Chi ha paura dell'Uomo Nero?

di Bluemoon Desire
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Dottore ti presento Sir Doyle ***
Capitolo 3: *** Gioco D'Ombre ***
Capitolo 4: *** In Trappola ***
Capitolo 5: *** Soluzione Estrema ***
Capitolo 6: *** Una Nuova Realtà ***
Capitolo 7: *** Tick Tock Goes The Clock ***
Capitolo 8: *** La Fiera della Verità ***
Capitolo 9: *** La Caccia E' Aperta ***
Capitolo 10: *** Le Ali della Libertà ***
Capitolo 11: *** Il Dottore nel Tardis con Rose Tyler ***



Capitolo 1
*** Prologo ***




PROLOGO

 


[Portsmouth (Inghilterra) - 1882]

 

*Correva e continuava a correre a perdifiato lungo quel corridoio, i sensi irrimediabilmente alterati dall’angoscia e dal terrore e la mente invasa da un unico, terrificante pensiero: se solo avesse rallentato un po’ o si fosse fermato, per lui sarebbe finita.

Per sempre.

Poteva quasi sentire le scricchiolanti travi di legno del pavimento flettersi appena sotto il peso delle sue frenetiche falcate. Il cuore gli batteva all’impazzata nel petto, un tamburellare incessante e cadenzato che gli rimbombava nelle orecchie. 
Quei pochi metri che ancora lo separavano dall’uscita sembravano non finire mai.

Non avrebbe resistito ancora a lungo.

Era vicina ormai. Ne avvertiva la presenza.

Urlare? Non sarebbe servito.

Nessuno poteva trarlo in salvo, non lì e non adesso.

Ci fu un flebile e intermittente flash luminoso della durata di una frazione di secondo, poi anche l’ultimo lampadario dell’ingresso si spense, immergendo ogni cosa nell’oscurità più totale.

Urla strazianti lacerarono il silenzio della notte.

Poi tutto ripiombò di colpo nell’oblio più profondo.  

 


[Intanto nel T.A.R.D.I.S….]

 

 

"Rose mantieni saldamente i comandi, non li mollare per nessuna ragione al mondo, mi hai capito? NESSUNA RAGIONE AL MONDO!"

La ragazza annuì e serrò forte le dita attorno alla leva che stringeva in mano.

"…ma cosa sta succedendo, Dottore? Sembra che il T.A.R.D.I.S. stia precipitando nel vuoto!"

Lui non le rispose.

La verità era che non aveva la minima idea di cosa stesse succedendo.

I suoi occhi scorrevano rapidamente la lista di dati riportata sul monitor di navigazione.

No, non potevano assolutamente essere dati reali.

Secondo le ultime rilevazioni, stavano viaggiando ad una velocità decisamente inconsueta. 

Il sistema registrava dei picchi anomali di gravità, come se un potente campo gravitazionale esterno stesse creando interferenze nel vortice spazio - temporale, deviando pericolosamente il movimento della navicella fuori dalla normale traiettoria di viaggio.

Ancora qualche minuto e si sarebbero ritrovati a galleggiare alla deriva nello spazio infinito, senza alcuna via di fuga.

A mali estremi, pensò, estremi rimedi.

"Rose tieniti forte … adesso si ballerà un bel po’!"esclamò a gran voce, raggiungendola alla console di comando del T.A.R.D.I.S..

Senza perdere altro tempo, inserì i codici di programmazione per un atterraggio di emergenza.

Non appena il T.A.R.D.I.S. fosse stato in grado di registrare una fonte di gravità stabile e sicura, avrebbe potuto facilmente agganciarsi ad essa procedendo con le manovre di atterraggio. 

L'aspetto alquanto negativo di quella procedura era la mancanza di una locazione ben determinata.

In poche parole, non aveva la minima idea di dove diavolo fossero andati a cacciarsi.

Le coordinate precedentemente impostate sul monitor di navigazione erano andate perdute, praticamente vagavano alla cieca nel vortice spazio - temporale, ignari di ciò che li attendeva una volta usciti dalla cabina.

Sentì la mano di Rose cercare la sua, così la strinse forte.

"Sta tranquilla, il T.A.R.D.I.S. non permetterà che ci accada nulla di male!" la rassicurò con uno dei suoi soliti sorrisi beffardi.

Un ultimo, violento sobbalzo li fece carambolare all’indietro, scagliandoli sul pavimento.

Il Dottore strinse Rose a sé cercando di attutire il più possibile la sua caduta.

“Atterraggio completato con successo” commentò, aiutandola a rialzarsi in piedi.

Il T.A.R.D.I.S. era tornato nuovamente immobile e inerme, il che significava solo una cosa.

Erano arrivati alla meta, fortunatamente illesi.  

Già… ma dove esattamente?

O per meglio dire… quando? 
 

 

TO BE CONTINUED...






Angolo personale:  Premetto che adoro questa serie e gli episodi ambientanti nelle epoche storiche perciò ho deciso di trasportare due dei miei personaggi preferiti del Doctor Who indietro nel tempo, per investigare su alcuni sconvolgenti misteri in compagnia di ....rullo di tamburi... Sir Arthur Conan Doyle, ossia il babbo di Sherlock Holmes! Niente di più azzeccato direi :D 
La storia è ancora in fase di elaborazione ma spero che questo prologo stuzzichi la vostra curiosità almeno un pò! A presto ^^

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Capitolo 2
*** Dottore ti presento Sir Doyle ***




CAPITOLO PRIMO

 

                                        DOTTORE TI PRESENTO SIR DOYLE

 


“Esattamente come devo vestirmi, Dottore?” domandò Rose, facendo capolino con la testa dal ripostiglio appendiabiti del T.A.R.D.I.S.

Il Dottore gettò un’occhiata al monitor di navigazione.

“Siamo nel … 1882!” le disse “La sezione abiti dell’800 dovrebbe trovarsi sulla sinistra…no aspetta…sulla destra…sì, è sulla destra!”

In attesa che Rose finisse di prepararsi, si sdraiò in un angolo della sala comandi, per rileggere ancora una volta la lista di dati che il sistema di navigazione aveva registrato durante il viaggio.

Non c’era alcun errore.

Il segnale anomalo prodotto da quel campo gravitazionale sconosciuto, era presente in ogni singola griglia di rilevazione.

I valori della sua forza attrattiva erano a dir poco sbalorditivi. 

Di una sola cosa era certo.

Chiunque disponesse di tali avanzate conoscenze scientifico – tecnologiche nel 1882, non poteva assolutamente appartenere a quell’epoca storica, era fuori discussione.

Si trattava di nozioni decisamente anacronistiche rispetto alla realtà del tempo.

Ciò significava soltanto una cosa: qualcuno si era ritrovato chissà come relegato nel 1800 e stava tentando disperatamente di trovare una via d’uscita, sfruttando delle innovazioni tecnologiche di propria fabbricazione.

Si lasciò andare ad un lungo sospiro.

Non era esattamente quello il tipo di viaggio che aveva in mente quando aveva proposto a Rose un weekend di puro e semplice relax. In realtà avrebbe voluto portarla a visitare le famose e suggestive Cascate di Diamanti del pianeta Midnight ma, visti i recenti sviluppi, in qualità di ultimo Signore del Tempo era suo dovere vederci chiaro in quella faccenda. Non restava che rintracciare i responsabili, accertarne la natura e la specie, umana o aliena che fosse, e scoprire che cosa avevano in mente.

“Cosa ne pensi? Forse è un po’ troppo eccessivo?”

La voce di Rose lo distolse bruscamente dai suoi pensieri, costringendolo ad alzare lo sguardo dai fogli che stava analizzando. Non appena i suoi occhi si posarono su di lei avvertì una specie di balzo furioso nel petto. Entrambi i suoi cuori iniziarono a palpitare così convulsamente che gli sembrò quasi di poter sentire nella testa il rimbombo di ogni singolo battito.

L’aveva sempre considerata estremamente affascinante ma con il passare del tempo si era abituato così tanto a vederla nelle sue vesti casual o “casalinghe”, che rimase quasi scioccato di fronte a quella sua nuova versione così … così elegante.

Indossava un bellissimo abito di velluto rosso in stile Impero, che le fasciava perfettamente la vita evidenziandone la linea sinuosa, e i suoi capelli erano avvolti sulla testa in un morbido chignon.

“Allora? Cosa ne pensi, Dottore?” incalzò Rose, fissandolo con intensità.

“Oh beh… direi che sei…sei davvero bellissima” commentò lui, scattando di colpo in piedi come se una gigantesca molla invisibile lo avesse spinto via dal pavimento.

Le voltò le spalle con la scusa di dover programmare il sistema di sicurezza del T.A.R.D.I.S, ma in verità non voleva che lei si accorgesse di quanto quella visione lo avesse turbato, anche se probabilmente quel suo comportamento nevrotico le avrebbe dato comunque da pensare. Assicuratosi che il T.A.R.D.I.S. fosse ben nascosto al curioso e invadente occhio umano, si preparò ad uscire in strada. Indossava il solito completo gessato, accompagnato come sempre dal suo lungo cappotto marrone. Il cacciavite sonico era ben sistemato nella tasca interna della giacca. Stavolta però si sarebbe dovuto accontentare di un vecchio modello di scarpe che fosse più adatto all’epoca. Un paio di Converse logore avrebbero dato piuttosto nell’occhio e lui non voleva rischiare di finire sulla bocca di tutti.

“Lady Tyler è pronta per il suo ingresso trionfale nell’Inghilterra del 1800?” fece rivolto a Rose, porgendole il braccio come qualsiasi gentiluomo dell’epoca avrebbe fatto con la propria dama.

“Prontissima, mio Dottore” rispose lei, intrecciando il proprio braccio con il suo.

Il Dottore si lasciò sfuggire un sorriso.

Doveva ammetterlo, la sua Rose aveva uno spirito d’adattamento veramente invidiabile, tra l’altro, quelle vesti da dama dell’800 le donavano particolarmente. 

“Siamo nel periodo storico comunemente noto come Periodo Vittoriano…” spiegò a Rose, mentre fianco a fianco s’incamminavano lungo le vie della città, mischiandosi alla folla di passanti” … comprende tutti gli anni del lungo regno della Regina Vittoria, perciò diciamo orientativamente dal 1837 al 1901… “

Un paio di carri per il trasporto di bestiame li superarono a moderata velocità, sfrecciando rumorosamente lungo la strada acciottolata.

“… in questo periodo le forme di intrattenimento variavano notevolmente in base alla classe sociale di appartenenza, sai? I ricchi e le persone benestanti ad esempio erano particolarmente interessati alle più classiche forme di divertimento, come il teatro, gli spettacoli musicali, le tragedie e anche l’opera mentre i ceti sociali più umili si riunivano in bische clandestine per il gioco d’azzardo, creavano delle bande musicali folkloristiche per esibirsi agli angoli delle strade o nei grandi parchi … sai, nella speranza di guadagnare qualche spicciolo in più …”

“Perciò nonostante la rivoluzione industriale, la povertà era comunque presente?” domandò Rose, osservando con sguardo un po’ triste dei bambini dall’aspetto trasandato, che stavano passeggiando a piedi nudi in mezzo alla strada. 

“In verità è stata proprio la rivoluzione industriale a causare l’incremento della povertà …  “rispose il Dottore” … immagina … la rapida urbanizzazione, l’aumento di migrazioni dalle campagne, le abitazioni scarse e assai costose! Solo alcune categorie sociali potevano permettersele, ciò che restava veniva spartito tra due o più famiglie … è così che si svilupparono i cosiddetti “bassifondi”… senza contare poi l’aumento della richiesta di lavoro minorile nelle miniere e nelle fabbriche dopo il boom economico delle industrie …”

“VUOI DIRE CHE SFRUTTANO I BAMBINI?!” esplose Rose a gran voce.

“Shh  …” la zittì prontamente lui, appoggiandole una mano sulla bocca” … ricordati di non dare nell’occhio, Rose … “ si raccomandò per l’ennesima volta” … noi qui siamo solo di passaggio, cerchiamo di non scatenare subito il panico come al solito! In quest’epoca hanno delle armi da fuoco particolarmente efficienti e vorrei non essere costretto ad assaggiarne il sapore, se non ti dispiace …”

“D’accordo, scusami …”

“Devi stare attenta, ricordati sempre le possibili conseguenze legate ad un singolo, minuscolo cambiamento degli eventi storici … non scordarlo mai: osservare …”

“Ma non agire…” completò lei, sbuffando” ..sì, lo so Dottore, me lo ripeti in continuazione!”

In lontananza, avvistarono una taverna dall’aria piuttosto antica, sul cui ingresso spiccava  un’enorme insegna in legno che riportava il nome “Golden Age” su uno sfondo color verde smeraldo.   

Il Dottore si fermò a pochi passi dalla porta d’ingresso, avvicinandosi alla vetrata principale per gettare un’occhiata all’interno.

“Stai spiando qualcuno per caso?!” lo apostrofò Rose, fissandolo con aria interrogativa.

“No, certo che no” rispose lui, senza però staccare lo sguardo dalla vetrata “Quel nome…Golden Age…devo averlo già sentito da qualche parte, mi suona dannatamente familiare ma non riesco a capire il perché …”

“Entriamo e scopriamolo, allora!” propose Rose con entusiasmo e, prima ancora che lui potesse fermarla, aveva già oltrepassato la soglia del locale e si stava dirigendo con aria spavalda e sicura verso il proprietario.

Senza sprecare ulteriore tempo prezioso, il Dottore la seguì all’interno della vecchia taverna. L’intero locale era immerso in una luce soffusa che contribuiva a rendere l’atmosfera decisamente più intima e meno formale. Nell’aria aleggiava un odore stantio di alcool, sigari e carne alla brace. Rose non aveva di certo perso tempo. Si era appartata in un angolo del bancone e stava parlottando sottovoce con un paio di tizi dall’aria poco raccomandabile. Il Dottore si affrettò a raggiungerla e, come se nulla fosse, le circondò le spalle con un braccio, un gesto che i due omoni dovevano aver interpretato come un segnale di imposizione territoriale, perché se la diedero immediatamente a gambe.

“Bravo, li hai fatti scappare” lo rimproverò Rose, imbronciata “Stavo cercando di ottenere informazioni utili su questa taverna …”

“Credimi, quei due avevano in mente tutto, eccetto fornire delle innocenti informazioni ad una ragazza attraente come te …” replicò fermamente il Dottore, prendendo posto accanto a lei” … devi stare attenta, Rose, qui le persone non sono come quelle che sei abituata a frequentare … la mentalità è diversa, c’è gente davvero pericolosa e spietata là fuori …”

Ma Rose sembrava non aver udito nessuna delle parole che aveva appena pronunciato.

Lo fissava con sguardo vacuo, in silenzio, le labbra curvate in un leggero sorriso.

“Mi trovi davvero attraente?” gli domandò d’un tratto a bruciapelo.

“Co … cosa?!” fece lui, voltandosi con tale velocità da farsi male al collo.

“Hai appena detto che mi trovi attraente” incalzò lei.

“No, ho solo detto che quei due ti trovavano attraente …”

“Perciò … tu non mi trovi attraente?”

“Non ho detto questo …”

“E’ esattamente quello che hai detto, invece!”

“Ma non è così …”

Rose sbuffò, appoggiando il mento sul dorso della mano.

“Se lo dici tu, Dottore” commentò caustica, abbassando lo sguardo.

Seguì un lungo, imbarazzante silenzio.

Rose doveva aver frainteso totalmente le sue parole … o forse era lui che non riusciva mai a combinarne una giusta?

Difficile giudicare.

L’unica cosa certa era che odiava quando lei gli teneva il broncio in quel modo.

“Ti sei offesa?” le domandò sottovoce, cercando di spezzare quell’odiosa tensione.

“Perché mai avrei dovuto?” rispose lei in tono piatto, evitando di guardarlo.

Il Dottore fece per replicare ma qualcuno lo anticipò sul tempo.

Un uomo.

“Nulla è più innaturale dell’ovvio” sentenziò in tono solenne.

Rose e il Dottore si voltarono contemporaneamente nella direzione da cui sembrava provenire la voce maschile. L’uomo era seduto ad un tavolo, accuratamente nascosto nella semi ombra del locale ed evidentemente doveva aver seguito l’intera scenetta fin dalle sue battute iniziali.

“Come, prego?” fece Rose, senza capire.

“Ho solo fatto un’osservazione, milady” replicò lo sconosciuto, il cui tono di voce pareva inspiegabilmente divertito”  Il mondo è pieno di cose ovvie che purtroppo nessuno si prende mai la cura di osservare … “

Videro la sua sagoma scura sollevarsi lentamente e avanzare verso di loro, quel tanto che bastò per poterne scorgere, con maggior dettaglio, le fattezze anatomiche alla fioca luce di una lampada ad olio. Dimostrava all’incirca una ventina d’anni o giù di lì, capelli corti e scuri, lo sguardo acuto e penetrante.

Una luce vivace danzava nei suoi occhi.

La luce della passione giovanile.

“Cosa significano le sue parole?” domandò ancora Rose.

Lo sconosciuto appoggiò qualche moneta sul bancone poi si voltò a guardarla.

“Esattamente ciò che ho detto, milady” fece accennando un vago sorriso “ Chiaramente il suo compagno non si è accorto dell’ovvio, ossia di quanto le sue parole rudi l’abbiano ferita nel profondo … “

Rose ricambiò timidamente il sorriso in segno di gratitudine.

“Mi permetto di dissentire” sbottò bruscamente il Dottore, sentendosi preso in causa “Non ho mai ammesso una cosa del genere e francamente non vedo alcun motivo per il quale dovrei rendere conto a lei di ciò che accade tra me e la mia compagna … ora che ci penso, con rispetto parlando, non so neanche chi lei sia …”

Rose si schiarì leggermente la voce.

“Sei stato di nuovo maleducato” gli soffiò in un orecchio.

“Già ma stavolta l’ho fatto volontariamente” le rimbeccò lui in tono piccato.

Il giovane sconosciuto non sembrava minimamente turbato da quel loro simpatico battibeccare, anzi, dava l’impressione di essere alquanto allietato da quella visione, come se la stesse proprio spassando.                                                Senza cancellare il sorriso dalle sue labbra, porse la mano al Dottore.

“Mi permetta di presentarmi, Sir … “ disse in tono affabile “ … mi chiamo Arthur Conan Doyle e sono il proprietario di un piccolo studio medico nel Southsea … “

Sia Rose che il Dottore sbarrarono gli occhi, stupefatti.

“Lei è … lei è Arthur Conan Doyle?” ripetè il Dottore con un tono di voce alquanto stridulo, falsato dallo shock.

“Così dicono, Sir!” rispose il giovane, stringendogli la mano.

 “Ma è assolutamente fantastico poterla conoscere!” ruggì il Dottore, visibilmente eccitato da quell’incontro totalmente inaspettato.

“Oh beh … deduco che lei già mi conosca … anche se la cosa mi coglie abbastanza alla sprovvista, devo ammetterlo … “ 

Rose e il Dottore si scambiarono un’occhiata d’intesa.

“In realtà potrei essere considerato in qualche modo un suo collega” mentì spudoratamente il Dottore.

“Oh è un medico anche lei?”

“In un certo senso … sì, diciamo pure così…”

Poi rivolgendosi a Rose aggiunse “Madame Tyler mi permetta di presentarle Sir Arthur Conan Doyle… “

Il rumore di una porta che veniva sbattuta con violenza calamitò la loro attenzione, facendoli sobbalzare per lo spavento.

Qualcuno, una donna di mezz’età, fece il suo ingresso teatrale nella taverna urlando e scalpitando come una disperata, in lacrime.

Sembrava profondamente turbata.

“Signora Maynor … signora Maynor che succede? Si calmi … che cosa è successo?” la interpellò il proprietario della taverna, porgendole un bicchiere d’acqua e indirizzandola verso la sedia più vicina.

“E’ morto … “mormorò la povera donna tra i singhiozzi” … povero piccino … povero piccolo piccino innocente …“

Il Dottore avvertì la presa serrata di Rose attorno al suo braccio.

“Chi è? Chi è il morto?” domandò atterrito il giovane Doyle.

“Il … il piccolo orfano Timmy Harper … “balbettò la donna, asciugandosi le lacrime con un fazzoletto di stoffa piuttosto sdrucito e scolorito” … è successo nell’orfanatrofio Saint Claire, dove lavoro come donna delle pulizie … l’ho trovato io, questa mattina … non è rimasto che un mucchio d’ossa, povero tesoro … il diavolo … è stato lui, è stato il diavolo ad ucciderlo in modo tanto barbaro… gli ha strappato via le carni … non ne è rimasto nulla… NULLA!”

Il Dottore inspirò a fondo.

Dubitava fortemente che il diavolo, come tale, potesse avere una qualsiasi responsabilità in quella orribile faccenda, ma quel racconto concitato della signora Maynor, la carne strappata via, il ritrovamento di un mucchio d’ossa … erano indizi che portavano ad una sola conclusione.

Una delle peggiori.  

Sperava solo di sbagliarsi. 





NOTE AUTORE: Ecco qui il primo capitolo. La storia non è ancora entrata nel vivo, questo capitolo è piuttosto un'introduzione ai personaggi, alle loro dinamiche e allo sfondo sociale dell'epoca...nel prossimo capitolo entreremo davvero nella storia e ...beh non anticipo niente per non rovinare la sorpresa! SPERO DI NON AVER DELUSO LE ASPETTATIVE :D

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Capitolo 3
*** Gioco D'Ombre ***




Capitolo Secondo 
 
                                                           GIOCO D’OMBRE


Il gruppetto di ospiti era ancora vivamente impegnato a discorrere della stramba vicenda riportata dalla signora Maynor, quando una squadriglia composta da quattro o cinque membri della polizia locale fece il suo ingresso nella vecchia taverna. La notizia del brutale assassinio del piccolo orfano doveva essersi già diffusa in città, a dire il vero molto più in fretta di quanto il Dottore avesse previsto. Rose, in piedi accanto a lui, continuava ad accarezzare le spalle della signora Maynor, ancora sotto shock, sussurrandole parole di conforto. I lineamenti della donna erano sconvolti dal panico e dall’agitazione, il suo sguardo spaurito come quello di un cucciolo, saettava da un angolo all’altro della stanza, quasi come se avesse il terrore che qualcuno, o meglio qualcosa, la stesse braccando.              
Le si avvicinò e le sfiorò con dolcezza un braccio.
“Signora Maynor … “ fece sottovoce, inginocchiandosi davanti a lei “ … io sono un esperto di morti inspiegabili, posso darvi una mano a catturare l’assassino del piccolo Timmy, ma lei deve raccontarmi esattamente ciò che ha visto … nei dettagli …”
“Non posso … “
“La prego, è importante …”
Il corpo della donna ebbe un leggero sussulto.
Non scoppiò a piangere, non versò neppure una sola lacrima. Rimase impassibile al suo posto, i muscoli del viso estremamente tesi e le labbra convulsamente serrate, ad indicare l’evidente sacrificio che le recava il dover anche solo ripensare alla scena che poco tempo prima le si era presentata davanti agli occhi.
“Ho riconosciuto il bambino dagli abiti … “ prese a raccontare con voce tremante “ … non è rimasto nulla di quella povera creatura, solo un insignificante mucchio d’ossa … lo ha privato di qualsiasi aspetto umano …”
“La luce “ soggiunse il Dottore “La stanza in cui ha rinvenuto il corpo del bambino era illuminata?”
La signora Maynor lo guardò con aria interrogativa.
“No, non mi sembra … “ fece esitante “ Ma che cosa c’entra questo con l’omicidio?”
“Moltissimo, mi creda!”
“Pensa di sapere chi sia il responsabile, Sir?”
“Sto iniziando a farmene un’idea, purtroppo“ tagliò corto il Dottore.
Rose gli appoggiò una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione.
“Perché non andiamo a dare un’occhiata al corpo?” gli propose visibilmente eccitata all’idea “La polizia è tutta concentrata a fare le sue inutili domande, non si accorgerà neanche che siamo spariti …”
“Io ci sto” approvò il Dottore, scattando in piedi “Temo però che la signora Maynor qui non abbia voglia di ritrovarsi di nuovo di fronte a quello scempio … perciò … andremo solo io e te, Rose … “
“Vengo anch’io” s’intromise il giovane Doyle.
“Oh io non credo che sia una buona idea …”
“La prego, voglio vedere!”
“Potrebbe essere pericoloso …”
“Per favore, gliene sarei infinitamente grato”
Rose gli si aggrappò al braccio, sfoderando maliziosamente il suo ormai collaudato e leggendario “sguardo da cerbiatta”, lo stesso che sfruttava ogni qual volta le serviva un favore.
“Dai Dottore, lasciamolo venire con noi” cantilenò, facendo dondolare lentamente il suo braccio avanti e indietro “Sarà divertente!”
In 900 anni di lunga e tormentata vita aveva avuto il privilegio di vedere innumerevoli pianeti, sistemi solari e galassie situati ovunque nell’immensità dello spazio – tempo, aveva incrociato specie aliene d’ogni genere e aspetto, ma ogni volta l’unicità della razza umana non poteva fare a meno di sorprenderlo. Qualunque cosa si trovassero di fronte, anche la più terrificante, gli esseri umani non indietreggiavano. Mai. Cercavano sempre di fare luce sui misteri, di risolvere ogni enigma, di razionalizzare ogni singolo avvenimento. Una prospettiva davvero ammirevole, certo, ma in quella particolare circostanza la logica non poteva giocare un ruolo risolutivo. Qualcosa era penetrato in quella cittadina, qualcosa che decisamente non apparteneva alla razza umana. Non poteva rischiare la vita di Rose o peggio ancora quella del giovane Doyle, c’era in gioco molto più di una semplice indagine sul campo. Un solo errore e l’intero corso della storia avrebbe subìto gravissime e irreparabili conseguenze. 
Li fissò entrambi con aria pensierosa, indeciso sul da farsi.
“E va bene allora, avete vinto … “capitolò infine, arrendendosi alla loro insistenza” …papà vi porta al luna park !”
“Luna … park?!” ripeté il giovane Doyle, perplesso.
“SPOILER!” esclamarono in coro Rose e il Dottore.
Sgusciando silenziosamente alle spalle dei presenti, i tre abbandonarono insieme la vecchia taverna uscendo dalla porta sul retro. Si era scatenato davvero un gran trambusto in città. Molte persone si ammassavano confusamente agli angoli delle strade per scambiarsi le ultime informazioni riguardo il misterioso assassinio all’orfanotrofio, altre si riunivano insieme in preghiera affidando a Dio il compito di estirpare la presunta presenza demoniaca dalla loro comunità. Il Dottore udì perfino un vecchietto parlare di atti di stregoneria. Dopotutto non c’era nulla di cui meravigliarsi. La seconda metà dell'Ottocento era stata caratterizzata da un rinnovato interesse nei confronti dell'occultismo e dell'esoterismo magico, lecredenze popolari dell’epoca erano ancora fortemente legate a figure come il diavolo, la magia nera, le streghe e via dicendo. Era necessario procedere con estrema cautela per non diffondere il panico tra la popolazione.                                                                                                                     L’orfanatrofio in cui si era consumata la tragedia, distava appena qualche centinaio di metri dalla taverna. Pur essendo l’edificio più grande e antico dell’intero isolato, dava l’impressione di essere stato abbandonato a sé stesso da moltissimo tempo. La facciata esterna era pietosamente ricoperta da fasci di edera e altre piante rampicanti, gran parte delle finestre erano state inchiodate e le erbacce crescevano indisturbate nell’immenso giardino che circondava la proprietà.
“Fatemi indovinare, non è un orfanatrofio gestito dai privati!” commentò il Dottore con una punta di sarcasmo.
Visto il degrado di quel posto, aspettarsi un servizio di sorveglianza sarebbe stato davvero ingenuo da parte loro. Entrare nella proprietà dunque, si rivelò più facile che rubare le caramelle ad un bambino. Sembrava che non ci fosse anima viva nell’edificio, probabilmente la polizia per sicurezza aveva deciso di spostare i ragazzi da un’altra parte.
Una saggia decisione viste le circostanze.                                                                                         
Il Dottore volle subito controllare il piano terra, precisamente l’area del ritrovamento del cadavere della piccola vittima.                                                                                                                  Tutto era ancora lì, al suo posto, nessuno aveva avuto il coraggio di toccarlo o, peggio ancora, spostarlo altrove. 
“Oh mio Dio … “ commentò il giovane Doyle, portandosi le mani alla bocca con espressione terrificata.
Alle sue spalle, Rose si alzò in punta di piedi per spiare.
Il racconto fornitoli dalla signora Maynor non rappresentava neanche lontanamente l’orrore di quello scempio.
“Quale folle potrebbe mai fare una cosa del genere?! E’ mostruoso … “
“Tieniti a distanza, Arthur “ gli ordinò severamente il Dottore “Anche tu Rose … non vi avvicinate al corpo … “
Esattamente come aveva previsto, l’intero piano era totalmente immerso nel buio, soltanto in fondo al corridoio era rimasta un’area debolmente illuminata da un piccolo lume da parete. Infilò una mano nella tasca interna della sua giacca ed estrasse il cacciavite sonico. Lo puntò dritto contro il bersaglio e iniziò a scannerizzare ciò che rimaneva del corpo del bambino, abiti e scarpe compresi. Qualsiasi traccia aliena residua lo avrebbe aiutato ad identificare la razza con cui avevano a che fare, anche se solo un nome continuava ad urlargli nella testa ed era più che certo che si trattasse proprio di loro.
“CHE PRODIGIO E’ MAI QUESTO?!“
La voce del giovane Doyle risuonò nel silenzio circostante.
“Cosa succede?” soggiunse il Dottore, sollevandosi di colpo.  
“Laggiù … “
Gettando lo sguardo nella direzione indicatagli da Doyle, non gli ci volle poi molto a capire cosa lo avesse sconvolto tanto. Lungo quel corridoio era rimasta un’unica fonte luminosa, fioca e tremolante, sembrava quasi che stesse lottando furiosamente per non spegnersi.                                                                                                   
La sagoma scura dell’ultimo lume da parete ancora acceso era riflessa sul pavimento.                                                                                                                                          Ed era inspiegabilmente doppia.                                                                                                             
Ecco la conferma che stava aspettando.
“Bene, complimenti Arthur hai appena risolto il caso!” lo incoraggiò, battendogli baldanzosamente una mano sulla spalla.
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quelle ombre.
“Prego?”
“Cosa sono, Dottore?” intervenne Rose.  
“Vashta Nerada, sono Vashta Nerada”
“E … sarebbero?”
“Entità di natura aliena che vivono nell’oscurità e si cibano di carne” spiegò brevemente il Dottore “Hai presente quando i bambini dicono di vedere mostri nelle loro stanze da letto o negli armadi? Beh, capita che a volte siano davvero i Vashta Nerada…tendono a nascondersi nei luoghi bui…”
Rose inarcò un sopracciglio.
“Stai cercando di dirmi che L’Uomo Nero esiste davvero?”
“Esattamente, Rose” rispose il Dottore” Come tutte le leggende, anche questa ha un suo fondo di verità. Queste entità sono antiche, incredibilmente antiche, e con il passare dei secoli sono riuscite a diffondersi praticamente ovunque, in ogni singolo pianeta esistente nell’immensità dell’universo…compreso la Terra…la cosa strana è che non capisco perché siano qui…”
“Che vuoi dire?”
“Beh normalmente si rifugiano nei boschi, tra le montagne, in aperta campagna… si cibano di carne animale, tendono a restare piuttosto lontano dagli umani … cosa diavolo ci fanno in un orfanatrofio? Che cosa li ha attirati fin qui?”
Rose gli rivolse un’occhiata allarmata.
“Perciò quell’ombra laggiù è … “
“E’ uno di loro, sì” confermò il Dottore “Al momento comunque non siamo in pericolo, non se ne restiamo lontani! Generalmente attaccano la preda quando si trovano in branco, proprio come gli animali selvatici …”
“Ma quel povero bambino … insomma … lo hanno divorato!” mormorò Rose, serrando maggiormente la presa attorno al braccio del Dottore.
Lui si lasciò sfuggire un sorrisetto beffardo.
“Paura, Lady Tyler?” la punzecchiò, divertito.
“No … stavo solo facendo un’osservazione assolutamente razionale e per niente influenzata dal terrore …”
“Perciò adesso puoi anche ridarmi indietro il braccio o vuoi appropriartene definitivamente?” insistette il Dottore.
“Falla finita, non prendermi in giro!” protestò Rose, colpendolo al petto con un debole pugno.
“Ehm scusate se vi interrompo … “
Erano talmente concentrati a scherzare sull’ennesima situazione assurda in cui si erano andati a cacciare, da essersi dimenticati della presenza del loro giovane compagno.
 “Cosa c’è?! “esclamarono insieme.
“Non…non credo che… che quello sia…sia normale… ve … vero?” balbettò il ragazzo, strabuzzando gli occhi e additando freneticamente qualcosa alle loro spalle.
Avvertirono un leggero fruscìo, come uno spostamento d’aria.
Si voltarono di scatto contemporaneamente e ciò che videro li lasciò letteralmente senza parole.
Lo scheletro del bambino era in piedi, davanti a loro, e stava avanzando lentamente per raggiungerli, un passo dopo l’altro, proprio come se una forza estranea ne controllasse i movimenti come un burattino.  
“Che succede?” esclamò Rose, in preda al panico “Che sta succedendo? Come fa a muoversi in quel modo se è morto?”
“E’ uno sciame” spiegò il Dottore, tendendo di lato un braccio per impedire a lei e a Doyle di avanzare “Più ombre devono aver preso possesso del corpo per potersi spostare liberamente! Restate dietro di me, non calpestate nessuna ombra … ce ne saranno certamente altre in giro per l’edificio, meglio non rischiare di finire sul loro menu del giorno …”
“Di che cosa state parlando?! Cosa sono questi esseri?” sbottò il giovane Doyle, ormai definitivamente stravolto.  
“Alieni, possiamo definirli alieni” tagliò corto il Dottore.
“Alieni” ripetè il ragazzo, fissandolo con espressione incerta ”Mi prende in giro?”
“Credi sul serio che in un momento del genere potrei aver voglia di fare lo spiritoso?!” squittì il Dottore in tono acuto, tacitandolo all’istante.
 “Perciò adesso che facciamo?” chiese Rose con voce soffocata, indietreggiando  di qualche passo “C’è un modo per renderli innocui ed impedire che attacchino altre persone?”
“Purtroppo sono creature contro le quali non si può lottare” rispose il Dottore, accigliandosi” Dalek bisogna puntare all’appendice con l’occhio,  Sontaran al retro del collo, Vashta Nerada bisogna solo correre. Correre e basta! Perciò… Allons – Y …CORRETE! CORRETE E NON GUARDATEVI INDIETRO!”
E senza aggiungere altro, afferrò saldamente la mano di Rose e la trascinò via con sé correndo a gambe levate in direzione dell’uscita. Aveva incontrato centinaia di specie aliene differenti, ognuna di esse aveva sempre uno scopo ben preciso quando decideva di attaccare una popolazione indigena. L’unica eccezione conosciuta erano i Vastha Nerada. Popolavano le foreste, non si mischiavano alla gente e non entravano mai in contatto con nessuno. Non riusciva davvero a spiegarsi come fossero finiti tra le mura di quell’orfanatrofio.
La sola cosa certa era che doveva disfarsene, il prima possibile.                                                  
Non appena ebbero superato l’uscio di qualche centinaio di metri, i tre si fermarono per riprendere fiato.
La prospettiva di ritornare di nuovo in quell’edificio non lo allettava per niente ma sapeva di doverlo fare.
Se c’era una persona in grado di fermare quelle creature era lui, nessun altro.                                                                                                                    Rimaneva un ultimo problema da risolvere: Rose.                                                                    
Non le avrebbe permesso per nulla al mondo di rimettere piede in quell’inferno.
“Arthur devo chiederti un enorme favore” disse in tono serio, voltandosi verso il giovane Doyle” Ho bisogno che tu accompagni questa fanciulla fino alla mia dimora, il Tardis … devi prenderti cura di lei e non perderla di vista, per nessun motivo…”
“Ma certo io …”
Iniziò a dire Doyle, ma le sue parole furono investite dall’ira della diretta interessata.
“Non provare a mollarmi come al tuo solito, Dottore!” scattò bruscamente Rose, dirigendosi a passo sostenuto verso di loro “Non ti permetterò di lasciarmi indietro, so badare a me stessa …”
“Non questa volta, Rose”
“Sì invece … devi smetterla di pensare a me come ad un tesoro da proteggere, io viaggio con te per farti compagnia e per aiutarti, non puoi disfarti di me ogni volta che hai paura che possa succedermi qualcosa ... non è così che funziona!”
“Rose, devo accertarmi che l’infestazione sia localizzata solo nell’orfanatrofio prima di potermene disfare e per farlo dovrò affrontare parecchi pericoli, non posso e non voglio rischiare che …”
“Cosa, Dottore?” ribattè Rose in tono di sfida.
La fissò intensamente negli occhi.
“Non voglio rischiare di perderti, ok?” mormorò infine, mentre un nodo in gola gli impediva quasi di respirare. Aveva visto amici, parenti, persone che amava andarsene via senza che lui potesse fare qualcosa per impedirlo, per tenerli stretti a sé. Non doveva ripetersi mai più una cosa del genere. Mai più.
Anche a costo di farsi odiare a vita da Rose, doveva tenerla al sicuro.
“E una volta che avrai distrutto i Vashta Nerada potremo ripartire sfruttando quel loro strano segnale gravitazionale?” soggiunse inaspettatamente Rose, come se volesse evitare di tornare sull’argomento precedente. Se non altro sembrava che avesse accettato di tornare al T.A.R.D.I.S.
“Beh è possibile che… “
A quel punto le parole gli si congelarono in fondo alla gola e quel pezzo mancante del puzzle che lui disperatamente stava cercando di riposizionare al suo posto, si materializzò dal nulla nella sua mente, rendendo ogni cosa più chiara ma anche più enigmatica.
“Ma certo…MA CERTO!” esclamò, passandosi distrattamente una mano tra i capelli.
“Che succede?” domandarono Rose e Arthur in coro.
“Quel segnale … quel segnale anomalo e inspiegabile che ci ha condotti fin qui, non può essere il prodotto della tecnologia di creature come i Vashta Nerada perché loro non hanno tecnologia propria… non sono entità corporee, non potrebbero mai aver creato un simile disturbo al campo gravitazionale del TA.R.D.I.S. …”
Rose lo guardò confusa.
“Perciò … mi stai dicendo che …”
“Non sono le uniche entità aliene che infestano questa città” completò il Dottore al posto suo. 








ANGOLO AUTORE: Ed ecco il secondo capitolo!!! Spero che vi piaccia ... ora la storia è veramente entrata nel vivo, abbiamo identificato l'entità aliena responsabile dell'omicidio ma ecco spuntare un altro enigma ... dovrete aspettare il prossimo capitolo per scoprire la verità! BUONA LETTURA :D

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Capitolo 4
*** In Trappola ***


 


Capitolo Terzo
 
                                                   IN TRAPPOLA



Stava calando la sera.
Rimanere nei paraggi dell’orfanatrofio, viste le circostanze, non sarebbe stato affatto saggio da parte loro.    
“Seguitemi, sarà meglio tornare al T.A.R.D.I.S. ….”
Il Dottore li condusse con sé fuori dalla via maestra, lontano dagli sguardi insistenti e indagatori della gente, attraversando vicoli sporchi e maleodoranti e stradine strette e buie. Raggiunsero uno spiazzo di terreno piuttosto ampio, delimitato lateralmente da una parete alta e spessa, utile a nascondere alla vista dei passanti ciò che era parcheggiato all’interno.  
“E questa buffa costruzione di legno da dove salta fuori?” soggiunse il giovane Doyle, fissando con crescente meraviglia la piccola e suggestiva cabina blu che si ergeva fiera e inerme davanti ai loro occhi “Non credo di averla mai vista prima in città …”
“Infatti ne dubito fortemente” ribatté il Dottore, estraendo dalla tasca una piccola chiave di metallo legata ad un sottile filo di spago “In caso contrario me lo sarei certamente ricordato, ho una memoria davvero imbattibile!“ Infilò la chiave nella toppa e la fece ruotare dolcemente, fin quando la serratura non scattò. A quel punto, appoggiò una mano su un’anta della porta e spinse leggermente verso l’interno, spalancandola.
Rose fu la prima a rintanarsi al calduccio nell’abitacolo.
Gli abiti ottocenteschi erano eleganti, maestosi e possedevano un fascino senza tempo, ma non erano esattamente il top del comfort in caso di temperature al di sotto della media stagionale. Se fosse rimasta anche solo altri cinque minuti lì fuori, investita da quelle raffiche intermittenti di vento gelido, probabilmente le sarebbe venuta una bella polmonite, con annessi e connessi.
Arthur e il Dottore invece sembrava proprio che stessero discutendo animatamente di qualcosa a giudicare dal vocio sommesso che giungeva dall’atrio d’ingresso.
“NON E’ POSSIBILE!”
Il tono di voce di Doyle rasentava l’incredulità.
“Oh me lo dicono in molti …”
“No, questo non e’ razionalmente possibile … è … è più grande all’interno che all’esterno”
Uscì e rientrò dalla cabina non meno di quattro o cinque volte e, man mano, la sua espressione sembrava assumere nuovi livelli di esagitazione.
“E’ una nave spaziale, Arthur … “ provò a spiegare il Dottore, cercando di evitare una terminologia troppo avanzata per le conoscenze dell’epoca” … somiglia ad una cabina telefonica a causa del malfunzionamento del Circuito Camaleonte, una specie di sistema di mimetizzazione, ha smesso di funzionare molto tempo fa lasciandole perennemente questo aspetto … come puoi vedere non è fatta neppure di legno …“
“Ma sembra così minuscola, Sir … com’è possibile?!” replicò Arthur, gli occhi che saettavano da un angolo all’altro del T.A.R.D.I.S. catturandone ogni sconvolgente e incomprensibile dettaglio.
Tutto ciò che non è noto ci appare straordinario” sentenziò il Dottore in tono solenne, avvicinandosi alla console per attivare il programma per l’alimentazione d’emergenza.
“Bella frase, Sir”
“Grazie, forse dovresti appuntartela …”
“Perché mai?” fece Arthur, accigliandosi.
“Beh non si sa mai quello che può accadere, in futuro potrebbe sempre tornarti utile per qualcosa“ rispose vagamente il Dottore.
In quel momento Rose rientrò nella sala comandi.
Abbandonati gli scomodi abiti ottocenteschi, si era finalmente riappropriata dei suoi jeans e della sua comoda e calda felpa.
“Chi vuole una bella tazza di tè caldo?” propose allegramente, appoggiando su una superficie piana il capiente e pesante vassoio che stringeva tra le mani.
Trascorsero l’ora successiva seduti attorno alla console del T.A.R.D.I.S., a discutere di navi spaziali, alieni, pianeti e galassie. Superato lo sconcerto iniziale, il giovane Doyle si era lanciato con entusiasmo alla scoperta delle leggende e degli imperscrutabili misteri legati a quei due strani tizi, che tanto lo affascinavano quanto lo inquietavano. Forse era stato il destino a farli incontrare o magari si era trattato semplicemente di un caso fortuito. L’unica cosa certa era che quell’incontro avrebbe segnato una svolta decisiva nella sua vita … anche se in futuro nessuno seppe mai le cose straordinarie che si nascondevano tra i ricordi di quell’uomo così anonimo e al contempo geniale.
“Perciò voi due siete viaggiatori dello spazio … “
“Esattamente” asserì Rose.
“E cosa fate? Insomma … viaggiate e basta?”
“Viaggiamo nello spazio e nel tempo, visitiamo posti lontani e sconosciuti … “disse il Dottore con aria sognante” … e a volte, come in questo caso, ci ritroviamo a dover far fronte a qualche piccolo intoppo professionale …”
Queste parole parvero scuotere la coscienza di Rose dal suo torpore.
“A proposito di intoppi professionali … “ soggiunse ” …i Vashta Nerada… che cosa hai in mente di fare, Dottore? Hai un piano per distruggerli?”
Arthur si rivolse al Dottore.
“Non aveva detto che sono creature contro cui è impossibile lottare, Sir?”
 “Memoria di ferro, Artie, complimenti davvero!” commentò il Dottore con un largo sorriso “Comunque sì , Rose, anche se la leggenda narra che sono creature non corporee e per questo difficilmente eliminabili, in realtà forse un modo per distruggerli esiste, o almeno spero che funzioni, ma prima di fare ciò che ho in mente, voglio capire come diavolo sono arrivati in quell’orfanatrofio e soprattutto se c’è qualche connessione tra loro e l’altra sconosciuta forma di vita aliena che si è insediata in questa città …”
“Perciò cosa facciamo adesso?” incalzò Rose.
“Voi due ve ne restate buoni qui dentro, al sicuro, io invece me ne torno all’orfanatrofio e cerco di trovare un punto di contatto con quelle creature … “
“Ti ho già detto che non se ne parla o sbaglio?!” protestò Rose.
“E io ti ho già detto che non posso rischiare che vi succeda qualcosa o sbaglio?!” rimbeccò prontamente il Dottore.
Rose spalancò la bocca pronta a replicare, ma lui la afferrò saldamente per un braccio trascinandola al piano inferiore, lontano dalle giovani e curiose orecchie del loro nuovo assistente.
“Lo capisci che non posso portarvi con me?!” le ripetè per l’ennesima volta in tono perentorio “Se dovesse succedere qualcosa ad Arthur, anche la cosa più insignificante, l’intero corso della storia subirebbe delle incredibili conseguenze la cui entità non puoi neppure immaginare … Arthur è a tutti gli effetti un evento storico, Rose, la sua linea temporale non dovrebbe essere neppure sfiorata con un dito … il solo fatto di averci incontrato alla taverna potrebbe aver causato dei cambiamenti nel suo futuro …”
“E io che cosa dovrei fare nel frattempo? Imparare a sferruzzare?” fece Rose, sarcastica.   
“Occupati di lui” disse il Dottore “Fa che non gli accada nulla, sarà sotto la tua completa responsabilità … mi fido ciecamente di te …“
Rose sollevò lo sguardo, fissandolo dritto negli occhi.
Non riusciva neanche ad immaginare come sarebbe potuta essere la sua vita senza quell’uomo al suo fianco, quel folle uomo dello spazio che in un giorno come tanti l’aveva presa per mano e aveva plasmato daccapo ogni aspetto della sua vita, donandole un nuovo senso. La sua intera esistenza ruotava attorno a lui, ogni risata, ogni lacrima, ogni sentimento latente, ogni ricordo che le veniva in mente era legato nel bene e nel male a lui. Non poteva rischiare di perderlo, non voleva neanche pensare ad una simile, terrificante eventualità, perché sapeva per certo che in quel caso, insieme a lui avrebbe perso anche una parte di sé stessa, la parte più importante, la sola che contasse davvero.                                                                                               
“Bene” soggiunse dopo un breve momento di silenzio “Se io faccio questo per te, se mi prendo cura di Arthur mentre sei via, tu dovrai fare qualcosa per me … “
Il Dottore la fissò un po’ sorpreso da quella richiesta.
“Oh bene … dimmi pure …”
“Ritorna da me sano e salvo”
“Rose, io … “
“Dico sul serio Dottore” insistette lei in un tono che non ammetteva repliche. Allungò una mano per afferrare quella di lui, gli occhi lucidi di lacrime incatenate fissi in quello sguardo malinconico nel quale fin troppe volte si era trovata ad annegare “Non ti azzardare a lasciarmi, non ci pensare neanche …”
Il Dottore non disse niente, neppure una parola.
La trasse dolcemente a sé, stringendola forte tra le braccia.
Un gesto che per lui valeva più di mille promesse inutili.
Qualche minuto più tardi, il Dottore si lasciò definitivamente alle spalle la sua adorata cabina blu avventurandosi da solo in quella nuova, folle missione. Lungo l’intero tragitto che lo separava dall’orfanatrofio Saint Claire non fece altro che pensare e ripensare a tutte le cose inspiegabili che ancora non era riuscito a chiarire, agli innumerevoli dettagli mancanti. Nella sua mente c’erano più domande che risposte e la cosa lo rendeva fastidiosamente nervoso. Odiava essere all’oscuro della verità, era una cosa che gli dava sui nervi, lui sempre così straordinariamente informato, sempre un passo davanti agli altri.                                                                                                                       
Era a dir poco inaccettabile.                                                                                                            
Distratto e perso tra i suoi mille pensieri, non si rese subito conto di ciò che stava accadendo attorno a lui.                                                                                                                    Non c’era anima viva per le strade, quasi certamente era stato indetto un coprifuoco obbligatorio per proteggere i cittadini.
Ogni cosa era avvolta nel silenzio. Era troppo buio per poter vedere molto oltre, ma il suo sesto senso gli suggeriva che non era da solo laggiù, che c’era qualcosa, più probabilmente qualcuno, al di là del suo ridotto campo visivo. Poteva appena percepire quel rumore di passi lenti e irregolari in avvicinamento, qualsiasi cosa fosse stava barcollando attraverso la radura circostante, dritto verso di lui. Si affrettò a recuperare il suo cacciavite sonico, pronto ad usarlo contro il suo misterioso aggressore …                                                                                                             E fu allora che accadde tutto.                                                                                                        
Ciò che vide lo lasciò letteralmente sbalordito e non era cosa da tutti i giorni per un Signore del Tempo con la sua esperienza. Un enorme fascio di luce cangiante lucente e brillante sbucò dal nulla alle spalle dell’edificio che ospitava l’orfanatrofio, stagliandosi nel cielo nero e tramutandolo in un’esplosione di colori che gli ricordò molto il fenomeno terrestre dell’aurora boreale.                                                                                                      
Sembrava un rilascio di energia di qualche genere.                                                                    
Senza star lì a perdere tempo, puntò il cacciavite alla cieca verso la radura, alla ricerca di una qualsiasi forma di vita aliena.                                                                                        
Erano lì da qualche parte, riusciva a sentirlo.                                                                      
Inizialmente non ottenne alcuna risposta.                                                                                     
Poi d’un tratto, l’estremità del cacciavite sonico iniziò a brillare ad intermittenza emettendo una specie di segnale d’allarme.                                                                                     
Aveva rilevato qualcosa.
“Dannazione!” sussurrò il Dottore, leggendo sul display i risultati dell’analisi sonica.
Era finito in trappola.                                                                                        
“Finalmente ti abbiamo raggiunto … Signore del Tempo … “ ruggì una voce metallica tra gli alberi” … l’ultimo Signore del Tempo ancora in vita, non potremmo essere più fortunati di così … “


TO BE CONTINUED... 



Angolo dell'autore:
Ed eccoci arrivati al terzo capitolo ^^ 

Un capitolo a tratti divertente, avvolto in un sottile velo di romanticismo e un pò inquietante nel finale ... adesso vi starete chiedendo: e ora chi sono queste creature che gli danno la caccia?! Tutto verra' svelato nel prossimo capitolo, PROMESSO! ^^
BUONA LETTURA :3

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Capitolo 5
*** Soluzione Estrema ***




Capitolo Quarto
 
                                      Soluzione Estrema 
 

I suoi piedi pestavano furiosamente la strada, echeggiando nel silenzio circostante, mentre proseguiva la sua folle corsa verso la salvezza. 
Un lampo verde sferzò l'aria come la lama appuntita di una spada e gli sfiorò la guancia, ferendolo leggermente. 
Non mancava molto ormai, doveva solo continuare a correre, senza voltarsi indietro. Correva ad una tale velocità che sembrava quasi che la paura gli avesse messo le ali ai piedi. Sapeva che gli stavano alle calcagna. Non poteva vederli ma riusciva comunque a percepirne la presenza. 
Non avrebbero mai smesso di dargli la caccia.
Mai. 
Doveva pensare ad una soluzione...e anche alla svelta!
Giunto a pochi metri dal Tardis, attivò il suo cacciavite sonico indirizzandone l'estremità verso la serratura.              Le porte della cabina si spalancarono con violenza, richiudendosi di colpo nel momento esatto in cui il Dottore si lanciò all'interno dell'abitacolo. 
"CHE SUCCEDE?!" urlò Rose, accorrendo ansimante nella sala comandi, seguita a ruota da Arthur. 
Il Dottore non rispose. 
Stava frugando freneticamente in giro per la stanza, raccogliendo strani pezzi di metallo e altri oggetti delle forme e dimensioni più disparate, che Rose non gli aveva mai visto maneggiare prima d'allora.
"Deve essere qui...era qui..." borbottava a mezzavoce, saltando da un angolo all'altro del Tardis con l'agilità di un grillo "...dannato aggeggio...era qui, ne sono certo...o forse lo avevo nascosto da un'altra parte..."
"Dottore..." fece Rose esitante.
"Non adesso, Rose, ti prego non adesso!" tagliò corto lui, spostandola di peso da un lato per riuscire a passare.
"Dovevi andare all'orfanatrofio, ricordi?" insistette Rose, affiancandolo di nuovo "Che cosa sta succedendo? Perche' sei tornato indietro?" 
"Sono quelle ombre assassine, vero?" le fece eco Arthur, pallido come un cencio "Le stanno dando la caccia, Sir? Stanno venendo a prenderci?" 
Il Dottore distolse bruscamente l'attenzione dalle sue occupazioni e li guardò. 
Entrambi erano chiaramente in preda al panico e ragionevolmente contavano su di lui per essere rassicurati. 
Trasse un profondo respiro.
"Non si tratta delle ombre ..."confessò con un fil di voce, tormentandosi i capelli come faceva sempre quando era in stato di abissale confusione" ...o meglio, l'orfanatrofio è effettivamente sotto l'invasione di uno sciame di Vashta Nerada ma non sono loro il nostro problema principale...magari lo fossero..."
"Che vuoi dire?" Rose era a dir poco esterrefatta.
"Ho capito chi è stato a creare quel potente segnale di disturbo gravitazionale che ci ha trascinati fin qui... "proseguì il Dottore" ...era una trappola, Rose, si tratta dei Kronos..."
"KRONOS?!" esclamarono Rose e Arthur in coro.
"Sono una spietata razza aliena di cacciatori dei Signori del Tempo...pensavo che si fossero estinti già da secoli, ma evidentemente mi sbagliavo...ultimamente mi capita piuttosto spesso e devo ammettere che non è per niente divertente..."
"Perciò stanno cercando te? E cosa vogliono?" domandò Rose.
"Vogliono la mia vita, la mia energia vitale"
"E per farci cosa?"
"Se ne nutrono..." spiegò il Dottore " ...si nutrono di tempo, del mio tempo, ne hanno disperatamente bisogno per sopravvivere! Noi Signori del Tempo viviamo molto più a lungo di qualsiasi altra creatura esistente nell'Universo, sai, grazie a quel nostro delizioso trucchetto della rigenerazione..."si appoggiò con la schiena contro la parete, intrecciando le braccia al petto " Ricordo che molti secoli fa, alcuni cacciatori si insediarono alle porte di Gallifrey e iniziarono a saccheggiare i villaggi alla ricerca di Signori del Tempo...risucchiavano via ogni piccolo residuo vitale dai loro corpi, spremendoli fino all'ultima goccia, dopodichè li abbandonavano in mezzo ai campi, come fossero bestie...non se ne vedevano in giro da molto tempo, speravo che fossero finiti all'inferno insieme ai loro amichetti Daleks e invece no, sarebbe stato troppo facile, giusto?"
Il suo tono di voce suonava amaro e sarcastico.
"E i Vashta Nerada? Cosa c'entrano delle ombre assassine con questi cacciatori alieni?"
"Temo che siano due cose ben distinte, Rose, i Vasha Nerada sono creature molto antiche, non si alleano con altri esseri viventi, non è nel loro stile. Si sono ritrovati all'interno di quell'orfanatrofio per un motivo sconosciuto ma non legato alla presenza di questi cacciatori alieni...una cosa è certa però...questi ultimi devono aver percepito la loro presenza e hanno approfittato del terrore della popolazione, per sfruttare l'orfanatrofio infestato e, quindi deserto, come loro base operativa segreta...davvero brillanti..."
"Non c'è modo di combatterli o di sfuggirli?" domandò ingenuamente Rose.
A queste parole, rivoli di freddo gelarono la pelle del Dottore. Come aveva fatto a non pensarci prima? La soluzione era lì davanti ai suoi occhi, era sempre stata lì.  
"ROSE TU SEI UN GENIO!" esclamò con aria trionfante, correndo ad abbracciarla "E' un'idea assolutamente geniale...davvero brillante..."
"E...e cioè?" balbettò Rose, confusa. 
"Se stanno dando la caccia a me, significa che il loro ciclo vitale si sta concludendo e si estinguerà presto, perciò per riuscire a sfuggirli, dobbiamo solo aspettare che siano abbastanza deboli e vulnerabili da non avere la forza di reagire al nostro attacco..."
"E quanto ci vorrà, Sir?" soggiunse Arthur che, suo malgrado, stava cercando disperatamente di seguire il filo logico dell'intera, folle vicenda. 
"Sei...forse otto mesi..."
Rose sbarrò gli occhi.
"Scusa, potresti ripetere?!" fece, sconvolta.
Il Dottore le si avvicinò e appoggiò entrambe le mani sulle sue spalle, piegandosi leggermente sulle ginocchia per poter incrociare il suo sguardo. 
"Lo so che è tanto tempo e lo so che quello che sto per chiederti è difficile, Rose, molto difficile e mi dispiace...mi dispiace tanto, davvero, ma ho bisogno di te, stavolta ho davvero un disperato bisogno del tuo aiuto...ti prego..."
Rose rimase come impietrita. 
Fissava in silenzio quegli occhi così scuri e penetranti, che da sempre le avevano dato l'impressione di poterle scavare fino in fondo all'anima, nella speranza di potervi trovare una qualche risposta. Riusciva ad avvertire a pelle la paura e l'incertezza che stavano attanagliando il Dottore, due sentimenti che prima di quel giorno non avrebbe mai pensato di poter ricollegare a lui, il suo timido e pazzo eroe con la cabina blu. 
Alla fine, seppur profondamente combattuta, decise di fare ciò che aveva sempre fatto, senza mai pentirsene. 
Fidarsi di lui.
Annuì e sorrise.
"D'accordo, ti aiuterò" mormorò con voce tremante "Cosa devo fare?"
Il Dottore le rivolse un'occhiata di silente gratitudine. Sapeva di poter contare su Rose.
Con il loro aiuto tutto sarebbe tornato presto alla normalità. 
Più o meno.
"Allora ... " esordì con il suo solito tono frenetico " Prima di cominciare, voglio che vi sia chiaro che avrò disperatamente bisogno dell'aiuto di entrambi... " 
Arthur e Rose si scambiarono un'occhiata perplessa.
La discussione stava prendendo una piega decisamente inaspettata.
"Cosa...?"
"No no no, niente interruzioni!" il Dottore appoggiò la mano sulla bocca di Rose per zittirla "Non abbiamo più molto tempo, dobbiamo iniziare immediatamente. State in silenzio e ascoltate con estrema attenzione ogni cosa che vi dirò. Ne dipende la mia vita e anche la vostra. Allora... " si posizionò di fronte ad entrambi, fissandoli con aria seria e compunta. Sembrava quasi si fosse calato nei panni di un maestro intento ad impartire la lezione del giorno ai suoi allievi "Come vi ho già detto, questi esseri sono dei cacciatori, perciò non si fermeranno finchè non mi avranno catturato e continueranno ad inseguirmi all'infinito. Purtroppo sono in grado di rilevare la mia presenza a miliardi di anni luce di distanza e, a quanto pare, il fatto che io viaggi a bordo del Tardis non fa altro che peggiorare la situazione, avete visto come sono riusciti a trascinarmi fin qui sfruttando la loro avanzata tecnologia del futuro, per agganciare e sabotare il mio campo gravitazionale...non si fermeranno mai...a meno che non eliminiamo il loro bersaglio..."
"Vuole uccidersi, Sir?" commentò Arthur, inorridito.
"Non dire idiozie, ragazzo" sbottò il Dottore, roteando gli occhi "Per essere uno scrittore così famoso non sei molto fantasioso..."
"Ma io non sono uno scrittore" puntualizzò Arthur.
"Oh beh quello che è, non interrompermi!" tagliò corto il Dottore, sventolandogli davanti agli occhi la mano con fare impaziente" Stavo dicendo...oh giusto... "frugò a fondo nelle tasche della sua giacca e quando la sua mano ne riemerse, stringeva un vecchio orologio da taschino dal design piuttosto antico e ricercato " ...questo sono io... " fece, rivolto ai due compagni "...qui dentro verrà conservata la mia essenza di Signore del Tempo, la stessa che questi cacciatori riescono a fiutare in ogni tempo e spazio! Finchè sarà custodita qui dentro, non potranno rintracciarla e io sarò al sicuro, non sanno come sono fisicamente, non mi hanno mai visto in faccia..."
"Perciò, vediamo se ho capito..." intervenne a quel punto Rose "...rinchiudi la tua essenza di Signore del Tempo in quell'orologio da taschino e per sei o otto mesi rimaniamo nascosti nel Tardis in attesa che quegli esseri là fuori perdano le loro energie?"
Il Dottore si passò distrattamente una mano dietro la nuca.
"Magari fosse così semplice" commentò, scuotendo la testa "Non basterà conservare la mia essenza in quell'orologio per essere al sicuro! Devo smettere di essere un Signore del Tempo, del tutto...devo diventare umano..."
"CHE COSA?!"
Il Dottore sollevò con un gesto secco della mano una leva sulla console di comando e premette un paio di pulsanti. 
Una piccola botola si aprì sul soffitto e uno strano oggetto di metallo a forma di elmetto scivolò giù, appeso ad un cavo elettrico intrinsecamente collegato al cuore del Tardis.
"Dottore che succede? Che stai facendo?" sbottò Rose, sempre meno convinta che quell'idea fosse la soluzione migliore.
"Il buon vecchio Circuito di Mimesi" mormorò il Dottore a mezza voce, accarezzandone la superficie come se fosse estremamente fragile.
"Di cosa si tratta?"
"E' una tecnologia estremamente complessa e pericolosa in grado di riscrivere biologicamente, a livelli microscopici, l'organismo di qualsiasi essere vivente di questo Universo" spiegò il Dottore "Potrei tramutarmi senza problemi in uno Slitheen o in un Sontaran solo impostando il tipo corretto di DNA nel sistema di questo circuito! Francamente però, preferirei diventare umano piuttosto che ritrovarmi con la testa a forma di patata e venti centimetri di altezza, non so se mi spiego!" spostò lo sguardo su Rose e le ammiccò "Comunque, tornando a noi...questo aggeggio sarà in grado di trasformare ogni singola cellula del mio corpo in una cellula vivente completamente umana. Ho già impostato il DNA umano..."
"E dopo che ti sarai trasformato in un essere umano, che cosa faremo?" Rose ebbe la strana sensazione che la risposta del Dottore non le sarebbe piaciuta per niente.
"Io non ricorderò niente di tutto questo, nè della mia vita come Signore del Tempo" rispose lui con un fil di voce appena percepibile "Il Tardis penserà a costruire una biografia perfetta per me, mi troverà una casa, un lavoro, mi aiuterà ad inserirmi nel modo migliore nella società...per te però non posso fare niente, Rose... "le lanciò uno sguardo contrito, quasi come se si sentisse in colpa. In fondo era per causa sua che Rose si era cacciata in quella situazione al limite dell'assurdo " ...dovrai improvvisare...è per questo che tu ed Arthur dovrete collaborare insieme, solo voi conoscete lo stato reale delle cose perciò siete gli unici a poter far sì che il piano proceda esattamente com'è stato pianificato..."
"E nel frattempo che cosa dovrei fare io senza di te?" esclamò Rose quasi con le lacrime agli occhi "Tu non mi riconoscerai, non saprai chi sono, non mi rivolgerai neppure la parola, saremo praticamente due estranei...cosa farò?!"
Il Dottore si costrinse a voltarle le spalle.
Se solo il suo sguardo avesse incrociato quello di Rose, anche solo per un brevissimo istante, tutta la sua sicurezza e la sua determinazione sarebbero crollate inesorabilmente al suolo come pezzi di un domino. Non poteva permetterlo, non adesso che erano ad un passo dalla salvezza. Aveva promesso a Jackie di riportarle a casa sua figlia, sana e salva, ed aveva tutta l'intenzione di mantenere la parola.  
Si agganciò con una mano al Circuito di Mimesi e con tutta la forza possibile lo tirò giù, srotolandone man mano il cavo, fin quando la macchina non raggiunse l'altezza richiesta. 
Prima di avviare la procedura di mimesi, fece segno ad Arthur di avvicinarsi.
"Ti affido Rose, prenditi cura di lei..." gli sussurrò in un orecchio " ...devi promettermi che farai in modo che lei mi rimanga vicino, non devo perderla di vista, MAI! Non dobbiamo mai perderci noi tre, per nessuna ragione al mondo, mi hai capito Arthur? Conto su di te, ragazzo..."
"Capito, Sir" asserì il giovane Doyle. 
Avanzando attraverso la sala, con passi lenti e strascicati, Rose li raggiunse vicino al Circuito di Mimesi. 
Sapeva che il Dottore lo stava facendo per proteggerla, oltre che per proteggere sè stesso, ma il solo pensiero di dover trascorrere così tanti mesi lontano da lui, le faceva tremare il cuore. 
"E così diventerai umano, eh?" cercò di stemperare la tensione, abbozzando un leggero sorriso.
Il Dottore ricambiò il sorriso e le prese la mano, stringendola forte nella sua. 
"Non è un addio, Rose" le sussurrò dolcemente.
"Come fai a saperlo?" mormorò lei, con voce tremante di pianto.
"Tra noi non ci sarà mai un addio" replicò il Dottore. 
"E se il tuo piano non dovesse funzionare, Dottore?" incalzò Rose, ormai in lacrime" Se i cacciatori alieni non dovessero morire?"
"In quel caso, basterà che io apra di nuovo questo stupendo e antico orologio e la mia essenza di Signore del Tempo verrà liberata, così tutto potrà tornare alla normalità, beh, se di normalità possiamo parlare..."
Rose si sollevò in punta di piedi e, appoggiandosi sulle spalle del Dottore per mantenersi in equilibrio, gli sfiorò la fronte con un tenero bacio. 
"Tra otto mesi, cascasse il mondo, ti rivoglio qui" affermò in tono deciso, fissandolo dritto negli occhi "Mi hai capito? Devi promettermelo, Dottore..."
"Te lo prometto, Rose" fece lui, ammiccandole beffardamente "Io torno sempre da te, ricordi?"
Quando si separarono, Rose non potè fare a meno di avvertire una strana sensazione alla bocca dello stomaco. 
Una spiacevole sensazione di abbandono. 
E d'un tratto la consapevolezza di ciò che stava per accadere, le si mostrò davanti agli occhi, più crudele e spietata che mai. 
Sarebbe rimasta da sola. 
Completamente e inesorabilmente sola in un mondo e in un tempo che non gli appartenevano.
Urla strazianti lacerarono il silenzio, una luce bianchissima e accecante li avvolse completamente...Rose sentì la mano di Arthur cercare la sua e stringerla forte.
Poi ogni voce, ogni rumore, ogni cosa si spense attorno a loro e calò il buio. 







Angolo dell'autore: Allooooooooooora...eccoci qua con un altro capitolo.
Bene, i fans di Doctor Who avranno certamente notato l'evidente somiglianza tra questa storia e l'episodio "Human Nature" della terza stagione. Ebbene sì.
In effetti ho voluto creare una situazione simile, ma non uguale, a quella di quegli episodi ma con una variante fondamentale e cioè...al posto di Martha Jones abbiamo Rose Tyler!  Riuscirà a controllare la situazione con l'aiuto del giovane Arthur Conan Doyle? "Lo scopriremo solo vivendo.."  diceva Battisti.
Perciò....alla prossima!!! :D

P.S. Un ringraziamento speciale a tutti quelli che hanno commentato i capitoli fino ad ora. Grazie di cuore. 

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Capitolo 6
*** Una Nuova Realtà ***




Capitolo Quinto
 
                                                       Una nuova realtà
 
 
Sei mesi più tardi...
 

Era senz'altro un sogno, pensò.
Non poteva essere reale. 
Si trovava in una specie di enorme costruzione di metallo, dal design a dir poco eccentrico e sconvolgente, la cui unica e debole fonte luminosa sembrava provenire da un misterioso cilindro di grosse dimensioni, posto al centro dell'abitacolo, al cui interno sembrava muoversi qualcosa, proprio come se fosse vivo.  
Sollevò lentamente lo sguardo verso il soffitto.
Era talmente alto da risultare poco visibile, inghiottito e risucchiato in quell'oscurità a perdita d'occhio. 
Sapeva di essere lì da solo, ne era certo, eppure c'era quella voce...la solita voce che ogni notte entrava nei suoi sogni soffiandogli parole confuse tra i pensieri, come un eco lontano perso tra i meandri del tempo. 
Qualcosa che cercava di riemergere a fatica in superficie. 
Era una voce familiare, troppo familiare. 
Stavolta la riconobbe. 
Si trattava della sua stessa voce. 
Un gemito lamentoso e angosciante che si ripeteva ancora e ancora.
Non riusciva a comprendere con chiarezza ciò che diceva ma alcune parole più nitide e comprensibili di altre, gli risuonavano prepotentemente nella testa. 
Tardis...Gallifrey...Kasterborous...
Niente che avesse davvero un senso per lui, solo parole vuote e prive di significato. 
 
DRIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIN ...
 
L'inaspettato e acuto suono della sveglia lo fece sobbalzare sul letto per lo spavento, gli occhi sbarrati e la fronte imperlata di sudore freddo. 
"Dannato aggeggio infernale!" gracchiò con la voce ancora impastata di sonno, allungando un braccio verso il comodino per spegnere la sveglia. 
Lanciò una rapida occhiata per controllare che ora fosse.
Erano già le sette e trenta del mattino, il che significava che aveva circa una mezz'ora di tempo per alzarsi, fare colazione, vestirsi e presentarsi allo studio medico per iniziare il consueto ciclo di visite quotidiane. Il suo primo istinto fu quello di telefonare al suo collega e darsi malato, per potersi godere un po' di sano relax casalingo, ma poi riflettendoci meglio, realizzò che quella era l'ultima occasione che aveva per poter invitare al "ballo delle Rose", l'irreprensibile e affascinante Lady Chambers, le cui attenzioni bramava ormai da mesi. Aveva atteso quel momento con crescente apprensione, settimana dopo settimana, pianificando ogni singolo gesto, ogni parola, perfino gli sguardi. La fiera cittadina organizzata per festeggiare l'arrivo dell'estate, era l'occasione perfetta per mettere in pratica il suo piano di conquista. O almeno questo era ciò che sperava.
A dispetto delle previsioni quasi catastrofiche del suo amico Arthur, lui era piuttosto ottimista a riguardo.
Si alzò dal letto e, stiracchiandosi gli arti intorpiditi, tra uno sbadiglio e l'altro, si avviò verso il bagno, pronto a gettarsi fiducioso a capofitto in quel nuovo, fiammante giorno. 
 
[Circa una mezz'ora più tardi...]
 
La struttura privata che ospitava il piccolo e confortevole studio medico "Doyle & Co" si trovava allocata nella zona centrale del sobborgo di Portsmouth nel Southsea, per nomea la più popolata nonchè caotica del paese. Gli avvenimenti sconvolgenti verificatisi negli ultimi mesi, avevano reso il quartiere decisamente meno popolare di quanto non lo fosse mai stato, in particolar modo aveva inciso tutta la spiacevole faccenda legata all'orfanatrofio Saint Claire, ancora ufficialmente interdetto al pubblico per ragioni di sicurezza. Di tanto in tanto qualche teppistello di strada si divertiva a sfidare la sorte, attraversando le transenne di legno poste all'ingresso dell'edificio per avventurarsi al suo interno. Alcuni lo facevano per una sciocca scommessa, altri per semplice curiosità. Puntualmente i loro corpi senza vita venivano rinvenuti agli angoli delle strade, spesso a parecchi isolati di distanza dall'orfanatrofio. Nessuno sembrava in grado di poter affrontare la situazione, o meglio, nessuno sembrava avere abbastanza coraggio da prendere in mano le redini della faccenda per risolverla definitivamente, una volta per tutte. 
La politica comune era diventata: Se conosci, eviti.
Stare lontani dall'orfanatrofio "maledetto" era l'unica cosa che poteva assicurare l'incolumità della popolazione. 
Nonostante la brutta aria che si respirava in città, comunque, lo studio medico Doyle continuava a registrare un notevole afflusso di pazienti, molti dei quali appartenenti agli alti ranghi della società, con un conseguente incremento degli introiti economici.
Quella mattina, la sala d'attesa era gremita di pazienti, tutti particolarmente ansiosi ed insistenti, soprattutto a causa di una strana e misteriosa forma virale che sembrava essersi diffusa in paese, colpendo nel giro di pochi giorni almeno metà della popolazione. Apparentemente nulla di grave, ma lo stato d'allerta era scattato comunque all'istante.
Febbre alta, nausea e qualche indolenzimento muscolare erano i sintomi maggiormente registrati, fortunatamente nulla che facesse pensare a qualche epidemia pericolosa. 
Appartati in un angolo della sala d'attesa, chini su alcune cartelle mediche, un giovane medico e la sua assistente stavano discutendo animatamente tra loro. 
"Se dovesse succedere una cosa simile, ogni sacrificio accumulato negli ultimi mesi potrebbe essere mandato all'aria, non lo capisci?!" il tono di voce della ragazza era piuttosto agitato, quasi al limite della frustrazione. 
"Stai esagerando..." replicò il medico, quasi esasperato " ...ricordi com'eri dubbiosa all'inizio? Invece è andato tutto esattamente come avevamo previsto, nessun intoppo..."
"E se stavolta non filasse tutto liscio?"
"Perchè mai non dovrebbe?"
"Perchè sento che stiamo allentando troppo la presa, ecco perchè!" ruggì a quel punto la ragazza, il cui eccessivo tono di voce risvegliò la curiosità dei presenti.
Stava decisamente perdendo il controllo. 
Il suo interlocutore distolse l'attenzione dai documenti che stava analizzando e le si avvicinò. 
"In questi mesi ti ho osservata, Rose..." le sussurrò dolcemente, guardandola negli occhi" ...lo hai guidato passo dopo passo, lo hai protetto e gli sei stata accanto come nessun altro avrebbe mai potuto fare, senza mai avanzare alcuna lamentela..." allungò una mano, afferrando quella di Rose "Non è il fallimento del piano che ti preoccupa ma qualcos'altro...qualcosa di diverso..."
Lei scrollò il capo.
"Non riesco a capire a cosa ti riferisci..."
"Sono un ottimo osservatore, Rose Tyler" aggiunse il giovane medico con fare eloquente "Ho visto come lo guardavi prima e come lo guardi adesso..."
"Io non..."
Rose fece per rispondere ma le sue parole vennero interrotte bruscamente dall'improvviso sopraggiungere allo studio del secondo medico in carica. Un giovanotto sulla trentina, a giudicare dal suo aspetto fisico, alto, slanciato e piuttosto magro, con una massa di capelli castani ribelli e scarmigliati. Indossava un completo grigio gessato e un soprabito marrone dallo stile alquanto eccentrico. 
"Soli cinque minuti di ritardo, un netto miglioramento!" esordì allegramente, lanciando sul bancone di legno la sua borsa da lavoro, che atterrò malamente con un tonfo sordo. 
"Spero che riuscirà ad arrivare puntuale almeno il giorno del suo funerale, Dottor Smith!" commentò caustico uno dei pazienti, il signor Herbert, il rude macellaio del quartiere. 
"Oh non credo che mi vedrete lì in quell'occasione, caro signor Herbert!" replicò Smith sarcastico "Sicuramente avrò di meglio da fare dall'altra parte che starmene in mezzo ad un viale di cipressi a piangere sulle mie ossa morte..."
"Oh, Dottor Smith, questa è pura blasfemia!" si lamentò la consorte del macellaio, rivolgendogli un'occhiata disgustata. 
"Tanto quanto il commento idiota di suo marito" tagliò corto Smith e, dopo aver recuperato la sua borsa, si avviò placidamente verso la porta del suo ufficio. Aveva appena oltrepassato la soglia quando si bloccò di colpo e, tornando indietro di qualche passo, fece capolino dalla sua stanza.
"Mi domandavo..." disse ad alta voce "...avete ricevuto notizie da Lady Chambers? Avrebbe dovuto chiamarmi per...beh, mi aveva detto che avrebbe chiamato...lo ha fatto?" 
Doyle e Rose si scambiarono una rapida occhiata.
"Nessuna chiamata, signore" rispose prontamente Rose.
"Oh..." Smith parve piuttosto deluso dalla sua risposta, evidentemente si aspettava ben altro.
"Probabilmente passerà di qui più tardi" cercò di consolarlo Doyle "Tutti i membri delle associazioni culturali sono impegnati con i preparativi della fiera, lo sai, la città è in pieno fermento per l'occasione..."
"Giusto...bene..." mugugnò Smith prima di chiudersi rumorosamente la porta dell'ufficio alle spalle.
Non appena scomparve alla loro vista, Rose si voltò verso Doyle e lo colpì con un violento scappellotto.
"Che cosa diavolo ti prende, Arthur?!" sbottò furente "Ti ho già detto che dobbiamo impedirgli di incasinare oltre la sua linea temporale, e tu che fai? Lo incoraggi a portare avanti la sua follia?"
Arthur la guardò torvo.
"Parliamo della tua follia, invece!" le rimbeccò indispettito.
"Che stai dicendo? Cosa c'entro io?"
"Devo proprio spiegartelo, Rose? E va bene, allora...tu sei gelosa!"
"E tu sei pazzo"
"Probabile, ma questo non cambia il fatto che io abbia ragione..."
"Io lo sto solo proteggendo e sto proteggendo me stessa" ribattè Rose "Se lui dovesse allontanarsi, io potrei perderlo per sempre e se lo perdo non potrò mai più tornare a casa, lo capisci?!"
"Lui adesso non è più il Dottore, Rose" sentenziò Arthur abbassando leggermente il tono di voce per evitare che qualcuno dei presenti origliasse "Il tuo Dottore non c'è più, lui è umano. John Smith adesso è umano al cento per cento e gli esseri umani sono così, lo sai...impulsivi, irrazionali, si lasciano trasportare dalle emozioni..."
"E' per questo che devo essere io a mantenerlo in riga, a fare in modo che non combini qualcosa che possa irrimediabilmente cambiare il passato e quindi anche il nostro futuro..."
"Sì ma in questo modo non ti rendi conto che gli stai impedendo di vivere la sua vita come un normale essere umano?"
"Ma lui NON e' un vero essere umano" replicò Rose, i cui occhi si erano fatti lievemente lucidi "Tutto questo è stato organizzato solo per proteggerci dai nemici che ci davano la caccia, non per incasinarci la vita...e soprattutto non per inna..."
"Cosa? Innamorarvi?" la anticipò Arthur "Senti. Lo so che ti manca, e lo capisco, ma devi capire che adesso lui è un'altra persona e finchè rimarrà tale devi permettergli di vivere a modo suo...non puoi manovrare la sua vita come se fosse un burattino, non è giusto, e se gli vuoi davvero bene dovresti lasciarlo andare..."
"Non posso lasciarlo andare, non ha mai vissuto come un essere umano...lo vedi come si comporta con Lady Chambers? Ha sempre vissuto la sua vita come fosse un divertente videogioco d'avventura e continua a farlo anche adesso che è diventato un essere umano...ama le sfide e lei è solo la sua prossima sfida, niente di più..."
"E se anche fosse?" ribadì Arthur "Resto della mia opinione, Rose, il suo tempo come essere umano scadrà presto e tutto tornerà alla normalità per te, ma forse prima di allora è giusto che anche lui viva dei giorni spensierati, non credi? E comunque sai, il sentimento che dice di provare per quella donna non mi sembra il mutevole capriccio di un bambino ma una focosa passione che non credo si estinguerà tanto facilmente..."
Rose sbuffò.
"Oh grazie, adesso mi sento davvero molto meglio!" commentò sarcastica.
Arthur le avvicinò le labbra all'orecchio.
"E a te cosa importa? Tanto non sei gelosa, dico bene?" le sussurrò con tono divertito.
E mentre si allontanava da lei, Rose dovette mordersi le labbra quasi a sangue, per non urlargli che aveva ragione. 
Erano settimane ormai che la gelosia le stava divorando l'anima, pezzo dopo pezzo.
Ma cos'altro poteva fare? 
Arthur aveva ragione. 
John Smith non era più il Dottore, il SUO Dottore. 
Era una persona totalmente nuova. 
Nuovi pensieri, nuovi desideri, nuovi modi di fare. 
Praticamente un perfetto estraneo ai suoi occhi. 
L'unico problema era che per lei non era cambiato nulla. 
I ricordi, i sentimenti che provava, tutto era rimasto immutato in fondo al suo cuore, mentre John...beh, lui non ricordava neppure quale fosse il suo nome di battesimo.  
La guardava negli occhi e tutto ciò che vedeva era l'assistente carina del suo collega, nulla di più.
E questa situazione la stava uccidendo dentro, ogni giorno moriva un po'...il pensiero che presto quell'incubo sarebbe finito, era la sola cosa che ancora le dava la forza di alzarsi ogni giorno, di vivere quella vita assurda che non le apparteneva. Più i giorni passavano, meno tempo avrebbe dovuto attendere per poterlo riavere indietro. 
Sperava solo di non dover aspettare ancora a lungo. 
 
[Intanto all'orfanatrofio Saint Claire...]
 
"E' IMPOSSIBILE...NESSUNO PUO' SPARIRE IN QUESTO MODO IN UN POSTO TANTO PICCOLO ED INSIGNIFICANTE, SENZA LASCIARE LA MINIMA TRACCIA...DEVE ESSERE PER FORZA QUI..."
La voce echeggiò minacciosa tra le pareti silenziose e abbandonate dell'edificio. 
"Stiamo continuando a cercare, signore, lo troveremo" ribattè una seconda voce maschile più flebile.
"SONO MESI CHE ME LO RIPETETE!" ululò il primo uomo, scaraventando con violenza inaudita un tavolino contro il muro "IL NOSTRO TEMPO STA PER SCADERE E LUI E' ANCORA LI' FUORI, NASCOSTO IN CHISSA' QUALE BUCO DI QUESTO DANNATISSIMO ANGOLO DI MONDO...DIVENTO DEBOLE OGNI MINUTO DI PIU'...SONO TRASCORSI SEI MESI ORMAI, NON CI RIMANE PIU' MOLTO TEMPO..."
Un rumore di passi in avvicinamento proveniente dal corridoio esterno, annunciò l'imminente arrivo di una terza persona. 
Pochi istanti dopo, una sagoma dalle fattezze chiaramente femminili si stagliò sulla soglia d'ingresso. 
"Mio signore..." esordì in tono delicato e armonioso, chinando leggermente il capo in segno di rispetto.
"Cara Eliska, è sempre un immenso piacere rivederti..." sibilò il primo uomo, il cui tono di voce pareva essersi addolcito improvvisamente "...spero che tu possa illuminare questa cupa giornata oltre che con la tua affascinante presenza, anche con qualche notizia positiva..."
"Ma certo, mio padrone" replicò la donna, sollevando di nuovo lo sguardo "Gli ultimi dati raccolti dai nostri responsabili del censimento hanno avuto responso negativo, nessun membro della popolazione campione che abbiamo selezionato sembra aver manifestato alcun effetto collaterale anomalo al virus alieno con cui abbiamo contaminato le acque del pozzo...comunque, la buona notizia è che questi risultati ci hanno aiutato a diminuire notevolmente il range di campioni da analizzare...resta meno della metà della popolazione da testare e sono certa che il nostro vecchio amico sbucherà fuori molto ma molto presto..."
"Lo spero, Eliska...non ci rimane più molto tempo..."
"Mio signore...fin quando saremo condannati ad indossare queste orribili spoglie umane, sarebbe opportuno che si abituasse a chiamarmi con il mio nuovo nome..."
"Ma certo, mia cara, hai ragione..." seguì una fredda e tagliente risata "...spero che il suo soggiorno terrestre sia stato piacevole...Lady Chambers..."
"Oh mi creda, lo è stato" affermò maliziosamente la donna, gettando all'indietro il capo con fare accattivante "E la parte migliore deve ancora arrivare..."




Angolo dell'Autore: NON PICCHIATEMI, NON PICCHIATEMI, NON PICCHIATEMI XD
So che la nuova realtà del nostro caro John Smith non è come ve la sareste immaginata, in effetti è un po' triste il modo in cui la sua strada e quella di Rose si siano separate ma, prima di scaricarmi addosso i vostri fucili, vi avverto che molte cose cambieranno nei capitoli successivi e, come si dice sempre, nulla dura in eterno... ;D

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Capitolo 7
*** Tick Tock Goes The Clock ***



Capitolo Sesto
 
                                    Tick Tock Goes the Clock

 

"E' strano, sento odore di neve nell'aria" commentò ad alta voce Rose Tyler mentre, accompagnata dal giovane dottor Doyle, scendeva dall'omnibus.
Arthur le rivolse un'occhiata in tralice.
"Ti rendi conto che siamo quasi in estate, vero?" ribattè con tono divertito.
"Certo che lo so" fece lei, con una leggera smorfia "Ma ti ripeto che sento odore di neve nell'aria...non è la prima volta che mi succede, ho sempre avuto questa specie di capacità di prevedere l'arrivo della neve, fin da quando ero bambina..."
"Piuttosto insolito"
"Puoi dirlo forte..."
Si fermarono davanti alla vetrina del "Lost Paradise", il più grande emporio di fiori della città, una specie di piccolo paradiso per gli amanti degli addobbi floreali e delle piante.
Il Ballo delle Rose era ormai alle porte e alcuni membri del comitato cittadino avevano incaricato proprio Rose di scegliere gli addobbi e le decorazioni per il lieto evento.
Malgrado in quel periodo avesse ben altro in testa a cui pensare e malgrado l'idea di dover trascorrere del tempo fianco a fianco con quell'odiosa Lady Chambers le facesse salire la nausea, alla fine aveva deciso di accettare l'offerta.
Magari chissà, tenersi occupata l'avrebbe aiutata a non pensare.
"Allora..." soggiunse d'un tratto Arthur, afferrandola per un braccio e trascinandola con sé all'interno del negozio" ...ha già scelto un abito da sera per il grande evento, Lady Tyler?"
Lei lo guardò con aria sconcertata.
"Non mi starai dicendo che devo venire anche io a quella fiera?!"
Arthur scoppiò a ridere.
"Sei veramente una ragazza fuori dal comune, Rose, dico davvero" commentò visibilmente divertito "Ti hanno inserita nel comitato organizzativo cittadino, ti hanno incaricata di scegliere gli addobbi per il ballo...mi sembra chiaro che dovrai essere presente alla serata, credevo che fosse una conclusione piuttosto implicita..."
"Forse per te, per me non di certo!" fece Rose, passandosi nervosamente una mano tra i capelli.
"Mi sfugge quale sia il problema..." insistette Arthur fissandola con aria interrogativa.
"Oh ti sfugge il problema?" sbottò lei puntellandogli il petto con un dito" Elementare, Doyle... il problema è che non ho uno straccio di abito decente da poter indossare e in secondo luogo non ho neanche un accompagnatore...ecco qual è il mio problema!"
"Elementare, Doyle?!" ripetè lentamente Arthur, aggrottando la fronte "Cosa vorrebbe dire?"
"Spoiler" si affrettò a rispondere Rose.
Maledicendo mentalmente la sua parlantina, si voltò bruscamente dall'altra parte.
Doveva prestare maggiore attenzione a quel che diceva.
Era stata una delle raccomandazioni principali che le aveva fatto il Dottore.
Evitare qualsiasi cambiamento rilevante nella linea temporale di Arthur Conan Doyle.
Tra l'altro, l'ultima cosa di cui aveva bisogno in quel momento, erano altri guai o incasinamenti temporali a cui dover porre rimedio.
"Oh questi fiori mi sembrano perfetti..." aggiunse in tono un po' più allegro, dirigendosi di corsa verso un angolo del negozio, in cui troneggiava un enorme vaso pieno di splendidi fiori d'ogni forma e colore.
Arthur riconobbe in quel gesto, un modo chiaro e semplice di metter fine alla precedente discussione, così non insistette oltre e la seguì attraverso la stanza.

 
[Intanto a casa Smith...]
 
Un'altra fitta, la terza in pochi minuti.
Stavolta dovette stringere forte i denti per non gemere di dolore.
Non aveva la minima idea di cosa stesse accadendo al suo corpo.
Si sentiva debole, incredibilmente debole.
Era come se improvvisamente le sue gambe non riuscissero più a sopportare il suo peso, seppur questo fosse alquanto esile. Spesso sentiva le tempie pulsare forte, ad intermittenza, e di tanto in tanto si manifestavano quelle fitte acute e dolorosissime, come tanti aghi conficcati ad uno ad uno nella sua testa.
Il dolore era talmente insopportabile, che probabilmente avrebbe sentito meno male colpendo ripetutamente e con forza l'angolo di un muro. In un primo momento, aveva dato la colpa a quel dannato virus che circolava in città, ma più i giorni passavano, più i sintomi che avvertiva si distaccavano da quelli che lui stesso aveva rilevato nei suoi pazienti. Non ne aveva fatto parola con nessuno, neppure con il suo collega di lavoro.
Qualche potente analgesico e tutto si sarebbe risolto.
Non avrebbe permesso ad un insulso virus influenzale di rovinare i suoi piani per la sera del Ballo delle Rose, non adesso che finalmente aveva l'opportunità tanto attesa di invitare Lady Chambers.
Seduto sul divano della sala da pranzo, la schiena ben ritta appoggiata contro lo schienale e le mani serrate attorno alle ginocchia, si sforzò di proseguire l'amichevole e serena conversazione con i suoi due illustri ospiti, l'affascinante Lady Chambers e Lord Chambers, suo fratello maggiore, cercando di non lasciar trasparire alcun turbamento fisico o emotivo.
Doveva solo lasciare che il dolore si spegnesse lentamente, da solo, come al solito.
"Mi ha fatto un immenso piacere leggere il suo nome in cima alla lista degli ospiti della nostra fiera..." soggiunse Lady Chambers, appoggiando delicatamente il suo calice colmo di champagne sul tavolino "...mi ha piacevolmente sorpreso, lo ammetto, non avevo idea che lei amasse gli eventi mondani..."
John Smith abbozzò un sorriso di circostanza.
"Come lei ben sa, Lady Chambers, sono un uomo di mondo" ribattè, rivolgendole un'occhiata ammaliante "Mi piace confrontarmi di persona con gli usi e i costumi delle molteplici culture di questo splendido pianeta..."
"Splendido, dice?" sibilò Lord Chambers, guardandolo con un'espressione indecifrabile "Ogni giorno che trascorro in questo dannato angolo di Universo mi sembra un giorno sprecato..."
Lady Chambers si schiarì rumorosamente la voce.
"Perdoni la sua dilagante negatività, Sir Smith" mormorò a denti stretti, fulminando suo fratello con un’occhiata di fuoco.
“Nessun problema, Milady” la rassicurò il padrone di casa “A dire il vero posso comprendere il punto di vista di Lord Chambers…”
“E come mai, se posso azzardare la domanda?”
“Ho visitato molti luoghi nel corso della mia vita” spiegò Smith “Ho sempre amato viaggiare, fin da quando ero ancora giovanissimo … penso che una vita sedentaria e abitudinaria a lungo andare trascini la mente e il corpo dritti verso il baratro dell’oblio più profondo…”
“Pensiero interessante” commentò Lord Chambers, più per cortesia che per reale concordanza.  
“La ringrazio” ribattè Smith, inchinando appena il capo in segno di rispetto.
In quel momento, un altro lampo di dolore lo attraversò con tanta veemenza da farlo quasi rabbrividire.
Istintivamente si portò una mano alla fronte, strizzando forte gli occhi.
Stavolta non si era trattato di una semplice fitta, gli era sembrato come se un fulmine fosse penetrato nel suo cranio spaccandolo in due.
“Si sente bene?”
La voce di Lady Chambers lo riportò bruscamente alla realtà.
“Sto bene, grazie” mormorò con un fil di voce, nascondendo dietro la schiena le mani, ancora tremanti “Credo di aver solo bisogno di rinfrescarmi un po’ il viso … scusatemi un istante …”
Si alzò dal divano e, sotto lo sguardo insospettito dei suoi ospiti, sgusciò rapidamente fuori dalla stanza.
Corse su per le scale fino al pianerottolo del livello superiore, sfrecciando attraverso il lungo corridoio, fino a raggiungere il bagno.
Entrò e chiuse a chiave la porta alle sue spalle.
Il dolore non era diminuito, tutt’altro, sembrava perfino aumentato in modo esponenziale.
La sua mente era offuscata a tal punto da non riuscire neppure a ragionare lucidamente.
Gemendo di dolore, appoggiò entrambe le mani sul lavandino, accasciandosi sopra di esso.  
Lanciò un’occhiata al suo riflesso nello specchio.
Sembrava uno spettro.
Era pallido, tremava come una foglia, aveva la fronte imperlata di sudore freddo e il suo battito cardiaco era insolitamente accelerato.
Avvicinò la mano destra al polso sinistro per misurarne il battito radiale, ma prima che potesse fare qualsiasi cosa, accadde l’impensabile.
Avvertì un’improvvisa, intensa sensazione di bruciore al petto, come se qualcuno vi avesse appoggiato contro un ferro incandescente.
Si tolse in fretta la giacca per capire da dove potesse provenire quel bruciore tanto fastidioso e fu allora che lo vide.
Il vecchio orologio da taschino di suo padre.
Era quella la fonte del calore.
Sembrava proprio che stesse andando a fuoco.
Emetteva un fascio fisso di luce gialla, accecante … calda.
Un po’ esitante, lo estrasse dal taschino appoggiandolo sul palmo della mano.
Non appena la superficie dell’arnese sfiorò la sua pelle, la sensazione di calore si spense all’istante e l’oggetto tornò freddo e inerme come sempre.  
Con il respiro affannoso e la mente annebbiata e confusa, John Smith sedette sul bordo della vasca da bagno.
Stava succedendo qualcosa di molto strano nella sua vita ma non riusciva a definirne chiaramente i contorni.
Qualcuno bussò poderosamente alla porta.
“SI SENTE BENE? HA BISOGNO D’ AIUTO?” urlò allarmata Lady Chambers dall’altra parte dell’uscio.  
Doveva averlo sentito gridare dal piano inferiore.
“No, sto bene” rispose Smith, rialzandosi in piedi a fatica per aprirle la porta “Scusatemi se vi ho fatta preoccupare, temo che qualche paziente mi abbia contagiato con il virus influenzale che sta girando in città … spero di tornare in forma almeno per il giorno del ballo …”
“Lo spero vivamente, Sir Smith” convenne Lady Chambers con un sorriso accattivante” A meno che non voglia davvero privare una nobildonna del mio calibro del suo elegante e affascinante cavaliere…”
Smith alzò di scatto lo sguardo.
“C…come prego?” balbettò, interdetto.
La donna lo fissò con un sorriso divertito, portandosi maliziosamente una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio.
“Non era per questo che voleva parlarmi, John?” incalzò, in tono provocatorio “Le sue intenzioni non erano queste? Invitarmi al Ballo delle Rose?”
“Beeeh ecco…io…”
“Non avevo dubbi” lo interruppe Lady Chambers, scoppiando a ridere di gusto “Con la speranza che si rimetta al più presto, le auguro una pronta guarigione…ci vediamo alla fiera…”
E continuando a ridere, si incamminò fuori dalla porta.
John la seguì con lo sguardo, come rapito, mentre si allontanava.
La conversazione con Lady Chambers l’aveva sconvolto a tal punto da far passare in secondo piano l’evidente connessione tra l’orologio e il suo malessere fisico.
Il dolore misterioso infatti, era scomparso di colpo nell’istante esatto in cui le sue dita si erano strette attorno all’orologio. 



Angolo dell'autore: Ci stiamo lentamente avvicinando al momento "X" ... il tanto atteso ballo in cui ne vedremo davvero delle belle e in cui forse il nostro vecchio amico John Smith inizierà a svegliarsi..in tutti i sensi ;) BUONA LETTURA!

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Capitolo 8
*** La Fiera della Verità ***


 
 
Capitolo Settimo
                               
                                         La Fiera della Verità
 
 
 

"Potresti ripetermi ancora una volta perchè diavolo lo sto facendo?" 
La testa di Rose sbucò fuori all'improvviso, facendo capolino dalla porta socchiusa dello sgabuzzino. 
"Perchè è un tuo preciso dovere quale responsabile di gestione della Fiera..." ribadì Arthur in tono annoiato, per la centesima volta "...e anche perchè si da il caso che io abbia bisogno di una dama e francamente la tua compagnia è l'unica cosa che potrei sopportare in una simile riunione mondana di ricconi snob, con il naso talmente tirato all'insù da sfiorare il soffitto..."
Aveva insistito fin quasi allo stremo per convincerla ad accompagnarlo a quella Fiera e finalmente, dopo giorni di tentennamenti vari e innumerevoli ripensamenti, ce l'aveva fatta. Aveva accettato. Il passo successivo, e non meno faticoso a dire il vero, era stato quello di spingerla a provare qualche abito da sera, alla ricerca di qualcosa che fosse adatto al Ballo delle Rose. Un abito semplice, niente di troppo vistoso o eccentrico, ma che allo stesso tempo fosse abbastanza elegante e raffinato. Era chiusa lì dentro già da una buona mezz'ora, nel cruciale intento di trovare l'abito "perfetto" ma evidentemente ancora non aveva raggiunto il suo obiettivo. 
"Sai, inizio a pensare che forse dovrei mischiarmi tra la servitù stasera..." disse Rose dall'altro capo della porta "...certamente non avrei tutti questi problemi per la scelta del vestito da indossare, inizio ad avere la nausea degli abiti e detto da una che adora lo shopping sfrenato è tutto dire, te l'assicuro!"
Arthur aggrottò la fronte.
"Shopping?" esclamò ad alta voce in tono interrogativo.
Rose si morse il labbro.
Accidenti, l'aveva fatto ancora.
Dannati spoilers!
"Oh lascia stare, è un modo di dire delle mie parti.." si limitò a rispondere "...ascolta, non voglio urlare al miracolo prima del previsto, ma credo proprio di aver trovato l'abito giusto!" aggiunse poi, gettando un'occhiata di consenso al suo riflesso nello specchio. 
Niente male, pensò, davvero niente male.
Era uno splendido abito da ballo, taglio elegante, composto da corpino, non esageratamente serrato attorno alla vita e con chiusura posteriore a stringature, e gonna, realizzato interamente in raso di seta rossa. Le donava proprio quel tocco di aristocrazia richiesto per l'occasione. 
"Vieni fuori, Rose, fammi dare un'occhiata" la esortò Arthur a gran voce "Hai paura che possa dirti che sei orribi..."
Le parole gli rimasero bloccate in fondo alla gola, non appena la porta dello sgabuzzino si spalancò di colpo davanti ai suoi occhi, mostrandogli la ragazza in tutto il suo splendore. 
"Troppo aristocratico?" domandò Rose, un pò titubante.
"No, stai scherzando? Ti sta d'incanto!" esclamò Arthur in un tono eccessivamente zelante, che le strappò un leggero sorriso compiaciuto.
"Allora è deciso" concluse Rose "Stasera indosserò questo!" e sulla scia dell'entusiasmo, si lanciò tra le braccia del giovane Doyle, stringendolo in un sincero abbraccio di gratitudine "Ti ringrazio, Arthur...non so che cosa avrei fatto senza di te..."
"Oh non dire così, non ho fatto niente di speciale" borbottò il giovane a mezzavoce, arrossendo furiosamente.
"Non parlo solo del vestito o del ballo" fece Rose "Parlo soprattutto di questi mesi che hai trascorso a farmi da balia, ad aiutarmi ad inserirmi bene nella società...non finirò mai di ringraziarti..."
"E'...è stato un piacere..."
"Sei stato davvero un ottimo amico, non dimenticherò mai quello che hai fatto per me e per il Dottore!" aggiunse Rose con un sorriso, prima di scomparire nuovamente dietro la porta dello sgabuzzino. 
 
Quella stessa sera...alla fiera...
 
L'area scelta dal comitato gestionale per l'allestimento degli stand e dei capanni al coperto della fiera, copriva almeno un migliaio di metri quadri, se non qualcosina di più. 
Al centro sorgeva la maestosa pista da ballo, costruita appositamente per l'occasione da due o tre proprietari di falegnamerie della cittadina. Accanto alla pista, era stato ricavato un piccolo spazio, riservato esclusivamente ai menestrelli e ai musicanti, responsabili dell'intrattenimento per la serata. Quando John Smith uscì dalla sua abitazione vestito di tutto punto, per recarsi al luogo d'incontro stabilito con Lady Chambers, non erano ancora le otto di sera ma già tutte le strade erano gremite di gente. Una folla chiassosa e ilare, le cui risate echeggiavano nell'aria come una gioiosa melodia di vita. Sembrava che la città si fosse definitivamente lasciata alle spalle tutti gli orrori verificatisi negli ultimi mesi, dimenticando gli omicidi legati all'orfanatrofio Saint Claire, l'edificio della città dichiarato pubblicamente infestato da una creatura misteriosa e assassina che, un bambino del luogo riuscito a sfuggire per miracolo alla morte, aveva descritto come l'"Uomo Nero". Niente. 
La negatività, il terrore della morte incombente, il crescente senso di impotenza...non ve n'era più la benchè minima traccia. 
Smith dovette riconoscere inoltre che la giovane assistente di Arthur, Rose Tyler, aveva davvero un ottimo gusto in fatto di arredamento e addobbi decorativi. A colpo d'occhio, l'impatto visivo globale era veramente ammirevole. Niente da eccepire. Sbuffando, si sollevò in punta di piedi scandagliando con lo sguardo tra la folla, alla disperata ricerca della sua accompagnatrice. Erano trascorsi già più di venti minuti dall'orario che avevano prefissato e di Lady Chambers ancora nessuna notizia. Fece per allontanarsi ma, proprio in quel momento, sentì qualcuno chiamare a gran voce il suo nome. 
Sembrava Arthur. 
Spostò lo sguardo tra la folla e lo vide. 
Si stava sbracciando in maniera alquanto plateale per farsi riconoscere. Accanto a lui, avvolta in uno smagliante abito rosso di seta, i capelli acconciati all'insù, in un elegante chignon, c'era una deliziosa biondina. La stessa che per mesi aveva frequentato tra le quattro pareti polverose del suo studio medico, senza mai rendersi veramente conto di quanto fosse attraente. 
Si fece largo a fatica tra l'animata calca e li raggiunse.
"Un posticino piuttosto affollato" esordì sorridendo, porgendo la mano all'amico in segno di saluto.
"C'è un bel movimento in effetti" convenne Arthur ricambiando il sorriso. Rose accanto a lui, continuò ad ostentare un timido silenzio, mantenendo lo sguardo basso per evitare di farsi riconoscere "E la tua accompagnatrice sta vagando in giro da qualche parte per gli stand?" aggiunse Doyle, cercando di intavolare una conversazione.
"Oh no...beh, ecco...in realtà non si è presentata proprio all'appuntamento" rispose John, passandosi una mano tra i capelli con lieve imbarazzo.
Rose alzò di scatto lo sguardo.
"Ti ha dato buca?" sbottò, interdetta.
Ci vollero alcuni secondi prima che realizzasse del tutto ciò che aveva appena fatto. Si portò una mano alla bocca, con espressione terrificata.
"Mi...mi dispiace, Sir...non...non volevo dire quello che evidentemente ho detto..." balbettò contrita, desiderando mentalmente di poter precipitare nel sottosuolo e rimanervi almeno fino alla fine della serata.
Contro qualsiasi aspettativa, John scoppiò a ridere.
"Non è esattamente il tipo d'espressione che avrei usato per descrivere la situazione, ma credo che dopotutto sia piuttosto efficace" sghignazzò visibilmente divertito "Non pensavo che la nostra deliziosa e silenziosa assistente fosse anche un'esperta di lingue..."
Rose dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo per nascondere l'evidente turbamento derivato da quelle parole. 
Il Dottore...o meglio John Smith...la riteneva "deliziosa". 
Arthur le puntellò il fianco con un gomito per risvegliarla da quello stato di semi - trance. 
"Ehm...cosa? Che c'è?" 
"Il nostro amico Smith, mi ha chiesto se poteva invitarti in pista per un ballo..." le spiegò Arthur con fare ammiccante "...ovviamente gli ho detto che non ci sono problemi..."
Rose lo avrebbe baciato in quel momento.
"Oh no, certo...nessun problema, anzi, è un piacere" si affrettò a rispondere.
Smith le porse il braccio e lei vi appoggiò la mano con un gesto elegante, lasciandosi guidare fino alla pista da ballo. Le dolci ed incalzanti note di un valzer iniziarono a diffondersi nell'aria, avvolgendoli in un'atmosfera magica, quasi fiabesca. Era la prima volta, dopo tanti mesi d'inferno trascorsi in quel posto, in cui si sentiva veramente bene.   
Non riusciva ancora a credere che fosse accaduto davvero.
"Devo ammettere che non immaginavo che lei potesse essere così attraente..." le sussurrò John all'orecchio, mentre volteggiavano stretti l'uno all'altra sulla pista da ballo "...mi perdoni, mi sono espresso male...ovviamente ero già a conoscenza della sua prestanza fisica, ma stasera è irresistibilmente incantevole, Lady Tyler..."
Rose affondò il viso paonazzo d'imbarazzo nel suo petto.
"La ringrazio per il complimento, Sir" commentò con un fil di voce.
"Non c'è di che" rispose lui, compiaciuto.
Per la prima volta dopo mesi, sentiva la sua mente leggera, libera da qualsiasi pensiero su Lady Chambers, i suoi sentimenti per lei o qualsiasi altra cosa che la riguardasse. 
Come avrebbe potuto anche solo immaginare che quella timida assistente, la cui presenza aveva sì e no a stento accertato di tanto in tanto, sarebbe divenuta prepotentemente il centro dei suoi pensieri? La guardava negli occhi e avvertiva un senso di infinita pace interiore, qualcosa che neppure la vicinanza a Lady Chambers aveva mai risvegliato prima. 
La musica iniziò a spegnersi pian piano attorno a loro.
Rose si staccò lentamente dal suo cavaliere, indietreggiando di qualche passo. Si sentiva un pò come Cenerentola al momento del rintocco della mezzanotte. 
La magia era finita.
"Beh, sarà meglio che adesso ritorni da Arthur..." iniziò a dire, ma qualcosa la bloccò.
L'espressione sul volto di John era mutata di colpo.
Sembrava sofferente. 
Molto sofferente.
"Tutto bene?" fece Rose allarmata, appoggiandogli una mano sulla spalla.
"No, direi di no" gemette lui, cadendo in ginocchio sulla pista, le mani che premevano convulsamente contro le tempie. 
"Che succede?" 
"Il solito dolore...sono giorni ormai che ne soffro..."
"Quale dolore?" domandò Rose.
"Fitte alla testa...atroci fitte..."
Le urla di John lacerarono l'aria, attirando l'attenzione di molti presenti tra cui lo stesso Arthur che, immediatamente, si precipitò sulla pista per soccorrerlo. 
"Che succede, Rose?" domandò, confuso.
"Non lo so" mormorò lei scuotendo debolmente la testa "Non so davvero che cos'abbia...non lo so..." 
"Portiamolo via da qui, svelta" incalzò Arthur, aiutandola a sollevarlo di peso e a trascinarlo lontano dalla folla circostante, in un capanno coperto nelle vicinanze. 
Lo depositarono con estrema delicatezza sul terreno, facendolo distendere il più comodamente possibile. 
Sembrava ancora piuttosto lucido ma la fronte scottava come se avesse la febbre altissima e il suo corpo era scosso da forti brividi. Arthur misurò immediamente il battito radiale, appoggiandogli due dita sul polso sinistro.
"E' assurdamente scompensato" commentò, incredulo "Ha il cuore che pompa ad un ritmo che non ho mai sentito prima...sembra quasi che stia ribollendo o qualcosa del genere..."
Rose non riusciva a staccare gli occhi di dosso dal Dottore. Le sembrava di vivere un orrendo deja vu. 
Una cosa simile le era già accaduta tanto tempo prima, quando il Dottore si era rigenerato davanti ai suoi occhi. 
Il processo aveva avuto qualche piccolo intoppo e così lei era stata costretta ad occuparsi di lui, con l'aiuto di Mickey e di sua madre. Anche in quell'occasione aveva temuto di poterlo perdere, ma stavolta...stavolta purtroppo ne aveva quasi la certezza. Ormai era umano. Geneticamente e biologicamente umano. Qualsiasi cosa avesse contratto, qualsiasi virus sconosciuto lo avesse contagiato, sarebbe certamente morto senza le cure adatte. 
"Rose portami delle coperte e qualche cuscino per mettere su un piccolo giaciglio..."
La voce di Arthur le arrivò ovattata e confusa.
Quasi meccanicamente, si alzò in piedi e sfrecciò fuori dal capanno alla ricerca di qualche cuscino e delle coperte.
In attesa del suo ritorno, Doyle decise di adoperarsi a modo suo, per poter controllare la capacità di dilatazione delle pupille del Dottore. Recuperò un piccolo ciocco di legno infiammato, usato per le decorazioni della fiera, e glielo passò un paio di volte davanti agli occhi, valutandone la reazione agli stimoli luminosi. 
La sua risposta visiva risultò piuttosto esigua. 
"Gal..."
Smith emise una specie di rantolo soffocato. 
Arthur si chinò su di lui.
"Cosa stai cercando di dire?" domandò.
"Gall...Gallifrey" ripetè Smith, delirante.
"Che significa?" fece Arthur, confuso.
"E' il suo...il suo pianeta di origine" soggiunse Rose, appena rientrata nel capanno con le braccia colme di coperte e cuscini racimolati in giro per la fiera.
Lanciò ogni cosa a terra e si inginocchiò al capezzale del Dottore, afferrandogli una mano e stringendola forte nella sua.
"Dottore, mi senti?" sussurrò con la voce rotta di pianto "Sono io, sono Rose...Dottore..."
Nessuna risposta.
"Rose..." il tono grave di Arthur non faceva presagire nulla di buono.
"NO, NON DIRLO!" ringhiò la ragazza, con le lacrime che le rigavano il volto.
"Sta morendo, Rose" fece Arthur, accucciandosi accanto a lei "Lo sai che è così, non negarlo. Non possiamo fare niente..."
Rose si rizzò di colpo in piedi. 
"No, invece c'è qualcosa che possiamo fare" affermò con decisione "L'orologio...se apriamo l'orologio, l'essenza del Signore del Tempo tornerà in lui e lo salverà..."
"No, Rose..."
"Ascoltami, il nostro tempo a disposizione è quasi scaduto e i nostri nemici non si sono mai fatti vedere in giro...magari sono già morti..."
"E se invece fosse proprio una loro trappola?" azzardò Arthur. 
"E avrebbero aspettato tutto questo tempo?" ribattè Rose, scettica.
"Perchè no?" fece Arthur "Magari aspettavano solo il momento giusto per agire o magari il processo per scovarlo necessitava di una specie di periodo d'incubazione...come con i virus..."
"Vuoi davvero rischiare la vita del Dottore per seguire una semplice deduzione?" sbottò Rose.
"Ovviamente no, ma..."
Rose non lo lasciò finire di parlare.
Si chinò ai suoi piedi, sul corpo del Dottore, e ne tastò con delicatezza il petto, alla ricerca dell'orologio. 
Lo portava sempre con sè, non poteva averlo lasciato a casa proprio quella sera. 
D'un tratto allontanò bruscamente la mano, con una smorfia di dolore. Qualcosa le aveva bruciato la pelle, qualcosa di incandescente. 
"Ma che diavolo...?"
Aprì la giacca del Dottore e fu allora che lo vide, nascosto nel taschino sinistro della camicia.  
L'orologio. 
Era avvolto da una specie di aurea incandescente ed emanava una luce calda che le ricordò moltissimo quella prodotta durante il processo di rigenerazione. Avvicinò la mano con cautela, per evitare di scottarsi nuovamente, ma non appena le sue dita sfiorarono la superficie dell'orologio, questo si spense e tornò inerme e freddo.
"Che cosa diavolo era?" boccheggiò Doyle, sconvolto.
"Non ne ho idea" rispose sinceramente Rose.
Detto questo, senza perdere altro tempo, premette il bottoncino posto di lato al quadrante e fece scattare il coperchio. Immediatamente qualcosa si liberò nell'aria, librandosi leggera sulle loro teste fino a inondare totalmente il corpo del Dottore. 
L'essenza di un Signore del Tempo.
Ci vollero alcuni istanti prima che il Dottore riprendesse coscienza. 
"Signor Smith?" azzardò timidamente Rose, non appena lo vide aprire gli occhi.
"Smith?" ripetè lui con aria interrogativa, sollevandosi lentamente a sedere "Perchè mi chiami così, Rose?!" 
"OH MIO DIO, DOTTORE!" esclamò Rose al settimo cielo, volandogli letteralmente tra le braccia "SEI TORNATO...SEI TORNATO!"
Il processo di inversione della ricostruzione genetica, richiedeva sempre qualche minuto per il totale ripristino delle regolari funzioni vitali e fisiologiche. Tutto era ancora molto confuso nella testa del Dottore, i ricordi, i pensieri...ricordava a malapena di essersi svegliato quella mattina. Per aiutarlo a recuperare la memoria, Rose e Arthur si offrirono di riassumere brevemente gli eventi degli ultimi mesi.
"Un momento, se avete aperto l'orologio, significa che stava per accadere qualcosa di grave, dico bene?" soggiunse d'un tratto il Dottore, interrompendo bruscamente il racconto dei compagni. 
I due si scambiarono un'occhiata d'intesa.
"Beh, stavi morendo..." rispose Arthur senza troppi giri di parole.
"Oh" 
"Ho detto a Rose che sarebbe stato pericoloso attivare l'orologio prima dello scadere del tempo, ma lei ha insistito..."
"Perchè non avrebbe dovuto?"
"Beh..." Arthur sbarrò gli occhi "...e se fosse stata una trappola del nemico per riconoscerti? Può darsi che ti abbiano avvelena..."
Bloccò la frase a mezz'aria.
"Cosa?" esclamarono Rose e il Dottore in coro.
"Il virus influenzale" mormorò Doyle con l'aria di chi ha appena realizzato qualcosa di importante "Un virus sconosciuto che ha iniziato a contagiare esclusivamente la popolazione di questa città, nello stesso periodo in cui voi e quegli strani esseri siete piombati giù dal cielo...davvero troppe coincidenze per i miei gusti..."
"Che vuoi dire?" fece Rose, senza capire "Pensi siano stati loro ad avvelenare le acque? E a quale scopo?" 
L'espressione del Dottore divenne improvvisamente simile a quella stampata sul volto di Doyle.
"A meno che..." iniziò a dire con il solito sguardo vacuo e perso nel vuoto, di quando stava riflettendo su qualcosa "MA CERTO...MA CERTO, E' CHIARISSIMO! AAAH, come diavolo ho fatto a non pensarci prima..."
"Eri diventato umano, ricordi?" osservò Rose.
"Oh sì, giusto" fece lui, annuendo "Continuo a dimenticarmene..."
"Beato te" mugugnò Rose sottovoce per non farsi sentire "Comunque sia..." aggiunse poi alzando il tono di voce "...esattamente che cosa vi sarebbe chiaro, visto che io ancora non l'ho capito?" 
"Arthur aveva ragione sulla trappola" spiegò il Dottore "Mi hanno dato inutilmente la caccia per molto tempo e alla fine devono aver capito che avevo fatto qualcosa per sfuggirli, così hanno preso un bel virus alieno e hanno contaminato le acque del pozzo di questa città..."
"L'epidemia misteriosa" confermò Doyle.
"Esattamente" annuì il Dottore "L'aspetto interessante di questi virus geneticamente potenziati, è che risultano dannatamente letali per qualsiasi forma di vita di origine aliena mentre non hanno quasi effetto sugli esseri umani..."
"Ma tu eri umano" lo interruppe Rose.
"Già, ma la faccenda non è così semplice come sembra" precisò il Dottore" Il problema con la ricostruzione genetica è che per un certo lasso di tempo, subito dopo la trasformazione, l'organismo mantiene una specie di memoria residua delle sue caratteristiche genetiche passate...una sorta di breve periodo di transizione..."
"Così il virus è penetrato nell'organismo durante il periodo di transizione ed è rimasto silente per tutto questo tempo, ultimando l'incubazione solo nelle ultime settimane" intervenne a sua volta Doyle, che al contrario di Rose era riuscito a seguire l'intero filo del discorso. 
"Si è attivato e ha iniziato a fare ciò per cui era stato creato...distruggere le mie cellule...diciamo che sono stato fortunato in fondo perchè, il mio periodo di transizione era quasi ultimato quando il virus si è attivato nell'organismo, perciò non è riuscito ad intaccare completamente il mio sistema cellulare..."
"Sì ma..." s'intromise Rose "...tu sei un Signore del Tempo...voglio dire, se anche questo virus ti avesse contagiato mentre non eri umano non saresti morto comunque...giusto?"
"Te l'ho già spiegato come funziona, Rose" rispose il Dottore "Se muoio prima di potermi rigenerare è finita..."
"Perciò diventare umano ti ha salvato doppiamente la vita" commentò Rose con un largo sorriso.
"Possiamo metterla su questo piano, sì!" fece lui, dandole un lieve buffetto sulla guancia.
"Resta solo un problema da risolvere..." intervenne Arthur con fare eloquente.
"Già" convenne il Dottore "L'orologio ormai è aperto. I cacciatori saranno già sulle nostre tracce ormai! Dobbiamo tornare al Tardis ed escogitare qualcosa per metterli definitivamente fuori gioco, le loro forze saranno quasi allo stremo...non dovrebbe essere difficile liberarcene..."
 
Intanto all'orfanatrofio...
 
"Ce l'abbiamo in pugno, mio signore" annunciò Lady Chambers in tono trionfante, avanzando con passo elegante attraverso l'immensa sala da pranzo. 
Un grido di dolore misto a furia repressa, squarciò il silenzio con la violenza di un tuono.
"HO PERSO DUE DEI MIEI FIGLI QUESTA SETTIMANA, MILADY" ruggì il patriarca dei Kronos con veemenza "LO VOGLIO VEDERE STRISCIARE AI MIEI PIEDI COME UN VERME SCHIFOSO...VOGLIO STRAPPARGLI VIA OGNI BRICIOLO DI ESSENZA VITALE DA QUEL CORPO INSIGNIFICANTE, SENZA ALCUNA PIETA'...DEVE PAGARE PER TUTTO IL MALE CHE HA FATTO ALLA NOSTRA POVERA FAMIGLIA..."
"La pagherà, mio signore" lo rassicurò Lady Chambers "Adesso che si è messo di nuovo in gioco, non potrà più sfuggirci...l'ho tenuto d'occhio in questi ultimi giorni...da quando sono stata a casa sua, a casa del caro vecchio Signor Smith, ho iniziato a sospettare che quel suo strano malessere fosse proprio l'anomalia che stavamo aspettando da tanto tempo..."
"Diventare umano..." gracchiò il patriarca in tono disgustato "...è sceso addirittura ad un livello evolutivo tanto umiliante, solo per proteggere la sua inutile esistenza? Pensa davvero di essere così importante?"
"I Signori del Tempo sono sempre stati odiosamente megalomani" commentò Lady Chambers sprezzante "Sempre a giudicare il prossimo dal loro piedistallo d'oro...hanno avuto la fine che meritavano e presto, anche l'ultimo figlio di Gallifrey seguirà le orme dei suoi predecessori..." 




ANGOLO DELL'AUTORE: Ed eccoci finalmente arrivati al capitolo cruciale. The Doctor is back! La vecchia, bacucca Lady Chambers sembra definitivamente fuori dai giochi ma...beh, mai fidarsi delle apparenze! Perciò...continuate a seguire la storia se volete conoscere il resto!
Al prossimo capitolo :D

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Capitolo 9
*** La Caccia E' Aperta ***




Capitolo Ottavo

                                La Caccia è Aperta
 
 
Nel Tardis...
 
 
Rose si svegliò di soprassalto.
La cabina del Tardis era stata scossa da un improvviso e violento sobbalzo. Fortuna che lei era abituata fin da bambina a dormire nella parte centrale del materasso, altrimenti si sarebbe certamente ritrovata sul pavimento!
Con il cuore che le martellava nel petto, temendo che potesse trattarsi di un attacco a sorpresa dei nemici, scese giù dal letto e si avviò silenziosamente fuori dalla stanza. Camminando piano, per evitare di far scricchiolare il pavimento sotto il suo peso, risalì lentamente le due rampe di scale che conducevano ai piani superiori. Aveva appena oltrepassato la soglia della sala comandi, quando scorse Arthur e il Dottore armeggiare freneticamente attorno alla console di comando, armati di decine di strumenti metallici che lei non aveva mai visto prima d'ora. 
"Si può sapere che cosa state combinando a quest'ora della notte?" esordì ad alta voce, raggiungendoli alle spalle. 
Il Dottore fece capolino da dietro la console.
"Oh mi dispiace Rose...mi dispiace tanto...ti abbiamo svegliata?" si scusò con aria contrita.
"No..." rispose lei scuotendo lentamente la testa" ...cioè...sì, ma non fa niente...che state combinando?"
"Beeeh, vedi...sto cercando di sistemare questo vecchio e semi distrutto congegno del 51esimo secolo, per poterlo trasformare in un artigianale e, spero anche funzionante, sistema di visione ad immagine termica..."
"Dovrei sapere che cosa significa, Dottore?" fece Rose di rimando.
Arthur scoppiò a ridere.
"Elementare" esclamò in tono saccente "Pensaci, Rose... i cacciatori alieni sono esseri viventi a sangue freddo, come mi ha spiegato il Dottore..."
"Esattamente" confermò quest'ultimo, del tutto concentrato sul misterioso congegno meccanico.
"Però... "riprese Doyle" ...hanno abbandonato il loro habitat naturale, il loro rifugio, la loro...come posso chiamarla..."
"Nave spaziale?" suggerì il Dottore.
"Giusto, nave spaziale...hanno ucciso degli esseri umani e si sono sostituiti a loro, mischiandosi alla popolazione di questa città. Il punto è che facendo questo, si sono involontariamente resi vulnerabili e più facilmente rintracciabili..."
"Dal sistema di visione ad immagine termica" precisò il Dottore.
"E in che modo esattamente?" domandò Rose.
"Questi sistemi, se ben calibrati, possono essere in grado di rilevare qualsiasi fonte di calore presente in un luogo, anche a kilometri e kilometri di distanza..."
A queste parole, Rose emise una specie di gridolino soffocato, battendo le mani con fare eccitato.
"Ho capito!" esclamò con voce acuta "Adesso non sono più a sangue freddo ma hanno un corpo a sangue caldo e quindi possono essere riconosciuti dal visore ad immagine termica..."
"BINGO, TYLER!" commentò il Dottore, scagliando in aria il pugno in segno di trionfo.  
"E avete preparato anche un piano d'attacco, ragazzi?" aggiunse Rose, saltando a sedere sulla poltrona vicina" Insomma...ci avviciniamo all'orfantrofio dove hanno la loro base, ne localizziamo la posizione...e poi? Che si fa?"
I due si scambiarono un'occhiata fugace.
"Beeh, ci stiamo lavorando..." rispose vagamente il Dottore.
"Ooh andiamo, non posso credere che non abbiate ancora pensato a qualcosa!" sbottò Rose, incredula. 
"Ehi, la costruzione di questo giocattolino di metallo non è così semplice come sembra" protestò animatamente il Dottore.
"Oh certo, come se non ti conoscessi!"
"Che vuoi insinuare, Rose, che sto perdendo tempo per divertimento?"
"Non dico questo ma sicuramente ti starai divertendo come un poppante di tre anni con il suo giochino preferito!" 
Il Dottore aprì la bocca per replicare, ma Doyle lo anticipò sul tempo.
"Io a dire il vero avrei pensato a qualcosa" affermò in tono serio, frapponendosi tra i due per interromperne il battibecco. 
"Sarebbe?" esclamarono Rose e il Dottore in coro.
Arthur si appoggiò contro la console.
"Ho pensato che tutto sommato, il fuoco potrebbe essere la soluzione ideale" disse, incrociando le braccia al petto.
Rose si sporse in avanti sulla poltrona.
"Scusami?" fece, perplessa "In che senso?" 
Il Dottore invece non proferì parola.
Iniziò a percorrere la sala a lunghi passi nervosi, lo sguardo vacuo perso nel vuoto, fisso davanti a sè. 
"Non è affatto una cattiva idea..." esordì dopo qualche istante di silenzio" ...è brillante...davvero brillante, Doyle...gli studiosi letterari non mentivano quando dicevano che eri psicologicamente avanti con i tempi..."
Arthur sorrise, visibilmente compiaciuto, mentre Rose scese con un balzo dalla poltrona e si piazzò in piedi davanti al Dottore, con le mani appoggiate ai fianchi e un'espressione spazientita stampata in volto. 
"Potreste spiegarmi di che cosa diavolo state parlando voi due cervelloni?" sbottò, innervosita. 
Il Dottore fece un cenno con la testa ad Arthur.
"A te l'onore di illuminare coscienziosamente la nostra cara Lady Tyler" gli disse, scomparendo poi nuovamente dietro la console. 
"Grrr lo odio quando fa così!" mugugnò Rose, contrariata.
"Sta tranquilla..." replicò Doyle con un sorriso" ...cercherò di spiegartelo in modo semplice e comprensibile..." 
Rose inarcò un sopracciglio.
"Pensi forse di avere a che fare con una bambina di due anni?" lo aggredì.
"Oh no, intendevo dire che..."
"Sì certo, lo so che cosa intendevi dire" 
"Rose io..."
"Spiega e basta"
Arthur inspirò profondamente.
"D'accordo...allora...l'orfanatrofio è stato trasformato in una base operativa dai cacciatori alieni ma è anche stato infestato da quelle ombre assassine..."
"I Vashta Nerada" annuì Rose.
"Esatto...sono ombre..." ripetè Doyle "...e le ombre come si combattono?"
Rose ci pensò su un istante.
"Luce?"
"Giusto" approvò Arthur "E la fonte più grande di luce è il fuoco...appiccheremo un bell'incendio di alta portata all'orfanatrofio e in questo modo lo libereremo sia dall'infestazione delle ombre assassine che dai cacciatori..."
"Ma è un'idea geniale, Arthur, sei davvero grande!" esclamò Rose, abbracciandolo con trasporto.
"Già, peccato che il mio piano non sia esattamente quello che ha appena proposto il nostro amico..." intervenne il Dottore, riemergendo ancora una volta in superficie.
"E perchè no?"
"Perchè mi rifiuto di sterminare ben due specie in un solo colpo, sarebbe davvero troppo" 
"Ma Dottore...se non li uccidiamo, loro uccideranno te e il sacrificio di questi ultimi mesi sarà stato inutile!" protestò Rose.
Conosceva bene il parere del Dottore a riguardo. 
In passato si era visto costretto ad uccidere centinaia o forse migliaia di esseri viventi, aveva sterminato la sua stessa specie pur di proteggere l'Universo e i suoi abitanti. Molti lo consideravano uno sterminatore di mondi, altri un guerriero invincibile e spietato. Tutto era cambiato per lui dopo la Guerra del Tempo. Lei lo sapeva fin troppo bene. Lo aveva visto. Le ci era voluto moltissimo tempo per lenire il dolore di quelle cicatrici e ancora adesso, di tanto in tanto, riusciva a leggere il dolore nei suoi occhi. Non poteva fare o dire nulla per fargli cambiare idea. Qualsiasi azione difensiva o offensiva che comprendesse la violenza o le armi era totalmente fuori discussione. 
"Perciò che cosa hai in mente di fare, Dottore?" domandò Arthur, sciogliendo quel silenzio imbarazzante.
Il Dottore si schiarì la voce.
"Per lo sciame di Vashta Nerada non ho altra scelta...purtroppo..." disse con un velo di tristezza " ...sono finiti casualmente nel posto sbagliato, non è stata colpa loro, ma non posso fare altro che distruggerli, prima che trasformino la popolazione di questa città nella loro riserva di cibo..." 
Rose gli prese la mano, stringendola forte nella sua.
Sapeva quanto gli fosse costato prendere una simile decisione e voleva che sapesse che lei era accanto a lui. 
Sempre e comunque.
"...per quanto riguarda invece i cacciatori, non penso che ora come ora siano una grande minaccia..."
"E se ti sbagliassi?" azzardò Doyle.
"In tal caso ne pagherò personalmente le conseguenze" ribattè il Dottore, serio "Ho ucciso fin troppi innocenti nella mia vita, Arthur, credimi quando ti dico che ci sono già abbastanza urla e volti che tormentano il mio sonno... non voglio aggiungerne altri, non se posso evitarlo..."
"Perciò che farai?" domandò Rose, appoggiando la testa sulla sua spalla.
"Li punirò" rispose il Dottore "Avranno ciò che meritano ma senza che debba sporcarmi le mani di sangue..."
"Pensi davvero che una semplice azione diplomatica possa rivelarsi efficace nella situazione in cui ci troviamo?" commentò Arthur, scettico.
"Farò in modo che lo diventi" ribattè caustico il Dottore. 
Aveva appena finito di pronunciare queste parole, quando un sibilo lancinante e acuto si diffuse improvvisamente tra le pareti del Tardis.  
"CHE SUCCEDE?!" urlò Rose, con le mani serrate sulle orecchie per proteggersi da quel rumore insopportabile. 
Il Dottore barcollò con difficoltà verso la console, tentando disperatamente di interrompere quel frastuono terrificante. 
I cacciatori erano arrivati. 
"Sono loro...sono qui..." 
Ma le parole gli morirono in gola, mentre uno spasmo di dolore gli fece inarcare la schiena all'indietro.
Le sue urla spaventose riempirono il Tardis.
"DOTTORE...DOTTORE CHE TI SUCCEDE?"
La voce di Rose lo raggiunse ovattata, proprio come se provenisse da un mondo lontano anni luce. 
Provò a parlare ma il dolore ormai era troppo forte, quasi accecante. Non riusciva a muovere un solo muscolo. 
La sua mente era sotto il loro completo dominio, non riusciva a contrastarli. 
"Signore del tempo..."
All'improvviso un sibilo s'insinuò prepotentemente nella sua testa, strisciando lascivamente tra i pensieri. 
"...ti abbiamo cercato a lungo e dopo tanta attesa, finalmente sei caduto nella nostra trappola...sappiamo dove sei, Signore del Tempo, e non accettiamo condizioni...se non ti consegni a noi spontaneamente, cominceremo ad uccidere ad uno ad uno tutti gli abitanti di questo lurido paesino terrestre...a cominciare dai mocciosi dell'orfanatrofio...carne fresca...non chiediamo altro..."
Ci fu una breve pausa di silenzio.
"...ti concediamo 10 minuti poi daremo inizio alla festa...il loro destino è nelle tue mani, figlio di Gallifrey...."
E così com'era iniziato, il sibilo svanì di colpo riportando la situazione alla normalità.
Quando il Dottore riaprì gli occhi, si ritrovò disteso di schiena sul pavimento della sala comandi, con il volto di Rose a soli pochi centimetri da lui.  
"Dottore come ti senti?" soggiunse Rose in tono apprensivo, aiutandolo dolcemente a sollevarsi dal pavimento con la collaborazione di Arthur "Avevi perso conoscenza, ti abbiamo chiamato tante volte ma non davi segno di ripresa..."
"Sto bene, non preoccuparti" cercò di rassicurarla il Dottore con uno dei suoi soliti sorrisi giocondi "Si è trattato semplicemente di un effetto collaterale dell'intrusione mentale dei cacciatori...tensione mentale, mal di testa, nausea...ora è tutto passato..."
Appoggiandosi alla console del Tardis, si levò in piedi.
"Mi hanno consegnato un messaggio telepatico" aggiunse a mezza voce, dando volutamente le spalle ai due compagni.
"Cosa vogliono?" domandò Arthur.
"Me" rispose semplicemente il Dottore.
La reazione di Rose non tardò a manifestarsi.
"NO, NON SE NE PARLA NEANCHE! NON CI PROVARE" urlò senza alcun ritegno.
Il Dottore si lasciò scappare un debole sorriso.
"Devo farlo, Rose" provò a replicare.
"Ti uccideranno, lo sai che è così!" ribattè lei con maggior vigore, ricacciando a forza le lacrime che le pungevano gli occhi "Perchè ho sempre l'impressione che quando si tratta di prendere delle decisioni importanti come questa, tu non tenga minimamente conto dei miei sentimenti?! Mi hai portata con te, Dottore, mi hai scelto come tua compagna, non sono una ragazzina superficiale che hai raccolto all'angolo di una strada...e tu non puoi semplicemente relegarmi in un angolo ogni volta che decidi di mettere a repentaglio la tua vita, perchè adesso faccio anch'io parte della tua vita! E se dovesse accaderti qualcosa? Pensi mai a questo quando ti butti a capofitto in una battaglia? Che cosa farei senza di te?"
Queste parole sortirono un effetto inaspettato sul Dottore, decisamente più violento di quello provocato da un sonoro ceffone in pieno volto. Era la prima volta che Rose lo accusava così sfacciatamente di indifferenza nei suoi confronti, una cosa decisamente poco piacevole e soprattutto non vera. 
"Tu sei il centro dei miei pensieri, Rose" le disse serio, abbandonando per un istante il suo solito modo di fare carismatico e giocherellone "Lo sei sempre stata e lo sarai per sempre, non devi mai dubitarne..." 
Le sollevò il mento con un dito, intrecciando i loro sguardi.
"...uccideranno i bambini dell'orfanatrofio e il resto degli abitanti del villaggio se non mi consegno a loro...non posso permettere che li facciano del male, lo capisci? Non vorrei lasciarti di nuovo qui da sola ma è la cosa migliore da fare per tenerti al sicuro..." spostò gli occhi su Arthur "...per tenervi al sicuro..." 
"E una volta che ti sarai consegnato a loro che cosa farai?" mormorò Rose, ormai rassegnata.
"Cercherò di evitare di farmi ammazzare" scherzò il Dottore.
Rose lo colpì al petto con un debole pugno.
"Possiamo fare qualcosa per aiutarti, Dottore?" intervenne Arthur. 
"In effetti sì" rispose lui.
"Cosa?"
"Pregate per me" 
Il tempo a sua disposizione era quasi giunto al termine. 
Ormai non gli rimanevano che pochi minuti. 
Rivolse un'ultima occhiata a Rose e ad Arthur, depose ordinatamente la sua preziosa giacca marrone sulla poltrona della sala comandi e si avviò verso l'uscita.
Aveva appena appoggiato la mano sulla maniglia del Tardis, quando avvertì uno spostamento d'aria alle sue spalle e pochi secondi dopo, Rose gli volò letteralmente tra le braccia.
"Torna da me tutto intero, altrimenti sappi che non ti perdonerò mai!" gli soffiò all'orecchio. 
Lui fece per risponderle ma qualcosa glielo impedì. 
Le labbra di Rose premute dolcemente sulle sue. 
Un bacio tenero e dolce che lui non potè evitare di ricambiare. Il miglior incoraggiamento del mondo, pensò. 
Sorridendo, la strinse forte a sé un'ultima volta poi si allontanò.  





ANGOLO DELL'AUTORE: Scusate per l'assurdo ritardo di questa pubblicazione ma ero carica di impegni. Spero ancora una volta di non aver deluso alcuna aspettativa. Ovviamente la storia sta volgendo al termine, vedremo presto gli ultimi sviluppi. Buona lettura ;D

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Capitolo 10
*** Le Ali della Libertà ***



Capitolo Nono

                                                                          Le Ali della Libertà


Nel Tardis…
 

"Rose, ti prego, cerca di ragionare..."
La voce forte e severa di Arthur echeggiò nel silenzio del Tardis.
"...non servirà a nulla seguire le orme del Dottore, a meno che il tuo brillante piano non sia di farti uccidere da quelle creature..."
"Tu non capisci" ribatté ostinatamente lei, continuando a trafficare attorno alla console del Tardis, come se sperasse di ottenere magicamente dal nulla, un'arma invincibile con cui poter sconfiggere i Kronos.
"Cosa dovrei capire, Rose? Dimmelo" proseguì il giovane Doyle, imperterrito "Hai sentito il Dottore...ci ha detto di rimanere qui dentro al sicuro, ha detto che se ne sarebbe occupato personalmente..."
Un sorriso amaro affiorò sulle labbra della ragazza.
"Già, è quello che dice sempre..."
"Fino ad ora, abbiamo sempre seguito le sue indicazioni ed è andato tutto bene" insistette Arthur "Perché rischiare inutilmente le nostre vite? Lasciamo che sia lui ad affrontarli, sicuramente ne sa più di noi due, non credi?"
Rose gli era vicina a tal punto, che quando si voltò di scatto a guardarlo, i suoi lunghi capelli biondi gli schiaffeggiarono il volto.
"NON POSSO!" ruggì, fissandolo con uno sguardo a dir poco fiammeggiante.
"Non puoi fare...cosa esattamente?" incalzò Arthur.
"Abbandonarlo..." mormorò Rose con la voce rotta di pianto.
E prima di scoppiare in lacrime davanti al giovane Doyle, si allontanò a gran velocità, raggiungendo la zona notte, situata al piano inferiore del Tardis.

 
Intanto all'orfanatrofio...
 
Controllò l'ora sul quadrante del suo antico e prezioso orologio da taschino. Lo aveva tenuto sempre con sé, anche dopo aver recuperato totalmente la memoria. Ormai aveva soltanto un valore affettivo, nulla di più. Un ennesimo cumulo di ricordi ed emozioni, da aggiungere ad una già lunga, lunghissima secolare collezione, in continuo divenire. D'altronde, a conti fatti, la vita di un uomo non era altro che quello...un enorme cumulo di ricordi. Esperienze, sensazioni, emozioni e memorie accumulate con il passare del tempo. E i ricordi di un Signore del Tempo, valevano almeno cento volte quelli di un qualsiasi, ordinario essere umano.
900 anni di ricordi, non erano facili da gestire, neppure per un tipo innovativo come lui.
Superò il cancello d'ingresso dell'orfanatrofio, come sempre privo di qualsiasi controllo di sicurezza, e s'incamminò verso il portone principale. Facendo perno con i piedi sul cornicione di una finestra del piano terra, si aggrappò saldamente alla pensilina del piano superiore, sbirciando attraverso il vetro di una finestra. Non vide nient'altro che buio, ma era certo che i Kronos fossero nascosti lì da qualche parte, guardinghi e pronti ad accoglierlo dritto dritto tra le loro grinfie.
Non restava altro da fare, dunque, che entrare nella tana del lupo.
E lo fece. Spalancò l'uscio e scivolò all'interno.
Come l’esterno dell’edificio, l’ingresso era immerso nell’oscurità e nel silenzio, rotto solo dal ticchettio ritmico di un orologio e dal rumore soffocato del suo respiro. Come aveva già personalmente appurato in precedenza, l'edificio era infestato da sciami di Vashta Nerada e da quel poco che ricordava dell'ultima visita, la situazione era piuttosto problematica. 
"Non credo che vi rimarrebbe molto di me, se per una qualche sfortuna cosmica, uno sciame di Vashta Nerada dovesse impossessarsi del mio corpo" esclamò a gran voce, sicuro di essere già circondato dal nemico.
Trascorsero pochi secondi e l'intero piano terra s'illuminò come il cielo americano durante i festeggiamenti del 4 Luglio.
In quel preciso istante, una forte fitta alla testa, lo costrinse ad appoggiarsi contro la parete.
"Vieni avanti, Gallifreyano..." sibilò una voce muta tra i suoi pensieri.
Poi, così rapidamente come si era manifestato, il dolore scomparve.
"Ooooh andiamo, ragazzacci, smettetela con la telepatia e parliamo a quattr'occhi!" li punzecchiò ironicamente il Dottore, avanzando lentamente attraverso il corridoio per raggiungere l'unica stanza illuminata dell'intero edificio.
La sala da pranzo.
Non riusciva a vedere granché, ma sapeva di essere circondato, riusciva a percepire la loro essenza nell'aria.
Pura energia temporale.
Giunto sulla soglia della sala, si bloccò.
C'erano ben tre persone in piedi di fronte a lui, due delle quali particolarmente familiari ai suoi occhi. La seducente e conturbante Lady Chambers e il suo impassibile e vendicativo fratello.  
"Finalmente ci si rivede, Lady Chambers!" commentò il Dottore con sarcasmo, posando il suo sguardo sull’avvenente donna che gli stava sorridendo dall’altro lato del salone.
“E’ un vero piacere rivederla, Mr Smith, mi creda” ribatté la donna, con il suo solito sorriso glaciale stampato sulle labbra “Mi dispiace solo che questo incontro non si rivelerà altrettanto piacevole per lei, Signore del Tempo…”
“Oh non ne sarei così sicuro se fossi in lei, Milady” ribatté acidamente il Dottore.
Una risata simile ad un latrato soffocato, si diffuse nella stanza, calamitando all’istante l’attenzione del Dottore.
C’era un quarto cacciatore di taglie in quella stanza.
“E così siete rimasti solo in quattro” fece il Dottore, passandosi distrattamente una mano tra i capelli, arruffandoli “E dimmi, bel ragazzone, sei tu che ti diverti a giocare con la telepatia? Cos’è, sei forse un timidone? Avanti, mostrami il tuo bel faccino …”
Un’imponente sagoma di stracci si sollevò alle spalle di Lady Chambers, arrancando con passi lenti e strascicati, verso l’unica zona illuminata della stanza. Man mano che la creatura si avvicinava, il Dottore cominciava a capire come stessero realmente le cose. Non c’era niente nell’intero Universo di più pericoloso di un essere vivente in punto di morte, ma con un bruciante desiderio di vivere.
“Avresti potuto salvarci tutti, Signore del Tempo…” sibilò d’un tratto la creatura, con una voce flebile e roca che sembrava quasi provenire dall’oltretomba.
“Non dovrebbe affaticarsi troppo, mio signore” intervenne Lady Chambers, precipitandosi ad offrire il suo supporto fisico.  
“Ce la faccio” tagliò corto l’altro, scansando bruscamente il braccio che la donna gli stava porgendo “Eravamo in tanti, Signore del Tempo, la mia famiglia era rigogliosa e numerosa e tu li hai uccisi …”
Il Dottore si schiarì rumorosamente la voce.
“Mi permetto di dissentire” lo interruppe, prendendo a sua volta la parola “Che io ricordi, se la memoria non mi inganna e vi assicuro che succede raramente, siete stati voi ad attirare il mio Tardis in questo posto, perché sempre VOI, cari vecchi incubi della mia infanzia e giovinezza, avevate bisogno della mia essenza vitale per sopravvivere …”
“Se ti fossi consegnato subito a noi, i miei figli e le mie figlie sarebbero ancora vivi” obiettò il patriarca dei Kronos.
“Oh perciò vorresti addossare sulle mie spalle, la responsabilità della morte dei tuoi figli … beh, sappi che questa cosa non mi piace affatto!” replicò il Dottore, visibilmente infastidito dall’insinuazione della creatura “Sappi che ho già abbastanza sangue innocente che scorre sulle mie mani e non ho proprio alcuna voglia di aggiungerne altro, non se posso ripiegare su altre soluzioni più pacifiche …”
“Nessuna soluzione pacifica, tu devi morire” ribadì perentorio il Kronos.
“E se mi rifiutassi di consegnarmi a voi?” domandò il Dottore “Che cosa accadrebbe? Provereste a prelevarmi con la forza? Vi vorrei proprio vedere …”
Sghignazzò divertito, facendo scorrere lo sguardo sui loro volti.
“… non avete la minima idea di chi io sia e vi assicuro che questo non è affatto un bene per voi!”
“Sappiamo benissimo chi sei, figlio di Gallifrey” fece Lady Chambers in tono strafottente.
“Oh io non credo proprio” insistette il Dottore “Pensateci un momento…Gallifrey, il mio pianeta natìo, il glorioso podio dei Signori Del Tempo è bruciato, distrutto per sempre… eppure io sono ancora qui..”
Sentiva la rabbia ribollirgli nelle vene al solo ricordo degli orrori della Guerra del Tempo, degli affetti perduti e dei sacrifici a cui era stato costretto per salvare l’Universo e i suoi abitanti.
“… li ho uccisi tutti, tutti quanti … ho letteralmente sterminato la mia razza, perciò adesso ditemi … che cosa dovrebbe impedirmi di fare lo stesso con voi, in questo preciso istante?!”
L’inquietante silenzio che seguì queste parole, era carico di tensione.
Chiaramente quelle rivelazioni avevano intimorito i Kronos, forse anche più di quanto si sarebbe aspettato.
“Non abbiamo più nulla da perdere, Signore del Tempo” parlò nuovamente il patriarca, dopo una lunga pausa “Le tue minacce non funzionano con noi, non giunti a questo punto della nostra vita. Stiamo morendo e l’unica cosa che può salvarci sei tu, la tua vita. La nostra specie è sopravvissuta per secoli assorbendo l’essenza vitale dei Signori del Tempo, le vostre preziose particelle temporali ci hanno tenuto in vita per secoli e non sprecheremo l’occasione di usurpare della sua essenza anche l’ultimo figlio di Gallifrey! Quest’ultima cena ci regalerà ancora qualche prezioso secolo di vita … consegnati nelle nostre mani e ti prometto che lasceremo in pace questa città e l’intero pianeta Terra che tu sembri amare così tanto … è una promessa … consegnati spontaneamente a noi e non avrai sulla coscienza altre vittime innocenti …”
Il Dottore inghiottì a vuoto, gli occhi fissi su un punto imprecisato della parete, alle spalle della creatura, e la mente intrappolata tra volti e ricordi del passato.
“NON FARLO, DOTTORE!”
La voce di Rose urlò alle sue spalle, facendolo sobbalzare.
“Cosa diavolo ci fate voi due qui?!” sbottò il Dottore, voltandosi di scatto in direzione della voce e trovandosi faccia a faccia con Arthur e Rose.
L’espressione colpevole stampata sul volto di Arthur, bastò a dargli una risposta.
“Dovrebbe chiederlo alla sua compagna, Sir” mugugnò il giovane Doyle, visibilmente provato da quella che presumibilmente doveva essere stata una guerra verbale dall’intensità non indifferente “Le giuro che ho provato a farle cambiare idea ma …”
“Lo so, Artie, conosco Rose e la sua testardaggine …” lo interruppe il Dottore, appoggiandogli una mano sulla spalla con fare rassicurante.
Ignorando la discussione dei due, Rose si parò davanti al Dottore, frapponendosi tra lui e i Kronos.
“Non toccherete più una sola persona di questo villaggio” annunciò in tono minaccioso “E il Dottore non verrà mai con voi …”
“Stupida mocciosa terrestre … “ il volto di Lady Chambers si deformò, trasformando quel ritratto di pura bellezza in un orrido volto sghignazzante. Spalancò la bocca e liberò una specie di getto acido, che sfiorò il braccio di Rose, provocandole una lieve ustione.
“Rose, stai bene?” esclamò il Dottore, accorrendo al suo fianco.
“Mi ha appena sfiorata” rispose Rose con una lieve smorfia di dolore, sorreggendosi il braccio ferito “Visto con quale orribile creatura stavi per amoreggiare, Dottore?”
Quest’ultimo alzò lo sguardo al soffitto.
“Non mi sembra questo il momento di recriminare certe cose, Rose!” protestò, circondandole la vita con un braccio e trascinandola via prima che un ennesimo getto acido li colpisse entrambi “Arthur, afferra l’altro braccio di Rose e tieniti forte …”
Doyle non fece neppure in tempo a domandare “Perché”.
Il Dottore attivò il dispositivo di trasferimento spazio temporale, teletrasportando tutti e tre di nuovo a bordo del Tardis.
 
 

 
A bordo del Tardis…
 
“Siamo salvi, è finita!” esclamò Arthur, esultando vittorioso.
“Siamo salvi, è vero, ma non è ancora finita” precisò il Dottore “Prima che arrivaste voi due a rovinarmi i piani, stavo facendo quattro chiacchiere con quei bestioni e in effetti è stato piuttosto utile perdere del tempo a sentirli sibilare…”
“Che vuoi dire?” fece Arthur incuriosito.
“Ti ho detto che volevo dar loro l’occasione di risolvere la questione in modo pacifico ma per esperienza personale, direi che non sono particolarmente disposti a cedere, perciò ho deciso di agire di conseguenza…”
“Li ucciderai?”
Il Dottore lo colpì con una sonora pacca dietro il collo.
“Ho detto di no, niente violenza” lo redarguì severamente, fissandolo con aria torva “Sei duro di comprendonio Sir Doyle, o cosa?!”
“Ok, allora che soluzione suggerisci?”
“Li imprigionerò per sempre qui nel Tardis” spiegò il Dottore “Parlando con il loro patriarca mi è venuta in mente un’idea…un tempo per difendere i Tardis dagli attacchi dei Kronos o di altre creature malvagie, i Signori del Tempo sfruttavano un particolare meccanismo di sicurezza… delle sfere a trasporto quantico …”
“Delle…cosa?” domandarono Rose e Arthur in coro.
“Sfere a trasporto quantico” ripetè il Dottore. Si inginocchiò sotto la console del Tardis, iniziando a frugare in vari scatoloni alla ricerca di qualcosa “Dovrei averne qualcuna ancora a bordo, ho sempre pensato che un giorno si sarebbero potute rivelare utili …”
“Ed esattamente che cosa fanno queste sfere?” domandò Arthur, impegnato a cercare di seguire il filo logico del discorso.
Rose aveva abbandonato già da un po’ le speranze di riuscirci.
“I Kronos si nutrono dell’essenza dei Signori del Tempo o in alternativa dell’essenza vitale dei Tardis” spiegò il Dottore “In poche parole, il loro corpo è un ammasso sconnesso di particelle quantiche assimilate nel tempo, particelle quantiche che grazie a queste sfere possono essere intrappolate per sempre …”
“Sono delle prigioni in miniatura” commentò Doyle, fissandole incuriosito.
“Sì, beh, in un certo senso” fece il Dottore “Visto perché dico che comunicare con il nemico non è mai una cattiva idea? Non mi avrei mai ricollegato le sfere ai Kronos se il patriarca non avesse risvegliato l’idea nella mia mente! Brillante, non trovate?” rivolse ai due un sorriso beffardo e si rituffò sotto la console “Ovviamente recuperati i Kronos, dovremo pensare a risolvere l’altro problema, lo sciame di ombre assassine che se la spassa ancora in giro per i corridoi dell’orfanatrofio …”
Arthur e Rose si scambiarono un’occhiata complice che non sfuggì al Dottore.
“Che c’è?” domandò ad entrambi, inarcando il sopracciglio con fare sospettoso.
“In realtà quel problema lo avremmo già risolto io ed Artie!” rispose Rose, circondando affettuosamente le spalle di Doyle con un braccio.
“Già” confermò l’altro, sorridente “Pensavi che fossimo venuti all’orfanatrofio solo per tirarti fuori dai guai?! Lo abbiamo fatto per, diciamo, portare avanti la missione … tu lavoravi sul fronte Kronos, mentre noi ci occupavamo delle ombre …”
Il Dottore strabuzzò gli occhi.
“Avete appiccato l’incendio all’orfanatrofio?!” esclamò, incredulo.
“Ci metterà un po’ prima di divampare in tutto il suo splendore” spiegò Rose “Perciò hai tempo a sufficienza per intrappolare quelle orrende creature sputa acido nelle tue palle quantiche…”
“Sfere quantiche” la corresse il Dottore.
“Quello che sono” tagliò corto lei “E, tra parentesi … “si avvicinò al Dottore, gli appoggiò entrambe le mani sulle spalle, sollevandosi sulla punta dei piedi “… lo sapevo che Lady Chambers non era bionda naturale!” gli sussurrò all’orecchio, stampandogli poi un sonoro bacio sulla guancia, prima di allontanarsi dalla sala.
Sotto lo sguardo divertito di Doyle, il Dottore dovette far ricorso a tutto il suo autocontrollo, affinché la sfera che stringeva tra le mani, non rotolasse sul pavimento della sala comandi.
Recuperata la lucidità mentale necessaria, approfittando della momentanea assenza di Rose, attivò il sistema di trasporto quantico della sfera e diede il via al trasferimento.
Dopo qualche istante, la sfera si illuminò.
Aveva localizzato il segnale dei Kronos.
“Come farai a sapere quando il processo sarà ultimato?” domandò Arthur.
“La sfera diventerà opaca” rispose il Dottore, sfiorandone delicatamente la superficie liscia “E’ quasi bollente … sta accogliendo un’enorme quantità di particelle quantiche …”
Arthur spostò alternativamente lo sguardo dalla sfera al Dottore.
“Vale qualsiasi sofferenza, non è così Dottore?” esordì infine a mezzavoce.
“Come scusa?” fece il Dottore, senza capire.
“Rose” disse semplicemente Arthur “E’ fantastica, Dottore, non lasciare che le tue paure ostacolino quello che c’è tra di voi …”
“E cosa ci sarebbe esattamente tra di noi?”
“Sai bene di cosa parlo”
“E’ complicato, Artie”
“Già, forse è complicato come dici, ma non renderlo impossibile!”
Improvvisamente, la voce di Rose urlò dal piano inferiore.
“UN DOTTORE CHE MI RAGGIUNGA IN INFERMERIA, HO UN’USTIONE DA SISTEMARE IN CASO L’AVESTE DIMENTICATO, CERVELLONI!”
I due scoppiarono a ridere.
Forse Doyle aveva ragione, pensò il Dottore, ma la verità era che trovava estremamente difficile avvicinarsi a qualcuno, amarlo liberamente, senza riserve. Per esperienza, sapeva che un giorno o l’altro avrebbe dovuto lasciarlo andare. Il problema era proprio quello. Era certo che se solo si fosse abbandonato al sentimento che provava verso Rose, se solo avesse perso il controllo anche per un brevissimo istante, non sarebbe mai più stato in grado di lasciarla andare. 



ANGOLO DELL'AUTORE: E finalmente i cattivi sono stati spazzati via...muahahahahahaha!!!  Lo so, Rose ci ha rimesso nello scontro con Lady Chambers ma d'altronde niente si guadagna facilmente nella vita, giusto? Ancora un capitolo prima di dire addio a questi personaggi...spero ancora una volta di aver gestito bene la situazione! ;)

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Capitolo 11
*** Il Dottore nel Tardis con Rose Tyler ***


 
 
Capitolo Decimo
 
 
                             Il Dottore nel Tardis con Rose Tyler
 
 

La sala comandi del Tardis era totalmente immersa nel silenzio. La sola luce presente, diffondeva fioca e debole

tra le pareti, rendendo l'atmosfera a dir poco irreale. Raggomitolata contro lo schienale della solita poltroncina,

le mani strette attorno alla sua tazza di tè, ormai semi-raffreddato, e lo sguardo che vagava senza meta per la

stanza, Rose rimase ad ascoltare gli sbuffi e i ronzii del Tardis per un tempo che le parve durare un'eternità. 

Mancava ormai poco alla partenza.

La loro missione a Portsmouth era conclusa, perciò non v'era più alcuna ragione per restare.

Qualche minuto per un ultimo addio e poi via...di nuovo insieme, in volo tra le stelle. 

Il Dottore aveva deciso di riavviare preventivamente i motori e tutti i circuiti, giusto per riscaldarli un po' dopo

mesi di prolungato stand by. Voleva essere sicuro che tutto filasse liscio. "Niente intoppi", le aveva detto la sera

prima, come se per loro due i guai e gli incidenti di percorso non fossero già ordinaria amministrazione. 

Si lasciò sfuggire un sorriso. 

Dopotutto, sentiva che le sarebbe mancata la vita al villaggio.

E le sarebbe mancato lui.

Arthur. 

Cercando di ricacciare indietro le lacrime, si concentrò sulla sua tazza di tè. 

Ad appena qualche metro di distanza dall'uscio del Tardis, sotto il sole cocente di quel mattino d'estate, Arthur

e il Dottore stavano discutendo gli ultimi dettagli di quello che avevano soprannominato "piano di

manipolazione della verità".

"E cosa ti fa pensare che l'ottusa popolazione di questo villaggio crederà a tale fandonia?" esordì Arthur con

enfasi.

"Beh, dopotutto non è esattamente una fandonia.." replicò il Dottore, grattandosi freneticamente il mento" ...i

Vashta Nerada che infestavano l'orfanatrofio non vi daranno più problemi, anche se ovviamente i bambini

dovranno essere trasferiti in un edificio più adatto e, beh, meno pericolante..."

"Me ne occuperò io"

"Fantastico"

"Già, ma come spiegherò la morte di quel ragazzino? Insomma...non posso certamente fare riferimento a

creature di un altro mondo, mi capisce Dottore...scatenerei il panico...già al principio, erano state diffuse voci

assurde sulla reale esistenza dell'Uomo Nero..."

"Uomo...Nero?" ripetè lentamente il Dottore, inarcando il sopracciglio.

Arthur annuì.

"La leggenda dell'Uomo Nero e dei bambini, non ne hai mai sentito parlare? Credo che si tramandi da

generazioni ormai...l'assassino intangibile e spietato che terrorizza e rapisce i bambini cattivi nel cuore della

notte, muovendosi nel buio e nascondendosi nei luoghi più oscuri..."

"Sì sì, esisteva una leggenda molto simile sul mio pianeta" intervenne il Dottore "Anche se la nostra versione

parlava di un Dalek Oscuro, il Dalek più potente dell'intero universo, una creatura malvagia che si cibava di

bambini Gallifreyani indisponenti e privi di qualsiasi forma di disciplina...ooh, quante volte hanno minacciato di

consegnarmi a lui ai tempi dell'Accademia..."

Si lasciò sfuggire un risolino divertito.

"Ehm, il punto sarebbe?" fece Arthur, impaziente.

"Oh sì, certo" Il Dottore tornò serio e si schiarì rumorosamente la voce "Il punto è che possiamo sfruttare il

fascino e il potere delle credenze popolari a nostro vantaggio, per mascherare la verità e il mistero nascosti

dietro agli avvenimenti degli ultimi mesi! Affideremo al buon vecchio Uomo Nero la responsabilità di tutti gli

orrori accaduti al villaggio...niente più sospetti, niente più domande. Servirà solo a rendere la sua leggenda un

po' più terrificante ed efficace! Ti assicuro che il suo regno del terrore durerà ancora a lungo...molto, molto a

lungo! Il mistero dell'orfanatrofio di Portsmouth verrà annoverato tra tutte le innumerevoli e arcane vicende

storiche di tutti i tempi...mai sentito parlare della licantropia alla corte della regina Vittoria?" 

Arthur strabuzzò gli occhi. 

"CHE COSA?!" esclamò, incredulo.

"Lasciamo stare, storia lunga" tagliò corto il Dottore "Per inciso, io non intendevo in alcun modo metterla nei

guai, semmai il contrario, ma ho sempre avuto un rapporto piuttosto problematico con regine e

principesse...eccetto Cleopatra, la piccola Cleo mi ha sempre adorato..."

"Dottore, sta divagando ancora!" intervenne Arthur, riportandolo di nuovo con i piedi per terra.

"Scusami..."

"Parlavamo dell'Uomo Nero" ricapitolò Doyle "Pensi davvero che funzionerà? Basterà a tenerli a bada?" 

"Queste persone hanno ancora un piede negli anni bui della stregoneria, sono immersi fino al collo nelle

credenze popolari" ribattè il Dottore in tono solenne "Elementare, Doyle" aggiunse poi, ammiccandogli. 

"Di nuovo questa espressione" commentò Arthur "E' interessante, forse dovrei appuntarmela per non

dimenticarla!"

"Fossi in te lo farei" rispose il Dottore, dandogli un'amichevole pacca sulla spalla. 

In quel momento, le porte del Tardis si spalancarono e Rose comparve sulla soglia. 

"Il Tardis sta facendo uno strano rumore, Dottore, forse dovresti entrare a dare un'occhiata" fece, avanzando

lentamente verso di loro. 

Senza farselo ripetere due volte, il Dottore rientrò di corsa nella cabina per assicurarsi che fosse tutto a posto. 

La paura di poter rimanere bloccato in quel luogo e in quel tempo, anche solo per altri cinque minuti, lo

paralizzava.

Rimasti da soli, Arthur e Rose s'incamminarono l'uno accanto all'altra, attraverso il lungo viale acciottolato che

si stendeva ai loro piedi.

"E così è arrivato il momento di dirsi addio..." esordì d'un tratto Doyle, interrompendo bruscamente quel

silenzio imbarazzante calato tra loro. 

"Non deve essere necessariamente un addio" replicò Rose, senza troppa convinzione. 

Sapeva bene che difficilmente si sarebbero incontrati di nuovo.

Probabilmente non l'avrebbe rivisto mai più. 

Arthur le rivolse un sorriso triste. 

"E perchè mai tu e il Dottore dovreste tornare ancora in questo posto dimenticato da Dio? Avete tutto l'Universo

da esplorare, centinaia e centinaia di pianeti e di stelle da scoprire!" le prese dolcemente la mano, stringendola

forte nella sua "Rose Tyler..." la guardò dritto negli occhi, l'espressione seria e lievemente corrucciata di chi ha

deciso di affrontare un argomento imponente, senza essere sicuro di averne la forza "Forse presto ti

dimenticherai i mesi trascorsi qui, i nomi e i volti delle persone che hai incontrato, i momenti che abbiamo

vissuto insieme, ma ricordati sempre questo, Rose. Qualsiasi cosa accadrà nella tua vita in futuro, esiste un

legame speciale tra te e quell'uomo, non permettere a niente e a nessuno di intralciarlo o, peggio ancora, di

reciderlo. Lui ti appartiene come tu appartieni a lui e, anche se forse il Dottore non è ancora pronto per vederlo,

un giorno lo sarà. E sarà meglio che tu stia nei paraggi quando accadrà, non trovi?" le accarezzò piano una

guancia con il dorso della mano "Sei una persona speciale, Rose Tyler, sarò fortunato se riuscirò ad avere al

mio fianco una donna tenace, dolce e affidabile almeno la metà di quanto lo sei tu. Non rinuncerei ad un solo

secondo di questi mesi trascorsi insieme, sei stata la migliore amica che io abbia mai avuto in tutta la vita e

avrei ancora tante cose da dirti, raccomandazioni e consigli da darti, ma al momento mi viene in

mente soltanto una cosa...sii sempre te stessa, sempre, sei unica e così dovrai rimanere..."

Rose avvertì un insopportabile nodo alla gola.

Le lacrime le pungevano gli occhi ma cercò di resistere.

"Hai intenzione di farmi piangere, ragazzaccio?!" scherzò, colpendolo piano al petto con un debole pugno. 

Le parole di Arthur le avevano scatenato un mix funesto di emozioni nel cuore. 

Tristezza...malinconia...gioia...

"Come hai detto tu..." seppur con voce tremante e rotta di pianto, prese la parola "...ci sarebbero tantissime

cose da dire, ma in questo momento ho la mente offuscata e probabilmente è meglio così. L'unica cosa che

posso fare è ringraziarti..."

"E per cosa?"

"Oh per un sacco di cose. Mi sei stato vicino, mi hai aiutato a portare avanti il piano del Dottore e anche quando

le cose sembravano andare nella direzione sbagliata, mi hai sempre aiutato a riportarle alla normalità, senza

mai chiedere niente in cambio. Ti sei comportato da vero amico e se non fosse stato per te, non avrei resistito

un solo giorno senza il Dottore..."

In uno slancio improvviso, gli gettò le braccia al collo, stringendolo in un fortissimo abbraccio. 

"Non ti dimenticherò mai, Artie" gli sussurrò all'orecchio.

Il giovane ricambiò affettuosamente l'abbraccio, seppur in modo un po' impacciato. 

"Te la saresti cavata bene anche da sola, ne sono certo" aggiunse poi, staccandosi lentamente da lei.

"Già, forse" confermò Rose "Ma in due è meglio, non credi?"

Arthur le sorrise.

"Hai ragione, siamo stati un infallibile duo..." osservò in tono divertito "...il dottore e la sua assistente...sembra

quasi il titolo di un romanzo..."

Rose fece per parlare ma l'improvviso sopraggiungere del Dottore le bloccò le parole in gola. 

"Il Tardis è pronto a partire" annunciò il Dottore con aria trionfante.

Si avvicinò ad Arthur e gli porse la mano. 

"Sir Arthur Conan Doyle, è stato un autentico e sincero piacere fare la sua conoscenza" fece, ammiccandogli.

Doyle ricambiò il gesto.

"Il piacere è tutto mio, Sir Dottore"

"Spero di non aver rivoluzionato troppo la tua vita, vecchio mio...non potrei davvero perdonarmelo..."

"Stai scherzando, Dottore? Frequentando te e Rose, ho finalmente realizzato di aver letteralmente sprecato la

mia vita, riempiendola di attività che non rientravano nei miei interessi ed ho intenzione di cambiare...a

cominciare dal lavoro...abbandonerò la carriera medica e mi dedicherò all'hobby che ho sempre nascosto in

fondo ad un cassetto del mio cuore in tutti questi anni..."

"E sarebbe?"

"La scrittura" rispose Doyle, con lo sguardo gioioso ed eccitato di un ragazzino il giorno di Natale. 

Rose e il Dottore si scambiarono un'occhiata sbalordita.

"Oh sul serio? Non ne avevo proprio idea!" commentò il Dottore, cercando di non lasciar trasparire il suo stato

d'animo. 

"Spero solo di avere più fortuna nel campo letterario di quanta ne abbia avuta in ambito medico..." aggiunse

Doyle con aria preoccupata.

Rose scoppiò a ridere.

"Oh credimi, di questo non devi affatto preoccuparti..."

Il Dottore le sferrò una gomitata nel fianco.

"Cioè...voglio dire...sarai bravissimo, vedrai!" si affrettò ad aggiungere lei. 

Doyle guardò alternativamente prima l'uno poi l'altra, scuotendo la testa con espressione rassegnata.

"Mi mancheranno le vostre stranezze" affermò infine, rivolgendo ad entrambi un ultimo sorriso.

Pochi istanti dopo, lo stridìo acuto dei freni del Tardis si diffuse rumorosamente tra i vicoli silenziosi del

villaggio, scomparendo qualche secondo più tardi. 

"Tocca a te scegliere la prossima meta, Rose" annunciò allegramente il Dottore, saltellando eccitato da

un angolo all'altro della console di comando del Tardis. 

Rose non rispose.

Seduta sulla poltroncina, con le ginocchia tirate al petto e il mento appoggiato su di esse, seguiva

distrattamente i movimenti del Dottore, mentre nella sua testa si rincorrevano confusamente pensieri e ricordi. 

"Voglio tornare a casa" esclamò improvvisamente con tono deciso. 

Il Dottore si bloccò di colpo, voltandosi di scatto.

"C...come?! Vuoi...vuoi dire che non hai più voglia di restare con me?" esalò quasi senza fiato.

"Oh no!" replicò Rose, saltando giù dalla poltrona "No, no no...non voglio dire questo, è solo che vorrei andare a

fare visita a Mickey e a mamma...mi manca la mia famiglia!" circondandogli il braccio con entrambe le mani, vi si

aggrappò, rivolgendogli uno dei suoi ben collaudati sguardi da affascinante cerbiatta "Sai bene che resterò con

te per sempre, Dottore, devi rassegnarti. Ormai il solo pensiero di vivere lontano da te e da questa vita mi

sembra una follia! Adoro viaggiare insieme a te attraverso l'Universo, non cambierei questa vita con

quella di nessun altro...è solo che a volte sento il bisogno di tornare un po' con i piedi per terra, specialmente

quando rischio di rimanere intrappolata per sempre nel diciannovesimo secolo..."

"Aaaah va bene, allora!" esclamò il Dottore, messo alle strette "Ancora una volta hai vinto tu..."

"Sììììì!" esultò Rose, saltandogli al collo e stampandogli un frettoloso bacio sulle labbra "Sei sempre il migliore..."

"Puoi smetterla di lusingarmi adesso, ho già accettato!" scherzò lui.

"Lo so, ma io ti conosco bene e so che ti piace sentirti al centro dell'attenzione...e...beh, in fondo a me piace

coccolarti!" buttò lì Rose di getto, distogliendo poi subito lo sguardo per evitare che il Dottore la vedesse

arrossire. 

Incredibile che fosse riuscita a dirglielo in faccia, pensò incredula.

E mentre i due discutevano tra loro sulla versione ufficiale dell'avventura con Doyle, da raccontare a Jackie e

Mickey, sul monitor di navigazione del Tardis apparve il nome della nuova destinazione: POWELL ESTATE,

LONDRA. 

Insieme verso un'altra avventura...il Dottore nel Tardis con Rose Tyler...proprio come doveva essere.






ANGOLO DELL'AUTORE: Ed eccoci arrivati alla fine del viaggio....spero che questo capitolo e questa storia vi siano piaciuti e spero che continuerete a seguire le mie future "opere" :D
Un saluto e un ringraziamento a tutti quelli che hanno letto e recensito questa storia.

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