You and Me? Never.

di Ali_Nott
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove. ***
Capitolo 20: *** Capitolo venti. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


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Capitolo I  

Dedicato alla persona che ha dato vita al personaggio di Adrian,
che sarà sicuramente più brava ad interpretarlo di quanto ci riuscirò io.
Vorrei dirti un sacco di cose, ma credo che un “ti voglio bene” possa raccogliere il tutto alla perfezione.
 
***

 
L’improvviso e fastidioso suono della sveglia mi riportò alla realtà, interrompendo il sonno tranquillo a cui poche ore prima avevo ceduto.
Con fatica e dopo quelli che mi parvero secoli, riuscii ad aprire gli occhi cercando di ignorare quell’assordante rumore proveniente a nemmeno mezzo metro da me.  Goffamente, misi un braccio sugli occhi, infastidita dalla leggera luce che trapelava attraverso le finestre, nonostante fossero ancora nascoste dalla tenda bianca, mentre con l’altro braccio tastavo la superficie del comodino, in cerca della sveglia per far smettere quel rumore infernale.
Un leggero “crac” e il silenzio piombò nuovamente nella stanza, seguito da un leggero sospiro di sollievo… magari sarei anche riuscita a farmi un’altra ventina di minuti di sonno.
Ma non feci in tempo a terminare di pensare a quell’idea troppo allettante, che un urlo di mia madre riuscì a svegliarmi del tutto, o quasi. «Alinee, sbrigati ad alzarti! Tra mezz’ora arriva Melanie per andare a scuola insieme, vedi di non farla aspettare come al solito.»
Maledizione.
Come avevo potuto dimenticare completamente che oggi  sarebbe rincominciata la scuola?
A quelle parole, anche se controvoglia, tolsi il braccio da sopra gli occhi, iniziando a guardarmi in giro ancora mezza addormentata, senza capire davvero a pieno la situazione. Bastò una rapida occhiata alla sveglia per far si che mi rendessi davvero conto di  quanto in ritardo fossi. Con un rapido gesto mi liberai delle coperte e mi alzai altrettanto velocemente per correre in bagno; non feci in tempo a compiere nemmeno un passo che mi ritrovai completamente spalmata a terra provocando un rumore che, sicuramente, chiunque avrebbe sentito in quella casa, con il piede incastrato nel lenzuolo.
Maledizione, di nuovo.
Perché dovevo essere così maledettamente impacciata in tutto ciò che facevo? Possibile che non riuscissi nemmeno ad alzarmi dal letto senza ritrovarmi dopo nemmeno un secondo a terra?
Un momento dopo la porta di camera mia si spalancò, lasciando che un James ancora in boxer entrasse preoccupato per capire cosa avesse causato tutto quel rumore. Il tutto però, durò poco, e sul suo viso comparve quasi subito una smorfia divertita che, tra l’altro, non si sforzava nemmeno di nascondere. «Come hai fatto a cadere? »
«Genio dei miei stivali, ma che cavolo di domande fai! Sono caduta e basta.»
Alzò gli occhi al cielo e, senza nemmeno prendersi la briga di aiutarmi a rimettermi in piedi, si dileguò fuori dalla mia camera. «Grazie per l’aiuto eh. » Sbuffai, cercando di alzarmi poggiandomi al comodino lì accanto ed evitando di imprecare mentalmente, dopo aver liberato con non poche difficoltà il piede dal lenzuolo.
Andai spedita verso il bagno, ignorando le urla di mia madre che mi rammentava nuovamente quanto fossi in ritardo. Il tempo di una rapida doccia tiepida prima di tornare in camera a cambiarmi; la sera precedente non avevo nemmeno pensato di tirar già fuori i vestiti da mettere, quindi avrei anche dovuto perdere del tempo a cercarne.  Aprii l’armadio e, dopo una manciata di minuti, tirai fuori un paio di jeans scuri e una camicetta azzurra che misi con nemmeno tanta fretta, prima di tornare in bagno a pettinare i lunghi capelli corvini e mettere giusto un filo di trucco, senza ricoprirmi l’intera faccia come invece tendevano a fare molte ragazze della mia età.
Afferrai al volo la tracolla con dentro giusto il minimo indispensabile per la giornata e scesi rapidamente le scale, rischiando di finire a terra per la seconda volta nell’arco di una mezz’ora.
 «Finalmente! Forza, siediti e fai colazio…» «Mamma mi spiace, ma non ho tempo! Credo di essere già in ritardo e sono sicura che Melanie mi stia aspettando qui fuori! » Afferrai al volo un toast prima di correre verso la porta d’ingresso, udendo appena un “ci vediamo dopo” di mio fratello che, a differenza mia, stava seduto comodamente a mangiare uova strapazzate.
Con un tonfo richiusi la porta alle mie spalle, correndo per il vialetto verso la mia amica che, come immaginavo, mi stava pazientemente – si fa per dire - aspettando. Non feci nemmeno in tempo ad accennare un “scusami” che il vulcano quale era Melanie mi travolse tra le sue braccia. «Wow… Che accoglienza!» Mi lasciò andare solo dopo avermi stritolata ancora un po’, mentre con una mano si toglieva i capelli biondi finiti davanti al suo viso. Erano solo due giorni che non la vedevo, ma mi era comunque mancata tantissimo. E ora era lì, davanti a me, tutta eccitata come una bambina di cinque anni per il rientro a scuola, anche se sapevo a cosa in realtà era dovuta tutta quella felicità.
Mi prese a braccetto per poi trascinarmi via letteralmente sul marciapiede, mentre aveva preso a raccontarmi dei due giorni passati al mare con i suoi genitori che, al contrario dei miei, erano molto più “moderni”.
«E ho anche conosciuto un ragazzo, dovevi vederlo Ali! Era bello come il sole, anche se troppo timido per i miei gusti.» disse, continuando a camminare verso la scuola con passo svelto.
«Certo che sei incredibile! Fino a due giorni fa non facevi altro che sbavare dietro a mio fratello e ora fai questi… commenti.» A chiunque altro quello sarebbe parso qualcosa di simile a un rimprovero, ma non a Melanie che, invece di prendersela, mi fece una linguaccia a cui non potei rispondere se non alzando gli occhi al cielo.
Arrivammo a scuola in perfetto orario, mentre le porte d’ingresso venivano aperte a tutti gli studenti, alcuni contenti di riprendere la scuola, altri indifferenti e altri, come me, che avrebbero preferito tornarsene nel proprio lettuccio caldo a sognare unicorni.
Ok, forse non a sognare unicorni, ma il senso restava comunque quello.
Salutai rapidamente Melanie che stava correndo nella direzione opposta alla mia, anch’essa alla ricerca della sua classe.
“Terzo piano, terza classe sulla sinistra…” Camminai velocemente leggendo i cartellini che stavano ad indicare le classi appesi sulle porte, notando che, per mia fortuna, Melanie aveva la classe proprio di fronte alla mia. Velocemente, mi precipitai oltre la soglia della porta che stava ad indicare la III A, ritrovandomi, con mia enorme sorpresa, già metà dei compagni di classe intenti a chiacchierare animatamente delle vacanze appena trascorse. E io che credevo sarei stata una delle prime ad arrivare!
Salutai tutti con allegria, perché, nonostante la rottura di alzarsi presto tutti i giorni, quelle erano comunque le persone con cui passavo la maggior parte del mio tempo. Il sorriso si allargò maggiormente quando, in fondo all’aula, notai Kaila intenta ad agitare un braccio nella mia direzione, facendomi cenno di sedermi accanto a lei. Lodata sia Kaila che, anche quest’anno, aveva occupato un posto per me, dandomi la possibilità di potermi distrarre dalle lezioni senza che il prof se ne rendesse subito conto.
Mi avvicinai velocemente a lei, togliendo la tracolla dalla spalle e buttandola su tavolo, per poi sedermi accanto a lei e rincominciare a parlottare tra noi.
Prima ora il professor Milton, di matematica… Non potevamo iniziare in modo migliore! Era ormai noto a tutta la scuola che, nonostante fosse il primo giorno, lui avrebbe subito iniziato a fare lezione, ma questo comunque non impedì a me e la mia compagna di banco di continuare la nostra silenziosa discussione, mentre accennavamo a tutti i particolari sull’estate che avevamo trascorso. Anche lei, come Melanie, aveva conosciuto un bel ragazzo. Possibile che tutte le mie amiche avessero fatto incontri interessanti, eccetto la sottoscritta?
Le tre ore successive passarono abbastanza velocemente e, non appena suonò la campanella, buttai tutto nella borsa, mimai a Kaila un “ci vediamo dopo” e corsi velocemente fuori dalla classe, diretta verso il mio armadietto. Non passarono nemmeno tre secondi che James mi fu accanto… Che anche lui avesse la classe su questo piano?
Gli rivolsi un rapido sorriso, che lui ricambiò con calore, fermandosi poi accanto a me, intenta a mettere la combinazione per aprire il mio armadietto verde.
«Allora, stai bene?» Chiese, fin troppo premuroso.
«Come scusa?» Risposi sorpresa per la domanda, non riuscendo a comprendere a cosa si riferisse.
«La botta di stamattina e… volevo sapere se qualcuno ha già iniziato a gironzolarti intorno.»
Sbuffai sonoramente mentre tiravo fuori dalla borsa un libro per volta, riponendoli uno sopra l’altro nell’armadietto. «James, non iniziare. Sono grande e vaccinata, almeno qui a scuola posso tranquillamente cavarmela da sola» Lui prese la mia risposta come un “no, non preoccuparti”, tanto che alzò entrambe le mani in segno di resa e mi scompigliò i capelli prima di andarsene. «Che rompiscatole» Rimasi intenta ad osservarlo di schiena mentre si allontanava per qualche secondo, adoravo quel ragazzo, era mio fratello e discutevamo spesso, era normale, ma alle volte tendeva ad essere davvero troppo protettivo e… invadente.
Un rumore secco e sonoro mi provocò quasi un infarto. Saltai indietro mentre avevo messo una mano sul petto, andando perfino a sbattere contro una ragazza che stava passando di lì. Posai gli occhi sulla mano appoggiata sul mio armadietto ormai chiuso, risalendo con lo sguardo fino ad incrociare due occhi chiari che, ormai, conoscevo fin troppo bene.
«Ehi, Moran, ben tornata a scuola» E il solito strafottente ghigno fece capolinea sul suo volto.
Verde e marrone si incrociarono per diversi istanti, uno con aria arrogante, l’altra infastidita. Come avevo detto pochi attimi prima a James? Vaccinata e abbastanza grande da potermela cavare da sola, ecco. In quel momento mi presi a calci mentalmente, mandandomi ogni genere di maledizione possibile e immaginabile contro, desiderando di poter tornare indietro nel tempo e rimangiarmi tutto, in modo che mio fratello fosse rimasto ancora con me e tutta quella conversazione – se così poteva essere definita -  sarebbe stata evitata.
Ripresi il controllo di me, aspettando che il battito del cuore tornasse normale dopo lo spavento, prima di scagliarmi contro il mio “nemico”… o meglio, vittima.

Salve a tutti :)
Piccolo angolo per accennarvi di me.
E' la prima storia che scrivo e pubblico, o meglio, io e una mia cara amica abbiamo dato vita a due personaggi - Alinee e Adrian, appunto - e ho deciso di scrivere la loro storia in una ff, ma verranno aggiunte anche delle novità alla generale.
Accetto critiche, ma non insulti, l'educazione è la cosa più importante.
Cercherò di aggiornare una volta a settimana, massimo una e mezza.

Bene, credo possa bastare, alla prossima gente!
Ali.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


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Capitolo II  

«Sei.Per.Caso.Impazzito?» Mi avvicinai a lui con un unico lungo passo, colpendolo con un forte pugno sul braccio sinistro tra una parola e l’altra che avevo pronunciato, mentre cercava invano di difendersi dal mio attacco omicida. Agli occhi degli altri, in quel momento, quella pazza sarei sembrata io, e non Adrian Carter, francesino arrivato a New York da quattro anni. Alto, magro con muscoli al punto giusto, occhi verdi e capelli scuri che gli ricadevano selvaggi sulla fronte. Se non fosse stato per il suo carattere forse lo avrei anche trovato attraente. Giocava nella squadra di basket da due anni, di cui in un baleno ne era diventato il capitano. Tutti stravedevano per lui – o meglio, tutte – eccetto me che, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare ogni volta che lo incrociavo, era a quante pizze in faccia sarebbero servite per toglierli quello stupido sorrisetto strafottente dalle labbra.
Lui è irritante, maleducato, strafottente, e doppio irritante, e anche triplo irritante! Era irritante alla cinquantesima, ecco cos’era!
Stavo giusto per rincominciare a riprenderlo a cazzotti dopo una piccola pausa, ma lui se ne accorse e riuscì a bloccarmi entrambi i polsi con un’unica mano, mentre teneva l’altra ancora poggiata sul mio armadietto. «Cara, piccola, Alinuccia… sospettavo di esserti mancato dopo il nostro ultimo incontro in piscina un mese fa, ma non immaginavo a livelli così alti, arrivare perfino ad assalirmi davanti a metà scuola» Per la prima volta, dopo circa tre settimane, i flashback del nostro ultimo incontro tornarono alla mente: avevo trovato un lavoro estivo alla piscina poco lontana da casa mia, tutto ciò che dovevo fare era insegnare - o almeno provarci - a nuotare a dei bambini. Facile no? Due piccioni con una fava: non solo avevo l’occasione di mettere qualche soldo da parte, ma anche quella di passare più tempo con dei marmocchietti e, cosa ancora migliore, in acqua. Adrian si era avvicinato alla piscina dei piccoli quando ormai mancava mezz’ora alla fine del corso e, dopo qualche solita frecciatina, era entrato in acqua e mi aveva aiutata con quei bambini, il tutto continuando a bisticciare davanti a loro che, tra l’altro, in quel momento sembravano molto più maturi di noi due ragazzi, di cui uno perfino maggiorenne.
Schioccò la lingua, come per disapprovazione, mentre io mi limitavo a lanciargli uno sguardo omicida attraverso le palpebre strette a fessura per il doppio senso celato dietro la sua frase.
Ho già detto di trovare quel ragazzo davvero tanto, troppo, irritante?
Cercai di strattonare le mani per liberarmi dalla sua presa ferrea, ma lui non accennava a lasciarmi, e la cosa non fece altro che far salire il mio nervosismo e quindi, di conseguenza, allargare il suo ghigno, ancora più soddisfatto e strafottente. Incredibile, qualunque cosa dicessi o facessi alla fine, la maggior parte delle volte, mi si ritorceva contro.
Non trovando altra soluzione più matura, sorrisi a mia volta, notando immediatamente il cambiamento di espressione del ragazzo: da sicuro di sé a dubbioso, e infine, curioso per quel cambiamento improvviso.
Mi abbassai leggermente ma con decisione verso le nostre mani, aprendo poi la bocca e mordendo la mano di Adrian che, come avevo sperato, ritrasse subito indietro il braccio per il dolore, lasciandomi finalmente libera. Lo vedevo dalla sua espressione: era rimasto sorpreso da quel gesto e io, per una volta, ero davvero soddisfatta di me stessa.
Mi posizionò con decisione la mano davanti al volto per farmi vedere i segni che avevo appena lasciato sulla sua pelle «E poi sarei io quello impazzito, eh?!»
«Te la sei cercata, avresti dovuto lasciarmi andare fin da subito» Gli rivolsi un finto sorriso innocente, mentre lui continuava ancora a guardarmi a bocca aperta per la sorpresa, mista a un po’ di irritazione. Sistemai meglio la tracolla sulla spalla, prima di dargli le spalle e allontanarmi nella direzione che poco prima anche James aveva preso, salutando Adrian con un cenno della mano.
«Uno a zero per te Moran, ma non finisce qui!» Nonostante fossi ormai a diversi metri di distanza da lui, sommato al forte brusio che ancora si sentiva in corridoio, ero comunque riuscita a capire perfettamente ciò che mi aveva praticamente urlato a squarcia gola. Avevo continuato a camminare senza nemmeno girarmi a rispondergli, incurante del sorriso idiota che avevo stampato in faccia, troppo contenta per come avevo ribaltato la situazione.
 
Era l’una passata e sapevo che di lì a poco tempo la campanella che annunciava la fine dell’ora di pranzo sarebbe suonata, sarebbe stata giusto una questione di minuti.
Spiluccavo ancora con la forchetta le foglie di insalata nel piatto non avendo il coraggio di mangiarle per l’aspetto poco rassicurante; e poi c’era Melanie  accanto a me. Da quando avevamo preso posto al nostro solito tavolo non aveva smesso un secondo di parlare, tanto che arrivai a sperare ci fosse un interruttore per spegnere quella parlantina continua. Sembrava peggio di una macchinetta, non faceva in tempo a concludere un discorso che già ne aveva iniziato un altro, e per di più senza nemmeno prendere fiato, mentre io mi limitavo semplicemente ad annuire qualche volta o mugugnare qualcosa come un “uhm”.
Nemmeno mezza giornata dal ritorno a scuola e già avevo il morale sotto i piedi. Non che fosse successo chissà che cosa, semplicemente avrei preferito fare qualunque altra cosa piuttosto che essere chiusa in quelle mura.
Fu una gomitata ben assestata sul braccio a riportarmi alla realtà.
Melanie, come era giusto che fosse, era passata dal far finta di non capire che in realtà non le stessi prestando la minima attenzione all’innervosirsi per aver parlato al vento tutto il tempo.
«Ahia» Quasi urlai al suo gesto, massaggiandomi con l’altra mano il punto colpito da lei. «Ma che diavolo fai?»
«No, tu che diavolo fai! Sto parlando da sola da quasi mezz’ora, si può sapere che hai?»
«Io? Niente, che dovrei avere scusa?»
«Te lo sto chiedendo apposta, zuccona» E aveva anche già alzato una mano per darmi una botta in testa, ma avevo già messo entrambe le braccia sopra il capo per evitare il colpo.
«Non ho niente, semplicemente non fai altro che fare apprezzamenti sui capelli di James, sugli occhi, le braccia, le mani, e… Il sedere, e soprattutto di cosa gli faresti! E’ mio fratello, non è che impazzisca di gioia ascoltandoti, anche se sei perdutamente cotta di lui» E mi interruppi appena in tempo: Melanie  non amava che le ricordassi i suoi sentimenti; non aveva ancora trovato il coraggio di dichiararsi e ogni volta che provassi anche solo ad incoraggiarla la sua espressione cambiava radicalmente, mostrando una parte di sé che in realtà non si addiceva affatto al suo carattere dolce e solare.
Cercai di rimediare alla situazione cambiando argomento e dedicandole la mia più totale attenzione, e la cosa parve anche funzionare. Bastava davvero poco per distrarla…
«Comunque… Com’è stato il ritorno a scuola?»
«Come tutti gli anni Ali, non è successo niente che potesse rendere il tutto più… Interessante» L’avevo vista indugiare per un paio di secondi, in cerca di un aggettivo particolare da usare, anche se alla fine dovette accontentarsi di un banale “interessante”.  «Tu invece?»
«Mah, niente di che… Solita routine» Alzai poi le spalle, accentuando la noiosità della cosa, spostando in avanti il mio vassoio contenente ancora gli avanzi, mentre osservavo i ragazzi che iniziavano a sparpagliarsi per la sala, diretti probabilmente in cortile per gli ultimi momenti di pausa.
Per la seconda volta in quella giornata, il mio sguardo si incrociò con quello di Adrian mentre camminava a passo deciso a pochi metri da loro. «Se si avvicina gli salto al collo e lo strozzo» Il tutto uscì come un sibilo, mentre io non mi ero nemmeno resa conto di aver dato voce ai miei pensieri, ritrovandomi con una Melanie  che mi osservava curiosa per la mia reazione. Seguì con gli occhi il punto dove fosse diretto il mio sguardo, capendo al volo la situazione. «Siete ancora nella fase fingo-di-non-sopportarti-perché-in-realtà-vorrei-strapparti-i-vestiti?»
Mi girai di scatto verso la mia amica, trapassandola con lo sguardo, irritata dalla sua frase. «Io non sopporto davvero quel ragazzo e non mi passerebbe mai, e ribadisco mai, nemmeno per l’anticamera del cervello di strappargli i vestiti di dosso, nemmeno fosse l’ultimo essere umano con l’uccello rimasto su questo pianeta» Man mano che completavo la frase avevo iniziato ad alzarmi dalla sedia in acciaio, e con me anche il tono di voce era salito di qualche ottava, con la conclusione che avevo fatto un’altra figura del cavolo davanti a tutti. Melanie era ancora fortemente convinta che prima o poi io e Adrian sarebbero finiti insieme – a letto compreso – se avessimo continuato con quell’atteggiamento, e la cosa mi dava un certo fastidio. Ero davvero sicura che mai sarebbe successa una cosa del genere, e non che continuassi a ripetermelo per auto  convincermi come invece pensava la mia amica.
Fu la campanella a salvarmi.
Mai come quella volta fui grata a quel suono e, l’unica cosa che feci, fu salutare con un cenno della mano Melanie prima di fuggire dalla mensa, diretta nuovamente verso la mia classe.
 
Tutto mi sarei aspettata, tranne che essere convocata dal  preside il primo maledetto giorno di scuola. Durate tutto il tragitto verso il suo ufficio avevo pregato più volte mentalmente che non fosse a causa della mia microscopica e insignificante scenata in mensa di poco prima, non riuscendo però a trovare altre motivazioni per quel richiamo improvviso.
Incerta, bussai un paio di volte alla porta, prima di aprirla lentamente ed entrare.
Era tutto proprio come ricordavo. La grande scrivania in legno di quercia davanti all’unica grande finestra a parete della stanza che affacciava su tutto il cortile, un paio di sedie orrende e scomode dove riceveva i suoi “ospiti” e la grande poltrona in pelle dove invece stava lui, un uomo sulla cinquantina, dai capelli grigi e gli occhi chiari, nascosti perennemente da degli occhiali troppo piccoli. Alla sua sinistra una libreria nello stesso legno della scrivania e un fotocopiatrice – forse l’unica funzionante in tutta la scuola – e, alla destra invece, un divano blu a due posti su cui, ci avrei messo la mano sul fuoco, mai nessuno si era seduto.
Con un unico cenno del capo mi fece capire di sedermi e, senza farmelo ripetere due volte, obbedii, curiosa e in attesa di sapere cosa volesse dirmi. Improvvisamente tirò fuori un foglio da una cartellina gialla e me lo porse, in silenzio. Posai gli occhi su di esso, mentre una moltitudine di nomi iniziavano a infilarsi nella mia testa; alcuni conosciuti, altri nemmeno mai sentiti nominare. Alzai lo sguardo, confusa, sul viso del preside, in attesa di una spiegazione.
«Il coach Evans inizierà ad occuparsi anche della squadra di nuoto, Il professor McAdams è stato trasferito in un’altra scuola, sarai tu ad aiutare il nuovo professore con le selezioni e deciderete chi tra quelle ragazze potrà entrare nella squadra femminile di nuoto, e credo ti toccherà fare la stessa cosa anche con quella maschile.»
«Come scusi? Io? Ma… Non è possibile… Io… Non posso accettare questa responsabilità.»
«Ma io non le sto chiedendo di accettare o meno, lei farà come le ho appena detto signorina Moran, non si discute.» Una piccola pausa, dove estrasse un secondo foglio dalla medesima cartellina. «E la prego anche di dare questo foglio ad Adrian Carter: anche lui dovrà fare la stessa cosa con il coach a tutti questi ragazzi e concordare con chi è nella squadra di basket. Se avrà problemi potrà chiedere aiuto a lui, ho sentito che da quest’anno vorrebbe entrare a far parte anche della squadra di nuovo. Un ragazzo dalle mille risorse, non c’è che dire.»
A quelle parole non riuscii a trattenermi e i miei occhi volarono palesemente verso l’alto, prima di incrociarsi nuovamente con lo sguardo ammonitore del preside. Perché tutti lo trovavano così eccezionale? Perché ero l’unica a vedere come che realmente era, e cioè un enorme pallone gonfiato vanitoso che si divertiva a farmi perdere la pazienza?
«Mi aspetto grandi cose da voi due, vedete di non deludermi. Voglio entro due settimane i nomi, ora torni pure a lezione. »
L’unica cosa che riuscii a f are fu annuire alle sue parole, voltandomi poi con entrambi i fogli in mano verso la porta, prima di uscire dall’ufficio.
Un unico pensiero alleggiava nella mia mente: quell’uomo era sicuramente matto. 


Salve a tutti.
Eccomi con il secondo capitolo dove, per la prima volta, vediamo davvero Adrian e Alinee interagire tra loro.
E niente, non farò alcun spoiler sul prossimo capitolo perché so che a qualcuno non farebbe piacere.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.

In più vorrei anche ringraziare le due persone che hanno messo la storia tra le seguite e le tre che invece l'hanno messa tra le preferite. :)
Ali_Nott

 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


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Capitolo III
 

Erano passati sicuramente una manciata di minuti, mentre io continuavo a stare immobile davanti alla porta d’ingresso di casa Carter.
Dopo il “piacevole” incontro di quella mattina con il preside ero direttamente tornata in classe con i due fogli ripiegati su sé stessi un paio di volte e infilati poi nella tasca posteriore dei miei jeans scuri.
Nella mia mente continuavo imperterrita a ripetermi che quello non era il momento per riflettere su cosa fare, eppure non facevo altro che pensare a come affrontare la situazione.
Punto primo: il dovermi addossare la responsabilità delle selezioni e dover essere io stessa a scegliere con un nuovo coach, di cui a malapena conoscevo il nome, chi sarebbe stato nella squadra quest’anno, mi rendeva nervosa; era un qualcosa che non mi sarei aspettato di dover mai fare, un compito che decisamente non faceva per me.
Punto secondo: perché proprio io? Ok, ho sempre fatto parte della squadra fin dal primo anno e si, i miei tempi erano notevoli, ma bastava davvero solo questo per assicurarsi un posto?
Punto terzo, il più fastidioso: Adrian Carter.
Di due cose era assolutamente certa riguardante quest’ultima parte. Mai e poi mai avrei chiesto aiuto a quel ragazzo per i provini – e se il preside credeva davvero che ciò sarebbe successo si sbagliava di grosso – e che lui volesse entrare in squadra solo per farmi un dispetto. Aveva già il basket, perché anche il nuoto? Non poteva semplicemente accontentarsi e starsene nel suo mondo, mentre io me ne restavo tranquilla nel mio?
Per un attimo ero anche partita con l’idea di non accettarlo a prescindere, positiva o cattiva che fosse stata la sua prova, ma era troppo crudele e meschino per il mio carattere.
Questo, ovviamente, non significava che non gli avrei riservato una bella strigliata, degna di mia madre.
Ecco perché in quel momento mi trovavo lì, per uccidere Adrian Carter… e consegnargli il foglio con i nominativi destinato a lui, come mi aveva chiesto il preside.
Appena finite le lezioni mi ero precipitata al suo armadietto ad aspettarlo con l’intenzione di darglielo subito, ma di lui non avevo visto nemmeno l’ombra. Così, con altrettanta fretta, ero andata nella sua classe, ormai completamente vuota. Avevo chiesto aiuto ad un certo Peter che conoscevo solo perché mi era capitato di vedere spesso in compagnia di Mr. Me la tiro da morire, ottenendo una lunga occhiata in cambio e la notizia che Adrian fosse già andato via.
Fantastico, avrei anche dovuto aspettare i comodi suoi.
Da idiota quale ero, però, invece di tornarmene anche io a casa, ero riandata incontro al ragazzo di poco prima, implorandolo – letteralmente – di dirmi dove precisamente abitasse il suo amichetto. Bastarono appena due minuti di preghiera per ottenere la via e il numero civico. Strano, pensavo davvero che, alla fine, lui non avrebbe ceduto e io sarei rimasta appesa.
Anche se ancora titubante, alla fine posai il dito sul campanello, sperando di andarmene il prima possibile da lì.
Quando la porta davanti a me si aprì dovetti usare tutte le mie forze per non ritrovarmi con la bocca aperta tanto da arrivare a toccare il pavimento.
Adrian Carter stava davanti a me, le braccia alzate verso  l’alto mentre cercava goffamente di togliersi una maglietta blu a maniche corte, il viso coperto dalla stoffa e il petto completamente scoperto. «Jennifer, finalmente! Faccio una doccia e son…» Ma le parole gli morirono sulle labbra non appena si accorse di chi realmente avesse davanti. Restò in silenzio per qualche secondo, continuando a guardarmi sorpreso per la visita inattesa, mentre io me ne restavo ferma senza la minima capacità di far uscire nemmeno un suono dalla mia bocca.
Ma che diavolo stavo facendo? Era Carter, per l’amor di Dio! Non potevo davvero mettermi a sbavare per lui dopo essermelo ritrovato a petto nudo davanti!
Deglutii rumorosamente, mentre sul volto di lui un sorriso iniziava a farsi strada dopo essersi sicuramente reso conto di quanto in imbarazzo mi sentissi in quel momento. «Ehi, Moran, non mi aspettavo di incontrarti ancora oggi. Due volte in un giorno solo, direi che è un record, non ti starai mica innamorando di me?»
Le sue parole mi arrivarono come una secchiata d’acqua gelida in pieno viso, riportandomi improvvisamente alla realtà e facendo scomparire anche l’alone di rossore che aveva preso possesso delle mie guance. «Non dire cavolate! Il preside mi ha detto di consegnarti questo» estrassi dalla tasca posteriore il foglio ancora ripiegato in quattro e lo porsi poi ad Adrian. «Il tuo coach è diventato anche il mio da quest’anno, allenerà anche la squadra di nuoto, quelli sono i nominativi dei ragazzi a cui tu e lui dovrete far fare dei provini e poi decidere chi è dentro la squadra di basket, ti è tutto chiaro o il tuo cervello fa fatica a capire anche questo?»
«E sentiamo, perché me lo avresti consegnato tu questo foglio? E con così tanta fretta poi.» Ignorò la mia frecciatina e, con un gesto che in qualunque modo poteva essere definito, eccetto che delicato, afferrò il foglio dalla mia mano senza nemmeno prendersi la briga di leggerlo.
«Chiedilo al preside, mi ha detto lui di consegnartelo.» Lo fissai per qualche secondo, incrociando le braccia al petto, mettendomi istintivamente sulla difensiva. Ormai era diventato un gesto automatico farlo ogni volta che lui mi fosse stato accanto.
Iniziò a girarsi il foglio tra le mani mettendoselo poi nella tasca dei pantaloni che, grazie al cielo, ancora aveva addosso, prima di riprendere a parlare senza la minima traccia di ironia nella voce. «Beh, in questo caso, grazie.»
Per la seconda volta dovetti trattenermi per non ritrovarmi con la bocca spalancata.
Adrian Carter che ringraziava, ma che storia era mai questa?!
Ancora un po’ sorpresa, mi limitai semplicemente ad un cenno della testa, prima di girarmi e andarmene.
Improvvisamente però, un ricordo tornò alla mente, e la rabbia andò a sostituirsi con lo stupore di poco prima. Di scatto mi voltai nuovamente verso di lui che, intanto, stava già richiudendo la porta d’ingresso. Gli fui davanti con un unico grande passo, riuscendo ad evitare all’ultimo secondo con un piede che si richiudesse dentro, sparendo dalla mia visuale. Me lo ritrovai davanti, ancora senza la maglietta, mentre mi guardava confuso.
«Perché vuoi entrare nella squadra di nuoto quest’anno?» lo dissi tutto d’un fiato, senza però dargli nemmeno modo di rispondere perché in un baleno ero già tornata all’attacco. «Tu lo fai apposta, ammettilo! Ti diverti a farmi impazzire provocandomi in continuazione! Sei riuscito ad integrarti subito a scuola, sei circondato da amici, per non parlare di tutte le ragazze che pagherebbero per entrare anche solo dieci minuti nel tuo letto, sei capitano della squadra di basket, eppure no, non ti basta!» Avevo anche iniziato a puntargli l’indice contro il petto, colpendolo ripetutamente sulla pelle calda ma mai nello stesso punto. «Quello è il mio mondo, non il tuo, e io non ti voglio.» Cercai di incanalare tutta la mia rabbia nell’ultima frase, sperando che capisse davvero quanto la notizia mi avesse infastidita. Abbassai il braccio che ancora tenevo alzato, interrompendo l’unico contatto fisico che fino a quel momento avevamo avuto, mentre con un paio di respiri dopo la scenata iniziai a calmarmi.
Poi, accadde tutto velocemente.
Afferrò con forza il mio polso tanto da farmi male e mi attirò a sé schiacciandomi completamente contro di lui, tanto da riuscire a sentire il calore emanato dal suo corpo , il viso tanto, troppo, vicino al suo: questione di un paio di centimetri e i nostri nasi si sarebbero toccati tranquillamente. Mi sentii improvvisamente avvampare, a disagio per quell’eccessiva vicinanza a lui e, il suo alito caldo che odorava di fumo misto a quella che sembrava liquirizia, che mi arrivava dritto in faccia, sicuramente non mi sarebbe stato d’aiuto.
Non sapevo cosa fare, né tanto meno cosa dire. La sostanza grigia nella mia testa aveva improvvisamente deciso di battere in ritirata e farsi un sonnellino. Alla fine però, fu lui a rompere quel tremendo silenzio, continuando a fissarmi dritto negli occhi, un lampo di irritazione forse, si fece largo tra il verde.
Perché mai avrebbe dovuto comportarsi così? Ero io a dover essere arrabbiata, non viceversa!
«Credi davvero che l’abbia fatto per farti un dispetto?» il tono che aveva usato per dire quella frase mi lasciò completamente pietrificata. Stavolta, fu lui a non darmi nemmeno il tempo per rispondere – anche se, per come mi sentivo in quel momento, non sarei riuscita a spiccicare nemmeno una parola – che riprese a parlare. «Oppure la tua è solo paura? Eh Moran? Ammettilo, tu hai paura che ti venga tolta l’unica cosa in cui tutti dicono tu sia la migliore: il nuoto. E il fatto che potrei essere io a farlo ti fa solo più paura, tanto da non volermi nemmeno in squadra.»
Colpita e affondata.
Se il suo intento era quello di ferirmi nel poco orgoglio di cui madre natura mi aveva dotata, beh, ci era riuscito alla perfezione.
Il nuoto era praticamente l’unica cosa di cui andavo fiera nella mia vita.
Mi è sempre piaciuto fin dall’età di quattro anni, quando i miei genitori un pomeriggio portarono me e James in una piscina e io, non sapendo che il livello dell’acqua sarebbe stato tanto alto da non permettermi di toccare il fondo, mi tuffai dal bordo senza pensarci su due volte, bevendo Dio sa solo quanta acqua in meno due cinque secondi, prima di essere recuperata dalle possenti braccia di mio padre. Quell’episodio non mi aveva affatto spaventata, anzi, due minuti dopo avevo iniziato a ridere come una matta sotto l’occhio vigile della mia famiglia, dopo di che avevo espressamente detto di voler imparare a nuotare perché, ovviamente, nonostante tutto non avevo alcuna voglia di ripetere l’episodio.
Erano ormai passati più di dieci anni, e io continuavo a coltivare quella che era diventata la mia vita, determinata sempre a migliorarmi, non permettendo mai a nessuno di ostacolarmi nemmeno col pensiero.
Se possibile, Adrian, aumentò ancor di più la presa e io, istintivamente, strattonavo il braccio per cercare di liberarmene. In tutta risposta però, si avvicinò ancora di più al mio viso, sussurrandomi all’orecchio un «Rispondimi, Alinuccia» appena udibile, prima di tornare alla posizione di pochi secondi prima.
Alinuccia.
Cavolo se odiavo quel soprannome tanto idiota quanto il ragazzo che lo aveva inventato, e Adrian lo sapeva bene: fin dalla prima volta che mi aveva chiamata in quel modo due anni prima io avevo mostrato il mio disappunto e si, per disappunto intendo proprio urlargli contro.
Alzai la mano libera per potergli dare uno schiaffo in pieno viso e riuscire finalmente a fuggire da lì, ma, nonostante lui non avesse mai staccato il suo sguardo dal mio, riuscì a bloccarmi con l’altra mano. Ma che diavolo di riflessi aveva? Cacchio, se davvero giocare a basket aveva questi vantaggi avrei dovuto iniziare anche io!
Non so come e nemmeno quando specificatamente, ma ad un tratto cercai di arretrare, ritrovandomi poi con la schiena poggiata all’uscio della porta ancora aperta e il corpo di Adrian che mi premeva contro.
Caldo. Improvvisamente faceva dannatamente caldo.
 «Non provarci più, chiaro? Anche perché le tipe violente mi sono sempre interessate, e non vorrei che tu arrivassi ai livelli delle altre ragazze, pagando per passare anche solo dieci minuti nel mio letto.» E sorrise. Un finto sorriso innocente, come se avesse parlato del tempo che c’era fuori.
«Ma che cazzo…?»
Una voce femminile che mai in vita mia avevo sentito ruppe improvvisamente la nostra bolla, e Adrian scattò immediatamente indietro come una molla, liberando finalmente i miei polsi che a turno, iniziai a massaggiare.
«Jennifer» La voce di Adrian fu appena un sussurro, ma che giunse forte e chiaro alle mie orecchie. Alzai lo sguardo verso la nuova arrivata che, intanto, già mi stava fissando e… Che cazzo! Ma chi era, la sorella gemella di Megan Fox per caso?!
Occhi di un celeste chiarissimo, carnagione bianca in netto contrasto con i capelli nerissimi che le ricadevano delicatamente ad onde sulle spalle, labbra carnose e rosse e le tette… Che taglia avrebbe portato? Una quarta abbondante, forse? Cavolo se erano grandi!
Deglutii rumorosamente prima di schiarirmi la voce, mentre la ragazza si ostinava ancora a fissarmi e Adrian se ne restava imbambolato.
Stanca, in imbarazzo e arrabbiata, fui la prima a rompere il silenzio «Jennifer, è stato un piacere. A mai più, spero.» Le rivolsi un finto sorriso amichevole, che lei ricambiò con altrettanta veracità e, senza nemmeno voltarmi verso Adrian, mi allontanai da entrambi, combattendo contro l’istinto di girarmi e vedere cosa stessero facendo: ci mancava solo essere beccata mentre li spiavo e, almeno per oggi, avevo già avuto troppi momenti imbarazzanti per i miei gusti che anzi, mi sarebbero bastati anche per un’intera settimana. 


Salve a tutti :)
Si, ho postato il capitolo con qualche giorno di anticipo, ma solo perché settimana prossima ho due esami e quindi per studiare metterò da parte il computer fino a venerdì, dove sicuramente poi la sera di quello stesso giorno pubblicherò anche il quarto capitolo.
Vi dico solo che ci manca ancora un po' prima di vedere qualche capitolo scritto dalla parte di Adrian e che qualcosa a breve potrebbe cambiare e... basta, ho anticipato già troppo.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!

Ringrazio anche stavolta le quattro persone che hanno messo la storia tra i preferiti, le due che l'hanno messa tra quelle da ricordare e infine le otto che l'hanno messa tra le seguite, grazie davvero a tutti!
Ali_Nott

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***


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Capitolo IV

La routine era ormai stata ripresa a pieno ritmo.
Scuola, casa, piscina, e di nuovo casa… sempre le stesse cose.
Anzi, pensandoci bene, qualcosa di diverso c’era in effetti…
Erano passate ormai già tre settimane dal primo giorno di scuola e quindi, di conseguenza, dall’ultimo incontro avuto con Adrian. Il solo pensarci e ricordare mi faceva ancora sentire in imbarazzo.
Scema, se tu non lo avessi attaccato e fossi tornata subito a casa tutto questo non sarebbe sicuramente successo.
Fantastico, ora anche il mio stesso cervello aveva iniziato a darmi contro.
Che poi scusa, di cosa ti lamenti? Non eri forse tu quella che voleva averlo attorno il meno possibile? Bene, eccoti accontentata.
Giusto, su questo non potevo che dargli ragione. Però aspetta, io non mi ero mica mai lamentata! O forse l’avevo fatto? Ok, la situazione era un po’ strana. Ci eravamo incrociati in corridoio solo tre volte da allora ma, invece che battibeccare o punzecchiarci a vicenda, ci limitavamo a salutarci con un solo cenno della mano, poi ognuno per la sua strada. Cercavamo entrambi di frequentare il meno possibile i luoghi che frequentava l’altro per evitare altri incontri imbarazzanti, e la cosa parve anche funzionare, finché entrambi non fummo convocati nell’ufficio del preside quel giorno.
Avevo ricevuto la “notizia” all’ultimo minuto, ecco perché correvo nel corridoio della scuola come una pazza con la tracolla aperta in spalla e due libri in mano verso l’ufficio delle torture.
Quando arrivai, Adrian era ancora lì fuori, lo sguardo fisso davanti a sé, qualche ciuffo scuro di capelli che gli ricadeva davanti al volto, poggiato con le spalle al muro in attesa di qualcosa o meglio, qualcuno: la sottoscritta. Non appena sentì dei passi si era immediatamente voltato verso di me, cercando poi di trattenere un sorriso nel vedermi arrossata in volto, con i capelli scompigliati e i libri tra le braccia. Cercai di risistemarmi alla meglio, passando una mano tra i capelli e rimettendo tutti i libri nella tracolla prima di chiuderla e incrociare lo sguardo in quello di Adrian. Solo due secondi, eppure l’imbarazzo era già ripiombato tra noi come un enorme asteroide caduto dal cielo.
«Allora… vogliamo andare?» si allontanò dalla parete indicando poi con la testa la porta dell’ufficio, mentre io invece mi limitai ad annuire.
Varcata entrambi la soglia mi chiusi la porta alle spalle, presi un grande respiro e mi voltai verso il preside che, come sospettavo, stava passando lo sguardo da me a Adrian come una saetta, arrabbiato. Ci fece cenno con il mento di sederci entrambi davanti a lui, non una parola, non un saluto, niente di niente. E poi venivano a fare a noi ragazzi discorsi sull’educazione… Mah.
Entrambi facemmo come ci era stato ordinato e, nello stesso momento in cui ci ritrovammo accomodati, l’uomo poggiò gli avambracci sulla scrivania, sporgendosi poi in avanti, più precisamente verso di me. «Signoria Moran, mi corregga se sbaglio, ma mi pare di averle detto di consegnarmi i nominativi entro due settimane» Si interruppe un attimo, mentre io riuscii a vedere con la coda dell’occhio Adrian sobbalzare appena.
Cazzo. I nominativi. Li avevo completamente dimenticati.
E cazzo. Avevo anche completamente dimenticato di dire ad Adrian il tempo limite che avevamo per fare il tutto.
«Ora io mi chiedo, perché non ho ricevuto ancora niente dopo ben tre settimane?» E si interruppe di nuovo, stavolta voltandosi anche verso Adrian che, però, non accennava affatto a dare segni di vita.
Alla faccia del coraggioso eh!
«Preside, mi spiace, ma con tutti gli impegni non sono riuscita a trovare con il coach un giorno che andasse bene per entrambi e…»
«Vuole forse dire che non avete nemmeno iniziato a mettere alla prova tutti quei ragazzi? Che Dio mi aiuti regalandomi calma e pazienza! Ragazzi, questo comportamento è inammissibile. Avevate un compito importante da portare a termine e non l’avete fatto, state sicuri che questo inciderà sul vostro andamento scolastico.»
A quelle parole la mia testa scattò verso l’altro, vigile e attenta, mentre la timidezza del momento era letteralmente andata a farsi un giro. Già non ero un asso a scuola, ci mancava solo che ci fosse questo a peggiorare la mia situazione. Mi alzai di scatto dalla sedia, poggiando entrambi i palmi delle mani sulla scrivania e, stavolta, fui io a sporgermi in avanti. «Io le avevo espressamente detto di non volermi prendere questa responsabilità, quindi almeno ora mi faccia il favore di rispettare i miei di tempi.»
Maledetta io e la mia lingua biforcuta. Se non mi fossi messa nei guai in quel momento probabilmente non sarebbe successo mai più.
Improvvisamene sentii una mano afferrarmi il polso, tirando poi indietro e incitandomi a calmarmi e rimettermi seduta mentre invece, il preside, era letteralmente diventato rosso per la rabbia.
Fece per parlare, ma stavolta fu interrotto da Adrian che, a quanto sembrava, aveva ritrovato la voce. «Mi scusi, ma due settimane di tempo sono davvero troppo poche. Abbiamo anche noi i nostri impegni e problemi, non può davvero pretendere che molliamo tutto per fare una cosa che, tra l’altro, nemmeno vorremmo. E poi perché tutta questa fretta? Il campionato di basket inizierà dopo le vacanze natalizie, quello di nuoto non ne ho idea, ma non credo sia questione di vita o di morte avere i nomi della squadra ora.»
Alzai per un secondo lo sguardo su di lui che intanto stava fissando il preside, in attesa di una risposta che non tardò nemmeno ad arrivare.
«Perfetto, prendetevi tutto il tempo che vi pare, ma se succederà qualcosa tutte le responsabilità ricadranno su di voi, non su di me, non sul vostro coach, su voi. Sono stato chiaro?»
Che cosa? Vi prego, ditemi che sta scherzando. E finisce tutto così?
Cioè… Adrian aveva detto praticamente le stesse identiche cose che poco prima avevo detto io – ok, non le stesse identiche parole, ma il succo è sempre quello – e, mentre a me per poco non mi uccideva con la sola forza del pensiero, lui aveva messo a tacere quell’uomo!
Mai come in quel momento le mani avevano iniziato a prudermi per il fastidio.
Uscimmo insieme dall’ufficio dopo essere stati gentilmente congedati dal preside, fino a ritrovarci davanti la segreteria. Nessuno dei due si scomodava a parlare, e non avevo voglia di essere io quella a rompere il silenzio. Gli lanciai una semplice occhiata, ripresi la mia tracolla e iniziai ad incamminarmi verso il corridoio.
«Oh tranquilla Moran, vai via anche senza ringraziarmi, non preoccuparti»
Furono quel tono ironico e il significato della frase a bloccarmi all’istante, mentre mi giravo nuovamente verso Adrian. «Come scusa? Ringraziarti? E per cosa?»
«Ti ho praticamente salvato il culo lì dentro, un minimo di riconoscimento lo gradirei.» E sorrise. Non quel sorriso che settimane prima avevo visto comparire sul suo volto quando era stato lui a ringraziare me, no, quello di adesso era pieno di vanità e superiorità.
Lo fissai per alcuni istanti, socchiudendo gli occhi a fessura per accentuare quanto fossi, ovviamente, contraria a ciò che aveva appena detto. «Io non devo ringraziarti proprio per un bel niente, me la sarei cavata benissimo da sola, non mi sembra di aver chiesto il tuo aiuto.»
Incrociai le braccia al petto quando iniziò a camminare nella mia direzione. Invece di fermarsi davanti a me però, aveva letteralmente filato dritto senza degnami nemmeno di uno sguardo. «Certo, Alinuccia, come ti pare. Ci si vede in giro.» E, mentre spariva dalla mia visuale, sentivo il sangue ribollirmi al cervello per la rabbia.
Stupido, idiota, strafottente, pallone gonfiato che non era altro!
Come lui, anch’io me ne tornati nella mia classe, senza però rendermi conto che, a quanto sembrava, la situazione con Adrian era tornata alle origini, com’era prima di tre settimane fa.

Saranno state più o meno le otto di sera quando, finita la cena, ero letteralmente corsa in bagno per fare una doccia calda veloce, prima che la digestione iniziasse.
Mi lasciai cullare dall’acqua calda che scorreva sulla mia pelle, facendo scivolare via anche tutta la tensione accumulata in quella giornata.
Uscita, aprii l’armadietto del bagno e presi un asciugamano blu che misi intorno, legandolo con una specie di nodo sul petto per evitare che lo perdessi. Scesi poi al piano di sotto, diretta verso la cucina per prendermi del succo fresco da bere, ma rimasi letteralmente pietrificata quando vidi James con un suo amico di cui, francamente, non ricordavo di aver visto nemmeno mai un capello, seduti al tavolo a parlottare.
Mi lanciarono entrambi un’occhiata sorpresa, che io decisi di ignorare dirigendomi spedita verso il frigorifero. Stavo giusto per porgermi in avanti per afferrare la scatola di cartone di succo all’ananas, quando la voce di mio fratello così vicina al mio orecchio mi fece sussultare. «Alinee, che diavolo stai facendo?»
«Sto… prendendo il succo?»
«Alinee, per favore, ti rendi conto che hai addosso solo un misero asciugamano e che quell’idiota ti sta letteralmente divorando le gambe con lo sguardo?»
Mi spostai un secondo, richiudendo il frigorifero alle mie spalle, per poi spostare lo sguardo sull’ospite che, in effetti, stava fissando le mie gambe. «Ho afferrato il concetto, torno su.»
James annuì, accompagnandomi fino alla porta della cucina, lanciando però uno scappellotto sulla testa a quel ragazzo che, ancora, continuava a guardarmi insistentemente.
Me ne tornai in camera mia, legai in una coda di cavallo i capelli ancora bagnati e mi infilai la prima cosa a portata di mano: un pantaloncino nero di cotone e una maglia enorme a maniche lunghe grigia.
E avevo anche appena infilato la maglia, quando la porta della mia stanza si aprì improvvisamente. «James, cacchio, quando imparerai a bussare! Potevo essere nuda.»
Quella che sentii però, non era affatto la voce di James – a meno che non fosse diventato una ragazza nel giro di venti minuti, cosa molto improbabile. «Ali, stasera ti porto fuori, è da quando abbiamo ripreso con la scuola che la sera non metti piede oltre la soglia casa e, guarda caso, proprio stasera Madison da una festa nella sua fighissima casa e, guarda ancora il caso, siamo state invitate entrambe. Non accetto un no con qualche banale scusa, tu ci verrai.»
Mi voltai verso la mia pazza amica e, alzando gli occhi al cielo, mugugnai un “va bene” che, però, si rivelò essere la mia rovina. Non avevo fatto in tempo nemmeno a terminare quelle due parole che Melanie si era avvicinata al mio letto, aprì una busta che, tra l’altro, non avevo nemmeno notato, e estrasse due vestiti, due paia di scarpe e un’altra piccola bustina nera.
Entrambi cortissimi, e dall’aria costosissima. Il primo era rosso, di quelli che ti avvolgono il corpo come una fascia, mettendo in risalto qualunque cosa, difetti compresi. L’unica cosa che lo rendeva un po’ meno semplice era un cinturino nero intrecciato da legare appena sotto il seno, abbinato alle scarpe del medesimo colore, altissime ed eleganti. Il secondo, invece, era un monospalla che, a vederlo, sembrava raso, celeste chiaro, anch’esso con poco più sopra della vita una fascia nera che accentuava i fianchi, abbinato, anche in questo caso, a un paio di decolté nere.
Sistemato il tutto, Melanie mi indicò quale dei due vestiti avrei indossato io: il secondo.
Mi passò tutta le mie cose con l’eccitazione che tra poco non la faceva esplodere, mentre prendeva le sue di cose e iniziava già a spogliarsi.
Tenendo il vestito su un braccio, mi avvicinai al cassettone della mia camera e presi un paio di slip e reggiseno nero abbinati. Come lei, anch’io mi spogliai e indossai il tutto controvoglia, evitando però di darlo a vedere a Melanie che, ne sono sicura, ci sarebbe rimasta male.
Passarono la bellezza di trenta minuti prima che entrambe fummo pronte.
Eravamo davanti allo specchio e facevo fatica a riconoscermi. Sembravo più alta di almeno 15 cm e anzi, lo ero sicuramente dato le scarpe che portavo in quel momento, mentre cercavo di abbassarmi il vestito il più possibile in modo che coprisse un po’ più di metà coscia, mentre Melanie continuava a rimproverarmi facendomi notare che, così facendo, lo avrei rovinato.
Scendemmo insieme al piano di sotto, io timorosa di ritrovarmi per terra da un momento all’altro, Melanie molto più sicura di sé e abituata a quei trampoli. Ci ritrovammo davanti alla porta d’ingresso James e il suo amico che, a quanto pare, stava per andarsene. Si voltarono all’uniscono verso di noi, strabuzzando leggermente gli occhi.
«James, sto uscendo. Non aspettarmi in piedi, non so che ore faccio, mi porto le chiavi quindi non preoccuparti.»
L’unica risposta che ebbi, e la più ovvia dato che stavo parlando con mio fratello, fu: «E devi per forza uscire svestita in quel modo?» E indicò il mio vestito, mentre il suo amico stava ancora spostando lo sguardo da me a Melanie di continuo, compiaciuto.
Non feci nemmeno in tempo a rispondere che fu la mia amica a parlare. «Tranquillo, non se la prenderà nessuno, ci penserò io.» Detto ciò, mi prese per mano e, dopo aver superato entrambi i ragazzi, mi condusse oltre la soglia di casa, diretta verso quella che, a suo dire, sarebbe stata una festa fantastica.


Salve a tutti :D
Come promesso, eccovi il quarto capitolo e niente, spero vi piaccia :)
Vi anticipo solo che il prossimo sarà quello che, fino ad ora, è uscito più lungo e dove qualcosa inizierà a cambiare.

Per vedere il vestito di Melanie: QUI
Per vedere il vestito di Alinee: QUI


Anche stavolta ringrazio le sei persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le diciassette che l'hanno messa tra le seguite e una che l'ha messa tra quelle da ricordare.
E un grande grazie va anche a coronabis che mi ha inserito tra gli autori preferiti (anche se ancora non mi sento una vera e propria autrice xD).
Ali Ali_Nott

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***


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Capitolo V
 

Avevo appena varcato la soglia di quell’enorme casa, intimidita per tutta quella gente, appena dietro Melanie che, a differenza mia, sembrava molto più a suo agio.
Non che fossi il tipo che avrebbe preferito starsene a casa a studiare, sia chiaro, ma quell’atmosfera mi metteva in soggezione… non ero abituata.
Specialmente vestita in quel modo con le gambe in bella mostra.
Ormai avevo anche rinunciato a cercare di abbassare la gonna del vestito perché, ogni volta che ci provavo, Melanie tentava di uccidermi con la sola forza dello sguardo, continuando a ripetere «Hai delle gambe lunghe e attraenti, non capisco perché cerchi di coprirle» oppure «Non posso credere che tu ti stia davvero vergognando! In piscina, con il costume, lasci anche molta altra pelle scoperta oltre le gambe, eppure non mi pare tu abbia mai cercato di coprirti.».
Dire che la casa era fosse piena era un eufemismo.
Alcuni erano volti noti, altri della mia stessa classe, altri ancora non li avevo nemmeno mai visti prima.
L’assordante musica mi quasi fracassava i timpani mentre salutavo con un cenno o un sorriso alcuni amici.
Riuscii appena a sentire la voce di Melanie nonostante vicinissima al mio orecchio. «Usciamo da lì, fuori c’è anche la piscina.»
Annuii senza aggiungere altro, facendomi strada tra tutta quella gente stando ben attenta a dove mettevo i piedi per evitare di ritrovarmi da un momento all’altro a sedere a terra.
Nel cortine dietro casa, lo spettacolo era ben diverso.
Un terrazzo lungo non più di quattro metri era collegato a un’immensa piscina dalla forma irregolare la quale dominava la maggior parte di quello spettacolo visivo attraverso una piccola scalinata in marmo. Per l’occasione – molto probabilmente – erano stati allestiti gruppetti di divanetti in pelle bianca sparsi qua e la, alcuni dei quali già occupati da ragazzi sbronzi troppo intenti a soffocarsi una con la lingua dell’altro per accorgersi di non essere soli, altri completamente liberi.
Nel punto opposto a dove ci trovavamo io e Melanie in quel momento c’era un’enorme gazebo, anch’esso rigorosamente bianco, sotto il quale era stato collocato un lungo tavolo stracolmo di bevande alcoliche e cibo per gli ospiti.
Il tutto perfettamente incorniciato da una fila di lanterne appese a un filo, ognuna a una certa distanza dall’altra, che rendevano tutto il cortile perfettamente visibile.
Come il salone, anche fuori era stracolmo di gente intenta a parlottare e scherzare tra loro.
«Wow» fu l’unica parola – se così poteva essere definita – che all’uniscono uscì insieme dalle nostre bocche. Ci guardammo per un paio di secondi, mentre Melanie scrollò lo spalle.
«Beh… meno male che almeno hai pensato a portare questi due vestiti o avremmo fatto una figura di merda in jeans e maglietta, anche se, detto sinceramente, li avrei preferiti a… questo.» E indicai con una mano il vestito celeste che portavo.
In tutta risposta, la mia amica alzò elegantemente gli occhi al cielo. «Alinee, piantala. Sei bellissima e sono sicura rimorchierai anche qualcuno stasera, ora andiamo, sto morendo di fame.» E, in effetti, ora che me l’aveva fatto notare, anch’io sentivo un certo appetito visto che, nonostante l’orario, non avevo ancora cenato.
Mi prese a braccetto, com’era sua abitudine fare da sempre, e ci dirigemmo verso il buffe (non ho idea di come si scriva), parlottando tra noi, commentando di tanto in tanto qualche ragazzo a cui passavamo accanto. Non che mi interessasse davvero rimorchiare qualcuno, ma rifarsi un po’ gli occhi di certo non mi avrebbe fatto male.
Passammo la serata così, tra chiacchiere, risate e balli, e finalmente, per una sera, il pensiero chiamato Adrian Carter era ben lontano dalla mia mente.
Aspetta un momento, quando mai io ho pensato a quell’idiota?
Beh, cara Alinuccia, devi ammettere che in questi giorni l’hai fatto parecchio.
Io, pensare a Carter, ma quando mai! L’unica cosa che provavo ogni volta che lo incrociavo era irritazione nei suoi confronti.
A me sembrava qualcosa di molto più simile a imbarazzo.
Grillo parlante dei miei stivali, ma si può sapere da che cazzo di parte stai?
Una gomitata ben assestata al mio avambraccio interruppe finalmente la litigata che in quel momento stavo avendo con me stessa. «Che male! Melanie, ma che diavolo fai? Sei impazzita per caso?»
Lei però ignorò palesemente le mie lamentele, puntando il mento in direzione di un gruppetto di ragazzi tutti voltati di spalle, eccetto uno. Un ragazzo dai capelli marroni stava guardando la mia amica sorridendo, incitandola silenziosamente ad avvicinarsi. Era un viso famigliare, sicuramente uno della nostra stessa scuola, con cui però non avevo mai nemmeno parlato.
Melanie, ovviamente, non si fece di certo pregare.
Senza nemmeno guardarmi poggiò il bicchiere di vodka sul tavolo. «Amica mia, ci vediamo più tardi, vado a scambiare due chiacchiere.» E se ne andò, lasciandomi lì da sola, mentre immaginavo il tipo di chiacchiere che in realtà Melanie avrebbe scambiato con quel ragazzo.
Alzai gli occhi al cielo, facendo poi il giro del tavolo, fino a ritrovarmi davanti alle innumerevoli bottiglie alcoliche per gli ospiti, nonostante si sapesse che, almeno la metà di quest’ultimi, fossero minorenni… me compresa.
Presi un altro bicchiere a gambo lungo, gli unici in realtà che fossero stati posti sul tavolo, mentre prendevo una delle tantissime bottiglie in vetro d’acqua ancora non aperte da nessuno. Con un po’ di fatica riuscii a svitarla e togliere il tappo, poggiandolo poi davanti a me , versando poi il liquido trasparente nel bicchiere che, in quel momento, avevo ripreso con l’altra mano.
Mentre stavo per rimettere la bottiglia al suo posto sentii la punta di due dita scorrere sul mio braccio sinistro, facendomi rabbrividire immediatamente.
Ero anche già pronta a voltarmi di scatto e sferrare una ginocchiata a chiunque stesse cercando di darmi fastidio, quando una voce maschile sussurrata al mio orecchio mi fece quasi strozzare con la mia stessa saliva. «A quanto pare la tua amica ti ha lasciata sola.»
Non ci misi molto a capire a chi appartenesse perché, ormai, sarei riuscita a distinguerla tra centinaia. In un certo senso, sapere che fosse lui dietro di me, mi tranquillizzò perché sapevo che, nonostante fossimo come cane e gatto, non mi avrebbe fatto del male.
Mi voltai, interrompendo l’unico contatto finisco che ci accumunava, ritrovandomi poi davanti un Adrian Carter mai visto così prima d’ora.
Il solito caratteristico modo di portare i capelli scompigliati che gli ricadevano sulla fronte, una camicia bianca a maniche lunghe ripiegate su sé stesse e dei pantaloni lunghi in raso nero che gli accentuavano la vita sottile. Strano non ci fosse già la fila di ragazze a sbavargli dietro…
Bevvi una generosa sorsata d’acqua sentendomi improvvisamente la gola secca, mentre lui si limitava a sorridere in attesa che mi degnassi a rivolgergli la parola.
«Ah, anche tu qui… Possibile che mi ti ritrovo ovunque vada?»
A quelle parole alzò palesemente gli occhi al cielo, mettendosi entrambe le mani nelle tasche anteriori dei pantaloni. «Veramente sei tu quella ad essere sempre dove vado io, anche se devo ammettere che è la prima volta che ti vedo ad una festa del genere, sembra quasi tu sapessi di trovarmi qui e ti sia messa questo vestito per vedermi cadere ai tuoi piedi.»
Stavolta, fu il mio turno alzare gli occhi al cielo. «Certo Carter, continua pure a sognare anche se, mi dispiace smontarti, tu non sei il centro del mio mondo e prima di cinque secondi fa non avevo nemmeno idea tu fossi qui, in più, guarda caso, non sei affatto il mio tipo, né caratterialmente né tanto meno fisicamente.»
«Strano, perché qualche settimana fa mi pare non ti sia dispiaciuto ritrovarti tutto il mio corpo appiccicato al tuo.» E un ghigno strafottente si fece posto sul suo volto vedendo che, a quanto sembrava, era davvero riuscito a mettermi a tacere per la prima volta da quando ci conoscevamo. Aggrottai le sopraciglia senza nemmeno accorgermene, e lui estrasse una mano dalla tasca, poggiando poi la punta del suo indice appena sopra il mio naso, tra le sopraciglia. «Quando fai questa espressione ti si forma sempre una piccola V proprio qui.»
Ancora una volta non avevo idea di cosa dire, completamente spaesata.
«Adrian, noi stiamo andando a sederci sui divanetti nel terrazzo, Lucas è già lì con una ragazza, vuoi veni…» E si interruppe, senza finire la frase non appena fu abbastanza vicino da vedere me e Adrian.
Salvata da uno sconosciuto da una situazione imbarazzante.
Adrian si allontanò improvvisamente da me, rimettendo anche l’altra mano nella tasca, fulminando poi con lo sguardo il suo amico.
Se davvero credevo che quel ragazzo sarebbe stato il mio salvatore, mi dovetti ricredere quasi subito. «Pensavo venissi a prendere da bere come avevi detto, non che ti fossi deciso a parlare con Miss gambe perfette.»
A quelle parole mi sentii improvvisamente avvampare, diventando molto più rossa di un misero pomodoro.
Adrian, invece, per quanto possibile, lanciò un’occhiata ancora più inquietante a quel ragazzo che però, ignorò completamente.
«Perché siete tutti in fissa con le mie gambe?» Le parole mi uscirono da sole, senza che riuscii a trattenermi, mentre abbassavo lo sguardo imbarazzata. Sentii appena gli occhi di entrambi posarsi su di me e trattenere una risata, cosa che mi fece vergognare ancora di più tanto da desiderare ardentemente di scavarmi una buca da sola e buttarmici dentro.
«Tranquilla Moran, le tue gambe non sono niente di che. E tu resti sempre la stessa ragazzina di tutti i giorni anche con quel vestito addosso.»
«Strano, fino a circa dieci minuti fa non sembrava la pensassi proprio così.»
Stavolta, alzai di scatto la testa, facendo appena in tempo a vedere Adrian dare una gomitata al suo amico, mentre cercavo in tutti i modi di non scoppiare a ridere per il modo in cui quel ragazzo riuscisse a tenergli testa e metterlo in imbarazzo.
«Posso almeno sapere il nome del cavaliere che sta combattendo coraggiosamente contro il qui presente drago?» Lo sconosciuto mi sorrise, inchinandosi appena davanti a me. «Matthew Black signorina Moran. Non le chiedo il suo, lo conosco già.»
«Dovrei esserne onorata allora. Strano, perché non mi sembra di avervi mai visto prima d’ora.»
Notai appena Adrian alzare gli occhi al cielo osservando il teatrino improvvisato in quel momento, rispondendo prima di Matthew per mettere fine a tutto ciò.  «E’ arrivato quest’ anno, è ovvio che tu non l’abbia mai visto, ora, se avete finito, raggiungiamo gli altri.»
«Io è meglio che vada a cercare la mia amica.»
Entrambi risero, ma l’unico a darmi una spiegazione fu Matthew «Tranquilla, la troverai in men che non si dica. Vieni»
Incuriosita dalle sue parole seguii entrambi in silenzio, fino a ritornare sul terrazzo. Continuai a camminare dietro di loro, che si stavano avvicinando a tre divanetti posti a formare una U con un tavolino in mezzo, dove stavano già seduti tre ragazzi, di cui uno accanto a una ragazza bionda, mentre si baciavano animatamente.
Appena li raggiungemmo i due si staccarono e, quando riconobbi Melanie, quasi mi venne un colpo.
«Alinee, ci rivediamo presto.» E alzò poi lo sguardo sui due ragazzi che ancora mi stavano accanto «E vedo anche che sei in compagnia di… Adrian» Alzò un sopraciglio, sorpresa, mentre io già ero scattata sulla difensiva.
«Io non sono in compagnia di Adrian.»
«Si, giusto, c’è anche…» E si interruppe, non conoscendo il nome del secondo ragazzo.
«Matthew.» Dissi io, sperando di mettere fine a quella conversazione.
Meglio evitare di dare spettacolo davanti a ben cinque ragazzi, due dei quali non conoscevo ancora nemmeno il nome. Sapeva quanto mi desse fastidio che continuasse anche solo a pensare che tra me e Adrian ci sarebbe stato qualcosa, eppure non perdeva occasione per ricordarmelo.
«Matthew… Ovviamente.» Disse lei, ma, stavolta, la ignorai, sorpassandola e andandomi a sedere tra Adrian e Matthew, l’unico posto ancora libero.
«Alinee.» Una voce alla mia sinistra proveniente dall’altro divanetto attirò la mia attenzione, chiamandomi.
«Peter.» Risposi al suo saluto, ricambiandogli il sorriso.
«Lui è Alexander» Disse poi, indicandomi con la testa il ragazzo accanto a lui che, intanto, aveva allungato una mano per presentarsi, mentre io facevo altrettanto per ricambiare la stretta prima di rimettermi a sedere composta. «E quello completamente spalmato contro il corpo della tua amica si chiama Lucas» Spostai solo per due secondi lo sguardo sui due posti alla parte opposta a dove stava Peter, cercando poi qualcos’altro di più interessante – e decente – da guardare.
Iniziai a tamburellare le dita sulle cosce, seguendo solo a tratti la conversazione animata che in quel momento stava avvenendo tra i quattro.
Fu una domanda di Matthew ad attirare la mia più completa e totale attenzione. «E tu Alinee? Hai organizzato i provini per la squadra di nuoto? Da quello che ho capito Adrian è interessato.»
Scattai con lo sguardo sul volto di Adrian che, intanto, mi fissava in uno strano modo. «Pensavo ne avessimo già parlato»  Sibilai, avvicinandomi al suo orecchio, in modo che solo lui potesse sentire.
«No Alinee, non ne abbiamo mai parlato, tu mi hai urlato di non farli e, che ti piaccia o no, io proverò ad entrare nella squadra di nuoto, fine.»
Mi allontanai nuovamente da lui e, come se non avessi sentito l’ultima parte della sua frase, affermai «Adrian non farà i provini, lui ha già il basket e non credo riuscirà a seguire i ritmi.» Mi voltai un secondo verso di lui, accennandogli un sorriso innocente prima di rispondere a Matthew. «E no, non ho ancora organizzato niente, in realtà non ho nemmeno cercato un pomeriggio libero per iniziare.»
«Chissà cosa ti tiene occupata tutto il giorno, eh Moran?» Il tono con cui Adrian disse quelle parole mi pietrificò.
Nuovamente, fu Matthew a prendere le mie difese. «Di sicuro non nel modo in cui vorresti tu amico.» Dall’ennesima occhiataccia che ricevette come risposta Matthew capì di aver esagerato e con lui anche Peter che, anche non vedendo l’espressione di Adrian, lo conosceva fin troppo bene dal non sapere che quell’affermazione gli avesse dato fastidio.  
«Ragazzi, ma che cazzo, datevi una regolata o almeno andate a prendervi una stanza!»
Lucas e Melanie sobbalzarono insieme, spaventati dall’urlo che Peter gli aveva lanciato e presi alla sprovvista dalla sua affermazione.
«Scusate, anche se non mi sembrava stessimo facendo chissà che cosa» disse Lucas.
Matthew scoppiò a ridere, e con lui anche Adrian che, intanto, si stava accendendo una sigaretta. «Oh no, tranquilli. Le stavi solamente palpando allegramente la coscia ficcandole la lingua in bocca, mentre lei non cercava nemmeno di trattenere alcun verso di apprezzamento molto simile a quelli da film porno, assolutamente niente di che.»
Stavolta anch’io scoppiai a ridere, mentre Melanie diventava rossa in faccia almeno quanto il suo vestito.
Non pensavo, ma Peter iniziava a piacermi, come amico non sarebbe stato poi tanto male. E in più aveva anche messo in imbarazzo la mia amica, cosa che io vidi come vendetta nei suoi confronti per le frecciatine sarcastiche di poco prima.
Una nuvoletta grigia mi arrivò dritta in faccia, mentre l’odore di tabacco mi invadeva le narici. Iniziai ad agitare una mano per sparpagliarlo nell’aria, voltandomi poi verso Adrian.
«Ma la finisci di fumarmi in faccia?»
«Che palle Moran, non ti sto fumando in faccia, è semplicemente il leggero vento a portare il fumo verso di te.» E alzò gli occhi al cielo, facendo poi un altro tiro.
Continuammo a parlare del più e del meno per un tempo indeterminato, finché il mio sguardo non andò a posarsi su un orologio lì vicino. «Melanie, sono le due passate, io vado a casa mentre tu immagino ti fermerai ancora, ci vediamo domani.»
Salutai tutti con un caloroso sorriso perché, anche se prima di allora non lo avrei mai detto, mi ero divertita e la serata, anche se tra alti e bassi, era trascorsa abbastanza piacevolmente tanto che ero anche arrivata a rivalutare la compagnia di Adrian.
Altolà! Questo non significava di certo che ora stravedevo per lui, anzi, restava comunque l’idiota di tutti i giorni con cui passavo il tempo a litigare.
Mi alzai, dirigendomi poi verso la porta a vetri che mi avrebbe ricondotto nel salone. Sentii una mano poggiarsi su una mia spalla, costringendomi a fermarmi e voltarmi nuovamente. «Ti riaccompagno.»
«No Adrian, tu non fai proprio un bel niente oltre che tornartene dai tuoi amici.» Spostai la sua mano mentre riprendevo a camminare ed entrando nel salone dove, nel frattempo, la musica era stata sostituita con qualcosa di molto più leggero.
«Non puoi davvero essere così stupida. E’ tardi e vestita così qualcuno cercherà sicuramente di sfiorarti.»
Decisa a ignorarlo, uscii da quella villa enorme diretta verso il vialetto, le braccia incrociate al petto, con ancora Adrian accanto a me che si ostinava a non lasciarmi in pace. Sentii improvvisamente un braccio scivolare intorno alla mia vita e una mano poggiarsi decisa sul mio fianco, mentre venivo praticamente obbligata ad andare verso una macchina nera. Cercando di ignorare la sua troppa vicinanza a me, mi fermai accanto a lui vicino alla portiera del passeggero, che lui aprì per farmi salire. Osservando la mia determinazione a non dargli retta fece pressione con la mano sul mio fianco, spingendomi poi delicatamente in avanti per farmi salire. In una secondo richiuse la portiera e fece il giro, entrando poi con un agile ma aggraziato movimento al posto del guidatore. Appena mise la macchina in moto allacciai la cintura di sicurezza, poggiando poi un gomito accanto al finestrino e la testa sul palmo della mano.
Fu un viaggio notevolmente silenzioso e imbarazzante, ognuno dei due perso nei propri pensieri.
Quando fummo finalmente giunti davanti al vialetto di casa mia mi slacciai la cintura e, senza aspettare che lui venisse ad aprirmi la portiera, scesi il più in fretta possibile dall’auto. In un baleno però, mi fu nuovamente accanto e, nuovamente, rimise un braccio attorno alla mia vita. Vidi quel gesto come qualcosa che mi trasmetteva sicurezza, come se volesse essere sicuro che arrivassi oltre la soglia di casa senza correre alcun pericolo e, visto che a farlo era Adrian Carter, la mia confusione era palpabile.
«Uhm… Grazie per avermi accompagnata.»  Feci per estrarre le chiavi di casa dalla borsetta nera, quando la mano di Adrian finì dietro la mia schiena e io mi ritrovai attaccata al suo corpo. «Siamo in ritardo di più di due ore: in teoria, Cenerentola deve tornare a casa a mezzanotte.»
Quasi mi sciolsi a risentire dopo settimane il suo alito caldo sulla pelle, ma, stranamente, riuscii a mantenere un minimo di dignità. «Ma io non sono Cenerentola.»
«Giusto, tu sei la strega cattiva.» E sorrise. Uno di quelli sinceri, senza nessuna ombra di sarcasmo o vanità, mentre io alzavo gli occhi al cielo.
Solo in quel momento, quando il mio naso andò a sfiorarsi con il suo, mi resi conto della pericolosa vicinanza dei nostri volti e la consapevolezza di ciò che sarebbe successo da un momento all’altro mi colpì come una secchiata d’acqua gelida.
Si avvicinò ancora, deciso ad azzerare completamente le distanze.
Ma che diavolo stavamo facendo? No, non potevo dichiarare odio e guerra a Adrian Carter fino a pochi attimi prima e poi ritrovarmi a pochi centimetri dalle sue labbra e baciarlo.
Poggiai le dita sulla sua bocca, come per mettere un muro invisibile tra me e lui, mentre lo sentii sospirare appena. «Buona notte Adrian, ci vediamo domani a scuola.» Lui si limitò ad annuire, mormorando poi un “Buona notte” mentre io mi richiudevo la porta alle spalle.
Avrei dimenticato tutto, era stato solo un momento di debolezza dovuto all’orario oppure all’alcool in circolo nei nostri corpi. Non ero davvero attratta dal suo corpo, come lui non lo era davvero del mio.
Tolsi le scarpe e un sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra, poi mi diressi silenziosamente in camera mia per evitare di svegliare gli altri, ignorando completamente il cuore che a momenti minacciava di balzare fuori dal petto.


Salve a tutti :D
Come vi avevo già detto, capitolo un po' più lungo del solito, dove sembra che qualcosa inizi a cambiare.
Ha fatto il suo ingresso nella storia anche Matt che io, personalmente, adoro... ne capirete il motivo già dal prossimo capitolo.
Devo però confessarvi che, momentaneamente, anch'io non riesco più a scrivere molto, e quando lo faccio ci metto almeno due ore a capitolo; speriamo passi presto e.e

Come sempre, ringrazio le sei persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, le due che l'hanno inserita tra quelle da ricordare, e le ventisei che l'hanno invece messa tra le seguite, grazie davvero.

Ps. Domani inizierò la scuola, e l'intenzione sarebbe quella di mettermi a studiare fin da subito, quindi d'ora in avanti non so con esattezza il giorno in cui pubblicherò ogni capitolo, ma spero di non andare mai oltre i sette giorni di distanza di uno dall'altro.
Ali_Nott

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***


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Capitolo VI
 

Gironzolavo tra i corridoi della scuola perso nei miei pensieri, mentre distrattamente mi rigiravo tra le mani il blocco di fogli scritti alla meglio a mano, munito di spillatrice.
 

SELEZIONI SQUADRA DI BASKET
Tra due settimane, Giovedì in palestra
Ore 3:30 PM.

 
Avevo scelto un giorno a caso della settimana, uno valeva l’altro, e scritto con l’aiuto di Peter una ventina di volantini rossi dando giusto le poche informazioni che servivano.
Non avevo chiesto a nessuno se il giorno scelto andasse bene, nemmeno ai miei amici: se volevano davvero entrare nella squadra si sarebbero sicuramente adeguati.
La verità però, era che in quel momento dei provini per la squadra non me ne fregava proprio niente.
Avevo passato l’intera mattinata a pensare alla sera precedente, al come mi ero sentito quando per la prima volta avevo visto Alinee a quella festa, a quando avevo sfiorato la pelle liscia e chiara del suo braccio con la punta delle dita, ai suoi lunghi capelli corvini poggiati su una spalla e quel vestito che le ricadeva perfettamente sul corpo, permettendo a tutti di ammirarla, alla punta di fastidio provata quando Matthew le si era presentato e l’istinto di tirargli un cazzotto quando invece mi rispondeva a tono per difenderla e mettendomi in imbarazzo e, infine, a quando l’avevo riaccompagnata a casa.
Un idiota, ecco cos’ero.
Lei aveva ragione, sarei dovuto tornare ai divanetti e lasciarla andare a casa da sola, d'altronde, da quando andavo a preoccuparmi di chi potesse sfiorare o anche solo guardare quella ragazzina capricciosa che perdeva facilmente la pazienza?
Beh, a quanto pare da quella sera.
Perché, anche se non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, vedendola con quel vestito addosso avevo sentito attrazione per lei, tanto da provare continuamente a sfiorarla, anche solo per una casualità, tanto da arrivare a provare a baciarla…
Ecco, appunto, provare, perché proprio quando le mie labbra sottili stavano quasi per sfiorare le sue, lei mi aveva poggiato una mano sulla bocca prima di entrare in casa.
Avevo ignorato il leggero rigonfiamento formatosi nei miei pantaloni quando l’avevo attirata al mio petto, e anche la sensazione di fastidio cresciuta in me dopo essere stato rifiutato perché, per quanto ricordavo, nessuna mi aveva mai detto no.
Ma lei non era come tutte le altre, e questo lo sapevo fin troppo bene.
In tre anni non l’avevo mai vista lanciarmi uno sguardo che non fosse di fastidio o di sfida, non mi si era mai avvicinata con l’intento di provarci, anzi, in realtà erano rare proprio le volte in cui si avvicinava a me: di solito ero io ad andare da lei, ma solo per stuzzicarla e divertimi un po’, niente di più. Mai per la testa mi ero immaginato di fare apprezzamenti sulla nuotatrice provetta – eccetto forse quest’estate in piscina, quando l’avevo vista con addosso solo un costume e il corpo in bella mostra – né tanto meno di pensare di chiederle di uscire.
Il nostro era un rapporto – se così poteva essere definito – basato sul divertimento nel stuzzicarla e farla arrabbiare da parte mia, sull’irritazione anche solo vedendomi e rispondermi male con la sua lingua biforcuta da parte sua che, più di una volta, l’aveva anche messa nei guai.
Chissà se fosse ancora vergine… anzi, chissà se avesse anche solo mai baciato un ragazzo visto che non sembrava dare molta confidenza a quelli del sesso opposto. Che fosse lesbica? Dio, che spreco…
Ma che cazzo sto pensando?
Se anche non fosse stato così di certo non ci sarebbe stato alcun problema dato che mi aveva fatto anche capire di non voler nemmeno essere baciata dal sottoscritto.
Ora basta, quella mocciosa della Moran aveva anche occupato per troppo tempo la mia mente.
Pensiamo ai volantini, sicuramente molto più interessanti di lei.
Ne appoggiai uno su una delle bacheche della scuola, senza preoccuparmi che fosse dritto o no, mentre iniziavo a spillarlo sulla superficie ruvida.
«Credo che così possa bastare.»
Quella voce femminile mi fece sobbalzare e, la prima cosa che vidi, fu la lunga chioma di capelli rossi raccolti in una treccia che gli ricadeva sul seno.
«Katerina» Spostai lo sguardo dal volantino a lei, e poi ancora sul volantino che, senza nemmeno che me ne rendessi conto, era fissato alla superficie con una decina di puntine.
Abbassai la spillatrice, voltandomi poi nuovamente verso la ragazza che, intanto, si era poggiata con una spalla al muro, mentre mi guardava pensierosa, senza il suo solito sorriso malizioso che mi rivolgeva ogni volta. Solo quando parlò, ne capii il motivo. «Cos’è questa storia che hai passato la notte con la mora, quella della III A?»
A quella domanda scoppiai a riderle letteralmente in faccia, guadagnandomi un’occhiata glaciale. «Primo, si chiama Alinee. Secondo, io non ho passato la notte proprio con nessuno! E’ stata per caso lei a dirtelo?» E un improvviso senso di rabbia stava iniziando a nascere dentro di me al solo pensiero che quella ragazza avesse davvero detto una cosa del genere in giro, mentre stavo già iniziando a pensare a cosa dirle per una litigata di quelle che si sarebbe definita epica.
«Beh, a giudicare da quello che si sente in giro, invece l’hai fatto. E no, a me lo ha detto Lucas e più di qualcuno dice di avervi visti andare via insieme dalla festa ieri sera.»
Sospirai, sentendomi improvvisamente uno schifo per aver anche solo pensato che la Moran potesse essere tanto meschina, mentre Katerina, a quanto sembrava dalla sua espressione, aveva tradotto il mio gesto come un senso di fastidio per la situazione.
Dopo averla salutata non ero più tornato alla festa, quindi era scontato che i miei amici pensassero al peggio, ma mettersi perfino a raccontare in giro quelle che erano solo supposizioni… Lucas non l’avrebbe scampata, questo era ovvio. «L’ho solo riaccompagnata a casa e poi, se anche fosse? Non devo di certo dare spiegazioni a te.»
Mi allontanai da lei, diretto verso un’altra bacheca, ma la ragazza non sembrava voler cedere, tanto che nemmeno un secondo dopo me la ritrovai accanto. «Io invece direi proprio di si.»
«Solo perché abbiamo passato un paio di notti insieme non significa che tu sia la mia ragazza, chiaro? Quindi faccio ciò che voglio.» Ok, forse ero stato un po’ troppo duro nei suoi confronti, ma sapevo che ferirla sarebbe stato l’unico modo per togliermela di dosso in quel momento.
Al contrario di quello che però mi aspettavo, Katerina non accennava a lasciarmi in pace e, invece che sentirsi ferita dalla mia affermazione, assottigliò lo sguardo, arrabbiata. «Quindi hai davvero passato la notte con lei!»
«TI HO DETTO CHE NON HO PASSATO LA NOTTE CON NESSUNO, NON HO INTENZIONE DI TOCCARE LA MORAN NEMMENO CON UN DITO, CHIARO?» Lasciai che fu la rabbia a farmi parlare, mentre le sputavo in faccia parole che, in realtà, sapevo non erano completamente vere e, fregandomene degli sguardi che tutti in quel momento mi stavano lanciando, chi sbalorditi chi curiosi, me ne andai nella direzione opposta stringendo tutti i fogli troppo forte in una mano, tanto da stropicciarli, incurante che, tra tutti quegli sguardi, ci fosse anche quello della diretta interessata.
 
***
 
Per la prima volta in tre anni, cioè da quando frequentavo quella scuola, aveva passato l’ora di buco in biblioteca invece che in mensa con la mia amica, probabilmente ancora troppo occupata a slinguazzare quel Lucas.
Diceva di essere interessata a James, ma poi non faceva niente per conquistarlo nonostante sapesse che momentaneamente, e stranamente aggiungerei, non era impegnato con nessuna ragazza, anzi, se ne andava a limonare con uno di cui conosceva il nome da nemmeno un giorno.
Avrebbero dovuto dare un premio a chi fosse riuscito a comprendere la mentalità di Melanie…
Mi ero diretta immediatamente verso uno dei grandi tavoli rettangolari della biblioteca, poggiando la tracolla sulla superficie e sedendomi su una delle quattro sedie verdi che lo circondavano, estraendo il libro di storia.
In realtà, non ero davvero lì per studiare, l’avevo fatto più che altro per non incontrare Adrian ed evitare di pensare a quello che era successo la sera precedente visto che, sicuramente, lui nemmeno l’avrebbe ricordato.
Leggevo e rileggevo di continuo lo stesso paragrafo, non riuscendo mai a comprendere realmente ciò che ci fosse scritto.
«Non posso credere che tu abbia davvero deciso di chiuderti qui dentro.»
Una voce maschile mi fece spaventare e, immediatamente, alzai lo sguardo davanti a me.
Matthew se ne stava comodamente seduto di fronte a me, un gomito poggiato sul tavolo e il mento sopra il palmo della mano, mentre mi guardava sorridendo.
Da quanto tempo era lì? Possibile che non mi fossi nemmeno resa conto della presenza di qualcun altro?
«Potrei dire la stessa cosa anch’io sai?» Gli sorrisi a mia volta, tamburellando con la matita sul libro ancora aperto.
«Giusto. Ma io non sono venuto qui per studiare, o fingere di farlo, non ti ho visto a mensa e, date le voci che circolano, ho pensato volessi stare nell’unico posto dove a quest’ora non viene mai nessuno, e ti ho trovato subito.»
Se non fosse stata per la parte “date le voci che circolano” che aveva catturato la mia più totale attenzione, sicuramente sarei arrossita alle attenzioni che quel ragazzo mi stava rivolgendo. «Credo di essermi persa qualcosa… Io non ho sentito nessuna voce, di cosa stai parlando?» Con una mano chiusi improvvisamente il libro, rimettendolo poi nella tracolla ancora poggiata sul tavolo, prima di poggiarmi con gli avambracci sul tavolo e sporgermi verso di lui in attesa di una spiegazione.
Improvvisamente, sul suo viso parve un’espressione strana, come se si fosse pentito di aver parlato, deciso a non proseguire quella conversazione. Ma lui non mi conosceva, non sapeva quanto potessi essere insistente e far uscire chiunque fuori di cervello, e, troppo curiosa, lo incitai con una mano a proseguire.
Lui, che a quanto sembrava si era rassegnato molto più facilmente di quanto pensassi, sospirò. «Circolano delle voci su te e Adrian da tutta la mattinata.»
«CHE COSA?» Urlai, incurante del luogo in cui in quel momento ci trovavamo e della custode della biblioteca che, immediatamente, comparve nella mia visuale incitandomi a chiudere la bocca.
E Matthew proseguì, rispondendomi in modo più calmo di quanto avessi fatto io. «Non so chi sia stato a iniziare questa storia, ma si dice che tu abbia passato la notte con Adrian visto che, dopo averti accompagnata a casa penso, non si è più fatto vedere alla festa.»
Un ulteriore «CHE COSA?» uscì esplosivo dalla mia bocca, mentre stavolta anche Matthew si portò un dito davanti alla bocca per farmi stare zitta, mentre io mi ero già alzata di scatto e, afferrata la borsa, mi ero precipitata verso la porta della biblioteca, indecisa se correre ad ammazzare quell’idiota o chiedere altre spiegazioni a Matthew anche se, ormai, non che ci fosse altro da sapere.
Avevo anche già optato per la prima opzione, mentre camminavo a passo spedita per quel corridoio, quando le parole di Matthew mi bloccarono. «Quindi è vero, sei davvero stata a letto con lui allora… e io che credevo fossi diversa dalle altre.»
Mi voltai di scatto, incrociando i suoi occhi in quelli delusi di lui, scagliando la mia rabbia anche contro quel ragazzo. «E io non credevo tu fossi addirittura più idiota del tuo amichetto, almeno lui non si è mai permesso di giudicarmi! Tu non mi conosci, che cazzo vuoi saperne di me dopo solo circa dodici ora che ci siamo presentati, eh? Io non sono stata a letto proprio con nessuno, NESSUNO, chiaro? E se davvero credi che l’abbia fatto, ripeto, tu non sai un bel niente di me. Mi ha solo riaccompagnata a casa, basta, fine, stop. Quello che ha fatto dopo non è affar mio e non mi interessa nemmeno saperlo, ok?»
Osservai la sua espressione cambiare, da deluso a dispiaciuto – sicuramente per ciò che mi aveva appena detto. «Mi dispiace Alinee, hai ragione, non ti conosco e non volevo offenderti, perdonami.»
Davanti alle sue scuse non potei che accettarle, improvvisamente mi sentivo intenerita da quegli occhi celesti come il cielo. Annuii alle sue parole, facendogli poi un cenno con la testa invitandolo a tornare nei corridoi principali, decisa di lascarsi momentaneamente alle spalle quella conversazione.
Tra noi si era formato il silenzio, che però non era affatto imbarazzante.
«Posso chiamarti semplicemente Matt? Matthew è troppo lungo.»
«Sai, sei la prima a chiedermelo. Di solito tutti mi chiamano subito Matt. Tranquilla, chiamami come preferisci tu.»
Gli sorrisi, mentre continuavamo a parlare del più e del meno, scoprendo che, in realtà, non avessimo assolutamente niente in comune: io preferivo il gelato al cioccolato, lui alla vaniglia; a me piaceva l’estate, a lui l’inverno; non beveva caffè, né succo all’ananas, mentre io invece gli adoravo entrambi; era bravo a scuola, o almeno quanto bastava per guadagnarsi qualche credito extra, mentre io sfioravo appena la sufficienza in tutte le materie. Seguiva il football oltre che il basket, mentre io invece l’unico sport di cui mi interessavo era il nuoto che, appunto, a lui non piaceva moltissimo.
Eppure, nonostante tutte queste differenze e il poco tempo da cui ci conoscevamo, stavamo passeggiando tranquillamente sorridendo e scherzando tra noi, cosa che io facevo di rado con i ragazzi.
Accidentalmente, il mio sguardo andò a posarsi su Adrian che stava con una ragazza – stavolta, abbandonata la sorella di Megan Fox, aveva optato per quella di Emma Stone – a pochi metri da noi. Improvvisamente mi immobilizzai, mentre le parole di Matt dette poco prima mi tornarono alla mente. Lui se ne accorse immediatamente, tanto che, quando feci per avvicinarmi per urlare contro Adrian qualunque genere di insulto, Matt mi aveva afferrata per il polso, costringendomi a fermarmi e scuotendo la testa, come per accentuare quanto immaturo e stupido fosse stato fare una scenata davanti a tutte quelle persone. A malincuore, con un’incredibile voglia di togliere Adrian dalla faccia della terra una volta per tutte, concordai con il ragazzo, tanto che feci anche per voltarmi e cambiare direzione, finché un urlo, proveniente proprio da Adrian, non mi bloccò.
«TI HO DETTO CHE NON HO PASSATO LA NOTTE CON NESSUNO, NON HO INTENZIONE DI TOCCARE LA MORAN NEMMENO CON UN DITO, CHIARO?»
Sussultai, inspiegabilmente ferita nell’orgoglio a causa di quella parole, e Matt lo notò, tanto che fece scendere la sua mano dal polso fino ad arrivare a premere il suo palmo contro il mio, le sue dita lunghe, sottili e calde si stringevano alle mie, come se volesse consolarmi, mentre io continuavo a guardare Adrian che si stava allontanando nella direzione opposta alla nostra.
Alzai lo sguardo verso Matt che accennò semplicemente un «Andiamo» a cui risposi con un cenno della testa, guardandomi poi in giro, notando solo allora le occhiate di alcuni compagni. Improvvisamente mi resi conto che le dita di Matt erano ancora intrecciata alle mie, così mi staccai, mettendo fine a quel contatto mentre anche lui, dopo aver fatto una leggera pressione per un secondo, lasciò andare la presa.
Quella si, sarebbe stata una giornata davvero lunga, non ne avevo dubbi.
 


Salve a tutti, e scusate il ritardo con cui ho pubblicato questo capitolo.
Forse per molti di voi non sarà così, anzi, odierete questo capitolo, ma io personalmente lo amo... E' il mio preferito.

In questi ultimi giorni non mi sto fermando un attimo, e non ho avuto proprio tempo di continuare a scrivere la storia, quindi non so, cercherò di scrivere almeno un capitolo - anche due se ci riesco - tra domani e dopo domani.

Rigranzio, come sempre, le sei persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, le quattro che l'hanno inserita tra quelle da ricordare, e infine le ventinove che l'hanno inserita tra le seguite. Grazie davvero *-*
Recensite, mi raccomando, voglio sapere cosa ne pensate!
Ali_Nott

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***


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Capitolo VII
 

Ero sdraiata a pancia in giù sul mio letto, le braccia poggiate su un cuscino e il mento su quest’ultime, mentre osservavo Melanie mettersi uno smalto di uno strano colore, un verde olivastro che però stava bene con il suo colore di capelli chiaro. Io, invece, non l’avrei mai messo; anzi, io non mettevo nemmeno lo smalto trasparente, era diverso.
Nonostante l’estate fosse ormai finita da tempo quel pomeriggio faceva davvero caldo, tanto da permetterci di poter indossare una semplice canotta con dei pantaloncini corti. Io, in particolare, avevo optato per una canotta nera e un pantaloncino bianco.
Avevamo passato il pomeriggio a parlare del più e del meno.
A quanto sembrava tra lei e Lucas non andava malissimo, riusciva a farle dimenticare di James che, dai rumori che alcune notti sentivo provenire dalla sua stanza, aveva trovato una ragazza ancora a me sconosciuta con cui passare il tempo.
Dal canto mio, invece, le avevo parlato di Matthew, di quanto mi facesse sentire spensierata e di come il tempo sembrava volare in sua compagnia.
Le avevo fatto la lista completa di tutte le cose che non avevamo in comune, perdendo solo per questo quindici minuti buoni a parlare.
Fortunatamente, Melanie non tirò fuori l’argomento Adrian Carter, forse perché mi conosceva bene e sapeva che, se l’avesse fatto, probabilmente mi sarei innervosita all’istante e, in quel momento, tutto volevo eccetto che pensare a lui.
Eravamo tornati praticamente al punto di partenza, come qualche settimana fa.
Erano passati altri quattro giorni dalla festa.
Io non volevo parlare con lui, lui non voleva parlare con me.
Io non volevo vedere lui, lui non voleva vedere me.
Almeno qualcosa su cui andassimo d’accordo.
Raramente mi era capitato di soffermarmi a guardarlo nei soliti corridoi della scuola e, non appena lui se ne accorgeva e io venivo colta con le mani nel sacco, subito mi affrettavo a cercare qualcosa di più interessante su cui posare le mie attenzioni.
Avevo letto uno dei volantini appesi alle bacheche riguardanti le selezioni di basket e subito un pensiero cattivo si impadronì di me. Inizialmente avevo deciso di fissare le selezioni maschili del nuoto lo stesso giorno scelto da lui, così almeno non avrebbe avuto modo di parteciparvi.
Ancora una volta però, quella specie di vendetta stonava con il mio carattere, tanto che abbandonai l’idea molto velocemente.
Che poi, vendetta di cosa?
Non aveva messo in giro lui quella balla bella e buona, quindi non avevo alcun motivo di comportarmi in modo tanto meschino.
Alla fine ero giunta alla conclusione che vivere come se non esistesse era la cosa migliore, e funzionò, tanto che dopo due giorni il clima a scuola era tornato normale: niente più occhiatine strane o commenti su loro due, sembrava che tutti avessero dimenticato con estrema facilità.
E Matt era davvero una bella distrazione, in generale.
Avevo passato più ore con lui in questi pochi giorni che con chiunque altro ragazzo in vita mia. Spesso e volentieri ci ritrovavamo ad uscire a prendere un gelato, una pizza, o semplicemente a passeggiare, camminando alle volte a braccetto.
Non mi sentivo in imbarazzo a farlo, anzi, in un baleno era diventato un gesto normale nei suoi confronti. Non toccava argomenti che potessero risultare fastidiosi – o meglio, l’argomento – e gli ero più che grata di questo.
Una volta era anche venuto a casa mia per studiare insieme. Ci eravamo messi in cucina, sotto l’occhio vigile di James che spesso e volentieri entrava per controllarci con ogni genere di scusa, assicurandosi che davvero stessimo studiando.
Ce ne stavamo in silenzio, per fatti nostri, a fare ognuno i propri compiti seduti uno di fronte all’altra. Solo dopo un paio d’ore avevo per la prima volta rialzato lo sguardo, notando che, in quel momento, lui mi stava guardando rigirandosi una matita tra le mani. Quando i suoi occhi si incrociarono ai miei non si scompose, anzi, mantenne lo sguardo fisso, immobile, mentre io invece avevo iniziato ad arrossire per l’ imbarazzo, come se fossi stata io quella ad essere beccata con le mani nel barattolo di marmellata, e non viceversa.
Insomma, dire che con lui stavo bene era un eufemismo e, per la prima volta, sentivo di aver trovato anche un’altra persona su cui fare completo affidamento dopo Melanie.
 
Il lunedì successivo ben due professori erano in malattia e io, per mia immensa gioia, avevo le ultime tre ore di buco a scuola da sfruttare come volevo.
A primo impatto decisi di passare il tempo in piscina, ricordandomi poi che, nonostante fossimo a più di un mese dall’inizio scolastico, ancora non avevo deciso nemmeno un giorno per iniziare le selezioni.
Che palle.
Decisi che sarebbero avvenute quella stessa settimana, meglio togliersi il pensiero al più presto. Rapidamente, iniziai a fare mente locale, passando uno ad uno i giorni della settimana. Giovedì era da escludere a principio visto che, proprio questo giovedì, anche per il basket sarebbero iniziate le prove e, come già avevo deciso giorni prima, impedire a Adrian di fare i provini era una cosa sbagliata.
In più, se mai fosse davvero riuscito ad entrare nella squadra, gli avrei tranquillamente dimostrato che non ho affatto paura che qualcuno possa essere più bravo di me, come invece lui aveva insinuato.
Stavo andando in segreteria per prendere qualche foglio, quando vidi la persona a cui stavo pensando in quel momento proprio davanti a me.
Ok, basta fare i bambini e ignorarsi a vicenda, non aveva nessun senso continuare quella buffonata e in più, anche se mai lo avrei ammesso ad alta voce, litigare con lui mi mancava.
Quando feci per avvicinarmi, mi guardò alzando un sopraciglio, standosene in silenzio.
«Ehilà Carter, da quanto tempo! Ti credevo deceduto, peccato.» Avevo parlato come se niente fosse, come se in realtà non avessimo cercato di evitarci a vicenda per tutto quel tempo, tanto che, per quanto possibile, lui alzò ancora di più il sopraciglio a sentire quelle parole ma, alla fine, decise di assecondarmi.
Uhm… forse non era poi così citrullo se anche lui aveva capito che continuare a  comportarsi così era davvero tanto immaturo.
«Mi spiace deluderti Moran, renderò la tua vita insopportabile per almeno un altro anno. Cosa ci fai in giro per la scuola?»
«E tu invece, cosa ci fai in giro per la scuola?» Risposi io a mia volta, incrociando le braccia al petto.
«Non si risponde ad una domanda con un’altra domanda, è maleducazione, te l’hanno mai detto Alinuccia?» E sorrise, ovviamente, con strafottenza non appena notò il mio cambio di espressione a quello stupido nomignolo.
«Preferisco quando mi chiami per cognome piuttosto che con quello stupido… soprannome» Agitai una mano, facendo una smorfia, mentre intanto Adrian era letteralmente scoppiato a ridermi in faccia. «Non che mi interessi più di tanto, Alinuccia.»
Alzai gli occhi al cielo, prima di dargli un cazzotto ben assestato sulla spalla.
«Comunque, visto che non sono una maleducata, stavo andando in segreteria e prendere dei fogli per scrivere quando ci saranno le selezioni» Alzai immediatamente una mano, per bloccarlo ancor prima che iniziasse a parlare. «E prima che tu faccia battutine strane, si, ho trovato un giorno in questa settimana che no, non sarà Giovedì»
«Ok, anche se veramente io ti stavo per offrire il mio aiuto a scriverli visto che sto girando per la scuola da oltre un’ora ad annoiarmi» Stavolta però, fu lui ad alzare una mano per evitare che parlassi, ripetendo poi una parte di frase detta da me poco prima. «E prima che tu faccia battutine strane, no, non sto saltando nessuna lezione, ho due ore di buco.»
Lo guardai per qualche secondo, confusa, non tanto perché – guarda tu le coincidenze – anche lui non avesse lezione, quanto per il fatto che lui, Adrian Carter, aveva appena offerto il suo aiuto a me, Alinee Moran, cosa mai vista prima d’ora.
Venti minuti dopo ci trovavamo in biblioteca, immersi nel silenzio, a scrivere quei dannatissimi volantini.
Vi prego, qualcuno mi ricordi perché avevo accettato la sua offerta!
Non riuscivo nemmeno ad alzare gli occhi su di lui nonostante fossi curiosa di vedere l’espressione dipinta sul suo volto mentre era intento a scrivere, avrei semplicemente voluto sparire nel nulla, e non  poteva essere più imbarazzante di così.
«Alinee, scusami.» Restai con l’ultimo foglio sospeso a mezz’aria ascoltando le sue parole. Ok, tutto mi sarei aspettata che uscisse dalla sua bocca in quel momento, eccetto questo.
«Per cosa?»
«Ecco… Matt mi ha detto che tu e lui, l’altro giorno… Non volevo che ti offendessi, in realtà non credevo nemmeno che ti saresti sentita offesa dalle mie parole, cioè tu…»
«Stop. Aspetta un attimo. Non devi scusarti di un bel niente, ok? Non me la sono presa, cioè, forse a primo impatto sono rimasta un po’… Non lo so, era strano, ma di certo non mi sono messa a piangere perché tu non proveresti nemmeno a toccarmi con un dito.» mi alzai, distogliendo per un attimo gli occhi dal viso di Adrian, mentre iniziavo ad ammucchiare in un unico blocco tutti i volantini scritti a mano.
«Ma la sera precedente ti ho toccato molto più che con un semplice dito. E tu non hai opposto nemmeno resistenza, né quando ho sfiorato il tuo braccio, né quando ti ho messo un braccio intorno alla vita, e nemmeno quando ti ho attirata contro di me.»
«Ma l’ho fatto quando ci siamo ritrovati troppo vicini. Sinceramente mi sono stancata di passare le giornate a sentirmi imbarazzata al solo pensiero di incrociare lo sguardo con il tuo, insomma… Non siamo noi questi, noi siamo semplicemente Adrian ed Alinee o meglio, Carter e Moran, i due ragazzi che fin dal primo istante non hanno fatto altro che scambiarsi frecciatine, non è cambiato assolutamente niente.» Sembravo sicura di me stessa, e allora perché mentre dicevo quelle cose sentivo dentro di me che in realtà non erano vere?
Perché in effetti non sono vere, stupida. Continua pure a negarlo, ma tu in fondo avresti voluto baciare Carter.
Grillo parlante del cavolo, perché devi tornare con le tue stupide perle di saggezza proprio quando non è necessario? Sparisci, ora.
Bene, silenzio.
Sia nella mia testa sia nella stanza in cui mi trovavo in quel momento.
Alzai la testa dal blocchetto di fogli che avevo trovato così interessate per tutto il tempo in cui avevo parlato, ritrovandomi lo sguardo penetrante di Adrian addosso che se ne stava immobile, dall’altra parte del tavolo, con le mani in tasca.
I lineamenti del suo viso si ammorbidirono dopo qualche secondo, mentre aveva iniziato a girare intorno al tavolo fino a ritrovarsi accanto a me. «Hai ragione, Alinuccia, non è cambiato assolutamente niente tra di noi» Si abbassò un po’, fino a ritrovarmi il suo viso alla stessa altezza del mio. «E non montarti, non cambierà mai niente.» E formando una specie di cerchio con l’indice e il pollice della sua mano destra avvicina la mano alla mia fronte. Evidentemente il troppo fumo delle sue amate sigarette, oltre che ad ammazzargli i polmoni, gli aveva anche bruciato gli ultimi neuroni rimasti dentro al cervellino da giocatore di basket che si ritrovava perché scambiò la mia testa per una pallina di carta, colpendomi con l’indice prima di rimettersi dritto ridendo, per poi uscire dalla biblioteca senza nemmeno un misero saluto.
Sorrisi a mia volta, massaggiandomi piano la fronte.
Ora si che riconoscevo il nostro rapporto, esattamente identico a com’era stato fino ad allora, com’era giusto che fosse.
Iniziai a scuotere leggermente la testa pensando che, affrontare con Adrian l’argomento delicato non era stato poi tanto male come avevo immaginato; sicuramente meglio che ignorare il tutto facendo finta che niente fosse successo.
L’ultimo pensiero che aleggiò nella mia mente prima di uscire anch’io da quel luogo fu sperare che davvero le cose sarebbero tornate esattamente a com’erano prima.



Buona sera a tutti!
Chiedo ancora perdono per il ritardo, ma davvero non ho un attimo di tempo, tanto che alla fine non sono riuscita più a scrivere il capitolo come avevo in programma.
Nonostante questo, mi è venuta in mente un'altra storia da scrivere, ma che non inizierò prima di arrivare almeno a metà di "You and Me? Never." perché non voglio metterla da parte più di quanto non stia già facendo.

Oggi non mi prolungo a dire molto, ringrazio solo come al solito le sette persone che hanno inserito la storia tra i preferiti, le sei che l'hanno messa tra quelle da ricordare, e le trentatre che l'hanno inserita tra i preferiti. Grazie! <3
E mi raccomando, lasciate qualche recensione, voglio sapere cosa ne pensate!
Ali_Nott


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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***


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Capitolo VIII  

  Freddo pomeriggio di ottobre.
Proprio quando aveva varcato la soglia di ingresso del corridoio che avrebbe condotto agli spogliatoi, fuori aveva smesso di piovere.
Per la fretta di uscire di casa ed evitare di arrivare in ritardo avevo completamente dimenticato di infilare un ombrello piccolo nel borsone, nonostante il cielo già non promettesse nulla di buono. Per l’appunto, infatti, solo cinque minuti dopo aveva iniziato a diluviare, letteralmente. Inutile dire che ero bagnata fradicia dalla testa ai piedi.
Mi ero precipitata verso l’ormai famigliare spogliatoio femminile, spogliandomi velocemente dagli indumenti zuppi, tenendo solo il costume intero che, come sempre, avevo messo a casa, per infilare un paio di calzoncini bianchi di cotone e una canotta nera.
Al contrario della temperatura esterna, dire che dentro la piscina si schiattava di caldo era un eufemismo.
Con quell’enorme sbalzo di temperatura, sicuramente, qualcuno sarebbe finito con il prendersi un bel raffreddore.
Guardavo costantemente il grande orologio attaccato a una delle quattro pareti gialle della piscina, irritata dal ritardo che il coach stava facendo. Ora capisco quanto fosse fastidioso.
Dieci minuti dopo la piscina aveva iniziato a riempirsi di ragazzi; chi già pronto per entrare in acqua, chi ancora doveva riscaldarsi e chi, invece, se ne stava seduto sul bordo a giocherellale con gli occhialini.
Chiunque altra ragazza avrebbe pagato per stare al posto mio per mettersi a sbavare nel vedere tutti quei ragazzi con solo costume addosso, mentre io, invece, avrei pagato per potermene tornare a casa, ormai quasi indifferente a tutti quei petti scolpiti ben visibili a chiunque.
Un improvviso rumore proveniente dall’ingresso fece sobbalzare quasi tutti i ventitre ragazzi, distogliendo anche la mia attenzione da un foglio bianco che inspiegabilmente avevo trovato interessantissimo per tutto quel tempo.
Quando – finalmente – il coach si degnò di regalarci la sua presenza, il silenzio piombò tutt’intorno, mentre lui si avvicinava alla sottoscritta urlando un «Scusatemi tutti per il ritardo.» prima di poggiare una cartellina sul tavolino in plastica su cui ero poggiata.
«Allora Moran, mi dica tutto.»
Lo guardai stralunata, non capendo cosa avrei dovuto dirgli, ma sentendomi anche un’idiota a chiedere spiegazioni a quell’uomo alto e dall’aria così giovane, così dissi le uniche cose che in quel momento mi vennero in mente. «Uhm… Sono tutti arrivati, possiamo iniziare anche subito»
Lui, senza degnarmi nemmeno di una risposta, afferrò la cartellina che poco prima aveva poggiato, portandosi poi il fischietto legato al collo alle labbra e attirando l’attenzione di tutti. Si mise a fare l’appello in un minuto, per accettarsi davvero che tutti fossero presenti come io gli avevo detto, prima di tornare al mio fianco.
«Illuminami Moran, non alleno una squadra di nuoto da almeno dieci anni e vorrei trovare un modo per fare il tutto il più velocemente possibile.»
Che cosa? Ma era uscito pazzo? Se non ne aveva voglia perché mai aveva accettato di addossarsi anche la squadra di nuoto oltre che quella di basket?
Dovetti serrare le labbra prima che la mia lingua biforcuta mi mettesse nuovamente nei guai dando voce ai miei pensieri.
«Il primo anno il coach ne faceva gareggiare tre alla volta, chi vinceva passava al turno successivo, l’anno scorso invece ci ha messi alla prova uno a uno in tutti e quattro gli stili, con un totale di quattro vasche complete a testa mentre lui cronometrava e prendeva appunti e i dieci che avevano la media di tempo più bassa furono presi in squadra.» Mi tenni per me il pensiero che, a mio parere, in questo modo ci avremmo messo più tempo, anche se sapevo che anche il nuovo coach ci sarebbe arrivato facilmente.
Se ne restò in silenzio un paio di minuti buoni, valutando quale delle due sarebbe stata la soluzione migliore, mentre tutti se ne stavano in attesa per sapere cosa fare.
«Perfetto. Moran, i primi undici verranno con te nella corsia sette, tutti gli altri con me nella corsia due, useremo lo stesso metodo utilizzato l’anno scorso visto che, da quello che so, era uscita un’ottima squadra.» Senza aggiungere altro mi  porse un cronometro e si diresse con il suo gruppo verso la corsia due.
Io, che me ne restavo ancora imbambolata, mi decisi a raggiungere il mio gruppo solo dopo qualche minuto, mentre il primo della lista già era in posizione, pronto a partire.
Fischio, avvio cronometro, stop cronometro, appuntare accanto al nome il tempo impiegato.
Il ritmo era sempre lo stesso e andava avanti ormai da più di mezz’ora, mentre io iniziavo ad annoiarmi.
Proprio in quel momento, un nome in particolare mi mise sull’attenti: Adrian Carter.
Avevo completamente dimenticato che ci sarebbe stato anche lui ai provini e, il non averlo nemmeno visto di sfuggita, non aveva aiutato la mia memoria.
Iniziai a guardarmi in giro, in cerca del suo viso famigliare, quando incrociai il suo sguardo in acqua, in attesa che io gli dessi l’ok per partire.
Bene Carter, vediamo quanto sei bravo.
Per la decima volta, soffiai forte nel fischietto, facendo partire il cronometro nello stesso istante in cui lui era partito mentre, una parte di me, sperava ancora che non entrasse in squadra.
A mio malgrado, però, dovevo ammettere che i suoi tempi non erano niente male, e già avevo iniziato ad arrendermi all’idea di dovermelo trovare intorno molto più spesso del solito.
Un quarto d’ora dopo, finalmente avevamo finito tutto, e, mentre io ero intenta a rimettere a posto i vari fogli sul tavolino, i ragazzi – coach compreso - iniziavano a disperdersi e andarsene verso lo spogliatoio.
Quando credevo di essere ormai sola, dovetti ricredermi perché Carter se ne stava poggiato a un trampolino con le braccia incrociate al petto e cuffia nera e occhialini in una mano, i capelli leggermente bagnati ancora più scuri di quanto lo fossero normalmente, mentre mi guardava sogghignando.
Non ne conoscevo nemmeno io il motivo, ma in quel momento mi avvicinai nella sua direzione, fermandomi a pochi passi da lui.
«Ammettilo Moran, sono stato bravo.»
In tutta risposta, mi limitai ad alzare gli occhi al cielo come al solito, lasciandolo bollire nella sua autoconvinzione.
«Facciamo una gara.»
A quelle parole alzai un sopraciglio, sorpresa da quella sua improvvisa proposta ma anche interessata ad accettarla. Lui, però, non mi diede nemmeno il tempo di ribattere, che riprese a parlare. «Solo una vasca completa e se vinco dovrai ammettere che sono stato bravo, anche più di te. Se vinci tu… Scegli tu cosa avere in cambio. Accetti o hai paura?»
Un lampo di eccitazione invase tutto il mi corpo mentre un sorriso iniziò a prendere posto sul mio volto. «Stile libero?» E, quando lui annuì, il mio sorriso si fece ancora più grande, mentre, invece, lui cercava invano di nasconderne uno. «Preparati a perdere.» e, detto ciò, mi precipitai dentro lo spogliatoio femminile.
 
***
 
Se non fosse stato per il suo “avvertimento” di poco prima avrei davvero creduto se ne sarebbe andata quando aveva iniziato ad incamminarsi verso lo spogliatoio.
Due minuti dopo era già di ritorno. In così poco tempo si era liberata dei calzoncini e della canotta,  aveva legato i capelli alla meglio ed era tornata in piscina con in mano la sua cuffia blu e gli occhialini.
Continuò a sorridere come una bambina a cui sono state regalate delle caramelle, mentre io mi limitai a rimettermi la cuffia e avvicinarmi al trampolino prima di salirci e aspettare che anche lei facesse la stessa cosa.
Sciolse appena braccia e gambe, e, senza perdere altro tempo a scaldare i muscoli, mise anch’essa cuffia e occhialini per poi salire sul trampolino.
Mi ero soffermato ad osservarla: il bel sorriso che fino a poco prima aveva stampato in faccia era finito chissà dove, mentre i lineamenti del viso iniziavano a farsi sempre più seri. A quell’improvviso cambiamento non potetti che sorridere per l’eccessiva serietà con cui lei aveva preso la mia sfida.
«Andata e ritorno.» Ci abbassammo all’uniscono, afferrando con le dita la punta del trampolino. «Tre, due, uno… vai.» E, insieme, ci tuffammo in acqua.
Ignorando i brividi che percossero tutto il mio corpo per la differenza di temperatura esterna da quella in acqua avevo iniziato a muovere braccia e gambe in sincronia, senza mai fermarmi.
Dopo quelli che sembravano ore, ma che in realtà dovevano essere nemmeno una trentina di secondi, toccai per la seconda volta il bordo vasca, ritrovandomi a un metro e mezzo di distanza un’Alinee tutta sorridente.
Non ero così idiota e presuntuoso da credere davvero che avrei vinto con lei – a meno che non fosse stata lei a volerlo – l’avevo fatto semplicemente per farla smettere di continuare a dire che non mi voleva in squadra, timorosa – ne ero sicurissimo – che avessi davvero potuto batterla.
Poggiai un braccio sul bordo, mentre lei, con una spinta, ci si era direttamente seduta sopra, togliendosi poi cuffia e occhialini. La osservai sciogliersi i capelli che le ricaddero su una spalla leggermente scompigliati. E, alla fine, mi ritrovai a fissarla senza riuscire a distogliere lo sguardo, quasi ipnotizzato dal contrasto delle goccioline che le ricadevano lungo tutto il corpo e la chioma quasi completamente asciutta grazie alla cuffia.
Improvvisamente, la vidi alzarsi, prima di rivolgersi a me con sguardo interrogativo.  «Beh? Hai intenzione di restartene lì tutto il giorno o esci?»
A quelle parole, come mi fossi svegliato, uscii anch’io dalla vasca, avvicinandomi poi a lei. «Brava Moran, ora la smetterai di dire che non devo “invadere il tuo mondo”?» E alzai le mani, mimando con le dita le virgolette, ripetendo le parole che, tempo prima, lei mi aveva letteralmente urlato contro.
La vidi annuire, in imbarazzo, poi, dopo avermi salutato con un misero “ciao” mi diede le spalle, dirigendosi verso il suo spogliatoio. Una volta sparita dalla mia visuale, anch’io mi diressi verso lo spogliatoio maschile.
Dieci minuti dopo ero già nel corridoio che avrebbe portato all’uscita, quando vidi sulla soglia del portone, intenta ad osservare fuori. Mi avvicinai a lei, osservando che fuori aveva ripreso a piovere, le chiesi la cosa più ovvia di questo mondo. «Ce l’hai un ombrello?» Quando sentì la mia voce sobbalzò, non essendosi nemmeno resa conto della mia presenza alle sue spalle. Il fatto che non rispondesse alla mia domanda, già pronta a lanciarmi chissà quale maledizione per averla spaventata, mi fece capire che no, non aveva un ombrello.
«Ti accompagno a casa io, andiamo, non ti sopporto così tanto da farti uscire sotto la pioggia facendoti venire la febbre.» Estrassi dal borsone un piccolo ombrello verde, uscii e aprii quest’ultimo, tenendolo poi nella mano sinistra, mentre cingevo le spalle di Alinee con il braccio destro, spingendola contro il mio fianco per evitare di bagnare entrambi il meno possibile. 
Ci precipitammo verso la mia macchina e, più velocemente possibile, ci catapultammo dentro, sia per evitare di bagnarci che per mettere finalmente fine a quella vicinanza dei nostri corpi.
Come l’ultima volta, il viaggio fu silenzioso e imbarazzante, e nessuno dei due sembrava intenzionato a cambiare quella situazione tanto che, quando mi accostai davanti al vialetto di casa sua, ancora non avevamo spiccicato nemmeno mezza parola.
 «Ti sto ringraziando sempre più spesso, il che è davvero strano, quindi mi limiterò a un “ci vediamo a scuola Carter”» Mi rivolse un rapido sorriso prima di scendere dall’auto e correre spedita verso casa sua. Io rimasi a guardarla finché non sparisse dalla mia visuale, prima di andarmene riflettendo su quanto fosse stata vera la sua frase.
Forse stavo esagerando con le pippe mentali, ma ormai mi sembrava davvero che qualcosa fosse cambiato con Alinee e, nonostante cercassimo di far tornare tutto come prima, non avevamo ancora ottenuto nessun risultato sperato…


Mamma mia, è passato un mese esatto dall'ultimo aggiornamento, chiedo scusa!
E dopo un mese ancora non sono riuscita ad andare avanti con la storia... vedo se riesco a concludere qualcosa ora, ma non assicuro niente.
Comunque, vi avviso che ho pensato di concludere la storia in una ventina di capitoli, quindi non siamo nemmeno a metà, ergo, ce ne saranno ancora delle belle!
Okay, spero apprezziate anche questo capitolo, fatemi sapere!

E, come sempre, ringrazio le quarantuno persone che seguono la storia, le otto che l'hanno inserita tra quelle da ricordare e le sette che l'hanno invece inserita tra i preferiti, per me è già un grande traguardo!

  

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***


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Capitolo IX  

Scarabocchiavo distrattamente il quaderno di matematica, svolgere l’esercizio datoci dal  professor Milton era troppo noioso, tanto figuriamoci se l’avrebbe chiesto proprio a me su ventiquattro persone.
Tenevo ancora il cellulare ben nascosto nell’astuccio; avevo passato la giornata a scambiare messaggi con po’ con Melanie e un po’ con Matt, con Kaila accanto che tentava spesso e volentieri di lanciare qualche occhiata allo schermo del display illuminato.
Intendiamoci, non che non volessi raccontarle i fatti miei, ma cavolo, stava davvero iniziando a darmi sui nervi.
«Hai intenzione di raccontarmi cosa vi dite tu e Matt o no?» Dritta al punto. Beh, almeno si era decisa a chiedere piuttosto che continuare a sbirciare.
«Shh, sta zitta o quello mi scopre! Comunque solo cavolate, non preoccuparti.» E le impedii di aggiungere altro, perché la mia attenzione fu nuovamente richiamata dal cellulare che aveva ripreso ad illuminarsi annunciando l’arrivo di un altro messaggio.
Lo sospettavo. Immagina se invece davvero ora chiede l’esercizio a te, saresti fregata.
Alzai gli occhi al cielo, prima di cercare di scrivere un messaggio di risposta senza farmi beccare.
Matt! Ma che cavolo fai? Non me la starai mica buttando?! Potrei fartela pagare a mensa. A dopo!
Velocemente, presi il telefono e me lo misi in tasca, per poi prendere il quaderno di Kaila e avvicinarlo verso di me, in modo da riuscire a vedere meglio.  «Fammi copiare va.»
Lei, a differenza delle altre volte, non oppose la minima resistenza, cosa che però mi guardai bene dal farle notare, prima che cambiasse idea.
Avevo iniziato a scrivere velocemente, fregandomene se avessi copiato male – tanto bastava far vedere che avevo provato a fare l’esercizio, no? – quando la domanda della mia compagna mi lasciò pietrificata. «Ho sentito che alla fine Adrian ce l’abbia fatta ad entrare in squadra.» A quel nome la mia attenzione nei suoi confronti era totale. Alzai lo sguardo su di lei che, però, cercava di evitarlo fissando il professore.
Da quando Kaila chiamava Carter per nome? O meglio, da quando Kaila si interessava a Carter? E soprattutto, perché mi dava fastidio il fatto che lo facesse?
«Vuoi dire Carter?»
«Si, voglio dire proprio lui, Adrian.» Ancora per nome. Un’altra volta e l’avrei sicuramente presa per il collo come una gallina.
Smettila di fare la bambina Alinee, non ha fatto né detto niente di che!
Per la centesima volta mi chiesi il motivo per il quale il mio stesso cervello ce l’avesse con me… Perché mi deve sempre dare contro!?
Da allora avevo completamente ignorato Kaila e l’argomento Carter, iniziando a contare i secondi che ancora separavano l’ultima ora di matematica da quella di pranzo.
Quando finalmente la campanella suonò, aspettai che il professore fosse uscito dall’aula prima di mettere tutti i libri nella tracolla e riprendere il cellulare dove, tra l’altro, trovai anche un messaggio di Matt e uno di Melanie, entrambi dicevano “Ci vediamo a mensa”.
Senza indugiare oltre, uscii fuori dalla classe diretta verso la mensa prima che tutti i tavoli venissero occupati.
Appena entrata, posai lo sguardo sul tavolo che io e Melanie occupavamo sempre, trovandolo però vuoto. Non feci nemmeno in tempo a fare un altro passo che vidi la sua famigliare chioma di capelli biondi al tavolo di… Adrian Carter?! Cos’era, uno scherzo per caso?
Giusto il tempo di prendere un enorme respiro di coraggio prima di incamminarmi nella loro direzione.
Quando arrivai al tavolo, Melanie, Lucas, Peter, Alexander, Matt e Carter alzarono lo sguardo verso di me, cinque dei quali sorridendo – inutile dire chi invece non lo fece.
Matt afferrò una sedia da un tavolo vicino al loro, prima di farmi spazio e invitarmi a sedermi con loro mentre io, invece, avrei solo voluto prendere la mia amica per le orecchie e portarmela via al nostro tavolo. Quest’ultima però, sembrava avesse già pianificato il fatto che avrei mangiato lì con lei, e me ne resi conto quando spinse nella mia direzione un vassoio con solo un piatto di patatine fritte e una bottiglietta d’acqua dentro. Le rivolsi semplicemente un sorriso per educazione, cercando di ignorare il numero di volte che la mia amica mi aveva fatta innervosire di questi ultimi tempi.
«Allora, il prof ti ha beccata?»
La voce di Matt giunge alle mie orecchie troppo vicina, tanto che fino a quel momento non mi ero nemmeno resa conto del suo braccio poggiato sullo schienale della mia sedia. Mi voltai verso di lui, allontanandomi leggermente in dietro per poterlo vedere meglio in viso. «Fortunatamente no, altrimenti si che sarebbero stati cavoli miei» Gli sorrisi appena, prima di tornare con lo sguardo alle miei patatine, rinchiusa nella mia bolla isolata dagli altri. Avevo iniziato a mangiarne qualcuna, quando la voce di Adrian mi riportò alla realtà. «Certo che oggi sei rimbambita più del solito eh.»
Lo guardai con quello che, sicuramente, sarebbe sembrato un enorme punto interrogativo stampato in faccia.
«Moran, ho mangiato metà delle tue patatine proprio sotto il tuo naso e non te ne sei nemmeno resa conto!»
Spostai un paio di volte lo sguardo dal suo viso alle mie patatine – che ormai erano rimaste solo in tre – prima di svegliarmi completamente dal mio coma interiore e scagliarmi contro di lui. «Tu! Brutto ladruncolo dei miei stivali, ma dove hai il cervello? Quelle erano le mie patatine, se le volevi potevi andartele a prendere!»
«Moran, quanto sei suscettibile. Domani ti offro delle patatine, così siamo pari.»
Non feci nemmeno in tempo a ribattere che non avevo alcuna intenzione di accettare delle patatine da lui perché potevano essere tranquillamente avvelenate, che una Kaila intimidita si avvicinò al nostro tavolo. «Alinee, sto tornando in classe... Vuoi venire con me o preferisci stare ancora qui?»
Fermi tutti.
Da quando Kaila si preoccupava di sapere se volessi fare qualcosa o no?
La risposta alla mia muta domanda arrivò due secondi dopo, quando vidi Kaila spostare lo sguardo da me a Carter, mentre aveva iniziato a guardarlo come se volesse spogliarselo con gli occhi.
Anche Adrian se ne rese conto, e approfittò del mio silenzio per parlare mentre sorrideva beffardo. «Alinuccia, non ci presenti la tua amica?»
Mandare letteralmente a quel paese quell’idiota o ignorare la sua frecciatina e presentare Kaila a tutti?
Alla fine, la buona educazione prese la meglio, mentre io presentavo il più velocemente possibile Kaila a tutti quelli del tavolo, notando con un certo fastidio che lei non riusciva a togliere gli occhi di dosso da Carter.
Un altro po’ e se lo sarebbe scopato qui davanti a tutti! Che cavolo, si era svegliata tutto di colpo? Fino a due giorni fa non aveva nemmeno mai accennato il cognome di Adrian – ascoltando anche annoiata io che le raccontavo i miei battibecchi con lui – e ora faceva chiaramente capire di esserne interessata? Almeno fallo quando io non ci sono!
Anzi, aspetta, perché avrebbe dovuto farlo quando io non ci sarei stata? A me non interessava Adrian, non era il mio ragazzo e per quanto mi riguardava poteva stare con tutte le ragazze che voleva, era la sua vita e io avevo la mia, fine della storia.
Si, certo.
Se davvero fosse stato così non mi sarei alzata di scatto, attirando con la forza l’attenzione di Kaila e andarmene da lì il prima possibile e, non per l’imbarazzo, ma per evitare che sbavasse un solo altro secondo su Carter.
 
Il resto delle ore scolastiche le avevo passate ad ignorare Kaila il più possibile, mentre il pensiero di lei e Carter intenti a slinguazzarsi per bene mi faceva rabbrividire.
Io e Melanie avevamo finalmente trovato un momento per starcene da sole noi due, senza che qualche allocco le gironzolasse perennemente intorno.
Stavamo tornando a casa a piedi, avvolte in uno strano silenzio. La verità è che non avevo nessuna voglia di parlare con nessuno di niente, ma se davvero avevo pensato anche solo per un secondo che lei non mi avrebbe fatto domande, mi sbagliavo di grosso.
Arrivate davanti al vialetto di casa mia, infatti, invece che salutarci Melanie partì in quarta con il suo pseudo interrogatorio. «Allora, tu non ti muovi da qui finché non mi dici che cavolo ti prende. E non dire niente, perché ti ho vista oggi in mensa trucidare quella tua compagna quando si è avvicinata, quindi spara, voglio sapere tutto, cos’è successo?»
Sospirai, arresa all’idea di potermene stare un po’ sola e in santa pace in camera mia. Ormai conoscevo Melanie, e sapevo che davvero non mi avrebbe fatta andare via finché non le avessi raccontato tutto. «Quella ragazza, Kaila, sembra trovare da un giorno all’altro Carter… interessante, capito?»
Melanie annuì, ma non proferì parola, come se fosse in attesa di ricevere altre spiegazioni dalla sottoscritta. Io, però, non sapevo cos’altro aggiungere, così mi limitai semplicemente a lanciarle un’occhiata incoraggiante, spronandola a dire qualcosa, qualunque cosa.
«E scusa, quale sarebbe il problema?»
Ecco, come non detto. Ok, forse non proprio qualunque cosa; questa, ad esempio, l’avrei classificata come una di quelle cose da non dire in quel momento.
Aprii e richiusi la bocca per ben tre volte, non riuscendo però a trovare niente che non mi facesse passare per un’idiota.
«Ali, so che ti arrabbierai, ma devo dirlo. Fino a un mese fa sospettavo che tu e Adrian sareste finiti col provare dei sentimenti uno per l’altra, ora invece ne sono sicura. Tu oggi avresti ammazzato quella ragazza che lo stava semplicemente guardando, mentre lui invece, poco prima, ha fulminato con lo sguardo te e Matt, quando vi siete seduti vicini. Il problema è che siete talmente idioti e cocciuti a non voler che il vostro rapporto cambi da voler nascondere tutto con la forza. Altro problema, ti conosco troppo bene, e con me non attacca, signorina.»
E, in quel momento, non sapevo se avrei avuto più voglia di buttare la mia amica in mezzo alla strada e farla investire da una macchina, o saltarle al collo e abbracciarla per ciò che, in cuor mio – ma che ancora non ero pronta ad ammettere - , sapevo anch’io.
Alla fine, optai per una via di mezzo, comportandomi come se, in realtà, Melanie non avesse detto  nemmeno una parola. «Devo andare Mel, James mi starà già aspettando a casa. Ti chiamo stasera.» E, senza aggiungere altro, mi ero diretta spedita verso casa mia.
 
 
«Ali, lo vuoi l’ultimo goccio di succo all’ananas rimasto?» L’urlo di James arrivò forte a chiaro dalla cucina fino alla mia stanza, distraendomi dagli innumerevoli compiti di matematica che ormai cercavo invano di fare da quasi due ore.
Una pausa, forse, avrebbe fatto bene.
Scesi al piano di sotto ed entrai in cucina, trovando James intento  a prendere un bicchiere.
«Si, grazie.» Probabilmente non si era nemmeno reso conto della mia presenza, perché sussultò appena udendo la mia voce, prima di prendere un bicchiere e avvicinarsi a me che, intanto, mi ero messa a sedere sul piano della penisola.
Lui, senza dire niente, versò il succo rimasto nel bicchiere e me lo porse.
Ce ne stavamo entrambi in silenzio, io intenta a bere il mio succo, lui a cercare in frigo qualcos’altro da prendere per sé.
In quel momento, mi resi conto che era passato tantissimo tempo dall’ultima chiacchierata che io e mio fratello avevamo avuto. Ero abituata a raccontargli tutto ciò che mi succedeva, e lui faceva la stessa cosa con me. Era bravo ad ascoltarmi, e delle volte dava anche degli ottimi consigli, quindi, perché non accennargli anche ciò che è successo oggi?
«James, ti è mai capitato di essere… geloso… di qualcuno di cui invece… non so… non dovrebbe importarti niente?» Non avrei mai fatto il nome di Carter per quanto ero imbarazzata, e anche perché, in realtà, il diretto interessato e mio fratello si conoscevano, frequentando la stessa scuola.
Lui, invece che rispondere alla mia domanda, mi guardò per un attimo perplesso. «Perché non dovrebbe importarmi niente di qualcuno?»
Che palle… non potevo ricevere in risposta semplicemente un si o un no?
«Io e lu-… Quest’altra persona, non siamo mai stati come dire… amici, anzi… capito?» Complimenti per l’astuzia Alinee, davvero. Hai praticamente detto con un megafono di chi stessi parlando.
Fatto sta che, se anche lui avesse capito il soggetto in questione, non lo nominò. «Alinee, devi ficcarti in quella testa che le cose possono cambiare, non deve restare per forza sempre tutto uguale. Se una persona inizia ad interessarti, ben venga, sarebbe anche normale alla tua età! Non farti tutti questi problemi.»
Eccone un altro.
Come non detto, avrei dovuto starmene zitta e tenere le mie cose per me almeno per una volta.
Finii il succo il più velocemente possibile, prima di scendere dal ripiano e tornarmene in camera mia a studiare.  Anche l’idea della pausa, a quanto pare, era stata pessima.



Salve gente... vi avviso che, dopo non so quanto tempo, sono finalmente riuscita ad andare un po' avanti con la storia (anche se non sono soddisfatta di ciò che è il risultato), ecco perché ho pubblicato il nono capitolo "con un po' di anticipo"
Mi farebbe davvero tanto piacere leggere qualche recensione in più, magari con qualche vostro consiglio, non so; vorrei sapere cosa ne pensate!
PS. So che ora come ora non ci sono state scene molto 'spinte', ma avverranno in futuro, quindi non modificherò il ratings della storia.
Un immenso grazie va alle otto persone che hanno inserito la storia tra le preferite, le otto che l'hanno messa tra quelle da ricordare e le quarantasei che invece l'hanno inserita tra le seguite!

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***


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Capitolo X

 
“Tum. Tum-tum. Tum. Tum-tum.”
Una delle cose più spettacolari del basket era proprio il ritmo che veniva a crearsi.
La squadra diventava un unico elemento, anzi, no! I dieci giocatori diventavano dieci diversi satelliti che giravano intorno ad un unico pianeta: la palla arancione.
Stava al capitano della squadra raggruppare cinque di quelle lune e creare un’unica armonia.
E io, in tutta modestia, riuscivo perfettamente nel mio compito di “raggruppatore”, o meglio… ci riuscivo prima di entrare a far parte della squadra di nuoto.
Quando avevo accettato quella specie di sfida personale – che, ripensandoci, in effetti, era iniziata solo per dar fastidio alla Moran – di certo non ero a conoscenza della diminuzione improvvisa di tempo libero.
Dovevo ringraziare mia madre per l’intelligenza ereditata, altrimenti avrei potuto benissimo dire addio alla borsa di studio per la pallacanestro.
Quel fantastico, magico e meraviglioso sport che volevo intraprendere anche dopo il diploma.
E io lo sapevo bene ormai: l’unico modo per rilassarmi ed allontanare tutto lo stress era proprio quello di fare due tiri, anche da solo.
Ecco cosa stavo facendo nel campetto da basket della scuola: stavo allontanando tutti i miei problemi, ascoltando il ritmo creato da me stesso, a discapito degli allenamenti di nuoto che dovevano iniziare… cinque minuti prima.
Oh, al diavolo, ma chi se ne importa! Non sarebbe di certo morto nessuno se ne avessi saltato uno, d’altronde, avrei sempre potuto dire di non essermi sentito bene.
Mi piazzai a circa tre metri dal canestro, bloccando la palla con entrambe le mani, portandola poi poco più sopra della testa. Chiusi anche gli occhi, come per concentrarmi meglio, prima di piegare appena le ginocchia e tirare il pallone.
Li riaprii giusto in tempo per vedere la palla colpire il tabellone (?), prima di scivolare poi con un colpo secco tra la rete del canestro.
Sorrisi soddisfatto di me stesso, andando poi a recuperare la palla, già pronto a dedicarmi ad un altro perfetto tiro, quando una voce femminile mi prese alla sprovvista.
Non era quella della Moran, che spesso e volentieri – specialmente i primi tempi in cui “parlavamo” – entrava in palestra proprio durante i miei allenamenti.
«Complimenti, sei davvero bravo!»
Mi voltai nella direzione da cui proveniva quel suono, ritrovandomi a pochi metri di distanza una ragazza dai capelli scuri e mossi, lunghi poco oltre la spalla, con gli occhi del medesimo colore, minuta.
Non ricordavo di averci mai parlato prima… eppure aveva un viso famigliare.
In un baleno mi tornò alla mente il momento il cui, qualche giorno prima più o meno, avevo pranzato con Alinee e la sua amica, e di quando, poco dopo, una sua compagna si era avvicinata al tavolo. Aspetta, come aveva detto di chiamarsi? Kiara… Klara? Ah no, ecco, Kaila.
Sorrisi beffardo, ricordandomi anche come mi avesse guardato per tutto il tempo, non credendo che comunque poi mi si sarebbe presentata davanti da un momento all’altro.
«Me lo dicono in molti.»
«Insegnami.»
La osservai con tanto d’occhi, alzando appena un sopraciglio, colto alla sprovvista per quella improvvisa richiesta, spostando il pallone che ancora tenevo in mano, sotto il braccio, poggiandolo contro un fianco.
«Magari un’altra volta, Koala» Koala? Ma come mi era venuto in mente? Nemmeno due secondi e già avevo iniziato a prendere confidenza con lei? C’era qualcosa che decisamente non quadrava.
In realtà, forse, era il fatto che fin dal primo momento mi era sembrata timida, quasi indifesa. Era diversa dalla Moran, completamente diversa – sia nei modi di fare che fisicamente - , ma dovevo ammettere che in un certo senso mi incuriosiva la ragazzina minuta qui davanti.
Nello stesso modo in cui ti “incuriosisce” la Moran?
Pff… io non sono incuriosito dalla Moran, con lei è diverso. Che poi, che c’entrerebbe ora la Moran?
Mi diedi mentalmente uno schiaffo in pieno volto, convinto che in quel modo sarei riuscito a far cambiare la traiettoria dei miei pensieri, concentrandomi sulla ragazza qui di fronte, e la cosa parve anche funzionare.
«Uhm… anche se, in effetti, non avendo niente di meglio da fare, potrei anche insegnarti qualcosa» Presi nuovamente la palla con entrambe le mani, lanciandola poi rapidamente alla ragazza, che prontamente la prese al volo, evitando magari di ritrovarsi con la faccia spiaccicata.
Alzai un sopraciglio, ancor più sorpreso, mentre lei mi sorrideva poco, cercando di nascondere un’aria palesemente soddisfatta di sé stessa.
Da quel momento in poi, il tempo passò velocemente, tanto che non mi resi nemmeno conto delle ore che avevamo passato lì dentro, mentre il pensiero degli allenamenti di nuoto era solo ormai un lontano ricordo.
Una cosa era certa: quello era un giorno “strano”, perché mai nessuno aveva visto Adrian Carter insegnare a una ragazza a giocare a basket.
 
***
 
Saranno state più o meno le sette quando finalmente riuscii a liberarmi dalla piscina per tornare finalmente a casa.
Ovviamente, c’erano già state tre o quattro persone che avevano deciso di non presentarsi agli allenamenti, e tra questi c’era anche Adrian Carter, che evidentemente si credeva troppo superiore da degnarsi di presentarsi, preferendo di gran lunga spassarsela con una delle puttanelle di turno, sosia di qualche attrice Hollywoodiana. Che poi, intendiamoci, non che la mia fosse gelosia, ma lui doveva venire agli allenamenti come facevano tutti, punto e basta.
Ah ma se credeva che se la sarebbe cavata con niente, Mr-faccio-come-mi-pare si stava sbagliando di grosso. Ti faccio vedere io poi se ti passa la voglia di saltare ancora gli allenamenti!
E stavo ancora camminando tra i corridoi della scuola, diretta verso il parcheggio sul retro, quando, passando verso la porta della palestra, l’inconfondibile rumore di una palla che rimbalzava sul pavimento non attirò la mia attenzione. Mi sporsi appena oltre la soglia, quanto bastava per intravedere chi fosse ancora in palestra nonostante l’orario, e quasi non mi ritrovai con la mascella a terra nel vedere chi si trovava in palestra in quel momento e cosa stavano facendo.
Adrian stava dietro la mia compagna Kaila, poco distanti da uno dei due canestri, mentre la circondava con le sue braccia per farle vedere come tirare e fare centro.
In quel momento, a fatica riuscivo a capire l’ondata di domande che aleggiavano nella mia mente, seguiti da insulti che non sapevo se dedicare prima a lui e poi a lei o viceversa.
Da quanto quei due si conoscevano così bene da stare così vicini? Perché la sottoscritta non ne sapeva niente? Davvero quell’idiota preferiva provarci con la nana piuttosto che venire agli allenamenti?
Oh, ma al diavolo! Sai che cavolo me ne importa a me!
Uhm uhm… certo.
Mi richiusi rapidamente la porta alle spalle, cercando di fare meno rumore possibile per non attirare l’attenzione, mentre prendevo un’enorme boccata d’aria, come se potesse aiutarmi a stare più tranquilla.
Mi sistemai il borsone sulla spalla, mettendolo poi a tracolla così da non dovermi più preoccupare di raccoglierlo ogni tre passi che avrei fatto.
Uscita dall’edificio scolastico una grande folata di vento freddo mi colpì in pieno volto, mentre mi dirigevo poi verso il parcheggio quasi completamente deserto.
Cercai di arrivare a casa il prima possibile, evitando di pensare a qualunque cosa, se non al continuo vento che mi sbatteva contro senza sosta.
Varcata la soglia mi richiusi rapidamente la porta alle spalle, non facendo nemmeno caso che, prima  del mio arrivo, la casa era completamente deserta. Salii poi rapidamente le scale, buttando il borsone accanto alla scrivania della mia stanza prima di sedermi sul letto morbido, decisa a riordinare tutti i miei pensieri e fare chiarezza nel mio cervello, iniziando a rigirarmi tra le mani un elastico nero per i capelli malandato.
Okay, punto primo, basta girarci troppo intorno o dire il contrario: per qualche strano, assurdo e inspiegabile motivo che mai avrò l’onore di conoscere, in poco tempo il rapporto con Adrian è cambiato e sì,  sto iniziando ad avere il sospetto di provare qualcosa per lui.
Punto secondo: no, per il momento non avrei detto a nessuno questa cosa, nemmeno a Melanie, che non vedeva l’ora di sentire quelle parole… già era tanto riuscire ad accettarlo!
Punto terzo: non mi ha mai dato così tanto fastidio vedere Mr-cervello-fumato con una ragazza prima d’ora. In realtà, non mi sono sentita così nemmeno quando ha urlato davanti a non so quante persone di non volermi nemmeno sfiorare.
Punto quarto: che cosa avrei dovuto fare ora?
Restai per un attimo in attesa, sperando che il grillo parlante dei miei stivali si decidesse a fare la sua comparsa da un momento all’altro, cacciando fuori una delle sue brillanti perle di saggezza, ma a quanto pare aveva deciso di starsene a dormire per parecchio tempo ancora.
Dio… se davvero stavo iniziando a fare affidamento su una voce che in realtà non esiste, stavo seriamente impazzendo!
E se invece fosse stata solo una “cotta” momentanea? Per quanto ne sapevo avrei potuto svegliarmi già domani e non provare niente oltre che indifferenza nei suoi confronti.
Che la cosa migliore fosse aspettare e vedere se qualcosa sarebbe cambiato? Forse sì.
Pazienza. Ci vuole solo pazienza Alinee.
Sì, esatto. Non avrei fatto niente se non aspettare.
E Kaila invece? Eravamo passate da un momento all’altro dall’essere compagne di banco a vita, al non parlarci nemmeno; o meglio, io non le parlavo. Ma era davvero la cosa giusta rischiare di perdere un’amicizia per Carter? Che poi… forse a lei piaceva davvero. Forse avrei dovuto far morire tutto sul nascere e assistere in disparte al rapporto che andava a crearsi tra loro.
No, era fuori discussione. Che poi, come poteva anche Kaila aver cambiato idea sul conto di Carter da un momento all’altro e interessarsi improvvisamente a lui? Chissà cosa ci aveva trovato in lui di tanto entusiasmante da un momento all’altro…
E tu invece, cosa ci trovi di tanto entusiasmante in Carter da stare sul letto a farti tutti questi problemi mentali?
Appunto… io cosa ci trovavo in Adrian di tanto entusiasmante? Se davvero mi fossi messa a fare una lista dei suoi pregi e difetti, ero sicura che gli ultimi avrebbero sicuramente prevalso sui primi, anche perché, diciamocelo, era Carter, il ragazzo più montato che mai avevo conosciuto in vita mia, con quell’aria da spaccone irritante che solo a vederlo a kilometri di distanza ti fa venir voglia di saltargli addosso e strozzarlo!
Però era anche l’unico ragazzo con cui non avevo mai perso i contatti, visto che passavamo praticamente tutti i giorni a parlare (leggi battibeccare), quindi doveva esserci sicuramente qualcosa in lui che mi impedisse di allontanarmi come invece avrei fatto con altre persone.
Forse invece non c’era nemmeno una spiegazione logica, le cose stavano così e basta.
Forse James ha ragione: le cose possono cambiare. È normale cambiare opinione su qualcuno. Forse avrei dovuto fare qualcosa e non aspettare.
Forse, il vero problema, è che c’erano troppi ‘forse’ nella mia testa e poche sicurezze.
Forse…
Improvvisamente, l’elastico che ancora tenevo in mano si era spezzato, colpendo forte la mia mano, distraendomi da quella moltitudine di pensieri senza un senso logico.
Feci per alzarmi dal letto e cercare in fretta il mio cellulare, con l’intenzione di chiamare James e raccontargli i fatti come stavano nei minimi dettagli, sicura più che mai in quel momento che lui fosse l’unica persona con cui, come al solito, sarei riuscita a parlarne tranquillamente e da cui avrei ricevuto delle risposte.
Composi il numero, leggendolo una seconda volta per essere sicura di non aver fatto errori di battitura, facendo poi partire la chiamata.
Uno, due, tre squilli. Più quel suono entrava nel mio orecchio più diventavo impaziente, chiedendomi per la prima volta da quando ero entrata in casa dove fossero tutti quanti.
Tentai una seconda e una terza volta, ma non ricevetti nessuna risposta. Che fosse un segno? Magari parlarne con il caro fratellone non era la cosa giusta, magari era arrivato il momento di iniziare a cavarsela da sola, pensare con la propria testa e non farsi aiutare da nessuno.
Sbuffai sonoramente, stanca di tutti quei soliti ‘forse’ o ‘magari’, poggiando poi il cellulare sulla scrivania, prima di uscire dalla stanza da letto e andare a fare una doccia calda lunga un’eternità, con la speranza di riuscire a trovare un po’ di pace.



Mamma mia, scusate il tremendo ritardo, è quasi un mese esatto che non aggiorno, ma questo capitolo è stato tremendo, ci ho messo più di due mesi per completarlo. Innanzitutto dico subito che la prima parte non l'ho scritta io, ma la ragazza che ha dato vita al personaggio di Adrian, che si ostina a dire di non essere capace a scrivere, mentre io continuo a ripeterle il contrario.
L'ultima parte è la stata più tremenda, alla fine non l'ho nemmeno riletto prima di pubblicarlo perché sapevo che altrimenti avrei deciso di non aggiornare, quindi non so, non sono molto soddisfatta...
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate!


E ringrazio come sempre le undici persone che hanno messo la storia tra le preferite, le otto che l'hanno messa tra quelle da ricordare e le cinquantatre che l'hanno messa tra le seguite, grazie a tutti!

PS. Qualcuno mi ha chiesto di Melanie e James, e io ho scritto una One-shot su di loro, magari prima o poi inizierò anche una ff su di loro.
Se volete leggerla andate qui:

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***


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Capitolo XI

Dire che il freddo era ormai arrivato alle porte era solo un eufemismo. Eravamo appena a metà Dicembre, eppure tutta la città sembrava essersi animata già dai primi giorni del mese, influenzata dal clima natalizio: bambini che guardavano le vetrine dei negozi di giocattoli con occhi sognanti, case addobbate con luci di ogni colore, persone che già giravano per le strade con in mano sacchetti contenenti quelli che sarebbero poi stati regali di Natale per amici e famigliari.
Forse, uno dei pochi – se non l’unico – che avrebbe passato il periodo natalizio come un semplice periodo dell’anno, ero proprio io, Adrian Carter.
Sarà l’avere tutti i parenti dall’altra parte dell’oceano, sarà l’avere una madre che passa buona parte della sua vita dedita al lavoro… sarà anche la poca voglia di comprare qualcosa per chiunque fosse anche solo un semplice conoscente, perché tanto ormai era diventata tipica usanza fare i regali a chiunque, ma lo spirito natalizio era quasi pari a zero.
Quindi, non ci si dovrebbe di certo stupire nel venire a conoscenza che, l’unica cosa che davvero apprezzavo di quel periodo, fossero solo le scuole chiuse. O meglio, quasi tutte le scuole, eccetto la mia; non saprei esattamente il motivo, ma la mia scuola aveva deciso di lasciare “aperte” le porte dell’edificio tutto il giorno, permettendo così a tutti i ragazzi di andare per continuare a praticare sport o corsi di recupero che però, inutile a dirlo, nessuno avrebbe mai seguito, nemmeno in cambio di crediti extra.
Per quanto mi riguarda, di sicuro avrei saltato volentieri i corsi, ma lo sport… beh, quella era tutta un’altra storia.
Il campo da basket era sfortunatamente già occupato da dei ragazzi del secondo anno e, di sicuro, mai mi sarei permesso di cacciarli per potermi allenare, saltare un giorno non avrebbe di certo comunque messo a rischio la carriera che tanto avrei desiderato seguire.
Questo però non doveva per forza vietarmi nemmeno di starmene seduto sulle gradinate, le gambe leggermente divaricate, con in mano una sigaretta ormai quasi finita – nonostante il regolamento lo vietasse categoricamente – che si era fumata da sola per la maggior parte del tempo, mentre io mi lasciavo inevitabilmente distrarre dalle tecniche di gioco di quei ragazzi, reprimendo ogni santissimo minuto l’istinto di alzarmi e urlare loro anche qualche banalissimo consiglio di base, come il dover flettere leggermente le ginocchia prima di tirare. Qualcosa di estremamente elementare, che però, da quanto aveva avuto l’onore di notare, non tutti sapevano.
Poi, però, la porta della palestra si aprì nello stesso identico momento in cui, senza un apparente motivo, spostavo lo sguardo sull’ingresso, lasciando che una chioma di capelli lunghi facesse capolinea nella struttura sportiva, ma non abbastanza da permettermi di intravederne il volto.
Kaila.
Dal pomeriggio trascorso proprio in questa palestra era ormai passato diverso tempo, ma da allora non ero proprio riuscito più a togliermela di dosso. Chiariamo, non che la cosa mi dispiacesse, anzi. Era comunque abbastanza carina, okay, forse non proprio il genere di ragazza su cui fantasticherei se per caso dovessi incontrarla per strada, ma a modo suo comunque carina. E divertente. Divertente lo era di sicuro.
Sì, spesso, quando passiamo il tempo insieme, ci punzecchiamo un po’ a vicenda, nonostante abbia potuto notare praticamente fin da subito il fatto che non sia una che se la prende facilmente. Da quel fatidico pomeriggio erano rari i giorni in cui non ci vedevamo, anche semplicemente per una passeggiata. Nei miei confronti era stata aperta fin da subito e, conoscendola con il passare del tempo, se prima avessi avuto anche la minima voglia di prendermi gioco di lei – e magari portarmela anche a letto – ora era del tutto svanita, forse perché mi sentiva – stranamente - particolarmente affezionato a lei, e l’idea di prenderla in giro non mi allettava più di tanto.
Buttai a terra l’ultima parte di sigaretta non ancora fumata, calpestandola con la punta della scarpa per spegnerla completamente, prima di alzarmi e scendere a grandi passi giù dalle gradinate, verso la ragazza.
Solo quando mi ritrovai ad ormai appena due metri dalla figura, notai che c’era qualcosa che decisamente non quadrava: capelli troppo lunghi per essere quelli di Kaila, gambe sottili e, soprattutto, un borsone a portata di mano.
Quando finalmente capii in chi mi ero davvero imbattuto, spalancai leggermente gli occhi, insicuro se fare finta di niente e scappare a gambe levate oppure avvicinarmi e magari stuzzicare un po’ la Moran.
Mi piazzai all’improvviso davanti a lei, le mani in tasca, bloccandole così ogni sorta di visuale, sorridendo appena nel vederla sobbalzare per la sopresa. «Ehi, Moran, quanto che non ci si vede!» Ed era vero. Tra noi ormai c’era qualcosa di strano: passavamo giorni ad evitarci come la peste, altri ad attaccarci per ogni singola stupidaggine, altri ancora a rivolgerci semplicemente un saluto. Era tutto talmente strano e “diverso” che persino Peter aveva notato qualcosa… tanto da arrivare a prendermi da parte proprio due settimane fa per chiedermi spiegazioni che io, detto francamente, non sapevo come dare. Anche perché, dal mio punto di vista, non c’era nemmeno poi molto da spiegare.
Improvvisamente avevo trovato la Moran particolarmente attraente, okay, ma basta, fine della storia, per il resto restava sempre la solita.
«Carter, sei il solito idiota, ma ciao anche a te! Ora, gentilmente, potresti spostarti? Non vedo niente così.»
«Direi che il mio bellissimo fisico, insieme a questo bel volto, sia molto meglio di niente Alinuccia.»
In tutta risposta, Alinee si limitò semplicemente ad alzare gli occhi al cielo, facendo poi dietro front pochi attimi dopo e allontanarsi, senza nemmeno degnarsi di un saluto – cosa di cui, ormai, nemmeno mi stupivo più di tanto.
Alla fine, senza sapere cosa mi stesse passando per la testa, iniziai a percorrere i suoi stessi passi, solo un po’ più velocemente per riuscire a raggiungerla, finché non l’affiancai.
«Allora Moran, come ti vanno le cose?»
«Fino a pochi minuti fa, magnificamente!» Si voltò poi per un secondo verso di me, puntandomi addosso quei suoi occhi scuri, sorridendo con finta cordialità. «E a te?»
«Oh Alinuccia, io sto benissimo anch-» Un’improvvisa folata di vento gelido mi colpì in pieno volto, costringendomi a socchiudere le palpebre mentre cercavo di stringermi ancor di più la giacca addosso.
«Sei un pappamolla» Detto ciò, la ragazza alzò una seconda volta gli occhi al cielo, stavolta sorridendo, sembrando quasi completamente a suo agio anche con quella temperatura così gelida, il cielo completamente grigio e il vento che la colpiva. Ovvio, quella ragazza era qualcosa che troppo somigliava ad una strega, quindi non c’era affatto da stupirsi nel vederla a suo agio anche in certe condizioni. Perché le streghe sono abituate al freddo, giusto? Mi resi conto della stupidità dei miei pensieri forse troppo tardi, restando completamente in silenzio alla sua provocazione, cosa che di rado succedeva.
Dio, più passavo il tempo con lei, più diventavo rincoglionito.
Mi passai così una mano sugli occhi iniziando a sentire un leggero mal di testa impadronirsi lentamente di me, facendola poi scorrere tra i capelli per cercare di sistemarli alla meglio, invano, prima di portare una mano dietro il collo di Alinee e darle una piccola botta con il palmo. «Andiamo va, qui si gela.» E, senza aggiungere altro, iniziai ad avanzare verso l’uscita del cortile scolastico.

«Come promesso, Alinuccia, non ti ho condotto in nessun posto pericoloso, né teso alcuna trappola che mi permettesse di liberarmi di te una volta per tutte. Anzi, dovresti solo ringraziarmi, a breve assaggerai la cioccolata calda più buona degli Stati Uniti.» Aprii con abbastanza calma la porta d’ingresso del bar, senza però lasciare che fosse Alinee la prima ad entrare perché insomma… non l’avevo mai fatto con lei, quindi perché mai avrei dovuto iniziare da ora?
Il leggero mal di testa era solo aumentato con i minuti e, nonostante avessi sperato che con l’ingresso in un luogo più caldo potesse migliorare, dovetti ricredermi quasi subito, perché in realtà non fece che aumentare a causa delle voci un po’ troppo alte all’interno del locale.
«Ringraziarti? Ma stai scherzando? Mi hai fatto camminare non so quanto e ti aspetti anche un grazie da parte mia? Se mi avessi portata in spalla, forse, poi ti avrei ringraziato!»
Stavolta fu il mio turno ad alzare gli occhi al cielo mentre mi avvicinavo a uno dei pochi tavolini ancora liberi, lasciandomi poi cadere su una delle due sedie di legno mentre osservavo la ragazza fare la stessa cosa. Una giovane cameriera, bionda, si avvicinò al tavolo appena un minuto dopo, chiedendoci le ordinazioni. «Due cioccolate calde, grazie» La donna appuntò tutto, rivolgendo poi un sorriso ad entrambi prima di scomparire. Spostai lo sguardo su Alinee, alzando appena un sopraciglio nel notare l’espressione scocciata dipinta sul suo volto.
«E se io non avessi voluto una cioccolata, uhm?»
Mal di testa o no, scoppiai a riderle letteralmente in faccia per qualche secondo, prima di poggiare un gomito sulla superficie del tavolo e il mento sul palmo aperto della mano. «Dovrai berla comunque. Ti avevo detto avresti assaggiato la cioccolata calda più buona degli Stati Uniti, quindi…» e lasciai la frase incompleta, nonostante la conclusione fosse ovvia, alzando poi entrambe le braccia come per dire “Eh, così è la vita, fattene una ragione”, cercando di non sorridere davanti alla stranissima espressione che lei aveva assunto.
Poi, le cioccolate avevano fatto il loro ingresso e nonostante lei volesse a tutti i costi sembrare titubante, alla fine la cioccolata riuscì a scioglierla, tanto da indurla a raccontarmi tutto ciò che le frullava per la testa, come ad esempio di Lucas e Melanie, la sua migliore amica… come se mi importasse più di tanto poi.
Il terribile mal di testa aveva raggiunto livelli così esagerati che quasi non sentii scoppiarmi la testa, per non calcolare poi il caldo che all’improvviso aveva iniziato ad invadermi completamente.
Alzai di scatto una mano, cercando di far ammutolire la ragazza – cosa che, oltre ogni mia previsione, funzionò – massaggiandomi un’ultima volta le tempie prima di alzarmi dalla sedia e poggiare sul tavolo qualche dollaro in più del necessario. «Non mi sento bene, meglio che vada a casa. Ci vediamo in giro, Moran.»
Senza aggiungere altro, mi avviai verso l’uscita, finché le sue parole successive non mi piazzarono davanti come un muro invisibile che mi permettesse di proseguire, lasciandomi completamente imbambolato per la sorpresa.
«Aspettami, ti accompagno!»

***

«Aspettami, ti accompagno!» Balzai in piedi nello stesso istante in cui pronunciai quelle parole, stupendo – oltre me stessa – anche Carter. Saggiamente – o forse perché rimasto senza parole – decise di non commentare ciò che gli avevo appena detto, “svegliandosi” solo quando gli colpii una spalla con un pugno, incitandolo a camminare ed uscire.
Inutile dire che il tragitto fu abbastanza silenzioso, interrotto solo di tanto in tanto dai lamenti del ragazzo un po’ per il mal di testa, un po’ per il freddo, mentre io dovetti semplicemente sforzarmi di non fare alcun tipo di commento che potesse farlo irritare.
Quando aprì la porta di casa sua, io me ne restai imbambolata sulla soglia, indecisa se entrare o meno, finché non fu lui a smuovermi, dicendomi di darmi una mossa a richiudere la porta alle spalle.
Lo seguii fino in soggiorno, osservandolo buttarsi con poca delicatezza sul divano dopo essersi liberato della giaccia, un braccio sugli occhi e l’altra sulla pancia, le labbra leggermente socchiuse… e fui costretta a spostare lo sguardo da un’altra parte, concentrandomi sul secondo divano ancora libero e sedendomi su di esso con molta più calma di quanta ne avesse usata lui.
Forse due minuti dopo, il respiro di Adrian si era fatto più pensate e, notando che nonostante l’avesse richiamato più volte, lui dormiva tranquillo.
Davvero, in quel momento non seppi se ridere o piangere: ci mancava solo il dover fare la guardia a un ragazzino malato!
Contro ogni logica, alla fine mi raggomitolai sul divano dopo averlo “coperto” con la giacca che poco prima si era sfilato, restandomene in disparte e silenziosa ad osservarlo, aspettando che si svegliasse.

Erano le nove quando finalmente Carter iniziò a dare nuovamente segni di vita, mentre però io continuai a starmene in silenzio anche davanti alla sua espressione piena di stupore nel vedermi ancora lì invece di essermene tornata a casa.
Dio, James mi avrebbe ammazzato, ne ero certa!
Nonostante le ben tre ore e mezza di sonno, sembrava proprio che il mal di testa non volesse abbandonarlo e, mentre lo aiutai ad alzarsi dal divano per portarlo in camera sua, mi sembrò avesse anche qualche linea di febbre.
«Ma si può sapere dove cavolo tieni il termometro? Nei cassetti non c’è e che mi dici “lì” non è poi così di aiuto!»
«In un cassetto, o sul comò, non lo so»
Sbuffai per la sua risposta, continuando ad aprire cassetti a più non posso in cerca di quel maledetto termometro, intravedendo solo dopo dieci tentativi una piccola custodia blu. La presi, estraendone l’oggetto in vetro per poi porgerlo ad Adrian. «Potresti prendermi una tachipirina, solo nell’armadietto in bagno» Annuì appena, uscendo dalla stanza per passare prima in cucina, alla ricerca di un bicchiere d’acqua da portargli, passando poi per il bagno e trovando praticamente subito una bustina bianca, che versai completamente nel liquido trasparente.
Quando tornai in camera, gli porsi il bicchiere, prendendogli di rimando il termometro che mi porgeva con l’altra mano. «Hai un po’ di febbre, ma fortunatamente non è altissima. Bevi tutta quella roba.» Spalancai gli occhi nel vederlo deglutire il tutto con una rapidità straordinaria, poggiando poi il bicchiere vuoto sul comodino, alzandosi per mettere il pigiama – che per lui consisteva in un pantalone di tuta grigio e una canotta bianca – senza preoccuparsi della mia presenza nella stanza, prima di mettersi poi a letto. «Nel cassetto ci sono tante magliette. Di sicuro sono un po’ grandi per te, ma scegline una e mettiti a letto anche tu.» Spalancai la bocca alle sue parole, facendo però alla fine esattamente come mi aveva detto, senza che l’idea di tornarmene a casa potesse nemmeno sfiorare per un secondo la mia mente.
Notando che era voltato di spalle, mi spogliai rapidamente, infilando con altrettanta velocità la maglietta a maniche corte nera scelta poco prima, spegnendo poi la luce e avvicinandomi alla cieca al letto, sdraiandomi accanto ad Adrian.
Non appena fui coperta, improvvisamente si girò verso di me, afferrando una delle mie mani tra le sue per avvicinarmi a lui. Appena un secondo dopo, mi ritrovai sdraiata su un fianco, il volto appena sotto il suo mento che andava a sfiorargli il petto, circondata dalle sue braccia e l’aria che aveva completamente abbandonato i miei polmoni.
Percepii perfettamente la pelle calda a contatto con la mia, completamente spaesata per la situazione che si era appena venuta a creare con lui, cosa che non avrei mai neppure lontanamente immaginato.
«Sei fresca» Si spostò poi con il volto, lasciando che la sua guancia andasse ad appoggiarsi contro la mia, prima di scendere ulteriormente e nascondere il viso nell’incavo del mio collo «e profumi di fragola».
A quella parole, ne fui certa, nel giro di un secondo la situazione si ribaltò completamente e, di sicuro, tra i due quella che ora scottava era sicuramente la sottoscritta e non lui.
Non ebbi la più pallida idea di cosa dire, ringraziando il cielo la luce fosse spenta così lui non avrebbe mai potuto notare il rossore che ora impadroniva le mie guance.
È la febbre. Sì, è sicuramente a causa della febbre, non c’è altra spiegazione.
Febbre o meno che fosse, alla fine mi rilassai, lasciandomi andare tra le sue braccia, mormorando un appena udibile «’Notte Carter.» prima di sistemare meglio il viso contro il suo petto, per stare più comoda. «Buona notte Alinee.»
Non potei fare a meno di pensare a James un attimo prima di addormentarmi, sicura del fatto che, se mi avesse visto in quel momento, non c’era alcun dubbio, mi avrebbe sicuramente uccisa.





Scusate l'immenso ritarto, lo so, sono imperdonabile. Mi dispiace davvero tanto, ma ho finito di scrivere questo capitolo proprio poco fa, un attimo prima di pubblicarlo! Spero vi sia piaciuto, fatemi sapere cosa ne pensate!

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***


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Capitolo XII

Caldo. La prima cosa che percepii nello stesso istante in cui i miei occhi si adattarono alla leggera luminosità che aleggiava nella stanza fu proprio una strana sensazione non del tutto spiacevole che m’invase tutto il corpo, arrivando perfino sotto pelle.
Il cervello si svegliò improvvisamente, notando dopo pochi attimi che decisamente c’era qualcosa che non quadrava.
Quella non era la mia stanza, non era il mio letto e soprattutto… porca miseria, quello accanto a me non era di certo mio fratello!
Alzai lentamente la testa, spalancando gli occhi nel rendermi conto chi fosse ad abbracciarmi in quel momento, tenendomi troppo stretta a sé, ancora nel mondo dei sogni.
Ri-porca miseria! Quello era un ragazzo. E non un ragazzo qualunque, ma Adrian Carter.
In un baleno, le immagini della sera precedente mi balenarono in mente, investendomi come un treno in piena corsa.
Okay, avevo passato la notte nel letto di Carter, tra le sue braccia, senza avvertire nessuno della mia famiglia, né chiedendo a Melanie di coprirmi nel caso le avessero chiesto qualcosa.
Fantastico. Okay, ero nella merda.
Cercai di muovermi il più piano possibile, per liberarmi dalla sua presa ma tentando comunque di non svegliarlo e svignarmela il prima possibile, ma le sue braccia non sembravano concordare con le mie intenzioni, perché proprio non riuscii a liberarmene.
Sbuffai piano, indecisa se dargli un calcio sulla gamba oppure chiamarlo con più delicatezza per svegliarlo.
Alla fine, incredibile ma vero, finii col fare entrambe le cose… o quasi.
«Adrian»  Uno, due, tre secondi, ma il ragazzo non diede alcun segno di vita.
«Adrian, svegliati, dai!» Eppure, ancora una volta, Adrian rimase tra le braccia di Morfeo.
Spazientita, sbuffai una seconda volta, girando poi la testa verso il suo petto e sporgendomi ancor di più verso di lui, per morderlo forte  «Carter, ma ti vuoi svegliare o no?!»
Come fosse una molla, il ragazzo si tirò indietro, sciogliendo la stretta delle braccia intorno a me dopo tutta la notte per portarsi una mano sul petto «Fanculo Moran! Ma sei impazzita?» Puntai gli occhi sulla sua mano, poggiata sul petto, prima di alzare teatralmente gli occhi al cielo nel sentire le sue parole successive  «Sono consapevole di eccitarti così tanto da non riuscire a stare ferma, ma contieniti!» 
Scostai velocemente le coperte, rabbrividendo impercettibilmente nel sentire il freddo provocato dal pavimento quando poggiai i piedi a terra per alzarmi, afferrando i bordi della maglietta per tirarla giù quanto più potevo, ignorando il leggero “crac” di qualche filo che veniva strappato. 
In tutta fretta, infilai i jeans poggiati ai piedi del letto, decidendo poi di dare una rapida occhiata al cellulare. Sette chiamate perse e cinque messaggi, tutti di James e solo uno di Melanie.
Dio, ti prego, fa che Melanie mi abbia coperta, ti prego ti prego ti prego!
Sto bene e scusami se non ti ho avvertito per aver passato la notte fuori. Non preoccuparti, è tutto okay, ci vediamo più tardi!
Digitai velocemente quelle poche parole dirette a James, rimettendo poi immediatamente il telefono in tasca e decisa ad ignorare qualunque altra risposta che, lo sapevo, non sarebbe stata affatto gentile.
Quando notai Adrian ancora a letto, intento a fissarmi dalla testa ai piedi, mi sentii le guance diventare improvvisamente rosse, voltai velocemente la testa dall’altra parte, non prima di notare un sorrisetto strano nascere sulle labbra del ragazzo.
«Porca miseria, è mezzogiorno, guarda la sveglia! Ti vuoi alzare o no?!» Incrociai le braccia al petto, tamburellando le dita sul braccio, come se fossi irritata. Alla fine, un leggero sbuffo uscì dalle mie labbra, poi gli voltai le spalle senza aggiungere altro per uscire dalla stanza.


 
***


Per un attimo, quando la vidi andarsene senza dire niente, pensai se ne stesse tornando a casa sua senza nemmeno salutare.
Me ne stupii perfino io, ma quel semplice pensiero bastò a farmi alzare come una molla dal letto, pronto a raggiungerla per dirle qualcosa che la inducesse a fermarsi un altro po’ – senza però farle capire che mi importasse poi così tanto.
Il fatto che, però, indossasse ancora la mia maglietta, mi fece capire che in realtà andarsene non era tra le sue intenzioni… a meno che, sbadata quanto fosse, non si rendesse nemmeno conto che l’indumento che ancora portava non era affatto la sua felpa del giorno prima.
Ancora in pigiama, seguii i suoi passi, fino ad arrivare alla cucina, passando come d’abitudine una mano tra i capelli per ravvivarli un po’.
Mi bloccai sulla soglia, osservando Alinee girovagare per la stanza, aprendo e richiudendo le ante dei mobili velocemente, alla ricerca di chissà che cosa, sbuffando di tanto in tanto e pronunciando parole incomprensibili a qualunque altro essere umano al di fuori di lei.
Cercai di attirare la sua attenzione schiarendomi la voce, ottenendo quasi subito il risultato ottenuto.  «Si può sapere dove cavolo tieni la farina?»
A quella domanda, alzai appena un sopraciglio, indicando poi con il mento un mobiletto poco lontano da lei. Incuriosito, mi addentrai di qualche passo nella stanza, continuando a seguire ogni suo singolo movimento con lo sguardo, corrugando appena le sopraciglia, confuso, nel vederla poggiare sul tavolo il pacco di farina che faceva compagnia – lo notai solo in quel momento – ad una bottiglia d’acqua, due ciotole e qualche uovo. «Moran, cos’hai intenzione di fare con tutte queste cose?»
«La pizza, cos’altro altrimenti?»
«La… la pizza. Okay, fai la pizza.»
«Come prego? Fai? Non avrai mica intenzione di startene lì a guardare senza aiutarmi, vero?»
«E invece sì, è proprio quello che farò, anche perché io non so cucinarla.» Mi avvicinai ulteriormente a lei, fino ad esserle quasi accanto, sedendomi poi con una leggera spinta sul tavolo, accanto a tutti gli ingredienti. La ragazza continuò a guardarmi per qualche secondo, immobile ed impassibile, forse mentre ragionava su come rispondermi a modo. Alla fine, però, se ne restò in silenzio, iniziando ad aprire le uova e mettendo sul tavolo qualche manciata di farina.
«In effetti non so bene nemmeno io come si prepari… ma non sarà poi così difficile, ho visto mia mamma farne una tante volte.»
Incredibile, voleva davvero preparare la pizza nonostante non avesse la minima idea di come si facesse?
Mi avvelenerà, lo so.
«Moran, non prenderla sul personale, ma io non ci tengo proprio a mangiare la schifezza che so già ne uscirà fuori, ci tengo alla mia vita.»
«Quanto sei idiota. Dai, muoviti, inizia a rompere qualche uovo.»
Assecondando le sue parole, afferrai una delle uova ancora tenute dentro la scatola di cartone, iniziando a battere piano contro il tavolo per romperne in guscio.
Uno, due, tre tentativi, ma quel maledetto uovo di rompersi sembrava proprio che non volesse saperne.
La ragazza, leggermente divertita, si era spostata di poco, avvicinandosi un po’ al sottoscritto, ridendosela piano sotto i baffi. «Certo che sei proprio imbranato eh»
Interruppi il movimento della mano, alzando lo sguardo sul suo viso mentre un pensiero “cattivo” si intrufolava nella mia mente.
Le rivolsi un piccolo sorrisetto angelico, alzando poi velocemente la mano con cui tenevo l’uovo poco oltre la sua testa e colpendola forte proprio sull’attaccatura superiore dei capelli.
L’espressione sorpresa della Moran e la sua mascella che per poco non toccava terra, furono impagabili.
«Oh, cavolo, si è rotto. Ehi Moran, la tua testa è più dura del tavolo!» Il lampo che passò negli occhi della ragazza mi provocò una risata anche fin troppo fragorosa, tanto che arrivai a poggiare la mano pulita sulla pancia, cercando di tranquillizzarmi.
Intanto, Alinee aveva portato una mano sulla testa, tastando con le dita l’uovo completamente spiaccicato tra i suoi capelli, assumendo un’espressione schifata e allo stesso tempo in cerca di vendetta.
E, se c’era proprio una cosa che avevo imparato in quegli anni, era proprio il non aspettarsi mai che quella ragazza se ne restasse con le mani in mano davanti a qualche provocazione, in particolar modo se, la suddetta provocazione, arrivava proprio da me.
Se un attimo prima me la ridevo alla grande, quello dopo avevo ben due uova schiacciate sul petto, con talmente tanta forza che alcuni pezzi dei gusci erano caduti a terra, altri si erano infilati sotto la maglietta del mio pigiama.
«Oh, cavolo, si sono rotti!»  E sorrise piano, imitando le parole usate poco prima da me.
Nonostante questo, sembrò proprio che ad Alinee non bastasse.
Infatti, pochi attimi dopo, teneva in mano un’enorme manciata di farina, il braccio alzato, pronta a lanciarmela contro.
Due secondi prima che potesse davvero lanciarmela, scesi con un salto dal tavolo, circondando poi con una mano il suo polso per cercare di fargliela buttare sul tavolo o, quanto meno, a terra.
Eppure, più ci provavo, più la ragazza cercava di opporsi.
Riuscii a farla girare, come abbracciandola da dietro, riuscendo ad allontanare un po’ la sua mano con la farina da me, ma non abbastanza per scamparla.
Con la mano libera presi la bottiglia d’acqua dal tavolo – per mia fortuna già aperta – portandola sulla testa di Alinee «Fossi in te lascerei andare la farina se non vuoi ritrovarti tutta bagnata!»
«Scordatelo!» E, dette quella parole, iniziò a dimenarsi per liberarsi della mia presa come fosse un animale catturato, cercando di trattenere le risate mentre io, da dietro, inclinavo lentamente la bottiglia verso il basso, lasciando che un po’ del liquido trasparente le ricadesse sui capelli, bagnandola. In tutta risposta, Alinee lanciò un piccolo urlo, cercando poi di afferrare alla cieca la bottiglia d’acqua con la mano libera per spostarla.
Riuscì a colpire l’oggetto solo con una mano, ma quel brusco movimento bastò a girare di poco la bottiglia e bagnare sia parte della schiena della ragazza, sia parte del mio volto e del mio petto. Istintivamente, lasciai la presa dalla sua mano, attimo che Alinee prese velocemente al volo per voltarsi e lanciarmi – finalmente – la farina addosso.
Passai il dorso della mano sugli occhi, pulendomi alla meglio anche la fronte, prima di osservarla per qualche secondo in silenzio, entrambi immobili a riprendere fiato dopo quella specie di lotta alternata a risate e urla.
Non so esattamente cosa o perché, ma ad un tratto le mie gambe iniziarono a muoversi da sole verso di lei. Alinee, accorgendosene, era indietreggiata di un paio di passi, finché non aveva urtato piano contro il bordo del tavolo.
Mi fermai ad un passo da lei, inclinandomi di poco in avanti per essere alla stessa altezza del suo volto. Restammo così a lungo, o forse solo per pochi attimi, non saprei dirlo con precisione, semplicemente a guardare uno gli occhi dell’altra, in silenzio.
Chiusi gli occhi, poggiando una mano tra i capelli e muovendoci velocemente le dita in mezzo, lasciando che della farina ricadesse in avanti, anche su di lei. «Ora sei più sporca anche tu, Alinuccia»
Poi, accidentalmente, lo sguardo andò a posarsi sulle labbra della ragazza che, proprio in quel momento, lei aveva leggermente schiuso.
Come fosse improvvisamente diventata una calamita, iniziai ad avvicinarmi con il volto  lentamente a lei che, al contrario, sembrava si fosse completamente pietrificata. Con quella vicinanza, riuscivo a percepire perfettamente il suo respiro aumentare rapidamente, infrangersi proprio contro la mia bocca, e forse fu proprio quello ad impedirmi di fermarmi.
Mi raddrizzai lentamente con la schiena, poggiando una mano sul suo fianco mentre la punta del naso andava a sfiorarsi piano contro quella della ragazza.
Alinee chiuse piano gli occhi, e io percepii quel gesto come un tacito consenso a continuare.  Le distanza tra le nostre labbra era diventata quasi nulla, il suo profumo che, come un idiota, avevo percepito davvero solo la sera prima, rischiava di mandarmi in tilt il cervello, tanto da non riuscire nemmeno a pensare a quanta materia grigia fusa avrei dovuto ricomporre durante e dopo il bacio.
Mancava poco, ed entrambi sembravamo volerlo, finché non percepii qualcosa vibrare contro la coscia.
Alinee riaprì piano gli occhi, corrugando appena le sopraciglia, spostandosi poi di poco da un lato per riuscire a prendere dalla tasca il suo cellulare.
Il momento era ormai stato completamente guastato, per questo mi tirai leggermente indietro, lasciandole tutto lo spazio di cui aveva bisogno per rispondere.
Sbuffai appena, infastidito.
Qualcuno ce l’aveva sicuramente con me.
 
 
*** 
 
James. Di nuovo.
Spostai più volte lo sguardo dallo schermo del cellulare ad Adrian e, più lo facevo, più la consapevolezza di ciò che stava per succedere con lui mi faceva arrossire.
Alla fine, a disagio, borbottai qualcosa che nemmeno io compresi a pieno, guardandomi per qualche secondo in giro per la stanza, schiarendomi poi la voce. «Io… uhm… è meglio che vada, i miei si staranno chiedendo che fine ho fatto. Ci… ci vediamo, sì!» E, quanto più veloce riuscii, mi diressi verso la porta d’ingresso, incurante dei capelli ridotti un disastro, della maglietta – di Adrian – bagnata, o dei residui di farina.
Una volta fuori, presi un’enorme boccata d’aria e, dopo aver legato alla meglio i capelli con l’elastico che fortunatamente portavo sempre al polso, corsi – letteralmente – verso casa mia.
 
Che non l’avrei scampata nemmeno se ci fossero stati otto terremoti o l’alluvione universale era un dato di fatto.
Sapevo che, una volta giunta a casa, avrei dovuto subire le centinaia di domande di James o peggio, dei miei genitori, ma confidavo ancora nel fatto che Melanie mi avesse comunque coperta dicendo che avevo dormito da lei.
Quando arrivai, trovai James seduto in cucina, intento a sgolarsi un’intera bottiglietta d’acqua e, nel momento in cui i suoi occhi incrociarono i miei, fu come se l’intensità del suo sguardo mi facesse prendere fuoco.
Ovvio che sia arrabbiato a morte! Non l’hai nemmeno avvertito, cosa ti aspettavi?
Ignorai la vocina che, all’improvviso, aveva deciso di tornare a stressarmi, avvicinandomi lentamente al piano della cucina e sedendomi accanto a lui. Quando notò i miei capelli, i suoi occhi si “addolcirono” appena, tanto che, ne ero sicura, l’ombra di un piccolo sorriso aleggiava sul suo volto. «Che cos’hai fatto a quei poveri capelli?» Cavolo. E questa ora come cavolo gliela spiegavo? Come facevo a dirgli che in realtà io non avevo alcuna colpa se in quel momento erano così ridotti, ma che era stata tutta opera di Carter?
«Diciamo una specie di lotta con il cibo.» Alzai appena le spalle, cercando di alleggerire ancor di più la situazione.
«Dove sei stata tutto questo tempo?»
Spalancai appena gli occhi a quella domanda. Ero sicura sarebbe arrivata e, per tutto il tragitto, avevo pensato a cosa rispondere, senza però arrivare mai a nessuna conclusione. Iniziai a guardarmi in giro, cercando di fissare qualunque altra cosa al di fuori dei suoi occhi, agitandomi poco sullo sgabello e intrecciando le dita delle mani, parlando poi talmente sottovoce che dubitai perfino mi avesse sentito. «Da Melanie»
Ti prego, ti prego, Signore ti prego fa che Melan- «Ah sì? Strano, perché ho chiamato Melanie stamattina, e lei non aveva idea di dove fossi, anche se poi ha provato a salvarti il culo dicendo che avevi dormito da lei ma che te ne eri andata presto» alzai lentamente lo sguardo su di lui che, sapevo, si sarebbe aspettato una risposta. Non feci in tempo a parlare però, che lui mi interruppe. «Melanie è salita poco fa in camera tua, ha detto ti avrebbe aspettata lì. Mi hai fatto preoccupare, non farlo più. Ho creduto perfino che ti fosse capitato qualcosa, cosa ti costava almeno mandarmi uno stupido messaggio? A mamma e papà non ho detto niente, per questa volta.» Poi si alzò, avvicinandosi a me e abbracciandomi forte. Io, in tutta risposta, non ci pensai su due volte a circondargli la schiena con entrambe le braccia, sorridendo per le carezze che mi stava lasciando sulla testa nonostante fossi ancora tutta sporca di uovo. «E ora va da Melle, poi mi spiegherai tutto quando saremo soli.»
 
Inutile dire che – nonostante fosse abbastanza breve – per tutto il tragitto dalla cucina alla mia stanza mi sentii terribilmente in colpa, capendo per la prima volta quanto davvero fosse stato stupido passare la notte fuori senza dare uno straccio di notizia a nessuno.
Non feci in tempo ad aprire la porta della mia stanza che Melanie mi corse incontro, gettandomi le braccia al collo e parlando talmente velocemente che non riuscii ad afferrare nemmeno una parola del suo lungo monologo. Quando finalmente mi lasciò andare, fece una strana smorfia con la bocca, guardandomi con un enorme punto interrogativo stampato in faccia. «Alinee… puzzi un po’. Che cavolo hai combinato?»
Io, in tutta risposta, alzai gli occhi al cielo, iniziando ad indietreggiare lentamente senza mai staccare gli occhi dai suoi. «Oh, niente di che, solo rotto qualche uovo con Carter. Vado a farmi una doccia, tu come al solito, fai come se fossi a casa tua.» Aprii lentamente la porta, facendo per andarmene, decisa però a darle il “colpo di grazia”. «Oh, a proposito, prima che tu lo chieda, ho dormito da lui.»
L’ultima cosa che vidi prima di richiudermi la porta alle spalle, fu proprio la bocca completamente spalancata di Melanie, insieme ai suoi occhi.





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Buona sera!
Sì, sto aggiornando abbastanza frequentemente... diciamo per farmi perdonare per la pausa presa durante il periodo scolastico!
Per quanto riguarda la storia  ce ne saranno ancora delle belle. Non dimentichiamoci di Matt, o di Kaila. Per questi due capitoli sono semplicemente andati in "vacanza", ma li rivedremo mooolto presto.

Comunque, se siete curiosi, qui sotto vi metterò la piccola lista con i volti "ufficiali" (= come me li immagino io) di tutti i nostri personaggi, poi ovviamente ognuno può immaginarseli come meglio crede, anzi, se ha suggerimenti, me li dica pure senza problemi!
Alinee Moran: Nina Dobrev
Adrian Carter: Gaspard Ulliel
Melanie Shermaan: Dianna Agron
James Moran: Matt Lanter
Kaila Hunt: Selena Gomez

Per quanto riguarda Matt... beh, non ho ancora trovato quello adatto!

Ultimissima cosa e poi sparisco, lo prometto.
Sto iniziando a scrivere anche una raccolta di momenti tra Alinee e James, che vanno dall'infanzia all'età adulta. Essendo momenti di vita quotidiana, i capitoli sono abbastanza corti, ma spero che chi li legga apprezzerà comunque!
Eccola qui:

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici ***


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Capitolo XIII

Dopo quel pomeriggio, Melanie mi costrinse a raccontarle per filo e per segno qualunque cosa io e Adrian avevamo fatto, pretendendo perfino che glielo ripetessi più e più volte, giustificandosi dicendo che non voleva dimenticassi di dirle qualche particolare.
Io, invece, credevo lo facesse più per far sì che lei ricordasse alla perfezione ogni singola parola usciva dalla mia bocca.
Alla fine, dopo ben tre ore passate chiuse in camera mia a parlare, Melanie si era accasciata sul mio letto, sospirando teatralmente e spalancando le braccia. «Io lo sapevo. L’ho sempre saputo sarebbe finita così!»
«Ma così come? Guarda che non è successo niente di così eclatante eh»
In tutta risposta, lei piombò nuovamente a sedere, talmente velocemente che mi stupii del fatto non si fosse fatta male, guardandomi con tanto d’occhi. «Niente di così eclatante? Oh, ma dai! Adrian Carter ha dormito con te, e ci terrei a sottolineare il dormito nel vero senso della parola. In più, con te! E pensare che fino a qualche mese fa non facevate altro che litigare. Sei cocciuta Alinee, ma non così idiota da pensare davvero che non sia successo niente di che.»
Dopo la sua risposta, rimasi completamente in silenzio, mordendomi l’interno guancia, decidendo che l’unico modo per uscirne sarebbe stato spostare l’attenzione su qualcosa che riguardasse lei.
Da allora, più di una settimana fa, l’argomento “Carter” non venne più preso nemmeno in considerazione, non perché mi desse fastidio parlarne – stranamente, non era affatto così – ma semplicemente avevo smesso di pensarci dopo aver passato un’intera notte a rimuginarci su, arrivando poi alla banalissima conclusione che, forse, era successo tutto a causa della febbre che Adrian, sicuramente, ancora aveva.
Da quel giorno ci incontrammo solo una volta a scuola e per una casualità, ma sembrava tutto normale, come se niente fosse successo. Avrei dovuto esserne contenta, ma per qualche assurdo motivo, dopo essere ritornati ognuno per la sua strada, avevo provato una stranissima sensazione… per un attimo mi ero davvero illusa che Adrian avrebbe potuto provare un minimo di interesse nei miei confronti.

Uno dei motivi per cui la scuola non mi è mai andata a genio è il doversi svegliare ogni santissima mattina presto, quindi mi sembrerebbe più che scontato aspettarsi di riuscire a dormire almeno per undici ore al giorno durante le pochissime vacanze che ci vengono concesse.
Sfortunatamente, però, non tutti sembrerebbero pensarla come me.
«Alinee, alzati, hai visite!» James, subito dopo aver pronunciato a voce troppo alta quell’informazione, era andato nuovamente in camera sua senza darmi nessun altro dettaglio.
La prima persona a cui pensai fu – ovviamente – Melanie, per questo non mi presi nemmeno la briga di togliere il mio bellissimo pigiamone invernale giallo con sopra disegnati dei piccoli elefantini blu in tutù prima di scendere e andare ad aprire.
Ancora un po’ (tanto) insonnolita, aprii la porta sbadigliando, passando una mano sugli occhi che ogni secondo minacciavano di serrarsi nuovamente.
Nemmeno il fatto che alla porta non fosse affatto Melanie riuscì a farmi riprendere un minimo di lucidità.
Me ne restai completamente imbambolata, a piedi nudi con la porta aperta mentre il vento invernale raffreddava tutto l’ingresso della casa, continuando a tenere lo sguardo fisso e apparentemente impassibile sul volto di Matt per almeno un minuto buono.
Alla fine, finalmente, qualche rotella nel mio cervello si decise a ruotare nel verso giusto. La consapevolezza di come fossi conciata in quel momento e che a vedermi fosse proprio Matthew bastò a farmi desiderare di sotterrarmi seduta stante e sparire per sempre dalla faccia della terra, portandomi dietro il mio bel pigiamone tutt’altro che sexy.
«Oh mio Dio»Spalancai improvvisamente gli occhi, muovendomi poi d’istinto con l’intenzione di richiudergli letteralmente la porta in faccia. Lui, però, fu un pelo più veloce di me nell’infilare un piede tra la porta e l’uscio, impedendone così la chiusura.
Rapidamente si intrufolò dentro casa, richiudendosi la porta alle spalle, guardandomi con un’espressione che vacillava tra il confuso e l’ilarità.
«Questo sarebbe il benvenuto da dare a colui che ha deciso di farti uscire un po’?» alzò poi un sopraciglio, poggiando poi entrambe le mani sulle mie spalle e facendomi voltare, spingendomi con delicatezza verso la cucina. Ormai, dire che Matt conosceva buona parte della casa come il palmo della sua mano era fin troppo riduttivo, avevo perso il conto del numero delle volte in cui avevamo passato il pomeriggio insieme, tanto che lui e James erano arrivati perfino ad essere una sorta di amici.
Mi appoggiai contro il bordo del tavolo, passando nuovamente una mano sugli occhi. «Avresti potuto dirmelo, mi sarei fatta trovare in condizioni più accettabili almeno!»
Avanzò di qualche passo verso di me, prendendomi tra le mani il viso mentre contemporaneamente si avvicinava a me con il suo, fino a poggiare le labbra sulla mia guancia «Tranquilla, sei bella anche così». A quelle parole il mio volto si infiammò e abbassai di poco la testa per impedirgli che lui lo notasse. «Ora però vatti a preparare» e, senza che dovessi farmelo ripetere due volte, uscii il più velocemente possibile dalla cucina, diretta verso la mia stanza.

Stretta il più possibile nella mia giacca, cercando di ripararmi come meglio potevo dal freddo, continuai a camminare senza una meta precisa al fianco di Matt, chiacchierando tranquillamente del più e del meno.
Arrivati in centro, non mi sorpresi minimamente dell’incredibile quantità di persone di ogni età che vi erano. La città era sommersa da luci natalizie. Palazzi, negozi, strade e di tanto in tanto qualche albero, erano adornati da piccole luci colorate che rendevano New York ancora più bella di quanto già non fosse.
Ormai, dopo aver passato l’intera vita in quel posto, sarebbe normale essere abituati a tutto ciò, eppure ogni anno c’era sempre qualcosa di diverso da quello precedente e, ogni anno, alla vista di quello “spettacolo” erano numerose le persone che si guardavano intorno quasi con occhi luccicanti, come se fossero increduli davanti a quella sorta di visione.
Io, inutile a dirlo, ero sempre stata una di quelle.
Matt mi offrì il suo braccio sorridendomi, un gesto che – avevo notato – faceva spesso e che io non avevo mai rifiutato – nonostante mi sembrasse qualcosa più da “signori anziani” – perché il secondo sorriso che puntualmente mi rivolgeva quando accettavo bastava e avanzava a farlo diventare qualcosa che andava benissimo anche per noi.
«Guarda, lì c’è una pista di pattinaggio!» Alzai rapidamente un braccio, puntando il dito verso la nostra sinistra, senza nemmeno rendermi conto che con quell’esclamazione avevo appena interrotto a metà la sua frase.
«Tu sai pattinare?» Mi guardò alzando appena un sopraciglio dopo qualche secondo, interrompendo provvisoriamente la camminata.
«Io? Ma certo che so pattinare!» Alzai di poco il mento, con finta aria altezzosa perché, in realtà, il massimo che ero sempre riuscita a fare era semplicemente stare in piedi, completamente immobile… un solo passo per me significava ritrovarsi con il sedere schiacciato a terra.
«Chissà perché ma non ne sono poi così convinto.»
«Ah no? Okay, andiamo!» Tirai con forse un po’ troppa forza il suo braccio, come per trascinarmelo dietro contro la sua volontà – nonostante lui non stesse facendo nessuna resistenza – fermandomi solo una volta arrivati vicino l’ingresso alla pista.
Quando fu l’ora di infilare i pattini, iniziarono già le difficoltà, perché quei maledettissimi cosi blu di chiudersi proprio non ne volevano sapere!
Notai, con la coda dell’occhio, Matt ridersela sotto i baffi mentre mi aspettava a braccia incrociate al petto accanto alla recinzione della pista. Senza che gli chiedessi alcun aiuto, alla fine, riuscii a legare quei maledetti così, alzandomi in piedi e sperando di non cadere ancor prima di mettere piede sul ghiaccio.
Uno, due passi… camminare sul tappeto non era affatto complicato, anzi. Sì, ce la farò… d’altronde, non sarà mica così difficile no?
La risposta arrivò appena un attimo dopo quando, poggiato il primo piede sul ghiaccio, quello slittò da solo in avanti senza che io potessi evitarlo.
Se Dio esisteva, di sicuro in quel momento aveva deciso di aiutarmi perché feci appena in tempo ad aggrapparmi al bordo e non cadere.
Matt, intanto aveva deciso che ridere sotto i baffi era troppo poco divertente, eppure ogni tanto cercava comunque di trattenersi almeno un pochino. Io, decisa ad ignorarlo, poggiai anche l’altro piede sul ghiaccio – mantenendo ben salda la presa sul bordo – stando il più attenta possibile a non scivolare una seconda volta.
«Allora, vogliamo andare?» Guardai un attimo titubante la mano che mi porse, non perché non volessi accettarla, ma perché sapevo che se l’avessi fatto sarei sicuramente caduta.
Morsi per un attimo l’interno della guancia prima di rispondergli. «Na, sto bene anche vicino al bordo io»
Matt sorrise avvicinandosi un po’ di più a me, porgendomi una seconda volta la mano con un’espressione che faceva chiaramente intendere che non avrebbe accettato un ulteriore “no” come risposta. «Dai Alinee, cosa vuoi che succeda di così brutto?»
Ma sì, infatti Alinee! Cosa vuoi che succeda di così brutto da non lasciare quella stupida staccionata?!
«Non preoccuparti, ci sono io a tenerti, l’ho capito fin da subito che non sai pattinare, non riuscivi nemmeno ad infilarti i pattini! E poi, ti hanno mai detto che quando dici una bugia diventi ancora più rossa di quando ricevi un complimento?»
«Oh, non era proprio una bugia! Diciamo che io, nei miei sogni, so fare un sacco di cose e pattinare è tra queste!» Gli feci una linguaccia, accennando una smorfia derisoria prima di decidermi finalmente a staccarmi dal bordo e prendere la sua mano. «Non farmi cadere!»
«Tranquilla, non succederà» Poi, dopo un piccolo sorriso, iniziò a pattinare lentamente tirandomi proprio poco dietro di lui mentre cercava di tenermi il più possibile accanto al suo fianco. Io, da parte mia, mi limitavo a lasciare che andasse dove voleva, tenendo i piedi il più saldamente possibili ancorati a terra.
Quando, però, fece per curvare, iniziai inspiegabilmente ad agitarmi. Le gambe iniziarono a muoversi di vita propria e istintivamente lasciai andare la sua mano per poggiarmi con entrambe al bordo, agitando velocemente le gambe avanti e indietro per cercare di non cadere.
Dire che stavo per morire dalle risate era poco. Più mi agitavo, più non riuscivo a rimettermi in piedi e più mi veniva da ridere.
Matt, dal canto suo, sembrava anche lui troppo impegnato a ridere a squarcia gola piuttosto che aiutarmi.
Alla fine però, provò comunque a rialzarmi nonostante le risate impedissero qualunque sorta di movimento.
«Lasciami, lasciami scivolare!» A quelle parole, mollò immediatamente la presa e io lasciai andare la staccionata appena un secondo dopo, scivolando velocemente sul ghiaccio fino a ritrovarmi con il sedere a terra. Continuammo a ridere, ignorando bellamente tutti gli sguardi che ricevevamo, riuscendo a calmarci solo dopo qualche secondo. «Sapevo sarebbe stato divertente, ma non immaginavo fino a questo punto»
«Oh, ma dai! Piuttosto, aiutami ad alzarmi!»
«Sissignora!»
Un secondo prima di tirarmi verso di sé per farmi alzare prese entrambe le mie mani, aiutandomi senza nessun apparente sforzo a rimettermi in piedi. «Il mio eroe che continua a salvarmi ogni volta quando ci vediamo.» Dissi ironicamente una volta essere nuovamente in piedi davanti a lui.
«Tu sei fatta per essere salvata.»
Non appresi il significato di quelle parole. Se non avessi visto la sua espressione molto probabilmente l’avrei presa come una presa in giro, eppure lui sembrava essere tornato improvvisamente così serio.
Non riuscii a capire quale passaggio mi fossi persa, ma mi ritrovai con le sue braccia che mi circondarono la schiena, i palmi delle mie mani poggiate sul suo petto e le labbra troppo vicine per due semplici amici.
Dio mio… stavo per baciare Matthew Black, e una parte di me non riusciva proprio a spostarsi.


***

POV Kaila.

Se non avessi visto con i miei stessi occhi la scena che pochi attimi prima mi si era presentata davanti, probabilmente non ci avrei mai creduto.
Alinee e Matthew, vicini.
Così tremendamente vicini che sarebbe bastato un piccolo movimento da parte di uno di loro e sicuramente sarebbero finiti con il baciarsi.
E pensare che avevo sempre creduto che a lei in realtà piacesse Adrian… beh, di sicuro non avevo niente di cui lamentarmi nello scoprire che in realtà fosse interessata a Matt.
Senza una ragione specifica, voltai la testa alla mia sinistra e in quello stesso istante vidi una figura fin troppo familiare seduta su una panchina.
Adrian accompagnato da una sigaretta alla mano con un’aria visibilmente annoiata. Mi incamminai velocemente verso la sua direzione, sedendomi accanto a lui non appena mi rivolse una rapida occhiata con un sopraciglio alzato «Ehi, Koala!»
«Ciao Carter, cosa fai qui tutto solo?»
«Niente di che in realtà, stavo iniziando ad annoiarmi.»
«Allora, come le stai passando queste vacanze?»
«Un po’ a casa, un po’ in giro.» Guardò qualche secondo la sua sigaretta, prima di farsi un altro tiro, senza però continuare la conversazione.
«Capisco. Stai continuando ad allentarti? Ho sentito che le palestre a scuola sono rimaste aperte.»
«Uhm uhm, vado quasi tutti i giorni in realtà.»
Incrociai le braccia al petto, scivolando un po’ di più sulla panchina, non avendo nemmeno più la minima idea di cosa potessi fare o dire per rallegrare un po’ la situazione perché, a quanto pareva, Adrian non era molto propenso a fare conversazione.
Lo guardai per qualche secondo con la coda dell’occhio. «Se ti annoi… possiamo sempre andare alla pista di pattinaggio. Ho visto c’erano anche Alinee e quel tuo amico, Matthew!» Mi girai dopo poco verso di lui per riuscire ad osservarlo meglio prima di continuare a parlare senza che riuscissi nemmeno a rendermi conto di ciò che stavo dicendo. «Quanto sono carini, prima stavano anche per baciarsi!» diventai improvvisamente silenziosa non appena vidi l’espressione di Adrian mutare. Corrugai leggermente le sopraciglia, un po’ confusa della sua reazione: aveva spalancato gli occhi, diventando immobile come se il freddo di quel periodo l’avesse congelato. Provai a ripensare alle poche frasi dette fino a quel momento, cercando di capire cosa ci fosse di tanto tremendo, senza però riuscire a giungere ad alcuna conclusione.
No, di sicuro, quella era una reazione che mai mi sarei aspettata.

***

Quelle parole mi colpirono come una secchiata d’acqua gelida in pieno volto, lasciandomi leggermente “basito”.
L’immagine di Alinee e Matthew insieme balenò nella mia mente e immaginarli fu ancora più brutto di sentirsi dire quelle parole.
Per un istante, tutto intorno a me si era improvvisamente fermato.
C’eravamo solo io e il ricordo di ciò che era successo con Alinee.
Inutile negarlo, avevo pensato tanto – forse anche troppo – al tempo trascorso con lei quel giorno, lo stavo facendo anche prima che arrivasse Kaila e non potei evitare di far cambiare traiettoria ai miei pensieri nemmeno per dare qualche attenzione in più a quella ragazza.
A quanto pare ci aveva pensato la stessa Alinee a farmi trovare qualcosa su cui riflettere.
Non riuscivo a capacitarmi di come potesse baciare Matthew senza nemmeno averne parlato prima con me.
Non che dovesse darmi alcun tipo di spiegazione… anzi, sì, avrebbe prima dovuto parlare con il sottoscritto, chiarire le cose su ciò che era successo e solo dopo fare ciò che voleva.
La rabbia che sentii montare dentro di me non fu molto d’aiuto, anzi, tanto che arrivai a stringere un po’ troppo forte la sigaretta tra il pollice e l’indice fino a spezzarla, i battiti del cuore che sentivo aumentare con il passare dei secondi.
Non poteva essere.
Non poteva la Moran avere tutto quest’effetto su di me, e io non avrei mai dovuto permettere che accadesse.
Rivolsi una rapida occhiata a Kaila accanto a me, che se ne stava ancora immobile e silenziosa. «Okay, andiamo a questa pista di pattinaggio.»

Dieci minuti dopo, ce ne stavamo a pochi metri di distanza dalla pista, Kaila apparentemente contenta.
Iniziai a far vagare lo sguardo sulla moltitudine di persone che vi erano, trovando chi mi interessava dopo solo pochi attimi.
Matthew teneva la mano di Alinee mentre pattinava; lei, invece, restava la maggior parte del tempo ferma lasciando che fosse lui a farla scivolare sul ghiaccio, ma quando cercava di muovere qualche passo insieme a lui, puntualmente rischiava di cadere se non fosse stato per il perfetto tempismo di Matt nell’evitarlo. Entrambi ridevano, si divertivano, e un sorriso amaro spuntò improvvisamente sul mio volto.
Alinee stava bene con Matt, in quei quattro anni non l’avevo mai vista sorridere in quel modo quando stava con me, la prima volta era avvenuta pochi giorni fa. Matt invece era riuscito a prendersi i suoi sorrisi fin dal loro primo incontro, lo ricordavo anche troppo bene, e io non avevo la più pallida idea di cosa fare per cambiare le cose mentre cercavo di ignorare quella piccola fitta di gelosia che si impadronì di me.
In realtà, non sapevo nemmeno se valesse davvero la pena provare a fare qualcosa.
Se stava così bene con Matt, sarebbe stato giusto da parte mia lasciarle prendere le sue decisioni senza interferire.
Se Matt era quello che voleva, Matt avrebbe avuto.
D’altronde, Alinee o no, io sarei stato benissimo comunque, proprio come prima che il nostro rapporto fosse travolto da un uragano.
Ripetevo quelle parole nella mia mente più e più volte, cercando di auto-convincermene, senza nemmeno sentire Kaila al mio fianco che richiamava più o meno pazientemente la mia attenzione.
«Adrian? Dai, Adrian! Andiamo, non possiamo mica stare qui impalati tutto il giorno!»
«Koala, sarà per un’altra volta, devo tornare a casa, scusami.» Prima di andarmene, mi voltai lentamente verso di lei, scompigliandole i capelli con una mano mentre le accennavo una sorta di sorriso, come a farmi perdonare per averla lasciata lì da sola, senza avere neanche più la voglia di girarmi ad osservare Alinee un’ultima volta nemmeno con la coda dell’occhio.






Sono passati 17 giorni dall’ultimo aggiornamento, mi dispiace davvero tanto.
Allora,
un po’ di cose da dire sul capitolo:
• Lo adoro, specialmente la parte in cui c’è il POV di Adrian, sono abbastanza soddisfatta del risultato!
• Non odiate Kaila… lei in realtà è tanto dolce! Il suo POV non era affatto previsto – anche se microscopico – è venuto fuori mentre parlavo del capitolo con una mia amica.
• Nel capitolo non si capisce bene se Alinee e Matthew si sono baciati, voi pensate ci sia stato questo bacio o no?
• So di avervi rovinato i due capitoli precedenti, ma spero riuscirete a perdonarmi già dal prossimo capitolo!

Ho aperto un gruppo su Facebook dedicato interamente a questa FanFiction. Verranno pubblicate novità, eventuali avvisi e magari ogni tanto anche qualche spoiler, ma sarà soprattutto un posto dove – se volete – potremo conoscerci meglio!
Ecco qui il link: "You and Me? Never!" FanFiction.


E ora vi lascio in pace, alla prossima!

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici. ***


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Capitolo XIV

Melanie se ne stava seduta comodamente su una delle sedie accanto al tavolo, lo sguardo apparentemente vuoto fisso sulla finestra a pochi metri da lei intenta ad osservare i grandi fiocchi di neve che scendevano rapidamente dal cielo grigio.
Teneva tra le mani una tazza blu con su disegnati fiorellini di ogni sorta di colore da cui fuoriusciva una leggera fumata dovuta alla cioccolata calda a cui però non aveva rivolto alcuna attenzione.
Mi aveva accennato la sera prima riguardo ad una presunta rottura con Lucas liquidando il tutto con un semplice “sai come sono fatta, mi stanco facilmente, in più le relazioni non fanno proprio per me anzi, credo che questa sia durata anche troppo”; poi aveva scrollato leggermente le spalle prima di ritornare a dedicarsi al suo smalto color salmone, come se volesse convincermi del fatto che davvero non le importasse nulla. Io avevo rispettato il suo “volere” e mi ero fatta i fatti miei senza porle alcun’altra domanda. In fondo, Melanie era fatta così: se voleva raccontarti qualcosa di sicuro non aveva bisogno che qualcuno glielo chiedesse, parlava e basta. Evidentemente, in quel momento, non ne aveva alcunissima voglia.
Nonostante questo, la conoscevo fin troppo bene per non capire che ci fosse comunque qualcosa che non andava.
Cercai di schiarirmi la voce per attirare la sua attenzione, fare rumore con il cucchiaino con cui poco prima avevo girato la mia cioccolata e perfino buttato con pochissima delicatezza sul tavolo un pacco di biscotti proprio vicino a lei, ma ogni tentativo sembrava inutile perché Melanie non aveva proprio intenzione di tornare tra il mondo dei vivi.
«Ehilà! Terra chiama Melanie» Eppure, la ragazza sembrò non scomporsi minimamente, al che sbattei il palmo della mano sul tavolo pentendomene appena un secondo dopo quando lo sentii bruciare lievemente per la botta.
«Melanie!»
Quel gesto però, parve funzionare alla perfezione, perché la ragazza schizzò come una molla, allontanando di scatto anche le mani da intorno alla tazza. «Sì sì, eccomi, ci son- cioè, voglio dire, ti sto ascoltando! Ho- ho capito! Dovresti andare a stud--»
A quelle parole, socchiusi leggermente gli occhi e – stranamente – Melanie arrossì distogliendo appena un secondo dopo lo sguardo. «Io… scusami, mi ero distratta un attimo»
«Un attimo? Ma se saranno almeno cinque minuti che sembri imbambolata»
«Ma va, non dire cavolate Ali! Solo che… la neve, sì, era parecchio interessante»
«La neve?» Alzai appena un sopraciglio, leggermente divertita.
Melanie non fece in tempo ad aggiungere altro, perché James fece il suo ingresso nella stanza diretto dritto verso il frigorifero senza calcolare niente e nessuno. Non appena gli occhi di Melanie incrociarono quelli di James, lei arrossì ancor più violentemente, senza però distogliere lo sguardo da lui. James invece, sembrava impassibile e, senza proferir parola, prese una lattina di Coca-Cola e se ne tornò in salotto.
Dopo quella scena se possibile mi sentii ancor più in confusione rispetto a pochi attimi prima.
Melanie volse nuovamente lo sguardo nella mia direzione, schiarendosi appena la voce, come se cercasse di riprendere il controllo di sé stessa.
Io, intanto, avrei voluto riempire la mia amica con ogni sorta di domanda mi frullasse per la testa – e in quel momento le domande erano davvero molte – ma lo sguardo che Melanie mi rivolse bastò a farmi demordere da ogni iniziativa. La sua mi arrivò come una sorta di muta preghiera e a me quasi si strinse il cuore nel vederla così.
Melanie aveva qualcosa che non andava in cui – evidentemente – c’entrava James, ma che a quanto sembrava non avesse la minima intenzione di raccontarmi. Iniziai a sentire un microscopico senso di fastidio che però repressi con tutte le mie forse, annuendo poi appena senza un reale motivo.
Quel gesto però sembrò come rassicurare Melanie che fece un piccolo sospiro di sollievo prima di riprendere a parlare, spostando lo sguardo da me alla sua cioccolata. «Allora, com’è stato il rientro a scuola?»
Tre settimane. Erano già passate tre settimane dal giorno in cui le giornate avevano ripreso ad essere esattamente come poco prima di essere interrotte dalle vacanze natalizie.
Scuola, casa, uscire, scuola, casa, studio… e il ciclo riprendeva ininterrottamente senza che nessuno potesse cambiare la monotonia delle giornate.
«Solite… anche se un po’ meno traumatico rispetto a Settembre»
«Questo solo perché tra poco sarà Febbraio»
Già. Febbraio sarebbe stato presto alle porte, ciò significava che con esso sarebbe arrivato anche il giorno che finalmente avrebbe segnato l’inizio delle gare di nuoto, così che allenarsi non sarebbe più stato semplicemente un passatempo, ma un mezzo per tutta la squadra con l’obbiettivo solo ed esclusivo di arrivare la vittoria.
Inutile dire che io ero una tra quelle che più avrei voluto vincere.
Perdere una gara di nuoto, per me, equivaleva a fallire miseramente.
Che pensassero gli altri a partecipare, a me quello non sarebbe mai bastato.
Non tanto per dimostrare qualcosa a tutti, ma solo ai miei genitori. Dimostrare che James non era l’unico in famiglia a poter raggiungere buoni risultati in qualcosa, e se arrivare per prima significava rendere anche per pochi attimi i miei genitori fieri di me sarei stata pronta a vincerne anche cento di gare, perché il sorriso che ricevevo da loro quando vincevo era infinite volte meglio di una semplicissima medaglia.
«A proposito, cosa devi fare oggi pomeriggio?»
La domanda interruppe i miei pensieri, riportandomi alla realtà. Scrollai leggermente le spalle, avvicinando la mia tazza alle labbra per bene un po’ della cioccolata calda. «Alle tre devo essere in piscina, anche se in questo momento vorrei solo andare a farmi un bel pisolino. Tu cosa fai?»
«Non lo so, dovrei uscire con Madison, ma se vuoi posso accompagnarti»
Se c’era una cosa di cui ero certa, era che Melanie aveva bisogno di distrazione. «No, tranquilla, tu vai pure con Madison, in piscina ti annoieresti solamente»
Melanie sorrise annuendo leggermente. Da quel momento in poi nessuna delle due aprì più bocca e la cucina cadde in un silenzio che mai prima di allora avrei ritenuto possibile.
 
Una cosa che mi piaceva fare era sicuramente sedermi sul bordo della vasca dopo non essermi fermata nemmeno una volta alla fine delle quasi due ore passate in acqua. Era qualcosa che facevo spesso. Stare seduta sul bordo, cuffia e occhialini in mano, gambe immerse nell’acqua fino alle ginocchia e capelli leggermente bagnati sciolti sulla schiena.
Era rilassante, un modo per riuscire a riordinare un po’ i pensieri, specialmente quando nella piscina non c’erano altre anime vive oltre la sottoscritta.
In quei dieci minuti, però, il mio unico pensiero fu Melanie. Provavo e riprovavo a capire cosa avesse fatto sì che Melanie e Lucas arrivassero a mettere un punto alla loro storia e, specialmente, cosa James c’entrasse in tutto questo, ammesso che c’entrasse davvero qualcosa. Nessuno dei due si decideva a dirmi qualcosa e finché non l’avessero fatto, le mie sarebbero rimaste semplici supposizioni.
Sospirai piano, alzando dopo qualche secondo lo sguardo dalla superficie dell’acqua, finché non incrociai degli occhi verdi che, in lontananza, mi osservavano con insistenza.
Aprii leggermente la bocca nel riconoscere Adrian, sorpresa di vedermelo sull’ingresso della piscina immobile come fosse una stata con il volto impassibile. Mentalmente, mi chiesi da quanto potesse essere lì a fissarmi e, ancora, mi chiesi come io abbia fatto a non accorgermi della sua presenza.
Socchiusi leggermente gli occhi, cercando di osservarlo meglio, ma appena un secondo dopo lui si voltò dall’altra parte, diretto probabilmente verso gli spogliatoi maschili con passo svelto, svanendo troppo velocemente dalla mia visuale.
Avevo ormai perso il conto del numero dei giorni che erano passati da momento in cui lui aveva deciso di ignorarmi completamente, come se da un momento all’altro non esistessi più.
No, in realtà sapevo perfettamente quanto tempo fosse passato: quattro settimane e tre giorni.
Non un saluto, non un sorriso, nemmeno qualche stupida frecciatina per infastidirmi, niente di niente. Evitava accuratamente di uscire con i suoi amici quando sapeva c’ero anche io e, le poche volte in cui ci eravamo incrociati, se ne stava sempre con qualche ragazza – il più delle volte la suddetta ragazza era Kaila, un dettaglio che ignoravo volontariamente.
Avevo chiesto spiegazioni a Peter, perché se c’era qualcuno che sapeva il motivo di quel comportamento, quel qualcuno era proprio il suo migliore amico. Ma come Adrian, nemmeno Peter volle darmi alcuna spiegazione, rivolgendomi un semplice sorriso di scuse prima di aggiungere che quelli non erano affari suoi e che dovevamo vedercela da soli.
In realtà, non è che avessi fatto poi molto per cercare di parlare con Carter, chiedergli spiegazioni sul suo atteggiamento, ma non me ne sentii particolarmente in colpa.
Con il passare dei giorni ci avevo quasi fatto l’abitudine, convincendomi del fatto che se lui non voleva parlare con me, io non volevo parlare più con lui.
Eppure, era bastato rivederlo quei pochi secondi per far crollare all’istante ogni sorta di convinzione.
Mi alzai di scatto aiutandomi con entrambe le mani, infilando il più velocemente possibile le infradito prima di correre – letteralmente – verso gli spogliatoi femminili, cercando di non scivolare e ritrovarmi con il sedere a terra.
Una volta dentro, andai immediatamente oltre le docce, fermandomi solo dopo essere arrivata davanti al mio borsone, senza nemmeno togliere il costume bagnato, infilai rapidamente i jeans e subito dopo le scarpe da ginnastica. Misi con poca delicatezza infradito, occhialini e cuffia nel borsone, afferrando poi la felpa e infilandola solo dal collo, prendere il borsone e correre verso il corridoio che avrebbe condotto fuori dalla scuola, sperando con tutta se stessa che Carter non fosse già andato via.
Forse, erano solo una decina di metri quelli che dividevano lui dal grande portone e, non appena vidi, un piccolo sospiro di sollievo uscì dalle mie labbra.
«Carter!» Lui si fermò un secondo e, nonostante la distanza, riuscii a vedere le sue spalle irrigidirsi nel sentirsi chiamare. Il tutto però durò poco, e Adrian riprese a camminare verso l’uscita come se niente fosse.
A quella reazione, cercai di incenerirlo – senza successo – con lo sguardo.
Le mie gambe iniziarono a muoversi da sole. Borsone ancora in spalla, felpa infilata non ancora completamente e l’unica cosa che feci in quel momento fu correre nella sua direzione il più velocemente possibile per riuscire a raggiungerlo. Alla fine, mi bloccai proprio dietro di lui, poggiando saldamente una mano sul suo braccio e costringendolo a girarsi.
«Carter, mi sembrava ti avessi chiamato.»
Adrian restò immobile solo pochi attimi poi, lentamente, volse lo sguardo dietro di sé, girandosi con metà del busto verso la mia direzione. «E allora?» Il tono della sua voce sembrava fosse ghiaccio puro, un tono con cui mai prima di allora aveva usato per rivolgersi a me e, per un istante, mi chiesi se avrei preferito il suo silenzio a quel tono.
«E allora, avresti dovuto almeno cagarmi un secondo»
«Cosa ti fa pensare che volessi cagarti anche solo per un secondo?»
«Beh, in effetti nelle ultime settimane mi è parso che tu volessi fare tutto eccetto che considerarmi» Iniziai, senza volerlo, ad usare il suo stesso tono.
«Perspicace» E, detto ciò, tirò velocemente il braccio verso di sé, liberandosi dalla mia presa prima di girarsi nuovamente dall’altra parte e tornarsene sui suoi passi.
Rimasi imbambolata per qualche secondo, osservandolo mentre, con passo deciso, arrivava sempre più vicino verso l’uscita.
Se possibile, mi mossi ancora più velocemente di pochi attimi prima, stavolta piazzandomi proprio tra lui e gli appena due metri che lo dividevano dal portone. Mi sistemai meglio il borsone sulla spalla, osservandolo poi attraverso la fessura della palpebre.
Lui si bloccò un secondo prima di scontrarsi contro di me, la confusione dipinta sul suo volto per un momento talmente corto che a malapena riuscii a coglierlo.
«Adesso tu non esci di qui finché non mi spieghi cosa cavolo ti prende! Sono stata abbastanza chiara?»
«Togliti Moran, lasciami passare. Non ho intenzione di spiegarti proprio un bel niente»
Se possibile, il mio sguardo divenne ancora più di fuoco. «Non azzardarti a fare un solo passo o giuro che…» le parole mi morirono in gola, senza che nemmeno io riuscissi a capire cosa avrei esattamente fatto nel caso se ne fosse andato. «Tu mi devi una spiegazione, che voglia darmela o no» Calcai volontariamente sulla parola “devi”, ignorando il fatto che con quell’atteggiamento non avrei fatto altro che peggiorare le cose.
Esattamente come mi immaginavo, anche il suo sguardo da impassibile divenne improvvisamente di fuoco. «Io non ti devo proprio un bel niente invece»
«Ah no? Mi hai quasi baciata dopo che abbiamo dormito insieme e poi sei sparito, senza nemmeno dirmi niente! Hai deciso di allontanarti, hai deciso di togliermi perfino il saluto senza darmi nemmeno una valida spiegazione, senza nemmeno che io ti abbia fatto qualcosa! Quindi sì, TU MI DEVI UNA SPIEGAZIONE!» Più parlavo, più il mio tono di voce si alzava, e alla rabbia si aggiunse anche una piccola nota di “disperazione”, finché non arrivai ad urlare quanto più forte riuscivo, ma a nessuno dei due sembrava importasse molto, troppo intenti a cercare di ucciderci semplicemente con la forza dello sguardo.
«Non azzardarti a fare a me questi discorsi del cazzo. Non ho intenzione di spiegarti niente, hai capito Moran? Niente di niente. Non te lo meriti nemmeno.» Per la seconda volta, aveva intenzione di andarsene, eppure in quel momento l’ipotesi di lasciarlo davvero andare proprio non riusciva ad insinuarsi nella mia mente. Quando fece per spostarsi di lato, io mi mossi, imitandolo, piazzandomi nuovamente davanti a lui e un verso gutturale si bloccò alla gola del ragazzo.
«Non lo ripeterò di nuovo, fammi passare Moran.»
«Non lo ripeterò di nuovo, dimmi cosa ti ho fatto per farti arrivare a questo punto, dimmi perché ti comporti come se non esistessi, come se avessi cancellato ciò che stava per succedere» Stavolta, al contrario di prima, il tono di voce andò ad affievolirsi man mano che proseguivo la frase, arrivando solo ad un piccolo sussurro.
«Vieni a parlare a me di aver cancellato? A me? E tu invece, eh? Sai Moran, non ti facevo così ipocrita. Io al contrario di te dopo quello che è successo ho passato praticamente tutte le ore a pensare e ripensare a te, tu invece cos’hai fatto? Te lo dico io: tu alla prima occasione te ne sei andata a farti baciare da Matthew.»
A quelle parole fu come se tutto intorno a me si fosse fermato.
Tutto era sparito, Melanie, James, Matthew, Kaila… perfino Carter. C’ero semplicemente io e le parole che in quel momento mi colpirono come uno schiaffo in pieno volto.
Alla fine, volente o no, Adrian mi aveva finalmente detto qual’era la causa di tutta quella situazione.
Continuai a starmene in silenzio, la mente che non riusciva più a ragionare come doveva.
Adrian forse si sarebbe aspettato una risposta da parte mia dopo il suo “piccolo”  sfogo, ma che però sembrava proprio non volesse arrivare. Un sorriso amaro si dipinse sulle sue labbra poi, senza nemmeno aggiungere altro nemmeno lui, si spostò nuovamente di lato per sorpassarmi, ma stavolta io non feci niente per impedirgli di camminare.
Sentii i suoi passi come rimbombarmi nelle orecchie. Riuscii a sentire perfino il momento in cui la sua mano si poggiò sulla maniglia del portone per potersene finalmente andare da lì, e le parole uscirono dalla mia bocca senza che io potessi trattenerle. «Io e Matt non ci siamo mai baciati»
E era vero, Matthew non mi aveva mai baciato. Io non glielo avevo permesso, allontanandomi giusto in tempo per impedirglielo.
Nessun rumore sembrava provenire alle mie spalle e io non avevo la più pallida idea di cos’altro potessi fare o dire.
«Come?»
Mi girai lentamente verso di lui, riprendendo immediatamente il controllo di me stessa non appena sentii la sua voce. «Non ho mai baciato Matthew, non c’è mai stato nessun bacio tra noi.»
Adrian corrugò leggermente le sopraciglia, come se fosse stato colto di sorpresa da quell’informazione. Poi spostò lo sguardo sul mio volto, e io riuscii a leggere lo stupore dipinto sul suo volto. «Tu… tu e Matthew non vi siete baciati. Ma com’è possibile? Io vi ho visto mano per mano a pattinare e… Kaila ha detto stavate per baciarvi prima che venissi anch’io»
«Ti ho detto che non ci siamo baciati, quante volte devo ripetertelo?»
Adrian fece qualche passo verso la mia direzione, fermandosi a pochi centimetri da me tanto che per riuscire ad osservarlo meglio dovetti alzare leggermente la testa verso l’alto.
«Non vi siete baciati»
«No brutto pezzo di idiota, irritante cretino megalomane che non sei altro, non ci siam--»
In quello stesso istante, Adrian poggiò entrambe le mani sul mio volto, obbligandomi ad alzarlo ancora di qualche centimetro. Mi ritrovai con le sue labbra poggiate contro le mie.
Spalancai leggermente gli occhi fissando sbalordita le sue palpebre chiuse. Il borsone mi cadde improvvisamente dalla spalla, producendo un tonfo sordo che però sembrò quasi assordante.
Percepii il cuore battere troppo forte nel petto, la mente completamente vuota, mentre le labbra di Carter… di Adrian, iniziarono a muoversi con delicatezza contro le mie. Appena un secondo dopo mi avvicinai maggiormente al suo corpo fino a sfiorargli il petto con il mio, il costume ancora bagnato che toccava la sua maglia, circondandogli il collo con un braccio mentre anch’io chiusi lentamente gli occhi, nello stesso istante in cui le sua mani si spostavano sui miei fianchi, mentre iniziavo a rispondere a quel bacio inatteso senza che potessi – o anche solo volessi – fare altro.
In quel momento, mi sentii stranamente bene, come se baciarlo fosse la cosa più bella del mondo e, in effetti, poteva essere classificata come una delle cose più belle che avessi mai fatto.
Per un secondo, il pensiero di ciò che stavamo facendo mi sembrò sbagliato mentre nella mente mi passarono tutti i momenti che in quegli anni avevamo passato a litigare, quasi ad odiarci. Eppure, il solo pensiero di allontanarmi e mettere fine a quel contatto era assolutamente fuori discussione.
Carter sembrò intenzionato quanto me ad allontanarsi e, in quel momento mi strinse talmente forte a lui che riuscii a percepire il ritmo frenetico del suo cuore, veloce quasi quanto il mio.
Poi, all’improvviso, schiuse leggermente le labbra e… oh, ogni barlume di lucidità svanì dalla mia mente, senza che potessi far altro oltre che continuare a baciarlo, completamente esclusi dal resto del mondo. 










Ce l'ho fatta, finalmente sono  riuscita ad aggiornare! Non vedevo l'ora di scrivere e pubblicare questo capitolo per conoscere i vostri pareri! 
Okay, non mi metto a fare chiacchiere inutili, spero solo che il capitolo vi piaccia!


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Capitolo 15
*** Capitolo quindici. ***


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Capitolo XV

Sei pagine.
Solo sei pagine e finalmente avrei potuto chiudere tutto e potermi godere – come stavano facendo tutti in quel momento – quei pochi minuti di pausa che dividevano l’intervallo tra un’ora di lezione e l’altra.
Quattro, solo quattro pagine…
Se c’era qualcosa che chiunque avrebbe potuto sapere, questa sarebbe sicuramente stata che mai, nemmeno i primi anni, ero stata una ragazza particolarmente studiosa, né tanto meno avevo mai amato molto i libri, specialmente se quest’ultimi erano scolastici e andavano ad occupare proprio i pochi momenti di libertà che venivano concessi a noi poveri alunni.
Avevo sempre preferito passare le giornate fuori invece che rintanata nella mia stanza a studiare e, di certo, non avevo mai lontanamente pensato di scambiare un noioso libro di qualche assurdo autore europeo con un allenamento in piscina, nemmeno se quest’ultimo avesse finito col prendermi anche tutta la giornata.
Poche righe.
Con un rapido gesto della mano richiusi il libro, provocando una specie di tonfo sordo per il colpo, seguito da un teatrale sospiro di sollievo. Alzai solo per pochi attimi lo sguardo sulla folla di gente che gironzolava indisturbata nel cortile nonostante il vento gelido che tirasse fuori poi, senza riuscire ad intravedere nemmeno un volto familiare, rimisi con calma il libro nello zaino, alzandomi dal muretto per tornare dentro la struttura scolastica.
Di due cose ero assolutamente certa in quel momento.
Primo: la campanella che avrebbe messo fine all’intervallo sarebbe suonata di lì a pochi attimi.
Secondo: se fossi arrivata nuovamente in ritardo alla lezione di Chimica, un’improvvisa interrogazione non me l’avrebbe tolta proprio nessuno, seguita a ruota da una ricchissima F.
Quindi, come spesso capitava, anche in quel momento mi ritrovai davanti al mio armadietto, borsa a tracolla a portata di mano e libri che sembravano volessero “scappare” da tutte le parti mentre cercavo di individuare quelli che mi sarebbero serviti per le ultime ore di lezione.
Avrei potuto anche giurarlo, l’intenzione di arrivare puntuale in classe c’era tutta, era il resto del mondo che sembrava volesse impedirmelo a tutti i costi. E sì, con “il resto del mondo” intendevo proprio Adrian Carter.
Se ne stava comodamente poggiato con la spalla contro uno degli armadietti a nemmeno un metro di distanza da me, le braccia incrociate al petto e un sorrisetto – finto – innocente stampato sulle labbra.
Non appena il mio sguardo andò ad incrociare il suo, sentii le guance accaldarsi all’improvviso senza avere la più pallida idea di cosa potessi fare per evitarlo. Sarà stato il ricordo di ciò che solo due giorni prima era successo con lui, la sorpresa di ritrovarmelo davanti, o semplicemente il trovarlo un pochino attraente con le punte dei capelli scuri che gli coprivano in parte la visuale, ma in quel momento mi sentii come se ogni muscolo del mio corpo si fosse pietrificato.
Solo quando Adrian alzò appena un sopraciglio, alzandosi dall’armadietto e avvicinandosi di un paio di passi, riuscii a tornare con i piedi per terra, schiarendomi un po’ la voce e cercando di parlare come se niente fosse. «Ehilà, Carter! Cosa ti porta qui?»
E poi accadde qualcosa di incredibile: il sorriso di Adrian, da finto ragazzo per bene, divenne un sorriso. Un vero sorriso, di quelli spontanei, cercati di essere trattenuti senza nemmeno troppo impegno, di quelli… belli.
«Gironzolavo, niente di che. Tu piuttosto, sei in ritardo per la lezione, la campanella è già suonata e nemmeno te ne sei resa conto.»
Poi accadde tutto così velocemente che forse, se qualcuno mi avesse chiesto di spiegarlo bene, nemmeno ci sarei riuscita. Rimasi per qualche secondo imbambolata, come se stessi guardando il vuoto poi, con estrema lentezza, girai la testa verso il resto del corridoio, dove gli ultimi studenti avevano già quasi raggiunto tutti le proprie classi.
Sotto lo sguardo interrogativo di Adrian, chiusi velocemente l’armadietto, presi al volo tutto ciò che ritenevo mi sarebbe stato utile e corsi via – letteralmente – senza nemmeno udire l’urlo che Adrian stava lanciando alle mie spalle, verso la mia direzione.

***
POV Melanie.

In quel momento, l’unica cosa a cui la mia mente riusciva a pensare, era solo ed esclusivamente l’immagine di James.
Nel corridoio del secondo piano c’era una leggera corrente d’aria fredda che, se possibile, rendeva quel luogo un po’ macabro, colpa forse anche del silenzio che ne regnava sovrano.
Pochi minuti prima avevo intravisto per puro caso la familiare figura di James entrare nei bagni maschili, e nell’unico attimo in cui il suo sguardo aveva accidentalmente incrociato il mio prima che lui sparisse oltre la soglia, decisi che avremmo parlato, che lui lo volesse o meno.
Mi poggiai con entrambe le spalle contro il muro adiacente alla porta, incrociando le braccia davanti al petto in attesa che lui uscisse.
Il nervosismo per quella situazione scacciò del tutto la poca pazienza di cui madre natura mi aveva dotata e, se solo avessi avuto un minimo di buon senso, probabilmente me ne sarei rimasta appoggiata al muro – o meglio, forse avrei fatto proprio meglio ad andarmene direttamente.
Con molta più decisione di quanto mi aspettai di avere, aprii con non molta delicatezza la porta d’ingresso nei bagni maschili, intercettando quasi immediatamente James, apparentemente troppo concentrato a sciacquarsi le mani per notare che, la persona appena entrata, fosse una ragazza.
Quando si voltò e mi vide, fu solo per un attimo, ma gli lessi chiaramente la sorpresa provata nel vedermi lì, a pochi passi da lui.
«Ciao» a malapena riuscii a riconoscere la voce che uscì dalle mie labbra, carica di insicurezza e timore.
Da parte sua però, James non disse niente, limitandosi a continuare a guardarmi come se in realtà non esistessi affatto.
«Ho detto ciao» riprovai con un po’ più di forza, pentendomene appena un secondo dopo quando lo vidi socchiudere leggermente le palpebre.
Ancora una volta, nessuna risposta.
«Continuerai ad ignorarmi ancora per molto?»
«Non ho niente da dirti, e ora lasciami passare.» Disse, avvicinandosi di qualche passo verso di me.
In tutta risposta, piuttosto che allontanarmi e lasciarlo passare, mi piazzai con ancor più insistenza tra lui e la porta. «Almeno potresti lasciarmi spiegare»
«Non c’è proprio nulla da spiegare. Sei venuta a letto con me mentre stavi con un altro. Cos’altro vorresti aggiungere?»
«Io- »
«Insomma Melanie, davvero pensavi che non l’avrei scoperto? Ma che diavolo ti è passato per la testa, eh? È stato il mio migliore amico a dirmi che tu eri fidanzata, il mio migliore amico, a cui non ho nemmeno detto quello che abbiamo fatto per quanto me ne vergogni in questo momento!»
«James» Ma, prima che potessi dire qualunque altra cosa, James riprese nuovamente a parlare.
«No, James un cazzo, Melanie.» Per la seconda volta, aveva usato il mio nome per intero. Stavolta però, era diverso… sembrava come se nel pronunciarlo si sentisse schifato, deluso, amareggiato, e più restavo lì ad ascoltare tutto ciò che lui pensava – le quali, in fondo, sapevo di meritarmele – più sentivo gli occhi farsi lucidi.
«Scommetto che Alinee non sa niente, vero? Ovvio, con quale coraggio potresti dirle una cosa del genere? Chiunque penserebbe a te come ad una traditrice, o una poco di buono, forse perfino mia sorella, che invece stravede per te. Ma tranquilla, non sarò di certo io a distruggere l’immagine che si è fatta su di te, penso non mi crederebbe, e poi perché per me hai smesso di esistere.»
Una traditrice.
Una poco di buono.
Quelle parole mi avevano colpito come uno schiaffo in pieno volto.
Per me hai smesso di esistere.
Rimasi impietrita a quelle parole, come se il tempo si fosse improvvisamente bloccato, come se avessi perso del tutto la capacità di controllare il mio corpo. «James, mi dispiace, davvero. Io- »
«Smettila, non voglio ascoltarti.»
E, senza nemmeno preoccuparsi di usare un po’ di delicatezza, poggiò una mano sul mio braccio e mi scansò da davanti alla porta. Un attimo prima che potesse richiudersi la porta alle spalle però, trovai la forza di pronunciare un’ultima domanda.
«Quindi finisce così?»
«In realtà non è mai nemmeno cominciata.» E se ne andò senza più rivolgermi neanche uno sguardo, lasciandomi lì con un buco nel petto così grande che mai prima d’ora avrei pensato di poter provare.

***

POV Kaila.

«Quindi fammi capire, tuo cugino arriverà questo fine settimana dall’Inghilterra, dormirà in camera con te e tu hai paura di non riuscire a trattenere i tuoi istinti… sessuali, e saltargli addosso?»
«Un riassunto un po’ strano ma sì, credo che il succo sia proprio questo.»
«Ma dai, è ridicolo. Insomma, lui è tuo cugino!»
«E quindi? Guarda che è uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto. Se solo non fossimo parenti- aaaah ma che puoi capirne tu!»
Adrian continuava da più di mezz’ora a insistere sulla teoria che nessuno poteva sentirsi attratto dai propri parenti, in quanto essi condividevano lo stesso sangue. Continuava a ripetere anche che fosse una cosa contro natura, inspiegabile, ma penso sia solo perché a lui non è mai successo con le sue, di cugine.
Che poi, non è che avessi intenzione di sposare mio cugino visto che la sua bellezza era direttamente proporzionale alla sua stupidità, semplicemente era un po’ da bugiardi dire di non sentirsi minimamente attratti da un bel corpo come quello che aveva lui.
«Sarà, ma io resto della mia idea.»
«Chissà perché me lo aspettavo!»
Adrian sorrise e, come succedeva ogni volta che lo faceva, mi ritrovai a mia volta a sorridere con lui, come fossi un’ebete.
La maggior parte delle persone ritenevano Adrian semplicemente come una possibile futura stella del basket, qualcuno di cui tutti vorrebbero essere amici o come quello che proprio non è interessato a mettere la testa a posto e stare seriamente con un’unica ragazza.
Erano poche le persone a cui lui permetteva di farsi conoscere davvero – o meglio, questa era la conclusione a cui ero giunta io – e la sottoscritta poteva vantarsi ai quattro venti di essere una dei “pochi”.
Passando sempre più tempo con lui, capii quanto in realtà fosse un bravo ragazzo e quanto bene volesse alle persone di cui si circondava.
Ma avevo capito anche quanto fosse testardo, un po’ altezzoso e con un senso dell’umorismo che avrebbe fatto invidia a chiunque.
Per quanto riguardava lo stare con una sola ragazza… a quello non sembrava poi molto interessato, visto che, per quanto ricordassi, non ne aveva mai nominata nessuna in particolare.
Nessuna, certo, ad eccezione forse di Alinee. Ma i commenti che faceva su di lei potevano far pensare a tutto, tranne che ne fosse innamorato, o che comunque provasse anche solo un qualche piccolo sentimento per lei.
A non convincermi molto della cosa, però, erano forse quei strani sorrisetti che faceva senza nemmeno rendersene conto le poche volte in cui la nominava, o gli sguardi che fissava su un punto non ben definito quando l’argomento sembrava essere ormai chiuso.
E, solo in quel momento, notai con la coda dell’occhio cosa fosse con esattezza l’oggetto che Adrian continuava a rigirarsi tra le mani fin dal primo momento in cui ci eravamo seduti sui gradini di casa mia: un cellulare.
Non il suo, non un cellulare qualunque, ma proprio quello di Alinee.
«Cos’è quello che hai in mano?»
«Un telefono, cos’altro potrebbe essere?» Rispose lui, come se fosse la domanda più stupida del mondo e, in effetti, era proprio così.
«Intendevo, perché ce l’hai tu?»
«Chi altro dovrebbe averlo, scusa?»
«Carter, quel telefono non è tuo, è di Alinee. Ero la sua compagna di banco, ricordi? L’avrò vista con quel telefono in mano almeno ottocento volte!»
«Certo che non ti si può nascondere proprio nulla eh» sbuffò, ma capii all’istante che non era affatto infastidito della cosa. «Le è caduto stamattina. Ho provato a dirglielo, ma è scappata via. Era in ritardo per le lezioni, come al solito.» E, conclusa la frase, fece un altro dei suoi famosi sorrisi che però, stavolta, non provocarono in me la stessa reazione di pochi attimi prima.
«Puoi darlo a me, glielo ridarò domani mattina.» E sarei già stata pronta anche a porgere la mano, se lui non avesse aperto ulteriormente la bocca.
«No, non preoccuparti, glielo ridarò io tra… tra un po’. Domani, forse. Non lo so, quando ne avrò voglia. Riesco già ad immaginare la sua faccia arrabbiata.»
Senza più riuscire a trovare una singola parola da dire, rimasi in silenzio, annuendo appena mentre lui, dal canto suo, continuava a rigirarsi tra le dita quel cellulare, standosene a sua volta in silenzio.
«Ti piace?»
«Che cosa?»
«Alinee, Carter. Alinee.»
Nel sentire nuovamente quel nome, Adrian girò rapidamente la testa verso di me, puntando lo sguardo dritto nei miei occhi, decidendosi a rispondere dopo una decina di secondi, riprendendo a guardare fisso davanti a sé.
«Lei è… strana. È particolare. Ogni tanto anche imprevedibile. Lei è… una rompiscatole di prima categoria, con quella sua lingua poi, sarebbe in grado di dirtene di tutti colori. Mi piace farle perdere la pazienza, perché ogni volta riesce ad inventare qualcosa di nuovo per rispondere sempre alle stesse provocazioni.»
E l’unica domanda che in quel momento riusciva a venirmi in mente, era semplicemente “perché lei, e non io?”, era il coraggio di porgerla a mancare.
«Sei innamorato di lei?»
«Ehi, in realtà non mi sembra di aver mai nemmeno confermato che mi piaccia.»
«Però ti piace.»
Stavolta, senza aggiungere altro, Adrian mise un braccio intorno alle mie spalle e mi attirò a sé, lasciando che poggiassi la testa poco distante dall’incavo del suo collo. «Koala, anche te mi piaci-»
Eppure, quando pronunciò quelle ultime parole, dentro di me sentii come se la frase fosse stata interrotta improvvisamente. Come se, a seguire, ci fosse anche un “però tu non sei lei” non pronunciato, ma solo pensato da entrambi.









Lo so, ho aggiornato dopo tipo un secolo e mi scuso, ma la scuola mi ha preso praticamente quasi tutto il tempo.
Stavolta mi sono concentrata un po' di più su altre "coppie", ma dal prossimo capitolo penso che l'attenzione sarà spostata nuovamente su Alinee e Adrian.



Ho aperto un gruppo su Facebook dedicato interamente a questa FanFiction. Verranno pubblicate novità, eventuali avvisi e magari ogni tanto anche qualche spoiler, ma sarà soprattutto un posto dove – se volete – potremo conoscerci meglio!
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Capitolo 16
*** Capitolo sedici. ***


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Capitolo XVI

Sabato. Sicuramente il giorno più bello della settimana, quello che tutti attendono con più impazienza.
Sarà l’assenza della scuola, sarà il poter stare sveglio fino a tardi senza doversi poi preoccupare il giorno dopo di non avere nemmeno le forze per compiere a stento due passi, ma tutti, nessuno escluso, amano il sabato.
E, forse, se avessi avuto con me il mio cellulare, avrei apprezzato molto di più questa bellissima giornata dove, tra l’altro, per la prima volta dopo settimane non cade giù dal cielo nemmeno un fiocco di neve e anzi, per essere in inverno, la giornata è anche fin troppo soleggiata.
Doppio motivo per ritrovarsi con il morale sotto terra.
Non solo Melanie avrebbe passato la giornata in giro senza di me – il che di per sé poteva essere già considerata una punizione crudele – ma mia madre aveva deciso di proibirmi di uscire fino a quando non sarei riuscita a ritrovare il mio maledetto cellulare, in quanto ogni tentativo da parte mia di tenere nascosta questa “perdita” fallì miseramente appena due giorni prima, quando la signora Moran aveva deciso di chiamare sua figlia senza nemmeno avere un motivo in particolare, e la suddetta ragazza le aveva riattaccato in faccia. Quando poi tornò a casa, volle sapere a tutti i costi il perché di questo gesto, e io fui costretta a raccontarle la verità, ovvero che avevo perso il telefono addirittura due giorni prima.
In realtà, inizialmente pensai di averlo perso, ma il fatto che qualcuno abbia rifiutato la chiamata di mia madre, fa più pensare al fatto che sia stato rubato.
Perso, rubato, che cambiava? Restava comunque il fatto che avrei passato questo intero fine settimana ad annoiarmi, perché mai sarei riuscita a ritrovare quell’aggeggio, a meno che il ladro non si fosse degnato di restituirlo alla legittima proprietaria.

***
 
Il Blue Moon quella sera brulicava di persone, tutte tra i diciassette e i ventitre anni massimo, se si escludeva una ragazza con in testa quella che sembrava una tiara a cui era attaccato un corto velo bianco, molto probabilmente intenta a festeggiare quello che doveva essere il suo addio al nubilato insieme alle sue amiche.
«Forse abbiamo sbagliato locale.» la voce di Peter risuonò comunque squillante nonostante la musica che risuonava all’interno del bar.
«No ragazzi, vi dico che è questo!» una seconda voce, più alta della prima, si fece largo tra la musica, e nessuno del gruppo fece fatica a ricollegarla ad Alexander.
«Ricordami perché abbiamo tutti acconsentito a lasciare che fossi tu a decidere dove avremmo passato la serata, per favore!»
«Semplice, perché sapete perfettamente di poter andare sul sicuro con me!» e, detto ciò poggiò la mano sul mio braccio, tirandomi indietro. «Adrian fermati qui! È l’unico tavolo libero, sarebbe inutile continuare a cercare!»
«Uhm» diedi un’ultima occhiata tutt’intorno e, constatato il fatto che Alexander avesse ragione, occupai la sedia più vicina a me.
«La prossima volta scelgo io, sia chiaro a tutti»
«Ah sì Peter? E sentiamo, dove vorresti andare?»
Peter rimase per qualche attimo in silenzio, guardando poi dritto verso di me in cerca di aiuto, ma io mi limitai ad una scrollata di spalle e un sorriso che diceva “mi spiace amico, non so come potrei aiutarti”. «Mi inventerò qualcosa, c’è pur sempre una settimana per pensarci!»
Prima che qualcun altro potesse ribattere, una giovane cameriera si avvicinò al nostro tavolo, un blocchetto alla mano e un sorriso chiaramente finto sulle labbra. Se non fosse stato per l’aria chiaramente scocciata, messa in risalto soprattutto dalla ruga che aveva sulla fronte aggrottata, sarebbe apparsa carina alla vista di chiunque: fisico snello, lunghi capelli neri e occhi verdi. «Allora ragazzi, cosa vi porto?»
Inutile dire che, i ragazzi, ordinarono esclusivamente ogni sorta di alcolico, senza avere nemmeno la minima intenzione di prendere una piccola bottiglietta d’acqua.

***
 
Il cigolio del cancelletto del cortile di casa mi fece pensare immediatamente al fatto che James fosse tornato, ma bastò guardare l’orologio per capire quanto in realtà fosse troppo presto per essere lui.
L’opzione mamma e papà era esclusa dal principio. Avrebbero passato la serata a casa di un’amica di famiglia e, a detta loro, forse sarebbero tornati ancor più tardi di James, evento più unico che raro.
L’idea di sgattaiolare via aveva più volte preso forma nella mia mente, ma le parole di mia madre “chiamerò una volta a casa, se non rispondi la punizione si allungherà di almeno un mese, con o senza telefono”, bastavano a farmi demordere da ogni tentativo.
Quindi, se non erano i miei genitori e nemmeno James, chi in quel momento era appena entrato nel nostro cortile?
Misi immediatamente il volume della televisione sul muto, balzando a sedere con la coperta che ricadde sulle gambe, cercando di percepire qualunque altro suono.
Silenzio.
Forse l’avevo solo immaginato.
Proprio nel momento in cui stavo per rimettere nuovamente il volume, un altro suono interruppe il silenzio, stavolta una voce chiaramente maschile, ma che non mi sembrava di aver mai sentito prima.
«--quanto sono comod--» «scalin---dormo, pos- dormire»
Scappare in camera. Aprire la porta. Scappare in bagno. Aprire la porta. Scappare in qualcuno posto mi venisse in mente. Aprire la porta.
Scattata in piedi, presi la prima cosa che ritrovai sotto mano, un vecchio vaso in vetro decorato in blu e oro e, senza starci a rimuginare su troppe volte, mi diressi verso la porta d’ingresso con passo leggermente incerto. Prima di aprire, guardai attraverso lo spioncino e riuscii a riconoscere solo una figura nera seduta sull’ultimo gradino di casa mia, le spalle leggermente ingobbite e la testa poggiata contro una colonna lì accanto.
Giudicandolo apparentemente “innocuo”, poggiai la mano sulla maniglia e iniziai a fare respiri profondi, tenendo comunque le orecchie ben aperte mentre, una piccola parte di me, sperava che l’intruso decidesse di andarsene prima che io aprissi.
Nell’esatto momento in cui aprii la porta, il campanello iniziò a suonare insistentemente, fino a quando il ragazzo non si rese conto di avere una persona davanti. Quasi non feci cadere a terra quel maledetto vaso nel riconoscere Adrian.
«Ciao Alinuccia. Finalmente apri.»
«Carter? Che ci fai qui?»
«Ero di passaggio e ho pensato di venire a trovarti.»
Ogni parola che pronunciava era una vampata di puzza di alcool che giungeva alle mie narici.
«E hai pensato bene di venire alle undici, per di più ubriaco.»
«Non sono ubriaco, non del tutto almeno.»
«Vai a casa Adrian. È tardi e se i miei genitori ti vedono qui si arrabbieranno.»
«No, no, no, no.» come se anticipasse i miei movimenti, poggiò il palmo della mano sulla porta, impedendomi di chiuderla «Aspetta. Devo ridarti una cosa.» iniziò a frugare in tutte le tasche della giacca e dei pantaloni e, qualche attimo dopo, ne estrasse un piccolo oggetto scuro. Chiusi le palpebre, cercando di mettere a fuoco l’immagine e capire cosa esattamente dovesse ridarmi. Nel riconoscere il mio cellulare, allungai una mano con l’ovvia intenzione di riprendermelo, visibilmente shoccata di vederlo tra le sue mani, ma ancora una volta, Adrian fu più rapido di me e allontanò prontamente il braccio.
«E meno male che sei ubriaco eh.» incrociai le braccia al petto, spostando lo sguardo dal mio cellulare al suo volto, che ora aveva assunto un’espressione sarcastica, la solita, per capirci.
«Nemmeno un grazie?»
«Grazie? Mi hai rubato il cellulare minimo quattro giorni fa, per colpa tua ho dovuto passare la serata chiusa in casa, e dovrei ringraziarti per avermi ridato il telefono? O meglio, per avermi fatto vedere che hai il mio telefono? Scordatelo, e ora ridammelo.»
«Quanto parli. Sembri una macchinetta e mi stai facendo tornare il mal di testa.»
«Tu ridammi il cellulare, io me ne torno in casa mia, tu a casa tua e siamo tutti felici e contenti, no?»
«Come ragionamento non fa una piega. E io cosa ottengo in cambio?»
«In cambio?»
«Se ti do il cellulare, tu cosa mi dai in cambio?» ripete la domanda con calma, sembrando fin troppo serio.
«Non preferiresti sapere cosa ti darò in cambio se non mi ridai immediatamente il cellulare?»
«Mhn-- dubito mi piacerebbe» fa poi una smorfia con la bocca, accentuando la sua disapprovazione.
«Ci avrei scommesso. Quindi, di grazia, posso riavere il mio telefono, ora?» porsi poi una mano in avanti, che lui guardò attentamente, come se fosse un arto alieno.
«Facciamo un patto. Io ti do il cellulare e tu passi un po’ di tempo con me.»
«Scordatelo, è tardi. Ridammi il cellulare, ADESSO!»
Al contrario, Adrian si rimise il telefono in tasca e fece per andarsene, fino a quando non venne bloccato dalla mia presa sul suo braccio. «Okay, okay, torna qui! Hai vinto! Però prima ridammi il cellulare.»
E, con un piccolo sorriso di vittoria, estrasse per la seconda volta il cellulare dalla tasca, stavolta poggiandolo sul palmo della mano che io avevo nuovamente avvicinato a lui.
Infastidita, o semplicemente perché non volevo dargliela vinta, prima che potesse dire o fare qualunque altra cosa, rientrai velocemente in casa richiudendomi la porta alle spalle il più rapidamente possibile, così che lui non avrebbe avuto nemmeno il tempo di provare a pensare di fermarmi.
Rimasi immobile per qualche attimo, il cellulare stretto bene tra le dita e le spalle poggiate contro la porta mentre prendevo gradi boccate d’aria, il cuore che, inspiegabilmente, batteva forte contro il petto.
Due, tre, cinque, o forse addirittura dieci minuti.
Continuai a restare in quella posizione con lo sguardo fisso in un punto non ben definito. Incuriosita dal non riuscire a sentire più alcun rumore, mi girai lentamente, osservando una seconda volta dal buco dello spioncino e stupendomi non poco di vedere Adrian nuovamente seduto sugli scalini, nella medesima posizione in cui l’avevo visto precedentemente.
Poggiai il vaso e il cellulare sul tavolino in sala e, presa la coperta che fino a pochi attimi prima avevo usato io, tornai verso la porta, uscendo sul davanzale.
Cercai di muovermi facendo il meno rumore possibile, poggiando poi la coperta sulle spalle di Adrian, il quale non aprì minimamente bocca, prima di sedermi sul gradino più alto accanto a lui.
Nonostante la luce fioca, riuscii a vedere chiaramente il fatto che tenesse le palpebre chiuse.
«Adrian.»
Ma lui non accennava a muoversi, né a degnarsi di rispondere.
«Se ti aspetti che ti chieda scusa, scordatelo.»
Quando però non ricevetti comunque nessuna risposta, poggiai una mano sul suo braccio e iniziai a scuoterlo leggermente, senza però ottenere alcun risultato. Fu in quel momento che, per la prima volta in quella serata, provai davvero paura.
Non paura per me. Stranamente, era paura che Adrian Carter non stesse bene.
«Adrian svegliati. Se muori qui penseranno che sono stata io, il che come ipotesi potrebbe sembrare molto plausibile.» cercai di sdrammatizzare la situazione, con la speranza che aprisse quei maledetti occhi, ma ancora una volta, nulla.
Con il cervello che ormai viaggiava  a 300 Km/h, feci per alzarmi velocemente con l’ovvia intenzione di andare a chiamare aiuto; senza però fare in tempo nemmeno a salire il gradino sentii il polso ben stretto tra le dita di Adrian e un secondo dopo mi ritrovai nuovamente seduta accanto a lui, stavolta con le sue braccia che mi circondavano, coprendo entrambi con la coperta. «Ma sei scemo? Mi hai fatto prendere un colpo! Ora ti uccido io brutto… brutto…»
«Ssh. Stai in silenzio solo per un minuto, rilassati.»
«Credevo stessi male.»
«Lo so, ho sentito. “Adrian svegliatiii, Adrian!”» trattenne una risata con un verso gutturale e io riuscii ad assestargli una gomitata sullo stomaco che, invece di procurargli anche un minimo di dolore, fece sì che la risata trattenuta appena un secondo prima uscisse senza problemi.
«Così la prossima volta impari a sbattermi la porta in faccia. E ora goditi il silenzio.»
«C’è un po’ di differenza tra quello che ho fatto io e quello che hai fatto tu, sai?»
«Alinee.»
«Sììì, silenzio, silenzio. Sto zitta.»
In realtà, il ritrovarsi circondata da quelle braccia, così vicina a lui, poggiata contro il suo petto e riuscendo a percepire perfettamente il suo respiro sul mio collo, non è che aiutasse poi molto a “godermi il silenzio”, come diceva lui.
Cercai comunque di restare zitta, proprio come lui, spostando continuamente gli occhi da un punto all’altro, fino a fissare lo sguardo sul cielo stellato stranamente ben visibile nonostante le luci della città.
Poi, Adrian spostò una mano e infilò le dita tra i miei capelli – leggermente annodati – iniziando a compiere delle piccole carezze circolari con la punta dell’indice sulla mia testa. 
«Stasera al bar c’era una ragazza che ti somigliava un po’, ma solo fisicamente.»
«È stata lei a farti ubriacare?»
«No. Lei si limitava a portarci quello che ordinavamo.»
Senza riuscire a trovare altro da dire, rimasi in silenzio, cercando di concentrarmi solamente sulle carezze che in quel momento stavo ricevendo.
Come se però ad Adrian non piacesse più il silenzio che poco prima lui stesso aveva chiesto, riprese nuovamente a parlare.
«Pensavo che Matthew fosse venuto da te.»
Leggermente colta di sorpresa, corrugai le sopraciglia, nonostante lui non potesse notarlo. «Matt? Cosa c’entra lui ora?»
«Eravamo in quel bar, lui ha letto un messaggio sul cellulare e se ne è andato, rifilandoci una scusa assurda. Pensavo fosse venuto da te.»
«Come potevo essere io, se il mio cellulare lo avevi tu?»
Non ricevendo risposta, cercai di girare leggermente la testa per riuscire ad osservarlo in volto, ma la posizione in cui mi trovavo me lo impediva.
«Non lo so. Non avevo nemmeno pensato a questo dettaglio.»
Annuii impercettibilmente, senza nemmeno una valida ragione, protestando solo mentalmente quando Adrian interruppe le carezze sulla mia testa.
«Tu gli piaci, per questo pensavo sarebbe venuto da te.»
In quel momento, invece che pensare a Matt e ai momenti passati con lui, rividi nella mente ciò che avevo passato con Adrian. Adrian che non mi parlava. Adrian che non mi salutava. Adrian che evitava perfino di guardarmi. Lo stesso Adrian che pensava ci fosse stato qualcosa tra me e Matt, lo stesso Adrian che avevo baciato e, a quel ricordo, arrossii violentemente, sentendomi quasi in dovere di smentire quelle parole. «Io e Matt siamo amici. Solo amici.»
Percepii Adrian compiere un respiro più profondo rispetto ai precedenti mentre si avvicinava verso di me, fino a poggiare le labbra sulla mia testa, tra i capelli, e sussurrando il più piano possibile «Lo so» dandomi poi un leggero bacio proprio in quel punto e lasciando, da quel momento in poi, ad entrambi la possibilità di godersi davvero quel meraviglioso silenzio.








Buona sera!
E' passato un mese (poco più) dall'ultima pubblicazione? Mi perdonate, giusto? O devo aspettarmi una mandria impazzita sotto il portone di casa?
Okay, facciamo che mi perdonate, va!
Boh, spero il capitolo vi piacca. Confesso che ero tentata di inserire un secondo bacio però, boh, non so perché ma non mi è parso il caso sinceramente.
Vi anticipo solo che nel prossimo capitolo Alinee si farà un "esame di coscienza", chiamiamolo così, per il resto... segreto!

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Un bacio a tutti.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette. ***


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Capitolo XVII

Il ticchettio della sveglia sul comodino faceva da base musicale nella stanza, un po’ come avviene anche nei film.
La sveglia, quel giorno, sicuramente non sarebbe suonata visto che era Domenica, eppure avevo aperto gli occhi un po’ prima del solito. Okay, forse un po’ troppo prima del solito.
Nonostante, la sera precedente, fossi andata a letto troppo tardi, il sonno sembrava proprio non avesse alcune intenzione di arrivare.
Più che dormire, era stato in parte un dormiveglia.
Girai involontariamente la testa di lato e lo sguardo andò a puntarsi sul mio cellulare, riportandomi alla mente tutto ciò che era successo solo poche ore prima.
Poi, il telefono vibrò e mentalmente mi chiesi chi fosse l’idiota – oltre me – ad essere già sveglio alle sette di Domenica mattina.
Il telefono ha riconosciuto la padrona o si è autodistrutto dalla disperazione di non essere più nelle mie mani? P.S. Buongiorno.
Quando lessi il nome di chi me lo mandava, rimasi leggermente stupita visto che non mi sembrava di aver mai scambiato il mio numero con quello di Adrian.
Nonostante questo, ignorai volontariamente la sua pessima battuta, cercando di stuzzicarlo un po’, quindi digitai velocemente sulla piccola tastiera dell’apparecchio.
Non ho idea di chi tu sia. Matt, forse? Credo che QUALCUNO abbia cancellato il tuo numero dal mio cellulare. Nel caso avessi sbagliato… niente, niente.
Lo immaginai sbuffare leggermente, per poi sorridere appena, come suo solito e, la sua risposta, arrivò pochi secondi dopo.
Questo acuto umorismo di prima mattina? Dovrebbe essere vietato alle Alinucce come te.
Stavolta, fu il mio turno per sbuffare, ma sapevo di essermelo in parte meritato.
Alle Alinucce? Qualcosa mi dice che sei Carter, e che probabilmente sei ancora ubriaco.
Inviato il messaggio, rimasi a fissare lo schermo illuminato per qualche secondo, in attesa. Inspiegabilmente, iniziai perfino a contare quanti secondi ci mise per rispondere, cosa che mi fece sentire particolarmente idiota.
Sei proprio la degna erede di Sherlok Holmes… qualche parente alla lontana?
Scherzi a parte, un doveroso grazie a te che, almeno in apparenza, mi hai riportato a casa sano e salvo. Perché sei stata tu, vero?

Per un solo secondo, pensai di fargli un piccolo scherzo, magari dicendogli che in realtà a riportarlo a casa era stato mio padre e che, se l’avesse rivisto nuovamente in giro, non se la sarebbe cavata facilmente, ma fu un’idea che sparì con la stessa rapidità con cui era arrivata.
Il tuo intuito invece farebbe invidia a quello di una volpe! Chi altro avrebbe potuto riportati a casa? Di certo non le tue gambe. Mi hai ringraziato... vuoi per caso far piovere? No sai, perché almeno oggi io vorrei uscire dato che ieri sono stata messa in punizione, sempre per colpa di QUALCUNO eh!
Rispetto al primo tentativo, stavolta mi sentii anche molto più soddisfatta.
Dovevo ammetterlo: per quanto strano, assurdo, quasi impossibile forse, lo scambiarsi dei semplici messaggi con Adrian… mi piaceva.
Il fatto è che, dopo una sbronza di quel genere, tendo a non ricordarmi completamente tutto. Il fatto che tu sia una così brava (o noiosa, dipende dai punti di vista) ragazza spiega perché tu faccia tanto la simpaticona.
Nel momento in cui avevo finito di rispondergli, stavolta cantandogliene quattro, arrivò un secondo messaggio che mi portò a cancellare qualunque parola avessi scritto.
A proposito, visto che vuoi uscire e io devo chiederti delle delucidazioni su ieri sera, dimmi dove e quando e ti passo a prendere.
Rimasi imbambolata solo per qualche secondo, prima di rispondergli.
Adrian IoSonoDivertentissimo Carter, stai seriamente chiedendo a me di uscire? In questo momento immaginami mentre mi sto sbellicando dalle risate!
In realtà, in quel momento, tutto avrei potuto fare, eccetto che sbellicarmi dalle risate per la sorpresa che quel messaggio aveva provocato in me.
Solo per scopi più importanti come capire se sei entrata o meno in camera mia visto che c'è un tuo post-it ma non il ricordo. Ah, per inciso: ah-ah
Il post-it… l’avevo quasi dimenticato.
La sera precedente, quando lui si era addormentato un secondo dopo essersi buttato sul letto, avevo trovato per puro caso sul comodino un blocco di post-it giallo e, sul primo foglietto, avevo scritto le parole “Sei un idiota” prima di andarmene.
A mezzogiorno. Vieni all’incrocio del viale di casa mia.
Eppure, per la prima volta, non mi sembrò nemmeno così assurda l’idea di dover passare del tempo con Adrian.

***

Mai, e sarebbe meglio sottolineare almeno cinque volte questa piccola parola, Adrian Carter era arrivato in anticipo ad un appuntamento.
Ammesso che questo potesse essere considerato come tale.
No, nessun appuntamento. Meglio dire un… incontro.
L’ora di punta, il sole coperto solo in parte dalle nuvole, rendevano sopportabile stare fuori e non congelare.
Se fosse stato il contrario, probabilmente avrei lanciato mentalmente qualche colpo ad Alinee, nonostante lei – per il momento – non fosse affatto in ritardo.
Dopo qualche minuto, quando l’orologio segnò le 12:01, puntai lo sguardo dritto davanti a me, sulla strada in cui sarebbe dovuta passare Alinee.
E proprio mentre nella mia testa iniziò a formularsi il pensiero quasi paranoico che lei, invece, non sarebbe venuta, una ragazza dai lunghi capelli scuri era sbucata dal nulla e si stava dirigendo nella mia direzione mentre, con una mano, teneva il cappotto ben chiuso sul petto.
Anche a quella distanza, non fu difficile riconoscerla.
Quando si fermò proprio davanti a me senza proferir parola, accennai un piccolo sorriso. «Sei venuta.»
Lei alzò appena un sopraciglio. «Avevi qualche dubbio?»
«Assolutamente no.» Più o meno.
«Uhm. Allora, dimmi! Cosa vuoi sapere?»
Tirai fuori dalla tasca della giacca un pacchetto di sigarette non ancora aperto e l’accendino. Ne presi una, guardando solo per un istante Alinee con la coda dell’occhio prima di poggiarla tra le labbra e accenderla.
Poi, quando feci per soffiar fuori il fumo, mi sedetti sul bordo del marciapiede, cosa che pochi secondi dopo fece anche la ragazza, ma solo dopo aver sbuffato.
«Hai dormito con me?» Questa era sicuramente la domanda che più esigeva una risposta tra tutte le altre, se non l’unica.
«Cosa? NO!»
«Lo sospettavo, o me lo sarei sicuramente ricordato.» Feci una pausa per prendere un secondo tiro dalla sigaretta. «Perché ti scaldi tanto? Abbiamo già dormito insieme una volta.»
Alinee non rispose, anzi, cercò in tutti i modi di evitare il mio sguardo, giocherellando con i bordi delle maniche della propria giacca.
«Dimmi, forza. Come ci sono arrivato a casa mia? O meglio dire, nel mio letto?»
La risposta arrivò dopo pochi attimi. «Ti ci ho portato io.»
«Sì, questo l’avevo capito.»
«Ti eri addormentato. Così ho chiamato mia madre con il cellulare per farle notare che davvero lo avevo ritrovato e le dissi che sarei dovuta uscire per fare una cosa, ma che non ci avrei messo molto. E tu porca miseria non avevi alcuna intenzione di svegliarti! Ho dovuto alzarti e portarti di peso, poi è arrivato James…»
«Che cos-»
«Dicevo!» m’interruppe lei. «E’ arrivato James. Era sorpreso, ma non ha fatto domande. Mi ha solo aiutato a metterti in macchina e… e basta. Ti ho portato a casa, trovato le chiavi nei tuoi pantaloni- cioè, nelle tasche, e ti ho lasciato sul letto. Poi me ne sono andata, fine.»
Sospirai. «Hai dimenticato di menzionare il post-it.»
«Oh, sì giusto, il post-it! Bellissimo, vero?»
Risposi semplicemente con una smorfia, dedicando poi la completa attenzione alla sigaretta già quasi dimezzata.
Alinee indossava un paraocchi anzi, si ostinava ad indossarlo a ogni costo. La reazione di prima alla mia domanda ne fu solamente un’ulteriore conferma. Io invece, non so bene come, l’avevo accettato. Accettavo di tenere a lei, accettavo il cambiamento dei miei sentimenti nei suoi confronti, accettavo di vederla sotto una luce diversa. Lei, invece, obbligava sé stessa a fare il contrario. Poi i miei pensieri presero voce senza che me ne rendessi conto. «Tu hai paura.»
La mia non era stata una domanda, ma Alinee rispose comunque, nonostante fosse chiaro che non capisse a cosa mi stessi riferendo. «No che non ho paura.»
«Sì invece. Tu mi piaci, e io piaccio a te, e non come amici, perché due come noi non potranno mai essere amici, con la differenza che io ho smesso di negarlo, tu no.»
Quando mi voltai verso di lei, la vidi con lo sguardo a sua volta diretto nella mia direzione, gli occhi spalancati e le labbra leggermente socchiuse.
Esattamente la reazione che mi sarei aspettato.
Rimasi immobile, continuando a guardarla, finché lei non si riprese dalla sorpresa per la piega che aveva preso la nostra conversazione. «Ma che cosa stai dicendo? Non ho paura, non c’è nulla di cui aver paura. Tu non mi piaci. Cioè-- non in quel senso almeno.»
«E allora in che senso?» La domanda uscì con un tono molto più acido di quanto mi sarei aspettato, ma Alinee sembrò non darci tanto peso, forse troppo intenta a cercare qualcosa da aggiungere.
Eppure eravamo lì, a guardarci l’un l’altra mentre i secondi passavano, e lei restava in assoluto silenzio.
Alla fine, dopo aver preso un ultimo tiro della sigaretta molto più lungo dei precedenti, buttai quest’ultima a terra e mi alzai senza dir nulla a mia volta. La guardai per un istante dall’alto, notando che aveva seguito con gli occhi ogni mio movimento.
«Dove stai andando?»
«A casa mia. Sta iniziando a tirare vento e tu mi hai detto tutto quello che volevo sapere.» Mi allontanai rapidamente, senza più nemmeno darle modo di aggiungere altro.
Se, precedentemente, avevo intravisto da lontano la possibilità, per quanto piccola, di provare ad avere qualcosa con lei, ora era sparita nel nulla.
Alinee non cercò di raggiungermi, o di fermarmi.
Non cercò di dire qualcosa che potesse farmi cambiare idea e tornare indietro, da lei.
In realtà, avevo anche smesso di pensare che mai lo avrebbe fatto.

***

«CHE COSA? TI PREGO, DIMMI CHE SEI IMPAZZITA!»
Allontanai di poco la cornetta del telefono dall’orecchio per evitare che le urla appena lanciate da Melanie evitassero di rompermi un timpano.
«SEI IMPAZZITA, DEVI ESSERO PER FORZA! PER FORZA!» Continuai a tenerlo ad una certa distanza, sbuffando.
«E non sbuffare! SAI CHE HO RAGIONE!»
«Hai finito?» Avvicinai solo una parte dell’apparecchio alle labbra per farmi sentire molto più che bene dalla mia amica che, quasi immediatamente, rispose con un secco NO.
«Senti, tu devi andare da lui! SEI UN’IDIOTA! Ma come ti è saltato in mente?»
«Ma che cos’ho fatto?» In realtà sapevo benissimo cosa avevo detto e fatto solo qualche ora prima con Adrian.
«Cos’hai fatto? COS’HAI FATTO? Lui si è praticamente dichiarato e tu-- ecco cos’hai fatto!»
«Non si è dichiarato!» E nonostante sapessi di aver torto, era più forte di me. Sapevo benissimo che, tra i due, quello che aveva ragione era Carter e non io, ma accettare quelle parole non era facile, non per me almeno.
«Ora capisco perché ti ha piantata in asso ad un certo punto.»
«Cos’hai detto?»
«L’hai capito benissimo. Senti- non puoi continuare a fare così. Allontanarti e avvicinarti di continuo. Avete dormito insieme, ti ha baciata, è venuto da te in piena notte e si è dichiarato il giorno dopo. Cos’altro vuoi?»
Ed ecco la fatidica domanda.
Cos’altro volevo?
O meglio dire, io, cosa volevo davvero?
Sapevo benissimo cosa avrei voluto, ma avrebbe comportato troppi cambiamenti nella vita di entrambi. E come se Melanie potesse leggermi nel pensiero, aggiunse. «Non potrai mai riavere con lui ciò che avevate prima di tutto questo.»
E aveva ragione anche lei. Tutti ormai l’avevano capito, perfino James a cui non avevo raccontato nulla. Tutti, eccetto me. No, non è vero, in realtà l’avevo capito anch’io, semplicemente volevo nasconderlo non solo agli altri, ma anche a me stessa. Da come si erano messe le cose, però, era stato un tentativo patetico e mal riuscito.
 «Okay, ho capito.»
«Davvero?» Melanie sembrò molto più sorpresa di quanto avessi mai potuto pensare.
«Sì, davvero.»
«Era ora! Perfetto, adesso alza il tuo bel culo e vai da lui!»
Quello era qualcosa a cui non avrei pensato perché sapevo che, se l’avessi fatto, non mi sarei mai mossa di casa.  Eppure, annuii, prima di aggiungere. «Okay- Mel, forse però è il caso che anche tu faccia qualcosa per avere, o riavere, non lo so, James.» E, senza dir nulla, riagganciai.
 

Ero stata a casa di Adrian poche volte, tre per l’esattezza, eppure ricordavo alla perfezione dove si trovasse. Ancor prima di pensare che direzione prendere era come se il mio corpo sapesse già dove andare. Dopo aver riattaccato la cornetta, avevo semplicemente infilato la giacca ed ero corsa giù per le scale e poi oltre la porta di casa, alimentata dall’adrenalina.
Avanzavo velocemente, fermandomi solo una volta, quando una goccia mi cadde sulla guancia. Avevo alzato per un attimo lo sguardo sopra di me, notando per la prima volta quando il cielo minacciasse di far venire a piovere.
Dannazione.
Aumentare il passo non servì a nulla, perché pochi minuti dopo era come se stesse avvenendo il diluvio universale. Ma non importava, l’unico obbiettivo era quello di raggiungere la casa di Carter. Non sapevo ciò che sarebbe successo dopo, non sapevo cosa gli avrei detto e non volevo nemmeno pensarci.
Avevo cercato di coprirmi la testa con la giacca, ma ormai ero tutta bagnata, compresi i capelli da cui scendevano decine di piccole goccioline.
Quando finalmente giunsi davanti alla porta della casa, bussai mettendoci troppa forza, ma non mi importò.
Pochi secondi dopo Adrian aprì la porta, guardandomi sorpreso, non so perché confuso nel vedermi lì o per le condizioni in cui mi trovavo.
«Alinee, che cos-»
«No, stai zitto e ascoltami!» Il momento era arrivato, eppure non avevo idea di cosa fare per affrontarlo. Lasciai uscire tutta l’aria dai polmoni senza nemmeno essermi resa conto di aver trattenuto il respiro e chiusi per un attimo gli occhi, come se dentro di me stessi cercando il coraggio di dire ciò che pensavo o provavo.
Eppure, una voce femminile mi distrasse dai miei pensieri.
Alle spalle di Adrian era comparsa una ragazza con una voce squillante, che avrà avuto sì e no quindici anni. «Chi è?»
Nessuno dei tre osava proferir parola, l’unica a far qualcosa ero proprio io, spostando più volte lo sguardo da Adrian a quella ragazza.
Alla fine non dissi nulla, voltai le spalle ad entrambi per tornarmene a casa, stavolta senza dar peso alla pioggia. Adrian alle mie spalle diceva qualcosa, ma non riuscivo a capire cosa, né volevo più saperlo.
Non so con l’esattezza quanti metri percorsi, ma quando mi voltai per vedere chi avesse preso la mia mano, fui comunque sorpresa di vedere proprio Carter, nonostante una piccola parte di me ci avesse comunque sperato.
«Alinee-»
«No, lasciami, non voglio sentire nulla!» Agitai la mano per liberarla dalla sua presa, ma lui la lasciò senza opporre resistenza.
«Qualunque sia la tua conclusione, è sbagliata.»
«La conclusione è solo una, quindi come può essere sbagliata?» Feci per andarmene, finché non sentii ancora la sua voce chiamarmi.
«Alinee, aspetta!»
«Sai che cosa? Vaffanculo! A te e il tuo gruppo di amichette! E vaffanculo anche a me!» Il tono di voce aveva iniziato ad alzarsi, ma non importava a nessuno dei due in quel momento. «Vuoi sapere perché non lo accettavo? ECCO PERCHé! ECCO UNO DEI MOTIVI! Lo sapevo che sarebbe finita così prima o poi! E tu non ci hai messo nemmeno così tanto a consolarti! E NON AZZARDARTI A INVENTARE QUALCHE BALLA! Volevi sentirti dire che hai avuto ragione su tutto? Okay, ti accontento! AVEVI RAGIONE! Come aveva ragione anche Melanie! Ho iniziato a provare qualcosa per te. Non so cosa sia cambiato o perché, ma è successo! E avevi ragione anche nel dire che avevo paura! Ora sei soddisfatto? Spero di sì.»
Mi sentii del tutto svuotata. Gli avevo urlato contro qualunque cosa mi fosse passata per la testa, poco importava quali sarebbero state le conseguenze, e mi sentivo come se dentro di me si fosse appena rotto qualcosa.
Adrian non disse nulla. Ormai era diventato anche lui tutto bagnato, i capelli spari sulla testa, segno che ci aveva da poco passato una mano in mezzo. Restammo per qualche secondo entrambi in silenzio, mentre lui mi fissava con quel suo sguardo impenetrabile.
Poi si mosse rapidamente verso di me, circondandomi con entrambe le braccia, poggiando una mano sulla mia schiena e l’altra alla base della nuca.
Io rimasi immobile, le braccia stese lungo i fianchi e il cervello completamente svuotato.
«Mia piccola Alinee. Quando ho detto che eri giunta alla conclusione sbagliata, sapevo di avere ragione.» Lui poggiò il mento sulla mia testa prima di continuare. «La ragazza che hai visto, e che ora ti considera una pazza, è mia sorella.»
Mi irrigidii a quelle parole e lui sembrò rendersene conto, perché mi strinse ancor più forte tra le braccia. «Lei e mia madre sono arrivate stamattina dalla Francia, si fermeranno per un po’.»
In quel momento non sapevo se sentirmi sollevata oppure volermi nascondere ad almeno cento metri sotto terra per l’imbarazzo.
Alla fine, circondai a mia volta il suo corpo con le braccia, allontanandomi però di poco, per riuscire a vederlo in volto. «Mi dispiace per quello che ho detto.» Nonostante seppi che delle semplici scuse non sarebbero state abbastanza, lui annuì, come se invece gli bastassero. «Non sono arrabbiato, o offeso, anche se credo che mia sorella potrebbe esserlo… ma so che era la rabbia a farti- urlare.»
«Di solito sono io quella comprensiva e tu quello che pensa subito al peggio!»
«Per un attimo ho pensato mi avresti anche picchiato.» Sorrise per un attimo, gocce d’acqua che continuavano a scorrergli lungo tutto il viso, poi aggiunse. «Ora- hai cambiato idea?»
Rimasi per qualche attimo a guardarlo, chiedendomi come potesse semplicemente perdonarmi dopo tutte le cattiverie che gli avevo appena sputato addosso eppure, sul suo viso, non riuscivo a leggervi altro che non fosse… cosa, sollievo? Non avrei saputo dirlo con esattezza.
Mi alzai sulle punte quel tanto che sarebbe bastato ad arrivare alla sua altezza e, quando capì le mie intenzioni, non fece nulla per ritirarsi, anzi.
Un secondo dopo, le nostre labbra erano premute l’una contro l’altra mentre spostai entrambe le mani sul suo volto. Fu un bacio estremamente delicato e le sua labbra erano esattamente come le ricordavo. Sarebbero potuti passare mesi, se non anni, ma ero sicura avrei sempre ricordato la sensazione di sentirle sulle mie.
Mi staccai, mantenendo comunque il volto estremamente vicino al suo. «No. Basta bugie sia a me che a te, niente più scuse.»
Entrambi sorridemmo e prima che potessi anche solo pensare di poter aggiungere qualcos’altro, la sua bocca era di nuovo contro la mia e… qualunque fossa stata la cosa che avrei voluto aggiungere apparve improvvisamente insignificante. 















E bene, ce l'ho fatta anche questa volta.
Mi scuso già da subito se il capitolo non è all'altezza delle vostre aspettative. 
Come vedete, è un po' più lungo rispetto agli altri. In realtà, non so bene nemmeno io per quale motivo non ho deciso di dividerlo in due parti e approfondirlo ancor di più di quanto non abbia già fatto. Mi venivano tante idee, ma le consideravo banali quasi subito. In più, ormai si è visto che - nonostante ci provi - i tempi di pubblicazione alla fine sono comunque abbastanza lunghi, e mi dispiace anche per questo.
Comunque, ditemi i vostri pensieri, anche perché con questo capitolo è tutto cambiato tra i due personaggi, specialmente per Alinee. 
Da qui, sarà tutto in discesa per loro... per un po' di tempo. Ma non dico altro v.v


Ho aperto un gruppo su Facebook dedicato interamente a questa FanFiction. Verranno pubblicate novità, eventuali avvisi e magari ogni tanto anche qualche spoiler, ma sarà soprattutto un posto dove – se volete – potremo conoscerci meglio!
Ecco qui il link: "You and Me? Never!" FanFiction.

Un bacio a tutti.


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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto. ***


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Capitolo diciotto



Fiumi di ragazzi si erano riversati nei corridoi di tutta la scuola non appena la campanella dell’ora di pranzo suonò.
Nel momento in cui io, avevo messo piede fuori dalla classe, Melanie stava già correndo verso la mia direzione ad una rapidità sorprendente.
La sera prima, per telefono, ero praticamente stata obbligata dalla mia amica a raccontarle tutto ciò che era successo quello stesso pomeriggio, con Adrian, e non solo una volta: come suo tipico, chiedeva e richiedeva di raccontarle di nuovo tutto daccapo perché, a detta sua, avrei anche potuto dimenticare qualche dettaglio.
«Alinee!»
Mi avviai anch’io verso la sua direzione. «Ehi!»
«Stai andando da Adrian, vero?»
Mi voltai per un attimo verso di lei, facendole notare i libri che tenevo in mano. «Veramente no, stavo andando in mensa… dopo aver posato questi.»
Melanie fece per guardare oltre la mia spalla con un gesto che sapevo essere volontario, ma il sorriso che le si dipinse sul volto mi incuriosì tanto da far girare anche me. «Beh, direi che sarà lui a venir da te allora.»
E aveva ragione. Adrian Carter stava attraversando il corridoio, dirigendosi proprio in quella che sembrava essere la mia direzione.
Inconsciamente, accennai un sorriso che sperai non fosse stato notato dalla mia amica.
Anche se in lontananza, riuscii comunque a riconoscere una ragazza del mio stesso anno, dai capelli rossi, che si parò proprio davanti a Carter, obbligandolo a fermarsi.
E dal sorriso che le rivolse, capii che quei due erano in buoni rapporti.
No, basta gelosia. E soprattutto basta scenate, una basta e avanza.
Con un movimento forse un po’ troppo energico, mi voltai una seconda volta per dare le spalle a quella scenetta, ma quando mi ritrovai Matt proprio di fronte, sobbalzai.
«Chi si vede!»
«Ragazze! Come ve la passate?» Matt rivolse la domanda ad entrambe per cortesia, credo, ma il sorriso che fece era rivolto solo a me, dettaglio che notò anche Melanie.
«Stiamo benissimo!» Fece lei, prendendomi a braccetto. «Soprattutto la nostra bella Alinee.»
E a quelle parole, inutile dire che la mia amica si guadagnò un’occhiata gelida da parte mia. Matt assunse un’espressione confusa. «Davvero? Cos’è successo?»
«Oh- niente di-» non feci in tempo a finire di pronunciare quelle parole che sentii un braccio circondarmi le spalle.
Non avrei avuto bisogno di vedere chi fosse per capire che Adrian aveva appena fatto il suo ingresso in scena. «Matt, Melanie. Ciao, Alinuccia.» E, detto ciò, mi diede un bacio sulla testa, tra i capelli.
L’espressione leggermente divertita di Melanie e quella confusa – o sarebbe meglio dire shoccata – di Matt, bastarono a farmi sentire ancor di più in imbarazzo.
Se qualcuno avrebbe potuto dire che il gesto di Adrian era stato fatto semplicemente per “dolcezza”, io lo vedevo come più un qualcosa che serviva a marcare il territorio, e non mi piacque affatto.
«Carter.» Adrian sorrise leggermente guardando Matt, il quale però sembrava ancora non essersi ripreso.
Melanie fu la prima a dire qualcosa. Qualcosa che, però, non mi avrebbe affatto aiutata. «Bene, io-- dovrei proprio andare. Ci vediamo in mensa.»
Bell’amica.
Matt spostò nuovamente lo sguardo su di me, come se si aspettasse una spiegazione da parte mia che, però, non sarebbe mai arrivata, visto che evitavo perfino di guardarlo negli occhi, come se mi sentissi in colpa.
Ma in colpa per cosa, poi?
All’improvviso, il ragazzo si stampò un sorriso in faccia, rivolgendosi poi ad entrambi. «Vado anch’io, sto morendo di fame!»
Non aggiunsi altro, mi limitai semplicemente a percorrere i pochi metri che mi dividevano dal mio armadietto dopo essermi liberata dalla presa di Adrian.
Quando lo richiusi, lui era ancora accanto a me, che mi fissava attento.
«Cosa avevi intenzione di fare?» sussurrai, con tono irritante.
«Niente, ti ho solo salutata.» Il suo tono tranquillo e i lineamenti del volto rilassati non fecero altro che rendermi ancora più nervosa.
«Sì, questo l’ho notato anch’io.»
Lui si guardò intorno e, senza più aggiungere altri commenti, disse. «Sarà meglio se andiamo a mangiare anche noi.»
Io non risposi nulla, mi limitai semplicemente a seguirlo verso la mensa.
 
«Quest’insalata fa schifo.»
Uno dei tavoli più grandi di tutta la mensa era occupato proprio da me e Melanie oltre al nostro insolito nuovo gruppo: Adrian, Peter, Matt, una certa Sophie e, infine, Alexander, il quale evitava in tutti i modi di guardare la mia amica.
Io sedevo tra Adrian e Peter, ma notai che alcune sedie intorno al tavolo erano ancora vuote.
«Alinee, se non la mangi puoi darla a me!» Peter, che aveva già finito la sua terza porzione di insalata, si offrì di mangiare anche la mia.
«Ancora? Stai per caso cercando di sentirti male?»
Sentii Adrian sghignazzare. Ancora una volta, teneva un braccio dietro di me, stavolta poggiato sul bordo dello schienale della sedia e, in un certo modo, aveva anche avvicinato la propria sedia alla mia.
Peter mi guardò per qualche secondo, sorridendo, poi si rivolse ad Adrian. «Perspicace la ragazza!»
A mia volta mi girai verso Carter, il quale mi spiegò. «C’è un test tra un’ora, e lui è sicuro di non poterlo passare.»
«Oh, adesso si spiega tutto!»
«Cosa si spiega?» All’uniscono, sette volti si girarono tutti nella direzione in cui, proprio in quel momento, era apparsa Kaila.
Teneva in mano un vassoio e se ne stava in piedi, cercando di nascondere l’imbarazzo.
Adrian, tra tutti, fu l’unico a non essere sorpreso per il suo arrivo.
Per niente sorpreso.
Rapido, tolse il braccio da dietro di me, poggiandoli entrambi sul tavolo dopo aver fatto cenno a Kaila di sedersi – stranamente, proprio accanto a lui – per poi aggiungere. «Le ho proposto di unirsi a noi, credo non ci siano problemi.»
Ancora una volta, tutti risposero all’uniscono con dei secchi “No, nessun problema” o “Ma figurati”.
Tutti, eccetto me. Ero rimasta a guardare Carter e Kaila sorridersi a vicenda, imbambolata e infastidita perché, da quel momento in poi, lui aveva smesso improvvisamente di darmi qualunque tipo di attenzione anzi, mi sembrava  che delle volte scherzasse e ridesse molto più con Kaila di quanto avesse mai fatto con me.
Non che fossi gelosa di Kaila.
No okay, ero gelosa di Kaila a morte e, una parte di me, pensò anche di poter giocare allo stesso modo di Carter, iniziando a scherzare con Matt, ma un secondo dopo mi sentii in colpa anche per averlo solo pensato.
Non perché così avrei fatto ingelosire Adrian, ma perché non avevo alcuna intenzione di prendermi gioco di Matthew.
L’ultima cosa che dissi fu rivolta a Peter: «Prego, uccidi pure il tuo stomaco.» e gli porsi quella che era stata la mia insalata, contando poi i minuti che avrebbero segnato la fine della pausa pranzo e, quindi, anche di quello stupido quadretto.
 
Due colpi leggeri contro la porta interruppero la spiegazione di storia.
Adrian Carter fece il suo ingresso nella mia classe con fare disinvolto, senza però mai staccare lo sguardo dalla professoressa. «Salve. Il preside cerca Alinee Moran.»
La prof si rivolse allora verso di me, dicendo. «Moran, ma perché tu devi stare sempre fuori?»
Io, in tutta risposta, mi limitai ad alzare semplicemente le spalle perché, in realtà, non avevo la più pallida idea di cosa dovesse dirmi ancora il dirigente.
Un secondo dopo, la donna mi fece cenno con la testa di andare, intimandomi però di tornare al più presto in classe.
Io, senza dirle nulla, seguii Carter fuori dalla classe, richiudendomi la porta alle spalle.
Non mi aspettava, non mi guardava nemmeno. Si limitava a camminare davanti a me, sicuro che lo avrei seguito.
Puntai lo sguardo fisso sulla sua schiena, imitandolo, senza dirgli niente.
Bastardo, è arrabbiato con me. IO dovrei essere arrabbiata, non tu!
Ero talmente concentrata a dirgliene mentalmente di tutti i colori da non rendermi nemmeno conto del fatto che si fosse fermato e, per poco, non andai a sbattere contro la sua schiena.
Riconoscevo dove ci trovavamo, il corridoio degli spogliatoi.
E, infatti, lui aprì la porta dello spogliatoio femminile appena un attimo dopo.
«Il preside è qui?» Dissi, confusa, ma mi ci volle solo un secondo per capire che la sua era stata solo una bugia e che il preside non aveva alcun motivo per vedermi in quel momento.
«Dai, entra.»
Non so esattamente il perché gli diedi ascolto, ma entrai comunque nello spogliatoio, deserto fino a pochi secondi prima.
«Che ci facciamo qui?»
«Mi stai evitando.» Disse invece lui, invece che rispondere alla mia domanda.
«Non è vero.»
«Hai già cambiato idea?» Continuò, come se non avessi detto nulla.
«No!»
«E allora perché mi stai evitando?»
«Io non ti sto evitando!»
Adrian si richiuse la porta alle spalle e accese la luce nello spogliatoio prima di rivolgere nuovamente la sua attenzione a me. «Oggi, te ne sei andata senza nemmeno salutare. In realtà non mi hai nemmeno guardato.»
«Ah. Perché, tu invece mi hai guardato? Strano, ero sicura fossi troppo concentrato con Kaila.» Non appena chiusi la bocca mi pentii di essermi lasciata scappare ciò che davvero mi aveva dato fastidio.
«Cosa vorresti dire?»
Ormai l’argomento era stato tirato in ballo, rifiutarsi di affrontarlo sarebbe stato solo da… vigliacchi. «Esattamente quello che ho detto. Appena è arrivata lei, io sono sparita. Ti sei anche allontanato, e non mi hai nemmeno più rivolto la parola!»
Adrian, in quel momento, mi guardò come se mi stessi comportando in modo infantile. «Volevo solo metterla a suo agio!»
«Ah sì? E cosa vuoi fare? Far finta che non esisto ogni volta che c’è lei?»
«No, ovvio che no.» Osservai Adrian corrugare appena la fronte, come se in quel momento avesse davvero dovuto pensare alla risposta da dare.
«Non mi pare tu ti sia preoccupato di mettere a suo agio anche Matthew però.»
A quel punto incrociai le braccia al petto, insinuando in quelle parole molta più acidità di quanto avessi voluto fare in realtà.
«Non è la stessa cosa.»
A quel punto, la rabbia che inizialmente aveva suscitato in me quel suo atteggiamento, esplose di colpo. «Sì, Adrian! È esattamente la stessa IDENTICA COSA!» Quelle parole sembrarono colpirlo più del necessario tanto che, improvvisamente, si oscurò in volto, apparentemente perso nei propri pensieri. L’unico che invece navigava nella mia mente era che, di questo passo, non avremmo mai trovato una conclusione.
E un attimo prima che potessi dirgli di voler tornare in classe, fu lui a rompere il silenzio. «No, non è la stessa cosa. Matthew doveva capire di non dover più pensare a te in un certo modo, di non poter più pensare a te in un certo modo. Kaila invece lo ha capito. Sono stato io stesso a farglielo capire il giorno in cui tu hai perso il telefono. Le voglio bene, e tengo a lei, ma non potrò mai considerarla qualcosa di più che un’ottima amica.»
E nonostante una parte di me avesse voluto tranquillizzarlo, dirgli che, anch’io, nei confronti di Matt non provo altro che amicizia, alla fine prevalse quella piena di dubbi, incertezze, paure non ancora sepolte. «Con lei sorridi. E sono tutti sorrisi veri.»
A quel punto, Adrian colmò quasi del tutto la distanza che ancora ci divideva, prendendo una delle mie mani e intrecciando le dita alle sue. «Sorrido anche con te, molto più di quanto tu possa pensare.»
E, in quel preciso momento, rabbia, nervosismo, gelosia… tutto sparì con la stessa rapidità con cui erano arrivati.
Entrambi ci stavamo già per avvicinare l’uno all’altra, e sarebbe mancato davvero poco, se non fosse stato per la porta dello spogliatoio che veniva aperta e, sulla soglia, comparvero una decina di ragazze che, dalle loro espressioni, sembrava non credessero a ciò che in quel momento avevano davanti agli occhi.

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove. ***


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Capitolo XIX

Il giorno dopo, ovviamente, quasi tutta la scuola era venuta a conoscenza del fatto che io e Adrian non avessimo incontrato il preside e che era stata tutta una montatura.
Tra i “quasi tutti” vi era anche la mia insegnante di storia che, pensando bene di meritarmi una punizione, mi assegnò un intero capitolo da studiare entro due giorni e la cosa mi infastidiva parecchio, non tanto per la punizione in sé ma perché Carter, al contrario, ne era uscito con le mani pulite, come se non fosse stato lui l’artefice del nostro incontro.
Capitolo o meno, per qualche assurdo motivo, non riuscivo comunque a sentirmi arrabbiata nei suoi confronti.
Forse perché si era offerto volontario per aiutarmi nell’impresa storica, impresa che gli era costata la rinuncia agli allenamenti di basket, altro motivo per apprezzare maggiormente il suo sforzo.
James continuava a fare avanti e indietro, dalla cucina alla sala, con un intervallo di tempo fisso di cinque minuti, come se cronometrasse un controllo e l’altro. Quando aveva visto me e Carter in cucina per la prima volta, aveva accennato solo ad un cambio di compagno di studi e a me venne immediatamente in mente che, nemmeno troppo tempo fa, c’era Matt al posto di Adrian e, allo sguardo interrogativo di lui, avevo liquidato la faccenda con un’ alzata di spalle.
Io leggevo ad alta voce, Adrian ricordava passo passo l’argomento che anche lui, un anno prima, aveva studiato e io ripetevo, un po’ sbirciando sul libro un po’ fissando la parete davanti a me.
«Quanto? Tre giorni che siamo insieme e guarda cosa mi sei già costato!»
«Ah, perché stiamo insieme?»
Ignorai il suo sorriso e gli lanciai addosso la gomma, che lui afferrò al volo senza troppe difficoltà. «Idiota.»
«Muoviti dai, siamo quasi arrivati a metà capitolo, così domani riuscirai a finire e non ti ritroverai con una F da recuperare.»
«Oppure posso fermarmi qui e finire tutto domani.»
«Oppure possiamo continuare fino a stanotte e finire tutto oggi, mhn?»
Se James non avesse fatto il suo ingresso nella stanza per la centesima volta, probabilmente avrei palesato il mio orrore nella proposta di Adrian. «Per l’amor del cielo, James! Finiscila! Stiamo solo studiando, smettila di essere così… così!»
Adrian osservò trattenendo a stento un sorriso divertito mentre James usciva – si sperava per l’ultima volta – dalla cucina, stringendo un po’ troppo la presa intorno alla lattina di Coca Cola che teneva in mano.
Dopo qualche secondo, Adrian poggiò entrambi gli avambracci sul tavolo, sporgendosi verso di me, stavolta senza far nulla per evitare di sorridere come un ragazzino. «Ora che ci penso potremmo anche lasciar stare per un po’ la tua punizione e fare altro.»
«Proponi…»
«Potremmo andare in camera tua, anche se temo che tuo fratello si metterebbe a spiarci attraverso il buco della serratura.»
«Oppure potremmo restare qui…»
«Piccola Alinuccia, non ti facevo così audace!»
«…a studiare.»
A quel punto Adrian si tirò indietro, il sorriso che aveva occupato le sue labbra sembrò sparito per andarsi ad aprire sulle mie, mentre lui incrociava le braccia al petto tenendo la schiena poggiata contro lo schienale della sedia. Non aggiunse altro e io feci altrettanto, riprendendo a leggere dal punto in cui mi ero interrotta.
 

Un’ora dopo, fu Adrian a mettere fine allo studio, poggiando il palmo della mano sul libro così da impedirmi di leggere. Guardai l’ora, leggermente sorpresa di quanto il tempo fosse volato senza che nemmeno me ne rendessi conto.
Per la prima volta, studiare era stato quasi… piacevole.
«Ah, un po’ di silenzio.»
«Tu sei fissato con il silenzio.»
Adrian si alzò dalla sedia, alzando le braccia al cielo per stiracchiarsi lasciandomi intravedere la sua pancia appena scoperta per quel movimento, prima di passarsi una mano tra i capelli e sbuffare. «Cavolo, sono più stanco io di te.»
Rimasi seduta ad osservarlo dal basso, poggiando un gomito sul tavolo dopo aver chiuso il libro di storia. «Grazie per l’aiuto.»
A quel punto, Adrian fece un passo nella mia direzione, poggiò una mano sullo schienale della sedia e l’altra sul tavolo, per poi chinarsi leggermente in avanti e io fui costretta a sollevare maggiormente il viso per poter continuare a guardarlo. «Non c’è di che, Alinuccia. Ora però mi aspetto una ricompensa.»
Avrei dovuto aspettarmi una risposta del genere, una risposta alla Adrian Carter, per intenderci.
Lui si avvicinò maggiormente, i suoi capelli mi solleticavano la fronte e riuscivo a sentire il suo respiro infrangersi contro le mie labbra, che si schiusero. «James è di là.»
«E allora non faremo rumori.» Disse, pronunciando l’ultima parola con le labbra premute contro le mie. Senza nemmeno rendermene conto, come se fosse il gesto più naturale del mondo, le mie labbra iniziarono a muoversi in sincronia con le sue, mentre con la punta delle dita gli sfioravo delicatamente una guancia.
Poi Adrian fece uno strano verso con la bocca e si allontanò e, proprio mentre pensavo di aver fatto qualcosa di male, lui estrasse il proprio cellulare dalla tasca rimanendo ad osservarne lo schermo per qualche secondo prima di riabbassare la mano.
«È mia sorella, devo andare.» Si chinò un’ultima volta, dandomi un bacio tra i capelli prima di scappare via, letteralmente.
 

Erano passati solo pochi giorni e pensare a me e Adrian in un modo completamente diverso da come avevo sempre concepito il nostro rapporto mi faceva un po’ strano. Baciarlo mi piaceva e la cosa mi lasciava un po’ perplessa, forse perché non l’avevo mai nemmeno immaginato… mi girai sulla schiena, mettendomi il cuscino sulla faccia agitando le gambe contro il letto, per poi sbuffare.
Mi misi a sedere, prendendo il cellulare per controllare se ci fossero messaggi o chiamate perse, ma niente di niente. Così decisi di chiamare Melanie, che rispose al terzo squillo.
«Hola!»
«Ciao! Cosa stavi facendo?»
«Nulla, guardavo un DVD. Tu?»
«Sono in camera, mi sto un po’ annoiando, perciò… hai qualcosa da raccontarmi?»
«Qualcosa da-- Domani c’è la prima partita di basket, ci andiamo vero?»
Partita di basket… Adrian non me l’aveva nemmeno accennato e io proprio non potevo saltare di nuovo gli allenamenti di nuoto, cavolo. «Non lo so, domani pomeriggio devo assolutamente andare in piscina, vi raggiungerò appena avrò finito.»
«Come va con Adrian?»
«Io… mhn… bene.»
«Non dirò- anzi sì, lo dirò: io l’avevo detto!»
«I miei vestiti sono ancora tutti interi»
«Per ora…»
«Melanie!» A quel punto scoppiai a ridere, sdraiandomi nuovamente sul letto e fissando il soffitto. «Mi fa ancora un po’ strano sapere di stare con lui»
«Quindi state insieme?»
«Certo! Ci siamo baciati e più di una volta! Non l’ha detto esplicitamente ma… deve solo azzardarsi ad uscire con un’altra ed è la volta buona che lo uccido.»
«Alinee Moran cotta di Adrian Carter. Figo.»
«Cotta un cavolo!»
«Sì, sì, certo. Senti, devo andare, sono tornati i miei e devo preparare la cena quindi magari ci sentiamo più tardi, ciao!»
Non ebbi nemmeno il tempo di risponderle che Melanie aveva già riattaccato. Quando allontanai il cellulare dall’orecchio per mettere giù notai un messaggio, di Adrian.
Scommetto stai pensando al bacio che ti ho dato.
Il solito megalomane.
Idiota.

Quando non sai cosa rispondere mi insulti. Che razza di ragazza!

No, non stavo pesando a nessun bacio! Ero al telefono con Melanie, mi ha detto della partita.

Me ne ero completamente dimenticato. Verrai?

Non credo, devo assolutamente andare in piscina, sto saltando troppi pomeriggi, vi raggiungo il prima possibile.

Vorrà dire che chiederò a qualcun altro di fare il tipo per me…

Allora se farò in tempo verrò a tifare solo per James.

Prevedibile. Buona notte Alinuccia.

Rilessi un paio di volte la breve conversazione scacciando rapidamente dalla testa l’immagine di Kaila che faceva il tifo per Carter, al posto mio. L’unica cosa cui non riuscivo ad abituarmi davvero era la gelosia provata nei suoi confronti e, temevo, che probabilmente non l’avrei fatto mai.

***

Mancavano solo poco più di cinque minuti alla fine della partita. Continuavo a palleggiare, stando fermo sul posto a guardarmi intorno, in cerca di una via di fuga, in piccolo buco che mi permettesse di passare la palla ad uno dei miei compagni e puntare al canestro.
Sentivo goccioline di sudore scendere lungo il collo di tanto in tanto e, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad essere completamente concentrato sul gioco.
Gli ultimi minuti erano stati i peggiori.
Continuavo a guardare verso gli spalti, in cerca di un unico volto tra tutte quelle persone, che però non riuscivo ad individuare nemmeno di sfuggita.
Una svegliata me l’ero data solo alla minaccia del coach arrabbiato che, se non mi fossi concentrato, mi avrebbe sostituito.
Al fischio finale tirai un sospiro di sollievo nel vedere che avevamo vinto, non per merito mio, anche se di pochi punti.
Nella palestra scoppiò il putiferio.
Il suono provocato dalle urla e dagli applausi continuava a crescere sempre più, mentre le persone iniziavano a lasciare gli spalti e scendere in campo.
Mia sorella fu la prima a venirmi incontro, saltandomi in braccio commentando quanto puzzassi e quanto la schifasse il sudore ma complimentandosi anche per il risultato.
Dopo di lei arrivò anche il resto del gruppo dei miei amici, Peter, Melanie, Alexander e, dietro di lui, Alinee che sorrideva timidamente.
«Vai a recuperare la mamma, ti aspetto qui.»
Lasciai andare la presa su mia sorella e mi avvicinai a loro, guardando però solo una tra i quattro.
«Complimenti per la partita! La prima ed avete vinto!»
«In realtà tu hai fatto schifo!» Alinee, dopo Peter, fu la seconda a parlare, senza smettere di sorridere.
«Ah sì? Da quanto sei arrivata?»
«Da quando hai iniziato a far schifo!» Rispose Melanie al suo posto.
«Allora ti ho portato sfiga.»
In realtà, schifo o meno, in quel momento non me ne importava nulla. Il fatto che avesse mantenuto la parola data bastava a non farmi arrabbiare con me stesso perché, aveva ragione, sul finale avevo fatto proprio schifo. Le circondai la schiena con un braccio, incurante degli sguardi dei nostri amici puntati su di noi e mi avvicinai maggiormente a lei per lasciarle un bacio tra i capelli ancora bagnati. «Potevi asciugarli, ti ammalerai.»
«Ti avevo detto sarei venuta il prima possibile…»
Quando in lontananza vidi mia madre e Arianne arrivare, lasciai scivolare il braccio lungo il fianco, spostando lo sguardo da Alinee a loro, finché non si fermarono con il piccolo gruppo e tutti gli sguardi furono puntati su di loro.
«Loro sono mia madre e mia sorella, Arianne. Questi invece sono Peter, Alexander, Melanie ed Alinee.» A quel punto guardai solo Arianne, indicando con la testa Alinee. «Ma lei hai già avuto modo di… conoscerla.»
«Ah sì, quella pazza, mi ricordo di te!» Tutti si misero a ridere eccetto la diretta interessata che, invece, serrò le labbra in una linea sottile e divenne tutta rossa in faccia, guadagnandosi un pizzicotto sul braccio da parte mia.
«E sei la sua ragazza?»
Alinee non rispose, forse non sapendo cosa dire, alzando però lo sguardo verso di me.
«Sì, direi che è la mia ragazza.» Le parole uscirono con tranquillità, senza alcuno sforzo e bastarono a farla sorridere timidamente, incurante di avere tutti gli occhi dei presenti puntati su di sé.
«E da quanto state insieme?»
«Smettila di farmi queste domande davanti alla mamma!»
E fu proprio mia madre a mettere un punto alla situazione, forse sapendo che parlarne davanti a lei mi metteva un po’ a… disagio. «Lasciamolo andare a farsi una doccia e cambiarsi, noi due ti aspettiamo a casa per cena. Ciao ragazzi.» Poi poggiò una mano sulla spalla di Arianne che, nonostante si oppose, non avrebbe potuto far altro che seguirla e andarsene a casa.















Mi spiiiiace! Davvero! Un anno è tantissimo e spero che nonostante il troppo tempo passato ci sia ancora qualcuno disposto a seguire questa storia. 
Mi sono ripromessa di aggiornare almeno un capitolo ogni dieci giorni fino a quando la storia non sarà terminata. Non so quanti altri capitoli ci saranno, d'ora in poi sarà tutto un scrivi-controlla-pubblica in modo che non ci sia ulteriore attesa. 
Chiedo ancora perdono, davvero! 
Un bacio a tutti, sono curiosa di sapere cosa ne pensate e vi dò il permesso di fucilarmi per l'attesa! 

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Capitolo 20
*** Capitolo venti. ***


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 Capitolo XX


La vita da fidanzata con Adrian era completamente diversa da quella che fino a poco più di un mese prima vivevo.
Sotto alcuni aspetti eravamo ancora i soliti due ragazzi che provavano uno strano piacere nel punzecchiarsi e mettersi a litigare soprattutto per le cose più banali, altri invece ci erano completamente nuovi ed inimmaginabili. Di questi ultimi, specialmente, avevo avuto modo di conoscerne parecchi in un lasso di tempo relativamente breve.
Ad esempio… chi mai avrebbe detto che Adrian fosse un romantico? Io, sicuramente, no di certo.


Quando quella domenica mattina aprii la porta, il mio primo istinto fu quello di richiuderla immediatamente per due semplicissimi motivi: per prima cosa il presentarsi davanti a qualcuno con ancora addosso il pigiama alle undici di mattina inoltrate non è una delle cose più piacevoli del mondo. In secondo luogo la situazione diventa ancor più imbarazzante se, la suddetta persona che ti ritrovi davanti, è Adrian Carter… con una rosa rossa in mano.
E lo feci.
Non gli diedi nemmeno il tempo di dire “ciao” e chiusi con un colpo secco la porta d’ingresso, le guance arrossate per l’imbarazzo mentre mi ritrovai con la schiena poggiata contro la superficie dura, cercando di capire se stessi ancora dormendo o se, effettivamente, non mi fossi immaginata nulla e tutto ciò fosse reale.
Un leggero sospiro fuoriuscì e iniziai a far passare le dita tra i capelli a mo di pettine, lisciandomi poi la maglia e il pantalone del pigiama con il palmo della mano con l’obiettivo di apparire più… presentabile.
Un secondo sospiro e aprii nuovamente la porta, assumendo un’espressione quanto più naturale possibile – anche se andava ignorato il colorito eccessivamente arrossato – e mi schiarii la voce, senza però accennare a dir nulla, troppo in imbarazzo.
Adrian, dal canto suo, non sembrava intenzionato a rendermi la situazione più leggera.
Restava immobile sull’ingresso, la rosa ancora in una mano e un’espressione che poteva essere descritta come l’unione di ilarità, sorpresa e divertimento.
Fece vagare lo sguardo lungo tutto il mio corpo – o forse sarebbe meglio dire sul pigiama blu con su disegnati dei delfini in tutù – e le mie guance divennero se possibile ancor più rosse per l’esame cui ero sottoposta.
Lui se ne accorse e il suo sorriso divertito si aprì maggiormente… il bastardo!
Proprio quando stavo per prendere in considerazione l’idea di sbattergli nuovamente la porta in faccia, Adrian ruppe il silenzio. «Buongiorno Alinuccia. Ti ho portato una cosa.» Mosse poco la mano in cui teneva la rosa, quasi temesse che non l’avessi notata.
«Io… mhn… non ho mai ricevuto una rosa da qualcuno.»
Al sorriso di Adrian si aggiunse qualcos’altro al divertimento. Tenerezza, forse, non saprei dirlo con sicurezza. Fece un passo nella mia direzione e alzò la rosa, facendo sì che i petali sfiorassero delicatamente il mio petto. Dal canto mio, alzai entrambe le mani sul suo volto e lo obbligai ad abbassarsi quanto bastava perché la mia bocca riuscisse ad arrivare indisturbata alla sua, in un bacio delicato. «Ti ringrazio.»
Adrian allora mi abbracciò, tenendomi stretta a sé mentre io con una mano mantenevo il gambo del fiore e con l’altro braccio gli circondavo la schiena.
Non so dire esattamente per quanti minuti, o secondi, restammo stretti uno all’altra, ma poi Adrian mi diede il solito bacio tra i capelli e dopo avermi rivolto un ultimo sorriso andò via.



«A breve sarà il compleanno di Peter, dovremmo organizzare qualcosa.»
Quel giorno il nostro gruppo era molto più ambio di quanto non fosse solitamente. C’eravamo praticamente tutti: io, Melanie, Adrian, Matt, Kaila, Alexander,  Lucas – che a quanto pare aveva superato la rottura con Melanie e i due non si portavano più nessun rancore – e strano ma vero, mio fratello James.
«Io sono negata per le feste, mi spiace!» Alzai entrambe le mani, prima di sporgermi verso il mio frullato e prenderne un altro sorso.
«Perché, c’è qualcosa in cui tu sia portata?»
A quelle parole diedi un pizzicotto sul fianco di Adrian, che si piegò di lato per sfuggire alla mia presa.
«Io potrei provare a dare una mano.» Kaila, che se ne stava seduta tra Matt e James, inclinò leggermente la testa di lato, come se si sentisse in imbarazzo e alzò distrattamente le spalle.
«Brava Koala! Prendi esempio Alinuccia e renditi utile anche tu!» L’ormai conosciuto senso di gelosia iniziò lentamente a riaffiorare dentro di me, svegliandosi dal pisolino a cui per troppo tempo si era lasciato andare. Sbuffai, cercando di non mettermi a fare il broncio e trattenendomi a stento dal non mollare un secondo pizzicotto ad Adrian, stavolta molto più forte del precedente.
Melanie, che invece si trovava perfettamente a suo agio per questo genere di cose, prese al volo l’occasione per mettersi a capo dell’organizzazione della festa, sapendo perfettamente che tutti glielo avremmo lasciato fare per due semplici motivi: primo, nessuno avrebbe poi voluto ritrovarsi ad ascoltare le sue lagne; secondo, organizzare feste le piaceva e riusciva a tirar su sempre qualcosa di carino. «Perfetto! Allora… ci serve una casa! O comunque un posto in cui poter mettere su la cosa. Possiamo anche organizzare qualcosa direttamente a casa sua, ma ci servirà qualcuno che lo terrà impegnato tutto il giorno.»
All’uniscono, sette teste si voltarono a guardare Adrian, che inclinò verso l’alto gli angoli della bocca in un mezzo sorriso. «Pensavo di aiutarvi in un altro modo ma okay… terrò Peter impegnato.»
«Devi per forza farlo tu. Quando entrerà è ovvio che accanto dovrà ritrovarsi il suo migliore amico.»
Melanie, Melanie, Melanie… l’unica del gruppo a sapere sempre qual è la cosa giusta da dire in ogni singola situazione.
«Dovremmo fare un bel video! Cioè, ognuno di noi dovrà fare un video in cui gli farà gli auguri e non so, dirà qualcosa di stupido, o di serio… come preferite! Alla fine lo monteremo e verrà su una cosa bellissima che proietteremo quando Peter e Adrian entreranno.»
«Ma ci avevi già pensato a tutto questo?» James, per la prima volta, si intromise nella conversazione e Melanie quasi sbiancò, forse non aspettandosi che mio fratello le avrebbe rivolto la parola… perché questa reazione così eccessiva, poi, a me non è dato saperlo.
«No… no, certo che no. In realtà sto inventando al momento.»
James annuì con un unico movimento della testa e da quel momento in poi non interruppe più Melanie.
«Mh… okay… comunque, io non canto. Quindi dopo il video facciamo partire la canzone “tanti auguri a te” e chi vuole cantare canta. Ci serviranno tanti palloncini, sia gonfiati ad elio che a… fiato. Ovviamente quest’ultimi verranno gonfiati da voi maschi.»
«Perché noi maschi? Abbiamo Alinee che in quanto fiato ci batte tutti, riesce a prendere più aria lei di tutti noi messi insieme, può farlo-»
«Sì sì sì! Okay, lo faccio io! Nessun problema per me!» Interruppi Alexander un attimo prima che potesse completare la frase e mi lasciai cadere con la schiena contro lo schienale freddo della sedia in acciaio, ignorando le risatine provenienti da alcuni dei ragazzi, Carter compreso.
«Allora vorrà dire che voi maschi penserete ad altro, come ad esempio… la spesa! Qualcosa dovremmo pur mangiare.»
«Ma la spesa è cosa da donne.»
«Oh, ma non ti sta bene nulla! Farai la spesa, punto! E ti porterai dietro Matt e… James. Ci serviranno parecchie cose… dovremmo mettere un tot di soldi a testa per riuscire a prendere tutto.»
«Non facciamo una cosa troppo grande. Poche persone, a Peter non piacciono le cose troppo sfarzose.»
Melanie annuì all’affermazione di Adrian che tra tutti era sicuramente quello che meglio conosceva Peter e ciò che gli piacesse, quindi si fidò subito di quanto le disse senza contestare.
«Bene, ora che abbiamo deciso, possiamo anche andarcene da qui.» Affermò James alzandosi per primo dalla sedia allungando le braccia verso l’alto.
«E dove vogliamo andare?» Chiese Kaila.
James alzò le spalle, gesto che indicava che per lui un posto valeva l’altro.
«Beh, io penso andrò a comprare i famosi palloncini, così sicuramente non me ne dimenticherò.» Dissi io a quel punto alzandomi a mia volta dalla sedia, insieme a Kaila, Adrian e Melanie, poi aggiunsi. «Prima però vado a pagare il frullato, torno subito.»
«Ti accompagno! Devo pagare anch’io…» Quella voce non era di Melanie, né tanto meno di Adrian. E quando vidi Kaila rivolgermi un sorriso, quasi mi sentii in colpa per essermi maledetta per non aver finto non di non aver sentito quelle parole.


Io e Kaila ce ne stavamo in fila dietro ad altre due persone, in attesa di arrivare alla cassa e pagare. Tenevo le braccia incrociate al petto e i soldi ben stretti in una mano, standomene imbambolata a fissare la testa del bambino che mi stava davanti, finché non fui distratta dal suono di voce della mia ex compagna di banco.
«Allora… come va con Adrian?»
La conversazione iniziava proprio male. Non avevo intenzione di parlare con lei dei fatti miei, specialmente se questi riguardavano anche Carter… non dopo che mi aveva “usata” per avvicinarsi a lui, almeno. «Bene.»
Restammo ancora in silenzio, ma poi riprese nuovamente a parlare. «Ti guarda sempre, anche adesso.»
Immediatamente mi voltai e vidi Adrian fuori dal locale insieme a James e Matt, gli unici a non essere ancora andati via, intento ad osservarmi… o forse sarebbe meglio dire osservarci: eravamo troppo lontani e non riuscivo a capire se stesse effettivamente guardando me o entrambe… o lei. Sicuramente non avrei espresso i miei dubbi ad alta voce e, dopo un ultimo sguardo, gli diedi nuovamente le spalle, sbirciando Kaila con la coda dell’occhio prima di fare qualche passo in avanti, sempre più vicina alla cassa.
«So che pensi io abbia sfruttato la tua amicizia per avvicinarmi ad Adrian.»
A quelle parole la mia bocca si schiuse leggermente in un gesto automatico e tutta la mia attenzione era concentrata completamente su di lei.
«Ed in parte è così…»
Beh, il primo passo è ammetterlo!
«Non immaginavo che ti interessasse. Quando mi sono resa conto che la cosa era reciproca era troppo tardi… vedevo come ti guardava, sorrideva parlando di te e io ero così-- gelosa.»
Immagino che Kaila si aspettasse di ricevere una risposta da parte mia, ma il mio cervello non riusciva ad elaborare nessun pensiero logico, come fosse addormentato.
Vedendomi ammutolita, Kaila continuò e, se possibile, ciò che disse mi sorprese ancor di più. «Tranquilla, non mi metterò più in mezzo tra voi due, mi è passata.»
Ma il sorriso triste che sfociò sul suo viso raccontava una storia ben diversa: qualunque cosa provasse nei confronti di Adrian, sicuramente non era passata.
In quel momento, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad essere dispiaciuta per lei, non dopo essermi sentita dire di essere stata usata per interessi personali. Eravamo amiche da tre anni, valeva davvero la pena mettere in discussione il nostro rapporto solo per avvicinarsi ad un ragazzo? Evidentemente, per lei, sì.
Un attimo dopo arrivò il mio turno e, rapidamente, lasciai andare i soldi contati sul palmo della mano della cassiera e, prima di prendere lo scontrino, mi voltai un’ultima volta verso Kaila e le rivolsi un sorriso. Non di quelli che aveva già visto in passato, bensì un sorriso di cortesia, di quelli che dicono “ehi, non preoccuparti, è acqua passata”.
Acqua passata, certo, come lo era anche la nostra amicizia.
Un attimo dopo il mio sguardo era nuovamente indirizzato verso i tre ragazzi all’esterno del locale, ma tra essi uno era quello che davvero stavo guardando.
Non mi importava cosa Kaila avesse intenzione di fare, che volesse farsi da parte o meno, stavolta sarebbe stato diverso.
Non le avrei più permesso di avvicinarsi tanto ad Adrian, né di prendersi alcuna libertà con lui.
Non le avrei permesso di allontanarci.
Non stavolta.
Il sorriso che avevo adesso mentre guadavo Adrian era completamente diverso da quello che pochi attimi prima avevo rivolto a Kaila e si ampliò maggiormente quando lui mi sorrise a sua volta, domandandomi silenziosamente a cosa dovesse questo “trattamento”.
Io non dissi nulla nemmeno quando lo raggiunsi, limitandomi a prendergli la mano e tenerla stretta tra le dita, sicura di non voler lasciar andare via Carter.
Il mio Carter.

















Come promesso, ecco il nuovo capitolo! 
Sono ufficialmente perdonata, vero? 
Comunque, praticamente quasi tutti mi avete chiesto di James e Melanie... ripeto in generale qui ciò che ho già detto ad alcune di voi: per quanto riguarda loro due, almeno per adesso non ho intenzione di inserire POV che riguardino loro due, per due motivi: 
- Questa è la storia di Alinee e Adrian.
- Secondo motivo, il più importante, non mi piace dover aggiungere cose di Mel e James a pezzettivi, quindi preferisco evitare.
Poi, una volta finita "You and Me? Never" (spero il più tardi possibile perché al momento proprio non sono pronta a chiudere la loro storia)... chissà, potrei iniziare a concentrarmi su Melanie e James e pubblicare anche la loro storia.
Mentre per Alinee e Adrian ho in mente DUE finali - uno quello ufficiale, che verrà inserito nella storia come epilogo e l'altro che pubblicherò come one-shot subito dopo - per Melanie e James il finale c'è e non ne prevedo di altri. 
Ora... sinceramente, vorrei davvero sapere cosa ne pensate di questo capitolo. Dopo due giorni aver pubblicato il diciannovesimo ho iniziato a pensare a questo e giuro che sono entrata nel pallone. Una settimana dopo mi sono messa al pc e mi è uscito tutto di getto, senza stare troppo a pensarci. Essendo una cosa scritta d'istinto non so quanto possa piacere. A rileggerlo ora mi sento un pochino soddisfatta ma non si può mai sapere, potrebbe anche essere qualcosa di senza senso per altri. 
Non ho fatto mistero del fatto che Alinee e Adrian avranno altri problemi e quando ciò avverrà significherà che il famoso epilogo sarà ormai alle porte, e solo a dirlo mi piange il cuore. 
Una cosa certa è che non lascerò mai andare definitivamente questi due. Storia completa o meno continuerò comunque a scrivere su di loro e pubblicare, fossero anche solo One-shot che nessuno cagherà. 
Ultima cosa: vi ringrazio per non aver abbandonato la storia anche a distanza di un anno. Non mi aspettavo di arrivare a sei recensioni dopo tutto questo tempo e spero continueranno ad aumentare, quindi grazie!
E nulla, ho scritto uno spazio autrice moooolto più lungo del solito!

 

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