King Lear

di Rota
(/viewuser.php?uid=48345)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Thou think’st ‘tis much that this contentious storm invades us to the skin ***
Capitolo 2: *** 2. Think’st thou that duty shall have dread to speak when power to flattery bows? ***
Capitolo 3: *** 3. This is the excellent foppery of the world ***
Capitolo 4: *** 4. Or rather a disease that’s in my flesh, which I must needs call mine ***
Capitolo 5: *** 5. But then the mind much sufferance doth o’erskip when grief hath mates, and bearing fellowship ***
Capitolo 6: *** 6. Wisdom and goodness to the vile seem vile ***
Capitolo 7: *** 7. Thorough tatter’d clothes small vices do appear; robes and furr’d gowns hide all ***
Capitolo 8: *** 8. And laugh at gilded butterflies ***
Capitolo 9: *** 9. Thou’lt come no more ***
Capitolo 10: *** 10. In this last tempest ***
Capitolo 11: *** 11. Epilogo ***



Capitolo 1
*** 1. Thou think’st ‘tis much that this contentious storm invades us to the skin ***


king lear 1 Titolo: King Lear
Nickname: Rota
Personaggi: Alfred F. Jones (America), Arthur Kirkland (UK), Matthew Williams (Canada), Un po’ tutti
Avvertimenti: Yaoi, AU, What if…?, Lime
Generi: Introspettivo, Romantico, Sentimentale
Rating: Arancione
Dedica: Vorrei dedicare "questa cosa" a una persona in particolare, che sicuramente apprezza il pair più di me (L) A KikiWhiteFly (L)
Note pre contest: Shakespeare mi ha aiutato molto nella stesura di questo testo. Le giudici sanno quanto sia stato travagliato, e non ho voglia di spiegarlo per l’ennesima volta. Dico solo che, quasi per errore o scherzo del destino, tutto quello che sono riuscita a scrivere mi piace.
Non amo particolarmente l’UsUk, è un pair come un altro ai miei occhi. Questo contest era una sfida contro me stessa, per dimostrare di essere in grado di fare una fanfic degna di questo nome anche su un pair non eccessivamente gradito.
Re Lear è una delle mie tragedie preferite, ma questo non significa che la mia fanfic è angst, anzi (L) Ogni informazione da me presa sul football americano è stata ricavata dalla santa, santissima wikipedia (L) Come fonte, ho praticamente solo quella XD Mi pareva carino integrare il tutto con questo particolare, per me ha dato più verosimiglianza alla fanfic e alla sua trama (L) Dopo, naturalmente, saranno le giudici a giudicare se ho fatto bene (L)
Cos’è il Re Lear, per i profani? Molto semplicemente, è lo scontro tra un ipotetico “mondo vecchio”, raffigurato dal Re, e uno “nuovo”, raffigurato dalle figlie, oltre che la lotta tra il bene e il male e molti altri temi minori, quali il rapporto padre- figli. Questi due mondi, nella mia fanfic, sono rappresentati da Alfred da una parte e Arthur dall’altra, il cui modo di vivere nulla ha di pienamente giusto e nulla ha di pienamente sbagliato. Sul campo del confronto la mia fanfic si staglia.
Note post contest: Questa fanfic ha partecipato al contest dedicato esclusivamente e specialmente all'UsUk indetto sul forum di EFP da Roro e Emiko, classificandosi addirittura terza - vedete il bellissimo banner lì sotto? Ecco (L)
In realtà non avrei molto da dire a riguardo, solamente che questa è la mia 50° fanfic all'interno del fandom ed è una UsUk. Questo lo ripeterò fino alla morte, temo XD
Penso di aver superato la prova che avevo con me stessa, il risultato che ho ottenuto mi piace e ne sono largamente soddisfatta. Persino le giudici, pur con qualche riserva, mi hanno fatto i complimenti in tal merito, e siccome ritengo che il loro giudizio su tale coppia sia sicuramente più valido del mio per me significa qualcosa. Dopotutto, sono felice (L)
Ora non mi resta da far altro che vedere se piace anche al mio pubblico *-*
Mi rimetto a voi lettori (L) Vi prego solamente di proseguire da qui in avanti con benevolenza.
Buona lettura (L)

 



Image and video hosting by TinyPic
"I was born to tell you I love you"




 

King Lear
**1. Thou think’st ‘tis much that this contentious storm invades us to the skin**

 



 

Lui, lì, in realtà non voleva neanche andarci.
La biblioteca era un luogo freddo e buio, così piena di scaffali e mobiletti da sembrare alla sua mente semplicistica una specie di grande labirinto mangia-tutto. Aveva sentito, a tal proposito, proprio Gilbert borbottare la strana storia di un povero sventurato che si era perso alla ricerca di un libro e che più non era tornato indietro. Aveva anche aggiunto che i telegiornali non avevano dato la notizia perché il Preside della scuola aveva quel poco di potere all’interno della comunità da insabbiare ogni cosa velocemente.
Certo, se la mente di Alfred fosse stata appena un poco più sveglia e se la sua suggestione non così particolarmente imponente, avrebbe anche notato come Francis e Antonio, inseparabili del tedesco, avessero sghignazzato per tutto il tempo, rubando così ogni credibilità al racconto.
Ma lui era Alfred F. Jones e se era in grado di compiere l’intera lunghezza di un campo da football, con tanto di pallone in mano, nel minor tempo di tutta quanta la contea, era anche in grado di credere ad una assai ridicola e poco logica storia stramba su fantasmi e mostri simili. D’altronde, questa era una delle caratteristiche per cui lui era così ben voluto all’interno della scuola – perché sicuramente essere tronfio e megalomane non l’aveva mai aiutato nei rapporti sociali.
In più, si era in mezzo Ivan Braginski, quell’odioso e sporco comunista. Alfred una sola volta si era preso la briga di prenderlo in giro perché ballava su un palco invece che fare a botte in strada come tutti i maschi sani e si era ritrovato non più di cinque secondi dopo con la faccia dolorante spalmata contro il primo duro muro. Non aveva mai rinunciato, da allora, ad un’occasione per entrare in conflitto con lui ma sicuramente aveva preso le debite distanze.
Quell’infido essere gli aveva sbattuto sul naso la sua indubbia e superiore capacità intellettiva, recitando a memoria un passo della sua amatissima e raffinatissima letteratura russa. In lingua, giusto perché così Alfred non aveva potuto far altro che guardarlo con quella faccia da ebete che sfoggiava ogni volta che era indeciso tra la sorpresa e il disgusto. E come ogni europeo che si rispetti, il russo gli aveva imputato – sorridendo come se fosse la cosa più naturale e quindi innocente del mondo – non solo di non conoscere un minimo di letteratura mondiale basilare, ma neanche di sapere cosa diamine significasse la parola in sé.
Quindi Alfred si era impuntato, aveva aperto per la prima volta in vita sua il libro di letteratura inglese, assolutamente a caso, e aveva letto il primo nome in grassetto che vi aveva trovato.
William Shakespeare.
Gli era suonato abbastanza familiare, con un briciolo di sforzo si era anche ricordato il perché: la recita scolastica di fine anno appena passata era su una commedia di quel tale, se non ricordava male, ed era piena di fate, asini e persone pazze – si era divertito come un matto ad andare a vedere Ivan che interpretava il Re delle Fate, lo aveva trovato estremamente spassoso.
Trovava un po’ meno spassoso il fatto che, per ripicca, aveva praticamente detto a mezza scuola che avrebbe imparato a memoria e avrebbe compreso, anche, metà delle sue opere. Dopo aveva ritrattato, saggiamente, con una, e la più magnifica.
Si era reso conto del guaio in cui si era cacciato solamente perché il suo pio fratello gli aveva fatto notare quanto il signor Shakespeare avesse scritto, tra commedie e tragedie. Era sempre stato Matt a indicargli alcuni nomi illustri tra i quali scegliere, scartando opere minori che il suo gusto proprio non apprezzava.
“Riccardo III” e “La tempesta” furono i primi a essere consigliati, ma Alfred li rifiutò con una semplice smorfia molto eloquente del viso – quando voleva, quel ragazzo sapeva essere particolarmente diretto.
“Macbeth” fu presentato dal fratello con grande entusiasmo, ma quando gli disse che c’erano anche delle streghe lo vide incupirsi all’istante, e desistette.
“Romeo e Giulietta” non lo propose neanche, “Otello” parlava di un’emozione che Alfred non aveva mai davvero provato e quindi gli sarebbe stato impossibile capirlo appieno.
Provò con “Il mercante di Venezia”, però Alfred si accorse come il protagonista principale della vicenda fosse una donna e lui di questioni di fanciulle non ne voleva proprio sapere.
Fu un lampo di interesse che risolse ogni ricerca quasi all’istante. Alfred vide per caso un titolo inserito nell’elenco delle tragedie e ne fu subito attratto. Gli sembrava coerente con la sua vincente persona e quando seppe che non aveva quel contesto storico attorno da risultargli incomprensibile ne fu solamente più felice.
Aveva deciso.
Il problema, però, era di andare a recuperare il testo, che era appunto in biblioteca; neppure Matt che era un secchione teneva testi teatrali in casa, preferendo altri scrittori e altri autori più moderni. Alfred gli aveva chiesto di fargli quel piacere, perché lui nella bocca del mostro non ci voleva proprio andare. E probabilmente Matt lo avrebbe anche accontentato, pur trovando ridicola tutta la faccenda, se solo non si fosse ritrovato talmente oberato di impegni, quasi tutti all’improvviso – maledetto lui che frequentava mille e più corsi scolastici – e quindi con neppure cinque minuti liberi.
Dopo essersi fatto violenza da solo, Alfred si era convinto ad andare.
In quel preciso momento vagava per gli scaffali alla ricerca di qualcosa. Perché, pur essendoci passato davanti, persino più di una volta, nella follia della sua totale mancanza di orientamento, non gli era balzato in mente di chiedere informazioni alla bibliotecaria della scuola, che ogni tanto lo guardava perplessa e poi tornava ai suoi cruciverba.
Si era trovato a vagare per nomi strani, ogni tanto sbirciava i titoli messi in verticale, l’uno di fianco all’altro, e cercava in alto qualche cartello che potesse aiutarlo, più o meno con la stessa logica con cui si sarebbe mosso in un super mercato.
Quando fece l’ennesimo tentativo e sbirciò la copertina di un libro dalle tinte scure, lesse una cosa assurda come “Asimov” e si ritrasse sconsolato, senza più speranza in corpo. Percorse qualche altro scaffale, senza più darsi la briga di sbirciare. Vide all’improvviso la porta di servizio, un’uscita di emergenza con tanto di lucetta verde piazzata proprio sopra lo stipite. Tanto valeva prendere quella ed allontanarsi in fretta: sarebbe tornato successivamente e avrebbe ritentato.
Lo fermò una voce, una voce che si stava schiarendo e stava evidentemente prendendo fiato. Si illuminò, a quel punto, scorgendo in questo sconosciuto una possibile fonte di salvezza. Magari era uno di quegli sfigati che passavano più tempo sui libri piuttosto che rincorrere le ragazze, o magari un secchione come suo fratello che aveva imparato a memoria la cartina di quel luogo. Titubò solo al pensiero che fosse il fantasma tanto temuto, ma nel sentire una voce umana, seppur non esattamente comprensibile, decise che valeva la pena rischiare.
Lui era Alfred F. Jones dopotutto, e non poteva avere paura.
Seguendo quella voce, cercò di farsi strada attraverso gli scaffali. Si fermava quando quella prendeva delle pause, si muoveva più velocemente quando quella recitava: riconobbe l’intonazione d’istinto.
Alla fine arrivò a destinazione.
Era nell’area bambini – la scuola contava anche scuole inferiori medie ed elementari, per cui di bambini ce n’erano parecchi in giro – lo poteva capire dal tappeto di spugna colorato che stava per terra e la quantità assurda di cuscini che c’erano, gli scaffali bassi e le copertine dei libretti così accattivanti. Era anche l’unico luogo della biblioteca ad avere una finestra così grande e luminosa, dalle tende gialle e dal piccolo balcone con le sbarre.
Proprio sulla finestra, stava un ragazzo con un libro in mano, la voce limpida e profonda che ancora recitava – sembrava perso in quelle parole, senza dare credito ad altro se non alla loro bellezza.

 
Thou think’st ‘tis much that this contentious storm
Invades us to the skin: so ‘tis to thee;
But where the greater malady is fix’d,
The lesser is scarce felt. Thou’ldst shun a bear;
But if thy flight lay toward the roaring sea,
Thou’ldst meet the bear I’th’mouth. Where the mind’s free
The body’s delicate; this tempest in my mind
Doth from my senses take all feeling else
Save what beats there – filial ingratitude!(1)

 

Alfred non seppe mai dire se fosse rimasto più sorpreso dalla scena in sé, dalle parole recitate o proprio dalla voce che le stava recitando – il ragazzo nella sua fattispecie.
Però rimase immobile, finché quello non si accorse di avere inaspettato pubblico e con un gesto brusco e seccato chiuse di colpo il libro e si rivolse ad Alfred.
La sua voce, lontana dalle melodie di prima, divenne piena di rimprovero e molto più simile al gracchiare nervoso di un corvo.
-Cosa vuoi?-
Alfred si risvegliò dal suo momentaneo letargo, e lamentoso rispose all’altro, avvicinandosi di qualche passo.
-Sto cercando la sezione di letteratura inglese, ma questo posto è un vero labirinto! Mi sono perso!-
Il ragazzo lo guardò circospetto e sospettoso, chiedendosi intimante cosa ci facesse una persona del genere in una biblioteca. Sapeva di fama chi egli fosse, e sempre per fama sapeva anche quanto l’altro fosse restio a mettere piede in luoghi come quello.
Alfred, mentre l’altro lo osservava, poté tranquillamente notare alcuni particolari che si prodigò di commentare subito.
-Che ciglia folte che hai! Ma non ti cadono giù?-
Arthur Kirkland, più orgoglio inglese che contegno, lo guardò ancora più male di prima e con l’esplicito intento di levarselo di torno il prima possibile gli fece un’altra domanda secca.
-Che compito ti hanno assegnato?-
Alfred divenne tronfio di colpo, perché davvero non aveva inteso la poca stima che Arthur aveva messo nel tono col quale si era rivolto a lui – o forse gli era talmente poco credibile essere poco considerato che lo escludeva a priori.
Un passetto in avanti e le braccia che si aprivano, in segno di vittoria.
-Nessun compito, sono qui di mia iniziativa!-
Ovviamente Arthur non diede peso a quello. E se forse una piccola parte di lui lo fece, venne strozzata sul nascere dal forte cinismo dell’altra, tanto che nel cervello del ragazzo non comparì neanche l’opzione.
Sospirò con pesantezza, prendendo il libro con una mano e avvicinandosi a lui con aria stanca.
-Dimmi che cosa cerchi e ti aiuterò ad andartene il più velocemente da qui!-
Si incamminarono assieme verso destra, Arthur sapeva con esattezza dove dirigere il passo e Alfred gli trottava dietro pieno di fiducia: qualcosa andava per il verso giusto!
-Grazie! Cerco un’opera di un certo Shakespeare…-
Voltarono a destra dopo aver percorso lo scaffale di letteratura spagnola, sezione europea. Si allungò accanto a loro lo scaffale di letteratura francese, mentre dall’altra parte c’era ancora uno squarcio di letteratura dell’America Latina.
-Tragedia o commedia?-
Alfred si fece pensieroso, perché a malapena ricordava la differenza.
Ah, sì, nella tragedia morivano tutti, nella commedia normalmente no.
-Penso tragedia… Sì, sì, è proprio una tragedia!-
-Sai almeno il titolo oppure tiri a indovinare anche quello?-
-Era il nome di un re…-
-Un re, hai detto?-
-Sì… Oh, ora mi ricordo! Il titolo era “Re Lear”! Sai dov’è?-
A quel punto erano arrivati a destinazione, a quel punto Arthur si fermò nel bel mezzo del corridoio.
Guardò Alfred con aria di sufficienza, come se si fosse all’improvviso reso conto di trovarsi di fronte un completo deficiente.
Ad Alfred non piacque proprio per niente una cosa simile, specie perché rovinò in un sol colpo tutta l’atmosfera allegra che si era creata. Almeno, lui l’aveva percepita così.
-Non capiresti proprio nulla del “Re Lear”! Perché hai scelto un testo simile?-
Lo guardò male di rimando, perché istintivamente si sentiva minacciato nell’orgoglio. Era la stessa, identica sensazione spiacevole che provava ogni volta che si confrontava con Ivan – come se dovesse, sempre e comunque, rendere conto a qualcuno di quello che era e di quello che non era.
Lui era un giocatore di football, dannazione, non un premio nobel.
-Parla di un Re, è ovvio!-
Arthur guardò distrattamente lo scaffale al suo fianco e ne prese un volumetto piccolo e dalla copertina bisunta, porgendoglielo.
-Anche “Enrico V” parla di un re! Perché non prendi questo?-
Alfred fece un passo indietro, guardando l’oggetto come a volerlo incenerire con il solo sguardo. Era arrabbiato e la sua irritazione non fece altro che farlo impuntare sul suo obiettivo ancora di più.
A costo di sembrare ancora più stupido.
-Non mi piace la storia, preferisco Lear!-
Dopo qualche secondo di silenzio, Arthur sospirò ancora e ripose il volume che aveva preso al suo posto.
Porse il libro che aveva precedentemente in mano all’altro, sfoggiando di nuovo la stessa espressione di sufficienza di prima. Sembrava più infastidito dalla momentanea perdita del testo che dalle parole di Alfred – come se non si aspettasse proprio nulla, da tutto quello.
-Ecco qua… divertiti. Almeno cerca di non rovinare il libro…-
Senza neanche ringraziare o sorridere, Alfred si girò e andò via, pieno di rabbia, con l’intento di non tornare proprio mai più in quel luogo e con il fortissimo desiderio di non rivedere mai più quella persona.
Tra l’altro, non gli aveva neanche chiesto il suo nome.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** 2. Think’st thou that duty shall have dread to speak when power to flattery bows? ***


king lear 2
**2. Think’st thou that duty shall have dread to speak when power to flattery bows?**



 
 









Passò in realtà diverso tempo dal primo episodio in biblioteca.
Alfred se lo ricordò sempre esattamente come avrebbe ricordato un fastidioso fine settimana passato a digerire un panino freddo ingurgitato in cinque secondi netti – insomma, uno schifo.
Giocare a football lo aveva aiutato a impegnare quel poco di testa che aveva in qualcosa di diverso che in tristi ricordi, e sicuramente correre da una parte all’altra del campo era abbastanza faticoso da non ammettere proprio niente che occupasse il cervello più di una palla rotolante e un bestione danese che ti veniva addosso cercando di atterrarti.
Alfred era il più veloce di tutti, lo era stato dal secondo anno in avanti. Al primo, una brutta indigestione gli aveva impedito di andare alle selezioni per i giocatori, e per un anno intero si era rifiutato di mangiare quel doppio hamburger del fast food tanto amato in fondo al vicolo di casa sua, anche se si era ampliamente consolato con quello con farcitura di formaggio abbondante e in più cipolle e datteri. Quando finalmente era stato accettato in squadra aveva festeggiato con la speciale offerta di vaschetta di gelato da un chilogrammo e mezzo, gusto nocciola e cacao amaro.
I suoi compagni di squadra si erano ripromessi di non offrirgli mai più cena o pranzo, da quel momento in avanti.
Gli allenamenti si erano susseguiti in maniera fitta, considerando che il campionato scolastico sarebbe incominciato davvero entro breve.
La contea contava sette scuole superiori fornite di squadra di football al completo, senza contare le partite amichevoli e le manifestazioni sportive. In tutto, la squadra di Alfred disputava ogni anno almeno una dozzina di partite.
Una sola volta la sua scuola era riuscita a vantare la vittoria della prima postazione. In bacheca, poco lontano dall’ufficio del Preside, c’era esposta in una vetrina elegante il trofeo più grande su un piedistallo coperto da un telo rosso. Accanto, i tre secondi posti e il terzo posto dell’anno precedente, nonché i numerosi premi dati ai singoli giocatori. Nel tutto c’erano anche i suoi: due statuette per il miglior velocista e uno per migliore giocatore. Aveva permesso alla scuola di trattenerli, perché così era certo che chiunque li avrebbe potuti videre.
Tutto sommato, la sua era una squadra rispettabile.
Tuttavia Alfred puntava alla prima posizione anche quell’anno. La puntava sempre, facendo un buffissimo e assurdo discorso negli spogliatoi sia durante gli allenamenti sia durante le primissime partite di campionato – qualcuno aveva tentato di fargli presente che il Capitano aveva questo ingrato compito, ma il suddetto, oltre che ridere come mai durante i discorsi del ragazzo, aveva anche convenuto di essere stato alleggerito di un compito gravoso, quindi non aveva fatto storie. Nonostante questo, però, la sua squadra non era ancora riuscita nell’intento. Era un poco sconfortante, specie considerando tutto l’impegno che ci metteva.
Ma Alfred non era il tipo da demordere con tanta facilità. Avevano perso sì, e avevano perso onorevolmente – la squadra avversaria aveva strappato loro l’onore della finale per tre miseri punti, sudati e tanto combattuti – ma quello certo non significava che erano condannati a farlo sempre.
Alfred credeva questo, e siccome sembrava che molta gente oltre che lui lo credesse a propria volta, si sentiva quasi in dovere di trasformare quel sogno in realtà.
A due settimane di distanza, il nervosismo si era fatto sentire entro tutto il corpo del ragazzo. Aveva cominciato a mangiare persino di più e ad attardarsi almeno dieci minuti oltre l’orario dell’allenamento, a cui arrivava già con largo anticipo.
L’ansia da prestazione era una cosa che lo prendeva considerevolmente, in particolar modo se si trattava della prima partita.
Si giocò un giovedì sera, il fischio d’inizio era previsto per le 20.30. Il ritrovo per i giocatori, invece, un’ora prima.
Già sceso il buio, erano stati accesi imponenti luci e lampioni a bordo campo, tanto che se non si fosse fatta attenzione nel guardare troppo in alto si correva il rischio di rimanere accecati – ma almeno così, per Alfred, non c’era pericolo che qualcuno del pubblico li perdesse di vista, come se fosse quello il reale problema.
Tutti erano nervosi, nessuno escluso. Certo, si erano allenati. Certo, erano pronti fisicamente, ma nessuno, neppure tre anni di esperienza alle spalle, neppure la prospettiva di poter cominciare le tre vittorie necessarie per le semifinali, poteva togliere loro l’ansia del momento.
Così, vincendo la propria limitatezza di giovane rampante, Alfred fece effettivamente una delle poche cose per cui era rinomato, sia all’interno della propria scuola sia al suo esterno.
Si alzò dalla panchina da cui era seduto, sotto gli spalti e dalla parte sinistra del campo – quella che, nel primo tempo, toccava alla sua squadra – e dopo aver guardato uno a uno i suoi compagni negli occhi, riuscì a superare con la voce le urla incoraggianti del pubblico e il suo fervore più che rumoroso.
-Compagni, siamo giunti finalmente qui: un nuovo campionato è iniziato. Mi pare inutile dirvelo, ma spetta a noi non solo portare avanti l’onore della nostra scuola, ma far vedere a tutti quale sia il nostro valore, esattamente su questo campo! Noi non siamo qui per una sconfitta, miei compagni! Non abbiamo sprecato fatica e sudore per poi lasciarci prendere da un insolente mal di pancia! Ricordatevi per cosa vi siete allenati e in cosa avete creduto ogni volta che porterete quella maledetta palla in meta! Ditemelo adesso, forza! Ripetetelo assieme a me!-
E forse perché parlava come se fosse davvero spiritato, forse perché tutto quello che diceva poteva essere anche preso per il più riuscito scherzo del secolo tanto da poter scoppiare a ridere da un momento all’altro, forse per i termini assolutamente aulici e assolutamente fuori luogo che aveva usato in un frangente così grossolano e materiale, ma nessuno dei presenti ebbe la forza di anteporsi alla sua autorevolezza, al suo entusiasmo e alla sua determinazione.
Era questo ciò per cui Alfred eccelleva: farsi seguire e farsi ascoltare senza che nessuno ponesse qualche dubbio riguardo i suoi intenti – la vera essenza di un eroe d’altri tempi.
Così, bardati di tutto punto, al di dietro dei para-denti che impegnavano loro ormai la bocca e al di sotto dei caschi duri che riparavano le labbra, tutti i suoi compagni si unirono al suo grido, alzando la mano al cielo e adempiendo al sacro rito dei burini sportivi qual’erano.
D’altronde, in ogni battaglia si ha bisogno dell’urlo liberatorio iniziale, e loro certo non potevano soprassedere quella regola basilare.
-La vittoria!-

La palla del kick off fu calciata proprio dal capitano della squadra di Alfred, e volò abbastanza in alto da superare in altezza i lampioni della luce. Alfred sapeva cosa significava quella palla: una motivazione in più per credere nella vittoria. Non che aggiudicarsi i primi quattro downs fosse fondamentale ai fini della partita, quanto piuttosto fosse una vittoria morale.
Per questo, anche se gli fosse costata una cecità più che momentanea, seguì il tragitto della palla dall’inizio. Cominciò a trottare indietro, con lo sguardo fisso in alto. Allungò le braccia, ad un certo punto, e quasi si mise a correre, se non che ci fu qualcuno più rapido di lui, o semplicemente piazzato in un posto migliore. Ludwig Beilschmidt, uno dei migliori giocatori che aveva in squadra, aveva una tecnica invidiabile ed era abbastanza pronto di riflessi da sopperire la mancanza di velocità che faceva eccellere l’altro. Non per niente era il quarterback, ovvero l’elemento più sveglio e intelligente del gruppo.
La prima cosa che gli rivolse fu un ampio sorriso – la seconda una pacca sulla spalla che massacrò la sua mano a causa di quella dannata tuta e di quei maledetti spallini duri.
Li detestava, per certi versi: non aveva certo bisogno di spalle finte per correre più veloce.
Si misero presto in formazione, Alfred prese posto a destra, di lato, attendendo il suo momento. Anche il suo compito prevedeva abbastanza prontezza di riflessi e un buon lavoro di gambe, perché appena trovata una falla nella formazione nemica lui doveva semplicemente andare oltre.
Di nuovo il fischio dell’arbitro. La palla fu passata indietro, le due squadre collidettero sulla linea o poco più distanti, qualcuno partì di corsa, altri un po’ meno. Ludwig si guardò velocemente in giro, cercando di sfruttare quei due secondi che lo distanziavano da un atterraggio violento come meglio poteva. Vide Alfred smarcato, ma non era abbastanza in avanti. Vide un altro giocatore in buona posizione, lo preferì al primo – lui venne atterrato il secondo dopo, la palla invece volò in avanti e arrivò a destinazione qualche istante successivo. Il corridore prese il lancio e partì in avanti, smarcò e superò un paio di avversari, ma quando tentò di passare la palla fu preso da tre di loro e brutalmente fermato.
La palla fu quindi ripresa dall’arbitro e riconsegnata a Ludwig.
La stessa situazione si ripropose, quasi identica, la seconda volta. Alfred si era portato più avanti e più di lato, una buona posizione che gli garantì l’attenzione del lanciatore. Riuscì ad andare avanti più di quanto aveva fatto il suo compagno, ma si ritrovò comunque la faccia a terra nel giro di pochi secondi, spalmato sull’erba da un energumeno grosso quasi il doppio di lui. Ringhiò, prima di tornare indietro.
Il lanciatore lo prese qualche secondo in disparte, conscio di dover sottolineare una cosa prima di venir frainteso.
Il suo tono non era duro o severo, ma era solo dotato di quella freddezza tipica delle persone pratiche e ligie al proprio compito. Ludwig era uno di quelli precisi, che fanno le cose guardando anche alle virgole – però ricavavano tantissima irritazione quando ciò per cui si muovevano non si svolgevano come avevano prefissato.
Così, forse, il suo fu più un rimprovero che una vera e propria constatazione.
-Jones, ho bisogno che tu vada avanti…-
Alfred sbuffò, guardando il campo che avrebbe dovuto percorrere in poco tempo. Non certo una cosa semplice, pur essendo lui abituato, anche perché il tizio che l’aveva prima atterrato non smetteva di fissarlo.
-Lo so, Ludwig, ma è difficile! Questi mica me lo lasciano fare!-
L’altro riprese fiato, prima di tornare a parlargli. Aveva fatto i suoi conti, e Alfred rimaneva uno dei giocatori migliori.
-Ti lancerò una sola altra volta la palla, vedi di sfruttare bene questa occasione!-
Si separarono in fretta, ma Alfred ebbe tutto il tempo di ribadire l’ovvio. Perché era assolutamente ovvio che lui, eroico com’era, avrebbe portato quella maledetta palla alla base.
-Va bene, ho capito!-
Ci fu l’ennesimo fischio, e la palla tornò quasi placida nelle mani del lanciatore. Ludwig però non ebbe neppure il tempo di giudicare se la posizione di Alfred fosse ottimale o meno: vedendo con la coda dell’occhio qualcuno arrivargli addosso ad una velocità pazzesca, lanciò direttamente e si lasciò cadere, sperando davvero che se proprio non il cervello almeno l’istinto guidasse il corridore per la giusta strada.
Alfred ricevette la palla e si mise a correre. Il primo scatto fu di lato, il secondo in avanti – riuscì così a non finire subito per terra. Dovette fare anche un salto per superare l’ennesimo difensore, dopodiché quasi si accovacciò ma continuò la sua corsa, dal momento che la palla non aveva toccato terra. Di lato ancora dovette flettersi quando l’energumeno di prima tentò di fermarlo – questa volta però non ci riuscì e le sue mani si chiusero attorno al vuoto.
Alfred corse. Alfred corse. Alfred corse.
Alfred alla fine superò i due pali bianchi avversari, e in un boato di gioia che conquistò dapprima il pubblicò e poi il resto dello stadio lanciò a terra la palla stretta tanto tra le dita ringhiando in maniera ferina. Meta, sei punti tutti per loro.
Qualcuno dei suoi gli arrivò addosso e quasi lo mandò giù a terra per la felicità. Cominciare bene era qualcosa di importante, era qualcosa che tutti sapevano essere particolarmente incoraggiante per tutta la partita successiva. Non per i sei punti, ma per l’euforia e la fiducia che rimarcava con semplice nitidezza.
Alfred e compagni, dopo qualche istante di gloria, si incamminarono celermente verso la propria parte di campo, pronti a difenderla come meglio potevano. Il ragazzo passò placidamente davanti al pubblico, lasciandosi lusingare dalle loro grida. Sorrise, puntando il dito in alto, in segno di vittoria.
Ma fu un attimo e lo vide, in mezzo a tutto quel sbracciarsi concitato e alle bandiere colorate dei fan – con quelle sopracciglia enormi era difficile non riconoscerlo, anche perché pareva davvero l’unico in mezzo a tutto quello che a stento partecipava all’allegria comune. Sembrava a disagio, fuori dalla libreria e senza neppure un libro tra le mani.
Alfred non poté darci troppo peso, in quel frangente, perché le sue energie dovevano essere in quel momento spese altrove.

Se lo ricordò il giorno dopo, quando fece di nuovo ritorno in biblioteca. Quella volta chiese una cartina alla bibliotecaria, che con un sorriso incoraggiante gli aveva anche indicato la strada più veloce per arrivare alla sezione dei bambini – probabilmente pensando a quanto dovesse essere semplice la mente di quel ragazzo per preferire proprio quella sezione piuttosto che altre.
Alfred lo trovò lì, sempre alla finestra. Leggeva ancora, e ancora lui rimase zitto ad ascoltarlo.
 

What would’st thou do, old man?
Think’st thou that duty shall have dread to speak
When power to flattery bows? To plainness honour’s bound
When majesty falls to folly. Reserve thy state;
And, in thy best consideration, check
This hideous rashness...

 
Arthur si accorse nuovamente della sua presenza, e chiuso il libro stava per rivolgergli l’ennesima domanda scocciata. Ma Alfred fu più veloce di lui, seppe per la prima volta stupirlo.
-So chi è che parla, in quel pezzo: è Kent, e sta parlando al Re!-
Arthur si fermò dov’era e lo guardò vagamente sorpreso per qualche attimo prima di riprendersi e sbottare contrariato.
-Beh, almeno è confortante sapere che sei riuscito a leggere le prime venti pagine dell’opera. Direi che è una cosa che non mi sarei affatto aspettato…-
Benché la frase suonasse vagamente denigratoria, Alfred si gonfiò come un palloncino pieno di orgoglio – quando aveva fatto leggere quel pezzo a suo fratello, era nata una discussione proprio in merito al personaggio di Kent, e per quello lui se lo ricordava bene. Alfred non aveva capito molto il suo ruolo all'interno della storia, mentre Matt lo difendeva a spada tratta, dicendo che era uno dei suoi preferiti assieme a Cordelia. Chi fosse questa Cordelia, Alfred faticava a ricordarselo.
Però Arthur non si risparmiò l’ennesima stoccata velenosa.
-Come mai sei qui? Ti sei perso di nuovo?-
La stoccata non raggiunse l’obiettivo, perché Alfred o era troppo scemo per capire davvero il riferimento sottile sottinteso oppure era ancora troppo euforico per quello che era successo la giornata precedente per lasciarsi vincere da bassezze come quella.
-Ti ho visto ieri alla partita! Eri tra il pubblico! Non sapevo che ti piacesse il football!-
Lo vide bloccarsi sul posto, e poté giurare di vedere anche un leggero colore rosso tingersi sui suoi zigomi. Non capiva bene, anche perché gli era difficile credere che quel ragazzo provasse una sorta di umana emozione come l’imbarazzo, ma la voce di lui gli risultò più acuta del solito, e sicuramente meno sicura.
-Ero solo venuto a vedere come te la cavavi con lo sport! Siccome è evidente che scolasticamente fai schifo, almeno in qualcosa dovrai essere bravo!-
Sì, Alfred era bravo a giocare a football e ne era fin troppo consapevole.
Così si gonfiò ancora una volta, ricordando tutte le mete che era riuscito a fare, dalla prima all’ultima – specie quella che aveva rimarcato il loro punteggio, consegnandoli ad un risultato ormai scontato.
-Abbiamo vinto!-
Arthur non fece molto se non sospirare affranto e massaggiandosi le orecchie di riflesso.
-Si, me ne sono reso conto dall’intensità delle urla a fine partita…-
Alfred sorrise al ragazzo, inspiegabilmente – perché era davvero inspiegabile come una felicità simile potesse farlo sorridere in maniera tanto genuina e solare, ma Arthur senza rendersene conto assaggiò quella particolare indole di Alfred che gli rendeva benevolo ogni pubblico e accondiscendente ogni persona.
-Sono contento che tu sia venuto, è stato un gran bell’incontro! Ti sei divertito?-
Si rifiutò di abbassare lo sguardo a terra, ma non c’era la minima traccia di risentimento o di cattiveria nella sua voce quando parlò.
-Per quanto sono riuscito a capire…-
Si tese una mano, seguita quasi subito da un’altra.
-Io sono Alfred F. Jones!-
-Arthur Kirkland…-
Quando la ritrasse, Alfred si ritrovò per la prima volta in difficoltà.
Era abbastanza brutto ammettere la reale motivazione della sua presenza in quel luogo, e infatti aveva preparato un’ottima scusa per nascondere ogni vanesia e stupida intenzione.
Era rimasto incantato dalla voce di Arthur, perché mai ne aveva sentita una così passionale, una così emozionata e sentita, profonda, che ammetterlo non solo sarebbe stato alquanto imbarazzante ma avrebbe rivelato di lui tendenze che ancora non era disposto ad ammettere.
Così, seguendo sia la sua inclinazione naturale che il suo orgoglio, annunciò la sua più costruita e logica bugia.
-Senti, quel “Re Lear”… non è che me lo leggeresti e me lo spiegassi? Ho provato a chiederlo a mio fratello, ma lui non ha la voce bella come la tua e dice un sacco di cose strane che io non capisco! Tu mi sembri decisamente più bravo di lui!-
Arthur borbottò qualcosa per quello, vinto dall’imbarazzo per il complimento inaspettato.
-Probabilmente perché io riesco a recitare il testo e non a leggerlo e basta…-
Poi però si fece di nuovo duro, e Alfred riconobbe nei suoi occhi una stilla di quella sufficienza che aveva tanto odiato, in precedenza.
-Non credo che tu riesca a capire una tale opera. Questa è una delle più complicate di Shakespeare, dovresti scegliertene un’altra!-
Quindi si impuntò, ancora, come un bambino capriccioso: quello voleva e quello avrebbe avuto.
-Ma io voglio questa, non un’altra!-
Quasi esasperato, Arthur si risolse di usare l’ultima delle sue armi. Una scommessa, perché sapeva perfettamente che un animo orgoglioso come quello di Alfred non poteva rifiutare – nondimeno, era quasi totalmente certo che una mente tanto stupida come quella di Alfred non sarebbe stata in grado di vincere la sfida.
-Allora dimostrami che saresti in grado di comprenderla! Solo a quel punto io te la spiegherò, verso per verso!-
Alfred rimase zitto quei due secondi che gli occorsero per realizzare la proposta, e ne uscì parecchio scandalizzato.
-E come faccio a fare una cosa simile?-
Il ghigno di lui fu l’ultima cosa che vide, prima di girare i tacchi per l’ennesima volta e uscire da quel luogo nuovamente pieno di rabbia.
Maledetto, maledettissimo Arthur Kirkland.
-Sei un campione, Jones. Inventa e stupiscimi!-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 3. This is the excellent foppery of the world ***


king lear 3
**3. This is the excellent foppery of the world **







 

Alfred non trovò facile soluzione alla sfida lanciatagli da Kirkland. Anzi, per un buon numero di giorni si risolse semplicemente a leggere e rileggere l’opera in sé e le varie note che il traduttore si era così prodigato di mettere a fine testo, sperando di capirci qualcosa meglio di quanto non avesse fatto prima con una semplice occhiata.
Imparò quasi le battute a memoria, ma si risparmiò le opinioni di vari critici e commentatori, le cui parole presero a scorrere davanti ai suoi occhi senza mai rimanervi impresse davvero.
Aveva una predilezione per il Matto, anche se in realtà non aveva saputo dire da subito il perché – lo intuiva a pelle, così come aveva sempre aveva intuito molte cose solo a livello inconscio, lasciando che le emozioni prendessero il posto di ragionamenti freddi e logici.
Non capiva diversi passaggi, come per esempio da cosa mai derivasse la pazzia quasi improvvisa del Re e del suo parlare a vanvera con una tempesta, nonché la lealtà continua e mai spenta del nobile Kent. Anche per lui provava sotto pelle una fortissima simpatia, ma non riuscendo a darvi un nome preciso non riusciva neppure ad accettarla appieno.
Alfred, dopo quasi una settimana di lavoro inconcludente, decise di rivolgersi alla persona a lui più vicina che sapeva poterlo aiutare.
Suo fratello Matt, d’altronde, non aveva proprio la forza morale di dirgli di no ed era anche abbastanza felice che finalmente il fratello provasse qualche interesse al di fuori della sfera sessuale e di quella sportiva, tralasciando ovviamente l’innocuo particolare che tutto quello era fatto solo e unicamente per scommessa.
Doveva fare colpo su Arthur Kirkland, e Alfred venne a sapere che Arthur Kirkland era uno dei componenti più famosi del Club di Letteratura della scuola – Matt lo sapeva perché vi era dentro da due anni e quindi aveva molto a che fare con il ragazzo, lo conosceva abbastanza bene da sapere quanto potesse essere impietoso nei suoi giudizi, specie considerando quella branca di letteratura che era Letteratura Inglese: la sua preferita, in assoluto.
Arthur, in definitiva, era un pignolo perfezionista esattamente come Ludwig, e questa considerazione incoraggiò moltissimo Alfred, perché se era vero che con Ludwig riusciva a trattare, lo avrebbe fatto sicuramente anche con Arthur.
Matt evitò di pronunciare i propri dubbi in merito, anche perché sapeva che il proprio timore si sarebbe scontrato contro il muro di puro egocentrismo ed ottimismo del fratello, quindi prese a rileggere, atto dopo atto, l’opera.
Cercò di analizzare sia velocemente sia in maniera più che approfondita i vari personaggi – un solo pomeriggio di tempo era fin troppo ridicolo, come limite, e lui dovette per forza selezionare molti argomenti per rendere chiara la propria spiegazione.
Fece capire ad Alfred il concetto di fondo su cui si ergeva tutta quanta l’opera, anche se quando cercò di fare paragoni con altre tragedie sia Shakesperiane sia contemporanee all’autore inglese fu poco delicatamente fermato dalla noia dell’altro.
Però grazie a lui Alfred capì come mai il Matto gli piaceva tanto, cosa trovasse di così bello nella figura di Kent e cosa così ironicamente tragico, invece, in quella di Edmund.
In tutto questo, riuscì anche a chiedere consiglio su come avvicinarsi ad Arthur, e l’unica proposta che venne in mente a Matt fu quella di interagire con il suo campo, ossia la letteratura e tutto ciò che girava attorno ad essa.
In parole povere, gli fece presente che i provini per il corso di teatro e recitazione della scuola erano proprio due giorni a venire, e quella sarebbe stata davvero un’ottima occasione.
Sulle prime, Alfred rifiutò categoricamente. Nel gruppo c’era Braginski, figura di spicco tra tutti gli attori, che sicuramente gli avrebbe reso la vita impossibile – inoltre, lui inorridiva alla sola idea di doversi vestire come lui, con tanto di tutù e tutine aderenti di tutti i colori, durante le recite scolastiche: era inammissibile che proprio lui, Alfred F. Jones, dovesse subire una sorte simile!
Nei giorni successivi, però, pur pensandoci ogni secondo, non trovò davvero un’idea migliore di quella.
Pensò e quella fu l’unica idea vagamente decente tra le tante. Magari sarebbe stato bello far rappare un pezzo e inciderlo, in quello non se la cavava poi così male e conosceva un paio di amici che sapevano suonare discretamente. Ma poi aveva subito pensato che una cosa simile, con ogni probabilità, gli sarebbe costata all'incirca la vita, perché rovinare una certa musicalità poetica non era propriamente da farsi, per un amante della poesia classica come intuiva fosse Kirkland.
Così, abbastanza sconsolato, si iscrisse ai provini per entrare nel Club di Teatro, comprendendo già come quello potesse segnare definitivamente la sua sorte. Nessuno della sua squadra di football era venuto a sapere del disonore e fortunatamente il provino non coincideva con nessuno degli allenamenti della squadra.
Ne sarebbe davvero morto, in caso contrario.
Però Alfred si ritrovò anche a pensare che, proprio come faceva con il football, era anche suo dovere impegnarsi a fondo in quello: la vittoria, sennò, non avrebbe avuto il minimo senso.
Decise da solo il pezzo da portare, scelse non un lungo monologo ma una breve scenetta a due – insolita cosa, determinata dalla sua totale inesperienza in quel campo.
Non aveva mai recitato in vita sua, ma secondo le parole di suo fratello era una cosa davvero semplice. Doveva far finta di essere quel personaggio, di sentire i suoi sentimenti, di provare le sue emozioni.
Questo era, d’altronde, il significato ultimo della parola recita.
Matt si sorprese e non poco della scelta del fratello per uno specifico testo, ma ammirò il suo coraggio e la sua determinazione.
In quelle condizioni, un po’ tra la sorpresa di tutti i presenti, Alfred si presentò quindi di fronte ai propri giudici, quel bel pomeriggio inoltrato di Novembre, mercoledì 15.
Non era mai stato su un palco, prima di allora, e l’euforia si mescolava in un vortice alle vertigini per la novità e la sorpresa, rendendolo poco sobrio. Sorrise, forse troppo forte, perché non sembrava che le persone laggiù, quelle che dovevano giudicarlo dai sedili del pubblico, apprezzassero.
D’altronde, Braginski non apprezzava proprio nulla di lui, quindi non fu propriamente una novità.
Fu invitato calorosamente a procedere, a non perdere tempo lui e a non far perdere tempo agli altri.
Alfred si ritrovò nervoso, quasi all’improvviso, sentendo tutto il peso del palco gravare in un istante sul capo.
Immaginò il teatro pieno di gente, immaginò sé vestito come una delle fate tanto ridicole e orrende che aveva visto alla recita, immaginò la musica e tutti quegli occhi puntati sulla sua persona.
La sua megalomania, in definitiva, non lo aiutò per nulla in quel frangente ma anzi gli fu fatale.
Infatti, dopo qualche minuti di silenzio, con semplicità abbassò il capo e chiese scusa, sconfitto – scese dal palco senza dire una sola parola e si diresse veloce all’uscita.
Poche altre volte era stato umiliato così tanto, impiegò diverso tempo per digerire il colpo. Gli ci vollero tre allenamenti sudati di football per tornare più o meno come era prima, tanto che la mente riconsiderò l’opportunità di andare di nuovo in biblioteca e trovare un modo per costringere Kirkland con la forza ad eseguire il suo compito.
Sì, strategia perfetta. Benissimo.
Si presentò allegro come sempre.
-Kirkland!
-Jones…-
Arthur non aveva un libro in mano, era solo appoggiato contro la cornice della finestra e guardava fuori, con quella voglia di fare nulla che Alfred conosceva davvero bene. Ma non aveva l’aria stanca, quanto più soddisfatta.
Alfred si chiese perché prima che l’altro tornasse a parlargli.
-Sei qui perché hai trovato un modo per stupirmi?-
Senza il benché minimo imbarazzo in corpo, Alfred si avvicinò a lui di qualche passo e rise forte – era una sua abitudine, normalmente, e se era solo la prima volta che la sfoggiava di fronte all’altro era solo perché questo non gli aveva ancora dato l’opportunità di farlo in maniera consona.
Insomma, nonostante tutto cominciava a sentirsi a suo agio.
Il suo tono era pratico, come se stesse esponendo una verità assoluta. Un poco impositivo, forse, e questo fece irrigidire d’irritazione Kirkland all’istante.
-In realtà no, ma non credo sia importante! Credo invece che tu mi aiuterai ad imparare come si deve questo "Re Lear" così da farla vedere a quell’antipatico di Braginski!-
L’altro infatti sbottò di malavoglia, incrociando le braccia al petto.
Assurdo: gli sembrava di parlare con un bambino piccolo e particolarmente cocciuto.
-E perché mai dovrei farlo, scusa?-
-Perché io ci tengo!-
Arthur sbuffò, impaziente, e quasi cedette alla tentazione di urlargli contro che no, non poteva certo costringere le persone a fare quello che voleva di punto in bianco, senza dare la minima motivazione valida e specie senza considerare i sentimenti e le intenzioni della persona coinvolta.
Non era comportamento da tenersi nel mondo degli adulti.
Ma a questa opzione ne scelse un’altra, più subdola e cattiva, più maliziosa.
In realtà, aveva sentito più voci in giro, a scuola – e nonostante l’apparenza, Arthur era uno che badava parecchio a quanto dicesse la gente: non per nulla teneva in altissima considerazione la propria immagine.
Arthur aveva sentito qualcosa riguardo proprio il giorno precedente, constatando quanto certe notizie facessero molto rapidamente il giro di tutte le bocche disponibili, o solamente come qualcuno, per certi tipi di notizie, si prodigasse di far correre la voce in maniera fin troppo celere.
Così sorrise tranquillo, sicuro di star per infliggere una stoccata notevole.
-A proposito di Braginski… Ho sentito dire che ti sei proposto per il provino per il Club di Teatro…-
Alfred non si prese la briga neppure di negare l’evidente. Sarebbe stato inutile e quel briciolo di orgoglio che ancora conservava glielo impediva.
Una sconfitta rimaneva una sconfitta, sempre e comunque.
-Sì, è vero…-
Però, invece di infliggere un’altra stoccata, Arthur seppe sorprenderlo come mai si sarebbe aspettato da lui.
Anche il tono della sua voce si fece più morbido di prima, e Alfred capì che lo muoveva una sincera curiosità analitica e non il desiderio di trovare semplicemente un altro modo per umiliarlo.
-Voglio sentire il pezzo che avevi scelto, Jones…-
Per questo motivo, seppur un poco riluttante, accettò quasi subito.
-Se lo faccio, poi mi chiamerai Alfred o inizierai a darmi del lei come fanno i vecchi?-
-Tu recita, io poi decido!-
Alfred lo guardò male, si guardò attorno nella speranza di non trovarci davvero nessuno pronto ad ascoltare – nessuno nei corridoi, nessuno fermo a leggere qualche libro con possibili orecchie tese.
Quando ebbe appurato che non c’era anima viva, trattenne il fiato diversi secondi per calmarsi, e come non aveva fatto il giorno precedente, davanti a quella piccola commissione, recitò come meglio poté un piccolo brano nel lungo testo che aveva scelto.
Chiara la voce, chiusi gli occhi per l’impegno.

 
This is the excellent foppery of the world, that, when we are sick in fortune, often the surfeits of our own behaviour, we make guilty of our disasters the sun, the moon, and stars; ad if we were villains on necessity, fools by heavenly, nave, thieves, and treachers by spherical predominance, drunkards, liars, and adulteres by an enforc’d obedience of planetary influence; and all that we are evil in, by a divine thrusting on.(3)


Benché Arthur restasse abbastanza in silenzio, nulla dopo quella piccola performance riuscì a far temere il peggio ad Alfred. Forse era solamente facciata – anzi, di sicuro era così – ma già essere riuscito a ricordare tutto senza dimenticare nulla per lui era motivo d’orgoglio.
Alla fine, la domanda di Kirkland arrivò.
-Come mai hai scelto proprio quel brano?-
Alfred, per la prima volta da quando si erano conosciuti, fu felice di ricevere una domanda. Aveva finalmente l’occasione di fargli vedere che aveva compreso, almeno un poco, l’opera che aveva così tante volte letto e dirgli il perché di certe scelte e di certe preferenze.
Si era messo d’impegno e aveva imparato quel poco: tutto orgoglioso e felice gli rispose.
-Vedi, a me piace tanto il Matto, perché è sempre quello che dice la verità e a cui lasciano dire la verità. Lui è il mio preferito! Dopo il Matto subito Kent, perché è un perfetto cavaliere leale e fedele, nobile e fiero! Un eroe dei tempi antichi, insomma!-
Ma Arthur continuava a non capire, perché per lui c’era ancora qualche incoerenza tra le parole di Alfred e le sue reali azioni.
Glielo fece notare senza messi termini.
-Bene, allora perché hai scelto un brano che viene pronunciato da Edmund?-
-Perché Edmund è un cattivo, ma un cattivo fatto bene, con un perché. E le sue parole qui sono vere, rispecchiano il suo vero pensiero. In tutta quanta l’opera non è mai così sincero che in questo pezzo!-
Ancora silenzio, Arthur pensava e ripensava.
Non poteva certo ammettere di essere stupito da quello che era appena accaduto – meravigliato, quasi. Non riusciva a credere che, per quanto abbastanza alla lontana, Jones avesse compreso la caratterizzazione di fondo che stava dietro alcuni personaggi.
Il Matto era anche il suo personaggio preferito, subito dopo Lear.
Borbottò piano, forse nella speranza di non essere pienamente sentito dall’altro.
-Questa è davvero una bella motivazione, Alfred…-
Ma l’altro sentì eccome, e come un uragano di entusiasmo gli arrivò terribilmente vicino, quasi a toccarlo. Era gioioso, e si poteva sentire nel tono fin troppo squillante della sua voce.
-Quindi accetti di aiutarmi?-
L’altro cercò di indietreggiare, ma la finestra bloccò il suo movimento e lui non poté far altro che irrigidire le parole con un’inclinazione sulla difensiva.
Anche se, in realtà, non si trovava totalmente a disagio con Alfred tanto vicino.
-Beh, sicuramente mi hai stupito… e devo dire che la tua recitazione era piena dello stesso odio che Edmund ha sempre professato al Mondo intero…-
E quella volta fu il turno di Alfred a sorprendere Arthur, con una semplicità e un’immediatezza di pensiero che dava a pensare, parecchio.
-Quello è stato molto semplice. Ho pensato a quella volta che mio fratello Matt mi ha buttato una confezione di patatine che tenevo in serbo sotto il mio letto. Lui ha sempre detto che l’aveva fatto per il mio bene e che erano scadute, ma non ha mai compreso il valore affettivo e simbolico che ho provato per quelle patatine!-
Arthur immaginò la scena – immaginò perfettamente anche lo stato delle patatine in questione.
Si riservò un unico commento abbastanza disgustato.
-Sarei stato meglio se non avessi saputo questo dettaglio…-
Nel silenzio che seguì, mentre ancora Arthur aveva in mente quell’orribile immagine e la sua espressione era mutata di conseguenza, l'espressione di Alfred si faceva più seria e concentrata e il suo sorriso acquisiva connotati decisamente insoliti, data la persona.
Così, si aprì a una confessione.
-In realtà, ho provato ammirazione…-
Dapprima Kirkland non capì, ma indirizzò tutta la sua attenzione all’altro.
Alfred sorrise, senza la traccia di imbarazzo, perché non poteva esserci imbarazzo nel fare un'ammissione a una sola persona, quando non c’erano altro che i muri ad ascoltare e a vedere.
Arthur, per un secondo, si soffermò a guardare solo il sorriso. Poi Alfred parlò.
-Per te, Arthur… la prima volta che ci siamo incontrati è stato perché mi è piaciuta davvero tanto la tua voce, e sembrava che proprio tu stessi dicendo quelle parole e provando quei sentimenti. Ho visto altre recite, a scuola, ma mai ho provato un’emozione del genere!-
L’imbarazzo però colpì Arthur, ancora, nel farlo ritrovare inaspettatamente più grato per quanto l’altro aveva detto di quanto si aspettasse.
Borbottò basso e veloce.
-Questo continua a stupirmi… Non pensavo di poter fare un effetto simile a qualcuno…-
Ma il momento di titubanza non durò poi così tanto a lungo, perché se era vero che Arthur si era lasciato sorprendere da Alfred e dalla sua inaspettata e imprevedibile sensibilità, era anche vero che aveva una mente abbastanza allenata da poter adattarsi a qualsiasi tipo di situazione.
Ovviamente, seguendo le sue regole.
-Ti dirò subito una cosa. Non capisco il reale motivo per cui tu ti sei impuntato con questa storia del “Re Lear” e di volerlo imparare a ogni costo. Se devo aiutarti, nessuno lo dovrà venire a sapere. Ci incontreremo oltre le lezioni, di pomeriggio tardi, in questa sezione della biblioteca scolastica. Martedì. Siamo chiari?-
Alfred annuì con convinzione, e il tono sicuro della voce non fece altro che confermare quanto sentiva.
-Mi sta bene!-
-Perfetto. Allora per adesso non abbiamo altro da dirci!-
-Ci si vede martedì, quindi! A presto!-
Quando uscì dalla biblioteca, Alfred sentì dentro di sé una forza nuova, una possibile promessa per un futuro non poi così grigio.
Mai si sarebbe aspettato che lo studio di un’opera teatrale potesse destare in lui simili emozioni – però, a ben vedere, tutto questo non gli costava la minima rinuncia.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 4. Or rather a disease that’s in my flesh, which I must needs call mine ***


UsUk 4
**4. Or rather a disease that’s in my flesh, which I must needs call mine**

 









La biblioteca divenne inaspettatamente un luogo familiare e non più minaccioso.
Anche senza la cartina in mano, Alfred imparò il percorso da fare entro due settimane, e riuscì persino a riconoscere alcuni scaffali dopo tre.
Per esempio, se qualcuno gli avesse mai domandato cosa si trovava di fianco a Letteratura Moderna e Contemporanea, sapeva perfettamente che c’erano i Saggi Naturalistici, dove le pagine erano grandi e colorate e per lo più spiccavano foto di animali e piante – una volta, perché era arrivato in anticipo e non voleva iniziare subito la lezione supplementare, aveva aperto un manuale dedicato all’Africa Centrale, ed era rimasto affascinato dalla qualità delle immagini lì proposte.
Seppe anche presto dove poter trovare Ricettari, sia di dolci che di piatti salati. Oppure notò proprio ai lati del bancone della bibliotecaria piccoli volumi dedicati alle Biografie di personaggi illustri. Riconobbe alcuni cantanti, con felicità, e si ripromise di sfogliarli appena avesse trovato un paio di ore libere.
Come se tutto quello fosse qualcosa di assolutamente normale, per una persona come lui.
D’altra parte sia gli allenamenti di football sia il lavoro che stava compiendo con Arthur procedevano bene. Il giovane ragazzo si era ripromesso – e lo aveva specificato con suo grande orrore e terrore – che entro l’anno gli avrebbe insegnato il significato di ogni singola virgola del “Re Lear” e che lo avrebbe elevato a una conoscenza tale da poter fare invidia a chiunque.
Alfred si domandò senza però pronunciarlo ad alta voce chi mai poteva essere invidioso di una conoscenza simile, ma si unì al suo entusiasmo come sempre aveva fatto.
In compenso, aveva sperimentato molto presto la pignoleria esagerata di Arthur, che non aveva certo mentito quando gli aveva esplicitato il suo proposito. Contando la velocità con cui si muovevano, nell’ora settimanale facevano a malapena mezza scena, perché Arthur si soffermava molto spesso a considerare cose altamente inutili come contesto storico e contesto letterario. Oramai Alfred sapeva a memoria vita, morte e miracoli del signor William Shakespeare e sicuramente non era per lui un vanto.
La Storia Medievale Europea era un altro argomento su cui Arthur, evidentemente, era molto preparato, e non perdeva occasione di indottrinare il suo nuovo allievo e di condividere con lui quasi tutto il suo sapere. Alfred ebbe l’impressione che, dato l’entusiasmo dell’altro, lui fosse davvero il primo con cui Arthur si arrischiava di condividere certi argomenti – come se non avesse aspettato altro per tutta la sua grigia vita da secchione incallito.
Il ragazzo si stufava parecchio, e lo faceva vedere anche in maniera molto evidente ed esplicita nell’elargire in ogni situazione una dose considerevole di sbadigli e sbuffi, tanto che Arthur cominciò ad adottare con lui metodi violenti: più di una volta lo colpì duramente in testa, per richiamare la sua attenzione o semplicemente per sottolineare l’immane importanza delle cose che stava dicendo. Alfred lo guardava decisamente male ogni singola volta, lamentandosi e lagnandosi. Però era anche vero che mai, proprio mai, aveva preso in considerazione l’ipotesi di andarsene da lì, sopportando quasi con stoicismo tutto quello solamente per arrivare vittorioso alla meta che si era prefissato.
Alfred si animava soltanto in poche occasioni, ma era abbastanza puntuale nel farlo. In quei rari momenti in cui Arthur si apriva alla discussione, Alfred faceva notare il suo punto di vista – una diversa interpretazione, per esempio, dei caratteri dei personaggi, molto più innocente e molto più immediata. Ovviamente Arthur ribatteva dall’alto della sua conoscenza, adducendo ragioni che l’altro neppure capiva per un’ignoranza storica e letteraria di fondo.
Il problema principale di tali discussioni, però, era che nessuno dei due ammetteva un possibile sbaglio nella propria interpretazione. Forse sbagliando e forse avendo perfettamente ragione entrambi.
Sulle due sorelle malvagie Alfred ebbe molto da ridire, in effetti. Le trovava semplicemente odiose, non le poteva sopportare. Erano viscide come serpenti, diceva lui, e avevano la lingua biforcuta. Molto meglio Cordelia, che oltre che a essere coraggiosa era anche incredibilmente sincera.
Arthur rispondeva a quelle accuse che, per quanto fosse concorde con la seconda parte del giudizio, Alfred non doveva dimenticare come Lear fosse un tiranno e certi comportamenti, sia da parte dei sudditi che da parte dei figli – senza contare che i figli in questione erano tutte di sesso femminile – erano più che normali e considerati legittimi per l’età in cui l’opera era stata ambientata.
Alfred non voleva sentire ragioni, Arthur neppure.
Era in definitiva uno scontro tra due cocciuti testardi, che rendeva entrambi assai collerici e poco inclini al dialogo pacifico.
In tutto questo, Alfred si accorse pian piano di una cosa, che se non fosse stato per l’effettiva calma che regnava durante i loro incontri, la lontananza da ogni possibile interferenza del mondo esterno, la bolla di meraviglia nella quale entrambi si erano rinchiusi consci o inconsci che fosse, non avrebbe proprio mai notato: rimaneva in compagnia di Arthur senza sentirne il peso effettivo, e nonostante la propria difficoltà nell’apprendere certi argomenti e certi passaggi ogni martedì pomeriggio lui si dirigeva in biblioteca con entusiasmo, certo di fare almeno due scene tutte in una volta. La continua smentita delle sue più rosee aspettative non lo abbatteva proprio mai, ma questo era naturale.
Si accorse di quanto fosse pesante studiare una cosa dall’apparenza così semplice ma anche di quanto fosse appagante, pian piano, intuire il meccanismo di fondo che muoveva ogni cosa. Senza accorgersene, i dialoghi tra lui e Arthur divennero più uno scambio di opinioni che un botta e risposta, una domanda e la sua possibile risoluzione. Seppur limitatamente a quello, intuiva con sempre maggior precisione il vero messaggio di ogni parola.
Mai avrebbe creduto di riuscire ad ammirare così considerevolmente un tale autore.
Ma c’era in realtà anche un’ulteriore cosa di cui si stava accorgendo, man mano che prendeva parte a quegli incontri.
C’era volte in cui Arthur leggeva i pezzi che poi avrebbero analizzato assieme, e lo faceva con quel tono didattico tipicamente da insegnante, che livellava tutto e lo rendeva quasi privo di emozioni – ed era il tono che agli occhi di Alfred aveva tolto ogni attrattiva alla letteratura, denudandola e insipidendola.  Altre volte, invece, Arthur si metteva tutto in posa, si prendeva qualche secondo di raccoglimento per poi cominciare a parlare. Quelle erano le volte in cui Arthur recitava Shakespeare davanti ad Alfred.
Molto spesso Alfred si chiese come mai Arthur non facesse parte del Club di Teatro della scuola, come mai non l’avesse visto su un palco a una qualsiasi delle recite scolastiche, come mai si permetteva di farlo davanti ai suoi occhi e non di farlo davanti a una platea, quasi sicuro che qualcuno, nel mezzo, avrebbe saputo apprezzarlo mille volte meglio di quanto non facesse lui, così nascosto e specie così ignorante in quello specifico campo. Non aveva mai, però, domandato tali cose al diretto interessato, credendo di osare troppo con un’invasione simile.
Ci fu una volta, una specifica volta, che di tutto questo se ne rese ben conto anche Arthur.
Erano andati avanti con il lavoro e per certi versi Kirkland aveva anche un poco velocizzato i tempi – il pensiero di passare un intero anno in compagnia di quel perfetto stupido non lo aveva certamente troppo allettato – così si erano trovati ad analizzare già il secondo atto poco prima delle vacanze natalizie.
Aveva preso in mano il suo amato libro, si era schiarito la voce e aveva così parlato, esattamente come Lear di fronte alla sua scellerata figlia Goneril.

 

I prithee, daughter, do not make me mad:
I will not trouble thee, my child, farewell.
We’ll no more meet, no more see one another;
But yet thou art my flesh, my blood, my daughter;
Or rather a disease that’s in my flesh,
Which I must needs call mine[…]

 

Era addolorato, carico di emozione, e guardava il vuoto come se gli avesse inferto un dolore mortale, sia nell’orgoglio che lungo il fianco esposto.
Alfred si concesse il lusso di ammirarlo per qualche istante prima di proferir parola.
-Tu non scrivi?-
La serietà di Alfred non solo sorprese molto Arthur, ma lo rese davvero vulnerabile, senza contare il fatto che recitare lo metteva già di suo in una posizione delicata, dal suo punto di vista: era rivelare una parte di sé di cui non avrebbe mai facilmente fatto mostra.
Così, forse risultò più scorbutico del voluto.
-Cosa intendi per scrivere, Alfred?-
-Intendo comporre cose come questa! Scrivere romanzi, opere teatrali! Cose simili!-
-No, non sono né un drammaturgo né uno scrittore, e non ho mai neanche pensato a mettere per iscritto qualche mio pensiero o qualche racconto…-
Ci fu una piccola pausa, dove Alfred si accigliò.
No, per lui era così semplice e naturale che era davvero impossibile il contrario. Arthur era troppo bravo per non averci pensato da solo, ciò non aveva il minimo senso.
-Per me ne saresti capacissimo!-
Arthur si spazientì, con un gesto seccò chiuse il libro e lo sbatté sul piccolo tavolo che li divideva – non volendo stare seduti a terra, avevano approfittato della presenza di un tavolino basso con tanto di sedie nella piccola area, così si ritrovavano sempre lì.
Il giovane era davvero irritato e mascherava quel suo imbarazzo in una collera saccente.
-Alfred, la differenza tra un buon lettore e un buon scrittore è immensa, così come un buon attore e un buon drammaturgo! Non c’è paragone tra i due ruoli, appartengono a due sfere totalmente diverse!-
Alfred borbottò, comportandosi come un bambino molesto.
-Dici questo perché non ci hai mai provato…-
-Questo chi te lo dice, scusa?-
-L’hai appena detto tu!-
Arthur, dopo quello, prese un profondo respiro.
Era vero, era tutto vero. Non aveva mai scritto in vita sua e non solo per mancanza effettiva di tempo, ma anche di voglia e di reale interesse nella pratica.
Lui, nel Teatro, non era attratto da quella componente particolare che stava sul palco e di fronte al pubblico né da quella componente che invece vi stava sotto, a suggerire battute e pezzi di copione.
La lettura era interessante, l’immaginazione creativa che si faceva in salotto e in solitario. Queste cose molto da vecchio erano ciò che ad Arthur interessava, quindi non si era mai posto un problema simile
Sospirò ancora, guardando distrattamente l’orologio.
-Senti, dovremmo proprio finire qui per oggi… La settimana prossima non posso venire, ho un impegno. Direi che ci si può vedere dopo le vacanze, direttamente…-
Alfred lo interruppe con una voce assai lamentosa.
-Arthur…-
E ancora una volta Arthur si arrabbiò con lui.
-Cosa vuoi, Alfred?-
Doveva esserci nella sua figura implorante qualcosa che suggeriva la catastrofe. Come gli occhi da cucciolo bastonato, l’espressione quasi dolorante, le mani dalle dita intrecciate.
Eppure Arthur non volle intuire o proprio non riuscì a farlo l'eccezionalità del pericolo che incombeva sulla sua testa – pericolo che ebbe una forma e una vita propria quando Alfred parlò ancora.
-Perché non scrivi qualcosa per me?-
Arthur esplose, divenendo assai paonazzo.
-Ma sei pazzo? Perché dovrei scrivere qualcosa e specie perché dovrei farlo per uno come te?-
-Anche Shakespeare aveva il suo pubblico, e io scommetto che nessuno ti ha mai sentito recitare come ti ho sentito io!-
-Continuo a non capire cosa questo c’entri con tutta la faccenda!-
-Mi piacerebbe molto leggere qualcosa scritto da te! Così magari dopo lo potrò recitare io!-
Rosso – rossissimo in volto – Arthur prese a sbracciarsi e a gesticolare, cercando di farlo desistere in ogni possibile modo.
Era assolutamente fuori discussione.
-Non se ne parla neanche! Tu sei tutto matto, tutto matto! E poi, se proprio devo essere sincero, tu reciti da schifo! Ci credo che Braginski non ti ha voluto nel suo Club!-
Quando si rese conto che il suo frenetico agitarsi non sortiva l’effetto desiderato e che anzi Alfred lo guardava in modo serio e concentrato, riprese una posa più composta, come se nulla fosse realmente successo, e con la faccia tosta più grande del mondo lo guardò torvo, pretendendo pure di avere totalmente ragione.
-Cosa c’è adesso? Perché mi guardi così?-
-Pensavo…-
-E hai bisogno di tutto questo tempo per farlo? Accidenti, devi proprio avere i neuroni contati, all’interno di quella tua zucca vuota!-
-Pensavo a cosa volesse significare il fatto che tu reciti solo per me…-
Arthur temporeggiò ma non si fece scoraggiare così alla leggera.
-Questa è una circostanza davvero insolita. Tutto questo è insolito. Normalmente non sono così. Normalmente io sono normale, non do ripetizioni a tutti i decerebrati di questa terra!-
-Pensavo che fosse bello…-
Arthur non disse nulla per parecchi minuti, a quel punto – non trovava proprio nulla da dire, perché la calma dell’altro lo spiazzava, così come la semplicità del suo tono e la tranquillità insita in tutta la sua persona.
Vide gli occhi dell’altro posarsi per qualche istante sulle sue labbra, e le strinse in maniera inconscia. Per tutta la lezione lo aveva visto fare quel gesto diverse volte, ma aveva fatto finta di nulla perché non se ne spiegava la ragione.
C’era qualcosa che Alfred non gli aveva detto. Lo comprese ancora meglio quando Jones tornò a guardarlo negli occhi, oltre le lenti degli occhiali.
Perse d’improvviso anche lui ogni agitazione, cullato da una pace contagiosa a cui non sentiva la necessità neppure di appiccicare un nome.
La mano di Alfred prese la sua, lentamente, e mosso solo dall’istinto Jones a lui si avvicinò.
Teneva ancora gli occhi aperti quando percepì chiaramente le labbra di lui – fresche e inaspettatamente morbide – contro la bocca.
Non contò il fatto che per lui fosse il primo bacio, né che fosse proprio un uomo ad averlo ricevuto. In realtà, Alfred fu la prima persona in grado di rubare alla sua mente ogni pensiero, e lo fece con una semplicità e una immediatezza da togliere il fiato.
La confusione e la pesantezza della realtà lo colpirono però subito dopo, quando Alfred decise di tornare al suo posto. Lui aveva un’espressione sorpresa, come se non si capacitasse di quanto era accaduto.
Aveva una faccia talmente idiota che per poco Arthur non lo picchiò.
Si alzò di colpo dalla sua sedia, senza che Alfred riuscisse in qualche modo a fermarlo.
Quasi corse via, balbettando a malapena le prime parole che gli vennero in mente.
Era completamente rosso in viso.
-C-ci vediamo dopo Natale, Jones! Ricordatelo!-

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** 5. But then the mind much sufferance doth o’erskip when grief hath mates, and bearing fellowship ***


Usuk 5
**5. But then the mind much sufferance doth o’erskip when grief hath mates, and bearing fellowship **







 

Alfred non era molto solito pensare, questo era vero.
Preferiva molto di più l’azione alla stasi – la riflessione ponderata che l’animo svolge nella solitudine dei propri pensieri più profondi – e ampiamente l’aveva già dimostrato molte volte.
Tuttavia, per i fatti che erano accaduti e di cui era stato protagonista, Alfred non vide altra soluzione che fermarsi un poco e riflettere. O meglio, fu la sua mente a decidere per lui, perché l’istinto vitale di non fermarsi mai era più che forte, considerando il soggetto.
Si rivide davanti il volto di Arthur, vicino o appena lontano, rosso per qualcosa che ancora non aveva ben definito. Sulle prime aveva pensato che fosse semplicemente imbarazzo, anche se non molto dopo ne aveva compreso la ragione. Il pensiero l’aveva portato oltre, a considerare anche le parole che aveva detto e i gesti che aveva fatto successivamente al bacio.
Alla fin fine, non era poi così sicuro che Arthur si fosse tanto imbarazzato, anche se non voleva in alcun modo scommettere che ciò che lo aveva animato era semplice rabbia.
Così, Alfred si ritrovò confuso.
Ciò che più di tutto lo confondeva era la propria reazione di fronte all’altro. Baciarlo gli era venuto assolutamente naturale, non aveva pensato in quel momento. Forse, a ben vedere, era una cosa che voleva fare da così tanto tempo che non erano stati necessari pensieri o altre cose. Questo però era impossibile, perché Alfred sapeva bene di preferire le donne agli uomini, senza la minima possibilità di dubbio a riguardo.
Peccato solo che Arthur non fosse tutti gli uomini ma solo Arthur.
L’occasione per pensare gli venne durante una delle partite di campionato, appena dopo le vacanze natalizie. Lui era seduto in panchina, perché si era fatto male durante l’ultimo allenamento e ora zoppicava terribilmente - era riuscito a inciampare nei propri piedi e a rotolare per qualche metro, rialzandosi poi con la gamba quasi completamente storta; l’allenatore aveva deciso di dargli due partite di riposo, e sebbene lui avesse provato a lamentarsi con tutte le sue forze, l’evidente incapacità di fare più di tre passi di fila lo aveva vinto e sconfitto.
Oltre al nervoso per Arthur, ora aveva addosso anche il nervoso per non riuscire neppure a giocare a football.
Muoveva le gambe in movimenti isterici e aveva ancorate le mani attorno alle ginocchia. Seguiva con lo sguardo il pallone, avanti e indietro, e si prodigava ad urlare ai suoi compagni sia per incitarli sia per maledirli. Come panchina, aveva la sua esperienza rinomata.
Ci fu un passaggio lungo, ben piazzato. Ludwig alla fine risultava sempre il migliore, anche nell’accusare i colpi avversari. Però il ricevitore fu abbattuto dopo poco, e sembrò sulle prime faticare ad alzarsi. Questa volta gli avversari erano decisamente più violenti, Alfred li aveva visti puntare direttamente alle ginocchia, dove la forza si faceva più meccanica e la minima alterazione portava allo sfacelo. Già un suo compagno era stato sostituito e non erano neanche finiti i primi due turni.
Alfred si stava assai spazientendo. Il punteggio non era neanche favorevole, la sua impotenza aggravava di molto la situazione, perché si sa come in certe occasioni l’agire stenda più i nervi che qualsiasi ragionamento logico e perfettamente razionale.
Senza contare il fatto che Alfred non era capace neanche di prendere in considerazione il secondo termine di paragone.
Quando toccò loro difendersi, però, i compagni di Alfred fecero vedere tutta la loro grinta. Pochi metri furono conquistati dai loro avversari, e nessun punto segnato – un pallone calciato fu preso al volo prontamente da un ragazzo in balzo, che fermò l’azione sul nascere e impedì altri punti di svantaggio.
Alfred cominciava a divertirsi dal momento che i suoi compagni avevano ripreso carattere.
Li incitava continuamente, urlando più forte dell’allenatore.
Quando la palla fu ripresa dalla sua squadra, aveva cominciato a saltellare e a unirsi ai cori delle ragazze pon- pon: sembravano particolarmente efficaci, anche se più di una persona rise nel vederlo saltellare a quella maniera tanto ridicola.
Ludwig lanciò, la palla volò parecchio in alto, il secondo ricevitore della squadra la prese al volo, si voltò e cominciò a correre. Riuscì a fare meta per un soffio, perché quasi all’ultimo metro un toro in corsa lo prese per le caviglie e lo trascinò lontano. Prima di uscire dalle linee del campo, il ragazzo poggiò la palla oltre il confine e segnò sei punti. Ma fu un passaggio ben riuscito a far segnare agli avversari un’altra meta e quindi recuperare quanto perso.
Il primo tempo terminò con sette punti a ribasso per la squadra di Alfred e la prospettiva di un secondo assai molto combattuto.
Non ci furono sconti. Ludwig calciò molte volte guadagnando quei pochi punti alla volta che riuscirono dare più stabilità alla squadra e al suo morale – lui era assai bravo in questo, aveva imparato che per i disperati basta anche poco per essere felici e continuare ad avere fede.
Per il morale, però, fu l’azione straordinaria di un ricevitore a fare il resto. Dopo un touch down, volle provare a guadagnare due punti, ovvero realizzare quell’azione suicida che l’avrebbe portato a sfondare il muro difensivo da qualche metro di distanza dalla meta.
Ci riuscì, urlando e sgomitando ci riuscì, e questo cambiò molte cose – praticamente l’esito della partita.

Fischiettando una vittoria sudatissima, Alfred si era allontanato dagli spogliatoi solo dopo aver offerto e promesso una lussuosa cena di vittoria ai suoi compagni al suo fast food preferito, l’indomani stesso.
In un vicoletto quasi isolato, un piccolo corridoio vicino agli spalti del piccolo stadio che dagli spogliatoi allacciava il campo e la scuola che si trovava poco distante, si bloccò nello scorgere le ombre di due figure piegate l'una sull'altra, evidentemente in atteggiamenti piuttosto intimi. C’era una persona con la schiena appoggiata al muro, l’altra che si muoveva su di questa con chiarissimi ed espliciti intenti. Ne sentiva anche l’eco delle voci, da lontano; poteva quasi scommettere come la ragazza fosse stata convinta dopo tanto insistere e che in quel momento il ragazzo si stava prendendo una rivincita pretendendo anche qualcosa di più del pattuito, perché le parole sembravano tanto sfiorare quel tipo di argomentazioni.
Alfred sorrise, immaginando il divertimento di sorprenderli in certi atteggiamenti.
La sua sorpresa più grande, però, fu di ritrovare suo fratello Matt tra le braccia di quel maledetto tedesco di Gilbert Beilschmidt. Il ragazzo, appena vide il gemello nel corridoio, allontanò bruscamente il fidanzato e rosso in viso aveva quasi strillato al suo indirizzo.
-A-Alfred!-
Jones non disse nulla, all’inizio, metabolizzando piuttosto lentamente la notizia appena acquisita.
Poi però sorrise, avvicinandosi ancora un poco ai due.
-Fratello…-
Anche Gilbert sorrideva – meglio, sogghignava – e senza mostrare il minimo risentimento per essere stato così brutalmente allontanato da Matt, si rivolse direttamente al fratello di questi come se nulla di tanto grave fosse successo. D’altra parte, era davvero così.
-Oh, ehilà Jones! Gran bella partita! Siete stati davvero bravi!-
Alfred rispose con entusiasmo, non badando affatto allo sguardo tra l’imbarazzatissimo e il disperato che suo fratello stava lanciando sia a Gilbert che a lui.
-Tutto merito del ricevitore!-
Ci fu silenzio, dopo la sua risata – Matt ancora non lo guardava in faccia, e Gilbert guardava Matt piuttosto che lui, cercando di captarne lo sguardo. Era una cosa piuttosto insolita che la gente preferisse suo fratello a lui, e infatti volle di nuovo attirare l’attenzione.
-Beh, mi stavate aspettando?-
Così finalmente il tedesco lo guardò, sogghignando divertito. Lui era sempre pronto a prenderlo in giro, lo trovava un ottimo bersaglio per i suoi stupidi scherzi; sempliciotto e credulone, nonché abbastanza vanesio da essere orgoglioso: l’ideale, insomma.
-In realtà io stavo aspettando Ludwig, non sapevo che anche Matt fosse qui!-
Il ragazzo in questione borbottò quasi scontroso, come se dovesse ribadire l’ovvio controvoglia.
-Io non mi perdo mai le partite di mio fratello…-
-Questo è vero, non ci aveva pensato! Sai, Jones, tuo fratello viene a vederti proprio sempre!-
Un’altra risata di Alfred, più forte di prima.
-Perché sono il giocatore più bravo della squadra!-
Rise anche Gilbert, perché gli sembrava scortese non farlo e anche perché doveva far vedere di saper ridere più forte dell’altro, specie di fronte a Matt. Aveva sempre la tendenza a comportarsi in maniera ancora più stupida quando c’era lui nei paraggi, non che normalmente non lo facesse di suo.
-In effetti non sei per niente male, Jones!-
Matt cercò di riprendere la parola, avvicinandosi al fratello e prendendolo per il braccio cominciando quindi a strattonarlo.
-Io direi che ora possiamo anche tornare a casa, Alfred…-
Prima che si allontanassero, però, Gilbert urlò un’ultima volta, con la mano alzata in alto a saluto.
-A domani, Matt! Ci vediamo presto, Jones!-
I due fratelli camminarono lesti – Matt aveva una presa ferrea quando voleva e Alfred era troppo curioso per impedirgli di trascinarlo via.
Così, il prima possibile, il maggiore chiese all’altro, non trattenendo neppure tutta la curiosità che aveva in corpo.
-Matt…-
-No.-
-No cosa, Matt?-
-No a quello che stai pensando tu!-
-Non sto pensando a niente, Matt!-
-E allora cosa volevi chiedermi?-
-Esci assieme a Gilbert Beilschmidt?-
Per la prima volta in vita sua, Alfred vide un lampo d’odio illuminare gli occhi normalmente gentili di suo fratello minore.
-Fratello, sei proprio uno stupido!-


In realtà, Alfred fu molto colpito dalla faccenda, non tanto per quanto riguardava l’effettiva sessualità del fratello, quanto che questa sessualità fosse ai suoi occhi assolutamente normale e priva di ogni malizia mistificatrice. Certo, poteva scegliersi compagni migliori con cui intrattenersi, ma questi sicuramente erano altri problemi. Ora lui, Alfred, doveva pensare a sé e alla questione che lo legava ad Arthur Kirkland.
Non lo fece, non prima quantomeno di vederlo per l’incontro che avevano pattuito.
Arthur era già lì ad aspettarlo, vicino alla finestra chiusa, seduto praticamente sul pavimento. Quando lo vide arrivare, si alzò velocemente e gli venne incontro.
Sembrava abbastanza imbarazzato, a ben vedere, ma allo stesso tempo desideroso di mantenere quella facciata di serietà che sempre l’aveva contraddistinto. Insomma, era impacciato nel riceverlo – eppure era lì, a farlo, nonostante quanto era successo.
-Bene, sono contento che tu non ti sia dimenticato dell’appuntamento. Sarebbe stato alquanto irritante doverti aspettare inutilmente…-
Alfred non stette neanche a sentire, gli andò incontro tutto felice come un cagnolino in festa.
-Arthur!-
Kirkland decisamente non gradì il suo entusiasmo e, com’era solito fare, lo guardò male e lo ammonì con durezza.
-Cosa? Cosa vuoi, Alfred? Non urlare, dannazione! Ci sento benissimo!-
La calma relativa che ne conseguì non aiutò davvero Arthur a calmarsi – anche se Alfred continuava ad avere un tono di voce squillante, forse senza rendersene conto, e il sorriso sulle sue labbra non accennava a sbiadire.
Era a tutti gli effetti una presenza ingombrante, anche solo nell’atto di parlare.
-Ho pensato molto durante queste vacanze, e sono giunto a una conclusione: quello che abbiamo fatto l’ultima volta che ci siamo visti mi è piaciuto!-
-Q-quello che abbiamo fatto, Alfred?-
-Sì, il bacio!-
-Oh, beh, non è che sia stato poi così male, in effetti…-
Alfred sembrò illuminarsi ancora di più a quella rivelazione, ormai era talmente vicino che Arthur poteva quasi calcolare i gradi che avevano preso le sue labbra in quel dannato sorriso abbagliante che non ne voleva proprio sapere di scendere dal suo viso.
-Quindi è piaciuto anche a te?-
-In un certo modo sì…-
Arthur guardava in basso, perché lo metteva decisamente a disagio quel discorso. Anche lui aveva pensato, e molto, durante le vacanze di natale. Se si trovava in quel momento lì era perché aveva sperato di poter accantonare la faccenda, di passare oltre e non farci proprio caso. D’altronde, lui era molto professionale in certe cose, e se aveva promesso ad Alfred che gli avrebbe insegnato il “Re Lear” l’avrebbe fatto a qualsiasi costo.
Ma ammettere di aver provato qualcosa per quel bacio era troppo per lui. Se non l’aveva rifiutato subito era perché era stato preso alla sprovvista, questo sì, ma se non aveva reagito male come normalmente faceva significava che proprio schifo non gli aveva fatto. Ma la questione per lui finiva lì e doveva finire lì – cosa mai passava per la testa di quel maledetto bamboccio, maledizione?
Alfred si mosse, andando a prendere tra le proprie braccia la sua vita, in basso.
Al contatto quasi improvviso, Arthur si alterò subito, irrigidendo tutto il corpo.
-Cosa stai facendo, Alfred? Shakespeare ci aspetta! Siamo qui per studiare, ricordalo!-
L’altro si lagnò parecchio, senza però scollargli gli occhi di dosso. Al tatto, Arthur era anche più morbido di quello che aveva immaginato – sì, aveva immaginato, tra un pensiero e l’altro, anche di abbracciarlo, e il pensiero se dapprima lo aveva più che stupito pian piano gli era diventato talmente familiare da volerlo mettere in pratica.
-Non riuscirei a studiare niente se non lo facessi adesso!-
-Ho paura di sapere cosa vuoi fare…-
Alfred sbuffò, gonfiando le guance come un bambino piccolo. Certo che Arthur era davvero ottuso, alle volte. E per fortuna era un genio a scuola!
-Voglio baciarti, Arthur!-
Kirkland lo guardò con tanto d’occhio, probabilmente pensando che fosse impazzito.
-Di nuovo? Non ti basta quello che abbiamo già fatto?-
-No! No che non mi basta! A me è piaciuto e lo voglio ancora!-
-Potresti anche chiedere prima di importi sugli altri, non ti pare? Sei proprio un moccioso, alle volte!-
-A te non va?-
-Potrebbe non andare, in realtà!-
-La mia domanda però era diversa. A te non va?-
La cosa incredibile di Alfred era che riusciva a fare le domande giuste nei momenti meno opportuni. Anche mettere alle strette Arthur sembrava riuscirgli facile, perché scegliere di essere tanto meschini da mentire oppure rinunciare al proprio orgoglio non era una prova così semplice, dal punto di vista dell’altro.
Arthur si ritrovava a dover fare i conti con la propria intima coscienza, e aveva abbastanza coraggio da essere sincero almeno un poco – quel poco che non gli costava tutta la propria dignità.
-A- a me va, Alfred…-
Vide Alfred sorridere, di un sorriso rassicurante e pacifico, quasi stesse cercando di convincerlo a seguirlo. Lo stava in qualche modo seducendo molto sottilmente.
-Allora non ti lamenterai come fai di solito se ti bacio ancora una volta?-
Arthur balbettò, guardandolo in viso tutto rosso.
-N-no, non lo farò…-
Alfred lo strinse tra le braccia, appoggiando le mani sulla sua schiena e attirandolo verso di sé, per non farlo davvero più scappare.
Prima di tornare a guardarlo negli occhi, Arthur impiegò alcuni secondi, nei quali percorse l’intero perimetro della sezione almeno un paio di volte. Fu tanto imbarazzante vedere i suoi occhi e accorgersi di trovarli belli. Abbassò ancora lo sguardo quando Alfred si avvicinò alla sua bocca, volgendo un poco il mento. Così l’altro ragazzo gli baciò dapprima la guancia, in un gesto semplice e dolcissimo. Arthur alzò le proprie mani alle sue spalle, toccandolo per la prima volta. Dava la sensazione di forza: lo sport l’aveva aiutato a prendere una condizione fisica che infondeva sicurezza e vigore sia alla vista che al contatto. Furono proprio quelle sensazioni che recepì Arthur contro i polpastrelli, mentre timidamente toccava le sue spalle e poi le sue braccia, in una stretta goffa e sempre impacciata. Le labbra di Alfred si erano spostate lungo la linea della mascella e fresche si muovevano verso la bocca. Anche Alfred covava paura dentro di sé – di essere rifiutato e respinto all’improvviso – e tutte quelle premure non erano altro che rassicurazioni per sé stesso e l’altro che non c’era nulla da temere, che in realtà non stava succedendo proprio nulla di strano e che nonostante tutto sarebbero arrivati entrambi alla stessa meta, assieme. Il corpo di Arthur si era fatto molto più caldo da quando Alfred l’aveva preso prima, e il suo viso era rossissimo, ovunque. La rigidità dei suoi muscoli non cessò neanche quando il ragazzo si decise a ricambiare le attenzioni di Alfred, muovendo il viso. Si incontrarono quasi per sbaglio in mezzo, le labbra di Alfred si dovettero muovere ancora un poco per arrivare esattamente al centro di quelle dell’altro.
Dal momento che non avevano fretta, Alfred poté sentire con precisione il sapore di Arthur. L’aveva immaginato tante volte, ricercato nella propria memoria sensoriale senza però trovarlo. Ora che lo sentiva, fu preso da una strana euforia che lo portò ad irrigidire la stretta e a schiacciarsi contro il volto del ragazzo. Arthur si lamentò della cosa, contro la sua bocca, ma per un secondo appena – nel secondo successivo faceva esattamente la stessa cosa, mosso da quell’entusiasmo contagioso. Alfred guardava Arthur negli occhi, senza davvero riuscire a guardare altro in quel momento: gli piaceva lui, gli piaceva il suo sapore, gli piaceva quel poco di corpo che toccava, gli piaceva la schiena che stringeva.
Scivolarono in basso, verso il pavimento sotto i loro piedi. Le gambe di Arthur avrebbero sicuramente ceduto se non l’avessero fatto e lui non voleva proprio rovinare a terra e farsi male. Seduti per terra erano più sicuri.
Quando si separarono, Arthur chiuse gli occhi per un secondo, Alfred ebbe l’impressione che volesse sincerarsi che tutto quello non era solo frutto di una sua fantasia. Infatti quando li riaprì fu sorpreso, meravigliato – rassicurato, molto in fondo.
Gli venne voglia di baciarlo ancora una volta, proprio sulla bocca. Dopo la prima, gliene vennero altre.
-Si era detto un bacio, Alfred…-
-Scusami…-
-Non stai facendo nulla per farti perdonare…-
-Scusami…-
Quella volta, Alfred fu davvero molto riluttante a lasciare la biblioteca.


When we our betters see bearing our woes,
We scarcely think our miseries our foes.
Who alone suffers, suffers most I’th’mind,
Leaving free things and happy shows behind;
But then the mind much sufferance doth o’erskip
When grief hath mates, and bearing fellowship.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 6. Wisdom and goodness to the vile seem vile ***


usuk 6
**6. Wisdom and goodness to the vile seem vile**

 








Wisdom and goodness to the vile seem vile;
Filths savour but themselves. What have you done?
Tigers, not daughters, what have you perform’d?
A father, and a gracious aged man,
Whose reverce even the head-lugg’d bear would lick,
Most barbarous, most degenerate! Have you madded.

 

Arthur pensava che non fosse tanto normale passare l’ora di recupero a baciarsi sul pavimento di una biblioteca. Se fosse stato solo un poco più sincero con sé stesso, l’avrebbe trovato strano o quantomeno poco consono in qualsiasi contesto tranne che in una camera da letto, ma per il suo orgoglio era necessario e quasi vitale mettere dei paletti oltre i quali non era possibile andare.
Tecnicamente, la biblioteca era solo ed esclusivamente un luogo di studio – non a caso c’erano così tanti libri e vigeva la regola del silenzio. Era quasi come uno di quei luoghi di culto degli antichi, dove il sapere circolava ma non veniva necessariamente detto a voce alta, dove ogni cosa veniva radicata nella profondità dell’animo attraverso l’immortalità della parola scritta.
Se lui sapeva chi diamine fosse Anassagora lo doveva esclusivamente a luoghi come quello, entro i quali le sue carenze dovute ad un’istruzione selettiva e piuttosto limitata potevano venir assorbite, modificate, eliminate ed estirpate.
Lui era fiero di frequentare un posto simile, lo faceva sentire vivo sia fisicamente che spiritualmente – era proprio una di quelle persone che vivevano la loro esistenza sui libri e si nutrivano prevalentemente di studio piuttosto che di aria aperta.
Alfred però aveva dissacrato la funzione elevatissima della biblioteca introducendo una variante viva e palpabile che, ovviamente descritta ampiamente in vicende amorose di ogni tipo, poco aveva a che fare con la concreta realtà di quell’edificio.
Aveva preso gusto a baciarlo, aveva detto. In effetti non si era fermato dalla prima volta, continuando ad appiccicarsi a lui e a sfiorarlo, toccarlo, abbracciarlo. Non era molto dolce a ben vedere, era piuttosto grossolano nei movimenti e non usava molta dolcezza. Ma benché si lamentasse Arthur provava più che una sorta di curiosità per quel nuovo tipo di esperienza. Forse avrebbe desiderato prima sperimentare la parte puramente emotiva – essendo lui nutrito di storie d’amore struggenti ma che poco avevano a che fare con la carnalità, se doveva immaginarsi in un tale ambito lo faceva con tutti i crismi e specie con un lunghissimo fidanzamento prima di ogni contatto fisico – ma non provava repulsione per quello che Alfred faceva. Anzi.
L’Inverno e la Primavera abbastanza vicina non aiutavano molto nel processo di scoprire l’uno il corpo dell’altro, ma Jones non si era fermato neanche di fronte a quell’ostacolo. Lo esplorava al di sopra dei vestiti, anche se di tanto in tanto si lamentava di non fare di più; probabilmente aspettava la bella stagione per un passo ulteriore o ancora non era così audace da mettergli le mani sotto la camicia e toccarlo così, sentendo ogni cosa di lui. Arthur ne fu felice, perché sarebbe stato davvero troppo per lui e il suo povero autocontrollo.
Però Alfred aveva capito che toccarlo sia sul polso, lungo la zona sensibile del braccio e baciarlo alla base del collo gli piaceva particolarmente e lo faceva sospirare di più. Passava dei minuti interi ad accarezzarlo lì, guardandolo in faccia per vedere dove il suo sguardo andasse e l’intensità del rossore che ogni volta si dipingeva sugli zigomi. Sembrava piacergli molto, e non solo per le reazioni che otteneva da lui: una volta, alla domanda brusca di Arthur, lui aveva risposto che gli piaceva toccarlo e che aveva la pelle morbida. Ne era seguito un bacio sul palmo davanti al quale Arthur non aveva saputo cosa rispondere e cosa fare – Alfred ne aveva approfittato per baciarlo sulla bocca, sorridendo come un bambino gongolante.
Arthur non era ancora riuscito a ricambiare le sue attenzioni. Aveva un rapporto con il proprio fisico molto diverso da quello che aveva il super atleta Alfred F. Jones, non era ancora del tutto uscito dalle insicurezze della pubertà adolescenziale e ancora non aveva sperimentato davvero nessun tipo di amore o nessun tipo di affetto. Era inesperto in quel campo, e cercava di muoversi con i piedi di piombo, per capire quale direzione prendere senza indugi. Già il fatto che provasse qualcosa per un uomo per lui era fuorviante, figurarsi poi arrivare a toccarlo a quella maniera: gli era impossibile se non dopo un’accurata preparazione.
Alfred di questo non si curava poi molto, non gli importava di essere ricambiato nei gesti quanto che Arthur stesse lì e non scappasse provando ribrezzo per lui e per quello che gli faceva. Baciarlo sul collo gli piaceva molto, sentiva ogni volta Arthur rispondere con un abbraccio più stretto o una carezza accentuata – anche se poi lo rimproverava per il forte imbarazzo e spesso tentava di separarsi da lui, non mettendoci troppa convinzione. Baciarlo lungo il braccio sortiva quasi lo stesso effetto, probabilmente era così estraniante e inusuale che Arthur non aveva neppure la forza di ribellarsi. Ma Arthur aveva le mani sensibili, senza calli o deturpazioni: erano belle anche solo da guardare, con le dita affusolate e il palmo largo. Per questo Alfred gliele baciava, continuando il suo tragitto lungo tutto il braccio, finché i vestiti non glielo impedivano.
Però baciarlo sulla bocca era ciò che preferiva in assoluto. Arthur tramava, alle volte – la prima volta che si erano baciati con la lingua lui aveva sgranato gli occhi e si era irrigidito totalmente, dimentico persino di respirare – e alle volte reagiva anche in maniera sproporzionata alle sue attenzioni. Però la bocca sapeva di buono, di fresco, sapeva di tutte le parole che Arthur conosceva e Alfred no, sapeva di così tante cose che Alfred non sapeva dargli un nome se non proprio quello, Arthur Kirkland.
Arthur si ritrovava a pensare e a provare pensieri ed emozioni tutti nuovi, scoprendosi dapprima impaurito, poi sorpreso, poi ancora scettico e infine semplicemente meravigliato di fronte alla complessità e alla moltitudine di tutte le sfaccettature che la questione poteva prevedere.
Alfred era un tipo d'uomo che non si sarebbe mai aspettato, ma la cosa non lo deludeva affatto. Era solo restio a rendere tutto quello troppo veloce, troppo celere – o forse trovava una scusa qualsiasi per fermarsi e pensare davvero, senza che ci fossero di mezzo stupidi sentimenti ad alterare ogni cosa. Aveva delle riserve nella misura in cui non capiva con esattezza cosa lo legasse ad Alfred.
Senza vederci chiaro, lui era restio a fare anche il minimo passo.
La questione venne fuori l’ennesimo pomeriggio mentre, abbandonato Shakespeare sul tavolino davanti a loro, Alfred e Arthur erano stretti in un abbraccio molle, e Jones gli aveva spinto la lingua direttamente in gola. Quel giorno era euforico per altri motivi e l’incontro con Arthur non aveva fatto che intensificare la forte emozione di gioia. Lo accarezzava sul volto e sui capelli, con trasporto, così vicino che quasi le loro gambe si incrociavano le une alle altre.
Arthur tentò di scansarlo, spingendolo via con il braccio.
-Non credi che sarebbe meglio fermarsi qui?-
Alfred lo guardò senza capire, immobile nella sua posizione. Aveva ancora le labbra schiuse e umide.
-Fermarsi qui dove?-
-Beh, fermarsi a quello che stiamo facendo ora, Alfred…-
-Perché dovremmo, Arthur?-
Arthur si spazientì, allontanandosi di più da lui.
-Beh, innanzitutto perché siamo due ragazzi!-
Alfred sbuffò contrariato. Si allontanò dall’altro a sua volta perché era davvero nervoso.
-Lo siamo sempre stati e la prima volta non mi sono posto il problema! Neppure la seconda, a ben pensarci…-
-E poi siamo in una biblioteca!-
-Non facciamo poi così tanto rumore…-
-Potresti ascoltarmi per una volta invece di fare sempre di testa tua, dannazione!-
-Ma se non capisco quello che mi dici come faccio?-
-Sei solo uno stupido, ecco cosa sei!-
-E tu sei un vecchio dentro! Vecchio e sopracciglione!-
Si zittirono, ognuno guardando in una direzione diversa.
Passò tempo prima che Alfred sbollisse la rabbia, abbastanza da cominciare ad adocchiare nella direzione dell’altro per vedere se voleva fare pace. Lo vide ancora con lo sguardo altrove, con le braccia incrociate al petto – ma nei suoi occhi non c’era più irritazione, quanto una sensazione nuova di serietà e di concentrazione.
Alfred si sporse verso di lui, tornandogli vicino.
-Qualcosa ti impensierisce?-
L’altro ghignò, per difesa, senza guardarlo in faccia.
-A parte quello che già ti ho detto? No, direi di no…-
Alfred sbuffò ancora, cominciando a giocare con una biro trovata per caso sul tavolo lì accanto.
Non sapeva cosa dirgli e sicuramente non voleva essere il primo a chiedergli scusa. D’altronde, lui non aveva colpe.
Però il silenzio non gli piaceva troppo e stare così con Arthur ancora meno.
Volle quindi condividere con lui un pensiero che aveva fatto di recente, sia per cercare di impegnare il silenzio sia perché, per lui, la sincerità e la confessione avevano qualcosa di fortemente liberatorio.
-Anche a me piacciono le ragazze, normalmente. Anzi, direi che mi piacciono molto le ragazze. Preferisco quelle con il seno grosso e con il sedere sodo, e lunghi capelli biondi… Sì, direi che quelle sono le mie preferite. Ma anche quelle magre mi interessano, basta che abbiano un bel sorriso!-
Arthur non rispose subito ma borbottò presto, cercando di trovare nella provocazione l’ennesima arma di difesa.
-Insomma, basta che sia femmina e che respiri perché ti piaccia…-
Alfred non abboccò, ma anzi gli sorrise con entusiasmo.
-Sì, direi di sì!-
Fu quando si ritrovò il suo braccio attorno al proprio fianco che Arthur si decise a guardare in viso Alfred, sgranando gli occhi e pronto all’ennesimo urlo irritato.
Invece si zittì di fronte al suo sorriso e alle sue parole calme.
-Però mi piaci anche tu, Arthur. Anche se è un piacere diverso, non ho mai provato per nessuna ragazza quello che provo per te…-
-Forse perché io sono un uomo?-
-Non credo sia questo il punto. Credo sia qualcosa di unico, qualcosa che è nato la prima volta che ti ho visto, che si è diramato la prima volta che ti ho baciato e che sta crescendo pian piano. Che nome daresti a una cosa del genere?-
-Rapporto umano?-
-Io non provo certo sentimenti simili per mio fratello!-
-Allora non so, sei solamente uno stupido!-
-E tu sei monotono! Non fai altro che insultarmi! Potrei anche arrivare ad odiarti!-
Arthur si allarmò, scoprendo forse per istinto un nervo sensibile che mai, proprio mai, avrebbe dovuto lasciar vedere a quella maniera.
Si preoccupò per quella sciocchezza.
-No, questo no!-
Nel silenzio dopo, in Alfred crebbe piano una consapevolezza dolce – e Arthur tentò molto presto di sedare questa crescita nella maniera più impacciata e stupida possibile: accampando scuse senza senso.
-Cioè, insomma… poi chi è che ti insegna Shakespeare? Chi potrebbe mai avere la pazienza?-
Alfred lo baciò, zittendo quel flusso di pensieri poco coerente. Non voleva starlo a sentire quando diceva stupidare, lui era una persona seria!
-Arthur, a me non piacciono gli uomini. A me piaci tu. Pensi che ci sia qualcosa di male, in questo?-
-No, direi di no…-
Un altro bacio, due braccia che strinsero un corpo e altre due braccia che avvolsero un collo.
Le gambe si intrecciarono, i petti si fecero più vicini, gli sguardi più dolci e i suoni più molli.
Arthur diventò caldo e rossissimo, e Alfred era così felice che dovette dirglielo.
-In realtà a me le tue sopracciglia piacciono…-
-Perché sono bellissime, è ovvio!-
Nessuno dei due ebbe l’impellenza di uscire tanto presto dalla biblioteca, quel giorno.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 7. Thorough tatter’d clothes small vices do appear; robes and furr’d gowns hide all ***


usuk 7
**7. Thorough tatter’d clothes small vices do appear; robes and furr’d gowns hide all**

 







Un pomeriggio si ritrovarono distesi sopra i cuscini senza neanche essersi resi conto di averlo fatto.
Una gamba di Alfred era nel mezzo di quelle di Arthur, ma non sembrava che questo creasse tanti problemi, almeno inizialmente. Si erano lasciati trasportare da un bacio particolarmente lungo e mentre Alfred accarezzava il ventre piatto e bellissimo di Arthur al di sopra della stoffa della sua maglia, questi lo aveva abbracciato e gli aveva cinto le spalle, avvicinandosi al suo corpo in maniera ormai completamente istintiva.
Jones era riuscito ad andare oltre il tessuto dell’indumento, toccando con i nudi polpastrelli i fianchi stretti e un poco di schiena del ragazzo. Arthur non aveva detto niente, continuando a tenere gli occhi chiusi nel bacio – forse trovava più impellente succhiargli la lingua che rispondere ai suoi stimoli. Allora Alfred aveva continuato, scoprendo sempre più corpo e toccando sempre più schiena, andando su verso le spalle. Non aveva avuto modo di guardare ma certo le mani non si era risparmiate dal modellare forma e fisionomia dell’altro, sentendo sotto la pelle i muscoli che si muovevano e si tendevano al suo passaggio, fremendo.
In tutto questo, Alfred non si era reso conto di essersi tanto avvicinato ad Arthur quasi da costringerlo ad arretrare per non soccombere alla sua persona e, ironia della sorte, accomodarsi per terra dapprima sostenendosi con i gomiti a terra, poi in una posizione completamente sdraiata.
Lì si erano destati, guardandosi negli occhi come a risvegliarsi da un sogno particolarmente interessante.
Arthur era diventato rossissimo – aveva imparato a moderare il suo imbarazzo nonostante tutto, ma per certe cose rimaneva comunque e sempre lui – Alfred invece aveva a lungo sorriso e aveva assunto un’espressione talmente felice e gioiosa che quasi brillava. Nessuno dei due aveva detto una sola parola.
Messo così, o forse solo per far sparire quel dannato sorriso soddisfatto sulla faccia di Jones, anche Arthur divenne più audace e prese a sollevare la maglietta del ragazzo sopra di sé. Alfred lo lasciò fare senza dire nulla, guardandolo mentre lo spogliava con mani frettolose e stupendosi quasi della sua espressione concentrata mentre faceva passare le dita sui suoi muscoli delineati. Sembrava compiaciuto di quanto stesse toccando e mirando, e sul suo volto tutto quello era davvero strano e insolito. Arthur poi tornò a guardarlo in faccia e benché fosse terribilmente rosso non pensò neppure ad abbassare lo sguardo altrove: lo desiderava, sinceramente e profondamente.
Alfred si sentì in dovere di accontentare quegli occhi e quasi commosso lo baciò di nuovo a lungo, intrecciando braccia e gambe con quelle di lui.

 
Le settimane passarono e solo quando la Primavera fu nel suo pieno sviluppo Alfred si rese conto di un dettaglio fondamentale: aveva visto Arthur esclusivamente in biblioteca, per tutto quel tempo – mai, proprio mai al di fuori di essa.
Si chiese con somma curiosità come sarebbe stato vederlo senza tutti quei libri a circondarlo, senza la finestra dietro le sue spalle a illuminare e definire i suoi contorni, e senza tutti i cuscini morbidi su cui si accovacciava, quasi fosse un corvo severo.
La prima volta che provò a invitarlo fuori ebbe come risposta un netto rifiuto da parte di Arthur. Ne fu ferito perché gli era sembrato che il ragazzo non volesse neanche considerare l’idea di frequentarlo al di fuori dei classici loro incontri e non fosse minimamente interessato alla sua persona oltre quello che condividevano per forza.
Nel parlarne con Matt – nel lamentarsi con il fratello delle sue vicende amorose – riuscì a rendersi conto di un tale comportamento strano. Non aveva proposto nulla, aveva fatto solo una richiesta vaga e senza meta né scopo, lo aveva detto come se fosse stato ovvio che Arthur avrebbe accettato e praticamente non gli aveva dato alcuna libertà di scelta. Per questi motivi, con ogni probabilità, il giovane Kirkland si era così inalberato, allontanandolo in maniera brusca.
Matt dovette faticare per spiegargli che un primo appuntamento doveva rispettare certe regole di base e dal momento che aveva intuito con sufficiente precisione il tipo di carattere di Arthur dovette anche spiegargli come lui amasse essere corteggiato con certe premure e certe attenzioni.
Gli disse di scegliere con precisione alcune alternative, luoghi pubblici e all’aperto ma un poco discreti, orari flessibili e che lasciavano spazio per organizzare la giornata anche con altre attività, la chiara ed inequivocabile consapevolezza che sarebbero stati solamente loro due.
In un lampo di intelligenza, Alfred si chiese se tutto quello che gli stava dicendo fosse frutto della propria esperienza personale – immaginò Matt sedurre in tal modo quel casinista rumoroso che era Gilbert Beilschimdt e rise di tutto cuore. Poi però si rese conto di dover tenere in considerazione davvero un sacco di elementi e si impegnò a fondo per riuscire a rispettarli quasi tutti.
Così, la seconda volta che propose un appuntamento ad Arthur fuori dalla biblioteca gli disse anche che sarebbero andati a prendere un gelato assieme una domenica pomeriggio in quel bellissimo bar all’interno del parco che avevano aperto da poco in un quartiere vicino, che avrebbero poi dato da mangiare alle papere del lago e avrebbero fatto anche una lunga passeggiata, che lo avrebbe scortato fino a casa e che tutto sarebbe andato per il meglio. Oh, e sarebbero stati soli soletti per tutto il tempo.
Arthur si meravigliò parecchio per tutta quella organizzazione, era così palese sul suo viso che Alfred non dovette neanche impegnarsi troppo per capirlo. Però, dopo qualche attimo di esitazione, accettò borbottando la proposta dell’altro ragazzo.
Non fu una giornata piena di sole, anzi: nuvoloni assai minacciosi continuarono a torreggiare per tutto il pomeriggio nel cielo e un vento che portava polvere e freddo continuava a soffiar loro nei fianchi, seppur leggero.
Eppure Arthur riuscì a trovare il gelato del locale di suo gradimento, anche se non avevano la panna montata come piaceva a lui e neppure la granella di mandorle.
Chiesero anche qualche cialda in più al gelataio per poi andare a piedi in riva al piccolo laghetto che si allungava all’interno del parco e dare le briciole alle anatre e alle papere che lì vivevano. Alfred si divertì come un matto a guardare quegli animali lottare per ogni singolo pezzo, lo eccitava quello starnazzare e quel beccarsi vicendevolmente infido. Arthur lo guardava divertirsi e sospirava, quasi rassegnato – nascondendo bene sorrisi innocenti che gli sbucavano ogni tanto sulle labbra.
Invece della lunga passeggiata, siccome si era già fatto abbastanza tardi, decisero di passare solo oltre il lago e sedersi sopra una panchina, vicini.
Alfred prese un profondo respiro prima di accomodarsi in una posa totalmente rilassata sulla buona metà di panchina che occupava, allargando le braccia e stendendo i muscoli. Sorrideva mentre si rivolgeva ad Arthur.
-Direi che è stata un bell’appuntamento, dopotutto. No?-
L’altro non pensò neanche un minuto a rispondere al suo sorriso, perché così tranquillo e calmo non lo era da parecchio tempo e non gli costò davvero alcuna fatica.
-Sì, possiamo dire di sì…-
-Mi è proprio piaciuto uscire con te, Arthur! Dovremmo farlo più spesso!-
-Forse…-
Ci fu qualche secondo di silenzio, ma non perché nessuno dei due non avesse qualcosa da dire, quanto piuttosto perché non sembrava necessario o impellente riempire quel vuoto creatosi. Si stava bene anche a quella maniera, mentre il vento scompigliava i capelli e le nuvole passeggiavano sopra le loro testa.
Poi Alfred recitò a memoria alcuni versi mentre Arthur lo guardava di stucco senza osare aggiungere proprio nulla.
 

And the creature rud from the cur? There thou might’st behold
The great image of Authority:
A dog’s obey’d in office.
Thou rascal beadle, hold thy bloody hand!
Why dost thou lash that whore? Strip thine own back:
Thou hotly lusts to use her in that kind
For which thou whipp’st her. The usurer hangs the cozener.
Thorough tatter’d clothes small vices do appear;
Robes and furr’d gowns hide all. […]

 
Arthur non capì subito l’allusione – anzi, sulle prime ne restò quasi offeso, perché dure erano le parole che Alfred aveva appena pronunciato e sembravano atte solamente a spezzare l’atmosfera di serenità e pacatezza che si era formata.
-Cosa significa?-
Ma Alfred continuò a sorridergli, senza demordere.
-Significa che bisogna essere sinceri almeno con sé stessi e aborrire l’ipocrisia…-
-Ti ricordi un testo del genere, Alfred?-
-L’abbiamo studiato assieme solo qualche settimana fa, sei stato tu a spiegarmi cosa volesse dire!-
-Beh, allora sono contento di essere riuscito a far entrare in quella zucca vuota qualcosa!-
-Visto come sono bravo oltre che bello e forte?-
-Bravissimo, Alfred! Sei bravissimo!-
A quel punto Alfred fece calare vistosamente lo sguardo lungo il braccio del ragazzo, piantandosi senza pudore alla sua estremità.
Perché, nonostante fossero rimasti vicini tutto il tempo trascorso assieme, Arthur non si era proprio mai lasciato toccare da lui, neppure sfiorare dalle sue dita. Dapprima Alfred aveva pensato che fosse solo un caso, un semplice istinto di riflesso, poi però aveva compreso che Arthur lo stava facendo apposta e la cosa proprio non gli era gradita. Quindi, in quel momento, voleva rimediare a modo suo.
-Posso prenderti la mano?-
Arthur si irrigidì sul posto, prendendosi la mano nella propria e allontanandola, impercettibilmente, proprio da colui che più la desiderava.
Si sentiva a disagio, si poteva capire dal fatto che ora non guardava più Alfred negli occhi.
-Preferirei di no…-
Alfred non capì come mai una cosa così semplice gli fosse negata, specie perché in biblioteca facevano ben altre cose che quella: lo aveva visto a petto nudo, lo aveva toccato e lui non aveva provato tutto quell’imbarazzo. Tante domande gli sorsero spontanee nella mente.
-E perché no? Cosa c’è di male?-
Arthur si impuntò e come ogni volta che lo faceva cominciò sia sgridarlo come un maestrino sia strillare come una gallina.
Insomma, quando si irritava era veramente brutto.
-Potrebbero vederci. Siamo in un parco pubblico, ricordalo!-
-Ma se siamo stati assieme tutto il pomeriggio è ovvio che ci abbiano visti vicini!-
-Non è detto! Non si sa mai…-
-Non capisco davvero dove sia il problema!-
-Tu sei stupido e non capisci, mi pare una cosa normale!-
-Tu invece sei uno idiota e non mi dici le cose! Ti imbarazzi per nulla!-
Quando Arthur si impuntava, però, aveva anche la masochistica tendenza a cacciarsi nei guai e a parlare senza pensare prima – in questo assomigliava molto ad Alfred.
-Non è imbarazzo, questo!-
Alfred lo guardò male e la sua espressione seria preoccupò decisamente l'altro.
-Ti vergogni di me, Arthur?-
Kirkland trattenne il fiato e guardò da un’altra parte.
Il discorso aveva preso una bruttissima piega e si rese conto di esserne l’unica reale causa. Alfred era così stupido, alle volte, che non riusciva proprio a capire la differenza tra orgoglio e verità.
Cercò di spiegarsi in qualche modo, mantenendo un principio di contegno severo.
-Non dire scemenze, perché dovrei farlo? È vero che sei un casinista ignorante ma a conti fatti sei uno dei ragazzi più popolari della nostra scuola, sarebbe veramente idiota se io mi vergognassi di te!-
-Allora cosa c’è?-
Le dita si torturarono durante la confessione, come se con le parole se ne andasse via anche un pezzo di quella maschera dietro la quale Arthur si era sempre protetto.
-Non… non mi sento a mio agio, ecco.-
Alfred sorrise vittorioso, avvicinandosi e sorridendo.
-Quindi ti senti in imbarazzo!-
-No! Ho detto di no!-
-Ma sei davvero cocciuto, eh!-
Non si dissero nulla per un bel po’ di tempo, così testardi da guardare in direzioni diverse e non considerarsi neppure per sbaglio.
Però, quando fu l’ora di rincasare, Arthur tornò a parlare ad Alfred con tono più gentile e pacato – durante il tragitto, mentre le dita presero a sfiorarsi quasi per sbaglio, nulla più disse nel prendergli l'orlo della divisa lunga e cominciando a trascinarlo in avanti, che si era fatto decisamente tardi.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 8. And laugh at gilded butterflies ***


usuk 8
**8. And laugh at gilded butterflies**










Una mano accarezzava la pancia, lenta, mentre due occhi indugiavano sulle dita e ne seguivano il lento movimento incerto.
Se in quella maniera non avesse implicitamente ammesso di essere turbato profondamente nell'animo, Arthur avrebbe volentieri imposto ad Alfred di fermarsi e di non continuare nelle sue carezze. Ma gli era impossibile, per cui rimaneva zitto. Ogni tanto cercava anche di spostare lo sguardo altrove, cercando nella stanza qualche oggetto su cui mettere la propria attenzione: un cuscino messo in un posto strano, libri in disordine, tende della finestra che svolazzavano sospinte dal vento, gli uccellini che si meravigliavano della Primavera.
Anche a cercare bene, però, Arthur non sarebbe riuscito a trovare nulla in grado di distoglierlo da Alfred e dalla sua mano che lo toccava, lenta e tranquilla.
Jones era euforico, la profondità della sua felicità si notava dalla calma con cui si muoveva - aveva avuto modo di urlare a squarciagola, di saltare come un matto, di rotolarsi a terra e di sporcarsi tutto a tempo debito. In quel momento gli rimaneva semplicemente in corpo l'assoluta sensazione di invincibilità che era derivata dal riflettere serio su quanto accaduto.
Lui e la sua squadra avevano vinto le semifinali, mancava un'unica partita alla vittoria e alla coppa più grande.
Alfred lo aveva ripetuto così tante volte che Arthur sapeva a memoria ogni singola azione che si era svolta durante la partita. I passaggi in avanti, quelli indietro, il suo placcaggio ad un giocatore avversario, la conquista che aveva fatto un tal Ludwig di una palla che avrebbe potuto far danni, il suo correre come un pazzo da una parte all'altra del campo...
Tutto, Arthur sapeva davvero tutto.
Probabilmente Alfred sarebbe andato avanti l'ora intera a dirgli il perché di tutta quella felicità, senza neppure provare a pensare di porsi un freno - però lui non era della stessa idea e lo aveva baciato. Per zittirlo o solo fargli presente della sua esistenza vicino a lui.
Alfred era rimasto immobile per qualche istante, poi aveva sorriso e aveva risposto con un secondo bacio.
Shakespeare era stato abbandonato sul tavolo poco lontano da loro, perché sembrava decisamente più interessante scoprire di nuovo e nel dettaglio la piega dolce del ventre di Arthur che ricordare le esatte parole con cui la sorella pronunciava la condanna a morte di Cordelia.
Arthur sospirò ad un movimento più repentino, Alfred lo baciò sul petto scoperto e continuò nella sua operazione. Le sue dita si soffermavano più sulla zona appena sopra il cuore, giocando con il necessario gonfiarsi e sgonfiarsi della cassa toracica, seguendo quindi il ritmo del respiro.
I due ragazzi ogni tanto si guardavano in viso e se Alfred sorrideva con aperta gioia Arthur gli rispondeva un poco più incerto - rosso nel viso e imbarazzatissimo - ma non si rifiutava mai a lui e mai gli sfuggiva.
Trovava gradevole, molto, il suo tocco, tanto che ad un certo punto riprovò a fare a lui ciò che gli veniva fatto. Gli alzò la maglietta, aiutato dallo stesso Alfred, e prese a toccarlo. Gli piacque ancora di più, specie quando vide la rossa conseguenza dei suoi gesti che si dipinse lenta sugli zigomi di Jones. La gradevolezza dell'atto in sé si unì alla consapevolezza d'essere gradito.
Era una cosa diversa da quella che era già successa in precedenza. Sopita la fretta per la novità, ora entrambi soppesavano gli attimi, godendosi i secondi il più profondamente e lungamente possibile. Se prima la voglia era stata semplicemente svegliata, bisognava in quel momento farne i conti - per questo motivo era decisamente più imbarazzante, perché dava tutto il tempo di pensare e di reagire.
Arthur mosse la mano verso la schiena dell'altro, delineandone le forme solo con la propria sensibilità, senza guardarla davvero. Alfred si mosse seguendo le sue dita, inarcandosi e curvandosi per facilitare il suo passaggio. Rabbrividì quando, verso il fianco, soffrì il solletico, e quasi scappò un sorriso anche ad Arthur. Scendendo, Kirkland trovò l'orlo dei pantaloni e si ritirò un poco circospetto e intimorito verso l'alto. Restò nella zona, mentre ancora Alfred giocava con il suo ombelico attardandosi sulla pelle morbida di quel punto.
Fu Arthur per primo a superare quella barriera: scese oltre l'inguine, accarezzando il tessuto che fasciava i pantaloni lungo tutta la coscia. Alfred era caldissimo e si tendeva al suo tocco - era così bello che Arthur non pensò neppure a fermarsi per un istante. Percorse il confine sodo del sedere, aprendo lì il suo palmo e chiudendolo quando l'audacia prese posto della ritrosia e dell'imbarazzo. Arrivati a quel punto gli sembrava davvero stupido tergiversare ancora, nonché abbastanza incoerente. Alfred fu felice di imitarlo, molto felice, e lo toccò con una certa energia sui fianchi e più in basso, seguendone la linea quasi fino al ginocchio. A differenza dell'altro, lui non conservava molto la gentilezza tipica delle prime esperienze ma ne aveva tutto lo slancio emotivo e tutto il desiderio. Quelli proprio non gli riusciva di nasconderli.
Alfred sorrise ancora ad Arthur e questa volta si premunì di farlo vicino alla sua bocca - quasi contro le labbra, nel mescolare il proprio fiato con il suo.
Lo sentì titubare, trattenere un singhiozzo e guardare in basso mentre la mano si fermava proprio nell'atto di chiudersi contro di lui.
Poi però Kirkland lo avvicinò in un bacio ad occhi chiusi, respirando veloce e vicino al suo petto caldo. Era un sussurro imbarazzato quello che gli uscì dalla gola, che non suscitò pietà ma fortissima emozione.
-Continua...-
Alfred lo baciò ancora e ancora, dimentico così presto di quella felicità che l'aveva visto campione con una palla in mano e raggiante per una nuova che lo vedeva partecipe semplice di una gioia comune.
Arthur non poteva essere più bello di così.
-Continua anche tu...-




No, no, no, no! Come, let’s away to prison,
We two alone will sing like birds I’th’cage:
When thou dost ask me blessing, I’ll kneel down;
And ask of thee forgiveness: so we’ll live,
And pray, and sing, and tell old tales,
and hear poor togues
Talk of court news[…]


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 9. Thou’lt come no more ***


usuk 9
**9. Thou’lt come no more**

 







Il tempo continuava a passare e ormai Maggio era iniziato.
Se fino a quel punto il trascorrere dei giorni era stato leggero, quando in effetti Arthur si rese conto del punto che avevano raggiunto lui e Alfred cominciò a spaventarsi. Aveva fatto un errore di calcolo e gli fu più che evidente: non aveva considerato il fattore continuità. Perso in quel limbo molle di desideri e pacatezza, di sentimenti appena celati e di dolci rivelazioni, non si era mai domandato questioni fondamentali e che sicuramente sarebbero state rilevanti ai fini di un futuro non così remoto.
Sarebbero andati avanti assieme?
Dov’era il limite che volevano o dovevano raggiungere?
Cosa mai era per Alfred, lui?
Con l’arrivo dell’Estate, sarebbe cambiato qualcosa?
Da come riusciva a vedere lui le cose, il “Re Lear” e Shakespeare erano gli unici elementi che li tenevano legati, ma l’opera stava per concludersi e lui certo non poteva parlare a vanvera tanto a lungo, considerando che la premessa storica l’aveva già ampliamente consumata.
Certo, c’erano i rallentamenti dovuti alle loro effusioni, ma Arthur stesso si era premurato di non farli durare troppo, considerando più il proprio dovere che altri elementi di disturbo.
Non ci aveva minimamente pensato, questa era la verità.
In un momento di puro isterismo, aveva anche contato quanti martedì mancavano alla fine della scuola e dell’anno di studi. Scoprì con una certa nota di orrore che ne mancavano meno di cinque – un numero totalmente esiguo, considerando che la sua mente necessitava di molto più tempo per pensare al da farsi.
Dapprima pensò che non fosse poi così importante. Dopotutto, Alfred F. Jones era una persona qualsiasi, lui non avrebbe mai dovuto permettere a nessuno di condizionarlo a quella maniera, di essergli tanto caro da farlo o muovere o preoccupare. Prima di allora non era mai successo e lui era sempre vissuto benissimo così. I libri erano l’unica cosa eterna nella sua vita, una costante rassicurante su cui si poteva far affidamento e che mai lo avrebbe tradito.
Poi però, lentamente, con grande sforzo d’orgoglio, si rese conto che ciò non era vero. Alfred era riuscito ad andare oltre la sua barriera di cinismo e di snobismo, quell’arroganza così tipicamente radicata in lui da non sembrargli più un difetto – si sentì dolorosamente simile all’altro, nel fare quella constatazione. Alfred, pur con tutti i suoi difetti, pur con tutte le sue imperfezioni, pur essendo Alfred, era diventata un’altra costante, più calda e cara dei libri.
Perché si rese conto di aver atteso ogni martedì con più sentimento del necessario. Perché si rese conto di partecipare emotivamente all’apprendimento dell’altro. Perché si rese conto di aspettare con ansia la proposta di un secondo appuntamento e di essere irritato con lui perché ancora non gli era stata fatta.
Fu così semplice, gli bastò guardarsi allo specchio e fissare i propri occhi a lungo per trovarvi tutto questo inciso dentro. Ebbe un senso di forte vertigine, perché mai si sarebbe aspettato che ci fosse dentro così tanto, e si chiese sinceramente se mai Alfred vedesse quello che lui aveva scorto.
Però non bastò solo la consapevolezza dei sentimenti per smuoverlo.
Anche Alfred si era reso conto dell’avvicinarsi della fine dell’anno scolastico, anche se in una maniera decisamente diversa da quella sperata da Arthur. La finale era alle porte, la possibilità di conquistare il premio più ambito decisamente realistica: il ragazzo era intrattabile, aveva scatti d’ilarità senza senso ed era nervosissimo. Probabilmente soffriva di ansia da prestazione, ma Arthur non riusciva ad accettare di essere trattato a quella maniera brusca, come se già non gli fosse bastata la totale mancanza di delicatezza con cui Alfred era solito trattare chiunque.
Quindi, oltre l’orgoglio c’era anche quella faccenda, non così insignificante.
In una situazione del genere, la prima cosa che gli venne in mente da fare fu una mai considerata prima, la cui esistenza certamente era dovuta alla sua personale indole ma anche e specie grazie a certe parole dette quasi per caso proprio da Jones.
Una di quelle sere spese ad arrovellarsi, si sedette alla propria scrivania e prese foglio e matita, con l’intenzione di abbozzare qualcosa. A pensarci bene, in testa trovò mille e più trame da poter sviluppare. Avendo letto tanti libri quanti mezza biblioteca poteva ospitare e trovando dentro di sé la capacità di rielaborarli e di analizzarli senza sforzo, muoversi su quel foglio non gli fu troppo difficile – almeno in un primo momento. Dopo che ebbe scritto mezza pagina, si ritrovò a rileggere quanto composto e a cancellarne buona parte se non tutto. La sua mania di perfezionismo così come quella stessa conoscenza dei classici che l’aveva aiutato a iniziare lo resero più severo del giusto e più pretenzioso del dovuto, così che a fine serata l’abbozzo restò solamente nella sua testa e nessuna riga sul foglio strappato e buttato via nel cestino.
Ci riprovò anche una seconda volta e una terza, ma i fallimenti furono uguali in entrambi i casi e questo non fece che aumentare il suo nervosismo. In una situazione normale sarebbe riuscito anche ad andare avanti – a non demordere subito e a tentare mille altre volte, fino a riuscire nell’impresa – ma purtroppo la situazione normale non era e lui sentiva il grave avvicinarsi di quel limite tanto temuto. In quelle circostanze, l’animo non era sereno e la sua creatività rasente il suolo.
In quello stato si ripresentò ad Alfred per l’ennesima lezione, in un caldo, caldissimo martedì pomeriggio. L’altro si era portato anche una bottiglia d’acqua appresso, senza scomodarsi di portare due bicchierini per entrambi ma bevendo a canna di tanto in tanto, forse pensando che se l’altro tanto desiderava bere l’avrebbe fatto senza complimenti e specie senza chiedergli il permesso, come era sua abitudine fare.
Purtroppo però Arthur prese male questa mancanza di riguardo e la sua irritazione crebbe.
Si ritrovarono quindi di fronte a uno dei brani finali dell’opera.


And my poor fool is hang’d! No, no, no life!
Why should a dog, a horse, a rat, have life,
And thou no breath at all? Thou’lt come no more.
Never, never, never, never, never.

 

Mentre Arthur si asciugava la fronte matida di sudore con la manica della propria camicia - anche in certi ambienti lui manteneva quella tipica facciata di serietà e convenienza - Alfred sbuffava e appoggiava la testa sopra le braccia incrociate sulla superficie del tavolo, in una posa decisamente annoiata.
-Arthur, oggi non mi va proprio di studiare!-
L'altro lo fissò risentito, rivolgendogli quanto sgarbo era capace in quel momento senza il minimo rimorso.
-E cosa vorresti fare altrimenti, sentiamo.-
Alfred però sorrise quando Arthur lo guardò in faccia. Sembrava più rilassato del dovuto, dimentico di quanto vivevano e avevano vissuto. Questo fece irritare ancora di più Kirkland.
Eppure Jones si allungò nella sua direzione, come un gatto in cerca di attenzioni, sfiorandogli con l'indice la pelle della mano.
-Mi piace di più baciarti! Quella è davvero una bella cosa!-
Arthur si ritirò scocciato, sbuffando a tutto spiano.
-Non mi pare proprio il caso. Rimettiti composto e continuiamo a studiare.-
-Ma non ho voglia! Non ce la faccio!-
-Ce la devi fare! Non siamo qui a bighellonare, impara un po’ di disciplina!-
-Non mi sembrava che a te dispiacesse essere baciato da me…-
-Mi dispiace, e molto, perdere tempo!-
-Sei il solito noioso! Un po’ di baci dovrebbero riuscire a calmarti!-
-Non ho bisogno di calma, io. Piuttosto sei tu ad averne bisogno!-
-Vedi? Allora c’è bisogno di qualche bacio!-
Arthur non urlò e la cosa colpì precisamente Alfred per la sua straordinarietà. Voleva dire che era veramente arrabbiato e che non ammetteva più scherzi.
-No, Alfred. Non ti bacerò.-
Kirkland sottolineò il concetto riprendendo in mano il suo libro, cercando con gli occhi il punto che avevano lasciato pochi attimi prima per continuare il lavoro che era stato interrotto. Lo trovò e quando tornò a rivolgersi ad Alfred lo trovò rabbuito, senza più traccia di ilarità oppure gaiezza.
Era buio, esattamente come lo era lui.
-Non capisco perché tu sia così tanto arrabbiato con me. Non ho fatto proprio nulla!-
Scocciato come non mai, Arthur chiuse il libro di scatto, sbattendolo con forza sul tavolo.
-Non hai fatto nulla? Ma se non fai altro che sfogare la tua irritazione su di me! Non fai altro che parlare del football, delle partite, di te e di quanto sei bravo, di te e di cosa farai con quella cavolo di coppa, di te, di te e del football!-
Allora anche Alfred reagì di conseguenza, cominciando ad alzare la voce a sua volta.
-Il football è la mia vita, è ovvio che ne parli!-
-Ma non c’è solo lo sport, nella tua vita!-
-Cos’altro ci dovrebbe essere?-
Ci fu silenzio, un silenzio che vide il viso di Arthur colorarsi di un rosso rabbia - accesissimo - e una strana e alquanto fastidiosa consapevolezza farsi strada nella mente di Alfred.
No, pensava, non era possibile che pensasse davvero a quello. Sarebbe stato alquanto comico e sicuramente sarebbe stato l'avverarsi nella realtà del peggior copione mai scritto di una saga romantica della peggior specie.
Almeno questo era ciò che veniva suggerito ad Alfred dalla parte di sé più lontana da qualsiasi sensibilità artistica e più vicina alla gretta materialità sportiva - incurante delle Lettere e del mondo che vi girava attorno. Il disprezzo per la differenza di categoria si era fatto vedere tutto in una volta, nel momento peggiore possibile, e aveva vanificato mesi di lento avvicinarsi l'uno all'altro.
Ammetterlo sarebbe costato troppo per Alfred, perché i campioni non sbagliano proprio mai. E lui era un campione.
Tuttavia, il disagio sempre più rosso di Arthur lo registrò benissimo, tanto che temette ad un certo punto che dovesse scoppiare da un momento all'altro.
-Arthur…-
Kirkland scoppiò, perché a trattenersi non ce la faceva proprio più.
La voce, mentre si alzava da lì e raccattava alla meglio le sue cose per andarsene via, era stridula e sgradevole, come se venisse fuori da una gola troppo affannata per sostenere ancora qualche sforzo.
Probabilmente era in piena crisi isterica.
-A volte mi chiedo cosa tu abbia in quel cervello! Non mi sembra tanto difficile da capire!-
Alfred reagì cercando di fermarlo e usando un tono terribilmente simile al suo, di riflesso.
-No, non lo è affatto! Non lo è affatto, Arthur!-
Il ragazzo si fermò dopo essersi liberato dalla sua presa e dalle sue mani, decidendo in quel momento di affrontarlo come si doveva.
Lo guardò in faccia e per la prima volta Alfred lesse nei suoi occhi un totale disprezzo per la sua persona - fu una sensazione orribile.
-Ti ricordi quando, prima di Natale, tu mi dicesti che ti sarebbe piaciuto leggere qualcosa di mio? Io ho provato a scrivere qualcosa pensando proprio a quelle parole, pensando a come saresti stato felice nel venire accontentato in quell’unico desiderio! Ho davvero pensato e desiderato tutto questo!-
Silenzio: Arthur dovette riprendere fiato dopo tutto quello e Alfred non riusciva a dire niente di altrettanto terribile come quello.
-Ma ora che mi accorgo di quanto poco te ne freghi non mi sento neanche più in dovere di scusarmi con te per non esserci riuscito! Anzi, sono felice di non averlo fatto, perché sicuramente non avresti potuto capire! Non l’avresti capito sicuramente! Tu e il tuo dannatissimo football!-
La praticità e l'innocente stupidità di Alfred intervenne, perché la disperazione fa fare cose folli nei momenti meno opportuni e istintivamente Alfred aveva capito che doveva intervenire prima di sprofondare nel baratro senza che Arthur avesse la minima intenzione di aiutarlo a risalire.
-Beh, possiamo scriverla assieme e poi recitarla assieme. Che problema c’è? Puoi sempre farlo, nessuno ti ha dato un limite di tempo!-
Ma Arthur non volle più aiutarlo.
-Continui a parlare senza pensare…-
Riprese a mettere a posto, con più calma di prima. La rabbia era diventata più profonda e anche il suo tono di voce si era abbassato.
-Basta così, per oggi è più che sufficiente.-
-Ma abbiamo a malapena iniziato…-
-Basta così. Non voglio vedere più la tua faccia. Mi dai la nausea. Sei troppo ritardato per capire anche le cose più elementari!-
-Infatti sono venuto da te perché tu me le spiegassi!-
-Non posso insegnarti tutto! Ci sono cose che dovresti capire da solo, senza l’aiuto di nessuno! Non sono tuo padre, non devo insegnarti a comportarti! Quello lo devi fare da solo!-
Arthur si alzò, con in mano la propria cartelletta e tutti i suoi appunti. Non erano ordinati e formavano una specie di groviglio scomposto.
In tutto quello sembrava che Arthur non pensasse neppure che fossero necessarie la forma e l'estetica.
Un ultimo attacco di panico - un ultimo riflusso di coscienza - fece muovere Alfred mentre l'altro ragazzo se ne stava andando via, bloccandolo per un braccio. Lo chiamò, cercando di guardarlo negli occhi e di dirgli mille cose in un secondo.
-Arthur…-
Fallì: ancora Kirkland lo rifiutò, liberandosi e allontanandosi da lui definitivamente.
-No!-
Da solo, Alfred pensò che quella biblioteca fosse il luogo più brutto al mondo.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 10. In this last tempest ***



**10. In this last tempest**

 


Ivan Braginski si muoveva sul palco seguito da molti effetti sonori e da luci parecchio spaventose – il suo era uno dei personaggi principali e quindi era normale che fosse in scena piuttosto spesso. Interpretava uno stregone o qualcosa di simile, Alfred non aveva capito troppo bene in realtà.
Aveva una voce diversa dal normale, più profonda e roca rispetto a quella acuta che sempre gli aveva sentito addosso nel rivolgersi a lui.
Evidentemente era la sua voce da recitazione.
Ma anche a guardarlo così, in quella veste tanto inusuale, Alfred proprio non riusciva a paragonarlo ad Arthur, neanche facendo mille sforzi: per lui, Kirkland era decisamente migliore, anche senza di un palco e di una platea davanti dagli sguardi innamorati.


In this last tempest. I perceive, these lords                                       
At this encounter do so much admire,
That hey devour their reason, and scarce think
Their eyes do offices of truth, their words
Are natural breath[…](10)


Matt gli era seduto accanto e guardava rapito ogni scena. Lui conosceva l’opera che era rappresentata e sicuramente ne capiva molto di più il senso, aveva anche provato a spiegargliela, nel tragitto da casa al teatro, ma Alfred aveva prestato ancora meno attenzione al fratello del solito, per cui aveva recepito una parola sì e quattro no.
In poche parole, si stava annoiando. Aveva cambiato posizione sulla propria poltroncina almeno una dozzina di volte e gli ultimi popcorn della propria porzione li aveva già ingurgitati da un pezzo. Non sapeva cosa fare se non guardare il soffitto della stanza e sperare che tutto quello passasse davvero presto.
Quello spettacolo avrebbe dovuto vederlo assieme a Arthur. Aveva preso due biglietti per la prima – perché il Club di Teatro era abbastanza organizzato da fare anche più spettacoli su prenotazione, con un sistema di biglietti e non biglietti che faceva quasi invidia a chiunque – ma all’ultimo momento si era visto costretto a ritrattare e a dover dare il biglietto in più a qualcun altro. Nei confronti di Arthur era ancora arrabbiatissimo e proprio non lo voleva tra i piedi, eppure neanche con Matt si sentiva troppo a suo agio. Era evidente che l’altro non gradisse troppo la sua presenza, ritenendola fin troppo molesta. O forse, con semplicità, aveva percepito il suo malessere e quindi provava disagio a stargli vicino, sentendosi come un intruso in una faccenda che non comprendeva e non conosceva.
Se fosse stato per lui, avrebbe visto molto più volentieri l’opera assieme a Gilbert.
Dopo aver passato quell’ora e mezza come se fossero state almeno cinque, finalmente lo spettacolo finì e il pubblico poté sciamare via con tutta la discrezione che si addiceva ad una marmaglia stanca di adolescenti.
C’era anche un piccolo ristoro, in una saletta in disparte, dei cui tramezzini e dei cui salatini Alfred aveva ampiamente usufruito già durante l’intervallo tra il terzo atto e il quarto. Ci andò in fretta, senza aspettare che Matt lo raggiungesse – in effetti, quando Alfred si voltò a guardare indietro e verificare di essere seguito, il fratello si era già dileguato chissà dove, lasciandolo solo.
Per nulla preoccupato, Alfred era tornato a mangiare il suo pasticcino, riempiendosi il piatto di plastica appena agguantato con quanto cibo riusciva ancora a trovare.
Non si sentiva molto bene e il campionato finito gli permetteva, almeno per qualche tempo, una dieta decisamente più libera. Il risultato di queste due premesse era che, in quegli ultimi giorni, aveva mangiato in maniera nervosa e in continuazione, rifugiandosi o nella cucina di casa o nel primo fast food che riusciva a trovare a disposizione.
Era decisamente uno spettacolo triste a cui assistere.
Fu però mentre trangugiava l’ennesimo bicchiere di aranciata frizzante che fu attirato da una voce – una voce che avrebbe potuto riconoscere tra mille e ancora di più, dal momento che era colpevole di tutto quello che era successo. Si portò appresso sia piatto che bicchiere, guardandosi attorno con sguardo attento.
Non gli ci volle molto per vedere in un angolo, che parlava animatamente con un professore, Arthur Kirkland. Aveva in mano solo un bicchierino dal contenuto chiaro e pareva tanto preso dal discorso con l’uomo vicino per badare ad altro.
Anche lui fu distratto ad un certo punto da una strana sensazione e come la prima volta che si erano visti voltò il volto all’improvviso e se lo trovò lì, a fissarlo. Restò immobile a ricambiare il suo sguardo, boccheggiando appena. Con una scusa assolutamente accampata per aria, congedò alla meglio il professore e quindi gli si avvicinò.
Sembrava un poco in imbarazzo, tuttavia.
-Non pensavo di vederti qui, Alfred…-
Alfred non era a disagio nel trovarsi vicino all’altro, lo guardava con insistenza anche piuttosto maleducata. Da quando avevano litigato non era più riuscito a parlargli e a spiegarsi, così era sempre rimasto tanto nervoso da risultare intrattabile a chiunque.
Di fronte a lui si scoprì di nuovo calmo e fu così strano che se ne sorprese anche lui.
-Neppure io, se devo essere sincero.-
-Io vengo sempre a questi spettacoli, mi piace vedere questo tipo di teatro amatoriale.-
Stettero un poco in silenzio – Alfred catturò con la bocca un salatino e lo mangiò rapido, senza quasi masticarlo.
Fu lui a interrompere il silenzio. Ora che ne aveva l’occasione, c’era una sensazione strana nel suo animo che gli suggeriva di non sprecarla, perché oltre a quella non ce ne sarebbero state molte altre.
Alfred odiava con tutto sé stesso litigare con qualcuno: preferiva di gran lunga farci la pace ed esserci amico per sempre.
Con Arthur non voleva essere solo amico ma il concetto di base era quello.
-Beh, allora cosa mi dici di Braginski?-
In quel momento entrò proprio il diretto interessato, accolto dai tanti applausi e tanti complimenti dei presenti. Anche Arthur si era unito ai festeggiamenti, e pareva non badare neanche al peso dell’ammissione che stava facendo.
Evidentemente, lui aveva grande stima dell’altro ragazzo.
-Ivan è molto bravo, si vede che mette passione in quello che fa. Non è uno stupido e sa muoversi perfettamente sul palco.-
Alfred sbuffò, guardando storto Ivan da lontano.
-Sinceramente, penso che tu sia più bravo di lui…-
Arthur si zittì e fermò le mani, diventando completamente rosso in viso. Ora loro due erano gli unici rimasti accanto al bouffet, il resto dei presenti aveva accerchiato Braginski e continuava a complimentarsi con lui per l’ottima interpretazione.
Era evidente che Ivan facesse paura solo ad una certa casta di persone – quella di un grado sociale inferiore al suo, ovvero tutti gli altri studenti della scuola – mentre sul resto della popolazione sortiva una certa sorta di fascino magnetico.
Per questo motivo, seppur caratterialmente assai detestabile, Arthur non poteva non ammettere quanto fosse oggettivamente bravo. Salvo poi dire che era un poco di buono per quanto riguardava tutto il resto.
Alfred, dopo un po’, decise di appoggiare ciò che aveva in mano sul tavolo e quindi rivolgersi di nuovo ad Arthur.
-Senti… io volevo dirti una cosa…-
Avendo tutta l’attenzione di Kirkland, Jones si ritrovò però senza parole.
Perché era davvero difficile, per lui, ammettere così candidamente di aver avuto torto e di aver agito solamente per nervosismo e irritazione, di aver ecceduto solamente per la rabbia e che in realtà non voleva né dire quello che aveva detto né fare quello che aveva fatto.
Poteva tranquillamente affermare che fosse colpa dell'altro, questo era vero, ma aveva il presentimento che sarebbe stata proprio l’ultima cosa che avrebbe potuto dirgli, a quel punto.
Quindi temporeggiò ancora una volta – perché sapeva che la verità poteva avere tante forme e poteva, anche, essere raggiunta in tanti modi.
Si fece un poco meno allegro.
-Abbiamo perso la finale, l’altro giorno…-
Arthur non si smosse più di tanto, nel rispondergli, prendendo forse la cosa troppo sotto gamba.
-Lo so, sono venuto a vedervi durante la partita.-
Infatti, Alfred ne fu davvero sorpreso.
-C’eri tra il pubblico?-
-Farmi due isolati a piedi per andare in uno stadio sportivo non è certo un problema, per me!-
-Ma vuol dire che sei venuto appositamente a vederci!-
-A vederti, per essere precisi…-
Si zittirono ancora per qualche secondo, solo in quel brevissimo lasso di tempo Arthur si rese conto di quanto aveva detto, con quella sciocca precisazione.
Il sorriso di Alfred sembrò quasi coprirgli tutta la superficie del viso, da tanto fu grande.
-Come ti sono sembrato?-
-In realtà non ho capito molto. Mi ritrovavo attorno gente che urlava senza che ne comprendessi il motivo. Devo dire che è stato frustrante. Dovresti proprio spiegarmi come cavolo funziona il football, non sono riuscito a capirlo!-
Ancora una volta a fregare Arthur fu una precisazione assolutamente fuori luogo e fuori contesto.
Era come se dentro di lui si dimenassero due anime, quella ancora restia a perdonare Alfred e quella che tanto voleva semplicemente dimenticare tutto e andare avanti come se nulla fosse.
Per questo Arthur era più isterico del solito.
-Però correvi davvero bene, questo sì…-
Tutto orgoglioso, Alfred si gonfiò come un piccolo pavone vanaglorioso.
-L’anno prossimo farò il capitano!-
-Davvero? Come mai?-
-Beh, perché il capitano di quest’anno andrà all’università e io sono il giocatore più esperto dopo Ludwig, per cui sono sicuro che sarò il capitano! Sono sicuramente il più bravo a parlare!-
Il ragazzo rise, pieno di sé. Gli era capitato troppo poco spesso in quegli ultimi tempi, così tanto preso da tutto quello che stava vivendo.
Però quando tornò a guardare Arthur lo vide duro negli occhi.
-Quindi ti getterai totalmente nello sport, ho capito…-
Una sensazione di forte disagio accompagnò quell’affermazione, tanto più perché era vera e perché esplicava semplicemente il motivo del loro acre litigio.
Alfred abbassò lo sguardo a terra.
Non voleva proprio che finisse così, tra lui e Arthur. Perché sennò non avrebbe avuto senso proprio niente di quello che erano riusciti a condividere, non avrebbero avuto senso i suoi dubbi e le soluzioni ai tali, non ne avrebbero avuto i sentimenti che aveva scoperto, non ne avrebbero avuto senso le nuove esperienze e tutto quell’anno scolastico che avevano appena passato assieme lui e Arthur.
Non voleva che quello accadesse.
Si ritrovò a fare a sua volta una confessione, spinto da un senso dall’allarme che lo incitava a continuare, ad andare avanti a parlare. Un silenzio troppo prolungato sarebbe valso la fine di tutto, e lui non voleva permetterselo.
Giocò la carta della sincerità.
-Sai, in realtà io volevo imparare il “Re Lear” per una scommessa che ho fatto con Braginski. Lui mi ha dato dello stupido e ha detto che non sarei mai riuscito a imparare un’opera di Shakespeare, così volevo dimostrargli che si sbagliava!-
Arthur si irrigidì, facendo una smorfia.
-Ma certo che si sbaglia, tu non sei stupido!-
Divenne rosso qualche istante dopo, rifugiando naso ed espressione in un bicchiere d’acqua accuratamente preso dal bouffet lì accanto.
Ma Alfred non glielo perdonò affatto.
-Allora cosa sono?-
-Sei tantissime cose, Alfred…-
-Per esempio?-
-Per esempio sei fastidioso, sei insistente, sei immaturo e infantile, sei egocentrico e arrogante, sei testardo e megalomane!-
Altro sorso d’acqua – quella volta la voce era più calma, profonda e tranquilla.
-E sei caparbio, sei acuto e sensibile, sei determinato e deciso. Sei anche terribilmente sincero…-
-Quindi tu credi a quello che ti dico, Arthur?-
-Sì, io credo a quello che mi dici…-
Alfred sorrise, avvicinandosi a lui.
Non osò prendergli la mano, ma data la vicinanza non fu una cosa poi così rilevante.
Soffiò le parole direttamente nel suo orecchio, perché aveva come il timore che a dirle solo un poco più forti poi Arthur si sarebbe imbarazzato e lo avrebbe mandato via subito.
-Allora io ti dico che mi piaci, Arthur. Mi piaci davvero tantissimo!-
Kirkland restò di sasso, immobile e muto. Attorno a lui c’erano così tanti rumori da renderlo quasi una figura estrenea a tutto, c’era così tanto movimento da poterlo paragonare a un morto.
Le sue dita si serrarono attorno al bicchiere di plastica che teneva stretto tra le mani, per poco non lo ruppe rovesciando così il liquido a terra.
I suoi occhi si inumidirono pian piano e Alfred quasi temette che si mettesse a piangere da un momento all’altro.
Vide che alzò la mano alla bocca mentre borbottava, con voce rotta, qualcosa di poco comprensibile ma terribilmente diretto.
-Anche tu mi piaci…-
Alfred non osò baciarlo, non osò toccarlo, non osò fare proprio nulla.
Arthur si voltò a guardarlo in faccia e ciò bastò ad entrambi per capire davvero. Lasciarsi annegare l’uno nello sguardo dell’altro sembrò la cosa davvero importante per diverso tempo, per entrambi.
-Arthur…-
-Cosa c’è?-
-La biblioteca è aperta, oggi?-
-No, non lo è, ma io ho le chiavi della porta di servizio. Conosco la bibliotecaria da tempo, lei si fida di me…-
-Andiamo lì?-
Fu Arthur a prenderlo per la mano, ancora una volta, e a trascinarlo velocemente via.


C’era bisogno, sulle loro labbra.
C’era bisogno, lungo le loro dita.
C’era bisogno, sotto la loro pelle. Per questo motivo non persero altro tempo – che di momenti per parlare e ragionare ce n’erano stati e ce ne sarebbero stati sicuramente tantissimi.
Distesi com’erano tra i cuscini, si rubavano a vicenda il respiro con baci lunghi e feroci, affamati.
Alfred si era ritrovato sopra, ma solamente perché era stato quello più impaziente e aveva spinto l’altro per terra, dove sapeva che non si poteva far male. Arthur non si era preso neanche la briga di rimproverarlo, tirandolo verso di sé in un abbraccio possessivo.
Il caldo dell’estate li aiutò a togliersi i vestiti a vicenda e le loro mani non sembravano aver aspettato altro che quello, fino a quel punto.
Alfred gli baciò il collo e scese sul suo petto, a baciare con le labbra i pettorali fino a fermarsi sui capezzoli sensibili – quelli si irrigidirono ai suoi tocchi e Arthur tremava e cercava il suo viso con le mani.
Sulla bocca di Kirkland c’era solo il suo nome tremulo, che vibrava con più forza quando lui toccava certi punti del suo corpo. Li memorizzò, senza capirne esattamente il motivo: il fianco destro appena sotto l’ascella, l’ombelico, il diaframma, il capezzolo sinistro, l’inguine al limite con i boxer verso il centro.
I capelli di Alfred vennero presi e tirati più volte, mentre Arthur accompagnava i suoi movimenti con la voce.
Quando Jones arrivò a liberarsi della maglietta e si aprì i pantaloni, Arthur non lo fermò ma alzandosi sui gomiti rispose alle sue attenzioni e approfittò del breve momento di distrazione, baciandolo sulla bocca.
Faticando a respirare e in un groviglio scomposto di braccia e gambe che si muovevano frenetiche, Arthur e Alfred – più il primo che il secondo – andarono a sbattere contro la superficie verticale del muro, fermandosi finalmente e stringendosi in un ulteriore abbraccio.
Si guardarono quando la mano di Alfred iniziò a calare verso il bacino di Arthur. Si guardarono quando Arthur trattenne il fiato e arpionò la schiena di Alfred imprimendovi dentro la pelle le sue unghie.
Tra i baci, Alfred lo rassicurava, legandolo a lui attraverso lo sguardo: non lo avrebbe più lasciato.
-Arthur, sei molto bello…-
Preso dall’emozione, Arthur non capiva poi molto, oltre ai gemiti e agli ansimi sconnessi non riusciva a dire niente di davvero intelligente.
-Lo sei anche tu!-
Un gemito più forte uscì dalle labbra di Arthur, perché le carezze di Alfred erano arrivate all’interno coscia e non davano segno di volersi lì fermare.
La sua voce era sensuale e pacata ma tradiva un desiderio e una fretta che ben presto sarebbero stati troppo forti da contrastare.
-Mi piace toccarti e mi piace baciarti…-
Arthur si irrigidì, ma solamente per riflesso e per le emozioni contrastanti che stava provando: non aveva la minima voglia di scappare.
-Anche a me piace baciarti…-
Alfred si fermò sulle sue labbra a lungo, accarezzando con la lingua l’interno tutto della sua bocca e succhiando non più piano, rubandogli così ogni rimasuglio di lucidità.
Sprofondarono assieme.


-Arthur?-
-Sì?-
-Non credo che smetterò presto di volerti tutto per me…-
-Allora sopporterò in silenzio questo enorme peso!-
-Mi piaci tantissimo, Arthur! Mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci, mi piaci!-

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 11. Epilogo ***


**11. Epilogo**

 

 

 

Portia:
Ay, but I fear you speak upon the rack
Where men enforced do speak anything.”
Bassanio:

Promise me life and I’ll confess the truth.”
Portia:

Well then, confess and live.”
Bassanio:

Confess and love
Had been the very sum of my confession.
O happy torment, when my torturer
Doth teach me answers for deliverance.
But let me to my fortune and the caskets.”(11)

 

 

 

Il fatto che Arthur non rispose insospettì parecchio Alfred che, con tutta l’innocenza del mondo, alzò gli occhi dal proprio copione per vedere la faccia dell’altro. E per, ovviamente, scoprirla contrita in una smorfia di pura irritazione.

-Ti sembra il modo di recitare, questo? Dico, Bassanio sta cercando di fare il galante con Portia, non sta leggendo l’elenco della spesa!-

Alfred sbuffò, facendosi aria con il plico di fogli. Stavano provando da circa mezz’ora quella singola scena e mai una volta Arthur era stato contento. Per lui l’interpretazione che faceva di Portia era assolutamente perfetta come l’interpretazione di Bassanio di Alfred completamente orrida.

-Beh, quantomeno io sono un uomo!-

-E questo cosa cavolo c’entra? Proprio perché sei un uomo dovresti sentire di più il personaggio!-

Arthur era stato felicissimo d’avere una nuova ed eccellente scusa per insegnare ad Alfred un’altra opera di Shakespeare. “Il mercante di Venezia” gli piaceva molto e questa volta sperava di non fare la stessa fatica della prima – magari sperava anche di studiare un poco di più e di perdere meno tempo in inutili faccende, ma questo era un altro discorso.

-Ma Bassanio è stupido, l’hai detto anche tu! Non mi riesce ad interpretare un personaggio stupido!-

-Questo è veramente il colmo: avresti solo da essere te stesso! E poi io ho solo detto che è un incosciente, non che è stupido! Tra l’altro, è incosciente con Shylock, con Portia è un perfetto gentiluomo della sua epoca! Ma non riesci ad ascoltare più di due parole dei miei discorsi?-

Durante l’estate, avevano avuto modo di trascorrere molto più tempo vicini del previsto, così non avevano perso l’occasione per passare le giornate assieme – a parlare di sport, di letteratura e di mille altre cose, a baciarsi sotto la Luna e sotto il Sole e in mille altre posti diversi.

Arthur aveva conosciuto quasi subito la famiglia di Alfred perché il ragazzo ci aveva sempre tenuto tantissimo a presentarlo ai suoi. Nello stesso periodo, anche Matthew aveva presentato il proprio fidanzato alla famiglia e come nel primo caso anche nel secondo i signori Jones accolsero la nuova coppia con semplicità e calore.

Alfred, però, ebbe qualche difficoltà a conoscere entrambi i genitori di Arthur. Probabilmente Kirkland non li riteneva ancora pronti per la notizia, probabilmente Kirkland stesso non era ancora pronto davvero a rivelarsi al mondo. Alfred aveva insistito solo poche volte, poi aveva smesso e si era messo ad aspettare con calma.

Non aveva fretta – perché era certo che dopo quella prima avrebbero passato assieme tante altre Estati.

-Ti ascolterei se non parlassi come un vecchio! Sei così noioso, alle volte!-

-Io non sono noioso! Sei tu che non capisci cosa ti dico! Sei uno stupido! Stupido, stupido, stupido!-

All’inizio del nuovo anno scolastico, si erano iscritti entrambi al Club di Teatro.

Nessuno dei due aveva rivelato all’altro la propria intenzione, perché volevano farsi una sorpresa a vicenda. Dopo un momento di imbarazzo silenzioso, avevano riso e sorriso nel ritrovarsi a sostenere lo stesso provino.

Erano stati presi entrambi e ad entrambi era stata assegnata una parte importante da preparare per lo spettacolo di Natale.

Ivan Braginski avrebbe fatto Shylock e in effetti Alfred pensava che, per lui, non c’era davvero ruolo migliore di quello.

-Se io non capisco è anche colpa tua che non riesci a comunicare nulla, non pensi?-

-Non chiedermi di adattarmi al tuo livello! Dobbiamo migliorare, non peggiorare!-

Avevano così preso la decisione di impegnarsi a fondo, entrambi e assieme, per riuscire a dare il meglio di sé stessi e per vincere quella nuova sfida.

Se sulle prime Ivan era stato piuttosto scettico nei loro confronti, alla fin fine si era dimostrato un attore professionista, più attento alla buona riuscita dello spettacolo tutto che al proprio tornaconto personale. Arthur e Alfred erano stati aiutati anche da lui a migliorare la resa dell’interpretazione, con qualche piccolo trucchetto per regolare calma e modulare meglio la voce.

Era stata una piacevolissima sorpresa riscoprire la sua persona.

-Arthur…-

-E piantala di lagnarti! Cosa vuoi?-

-Non voglio più ripassare…-

-Cosa vuoi fare, allora?-

-Non saprei… andiamo a fare una passeggiata?-

Il sorriso di Alfred rimaneva sempre la sua arma migliore – Arthur aveva capito quanto gli fosse impossibile resistergli, nonostante gli sforzi.

Lo sguardo di Arthur rimaneva sempre la sua meraviglia più grande – Alfred aveva capito che probabilmente, anche a cercare bene per tanti anni, non avrebbe trovato di meglio da nessun’altra parte.

E a entrambi andava benissimo così.

-Dopo però ripassiamo ancora, eh…-

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=865724