Black Counterpart Trilogy

di Delirious Rose
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I Pescispada ***
Capitolo 2: *** Tededa ***
Capitolo 3: *** La vendetta è un piatto che si gusta freddo ***



Capitolo 1
*** I Pescispada ***


I pescispada
 
 
 
“Io, Rodolphus Lestrange, prendo te Bellatrix come mia legittima sposa, per amarti e onorarti per tutti i giorni della mia vita, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà, nella buona e nella cattiva sorte finché morte non ci separi.”
 
 
Queste parole sono impresse nel mio cuore e nella mia anima; un marchio più forte di quello del nostro Lord; un marchio che mi scalda e mi rafforza; un marchio indelebile che affronta tempeste procellose. Un marchio che si è impresso a fuoco dentro di me fin dal primo istante che ti vidi: avevi appena quattordici anni ed attraversavi fiera e impettita i giardini della scuola, eri come un airone che si slancia sull’acqua, dura, spigolosa, acerba, eppure.... eppure eri di una bellezza rilucente come un diamante nero, con quei tuoi lineamenti da Madonna gotica. Ed eri giovane, troppo giovane per me, prefect dell’ultimo anno: eri così deliziosa quando mi guardavi indispettita e imbarazzata dalle mie galanterie; e com’erano teneri i tuoi rossori, il modo in cui abbassavi gli occhi e mi fuggivi, chiedendoti cosa ci trovasse uno dei ragazzi più popolari di Hogwarts in una bambina del quarto anno; e quante volte eri stata sul punto di maledirmi e ti eri trattenuta a stento.
 
 
Il ricordo delle tue gote imporporate mi fa ancora sentire un formicolio in tutto il corpo, come quando t’invitai al ballo per la consegna dei diplomi: i tuoi occhi, neri come ciliegie mature, erano spalancati e le tue labbra, come boccioli di rose, erano appena schiuse, a manifestare il tuo stupore; poi abbassasti gli occhi e annuisti, nascondendo un piccolo sorriso. Ricordo quella sera e il tuo modo leggero e grazioso di ballare, e il modo in cui il tuo corpo ben si adattava al mio, come se tua madre ti avesse partorito per stare fra le mie braccia. Ricordo quel tuo bacio, timido e impacciato, primo di tanti altri; e ricordo il tuo gemito sorpreso quando, per la prima volta, assaporai il miele della tua bocca.
 
 
Non persi tempo, per tema che qualcuno potesse portarti via da me, e prima del meriggio del primo giorno delle vacanze estive ero davanti a tuo padre a chiedere la tua mano: mi scrutava con cipiglio, indispettito che già qualcuno volesse portargli via una delle sue gemme. Mi disse che eri solo una bambina, che eri troppo giovane per assumerti l’impegno di una famiglia; ed io risposi che avrei aspettato, aspettato che lui ci desse la sua benedizione, aspettato che tu fossi diventata la donna meravigliosa che sei. Mi disse che avrei potuto trovare un’altra, una ragazza più grande e più avvenente; ed io risposi che né circe né Medea né Morgana sarebbero state capaci di distogliere il mio pensiero da te.
 
 
E aspettai. Per tre lunghi anni dovemmo accontentarci di fugaci e rari incontri a Hogsmeade, delle serate trascorse senza dir nulla davanti al caminetto del salotto di casa tua fra le decorazioni natalizie e delle allegre passeggiate per la campagna toscana quando in estate mi raggiungevi nella villa di famiglia. La stessa villa che in quel luminoso giorno di metà Luglio vide coronare il nostro sogno d’amore: non eri più un airone, ma un cigno nero che scivola elegante e regale sull’acqua. 
 
 
Ricordo quel giorno della nostra luna di miele, quando ci venne il capriccio di trascorrere mezza giornata fra i Muggle: passeggiavamo mano nella mano sulla costa messinese e vedesti un uomo sulla scogliera agitare una bandiera bianca. Ti avvicinasti incuriosita e gli chiedesti cosa stesse facendo: c’indicò due sagome nere nell’acqua e poi una barca. Ci disse che indicava ai pescatori la presenza dei pescispada e che se riuscivano a prendere la femmina allora anche il maschio sarebbe stato catturato, perché non la avrebbe abbandonata mai e le sarebbe restato sempre accanto. Rimanemmo a guardare la barca che si avvicinava alle sagome nere; vedemmo l’arpione sfiorare la superficie marina e affondare nelle carni del pesce più piccolo; lo vedemmo contorcersi e nuotare verso il fondo, nel disperato tentativo di liberarsi, mentre l’altro gli nuotava accanto, come se fremesse dal desiderio di aiutarlo ma non sapesse come. Quando l’acqua divenne rossa, voltasti il capo e mi dicesti d’andar via, con una voce insolitamente triste; ti seguii, ma ad un certo punto mi voltai e vidi i pescatori issare a bordo la loro preda, mentre l’altro nuotava affianco alla barca, quasi volesse offrirsi all’arpione.
 
 
Quella fu la nostra età dell’oro: eravamo felici e innamorati in una protratta luna di miele, con l’unica spina di quel figlio perduto e mai più concepito. Un periodo meraviglioso che terminò la sera in cui mi dicesti che, se mi fossi unito all’Oscuro Signore, tu non saresti rimasta in casa ad aspettare ma saresti stata al mio fianco, anche nel mezzo della battaglia: diventasti fredda, spietata, una donna diversa dalla Bellatrix che conoscevo ed amavo; ma quella Bellatrix tornava nei tuoi sorrisi di sposa, nei tuoi bronci e nella tua estatica serenità del primo mattino dopo un’intera notte passata a far l’amore. Erano momenti meravigliosi, in cui c’illudevamo che nulla fosse cambiato; momenti di quieta felicità che s’infrangevano quando l’Oscuro Marchio ci bruciava le carni: e allora dovevamo lasciarci tutto dietro le spalle e lanciarci nella battaglia, battaglie in cui ti proteggevo mentre alla mia destra combattevi con foga, per sfogare la tua rabbia e il tuo dolore.
 
 
Poi il giorno in cui tutto finì, quando ci fu annunciata la caduta del nostro Lord: mio fratello Rabastan, Barty, tu ed io eravamo nel nostro salotto, incapaci di accettare che egli non fosse più fra noi; e l’idea che potesse essere, solo e debole, in qualche parte del mondo si fece strada nelle nostre menti seguita dalla decisione di trovarlo ad ogni costo e ristorare il suo potere. Per tutto il pomeriggio non facemmo altro che fare e disfare piani, supposizioni, fino a prendere la decisione di andare dai Longbottom per avere le informazioni che volevamo e poi partire per il continente: non eri mai stata così spietata, così sorda alle preghiere, così irrazionale anche dopo l’ennesima prova che loro non sapevano nulla. Ma poi capii, capii che era contro l’ingiustizia della vita che lottavi, esacerbata dal destino che ci aveva negato la stessa gioia che aveva elargito ai Longbottom, che il tuo pensiero era sempre con quel figlio perduto e mai più concepito.
 
 
Ci accorgemmo troppo tardi dell’arrivo degli Auror, troppo tardi per Disapparire e far perdere loro le nostre tracce: la battaglia che ne seguì fu aspra, loro erano in dieci e noi solo quattro, stanchi dopo tre ore continue di Cruciatus e quindi non in grado di reggere a lungo. Rabastan fu il primo a cadere, colpito da tre incantesimi contemporaneamente; poi fu la volta di Barty, colpito alle spalle da una Stupify; ed infine te, dopo che un semplice incantesimo ti aveva privata della bacchetta: due Auror ti afferrarono, e mentre cercavi di liberarti da quella presa, la tua maschera scivolò via. Mi guardasti con occhi spalancati, lacrime asciutte rilucevano sul tuo volto.
 
“Va’ Rodolphus, non pensare a me!”
 
Ma non lo feci e mi avventai contro di loro perché non volevo che ti facessero del male, perché non sopportavo l’idea che un altro uomo ti toccasse, perché la mia vita non è niente senza di te.
 
 
Ed ora siamo qui, davanti a questa corte che ci giudica senza aver la premura di chiederci il perché delle nostre azioni: ma capirebbero? Capirebbero quello che abbiamo nel cuore? E tu siedi con la testa alta e il viso sfacciato, fredda come una regina delle nevi ornata di catene; e so che dentro di te non puoi perdonarmi d’aver scelto di restare accanto a te, di essere qui quando avrei dovuto essere fuori a cercare il nostro Lord; ma sai anche che, al mio posto, avresti fatto la stessa cosa. Perché il nostro amore è molto più forte e grande della nostra devozione all’Oscuro; perché noi siamo come i pescispada, Bellatrix, e preferiamo morire piuttosto che vivere senza l’altro e resteremo insieme, nonostante tutto.
Finché morte non ci separi.

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Capitolo 2
*** Tededa ***


.: Tededa :.
 
 
Si dice che quando un uomo muore, veda davanti a sé la propria vita come se fosse al cinematografo. Ed è vero. Ora che la Tededa sta affondando, rivedo la mia vita. E non importa quanto Frank e Max s’impegnino a pompare l’acqua dalla stiva, non importa quanto io cerchi di mantenere la rotta e di arrivare in porto: il mare ha deciso che oggi si riprenderà le vite cui ha provveduto per quarantadue anni. 
Le onde sono come muri d’acqua che si abbattono sul peschereccio, e non esiste incantesimo che potrebbe salvarlo. Certo, potrei disapparire e comparire tutto fradicio in salotto, inzaccherando d’acqua il pavimento appena lavato, ma come posso abbandonare i miei amici, i miei colleghi? Come potrei affrontare le loro famiglie, sapendo di essere fuggito? E come potrei affrontare te, Andromeda? E tu, Nimphadora, cosa penseresti di tuo padre? 
Io non sono un cuor di leone, sono solo un mago mediocre e un pescatore che lavora sodo. E sono un marito che ama sua moglie e un padre pronto a tutto per sua figlia. Sono solo un uomo che fa il proprio dovere.
 
Fu per senso del dovere, che i miei genitori decisero che era meglio per me andare a Hogwarts, nonostante questo significasse un paio di braccia in meno durante il weekend ed un pescato meno abbondate –perché fino ad allora non sapevamo perché ogni volta che aiutavo mio padre, le nostre nasse traboccavano d’aragoste.
E penso che fosse per questo motivo che fui smistato in Hufflepuff: non possiedo il coraggio dei Gryffindor, né la sete di sapere dei Ravenclaw o l’ambizione degli Slytherin. E mi sentivo spaesato in quel mondo così diverso da quello in cui ero cresciuto, con tutte le sue parole difficili e le sue regole incomprensibili: era facile ignorarmi, perché preferivo essere ignorato, perché il mio pensiero non era mai sul topo da trasfigurare in tazzina o la piuma da far volare, ma andava al mare alla barca e a tutto quello che avevo lasciato dietro di me e che desideravo.
 
Ed ecco, proprio come in un film, rivedo la prima volta che ci siamo parlati. 
Io già ti conoscevo, Andromeda, osservavo con invidia le tue maniere raffinate, la tua abilità con la bacchetta. E le tue mani, bianche e delicate, avvezze a stringere posate d’argento e ad essere protette dal gelo invernale da caldi guanti. Mani diverse da quelle di mia madre, che avevano a che fare con una casa da accudire e otto figli da allevare. Mani diverse da quelle di mio padre, rese ruvide e callose dalla salsedine e dalle cime. 
Non so come il discorso cadde su quell’argomento, non so chi mi diede il coraggio di esprimere il mio parere, ma lo feci: ti voltasti verso di me, quasi stupita, poi sorridesti.
“Sai, non l’avevo mai considerato sotto questo punto di vista,” mi dicesti.
E poi… poi tutto fu così strano: iniziasti ad aiutarmi con le lezioni, i compiti. Mi chiedevi ripetutamente del mondo Muggle, di come riuscissero a vivere senza magia: ricordo il tuo viso estatico, gli occhi che ti brillavano, meravigliata come un bambino che scopre il mondo. 
Ed io non potevo fare a meno di guardarti, di chiedermi cosa, oltre alla curiosità e alla solidarietà fra compagni di Casa, ti spingesse a concedermi la tua compagnia. Ed io… io facevo tutto il possibile per non illudermi, perché nonostante tutto io ero solo un pescatore d’aragoste e tu… tu eri una Black.
Eri così bella per me, rotondetta e paffutella, i capelli ricci e castani, gli occhi nocciola: quante volte ti ho sentito definirti grassa, lodando le armonie di tua sorella maggiore, e con un pagliaio in testa e degli occhi anonimi, descrivendo l’algida bellezza di tua sorella minore. 
Poi sorridevi, un po’ orgogliosa. “Però io sola assomiglio alla nonna Davan.” 
 
Era fine maggio, poco prima dell’inizio delle O.W.L.s: mi aiutavi a ripassare il programma d’Incantesimi, all’ombra dei salici che si specchiavano nel lago. Avevo allontanato il libro da me. “Che tutti questi paroloni? Non mi servono a niente!” sbuffai.
“Sbagli: n’abbisogni perché sei un mago, ed i maghi usano gli incantesimi per fare le cose,” rispondesti dolcemente.
“Allora io sarò il primo mago che non li userà, Miss Black.
“Voglio dire, l’anno prossimo non tornerò, mio zio mi ha trovato un lavoro su un grosso peschereccio: lo so che la pesca in alto mare è diverso dal pescare aragoste, ma è un buon lavoro e fra due o tre anni avrò abbastanza soldi per comprare una barca, la mia barca.”
“Non è il momento di sognare ad occhi aperti, Tonks,” dicesti ridendo, porgendomi il libro d’Incantesimi. “ricorda che stiamo studiando.”
Feci spallucce e mi stesi sull’erba. “Non ne vedo la ragione, Miss Black. E poi sono arcisicuro che non prenderò neanche un O.W.L.
“È che non so proprio come chiamare la mia barca. Sapete, Miss Black, una barca senza nome porta sfortuna, per questo voglio un nome davvero speciale.”
Non dicesti nulla, sospirasti appena e tacesti per qualche minuto. “Tededa,” dicesti infine.
“Tededa?”
“Sì, non è un nome adorabile per una barca?” rispondesti con uno dei tuoi sorrisi. “Ed ora, a studiare.”
“No, aspettate!” esclamai. “Che razza di nome è tededa? Non è neanche una parola!”
“Sì che lo è. In verità, sono due parole.” Mormorasti appena, chinandoti verso di me e tracciando le lettere sul mio petto col dito. “Ted e Andromeda, Tededa.”
Le tue labbra erano dolci e morbide sulle mie quel bacio –il nostro primo bacio- sembrò durare per sempre.
 
Se l’anno seguente tornai a Hogwarts, fu solo per te, e così l’anno seguente: eravamo felici, nel nostro amore clandestino di cui tutti, in Casa Hufflepuff, ne erano a conoscenza, pure il Frate Grasso. Ti ricordi i suoi ammonimenti, Andromeda? Ti ricordi quante volte ci aveva fatto una predica sull’amore e la santità del matrimonio?
E ti ricordi quella volta che litigammo, ma proprio di brutto, perché i tuoi genitori volevano che tu sposassi il cognato di tua sorella maggiore? Quando lo seppi, ero talmente furioso che ti accusai di usarmi, che per te non ero altro che un diversivo, un passatempo per dimostrare alla tua famiglia che potevi fare quello che volevi. Siamo entrambi dei gran testoni, vero? 
Per quanto tempo ci tenemmo il broncio? Per quanto tempo non ci scambiammo una parola, neanche in classe? E come si disperavano gli altri, perché li costringevamo a farci da messaggeri! Mi ricordo, che quando ci fu la gita a Hogsmeade, tu ci andasti con Rabastan Lestrange, solo per il gusto di farmi un dispetto. 
E poi… poi quella sera venisti da me, con le lacrime di rabbia che ti arrossavano il viso e gli occhi.
“Lo odio lo odio lo odio!” ripetevi fra i singhiozzi. “Solo perché sono una Hufflepuff, questo non gli da il diritto d’insultarmi! Chi si crede di essere, quello stupido di un Lestrange?
“Come… come possono i miei genitori farmi questo? Come possono essere così ciechi da pensare solo al buon nome, a non vedere oltre? Sono mia madre e mio padre, dovrebbero avere a cuore la mia felicità!
“Io… io amo il padre del mio bambino, perché non vogliono capirlo?”
Quelle parole mi fecero sentire come se l’insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure in persona mi avesse lanciato un Pietrificus Totalis.
 
Non avevamo molto tempo a nostra disposizione, perché tua sorella si sarebbe sposata a luglio ed i tuoi genitori avrebbero approfittato dell’occasione per annunciare il tuo, di fidanzamento. Ci ridevamo su, fingendo sorpresa per questa dimostrazione di taccagneria dei Black e dei Lestrange.
M’impegnai con tutte le mie forze per prendere la licenza d’Apparizione, perché era il modo più economico per raggiungerti, e poco m’importava se poi avrebbero potuto seguire le nostre tracce. Anzi, sarebbe stato perfetto, perché si sarebbero messi da soli davanti al fatto compiuto.
La sera prima della consegna dei diplomi, ci presentammo da padre Merrin e gli chiedemmo di sposarci: ricordi la faccia che fece, mentre ci ascoltava? E tu quasi scoppiasti a ridere quando ci disse che non potevamo fare una cosa del genere, e di nascosto alle nostre famiglie per giunta. Ci scambiammo un’occhiata complice. 
“Ce ne spiace, padre, ma noi tre non possiamo più aspettare.”
E a quelle parole pareva che avesse ingoiato un rospo vivo.
Una volta tornati in Sala Comune, non fu solo la fine della scuola che festeggiammo, perché i nostri cari Compagni di Casa ci avevano aiutato in quei due mesi: Danielle Lovejoy, la Caposcuola, ci cedette la sua camera quella sera.
“Ragazzi, non pretenderete che una coppia sposata trascorra la sua prima notte di nozze in un dormitorio! Abbisognano di intimità,” aveva esclamato con un gran sorriso.
 
I giorni che seguirono furono pieni di ansia: io riuscii ad avere la licenza solo al secondo tentativo –se avessi fallito ancora, tutti i nostri piani sarebbero andati a monte- e tu dovevi fare il possibile per tenere nascosta la gravidanza ai tuoi. E poi il giorno tanto atteso giunse.
Faticai molto per raggiungerti, non ero mai Apparso per distanze troppo lunghe e non consecutivamente, ma alla fine riuscii ad arrivare alla villa dei Lestrange, dove stavate festeggiando le nozze di tua sorella. Il sole si avviava al tramonto, quando arrivasti: fulgida e splendida, con ancora indosso il vestito da damigella d’onore, le spalle coperte dal mantello da viaggio. Mi abbracciasti di slancio, baciandomi con passione, mormorandomi quanto ti ero mancato. 
La gravidanza interferiva con la tua magia e per arrivare in Gran Bretagna impiegammo più tempo del previsto, ma non c’importava, non c’importava: eri mia moglie, la madre del mio bambino. Eri mia, e questo mi bastava.
Arrivammo nel mio villaggio che era già sera, e tu ridevi, felice, con gli occhi che ti brillavano come le stelle in cielo, assaporavi l’aria profumata di mare: ti cinsi le spalle con il braccio e camminammo lungo il molo, ti mostrai la Tededa. 
“Il nostro nido d’amore, almeno finché non avrò abbastanza soldi per comprare una casa,” ti dissi.
Tu insistetti per conoscere la mia famiglia, tanto eri impaziente di iniziare la tua nuova vita quanto lo ero io di restare solo con te. Alla fine cedetti, e percorremmo la stradina tortuosa, ridendo, incuranti degli sguardi curiosi della gente, che si chiedeva chi fosse la raffinata ragazza abbracciata al pescatore d’aragoste.
“Ted Tonks! Si può sapere dove cavolo sei stato per tutto il giorno?!” e ti ricordi che faccia fece mia madre, dopo questo cordiale bentornato, quando ti vide?
“Mamma, ti presento Andromeda, mia moglie.”
Era così surreale, quella scena: una Black nella cucina di una famiglia di pescatori d’aragoste.
Mia madre mi fece una bella strigliata, quella sera, mentre con te era così impacciata: non aveva mai incontrato una vera strega, né tanto meno una lady come te. I miei fratelli e le mie sorelle ti studiavano curiosi, come se fossi qualcosa d’esotico.
Il giorno seguente i tuoi genitori ti mandarono un’Howler coi contro fiocchi, ma tu facesti spallucce e l’ignorati: eri Andromeda Tonks, e non saresti tornata indietro.
 
Per te fu faticoso abituarti al mio stile di vita, a non avere elfi domestici pronti ad obbedire al tuo comando; spesso eri imbarazzata, perché quello che avevi imparato durante le lezioni di Studi Muggle era solo una piccola parte della nostra quotidianità. Mia madre cercava di aiutarti, nonostante fosse sempre un po’ impacciata quando eri con lei. Ma tu eri testarda, e non ti lasciavi abbattere dalle difficoltà.
 
E poi arrivò la nostra Nimphadora. 
Non dimenticherò la prima volta che l’ho presa in braccio: era così piccola, delicata, avevo paura di farle male con le mie mani ruvide e callose. Mi sentivo l’uomo più felice del mondo.
Festeggiammo il suo terzo compleanno nella nostra casa, che ero riuscito a comprare a costo di enormi sacrifici. Ma era nostra, il nostro nido d’albatro.
La nostra era la vita di ogni coppia: ci amavamo, litigavamo, non ci parlavamo per giorni, ma poi facevamo la pace, sempre. E come ti arrabbiavi, quando facevo piangere la nostra bambina, facendole vedere un’aragosta viva.
“Ted Tonks, lo sai che Nimphadora ha paura delle aragoste! Smettila di spaventarla!” mi rimproveravi, mentre fra le braccia cullavi il nostro tesoro in lacrime.
Fu in una di queste occasioni che scoprimmo che la nostra bambina era un Metamorphomagus, e quel giorno fosti tu a scoppiare in lacrime, e piangesti anche il giorno in cui ricevette il gufo da Hogwarts. E quando ricevette ben sette O.W.Ls. e quando si diplomò con degli ottimi voti. E quando fu ammessa all’Accademia per Auror: com’era radiosa, la nostra Nimphadora, il giorno del giuramento, splendida nella sua uniforme, il viso illuminato dal sorriso che aveva ereditato da te, come le fossette sulle guance.
Eravamo sempre in apprensione per quella che consideravamo ancora la nostra bambina, perché l’Oscuro Signore era tornato, perché tua sorella Bellatrix era di nuovo libera e tremavi al pensiero di quello che sarebbe potuto accadere se si fossero trovate ad affrontarsi in battaglia. Ogni volta che Nimphadora tornava a casa, le preparavi il suo piatto preferito, la ricoprivi di ogni attenzione.
 
La Tededa affonda, amor mio, mio tesoro, l’acqua mi riempie i polmoni, non riesco a respirare, una cima mi tiene legato alla Tededa. Cerco di liberarmi, non riesco a resistere più di così, non ce la faccio. Perdonami Andromeda, per questo dolore. Perdonami Nimphadora se non potr
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il corpo di Ted Tonks fu ritrovato dopo tre giorni, assieme a ciò che restava della Tededa.

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Capitolo 3
*** La vendetta è un piatto che si gusta freddo ***


“Da gande voio spociare Luciu Mafoi.”
Avevi appena tre anni, e già mi perseguitavi. Ricordo le facce divertite delle signore, quando ti sentivano dire quella frasetta, commentando sul fatto che, ancora così piccola, già dimostravi d’avere ottimo gusto in fatto di uomini. E per me era sempre più insopportabile.
Mi sei stata appiccicata sin da quando avevi imparato a mettere due parole insieme e un passo dietro l’altro, una tortura che per fortuna è durata solo un paio di anni: che sollievo per me, arrivare a Hogwarts! Ben dieci mesi senza quella rotture di scatole che era Narcissa Black! Certo, durante le vacanze non riuscivo a fare un passo senza averti dietro, ma il sapere che non ti avrei avuto intorno per la maggior parte dell’anno mi faceva sopportare quella tortura. E dire che, quando si trattava di te, la mia pazienza doveva sopportare anche le battutine idiote di quell’imbecille di tuo cugino Sirius.
“Ma come, Luciupooh, non dovresti far da bambinaia alla Tappetta? L’hai persa, per caso? Povera, povera Cissy, chissà come starà frignando adesso! Oi Tappetta, guarda un po’ chi ti ho trovato?”
Insopportabile, semplicemente insopportabile.
La mia Signora Madre, Lady Anima, scoteva la testa e sospirava ogni volta che mi lamentavo di te. “È solo una bambina, Lucius. E in ogni caso è una Black, il che, se non fosse così giovane, la rende un’ottima candidata per divenire la tua sposa.”
“È una mocciosa insopportabile!”
“Suvvia, non rovinatici la salute. Sua sorella, la mezzana, non è fidanzata, nevvero?”
“Ma è una Tassorosso! E poi ho sentito dire che da troppe confidenze ai Mudblood!”
E pareva che nulla al mondo avrebbe potuto fare di una Black la futura Lady Malfoy.

La perfetta futura Lady Malfoy la incontrai per uno strano scherzo del destino, al matrimonio di tua sorella Bellatrix: Charlotte Lauryn de Poisone aveva la stessa età di quella sorella degenere che ti ritrovi, ed ella era bella e altera, con un sangue così puro da farmi sentire sporco ed un padre indebitato fino al collo. Non la vedevo da anni, da quando una lontana parente aveva deciso di farne la sua erede e darle la migliore educazione possibile con le sue misere finanze.
Per famiglie come le nostre, Narcissa, la mancanza di denaro è una delle cose più imbarazzanti a questo mondo, eppure Charlotte lo ammise senza reticenza, mentre lisciava la stoffa di quell’abito mal trasfigurato per celarne la vecchia fattura e ravvivarne il color pulce, adorna dell’orgoglio di un sangue più puro di acqua di sorgente. Ricordo che rimasi a fissare il modo in cui i suoi capelli biondo tiziano riflettevano la luce del sole come se fossi stato colpito da un sortilegio, mi sembrava di vivere come in un sogno. Un sogno che tu interrompesti senza alcun ritegno, piombando all’improvviso in quel gazebo.

Forse intuisti quello che era appena accaduto, perché da quel giorno facesti tutto il possibile per attirare la mia attenzione e per infangare il nome di Charlotte: alle feste facevi il pavone con indosso l’abito più costoso e sfarzoso prodotto dagli atelier e i gioielli della tua famiglia, in modo che la gente potesse vedere quanto fosse misera mademoiselle de Poisone. Piccola, illusa Narcissa, non ti sei mai accorta che in questo modo non facevi altro che far risaltare ai miei occhi i pregi della mia Charlotte? Ti sei mai accorta che comportandoti in quel modo non facevi altro che farmi innamorare sempre di più di lei?
Sì, proprio io, Lucius Ares Malfoy, ero pazzamente innamorato della povera de Poisone, e lei amava me: un amore sincero, come non avevo né ho mai provato nella mia vita, un amore basato non sul nome o sui galeoni, ma dalla condivisione di idee e pensieri così simili che potevano appartenere ad un unico essere. Perché era questo che eravamo, Charlotte ed io: due anime gemelle, l’una complementare dell’altra. Anche se ella fosse diventata orrenda, anche in mezzo a mille Muggle, io sarei riuscito a riconoscerla, e lei avrebbe riconosciuto me. In qualunque situazione. Anche con la maschera di Death Eater sul viso.
Cosa non feci negli anni seguenti affinché mio padre accettasse Charlotte come nuora! Arrivai persino a propormi di pagare i debiti di suo padre, con quanto avevo ricevuto in eredità da mio nonno materno.
“No, Lucius, non voglio che anche tu abbia a che fare con… con quella feccia.” Charlotte mi aveva detto. “È già vergognoso avere degli sporchi Mudblood fra i creditori e… Per Morgana, mio padre è dunque privo d’orgoglio? Non ha amor proprio?”
L’abbracciai, affondando il viso e le mani nei suoi capelli, stringendo a me quel corpo morbido e dall’ossatura d’uccello. “Andiamocene, andiamo in Scozia e mettiamo i miei davanti al fatto compiuto!”
“No, ho una dignità, io!” mi rispose allontanandosi da me e guardandomi con cipiglio. “Ed anche tu: di cosa dobbiamo vergognarci? Perché dovremmo fuggire come… come codardi senza orgoglio né ritegno? Siamo Pureblood, Lucius, non due Muggle piagnucolosi!” La mia Charlotte, al contrario di te, sapeva toccare le corde giuste quando voleva convincermi a fare a modo suo.

Facemmo a modo suo, tirando dalla nostra parte mia madre, la quale ci avrebbe aiutato a convincere mio padre a darci la sua benedizione: pareva che le cose andassero secondo i nostro piani, e verso la fine dell’estate prima del tuo sesto anno, si vociferava di un mio futuro fidanzamento con Charlotte de Poisone. E a te la cosa faceva rodere il fegato.
Era la fine di agosto ed i tuoi genitori avevano organizzato un ballo per il tuo ingresso in società: furono invitate tutte le famiglie più in vista dell’Inghilterra magica, villa Hylonome era stata tirata a lucido per dare il suo meglio. Tutto questo per farti esaltare ancora di più agli occhi dei tuoi tanti corteggiatori e per cancellare la vergogna di Andromeda, che dopo quattro anni ancora sovveniva sulle labbra delle pettegole, quando c’era penuria d’argomenti. Tua madre aveva fatto cucire appositamente per te un abito esclusivo, da una sarta parigina: di certo non potevo negare che quell’abito ti facesse sembrare all’improvviso così… adulta. La seta color cenere di rosa ti fasciava il corpo come una seconda pelle, i drappeggi esaltavano le tue curve appena accennate e la vita sottile; i capelli color grano, solitamente lasciati sciolti sulle spalle, erano stati raccolti in un nodo che faceva sembrare ancora più lungo il tuo collo, e se non fosse stato per quel luccichio malevolo negli occhi, avrei potuto anche scambiarti per un'altra persona.
Sapevo che avevi qualcosa in mente, qualcosa che potesse impedirmi di stare con la mia Charlotte, e per tutta la serata non feci altro che chiedermi cosa ti frullasse in testa. Negli ultimi tempi non mi stavi più tanto appiccicata, e questo aveva fatto nascere in me i primi sospetti: ma quella sera ti comportasti in maniera impeccabile, come la signorina della società bene che dovevi essere, e nulla nel tuo atteggiamento faceva pensare a quale subdola serpe eri.
Era da poco passata la mezzanotte, se non ricordo male, i primi ospiti stavano andando via e altri s’erano trattenuti a parlare nel salotto, o a danzare stancamente gli ultimi balli: i tuoi genitori erano orgogliosi, lanciando sorrisi a chi si complimentasse con loro per quel gioiello di figlia che si ritrovavano. Mi raggiungesti sulla veranda, un sorriso ferino sulle labbra su cui aleggiava un fantasma di rossetto, nelle mani stringevi due coppe di champagne.
“Ho saputo che presto ti fidanzerai con la de Poisone, Lucius,” mi dicesti con quella che voleva essere una voce sincera e cortese.
Ti guardai cauto, cercando di capire quali fossero le tue intenzioni sotto lo strato di polvere di riso che nascondeva le efelidi sul viso. “Abbiamo da stabilire alcuni dettagli, poi procederemo alla firma della promessa di matrimonio: per la prossima Pasqua, Charlotte sarà mia moglie,” conclusi, calcando l’ultima frase affinché ti entrasse per bene nel cervello.
“Un peccato, un vero peccato,” mormorasti maliziosa. “la de Poisone ha una rendita di solo centocinquanta galeoni, un mago del tuo rango dovrebbe aspirare a molto di più.”
“Qualcuno come te, Narcissa?” soffiai velenoso.
Ridesti, quella risata leggera a labbra strette che non prometteva nulla di buono. “Sei così preso dalla tua cenerentola da non esserti accorto che non mi interessi più?” mentisti inclinando il capo. “Ho molti corteggiatori, anche più ricchi e affascinanti di te. Prima che andasse via, è mancato poco che Evan Rosier chiedesse la mia mano al Signor Padre, pensa un po’.” E questo era vero. Poi mi porgesti una coppa di champagne, con quel sorriso malizioso sulle labbra. “Un brindisi?”
“A cosa dovremmo brindare?” chiesi guardingo.
Stringesti le labbra pensierosa. “Al tuo fidanzamento, agli anni che abbiamo perso e… agli amici che possiamo essere, se solo lo vogliamo.”
Che stupido fui, a credere alle tue parole! E fui ancora più stupido ad accettare quella coppa! Dimmi un po’, Narcissa, che ci avevi messo? T’eri limitata ad aumentare il volume alcolico con un incantesimo, oppure avevi usato una di quelle pozioni che quelle della tua razza usano per incastrare gli uomini? E giusto per curiosità, ti eri fatta prima i conti, oppure avevi usato qualche intruglio per rimanere incinta al primo colpo? Perché è proprio questo che mi avevi fatto, ed io mi ero lasciato incastrare come un novellino alle prime armi.

Nessuno volle credere alla mia versione dei fatti, tranne Charlotte: io fui costretto ad assumermi le mie responsabilità e a sposarti, e lei… ah, la mia Charlotte! Obbligata ad unirsi a quel verme d’un Mudblood! Il pensiero che ella fosse stata trattata come una qualsivoglia merce di scambio, era sufficiente a farmi bollire il sangue nelle vene per la rabbia! Ed io non potevo fare niente.
Tu rimanesti a Hogwarts fino alle vacanze natalizie, andando via prima che la gravidanza divenisse evidente: i tuoi discorsi vorticavano attorno a quelle che erano le tue nozze ideali, al lusso del ricevimento, lo sfarzo degli abiti, l’ostentazione compiaciuta di se stessa. Io ero costretto ad ascoltarti almeno in apparenza, preferendo lasciarti fare e spendere come più ti pareva: i miei pensieri erano sempre altrove, dividendosi fra il darmi dell’idiota ed il tristo destino della mia Charlotte.
Il giorno del nostro matrimonio ero come intorpidito, non ricordo neanche di aver pronunciato la formula che mi legava a te, la recitai come se fosse uno di quei poemi che mia madre, da bambino, mi faceva recitare per il diletto dei nonni. Se so com’eri vestita, quel giorno, è solo grazie al ritratto che ci fu fatto. Ma l’addio di Charlotte, quello è impresso a fuoco nella mia memoria: era così piena della nobiltà e della dignità che tu puoi solo male imitare, il viso freddo e inespressivo perché –lo sapevamo entrambi- ella non poteva permettersi il lusso di mostrarti a te in altra maniera.
“Come ho potuto essere così sciocco?” le dissi quando, fra un ballo e l’altro, ero riuscito a restare solo con lei. “Se penso a quello che sei costretta a passare…”
“Ush, ormai a che serve piangere sul latte versato? Narcissa ha saputo giocare le sue carte, e alla fine ha ottenuto quello che ha sempre voluto, mentre io…” e il suo viso si contrasse in una smorfia di rabbia. “Per Circe e Morgana, il pensiero che quell’individuo possa avere dei diritti su di me è intollerabile! Io, una de Poisone, obbligata a …” nascose il viso sul mio petto, ed io la strinsi a me.
“Dimmi cosa posso fare per aiutarti, per toglierti questo peso di dosso, ed io lo farò,” le mormorai piano.
Ella mi fissò. “Un pegno del tuo amore, Lucius, è questo quello che ti chiedo.”
Annuii appena, intuendo il suo pensiero, sigillando quella promessa con un bacio.
E non la rividi fino al giorno del suo matrimonio.

Sono pronto a giurare che ancora oggi sei tormentata dalla curiosità di sapere quale fosse il mio dono per le sue nozze, nevvero Narcissa? Ecco cos’era, il mio pegno d’amore, infilato nel suo corsetto mentre tu facevi mostra del tuo ventre e quell’essere ignobile che era diventato suo marito tracannava champagne come se fosse acqua.
Dimmi, Narcissa, non ti sei mai chiesta come abbia fatto Charlotte ad avere quel veleno tanto potente da uccidere all’istante? E soprattutto, non ti sei mai chiesta perché lo assunse anche lei? Scommetto che quel neurone che più o meno ti funziona non è mai stato capace di darti la risposta giusta. Era quello, il mio pegno d’amore, perché l’idea che un essere inferiore potesse toccare la mia Charlotte era semplicemente ridicola: quell’uomo meritava di morire per aver puntato a colei che era destinata a me. E Charlotte, il suo orgoglio ha reputato la morte ben più onorevole del portare il cognome di lui: ma ella era divenuta, con le nozze, l’erede delle sue proprietà, e alla morte di entrambi questi erano passati al giovane de Poisone, che si ritrovò improvvisamente senza debiti e con mezzi sufficienti a ridare lustro al suo casato.
Ma torniamo a noi.

Avevi sposato Lucius Malfoy, eri la donna più invidiata della comunità magica: ricca, bella, con un marito in un’ottima posizione. E che non ti toccava neanche con una piuma.
Ho sempre fatto in modo che tu sapessi che frequentavo altre donne, perché tu il tuo dovere di moglie lo avevi fatto e mi avevi dato un erede maschio. E poi, a che pro perdere tempo con te, che avevi espresso il tuo dissenso ad una seconda gravidanza, nel timore di rovinare la tua figura e la tua bellezza? In fondo, a non passare la notte con te, ti facevo un favore: che cosa sarebbe stata la piccola Cissy senza i suoi cinquanta centimetri di vita, senza un viso perfetto e senza due caviglie sottili e delicate? Nulla, ecco cosa sarebbe stata! Devo in ogni caso darti merito di una fedeltà più lunga di quanto avessi previsto: la prima volta che andasti al White Lilies Draco aveva poco più di quattro anni.
Oh, credevi che non ti avrei riconosciuta solo perché ti eri mascherata a forza di incantesimi? Devi essere ancora più stupida di quanto pensassi, e pure se fosse Madame Bàthory non si sarebbe certa tolta il gusto di dirmi: “Guarda un po’, Lucius Malfoy, la tua mogliettina perfetta ti fa le corna!” Per lo meno ho avuto la soddisfazione di risponderle: “Così tardi?”

Ed ora ti ritrovi nella tua stanza in pieno travaglio: povera, povera Cissy che s’è dimenticata di prendere la sua pozione giornaliera e che ora si trova un bastardo fra le mani! Chissà che cosa avrebbero detto quelle persone cattive cattive se il sottoscritto fosse stato fatto evadere qualche mese più tardi! Ma certo, dovrò ringraziare tua sorella Bellatrix che s’è ben imposta a impedirti di abortire, è facile immaginare quali argomenti abbia usato nonostante lei sia più propensa a maledire prima e a fare domande poi. E che dire, del sadico piacere di vedere la tua proverbiale bellezza appassire per un tuo errore?
Come ho goduto nel vederti diventare gonfia, mentre non potevi fare a meno d’ingozzarti come un’oca all’ingrasso, tu che mangiavi sì e no una volta al giorno; e come ti ho stuzzicata, dicendoti che sarebbe stata una femmina, perché si dice che le figlie rubano la bellezza alle madri, mentre vedevo riflesso nello specchio il tuo viso coperto di foruncoli e comedoni! Povera, povera Cissy, se non ti avessi in odio così tanto, mi avresti fatto quasi tenerezza.

Ed ora sono qui, ad aspettare che le tua interiora si spurghino di quel bastardo, assieme a Draco. Egli è l’unica cosa buona che tu abbia portato nella mia vita: non posso certo definirlo l’erede che desideravo, ma è giovane e bramoso di rendersi degno del nome che porta. Chissà cosa penserà ora di te nostro figlio, dall’espressione sul suo volto parrebbe che la sua considerazione per te sia un po’ scemata. E non so perché, ma mi torna in mente una delle ultime volte che parlai con Charlotte.
“Dovessi impiegarci anni, ma mi prenderò la mia rivincita su di lei,” mi aveva detto, il suo bel viso indurito dall’ingiustizia della vita. È questa la rivincita di Charlotte? Non lo so,ma spero che lo sia, così che tu possa imparare a non metterti contro a cose che sono ben al di sopra delle tue possibilità.
Una delle levatrici apre la porta della tua stanza, invitandomi ad entrare, ed io non me lo faccio ripetere una seconda volta. Povera, povera Cissy, ma come ti sei ridotta, quasi non ti riconosco, tanto sei sfatta e spossata dal parto! Deh, perché fai quella faccia? Ti disturba vedermi gongolare in questo modo? Oppure sei schifata di te stessa?
“Congratulazioni, Mr Malfoy, è una bambina,” annuncia con voce atona la levatrice, spingendomi nelle mani un ammasso di stoffa rosa.
Ed io non posso fare a meno di sorridere soddisfatto: una femmina che dovrà accontentarsi della dote –e di certo, quando sarà, sia io sia Draco faremo in modo di usare il tuo di danaro- senza compromettere l’integrità delle proprietà di famiglia. Peccato solo che le andrà lo stesso bene, per essere una bastarda. Osservo la lanugine che le ricopre la testa, e per un attimo resto sconvolto dal fatto che sia dello stesso colore dei capelli della mia Charlotte. Dunque avevo ragione? È questa la sua rivincita, tornare al mondo a discapito della tua reputazione e del tuo corpo? Un’idea allettante, se io credessi alla reincarnazione, ma lo prendo ugualmente come un segno, e alla sua aggiungo la mia vendetta.
“Qual è il nome della bambina, signore?” mi chiede la levatrice, china sul certificato di nascita.
“Ant-“
“Charlotte Lauryn Malfoy,” dico prima e più forte di te, e tu mi guardi inorridita: cos’è, non te l’aspettavi? Mia cara Narcissa, eppure credevo che tu conoscessi quel proverbio Muggle che dice la vendetta è un piatto che si gusta freddo! E tu con la tua avventatezza ci hai servito la nostra su un piatto d’argento, e tutto quello che io ho dovuto fare per mettere la ciliegina sulla torta, è stato dire quel nome che tanto hai a odio. Ed è come se la mia Charlotte fosse accanto a me, in questo preciso istante, il suo sorriso unito al mio mentre la levatrice mi consegna una copia del certificato di nascita: se la vendetta è davvero un piatto che si gusta freddo, la nostra l’abbiamo tenuta nella neviera.

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