Ritratto di un sorriso

di ArchiviandoSogni_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Frammenti di passato ***
Capitolo 2: *** Mancanze dolorose ***
Capitolo 3: *** Se telefonando... ***
Capitolo 4: *** Impotenti contro il destino ***
Capitolo 5: *** Fili sospesi ***
Capitolo 6: *** Averti qui è un po' come morire ***
Capitolo 7: *** Salutandoti, affogo ***
Capitolo 8: *** Bentornata a casa ***
Capitolo 9: *** Brividi e parole ***
Capitolo 10: *** Al sapore di passato ***



Capitolo 1
*** Prologo - Frammenti di passato ***


Cristina conosce Roberto nel lontano 1995

Prologo

 

 

 

 

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Frammenti di passato

 

 

Era il 16 agosto del 1995, avevo tre anni e il mondo mi sorrideva.

Come ogni giorno caldo e afoso, dopo il breve riposino pomeridiano, mia madre mi aveva portato al mare per farmi scatenare.

Ero una bambina vivace, con più cicatrici sulla pelle che denti in bocca e dotata di una bella parlantina che - a tratti - diventava estenuante.

Fortunatamente o sfortunatamente - dipende dai punti di vista - , sono cresciuta in un paesino di mare della bassa Italia, dove tutti sapevano tutto, e se anche qualcosa sembrava sfuggire ai loro occhi o alle loro orecchie, sicuramente avevano la giusta dose di fantasia per provare ad indovinare o ad inventare una storia verosimile sulla famiglia di turno sotto ai riflettori del gossip locale.

Nonostante tutto, non avrei cambiato quel paesino per nulla al mondo. Era la mia casa, la mia vita e io ero una bambina felice.

Nonostante vivessi sola con mia madre, avevo imparato fin da subito a sentirmi fortunata e appagata di ciò che possedevo.

Sapevo che mio padre era morto, ma ero ben coscia che il paradiso l'aveva ripagato delle fatiche degli ultimi anni della sua vita. D'altronde, era morto di cancro alla tenera età di 25 anni, e dopo mesi dinferno e sofferenze, finalmente aveva trovato la pace e la tranquillità che necessitava da tempo.

Mamma non si era mai arresa, aveva terminato la gravidanza da sola e mi aveva cresciuto contando solamente sulle sue due braccia.

Era una grande lavoratrice e questo, ancora oggi, mi riempie il cuore di gioia ed orgoglio.

 

Quel pomeriggio è degno di remora, non solo per il grande divertimento e spensieratezza tipica di quegli anni, ma perché conobbi una persona speciale.

Poco dopo il nostro arrivo sulla spiaggia, si posizionò - di fianco al nostro ombrellone arancione - una famiglia chiassosa che attirò subito la mia curiosità.

Un signore con il vocione temibile, una signora in carne dalla pelle lattea ed un bambino dagli occhi incredibilmente blu e i capelli color caramello scuro sistemarono a turno sulla sabbia i rispettivi teli colorati.

Ovviamente, una bambina di tre anni non aveva notato nemmeno tutti quei particolari, ma la sua attenzione era completamente catturata dal bambino che rappresentava per lei un agognato compagno di giochi.

Così, come se l'imbarazzo non fosse un elemento a me congegnato, mi avvicinai a lui ancora intento a togliersi la sua canotta.

"Ciao! " Sorrisi armata di paletta e secchiello.

Lui si voltò verso di me, riservandomi un'occhiata triste e dura. Sembrava lo sguardo di un adulto, non di un bambino di pochi anni.

"Che vuoi?"

"Giochi con me?”

Imperterrita e da sempre testarda, gli mostrai i miei alleati colorati che tenevo tra le mani come trofei prestigiosi.

Lui sembrò illuminarsi per una frazione di secondo, ma poi il suo viso si adombrò di nuovo.

"Non so se posso..."

Io mi portai un dito sulle labbra, cercando di pensare ad una soluzione.

Era evidente che non mi era facile, d'altronde avevo tre anni e la mia unica preoccupazione era divertirmi e scoprire nuovi giochi per trascorrere le giornate più lunghe e noiose.

"Perché non puoi?"

Lui non mi rispose, prese solamente una rete piena di formine e si mise a giocare sulla riva, dandomi le spalle.

Io misi il broncio, tornando da mia madre a passo di marcia.

"Che cos'hai, Cristina?"

Lei mi prese subito tra le sue braccia, nonostante si stesse rilassando all'ombra dopo una mattinata di lavoro.

"Voglio giocare!!! Quel bambino non vuole, ma io sì!"

Mia madre non capì e io ripresi a parlare, cercando di comunicarle la mia rabbia. "Dice che non può! Ma i bambini non possono giocare?"

Mia madre mi accarezzò i capelli, sorridendo.

"Stai cercando di dirmi che vuoi giocare con quel bambino, ma lui non può?"

La mamma è sempre la mamma. Lei capiva sempre qualsiasi cosa seppur incomprensibile.

"Sì..."

Mi baciò sulla fronte, senza smettere di sorridere.

"Magari è in castigo e i genitori gli hanno impedito di giocare per un po'. Dai, fai la brava e mettiti a giocare un pochino qui vicino a me."

La vidi poi distendersi nuovamente sul suo telo e concedersi un po' di riposo.

Io cercai di obbedirle, di stare tranquilla sotto l'ombrellone a giocare con la sabbia fresca, ma sapevo che mi sarei divertita di più in compagnia di qualcun'altro.

Cercai tra i vicini qualche bambina disposta a stare con me, ma ovunque guardassi vedevo solo il viso dolce e triste di quel bambino.

Aspettai il momento giusto - quando la mamma iniziò a sonnecchiare tranquilla - e mi diressi velocemente verso la buffa coppia di adulti che si rilassava al sole.

"Signore?"

L'uomo dal fisico asciutto e muscoloso, alzò gli occhi dalla sua gazzetta sportiva.

Mi sorrise accondiscendente, posando il giornale sulle sue ginocchia. "Mi dica, signorina."

Io mi avvicinai al suo orecchio, per paura di svegliare la mamma. "Posso giocare con tuo figlio? Lui ha detto di no, ma se glielo dici tu, lui dice di sì."

Ricordo ancora il suo sguardo dolce e divertito, quando ancora Mario sapeva reggere i bicchieri di troppo che si concedeva sempre più spesso.

Ma, in quegli anni così felici, tutto risplendeva.

"Solo perché sei stata molto carina e gentile: va bene. Vai e dire a mio figlio che la sua punizione è terminata."

Il sorriso mi spuntò sul viso, nonostante la voce di quell'uomo mi intimorisse molto. Sul momento, però, la gioia prese il sopravvento e mi precipitai di corsa da quel bambino con un volto bellissimo, senza ancora un nome.

"Hey, hey!" Lo raggiunsi saltellando, cercando di catturare la sua attenzione.

Ci riuscii, perché abbandonò all'istante le sue formine, per guardarmi incuriosito. "Ancora tu?"

Mi inginocchiai di fronte ai suoi occhi, sorridendo felice.

"Il tuo papà ha detto che puoi giocare con me. Il castigo non c'è più."

Lui prima mi guardò con diffidenza e poi mi sorrise soddisfatto. Solo ora posso affermare che quel sorriso mi colpì più dei suoi occhi. Non perché fosse pieno di buchi neri e denti di diverse misure, ma perché aveva il sorriso più sincero che avessi mai visto.

"Evviva!!! Co posso andare in acqua!" Si alzò raggiante e si avvicinò al mio viso in pochi secondi.

"Grazie mille, bambina. Come ti chiami?"

"Cristina. Tu?"

"Roberto. Di solito non gioco con le femmine, perché sono noiose. Però tu sei stata brava e allora possiamo giocare un po'. Andiamo?"

Mi alzai in piedi anch'io, irritata dalle sue parole.

"Le bambine non sono noiose!!!"

Lui sbuffò, iniziando ad entrare in acqua senza di me.

"Vieni o no?"

Lo guardai in silenzio, decidendo sul da farsi. Del resto avevo creato tutto quel pandemonio, perché volevo un compagno di giochi e non sarebbe stato giusto rinunciare al divertimento per così poco.

"Sì."

Mi avvicinai all'acqua, ma mi accorsi che era molto fredda.

"E adesso che hai? Vieni!"

Misi il broncio, intristendomi.

tanto fredda..."

Roberto sbuffò e ritornò sui suoi passi, prendendomi per mano.

Solo la mamma e i miei parenti solevano farlo ed era strano vedere la mia manina custodita da un'altra mano altrettanto piccola.

"Ora entriamo insieme, così non avrai freddo. Se non ce la fai, non mi interessa proprio."

I maschi erano proprio antipatici, pensai all'epoca, ma nonostante tutto Roberto si comportò magnificamente con me.

Giocammo moltissimo in acqua, tanto che mia madre mi costrinse ad uscire perché tremavo e avevo le labbra blu.

Roberto mi segui, come se in quell'ora passata a farci i dispetti, avessimo instaurato un legame segreto.

Si presentò a mia madre e, mentre ero ricoperta da due asciugamani per riscaldarmi, si mise a disegnare in silenzio.

"Che cos'è?" Chiesi curiosa quando lui mi porse il disegno piegato a quattro.

Roberto fece spallucce ed aspettò il mio parere.

Aprii il foglio e trovai il disegno di un bambino con un sorriso sdentato, ma felice.

Era lui.

"Che bello!! Ma io so disegnare meglio."

Lui mi fece la linguaccia che ricambiai subito.

"Con questo disegno, puoi ricordarti di me domani."

Sicuramente non me lo sarei dimenticato per nulla al mondo, ma se quel gesto allora mi sembrava da stupidi, ora mi fa riscaldare il cuore.

Nonostante siano passati troppi anni da quel ritratto, Roberto - ai miei occhi - continuerà ad avere cinque anni, profondi occhi blu e un sorriso giocoso pieno di finestrelle nere e denti di diverse misure.

Anche se la vita ha cercato di cambiarlo e distruggerlo, lui rimarrà per sempre il mio migliore amico. La persona più importante della mia vita.

E questa è la nostra storia.

 

 

____________________

 

Buonaseeeera! (cit.)

Dopo una piccola pausa, sono tornata con una storia nuova nuova!

Per chi mi segue da tanto, probabilmente non ne potrà più dei miei deliri… Ma! Eh sì, c’è un ma! Questa volta scriverò una storia un po’ diversa dal solito.

Parlerò di migliori amici, di distanza, di sofferenza e dolore. Ma non mancherà lo zucchero, il romanticismo e tanto diabete come piace a me.

Essendo all’inizio, non voglio rivelarvi molto, ma vi garantisco che questi due personaggi sono particolarmente amati dalla sottoscritta :)

Questo capitolo è stato facile da scrivere. Cristina è nel presente e ricorda questo episodio della sua infanzia.

Nei prossimi capitoli scopriremo cosa è successo a Roberto e come mai Cristina lo ricorda con tanta amarezza.

Per curiosità e altro, sono sempre qui nel mio gruppo.

 

Ora vi saluto e vi aspetto al prossimo aggiornamento!

 

Un bacione enorme <3

 

 

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Capitolo 2
*** Mancanze dolorose ***


Cap 1

Cap 1 

 

Mancanze dolorose

 

 

 

Estate 2007


Attraverso le persiane abbassate, il sole cercava di raggiungere lentamente il mio letto, per farmi svegliare completamente.

Quella mattina, a differenza di tutte le altre, non avevo bisogno di grandi stratagemmi per abbandonare il mondo onirico.

Solitamente ero pigra fino a livelli quasi imbarazzanti ed ero capace di addormentarmi anche ogni santa mattina sul pullman per andare a scuola.

Per fortuna avevo vicino a me Roberto e Arianna, i miei due migliori amici, che a turno si occupavano di me. Ma presto tutto sarebbe cambiato e mi sarei ritrovata senza spalle a cui sorreggermi e davanti a strade sempre più insidiose da percorrere solo con le mie gambe.

Ieri sera, dopo la mia festa di compleanno, avevo sperimentato il dolore più grande di tutti: la perdita di una persona amata.

Di solito la perdita è dovuta alla morte improvvisa della suddetta persona, ma – in quel caso - era solo una partenza con un ritorno non ben definito.

Quel coglione del mio migliore amico aveva deciso di andare in America a finire gli studi e provare a realizzare il suo sogno da bambino : diventare un cantante.

Quel ritardato con un cervello da bradipo voleva andare in America per realizzare un sogno impossibile!

Era inutile dire che ero nera di rabbia e ferita nel profondo.

Come avrei fatto senza di lui?

Razza di cretino...

Mi voltai nel letto e lo trovai al mio fianco, intento a sonnecchiare beatamente.

Io ero agitata, frastornata e con un gran mal di testa per colpa degli alcolici assunti solo qualche ora prima.

Non ero un ragazza che eccedeva in quel tipo di consumi, però la notizia bomba della partenza di Roberto, mi aveva distrutta e destabilizzata. Non lo diedi a vedere : manco morta! Però soffrivo nel profondo della mia anima.

Perché lui non sembrava minimamente toccato dal nostro prossimo addio?

Perché ero l’unica che si sentiva male solo al pensiero di non averlo più al mio fianco?

Mi sedetti sul bordo del letto, osservando i miei piedi muoversi avanti e indietro con fare agitato.

E pensare che una settimana prima avevamo festeggiato dodici anni di amicizia… Stronzo!

Cris?”

Mi voltai verso di lui, scoprendolo sveglio ed intento ad osservarmi.

“Buongiorno.”

Misi il broncio, senza volere. Purtroppo, i pensieri di poco prima erano ancora ben presenti nella mia mente.

Ce l’hai con me?”

No, figurati. Vorrei solo sotterrarti e dimenticare che esisti.

“No.”

Lui sospirò, avvicinandosi a me.

“Lo sai che ti conosco fin troppo bene e che capisco subito quando menti?”

Mi voltai di nuovo, tornando ad osservare l’armadio di fronte ai miei occhi.

Non volevo mostrargli la mia debolezza e la mia fragilità di fronte alla sua imminente partenza.

“Allora non avresti dovuto chiedermelo! Lo sai benissimo cos’ho e non hai bisogno di girarci intorno! Fuori dal mio letto, subito.”

Mi alzai, continuando a dargli le spalle e avvicinandomi alla finestra posta sul fondo della stanza.

Il sole era sempre più alto in cielo e i miei occhi bruciavano solo ad osservarlo da lontano.

Per lo meno, avevo trovato un’ottima scusa per nascondere le prossime lacrime.

Cris...

Mi posò una mano sulla testa, senza sfiorarmi davvero.

Sapeva che, quando ero arrabbiata e ferita, non volevo essere toccata da nessuno. Era come se mi sentissi compatita e ancora più fragile di come fossi realmente.

Per questo ero io ad avvicinarmi alle persone, silenziosamente e a testa bassa, quando avevo bisogno di un abbraccio rincuorante.

“Non è un addio, Crì. Io…” Contro ogni regola, ogni spazio personale, ogni mia vana idea di riservatezza mi abbracciò da dietro, stringermi forte le braccia sotto il petto.

Dio, mi veniva davvero da piangere.

“Te lo prometto, Crì. Tornerò presto e mi farò sentire più che posso… Non ce la faccio più a stare qui. Papà continua a bere senza sosta e la mamma ormai ha avviato le pratiche per la separazione. Capisci? Senza di lei, io come faccio a sopportarlo? Ho diciassette anni, voglio essere spensierato e felice come i miei coetanei. Credimi, non ce la faccio più a tornare in quella casa: tra quelle mura che sanno di agonia.

Mi si strinse il cuore, sentendo quelle parole sofferte e ricolme di dolore e angoscia.

Roberto parlava solo con me della sua situazione familiare, nessun’altro sapeva che i suoi bellissimi sorrisi erano molto spesso una mostra di pesanti maschere folgoranti, che nascondevano l’amarezza di un dolore ben più profondo di un semplice addio tra amici.

Lui soffriva moltissimo quella situazione, però era anche conscio che Giovanna le aveva provate tutte, prima di fare un passo così importante e devastante.

Mario era un brav’uomo, lo sapevo bene. Ma quando prendeva in mano un bicchiere di vino, non era mai solo uno e il succedersi delle bottiglie sul tavolo, dava inizio ad una mostruosa routine che per Roberto era diventata vita.

No, non si meritava tutto quello.. Non lui. Non la persona migliore che conoscessi.

Rob, lo sai che puoi venire qui; c’è spazio per tutti. Per mamma, sei come un figlio.”

Mi voltai, incontrando il suo sguardo liquido e profondo. Sembrava contenere tutto il dolore del mondo, in due semplici occhi blu.

“Non voglio essere un peso per nessuno; tantomeno per Paola che è una donna magnifica e forte. Vado in America per fuggire, perché sono un codardo. Ma, non è solo per quello…Voglio anche rincorrere il mio sogno e se non ci riesco… Beh, terminerò gli studi e lavorerò per ritornare qui e vivere da solo, senza dipendere dalla mia famiglia : da lui. Poi, non brancolo nel buio, ho degli zii materni lì, posso farcela.

Gli accarezzai una guancia, sapendo perfettamente che - qualsiasi cosa avessi pensato o progettato per fargli cambiare idea – era completamente inutile. Roberto era testardo quasi quanto me.

“Allora non posso fare nulla per farti cambiare idea, v-vero?”

I miei occhi si riempirono di lacrime, nonostante odiassi farmi vedere da altri in quello stato.

A dispetto di ciò, Roberto non era uno dei tanti, ma il mio migliore amico. Lui… lui non mi avrebbe mai deriso, lo sapevo perfettamente, ma odiavo che avesse quel tipo di potere su di me.

“Mi fai sentire un verme così. Dai, Crì…”

Mi strinse a sé, assistendo a tutti i singhiozzi che, famelici, mi privavano di aria. Il suo pigiama accolse le mie lacrime, le sue labbra solleticarono più volte la mia fronte mentre sussurravano il mio nome, ma in quel momento ciò che mi aveva completamente ammaliata, era la sua mano che accarezzava i miei capelli scompigliati dal sonno.

Stavo soffrendo tra le braccia del paradiso ed era così dolorosamente bello, da farmi piangere ancor più forte.

Rob, mi mancherai tantissimo.”

Lui sospirò, come se gli mancasse fiato.

“Non hai idea di come mi sento all’idea di lasciarti qui da sola. Però, ci sono gli altri e la tua vita è qui con tua mamma.“ Prese fiato, mettendomi le mani sulle spalle, per guardami meglio negli occhi. “Cris, promettimi che non ti dimenticherai di me; di noi. Che chiunque entri nella tua vita, tu non gli farai prendere il mio posto… Ho paura di perdere ciò che siamo. Nessuno potrà mai contaminare dodici anni di amicizia con insulsi pregiudizi e stupidi cliché.

Mossi solo la testa come muto assenso e mentre le lacrime scorrevano coraggiose lungo le mie gote arrossate dal pianto, sentii le sue labbra umide sulle mie.

Non mi aveva mai baciato, ma forse quello non poteva nemmeno definirsi un bacio degno di tale nomea.

Era solo una carezza tra labbra morbide ed inumidite dalla consapevolezza che il tempo, oltre ad essere guaritore di ferite, è anche artefice di dolori più grandi.

Eravamo adolescenti e per quanto ci ostinassimo a tenerci legati con le promesse di due sognatori sgangherati, il fato aveva ben altro in serbo per noi.

 

Una settimana dopo

Settembre 2007

 

“Il volo 435, Ryan Air, diretto a New York City sta per decollare. Si avvisano i gentili passeggeri di apprestarsi a raggiungere il gate 22, negli imbarchi internazionali.”

 

Il mio sguardo si precipitò sul suo volto triste e malinconico. Nonostante l’imminente partenza, Roberto cercava di sorridermi come sempre.

“È proprio arrivato il momento.”

Deglutii vistosamente, annuendo.

“Allora… Ciao!”

Ma mi si ruppe la voce proprio su quella o, su quella frase che non aveva nemmeno un briciolo della felicità che volevo trapelasse.

Roberto mollò il borsone malamente sul pavimento, stringendomi di nuovo tra le sue braccia come nell’ultimo quarto d’ora.

“Ti chiamerò tutti i giorni, te lo prometto. Cercherò un internet point o qualcos’altro per sentirci almeno tramite Mail, Messenger: qualsiasi cosa. Non mi scorderò di te, del tuo profumo, della tua somiglianza con Ursula il giorno dopo una festa o il tuo pigiama con Topolino… Vedi come sono patetico? Dico cose insulse…”

Mi strinse ancora più forte mentre l’ultima chiama del suo volo, riecheggio pesantemente nelle mie orecchie.

Era arrivato il momento.

Lo sento ancora sotto pelle il freddo che provai quando sciolse l’abbraccio.

Nonostante facesse caldissimo quel giorno, sentii il mio cuore fermarsi, ghiacciarsi ed immergersi nel dolore più profondo.

Roberto riprese il borsone e finse un saluto militare, facendomi sorridere tra le lacrime. Mimò poi un ciao con le labbra senza emettere alcun suono e si avviò verso il gate.

Urlai il suo nome fino a sentire male alla gola e gli corsi in contro, disperata, per vederlo un’ultima volta. Eppure, l’unica cosa che vidi fu il suo viso triste, solcato da una lacrima esibizionista che sfuggì al suo controllo.

Questo ricordo tormenta ancora le mie notti.

 

Agosto 2012

Presente

 

Mi svegliai di colpo, dopo aver sognato ancora quell’addio che da cinque anni continuava a tormentarmi di tanto in tanto.

Ero tutta sudata, accaldata; segno che l’estate era ancora intenzionata a rovinare il sonno e le giornate alla maggior parte degli italiani.

Mi girai sull’altro fianco, trovando il viso rilassato di Luca a pochi centimetri dal mio.

Era sempre così bello anche con il sudore che gli bagnava leggermente la fronte.

Capelli lunghi fino alle spalle color cioccolata e occhi del medesimo colore, incastonati in un viso tipicamente mascolino, con tanto di mascella ben pronunciata. Anche la sua carnagione era bellissima, olivastra come la mia, e possedeva un  fisico muscoloso, ma con quella pancetta strategica che – onestamente- mi faceva impazzire.

Sbuffai, pensando che anche quella lunga giornata estiva era dedicata allo studio per l’imminente esame di ammissione all’università, dopo che avevo passato l’anno sabbatico a lavorare come commessa da Bershka, nel centro di Milano.

Mi ero trasferita ormai da tre anni, abbandonando la mia piccola città per diplomandomi qui nella metropoli.

Ahimé, con il trasferimento, avevo perso le ultime amicizie che ero riuscita a conservare, ma – fortunatamente - ero riuscita a farmene altre. Niente di profondo, di troppo stretto, tranne con Stefania che dopo essere stata mia collega, sarebbe stata anche mia futura coinquilina dopo che la mia vecchia compagna di bollette, si sarebbe trasferita all’estero per gli studi proprio a fine mese. Fortunata lei, io non avevo nemmeno il denaro necessario per arrivare a pagare le prossime spese, senza dare di matto o lavorare come una dannata.

Mi alzai dal letto, ancora mezza nuda, ma incurante di tutto.

Mi diressi in cucina, inciampando quasi nel divano, perché faticavo a tenere gli occhi aperti.

Presi un bicchiere d’acqua fresca e mi sedetti al tavolo, continuando a fantasticare con la mente.

Erano passati quasi cinque anni e pochi giorni prima, avevamo festeggiato diciassette anni di amicizia. Festeggiato… oddio, era un eufemismo. Avevo ricevuto semplicemente un suo sms striminzito, provvisto solamente di uno smile finale :

 

Auguri, vecchiaccia mia. Sono diciassette anni ormai.

Baci, Bob ;)

 

Fottiti, avrei voluto rispondergli, perché negli ultimi tre anni, aveva completamente dimenticato cosa significasse la parola amico.

Certo, non era stata tutta colpa sua.. Gli anni erano passati, noi eravamo cresciuti e l’ultima volta che era venuto a  trovarmi risaliva a due anni, sette mesi e quindici giorni prima.

Ormai mi ero abituata alla sua assenza, anzi; era anche meglio così. Ora sembrava addirittura una persona completamente diversa da quella che io pensavo di conoscere.

Il Roberto che conoscevo io non passava tutto il tempo davanti allo specchio, non si vantava delle sue conquiste e non manifestava facilmente le sue emozioni. Lui non mi avrebbe mai insultata, derisa o schernita : ma così era successo.

Prima per sciocchezze, poi per cose sempre più importanti, la nostra amicizia era diventato un fantasma rattoppato di quella che era in passato.

A volte rimpiango quello che eravamo; quello che possedevamo, però eravamo due adolescenti pieni di problemi e bisognosi di aiuto reciproco.

Non mi pento di nulla, però – a volte - penso a quello che avremmo potuto essere se lui non fosse partito o per lo meno se fosse ritornato da me.

Così non era successo, d’altronde la vita non è un film – soprattutto la mia.

Lui aveva trovato la sua strada, la sua vita.

Aveva aperto un locale, dove si esibivano piccoli gruppi o cantanti underground rigorosamente live e aveva acquisito anche un certo successo nella zona.

Ero felice per lui, anche se non era diventato un cantante, continuava a rimanere nel mondo della musica. All’inizio percepivo il suo entusiasmo nelle nostre telefonate e mi rendeva felice di riflesso questa sua piccola vittoria. Se solo… No, non dovevo pensarci. Era meglio così.

“Buongiorno, piccola.”

Luca si era svegliato e mi aveva baciato fugacemente sul collo, prima di sedersi al mio fianco.

“Buongiorno, amore. Dormito bene?”

“Sì, anche se fa troppo caldo. Oggi che turno fai?”

Affondai il viso tra le braccia al pensiero di un’altra giornata di lavoro.

“ Pomeriggio, ho pure gli straordinari. Saldi del cavolo! Te?”

Lui mi accarezzò una guancia, sorridendo sornione.

“Oggi sono di riposo, c’è mio fratello che ha bisogno di lavorare per pagarsi la vacanza con la ragazza. Ah, goduria per le mie orecchie.”

Si alzò poi, concedendomi una bella visuale del suo fondoschiena strizzato nei boxer neri.

“Caffè?”

Voltandosi per pormi la domanda, mi beccò in flagrante, ma io con nonchalance cercai una via di fuga nel forno vicino alle sue gambe.

“Sì, grazie.”

Lui si voltò completamente verso di me, alzando un sopracciglio.

“Non mi guardare così, Cristina. Sai che poi non rispondo di me.”

Feci il broncio, cercando di simulare ingenuità dallo sguardo.

Luca mi si avvicinò con quel suo portamento così virile, prendendomi in braccio.

“Per il caffè, possiamo attendere.”

 

 

__________________

 

Ed eccomi con un nuovo aggiornamento!

Ho preferito scrivere capitoli più brevi dei miei “soliti”, per dare anche l’idea del tempo che passa.

Non mi dilungherò molto; questo è solo l’inizio. Non scoraggiatevi, per chi mi conosce, sa quanto amo i lieto fine e sicuramente ci sarà anche in questa storia (almeno spero).

Roberto e Cristina si sono allontanati con gli anni e lei ora sembra fidanzata con un uomo affascinante e dolce.

Cosa è successo veramente?

Beh, lo scoprirete nella prossima puntata :)

Ringrazio i coraggiosi che mi hanno inserita tra i preferiti/ricordati e seguiti.

Ringrazio chi ha recensito e chi mi continua a supportare da mesi.

 

Un bacio enorme e a presto <3

 

Ps: il nome della città natale di Rob e Cris non sarà mai rivelato, semplicemente perché non esiste. E’ un mix di vari posti che ho visitato e ho preferito foste voi a darli un nome e una collocazione.

Pss: all’inizio del capitolo Rob e Cris hanno diciassette e quindici anni. Comprendo il vostro turbamento, perché sembrano più maturi della loro età, anche solo nel modo di porsi… Però, posso garantire che la vita li ha fatti crescere in fretta, chi per una cosa, chi per l’altra.

Spero di non aver fatto troppi casini!

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Se telefonando... ***


Capitolo due

Cap 2

 

Se telefonando…

 

 

Non era possibile!

Avevo appena ripiegato una fila lunghissima e quasi interminabile di canotte, quando la stronza di turno – magra, pomposa, truccata da circo e che se la tirava più di un elastico - cominciò a rovistare bellamente tra la stoffa ripiegata, come un bambino nella propria cesta dei giochi.

Ma dico, sei cogliona?

Io mi faccio il mazzo e tu arrivi  - fresca fresca -  e in mezzo secondo, scombussoli metà scaffale?

Aaaah, meglio cambiare aria.

Con sguardo truce e bocca sigillata, per evitare licenziamenti lampo, mi diressi alle casse mentre Stefania finiva di imbustare l’acquisto di una ragazzina.

Weee, bella Crì! Sei infervorata, stamattina?”

“Ma che cazzo è?! Oggi tutte a me, porca di quella miseria! Prima la vecchietta sclerotica che doveva comperare un top per sua nipote e inizia poi ad insultarmi, perché vendiamo cose ignobili e denunciabili. Senza contare la prima donna di poco fa, che ha mandato a puttane il mio lavoro in mezzo secondo. Ma bene, oggi ho proprio voglia di fare chiusura il prima possibile!”

La sentii ridere, prima di fiondarsi nei cestoni davanti alla cassa, per sistemare degli accessori.

“Tesoro, che ci vuoi fare. Tutti bravi a comprare e a pensare che siamo pagate per i loro comodi.  Insomma, il rispetto lo vendono solamente al 3x2 al supermercato? Mah, no words.”

Rabbrividii per quel breve accenno di inglese, e Ste se ne accorse subito.

Scuuusami, Crì!”

Feci spallucce, simulando un sorriso che diede l’effetto sperato.

“Si è fatto sentire questa settimana?”

“No, ma non mi interessa.”

Lei abbassò lo sguardo concentrandosi su degli occhiali da sole, tornando poi a sorridermi furbescamente.

“Certo, come no. Luca come sta?”

Sospirai di sollievo per il cambio di argomento. Santa Stefania!

“Tutto bene, te con Leo?”

“Al solito: prima litighiamo come pazzi e poi facciamo fuochi e fiamma a letto. E, voglio dire, chi si lamenta!”

Ridemmo insieme delle nostre vite frenetiche, prima che una nuova ondata di clienti ci riportasse ai nostri posti di combattimento.

 

Quando staccai dal lavoro, era ormai pomeriggio inoltrato.

Mi persi tra i vari negozi del centro lungo il tragitto per tornare a casa, ma mentre vedevo scorrere davanti ai miei occhi milioni di colori, tessuti e abiti diversi, la mia mente era da tutt’altra parte.

Purtroppo esistevano giorni come quello: in cui tutto era superfluo ed il flusso dei pensieri era troppo assordante ed ingombrante per poter semplicemente far finta di niente. Allora la mia mente si perdeva in ricordi, emozioni, sensazioni passate; ma anche nel futuro, nei desideri mai realizzati e in ambizioni impossibili.

Ero diventata una persona malinconia, molto riflessiva che le bastava un nonnulla per capitolare e ruzzolare a terra.

Non era necessariamente tutta colpa di Roberto… Non capivo nemmeno, perché stessi pensando a lui in quel momento!

Sbuffai e dopo aver comperato un paio di smalti colorati, mi diressi spedita verso casa.

Mentre mi chiudevo la porta dietro le spalle, sentii il cellulare squillare insistentemente.

Sbuffai di nuovo e dopo aver depositato a terra la borsa e mini sacchetto di Kiko, mi accasciai sul divano.

“Pronto?”

“Buonasera, signorina Moro. Si ricorda  - per caso, eh - di avere una madre?”

Sorrisi. “Mamma! Certo che mi ricordo.. Spiritosona! Scusami, se non mi sono fatta sentire ultimamente, ma il lavoro, lo studio e Luca: assorbono tutte le mie energie. Allora? Che si racconta da quelle parti?”

Da quando mi ero trasferita, il rapporto con mia madre sembrava addirittura migliorato.

Fin da quando ero molto piccola, avevo imparato ad amare quella donna un po’ burbera, con le braccia muscolose dovute ad anni e anni di lavori in fabbrica e quello sguardo dolce che quasi stonava con la sua persona.

Mia madre era un mito per me; da sempre.  Non l’avevo mai vista abbattuta o demoralizzata per qualcosa.

Mancavano soldi? Allora sotto con gli straordinari!

Mia figlia voleva una barbie? Perfetto: quel mese non sarei andata dall’estetista.

Solo con il tempo iniziai davvero a capire tutti i sacrifici e le rinunce che lei aveva compiuto solo per farmi crescere come tutte le mie coetanee.

Non avrei mai potuto ricompensarla per tutto quello che mi aveva donato, ma lei si sentiva ripagata dai miei risultati negli studi.

Nonostante il trasferimento di tre anni prima, ero riuscita a trovare il giusto ritmo per prendere comunque dei bei voti anche in un istituto diverso da quello in cui avevo studiato per quattro anni.

Quando mia madre scoprì che avevo ottenuto uno dei voti più alti in tutto l’istituto all’esame di stato, scoppiò letteralmente a ridere di gusto, organizzando una festa di paese che ancora ricordavo con nostalgia.

Non avevamo nulla, ma l’amore ci aveva riempito la vita.

“Il solito. Giacomo, il figlio di Luigi il Panettiere, è stato beccato ancora a spacciare davanti alla caserma. Ma io dico, carissimo figliuolo, ti devi proprio fregare con le tue stesse mani? Certo che al giorno d’oggi, pur di diventare “famosi”, i ragazzi si inventano di tutto. Sì, lo so, lo so Scricciola, ormai questi avvenimenti sconvolgenti per un piccolo paese come il nostro, a te non toccano più di tanto. Lì a Milano sarà anche peggio. Te, tesoro?”

Sospirai, reprimendo un moto di nostalgia. “Sì, mamma. Solita vita.”

“E perché ti sento un po’ giù di morale?”

Bingo. Per questo evitavo di chiamare spesso mia madre, mi conosceva talmente bene, che bastava un sospiro, una parola sbagliata o un tono poco gioioso, a farle capire il mio stato d’animo.

“Roberto…” Sussurrai, come se solo quel nome fosse l’unico artefice del mio turbamento interiore.

In realtà, era proprio così.

“Non si è fatto sentire, vero? Che strano, però! Ieri sera mi ha chiamata ed era la seconda chiamata in tre giorni. Solitamente ci sentiamo qualche volta al mese e mi fa tremendamente piacere sentirlo, lo sai. Ma non credevo che voi due non vi sentiste.

E’ successo qualcosa che io non so?”

Questa sì che era bella! Quel coglione – sì, esatto – del mio ‘migliore’ amico, chiamava più mia madre che me!

Com’era possibile?

“Ah, perfetto! Ora, oltre a evitarmi palesemente, mi sostituisce anche con mia mamma… Che pezzo di merda!”

“Cristina, il linguaggio!”

Deglutii imbarazzata. Nonostante avessi vent’anni suonati,  mamma continuava a sgridarmi come se avessi ancora quattordici. Era bello, però; mi sentivo amata anche con quegli ammonimenti che, di dolce, avevano ben poco.

“Scusa, mamma. Sono isterica e depressa in questi giorni. Settimana scorsa abbiamo ‘festeggiato’ diciassette anni di amicizia e lui si è degnato di mandarmi un sms striminzito e di circostanza. Né una telefonata, né una mail… Non so, ormai sono tre anni che più passano i giorni, e più lo sento lontano anni luce da me.

Sentii il sospiro di mia mamma attraverso il cordless e in qualche modo la immaginai seduta al tavolino d’ingresso, con il grembiule tra le mani e la cornetta incastrata tra la spalla e la sua guancia.

“Si cresce, bambina mia. Ormai siete grandi e i sentimenti cambiano… Forse dovete parlare seriamente di cosa avete bisogno. A volte quello che desidera una persona, è diverso da quello che si aspetta di ricevere.  Molto spesso si vuole di più.”

Parole che mi sembravano bellissime, ma sbagliate per me e Roberto. Eravamo amici, semplici amici. Non volevo niente di più da lui… Volevo semplicemente il rapporto che avevamo prima: dove si giocava, si scherzava e ci si sosteneva a vicenda.

“Non so, non credo di aver mai voluto niente di più da lui.”

“Non ho certamente affermato il contrario.”

Scossi la testa, troppo confusa per capire quel discorso così poco concreto.

Salutai così mia madre, promettendo di chiamarla più spesso e non a cadenze secolari.

Mi diressi così in bagno e mi feci una bella doccia rigenerante.

Il caldo da sempre confonde e destabilizza, facendoti perdere la lucidità necessaria per affrontare la vita.

Io, però, amavo il caldo e l’estate. Amavo anche l’inverno, la cioccolata calda ed il camino.

Amavo vivere, quella era la verità. Ero così attaccata alla vita, che provavo ogni giorno a renderla migliore e perfetta.

Ma gli anni stavano passando, io stavo crescendo e mi sentivo sempre più lontana da quella ragazzina con il sorriso indelebile sulle labbra e la risata scoppiettante per ogni cosa.

La nuova Cristina, però, mi piaceva. Era un’agglomerazione di tutto quello che avevo vissuto e tutto ciò che, in fondo, volevo ancora essere.

Avevo messo da parte la mia passione per la fotografia, per concentrarmi sullo studio e diventare un medico. Io? Un medico? Sì, ancora non ne ero convinta, ma presto lo sarei stata.

Qualche settimana e avrei passato il test di medicina, riservandomi un futuro più stabile e roseo del passato.

Volevo ripagare mia madre di tutte le fatiche fatte, per avermi cresciuto come tutte le mie amiche con entrambi i genitori.

Volevo essere finalmente felice e ce l’avrei fatta.

Uscii così dalla doccia e mentre iniziai a frizionarmi i capelli con l’asciugamano, sentii la suoneria del mio cellulare provenire dalla camera da letto.

Attraversai così la porta del mio bagno e mi gettai sul letto.

“Pronto?”

Nessuno mi rispose e subito dopo la chiamata venne interrotta.

Strabuzzai gli occhi e guardai il numero che mi aveva appena chiamato.

Roberto?

Ma oltre ad essere cretino ora era anche infantile?

Con stizza, mi alzai a sedere, premendo il tasto di chiamata.

Ora sì che mi sarei sfogata per bene.

Una voce trafelata e ansante rispose prima di far partire la segreteria telefonica.

Pr-roonto? Sono occupato, ti richiamo domani maaamma!”

Inutile dire, che il mio umore peggiorò inesorabilmente.

“Se sei così impegnato, caro mio, evita di chiamare la gente prima di trombare. CIAO!”

Gettai il cellulare sul letto e mi tolsi l’asciugamano dal corpo, cercando i vestiti nell’armadio.

Perfetto! Quell’ammasso di ignoranza, ora mi mostrava anche le sue doti canore durante le sue prestazioni. Santo cielo! Si era davvero rincoglionito ed io certamente non volevo perdere altro tempo con una persona che non riconoscevo più.

Quel bambino del ritratto sul mio comodino, non esisteva più; dovevo ammetterlo a me stessa prima di stare ancora più male.

Il telefono tornò a squillare, lasciandomi interdetta ed indecisa sul da farsi.

Alla fine, decisi di rispondere, pronta per troncare definitivamente il nostro rapporto.

“Che cazzo vuoi?”

Sentii il chiudersi di una porta ed un sospiro sommerso. “Ciao, Cris…”

“Ciao, Roberto! E’ un piacere sentire ancora la tua voce; pensavo fossi morto dopo l’orgasmo!” Troppo acida, ma se lo meritava: e che cavolo!

Sospirò ancora  e lo immaginai appoggiato di schiena alla famosa porta, mentre osservava il soffitto.

Lo faceva sempre in passato quando era pensieroso, chissà se soleva ancora farlo.

Scusami, Crì: davvero! Avevo il cellulare nei jeans e mi è partita la chiamata.. Come stai?”

“Roberto, non dobbiamo per forza fare conversazione. Salutami la fanciulla e ci risentiremo più avanti.”

Non ero più così sicura delle mie azioni. 

E poi cosa diamine dovevo dirgli?

Hey, ciao! La nostra amicizia non funziona più come prima; è meglio finirla qui! Stammi bene, eh!

Non era giusto, per niente. Non se gli avevo voluto un mondo di bene… Quell’argomento, così indelicato, doveva essere trattato di persona, non per telefono a 6458 km di distanza.

Dio, era così lontano…

“Cos’hai, Cristina? Non è da te una risposta simile. Mi spiace averti risposto così prima… Non avrei mai creduto fossi tu il destinatario di quella chiamata. Ora che siamo in linea, vorrei sentirti un po’. Ultimamente ho pochissimo tempo per chiamare anche mia mamma e vorrei sentirti più spesso.”

Bugiardo. Aveva avuto il tempo di chiamare due volte mia madre nella stessa settimana e sicuramente aveva sentito la sua ancor di più.

Mi stava mentendo, ne ero certa, anche se non potevo provarlo in alcun modo.

Sentivo sottopelle che non era la verità, che mi stava tenendo buona con una motivazione plausibile, impossibile da contestare.

Un lacrima amara rigò la mia guancia e chiusi gli occhi per non vedermi riflessa nell’armadio di fronte al letto.

Forse era meglio se non mi avesse richiamato; se mi avesse continuato ad evitare come stava facendo da mesi.

Faceva male da morire sentirsi così inutili; così stupidi. Mi ero costruita un’amicizia che forse aveva smesso di esistere da troppo tempo.

Capisco, anche io sono incasinata ultimamente. Scusa, devo andare a preparare la cena, prima che torni Luca! Sai come sono gli uomini, no?”

Lo sentii ridacchiare, prima di rispondermi. “Certo, Crì! Corri dal tuo bello, a presto.”

“Ciao…”

Lo sussurrai appena, ma chiusi la chiamata prima di sentire la sua risposta.

Ero frastornata, mentre cercavo di infilare una canotta e dei pantaloncini.

Mi sentivo vuota, inutile: come se il mondo mi fosse definitivamente crollato addosso.

Non ebbi la forza di rialzarmi.

Mi rannicchiai semplicemente sul letto, guardando fuori il sole che si nascondeva tra gli alberi secolari della mia via.

Poco dopo, una mano mi strinse un fianco, trascinandomi contro un petto caldo, che ormai conoscevo a memoria.

Hey, ciao…”

Luca mi sorrise, trascinandomi sopra di sé.

“Buona sera, piccola. Stai male?”

Appoggiai il mento contro il suo torace, accennando un sorriso. “Sono sempre la solita.. Dono sempre tutta me stessa a delle teste di minchia!”

Luca roteò gli occhi, accarezzandomi poi il viso, trascinandomi più vicino al suo sguardo.

“E chi lo dice che questo sia un difetto? Io amo il tuo modo di donarti agli altri, senza avere per forza avere riscontri o tornaconti personali. Tu sei così, Crì: doni tutta te stessa al mondo ed è difficile non volerti bene. Se poi esistono degli stronzi che se ne approfittano, non per questo tu devi smettere di essere te stessa. In fondo, c’è sempre chi ti ama per come sei… Ad esempio, uno a caso, eh: io!

Mi baciò la fronte, strappandomi un sorriso beato.

Come avrei fatto senza di lui?

“Sei un lecchino del cavolo…”

Sorrise sulle mie labbra, prima di baciarmi con dolcezza.

Sapeva di caffè e menta, ormai lo conoscevo a memoria.

Prima di tornare a casa, era solito andare a prendere un caffè con i colleghi, come piccolo festeggiamento, dopo una giornata massacrante al negozio. E dopo il suo caffè, adorava mischiare il suo sapore con le Brooklyn, sue chewing gum  preferite da secoli.

Sentire il suo sapore, la morbidezza della sua lingua in contrasto con la ricrescita della barba che mi graffiava il viso: era ciò che amavo di più. Come la sensazione di benessere che ti pervade quando varchi la soglia di casa, dopo una giornata di lavoro lunga e pesante.

Questo era Luca per me: casa, vita, amore. Era tutto ciò che avevo ricercato per anni e che avevo trovato così inaspettatamente, quando avevo smesso di cercare.

“Che ne dici di dormire da me stanotte? Prenotiamo una pizza e guardiamo un film, così non devi cucinare e possiamo rilassarci insieme..” Un bacio sulle guancia.”..sotto la doccia..”Un bacio sotto il mento. ” nudi…” Un morso sul labbro “fino all’arrivo della pizza. Ci stai?”

E come avrei potuto rifiutare?

“Sei un ricattatore.” Sbuffai, alzandomi dal letto, iniziando a frugare nell’armadio.

“Lo so, che a voi donne piace essere ricattate o per meglio dire dominate.

Mi voltai verso il letto, guardandolo shockata e rossa in viso.

Ma sei cretino?”

Lui semplicemente mosse la mano, come per scacciare una mosca.

“È colpa di quella merda di libro che hai lasciato a casa mia. Cinquanta segaioli di grigio.. Ma dai! E voi donne sbavate per un tizio simile? Non sono meglio io, scusa?”

Mi voltai di nuovo verso i vestiti e roteai gli occhi, sorridendo.

Era sempre il solito.

“Non fare l’egocentrico, Christian Grey ha fascino ed è pure ricco.”

“E certo! Saremo anche in continua evoluzione, ma alla fine si va a finire sempre lì: l’uomo ricco, bello, dotato di macchine sportive, ma sterile quanto un guanto in lattice! Ma dov’è finito il principe azzurro con il suo amato destriero bianco?

Scoppiai a ridere, prendendo il borsone ed infilandoci il pigiama e il cambio per il giorno dopo.

Lo vidi avvicinarsi a me, gattonando sul letto come un bimbo.

“Ridi, ridi: io non ci vengo più a sorbirmi film romantici e strappalacrime quando hai il ciclo! Altro che principe azzurro, devo comprarmi un frustino in pelle! Che colore preferisce, signorina Steele?”

Gli diedi una gomitata, facendolo ricadere sul letto.

Era proprio un cretino!

Ma la finisci? Guarda che rimango a dormire qui e ti lascio passare una notte in bianco, con tanto di Christian Grey a molestarti nel sonno.

Lui si risollevò velocemente, catapultandomi sul letto sotto di lui.

I suoi capelli mi solleticavano la fronte e il suo sorriso mi abbagliava.

“Preferirei essere molestato da te, lo sai. Non è che leggi quei libri perché sei insoddisfatta della tua vita sessuale? No, perché.. Sai, basta dirlo, io mi offro volontario.”

Mi baciò il collo, facendomi sciogliere all’istante.

Stare insieme una persona da tanto tempo, comporta diverse cose: come sentirsi profondamente capiti quando nessun’altro sembra riuscire a ragionare come te, ma anche sentirsi terribilmente scoperti, perché conosceva alla perfezione ogni tuo punto debole, ogni tua fissazione o, semplicemente, cosa adoravi ricevere quando eri distrutta dal ciclo e incazzata con il mondo circostante.

“Va che stronzo che sei.”

Lui ritornò a guardarmi, fingendo stizza. “Sì, certo: come se ti facesse schifo quello che ti sto facendo.”

E tornò sul mio collo con le labbra, le sue mani strette sul mio seno e la fronte sopra la mia.

Le sue carezze erano sempre inebrianti, anche se conoscevo a memoria il calore della sua pelle contro la mia, sempre un po’ più fredda.

Nonostante avesse le mani piene di calli e con le unghie rovinate dagli anni di lavoro, trovavo il suo modo di toccarmi leggero e morbido. Mi trattava come seta, e forse per lui, lo ero davvero.

“Hai chiamato Roberto, vero?”

Mi bloccai, mentre gli accarezzavo la pancia sotto la maglietta e mi ritrovai ad immergermi in uno sguardo duro e leggermente triste.

“Sì e l’ho beccato mentre trombava allegramente e senza pudore.”

Luca aggrottò le sopracciglia, facendo una smorfia divertita.

“E’ normale trombare allegramente e senza pudore, Crì. Sei gelosa di lui?”

Gli diedi un colpetto sulla spalla, decisamente contrariata. “Ma sei fuori? Ovvio che NO! Solo che poteva evitare di rispondere in quel modo o inventare palle su palle, come sta facendo da un po’. Lasciamo perdere, dai. Non voglio parlarne e poi stiamo facendo altro, no?

Lui mi guardò per qualche secondo in un modo strano, quasi come se mi stesse scrutando dentro l’anima, ma poi tornò a sorridermi come al solito, baciandomi la punta del naso.

“Ok, Signorina Rottenmeier, però continuiamo a casa mia che ora prenotiamo le pizze e mi vado a fare una doccia. Puzzo come un’animale.”

Annuii, ma prima che lui mi liberasse dal suo peso e dal suo dolce abbraccio, seppellì la testa fra i miei capelli, respirandone il profumo.

“Ti amo, Cris, lo sai?”

Sorrisi ancora, perché nonostante me lo dicesse da tre anni, era sempre più bello sentirselo dire con lo stesso tono eccitato e commosso della prima volta.

“Anch’io, Luca. Anch’io.”

 

 

____________________

 

Eccomi qua con il nuovo capitolo!
La storia procede come avevo pensato e ci stiamo addentrando nella vita di Cristina. Una vita essenzialmente normale, con qualche difficoltà.
È finalmente comparso il nuovo Roberto del presente, un po’ cresciuto e decisamente diverso da quello che vi ho presentato all’inizio. Pian piano, scopriremo cosa è successo, ma ora concentriamoci solo su quello che abbiamo in mano :)

Un’altra cosa fondamentale di questo capitolo, è ovviamente il rapporto di Cris con Luca.

Molte di voi hanno detto già di non sopportarlo, ma vi assicuro che è di una dolcezza unica e non è il solito ragazzo insulso, senza palle e da lasciare in tronco per correre dal migliore amico figo di turno. No, la storia è un po’ diversa e cercherò di seguire il più possibile la mia idea originale.

Spero di avervi fatto cosa gradita con questo aggiornamento e spero di leggervi ancora più numerose nel prossimo.

Grazie di tutto, soprattutto a chi spende tempo a leggere e chi – ancora di più - spende tempo a recensire con parole sempre troppo belle per me.

Vi abbraccio tutte e vi aspetto nel mio gruppo!

 

A presto <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 4
*** Impotenti contro il destino ***


Capitolo 3

Cap 3

 

Impotenti contro il destino

 

 

“Principessa?”

Mugolai nel buio, cercando di scacciare quella voce dal mio orecchio.

“Altro che bacio dell’aitante principe azzurro per risvegliare la dolce principessa.. Qui c’è bisogno di una scop-

Mossi la mia mano verso la voce, alzandomi di scatto e guardando Luca negli occhi.

Ma è possibile che tu sia così cretino da svegliarmi in questo modo?”

Lui spostò la mia mano - che era finita con fin poca eleganza sulla sua boccuccia di rosa – e mi baciò sulla fronte, sorridendo sornione.

“Però questo cretino è riuscito a svegliarti quasi al primo colpo, salvando le tue dolci chiappe da un ritardo assicurato.”

Si alzò, lasciandomi una bellissima visione del suo sedere strizzato in una tuta nera e fin troppo stretta su quella bellissima parte del corpo.

Ero fissata per il suo sedere, che ci potevo fare!

“Cristina, lo so cosa stai facendo. Sono già le sette e mezza e sono anch’io in ritardo. O ti alzi da brava o mi giro e non usciamo da qui finché non mi implori; capito?”

Disse tutto ciò standomi di spalle, mentre si dirigeva verso il salotto. Odiavo quel dannato corridoio fin troppo lungo che alimentava la mia libido - fin troppo sveglia - quella mattina.

Così, sprofondai nel letto, sbuffando e imprecando contro i doveri da grandi che ormai avevano assorbito anche una pelandrona cronica come me.

E che l’inferno abbia inizio!

 

Quindi avete fatto dell’ottimo tricché e ballacche tutta la notte… E bravi i miei due sposini!”

Stefania era sempre, ma dico davvero seeeempre, la solita boccaccia larga e inopportuna.

Poteva sbandierare ai quattro venti – o per meglio dire a tutta la clientela all’interno del negozio – i miei personalissimi momenti di intimità con Luca, senza nemmeno accorgersene!

Ma non urlare, cazzo!” Mi avvicinai di più al suo orecchio, continuando a svuotare i nuovi capi della prossima collezione autunnale. “Comunque Luca è sempre meraviglioso e a volte mi sento così piccola a confronto. Non è solo per via della mia scarsa altezza e per i cinque anni di differenza che abbiamo, ma lui è sempre avanti dieci passi… Ho paura che – a lungo andare – si stufi di una piagnona, rompiballe, priva di autostima come la sottoscritta.”

Stefania sorrise, dandomi una pacca sulla spalla. “Tesoro è normale, non svilire te stessa con le tue solite paranoie! È un uomo, non un ragazzino e quindi è un suo dovere stupirti sempre e in positivo, soprattutto! Anche Leo è così: ma il fatto che siano amici, credo c’entri qualcosa.” Ridacchiò felice, passandomi accanto ed iniziando a preparare la nuova vetrina.

Stefania era una dolcezza unica: capelli biondi, occhi chiari e quella parlantina che ti sapeva stendere. Non era una ragazza appariscente, ma aveva quel tipo di bellezza acqua e sapone che, se anche un giorno avesse voluto uscire di casa senza truccarsi, nessuno se ne sarebbe accorto minimamente.

Era bella, nel senso genuino del termine: di una bellezza così dolce e spontanea che di costruito non aveva nulla.

“Boh… Dici che mi sto facendo tante menate per nulla?”

“Sì, cara, ma sembra che sia una cosa congenita nel tuo DNA. Ed ora, sotto a lavorare!”

Sbuffai, gettandole addosso un pezzo di cartone che mi era rimasto in mano e sorridendo per la sensazione di benessere che mi invadeva sempre quando ero in sua compagnia.

Passai così il resto della giornata a scherzare con lei o con i clienti di passaggio, esibendo un sorriso sereno e spensierato.

Non sapevo bene il motivo di quel benessere improvviso, ma ormai mi ero abituata ai miei repentini cambi di umore senza senso e senza motivazione apparente.

Mi incamminai così verso casa, dopo aver abbracciato con forza Stefania.

Qualche giorno e Giorgia, la mia quasi ex coinquilina, sarebbe partita.

Ultimamente non la vedevo quasi mai, ma non mi dispiaceva più di tanto… Non andavamo granché d’accordo e quindi la sua prossima partenza, non mi intristiva più di tanto.

Sinceramente non vedo l’ora di poter vivere insieme a Stefania e poter condividere tutto quello che mi era stato impossibile fino a quel momento.

Aprii la porta dell’appartamento, sentendo la vibrazione del cellulare avvisarmi dell’arrivo di un messaggio.

Dopo aver passato il successivo paio di minuti ad imprecare, cercando quell’affare nella mia borsa stile Mary Poppins, finalmente riuscii ad acciuffarlo.

 

Roberto

Ciao Scricciola, come stai? Stasera sono finalmente libero! Ho deciso di tener chiuso il locale almeno una sera a settimana, se no rischio l’esaurimento nervoso.

Per fortuna ho Jack che mi da il cambio, se no avrei già i capelli bianchi :S

Tutto sto papiro per cosa? Lo so che la tua testolina non la finisce un attimo di insultarmi, però volevo vederti. Ti va un’oretta di webcam con quel figone del tuo migliore amico?

Pls, answer me asap!!

 

Sorrisi, contro il mio volere, il mio orgoglio ed il mio cuore. Perché per quanto potessi odiarlo, insultarlo e cercare di non considerarlo: Roberto non sarebbe mai stata una persona qualunque per me. Non mi sarebbe mai stato indifferente.

Seppur la mia mente cercasse di rendermi forte e consapevole di potercela fare senza sentirlo o vederlo, il mio cuore ormai era diventato dipendente anche da quei piccoli momenti che ormai capitavano di rado.

Volevo vederlo, sentire la sua voce, ascoltare il suo respiro e la sua risata sguaiata.

Adoravo contare le piccole rughe che gli si formavano agli angoli degli occhi, ogni volta che mi sorrideva o mi prendeva in giro… Perché era il mio migliore amico e gli volevo bene anche se era uno stronzo.

 

Io

Ciao Asshole :D Vorrei poterti dire che sto alla grande, ma ho appena letto il tuo sms e mi hai rovinato la serata! Ahahha, quanto sono simpatica, eh? Ricordamelo, per favore!

Comunque stasera sono a casa sola soletta, anche perché Luca ha la partita di calcetto con i suoi amici e quindi è ormai una routine per me passare il giovedì sera a guardarmi qualche commedia americana. Quindi, se proprio devo – se proprio proprio proprio non puoi farne a me – puoi renderti ‘guardabile’ per quella meravigliosa ragazza che è la tua migliore amica :D

Mi ricordi che sono troppo simpatica?

 

La risposta arrivò prima che potessi anche solo togliermi la maglietta :

 

Roberto

Ma guarda te che stronza che sei :D Per fortuna che Whatsapp è gratuito, se no mi sarei mangiato le mani per aver speso soldi solo per sentire un’ingrata come te.

Basta, tornerò a chiamarti Miss Piggy.. Tanto so che ti piace tanto <3

Ah e comunque, dopo che ti sarai fatta un giro dall’estetista :P, ci becchiamo quando da te saranno le 19.. Guarda come sono gentile, passo la notte in bianco solo per te!

A dopo, *oink oink*

 

Faccia di merda! Sapeva sempre come farmi innervosire…

Sbuffai, continuando a sorridere, visto che sembrava che non potessi farne a meno.

Avevo meno di mezz’ora per farmi almeno una doccia e prepararmi un panino, ma non avevo nessun tipo di ansia al riguardo.

Visto che l’avevo aspettato per troppi mesi, forse era arrivato il momento di far aspettare lui, no?

Mi buttai così sotto la doccia, canticchiando una canzone del momento, mimando le parole con i gesti. Questo mi costò una quasi caduta sul fantastico tappetino antiscivolo che, evidentemente, non sapeva fare il suo lavoro.

Mi ripresi così dalla quasi caduta e dal quasi infarto e il mio balletto proseguì imperterrito anche in camera mentre mi vestivo con dei pantaloncini e una canotta.

Corsi poi in cucina, sculettando a tempo di musica e dilettandomi cantante con un microfono-sedano ormai troppo molle per poter eseguire il suo compito.

Mi tuffai infine sul letto a tempo record, con il piatto in grembo e il portatile di fronte.

Neanche il tempo di connettermi, che il classico trillo della webcam tornò a farmi visita.

“Bella topolona!”

“Brutto stronzo!”

Ancora prima di riuscire a focalizzare il suo volto, la voce del mio migliore amico tornò a solleticare i miei ricordi. Nonostante il tempo passato, Roberto conservava quella voce dolce e melodiosa  che stonava quasi con il suo nuovo fisico. Lo ricordavo ancora come ragazzino un po’ troppo magro e con i lineamenti dolci, ma - in quel momento - invece era un uomo, alto quasi il doppio di me, con il fisico più robusto e muscoloso e accompagnato da un volto duro con tanto di barba velata che lo faceva sembrare più grande.

Crì… Madonna se sei dimagrita! Non sembri più tu!”

Strabuzzai gli occhi, concentrandomi sul suo viso che si era avvicinato alla webcam, per osservarmi.

“E tu cosa hai combinato ai capelli? Hai fatto i colpi di sole?” Scoppiai a ridere, additandolo mentre ingurgitavo un morso enorme del mio amato panino.

“Stronza, non sai che vanno tantissimo qui negli States quest’anno! Che bastarda che sei...

Gli sorrisi soddisfatta, facendo spallucce. “Allora, come stai?”

Lui si appoggiò alla parete, incrociando le gambe e prendendo la chitarra in mano.

“Mah, il solito giro: lavoro, lavoro e lavoro. Sto preparando l’apertura della nuova stagione invernale con un mini concerto all’interno del locale… Una sfida di rock band emergenti, giusto per iniziare con stile. Te, invece? Hai ancora intenzione di fare medicina?”

Mi morsi il labbro inferiore, pensando seriamente alla mia imminente scelta.

Ero pronta a tentare per quel test?

Io che avevo studiato lingue per una vita, avevo le basi necessarie per provare un salto così azzardato?

No, ancora non ne ero del tutto sicura. “Sì, almeno ci voglio provare. Anche Luca ha fatto quella faccia! Dai, ma secondo voi sono così ignorante da non riuscire a farcela? Che miscredenti del cavolo che siete!”

Mi indignai, mangiando un altro boccone del mio panino con tanto di caduta libera di maionese sulla coscia che fece scoppiare a ridere l’idiota davanti alla webcam.

“Grande, Crì! Passa il tempo, ma tu sei sempre la solita rintronata... Senti, ma ancora devi dimagrire? No, seriamente: ti sto guardando le gambe e sono la metà di tre anni fa! Non va bene così.”

Gonfiai le guance, sbuffando di nuovo e con più enfasi. “Rob, dai, lo sai che non voglio tornare com’ero prima. Non mi rompere le palle anche tu su sta cosa: sto bene, ok? E poi tanto più di così non voglio dimagrire, sto cercando di cancellare la vecchia immagine di me.

Mi guardò a lungo, in silenzio, lasciando il tempo scorrere e i ricordi tornare.

Era un tempo un po’ lontano, dove i chili di troppo mi avevano privata di alcuni degli anni migliori della mia vita. Era il periodo successivo alla sua partenza e lui non se lo era mai perdonato: molto spesso si era dato la colpa di quel malessere che mi aveva portata a mangiare più del dovuto, riducendomi a distruggere il mio corpo.

Ma, in realtà, non era mai stata colpa sua.

Fu tutta colpa della solitudine, della morte della nonna e delle prese in giro dovute all’invidia delle mie ex compagne di classe, invidiose fino al midollo del mio rapporto con Roberto. Questo lui, non lo sapeva e mai ne sarebbe venuto a conoscenza.

Erano finiti i tempi in cui avevo bisogno di sentirmi protetta.

“Ok, ok. Con Luca, tutto bene?”

Sorrisi, tornando su argomenti ben più lieti. Nel frattempo, lui cominciò a strimpellare qualche nota, perdendosi con lo sguardo intorno alla sua camera.

Appesa al muro, aveva ancora la nostra gigantografia di cinque anni prima, fatta al vecchio ipermercato del nostro paesino di mare, con il resto accumulato dalle compere delle nostre madri. Era sfocata, eravamo fradici dopo esserci bagnati con delle bottigliette d’acqua, ma eravamo Noi: Roberto e Cristina. Quel Noi che mi mancava terribilmente.

“Luca è sempre un tesoro e con lui sto bene. Mi coccola, mi vuole bene e soprattutto: mi ama. Cosa posso chiedere di più dalla vita?” Gli sorrisi, mentre lui abbassava lo sguardo, sorridendo di rimando. “Te invece, Mr Melanzana?”

Roberto quasi si strozzò con la sua stessa saliva, iniziando a tossire come un disperato.

Io ridevo soddisfatta, vendicandomi di quel vecchio nomignolo che lui aveva inventato ben prima del mio mutamento fisico. Per questo, detto da lui, non sarebbe mai stata una vera offesa: per quel tipo di parole, aveva già dato modo di sfogarsi qualche anno prima.

“Quanto sei vendicativa! Miss Piggy è tenero come soprannome, ma Mr Melanzana è una vera presa per il culo!” E lo era per davvero, perché risaliva a molti anni prima, quando Roberto aveva persona la verginità con Marta Scarfato, una ragazza carina, simpatica, ma con qualche problema verso la sua persona. Narcisisti: meglio perderli che trovarli!

Comunque, tornando a quel ricordo esilarante, Roberto era poi corso a casa tutto preoccupato e chiamandomi trafelato, avendo paura di morire da un momento all’altro. Mi trascinò nel pronto soccorso più vicino, rischiando anche di essere beccati senza casco sulla sua vespa e facendomi passare il resto del pomeriggio in sala d’aspetto ad annoiarmi a morte.

Morale della favola?

Il signorino si era allarmato, perché il suo amico dei piani bassi era diventato viola, dopo il suo primo rapporto. Al momento – lo stronzo – non mi disse nulla, ma quando finì la visita e fu riaccompagnato in sala d’attesa dal dottore che rideva come un disperato, fu costretto a confessarmi il tutto. D’allora, per me, quando mi faceva innervosire: era Mr Melanzana e quante risate mi facevo ancora solo al ricordo!

“Lo so, Rob, ma è troppo divertente! Comunque, non mi hai ancora risposto.”

“No, non ce l’ho la fidanzatina, nonna. Sono scapolo più di George Clooney e non fare quella faccia gongolante: perché, Mr Melanzana, conquista comunque ottime puledre, tutte le notti!

Era risentito e fingeva di essersi offeso, ma non riusciva a mascherare il sorriso.

Perché rideva così tanto quella sera?

In fondo, anche io lo stavo facendo e per di più ero anche poco coerente con le mie idee dei giorni precedenti.

Volevo troncare tutti i contatti e lo stavo sentendo.

Sapevo che non si era fatto sentire quando il tempo ce l’aveva, eppure quella sera aveva rinunciato a riposarsi, per stare in mia compagnia.

Sembrava che quella sera fosse lì con me, invece era ancora lontano 6458 kilometri.

Come la mettiamo, Cristina? Perché parli tanto, ma i fatti faticano a venire fuori?

Crì?”

Mi pulii la bocca, lanciando poi il tovagliolo sul piatto accanto alle mie gambe.

“Sì?”

“Ti va di ascoltare una canzone? L’ho composta qualche sera fa e volevo che tu fossi la prima a sentirla. Rispolvera l’inglese, baby.”

Mi lanciò uno sguardo strano, come se mi stesse provocando e allontanando al tempo stesso.

Spostai il piatto e mi sdrai sul letto, prendendo il cuscino ed appoggiandoci poi il mento sopra.

“Ok, ehm, pronta?”

Io acconsentii e le sue dita si mossero velocemente, come se stessero danzando insieme alle corde tese della chitarra. Era poesia e magia in una sola melodia, che mi portò a chiudere gli occhi ed abbandonarmi ad essa.

“I can usually drink you right off of my mind, but I miss you tonight. I can normally push you right out of my heart, but I'm too tired to fight…”

I miei occhi si aprirono di scatto, osservando Roberto cantare con passione, dolcezza e quasi malinconia. A volte mi guardava come se volesse trafiggermi con le sue parole, altre distoglieva lo sguardo per guardare altrove. Muoveva leggermente il capo con dei piccoli colpi per togliersi i capelli da quegli occhi blu che erano rimasti immutati.

Erano sempre bellissimi e profondi.

“…Everything that we were, everything that you said, everything that I did and that I couldn't do…”

Appoggiai  il viso contro la mia mano destra, socchiudendo gli occhi all’immagine di un Roberto così diverso da quello che ricordavo.

Non era un ragazzino, ma non era nemmeno lo stronzo che pensavo fosse diventato.

Era… Era diverso. Non riuscivo ancora a capire se quel diverso fosse un complimento o un insulto.

“Tonight your memory burns like a fire, with every one it grows higher and higher and I can't get over it, I just can't put out this love…”

Si fermò di colpo, lasciandomi leggermente interdetta. “Già finita?”

“Sì, scusa. Non ho finito ancora il testo… Arrivo subito, vado a chiudere la finestra che sbatte.

Vidi lo schermo tornare vuoto, perdendomi con lo sguardo nel colore beige scuro della parete.

Quella canzone era bellissima e non potevo che essere felice per i progressi che aveva fatto in tutti quegli anni. Anche se non aveva ancora coronato il suo sogno più ambizioso, non aveva smesso di cantare e questo mi fece gonfiare di orgoglio, perché avevo visto crescere la sua passione davanti ai miei occhi.

Mi sentivo così strana ed agitata, anche lo stomaco mi sembrava quasi vuoto, nonostante avessi appena finito di mangiare un bel panino sostanzioso.

Chissà, forse mi stavano arrivando. Dovevo controllare il calendario al più presto.

“Eccomi, polpettina. Vedo che nonostante la dieta, l’airbag è rimasto ben gonfio.

Spalancai la bocca, scoppiando poi a ridere di gusto. “Ma che cretino! Le mie tette sono delle signore, non banalizzare il loro importante compito.

Lui ridacchiò, mentre abbandonava la chitarra sul pavimento. “Comunque, ho tipo fermato un casino di immagini di questa nostra videochiamata. Domani mi metto a ritagliare e modificare un po’ di cose e te le mando! In pigiama, siamo bellissimi!”

Sorrisi, sentendo già nell’aria il sapore amaro dell’addio.

“Stiamo per chiudere, vero?”

Lui mi guardò intensamente, socchiudendo leggermente gli occhi.

“Già, sono le tre e mezza qui e domani mattina devo andare dai fornitori per metterci d’accordo sui prossimi ordini. Senti, non perdiamoci più di vista, ok?”

La sua voce si incrinò, facendomi provare un brivido intenso sotto pelle.

“Quello sempre indaffarato sei tu, tesoro. Beh, allora… Ciao!”

Lui sollevò la mano e mi salutò, regalandomi poi un sorriso luminoso che non avrei scordato per nulla al mondo.

“Ciao, Crì: I’ll miss you.”

Sorrisi anch’io. “Me too, Rob.” E chiusi la videochiamata, osservando lo schermo bianco per minuti interminabili.

Era sempre così fottutamente devastante sentirsi per ore, dissetarsi della sua presenza come se mi stessi disidratando, e poi? Poi tutto finiva, anzi peggiorava, perché quando lo risentivo dopo secoli, capivo perché odiavo la lontananza, il destino, il mondo e me stessa.

Perché ero impotente, mi sentivo fottutamente impotente contro il destino che aveva deciso un cammino che non era il mio; non lo volevo quel fottuto futuro da medico!

Non volevo continuare a vivere con un lavoretto del cavolo, quando in realtà volevo viaggiare, scoprire il mondo, rispolverare il mio vecchio inglese e innamorarmi di nuovo della vita grazie alle mie foto. E volevo Roberto: lo volevo vicino a me, disperatamente.

Mi sentivo patetica, non apprezzata; inutile in un mondo che continuava a girare anche se io volevo stare maledettamente ferma sul mio posto.

Spensi il portatile e lo adagiai sul pavimento, per rintanarmi nel mio letto.

Faceva freddo quella sera e avrei voluto piangere, sfogarmi con le lacrime, le urla ed il dolore. Ma mi sentivo indifferente a tutto quel casino che vorticava nella mia testa, insieme al battere incessante del mio cuore e della mia anima fragile.

Ma non ero mai stato quel tipo di persona fredda, riflessiva, che sapeva sempre essere forte e fingersi indifferente al dolore.

Mi arrivò un sms, proprio mentre stavo sfogando la mia rabbia, picchiando il cuscino.

 

Roberto

Ogni volta che ritorni nella mia vita, ricordo quanto fosse bello stare al tuo fianco, respirarti, abbracciarti e sentirmi coccolato quando il mio mondo mi sembrava un disastro.

Sono cresciuto; siamo cresciuti, ma continuo a sentirti dentro come se non ti avessi mai abbandonato. Mi manchi, Cristina… Vorrei solo che New York fosse a pochi kilometri da Milano e vorrei poterti abbracciare in questo momento, perché so che sei sola e triste proprio come lo sono io. Dì a Luca, che se qualche giorno ti trova giù di morale, può venire qui a picchiarmi tutte le volte che vuole. A volte me lo merito, a volte sono stronzo: ma sono uno stronzo che ti vuole troppo bene.

Good night, sweetie.. Have a nice sleep with dreams into your head and hope into your heart.

 

Non riuscii a rispondergli come avrei voluto, purtroppo in quel momento avevo troppe cose che passavano nella mia mente.

Mi addormentai stringendo forte il cellulare al petto e con una lacrima solitaria a solleticarmi la pelle.

Quella notte, il passato tornò a farmi visita, rendendomi inquieta, disperata e sola.

Sola contro il destino.

 

 

____________________

 

Buooooooooooooooooooooooon pomeriggio!

Cosa ve ne pare del capitolo? Odiate o amate Rob? Cristina vi piace almeno un po’ o invece non la sopportate?

Prima di tutto, devo spiegare delle cose. Quello che c’è scritto in inglese, non è per niente difficile, ma se qualcuna di voi ha bisogno delle delucidazioni: basta chiedere e provvedo subito a fornirvele!

La canzone che canta Rob esiste davvero ed è dei Rascal Flatts, gruppo che adoro e se siete curiose di sapere che voce ha Roberto, beh… dovete solo attaccarvi ad Youtube ed addentrarvi nella loro bellissima musica! Ovviamente è loro tutto il copyright della canzone e del pezzo, ed io non mi prendo nessun merito al riguardo :)

Poi ci sono molti riferimenti reali, che non vi svelerò, ma lascerò questo arduo compito alla vostra fantasia :)

Avete notato che il capitolo è più lungo? Sì, perché più andremo avanti e più questi due avranno cose da dirsi… Non riesco proprio a fare capitoli brevi come volevo in partenza, scusate!

Ringrazio di cuore chi legge, recensisce ed inserisce questa piccola schifezzuola tra i preferiti, seguiti e da ricordare. Siete pochi, ma moooolto buoni: grazie!

Allora vi lascio e vi mando un sacco di baci!

 

A presto <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Fili sospesi ***


Cap 4

Cap 4

 

Fili sospesi

 

 

Quindi è arrivato il momento, no?”

Giorgia mi sorrise, più per circostanza che per sentimento: in fondo, non avevamo mai avuto chissà quale rapporto.

“Già. Mi mancherà vederti in giro per casa, più nuda che vestita, mentre improvvisi balletti idioti. Però l’educazione era una delle cose più importanti nella vita.

Nonostante non brillasse di simpatia ed intelligenza,  Giorgia aveva condiviso con me quasi due anni di convivenza. Non ci vedevamo mai, avevamo orari completamente diversi, ma era sempre stata un’ottima coinquilina.

Non aveva mai saltato un turno di pulizie e aveva sempre fatto la spesa, quando non riuscivo a farla io. Quindi, tutto sommato, un po’ mi dispiaceva non vederla più.

Certo, il sorriso ritornava a posarsi sulle mie labbra al pensiero di avere Stefania al suo posto, sempre in giro per casa.  Però, per fortuna, non ero così insensibile da gongolare visibilmente davanti ai suoi occhi.

Ci abbracciammo per parecchi minuti e mi offrii anche di accompagnarla in aeroporto, ma - come per magia - il citofono suonò, annunciando l’arrivo del taxi sotto casa nostra.

Quando richiusi la porta alle mie spalle, avevo gli occhi lucidi e il cuore un po’ più leggero. Decisamente, odiavo gli addii da troppi anni e non avevo ancora capito come affrontarli a dovere.

Scossi la testa e mi allontanai dalla porta, avvicinandomi al tavolino basso del salotto.

C’era ancora quel libro di medicina che non riuscivo ad tenere aperto più di cinque minuti... Per quanto mi sforzassi, non potevo definirmi felice di quella scelta così azzardata.

Purtroppo sia Luca che Roberto avevano avuto ragione riguardo alla mia scelta così apparentemente sbagliata ed inconciliante con il mio essere, ma io ero troppo orgogliosa per mollare e darli ragione.

Mentre accarezzavo la copertina ruvida di quel libro comperato ad un mercatino dell’usato, sentii il mio cellulare squillare sul divano. Lo afferrai e mi gettai tra la morbidezza di quei comodi cuscini rossi.

“Pronto?”

“Miss Piggy!”

Sbuffai, reprimendo un sorriso. “Forse era meglio quando non ti facevi sentire, Roberto.”

Lui scoppiò a ridere, accarezzandomi con la sua voce.

“Certo, ci credo proprio. Lo sento che stai sorridendo... Allora? Come stai?”

Erano passati due giorni dalla nostra videochiamata e le cose sembravano procedere inverosimilmente bene.

Roberto si faceva sentire, io gli rispondevo con felicità e anche Luca, vedendomi così serena e felice, lo era di riflesso per me.

È proprio vero: basta poco per rendere la vita più brillante e piacevole.

“Sì, continuo a guardare il libro di medicina che non accenna ad aprirsi o ad entrare magicamente nella mia testa.” Sbuffai. “Te invece?”

“Mi sono appena svegliato e visto che è sabato, devo fare un po’ di commissioni per questa sera. Ci sarà un casino, già lo so… Senti, posso chiederti una cosa?

Sorrisi. “Certo, baby. Tutto quello che vuoi!”

“Ti va di fare una pazzia?”

Rimasi con la bocca aperta e  - sicuramente - con un’espressione esilarante e ridicola dipinta sul viso.

“In che senso? Rob, mi devo preoccupare?”

Lui non rispose per parecchi secondi, tanto che controllai il display del cellulare, pensando ad un guasto o ad un problema di batteria.

“Volevo vederti... Sono tre anni che non abbraccio quella rompicoglioni della mia migliore amica e credo sia una cosa riprovevole. What do you think?”

Rimasi per un attimo ammutolita da quella frase che avevo voglia di sentire da troppo tempo.

Io e Roberto? Io e lui ancora insieme?

Il mio cervello stava facendo la ola e il cuore saltellava sul posto dalla felicità.

Scoppiai così a ridere, facendo alleggerire l’atmosfera.

“Direi che è cosa buona e giusta, ma non so nemmeno come… Cioè…Io non ho il denaro necessario per venire lì a New York.”

Lo sentii sospirare e me lo immaginari pensieroso e serio, proprio come lo ero io in quel momento.

Scricciola, per questo dicevo di fare una pazzia. Ci becchiamo a metà strada! Che so… Spagna? Francia?”

Era impazzito del tutto, questo era certo. Non l’avevo mai sentito così deciso e propositivo. Forse gli mancavo molto di più di quello che lui faceva trasparire. D’altronde, anche io avevo imparato a mitigare la mia sofferenza per la nostra distanza.

Solo Dio sapeva quanto mi mancava e quanto volevo vederlo di nuovo, respirarlo: viverlo.

Perché la nostra amicizia era nata per quello; per supportarci, esserci sempre e sostenerci anche nei momenti difficili.

Purtroppo avevamo vissuto momenti davvero difficili; ci eravamo allontanati per motivi inesistenti e – proprio quando meno te lo aspetti – si ritorna in pista, più bisognosi e amorevoli che mai.

Questa si che è davvero una pazzia! Forse ho i soldi necessari per andare.. uhm.. A Cannes? Ci sono stata una volta in stage e mi ricordo che, oltre ai prezzi esorbitanti per il cibo, il resto era fattibile. Potrei prendere la macchina e farmi qualche ora di autostrada per essere lì. Il vero problema sarebbe per te.”

“Non ho nessun problema, chica. Non per vedere te, per lo meno. Ho un po’ di soldi da parte; ultimamente non ho fatto altro che lavorare, quindi mi è rimasto un bel gruzzoletto. So… Non mi stai illudendo, vero?”

Sospirai, alzando gli occhi al cielo. “Perché dovrei, scusa?”

“Perché sono un povero disperato che necessita dei tuoi abbracci stritola-ossa.” Scoppiò a ridere, mentre le mie guance cominciarono a dolere per i troppi sorrisi che erano costrette ad accogliere. “Comunque, devi dirlo prima a Luca, se no non se ne fa niente! Però, ti voglio SOLO per me, nessun’altro.”

“Quante pretese! Se non ti conoscessi, sembra che stai architettando il piano perfetto per organizzare un week-end romantico!

Scoppiai a ridere, seguita dopo dalla sua risata cristallina.

Santo cielo… Odiavo ogni giorno di più quella fottuta distanza!

“Certo, ma chérie, attenta… Potrei saltarti addosso durante la notte!”

Concludemmo così quella buffa, ma rigenerante telefonata.

Roberto era e sarebbe sempre stato questo per me : rigenerante. Anche se spesso sapeva fare capitolare, cedere e distruggere - solo con le sua parole - la sicurezza che avevo accumulato in quei lunghissimi anni di distanza.

Lo avevo odiato, con tutta me stessa, quando aveva deciso di restare a New York, perché ormai aveva trovato il suo ritmo, la sua strada e la sua vita.

Invidiai quella sua forza e determinazione che io non avevo ancora trovato.

Roberto era davvero cresciuto durante quei cinque anni di calvario, riuscendo a cucirsi un pezzo di cielo tutto per sé. Ed io? Io cosa avevo fatto per me stessa?

Avevo cambiato città, mi ero diplomata, ma niente di tutto quello poteva essere paragonato con il salto nel buio che aveva fatto lui.

Era solo un ragazzino all’epoca, eppure aveva trovato la forza di camminare da solo, di guardarsi le spalle per proteggersi e a sorridere sempre ogni volta che mi contattava, per non farmi stare in pensiero.

Io avevo solamente finito per assumere di riflesso la sua forza, perché i primi anni avevo passato gran parte del tempo a piangere attraverso la cornetta, finendo così i pochi minuti che avevamo per sentirci.

Era davvero poco rincuorante tutto questo, ma la cosa che mi faceva ancora arrabbiare era che, Roberto aveva trovato la forza di fare tutto questo senza di me.

Per anni mi aveva definita il suo punto fermo; il suo pilastro indistruttibile.

Eppure aveva fatto davvero poca fatica a sostituirmi, non so con cosa o con chi, ma non mi interessava un gran che saperlo.

Mi aveva solo ferita la velocità della sua ripresa, quando io mi ero sentita fragile e debole, perché avevo perso il mio punto fermo nel mondo.

Fortunatamente – davvero è difficile capacitarsene di cotanta fortuna – avevo Luca al mio fianco : il mio amore, il mio pezzo di acciaio inossidabile, che nessuno avrebbe distrutto.

Lui sapeva sempre far ritornare il sorriso sulle labbra ed, in fondo, se non fosse stato per lui, non sarei diventata una vera donna con la testa sulle spalle.

Proprio quando avevo cercato di riprendere in mano il vecchio volume di medicina, il citofono suonò con insistenza, facendomi alzare di scatto e rovesciare il volume sul tappeto muccato.

“Chi è?”

“Il tuo fidanzato: nudo, aitante e con il pranzo in mano.”

Scossi la testa, aprendo la porta e venendo travolta dalle braccia di Luca.

Mi fece addirittura arrivare contro la parte opposta alla porta, baciandomi con passione e trasporto. “Uhm, ti sono proprio mancata, eh?”

Lui raccolse la busta del Mc Donald’s, chiudendo la porta.

“Da morire. Sei fortunata che ho una fame da lupi, se no…

E mi squadrò da capo a piedi, con tanto di occhiolino finale.

“Che cretino, sei?! Fai cagare come playboy!”

Lo sorpassai, sorridendo, rubandogli poi la borsa di carta per dirigermi verso la cucina.

Feci male i miei conti, perché venni presa per le anche e sollevata di peso.

“Donna ingrata: io sono un perfetto rubacuori come Mr. Grey, ricordi? Vieni che sfodero il mio frustino preferito.

Risi mentre mi solleticava la pancia con una mano e mi massaggiava il sedere con l’altra.

Era davvero tremendo.

Mi fece poi scendere per adagiarmi sul divano, lasciando la busta contenente il nostro pranzo abbandonata a se stessa nel corridoio.

Iniziò a baciarmi con il sorriso sulle labbra e io ne approfittai per mordergli il labbro e farlo scoppiare a ridere maliziosamente.

Prese subito a massaggiarmi il seno, sopra la maglietta, continuando a guardarmi impunemente.

“Quanto sei bella, Cristina… Passano gli anni, ma ti trovo sempre più gnocca. Com’è sta storia, eh?”

Abbandonò la sua fronte contro il mio collo, mentre mi mordicchiava la base del collo e poi dell’orecchio.

Proprio quando stavamo per iniziare la danza più bella e vecchia del mondo, il brontolio forte e acuto del suo stomaco, ci riportò sugli attenti.

“Luca, credo che faremo meglio a placare prima un altro tipo di fame: non trovi?”

Lui mise il broncio, scoppiando poi a ridere insieme a me.

“Va bene, signorinella. È destino che amoreggiare a stomaco vuoto, non è proficuo e soddisfacente. Aspetta dopo cena, bellezza.”

Mi alzai, ricevendo una pacca sul sedere, mentre Luca mi seguiva, prendendomi per mano.

 

Avevamo appena finito di mangiare e ci eravamo distesi di nuovo sul divano a guardare svogliatamente la televisione. Luca era sdraiato dietro di me, contro il divano, intendo ad accarezzare un lembo di pelle lasciato scoperto dalla mia maglietta corta.

“Amore?”

Mi girai verso si lui, sdraiandomi di schiena sul divano. Lui continuò ad accarezzarmi come se nulla fosse. “Sì?”

“Oggi mi ha chiamata Roberto.”

Mi sorrise. “E che ti ha detto?”

“Come stavo e se volevo commettere una pazzia insieme a lui.”

Luca aggrottò le sopracciglia, avvicinando il suo volto al mio. “Cioè?”

Il suo cambiamento repentino di espressione mi fece sorridere. Che gelosone!

“Vuole vedermi. Sono due anni e quasi otto mesi che non ci vediamo e abbiamo bisogno di ristabilire un contatto; un’amicizia più profonda di qualche telefonata o sms.

Avrei potuto perdermi nella profondità del suo sguardo di quell’istante.

Era liquido, quasi nero e non possedeva nulla del suo marrone abituale e giocoso. Quasi mi intimorì tutta quella sua improvvisa serietà.

Mi accarezzò la fonte con le dita e mi baciò poi lievemente sulle labbra.

“E la pazzia quale sarebbe, scusa?”

“Ecco…” Sospirai. “Dovrei guidare qualche ora per arrivare a Cannes. Ancora non abbiamo deciso quando e per quanti giorni, però era un modo per far risparmiare entrambi. Vederci più o meno a metà strada, anche se la maggior parte della strada la farebbe lui, comunque. Che ne pensi?”

Sentii le sue dita tra i miei capelli e le sue labbra sulla tempia.

“Ci tieni molto, vero?”

Mi morsi il labbro inferiore. “Sì.”

Solleticò il mio collo con il palmo della mano, poi prese il mio mento tra due dita, per farmi alzare leggermente il viso verso il suo.

Turbamento e insicurezza brillarono nel suo sguardo, ma fu solo un attimo, perché il solito scintillio di ironia e malizia ritornò immediatamente al suo posto.

“Va bene, piccola. Solo perché ci tengo davvero molto a te. So che ci stai male da troppo tempo…”

Mi baciò, senza darmi tempo di chiudere gli occhi, di ringraziarlo o di ricambiarlo.

Luca si impossessò voracemente delle mie labbra, la sua lingua come unica proprietaria della mia bocca e uno scambio di parole silenzioso che mi faceva vibrare il cuore di gioia.

Ogni suo gesto, in quell’istante, gridava possessione e amore.

“Ti amo da morire, Crì. Per favore, non farmene pentire.”

Mi indignai e non poco. “ Ma sei scemo?! Dopo diciassette anni di amicizia, io dovrei mandare tutto a puttane? E dopo tre anni di storia d’amore, dove non ti ho mai dato modo di farti dubitare, improvvisamente mi si sveglia la voglia di tradimento?

Le mie mani si posarono sul suo petto, per allontanarlo leggermente da me.

Lui, invece, dopo un leggero smarrimento, scoppiò a ridere di gusto, tornando a baciarmi ripetutamente il collo.

“Ti. Amo. Da. Morire. Quando. Fai. La. Gelosa.”

Sospirai, senza potermi controllare.

Il suo respiro caldo e umido sul mio collo nudo era sempre qualcosa di devastante per i miei sensi.

La sua mano oltrepassò la mia magliettina leggera e tornò a solleticare prima la mia pancia e poi il seno.

“Cri..

Lo sentii sospirare sul mio collo, mentre il suo bacino sospingeva dolcemente contro il mio. “Ho voglia di assaporarti.”

Sorrisi, alzando gli occhi al cielo per quella frase detta con il tono di un bambino capriccioso. “Nessuno ti impedisce di placare questa voglia…”

Giocai anch’io, perché era l’unico uomo che poteva farmi quelle richieste e ricevere sempre una risposta affermativa.

L’unico di cui non avessi vergogna.

L’unico che mi sopportava anche fuori dalle lenzuola.

L’unico che possedeva il mio corpo, ma soprattutto il mio cuore.

Nonostante fossimo insieme da tre anni, la passione era sempre più forte, più esigente e implacabile.

Avevo sempre pensato che le coppie, con l’andare avanti degli anni, possano arrivare ad annoiarsi di stare insieme sempre con la stessa persona.

Ma… Non era per niente così. Con Luca era tutto una continua sorpresa, sapeva come prendermi, cosa dirmi, come comportarsi anche quando avevo il ciclo e morivo di dolore.

Luca sapeva essere l’amante che desideravo, l’amico di cui avevo bisogno e il consigliere ideale per le mie seghe mentali.

Era normale che, ormai, sentissi ogni fibra del mio essere marchiata con il suo nome ed il suo profumo.

Mentre lo guadavo armeggiare con i pantaloni e massaggiarmi attraverso gli slip, non potei fare a meno di pensare a quanto fossi fortunata.

Avere lui al mio fianco era completamente gratificante.

Il suono del mio cellulare, però, fece sobbalzare entrambi.

Lui si inginocchiò tra le mie gambe, passandosi una mano tra i capelli e sospirando pesantemente.

“E che palle! Oggi mi vogliono lasciare a secco!”

Si alzò, borbottando e passandomi il cellulare che vibrava sul mobiletto della tv.

Appena vidi il numero sul display, mi mancò il fiato.

“Pronto?”

Ascoltai quelle parole trafelate, sbarrando gli occhi.

E il panico si insinuò nel mio cuore, facendolo quasi scoppiare.

 

 

_____________________

 

Sono una persona cattiva, se ho voluto far finire il capitolo in questo modo?

Sì, forse un pochino, ma lo faccio per il vostro bene! u.u

Allora, che ve ne pare?

Abbiamo un Roberto più propositivo, una Cristina molto felice e un Luca dubbioso, ma coccolone. Le cose stanno per cambiare…

Chi sarà al telefono? Roberto o qualcun altro?

Voglio proprio vedere quale sarà la vostra risposta!

Per il momento io sono contentissima di questa storia! Ci sto mettendo tanti pezzettini di vita e di cuore e spero vivamente di lasciarvi almeno qualche piccola emozione <3

Grazie mille a chi legge ed inserisce nelle preferite/seguite e da ricordare.

Un grazie speciale a chi perde tempo a recensire e a supportarmi sul gruppo di Facebook.

Vi voglio un sacco bene.

 

A presto <3

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Averti qui è un po' come morire ***


 
 
Cap 5
 


 

Averti qui è un po’ come morire



 

 
 
Vedevo, riflesso nel finestrino del taxi, un petto che si muoveva convulsamente avanti ed indietro.
Quella persona che riuscivo solamente ad intravedere tra le lacrime, era la perfetta raffigurazione umana dall’ansia e del panico.
“Crì?”
Quella mano, quel calore e quella voce dolcissima fecero ripiombare il peso della realtà di nuovo sulle mie spalle ricurve.
Dov’ero finita?
Perché il cuore mi faceva così male?
Riportai il mio sguardo sul finestrino che mi rivelò che quella perfetta raffigurazione dell’ansia: ero io.
Io stavo piangendo aggrappata al braccio di Luca e non riuscivo a capacitarmi di quello che era successo.
Mi sentivo impotente come mai in vita mia e dopo due ore di attesa, non vedevo l’ora che quel maledetto taxi si fermasse e mi facesse correre verso la fonte di tutto quel disfacimento interiore.
“Amore? Hey, guardami…”
Mi voltai in automatico, immergendomi negli occhi nocciola del mio ragazzo.
“Piccola, andrà tutto bene. La tua mamma è una tigre, proprio come te. Nessuno te la porterà via; te lo prometto.”
Mossi solamente la testa in un accenno indefinito, prima di rituffarmi sulla sua spalla e nascondermi tra i suoi capelli. Il suo profumo mi tranquillizzò, anche se le lacrime continuarono a scendere silenziose.
Dopo un tempo che non riuscii a quantificare, sentii la macchina fermarsi e Luca parlare con il tassista.
Non mi curai nemmeno di salutare lo sconosciuto o di aspettare il mio generoso accompagnatore ed cominciai a correre sotto la pioggia scrosciante, smaniosa di rivedere il volto della mia seconda anima.
Le porte automatiche dell’ingresso si aprirono a fatica e io mi fiondai alla reception chiedendo informazioni.
Mi ci volle più di un minuto per riuscire a parlare e a spiegare all’impiegata cos’era successo.
Per fortuna quella donna in carne e dal viso gentile capì il mio italiano quasi tribale, indicandomi un lungo corridoio senza finestre che mi avrebbe portata al pronto soccorso.
Arrivai nel grande salone d’attesa decisamente trafelata e sconvolta dalla velocità degli eventi.
Solo due ore prima ero felice e abbracciata al mio ragazzo che mi stava coccolando con tenerezza e poi, come nel peggiore degli incubi, mi ero ritrovata a prendere un aereo, a cercare poi un taxi sgangherato per essere trasportata in un posto semi sconosciuto che puzzava di disinfettante e di terrore.
Dopo che l’ansia mi stava pian piano distruggendo, riuscii a risalire delle scale e a raggiungere il reparto di terapia intensiva.
Venni fermata da un giovane infermiere, più impaurito di me dal mio stato emotivo che cercò di calmarmi con scarsissimi risultati.
Così, più afflitto di poco prima, mi fece accomodare su una seggiola bianca in legno plastificato che alimentò il mio evidente nervosismo.
Poco dopo, il ragazzo mi lasciò solo e venni raggiunta da un’altra signora distinta, con gli occhiali enormi e il volto serio.
“Lei è…?”
Mi passai una mano sul volto, cercando di ricompormi. “Cristina Moro. Mia madre dovrebbe essere lì dentro da circa tre ore.”
Solo dirlo, mi fece ricapitolare ed abbandonare il capo contro le mani.
“C-Cristina?”
Mi voltai verso la mia sinistra e, in mezzo al lungo corridoio color verde mela, ritrovai un viso più che conosciuto.
“Giovanna?”
La piccola donna in carne con la pelle chiara, i capelli biondo cenere e gli occhi marroni, mi venne in contro quasi correndo.
Accolsi così, tra le mie corte e impacciata braccia, la mamma di Roberto.
“Oh signore santo! Quanto sei cresciuta, Cristì? Mamma mia, sei diventata ancora più bella!”
Mi strizzò le guance, facendomi arrossire all’istante. Nonostante il momento catartico, sentire una presenza così familiare, mi fece stare bene.
Giovanna, nonostante avesse qualche accenno di rughe, era rimasta sempre la solita donna  bella, simpatica, gioviale e dolce come lo zucchero.
“Grazie.. E grazie per avermi chiamata; appena ho riconosciuto il numero di mia madre e ho sentito poi la tua voce, ho sentito subito un tuffo allo stomaco… Dio, cos’è successo?”
Il panico ritornò ad insinuarsi nel mio corpo, costringendomi a sedere di nuovo su quella sedia scomoda, che - d’altronde -  era l’unico punto fermo che possedevo al momento.
Giovanna si sedette al mio fianco, appoggiando una mano sul mio ginocchio.
“Tesoro, è stato orribile! Orribile!” Si portò una mano sotto il collo, con espressione addolorata e sofferente. “Eravamo appena tornate dal supermercato e stavamo spettegolando come al solito. Poi, oddio… Mi è caduta letteralmente tra le braccia mentre stavamo sistemando la spesa nel suo frigo. Io sono andata nel panico più totale, sai come sono imbranata in queste cose e allora ho cominciato a farle aria, ad alzarle i piedi e poi ho chiamato subito l’ambulanza. Da quando è entrata lì dentro, non ho saputo più nulla. Mi duole il cuore solo al pensiero di perderla… E’ la mia migliore amica.”
Le lacrime tornarono a scendere sia sul mio viso che sul suo e l’abbracciai di slancio, cercando di trarre forza da quel semplice gesto.
Se dovevo indicare una persona che stesse soffrendo come me per quel brutto momento, quella era di certo Giovanna.
Da quando aveva ottenuto il divorzio da Mario, si era trasferita nella stessa via di mia madre ed erano diventate inseparabili.
Entrambe con i figli lontani e con i mariti scomparsi – chi per un modo e chi per l’altro – dalle loro vite, erano riuscite a ricucirsi una vita serena e semplice, senza pretese, ma ricca di piccole gioie.
“Eccomi, amore.”
Luca si sedette sull’altra sedia libera al mio fianco e mi staccai da Giovanna per fare le presentazioni.
Si strinsero le mani in modo molto dolce e la donna lo guardò molto a lungo, pensando a chissà che cosa.
“Sei davvero un bel ragazzo, complimenti! Lo sapevo che la mia Crì ha sempre avuto buon gusto.”
Io arrossii di nuovo, ma con quella donna era ormai una prerogativa imprescindibile.
Luca, invece, mi trasse a sé, baciandomi il capo. “Assolutamente d’accordo. E’ una ragazza che sa il fatto suo.”
Una sensazione di apparente calma, sembrò pervadermi, lasciando che il tempo scorresse con meno fatica di qualche tempo prima.
Stare in mezzo a quei due, mi fece davvero bene.
“Signorina Moro?”
Un uomo brizzolato con la maschera calata sul collo, mi si avvicinò con fare deciso.
Le mie gambe si sollevarono involontariamente, portandomi in posizione eretta.
“Sì, sono io. Mi dica dottore, come sta mia madre?”
Dopo qualche secondo di silenzio, il dottore mi sorrise timidamente, facendomi emettere un sonoro respiro di sollievo. “Bene, signorina. Purtroppo tutto questo è successo, perché sua madre non esegue le dovute visite e controlli. Sa, una donna con i suoi problemi di cuore, non può dimenticarsi di prendere le sue medicine per tre giorni di fila. Ecco, sua madre ha subito un infarto del miocardio non indifferente. Per essere il più semplice possibile, un’arteria le si era ostruita e abbiamo cercato di ripulirla. Ora la teniamo in osservazione per almeno una decina di giorni, per controllare e monitorare il suo cuore. Poi dovrà intraprendere una cura mensile di anticoagulazione del sangue, ma questo glielo spiegherò in seguito.”
Mentre le parole del dottore via via sfumavano nella mia mente, sentii improvvisamente il pavimento tramare sotto i miei piedi.
Luca per fortuna mi accolse tra le sue braccia, evitando di farmi cadere rovinosamente a terra.
“Ma ora come sta? Posso vederla?”
“Sta bene, anche se è ancora sotto anestesia. Dovrebbe già essere stata trasportata nel reparto; chieda all’infermiera in fondo al corridoio il numero della stanza. Ora devo andare in sala operatoria, signori. Arrivederci.”
Seguendo il consiglio del dottore, mi precipitai dall’infermiera che mi indicò dove dirigermi e con Giovanna al mio fianco e Luca che intrecciò la sua mano con la mia, riuscii a non crollare e a trovare la forza di fare un passo dopo l’altro.
Appena il numero 16 si proiettò davanti a me, entrai senza pensarci.
Lì, rannicchiata sotto le coperte bianche e con il viso del medesimo colore, mia madre dormiva come la bella addormentata in attesa del bacio fatato del principe.
Dio, sembrava così piccola.. La mia mamma, la donna muscolosa abituata a fare lavori maschili e a dover soppesare la mancanza di un marito morto troppo precocemente…
Corsi ad abbracciarla, nonostante la flebo, i macchinari strani e quei tubicini trasparenti.
L’abbracciai forte o forse mi sembrò di essere abbracciata da lei, perché in fondo era sempre stato così.
Era lei quella forte, quella che lottava per tutte due contro le ingiustizie della vita.
Senza di lei, io sarei stata perduta.
“Mamma..”
Le baciai il volto, accarezzandoglielo leggermente.
“E’ bellissima.” Luca era dall’altra parte del letto e la guardava con occhi commossi.
“Sì, è la mia mamma.” Gli feci la linguaccia, stringendo di più quel viso minuto e femminile, nonostante i muscoli lievemente accennati delle braccia.
“Cazzo, deve avere una forza spirituale potente… Mi piace!”
Luca era la prima volta che vedeva dal vivo mia madre e in qualche modo quei suoi complimenti strambi, mi fecero stare bene.
Insomma, ero orgogliosa di entrambi.
“Certo, la mia Paola non è mica una pappamolle! Glielo metterà in quel posto anche al signore!”
Giovanna mi fece scoppiare e ridere tra le lacrime, facendomi sembrare probabilmente buffa e forse pazza.
“Sì, Giò, ne sono certa. Senti, perché non porti Luca a casa e lo fai riposare un po’? Così poi potete cenate insieme e riposare.”
“Per me va bene, capisco perfettamente ciò che mi stai dicendo indirettamente… Ok, sloggio, però domani mattina arrivo appena iniziano gli orari delle visite!”
Le sorrisi, mentre Luca mi guardava socchiudendo gli occhi.
“Cosa?”
Sospirai e lo raggiunsi dall’altra parte del letto, prenendolo per mano e trascinandolo fuori nel corridoio.
“Amore..”
“No, amore un cazzo; Crì! Io non voglio lasciarti qui da sola tutta la notte a dormire su una poltrona scomoda. Non sei la sola a lottare contro questo... Io ci sono e ci sarò sempre. Lasciami stare qui con te; voglio lottare con te.”
Il suo sguardo era risoluto, deciso; lo sguardo di un uomo che sapeva cosa voleva per sé e per la sua compagna… Dio, avrei potuto abbracciarlo e rimanere tra le sue braccia per tutta la vita.
“Luca.” Sospirai, perché mi faceva male il cuore allontanarmi da lui anche se per poche ore. “Ti amo e mi lusingano le tue parole; sei dolce, generoso e mi rispetti come nessun’altro ha mai fatto, però… Però tu lunedì devi tornare a lavorare e non voglio che te ne approfitti chiedendo permesso visto che sei il figlio del capo; no! Tu vai a casa, riposi e domani mattina vieni qui da me e mi porti la mia colazione preferita.”
Gli sorrisi e mi avvicinai al suo viso, accarezzandolo con il dorso della mano libera.
L’altra era ancora intrecciata alla sua che la stringeva con forza e possessione.
“Crì..”
“Shhh.” Gli posai un dito sulle labbra, sostituendole presto con le mie che vennero accolte dalla sua lingua che, con esigenza e leggera disperazione, si insinuò non solo nella mia bocca, ma fino in fondo all’anima.
Quel bacio significava “Ti amo”, “Sei mia”, “Non fare cagate, ma proprio per questa tua impulsività: ti amo.” E tutto riecheggiava nella mia testa all’unisono con il mio petto, ormai unito saldamente al suo.
“Sai sempre come prendermi, brutta stronza.”
Nonostante fossimo in un ospedale silenzioso e con pazienti in condizioni più o meno gravi a pochi passi di distanza, mi ritrovai a dover soffocare una risata contro la sua camicia. Luca era… Luca, punto.
Era speciale, assolutamente.
“Lo so che, a dir si voglia,  ami questa brutta stronza con tutto te stesso.”
Lui semplicemente mi sorrise radioso, prima di darmi un buffetto sul capo e allontanarsi verso Giò che salutò velocemente mia madre e mi abbracciò poi con forza.
Li guardai sparire nel lungo corridoio, finché non entrarono nel primo ascensore libero disponibile.
Prima di ritornare dentro la stanza, da mia madre, mi abbandonai contro la parete, volgendo il viso verso il finestrone al mio fianco.
Il cielo era grigio, senza il minimo sprazzo di luce aranciata tipica del tramonto.
Era come se quella giornata non si meritasse una fine così dolce e lenta, come se necessitasse la forza prepotente e annientatrice della notte.
Anche le nuvole sembravano intimorite da quella folle previsione, o forse era solamente il mio inconscio che proiettava la sua angoscia su tutto ciò che mi circondava.
Sbuffando, mi sistemai i capelli dietro le orecchie e mi diressi dentro la stanza asettica.
Il letto di fianco al muro era vuoto, mentre quello vicino alla finestra accoglieva il silenzioso corpo della mia genitrice.
Vederla così inerme, mi faceva male; ma come ogni figlia che si rispetti, tendevo ad idealizzare mia madre al pari di una dea indistruttibile e capace di ogni cosa.
Che sciocca… Nonostante non fossi più da tempo una bambina, non avevo smesso di esserlo ai suoi occhi e forse anche dentro al mio cuore.
In fondo, mi trattava ancora come se fossi la sua piccola principessa e a me piaceva essere coccolata ancora come una bambina.
“Sai, mamma; mi spiace immensamente per tutto questo. Ti ho lasciata sola, proprio come ha fatto il papà e mi sembra di sentirti sempre più triste al telefono, perché non sei riuscita a fermare queste due partenze che ti hanno ferita nel profondo. Papà non poteva tornare indietro, ma io posso ancora farlo…”
Mi sedetti sulla sedia di plastica per poterle stare più vicino, visto che la poltrona in pelle consunta era addossata alla parete in fondo alla stanza. “Perché non me lo hai detto? Perché non mi hai avvertito che il tuo cuore adesso comincia a farti degli scherzi? Tu prima mi hai sempre rimproverato di averti tenuto fuori dalla mia vita, ma è lo stesso che stai facendo tu. Non sapevo che dovevi prendere delle pastiglie; non sapevo che in realtà la tua forza si sta affievolendo.. Dio, vederti così mi ferisce… Non ti ho mai vista stare ferma in vent’anni di vita. Tu che non stavi mai a casa nemmeno se avevi la febbra altissima o un virus intestinale fin troppo ostico. No, tu ti imbottivi di medicinali e correvi a lavorare, perché era l’unico modo per sopravvivere alle follie della nostra vita.”
Mi asciugai le lacrime, mentre con la mano libera le accarezzavo il viso pallido.
Nonostante il tuo pallore, mi sembrava di vederti sorridere della mia stupida fragilità.
“Sei la mamma migliore del mondo, te lo voglio dire appena ti svegli. Non sono mai riuscita a dirti un vero ti voglio bene, perché sono una frana in queste cose… Cielo, devi riprenderti, ok? Mi devi insegnare tutte le tue ricette, i tuoi rimedi contro ogni imprevisto e voglio assimilare un po’ di quella forza che ti ho sempre invidiato. Mamma, voglio diventare una donna forte come te: una madre impeccabile e una lavoratrice inarrestabile. Sei tu il mio eroe, da sempre.”
Mi sentivo leggera come non mai, inseguendo le parole che avevano affollato la mente per tutta la vita, ma che non ero mai riuscita a dare voce.
Non è mai facile rivelare ciò che si prova per una persona, soprattutto per un genitore.
A volte si da il loro amore per scontato e ci dimentichiamo come invece un semplice Ti voglio bene possa fare la differenza e risollevare l’animo ferito in continuazione dai sacrifici, i problemi e le controindicazioni della vita.
“Hey! Non puoi andare da quella parte: fermati!”
Una voce squillante – proveniente dal corridoio -  mi ridestò dai miei pensieri, facendomi rizzare sulla sedia.
Un po’ preoccupata e allarmata, mi alzai stancamente per raggiungere la fonte di quel macello.
“Guarda, non mi interessa! Non è permesso fare visite a quest’ora, mi dispiace.”
Varcata la soglia della stanza, mi guardai intorno, finché il mio sguardo si fossilizzò sul fondo del corridoio alla mia destra.
Rimasi stupefatta, turbata e letteralmente shockata da ciò che i miei occhi mi mostrarono impunemente.
“Oddio…”
La coppia si voltò verso di me, attirati dalla mia voce.
Non poteva essere vero!
“Miss Piggy!”
Sbattei le palpebre più volte, finché quel viso famigliare fu sostituito dalle sue braccia intorno al mio corpo.
Come aveva fatto ad arrivare vicino a me così velocemente?
Dio… il suo profumo: quel profumo!
Le mie sinapsi lo riconobbero prima del mio cervello.
“Signore, la prego, è un parente stretto della paziente?”
L’infermiera, nonostante fosse visibilmente molto scocciata, si affacciò dentro la stanza, per controllare mia madre.
“È mio fratello.”
Sentii Roberto sobbalzare, ma non ero abbastanza lucida dall’esserne sicura.
D’altronde ero spiccicata contro la sua felpa grigia.
“Va bene, va bene. Mezz’ora e se il signorino non sparisce, chiamo la sicurezza. Intesi, ragazzi?”
L’arroganza della donna non sembrò minimamente sfiorarci visto che eravamo persi in quell’abbraccio che sapeva di troppe cose dimenticate.
Quando sentimmo i passi della donna affievolirsi, Roberto incominciò a tremare tra le mie braccia prima di scoppiare a ridere di giusto.
Quella risata roca e famigliare…
“Fratello, eh?”
Si staccò da me, permettendomi di osservare il suo bel viso stanco, ma incredibilmente luminoso.
Ancora sorrideva.
“Era l’unico grado di parentela vagamente accettabile per l’incredibile Hulk in gonnella.”
Il mio guardo fu eloquente e lui ritornò a ridere, riprendendomi tra le braccia.
“Mamma mia, ma allora la scemenza non diminuisce con il passare del tempo! E io che speravo di trovare una donna adulta, seria e che profumava di Chanel n°5!”
“Stai dicendo per caso che, oltre ad essere scema, ora puzzo anche?”
Lui mi infilò una mano tra i capelli, iniziando a grattare leggermente la cute.
“Ma no, sai di balsamo e bagnoschiuma; sai di Cris, no?”
Io mugugnai un uhm uhm poco convinto, perché quella sua dannata mano mi aveva messa K.O.
“Allora funziona ancora il grattino tra i capelli, eh? Passano gli anni, ma tu sei sempre la mia tigrotta.”
Mi allontanai da lui, iniziandolo a spingere.
“We, Mr Presunzione, hai finito di sparare cazzate? Non ci vediamo da tre anni e tu parli della mia igiene personale?”
Lui sorrise, di cuore. Aprì le sue labbra mostrandomi i suoi denti bianchi e perfetti.
Cavolo, era decisamente cresciuto.
Lui che non aveva mai avuto che due peli in croce, ora era fornito di una leggera barbetta biondo scuro che stranamente gli donava.
I capelli erano alla base castano chiari – mentre una volta erano color caramello -  e aveva tante piccole ciocche di un biondo più chiaro, come avevo visto solo poco tempo prima grazie alla webcam.
Fisicamente mi sembrava più alto, sempre magro, ma più tonico. Mi fece strano vederlo così in forma, forse perché fino a poco tempo prima era stato allergico a qualunque tipo di sport.
Era Roberto; un Roberto più uomo, cresciuto, ma forse fondamentalmente lo stesso bambinone di sempre.
“Mi osservi come se guardassi un estraneo.”
Sorrisi, scuotendo la testa. “ E che sei cambiato fisicamente. Mi fa strano.”
Lui fece spallucce, guardandomi negli occhi. “Cioè? Sono ingrassato?”
Roteai gli occhi, decisamente in disaccordo.
“Ma sei scemo? Sei sempre il solito mingherlino, però sembri più muscoloso di una volta. Hai la barba! Tu che passavi settimane a guardarti allo specchio, sperando di usare il rasoio di tuo padre, ma non ti cresceva che qualche pelo; se ti andava bene. E poi, beh, non mi ricordavo che il tuo 1.85  fosse così distante dal mio metro e una banana.”
Lui scosse la testa, passandosi una mano fra i capelli.
“Anche tu sei diversa, fisicamente intendo.”
Feci una giravolta su me stessa, facendolo sorridere di nuovo.
“Non sono una figa da paura?”
Lui alzò un sopracciglio, prendendomi in giro. “Ma anche no! Dai, scherzo; stai davvero benissimo. I capelli corti ti stanno da Dio, sembri più grande. I boccoli sono sempre gli stessi e il tuo fisico mi sembra meno formoso di un tempo. Credo che Luca ti faccia faticare troppo.”
Mi diede una leggera gomitata, prima di riprendermi per la terza volta tra le braccia.
Quanta tenerezza! Sentivo il suo respiro contro i miei capelli, le mani sulla schiena e il suo profumo che mi circondava dolcemente.
“Mi sei mancato da morire, te ne rendi conto?”
Dopo qualche minuto di silenzio, lui si staccò leggermente, giocando con una mia ciocca di capelli.
“Se solo tu sapessi quanto tu sia mancata a me. Ho convissuto per un po’ tra la rassegnazione di non averti più vicino e il dolore che ti ho inflitto rimanendo così lontano.”
Era serissimo in quel momento e i suoi occhi azzurro-verdi erano quasi perforanti.
“Dopo la rabbia, mi sono resa conto che lasciando me, hai potuto ritrovare la tua libertà. Rob, io sono felice per te e per la tua nuova vita. Non mi importa se vederti poco è il prezzo da pagare, voglio solo vederti sempre così sorridente.”
I suoi occhi mi sembravano leggermente più lucidi, o forse erano le lacrime che cercavo di trattenere a farmi apparire tutto più sfuocato.
“Questi sorrisi sono merito tuo, scema. E non ho lasciato te per la liberta; ho dovuto lasciare te per ritrovare me stesso. Ora che sto bene, mi rendo sempre più conto di quanto tu mi manchi da morire. Mi spiace poi per quella volta…”
Gli tappai la bocca con una mano. “Non qui, non ora. Non ti preoccupare, ok?”
Lui sembrò contrariato, ma riprese la mia mano e la tenne stretta tra le sue.
“Invece conta, però non è il momento giusto per parlarne. Senti, Paola come sta? Mia mamma mi ha chiamato e ho preso il primo volo disponibile. Non volevo piombare qui a mezzanotte, però-“
Lo bloccai, stupefatta. “Che ore sono?”
“Mezzanotte.”
“Oddio.. E’ passato già tutto questo tempo? Non me ne sono proprio resa conto.”
Lui scosse la testa. “Sei sempre la solita rimbambita. Hai cenato?”
Storsi la bocca. “No, ma non ho molta fame.”
Lui cominciò a camminare, trascinandomi dietro.
“E no, non va proprio bene! Non voglio che mi svieni dopo che non ti vedo da tre anni. Ora andiamo giù a mangiare; al posto del bar di Nino hanno messo una pizzeria/kebab che è aperta fino alle due.”
“Rob, davvero non voglio mangiare.”
Cercai di fermarlo, ma il suo sguardo era eloquente.
“Non me ne frega niente, piuttosto ti imbocco come i bambini. Prendi la borsa, una giacca che fa fresco e ti fai offrire un bel kebab dal tuo vecchio amico di giochi. Ti aspetto giù ed è un ordine.”
Fece un gesto intimidatorio, tagliandosi fintamente la gola – prendendomi chiaramente in giro - e lo vidi uscire sorridendo dalla mia visuale.
Non mi ero accorta che durante quell’ultimo quarto d’ora, il mio cuore batteva all’impazzata.
Il dolore di quella sera sembrò quasi attutirsi tra gli abbracci del mio unico sconclusionato migliore amico.
 
 
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Non dico altro, non vi ho fatto capire nulla sulla comparsa improvvisa di Rob.
Sono felice, perché amo scrivere di lui, come di Cris e Luca.
Non ho altro da dire, se non grazie a tutte voi che siete sempre di più e sempre più gentili.
Un grazie speciale a Chiara, perché mi ha resa felicissima :)
Ora voglio leggere le vostre impressioni, sono importantissime per i prossimi capitoli!
 
A presto, bellezze <3
 
Ps: non sono un medico, non studio medicina e non so se quello che è successo a Paola sia verosimile. Se qualcuno se ne intende, può benissimo farmi presente se ho sparato una marea di cavolate :)
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 7
*** Salutandoti, affogo ***










 










 

 
 
“Rob, non puoi costringermi a farlo.”
La persona seduta di fronte a me, che batteva le dita ritmicamente sul tavolo di plastica, mi guardava con fare duro e inflessibile.
“Invece posso eccome! Muoviti e mangia.”
Sbuffai, riposizionandomi meglio sulla sedia.
“Non mi ricordavo fossi così rompicoglioni! Dai, come faccio a mangiarmi tre panini al kebab e due porzioni di patatine da sola? Di solito ne finisco a malapena uno e le patatine le passo sempre a Luca.”
Roberto scoppiò a ridere, passandosi una mano dietro al collo.
“Ma no, scema. Un panino e una porzione sono per me.. L’altro lo dividiamo e se non ce la fai, lo mangio da solo. Sai, non tocco cibo da dieci ore.”
Strabuzzai gli occhi, completamente incredula.
“Coooosa? Ma sui voli internazionali non offrono sempre il pasto?”
Lui prese il panino in mano, giocherellando con l’insalata.
“Già, ma ero troppo in pensiero per Paola.”
In quel momento avrei voluto alzarmi e correre ad abbracciarlo forte.
Nonostante il tempo avesse mutato il suo corpo e la sua voce, fondamentalmente era rimasto lo stesso ragazzo gentile, generoso e in pensiero per l’intero globo.
Sapevo benissimo che quella frase nascondeva mille dubbi ed insicurezze e anche se l’aveva sussurrata con noncuranza, conoscevo benissimo l’imbarazzo che lo contraddistingueva sempre e che celava con fin troppa disinvoltura dietro ogni ammiccamento o parolaccia congeniata.
“Non sei cambiato in quel frangente, vedo.”
Lui ritornò a guardarmi, mentre inghiottiva un boccone di cibo.
“Cioè?”
“Sei sempre troppo buono, troppo generoso e pensi sempre poco a te stesso.”
Lui arrossì, bevendo un sorso dalla bottiglia.
“Cazzo, mi ero dimenticato quanto fosse difficile nascondere i propri difetti ed insicurezze alle persone che ti conoscono meglio di te stesso. Beh, purtroppo non sono riuscito a cambiare quel lato del mio carattere.”
Iniziai a mangiare anch’io, ripensando al passato e sovrapponendolo al presente.
“No, non è un difetto; solo che ci rimani male sempre. E’ una fregatura.”
“Già, ma in fondo siamo simili, no? Anche tu metti sempre gli altri davanti a te stessa.”
Sorrisi, mandando giù un boccone. “Purtroppo. Sai quante fregature ci prendiamo più del consentito? Dovrebbero fare una legge per gli stronzi insensibili! Altro che carceri in esubero, bisognerebbe fondare direttamente un nuovo pianeta. Tipo Stronzolandia o Merdaland. Così potremmo davvero vivere di rendita dal turismo di massa!”
Roberto quasi si strozzò con la sua birra, prima di lasciarsi andare indietro sulla sedia.
“Quanto sei cretina e volgare! Come cazzo hai fatto a trovare un tipo come Luca? Nel modo in cui me ne parli sempre, sembra un incrocio tra il principe azzurro di Biancaneve e la pazienza di San Francesco.”
Io scoppiai a ridere, sputacchiando in giro residui di carne e insalata.
Roberto continuò a prendere in giro la mia mancata femminilità, fintanto che – in meno di qualche secondo – i suoi occhi si rabbuiarono.
“Però..” Il suo voltò si fece più serio mentre si riavvicinava al tavolo e al mio braccio. Lo toccò con la punta delle dita, intensificando lo sguardo. “Stai esorcizzando il dolore con le battute, vero? Come facevi sempre da bambina.” Il suoi occhi di ghiaccio, mi congelarono definitivamente. ”Vuoi parlarne?”
Rimasi con la bocca dischiusa, abbassando lo sguardo.
Dio, era così strano sentirsi nudi e vulnerabili.
Con lui non avrei mai potuto usare menzogne o piccole bugie, per proteggermi. E non avrei mai potuto fingere di avere mal di stomaco, pur di evitare confronti scomodi come invece facevo da sempre con mia madre, Stefania e a volte Luca.
Roberto conosceva ogni segreto, paura e sfumatura del mio essere.
Sapeva muoversi tra le mie insicurezze e rispolverare il mio coraggio, per farmi reagire contro i dolori della vita.
Lui mi faceva sentire gratificata e sollevata, proprio come quel calore invisibile che ti avvolge il cuore quando riesci a prendere il voto più alto in un compito difficilissimo o a comprare quella maglietta che ti piaceva tanto con il 50% di sconto.
Era tornato e mi faceva ancora strano ricordare il ragazzino che si intrufolava nel mio letto per piangere la notte e osservare invece l’uomo sorridente e consapevole seduto di fronte ai miei occhi.
Sembravano due persone completamente diverse o forse era il mio subconscio che si rifiutava di accettare i suoi cambiamenti, perché non erano merito della sottoscritta.
In fondo, ero rimasta la stessa ragazzina egoista e capricciosa che odiava essere esclusa dai giochi più belli che si organizzavano nella comitiva.
“Non riesco a parlarne - o meglio : non ne voglio parlare.”
Lui aggrottò le sopracciglia, non perdendo mai il contatto visivo.
“Una volta mi avresti raccontato tutto senza remora.”
“Sono cambiata anch’io. ” Senza di te, aggiunsi mentalmente.
Lo vidi sbuffare, accavallare una gamba per poi ritornare alla posizione precedente.
Nervoso?
“Lo sento, vedi? Ho cercato di lasciare perdere; di passarci sopra, ma tu non molli per un attimo l’ascia di guerra! Sei incazzata nera, Cris! Altro che felice per me, per il mio futuro e per la mia permanenza in America. Sei  ancora ferita, perché ti sei sentita e ti senti ancora esclusa dalla mia vita. Invece – te lo giuro – ho passato gli ultimi tre anni a pensarti, a incolparmi e a sentirmi al pari di una merda per non esserti stato vicino. Lo so, ho sbagliato un sacco di volte, perché fondamentalmente sono uno stronzo insensibile con tutti, ma non lo sono mai stato con te. No, Cristina Moro, tu non sarai mai al pari di nessun’altro e lo sai: LO SAI! Dentro di te, sai quanto per me tu sia meglio di qualsiasi fidanzata, ragazza, scopata, ma anche dei miei amici e dei miei stessi genitori. Ti ho fatto una promessa anni fa e nonostante quello che è successo dopo, non ho mai smesso di credere a quelle parole. Sei stata la mia ancora di salvezza nelle notti più buie e tristi. Sei l’unica donna che mi ha mai visto piangere di cuore e con disperazione per una vita che non avevo potuto scegliere. Smettila di dire che stai bene e che quello che ho fatto non ti ha mandato fuori di testa. Sono presuntuoso? Ok,  lo sono e vedo dal tuo sguardo che muori dalla voglia di staccarmi la testa dal collo per quello che sto dicendo, ma adesso basta. Chiariamo una volta per tutte ‘sta situazione del cazzo.”
Roberto era furioso, rosso in volto e con i pugni chiusi sul tavolo.
Non lo vedevo così arrabbiato da secoli o forse non l’avevo mai visto davvero infuriato con un’altra persona all’infuori di suo padre.
Era lì; quasi tremante di rabbia che mi stava spronando a sporcare la mia lingua di parole che sapevano di invidia e rancore.
Che diavolo di amica ero?
Perché provavo quei sentimenti verso di lui?
La mia bocca però, tradì la ragione, rigettando anni di parole represse, confuse e urlate al muro spoglio della mia mente.
“Perché ti invidio: I.N.V.I.D.I.O, ok? Invidio il tuo essere diventato uomo lontano dalla tua vita, famiglia e da me. Invidio il tuo lavoro, perché ti piace e ti senti realizzato; mentre io sto studiando per una schifo di facoltà che spegne ogni capacità creativa che possiedo. Ho perso la spensieratezza di un tempo, le passioni che mi infiammavano l’animo e la forza che avevo di rialzarmi da tutto. Sto sopravvivendo, non vivendo. Mi alzo alla mattina, perché non voglio perdere l’unico lavoro che ho e che mi aiuta a pagare le bollette. Voglio tornare a fotografare; vorrei trasformarlo in un lavoro, ma quali prospettive ho? Che cazzo di certezze possiedo in questa città troppo grande per una ragazza di provincia come me? Ci sono state mattine in cui mi svegliavo con il panico e mi alzavo piangendo e reprimendo l’odio che avevo per me stessa. Tu mi hai lasciata qui, contro il mondo che mi inghiottiva sempre di più ed io annaspavo alla ricerca d’aria. Poi è arrivato Luca e lui ha reso le giornate più leggere e divertenti, ma a volte mi sento di troppo anche per lui e questo mi fa stare ancora più di merda. Ho paura, capito? Ho paura di perdermi del tutto, di dimenticarmi chi ero e di perdere anche te che ti sei allontanato giorno dopo giorno, senza voltarti indietro.”
Mi morsi il labbro, abbandonando la contemplazione del suo viso che mi feriva ancora di più, in quel momento.
Era rimasto a bocca aperta, del tutto incredulo dei miei veri pensieri e del rancore che avevo nascosto e sepolto così bene per troppi anni.
Ma entrambi sapevamo che il declino della nostra amicizia aveva avuto un inizio ed eravamo troppo orgogliosi per ammetterlo e parlarne con disinvoltura, come se fosse semplice acqua passata.
“Crì, io…”
Lo interruppi, alzando una mano. “No, Rob, non dire niente. Mi sto odiando abbastanza per entrambi.”
Mi alzai e pagai la mia consumazione, lasciando addirittura  quattro euro di mancia, perché il mio cervello era perso altrove.
Se avessi fatto un discorso simile a Luca, lui mi avrebbe rincorso e baciato con tenerezza, facendomi capire che lui c’era, che mi voleva bene e soprattutto mi amava nonostante le mie mille insicurezze.
Ma Roberto non era il mio ragazzo, non sognavo di certo un suo bacio passionale sotto l’insegna al neon mezza rotta di un Kebab di provincia.
Mi aspettavo di più, almeno un “hey” o un “mi dispiace”, eppure Roberto non mi seguiva e io mi persi a camminare per i viali alberati che delimitavano l’ospedale, costruito al posto di un ex sanatorio.
Sentivo i secchi aghi di pino che si infilavano sotto la giacca leggera, ma non me ne curai. Calpestavo foglie, terreno e fango con la stessa forza che avrei voluto calpestare me stessa.
Mi meritavo una scrollata, una soluzione al mio stato emotivo da perenne indecisa: eppure ero ancora ferma sulle mie posizioni, dannatamente insicura sul prossimo passo da compiere.
“Ti ho pensata perennemente in questi sette anni.”
Mi ero aggrappata alla vecchia ringhiera di ferro che contornava ancora l’ospedale. Era arrugginita, bagnata, ma mi serviva qualcosa che mi sostenesse dal peso della realtà.
“Non mi interessa.” Ed era vero, non volevo le sue belle parole; non più. Non avevo tredici anni e non ero felice di farmi imbambolare da promesse che svanivano nel vento.
“Fa male; mi sento un estraneo. Tu non sei così.”
“Ah davvero? E tu sai chi sono davvero? TU sai cosa sono diventata? Non sono più la bambina che hai lasciato e mi spiace non esserlo, credimi.
Era tutto più facile quando ti infilavi nel mio letto e mi facevi il solletico per farmi rilassare.
Era tutto più facile quando la mia unica preoccupazione era trovare un ragazzo e ricevere il primo bacio.
Era tutto più facile quando io e te eravamo bambini e avevamo bisogno di un amico con cui giocare, confidarci e chiedere consigli.
Roberto, io ho bisogno d’altro ora: ho bisogno di un vero amico; presente, che rompa i coglioni dalla mattina alla sera, che mi dica che sto facendo un cazzata e che mi impedisca di lasciarmi andare al fluire della vita senza lottare.
Tu non ci sei e ci giochi da morire sulla lontananza e-“
Lui mi tappò una bocca, abbassando il capo per osservarmi meglio.
“Vuoi che ritorni qui?”
Io aggrottai le sopracciglia, scuotendo poi il capo. Purtroppo tentai di parlare, ma la sua stretta aumentò fino a farmi male.
“Mi ero innamorato di te.”
La sua mano ricadde e la mia bocca si spalancò automaticamente.
“Sì, non fare quella  di faccia! Ti sembra così strano? Ti morivo dietro come un cane, Cri! Lo sapevano tutti; Arianna per prima!”
Il mio cervello si spense del tutto, andando completamente in black-out.
Quella frase riecheggiava dentro la mia mente, il mio petto si era pietrificato all’istante e i ricordi si confusero tra di loro creando un’agglomerazione di sentimenti, parole e gesti che mi fecero quasi perdere l’equilibrio.
Innamorato? Lui? Di me?
Non era possibile; non era fottutamente possibile!
Ma poi lo sentii ridere, di cuore, mentre si passava una mano tra i capelli bagnati.
Aveva ricominciato a piovere forte, eppure io lo vedevo benissimo all’infuori di tutta quella pioggia che mi penetrava negli occhi e nella pelle.
“Stavi scherzando, vero?”
Lui sorrise amaramente, prima di accarezzarmi il viso. “Purtroppo no. Ma ora sto bene e tu avevi ragione su tutto. Mi sono allontanato di proposito, non sono tornato anche se ne ho avuto mille occasioni per farlo e da quando hai trovato un uomo come Luca, ho deciso di farmi da parte. Faceva male, Cri, da morire. Sentirti eccitata, felice ed emozionata da un amore che volevo donarti io. Volevo renderti la donna più soddisfatta del mondo, ma sapevo di non meritarmelo e di non esserne in grado. Il mio era stato un amore a senso unico e tu, nonostante vorrai sicuramente negarlo, non hai mai provato quel tipo di attrazione verso di me. Me ne sono accorto però, quando ormai ero lontano, anche se credo che tutte le coccole che mi chiedevi, per me erano sempre qualcosa di più. Eppure ero contento, sai? Ero davvero felice di essere stato forte e di averti lasciato andare. Invece ho fatto una cazzata dietro l’altra e tu sei qui quasi sull’orlo del pianto, perché hai creduto di non valere niente per me. Dio, come ti sbagli, scricciola. Ti sbagli alla grande.”
E mentre le lacrime cominciavano ad unirsi alla pioggia, sentii le sue braccia intorno al mio corpo.
Mi stringeva forte, fortissimo. E sentivo i suoi singhiozzi, sopra la mia spalla.
“Roberto, io…”
“Shhh, me lo devi, scema. Stiamo così ancora un poco e poi torniamo a casa. Voglio conoscere Luca.”
Strofinai il mio naso sulla sua felpa, visto che il giubbino era rimasto aperto.
“Hai parlato al passato, descrivendo le tue emozioni. E ora? Ora come facciamo?”
Lui si allontanò leggermente, baciandomi la fronte.
“Ora non mi allontanerò e sarò qui ogni volta che vorrai. No, non ti preoccupare. Non ti amo più e posso essere il migliore amico di cui tu hai bisogno.”
Mi riprese tra le braccia, eppure sentivo che, le nuove lacrime che scendevano dalle mie guance, mi facevano più male della stretta che sentivo al cuore.
Quel Non ti amo più, mi fece soffrire più di tutto il resto.
 
 
_______________________
 
Mi scuso umilmente per il ritardo, ma il famoso “blocco” mi era venuto a trovare e ho dovuto cacciarlo via con le maniere forti :D
Spero di non aver deluso nessuno con questo capitolo, soprattutto me stessa. Non era stato pensato in questo modo, forse ho accorciato i tempi, ma l’ho scritto di pancia e soprattutto di cuore. Spero di emozionarvi, come mi sono emozionata io a scriverlo e ad immaginarlo. Ero in fibrillazione ed era da tanto che non scrivevo così velocemente e con gli occhi lucidi.
Devo rispondere alle vostre recensioni, lo so, e pian pianino lo farò.
Con l’università e tutto il resto, ho davvero poco tempo per fare tutto quello che vorrei.
Mi perdonate?
Spero di sì! Per tutto il resto, sapete dove trovarmi.
Ringrazio chi recensisce, legge, inserisce nelle seguite/preferite e da ricordare questa piccola storia.
Mi rendete ogni giorno più felice :)
 
Un bacio enorme <3
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Capitolo 8
*** Bentornata a casa ***


 










 
 
“Ahia!”
“Stai attento, per Dio!”
Roberto, dopo essere sceso dalla ringhiera di ferro, toccò malamente con il piede un grosso vaso di porcellana.
Il mio orologio segnava le due di notte; eravamo inzuppati fino alle mutande e, per di più,  sembravamo anche due ladri maldestri che eseguivano il furto dell’anno in un microscopico paese di provincia.
“Ma perché ci comportiamo in questo modo? Stiamo bisbigliando a casa mia!”
Lui continuava a muoversi velocemente davanti ai miei occhi, cercando – in un modo alquanto discutibile – un’idea che ci avrebbe garantito velocemente una doccia calda e un letto per dormire le restanti ore di buio.
La villetta, distante solo pochi passi dalla casa dov’ero cresciuta, era decisamente carina e si addiceva moltissimo alla personalità di Giovanna.
Sembrava confortevole, calorosa e simpatica. Anche al buio si intravedeva l’azzurro acceso dell’intonaco e la varietà di fiori colorati disseminati per tutto il giardino.
Avevamo abbandonato l’ospedale da una mezz’ora, perché dopo il nostro acceso e sofferto confronto, non era rimasto molto da dire o chiarire.
Salutata mia mamma con un nodo in gola, Roberto mi aveva convinta – o meglio obbligata – a prendermi qualche ora di riposo, visto che non dormivo dal giorno precedente. Senza contare che, ero rimasta troppo tempo sotto la pioggia e stavo rischiando davvero di prendermi un’influenza con i fiocchi.
Il nostro piano di “ritorno all’ovile” però, era stato distrutto davanti alla lunga ringhiera di ferro che ci aveva lasciati entrambi con la bocca spalancata.
“E’ per mio padre…” Aveva sussurrato pochi minuti prima Roberto, di fronte all’evidenza.
Giovanna aveva ancora paura di suo marito e sia io che il mio migliore amico, eravamo giunti alla stessa medesima conclusione di fronte a quell’ammasso di ferro battuto.
Gli avevo stretto il pugno tra le mie mani, che si schiuse quasi subito per accarezzare la mia pelle e sorridermi, fingendo un benessere forzato.
“Ok, il cancello l’abbiamo scavalcato e ora? Come facciamo senza uno schifo di chiave ad entrare dentro?”
“Non lo so, Rob. Dobbiamo per forza suonare il campanello e svegliare Giovanna e Luca.”
Lui si strofinò i capelli con forza, arrendendosi di fronte alla cruda realtà.
“Hai ragione; e smettiamola pure di bisbigliare.”
Suonò il campanello con forza e poco dopo Giovanna ci raggiunse in camicia da notte.
Era una donna dolcissima e lo confermava anche la camicia rosa confetto che la facevano assomigliare ad un carinissimo marshmallow. Sì, l’adoravo!
“Oh, Dio! Tesoro mio!”
Giovanna si gettò tra le braccia del figlio; stritolandolo, baciandolo e piangendo nello stesso momento. Evidentemente non aveva avvisato nemmeno lei del suo rientro e questo mi fece capire quanto lui ci tenesse a mia madre e a me.
Non aveva pensato alle conseguenze, al lavoro, a se stesso: aveva preso il primo volo disponibile per correre qui a dare una mano.
Quello - quel ragazzo che stringeva sua madre tra le braccia, che le baciava i capelli e le sussurrava parole dolci - era il Roberto che conoscevo e che non sarebbe mai cambiato.
Perché non si cambia il modo di amare e di volere bene ad una persona; è come una dote naturale che ognuno di noi possiede ed è unica nel suo genere.
“Quanto sei alto e sei dimagrito! Oh, signore mio! Sei mesi fa, quando sono venuta da te, eri più grassottello. Robé, devi magnà!”
Scoppiai a ridere, chiudendomi la porta di casa alle spalle.
“Ma che succede qui?”
Il mio sguardo oltrepassò la coppia che si stringeva ancora sotto ai miei occhi e si fermò sul volto stropicciato dal sonno di Luca.  Fasciato da una canotta e dei pantaloni larghi scuri, mostrava quasi senza accorgersene tutta la sua forza fisica, nonostante la stanchezza lo avesse visibilmente provato.
Le mie gambe si mossero da sole e qualche secondo dopo, accompagnata dai nostri sorrisi, finii tra le braccia del mio ragazzo.
“Scusaci, se ti abbiamo svegliato.” Sussurrai contro la sua spalla, ricevendo come risposta un bacio sul capo.
“Non stavo dormendo, tranquilla. Mi continuavo a rigirare come uno scemo.”
Mi allontanai dalla sua pelle calda, per poter catalizzare la sua attenzione sulla mia espressione accigliata.
“Certo, certo. Come se io non ti conoscessi.”
Lui sorrise colpevole, baciandomi subito a fior di labbra.
“Mi freghi sempre, Sherlock. Ok, forse mi ero appena addormentato.”
Sorrisi, ribaciandolo con dolcezza prima di ricordarmi che Roberto era dietro di noi e ci teneva ad essere presentato.
Presi la mano di Luca e feci qualche passo indietro, avvicinandomi al mio migliore amico.
Il biondino teneva ancora un braccio sulle spalle di Giovanna.
“Ok, scusateci per l’ora, ma un certo rompicoglioni mi ha costretta a tornare a casa per riposare. Nonostante questa non sia esattamente la situazione migliore per farvi conoscere, ormai il caso ha deciso per me. Luca, questo è Roberto, il mio migliore amico e Rob questo è Luca, il mio fidanzato.”
Lasciai la mano di Luca e sorridendo ad entrambi, mi allontanai di un passo per poter fare spazio tra di loro.
“Oh, finalmente! Penso di sapere anche quante volte andavi in bagno a dieci anni, ormai.
Contento di conoscerti di persona, Roberto.”
Luca gli porse così la sua mano che venne prontamente stretta da quella del mio migliore amico.
“Io invece comincio a capire il perché di tutti quei complimenti deliranti verso di te.
Sembri davvero il ragazzo perfetto per Crì. Il piacere è tutto mio!”
Roberto lasciò così la stretta di mano, facendomi l’occhiolino.
“Ma davvero? Sì, effettivamente so di essere un ottimo bocconcino.”
Io scossi la testa, ormai rassegnata.
“Modesto, soprattutto!” Entrambi si guardarono, scoppiando poi a ridere di gusto.
”Spero mi scuserai, Luca, ma non vedo l’ora di farmi una doccia e riposare. Sono in piedi da 24 ore e comincio a sentire davvero la testa pesante. Domani mattina, però, ti faccio un caffé da leccarsi i baffi e ci divertiamo a prendere in giro la tua ragazza. Ho delle cose da raccontarti.”
Il fatto che io mi sentissi in qualche modo minacciata, doveva essere normale?
Perché, tra tutti, Roberto era a conoscenza di troppe cose imbarazzanti, riguardo la mia infanzia e adolescenza.
"Scherzi? Sarò sveglio e pimpante solo per assorbire quante più informazioni possibili!"
Roberto lo salutò con una pacca sulla spalla, che Luca ricambiò felice.
“Tesoro, il letto della camera degli ospiti l’ho lasciato a Luca e Cris. Se vuoi io posso dormire sul divano e tu nella mia camera e-“ Roberto bloccò la madre, con uno sguardo duro.
“Scherzi? Ovviamente tu non dormi sul divano a casa tua! Mi lavo e poi mi sistemo lì, non ti preoccupare. Buonanotte ragazzi.”
Luca cercò di protestare, ma Roberto era inflessibile. “Ma figuriamoci se faccio dormire i nostri ospiti sul divano! Luca, non ti preoccupare. Non credo di morire per una notte. Buonanotte a tutti.”
Sorridendo, mi passò una mano tra i capelli e sparì per il corridoio dietro le mie spalle.
Luca mi guardò come se non mi vedesse, ma poi si riscosse e mi prese per mano.
Salutammo così Giovanna che controllò ben due volte di aver chiuso la porta a chiave.
Con un nodo in gola, dopo la visione di quella scena, mi lasciai trascinare da Luca verso la nostra camera.
Mi spogliai meccanicamente, indossando l’accappatoio e aspettando che Roberto mi desse il via libera per la doccia.
“E’ davvero un bel ragazzo.”
Mi girai verso Luca che si era seduto sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera.
“Sì dai, si tiene un po’ di più di quel che ricordavo. Perché quest’affermazione?”
Lui mi guardò e fece spallucce. “Così.”
“Geloso, eh?”
Risi da sola, avvicinandomi al letto e sedendomi di fronte a lui.
“Io? Ma cosa vuoi che me ne freghi.. E’ pure simpatico.”
Non mi guardava negli occhi, come faceva spesso quando era indispettito o nervoso per qualcosa.
Mi avvicinai a lui e gli baciai il mento. “Smettila di fare così…”Scesi sul suo collo, lasciandomi accogliere dalle sue braccia.
“Amore, Cristina bella, se mi strusci addosso il tuo bellissimo corpicino strizzato solamente in un reggiseno e in un paio di mutandine microscopiche, non credo di poter fare per molto il bravo fidanzato in trasferta.”
Ridacchiai sulla sua spalla, mentre la sua mano si insinuò sotto l’accappatoio, iniziando a a massaggiarmi la schiena in modo sinuoso e rilassante.
“Quanto sei diventato pudico… Puoi fare il bravo fidanzatino anche facendomi rilassare.”
Lui mi sollevò il mento, per guardarmi negli occhi.
“Sei sicura? Tua mamma sta poco bene e dietro a questo muro dormono due persone importanti per te. Non so se sia il caso di rilassarci.”
I miei occhi si socchiusero, sentendo la premura e la dolcezza di quelle semplici parole.
Stare con Luca era così rassicurante.
“Avrei proprio bisogno del mio Mr Grey personale…”
Lui mi strinse di più a sé, ridacchiando contro il mio collo.
“Quanto sei cretina.”
Le sue labbra iniziarono a percorrere il mio petto mentre le sue mani mi avvicinavano sempre più a lui, fino a far combaciare i nostri due corpi.
“Se mi offendi, me ne vado…”
Gli massaggiai i capelli che si erano allungati negli ultimi mesi. Adoravo toccarli, erano sempre così morbidi e profumati.
“Ok, allora io smetto di baciarti.”
Ma invece non lo fece, anzi. Le sue labbra oltrepassarono il pizzo del reggiseno, fino a circondare con dolcezza un capezzolo.
“Oh…”
Lui alzò gli occhi, sorridendo senza smettere di coccolarmi.
“Shhh, silenzio o ci beccano.”
Ma il destino, evidentemente, ci era profondamente avverso negli ultimi giorni.
“Piccioncini, il bagno è libero.”
Luca si accasciò contro la testiera del letto, mentre io scoppiai a ridere come un’ossessa
Mi ricomposi alla bell’e meglio e uscii dalla camera, dopo aver assistito brevemente all’inizio di un lungo sproloquio tra Luca e il suo “intimo” amico.
“Giuro solennemente che non volevo interrompere niente.”
Roberto, di fronte a me con una spalla appoggiata alla porta del bagno, sorrideva sornione con una mano sul cuore.
“Non hai interrotto niente, infatti.”
Lui alzò il sopracciglio, come tacita risposta.
“Ok, va bene. Penso che Luca entro le prossimo ore o scoppia  o tenta l’impiccagione del suo amato gingillo!”
Roberto mi guardò prima stralunato e poi incredulo, scoppiando infine a ridere di gusto.
Aveva addirittura le braccia incrociate sulla pancia, tanto che rideva.
“Credo di essermi fottuto l’unica possibilità di piacergli davvero.”
Sorrisi, dandogli una pacca sulla spalla ed entrando in bagno.
“Direi che come minimo tu debba pagarci un soggiorno alle Maldive…”
Lui si girò verso di me, che intanto preparavo le mie cose per la doccia.
“Perché non in Australia? Visto che ci siamo…”
Gli feci una linguaccia, cercando lo shampoo.
“Nella terza mensola del mobiletto alla tua sinistra. Usa il mio, è una bomba. Qualche mese fa, in America, avevano fatto un nuovo bagnoschiuma incredibile… Ricordava un sacco quello che usavi tu a dodici anni. Me lo sono comprato, sovrappensiero e pensavano fossi dell’altra sponda, perché profumavo sempre di pesca e zucchero.”
Scoppiò di nuovo a ridere, facendomi quasi scivolare sul tappetino davanti alla doccia.
Era tutto bagnato in giro, ecco perché.
“Quanto sei coglione! E poi non si pulisce in giro dopo la doccia? Stavo rischiando di ammazzarmi.”
Lo guardai male, ma lui mi sorrise con la sua bellissima faccia da culo.
“Peccato, ed io che volevo ucciderti per starmene solo soletto con Luca.”
“Allora vedi che lo sei davvero dell’altra sponda!”
Scoppiammo di nuovo a ridere, fintanto che non rimase più niente da dire, se non la buonanotte. Mi abbracciò a lungo, con forza ed esigenza.
Dio, come mi era mancato.
Con mille pensieri per la testa ed il profumo di Luca mischiato allo shampoo di Rob, mi feci la doccia più lunga e pensierosa della mia vita.
 
***
 
“E poi, era una bambina rompiballe. Non che ora sia migliorata, ovviamente. Mi ricordo ancora che, pochi giorni dopo il nostro primo incontro, mi chiedevo cosa avesse avuto di così speciale quella bambina, per aver fatto intenerire mio padre.”
Mi fermai contro la parete del corridoio, bloccata da quelle parole.
Mi ero svegliata da poco e trovando il letto vuoto, mi ero affrettata a uscire dalla camera per vedere dove fosse finito Luca.
La risposta arrivò poco dopo, tramite la voce lievemente incrinata di Roberto.
“Cris una volta mi aveva accennato qualcosa, però non si è mai sbilanciata troppo. Mi è sempre sembrato che parlare di tuo padre, fosse un po’ un tabù per lei. Si vede che ti vuole molto bene.”
Sentii un sospiro e le parole successive uscirono confuse, come se Roberto stesse sorridendo e faticasse a pronunciarle bene.
“Lo so, Luca. Cristina è sempre stata preziosa per me, penso tu l’abbia capito. Comunque per me non è un problema parlare di mio padre. Purtroppo, mi spiace dirlo, ma ho smesso di rimanerci male e soffrire per una persona debole e meschina. Aveva problemi di alcool, ho sentito urla e sofferenza per gran parte della mia infanzia e adolescenza. Essenzialmente,  me ne sono andato per cercare di ricostruirmi una vita normale come tutti i miei amici. Purtroppo, però, ci sono esperienze che ti segnano in modo indelebile e ti cambiano di conseguenza. Ora ho solo il rimpianto di non essere rimasto. Avrei potuto salvare Cristina dai suoi tormenti interiori e avrei potuto salvare anche mia madre dalla paura che ha ogni volta a sentire solo il nome di mio padre.”
Il mio sguardo si disperse sulla parete azzurrina del corridoio, mentre mi stringevo le braccia intorno al corpo.
Ricordavo bene ogni litigio e ogni pianto successivo di Roberto che veniva a cercarmi a casa, per potersi sfogare.
“Che merda di vita… Scusami, amico. Non avrei dovuto insistere per chiederti dettagli. Sono solo fondamentalmente curioso.”
Una sedia venne spostata, prima che la voce di Roberto - più dolce e allegra di poco prima - giungesse alle mie orecchie.
“Hey, è giusto così. Cazzo, sono un uomo e sono stato per tanti anni a stretto contatto con la tua donna. E’ normale che tu voglia sapere più cose su di me. Fidati, però: non valgo la pena di tutta questa curiosità. Sono un ragazzo normale e semplice, anche se non amo molto parlare di me e del mio passato. Cristina è una dolcezza e mi è stata vicino a lungo. Da quando poi mi ha raccontato di te, ho cominciato ad allontanarmi, perché finalmente aveva trovato il ragazzo giusto. Sei romantico, rispettoso e hai una famiglia numerosa e affettuosa: sei perfetto per lei. Sì, scusa; all’epoca avevo fatto il terzo grado a Cris per vedere se eri davvero quello giusto. Alla fine, cavolo, sono contento per voi. Però, ecco, non voglio fare lo stronzo; ma se dovessi farla soffrire…”
Un lungo silenzio, prima di una risata.
“…Non sono cazzi miei, lasciamo perdere. Quanti zuccheri nel caffè?”
Entrai così in cucina, fingendo uno sbadiglio e avvicinandomi a Luca per baciarlo.
“We, buongiorno patatina. Sembri uscita dalla lavatrice, dopo la centrifuga.”
Mi fece l’occhiolino, conscio di ricordare quello che era successo poche ore prima, quando ero ritornata in camera da letto.
“A me sembra più uscita dal cartone di un clochard…”
Incrociai le braccia, guardando male Roberto, ritornato di fronte ai fornelli.
“Buongiorno anche a te, pezzo di stronzo.”
Risero entrambi, mentre mi sedevo con il broncio, vicino a Luca.
“Quanto è dolce la mia ragazza?”
“Meglio un calcio nelle palle!”
Luca rise, mentre io li diedi un pizzicotto sul braccio.
“Hey! Sei pazza?”
Incrociai di nuovo le braccia, arrabbiata. “E voi avete finito di fare gli stronzi?”
Roberto arrivò alle nostre spalle, mimando le pose di un cameriere con le braccia.
“Il cappuccino, con il cacao sopra e un cucchiaino di zucchero di canna, per la signorina con i capelli stile Caparezza e un caffè amaro per il nostro povero ragazzo che se la deve sorbire tutti i santi giorni.”
Rimasi sorpresa della memoria del mio amico, che si ricordava ancora la mia piccola mania per la colazione “perfetta”. Anche Luca lo fece, ma il breve momento di silenzio, venne interrotto quasi subito da nuove risa.
“Comunque, oggi chiamo mio padre e gli chiedo qualche giorno di permesso.”
Mi voltai verso Luca, assottigliando lo sguardo.
“Non credo proprio. Non voglio che salti il lavoro per stare qui.”
“Voglio starti vicino.”
Roberto si sedette di fronte a Luca, girando il suo caffè e guardando altrove.
Sembrava così pensieroso, che per un attimo mi persi nell’inseguimento dei suoi occhi cristallini.
“Amore, non sono da sola. Ho Giovanna, Roberto e poi oggi devo parlare con il dottore. Facciamo così; se mia madre si sveglia, vuol dire che il pericolo è passato e tu puoi ritornare a casa, va bene? Nel caso, puoi chiedere qualche giorno di permesso. Non voglio fare la stronza… Sai come la penso.”
Lui mi presa una mano e la strinse nella sua.
“Già, è per questo che ti amo.”
La dolcezza, la sincerità e la semplicità di quelle parole dette non solo a me, ma anche sotto la presenza di qualcun altro, resero quella frase ancora più profonda e sentita.
Mi sorrise e mi baciò la punta del naso, prima di alzarsi per posare la tazza ormai vuota.
“Allora, ragazzi. Tra venti minuti passa il 24, che ci lascia proprio davanti all’ospedale. Preparatevi e vi chiamo io quando andare. Intanto sistemo un po’ qui.”
Roberto mi guardò intensamente, prima di alzarsi e posare anche lui la sua tazza vuota.
Il 24… Quanti ricordi mi tenevano legata a quell’autobus.
“E Giovanna?”
“Mia mamma è già lì dalle 7.”
Un sorriso si increspò sulle mie labbra. “Quelle due sono diventate inseparabili.”
Roberto ricambiò il mio sorriso. “Già.”
 
Nei minuti successivi, mi lasciai coccolare da Luca che, sovrappensiero, mi massaggiava pigramente la schiena.
Non gli chiesi niente; avevo intuito che il suo silenzio era dovuto al discorso avuto con Roberto.
Chissà cosa si erano detti… Ero curiosa, ma non mi sarei permessa di indagare oltre.
In fondo, io sapevo già tutto di entrambi.
Roberto, come da programma, venne a bussare pochi minuti prima dell’arrivo dell’autobus.
Prendere di nuovo quel mezzo, mi riportò indietro di anni e mentre mi sedevo nei penultimi posti con Luca di fianco e Roberto di fronte, la mia mente si perse nei ricordi.
 
8 anni prima
 
“Mamma mia, che palle!”
Mollai la cartella sui miei piedi, indispettita dal macello e dalla moltitudine di ragazzi che affollava ogni posto libero di quel vecchio autobus di provincia.
Ero schiacciata tra l’apertura delle porte e lo schienale rigido di un sedile, quando qualcuno – spintonando come Dio comandava – si fece spazio, finendomi di fronte.
“Ciao, Cris.”
Rob mi sorrise, togliendomi il cappellino di lana e scompigliandomi i capelli. Non riuscivo proprio a capire che cosa ci trovasse di divertente nel farmi perennemente innervosire.
“Dai, Rob! Lo sai che non lo sopporto!”
Lui appoggiò la sua cartella sul pavimento nero, e mi sorrise sornione.
“Permalosa. Com’è andato il compito di mate, poi?”
Al solo ricordo, mi venne il mal di pancia. “Una valanga di sterco in camera mia sarebbe stata più piacevole. La Giacobini, mi odia… lo so, anche se sono al primo anno e ci conosciamo da tre mesi, sento che combatterà con tutte le sue forze per farmi avere il debito per tutti e cinque gli anni. Voglio morire.. Te? La rossa ti sta perseguitando ancora?”
Il suo sguardo fu eloquente. “Scherzi? Quella non mi molla un attimo! Che palle di ragazza.. Ben mi sta! Così imparo a trombare a destra e a manca giusto per divertirmi. Questa mi farà diventare gay dalla disperazione.”
Gli diedi una pacca sulla spalla, che sembrò più una sberla ben assestata. “Rob! Non urlare che siamo in un posto pubblico! E comunque, ti sta bene sì! Così impari a lasciarmi sola alle feste, mentre ti infili in ogni buco disponibile.”
Lui scoppiò a ridere, avvicinandosi di più a me.
“E poi sono io quello che non deve urlare. Miss Piggy, lo sai che io amerei solo te, se tu mi concedessi la tu-“
Gli misi una mano sulle labbra, fingendomi scandalizzata.
“Roberto Casarini, smettila di dire porcate!”
Lui sorrise contro le mie dita, abbracciandomi.
“Su, su, piccola Crì. Dopo sabato sera, non dovresti più dirmi niente…”
Io diventai rossa. Sabato sera avevo perso la mia verginità… Purtroppo il modo era stato abbastanza discutibile.
“Senti, ma tu manco c’eri.”
“Me l’ha raccontato Ary..”
Lui mi strinse di più tra le braccia, bisbigliando al mio orecchio.
“Come ti senti?”
Sospirai. Il fatto era che.. Beh, non mi ricordavo poi molto della mia prima volta e mi vergognavo solo al pensiero di aver sprecato una delle cose più importanti nella vita, per colpa dell’alcool, della fretta e della pressione delle mie amiche.
“Male, Rob. Non mi ricordo nemmeno il viso di Nico.. E’ iniziato tutto per uno stupido gioco ed io… Io non avrei voluto buttarmi via così.”
Lui sospirò, prima di massaggiarmi la nuca, come mi piaceva tanto.
“Lo so, piccola. Sono sicuro che non era così male.”
In effetti, era così. Non mi ricordavo il viso di Nico, però ricordavo il suo tocco, i suoi baci e la sua gentilezza. In fondo, mi era rimasta una piacevole sensazione, nonostante nei mie sogni, la mia prima volta era molto diversa.
“Hai ragione.. E’ stato magico. Mi ha rispettata e coccolata. Questo lo ricordo, anche se non capisco perché non riesco a focalizzare minimamente il contesto, il dove e il suo viso. Boh, oggi non mi ha nemmeno salutata quando sono andata alle macchinette, per la cioccolata. Sembrava avesse paura solamente di guardarmi.”
Rob fece spallucce, prima di staccarsi da me, giusto per guardarmi negli occhi.
“Lascialo perdere. Si sentirà un leone, perché ha avuto l’onore di stare con te. Tu vali più di lui e di tutti i ragazzi stupidi che ti fanno la corte. Sei speciale, Cris. Sei anni luce sopra a tutti loro.”
E poi mi baciò sulla fronte, dolcemente; facendomi sentire migliore e unica, come solo lui riusciva a fare in quel periodo.
 
“Siamo arrivati.”
La voce di Roberto e la stretta di Luca, mi riscossero dai ricordi.
Sorrisi ad entrambi e uscii dall’autobus che profumava ancora di passato e malinconia.
Dicono che solo ritornando nel posto dove sei cresciuto, riesci a ricucire i tuoi veri sogni e la tua futura vita.
Quel breve ricordo, per quanto adolescenziale e sciocco, era riuscito a farmi ricordare i miei sogni di un tempo e le aspettative di una vita che ora stavo vivendo giorno per giorno.
E nonostante gli ultimi tre anni di distanza, mi ero resa conto che Roberto aveva marcato indelebilmente la mia vita. Ogni sua parola, gesto e pensiero avevano influenzato la Cristina di 14 anni che maturando e crescendo, si era aggrappata a quelle parole, gesti e pensieri.
Non sono le situazioni a cambiarci nel tempo, ma le persone.
E Roberto, nonostante la sua assenza prolungata, era riuscito a cambiare tutt’ora ogni mia certezza.
Il resto del tragitto lo percorsi in silenzio, interrotto solo dalle parole di Luca e Roberto sul  confronto tra football americano e il calcio italiano.
Quando varcai finalmente la soglia della camera 16, il cuore si bloccò.
Mia madre era seduta sul letto, con un libro in mano e un sorriso lieve dipinto sul viso.
“Mamma!”
Lasciai la mano di Luca e mi precipitai ad abbracciare la mia famiglia.
Aveva ancora le flebo nelle braccia e un colorito pallido sul viso, ma sentire la sua leggera stretta ricambiare il mio abbraccio, mi fece commuovere.
Perché per quanto l’amore del tuo partner possa essere totalizzante, l’affetto della tua famiglia non potrà mai essere sostituito da nient’altro; nemmeno da un barattolo di Nutella.
“Tesoro…”
Bastò una parola per farmi crollare e lo stress dell’ultimo periodo mi si rigettò addosso: le scelta dell’università, un lavoro estenuante, il ritorno di una persona importante…
Bastò la voce leggera di mia madre e il profumo dei suoi capelli a ridarmi il benvenuto.
Bentornata a casa, Cristina -  pensai, lasciandomi andare.
 
 
____________________
 
 
Buonasera, fanciulle!
È passato quasi un mese dallo scorso aggiornamento, lo so perfettamente!
Mi scuso davvero, ma ho iniziato a lavorare e tra poco ho anche un esame, quindi mi è davvero difficile gestire tutto.
Ho altre storie da scrivere, mille idee da assecondare e anche una vita da inseguire! Sì, mi sto giustificando, perdonatemi xD
Che ve ne pare di questo capitolo?
E’ stato un po’ pesante da scrivere. Fa schifo? Non lo so… Ho bisogno dei vostri pareri, per vedere quanto valga la pena pubblicare ancora questa storia :D Dico solo che il bello, non è ancora arrivato ù.ù
 
Un bacione a tutte voi <3
                                                                                                                                    
 
 
 

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Capitolo 9
*** Brividi e parole ***


Cap 8

 

Brividi e parole

 

 
“Luca è davvero un bel ragazzo. Me lo immaginavo proprio così, sai? Affascinante, protettivo e spiritoso.”
Sorrisi, abbassando lo sguardo sulle nostre mani intrecciate.
Dopo il nostro incontro di venti minuti prima, avevo chiesto agli altri un po’ di intimità.
Non c’era nemmeno stato bisogno di pregarli, perché il mio sguardo e il tono di voce un po’ tremante, parlarono per me.
Dopo anni di lontananza, visite fugaci e telefonate fin troppo brevi, essere di nuovo vicine, occhi negli occhi, era una benedizione.
Non eravamo mai state quel tipo di madre e figlia da effusioni in pubblico e frasi dolci, ma in quell’occasione, in quel contesto e con quelle strane sensazioni che vibravano nell’aria, mi venne naturale abbracciarla, sussurrarle un Ti voglio bene sulla guancia e lasciarmi accarezzare dalle sue mani ruvide, ma sempre gentili.
Sole, io sulla sedia e lei distesa sul letto, ci guardavamo da minuti, scambiandoci informazioni sottovoce.
“Sì, è un bravo ragazzo. Hai visto come prima mi ha presa in giro anche di fronte a te? Tende sempre a sdrammatizzare con l’ironia. Anche se, conoscendolo, credo che si sia commosso anche lui. È da tanto che vuole conoscerti.”
Lei mi accarezzò il viso, annuendo. “Capisco, spero non si offenda se prima voglio parlare un po’ con la mia figliola indisciplinata.” Alzò lo sguardo, trattenendo un sorriso. “Ho visto anche Roberto; che sorpresa! È diventato un uomo, ormai. E chi lo avrebbe mai detto! Quel mingherlino che si faceva male anche con una stecca di ghiacciolo! Ora è largo quanto un armadio e alto da far venire mal di collo. Chissà se è fidanzato.”
Mi ritrassi, scandalizzata.
“Mamma! Dai, cosa te ne frega!” Risi insieme a lei.
“Mi interessa, invece! È come un figlio per me, lo sai. Indagherò per bene appena rientra dentro. Luca è geloso della vostra amicizia?”
Il cambio repentino da un argomento all’altro, con estrema facilità e disinvoltura, era una sua peculiarità. Mia madre sapeva sempre portarti sui discorsi a lei lieti, dirottando l’attenzione da ciò che non le interessava abbastanza.
“No, non penso. Non abbiamo avuto modo di parlarne, ma sembra che vada d’accordo con Rob e io non posso che esserne felice.”
Si massaggiò un braccio, guardandomi di sottecchi. “Sicura?”
Inclinai la testa di lato, aggrottando le sopracciglia. “Certo, perché non dovrei?”
La porta si aprì dietro le mie spalle, lasciando il discorso in sospeso.
“Signorina devo farla accomodare fuori con i suoi amici. È appena iniziato il giro medici.”
“Certo.”
Riabbracciai mia madre, promettendole di ritornare al più presto e mi accomodai fuori, chiudendomi la porta alle spalle.
“Possiamo entrare ora?”
Giovanna mi venne incontro sola, facendomi sorridere per la premura che continuava a mostrare nei confronti della mia genitrice.
“No, purtroppo. È appena iniziato il giro medici e finché non ci danno il via libera , dobbiamo aspettare fuori.”
Lei sbuffò. “E che barba! Ho troppe notizie succulente da raccontare alla mia Paola. Mi toccherà sedermi qui buona e leggere il mio giornalino di gossip preferito.”
Le abitudini erano davvero dure a morire. Gli anni passavano, ma Giovanna e la sua smodata passione per il gossip locale - e nazionale - non sarebbe mai tramontata.
“Luca e Roberto?”
“All’entrata del reparto. Sono andati a prendersi un caffè.”
La lasciai così: intenta a inforcare i suoi occhiali grossi e tondi, isolandosi dal mondo, mentre io ripercorsi a ritroso il corridoio ospedaliero.
Svoltando l’angolo trovai Luca appoggiato alla macchinetta del caffè e Roberto di fronte a lui, contro il muro.
Entrambi sorseggiavano silenziosi la propria bevanda calda.
“Allora? Come sta?”
“Possiamo entrare?”
Le loro voci si sovrapposero, facendomi sorridere.
“Sta bene, ma sono dovuta uscire, perché sono iniziate le visite mediche.”
“Meno male dai.”
Luca aprì le braccia ed io mi ci rifugia senza paura.
La sua mano libera finì tra i miei capelli disordinati e me li accarezzò fino alla cute, facendomi sospirare contro la sua spalla.
“Inutile che fai così; stasera voglio che tu ritorni a Milano.”
Luca si irrigidì. “Cris…”
Allontanai il viso dalla sua camicia, per poterlo guardare negli occhi.
“No, Luca: avevamo fatto un patto. Se mamma stava meglio, tu ritornavi a casa.”
Sentii poi Roberto scusarsi, lasciandoci completamente soli.
Lo ringraziai mentalmente, non era giusto renderlo partecipe delle nostre divergenze.
“Lo so, piccola. Ma come posso lasciarti qui sola? Tua madre è in un letto di un ospedale e io non sarei tranquillo, andandomene via. Che fidanzato sarei? Non posso essere così egoista e poi ti conosco troppo bene; finiresti per passare tutto il giorno e anche tutta la notte seduta su quella sedia rigida e scomoda. Sacrificheresti tutta te stessa per le persone che ami e non voglio vederti ritornare pallida e dimagrita, solo perché io sono stato tanto scemo da lasciarmi convincere dai tuoi occhioni e le tue dolcissime labbra. Lasciami stare qui.”
La sua mano si posò sulla mia guancia, coccolandomi con la sua pelle calda. Ma non avrei cambiato idea; nonostante la sua dolcezza.
Non volevo che lui rimanesse lì, prendendosi ferie immeritate e, soprattutto, non volevo che lui soffrisse inutilmente.
Non aveva mai amato gli ospedali, fin da bambino era stato costretto ad andarci per trovare la nonna malata di cancro.
Aveva passato il suo tredicesimo compleanno sul capezzale della nonna morente e, da quando mi raccontò della sua piccola fobia, avevo evitato anche di farlo venire con me per delle semplici visite di controllo.
Quando si ama, bisogna saper sacrificare una piccola parte di sé, per regalare attimi di gioia al proprio amore.
Ed io avrei sacrificato la sua presenza; la sua forza, per renderlo sereno, lontano  dalla compagnia dei fantasmi del passato.
“No, amore. Se tu resti, soffrirei anch’io con te. Lo so che non stai bene in questo posto ed io mi sentirei un verme a costringerti qui, solo per il mio egoismo.”
“Io sto bene solo potendoti… Merda, dai, lo sai che odio dire queste cose da film, però sai che vorrei starti vicino in questo momento. Posso resistere, in fondo mi sto comportando bene.”
Scossi la testa, sorridendo leggermente.
“Luca…”
“Cristina.”
“Ti amerei di più, se mi accontenteresti. Te lo chiedo come favore personale.”
Lui incrociò le braccia, staccandole dalla mia vita.
“Ah, bene. Mi ricatti? Facciamo come all’asilo? Se mi fai questo, sarei per sempre il mio migliore amico! Cris, non mi fare cedere.”
Posai le mie mani sulle sue braccia.
“Ma è quello che desidero: vai a casa ed aspettami. Vedo come procedono qui le cose e poi torno. Non ti sto chiedendo di aspettarmi un anno, ma è questione di settimane? Una, due massimo. Voglio solo che mia madre si riprenda con me al suo fianco. Puoi farlo? Puoi resistere, Luca?”
“Odio quando fai così.”
Mi riabbracciò e baciò dolcemente le labbra.
“Così come? Sono solo me stessa.”
“Appunto, perché credi ti stia ancora appresso senza andare al manicomio?”
Lo ribaciai, sorridendo sulle sue labbra.
Era l’uomo più buono del mondo.
 
***
 
Erano passate 5 ore dal nostro piccolo scontro.
Luca ora era di fronte a me, aspettando l’ultima chiamata del suo volo.
Era una domenica sera di settembre ed il caldo asfissiante stava per essere sostituito dal fresco clima di ottobre.
Pioveva da due giorni e sembrava che anche il sole si fosse stancato di brillare nel cielo.
Luca continuò ad abbracciarmi, finché il suo volo non venne annunciato.
Era la prima volta che ci salutavamo in quel modo ed era la vera prima volta che stavamo per allontanarci.
Sarebbero stati solo pochi giorni, però per noi due abituati ad abitare a due vie di distanza e a vederci quasi tutti i giorni, era davvero strana anche solo l’idea.
“Mi mancherai.”
Mi baciò la fronte, mentre le mie mani non mollarono per un attimo la sua camicia in jeans.
“Non stai partendo per il fronte, Luca.”
Lui sorrise, staccandosi da me.
“Lo so, non sono abituato a queste cose.”
“A chi lo dici..”
Lui mi riabbracciò, per sussurrarmi : “Torna presto a casa. Ti aspetto, piccola.”
Gli sorrisi, mandandogli un bacio mentre spariva dietro la porta scorrevole di quel piccolo aeroporto.
Non piansi semplicemente perché non era necessario. Non ci stavamo dicendo addio, ma solo un semplice arrivederci.
Pochi giorni e sarei ritornata da lui: nella nostra città e tra le sue braccia.
Ritornai così a casa in taxi, visto che ormai erano le 18 passate e mia madre mi aveva obbligata ad andare con Luca e ritornare da lei solo la mattina successiva.
In fondo, se riusciva a darmi ordini come un sergente, stava decisamente meglio.
I dottori mi avevano rassicurata dopo le visite e se tutto procedeva come doveva, mia madre sarebbe uscita in meno di una settimana.
Sospirai, prima di sentire il taxi fermarsi e pagare così la tassista gentilissima.
“Bentornata cara!”
Giovanna era in giardino, chinata sui dei vasi colorati con la terra in mano.
“Che stai facendo, Vanna?”
Lei si raddrizzò con una smorfia di dolore sul viso.
“Ah, la mia schiena. Sto davvero invecchiando.. Niente, tesoro, sto solo rimettendo un po’ di terra nei vasi, perché la pioggia di questi giorni è stata fin troppo violenta e ha scombussolato i miei piccolini. Sono stata sovrappensiero per giorni e mi sono scordata di metterli sotto la tettoia.”
Sorrisi, avvicinandomi a lei.
“Vuoi una mano?”
Lei ricambiò il sorriso, scuotendo una mano. “Ho finito ormai! Luca è partito?”
Fianco a fianco rientrammo in casa, mentre le spiegavo che Luca era dispiaciuto e sarebbe voluto rimanere.
“Oh è un caro ragazzo, l’ho capito subito. Hai fatto bene a farlo ritornare a casa, soprattutto per quello che gli è successo da bambino. Povero ragazzo! Me l’ha raccontato oggi, quando eri andata a chiamare il taxi; non guardarmi così!”
Scoppiò a ridere, tremando tutta e facendomi ridere di rimando.
Era una potenza quella donna.
“Le tue orecchie arrivano ovunque, mamma. Vero, Crì?”
Roberto spuntò dalla cucina con un grembiule legato in vita.
Era buffo con quelle piccole statuine della libertà cucite sulla stoffa.
Nascosi le labbra dietro una mano, per non farmi scoprire.
“Già, già!”
Vanna mi diede una gomitata. “Tesoro, visto che bello il grembiule del mio Rob? L’ho cucito io!”
E si vede. Sembrava più un grembiule da donna che da uomo.
“Sì, mamma. Penso l’abbia capito anche lei… Guarda come se la ride sotto i baffi!”
Io non riuscii a trattenermi sotto i loro sguardi divertiti.
Risi con le mani sulla pancia, mentre Roberto mi spintonò fintamente, facendomi finire contro il muro.
“Guarda che stronza che sei! Molte pagherebbero per questa visione divina.”
Lo guardai, cercando veramente di fare la persona seria, ma il mio sguardo finì sulla piccola statua della libertà al centro che impugnava un mestolo invece che la torcia.
Scoppiai a ridere ancora.
“Scus-pff: scusami! Sei bellissimo, giuro.”
Lui inaspettatamente mi abbracciò, ridendo contro il mio collo.
“Mi mancava la tua risata. Cornacchia!
Che bastardo.
“Anche la tua, Mr Melanzana.”
Lui smise di ridere, indietreggiando e guardandomi con finta stizza.
“Ancora! Non puoi deridermi così, pulce.”
“Sì che posso, spilungone!”
Incrociai le braccia, proprio come facevo da piccola quando litigavo con lui.
Dov’erano finiti i due ventenni?
“Basta, bambini! Chi è Mr Melanzana?”
Io e Roberto ci guardammo brevemente, prima di scoppiare a ridere di nuovo.
Da quando avevo varcato la soglia di quella casa, non avevo smesso un attimo di ridere.
Mi erano davvero mancati.. Erano secoli che non sentivo più il calore della mia piccola famiglia.
Mamma, Vanna e Rob erano stati per me la famiglia migliore che avessi potuto desiderare.
Non mi importava se c’era poco di convenzionale in noi, l’amore che ci legava era indistruttibile.
Quella era forse una delle poche certezze della mia vita.
“Cris, mi faresti un favore? Visto che Roberto invece di cucinare fa il bambino, potresti andare a casa tua e prendermi due bottiglie di passata? Volevo farvi i miei succulenti spaghetti allo scoglio.”
Gli occhi mi si illuminarono all’istante, seguiti dalle parole del ragazzo accanto a me. “Agli ordini, comandante! Quanto mi sono mancati i tuoi spaghetti alla Vanna, mum.”
“Guarda che Giovanna l’ha chiesto a me, egocentrico.”
Lui incrociò le braccia, guardandomi di traverso. “E allora? Vengo a darti una mano, permalosa.”
In quegli istanti, minuti e frecciatine eravamo tornati noi: avevamo improvvisamente di nuovo quindici anni, ci provocavamo senza sosta finendo poi ad abbracciarci come se nulla fosse.
Quanto mi erano mancati quei momenti?
Ma, soprattutto: quanto mi era mancato lui?
Uscimmo di casa per mano, come una volta; come quando a tre e cinque anni tornavamo a casa dall’asilo.
Cambiava solo il nostro corpo, ma eravamo pur sempre noi.
La sua mano era grande, calda - anche se meno rispetto a quella di Luca - e aveva un anello di metallo al pollice destro che mi infastidiva abbastanza.
Eravamo Cristina e Roberto anche mentre iniziammo a correre sotto la leggera pioggia, cercando di non bagnare le nostre tute e le canotte bianche.
Eravamo noi mentre Roberto mi copriva gli occhi, impedendomi di trovare la serratura di casa.
Ed eravamo noi anche quando riuscimmo ad entrare e lui mi sollevò come un sacco di patate, facendomi venire mal di testa.
Aria di casa, profumo di passato e sensazioni del presente : Cristina non si era persa; non mi ero persa.
Avevo vent’anni, ma conservavo ancora gli occhi grandi e nocciola di quella bambina curiosa che aveva riportato il sorriso sul volto di Roberto.
La presunzione non faceva parte di me, lo sapevano anche i muri di quella casa. Adoravo, però, vantarmi di aver salvato quel piccolo sorriso – il sorriso di quel ritratto che era ancora sul mio comodino a Milano – e di poterlo ritenere , in parte, merito mio.
Roberto me lo disse fino allo sfinimento in passato e forse quella era l’unica cosa che mi risultò difficile da dimenticare.
Arrivammo in camera mia e Rob mi lasciò andare.
“Sei un cretino, mi è arrivato tutto il sangue al cervello.”
Mi massaggiai le tempie, fulminandolo con lo sguardo.
Lui sorrideva sornione. “Quante storie, Miss Piggy.” Si voltò, arrivando al centro della stanza, di fronte al mio letto in ferro battuto da una piazza e mezza. Era il mio piccolo gioiellino, l’avevo amato dal principio. Comodo, vintage e con il copriletto bianco e panna.
“Le sento solo io, Cri? Le senti le nostre voci del passato? Io seduto sul davanzale della finestra a strimpellare la chitarra e tu distesa a carponi sul letto a farmi le foto… Tu che ti alzi e immortali la luna e le stelle e io che ti prendo e ti abbraccio, come un orsacchiotto. Su questo pavimento mi raccontasti il tuo primo bacio e seduti alla scrivania, mi consolasti per la prima e vera delusione d’amore per quella stronza di Ilaria. È così strano che io ricordi tutto questo? Sento le nostre risate, ma anche i nostri pianti silenziosi. Potrei ancora ricordare la consistenza delle tue lacrime sulla punta delle mie dita.”
Si rivoltò verso di me, sorridendomi.
Anche io ricordavo tutto e quella stanza sembrava essersi fermata nel tempo.
Le pareti beige con le farfalle marroncine dipinte sopra.
Il parquet leggermente consumato al centro e nascosto da un tappeto zebrato comprato quando ero fissata con le ultime tendenze della moda.
L’armadio marrone scuro e dall’aria fin troppo vecchia e la mensola sopra il letto piena di foto e peluches vecchi ed impolverati.
C’era il mio mondo e c’era la persona che ne aveva fatto parte per più tempo in assoluto.
Perché quella sera la malinconia non voleva abbandonarmi?
Mi avvicinai al letto, sorpassando Roberto e toccando con le dita, i ricami di quel vecchio copriletto.
“Che ricordi, eh?”
Mi voltai verso di lui, continuando ad accarezzare il tessuto morbido.
“Troppi. Quante notti avremmo passato sotto queste lenzuola?”
Lui mi si avvicinò, posandomi le mani sulle spalle e iniziando un lento massaggio.
“Quasi tutte le notti della nostra infanzia ed adolescenza. Peccato che il nostro stare sotto le lenzuola fu così poco produttivo.”
Gli diedi una gomitata, scoppiando a ridere.
“Beh, scusami tanto se all’epoca non pensavo minimamente che tu fossi innamorato di me.”
Mi voltai e il suo sguardo chiaro e cristallino, mi fece indietreggiare fino a cadere seduta sul letto.
Era penetrante, profondo come se cercasse nei miei occhi le risposte alle infinite domande che turbavano quegli occhi così belli.
“Sarebbe cambiato qualcosa, Crì? Saresti stata a letto con me se te lo avessi chiesto?”
Ma il sorriso tornò sulle sue labbra, sedendosi poi accanto a me, come se le parole di poco prima fossero state solo un dolce scherzo.
“Non lo so e non credo che sia giusto nemmeno saperlo. E poi saresti stato un amante scadente. Col coso sempre viola, mica accendi la libido!”
Risi, appoggiando le mie gambe sulle sue, come solevo fare spesso.
Si infastidiva sempre, perché si sentiva scomodo in quella posizione.
“Prima mi rifiuti e poi mi appoggi i tuoi prosciuttoni di Parma sulle mie esili gambe? Sei proprio senza cuore.”
Mi scostai, shockata. “Ma quanto sei stronzo!”
Lui si tolse le scarpe con i piedi e salì sul letto, gattonando piano verso di me.
“Oh, non ne hai idea! Posso addentarti una coscia? Con tutto questo ben di Dio, potresti sfamare mezza Africa!”
La mia bocca spalancata, tocco quasi il pavimento.
“Roberto, non mi fare incazzare…”
Il suo viso era quasi vicino al mio.
“Se no che fai? Mi mangi? Sei proprio una prosciutta…”
Senza potermi fermare, gli diedi uno schiaffo sul viso, completamente alterata.
Sapeva che certe cose mi facevano stare male, allora perché aveva continuando quella messinscena?
Perché farmi del male in quel modo, invece che smetterla e tornare a scherzare come poco prima?
Ma Roberto non disse niente, anzi, mi abbracciò di slancio facendomi sdraiare completamente sul letto.
Uno sopra l’altra, i suoi occhi nascosti tra i miei capelli e poi contro il collo, sentii solo il suo respiro caldo sulla mia pelle.
“Cosa diavolo ti è preso, eh? Ti stavi divertendo?”
Lui scosse la testa.
“Non parli più? Prendere per il culo ti divertiva un sacco, deduco.”
“Finalmente ti riconosco. Non te ne eri andata davvero.”
Ma cosa diavolo stava dicendo?
“Ti sei fumato qualcosa, per caso? Che cazzo dici?”
Il suo viso tornò nella mia visuale e il suo sorriso mi lasciò raggelata.
“Finalmente ti ho rivista agire con impulsività, senza pensare a niente a nessuno. Per un momento non eri più la seria e grande Cris, ma la ragazzina che ho conosciuto io, alla quale ho voluto bene fin dall’inizio.  Non omologarti, Cris. Non diventare qualcuno che non sei.”
Roberto aveva da sempre molta influenza su di me. Il fatto che lui riuscisse a strapparmi sorrisi e subito dopo riusciva  a farmi dire le cose peggiori e le parolacce più volgari, era un’altra delle sue doti.
Sapeva farmi infervorare come nessuno riusciva a farlo.
“Cosa vuol dire! Sono cresciuta proprio come sei cresciuto tu.”
Lui sbuffò, facendo alzare per un attimo il mio ciuffo.
“Ti sei spenta e sei cambiata. Sei diventata una brava figlia, una fidanzata impeccabile ed un’ottima lavoratrice. Non c’è nulla di male in tutto questo, ma tu lo fai come se non ci fossero via d’uscita. Molla l’università e non fare quel diavolo di test! Il lavoro come commessa ti avvilisce e tua madre ti adorerebbe anche se tu la smettessi di fare ciò che gli altri vogliono da te. Ami fotografare, sporcarti le mani di inchiostro e di tempere.. Sei una creativa, cosa pensi di fare con un bisturi in mano? Avrai in mano cuori veri, non di creta. Vedrai più sangue che inchiostro nella tua vita.. Cri, svegliati! Smettila di rincorrere una vita che non è la tua. Io conoscevo una ragazza che sorrideva sempre, anche quando doveva mangiare e si ingozzava con il cibo tra una risata e l’altra.
Conoscevo una ragazza che amava la vita più di chiunque altro.
Conoscevo una ragazza che amava come una pazza e se ne fregava di tutto il resto.
Torna indietro, Cristina; torna da me con quel sorriso, con quella voglia di vivere e di amare. Crescere non vuol dire cambiare la propria essenza. Dov’è finita la tua? Dimmelo.”
Chiusi gli occhi, mentre le lacrime si dispersero sulla mia pelle fino al cuore.
Le parole che nascondevo da anni, che facevo finta di non sentire aumentando la fatica e le ore di lavoro, erano tornate.
Le parole che io stessa avevo pronunciato in molti scatti di ira, ora galleggiavano nell’aria.
Quelle stesse parole che ti disorientano e ti fanno ritornare a casa nel medesimo istante.
Roberto aveva riaperto quella ferita che da anni si era rimarginata, ma nel modo sbagliato. Si era infettata ed io invece continuavo a rattopparla, non capendo che era arrivato il momento di operarla definitivamente.
Ma avevo paura; una dannata paura.
E se l’anestesia non mi avesse più fatta risvegliare?
E se mi fossi persa in me stessa?
Due mani calde mi intrappolarono il viso e le labbra di Roberto mi asciugarono le lacrime.
“Forse era meglio quando ti stavi allontanando da me.”
Aprii gli occhi e lui me li baciò, strappandomi un leggero sorriso.
“Sono tornato per restare.”
Le mie mani si strinsero dietro la sua schiena, riportandolo su di me per un abbraccio lungo e disperato.
“E resta. Non lasciarmi più sola. Non voglio più perdermi.”
 
 
__________________________
 
Buonaseeeeeeera!
Sì, sono in ritardo e sì, mi vorrete morta. Scuuusatemi :( Mi perdonate con questo capitolo? E’ lungo quasi undici pagine piene e ci sono tanti bei momenti dolci, no? :3
Che ve ne pare?
Ho trovato l’ultimo momento così tragico e tenero insieme… Mi si stringe il cuore e ho adorato le parole di Rob. Bravooo! Finalmente fai il tuo lavoro da best friend :D
Vi è piaciuto?
Spero di sì, questo è un piccolo regalo di Natale.
Grazie a tutte voi, siete poche ma super buone!
Le vostre parole sono sempre così preziose : grazie di tutto cuore.
 
Un bacio gigantesco e tantissimi auguri di buon Natale e felice anno nuovo a tutti voi e alle vostre splendide famiglie!
Ps: mangiate come se non ci fosse un domani :D
 
 

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Capitolo 10
*** Al sapore di passato ***


Cap 9

Cap 9

 

 

Al sapore di passato

 

 

I primi raggi di un pigro e caldo sole settembrino fecero sollevare lentamente le mie palpebre.

Dopo lo sfogo della sera prima con Roberto, mi sentivo decisamente più leggera e, mentre distendevo le braccia e i muscoli delle gambe, non riuscii a fermare la nascita di un sorriso beato sulle mie labbra.  

Ero in pace con me stessa ed il mondo.

Strano a dirsi, soprattutto da una complessata cronica come me. Però, in effetti, gli ultimi avvenimenti mi stavano facendo inverosimilmente bene.

Certo, stavo soffrendo per la salute di mia madre, per la decisione sempre meno definita di studiare medicina e anche per la riscoperta di un’amicizia assopita per troppo tempo… Ma stavo bene.

Mi sentivo forte e sicura di me; piena di buoni propositi e rinnovata energia.

Avrei ripreso in mano le redini della mia vita; disinfettato le ferite e guardato negli occhi il futuro. L’avrei raggiunto con un lento, ma deciso passo di marcia.

Scostai le lenzuola e mi alzai in piedi; prima saltellando e poi roteando su me stessa: era ora di iniziare una nuova giornata.

“Buongiorno, dormigliona.”

Entrai in cucina ancora in canotta e pantaloncini del pigiama, sorridendo e dando una pacca sulla spalla del mio migliore amico.

“Buondì, Rob. È rimasto un po’ di caffè per me?”

Lui annuì, girando una pagina di un libro e sorseggiando una grossa tazza di caffè.

Mi sedetti di fronte a lui, arricciando il naso.

“Che c’è?” Mi fissò pensieroso.

“E quello lo chiami caffè? Ti sei americanizzato fin troppo, man.”

Lui fece spallucce e cercò di reprimere un sorriso, ritornando chino sul suo libro.

“Che leggi di così interessante?”

“Un libro sul karate.”

Girai il mio caffè rigorosamente espresso, guardandolo stupita.

“Karate? Non eri mica un patito del nostro tanto venerato calcio italiano?

“Già. Ma, come ben sai, non vivo più in Italia da troppi anni e non riesco a seguirlo come vorrei. Poi, Louis  - il mio coinquilino così dannatamente americano - mi ha decisamente fatto appassionare alle arti marziali. Sono cintura marrone, sai? Saranno quasi sei anni che mi alleno con costanza ed è così gratificante. Mi rilassa e mi fa conoscere meglio me stesso.

Mi appoggiai con il viso su una mano, studiando la nuova luce che aveva negli occhi.

“Cavolo, ti sei dato da fare in questi anni. Sembri così… Come dire?”

Lui sorrise, chiudendo il libro e guardandomi di nuovo negli occhi. “Felice?”

Scossi la testa. “Non solo; sei appassionato. Ami la tua vita?”

Decisamente sì. Non cambierei nulla o quasi.”

Mi regalò uno sguardo malizioso. “Quasi, eh?”

“La tua costante presenza è l’unica cosa che manca per renderla perfetta.”

Sospirai, bevendo in un sorso il mio caffè. “E anche del sano sesso, Mr Sorriso-da-Ebete.”

Lui roteò gli occhi, ridacchiando felice. “Oh, quello non manca di certo.”

Arricciai di nuovo il naso, assottigliando lo sguardo. “Ah sì? Mica non sei fidanzato?”

Rimase in silenzio, guardandomi divertito.

Ahimè, arrivai alla sua muta risposta con qualche secondo di ritardo.

Ma dai! Sei proprio un cazzone. Perché non ti impegni sul serio?”

La suoneria del mio cellulare interruppe il nostro discorso.

Sospirai e risposi sorridendo.

“Buongiorno, Amore.”

“Buongiorno, testa vuota! Va bene che sono bella e dolce, però non me la sento di lasciare Leo per te. Mi perdoni, Criss?”

Arrossii per la figuraccia.

“Hey, Stefy! Scusami, ero convinta fosse Luca…”

Lei, invece, rise con naturalezza. Ma figurati! Ho sentito Marghe e mi ha detto che ti sei presa una settimana di permesso per tua mamma. Che è successo? E perché non mi hai avvertita, zucchina che non sei altra?”

Sospirai, stiracchiandomi sulla sedia. In realtà avevo deciso di proposito di non avvisare nessuno, perché quando accadevano determinate cose nella mia vita – diciamo semplicemente negative - tendevo a chiudermi in me stessa per cercare di ricucire i pezzi da sola e ostentare forza verso il resto del mondo. Non che fosse un comportamento maturo e ragionevole, ma – ahimè - ero fatta così.

“È svenuta in seguito ad un problema al cuore. Ora deve solo riprendersi ed uscire; il peggio sembra essere passato. Per fortuna non era sola quando è successo, quindi i medici sono intervenuti subito e hanno limitato i danni. Comunque, non ti preoccupare, penso di rimanere qui qualche giorno o una settimana al massimo. Ti faccio sapere quando torno così ci becchiamo, ok?”

“Pensa te che roba! Quanto mi dispiace, ciccia; vedrai che si riprenderà e starà meglio di prima! Ho sentito anche Luca, perché avevo bisogno delle tue chiavi di casa per farmi il mio nuovo mazzo.. Quando tornerai, mi avrai sempre tra i piedi.” Rise di cuore, facendomi sorridere di riflesso.

“Non vedo l’ora... Mi manchi anche un po’.”

“Non ti preoccupare; vedrò di adempiere ai miei dovere di amica rompicoglioni quando ritornerai in quel di Milano.”

Mi salutò così e io non riuscii a trattenere un sorriso.

“Chi era?”

Mi accorsi solo in quel momento che Roberto era ancora di fronte a me e con gli occhi incollati ai miei. “Una mia collega e una grande amica. Non so se te ne ho parlato, si chiama Stefania. Sta per trasferirsi da me.”

Lui assottigliò lo sguardo. “Gnocca?”

Sbuffai esasperata, passandomi l’indice sulle labbra con fare pensieroso. “Molto direi.”

Cosa aspetti a presentarmela?”

Mi alzai, scrollando le spalle e lavando velocemente la mia tazzina.

“Quando verrai a trovarmi a casa, te la presento. ” Feci qualche passo verso di lui con finta espressione addolorata. “Comunque è fidanzata e con un figo da paura. Quindi la vedo dura, Playboy.”

Lui socchiuse leggermente l’occhio destro, regalandomi un'occhiata poco amichevole.

“Perché io sarei un cesso, scusa?”

Sorrisi, passandogli accanto. “Mai detto questo, ma non ho intenzione di gonfiare il tuo ego.”

La mia spalla sinistra venne sfiorata impercettibilmente dalla sua mano e ritrovai così le braccia del mio migliore amico intorno alla vita e le sue mani intrecciate contro la mia pancia.

Sei ancora brava a giocare con le parole, eh? Dai, dillo apertamente che sono un cesso se ne hai il coraggio.

Feci spallucce, non riuscendo a trattenere un sorriso furbo e provocatorio. Mi girai tra le sue braccia, guardandolo dal mio misero metro e una banana.

“Altrimenti mi picchi?”

Stupendomi di nuovo, Roberto si passò lentamente la lingua sul labbro inferiore, facendomi spalancare la bocca per la sorpresa.

“Oh, no; signorina. Ho in mente altro per te.”

Mi appoggiai spontaneamente sul suo petto, reprimendo un sorriso.

“Non ti riesce molto la parte del dongiovanni, sai?”

Sollevai lo sguardo, trovando gli occhi azzurro/verdi di Rob socchiusi e accompagnati da un sorriso quasi timido. “Non hai idea di quanto poco mi sia impegnato.”

Mi scompigliò i capelli, mettendo fine al piccolo siparietto post colazione.

Pensare che un tempo erano così frequenti, soprattutto quando dormivamo insieme come due bambini senza età.

Seguendo il ritmo gioioso e dolce di quei ricordi, mi avvicinai a Roberto e lo presi a braccetto, proprio come solevamo fare solo qualche tempo prima.

Lui mi baciò tra i capelli e procedendo a finto passo di marcia, ci dirigemmo verso la vecchia e familiare fermata dell’autobus.

 

“Quindi potresti già uscire venerdì? Incredibile…”

Mi sistemai sulla sedia, mentre il dottore si congedava e ci augurava una buona giornata.

“Sì, davvero meraviglioso. Odio stare tutto il giorno incatenata a questo letto. Dovrei fare un sacco di cose… Chissà quante polvere ci sarà a casa ora!”

Scossi la testa, mentre una mano mi scompigliò ancora i capelli.

Mi voltai e vidi Roberto che, ridendo bellamente, si sedeva ai piedi del letto.

“Paola, sei sempre la solita; come mia madre d’altronde. Invece che pensare un po’ a voi stesse, vi preoccupate ossessivamente della casa e dei figli.

Mia madre cercò di incrociare le braccia – proprio come faceva sempre quando era in procinto di sgridare entrambi – ma per colpa della flebo, le riportò distese sul letto.

“Signorino, quando sarai padre e avrai una famiglia, allora ci capirai. Vero, Vanna?”

La madre di Roberto alzò lo sguardo dalla rivista, facendomi quasi scoppiare a ridere.

Ogni volta i suoi occhiali le scivolavano sulla punta del naso, donandole un aspetto alquanto buffo.

“Assolutamente, Pao. Ma hai sentito che Belen è rimasta incinta?

Mia madre scosse la testa, fingendo un interesse palesemente inesistente.

Ma dai?”

“Sì, Pao… Pensa che se è femmina la chiameranno Sofia.. So fija de ‘na mign-“

Giovanna, seduta a pochi passi da suo figlio, si alzò di scatto regalando a quello scemo un forte e sonoro copino.

Ma insomma! Sei veramente un insolente, figlio mio.”

Io e mia madre, invece, ci guardammo rassegnate, prima di scoppiare a ridere di gusto.

“Roberto è un piacere vedere che sei rimasto lo stesso ragazzino di un tempo.”

Lui sorrise, riavvicinandosi a mia madre e abbracciandola dolcemente.

Mi si strinse il cuore; Roberto era sempre stato un bambino che abbracciava e baciava tutti, ma non immaginavo certo che all’età di ventidue anni continuasse a farlo con così tanta disinvoltura.

Quando sciolse l’abbraccio, mia madre aveva gli occhi lucidi.

“Pao, lo so  che mi vuoi bene anche per questo!”

Scherzò, ritornando seduto vicino a me.

“Ci sei mancato così tanto, caro.”

Il mio migliore amico si strinse nelle spalle, rivelando forse un po’ di quella timidezza che aveva celato egregiamente per giorni.

“Mamma, ti spiace se torno a casa? Giovanna e Roberto possono rimanere qui a farti ancora un po’ di compagnia, ma io devo assolutamente comperare delle cose che ho dimenticato a Milano per la fretta… Sai, cose da donne.”

Erano le quattro del pomeriggio, ormai, quindi mia madre non si stupì della mia dipartita.

Mi salutò caldamente, prima di lasciarmi andare.

Roberto, cocciuto com’era, non voleva abbandonarmi e così ci dirigemmo al piccolo supermercato del paesello a piedi, insieme. Fortunatamente distava solo pochi passi dall’ospedale; non che fosse una collocazione ad hoc, però era molto comodo per i parenti dei ricoverati che dovevano rimanere in ospedale sia a pranzo che a cena.

Roberto mi rimase accanto stando in un religioso e strano silenzio, tanto che mi spaventai quando il mio cellulare iniziò a vibrare.

“Hey…”

Non riuscii nemmeno a pronunciare il classico ‘pronto’ che la voce calda e avvolgente di Luca, mi avvolse dolcemente. “Ciao..” Sorrisi talmente tanto che fui costretta a socchiudere gli occhi.

“Ci credi che è solo martedì pomeriggio e io sono in crisi da Criss? Crisi da Criss… Potrebbe essere un nuovo programma di Real Time, che dici? Mi sto riempiendo di quella merda quando torno a casa la sera, per evitare di pensarti troppo. Sono proprio patetico; Andre ha ragione.”

“No, non lo sei.” Roberto mi fece un cenno con la testa e dopo aver varcato la porta scorrevole del supermercato, ci separammo silenziosamente. “Io non posso nemmeno guardarlo Real Time, quindi conto sui tuoi aggiornamenti.”

Che strana telefonata, pensai. Sentivo la mia voce assumere un tono sempre più debole, come un bisbiglio, trattenendo quasi le lacrime. Mi mancava di già? Eravamo lontani da 48 ore, com’era possibile!

“Che fai di bello? Sei da tua mamma?”                  

“No, sono al supermercato con Rob a comprare gli assorbenti. Mi sono arrivate ieri notte. Te?”

“In macchina di ritorno dal lavoro. Voglio le vacanze; oggi stavo per mandare a fare in culo un sacco di vecchietti rincitrulliti. Come cavolo puoi improvvisarti elettricista se non sai distinguere una lampadina dalla testa di tua moglie? Roba da pazzi; ho voglia solo di una birra e di te, se fosse possibile.

Passai una mano tra i capelli, attorcigliandoli lentamente tra il pollice e l’indice.

“Come siamo polemici oggi..

“Da morire, non posso nemmeno contare sulla pomiciata serale con la mia ragazza. Mondo infame.”

Risi mentre sorpassavo la corsia dei detersivi e attirandomi gli sguardi di due signore attempate.

“Vorrei poter flirtare con te al telefono, ma le vecchiette dei surgelati mi guardano con fare minaccioso.”

Lui sospirò, ma sospettai che stesse ridendo della situazione.

“Sono solo invidiose di te. Sai, anche se non sono più sul mercato da tre anni, ho sempre avuto successo con le settantenni. Sono proprio un bel bocconcino; mi addenterei da solo!

Mi portai una mano davanti alle labbra, nascondendo un sorriso. “Lascia fare questo sporco lavoro a chi ne ha le competenze.”

Lo sentii sospirare rumorosamente il che mi fece venire la pelle d’oca per le immagini che passarono davanti ai miei occhi. Entrambi pensavamo ad una cosa sola e non sapevo se ridere per l’assurdità di quella telepatia o se piangere, sbattendo la testa contro lo scaffale più vicino, per la frustrazione.

“E allora muoviti a venire qui che diventerò cieco a furia di pensarti e non poterti toccare.”

Scossi la testa, svoltando dentro la corsia che stavo cercando. Eccoli!

Sono passate solo 48 ore…”

Un altro sospiro. “Te l’ho detto che sono in crisi da Criss. Credo di essere malato.”

Sorrisi di nuovo. “Se tutto va bene per il fine settimana ritorno a casa. Tieni duro.”

“Più duro di così, si muore.”

Scoppiai a ridere del tutto, piegandomi  letteralmente in due.

“Sei incredibile.”

Luca rise di riflesso, abbassando il tono di voce. “Oh, non hai idea di quanto io sia incredibile in questo momento. Dai, ti lascio tranquilla; ora mi sistemo e scendo dalla macchina. Direi che vado a farmi una doccia congelata per riprendermi. Ci sentiamo più tardi; saluta Mamma, Roberto e Giovanna.

“Va bene; tu salutami i tuoi, Leo e gli altri. Ah, Luca?”

Dimmi, testolina.”

“Ti amo.” E un sorriso si impossessò delle mie labbra.

“Oh, piccola. Anche io; fai la brava.”

Chiusi la telefonata con un sospiro adorante, per la quantità di tenerezza e calore che solo la voce di Luca riusciva sempre a donarmi. Era la sicurezza che cercavo da anni, quel tepore che ti fa sentire a casa ovunque. Al centro di un ciclone, nella marea del dolore o in assenza d’ossigeno: lui era la mano calda della salvezza, creata per afferrarmi prontamente nelle vicinanze di ogni baratro.

Non era facile; l’amore non è facile come ci propinano milioni di romanzi e film strappalacrime.

L’amore richiede un addestramento da soldato e la forza di volontà di un eremita; bisogna lottare ogni giorno per incastrare pezzi completamente diversi, senza farli collidere e distruggere a vicenda.

L’amore è l’arte dello smussare, dell’amalgamare ed dell’unire. Per questo è il più complicato, ma anche il più gratificante dei sentimenti. Non è facile ammorbidire gli angoli di se stessi, senza assumere forme diverse e distanti dal reale.

Per questo si soffre e per questo continuiamo a cercarlo incessantemente.

“Toc, toc.”

Roberto mi spuntò davanti, battendomi due dita sulla fronte e risvegliandomi dal torpore emotivo nel quale ero caduta. Infatti, mi resi conto solo in quel momento, osservavo da un buon quarto d’ora le confezioni di assorbenti esterni ed interni con sguardo attento, come se la mia fosse una decisione di vita o di morte.

Probabilmente sembravo, oltre che rimbambita, anche parecchio pazza.

Scossi così la testa e mimai un sorriso un po’ tirato al mio migliore amico.

“Scusa, stavo pensando ad altro. Che hai comprato?”

I miei occhi si incollarono al suo cestino rosso pieno zeppo di schifezze.

“Un po’ di viveri. Anche se - se posso essere sincero, eh - i supermercati degli States sono tre volte più forniti e con confezioni di dimensioni più soddisfacenti.

Alzai un sopracciglio come risposta e lui fece prontamente spallucce.

“Mica è colpa mia, Criss! Ormai mangio schifezze come un vero e onesto cittadino americano.. Se lo sa mamma, mi disconosce.”Ammise, facendomi ridere brevemente. Gli diedi così una pacca sul braccio, fingendo un po’ di pietà per il suo stomaco, e mi inchinai sullo scaffale per afferrare la confezione dei Tampax. Quando mi rialzai, lui stava arricciando il naso, infastidito.

“Che c’è?”

“Brutti ricordi.”

Lo guardai con fare interrogativo, gettando la confezione nel suo cestino.

“Cioè?”

Roberto iniziò a camminare, facendomi correre per raggiungerlo.

“Hai dovuto metterti un Tampax su per il deretano?”

Lui si guardò prima intorno leggermente allarmato e poi mi diede una spinta, scoppiando a ridere e contagiando anche me.

Ma quanto sei scema! No, ovviamente il mio sedere è e rimarrà sacro e illibato per tutta la vita. Pensavo ad una mia ex che era fissata talmente tanto con i Tampax che pensavo si divertisse di più a infilarsi quelli che il mio amico. Insomma, avevo quindici anni, ma mi è rimasto un po’ questo pallino.

Io, se devo essere sincera, gli scoppiai a ridere in faccia senza molti scrupoli. Constatando che, ahimé, il suo non era affatto uno scherzo e che lo stavo in qualche modo offendendo. Così mi ricomposi, alla bell’e meglio.

Scusa-pff-mi. È decisamente una cazzata. Guarda che è fastidioso all’inizio mettersi i Tampax e poi non ha niente a che vedere con il piacere… Dì pure a Mr Melanzana di dormire sogni tranquilli.

Rob non disse nulla e mi prese a braccetto, dirigendosi così verso le casse.

Prima di arrivarci, però, qualcuno interruppe il nostro cammino, facendoci congelare sul posto e con le bocche spalancate.

“Oddio! Roberto Casarini? Cristina Moro? Ma che piacevole sorpresa!”

Eravamo proprio in vena di ex fiamme quel pomeriggio, pensai tra me e me.

“Jennifer? Jennifer…”

“Monteleone! Sì, sono proprio io! Mamma mia, ma sei sempre più carino, sai? Accidenti! Sapevo che eri sparito in America e si erano perse completamente le tue tracce…

Strano, davvero molto strano. Jennifer Monteleone non mi degnò nemmeno di uno sguardo; che dico! Nemmeno di un respiro. D’altronde era più che normale. Figlia di un politico bassotto dal dubbio senso morale e di una consulente matrimoniale; Jennifer era stata una della ragazzine più carine del nostro paesello fin dall’asilo. Era la personificazione più banale e superficiale dei cliché, me ne rendevo sempre più conto mentre sentivo la sua voce sfumare, sopraffatta dal rumore dei ricordi.

Una come lei, non poteva di certo conoscere una come me. Ma le cose cambiavano nettamente, se codesta ragazza rossiccia – l’unico dettaglio degno di remora e bello, a mio parere - era stata per qualche mese una delle fidanzatine più cool di Roberto, quando lui era in seconda superiore. Inutile dire che si stancò facilmente – erano i famosi anni delmenefreghismo totale’ e dell’ormone impazzito – quindi si era divertito fin che aveva potuto. Sfortunatamente Jennifer parlava troppo, anche in certi momenti, e con questa motivazione banale, stupida o semplice per i suoi 15 anni, Rob se la scrollò di dosso. Così, per il tempo restante – più o meno un anno dalla sua dipartita dall’Italia – lei continuò a tormentarlo sia pubblicamente che privatamente, utilizzando modi sempre più subdoli. Ero arrivata addirittura quasi a malmenarla  davanti alla fermata del bus, perché elemosinava insistentemente dettagli sulla vita privata di Rob che solo io e lui sapevamo.  

Bei tempi. Un sorriso soddisfatto si fece spazio sul mio viso, conquistando l’attenzione del mio migliore amico, che con una mano sul mento e il piede sinistro che si muoveva freneticamente, sembrava in procinto di imprecare sonoramente e darsela a gambe levate.

“… quindi alla fine l’amica per la pelle ha vinto su tutti i fronti. D’altronde ora va molto di moda fingersi amica degli uomini per fare breccia nel loro cuore. Sinceramente lo trovo un modo un po’ meschino, ma siete carucci, dai. Roby, tu più di tutti, lo sai. Te l’ho già detto che sto studiando scienze politiche a Roma? È davvero stupendo che il destino mi abbia riportato qui per qualche giorno solo per ritrovarti. Sì, è decisamente il fato!”

Decisamente.” Bofonchiai, incrociando le braccia e facendo sorridere Roberto.

“Cristina… Lo so che non siamo mai andate d’accordo, eri così scontrosa anni fa! Stai lavorando anche tu, immagino. Che cosa fai di bello? Scommetto che a Milano è pieno di risorse per i diplomati.

Strangolare non era il verbo più adatto. Avrei preferito qualcosa come incenerire, disintegrare ed eliminare, ma mi era difficile con tutte quelle persone come testimoni oculari.

“In realtà, penso che farò la barbona per strada. Ma non credo siano esattamente cazzi tuoi. Per lo meno, non dovrò farmi strada con le marchette o perché ho un cognome importante. Ora dobbiamo proprio andarcene! Ciao, ciao! Salutami il paparino.”

Presi Rob sottobraccio e ce ne andammo fin troppo velocemente.

Solo quando entrammo di corsa nel 24, ci mettemmo a ridere contro le portiere.

“Incredibile! L’hai stesa, Cris! Ti ricordi quando la volevi menare, perché ti chiedeva se amavo le ragazze depilate o quelle nature?

Annuii, afferrando la sua mano libera dal sacchetto e prendendo così posto nell’ultima fila a cinque posti.

Era la nostra preferita, da sempre.

Ti sentivi potente da laggiù; potevi vedere tutti e sapevi che tutti vedevano te. Un gradino sopra le persone e dominavi il mondo.

“Crì.”

Mi voltai verso di lui che smise di guardare la strada dal finestrino per ritornare concentrato sul mio volto.

“Dimmi.”

“Fotografami.”

Aggrottai le sopracciglia, socchiudendo le labbra per parlare, ma la sua mano mi fermò.

“Stasera, dopo cena. Andiamo in camera tua e fotografami come facevamo tempo fa. Voglio farti vedere quanto talento hai e devi smetterla di negarlo a te stessa. Vali mille volte di più di una stupida sciacquetta di provincia che tenta la carriere politica per notorietà. Cris, sei una sognatrice. Noi dominiamo il mondo, ricordi? Da qui, con le nostri idee e le nostre passioni, siamo sopra tutti.”

Mi passai due dita sulle tempia destra e sorrisi, voltandomi dall’altra parte.

“Se ritrovo la Nikon…”

Rob mi posò un braccio dietro le spalle e mi avvicinò a sé, cambiando discorso e raccontandomi nuovi aneddoti sulla sua vita lontana dall’Italia.

 

Arrivammo a casa quasi in contemporanea con Giovanna, che si stupì del nostro ritardo, ma non disse nulla, scorgendo le nostre espressioni felici.

Mangiammo con ilarità e dolcezza, ricordando il passato, parlando del presente e azzardando qualcosa sul futuro.

Di certo quei giorni sarebbero presto finiti; Roberto sarebbe ritornato in America ed io a Milano da lì a poco. Ognuno avrebbe continuato a rincorrere la propria vita e l’infinità della cose che sognavamo di realizzare o quantomeno provare solo a sfiorare.

Chiamai di nuovo Luca che mi rispose mezzo assonnato e mi rivelò che si  era addormentato sul divano dalla stanchezza. A Milano continuava a piovere freneticamente e si era infradiciato, quando aveva scaricare il nuovo materiale che gli era arrivato al negozio. Mi aveva dato una buonanotte veloce, ma dolce e amorevole che mi fece sorridere nonostante avesse le mani nell’acqua calda  da un quarto d’ora e stessi lavando i piatti.

“Miss Piggy, la Nikon è carica e ti aspetta.”

Mi voltai e mi asciugai le mani, cercando di nascondere un po’ del tremolio che non voleva abbandonarmi.

Da quanto non fotografavo davvero?

Non lo ricordavo con precisione; avevo solo smesso di farlo. Quando facevo qualche piccolo viaggio c’era sempre Luca o qualche amico che lo faceva per me. Fotografare era la mia memoria, il mio cassetto dei ricordi che avevo conservato per tanti anni. Purtroppo la passione era finita, la mia vita aveva preso pieghe sempre più diverse e avevo deciso di allontanare quella passione infantile, per cercare un vero lavoro e magari studiare qualcosa che mi avrebbe garantito una solidità economica.

La vita non era per i sognatori; l’avevo capito ormai da un po’.

“Ho trovato una delle mie chitarre nel tuo armadio. Mi ricordavo che ne lasciavo sempre una da te, perché ti piaceva ascoltarmi. Dimmi cosa devo fare.”

Quando mi chiusi la porta alle spalle, sospirai.

Eccola lì la mia compagna.

Nikon D100, regalatami da mia madre, con sacrifici, nel 2003 per il mio decimo compleanno. Un regalo davvero troppo bello per una bambina, mi resi conto anni dopo, ma mia madre diceva che quando fotografavo, brillavo di luce propria. Ero nel mio habitat e nessuno poteva farmi male dietro l’obiettivo che solo io potevo controllare. Solo io decidevo chi immortalare nella mia vita.

Per questo me la regalò; per darmi un degno compagno che mi avrebbe protetto e resa felice quando lei non riusciva a capirmi o semplicemente non poteva.

Anni prima mi ero divertita con macchine fotografiche usa e getta e per una bambina era già troppo quello, figuriamoci una macchina fotografica pesante, grande e costosa. Ma mia madre non si era mai pentita di aver risparmiato per mesi solo per una mia passione. Forse lei aveva visto lontano… Aveva capito che per me fotografare non era un capriccio, ma il mio modo di esprimermi.

Fu così che incominciò tutto.

“Eri così gasata quando tua madre te la regalò. Passasti una settimana a letto con lei.” Disse indicando quella piccola scatola nera che ora stava benissimo in una mia mano.

Il contatto con la sua superficie ruvida fece volatilizzare all’istante il nervosismo e l’ansia. Sorrisi davvero con gli occhi, la bocca e tutto il corpo.

“Cavolo è piena di polvere.” Utilizzai la maglietta per spolverarla, rendendomi conto che non era proprio il massimo della professionalità.

Ma feci spallucce e andai in bagno per ripulirmi le mani.

“Oh cazzo!”

Roberto mi raggiunse giusto in tempo per aiutarmi a chiudere il rubinetto.

“Che cavolo hai fatto?”

“Non lo so! Mi stavo solo lavando le mani e a un certo punto è uscito un getto dall’altra parte!

Gli indicai il pezzo di congiunzione che evidentemente si era guastato e lui prese solo l’asciugamano e glielo legò intorno.

“Dai, domani chiamiamo un idraulico. Certo che sei un disastro sei tutta bagnata e io non sono da meno.”

Scoppiammo a ridere, ritornando in camera.

Ripresi in mano il mio gioiellino e spensi la luce della camera, accendendo invece l’abat-jour. Poi aprii la finestra, spostai dei cuscini e feci segno a Roberto di stendersi sul letto senza chitarra.

“Sicura? Non è che mi fai spogliare e poi rivendi le mie foto su Ebay?

Gli diedi una spinta decisa e lui si tolse le scarpe con i talloni, stendendosi così sul letto con la schiena sulla testiera e le mani dietro la testa come cuscino.

“No, non ci siamo. Mettiti completamente disteso. No, il braccio destro sotto la testa e l’altro tra i capelli.”

Ma così sembro frocio!”

Lo fulminai con lo sguardo. “Zitto e ubbidisci!”

Lui sbuffò. “Si, badrona. Così?”

Mi avvicinai a lui e gli sompigliai i capelli, divertendomi.

Aveva la maglietta bianca bagnata sui pettorali e i capelli con le punte inscurite dall’acqua.

In quel contrasto di bianco e pelle, i suoi occhi risplendevano.

Presi la sedia all’angolo e, dopo averla posizionata ai piedi del letto, ci salii sopra.

“Perfetto.”

Portai la Nikon vicino al mio viso e Roberto si alzò a sedere, a disagio.

“Che c’è? Dai, Rob!”

“Posso mettere un po’ di musica? Mi sento un cretino così… Di solito io facevo altro e tu mi riprendevi in pose naturali.

Sorrisi e acconsentii. Lui estrasse il cellulare e lo appoggiò sul comodino, dopo aver trafficato con lo schermo tattile.

“Stronzo con l’iPhone.”

Lui rise. “Invidiosa. Da noi non costa come qui.”

Li feci la linguaccia mentre le voce roca di Chad Kroeger solleticò le mie orecchie.

“Ti piacciono ancora i Nickelback, eh?”

Lui si riposizionò come poco prima, sorridendomi. “Sempre. If today was your last day, questa canzone, mi ha fatto compagnia per anni. Lo sai.”

Sorrisi, iniziando a fotografarlo e giocando con la luce calda dell’abat-jour in contrasto col buio della stanza.

“Li ho sempre adorati anche io.”

“Certo e mi sfottevi perché non ho mai avuto la voce come Chad. Mondo crudele.”

Risi, scendendo dalla sedia e mettendomi in piede sul copriletto.

“Ora alza la maglietta e scopri un po’ la pancia. Fingi di dormire.”

Lui sollevò le sopracciglia, malizioso. “Oh, tesoro. Dillo subito che mi vuoi nudo nel tuo letto.

Gli diedi un leggero calcio sul fianco e lui seguii le mie direttive.

Mi abbassai per spettinargli i capelli sul viso e mi resi conto che da vicino, con gli occhi chiusi e i riflessi aranciati dalla luce artificiale: era davvero bellissimo.

Roberto era sempre stato un bel ragazzo, ma in quell’espressione ingenua e così naturale, conservava la bellezza di un bambino e il fisico tonico di un adulto.

Click, click, click.

Mi aggirai per la stanza come un’ombra leggera e silenziosa che giocava con la luce e la luna.

“Amo questa canzone. Mi ricorda il passato. Mio padre. I finti amici e poi te.”

Sorrisi, avvicinandomi e coprendoli la pancia.

“Lo so. Non mi hai mai detto perché ti ricorda me, però. Ora, Rob, mettiti a testa in giù verso la finestra. Vediamo se la luce lunare è dalla mia parte.

Lui gattonò verso di me e si sistemò proprio come volevo io.

“Facciamo solo qualche scatto così, non voglio di certo farti perdere l’unico neurone decente che ti è rimasto.”

Lui mi fece la linguaccia e ne approfittai per scattare una foto.

“Stronza!”

Sorrisi e tornai a fotografarlo.

“Guarda verso la finestra.”

Mi spostai per spegnere tutte le luce, lasciando così solo la luna e farmi da riflettore.

“Perfetto. Cazzo, sembri un angelo caduto.”

Lui fissò i suoi occhi nei miei. “Sono venuto per portarti via con me.”

Risi e lo feci alzare.

“Ora siediti sul davanzale. Un ginocchio sul legno, l’altro sul pavimento.

Il mento sul ginocchio, sì, bravo. Perfetto. Le braccia mettile di fianco, ok. Ora guardami.”

Click, click, click.

Era meraviglioso come solo muovendo un passo potessi rendere la foto incredibilmente diversa.

Contro luce, non si vedeva altro che il contorno delle sue labbra e i suoi occhi chiari.

Era surreale.

And would you find that one you're dreaming of. Swear up and down to God aboveThat you'd finally fall in love.”

Rob canticchiò il mio pezzo preferito della canzone, ma mi fissava diversamente.

Sembrava che mi stesse inviando una sorta di messaggio.

“Che hai?”

“Queste sono le parole che mi ricordano te. Sempre, in continuazione. Se dovessimo morire oggi, non hai idea di quanto mi pentirei di non avertelo mai detto.

Si portò un braccio sopra il ginocchio, sotto il mento e mi guardò fisso.

Spostai la Nikon, per guardarlo meglio.

“Mi hai già detto che mi amavi, Rob. Non ti preoccupare, non dovresti avere rimpianti.”

“Invece ne ho, perché…”

Scosse la testa, fermandosi. “Abbiamo finito, vero?”

In realtà volevo fargli qualche altro scatto, ma non volevo approfittarmene. Sembrava che il suo buonumore si fosse completamente dissolto.

“E ti si vede il pizzo del reggiseno, le tue gambe sono diventate più sode e le tue labbra sono sempre rosse, perché le stuzzichi con i denti in continuazione. Non dovrei notarle queste cose e dovrei farmi una doccia e starmene zitto. ‘Notte, Criss.”

Ma che cazzo stai blaterando?”

Lo inseguii alla porta e gli posai una mano sulla spalla.

Lui si voltò, mi guardò dritto negli occhi e non so cosa ci vide, ma io so cosa vidi nei suoi.

Calore. Erano lucidi, languidi e mi guardavano in un modo che non avevo mai visto, se non nei film e non avevo mai sperimentato sulla mia pelle.

“Rob?”

Lui mi posò un dito sulle labbra e mi abbracciò.

“Lo sapevo che rimanendo qui con te mi sarei ricordato di troppe cose che avevo cercato di dimenticare.”

Cercai di respingerlo un po’, solo per poterlo guardare negli occhi, ma la sua presa era decisamente più forte delle mie braccia.

Ma che hai? Ti ho per caso offeso senza rendermene conto?

Ma la sua risposta non arrivò mai, perché in quel momento rividi i suoi occhi che si insinuarono nei miei e le sue labbra che prima mi sorrisero e poi scesero ad  accarezzare le mie.

Rimasi impietrita, mentre Roberto iniziò a baciarmi.

Non era possibile, che cavolo stava succedendo?

E perché erano così morbide e calde?

Lui non chiuse gli occhi e non smise per un attimo di accarezzarmi il collo.

Scosse la testa, quasi rispondendo mentalmente alla mia domanda.

Nemmeno lui sapeva cosa stava succedendo e quando la mia mano afferrò i suoi capelli, mi resi conto che nemmeno io lo sapevo.

Mi trovai a ricambiare il bacio per qualche secondo e poi mi staccai.

Non disse una parola e nemmeno io.

Me ne andai semplicemente in camera di mia madre e mi rinchiusi lì.

Quello sì che era un gran bel casino.

 

 

_______________________

 

Ehm, un mese e mezzo di ritardo, so che è tantissimo! Mi scuso davvero tanto, purtroppo non ho passato un gran bel periodo e quindi sono stata un po’ ferma con le storie. Ora riesco un po’ a respirare e finalmente sono riuscita finire questo capitolo lunghissimo e ricco di piccole rivelazioni.

Cosa ne pensate?

Luca è a Milano e continua a essere presente nella vita di Cris, nonostante la lontananza. Roberto riscopre vecchi sentimenti che credeva assopiti e Cris è semplicemente confusa, perché non si è mai trovata in una situazione simile.

L’unica cosa che ho da dirvi è che la canzone citata da Roberto è molto famosa :) If today was your last day dei Nickelback. Mi pare ovvio che è quasi obbligatorio averla ascoltata almeno una volta nella vita u.u

Per il resto, attendo i vostri commenti! Sono proprio curiosa di leggere le vostre teorie e le vostre impressioni. :3

Personalmente l’ultima parte è la mia preferita e fare quel mini servizio fotografico è stato uno spasso. Sì, sto parlando come se avessi partecipato anche io, ma vi assicuro che nella mia testa è successo davvero! xD

Grazie di tutto.

 

Un bacio stra grande e a presto <3

 

Ps: ho deciso di modificare dei “numeri” nei primi capitoli, per spiegare meglio la situazione. Nel senso che, quando Rob e Cris si lasciano, hanno appena 15 e 13 anni e mi sembrava troppo presto, per un flashback che ho inserito negli ultimi capitoli e per quelli che arriveranno. Quindi, li renderò un po’ più adulti accorciando un pochino gli anni di distanza. Spero non sia un problema, ma ci ho pensato a lungo e mi sembra la scelta migliore.

 

Un altro bacio, dai :3

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