendere
questa mia mano e rialzarti, consapevole di tutto questo. Oppure puoi rimanere
per terra ed alzarti con le tue forze, convincendoti che quello di prima è
stato solo un incubo. Ebbene, cosa voi fare? Accettare e rifiutare?"
Dopo un momento che sembrò
interminabile, Erian riscì a sollevare il busto da terra. I suoi occhi
cristallini incontrarono gli occhi profondi di Adhara. Distese il braccio e,
alla fine, prese la mano che l'altra le offriva.
Dopo
quanto era successo sul tetto della scuola, Erian, in cuor suo, sapeva che
qualcosa era cambiato. Non lei, come persona o come galerians, ma il suo modo
di pensare e di concepire il mondo. Era più consapevole, più consapevole del
fatto che il dolore era qualcosa di fisico e materiale, qualcosa che si poteva
toccare. Adhara le aveva in qualche modo fatto capire che, in realtà, lei non
era la macchina priva di umanità che credeva di essere. Era stata capace di
provare dei sentimenti, come era già stata capace di provare odio.
Questi
pensieri le rigirarono in testa per tutta la mattina, bussando alle porte della
sua mente, come orde di barbari che vogliono conquistare la città. Più lei
cercava di ricacciarli dentro, più loro bussavano. Aveva accettato la mano di
Adhara, e questo significava che lei era diventata consapevole della sua
posizione, ma mille dubbi continuavano a vorticarle dentro. Se lei era
veramente un galerian, fatto solo di chip e metallo, come era stata in grado di
provare tutte quelle cose? Il semplice fatto di essere stata coinvolta così
tantola turbava. Era stata scossa in molte delle sue certezze, certezze che
nessuno, a parte Nova, poteva sapere.
Ma,
alla fine, la mattinata passò abbastanza tranquilla e, usciti da scuola, si
incontrarono tutti quanti al cancello per tornare a casa insieme. Rion cercava
lo sguardo di Erian ma non era ancora riuscito a catturarlo. Era come se
cercasse di sfuggirgli, come se quei occhi di ghiaccio non volessero incontrare
i suoi. Lei continuava a camminare a testa bassa, riflettendo. Avrebbe fatto
carte false per sapere cosa l'attanagliava, per riuscire a cogliere un solo,
piccolissimo, suo pensiero.Ma il
rispetto nei suoi confronti era ben superiore alla sua curiosità, così preferì
tacere.
Alhena,
che di certo una stupida non era, sapeva cosa era successo. Coglieva nell'aria
un certo nervosismo, troppo per i suoi gusti. Le rivelazione che Adhara aveva
fatto ad Erian potevano avere conseguenze terribili. L'aveva messa a conoscenza
di qualcosa di importante, troppo importante per voltare la testa e guardare
altrove. Ma, inconsapevolmente, sul suo volto si dipinse un piccolo sorriso.
Aveva fiducia nei suoi compagni, sapeva che non l'avrebbero tradita e che non
avrebbero messo a repentaglio il buon esito della loro missione. I suoi occhi
nocciola si posarono alcune volte sulle loro teste, cercando di vedere le loro
reazioni. Ognuno di loro aveva i suoi pensieri, che erano e dovevano restare
segreti e personali. Poi, d'un tratto, vide Rion avvicinarsi a lei.
"Allora,
cos'è che ti turba mio caro ragazzo? Non dire niente, lo leggo dai tuoi occhi
pensierosi" Disse lei, spostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi.
"Io,
non voglio essere scortese o maleducato, ma non riesco a capire come mai i
rapporti tra di noi si siano così raffreddati." Abbassò gli occhi,
intimidito. Non si sarebbe mai aspetto che lei gli rivolgesse la parola. Si era
avvicinato perchè si sentiva di troppo tra Adhara ed Erian. Era come se si
stessero mandando dei messaggi nascosti, sussurrando frasi talmente piano che
l'orecchio umano non è in grado di sentire
"Non
hai di che preoccuparti per la tua amica, dolce Rion. E questo non è il momento
adatto per parlarne. Ogni cosa a suo tempo, presto scoprirai cosa c'è che la turba
e, forse, tra poco lo sperimenterai anche tu." Aumentò il passo,
distanziandolo.
"No,
ti prego, aspetta!" La intimò, cercando di seguirla. Lei si girò,
gelandogli il sangue con lo sguardo. Era di nuovo venuta fuori la bestia
selvatica, che non ha pietà delle sue prede e che non è capace di provare
sentimenti sinceri. Capì che il suo non era un consiglio, ma piuttosto un
ordine. Un ordine da seguire in religioso silenzio. Adhara aveva visto, sapeva
cosa era successo, ma era consapevole che prima o poi sarebbe giunto il momento
di liberare il suo potere, di far vedere a tutti ciò che nascondeva nei meandri
del suo cuore.
Non
appena varcarono la soglia di casa, ognuno di loro si rifugiò in camera, nella
speranza di trovare quell'atmosfera silenziosa e tranquilla di cui tutti
avevano bisogno. Alhena, dopo alcuni minuti, tornò in cucina e cominciò a
preparare la cena. Sembrava quasi aver ritrovato il classico buonumore che la
contraddistingueva. Tagliava le carote intonando una dolce melodia con la voce.
Adorava stare da sola ed impegnarsi con qualcosa, le dava la bella sensazione
di essere viva e libera, nel limite della sua natura, ovviamente.
Molte
volte si era ritrovata a pensare a cosa avrebbe fatto se avesse deciso di
abbandonare la causa di Nova. Molto probabilmente sarebbe morta o, nel migliore
dei casi, sarebbe sopravvissuta grazie all'esprienza acquisita compattendo. Ma
niente l'avrebbe fatta sentire viva. Aveva un nome e basta, non aveva un'età
ben precisa, non aveva un posto in cui tornare, non sapeva dove era nata, non
poteva lavorare, non poteva avere una casa, non poteva sposarsi ed avere dei
figli. Lei non era altro che una macchina, una macchina che senza energia
smette immediatamente di funzionare. La cosa la rattristava, ma era pur sempre la
verità.
Tra
mille pensieri, la cena fu ben presto servita. Tutti mangiarono in silenzio,
evitando di guardare gli altri negli occhi. Furono molto sorpresi delle abilità
culinarie di Alhena ma, in fin dei conti, in addestramento ti insegnavano anche
questo. Non appena ebbe finito, Erian fu tentata di tornare in camera sua per
riposarsi, il giorno appena passato l'aveva resa stanca. Cercò di alzarsi ma fu
subito fermata dalla forte mano di Adhara.
"Resta
con noi, per favore. Ho bisogno di parlarvi, di parlare con tutti voi."
Accentuò di più le ultime due parole, a buon rendere. L'altra, dopo un momento
di diffidenza, fece come le avevano detto. "Innanzitutto mi scuso con mia
sorella, perchè mi rendo conto che le mie affermazioni delle volte sono stupide
e non ponderate. Ma veniamo al succo della questione. Dunque, è giusto rendervi
partecipi di una parte delle mia vita che, in realtà, è una parte anche della
vostra. La nostra compagna qui presente capisce cosa intendo, come penso lo
capisca mia sorella. Nova mi ha donato un potere, un potere terribile. Noi
siamo stati creati per uccidere, come tutti i galerians, e come tali dobbiamo
sottostare agli ordini della madre. Io sono diventata una macchina di morte di
mia spontanea volontà, senza che nessuno mi costringesse. Ma dentro di
me...dentro di me sento la sofferenza delle persone che uccido."
Rion
rimase per un momento senza parole, non sapeva cosa dire e non capiva bene cosa
intendesse dire la compagnia. "Non comprendo." Disse, infine.
"Non
comprendi? Oh, comprenderai..." Come era successo con Erian, il corpo del
ragazzo fu avvolto da un forte vento, Alhena si coprì gli occhi con una mano,
per non guardare all'interno del vortice, per non ricordare le persone che
aveva ucciso. Rion sentì come una pugnalata al cuore, poi rivide, uno ad uno,
tutti quelli che aveva ucciso. Sentì le sue mani sporche del loro sangue, che
gli colava persino dai capelli e dal volto. Rimase senza fiato e gli sembrò di
soffocare, fin quando l'illusione si sciolse e si ricordò di essere in casa.
"Cosa
è successo? Che mi hai fatto?" Chiese, tremante.
"Ti
ho fatto sentire quanto è devastante il tuo potere. Loro due l'hanno già
saggiato e c'eri rimasto solo tu. E ora, ditemi, siete disposti ad accettare la
realtà? Siete disposti ad accettare il fatto che noi possiamo provare dei
sentimenti? Siete disposti...a non uccidere più a meno che non ne siamo
costretti? So bene che è il nostro scopo, ma ora sapete che cosa succede alle
persone innocenti che periscono per mano nostra. Siete con me?"
Subito
dopo, Alhena fece cenno di sì con la testa. Dopo un momento di confusione,
anche Rion fece cenno di sì. Tutti gli occhi si spostarono su Erian, che se ne
stava seduta a testa bassa. Alzò un momento lo sguardo e incontrò i loro occhi,
fiduciosi e tristi.
"Sono
con voi." Disse, alzandosi ed andando in camera. "Ma non posso
assicurarvi che riuscirò ad accettare le vostre condizioni, perchè in fondo io
sono un galerian, e niente cancellerà quello che esiste ora."
Capitolo 9 *** Una nuova vita, una nuova alba. ***
Capitolo 9
UNA NUOVA VITA, UNA NUOVA ALBA.
La
mattina successiva sembrava aver spazzato via i ricordi della sera che,
inequivocabilmente, nessuno dei quattro ragazzi sarebbe riuscito a dimenticare.
Era stato tutto così strano ma, al contempo, era come
se fossero diventati consapevoli di una realtà che, fino a quel momento, non li
aveva nemmeno sfiorati. E’ pur vero che non esiste alcuna persona che prova a
vedere i fatti sotto una luce diversa, sotto dei punti di vista diversi. Analogamente, anche i galerians non si erano mai
resi conto di cosa voleva veramente dire essere una vittima, delle
volte uccisa con la più spietata freddezza. Era come se Adhara gli
avesse donato qualcosa, come se gli avesse donato una parte di sé stessa.
Quest’ultima
si alzò piuttosto di buon ora, quando non era ancora
giunta l’alba. Riusciva a sentire che dentro di lei qualcosa stava cambiando.
Per la prima volta, dopo lunghi anni, si era destata da sola e gli incubi che sognava perennemente ogni notte erano spariti. Sapeva di
aver condiviso con gli altri una parte importante di sé e, con tutte le
emozioni che vorticavano nella testa, non riusciva a rendersi conto se, in
realtà, era sollevata oppure angosciata. Paura, sicurezza, dolore, gioia,
tristezza, consapevolezza. Il suo cervello, in quel momento era un’insieme di tutte queste cose.
Indecisa
su cosa fare, si indirizzò verso il piccolo e sudicio
balcone. Affacciandosi, vide la vita cittadina che si stava svegliando dal suo pacifico
sonno. Pian piano, tutti gli esseri umani, per loro natura
frenetici ed irrequieti, cominciavano ad andare al lavoro, sebbene fosse ancora
buio. Ma le strade erano così diverse da come le si
potevano vedere di giorno. Per la prima volta, dopo tanto tempo, si
fermò ad osservare ciò che la circondava.
Vide
le luci dei palazzi adiacenti che, a mano a mano, si accendevano. Sulle strade,
prima vuote e pericolosamente silenziose, cominciavano a riversarsi i
lavoratori. Una leggera brezza sembrava ripulire l’aria pesante e satura di
smog che caratterizzava l’intera Michelangelo City.
Per un momento, come un fulmine a ciel sereno, si ricordò del suo periodo
passato all’orfanotrofio. Fu sorpresa, sapeva bene che i galerians creati da un
corpo umano non avevano ricordi però arrivò tutto
senza il minimo preavviso.
Ricordò
i campi verdi spazzati dal vento, le tre vecchie sequoie che sembravano
osservarti dall’alto della loro imponenza. Il sole che ti
accarezzava dolcemente la pelle, mentre eri fuori a giocare. Sebbene la sua non fosse stata un’infanzia felice, riusciva
a ricordarsi soltanto i momenti piacevoli passati in compagnia delle suore. Era
come se la scatola rossa dei suoi ricordi si fosse aperta su una pagina scritta
in bella grafia, dove c’erano disegnati delle belle margherite.
D’un tratto provò un’infinita tristezza. Da quando abitava in città, non
si era più potuta fermare ad osservare le meraviglie
che la natura offriva. Non si era più emozionata nel vedere un tramonto, odiava
la neve e non le interessava vedere il cielo blu di una giornata estiva,
tappezzato qua e là di candide nuvole bianche.
Quando il sole cominciò a sorgere, segnando l’inizio di un nuovo
giorno, Adhara alzò gli occhi. Tutto il suo viso era circondato da un’aura di
placida tranquillità e i suoi capelli biondi, con la luce, avevano assunto degli
splendidi riflessi dorati. Talmente belli che potevano
sembrare irreali, talmente flessuosi da apparire come un cuscino di morbide
piume. I suoi occhi blu come il mare risplendevano
e, allo stesso tempo, infondevano speranza. Non sembrava più la malinconica e
irritante Adhara, ma appariva quasi come una visione, come quella di Venere che
nasce dalle acque. Delicata al punto di poterla
rompere anche solo sfiorandola.
“Ben
svegliata, sorella mia.” Disse Alhena, sorridendole dolcemente.
“Da
quanto sei qui?” Le domandò l’altra, continuando a fissare il vuoto.
“In
fondo, ha così importanza saperlo? Quello che conta non è sapere da quanto…ma
come sono stata qui.” Si appoggiò al ballatoio. “Ti do
fastidio, se guardo il sole assieme a te?”
Fece
cenno di no con la testa. Rimasero per alcuni minuti così, l’una accanto
all’altra, mentre quella grossa palla gialla che era il sole, lentamente, si
stava alzando dallo zenit. Alhena chiuse gli occhi, cercando di scacciare il
freddo mattutino che, lentamente, si impossessava
delle sue membra.
“Ti
ricordi?” Esordì allora Adhara.
“Cosa?” Chiese, incrociando le braccia al petto.
“Anche quel giorno c’era un’alba così bella. Così bella da
togliere il fiato. Ma quell’alba, per noi, avrebbe
significato smettere di esistere, smettere si esistere come persone, come
esseri umani. Nessuna di noi sapeva se avrebbe visto il tramonto, se sarebbe
giunta la notte eterna. Ma forse, se siamo ancora qui,
qualcuno lassù in cielo non si è dimenticato della nostra vita. Perché, in
fondo, al mondo ci siamo anche noi due.”
Lo
sguardo di Alhena diventò improvvisamente mesto.
Sapeva bene a cosa faceva riferimento la sorella. Si ricordava, come se fosse
stato ieri, cosa era successo in quella piovosa mattina di dicembre. Lei ed
Adhara erano scappate dall’orfanotrofio e, dopo tanto
vagare, erano giunte alla conclusione di dire basta a quella squallida vita che
facevano. Quella mattina avevano deciso di diventare galerians, per dimenticare
quello che era e quello che sarebbe stato.
“Non
potrei mai dimenticare. Quel giorno, che noi chiamavamo ‘avvenire’, è diventato la mia persecuzione. Da un po’ di tempo mi
capita di riflettere a questo proposito e, ogni volta, giungo
alla conclusione che sarebbe stato meglio morire piuttosto che diventare
quella che sono. In fondo non rimpiango le mie scelte, perché quando le ho
fatte ero sicura, ma se prima di farle avessi saputo…magari il mio futuro
sarebbe stato diverso.” Abbassò la testa, spostando
alcuni ciuffi di capelli dagli occhi.
“Io
non credo che sia così. A quel tempo eravamo due ragazzine che si chiedevano
cosa aveva da offrire il mondo. E, per quanto ci
sforzassimo, la risposta era sempre la stessa: niente. Questo mondo continua a
non offrirci niente di veramente concreto, ma ci siamo guadagnate un posto in esso. Con sangue e sudore.”
“Forse
hai ragione.” Sospirò, sorridendo. “Però vorrei tanto non essere mai diventata
la bestia che sono.”
“Anche io Alhena, anche io vorrei tanto non essere diventata
così. Perché, prima di diventare un galerian, io non ero così dannatamente
cinica e fredda.” Dalla sua voce emergeva tutto l’odio
che poteva provare per Nova, per quella macchina che non aveva fatto altro che darle una vita di schiavitù, dove l’unico dono era quello di
adorarla e servirla. Improvvisamente, sentì la mano di Alhena
sulla sua spalla.
“Questa…è
la nostra alba. Ogni giorno mi sento bene nel sapere che qualcuno ha creato
tutto questo, tutta questa incredibile meraviglia. E se dobbiamo lottare per qualcosa che non sia la nostra
missione, allora lottiamo per questo mondo, perché qualcuno non faccia lo
stesso errore che abbiamo fatto noi. Ricordati, Adhara, che anche se non lo
dico spesso, ti voglio bene.” Sorrise, poi le diede un
bacio sulla guancia.
“Anche io ti voglio…bene, sorella mia.” Ricambiò quel
semplice gesto con tutto l’affetto di cui era capace.
Erian
aveva assistito a tutta la scena. Si era svegliata presto perché desiderava
andare in biblioteca a cercare qualche informazione sulla Straub High School e, passando davanti al balcone, le aveva viste.
Non sapeva perché si era fermata ed aveva ascoltato ma,
sentire quelle parole uscire dalle loro labbra, l’avevano resa irrequieta.
Loro, che più di chiunque altro, erano famose per la loro
crudeltà, erano in realtà due semplici sorelle capaci di emozionarsi di
fronte ad una stupida alba? Andò via, cercando di scacciare
quei brutti pensieri che, inconsciamente, avevano già preso posto nel
suo cuore.