La Promessa di Shinichi

di Melanyholland
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Feelings ***
Capitolo 2: *** Secret Code ***
Capitolo 3: *** Kidnapping ***
Capitolo 4: *** Face to face ***
Capitolo 5: *** Hurt ***
Capitolo 6: *** Sad Rain ***
Capitolo 7: *** Date ***
Capitolo 8: *** Sunrise of Wishes ***
Capitolo 9: *** Reflection in the Mirror ***
Capitolo 10: *** Clues, Deductions, Suspicions ***
Capitolo 11: *** Two Different Investigations ***
Capitolo 12: *** White Angel & Black Devils ***
Capitolo 13: *** Tropical Land ***
Capitolo 14: *** Fight, blood and...tears ***
Capitolo 15: *** Kiss Kiss ***
Capitolo 16: *** Lonely ***
Capitolo 17: *** Double Identity ***
Capitolo 18: *** Show Must Begin ***
Capitolo 19: *** East & West ***
Capitolo 20: *** Revelations ***
Capitolo 21: *** Fear & Fearlessness ***
Capitolo 22: *** Against The Shadows ***
Capitolo 23: *** In The Dark ***
Capitolo 24: *** Fight for the Light ***
Capitolo 25: *** Choice ***
Capitolo 26: *** Wind Of Change ***
Capitolo 27: *** Cards On The Table ***
Capitolo 28: *** Cards On the Table (2) ***
Capitolo 29: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Feelings ***


Nuova pagina 1

1. Feelings

"E’ lui il colpevole!"

la voce di Kogoro echeggiò nella stanza e, fra lo stupore generale, il signor Asaba cadde sconfitto in ginocchio con la testa fra le mani: "Sì, sono stato io detective... esattamente nel modo che ha spiegato... ma Kyoko era... un essere spregevole!! Non ho rimpianti per averla uccisa, erano anni che mi ricattava con foto compromettenti... non sarebbe mai finita!". La polizia accompagnò il colpevole fuori dal casolare, con un grosso sbadiglio Kogoro si alzò dalla poltrona e ricevette da tutti congratulazioni per aver risolto il caso. Solamente una ragazza bruna lo ignorava e si aggirava invece per la stanza preoccupata: stava cercando un bambino, scomparso da più di mezz’ora: "Conan! Dove sei? Insomma! CONAN!"

"Eccomi Ran!" il piccolo sbucò fuori da dietro la poltrona, attraversando la folla che vi si era radunata intorno "Ero andato a..."

"Non scomparire più in quel modo!" lo interruppe "Lo sai che poi sto in pensiero! Che peste!"

Il piccolo annuì energicamente, e anche se sembrava piuttosto infastidito, la sua espressione cambiò radicalmente quando la ragazza lo prese in braccio, tenendogli la testa premuta sul suo collo: "Vieni, è meglio che non ti sforzi: hai preso una brutta storta giocando a calcio, stamattina" Conan mormorò un sì trasognante e lei gli accarezzò la testa. Come si sentiva bene. Stare stretto a Ran in quel modo, poter sentire il profumo fresco e dolce dei suoi capelli, il suo cuore che batteva lento e regolare, il suo respiro calmo... Conan arrossì, si strinse a lei ancora di più e Ran sorrise: "Conan! Che dolce! Ma allora mi vuoi bene!" stava per rispondere qualcosa ma si bloccò: rivelarle ciò che provava realmente era una cosa che desiderava da un secolo. Ma adesso, com’era ridotto, non avrebbe potuto farlo... molto spesso si era ritrovato a rimpiangere i giorni in cui era adulto, in cui aveva l’occasione di parlarle apertamente... e in quei momenti la sua testa si riempiva di immagini, in cui lui, Shinichi, le diceva tutto quel giorno al Tropical Land, sull’Otto Volante, prima che lei gli stringesse la mano... in cui prima di lasciarla sola e di andarsene la baciava dolcemente sulle labbra e le sussurrava all’orecchio di non preoccuparsi, perché lui le sarebbe stato sempre vicino, in un modo o nell’altro, e non avrebbe permesso a nessuno di farle del male... e allora un singhiozzo gli scuoteva il petto, e sentiva sul suo cuore lo sgradevole peso del rimpianto...

"Ran! Conan! Andate a casa con un taxi, io vado a festeggiare un’altra delle mie grandi vittorie!!"

Kogoro era euforico per aver risolto l’ennesimo caso senza alcuna fatica, non badò minimamente ai rimproveri della figlia sulla sua salute e si diresse trotterellando verso l’auto. Quando il taxi arrivò, Conan accettò a malincuore di doversi staccare dalla ragazza: in quella situazione era persino riuscito a non lanciare maledizioni all’uomo che si prendeva sempre il merito al suo posto.

Ran guardava assorta fuori dal finestrino appannato della vettura, mentre persone e cose sfrecciavano veloci sotto i suoi occhi: il sole stava tramontando e il cielo si era dipinto di sfumature calde, striato di nuvole. Vedere il tramonto la faceva sempre sentire triste, sapeva perché, ma preferiva far finta di niente, in fondo era meglio non affrontare certi pensieri, era stanca di provare dolore, solitudine. "Qualcosa non va, Ran neechan?"

La voce di Conan la fece sobbalzare, si voltò e guardò il bambino negli occhi azzurri: non sarebbe stato giusto rivelare le sue frustrazioni al piccolo, aveva solo sette anni..

"Niente, perché?" cercò di sorridere, e vide che lui la ricambiava:

"Non so, il tuo riflesso...mi sei sembrata un po’ triste." Lo era. Conan sapeva di non sbagliarsi, e purtroppo ne conosceva anche la ragione: proprio mentre il sole calava, in quel giorno di molti mesi prima, Shinichi l’aveva esortata ad andare avanti e si era allontanato per quello che sarebbe stato il peggior errore della sua vita; non era la prima volta che vedeva nei suoi occhi quello sguardo.

"Beh, ecco... pensavo a papà. Ho paura che possa alzare un po’ il gomito e.. ricordi quanto ci siamo spaventati quando credevamo che il dottore gli avesse dato solo sei mesi di vita?"

"Sì, ma a quanto pare lo shock non ha infierito sullo zio!" Ran rise, per fortuna Conan non si era accorto di nulla e andava bene così. Aveva notato quanto fosse sveglio e temeva che avesse intuito qualcosa, ma avrebbe tanto voluto confidare a qualcuno ciò che sentiva. Da un po’ di tempo aveva cominciato a fare strani pensieri, pensieri che la spaventavano, perché andavano contro tutto ciò che aveva sempre creduto.

O contro tutto ciò che Shinichi ha sempre rappresentato per me.

La verità di quell’affermazione le fece star male, ma si insinuò nella sua mente incontrollabile, la trafisse come una freccia: i sentimenti contrastanti che le attanagliavano il cuore l’avrebbero presto costretta in lacrime, ma non voleva, non lì, non in quel momento, non con gli occhietti di Conan puntati su di lei... perché Conan la stava fissando e sembrava intuire, sembrava

capire...

No, era solo la sua immaginazione. Quel bambino era piuttosto sveglio, questo sì, sapeva un sacco di cose strane in effetti, ma non avrebbe mai potuto conoscere ciò che le succedeva, perché con lui non aveva mai parlato di quanto dolore provasse per la scomparsa di Shinichi. Conan non poteva neanche lontanamente comprendere..

"C.. Conan..." era sempre più difficile sorridere "Che vuoi per cena?"

"Non so... per me va bene tutto... fai tu" Conan si strinse nelle spalle, era sereno, calmo e tuttavia imperscrutabile come al solito, ma questo le bastò a far sparire tutti i sospetti.

"Uhm... vorrà dire che farò delle polpette... l’ultima volta ti erano piaciute tanto, non è vero?"

"Sì! Tra l’altro potrò mangiare anche la parte dello zio, tanto al ritorno sarà così alticcio che crollerà sul divano!" Conan sfoggiò un sorriso a trentadue denti che rassicurò ulteriormente la ragazza, e per il resto del viaggio Ran riuscì a non pensare ai suoi problemi, distratta dalla cena. Il suo scopo era stato raggiunto e Conan ne fu felice, vederla così sofferente lo faceva veramente star male. Si era accorto che era sul punto di piangere, e lo confortò il fatto che Ran non potesse guardare se stessa mentre gli parlava: il suo sorriso era così maledettamente lontano da esprimere contentezza o qualsiasi altro sentimento positivo: era decisamente una smorfia vuota e anonima. Certo, vederla di nuovo serena lo tranquillizzò, ma si accorse suo malgrado di essere la fonte del suo dolore e allo stesso tempo la sua cura. Anzi, più precisamente, "Shinichi" era la causa del suo male e "Conan" che la faceva sentire bene. Possibile che adesso riusciva a farla felice solo attraverso il suo alter - ego infantile? Probabilmente avrebbe fatto meglio a telefonarle quella sera, a parlarle e a cercare di farsi confidare le sue ansie. Perché stavolta i suoi occhi esprimevano un dolore diverso da quello che da mesi e mesi le aveva letto nello sguardo, era quasi... paura... disperazione... Che le fosse successo qualcosa di cui non era a conoscenza? Strinse così forte i bordi del sedile che le nocche divennero bianche: se qualcuno aveva fatto del male alla sua Ran, gliel’avrebbe fatta pagare cara. Prima di tutto bisognava scoprire quello che succedeva, era decisamente il caso di telefonarle quella sera, dopo cena magari; temeva però che se avesse toccato un tasto dolente, di cui non conosceva la gravità, avrebbe fatto del male a Ran più di quanto si aspettasse. Risuonarono nella sua mente le parole di Sherlock Holmes: "l’emotività è nemica della chiarezza del ragionamento". Non capì mai quel concetto meglio di quel momento.

Il taxi si fermò davanti ad un edificio a più piani con dei grossi ideogrammi bianchi sui vetri delle finestre. Ran scese, pagò l’autista e prese nuovamente in braccio Conan. Lui arrossì, ma non mostrò nessuno dei sentimenti di pace e felicità che aveva provato solo poco tempo prima, nella stessa situazione.

Conan era sdraiato al buio, sul suo futon, lo sguardo fisso sullo schermo del cellulare illuminato; intorno a lui tutto taceva, e poteva sentire lo scrosciare dell’acqua in cucina, segno che Ran stava lavando i piatti. Come aveva previsto, Kogoro era tornato pochi minuti prima barcollante, cantando a squarciagola una canzone di Yoko Okino per poi crollare sul divano durante un acuto. Probabilmente in quel momento era lì che russava, e fu contento di non dover per quella sera passare ore d’inferno cercando invano di prendere sonno. Non aveva voglia di dormire però: rifletteva su quale fosse la cosa giusta da fare con Ran, se era meglio ignorare ciò che aveva letto nel suo sguardo, perché in fondo poteva anche essersi sbagliato, o chiamarla e parlarle. Era strano che fosse così preoccupato, ma la verità è che aveva un brutto presentimento, e il suo istinto finora non l'aveva mai ingannato. Sentiva come se qualcosa di terribile stesse per accadere, e se non avesse agito subito, sarebbe stato troppo tardi... non ne aveva fin troppi di rimpianti? Spinse il tasto centrale del cellulare, selezionò il numero di casa Mouri ed esitò: se avesse peggiorato la situazione? Non poteva sopportare di vederla di nuovo in lacrime per colpa sua. O forse

forse non è di lei che mi preoccupo

Sobbalzò: era vero, in realtà non voleva ammetterlo nemmeno con se stesso, poiché un vero detective deve essere forte, non lasciarsi trasportare da sciocchi sentimentalismi. A volte nascondere a tutti ciò che provava lo portava a nasconderlo anche a lui stesso, come in questo caso: aveva paura. Non che a Ran fosse successo qualcosa, ma che potesse decidere qualcosa. Pensava con timore ai giorni in cui lei si sarebbe stancata di aspettarlo in eterno, in cui avrebbe smesso di sospirare invocando il suo nome, in cui avrebbe cominciato a guardarsi intorno scoprendo che moltissimi ragazzi erano disposti ad uscire con lei

e chi non lo farebbe? È così bella

sorrise per un attimo, un sorriso pieno di malinconia. Temeva quel giorno, nel quale avrebbe visto gli occhi di lei illuminarsi parlando di un ragazzo che non era lui. Così, quando la vedeva triste e sofferente per la lontananza di Shinichi, lui

Oddio mi odio per questo non dovrei se le voglio bene davvero no

Strinse i denti e scagliò lontano il cellulare. Sapeva quello che aveva provato, lì, in quel taxi, accorgendo si che era sul punto di piangere, ma non voleva affrontarlo. Si sentiva così sporco, provava quasi disgusto per sé, e nonostante ciò non poteva farne a meno... perché era il pensiero di lei che l’aspettava ad esortarlo ad andare avanti, a non arrendersi pur sapendo di andare contro un’Organizzazione pericolosamente potente, era Ran, la sua Ran, a dargli la forza per lottare per quanto la situazione si presentasse insostenibile. Quel pomeriggio, certo, aveva provato dolore a vederla in quello stato per colpa sua, era vero, ma un’altra sensazione si era unita a quel dispiacere...

era stato un attimo, così rapido che riusciva ancora a mentire a se stesso, a fingere che non ci fosse mai stata... ma l’aveva percepita... e lo faceva star male.

Tirò le coperte fin sul mento e si voltò su un fianco, raggomitolandosi: era sicuro che prima non facesse così freddo. Avrebbe fatto meglio a mettersi a dormire, per quel momento non voleva pensare più a tutte quelle angosciose sensazioni: e poi rimandare era l’unica soluzione che era riuscito a pensare. Udì i passi di Ran per il corridoio e la sentì aprire la porta: un fascio di luce si proiettò sul suo futon, ma Conan rimase immobile nella sua posizione, fingendo un sonno profondo: l’ultima cosa che gli mancava era essere trattato come un moccioso e quindi rimproverato per essere ancora sveglio ad un’ora assurda come le dieci di sera. Aspettò che la ragazza richiudesse la porta e se ne andasse, ma non accadde: lei gli si avvicinò cercando di non far rumore, e si sedette piano piano accanto a lui. Conan sentì che gli posava delicatamente la mano sulla testa, accarezzandogli i capelli. Non voleva andare a letto; se fosse rimasta da sola, nel buio, avrebbe ricominciato a pensare quelle cose, e aveva paura. Sperava che il bambino fosse ancora sveglio, parlare con lui l’avrebbe distratta un po’. Forse però non era con Conan che voleva parlare, forse stava di nuovo ingannando se stessa. Il fatto è che lui gli somigliava così tanto... era addirittura arrivata a pensare che fossero la stessa persona, per sentirsi meno sola, meno abbandonata... credere che lui non l’avesse mai lasciata l’aveva confortata; ma era stata una speranza vana, un’illusione resa evidente dai fatti di qualche tempo prima. Quella sera, aveva pregato che il telefono squillasse, che fosse lui... Shinichi... perché aveva tanto bisogno di parlargli, di sentire la sua voce, che le faceva sempre battere forte il cuore, da quando era lontano. Ma Shinichi non aveva chiamato, forse era stato impegnato, forse

non aveva nessuna voglia di parlare con me

La mano sulla testa del piccolo si bloccò, Ran restò immobile, lo sguardo fisso nel vuoto. No, non poteva essere.. non lui.... inoltre, quella sera di qualche tempo fa, in quel lussuoso ristorante... Shinichi era sul punto di confidarle qualcosa, qualcosa di importante, che sembrava imbarazzarlo molto. Non che credesse al suggerimento della cameriera, la quale aveva detto che intendeva ¢ chiedere la sua mano¢

però... la sicurezza e la fermezza del suo carattere erano scomparse, esitava, balbettava, arrossiva...

Ran si era sentita serena e felice, credeva di potersi finalmente lasciare alle spalle la nostalgia, la tristezza... e invece lui l’aveva ancora delusa. Era di nuovo scomparso, aveva ancora anteposto il suo lavoro a lei...

Diede uno sguardo al piccolo Conan... che tenero, non si era nemmeno tolto gli occhiali, prima di andare a letto... glieli sfilò con delicatezza, cercando di non svegliarlo, e a quanto pare ci riuscì, perché il bambino non fece una piega: restò col viso affondato nel cuscino, respirando a ritmo regolare. Era meglio se lo lasciava in pace, l’ultima cosa che voleva era svegliarlo..

In effetti Conan si era addormentato veramente: il caso della morte di Kyoko era stato sfiancante, e sentire la mano della ragazza che lo accarezzava, il tepore che aveva ritrovato sotto le coperte calde, l’aveva rilassato, fino a farlo assopire.

La notte era buia e silenziosa, senza luna. Un uomo se ne stava sotto l’agenzia di Kogoro, avvolto in un pesante cappotto di feltro, con una sigaretta in bocca e un accendino in mano. Ci fu una scintilla,

poi si accese una piccola luce. La bocca dell’uomo sbuffò fumo e poi si dischiuse in un ghigno tutt’altro che rassicurante.

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Capitolo 2
*** Secret Code ***


2. Secret Code

Era una bella mattinata di sole. Ran e Conan, assonnati, si preparavano per andare a scuola, mentre Kogoro era ancora sprofondato nel sonno, a smaltire la sbornia della sera prima. Ran si guardò allo specchio, diede un’ultima aggiustatina alla cravatta della divisa scolastica e si diresse verso l’ingresso per infilarsi le scarpe da ginnastica. Conan l’aspettava, annoiato: possibile che le donne ci mettessero sempre tutto quel tempo per prepararsi? Lei lo prese per mano e fecero per uscire, quando il bambino attirò la sua attenzione: "Guarda Ran neechan! Ci sono due lettere nella cassetta postale!" "Mah, saranno sicuramente di qualche cliente di papà; è diventato davvero famoso. Le prenderemo dopo la..." Ran ebbe un sussulto e restò senza fiato; estrasse entrambe le lettere e lesse il contenuto della prima, anche se questo non sembrò tranquillizzarla, anzi, la agitò ancora di più. La infilò in fretta nella sua borsa e porse la seconda a Conan, cercando di sorridere e di non far tremare la voce: "Tieni, è da parte dei tuoi genitori..." il bambino assunse un’aria innocente e la prese, ma aveva capito che qualcosa non andava. Era strano che i suoi genitori gli scrivessero, se avessero voluto parlargli l’avrebbero fatto tramite il professor Agasa; inoltre la grandezza, la forma e la carta di entrambe le lettere arano le stesse, e le linee di timbratura sul francobollo non continuavano sulla busta, segno che non erano state spedite, ma introdotte dal mittente direttamente nella cassetta. Considerando che il giorno prima, quando erano tornati dal casolare, la cassetta era vuota, vi erano state messe durante la notte; per un attimo pensò di chiedere a Kogoro se rientrando a casa le avesse viste, ma si rese subito conto che, ubriaco com’era, non poteva comunque averle notate. Conan assunse sospirando la sua tipica espressione fra l’irritato e il rassegnato, poi alzò la testa verso Ran: la reazione che aveva avuto era alquanto sospetta. Chissà cosa aveva letto...

"Scusa Ran neechan, chi è che ti ha scritto? Dai., dimmelo, chi è?" il viso della ragazza si rabbuiò improvvisamente, per un attimo sembrò sul punto di piangere, un attimo tanto fugace che in seguito Conan avrebbe stentato a giurare che fosse successo veramente. Lei sorrise, lo stesso sorriso del giorno prima in taxi: "E’ di Sonoko..." rispose, senza guardarlo negli occhi " lo sai no che lo scorso week - end è andata nella villa in montagna dei suoi genitori... dev’essere il solito ritardo postale. Ma ora sbrighiamoci ad andare, o faremo tardi!" lo prese per mano e lo trascinò correndo per tutto il tragitto, con la gonna a pieghe azzurra che ondeggiando mostrava a Conan più di quanto dovesse vedere. Quando si divisero, il piccolo detective notò chiaramente la sua mano tremare mentre si alzava per fargli un ultimo cenno di saluto, capì che decisamente qualcosa non andava e fissò la sua lettera, che teneva stretta nel pugno ancora sigillata. Non restava che aprirla, per saperne di più sulla faccenda... "Conan!! Sei arrivato finalmente! Che fai?" Ayumi gli afferrò subito il braccio, mentre Genta e Mitsuhiko si sistemarono davanti a lui: "Che hai lì? È una lettera minatoria? La richiesta di un riscatto?" chiese ansioso quest’ultimo. Ci mancavano solo quel branco di mocciosi per coronare quella splendida giornata. "No stupido! È una lettera dei miei genitori." Il bambino non fece nulla per nascondere la delusione, avvertì gli amici che la campanella stava per suonare con voce fioca e i tre si avviarono verso l’edificio scolastico. Conan fece per raggiungerli ma una mano gli calò pesantemente sulla spalla: "Ciao Kudo. Ti vedo preoccupato, successo qualcosa?" Ai Haibara si sistemò indietro i capelli biondi, fissandolo col suo sguardo di ghiaccio, senza il minimo segno di curiosità o di qualsiasi altra emozione. Lui guardò la lettera spiegazzata che teneva in mano, e lei lo imitò: "Me l’hanno spedita stamattina; beh, non proprio, credo piuttosto che l’abbiano infilata nella nostra cassetta. E.." assunse un’aria grave: "ne hanno mandata una anche a Ran." Ai continuò a fissarlo indifferente, ma quando parlò ancora sembrò un po’ afflitta: "Ah.. adesso ho capito perché sei così giù..." Conan se ne accorse e la guardò, e lei riprese con voce atona: "Aprila, che aspetti?"

Lui fece per strappare la busta ma di nuovo si sentì afferrare per il braccio: "Insomma Conan! Vieni in classe, o la maestra si arrabbierà!" Ayumi gli puntò gli occhi addosso supplichevole, lanciando però un’occhiataccia ad Ai, e tutti insieme si avviarono.

In classe, la maestra assegnò loro delle addizioni e si sedette alla cattedra, tirando fuori dalla borsa una pila di fogli e squadrandoli con attenzione; Conan ne approfittò per strappare la busta e leggerne il contenuto. Rimase interdetto, quasi sbalordito, posò la lettera sul banco e si grattò la testa, scompigliandosi i capelli bruni, dopodiché inarcò le sopracciglia tenendosi la fronte con la mano, il gomito poggiato sul tavolo. Ai, seduta vicino a lui, riconobbe subito il tipico atteggiamento che assumeva quando era concentrato per risolvere un rompicapo. Inconsapevolmente, non poteva fare a meno di stare lì a fissarlo, guardarlo mentre aggrottava la fronte, si mordeva il labbro inferiore o sorrideva divertito per schernire se stesso di aver pensato qualcosa di stupido. Ai rise abbastanza forte da farsi sentire da Conan, ma non dal resto della classe; lui si voltò, visibilmente irritato: "Che hai da ridere?" le sussurrò, con gli occhi ridotti a fessure.

"E’ un codice, non è così?" vedendolo stupito, Ai sorrise di nuovo e lo interruppe mentre stava per parlare: "Che c’è? Credi di essere l’unico capace di fare deduzioni? Non dirmi che c’è anche bisogno che ti dica come ho fatto signor Grande Detective!" Lo guardava con aria di sfida, e Conan sbuffò con aria indispettita distogliendo lo sguardo da quello di lei:

"No che non c’è bisogno, antipatica! Comunque hai indovinato: è una cosa stranissima..." le porse il foglio, lei lo tenne stretto tra le mani e lo scrutò attentamente: c’era disegnata una specie di griglia, fatta di quadrati, e all’interno di ogni spazio le cifre 1 e 2, insieme o separate. Stavolta toccò a lei rimanere interdetta, anche se la forma di quella griglia le sembrava familiare... "E ne hanno data una uguale anche alla tua ragazza?" Chiese in un sussurro.

"Ma no stupida! Penso che il mittente sia lo stesso, ma sono sicuro che le ha scritto qualcosa di diverso. Ran sembrava così... così sconvolta..." la sua voce assunse un tono preoccupato, Ai sembrò di nuovo meno indifferente, diede un’altra occhiata al foglio, poi sospirò:

"Sai Kudo, credo di aver già visto una cosa del genere prima..." Conan sobbalzò, era ansioso di risolvere il codice, ma le parole di Ai sortirono un effetto diverso di quello che gli davano di solito, quando qualcun altro le pronunciava: lei era stata un membro dell’Organizzazione, e se avesse visto quella griglia mentre lavorava per gli Uomini in Nero? Forse Ran stavolta era davvero in pericolo...

Sentì un tonfo al cuore, si alzò di scatto e si avvicinò ad Ai, troneggiando su di lei:

"Dove!? Dimmi dove l’hai visto!! Allora?" La voce era isterica, gli occhi determinati si fissavano nei suoi e Ai, aggredita alla sprovvista, balbettò inquieta: "Io...non lo so...non ricordo..." Sbuffando arrabbiato Conan le strappò la lettera dalle mani e si precipitò fuori dalla classe, ignorando le grida infuriate dell’insegnante. Non riusciva a pensare ad altro che a Ran, sperava intensamente che non fosse troppo tardi, che fosse ancora a scuola.. immaginò Ran che gli lanciava l’ultimo saluto con la mano, la vide voltarsi, il suo sguardo pieno di paura mentre due uomini vestiti di nero la aggredivano, ordinandole di non urlare, vide le sue lacrime, mentre Loro la...

Provò una fitta dolorosa al petto, quell’immagine si stampò nitida nella sua mente e lo fece star male, quasi si accasciò lì per strada, stringendo forte in pugno la camicia all’altezza del cuore.

Ancora una volta è tutta colpa mia lei soffre solo a causa mia e in più io...

Scosse la testa cercando di buttare fuori quei pensieri, non era il momento di lasciarsi andare al rimorso. Se si sbrigava, poteva non essere troppo tardi, magari avevano intenzione di fermarla dopo la scuola.. peccato che suonasse così maledettamente come un’illusione.

Ti prego fa che stia bene per favore

Corse più veloce che poté, anche se solo dopo un breve tratto era scosso da respiri affannosi, sentiva dolore al fianco e le vene che pulsavano alla testa.

Per favore lei è troppo importante non può essere non lo accetto io piuttosto ma lei no non

Raggiunse la scuola superiore Teitan, fece per entrare quando si sentì sollevare di peso, le gambe che continuarono a muoversi disperate per qualche secondo, incredule di essere state bloccate a un passo dal traguardo. La bidella, un donnone nerboruto, gli chiese che cosa ci facesse lì.

"Mi lasci andare..! Ran.. devo andare subito da Ran..!"

La donna si sciolse in un sorriso materno, gli accarezzò la testa con la mano libera, piena di anelli:

"Oh caro... senti la mancanza della tua sorellina? Ho indovinato?"

"No!! Mi lasci la prego, devo vederla ora!" Possibile che dovessero capitare tutte a lui? Per l’ennesima volta rimpianse il suo aspetto adulto, il peso sul cuore si fece più greve, ma la bidella non voleva ascoltarlo, scosse la testa e lo lasciò andare fuori dalla scuola:

"Potrai vederla alla fine delle lezioni piccolo caro... ma non provare a rientrare, o dovrò chiamare i tuoi genitori... hai capito?" gli diede le spalle e si allontanò, restando purtroppo nell’ingresso dell’edificio. Conan rimase solo e impotente, le braccia che cadevano inermi lungo i fianchi, gocce di sudore che gli calavano dalla fronte. Rifletté per qualche istante, ancora ansimando per la corsa, poi tirò fuori dalla tasca il cellulare, compose il numero e stette ad aspettare, il farfallino del suo vestito accostato alla bocca:

"Sì pronto? Scuola media superiore Teitan"

"Buongiorno, sono Kogoro Mouri, il padre di Ran Mouri, una vostra studentessa del secondo anno, sezione B. Ho bisogno di parlarle con molta urgenza: potete rintracciarla?" Nonostante il fiatone e l’ansia, si sforzò di mantenere un tono pacato.

"Certamente, attenda in linea" i minuti che passarono gli parvero ore. Brividi freddi gli percorrevano la schiena, sentiva un nodo in gola, lo stomaco stretto in una morsa.

Ti prego fammi sentire la sua voce per favore fa che sia tutto a posto per favore fa

"Pronto?"

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Capitolo 3
*** Kidnapping ***


3. Kidnapping

Conan provò una fitta dolorosa al cuore, l’espressione tesa del suo volto si trasformò di colpo in qualcosa di peggiore, sentì che l’intero ambiente circostante gli crollava addosso e lui era lì, completamente inerme a quel dolore spaventoso che l’aveva travolto nel giro di pochi secondi. Quella che aveva risposto non era la voce che sentiva quasi ogni giorno da quando era piccolo, era fredda, distaccata e indifferente...

"...Signor Mouri? Mi scusi, ma ci risulta che sua figlia non è venuta a lezione stamattina. Non ne era al corrente? Pronto? È ancora lì?" le ginocchia gli cedettero, cercò di parlare ma la voce gli morì in gola. Così Ran non era mai arrivata a scuola... poteva essere chissà dove, e l’unico indizio che aveva era quel codice ancora incomprensibile. Attaccò il telefono senza rispondere ai richiami della segretaria e fissò la lettera che teneva in pugno, ormai così stropicciata e intrisa di sudore da sembrare carta straccia; distese il foglio per terra, passandoci sopra la mano per togliere le venature che deformavano il disegno, e la griglia riapparve, costellata dei suoi 1 e 2 che parevano beffarsi di lui, così misteriosi e insensati. Niente. Non sapeva proprio come decifrarlo, in classe aveva già tentato invano tutto quello che gli era venuto in mente, in più era agitato e ragionare in quello stato non era facile, non con le immagini spaventose che vedeva pensando al peggio; e più i minuti passavano più si innervosiva, auto danneggiandosi. Sapeva che prima o poi ci sarebbe arrivato, in fondo se il colpevole

Quel bastardo rivoltante gliela farò pagare tocca la mia Ran con un dito e rimpiangerai tutto sì io non permetterò che distrugga la sua vita lo giuro a costo di distruggere la sua

gli aveva mandato quel messaggio Conan doveva per forza essere in grado di decifrarlo, o non avrebbe avuto senso il suo comportamento. In effetti, è come se il colpevole volesse essere trovato da lui.

Aprì gli occhi, guardandosi intorno nella fitta oscurità che incombeva su di lei cercò di muovere un braccio ma si accorse di essere totalmente bloccata. Silenzio. Buio. Riusciva a sentire il suo stesso respiro, mentre in alto, da un punto indefinito, proveniva una luce fioca, quasi trasparente. Sola. Sì, era certa di esserlo, almeno ora. Non avrebbe sopportato di averlo ancora vicino, sentire l’odore forte del tabacco, le sue mani che le stringevano il braccio, il suo alito caldo e disgustoso sul collo, mentre le sussurrava di non gridare, perché non voleva ucciderla, era indispensabile per il suo piano. Aveva avuto paura di essere torturata, sottoposta ad atroci umiliazioni e picchiata... paura di diventare un altro nome anonimo sui giornali, un’altra ragazza compatita per un secondo da tutti e poi dimenticata. Sì, aveva provato terrore autentico, si era sentita perduta e aveva lasciato che la legasse senza opporre resistenza, sentendo il freddo metallo della canna della pistola sulla tempia, la gelida morsa che gli stringeva il cuore. Poi lui aveva versato un liquido su un fazzoletto e di nuovo si era avvicinato a lei tanto da fargli sentire l’odore acre del fiato, aveva riso senza alcuna allegria e le aveva detto di non preoccuparsi perché il suo fidanzato l’avrebbe salvata, e infine gli aveva premuto il fazzoletto sulla bocca.

Shinichi...

Una lacrima silenziosa le rigò la guancia.

Shinichi non verrà. Lui non c’è mai quando ho bisogno non è mai con me quando sono in pericolo e nemmeno quando sono triste...in pratica per me lui non esiste più... da molto tempo...ormai...

Chiuse gli occhi: ma perché si era svegliata? Perché non le aveva dato un sedativo più forte? Sarebbe stato meglio rimanere nell’incoscienza che restare sola in quel buio in balìa dei pensieri che temeva da tanto, e che ora si facevano più vividi nella sua mente, distruggendo nel suo cuore l’immagine del suo amico d’infanzia, di quella persona che era così importante per lei... che lo era... o forse che lo era stata...

Conan fece scorrere lo sguardo sul foglio, concentrandosi, il suo cervello lavorava a ritmo spedito valutando ogni possibilità, ogni via di uscita... Ai aveva detto di averlo già visto, e in effetti anche a lui sembrava familiare. Solo che lo percepiva come una cosa lontanissima, dimenticata... strinse i denti e inarcò le sopracciglia, sforzandosi così intensamente di ricordare che le vene sulle tempie divennero visibili. Allora, aveva subito accostato alle parole della ragazza l’immagine dell’Organizzazione, l’aveva fatto istintivamente, con lo stesso procedimento mentale che spesso fanno fare gli psicologi ai pazienti; però può darsi che non fosse in quel contesto che Ai avesse visto quella griglia numerata, la cui forma sembrava dannatamente conosciuta anche a lui, ma in un altro.. perché oltre ad essere stata un membro dell’Organizzazione, Ai era stata soprattutto ed era tuttora

una scienziata

Conan sorrise trionfante, guardò il foglio, sempre meno incomprensibile, sempre più straordinariamente scontato... adesso riusciva a leggere il messaggio, sapeva dove si trovava Ran e non aveva intenzione di perdere altro tempo. Scattò in piedi e riprese a correre, ignorando le dolorose proteste delle sue gambe. Il posto non era lontano, in un quarto d’ora avrebbe dovuto esserci, mantenendo quella velocità; mentre avanzava rapidamente, sentì suonare il cellulare e vide sullo schermo che Ai lo stava chiamando: di sicuro anche lei aveva ormai capito di che cosa si trattava, in fondo doveva averla vista un mucchio di volte quella tabella, lavorando in laboratorio. In effetti anche nel suo libro di chimica di secondo superiore ce n’era una, che sciocco a non capirlo subito! In fondo però erano diversi mesi che non sfogliava un tomo del genere...

La griglia era la tavola periodica degli elementi, e i numeri 1 e 2 in ogni quadrato stavano ad indicare una lettera del simbolo dell’elemento corrispondente a quel posto. Ad esempio, nel secondo quadrato a sinistra, da sopra, dove ci sarebbe dovuto essere il simbolo del litio Li, c’era il numero 1; Conan avrebbe dovuto cioè prendere in considerazione la prima lettera del simbolo, la "L"; nel quadrato subito sotto c’era invece il numero 2, così dal simbolo del sodio Na il piccolo detective ottenne la lettera "a". Alla fine, il messaggio così ottenuto era il seguente: "La tua ragazza è con me. Vieni solo al vecchio stabile della centrale elettrica."

Conan diede un’occhiata allo schermo del cellulare e poi rifiutò la chiamata: era inutile sprecare il fiato per parlare con Ai, dato che aveva già risolto il codice. Ora doveva pensare solo a raggiungere lo stabile, prima che fosse troppo tardi

Arrivo Ran non preoccuparti ci sono io non permetterò a nessuno di farti del male arrivo subito perché ti sono e ti sarò sempre vicino nonostante tutto aspettami non temere

Continuò a correre nonostante il dolore ai muscoli e al fianco fosse ormai lancinante, anche se sapeva cosa sarebbe accaduto continuando a sforzarsi in quel modo, poiché era un male che aveva provato tante volte allenandosi duramente in vista dei campionati di calcio: di lì a poco avrebbe avuto un crampo e pensare di doversi fermare lo spaventava più del dolore in sé. In più il giorno prima aveva preso quella maledetta storta e la caviglia cominciava di nuovo a fare male. Ripensò alla sera precedente, quando Ran l’aveva preso in braccio per non farlo affaticare, ricordò i sentimenti che aveva provato, quanto era stato bene, e gli sembrò di risentire la sua mano che gli accarezzava i capelli con dolcezza, facendolo addormentare... strinse i denti e aumentò la velocità, il dolore si fece insopportabile ma resistette, finché comparve all’orizzonte la sagoma di un edificio diroccato, che si faceva sempre più grande man mano che si avvicinava. Conan si fermò a pochi metri di distanza dallo stabile, il volto in fiamme per lo sforzo, le mani poggiate sulle ginocchia semi piegate: sentiva il sangue che pulsava nella testa, ansimava e tossiva, respirando con difficoltà, esausto, le sue gambe mandavano fitte dolorose ad ogni minimo movimento.

Non posso fermarmi qui non è il momento di lasciarsi andare devo muovermi e devo farlo per lei

Strascicando i piedi si avviò verso l’edificio, deciso a non arrendersi e a fare di tutto per riportare Ran a casa sana e salva.

Ormai in disuso da anni, lo stabile si presentava vecchio e fatiscente, e la porta quasi crollò addosso a Conan quando l’aprì per entrare. Legata alla maniglia vide una vecchia catena arrugginita e spezzata, tuttavia notò pochissima polvere, segno che qualcuno era entrato lì da poco. Avanzò cautamente, inoltrandosi nel buio, era certo che fosse una trappola, ma non poteva sapere quanti erano i nemici che avrebbe dovuto affrontare, né cosa avevano in mente e, soprattutto, dove esattamente fosse nascosta Ran. Non volle accendere la luce del suo orologio per non diventare un bersaglio troppo facile da individuare e così non riuscì a focalizzare niente, incespicò frequentemente nei calcinacci e nei pezzi di vetro e legno sparsi sul pavimento aspettando che i suoi occhi si abituassero all’oscurità. Intanto rifletté sul fatto che era andato lì senza avere uno straccio di piano, distratto dai suoi sentimenti, e che adesso si trovava allo sbaraglio e con pochissime possibilità di cavarsela in caso di un agguato. Per di più c’erano ancora molti interrogativi a cui non aveva dato risposta, per esempio cosa ci fosse scritto sulla lettera di Ran; era quasi sicuro che chiunque l’avesse rapita non l’aveva catturata per strada, rischiando di essere visto, bensì l’aveva spinta ad andare in un posto isolato. Questa ipotesi spiegava il ruolo della missiva e anche lo strano comportamento della ragazza; quello che proprio non capiva però era cosa ci fosse scritto per farla obbedire in quel modo. Chi mai poteva essere colui che aveva tanto potere su di lei? Di chi si fidava a tal punto da andare di nascosto in un posto deserto perché glielo aveva chiesto? Sussultò: in un istante tutto divenne chiaro e fu in quel momento che la rabbia cominciò a crescere dentro di lui: chiunque fosse stato, l’avrebbe pagata cara!

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Capitolo 4
*** Face to face ***


4. Face to Face

Ran fece per avviarsi verso scuola, quando Conan attirò la sua attenzione: "Guarda Ran neechan! Ci sono due lettere nella cassetta postale!" la ragazza si voltò e vide che aveva ragione: le due buste erano state infilate alla meno peggio nella cassetta, e notò che sul retro di quella più in vista c’era una scritta piuttosto evidente: "Mah, saranno sicuramente di qualche cliente di papà; è diventato davvero famoso. Le prenderemo dopo la..." sobbalzò: la lettera di cui aveva notato la scritta non era indirizzata all’agenzia investigativa di Kogoro, ma a lei... e il mittente era.... era Shinichi! Sentì il cuore che cominciava a battere forte mentre lo stomaco si contraeva in modo piacevole. Ma allora tutti i suoi timori erano infondati, lui aveva ancora voglia di parlarle... sperò intensamente che la lettera la avvertisse del suo ritorno imminente e si affrettò ad aprire la cassetta, ansiosa di scoprire le nuove porte che quel messaggio le avrebbe aperto, fiduciosa che se davvero lui stava per tornare tutti i pensieri che la spaventavano sarebbero scomparsi come neve al sole. Estrasse la lettera dalla busta e lesse trattenendo il respiro:

Ciao Ran. Stavolta sono davvero nei guai. Dei criminali ce l’hanno con me perché ho smascherato i loschi traffici della loro banda. Non posso farmi vedere in giro perché temo che mi uccidano, ma ho bisogno di parlare con te. Sei l’unica di cui possa fidarmi e in questo momento vorrei davvero che tu mi stessi vicino. Ti prego, vieni al vecchio stabile della centrale elettrica da sola, e non dire niente a nessuno. Conto su di te. Shinichi.

Rimase immobile, guardando quelle parole con un misto di timore, costernazione ma anche emozione: se avesse fatto come le aveva detto, avrebbe potuto rivederlo. Certo, avrebbe voluto incontrarlo in una situazione migliore, e il pensiero che fosse in pericolo le metteva addosso preoccupazione e tristezza... ma Shinichi le aveva confidato che era l’unica persona di cui si potesse fidare, le aveva detto chiaramente quanto fosse importante per lui averla accanto e quelle parole le scaldarono il cuore, la fecero sentire di nuovo meno sola.

Se fosse stata lucida, Ran avrebbe sicuramente trovato strano che la calligrafia del suo amico fosse cambiata così tanto in quel lasso di tempo, e che lui fosse così codardo da nascondersi invece di reagire con coraggio alle avversità, come faceva sempre, ma non lo era. Attendeva da così tanto il momento di riabbracciarlo, di potergli rivelare tutte le sue ansie così da ricevere da lui parole di conforto e, guardandolo negli occhi, avrebbe potuto lasciarsi alle spalle tutte le insicurezze e le paure, avrebbe affrontato qualsiasi cosa sapendo che era con lei, e che non se ne sarebbe più andato via. Quella lettera era la prova che per Shinichi lei era la persona più cara e importante che aveva e illudersi che fosse stato davvero lui a scriverla era l’unico modo per sanare le ferite del suo cuore. La mise in fretta nella borsa, decisa a raggiungere subito lo stabile, non poteva aspettare che le lezioni terminassero; poi lesse il dorso della seconda: era una lettera per Conan, da parte del signore e della signora Edogawa. Mentre gliela porgeva si sforzò di apparire tranquilla e sorrise, non voleva che si insospettisse e ancora una volta si ritrovò a pensare a quanto fosse astuto per la sua età e a quanto decisamente somigliasse a Shinichi... "Tieni, è da parte dei tuoi genitori..." l’aria innocente che vide in Conan la rassicurò sul fatto che non si fosse accorto di nulla, ma alla sua domanda seguente ebbe di nuovo un sussulto pensando a Shinichi, che in quel momento se ne stava solo in un vecchio stabile buio non sapendo cosa fare e lanciando occhiate ansiose alla porta, sperando che lei entrasse, per averla accanto, per poterla rivedere. Sentì le lacrime riaffiorare ma le bloccò subito, evitò volontariamente di guardarlo negli occhi e mentì al piccolo Conan, senza esitare. Mentì, perché era stato Shinichi a chiederglielo.

Conan continuò ad avanzare, restando cauto nonostante la rabbia che aveva dentro; il suo respiro era tornato normale, ma le gambe e soprattutto la caviglia continuavano a lanciare fitte poco rassicuranti. Era da un po’ che camminava a tentoni in quell’edificio e ancora non era successo niente, non c’erano stati agguati, né qualsiasi altra cosa... rifletté sulla possibilità di chiamare ad alta voce Ran, ma tutto sommato gli sembrava ancora troppo rischioso, come anche accendere la torcia da polso. Mentre ancora pensava al da farsi udì una voce e, pur non riconoscendola, gli sembrò familiare: "Sei arrivato, bene. Ciò significa che hai decifrato il codice e che sei corso a salvare la tua ragazza, il che conferma le mie supposizioni." Conan si guardò intorno senza individuare il suo interlocutore, a causa dell’eco prodotta dallo stabile vuoto: "Chi sei? Dov’è Ran?" lo aggredì, urlando verso il vuoto:

"Al tempo. La ragazza sta bene, almeno per ora. L’ho messa a nanna. Quello che mi interessa sei tu, non lei. Lei era solo un mezzo per arrivare a te." Rispose la stessa voce sprezzante, che al contrario di quella di Conan era calma e sbiadita.

"Perché? Cosa vuoi da me? Chi sei? Abbi almeno il coraggio di farti vedere maledetto!"

"Va bene, se è questo che vuoi... ti accontento subito." A queste parole, un uomo spuntò fuori da dietro una colonna: era una figura sinistra, con i capelli neri che cadevano sciattamente davanti agli occhi cerchiati, dallo sguardo spietato. Il volto spigoloso era reso ancora più inquietante dalle ombre che l’avvolgevano. Ormai abituato all’oscurità, Conan poté riconoscere il criminale: era un giornalista senza scrupoli che aveva già avuto modo di incontrare quando aveva risolto un caso in un cottage, durante una gita in montagna con Ran, Sonoko e una loro insegnante delle elementari.

"Ciao. E bello rivederci, non trovi?" disse con voce falsamente gentile.

"Tu sei... Atsushi Mori, non è così?" gridò, e senza attendere risposta aggiunse, aggressivo: "Non mi sei piaciuto fin dal primo momento, ma non avrei mai creduto che fossi una persona così crudele da..."

"Da fare cosa?" lo interruppe "In realtà io non ho colpe. In tutta sincerità, credo che dovresti avercela solo con te stesso. È stato a causa tua che quella povera ragazza è venuta qui..."

"Non è vero! Sei stato tu a scrivere quella lettera, a firmarla con il... con un falso nome"

Conan avanzò di qualche passo, trattenendosi a stento dal colpire l’uomo con tutta la forza che aveva.

"Solo colpa tua" riprese Mori, come se non lo avesse sentito "Io non avrei mai potuto riuscirci se tu non l’avessi ingannata e delusa per tutto questo tempo, se fossi stato onesto con lei. Io ho solo sfruttato a mio vantaggio le ferite che tu le hai provocato." Conan rimase senza parole, trattenne il respiro con gli occhi spalancati e increduli, fissando il ghigno spietato che si era formato sulla bocca del suo interlocutore alla sua reazione.

No non è possibile non può saperlo non può averlo capito è assurdo ma le sue parole e tutto che è successo per colpa mia forse è vero ha ragione Ran era disperata e io l’ho lasciata andare continuando a fingere che nulla fosse continuando a sperare che lei mi aspettasse fino al mio ritorno ma i suoi sentimenti non me ne sono mai curato la tristezza nei suoi occhi avrei dovuto capirlo e fermarla e chiamarla ieri così avrebbe capito che era una trappola ma io no ho preferito proteggere me stesso e adesso è troppo tardi e LUI SA...

Una perla di sudore gli attraversò il viso, aprì la bocca per ribattere e subito la richiuse, poi si accorse dell’evidenza del suo comportamento e cercò di ricomporsi, infilando le mani in tasca e guardandolo con un’espressione interrogativa, che l’occhio allenato del giornalista interpretò all’istante rispondendo, quasi gli leggesse nel pensiero:

"Non è stato difficile capirlo: è da un po’ che osservavo i movimenti del detective Kogoro Mouri. Volevo uno scoop su di lui, dato che è diventato la nuova celebrità dell’investigazione privata. Ma col passare del tempo ho notato che in un modo o nell’altro eri sempre tu a risolvere i casi, con qualche suggerimento mirato e con interventi diretti. Devo ammettere che sei molto bravo a manovrare i ragionamenti di quell’uomo facendoli sembrare i suoi, le prime volte non ci avevo fatto caso. Osservandoti sempre però me ne sono accorto, e mi sono chiesto come facesse un moccioso delle elementari ad essere così sveglio. Finché una mattina, seduto alla mia scrivania, mi è capitato sotto mano un vecchio articolo di uno studente detective scomparso dalla circolazione" Il suo sorriso si allargò ancora di più mentre Conan, stringendo i denti, lo fissava con occhi fiammeggianti attraverso le lenti degli occhiali:

"Sì, hai capito, era un articolo su Shinichi Kudo, scomparso più o meno da quando Mouri è diventato famoso. Non ci voleva un genio per fare due più due ed ottenere te: tu sei Kudo, non è così?" i suoi piccoli occhi neri lo scrutarono da capo a piedi, quasi a volerlo penetrare con lo sguardo, aspettandosi una qualsiasi reazione rivelatrice che non venne: Conan non avrebbe scoperto così le sue carte, riacquistò il sangue freddo che gli era congeniale e divenne imperscrutabile, una figura altera senza ombra di un qualsiasi sentimento. Restarono in silenzio, ognuno osservando l’altro, un fioco raggio di luce si stanziava in mezzo a loro, illuminando il frammento di un vetro. Conan sorrise ingenuamente, assumendo il ruolo che ormai era abituato ad interpretare alla perfezione, e rispose con voce acuta, limpida e leggera: "Scusi signore ma non so di cosa stia parlando! Io sono un bambino e mi chiamo Conan! Adesso mi dica dove ha messo la mia sorellina, o chiamerò aiuto!"

"Davvero? Non credo che un bambino possa aver risolto il mio codice!"

"Oh, vuole dire quello strano disegno pieno di numeri? L’ho dato ad un mio amico, lui fa tanti esperimenti, sa? Mi ha detto cos’era, mi ha dato un libro e io ho fatto come mi aveva spiegato. Sono stato bravo a risolvere il suo gioco vero? Adesso mi dica dov’è la mia sorellina!" era furioso, avrebbe voluto calciargli addosso il calcinaccio più pesante che poteva trovare, fargli male davvero, cancellargli quel disgustoso sorriso dalla faccia. Ma doveva continuare a fingere finché non gli avesse detto dov’era Ran, persuaderlo di essersi sbagliato. Aspettò che lui desse qualche segno di ripensamento, di delusione magari, ma quello continuò tranquillamente:

"Certo, sei solo un bambino... che peccato... non credo che un moccioso di sette anni sia in grado di salvare una ragazza... è inutile che ti dica dov’è, non saresti capace di aiutarla. Mi dispiace sul serio però, è così carina..."

"Lei aveva detto che era salva!!" Conan si dimenticò del suo piano, la paura cresceva dentro di lui e di nuovo nei suoi occhi si poteva leggere chiaramente ciò che provava

"Io avevo anche detto ² Per Ora² ; ma se nessuno va in suo soccorso credo proprio che perderà la vita in un tragico incidente. Solo Shinichi Kudo sarebbe in grado di salvarla, ma purtroppo non è qui... perciò è inutile che ti dica dove si trova, non lo direi mai a un bamboccio... e io che le avevo anche detto che sarebbe venuto, chissà come si sente in questo momento..." Parlò scandendo le parole quasi volesse trafiggerlo e fece una lunga pausa per assaporare il suo tormento interiore, passandosi la lingua sul labbro inferiore. Sapeva che era solo questione di secondi, che lui avrebbe ceduto per salvare la vita alla sua ragazza... lo vide stringere forte i pugni, sentì il suo sguardo colpirlo forte, anche se la cosa gli era del tutto indifferente. Stava per vincere... avrebbe confessato... stava per diventare celebre anche lui. Dopo anni passati a raccontare le vite straordinarie di altre persone stava per diventare lui stesso ricco e famoso. Gli avrebbero conferito un premio, sì, il più prestigioso; era lo scoop della sua vita, quello che aspettava da anni scrivendo per quello stupido giornale... doveva solo far parlare quello sciocco ragazzino...

Conan restò immobile, sembrò che il mondo gli fosse crollato addosso in un istante. Non sapeva cosa fare...

Devo dirglielo non posso permettere che lei sia uccisa per colpa mia no non posso ma se dovesse scriverlo l’Organizzazione mi cercherebbe e non avrei via di uscita mi farebbero fuori senza pensarci ma Ran non deve morire non posso permetterlo io ho sbagliato lei non ha mai fatto niente non merita questo l’ho fatta soffrire e si aspetta che l’aiuti e io non la deluderò non mi importa se mi costerà la vita che scriva ciò che vuole ma lei non la sfiorerà io la proteggerò la salverò

Chinò il capo sconfitto, tremante di collera, e alla fine cedette con voce fioca, provando paura, rabbia e rassegnazione contemporaneamente, con un peso sul cuore e alla bocca dello stomaco, pronunciando le parole con lunghe pause, quasi a voler raccogliere le forze per buttarle fuori:

"E va bene... hai vinto.... sono io... io sono Shinichi Kudo"

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Capitolo 5
*** Hurt ***


5. Hurt

Il cielo si stava facendo celeste pallido, una nuvola coprì il sole e i fiochi raggi che trapelavano attraverso le finestre nel vecchio edificio divennero quasi trasparenti; si udiva solo il flebile sibilare del vento e i lontani rumori del traffico cittadino. Un momento dopo aver pronunciato le parole più dolorose della sua vita Conan sentì crescere dentro di sé la paura e il pentimento, pensò alle conseguenze del suo gesto e un brivido gelido gli percorse la schiena. Davanti a lui, Atsushi Mori scoppiò in una risata rauca, lo guardò vittorioso schernendolo con i suoi piccoli occhi neri e si passò per l’ennesima volta la lingua sul labbro inferiore:

"Moolto bene mio caro detective. Sono davvero fiero di te. Adesso..."

"Adesso devi dirmi dov’è Ran!!" lo interruppe fulminandolo con lo sguardo.

"Certo, lo farò, ma dimmi: come hai fatto a rimpicciolire? Sai, i lettori vorranno saperlo quando..."

"Devi stare ai patti e io non ti dirò una parola di più finché Ran..."

La risata del giornalista si fece più fragorosa, Conan si abbassò quasi inconsciamente cercando qualcosa sulla sua scarpa, ma una fitta dolorosa lo bloccò a metà strada: si rese conto con orrore che se avesse calciato qualcosa aumentando molto la potenza del tiro avrebbe potuto farsi male sul serio, la caviglia non avrebbe resistito e probabilmente sarebbe stato costretto a terra da uno strappo.

Digrignò i denti e fissò con odio Mori, che riprese in tono leggero, ironico:

"Purtroppo per te, non sei nella posizione di dettare le regole, devi stare al mio gioco, Shinichi Kudo. Ma ti consiglio di fare meno storie e di rivelarmi quello che voglio sapere docilmente, perché sai, più tempo noi sprechiamo qui a litigare, meno possibilità avrà quella ragazza di salvarsi. E noi non vogliamo che si faccia male, non è vero?" Conan era davvero furioso. Quell’uomo si stava divertendo a prenderlo in giro, ad umiliarlo, il suo orgoglio stava subendo ferite profonde, per la prima volta desiderò davvero che morisse, che soffrisse soprattutto. Purtroppo

Certo il mio orgoglio è a questo che sto pensando mi brucia essere trattato così ma a Ran non penso lei è lì che mi aspetta sì ha bisogno di me sta male e l’unica cosa a cui io penso è il mio stupido orgoglio starò al suo gioco meschino gli dirò quello che vuole e poi in un modo o nell’altro rimedierò ma dopo che lei sarà in salvo è solo questo che deve importarmi ora

fu costretto a piegarsi alle sue regole e abbassando la testa esordì con voce flebile:

"Una pozione. Ho preso uno strano composto e sono diventato così"

"Capisco... e dove l’hai presa questa pozione? Chi l’ha inventata?"

Conan pensò ad Ai, il suo cuore ebbe un tonfo: per tutto il tempo non aveva fatto altro che considerare le conseguenze del suo gesto in prima persona, non gli era passato per la testa nemmeno per un minuto che stava mettendo nei guai anche lei. Con l’uscita dell’articolo l’Organizzazione avrebbe ripreso a cercare anche Ai...

So che l’Organizzazione possiede una mia foto di quand’ero bambina. Non ci metterebbero nulla a rintracciarmi se sapessero....

le parole pronunciate dalla ragazza il giorno del loro primo incontro risuonarono nella sua testa e Conan ora si sentì davvero male.

è stata colpa mia se sua sorella è morta Ai le ho tolto l’unica persona che contasse per lei e ora le tolgo anche la libertà la vita non posso lei conta su di me e io l’ho tradita senza nemmeno pensarci ma Ran non posso abbandonarla forse capirà ma io riuscirò a risolvere tutto dovesse costarmi la vita non le porterò via nient’altro

Strinse i pugni e alzò la testa incontrando lo sguardo inquisitore di Mori:

"Qualche problema detective?"

"Beh, sì in realtà..." Conan sorrise senza allegria "Ti credevo più intelligente."

"Come?" Il disgustoso ghigno del giornalista si incrinò: "Che vuoi dire?"

Volontariamente il piccolo detective aspettò un po’ prima di rispondere, assaporando la perplessità del suo interlocutore: "Se sapessi rispondere a quelle domande, credi che sarei ancora così?"

"Hai ragione... uh, la cassetta è finita..." con lieve stupore di Conan Mori estrasse dall’impermeabile un piccolo registratore tascabile: "Uhm, credo che possa bastare allora..."

"Bene, allora dimmi..."

"Dov’è Ran per caso? Sei noiosamente ripetitivo piccolo.. comunque è all’ultimo piano di questo stabile, attento, le scale sono pericolanti. Sbrigati però, il punto a cui l’ho assicurata è ridotto davvero male, ed è sospeso nel vuoto, può crollare da un momento all’altro..." Conan accese la torcia da polso e gli diede le spalle per correre , ma esitò un momento e si voltò: "Porterai la cassetta ai giornali, non è così?"

"Sì, penso proprio di sì" rispose Mori tranquillo, estraendo dalla tasca un pacchetto di sigarette.

"Ti rendi conto che la storia che vuoi raccontare è assurda? Pensi che saranno disposti a crederti nonostante tu non abbia prove materiali, ma solo la tua parola e quella di un bambino?"

Il giornalista strinse una sigaretta fra le labbra e avvicinò l’accendino alla bocca:

"Quello che dici è vero, ma piccolo..." sbuffò una zaffata di fumo: "è questo il bello degli scandali. Nessuno cerca mai prove concrete, tutti sono troppo occupati a stupirsi e a scandalizzarsi, e badano solo all’apparenza." Conan cominciò a correre, ignorando le dolorose proteste della caviglia: adesso doveva pensare solo a Ran. Raggiunta la rampa di scale si costrinse a rallentare, consapevole che avrebbe potuto farle crollare da un momento all’altro, tanto erano decadenti e messe male. Doveva raggiungerla alla svelta, fare presto, prima che fosse troppo tardi. A metà della salita il piede destro si poggiò su uno scalino che non resse il suo peso e crollò, facendogli sprofondare la gamba nel vuoto: sentì la pelle lacerarsi e al dolore della caviglia sì unì quello della ferita, pulsante e sanguinante.

Cercò di issarsi di nuovo in piedi facendosi forza sul ginocchio della gamba sinistra e sulle braccia, ma con scarso successo. Il dolore si fece insopportabile, una lacrima involontaria si formò sulle sue ciglia mentre il volto avvampava per lo sforzo

Oh no non posso fermarmi adesso non a un passo dal traguardo Ran mi aspetta non voglio altri rimpianti non li sopporterei voglio solo riportarla a casa devo farcela ora o mai più

Ran riemerse da quello stato di torpore e semi incoscienza che il sedativo le aveva procurato al suo risveglio: aveva sentito un rumore. Ancora una volta cercò di issarsi a sedere dimenticando di avere gambe e braccia legate strette e la delusione unita al dolore dei muscoli intorpiditi la fece gemere. Una ciocca di capelli bruni le ricadeva sull’occhio destro, che scrutava l’oscurità alla ricerca di qualche segnale di un eventuale ospite. Ma c’era davvero stato quel rumore o se lo era immaginato? Si concentrò sull’ambiente circostante cercando di percepire anche il più piccolo suono: sì, sentiva qualcosa, era un sussurro, c’era qualcuno lì con lei, forse Shinichi era venuta a salvarla. Le sue labbra si dischiusero in un sorriso, malinconico, infelice.

È il vento stupida solo il vento

Il suo viso si rabbuiò, era davvero inutile continuare ad illudersi, in fondo era proprio a causa della sua ingenuità che si era cacciata in quella situazione. Solo per colpa di

Shinichi

una sua illusione. Sarebbe stato meglio rassegnarsi e aspettare di morire di fame o di chissà cos’altro, invece di continuare a farsi del male. O magari cercare di liberarsi da sola...

Cominciò a dimenarsi, dando strattoni alla corda con tutta la forza che aveva, ma invece di sentire le funi allentarsi, ebbe la sensazione che qualcosa sotto il suo corpo stesse cedendo...

I sussurri continuavano, alcuni le sembravano acuti, altri più gravi, rauchi...

la sua voce

Sì, ne era certa, perché da quel momento in poi avrebbe sicuramente riconosciuto quello sgradevole timbro di voce ovunque. Era il suo sequestratore che parlava, non l’effetto del vento sui muri dello stabile. Il problema era con chi stesse discutendo: un complice forse? La paura crebbe di nuovo dentro di sé, forse stavano decidendo che cosa fare di lei... la voce più acuta sembrava arrabbiata, chissà, forse erano in collera perché il loro piano era andato a monte... l’uomo le aveva detto che Shinichi l’avrebbe salvata, ma lei sapeva che non sarebbe venuto, forse era questo che li infastidiva.

Poveri illusi se credevano che Shinichi avrebbe lasciato il suo importantissimo caso per venire a salvare me io non sono mai stata al primo posto nei suoi pensieri forse avrebbero fatto meglio a togliergli uno dei suoi stupidi libri di Conan Doyle allora sì che sarebbe venuto

le scappò una risatina isterica, dentro di sé il suo cuore parve lacerarsi e sanguinare e di nuovo una lacrima le rigò la guancia. Adesso sembrava che avessero smesso di parlare, sentì dei passi concitati venire verso di lei, sempre più vicini, salire le stesse scale che aveva percorso con una pistola puntata alla schiena

Viene ad uccidermi

Spaventata dai suoi stessi pensieri cominciò a dimenarsi furiosamente, sentì scricchiolii sempre più forti e frequenti finché qualcosa si staccò toccando terra dopo qualche secondo con un tonfo. Ran gridò sentendosi cadere, mentre le funi non più assicurate alla trave le scivolarono dal corpo. Con prontezza di riflessi si aggrappò con la mano alla prima cosa che trovò sentendo un dolore lancinante ai muscoli del braccio risvegliati dal torpore così all’improvviso e si ritrovò sospesa in aria

Non ce la faccio mi fa male non resisto il mio braccio fa male

Ran urlò invocando aiuto, mentre sentiva le forze venirle meno.

Conan udì un tonfo e poi il grido disperato di una ragazza.

Ran

Non aveva più tempo non poteva restare lì incastrato a quello scalino, non con Ran che urlava invocando aiuto. Raccolse tutte le forze e si issò, liberando in modo rapido ma non indolore la gamba: la ferita strusciò sulle pareti spaccate e appuntite dello scalino diventando più profonda, ma nonostante questo Conan riprese a correre stando attento a non mettere i piedi in fallo. Il dolore era insopportabile, la gamba pulsava e se non fosse stato per l’adrenalina che aveva in corpo forse sarebbe svenuto, tanto sangue stava perdendo. Faticosamente arrivò al secondo piano dell’edificio, alzò gli occhi e la vide, aggrappata ad un soppalco mentre una trave era sul pavimento sotto di lei, insieme a delle corde attorcigliate. Per arrivare in alto dove si trovava però doveva salire un’altra scalinata, più piccola ma non meno lunga, che portava vicino al tetto, esattamente dove lei era stata legata.

"Resisti Ran arrivo! Non mollare!"

La ragazza sobbalzò, quella voce acuta, non era di un rapitore, perché non l’aveva riconosciuta subito? "Conan kun!!" il braccio tremava violentemente per lo sforzo, non ce la faceva, sarebbe caduta di lì a pochi secondi, sentiva i passi del bambino sulle scale...

Conan corse ignorando il dolore alla gamba, sempre più vicino al traguardo, sperando che lei avesse la forza di resistere solo ancora un po’, ecco, era vicino, c’era quasi, solo qualche secondo...

Ran chiuse gli occhi stringendo i denti, basta, era finita, il suo corpo non avrebbe resistito oltre, cominciò ad allentare la presa...

Conan raggiunse il soppalco, poteva vedere la mano della ragazza aggrappata, si lanciò verso di lei ma la sua destra cedette e si ritrovò a terra, la vista che cominciava ad annebbiarsi...

Ran gemette disperata e mollò la presa, si sentì cadere finché forte come una morsa qualcosa le strinse il polso: aprì gli occhi e vide il volto pallido del suo ² fratellino² , grondante di sudore, che con un occhio chiuso e l’altro semi aperto la guardava, cercando di sorridere nonostante l’evidente malessere: "Coraggio Ran neechan, non ce la faccio da solo, cerca di aggrapparti con l’altra mano"

le disse con un fil di voce, sforzandosi ansimante. Seguì il suo consiglio e si ritrovò retta a Conan e al soppalco; grazie alla forza sviluppata durante gli allenamenti di Karate riuscì con fatica ad issarsi e quando finalmente fu in salvo sentì la morsa che gli stringeva il polso allentarsi. Si voltò e notò con orrore la scia di sangue che il bambino si era lasciato dietro, fino al punto dove ora era sdraiato, esausto: "Oh piccolo Conan kun!!" gli si avvicinò e lo strinse a sé, appoggiandogli delicatamente la testa nell’incavo del braccio e tamponando con il suo fazzoletto la ferita profonda che si era aperta sulla gracile gamba: "Cosa ti è successo? Come sapevi che ero... quell’uomo ti ha picchiato?"

Ran lo fissava preoccupata, gli occhi chiusi del bambino si aprirono lentamente guardandola:

"Ran... perché stai così male?" fu come se qualcosa la colpisse violentemente al cuore, i pensieri che si era tenuta dentro per così tanto tempo divennero pesi insostenibili e scoppiò in singhiozzi e lacrime senza neanche cercare di trattenersi:

"C... Conan io... non ce la faccio più! Avrei voluto essere più forte ma... Shinichi... lui per me è sempre stato così importante, fin da quando eravamo piccoli lui non mi ha mai lasciato sola... aveva i suoi casi, questo sì, ma nonostante tutto era sempre lì quando avevo bisogno di lui...sempre pronto a consolarmi a modo suo se ero triste, a farmi sorridere, a salvarmi la vita se ero in pericolo... pensavo... credevo davvero che lui fosse l’unica persona in grado di farmi stare davvero bene, che riuscisse a farmi felice..." si coprì gli occhi con la mano, e non vide lo sguardo carico di dolore del bambino mentre sussurrava con un fil di voce: "P..pensavi....e invece adesso..?"

"Adesso mi rendo conto che lui è l’unico che riesce a farmi piangere e soffrire! Io...io lo odio..." La sua voce si fece più dura, anche se rotta dal pianto, Conan abbassò lo sguardo: "Lo odio perché per lui sono insignificante, perché non valgo più di uno stupido caso... mia madre me l’aveva detto di lasciarlo perdere, ma io no, gli ho dato fiducia, ho creduto in lui, pensato che non sarebbe mai diventato così cinico e insensibile... invece lui ha tradito tutte le mie speranze, mi ha abbandonato... e io sono stanca di soffrire, stanca di sperare ogni mattina di alzarmi e di incontrarlo per la strada, che mi urla contro perché siamo in ritardo e io non l’ho svegliato..." Sorrise malinconica, le lacrime le avevano bagnato il viso arrossato a tal punto che i capelli le si appiccicavano sulle guance:

"Sono davvero stanca, Conan kun. Avevo paura ad ammetterlo, paura di far crollare l’immagine che avevo sempre avuto di lui...ma ormai... non ho più la forza di andare avanti così. Vorrei solo cercare di dimenticarlo... di smettere di amarlo così tanto... perché in fondo credo di aver amato solo l’illusione che avevo di Shinichi, non il suo vero io...perché non ho più voglia di vivere nell’attesa che lui si ricordi che esisto." Si strofinò gli occhi cercando di fermare le lacrime e quando tolse il dorso bagnato della mano notò che Conan aveva abbassato la testa, mostrandole solo i capelli scompigliati: "Scusami Conan kun, non volevo addossarti tutti i miei pensieri. Tu sei venuto a salvarmi, non mi hai abbandonato come quello...grazie" lo baciò sulla testa, lui rimase immobile, poi riuscì a sussurrare quasi senza fiato: "Ran io..." Lei lo guardò attentamente, c’era qualcosa che brillava sulla sua guancia:

"Conan ma tu stai piangendo! Scusa piccolo, la tua gamba... deve fare davvero male. E io che perdo tempo con le mie stupide chiacchiere. Ti porto subito da un dottore!" si alzò con lui fra le braccia, lacrime silenziose continuarono a scendere dagli occhi di Conan, che le si teneva ben stretto quasi avesse timore di perderla. Un timore irrazionale, perché era ormai troppo tardi.

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Capitolo 6
*** Sad Rain ***


6. Sad Rain

Le prime ombre della sera erano scese silenziose, il cielo si era colorato di sfumature nerastre, le stelle non erano visibili perché le nuvole si erano addensate lasciando cadere la pioggia. Si era alzata una brezza fredda, che scuoteva le fronde degli alberi appesantendo le foglie di umidità, mentre all’orizzonte gli ultimi deboli raggi luminosi testimoniavano dietro le colline la morte del sole. I vetri alle finestre dell’agenzia investigativa tremavano ad ogni folata con brevi rumori secchi, simili a colpi di tosse. Conan era seduto sulla sedia della scrivania, la fronte aggrottata, gli occhi seri e freddi rivolti ad un punto imprecisato dell’orizzonte scuro davanti a sé, le braccia conserte; poteva sentire la voce di Ran, ancora tremante e scossa dai singhiozzi, seppure si fosse chiusa in camera con la sua confidente, venuta per darle conforto.

E per consigliarle di lasciarmi perdere

Un gemito sommesso gli fece chiudere gli occhi per un istante, un gesto inconscio, protettivo, che si fa spesso per sfuggire alla realtà delle cose, e che gli fece dimenticare per un breve momento che il dolore non era all’esterno, ma dentro di lui. Li riaprì vedendo la sua immagine riflessa nel vetro, l’immagine di un bambino con il volto segnato da troppe sofferenze per la sua apparente età, negli occhi nemmeno il remoto brillio dell’innocenza e della spensieratezza. Non ricordava di essersi mai visto così adulto da molto tempo. Chinò il capo per non guardarsi, per non affrontare quella realtà che il vetro rifletteva, vide la fasciatura sulla gamba destra, sul pavimento le varie lattine vuote di birra, che mandavano un odore aspro e forte. Sentiva un vuoto dentro, un dolore insostenibile che non riusciva a trattenere ma che non sapeva come sfogare, doveva pensare a come risolvere la situazione, la sua testa era oppressa da mille problemi, vedeva buio, solo buio, senza la minima illuminazione. Avrebbe voluto solo dormire e niente altro, solo abbandonarsi al sonno, per far sparire tutte le angosce e le ansie, per non dover stare così male. Per la prima volta nella sua vita era inerme davanti alla disgrazia che incombeva su di lui, incapace di fare qualcosa.

Fare qualcosa reagire ma come? Probabilmente ormai non c’è più niente da fare Mori sarà già andato alla redazione e domani mattina uscirà il giornale e domani pomeriggio Ran capirà di essere stata ingannata e mi odierà e domani sera io e Ai saremo già morti

Chiuse di nuovo gli occhi per riaprirli subito dopo. Ran aveva denunciato il rapimento alla polizia ma il giornalista non si era fatto vedere in faccia da lei, nascondendole il volto. D’altra parte lui non poteva dire nulla, non prima di aver recuperato la cassetta, o si sarebbe scoperto il suo segreto comunque. Aveva pensato di raggiungere la redazione del giornale per cui lavorava quel pomeriggio, ma la ragazza gli era stata appiccicata per tutto il tempo, dal dottore e anche a casa e con quella gamba ferita non poteva sperare di sgattaiolare via come faceva sempre. Non aveva detto nulla ad Ai per non farla preoccupare e aveva fatto giurare al professor Agasa, con cui si era confidato per telefono, di non parlarne con lei. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno e il suo ex vicino di casa gli era sembrato il più adatto. Pessima idea. Si era dimenticato delle conseguenze che spesso avevano i suoi colloqui col professore, in particolare delle soluzioni che la sua mente di scienziato riteneva giuste tanto da metterle in atto senza il suo consenso. Davvero un grosso errore. Adesso non solo doveva pensare ai suoi mille problemi, ma anche a trattare con la soffocante volontà di tiragli su il morale di quello che si definiva il suo ² migliore amico² :

"Dai Kudo non mi sembra una situazione così irrisolvibile" esordì in tono leggero Heiji Hattori, piegando il giornale che aveva in grembo e fissando la nuca del piccolo detective, chissà perché intenzionato a non guardarlo in faccia.

"Fai presto a parlare tu, Hattori" Grugnì, senza smettere di dargli le spalle.

"Beh, intanto credevi che la notizia sarebbe uscita nell’edizione serale, invece qui io non leggo niente su di te. Perché non smetti di piangerti addosso e non cerchiamo di capire cosa significa?"

"Io non mi sto piangendo addosso!!" Lo aggredì Conan, finalmente voltandosi con tutta la sedia girevole: ma perché cavolo il professore aveva chiamato proprio lui per aiutarlo? E soprattutto perché diavolo stava sorridendo come un idiota in un momento come quello?

"Oh, finalmente! Quell’aria mogia da complessato non ti si addiceva proprio, sai? Ora che ti è tornata di nuovo la grinta, che sei di nuovo in te, possiamo riflettere con calma sulla faccenda" Concluse Heiji, per nulla turbato dalla sua reazione. Conan lo guardò perplesso per qualche secondo, poi mormorò: "Abbassiamo la voce o Ran e Kazuha ci sentiranno. Questi muri sono fatti di carta..."

"Sei tu che hai urlato amico" rispose Heiji stringendosi nelle spalle e aggiunse: "Allora? Hai pensato a qualcosa?" Conan si aggiustò gli occhiali fissando un punto imprecisato del pavimento:

"Non so proprio cosa pensare. Come hai detto tu ero convinto che la notizia uscisse sul giornale di questa sera. Non riesco proprio a capire perché non ci sia. È davvero strano."

"Forse non ha trovato nessuno disposto a credergli. L’avranno preso tutti per un pazzo." Heiji cominciò a giocherellare con il cappello da baseball, facendolo ruotare sul dito teso della mano destra. Conan fissò il movimento del berretto come ipnotizzato per un po’, riflettendo, poi proseguì:

"Uhm, magari, ma sarebbe troppo bello. Penso invece che voglia andarci con cautela, saperne di più prima di comunicare la notizia in giro, proprio per non rischiare una cosa del genere. Sì, credo proprio che voglia informarsi bene su tutto, prima..."

"Rispondere alle famose cinque w del bravo giornalista, vuoi dire?" Chiese ironico Heiji fermando il berretto e indossandolo alla rovescia.

"Se vogliamo proprio banalizzare..." rispose Conan alzando gli occhi al cielo. Era convinto che la sua ipotesi fosse esatta. Per quanto quel farabutto ne dicesse sugli scandali, chiunque con un minimo di intelligenza deciderebbe di conoscere la vicenda nei particolari prima di sbandierare ai quattro venti che un diciassettenne era regredito all’età infantile. Probabilmente stava indagando sulle cause, sull’inventore della pozione... insomma cercava tutte le informazioni che lui era stato abbastanza furbo da nascondergli. Naturalmente quell’uomo non poteva nemmeno immaginare il pericolo in cui si stava cacciando, ma la sua incolumità non turbava minimamente il piccolo detective. Il problema, ben più grave, era un altro...

"Però se hai ragione, e se questo tizio è bravo nel suo lavoro, allora fra non molto potrebbe..."

"...Venire a contatto con l’Organizzazione degli Uomini in Nero." Conan concluse per lui la frase e continuò: "Sì, ci ho pensato anch’io. Se succederà, quelli lo uccideranno e gli ruberanno la cassetta. E così saremmo a punto da capo, se non peggio." Conan ostentava freddezza e sicurezza, ma Heiji percepì chiaramente la nota di incertezza e preoccupazione nella sua voce. Era da molto ormai che lavoravano insieme e aveva imparato a conoscerlo, a superare il muro che lui si costruiva sempre davanti a tutti, mostrandosi forte per quanto disperata fosse la situazione. Semplicemente, Kudo non voleva farsi vedere debole con nessuno, ma al contrario reputava vulnerabili tutte le persone intorno a sé; così faceva qualsiasi cosa per proteggerle, era pronto anche a caricarsi da solo ogni responsabilità, ogni problema, per lasciare serene le persone a cui teneva. Disposto perfino a soffrire, per far stare bene gli altri. Era questo che lo rendeva ai suoi occhi così speciale, e che non lo faceva smettere di essere suo amico nonostante Kudo lo trattasse sempre in modo distaccato, quasi come se fosse infastidito dalla sua presenza. Quella sera stessa, arrivando all’agenzia, non aveva visto il solito lampo di determinazione e coraggio nei suoi occhi ma solo buio, disperazione, qualcosa di veramente terribile a cui non sapeva dar nome. Sembrava come se la sua vita fosse finita. Heiji era rimasto allibito e avrebbe voluto saperne qualcosa di più, ma Conan si era accorto che lo stava fissando ed era probabilmente per questo che aveva deciso di dargli le spalle e di volgere lo sguardo ovunque in quello studio tranne che a lui. Il dottor Agasa gli aveva solo raccontato del rapimento di Ran e della confessione forzata a cui Conan era stato costretto, ma Heiji era sicuro che fosse successo qualcos’altro, qualcosa di orribile che Kudo non era riuscito a confidare a nessuno. Qualcosa che doveva farlo stare davvero male...

"Kudo, sei sicuro che sia tutto okay?" si arrischiò a chiedere, guardandolo negli occhi azzurri che erano rivolti ad un orologio appeso al muro:

"No che non è tutto okay, stupido! Hai sentito quello che ho detto? Se l’Organizzazione..."

"Io non mi riferivo a quello" lo interruppe, con un tono serio e calmo e mantenendo gli occhi puntati su di lui. Conan sussultò, perché sapeva che se Hattori assumeva quell’atteggiamento significava che era preoccupato sul serio e che quindi non avrebbe fatto cadere facilmente il discorso; però lui non aveva intenzione di dirgli nulla, sentiva il suo cuore lacerarsi ogni volta che ci pensava e non aveva la forza di parlarne, di affrontare la situazione. Occupare la mente con altre questioni e fingere di dimenticare tutto era l’unico modo per non provare dolore. Anche se era solo una fioca illusione, perché la sofferenza c’era, ristagnava dentro di lui, e faceva davvero male, per quanto non volesse pensarci. Spostò lo sguardo sul suo ginocchio sinistro e si strinse nelle spalle, sperando che fingere fosse ormai un’arte che sapeva padroneggiare: "Non capisco di che parli." Disse in tono leggero, incrociando le braccia.

"Io credo di sì invece"

"Ah sì? E chi te lo dice?" rispose in tono di sfida Conan, odiandolo.

Ma che cavolo vuole? Perché non pensa agli affari suoi invece di rompere le scatole a me prendesse la sua fidanzata e se ne tornasse a Osaka per quel che me ne importa può non farsi vedere mai più sì giusto non gli dirò una parola stupido odioso bamboccio del Kansai sempre con quel sorriso idiota sulla faccia ma cosa vuole da me non sono affari suoi no

"Il tuo linguaggio non verbale, tanto per dirne una. Non mi guardi negli occhi da quando sono arrivato.."

"Non ho l’abitudine di fissare negli occhi gli altri ragazzi, Hattori." Grugnì Conan.

"... in compenso prima li serravi di scatto e li riaprivi, quasi fossi spaventato da qualcosa. Ho visto il tuo riflesso sul vetro..." riprese Heiji, fingendo di non averlo sentito: "Infine, rispondendo alla mia domanda hai incrociato le braccia. È un chiaro simbolo di chiusura, come se ti volessi proteggere non aprendoti con me... in parole povere stavi mentendo." Concluse, non riuscendo a trattenere un sorrisetto beffardo. Conan stavolta lo guardò dritto negli occhi, con tanta rabbia che l’amico riuscì a percepirla: "Non rifilarmi queste stronzate!" gli urlò contro, e stavolta il sorriso di Heiji si incrinò:

"Non ho intenzione di restare qui a..."

La porta dello studio di aprì, Kogoro aveva un’espressione raggiante e stringeva in mano un gruzzolo di banconote fruscianti: "Indovinate un po’? Ho vinto al video poker! La mia abilità a quanto pare non si limita al campo dell’investigazione! Che ne dite di fare una bella cenetta a base di carne stasera?" esordì, ad alta voce. Heiji, che si era voltato a guardare l’uomo, posò di nuovo lo sguardo sul suo amico e vide che era tornato calmo e pensieroso, come se nulla fosse successo. Rimase a fissarlo per un momento con benevolenza, poi si rivolse a Kogoro: "Non avevi detto che uscivi per comprare qualcosa, visto che io e Kazuha ci fermiamo a dormire qui?"

"E infatti vi ho assicurato una cena coi fiocchi." Concluse l’uomo trotterellando verso la camera della figlia. Conan evitò accuratamente di restare di nuovo solo con il detective dell’ovest e seguì lo "zio" zoppicando.

Ran era seduta sul suo letto, le ginocchia piegate e i piedi scalzi sul copriletto soffice, abbracciava il cuscino con aria triste. I suoi occhi erano arrossati e sulle ciglia si erano formate piccole gocce di lacrime. Kazuha era seduta accanto a lei, sul bordo del letto, le gambe accavallate e i piedi appoggiati al pavimento, e giocherellava con una ciocca di capelli visibilmente a disagio. Ogni tanto lanciava occhiate tristi a Ran, ma non sapeva cosa dire per tirarla su di morale. Dopo qualche minuto di quel silenzio così pesante finalmente Kazuha si fece forza e ruppe l’atmosfera:

"Coraggio Ran chan. In fondo è andato tutto bene, e tu sei sana e salva..."

Ran annuì, ma sembrava assente, quasi non la stesse ascoltando. Kazuha se ne avvide e riprese:

"Non è da te buttarti giù in questo modo per una cosa del genere. So che c’è qualcos’altro che ti turba. Ti prego...." posò delicatamente una mano sulla sua, Ran si voltò e si ritrovarono vicinissime:

"...dimmi cos’altro è successo. Non posso vederti così..." Ran vide che i suoi occhi erano sinceramente preoccupati, pieni di tristezza, e sentì che non poteva nasconderle niente; e poi, voleva davvero il parere della sua amica del Kansai poiché era certa che l’avrebbe capita, infatti lei viveva un rapporto con Heiji molto simile al suo con Shinichi.

Anche se non è stata mai abbandonata da lui

Di nuovo si sentì sul punto di piangere e le scappò un singhiozzo. Kazuha le cinse le spalle con il braccio e la accarezzò con dolcezza, sorridendole rassicurante quando lei la guardò. Così Ran raccolse tutte le sue forze e cominciò a spiegarle tutto, dei pensieri che aveva cominciato a fare, delle sue illusioni, di come pensava di essersi sbagliata sul conto del suo amico d’infanzia, di quanto dolorosa era stata la sua decisione di darci un taglio con tutto. Kazuha la ascoltò con molta attenzione, aspettando paziente ogni volta che lei si fermava per asciugarsi le lacrime e per singhiozzare, continuando a massaggiarle la spalla. Quando ebbe finito, rimase per un po’ in silenzio a riflettere prima di parlare:

"Sai, Ran chan, c’è una cosa che non riesco a capire. Tu hai preso quella decisione per smettere di soffrire, giusto?" Ran annuì strofinandosi l’occhio con il pugno, Kazuha continuò:

"Però a me sembra che questa decisione ti faccia soffrire il doppio di prima." Ran rimase colpita da quella considerazione, poggiò il cuscino sul letto e cominciò a sprimacciarlo con delicatezza, pensando alle parole dell’amica. Dopo qualche secondo mormorò:

"Sì, lo so. Ma...io non..."

"Secondo me dovresti fare un passo indietro, pensarci su e..." sospirò "parlare delle tue paure con Kudo." Ran sussultò guardandola, Kazuha riprese:

"Capisco che tu sia stanca di aspettarlo in eterno, che lui non dovrebbe metterti al secondo posto dopo i suoi casi, perché fa male. Anche a me succede, pensa che una volta Heiji mi ha invitata al ristorante e io ero davvero al settimo cielo...e invece lui non si è presentato. Lo chiamo un’ora dopo e scopro che è qui a Tokyo, a risolvere un caso, e alle mie proteste cade dalle nuvole... mi sono sentita ferita, io aspettavo con ansia quel momento e lui se ne era addirittura dimenticato. Però riflettendoci con calma ho capito che Heiji è fatto così, e che non posso cambiarlo, ma accettarlo così com’è..." parlava con un tono trasognante, Ran borbottò un po’ infastidita:

"Però Hattori non è mai andato via di casa e c’è sempre quando hai bisogno di lui...invece..."

"Non offenderti, non volevo parlare di me. Quello che intendevo dire è che se Kudo è simile a Heiji quanto mi hai detto, non credo si renda conto che con il suo comportamento ti fa del male. E’ per questo che credo sia meglio parlarne con lui, prima di prendere simili decisioni..."

Ran scosse la testa tristemente: "E’ proprio questo il punto, Kazuha chan. Io sono stanca di parlare con una voce anche se si tratta solo di una chiacchierata, figuriamoci di una cosa seria come questa. Vorrei poterlo guardare negli occhi, stare con lui, come una volta..." un altro singhiozzo " E non discutere con una cornetta del telefono. È chiedere troppo?" ricominciò a piangere, il petto scosso da respiri affannosi, Kazuha la abbracciò, cercando di calmare il suo tremito accarezzandole la testa fino alla nuca, su e giù: "Su, su...non piangere Ran chan...fatti forza, ho un’idea..." disse con voce dolce, Ran si asciugò le lacrime e smise di inzupparle la spallina del giacchetto jeans:

"Chiama Kudo e digli di tornare qui." Ran non poté nascondere la delusione:

"Kazuha chan... il problema è che non lascerebbe mai il suo importantissimo caso per..."

"Non deve lasciarlo... digli che vuoi parlargli a quattr’occhi, fagli capire che è davvero importante per te che venga...anche solo per un pomeriggio, o un’ora...e poi è libero di tornare... ma dov’è che sta?" Chiese Kazuha perplessa, e leggendo il suo stesso stato d’animo nell’amica alzò le spalle e riprese: "Poi potrà tornare al suo caso. Se lui accetta e viene potrai parlargli come vuoi tu, anche se in fondo solo il fatto che ha abbandonato tutto perché tu hai bisogno di lui mi sembra che risolva la questione.." le sorrise con affetto, ma Ran non ricambiò, volse lo sguardo al pavimento:

"E se invece non viene capirò che avevo ragione e resterò sulla mia decisione" aggiunse in tono amaro, anche se adesso nel cuore sentiva un barlume di speranza che prima non c’era.

Kazuha le aveva dato davvero un buon consiglio, sapeva di poter contare sul suo aiuto e adesso si sentiva più sollevata. Sorrise di rimando alla sua amica del Kansai, che smise di cingerla e si sedette di nuovo da piedi al letto, aggiustandosi la gonna con le mani. Data l’atmosfera decisamente più leggera, Kazuha la guardò ammiccando. "Io penso che verrà, in fondo lui è ancora il tuo amato Shinichi no?" Ran arrossì. In effetti aveva ragione, non si può smettere di voler bene ad una persona a comando, e lei desiderava tanto essersi sbagliata, poter parlare con Shinichi dei suoi problemi. Sorrise di rimando a Kazuha, riconoscente del consiglio che le aveva appena dato, poi continuò più confortata:

"Il mio amato Shinichi? ma fammi il favore! Chi potrebbe mai innamorarsi di quel fissato per le indagini?" gridò, ridendo.

"Uhm, fammi pensare.. tu Ran chan?"

"Ma neanche per sogno! Non è vero!" le lanciò addosso il cuscino e Kazuha glielo restituì colpendola in piena faccia. Ran lo tirò di nuovo con forza, Kazuha lo schivò e quello finì dritto addosso a Kogoro, appena entrato nella camera, con uno sfarfallio di piume: "Insomma voi due!"

Gridò l’uomo togliendosi una piuma dai baffi. Le ragazze risero e sulla soglia Conan osservò allibito Ran, senza sapere cosa pensare ma decisamente più riscaldato nel cuore.

Atushi Mori entrò in un bar molto piccolo, completamente al buio se si escludevano le luci rosse e blu soffuse, attraversò un paio di tavoli, dove degli uomini si stavano scolando i loro drink come fossero acqua fresca e si sedette al bancone. Chiamò a gran voce il barman e quello gli si avvicinò irritato per aver dovuto interrompere una conversazione con una bionda mozzafiato:

"Che ti porto, Mori?" chiese, lo sguardo fisso sulle gambe della donna mentre le accavallava.

"Stasera devo festeggiare. Portami un cocktail molto pesante, o del Whisky, fai tu." Disse con voce raggiante, un sorrisetto beffardo stampato sulla faccia.

"Come mai?" chiese il barman mentre gli preparava il suo drink. Mori scosse la testa:

"Non posso dirti nulla, ma è uno scoop sensazionale. Lascerà tutti senza fiato..."

"Vuoi rovinare la vita a qualcun atro?" domandò con tono ironico poggiando il bicchiere di vetro

sul bancone, sempre voltato da un’altra parte.

"Oh no, la vita a quel moccioso gliel’ha già rovinata qualcun altro. Io voglio solo che la gente lo sappia, così lui tornerà famoso, anzi, lo sarà ancora di più." Gli scappò una risata roca e bevve tutto d’un fiato il suo Whisky. Lì vicino, la bionda mozzafiato voltò leggermente il capo verso di loro:

"Ma di chi parli?" Il barman non sembrava affatto curioso, cominciò ad aggiustarsi il collo della camicia lanciando occhiate fugaci alla sua destra: "Non posso rivelarti nulla..." gli ricordò Mori, chiedendogli un altro drink. La donna aprì la sua borsetta nera, sfilò una sigaretta da un pacchetto e la mise fra le labbra, poi si alzò, le gambe sinuose scoperte dalla minigonna di pelle, il seno prorompente visibile attraverso la scollatura del vestito nero. Prese posto accanto al giornalista, si prese la sigaretta fra le dita, smaltate di rosso e lo scrutò attentamente: "Scusi, ha da accendere?"

Chiese con voce sensuale, dall’accento straniero. Mori la guardò un paio di volte da capo a piedi, molto colpito, con una strana espressione sulla faccia: "Sicuro, bellezza." Rispose, tirando fuori dalla tasca un accendino d’argento e accendendole la sigaretta mentre lei gliela porgeva. La donna la portò alle labbra e Mori si ritrovò a pensare a quanto fossero sexy quelle labbra, quei seni, quel fondoschiena...

"Ti offro da bere, se mi dici il tuo nome." La bionda sorrise, divertita:

"Uhm...vediamo...puoi chiamarmi Christy. E il tuo invece?"

"Atsushi Mori. Dovresti aver sentito parlare di me, sai, sono un famoso giornalista..." Allungò le mani verso i suoi fianchi ma lei si ritrasse: "No, non mi sembra." Parlò con voce fredda stavolta e Mori chiese altri due drink, sicuro di trovarla più disponibile dopo qualche bicchiere.

"Ma lo diventerò fra non molto, mia cara. Ho in serbo un grande scoop..." aggiunse con un tono che doveva sembrargli molto accattivante.

"Ah sì? E di che si tratta?" lei era tornata sensuale e si era sporta verso di lui, mostrandogli bene la scollatura. Mori smise di guardarla in faccia e sorrise: "Scusa bellezza, non posso dirtelo."

"Sicuro bello? Io sono così curiosa... Farei di tutto per sapere di chi parlavi prima." gli poggiò una mano sulla gamba, marcando particolarmente la voce su quel ² Tutto² , lui bevve il suo secondo bicchiere di Whisky pensando che quella era forse la giornata migliore della sua vita.

"Non so se posso sbottonarmi, capisci..."

Lei ritrasse la mano: "Oh, allora credo che nemmeno io potrò sbottonarmi con te..." fece per alzarsi ma lui le bloccò il polso: "Calma, bella, te lo dico... parlavo di... di Hyde degli Spirits. Ho una notizia su di lui..." Il volto della donna si fece scuro, borbottò infastidita: "Non mi piace che cerchino di fregarmi. So che non è il giocatore di calcio, perché lui è tutt’oggi molto famoso, e tu parlavi di uno che doveva tornare ad esserlo. Ci vediamo, lasciami il polso..." L’uomo la strinse ancora di più: "Hey, stavo scherzando. Te lo dico in un orecchio, se prometti che terrai la bocca chiusa." La donna annuì e gli si avvicinò, lui approfittò dell’occasione per annusare il suo collo e i suoi lunghi capelli chiari, poi le sussurrò il nome e lei sorrise, un luccichio interessato negli occhi.

"Non puoi immaginare il segreto di quel ragazzino" aggiunse Mori. Lei si sedette e ordinò altri drink al barman, che era ora di pessimo umore, e stette a guardare mentre il giornalista se li scolava, aggrottando le sopracciglia in un’espressione ansiosa e soddisfatta allo stesso tempo.

"Era tutto de-li-zio-so" commentò Kogoro scandendo le parole e stiracchiandosi, mentre uscivano dal ristorante; la pioggia era cessata e portava l’ombrello appoggiato all’incavo del braccio. Ran lo seguiva tenendo sulle spalle Conan, i capelli bruni sciolti che ondeggiavano ad ogni folata di vento, così come il lungo cappotto di camoscio e la gonna lunga fin sopra le ginocchia, di un rosa tenue. Conan teneva la testa sulla sua spalla, sollevato per la spensieratezza e l’allegria con cui la ragazza aveva passato la serata; era confuso, certo, ma per una volta non riuscire a capire qualcosa non lo disturbava minimamente, anzi, gli faceva sperare che le parole di Ran allo stabile fossero state dettate da uno sconforto momentaneo, un esaurimento nervoso di poco conto. Anche se gli avevano dato da pensare a quanto le stesse facendo del male... il suo viso si rabbuiò, poi scorse accanto a sé la figura di Kazuha e le sorrise istintivamente, riconoscente per quello che aveva fatto. Lei lo guardò confusa per un secondo e poi ricambiò il sorriso scompigliandogli i capelli con la mano, ricominciando a parlare con Ran dell’ultima puntata di una fiction rosa che vedevano entrambe. Hattori osservò tutto questo, ultimo in fila, seccato per essere l’unico- al pari di quell’idiota di Kogoro- a non sapere nulla sulla faccenda. Si parò davanti a Ran con un balzo e chiese con falsa gentilezza:

"Sarai stanca, Mouri, di portarti quel piccoletto sulle spalle. L’hai fatto per tutto il pomeriggio, no? Se vuoi posso pensarci io, non c’è problema." Disse tendendo le braccia, ignorando le occhiatacce ostili lanciategli da Conan. Ran sorrise:

"Oh, non è così pesante, però... te ne sarei grata. A te non dispiace, vero?" Voltò la testa per quanto poteva verso il bambino, che cambiò velocemente espressione con non poco divertimento di Heiji e balbettò: "Veramente io..."

"No, il piccolo Conan kun è felice di non farti stancare..." Gli sorrise con malignità e se lo caricò sulle spalle, lasciando che Ran e Kazuha facessero un po’ di passi avanti prima di riprendere a sua volta a camminare. Conan sbuffò, stringendo volontariamente con molta forza le spalle dell’amico, di nuovo lui non ci badò e riprese a interrogarlo: "Visto che la situazione mi sembra più leggera e tu più rassicurato che ne dici di dirmi cos’è accaduto, Kudo?"

"Non ho intenzione di dirti quello che è successo, perciò smettila di insistere Hattori!" Rispose stizzito, chiudendo gli occhi a fessura.

"Quando fai così sembri proprio un bambino, Kudo. Sai che se volessi potrei saperlo da Kazuha."

"Allora perché non rompi le scatole a lei?" Domandò Conan, ancora più arrabbiato.

"Perché siamo amici, e voglio che ti confidi con me." Il suo tono si fece serio, Conan rimase interdetto per un secondo, pensando che forse era stato ingiusto con il detective dell’ovest. In fondo lui gli era stato sempre vicino, l’aveva aiutato ogni volta che ne aveva avuto bisogno, molto spesso mettendo a rischio la sua vita e... la sua reputazione. Conan sorrise ricordando la recita di Ran e la festa di Halloween di qualche mese prima. Heiji era un ragazzo su cui poter contare e la sua amicizia, seppure alle volte soffocante e a dir poco fastidiosa, gli era davvero utile. Pensò un po’ in colpa che non era una bella cosa che lo sfruttasse solo quando gli serviva e non lo reputasse per niente quando succedevano certe cose. E poi parlare con Kazuha era stato un toccasana per Ran, chissà se sarebbe successo anche a lui confidando al suo amico le sue preoccupazioni...

"Il fatto è che è difficile per me parlarne con chiunque; non l’ho detto nemmeno al professor Agasa, a cui di solito confido tutto..." le risate allegre delle ragazze davanti a loro soffocarono il sospiro di Conan, sul punto di raccontare tutto al suo amico. Volse lo sguardo alla sua sinistra per cercare le parole: "Quando eravamo allo stabile, dopo che l’ho salvata, Ran... " Conan sobbalzò, il cuore cominciò a battergli forte, quell’uomo laggiù era...sì non poteva sbagliarsi era

"Atsushi Mori!!" Gridò, un lampo di odio e determinazione negli occhi:

"Vuoi dire che quello laggiù è il nostro uomo?" Chiese Heiji, anche lui con la stessa luce negli occhi: "Allora seguiamolo, non si è accorto di noi." Conan conosceva l’impulsività del detective dell’ovest e in passato gli aveva creato non pochi problemi e fastidi.... questa volta però non cercò di dissuaderlo dall’agire subito e mormorò con sicurezza: "Andiamo, che aspetti?" si allontanarono e sparirono nel buio, mentre le due ragazze e Kogoro continuavano tranquillamente a camminare, senza essersi accorti di nulla.

Si tennero a una distanza di sicurezza, lontani dalle luci dei lampioni, ignari del fatto che se anche fossero stati meno cauti l’uomo non avrebbe potuto accorgersi di loro, tanto era ubriaco; lo seguirono per un po’, Conan insistette per essere lasciato andare dato che il dolore alla gamba non era così insopportabile, e alla fine Heiji cedette e lo accontentò. Dopo circa mezz’ora arrivarono davanti ad un palazzo di sette piani e videro il giornalista prendere dalla tasca un mazzo di chiavi e infilarne a fatica una nella toppa del portone, che richiuse dietro di sé una volta entrato.

Heiji schioccò le dita imprecando: "E adesso come facciamo ad entrare?"

"Non preoccuparti, avviciniamoci" esclamò Conan, gli occhi fissi sull’edificio e un sorriso soddisfatto sulla faccia. Avendo notato la sicurezza nella sua voce Heiji non protestò e insieme si ritrovarono davanti al portone. Conan alzò la testa verso i vari pulsanti dei citofoni, cercando di leggere i nomi sulle targhette: "Hattori, suona al terzo pulsante da sopra, io non posso." Ordinò

con tranquillità, il ragazzo lesse la targhetta e si voltò verso di lui perplesso: "Scusa, ma perché dovremmo citofonare al signore e alla signora Takenata?" Conan non batté ciglio e Heiji capì che come al solito non aveva intenzione di rispondere, così si strinse nelle spalle e fece come gli aveva detto. Dopo qualche minuto si sentì la voce assonnata e infastidita di una donna: "Ma chi è?"

"Mi scusi signora, sono rimasto chiuso fuori e mia mamma si arrabbia se scopre che sono ancora in giro a quest’ora... potrebbe aprirmi per piacere?" Conan aveva parlato con la vocetta più infantile che gli riusciva e la signora Takenata, evidentemente troppo stanca per andare a fondo della questione e rassicurata dal fatto che a parlare fosse stato un bambino, non fece obiezioni e aprì il portone. I due entrarono nel palazzo e videro davanti a loro le porte chiuse di un ascensore e accanto una rampa di scale di marmo; Heiji diede una rapida occhiata alle targhette vicino alle porte del piano terra e scosse la testa, Conan nel frattempo si avvicinò alle scale, le esaminò e poi si sistemò davanti all’ascensore, aggrottò la fronte e si tenne il mento fra il pollice e l’indice, riflettendo:

"Non ha preso le scale, per terra fuori è ancora bagnato e avremmo trovato delle impronte... ce ne sono due qui invece, davanti alla cabina dell’ascensore, perciò è salito con questa..."

"Allora sarà semplicissimo capire a che piano si trova il suo appartamento... essendo stato lui l’ultimo ad utilizzarla, non ci resta che salire le scale fino al piano in cui le porte dell’ascensore saranno aperte..." Concluse per lui Heiji. Sorrisero raggianti e iniziarono l’operazione. Al quarto, come previsto, trovarono l’ascensore e vicino ad una porta la targhetta con su scritto il nome del giornalista.

"Bene, che cosa facciamo adesso, Kudo?" Sussurrò Heiji in trepida attesa, rimanendo esterrefatto alle parole seguenti dell’amico: "Assolutamente niente. Andiamocene." Rispose calmo a voce bassa e fece per avviarsi verso la scalinata, quando fu preso per la collottola della camicia e sollevato di peso, ritrovandosi faccia a faccia con l’espressione infastidita e delusa del detective dell’ovest:

"Ma come sarebbe a dire? Dopo tutto questo casino, dopo essere arrivati fin qui vorresti lasciar perdere tutto e andartene?"

"Nooo, certo che no Hattori, io direi di buttare giù la porta, aggredirlo legandolo e imbavagliandolo e costringerlo a dirci dov’è la cassetta con torture disumane..." rispose sarcastico Conan, Heiji non poté evitare di sorridere anche se non aveva cambiato opinione: "Non intendevo questo, però..."

"Non c’è niente da fare per ora." Spiegò paziente Conan: "Vorrei più di te far finire tutto alla svelta, ma quel Mori è un tipo tosto, bisogna muoversi con cautela. Propongo di tornare a casa e di venire di nuovo qui domani mattina presto, aspettare che lui esca ed entrare in casa per cercare la cassetta. Sono sicuro che l’avrà nascosta da qualche parte, non può portarsela sempre dietro, rischierebbe di perderla o chissà che altro, ed è troppo preziosa per lui." fece una smorfia amara: "Di certo starà ancora indagando sulla faccenda, non è certo facile risalire all’Organizzazione...perciò uno di noi due lo pedinerà e l’altro verrà qui in casa a cercare il nastro. Adesso perché non mi lasci andare?"

Concluse irritato Conan, Heiji sorrise divertito: "Scusa piccolo Conan kun..." lo liberò ignorando le sue occhiatacce ed insieme si allontanarono dall’edificio. Mentre si dirigevano verso l’agenzia Conan sentì in tasca il cellulare che vibrava, lo prese ed esaminò la schermata:

"Ma guarda, Ran mi ha mandato un messaggio..." lo lesse un paio di volte, sentì di nuovo un brutto peso sullo stomaco, un brutto presentimento che gli fece aggrottare la fronte e socchiudere gli occhi: "Qualche problema, Kudo?" chiese Heiji preoccupato, notando la sua espressione:

"Ran vuole che la chiami subito... dice che è importante".

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Capitolo 7
*** Date ***


7. Date

"Allora, che cosa è successo di così importante?" Chiese Conan, tenendo con una mano la cornetta del telefono e con l’altra il farfallino, sforzandosi di avere una voce tranquilla e un po’ seccata. Dall’altra parte sentì Ran fare un respiro profondo, come se si stesse preparando ad iniziare un discorso lungo e difficile, poi il suo tono serio: "Ho bisogno di parlarti, Shinichi."
"Sono qui, dimmi tutto." Rispose calmo lui, abbassando lo sguardo mentre una goccia di sudore freddo gli scendeva dalla fronte. Era teso, davvero molto, ma non voleva che lei lo capisse "No...non in questo modo...vedi io..." un altro respiro profondo "Vorrei incontrarti. Voglio parlarti di persona, non attraverso il telefono."
Stavolta toccò a Conan lasciarsi andare ad un sospiro: "Ran, te l’ho detto, non posso tornare adesso...sto seguendo un caso..."
"Ne ho davvero bisogno, Shinichi." lo interruppe con un tono triste e sincero che lo zittì all’istante:
"Non ti chiedo di abbandonare il tuo caso, so quanto ci tieni ad essere un detective...vorrei solo che tu tornassi per un pomeriggio, magari, o se è troppo anche solo per un paio d’ore..."
"Ran, cerca di capire..." riprese Conan con la sua voce da adulto, molto a disagio. Sa il cielo quanto avrebbe voluto ritornare normale subito, parlarle senza quello stupido aggeggio, poter stare insieme a lei senza fingere e mentire in continuazione. Purtroppo era una cosa che non dipendeva da lui...
"Non posso mollare tutto così, di punto in bianco, anche se solo per poco tempo...io.."
"Però non ti sei fatto problemi a mollare me, di punto in bianco!" stavolta nella voce di Ran c’erano rabbia e risentimento, sentimenti che lo trafissero da parte a parte, dolorosamente, lasciandolo profondamente scosso.
Dannazione Ran come faccio a farti capire che non è stata colpa mia che darei anche l’anima pur di tornare indietro nel tempo mi odio per quello che faccio ti prego non odiarmi anche tu
"R...Ran...mi dispiace, ma quel giorno di tanto tempo fa, quando ho deciso di seguire questo caso, ti giuro che non avrei mai creduto di impiegarci così tanto..." Nessuna bugia, aveva parlato sinceramente questa volta, e pur sentendo dall’altra parte del telefono lo sbuffo incredulo della ragazza continuò: "Vorrei davvero poter tornare, ma non posso proprio..."
"Shinichi, io devo parlarti al più presto...per me è davvero indispensabile. Vieni domani, ti prego."
La voce inflessibile che aveva mantenuto s’incrinò nell’ultima parola, che suonò davvero come una supplica e non solamente come un modo di dire. Conan ne fu colpito, sembrava che per lei fosse una questione di vita o di morte. Che volesse parlargli riguardo a quello che aveva confidato al suo _fratellino_ allo stabile? Però sembrava che Kazuha fosse riuscita a tranquillizzarla quella sera... perché era di nuovo così triste? Che fosse davvero solo a causa sua che soffrisse?
"Okay...verrò, se è davvero così importante. Ma domani, Ran...è un po’ troppo presto. Mettiti nei miei panni, non posso andarmene all’improvviso..."
"Stai mentendo!" Ran era di nuovo in collera, Conan sentì un’altra fitta al petto: "Non mi sembra che ci siano stati tutti questi problemi, mesi fa, quando sei tornato per il caso del diplomatico. Anzi, ricordo benissimo che hai detto di essere stato avvisato da Conan e di aver preso immediatamente il treno per venire qui. Certo, se si tratta delle tue stupide indagini sei sempre scattante e pronto a farti in quattro per tornare...quando invece si tratta di me..." le scappò un singhiozzo e il piccolo detective capì che stava facendo di tutto per non piangere. Il suo viso si rabbuiò, cosa mai doveva fare? Se per l’ennesima volta si fosse rifiutato di tornare come voleva lei probabilmente l’avrebbe persa per sempre. Non voglio più vivere nell’attesa che lui si ricordi che esisto.
Le parole che Ran gli aveva detto fra le lacrime risuonarono vivide nella sua mente, sentì quasi come se il suo cuore bruciasse. Tuttavia, non poteva nemmeno assicurarle di incontrarla l’indomani, poiché non dipendeva da lui e illuderla sarebbe stato troppo crudele. Immaginò Ran che l’aspettava per ore invano, vide le sue lacrime, il suo dolore, lo stesso che aveva visto al tavolo di quel lussuoso ristorante quando qualche tempo prima l’aveva delusa, ancora una volta.
"Shinichi..." la sua voce lo destò da quei pensieri, credette quasi di sentire le lacrime scenderle sulle guance mentre pronunciava il suo nome. Non voleva che piangesse, non poteva permetterlo, non avrebbe sopportato di essere di nuovo causa del suo pianto...non di nuovo...
"Va bene Ran. Come vuoi tu. Se per te è davvero così importante che io lo faccia, domani tornerò a casa. Te lo prometto." si pentì di queste parole un istante dopo averle pronunciate, ma la reazione della ragazza gli scaldò il cuore e gli fece dimenticare per un attimo l’impossibilità di quella promessa:
"Oh Shinichi! Io...Ti ringrazio tanto. Avevo davvero paura che... beh, non importa, adesso. Ne parleremo domani. Facciamo alle dieci davanti alla fontana del parco?" la voce era squillante, riconoscente e piena di gioia. Lei era rassicurata, Conan spaventato:
"Ehm...è già sera tardi Ran, vorrei andare a letto se non è chiedere troppo e sai bene quanto mi piace dormire fino a tardi, domani poi che è Domenica..." si aspettò un’altra dura reazione della ragazza, che non venne. Niente in quel momento poteva guastare la sua felicità:
"Certo che lo so! Ogni mattina per farti alzare dal letto per andare a scuola ti dovevo citofonare un centinaio di volte!" scherzò lei: "Va bene dormiglione, facciamo allora alle sei di domani sera. Per te è okay?" Conan spostò lo sguardo di lato, stringendo i denti a disagio: "Sì sì...come no..." balbettò inquieto, stringendo la cornetta tanto forte che la mano sudava.
"Allora siamo d’accordo. E non ritardare come tuo solito Shinichi, o sarà peggio per te!" Ran stava scherzando ma non poteva sapere il tuffo al cuore che quelle parole avevano provocato nel suo interlocutore: "N...non tarderò, tranquilla. Ci vediamo domani..."
"A domani, ciao!" sentì il suono del ricevitore agganciato e lo fece a sua volta. Rimasto solo con se stesso si rese conto della stupidaggine che aveva appena fatto e cominciò a sbattere piano la testa sulla porta a vetri della cabina telefonica. Era stato uno stupido, aveva fatto a Ran una promessa che molto probabilmente non avrebbe potuto mantenere. Molto probabilmente....
Uscì dalla cabina telefonica e una zaffata di aria gelida gli sferzò la faccia, mentre si avviava verso la panchina dove Heiji si era seduto ad aspettare, visibilmente annoiato. Quando si accorse del suo ritorno il ragazzo si stiracchiò e lo guardò fisso con aria interrogativa. Purtroppo Conan non era disposto a perdere tempo a spiegarsi: "Hattori, torna all’agenzia da solo, io devo fare una cosa"
"Come dici scusa?" Heiji si alzò dalla panchina, gli si avvicinò piegandosi sulle ginocchia in modo da essere alla sua stessa altezza e lo guardò dritto in faccia: "Dopo avermi fatto aspettare mezz’ora qui al freddo, dopo avermi assicurato che mi avresti spiegato tutto finita la telefonata, vorresti che me ne andassi? Non ci penso nemmeno." Concluse con semplicità. Conan gli lanciò un’occhiata fra l’irritato e l’annoiato: "Mi dispiace." Sembrava tutto tranne che rammaricato: "Ma devo proprio fare questa cosa. Dì a Ran che abbiamo incontrato il professor Agasa, che dormirò a casa sua perché ha inventato un nuovo videogioco e voglio provarlo. Ci vediamo domani mattina..." si voltò per andarsene ma di nuovo il ragazzo lo afferrò per la collottola: "Io non dico niente a nessuno se tu non ti spieghi subito, Conan kun. Parla, forza, piccolo, dov’è che vai?" Lo scrollò, Conan lesse sul suo viso un’espressione che lo preoccupò: se Heiji perdeva la pazienza era probabile che si _dimenticasse_ che lui in realtà era un diciassettenne come lui. Quando Heiji aveva quello sguardo da pazzo, non c’era da stare tranquilli...sebbene fosse un bravo ragazzo e un buon amico, uno dei migliori che si possa desiderare, era meglio non calcare troppo la mano...sarebbe stato capace di combinargli chissà quali casini, per vendicarsi, e in quel periodo ne aveva fin troppi a cui pensare. Sospirò rassegnato ma anche infastidito dall’essere costretto a fare qualcosa che non voleva; due volte in un giorno, un bel record. Il suo orgoglio ne stava uscendo gravemente segnato, accidenti. "Non ho mentito, vado davvero dal professore per passare la notte lì. Ho bisogno di parlare con Ai"
"Ma Ai non è quella ragazzina bionda, che ha inventato..."
"Sì, proprio lei. Devo parlarle proprio riguardo a quello."
"Come mai?" Conan gli lanciò un’occhiata in tralice, si costrinse a raccontare la sua telefonata all’insistente detective dell’ovest, consapevole che non l’avrebbe lasciato andare finché non avesse saputo tutto quanto. Lui lo ascoltava annuendo, aggrottando le ciglia meditabondo.
"Ho capito. Certo che anche tu...chi è causa del suo mal pianga se stesso. Dovevi proprio prometterle una cosa del genere?" Chiese con aria di rimprovero.
"Ma che cavolo avrei dovuto fare me lo spieghi? Mi stava scoppiando a piangere lì..." Sbuffò Conan sempre più irritato. Heiji se ne accorse e preferì smetterla. La stima e l’amicizia di Shinichi Kudo erano molto importanti per lui, e non voleva rischiare di perderle. Era il miglior detective che avesse mai conosciuto, aveva sempre tenuto da conto tutti i consigli e le frasi a effetto con cui ogni tanto Kudo esordiva, con uno stile unico al mondo, che l’aveva sempre affascinato. Ogni tanto, inconsciamente, assumeva nei suoi confronti un atteggiamento protettivo, quasi da fratello maggiore, seppur consapevole della grande forza sia morale che fisica del suo migliore amico. Lo lasciò andare e stette a guardarlo mentre si aggiustava il collo della camicia e della giacca che lui gli aveva sgualcito, poi si alzò: "Beh, una soluzione si troverà...in un modo o nell’altro tu riesci sempre a cavartela, per quanto la situazione sembri disastrosa. E poi ci sarò anch’io con te..." Conan gli lanciò un’occhiata stupita e incredula, Heiji sfoggiò un sorriso a trentadue denti: "E noi due insieme siamo imbattibili, i migliori detective del mondo." Il bambino fece una risatina di rassegnazione, mentre una goccia gli scendeva dalla testa alla nuca, cominciò a camminare verso la casa del professore ma, a metà strada, Heiji lo chiamò e lo fece voltare: "Dicevo sul serio prima..." ribadì, stavolta con l’espressione grave che gli vedeva sempre mentre ragionavano insieme su un caso: "Sono sicuro che riuscirai a trovare una via di uscita. Hai risolto questioni ben peggiori di questa in passato, perciò non abbatterti. Ce la farai." Conan gli sorrise di rimando e si incamminò verso la casa del suo ex vicino, zoppicando, provando a mente il discorso che avrebbe dovuto fare alla bella Sherry.

"Allora ha accettato!? Ma è stupendo!!" esultò solidale Kazuha, vedendo l’espressione raggiante sul viso della sua amica: "Già, avevi proprio ragione, ho fatto bene a dargli un’altra possibilità. Certo, ho dovuto insistere un pochino, ma appena ha capito quanto era importante per me ha subito acconsentito a venire." Ran stava in piedi davanti allo specchio della sua camera, teneva in una mano una camicetta celeste ancora appesa alla gruccia e nell’altra un maglioncino a collo alto ma senza maniche, di un verde prato. Non aveva smesso di sorridere da quando aveva finito di parlare al telefono: "Quale ti piace di più?" Chiese a Kazuha, che se ne stava seduta sul letto con le gambe accavallate: "Ran chan, lasciatelo dire...hai il gusto dell’orrido." Rispose chiudendo gli occhi a fessura, Ran la guardò per un attimo perplessa, poi aggrottò la fronte: "Cosa vuoi dire?"
"Beh, tu e Kudo non vi vedete da un sacco e tu vorresti andare all’appuntamento vestita come tutti i giorni? Ma andiamo!" Si alzò e si avvicinò all’armadio, scostando Ran quasi con sgarbo e cominciando a rovistare fra i suoi abiti; alla proprietaria non piacque molto quel suo gesto ma non disse nulla, troppo felice quella sera per arrabbiarsi con chiunque, e si limitò a mugugnare. Alla fine Kazuha riemerse dall’armadio in cui aveva infilato la testa un po’ spettinata e tirò fuori una minigonna a pieghe rosa, corredata di una cinta nera: "Uhm, questo va bene per sotto, ma per sopra dovrò prestarti qualcosa io..." disse meditabonda, infilando tra le mani di Ran l’indumento. Aprì il suo borsone e cominciò a svuotarlo buttando tutto per terra, di fronte ad un’incredula Ran rimasta senza parole: sembrava che lei non esistesse più, non la considerava proprio, quasi come se la ragazza stesse scegliendo i vestiti per la sua bambola. Dopo un po’ le sfuggì un gridolino di soddisfazione e le mostrò un top nero con una giacchetta di seta trasparente dello stesso colore a maniche lunghe, da indossare sopra: "Ecco, metti questi, ti trucchi un po’ e..." osservò i lunghi capelli bruni e sciolti della ragazza e ne prese una ciocca fra le dita: "Sì, direi che domani mattina come prima cosa ti faccio la piastra, hai i capelli un po’ gonfi...e le scarpe..."
"Kazuha chan, ti vuoi calmare?" Sbottò infine Ran. Lei la guardò come se di colpo l’avesse svegliata da un sogno ad occhi aperti, con aria interrogativa, poi arrossì: "Scusami tanto, Ran chan, mi sono lasciata prendere la mano. Comunque, hai degli stivaletti neri con il tacco?"
Le guance di Ran divennero di fuoco, abbassò lo sguardo: "Ecco io...non so...non è il mio stile. Quel top poi è così scollato...se Shinichi me vedesse preparata in quel modo per lui potrebbe mettersi in testa strane idee...potrebbe credere di..."
"Di piacerti?" Terminò sorridendo la frase per lei: "E non è così, Ran chan?"
"No! È solo un amico...un mio caro amico!" le gridò contro, ma si accorse che Kazuha non credeva ad una sola parola di quello che diceva e, infastidita, decise di vendicarsi: "Piuttosto, per chi l’hai comprato tu quel top, non è che volevi indossarlo per il tuo amato Hattori?" insinuò con aria maliziosa e stavolta toccò a Kazuha essere imbarazzata: "N..No!! Ma che dici? L’ho visto in vetrina e mi piaceva...figurati se io compro una cosa del genere per quel bamboccio! Sai che lo considero un po’ il mio fratello minore...è inutile che fai quella faccia, dico sul serio!!" strizzò gli occhi, poi entrambe rimasero in silenzio riflettendo: "A proposito, dove sarà finito Heiji?" Chiese Kazuha perplessa. Ran si strinse nelle spalle con aria preoccupata: "Boh...ci siamo voltate e non c’era più...teneva sulle spalle anche Conan, chissà dove l’avrà portato...povero piccolo, ha avuto una giornata difficile, e la sua gamba..." Chinò la testa, Kazuha sospirò: "Perché non chiedi a tuo padre di uscire a cercarli? È un abile detective, no? Li troverebbe subito." Ran assunse un’espressione rassegnata: "Oh, credo che nemmeno una bomba atomica lo schioderebbe dal divano...stasera c’è uno special su Yoko Okino alla televisione..." sentirono fischi, schiocchi di baci e grida di approvazione che venivano dal salotto, probabilmente lanciate dall’uomo allo schermo del televisore e sospirarono insieme. Ran si sedette sul letto: "Beh, poco male...di solito Conan kun scompare e va via tutto solo a qualsiasi ora...almeno stasera c’è Hattori con lui. Certo che è strano..." Ran aggrottò la fronte meditabonda: "il suo comportamento mi è sempre sembrato fin troppo...bizzarro per un bambino delle elementari. Prendi oggi, ad esempio...è venuto a salvarmi allo stabile ma...come sapeva che ero lì? La scuola ha chiamato dicendo che è scappato via di corsa dalla classe...come se lui...in qualche modo sapesse che ero in pericolo..."
"Ma dai Ran chan, come avrebbe potuto? È solo un bambino...anche se, a pensarci bene, hai ragione. Non riesco a capire nemmeno io come ha fatto a sapere dove ti trovavi, ma perché non glielo chiedi?" disse infine, battendosi il pugno sul palmo della mano.
"L’ho fatto" rispose Ran: "Lui ha detto che aveva marinato la scuola e che era andato lì a giocare, quando all’improvviso mi ha sentita urlare...e che non ha visto nessun rapitore. Però io sono sicura che..." socchiuse gli occhi, poi notò l’espressione interrogativa e un po’ a disagio di Kazuha e sorrise: "No, nulla di importante. Devo essermi sbagliata, ero sotto shock..." la ragazza del Kansai stava per ribattere qualcosa quando udirono suonare alla porta: "Dev’essere Heiji, ora gliene dico quattro." borbottò Kazuha avviandosi verso la porta, Ran rise divertita, poi ricominciò a pensare a quella mattina. Non era stata la sua immaginazione, aveva sentito chiaramente una voce acuta, quella di Conan, parlare con il rapitore. Inoltre c’erano stati quei passi sulle scale, e tutto era successo prima che lei urlasse, ne era sicura perché ricordava di aver pensato che era il complice del rapitore che stava salendo, di essersi spaventata e quindi di aver gridato. Non era salito nessun altro oltre al bambino, quindi i passi non potevano essere stati che i suoi... la storia di Conan non reggeva, per quanto si sforzasse di dargli un senso. Perciò il bambino
Ha mentito
Sobbalzò: perché mai avrebbe dovuto farlo? Qual era la vera ragione per cui si trovava lì? Decise che si sarebbe fatta dire la verità da lui ad ogni costo, restia a pensare che il caro Conan kun potesse dirle delle bugie solo per il gusto di farlo. Seguì il percorso effettuato da Kazuha qualche secondo prima e vide all’entrata solo Heiji Hattori: "Dov’è Conan?" gli chiese preoccupata; Heiji abbassò lo sguardo, ancora un po’ seccato dalle lamentele che Kazuha gli aveva appena propinato e cominciò a raccontare la storia suggeritagli da Shinichi nel parco.

"Scusa Kudo, non credo di aver capito bene:" Ai si voltò con la sedia girevole della scrivania dando le spalle allo schermo del computer su cui stava lavorando e lanciando a Conan un’occhiata gelida. Il professor Agasa assisteva alla scena sulla soglia della porta, lisciandosi i baffi bianchi: ancora non aveva capito bene perché il piccolo detective si fosse presentato a casa sua così all’improvviso e a sera inoltrata. Conan si infilò le mani nelle tasche dei pantaloncini: "Vorrei che tu preparassi un antidoto per domani pomeriggio, prima delle sei. Oh, non importa se sarà temporaneo..." aggiunse in fretta quando si accorse che la ragazza apriva la bocca per ribattere qualcosa: "Mi serve solo per qualche ora...ti prego, fammi questo favore, è importante..." La guardò negli occhi attraverso le lenti degli occhiali e per un po’ rimasero a fissarsi, poi lei si voltò di nuovo verso il computer e cominciò a battere velocemente le dita sulla tastiera; Conan era in attesa, i pugni stretti nelle tasche. Dopo qualche minuto Ai smise di scrivere ed esordì con voce tranquilla: "Non mi hai ancora detto come è andata oggi...sai, ho avuto l’impressione che non volessi parlarmi." Conan assunse un’aria innocente, distolse lo sguardo dalla sua schiena e lo fece vagare per la stanza, cercando di apparire disinvolto: " No, cosa te lo fa pensare?" Ai riprese a scrivere: "Ad esempio il fatto che hai rifiutato tutte le mie chiamate" rispose con semplicità ma il suo tono etereo tradì una punta di risentimento.
Conan rimase interdetto: che l’avesse offesa? Subito sorrise e scosse la testa: Ai non era come tutte le altre ragazze, non se la prendeva per sciocchezze del genere, non badava a simili inezie. Sì, doveva certamente aver frainteso il tono della sua voce, lei non era così futile... assunse di nuovo l’aria acqua e sapone: "L’ho fatto perché ero con Ran, capisci, non potevo parlarti...ora dimmi, ce la fai a farmi questo favore?" Era ansioso di sentire la sua risposta, ma a quanto pare la piccola scienziata si divertiva un mondo a tenerlo sulle spine, chissà se per ripicca o per qualche altro strano motivo:
"Sei sicuro di avermi detto tutto riguardo a oggi pomeriggio? Proprio tutto quanto?" Conan sobbalzò, il suo tono di voce non era carico di curiosità, era piuttosto simile a quello che suo padre Yusaku assumeva quando voleva rimproverarlo per qualcosa.
Consapevolezza...Lei sa...!!
Si voltò infuriato lanciando un’occhiata torva al professore che sorrise agitato, mettendo le mani aperte all’altezza delle spalle, come per proteggersi: "Shinichi, io non le ho detto nulla, giuro..."
"Non sta mentendo, Kudo...passavo casualmente accanto al salotto mentre parlava al telefono con te. Non è stato per niente carino nascondermi di aver avuto un’intervista sulla nostra piccola avventura, se mi concedi il gioco di parole. Oh, non preoccuparti comunque, sono abituata ad essere tradita e tenuta all’oscuro di tutto..." Aveva parlato freddamente, tenendo gli occhi sullo schermo del pc, ma Conan notò che le sue mani tremavano leggermente. Chinò la testa, si sentì di nuovo in colpa, sapeva a cosa si riferiva Ai con quelle sue ultime parole, una cosa di cui si sentiva colpevole quasi quanto coloro che l’avevano fatto...non le aveva detto nulla proprio per proteggerla dalla frustrazione che poteva provare, o almeno così aveva creduto, per avere la coscienza a posto. La verità era invece
Che non volevo affrontare di nuovo il suo sguardo pieno di dolore vederla piangere come quella sera di tanto tempo sentire le sue lacrime e l’ho ingannata non avrei dovuto l’unica cosa che so fare è mentire agli altri e a me stesso
Conan si avvicinò alla scrivania: "Haibara io...mi dispiace. Avrei dovuto dirtelo hai ragione...però...non temere, risolverò tutto io. Non preoccuparti di nulla...solo... " Il suo tono di voce era sinceramente dispiaciuto, ma Ai non ne fu addolcita: "...Solo di preparare il tuo stupido antidoto, no? In fondo è per questo che sono qui...non c’è molta differenza fra quando lavoravo per l’Organizzazione e adesso...l’unico motivo per cui la gente mi sta intorno è sfruttarmi per preparare pozioni. Pazienza, ormai ci sono abituata..." Stavolta sembrava veramente risentita e arrabbiata, la sua solita espressione neutra e imparziale non riuscì a nascondere i suoi sentimenti. Conan fece per rispondere qualcosa ma si bloccò, abbassando la testa in modo che i suoi occhi non fossero visibili e si voltò per andarsene ma, giunto sulla soglia, il professore gli fece cenno di guardarsi alle spalle con aria triste e lui si voltò, vedendo che Ai aveva abbandonato la sua posizione perfettamente eretta per prendersi la testa fra le mani, con i gomiti poggiati alla scrivania. Sembrava davvero esausta, quasi disperata. Conan le si accostò e le posò delicatamente una mano sulla spalla, lei si voltò e si ritrovarono vicinissimi, le frange dei capelli che si sfioravano...Ai distolse lo sguardo, Conan credette di aver visto un rossore sulle sue guance: "Ai, scusami, scusami tanto. Capisco come ti senti ma io non volevo ferirti, e per quanto banali possano sembrare queste scuse non so cos’altro dire. Non voglio sfruttarti, il fatto è che era davvero indispensabile per me che tu mi facessi quel favore." La voce gli tremò: "Ma pazienza. Troverò un altro modo per risolvere il mio problema. Tu non pensarci più..." tornò sui suoi passi ma stavolta fu lei a bloccarlo quando ormai era arrivato sulla soglia:
"E’ per quella ragazza, giusto? Ran Mouri... sì, dev’essere per lei..." la sua voce era malinconica, ma quando parlò di nuovo ridivenne neutra, indifferente: "Senti, posso provare a prepararti un antidoto per domani, ma non so se andrà tutto bene; dalle analisi ho visto che l’antidoto, seppure temporaneo, da assuefazione. Tuttavia ho paura che se te ne somministro una quantità troppo elevata il tuo corpo...non resisterebbe....potresti fare una brutta fine Kudo, dico sul serio. Sei disposto a rischiare?" Si voltò con la sedia e puntò gli occhi freddi nei suoi, determinati e senza il minimo segno di indecisione: Conan annuì. Se lo era aspettato, naturalmente, ma per un attimo aveva sperato che rinunciasse...
"Allora vedo che posso fare. Mi metto subito al lavoro, fuori tutti e due..." concluse, chiudendo il programma su cui stava lavorando e aprendone un altro. Conan sorrise riconoscente alla sua schiena, le lanciò un ultimo_grazie_ e si avviò verso il salotto accompagnato dal dottor Agasa, per quella sera desideroso solo di un cuscino soffice e di una bella coperta calda.

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Capitolo 8
*** Sunrise of Wishes ***


8. Sunrise of Wishes

Un sole pallido sorse a fatica in quella umida e fredda domenica mattina, i deboli raggi di luce erano inghiottiti da una nebbia densa e esanime. Nell’ombra silenziosa della sua stanza, Ran Mouri dormiva profondamente, il viso sereno affondato nel cuscino asciutto, la forma deliziosa del suo corpo scolpita nella coperta. Niente lacrime sulle sue ciglia, o gonfiore sui suoi occhi...solo rossore sulle guance e un sorriso...

"No ho detto che non mi va!!" Piagnucolò una bambinetta con grandi occhi blu, i pugnetti stretti davanti al viso. Il ragazzino che gli stava davanti sbuffò indispettito, guardandola con gli occhietti a fessura: "Uffa!! Avevi detto che volevi giocare con me no? Allora forza, tu sei una rapinatrice e io un grande detective...tu scappi, io ti prendo e...."
"No! Non voglio!!" ribadì lei con la sua vocetta, sul punto di piangere: "Chiamo mamma, se fai il prepotente con me, ecco!" Stavolta il piccolo sembrò davvero impaurito, istintivamente si toccò la testa e guardò la bambina ancora indispettito ma decisamente più convinto a capitolare:
"Va bene, non c’è bisogno di chiamare nessuno...quanto sei noiosa. Che vuoi fare?" Lei gli sorrise asciugandosi le lacrime dagli occhioni, indicò raggiante le due altalene ora libere che erano nel parco, un po’ lontane dalla loro posizione sotto una grande quercia. Alle loro spalle, due donne erano sedute su una panchina, chiacchierando animatamente: una di loro rise passandosi una mano fra i lunghi capelli mossi. Il bambino si strinse nelle spalle: "Okay, vado a chiedere a mamma se possiamo...tu intanto vai ad occuparle." lei annuì e si avviò sgambettando verso la piazzola delle altalene, la gonna del vestitino mossa dal tiepido vento d’estate. Il piccolo raggiunse la panchina, attirò l’attenzione delle due donne e parlò, segnando con il dito il punto dove la bambina si stava avvicinando con vivace foga. La bella signora con i capelli mossi gli sorrise e gli accarezzò la testa con affetto, annuendo, anche l’altra donna con gli occhiali non parve avere nulla in contrario e le due ripresero tranquillamente la conversazione interrotta. Il bambino seguì i passi della piccola che l’aveva preceduto, lo sguardo basso e un po’ seccato, anche se quella alternativa non gli sembrava poi così male, in fin dei conti. Quando arrivò alla piazzola vide che c’erano un gruppo di bambini abbastanza grossi e robusti, forse delle medie, che guardavano minacciosi dall’alto in basso la bambinetta che gli stava davanti con lo sguardo impaurito: "Che succede qui?" chiese, la voce più matura che poteva sfoderare, tutti spostarono gli sguardi su di lui, compresa la bambina, che sembrava rincuorata:
"Te lo dico subito moccioso" rispose sprezzante il più grosso: "Questo posto è nostro, e questa stupida ha detto che vuole giocare qui..." "Non sono stupida!!" lo interruppe lei, la voce stridula di chi si sta trattenendo dal piangere. Il bambino aggrottò le ciglia arrabbiato: "Non è stupida...tu forse, sei più grande di noi e non sai ancora che il parco è di tutti!" lo studente delle medie gli si avvicinò minaccioso, torreggiando su di lui: "Ora ti faccio vedere io chi è lo stupido..." gli mollò un gancio destro in piena faccia e il bambino cadde a terra, il naso sanguinante: "No!! Mam..." la piccola cercò di gridare, ma un altro del gruppo gli tappò la bocca: i suoi occhi saettarono spaventati verso la panchina, ma le due donne continuavano a parlare concitatamente, ed erano troppo lontane per accorgersi di quello che succedeva. Il ragazzino si rialzò, tamponandosi il naso e sforzandosi di non piangere, mantenendo il suo sguardo determinato che si spostò sulla sua amichetta e gli fece crescere la rabbia: "Che c’è? È la tua fidanzatina? Che carini!!" lo prese in giro con tono di scherno, poi si avvicinò alla bambina e la prese in braccio, tenendogli la mano premuta sulla bocca e bagnandosela così con le sue lacrime: "Però...hai scelto bene piccolo...e se le dessi un bacetto io? Non ti dispiace vero?" lei chiuse gli occhi disperata e il bambino si scagliò con violenza contro il prepotente, che non era preparato ad una reazione così brusca e si beccò una testata in pieno stomaco, così forte che dovette premerci le mani cadendo in ginocchio. Lasciò andare la bambina che si riparò dietro la schiena del suo amico, chiudendo gli occhi aggrappata alla sua spalla. Il cerchio degli altri ragazzi si strinse attorno a loro. La bambina gemette, singhiozzando rumorosamente e tremando, il piccolo le lanciò un’occhiata rassicurante: "Non aver paura Ran" le sussurrò in tono amabile: "Non gli permetterò di farti del male. Ti proteggo io, non temere..." lei ricambiò lo sguardo riconoscente, asciugandosi le lacrime e smettendo di tremare: "Grazie Shinichi...sei il mio amichetto del cuore..." gli rivelò, lui sorrise e guardò di nuovo il gruppo di teppisti...

Ran aprì gli occhi, sbadigliò e si guardò attorno, riconobbe la sua camera, con tutte le sue cose; si rigirò e vide Kazuha che dormiva profondamente accanto a lei, la bocca aperta e i capelli sciolti spettinati che le coprivano metà della faccia. Non aveva idea di che ore fossero, ma al momento non le importava: voleva crogiolarsi nel sogno appena fatto, anche se in realtà non era stato un vero e proprio sogno, bensì un ricordo della sua infanzia...la prima volta in cui Shinichi aveva dichiarato di volerla proteggere, la prima volta che da bambino presuntuoso e un po’ arrogante si era trasformato in un amico su cui poter contare, una specie di angelo custode tutto per lei. Quella volta se l’erano vista veramente brutta, ma Shinichi già allora non aveva esitato a salvarla, sforzandosi di non piangere per sembrare forte e poter rincuorare lei. Certo, il coraggio non gli sarebbe bastato a vincere tutti quei teppisti, e lei era sicura che l’avrebbero ridotto davvero male se Eri Kisaki non fosse intervenuta prontamente, guardando torva e minacciosa i ragazzini delle medie e facendoli fuggire a gambe levate, compreso il più grosso, che ancora si teneva lo stomaco. Tuttavia lei gli era stata davvero riconoscente, si era sentita protetta, al sicuro. Ran assunse un’espressione contrariata ma allo stesso tempo divertita: Shinichi aveva approfittato subito del suo debito di riconoscenza costringendola a sottomettersi al gioco della rapinatrice e del detective. Naturalmente quando Eri l’aveva sorpreso a legare i polsi di sua figlia con una corda per saltare Shinichi si era ritrovato con un bozzo in più sulla testa e le lacrime agli occhi. Ran soffocò una risatina, attenta a non svegliare la sua temporanea compagna di stanza...nonostante tutto erano bei ricordi, davvero preziosi. Come aveva potuto pensare di buttare tutto quanto all’aria senza dargli nemmeno un’ultima possibilità? Il suo rapporto con Shinichi era fin troppo importante per lei...forse il nodo fondamentale intorno a cui girava tutta la sua vita, e forse era stata ingiusta nel giudicarlo. Lanciò un’altra occhiata a Kazuha: aveva ragione, doveva capire che investigare era fondamentale per lui, e per quanto facesse non poteva fargli cambiare il suo modo di essere, doveva accettarlo così com’era, se gli voleva bene davvero...le sue guance avvamparono, strizzò gli occhi sorridendo
e oggi pomeriggio lo rivedrò oh Shinichi dopo tanto tempo non vedo l’ora di nuovo soli noi due potergli parlare guardandolo negli occhi e raccontargli le mie ansie e sentirlo mentre mi dà della stupida e mi prende in giro ma non importa perché poi dirà qualcosa lo so qualcosa che mi colpirà e mi riscalderà e mi farà felice sì succederà lo fa sempre lui è fatto così
Si coprì il viso con le coperte, sorridendo ancora fra sé e sé, ansiosa di leggere sull’orologio le ore 18, quando finalmente avrebbe potuto riabbracciare Shinichi, passare con lui una serata stupenda e sentirsi di nuovo protetta, al sicuro vicino a lui. Ogni volta che ci pensava sentiva un tuffo al cuore ed era costretta a rigirarsi fra le lenzuola, per scaricare l’eccitazione, trattenendosi da lanciare grida esultanti; tutto quel movimento infastidì la povera Kazuha, la quale cercava disperatamente di dormire, dato che erano solo le prime luci dell’alba, e la quale continuava a grugnire raggomitolandosi sotto le coperte. Ran se ne accorse e dispiaciuta si alzò, decidendo di lasciarle tutto il letto, quasi per ripagarla del grandissimo favore che le aveva fatto dandole quel consiglio la sera precedente. Si tolse il pigiama, si infilò una maglietta candida e un paio di pantaloncini color crema, uscì dalla camera e si diresse in cucina per prepararsi la colazione. Mise sul fuoco un pentolino d’acqua e mentre aspettava che bollisse prese a sfogliare una vecchia rivista; ad un tratto sentì sbadigliare e alzò lo sguardo perplessa: strano che qualcun altro fosse già sveglio, che prima avesse disturbato la sua amica a tal punto che l’aveva destata dal sonno? Si preparò psicologicamente a farle le sue scuse ma, con gran stupore della ragazza, non fu Kazuha ad attraversare furente la soglia della porta, bensì il suo amico d’infanzia, Heiji Hattori. Anche quest’ultimo sembrò sorpreso di vederla lì:
"Ehm...Buongiorno..." esordì un po’ impacciato, la voce ancora impastata dal sonno; lei gli sorrise:
"Buongiorno Hattori kun....come mai già alzato?" domandò in tono leggero, alzandosi per spegnere il fornello e aggiungere all’acqua una bustina di tè. Heiji la osservò per un istante, poi rispose: "Non riuscivo a dormire...credo che andrò a fare una passeggiata, tanto per schiarirmi le idee..." mentì, felice che lei non lo stesse guardando. Non poteva certo dirle che lui e Kudo dovevano appostarsi davanti alla casa del giornalista aspettando che lui uscisse...
"E tu invece?"
Ran arrossì, indecisa se dirgli o meno il vero motivo per cui si era alzata dal letto: in fondo Heiji e Shinichi erano amici, e non poteva rischiare che lui andasse a riferirgli che era così ansiosa di uscirci insieme da perdere completamente il sonno: "Beh...ecco... Stessa cosa, più o meno...vuoi un po’ di tè?" Si voltò verso di lui con il pentolino in mano, sorridendogli cortese, ma Heiji rifiutò: non poteva perdere troppo tempo, o Conan l’avrebbe ucciso...aveva pensato di prendere qualcosa e mangiarlo per strada, non era preparato a trovarsi davanti un’altra persona; ringraziò il cielo che almeno non era Kazuha, la quale di sicuro avrebbe insistito in modo opprimente per andare insieme a lui, costringendolo ad un’estenuante discussione di almeno mezz’ora. Sorrise divertito e si avviò verso la porta, purtroppo però Ran era decisa a continuare quella conversazione, a causa di un pensiero che aveva in mente da quando Heiji aveva varcato la soglia della cucina: "Dài, non fare complimenti, ne ho fatto troppo....che fretta c’è? È così presto! Siediti!" indicò con lo sguardo una sedia davanti a sé e ogni discussione fu inutile. Heiji obbedì e si fece versare una tazza, pensando divertito e con una punta di panico al momento in cui avrebbe dovuto spiegare a Kudo che era arrivato tardi all’appuntamento per prendere il tè insieme a Ran. Non riusciva ad intuire quale delle due cose l’avrebbe fatto arrabbiare di più, se il ritardo o il fatto che avesse passato il tempo con la sua ragazza....i suoi pensieri furono interrotti dalla voce di Ran: "Sai, Hattori, questa è la prima volta che noi due abbiamo la possibilità di parlare da soli...di solito ogni volta che vieni a trovarci stai tutto il tempo con Conan..." Heiji annuì sorseggiando il tè, stavolta riflettendo su quanto dovesse sembrare grottesco agli occhi degli altri il fatto che lui passasse la maggior parte della giornata con un bambino di sette anni. Ran continuò: "Oh, non ti biasimo, Conan kun è molto intelligente e sa essere davvero adorabile...e poi non ha atteggiamenti infantili, con lui posso parlare di qualsiasi cosa, e non mi tempesta di domande come fanno di solito i bambini. Anzi, qualche volta è lui che mi spiega le cose...Conan sembra...è...così...adulto..." disse meditabonda, Heiji trasalì e rispose in fretta: "I...Io non sono d’accordo...ad esempio ieri, non puoi capire quanti capricci ha fatto per non essere tenuto sulle spalle, continuava a dire che ce la faceva da solo...credo che sia solo una tua impressione...sì, è di sicuro così, Conan kun è il ragazzino più infantile che io abbia mai conosciuto!" Ran lo guardò per un attimo, sbattendo le ciglia incredula: "Sul serio?" Heiji annuì energicamente. Adesso poteva dire a Kudo di aver perso tempo per sviare i sospetti di Ran, il che gli assicurava parzialmente l’incolumità dalle sue ire. La ragazza portò la tazza alle labbra e bevve un sorso, poi riprese: "Dicevo...è la prima volta che parliamo a quattr’occhi, perciò ti dispiace se ti faccio qualche domanda..." deglutì rumorosamente "...su Shinichi?" evitò accuratamente di guardarlo negli occhi e abbassò la testa, desiderosa che lui non si accorgesse del suo rossore. Heiji diede un’occhiata all’orologio e disse in fretta: "Sicuro, chiedimi quello che vuoi." Sfortunatamente Ran aveva bisogno di più tempo per pesare le parole da dire e non aveva alcuna voglia di chiudere velocemente la conversazione: "Ecco...tu dici sempre che avete risolto insieme molti casi...e... insomma..."si schiarì la gola "Lui...Shinichi intendo...ti parla mai di me?" bevve un altro sorso di tè affinché non sembrasse troppo strano che tenesse gli occhi bassi e la testa china, Heiji ripensò a quando Conan si era aperto con lui in quella stanza d’ospedale e anche in quell’albergo, riflettendo se dovesse dirlo o no. Erano confidenze e non era sicuro che Kudo volesse che Ran le apprendesse; aveva impiegato molto a conquistarsi la fiducia del detective dell’est, solo dopo molto tempo avevano cominciato a parlare anche di cose personali e non esclusivamente di lavoro...non voleva buttare all’aria tutti gli sforzi che aveva fatto per diventare il suo migliore amico. Tuttavia se avesse risposto negativamente la cosa avrebbe potuto ferirla, e non voleva che Ran se la prendesse con Kudo per una sua bugia...si accorse di quanto quella situazione lo mettesse a disagio, poi lanciò uno sguardo a Ran e si accorse che stava fissando il tè nella tazza da quasi un minuto ormai. La situazione era reciproca, dunque. Finalmente si decise a rompere il ghiaccio:
"Sì, mi ha parlato di te..."
"Davvero?" Ran alzò lo sguardo su di lui, le brillavano gli occhi: "E...e cosa ti ha detto?" chiese ansiosa, sorridendogli; Heiji si portò la tazza alle labbra per temporeggiare: certo che Kudo aveva proprio scelto bene, lei era davvero carina...anche se non quanto un’altra ragazza che conosceva bene e che probabilmente adesso era nel mondo dei sogni. Quasi senza accorgersene cominciò a pensare alla sua amica d’infanzia, a quanto fosse cambiata rispetto alla ragazzina petulante con cui giocava da bambino...era cresciuta e diventata veramente una bella ragazza. Heiji ricordò quando qualche mese prima lei aveva rischiato di morire, ricordò il suo viso rigato dalle lacrime mentre lo pregava di lasciarla andare, di salvarsi almeno lui...la rivide più tardi, mentre dormiva serena per lo scampato pericolo, il viso arrossato ed estremamente dolce...era bellissima. "Hattori kun, qualcosa non va?" domandò Ran preoccupata dal suo silenzio, sporgendosi verso di lui: "Sei tutto rosso..." Heiji si svegliò bruscamente da quel sogno ad occhi aperti e scosse la testa come a voler cacciare fuori quei pensieri così imbarazzanti: "Eh, no, niente...dicevamo, Kudo...sì..." Si ricompose e la momentanea preoccupazione di Ran si trasformò di nuovo in emozione: pendeva letteralmente dalle sue labbra.
"Beh...ecco...lui mi ha parlato benissimo di te...Sai credo che sia davvero..." deglutì "...molto affezionato a te." Ran sorrise raggiante: "Da cosa lo capisci? Che ti dice?"
"Scusa Mouri ma, sai com’è, Kudo si è confidato con me e non so se vorrebbe che io ti dicessi tutto." Ammise sinceramente, sperando nella sua comprensione. Ran sorrise e annuì, era d’accordo con Heiji, tuttavia non poté nascondere la delusione: avrebbe tanto voluto sapere cosa provava per lei Shinichi: "Oh, ti capisco..." sospirò "La sua amicizia deve essere molto importante per te...come per tutti quelli che lo conoscono bene, del resto. Shinichi ha sempre avuto uno strano magnetismo, all’inizio può sembrare solo un ragazzino pieno di sé e un presuntuoso saccente..." rise "Eppure se si impara a vedere dietro quella sua maschera, si scopre una persona stupenda, pronta ad aiutare e proteggere i suoi cari e diventa impossibile non voler stare con lui. E’ intelligente e anche molto maturo, quando vuole...le sue parole sono capaci di colpirti nel profondo, quasi di commuoverti a volte e i suoi occhi, sempre così determinati, mai un segno di incertezza...mi infondono sicurezza. Sì, Shinichi è decisamente una persona fuori dal comune." Arrossì, tenendo la testa china, Heiji sorrise colpito dalla verità di quel discorso: erano le stesse impressioni che aveva avuto lui di Kudo. Ran si alzò e mise la tazza nel lavandino, facendo scorrere l’acqua e guardandola traboccare dal recipiente di ceramica come ipnotizzata. Heiji si alzò a sua volta e posò la tazza vicino a quella della ragazza, poi si avviò verso la porta.
"Però sappi che gli manchi davvero molto" aggiunse in tono serio. Ran si voltò verso di lui e di nuovo i suoi occhi azzurri brillavano: "Ci sta male per non esserti accanto, credimi." Concluse e senza voltarsi uscì dalla cucina. Ran lo seguì con lo sguardo finché non sparì, chiuse l’acqua e si sedette, coprendosi con le mani il viso bollente: così non era l’unica a soffrire, Shinichi stesso stava male per la sua lontananza, voleva averla vicino, pensava a lei...forse anche lui provava i suoi stessi sentimenti. Il suo cuore si riempì di felicità come mai da quando era partito e guardando l’orologio pensò annoiata che quelle che la separavano dall’appuntamento sarebbero state le ore più lunghe della sua vita.

"Sveglia Shinichi!! Sono già le sei!" la voce del professore svegliò il piccolo detective, che se ne stava rifugiato sotto le coperte per sfuggire alla luce insistente proveniente dalla finestra. Conan lo guardò con gli occhi a fessura per un secondo, poi si voltò dall’altra parte con un grugnito. Il dottor Agasa cominciò a scuotere il suo corpicino: "Forza! Devi lavorare non ricordi?" un altro mugolio scocciato e nessun’altra reazione. Lo scienziato sbuffò esasperato e tornò in camera sua, Conan emise un sospiro di sollievo: non aveva alcuna voglia di alzarsi, se l’avesse fatto, avrebbe dovuto di nuovo affrontare la realtà, pensare a tutti i suoi problemi e cercare di risolverli. Insomma, tutte quelle cose dalle quali il nulla del suo sonno senza sogni l’aveva liberato. Cominciò a pensare a Ran, che probabilmente se ne stava beata nel suo letto a dormire, senza l’ombra di alcuna preoccupazione e sorrise: era stato per merito suo che ora lei stava bene, solo grazie alle sue parole il cuscino non si era inzuppato di lacrime quella notte, e lei si era addormentata serena, libera da ogni tristezza. Si sentiva sollevato, perché le parole di lei allo stabile l’avevano trafitto da parte a parte, gli avevano fatto dubitare di se stesso, si era domandato se davvero era la persona corretta che credeva o solo, come aveva detto Ran, un cinico presuntuoso, se tutte le qualità che ostentava fossero solo apparenza...perché crudele lo era stato, e gli bruciava ancora dentro, ogni volta che l’aveva guardata disperarsi per la sua lontananza, che l’aveva vista in lacrime, si era dispiaciuto, certo, ma soprattutto Mi sono sentito sollevato felice sì felice perché se lei si comportava così allora voleva dire che era ancora disposta ad aspettarmi il fatto che lei soffrisse mi assicurava che pensava a me e che i suoi sentimenti non erano cambiati e per quanto cercassi di nasconderlo io sì mi sentivo bene godevo nel vederla piangere e allora mi chiedo se avesse ragione se io sono davvero una persona senza cuore un mostro sì perché è così che mi sento un mostro
Chiuse gli occhi, aver affrontato quei pensieri che da tanto celava perfino a se stesso l’avevano scombussolato, si sentiva di nuovo male, il dolce torpore che il sonno gli aveva dato era scomparso. Si chiese che cosa sarebbe successo se non si fosse presentato all’appuntamento...la delusione l’avrebbe distrutta dentro, nel profondo del suo cuore e del suo animo, tutto a causa di una promessa che lui le aveva fatto per non dover affrontare il suo pianto, per colpa di una promessa che difficilmente avrebbe potuto mantenere. Se non si fosse presentato all’appuntamento, la serenità di cui ora godeva Ran sarebbe stata un’effimera illusione, la breve parentesi che le avrebbe reso ancora più dolorosa la dura realtà. L’aveva ingannata, per sentirsi meglio, e se l’antidoto non avesse funzionato...l’avrebbe distrutta e lei l’avrebbe odiato davvero, al di là di semplici sfoghi momentanei. Era stato un errore e adesso non poteva più tornare indietro, anche se una soluzione c’era, semplice per lui ma estremamente pericolosa per due persone a cui era molto affezionato e che aveva giurato a se stesso di proteggere; un pensiero che passò fulmineo nella sua mente, e dal quale fu spaventato. Perché era davvero allettante, sì, e per nulla faticoso...doveva solo aspettare lì fermo e buono e tutto si sarebbe risolto...
"SHINICHI!!" la voce del professore lo fece trasalire, si accorse che stava quasi per scivolare di nuovo nel sonno e con estremo sollievo capì che i suoi pensieri erano stati dettati da quello stato di dormiveglia in cui la mente è fuori dalla realtà. Doveva alzarsi, ora, subito, e lottare affinché il suo segreto rimanesse tale... non poteva nascondersi in eterno e da un momento all’altro il suo collega sarebbe arrivato per la prima fase del piano, così si mise seduto con un grosso sbadiglio e si strofinò gli occhi cercando di abituarli alla luminosità. C’era silenzio, a parte il cinguettio degli uccelli e i brontolii sommessi che venivano dalla camera del professore. Inforcò gli occhiali e indossò le pantofole, dirigendosi verso il bagno per un non tanto salutare ma di sicuro efficace spruzzo d’acqua gelida in faccia; nel farlo passò accanto alla porta del laboratorio e notò un ciuffo di capelli biondi che spuntava dallo schienale della sedia, davanti al computer. Si avvicinò alla scrivania e vide Ai Haibara, le braccia incrociate sulla scrivania e la testa poggiata sopra, di lato, i capelli che si dipanavano disordinatamente su un blocco di fogli pieni di calcoli e cancellature: dormiva profondamente, e anche se il suo volto non era sereno ma profondamente segnato dalla stanchezza, aveva un aspetto adorabile. Conan guardò lo schermo del computer ancora acceso e vide altre centinaia di calcoli, poi si voltò di nuovo verso di lei sentendosi un po’ in colpa: doveva essere rimasta sveglia tutta la notte per studiare le dosi giuste del suo antidoto, che lui le aveva chiesto con tanta insistenza e urgenza. Uscì in fretta dalla stanza e comparve di nuovo con in mano una coperta di lana, la stessa sotto cui si era steso lui sul divano; gliela posò delicatamente sulle spalle per non svegliarla, e con suo gran sollievo lei emise solo un gemito sommesso. Le sorrise benevolo, sperando che le sue parole della sera prima fossero state dettate solo dalla rabbia: non aveva mai pensato di sfruttarla, né di tradirla, non voleva trattarla come aveva fatto l’Organizzazione e le sue accuse l’avevano davvero colpito, facendogli male. L’unica cosa che voleva era risparmiarle altre sofferenze solo per colpa sua, lasciarla vivere serenamente, come tutte le altre ragazze... Non si era ancora perdonato il fatto di non essere riuscito a salvare sua sorella Akemi, di averla lasciata sola al mondo, di averle strappato l’unica persona a cui volesse bene. Le accarezzò piano la schiena mentre il suo viso si rabbuiava, poi si diresse verso il bagno, chiudendo la porta dello studio per non disturbare il suo sonno. Si sciacquò la faccia e si vestì, tornando in salone, dove il dottor Agasa lo aspettava facendo zapping sul televisore: "Vedo che ti sei deciso finalmente...che roba! Prima mi raccomanda di svegliarmi presto per farlo alzare e poi..." borbottò con voce aspra, Conan guardò il viso paffuto del professore contratto per la stizza e lo trovò più buffo del solito: "Dai, non mettermi il broncio adesso...è arrivato Hattori?" chiese guardandosi intorno. "No, a quanto pare la pigrizia è una caratteristica essenziale per diventare uno studente detective..." Brontolò, gli occhi fissi sul televisore. Stavolta toccò a Conan sbuffare impaziente: "Cosa!? Sono già le sei e mezza! Non posso aspettarlo ancora!" si lamentò, sul viso del professore comparve un sorrisetto: "Che idiota...beh, digli che sono andato avanti quando si presenta, e che se non mi trova davanti al condominio vuol dire che Mori è uscito e l’ho seguito!" disse in tono perentorio e uscì di casa sbattendo la porta.

Quell’uomo non aveva la più pallida idea del guaio in cui si stava ficcando; lei invece lo sapeva perfettamente. Si passò il rossetto sulle labbra e quelle divennero rosse lucenti. Sicuro, si stava scavando la fossa con le proprie mani ed era così impegnato a montarsi la testa da dimenticare che già in passato, tutti quelli che si erano avvicinati troppo alla verità erano scomparsi misteriosamente. Se ne sarebbe occupata lei, nei confronti di quell’uomo provava solo disgusto, ribrezzo... fin dal primo momento che l’aveva sentito vantarsi tronfio del suo grande scoop al bar. Povero Cool Guy, sempre ossessionato da mille problemi, ci mancava solo quel giornalista a ficcare il naso nei suoi affari, nel suo segreto...di sicuro avrebbe incontrato anche lui, impegnato a fare di tutto per recuperare il nastro senza far del male a nessuno. Eh sì, Povero Cool Guy, sempre fissato con la giustizia e la lealtà, così ingenuo da non capire che ogni guerra ha le sue vittime, e se non si vuole soccombere bisogna agire senza indugi appena se ne ha l’occasione. Era una lezione che avrebbe imparato quel pomeriggio, lei lo sapeva. Quel nastro...era sicura che Angel sarebbe stata felicissima di ascoltarlo, si sarebbe sentita meglio. Il suo angioletto non doveva soffrire a quel modo, meritava almeno la possibilità di sentirsi meglio. A qualcuno spettava dargliela. Prima quell’uomo avrebbe fatto una brutta fine, comunque, si era comportato davvero male. Almeno avesse cercato di rovinare la vita di Sherry, allora forse gli avrebbe risparmiato la vita... Quella traditrice non meritava alcuna pietà e appena Cool Guy le avesse voltato le spalle, cosa che sarebbe successa prima o poi, le avrebbe fatto scontare tutto. Prese il cellulare e compose un numero, poggiando la cornetta sull’orecchio, da cui pendevano due vistosi orecchini d’oro. Sorrise, si prospettava una giornata interessante.

Mori aprì un barattolo di aspirine e ne mise in bocca una, ci pensò su e ne aggiunse altre due. Maledetti postumi della sbornia, aveva un mal di testa terribile e una tale nausea che si sentiva lo stomaco ridotto ad uno straccio sporco appena strizzato. Si guardò allo specchio: il volto era pallidissimo, e le occhiaie scure risaltavano più del solito; aveva i capelli unti e appiccicati alla faccia, lo sguardo malaticcio. Scosse la testa e si voltò, notando sul tavolo dove la sera prima aveva appoggiato le chiavi una scatola di fiammiferi abbastanza grande; l’aprì e vide un indirizzo scritto con un rossetto molto acceso. Improvvisamente ricordò l’incontro con quella bella bionda, che l’aveva abbordato in modo fin troppo evidente per poi mandarlo in bianco, ma che gli aveva lasciato un recapito dove incontrarla. Si sforzò intensamente di penetrare la nebbia mentale che la sbornia gli aveva procurato: se non sbagliava, lei lo aveva spinto a raccontarle tutta la faccenda imbottendolo di Whisky, un po’ come voleva fare lui per ben altri motivi...poi gli aveva rivelato che...sì gli parve di ricordare che lei aveva affermato di sapere come era stato possibile che Kudo fosse regredito all’età di sette anni. L’aveva detto con sicurezza, e aveva aggiunto che gli avrebbe fatto incontrare gli artefici della pozione quella mattina, alle dieci, all’indirizzo scritto sulla scatola di fiammiferi. Non aveva nessuna garanzia che avesse detto la verità, però era disposto a seguire qualsiasi pista pur di raggiungere il suo scopo, come ogni professionista avrebbe fatto. Certo era stato fortunato, il telefono era squillato più volte svegliandolo di soprassalto, se non fosse accaduto probabilmente avrebbe dormito fino a mezzogiorno, quella mattina. Una coincidenza favorevole e davvero strana, visto e considerato che avevano attaccato subito appena alzata la cornetta... Si strinse nelle spalle, aveva cose più importanti a cui pensare e doveva riprendersi il più possibile prima del suo appuntamento. Se la bionda non aveva mentito per quella sera sarebbe diventato il giornalista più famoso del mondo, il suo articolo avrebbe impressionato e sconvolto il pubblico e avrebbe di sicuro vinto il premio Pulitzer. Aveva appena cominciato ad immaginare le parole che avrebbe detto al suo discorso quando un nuovo conato lo costrinse in bagno, mentre, molti piani sotto di lui, un bambino con gli occhiali si era diretto dietro l’aiuola, con determinazione e rabbia negli occhi.

Note dell’autrice: Ciao a tutti! Innanzitutto vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto la mia fanfic fino a questo punto (complimenti, avete davvero un bel grado di sopportazione - _ -") e soprattutto Wilwarind, Elly-chan e Irma che hanno commentato...thanks, really!! ^///^ Adesso però voglio chiarire alcuni punti, che potranno esser sembrati ostici a coloro che non hanno letto alcuni numeri del manga (e ci credo, se la Kabuki continua così...*sigh* ;__;):
- La scena che Heiji ricorda durante la sua conversazione con Ran, quella che riguarda Kazuha, è successa realmente nel vol28, "The Mermaid Disappeared"; in breve, Kazuha precipita in un dirupo e Heiji la afferra per la mano, tenendosi aggrappato a sua volta ad un ramo. Quando la ragazza si accorge che il ramo sta per spezzarsi per il troppo peso incita il suo amico d’infanzia a lasciarla per salvarsi almeno lui. Beh, non c’è bisogno che vi dica se lui la ascolta o no immagino...^^
- Conan/ Shinichi parla a Heiji di cose personali solo in due occasioni, almeno per quanto ne so: la prima volta nel vol26, la seconda nel settimo film, "Crossroads in the Ancient Capital". Per il resto si limita strettamente al professionale. (a Shin-kun piace fare il duro!!)
- La bella bionda americana che Mori incontra al bar nel chap 6 e che si vede anche qui è un membro dell’Organizzazione degli uomini in nero. Il suo nome in codice è Vermouth. Non dico altro, altrimenti faccio troppo spoiler (decisamente troppo), ma questo era indispensabile al senso della storia.
Questo è tutto. Spero di non avervi annoiato ("troppo tardi!!" ndTutti). Se avete domande, dubbi, critiche (spero non insulti! Aiuto!) basta dirlo, sarò felice di rispondervi
....
Oddio...detto così fa molto "Guida Turistica"... - - "comunque...
See you soon
-Mel

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Capitolo 9
*** Reflection in the Mirror ***


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9. Reflection in the Mirror

Il sole era alto in cielo, la gelida nebbia del primo mattino andava dissolvendosi. Le strade ormai pullulavano di automobili, si udivano i rombi dei motori e qualche clacson occasionale; sui marciapiedi la gente avanzava in varie direzioni, con buste, borse e valigiette, seduti ai tavolini dei bar i ragazzi si godevano il loro unico giorno di riposo prima di tornare dietro le grigie mura degli edifici scolastici. Un ragazzo e un bambino erano seduti proprio ad uno di questi tavoli, confusi tra la folla e il chiacchiericcio, ma al contrario degli altri non sorridevano spensierati, né parlavano fra di loro: osservavano attenti il condominio che si trovava dall’altra parte della strada. Heiji fece un grosso sbadiglio e si lasciò andare scompostamente sulla sedia: "Cavolo, sono già le nove...se avessi saputo che sarebbe andata così non mi sarei mai alzato all’alba..." Borbottò, visibilmente annoiato. Conan gli lanciò un’occhiata in tralice, infastidito: "Tu eh? Ti faccio presente che sei arrivato all’appuntamento con mezz’ora di ritardo!". Heiji sbuffò, indeciso se ricordargli o no che erano lì per lui e dirgli che avrebbe dovuto ringraziarlo per il suo aiuto, poi decise che per irritarlo c’era un metodo molto più divertente e meno meschino: "Io mi sono alzato in tempo, non è stata colpa mia, ti ho già detto che ho dovuto sviare i sospetti di Ran. Dovresti essermi grato, piccolo Conan kun!" gli sorrise maligno e gli arruffò i capelli, Conan scacciò con rabbia la sua mano dalla testa: "Oh già, e ci hai messo mezz’ora a convincerla? Ma fammi il favore!! Secondo me è successo qualcos’altro che non vuoi che io sappia. Te l’ho letto in faccia quando sei arrivato..." bisbigliò, scrutandolo da capo a piedi. Heiji non smise di sorridere: gli aveva tenuto nascosto la faccenda della conversazione con Ran preoccupato per la sua reazione, ma tutto sommato infastidirlo era sempre stato uno dei suoi passatempi preferiti; cogliere i punti deboli del signor Perfettini e prenderlo in giro era divertente, perfino i genitori di Kudo erano contenti di stuzzicarlo, ogni tanto. Perché lui dunque doveva essere da meno? Spostò lo sguardo sull’edificio e rispose con noncuranza: "Hai colto nel segno Kudo, ancora una volta però non è stata colpa mia, ma della tua ragazza." Conan sobbalzò, si sporse verso di lui per quanto la sua statura glielo permettesse e domandò incuriosito: "Che vuoi dire? Che è successo?" Nella sua voce Heiji colse una punta quasi impercettibile di gelosia. "No niente...come mai Mori ci mette tanto?" Chiese distrattamente, e come previsto Conan si accalorò: "Non lo so, ma cosa intendevi? Perché Ran ti ha fatto perdere tempo? Che avete fatto?" lo guardò dritto in faccia ma lui non fece una piega: si limitò a scrollare le spalle. Conan sbuffò contrariato: da quanto aveva capito per gli standard femminili Heiji Hattori era considerato un bel ragazzo, e il fatto che avesse passato il tempo con Ran non lo rendeva affatto felice. Gli tornò in mente lo sguardo che la ragazza gli aveva lanciato la prima volta che l’avevano visto, mentre indagava sul caso del diplomatico...era lo stesso che spesso aveva rivolto a lui quando esponeva le sue deduzioni. Sentì qualcosa di simile alla rabbia crescergli in corpo, a cui non sapeva dare nome: "Smettila di fare l’idiota e dimmi cos’è successo, Hattori!" disse a voce un po’ più alta, stavolta il detective dell’ovest percepì chiaramente la gelosia; era riuscito nel suo intento, ma prima di piantarla voleva divertirsi ancora un po’: "Okay...ha insistito perché prendessi il tè con lei. Soddisfatto?" Conan sentì in cuor suo una punta di risentimento verso Ran.

Ah è così prima piange disperata perché io non ci sono e poi prende tranquillamente il tè con un altro? Le donne non si accontentano mai che ci troveranno poi in questo coso secondo me non ha il minimo fascino e non è neanche questa gran bellezza se proprio vogliamo essere sinceri il tè ma si può essere più volubili e ha anche insistito che roba non posso crederci...

Fortunatamente era troppo innamorato di lei per arrivare a odiarla; non avrebbe avuto scrupoli però con il ragazzo che gli stava davanti gongolante: "TU HAI PRESO TRANQUILLAMENTE IL TE’ INSIEME A RAN MENTRE LA MIA VITA E’ SULL’ORLO DELLA CATASTROFE?" Gridò infuriato, portando istintivamente la mano destra verso il polso sinistro; quasi tutti i ragazzi seduti intorno a loro si voltarono, una cameriera graziosa con lunghi capelli neri si avvicinò e chiese con un sorriso di circostanza: "Va tutto bene qui? Hai litigato con tuo fratello, piccolo?" Conan sbuffò e incrociò le braccia: "Non è mio fratello, non sono imparentato con quello là, per fortuna..." bofonchiò, lei lo guardò perplessa e poi spostò lo sguardo su Heiji, che scosse la testa con un’aria da *lasci perdere è un bambino* . La cameriera rimase immobile per un attimo, poi annuì e si allontanò. Heiji guardò Conan e notando il suo aspetto truce decise che era meglio smetterla prima che gli saltasse addosso desideroso del suo sangue. Gli sorrise benevolo: "Calmati Kudo...Se Mouri mi ha fermato è stato solo perché voleva parlassimo di te." Disse con voce calma, il piccolo detective lo guardò e quando parlò di nuovo i sentimenti di rabbia e gelosia erano scomparsi completamente, lasciando il posto a semplice curiosità: "Sul serio? E...cosa vi siete detti?" domandò, sentendosi un po’ in colpa per aver pensato male di Ran. Heiji si rimise composto: "Voleva sapere se tu parli mai di lei mentre siamo insieme." Conan arrossì di colpo e lo tempestò di domande su cosa esattamente le avesse risposto; il fatto che Ran avesse chiesto di lui gli dava una strana sensazione, era...emozione, sì, sicuramente, ma c’era anche dell’altro...qualcosa che gli aveva fatto battere forte il cuore e contrarre lo stomaco in modo piacevole...sorrise pensando che se qualche anno prima gli avessero detto che avrebbe provato una cosa simile per la sua amica d’infanzia, la bambina con cui era cresciuto, che da piccola non faceva altro che stargli appiccicata tutto il giorno assillandolo per giocare con lei e poi piangeva battendo i piedi ogni volta che lui proponeva una partita a calcio o il gioco guardie e ladri (tuttora non riusciva a capire dove fosse il problema, sarebbe potuto essere molto divertente) , probabilmente gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Adesso invece, era lì che sudava freddo desideroso di sapere subito cosa si erano detti, incurante del fatto che il suo atteggiamento insistente era davvero infantile e che Hattori sembrava essere davvero divertito da tutto ciò; aveva come l’impressione che Heiji stesse giocando con lui fin dall’inizio, che l’equivoco iniziale non fosse stato del tutto casuale e che il detective del Kansai avesse manovrato ogni cosa per ammazzare la noia per la quale prima si era lamentato. La cosa non gli piaceva affatto, e benché adesso avesse affari più importanti di cui occuparsi, promise a se stesso di fargliela pagare cara in un futuro prossimo... Heiji, ignaro dei pensieri alquanto ostili che il bambino di fronte a lui stava creando nella sua testolina, sorrise tranquillo: "Le ho detto di sì, ma non ho specificato niente. Non sapevo se tu volevi o no che le rivelassi tutto e ho preferito tenere la bocca chiusa, e per non metterti nei guai con lei le ho confessato che non me la sentivo di parlargliene." Affermò con semplicità, tenendo lo sguardo fisso sul condominio. Conan rimase colpito e si ritrovò a riflettere sul perché tutti pensassero che si confidava con Hattori, poi dovette ammettere suo malgrado che in effetti era quello che faceva, nonostante lui fosse così molesto, alle volte. Si accorse che si fidava di Heiji Hattori, semplicemente, perché era una persona su cui poter contare e un amico eccezionale. Si rese conto inoltre che era sempre pronto a sentire i suoi problemi, ma allo stesso tempo non gli confidava mai i suoi e non gli chiedeva mai aiuto per niente, quasi non volesse sovraccaricarlo con le proprie frustrazioni. Era l’unico dei suoi amici che non si era mai veramente aperto con lui, perfino Ai Haibara, per quanto i suoi atteggiamenti fossero freddi e indifferenti, una volta aveva chiesto il suo sostegno. Eppure non poteva essere il ragazzo più felice della terra...infatti non solo l’indifferenza ma anche l’allegria può essere una maschera....Aprì la bocca per dirgli qualcosa ma Heiji fu più veloce e gli chiese: "Tu però non mi hai ancora detto perché ieri eri così triste..." ancora non lo guardava. Conan sussultò e abbassò lo sguardo, poi sorrise malinconico e rispose con voce flebile: "Ecco...è difficile da spiegare...Ran, ieri mattina...dopo che l’ho salvata...cioè dopo che Conan l’ha salvata....ha detto fra le lacrime di odiarmi. Di odiarmi come Shinichi intendo..." Rise, per nulla divertito: "E’ buffo, sai, perché ha sostenuto di essere stata abbandonata da me...e dire che io la vedo tutti i santi giorni fino alla nausea..." Heiji si voltò verso di lui, percependo il suo dolore e sussurrò cercando di risollevarlo: "Però mi sembra che dopo la conversazione con Kazuha le cose siano migliorate...e lei vuole vederti, no? Dai, magari è stato solo uno sfogo lì per lì, niente di serio..." Conan si strinse nelle spalle: "Può darsi...ma la cosa che mi fa stare male non è questo...è che..." sospirò "Mi ha fatto riflettere. Su come sono io...mi ha definito un insensibile, una persona terribile. E io mi chiedo se non abbia ragione..." Heiji gli diede un colpetto sulla testa: "Ma piantala...ecco, quando fai così diventi proprio odioso...Non dire scemenze..." sibilò con gli occhi a fessura di nuovo voltati verso l’edificio. Stettero in silenzio per qualche minuto, mentre attorno a loro il chiacchiericcio continuava. Conan si lasciò andare sullo schienale della sedia, speranzoso sul fatto che dire tutte le cose che lo opprimevano potesse farlo sentire un po’ meglio. Solo un pochino, non chiedeva altro: "Io ero felice che lei soffrisse, Hattori." Disse scandendo le parole, lui si voltò e guardandolo in faccia notò un’espressione che non gli aveva mai visto prima, inquietante, quasi sinistra...che lo fece sussultare. Conan si accorse della sua reazione e sorrise, poi si voltò verso il condominio, senza fare una piega nemmeno quando lui parlò: "Cosa vuoi dire?" Conan scosse lentamente la testa, Heiji stava per ribattere qualcosa quando il piccolo detective si alzò in piedi: "Eccolo, sta uscendo..." disse, riacquistando determinazione e freddezza. Lasciarono i soldi dei due caffè che avevano finito di bere un’ora prima e si avviarono, uno seguendo il giornalista e l’altro attraversando la strada verso l’edificio.

La luce che penetrava dalle grandi finestre dell’agenzia investigativa illuminava sicura tutti i mobili e gli oggetti, riflessa occasionalmente dai pochi specchi dalla casa; davanti ad uno di essi stava seduta Ran, le gambe accavallate e le braccia conserte, mentre i lunghi capelli bruni erano tirati su disordinatamente e tenuti da qualche forcina colorata. Guardò rassegnata la sua stessa immagine e sospirò, chinando leggermente il capo, intanto qualche ciocca si liberava dall’opprimente giogo e si riversava sul suo volto e sulla schiena. Dietro di lei comparve Kazuha con i capelli raccolti nella sua solita coda di cavallo, il volto sudato e raggiante: teneva in mano un oggetto oblungo, di metallo, formato da due parti che si aprivano manualmente e da un lungo filo nero, inghiottito dalla presa di corrente vicino al lavandino: "Ecco, un po’ di pazienza e avrai dei capelli magnifici, Ran chan!" esordì, lei sospirò incredula, chiedendosi come aveva fatto a permetterle di conciarla in quel modo

Sono la sua Barbie...mi ha scelto il vestitino e le scarpette e adesso mi pettina poi mi manda all’appuntamento con Ken...

Soffocò una risata e scrollando il capo altre ciocche sfuggirono alle forcine; Kazuha la guardò perplessa, aggrottando le sopracciglia, poi si strinse nelle spalle e prese fra le mani un ciuffo di capelli bruni, lo fece sparire fra le due parti della piastra e lo riscoprì caldo e morbido. Dopo aver ripetuto un paio di volte quest’azione, lo lasciò e ricominciò con un altro: "Senti un po’, Ran chan... ti sei alzata molto presto stamattina, vero?" Chiese dopo qualche minuto. La ragazza assentì, guardando l’amica del Kansai attraverso lo specchio: "Beh, allora...sai mica dove è andato Heiji?" domandò con falsa disinvoltura, ma Ran sentì la sua mano stringere più forte i propri capelli e capì che doveva essere a disagio: "Oh, sì...ha detto di voler fare una passeggiata per schiarirsi le idee, se non sbaglio...per cui dovrebbe essere di ritorno a momenti." concluse in tono incoraggiante, tuttavia l’attenzione di Kazuha si era focalizzata su un altro punto: "Ha detto..." sussurrò lentamente, stringendo ancora di più sia la piastra che i capelli: "...perciò ci hai parlato..." Ran sentì un brivido percorrerle la schiena e una strana sensazione di freddo alle sue spalle: "Sì...ecco...stamattina si è svegliato molto presto anche lui e così abbiamo fatto colazione insieme e allora..." balbettò sorridendo, Kazuha lasciò andare i suoi capelli e la guardò dall’alto in basso, attraverso lo specchio: "Così hai fatto colazione con Heiji...dev’essere stato bello, voi due soli..." sibilò, guardandola torva. Ran si voltò agitata: "Ma no! Cosa dici? Hai frainteso...ho fatto troppo tè e così l’ho invitato a berlo insieme.." si accorse del suo errore madornale solo quando aveva finito di parlare. Kazuha lasciò andare la piastra con violenza e quella sbatté sulla superficie di marmo: "Ah, l’hai invitato a berlo insieme..! Non ti basta solo Kudo, è così?" gridò, lei si alzò in piedi e furono alla stessa altezza: "Ti sbagli, siccome Hattori è amico di Shinichi volevo che lui mi dicesse una cosa. Non ho minimamente pensato a...e se avessi saputo che ti dava fastidio..." Cercò di dire ma Kazuha la interruppe: "Certo, come potevi immaginarlo? È una cosa così poco ovvia..." il suo tono risentito e di accusa colpirono profondamente Ran: in effetti avrebbe dovuto saperlo, ma non aveva avuto assolutamente cattive intenzioni...non le era passato per la mente che la potesse far infuriare in quel modo e lei non aveva il diritto di accusarla così. Aprì la bocca per ribattere quando Kogoro entrò nel bagno, protestando per le loro urla e guardandole entrambe infastidito; sembrava essersi alzato da poco: i capelli erano scompigliati, piccoli peli ispidi spuntavano sul mento e sulle mascelle, la camicia era stropicciata e non del tutto infilata nei pantaloni. Il suo sguardo si soffermò sulla figlia e vedendola combinata in quel modo balbettò perplesso: "Che diavolo...Ran, ma che ti sei fatta in testa...cosa state..." Prima che riuscisse a terminare la frase Kazuha lo superò e disse a voce alta e senza guardare in faccia nessuno: "Oh, indovini, Mouri san...sua figlia si stava facendo bella perché stasera ha un appuntamento galante con Kudo kun!" rivelò acida e scomparve nel corridoio. Kogoro guardò truce Ran, che arrossì di colpo e chinò la testa: "Che cosa!?" la investì: "Hai un appuntamento con quel ragazzino che si atteggia sempre a detective..? Ma non era andato via dalle scatole per sempre? E per di più ti sei conciata...in quel modo...per lui..." sembrava non riuscire a credere alle sue stesse parole, Ran si vergognò come mai nella sua vita, non riuscendo a pronunciare una sola parola mentre il rossore le si arrampicava dal collo fino alle guance: "Levati subito quella roba dai capelli e quella minigonna..." guardò allibito le gambe nude della sua bambina, poi alzò lo sguardo verso la sua pancia altrettanto scoperta: "...e quella maglietta oscena." Ordinò in tono perentorio, Ran annuì senza alzare la testa, tenendo i pugni stretti e congiunti davanti alle gambe, sentendosi tremendamente stupida ad essersi conciata in quel modo e provando un moto di odio verso Kazuha, che probabilmente era dietro l’angolo a ridere beata per il suo scherzetto. Kogoro era diventato paonazzo e la scrutava con occhi inquisitori: "Tu prova ad uscire in quel modo ed io ti segrego in camera finché sarò vivo! Quel ragazzo...non mi è mai stato particolarmente simpatico e adesso meno che mai...non mi fido di lui, se ti vede vestita così potrebbe cercare di..." la voce gli morì in gola e scosse la testa; Ran diventò ancora più scarlatta quando capì cosa intendeva il padre e alzò un poco la testa "Ma papà!!" gridò con voce acuta. Lui la guardò con gli occhi fiammeggianti e lei si affrettò a chinare di nuovo il capo: "Niente ma!!" urlò, credendo che si riferisse a quello che aveva detto prima: "Tu stasera non vai da nessuna parte, così la prossima volta ci penserai due volte a scegliere i vestiti da metterti." Concluse e fece per avviarsi all’uscita, ma Ran lo bloccò per un braccio: "No papà! Ti prego, devo andare, è importante...devo vedere Shinichi! Vado vestita come vuoi tu e non metterò più questa roba, lo prometto, ma per favore non farmi questo!" lo fissò implorante, Kogoro guardò il luccichio dei suoi occhi e per un attimo l’espressione severa vacillò, ma si ricompose quasi subito: "No, ho detto. Lo faccio per il tuo bene. Non vorrei ritrovarti con un...sei tu una bambina ancora, Santo Cielo!" la voce gli tremò, poi aggiunse fermo: "La questione è chiusa." con un tono che non lasciava speranze, Ran lo superò con uno strattone e si chiuse a chiave nella sua stanza: "Ti odio! Tu non capisci..." gridò con voce rotta e il padre capì che stava piangendo: "Tanto esco lo stesso!! Stasera sarai così ubriaco che non te ne renderai nemmeno conto! Ci scommetto...non mi sorprende che la mamma ti abbia lasciato, sei un mostro!" urlò, piangendo disperata e sentendosi in colpa per quelle parole subito dopo averle pronunciate. Kogoro sospirò, sentendo un grave peso sul cuore e avviandosi lentamente verso la scrivania del suo ufficio: ogni suo singhiozzo era un colpo secco e doloroso per lui. A sconvolgerlo non erano state le parole in sé, ma l’odio con cui la figlia le aveva pronunciate: possibile che quella fosse la stessa voce che la sera gli dava la buonanotte, o che anni prima lo pregava di prenderla sulle spalle? Possibile che a parlare fossero state le stesse labbra che occasionalmente gli schioccavano un bacio sulla guancia o sulla fronte? Possibile che quella ragazza abbigliata in quel modo fosse la stessa bambina che, abbracciando l’orsacchiotto, piangeva disperata per aver fatto un brutto sogno e si accoccolava fra le sue braccia finché non si riaddormentava? Si sedette alla scrivania e si lasciò andare stancamente sulla sedia; guardò le lattine vuote di birra che erano sparse qua e là per lo studio, chiedendosi se avesse ragione e se tutto sommato non fosse stato granché come padre; in fondo era Ran che si occupava di lui e non il contrario, preparandogli i pasti, pulendo la casa e facendogli mille raccomandazioni quando usciva, di non bere, di non giocare d’azzardo, di non fumare...sospirò, domandandosi se fosse stato meglio affidare subito la bambina ad Eri, quando se ne era andata...e se non fosse troppo tardi rimediare. Guardò il telefono sulla scrivania e si lasciò andare ad un nuovo sospiro, mentre nel silenzio della casa udiva il singhiozzare disperato di sua figlia.

Aprì gli occhi e, con la vista ancora un po’ appannata, si guardò intorno sbadigliando: la stanza era completamente inondata di luce, davanti a lei scorrevano le immagini di un buffo Screen - Saver creato dal professore e alle sue spalle sentiva strani tintinnii e qualche occasionale esplosione: era stata proprio una di quelle a svegliarla. Sospirò rassegnata, si rimise in posizione eretta e sentì un fastidioso dolore che gli percorse la schiena fino al collo, mentre non poche ossa scricchiolarono in modo preoccupante. Pensò irritata che probabilmente avrebbe avuto quei dolori tutto il giorno e l’idea non le piaceva affatto; tutta colpa di Kudo e della sua fidanzata...Ai si stiracchiò e solo quando le scivolò dalle spalle si accorse della coperta di lana; la prese in mano e la ripiegò con un gesto quasi meccanico, prendendo nota a mente di ringraziare il professore per averla coperta, poi diede un colpetto al mouse e il documento word riapparve, procurandogli una fitta alla testa al primo sguardo: eccolo, l’odioso antidoto per il quale era stata sveglia fino a notte inoltrata, incurante della stanchezza e dell’emicrania galoppante; eccolo, il motivo per il quale Kudo era andato a trovarla la sera prima, il motivo per il quale ancora la voleva accanto e non l’aveva cacciata via e abbandonata a se stessa. Ora lei gliel’avrebbe preparato, lui l’avrebbe preso e sarebbe corso fra le braccia di Ran Mouri, e insieme avrebbero passato una serata indimenticabile...loro due....Diede l’ordine di stampa e stette ad aspettare che tutte le pagine fossero pronte; in quel mentre il professor Agasa entrò nella stanza, reggendo con una presina imbottita un bricco di caffè e una piccola tazzina di ceramica lucida: aveva i capelli scompigliati, i baffi e il camice intrisi di fuliggine scura: "Oh, Ai, ti sei svegliata!" esordì in tono paterno: "Come stai stamattina?" la bambina si voltò stancamente verso di lui, guardandolo con i suoi occhi ibernali: "Bene, grazie...solo un po’ indolenzita..." scrollò le spalle e si girò appena in tempo per afferrare il foglio che la stampante aveva appena sputato. Il professore le si avvicinò: "Ti ho preparato il caffè, mi raccomando, bevilo adesso che è ancora caldo...avrai sentito freddo stanotte, hai dormito qui..." aggiunse in tono preoccupato, Ai sorrise gelida, annuendo e lanciando occhiate alla coperta ripiegata e al dottore; lui se ne avvide e chiese meditabondo: "Hey, ma quella non è la coperta che avevo dato a Shinichi per la notte?" Ai si voltò in fretta verso di lui lasciando che il foglio che aveva in mano si stropicciasse: "Cosa? Vuole dire che non è stato lei a..." si interruppe e riassunse la sua aria indifferente, il professore la guardò interrogativamente ma lei si limitò a scuotere la testa, continuando a fissare la stampante: "Potrebbe lasciarmi il laboratorio, professore? Appena ho finito qui vorrei iniziare a lavorare concretamente." Disse in tono etereo, l’uomo annuì, lasciò il bricco e la tazzina sulla scrivania e uscì dalla stanza. Ai rimase immobile a osservare i fogli scritti e freschi di stampa che si accumulavano davanti a lei; così non era stato il professore a coprirla ma Kudo stesso, prima di uscire...percepì uno strano calore all’altezza del petto e prima di rendersene conto sentì la stessa sensazione sulle guance; fuori il vento scuoteva le fronde degli alberi e udiva lo stormire delle foglie, così acquietante e naturale...non come l’artificiosa sostanza che aveva creato e che aveva sconvolto l’equilibrio più sacro che esiste: il tempo. Con il suo composto era riuscita ad ingannarlo e distruggerlo, a dare una falsa illusione dello scorrere degli anni, privando se stessa e tutti coloro che l’avevano preso di una vita vera, e donandogli in cambio quella scadente imitazione dell’esistenza, in cui non a lungo si può perdere la coscienza di sé, è vero, eppure accade: l’aveva osservato e percepito in quel ragazzo, che pian piano stava diventando sempre più Conan e sempre meno Shinichi...realizzare l’antidoto per quel crimine, facile a dirsi...estremamente complicato nella realtà; perché le conseguenze di quel composto erano molto più di quello che si poteva vedere, e le ferite che aveva provocato non sarebbero guarite così facilmente...non era in grado di realizzare un vero antidoto al composto perché in effetti era impossibile...non arrivati a questo punto. E quando finalmente Shinichi Kudo sarebbe tornato se stesso, se ne sarebbe accorto anche lui, a malincuore sì, e all’inizio non sarebbe riuscito ad accettarlo forse, ma prima o poi l’avrebbe capito. E ne avrebbe sofferto. Sospirò e prese gli ultimi fogli sputati dalla stampante, riempì la tazzina di caffè nero e si avviò verso la porta della stanza, a passi lenti e strascicati.

Conan si diresse verso il portone dell’edificio, chiedendosi cosa poteva escogitare per farsi aprire; importunare un’altra coppia di sposini forse? Non era una buona idea, era mattina e non più oppresse dal sonno le persone (in particolare le donne, penso fra sé con un sorrisetto) diventano piuttosto curiose e invadenti riguardo a certe cose. Fortunatamente riuscì ad evitare di spremersi le meningi: una signora piuttosto bella, alta e slanciata, che indossava un paio di jeans sotto un cappotto cremisi aprì il portone e lasciò passare due bambini, all’incirca della stessa età apparente di Conan. Quest’ultimo sorrise, lanciò un educato buon giorno al trio e si avviò verso l’ascensore. Mentre saliva, sbuffò seccato e un tantino irritato: perché diavolo doveva essere lui a perquisire la casa del giornalista? Sarebbe stato più giusto che lo facesse Hattori, mentre lui avrebbe pedinato l’uomo. In fondo era il suo caso! Perché doveva sorbirsi il compito più noioso?! Aggrottò la fronte ripensando alle parole del detective dell’ovest: ‘No, Kudo, è meglio che sia io a seguirlo; lui non mi conosce e quindi ci sono meno probabilità che si accorga di essere osservato.’ Sbuffò indispettito; si riteneva un detective abbastanza bravo da riuscire a pedinare una persona senza farsi scoprire. Quel genere di cose erano l’ABC dell’investigazione! Si voltò verso lo specchio dell’ascensore e attraverso la superficie leggermente sporca e piena di impronte riconobbe la sua immagine riflessa; dopo quella sera al Tropical Land, guardarsi allo specchio gli faceva sempre uno strano effetto, sentiva come un brivido lungo la schiena e un capogiro. Sbatté le palpebre, riconobbe i suoi occhi azzurri, resi lievemente più grandi dalle lenti degli occhiali, i suoi capelli bruni, le ciocche della frangia che non volevano mai stare in ordine e finivano sempre per aria, per quanto li pettinasse... tutto di quel riflesso apparteneva a lui, eppure nell’insieme l’immagine riflessa non gli apparteneva. Era quasi un paradosso. Aggrottò la fronte corrucciato: da quanto tempo era che non vedeva più il suo vero aspetto? Il ricordo di se stesso stava lentamente sfumando nella sua mente, tutto della sua vita adulta si stava allontanando dalle sue percezioni. Ora come ora gli sarebbe sembrato stranissimo alzarsi la mattina e non sentire il profumo della colazione preparata da Ran, una cosa assurda risolvere un caso e non addormentare Kogoro per spiegarlo con la sua voce, una cosa impensabile andare a scuola senza essere circondato da persone in uno stato di completa ammirazione mentre risolveva senza problemi una divisione a TRE cifre...sì, tutto questo faceva parte della sua vita, mentre le altre cose erano così...lontane, quasi come se fossero state frutto di un sogno. Non riusciva a pensare di dover frequentare nel tempo libero altri se non Ayumi, Genta e Mitsuhiko, non riusciva a credere di dover stare più di qualche ora lontano dalla sua Ran neechan... e il pensiero di tutto questo lo spaventava. Lui non era Conan Edogawa, per quanto adesso fosse costretto a recitare quella parte...lui era Shinichi Kudo, il liceale detective, non una specie di bambino prodigio troppo intelligente per la sua età. Eppure adesso quella vita gli sembrava più familiare, essere chiamato Conan kun era gli pareva una cosa normale - e più giusta, pensò con orrore - e perfino i suoi atteggiamenti non erano più forzati come prima, ormai infatti comportarsi da bambino gli veniva naturale. Tutto questo gli faceva paura, si chiese spaventato cosa sarebbe successo se fosse rimasto in quello stato ancora per molto, se davvero avesse cominciato a dimenticare il suo vero io...

Ran mi ha definito una persona terribile ma prima ha detto che anche se avevo i miei casi avevo sempre tempo per lei quando ero a casa e se fossi cambiato davvero oltre che nell’aspetto se mi sono veramente trasformato senza accorgermene non è così assurdo tutti crescono giorno dopo giorno ma se ne accorgono solo molto tempo dopo riguardando vecchie fotografie e se io non fossi più io in fondo fingo di non esserlo da così tanto tempo se mi fossi trasformato più di quanto riesce a riflettere lo specchio se veramente Shinichi Kudo non esiste più se per me è arrivato solo adesso il momento di vedere quella vecchia fotografia mentre Ran l’ha già vista e ha capito ha capito che sono diverso dalla persona con cui è cresciuta dalla persona a cui voleva bene mi sono trasformato in qualcuno che non fa altro che ingannare e mentire e fingere e io non voglio essere così...

Le porte dell’ascensore si aprirono e Conan fu riscosso di colpo da quel fluire di pensieri angosciosi; uscì lentamente dalla cabina e si ritrovò allo stesso piano che aveva visitato la sera prima con il suo collega del Kansai, solo che adesso l’ambiente era ben illuminato dai caldi raggi del sole e tutto sembrava meno tetro e triste. Si avvicinò alla porta di legno di frassino scuro che aveva visto la sera prima, guardando la serratura. Chiusa, naturalmente. Era preparato ad una cosa del genere, fortunatamente sapeva come entrare nell’appartamento anche senza dover buttare giù la porta; sorrise, chiuse gli occhi e cominciò a ricordare.

Aveva dodici anni, era appena tornato a casa dopo una partita a calcio con i suoi compagni di classe. Era molto soddisfatto del modo in cui aveva giocato e ancora sorrideva pensando al fantastico gol da fuori area che era riuscito a segnare e alla sua spettacolare rovesciata. Andò in cucina e trovò suo padre Yusaku, vestito di tutto punto, con giacca, camicia e pantaloni; una cosa stranissima, dato che quando era immerso nella stesura di un libro appariva piuttosto trasandato e non badava molto all’abbigliamento. Quando si accorse di lui lo salutò con un sorriso: "Ciao papà" rispose lui non ricambiandolo: "Come mai sei vestito in quel modo? Devi uscire?" domandò curioso, il padre gli lanciò uno sguardo divertito con falsa aria di sufficienza: "Io sono uscito, Shinichi. Non diventerai mai un detective se non riesci nemmeno a dedurre queste semplici cose." Recitò guardandolo dall’alto in basso con un sorrisetto. Lui sbuffò indispettito e chiuse gli occhi a fessura, Yusaku sorrise maligno. "Comunque, sono andato alla centrale. Avevo bisogno di alcune informazioni per scrivere il mio libro..." il ragazzino alzò la testa, un luccichio interessato e avido nei suoi occhi: "Che genere di informazioni, papà? Riguardo qualche omicidio?" la sua stizza aveva completamente lasciato il posto alla curiosità; Yusaku scosse la testa: "No, non esattamente...ma in una parte della mia storia il poliziotto una sera torna a casa e scopre che il criminale che cerca si è introdotto nel suo appartamento...e sai come ha fatto?" Chiese sempre sorridendo, Shinichi aggrottò la fronte: "Uhm...forse è entrato dalla finestra, oppure ha buttato giù la porta..." seppe che la risposta era sbagliata ancora prima di finire. Suo padre aveva scrollato il capo. "No, certo che no...è difficile salire fino alla finestra di un appartamento in pieno giorno...e se avesse buttato giù la porta chiunque fosse passato al suo stesso pianerottolo se ne sarebbe accorto..." fece una lunga pausa, tenendolo sulle spine nel modo quasi sadico che conoscono solo gli scrittori; Shinichi lo guardò scocciato ma non disse nulla: voleva sapere cosa gli frullava in testa e, se fosse stato maleducato, probabilmente per ripicca lui non glielo avrebbe rivelato: "Ha aperto la porta...come hai fatto a non arrivarci?" un altro sbuffo stizzito di suo figlio: "e come avrebbe fatto, senza le chiavi?" chiese in tono di sfida, Yusaku sorrise ed estrasse un fil di ferro: "Con questo" rispose allegro "Vedi Shinichi, il meccanismo di una serratura da poco non è nient’altro che un bilanciere*..." fece oscillare la mano: "Se vuoi rovesciare una sedia a dondolo, non devi fare altro che afferrarla per le slitte e rovesciarla. Un gioco da ragazzi. Ed è esattamente quello che devi fare con una serratura: sollevi il meccanismo di blocco e fai scattare lo scrocco alla svelta, prima che si blocchi di nuovo." Si rimise il fil di ferro in tasca: "Tutto chiaro?" lui annuì sicuro, il padre soddisfatto gli arruffò i capelli con la mano. Conan aprì gli occhi e il suo sorriso rimembrante si trasformò in un ghigno. Estrasse dalla tasca un fil di ferro, molto simile a quello che suo padre gli aveva mostrato in un pomeriggio di primavera e cominciò ad armeggiare sulla serratura, tenendo a mente le parole di Yusaku. Era la prima volta che ci provava e in molte occasioni fece cilecca: trovava il meccanismo di ritegno, ma poi il fil di ferro scivolava giù e il meccanismo scattava prima che riuscisse a fare qualcosa. Si asciugò il sudore dalla fronte, chiedendosi come poteva grondare a quel modo se era immobile lì davanti da mezz’ora e rincuorato dal fatto che non fosse per niente portato a fare lo scassinatore. Più di una volta aveva sentito passi sulle scale o l’ascensore che si muoveva e aveva dovuto lasciar perdere tutto e assumere un’aria innocente. Nell’ultimo caso era certo che se non fosse stato interrotto avrebbe potuto riuscirci e quel pensiero lo innervosiva, facendo sì che tutto diventasse ancora più difficoltoso e facendogli sfuggire lo scrocco altre quattro volte prima che potesse farlo scattare.

Papà non aveva detto che era così difficile un gioco da ragazzi eh? Ma per favore a sentir lui persino un imbecille ci riuscirebbe è proprio vero che gli scrittori riescono a farti credere qualunque cosa presentandotela in un certo modo...

L’ennesima volta riuscì a trattenere il meccanismo di ritegno e sentì che faceva resistenza. Pregò mentalmente che non fosse un altro buco nell’acqua e cercò di far scattare lo scrocco, stringendo i denti mentre una goccia di sudore gli colava dalla fronte. Esercitò una leggera pressione sul fil di ferro. Nella sua mente si figurò il bilanciere, la lingua metallica che pian piano si ritirava...ancora un pochino...e sentì che il filo si stava piegando. Strinse ancora più forte i denti e le sue preghiere mentali divennero disperate, continuò nonostante il cedimento della sua arma, spinse forte e...la porta si aprì con un cigolio. Conan sorrise trionfante e quasi cominciò a fare salti di gioia. Il volto era arrossato ma esultante, alzò i pugni al cielo: "Sì sì sì!! Beccati questa papà!" si trattenne dall’urlare e entrò giulivo nella casa del giornalista. Sentì subito una zaffata d’aria viziata e stantia, che lo fece smettere di sorridere all’istante; pensò con disgusto che forse nessuno aveva detto a Mori che la mattina si aprono le finestre per cambiare l’aria, e che non sapeva nemmeno cosa fosse l’ordine. L’ingresso si apriva su un salotto piccolo, con un tavolo al centro sopra il quale stavano un mucchio di scartoffie e di lattine di birra. Un televisore impolverato si trovava su un mobiletto davanti ad una poltrona di pelle nera. Chiuse la porta dietro di sé e avanzò con una mano premuta sul naso e sulla bocca: c’erano altre tre stanze, una cucina stretta, con un lavandino stracolmo di stoviglie da lavare e con roba da mangiare sparsa qua e là, tra cui una confezione di pesce surgelato che stava scongelandosi sul tavolo. Un bagno, in cui riconobbe disgustato un odore di vomito, con lo specchio pieno di impronte e macchie di dentifricio, mentre il lavandino qui era pieno di capelli neri. Una camera, con un letto disfatto, il cuscino pieno anch’esso di capelli e vari oggetti buttati alla rinfusa, tra cui i vestiti che indossava il giorno prima, quando Conan l’aveva incontrato allo stabile.

Se non altro vive da solo non avrei sopportato che un essere del genere avesse anche una famiglia eh sì sei solo come un cane e l’unica cosa che hai è il lavoro ci credo che ti sei impuntato così su di me e per di più hai problemi di stomaco e perdi i capelli vecchio mio...

Ridacchiò, guardandosi intorno indeciso su dove cominciare la sua indagine. Mori avrebbe potuto nascondere il nastro ovunque, e dovette ammettere che l’idea di frugare fra le sue cose non gli piaceva per niente, per quanto volesse essere professionale. Si prese il mento fra l’indice e il pollice e cominciò a riflettere, consapevole di essere completamente all’oscuro riguardo al tempo che aveva per agire: Mori sarebbe potuto rincasare in qualsiasi momento e, sebbene Heiji lo avrebbe avvertito in anticipo, si sarebbe sicuramente accorto che la serratura era stata forzata.

Vediamo un po’ se io fossi un giornalista fallito e avessi in mano lo scoop più grande della mia vita DOVE lo nasconderei? Sotto qualche asse smossa del pavimento?

Cominciò a dare colpetti leggeri con il tallone della gamba sana al parquet della camera da letto; il bagno e la cucina avevano piastrelle di ceramica e l’avrebbe notato subito anche solo a occhio se qualcuna fosse stata smossa. Continuò quello strano tip - tap per tutta la stanza, poi si inginocchiò e fece la stessa cosa con il pugno, infilandosi sotto il letto; ne riemerse spettinato e deluso, con gli occhi ridotti a fessura.

No certo che no tu non sei così banale hai inventato un modo MIGLIORE per salvaguardare i tuoi interessi...

Sospirò, la ricerca sarebbe andata per le lunghe, a quanto pareva. Lanciò qualche maledizione sia al giornalista che al suo collega, che si stava godendo tutta l’azione e aveva riservato a lui quel lavoro tedioso, invece. Si diresse verso il salone visibilmente irritato, passò accanto al televisore e vide che poggiava su un videoregistratore, con accanto varie cassette; lesse i titoli e non rimase per niente stupito dal genere dei film preferiti da Mori.

È dura non essere sposati eh vecchio mio? Anche i mostri bastardi hanno i propri bisogni da quel punto di vista...

Ridacchiò di nuovo, lanciò un occhiata alla poltrona di pelle e preferì non avvicinarvisi troppo; d’altronde il nastro non poteva certo essere nascosto lì e aveva paura di quello che poteva trovarci al suo posto. Si diresse invece verso il tavolo carico di scartoffie, guardando con rassegnazione la pila di fogli e pensando che se fosse stato sotterrato lì in mezzo non avrebbe avuto la minima speranza di trovarlo se non prima di molte ore, e dopo una ricerca minuziosa.

Un nascondiglio ideale certo ma tu non ci hai pensato vero? Uno che non trova un modo migliore che rapire una povera ragazza innocente per scrivere un articolo non è in grado di escogitare una cosa del genere...

Conan lisciò con l’indice la superficie di un foglio stropicciato; a parte tutto quello che poteva pensare personalmente su Mori, l’ipotesi di trovare il nastro là era del tutto errata: c’erano almeno due dita di polvere su quelle carte, segno che non erano state smosse di recente. Solo sul bordo vicino ad una sedia sembravano pulite, ma a controllare quel punto ci avrebbe messo cinque minuti. Rifletté tuttavia con orrore sull’ipotesi di poter trovare qualche ‘ospite’ indesiderato se avesse scavato troppo a fondo. Si diresse verso il bordo del tavolo, si mise in ginocchio sulla sedia in modo da essere alto quasi come un adulto seduto e il suo sguardo cadde sui fogli sottostanti, quando il suo cuore ebbe un tonfo; rimase a bocca aperta e quasi gemette, mentre le pupille si dilatarono per lo stupore. Sentiva il suo stesso battito cardiaco rimbombargli nella testa. Quello che aveva visto era

Non può essere...

Fuori, il clacson di un’automobile ruppe il fluire silenzioso dei suoi pensieri.

Note dell'autrice: uhm... questo è stato un capitolo ESTREMAMENTE difficile, sotto molti punti di vista; ho avuto un calo d'ispirazione precipitoso, e in effetti avrete notato che il ritmo è piuttosto lento... comunque, spero davvero che vi sia piaciuto, anche se, onestamente, non è un capitolo che metterei fra "i più riusciti" purtroppo -_-" *sigh* ; _ ; (della serie: critichiamoci da soli così possiamo dire a chi lo fa a sua volta: "Beh, io te l'avevo detto!") Comunque, inettitudine a parte...(w i paroloni) c'è una cosa che ci tengo a sottolineare: avete presente il punto in cui Yusaku spiega al figlio come scassinare una porta? Beh, io non sono una scassinatrice, e non avevo proprio idea di come si facesse. Ho pensato di chiederlo al papà di una mia amica che fa il carabiniere, ma avevo un po' paura della sua reazione, sinceramente.. .chissà poi che ti andava a pensare, quello lì...così ho cercato un libro che ne parlasse e ho trovato la descrizione completa in "Misery", di Stephen King. Chi lo ha letto, o lo leggerà in futuro, troverà sicuramente delle analogie, come ad esempio il paragone con la sedia a dondolo.

Chiarito questo punto, voglio ringraziare tutti quelli che hanno commentato il chap 8...mi ha fatto davvero piacere, anche perché è uno dei miei preferiti in assoluto fra quelli che ho scritto...*THANKS!!* :***

Allora, Mokichan, non vedi l'ora che Ran e Shinichi s'incontrino, eh? Beh, quel momento (se mai arriverà, non sottovalutare la mia perfidia! : pppp) dovrà aspettare ancora un po', è ancora mattina e, se ben ricordi, loro hanno appuntamento alle sei. Comunque, ripeto, non sono le capacità di scienziata di Ai a doverti preoccupare, quanto il fatto che, ancora una volta, la richiesta di Conan ha scatenato nel suo animo un conflitto d'interessi. Non dico altro, leggi fra le righe e trai le tue conclusioni. Grazie ancora per il commento! Sei stata dolcissima, spero di risentirti. ^^ Un bacione anche a te.

Elly-chan, addirittura tre recensioni in tutto! Non sai quanto mi hanno fatto piacere, sei un angelo! ^///^ La fiducia che riponi in me mi ha commossa...a meno che io non abbia frainteso...senti, ma quando hai detto 'non ho dubbi' intendevi sul fatto che non sarebbero stati all'altezza o il contrario?! O __ ò ...............beh, comunque, grazissime per tutto, è ufficiale, io ti adoro!! ( oggi Mel è in vena di fare la ruffiana...e considerando che parla di se stessa in terza persona, è probabile che al mare abbia preso un'insolazione...) Scherzi a parte, ti sono davvero riconoscente, mi aiuta molto sapere che ci sono lettrici come te! E scrittrici, ho saputo da Wil... a proposito, perché non metti le tue fic qui? Ti prometto che se le posti sarò la prima a commentarle!!(ti ho già scritto qualcosa di là, a dire il vero..) Se hai problemi a metterle, puoi contattarmi...anch'io non ci riuscivo all'inizio, infatti ho iniziato a scrivere questa storia in autunno e l'ho pubblicata solo sui primi di giugno, mi sembra...e io sono un'imbranata totale, - _ -" perciò, se ci sono riuscita io, CHIUNQUE può farcela! Capito!? Non farti problemi a chiedermi quello che vuoi (nei limiti del ragionevole, naturalmente ^^"). Ci sentiamo, un bacio.

Ti ringrazio del complimento, Mareviola, sei davvero gentile; sono contenta che la mia fic ti piaccia. Quest'altro capitolo come ti sembra? Carino? Passabile? Fammi sapere!

Infine, un grazie a Irma per le e-mail che mi manda. Lo apprezzo molto molto molto molto. Mi piace l'idea di poter contare sul tuo sostegno. Thank you girl!

Beh, direi che ho parlato fin troppo. Ancora un po' e le risposte ai commenti saranno più lunghe del capitolo. A presto con il cap.10!!

Bye

-Melany

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Capitolo 10
*** Clues, Deductions, Suspicions ***


10. Clues, Deductions, Suspicions 

 

Ran Mouri era seduta per terra, le piante dei piedi poggiate sul pavimento, il viso nascosto fra le braccia incrociate sulle ginocchia unite, la schiena contro la porta della camera chiusa a chiave. I lunghi capelli scuri le ricadevano disordinatamente sulle spalle simili ad una cascata di caffè, coprendo buona parte degli avambracci e del suo candido profilo. Singhiozzava sommessamente, il suo cuore era straziato da tormenti diversi, quasi in conflitto fra loro. Era arrabbiata, triste, in preda ai rimorsi ma anche una vittima, in effetti; tutte le cose che le stavano intorno e che le erano sembrate così belle al suo risveglio ora erano cupe e smorte. Ma perché proprio non riusciva ad essere felice? Perché doveva sempre piangere, soffrire, per quale motivo? Il suo petto venne scosso da un singhiozzo violento e improvviso, scosse lentamente la testa sentendo i battiti del suo cuore accelerare. Si sentiva davvero male, una brutta sensazione interna, come se il suo corpo non riuscisse più a tollerare la presenza del suo spirito...

Shinichi

Quel pensiero...l’immagine del suo amico d’infanzia si fece largo nella sua mente, vide il suo sguardo determinato, il sorriso che per anni l’aveva rincuorata, e per un attimo smise di singhiozzare, anche se le lacrime scendevano involontarie a rigarle le guance arrossate.

Shinichi...lui era sempre con me anche quando succedeva da piccola...

Sorrise nostalgica, asciugandosi le lacrime con le dita. Il suo sguardo si posò sulla grande finestra della sua stanza, dove un piccolo merlo saltellava allegramente sul suo davanzale: era davvero carino, con gli occhietti neri e vispi che si guardavano prudentemente intorno e quelle zampette gracili. Ran rimase a guardarlo per un po’, chinando il capo di lato e posando l’orecchio sulle braccia invece del suo viso, riprendendo pian piano il suo respiro regolare.

Si quand’ero piccola e papà e mamma litigavano urlavano si dicevano un sacco di cattiverie pensando che io non sentissi o non capissi ma io sentivo e capivo e soffrivo e non gli ho mai detto niente tutte quelle sere passate cercando di addormentarmi con la testa sotto il cuscino per non sentirli mentre si insultavano e le lacrime e fingere davanti a loro e fingere davanti ai compagni di classe dicendo a tutti quanto i miei genitori si volessero bene non sopportando che non fosse la verità perché a sei anni non puoi pensare che non tutte le coppie vadano d’accordo perché a sei anni una delle poche cose che hai imparato e in cui credi è che una volta sposati si vive felici e contenti per sempre a sei anni hai il diritto di credere in questo e non è giusto tornare a casa e vedere che per l’ennesima volta i tuoi genitori evitano di guardarsi negli occhi e dormono in camere separate...

I suoi occhi blu cielo cominciarono di nuovo a luccicare. I suoi genitori si erano separati quando era piccola, e ricordava ancora tutto quello che aveva provato, quanto ci era stata male...e anche chi l’aveva aiutata.

Shinichi...non avevo detto niente a nessuno mi ero sempre tenuta tutto dentro perché mi vergognavo troppo e non volevo ammetterlo eppure lui è riuscito a capirmi come sempre ha capito tutto e quel giorno a scuola senza che gli dicessi niente mi è venuto vicino e mi ha sorriso...

Sì, aveva sfoggiato un sorriso ingenuo, da bambino, che però già infondeva sicurezza e serenità. Il piccolo Shinichi aveva estratto dalla tasca dei calzoncini un pupazzetto a forma di orso e aveva detto con voce squillante: "Ecco, Ran, adesso non hai niente di cui preoccuparti. Qualsiasi cosa succeda, lui sarà sempre con te, e io anche. Così saremo in tre. Se stiamo insieme, nessuno di noi resterà mai solo, ma avrà l’altro. Ogni volta che ti senti abbandonata stai con me, e se io non ci sono stai con Teddy.  Nessuno di noi due ti lascerà mai, perciò smettila di essere triste!" Le aveva infilato l’orsetto fra le mani guardandola negli occhi, finché lei non aveva ricambiato il sorriso annuendo con decisione. E adesso, la stessa Ran, ma di undici anni più grande, sorrise di rimando a quel ricordo. Come sempre era stato lui a rincuorarla, a capire ciò che provava senza che ci fosse bisogno che lei glielo rivelasse. Shinichi aveva mantenuto la parola e gli era stato vicino, tenendole la mano mentre Eri confidava abbattuta a Yukiko di voler mollare ogni cosa una volta per tutte, consolandola la sera dopo che suo padre le aveva comunicato la brutta notizia. Di nuovo si ritrovò a pensare a quanto fosse stata sciocca a voler buttare all’aria tutto senza nemmeno dargli un’altra occasione, anche considerando che lui aveva fatto tantissime cose per lei, ma al contrario lei non aveva fatto quasi nulla per lui. Conosceva il carattere del suo amico d’infanzia, sapeva che se anche avesse avuto un problema grandissimo, qualcosa che lo faceva veramente soffrire, non gliel’avrebbe mai confidato, per non farla star male per lui. Infatti in tantissimi anni che erano amici non ricordava di averlo mai visto piangere, o anche solo triste. Le venivano in mente mille situazioni in cui Shinichi l’aveva consolata, ma neppure una in cui i ruoli fossero stati all’inverso...

E se anche stavolta fosse così? Se Shinichi non è lontano per risolvere un caso complicato ma perché è in qualche brutto guaio? Qualcosa di cui non mi vuole parlare ma che lo fa stare male?

La sua fronte si corrugò: non era un’ipotesi così assurda. Dando sempre la caccia ai criminali, era logico che prima o poi si imbattesse in qualcosa più grande di lui. Cominciò a riflettere preoccupata, gli occhi bassi fissi sul pavimento: tutto era cominciato quel pomeriggio al Tropical Land...erano andati su qualche attrazione, poi c’era stato quell’omicidio sull’otto volante e lui l’aveva risolto brillantemente. Era davvero improbabile che fosse quella la causa dei suoi guai, la colpevole era una ragazzina col cuore infranto, non costituiva alcun pericolo, e poi era ancora in prigione. Dopo la soluzione del caso stavano tornando a casa, ma lui si era allontanato...tutto qui. O forse no...c’era qualcos’altro, qualcosa che non riusciva a focalizzare, qualcosa che aveva attirato l’attenzione di Shinichi...qualcosa...o qualcuno....

Ma certo! Due uomini! Uno basso e tarchiato e l’altro alto, con lunghi capelli biondi...erano entrambi vestiti di nero...

Sobbalzò: ricordò gli occhi spietati del più alto, uno sguardo di ghiaccio e carico d’odio verso il mondo: lo sguardo di chi è abituato a uccidere. Improvvisamente ebbe paura, tanto che gli venne la pelle d’oca mentre un brivido gelido le percorreva la schiena e si esauriva in un sussulto. Di nuovo aveva l’impressione che il suo cuore insistesse per saltar fuori dal petto. E se Shinichi si fosse messo nei guai con quelli? Se avesse ficcato il naso nei loro affari e ora fosse costretto a nascondersi da loro per non essere ucciso?

Nascondersi?

Scosse la testa. Era improbabile che si stesse nascondendo, visto che solo pochi mesi prima era apparso tronfio davanti ad una folla numerosa di studenti e adulti, alla sua recita. Dubitava che potesse essere così stupido da farsi vedere da tutta quella gente con uomini del genere alle calcagna...sarebbe stato imprudente, illogico, qualcosa che la mente razionale e calcolatrice di Shinichi Kudo non avrebbe mai potuto concepire. Sicuramente stava divagando, rise di se stessa immaginandosi la faccia che avrebbe fatto il suo amico d’infanzia se gli avesse raccontato i suoi sospetti. Probabilmente l’avrebbe derisa dicendo che come detective non valeva un fico secco... anche se, a dire il vero, tutta quella faccenda le lasciava addosso una strana sensazione: Shinichi non si faceva vedere da mesi. Poi era ricomparso tutt’a un tratto, giusto in tempo per disilluderla dalla convinzione che lui e Conan fossero la stessa persona. Infine era sparito di nuovo, all’improvviso com’era arrivato.

E Conan kun...

Sì, Conan...ecco un altro punto in questione. La somiglianza fra lui e Shinichi era...terrificante. Ogni volta che ci pensava quasi rabbrividiva. Conan era un bambino normale, per certi versi: andava alle elementari, aveva il suo gruppo di amichetti con cui usciva nei week-end per andare al parco giochi, durante i pasti si sbrodolava puntualmente e lei era costretta a togliergli i chicchi di riso bianco dalla faccia...un normale, regolare, stereotipato bambino di sette anni. Nulla da eccepire.

A parte forse quel suo interesse quasi maniacale per il lavoro di suo padre: per quanto Kogoro lo sgridasse o picchiasse Conan continuava imperterrito a mettere il naso nei casi che gli si presentavano. E questo poteva essere contestabile ad un vero bambino delle elementari...tuttavia, sembrava che attualmente il giallo fosse di moda fra i ragazzini: Conan e i suoi amici avevano formato un gruppo di giovani detective, tutti insieme, ed era improbabile che Ayumi, Genta e Mitsuhiko fossero altri tre adulti rimpiccioliti.

Rimpiccioliti...è a questo che mi sono ridotta? A pensare che qualcuno possa regredire invece di crescere? Sono diventata matta?

Eppure...quando qualche volta aveva lanciato a Conan un’occhiata in tralice senza che lui se ne accorgesse, aveva colto un’espressione che mai avrebbe potuto vedere sul viso di Ayumi o di qualsiasi altro bambino, giovane detective o no. Era...seria, fin troppo, corrucciata ma allo stesso tempo fredda e indifferente, come se fosse concentrato su qualcosa di davvero importante, profondo, vitale...e allora in quei momenti la figura che si trovava davanti non era più quella del piccolo Conan kun con i chicchi di riso sul mento...era una figura altera e imperscrutabile, avvolta da un alone di mistero...una figura capace di metterla a disagio. Tutte le volte che succedeva lei restava lì a fissarlo incredula, finché il bambino accorgendosene si voltava verso di lei, sfoggiando un sorriso sereno e innocente, liberando gli occhi da quell’ombra scura e chiamandola con l’appellativo dolce e affettuoso di *Ran neechan* con la sua vocetta acuta e calda, donandole tepore e calma, facendole dimenticare tutti i suoi pensieri e costringendola a ricambiare il sorriso con tenerezza. Conan tornava ad essere Conan kun e la questione era chiusa. Chi mai avrebbe potuto sospettare oltre di quel tesorino? D’altra parte...

Conan allo stabile mi ha mentito di questo sono sicura non so perché ma è così e adesso è sparito e non ho più potuto chiederglielo però l’ha fatto e stavolta non posso davvero tapparmi gli occhi devo andare a fondo della questione una volta per tutte

Il merlo volò via dal davanzale della finestra con un fragoroso sbatter d’ali e qualche penna in meno. Ran lo guardò allontanarsi finché non divenne una sagoma nera inghiottita dal celeste dell’orizzonte, sbadigliando. Dopo tutto quel pensare, erano solo due i punti che aveva ben chiari in testa: uno, Conan stava nascondendo qualcosa.  Due, Shinichi si stava nascondendo da qualcuno.      

Forse di quest’ultimo punto non era molto sicura, sperava di essersi sbagliata, ma aveva provato una brutta sensazione a quel pensiero, davvero brutta. E lo stesso Shinichi non sosteneva forse che il ragionamento era importante, ma a volte bisognava dare retta anche all’istinto? Comunque, con quest’ultimo avrebbe parlato quella sera. Con Conan, avrebbe dovuto parlare prima, magari sarebbe stato meglio che dopo facesse una capatina a casa del dottor Agasa.

Stava ancora riflettendo su questo quando udì una bussata indecisa e timida alla porta. I suoi pensieri si erano spostati tanto su Shinichi che quasi si era dimenticata della difficile situazione che si era creata attorno a lei. "Chi è?" Chiese rivolgendosi alle sue spalle.

"S...Sono io, Ran chan...posso entrare? Ho bisogno...di dirti...una cosa..." Ran riconobbe nella voce esitante dietro la porta lo strano accento del Kansai. Le tornò in un solo istante la rabbia verso Kazuha, anche se sembrava leggermente più affievolita, una cosa ormai appartenente al passato... "Che devi dirmi?" sbottò, sentendosi subito in colpa per essere stata tanto brusca. Ci fu un attimo di silenzio e seppure attraverso la porta, Ran percepì il disagio della ragazza: "Ehm...ecco...io...volevo chiederti scusa." Un sospiro attutito da legno "Ho...combinato un casino." Ran si alzò lentamente, le ossa delle gambe che scricchiolarono con i muscoli indolenziti; Kazuha si era resa conto di quello che aveva fatto ed era venuta a scusarsi...sembrò quasi che il suo cuore si stesse svuotando della collera che fino ad ora l’aveva riempito, tornando ad essere leggero. Non aveva senso continuare a tenerle il broncio, in fondo era una delle sue migliori amiche, era stata lei a convincerla a non  buttare tutto all’aria con Shinichi, le doveva qualcosa di davvero grande. Ran aprì la bocca per dirle che andava tutto bene, che non faceva niente e che ora avrebbe aperto la porta, ma Kazuha la precedette: "Scusami, scusami tanto, Ran chan...è che quella storia con Heiji...so che a te non interessa, che ti piace Kudo, ma io non ho saputo resistere. Mi dispiace, mi sono lasciata prendere dalla gelosia senza motivo, ti ho messo nei guai con tuo padre...non volevo, ma ero arrabbiata e..."  La porta della camera si aprì con un lamentoso cigolio; Ran guardò negli occhi verdi la ragazza del Kansai, sorridendo: "È tutto a posto, Kazuha chan" disse dolcemente: "Non fa niente, so che non volevi...e forse anch’io avrei reagito in quel modo se tu avessi passato del tempo sola con Shinichi."

"Ma...ma io...tuo padre..." balbettò incerta Kazuha, il cuore colmo di sensi di colpa: non avrebbe mai immaginato che Kogoro Mouri potesse reagire in quel modo brusco, le sembrava un uomo così mite, indifferente a certe cose...e non l’aveva mai sentito dare ordini alla figlia. Prima era infuriata con Ran, certo, ma sentendo la reazione del padre si era subito sentita male per quello che aveva causato, e per tutto quel tempo non aveva fatto altro che provare a mente le scuse da presentarle, stando immobile davanti alla porta per almeno dieci minuti prima di decidersi a bussare. Adesso, continuava a fissare a disagio le ginocchia di Ran evitando accuratamente il suo sguardo. Quest’ultima le posò delicatamente una mano sulla spalla: "Oh, non preoccuparti per papà; l’avrebbe scoperto comunque, in un modo o nell’altro, e..." Kazuha alzò la testa: "Se vuoi ci parlo io! So essere molto convincente, non sai quante volte sono riuscita a farmi dare il permesso da mio padre anche se lui all’inizio era contrario!" Ran scosse la testa, sempre sorridendo rassicurante: "Ci penso io, Kazuha chan. Solo, vorrei parlargli da sola...potresti..?" Senza che ci fosse bisogno che terminasse la frase, la ragazza del Kansai annuì e si diresse verso l’ingresso: "Vorrà dire che andrò a vedere qualche negozio qui intorno, magari, se sono fortunata, incrocio Heiji che torna a casa!" La salutò con un cenno della mano; Ran stette ad aspettare finché non sentì la porta d’ingresso chiudersi, poi si posò una mano sul petto e cominciò a fare dei lunghi e profondi respiri. Ora veniva la parte più difficile, perché era lei che doveva fare le sue scuse a qualcun altro; suo padre le aveva proibito di uscire con Shinichi, e questo continuava a sembrarle ingiusto, tuttavia niente poteva giustificare le cattiverie che gli aveva riversato contro. In fondo capiva che l’aveva fatto con buone intenzioni, perché era protettivo nei suoi confronti, e non per uno schiribizzo del momento. Non poteva più permettersi di odiare un genitore perché le proibiva qualcosa, non era più una bambina!

Una bambina...La mia bambina....

Sussultò, quelle ultime parole erano apparse nella sua mente senza che potesse fermarle, ripetute con una voce maschile, che non le apparteneva. Quello che era successo undici anni prima, la separazione dei suoi genitori...non era stato solo Shinichi a darle conforto, ma anche...

Anche papà sì mi ricordo era venuto a prendermi a scuola ed era così triste però mi ha sorriso e mi ha portato a prendere il gelato e poi dopo mi ha abbracciato e mi ha detto che mi voleva bene e che sarebbe stato sempre così e che non gli importava se avessi scelto di stare con la mamma perché lui sarebbe sempre stato il mio papà e per me e la mia felicità avrebbe fatto qualsiasi cosa che ero la sua bambina e qualsiasi cosa accadesse si sarebbe preso cura di me per sempre...

Sentì che gli occhi le si riempivano di lacrime...come aveva potuto essere così fredda e spietata nei confronti di suo padre? Sì, aveva dei difetti, forse non avrebbe mai vinto il premio per il genitore più responsabile del mondo, aveva i suoi vizi e tutto il resto...ma nonostante tutto le voleva davvero bene, e lei l’aveva ferito solo perché per una volta nella sua vita si era permesso di darle un ordine. Cominciò a correre verso lo studio, dove trovò Kogoro appollaiato sulla sedia, in mano il quotidiano della sera prima (probabilmente lo stesso che aveva comprato Heiji) e un’espressione abbattuta sulla faccia. Si fermò a pochi centimetri da lui e rimase a guardarlo, schiudendo le labbra per parlare ma non riuscendo a proferire nessuna parola, a disagio come non lo era mai stata in vita sua davanti a suo padre. Lui alzò lo sguardo, si accorse di lei e tentò di mascherare il suo stato d’animo sussurrando in modo distaccato: "Cosa vuoi?" con il tono più freddo che gli riusciva. Ran continuò a boccheggiare senza riuscire a rispondere, adesso che la stava guardando le sembrava ancora più complicato parlare, intanto le lacrime che erano affiorate sotto i suoi occhi cominciavano ad appannarle la vista. "Papà io volevo..." una lacrima le rigò il viso, suo padre la guardò per un attimo, l’espressione severa vacillò di nuovo ma stavolta nascose il volto dietro il quotidiano ed evitò che Ran se ne accorgesse. "Io..."

"È inutile che vieni qui a piangere...non esci." La interruppe, la sua voce fredda tradiva incertezza e malinconia. Ran alzò gli occhi luccicanti di lacrime: "Papà, vuoi un po’ di gelato?" Kogoro riemerse da dietro il giornale con un’espressione incredula, dimenticandosi di sembrare severo: "Come hai detto?" Guardava fisso negli occhi la figlia, e anche se ancora piangeva silenziosamente, lei riuscì a fargli un sorriso, dolce e carico di tepore come una giornata di mezza estate: "È stato così l’ultima volta che tu mi hai dovuto dire una cosa difficile. Adesso che tocca a me, volevo fare lo stesso..." Kogoro restò a guardarla per un po’, in silenzio, poi si nascose di nuovo dietro il giornale. Ran non avrebbe potuto giurarlo, ma le sembrava di aver visto gli occhi del padre luccicare allo stesso modo dei suoi. Poi lui parlò, e la sua falsa freddezza divenne evidente per chiunque: "Un gelato. No, non va bene. Io sono un ubriacone, l’hai detto tu...un bicchiere di Whisky, forse..." era risentito, e ferito. Ran percepì chiaramente questi due sentimenti e di nuovo si sentì in colpa. "Papà, io...non volevo dire quelle cose, giuro, ero arrabbiata..."

 "Ma è la verità, no? Perché ti scusi allora? Finalmente hai trovato il coraggio per dirmi quel che pensi veramente di me, e ti scusi?" stavolta Ran scoppiò in singhiozzi, si coprì il viso con le mani: "No, non dire così...non è così..." cercò di dire, ma fra le lacrime uscirono solo balbettii confusi, Kogoro riprese: "Se la pensi così, Ran, forse è meglio che vai a vivere da tua madre...so che non avrebbe nulla in contrario, e a questo punto, neanch’io." Concluse, posò il giornale, si alzò e superò la figlia singhiozzante senza una parola. I suoi occhi guizzarono per un attimo verso di lei, solo un momento fugace, ma per il resto evitò di guardarla. Si infilò la giacca e si avviò verso l’uscita, ma ad un tratto sentì che qualcuno gli si aggrappava alla schiena, piangente. Ran posò il viso fra le scapole del padre, continuando a singhiozzare disperata, lui rimase immobile, le braccia lungo i fianchi, la testa china. "No papà! Non dire così ti prego...io voglio bene alla mamma, ma voglio vivere con te! Perché non importa se hai dei difetti, o come passi le tue giornate, nei momenti più brutti riesci ad essere un padre formidabile, il migliore!" Kogoro si voltò verso di lei, Ran lo guardò con gli occhi lucidi di lacrime e continuò: "Quel giorno, avrebbe potuto crollarmi il mondo addosso da un momento all’altro, ma tu sei riuscito a farmi sentire meglio, a dirmi l’inevitabile senza ferirmi. E in fondo conta quello che sei e non quello che fai, sei d’accordo?" Di nuovo riuscì a sorridergli, l’espressione severa si sciolse definitivamente e anche gli occhi di suo padre ora luccicavano: "Figliuola..." disse in un sussurro e l’abbracciò stretta, Ran smise di piangere pian piano lasciandosi confortare dal tepore del suo abbraccio, che le dava un senso di protezione e sicurezza. Rimasero stretti per un po’, lei con gli occhi chiusi e lui che le accarezzava dolcemente la testa in modo paterno, proprio come in quel tiepido pomeriggio d’Aprile di undici anni prima.

 

 

Conan Edogawa si voltò di scatto verso la finestra, allarmato dallo strepitare improvviso di un clacson;  restò immobile per qualche minuto, il piccolo torace che si alzava e si abbassava velocemente, ascoltando i rumori del traffico e fissando il vuoto davanti a sé, riflettendo su quello che aveva appena trovato e soprattutto su cosa poteva significare. Riabbassò lo sguardo, infastidito da uno squarcio luminoso che adesso vedeva dovunque guardasse, a causa del contrasto fra la luce della finestra e la semi oscurità della stanza: quello che aveva attirato la sua attenzione era una cartelletta di cartone, di un giallo sporco, da cui fuoriuscivano fogli scritti fittamente, ritagli di giornale e fotografie. Sul davanti della cartella Mori aveva attaccato una targhetta con su scritto, in inchiostro nero, il suo vero nome: Kudo Shinichi. Probabilmente si trattava di tutte le informazioni che aveva raccolto su di lui e, data la consistenza, doveva essere da molto tempo che era sulle sue tracce. Aprì la cartelletta, il primo documento che trovò era un ritaglio di giornale, una prima pagina su cui spiccava una sua fotografia, in cui sorrideva orgoglioso e un po’ ammiccante; riguardava un caso di cui si ricordava molto bene, l’omicidio che aveva risolto al Tropical Land, l’ultima vittoria prima della catastrofe. Sentì una dolorosa stretta al cuore e una strana sensazione alla bocca dello stomaco, ricordando quel giorno, l’appuntamento con Ran, la serenità e il benessere che aveva provato ignaro che di lì a poco la sua vita sarebbe stata segnata per sempre. Scosse la testa: l’ultima cosa da fare adesso era crogiolarsi nel rimpianto. Sopra la sua foto in bianco e nero lesse il titolo a caratteri cubitali: "Lo studente detective colpisce ancora. Un altro criminale arrestato grazie al geniale Kudo Shinichi."   L’articolo conteneva un riassunto abbastanza dettagliato del caso e della sua risoluzione, con numerosi riferimenti alla giovane età del detective e un commento dell’autore, secondo cui si trovava al Luna Park con quella che era certamente una delle sue ammiratrici. Conan ridacchiò, pensando divertito a quello che avrebbe fatto Ran se avesse letto quell’articolo: probabilmente avrebbe rintracciato il giornalista in questione e gliel’avrebbe fatto ingoiare. Voltò pagina con ancora stampato un sorrisetto: stavolta era il ritaglio di una rivista femminile, di quelle che si trovano nelle sale d’aspetto dei parrucchieri; invece della foto c’era la sagoma nera del suo profilo, una cosa alla Hitchcock, con un punto interrogativo gigantesco. Il titolo: "Missing! Kudo Shinichi scomparso. Centinaia di studentesse in crisi." L’articolo aveva decisamente un tono melodrammatico, l’autrice pensava con sconforto alle ragazze insoddisfatte della sua sostituzione con Kogoro Mouri, di altrettanta intelligenza ma non bellezza, (Conan rise di nuovo, stavolta abbastanza sguaiatamente, lanciando uno sguardo orgoglioso alla foto della pagina precedente) e incitava lo studente detective a farsi vivo, per non far soffrire ulteriormente le sue fan. Conan si asciugò una lacrima con il dito indice, tutto rosso in faccia e guardò la pagina accanto: era sempre un articolo sulla sua scomparsa, tuttavia con tinte piuttosto forti: il giornalista, che scoprì essere lo stesso Mori, ipotizzava la sua implicazione in un caso pericoloso e numerose volte comunicava la sua convinzione che fosse rimasto ucciso. Pronosticava addirittura che di lì a poco si sarebbe trovato il suo cadavere nascosto da qualche parte, probabilmente sepolto per nascondere le tracce. Il sorriso di Conan scomparve lasciando spazio ad un’espressione irritata quando lesse le ultime righe, in cui Mori affermava che c’era da aspettarselo, in fondo Kudo non era altro che un ragazzino inesperto che credeva di essere un detective, un bamboccio viziato che a forza di ficcare il naso nelle faccende della polizia era incappato in qualcosa più grande di lui. Con una smorfia di disappunto e uno sbuffo Conan voltò pagina e trovò l’ennesimo articolo di giornale, sempre scritto da Mori, ma che stranamente non riguardava né lui né la sua scomparsa: conteneva una sintesi di un caso di omicidio avvenuto in una baita di montagna, la vittima era un maestro di musica ucciso da una collega. Conan sapeva di che si trattava: quella volta, impossibilitato ad usare Kogoro o Sonoko per risolvere il caso, aveva chiamato Ran con il cellulare a forma di orecchino e l’aveva convinta a spiegare come si erano svolti i fatti mentre glieli suggeriva. Infatti il titolo era: "Studentessa risolve un caso di omicidio. La figlia del famoso detective Kogoro Mouri sembra essere all’altezza del padre. Fortunatamente per lui Mori non aveva detto nulla di offensivo nei confronti di Ran nell’articolo, tuttavia, scritto a penna in fondo, Conan trovò quest’appunto: Chiamato Kudo per avere suggerimenti, può essere? 

Il piccolo detective aggrottò la fronte e assunse un’aria meditabonda: ma se Mori credeva che fosse morto, perché adesso ipotizzava che avesse parlato con Ran? Cosa poteva avergli fatto cambiare idea? Ripensò intensamente a quello che era accaduto alla baita...ammesso che non sbagliasse, ad un tratto il discorso era caduto su di lui...sì, non si sbagliava, Ran l’aveva nominato alla professoressa Yonehara, Mori era comparso all’improvviso sostenendo la sua ipotesi che fosse morto, ma poi

Ran l’ha contraddetto gli ha urlato che sono vivo io ho cercato di zittirla ma non ho fatto in tempo di certo Mori ha recepito il messaggio e ha pensato che lei ne potesse sapere più di lui dato che è una mia amica ma non essendo sicuro nell’articolo non ha scritto nulla tuttavia se ho capito il tipo deve aver cominciato a seguire Ran

Capì subito che la sua deduzione era esatta infatti, alla pagina dopo, invece del solito ritaglio trovò una fotografia che lo fece sussultare: ritraeva  lui, Ran e Kogoro, in un pomeriggio di poco tempo prima; Kogoro camminava un po’ curvo, le mani in tasca e lo sguardo annoiato, con una sigaretta in bocca, accesa da poco; Ran era sorridente e bellissima come al solito, i lunghi capelli scompigliati da vento, con una mano reggeva tre buste con su scritti i nomi di un negozio d’abbigliamento, con l’altra stringeva delicatamente la mano del bambino che le stava accanto, che sfoggiava lo stesso sguardo annoiato di Kogoro. Sorrise con rassegnazione, ricordava bene quel giorno: Ran li aveva costretti a svegliarsi prestissimo per accompagnarla ad una svendita di vestiti; naturalmente loro avevano cercato in tutti i modo di sottrarvisi ma, quando Ran Mouri si mette in testa che devi fare qualcosa per lei, stai pur certo che troverà il modo di costringerti ad accontentarla, con le buone o con le cattive. Ricordava vagamente la sua mano stretta a pugno che colpiva il muro lasciando delle crepe nell’intonaco...

Notò che Mori aveva cerchiato di rosso il viso di Ran...

Certo oh come ti ho capito hai iniziato a sorvegliare Ran perché credevi che in qualche modo ti avrebbe condotto a me d’altronde è la figlia di Kogoro male che vada avresti avuto parecchi spunti per un articolo su di lui e così facendo sei arrivato ad uno scoop che mai avresti immaginato perché lei ti ha condotto subito a me anche se tu non te n’eri accorto e così mi hai mentito allo stabile mi hai nascosto il fatto di esserti messo sulle tracce di Ran beh ti è convenuto visto che adesso che lo so mi viene ancora di più la voglia di spaccarti quel brutto muso

Voltò pagina in un modo così brusco che il foglio quasi si strappò :c’era un’altra fotografia, che probabilmente il giornalista aveva trafugato dall’archivio del liceo superiore Teitan, che ritraeva la sua classe del primo anno. In mezzo alla marea di ragazzi e ragazze vestiti di azzurro sparpagliati sul prato due, uno accanto all’altra, spiccavano particolarmente, cerchiati di rosso: una era sempre Ran, lo sguardo limpido e un sorriso radioso che avrebbe fatto innamorare chiunque, la gonna a pieghe che le sfiorava le cosce come una lieve carezza; l’altro era lui stesso, nella sua forma adulta, che sorrideva beato alla macchina fotografica senza atteggiarsi in alcun modo, un normale, anonimo adolescente di sedici anni. Conan rimase per un po’ a fissare la fotografia, facendo scorrere un dito sul profilo di Ran: Mori aveva notato il grande legame che c’era fra loro due, aveva sfruttato la sua ingenuità, l’affetto che lei provava nei suoi confronti, e l’aveva fatto cinicamente e spietatamente, senza il minimo rimpianto, con un ghigno soddisfatto stampato sulla faccia. Mori aveva visto il suo viso sconvolto dalla paura, i suoi occhi pieni di lacrime, eppure non aveva avuto un attimo di esitazione, nemmeno il suo tremito disperato aveva scalfito la dura corteccia del suo cuore. L’aveva legata a quella trave, consapevole di quanto fosse pericoloso, noncurante del fatto che sarebbe anche potuta morire, e aveva solo diciassette anni. L’aveva fatto, e probabilmente ancora adesso si crogiolava nel ricordo della sua astuzia, del modo in cui era riuscito a sfruttare i sentimenti di una ragazza solo per scrivere qualcosa di interessante su un pezzo di carta. Probabilmente ancora adesso sorrideva soddisfatto mostrando i denti simili a lapidi ingiallite...un ghigno di semplice perfidia. Conan aggrottò la fronte, lo sguardo fisso su un punto imprecisato del tavolo davanti a lui. Sapeva che uno dei requisiti essenziali per essere un bravo detective era riuscire ad immedesimarsi nei criminali a cui si dava la caccia, essere in grado di penetrare la loro mente in modo da riuscire quasi a prevedere le loro mosse. Dovette ammettere che su questo frangente aveva ancora molto da imparare, infatti, per quanto si sforzasse, non riusciva a capire cosa avesse spinto Mori a diventare una persona così orribile. Conan non aveva mai creduto che esistessero persone assolutamente buone e persone assolutamente  cattive per definizione. Il mondo non era una fiaba o un racconto scadente, non era bianco e nero. Una persona non nasceva assassino, o ladro, o terrorista, ci diventava.

Ma perché? Come può un uomo farsi scudo con il corpo di una bambina pur di non essere preso dalla polizia? Come può una persona entrare in metropolitana deciso a far fuori un mucchio di gente con una bomba? Perché perché perché?

Gli psichiatri più geniali di questo mondo potevano anche scrivere fiumi d’inchiostro, cercando di spiegare i motivi di certe azioni: forse la persona in questione aveva subito maltrattamenti e molestie da piccolo, forse viveva una difficile situazione e non aveva trovato altro sfogo se non togliere la vita a qualcuno e rovinarla a quelli che vogliono bene a quel qualcuno. Sì perché c’è anche da contare l’effetto eco di certe azioni. Gli psichiatri possono anche parlare e parlare...ma la verità è che nessuno ne sa nulla. Nessuno, forse nemmeno coloro che queste azioni le compiono. Momentanea infermità mentale? Conan scosse la testa chiudendo gli occhi: personalmente non aveva mai creduto a questa storia. Forse meno della metà delle persone che la invocavano nei tribunali ci è davvero passata, gli altri lo fanno per evitare pene troppo grandi. Si uccide consapevolmente nella maggior parte dei casi ed è questa la cosa terribile. Forse essi stessi un giorno della loro vita se ne renderanno conto. E allora cercheranno di convincersi che la bugia sulla momentanea infermità mentale sia la verità, cercheranno di discolparsi nascondendosi dietro questa scusa...cercheranno, e forse qualcuno di loro ci riuscirà. Gli altri probabilmente moriranno. Non nello stesso modo delle loro vittime, ma succederà. Saranno morti dentro.

Conan voltò pagina con un sapore amaro in bocca, sempre una foto di gruppo, ma stavolta risalente alle elementari. Lui se ne stava tutto sorridente in mezzo ad un gruppo di bambinetti altrettanto sorridenti, mentre Ran era più lontana, seduta sull’erba, e Conan notò con lieve sorpresa che portava i capelli corti. Se l’era quasi dimenticato, abituato a vedere la lunga cascata di capelli scuri che le incorniciavano il volto. In fondo era comprensibile, aveva cominciato a farseli crescere dall’ultimo anno delle elementari e non li aveva più tagliati, a quanto ne sapeva. Trovò che era molto carina già a sei anni, e che chiunque l’avesse guardata bene avrebbe capito subito che crescendo sarebbe diventata una bellissima ragazza. Sorrise, poi fece scorrere lo sguardo sui suoi ex compagni di classe: ricordava i nomi di tutti, ad eccezione di una bambina con lunghe treccine nere sulla destra. A quanto ricordava, aveva cambiato scuola dopo il primo anno. Doveva essere qualcosa tipo Akie, o Akiko... Scosse di nuovo la testa, scacciando quei pensieri e rimproverandosi mentalmente per essersi distratto. Stavolta solo intorno alla sua testa Mori aveva tracciato un circolo, tirando poi una freccia che aveva dipinto di rosso la faccia e una parte del corpo di due suoi ex amici. Sotto, dove avrebbe dovuto esserci il prato verde, il giornalista aveva incollato il ritaglio di una foto del suo aspetto attuale, e probabilmente a quel punto aveva fatto due più due. Il collegamento non era difficile: Shinichi Kudo scompare, Kogoro Mouri diventa un geniale investigatore, mentre a casa sua si aggira un bambino assolutamente identico a Kudo quando aveva la stessa età. Se si aggiunge il legame fra lo studente detective e la figlia di Mouri, e i suggerimenti del piccolo Conan sul luogo del delitto...l’addizione è semplice anche per un ebete. Probabilmente all’inizio Mori aveva avuto delle esitazioni, magari aveva cominciato a chiedere in giro, ad ospedali, cliniche, uffici dell’anagrafe se avevano mai sentito parlare di un bambino di nome Conan Edogawa e non avendo risultati positivi aveva dovuto ammettere alla fine che la questione era una sola: Shinichi Kudo aveva sfidato ogni legge della natura ed era regredito invece di crescere. Conan chiuse con un tonfo la cartelletta e scese dalla sedia, mentre sulle ginocchia si erano formati degli strani cerchi rossi. Sbuffò scocciato pensando che non aveva ancora trovato il nastro e che probabilmente avrebbe dovuto cercare e cercare fino alla nausea, di nuovo ebbe un moto di avversione verso Hattori che si stava godendo la parte migliore. Poteva evitare la fatica e concludere che se l’era portata con sé, ma non aveva cercato proprio dappertutto e quindi non ne poteva avere la certezza matematica. Socchiuse gli occhi e sbuffò di nuovo, come se continuare a farlo potesse in qualche modo facilitargli il compito. Fece per dirigersi in camera da letto per rovistare nei cassetti e al pensiero di dover mettere le mani fra la sua biancheria represse un conato di vomito, poi ad un tratto uno strano oggetto attirò la sua attenzione; si avvicinò con passo strascicato e lo prese in mano: era una scatola di fiammiferi piuttosto grande, nera lucida, di un locale non lontano da lì. Sopra c’era la pubblicità del bar e l’indirizzo con numero di telefono. Il tavolo su cui l’aveva trovata non era lontano dall’ingresso, quindi ipotizzò che Mori l’avesse buttata lì con noncuranza appena rientrato. Era un locale notturno, quindi probabilmente ce l’aveva lasciata una sera.

E proprio ieri sera sei rientrato tardi e ho notato che avevi un’andatura piuttosto barcollante quindi è successo ieri sera vero?

Sì, la sua ipotesi venne confermata quando aprì la scatola: i fiammiferi erano tutti lì, e dato che Mori era un fumatore accanito, era difficile credere che se fosse rimasta lì per giorni e giorni non fosse capitata un’occasione in cui, non trovando l’accendino o vedendo che era scarico, il giornalista ne avesse usato uno per accendersi una sigaretta. Sulla scatola Conan vide un indirizzo, scritto con un rossetto di un vermiglio piuttosto evidente, di un posto che conosceva molto bene. Sicuramente Mori era uscito per dirigersi lì, probabilmente per incontrarsi con la donna che aveva usato quel rossetto per scrivere l’indirizzo. Conan non sapeva perché, ma guardando quelle parole scritte con un’elegante calligrafia un brivido gelido gli percorreva la schiena. Chiuse la scatola e se la infilò in tasca. Adesso era sicuro al 90% che Mori avesse portato via il nastro; ipotizzò che quella donna fosse la redattrice di un qualche importante giornale e gli avesse chiesto di sentire la cassetta prima di pubblicare l’articolo. Tuttavia, c’era qualcosa che strideva in quell’ipotesi, qualcosa che lo metteva a disagio. Era strano che Mori non avesse cercato di scoprire le cause della sua trasformazione, prima di gridarla ai quattro venti...

Bah forse era solo ansioso forse l’ho sopravvalutato forse è meno intelligente di quanto sembra forse si è stufato di indagare e ha inventato di sana pianta una storia che giustificasse la situazione i giornalisti spesso lo fanno

Tanti forse e poca sostanza, non andava bene. Sherlock Holmes ne sarebbe stato disgustato. Decise di svolgere una piccola indagine per scoprire chi fosse quella donna; non ci sarebbe voluto molto, doveva solo andare in quel locale e chiedere al proprietario e al barista se l’avevano notati. Aveva un brutto presentimento, gli sembrava vitale scoprire l’aspetto di quella donna. Si diresse verso l’uscita, ma prima tirò fuori il cellulare e compose un numero con l’indice destro.

 

 

Heiji Hattori sbadigliò, calcandosi il berretto da baseball sulla fronte, un po’ per coprire gli occhi infastiditi dal sole, un po’ per rendersi meno riconoscibile a chiunque avesse posato distrattamente lo sguardo su di lui. L’uomo che stava pedinando si era fermato almeno cinque volte da quando era uscito, senza combinare niente di strano o sospetto, e lui era stufo di seguirlo a piedi per le vie affollate di Tokyo. Era peggio che accompagnare Kazuha a fare shopping, dannazione! Se almeno avesse preso una macchina lui avrebbe potuto saltare su un taxi, pronunciare concitatamente la frase standard da film poliziesco "Insegua quella macchina!" e far rilassare le sue estremità comodamente seduto sui sedili posteriori. Invece no, passeggiava beato fermandosi ogni minuto a prendersi un caffè, a comprare un pacchetto di sigarette...Heiji sbuffò: offrendosi di pedinare Mori credeva di essersi aggiudicato la parte migliore del caso, ma si era sbagliato di grosso. Il suo supponente migliore amico l’aveva raggirato alla grande, probabilmente a quest’ora aveva già trovato il nastro ed era tornato felice e beato a dormire, rifacendosi della levataccia di quella mattina. Tutto sommato, poteva cedere alle sue proteste ed evitare di fare di tutto per convincerlo che il pedinamento era compito suo, dato che il giornalista avrebbe avuto più difficoltà a riconoscerlo e quindi ad accorgersi di lui. Infilò le mani in tasca e sentì il bordo freddo del cellulare: come se non bastasse Kazuha l’aveva tartassato di telefonate ansiose chiedendogli dov’era, quando sarebbe tornato a casa...Heiji sorrise pensando che Kudo probabilmente era costretto a subire quegli interrogatori e a rispondere ogni volta che telefonava a Ran con la sua voce adulta. Doveva essere straziante per lui, essere costretto a mentire ogni giorno alla persona a cui teneva di più al mondo, eppure non dava segni di cedimento, non si buttava mai giù. L’ammirava molto per questo. Kudo non era solo grande come detective; era grande anche come persona. Sentì il cellulare vibrare ed emise un gemito sommesso di sconforto. Guardò Mori che camminava tranquillamente davanti a lui e accostò il telefono al viso:

 "Pronto?" disse scocciato, la voce inghiottita dai rumori della folla non rischiava di essere udita dal giornalista, che camminava ad una decina di passi di distanza.

 "Heiji!! Insomma!! Ti decidi a tornare all’agenzia del padre di Ran? Dove diavolo sei?!" Heiji sospirò: la voce tanto familiare della sua amica d’infanzia era insistente e concitata. Perché non smetteva una buona volta di assillarlo?

 "Uffa Kazuha! Ti ho già detto che non posso. Sto, ehm...facendo una commissione per mio padre. Me l’ha chiesto ieri, quando ha saputo che venivo a Tokyo" rispose con voce monotona. Si sentiva un po’ in colpa per averle mentito, senza contare che i loro genitori erano amici e quindi c’erano buone probabilità che in un futuro prossimo scoprisse che non c’era stata alcuna commissione. Rabbrividì: far arrabbiare Kazuha era molto, molto, molto pericoloso.

"Ancora!? Ma se Ran mi ha detto che sei uscito all’alba questa mattina! Quanto ti ci vuole?" domandò quasi urlando. Heiji socchiuse gli occhi in un’espressione seccata, una parte della sua mente continuava a pensare all’analogia con la situazione del suo migliore amico; cavoli, se avesse dovuto anche lui sopportare le assillanti e fuori luogo richieste di Kazuha per quasi un anno, probabilmente sarebbe arrivato ad odiarla. "Allora?" ripeté insistente la ragazza. Heiji sorrise. No, probabilmente non sarebbe mai successo.

"A proposito di Ran, perché invece di chiamarmi ogni due minuti non passi del tempo con lei, è tua amica, no? Ti pare bello ignorarla così per telefonare ad uno che vedi tutti i santi giorni?" Domandò in tono di rimprovero, esultando mentalmente quando scoprì che il suo tentativo di cambiare discorso era andato a buon fine.

 "Oh, se è per questo è lei che sta ignorando me." La sua voce tradì una punta quasi impercettibile di risentimento.

 "Che vuoi dire?" chiese, davanti a lui Mori aveva gettato per terra un mozzicone di sigaretta ancora fumante e non si era preso la briga di spegnerlo.

 "Beh, c’è stato un po’ di...ehm...scompiglio qui all’agenzia, in parte anche per colpa mia. Capisco che prima non volesse parlarmi, poi però abbiamo fatto pace, insomma..." si gettò a capofitto nel racconto di tutto quello che era accaduto. Heiji sbadigliò, tuttavia trovò rilassante quella situazione: adesso non doveva fare altro che assentire ogni tanto, lasciando la mente libera di concentrarsi su Mori. Aveva un’andatura strascicata, non sembrava affatto in buona salute; più volte l’aveva sorpreso a premersi la mano sulla bocca, come a voler reprimere un conato di vomito. I capelli erano unti, incollati l’uno all’altro, e quando si era voltato di profilo per attraversare la strada, Heiji aveva notato anche che era molto pallido. Ogni tanto si passava una mano fra i capelli, sporcandoseli ancora di più, strizzando gli occhi: quasi sicuramente doveva avere un’emicrania da record. Postumi di una sbornia? Sì, decisamente.

 "Così torno all’agenzia, la trovo che posa una tazza di caffè sulla scrivania davanti a Mouri san, lui la guarda e le sorride gentilmente, infine acconsente a farla uscire a patto che si vesta in modo...beh, lui l’ha definito decente. Credendo che sia tutto a posto le chiedo dove possiamo passare la mattinata, lei dice al Luna Park."

 Heiji alzò gli occhi al cielo: "Kazuha, taglia corto, più sto al telefono con te, più impiegherò a fare quella commissione."

Uno sbuffo scocciato dall’altra parte: "Okay, okay...beh, in parole povere ha detto che prima di andare al...mi pare l’abbia chiamato Tropical Land, doveva passare a prendere il piccolo Conan dal professore. Mi sono offerta di accompagnarla, ma lei ha rifiutato, insistendo per andarci da sola, e ha aggiunto che potevo precederla la parco di divertimenti insieme a Sonoko, una sua amica che sarà qui fra poco..." Heiji trasalì: Ran era andata a prendere Conan dal professore, e aveva insistito per andarci da sola. La cosa non gli piaceva per niente.

"Non ti ha detto per quale motivo doveva andarlo a prendere senza di te?" Chiese, sperando di aver bene nascosto l’ansia e di aver parlato in tono noncurante. Kazuha quasi gridò:

"No!! È per questo che sono convinta che stia cercando di ignorarmi. Speravo che tu tornassi prima di questa Sonoko perché mi sentirei assolutamente a disagio a rimanere da sola con lei. L’ho vista sì e no una volta di sfuggita!" Si lamentò, stizzita, cercando un po’ di comprensione nel suo amico d’infanzia. Peccato che lui non stesse badando affatto a quelle inezie da femminuccia, era concentrato su un altro punto. Primo: cosa avrebbe pensato la ragazza di Kudo quando non avesse trovato il bambino a casa del dottor Agasa; secondo, perché diavolo voleva vederlo da sola; terzo: che cavolo poteva fare lui per migliorare la situazione.

"Ohi, Heiji, ci sei? Pronto?" domandò esitante la ragazza al di là della cornetta. Lui sobbalzò.

"Oh, sì, devo andare Kazuha, tornerò il prima possibile, ma smettila di chiamarmi, d’accordo? Divertiti con questa Sonoko..."

"Come? Ma hai sentito quello che ho det.." Heiji interruppe la chiamata e si infilò di nuovo il cellulare in tasca. Il comportamento di Mouri era strano; eppure, dalla conversazione avuta quella mattina, non sembrava che avesse dei sospetti sull’identità di Conan. A meno che non fosse un’attrice perfetta, Heiji era quasi sicuro che non nutrisse alcun dubbio sul fatto che il bambino con cui abitava era un normale studente delle elementari. Certo, ne erano passate di ore da quell’insolita colazione, e a quanto ne diceva Kazuha Ran aveva avuto molto tempo per riflettere con calma sulla faccenda. Senza contare il commento che aveva fatto la sua amica d’infanzia la sera prima, dopo che gli aveva riversato addosso mille lamentele per essere sparito senza dire niente mentre tornavano a casa dal ristorante: rivolta verso Ran, aveva sussurrato: "A quanto pare Ran chan, dovrai aspettare un po’ per parlargli." Lì per lì non aveva dato peso alle sue parole, dato il mal di testa che Kazuha gli aveva causato con la sua voce stridula e la leggera stizza per il modo in cui l’aveva trattato Kudo. Adesso però capiva la gravità di quelle parole, e aveva un brutto presentimento, davvero brutto. Mori si sedette alla fermata dell’autobus, si infilò un’altra sigaretta in bocca e la accese. Heiji pensò divertito che forse di lì a poco avrebbe potuto pronunciare la famosa frase standard per i tassisti. D’un tratto, percepì di nuovo il vibrare del cellulare, sbuffò con aria contrariata e strizzò gli occhi:

"Insomma basta! Mi hai proprio rotto le scatole!! Non me ne frega niente dei tuoi stupidi problemi, ho di meglio da fare che farti da balia tutta la vita!! Stai con quella Sonoko o con chiunque altro ma smettila di assillarmi! Sono occupato!" Si aspettò che Kazuha cominciasse ad urlare infuriata, ma con sua immensa sorpresa, non accadde. La voce al di là della cornetta sembrava molto turbata:

"Oh, beh, io non credevo...sei stato tu a...insomma, con quella storia del migliore amico eccetera...certo non è per niente onesto piantarmi in asso così, a questo punto" aggiunse alla fine con una punta di risentimento. Heiji sussultò sbiancando.

"Kudo? Ciao, ehm..." Non aveva mai gridato contro Kudo in quel modo, doveva essere quello che aveva turbato maggiormente il detective dell’est. Senza contare che si rese conto  di quanto equivoche fossero le sue parole...si rimproverò mentalmente di non aver letto il nome sul display prima di rispondere, tuttavia non riuscì a non vedere il lato comico della faccenda e ridacchiò, avendo la vaga impressione che attraverso la cornetta Kudo gli lanciasse un’occhiataccia:

"Non prendertela, non mi riferivo a te, ma a quella rompiscatole di Kazuha. Mi ha chiamato almeno un milione di volte stamattina...giuro, non era rivolto a te, mi piace aiutarti" concluse, udì uno dei caratteristici sbuffi lievemente ironici del detective dell’est, poi gli domandò con la sua voce infantile e atona:

 "Beh, equivoci a parte, come sta andando il pedinamento?"

 "Ti dirò, mi sto annoiando a morte e non ce la faccio più a camminare. Meno male che finalmente Mori si è deciso ad aspettare l’autobus. Fra l’altro, se continua a fumare in quel modo, credo che morirà di cancro ai polmoni prima di riuscire a trovare le risposte necessarie a scrivere il suo articolo." Sorrise diabolico, lanciando un’occhiata all’uomo, seduto su una panchina di plastica arancione.

"E a te invece come è andata?" chiese, appoggiando la schiena alla vetrina di un negozio di scarpe.

"Il nastro non è da nessuna parte, in compenso però ho trovato una traccia." Disse con voce fredda e profonda, un tono che un vero bambino non avrebbe mai potuto eguagliare. Heiji sorrise e aggrottò la fronte in un’aria attenta e concentrata, pronto ad ascoltare quello che Kudo aveva scoperto: "Dimmi tutto." Sussurrò, e gli sembrò che dall’altro capo del telefono l’amico sorridesse;

 "Hattori, sei all’incrocio con via Beika, non è così?" chiese ironico, Heiji rimase interdetto per un secondo, poi domandò a sua volta:

"Okay, come fai a saperlo?"

"Non è stato difficile. Ho trovato una scatola di fiammiferi con su scritto un indirizzo, e ho immaginato che fosse il luogo dove Mori si sta dirigendo. È un posto che conosco molto bene, e contando che è passata quasi un’ora da quando ve ne siete andati, e che l’unico autobus che ci va direttamente ha la fermata più vicina proprio a quell’incrocio..."

"Va bene, va bene, ho afferrato..." lo interruppe Heiji, alzando gli occhi al cielo.

"Hai capito anche perché sta andando lì?" lanciò un’occhiata a Mori, che se ne stava seduto scompostamente, un ghigno di impazienza sul volto pallido.

"Per quello ho formulato due ipotesi" continuò la voce da bambino meno infantile del mondo

"Di certo deve incontrarsi con una donna. L’indirizzo è scritto con il rossetto..."

"Oohh..." commentò Heiji ironico, Conan lo ignorò.

"Può darsi che sia la redattrice di un qualche giornale, a cui ha intenzione di proporre l’articolo...oppure...nel peggiore dei casi..."

"Un membro dell’Organizzazione?" chiese il detective dell’ovest, dando voce al timore represso del suo interlocutore. Conan sospirò: "Esatto. Ho deciso di andare a fondo della questione, perciò credo che farò una visitina al locale che distribuisce queste scatole di fiammiferi, nel caso li abbiano notati." Concluse, Heiji si aggiustò di nuovo il berretto da baseball:

"Ma, Kudo, se sai già dove sta andando, non serve più che io lo segua, no?" Domandò scocciato, gli occhi ridotti a fessure.

"No, immagino di no" rispose la voce in tono noncurante. "Ma è meglio che lo tieni d’occhio lo stesso. Per sicurezza...a meno che certo tu non voglia tornare di corsa dalla tua fidanzata..." insinuò, Heiji arrossì, ma subito sussultò, ricordandosi di una cosa:

"Non è la mia fidanzata...comunque poco fa, quando mi ha chiamato, mi ha riferito che Ran sta venendo a prenderti dal professor Agasa..."

"Che cosa?!?" La sua voce aveva perso tutta la freddezza di poco prima.

"Sì, e pare che abbia insistito per non farsi accompagnare da Kazuha. Credi che possa aver scoperto la tua identità?" Domandò, Conan quasi lo aggredì: "No!..Beh, credo di no..." si fece esitante, poi riuscì a riprendere il controllo di sé: "Beh, non importa, adesso non posso certo mollare tutto e andare a casa del professore. Spero solo che sia in grado di inventare una scusa plausibile per la mia assenza. È tutto nelle sue mani. Tu intanto continua a seguire Mori, io vado al locale; in questo momento mi sembra più urgente impedire al resto del mondo di scoprire la verità. Ci risentiamo..." fece per attaccare, Heiji lo bloccò alzando un po’ la voce: "Aspetta, non mi hai ancora detto dove sta andando Mori."

"Al Tropical Land."

              

Note dell'Autrice: bene, ecco concluso un altro capitolo... lo so, il ritmo è un po' lento, ma vi prometto che ci sarà un po' più di azione nei prossimi capitoli; don't worry! ^^ Il piccolo grande detective dovrà superare numerosi ostacoli da qui in poi, dopotutto è pur sempre il protagonista di un anime/ manga poliziesco ^ _ ~  invece voi che ne pensate di questo chap? Piaciuto? Datemi il vostro parere, mi fa davvero piacere ricevere recensioni, anche se avete qualcosa da obiettare! Penso sinceramente che si possa sempre migliorare, una volta che si capiscono i propri errori...beh, naturalmente non posso negare di preferire i complimenti alle critiche (e chi potrebbe?) però...diciamo che accetto entrambi. Comunque, ringrazio tutti i miei lettori e passo a rispondere agli ultimi commenti che ho ricevuto:

mareviola:   sono contenta che il capitolo nove ti sia piaciuto...io non ne ero molto soddisfatta, come avevo già detto in precedenza. Come avrai visto, anche la prima parte del decimo è piuttosto riflessiva...(non era per farti un dispetto, giuro! ^^") ma spero comunque di non averti annoiata. Mi chiedi di Ai...(brava! bis! Se c'è una cosa che adoro è quando mi si fanno domande su detective Conan...*smack*) allora, direi che come l'hai messa tu è un po' semplificata...nel manga Ai è un personaggio enigmatico, con un carattere pieno di sfaccettature: è quasi sempre fredda e distaccata, eppure alle volte si scioglie, sfoggiando un senso dell'umorismo che potremmo definire 'diabolico' ^^"...ti faccio un esempio: nella sua prima apparizione, quando rivela a Conan la sua identità, gli dice di aver ucciso il professor Agasa per impedirgli di preparare i congegni che lo aiutano a risolvere i casi, e Conan scopre che si stava prendendo gioco di lui solo dopo essere corso fino a casa dello scienziato e averlo trovato vivo e vegeto! E non sarà l'unica volta...hai capito cosa intendo con 'diabolico'? Comunque, tornando alla tua domanda, nel manga 'sembra' che le piaccia Conan, da come si comporta con lui (dicendogli frasi tipo: "ho 18 anni, quindi sono giusta per te") ma non c'è niente di sicuro (infatti conclude con uno "scherzavo") e quindi è difficile da stabilire con certezza...diciamo che ognuno può interpretarlo come preferisce...nella mia fic, effettivamente, Ai è attratta da lui e un po' in astio con Ran...ma non perché ne sia innamorata. Uhm...è un po' difficile da spiegare adesso...ma ho intenzione di far trasparire il mio punto di vista sulla questione in uno degli ultimi capitoli, quando la situazione sarà meno 'incasinata'...così potrai sentire il mio parere dalla mente della stessa Ai. Capisco che sarai un po' delusa, ma devi avere un pochino di pazienza, okay? Se dopo quel capitolo avrai ancora qualche dubbio, basta che tu me lo dica! Sono sempre disponibile a rispondere a questo genere di domande. Per il resto, spero di aver reso bene l'idea di come Ai è nel manga e nell'anime, ho fatto il possibile! Anche se lei è uno dei personaggi più misteriosi di Gosho Aoyama, a mio parere. Grazie ancora per la recensione, mi ha fatto piacere risentirti...un bacio.

Elly-chan:  meno male che il "non ho dubbi" era in quel senso...mi sarei sentita un po' abbattuta, altrimenti! ^^" Di nuovo grazie per la tua recensione, una mia fan, addirittura!! ^//^ Sei carinissima, ma così mi fai montare la testa!  Mi spiace che non riesci a mettere le tue fic qui, é __ è comunque sei pur sempre su un sito, e l'importante è avere l'occasione di farle leggere!! ^ _~ ti è piaciuto il capitolo 10? Fammi sapere!! Baci.

Ora qualche precisazione: avrete capito che i riferimenti all'ultimo caso di Shinichi prima della trasformazione erano tratti dal vol.1...quando Ran ricorda del momento in cui è apparso tronfio davanti a migliaia di studenti invece è durante la sua recita, nel vol.26; il caso del cottage in cui Ran ha risolto il caso sotto suggerimento di Shinichi era nel vol.15 giapponese, ma è stato pubblicato dalla Comic Art in Italia nel vol.22. (prima di chiudere definitivamente le pubblicazioni, i loro volumetti erano decisamente più bassi di quelli nipponici - _ -").

Dovrebbe essere  tutto...

Bye

-Mel

 

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Capitolo 11
*** Two Different Investigations ***


11. Two Different Investigations

"Al pari di tutte le altre arti, la Scienza della Deduzione e dell’Analisi si può acquisire unicamente attraverso lunghi e pazienti studi.[...] Incontrando un suo simile il lettore impari con una sola occhiata, a dedurre la storia ed il commercio o la professione che svolge.[...] Dalla manica della sua giacca, dai suoi stivali, dalle ginocchia dei pantaloni, dalle callosità del pollice e dell’indice, dalla sua espressione, dai polsini della camicia, da ciascuna di queste cose traspare chiaramente il mestiere che quella persona svolge. E che, da tutte queste cose insieme, un investigatore competente non possa risalire a un quadro d’insieme, è pressoché inconcepibile".
Sherlock Holmes
(Arthur Conan Doyle)

Conan spinse la pesante porta scura e si ritrovò in un piccolo ambiente polveroso e immerso nell’ombra. Pochissima luce trapelava dai vetri smerigliati delle finestre, mentre davanti a lui decine di sedie e sgabelli erano capovolti rispettivamente sui tavoli e sul lungo bancone. Nell’aria viziata c’era un odore di alcool stantio. I rumori del traffico esterno erano piuttosto attenuati e nel locale deserto c’era un silenzio irreale, che venne interrotto dalla voce burbera di un uomo:
"Siamo chiusi! Torna stasera alle nove!"
Conan si diresse verso il punto da cui proveniva la voce, facendo lo slalom fra i tavoli. Poco dopo vide un uomo alto, sulla quarantina, capelli brizzolati, con due baffi a spazzolino, che stava lucidando il bancone con uno straccio. La manica sporca era in netto contrasto con il costoso orologio che sfoggiava al polso. Si voltò verso Conan e sobbalzò, guardandolo con gli occhi spalancati; fu così che lui notò che aveva un’espressione stanca e due occhiaie scure:
"Ma tu...vattene subito, non è questo il posto per un moccioso come te!" Gli gridò, riprendendosi dalla sorpresa di trovarsi davanti un bambino e scacciandolo con la mano, quasi fosse una mosca fastidiosa. Conan osservò il palmo della sua mano, dopodiché sorrise in modo innocente.
"Mi scusi signore, avrei bisogno di chiederle una cosa: lei è il proprietario di questo posto, vero? E lo gestisce servendo spesso anche i clienti...perciò era qui al bancone anche ieri sera, non è così?" domandò con la sua vocetta infantile. L’uomo lo fissò con gli occhi sbarrati:
"E tu come fai a saperlo?" Il sorriso di Conan si allargò ancora di più. Se avesse avuto il suo corpo adulto, avrebbe risposto:
"Non è stato difficile. Il locale è molto piccolo, quindi è probabile che sia gestito da poche persone. Lei sfoggia un orologio costosissimo, e questo mi fa pensare che i maggiori profitti vadano a lei, e che quindi sia il proprietario, tuttavia sta pulendo il bancone. Non è la prima volta che lo fa: le sue mani sono troppo rovinate per aver lavorato una volta sola...quindi ne deduco che, per risparmiare, ogni tanto si cimenti in prima persona nel lavoro di barman. Infine, le borse sotto gli occhi e la sua faccia stanca mi fanno dedurre che abbia fatto le ore piccole stanotte." Sì, probabilmente Shinichi Kudo, famoso studente-detective, avrebbe risposto in quel modo. Ma Conan Edogawa, scolaro delle elementari, non poteva fare altrettanto purtroppo e adottò la tecnica di sempre: ignorare la domanda ponendone un’altra:
"Allora è come ho detto io signore? Era qui ieri sera?" L’uomo rimase a fissarlo per un po’, infine ricominciò a lucidare il bancone.
"Non sono affari tuoi, nanerottolo. Tornatene a casa dalla mamma." Brontolò, Conan si infilò le mani in tasca.
"È questo il problema, signore. Mia mamma mi ha affidato allo zio Atsushi per un po’, perché doveva lavorare. Ma oggi devo tornare a casa e lui doveva accompagnarmi alla stazione per prendere il treno per Kyoto. Ma lo zio è scomparso! Ieri sera ha detto che veniva qui a bere un bicchiere e non è più tornato..." sfoggiò l’espressione più dolce e preoccupata che gli riusciva, anche se dato il soggetto, gli era davvero difficile sembrare in pensiero. L’uomo alzò gli occhi e chiese piano, meditabondo: "Atsushi...Mori?" Conan annuì e quello ridacchiò:
"Non mi stupisce che si sia dimenticato di te, marmocchio. Ieri sera era già su di giri, poi si è fatto fuori tutto quel Whisky!" Conan sorrise raggiante.
"Allora era qui? Sa dirmi se ha parlato con qualcuno?" Chiese con foga, l’uomo lo guardò in tralice diffidente, così si affrettò ad aggiungere con una vocetta infantile: "Beh, ecco, magari è andato a casa di qualche amico, posso rintracciarlo lì..." Ci fu quasi un minuto intero di silenzio. Conan sentiva il suo cuore battere forte: era vicino al traguardo, ma doveva andarci cauto. Non poteva permettere che lo cacciasse senza prima avergli dato informazioni utili sulla misteriosa interlocutrice di Mori. Aveva un brutto presentimento...e il fatto che Mori stesse andando al Tropical Land, e che lo stesso stesse facendo Ran, come gli aveva riferito Heiji poco prima, non gli piaceva affatto. Era improbabile che il giornalista avesse intenzione di rapirla di nuovo, quindi era disposto a credere che fosse una coincidenza. Tuttavia, si sentiva inquieto, come se stesse per succedere qualcosa di grave...e gli sembrava che scoprire l’identità della donna fosse di vitale importanza, utile a scongiurare quell’imminente pericolo. Alzò lo sguardo verso l’uomo, lui lo scrutava con i suoi occhi color nocciola, senza dire una parola. Finalmente, dopo averlo fatto sudare freddo, rispose:
"Ha parlato con una donna, ma non sono usciti insieme...lei se n’è andata molto prima. Quindi non posso aiutarti. Ora sparisci." Conan fece un passo avanti.
"Aspetti, non può dirmi che tipo era? Descrivermela, magari? Per Favoooooree!!" aggiunse, guardandolo con due occhioni da cerbiatto e disgustandosi di se stesso.
A mali estremi estremi rimedi spero solo che nessuno venga mai a sapere che mi sono reso ridicolo in questo modo Heiji non me la farebbe passare liscia sarebbe capace di prendermi in giro per il resto dei miei giorni…
L’uomo sembrava infastidito, probabilmente era troppo stanco per mettersi a discutere e non vedeva l’ora di togliersi di torno quella cimice, così disse, sperando vivamente che il bambino, soddisfatto, lo lasciasse in pace.
"Una donna bionda, capelli lunghi, molto attraente e abbastanza giovane, con uno strano accento...forse americano...era vestita tutta di nero. Se non sbaglio, ha detto a Mori di chiamarsi Christy. Non so nient’altro, perciò, o ti levi di torno o ti butto fuori a calci nel sedere." Conan sentì a stento le ultime parole; mentre l’uomo parlava aveva sentito un tuffo al cuore, cominciando ad impallidire con gli occhi sbarrati.
Bionda attraente accento americano vestita di nero di nome Christy oh mio dio non può essere no non è possibile eppure sì Christy ovvero Chris sì è questo il suo vero nome Chris Vineyard è un membro dell’Organizzazione ma allora ha parlato con Mori e gli ha dato appuntamento lui era ubriaco e si è lasciato sfuggire qualcosa su di me oh mio dio allora lei…
Il barista stava per ripetere le sue minacce ma fu inutile. Conan si voltò di scatto e corse fuori dal locale, più veloce che poté, ignorando le fitte dolorose che mandava la sua gamba, dove probabilmente di lì a poco si sarebbe riaperta la ferita, cominciando di nuovo a sanguinare.

Quando il professor Hiroshi Agasa aprì la porta di casa sua quella mattina, non immaginava nemmeno lontanamente chi si sarebbe trovato davanti. La figlia del detective Kogoro Mouri era in piedi davanti a lui, i lunghi capelli bruni che come al solito le cadevano disordinatamente sulle spalle del giacchetto jeans, gli occhi di un blu intenso che lo guardavano dietro la frangetta. Le mani erano congiunte davanti alla minigonna, strette a pugno, un gesto timido e grazioso allo stesso tempo.
"Buongiorno professor Agasa." Gli sorrise cordiale, lui la ricambio.
"Ciao, piccola Ran. Come mai qui?" si sporse in avanti.
"Sono venuta a prendere il piccolo Conan, dobbiamo andare insieme al Luna Park. È qui, vero?" Chiese, Il professor Agasa notò che il collo del golf blu che indossava stava diventando esageratamente stretto:
"Ehm...Conan...ah sì, ha passato la notte qui..." balbettò, Ran gli lanciò uno strano sguardo.
"Posso entrare?" domandò, e al suo cenno di assenso avanzò e si chiuse la porta alle spalle, guardandosi attorno.
"Beh, Conan era qui proprio un momento fa, ma è uscito a fare una commissione per me..." Spiegò sorridendo a disagio. Ran gli lanciò di nuovo quella strana occhiata: "Ah, capisco...beh, allora aspetto. Non c’è fretta." Si sedette sul divano e cominciò a sfogliare una rivista femminile, chiedendosi vagamente sorpresa cosa ci facesse un settimanale del genere a casa di uno scienziato scapolo. Il dottor Agasa si passò un dito nel collo del golf, sudando:
"Vuoi qualcosa da bere? Tè, caffè, succo di frutta..?" Lei gli sorrise e disse dolcemente:
"Magari un po’ di caffè, la ringrazio, professore." Tornò alla sua rivista, mentre il suo interlocutore si allontanava e spariva dietro una porta di legno. Ran sbadigliò, leggiucchiando un articolo sui Two-Mix in concerto e sul loro presunto rapporto sentimentale. Le parole scorrevano sotto i suoi occhi, mentre dentro di sé sperava che Conan tornasse al più presto per poter scoprire cosa le stava nascondendo, cosa l’aveva spinto a mentirle e soprattutto perché il giorno prima si trovava in quello stabile e cosa lui e quel delinquente si erano detti. Il piccolo Conan kun, così innocente, così tenero...cosa celava nel suo cuore? Qual era la spiegazione per la trasformazione che aveva notato in lui guardandolo quando lui non se ne rendeva conto? Girò pagina, trovò un cruciverba ancora pulito e cominciò a lavorarci su per non dover pensare a quelle cose. Era sicura che Conan le avrebbe spiegato tutto quanto, e che la verità sarebbe stata plausibile e innocente. Si fidava di Conan, sapeva che lui non le avrebbe mai mentito di proposito per cattiveria, ma che probabilmente stava vivendo un brutto momento. Di certo le avrebbe confidato tutto, e lei lo avrebbe aiutato, da brava sorella maggiore. Sorrise tristemente, povero piccolo, doveva essere difficile per lui vivere lontano dai genitori, in fondo aveva solo sette anni...
"Ti dispiace smettere?" chiese una gelida voce femminile dietro di lei. Ran si voltò di scatto e si trovò davanti una bambina, di all’incirca l’età di Conan, con un caschetto di capelli biondo cenere, due occhi azzurri freddi come il ghiaccio, che indossava un camice bianco sopra una felpa rosso bordeaux dolcevita e un paio di pantaloncini beige. Ran sbatté più volte le palpebre: era la bambina più strana che avesse mai visto. Niente di lei faceva pensare ad una studentessa delle elementari ad eccezione dell’altezza. Il suo aspetto era tremendamente...adulto
"Tu sei..?" domandò con voce flebile, sforzandosi per trovare il nome nella sua testa. Aveva già visto quella bambina giocare insieme a Conan e ai suoi amici, ma in quel momento non riusciva a focalizzarla.
"Ai Haibara." rispose la bambina, senza aspettare che lei ricordasse. "Quella rivista è mia. Vorrei che smettessi di fare il cruciverba, è quasi l’unico motivo che mi ha spinto a comprarla." Parlò con voce molto fredda, Ran si sentì rabbrividire; e lei che pensava fosse Conan il bambino meno infantile del mondo!
"S-scusa" balbettò, sentendosi per la prima volta a disagio davanti ad una persona di una decina d’anni più piccola. Ai si strinse nelle spalle e andò verso il tavolo del salotto, dove era poggiata una piccola ampolla polverosa. La prese con delicatezza fra le dita e fece per andarsene.
"Aspetta!" Si bloccò al richiamo di Ran: "Tu sei un’amica di Conan kun, vero?" Chiese, Ai la guardò diritta negli occhi e di nuovo la ragazza sentì un brivido:
"Più o meno." Rispose in tono etereo.
"Hai passato la notte qui anche tu?" Le sorrise, Ai non ricambiò e sottolineò: "Io abito qui."
Ran stette per un attimo a bocca aperta, guardando la piccola figura altera che le stava davanti. La bambina la stava fissando con i suoi occhi gelidi e di nuovo Ran notò quanto fosse strana. Quanti anni poteva avere, sette, otto, nove? Eppure, nulla di lei faceva pensare all’età infantile; era distaccata, imperscrutabile, seria e misteriosa; però, dalla sua espressione non molto dissimile da quella di una statua di ghiaccio, trapelava un certo fascino, un certo ascendente, che la mettevano a disagio. Di solito quando vedeva una bambina di quell’età Ran provava subito tenerezza e una specie di affetto materno. Guardando Ai sentiva una strana sensazione all’altezza del petto, la metteva in soggezione.
Credevo che Conan fosse un bambino davvero strano ma a quanto pare non può competere con questa bambina chissà chi è ha detto di abitare qui forse allora è
"Sei una parente del professor Agasa?" le domandò, dando voce ai suoi pensieri e sorridendole seppur consapevole del fatto che lei non l’avrebbe ricambiata. Ai scrollò le spalle mantenendo come previsto la sua espressione seria e aggiunse:
"E tu sei Ran Mouri." La ragazza ebbe un lieve sussulto di sorpresa, il suo sorriso scomparve mentre sbatteva le palpebre velocemente, ma subito ritornò "Oh, immagino che te l’abbia detto Conan. Sei stata molto carina a ricordarlo, non sei una smemorata come me!" Ran strizzò gli occhi e rise, sperando di riuscire a strapparle anche solo un mezzo sorriso, ma quando riaprì gli occhi vide che Ai la stava fissando con i suoi occhi freddi e, sebbene non fosse pronta a giurarlo, anche con un atteggiamento di superiorità che la fece sentire un po’ stupida.
Cavoli ma cos’ha questa bambina è decisamente strana e poi il modo in cui mi guarda e parla non so proprio perché si comporti così in fondo ha solo sette anni ma dove l’ha pescata il professor Agasa?
Ai infilò una mano in tasca: "Se sei venuta a prendere Conan hai fatto un viaggio a vuoto. Non è qui." Spiegò atona, Ran annuì: "Lo so, è andato a fare una commissione, me l’ha già detto il professore. Ma tornerà a momenti, no?" aveva parlato con naturalezza, ma quando la vide scuotere la testa assunse un’espressione perplessa, e per la prima volta le sembrò che Ai sorridesse, ma non era gioia o divertimento. Era quasi come...se si stesse prendendo gioco di lei:
"No, non tornerà Mouri. Non presto, comunque. E anche se passerà un po’ di tempo con te, forse proprio oggi, se ne andrà di nuovo. Sarà così per molto, molto tempo...io lo so." Ancora la stava guardando con quel sorriso di scherno e Ran si sentì allo stesso tempo confusa e irritata.
Cosa vuole dire e perché mi guarda in quel modo è così strana sembra quasi che mi stia prendendo in giro ma no come può essere non ha nemmeno dieci anni e io ne ho diciassette non potrebbe mai eppure mi chiama per cognome con quell’aria e poi quelle frasi enigmatiche e quel tono di voce come se sapesse qualcosa che io non so come se mi stesse sfidando a chiederle spiegazioni o stesse cercando di farmi capire qualcosa che sappia cosa è successo a Conan in fondo è una sua amica ma poi perché mai Conan dovrebbe andarsene?
"È successo qualcosa a Conan kun???" Si alzò di scatto dal divano e la fissò preoccupata, Ai scosse la testa con un atteggiamento che le sembrò quasi di commiserazione, ma subito dopo questa constatazione Ran si chiese se stesse diventando paranoica: "No, non è successo niente a Conan kun. Purtroppo per te comunque non sarà qui a momenti." Le voltò le spalle e di nuovo Ran la richiamò: "Aspetta! Ma il professore ha detto che..."
"Il professore non lo sa." La interruppe Ai senza voltarsi: "Conan gli ha detto che sarebbe andato a fare quella commissione, ma a me ha confidato che ne voleva approfittare per andare a giocare in un certo luogo segreto che conosce solo lui. Per te sarà impossibile rintracciarlo quindi." Si avviò a passi felpati verso una stanza con la porta accostata e vi sparì dentro. Ran rimase lì a fissare la porta di legno chiusa, sentendo i passi della bambina sulle scale che portavano al laboratorio, finché non sentì la voce squillante del professore e un gustoso aroma di caffè.
"Ran! Il caffè è pronto!" Le sorrise e posò il vassoio sul tavolino davanti al divano, Ran annuì, si sedette e cominciò a sorseggiare, poggiando con attenzione le labbra sulla tazzina e soffiando lievemente sulla superficie scura e bollente. Così Conan era praticamente irraggiungibile...dalla sua esperienza personale Ran aveva imparato che quel bambino sgattaiolava via piuttosto di frequente, senza dire mai dove andava, perciò il fatto che fosse sparito senza avvertire il professore era più che credibile. Se poi aggiungeva a questo la convinzione che stesse nascondendo qualcosa...tutto quadrava. Probabilmente Conan era andato a fare qualcosa che c’entrava con il suo segreto.
Cavoli se continuo così potrò aiutare anch’io l’ispettore Megure e diventare una studentessa-detective
Sorrise, in passato era già stata chiamata in quel modo, quando aveva risolto il caso al cottage montano. A dir la verità era stato Shinichi a risolverlo e a chiederle di rivelare le sue deduzioni al posto suo, ma nessuno lo sapeva, così un giornalista, un uomo viscido e antipatico, aveva addirittura scritto un articolo su di lei. Ricordando il volto di quel giornalista Ran sussultò, la tazzina tintinnò sul piattino di ceramica mentre quasi si gettava il caffè bollente addosso. Non sapeva il perché, ma quel ricordo le faceva venire una brutta sensazione alla bocca dello stomaco...
"C’è qualcosa che non va, piccola Ran?" Udì la voce calda e premurosa del professor Agasa, alzò gli occhi e si ritrovò davanti il suo faccione paffuto, che la guardava preoccupato attraverso le tonde lenti degli occhiali;
"No, niente professore..." sorrise "È solo che...chi è quella bambina che abita qui? Una sua parente?" domandò, cercando di distogliere i propri pensieri da quell’uomo, anche se ancora ignorava il perché pensare a lui le provocasse quasi la nausea. Il dottor Agasa lanciò uno sguardo alla porta dietro la quale era scomparsa Ai, poi rispose, un po’ impacciato: "Sì, cioè, no..." Ran lo guardò perplessa: "Voglio dire...è la figlia di un mio caro amico, e siccome loro hanno da fare, mi hanno chiesto se posso occuparmi di lei per un po’." Si accorse troppo tardi che quella storia era fin troppo simile a quella che aveva inventato per giustificare la comparsa di Conan, infatti Ran commentò proprio come temeva: "Caspita, sembra che tutti i suoi amici le chiedano di stare appresso ai loro figli..." Agasa scoppiò in una sonora risata forzata:
"Beh, è vero...ma sai com’è, sanno che vivo qui tutto solo e che mi fa piacere avere un po’ di compagnia..." Ran annuì sorridendo, finì di bere il suo caffè e si alzò:
"È stato un piacere professore. Ora devo andare."
"Non resti ad aspettare Conan?"
Ran scosse la testa: "No, non importa...gli dica comunque che sono passata. Se vuole, appena torna, potete raggiungerci al Tropical Land...potreste portare anche la piccola Ai." Rispose gentilmente, il dottor Agasa assentì e la salutò con voce squillante. Poco dopo, Ran si ritrovò nella fresca aria di una domenica mattina, i capelli lunghi scompigliati dal vento. Chissà se Sonoko era già arrivata all’agenzia, e se lei e Kazuha stavano andando al luna park...magari avrebbe fatto meglio a chiamarle, per fissare un luogo d’incontro. Avrebbe dovuto aspettare per parlare con Conan, ma fra qualche ora avrebbe salutato le sue amiche e avrebbe incontrato Shinichi...quel pensiero bastò a farle battere forte il cuore e accelerare l’andatura. Se davvero Shinichi stava passando un guaio serio, lei lo avrebbe costretto a confidarsi con lei. Voleva aiutarlo, qualsiasi cosa fosse, perché avrebbe preferito affrontare qualsiasi pericolo insieme a lui, piuttosto che essere sana e salva senza di lui. Era stanca di sentirsi sempre sola...
Immersa nei suoi pensieri, Ran non si rese conto che due persone stavano camminando sul suo stesso marciapiede, ma nella direzione opposta, e inevitabilmente finì contro una di loro. Data la sua veloce andatura e la stazza dell’uomo in cui si era scontrata, cadde seduta per terra con un tonfo. Chiuse gli occhi, massaggiandosi il fondoschiena con una smorfia di dolore sulla faccia.
"Ehi, guarda dove metti i piedi ragazzina!" brontolò uno dei due, con una voce burbera e tagliente, così fredda che la fece rabbrividire. Ran aprì gli occhi e alzò lo sguardo, intenzionata a scusarsi con l’uomo che aveva travolto, sebbene questo non fosse stato per niente gentile con lei. Ma quando lo guardò, la voce le morì in gola e il sangue si gelò nelle vene.

Note dell’Autrice: Ciao a tutti!! Ho concluso un altro capitolo...è piuttosto corto, ma importante dal punto di vista degli avvenimenti. Tra l’altro ho avuto problemi col pc nuovo e quindi non ho potuto usare Frontpage per l’html...ho dovuto fare tutto a mano!! +__+ Sono sfinita!! Non so nemmeno come verrà fuori, se ho ricordato tutti i corsivi ecc. Speriamo bene! Comunque ho fatto del mio meglio sia nella stesura del capitolo che nell’aggiungere i tag, perciò, come direbbe -anzi canterebbe- Robbie Williams: No Regrets! Ma passiamo a rispondere come al solito a quegli angeli che hanno commentato il capitolo 10:
Fredyck: un nuovo arrivato!! Mi fa piacere che trovi bella la mia fanfic ^__^. Da quanto ho capito ti piacciono i gialli, e dato che è la prima volta che mi cimento in questo genere -anche se lo adoro- puoi immaginare cosa ho provato leggendo la tua recensione...*Thanks*!! ^//^ Come ti è sembrata la deduzione di Conan all’inizio di questo capitolo? Verosimile? Fammi sapere cosa ne pensi, mi raccomando!!
Elly-chan: grazie! Sei veramente una persona dolcissima!! ^//^ Ehm...ma sei proprio sicura che IO sia così esperta? O __ O Cioè, io direi più che me la cavo...e poi, tu non sei certo una principiante, no? ^ __ -
mareviola ne sono felice!^^ Le descrizioni sono importanti, essenziali, a dir la verità, e mi fa piacere riuscire a non annoiarti. Comunque non dovrò tirare troppo la corda, questo chap ha pochissima descrizione e molti più dialoghi, come avrai visto! ^__^ Spero ti sia piaciuto tanto quanto gli altri. Oh, non ringraziarmi per i chiarimenti, è stato divertente! Chiedimi pure tutto quello che vuoi su Detective Conan, non farti problemi! E grazie ancora per il sostegno!
Akane Tendoo: anche tu una nuova arrivata!! ^^ Ti ringrazio tantissimo per la recensione, sei stata molto gentile...giuro, sono rimasta in estasi!! ^//^ Grazie anche per i complimenti sullo stile...riguardo ai pensieri dei personaggi, non c’è punteggiatura perché uso la tecnica del flusso di coscienza; avrai notato che non bado nemmeno alle ripetizioni delle congiunzioni o delle altre parti del discorso...in fondo mentre rifletti non fai delle pause, il pensiero è continuo...per questo evito di mettere punti, virgole ecc. Comunque capisco che può essere fastidioso e poi non voglio fare la figura di quella cocciuta chiusa ai suggerimenti, perciò diciamo che, almeno quando un pensiero è importante e bisogna soffermarcisi un po’ di più, mi ‘concederò’ i puntini di sospensione! Ti va bene? ^ _ - Riguardo alla tua domanda...(cavoli, qui sarà un tantino complesso...un respiro profondo...via!) partiamo dal presupposto che né Shinichi & Ran né Heiji & Kazuha sono ufficialmente ‘una coppia’...sì, si piacciono e tutto il resto, ma non si sono mai messi insieme. (Mooolto differente da Akane e Ranma, che oltre a piacersi sono fidanzati!) Le due situazioni sono simili, ma presentano una differenza essenziale: Shinichi sa con certezza quanto Ran gli voglia bene, poiché può approfittare dei panni di Conan per chiederle tranquillamente cosa provi per lui; a Heiji questa possibilità è negata. Comunque, è normale che nessuno di loro ammetta in pubblico di essere innamorato del partner, visto che tecnicamente sono solo amici d’infanzia! Tuttavia il loro comportamento rende palese i loro sentimenti, perciò alla fin fine si rendono conto che negare l’evidenza è inutile...e questo succede soprattutto se la situazione non è delle più distese...tipo nel cap.9, quando Heiji rivela a Conan di aver perso tempo per colpa ‘della sua ragazza’. A quel punto lui è troppo preda della gelosia e della curiosità di scoprire cosa abbiano fatto per pensare a negare una cosa che sa essere ovvia, nonostante tutto. Immagina un po’ cosa faresti tu nella stessa situazione! ^^" invece, nel cap.6, quando Kazuha e Ran fanno a cuscinate nella camera da letto di quest’ultima, Ran non si fa scrupoli a negare tutto!! Ehm...non so se ho reso l’idea...spero che tu abbia capito cosa intendo. Se hai ancora bisogno di qualche chiarimento dimmelo, okay? Cercherò di fare il possibile! È che a forza di non andare a scuola ho perso l’abitudine di spiegare i concetti in modo chiaro e preciso...uno degli insignificanti svantaggi delle vacanze! ^^
Credo che sia tutto...ah, la citazione di Sherlock Holmes l’ho presa da "Uno Studio in Rosso"; è l’articolo che Watson legge e definisce ridicolo, ancora ignaro che l’autore è proprio il suo coinquilino! (Una delle tante figuracce del dottore ^^")
Al prossimo chap...
bye
-Melany

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Capitolo 12
*** White Angel & Black Devils ***


Nuova pagina 1

12.White Angel & Black Devils

Ran restò a bocca aperta, le pupille dilatate per lo shock che erano fisse sui due uomini davanti a lei. Sapeva che il suo stato d’animo era palese, che avrebbe dovuto mascherarlo in qualche modo, ma al momento non ne era in grado. Chi la stava guardando erano i due uomini che aveva incontrato al Tropical Land insieme a Shinichi, coloro che quest’ultimo aveva deciso di seguire prima di scomparire dalla circolazione. Gli occhi dell’uomo tarchiato erano coperti da un paio di occhiali da sole, ma Ran poteva vedere benissimo quelli dell’altro, sebbene i lunghi capelli biondi gli cadessero disordinatamente sul volto: e il suo sguardo era carico di disprezzo, spietato, lo sguardo di un assassino, proprio come ricordava. La stava fissando arcigno, trasmettendole tutto il suo odio, facendole paura.

Shinichi

Lì, per terra, era incapace quasi di muoversi, di parlare, consapevole che loro potevano vedere quanto era spaventata

aiutami

Consapevole che stava commettendo un grosso errore, che era inerme davanti a due assassini. Il cuore le rimbombava nelle orecchie, le guance avevano perso il colorito roseo di poco prima. Il più alto tolse la mano dalla tasca, lei chiuse gli occhi e strinse i denti...

Addio Shinichi

“Levati di mezzo, ragazzina!” le gridò contro il biondo, alzando la mano che aveva tolto dalla tasca con fare aggressivo. Ran aprì gli occhi e fu come svegliata da un sogno - o un incubo - , cercò di nascondere il tremito e si alzò a fatica: “Sc...scusate” mormorò con un fil di voce, l’uomo con lo sguardo spietato le diede uno strattone per passare, e lei quasi finì di nuovo a terra, stavolta in mezzo alla strada e non al marciapiede. Li vide allontanarsi, massaggiandosi il braccio dove l’aveva colpita, scossa e indecisa sul da farsi: secondo il suo ragionamento, quelle erano le persone che con molta probabilità erano legate alla *fuga* di Shinichi. Certo, poteva aver frainteso tutto, forse quegli uomini non avevano niente a che fare con il suo amico d’infanzia, per quanto sospetti; magari non erano nemmeno degli assassini, aveva preso un abbaglio. Lei non era una detective, non era mai riuscita a risolvere nessun caso, finché Shinichi o suo padre non esponevano la soluzione, tutto ciò che accadeva le sembrava complicato e incomprensibile. Dunque perché adesso avrebbe dovuto aver ragione? Perché perdere tempo con quei due estranei, che probabilmente avevano dimenticato già da tempo il loro incontro al luna park? Le due figure vestite di nero si stavano allontanando svelte, diventando sempre più piccole. Ma sì, di sicuro non aveva capito nulla, sarebbe stato meglio raggiungere subito Sonoko e Kazuha e non pensarci più. Quei due non c’entravano niente con Shinichi, questa era la verità.

Oppure quella che io voglio sia la verità

Sussultò, smettendo di massaggiarsi il braccio dove si stava formando una chiazza rossa, gli occhi fissi sulle schiene degli uomini, il cuore che non aveva smesso di sfondarle il petto. Che fosse tutta una scusa? Forse voleva davvero autoconvincersi che quei due fossero innocenti per non doverli inseguire? Sì, proprio così, e nello stesso momento in cui lo ammise con se stessa si sentì avvampare dalla vergogna. Come poteva essere così egoista? Solo un minuto fa aveva dichiarato di essere pronta a sacrificarsi pur di aiutare il suo amico d’infanzia, e adesso che ne aveva veramente l’occasione fuggiva con la coda fra le gambe? Aveva paura, era vero, e avrebbe tanto voluto raggiungere le sue amiche e non pensare più a quei due, stare al sicuro. Tuttavia, non poteva farlo. Quante volte Shinichi aveva rischiato la sua vita per lei? E lui si era mai tirato indietro? L’aveva mai abbandonata a se stessa fuggendo via? Cavoli, persino Conan, che aveva sette anni, era più coraggioso di lei! Anche il bambino l’aveva salvata più volte, a Osaka si era beccato perfino una pugnalata al suo posto!

Giusto e adesso tocca a me

Strinse forte i pugni: non si sarebbe comportata come una vigliacca, avrebbe seguito quei due uomini per scoprire se avevano a che fare con Shinichi, non gli avrebbe voltato le spalle. Adesso o mai più... cominciò a correre per riprendere il vantaggio che i due uomini avevano su di lei; quando ormai erano distanti solo qualche passo si fermò e ricominciò a camminare normalmente, il respiro un po’ più affannoso. Nelle orecchie le rimbombava il battito del suo stesso cuore, mentre la sua mente continuava a tentarla a fare dietro front e a fuggire il più lontano possibile, sentiva lo stomaco contratto in modo doloroso, la paura che martoriava e consumava ogni fibra del suo essere. Come avrebbe voluto che Shinichi fosse al suo fianco...

I due camminavano con passo svelto e sicuro, lanciando occhiate in cagnesco a chiunque si azzardasse a guardarli negli occhi: e non erano in molti, visto che quasi tutti i passanti si voltavano in ogni direzione pur di ignorarli. Non avevano un aspetto raccomandabile, e la gente *perbene* di solito evita di mischiarsi a questo genere di persone. Ran li osservava attenta qualche passo più indietro, il volto arrossato e contratto per la tensione, i pugni così stretti che le nocche erano bianche. La tentazione di andarsene era sempre più forte, ma non l’avrebbe fatto. Non prima di scoprire se quei due avevano fatto del male a Shinichi.

Ma perché in fondo anche se fosse cosa potrei fare io se nemmeno Shinichi è riuscito a catturarli oh mio Dio a che serve è inutile poi magari nemmeno c’entrano niente sto facendo la figura della stupida e se anche fossero colpevoli non avrei possibilità perché rischiare perché

Scosse la testa con vigore. Non poteva lasciar perdere tutto, proprio no. Doveva piantarla di fare la codarda. Nel peggiore dei casi avrebbe avvertito la polizia, in tasca aveva il suo cellulare. Nel migliore, nessuno avrebbe mai scoperto che aveva pedinato senza motivo due estranei che camminavano per strada, a meno che non fosse stata lei a raccontarglielo. E in ogni caso ci avrebbe riso sopra lei stessa. Cercò di rassicurarsi, anche se la paura continuava a ristagnare dentro di lei la ignorò. Camminarono così per qualche tempo, Ran faceva dei respiri profondi mentre gocce di sudore gelido le imperlavano la fronte, e quasi riuscì a convincersi di essere calma, nonostante il nodo allo stomaco e la tachicardia. Sì, a man a mano che procedevano, si sentiva sempre meno esitante e più sicura di sé, quasi tranquilla. I due svoltarono in una stradina laterale stretta e poco frequentata, Ran lanciò un’occhiata ansiosa alle sue spalle rimpiangendo amaramente i marciapiedi affollati; adesso sarebbe stato molto più difficile non farsi notare.

E più facile per loro uccidermi

Deglutì rumorosamente mentre una goccia di sudore le attraversava il viso, ma per il resto ignorò quel pensiero. Non doveva lasciarsi scoraggiare, doveva andare fino in fondo...doveva farlo per Shinichi. Davanti a lei uno dei due uomini, il biondo, si arrestò un attimo, poi svoltò in un vicolo cieco insieme all’altro. Ran non li imitò, ma si fermò accanto al muro per non farsi vedere, il viso contratto per la tensione, le mani sempre strette a pugno. Sbirciò dall’altra parte e li vide aprire una vecchia porta scalcinata, che sembrava l’entrata secondaria di un locale, e sparire dietro di essa. Si avvicinò cautamente, con passi lenti e misurati,  cercando di non far rumore, e arrivata vicino alla porta tese l’orecchio sperando di poter sentire cosa dicevano. In cuor suo sperava che non fosse niente di preoccupante...

“Bene, siamo arrivati, adesso possiamo riposarci un po’ mentre aspettiamo il proprietario.” Disse una voce bassa e tonante, che Ran associò all’uomo con gli occhiali da sole. Non era tagliente e gelida come quella del più alto, che invece udì subito dopo: “Avrà una bella sorpresa il bastardo, non avrebbe dovuto cercare di fregarci con quei soldi falsi.” Ghignò, Ran si sentì sprofondare: adesso era sicura che quei due non fossero esattamente gente onesta e a modo. La voce tagliente, affievolita dal legno della porta che li separava, riprese, divertita:

“Peccato però doverlo ammazzare subito. Sarebbe stato molto più divertente farlo guardare quando ci occuperemo di sua moglie.” I due risero crudelmente, Ran avvertì un tremito incontrollabile alle gambe, e riusciva a stento a sostenere il suo stesso peso. Stavano parlando di un omicidio, e lo facevano con un divertimento perverso e diabolico; era spaventata ma incapace di andarsene, vittima di una curiosità masochista che sapeva le sarebbe costata cara...

“Comunque, non vedo l’ora di vederlo strisciare ai miei piedi, mentre mi implora di risparmiargli la vita...sarà...magnifico” concluse la voce fredda con un tono di profondo godimento. Ran ora voleva più di ogni altra cosa correre via da lì, mettere chilometri fra lei e quei due assassini, ma le sue gambe non le obbedivano più, sembravano incapaci di fare qualsiasi cosa che non fosse tremare. Strinse i denti, non aveva ancora raggiunto lo scopo per cui li aveva seguiti, e in fondo se non si erano accorti di lei fino a quel momento, perché avrebbero dovuto in seguito...

“A proposito Gin, che cosa voleva Vermouth quando ti ha telefonato?” Domandò con voce noncurante il più basso, Ran, per quanto tesa e spaventata, non poté fare a meno di sorprendersi nel sentire i nomi dei due alcolici. Probabilmente erano nomi in codice, e la cosa la turbava ancora di più: i criminali qualsiasi di solito non usano certi espedienti, perciò si trattava di professionisti. E questo Vermouth doveva essere un terzo complice...

L’uomo chiamato Gin sbuffò: “Niente di importante...a quanto pare un povero idiota si è messo a ficcare il naso nei nostri affari...ma ha detto che se ne occuperà lei di persona. E sai che mani d’oro ha, quella donna...” rise, le gambe della ragazza cedettero, scivolò lentamente a terra...Ran si sentì morire...che stessero parlando di...

Se continui a ficcare il naso nel lavoro della polizia prima o poi finirai nei guai!!

le parole che lei stessa aveva pronunciato davanti al suo amico d’infanzia mentre tornavano da scuola, quel giorno di tanto tempo prima, risuonarono nitide nella sua mente, si sentì sprofondare in una voragine di disperazione...quando gliel’aveva detto era preoccupata, ma quel sentimento non era nemmeno paragonabile all’ansia che ora le attanagliava l’anima. Shinichi, il suo Shinichi, si era scontrato con qualcosa molto più grande di lui, qualcosa che l’aveva allontanato da lei, che gli aveva fatto del male e lei

Io non facevo altro che comportarmi da egoista mi lamentavo e lo accusavo e gli dicevo di tornare senza sapere come doveva sentirsi a quelle mie parole lui solo e lontano vive nel pericolo e io non so fare altro che piagnucolare e pensare a me stessa e stasera lui tornerà e correrà dei rischi solo a causa mia perché gliel’ho chiesto io e adesso lui torna solo per me e io che l’avevo definito cinico e egoista povero il mio Shinichi

“Ma credo che sarai felice di sapere, Vodka...” riprese la voce, fredda e divertita “...che avremo un ottimo diversivo per passare il tempo in attesa di quel bastardo.” Ran sentì il sangue congelarsi nelle vene, per un attimo che gli parve un’ora il cuore smise di battere, mentre tutto il corpo era scosso da un tremito irrefrenabile.

“Apri la porta, Vodka. Troverai una graziosa ospite ad aspettarti...”

 

 

La piccola figura altera prese ad armeggiare con un lungo strumento di vetro lucido, lanciò un’occhiata al foglio fittamente scritto che si trovava al lato della scrivania e aggiunse con un misurino un po’ di polvere giallognola; agitò la fiala, fissando con sguardo attento e concentrato la reazione del composto. Intorno a lei regnava il caos: fiale e ampolle sporche erano sparsi dappertutto, c’erano macchie qua e là di diversi liquidi multicolore, che disegnavano curiosi arcobaleni sul professionale tavolo di ceramica bianco. Perfino i fogli su cui era descritta la formula erano sporchi, ma la piccola scienziata non ci faceva neppure caso, tanto era immersa nel suo lavoro minuzioso e attento. Un piccolo errore e avrebbe anche potuto dire addio alla sua cavia umana... sì, era così che se lo figurava mentalmente ogni volta che doveva preparargli un antidoto temporaneo, solo un'insulsa, utile, precaria cavia...tutto questo la divertiva un po’ e le permetteva di raggiungere la freddezza necessaria a preparare il composto. Perché se avesse pensato a lui come Conan Edogawa, alias Shinichi Kudo, il giovane detective che aveva permesso agli Uomini in Nero di uccidere sua sorella, che l’aveva definita un’assassina e un mostro,  lo stesso che tempo dopo le aveva permesso di abbracciarlo in lacrime e di sfogarsi, che le aveva messo i suoi occhiali per non farla riconoscere dall’Organizzazione quando erano sulle loro tracce, che l’aveva fatta fuggire a costo di essere scoperto quando Gin l’aveva trovata e aveva tentato di ucciderla, che l’aveva coperta con il suo giubbetto portandola sulle spalle...se avesse pensato a lui in quel senso, troppi sarebbero stati i sentimenti nel suo animo, e troppo contrastanti, e qualche volta si era ritrovata a chiedersi quali avrebbero trionfato sugli altri. Perché quella volta, con la testa appoggiata alla spalla di lui, nella semi incoscienza che le ferite le avevano provocato un lampo di un sentimento strano si era affacciato al suo cuore, sentendo il calore del suo corpo, il suo profumo forte e deciso...si era sentita...protetta e al sicuro, come mai nella sua vita. Aveva capito una cosa, che non avrebbe mai ammesso né con se stessa né con chiunque altro, che avrebbe accantonato sempre come una specie di delirio momentaneo date le sue condizioni. No, non poteva abbandonarsi davvero a quel pensiero, perché la porta che desiderava aprire sarebbe stata sbarrata per sempre per lei. E in quel momento aveva faccende importanti di cui preoccuparsi, che richiedevano tutta la sua lucidità e freddezza...non doveva essere debole, e quella cosa l’avrebbe distrutta.

Così loro due diventavano la scienziata e la cavia da laboratorio, come lei voleva fosse, e come di sicuro lo voleva anche lui. Niente di ciò che avrebbe potuto dire o fare avrebbe cambiato le cose... Aggiunse qualche goccia di sodio cromoglicato, sbirciò di nuovo i suoi appunti e mescolò il tutto con un po’ di fosfato monosodico, dopodiché prese una goccia del composto così ottenuto e la premette sul vetrino del microscopio, osservandola attentamente attraverso la lente dello strumento. Ironia della sorte, era proprio lei che con le sue azioni aiutava quella porta a rimanere sprangata.

“Hai bisogno di aiuto, Ai kun?” la voce del professor Agasa la deconcentrò e se questo la irritò, di certo non lo diede a vedere; si voltò lentamente fino a guardarlo con i suoi occhi freddi, mentre l’anziano uomo le sorrideva con affetto: “Posso fare qualcosa, se vuoi.” Ai alzò le spalle indifferente e tornò a dargli la schiena, poi aggiunse:

“Non si preoccupi, professore. È tutto sotto controllo. Cerchi solo di non comparirmi alle spalle in quel modo.” come al solito, il suo tono di voce non suggeriva alcunché. Agasa non smise di sorridere, sebbene lei non lo guardasse più: aveva accolto con piacere Ai Haibara in casa sua, quando l’aveva trovata svenuta sotto la pioggia davanti a quella di Shinichi, e non si era pentito della sua scelta nemmeno un secondo da quando abitava con lui; perfino dopo che lei gli aveva rivelato la sua vera identità il suo proposito non aveva vacillato, anzi, era diventato ancora più forte: pensare a tutto quello che lei era stata costretta a sopportare lo faceva star male, e nei suoi occhi, il professore vedeva lo sguardo di una persona che era cresciuta troppo in fretta...una persona che cercava aiuto...ma che mai l’avrebbe ammesso. Essendo circondata continuamente da criminali assassini  Ai aveva imparato a creare una barriera intorno a sé, in modo che nessuno potesse capire cosa provava realmente. Seppure adesso la situazione era cambiata, continuava a mantenerla, per abitudine, forse, ma anche perché c’era tuttora una persona a cui non voleva far conoscere il suo vero io...e il professor Agasa poteva immaginare di chi si trattasse.

“Qualcosa non va, professore?” domandò lei in tono incolore, senza voltarsi.

“No, Ai kun, non preoccuparti...andrà tutto bene, vedrai.” Le scompigliò i capelli biondi con affetto e uscì dalla stanza. La piccola scienziata rimase interdetta per un attimo, poi cominciò a fissare il composto che aveva ottenuto e sorrise, lo stesso sorriso che aveva rivolto a Conan quando gli aveva detto chi era per strada.

“Sicuro che andrà tutto bene...” sussurrò fra sé e sé, abbandonando il tono indifferente “bisogna vedere per chi...” 

 

Era passata quasi un’ora ormai da quando aveva capito con chi doveva incontrarsi il giornalista, e ancora era lontanissimo dalla sua meta. Il dolore alla gamba, che peraltro ad un certo punto aveva cominciato di nuovo a sanguinare, l’aveva costretto a fare una piccola deviazione al percorso, che gli aveva fatto perdere un sacco di tempo. Sapeva che ancora non era successo niente, perché altrimenti il suo collega l’avrebbe avvertito, ma era ugualmente seccato da tutta quella storia, e temeva di non riuscire a raggiungerli prima che si vedessero. Se lei si era fatta già dire tutto la sera prima al bar, poteva ben immaginare che non fosse per parlare che gli aveva dato appuntamento. Una parte del suo essere lo tentava a lasciare che lei compisse la sua missione, in fondo il mondo non aveva bisogno di quella carogna schifosa, e lui avrebbe evitato di finire su tutti i giornali. Tuttavia, gran parte del suo animo, quello che l’aveva spinto a voler diventare un detective, sapeva che era sbagliato e che, per quanto un uomo potesse essere un lurido bastardo, la sua vita valeva qualcosa. E poi, doveva comunque raggiungerli, seguendo Chris Vineyard, alias Vermouth, sarebbe potuto arrivare alla base dell’Organizzazione...e lì fargliela pagare per quello che gli avevano fatto. Quell’obiettivo gli faceva salire l’adrenalina in corpo e gli aveva permesso di raggiungere di corsa l’agenzia, sfrecciare davanti ad un sonnacchioso Kogoro Mouri, afferrare lo skate-board e rimettersi subito sulla strada per il Tropical Land, con gran sollievo per la sua gamba, la cui unica fatica ora era sorreggere il suo peso, e del suo stato d’animo, perché adesso andava ad una velocità dieci volte maggiore. Così, mentre attraversava rapidamente i marciapiedi facendo lo slalom fra la folla, la brezza fresca che gli scompigliava i capelli bruni e gli sferzava piacevolmente il viso, si ritrovò a pensare che forse quella giornata, iniziata in modo pessimo, si stava evolvendo in qualcosa di davvero eccitante. Certo, l’idea di affrontare l’Organizzazione lo spaventava un po’, ma il pensiero di poter smettere di fingere di essere un moccioso di sette anni, almeno di fronte a Ran, gli imprimeva un coraggio senza pari. Se avesse potuto rivelarle la sua vera identità, avrebbe sopportato meglio il suo fardello, e di sicuro l’attesa per l’antidoto definitivo preparato da Ai sarebbe stata più serena, con la sua amica d’infanzia al suo fianco. Sorrise, la sua vita stava per avere una svolta, non doveva fare altro che raggiungere il luna park, trovare Mori e Vermouth, addormentare entrambi con un dardo narcotizzante del suo orologio, togliere al primo la cassetta (poiché era sicuro che lei gli avesse detto di portarla con sé all’appuntamento) e applicare a quest’ultima un trasmettitore, attraverso il quale avrebbe potuto seguire le sue mosse con gli occhiali. Lei l’avrebbe condotto al loro covo,  e allora lui avrebbe potuto chiamare l’ispettore Megure con la sua voce adulta e organizzare una retata. Una volta catturati alcuni membri dell’Organizzazione, sarebbe stato facile farli confessare e scoprire così chi altri ne faceva parte, e allora sarebbero stati a cavallo...

Questo era a grandi linee il piano che Conan si figurava nella sua mente da quando era venuto a conoscenza degli ultimi fatti; era sempre stato un tipo molto sicuro di sé, perciò era convinto che, se ce l’avesse messa tutta, sarebbe riuscito a raggiungere il suo obiettivo, questa volta...e all’appuntamento con Ran avrebbe anche potuto rivelarle finalmente ciò che teneva nascosto da tanto tempo...i suoi veri sentimenti...

Arrossì furiosamente, mentre il cuore saltò qualche battito. Tuttavia, riemergendo dal suo sogno ad occhi aperti, si accorse che con tutta la gente che affollava le strade della capitale nipponica quella domenica, era costretto a rallentare spesso per aggirare e superare un sacco di persone, e la cosa lo infastidiva.  Decise così di abbandonare le strade principali a favore di qualche viuzza meno frequentata, dove avrebbe potuto avanzare con più facilità e rapidità. Era solo questione di ore, ormai, e il sogno che inseguiva da mesi e mesi sarebbe diventato realtà. Niente più fingere, niente più bugie, niente più sussulti e spaventi ogni volta che sentiva parlare di edifici esplosi e di misteriosi omicidi...niente più Conan Edogawa, solo Shinichi Kudo, se non nell’aspetto, almeno con le persone che conosceva e a cui era caro...almeno con la sua Ran...

 

Ran era paralizzata, le guance avevano perso il bel colorito roseo per lasciar spazio ad un bianco cadaverico, il corpo era scosso da un tremito che non riusciva a fermare. Lo stomaco gli si era attorcigliato in maniera sgradevole, un peso insostenibile gravava nel suo animo mentre sentiva i passi pesanti dell’uomo chiamato Vodka avvicinarsi alla porta, capì che non aveva via d’uscita, era spacciata, sarebbe morta...quasi svenne quando la porta si spalancò e lui la guardò attraverso gli occhiali da sole, mentre un sorrisetto gli si formava sulle labbra:

“Ma guarda, avevi ragione...” sentenziò, lei lo guardava allibita, il suo cervello lavorava furiosamente, doveva alzarsi in piedi, era un grassone, anche se robusto, poteva atterrarlo con un colpo ben assestato di Karate e fuggire più velocemente possibile verso la strada affollata, lì sarebbe stata al sicuro. Tentò di alzarsi ma le gambe tremavano troppo, non sorreggevano il suo peso, così si sollevò di pochi centimetri e ricadde in ginocchio con un gemito...si sentiva morire, le lacrime che tratteneva a stento. Vodka tirò fuori la pistola con una mano e gliela puntò alla testa,  mentre con l’altra la prendeva sgarbatamente per il  collo del giacchetto jeans e la spingeva violentemente nella stanza, chiudendo la porta alle sue spalle, senza smettere di sorridere.

“Sii più garbato, Vodka, non vedi che è una signorina?” lo ammonì Gin con voce falsamente gentile.  Ran era rimasta semi sdraiata per terra, non osava muoversi, né guardare in faccia i due uomini...fissava il pavimento sotto di sé, cercando di acquietare il suo corpo...non voleva che loro si accorgessero di quanto era spaventata...

Oddio perché mi sono cacciata in questa situazione oh Shinichi tu cosa faresti al mio posto aiutami ti prego non so che fare non voglio morire aiutami

“Allora bellezza, se non sbaglio tu sei la stessa che ci è venuta addosso poco fa, non è così?” Chiese Gin, guardandola con un sorrisetto. Ran rimase in silenzio, mostrandogli solo la testa, sapeva che se avesse parlato la sua voce si sarebbe spezzata, loro avrebbero capito che era terrorizzata...

“Il mio amico qui ti ha fatto una domanda, ragazzina!” Le urlò il più basso, dandole un colpetto nel fianco con la punta del piede. Ran si scansò di scatto, lanciando un’occhiata spaventata all’uomo che le stava vicino con la pistola puntata, gli occhi luccicanti di lacrime represse...poi annuì.

“Lo sapevo...non mi dimentico mai un culetto così bello, quando ne vedo uno.” Disse, ed entrambi esplosero in diaboliche risa di scherno. Ran li ascoltava, e attraverso la paura sentì che affiorava un altro sentimento...si sentiva

Umiliata è questo che vogliono fare umiliarmi lo so e io non so che fare non voglio restare qui oddio cosa farebbero papà e Shinichi come si comporterebbero ho tanta paura non voglio morire non voglio

Le risate pian piano si spensero, Ran sentì le gambe della sedia del più alto strusciare per terra, udì i suoi passi...si stava avvicinando a lei, e la paura sovrastò di nuovo qualsiasi altro sentimento. Appoggiò le mani sul pavimento, dietro la schiena, e cominciò a trascinarsi lontano da loro due, indietreggiando disperata, finché la sua schiena venne a contatto con un freddo muro e dovette arrestarsi. Non li aveva guardati per tutto quel tempo, ma ora lo vide sporgersi verso di lei, sentì le sue dita prenderle il mento, costringerla ad alzare la testa violentemente, fino ad incontrare il suo sguardo, i suoi occhi gelidi e senza pietà...

“Dimmi bambina, perché hai deciso di seguirci?” sentì il suo fiato, acre e impregnato di tabacco, le sue dita ancora serrate attorno al suo viso... “Senti, o impari da te a rispondere quando ti faccio una domanda, o ci penserò io a insegnartelo...e non so tu, ma io mi divertirei molto di più nel secondo modo...” di nuovo la sua risata perfida, mentre Vodka, dietro di lui, lo imitava. Ran annuì di nuovo, esitante, poi si fece coraggio e cercò di parlare fingendosi il più calma possibile: “Io...” sentì un nodo in gola e la sua voce, già flebile e acuta, si spezzò. Lui continuava a fissarla con i suoi occhi senza pietà, aspettandosi una risposta, e tenendo a mente la sua minaccia di poco prima, Ran deglutì con fatica e riprese, con un fil di voce:

“Io vi ho...scambiati per...qualcun altro...” Gin  la osservò attentamente, squadrandola da capo a piedi, la fronte aggrottata, poi ghignò: “Sì, può essere... ormai comunque non ha più molta importanza...” si sporse ancora di più, ormai il suo volto era a contatto con la sua spalla, Ran poteva sentire il suo fiato caldo sul collo, la sua bocca sempre più vicina...capì cosa stava per fare e si irrigidì,  cercando di sottrarvisi con un gesto brusco, ma la sua nuca colpì il muro dietro di lei, provocando un altro scoppio di risa in entrambi i suoi sequestratori.

“Calma piccola, non devi avere nulla da temere...” le sussurrò all’orecchio il biondo, prese fra le mani una ciocca di capelli bruni e la annusò, con gli occhi chiusi: “...hai davvero un buon profumo...dì un po’...” riprese, sempre in un sussurro. Ran sentiva che di lì a poco avrebbe perso i sensi, non poteva resistere un minuto di più in quella situazione, si sentiva distrutta, terrorizzata, incapace di reagire, come se tutto le fosse crollato addosso...respirava a fatica, il suo cuore pompava sangue così forte che cominciava a farle male...

Aiuto ho bisogno di aiuto non ce la faccio

Gin incontrò di nuovo il suo sguardo, e le chiese a bassa voce,  con stampato in faccia un ghigno perfido di scherno: “Sei vergine?” Ran sussultò, gli occhi sbarrati e ormai colmi di lacrime, fissando inorridita chi le stava davanti, incapace di reagire, di pensare, così spaventata che un capogiro e un forte senso di nausea si stavano  impossessando del suo corpo scosso dai tremiti. “Oh, ma certo...sei così...pura...bella e inviolata...” sibilò famelico. Fu a quel punto che il terrore divenne insostenibile, la vista le si annebbiò finché non poté più vedere il volto che le stava davanti, tutto divenne scuro...e svenne.

Note dell'Autrice: cavoli quanto mi ha fatto schifo scrivere quest'ultimo pezzo!! Povera la mia Ran...capitano tutte a lei!! ^^" sarà che ultimamente il mio umore non è stato dei migliori e allora si riflette in ciò che scrivo...chissà! Comunque volevo postare il dodicesimo capitolo prima che la scuola assorbisse di nuovo tutto il mio tempo (ho iniziato il 16 ma i primi tre giorni non ho fatto praticamente nulla, per cui...). Questo perché da adesso in poi mi sarà difficile aggiornare spesso, con tutti i compiti e le attività pomeridiane da svolgere. Comunque conto su di voi, siete in molti a leggere e se siete tanto carini da mandare un commento cercherò di utilizzare un po' del mio tempo libero per continuare la ff. Un aiuto da parte vostra in questo senso mi farebbe davvero piacere, ragazzi. ^//^ Allora, come al solito vedo di dire qualcosina  a chi mi ha scritto:

Mareviola:  ciao!!^^ Grazie mille...ecco il chap12... non ci sono molti dialoghi, ma spero ugualmente che ti sia piaciuto; mi dispiacerebbe perdere una lettrice fidata come te! ^^" A risentirci.

Akane Tendoo:  Scusarti?!? O _ O E di che cosa?? Sono rari i commenti accurati quanto i tuoi, significano che sai esaminare bene ciò che leggi, ed è una bella qualità...mi ha fatto piacere riceverlo, dico sul serio! ^//^ Il suggerimento era centrato, io sto cercando di seguirlo, anche se in questo capitolo i pensieri dovevano mostrare l'angoscia della protagonista e quindi non ci sono proprio riuscita..^^" in quanto all'altra cosa, io non penso che esistano domande stupide...si domanda perché si vuole sapere, e questo è un proposito tutt'altro che sciocco. Esistono invece risposte stupide, questo sì. (e io ne sono la presidentessa, come avranno capito tutti ormai - _-") Imperfezioni nella mia fanfic? Ce ne sono a bizzeffe! Ma non pretenderai che le racconti in giro, no? ^ _ ~  Ti ringrazio dei complimenti, sta sicura che se continui a sostenermi cercherò di fare sempre del mio meglio!!^^ Ah, i tuoi sospetti erano fondati?? Immagino di sì, era piuttosto ovvio (che grande scrittrice di gialli che sono, eh? ^^"). Alla prossima!!

Akemichan:  grazie^^, ne sono felice! Anch'io vorrei poter avere fra le mani i volumi in italiano, pensa che sono andata a cercare in tutte le fumetterie esistenti nella mia città le vecchie pubblicazioni della Comic Art, e sono riuscita a racimolare una ventina di volumetti. Comunque per adesso mi sa che ci tocca accontentarci delle scans in inglese e dell'anime in tv!! ; _ ;  Ti ringrazio ancora per la recensione, ^//^ spero di risentirti.

Bene, credo che sia tutto per quanto riguarda i commenti. Le citazioni di questo chap venivano dai vol.19 (Conan che si fa pugnalare al posto di Ran a Osaka) dal vol.1 (la frase che Ran ricorda di aver detto a Shinichi mentre tornavano da scuola) e dai vol.18 e 24 per quanto riguarda i ricordi di Ai.

Un grazie a tutti i lettori che dedicano parte della loro giornata a questa ff, spero non la riteniate sprecata! ^^" 

Prossimo Capitolo: (o almeno ciò che ho intenzione di scrivere) più azione, l'incontro fra Mori e Vermouth,  cosa succederà a Ran + un piccolo spunto per un HeijiKazuha che approfondirò poi (mi sono accorta di aver trascurato la coppia del Kansai ^^") e naturalmente cosa farà Conan! ^ _ ~

bye

-Melany

   

 

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Capitolo 13
*** Tropical Land ***


13. Tropical Land

Se c’era una cosa che gli era ben chiara fin da quando aveva mosso i primi passi nel mondo dell’adolescenza, era quanto fosse gravemente sbagliato andare al luna park in un giorno festivo. La calca era così fitta che sebbene fosse una giornata abbastanza fresca si era ritrovato a sudare copiosamente nel giro di pochi minuti. Farsi largo in mezzo a quell’ondata di persone poi era tutt’altro che semplice, soprattutto se si doveva tenere d’occhio un tizio comune di mezza età, vestito altrettanto comunemente, il cui unico elemento non comune era il fatto di essere più basso del normale. Da quando erano entrati al Tropical Land aveva rischiato di perderlo almeno una dozzina di volte, o perché un gruppo di studentesse ciarlanti gli passava davanti, oppure perché rischiava di investire bambini che gli arrivavano alle ginocchia, o perché qualche strano pupazzo gigante cercava di rifilargli dei volantini. Un altro po’ di questa vita e giurò a se stesso di prendere Mori per la collottola, sbatterlo al muro, farsi restituire quel benedetto nastro a suon di calci nel sedere...e tanti saluti al piano del caro Kudo, in fondo non era a lui che erano toccate quelle tediose ore di pedinamento! No, il suo amico e rivale si era divertito a mettere in moto la sua deduttiva, e dal tono in estasi con cui gli aveva parlato la seconda volta che gli aveva telefonato, sembrava che la sua fosse stata una giornata meravigliosa. Senza contare che quella sera stessa avrebbe avuto un incontro indimenticabile con l’amore della sua vita, mentre probabilmente lui avrebbe dovuto fare di tutto per placare l’ira della sua amica d’infanzia, di cui ormai rifiutava tutte le chiamate. E dubitava che lei lo perdonasse tanto facilmente. Una brutta bestia l’invidia...fortunatamente non l’avrebbe mai spinto a fare ciò che aveva pensato: Heiji sapeva che questa era una delle rare occasioni in cui Kudo avrebbe potuto finalmente venire a contatto con l’Organizzazione, dando una svolta definitiva alla sua situazione, e se c’era una cosa che non si sarebbe mai permesso era rovinargli la vita, sapendo quante ne aveva già passate. Inoltre Kudo l’avrebbe ucciso, e quello era un punto da tenere in considerazione... ridacchiò, superando un altro gruppo di ragazze chiacchierine e tenendo d’occhio l’uomo con il cappotto di feltro qualche testa avanti a lui. Ma dove cavolo stava andando? Sentì il telefono vibrare, vide sulla schermata il nome del suo migliore amico e rispose. “Dove sei?” Lo aggredì una voce concitata non tanto infantile, senza dargli il tempo di dire nulla:

“Ciao anche a te, Kudo.” Ribatté sarcastico, scansando con garbo una vecchietta che si era fermata davanti a lui. Dall’altra parte sentì Conan fare uno strano suono, simile a un ringhio:

“Non ho tempo da perdere Hattori, dimmi dove sei!” urlò spaccandogli un timpano. Forse fu perché era accaldato e stanco, ma Heiji vide per un attimo nella sua mente l’immagine di un telefono rovente, effetto fumetto Walt Disney... “Qual è la parola magica, Conan kun?” domandò ironico, un sorriso stampato in faccia.

“Hattori!” ringhiò Conan al di là della cornetta.

“Su, non è così difficile...”

Hattori!”

“Forza, o non ne usciamo più...” Continuò Heiji per nulla intimidito. Così imparava quell’idiota a propinargli simili incarichi odiosi. Udì uno sbuffò infuriato, e poteva immaginare l’espressione incollerita e i pensieri non molto carini che il suo collega stava facendo nei suoi confronti.

“Hattori...” esordì Conan digrignando i denti “...per favore.” Il suo tono lasciava intendere che erano ben altre le parole che intendeva dirgli. Heiji sorrise maligno:

“Bravo bambino. Visto che non era poi tanto difficile?” un altro ringhio al di là della cornetta: “Comunque, io e Mori stiamo passando davanti alla casa del terrore, e ci stiamo avviando verso la pista dei go-kart. Muoviti adesso, hai già perso abbastanza tempo!” lo ammonì, attaccandogli in faccia prima che potesse ribattere. Ridacchiò soddisfatto, infilandosi il cellulare in tasca e pensando agli epiteti che Kudo avrebbe voluto lanciargli addosso. Davanti a lui, Mori spintonò una coppia di fidanzati per farsi strada, noncurante delle loro proteste, e poco dopo anche Heiji li superò, con molta più gentilezza naturalmente. Vista la richiesta di Kudo, poteva immaginare che fosse entrato al luna park, e che l’avrebbe raggiunto in breve tempo. Si sentì sollevato, in due sarebbe stato molto più divertente, soprattutto per lui, che non avrebbe perso occasione per punzecchiarlo; Dio solo sa quanto adorava il suo rapporto con Kudo...

“Guarda qui, sono riuscita a prenderne uno carinissimo!!” Kazuha mostrò a Sonoko il sacchetto di plastica trasparente, pieno d’acqua, dove sguazzava tranquillo un pesce piccolo, di un colore che sfumava dal rosso intenso a quello più chiaro. Sonoko lo guardò ammirata.

“Hai ragione! È proprio bello! Me lo regali?” Domandò con voce acuta, Kazuha scosse la testa con un sorrisetto altezzoso e Sonoko le diede un colpetto sulla spalla, infastidita, poi entrambe scoppiarono a ridere. Fortunatamente, le due ragazze avevano superato in fretta la fase dei silenzi imbarazzati e delle conversazioni forzate e banali, e per tutto il tragitto fino al luna park avevano chiacchierato spensieratamente conoscendosi meglio. Kazuha notò che la ragazza di Tokyo aveva un carattere molto espansivo, incline al sorriso, e nonostante i suoi continui apprezzamenti nei confronti di ogni ragazzo più carino della media che incontravano e le sue frequenti domande riguardo a Heiji, la trovava molto simpatica. La sua personalità era estremamente diversa da quella di Ran, di certo meno esuberante e più emotiva, e non riusciva a capire come avessero fatto a diventare grandi amiche; tuttavia, la questione era per lei di blando interesse.

“Senti un po’, ma dov’è finita Ran!?” le domandò Sonoko, passandosi una mano nel caschetto di capelli castani corti. Kazuha si strinse nelle spalle.

“Non ne ho idea, ho provato a chiamarla al cellulare, la prima volta ha squillato un po’ e poi ha rifiutato la chiamata, la seconda volta invece era spento fin dall’inizio...” Sonoko la guardò perplessa per qualche secondo, poi le sue labbra si stirarono in un sorriso a trentadue denti:

“Chissà, magari Shinichi è riuscito a venire prima e si stanno sbaciucchiando da qualche parte, e non vogliono essere disturbati!” Disse con voce squillante e un po’ maliziosa. Kazuha le sorrise di rimando; Ran doveva aver sbandierato ai quattro venti che usciva con Kudo, a quanto pareva. Non la biasimava, anche lei avrebbe fatto lo stesso, se mai Heiji e lei avessero avuto un vero appuntamento, per una volta...purtroppo, per quanto sperasse intensamente che lui la invitasse da qualche parte all’arrivo di ogni week-end, restava sempre delusa. Heiji preferiva passare il tempo libero alla centrale di polizia aspettando che capitasse qualche caso interessante, e se ciò non avveniva andava ad allenarsi a kendo, a vedere una partita di baseball alla tv o a leggere qualche stupido libro di Ellery Queen, che peraltro conosceva già a memoria. Se poi lei gli proponeva di accompagnarla da qualche parte sbuffava seccato e acconsentiva di malavoglia. Sembrava non accorgersi di quello che lei provava nei suoi confronti, eppure un detective dovrebbe saper leggere fra le righe, dannazione! Infatti, non si sarebbe mai dichiarata apertamente: se lui non la ricambiava, avrebbe potuto rovinare il loro rapporto per sempre...e lei non voleva perderlo, a costo di rimanere per sempre la 'sua sorella maggiore'. Tuttavia, quando con lo scendere delle ombre si ritrovava da sola sul suo letto a pensare, non poteva fare altro che ricordare quel giorno di qualche tempo prima, quando aveva rischiato di cadere in quel dirupo e morire. Heiji l’aveva sorretta, sebbene rischiasse di precipitare a sua volta, e sebbene lei lo avesse esortato a salvarsi lui non l’aveva fatto, dichiarando che se anche avesse dovuto morire, non l’avrebbe mai lasciata...così si erano salvati entrambi e lui l’aveva portata sulle spalle fino al casolare, facendola sentire al sicuro, fino a farla addormentare...tutte le volte che ci pensava arrossiva e sentiva un barlume di speranza nascere nel suo cuore... una volta in salvo lo sguardo di Heiji era colmo di affetto mentre la guardava con i suoi occhi verde - azzurri, il suo sorriso di una dolcezza mai vista...quello che aveva letto nei suoi atteggiamenti sembrava...era...amore...

“Che c’è Kazuha!? Cos’è quello sguardo trasognante? Stai pensando a Heiji eh?” insinuò Sonoko scrutandola in tralice, lo stesso sorrisetto malizioso che aveva mentre parlava di Ran e Shinichi. Il viso della ragazza del Kansai avvampò fino a diventare dello stesso colore del pesciolino nel sacchetto mentre balbettava imbarazzata.

“M-ma no figurati!! Io...io...non stavo pensando a quel bamboccio!” Sonoko sospirò rassegnata scuotendo la testa: “Eccola qua, tale e quale a Ran...” Kazuha la fissò ammutolita, non sapendo cosa dire, ma per sua fortuna l’attenzione della ragazza di Tokyo fu catturata da un gruppetto di ragazzi che si dirigeva verso la casa del terrore.

“Oh mio Dio hai visto che bel biondino c’era in mezzo a quei tipi!? Era un figo da paura!!” squittì eccitata:

“Dai, seguiamoli, se entrano nella casa del terrore potrebbe capitare che io mi spaventi aggrappandomi accidentalmente al suo braccio!” E detto questo afferrò quello di Kazuha, cercando di trascinarla verso il gruppo di ragazzi, facendosi largo tra la folla.

“Ehi credevo che tu stessi con un certo Makoto!” replicò la ragazza di Osaka, cercando di divincolarsi dalla stretta.

“Sì infatti.” Rispose Sonoko guardandola perplessa, come se non capisse il nesso di quell’affermazione con quanto successo fino a quel momento. Kazuha, che non la conosceva abbastanza da capire se stesse scherzando, e dovesse mettersi a ridere, o se doveva cominciare a preoccuparsi, annuì solamente accingendosi a seguirla.

Tutto sommato, aveva un po’ paura ad ammettere che fosse proprio quello il sentimento che aveva letto negli occhi del suo amico d’infanzia; ci sperava da così tanto tempo che poteva benissimo aver volontariamente frainteso, e sapeva che se si fosse illusa e poi fosse venuto fuori che aveva fatto tutto da sola, avrebbe sofferto il doppio. In fondo, poteva essere benissimo l’affetto che un fratello rivolge alla sua sorellina...sospirò, l’unica cosa che restava da fare era pregare perché Heiji si dichiarasse; quel giorno, se mai fosse arrivato, gli avrebbe gettato le braccia al collo in preda a una felicità senza confini...

“Permesso! Scusate! Permesso!” Sonoko continuava a trascinarla attraverso la folla, spintonando chiunque si frapponesse fra lei e il biondo, finché non si scontrarono con un ragazzo alto, con un berretto da baseball, evidentemente intenzionato a non lasciarle passare.

“Ehi, levati! Dobbiamo...” la voce della ragazza di Tokyo s’interruppe per lasciar spazio ad un urletto, Kazuha alzò la testa per capire il motivo della sua reazione e restò a sua volta senza fiato:

“Heiji!! Che diavolo ci fai qui!?” Domandò allibita, mentre il ragazzo lo guardava con gli occhi sbarrati, come se avesse visto un fantasma. Non rispose subito, ma lanciò un’occhiata furtiva davanti a sé, a quel che pareva alla folla.

“Io...sto facendo quella commissione...” disse esitante, senza guardarla negli occhi.

“Qui, in un luna park!?!” ribatté incredula e un tantino accigliata. Che Heiji stesse mentendo era palese, ora doveva capire se era per mascherare un appuntamento con un’altra ragazza. Solo al pensiero sentì un soffio doloroso all’altezza del petto...

“Ehm...ora non ho tempo di spiegarti, ci vediamo dopo...” rispose frettoloso, fece per andarsene, lo sguardo rivolto al mucchio di teste davanti a lui, la fronte aggrottata, ma Kazuha lo afferrò per un braccio.

“No!! Non credere di potermi liquidare in questo modo!! Cos’hai fatto tutta la mattina!? Perché sei venuto al luna park!?” Si accorse che la sua voce, sebbene tremasse di rabbia, lasciava trapelare tristezza e abbattimento. Heiji probabilmente se ne avvide perché la guardò negli occhi esterrefatto, per un lungo attimo, poi fu come se fosse svegliato bruscamente da un sogno, perché le strattonò il braccio liberandosi dalla sua presa e ricominciò a camminare fra la folla, un leggero velo di panico negli occhi: “Non ora Kazuha per favore” ripeté facendosi largo tra la folla, e se l’avesse guardata si sarebbe accorto che si stava trattenendo a stento dal piangere. Sonoko osservava entrambi ammutolita: il ragazzo stava per essere inghiottito di nuovo dalla folla, Kazuha lo fissava con sguardo vuoto, pallida: Heiji le aveva mentito, aveva inventato la scusa della commissione perché non voleva averla tra i piedi...e le veniva in mente una sola motivazione per quel suo comportamento, che la lacerava dentro, dolorosamente. Per anni gli era stata vicina, sopportando il fatto che non sarebbe mai stata al primo posto fra i suoi pensieri, perdonandolo ogni volta che le dava buca ad un appuntamento o la piantava in asso nel bel mezzo di un’uscita per risolvere un caso, aspettandolo con ansia ogni volta che lui partiva per Tokyo senza di lei...e a lui non era mai importato niente...anzi...nemmeno ci aveva mai fatto caso... All’improvviso i suoi occhi si riempirono di un cipiglio frustrato, seguì il suo amico d’infanzia fra la calca, fermandolo di nuovo e facendolo voltare: “Sei solo un bastardo!” Gridò infuriata, mollandogli uno schiaffo che fece rabbrividire tutti intorno a loro. A quel punto non riuscì più a trattenere le lacrime, si voltò per nasconderle e fuggì via, lasciando Heiji a bocca aperta, pallido, che la osservava massaggiandosi con gesto meccanico la guancia arrossata: la sua amica d’infanzia si allontanava fra la folla, correndo a testa bassa e asciugandosi gli occhi con il dorso della mano. Stava piangendo...e lui, sebbene consapevole di non aver fatto nulla di male, si sentì scosso e profondamente colpito. Perché aveva avuto quello scatto isterico!? Che davvero pensasse che...

“Non crederà che io sia qui per divertirmi con una ragazza spero!” Lanciò un’occhiata esasperata alla figlia del capo del gruppo Suzuki, imbronciato. Lei lo guardò per un momento, poi rispose esitante:

“Ehm...non so...può darsi...” Heiji sbuffò, mormorando a mezza voce un “Idiota” e fissando con gli occhi socchiusi la coda di cavallo ciondolante che si stava confondendo tra la folla. Era infastidito dal fatto che lei gli desse così poca fiducia, ma allo stesso tempo sentiva uno strano vuoto all’altezza del petto al pensiero che stava piangendo per lui. Kazuha era sempre stata una ragazza tosta, forte, raramente l’aveva vista in lacrime...eppure anche solo il sospetto che lui potesse essere in compagnia di un’altra l’aveva ridotta in quello stato. Per la prima volta nella sua vita sentì il forte impulso di correrle dietro per mettere bene in chiaro che mai lui avrebbe fatto qualcosa che potesse minimamente ferirla, e che esisteva solo una ragazza con la quale sarebbe voluto uscire...una ragazza che conosceva fin da quando era piccolo...che lo faceva star bene con la sua sola presenza...che mai avrebbe voluto perdere...Fece dietro-front per raggiungerla ma sentì qualcuno afferrargli i vestiti un po’ sopra il ginocchio, e quando abbassò lo sguardo gli venne quasi un infarto; si voltò di scatto verso il luogo dove l’ultima volta aveva focalizzato il giornalista, scoprendo con orrore che di lui non c’era traccia.

Conan raggiunse con il suo skate-board il luogo che gli aveva suggerito Hattori al telefono, anche se ci impiegò un po’ a causa del mucchio di persone che lo costringevano a mettere al minimo la velocità del suo mezzo di locomozione. Se la sua gamba non stesse mandando fitte lancinanti ogni minuto, sarebbe sceso e andato volentieri a piedi. Individuò il ragazzo fra la folla, il berretto da baseball bianco che rifletteva la luce del sole, e si accorse con vago stupore che accanto a lui stava Sonoko, fissandolo come inebetita; con suo enorme sollievo non vedeva Ran da nessuna parte: avrebbe cominciato a fare storie e sarebbe stato seccante, senza contare che avrebbero perso tempo. Tuttavia, guardando l’espressione del suo collega, un brivido gelido gli percorse la schiena: non sembrava la faccia di uno che sta tranquillamente tenendo d’occhio un sospettato. Era...afflitto, triste e leggermente contrariato, gli occhi fissi nella contemplazione di qualcosa (o qualcuno) davanti a sé. La cosa non gli piaceva per niente, considerando che mancava all’appello anche Kazuha Toyama, la fidanzata del suddetto. Ma non aveva alcuna voglia di pensare al peggio...

Ma sì magari sta osservando Mori e intanto pensa a qualcos’altro mi preoccupo troppo

Ignorando il fatto di aver sentito nella sua mente la voce della speranza e non della ragione obbiettiva si diresse verso di lui, cercando di non essere calpestato dalla folla, e non potendo per ovvi motivi dargli un buffetto sulla spalla per richiamare la sua attenzione, si aggrappò alla stoffa dei pantaloni sulla gamba. Lui abbassò lo sguardo e quando incrociò il suo, Conan non poté fare a meno di notare che l’ombra di panico che era balenata nei suoi occhi verde - azzurri non gli piaceva per niente. Proprio per niente. E lo stesso valeva per il gesto brusco che il detective dell’ovest fece subito dopo, voltandosi a guardare la marea di teste e trasalendo, pallido in faccia sotto l’abbronzatura. Cercando di mantenere un tono freddo e distaccato nonostante il timore e la rabbia che stavano crescendo dentro di lui Conan esordì:

“Tu sai dov’è, vero? Non puoi averlo perso, dico bene?” Heiji evitò accuratamente di guardarlo in faccia, i suoi occhi continuavano a guizzare soffermandosi speranzosi su ogni uomo coi capelli neri. Sonoko riconobbe la voce del bambino e abbassò lo sguardo a sua volta:

“Oh, sei tu...ma come mai Ran non è con te?” Chiese, Conan la ignorò totalmente, lo sguardo torvo fisso sul ragazzo del Kansai:

Dico bene, Hattori!?” Ringhiò, gli occhi fiammeggianti attraverso le lenti degli occhiali. Heiji si voltò verso di lui esitante: “Ehm...a dir la verità...al momento non riesco a...vederlo...” balbettò, e se gli occhi di Conan fossero stati armi l’avrebbero ucciso.

“COME SAREBBE A DIRE???” urlò infuriato, Heiji trasalì, Sonoko fissò il bambino con un misto di timore e sbalordimento: da quando in qua quel bambino era così aggressivo e spaventoso!? E soprattutto di che diavolo stavano parlando!?

“Io l’ho tenuto d’occhio fino a un momento fa...mi sono distratto solo un attimo...era lì da quelle parti, non può essere lontano...” si giustificò il detective dell’ovest, indicando la pista dei go-kart davanti a sé. Conan imprecò ad alta voce, volgendo lo sguardo seguendo la traiettoria del dito di Heiji. Se avesse avuto il tempo avrebbe urlato contro di lui fino a diventare afono, probabilmente gli avrebbe calciato addosso qualcosa aumentando di molto la potenza delle sue scarpe, poi l’avrebbe ucciso in un modo lento e doloroso...oh sì, l’avrebbe fatto, e con un piacere piuttosto malsano, se non fosse che ora come ora aveva cose più importanti di cui occuparsi:

“D’accordo, dividiamoci e cerchiamolo” sbuffò irritato con un tono perentorio.

“Ma…cercare chi!?” si intromise ancora una volta Sonoko, squadrandoli entrambi incuriosita. Heiji sospirò, ancora un po’ scosso da tutto quello che gli era successo negli ultimi cinque minuti e le si rivolse in tono amabile:

“Suzuki chan, per favore, trova Kazuha e cerca di consolarla…dille che le spiegherò tutto il prima possibile, ma che adesso proprio non posso…falle capire che non intendevo offenderla…e cose così. Conto su di te…okay?” Le rivolse un sorriso che fece aumentare di molto il battito cardiaco e il rossore sulle gote della ragazza di Tokyo, che annuì in modo energico e sparì tra la calca. Conan continuava a guardarsi intorno, ascoltando le parole del ragazzo poté immaginare vagamente qual era stata la ragione della sua inefficienza, anche se quel pensiero passò come un lampo e scomparve alla svelta dalla sua testa, concentrata su ben altre questioni: “Appena lo vedi, chiamami immediatamente.” Concluse, come se non ci fosse stata nessuna interruzione, e inforcando lo skate-board si allontanò da lui, zig-zagando fra la folla. Per un bel po’ di minuti continuò a scrutare ogni cosa o persona intorno a lui, il suo cuore aveva un tonfo ogni volta che vedeva un uomo sulla quarantina, basso e con i capelli neri, ma si rivelava sempre un’altra persona: d’altronde erano in Giappone, che cosa si aspettava? Le frequenti delusioni unite al malumore che quell’imprevisto gli aveva messo addosso gli cancellarono completamente tutta l’euforia che aveva provato poco prima. Possibile che niente andasse mai come voleva?

Ecco il difetto dei piani quasi mai le cose vanno come dovrebbero e uno si ritrova con l’amaro in bocca… a questo punto meglio andare allo sbaraglio e improvvisare tanto alla fine si riduce tutto a questo e se poi finisce male puoi consolarti pensando che è abbastanza normale che sia successo visto che sei andato lì senza uno straccio di pianificazione e puoi morire serenamente e senza ulcere di sorta…

Notò vagamente che quando era sotto pressione i suoi ragionamenti non avevano mai molto senso, ma non ci fece tanto caso. Continuò a maledire mentalmente il detective dell’ovest mentre i suoi occhi azzurri guizzavano da ogni parte, cercando…cercando…cercando…

Atsushi Mori sarà anche stato vittima di un’emicrania da record e un senso di nausea a stento sopportabile, ma non era certo uno stupido. Non gli andava a genio che quella donna gli avesse dato appuntamento in un posto tanto affollato per poi indirizzarlo nell’unico luogo deserto, dove di tutta la gente presente e delle attrazioni restava solo il chiasso. Per fortuna che era stato previdente, e nascosta sotto il cappotto di feltro c’era la sua calibro 9, carica e perfettamente funzionante. Non che avesse davvero paura di quella bambola, ma in fondo aveva detto che avrebbe portato qualcuno con sé, e ora che non era più ubriaco capiva quanto quella situazione fosse potenzialmente pericolosa. Pazienza…tutto questo faceva parte del suo mestiere, e lo scoop della sua vita valeva un po’ di rischio, no? Si appoggiò al muro, accendendosi una sigaretta e fumando avidamente; da qualche parte risuonarono delle grida…gli ricordarono un servizio che aveva fatto poco tempo prima, su un incendio in una discoteca…era arrivato sul posto quando ancora i vigili del fuoco non avevano né domato le fiamme né salvato i ragazzi chiusi all’interno…poteva udire le loro urla disperate...aveva scritto un pezzo molto toccante su quella tragedia. Perfino il capo redattore gli aveva fatto i complimenti. Non tutti i mali dunque vengono per nuocere…sorrise a se stesso, sbuffando fumo, mentre un venticello fresco gli scompigliò i capelli. Tutto sommato, incontrarsi lì non era stata una cattiva idea; all’ombra di quella grossa costruzione non sentiva più il caldo afoso che c’era invece in mezzo alla calca, e che raddoppiava lo stimolo a piegarsi in avanti e vomitare.

“Salute, mr Mori” Udì una voce femminile, con un evidente accento americano, e si voltò sorridendo con falsa gentilezza.

“Ciao a te, bellezza. Sei sola?” si guardò intorno nervosamente. Il fatto che lei non fosse accompagnata gli dava uno strano senso di allarme. Si portò la mano sotto il cappotto cercando di farlo sembrare un gesto casuale, senza smettere di sorriderle: “Pensavo che dovessi farmi conoscere qualcuno…” La donna che si faceva chiamare Christy sorrise di rimando, ma non c’era alcuna traccia di gentilezza, falsa o vera che fosse; era un sorriso che esprimeva allo stesso tempo consapevolezza e scherno, intaccabile, freddo quanto gli occhi chiari che fissavano Mori con un luccichio inquietante…quasi perverso…pensò con un brivido il giornalista. Sì, era così che l’avrebbe descritto su carta…

“Oh, I’m so sorry…” ribatté con voce mielata “Temo che non andrà come avevamo previsto, my dear silly man.”

Lui strinse la mano attorno all’impugnatura della pistola che ancora celava sotto il cappotto; non gli piaceva affatto quello che stava succedendo, come non gli piaceva quella donna. La sera prima l’aveva trovata attraente, e infatti era molto più bella della media delle sue coetanee…però…c’era qualcosa in lei, qualcosa di decisamente sbagliato, che i fumi dell’alcool gli avevano celato al loro primo incontro. Pensò che la camicetta e la gonna che indossava le si addicevano perfettamente, avvolgendola di un nero cupo come l’atmosfera che stava creando intorno a loro sebbene fosse una radiosa giornata di sole.

“Non capisco cosa vuoi dire, Christy…” disse lentamente, senza smettere di sorridere. L’ultima cosa che voleva era farsi prendere da crisi nervose: ci voleva mano ferma per estrarre la pistola e spararle senza sbagliare mira. Lei aprì la borsetta di pelle che le ciondolava dalla spalla e lui si irrigidì, ma la donna estrasse solamente una sigaretta senza filtro, tenendola fra indice e medio, delicatamente: “Hai portato la cassetta, vero?” chiese dolcemente, fissandolo. Mori scoppiò in una risata forzata, cosa che naturalmente non le sfuggì, anche se lui non poteva saperlo:

“No, dolcezza, certo che no. È in un posto sicuro. Ma naturalmente, se non la recupero entro qualche giorno, un mio collega andrà a prenderla e la porterà in redazione per me. Senza contare che gli ho raccontato tutto di te bellezza, sa che devo incontrarmi con te…se io non dovessi tornare, ti rintraccerebbero subito.” Concluse, complimentandosi con se stesso per quello che aveva appena detto. Lei chiuse gli occhi per un attimo, sorridendo e sospirando, poi tornò a guardarlo con i suoi occhi freddi: “How simple you are! So che non c’è nessun collega. So che ce l’hai con te, da quando sei uscito non hai avuto modo di metterla da nessuna parte.” Per la prima volta il falso sorriso del giornalista sparì per lasciar spazio a stupore e incredulità. Il viso della donna si colorò di sincero divertimento:

“So tutto di te, my dear. Non sei sposato, non hai figli, nessun parente o conoscente a cui verrebbe voglia di vederti o sentirti nel caso tu non ti facessi più vivo. E poi ti ho tenuto d’occhio, e non ero l’unica, a dir la verità. Ma per fortuna, più per me che per te, ho potuto incontrarti da sola.” Alzò lo sguardo: “A teenager is a teenager, after all, even he’s a genius detective.” Commentò infine in tono indulgente, più a se stessa che al suo interlocutore, avvicinandosi di qualche passo alla figura tesa davanti a lei, puntellandosi sui tacchi delle scarpe nere di Gucci. Mori stringeva così tanto l’impugnatura della pistola che la mano era appiccicosa di sudore, la sua emicrania aveva raggiunto livelli stellari. Essendo un giornalista parlava correttamente molte lingue straniere, e l’inglese non faceva eccezione; perciò, sebbene nervoso, capì che probabilmente si riferiva a Kudo. Non sapeva perché, ma la notizia che lui l’avesse perso di vista l’aveva un po’ scosso, più del fatto che lo stesse pedinando. Era proprio in una brutta situazione se aveva bisogno di sentirsi protetto da un detective striminzito.

La donna si fermò a pochi centimetri da lui, ormai era più teso di una corda di violino, e lottava perché non si spezzasse. Niente crisi di nervi o mosse avventate. Quello l’aveva stabilito da un pezzo. Lei alzò la mano davanti al suo volto, la sigaretta ancora poggiata fra le dita tese: “Hai da accendere?” chiese come se niente fosse, Mori capì che quella era l’occasione che aspettava: “Sempre, per te…” mormorò, e con la scusa di prendere l’accendino poté armeggiare sotto il cappotto ed estrarre fulmineo la pistola.

Mentre volgeva in fretta lo sguardo intorno a sé, scrutando ogni rappresentante maschio di homo sapiens di mezza età, Conan udì con non poco dispetto una strana voce nella sua testa, vagamente somigliante a quella del padre, che lo ammonì con tono di rimprovero:

ma tu sei davvero un detective? Perché qualsiasi idiota saprebbe guardarsi intorno nella speranza che l’obiettivo si faccia vivo… ci manca solo che ti aspetti che sia lui a sventolare le mani per farti cenno di seguirlo…usa il cervello maledizione!

Nonostante la stizza che gli era cresciuta in corpo (unita a una leggera preoccupazione, a dir il vero: ma era normale che sentisse delle voci?) dovette ammettere che aveva ragione: non avrebbe cavato un ragno dal buco se non avesse cominciato ad analizzare gli indizi che aveva; punto primo: l’ultima volta che era stato visto era vicino alla casa del terrore, e si stava avviando verso la pista dei go-kart. Punto secondo: Vermouth non lo avrebbe certo fermato in mezzo a tutta quella gente: probabilmente intendeva trascinarlo in un luogo isolato, ucciderlo e poi confondersi tra la folla, perché in questo modo sarebbe stato impossibile risalire a lei. Perciò la domanda che doveva porsi era la seguente: dov’era in quel luna park, all’incirca intorno alla pista, un luogo dove poter incontrare qualcuno lontano da occhi indiscreti? Si bloccò di botto, le ruote dello skate-board stridettero e il davanti della tavola si alzò da terra, senza naturalmente disarcionare il suo passeggero, che era pronto a quella eventualità e si tenne in equilibrio allargando le braccia. Un paio di bambine vedendolo si sciolsero in un “Ooooh” di ammirazione, battendo le mani. Conan sbuffò rassegnato e si guardò intorno; in tutto lì c’erano due posti che rispondevano alle sue caratteristiche: uno era una piazzola laterale, in penombra, dove una volta c’erano le montagne russe ma che ora erano state chiuse per manutenzione. Un cartello avvertiva che era vietato avvicinarsi. Lo escluse a priori. Non era un luogo sicuro, se qualche temerario si fosse accostato abbastanza alla costruzione e avesse dato un’occhiata fra le rotaie avrebbe potuto veder tutta la scena senza difficoltà…

La seconda possibilità era dietro una giostra chiamata Flipper. Aveva bisogno di una piattaforma piuttosto grande, e sullo sfondo c’erano alti pannelli colorati che impedivano la visuale; siccome era posizionato all’estremità del luna park il retro era deserto, per raggiungerlo bisognava scavalcare qualche ringhiera e vi si riusciva senza troppa difficoltà. Conan sorrise trionfante e si diresse a gran velocità verso l’attrazione, scavalcando la ringhiera mentre l’addetto era occupato a badare alla gente che si accalcava per i biglietti, e cominciò a camminare nella penombra che la costruzione formava stagliandosi contro il sole, lo skate-board sottobraccio. Avanzò con passo felpato, sarebbe stato un guaio se Mori o Vermouth l’avessero sentito, anche se le grida di quelli che stavano sul Flipper nascondevano ogni minimo rumore. D’un tratto sentì una voce strascicata e rauca, e il suo cuore cominciò a battere eccitato, mentre un sorriso soddisfatto gli si formava sulla faccia, le sopracciglia aggrottate e gli occhi che luccicavano entusiasti.

“…e io gli ho raccontato tutto di te, bellezza, sa che devo incontrarmi con te…se io non dovessi tornare, ti rintraccerebbero subito.” Dal suo tono Mori sembrava molto sicuro di sé, ma Conan percepì una nota di inquietudine nella sua voce, che lui evidentemente credeva di aver celato alla perfezione. Era chiaro che, qualsiasi cosa avesse detto quando lui non era in ascolto, era una bugia. Si avvicinò un po’ di più e poté scorgere la bassa figura del giornalista, nel suo cappotto di feltro, sotto il quale nascondeva la mano destra. Poteva immaginare cosa stessero impugnando le sue dita…

“How simple you are!” esclamò una voce femminile, in un inglese/americano impeccabile. Conan diresse lo sguardo verso la voce e scorse Chris Vineyard, alias Vermouth, favolosa e sexy come sempre nei suoi abiti neri attillati. Gli dava le spalle e guardava Mori, e da quello che aggiunse dopo, in tono divertito, Conan capì che non solo aveva fatto seguire il giornalista (o se ne era occupata di persona, chissà) ma doveva anche aver raccolto dei dati su di lui. Pensò con un brivido che probabilmente aveva fatto la stessa cosa nei suoi confronti, e perciò lei sapeva tutto della sua famiglia, dei suoi amici…la cosa non gli piacque affatto.

“…e non ero l’unica, a dir la verità. Ma per fortuna, più per me che per te, ho potuto incontrarti da sola.” Ci fu una piccola pausa, durante la quale Conan ebbe il tempo di notare che, sebbene la cosa non lo sorprese più di tanto dopo la precedente dichiarazione, nemmeno l’idea che lei sapesse del pedinamento di Heiji gli andava molto a genio.

“A teenager is a teenager, after all, even he’s a genius detective.” Commentò ancora una volta in inglese. Conan capì perfettamente quello che aveva detto (andando a trovare spesso i genitori a Los Angeles non aveva alcuna difficoltà) e, nonostante non ne sapesse spiegare il motivo, il tono indulgente e quasi intenerito con cui aveva parlato lo fece rabbrividire.

La vide avvicinarsi a lui con qualcosa fra le dita, probabilmente una sigaretta, con un portamento elegante e tranquillo; Mori invece socchiuse gli occhi, profondamente teso e concentrato, e Conan ebbe il presentimento che stesse per estrarre la pistola per sparare alla sua interlocutrice, che continuava a camminare all’apparenza senza essersi accorta di nulla. Per un attimo fulmineo ponderò la possibilità di lasciarlo fare, una spietata assassina in meno a questo mondo, non una gran perdita. Ma purtroppo…

Purtroppo non posso non sarebbe giusto una vita è sempre una vita non importa a chi appartiene…

Posò delicatamente lo skate-board per terra, spinse il pulsante sul suo orologio e inquadrò nel mirino il giornalista, il dito sul secondo pulsante, quello che avrebbe sparato il dardo narcotizzante.

Udì Vermouth chiedergli qualcosa che non gli arrivò, Mori le rispose ed estrasse la pistola, come aveva previsto. Conan era pronto. In quei pochi secondi che l’uomo impiegò a tirar fuori l’arma lui spinse il pulsante sull’orologio e l’ago anestetico lo colpì sul collo; Mori sbarrò gli occhi dalla sorpresa e subito rovinò a terra, le palpebre chiuse e il petto che si alzava e abbassava a ritmo regolare. Conan si preparò a sparare anche alla donna, ma in quei pochi attimi che aveva impiegato ad assicurarsi di aver centrato il bersaglio Vermouth aveva estratto una pistola col silenziatore, che probabilmente impugnava già da dentro la borsetta senza che né lui né il giornalista ci facessero caso, e la puntò contro di lui.

“Molto carino da parte tua salvarmi, Cool Guy.” Disse dolcemente, sorridendogli. Conan le sorrise di rimando, guardandola dritta negli occhi: “Non che ce ne fosse bisogno…dico bene?” rispose sprezzante. La situazione era piuttosto critica, e lui non proprio a suo agio, ma pensare a essere spaventato non gli sarebbe servito a niente per salvarsi, e avrebbe distrutto il suo orgoglio. Perciò, come sempre in quei casi, accantonò la paura nei reconditi del suo animo e si scoprì ancora una volta calmo e sicuro di sé.

Vermouth lo osservava con atteggiamento accondiscendente e benevolo quanto lo poteva essere una che ti sta puntando una pistola addosso: “Credo che lo ucciderò. Un tipo davvero…repulsive” commentò, con un’occhiata furtiva all’uomo accoccolato per terra. Conan, tenendo sempre la mano sull’orologio non più puntato su nessuno, ridacchiò.

“Sono d’accordo. Ma io non l’ho aiutata per lasciarglielo ammazzare.” replicò con semplicità. Una parte della sua mente non era concentrata sul discorso, bensì su un modo per uscire da quella situazione scomoda.

“Lo so bene, Cool Guy. Ma devi cominciare ad abituarti all’idea di non poter salvare sempre tutti…” le sue parole erano fredde come il ghiaccio, cariche di una crudeltà che i suoi modi affettati e la sua voce dolce non riuscirono a mascherare. Non che lei lo volesse.

“Questo l’ho capito già da tempo…” mormorò in tono amaro, abbassando lo sguardo mentre nella sua mente si faceva largo l’immagine di una ragazza coi capelli lunghi, bruni, sanguinante tra le sue braccia in una fredda serata d’inverno…

Akemi Miyano…

E non solo lei.

Purtroppo.

Alzò lo sguardo, nessuna traccia di tristezza in quel freddo oceano che erano i suoi occhi. L’ultima cosa da fare era mostrarle quanto la sua considerazione l’avesse colpito nel profondo, aprendogli ferite ancora non del tutto rimarginate.

E che probabilmente non si rimargineranno mai…

“…non ho bisogno di ulteriori lezioni.” Continuò con voce alta e sicura: “E poi, al momento, credo di dovermi preoccupare di più di cosa lei farà di me, no?” La guardò altero, riflettendo alla ricerca di una qualsiasi via d’uscita.

Lei rise in modo leggero: “Anche…” commentò divertita. Conan notò con la coda dell’occhio un sasso un poco lontano da lui. Se solo fosse riuscito a spostare un po’ il piede…quante possibilità aveva che lei si distraesse dandogli modo di colpirla con quello o con il suo orologio?

“...posso ucciderti da un momento all’altro, Cool Guy. Lo sai. Non hai scampo, e sai anche questo. Non ti servirà né tenere la mano sul tuo orologio né lanciare occhiate nervose a quel grazioso sasso che ti sta vicino, perché io non mi distrarrò, sono una professionista. E probabilmente ti rendi conto anche di questo, anche se non vuoi ammetterlo a te stesso. Povero caro…immagino che adesso tu stia rimpiangendo il fatto di avermi salvata. O comunque di non avermi colpita per prima…my darling, hai commesso un errore. Su Mori avresti potuto trionfare facilmente…ma su di me…” sospirò, scuotendo leggermente la testa, gli occhi ancora fissi su di lui e l’indice smaltato sul grilletto.

“…eh sì, povero Cool Guy…in questo momento, sei mio…io posso decidere se farti vivere…o morire.” Il suo tono zuccheroso perse completamente di credibilità nell’ultima parola. Conan sentì una goccia di sudore colare dalla fronte fino al mento. Era in trappola. Vermouth aveva ragione…la sua vita dipendeva completamente da lei…

e lei è un’assassina a sangue freddo…

“Impara, mio giovane detective…in questo mondo, in cui tu hai deciso di entrare fin da sedicenne, non puoi permetterti di fare questi errori. Non c’è spazio per la pietà…avresti dovuto startene buono dietro i cespugli, sperare che Mori mi uccidesse...e una volta che io gli avessi sparato, colpire me…ma non con quello sciocco aggeggio. Con qualcosa che mi avrebbe impedito di far del male a te e ai tuoi cari per sempre…” il suo tono di voce era basso e profondo, lo scrutava attentamente, gli occhi che brillavano, le sopracciglia inarcate. Conan la osservava in silenzio. Una brezza fresca scompigliò delicatamente i capelli di entrambi, mentre nuove grida entusiaste si levarono dalla costruzione accanto a loro.

“Ma adesso è troppo tardi…hai perso la tua occasione e non ne avrai altre, non potrai più sconfiggermi. Lo senti, nel tuo animo...? Riesci a percepirlo..? Sì che ci riesci…è quel rimpianto…quello che, se potessi tornare indietro nel tempo, ti porterebbe ad uccidermi…non è così, Cool Guy?” domandò in tono dolciastro, sorridendogli. Conan sorrise a sua volta, sbuffando ironico.

“No, mi dispiace deluderla.” Replicò tranquillamente. “Se potessi tornare indietro nel tempo, probabilmente farei la stessa cosa. Se non avessi fermato Mori, lei gli avrebbe sparato…se avessi colpito lei, sarebbe stato Mori a farla fuori…in definitiva, non penso di aver commesso errori. È solo che non avevo scelta.” Si strinse nelle spalle, Vermouth alzò un sopracciglio, continuando a studiarlo con lo sguardo.

“Ma è proprio questo il tuo errore, non lo capisci?” ribatté in tono indulgente, lo stesso sorriso falsamente amabile sul viso impeccabile. “Tu credi di dover salvare la vita di tutti, anche dei tuoi nemici…ma in questo modo non puoi vincere. Se vuoi davvero combattere contro la nostra Organizzazione, devi imparare che l’omicidio è sovente l’unica via attraverso la quale puoi raggiungere il tuo obiettivo. La Morte, Cool Guy, può essere la tua alleata più potente, ma anche la più temibile fra i tuoi avversari. Sei tu a dover scegliere. Se davvero vuoi proteggere i tuoi cari, allora…bada bene di fare la scelta giusta.”

“Si sbaglia.” Disse deciso, il blu dei suoi occhi profondi e bui, come un oceano in tempesta. “La morte non può essere un’alleata. Forse ci si può servire di lei, ma resta un’arma a doppio taglio. È pericolosa e fine a se stessa, non può portare a niente di positivo. Io non cadrò mai nella sua trappola, perché è qualcosa da cui non si può uscire. No, io posso vincere, anche senza sporcarmi le mani di sangue. Perché è così, perché deve essere così…io non crederò mai che l’omicidio possa essere una via d’uscita, la soluzione ai miei problemi. È solo una scorciatoia per i deboli, una via più breve, ma fatale. La mia scelta…io l’ho fatta già da tempo.” Concluse serio, fissandola altero e imperscrutabile, un sorriso carico di sicurezza e decisione, le sopracciglia inarcate. Vermouth sbatté le palpebre, silenziosamente pensierosa. Poi, i suoi occhi ripresero quel luccichio inquietante e di nuovo si rivolse a lui, dolcemente.

“Sai che i tuoi ideali ti hanno condotto alla mia mercé eppure ancora non vuoi abbandonarli. You’re so interesting, aren’t you?” rise divertita, il suo dito si poggiò più pesantemente sul grilletto della pistola, mentre i suoi occhi scorrevano sul suo corpicino, soffermandosi volontariamente sul suo petto, sulla sua testa…

“Comunque, posso ucciderti da un momento all’altro, Cool Guy. Perciò dimmi: che hai intenzione di fare adesso?” Gli domandò, uno strano luccichio maligno negli occhi grigio-verdi. Conan non si era mai sentito tanto perso come in quel momento. Non c’era via d’uscita, lei aveva visto giusto. L’unica speranza era che Heiji si facesse vivo da quelle parti, ma era improbabile, visto che lui stesso gli aveva intimato di andare nella direzione opposta alla sua. Ma perché, perché, non erano andati insieme?

Io e il mio stupido orgoglio…me l’hai fatta ancora una volta vecchio mio

Pensò con l’ironia del panico. Tuttavia, quando parlò, la sua voce era calma, quasi stesse conversando tranquillamente al tavolino di un bar: “Per il momento mi sto chiedendo…” le lanciò un’occhiata significativamente acuta “…perché, se io sono in trappola, non l’ha ancora fatto, ma’am.” Vermouth non sembrò presa in contropiede da quella risposta, anzi, inarcò un sopracciglio ritoccato con la matita nera e lo squadrò con aria piuttosto soddisfatta.

“Oh…ma perché se lo faccio, chi aiuterà il nostro povero angelo?” gli domandò in un tono che sarebbe sembrato preoccupato addosso a chiunque non avesse negli occhi quel luccichio perfido. Conan la guardò visibilmente confuso, mentre uno strano soffio gli passò sul cuore. Perché Vermouth amava chiamare lui e i suoi conoscenti con strani soprannomi americani, e se per lui aveva scelto quell’irritante ‘Cool Guy’ la persona che chiamava ‘Angel’ era…

“Che c’entra Ran adesso?” parlò tutto d’un fiato, allarmato. Lei se ne accorse e il suo sorriso si allargò, anche se la sua espressione restò fredda come il marmo. “Tu e lei siete una coppia perfetta, Cool Guy. La nostra piccola adorabile Angel ha seguito le tue orme…e non le è andata tanto bene, purtroppo. Vedi…” Conan era furibondo, abbandonò ogni precauzione e si avvicinò di qualche passo a lei, sudando freddo e scosso da tremiti di collera

“…ha seguito Gin e Vodka fino ad un clothes shop, al quarto distretto di Beika. Ma loro se ne sono accorti e…mi ha sempre dato piuttosto fastidio il modo in cui Gin tratta gli ostaggi, quando si tratta di ragazze carine. Così, se non corri da lei, penso che al nostro caro angioletto verranno…strappate le ali…” mormorò apprensiva. Conan guardò nervosamente lei, Mori e poi di nuovo lei, soffermando lo sguardo sulla pistola.

Devo andarmene Ran amore mio perché sempre a te e perché sempre a causa mia…

“Come faccio a correre da lei se mi tiene prigioniero qui?” ringhiò, fissandola con odio furioso. Lei diede in una risatina dolce, gli occhi chiari puntati su di lui, pieni di un divertimento perverso e maligno. Nonostante il suo fascino da diva del cinema, in quel momento Conan non riusciva a vedere nessuna traccia di vera bellezza sul suo viso.

“Vai pure, Cool Guy. Te l’ho detto, non voglio veder soffrire Angel. La tengo puntata nel caso tu voglia farmi qualche scherzetto, ma se vai via tranquillo non la userò. Trust me…I promise.” A quel punto Conan si voltò di scatto, inforcò il suo skate-board e si diresse alla massima velocità verso l’uscita del Tropical Land. Non gli importava di non aver preso il nastro, non gli importava di aver lasciato Vermouth sapendo di non avere la minima possibilità di rintracciarla di nuovo, non gli importava di nulla, ora che sapeva che Ran era nelle mani di Gin e Vodka. Voleva solo salvarla perché

lei è tutto per me e nessuno cancellerà il suo sorriso aspettami Ran ti salverò anche dovessi rivelare la mia identità all’organizzazione non gli permetterò di farti del male quei figli di puttana se la vedranno con me…

L’ultima cosa che udì alle sue spalle fu un sibilo e il rantolo soffocato di un uomo. Poi poche parole, dolcemente spietate: “Bye bye, Cool Guy”.

Note dell’Autrice: okay, devo dirlo: ho ADORATO scrivere questo capitolo. Racchiude in sé molte delle caratteristiche che io preferisco, forse l’unica cosa che manca è un po’ di romance. Ma per quello ci sarà spazio in abbondanza molto presto, perciò non è un gran danno, e il chap resta comunque uno dei più belli che (a mio parere) ho scritto. Comunque, auto-sviolinate a parte,^^” credo di sapere cosa vi frulla nella testa in questo momento: “Ma Ran!?!” Ah ah ah *risata perfida* che vi posso dire?? La tipa è stata la protagonista indiscussa del capitolo 12, quindi è giusto che si sia fatta da parte in questo chap, no? : ppp Non uccidetemi, all’inizio era mia intenzione infilarci anche lei, ma dopo qualche riflessione ho deciso di incentrare il cap.13 su quello che succede al Tropical Land (come del resto si capisce dal titolo) e pensare a Ran nel successivo. So che per voi non è il massimo ma…quello che il racconto esige, il racconto ottiene!! (“questa è fumata” nd. Tutti). Ho anche fatto una piccola modifica: come avrete notato, ho “americanizzato” un po’ di più Vermouth rispetto alla sua prima apparizione nel cap.6, e a proposito di questo mi scuso per eventuali errori che posso aver commesso.^^” Allora, vorrei ringraziare di CUORE coloro che hanno risposto al mio appello.^^ Senza di voi questo capitolo sarebbe arrivato molto più tardi, infatti se sono stanca (come accade ormai di frequente - _ -“) e per di più priva di incentivi non riesco a mettermi davanti alla tastiera e scrivere. *Thanks* :*** Siete stati gentili oltremisura!! ^//^ Ma passo subito ai ringraziamenti singoli:

Eneri_Mess: salve!^^ In realtà ti ho già scritto qualcosa fra le recensioni quando mi sono accorta di averti trascurata, ma per due motivi ho pensato di riservarti uno spazio anche qui: 1) la risposta fra le recensioni era decisamente sbrigativa 2) non sono certa che tu le legga visto che mi hai fatto una domanda simile a quella di un’altra ragazza. Non è un rimprovero, eh!! Non fraintendermi, solo una considerazione che mi ha portato a ri-risponderti. Allora: ti ringrazio del commento, riceverne mi fa sempre piacere, anche se stavolta mi ha preso un po’ alla sprovvista. ^^” grazie delle considerazioni sullo stile e sul profilo caratteriale dei personaggi…per quanto riguarda i pensieri, ti rimando al cap.11, in cui ho risposto ad Akane in proposito. Ora mi viene da ridere: mi hai detto che nel cap.10 Kazuha non ti è piaciuta per come si era comportata, e anche in questo chap noterai che finisce per incasinare un po’ la situazione. Rido perché non me ne ero nemmeno accorta, ma alla fine è sempre a lei che faccio fare la rompiscatole della situazione! ^^” Vabbè, dai, nel cap.6 invece è piuttosto carina… Oh, non me ne volere se Heiji non ci fa una gran figura come detective in questo chap: gli ho fatto perdere di vista Mori ai fini della storia, non per palesare una sua eventuale incapacità, giuro!^^”

Shizuka: Grazie!^^ Uno dei TUOI miti?? Benvenuta nel club!! Io AMO questo anime/manga!! ^//^ Tra l’altro, ricevere un commento così positivo da una fan dichiarata di Detective Conan non può che farmi il doppio piacere!! È vero, non se ne trovano moltissime…- _ -“ ma ho notato che la sezione si sta pian piano riempiendo...perciò non ci resta che incrociare le dita affinché continui così!!

Mareviola: ciao vecchia mia!!^^ (“Vecchia?!? Mia!?”nd. Mareviola) Beh, un po’ di tempo l’ho trovato, hai visto? Come al solito sono contenta che la mia fanfic ti piaccia, te l’ho detto, la tua perseveranza mi commuove! ; _ ; *Sniff* Mi dispiace di non aver risposto al tuo interrogativo…nel prossimo capitolo, giuro!^^ Un bacio, a risentirci.

Akane Tendoo: ciao Akane chan! Felicissima di esserti stata di aiuto.^__^ Non so quanto tu possa diventare pericolosa quando sei arrabbiata…^^” Usa pure quando vuoi i miei capitoli come tranquillanti!! A parte gli scherzi, anche io quando sono di pessimo umore di solito mi dedico alla lettura o alla scrittura, e devo dire che nella maggior parte dei casi funziona. Allora Chicca, grazie della recensione: i tuoi commenti mi fanno sempre arrossire.^//^ Hai ragione, anche la fanfic più bella ha le sue imperfezioni…ma l’abilità sta proprio nel celarle, no? ^ _ ~ Il ‘tuo Conanuccio’ è padrone incontrastato della parte principale del chap, contenta?^^ Spero che così non ci rimarrai troppo male per la mancanza di Ran…porta pazienza, prossimo capitolo. Promesso. Nel frattempo, mi continuerai sempre a sostenere?? Davvero?? Sei adorabile!! ^//^ *THANKS*. A presto allora, baci.

Ichigocchi: grazie!! Ehm…ecco…beh…te lo dirò, lo giuro. Nel prossimo chap. Perciò…evita di uccidermi, okay?^^”

Imi: hola! Ti ringrazio dei complimenti, sei stata davvero gentile!^_^Anche il tuo contributo è stato preziosissimo al fine di scrivere questo chap. ^//^ Sei la prima che non ha da ridire sui pensieri, il che mi lascia piacevolmente serena. ^^ ti ho fatto aspettare tanto?? Spero di no, ho fatto del mio meglio! ^^

Rex: e chi si arrende?? Certo che la finisco!!^^A grandi linee ho già tutto in testa, devo solo trovare il tempo di scrivere!

Ichigo Shirogane: ecco qua il seguito…ehm…dì un po’, il nick è simile, e anche il commento, perciò mi è venuto un dubbio: tu e Ichigocchi siete la stessa persona?? O _ O Sono un po’ perplessa…oh, naturalmente se non è così scusate!

Bene, questo è tutto. Giuro che nel prossimo capitolo scriverò la parte che vi interessa, perciò abbiate solo un altro pochino di pazienza, ¿okay? ^ _ ~ Sarà un chap con azione, suspense, romance...e se ci riesco ci sarà anche qualche scena vietata a persone facilmente impressionabili. Se ci riesco. Meglio non sopravvalutare le proprie capacità narrative! ^^”

Come al solito spero che la storia fin qui vi stia piacendo, e confido nel vostro sostegno anche stavolta (per quanto ne so non mi hanno ancora buttata fuori da scuola). Di nuovo, vi PROMETTO che nel prossimo chap avremo Ran fino alla nausea!^^ So don’t worry…

Bye

- Melany

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Capitolo 14
*** Fight, blood and...tears ***


ATTENZIONE: in questo capitolo è presente la descrizione di una scena truculenta; niente di così terribile, anzi, niente di più di ciò che si vede abitualmente nel manga, ovvero sangue, ferite più o meno gravi ecc. Tuttavia, ho voluto precisarlo in modo che, se siete persone facilmente impressionabili o se queste cose vi offendono, possiate evitare di leggerle. Mi scuso inoltre per la frequente presenza di parolacce nella prima parte; a me per prima non piace la volgarità gratuita, ma trattandosi di criminali ho dovuto adottare questo stile di scrittura. Ho cercato comunque di non cadere nel cattivo gusto.

-Melany

14. Fight, Blood and…Tears

Ran aprì gli occhi, sbattendo più volte le palpebre per disappannare la vista. In un primo momento la sua mente intorpidita dal sonno non riuscì a capire perché si sentiva frastornata e impaurita, né perché fosse adagiata ad un freddo pavimento di ceramica; poi il ricordo dell’orrore che stava vivendo si fece largo nella sua testa, di nuovo provò un dolore acutissimo all’altezza del petto e una sensazione di vuoto incolmabile. Per la seconda volta in due giorni si sentì persa, patetica e terrorizzata, e si chiese angosciata il motivo per cui tutti da un po’ di tempo a questa parte ce l’avessero con lei. Senza contare che quell’uomo mostruoso, quel Gin aveva intenzione di…

No non voglio non potrei sopportarlo voglio morire sì piuttosto che questo…

Sentì gli occhi che bruciavano mentre le lacrime cercavano di venir fuori. Non poteva permetterlo. Loro non dovevano accorgersi che aveva ripreso i sensi, e così rimase sdraiata a terra, le palpebre chiuse, cercando di non tremare, né di respirare affannosamente a causa dei battiti accelerati del suo organo vitale. Poteva udire i passi degli uomini nella stanza, e un altro lamentoso rumore di sottofondo, come se qualcuno stesse cercando disperatamente di non piangere senza molto successo.

“Allora, ti è passata la voglia di scherzare amico?” chiese una voce fredda e crudele. L’uomo chiamato Gin di sicuro, pensò Ran con un brivido.

“Sì…sì…mi dispiace…” balbettò una voce acuta e piagnucolosa.

“Perché vedi…il tuo scherzetto con quei soldi falsi…non l’abbiamo trovato molto divertente.” Riprese Gin, Ran udì altri passi e sentì che il respiro dell’uomo in lacrime si faceva più affannoso. Lui gli si era avvicinato…

“Sì…avete ragione…vi pagherò lo giuro…vi darò tutto quello che volete…il doppio, il triplo…ma non fatelo di nuovo…vi prego…non lo sopporterei…” insisté la voce tremante e disperata, in un pianto sommesso. Ran capì che doveva trattarsi del proprietario del negozio, quello di cui avevano parlato in precedenza, e si chiese con orrore cos’era la cosa che non gli dovevano fare di nuovo. Pregò di non doverlo mai scoprire.

“Eh no…vedi, il tuo giochino ci ha fatto perdere un bel mucchio di tempo; devi imparare la lezione. Nessuno può credere di ingannare la nostra organizzazione.” ribatté divertito Gin, scoppiando in una risata agghiacciante a cui si unì una seconda che, con orrore di Ran, si trovava piuttosto vicino a lei.

“Lo so ho imparato…ho imparato davvero…ma vi prego…non di nuovo...non di nuov…” non fece in tempo a finire la frase che un urlo squarciò il silenzio, Ran fu scossa da un tremito incontrollabile sentendo quel grido di dolore e sofferenza incalcolabili, unita a un odore forte e dolciastro. L’odore del sangue.

Fortunatamente nessuno se ne accorse, probabilmente erano troppo occupati a godersi lo spettacolo…di qualsiasi cosa si trattasse, era sicura che fosse terribile.

Il pianto dell’uomo aumentò considerevolmente di volume. Ora non gli importava più di trattenersi, e lei udiva distintamente i suoi singhiozzi e i suoi gemiti, accompagnati dalle risa dei due uomini in nero. Il clima intorno a lei era pesantemente raccapricciante.

“Pronto ad un altro giro, amico?” Gli domandò in tono di scherno la voce vicina a Ran, quella di Vodka, presumibilmente.

“No per favore…per favore…” singhiozzò con voce fioca e lamentosa il proprietario. Ran era spaventata, sapeva che se avesse visto ciò che stava accadendo si sarebbe sentita ancora più male, tuttavia, fu colta da quella curiosità morbosa e autolesionista tipica della maggior parte delle persone, molte delle quali poi finiscono per affollare i cinema all’uscita di film come “The Ring”. Socchiuse leggermente una palpebra, scorgendo un paio di scarpe nere lucide e il bordo di un lungo cappotto dello stesso colore, visto da dietro. I due piedi, poco distanti uno dall’altro, si stagliavano davanti a due aste legnose al centro delle quali c’erano due gambe robuste, tenute unite e assicurate alla sedia da una spessa corda. E –con suo gran orrore- il pavimento sottostante era ricoperto da una pozza di sangue scuro, su cui ancora gocciolavano perle rosse. Aprì entrambi gli occhi e, sebbene già quella vista l’avesse scossa, le sue pupille si mossero lentamente verso l’alto, mostrandole un braccio lasciato libero dalle corde, martoriato da ferite profonde e roventi, da bruciature di sigaretta e zuppo di sangue, soprattutto sulle dita, dove si era raggrumato. Sì perché lì gli avevano…

Oh mio dio gli hanno strappato le unghie

Percepì un senso fortissimo di nausea e vertigine che la travolsero completamente e si lasciò scappare un gemito. Le scarpe lucide si voltarono sogghignando: “Oh, ma guarda, la nostra graziosa ospite si è svegliata…” cominciarono ad avvicinarsi e lei iniziò a tremare, serrando gli occhi e raggomitolandosi come per cercare protezione e sicurezza dal calore del suo stesso corpo. Sentì un dolore acuto alla testa e qualche capello si strappò, mentre Gin la sollevava di peso e lei collaborava con gambe e braccia, affinché la morsa sui suoi capelli non le facesse più male. Di nuovo si ritrovò a fissare quegli occhi freddi e spietati: “Allora bambina, hai dormito bene? O le urla di questo figlio di puttana ti hanno disturbata?” chiese con falsa premura. Lei non rispose e abbassò lo sguardo, cercando disperatamente di non far uscir fuori le lacrime.

Non devo piangere non devo sono già abbastanza patetica così non gli darò questa soddisfazione…mai… tanto morirò comunque allora a che serve dargli un’altra occasione per ridere di me?

Tornò a guardarlo, la fronte aggrottata e le sopracciglia inarcate; un’espressione di sfida di cui Shinichi sarebbe stato orgoglioso…

Shinichi…lui torna questo pomeriggio…

Improvvisamente un sentimento diverso da quelli che l’avevano angosciata fino a questo momento si fece spazio nel suo cuore. Era…speranza…ingenua, desiderata, inutile, forse…ma c’era. Ed era la miglior sensazione che avrebbe potuto provare, a cui doveva appigliarsi per resistere e non crollare.

Shinichi…se viene qui e non mi trova capirà che è successo qualcosa sì e mi verrà a cercare e sì capirà tutto e mi troverà di certo il mio Shinichi non gli permetterà di farmi soffrire quando saprà che sono nei guai…

Con suo grande stupore si ritrovò a sorridere a quegli occhi freddi, che per un secondo la guardarono con una traccia di confusione e incredulità:

“Ehi, non so cosa ti abbia preso, ma non preoccuparti. Ora finisco con lui e poi mi occuperò di te, d’accordo?” insinuò riprendendosi il biondo, con un sorriso lascivo in faccia. Le lasciò i capelli e lei cadde seduta, cercando di spazzare via la fitta lancinante che le sue parole e la sua smorfia le avevano provocato. A che ora sarebbe tornato Shinichi? Era possibile che fosse già in città?

Gin tornò a voltarsi verso l’uomo piagnucolante, di cui adesso Ran poteva vedere il volto arrossato e zuppo di lacrime, contratto in una smorfia di dolore e disperazione. Doveva avere almeno quarant’anni, eppure, vedendolo in quello stato, sembrava un piccolo bambino indifeso. Guardò Ran con i suoi occhi neri lucidi, bui e desolati come la notte più oscura, imploranti. Le sue labbra screpolate si mossero lievemente a pronunciare senza voce una parola: aiutami.

Solo allora Ran smise di pensare a se stessa e a come salvarsi. Il suo animo si gonfiò di compassione e sofferenza, unita a un forte senso di colpa per essere stata così egoista. Nonostante sapesse che lì c’era un uomo che stava patendo le pene dell’inferno era riuscita solo ad aver paura per sé, e vedendo quello che gli avevano fatto, poco prima, aveva solo sperato che non lo facessero anche a lei. Improvvisamente si sentì… sporca.

Come ho potuto essere così crudele… oh mio Dio è un padre di famiglia e io sto qui a pensare a come cavarmela mentre lo torturano…e anche se dovessi salvarmi come potrei guardarmi allo specchio da oggi in poi come? Dopo essere stata tanto spietata…non posso…devo aiutarlo…voglio aiutarlo…

Raccolse tutto il suo coraggio e balzò in piedi, fissando torva la schiena del biondo: “Lascialo stare.” Riuscì a dire, con voce roca. Vodka la guardò con un lieve cipiglio che gli occhiali scuri non riuscirono a mascherare.

Gin si voltò lentamente verso di lei: “Come dici?”

“Ho detto di lasciarlo stare.” Ripeté, schiarendosi la voce. Lui rise, ma i suoi occhi restarono seri e temibili. Dietro di lei, Vodka scattò in piedi: “Ehi, ragazzina, bada a come parli!” la ammonì, lei non si voltò a guardarlo, ma aveva la vaga impressione che avesse tirato fuori la pistola.

“Calmati, Vodka.” Gin si avvicinò di nuovo a lei, ma stavolta Ran non indietreggiò, né cominciò a tremare, squadrandolo ostile. Basta fare la patetica frignona, basta aspettare che il principe azzurro la vada a salvare dagli uomini cattivi, come accadeva nelle fiabe; basta lacrime, basta gemiti…era giunto il momento di comportarsi con onore, e forse era meglio morire affrontandoli fiera che lasciarsi violentare e poi ammazzare mentre ancora stava per terra a cercare di coprirsi con i suoi vestiti strappati. E forse…

Forse trovandomi papà Shinichi e tutti gli altri saranno orgogliosi di me…forse Shinichi dirà che sono stata proprio una coraggiosa detective…

Di nuovo quel bruciore agli occhi e quel peso alla bocca dello stomaco. Fece un respiro profondo e li ricacciò via, continuando a fissare con determinazione e rabbia l’uomo che le stava davanti con quel ghigno, avvicinandosi sempre di più.

“Che c’è, bambola, non vedi l’ora di spassartela con me? Non te la senti di aspettare che abbia finito? Va bene, se è questo che vuoi…” tese una mano verso il suo viso e qualcosa dentro di lei scattò. Con un gesto fulmineo e inaspettato gli assestò una bella ginocchiata nello stomaco sorridendo raggiante quando lui si inginocchiò con un tonfo, strizzando gli occhi. La sua felicità durò solo qualche secondo. Dietro di lei, Vodka la colpì con violenza alla nuca con l’impugnatura della pistola, vide scintille davanti ai suoi occhi mentre qualcosa di caldo e viscoso le colava dalla nuca al colletto della maglietta. Si ritrovò a terra, frastornata e dolorante, mentre una voce concitata chiese:

“Stai bene, Gin?”

“Sì, certo che sto bene…” Ran notò con piacere che la sua voce era soffocata.

“Ho preferito non sparare…così se vuoi farle qualcosa tu puoi…” Aggiunse il più robusto con l’aria di chi si aspetta di sentirsi dire che ha fatto bene. Gin lo ignorò, si avvicinò a lei e le sferrò un calcio in un fianco, con la punta della scarpa, facendola gemere di dolore.

“Che pensavi di fare, schifosa puttana??” e la prese di nuovo per i capelli, cosa che la fece tremare di dolore, data la ferita che le si era aperta in testa. “Adesso ti faccio vedere io che succede a…” La porta dietro di loro si spalancò con un tonfo, Gin, Vodka e Ran non fecero in tempo a dirigere lo sguardo verso di essa per capire cosa era successo che qualcosa schizzò nell’aria e andò a colpire Vodka in faccia, infrangendo le scure lenti degli occhiali e facendolo cadere a terra, il naso sanguinante. Gin lasciò andare Ran ed estrasse la pistola, gli occhi che guizzavano dalla stanza alla soglia vuota. Una voce echeggiò da un punto imprecisato all’esterno.

“Ran, va via dall’entrata principale dietro di te!!!” Era una voce giovane, autoritaria e preoccupata. Una voce che conosceva bene…

SHINICHI

Gin, con lo sguardo che ancora vagava alla ricerca del ragazzo, agitò di colpo una mano verso di lei per afferrarla ma Ran fu più veloce, balzò in piedi e corse velocemente obbedendo a Shinichi.

Conan aspettò che Ran lasciasse la stanza, appoggiato al muro vicino alla porta, il modulatore di voce ancora accostato alla bocca, le scarpe da ginnastica che mandavano scintille, pronte all’azione, e il mirino dell’orologio alzato. Il momento della resa dei conti. Scorse Gin con la pistola puntata, che lo cercava; il suo compare era ancora a terra, a tamponarsi i fiotti di sangue dal naso con la manica.

“Esci fuori bastardo! Chi diavolo sei?” tuonò Gin.

“Uno contro cui non avreste mai dovuto mettervi…” rispose la sua voce adulta, determinata e sprezzante. Gin sparò nella sua direzione, Conan udì i proiettili colpire il muro dietro cui si era riparato, poi si sporse veloce ma cauto dal suo nascondiglio calciandogli addosso un pezzo di tegola abbastanza grande da spaccargli la mascella. Gin non si lasciò cogliere alla sprovvista. Lo schivò, e quello s’infranse contro il muro dietro di lui, mentre si lanciava verso il luogo dove Conan si nascondeva. Non era riuscito a vederlo. Non ancora, almeno. Il piccolo detective corse a sua volta verso l’altro angolo dell’edificio, nascondendosi dietro il mattonato. Gin varcò la soglia, la pistola ancora in pugno. Dietro di lui fece capolino Vodka, l’arma pronta in mano e le narici ancora grondanti.

“Ah, davvero? Beh, per ora non mi sembri tanto temibile, visto che continui a nasconderti come un coniglio.” Commentò Gin in tono di scherno, ridendo, ma Conan sapeva che era perfettamente concentrato e attento, e voleva spingerlo a parlare per rivelargli la sua esatta posizione. Sorrise. Se lo credeva uno stupido, avrebbe pagato caro il fatto di averlo sottovalutato. Scoccò un’occhiata a Vodka, che si guardava intorno nervosamente, la pistola puntata. Lui era il bersaglio più facile: sembrava molto meno acuto del suo compagno, anche se decisamente più forte fisicamente. Fortunatamente non doveva affrontarlo in un corpo a corpo…

Le scarpe da ginnastica ancora mandavano scintille. Il piccolo detective aspettò che Gin si voltasse dall’altra parte e con un gesto veloce e atletico sollevò la gamba e calciò un sasso piuttosto grande in direzione dell’uomo, avvertendo una leggera fitta al piede. Gin sentì lo schiocco della scarpa contro il sasso e senza farsi scrupoli si fece scudo con il corpo di Vodka, che venne colpito di nuovo alla testa, rovinando a terra con un basso gemito. Gin sorrise diabolicamente, adesso sicuro del luogo in cui si trovava il suo avversario. Afferrò velocemente la pistola del suo compare privo di sensi e sanguinante e scattò verso di esso. Conan lo osservò e subito corse dietro un albero lì vicino, rischiando per un pelo di essere visto. Gin scoppiò in una profonda risata roca.

“Siamo piuttosto in difficoltà, a quanto vedo! Mi chiedo perché tu ci tenga tanto a mantenere l’anonimato...”

“Beh, che vuoi che ti dica..? Ad ognuno i suoi segreti…”

Gin sparò un altro colpo che colpì la corteccia dell’albero. Conan poteva sentire l’odore della polvere da sparo e di bruciato dietro di sé. La situazione era piuttosto difficile. Doveva riuscire a colpire l’uomo senza che lui lo vedesse, e Gin teneva l’arma puntata nella sua direzione.

“Vorrà dire che vedrò il tuo aspetto una volta che sarai cadavere…e poi magari me la spasserò con la tua fidanzatina…”

Conan sentì la rabbia incendiare ogni centimetro del suo corpo, ma cercò di tenerla a bada. Fargli perdere il controllo per farlo sbagliare era l’intenzione del suo avversario e lui non era così sciocco da cascarci. Tenne la mano stretta sull’orologio spara-anestetico, il dito sul pulsante. Doveva solo aspettare il momento buono....

Avanti bastardo…distraiti solo un secondo…solo uno…e ti trascinerò nello stesso abisso in cui mi hai portato tu…

“Anche se mi sembra di aver già sentito la tua voce…dì, perché ci tieni tanto a rischiare la pelle contro di noi?”

Gin parlò in modo spavaldo e arrogante, e Conan sentì un brivido percorrergli la schiena quando capì che cominciava a ricordarsi di lui. Non voleva che succedesse…il piano che aveva in mente era già pieno di rischi senza che l’Organizzazione ricominciasse a seguire le sue tracce. Forse non era stata una buona idea parlare con la sua vera voce…ma era l’unico modo per tranquillizzare Ran, che era finita in quell’incubo a causa sua…e perciò aveva solo un piccolo rimorso.

“Se fossi in te non mi preoccuperei di questo, ma piuttosto di guardarmi le spalle…”

disse sicuro, sorridendo soddisfatto quando gli occhi di Gin saettarono per un istante dietro di sé. Non durò molto. Forse nemmeno un secondo intero…tuttavia Conan era pronto: abbandonò per un istante il suo rifugio dietro l’albero, lo mirò con il suo orologio e spinse il fatidico pulsante. L’ago saettò fendendo l’aria e lo colpì sul collo. Gin cadde in ginocchio, strinse i denti e si portò la mano al collo, estraendo l’ago con un gesto secco. “Ah, adesso mi ricordo di te…” sibilò, lottando con se stesso per restare sveglio “…sei quello che ha aiutato quella troia di Sherry a sfuggirmi…” poi inevitabilmente le palpebre si serrarono e cadde a terra. Conan rimase per qualche secondo dietro l’albero, ascoltando il suo stesso respiro, gocce di sudore gli imperlavano la fronte. Sorrise a se stesso, mentre felicità e soddisfazione riempivano il suo animo.

Ce l’ho fatta…

Uscì fuori dal suo nascondiglio, avvicinandosi a lui, e restò a guardarlo per qualche attimo con un misto di disprezzo e superiorità; l’uomo che gli aveva rovinato la vita, lo stesso che mesi prima l’aveva tramortito somministrandogli l’APTX e costringendolo a quella vita di menzogne e finzione, colui che odiava e temeva con tutto se stesso…era lì, inerme davanti a lui. L’aveva sconfitto. Non gli restava che chiamare la polizia…e tutto sarebbe finito. Un solo piccolo gesto, e si sarebbe svegliato da quell’incubo. Per sempre…

“Shinichi!!!” Sussultò percependo la voce della sua amica d’infanzia; si voltò, la mente che lavorava furiosamente cercando di prendere una decisione in quei pochi secondo che gli restavano prima che lei facesse capolino dietro il vicolo.

Mi chiederà spiegazioni ma cosa devo dirle? La verità?? Anche se catturo questi due sono ben lontano da sconfiggere l’intera Organizzazione e se la coinvolgo potrebbero ucciderla…e poi se lei vede tutto questo vorrà chiamare la polizia e se l’Organizzazione scopre che è stata LEI a mandare in prigione i suoi uomini potrebbe ugualmente prenderla di mira…no non posso permetterlo…è già stata coinvolta abbastanza ma allora cosa devo fare????

Vide la sua ombra che si stagliava contro il suolo; non c’era tempo da perdere: con un gesto fulmineo portò il farfallino alla bocca e gridò col tono più autoritario possibile.

“Ran, resta dove sei!!!”

L’ombra si bloccò; quando parlò di nuovo, la sua amica d’infanzia sembrava piuttosto perplessa.

“Sh…Shinichi…cosa..?”

“Non muoverti.” Ripeté, frugando nella tasca del giacchetto blu ed estraendo un piccolo trasmettitore e una cimice elettronica; altri due piccoli souvenir che aveva recuperato passando per l’agenzia investigativa.

“Ma…perché?? E quei due, che fine hanno fatto??”

“Non posso spiegartelo adesso…” assicurò entrambi i congegni sotto la suola della scarpa di Gin, tenendoli con un fazzoletto per evitare di lasciarvi sopra le impronte digitali. “Ma è molto importante Ran, che tu faccia alcune piccole cose per me.”

La voce di lei ora appariva più che perplessa…confusa. Evidentemente non sapeva cosa pensare.

“Cosa?”

“Per prima cosa, non devi chiamare la polizia o nessun altro. Penso a tutto io.” Scoccò un’occhiata disgustata alla figura di Gin accoccolata per terra e si trattenne a stento da mollargli un calcio.

“Seconda cosa, è meglio se per un po’ non vai in giro da sola quando fa buio o nei luoghi isolati. Questo è importante”.

Ci tenne a sottolineare, nonostante capisse che questo l’avrebbe messa in allarme. Gin e Vodka l’avevano vista bene in volto e ormai erano anche a conoscenza del loro legame, dunque, se per qualche motivo queste informazioni avessero raggiunto orecchie sbagliate…preferiva che lei fosse attenta.

“Perché…credi che io sia…in pericolo?” chiese lentamente, la nota di profonda preoccupazione nella voce perfettamente percepibile. Conan si sforzò di assumere un tono solare e un pochino ironico; attenta sì, ma non era il caso di metterla in agitazione più del necessario.

“Ma no, idiota!”

o almeno non in pericolo immediato…ma non preoccuparti amore mio penso io a difenderti…non gli permetterò di toccarti di nuovo con le loro luride manacce…

“Comunque la prudenza non è mai troppa!! È meglio se per un po’ eviti qualsiasi rischio, okay?”

“Sì…” mormorò lei “sì…dici che potrei dire a papà quello che mi è successo, Shinichi? Magari può aiutarti a indagare su quei due…ah, hanno nominato una certa Vermouth, credo sia una complice…se lavorate insieme potreste rintracciarla, e catturarla, e…”

Conan sobbalzò: Ran aveva capito più di quanto credesse. Ma ora che poteva dirle?

Kogoro…non è una cattiva idea accennargli qualcosa…magari non tutta la storia ma…sarei più tranquillo se anche lui fosse all’erta…forse non è un genio ma se c’è di mezzo Ran diventa proprio in gamba…ed è bravo a usare la pistola…però…se lo coinvolgo…e viene ucciso…no non potrei mai sopportare l’idea di averle strappato suo padre…mai…anche se…

Su questo punto avrebbe dovuto riflettere con calma in un’altra situazione, si disse, nel frattempo doveva arginare quella furia prorompente che gli stava davanti e che continuava a parlare incessantemente. Non smise di sfoggiare quel falso tono gioviale e la interruppe: “No, è meglio di no…me ne sto già occupando io. Adesso è meglio che torni a casa, che ti fai medicare quella brutta ferita alla testa e che ti prepari per il nostro appuntamento.” Arrossì, e immaginò che anche lei stesse facendo lo stesso. “Io devo occuparmi un attimo di quei due e poi arrivo…d’accordo?”

“Okay…ma perché non posso…?” Vide la sua ombra avanzare un pochino e di nuovo alzò la voce.

“NO. Dopo, Ran; per favore.”

“Ma…non capisco…” replicò, nonostante si fosse fermata. Conan udì un basso grugnito proveniente da Gin e il cuore cominciò a martellare velocemente nel suo petto. Doveva farla andar via…e alla svelta.

“Ti prego. Dopo. Alle sei. Adesso torna all’arteria principale, Conan ti aspetta lì.”.

“Conan!?”

“Sì, ti aspetta. Io ti raggiungo al parco più tardi; te l’ho promesso, ricordi?” insisté lui, pregando mentalmente che lei gli obbedisse.

Vattene Ran…ti scongiuro…va via…

“Va bene…ma sei strano, Shinichi.” La voce continuava a essere perplessa, ma l’ombra si allontanò come le era stato chiesto. Conan emise un sospiro di sollievo, i nervi che si distesero. Lanciò un’altra occhiata a Gin e lo vide muoversi nel sonno. Probabilmente si sarebbe svegliato di lì a pochi minuti…

Accidenti…ormai la polizia non farà più in tempo…devo andarmene con Ran il prima possibile…

Sbuffò frustrato, avrebbe voluto vederli dietro le sbarre quella sera stessa, ma ancora una volta lo svolgersi degli eventi si era preso gioco di lui. Sospirò di nuovo, raccolse lo skate-board lasciato incustodito e si diresse in fretta verso l’uomo legato alla sedia, che lo fissò incredulo e sbalordito di trovarsi davanti quel nanerottolo, e allentò le sue corde.

“Venga fuori di qui…” sussurrò gentilmente “…l’ospedale è dietro l’angolo…”

“Ma…ma…e quegli uomini?” domandò con un fil di voce. Conan scosse la testa e gli lanciò una delle sue migliori occhiate rassicuranti.

“Avranno quello che si meritano. Lei si preoccupi solo di richiedere la protezione della polizia.” Suggerì. L’uomo lo squadrò inclinando la testa, un’espressione mista fra l’incredulo e il sollevato, le lacrime ancora sulle ciglia.

“Ma…tu chi sei?”

Il bambino sorrise, gli occhi azzurri che brillavano.

“Conan Edogawa…e sono un detective.”

“U..un detective!?” domandò l’uomo ancora sbalordito. Il piccolo annuì, lo prese per mano e lo accompagnò fino all’arteria principale, indicandogli l’ospedale dall’altra parte della strada. Siccome non avevano fatto nulla alle sue gambe, nonostante fossero scosse da tremiti incontrollabili, Conan poté evitare di accompagnarlo anche al pronto soccorso. Lo lasciò alle occhiate curiose della folla, guardandolo mentre attraversava la strada e prendendo nota a mente di andarlo a interrogare una volta che non fosse stato più sotto shock. Dentro di sé si sentiva decisamente seccato a non poter catturare subito Gin e Vodka, comunque rifletté sul fatto che, anche se Ran non l’avesse interrotto, sarebbe stato improduttivo farli arrestare dalla polizia, dato che un’Organizzazione potentissima gli copriva le spalle; risalire alla fonte dei suoi guai era l’unico modo per scrivere davvero la parola ‘fine’ a tutta quella storia. Una volta svegli, gli Uomini in Nero sarebbero tornati alla base e lui li avrebbe seguiti grazie al trasmettitore, sentendo le loro conversazioni attraverso la cimice. Quel pensiero leniva un po’ il sapore amaro che gli era rimasto in bocca…

E forse stavolta potrò tornare davvero a essere me stesso…

“Conan!?” udì una voce calda e dolce, la voce più bella che avesse mai sentito in vita sua. Alzò la testa e la vide, stupenda nonostante i capelli scompigliati e i vestiti stropicciati, che lo fissava sbalordita con due occhi che avrebbero fatto innamorare chiunque. Le sorrise ingenuamente:

“Oh, ciao Ran neechan!”

Amore mio fra poco potrò smettere con le bugie e tu smetterai di piangere…

“Shinichi ha detto…ma tu che ci fai qui?” gli chiese inarcando le sopracciglia, sorpresa e confusa. Conan prese con entrambe le mani lo skate-board che aveva sotto braccio, sollevandolo: “Mi esercitavo.” Ran sbatté le palpebre un paio di volte, poi annuì. Sembrava ancora un tantino turbata e sconvolta. Conan avrebbe voluto dirle qualcosa per confortarla e tranquillizzarla una volta per tutte. Cosa doveva fare? Qual era il metodo che aveva sempre usato con lei quando voleva farle dimenticare le sue preoccupazioni?

Oh ma sicuro…è così semplice…

Sorrise a se stesso, poi si rivolse a lei con voce allegra: “Ho incontrato Shinichi, sai Ran neechan?”

“Sì, me l’ha detto.” Confermò lei, sfoggiando un sorriso forzato e poco convinto. Lui sospirò internamente.

“E mi ha detto di ripeterti parola per parola una cosa…”

Ran lo guardò a occhi sbarrati, incuriosita: “Sarebbe..?” Lui represse con tutte le forze una risata.

“Ha chiesto se per piacere tornando a casa ti dai un’aggiustata perché non ha alcuna intenzione di farsi vedere in giro con una strega scema appena scesa dalla scopa…”

“CHE COOOSAAA!!!???” gridò, e sebbene volesse sembrare a tutti i costi furiosa Conan notò che l’angolo della sua bocca cercava disperatamente di stirarsi in un sorriso.

“Razza di idiota! Gliela faccio vedere io a quello stupido, oggi pomeriggio!” disse in un tono che lo fece rabbrividire.

“Poteva almeno dirmelo in faccia!!!”

“Ehm…ha detto che sarebbe stato un atto di autolesionismo…”

Ran sorrise in modo inquietante: “Non ha tutti i torti, Conan…”

“Eh eh…” si lasciò andare ad una risatina stridula, un nodo in gola difficile da inghiottire: forse era meglio se per l’appuntamento si preparava a schivare colpi, perché aveva l’impressione che Ran, divertita o no, gliel’avrebbe fatta pagare cara quell’uscita. Comunque gli si scaldò il cuore quando vide che si era rasserenata e che l’esperienza con quei due bastardi non l’aveva sconvolta più di tanto. Era una ragazza forte, la sua Ran, e fortunatamente era arrivato prima che avessero il tempo di farle veramente qualcosa.

Non preoccuparti Ran…gliela farò pagare anche per te

“Allora andiamo, Ran neechan?” Lei annuì e lo prese per mano; camminarono in silenzio per un po’, finché Ran non si arrestò di colpo.

“Conan kun…senti…” esordì con un profondo respiro. Lui alzò la testa e la guardò, la fronte aggrottata: non gli piaceva quel tono di voce.

“Perché mi hai mentito?” Domandò, e lui si sentì sprofondare. Non poteva averlo capito…che l’avesse guardato mentre combatteva contro Gin e avesse fatto due più due!? Ma allora perché non l’aveva detto subito?

“Ran…io…” cominciò col cuore in gola, sudando freddo.

“Come hai fatto a sapere che ero allo stabile ieri? So che era una bugia quella che mi hai raccontato…”

“Oooh, quella bugia…” mormorò sentendosi più leggero, mentre il cuore tornava al suo posto. Per fortuna aveva frainteso. Ora però che poteva dirle..? Qual era una spiegazione verosimile per il suo comportamento del giorno prima?

“Beh…io…sono stato uno stupido, e mi vergognavo ad ammetterlo…” abbassò la testa “…in realtà quell’uomo cattivo aveva mandato una lettera allo studio in cui era scritto che ti avrebbe portato lì. L’ho vista mentre aspettavo che finissi di prepararti. Era per lo zio…non ho capito subito bene cosa dicesse perché ancora ho un po’ di difficoltà a leggere gli ideogrammi. L’ho portata a scuola credendo fosse una richiesta per un caso e a me piace tanto giocare a fare il detective…ma poi sono riuscito a leggerla e mi sono spaventato, così sono corso da te.” Immedesimandosi nel ruolo del bambino impulsivo e ingenuo, Conan rifletté un attimo e poi aggiunse “pensavo che se ti avessi salvata da solo mi avresti voluto ancora più bene…” La guardò con due occhioni che avrebbero intenerito chiunque. Infatti Ran arrossì e si chinò abbracciandolo e tenendolo stretto: “Oh Conan…ma io ti voglio già un sacco di bene, piccolo mio…” mormorò dolcemente. Anche lui arrossì, e siccome un adolescente è un adolescente, seppure rimpicciolito, non poté fare a meno di notare con gioia la pressione che il suo seno esercitava contro il suo petto. “Lo so…” disse con gli occhi stralunati. Ran si staccò e lo baciò sulla fronte, aggiustandogli il colletto della camicia in disordine con un sorriso:

“Sai Conan…” rise arrossendo “Ero convinta che tu mi stessi nascondendo qualcosa. Ma veramente! Non puoi nemmeno immaginare i ghirigori mentali che mi sono fatta!” esclamò, Conan si sforzò di ridere con lei, nervoso, mentre una goccia gli calava dalla testa alla nuca.

“Sì, insomma…per il fatto che tu sembri sempre più maturo della tua età, che ogni tanto assumi quella strana espressione assorta…e anche i tuoi atteggiamenti…ho pensato che avessi un peso che non volevi confidare a nessuno…” lo guardava sempre sorridendo, ma Conan si accorse dell’ombra dietro i suoi occhi scrutatori.

“Oh, ma davvero? Che cosa assurda, Ran neechan!! Io non nascondo niente, figurati!” la rassicurò allegramente, e notò che faceva piuttosto caldo, e il colletto della camicia gli stava stretto.

“Sicuro?” chiese lei con dolcezza, aggrottando le sopracciglia pensierosa.

“Sicuro!!” esclamò lui con la voce più infantile e squillante che gli riusciva.

“Conan, a me puoi dirlo…”

“Non ho niente da dirti, te l’assicuro!”

E basta! Hai intenzione di assillarmi fino all’ora dell’appuntamento o che!?

“Ma…allora perché ogni tanto assumi quell’espressione così triste e apprensiva?” insisté lei.

“Lo faccio quando…quando le puntate di Masked Yaibar finiscono che lui è in pericolo!! Sto in pensiero e penso a un modo in cui potrebbe cavarsela.” Si stupì di quanto gli era facile mentire spudoratamente. Si chiese se si stesse pericolosamente immedesimando troppo nel ruolo del moccioso delle elementari.

Allora sì che ci sarebbe da ridere se mi venisse una crisi d’identità…

“Oh.” Commentò Ran, ma sembrava ancora leggermente perplessa. Conan sfoggiò un sorriso tanto smagliante quanto ingenuo: “Senti, ma dove sono Sonoko e Kazuha?” domandò al fine di cambiare discorso. Lei sbarrò gli occhi:

“Oddio è vero! Mi aspettano al Tropical Land!!” disse agitata. Si portò una mano dietro la nuca, strizzò gli occhi e quando vide di nuovo il suo palmo era lievemente macchiato di rosso. Conan guardò a sua volta, il viso contratto dalla preoccupazione.

“Ran, è meglio se vai all’ambulatorio della famiglia Araide a farti medicare. Penso io ad avvertire le tue amiche.” Inforcò lo skate-board e, senza darle il tempo di replicare, sfrecciò per l’ennesima volta fra i marciapiedi affollati.

Kazuha era seduta su una panchina, le braccia incrociate, e osservava con occhi vacui la gente che rideva e gridava sulla pista delle auto-scontro. Nonostante la giornata piuttosto tiepida, si sentiva fredda e svuotata.

Ma soprattutto si sentiva in colpa.

In colpa per il modo in cui aveva reagito, per essere scattata in quel modo contro il suo amico d’infanzia, la persona che mai avrebbe voluto colpire o insultare in quel modo. La gelosia aveva invaso completamente il suo animo, sapere che lui le aveva mentito spudoratamente aveva tirato fuori tutte le sensazioni che per anni aveva represso dentro di sé. Rabbia, tristezza, senso di abbandono…così non era stata lì a pensare a qualche giustificazione ‘ innocente ’ per quello che aveva fatto, ma subito l’aveva accusato della cosa di cui lei aveva più paura in assoluto. E vedendo il fantasma del suo timore più grande incombere, aveva reagito nel peggiore dei modi…per sentirsi uno schifo subito dopo. Così non aveva pianto perché credesse veramente che Heiji avesse un appuntamento con un’altra; l’aveva fatto perché si era sentita una stupida, perché il modo in cui si era comportata rendeva palese ciò che cercava disperatamente di nascondere fin da quando aveva iniziato a esistere, a dir la verità. Era arrabbiata con lui, che l’aveva fatta diventare una ragazzina patetica e piagnucolosa. Furiosa, perché non l’aveva inseguita subito, come sarebbe successo in ogni film romantico degno di essere chiamato tale, ma aveva mandato una semi sconosciuta a dirle che era dispiaciuto e che gli avrebbe spiegato tutto. Bella roba. Dimostrava quanto lei fosse il centro dei suoi pensieri. Ecco un’altra cosa che le dava fastidio. Lui era il centro dei suoi, invece. Si chiedeva perché non fosse la stessa cosa per il suo amico d’infanzia, cercava di pensare a cosa ci fosse di sbagliato in lei per essere ragionevolmente ignorata da colui che, nei suoi desideri più reconditi e che mai avrebbe raccontato ad anima viva, doveva ricoprirla di attenzioni e non poter fare a meno della sua presenza. Si domandava che cosa di quel bamboccio le piacesse così tanto, e non sapeva darsi una risposta, eppure il suo cuore continuava a battere per lui. Si sentiva ferita e umiliata, perché per quanto ci rimuginasse, per quanto lo negasse a se stessa e a chiunque altro, per quanto volesse in momenti come quello che non fosse così, a prescindere dal modo in cui la trattava…

Era innamorata.

Del suo stupido, egoista, infantile, egocentrico amico d’infanzia. Perché?

Perché per lei lui non era né stupido, né egoista, né infantile, né egocentrico. Nella sua testa, lui era perfetto. Ma evidentemente, lei non lo era nella sua. E forse la protezione e le premure che Heiji le aveva riservato quando aveva rischiato di morire erano le attenzioni che un fratello maggiore avrebbe riservato alla sua sorellina. Tutte le altre cose che si era figurata erano frutto della sua immaginazione, erano state speranze in cui amava crogiolarsi in momenti in cui si sentiva particolarmente malinconica o sola. E non poteva incolpare il suo migliore amico perché lei si era illusa. Ma in fondo era più facile arrabbiarsi con lui che non ammettere a se stessa che non ci sarebbe stato niente di più che amicizia fra loro due. Un’amicizia nata solo perché i loro genitori si conoscevano, un’amicizia forzata, portata avanti per abitudine più che altro; perché loro non avevano nulla in comune, a ben pensarci. Se si fossero incontrati al liceo, sarebbero diventati amici? Probabilmente No. Sarebbero andati avanti col livello ‘ ciao ’, avrebbero scambiato qualche parola ogni tanto, magari, ma nulla più di questo.

Così, il loro rapporto si basava su una serie di circostanze indipendenti dalla loro volontà. E un rapporto così non aveva futuro, non nel modo in cui lei sperava, purtroppo.

Perciò se ne stava lì seduta su quella panchina, a guardare davanti a sé senza realmente vedere nulla, a concentrarsi sul fatto di essere furibonda con Heiji Hattori, non perché lui avesse qualche colpa, ma perché era l’unico con cui poteva prendersela per tutte le considerazioni che le erano affiorate alla mente. Perché se lui non fosse stato la persona speciale che era, lei non se ne sarebbe innamorata, e adesso si starebbe divertendo con l’amica di Ran.

Ran, maledizione anche a lei. In quel momento si stava probabilmente godendo l’appuntamento con il suo amato Kudo. Si era lamentata perché lui non la teneva in considerazione, ma le era bastato versare un po’ di lacrime e lui si era precipitato a casa.

Beh, quando era stata lei a piangere, il suo amato Heiji aveva mandato un’altra a consolarla. Sebbene Kudo dovesse macinare chilometri per raggiungere Ran aveva accettato di farlo. Sebbene Heiji avesse dovuto fare solo qualche passo, non si era mosso di un millimetro.

Invidia.

Come se non fosse abbastanza, ora stava provando anche quest’altro sentimento. Dopotutto lei aveva consolato Ran quando si era sentita sola e trascurata; ma Ran, da parte sua, non era lì a consolare lei. No, era a divertirsi con il suo amico d’infanzia nel modo in cui lei non avrebbe potuto mai fare.

Rimpianto.

Per quanto la sua coscienza lo trovasse meschino, era questo il sentimento che stava riempiendo il suo cuore. Se non l’avesse esortata a dare a Kudo una seconda possibilità, magari Ran non sarebbe stata al settimo cielo, ma comunque ora sarebbe al suo fianco, e avrebbero potuto condividere quel momento. E lei non sarebbe stata invidiosa della sua situazione.

Collera.

Perché diavolo quell’idiota frignava quando aveva un ragazzo che la ricambiava e che era pronto a tutto per lei? Kudo e Heiji saranno stati anche simili come si diceva, ma il primo le sembrava un ragazzo molto più sensibile e disponibile.

Una leggera brezza la scosse da quei pensieri, sferzandole il volto accigliato e triste, mentre la coda di capelli scuri ciondolava da un lato solleticandole il collo. Accanto a lei, il pesce rosso boccheggiava nell’acqua del sacchetto con occhietti inespressivi, mentre uno scroscio di risa echeggiò dalla pista davanti a lei. Pensò con ironia e un a leggera amarezza che gli unici a non divertirsi in quel luna park erano lei e quell’ esserino affusolato.

“Kazuha...!” sussultò riconoscendo la voce, ma per il resto non diede cenno di averla sentita. Continuò a guardare con occhi vuoti le macchinette colorate che si scontravano, fra le risa dei guidatori.

“Ti ho trovata, finalmente! Quella Suzuki, là, dice che l’hai cacciata via e che te ne sei andata. Ho temuto fossi uscita dal luna park…” continuò la voce, facendo una pausa per riprendere fiato. Sembrava affannata. Restò in silenzio, davanti a lei un’auto rossa colpì il fianco di un’altra blu, e il bambino che la guidava scoppiò in un pianto disperato.

“Ehm, Kazuha..!? Mi ascolti?” domandò la voce esitante. La madre del bambino in lacrime, dal bordo della pista, lanciava commenti poco carini nei confronti dell’adolescente che guidava l’auto rossa.

“Senti…” un sospiro “…non capisco cosa ti sia preso, prima. Non mi sembra di aver fatto niente di male.” Ora la voce sembrava un pochino risentita. “È vero, forse ti ho mentito riguardo alla commissione, ma non per quello che pensi. Stavo seguendo un caso e il mio…ehm…cliente non voleva ne parlassi a anima viva. Tutto qui. Niente intrighi da soap opera!” aggiunse, quasi orripilata all’idea. Il giro era finito, la madre abbandonò in fretta il bordo della pista, fece lo slalom fra le macchinette ferme e prese in braccio il bambino, andandosene furibonda.

“Hai capito, Kazuha? Ehi, pronto, parlo con te…” capì che si stava avvicinando per toccarla e con un gesto brusco si spostò più di lato sulla panchina. Non voleva. Se l’avesse toccata, forse avrebbe cominciato a tremare, o avrebbe dato un qualsiasi altro segno di scompenso e demoralizzazione. E lui non doveva accorgersi di quanto stava male.

“Ho detto la verità, te lo giuro!” insisté la voce seccata. Probabilmente pensava che la sua reazione fosse dovuta all’incredulità. Stupido idiota…perché non la capiva mai?

“Io non ti ho detto una bugia perché non ti volevo attorno, o dovevo uscire con un’altra, te l’ho già spiegato il motivo!” continuò imperterrita la stessa voce irritata. “E poi…”

“E poi anche se fosse io non avrei il diritto di criticare, no!?” continuò Kazuha interrompendolo, il tono stizzito e isterico: “È questo che volevi dire, vero!!!?? Ma sì, hai ragione, io non sono la tua ragazza, tu sei libero di vedere chi ti pare, non mi devi nulla!!! Tanto io ti faccio schifo, no!!?” esclamò con una fitta al petto e si alzò, decisa ad andarsene. Non l’avrebbe vista piangere di nuovo, non voleva essere così patetica. Girò i tacchi ancora senza degnarlo di uno sguardo e fece per andarsene, ma lui l’afferrò per un polso, stringendola forte.

Non era questo che intendevo dire, stupida!” gridò, con un tono di voce che non gli aveva mai sentito rivolgerle. Fu questo, più di tutto, a farla voltare e quando incrociò il suo sguardo non vide collera nei suoi occhi, bensì determinazione e risentimento…quasi come se lei lo avesse ferito…

Ma come diavolo fai solo a pensare certe idiozie!!” continuò con fervore, lei sussultò abbassando lo sguardo; si sentiva profondamente a disagio.

“Io…a te non frega niente di me…” balbettò quasi senza voce, la stretta sul polso si fece più forte.

“EEEH? No, certo che no Kazuha, è come dici tu!! Non me ne frega nulla di te, non ti posso vedere!! Hai colto nel segno!! È per questo che me ne sto qui a perdere tempo per cercare di farti capire che l’ultima cosa che volevo era farti piangere, che non sarei mai uscito con un’altra ragazza..!! Ma sì, tutto torna!!” affermò cercando con l’ironia di nascondere quanto le sue insinuazioni l’avessero scosso. La ragazza sobbalzò sentendo le sue parole, e quando alzò di nuovo gli occhi, vide le sue guance leggermente imporporate, malgrado la stizza.

“Ma…tu…” cercò di dire, arrossendo a sua volta “non mi sei corso dietro subito…non ti è importato anche se io stavo…piangendo…” . Non stava insistendo perché volesse davvero far valere le sue ragioni, anche se così poteva sembrare. Gli elencava tutti i suoi dubbi perché sperava che lui riuscisse a dissolverli…avrebbe tanto voluto non averne.

“Allora sei proprio una…” dal tono di voce si capì che aveva cercato con buoni risultati di re-inghiottire l’epiteto con cui voleva apostrofarla. “Pronto!! Stavo seguendo un caso!! Non potevo permettere che il mio miglior…ehm…il mio cliente passasse dei guai seri solo perché tu eri in preda a crisi isteriche!! Sveglia Kazuha!! Vedi troppe soap alla tv!!” lei sorrise debolmente, cosa che lo sorprese, facendogli inarcare le sopracciglia.

“Ma tu volevi…l’avresti fatto se non fosse stato per il caso, Heiji?” domandò, gli occhi verdi lievemente lucidi.

“Mi sembra chiaro, idiota!” borbottò, stavolta fu lui a distogliere lo sguardo. “Senti…” riprese, con voce più calma e profonda: “Qualsiasi cosa ti sia passata in testa, non volevo ferirti. Mi è preso un colpo, per il modo in cui hai reagito…non farlo mai più.” Aggiunse infine, quasi con amarezza. Lei soffocò a stento una risatina e lui la guardò, inarcando un sopracciglio. “Niente…” rispose lei alla sua domanda inespressa. “È che…nell’ultima parte mi sei sembrato mio padre…”

“Ah.” Ribatté lui, sbigottito e leggermente divertito, poi entrambi sorrisero. Adesso ricordava che cosa di lui l’avesse attratta maggiormente: Heiji riusciva sempre a metterla di buon umore, malgrado tutto.

“Ehm…a proposito di tuo padre…non dirgli che ti ho fatta piangere, se no mi ammazza.” Aggiunse nervosamente, lei lo guardò con un’occhiata maligna.

“Non lo so…dipende da come ti comporti, Heiji caro…”

“Se non glielo dici, io non gli faccio parola del nuovo amichetto che ti sei fatta, Kazuha.” Replicò lui con tono scaltro.

“Ma di chi accidenti parli?” Kazuha sgranò gli occhi, sorpresa. Heiji indicò la panchina, dove il pesce li guardava boccheggiando attraverso la pellicola di plastica trasparente. “Non ci presenti?”

“Non ha ancora un nome, a dir la verità…” commentò lei, aggrottando la fronte.

“Beh, è un maschio o una femmina?”

“Non ne ho idea…da che si vede?” chiese Kazuha, perplessa. Heiji prese il sacchetto in mano e lo sollevò sopra la sua testa, scrutandolo attentamente.

“Uhm…a quanto pare, non dalla stessa cosa da cui si vede in noi.” Disse in tono serio, rivolgendole poi un sorriso malizioso.

“HEIJI!!” Lei arrossì furiosamente e gli strappò il sacchetto di mano.

“Beh, comunque, che ne dici di chiamarlo Ellery?” aggiunse infine, speranzoso.

“Vuoi dire come il tuo scrittore di gialli e detective preferito?” fece lei meditabonda;

“Più o meno…gli scrittori che si firmavano con questo pseudonimo erano due, Frederic Dannay e Manfred B. Lee, e Ellery Queen non era propriamente un detective come si poteva definire ad esempio Sherlock Holmes…il poliziotto in famiglia era il padre che…”

“Okay, okay, se lo chiamo come vuoi tu prometti di piantarla con questa tiritera?” lo interruppe scocciata, consapevole che se non l’avesse fermato sarebbe andato avanti anche per ore declamando vita morte e miracoli degli autori e del personaggio. Lui si accigliò leggermente seccato, poi annuì.

“Bene, allora benvenuto in famiglia, Ellery-chan.” Concluse lei con un sorriso.

In quel momento una figura minuta si materializzò davanti a loro con uno stridere di gomme, alzando un po’ di polvere. Kazuha guardò dall’alto in basso il bambino che viveva all’agenzia investigativa, lievemente sorpresa, si voltò verso Heiji e notò che lui era diventato stranamente nervoso. Guardò di nuovo il piccolo, che le sorrideva innocente:

“Ciao, volevo dirti che Ran neechan non può venire al luna park, ha avuto un piccolo incidente…” lanciò un’occhiata significativa a Heiji, che gli rispose con un’altra altrettanto eloquente; la cosa si svolse in un lampo e lei non ebbe il tempo di chiedersi cosa volessero dire quei cenni che il bambino continuò con voce squillante: “…ma nulla di preoccupante, sta benone. Passa un attimo dal dottore e poi torna a casa per l’appuntamento con Shinichi. Ha detto che voi potete continuare a divertirvi qui, se vi va, non c’è problema.” Kazuha lo squadrò per un attimo.

“Che le è successo?” chiese infine. Ci fu di nuovo quello strano, inspiegabile scambio di cenni, poi il bimbo si strinse nelle spalle.

“Non insistere, Kazuha. Che ne può sapere lui, è solo un bambino! Parla con Ran, se ci tieni…” s’intromise Heiji. Lei gli lanciò un’occhiata perplessa, poi annuì: “Allora noi restiamo qui, Heiji?” domandò fiduciosa.

“Se proprio ci tieni…” commentò con un tono di sufficienza, ma lei capì che era tutta una finta e sorrise raggiante.

Un altro scambio di cenni e lui aggiunse: “Ma prima vai a cercare Suzuki e avverti anche lei che Mouri non può venire…io accompagno un attimo questo bambino…”

“…in bagno.” Concluse precipitoso Conan per lui. “Mi scappa da morire…”

Kazuha fissò entrambi per un attimo, sbattendo le ciglia perplessa, poi assentì e si avviò, mescolandosi tra la folla, il piccolo, rosso Ellery che sguazzava confuso nelle acque movimentate. I due stettero a guardarla finché non fu più visibile, poi Heiji esordì con tono di scusa: “Ehm…Kudo…riguardo a prima…”

“Per quanto ti meriteresti di restare sulle spine a disagio per un po’, dopo tutte le volte che mi hai preso in giro, umiliato, trattato come un moccioso e chiamato ‘Kudo’ in pubblico e di fronte a Ran…” lo interruppe Conan con aria di superiorità “…ti dimostrerò che sono decisamente più maturo di te e non ti costringerò a chiedermi scusa in ginocchio, Hattori.” Gli sorrise supponente guardandolo dall’alto in basso. Per quanto gli fosse possibile, in quelle condizioni.

“So cosa vuol dire trattare con un’amica d’infanzia furiosa, credimi.” Aggiunse comprensivo. Lui gli sorrise, riconoscente. Conan confidò nel fatto che quello gli assicurasse per un po’ l’incolumità dalle sue continue punzecchiature e allusioni.

“Come sapevi che avevo litigato con Kazuha?”

“Oh, andiamo!! Ti si leggeva in faccia! Non sono mica nato ieri…”

“Beh, più o meno…” rise lui. Ecco, appunto.

Io e le mie speranze vane…

Conan sospirò rassegnato, non ricambiando il sorriso.

“Comunque, cosa è successo dopo che mi hai chiamato per dirmi di sospendere le ricerche?” domandò Heiji serio. Conan sbuffò e si cimentò in un breve resoconto del suo incontro con Vermouth, poi della lotta con Gin e Vodka e della liberazione di Ran. Quando terminò, notò che Heiji lo fissava accigliato, con un’espressione insieme offesa e indispettita e gli occhi a fessura.

“Beh, che ti prende adesso?” chiese sorpreso e infastidito a sua volta.

“Sei andato contro l’Organizzazione da solo?! E senza dirmi niente!?” commentò arrabbiato, senza smettere di fissarlo in malo modo. “Complimenti Kudo, io vengo fin qui da Osaka per aiutarti e tu fai tutto per conto tuo…grazie tante! La prossima volta me ne resto a casa.”

“Io non ti ho chiesto di venire.” Replicò freddamente, senza battere ciglio.

“E cosa avresti fatto se ti avessero catturato o qualcosa di peggio?” insinuò.

“Non è successo.” Rispose Conan, alzando le spalle. Scoccò un’occhiata in tralice al detective dell’ovest per vedere come avesse reagito alle sue parole e notò che era profondamente contrariato.

“Già, devi essere stato davvero fortunato. Nelle tue condizioni, non è difficile avere la meglio su di te in uno scontro.” Disse Heiji, inarcando le sopracciglia maligno.

“Non è stata una fortuna…Io so perfettamente badare a me stesso.” Ribatté seccato.

“Con quel corpicino che ti ritrovi? Ah, non farmi ridere.” Replicò a sua volta il ragazzo del Kansai, con un tono incredulo di derisione che lo disturbò profondamente. “Perfino un moccioso di otto anni ti metterebbe ko, Kudo.” Concluse, guardandolo dall’alto in basso. Conan strinse forte i pugni, fulminandolo con lo sguardo.

“Stai forse cercando di dire che sono debole, Hattori?” sibilò, scandendo le parole.

“Senza i gadget del professore…” cominciò, ma qualcosa nello sguardo del suo migliore amico lo bloccò. C’era di più della rabbia, nei suoi occhi…frustrazione…come se stesse dando voce a timori che lui stesso aveva considerato nella sua mente. “…saresti comunque un detective formidabile, Kudo. A parte qualche inconveniente puramente tecnico…” Non era questo quello che voleva dire, all’inizio. Ma fu felice di aver cambiato idea quando vide l’espressione sul viso di Conan rilassarsi. Sospirò, questa volta poteva lasciar correre; non aveva voglia di litigare e poi così avrebbe ricambiato il favore che il detective dell’est gli aveva fatto poco prima.

“Solo che…è meglio correre meno rischi possibili, non ti sembra? E se fossi venuto anch’io con te…”

“Ti saresti goduto un po’ d’azione anche tu, giusto?” terminò per lui la frase Conan, sorridendo con uno sguardo acuto.

Heiji ricambiò il sorriso divertito: “Esattamente.” Non ebbe difficoltà ad ammettere.

Conan ghignò “Non preoccuparti, avremo altre occasioni per divertirci. Ho applicato un trasmettitore a largo raggio a Gin, e seguendo le sue tracce con i miei occhiali riusciremo a scoprire l’ubicazione del quartier generale. Haibara una volta mi ha spiegato che i centri operativi sono molti, e sparsi in tutto il paese, perciò se lo teniamo d’occhio per un po’…”

“…riusciremo ad avere una mappa dettagliata dei loro quartier generali.” Finì Heiji, un luccichio avido nei suoi occhi.

“Già. E quando sarà il momento di muoversi, avrò bisogno di più aiuti possibili. Naturalmente c’è la polizia, ma…”

“…ma non sappiamo se ci sono infiltrati al dipartimento, e non possiamo organizzare una retata col rischio che qualcuno li avverta. Non solo andrebbe tutto a monte…” sussurrò Heiji, la fronte aggrottata.

“…quei bastardi potrebbero anche lasciare una bomba nel luogo del loro ex centro operativo e farci saltare tutti in aria. E l’ultima cosa che voglio è far morire poliziotti innocenti, magari con una famiglia a casa che li aspetta.” Concluse il detective dell’est.

Come al solito, entrambi erano arrivati alle medesime considerazioni e infatti, più che parlare, stavano riflettendo insieme ad alta voce.

“Cavoli, Kudo, ti sei cacciato davvero in una gran, brutta faccenda…” sospirò il ragazzo, ficcandosi le mani in tasca.

“Forse, ma era ora che qualcuno cercasse di fermarli. E giuro sul mio onore che non gli permetterò di mietere vittime ancora per molto…la pagheranno cara per tutti i loro delitti…” Heiji si voltò a guardarlo: aveva un’espressione determinata, furente, guardava un punto imprecisato davanti a sé, le sopracciglia inarcate. Il detective dell’ovest sorrise benevolo. “E tu saresti una persona orribile, cinica e egoista?” Chiese divertito. Conan lo guardò perplesso, non capendo subito a cosa si riferisse, poi gli venne in mente ciò che gli aveva rivelato al bar quella mattina; il suo viso si rabbuiò.

“Sì…sono contento che Ran soffra solo perché la voglio tutta per me. Il che è sia egoista che crudele…” commentò debolmente, abbassando la testa in modo che lui vedesse solo la massa di capelli bruni.

“Sei umano, Kudo…” replicò lui con semplicità. Conan tornò a fissarlo attentamente, sbattendo le palpebre. Rimasero in silenzio per un po’, e quando Heiji capì che quella spiegazione non gli bastava del tutto andò avanti:

“Non sei un santo…è normale che tu voglia vicino la persona che ami…” fece una pausa, aspettandosi che lui negasse come al solito, ma il suo migliore amico si limitò ad arrossire e continuò a fissarlo intensamente.

“…e siccome sei un investigatore è normale che ogni volta che hai la prova che lei ti ricambia ti senta sollevato… bada, sollevato, non felice… ma ciò non vuol dire che non ti dispiaccia che lei si disperi. In fondo non è colpa tua se sei costretto a mentirle, anzi, lo fai per proteggerla…e anche tu soffri per questa situazione, no? Dev’essere frustrante averla vicina e non poterle parlare come te stesso…se fossi egoista le avresti rivelato tutto e te ne saresti fregato del rischio che l’Organizzazione la uccida…” spiegò paziente, con il tono di chi sta dicendo cose ovvie.

“È vero, ma…”

“Tu sei un bravo ragazzo, e le vuoi bene davvero. E la prova è il fatto stesso che ti sia fatto questi problemi. Una persona cinica non avrebbe minimamente pensato che sentirsi sollevato per le sue lacrime potesse essere sbagliato. Ma tu sì. Dammi retta Shinichi, non hai niente da rimproverarti.” Concluse sorridendo. Lui sussultò lievemente quando lo sentì pronunciare il suo nome e lo squadrò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Per qualche istante restarono così, muti e senza guardarsi, Conan sorrise facendo in modo che lui non se ne accorgesse.

Adesso capisco perché mi confido con questo qui…magari non è stato del tutto un errore andare a quel club di Sherlock Holmes…

Quando parlò di nuovo, lo fece con il solito tono distaccato e di sufficienza:

“Beh, amico, sarà meglio che vai a cercare la tua fidanzata. Le hai praticamente promesso di restare al luna park con lei. Tanto, per quanto riguarda l’Organizzazione, oggi non possiamo fare di più.”

“E la cassetta? Ce l’ha quella Vermouth, no?” chiese Heiji, aggrottando la fronte perplesso e impensierito.

“Sì, e non possiamo farci niente.” Disse fermamente. “Ha ucciso Mori e ha tagliato la corda. Non ho idea di cosa ne abbia fatto del corpo, visto che non l’hanno trovato, ma comunque non ha molta importanza. E d’altronde, lei era già a conoscenza della mia vera identità…” sospirò “…quindi il nastro non le servirà a granché.”

“Ma se Vermouth sa che in realtà sei Shinichi Kudo, allora potrebbe averlo detto anche a Gin, Vodka, e a chissà chi altri…” realizzò con orrore Heiji.

“Probabile…” cercò di rispondere in modo freddo, ma la voce gli uscì affievolita e affranta.

“…e infatti ho notato un tizio vestito di nero che si aggira nei dintorni dell’agenzia di Kogoro.” Un altro sospiro “Comunque, è da un po’ che ho a che fare con quella, e non è mai successo niente. E poi…magari è un bluff… ma a me sembra che abbia un debole per Ran. Oggi mi ha perfino rivelato il luogo dove si trovava…”

“Potrebbe averlo fatto perché sperava che per salvarla ci avresti rimesso la pelle.” Disse Heiji soprappensiero, ignorando il fatto che la sua affermazione lo aveva afflitto più di quanto lo fosse prima. Non che Conan non ci avesse pensato, ma allo stato attuale delle cose, preferiva essere ottimista.

“Sì…ma se il mio piano con la trasmittente e la cimice va in porto, non avrà molta importanza…” concluse Conan con voce grave.

Per una volta sola vorrei cancellare dal mio vocabolario la parola ‘se’…

“Ma sì, dai, li prenderemo a calci nel sedere, quei luridi bastardi!” esclamò Heiji con un sorriso, e Conan capì che, sebbene fosse preoccupato quanto lui, stava cercando di tirargli su il morale.

“Puoi dirlo forte.” Commentò sorridendo a sua volta. “Ma ora è meglio che vai, se no Toyama ti uccide…”

“In effetti, è meglio.”

Il ragazzo del Kansai si avviò seguendo i passi di Kazuha; Conan restò a fissarlo per un po’, poi sorrise lievemente, mormorando a se stesso: “Grazie, Heiji.”.

Note dell’Autrice: anche questo capitolo è finito; il risultato non mi soddisfa completamente, ma siccome ne ho scritte tre versioni, non ho intenzione di rimetterci più mano e questa era la migliore, direi che mi posso accontentare. La parte più difficile è stata quella del combattimento fra Gin e Conan: siccome quest’ultimo non può farsi vedere dal suo avversario, ho dovuto inventare un modo per farli affrontare senza il faccia a faccia. Questo è il frutto dello spremere delle mie meningi. ^^” L’ultima parte invece mi piace molto…ma voi cosa ne pensate?? Dite, dite, mi raccomando!

Ora, vorrei ringraziare tutti i lettori de “La Promessa di Shinichi” e anche dell’altra mia ff, “A Very Important Gift”, e in particolare chi ha avuto il buon cuore di lasciare una piccola recensione; i vostri commenti mi fanno piacere e mi tirano sempre su di morale, thanks! ^ __ ^ Ho notato che alcune persone hanno prese di posizione molto ferree riguardo alla coppia ufficiale del manga: io sono molto più malleabile riguardo a questo argomento: posso leggere tranquillamente sia ff Shinichi/Ran che Conan/Ai…l’importante è che le coppie non siano veramente assurde, come ad esempio una Shinichi/Kazuha… (lì darebbe un po’ fastidio anche a me…) In fondo nel manga ogni personaggio ha la sua ‘dolce metà’ chiaramente prefissata, e trovo divertente, almeno nelle ff, poter sconvolgere un po’ le cose…nei limiti, come ho già detto. ^^

Comunque, opinioni personali a parte, passo ai ringraziamenti singoli, come da routine:

Shizuka: ciaoo!! Grazie del commento; qui un po’ di romance c’è, hai visto? ^ _ ~ Non molto, ma non preoccuparti: ora che Gin e Vodka sono (per modo di dire) sistemati posso occuparmi della parte più dolce della storia, quella che credo la maggior parte aspetti con ansia. Tu continua a seguirmi e io non ti deluderò!! (o almeno lo spero…^^”)

Akane Tendoo: wow, ti ringrazio!! Spero solo che con ‘calmante’ non intendi dire che i miei capitoli sono così noiosi che ti fanno addormentare!^^” Uhm…vita piena, eh? Se vuoi un consiglio, quando vai al liceo, non farti eleggere MAI rappresentante di classe! Io lo sono da qualche settimana e già ne ho abbastanza…non bastava la montagna di compiti a casa a tenermi occupata! Comunque, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, e ti ringrazio tantissimo anche per avermi avvertito riguardo alle puntate di DC trasmesse da Italia1…in realtà sapevo già che presto sarebbe arrivato sui nostri schermi il mitico vol.26, ma ti ringrazio comunque per aver avuto la premura di avvisarmi: un pensiero davvero carino, Chiaretta-chan!! ^//^ A presto, e non preoccuparti: non rompi affatto! Scrivimi pure tutto ciò che ti passa per la testa, senza riserve, i tuoi commenti mi piacciono sempre molto. Oh, a proposito, grazie anche per la recensione all’altra fanfic!^^

Mareviola: carissima! Non prendertela, non era mia intenzione offenderti: con ‘vecchia’ intendevo dire che sei la lettrice che mi commenta costantemente da più tempo di tutti. Nessun riferimento all’estetica, giuro!!^^” (d’altronde, come potrei??) Oh, il tredicesimo è il tuo chap preferito?? Allora abbiamo gli stessi gusti! ^__^ Anche a me piace molto…insieme al sesto, all’ottavo e al decimo, finora. Grazie del commento, ci sentiamo presto.

Lili: grazie!^^ Ecco il seguito…spero di non averti fatto aspettare troppo e soprattutto che ti piaccia…

Ichigo Shirogane: hai visto che avevo indovinato? Non sono poi così male come detective se sono riuscita a scoprire la tua doppia identità… ^_^ ci sentiamo e mi raccomando, non trattare male Ichi! : p

Ginny85: ciao Ginny, grazie mille per il commento…sei sempre così generosa con i complimenti?? Perché c’è il rischio che mi monti la testa, se continui così! ^//^ Ti ringrazio tanto comunque, anche per l’altra recensione...sei incoraggiante e adorabile, sul serio!! È vero, uso molto spesso riferimenti a fatti ‘veri’ accaduti nel manga…le informazioni le ho prese navigando un po’ dappertutto in rete, qualche volta ritrovandomi in siti scadenti in cui mancava una pagina su tre, altre volte su siti di migliore qualità…comunque, quelli da cui ho preso la maggior parte sono www.conan.esmartkid.com , che ha una sezione dedicata alle scans in inglese molto ben fornita e strutturata, e un altro, il cui indirizzo è, se non sbaglio, www.vrwarp.com/mangaviewer; di quest’ultimo non sono molto sicura, infatti ci sono tornata qualche giorno fa dopo un sacco di tempo e non sono riuscita a visualizzare la pagina, non so se perché ho digitato male l’indirizzo o perché è proprio inagibile… mi scuso comunque per non averti potuto dare una risposta più precisa. é _ è Il fatto è che non ci sono molti siti su cui fare affidamento, per quanto riguarda le scans di questo bellissimo manga; in ogni caso spero tanto di esserti stata di aiuto…un bacione.

Imi: salve! Che cosa strana che mi dici… O _ O hai inserito il commento all’incirca un mese dopo che ho postato il capitolo, dunque era da un bel po’ che stava online…comunque, faccio del mio meglio con gli aggiornamenti, il fatto è che con prof sadici e impegni vari mi resta poco tempo per mettermi al computer a scrivere…^^”aggiungici pure l’ispirazione che va e viene… ma non preoccuparti, finché resteranno lettori (o lettrici ^ _ ~) come te, che sono così gentili da inserire un piccolo commento, dedicherò ogni istante libero alla stesura di questa ff! Giuro! Grazie per i complimenti, come vedi la tua sofferenza è finita: finalmente sai cosa è successo a Ran! Spero di non aver deluso le tue aspettative…^^” un bacio, a presto.

Ci terrei anche a ringraziare (anche se non so se li leggeranno mai, comunque):

Wilwarind, (sì, ma l’ultima mail che ti ho mandato era piuttosto sbrigativa e superficiale, per questo mi sentivo –e mi sento tutt’ora- in colpa…grazie del commento ad ogni modo, sai quanto siano importanti per me soprattutto le tue impressioni!^^)

Elly, (Bene! Almeno potrò leggere anche belle ff su Conan/Ai…)

Yuki, (wow! Hai le idee chiare sui tuoi gusti…beh, ho già detto che ho un po’ di difficoltà a scrivere di Conan e Ai in chiave romantica…leggere volentieri, ma scrivere è tutt’altra questione. Non so se in futuro lo farò…)

Hoshi (povera Ai, non denigrarla in questo modo^^” in fondo non è così male… stai leggendo anche la mia ‘promessa’ eh? Allora, come ti è sembrato quest’ultimo capitolo? Fammi sapere!)

e Vichan (Mi fa piacere! Grazie!) per aver commentato l’altra mia ff di Detective Conan. Inoltre, un piccolo ringraziamento anche a Ilaria per l’e-mail che mi ha spedito.

Ora è veramente tutto; se riceverò altri commenti sulla ff, “A very…” li unirò a quelli sulla “Promessa di Shinichi” come ho fatto in questo caso alla fine del capitolo quindici. Sarà un chap incentrato principalmente sull’amore, visto che gli ultimi due sono stati prevalentemente di azione, e ci sarà anche una piccola…beh, chiamiamola sorpresa. ^__^ (ß sorriso poco affidabile). Ho già tutto in mente…datemi solo il tempo di scriverlo. Conto su di voi per qualche commentino come al solito, mi raccomando!

Baci

-Melany

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Capitolo 15
*** Kiss Kiss ***


Nuova pagina 1

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ATTENZIONE: di nuovo vorrei fare una piccola precisazione: in questo capitolo è presente più di una (2) scena un po’…diciamo forte; nella prima parte c’è la descrizione di un qualcosa che potrà sembrare un tantino macabro a persone facilmente impressionabili, ma conoscendo i miei standard (li conoscete?) potete immaginare che non è come al solito nulla di terribile. Ci tenevo comunque a dirlo per correttezza. Nell’altra è accennata l’idea del sesso, ma non c’è nessuna descrizione approfondita, per cui ritengo che possa essere letta da chiunque. Mi scuso di nuovo se il linguaggio usato nei dialoghi dei criminali è un po’ volgare.

-Melanyholland    

 

15.Kiss Kiss

h. 16:55

La giornata si stava pian piano facendo più fresca, come accadeva spesso dopo che il sole aveva raggiunto il suo zenit; si era alzato il vento, scuoteva le fronde degli alberi inclinando i rami più fragili, che ondeggiavano sinuosi trasformando la violenza di quell’impeto in armoniosa dolcezza in sincronia. Ben presto il freddo pungente sarebbe sceso insieme alle ombre della sera, soffocando anche il flebile calore che il sole invernale dava con la sua luce. Gelo. Come quello che trasmetteva attraverso il suo sguardo. Non che lo volesse, ma non ne poteva fare a meno: i suoi occhi erano lo specchio del mondo in cui aveva vissuto fino a poco tempo prima, un mondo glaciale, dove il calore delle emozioni umane le era stato negato. Freddo come le provette che era  abituata a maneggiare, impersonale come il computer su cui lavorava. Richiamava alla mente quei giorni, in cui era stata schiava dell’Organizzazione, con un vuoto allo stomaco, un sapore acido in bocca. La sua infanzia (quella vera) era nebulosa, confusa, aveva rimosso quasi tutto; aveva visto morire molte persone nella sua vita, spesso nel buio della notte rivedeva i loro volti pallidi, gli occhi svuotati, i rivoli di sangue secco che colavano dalle ferite…anche loro erano gelati e privi del calore dei sentimenti, che gli era stato strappato insieme alla vita…corpi esanimi, che una volta brillavano di emozioni e che tutt’ a un tratto erano stati privati dello spirito. In molte di quelle notti, i cadaveri avevano il viso di sua sorella Akemi; ma non il viso che lei ricordava, sorridente, colorito, gli occhi ricolmi dell’affetto che riservava solo a lei. Non il viso bello a cui lei pensava costantemente mentre lavorava per Loro, non il viso dolce e determinato che le aveva sempre dato forza e fiducia. Nei suoi sogni, il volto di Akemi era scavato, gli occhi non la guardavano teneramente ma la sua immagine si rifletteva in quelle pupille vitree e vuote,  le sue labbra  non erano dischiuse per sorriderle, ma in una smorfia di dolore e paura. Il suo corpo era gelido e così rigido che temeva di poterla spezzare, se l’avesse sfiorata. E quando non riusciva più a trattenersi le lacrime solcavano silenziose le sue guance, e lei aspettava, aspettava che sua sorella si muovesse per asciugargliele, per accarezzarle il viso e mormorarle con quella amorevolezza tutta sua che sarebbe andato tutto bene, che lei le sarebbe stata vicina, nonostante le difficoltà, nonostante cercassero di dividerle. Ma non succedeva mai. Akemi restava immobile, fredda come la morte, e lei continuava a specchiarsi in quei pozzi bui che una volta erano stati i suoi occhi, piangendo fino a consumare le lacrime.

Spesso si era svegliata da questi incubi con le guance bagnate davvero e il cuore lacerato; solitamente dopo un brutto sogno si ha almeno il sollievo di scoprire che non è successo niente, in realtà. A lei quel sollievo era stato negato. Sua sorella, l’unica persona che avesse al mondo, era morta sul serio. L’unica differenza era che lei non le era accanto mentre accadeva. No, l’aveva saputo vedendo la prima pagina del giornale, riconoscendo il suo profilo sotto il lenzuolo bianco con cui la polizia l’aveva coperta; in quel momento tutto le era crollato addosso, l’unica certezza che aveva nella vita era l’affetto e il sostegno di sua sorella maggiore, e le erano stati sottratti all’improvviso, colpendola violentemente e lasciandola scossa e impaurita. A nulla era servito andare a chiedere spiegazioni a Gin, rifiutarsi di lavorare ulteriormente per loro. La rabbia che provava nei loro confronti, seppure ardesse in tutto il suo corpo, non celava il dolore e il grido d’aiuto del suo cuore, che la stavano consumando lentamente, dall’interno. Così, aveva imboccato l’unica via di fuga possibile, aveva preso l’unica cosa che la potesse far smettere di soffrire: l’APTX 4869, il veleno che aveva inventato per l’Organizzazione, e che ora gli avrebbe impedito di strapparle la vita come avevano fatto con sua sorella Akemi.

A volte il destino gioca brutti scherzi. Il composto non la uccise come aveva previsto, ma la fece regredire all’età di otto anni. Fu a quel punto, che nell’abisso scuro in cui era sprofondata dopo aver appreso della morte di Akemi, vide un’altra scappatoia, qualcosa che l’avrebbe impegnata e appagata: sconfiggere l’Organizzazione, uccidere Gin e Vodka per rendere giustizia a sua sorella meglio di come avrebbe fatto morendo a sua volta. Ma non poteva farcela da sola, non contro di Loro. Aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno forte, intelligente, coraggioso, che fosse a conoscenza dell’esistenza dell’Organizzazione e che condividesse il suo stesso desiderio di distruggerla. E quel qualcuno, ironia della sorte, era una persona che le aveva nominato sua sorella stessa, nel loro ultimo incontro: Shinichi Kudo, il liceale detective di cui lei aveva confermato il decesso nei file degli Uomini in Nero, ma che sapeva essere in splendida forma. Così, fuggì dal luogo dove l’avevano rinchiusa e si trascinò sotto la pioggia battente con la forza della disperazione, cercando di non pensare al freddo, alla febbre che cominciava ad alzarsi, ai brividi che le percorrevano il corpo fragile da bambina,  finché tutto divenne improvvisamente buio e perdette i sensi. Si svegliò a casa del professor Agasa, che la accolse come un nonno amorevole e la curò e poco più tardi conobbe finalmente Conan Edogawa, l’alter-ego di colui di cui lei aveva bisogno.

Lo stesso Conan Edogawa ora dormiva profondamente sul divano della casa del professore, russando leggermente. Si era assopito poco dopo essere tornato, spossato dalle fatiche che probabilmente aveva sopportato quel giorno e assonnato per essersi alzato all’alba. Ai stette a guardarlo per un po’, la capsula dell’antidoto stretta nella mano infilata nella tasca del camice candido: gli aveva tolto gli occhiali e il suo viso quieto e tranquillo, sebbene ancora conservasse i tratti infantili, appariva più simile a quello di Shinichi Kudo. La giacca blu e il farfallino erano gettati sul pavimento di linoleum, la camicia bianca quasi trasparente era sbottonata sul colletto, e quando il ventre si alzava e abbassava  ritmico scopriva parti piuttosto interessanti. Non l’aveva mai visto a petto nudo, ma era certa che Kudo, da adulto, avesse un bel fisico; il suo corpo da bambino prometteva bene, comunque. Si avvicinò, si sedette accanto a lui e prese ad accarezzargli le guance, con una delicatezza che avrebbe stupito qualunque osservatore, evitando di chiedersi il motivo di quel gesto. Conan non batté ciglio, ma sembrò più pacifico di prima. Ai gli spostò una ciocca di capelli che gli era finita sugli occhi, la sua mano si fermò e avvicinò il suo viso a quello di lui, sorprendendosi del calore che la sua vicinanza le stava trasmettendo. Era sempre così, con lui. Le dava sicurezza e pace, insieme a tanti altri sentimenti…si accorse di arrossire.

Lui emise un grugnito che la fece sussultare e ritrarre bruscamente: ma lui non si era svegliato. Continuava a dormire placidamente senza essersi accorto di nulla. Ai si chinò di nuovo, sentì il suo odore, fresco e frizzante, gli passò una mano fra i capelli e si avvicinò tanto che le loro labbra si sfiorarono…e fu a quel punto che non le importò più di essere cauta per non svegliarlo, che la ragione venne meno e qualcos’altro s’impadronì di lei. Ormoni, avrebbe concluso più tardi, quando la freddezza e la mente scientifica avrebbero riavuto il sopravvento. Fatto sta che tolse ogni distanza fra le sue e le labbra di Conan e lo baciò, dolcemente, lambendo la sua bocca senza violarla, solo accarezzando e assaporando la morbidezza delle sue labbra, provando qualcosa che nessun altro bacio, seppure meno casto e infantile, le aveva trasmesso in passato. Si sentì invasa da una passione forte, da qualcosa che le riempì il cuore e la scosse dentro, come una dolce, violenta scossa di piacere. Conan…lui arrossì, e per un attimo lei pensò di avergli donato le stesse sensazioni, trasmesse anche attraverso il torpore del sonno, e sorrise, un sorriso candido e sincero, per la prima volta da tempo. Si chinò per ripetere quel gesto, ma le labbra che avrebbe voluto baciare di nuovo si dischiusero mormorando qualcosa che la trafisse violentemente, che le fece sparire il sorriso dalla bocca, che la rigettò all’improvviso nella gelida realtà.

"Ran…"

Nell’incoscienza, l’unica parola che il suo gesto l’avevano portato a pronunciare. Perché probabilmente stava sognando lei, e aveva accettato quell’emozione solo perché s’illudeva che fosse stata quella ragazza a dargliela…lei, l’unico, vero amore della sua vita.

Ai rimase immobile, vergognandosi di se stessa, rimproverandosi per essere stata tanto ingenua, mentre uno strano formicolio si faceva sentire fastidiosamente agli angoli degli occhi. Il calore che Conan le aveva trasmesso era stata un’illusione effimera. Nessuno le avrebbe più dato tepore, nella sua vita. E avrebbe fatto bene ad accettarlo, prima che fosse troppo tardi…mai più affezionarsi a qualcuno. Perché l’amore non è un idillio di bellezza e perfezione. L’amore è violenta sofferenza, ti prende, ti sfrutta, ti consuma e ti abbandona, lasciandoti vuota e umiliata, con ferite profonde che non si rimarginano, e continuano a far male anche a distanza di anni. E Kudo non avrebbe mai condiviso con lei quell’esperienza, nonostante tutto quello che poteva fare. Non sarebbe servito a niente invidiare  Ran Mouri, né cercare di nuocerle in qualche modo. Anzi, quello avrebbe allontanato ancora di più Kudo da lei…ed era l’ultima persona che voleva perdere.

Estrasse dalla tasca la capsula bianca e rossa, squadrandola nel palmo della mano sospirando, poi una voce la fece sussultare.

"Oh, Ai kun, sei riuscita a creare l’antidoto! Complimenti!" le si rivolse il dottor Agasa con un sorriso radioso e un tono di lode. A quelle parole si udì Conan farfugliare dal divano "Antidoto..!?" con voce impastata, mentre con un grosso sbadiglio si alzava a sedere stiracchiandosi. Scoccò un’occhiata al viso di Ai, che fece in modo di non incrociare il suo sguardo, e poi i suoi occhi si fermarono sulla mano dove ancora teneva la capsula in bella vista.

"Ehm…sì, ero venuta a svegliarti apposta." Disse neutra, credendo di dover giustificare la sua presenza, lì seduta sul divano vicino a lui; ma Conan probabilmente non si era nemmeno posto il problema:

"Sei grande!! Funzionerà?" le chiese raggiante, guardandola intensamente in un modo che le riportò alla mente tutte le sensazioni provate poco prima. Tuttavia dalla sua espressione non trapelò nulla, come al solito.

"Non ne sono sicura. Ti ho già spiegato che da assuefazione, ma  non ho potuto aumentare di tanto le quantità per non rischiare di farti morire. Comunque, anche se ho cercato come ti ho detto di non alzare troppo le dosi è ugualmente una quantità decisamente superiore all’ultima volta; che funzioni o no non conta molto dal punto di vista del metabolismo, in entrambi i casi non possiamo sapere quali effetti potrà avere sul tuo corpo. L’APTX già di per sé è una sfida contro la vita, ma fare in continuazione su e giù è pura follia. Non solo qualsiasi medico, ma chiunque con del buon senso ti esorterebbe a rinunciare. È pericoloso, più di quanto tu possa immaginare." Lo fissò intensamente, un’espressione seria e composta,  mentre il viso di Conan si rabbuiava un po’. Esitò per qualche secondo, poi annuì.

"È come il gioco della roulette russa, Kudo." Prese la capsula fra l’indice e il pollice e la alzò al centro del viso  di lui: "Sicuro di voler provare?"  chiese, uno strano sorriso a deformarle le labbra, che avrebbero voluto pronunciare altre parole: "Sicuro che ne valga la pena?"

"Devo." Fu la semplice risposta. Sfilò dalle sue dita la compressa e la infilò in bocca, senza un attimo di esitazione. Una cosa che per lei non avrebbe mai fatto, pensò Ai prima di scacciare via quelle riflessioni e parlare di nuovo.

"Bene, a questo punto non ci resta che aspettare che crolli a terra contorcendoti agonizzante."

Conan inarcò le sopracciglia a disagio e deglutì rumorosamente.

"Dì un po’, ma è proprio necessario che ogni volta mi trasformi in una stufa umana? Non potresti fare in modo…non so…che cada semplicemente in un sonno profondo e mi risvegli adulto?" domandò speranzoso.

"Potrei provarci…" disse pensierosa, poi gli si rivolse con uno sguardo freddo e un sorriso crudele.

"Ma poi…dove sarebbe il divertimento?"

"Ha, ha…" replicò ironico, ignorando il brivido gelido che gli aveva percorso la schiena "Piuttosto, perché uno di voi due.." lanciò un’occhiata al professor Agasa. "Non va a prendermi qualcosa da mettermi addosso nel caso mi trasformassi?" Ai non smise di sorridere con quell’atteggiamento maligno e insieme distaccato.

"Perché?" chiese con falsa ingenuità.

"Mi pare ovvio…" obbiettò Conan arrossendo. "…i vestiti che ho adesso si strapperanno e io rimarrò…ehm…"

"Nudo?" concluse Ai,  il dottor Agasa scoppiò in un falso colpo di tosse, chiudendo gli occhi un po’ rosso.

"Ma qui siamo fra persone adulte, non si scandalizzerà nessuno…" replicò Ai con irritante tranquillità, poi la sua voce si trasformò in un sussurro lascivo "…o devo pensare che hai qualcosa di cui vergognarti là in mezzo, Kudo kun?"

"AI!!!!!" strillò Conan diventando color porpora e strizzando gli occhi. Il professor Agasa, che non aveva potuto udire quell’ultima parte, guardò incuriosito dall’imbarazzo di lui al ghigno trionfante di lei, poi si strinse nelle spalle e commentò sbuffando.

"I ragazzi di oggi…"

 

 

h. 18:00

Il parco era piuttosto silenzioso, se si escludeva il rumore del vento che attraversava i rami e le foglie; l’erba stava già prendendo il suo tipico profumo forte e penetrante, l’odore di fresco, mentre nel verde si poteva già scorgere qualche gocciolina di rugiada. Una ragazza era seduta su una panchina, un sorriso radioso a fior di labbra, i capelli bruni sospinti ogni tanto dalla brezza serale che incorniciavano il suo viso luminoso, le guance colorate di un rosa lieve e naturale, gli occhi luccicanti di trepidazione. I pochi passanti che scorsero la sua figura graziosa e delicata capirono subito che doveva essere una giornata speciale, per lei, che stava aspettando qualcuno di davvero importante. Non poterono fare a meno di provare un poco di invidia nell’osservarla, sembrava davvero felice, anche se…sospesa, in qualche modo, non completamente rilassata: come se fosse stata delusa tante volte in passato, e avesse paura di perdersi completamente in quella felicità per scoprire che era stata solo un’illusione. Sì, c’era qualcosa, dietro quell’apparenza di assoluta felicità, un’ombra su quel viso seppure così luminoso…un’ombra che avanzava inesorabile e inghiottiva la luminosità ogni minuto scandito dall’orologio. Invidia, sì…ma anche un po’ di dispiacere. Quella ragazza sembrava in attesa di qualcosa di più di una persona: attendeva una risposta, una dimostrazione…di affetto, di amore magari, o forse solamente di non essere sola.

Aspettava…

Aspettava e ogni attimo che passava sembrava trafiggerla da parte a parte, dolorosamente. Il sorriso restava, imperturbabile, così come quel brillio nei suoi bellissimi occhi color fiordaliso: la luce della speranza, ma soprattutto della fiducia; fiducia nella persona che stava aspettando, chiunque fosse, fiducia nel trovare finalmente la risposta alle sue domande, trovare quella pace interiore e quel benessere che per ora le era negato, e la lasciava in bilico, fra la speranza e la paura di essere delusa, un’altra volta. L’ombra era potente…la luce fioca e fragile, anche se sostenuta da un sentimento molto forte. Molta gente si chiese per un attimo cosa sarebbe successo se fosse stata ferita un’altra volta, se avesse ricevuto un’altra delusione dalla persona che aspettava con tanto coinvolgimento…non avrebbe resistito. Già. Ed era un peccato, perché vedere il buio su quel viso così stupendo sarebbe stata un’ingiustizia…

Tutti coloro che la osservarono dimenticarono tutto questo una volta tornati a casa; la loro vita prese di nuovo il sopravvento, con tutti i suoi avvenimenti e il susseguirsi estenuante di impegni e circostanze. Nessuno andando a letto avrebbe ripensato a quella ragazza così strana, all’ombra nei suoi occhi…

Nessuno…o quasi.

Una persona non l’avrebbe dimenticato....     

 

 

h. 18:40 

L’Otto Volante si fermò con uno stridere delle ruote sulle rotaie di metallo. Un ragazzo alto, dalla pelle scura e i capelli neri, scese da una delle carrozze e aiutò la ragazza seduta accanto a lui a fare altrettanto, porgendole una mano che lei accettò di buon grado, mentre i capelli corvini legati in una coda con un nastro rosso ondulavano al vento.

"Grazie…" esordì Kazuha, piacevolmente sorpresa. Heiji alzò le spalle e si diresse verso l’uscita, guardando indifferente le persone ancora in fila che aspettavano di salire sull’attrazione.

Per come era cominciata, non era stata poi una brutta giornata, pensò sorridendo. Abituato ad averla intorno in continuazione, aveva dimenticato quanto potesse essere gradevole stare in compagnia della sua amica d’infanzia. Il tempo era praticamente volato, il sole era quasi già tramontato e a lui pareva essere passata appena un’ora da quando avevano scherzato vicino alla panchina davanti alle auto-scontro. Guardò con rammarico lo spicchietto luminoso che gradualmente spariva all’orizzonte e si accorse con lieve dispiacere di dover mettersi in viaggio al più presto per tornare a Osaka. Peccato. Gli sarebbe piaciuto restare lì ancora un po’…

"Allora, Heiji, che facciamo adesso?" chiese allegra la ragazza al suo fianco con un sorriso che lo fece incespicare   goffamente.

"Idiota, non vedi che è tardi? Dobbiamo andare all’aeroporto e tornare a casa."  Ribatté brusco, sperando che il suo gesto le fosse sfuggito. Evidentemente sì, perché lei gli rivolse un’occhiata torva.

"Idiota sarai tu…e poi non è così tardi…" replicò, pur sapendo benissimo che il ragazzo aveva ragione.

"Comunque, usciamo di qui, passiamo all’agenzia a prendere le borse e poi filiamo diritti all’aeroporto."

"Uffa! Mi stavo divertendo…e poi volevo sapere com’era andata fra Ran chan e Kudo kun…mi sarebbe piaciuto rivederlo…" commentò soprappensiero, in un tono che a Heiji non piacque per niente.

"E perché mai?" domandò accigliato. Kazuha gli scoccò un’occhiata di apprezzamento, poi sorrise mordendosi il labbro inferiore.

"Oh, è un ragazzo che non mi dispiacerebbe conoscere meglio, a esser sincera. Carino, intelligente…"

"…e  impegnato. E con la tua migliore amica. Ricordatelo, Kazuha." Sottolineò il ragazzo del Kansai, improvvisamente aspro. Il sorriso sul volto della sua amica d’infanzia si allargò compiaciuto.

"Sì, beh…la capisco. Kudo kun…Shinichi…" Heiji inarcò un sopracciglio "…è così bello, e affascinante…e sexy"

"Oh, non la penseresti così se sapessi com’è ora, mi sa…" commentò con un sarcasmo che lei non afferrò.

"…e poi non vedo come fai a dirlo…l’hai visto una volta sola, alla recita di Ran, ed era coperto completamente da quel ridicolo costume da cavaliere col mantello." Obbiettò con uno sguardo acuto. Adesso aveva capito dove voleva andare a parare, cercava di farlo ingelosire. Povera illusa, pensare di imbrogliare il Grande Detective dell’Ovest.

"Me l’ha detto Ran…e comunque non puoi negare che sia proprio bono…" aggiunse con un tono allusivo.

Heiji sorrise maligno.

"Eh già…ma niente in confronto alla sua ragazza…non è solo bella e dolce, ha anche stile…cosa che qualcuna qui non potrebbe mai eguagliare."

"Ma come ti permetti! Io ho il mio stile, al contrario di te, che fai di tutto per assomigliare a Kudo!"

"Io non cerco di assomigliare a lui, cretina! Ci assomigliamo e basta, non so perché." Replicò, smettendo di camminare e fissandola in malo modo. Lei gli restituì lo stesso sguardo, mettendosi le mani sui fianchi mentre il povero Ellery veniva sballottato addosso alla parete plastica.

"Beh, in ogni caso, lo stesso vale per te! Ran è impegnata con il tuo migliore amico!"

"E anch’io ne capisco il motivo…carattere a parte, ci sono altre due cose con cui tu non potresti competere."

Kazuha lo guardò perplessa, sbattendo le ciglia, poi improvvisamente sbarrò gli occhi, arrossì e lanciò un’occhiata fugace alla propria maglietta, prima di rivolgergliene un’altra estremamente velenosa.

"Sei un pervertito!!" gridò stridula.

"Sono un adolescente." Replicò lui tranquillamente.

La ragazza di Osaka restò interdetta per un secondo e nonostante la stizza non poté fare a meno di ridere sinceramente divertita. Heiji si voltò e riprese a camminare. "Occhio per occhio…" disse distrattamente, e lei capì immediatamente cosa intendesse; con una breve corsetta raggiunse di nuovo il suo fianco.

"Allora avevi capito tutto…"

 "Naturalmente." Rispose altezzoso.

"Hai finto per tutto il tempo?" domandò esitante, e a lui parve che fosse un po’ delusa.

"E tu ammiri davvero così tanto Kudo?" chiese a sua volta.

"E tu perché lo vuoi sapere?"

Heiji si accorse che potevano andare avanti così per ore. Terrorizzato all’idea di dover sopportare un interrogatorio straziante fino all’aeroporto di Osaka, decise di risponderle subito. Il problema era: cosa dire che non fosse equivoco, imbarazzante…vero, gli suggerì la sua mente prima che lui la rimproverasse.

"Mi darebbe un po’ fastidio…"disse a bassa voce,  entrambi arrossirono di colpo. Kazuha lo guardò con gli occhi che brillavano di verde, simili a smeraldi, fermandosi davanti a lui.

"Dici davvero?" sussurrò dolcemente. Ora, Heiji vide due possibilità chiare nella sua testa: una era comportarsi come il suo solito e rovinare tutto con una battuta che l’avrebbe imbarazzata e irritata. L’altra era…essere serio…

"Sì…io…"

Cavoli, quant’era difficile essere seri.

Kazuha lo fissava intensamente, e per un attimo lui si perse in quello sguardo adorabile e sincero.

"…ehm…"

E Cavoli, quant’era bella. Raramente era rimasto a guardarla tanto a lungo, e tanto accuratamente. Non riusciva a trovare nemmeno un difetto: i capelli ondulati che le incorniciavano il viso chiaro, le guance che bruciavano di porpora, le labbra morbide e rosee…si ritrovò a riflettere sulle sensazioni che avrebbe provato baciandole, lambendole, unendo la sua bocca a quella di lei…

"Che vuoi dirmi, Heiji?" insisté lei con quel tono cauto e mielato, in un sussurro.

E perché non farlo? Al massimo si sarebbe beccato una sberla…però…se lei non avesse voluto…se l’avesse ferita, rovinando per sempre il loro rapporto? Non se lo sarebbe mai perdonato…

"Io…non vorrei…che ti piacesse…un altro…in effetti." Sillabò, a grandi pause, e ogni parola gli costò cara. Ma che stava dicendo? E perché sembrava che la sua faccia stesse prendendo fuoco??

"Oh…"  Il viso di Kazuha era dello stesso colore del suo nastro fra i capelli. Per un attimo fissò con insistenza le sue stesse mani, che pareva stessero stritolandosi a vicenda, lasciando Heiji sprofondare nell’imbarazzo più completo, poi tornò a guardarlo, gli occhi intensamente concentrati nei suoi:

"Tra…tranquillo…io stavo…scherzando, prima. Non mi piace Kudo,davvero…" balbettò, e Heiji, sebbene sapesse benissimo che il detective dell’est non le interessava, si sentì rincuorato dal fatto di sentirlo dalle sue labbra; quelle stesse che ora desiderava più di ogni altra cosa…spesso si era chiesto cosa si provasse baciando una ragazza, ma per la prima volta si chiese cosa avrebbe provato baciando Kazuha. Lei, così bella, così speciale…poter approfittare del suo calore e annegare nel suo profumo e sentire il sapore delle sue labbra e…

"Non potrebbe mai…perché…" Kazuha deglutì rumorosamente e distolse di nuovo lo sguardo. Heiji fu intenerito dai suoi modi esitanti, non capitava spesso che lei fosse così schiva; solitamente era spigliata, esuberante, non si faceva problemi a dire quello che pensava in faccia. Sebbene quel suo nuovo lato non gli dispiacesse, si chiese quale mai potesse essere la cosa che l’aveva trasformata in quel modo. E aveva trasformato lui…da quando in qua si sentiva così a disagio davanti alla tipa che vedeva tutti i giorni da quando era piccolo? E perché improvvisamente aveva cominciato a fare certi pensieri??

"…perché…a me…"

Un momento, perché improvvisamente era diventato così difficile pensare??? E perché lei si stava avvicinando???? Poteva sentire il suo profumo…glassato, lieve, come una brezza primaverile…il calore che trasmettevano le sue guance in fiamme…la luminosità delle sue labbra leggermente umide…Dio, quanto avrebbe voluto baciarla. Sentire il suo sapore in bocca, la delicata morbidezza con cui le sue labbra avrebbero sfiorato le proprie, carezzandole, tormentandole piacevolmente…violare la sua bocca e trascinare le loro lingue in un gioco malizioso e eccitante…

Non si rese nemmeno conto che le proprie mani si mossero per cingerle la vita; in compenso sentì distintamente le mani di lei agganciarsi dietro la sua nuca. I lori visi erano così vicini che poteva sentire il soffice calore del suo respiro.

"Heiji…" un impercettibile sussurro

"Kazuha…" quasi senza fiato.

Entrambi chiusero gli occhi, le loro labbra che si avvicinavano ansiose per quel bacio che sentivano stare per arrivare…

"EHILA’ RAGAZZI!!!" Una voce squillante li fece sussultare, si accorsero di quanto erano vicini e stretti l’uno all’altra e subito si scostarono bruscamente, imbarazzati, guardando in ogni direzione fuorché negli occhi dell’altro.

"Ooops…ho interrotto qualcosa..?" domandò arguta Sonoko Suzuki, squadrando entrambi rossi in faccia.

"Ma no…che dici?" ribatté Kazuha continuando a studiare il suolo.

"Non hai interrotto niente…" insisté Heiji, ma dentro di lui sentì una delusione incalcolabile, unita ad un astio represso nei confronti di Suzuki. Doveva proprio arrivare in quel momento?? Non poteva aspettare almeno un paio di minuti??? Da una parte, però, si sentì sollevato: non aveva rischiato di rovinare la loro amicizia. Anche se…Kazuha…sembrava altrettanto desiderosa di fare ciò che voleva lui…pronta ad accettare il suo bacio… e poi cosa stava per dirgli..?

"Siete sicuri?" incalzò lei.

"Certo! Tu piuttosto, come è andata con quel biondino che avevi adocchiato?" La ragazza del Kansai cambiò abilmente discorso e stavolta Sonoko sospirò afflitta.

"Non troppo bene…cioè, è stato gentile, un vero gentiluomo…ma quando gli ho chiesto il suo numero mi è parso piuttosto a disagio, e se n’è andato accennando ad un impegno…" raccontò mesta, Heiji ridacchiò dentro di sé. Ben le stava, bravo il biondino. Almeno non era l’unico ad essere andato in bianco…

"Beh, meglio!!! Almeno Makoto kun non si arrabbierà!!" Sonoko si era ripresa subito, riacquistando il tono argentino. Heiji sospirò: chiunque fosse questo Makoto, doveva essere un santo.

"Beh, Suzuki, noi dobbiamo andare ora…" afferrò per il polso la sua amica d’infanzia, che al contatto ebbe un leggero tremito, e si avviarono.

"Oh, ma certo, Hattori kun!" rispose lei sorridendogli con uno strano sguardo. "Torna presto a trovarci! E anche tu, Kazuha!"

Uscirono dal luna park, evitando accuratamente di parlare o di guardarsi negli occhi. Mentre aspettavano l’autobus, tuttavia, Heiji le scoccò un’occhiata in tralice e sorrise: decisamente, non era stata una brutta giornata.

 

h. 19:10

Bussò decisa alla porta di legno e una voce cupa e tagliente le rispose che poteva entrare. Così fece, i tacchi alti che risuonavano sul parquet con tonfi secchi; richiuse la porta dietro di sé e si appoggiò con la schiena al muro, sfilandosi una sigaretta e tenendola  fra le labbra di un rosso vermiglio brillante. Attraverso la semi oscurità della stanza, poteva riconoscere la figura alta e allampanata del suo collega, che fissava lo sguardo fuori dalla finestra con aria assorta, soffiando fumo a sua volta. Non doveva essere stata una giornata proficua, per lui; interessante, forse, piena di spunti su cui riflettere, ma non proficua. Non solo non era riuscito a compiere la missione che gli era stata affidata, ma era stato anche punto nell’orgoglio. E lei sapeva da chi. Era al corrente di ciò che era accaduto, sebbene lui non gliene avesse fatto parola. Un sorriso sardonico le deformò le labbra perfette: in parte era stata colpa sua. Ma d’altronde, se lui non riusciva a tenere a bada un moccioso-detective lei non poteva farci niente. Non che gli avesse rivelato la loro posizione perché sperava li avrebbe catturati; anche lei faceva parte dell’Organizzazione, era un’assassina a sangue freddo, e l’ultima cosa che voleva era passare dalla parte degli sbirri. Era sicura che il suo collega non si sarebbe fatto arrestare. L’aveva fatto per osservarlo, per studiare le mosse di quel ‘ragazzo ’ che aveva catturato il suo interesse fin dal principio: la vita prima era così noiosa, sempre uguale: ti davano un bersaglio, lo uccidevi, o male che vada piazzavi una bomba, e te ne tornavi a casa in tempo per vedere il tuo operato al telegiornale. Con lui era diverso. Amava giocare con lui. Mai conosciuta una persona così: piena di valori morali e senso di giustizia, pronto a sacrificarsi per i suoi amici… leale fino alla stupidità. Ogni partita contro di lui la divertiva immensamente, la stuzzicava in modo quasi perverso. Oggi stesso si era dilettata giocando con lui, facendogli credere di volerlo uccidere in quel luna park, tentandolo come il serpente fece con Eva, inutilmente. Perché lui era fin troppo ‘pulito’ per starla ad ascoltare. E lei lo sapeva, anche se aveva voluto provare. Comunque, era stata un altro round decisamente piacevole. Era un gioco che non voleva finisse. Il suo collega l’avrebbe pensata diversamente. L’avrebbe ucciso subito, se avesse saputo, rovinandole tutto. Lei non voleva. Il gioco sarebbe continuato...almeno finché non si fosse stufata.

E poi c’era lei…il suo angelo…pura, sincera e dolce proprio come una creatura celeste…a lei non avrebbe mai fatto del male. Non avrebbe mai permesso a nessuno di sporcarla, di strapparle le ali…perché lei era il suo angelo custode, perfetto, inviolabile, sacro. Era colei che l’avrebbe strappata alle fiamme dell’inferno, quando sarebbe stato il momento.

E infine c’era l’altra, la traditrice, l’opportunista. Avrebbe lavato col sangue le sue colpe. Quando qualcuno sceglieva la sua strada doveva imboccarla fino alla fine, non tirarsi indietro a metà. Era una sciocca, odiosa,  vigliacca voltafaccia. Le avrebbe scontate tutte. L’avrebbe distrutta con le sue stesse mani.

"Allora bambola, come ti è andata?" le domandò freddamente, distogliendola dai suoi pensieri. 

"Bene, direi. Il ficcanaso è in viaggio per la terra del non ritorno." Rispose con falsa dolcezza. Si chiese se fosse troppo crudele stuzzicarlo un po’ dopo una giornata del genere. Sì, naturalmente. Tanto crudele per lui quanto divertente per lei, almeno.

"Oh, e a voi invece come è andata? Ho incontrato Vodka, poco fa, e non mi sembrava in splendida forma."

"Fatti i cazzi tuoi." Replicò bruscamente. Lei sorrise mordendosi il labbro inferiore.

"Andiamo…quanti uomini ci sono voluti per mettervi ko entrambi? Dovevano essere almeno una decina! E armati fino ai denti!" continuò con leggerezza, lui si voltò di scatto fulminandola con uno sguardo che avrebbe terrorizzato chiunque, esclusa la donna in questione, a cui lo aveva rivolto tanto spesso che stava perdendo di significato…

"Mi sembra che tu ne sappia più di quanto dici, Vermouth." Ah, sempre così arguto, il suo Gin.

"Davvero?" replicò, con un tono ingenuo che sapeva non essere per nulla convincente.

Gin cominciò ad avvicinarsi a lei, i suoi passi risuonarono più bassi e tonanti dei propri sul pavimento. Le si piazzò davanti, allungando un braccio e appoggiando la mano sul muro vicino alla sua testa.

"Davvero." Assicurò guardandola torva. Lei spense la sigaretta e la fece cadere per terra, spegnendola con la punta della sua costosissima scarpa di Gucci.

"My darling, non è questione di sapere, quanto di capire. Se fosse stata una squadra di polizia a farvi fallire, ora sareste in gattabuia…e in questo periodo non stiamo ricattando nessun’altra organizzazione. Per cui…" spiegò mielata, sorridendo al suo ringhio.

"Non devo rendere conto a te." Replicò lui aspro, ritraendo il braccio.

"Ma ai piani alti sì, e loro non sono molto contenti. Mi hanno chiesto di giudicare se stai effettivamente perdendo colpi, Gin…" era vero. Uno dei loro rappresentanti l’aveva convocata poco prima.

"Non sto perdendo colpi!! E ho una pista su cui lavorare per trovare quel guastafeste…" esclamò con rabbia furiosa. Questa era un’informazione interessante che non possedeva. Sarebbe stato meglio indagare…

"Sicuro? Non è che stai mentendo per salvarti il culo?" chiese, e a quel punto lui non riuscì più a trattenere la collera. La strinse per i polsi, forte, appiccicandola al muro. I loro volti erano a distanza di millimetri. Lei sorrise, eccitata.

"Attenta a quello che dici, Chris. Me ne frego se vai a braccetto con quelli dei piani alti. Potrei farti giudicare la mia condotta analizzando quanto sono in forma deturpando il tuo bel corpo, bellezza." Ringhiò freddamente.

"Non lo farai." Replicò lei con tranquillità, unendo la sua bocca a quella di lui e trascinandolo in un bacio violento e furioso, a cui lui rispose con altrettanta ferocia. Quando si staccarono ansimando, lui lasciò un secondo uno dei suoi polsi per pulirsi la bocca con la manica.

"Allora mi dici qual è questa pista, dolcezza?" domandò lei con voce sensuale, gli occhi grigio-verdi puntati nei suoi.

"Cosa ti fa pensare che sbattere un po’ le ciglia mi farà parlare? Io non mi fido di te, sei una troia manipolatrice…" rispose lui, gelido.

"Il fatto che tu sia un porco bastardo. E mi vuoi, ammettilo…"  replicò, alzando la testa per fargli intravedere il seno attraverso la scollatura del vestito nero. Lui la esplorò con lo sguardo per quasi un minuto prima di tornare a fissarla negli occhi. "Posso averti anche senza dire nulla…"

"Forse, ma sarebbe l’ultima volta, mio caro. Perché poi non potrai essere sicuro di quale sarà il giudizio che presenterò ai piani alti." Sussurrò lentamente, esaminando la sua reazione. Gin restò in silenzio per un attimo, evidentemente valutando la situazione.

"Non mi fregheresti mai, pupa." Ribatté in modo freddo, ma a lei non era sfuggita l’incertezza nella sua voce. Anni di carriera nel mondo dello spettacolo le avevano insegnato a riconoscere i bravi attori da quelli infimi. E Gin poteva ingannare un pubblico di spettatori qualunque se voleva, ma non lei.

"Dimmi della tua pista, allora." Disse dolcemente, cominciando baciargli il collo e lasciandogli rosse impronte di labbra.

"Le chiavi per arrivare a quel bastardo sono due…" cominciò, mentre i baci si facevano sempre più roventi.

"Una è Sherry…credo che loro due si siano alleati contro di noi…qualche tempo fa, lui l’ha salvata mentre cercavo di farla fuori."

"Lo so, c’ero anch’io…" commentò lei, smettendo per un momento il suo sensuale attacco.

"L’altra è la ragazzina di oggi…mi pare di averla già vista da qualche parte. E sembravano molto legati…"

La sua voce si faceva sempre più bassa e affannata mentre lei cominciava a strusciarglisi contro, muovendo i fianchi con  lentezza esasperante. Così Gin aveva gia incontrato il suo angelo…brutta storia. Se si fosse ricordato dove- e prima o poi sarebbe successo- il suo gioco sarebbe finito. Facile arrivare a Cool Guy una volta che hai Angel…

"Sì, ma il piano in che consiste?" si informò, un mormorio bollente. Lui la allontanò da sé bruscamente, spingendola con violenza sul letto e sdraiandosi su di lei: "Questo lo vedrai a tempo debito, Chris. Adesso sta’ zitta." Disse, e lei capì che la conversazione era conclusa. Mentre si lasciava esplorare dalle mani di lui, sorrise compiaciuta, un po’ per le sue carezze morbose,  un po’ al pensiero che, tutto sommato, questo imprevisto poteva rendere la partita più interessante.

 

h. 19:20

Heiji e Kazuha bussarono alla porta dell’ufficio di Kogoro Mouri, e siccome dopo vari tentativi non ottennero risposta, salirono le scale fino alla casa dell’investigatore. Quest’ultimo gli aprì alla seconda bussata, scuro in volto, fissandoli con due occhi che li fecero rabbrividire. Sembrava infuriato e amareggiato allo stesso tempo.

"Ah, siete voi…" borbottò, dandogli le spalle "Che volete?"

"Ehm…siamo venuti a prendere le borse…" rispose Kazuha titubante. Era evidente che qualcosa non andava, lì dentro.

"Allora prendetele e sparite." Concluse Kogoro, burbero.  I due ragazzi si guardarono perplessi, poi Heiji distolse lo sguardo da quello di lei e lo fissò sulla schiena dell’investigatore.

"Qualcosa non va, Mouri san?" si arrischiò a chiedere, cauto.

"Sì, voi stupidi bambocci che vi divertite a prendere in giro i sentimenti di una ragazza! Andate al diavolo, tu e quell’altro tuo pari!" gli gridò contro, tagliente, gli occhi neri che mandavano fiamme come carboni ardenti . Heiji trasalì alla sua reazione, poi capì di che cosa stesse parlando e lo sgomento lasciò spazio alla preoccupazione; si voltò verso Kazuha, che sembrava aver anche lei tirato le sue somme, anche se il detective dell’ovest si rendeva conto che il suo quadro non era completo quanto il proprio. "Ran è di là, Mouri san? Posso parlarle?" disse Kazuha, speranzosa, Kogoro guardò per un attimo i suoi occhi verdi afflitti e crucciati, e sospirò:

"Vai, se ci riesci. Da quando è tornata non fa che piangere e blaterare cose insensate."

Kazuha annuì e si diresse velocemente verso la camera della sua amica di Tokyo. I due la seguirono con lo sguardo, poi Kogoro si rivolse di nuovo a Heiji, cupo.

"Il tuo amico ha chiuso con mia figlia. Digli che dovunque sia in questo momento ci resti per sempre, perché se me lo trovo davanti, lo ammazzo. Ci siamo capiti?"

Il ragazzo del Kansai annuì, ma non lo stava del tutto ascoltando. Rifletteva preoccupato sul motivo per cui Kudo non si era presentato all’appuntamento con Ran. Non voleva pensare che l’Organizzazione l’avesse rintracciato e ucciso, non se la sentiva. Nonostante un vero detective dovesse ragionare con mente fredda e distaccata, non era in grado di supporre la morte del suo migliore amico. Eppure, se non fosse stato in pericolo, quale altra ragione l’aveva allontanato dalla persona che gli era più cara al mondo? Forse…

"Ehm, scusa, Conan è già tornato a casa?" domandò fiducioso. Kogoro lo squadrò inarcando un sopracciglio, come se non potesse credere a quello che aveva sentito.

"Prego?"

"Conan…il bambino occhialuto…è qui?" incalzò.

"So chi è Conan! Ma che diavolo c’entra adesso?" sbottò, acido. Heiji lo fissò con insistenza, e l’uomo alla fine cedette.

"No, non c’è. Non lo vedo da ieri...ma non vedo cosa c’entri ora…" 

Heiji sentì le viscere riempirsi di piombo. Kudo non era tornato a casa…aveva dato buca alla sua fidanzata e non si era fatto più vedere. Non poteva credere a quello che stava succedendo. Cercò di scacciare dalla sua mente le immagini truculente che stavano prendendo forma ed estrasse il cellulare, formando il numero del suo migliore amico. Kogoro lo osservava torvo interessato e infastidito allo stesso tempo. Due, tre, quattro squilli…nessuna risposta, il suo cuore cominciò a perdere qualche battito, la pelle si faceva sempre meno scura.

"Si può sapere che diavolo..?"

"Mouri san, che genere di cose ti ha detto Ran quando è tornata?" domandò agitato, Kogoro lo fissò perplesso, poi rispose accigliato: "Stupidaggini senza senso…che è colpa sua, che Kudo non sarebbe più tornato a causa sua…ma io le ho detto che non deve nemmeno azzardarsi a darsi la colpa per quel…"

Il ragazzo del Kansai lo ignorò e corse a sua volta verso la camera di Ran Mouri: la trovò in lacrime, fra le braccia di Kazuha, che cercava di calmarla accarezzandole piano la testa. Ma i balbettii confusi della ragazza di Tokyo non erano quelli che ci si sarebbe aspettati in una situazione del genere.  Come gli aveva riferito suo padre, non sembrava darsi pace, si sentiva responsabile di qualcosa di orribile. E Heiji si chiese timoroso se lei sapesse qualcosa di ciò che era accaduto al detective dell’est. "Mouri kun…" esordì, ma non fece in tempo a dire altro. Sembrò che la sua voce avesse fatto scattare qualcosa all’interno di Ran, che alzò di colpo la testa, fissandolo con occhi spaventati e speranzosi, si staccò bruscamente dall’abbraccio di Kazuha e si stagliò davanti a lui, afferrandogli le braccia con le mani e stringendolo forte: "Hattori kun..! Tu devi…Shinichi…aiutalo..!" lo implorò fra i singhiozzi, premendo ancora di più le dita  sugli avambracci. Heiji le restituì uno sguardo altrettanto agitato, mentre Kazuha e Kogoro, materializzatosi dietro di loro, li fissavano allibiti e confusi.

"Sì, lo aiuterò, ma devi dirmi cosa è successo!"

"Papà…lui non mi crede…e non posso chiamare la polizia, Shinichi  ha detto di no…io non so che fare!" continuò Ran, la voce intrisa di pianto, gli occhi vuoti. Heiji afferrò a sua volta gli avambracci della ragazza, scuotendola con delicatezza ma decisione.

"Ho capito, ma dimmi che è successo!! Non perdere tempo!!!" incalzò, lei annuì reprimendo un singhiozzo. Kogoro era impallidito, Kazuha sembrava incapace di proferir parola e guardava a turno il suo amico d’infanzia e la sua amica.

"Shinichi…lui…prima di sparire qualche mese fa…lui ha seguito due uomini in nero che…"

"Sì, lo so! Vai avanti!! Oggi, che è successo?" stavolta fu Ran a rimanere stupita.

"L...lo sai?" balbettò  stupefatta e impressionata.

"Ma sai cosa? Di che parlate?" intervenne brusco Kogoro, lanciando occhiate velenose a entrambi.

"So tutto…adesso dimmi che cosa…?"

"Hem, hem."

Tutti e tre si voltarono sorpresi e scorsero una figura piccola e minuta sulla soglia della stanza, un berretto da baseball azzurro con una ‘K’ candida calcato sul viso; attraverso le lenti degli occhiali i suoi occhi passarono in rassegna Heiji e Ran avvinghiati l’uno all’altra, Kogoro infuriato e confuso vicino a loro, Kazuha seduta sul letto sbigottita e pallida in volto. Un sopracciglio s’inarcò sul giovane viso, conferendogli un cipiglio interessato e irritato allo steso tempo. Heiji tirò un sospiro di sollievo, fissandolo attentamente come se non lo vedesse da anni, poi trasalì accorgendosi del modo in cui era abbracciato a Ran e subito si ritrasse, tossicchiando. La ragazza distolse lo sguardo dal bambino e tornò a fissarsi su Heiji. In tutto non poteva essere passato che qualche secondo, e la vista di Conan, che aveva rassicurato e rilassato il detective dell’ovest, non aveva avuto lo stesso effetto sugli altri tre.

"Hattori kun!! Se lo sai…dimmi che sta succedendo, ti prego! Shinichi…se l’hanno preso…fai qualcosa!!" continuò in lacrime la ragazza di Tokyo, Heiji si sentì improvvisamente a disagio e inopportuno.

"No…aspetta…sì, Kudo mi ha raccontato di quegli uomini in nero del luna park…" scoccò un’occhiata fugace al bambino e si accorse che lo fissava torvo.

"Allora sai che è colpa loro se si nasconde!! Che cosa possiamo fare..?" insisté Ran con voce rotta.

"Nascondendo!? Chi, Kudo!?! Ma no, che ti viene in mente..!" obbiettò con un’agitazione diversa da quella precedente. Cavoli, le cose si stavano mettendo molto, molto male.

"Ma sì!! Oggi li ho rivisti…parlavano di un ficcanaso a cui dovevano chiudere la bocca…"

"Chi hai visto tu oggi?" Kogoro cercò di nuovo di entrare nel discorso, con scarso successo.

"Beh, Mouri kun, non è carino da parte tua accostare subito il tuo fidanzato alla parola ‘ficcanaso’…" replicò Heiji in tono leggero.

"Non scherzare!!" lo aggredì Ran con voce stridula "Fa qualcosa!! Ti prego…"

Il detective dell’ovest lanciò un’occhiata significativa al bambino, come se sperasse in un qualche aiuto, ma lui non lo stava nemmeno guardando: fissava il pavimento con aria afflitta.

"Senti…" cominciò, poggiando le mani sulle sue spalle e guardandola negli occhi. "Kudo sta bene, te l’assicuro. Quegli uomini…mi ha raccontato di loro, che avevano attratto la sua attenzione, ma non c’entrano col fatto che non è qui. Sta risolvendo un caso all’estero, e fidati, in questo momento è vivo e vegeto."

"Ma…ma prima…sembrava la pensassi diversamente…" ribatté lei tristemente, quasi senza fiato "Ti scongiuro, Heiji kun, se sai qualcosa…dimmelo! Non posso vivere col timore che…Shinichi possa…"

"Sì, se sai qualcosa vuota il sacco!" incalzò Kogoro, scrutandolo inquisitorio. Heiji notò che in quella stanza l’aria cominciava a farsi un po’ pesante.

"Non so perché Kudo non si sia presentato all’appuntamento, ma sono certo che poi ti telefonerà e te lo dirà lui stesso." Con questo lanciò un’occhiata eloquente a Conan "Ma non è in pericolo. Non so come ti sia venuto in mente che possa avere a che fare con quei tipi…che ti faccio notare, potevano stare parlando di chiunque. Perciò smettila di piangere e disperarti, okay?"

"Ma…prima…tu…" continuò imperterrita lei.

"Prima credevo che avessi effettivamente visto succedere qualcosa a Kudo mentre veniva all’appuntamento. Per questo ti chiedevo con insistenza di oggi. Ma poi ho realizzato che non era così quando mi hai parlato di quella cosa successa un sacco di tempo fa." Era quasi tutto vero, aveva omesso solo la presenza tranquillizzante di Conan per evitare ulteriori, spinose spiegazioni. Ran lo contemplò insistentemente, il blu dei suoi occhi reso più intenso dalle lacrime, desiderosa di credergli.

"S…sei sicuro, Hattori kun..?" chiese implorante.

"Sicuro. So che ci teneva tanto a vederti, che deve aver avuto un impegno improrogabile e improvviso per darti buca senza nemmeno uno squillo. Ma questo impegno non è un pericolo mortale, credimi."

"Come fai a esserne certo? Come fai a dire che non può venire qui perché si nasconde da qualche pericolo? O che non è addirittura già…stato…" il resto della frase fu inghiottito da un singhiozzo e da nuove lacrime.

"Kudo è un osso duro. Non è il tipo da nascondersi, ed è troppo in gamba per farsi ammazzare. Dovresti saperlo meglio di me. Se non vuoi fidarti di me, fidati almeno di lui." concluse Heiji con uno dei suoi migliori sorrisi rassicuranti, indubbiamente non efficaci quanto quelli del suo rivale, ma utili ugualmente allo scopo. Ran restò interdetta per un momento, poi sorrise a sua volta, debolmente.

"Fidarmi di lui..? Eh…Dio come vorrei poterlo fare…. " mormorò, più a se stessa che a chiunque altro, poi alzò la testa e disse a voce alta e chiara: "Grazie, Hattori kun. Vorrà dire che…parlerò con Shinichi, sentirò cosa ha da dire. Anche se non capisco perché dovrei dargliene la possibilità, a questo punto."

 "Sono d’accordo. Lascialo perdere." Disse Kogoro, burbero. Heiji scoccò un’occhiata preoccupata a Conan prima di intervenire risoluto: "Non è stata colpa sua, ne sono certo…vedrai che te lo dirà anche lui il prima possibile."

"Lui lo sapeva,  Hattori, non capisci??" esclamò con voce rotta, piena di una rabbia che lo sorprese "Sapeva quanto fosse importante per me…e me l’aveva promesso!! Me l’aveva promesso…ma mi ha preso in giro, come al solito! Tanto ormai fa sempre così, sempre!!! È solamente un…un BUGIARDO!!!" gridò, strizzando gli occhi per evitare che le lacrime continuassero a uscir fuori.

"Ma…Mouri…"

"Basta così. Tu non c’entri niente, non devi stare qui a difenderlo." Disse decisa, aprendo gli occhi e inarcando le sopracciglia. "Sa difendersi da solo…anche se non mi pare sia ansioso di farlo. Dimentica ciò che ho detto. Sono felice che Shinichi sia salvo…pensare che gli fosse successo qualcosa mi aveva distrutta. Ora sto…bene. Sul serio. Ti ringrazio Hattori kun, sei gentile a preoccuparti…ma adesso non c’è più alcun bisogno di te qui."

"Sentito? Vi ha praticamente detto di levare le tende!" incalzò Kogoro, mentre Ran si voltava per prendere un fazzoletto di carta con cui asciugarsi gli occhi. Nessuno delle quattro persone che la stavano guardando avrebbe potuto credere che stesse davvero bene. Comunque, nessuno di loro ebbe il coraggio di rivolgerle di nuovo la parola.

Kazuha annuì e si alzò lentamente, ancora un tantino perplessa dallo spettacolo a cui aveva assistito. Recuperò da sotto il letto di Ran il suo borsone e se lo mise a tracolla, mormorando debolmente, mentre usciva dalla stanza.

"Beh, ci vediamo, Ran chan. Telefonami per farmi sapere di Kudo, okay? Arrivederci, Mouri san."

Ran rispose al saluto fiocamente, senza voltarsi, Kogoro grugnì una qualche risposta. Heiji si diresse verso la stanza che la notte prima aveva condiviso con l’investigatore. "Aspettami, Kazuha, prendo la mia roba e arrivo."

Entrò nella camera, chiudendo con un gesto secco la chiusura lampo del suo borsone; avrebbe voluto dire qualcosa al suo migliore amico, qualunque cosa che potesse tirarlo su di morale. Ma lui non lo raggiunse. Dopotutto, si disse poi, non avrebbe potuto pronunciare altro che le solite banalità d’incoraggiamento…forse era stato meglio così.

Lui e Kazuha uscirono dall’agenzia, e un freddo vento d’inverno gli diede il benvenuto fuori, scompigliandogli i capelli e sferzandogli la faccia. Entrambi non avevano molta voglia di parlare. Kazuha guardava in basso, probabilmente riflettendo sconcertata su quanto era accaduto, Heiji ripensava amareggiato allo sconforto che doveva provare il suo miglior amico, e meditava soprattutto sul discorso che avevano affrontato al luna park sugli Uomini in Nero. La faccenda era molto seria e se non avessero fatto subito qualcosa, un giorno o l’altro le sensazioni di orrore e angoscia che aveva provato temendo che Kudo fosse stato ucciso sarebbero state fondate. E il solo pensiero che lui potesse essere fatto fuori da quei bastardi gli rivoltava lo stomaco, lo faceva ardere di rabbia e sprofondare nello sconforto.

Sì, alla fine di quella giornata, una cosa gli era chiara in mente, e di sicuro lo era anche nella testa del suo collega dell’est: dovevano cominciare a fare concretamente qualcosa, subito, al più presto, prima che uno di loro morisse…prima che fosse troppo tardi.

 

 

Note dell’Autrice: uhm…capitolo piuttosto strano questo, non credete? Una specie di frullato di umorismo e malinconia, di amore e ostilità, di passato e presente…non avrei MAI creduto che sarebbe uscito fuori così; giuro che avevo in mente di scrivere un capitolo tranquillo e smielato, completamente incentrato sul love, ma neanch’io so mai cosa ha in serbo per me la mia mente folle, dunque…^^" tralasciando volutamente di parlare della cosa per la quale molti di voi saranno presi da raptus omicidi nei miei confronti, (aiuto!) ci tengo a spiegare l’atteggiamento di Ran nell’ultima parte del chap: avrete notato il contrasto fra la più completa disperazione in un primo momento e la rabbia bruciante in un secondo. Il fatto è che, dopo tutto ciò che le era successo in quella giornata, è normale che Ran pensasse al peggio, con paura, timore, dolore, ma non potendone fare a meno. E se la spiegazione di Heiji da una parte l’ha confortata, dall’altra non ha potuto evitare che la ferisse, per quanto fosse felice che Shinichi fosse sano e salvo. Una sorta di conflitto di interesse…non so se riuscite ad afferrarlo. Ad ogni modo, dedicherò una parte del prossimo capitolo agli stati d’animo di Ran, spero che ogni perplessità sarà così cancellata. Per il resto credo che sia tutto okay, spero che la scena Heiji/Kazuha vi sia piaciuta, così come spero che i convinti fans della coppia Shinichi/Ran non mi uccidano per quel bacio all’inizio…non ne ho potuto fare a meno, era TROPPO allettante!! ^^" Spero solo che lei non sia uscita fuori dal personaggio….il mio timore più grande era lì. Voi comunque cosa ne pensate?? Fatemi sapere!!! Io intanto passo ai ringraziamenti singoli:

Lili: non sei assolutamente in ritardo, anzi!! Sei stata la prima a commentare!! Grazie tantissimo, sono sempre molto felice di sentire che quello che scrivo piace a qualcuno. Qui c’è un’altra scena dedicata alla coppietta di Osaka,  visto? E chissà che in un futuro prossimo… ^ _ ~ ehm…per quanto riguarda Shinichi & Ran…beh…se le cose andassero sempre come si sono programmate, non ci sarebbe più gusto a leggere le storie fino alla fine, non trovi?? Ma vedrai che riuscirò a farmi perdonare lo "scherzetto". Cioè, lo spero! ^^" Un bacio.

Ginny85: i tuoi commenti continuano a farmi piacere in modo indescrivibile, lo sai, sì? Non posso fare a meno di sorridere quando li leggo, grazie tanto tanto!!^//^ Il commento sulla scena di azione mi ha sollevato il morale, avevo paura che non sarebbe piaciuta senza il buon vecchio faccia a faccia stile western che si trova ormai in OGNI film d’azione (trovami tu un film di questo genere in cui il "buono" non affronti il "cattivo" in una sparatoria - _ -") quindi di nuovo un grazie che viene dal profondo del cuore!!^//^ La parte dei dialoghi finali piace molto anche a me, anche se io preferisco il dialogo fra i due boys a quello fra Heiji e Kazuha (adoro il rapporto di amicizia che c’è fra Conan/Shinichi e Heiji, sono una bella squadra^^); avrei voluto incentrare questo chap completamente sull’amore, era in effetti l’idea di base, ma le cose hanno preso una piega imprevista ^^" spero di non averti deluso. In quanto alla tua posizione sulle coppie, più o meno è la stessa che ho io…adoro quelle ufficiali del manga, ma non trovo nulla di male a voler giocare un po’ in campo fanfiction. Spero che i siti che ti ho segnalato ti siano stati utili e che tu sia riuscita a connetterti al mangaviewer…io non ci riesco più e non capisco il perché O _ O. Che scuola faccio? Liceo classico-linguistico, con 35 ore settimanali distribuite in 6 giorni; praticamente faccio tutte le materie del classico escluso il greco, sostituito con francese dal primo anno e spagnolo o tedesco, a scelta, dal terzo anno in poi (io ho scelto spagnolo, naturalmente :p). Progetto "Brocca", lo chiamano, e ti assicuro che è una vera ammazzata. Ho un sacco di materie e di conseguenza un sacco di compiti, senza contare interrogazioni e compiti in classe che non mancano mai, la mattina! È solo Dicembre e mezza classe è già esaurita, in più lo scorso anno e questo hanno messo trimestre e pentamestre invece dei soliti due quadrimestri, quindi figurati! Ehm…lo so che questo è MOLTO di più di quello che volevi sapere, ma se ho la possibilità di sfogarmi non riesco a trattenermi! Il fatto è che è davvero stancante. Beh, ora è meglio che smetta prima che ti addormenti sulla tastiera del computer.^^; Un bacione, spero di risentirti Ginny!

Hoshi: grazie!^^ Sì, è una Shinichi/Ran…spero mi perdonerai la scena iniziale, ma come ho già detto, era una tentazione trooooppo forte. Inoltre Ai non è poi così male, non credi?? Cioè, a volte fa un po’ la bastarda, lo ammetto, ma in fondo in fondo è una brava ragazza. Molto in fondo….moltissimo in fondo….decisamente in fondo…

Yuki: sì, Shinichi e Ran sono proprio una bella coppia, concordo, ^//^ e come hai detto entrambi si amano tanto e non hanno occhi per nessun altro. Infatti  io non ho mai detto che Ai possa avere una possibilità nell’anime/manga, bensì che è divertente giocare un po’ con le coppie nelle fanfiction. Ma naturalmente ognuno ha la propria opinione e io accetto e rispetto la tua. Nessuno può andarti contro se non ti piacciono gli "scambi di coppie", né può costringerti a leggere ff Conan/Ai. Beh, la mia è una Shinichi/Ran quindi diciamo che per ora ho la tua "benevolenza" ^__^ Abbi pietà per quel bacio Yuki-chan…non uccidermi!!! In fondo tu non ammetti che Conan si innamori della biondina, ma che a lei lui piaccia lo sai no? Per cui…clemenza! Lei non è nemmeno così cattiva se ci pensi…il motivo per cui non ha avvertito Shinichi del suo tempo limitato è che stava curando i propri interessi. Chi non lo farebbe?? Cioè, se il ragazzo che ti piace esce con un’altra….non ti viene da essere generosa!! O no?

Primechan: ciao! Grazie mille della recensione e dei complimenti…eh sì, Shinichi & Ran sono proprio carini insieme!! Io non gli rendo la vita facile, poverini… ^^" ti assicuro che la cosa pesa a me per prima; un bacio, al prossimo chap!

Mareviola: ma figurati! ^^ Non sei in ritardo...io ci metto tanto a postare, dunque hai tutto il tempo di commentare, tranquilla!! Beh, risolto il problema vecchiaia e sorvolando la tua passione per le scene violente, (brrr! Fai venire i brividi!! Va beh che anch’io…pensa che uno degli scrittori che preferisco è Stephen King!^^") sono come al solito felice che il capitolo ti sia piaciuto. Conoscerci via e-mail? Per me va bene, nessun problema. Mi piace ricevere posta, soprattutto da gente che non vedo tutti i giorni a scuola. Spediscimene una quando vuoi, io cercherò di risponderti sempre il prima possibile, impegni permettendo. Ciao ciao!

K: grazie!^ _ ^ Non mi sono accorta di fare descrizioni così approfondite…ce n’è una anche all’inizio di questo chap, ma mi serviva per introdurre il tema attorno al quale ho svolto la prima parte…spero perciò che vorrai sorvolare ^^; e che il capitolo ti piaccia.

Leo: grazie mille anche a te^^, ecco qui il seguito…eh sì, mi è proprio piaciuto scrivere la parte in cui Gin e Vodka le prendono, è stata una piccola rivincita che ho dato a Shinichi per quello che gli hanno fatto nel primo volume. ^__^

Ci tengo anche a ringraziare:

Anny_Miyu (sono contentissima che ti sia piaciuta, grazie per la recensione!)  

& LeoConan (Leo?? Sei tu? O _ O Beh, comunque, ti ringrazio tanto, incoraggiarmi a scrivere altre ff su quello stile mi è di aiuto più di quanto tu possa immaginare! E sono contenta che anche a te piaccia la biondina.^^)

 per aver commentato l’altra mia ff  "A Very…", mi rendete fiera di una fanfic per cui avevo già una predilezione. Thanks! ^__^

Ultime cose: l’hem hem di Conan mi è uscito molto professoressa Umbridge….(vd Harry Potter e L’ordine della Fenice) quindi se qualcuno nota la somiglianza, diciamo che non è del tutto casuale, okay? ^ _ ~  I riferimenti a fatti passati sono presi dai vol.18, 24 e 26 di Meitantei Conan pubblicati in Giappone (perché qui in Italia siamo fermi agli antipodi…- -")

Questo è tutto per oggi; al prossimo chap, che prevedo sarà decisamente complicato perché ho un bel po’ di cose da affrontare…^^; spero di riuscire al meglio. Intanto, se non vi dispiace, lasciate una recensione, anche piccola, se vi va; non sapete quanto possono essermi di aiuto, soprattutto considerando che, grazie a quella magnifica invenzione che è il trimestre, fra poco meno di un mese mi daranno la pagella (e lì ci sarà decisamente poco da ridere, temo - _ -")

Baci

-Melany

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Capitolo 16
*** Lonely ***


Nuova pagina 1

&

16. Lonely

“Chissà come se la starà cavando Shinichi….” Mormorò con apprensione il professor Agasa, guardando fuori dalla finestra con aria preoccupata. Ai scrollò le spalle e cambiò canale al televisore, sintonizzandosi su un quiz a premi e guardandolo con aria annoiata.

“…e chissà come si sente la piccola Ran! Povera ragazza…non credo l’abbia presa bene.” Continuò con un sospiro l’anziano dottore, scuotendo la testa. Si sedette vicino ad Ai sul divano, cosa che la fece sobbalzare sul cuscino a causa della mole considerevole del suo corpo rispetto a quello della bambina. “Senza contare gli effetti che l’antidoto potrebbe avere sul corpo di Shinichi! È stata un’imprudenza la sua…ma è così testardo! Io ho provato a convincerlo…e anche tu…ma quando si tratta di quella ragazza perde la testa! Oh, Ai-kun, è proprio una brutta situazione, questa.”

“1492.”

Il professor Agasa la guardò perplesso, sbattendo le palpebre: “Come scusa?”

“La risposta alla domanda.” Spiegò Ai tranquilla, facendo cenno alla televisione. “La data convenzionale in cui si fa finire il medioevo. È la scoperta dell’America, 1492.”

L’anziano dottore la fissò per un attimo con un misto di incredulità e turbamento, cosa che le increspò leggermente le labbra in un sorriso.

“Sei una strana bamb…donna…cioè…” sbuffò “sei una strana persona, Ai-kun. Davvero non sei per niente preoccupata??” le chiese con un leggero tono di rimprovero.

Lei si strinse nelle spalle. “Kudo sapeva che l’antidoto avrebbe potuto fare cilecca…e  credo che sia abbastanza adulto, almeno mentalmente, per fare le sue scelte. Noi lo abbiamo avvertito dei rischi, la nostra parte l’abbiamo fatta, il resto è stata tutta opera sua. In quanto a Mouri…” Il sorriso si fece più ampio mentre uno strano luccichio brillava nei suoi solitamente freddi occhi “…starà un po’ male, ma lo supererà e forse un giorno riuscirà a perdonarlo; e anche se non dovesse succedere…fortunatamente non è l’unica ragazza di questo mondo.” Il suo sorriso si era colorito in modo piuttosto inquietante; Agasa si schiarì la gola: a volte lei riusciva davvero a metterlo a disagio…nonostante l’aspetto innocente da bambina delle elementari, Ai sapeva apparire veramente crudele, se voleva.   

“Visto? Avevo ragione…1492, scoperta dell’America.”  Continuò indifferente come se nulla fosse, mentre dal televisore si udiva lo scroscio degli applausi in onore del concorrente. Il dottor Agasa si appoggiò allo schienale morbido con un nuovo sospiro. “Io sono preoccupato lo stesso. Mi sembra ancora di vederlo, quando si è accorto che l’antidoto non funzionava…”

Poteva capirlo, anche lei l’aveva ben stampato in mente. Mentre le immagini della tv scorrevano davanti ai suoi occhi senza che essi le focalizzassero, ricordò con un sorriso maligno l’ansia e l’agitazione che avevano pervaso il piccolo detective nel constatare che, dopo più di un’ora dalla somministrazione, l’antidoto non aveva effetto; lo rivide gironzolare inquieto e scocciato per tutto il salotto del dottor Agasa, mugugnando imprecazioni fra i denti ogni volta che guardava l’orologio e scoccandole occhiate torve a cui lei non rispondeva che con sguardi indifferenti. Le parve persino di poter udire la sua voce quando infine aveva sbottato infuriato.

“Allora? Perché diavolo non succede niente??”

“Mah, chissà…” aveva risposto lei calma, con un’alzata di spalle. A quel punto Conan le si era piazzato davanti, quasi ringhiando, e lei aveva potuto leggere nei suoi occhi qualcosa di diverso dalla rabbia che esprimeva il suo corpo: angoscia, frustrazione.

“Che vuol dire ‘chissà’??? Sei stata tu a farlo no?”

“Sì, ma io te l’avevo detto che da assuefazione. Probabilmente le dosi erano troppo basse, perciò il tuo corpo non ha reagito.” Aveva spiegato con voce monotona, come se stesse leggendo l’elenco telefonico. Naturalmente sapeva che questo lo avrebbe fatto infuriare ancora di più, ma la cosa non la turbava minimamente. Dopo una vita passata in mezzo ad assassini spietati, trovava Kudo decisamente innocuo.

“Beh, dammi un’altra capsula con dosi maggiori allora!!” aveva insistito, lei lo aveva guardato quasi compassionevole.

“Così sì che avremo la certezza matematica di spedirti all’altro mondo, Kudo.”

A quel punto lui aveva sbuffato, lasciandosi cadere pesantemente sul divano. Il professor Agasa gli si era avvicinato titubante, mormorando frasi di incoraggiamento che Ai aveva l’impressione lui ascoltasse appena: i suoi occhi blu erano vuoti e senza vita. Vedendolo così le si era formato uno strano nodo allo stomaco, una sensazione spiacevole e fastidiosa, che aveva scacciato alla svelta. Lei non poteva farci niente, in fondo era probabile che gli avesse salvato la vita, agendo in quel modo. Era rischioso e piuttosto stupido prendere una dose di veleno –perché antidoto o no era questo che sarebbe finito nelle sue vene, veleno- solo perché quell’idiota della sua ragazza si era messa a piagnucolare al telefono. Senza contare il dolore che avrebbe dovuto sopportare…Kudo a volte sapeva essere davvero uno sciocco. Avrebbe voluto che il detective a cui stava praticamente affidando la sua vita fosse un tantino più freddo e professionale. Anche se quella sua passione era uno dei lato che la attraevano maggiormente….

Comunque, aveva dovuto farlo. Aumentando le dosi come voleva lui sarebbe stata un’autentica pazzia, e come gli aveva detto tempo addietro, lei non era il tipo da andare in giro a somministrare composti sperimentali alla gente; se lui non se l’era ricordato, affari suoi.

Eppure, c’era quella brutta sensazione all’altezza del petto che non le dava pace, quella specie di strano peso che gravava sul cuore, e che si era amplificato vedendo lo sconforto e la disperazione sul viso del piccolo detective…

Sbuffò seccata: doveva smetterla di farsi tutti quei problemi inutili: obiettivamente, la verità è che gli aveva salvato la vita; o almeno così sperava. Complessivamente la capsula conteneva una dose del 1,2% in più rispetto all’ultima volta, il che rendeva quasi nulle –come poi si era appurato- sia le possibilità di riuscita che di ulteriori danni al metabolismo. O almeno così sperava….i suoi composti avevano la brutta abitudine di sfociare in risultati tanto imprevedibili quanto pericolosi; come aveva spiegato a Kudo, le conseguenze sarebbero potute essere davvero…disastrose.

“Comunque, professore, sarebbe meglio fargli alcuni test nei prossimi giorni; come ha detto lei, la sua è stata una scelta piuttosto avventata, e non sono da sottovalutare i rischi.” Spense il televisore e si alzò in piedi, passandosi una mano fra i capelli biondi e dirigendosi verso la camera da letto.

“Sì, meglio tenerlo sotto controllo.” Acconsentì l’anziano dottore. “Vai a dormire, Ai-kun? Non vuoi mangiare qualcosa, prima?”

“No non si preoccupi, non ho fame. Voglio solo andare a dormire, visto che la notte scorsa non ho potuto.” Disse indifferente, sbadigliando.

“D’accordo. Sogni d’oro, Ai-kun.”

Entrò in camera e cominciò a svestirsi per infilarsi il pigiama. Attraverso la semi oscurità della stanza, nessuno avrebbe potuto scorgere il lieve sorriso che si formava sulle sue labbra; su una cosa il professore aveva ragione: sarebbe stato…beh, interessante vedere cosa stava succedendo in quel momento in casa Mouri. Sperava solo che Kudo non ne uscisse troppo distrutto.

“Sarebbe un peccato. Abbiamo un bel po’ di cose a cui pensare, Kudo…e non dimenticare la promessa che hai fatto a me.”  Sussurrò fra sé e sé, mentre fuori dalla finestra si udiva lo stridere di una civetta.  

 

 

 

Come aveva temuto, la casa era desolatamente vuota; per un attimo aveva sperato, aveva pregato di trovarlo lì, pronto ad accoglierla con un sorriso e a scusarsi per quello che era successo, una scusa che sarebbe stata più che plausibile, una giustificazione così innocente e indipendente dalla sua volontà che non avrebbe potuto fare altro che perdonarlo.

Ma lui non c’era; la casa che conosceva bene quanto la propria era deserta e impolverata, avvolta nell’oscurità spezzata solo dalla debole luce di una pallida luna piena. Sospirò tristemente, accucciandosi per terra con la schiena appoggiata alla libreria, piena di quei libri gialli che lui adorava tanto: si sentiva completamente svuotata, un dolore pregnante  alla bocca dello stomaco che pareva si stesse divorando da sé, le lacrime che continuavano a pizzicare agli angoli degli occhi mentre un nodo premeva in gola, amaro e difficile da inghiottire. Aveva tanta voglia di piangere…

Oh Shinichi perché mi hai abbandonato? Cosa c’è di sbagliato in me….perché non mi ami più..?

Singhiozzò, mentre le lacrime cominciavano a scendere sulle guance, incontenibili quanto il dolore che premeva dentro di lei, con violenza. Nella casa silenziosa risuonava il suo pianto sommesso, anche se faceva di tutto per trattenersi. Perché era successo? Cosa era cambiato in quegli ultimi tempi? Avrebbe tanto voluto saperlo…sapere cosa aveva fatto per divenire così insignificante…

Perché Shinichi perché?? Io ti ho aspettato per tutto questo tempo…non ho mai smesso di pensarti…e a te non è mai importato niente…niente…

Sei solo un bastardo!! Non ti amo più, non mi importa niente di te!! Mi hai sentito!? TI ODIO!!” Gridò, udendo l’eco della sua voce infuriata colpire le pareti. Aveva pensato che si sarebbe sentita meglio…ma stranamente, quello che aveva detto le fece provare ancora più male. Pronunciare quelle parole la facevano sentire non solo come se stesse tradendo lui…ma anche come se stesse rinnegando se stessa.

Si asciugò la guancia bagnata col dorso della mano, i suoi occhi si soffermarono sulla scrivania al centro della libreria. Era lì che si sistemavano ogni volta che decidevano di studiare insieme per qualche interrogazione. Ricordava nitidamente, anche se sembrava fossero passati dei secoli, quel giorno di un anno prima…il giorno in cui avevano parlato…gli aveva creduto, quel giorno, oh sì. Lui sembrava così sincero…e ancora adesso, nonostante i fatti dimostrassero il contrario, non riusciva a credere che stesse mentendo….

“Shinichi, smettila di guardare quei libri!! Li conosci tutti a memoria…e hai presente quella cosa chiamata BIOLOGIA?? Dovremmo studiarla, visto che domani ci interrogano!”

“Sì, sì…” aveva sbuffato lui, con aria annoiata, aprendo svogliatamente  il libro di testo. Lei l’aveva osservato per qualche secondo, poi aveva sospirato: “Shinichi, non c’è proprio niente di più importante per te che quegli stupidi casi?”

“Non sono stupidi.” Aveva replicato, guardandola con gli occhi socchiusi, seccato. “Io salvo delle vite, carina.”

“Beh, ma farne il fulcro intorno a cui ruota tutta la tua vita è un po’ esagerato…che non ci sia nulla di più importante per te è veramente triste.” Lui aveva sbuffato e la conversazione sembrava finita lì. Ma poi lui l’aveva guardata, e lei si era persa in quell’oceano che erano i suoi occhi, perché questa volta…non la stavano guardando come al solito. C’era qualcosa di più…qualcosa di profondo e indescrivibile…qualcosa che l’aveva fatta arrossire…e battere forte il cuore…

“C’è qualcosa di più importante….” Aveva mormorato lui, senza smettere di guardarla in quello strano modo, arrossendo a sua volta prima di distogliere gli occhi e posarli di nuovo sul libro.

E in quel momento, Ran gli aveva creduto.

Gli aveva creduto perché lui non l’aveva detto, non aveva dichiarato a alta voce che lei fosse la cosa più importante; perché con le parole si può mentire. Ma gli occhi…quelli non mentono mai; Shinichi aveva lasciato che lei guardasse dentro di lui…così lei non aveva dovuto credere che a se stessa.

Io so cosa ho visto quel giorno…

Sì, lo sapeva; aveva visto un affetto così grande e incontenibile da non poter essere espresso a parole; forse era anche per questo che lui aveva taciuto. Niente avrebbe potuto rendere ciò che aveva  scorto nei suoi occhi, quell’amore così intenso e profondo…

Ma…allora perché adesso per lui le cose cambiate??

Di nuovo dominò l’impulso di scoppiare a piangere disperatamente, chinando la testa e chiudendo gli occhi. Probabilmente si era sbagliata. Forse quello che aveva visto nei suoi occhi era solo il riflesso dei suoi desideri inconsci…  

“R…Ran-neechan..?”

La ragazza sussultò, sentendo la flebile voce di Conan nell’oscurità; credeva che la casa fosse deserta. Alzò la testa, ritrovandosi riflessa nei profondi occhi blu del piccolo, seri e addolorati, scuri come un oceano in tempesta: per un attimo rimase pietrificata, incapace di dire niente: il modo in cui la stava guardando, quell’espressione, quegli occhi….i suoi occhi…

Shinichi

No. Era solo un’illusione. Conan la stava guardando, il suo adorabile piccolo amico, non lui. Per quanto si somigliassero, non doveva assolutamente trarsi in inganno. Shinichi non era lì con lei; l’aveva abbandonata a se stessa, aveva tradito la sua fiducia, ancora una volta. Un tempo avrebbe fatto di tutto per stare con lei, per non deluderla. Ma evidentemente, il suo migliore amico era cambiato, come era cambiato il posto che lei aveva nel suo cuore.

Ormai a Shinichi non importa più se io sto male…

Il nodo in gola si ingrossò e le sfuggì un singhiozzo, le lacrime ormai fuoriuscivano senza che potesse fermarle. Si coprì il viso con le mani, asciugandosele e tirando su col naso, lo stomaco che pulsava, dolorosamente.

“Conan, vorrei rimanere un po’ da sola, per favore.” Mormorò più bruscamente di quanto volesse, senza guardarlo.  Non poté giurarlo, ma le sembrò di averlo sentito sospirare.

“Ran, senti….non….non fare così.”

Ran schiuse le labbra per rispondergli ma quando posò lo sguardo su di lui restò a bocca aperta: di nuovo, per un attimo fugace, le era sembrato che Conan sparisse, e che al suo posto ci fosse lui. Sbatté le palpebre e di nuovo vide il suo ‘fratellino’, che la guardava tristemente, con un’espressione fin troppo adulta per il suo visetto innocente, adulta ma soprattutto colpevole. Si dice che gli occhi siano lo specchio dell’anima, e in quel momento quegli occhi blu riflettevano un tormento e un’angoscia così intensi che Ran ne rimase colpita e impressionata: nessun bambino di sette anni avrebbe potuto avere quell’espressione, quel buio interiore, ne era certa. E quelle parole, il tono con cui le aveva parlato…la voce fioca di qualcuno divorato dai rimorsi, ma che allo stesso tempo sta cercando di rimediare, disperatamente, in qualche modo. Conosceva quel tono di voce, caldo e triste…l’aveva già sentito in passato, tutte le volte che lei e Shinichi avevano litigato…

Ma non può essere…

“Vedrai che, in qualche modo, tutto andrà a posto.”

Aveva continuato lui, sempre con voce tiepida, ma con una sfumatura di incoraggiamento. La stava ancora fissando, con una certa intensità nello sguardo e improvvisamente, Ran non poté più trattenersi: lo abbracciò forte e scoppiò in lacrime, i singhiozzi che risuonavano fra le pareti della stanza. Stringeva a sé quel corpicino così piccolo in confronto al proprio, così fragile, ma che inspiegabilmente le dava una sensazione di conforto, di sicurezza. Pianse e pianse, sfogandosi, per la prima volta senza preoccuparsi di non scaricare le sue frustrazioni sul piccolo, per la prima volta voleva approfittare della sua vicinanza,  del sostegno che provava aggrappandosi a lui, sentendo il suo calore, il suo profumo

Anch’esso così simile…

La solida e rincuorante presenza di Conan, che mai l’aveva lasciata sola. Come se fosse stato mandato di proposito dal cielo, subito dopo aver perso Shinichi il bambino era comparso nella sua vita, confortandola e standole accanto nei momenti più difficili, facendo tutto quello che lui avrebbe fatto, almeno in passato, per lei, volendole bene. Era grazie a Conan che l’assenza di Shinichi era stata meno opprimente, grazie a quel piccolo e adorabile compagno che le era rimasto accanto per tutto il tempo.

Conan era stato la sua salvezza.

Forse era proprio per questo che in un momento così difficile e doloroso si era illusa di vedere Shinichi, inconsciamente, si accorse, avrebbe voluto che fosse il suo amico d’infanzia a starle vicino allo stesso modo di Conan. Avrebbe voluto che fosse Shinichi ad abbracciarla, a offrirle il conforto e il calore necessari ad arginare le sue lacrime, ad accarezzarle delicatamente i capelli per calmarla.

Avrebbe voluto che fosse Shinichi a pronunciare quelle parole, a cercare di consolarla.

Avrebbe voluto che fosse Shinichi a guardarla con quegli occhi, così pieni di sofferenza e disperazione nel vedere le sue lacrime.

Avrei voluto…

Ma non era così. Ormai da molto tempo Shinichi l’aveva dimenticata, abbandonata a se stessa per seguire la sua carriera. Aveva sempre temuto che un giorno accadesse. Shinichi amava fare il detective più di ogni altra cosa al mondo…compresa lei stessa. Perché si era illusa di poter essere un’eccezione?

Cosa sceglieresti fra me e il tuo lavoro, Shinichi? Adesso lo so…basta mentire a me stessa…

Sorrise amaramente: il tempo in cui si era illusa veramente che lui preferisse lei era ormai passato...un po’ di paura c’era sempre stata, certo, paura di essere messa in secondo piano, di essere lasciata sola… ma ogni volta che lui la guardava con i suoi bellissimi occhi, che le sorrideva…si tramutava in completa fiducia in lui. Sapeva che Shinichi rivolgeva solo a lei quello sguardo, in cui si potevano scorgere attraverso il blu un affetto e una dolcezza indescrivibili, limpidi e chiari come il sole. Quando quel pomeriggio l’aveva guardata in quel modo, come se lei fosse la cosa più bella della sua vita, Ran non avrebbe potuto che dargli tutta la sua fiducia, senza timore, perché era impossibile non credere a quello sguardo così sincero, così ricolmo di qualcosa che non poteva che essere amore.

Purtroppo adesso tutto era cambiato; Shinichi non l’avrebbe più guardata in quel modo, ormai. Probabilmente i suoi sentimenti erano cambiati…e crescendo si era accorto che lei non era poi così fondamentale nella sua vita, ma qualcosa di cui avrebbe potuto fare volentieri a meno, finché c’era qualche delitto irrisolto in giro.

Così l’aveva lasciata sola al ritorno dal luna park, nonostante fossero nel mezzo di un appuntamento.

Così era ripartito subito dopo aver risolto il caso del diplomatico, senza nemmeno salutarla.

Così l’aveva abbandonata al tavolo di quel ristorante, nonostante l’avesse aspettato per quasi un’ora, senza nessuna spiegazione.

Sì…nel momento in cui avrebbe dovuto stare con lei era scomparso, ma era stato presente e affidabile durante tutto il tempo necessario per risolvere quegli omicidi. Dunque non c’era alcun dubbio su quale fosse stata la sua scelta, alla fine.  

I fatti lo confermavano: aveva rotto la promessa che le aveva fatto, mancando all’appuntamento nonostante avesse capito quanto fosse importante per lei. Non si era nemmeno disturbato a telefonarle per una qualsiasi giustificazione…

Strinse ancora più forte a sé Conan, mentre le lacrime continuavano a scendere. Era davvero rassicurante poterlo abbracciare…

“Grazie, Conan….di starmi vicino, almeno tu.” Disse fiocamente con voce arrochita dal pianto, parole cariche di riconoscenza e di dolore, allo stesso tempo. Il piccolo mormorò qualcosa e di scatto lei si staccò, scrutandolo con gli occhi umidi: Conan sorrise al suo sguardo perplesso, il solito, adorabile sorriso da bambino che le rivolgeva spesso, cosa che la calmò un poco e la spinse a pensare che probabilmente aveva capito male. Anche se c’era qualcosa di diverso rispetto alle altre volte in lui, la sua espressione non era poi così convincente, così infantile…c’era qualcosa che quasi le fece pensare che fosse una maschera il viso a pochi centimetri dal suo, una falsa apparenza che quella sera inspiegabilmente sembrava più debole, incrinata e poco credibile.

Sei una stupida Ran…la verità è che stasera più di ogni altra hai bisogno di credere nella tua illusione…per questo ti sembra di vedere ciò che vedi e ti è sembrato di aver sentito quelle parole…stupida idiota…no…il fatto che non voglio credere che Shinichi possa avermi tradito così non significa che devo trasformare la realtà a mio piacimento…non è giusto nei miei confronti e nemmeno in quelli del piccolo Conan…

“Ti voglio bene, Conan.”

Ancora una volta le sembrò di vedere uno squarcio sul viso del piccolo, quasi fosse stato trafitto dolorosamente dalle sue parole. Un’espressione di dolore e sofferenza mal celato da quel sorriso che restava nonostante tutto ancora poco credibile, ancora così falso.

“Anch’io, Ran-neechan.”

Ran gli sorrise e si asciugò le lacrime col palmo della mano, prima di baciarlo sulla fronte e di abbracciarlo di nuovo, stringendolo forte, accoccolandosi nel suo calore e continuando a scacciare dalla mente le parole che le era sembrato di aver sentito, sicuramente frutto del suo cuore ancora così maledettamente convinto che Shinichi non avrebbe mai potuto farla soffrire così, non volontariamente.  Quelle parole che fra i singhiozzi doveva aver frainteso, quel tono così caldo e sincero, carico di affetto e tenerezza.

“Ti amo, Ran.”

 

 

 

 Note dell’Autrice: oooohh….poveri i miei protagonisti!! Riusciranno ad essere felici prima o poi?? (non siate così sicuri che io lo sappia; fino a poco tempo fa ero convinta che avrei fatto funzionare l’antidoto, pensate un po’.)  Il capitolo è più corto del solito, ma è arrivato anche prima: dunque le cose si compensano, no?? ^ _ ~ Mi è piaciuto scriverlo e spero che per voi sia stato piacevole leggerlo, anche se devo ammettere che è piuttosto triste, soprattutto nella seconda parte. Per ora è andata così, andando avanti…si vedrà!! Spero comunque di non aver messo troppo in cattiva luce Ai: il fatto è che nel chap precedente avevo fatto trapelare il suo lato più dolce, e quindi in questo ho preferito far vedere… altri aspetti del suo carattere!

Yuki: bene, scampato pericolo!! Avevo paura di essere linciata da te a causa di quella scena!! ^^;  felicissima che la mia storia continui a piacerti e ti ringrazio tanto dei commenti che lasci. Mi spiace che proprio non riesco a farti piacere Ai...beh, direi che con questo capitolo non ho aiutato molto la situazione!!^^ Spero che ti sia piaciuto comunque.

Lili: stavolta sei seconda…va meglio? ^__^ Sei gentilissima a dire certe cose…ma d’altronde non possiamo mica pretendere che tutti lascino un commento appena ho postato la storia!! Anzi, ringrazio anche solo che lo facciano.^^; spero di aver risolto tutti i tuoi dubbi con questo capitolo, come vedi una buona parte è dedicata a Shinichi & Ran. (o a Conan & Ran, dipende dai punti di vista ^^). Per quanto riguarda Sonoko…non è un personaggio che mi piace particolarmente, quindi te la lascerei strozzare volentieri!! Vedrai, ci saranno altri spazi anche per la coppietta di Osaka in questa fanfic…

Mareviola: sì, anch’io mi sono divertita a scrivere la scena un po’ maliziosa fra Ai e Conan nello scorso capitolo!^__^ Sono contenta che tu abbia capito i sentimenti di Ran…credevo di non essermi spiegata bene! Ma leggi con attenzione anche il resto la prossima volta, okay?

Hoshi: vero! Io non vorrei mai trovarmi in una situazione così (il tuo ragazzo che scompare chissà dove e non torna nemmeno se glielo chiedi in ginocchio! Ma che razza di relazione ci puoi costruire??) ma il povero Shinichi purtroppo non può farci niente! Sono contenta che tu abbia preso piuttosto bene la scena fra Ai e Conan (sono sincera: ero particolarmente preoccupata delle reazioni tue e di Yuki ^^;) e spero anche di non fartela odiare ancora di più dopo questo capitolo. Cosa ne pensi?

Ginny85: lo so!! ^//^ quella scena piaceva molto anche a me e non vi avrei rinunciato per nulla al mondo!! Sì, hai centrato il bersaglio, ho scritto quella parte proprio per far capire di più la personalità della piccola scienziata…almeno da come la vedo io! Ai mi piace proprio perché è un personaggio complesso e enigmatico: un momento prima ti viene da dire “Che carina! Ha dato l’antidoto a Shinichi per farlo stare con Ran!” e un momento dopo “Perché cavolo non gli ha detto che durava solo 24 ore??” (nd. Vol.26) Insomma, praticamente imprevedibile, ma allo stesso tempo è proprio questo che le conferisce fascino; ed è allo stesso modo che voglio renderla nella mia fanfic. Spero di stare facendo un buon lavoro! ^^; la scena fra Heiji & Kazuha anche mi piaceva, e hai ragione, ammetto di essere stata un po’ cattiva a interromperli sul più bello! Però non disperare: non è detto che, in futuro… Grazie mille del 10 e lode, come al solito sei carinissima!! Mi farai montare la testa!! ^//^ Aspetto con ansia la tua prossima recensione: voglio sapere cosa ne pensi di questo capitolo, e non trattenerti! Mi piacciono i commenti lunghi. La scuola…beh, sto perdendo ogni speranza di imparare lo spagnolo, ma a parte questo…se non sbaglio, dal tuo anno di nascita, deduco che hai fatto l’anno scorso gli esami di maturità. Io sudo freddo solo a pensarci!! O _ O Meno male che ancora ho un bel po’ di tempo prima di doverli affrontare!! (due anni, in effetti.)  Un bacio, a risentirci.

Shizuka: ma ad Ai piace Conan…non ne è innamorata, perché a mio parere è più un bisogno di protezione che amore (sai com’è, Shinichi è il primo ragazzo che sia stato gentile con lei, e per di più è pure carino…fai un po’ tu!) ma non credo che in questa ff abbia molte speranze, visto che è una Shinichi/Ran. Ma chissà, magari…alla fine questa ff è proprio come i composti della piccola scienziata: ha risultati imprevedibili anche per me che la scrivo!! Dunque tutto può succedere…sempre che due certe persone qui non mi uccidino… sì, Vermouth è piuttosto accattivante. (so cosa vi state chiedendo: c’è qualche personaggio di DC che non ti piaccia? Risposta: che odi nessuno, un po’ Sonoko…e i bambini, qualche volta.) e per quanto riguarda il suo attaccamento per Angel…non l’ho inventato io, è presente anche nel manga, in modo piuttosto equivoco anche lì. Non si capisce bene cosa esattamente voglia da Ran questa pazza…il mio punto di vista lo vedrai in seguito in questa ff.

Bene, questo è tutto per oggi; il chap 17 arriverà il prima possibile, ve lo prometto. Se intanto volete lasciare un breve commento ve ne sarei davvero riconoscente.

I riferimenti in questo capitolo sono presi dai volumi uno, dieci e ventisei di Meitantei Conan (scrivo in giapponese perché mi riferisco ai volumi nipponici). Per quanto riguarda la promessa che Shinichi ha fatto ad Ai…beh, nessun volume per quella. Compare da un'altra parte che credo qualcuno di voi dovrebbe ricordare…(Eh eh eh)

Un grosso ringraziamento anche a Wilwarind per il consiglio che mi ha dato riguardo alla ff; ero indecisa su un paio di questioni e lei mi ha aiutato a fare chiarezza. Thanks, Wil-chan! ^//^ L’opinione di una scrittrice eccezionale come te è un vero tesoro!

Ho davvero finito adesso.

Un bacio, al capitolo diciassettesimo!

-Melany

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Capitolo 17
*** Double Identity ***


Nuova pagina 1

17. Double Identity

Conan Edogawa sospirò, lasciandosi andare contro la parete della stanza, gli occhi chiusi; era stata una delle sere più terribili della sua vita. Scoprire che l’antidoto non avrebbe funzionato, osservare le lancette dell’orologio che avanzavano inesorabili e non poter fare nulla per fermarle, vedere l’ora dell’appuntamento arrivare e passare, lo sconforto e l’agitazione che crescevano a ritmo col tempo….ma soprattutto….

Pensare a Ran.

A quello che avrebbe provato, non vedendolo arrivare…al dolore che le stava provocando, deludendola per l’ennesima volta, abbandonandola senza poterle dare spiegazioni, ma solo bugie. Non era di questo che lei lo aveva accusato?? E non aveva avuto ragione?? Non faceva altro che ingannarla, prenderla in giro ogni giorno della sua vita. Ran era una ragazza speciale, che non meritava menzogne, ma il meglio…e lui voleva solo renderla felice, Dio se ci provava. Invece….

Non fa altro che piangere per colpa mia…

Se non altro lui aveva la possibilità di starle accanto, sotto le sue mentite spoglie, cosa che a lei era negata; aveva la fortuna di non essere mai lasciato solo, di poterla vedere ogni giorno, poter vivere momenti bellissimi insieme…di cui lei non ne sapeva nemmeno l’esistenza. Perché era il piccolo Conan che aveva con sé, non Shinichi. Questo la faceva soffrire….Ran stava male perché gli era affezionata, dunque era solo colpa sua, che stava lì a guardarla sciogliersi in lacrime senza muovere un muscolo, pur avendo la possibilità di farla stare meglio.

Solo colpa mia…

Sì, era stato a causa sua che lei aveva pianto fino a consumare le lacrime quella sera, che si era disperata. Essere abbracciato da lei non era mai stato tanto orribile….sentire il suo cuore che batteva forte, il petto scosso da singhiozzi, un corpo tremante che cercava conforto nella sua vicinanza, e essere consapevole di avere un fisico da bambino, minuscolo in confronto a quello di lei, non poterla stringere forte a sé per calmarla…le sue braccia arrivavano con difficoltà a cingerla completamente. Dunque come poteva mai darle protezione??

No, l’unica cosa che era stato in grado di fare era abbandonarsi al suo calore così dolorosamente piacevole, lasciarsi andare nel suo profumo, così maledettamente confortevole….lasciarsi stringere sapendo che non era veramente se stesso colui che lei stava abbracciando, la persona da cui lei voleva consolazione, ma un bambino inesistente, una sua invenzione, che pure riusciva a starle vicino meglio di quanto facesse Shinichi Kudo. Lentamente, ma inesorabilmente, Ran stava cominciando ad amare di più Conan che Shinichi. E come non avrebbe potuto?? Conan era sempre lì, vicino a lei quando ne aveva bisogno, sempre pronto a farla sentire meglio, a consolarla se piangeva, ma anche a metterla di buon umore; Shinichi invece non faceva altro che illuderla, ferirla, deluderla, farla soffrire e disinteressarsi di tutto ciò che la riguardava, tornando da lei quando gli faceva comodo e andandosene senza curarsi del fatto che lei ci sarebbe stata male, messa di nuovo davanti alla sicurezza di non vederlo per mesi, se non di più. Conan diventava sempre più importante e Shinichi sempre più…sacrificabile, in un certo senso. Poiché Ran non avrebbe aspettato in eterno una persona che sembrava non curarsi affatto di lei.

Rise, una risata che non aveva nulla di allegro, che metteva i brividi solo a sentirla: non era ridicolo essere geloso del proprio alter-ego??

Assurdo…..e ingiusto….sono sempre io in fondo…e io sono Shinichi non Conan…..

Sì, era Shinichi….ma per quanto volesse negarlo a se stesso, era anche Conan. Non avrebbe mai potuto recitare per così tanto tempo un ruolo che non aveva niente di sé….molte delle qualità di Shinichi risiedevano in Conan, ma d’altra parte c’erano anche varie differenze fra loro. Era una cosa strana, folle, per certi versi, e non aveva senso. Ma d’altronde, tutta la sua situazione non aveva senso, quindi…

Avere vicino Shinichi è quello che vuole….per adesso almeno….ma se Conan continua a starle accanto proprio come farebbe lui…verrà il giorno in cui capirà che le qualità che amava in Shinichi le possiede Conan e dunque…potrebbe innamorarsi di qualcuno diverso…perché finché il suo fratellino le resta accanto che importa di Shinichi? Tanto più che adesso lui è cambiato…

Di nuovo quella risata triste, priva di calore. Cominciare a parlare di se stesso in terza persona non era un buon segno, ma parlare addirittura come se fossero due terze persone…era decisamente allarmante.

Comunque, restava il fatto che Ran si era chiusa in camera da quando erano tornati da casa sua, rifiutandosi di mangiare e di parlare. Non si erano detti una parola durante il tragitto, lei si era limitata a sorridergli tristemente e a baciarlo sulla fronte prima di staccarsi dal suo abbraccio e dirigersi verso la porta. Un bacio così dolce e carezzevole che gli aveva strappato un brivido…avrebbe tanto voluto che fosse davvero lui quello che aveva toccato con le sue labbra…invece lei lo odiava. L’aveva urlato a quelle pareti che li avevano visti crescere insieme, all’interno delle quali avevano vissuto tantissimi momenti…quel luogo di cui conservava bellissimi ricordi era diventato custode di un segreto terribile, che lui, da bravo detective quale era aveva scoperto. E ascoltando quelle parole cariche di frustrazione e rabbia pronunciate dalla voce della persona che amava, qualcosa si era spezzato dentro di lui, lasciandolo scosso e….spaventato.

Sì…aveva vissuto una vita insieme a lei…diciassette anni che si conoscevano e mai si erano divisi…Ran era sempre stata vicino a lui, qualsiasi cosa succedesse…il suo affetto –amore?- era sempre stata una certezza, un qualcosa che era sicuro avrebbe sempre avuto, nonostante tutto…qualcosa che non era disposto a perdere. Non aveva mai nemmeno immaginato cosa ne sarebbe stato di lui se un giorno lei avesse smesso di considerarlo speciale.

Adesso che quella possibilità stava divenendo sempre più reale non poteva fare a meno di sentirsi completamente perso.

Vivere sapendo di non averla…di essere odiato da lei…no non può essere non voglio perderla…no…Ran ti prego…non farmi questo…

Il problema però era che lui l’aveva fatto a lei. O almeno era quello che la sua amica d’infanzia credeva. Dio, avrebbe tanto voluto dirle la verità…lo desiderava così tanto, vedendo le sue lacrime, poterle urlare a pieni polmoni: “No Ran!! Smettila di disperarti!! Io sono qui e non ti ho mai abbandonato!!” ma era stato zitto. In silenzio, perché tutto sommato poteva sopportare di essere odiato da lei, se questo serviva a salvarle la vita…perché farla uccidere per colpa sua era di gran lunga peggiore che saperla viva ma non poterle stare vicino….perché preferiva vederla vivere piuttosto che trascinarla giù con sé, per puro egoismo. Ma soprattutto perché l’amava.

Tuttavia, come gli aveva ricordato un amico poco prima, era pur sempre umano: così quella sera era stato un pessimo attore, davvero; sperava che lei se ne accorgesse, nel profondo del cuore…che lei vedesse in lui e capisse, così non sarebbe stata colpa sua, se avesse dovuto spiegarle tutto, no. Così, per quanto il suo cervello avesse ordinato alle labbra di restare serrate, quelle avevano obbedito al cuore, pronunciando due parole, così profonde, fatali. Parole che lei aveva udito, ma a cui non aveva voluto credere. E adesso, chiuso in quel bagno, in piedi, la schiena contro le piastrelle di ceramica e gli occhi ancora chiusi, non poteva fare a meno di esserne sollevato: l’Organizzazione, che sembrava così lontana e astratta in quel momento, dove per lui non esisteva niente e nessuno all’infuori della sua Ran in lacrime, che l’abbracciava, era tornata in tutta la sua pericolosa concretezza non appena lei aveva sciolto il suo abbraccio. No, non poteva coinvolgerla in tutto questo. Era stato troppo già quello che era accaduto quel giorno…non poteva permettere che succedesse ancora, che lei dovesse affrontare un’altra volta quei due e i loro pari.

Tutto sommato, era stato meglio così.

Aprì gli occhi di scatto, trovandosi davanti quella orribile situazione a cui fino adesso aveva voluto sfuggire, davanti a cui si era trovato inevitabilmente.

Lo specchio.

Sì, quel maledetto affare che rifletteva solo l’apparenza, che l’aiutava nel difficile compito di nascondere la vera realtà. Batté le palpebre, e vide Conan Edogawa, senza i suoi occhiali, fare lo stesso. Distese un  braccio, fino a toccare la superficie fredda, e le due piccole mani si congiunsero, perfettamente uguali. Sorrise, inarcando le sopracciglia:

“Ti odio, lo sai, sì?”

Sussurrò malevolo, l’altro ghignò di rimando.

“Ma credo di doverti ringraziare, in un certo senso.” sospirò, ritraendo la mano e voltandosi per uscire. Prima però rivolse un’ultima occhiata allo specchio, guardando se stesso da sopra la spalla:

“Non dimenticarlo, però…un giorno…” chiuse la mano a pugno, lasciando distesi solo indice e pollice a L e puntando contro di lui:  “…un giorno…mi sbarazzerò di te. Per sempre. Ti do la mia parola.” Chiuse un occhio e fece partire il colpo inesistente, lasciandosi alle spalle lo specchio e il bagno stesso.

L’abitazione era immersa nel buio e silenziosa, se si escludeva il russare di Kogoro, che attutito dalle pareti somigliava più al suono di una radio mal sintonizzata. Shinichi emise un sospiro rassegnato ed evitò di entrare nella stanza che divideva con l’investigatore: avrebbe voluto addormentarsi al più presto, così il nulla dell’incoscienza avrebbe spazzato via il dolore e l’angoscia che stava provando, ma con il concerto gratuito di Kogoro la cosa era pressoché impossibile. Forse avrebbe potuto accucciarsi sul divano, cercare di prendere sonno lì…

Si stava dirigendo verso il salotto quando si accorse che la porta della stanza di Ran non era completamente chiusa; stette per un attimo a fissarla, indeciso sul da farsi…chissà se lei era ancora sveglia. La stanza era avvolta nell’oscurità, e non sentiva nessun rumore.

Potrei dare una sbirciata…solo per vedere come sta…

Entrò con cautela nella camera, togliendosi le pantofole per non far chiasso; con gli occhi ormai abituati al buio, si avvicinò al letto e riconobbe su di esso il corpo di Ran, che giaceva addormentata, il respiro lento e regolare; anche se il suo dolce profilo era illuminato solamente dalla pallida luce della luna che faceva capolino attraverso le tende, Conan riusciva a vederla perfettamente: i vuoti prodotti dall’oscurità erano colmati dalla sua memoria. In fondo, quella era la sua amica d’infanzia, la ragazza che conosceva meglio di chiunque altro, anche di se stesso, e non solo nell’aspetto… il suo grande amore, l’unica con cui aveva pensato di poter mai dividere la sua vita, per sempre.

Avrebbe voluto perdersi nella contemplazione di lei. Restare lì a guardarla dormire per tutta la notte…era sicuro che non avrebbe mai potuto stancarsi.

Ma il suo occhio così attento ai particolari, la sua mente allenata alla deduzione non poterono non accorgersi che non era un sonno pacifico, il suo. I suoi occhi erano gonfi, ed era sicuro che, se li avesse aperti, sarebbero stati rossi; passando delicatamente un dito sul cuscino lo scoprì bagnato di quelle che non potevano che essere lacrime; e quello che indossava non era il pigiama, bensì l’abbigliamento che le aveva visto all’appuntamento, nascosto dietro quell’albero. Sospirò silenziosamente, attento a non svegliarla. Le scostò con dolcezza una ciocca di capelli bruni che le era finita sul viso, accarezzandole la lunga e bellissima chioma con una tenerezza che avrebbe stupito chiunque.

Ran…quanto ti amo…ti prego non odiarmi…non lasciarmi solo…

“Sono qui, Ran, come volevi. Restiamo insieme, ti va?” mormorò, senza smettere di accarezzarla, lei non batté ciglio, immersa in quel sonno profondo che grazie al cielo le aveva donato un po’ di tranquillità. Le sorrise dolcemente, issandosi sul letto e accoccolandosi contro di  lei, rubandole un po’ del suo calore, chiudendo gli occhi e sentendosi benissimo, raggomitolato vicino al suo corpo. Il calore che lei gli stava donando era così grande che non aveva bisogno di ricorrere alla coperta.

“Buonanotte, amore mio.” Sussurrò, aprendo un attimo gli occhi e arrossendo vedendo il suo viso a pochi centimetri, per poi richiuderli subito. In passato, solo il fatto di dormirle accanto gli sarebbe costato una notte insonne. Ma adesso…il gelo interiore che aveva provato sentendo le sue frasi cariche di disprezzo e di rabbia poteva essere curato solo da un calore altrettanto forte, che poteva donarle solo lei, con la sua presenza.

In fondo non stava facendo nulla di male….e poi…una cosa che faceva stare così bene come poteva essere sbagliata?

Non ci volle molto perché si addormentasse. La giornata era stata pesante, era stanco sia fisicamente che moralmente. Coccolato dal suo tepore, dal suo soffice respiro, dal profumo del suo corpo si addormentò piacevolmente, ed entrambi dimenticarono i loro problemi, almeno per quella notte.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Stava piangendo. Non ricordava bene il motivo, ma inspiegabilmente, mentre camminava con alle spalle un tramonto aranciato, non poteva fare a meno di singhiozzare.

“Ehi, la vuoi smettere di piangere…” la esortò la voce di qualcuno che non poteva vedere, gli occhi coperti dal dorso della propria mano che asciugava le sue lacrime.

“…ti conviene dimenticare tutto al più presto. Queste sono cose che succedono spesso….” Continuò la voce.

Ma come spesso!! Non mi sembra proprio!!” finalmente alzò la testa infuriata e poté vedere davanti a sé il viso del suo amico d’infanzia, sorridente e spensierato come lo ricordava. Dunque era con lui….non sapeva perché, ma aveva come l’impressione che avrebbe dovuto…aspettarselo.

Shinichi era diventato improvvisamente serio e guardingo. Tuttavia, quando si rivolse di nuovo a lei, ancora in preda ai singhiozzi, le sorrise e strizzò l’occhio.

“Scusami Ran! Tu va avanti!!” gridò, cominciando ad allontanarsi, sicuro di sé come al solito.

“Cosa?” replicò sorpresa.

“Ti raggiungo subito!!” disse, senza bloccare la sua corsa.

Improvvisamente, guardandolo allontanarsi, sentì crescere dentro di sé ansia e preoccupazione, oltre ad un brutto nodo allo stomaco; capì che, in qualche modo, quelle sensazioni la stavano avvertendo di qualcosa…e guardando l’immagine del suo amico d’infanzia svanire a poco a poco, un vuoto gelido s’impadronì del suo corpo, una sensazione di solitudine, di freddo…come se non avesse più avuto la possibilità di parlargli. Interno a lei era buio. Comprese che stava per essere abbandonata, per sempre…inspiegabilmente, seppe con sicurezza che Shinichi non l’avrebbe raggiunta, né subito, né più tardi. Lei era inerme, osservava la scena incapace di reagire, se non osservando il suo amico d’infanzia allontanarsi sempre di più da lei, spaventata, di nuovo desiderosa di piangere.

“SHINICHI!!” gridò finalmente, cercando di corrergli dietro. Ma le gambe erano così pesanti, non riusciva a muoversi…e Shinichi non l’aveva udita. Era sola, adesso.

“Shinichi!! Per favore…non andare via…non abbandonarmi!! Ti prego!” stavolta scoppiò davvero in lacrime, cadendo sulle ginocchia, il viso fra le mani. Perché, perché non si era fermato?? Perché non gli era corsa dietro, non l’aveva bloccato?

Come aveva potuto permettergli di lasciarla sola…..come aveva potuto lui lasciarla sola??

“Sei uno stupido, Shinichi…perché te ne sei andato via da me?”

“Non l’ho fatto.”

Sobbalzò, ricevendo una risposta alla domanda che non ne richiedeva. I singhiozzi si placarono un poco, ma non scomparvero del tutto, mentre si tamponava gli occhi chiusi col dorso della mano.

“Sì che l’hai fatto…mi hai abbandonata…Come hai potuto, Shinichi?? Io credevo…” singhiozzò “…credevo davvero che tu mi amassi…ho sbagliato?”

“No.” Rispose pacato “Io ti amo, Ran. Lo sai bene, te l’ho detto. E sai anche, sebbene per te adesso sia difficile crederlo, che non ti abbandonerei mai. Per nulla al mondo. Nemmeno per il mistero più intricato di questo mondo…” 

“Ma…ma tu…” aprì gli occhi e di nuovo sussultò, ritrovandosi davanti non Shinichi, bensì il piccolo Conan-kun, un’espressione dolce sul visetto e gli occhi azzurri che la fissavano con uno strano sguardo, che non aveva nulla di infantile.

“Sono sempre rimasto con te, Ran. È solo che tu non riesci a vedermi. Un giorno lo capirai…” le sorrise, voltandosi a sua volta per andar via.

“Conan!! Non andartene anche tu!! Ti prego!” tese un braccio verso il piccolo, che voltò la testa, lentamente:

“Devo, Ran. Guarda lassù….” Indicò il cielo avvolto nelle tenebre più fitte, dove volavano minacciosi un gruppo di corvi neri come il sangue di notte. “…è arrivato il momento di affrontarli. Non posso più tirarmi indietro…” il sorriso si fece triste, il suo volto aveva un’espressione spaventata e determinata allo stesso tempo.

Uno dei corvi rivolse a lei gli occhietti iniettati di sangue, guardandola minaccioso e facendole venire un brivido. Le sembrava di conoscerlo…quello sguardo freddo e crudele…lo sguardo di un assassino. La paura la spinse a parlare:

“NO! È pericoloso…potresti….”

“Lo so.” Annuì il piccolo, che non aveva più nulla di un normale bambino. “Ma devo. Non preoccuparti, Ran…tornerò da te, te l’ho promesso. L’unica cosa…ti prego…” Batté le palpebre, e di nuovo Shinichi le sorrideva guardandola con i suoi bellissimi occhi blu, carichi di triste rassegnazione, ma allo stesso tempo custodi di un ultimo focolaio di speranza, che aveva bisogno di essere ravvivato da lei. “…non smettere di aspettarmi. Non odiarmi, amore mio.”

Aprì la bocca per dire qualcosa ma una luce abbagliante squarciò l’oscurità….

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*   

 

Strizzò gli occhi, infastidita dalla luce del sole che entrava dalla finestra, e con un mugolio scocciato si rigirò dall’altra parte, notando distrattamente che la coperta opponeva una certa resistenza a seguire il suo movimento. Non aveva idea di che ore fossero, ma dato che la sveglia non aveva ancora suonato confidò nel fatto che fosse ancora troppo presto per alzarsi e andare a scuola. Non riusciva a capire il perché, ma si sentiva stranamente inquieta, uno fastidioso peso alla bocca dello stomaco e un senso di allarme nella testa. Poi, le riaffiorarono alla mente alcuni tratti del suo sogno, prima in modo confuso, poi sempre più nitidamente…e all’improvviso si sentì spaventata e a disagio proprio come lo era stata la sua proiezione nell’incubo.

Ho ricordato quel giorno al Tropical Land…ma poi tutto è stato diverso e…inquietante….

Rabbrividì, raggomitolandosi sotto le lenzuola. Era stato solo un brutto incubo…nient’altro. Ciononostante…sembrava tutto così…e anche il pericolo…la paura…così….reali….

Non essere stupida Ran…non sei un po’ cresciuta per farti spaventare da un brutto sogno? Ci manca solo che vai a dormire con papà adesso…

Eppure…

Eppure si sentiva a disagio. Quei corvi…non capiva cosa mai potessero significare, ma la spaventavano più di quanto volesse ammettere. E poi c’era l’altra parte…

Shinichi…e Conan…

Non ricordava bene cosa fosse accaduto. Sapeva solo che aveva parlato con entrambi, ma non riusciva a realizzare cosa esattamente si fossero detti. Mentre ancora si sforzava di penetrare la nebbia mentale, sentì uno strano grugnito accanto a sé che la fece sobbalzare. Si alzò di scatto a sedere, voltandosi e fu con gran sorpresa che vide l’oggetto dei suoi pensieri dormire placidamente vicino a lei; il pigiama che gli stava un po’ largo e i capelli arruffati gli donavano un aspetto semplicemente adorabile.

Sorrise, guardandolo dolcemente e posandogli un bacio sulla guancia, lieve come una carezza. Conan sbuffò e si voltò su un fianco, cosa che la fece ridere: eh sì, proprio adorabile.

Era riconoscente al bambino per quello che aveva fatto la sera prima; le era stato di grande aiuto. Conan aveva questa strana capacità, di tirarle su il morale ogni volta che era triste…anche se in qualche modo volgeva sempre a favore di Shinichi. Era come se fosse perennemente dalla sua parte…

“…con te, Ran. Solo che tu non riesci a vedermi…”  

Strizzò gli occhi, la testa pulsava. Cosa era quel pensiero?? Non riusciva a contestualizzarlo…

Scrollò le spalle, si tirò indietro una ciocca di capelli finitale sugli occhi e scese giù dal letto per andare in bagno, rabbrividendo quando i piedi nudi toccarono il pavimento freddo. Si sentiva ancora triste e abbattuta, e guardandosi allo specchio notò che aveva gli occhi arrossati e gonfi. Avrebbe tanto voluto che Shinichi non avesse infranto la sua promessa, ottenendo lo stesso risultato sul suo cuore.

Tornerò da te, te l’ho promesso…”

La voce di nuovo invase il suoi pensieri. Ma perché non riusciva a ricordare tutto in una volta?? Chi aveva pronunciato quelle frasi, Shinichi, Conan? E perché? Scrollò le spalle, scocciata. Non aveva intenzione né di rimuginare tutto il giorno su quello stupido incubo né di struggersi per quell’idiota a cui non importava nulla di lei. Avrebbe preparato la colazione, poi sarebbe andata a scuola come tutti i giorni. Non gli avrebbe permesso di farla soffrire ancora, no. Avrebbe ignorato quel dolore all’altezza del petto e avrebbe dimenticato lui…

“Non odiarmi, amore mio.”

“Non so di cosa parli.” Replicò freddamente alla voce nella testa, cominciando a lavarsi il viso.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Buongiorno, Conan-kun!” lo accolse allegramente quando si presentò in salotto per la colazione. Si era vestito, pettinato e aveva inforcato gli occhiali, ma era comunque molto tenero, pensò Ran mentre gli sorrideva, porgendogli la scodella con il riso. Kogoro, che era già a tavola, borbottò a sua volta il suo buongiorno, accingendosi a consumare il pasto con gli occhi socchiusi; era sempre di cattivo umore, la mattina presto.

“Dormito bene tutti e due?” chiese Ran serena, togliendosi il grembiule e sedendosi a sua volta. Voleva che capissero –credessero- che era tutto a posto, non dovevano preoccuparsi per lei. Conan arrossì lievemente, il padre annuì, la bocca occupata dal riso.

“Conan…hai trovato comodo il mio letto?” disse sorridendo, mentre al piccolo andava di traverso un boccone ed era costretto a bere un bel po’ di tè caldo per mandarlo giù. Kogoro spalancò gli occhi e sputò qualche chicco di riso sul tavolo:

“Come sarebbe a dire?? Ha dormito con te?” e con questo lanciò un’occhiata torva al bambino, che gliene restituì una piuttosto allarmata prima di mormorare, rosso in viso: “Uh, ehm… non riuscivo a dormire….ehm…tu russavi e così…”

“Cosa?? Io non russo, moccioso.” Ribatté, senza smettere di fissarlo in malo modo.

“Dai papà, che male c’è se per una volta tanto ha dormito con me? È un bambino!” disse, e le sembrò che Conan rabbrividisse quanto pronunciò le ultime tre parole, a disagio. Un po’ come era accaduto quando in quella pensione aveva fatto il bagno insieme a lui…

“Conan-kun, puoi venire a dormire con me tutte le volte che vuoi.” Gli concesse sorridendo, lui rispose goffamente al sorriso annuendo, sempre molto rosso. Che dolce…come se non sapesse che era andato nel suo letto perché era sconvolto nell’averla vista così triste la sera prima…caro piccolo Conan-kun…di sicuro non voleva lasciarla sola. 

“E siccome sei stato così carino con me, prima uscendo per comprare il pane ti ho preso una cosa dal distributore vicino all’alimentari.” Gli disse con un sorriso dolcissimo, frugandosi nelle tasche e tirando fuori una pallina colorata: “È una biglia di Masked Yaibar…è il tuo cartone animato preferito, no?”

Conan fissò per un momento la pallina che aveva in mano, tutto fuorché entusiasta come aveva creduto di renderlo col regalo, poi sorrise a sua volta. “Grazie mille, Ran-neechan!” disse contento con la sua vocetta adorabile.

“E tu? Come stai stamattina?” chiese il padre col solito tono burbero, ma Ran capì che doveva essere sinceramente impensierito per lei, dopo lo stato in cui era rientrata la sera prima.

“Tutto okay, papà. Avrei dovuto aspettarmelo, da quell’idiota…” rispose tranquilla, controllando efficacemente la voce. “Non è affidabile…l’unica cosa che gli interessa sono le sue indagini. Almeno non devo preoccuparmi che possa avere un’amante…chi lo sopporterebbe?” rise con affettazione, Conan la osservò in tralice, con quegli occhi a cui sapeva non sfuggiva nulla, nemmeno il più piccolo particolare.

“Ma lascialo perdere, dammi retta. E poi sei ancora una bambina…avrai tempo per gli uomini finita l’università, figliola.” Concluse Kogoro, fissandola speranzoso.

“Non credo proprio, papà.”

“Hmph.”

Il resto della colazione passò tranquillamente, senza particolari conversazioni. Finito di mangiare Ran prese per mano Conan e uscirono diretti verso la scuola, come ogni giorno.

Non devo lasciarmi andare…non posso permettergli di rovinarmi la vita…anche se…

“R-Ran-neechan..?”

…non posso credere che mi abbia fatto questo…

“Ran..?”

“Sì?” sussultò, rispondendo all’appello del bambino con un sorriso stentato. Lui la guardava con gli occhi azzurri improvvisamente seri e preoccupati. Cavoli…Conan doveva essersi accorto della sua espressione crucciata; a volte era davvero una seccatura che non gli sfuggisse proprio nulla.  

“……Sicura che vada tutto okay?”  domandò con voce flebile, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di lei, quasi stesse cercando di leggerle dentro.

No piccolo…niente è okay…Shinichi mi ha lasciata sola…e io non sto per niente bene…vorrei tanto che fosse con me…

Si rabbuiò un momento, ma subito riprese a fingere: Conan si era preoccupato abbastanza la sera prima, doveva smetterla di scaricargli addosso tutti i suoi problemi. Sperava che almeno la sua esitazione fosse passata inosservata ai suoi occhi attenti.

“Certo!! Davvero, avrei dovuto aspettarmelo da Shinichi. Sono io quella che si è illusa…adesso l’ho capito. Lui è fatto così…un fissato per le indagini!”

“Sì ma…allora…è…è proprio vero che lo odi?” chiese con una vocetta piccola piccola. Ran inarcò le sopracciglia, guardandolo perplessa: non era il fatto che lui l’avesse udita a metterla a disagio, -anche se in fondo al cuore inspiegabilmente avrebbe voluto che non fosse così- ma piuttosto…la sua domanda…l’aveva messa in crisi. Non sapeva cosa rispondere esattamente, perché ancora non sapeva lei stessa se davvero lo odiasse o no.

L’ho detto in preda alla rabbia…ma…adesso…non so…se ne sarei in grado…

Conan continuava a fissarla, le sopracciglia inarcate, gli occhi blu che non smettevano di scrutarla attentamente, nemmeno quando batteva le palpebre.

Odiare Shinichi…forse potrei anche riuscirci se ci provassi…ma…è davvero questo che voglio?

Stavolta non riuscì a fingere, le parole sfuggirono alle sue labbra prima che potesse fermarle:

“Sinceramente, Conan, non lo so.”

Vide che lui stava per dire qualcosa, ma si bloccò quando tre voci chiamarono il suo nome. Internamente ne fu sollevata suo malgrado: Conan a volte riusciva davvero a metterla in difficoltà.  

Il bambino si voltò, distogliendo finalmente lo sguardo da lei, e vide Ayumi, Genta e Mitsuhiko che gli sorridevano e lo attorniavano, come al solito. Ran sorrise al quartetto:

“Ciao a tutti. Siete venuti incontro a Conan-kun?”

“Sì!!” rispose Ayumi con entusiasmo.

“L’altro ieri sei scappato via da scuola…vogliamo conoscere tutti i dettagli!” aggiunse Mitsuhiko rivolto all’amico, che sorrise in modo poco naturale.

“Beh, visto che stai con i tuoi amichetti, io posso andare! Ci vediamo dopo, okay?”

Sventolò la mano in segno di saluto e si allontanò, inspiegabilmente più tranquilla di non avere più gli occhi del bambino puntati nei propri.  

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Conan sbadigliò, asciugandosi una lacrima che era sfuggita alle sue ciglia e ignorando completamente il foglio che aveva davanti e su cui i suoi compagni si stavano concentrando. Aveva altro a cui pensare: a prima vista, Ran sembrava aver dimenticato l’accaduto e ripreso la sua vita di sempre; ma lui sapeva che non era così. La conosceva troppo bene per credere alla sua recita, sapeva che stava ancora male per quello che era successo, ma che cercava in qualche modo di reagire, sia per se stessa che per gli altri. Ammirava questa sua forza…

Vorrei poter fare qualcosa per te…

Avrebbe potuto telefonarle; solo che…non era quello che lei si aspettava da lui. E se avesse peggiorato la situazione?

“Vorrei incontrarti. Voglio parlarti di persona, non attraverso il telefono.”

Era quello che lei gli aveva chiesto. Non si aspettava che abbandonasse il suo caso, non gli ordinava di tornare per sempre a Tokyo. L’unica cosa che voleva era parlare con lui…perché non riusciva ad accontentarla nemmeno per una cosa tanto semplice e banale?? Poteva capirla, se si sentiva ferita e abbandonata. Comunque, doveva cercare di fare qualcosa al più presto: se da una parte sentire dalle sue labbra che ancora non sapeva se lo odiasse o no l’aveva sollevato, dall’altro l’aveva messo in agitazione. Anche solo il fatto che lei stesse considerando questa possibilità lo faceva star male.  

Dunque, si disse, avrebbe dovuto al più presto farle capire quanto l’adorava. Così forse, forse lei lo avrebbe perdonato…

Sospirò, cercando di ignorare il nodo che premeva sul ventre e concentrandosi sul foglio: sottrazioni, divisioni a più cifre, moltiplicazioni…la lettura gli costò un ennesimo sbadiglio, mentre gli occhi si riducevano a due fessure.

Si accorse di stare sudando e cominciò a sventolarsi con un lato del foglio, sbuffando in modo da scompigliarsi la frangetta: faceva piuttosto caldo, lì dentro; capiva che era inverno, ma con le finestre chiuse e i termosifoni al massimo sembrava di stare in un forno.

“Maestra, si potrebbe aprire una finestra per favore?” chiese educatamente, alzando la mano. L’insegnante lo guardò perplessa, sbattendo un paio di volte le ciglia prima di rispondere:

“Mi dispiace Conan, ma non credo sia una buona idea. I riscaldamenti sono già bassi, se aprissi una finestra potreste prendervi un brutto raffreddore.” Gli sorrise e tornò alle sue carte.

Stavolta fu il suo turno di guardarla confuso.

BASSI!?

Posò prudentemente una mano sul termosifone più vicino e si accorse con stupore che l’insegnate aveva ragione. Dunque perché stava letteralmente grondando di sudore? Si asciugò la fronte con la mano, ancora un po’ perplesso, poi     

cominciò a scribacchiare qualche numero sul foglio qua e là, senza entusiasmo, finché una strana sensazione di freddo lo colse al lato. Improvvisamente, si sentì a disagio. O meglio…osservato. Voltò lentamente la testa, cercando di farlo sembrare un gesto casuale, e come previsto ritrovò la sua immagine riflessa in due profondi occhi azzurri, gelidi e imperscrutabili, come una superficie di cristallo. Lo guardavano, o meglio, lo scrutavano, senza neanche un remoto brillio di calore o di qualsiasi sentimento.

Ai Haibara.

La ‘frequentava ’ ormai da un bel po’, e si potrebbe pensare che a questo punto dovesse essere abituato ai suoi atteggiamenti, ai suoi modi. O almeno così avrebbe potuto pensare una persona che non aveva mai avuto a che fare con Ai Haibara; dubitava che una ragazza come lei si potesse veramente conoscere; nonostante avesse una certa esperienza in materia di misteri, lei restava perennemente una domanda a cui non sapeva dare risposta, una porta verso l’ignoto che avrebbe potuto portarlo dovunque. Quando si accorgeva che era in procinto di parlargli, subito i suoi sensi si attivavano, in allerta, pronti ad affrontare qualsiasi cosa. Sì perché qualsiasi cosa era l’espressione giusta per definire ciò che sarebbe potuto venir fuori dalla bocca della scienziata. Una minaccia, una raccomandazione, una dimostrazione di quel suo strano senso dell’umorismo? Chissà, magari nessuna delle tre. Non comprendere qualcosa l’aveva sempre infastidito, e lei non faceva eccezione, ma tutto sommato riusciva a sopportarlo bene. In fondo, per quanto strana, Ai era una persona, e non un caso; e lui era un detective, non uno psicologo.

Inoltre, a suo modo…era intrigante.

Si accorse di stare per arrossire e subito si diede uno scossone mentale. La biondina era attraente, non lo metteva in dubbio, ma decisamente non era il suo tipo. Stare insieme ad Ai non gli donava tutte le meravigliose sensazioni che gli dava la compagnia di Ran…spesso lo lasciava totalmente indifferente. Tuttavia, non poteva davvero paragonare i due rapporti: ciò che lo legava a Ran era un sentimento profondo, che era nato e cresciuto insieme a loro, evolvendosi man mano che diventavano adulti; un affetto speciale e particolare che si era tramutato in amore, del più sincero e leale.

Il legame che aveva con Ai…era basato sull’enorme debito che ognuno di loro aveva nei confronti dell’altro,

Sebbene il suo non sia nemmeno paragonabile al mio…

e allo stesso tempo sulla necessità l’uno dell’altra. Un gioco di equilibri che si sarebbe potuto spezzare in qualsiasi momento, di cui entrambi erano a conoscenza, ma che entrambi fingevano non esistesse.

Perdendosi in queste considerazioni non si rese conto di essere rimasto a fissarla imbambolato per più di due minuti. Improvvisamente sussultò e voltò di nuovo la testa, seccato da quella mancanza causata dalla mente intorpidita dalla noia e dal sonno, non prima però di essersi accorto dello strano sorriso che aveva increspato le labbra della biondina, in un misto di scherno e presunzione. Sbuffò, concentrandosi su quello sciocco compito di matematica e cercando di ignorare le occhiate e le risatine sotto i baffi della sua compagna di banco,  che gli fecero ardere fastidiosamente le guance dall’imbarazzo.

Di solito non riusciva a capirla, ma era abbastanza sicuro che questo non gliel’avrebbe fatto dimenticare presto.

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Ai…” Esordì, avvicinandosi a lei durante la ricreazione. La biondina alzò gli occhi dalla rivista scientifica che stava leggendo, sorridendo in modo poco rassicurante, mentre i tre bambini davanti a loro stavano decidendo la divisione in squadre per la partita di baseball. 

“Cosa posso fare per te, Conan-chan?” rispose con una voce dolce che non le si addiceva per niente. Conan sbuffò, infastidito dal nomignolo, mentre Ayumi puntava i suoi occhioni color nocciola su loro due, la fronte aggrottata.

“Devo parlarti. Da solo.” Sottolineò, a bassa voce, Ai annuì serenamente e si avviò verso il retro del cortile, mentre Conan lasciava andare l’ennesimo sbuffo scocciato e la seguiva.

“Conan-kun…la partita!” gridò Mitsuhiko alle sue spalle. Ayumi continuava a guardarlo, improvvisamente triste.

“Sì, adesso arrivo! Iniziate voi!” rispose, lanciando un’occhiata ai tre da sopra la spalla.

Hmph…tanto faccio sempre l’esterno…ovvero il raccattapalle…ma perché non possiamo giocare a calcio qualche volta?

Seguì la biondina finché non furono al riparo dalle innocenti piccole orecchie dei loro compagni di scuola; una volta lì si infilò le mani in tasca appoggiando la schiena al muro, mentre lei incrociava le braccia e lo osservava con uno dei suoi soliti sguardi ambigui.

“Come ti senti?”

Sarebbe potuto sembrare un tono casuale a chiunque, ma lui naturalmente non era chiunque: Ai lo stava guardando un po’ troppo attentamente, quasi volesse fargli un check-up completo con lo sguardo.

“Uff…bene, perché?” domandò incuriosito, dimentico del discorso che avrebbe voluto fare.

Ai si strinse nelle spalle. “Così, per fare conversazione.”

Oh certo…Ai Haibara che vuole fare conversazione…e domani io vado a segnarmi a una scuola di balletto…

“Avanti, dimmi perché non dovrei sentirmi bene!” replicò seccato.

“Dimmelo tu. Di che stai parlando?”

“Adesso non fare la finta tonta!”

“Va bene…ma solo se tu smetti di fissarmi imbambolato in classe, Kudo-chan.”

Era riuscita a farlo arrossire. Di più, sembrava che la sua faccia stesse andando a fuoco. E il sorrisetto che gli stava rivolgendo era decisamente troppo…dannata…

“Non montarti la testa.” Sbuffò, distogliendo lo sguardo e sentendola ghignare sommessamente, cosa tanto sorprendente quanto fastidiosa.

“Sicuro di non volere la mia foto?”

Sospirò frustrato, alzando gli occhi al cielo. Non riusciva proprio a vincere contro l’universo femminile, era sempre stato così.

“Allora? Come è andata ieri sera con Mouri?” chiese Ai indifferente, ma con una sfumatura divertita che non gli piacque affatto. Socchiuse gli occhi:

“Non preoccuparti…dimmi piuttosto, sei riuscita a scoprire cosa è andato storto con l’antidoto?”

Ai si strinse nelle spalle, passandosi una mano fra i capelli che, alla luce del sole, avevano dei riflessi stupendi color dell’oro. “È un farmaco sperimentale…è normale che spesso non funzioni.”

“Cosa c’entra, io non sono un esperto, ma credo che se tutti gli scienziati ragionassero così non si scoprirebbe più nulla.” Borbottò seccato. “Perché non ci riprovi?”

“Non è così semplice, Kudo. Credi davvero che starei ancora così se sapessi inventare l’antidoto al veleno? E poi, è troppo pericoloso. Non mi va di somministrarti qualcosa che potrebbe ucciderti.”

“Non ti sei fatta molti problemi di questo tipo quando hai inventato quel tuo stupido veleno che rovina la vita alla gente, mi pare!!” disse infuriato prima di potersi fermare. Non era tanto quello che stava dicendo a farlo arrabbiare, quanto il modo in cui lo diceva. Era totalmente fredda davanti a una situazione che per lui era così difficile…

Ma Ai Haibara sembrò colpita da queste sue ultime parole. Per un attimo fugace, gli sembrò di scorgere qualcosa di diverso nei suoi occhi gelidi, un qualcosa che somigliava innegabilmente a…senso di colpa. Sì, puro e semplice. Insieme ad una profonda stanchezza, come avesse vissuto quella situazione un milione di volte nella sua testa. Ma dopo quell’attimo lei tornò quella di sempre, e il suo tono di voce era distaccato quando parlò:

“Non ho rimpianti, Kudo. Mi avrebbero uccisa, se non l’avessi fatto. Dammi dell’ipocrita quanto vuoi, ma non credo che qualcuno potrebbe biasimarmi.” Gli si rivolse, le sopracciglia inarcate. “Quindi, a meno che tu non voglia minacciarmi di morte a tua volta, non credo che lo farò.”  Una brezza fresca scompigliò i capelli dell’uno e dell’altra. Conan rise amaramente.

“Beh, non penso che ne sarei in grado. Dunque non ho alcuna speranza di convincerti, eh?”

Stavolta lei sorrise, divertita. Lui la guardò perplesso per qualche minuto, prima che parlasse:

“Non lo so, Kudo. Dipende.”

“……e da che cosa?”

“Da te, da me…e da come andranno le cose con la cimice e la trasmittente che hai attaccato a Gin.”

“Ho capito…non vuoi rischiare che Shinichi Kudo si faccia vedere in giro adesso che sai che l’Organizzazione è da queste parti, non è così?” le chiese retoricamente, con il suo solito sorriso acuto.

“Sei stato uno sciocco a liberare Mouri usando la tua voce, Gin non è uno stupido. Farà due più due prima o poi.” Stavolta sembrava piuttosto preoccupata. Conan si pentì di averle raccontato la vicenda, ma non ne aveva potuto fare a meno. I congegni per seguire ventiquattr’ore su ventiquattro gli spostamenti del suo nemico erano a casa del professor Agasa, e dato che lei abitava lì sarebbe stato impossibile tenerglielo nascosto. Non voleva che stesse in apprensione: mesi prima le aveva promesso che avrebbe pensato lui all’Organizzazione, se fosse spuntata fuori.

Tutta la rabbia verso di lei venne accantonata in qualche meandro recondito del suo animo mentre le si avvicinava e le posava entrambe le mani sulle spalle. Ai sussultò lievemente:

“Sta tranquilla.” Le sussurrò con voce tiepida “Siamo noi a condurre il gioco, per ora; finché lo spieremo, Gin non potrà certo coglierci di sorpresa e metterci in pericolo. Vedrai che non appena scoprirò qualcosa di interessante, mi metterò subito in azione. Fidati di me.” Lei lo squadrò per un attimo, poi annuì. Non sembrava del tutto calma, ma aveva ripreso il suo atteggiamento indifferente, il che –almeno credeva- era un miglioramento. Se aveva la forza di indossare quella posa, non doveva essere così disperata…

“Oh, a proposito…” disse, mentre si incamminavano di nuovo verso il cortile “…non ho rimpianti per aver usato la mia voce quando ho salvato Ran. Come non ne ho per averla usata quando ho salvato te.” Le sorrise, cosa che sembrò colorare lievemente di rosa le sue guance, intanto che lo fissava a bocca aperta. 

“Conan! Ai! Dove eravate finiti!?” chiese Genta vedendoli tornare, uno strano sorrisetto, mentre un paio di loro compagni di classe ridacchiavano maliziosi. Conan sospirò clemente, ma vedendo l’aria afflitta di Ayumi non poté fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. Di che cosa esattamente non ne aveva idea.

“Ayumi-kun…” esordì a bassa voce, avvicinandosi, in modo che gli altri non sentissero. Lei lo guardò con gli occhioni lucidi. “C-Conan…Ai-kun è la t-tua…amichetta preferita?” chiese con un fil di voce, sul punto delle lacrime. Conan sorrise allarmato: “Ma no cosa dici!! Ai e io siamo solo…ehm…” Ai lo guardò in tralice interessata. “…compagni di classe. Nient’altro.” Le rispose, gli occhi di lei sembrarono illuminarsi: “Davvero davvero?”

“Certo.” Il suo sorrise si fece più ampio, poi gli venne un’idea. “E ho un regalo per te.”

“Oooohh!! VERAMENTE??” la tristezza della bambina era completamente sparita.

Magari fosse così facile anche con Ran…

Conan tirò fuori dalla tasca la biglia di Masked Yaibar, perfettamente lucida e nuova, e gliela mostrò dal palmo della mano. “È tua, Ayumi. Prendila pure.”

“OOOOHH! È bellissima!!!” la piccola afferrò la pallina, squadrandola in ogni minimo particolare, gli occhi che brillavano entusiasti. Conan studiò la sua reazione: forse era così che avrebbe dovuto reagire anche lui, prese nota a mente.

“GRAZIE, Conan-kun!!” finita l’analisi del giocattolo l’attenzione della bambina era di nuovo su di lui. Prima che potesse fermarla, cogliendolo di sorpresa, Ayumi gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte a sé, continuando a gridare i suoi ringraziamenti. Attraverso i capelli castani della bimba, Conan notò gli sguardi truci con cui Genta e Mitsuhiko lo stavano fulminando e le occhiate divertite di Ai Haibara. Udì uno dei bambini che avevano ridacchiato prima chiedere all’altro: “Ma Conan-kun, quante fidanzate ha?”

“D-Di niente Ayumi.” Balbettò cercando di sciogliersi dall’abbraccio. Con un po’ di pazienza ci riuscì, non prima però di aver ricevuto un bacio sulla guancia dalla sua piccola amica.

“Andiamo a giocare a baseball!” gridò Ayumi con tono argentino, dirigendosi verso la piazzola. Genta afferrò la mazza.

“Sì, giochiamo, Conan-kun.” Sibilò, mettendosi in posizione insieme a Mitsuhiko.

Deglutì rumorosamente prima di sistemarsi a sua volta.

Mi sa che dovrò prepararmi a schivare colpi… povero me…

“Auguri, Kudo.” mormorò Ai con una gioia immotivata, strizzandogli l’occhio mentre Ayumi non guardava. Lui sbuffò, infilandosi il guantone.

Donne…a volte sono proprio una maledizione…       

    

  ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

        

 

Note dell’Autrice: e su questa nota di maschilismo si è concluso anche il capitolo diciassettesimo. Che ve ne pare?? È stato un pochino complicato scriverlo, ho avuto un calo di ispirazione…forse la mente è ottenebrata al pensiero dei compiti che sto totalmente ignorando.^^; La prima parte è piuttosto folle, me ne rendo conto. Non so cosa mi passava per la testa… O__O Comunque, nel complesso, è stato un chap calmo dal punto di vista degli avvenimenti, e un pochino più solare del precedente: troppa depressione stomaca, almeno a me. Nei prossimi capitoli succederanno un bel po’ di cosette…ho un paio di ideuzze niente male (almeno dal mio punto di vista. ^^;) ; rivedremo quei signori dell’Organizzazione, e ho in mente di re-infilarci la coppietta di Osaka…^^ L’unica mia preoccupazione è di commettere qualche errore nell’intreccio…spero di no!! ^^; Faccio del mio meglio per ricordare tutto, finora spero che la storia fili.

Beh, ringrazio come al solito tutti i miei lettori e quegli angeli che hanno commentato, siete grandi!

Mareviola: bene! Ma guarda che il mio non era un rimprovero, eh! Ci mancherebbe!!^^ Grazie per la recensione, la tua costanza è ammirevole!!

Ginny85: ciao Ginny! Anch’io sto bene, spero di non averti fatto aspettare troppo l’aggiornamento; come hai visto i miei protagonisti stanno un po’ meglio in questo capitolo…non tantissimo, certo, ma d’altronde è passata solo una notte! Per fortuna che nessuno dei due è il tipo che si piange addosso a lungo! ^__^ Come al solito, ti ringrazio tantissimo dei complimenti, quello che avete detto sia tu sia Sabry e Primechan mi ha colpita: anch’io mentre scrivo mi immedesimo nei personaggi, descrivo quelle situazioni immaginando di viverle io stessa, cercando di renderle così il più reali possibile, dunque sono felicissima che vi arrivino in questo modo. Hai ragione comunque, Conan è stato proprio un amore nello scorso capitolo! E anche in questo non scherza! ^//^ Ran…beh, è un po’ in crisi, come hai potuto vedere. Ma non preoccuparti: per quanto voglia tapparsi le orecchie, le parole di Conan le ha sentite eccome!

APTX4869: grazie dei complimenti…anch’io rosico un po’ che non ci siano molti episodi dedicati a Shinichi & Ran, anzi, direi che sono più unici che rari. Oooh! Davvero pensi che la mia ff potrebbe stare nel manga!? * __ * Ma sei adorabile!^^ Grazissime!! Il bacio che Ai ha dato a Conan è stata una mia follia lì per lì, un’idea che mi è venuta sul momento e che ho colto al volo. Per quanto riguarda un possibile bacio fra Shinichi e Ran…beh, non ti prometto niente ma…vedrò quello che posso fare!! Okay? ^ _ ~ Una curiosità: ma perché hai scelto come nick proprio il veleno che ha rovinato la vita a Shinichi??

Yuki: ciao! Eh sì, povera Ran…ma povero anche Shinichi, non pensi?^^; Dell’antidoto (e del veleno) se ne riparlerà in seguito, perciò è meglio se per il momento non strozzi Ai, può sempre servire. ^__^

Hoshi: davvero ti ho commossa?? Mi spiace di averti messo addosso l’angoscia, anche se sinceramente un po’ ne sono lusingata. Ho una vaga idea che non ti saresti fatta tutti gli scrupoli di Conan se Ai avesse chiesto a te se volevi minacciarla di morte, vero? ^ __ ~

Leo: grazie!^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che sia arrivato abbastanza presto.

Sabry1611: ciao! Ti ringrazio tantissimo per i complimenti sia sullo stile che sulla storia; le recensioni mi aiutano sempre e mi fa piacere che tu abbia deciso di scriverne una!^^ Come ho gia detto a Ginny, sono molto contenta che riusciate ad immedesimarvi nella storia e spero tanto che continui ad essere sempre così! ^__^ Ancora tante grazie, spero di risentirti!

Primechan: oohh…anche tu ti sei commossa?? Anche se sembra crudele, devo dirlo: mi fa davvero piacere riuscire a farvi provare emozioni così forti! Spero solo che in futuro si tratti di qualcosa di un po’ più allegro.. ^^; ti ringrazio tantissimo per le lodi, comunque;  sei una fan delle coppie ‘classiche’ del manga, eh? Beh, ho l’intenzione di far comparire di nuovo Heiji e Kazuha nei prossimi capitoli, contenta? ^ __ ~ Glielo devo, dopo il modo brusco in cui li ho interrotti l’ultima volta. Ma guarda che Conan/Shinichi è proprio dolce di suo, anche se cerca di fare il duro!#^^# Grazie degli auguri, ormai il Natale è passato, ma spero comunque che tu l’abbia trascorso piacevolmente!

Vichan: ciao Vi! Grazie dei complimenti, sono contenta che tu abbia letto anche questa ff oltre che la mia one-shot…e che ti siano piaciute entrambe! Anch’io adoro sia il giallo che Conan. #^^# Ora le acque si sono un po’ calmate dal punto di vista del poliziesco, ma vedrai che il piccolo detective dovrà presto rimboccarsi le maniche! Heiji e Kazuha…li rivedremo di sicuro, appena scopro quando, come e perché ti avverto! No, scherzo, ho un bel piano in mente anche per loro due.

Okay, solite note: in questo chap c’è un piccolo riferimento al manga, il vol.24, il cui episodio corrispondente è apparso non molto tempo fa su Italia1. Per chi l’avesse perso o non lo ricordasse, succede che Ai, tornata momentaneamente grande, sta per essere uccisa da Gin, quando Conan interviene urlandole un messaggio con la sua voce adulta, attraverso il simulatore. Capite dunque a cosa si riferisce il piccolo detective quando si rivolge alla biondina verso la fine del capitolo…^^ “Masked Yaibar” è il cartone animato preferito di Ayumi, Genta e Mitsuhiko. Riferimenti a questo personaggio, anche minimi, compaiono piuttosto frequentemente nel manga, dunque è impossibile ricordarli tutti. Oh, quasi dimenticavo: anche il vol.1 per quanto riguarda il giorno al Tropical Land.

Questo è tutto gente. Nel prossimo capitolo ci saranno meno riflessioni e più azione, o almeno così vorrei.^^” Ora, se non vi dispiace troppo, mi farebbe piacere che commentaste.

 A presto

-Melany

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Capitolo 18
*** Show Must Begin ***


Nuova pagina 1

18. Show Must Begin…  

“Sono tornata.”

Annunciò Ai entrando in casa, prima di poggiare la cartella all’ingresso e dirigersi verso il divano. Dietro di lei fece capolino Conan, che al contrario filò dritto davanti alla macchina delle intercettazioni, le sopracciglia inarcate.

“Ciao Ai, e ciao anche a te, Shinichi.” Disse il professor Agasa, per nulla sorpreso di vederlo lì: Conan non era stato per nulla felice di apprendere che, dato che la cimice e la trasmittente erano molto più sofisticati e coprivano un’area maggiore di quelli che usava di solito, non avrebbe potuto seguire le trasmissioni con i suoi occhiali. Non poter tenere d’occhio la situazione minuto per minuto era stato a dir poco frustrante, per lui.

“Novità?” chiese il giovane detective brusco, senza smettere di fissare il macchinario e cercando di decifrare invano i tabulati.  Ai distolse lo sguardo dalla rivista che aveva aperto, in ascolto, cosa che fece sorridere l’anziano dottore: anche se non l’avrebbe mai mostrato, anche lei era ansiosa di conoscere gli sviluppi.

“La trasmittente segnala che il sospettato MIB1 si trova in un luogo a 60km est da qui. La cimice non ha ancora dato risultati, per ora.” Lo informò con tono pomposo.    

“Il sospettato MIB1!?” chiese Conan, alzando un sopracciglio con una strana espressione.

“Gin. Non l’avevi capito?” rispose incredulo il dottore.

Certo che l’avevo capito!” replicò Conan esasperato “Quello che volevo sapere è perché MIB…Oh mio Dio.”

Esclamò infine scuotendo la testa, cosa che lo infastidì non poco.

Men In Black…come il film. Ci calza a pennello…in fondo, sono gli Uomini in Nero.”

“Grazie, Ai-kun.” Disse il professore con un sorriso.

Conan sbuffò e socchiuse gli occhi, mormorando qualcosa che sembrava “Ma guarda con che buffoni mi tocca lavorare”  e il professore lo guardò risentito, un po’ come quando lo criticava per le sue invenzioni.

“Non ti piace Shin-chan? L’idea è stata mia.”

Conan rabbrividì, sbarrando gli occhi: no, non era possibile, quella voce…

Si voltò, ritrovandosi davanti una donna molto attraente, di trentasette anni, con una folta chioma rosso scuro e un sorriso dolcissimo sulle labbra, che lo colse di sorpresa abbracciandolo stretto prima che potesse sottrarvisi.

“MAMMA!?!?”  soffiò, più che pronunciare, dato che lo stava quasi soffocando.

“Ciao piccolo! Ti sono mancata?” disse, staccandosi e baciandolo sulla guancia, lasciandogli un’impronta di rossetto cremisi ben visibile. Lui arrossì, pulendosi col dorso della mano, mentre Ai ghignava un “Che teneri.”

“Che ci fai qui?? E dov’è papà?”

“Serve un motivo per venire a trovare il mio bambino?” notò che aveva ignorato volutamente la seconda domanda.

“Hmph.” Si allontanò da lei con aria seccata, sedendosi sul divano, accanto alla biondina.

“Oh! E questa bambina chi è?” chiese Yukiko Kudo, rivolgendosi a lui.

“Si chiama Ai. Sa di me, ma possiamo fidarci.” Si limitò a spiegarle suo figlio. Inspiegabilmente, la piccola scienziata sorrise quando udì le ultime parole.  

“Piacere, Ai-chan.” Yukiko le strinse la mano con un sorriso “Sarebbe piacevole conoscerci meglio, piccolina. Ho sempre desiderato una figlia femmina, lo sai?”

“Scusa tanto se sono nato maschio.” Brontolò Conan leggermente risentito. Lei gli scompigliò i capelli con affetto prima di rivolgersi di nuovo ad Ai. “Allora che ne dici? Potremmo uscire qualche volta.”

Ai batté più volte le palpebre, scrutandola attentamente, poi scrollò le spalle. “Se le va…”

Yukiko annuì, rivolgendosi di nuovo a suo figlio.

“Agasa mi ha raccontato tutto, hai un piano, vero Shin-chan? Non mi va che corri rischi inutili…” disse, una nota di preoccupazione nella voce. Conan la guardò negli occhi, dello stesso colore dei propri, parlando in tono serio.

“Non preoccuparti, mamma. Sono preparato.” Si limitò a dire, accennando un sorriso rassicurante.

“Dunque hai un piano…di che si tratta?” insisté, lui scosse la testa.

“Meno ne sai, meglio è, credimi.”

“È un po’ la sua filosofia di vita, almeno per quanto riguarda chiunque tranne se stesso.” Commentò Ai, facendo ridere la madre e sbuffare il figlio.

“Ah, Shin-chan…come sta Ran? Ho saputo del trambusto di ieri sera…” chiese la donna con apprensione. Conan distolse lo sguardo da quello di lei. “Sai com’è fatta…è una ragazza forte. Stamattina stava meglio, anche se…non importa. Lasciamo stare.” Aveva parlato con voce molto fioca, chiudendo gli occhi verso la fine.

“Oooh, povera cara…vorrà dire che andrò a parlarle, più tardi.”

“Non è una buona idea.” Rispose Conan in fretta. Se c’era una cosa che aveva imparato nella sua vita di unico figlio dei Kudo, era questa:  Mai lasciare i genitori incustoditi. Era terrorizzato all’idea di quello che avrebbe potuto combinare.  

“Io credo di sì.” Replicò Yukiko, inarcando le sopracciglia e buttandosi dietro le spalle la folta chioma.

“Non puoi farlo!” 

“E chi me lo impedirà? Tu, moccioso?” sorrise maligna, con un’espressione di superiorità davvero simile a quella del figlio quando incastrava un colpevole. Una faccia del tipo: è inutile che insisti, vinco io e tu non puoi farci niente.

Conan sbuffò, socchiudendo gli occhi e incrociando le braccia. Tutti e tre i suoi interlocutori ritennero troppo pericoloso informarlo che in quello stato sembrava realmente un bambino di sette anni imbronciato.

Ciononostante, dietro quella smorfia arrabbiata, la sua mente di detective si era attivata: non riusciva a capire cosa fosse esattamente, ma percepiva che gli fosse sfuggito qualcosa. Non era la prima volta che succedeva, spesso qualche particolare che non ricordava l’aveva tormentato, durante le sue indagini: di frequente si trattava di qualche cosa che magari aveva visto, o sentito o notato di sfuggita e a cui non aveva dato peso, che però poi si rivelava fondamentale per la risoluzione del caso. L’aveva sempre infastidito a non finire, quella sensazione orribile, come di un nodo all’altezza del cervello che non riusciva a sciogliere; e adesso si sentiva proprio così, senza arrivare a capire cosa fosse esattamente la cosa che non quadrava.

Spero almeno che non si tratti di qualcosa che riguarda ieri, contro Gin e Vodka…Uffa perché non ne vengo a capo?? Pensa, Kudo, PENSA…

Si portò senza nemmeno accorgersene le dita alle tempie, cominciando a muoverle in circolo, esortando la mente a lavorare. Tutti e tre lo guardarono sorpresi:

“Qualcosa non va..? Ti gira la testa?” chiese Yukiko, in ansia come qualunque madre del mondo sarebbe stata al suo posto; Ai distolse di nuovo lo sguardo dalla rivista.

“Tutto okay, mamma.” Rispose lui abbassando le mani. “È solo l’attesa…è un po’ snervante.”

“Oohh…hai ragione! Potrei prepararti una bella tazza di camomilla, che ne dici, tesoro?”

“No, mamma, non importa…” cercò di replicare, ma Yukiko era già diretta verso la cucina.

“Faccio in un minuto. Non ti dispiace, vero Agasa? Ai-kun, perché non vieni ad aiutarmi?”

Nessuno ebbe il tempo di rispondere. A dirla tutta, nessuno ebbe il tempo nemmeno di aprire la bocca per rispondere, che sua madre era già in cucina. Ai scrollò le spalle e si alzò.

“Bel tipo tua madre, Kudo.” commentò prima di sparire a sua volta dietro la porta.

Conan sbuffò, ricominciando a pensare a quel dannatissimo nodo da sciogliere. Cosa DIAVOLO era che alla sua mente non stava bene?? Forse aveva a che fare con le informazioni date dalla trasmittente..? 60km a est della casa del professore…non sembrava quello. Comunque, meglio saperne di più, ora che quelle due erano fuori dai piedi.

“Hai controllato cosa c’è a 60km est da qui?” chiese, sperando di vedere un raggio di luce nell’ombra.

“Sì, ho pensato che me l’avresti chiesto. È un albergo, piuttosto lussuoso. Non si è mosso da lì per tutto il giorno.”

Il che è abbastanza strano...possibile che non abbia nulla da fare? Poco probabile, visto il lavoro che fa…

Ma lui aveva attaccato la trasmittente alla suola della scarpa, dove sarebbe stato più difficile vederla. Dunque poteva sempre aver cambiato scarpe, quel giorno. Pregava almeno che, togliendosele, non l’avesse vista.

No...l’avrebbe distrutta…come l’ultima volta…

Sospirò, di nuovo massaggiandosi le tempie. Le insidie che si nascondevano dietro quell’impresa erano molte di più di quelle che aveva visto il giorno prima. Certo, trovare i quartier generali, organizzare retate…una passeggiata, eh? Peccato che le persone contro cui si stava mettendo erano un’Organizzazione internazionale di assassini spietati; e per quanto fosse convinto che una persona che sceglieva la strada della malavita non potesse essere poi così intelligente, doveva ammettere suo malgrado che Gin era maledettamente astuto, oh sì; e lo era anche Vermouth, e chissà quanti altri agenti di quella terribile Organizzazione. Come aveva detto Heiji, si era cacciato in un gran brutto guaio.

Beh, Sherlock Holmes era convinto che fosse più facile prevedere le mosse di un criminale che agisce con metodo e intelligenza piuttosto di uno istintivo e stupido. Ne deduco che dovrei sentirmi avvantaggiato…

Rise, il professore lo guardò inarcando un sopracciglio cespuglioso, confuso; lui si limitò a scuotere la testa in segno di rassicurazione. “E la cimice? Potrei sentire cosa ha captato?”

“È inutile, Shinichi. Non ci sono stati discorsi, o…”

“Lo so; ma voglio ascoltarla lo stesso. Qualsiasi rumore può rivelarsi utile.” Disse in tono saccente, il dottor Agasa sbuffò, cercando la registrazione.

Urgh!

Un dolore lancinante lo colse all’improvviso all’altezza del cuore; si portò le mani al petto, stringendo la stoffa della maglietta, mentre il suo corpo domandava insistente ossigeno che i polmoni, pur lavorando affannosamente, non riuscivano a immettere. Sentiva scosse di dolore convergere tutte contro il cuore, violente, mentre la fronte cominciava a sudare freddo, il corpo che tremava senza che riuscisse a bloccarlo. In pochi secondi, si sentì debolissimo e malato, un sapore acido in bocca che gli faceva venir voglia di dare di stomaco.

“Shinichi!?! SHINICHI, CHE TI SUCCEDE??” Il professore gli venne vicino, pallidissimo in faccia.

Conan aprì la bocca, cercando di dirgli qualcosa, ma le parole vennero sostituite da un grido di sofferenza. Dio, si sentiva quasi…come se stesse…bruciando vivo.

“Shinichi!? AI, YUKIKO, VENITE PRESTO!”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Ai si chiuse la porta della cucina alle spalle, mettendosi le mani dietro la schiena e aspettando richieste da parte della madre di Kudo. Lei prese il pentolino dallo scolapiatti e lo riempì d’acqua, mettendo il tutto a bollire sul fornello.

“Dove tenete la camomilla, piccola?”

“Primo sportello da sinistra, terzo scaffale.” Rispose indifferente. Mentre sistemava le tazze sul tavolo, notò che Yukiko aveva davvero un bel fisico, e per avere quasi quarant’anni era davvero molto attraente. Yukiko Kudo era la dimostrazione vivente che a non tutti serviva il suo composto per restare giovani a lungo. La osservò attentamente inclinando la testa di lato. “Lei ha lavorato nel cinema?” chiese, la donna sorrise a trentadue denti, arrossendo.

“Sì! Mi sorprende che tu te lo ricordi. Ho smesso molti anni fa, quando mi sono sposata e ho avuto Shin-chan.”

Ai scrollò le spalle: “Il suo nome da nubile era qualcosa come…Fu…Fuji...”

“Fujimine, sì.” annuì la donna. “Ma come lo sai?”

La piccola scienziata abbassò lo sguardo sul pavimento. Ad Akemi piaceva molto vedere i vecchi film; sosteneva che il cinema era decisamente peggiorato nei tempi moderni, che tutto si giocava più sull’accaparrarsi gli attori famosi piuttosto che sulla storia. Spesso erano state in disaccordo su questo punto, e non era raro che i loro scambi di opinione si…animassero, qualche volta. Ma quando le avevano divise, si era ritrovata a guardare a sua volta quei film, nelle sere in cui si sentiva particolarmente sola, immaginando di stare con lei. Spesso le dava conforto, sapere che probabilmente stavano guardando la stessa pellicola. Era un po’ come se stessero insieme, e non a miglia di distanza.

Uno dei film preferiti da sua sorella era proprio uno la cui protagonista era la signora qui presente. Si intitolava “Amore e Morte a Broadway”, era uno di quei film pieni di sparatorie, in cui la donna del capo criminale si innamorava del poliziotto eroico. Alla fine, insieme riuscivano a sgominare la banda di assassini e si sposavano.

La trama era piuttosto scontata e decisamente troppo smielata per i suoi gusti. Akemi da parte sua l’adorava, e frequentemente si era chiesta se le analogie con la loro situazione c’entrassero qualcosa. Magari sua sorella si sentiva un pochino rincuorata nel vedere che, aiutata da un poliziotto, la ragazza riusciva a liberarsi dalla tirannia dell’organizzazione criminale. Non che lo credesse veramente possibile…ma a volte capiva che doveva essere bello lasciarsi andare nei sogni.

Come stava facendo lei, no?

Ironia della sorte, alla fine era stata lei a credere più di Akemi a quella favola della buonanotte: e adesso, Kudo era il suo poliziotto eroico, e lei la donna che cercava di staccarsi dall’organizzazione criminale. L’unico problema era che dubitava fortemente che potessero vincere e finire sposati.

Anche se, pur volendolo negare a se stessa…un po’ ancora si illudeva.

“Ho visto un suo film.” Si limitò a informarla, reprimendo una fitta al cuore al pensiero che avrebbe potuto chiederle un autografo per sua sorella, se quest’ultima fosse stata ancora viva. Ne sarebbe stata contentissima.  

Yukiko annuì sorridente, mettendo il filtro nell’acqua ormai bollente.

“Piccola, dove sono i tuoi genitori?” domandò la donna con noncuranza, riempiendo le tazze.

“Sono morti.” Rispose cupa. Yukiko la guardò con gli occhi sbarrati, improvvisamente lucidi.

“Mi dispiace, Ai-kun. Ma avrai qualche parente, no? Un fratello…o una sorella…”

“No. Anche mia sorella se n’è andata.” Ai sentì un groppo in gola, difficile da inghiottire. Smise di nuovo di guardarla.

“Oohh, povera cara. Dev’essere stato difficile per te.” La sentì dire tristemente. “Ma…come è successo?”

Ai scrollò le spalle bruscamente. “È pronta la camomilla?” chiese, risoluta a non parlare più dei fatti propri con una mezza estranea, seppure la madre di Kudo.

“Oh, sì. Mi dispiace se sono stata inopportuna.” Si scusò, lei annuì.

“…anche se spero che questa tua difficoltà a parlarne non voglia dire che ti senti in qualche modo responsabile.”

“COSA?” sbarrò gli occhi, guardando incredula la donna, che le sorrise gentilmente.

“Lasciamo stare, andiamo di là.”

“NO, aspetti! Cosa intendeva dire con..?”

“AI! YUKIKO! VENITE PRESTO!”         

La voce terrorizzata del dottor Agasa le interruppe. Entrambe le donne, rimpicciolite o meno, si precipitarono nel salotto, sbarrando gli occhi vedendo lo spettacolo che gli si presentò davanti: il professore, bianco come un lenzuolo, era chino vicino al divano, dove Conan giaceva sdraiato, il pugno all’altezza del petto, gli occhi chiusi e la bocca serrata in una smorfia di dolore. Il viso e il collo erano in fiamme, sudati. Tremava da capo a piedi.

“Ma cosa..?” balbettò Yukiko, le mani sulla bocca.

Ai si avvicinò al divano, apparentemente sempre fredda e risoluta, solo una sfumatura di preoccupazione nei suoi occhi gelidi, la fronte aggrottata in quella che sembrava una profonda concentrazione. Se avesse indossato il camice, sarebbe sembrata davvero un medico che visitava un paziente. Mise due dita sul collo di Conan.

“Da quant’è che sta così?” chiese distaccata.

“Pochissimo, vi ho chiamate subito. Non capisco, stava bene, e ad un tratto, ma che cos’ha?” disse il professore tutto d’un fiato. Ai annuì.

“Signora, vada in bagno, nel cassetto dei medicinali dev’esserci una scatola di Valium. Non sono un medico, ma ho l’impressione che se il cuore continua a battergli in questo modo potrebbe venirgli un infarto. Professore, vada in laboratorio, mi porti la scatola blu che sta sul banco. In fretta.” Aggiunse, quando vide che esitavano. Quando furono scomparsi, guardò l’orologio.

“Esattamente quattro ore e trentasei minuti dalla comparsa dei primi sintomi.” Lanciò un’occhiata a Conan, incapace di parlare, ancora ansimante sul divano. Se il dolore gli aveva lasciato un po’ di spazio per pensare, sapeva quale era la sua domanda. O la sua speranza…illusione…

“Mi dispiace, Kudo. Non è come pensi. Ho paura di…di aver commesso un errore terribile.” La voce divenne fioca nell’ultima parte, ma non sapeva se lui l’avesse udita. Sembrava l’incarnazione del dolore stesso. Si mosse per asciugargli la fronte, ma non fece in tempo: Yukiko era tornata con la confezione di Valium.

“Quante..?”

“Dieci gocce.” Preferì dargli la dose consigliata ai bambini. La donna gliele fece prendere con delicatezza, mentre il professore tornava con la scatola che gli aveva chiesto. Conan non smise di agitarsi, gemendo ad una fitta di dolore particolarmente forte.

“Quanto..?”

“Un quarto d’ora.”

Ai aprì la scatola, scorrendo velocemente i fogli, trovando un punto e cominciando a studiarlo attentamente, la fronte aggrottata. Gli altri due non riuscivano a credere che riuscisse a rimanere così impassibile. Ma lei sapeva benissimo che agitarsi non serviva a un bel niente, doveva mantenere una mente fredda, se voleva ragionare lucidamente.

Continuò a studiare gli appunti, mentre i gemiti di dolore si attenuavano lentamente, fino ad esaurirsi.

“Che cosa..?” chiese Conan con voce flebile, roca, il respiro ancora affannoso, riuscendo ad aprire gli occhi.

“Ti sei sentito male, tesoro, ma ora va tutto bene, sta’ tranquillo.” Rispose Yukiko, asciugandogli il sudore con una salvietta. “Vedo di nuovo i tuoi bellissimi occhi azzurri, Shin-chan.” Aggiunse con un sorriso.

“Ma, perché mi sono sentito male? Ai..?” chiese, un fil di voce, voltando leggermente la testa verso di lei.

“Colpa della capsula che hai ingerito ieri.”

“Vuol dire che…sta per fare effetto?” chiese fiducioso.

“No.” Preferì distruggere subito le sue speranze, evitando di guardarlo negli occhi per non vedere la sua delusione. “Non ne sono sicura, ma ho una teoria: le dosi non erano abbastanza per trasformarti, ma il tuo metabolismo ne è stato comunque danneggiato. A questo punto, c’è una sola soluzione. Procedere con un programma di disintossicazione, in poche parole: non somministrarti nulla per i prossimi mesi.”

“Giusto.” Dissero in coro il professor Agasa e Yukiko. Ai lo guardò  e vide i suoi occhi blu puntati su di lei, anche se le palpebre non erano completamente aperte. Il suo sguardo era intenso.

“Bene.” Commentò Conan “Faremo così. Non ho altra scelta, d’altronde.” Riuscì a sorridere, nonostante il ricordo del dolore appena sopportato fosse ancora vivo nel suo corpo, sempre rivolto a lei. Poi si voltò verso sua madre: “Vorrei riposare un po’, se non vi dispiace. Potete lasciarmi solo?”

Il dottor Agasa e Yukiko annuirono, lasciando la stanza. Ai fece per imitarli, rimasta indietro per raccogliere le carte, ma la voce di Conan, che aveva ripreso un po’ di colore, la bloccò:

“C’è un’altra possibilità, vero?”

Non era una vera domanda, piuttosto una considerazione in forma interrogativa. La piccola scienziata lo guardò: sullo stesso volto prima invaso dalla sofferenza, riuscì a formarsi un’espressione astuta appartenente più a Shinichi che a Conan. Gli occhi blu brillavano e le labbra le sorridevano ancora, in modo scaltro.

“Cosa te lo fa pensare?” ribatté in tono indifferente.

“Chiamala un’intuizione. Avanti, dimmi la verità.”

“D’accordo.” Si arrese con un sospiro. Capì che sarebbe stato inutile insistere: Kudo era testardo come un mulo, quando ci si metteva, sapeva che non avrebbe lasciato correre. Fece comunque un ultimo tentativo:

“Ma ritengo che sia molto meglio optare per la prima possibilità.”

“Sta a me decidere della mia vita, Ai. Non mi va di discutere, sono distrutto, perciò adesso dimmi qual’è l’altra.” Insisté lui, spazientito.   

“Va bene. Procedendo con la prima soluzione…”

“Ancora..! Ho detto che voglio sentire l’altra!” esclamò esasperato. Ai gli scoccò uno sguardo temibile che lo zittì all’istante.

“Procedendo con la prima soluzione, il composto continuerebbe a premere sul tuo metabolismo, cercando di sfociare in quello che è la sua riuscita, ovvero farti crescere. Ma le dosi non sono sufficienti e ciò si tramuterebbe quindi in attacchi come quello di oggi, sempre meno violenti, che si esaurirebbero una volta che il tuo corpo avesse assorbito completamente la capsula.” Spiegò atona, scoccando un’occhiata ai fogli.

“Scusa tanto, ma non avevi previsto che potesse succedere una cosa del genere?” chiese, un po’ brusco.

“L’avevo previsto. E ti avevo avvertito. Ma tu diventi stupido quando si tratta di quella ragazzina.” Replicò, ignorando il suo sbuffo risentito e l’occhiataccia che le aveva riservato sentendola parlare in quel modo di Ran.

“La seconda soluzione è molto più rischiosa. Si tratterebbe di somministrarti adesso uno speciale composto, leggermente diverso da quello di ieri, che dia…come posso fartelo capire…” di nuovo lo sbuffo risentito di lui.

Mi sta trattando come un deficiente o cosa??

“…un imput maggiore al composto, permettendo così di sfociare in quello che è il risultato e finirla una volta per tutte.”

“Cioè tornerei Shinichi?? Ma è magnifico!!” esclamò lui, entusiasta.

“Aspetta a dirlo. È pericoloso. Se sbaglio anche solo di poco la composizione della capsula tu morirai. E io non l’ho mai fatto, non su un essere umano almeno, e non posso fare tentativi, a meno che non mi porti una decina di persone sacrificabili. Dunque…” lasciò a lui il compito di immaginarsi il resto. Conan sospirò.

“Beh, non sarebbe la prima volta che faccio da cavia per composti sperimentali. Anche l’APTX non era mai stata testata su un essere umano, quando me l’hanno fatta inghiottire.” Disse, e ad Ai sembrò che, oltre a parlare con lei, stesse in qualche modo cercando anche di persuadere se stesso.

“Appunto. Non puoi sempre camminare sul filo del rasoio e sperare che ogni volta fili tutto liscio. Rinuncia, Kudo.” affermò decisa, ravviandosi i capelli. “Inoltre” aggiunse “ti ho già detto stamattina che non ho alcuna intenzione di somministrarti composti pericolosi, soprattutto ora che l’Organizzazione è da queste parti. Al punto in cui siamo ora, potremmo morire tutti e due in entrambi i casi, sia che funzionasse o no. Io non voglio che la nostra copertura salti solo perché devi correre dalla tua ragazza, non ho alcuna intenzione di sacrificarmi perché non riuscite a tenere a freno gli ormoni.” Il tono era tagliente, a dispetto della solita neutralità, Conan sembrò accalorarsi.

“Che ne sai tu di me e di Ran? Come ti permetti di parlarmi così??”

“Io vedo le cose dalla giusta prospettiva. Tu sei troppo coinvolto emotivamente per capire che, se continuiamo così, Mouri sarà la causa della nostra rovina. Pensaci.” Replicò fredda, senza battere ciglio alla sua rabbia.

“Al diavolo! Non devo giustificare le mie scelte con te. Sei stata tu a chiedere il mio aiuto, se non ti piacciono i miei metodi sei libera di andartene.” Gridò lui, alzandosi a sedere e ignorando il capogiro che gli costò. Lei lo fissò impassibile, le sopracciglia inarcate.

“Ma se resti qui” riprese “Non azzardarti a dirmi come fare il mio lavoro, e limitati a fare il tuo. Prepara quella capsula, sta a me decidere se prenderla o meno.”

“No.”

La risposta fu secca e immediata. Ai lo fissava imperturbabile, solida come un monolito di pietra, che nonostante i suoi sforzi non era riuscito nemmeno a intaccare.

Conan rimase in silenzio, sdraiandosi e chiudendo gli occhi. Ai osservò il suo petto alzarsi e abbassarsi a ritmo col suo respiro, sempre più regolare e calmo. Pensò che si fosse addormentato e fece per andarsene, ma di nuovo la sua voce interruppe il silenzio, profonda e pacata nonostante i toni infantili, un lieve sussurro, appena percettibile.

“Per favore.”

La stava di nuovo guardando. I suoi occhi blu erano così intensi, così penetranti, puntati nei propri. Poté vedere molte cose in fondo a quell’oceano, tristezza, disperazione, dolore, solitudine, speranza. Verso di lei. Verso la sua risposta. Avrebbe dovuto rifiutare, lo sapeva. Lo avrebbe fatto, almeno così era convinta. Finché lui non pronunciò quell’altra frase.

“Fallo per me, Ai.”

Il monolito non sembrava più così solido, così impenetrabile. Improvvisamente, pensò a tutte le cose che lui aveva fatto per lei, alle volte che aveva rischiato la sua vita per salvarla, a quelle in cui l’aveva tirata su di morale, dandole il sostegno che mai nessuno al mondo le aveva donato dopo la scomparsa di sua sorella. Nella sua mente molte immagini, lei che piangeva disperata abbracciata a Kudo, lei che, indossando il giubbetto di lui, veniva portata sulle sue spalle lontano dalle fiamme, il viso di lui a pochi centimetri dal proprio, mentre le faceva indossare i suoi occhiali per proteggerla, i suoi occhi, ogni volta che la rassicurava, il suo sorriso. Shinichi Kudo, che credeva in lei nonostante tutto, che aveva volutamente dimenticato il suo sporco passato, che l’aveva accolta nella cerchia dei suoi amici più fidati.

Fu così che, senza nemmeno rendersene conto, acconsentì. Conan le sorrise in un modo che le fece scordare l’errore appena commesso, prima di sussurrarle un tenero “grazie” e chiudere di nuovo gli occhi, intenzionato a riposare.

Ai sospirò, poi si diresse in laboratorio.. Prima che la sua mente fosse totalmente assorbita da ragionamenti, calcoli e elementi, si chiese perché Kudo fosse sempre pronto a fidarsi ciecamente di lei e dei suoi composti, nonostante i loro trascorsi. E dire che prima di conoscerlo era convinta che un detective dovesse essere sospettoso per professione.

 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Sapeva che perdersi nell’auto-compiacimento spesso portava a fare errori, ma in quel momento trovava davvero difficile non farlo; insomma, il suo piano era davvero geniale, perfetto, uno dei migliori che avesse ordito in tutta la sua carriera. Sorrise, accendendosi una sigaretta: era quasi il momento di agire, l’adrenalina cominciava già a salire e a far fremere il suo corpo, accendendogli dentro una fiamma simile a quella scaturita dal suo accendino d’argento. Era sempre così, prima di un’azione: quella piacevole sensazione allo stomaco, la prospettiva di poter  ancora una volta avere il potere di strappare la vita a qualcuno, l’eccitazione nel premere il grilletto e riuscire quasi a sentire la pallottola che perfora la carne, il sapore del sangue in bocca, le grida della vittima. Ascoltarlo implorare perdono, sapere di essere più potente di lui, superiore. Uccidere guardando negli occhi era il massimo, oh sì. Vederli lentamente svuotarsi dello spirito, del terrore, divenire vitrei, spegnersi completamente. Sapere che l’ultima cosa che permetteva di vedere alle sue vittime era se stesso, l’arma che gli puntava contro senza pietà,  essere certo che non potessero pensare ad altro che alla paura, alla consapevolezza di stare per essere uccisi. Adorava il suo lavoro. Soprattutto ora, che si preparava a schiacciare finalmente quell’insetto fastidioso che aveva osato pensare di poterlo battere al suo stesso gioco. L’avrebbe fatto soffrire molto, di questo era certo; non voleva semplicemente ucciderlo, no, quel bastardo meritava di essere distrutto. Sarebbe stato meraviglioso vederlo implorare il suo perdono, che naturalmente lui non gli avrebbe concesso. Illudere le sue vittime era un’altra cosa che amava.

Spense la sigaretta con la punta della scarpa, estrasse il cellulare e compose il numero;

“Raggiungimi all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”

 Che lo show avesse inizio…

 

 *~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

 

Conan stava quasi per assopirsi, entrando in un sogno che sembrava avere a che fare con dei corvi, quando una voce metallica, roca, lo destò all’improvviso, facendo ricominciare a battere il cuore che era riuscito a calmare. Si issò subito a sedere, sbarrando gli occhi in un misto di sorpresa e attenzione, dirigendo lo sguardo verso i macchinari lasciati incustoditi.

“Raggiungimi all’hotel di Beika-centre, Vodka. Dobbiamo parlare.”

La voce di Gin, ne era certo, nonostante fosse modificata dal congegno; aveva appena chiamato il suo complice, dunque stava probabilmente per prepararsi ad una nuova missione. Sorrise, inarcando le sopracciglia, in un’espressione che apparteneva in modo inconfondibile a Shinichi.

Lo sento, questa è la volta buona che ti arresto, lurido bastardo…non m’importa cosa dovrò fare, ma ti assicuro che avrò il piacere di vedere quella tua brutta faccia dietro le sbarre…

Si aggiustò gli occhiali sul naso, colpendo nervosamente il pavimento col piede, a ritmo. Quanto ci avrebbe messo Vodka a raggiungere l’albergo? Ridacchiò, uno sfogo della tensione: tutto sommato era strano che non fosse già lì, era quasi convinto che fossero cuciti l’uno all’altro per la vita, che mangiassero, dormissero, persino che andassero in bagno insieme; non li aveva mai visti divisi…

Ci sarà poco da ridere quando dovrò affrontarli…uffa, ma quanto ci mette?

Sbuffò, incrociando le braccia dietro la testa e chiudendo gli occhi. Incredibile quanto il tempo fosse relativo: il giorno prima passava così in fretta che non faceva in tempo a guardare l’orologio che l’ora era cambiata, quel giorno era lentissimo.

Aggrottò la fronte: ancora non riusciva a capire cosa fosse la cosa che gli sfuggiva, e adesso aveva anche una strana sensazione di allarme all’altezza dello stomaco. Sentiva di essere nei guai, ma non riusciva davvero a capire il perché: insomma, come aveva detto ad Ai, erano loro che conducevano il gioco, finché  avevano la possibilità di conoscere ogni mossa del nemico. Dunque perché..? E quel nodo alla testa, aveva davvero a che fare con Gin e Vodka?? Insomma, dubitava che si fosse accorto di qualcosa a scoppio ritardato, era passato quasi un giorno intero, e si supponeva che non fosse tardo.

Accidenti…non riesco proprio a ricordarlo…aaaargghhh!!

Scosse la testa, come se sperasse di scrollarsi di dosso quella sensazione. Era certo che gli sarebbe venuto in mente, ma era davvero spiacevole e fastidioso tenerselo lì, in lista di attesa. Anche se ora aveva cose più importanti a cui pensare che a stupide sensazioni astratte: insomma, era un investigatore, pertanto doveva essere razionale, pensare solo ai fatti. Se avesse dovuto affrontare un altro scontro con l’Organizzazione doveva essere preparato e in forma; beh, sulla prima parte ci avrebbe lavorato una volta conosciuti i piani di Gin, sulla seconda…attualmente aveva qualche problemino.

Cosa sarebbe successo avesse avuto un attacco simile a quello appena passato in un momento critico??

Sempre fortunatissimo…proprio OGGI mi doveva capitare…un ragazzo di diciassette anni, ma che dico, un bambino di SETTE anni che teme di avere un infarto…se me lo raccontassero non ci crederei…

Poteva fare della facile ironia quanto voleva, ma il problema era imminente e reale. La possibilità non era da escludere, come non poteva contare a priori sul fatto che Ai riuscisse a studiare la formula giusta; aveva sbagliato già una volta, no? A quanto ne diceva lei, era una follia sperare in un successo. E non era detto che riuscisse a fare la capsula prima che dovesse entrare in azione.

Problemi, problemi, problemi…cominciava ad essere stufo di tutto questo dover pensare a soluzioni alternative.

Aprì gli occhi, scoccando un’occhiata al telefono vicino all’ingresso. Quella era una possibilità, anche se non lo allettava per niente. Lui era Shinichi Kudo, il geniale studente-detective, colui che era stato nominato dalla stampa ‘L’unico salvatore della polizia giapponese’, non un pivellino qualunque. Non aveva mai avuto bisogno di chiederlo, e non aveva alcuna intenzione di farlo adesso, soprattutto a lui. Poteva farcela da solo, restava in gamba nonostante l’handicap, sicuro. Una volta, durante una partita di calcio nella sua vecchia scuola superiore, aveva preso una tremenda storta al piede destro, tanto che ogni volta che calciava il pallone sentiva fitte dolorosissime articolarsi per tutta la gamba; e si era tirato indietro? Si era fatto sostituire da un compagno di squadra? Certo che no, aveva continuato stoicamente, riuscendo perfino a segnare una rete. L’unica nota stonata c’era stata dopo la partita, quando Ran si era offerta di medicargli il piede, divenuto incredibilmente gonfio e rosso; non che gli dispiacesse sentire il tocco delicato delle sue dita mentre gli spalmava la pomata, il modo lieve e dolce come una carezza con cui gli sistemava la fasciatura, quasi senza fargli sentire il minimo dolore. Ma cavoli, in quanto a prediche seccanti, Ran non era seconda a nessuno! Che avesse preso da sua madre? Probabilmente sì. Riusciva ancora a vedere il suo viso accigliato, e nonostante tutto ancora molto bello, e a sentire la sua voce mentre lo accusava di essere, in poche parole, un pallone gonfiato.

 

“Sei un vero idiota, Shinichi, guarda qui come ti sei ridotto per una stupida partita di calcio! Meriteresti di restare così.”

“Non ti ho mai chiesto di venirmi a medicare.” Aveva sbuffato lui.

“Ma è proprio questo il punto! Tu non chiedi mai aiuto a nessuno, nemmeno quando ne hai bisogno, perché sei così pieno di te da credere di potercela fare sempre da solo, e ad ogni modo di poter fare qualcosa sempre meglio di chiunque altro, non è così?” aveva incalzato lei, alzando un po’ la voce.

“Certo che posso farcela da solo! Mi credi un debole??” ricordava di essersi sentito un pochino risentito e ferito.

“È questo il problema; chiedere aiuto non significa essere deboli, anzi, è proprio il contrario! Ci vuole una grande forza interiore per ammettere i propri limiti.” Le guance di lei si erano colorate di rosa più acceso mentre parlava, e Shinichi aveva capito che, una volta tanto in quanto a ragionamenti assennati, Ran l’aveva battuto.

Tuttavia non l’avrebbe ammesso davanti a lei, no?

“E se uno non ha limiti?”

Quella domanda gli era costata una sberla sul già lesionato piede destro.

 

Socchiuse gli occhi seccato, anche se non poté evitare che gli angoli della bocca si stirassero in un sorriso: innamorarsi di una campionessa di karate aveva i suoi svantaggi, purtroppo.

Come vorrei tornare a quei tempi, Ran…quando passare del tempo con te non significava doverti mentire e ingannare…quando ancora non avevi mai sofferto per colpa mia…

Il sorriso si trasformò in malinconico. Lanciò un’altra occhiata sofferente all’apparecchio telefonico: non vedeva altra alternativa, per quanto il suo orgoglio continuasse a urlare di non farlo. Comunque, si disse, almeno lui era un tipo da non gongolare su questo genere di cose. Su molte altre sì…ma su questo proprio no. E in fondo gli aveva già detto che l’avrebbe coinvolto, no?

Il fatto era che non c’era solo l’orgoglio a fermarlo; farlo partecipe significava metterlo nei guai, e per quanto fosse di gran lunga meno protettivo nei suoi confronti che in quelli della sua amica d’infanzia, non voleva che qualcuno morisse per colpa sua, soprattutto un suo amico. Non se lo sarebbe mai perdonato. E non stavano andando contro un gruppo di criminali sprovveduti, ma contro un’organizzazione estremamente pericolosa.

Ma lui è un detective come me...so che non si farebbe problemi a venire qui se glielo chiedessi, è una delle persone più leali che conosco…ma sono io che ho qualche problema a chiamarlo…

Sospirò. Un'altra cosa a cui pensare. Come aveva detto?? Problemi, problemi, problemi…comiciò a chiedersi se non era lui stesso a farsene troppi. Perché diavolo doveva essere sempre così protettivo nei confronti di tutti quelli che gli stavano vicino??

“Ci hai messo troppo tempo.”

La voce metallica di Gin lo riscosse dai suoi pensieri: tutti il suo corpo si mise in allerta, le orecchie tese a captare qualsiasi suono, la fronte aggrottata in una profonda concentrazione, gli occhi seri e attenti.

“Ehm…mi dispiace.”

Udì uno sbuffo seccato, poi di nuovo la voce che odiava di più al mondo.

“Stasera siamo impegnati, Vodka. Hai presente quel complesso di case popolari abbandonate, alla periferia ovest di Beika?”

“Sì…ci si arriva con un paio di ore di macchina, se non sbaglio…”

La conosceva anche Conan; aveva sentito al telegiornale che il progetto per le abitazioni era stato intrapreso dal comune e poi abbandonato per mancanza di fondi, adoperati per altre opere più importanti. Le case, non terminate, non erano adatte ad essere abitate, così erano lasciate lì a deteriorarsi. Il complesso non aveva buona fama, pareva che molti delinquenti usassero le costruzioni come rifugio, per scambi illeciti, e cose così. Insomma, non un luogo dove un genitore porterebbe il figlio, o dove una persona perbene si farebbe vedere.

“Esatto. Dobbiamo incontrare degli uomini venuti dal sud America per acquistare un carico di cocaina, alle undici e mezzo di stasera. Per precauzione, come al solito, saremo lì un po’ prima per controllare che non vogliano rifilarci qualche fregatura.”

“D’accordo. Ci conviene, i capi non sono molto contenti di quello che abbiamo fatto ieri.”

Dentro di sé, Conan rise sguaiatamente, soddisfatto: e così aveva messo nei guai Gin e Vodka. Ottimo.

“Hmph. Comunque, devo occuparmi di un altro affare che ho in sospeso. Vedrai che i capi chiuderanno un occhio sul fallimento di ieri quando l’avrò messo in atto…domani sera, ci occuperemo di quel bastardo che ci ha ostacolati.”

Conan sussultò: stavano parlando di lui. Cosa mai aveva in mente Gin? Cosa sarebbe accaduto l’indomani sera??

“Come?”

“Studieremo bene il piano domani mattina; per ora concentriamoci sullo scambio di stasera.”

Shinichi Kudo sorrise attraverso il viso di Conan Edogawa: dubitava che ci sarebbe stato tempo per loro per tramare ai suoi danni, dopo quella sera; nella sua mente, già si stava articolando una strategia per mettere finalmente in prigione quei due bastardi. Anche se gli sarebbe piaciuto scoprire cosa aveva in mente, stabilì che non era stato un gran danno; in fondo, nel peggiore dei casi, li avrebbe ascoltati l’indomani, e sarebbe stato pronto a qualsiasi attacco.

“D’accordo, Gin.”

“Ora togliti dai piedi, devo occuparmi di una faccenda da solo.”

Il resto della trasmissione non fu molto significativo; Conan si alzò dal divano, trafugando la cassetta con la registrazione della conversazione fra i due e infilandola nella tasca del giubbetto; se Ai Haibara l’avesse ascoltata, di sicuro avrebbe voluto partecipare alla sua controffensiva, e non aveva alcuna voglia di metterla in pericolo. In fondo le aveva detto che, se fosse successo qualcosa, ci avrebbe pensato lui…

E a proposito di registrazioni…mi domando che fine abbia fatto la cassetta che incriminava me…chissà come ha intenzione di usarla Vermouth…

Scrollò le spalle; pensare a problemi che non avevano soluzioni quando molti più immediati incombevano sulla sua testa, minacciosi, era davvero inutile e stupido. Dunque, doveva ignorare il senso di disagio che si era formato alla bocca dello stomaco al pensiero che una sua confessione fosse nelle mani di un’assassina fuori di testa.

Una cosa gli era chiara: sarebbe andato anche lui in quel complesso, per affrontare Gin e Vodka; beh, avrebbe documentato il loro scambio illecito per dare delle prove contro di loro alla polizia, poi li avrebbe addormentati con un ago anestetico in attesa delle volanti, che naturalmente sarebbero state già messe in allerta; infatti, di lì a poco, avrebbe telefonato all’ispettore Megure con la sua voce adulta, raccomandandogli di avvertire solo alcuni uomini fidati e di sistemarsi nelle vicinanze del complesso in modo che fossero subito pronti all’azione. Qualche agente, come Takagi o Chiba, poteva fingersi un malvivente e gironzolare per le case…

Non è male come idea…ma quei due sono miei…sarò io ad assicurarli alla giustizia…

Ora doveva pensare se coinvolgere o no un’altra persona; Heiji Hattori, per l’esattezza. Si chiese se al professore avrebbe dato fastidio se avesse fatto un’interurbana dal suo telefono di casa. Ridacchiò: decisamente sì.

Decise di chiamarlo con il suo cellulare, così avrebbe avuto anche meno possibilità di farsi sentire da Haibara. Guardò l’orologio: le due e mezza; sarebbe stato meglio tornare all’agenzia, quel giorno Ran non aveva allenamenti di karate e sarebbe tornata subito a casa. Afferrò il giubbetto e la cartella e si diresse verso la porta, gli ingranaggi della sua mente che ancora si muovevano laboriosi studiando i particolari del piano.

 

*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~

  

Una moltitudine chiassosa di studenti si accalcava verso l’uscita della scuola superiore Teitan, in un’ondata di azzurro che sommergeva  il verde dei parti e il grigio dei marciapiedi. Sonoko e Ran camminavano vicine, la prima parlando incessantemente con la sua voce acuta, la seconda sorridendo e annuendo ogni tanto, per gentilezza, senza davvero prestare attenzione ai discorsi della ragazza dai capelli castani: non aveva molta voglia di ascoltare i gossip del giorno del suo liceo, a esser sincera. Comunque, sapeva che Sonoko ci sarebbe rimasta male se l’avesse costretta a tacere, così sopportava paziente il suo sproloquio: in fondo sapeva essere davvero una buona amica, se ce n’era bisogno, come quando aveva ceduto il posto del cavaliere nero a Shinichi, alla recita, cercando in tutti i modi di portarli a interpretare una scena romantica insieme. Inoltre, anche se non lo dimostrava spesso, Sonoko era davvero una ragazza dolce, sapeva che teneva molto alla loro amicizia, e le voleva bene. Quella mattina stessa aveva voluto conoscere i dettagli del suo appuntamento con Shinichi, e quando aveva scoperto che non si era presentato aveva fatto di tutto per tirarla su di morale, cominciando a insultare in tutti i modi il suo amico d’infanzia, ripetendole in sostanza quanto era stato idiota a fare una cosa del genere a lei e proponendo poi una visita in gelateria subito dopo scuola per affogare i loro dispiaceri nei dolci.

“Ti capisco benissimo, Ran.” aveva sospirato. “Sai quante volte Makoto-kun mi ha promesso di venire a Tokyo per poi disdire pochi giorni prima per andare ad un’ennesima competizione da qualche parte in Giappone?”

Era riuscita perfino a farla sorridere quando aveva suggerito di picchiarli entrambi fino a fagli implorare perdono una volta che si fossero ripresentati lì. Eh sì, Sonoko Suzuki poteva avere tutti i difetti di questo mondo, ma aveva un gran cuore. D’altronde, non si diventava la sua migliore amica per niente…

Sonoko chiuse la bocca di colpo, guardando sorpresa un punto davanti a loro; Ran la fissò perplessa per un momento, battendo le palpebre, seguendo poi la traiettoria del suo sguardo e rimanendo a sua volta stupita: fuori dal cancello, in disparte in un angolo per non farsi travolgere dall’ondata di studenti liceali in uscita, c’era una donna dai folti capelli rosso scuro, con una bellezza da diva del cinema, tanto giovanile che, se avesse indossato la divisa scolastica, sarebbe potuta essere scambiata per una studentessa. Ran spalancò la bocca, in un’espressione di sincera sorpresa. Di tutte le persone…

“Ran! Ehi, da questa parte!” le gridò Yukiko facendole cenno con la mano alzata, non appena la scorse.

Lei accennò un sorriso cordiale, dirigendosi verso il punto che le era stato indicato. Sonoko la seguì, ancora perplessa.

“Ma quella non è..?” domandò incerta.

“Sì, la madre di Shinichi.” Sospirò, chiedendosi cosa mai potesse volere da lei; non che le dispiacesse vederla, insomma, casa Kudo era sempre stata un po’ come la propria, e si era molto affezionata alla madre e al padre di Shinichi, li considerava dei secondi genitori, in un certo senso. Aveva idea che la cosa fosse reciproca, infatti Yukiko la trattava sempre con l’amorevolezza e l’affetto di una madre, e ricordava un discorso che Yusaku le aveva fatto, quando aveva tredici anni, su come liberarsi dei ragazzi che potevano importunarla, o farle corti troppo insistenti.

“Basta colpirli nel punto giusto, se capisci cosa intendo.” Aveva detto serio ma facendole l’occhiolino, e lei aveva riso.

“Posso farlo anche con Shinichi?” aveva chiesto, ancora sorridente.

“Devi farlo soprattutto con Shinichi, Ran.” la risposta l’aveva fatta ridere ancora di più.

Adesso sorrise al ricordo: aveva sempre considerato i Kudo una  famiglia davvero buffa. Tutti e tre insieme avrebbero potuto benissimo essere i protagonisti di una sit-com.

Comunque, la presenza di Yukiko lì non la entusiasmava, non dopo quello che era successo il giorno prima con suo figlio. Aveva paura che volesse parlare di quello e la cosa non le piaceva per niente, anche perché, se Shinichi aveva qualcosa da dire al riguardo, poteva farlo benissimo da sé. Trovava immaturo mandare avanti la mamma, insomma, non stavano mica alle elementari! Una sensazione di rabbia mista a odio si formò dentro di lei mentre si avvicinava all’apparenza tranquilla verso la donna. Gli aveva detto che non voleva parlare con lui attraverso il telefono e Shinichi le aveva mandato una terza persona a parlare in sua vece; un pensiero davvero carino da parte sua. Di lì a poco tempo cosa avrebbe dovuto fare per parlargli? Comunicarlo al suo agente e prendere appuntamento?

Stupido, idiota, egocentrico pallone gonfiato…chi credi di essere per trattarmi così? Pensi davvero che starò qui ad aspettarti buona finché non ti ricorderai che esisto?? Beh, se è così rimarrai amaramente deluso Shinichi…non credere che non riuscirei a dimenticarti…

 perfino a odiarti…

Il cuore protestò dolorosamente, ma la sua voce fu soffocata dalla nube di rabbia che ormai invadeva il suo animo. Non avrebbe mai pensato che Shinichi potesse dimostrarsi così vigliacco; forse era vero che si era innamorata dell’immagine che aveva di lui, non del suo vero io. Magari era stato Shinichi stesso a farle credere di essere migliore, per abbindolarla, in modo che lei cadesse ai suoi piedi proprio come le ammiratrici che gli scrivevano montagne di lettere.

Anche se, ricordando i momenti passati insieme a lui, sembrava un’ipotesi davvero poco credibile. Oh, Shinichi avrebbe dovuto essere candidato all’Oscar, se davvero aveva finto per tutto il tempo, con lei. Perché mai avrebbe potuto immaginare un sorriso che le scaldasse il cuore allo stesso modo, due occhi più sinceri e intensi. No, una parte del suo animo, quello che ancora resisteva alla rabbia, le disse che non era davvero possibile. Ma era veramente difficile starla ad ascoltare, dopo tutto quello che le aveva fatto passare il suo amico d’infanzia. Inoltre quella parte era così irrazionale alle volte, quando le suggeriva che Shinichi potesse non essersene mai andato, in realtà, quando le faceva vedere lui dietro l’espressione dolce e infantile del piccolo Conan, quando le faceva sentire parole che nessuno aveva mai pronunciato.

“Ti amo, Ran.”

E per quanto strano potesse essere, le ricordò pronunciate con la voce di Shinichi, non di Conan. Il che era un’altra prova a favore della tesi che era stata tutta immaginazione. Sì, di quella parte irrazionale e tanto sciocca che ancora la esortava a non abbandonare le speranze, ad aprire gli occhi e vedere, a smetterla di pensare male del suo amico d’infanzia. Quella parte così stupida e insopportabile che adesso la incitava a superare le apparenze, proprio come le aveva insegnato lui, a vedere l’essenza delle cose e non il modo in cui gli altri volevano che le apparissero. Shinichi gliel’aveva detto quando erano andati ad uno spettacolo di magia, alle medie. “Non lasciarti ingannare da quello che lui vuole farti vedere.” Aveva sussurrato, indicando il prestigiatore sul palco. “Vai al di là di questo, guarda con gli occhi della mente, e riuscirai a far saltar fuori tutti i trucchetti. Non è tanto difficile, se ci provi. L’unico motivo per cui una persona va a uno spettacolo di magia è che vuole essere ingannato, lasciato a bocca aperta. Si rifiuta di vedere il trucco per non spezzare la magia. Ma i detective sono diversi, loro non possono permettersi di lasciarsi trarre in inganno, perché scoprire la verità è loro dovere. Ragione di vita, se vogliamo essere drastici. È per questo che ho sempre pensato che i prestigiatori fossero gli antagonisti diretti dei detective: i primi cercano di nascondere la verità con l’apparenza, i secondi svelano la verità andando al di là dell’apparenza. Comunque, Ran, il punto è questo: non lasciarti mai ingannare, guarda tutto con gli occhi della mente, sempre. I sensi possono essere ingannati, ma c’è qualcosa che può essere abbindolato solo con la tua complicità. Nemmeno il prestigiatore migliore del mondo potrebbe convincere quella parte di te, se tu non glielo permettessi come fanno tutti questi tipi. Questa parte è il tuo cuore. Quello conosce sempre la verità, anche se cerchi di zittirlo, di convincerlo. Nessuno può ingannare il tuo cuore.”

Questo l’aveva colpita. Ma i ragionamenti di Shinichi la lasciavano spesso senza fiato, con l’abitudine di insinuarsi di nuovo nella sua mente nei momenti in cui ne aveva bisogno. Come questo ad esempio.

Guardare con gli occhi della mente e ascoltare il cuore…facile a dirsi…ma non altrettanto metterlo in atto…

Era così assorta nei suoi pensieri che sussultò quando si accorse di essere arrivata a pochi centimetri da Yukiko.

“Ciao Ran-chan!” aveva esclamato con voce squillante la donna, abbracciandola, prima di salutare un po’ meno calorosamente anche Sonoko. Notò che molti suoi compagni stavano occhieggiando le forme di Yukiko, facendo poi commenti fra di loro con sorrisetti stampati in faccia. Idioti. Si chiese se potesse mai esistere o fosse mai esistito un uomo al quale il cervello non prendesse il volo dopo aver visto un po’ di curve nei punti giusti.

“Salve! Cosa ci fai qui?? Non dovresti essere in America con Yusaku?”

Il viso di lei si imbronciò: “Ran, quando avrai la mia età, capirai che per quanto tu possa amare un uomo, ci sono dei momenti in cui hai bisogno di mettere miglia di distanza fra te e lui.” sospirò, Ran sorrise: i litigi fra i genitori di Shinichi erano frequenti, non quanto quelli dei propri, certo, o tanto drastici, ma abbastanza per il malcontento di loro figlio. Fortunatamente non erano mai veramente seri.

“Comunque, non parliamo di me, adesso. Sono venuta per te, Ran.”

Ecco…ci siamo…

Sentì un moto di sconforto, ma sorrise ugualmente alla donna, annuendo. “Avevamo pensato di andare in gelateria, se vuole unirsi a noi…” disse Sonoko con un sorriso educato.

Yukiko accettò di buon grado, e tutte e tre si avviarono verso il luogo prestabilito. Si sedettero ad un tavolo, una cameriera piuttosto graziosa prese le loro ordinazioni e, mentre aspettavano di essere servite, Yukiko esordì:

“Ran, tesoro, ho saputo quello che è accaduto ieri. Non sai quanto mi dispiace…”

La ragazza alzò le spalle. Così aveva visto giusto, era di quello che voleva parlare. Purtroppo.

“Non importa. Ehm…te l’ha detto Shinichi, quello che è successo?”

Perché se spera che mandando la mamma risolve tutto è una delle rare volte in cui non ha davvero capito niente…

“No, me l’ha raccontato il professor Agasa. Sai che è un po’ il suo confidente, no?” disse, con un mezzo sorriso. Ran annuì calma, ma dentro di lei di nuovo la rabbia ribolliva.

Ha avuto il tempo per raccontare tutto al professore ma non per farmi almeno una telefonata e darmi spiegazioni…grazie tante Shinichi…

Yukiko sospirò: “Lo so, deve sembrarti un vero idiota in questo momento, ma credimi, non aveva alcuna intenzione di deluderti, o ferirti. Lui ti vuole bene, lo sai.”

“Sì, ma mi da anche troppo per scontata!” sbottò, senza riuscire a trattenersi. Sonoko, accanto a lei, sobbalzò, evitando accuratamente di entrare nel discorso. Ran guardò negli occhi Yukiko e…cos’era quella luce che aveva visto in fondo ai suoi occhi? Sembrava…ma no, non aveva senso…

Guarda con gli occhi della mente…

La luce sparì in fretta, sostituita da qualcosa più attinente al tema: dispiacere. Ran fu rilassata da quel ritorno alla normalità, ma purtroppo sapeva bene che Yukiko Kudo era un’attrice molto in gamba, che avrebbe saputo ingannarla, se voleva. O, come sosteneva Shinichi, se lei gliel’avesse permesso.

“Cara, ascoltami, non è mancato all’appuntamento perché voleva…non è stata colpa sua, almeno questo.” Aggiunse, mordendosi il labbro inferiore. Ran la guardò perplessa: “In che senso ‘almeno questo ’?”

Yukiko sembrava refrattaria ad approfondire l’argomento, e anche piuttosto a disagio, come testimoniava il fatto che avesse cominciato a giocherellare con un tovagliolo, tenendo gli occhi bassi. Però ancora una volta tutto questo le sembrava…fasullo.

…e ascolta il tuo cuore…

“Beh, vedi Ran…Shinichi…sta passando un brutto momento ultimamente. Io sto cominciando a pensare che avrebbe dovuto dirti tutto fin dall’inizio, ma lui è così cocciuto, e così protettivo, lo conosci…insomma…se non ha parlato è per il tuo bene, ma penso che sia tu a dover fare le tue scelte, cioè…”

“Ma di che cosa stai parlando??” chiese, la fronte aggrottata. Era totalmente confusa. Cos’era che doveva dirle, Shinichi? Cosa c’entrava col fatto che era protettivo? O che era mancato all’appuntamento??

“…e credo che staresti molto meglio se sapessi.” Continuò la donna, ignorando la sua domanda.

“Sapere che cosa?!?”

La luce negli occhi di lei era tornata, per un istante fugace, ma fu subito scacciata. Eppure l’aveva vista, ne era certa. Non voleva lasciarsi ingannare. Attraverso la confusione, il cuore le lanciò un messaggio chiaro e preciso, che per ora passò inascoltato, poiché la mente era concentrata nello sforzo di capire le sue parole. Ma l’avrebbe ricordato in seguito, nitidamente. Perché Shinichi aveva avuto ragione, naturalmente.

“Ran, cara…ho qualcosa per te”.

 

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Note dell’Autrice: ciao a tutti! Capitolo piuttosto arduo, lo so, e pieno di flash-back, non ho davvero potuto evitarlo.^^” Tutto mi sembrava un perfetto aggancio per una scena presa dal passato della coppia, prima della “nascita” di Conan. A volte o lo scrivi o ti penti di non averlo fatto ogni volta che rileggi il capitolo, perciò, se l’idea iniziale mia era quella di tagliarne qualcuno (come quello della partita, ad esempio) alla fine ho rinunciato. Spero che non sia divenuto un chap pesante, e che il linguaggio non sia troppo ampolloso. Per quanto riguarda la storia, niente di eccezionale, per ora, lo so, siamo su un ritmo piuttosto lento, ma non vi preoccupate: sto solo disponendo le pedine sulla scacchiera: la vera partita comincerà fra poco! (non chiedetemi come mi escono queste cose: la follia della mia mente è incontrollabile e non ha limiti.- _ -“) Come al solito però, dopo aver faticato tanto per essere soddisfacente per i miei canoni, (vi assicuro, sono davvero esigente e pignola) il capitolo deve superare un ulteriore esame, ovvero: è piaciuto a voi che lo leggete?? Spero proprio di sì, nel frattempo passo a ringraziare nei particolari coloro che, con la loro grande generosità, hanno commentato lo scorso chap. Siete fantastici!

Super Gaia: ciao e grazie per i complimenti! Il tuo innamoramento per la mia storia non può che farmi moltissimo piacere! #^^# Spero che questo capitolo non ti deluda e che continui a seguire la mia ff.

Lili: oh carissima, mi ero per l’appunto chiesta dove fossi finita; ho avuto paura che il capitolo sedici non ti fosse piaciuto, è un vero sollievo sentire che non è così!!^^ Non preoccuparti, comunque, non c’è motivo di vergognarsi! Grazie per i commenti riguardanti entrambi i capitoli, spero che anche quest’ultimo sia all’altezza delle tue aspettative!

Yuki: ti ringrazio moltissimo del commento. Ecco il nuovo chap: piaciuto? Spero proprio di sì, Yuki-chan!^^ Grazie anche degli auguri, buon anno anche a te! ßseppure un po’ in ritardo. ^^ ;

Vichan: ciao! Sono particolarmente contenta del tuo commento. Vuoi sapere il perché? Ho notato che, se recensisco uno scrittore che aveva precedentemente commentato la mia ff, quello smette di recensirmi. È una cosa che un po’ mi fa ridere e un po’ mi lascia perplessa: insomma, non mi sembra di aver detto nulla di offensivo nei miei commenti, anzi! Tu hai screditato questa convenzione. *Thanks*! Beh, tralasciando i miei vagheggiamenti, grazie dei complimenti, sono felice che la storia continui a piacerti e spero di non deludere in alcun modo le tue aspettative e la tua fiducia. Auguri per un bellissimo anno anche a te.

Hoshi: salve! Ti ringrazio moltissimo per l’ennesima recensione, mi farebbe piacere sentire la tua opinione anche su quest’ultimo capitolo.

Sabry1611: Sabry, con le tue recensioni mi fai davvero arrossire! #^^# Non riusciresti nemmeno a immaginare quanto mi faccia piacere sentire che ti stai appassionando così tanto alla mia ff, i tuoi apprezzamenti mi scaldano il cuore! È vero, la storia mi prende davvero molto, anche perché si notano subito le ff scritte tanto per, e risultano puntualmente scadenti. Io preferisco di gran lunga non postare nulla che pubblicare qualcosa che non mi soddisfi pienamente, in cui non ci sia passione, appunto. Il cestino del mio pc conta almeno quattro racconti così! ^^” Devo confessarti anche che sono la prima, mentre scrivo, a immedesimarmi nei personaggi; è un modo per renderli il più reali possibili, almeno secondo me. Sono felice di riuscire a coinvolgerti!^^ Di nuovo grazie del commento, un bacio, spero di risentirti.

APTX4869: ciao! Grazie mille della recensione; eh sì, avevi decisamente intuito qualcosa e penso che questo capitolo ti abbia tolto ogni ragionevole dubbio. Sono contenta che tu abbia colto l’indizio dello strano caldo di Conan, comunque. In quanto a quello che ti suggerisce la tua follia…beh, ti confesso che l’idea non mi era passata nemmeno per l’anticamera del cervello, ma nel momento in cui me l’hai suggerita mi si è creata in mente una scenetta comica niente male sull’argomento. (eh eh eh ßtre secondi di gioia immotivata). Pazienta ancora un po’ e abbi fiducia in me: non ti prometto niente, ma c’è una possibilità che il tuo desiderio di vedere Ran e Shinichi insieme si realizzi in un futuro prossimo…nel frattempo, devo ammettere che hai ragione: niente APTX, niente Conan; dunque w Ai Haibara e i suoi veleni! Baci e a presto.

Mareviola: fai poco la spiritosa, tu! Ti sembrano scherzi da fare a una povera inerme scrittrice in erba? Sei senza cuore!

Ah ah ah, scherzetto. (non farci caso, stanotte non ho dormito e gli effetti si vedono.) Grazie della recensione e a presto.

Ginny85: ciao Ginnuzza! A me Conan e Shinichi piacciono entrambi, sebbene non si direbbe, dato il modo sadico in cui li tratto! ^^; felice che anche lo scorso capitolo ti sia piaciuto, la scena con i detective boys l’ho messa di proposito, per alleggerire un po’ la situazione e i vari drammi psicologici dei personaggi; ho notato che l’innocenza infantile è un toccasana! La scena con le tre piccole pesti mi ha divertito molto, e dire che nell’anime non li posso vedere! Anche perché detective boys = puntata stupida; l’unica che mi è piaciuta è stata quella in cui Conan veniva ferito. ( e si ritorna al sadismo.- _ -“). Vedrai che la storia, che ora è in stasi, tornerà in piena attività, e non solo i detective dovranno darsi da fare! (ma non ti dico altro…) intanto, grazie moltissimo dei complimenti, spero che non dovrai mai pentirti di aver letto questa fic! Un bacione, a risentirci!

Lisa Lawer: certo che lo accetto! ^__^ Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, sei molto gentile; beh, le sventure di Shinichi ci sono tutte per colpa mia, lo ammetto, dunque smettila di picchiare il tuo povero computer innocente, ok? Posto che questo non è un invito a colpire me, invece…^^ ; sì, Ai è proprio un bel personaggio, anche perché io ho sempre avuto un debole per i personaggi che non sono completamente buoni e puri. I santarellini sono prevedibili, invece da questi pseudo-cattivi non sai mai che aspettarti! Intrigante, no? A risentirci, spero di non averti fatto penare troppo l’aggiornamento.

Ecco qua. Vediamo un po’ cosa resta da fare: le scene tratte dal manga vengono sempre dagli stessi volumi, che ormai saprete a memoria se leggete sempre questa parte. Se non la leggete non vi interessa, dunque inutile ripetersi. Per quanto riguarda altre note, ci tengo a precisare una questione: avete presente il discorso di Shinichi sui prestigiatori? Quando dice che sono i naturali avversari dei detective?? È una cosa a cui ho pensato una sera in cui mi era particolarmente difficile addormentarmi. In fondo è vero, i maghi cercano di farti credere qualcosa, i detective rivelano la verità. Credo che sia per questo motivo che l’altra ‘creatura’ di Gosho Aoyama, il ladro Kaito Kid, che si contrappone a Conan in vari episodi, sia a sua volta un prestigiatore. (Ce l’avete presente? Quello in tuba e frac col mantello, rigorosamente bianchi, nell’aspetto praticamente uguale a Shinichi? Spero di sì.) Da lì tutto il discorso che la mia strana e buffa mente ha partorito. Vorrei anche ringraziare Quistis5 per aver commentato l’altra mia ff su DC, “A Very Important Gift”. Sono molto felice di essere riuscita a infonderti quelle sensazioni di pace e speranza, e in fondo un po’ te lo dovevo, dopo il modo in cui ti ho fatto deprimere con l’altra fanfic, “In The Darkness of Soul”, non pensi?

Per Laura87...credo che ogni risposta sia superflua, a questo punto, no? ^ _ -

Questo è tutto mi sembra. Se ho dimenticato qualcosa o (peggio) qualcuno, vedrò di rimediare il prima possibile. nel frattempo, scusate se ci ho messo tanto ad aggiornare, spero di riuscire a fare prima con il prossimo capitolo. Se volete aiutarmi, sapete come fare, giusto? ^ _ -

A presto

-Melany

 

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Capitolo 19
*** East & West ***


Nuova pagina 1

19. East & West

Kogoro si era appisolato sulla scrivania dello studio, la testa poggiata di lato e un rivolo di saliva che gli scendeva all’angolo della bocca; Conan comprese che il fatto che fosse tornato più tardi del solito sarebbe dunque passato inosservato: la casa, ad eccezione dell’investigatore dormiente, era completamente vuota. Nonostante l’assenza di Ran fosse più funzionale ai suoi scopi, non poté fare a meno di sentirsi un po’ impensierito: sperava solo che fosse stata prudente come le aveva raccomandato il giorno prima.

Sospirò, poggiando la cartella a terra e appendendo il giubbetto all’ingresso. Estrasse il suo cellulare dalla tasca, cercando il numero che voleva in rubrica e restando a fissarlo per un po’, il pollice sul tasto che confermava la chiamata. Telefonare o non telefonare..?

Immise un bel po’ d’aria e la buttò fuori. Doveva farlo. Il pericolo era già grande di per sé, avvantaggiare ulteriormente il suo nemico non era decisamente una buona idea. Spinse il fatidico pulsante e stette ad aspettare, chiudendo gli occhi con un’espressione rassegnata; il suo interlocutore gli rispose al quarto squillo:

“Kudo, ciao. È successo qualcosa?” il suo accento del Kansai era più marcato del solito, come accadeva sempre quando era preoccupato. Naturale, finora non l’aveva mai chiamato per motivi non inerenti il lavoro.

“Direi di sì.” Conan prese un ennesimo un respiro profondo. “La cimice ha captato qualcosa.”

“Cosa??”

Notò che cercava di tenere la voce il più basso possibile, con il risultato che era quasi roca.  

“Non posso spiegartelo al telefono, e mi pare che nemmeno tu possa parlare liberamente in questo momento.”

“Già, sto aspettando Kazuha, può sbucare fuori da un momento all’altro…ma cosa facciamo allora?”

Conan aprì gli occhi, aggiustandosi gli occhiali sul naso con espressione seria. Era venuto il momento di chiederglielo. Stava per coinvolgerlo, per metterlo in pericolo, per trascinarlo in qualcosa che, in effetti, non aveva nulla a che fare con lui. Represse una fitta alla bocca dello stomaco.

“Dovresti venire qui. A Tokyo.”

“Bene. Quando?”

“Oggi, il prima possibile.”

Il suo silenzio attonito e pensieroso diceva più di qualsiasi parola, anche considerando che aveva lasciato ammutolito Heiji Hattori. Conan si appoggiò con la schiena al muro.

“Se vuoi, il biglietto aereo te lo pago io. So che dev’essere costoso fare avanti e indietro da Osaka.” Aggiunse, dall’altro capo del filo Heiji sbuffò. “Non è questo il problema, Kudo.” borbottò, quasi bruscamente. “È accaduto qualcosa di veramente serio se mi chiedi di venire lì con tanta urgenza. Sei nei guai, amico?”

Okay, ora era davvero preoccupato. Nonostante tutto, il piccolo detective si ritrovò a sorridere internamente: il ragazzo di Osaka era l’unico amico maschio che avesse mai avuto in vita sua; stava scoprendo che era davvero bello avere qualcuno su cui contare, una persona leale e fidata che gli stesse vicino. Non avrebbe potuto allacciare un rapporto simile con nessuno dei ragazzi che conosceva; aveva sempre fatto a meno di amici, e aveva creduto di non averne mai veramente bisogno, finché questo tizio non si era presentato all’agenzia chiedendo di lui. Certo, le prime volte che l’aveva visto non era riuscito a sopportarlo – e a dir la verità ancora adesso molto spesso aveva una gran voglia di strozzarlo- ma era rimasto suo malgrado piacevolmente sorpreso dal fatto che lui ci tenesse così tanto ad avere la sua amicizia. Insomma, anche solo dopo il loro primo incontro aveva cominciato a chiamarlo ‘il suo caro amico Kudo’, e continuava a fare di tutto per restare il suo migliore amico, come se lo reputasse in qualche modo speciale. Era una cosa che l’aveva lasciato perplesso e gratificato allo stesso tempo.

Inoltre, dopo aver scoperto il suo segreto, il detective di Osaka non l’aveva rivelato ad anima viva; insomma, giornali e tabloid avrebbero pagato bene per la sua storia, avrebbe potuto arricchirsi a scapito di uno che, a conti fatti, era praticamente un estraneo per lui: l’aveva visto appena due volte in tutta la sua vita, per un tempo brevissimo. E come se non bastasse la prima volta Shinichi l’aveva trattato piuttosto male. Chiunque al suo posto avrebbe parlato, ma Heiji aveva taciuto con tutti, persino con la sua amica d’infanzia, senza guadagnarci nulla.

Sì, avere un amico del genere era un’esperienza tutta nuova per lui. Era per questo che, nonostante Heiji fosse davvero irritante e insopportabile alle volte, continuava a frequentarlo. Anche se, naturalmente, non avrebbe mai detto tutto ciò a lui.

“Kudo..?”

“No, non direi, tranquillizzati.” Rispose in tono leggero e noncurante “Ma se vieni subito mi fai un favore. Così possiamo parlarne.”

“D’accordo, passo da casa a prendere qualcosa e…quanto tempo devo restare?”

“Ehm…non lo so con sicurezza…ma è stasera che abbiamo da fare, dunque…”

“Fare che cos…okay, okay, me lo dirai quando sarò lì. I miei non saranno molto contenti, dovrò saltare scuola. Ma immagino che questo sia più importante di qualche lezione, giusto? Cercherò di convincerli.”

Aveva parlato in fretta e senza pause, rispondendo da sé alle sue domande. Conan socchiuse gli occhi: era sempre Heiji Hattori, in fondo.

“Senti, devo portare Kazuha?”

Il piccolo detective rifletté un attimo ponderando la questione: avrebbe dovuto lasciare a casa da sola Ran tutta la notte, con Kogoro. Il che di solito non era un problema, ma ‘l’incontro’ con l’Organizzazione che aveva avuto il giorno prima cambiava le carte in tavola. Per l’incolumità di Toyama, sarebbe stato meglio che se ne restasse a Osaka, ma si sarebbe sentito più tranquillo se Ran fosse stata in compagnia di più persone possibili. Buttò fuori un bel po’ d’aria.

“Se è come penso sarà una nottata un bel po’ movimentata, Hattori. Forse è meglio che lei resti a casa.”

“Oh.”

Era di nuovo in apprensione, lo percepiva. Voleva che stesse il più calmo possibile, Heiji tendeva a prendere decisioni troppo avventate se era preoccupato, e l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che succedesse qualcosa fuori dai suoi piani. Stavolta, doveva fare in modo che tutto si svolgesse come l’aveva studiato, perché sapeva che, se avesse commesso anche un solo errore, le persone che stava coinvolgendo e lui stesso sarebbero potuti morire. Contro l’Organizzazione non erano ammesse sciocchezze.

“Tanto per maggior sicurezza.” Aggiunse, sempre fingendo un tono distratto.

“È qualcosa di veramente grosso, vero Kudo?” commentò cupo Heiji, serio. Conan sbuffò: ovviamente lui non si era fatto ingannare dai suoi piccoli stratagemmi. In fondo però ne fu sollevato: era un detective in gamba, doveva smettere di sottovalutarlo e contare su di lui, dato l’affare in cui lo stava coinvolgendo. Non avrebbe potuto chiedere un favore del genere a qualcuno in cui non riponeva la sua massima fiducia, inoltre Heiji se l’era davvero meritata.

Aprì la bocca per dire qualcosa ma udì dietro di sé una chiave che veniva infilata nella toppa della porta d’ingresso. Capì che doveva tagliare al più presto la conversazione.

“Ehm, sì, ma ne parliamo quando sarai qui. Ora devo andare.” Disse in fretta.

La porta si aprì cigolando, una divisa azzurra fece capolino da dietro il legno di frassino.

“Perché? Che è successo??” domandò insistente Heiji, in allarme.

“Niente, tranquillo, solo che…”

“Ciao a tutti, sono tornata.” Esclamò la ragazza con un sorriso.

“…è tornata.” Sospirò, gli occhi sbarrati. Ran gli scoccò un’occhiata perplessa, inarcando le sopracciglia.

“Sei al telefono con qualcuno, Conan?” domandò, piegandosi sulle ginocchia per essere alla sua stessa altezza. Prima che potesse rispondere la voce accentata, modificata dalla cornetta del telefono, lo fece per lui.

“Chi è tornata? Ohi, Kudo..?”

Sembrò quasi che il tempo si congelasse. Ran sbarrò gli occhi, guardando sorpresa il piccolo detective, che era impallidito di colpo, incapace di proferire parole che non fossero balbettii. La voce con l’accento del Kansai nel frattempo continuava a martellare, insistente, il suo vero nome.

Prima che potesse riprendere coscienza di sé e interrompere la telefonata, Ran gli prese il cellulare dalle mani, senza smettere di fissarlo in uno strano modo.

“Hattori-kun?” pronunciò, in tono tiepido.

Silenzio dall’altro capo del filo. Evidentemente, Heiji si era reso conto di ciò che era successo. Quando parlò di nuovo, la sua voce era salita di qualche ottava. “Mouri-kun? Ciao, come va? Ehm…stavo giusto chiedendo al moccioso di Kudo…ehm…se alla fine si era fatto rivedere, cose così.”

“Davvero?” chiese Ran in tono scettico, i suoi occhi non lasciarono mai quelli di Conan, ammutolito davanti a lei.

“Non sembrava che stessi parlando di Shinichi, ma piuttosto con Shinichi.” Commentò, seria, Conan sentì un groppo in gola, impossibile da inghiottire, che gli impediva il respiro.

“Cosa..!?! Ma come ti viene in mente?! Ma dai!!!” ribatté Heiji, in modo davvero poco convincente. Il piccolo detective era certo che di lì a poco il cuore gli sarebbe saltato fuori dalla gabbia toracica, tanto picchiava violentemente contro di essa. Piccole gocce di sudore freddo gli imperlavano la fronte bianchissima.

“Non prendermi in giro.” Aveva parlato con una voce gelida e tagliente, che non le aveva mai sentito prima d’allora e che gli provocò un brivido lungo la schiena.

E così alla fine è successo…mi ha scoperto…e dalla sua faccia sembra proprio che non l’abbia presa bene…per niente davvero…per favore Ran, non guardarmi così non lo sopporto…

“Ran, ecco vedi…” balbettò con voce incerta, cercando di intromettersi.

La ragazza si portò un dito alle labbra, facendogli cenno di tacere, poi continuò.

“Dimmi la verità, Hattori…” chiuse gli occhi un momento, come a voler raccogliere tutta la sua pazienza, poi parlò, dopo averli aperti lentamente. “Shinichi…è lì con te?”

Sembrò quasi che l’atmosfera intorno a loro divenisse più leggera di qualche quintale. Il groppo in gola si sciolse e i polmoni poterono gonfiarsi di nuovo d’aria, il cuore cominciò pian piano a riprendere il suo battito regolare. Conan represse con tutte le forze un sospiro di sollievo e un sorriso.

Dall’altra parte, Heiji sembrò a sua volta più tranquillo. “Beh, ehm…in effetti era qui un momento fa…ma ora è andato via. Ha detto che aveva da fare.” Conan condivise la sua decisione di prendere questa strada: continuare a negarlo sarebbe stato inutile e avrebbe potuto farla avvicinare alla verità. Ran socchiuse gli occhi in un’espressione davvero infuriata. “Non avrei mai immaginato che potesse essere così...idiota.” Conan capì che aveva volutamente cambiato l’epiteto con cui voleva apostrofarlo realmente, forse per non imprecare davanti a un bambino di sette anni. 

“Adesso ho capito perché Conan lo difende sempre. È lui che gli dice di farlo, vero? Approfitta della sua innocenza e dell’ammirazione che prova nei suoi confronti. Povero piccolo. E anche tu Hattori, che gli reggi il gioco, capisco che sei suo amico, ma…” sospirò, scocciata.

“Non è che gli reggo il gioco, cioè, un po’ sì, ma devi capire che…sta passando un momento difficile e gli è impossibile venire da te, adesso. Credimi.”

Ran sbuffò, scuotendo la testa. “Il suo momento difficile non gli crea problemi a venire da te, a quanto sembra. Ma immagino che vi siate visti per lavoro, vero?”

“Ehm…in effetti…”

“Lavoro. Certo, capisco.”

Conan notò che gli occhi di lei stavano diventando lievemente lucidi, e la sua espressione era contratta, innaturale. Dentro di sé, il senso di colpa cominciò a crescere, premendo sulle pareti del suo animo con intense scariche di dolore; la maschera che lei aveva indossato quella mattina era caduta, rivelando il suo vero stato d’animo: Ran aveva l’aria di chi era stata tradita dalla persona più importante che aveva. Conan tese un braccio, raggiungendo la mano di lei, inerme appoggiata alla coscia, e vi posò sopra la propria. Ran batté le palpebre, guardandolo sorpresa, poi gli rivolse quel sorriso così bello e carico di dolcezza che lui amava tanto, stringendo la sua piccola mano con delicata fermezza e facendola scomparire del tutto, con triste amarezza di Shinichi.

Si era dimenticato quanto fossero diventati diversi i loro palmi, cresciuti insieme e rimasti così a lungo simili.

Si era dimenticato che non era la propria, la mano che le stava offrendo sostegno.

Si era dimenticato che Shinichi Kudo non era lì, in quel momento.

“Mouri-kun…” chiamò Heiji, titubante.

“Va tutto bene, Hattori-kun, non preoccuparti.” Lo rassicurò lei, la voce più addolcita. Non aveva ancora smesso di sorridergli, e Conan rispose sorridendo a sua volta, sollevato del suo cambiamento. Sapeva che lei era ancora arrabbiata e ferita, ma era contento di vederla più tranquilla. Se non altro, riusciva ancora a farla stare bene, se voleva. 

O almeno è Conan a riuscirci…

“Devi dire qualcos’altro a Conan?” chiese Ran in tono discorsivo.  

“Ehm, no, ci stavamo salutando…”

“Bene, allora ti saluto anch’io. Devo preparare il pranzo per papà e il piccolo e poi devo fare i compiti. Torna presto a trovarci, mi raccomando, e dì a Kazuha che la chiamerò presto!”

Spense il cellulare, rivolgendo uno sguardo pieno di tenerezza e riconoscenza al piccolo detective, che si sentì arrossire. Dopo qualche minuto passato in silenzio, durante i quali Ran fissò con aria abbattuta la sua mano stretta su quella del piccolo, che accarezzava lievemente con le proprie dita, lo lasciò andare e gli arruffò i capelli con un sorriso più giocoso, ridendo quando lui sbuffò tentando disperatamente di rimettersi a posto la testa spettinata.

“Che vuoi per pranzo Conan-kun?” domandò, mentre si alzava in piedi.

Il suo stomaco, seppure rimpicciolito, sembrava esageratamente grande e infinitamente vuoto. Al pensiero del cibo brontolò con un gorgoglio maleducato. Conan arrossì, lei lo guardò clemente.

“Riso al curry?” propose speranzoso, la pancia approvò con un ennesimo rumorino. Ran considerò la questione, poi annuì. “Sì, dovrei avere tutti gli ingredienti.”

Si diresse verso la cucina, allacciandosi il grembiule. Conan si lasciò cadere sul divano, accendendo la televisione per distrarsi e non pensare ai reclami insistenti del suo ventre e alla saliva che cominciava ad accumularsi in bocca. Non aveva davvero avuto il tempo di pensare al cibo, con tutto quello che era successo, e aveva un gran bisogno di riempirsi lo stomaco. Non metteva niente sotto i denti da quella mattina a colazione, dato che durante la ricreazione a scuola aveva volutamente ignorato la merendina e il cartone di latte che gli avevano dato. Sospirò: aveva ancora un mucchio di cose da fare per quella sera, come avvertire l’ispettore Megure, parlare con Ai dell’antidoto, informare Heiji, preoccuparsi di come rispedire sua madre a Los Angeles; non che gli dispiacessero le sue visite, ma quel giorno era proprio il meno indicato per stare con lei. Comunque, ci avrebbe pensato una volta rifocillato: il cervello, per quanto grande e carico di intelligenza e astuzia, era succube in tutto e per tutto dello stomaco, in quel momento.

Si sintonizzò sul telegiornale e si mise ad ascoltare le notizie.

Dietro di lui, Kogoro scivolò giù dalla sedia svegliandosi con un grido di dolorosa sorpresa emesso dai suoi toni soavi.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*  

 

Heiji Hattori spense il cellulare, ancora un po’ scosso da quello che era accaduto: aveva sempre immaginato Ran Mouri come una ragazza dolce, sensibile, comprensiva. Nonostante Kudo dicesse spesso seccato che aveva più paura di lei che degli assassini a cui dava la caccia quando era arrabbiata, non gli aveva mai dato molto credito: dietro l’espressione imbronciata del piccolo detective infatti si scorgeva chiaramente un sorriso e uno sguardo carico d’affetto, anche mentre si lamentava di lei. Ma la voce che aveva sentito al di là della cornetta era totalmente diversa dal solito tono caldo e gentile della ragazza di Tokyo: era fredda e tagliente, priva di qualsiasi barlume di tepore, ed era sicuro che non fosse solo il frutto della modifica metallica del telefono; l’aveva trafitto e impressionato, sembrava appartenere non a Ran, bensì al fantasma di quella che era stata una volta. Davvero, ne era rimasto allibito.

Inoltre, le cose che aveva detto…aveva parlato di Kudo quasi come se lo odiasse; c’era un abisso fra le maniere che aveva usato riferendosi a lui mentre facevano colazione insieme e quelle di qualche minuto prima. Incredibile, come il calore dell’amore più sincero e leale si fosse tramutato in quella specie di gelido odio represso. Metteva davvero i brividi. Ma c’era qualcos’altro dietro il ghiaccio…qualcosa che riusciva a identificare con un solo nome:

Dolore.

Era soprattutto questo ad averlo colpito.

Nelle ultime fasi della conversazione il tono si era mitigato, ma l’affettazione sarebbe stata evidente anche al peggior detective in circolazione: Mouri stava fingendo, e poteva avere molte qualità ma era davvero una pessima attrice.

Sospirò, infilandosi le mani in tasca: il ruolo che giocava in tutta quella vicenda gli era più pesante di quanto avesse mai immaginato all’inizio: era lo spettatore consapevole che assisteva agli equivoci e alle incomprensioni fra due persone che gli erano care, ma che poteva fare poco e niente per migliorare le cose. Kudo doveva stare davvero male, perennemente in bilico fra la possibilità di dirle tutto e porre fine alle sofferenze, trascinandola però nel pericolo di essere uccisa, e starsene in silenzio vedendola al sicuro fisicamente, ma pian piano crollare sotto i colpi delle sue continue bugie, lentamente mettendola contro l’altra parte di se stesso, quella che non poteva mostrarle. Mouri, dall’altro lato, che continuava ad aspettare il suo ritorno, soffrendo la sua apparente lontananza, mettendo a dura prova la sua fiducia in lui, una fiamma che gradualmente si stava spegnendo e che lei non riusciva più a ravvivare, spossata da tutte le volte in cui era stata ferita e delusa dalla persona che amava di più al mondo. Credendo forse di non importare molto per lui, che invece osservava tutto e ne soffriva, quanto e più di lei.

Sì, Heiji assisteva a tutto questo, incapace di porvi rimedio in qualche modo. Avrebbe tanto voluto aiutare Kudo, era il suo migliore amico, sapeva che non si meritava di essere odiato dalla ragazza a cui teneva così tanto. Insomma, se avesse sentito Kazuha parlare di lui con quel tono di voce, quelle parole...riusciva a immaginare il dolore che stava provando. Voleva fare qualcosa per Kudo…e per Mouri, naturalmente. Non si erano mai frequentati molto, ma gli era subito piaciuta, i suoi modi gentili, il suo carattere. Sì, era decisamente una ragazza a posto. Anche perché era la persona amata da Kudo, e ciò già diceva tutto.

Scoccò un’occhiata all’orologio e sbuffò: Kazuha ci stava mettendo davvero troppo; lui doveva prendere l’aereo e raggiungere Tokyo al più presto, il fatto che il suo rivale avesse richiesto la sua presenza così urgentemente non lo tranquillizzava per niente: Kudo non era tipo da chiedere aiuto, sempre orgogliosissimo e presuntuoso, di solito era il vecchio suo vicino di casa a chiamarlo per chiedergli di venire in soccorso. Se perfino il signor So-Tutto-Io aveva capito che aveva bisogno di rinforzi, doveva essere davvero una faccenda seria. Che avesse trovato il quartier generale dell’Organizzazione e volesse attaccarlo?? Non gli aveva detto molto, anzi, proprio nulla, ed era davvero curioso di sapere in cosa stava per cacciarsi. Giusto per una preparazione psicologica, niente di più: non avrebbe certo abbandonato nel momento del bisogno il suo miglior amico! Era una gran seccatura però dover viaggiare di nuovo: i suoi genitori avrebbero fatto un mucchio di storie, probabilmente avrebbe dovuto pagarsi da solo il biglietto. Tutto sommato, avrebbe fatto meglio ad accettare l’offerta di Kudo: lui era ricco e non ne avrebbe sofferto granché.

“Heiji!” Kazuha arrivò trafelata accanto a lui, il fiocco bordeaux della divisa scolastica alla marinara e la gonna a pieghe che ondeggiavano a ritmo col vento. I suoi capelli erano legati come al solito dietro la testa, con un nastro rosa pastello, e la coda si intravedeva alle sue spalle cadere con una morbidezza unica. Il viso era arrossato per la corsa, gli occhi di un verde deciso. Heiji notò tutto questo, e anche un altro paio di particolari interessanti che gli diedero molte più risposte di quante ne avrebbero date a una qualsiasi altra persona. Sorprendente, quanto ancora potessero divertirlo le sue abilità deduttive. Per il momento però, era meglio tenere le sue deduzioni per sé: Kazuha sembrava già di cattivo umore.

“Ce l’hai fatta finalmente! Quanto cavolo ti ci vuole a sistemare un’aula?” esclamò, con tono seccato.

“Non è stata colpa mia!” si difese lei, con aria indispettita. “Yuko aveva il turno di pulizia insieme a me oggi, ma si è defilata dicendo che aveva un impegno! Ho dovuto fare tutto da sola!” incrociò le braccia con uno sbuffo, le sopracciglia inarcate; il suo viso imbronciato aveva un fascino unico al mondo, sul serio.

“E poi, se non ti andava di aspettare, potevi raggiungermi! Se mi avessi aiutato, avremmo finito prima!”

Heiji sorrise internamente, dato che sarebbe stato imprudente farlo all’esterno: era proprio per quello che aveva evitato di andarla a chiamare. Se c’era una cosa che odiava, era fare le pulizie: il suo turno era stato quattro giorni prima e ne aveva avuto abbastanza, grazie tante.

“Forse hai ragione.” Scrollò le spalle, cominciando a camminare verso il cancello dell’istituto, attraversando il cortile, con Kazuha che fu subito al suo fianco. Come sempre. Incredibile quanto un gesto tanto semplice e innocente potesse far sentire così bene.

“Senti, hai presente la ricerca di storia che c’è da fare per domani?” chiese lei ad un tratto, lui annuì.

“Beh, ti andrebbe di farla insieme oggi pomeriggio?” Il tono della sua amica d’infanzia sembrava speranzoso, cosa che gli fece inspiegabilmente piacere. Tuttavia, sapere di doverle dare una delusione lo fece subito sentire peggio.

“Mi spiace, ho un impegno, proprio non posso.”

“Di che si tratta?” Domandò Kazuha, e anche se non si era voltato, poteva sentire gli occhi di lei puntati su di sé. Il suo tono di voce aveva una profonda nota di disagio e una velata tristezza. Comprensibile, visto cosa era accaduto l’ultima volta che le aveva detto di avere un impegno. Si accorse di doverle di nuovo mentire e sentì un moto forte di senso di colpa crescere dentro di lui, nonostante non stesse cercando di nascondere nulla di terribile. Insomma, non stava uscendo con un’altra o roba simile. Cioè, avrebbe potuto farlo, non stavano insieme, ma sapeva che per qualche strana ragione sarebbe stata una cosa orribile nei confronti della sua amica d’infanzia.

All’improvviso, gli tornò in mente il viso di lei a pochi centimetri dal proprio, il suo profumo buonissimo, come di mirtilli, il calore della sua pelle, la sensazione del suo respiro che soffice si posava sulle sue labbra…

Arrossì di colpo, incespicando nei propri piedi, e si rese conto che non aveva lui stesso molta voglia di uscire con un’altra. Insomma, stava davvero per succedere ciò che pensava?? Era così vicina, così dolce…se solo quella strana ragazza non li avesse interrotti!! Un moto di profondo risentimento si fece strada nel suo animo, mentre socchiudeva gli occhi innervosito.

“Allora?” insisté Kazuha, fermandosi davanti a lui. Heiji la guardò dall’alto in basso, avvantaggiato dalla sua statura superiore, aggrottando la fronte: cosa doveva dirle adesso? Kudo gli aveva suggerito di non portarla con sé, e se lei avesse saputo che andava a Tokyo avrebbe insistito per seguirlo. Ma sua madre l’avrebbe informata di certo, erano molto amiche: dunque tanto valeva raccontarle subito la verità.

“Devo tornare a Tokyo. È per lavoro.”

“Cosa?? Quale lavoro?” chiese lei stupefatta.

Lui sfoggiò uno dei suoi tipici sorrisi a trentadue denti.

“Devo ritrovare i genitori di Ellery, me l’ha chiesto ieri sera in aereo.”

“Dai Heiji!” esclamò lei, alzando gli occhi al cielo.

“È vero! Li hanno divisi quando era nell’uovo! Devo cercarli, è importante.”

Accelerò il passo, Kazuha cominciò a sua volta a correre, la gonna a pieghe che ondeggiava a ritmo con i suoi movimenti, concedendo qualche rapida vista delle sue cosce.

“Non scherzare! Perché non vuoi dirmelo?”

Heiji sbuffò, scuotendo la testa. “Kazuha, usa il cervello qualche volta. Se non te lo dico, vuol dire che non posso.” Ribatté seccato, visto che l’approccio ironico non aveva funzionato. Sperò di aver infuso nel tono la giusta nota di irritazione e rabbia, per scoraggiarla a insistere. La sua amica d’infanzia lo guardò tristemente, solo un pochino scocciata, poi gli fece la domanda che temeva di più, quel giorno.

“Posso venire con te?”

Si fermò. Il modo in cui lo stava guardando, gli occhi verdi e profondi che si fissavano nei suoi, le labbra dischiuse… si diede uno scossone mentale, riuscendo in tempo a bloccare il rossore. Ultimamente gli ormoni gli stavano dando più problemi del solito, si accorse.

“Che vieni a fare? Vado lì per lavoro, ti annoieresti solamente.”

“Potrei stare con Ran.” insisté imperterrita.

Heiji sospirò; non era mai stato un tipo paziente, e cominciava davvero a innervosirsi.

“L’hai vista ieri, non puoi presentarti ogni giorno a casa sua a mangiare a sbafo. Smettila di insistere.” Sbottò, riprendendo a camminare. Kazuha sembrava piuttosto contrariata.

“Ma la cosa non crea problemi se sei tu a farlo, mi sembra!” gli gridò dietro, in collera, Heiji si strinse nelle spalle e non si voltò. Non gli piaceva per niente discutere con Kazuha in quel modo, ma doveva ripetersi che lo stava facendo per il suo bene: il tono di voce di Kudo era grave, carico di apprensione dietro quella falsa sfumatura casuale, doveva trattarsi di una cosa seria, oltre gli standard a cui erano abituati. Senza contare che c’era di mezzo l’Organizzazione…non si sarebbe mai perdonato se le fosse successo qualcosa per essere stata coinvolta in quella faccenda; mille volte meglio che se ne restasse a Osaka, a fare quella tanto noiosa quanto priva di rischi ricerca di storia.

Camminarono in silenzio per un po’, lui guardandosi intorno, lei fissando il marciapiede. Non capitava spesso che fossero così a disagio l’uno con l’altra, nonostante discutessero di frequente. Insomma, erano cresciuti insieme, i litigi erano sempre stati una realtà costante della loro vita quotidiana, anno dopo anno, che fosse per chi doveva usare lo scivolo per primo o per chi dovesse decidere il film da vedere al cinema, o qualsiasi altra cosa. Ma adesso, c’era uno strano freddo intorno a loro, e Heiji non capiva il perché: dopotutto non era stata una discussione così violenta, anzi, ne avevano avute di peggiori. Lanciò un’occhiata alla sua amica d’infanzia, ma poteva scorgere solo la sua chioma di capelli corvini dalla propria visuale, e non fu in grado di dedurre nulla riguardo al suo comportamento. Poi lei parlò di nuovo, senza alzare la testa, con un tono di voce così flebile che se ci fosse stato un colpo di vento avrebbe portato via le sue parole.

“Perché non mi vuoi con te, Heiji?”

Rimase stupefatto: la sua domanda era carica di una tristezza e di un’afflizione che non le aveva mai sentito, come se fosse stata in qualche modo ferita dal suo rifiuto, ma nel profondo. Anche questo lo lasciò perplesso: non era la prima volta che andava a Tokyo senza di lei, e nonostante spesso ci fosse rimasta male, non aveva mai dato tanto peso alla questione. Cosa c’era di diverso quel giorno? Cos’era che rendeva così grave la cosa? Sospirò; qualsiasi cosa fosse –e sperava che non credesse di nuovo che avesse un’altra, altrimenti sarebbe stata davvero ridicola- ora doveva pensare solo a tranquillizzarla. Odiava vederla così triste. Lo faceva sentire male dentro, come se qualcosa stesse marcendo all’interno del suo corpo. La sensazione opposta a quella meravigliosa che provava ogni volta che la vedeva sorridere.

“Non essere stupida. Non è così.” borbottò, sentendo le guance in fiamme e guardando nella direzione opposta a quella in cui si trovava lei. “Ma è meglio se resti qui, fidati di me.”

“Heiji…”

“Basta con le domande. Per favore.” Aggiunse, quando si accorse di essere stato troppo brusco. Ebbe il coraggio di voltarsi verso di lei e si accorse che ora lo stava guardando, con quei suoi occhi così stupendamente luminosi, di quel verde tenero e brillante allo stesso tempo.

“Va bene.” Si arrese Kazuha, annuendo e distogliendo lo sguardo. Purtroppo sembrava ancora piuttosto crucciata. Cosa poteva dire di più per farla sentire meglio, si chiese con amarezza.

“E quando torno, potremmo…ehm…” era possibile che la faccia gli prendesse fuoco dall’interno? Da quello che stava provando non era da escludere. “…cenare insieme da qualche parte. Se ti va. Oppure non so…vedere un film…lascerei scegliere a te.” Disse esitante, distogliendo lo sguardo da quello di lei. Quando parlò di nuovo, il tono della sua amica d’infanzia aveva ripreso colore.

“Oh magari! Sarebbe fantastico!!” esclamò, prima di diventare all’improvviso tutta rossa accorgendosi di quello che aveva detto. Heiji non si lasciò sfuggire l’occasione per scoccarle uno dei suoi sorrisetti ironici e divertiti.

“C-Cioè, non intendevo dire che...che sarebbe fantastico uscire con te…”

“Ah. Beh, se dev’essere un sacrificio possiamo farne a meno, sai.” Ribatté, fingendosi offeso. Il viso di Kazuha ormai si confondeva col fiocco della sua divisa.

“No! Mi piacerebbe…ma io prima mi riferivo al film…al fatto che potevo scegliere e..” si fermò di colpo, quando si accorse che Heiji aveva cominciato a ridacchiare, non riuscendo più a trattenersi. Capì di essere stata presa in giro da lui. Di nuovo.

“Sei un idiota!!” gli gridò contro, colpendolo in testa con la cartella e ignorando il suo lamento di dolore.

“La sai una cosa?? Non so se mi va poi così tanto di uscire con te, stupido!!”

Si allontanò, indispettita, lasciandolo indietro a massaggiarsi il punto in cui l’aveva colpito, con le lacrime agli occhi.

“Ma dai, stavo scherzando! Ehi, Kazuha!” La raggiunse quasi subito, sempre tenendosi la nuca dolorante con la mano,       

 internamente sollevato perché la situazione era tornata alla normalità. Non gli piaceva sentirsi a disagio con lei.

Accanto a lui, Kazuha Toyama sorrise rincuorata all’orizzonte, le guance rosa acceso, solo un fioco barlume di tristezza negli occhi.  

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

Conan scostò il simulatore dalla bocca, interrompendo la telefonata: la polizia era stata avvertita. L’ispettore Megure e alcuni dei suoi uomini più fidati gli avrebbero coperto le spalle durante l’operazione, con la massima discrezione. Attraverso la ragionevole paura che provava, non poteva fare a meno di sentirsi eccitato all’idea di poter finalmente sbarazzarsi di quei due demoni; quanto aveva atteso quel momento! Gin e Vodka avrebbero pagato caro l’affronto che gli avevano fatto, rovinando il suo appuntamento con Ran e somministrandogli quell’orribile composto. Li avrebbe fatti pentire di essersi messi contro Shinichi Kudo, il grande studente-detective di Tokyo.

Beh… in quanto a ‘grande’ si potrebbe avere qualcosa da ridire al momento…comunque…

Sorrise, infilandosi le mani in tasca e cercando di scorgere tra la folla la faccia conosciuta del suo corrispondente di Osaka; aveva deciso di andargli incontro all’aeroporto, non poteva permettere che si presentasse all’agenzia: i Mouri non dovevano sapere niente della sua visita. Aveva detto a Ran che andava in biblioteca a cercare un libro da leggere per scuola, pronto a declinare il suo invito ad accompagnarlo, ma stranamente lei aveva accondisceso subito, senza nemmeno fargli le solite domande del tipo “Quando torni” e “Con chi vai”; era una cosa che l’aveva lasciato un po’ perplesso.

Si strinse nelle spalle, scoccando un’occhiata all’orologio e sbuffando; meno male che gli aveva detto subito.

Aveva anche chiamato casa del professor Agasa per chiedere se avessero captato qualcos’altro di interessante, ma a parte alcuni spostamenti all’apparenza senza importanza di Gin –aveva cenato in un ristorante e ora si stava muovendo in macchina- rumori incomprensibili e discorsi senza peso, non sembrava essere accaduto nulla. Non sapeva decidere se fosse una cosa positiva o meno, ma al momento aveva già abbastanza da fare senza aggiungere altre rogne, quindi concluse che era meglio per tutti che Gin se ne stesse un po’ tranquillo. Aveva approfittato della telefonata anche per informarsi sul composto che stava preparando Ai, ma la bionda scienziata si era chiusa in laboratorio con la pretesa di non essere disturbata per nessun motivo, e il professore gli aveva confidato che quando era così decisa e autoritaria preferiva non contraddirla; lui disse che era perché sarebbe stato scortese interromperla mentre lavorava, ma le proprie orecchie da detective gli avevano fatto cogliere nitidamente l’inquietudine nella voce del suo anziano vicino di casa: probabilmente il professore aveva anche un po’ paura a mettersi contro di lei.

Sospirò, cominciando a battere la suola di una delle sue scarpe da tennis a terra, aspettando. Il prossimo volo da Osaka sarebbe arrivato un’ora più tardi, perciò sperava davvero che Hattori fosse su quello appena atterrato: faceva freddo e non aveva alcuna intenzione di restare lì tutto il pomeriggio, senza fare nulla di costruttivo: come il suo idolo Sherlock Holmes, anche Conan non sopportava di annoiarsi, aveva bisogno di essere sempre attivo mentalmente e fisicamente.

E a proposito di cose che gli davano fastidio: quel maledetto nodo alla testa non accennava a sciogliersi. C’era qualcosa di importante che gli sfuggiva, nella sua testa si era accesa la luce rossa lampeggiante di emergenza, che lo esortava a risolvere il suo piccolo mistero personale prima che fosse troppo tardi: il problema era che proprio non riusciva a realizzare cosa fosse. Aveva rivisto mentalmente tutto quello che gli era successo in quegli ultimi due giorni, dall’incontro con quella strega di Vermouth, alla lotta con Gin e Vodka a quello che aveva ascoltato quella mattina ma niente. Vuoto totale. Non c’era nessun particolare che aveva trascurato che avrebbe potuto metterlo in pericolo. Dunque quelle cose non c’entravano, poteva escluderle: ci aveva rimuginato sopra tante di quelle volte che se quella sensazione era davvero connessa a quegli eventi e lui ancora non aveva colto il nesso, poteva anche smettere di fare il detective.

Ripartiamo da zero allora: quando esattamente ho cominciato ad averla??

Quello stesso giorno, a casa del dottor Agasa; c’era stata quella stupida battuta sul film con Eddie Murphy, poi…

“Ehi, Kudo!”

Sussultò, ritrovandosi davanti il detective del Kansai, che lo guardava dall’alto in basso.

“Quasi non ti vedevo in mezzo a tutta questa gente, insomma, sei un nanerottolo, potevi sventolare una bandiera rossa, o metterti in testa uno di quei coni fosforescenti della stradale…non so…”

Conan lo fulminò con lo sguardo, per nulla divertito; Heiji d’altro canto sorrideva beato, fiero di se stesso per essere così spiritoso.

“Andiamo.” Borbottò il piccolo detective, serio, cominciando a incamminarsi. Il ragazzo di Osaka lo seguì docile, senza però smettere di sghignazzare fra sé e sé.

Uscirono dall’aeroporto, e dopo aver camminato per un po’ si trattennero vicino alla fermata dell’autobus.

“Credevo fossi venuto a prendermi in limousine” commentò Heiji con tono deluso, ma con la sua solita aria allegra, mentre aspettavano il mezzo. Conan sbuffò.

È qui da due minuti e già mi sto pentendo della mia decisione…

“Riuscirai a dire qualcosa di serio prima o poi?” brontolò, senza guardarlo.

“Qualcosa di serio.” Lo sentì ribattere.

“Beh, questa è vecchia come battuta. Puoi fare di meglio.” commentò con un sorrisetto. Tanto valeva stare al gioco, si disse, in fondo ci sarebbe stato tempo per la tetraggine quella sera.

“Vero.” Annuì Heiji con entusiasmo immotivato “Ma ero distratto dall’immagine di te con il cono in testa. Impagabile!” Ridacchiò, mentre Conan sospirava, poi si fece meditabondo “Chissà se potrei…”

Heiji gli lanciò un’occhiata che non gli piacque per niente, Conan si imbronciò immediatamente.

“Qualsiasi cosa tu stia pensando, scordatelo.” Grugnì, scoprendo i denti; Heiji lo osservò in silenzio per qualche altro minuto, poi scrollò le spalle e distolse lo sguardo con uno strano sorriso a fior di labbra.

L’autobus arrivò qualche tempo dopo, affollatissimo, e i due fecero una bella faticaccia per riuscire a salire; Conan in particolare, date le sue dimensioni, rischiando di essere calpestato ben due volte. Comunque, a parte la scomodità e il caldo, riuscirono ad arrivare in fretta a destinazione, scesero e raggiunsero un locale piuttosto frequentato vicino al centro di Beika, sedendosi a bere un caffè. Il chiacchiericcio intorno a loro era fitto, le conversazioni dei vari tavoli si mischiavano fra loro, confondendo suoni e voci e quindi rendendo impossibile estrapolare i singoli discorsi. Conan sorrise con aria compiaciuta: era proprio il posto perfetto per loro. Spostò lo sguardo verso il suo collega, seduto davanti a lui, e dalla sua espressione capì che le motivazioni per cui l’aveva portato lì gli erano chiarissime.

“Racconta.” Disse semplicemente, sostituendo alla faccia allegra  un cipiglio sveglio e attento, quello che gli vedeva sempre mentre investigavano insieme. Sorrideva ancora, ma i suoi occhi erano seri e astuti, le sopracciglia inarcate in una profonda concentrazione. Restò con quella posa durante tutta la sua spiegazione, annuendo ogni tanto quando Conan si fermava a riprendere fiato o a riconsiderare qualche punto, dando segno di aver capito. Quando completò il suo racconto, il piccolo detective prese fra le mani la tazzina e bevve un lungo sorso di caffè caldo, mentre Heiji, davanti a lui, strappava un pezzetto di tovagliolo e cominciava ad appallottolarlo distrattamente.   

“Così stasera dovremmo andare a catturarli…”

Conan annuì.

“…e tu probabilmente sarai di nuovo adulto.”

“Se Haibara riesce a preparare l’antidoto, sì.”

Heiji sospirò, lasciandosi andare con la schiena contro la sedia e guardando per qualche minuto le pale del ventilatore sul soffitto, nel loro lento girare. Conan non disse nulla, lasciandogli il tempo di riflettere su quanto gli aveva appena rivelato; capiva che non doveva essere facile trovarsi implicati in un affare del genere. Alla fine, il ragazzo del Kansai inspirò ed espirò profondamente.

“Adesso capisco perché mi hai consigliato di lasciare Kazuha a casa; sarà pericoloso, vero?”

“Più di quanto abbiamo mai dovuto affrontare, sì.” confermò pacato, in un mormorio denso di pesante consapevolezza.

“Ma voglio che sia chiara una cosa, Heiji.”

Il detective di Osaka, colpito dalla gravità del tono, incrociò lo sguardo del detective di Tokyo: i suoi occhi blu erano solenni, carichi di stanchezza e determinazione allo stesso tempo, si fissavano diritti in quelli di lui senza traccia di esitazione, sembrava quasi che avesse smesso perfino di battere le palpebre.

“Ti ascolto.”

“Non sei obbligato a fare quello che ti chiedo. So che è molto di più di quanto avrei il diritto di esigere da te, e ti giuro che non ti biasimerò se vorrai rifiutare. Io sono nei guai, io mi sono messo contro l’Organizzazione, tu non c’entri niente. È ingiusto coinvolgerti in tutto questo, perciò non voglio che ti senta in obbligo di darmi una mano. Puoi decidere di alzarti e andare via in questo momento e io non farò nulla per fermarti, né la cosa cambierebbe in alcun modo il rapporto che c’è tra noi. Pensaci bene, quindi, se accettare o meno, perché i criminali contro cui dovremmo metterci sono ad un livello molto più alto rispetto ai nostri soliti standard. Te ne rendi conto anche tu. Potremmo morire in questa missione, Heiji. Perciò, rifletti bene, e sappi che, qualsiasi sarà la tua decisione, non cambierà niente.”

Detto questo, Conan distolse lo sguardo da quello di lui, incrociando le braccia e lasciandosi andare a sua volta contro lo schienale. Heiji restò in silenzio per un po’, sul viso un’espressione pensosa e indecifrabile, fissando un punto imprecisato davanti a sé. Quando finalmente parlò, non più di due minuti dopo, lo fece con un tono calmo e serio, carico di distratta gravità, che raramente gli aveva sentito.

“So che non sono obbligato, Kudo. L’ho sempre saputo. Se vengo qui per darti una mano non è certo perché ho paura che tu possa non voler più essere mio amico o roba del genere. Lo faccio perché voglio aiutarti.”

“Va bene, ma stavolta…”

“Stavolta non c’è niente di diverso.” Lo interruppe, di nuovo i loro sguardi si incontrarono “Okay, è pericoloso, potrei morire, ma sono i rischi che ho accettato di correre nel momento in cui ho voluto fare il detective. Se mi tirassi indietro ogni volta che il fantasma della morte aleggia sulla mia testa, non avrei nemmeno il diritto di essere un investigatore, e di certo non ho scelto questo lavoro per starmene al sicuro. Mi offende sul serio il fatto che tu pensi che possa essere così vile da…”

“Non è questione di essere vili” si difese Conan in fretta “quanto…”

“Sì invece.” Lo interruppe di nuovo “Il mio lavoro è combattere contro il crimine per aiutare le persone, ed è quello che ho intenzione di fare. Forse io non sono mai stato negli obiettivi dell’Organizzazione, ma non puoi dire che non ha niente a che fare con me; ha cominciato a riguardarmi nel momento stesso in cui ne ho conosciuto l’esistenza. E soprattutto, se credi che lascerei nei guai il mio migliore amico solo per proteggermi, non hai capito proprio niente di me.”

Abbassò gli occhi sul suo caffè. Conan restò a guardarlo imbambolato, sconcertato da quella dimostrazione di assoluta lealtà, ma non del tutto sorpreso: nel fondo del subconscio si era aspettato quella scenata di indignazione. Ma dopotutto aveva dovuto dire quelle cose, non aveva avuto altra scelta. Era obbligato a lasciargli una chance per tirarsene fuori, o non se lo sarebbe mai perdonato. Sperava che Heiji lo capisse. Trasse un respiro profondo:

“Heiji, non intendevo offenderti, so che sei un bravo detective, è solo che…” buttò fuori l’aria, indeciso su come continuare e molto a disagio internamente. Forse aveva davvero ferito i suoi sentimenti, ed era una cosa che lo lasciava scombussolato e in colpa. 

“…solo che sei un perfetto idiota che non riflette prima di parlare, sì, lo so.” Suggerì Heiji serio, Conan annuì prima di realizzare il significato delle sue parole, in netto contrasto col suo tono e l’atmosfera creata.

“No che non lo sono!!” replicò quasi urlando, seccato dall’essere stato ingannato da un trucchetto così stupido e in imbarazzo per essersi sentito tanto in colpa. Heiji cominciò a ridacchiare malignamente al suo indirizzo, cosa che fece crescere la sua irritazione a livelli stellari.

“E piantala di ridere, antipatico!”

Sbuffò, imbronciato, incrociando le braccia e distogliendo lo sguardo dal volto di lui: il suo sorrisetto gli dava sui nervi. Purtroppo però non poteva fare nulla per gli sghignazzamenti che continuava a sentire.

“Idiota” borbottò contrariato “comincio a pensare di non aver bisogno dell’aiuto di un detective mancato come te, Hattori.”

“Un minuto fa hai detto che  sono in gamba, Kudo, sii coerente.” Replicò lui in tono leggero, asciugandosi una lacrima che era sfuggita alle sue ciglia per il troppo ridere.

“Hmph.”

“È in momenti come questi che rimpiango di non avere con me un registratore.” Considerò Heiji dopo un po’.

È in momenti come questi che apprezzo di più la mia vita…

Pensò Conan ringraziando il cielo; era già abbastanza umiliante senza aver bisogno di una documentazione per i posteri.

“Beh, che ne dici di andare a casa del tuo vicino per prepararci a stasera, Kudo?” propose il ragazzo di Osaka.

Il piccolo detective annuì, alzandosi e dirigendosi verso la porta senza dar segno di notare il pezzo di carta che la cameriera aveva lasciato sul loro tavolo.

“Ehi, Kudo, il conto! Devi pagare la tua metà.”

“Io sono un bambino.” Replicò Conan, confezionando la sua espressione più innocente e sorridendo: “Non pretenderai che paghi per me.”

Uscì, senza dargli il tempo di ribattere, sentendosi un pochino meglio per quella sua piccola rivincita. Non molto, perché il punteggio delle loro battaglie personali era ancora a favore di Hattori, ma almeno aveva segnato un gol a fine partita, e poteva ritenersi soddisfatto. Sorrise nel vedere il viso di Heiji, contratto in una smorfia seccata, quando ricomparve al suo fianco.

“Questa me la paghi, Kudo.” sussurrò Heiji ostile, in tono minaccioso.

Conan smise improvvisamente di sorridere. 

 

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“Allora hai capito? Credi di poter venire?”

“Non lo so…” rispose titubante la voce al telefono. “È che Heiji ha detto di no e io non so se…”

“Hattori-kun sarà con Shinichi, no? Sono quasi certa che lui sappia.” Ran sospirò “Kazuha-chan, è così difficile da credere…vorrei che tu sia con me in quel momento. Chiederei a Sonoko, ma lei non c’entra niente con questa storia, e se è vero, Hattori sta ingannando te, e quindi tu hai diritto di sapere quanto me.”

“Forse hai ragione.” Concluse la ragazza di Osaka, con un sospiro. “Allora quando?”

“Oggi, se non è un problema; vorrei risolvere la questione al più presto.”

Un silenzio meditabondo dall’altra parte del filo, poi un sospiro profondo.

“D’accordo, Ran-chan. Credo di poter convincere i miei. Male che vada, non sarò costretta a fare quella stupida  ricerca.”

“Uh?”

“Lascia stare.” Tagliò corto la ragazza del Kansai. “Verrò, e faremo questa cosa insieme.”

“Grazie mille, Kazuha-chan.” E non era un modo di dire: Ran le era veramente riconoscente. Il colloquio con la madre di Shinichi l’aveva lasciata piena di interrogativi, ed era ansiosa di far luce su quella faccenda.

Salutò Kazuha e riappese il ricevitore, fissando attraverso la finestra il cielo che si andava annuvolando sempre di più; si ravviò i lunghi capelli scuri dietro le spalle con un gesto distratto e allo stesso tempo elegante, cominciando a sbottonarsi senza pensarci la giacca azzurra per togliersi la scomoda divisa scolastica e indossare qualcosa di più comodo. Finalmente era arrivato il momento di scoprire la verità; giurò a se stessa che da quel giorno in poi non avrebbe permesso più a nessuno di ingannarla, proprio come le aveva insegnato il suo amico d’infanzia. Avrebbe chiarito tutto e avrebbe smesso di soffrire e di aspettare, non l’avrebbe più presa in giro. Perché stavolta si sarebbe fatta spiegare tutto, non avrebbe accettato bugie da lui.

Si infilò un paio di jeans chiari e una camicetta candida a righe dello stesso celeste tenero dei suoi occhi, con sopra un giacchetto rosa pastello, slacciato. Si diede un’ultima aggiusta allo specchio della sua stanza, scoccando una profonda occhiata al riflesso della cartella posata sul letto, dietro di lei.

Così Yukiko pensava che quella fosse la soluzione ai suoi problemi? Non sapeva davvero cosa pensare al riguardo.

Beh, stiamo a vedere come andrà a finire, ok?

L’avrebbe visto, e avrebbe capito, ne era sicura. Perché come diceva sempre Shinichi, “Esiste una sola verità”.

Ed era giunto il momento di scoprirla.

 

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 Note dell’Autrice: Eccomi qua, è abbastanza presto? Dato il considerevole ritardo dell’ultima volta ho fatto di tutto per aggiornare il prima possibile questo capitolo, e spero di aver raggiunto il mio scopo, alla faccia di prof sadici che riempiono di compiti, di rappresentanti d’istituto che convocano comitati studenteschi a uffa, di seminari giuridici alle peggiori ore del pomeriggio ecc. Spero che la velocità non abbia in alcun modo avuto conseguenze negative sul capitolo (in fondo non sono stata poi così veloce) e che vi sia piaciuto. La mia parte preferita è il colloquio fra i due detective alla caffetteria, adoro quei due ^__^. Ancora molte chiacchiere e niente azione, ma vi prometto che ce ne sarà in abbondanza nei prossimi capitoli, quindi è meglio lasciare il tempo di riposarsi ai personaggi. Beh, come al solito ringrazio tutti i lettori e in particolare chi ha commentato, siete grandissimi! Passo subito alle risposte singole, e ci rivediamo (si fa per dire) con chi vuole alla fine, per le solite piccole note:

Vì-chan: ciao! È sempre bello ritrovarti, sono contenta che sia una cosa su cui possa contare anche per il futuro. Avevo paura di aver esagerato coi flash-back nello scorso capitolo, ma tu mi hai tranquillizzata. Thanks! #^^# Per quanto riguarda le tue domande…beh, non pretenderai che scopra così le mie carte! Leggi e saprai tutto. In fondo, cosa sarebbe un racconto di detective senza un pizzico di mistero? ^ _ ~

Hoshi: salve! Sono contenta che ancora una volta il mio capitolo ti sia piaciuto, ma sono ancora più contenta che tu mi faccia una domanda su Detective Conan: le adoro! ^//^ Allora: c’è una scenetta molto carina sul manga riguardo alla questione “età di Ai”, che io ho letto in inglese e che ho salvato in un qualche floppy (tanto per precisare che non invento storie, ma che le mie conoscenze sono tutte comprovate da determinati volumi; non riusciresti a immaginare quante stupidaggini girano in rete sull’argomento, infatti prima di credere a qualunque cosa leggo su internet io cerco sempre un riscontro reale): la scena si svolge allo stadio, dove i detective boys sono andati a  vedere una partita di calcio. In effetti, quando Conan chiede alla biondina quale sia la sua vera età, lei spara una cifra come 84, lasciando perplesso e stupito il piccolo detective. L’ennesimo caso li distrae dal loro discorso, che riprendono alla fine della storia, quando Conan si rivolge a lei dicendogli una cosa del tipo: “Dovrò cominciare a chiamarti nonna, allora?” Ai sorride e gli rivela che stava scherzando, precisando che in realtà ha 18 anni, e aggiungendo sotto voce “Proprio l’età giusta per te.” Ti assicuro che la faccia di Conan a quel punto è tutto un programma. Dunque non penso che possa essere considerata una pedofila, in fondo ha solo 1 anno più di Shinichi. Soddisfatta della risposta? ^^

Mareviola: ma dai! Non ti sparerei mai con un mitra, mi è stato insegnato che è meglio non lasciare troppe tracce quando si fanno questo genere di lavori.:P  Eh eh eh…ti spaventeresti se ti dicessi che mi hanno fatto realmente questa raccomandazione? Comunque, ancora non si è fatta luce su molte questioni riguardanti la storia, spero che il capitolo ti sia piaciuto e che continui a seguirmi. E non rubarmi le battute!

Sabry1611: ciao! Come al solito le tue recensioni mi fanno salire al settimo cielo, sei davvero carinissima! #^^# Io,una scrittrice in incognito!? Ma va! Se continui a farmi complimenti di questo tipo mi monterò la testa! Comunque, le intenzioni di Yukiko si scopriranno presto, te lo prometto, nel prossimo capitolo…o magari in quello dopo…o in quello dopo ancora…beh, prima o poi si saprà tutto. Povera Sabry! Davvero ti ho fatto soffrire così tanto!? Mi dispiace é _ è io faccio del mio meglio con gli aggiornamenti, davvero, ma so che l’ultima volta ho impiegato un bel po’ di tempo…il fatto è che con l’indirizzo che ho preso ho un sacco di materie e di conseguenza un sacco di compiti a casa, ed è davvero difficile ritagliare spazi di tempo sufficienti alla stesura di un intero capitolo (ti assicuro che sono piuttosto lenta a scrivere: in un’ora è già molto se viene fuori una pagina! - _ -“) dunque mi è difficile aggiornare in fretta. Non ti preoccupare, non mi sono offesa!^^ Figurati! Potrei mai avere un qualsiasi sentimento negativo nei tuoi confronti dopo tutte le cose carine che mi hai detto!? E poi, il fatto che sei così ansiosa di leggere il seguito della mia ff non può che farmi piacere! Spero che questo chap sia arrivato abbastanza presto, e che lo stesso varrà per il prossimo. Io faccio il possibile! Per quanto riguarda il discorso delle fanfic, sono ben lontana dal dire di aver letto tutte quelle presenti su questo sito (a dirla tutta sono ben lontana dall’affermare anche di averne lette la metà o un quarto) quindi non posso esprimere un giudizio negativo o positivo globale. Fra quelle che ho letto che ne sono di carine, un paio che mi sono piaciute particolarmente (tutte opinioni che ho lasciato nelle recensioni) ma anche numerose che, dal mio punto di vista, non erano granché. Ma in fondo, la bellezza sta nell’occhio dell’osservatore. Io non critico uno scrittore solo perché ha scritto qualcosa che non mi piace, (sarebbe stupido, ma chi cavolo mi crederei di essere!?) ma mi da un po’ fastidio quando si pubblicano storie scritte tanto per, giusto per vedere il proprio nome in lista. È patetico. E si nota al primo sguardo. Questa è la mia opinione generale. Beh, mi sa ho esagerato con tutte queste chiacchiere, grazie ancora per i complimenti, sei davvero gentile, un bacione e a presto!

Yuki: beh, se ti è piaciuta quella parte, immagino che anche quella finale fra Ran e Kazuha in questo capitolo ti abbia interessato; non preoccuparti, i non dire verranno al più presto svelati! ^ _ -

Wilwarind: tesora!! Ciao!! È bello risentirti dopo tutto questo tempo! ^//^ Spero che tu stia bene, io non mi lamento (ho avuto la febbre la settimana scorsa, ma adesso è tutto passato). Grazie dei complimenti sulla fanfic, il tuo sadismo nei confronti del povero Conan è inquietante, ma sono contenta che i flash-back ti piacciano così tanto! Sai com’è, è l’unico modo per far stare la coppietta insieme, poveracci!^^; (qui il perfido è lo stesso Gosho, immagino)  ma mi chiedo quand’è che verrai a farmi concorrenza (o meglio a stracciarmi ^^“) con la tua fanfic!! Lo sai che adoro TB…Comunque, aspetto tue notizie attraverso e-mail, ma come al solito prenditi pure tutto il tempo che vuoi…comincio a capire seriamente cosa significhi non avere un minuto libero! Oh, se hai qualche suggerimento da fare o qualche critica nei confronti della storia, accomodati pure; sai quanto ci tengo al tuo giudizio. Baci, a risentirci, Wil-chan!^^

Ginny85: oh, anche tu ammalata!? Questa febbre sta facendo stragi ultimamente, l’ho avuta anch’io la settimana scorsa, e in classe facciamo a turno (prof compresi, per nostra fortuna); spero che adesso sarai ormai guarita. Come sempre, grazie mille per i complimenti, sei gentilissima; il discorso di Shinichi in effetti l’ho creato io, dopo aver riflettuto astrattamente sulla questione qualche tempo fa. Mi si è accesa all’improvviso una lampadina quando ho messo a confronto prestigiatori e detective (so cosa vorresti chiedermi: “Non hai niente di meglio da fare?” beh, ti dirò, ci sono giorni in cui penserei anche ai vantaggi dei lacci per le scarpe pur di non prestare attenzione al libro di testo che attende di essere letto sulla scrivania), sono felice che il discorso ti sia piaciuto. Per quanto riguarda i MIB…diciamo che non è a tutti gli effetti un’idea genuina. Ti spiego: leggo molte ff di Detective Conan in inglese, e lì capisci che gli Uomini in Nero non possono che essere chiamati “Men in Black”, così, la prima volta che mi è capitato sotto gli occhi l’appellativo, il mio strano cervello ha subito fatto un collegamento col film di Eddie Murphy…ed ecco qui la battuta.^^ Ti ringrazio tanto per le lodi, mi fai arrossire! ^//^ Beh, il manga per fortuna è più solare e spensierato della mia storia, Conan deve pensare solo alla cosa che gli riesce meglio (risolvere omicidi), Ran sopporta bene la lontananza di lui ecc. i miei personaggi sono un po’ più complessati. Poveri. Ai…uhm, non avevo mai pensato ad accoppiarla con qualcuno. Lei è un tipo solitario di natura. Facciamo così, ci penso e poi ti dico, ok? Un bacione, ciao! 

Lili: ti ringrazio!^//^ Beh, non sono sicura nemmeno io di avere la mente adatta al giallo, è la prima volta che mi cimento con questo genere, e mi preoccupa la prospettiva di poter commettere degli errori e delle imprecisioni; ma sai come si dice: o la va o la spacca! ^__^  Sono contenta che questi capitoli tranquilli ti piacciano, spero di non deluderti nemmeno quando arriveranno quelli un po’ più movimentati; per quanto riguarda Yukiko…tu continua a seguirmi e scoprirai tutto, promesso!^ _ ~ Un bacio, a presto.

APTX4869: ciao! Eh già, povero Conan…poveri tutti i miei personaggi!! Però dai, alla fine sto dando loro un attimo di respiro con questi capitoli.^^ Grazie tantissimo dei complimenti, felice che la battuta di Gin e Vodka ti sia piaciuta e che approvi anche l’entrata in scena di Yukiko. Vedrai che cosa combinerà! ^__^ A risentirci, spero che anche quest’ultimo chap sia stato all’altezza delle tue aspettative!

Lisa Lawer: grazie mille! Spero di non averti fatto penare troppo…ho fatto più veloce che potevo, ma un po’ di giorni (o meglio, settimane ^^;) mi ci vogliono per aggiornare, capisci. Mi auguro comunque che anche questo capitolo ti sia piaciuto e che sia valsa la pena di aspettare un po’ per leggerlo. Ciao!

Terabyte: ciao, mi ha fatto veramente piacere leggere la tua recensione: sei stata carinissima! Grazie! #^^# Hai ragione, cerco di frullarci dentro un po’ di tutto in questa storia, azione, umorismo, tristezza ecc. nonostante come genere sul sito abbia scritto solo “Romantico” (piccola confessione: quando l’ho pubblicata il giugno scorso non ero riuscita a mettere più di un genere ^^;). Se ti piacciono Shinichi e Heiji sarai stata contenta dello spazio che ho dedicato loro in questo capitolo, e a proposito, se nel dialogo che hanno avuto c’è qualcosa che non ti sta bene sentiti libera di dirmelo! Le critiche costruttive sono sempre utili. Ai invece non si vede qui…ma rimedierò presto, don’t worry!^ _ ~ Avrà una parte fondamentale nella storia. Oh, mi hai fatto ridere con la scena dell’elefante in tutù…grazie ancora dei complimenti, spero di risentirti.

Akemichan: salve!^^ Felice di risentirti, e che la mia ff continui a piacerti (grazie per i complimenti!). Beh, ci sono scene carine anche fra Ai e Conan, sebbene  non siano romantiche, e credo che ce ne saranno anche in futuro (a me la biondina piace ^//^), perciò…

Con questo è tutto; le solite precisazioni: avete presente il modo in cui si veste Ran alla fine del chap? Jeans, camicia bianca a righe blu e giacchetto rosa!? Sono gli stessi indumenti che indossa in un’immagine che ho trovato su internet, in cui giace addormentata sul pavimento con in mano un maglione che sta sferruzzando per Shinichi. Adoro quell’immagine, lei è davvero carina, così quando ho dovuto decidere che vestiti farle mettere mi è subito venuta in mente. Per quanto riguarda i volumi del manga, non mi sembra di averne citati stavolta (ma potrei anche sbagliarmi; oggi sono piuttosto frastornata). L’idea di andare a parlare in un locale affollato, in modo da non essere ascoltati da orecchie indiscrete, posso dire che mi sia stato suggerito da un tizio di nome Sirius Black. ^^ Moltissimi di voi avranno già capito a chi mi riferisco, ma per scrupolo aggiungo comunque che si tratta di un personaggio di J.K. Rowling, dei romanzi di Harry Potter. Sirius lo dice ai tre protagonisti nel quinto libro.

Beh, credo di aver finito, per oggi. Ringrazio ancora tutti i lettori, ma sapete già che la mia riconoscenza andrà in particolar modo a quegli angeli che commenteranno.

A presto, con il ventesimo capitolo.

-Melany

 

 

  

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Capitolo 20
*** Revelations ***


20. Revelations

I due detective si fermarono davanti alla soglia della casa del dottor Agasa; quando Heiji fece per suonare il campanello, Conan richiamò la sua attenzione tirandogli la stoffa dei pantaloni un po’ sotto il ginocchio. Il ragazzo si voltò sorpreso verso di lui, inarcando un sopracciglio in un’espressione interrogativa.

“Ricordati quello che ti ho detto.” Bisbigliò Conan, serio. “Haibara non deve sapere nulla di stasera. Se venisse a conoscenza dell’azione che stiamo preparando, vorrebbe parteciparvi, e non ho alcuna intenzione di portarla con me. Inoltre, potrebbe anche rifiutarsi di darmi l’antidoto.”

“Sì, ho capito, me l’hai già detto” borbottò scocciato il detective dell’Ovest.

“Dì che sei qui…”

“…per controllare le mosse di Gin, pedinandolo. Uffa, quanto sei noioso!” sbuffò Heiji, socchiudendo gli occhi e suonando il campanello. Conan scrollò le spalle e distolse lo sguardo dal suo collega; preferiva mettere le cose bene in chiaro: Heiji tendeva a parlare a sproposito quando c’era da mantenere un segreto, lui l’aveva sperimentato a sue spese. Tutte le volte che lo chiamava Kudo in pubblico, di fronte a Ran, quello stesso pomeriggio al telefono…

Il dottor Agasa aprì la porta, battendo più volte le palpebre quando vide il ragazzo di Osaka sulla soglia, confuso.

“Ehm…salve” borbottò, scoccando un’occhiata interrogativa a Conan che quest’ultimo schivò con disinvoltura.

“Ehilà, vecchio, come va?” esordì Heiji espansivo, in tono confidenziale nonostante si fossero visti pochissime volte. Conan guardò in faccia il suo vicino di casa e sorrise, intuendo dalla sua espressione sbalordita e dalle sue guance paonazze quello che stava pensando: ‘Vecchio?’. Il ragazzo del Kansai gli batté sulla spalla un paio di volte con la mano con atteggiamento amichevole, poi entrò in casa poggiando in terra il suo bagaglio. Il professore seguì i suoi movimenti, sconcertato, poi si rivolse al piccolo detective, che a sua volta aveva varcato la soglia.

“Shinichi, che cosa sta succedendo?” chiese, come inebetito.

“Hattori è venuto ad aiutarmi, deve pedinare Gin. Non posso spiegare ai Mouri la sua presenza qui, perciò mi chiedevo se potessi ospitarlo tu per oggi.” Spiegò con voce incolore, gli occhi socchiusi in uno dei suoi tipici cipigli annoiati. Il viso del professor Agasa stava diventando rosso acceso.

“Non potevi avvertirmi prima? Chiedermi se potevo?” replicò imbronciato, a bassa voce, forse pensando che sarebbe stato scortese far sentire una cosa del genere all’ospite in questione. Conan si limitò a stringersi nelle spalle.

“Ehi, non hai delle patatine fritte o qualche altro snack?” l’inconfondibile voce con l’accento di Osaka risuonò dalla cucina verso il salone. Il dottor Agasa sbuffò, guardando torvo il piccolo detective, che fece in modo un’altra volta di sottrarsi alla sua occhiata.

“Insomma, cos’è questo chiasso?”

Conan si voltò sorpreso verso la porta del laboratorio, dalla quale era emersa Ai Haibara; aveva un’aria molto più stanca rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, i capelli biondi erano un po’ spettinati, sopra la maglietta a dolcevita verde scuro e ai calzoncini candidi aveva indossato il camice bianco. Se non avesse avuto quella luce triste negli occhi e quell’espressione cupa, sarebbe sembrata davvero adorabile, una bambina di otto anni con un camice da dottore e i capelli arruffati. Conan si chiese distrattamente dove avessero trovato una divisa da medico di quella misura.

“Abbiamo visite.” Borbottò il professor Agasa, dirigendosi verso il divano con aria indispettita. Ai gli prestò per qualche secondo la sua attenzione, che si spostò poi inevitabilmente su Conan.

“È arrivato Heiji Hattori da Osaka. Si è offerto di pedinare Gin per stasera.” Disse il piccolo detective, sperando che il suo tono di voce non tradisse la bugia e cercando di non far vacillare il suo sguardo. Ai gli riservò una profonda occhiata di apprezzamento, trapassandolo da parte a parte con lo sguardo. Sarà stato che non era abituato a mentire, ma quei pochi secondi che impiegò lei a formulare l’altra domanda gli sembrarono eterni.

“Seguiamo già i suoi spostamenti con la trasmittente. A cosa serve pedinarlo?” domandò freddamente.

Oh oh…

“Beh, la trasmittente ci dice a quanti chilometri di distanza si trova, non esattamente dove. Non possiamo sapere cosa fa a meno che, parlando, non lo spieghi lui stesso. È un modo in più per tenerlo d’occhio. Sapere quello che fa.” Ribadì il concetto, pregando di aver assunto un tono ragionevole e convincente. Lei lo squadrò di nuovo con quei suoi occhi freddi, simili a lame di coltello che cercavano di trafiggerlo, e Conan sentì un brivido percorrergli la schiena.

“Non è rischioso?” chiese lei lentamente, senza smettere di fissarlo.

“No, Hattori è bravo, e poi anche se lo vedessero, non lo conoscono!” incalzò lui.

Ai rimase impalata a studiarlo ancora per qualche minuto, poi chiuse gli occhi e scrollò le spalle.

“Spero che tu sappia quello che fai, Kudo.” disse lugubre, e prima che lui avesse il tempo di rispondere si chiuse alle spalle la porta del laboratorio, isolandosi di nuovo dal mondo.

Per Conan fu un grandissimo sollievo; i muscoli, prima tesissimi, si sciolsero velocemente e il corpo si lasciò andare seduto. Dentro di sé aveva un po’ paura che Ai avesse fiutato l’inganno, ma probabilmente la mente di lei era troppo impegnata a pensare all’antidoto per doversi occupare anche di quella faccenda, era quello il motivo per cui non aveva insistito tanto. O almeno così sperava.

Smettila di essere sempre così disfattista…e poi anche se avesse percepito la bugia, non potrebbe mai arrivare alla verità…

Con questo pensiero si sentì un po’ meglio; era vero, anche se sospettava qualcosa, Ai non poteva venire a conoscenza degli avvenimenti di quella sera, dunque erano al sicuro da lei. Sospirò, togliendosi il giubbetto e appendendolo all’attaccapanni dell’ingresso, prima di raggiungere gli altri in salotto. Heiji si era appollaiato sulla poltrona poco distante dalla tv, sgranocchiando salatini, il professore aveva incrociato le braccia, seduto sul divano con un’espressione imbronciata.

Conan sorrise, poi si accorse che c’era una persona che mancava all’appello.

“Dov’è mia madre, dottor Agasa?” domandò incuriosito. Aveva bisogno di parlare con lei, doveva convincerla a tornarsene in America da suo padre; non si sentiva a suo agio al pensiero che si trovasse in città quando lui doveva affrontare una missione pericolosa, preferiva saperla sana e salva a Los Angeles.

Il professore si fece meditabondo: “Uhm, è uscita subito dopo che tu ci hai mandati via dalla stanza perché volevi riposare, non ha detto dove andava. Poi non l’ho più vista.” Spiegò, guardandolo attraverso le tonde lenti degli occhiali.

“Ah.” Un brivido gelido gli percorse la schiena, accompagnato da un bruttissimo presentimento.

Oh mio Dio…non sarà andata da Ran…

Si lasciò cadere sul divano, le gambe molli non lo reggevano più. Sperava che non avesse tenuto fede a quello che gli aveva detto; la sua vita sentimentale era già abbastanza scombussolata senza che sua madre andasse a parlare con Ran. E a parte tutte le cose spaventose che lei avrebbe potuto dire a quest’ultima, che figura ci avrebbe fatto con la sua amica d’infanzia?? Di un ragazzino idiota che non appena aveva un problema andava a piangere dalla mammina?

“Ehm, scusate, non dovremmo organizzarci per stasera?” s’intromise Heiji, la bocca piena di salatini.

Conan sospirò, il suo collega aveva ragione. Il lavoro prima di tutto.

“Sì, meglio cominciare.” Approvò, mettendosi seduto composto. “Ma parla a voce bassa, lei non deve sentire”.

Lei se ne stava con la schiena appoggiata al muro, in un punto dove loro non avrebbero potuto vederla, nascosta nell’ombra, ma dal quale poteva sentire benissimo cosa stavano dicendo, voce bassa o no. Le mani erano infilate nelle tasche del camice, un ginocchio era piegato in modo da far poggiare la pianta del piede alla parete dietro di sé.

“Sei uno sciocco, Kudo.” bisbigliò, il viso solitamente neutrale tirato per l’ansia, la fronte aggrottata in un’espressione preoccupata. Tirò fuori la mano destra dalla tasca e ne estrasse una cassetta, che cominciò a rigirarsi fra le mani.

“Sei davvero uno sciocco…”

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

“Non fare tardi, Ran” brontolò l’investigatore Kogoro Mouri, quando vide sua figlia infilarsi il cappotto da sopra i fogli del giornale. Lei si voltò verso di lui, sorridendo.

“Non preoccuparti papà, ho lasciato la cena nel forno.” Lo conosceva bene; scorse sulle gote di suo padre un lieve rossore prima che, sbuffando, si coprisse di nuovo il volto col giornale. “È solo una porzione per te, Conan ha telefonato dicendo che resta a dormire dal professor Agasa stanotte”.

“Dove hai detto che vai?” chiese Kogoro, senza guardarla.

“Devo andare a prendere un’amica…” a Ran non capiva bene il motivo per cui preferiva tenersi sul vago, ma aveva la sensazione che fosse meglio così. Era un po’ assurdo, perché prima o poi avrebbe dovuto informarlo, visto che Kazuha avrebbe dormito a casa loro, ma la faceva sentire più tranquilla.

Kogoro riemerse di nuovo da dietro il giornale, gli occhi neri penetranti mentre la fissava serio, con un’espressione che lo faceva somigliare a un poliziotto in procinto di interrogare un sospettato. Strascichi del suo lavoro di gioventù, immaginò sua figlia. Dopo qualche momento molto gravido, l’investigatore parlò:

“Meglio per te che si tratti di un’amica” borbottò “Perché se mi ritorni di nuovo in lacrime…”

“Non lo farò.” Lo interruppe lei, insolitamente brusca e fredda. Kogoro alzò un sopracciglio: lei lo guardava all’improvviso molto rigida.

“Bene.” Replicò suo padre, scomparendo di nuovo fra le notizie del giorno.

Ran finì di abbottonarsi il cappotto, passandosi una mano fra i capelli lunghi per tirarli fuori dall’indumento che li aveva avvolti e aprì la porta, scomparendo dietro di essa.

Fuori si era alzato un forte vento gelido, che la fece rabbrividire. Attraversò in fretta le vie di Tokyo, le guance e il naso che diventavano sempre più arrossati a causa del freddo, i capelli lunghi scompigliati dal vento che le finivano davanti agli occhi. Fu un gran sollievo salire sull’autobus, con il calore dei respiri e dei corpi di tutte le persone che vi viaggiavano, e fu un rammarico altrettanto grande dover scendere. Per fortuna, Kazuha era già arrivata quando giunse all’aeroporto, e la aspettava infagottata in un lungo cappotto di camoscio beige e una sciarpa di lana avvolta intorno al collo. Quando la scorse sorrise, il suo viso altrettanto congestionato del proprio.

“Ciao, Ran-chan!” esordì, abbracciandola. “Da quanto tempo, eh?”

Ran rise della battuta, poi la ringraziò per essere accorsa al suo richiamo.

“Di nulla” rispose lei, scuotendo la testa e facendo ciondolare la coda di cavallo, trattenuta con un nastro di un blu particolare . Ran si chiese distrattamente se non sentisse freddo al collo, con i capelli tirati su anche d’inverno, prima che la voce della sua amica del Kansai la distraesse di nuovo. “Qui fuori si congela, che ne dici di andare a prenderci qualcosa di caldo mentre mi dici nei dettagli quello che è successo?”

Ran approvò entusiasta, in effetti in quel momento non le sarebbe dispiaciuta una bella cioccolata calda. Raggiunsero un bar lì vicino, sedendosi ad un tavolo e ordinando ognuna una bevanda bollente.

“Carino il tuo nastro. Bel colore.” Commentò Ran, mentre la ragazza di Osaka si stava togliendo il cappotto, rivelando un maglioncino lilla e una gonna jeans sopra un paio di stivaletti col tacco. Improvvisamente Kazuha arrossì, prendendo fra le dita il pezzetto di tessuto che pendeva dal fiocco e accarezzandolo lievemente, con un sorriso e gli occhi che brillavano di verde.

“Vero. Me l’ha regalata Heiji.” disse, in un bisbiglio appena percettibile in mezzo al chiacchiericcio dei presenti nel locale, “Non so perché. Non è il mio compleanno o qualche evento speciale…stavamo tornando a casa da scuola oggi quando l’ho visto in una vetrina. Mi è saltato subito agli occhi questo colore particolare, blu tendente al viola…non sapevo bene come definirlo e all’improvviso lui ha esclamato: ‘a me sembra color mirtillo’ e senza aggiungere altro, prima che potessi fermarlo, è entrato in negozio e me l’ha comprata.” Gli suoi occhi erano scintillanti mentre parlava, sorrideva al ricordo e sembrava accorgersi a malapena della presenza di Ran davanti a sé.

“Non gli hai chiesto perché l’ha fatto?” domandò lei, Kazuha quasi sobbalzò udendo la sua voce, strappata dal suo sogno del passato.

“Sì, ha detto che sembrava fatto apposta per me. Mi sorrideva, ma non nel suo solito modo da presa in giro, sembrava…non so…ma poi quando ho insistito per farmi spiegare che cosa intendeva lui ha sbuffato e ha detto che la mia faccia somiglia a un mirtillo.” Kazuha si imbronciò, ma Ran vedeva chiaramente dietro quella maschera quanto lei gli fosse grata per quel regalo, quanto fosse grande l’affetto che provava per lui in quel momento. Finalmente La ragazza di Osaka si sedette, e mentre la cameriera poggiava davanti a loro la cioccolata e il tè alla pesca caldi, domandò più seria: “Ma dimmi, pensi seriamente che Heiji e Kudo-kun ci stiano nascondendo qualcosa?”

Anche Ran si rabbuiò, soffiando lievemente sul suo cioccolato.

“Ne sono quasi certa. C’ho pensato e ripensato, neanch’io volevo crederci. Ma ci sono davvero dei buchi in tutta questa faccenda e sono risoluta a riempirli stasera. Non so bene come, ma Yukiko...la madre di Shinichi,” aggiunse, quando vide la sua espressione smarrita al nome della donna “mi ha assicurato che tutti i miei dubbi sarebbero stati spazzati via se avessi usato questa.” Prese la borsa e ne estrasse un oggetto rettangolare, grande più o meno come il palmo della mano, e glielo porse. Kazuha lo esaminò attentamente.

“Credi davvero che ci aiuterà a sapere cosa ci stanno nascondendo?”

Ran si strinse nelle spalle.

“Non lo so ma…tentare non costa niente, no?”

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“Penso di aver finito.”

Annunciò Ai Haibara, varcando la soglia del salotto tenendo sul palmo della mano una capsula rossa e bianca. Conan balzò immediatamente giù dal divano, dirigendosi verso di lei veloce simile a un cane a cui è stata sventolata sotto il naso una bella bistecca succulenta. Prima che potesse prendere dalla sua mano aperta la pastiglia, Ai la chiuse a pugno e se la infilò in tasca.

“Ehi!” protestò Conan, guardandola ostile.

“Sei certo di volerlo fare?” domandò lei, ignorando la sua rabbia.

“Oh ti prego, non ricominciare!” sbuffò il piccolo detective, socchiudendo gli occhi e storcendo la bocca. “Conosco la cantilena: non è mai stato testato sugli esseri umani, potresti morire, è rischioso, pensaci bene bla bla bla. Ora posso avere la capsula?”

“No. Non ancora.”

Per la prima volta nella sua vita Conan sentì un forte impulso a strangolare una ragazza. Si trattenne, fissandola torvo a denti stretti. “Che c’è ancora?” ringhiò.

“Voglio che mi dai la tua parola di detective che non ti farai assolutamente vedere in giro, se ritorni adulto. Non ho alcuna voglia di rischiare la mia pelle solo perché sei affamato di gloria e vuoi essere acclamato dalla folla.” Disse freddamente, alludendo alla sua performance al liceo Teitan, durante la recita. Conan sbuffò.

“Okay, d’accordo, niente show deduttivi. Qualcos’altro?” chiese scocciato, inarcando un sopracciglio.

“Non rischiare le nostre vite per nulla, solo questo.”

Estrasse dalla tasca la capsula e gliela porse, Conan la fissò per un attimo, imbambolato, poi allungò cautamente la mano per prenderla, quasi meravigliato quando vide che lei gli permetteva di afferrarla. La osservò sul proprio palmo, piccola e all’apparenza innocua, ma custode di un grande potere. Proprio come lui.

“Sicura che funzioni, Ai-kun? Mi sembra che tu ci abbia messo troppo poco tempo.” Disse il professor Agasa, pacato, rivolgendosi alla biondina. Lei gli rivolse quel suo strano sorriso privo di calore e annuì. “Ho dovuto solo modificare la formula di ieri, i componenti erano già tutti pronti, dunque è stato un lavoro molto più breve. Non posso assicurare che funzioni ma se non importa a Kudo, perché dovrebbe interessarci? Anche perché…” scoccò un’occhiata crudele al ragazzo in questione, che rabbrividì suo malgrado quando se ne accorse “…non tutte le cavie da laboratorio hanno il privilegio di poter scegliere. Sei un topolino bianco davvero fortunato, Kudo-kun.” Sibilò, ignorando il suo sbuffo e andandosene di nuovo.

Conan la seguì con lo sguardo, seccato, poi la sua attenzione si spostò ancora sulla capsula che teneva in mano.

“Ma davvero rischi di rimanerci secco?” domandò apprensivo Heiji, osservandolo con la fronte aggrottata. Conan scrollò le spalle. “Chissà” rispose, prima di infilarsi in bocca la pastiglia e ingoiarla con un po’ dell’aranciata che era sul tavolino davanti al televisore, della quale il suo collega aveva usufruito. Si sedette sul divano, sospirando. Alla bocca dello stomaco si era formata una brutta sensazione, il cuore aveva cominciato a battergli forte. Non lo avrebbe mai ammesso, ma dentro di sé aveva davvero molta paura che qualcosa andasse storto. Nonostante avesse accettato di farlo, non poteva negare di essere spaventato dalle conseguenze che il composto avrebbe potuto avere su di lui. Insomma, era ancora troppo giovane per morire, e poi aveva sempre pensato che, se proprio doveva passare a miglior vita, avrebbe voluto che fosse una fine gloriosa, durante una pericolosa missione. Qualcosa di eclatante che lo avrebbe fatto ricordare per sempre: magari sacrificarsi eroicamente per salvare la città dal crimine o roba simile. Di certo non avrebbe voluto spirare a casa del suo vicino, nel corpo di un bambino di sette anni, per avvelenamento da droga non meglio identificata. Non era una cosa di cui andare fieri.

Cercò di calmarsi pensando a qualcosa di diverso; immaginare quelle sostanze che lentamente gli entravano in circolo, scorrendo nelle vene e nelle arterie fino al muscolo cardiaco e magari al cervello non era di aiuto a calmargli l’ansia, che cercava in tutti i modi di nascondere agli altri due.

“Qui ci sono i vestiti che avevo preso anche ieri.” Disse il dottor Agasa, porgendogli una camicia candida, un paio di pantaloni blu scuro e una giacca dello stesso colore, ben ripiegati. Conan ebbe una fitta di nostalgia nel vedere quegli indumenti, che indossava spesso quando era Shinichi per le sue indagini. Erano comodi e allo stesso tempo eleganti; gli conferivano un certo charme, un certo stile. Si voltò verso Heiji quando si accorse che era da un po’ che se ne stava in silenzio –una cosa piuttosto strana, dato il soggetto-, e vide che era ancora piuttosto crucciato per quello che aveva sentito poco prima.

“Oh, andiamo Hattori!” sbottò “Non avrai mica creduto che i composti di Haibara fossero del tutto sicuri e sperimentati! Non siamo mica in farmacia!”

Ma dalla sua espressione capì che doveva averlo pensato. O almeno, aveva voluto illudersi finché non gli avevano sbattuto in faccia la realtà delle cose. Shinichi aveva notato spesso questa tendenza di Heiji a non accettare ciò che la mente gli diceva, se non era completamente di suo gusto. Come quella volta sull’isola della sirena…

“Vedrai che andrà tutto bene.” Sospirò Conan, chiedendosi perché dovesse rassicurare il detective dell’ovest. Cavoli, era lui quello che si era appena messo in corpo quella roba, i ruoli avrebbero dovuto essere invertiti!

“Speriamo” borbottò Heiji, sedendosi di nuovo e continuando a fissarlo in tralice.

Conan scoccò uno sguardo all’orologio: le otto e trenta. Fra mezz’ora avrebbero dovuto mettersi in viaggio; sperava che l’antidoto funzionasse prima di allora. Chiuse gli occhi, poggiando la testa alla spalliera del divano e cercando di rilassarsi. Ricominciò quasi senza rendersene conto a rimuginare sulla cosa che lo assillava, quella specie di brutta sensazione che si teneva dentro: aveva stabilito già che non si trattava di qualcosa avvenuto il giorno prima, quindi doveva concentrarsi sugli eventi odierni; come stava ricapitolando all’aeroporto, era arrivato a casa del professore, c’era stata la disputa su quegli sciocchi nomi in codice per gli Uomini in Nero, poi era comparsa sua madre, avevano parlato e…

Una stridula musichetta acuta lo fece sussultare e sbarrare gli occhi, strappandolo ai suoi pensieri; accanto a lui Heiji estrasse il cellulare dalla tasca, guardò il display socchiudendo gli occhi con aria annoiata e poi rispose:

“Sì, ciao mamma. Che c’è? …Sì, sono arrivato, tutto a posto……no, sono a casa di un amico di Kudo……sì, mamma, lo farò, sta’ tranquilla……okay, ti chiamerò stasera. Ciao.” Heiji sbuffò, interrompendo la chiamata e infilandosi di nuovo il telefono in tasca. “Uffa! Nemmeno avessi più sei anni...” si lamentò, rivolgendosi al suo migliore amico.

Ma Conan non lo ascoltava; aveva appena realizzato ciò che gli sfuggiva, e il suo volto era inorridito, diventando bianco come il gesso. Fissava il vuoto, paralizzato, gli occhi blu sgranati ricolmi di panico, il corpo in tensione, in piedi.

Oh no…ti prego no…

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

La bionda scienziata estrasse dal walkman il nastro che aveva trafugato dal giubbetto di Kudo; che stupido ragazzo. Aveva tolto dai macchinari la cassetta per evitare che lei l’ascoltasse, ma Ai si era accorta subito che una mancava all’appello, quando aveva controllato il ricevitore dopo che lui se n’era andato. Questo l’aveva insospettita. Era evidente che voleva nasconderle qualcosa di grosso, e lei non poteva permetterlo; doveva scoprire di che si trattava, a tutti i costi. Certo, se si fosse sbarazzato subito della registrazione lei non avrebbe potuto mai sentirla, ma Kudo aveva già troppe cose a cui pensare, e con sua enorme fortuna se l’era dimenticata nella tasca del giacchetto, come aveva potuto capire lei dal rigonfiamento della stoffa quando prima l’aveva osservato attentamente. A quel punto era stato un giochetto da ragazzi sottrarre ciò che voleva a un indumento indifeso appeso ad un attaccapanni.

Kudo stava cercando di ingannarla, ma il delitto perfetto non esiste, e quindi lei lo aveva scoperto; divertente, considerando chi era il detective e chi il criminale, fra loro due.

Comunque, aveva ascoltato la registrazione e i discorsi dei due giovani investigatori in salotto, e a quel punto il puzzle era completo nella sua mente; sapeva che cosa volevano fare i suoi ex colleghi di lavoro, ed era a conoscenza dei piani di Kudo; era agitata, aveva paura che quella sera le cose finissero male. Aveva pensato di rifiutarsi di dare l’antidoto a Kudo, ma poi aveva rinunciato: sapeva che lui sarebbe andato in missione a qualsiasi costo, anche senza il suo corpo adulto. Ormai cominciava a conoscerlo bene, era cocciuto come un mulo e se si metteva in testa una cosa la portava a compimento, qualsiasi fossero gli ostacoli da superare. Perciò Ai si era detta che, se proprio doveva andare a rischiare la vita, meglio che fosse al meglio delle sue possibilità, nel corpo di un diciassettenne e non di un moccioso delle elementari. Sapeva anche che non avrebbe potuto dissuaderlo in alcun modo dal compiere quella sciocchezza, e così aveva taciuto; sarebbe servito solo a fargli capire che lei era a conoscenza di tutto, e secondo il suo piano ciò non doveva accadere, almeno fino ad un certo momento che ancora doveva arrivare. Così, sebbene non appena avesse udito la familiare quanto sgradevole voce di Gin provenire dalle cuffie del walkman si fosse sentita persa e spaventata, tanto che aveva dovuto sedersi per impedirsi di svenire, ora si era fatta forza e aveva deciso di reagire. Era giunto il momento di vendicare la morte di Akemi, fargliela pagare a quel bastardo che le aveva portato via l’unica persona che le volesse bene al mondo. Smetterla di fare la codarda e combatterli, ma a modo suo, non come avrebbe fatto Shinichi Kudo, mettendoli in prigione e basta. Qualche settimana e sarebbero stati di nuovo liberi, mentre sua sorella era ancora imprigionata in quella oscura bara di legno, sepolta sotto metri e metri di gelida terra. Era questa che Kudo chiamava giustizia? Beh, lei la pensava diversamente. Quella notte sarebbe stata la sua rivincita, avrebbe riservato a Gin lo stesso trattamento che lui aveva dato alla sua Akemi, l’avrebbe ucciso con le proprie mani, l’avrebbe fatto soffrire e morire. E poi…

Poi non importava.

Forse la polizia l’avrebbe catturata e messa in carcere, o forse sarebbe stata uccisa da Vodka o da qualche altro membro dell’Organizzazione; la cosa non la turbava minimamente, il suo obiettivo era vendicare la morte di sua sorella, quella persona meravigliosa che quel bastardo aveva osato uccidere senza pietà, solo per un mucchio di sporco denaro. Il resto non aveva alcuna importanza; la sua vita non valeva un granché, nessuno avrebbe pianto la sua scomparsa, perché lei non aveva nessuno al mondo. Kudo…beh, sarebbe stato sollevato di togliersi di torno sia Gin sia lei, che ormai era solo un peso, senza sporcarsi le mani. Aveva già la sua adorata Ran Mouri, probabilmente fra qualche anno si sarebbe completamente dimenticato di averla mai conosciuta; in fondo, lui la disprezzava, per quello che aveva fatto, per l’Organizzazione a cui era appartenuta…non avrebbe mai potuto vederla sotto una luce differente che quella di una ex criminale senza scrupoli. Le aveva urlato in faccia chiaro e tondo quello che pensava di lei, quando si era presentata a lui: un’assassina senza cuore, che odiava.

Dunque perché continuare a vivere? Una volta sistemata quella faccenda, non aveva più motivo di restare. E poi, se avesse saputo che aveva ucciso un uomo, seppure la persona più disgustosa sulla faccia della terra, un criminale che entrambi detestavano, Kudo non avrebbe mai voluto riaverla con sé.

E infine, avrebbe potuto finalmente riabbracciare sua sorella.

Si asciugò le guance con il pugno, sbuffando: non era il momento di lasciarsi andare. Prese un pezzo di carta e una biro, scrivendo velocemente, e infilò il foglio in una cartellina blu che poggiò vicino al computer. Dopodiché estrasse dalla tasca il suo telefono cellulare: se voleva attuare il suo proposito, doveva sbarazzarsi di Kudo, e sapeva già come.

Sorrise, ma non come avrebbe fatto Ai Haibara o Shiho Miyano.

Quello era il sorriso di Sherry.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

“Qual è il problema?” chiese Heiji allarmato, quando vide il suo viso cianotico e udì il suo borbottio. Conan si voltò verso di lui, ancora completamente paralizzato dallo shock.

“Sono stato un idiota…avrei dovuto capirlo subito…lei…ma certo, tutto quadra adesso…d’altronde la conosce, non dev’essere stato difficile…sa recitare, truccarsi…e quelle domande…oh mio Dio Ran! Ran!!

Estrasse rapidissimo il cellulare, componendo il numero. Intorno a lui il mondo pareva essersi bloccato nel tempo, l’aria gli pesava sulle spalle, gravida di angoscia. Le orecchie non sentivano minimamente ciò che Heiji e il professor Agasa gli stavano dicendo ma solo il rimbombo del suo cuore, tutto se stesso era concentrato in quell’ansia, nell’attesa che ogni segnale acustico di libero faceva crescere e trepidare in lui, disperatamente. Quando finalmente udì la dolcissima e calda voce di lei al di là dell’apparecchio, credette di stare per svenire dal sollievo.

“Ran…” pronunciò, con un sospiro carico di gioia e rassicurazione, un sorriso a fior di labbra.

“Conan? Che succede?” domandò perplessa la sua amica d’infanzia.

“Oh, niente di importante…” si affrettò a spiegarle, cercando di riemergere da quello stato di completa felicità in cui era affondato. Anche perché c’era qualcosa che non quadrava in quella telefonata, che gli aveva fatto rinascere un senso di inquietudine; i rumori di sottofondo, brusii non meglio identificabili, il suono ovattato della sua voce, il tempo che ci aveva messo a rispondere, tutto faceva supporre che si trovasse in un luogo stretto e affollato. Ovvero, non all’agenzia investigativa, con Kogoro, bensì probabilmente…

“…Ran? Sei su un autobus?? Perché?” chiese tutto d’un fiato. Lei rimase interdetta per qualche attimo, poi rispose.

“Sto tornando a casa. Conan, ma tu come facevi a sapere dove sono?”

“Ehm…ho tirato a indovinare.” Si giustificò, mentre nella sua mente affiorarono incontrollabili le parole di Sherlock Holmes: “Io non indovino mai. È deleterio per le facoltà logiche”.

“Ma perché sei uscita? È già buio, e ricordi che cosa ti ho riferito ieri?”

Un altro breve silenzio al di là della cornetta. “Certo che mi ricordo, Conan-kun.” Rispose in tono pacato “Ma dovevo andare a prendere un’amica. Sta’ tranquillo, sto tornando e sono in compagnia di almeno una ventina di persone; l’autobus si ferma vicinissimo a casa mia, dunque...”

Conan si sentì un pochino sollevato; Ran ricordava la sua raccomandazione di non andare in giro da sola di notte o in luoghi isolati, bene, non poteva permettere che corresse dei rischi, dopo quello accaduto il giorno prima.

“Con chi sei?” domandò tuttavia, volendo essere rassicurato anche su quel punto.

“Te l’ho detto, con una mia amica.” Ribadì lei, appena un pochino scocciata. “Che ti prende Conan? Cosa sono tutte queste domande?”

“Niente, è solo che…” sospirò “Hai visto la madre di Shinichi oggi?”

Altro silenzio, più lungo dei precedenti.

“Sì, oggi pomeriggio. Ma tu come fai a..?”

“L’ho incontrata anch’io a casa del professore” tagliò corto lui “Che cosa avete fatto?”

“Conan! Mi sembra di essere ad un interrogatorio!” protestò lei, senza rabbia, ma in procinto di perdere la pazienza.

“Abbiamo chiacchierato un po’, nient’altro! Vuoi dirmi che ti è preso tutto a un tratto?” chiese Ran.

“Che ti ha detto?” insisté lui, sperando che lei rispondesse, e soprattutto che non dicesse quello che temeva.

“Niente di importante…senti Conan, devo scendere fra un paio di fermate, quindi è meglio se ci salutiamo. Ti chiamo stasera a casa del professore per darti la buonanotte, okay, piccolino?”

“No, aspetta…” cercò disperato di fermarla, ma fu inutile. Con uno scatto la comunicazione fu interrotta, e Cona rimase immobile a fissare il cellulare, lo sguardo fisso nel vuoto.

Heiji si avvicinò a lui, piegandosi sulle ginocchia e costringendolo a voltarsi e a dargli retta.

“Kudo, si può sapere che cavolo ti è preso? Di che stavi blaterando prima, cos’è che avresti dovuto capire?”

“Mia madre.” Mormorò. “La tua ti ha chiamato poco fa per sapere se eri arrivato sano e salvo, se c’erano stati problemi…naturale, qualunque genitore è apprensivo con i propri figli, e si preoccupa spesso anche senza motivo. Soprattutto le madri.”

“In effetti non ce lo vedo mio padre a chiamarmi per cose del genere.” Borbottò Heiji, gli occhi socchiusi.

“Ma la mia…oggi pomeriggio ho avuto quasi un infarto, lei era presente, tuttavia non si fa più sentire da ore. Non è venuta a vedere come stavo, niente. Non se ne è curata minimamente…questo non è normale.”

“Dove vuoi arrivare?”

“E anche nel momento cruciale, si è preoccupata sì, come farebbero tutte le mamme del mondo. Ma non come farebbe la mia.”

No, infatti; ricordava che quando era piccolo, a cinque anni, si era preso una brutta polmonite ed era stato malissimo. Yukiko era terrorizzata, pallida in viso e con gli occhi lucidi, e dopo che il dottore lo aveva visitato aveva passato la notte sdraiata nel letto con lui, tenendolo abbracciato e stretto al seno per dargli calore e conforto, cullandolo quando la tosse diveniva violenta e quando si svegliava per il male, baciandogli la fronte e tergendogli il sudore. Ricordava, una volta guarito, come il viso di lei si era illuminato di sincera felicità, come le guance avessero ripreso colore, nonostante il suo aspetto stanco e provato. Come lo aveva coccolato nei giorni seguenti, al settimo cielo.

Quella era la sua mamma. La donna che gli voleva bene più di qualunque altra persona al mondo. La vera Yukiko Kudo. Non la tizia che si era presentata lì quel giorno, che l’aveva abbandonato sul divano senza fare storie dopo che era quasi morto di fronte ai suoi occhi, e poi si era del tutto dimenticata di lui nelle ore seguenti.

“Avrei dovuto capirlo…cavoli, dovrei saper riconoscere subito mia madre!!”

“Vuoi dire che quella non era Yukiko?” s’intromise il dottor Agasa con tono incredulo, sbalordito.

Conan scosse la testa.

“No. Ha scelto lei perché è una persona di cui mi fido, e poi non correva il rischio che quella vera si presentasse qui all’improvviso a rovinarle tutto, visto che è in America. In più la conosce, la mamma è stata un’attrice famosa e una delle sue migliori amiche, Sharon, è la madre di lei. Era tutto studiato, anche se non capisco perché fare tutto questo solo per parlare con noi, non ha senso…io…Urgh!!”

Improvvisamente una vampata di calore bruciante avvolse il suo corpo, il cuore cominciò a martellare contro la gabbia toracica, dolorosamente e insistentemente. Il suo corpo domandava ossigeno, sul punto di soffocare, ma la gola era serrata, e così i polmoni sgonfi. Le gambe si fecero deboli, non sorreggevano il suo peso e cadde a terra con un tonfo, stringendosi il petto. Tutto intorno a lui si stava facendo buio, e le voci allarmate erano sempre più lontane, eco di un altro mondo…

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

Yukiko Kudo si sedette al bancone del bar, accavallando le gambe in una posa sexy e ordinando un Bloody Mary, bevendolo a piccoli sorsi aggraziati finché un uomo dai lunghi capelli biondi, all’incirca della sua stessa età, avvolto in un cappotto nero, si sedette accanto a lei, tenendo una sigaretta fra le labbra. La donna lo guardò inarcando un sopracciglio.

“Posso fare qualcosa per lei?” chiese con aria ingenua.

L’uomo sbuffò, storcendo la bocca disgustato.

“Piantala con i giochetti, non è il momento” ringhiò. Lei lo guardò sorridendo divertita, poi gli sottrasse con gesto fluido la sigaretta e la prese fra le proprie labbra, fumandola soddisfatta.

“Noi stiamo per andare, avevi detto che volevi venire, no?”

“Of course, my dear.” Confermò, spostandosi la chioma dietro la spalla con un gesto sensuale.

“Allora togliti quella roba e seguimi.” Borbottò lui tagliente, alzandosi e dirigendosi verso l’uscita.

Lei sospirò rassegnata, scuotendo la testa: uomini, tutti animali. Obbedì al suo ordine, ticchettando sui tacchi e liberando la fulgida chioma bionda dal suo giogo, mentre due lenti a contatto azzurre sparivano nell’apposito contenitore.

Quella sì che sarebbe stata una bella serata, si disse con un sorriso sulle labbra perfette.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

Kazuha si sedette sul bordo del letto in camera di Ran, accavallando le gambe, e la osservò armeggiare con lo stereo sulla scrivania, la testa inclinata da un lato in modo che la coda di capelli scuri ciondolasse da una parte con grazia.

Finalmente la ragazza di Tokyo infilò il nastro nell’apposito scomparto e cominciò a mandarlo indietro, sedendosi accanto alla sua amica, il telecomando dello stereo in mano.

“Ti confesso che un po’ sono emozionata. Sembra di essere in un film di spionaggio!” commentò Kazuha in tono leggero, per spezzare la tensione. Ran accennò a un sorriso, voltandosi verso di lei.

“Già. Yukiko ha detto che ascoltando questo nastro avrei capito tutto: perché Shinichi se n’è andato, perché ha spezzato la sua promessa…e che mi sarei potuta sentire meglio o peggio, sarebbe dipeso solo da me. Ha detto anche che è una cosa di cui lei, Yusaku e un’altra persona sono già a conoscenza. Ho motivo di credere che questa persona sia Hattori ed è per questo che ho voluto che fossi presente anche tu. Lui gli regge sempre il gioco e se a te nemmeno ha detto nulla significa che entrambi ci nascondono qualcosa. Non so a quanto potrà veramente servire questa cassetta, ma tentare non costa niente, te l’ho detto. Perciò, ascoltiamola e poi decideremo cosa pensare, okay?”

“Okay.”

Il nastro si bloccò, segno che ormai era già andato completamente indietro. Ran posò il dito sul tasto play, senza schiacciarlo, e guardò negli occhi l’amica, seria. Kazuha annuì solenne.

“Okay…” ripeté a bassa voce Ran, e avviò la registrazione.

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Note dell’Autrice: okay (basta con questa parola!! ndTutti), ecco un capitolo dal ritmo veloce. Rivedendolo tutto dopo averlo scritto ho notato che è un insieme di frammenti, più che un blocco vero e proprio, però mi piace abbastanza e poi sarebbe stupido cercare di allungare la brodaglia senza che sia necessario solo per vedere sotto-capitoli più lunghi, non siete d’accordo? Quindi lasciamo correre. Comunque, estetica a parte, come vi è sembrato? So che non siamo ancora giunti all’azione con la “a” maiuscola, ma direi che è lo stesso piuttosto corposo come avvenimenti. Si sono scoperte un sacco di cose, ma si sono aggiunti altri punti in questione. Sì, tutto sommato sono abbastanza soddisfatta di come è venuto fuori (non completamente, lo ammetto, ci sono dei punti che non so perché non mi funzionano come vorrei, ma d’altronde, si fa quel che si può) e spero tanto che anche a voi che lo leggete sia piaciuto. Fatemelo sapere, eh! Altre note alla fine, come al solito, nel frattempo passo a ringraziare tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo. Ho già detto che vi ADORO?

Sabry1611: ciao! Beh, tu come sempre mi fai arrossire con tutti i tuoi complimenti; quando finisco di leggere il tuo commento mi tocca sempre scendere dal piedistallo e tornare con i piedi per terra!! #^^# Grazie mille, sei carinissima! Spero di non averti fatto aspettare troppo questo capitolo, ho scritto più veloce che potevo, giuro! Finalmente si è scoperto cosa aveva in testa Conan, hai visto? E anche che deve fare Ran…non per niente il chap si intitola “Rivelazioni”! Ai…vedremo che cosa ha in mente! Comunque spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, fammi sapere, eh? Un bacio grandissimo, alla prossima.

Yuki: anche a me dello scorso chap piaceva quella scena…^^beh, molte cose si sono chiarite, peccato che non si possa ancora dire lo stesso per i dissapori fra i due protagonisti…ma diamo tempo al tempo, in futuro, chissà…

Terabyte: ciao Tera-chan! Io sono super-felice di risentirti, se è per questo. ^__^ Stavolta non sono stata altrettanto veloce come con il cap.19, mi spiace per l’attesa, ma ho fatto del mio meglio! Mi fa molto piacere che non hai avuto da ridire sul dialogo fra Heiji e Shinichi, spero che in futuro riuscirò a trattare le situazioni che riguardano loro due altrettanto efficacemente. Mentre scrivo ho sempre un po’ paura di far uscir fuori dal personaggio i protagonisti, sai? Grazie tanto tanto dei complimenti, Tera-chan, sei gentilissima, #^^# spero che le rivelazioni siano state all’altezza delle tue aspettative e anche di sentirti di nuovo durante i prossimi capitoli. Oh, ti ringrazio tantissimo anche per aver commentato l’altra mia ff, A Very Important Gift, sono felice che ti sia piaciuta. Un bacione, a presto!

Akemichan: salve! Eh già, è proprio vero che verrà fuori un bel casino…io stessa ho quasi paura a mettermi a scrivere ogni volta, se penso a tutto quello che devo far succedere tenendo conto dell’intreccio, dei tempi ecc.!! Comunque, grazie mille del commento e delle lodi, spero che la storia continui a piacerti!^^

Hoshi: ciao! Beh, l’azione ancora non si vede, ma è imminente all’orizzonte, non preoccuparti! Riguardo ad Ai, credo proprio che li abbia 18 anni, anche non fidandosi di quello che dice lei si può dedurre dal fatto che la sorella ne aveva una ventina quando è stata uccisa. Comunque, come ti è sembrata Ai in questo chap? Fammi sapere!

Primechan: grazie!^^ Sei davvero gentile a dirmi queste cose, sono felice che la storia ti piaccia così tanto, ma non ci allarghiamo troppo: gli ingredienti ci saranno pure, però che li riesca ad utilizzare bene è tutto un altro discorso! ^^” Prevedo che non sarà facile, ho un bel po’ di casini in mente. Si è scoperto cosa ha detto Yukiko a Ran…ti è sembrata una cosa sufficientemente grande? Spero di aver aggiornato abbastanza presto; ci risentiamo, alla prossima! Un bacio.

Mareviola: ciao! Di nuovo grazie per il commento (ormai te l’ho detto così tante volte che non le conto più^^”), sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto e spero che la storia ti coinvolga sempre allo stesso modo. ^__^ Ho postato il prima possibile, te lo posso assicurare. Mi fa piacere che ti sei iscritta anche tu al sito, ho dato un’occhiata alla tua ff e ho lasciato un commento, come credo avrai visto. A presto!

Vichan: ciao carissima! Ho aggiornato presto, che ne pensi? Il fatto è che mi sta piacendo un sacco scrivere questa storia, perciò la stesura dei vari capitoli scorre abbastanza velocemente. Contentissima che hai apprezzato l’incontro di Heiji e Conan, io adoro quei due e il loro rapporto di amicizia, mi piace dedicargli particolare attenzione durante la ff, e vedrai che ci saranno di questi momenti anche in futuro (direi che rischiare la vita insieme è qualcosa che unisce due persone). Ma non preoccuparti, ci saranno anche larghi spazi dedicati a Heiji e Kazuha che, a quanto ho capito, è la tua coppia preferita del manga. Riguardo a quello che mi hai chiesto, in effetti mi sono accorta di essere stata un tantino troppo ellittica e ostica, ma tu ci hai azzeccato, in parte: Heiji nota sia il suo aspetto trasandato, sia…ehm, la biancheria che indossa. -///- Ora so che stai pensando che io sia del tutto folle, ma ti posso assicurare che in un volume del manga, il 35, Gosho stesso rivela questa strana capacità deduttiva del detective dell’Ovest (anche se relativa ai costumi, ma credo sia più o meno la stessa, cosa). Comunque, in questo cap. ho deciso di svelare ciò che Yukiko ha detto a Ran, cosa ti è sembrato? Oh, sono contenta che ti piacciano i capitoli distensivi, spero che sarai d’accordo anche sulla mia scelta di lasciare ancora un capitolo relativamente calmo. Un bacione, a presto!

Ichigo Shirogane: salve Ichi, come va? È da un po’ che non ci si sente; anch’io mi incasino un bel po’ in questa storia, tranquilla, è del tutto normale. We Believe dei Good Charlotte non la conosco, non mi pare sia uscita come singolo e non ho il CD di questo gruppo. Ma se mi capiterà di ascoltarla, deciderò se usarla per i miei loschi fini (he he he); d’accordo? ^ _ -

Ginny85: Ciao carissima, sono felice di risentirti. Ti dirò, scrivere i titoli dei capitoli in inglese è un’idea che mi è venuta per caso, mentre postavo su questo sito; non era assolutamente studiata! Comunque il mio preferito è White Angel & Black Devils, mi piace proprio un sacco (che bello farsi i complimenti da sola ^^”). Il rapporto di amicizia fra Heiji e Conan lo adoro, per questo gli sto dando largo spazio in questa storia: Heiji è proprio il prototipo di migliore amico che chiunque vorrebbe, a mio parere. Sono contenta che la scena fra i due ti sia piaciuta^^. Si sono scoperte un bel po’ di cose in questo chap, ma credo che Ai ti preoccuperà molto di più adesso che è apparsa…dico bene? Tuttavia, non credo che spezzarle il cuore sarebbe una cosa molto carina nei suoi confronti, dopo tutte quello che ha passato…già è fredda come un ghiacciolo, se le togli anche la minima illusione che Conan possa accorgersi di lei…addio! Va bene che in realtà non so cosa possa succedere esattamente in questa fanfic, molte cose non seguono il piano iniziale e altre prendono vita lì per lì mentre scrivo, quindi potrei parlarti così e poi fare di peggio…o magari no…chissà! Non lo so davvero (Che professionista, eh? Dante Alighieri impallidirebbe di fronte a me (!!)). Eh sì, Ran è proprio adorabile in quell’immagine, tanto che l’ho messa come sfondo nel desktop; semplicemente meravigliosa! Un bacio e a presto.

Lili: salve!^.^ È sempre bello ritrovarti, grazie di aver commentato anche stavolta. Sai, mi fa piacere che la storia ti piaccia, ma aspetta a dire che con questo genere me la cavo: l’azione deve ancora venire e lì si vedrà veramente di che cosa sono capace! Anche perché c’è tutto un intreccio di fondo che mi fa quasi paura quando me lo immagino e penso che dovrò scriverlo. I “nostri belli” (he he he) non hanno fatto molto in questo capitolo, ma vedrai che si daranno presto da fare, come le ragazze del resto. Un bacione, spero di risentirti presto.

APTX4869: ciao! A deciderlo l’ho deciso, il problema è che non riesco proprio a cominciare. Penso sempre: il prossimo capitolo farò succedere questo e quest’altro, ma poi mi metto a scrivere e tutti i piani vanno in fumo. Non perdere la speranza però, ormai è questione di pochissimo e inizierà l’azione vera e propria, promesso. In quell’immagine Ran è proprio stupenda, non c’è che dire, sono contenta che l’abbia anche tu e sì, c’è anche un micetto. Beh, penso che Shinichi avrebbe fatto una faticaccia a trattenersi dal saltarle addosso, senza contare il tempo che avrebbe impiegato a far rientrare gli occhi nelle orbite! E poi, naturalmente, una doccia gelata per rientrare in possesso delle sue facoltà mentali. ^__^ A parte gli scherzi, finalmente si è scoperta la faccenda con Yukiko; contenta? Ora si vedrà cosa combineranno gli altri personaggi…baci, al prossimo capitolo.

Ersilia: ciao nuova lettrice!^^ Inizio col ringraziarti moltissimo di aver commentato la mia storia, sono contenta che ti piaccia; mi hai fatta arrossire con tutti i tuoi complimenti, sai? Sei gentilissima!#^^# Spero di non deluderti con i prossimi capitoli. Non preoccuparti, Heiji e Kazuha saranno molto presenti da adesso in poi, e vedrai che avranno occasione di “esplorare” quello che è il loro rapporto (ma non ti dico di più; non vorrei farmi spoiler da sola!^^”). Nonostante la coppia principale della storia sia quella formata da Shinichi e Ran, anche i ragazzi di Osaka avranno il loro spazio.^^ Beh, spero di aver aggiornato abbastanza presto, e di risentirti in futuro. Ciao!

Hilary: salve. Hai ragione, non si trovano molte ff italiane dedicate a Conan ed Ai, e capisco che i/le fans della biondina ne risentano parecchio. Comunque, in italiano: so che Elly è a favore di questa coppia, quindi dovresti cercare qualche sua fanfic, e poi ne ho vista qualcuna anche su un sito che ho appena conosciuto e che mi è stato segnalato da Vichan, Forumcommunity.net. Se ti interessano in inglese invece la musica cambia: su ff.net ne puoi trovarne almeno un centinaio su loro due. Per quanto riguarda la mia storia, ti prometto che ci saranno momenti carini fra Ai e Conan, anche se non in chiave romantica…o quasi (guarda il capitolo 15 che hai citato: lì ho sforato un po’^ _ ~ ), sebbene questa sia una Shinichi/Ran. Spero di esserti stata utile, ad ogni modo. Oh, grazie per la recensione!

Bene, penso che sia tutto. i riferimenti al manga sono i soliti volumi 26 e 28, e stavolta anche il 35: la prima e l’unica (credo) apparizione di Sharon Vineyard sulle pagine di Detective Conan; da lì si evince che Sharon e Yukiko sono molto amiche. Ora, una notizia spiacevole: non so quando potrò aggiornare il prossimo capitolo, ho un nuovo corso pomeridiano di francese per un esame che dovrò sostenere a Maggio, la prossima settimana non starò mai a casa e inoltre giovedì parto per Siena con la scuola. Scusate quindi se ritarderò un po’ a postare il capitolo 21, farò comunque sempre del mio meglio per accorciare i tempi, promesso. Intanto voi potreste aiutarmi lasciando un commentino? Ve ne sarei davvero riconoscente, mi fa piacere sentire i vostri pareri sulla storia.

Al prossimo capitolo (spero non tanto tardi)

-Melany

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Capitolo 21
*** Fear & Fearlessness ***


21. Fear & Fearlessness

“Okay…” ripeté a bassa voce Ran, e avviò la registrazione. All’inizio, si sentì solo il tipico brusio di sottofondo della pellicola della cassetta, poi cominciarono dei rumori non meglio identificabili, come di una pesante porta che veniva spinta, e qualche secondo dopo, una voce aspra, arrochita dal fumo delle sigarette, parlò, metallica:

“Sei arrivato,bene. Ciò significa che hai decifrato il codice e sei corso a salvare la tua ragazza, il che conferma le mie supposizioni”.

“Atsushi Mori! È lui…ne sono certa! Non dimenticherei mai la sua voce…” proruppe Ran, stupefatta; Kazuha la guardò altrettanto sbalordita: “Mori..? Non è quel bastardo che ieri ti ha rapita?”

“Chi sei? Dov’è Ran?”

La voce stavolta era carica di rabbia e preoccupazione; Ran mise in pausa la registrazione con un gesto quasi involontario; tutta la sua mente era concentrata su quell’ultima parte.

“Ehi! Ma questo non è quel bambino!? Conan?” chiese la ragazza del Kansai, perplessa.

Ran annuì. “Dev’essere stata registrata ieri…te l’ho detto, è stato Conan a venire a salvarmi. Però…” la voce si affievolì, perdendosi a poco a poco; quello che l’aveva colpita non era stato sentire il piccolo, quanto il tono che aveva assunto: non era allegro, acuto, tenero come l’aveva sempre udito, ma serio, profondo. Forse era solo la preoccupazione che l’aveva ombreggiato in quel modo, eppure le sembrava di conoscere quel particolare tono di voce, autoritario e freddo, ma allo stesso tempo carico di energia. L’aveva già sentito, in passato, era inconfondibile. L’aveva sempre colpita e affascinata quella speciale aura di potere che lui sapeva sprigionare nei momenti difficili, quell’atteggiamento a cui sarebbe stato impossibile disobbedire, con cui riusciva a comandare anche decine di agenti della polizia di almeno una decina di anni più grandi di lui. La sua trasformazione, da giovane spensierato e allegro a ragazzo calmo, astuto e riflessivo, un vero generale. Sì, era quella la parte di lui che le piaceva così tanto, che la lasciava senza fiato e la faceva restare imbambolata a fissarlo; era come se davanti non avesse più l’amico che conosceva fin dalla tenera età, ma un ragazzo estraneo, pieno di fascino e di una forza interiore che era quasi abbagliante, al quale non poteva che affidare la sua vita.

Shinichi…

Ma non era stato lui a parlare, no? Era stato Conan. Tuttavia, aveva come la sensazione che se quello fosse stato un video e non un’audiocassetta, avrebbe visto sul suo viso la stessa espressione determinata, gli stessi occhi blu profondi e penetranti, la stessa posa autoritaria. Lo pensò e se ne convinse quasi nello stesso momento, senza nemmeno accorgersene.

“Però scusa, come faceva la madre di Kudo-kun ad avere questa registrazione? E perché dovrebbe aiutarci a scoprire cosa ci nascondono lui ed Heiji?” Kazuha interruppe i suoi pensieri, la fronte aggrottata.

Ran scosse la testa, gli occhi chiusi.

“Non lo so…ma Yukiko…”

Si ricordò della sensazione che le aveva trasmesso, della strana luce che aveva visto nei suoi occhi prima che lei riuscisse a mascherarla con le sue abilità di attrice. Era qualcosa che non aveva mai scorto negli occhi della madre di Shinichi, nonostante la conoscesse da anni. Era un brillio sadico, quasi perverso…

Guarda con gli occhi della mente…e ascolta il tuo cuore…

Ebbe una vertigine, un colpo improvviso alla pancia, come se si fosse accesa una fiammella; tutto il suo corpo reagì tendendosi, percorso da una strana emozione, il cuore che batteva forte. Aveva capito…

“…non era Yukiko.” Terminò, gli occhi che brillavano.

“Cosa? Ma che stai dicendo?”

Ran si voltò di scatto verso di lei, facendola sobbalzare.

“È così, Kazuha! Shinichi aveva ragione, nessuno può ingannarmi se non voglio. Quella non era Yukiko, non avrebbe mai potuto avere questa cassetta. E poi, mi è sembrata strana fin dall’inizio…”

“Ma allora chi è stato a consegnartela? E perché?” insisté la ragazza di Osaka, incredula. Ran aprì la bocca, poi la richiuse, la luce che aveva negli occhi si affievolì: forse era riuscita a formulare una geniale deduzione, ma era ancora ben lontana dall’essere una detective. Con un angolo della mente pensò quasi con invidia che Shinichi sarebbe di certo riuscito a rispondere in modo esauriente a quegli interrogativi.

“Non lo so.” Si arrese infine. “Forse una complice di Mori…ma non ho idea del perché.” Chinò la testa, abbattuta.

“Magari sperava che ti saresti messa in contatto con Kudo per parlargliene, e lui avrebbe potuto scoprire dove si trova. In fondo è lo stesso motivo che l’ha spinto a rapirti.” Ipotizzò Kazuha, guardando di lato, la fronte aggrottata.

La ragazza di Tokyo alzò la testa: “Sì, potrebbe essere…”

“Beh, comunque sia, ne sapremo di più dopo che avremo ascoltato tutto il nastro, no? Forza, fai play.” La incitò la sua amica, ansiosa di sentire il resto. Ran annuì, premendo sul tasto del telecomando.

DRIIIINNN!!!

Entrambe le ragazze sussultarono, voltandosi verso il telefono e impiegando qualche secondo per realizzare cosa era accaduto. Poi Ran sospirò, bloccando di nuovo la registrazione, ben consapevole che Kogoro non avrebbe mai risposto.

Kazuha sbuffò, lasciandosi andare con la schiena sul letto della sua amica, i capelli neri sparsi sul copriletto nonostante fossero legati nella coda.

“Sì, pronto?” rispose educatamente.

Silenzio. Poi il rumore del ricevitore che veniva riagganciato.

Ran fissò la cornetta come inebetita per qualche secondo, sbuffò e riappese a sua volta.

“Chi era?” si informò Kazuha. Lei scrollò le spalle.

“Uno che non ha niente da fare.”

Prese il telecomando dello stereo in mano, posando il dito sul tasto, ma di nuovo il telefono squillò.

“Uffa! Che scocciatura.” Borbottò Ran, dirigendosi di nuovo verso l’apparecchio. “Pronto?” stavolta la voce era meno educata e più brusca.

“Mouri-kun.” Pronunciò una voce a lei sconosciuta, così fredda che sentì un brivido percorrerle la schiena.

“Chi…chi sei?” rispose, con voce incerta. La sentì ridere, lievemente, senza allegria.

“Un’amica. Ascoltami bene, Mouri-kun, perché sto per offrirti qualcosa che aspetti da molto, molto tempo.” Di nuovo quella strana risata, bassa e gelida. Ran era come inebetita, incapace di proferir parola; quando finalmente ci riuscì, la voce le uscì debole e tremula.

“Di che si tratta?”

“Ma è ovvio.” Replicò la voce “Mi sto riferendo a Kudo. Shinichi Kudo.”

“Sh-Shinichi?” balbettò Ran, il suo viso si illuminò. Kazuha balzò a sedere, a bocca aperta, fissando la schiena della sua amica. “Tu sai dov’è?”

“È quello che ho detto. Posso farti incontrare con lui.” concesse la voce, gelida.

Ran sentiva il cuore batterle forte: sperava di poterlo rivedere da così tanto tempo, adesso più che mai. Ora che lui l’aveva ferita, tradita, aveva bisogno di incontrarlo…guardare il suo viso, dritto in quegli occhi cerulei, e scoprire se davvero lui aveva deciso di abbandonarla, se davvero per Shinichi non contava più nulla. Se l’aveva dimenticata, oppure se aveva ancora un posto nel suo cuore, come pregava, segretamente con tutti e anche con se stessa. La sua parte irrazionale, emotiva, la esortava a chiedere di più a quella voce sconosciuta che, sebbene tanto fredda, le stava infondendo calore e speranza. Voleva vedere Shinichi e se lei poteva farglielo incontrare, al diavolo il fatto che non avesse idea di chi fosse. Ma l’altra parte, quella più ragionevole e con i piedi per terra, le fece ricordare tutto quello che aveva passato in quegli ultimi giorni, per colpa della sua imprudenza. Mori aveva usato lo stesso trucchetto con lei, e farsi ingannare due volte dal medesimo stratagemma sarebbe stato alquanto stupido. La proprietaria della voce al di là della cornetta avrebbe potuto essere una complice del giornalista, o nel peggiore dei casi di quegli orribili e spaventosi uomini vestiti di nero che aveva incontrato; davvero voleva rischiare di finire di nuovo nelle loro mani per un’illusione?

No. Lei non era una sciocca, non poteva e non voleva fidarsi ciecamente di quella voce.

“Chi mi assicura che mi stai dicendo la verità?” chiese, assumendo un tono neutro e serio. Kazuha batté le palpebre, confusa, si avvicinò a lei cercando di sentire la conversazione anche dall’altro capo del filo.

Ci fu un attimo di silenzio. Probabilmente la donna non si aspettava una simile reazione. Ran si ritrovò a sorridere soddisfatta: se l’avevano sottovalutata, se ne sarebbero pentiti presto.

“Uhm…mettiamola così: una sera fa Kudo ti ha promesso di venire ad un appuntamento con te, al parco, alle sei del pomeriggio, ma poi non si è fatto vivo.”

Ran spalancò gli occhi, sorpresa: “Tu c-come..?”

“Te l’ho detto. Conosco Kudo, e posso fartelo incontrare. So che è difficile fidarsi di me, ma…se davvero ci tieni ad incontrarlo, credo che sarai anche disposta a correre dei rischi per lui.” concluse, sicura. Ran restò ammutolita, arrotolando inconsciamente il filo del telefono con l’indice. Dall’altra parte, la voce aspettò pazientemente.

Kazuha attirò l’attenzione della sua amica con un buffetto sulla spalla che la fece sobbalzare: Ran si voltò verso di lei, ancora un pochino perplessa, e la vide sorridere in modo rassicurante e annuire. Sospirò.

“D’accordo, allora. Dimmi dov’è.”

Glielo disse. Ran inarcò le sopracciglia, vedendo i suoi timori prendere forma: era un posto isolato e pericoloso, e per giunta fuori città. Adesso era convinta che ci fosse qualcosa di losco sotto, e non era disposta a farsi prendere in giro per l’ennesima volta.

“Perché Shinichi dovrebbe trovarsi in un posto del genere?” replicò freddamente.

“Ora devo andare, Mouri-kun. Fa’ un po’ come credi.”

Prima che potesse ribattere, la conversazione fu interrotta. Ran fissò per un momento il muro davanti a sé, poi riagganciò anche lei. Kazuha la guardava ansiosa.

“Allora? Ci andremo??”

La domanda da un milione di yen. Non voleva finire di nuovo nei guai, e per di più trascinarci anche la sua amica di Osaka. Tuttavia temeva che, se si fosse lasciata sfuggire quell’occasione, l’avrebbe rimpianto per molto tempo, domandandosi spesso se davvero Shinichi si trovava lì, se avrebbe potuto incontrarlo, finalmente, confessargli i suoi dubbi e le sue paure. In fondo, poteva benissimo essersi recato in quel postaccio per un lavoro, considerando che con sé c’era anche il suo amico e collega detective. Inspirò profondamente, lasciando fluire l’ossigeno nel corpo e nel cervello, chiudendo gli occhi. Ma valeva davvero la pena di mettersi in pericolo per lui? Per una persona che l’aveva tradita, ferendo i suoi sentimenti senza nemmeno degnarsi di telefonarle per darle qualche giustificazione? Per uno a cui sembrava non importare più nulla di lei?

Ma conosceva già la risposta…

Sì…per tutte le giornate passate insieme a divertirci…per tutte le volte che ho pianto e lui mi ha consolata…per tutte le parole dolci e incoraggianti che ho ricevuto da lui…per tutte le occasioni in cui mi ha protetta e salvata…per essermi stato vicino per sedici anni come nessun altro…ma soprattutto per lui, perché lo amo.

Anche più di quanto amasse se stessa, si accorse, dato che era disposta a mettersi nei guai per lui. Di certo però non la sua amica, sebbene averla accanto le avrebbe dato maggiore coraggio.

“Kazuha, potrebbe essere pericoloso…forse è meglio che tu…”

“Non se ne parla!” la interruppe lei ad alta voce, quasi indignata. “Heiji è di sicuro lì con Kudo, e se è successo qualcosa, voglio essere presente anch’io.”

Il tono di voce era determinato; Ran capì che non avrebbe potuto dissuaderla, qualunque cosa avesse detto. In fondo poteva capirla, i sentimenti che provava Kazuha per il suo amico d’infanzia erano gli stessi che provava lei per il proprio.

“Va bene” disse in un sospiro, dirigendosi verso lo stereo ed estraendo la cassetta.

“Come, non sentiamo il resto?” chiese la ragazza del Kansai, con una punta di delusione.

“Il posto è a due ore di macchina, dobbiamo muoverci subito, o correremo il rischio di perderli” replicò, infilando il nastro non nella custodia, bensì in un walkman che estrasse da un cassetto dell’armadio. “se mai ci sono stati” aggiunse a bassa voce, più a se stessa che alla sua amica, la quale ora si era focalizzata su un altro punto.

Due ore di macchina???” sgranò gli occhi “Ma…come pensi di arrivarci!?”

Ran sfoggiò un sorriso scaltro, davvero molto simile a quello del suo amico d’infanzia.

“E dai Kazuha, non avrai mica pensato che ci saremmo andate da sole!”

“Scusa, e con chi dovremmo andarci..?”

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

Heiji guardava distrattamente fuori dalla finestra, il venticello proveniente dal finestrino semi aperto gli scompigliava i capelli sulla fronte, mentre gli occhi verde-azzurri si perdevano nell’oscurità crescente della notte. Sentiva una strana calma dentro di sé, che sapeva essere solo una inutile copertura per il vero subbuglio che regnava nel suo animo; c’era preoccupazione in quel turbinio, ansia e sì, doveva ammetterlo, anche un po’ di paura. In fondo stava per affrontare quella che sarebbe stata una delle notti più pericolose della sua vita, e non aveva nemmeno vent’anni; di fronte a Kudo si mostrava tranquillo e allegro, perché sapeva che anche lui provava i suoi stessi sentimenti, e non voleva aggiungergli altre pressioni. Ne aveva già troppe caricate sulle spalle. Non aveva rimpianti per aver accettato la missione, era il suo migliore amico e non l’avrebbe mai lasciato nei guai, e poi quello era il suo lavoro, se avesse cominciato a fuggire davanti a ogni minimo indizio di pericolo, avrebbe fatto meglio a lasciar perdere tutto e farsi assumere in un giardino per l’infanzia. No, era una cosa che doveva fare, e nonostante la paura sarebbe andato avanti, anche a costo della sua vita. Sebbene ci fossero ancora così tante cose che avrebbe voluto fare…inspiegabilmente, ogni volta che ci pensava, invece di vedere nella testa le immagini di una vittoria ai campionati di kendo, oppure del momento in cui si sarebbe messo alla guida di un’auto, tutto ciò che riusciva a immaginare era la sua amica d’infanzia, quel viso così bello, quelle labbra morbide a pochi centimetri dalle sue, il calore del suo respiro…

Sorrise fra sé; non era poi così inspiegabile, a dir la verità. Sarebbe riuscito a capire il perché facilmente, se solo fosse riuscito ad ammetterlo con se stesso. Però per qualche ragione non era ancora pronto, forse a causa del timore che covava nella profondità del suo animo, per quella vocina che spesso gli ripeteva la fatidica domanda, che faceva sbarrare ogni accesso a quel pensiero: E se per lei non fosse lo stesso?

Sospirò, chiudendo un momento gli occhi prima di perdersi di nuovo nella contemplazione del buio. Eccolo lì, stava per affrontare l’Organizzazione e tutto quello a cui riusciva a pensare era Kazuha. Udì un grugnito sommesso dietro di lui, e gli venne da chiedersi se per Kudo non fosse lo stesso, se anche lui, nella strana stasi di dormiveglia in cui era caduto da quando la capsula aveva cominciato a fare effetto, stesse pensando a Ran. Era probabile che avesse ragione, probabilmente ora stava rimpiangendo di non averle detto la verità su Conan, su quello che era successo il giorno prima. Quel pensiero gli fece risvegliare dentro quella specie di sentimento fraterno che aveva verso di lui, che l’aveva spinto a voler diventare il suo migliore amico a tutti i costi, a restargli vicino e ad aiutarlo, sempre. Kudo era una delle persone migliori che avesse mai conosciuto, e gli faceva male vederlo struggersi così. Per questo quella sera doveva nascondergli le sue vere sensazioni, mostrarsi tranquillo e spensierato come al solito: Kudo, per quanto forte, aveva bisogno di una base solida a cui appoggiarsi, non di un’altra montagna da sostenere. Non doveva mostrarsi bisognoso di rassicurazioni, ma dargliene indirettamente lui stesso, poiché anche la costruzione più stabile e resistente può crollare, se il peso da sostenere è troppo.

Così se ne stava seduto in silenzio, guardando fuori dal finestrino, e non aveva accennato più alla pericolosità dell’impresa da quando avevano discusso al bar. Accanto a lui, il vecchio vicino di casa di Kudo era altrettanto silenzioso, la fronte aggrottata dietro quelle sopracciglia cespugliose, mentre guidava non troppo velocemente sulla statale. Naturalmente non avrebbe partecipato all’impresa, dopo averli accompagnati si sarebbe allontanato in tutta fretta e al sicuro avrebbe atteso che lo richiamassero indietro al momento più opportuno. Heiji doveva ammettere che l’anziano baffuto aveva una lealtà davvero profonda nei confronti del suo migliore amico: non solo manteneva il suo segreto, ma aveva partecipato già in passato a delle imprese del genere, sempre in disparte, certo, ma comunque non si era mai tirato indietro. Sapeva dell’Organizzazione, di quanto fosse pericolosa, eppure non batteva ciglio se c’era qualcosa da fare al riguardo, fornendo macchinari ecc., pur sapendo che la sua complicità, in caso di fallimento, gli sarebbe costata la vita. Aveva persino accolto in casa sua la ragazzina bionda di nome Haibara, che era collegata con gli Uomini in Nero! Inoltre si preoccupava sul serio per Kudo, più volte aveva preso l’iniziativa chiamandolo ad Osaka per farlo venire in soccorso dell’amico, sapendo che quest’ultimo era troppo orgoglioso per farlo in prima persona. E poi si vedeva chiaramente che il detective dell’est si fidava ciecamente di lui, e che provava affetto nei suoi confronti. -sentimento che peraltro era ricambiato in pieno-; probabilmente dipendeva dal fatto che si conoscevano fin da quando lui era piccolo. Beh, realmente piccolo, si corresse con un sorrisetto che gli sfuggì dalle labbra.

“Che hai da ridere?” borbottò con voce roca e sonnolenta il fagotto dietro di lui.

Heiji si strinse nelle spalle. “Come ti senti?”

“Come se avessi fatto ginnastica per ore senza fermarmi e poi mi fossi ficcato in una vasca di acqua bollente, ecco come.” Brontolò. “I muscoli mi fanno un male d’inferno.” Aveva assunto la sua tipica aria seccata, ma Heiji sapeva che in fondo al cuore era felice di essere di nuovo Shinichi.

“È comprensibile…” s’intromise il professore con tono pacato. “Crescere tutto in una volta non dev’essere una bella esperienza, per il corpo.”

Kudo sbuffò, chiudendo gli occhi e accomodandosi meglio sul sedile posteriore tutto per lui. Heiji lo osservò più attentamente: vederlo adulto era una cosa bella e strana allo stesso tempo: era così abituato a riferirsi a un moccioso occhialuto ogni volta che voleva parlare con Kudo che prima che entrassero in macchina, volendo dirgli di mettersi dietro per riposarsi, si era guardato attorno alla ricerca di Conan per qualche secondo prima di realizzare che era accanto a lui, nella sua forma adulta. Buffo, perché aveva l’impressione che, nonostante fosse esausto, l’occhio attento di Kudo avesse captato i suoi movimenti e avesse compreso in pieno i suoi processi mentali, e perciò gli aveva rivolto in risposta una delle sue solite occhiatacce. Era rassicurante sapere che poteva ritrovare tutti i tratti del carattere che gli piacevano tanto in tutte le forme del detective dell’est. Naturalmente era anche logico, visto che si trattava della stessa persona, ma d’altronde tutta quella situazione in sé non aveva molto del razionale, dunque…

“Quanto manca?” s’informò Kudo, stiracchiandosi e massaggiandosi il collo.

“Una mezz’ora…” rispose il dottore dopo una breve esitazione.

“Bene…senti dottor Agasa, sei sicuro che Ai..?”

“Quando ce ne siamo andati era nel suo letto, dormiva profondamente…dev’essersi stancata molto per preparare il tuo antidoto.”

Kudo annuì, aveva un’aria preoccupata e stanca, il volto serio tirato per la tensione.

“C’è qualcosa che non va?” chiese Heiji, accorgendosi del suo stato. Kudo alzò gli occhi e per un momento si fissarono, occhi blu oceano contro verde acqua, poi sorrise, scuotendo la testa.

“No, niente. Cerchiamo di rilassarci, avremo tempo per essere tesi e preoccupati dopo.” Si limitò a dire, con tono tiepido, appoggiandosi allo schienale.

“Approvo.” Annuì Heiji ricambiando il sorriso.

Ma sapeva che nessuno dei due era calmo, che avevano smesso di esserlo veramente da quando avevano conosciuto per la prima volta quell’assurda macchina omicida che era l’Organizzazione degli Uomini in Nero. Ogni chilometro che percorrevano si avvicinavano di più al pericolo, al momento della resa dei conti. No, non potevano stare tranquilli, non quella sera, lo sapeva bene.

E sicuramente lo sapeva anche Kudo.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

Kogoro Mouri era comunemente reputato un geniale investigatore, capace di risolvere brillantemente anche i misteri più intricati. Così, sebbene non conservasse nemmeno un vago ricordo delle deduzioni che l’avevano reso famoso in tutto il Giappone, lui stesso aveva cominciato a ritenersi tale. Dunque, per quanto si fidasse ciecamente di sua figlia, che per diciassette anni non gli aveva mai dato problemi davvero seri, ma aveva tenuto un comportamento di cui qualunque genitore sarebbe stato orgoglioso, doveva ammettere che tutta quella faccenda gli era sembrata strana sin dall’inizio: lei e la sua amica l’avevano praticamente trascinato fuori di casa, dicendo che Kazuha doveva a tutti i costi raggiungere un posto fuori città per una commissione che le aveva affidato suo padre e di cui non si era ricordata che in quel momento. Era lo stesso motivo per il quale era tornata a Tokyo quel giorno; d’altronde però era piuttosto incredibile che il capo della polizia di Osaka non avesse uomini a disposizione per una commissione del genere, e che delegasse così la figlia diciassettenne. Per di più il posto era fuori mano, e anche vicino ad un complesso di case popolari abbandonate di cattiva fama. Insomma tutta quella storia non quadrava, e mentre sfrecciava sulla strada alla guida dell’automobile che sua figlia si era fatta prestare dalla compagnia Suzuki grazie alla sua amicizia con Sonoko, non poteva fare a meno di rimuginarci sopra con diffidenza, per quanto non riuscisse sul serio a non fidarsi di Ran e a trovare una qualsiasi altra motivazione che potesse spingerla ad andare fuori città in quella fredda notte d’inverno. Sbuffò, facendosi sorpassare da una macchina nera impaziente diminuendo lievemente la pressione sull’acceleratore. Nei pochi istanti in cui furono una accanto all’altra, non poté fare a meno di ammirare la bellezza e il pregio di quell’automobile, un modello anni ’50 che non credeva venisse più usato, ormai. Cercò di sbirciare all’interno della macchina per vedere chi la guidasse, immaginandosi un signore distinto vestito con un impermeabile grigio fumo e un cappello, magari accompagnato da una signora con capelli vaporosi, pelliccia e sigaretta in bocca, ma non poté vedere nulla a causa dei vetri oscurati dei finestrini. Quando l’automobile fu ormai un ricordo –chiunque la guidasse doveva avere una fretta del diavolo e poco rispetto per i limiti di velocità- Kogoro lanciò un’occhiata al sedile posteriore attraverso lo specchietto, osservando Ran e Kazuha stranamente non impegnate nelle solite chiacchiere da ragazzine bensì silenziose e visibilmente tese. Sospirò: c’era davvero qualcosa che non quadrava, cosa credevano, di poter ingannare il più grande detective di Tokyo? Avrebbe dovuto essere ubriaco per non accorgersi di nulla. Cosa che sarebbe stata possibile, se avessero aspettato a chiamarlo una mezz’oretta. Stufo di quella situazione, premette tutto in una volta il pedale del freno, facendo inchiodare la macchina e stridere i pneumatici sull’asfalto. Le ragazze vennero lievemente sbalzate in avanti, ma la cintura le trattenne impedendogli di farsi male, ma non di emettere una specie di urletto.

“M-ma papà, cosa..?”

“Allora? Cosa state tramando voi due?” Domandò volontariamente a voce alta, facendole sobbalzare. Ran stentò un sorriso, evitando di guardarlo negli occhi, Kazuha rispose prontamente:

“Gliel’abbiamo detto, Mouri-san, devo…”

“Non rifilarmi simili sciocchezze, ragazzina” la interruppe brusco, socchiudendo gli occhi, entrambe sussultarono di nuovo. “So che state architettando qualcosa, e se non mi dite subito di che si tratta farò un’inversione a U e ce ne torneremo a casa.” Disse fermo, aspettando la loro reazione. Le due adolescenti si guardarono pensosamente per un lungo attimo, poi Ran sospirò e chiuse gli occhi.

“Okay papà…”

“No Ran!” esclamò Kazuha allarmata, ma a un’occhiataccia di Kogoro si zittì subito.

Sua figlia inspirò profondamente, preparandosi a rivelargli la verità.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

Aprì gli occhi, fissandoli in quelli neri di suo padre. “Devo andare lì per vedere Shinichi.” Disse, con una strana calma di cui nemmeno lei conosceva l’origine. Kogoro restò ammutolito per un attimo, poi sbuffò irritato. “Ancora quel ragazzino!! Non ti basta quello che ti ha fatto?? Ora devi anche andare in un postaccio per…per cosa poi? Per metterti a piangere di nuovo?! Non se ne parla.” Ordinò perentorio, mentre Ran poteva vedere la collera ardere nei suoi occhi.

“Papà, ho bisogno di vederlo…” replicò, senza scomporsi, senza mai interrompere il contatto visivo. Far vacillare lo sguardo avrebbe significato mostrare debolezza e perdere la battaglia che stava affrontando.

Chissà se ne vale la pena…

“Devo raggiungere quel posto a tutti i costi. Volevo andarci con te per sentirmi più sicura, ma se non vuoi accompagnarmi pazienza, ci andrò ugualmente.”

“Non se ne parla!” proruppe suo padre infuriato “Io sono tuo padre e…”

“Tu non puoi fermarmi.” Lo interruppe, sempre ostentando calma e sicurezza. Vide un barlume di confusione negli occhi di suo padre, che si faceva strada fra la rabbia. Doveva essere stato per il suo atteggiamento, più che per quello che aveva detto, ma Kogoro non replicò, continuando a squadrarla con le sopracciglia inarcate, cercando forse di leggerle dentro qualcosa. Infine, sbuffò: “Vedrai se non posso! Ora ce ne torniamo subito a casa, vai in camera tua e ci resti fino a domani mattina, quando andrai a scuola. Quello non è posto per una ragazzina come te. Come voi.” Rettificò, rivolgendo un’occhiata fugace a Kazuha per poi tornare a fissarsi su Ran. “E stai certa anche tu che tuo padre verrà informato dell’accaduto.” Disse, sempre riferendosi alla ragazza del Kansai.

“Dimmi papà, quante volte Shinichi mi ha aiutata? Quante volte mi ha salvato la vita?”

“Non vedo cosa c’entri…”

“C’entra invece! Pensa a New York due anni fa, con quel serial killer ad esempio…avrebbe potuto ucciderlo, ma lui non si è tirato indietro, mi ha portata fuori da quel palazzo abbandonato senza un attimo di esitazione.”

“Ran…”

“Quell’uomo era armato e pericoloso e lui aveva sedici anni!! Qualunque altro ragazzo della sua stessa età mi avrebbe lasciata lì in terra, svenuta, e sarebbe scappato! Ma lui no, e non solo quella volta. Shinichi mi ha sempre salvata, confortata, aiutata…io gli devo molto, papà. D’accordo, ultimamente mi sta facendo soffrire…” sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma le ricacciò indietro decisa, sbattendo più volte le palpebre. Ora doveva mantenere il tono calmo e deciso, non doveva interrompere il contatto visivo, mostrarsi debole. “…ma ciò non cambia quello che ha fatto per me. E nemmeno ciò che lui significa per me. Stasera lo incontrerò, con o senza di te. Solo che senza correrò più rischi.”

Concluse, incrociando le braccia sul petto. Kogoro era rosso in viso, la scrutava con la fronte aggrottata e lo sguardo truce. Ran sentiva accanto a sé la sua amica trattenere il fiato, ansiosa della reazione. Alla fine, Kogoro sospirò, chiudendo gli occhi e interrompendo il contatto, poi li riaprì. “Se è così importante per te…”

“Lo è, papà. Ti prego, ne ho davvero bisogno.” Si permise di addolcirsi un po’, guardando suo padre ora non più con la fierezza di un’avversaria ma con la il tenero affetto di una figlia. Si accorse che anche lui, nonostante volesse dimostrare fermezza, si era un pochino rilassato.

“…allora d’accordo. Ci avvicineremo a quel posto, daremo un’occhiata veloce e se non lo troviamo subito, e con subito intendo immediatamente, ce ne andremo di filato a casa. E se ti sentirò un’altra volta parlare di quell’idiota ti spedirò da tua madre.”

“Mi piace stare con mamma.” Replicò Ran, abbozzando un sorriso. Kogoro sbuffò e rimise in moto.

“Ah, già. Quello a cui non piaceva ero io…” borbottò fra sé a bassa voce, guardando fisso la strada attraverso il parabrezza.

Ran sorrise a Kazuha, che la guardava trionfante, poi si lasciò andare allo schienale del sedile con un sospiro e gli occhi chiusi. “Grazie, papà, ti voglio bene.” Sussurrò dolcemente, lui sbuffò, arrossendo.

“Quando ti pare…” brontolò. Ran sorrise.

Farai meglio ad esserci Shinichi…o stavolta non so cosa succederà…

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

“Ci siamo.” Li avvertì il professor Agasa, rallentando fino a fermarsi. “Quello laggiù è il complesso di case popolari…”

I due giovani detective si misero subito all’erta, cercando di scrutare attraverso l’oscurità; la vista ormai abituata di Shinichi riuscì a scorgere il profilo di alcune case non troppo in buono stato. Estrasse la sua spilla dei detective boys dalla tasca e la sintonizzò sulla frequenza delle trasmittenti della polizia, discutendo per qualche minuto con l’ispettore Megure, i cui agenti in borghese si trovavano già sul posto. Il piano era cogliere in flagrante i sue Uomini in Nero durante il loro scambio con in narco-trafficanti per avere un motivo valido per arrestarli. Naturalmente Shinichi sapeva che si erano macchiati di crimini ben più gravi, infatti non aveva alcuna intenzione di farli condannare solo per quello: era unicamente un espediente per trattenerli dietro le sbarre, l’Organizzazione non era solita infatti lasciare tracce del suo passaggio. Una volta assicurati alla giustizia, avrebbe trovato il modo di incriminarli per gli altri reati: se l’Organizzazione fosse intervenuta, avrebbe potuto cercare di catturare altri membri; se l’avessero abbandonati a loro stessi, avrebbe tentato di far confessare almeno Vodka, che sembrava decisamente meno sveglio del compagno. Comunque, per quello c’era tempo. Una cosa per volta, si disse, ben consapevole che quello non era un romanzo giallo da due soldi, e che le cose non si sarebbero svolte alla perfezione come pensava. Quella notte sarebbe stata una delle più lunghe e massacranti della sua vita, ne era sicuro. Dopo aver interrotto la comunicazione si stiracchiò, sentendo un improvviso dolore acutissimo al muscolo del polpaccio che lo fece gemere. Subito afferrò la parte lesa e cominciò a massaggiarla: era un crampo. Ne aveva già avuti un paio da quando la capsula aveva fatto effetto, senza contare il dolore cronico alle giunture e il fastidio alle articolazioni. Era anche stanco, sopportare la sofferenza di una crescita istantanea non era cosa da poco, durante il tragitto si era perfino appisolato per un po’. Non si sentiva troppo bene, ammise con se stesso, ma in fin dei conti aveva di nuovo il suo corpo adulto: non riusciva nemmeno a immaginare cosa sarebbe successo se avesse dovuto affrontare quella notte nei panni di Conan Edogawa. Per fortuna Ai aveva fatto un buon lavoro, questa volta.

E a proposito di Ai…è strano che non si sia minimamente insospettita…spero solo che stia davvero dormendo…

Sospirò, alzando lo sguardo e ritrovandosi riflesso in due pozze verdi-azzurre, intense e penetranti.

“Andiamo, Kudo?” chiese, con il suo solito tono, serio e allo stesso tempo tranquillo.

“Tra un momento…” rispose Shinichi, frugando nel porta-oggetti ed estraendo una pistola non troppo grande, di un nero opaco, una Ruger.357. Heiji la osservò stupito per un secondo, lasciandosi andare ad un lungo fischio sommesso.

“Wow! E questa dove l’hai presa?” esclamò, non senza ammirazione.

“Me l’ha data mio padre. Quando avevo quattordici anni ho imparato a sparare al poligono di tiro, e qualche tempo fa, quando ho cominciato la mia carriera di detective, ha ritenuto opportuno che ne avessi una, per i casi di emergenza.” Gliela lasciò impugnare, il detective di Osaka la soppesò pensieroso. “Non mi piace usare le armi da fuoco…” continuò Shinichi pacato “Infliggono ferite piuttosto gravi, anche quando miri alle braccia o alle gambe, e io sono contro questo genere di violenza. Colpire così una persona, seppure un criminale, è come mettersi al loro stesso livello. È disgustoso. Per questo di solito preferisco tramortirli semplicemente.”

“Sono d’accordo con te” disse Heiji “Anch’io ho imparato a sparare qualche anno fa, ma non uso mai armi. Troppo sangue.” Commentò con una smorfia.

“Infatti…ma stasera è una delle occasioni in cui purtroppo non possiamo fare a meno di prendere precauzioni.”

“Già.” Heiji gli tese l’arma per restituirgliela, ma Shinichi scosse la testa.

“Guarda che quella è per te.” Lo informò, il detective di Osaka lo guardò fisso, sbattendo le palpebre, come a valutare se stesse scherzando. “Ne hai un’altra?”

“No.” Heiji si accigliò, il detective dell’est sorrise divertito. “Senti, io ho un sacco di frecce al mio arco: gli aghi narcotizzanti, tanto per dirne una. E la potenza dei calci…”

“Non hai più le tue scarpe speciali, Kudo” gli ricordò Heiji aspro.

“Quelle erano utili quando avevo la forza di un bambino. Ora che i miei muscoli sono di nuovo adulti…”

“Veramente non mi sembri per niente in forma stasera.” Imbeccò, Shinichi socchiuse gli occhi irritato. “Tu non preoccuparti, Hattori, prendi la pistola e basta.”

“È tua, prendila tu.”

Shinichi sbuffò, lasciandosi andare contro lo schienale del sedile. “Se non la accetti subito, giuro che ti addormento e ti lascio qui.” Lo minacciò il detective dell’est, Heiji inarcò un sopracciglio, irritato e divertito allo stesso tempo.

“Non lo faresti…”

“Mettimi alla prova.”

“E comunque chi ti dice che te lo lascerei fare?” lo provocò il ragazzo di Osaka, ed entrambi si guardarono negli occhi con aria di sfida. In quel momento tutti i vecchi sentimenti di rivalità, che non si erano mai completamente spenti dentro di loro, riaffiorarono in superficie. Il professor Agasa fece scorrere lo sguardo dall’uno all’altro, poi sospirò.

“Sentite…” disse con tono garbato “…credo che adesso abbiate cose più importanti a cui pensare che litigare per una stupida pistola. Fate le persone serie.” Sia Shinichi che il suo collega si voltarono verso l’anziano dottore: non sapeva se anche per Hattori fosse lo stesso, ma all’improvviso il ragazzo di Tokyo si sentì un po’ stupido, oltre al fatto che i suoi diciassette anni gli pesarono sulle spalle più di prima: erano pur sempre ragazzi liceali. Infinitamente intelligenti, forse, ma pur sempre studenti delle superiori. Entrambi sospirarono all’unisono.

“Senti Hattori, prendila tu, per ora. Poi se sarà necessario me la passerai.” Disse deciso, anche se in tono più colloquiale e meno perentorio. Heiji esitò per un attimo, forse con l’intenzione di replicare, ma alla fine annuì e se la infilò nella cintura dei pantaloni, coprendola con il giubbetto jeans. Shinichi lo osservò attentamente: il ragazzo di Osaka si comportava come al solito, sembrava perfettamente calmo, eppure…gli sembrava di aver scorto un’ombra, dietro i suoi occhi, mentre viaggiavano sulla statale. La sua espressione, riflessa nello specchietto, sembrava…tesa, ansiosa…quasi spaventata, sebbene celata dietro una maschera di calma statica. Di certo il dover affrontare quella situazione lo sconvolgeva più di quello che desse a vedere. Sorrise: stimava molto il suo amico, era una persona a suo parere molto forte, sapeva che, nonostante il timore, non si sarebbe tirato indietro di fronte al pericolo. La sua lealtà nei propri confronti era quasi commovente. Ma Heiji non era davvero tranquillo, e lui poteva vederlo bene. Ci riusciva perché le sensazioni che aveva scorto negli occhi del detective di Osaka erano le stesse che provava anche lui: erano entrambi consapevoli che avrebbero potuto non farcela, quella notte, consapevoli che qualcosa sarebbe potuto andare storto, che i nemici che stavano per affrontare erano crudeli e senza scrupoli, e si trovavano nel loro elemento: quel posto malfamato non era molto auspicabile per uno scontro con l’Organizzazione.

Heiji posò la mano sulla maniglia per aprire la portiera dell’auto, ma Shinichi lo bloccò, afferrandogli il braccio con un gesto repentino. Il ragazzo di Osaka lo guardò sbattendo le palpebre. “Che succede?”

“Ce la faremo, Heiji.” proclamò semplicemente.

“Come fai a esserne così sicuro?” replicò lui, con una punta di amarezza malcelata.

“Perché noi siamo i detective migliori del Giappone, no?” esclamò, riferendosi volontariamente a una frase che l’altro ribadiva sempre, sorridendo.

“Sicuro.” Disse Heiji, ricambiando il sorriso. Il detective dell’est annuì a sua volta, ma quando fece per scendere fu la volta del suo collega di bloccarlo. “Che c’è?” chiese curioso.

“Ti ricordi che non sono Mouri, vero?” chiese, con una serietà che a suo parere la domanda non richiedeva.

“Difficile confondervi, Hattori.” Commentò, squadrandolo da capo a piedi con una smorfia. Heiji non poté fare a meno di sorridere un pochino della battuta.

“Allora tienilo a mente.”

Gli intimò, prima di aprire la portiera e scendere dalla macchina. Shinichi rimase interdetto per un momento, poi sogghignò, seguendo il suo collega di Osaka attraverso le tenebre.

Il momento era ormai giunto.

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Note dell’Autrice: ciao a tutti! Per prima cosa voglio scusarmi infinitamente per la lunga attesa: PERDONO!! ; _ ; Vi assicuro che ho avuto un sacco da fare durante questo periodo, e quando avevo del tempo libero a casa ero troppo stanca per accendere il computer e scrivere. Ancora scusate, ho fatto del mio meglio per aggiornare prima di partire per Praga, questa domenica, così da non dovervi fare attendere un’altra settimana. Spero che il capitolo sia valsa l’attesa, so che è un po’ stiracchiato ma come vi ho detto ho fatto di tutto per aggiornare prima di domenica. Allora, che ne pensate? Penso che ormai ci siamo, l’azione è dietro la prossima porta, cosa che mi spaventa in una maniera che non potete immaginare, perché non so se sarò all’altezza di scrivere una vicenda del genere. Beh, il tempo risponderà a questa domanda!!^^ Allora, mie considerazioni sul capitolo…non so come molti di voi prenderanno lo scherzetto di Ai, ma farle fare qualcosa di cattivello era stata la mia aspirazione fin dall’inizio della fanfic…non ho niente contro la biondina, per carità, ma mi piacciono i personaggi buoni con un lato oscuro proprio per poter sfruttare quest’ultimo!! Dunque…avrete notato che ho cercato di dare una certa dignità e intelligenza anche a Kogoro…in fondo, sebbene nel manga è per lo più un personaggio comico di poco rilievo, in alcuni episodi si è rivalso, e leggendoli sono giunta alla conclusione che non è del tutto idiota. Forse lo era nei primi volumi, ma penso che lo stesso Gosho in seguito gli abbia conferito maggiore peso, dal punto di vista concettuale. Da lì i sospetti e tutto ciò che avete letto. Un altro punto, le pistole: personalmente non ci capisco nulla di armi e affini, non saprei riconoscere una calibro 9 da una 38 e nemmeno riesco a immaginarmele, probabilmente se ne impugnassi una sbaglierei bersaglio di 10 m (dopo naturalmente aver impiegato una buona mezz’ora a capire come funziona) e mi slogherei una spalla per il contraccolpo. Dunque, per quelli di voi che sanno com’è fatta una Ruger.357, vogliate perdonarmi se o non è un’arma che si darebbe a un diciassettenne o se ne sono perse le tracce dal lontano vecchio west (a conti fatti, non escluderei la possibilità che possa essere perfino un fucile e non una pistola ^^”). Se vi consola, so per certo che esiste (o è esistita, ad ogni modo). Bene, dopo questa piccola dimostrazione di elevata cultura, passo a ringraziare tutti coloro che hanno commentato lo scorso capitolo, siete grandissimi, sul serio!!^__^ Come farei senza di voi?? Mi dispiace che avete dovuto aspettare tanto, dopo la vostra dimostrazione di infinita gentilezza, spero che non accada più. Io faccio del mio meglio, giuro!!

Akemichan: Ciao! Grazie dei complimenti, spero che quest’ultimo capitolo non ti deluda. Sono contenta che ti sia piaciuta la scena del sorriso di Sherry (ne sono fiera anch’io #^^#)…dici che non è così vendicativa? Boh, non saprei…se uccidessero l’unica persona che ho al mondo perché lei ha tentato di proteggermi, un pochino mi incavolerei…non pensi?

Hoshi: salve! Ti ringrazio della recensione, a quanto pare siamo d’accordo riguardo ad Ai…più o meno (scoprirai in seguito da cosa è dato il più o meno ^ __ ~)

Ersilia: ehm…stavolta il tempo non è stato breve e il capitolo non stupendo…vorrai perdonarmi? Beh, se non altro avrai l’occasione di essere un po’ cattivella anche con me nel prossimo commento! ^ __ ~ mi auguro comunque che il chap ti sia piaciuto, e ti ringrazio tantissimo per i complimenti che mi hai fatto, sei dolcissima! Spero di non doverti far penare troppo il prossimo aggiornamento…e scusa ancora!!

Terabyte: ciao Tera-chan! Grazie mille delle lodi, mi fai sempre morire dal ridere quando leggo i tuoi commenti, davvero! ^___^ Sei fortissima!! Sono contentissima che il capitolo scorso ti sia piaciuto, e spero di non averti deluso con quest’ultimo. Heiji stavolta ha mostrato la sua parte più seria, devo dire, Ai non si è vista più di tanto, ma non preoccuparti, avrà spazi anche lei in futuro…ehm…non sono sicura che potrei scrivere gialli, forse solo di mistero sì, ma per quanto riguarda l’azione, non so come me la caverei!^^” Solo il pensiero di quello che devo scrivere in questa fanfic mi fa paura...chissà che ne verrà fuori! Comunque mi hanno davvero fatto piacere i tuoi complimenti, sei troppo carina!#^^# Per quanto riguarda il rapporto qualità/tempo stavolta credo di aver proprio toccato il fondo…*Sigh* ; __ ; mi spiace. Se non altro non credo di poter andare peggio di così (“mai dire mai…” nd della mia vocina disfattista). Non so se sono riuscita anche in questo capitolo a non far risultare OOC i personaggi…mentre lo scrivevo mi è venuto un dubbio…per esempio nelle scene fra Heiji e Shinichi: so che sono coraggiosi e nel manga non hanno paura praticamente di niente, ma ho voluto renderli più umani, fare un’analisi introspettiva: sono pur sempre due ragazzi di diciassette anni che rischiano la vita contro un’organizzazione criminale! Tu che ne pensi? Dammi la tua opinione, ok? Spero di risentirti, e non scusarti del ritardo, sono io quella che deve coprirsi il capo di cenere! Un bacione Tera-chan!

Ginny85: ciao! La tachicardia, addirittura? Wow, O __ O non credevo che i miei capitoli potessero avere questi effetti! Ai ha decisamente sforato, guarda un po’ cosa ti ha combinato in quest’ultimo capitolo!! Comunque posso dirti che hai afferrato più o meno il corsi degli eventi, frutto tra l’altro della mia parte subcosciente a favore di Conan e Ai (eh eh eh…il fatto è che la biondina mi piace proprio). Spero che ti faccia piacere vedere Cool Guy adulto (w Vermouth!!^^) e che la scena fra Ran e Kazuha ti sia piaciuta: il nastro era proprio quello di Mori, come avrai visto. Scusissima se ho perpetrato il tuo strazio fino ad adesso, ho fatto del mio meglio per l’aggiornamento, ma i prof sanno essere sadici (mi vogliono aumentare il corso pomeridiano di francese da due a tre ore! Significherebbe che dopo 9 ore di scuola dovrei tornare a casa con l’autobus e poi mettermi a fare i compiti!! E quando vivo?? Cose da pazzi!). Cosa ti sembra del titolo di questo capitolo? All’inizio avevo deciso per Fear & Courage, ma poi ho voluto fare il gioco di parole che hai visto. Spero ti sia piaciuto. ^__^ Grazie della recensione, spero di risentirti presto.

Mokuren82: ciao! Sono contenta che, nonostante tu non sia un’appassionata di DC, abbia voluto leggere la mia storia e addirittura commentarla…grazie mille!! #^^# (o dovrei ringraziare la febbre?) Mi ha fatto piacere leggere il tuo commento, sei stata veramente gentile, e spero che la mia storia ti abbia fatto pesare di meno il tempo passato a letto per colpa dell’influenza!

APTX4869: salve! Eh sì, l’azione ormai non può più aspettare, a quanto avrai visto. Farò quel che posso con le dichiarazioni amorose, ma non ti prometto niente: non sono sicura nemmeno io di quello che devo scrivere, esattamente!! ^^” (mooolto professionale) ma non perdere la speranza. Ran e Kazuha si sono già cacciate nei guai, ma perlomeno non sono sole! Mi dispiace per averti fatto attendere troppo l’aggiornamento, mi auguro che non succeda più (non dipende da me, purtroppo) Un bacione, a presto!

Shizuka: oh, chi si risente!^^ Come stai? Sono felice che la mia storia continui a piacerti e che torni sempre a leggerla e a commentarla, thanks! Sì, ho visto il film di Conan (ormai si tratta di secoli fa - __ -“), mi è piaciuto, la grafica e le ombre erano molto ben curate, e anche la storia era bella: l’idea di far scambiare Sonoko per Ai è stata geniale, e anche la scena in cui Ran e Conan si gettano dal grattacielo in fiamme…impagabile!^//^ Non l’avevo mai visto e sono contenta che sia arrivato finalmente in Italia, dopo che ci hanno propinato almeno una ventina di volte ogni film su Lupen III (non ho niente contro il ladro, ma ripetere ad oltranza i film ogni anno…) e sui Pokemon (idem)…era ora! A te è piaciuto?

Sabry1611: ciao! Grazie mille del commento, mi ha fatto piacere riceverlo. L’idea del travestimento piaceva molto anche a me, sebbene all’inizio non fossi sicura se mettercela o no; Ai ti preoccuperà ancora di più dopo questo capitolo, penso…le sto facendo tirare fuori il suo lato più dark. ^^ Vedrai che altro combinerà!! La confessione di Shinichi, finché sarà in mano a Ran sarà sempre un rischio…ma non posso anticiparti niente!! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, e di risentirti presto. Grazie ancora per i complimenti, sei stata carinissima!^///^

Yuki: ti ringrazio per l’ennesima volta del commento. ^__^ Sono curiosa di conoscere il tuo parere su Ai dopo quest’ultimo capitolo...

Mareviola: Eh sì, hai colto nel segno, è proprio quella la cassetta! Vedrai che cosa succederà anche con quel nastro...povero Shinichi! Come se non avesse già un sacco di cose a cui pensare! Spero che il capitolo ti sia piaciuto, grazie della recensione!

Esty85: ciao! Ti ringrazio del commento, sono contenta che la storia ti piaccia. L’ho continuata, hai visto? ^ _ ~ Cosa ne pensi?

BPM: salve! Sono felice che la mia ff sia di tuo gradimento, nonostante tu non abbia una vera e propria passione per Detective Conan; mi hai fatto arrossire con i tuoi complimenti, sul serio! #^^# Grazie mille! Diciamo che ho peggiorato la mia media per quanto riguarda i tempi stavolta, spero che non accada più. Mi piacerebbe risentirti in futuro, ciao!!

Lili: Ciao!! Beh, anch'io sono in ritardo con l'aggiornamento, quindi direi che siamo pari. Sono contenta che la storia continui a piacerti, e ti ringrazio dei complimenti e della fiducia che riponi in me. Thanks^^ Spero di non deluderti...baci, a presto!

Bene, direi che è tutto per oggi. Mi auguro di non aver dimenticato nessuno, sarebbe davvero imperdonabile, dopo quanto vi ho fatto aspettare!! Scusate ancora, mi appello all’emendamento: “Meglio tardi che mai”… Solite note finali: ho nominato in questo capitolo solo un numero del manga, il 35: è il seguito del primo caso di Shinichi, quello che lui aveva risolto sull’aereo. Ricordate? Nel vol.21. Qui (nel 35, intendo) Shinichi e Ran si trovano a New York con la madre di lui, e verso la fine incappano in un serial killer che si nasconde in un vecchio edificio. Ran, a causa della febbre, sviene e Shinichi la porta in salvo, dissuadendo l’assassino dal proposito di sparargli. Non vi dico di più, è una storia molto bella, se potete andate a leggerla!^^ Ora ho proprio finito. Mi auguro di poter aggiornare presto il prossimo capitolo, ma tenete a mente che domani parto per una gita scolastica di una settimana…

A presto

-Melany

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Capitolo 22
*** Against The Shadows ***


Nuova pagina 1

*

22. Against the Shadows

Shinichi chiuse per un momento gli occhi, lasciando che il vento freddo della notte gli sferzasse il viso accaldato, le ciocche di capelli bruni della frangetta che gli accarezzavano la fronte, mentre tutto il suo corpo si rilassava per la frescura. Aprì gli occhi, continuando a camminare silenziosamente, Heiji al suo fianco e, fortunatamente, alla sua stessa altezza. Dio, come gli era mancato essere adulto, sentirsi di nuovo forte, senza il bisogno degli strani aggeggi del professore, poter guardare negli occhi la gente senza farsi venire il torcicollo, provare di nuovo cosa significava essere davvero se stessi. Era una sensazione che gli dava coraggio. Avrebbe sicuramente affrontato quella situazione con tutt’altro umore se avesse dovuto agire con la testa a poco più di un metro dal terreno: anche considerando che il contraccolpo di un’eventuale pistola avrebbe potuto farlo volare via. Ridacchiò: forse stava esagerando.

“Beato te che sei allegro…” mormorò Heiji al suo fianco.

Shinichi gli scoccò un’occhiata in tralice: “Perché, tu non lo sei?”

“Chi, io?” Heiji sorrise. “Sempre.”

Si addentrarono nel complesso di case popolari; lì l’atmosfera era decisamente molto meno leggera: le abitazioni sembravano abbandonate, ma qua e là si udivano dei rumori poco rassicuranti, mentre nell’aria c’era un pesante odore di fogna e muffa. I due cercarono di camminare nelle zone più in ombra, attenti a fare meno rumore possibile, consci che ragazzi liceali della loro età non sarebbero passati inosservati, se fossero stati scorti. Passarono accanto al corpo di un uomo accasciato in malo modo contro una parete, vittima di alcool o di chissà quale altra sostanza poco raccomandabile. Non sembrava del tutto sveglio, ma nemmeno addormentato: i suoi occhi erano vacui, ebbero un guizzo quando si posarono su di loro ma nulla di più. Aveva un grosso rigonfiamento sul labbro inferiore.

Lo superarono dopo essersi scambiati un’occhiata a metà fra il disgusto e la pietà. Dopo qualche minuto videro un angolo ben riparato e deserto, accanto ad una delle case malconce, e vi si rifugiarono, lontani da occhi indiscreti. Shinichi tirò fuori dalla tasca i familiari occhiali di Conan, spinse il pulsante accanto alla lente e comparve il radar, con una lucetta lampeggiante. “Ora che siamo così vicini, possiamo seguire la trasmittente di Gin anche con questi; il professore mi ha regolato la frequenza giusta.” Spiegò Shinichi in un sussurro, Heiji annuì. Il detective dell’est seguì la traccia del radar, guidando il suo collega che era subito dietro di lui, a coprirgli le spalle in caso di pericolo. La lucetta era ferma in un solo luogo, probabilmente il punto dove Gin e Vodka aspettavano il loro corrispondente, e loro vi si stavano avvicinando risoluti, accantonando ogni paura e incertezza. Non era quello che i detective facevano abitualmente?

“Ci siamo.” Bisbigliò Shinichi, indicando con un cenno del capo una casupola davanti a loro, che sembrava un magazzino, con i muri dipinti di un grigio sporco. Entrambi si scambiarono un ultimo cenno di assenso, poi si diressero verso il loro obiettivo, mentre dietro di loro una figura con un cappotto lungo fino ai piedi non staccava gli occhi da loro un istante.

Aggirarono l’entrata principale, cercando un qualche sbocco secondario per non dare nell’occhio. Sulla parete posteriore esterna trovarono quello che faceva al caso loro, una finestrella con il vetro inesistente; con un po’ di fatica e aiutandosi l’un l’altro riuscirono ad insinuarsi attraverso quell’angusta entrata, e si ritrovarono a camminare gattoni sulle assi di legno del tetto, lentamente, attenti a non perdere l’equilibrio e a farle scricchiolare il meno possibile. Scorsero dall’alto tre figure scure, ma l’intero magazzino era buio ed era difficile stabilire di chi si trattasse. Shinichi sperò intensamente che a nessuno dei tre venisse voglia di alzare lo sguardo, si erano arrampicati piuttosto in alto, questo sì, ma aveva l’impressione che la visuale fosse la stessa da entrambe le parti: forse non li avrebbero riconosciuti, ma avrebbero capito che c’era qualcuno.  Le ginocchia cominciavano a dolergli, a causa del forzato contatto con il legno rigido delle assi, e anche le braccia soffrivano un po’. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere, pregava che tutto si svolgesse più in fretta possibile…

“È in ritardo.” Constatò una delle voci, che Shinichi riconobbe come quella di Vodka.

Udì a fatica un ghigno sommesso. “Forse.” Rispose Gin, e l’intonazione gli fece intuire che aveva stirato le labbra, cosa che non gli piacque affatto. In effetti, tutta quella breve conversazione aveva un che di sinistro. La terza figura cominciò ad allontanarsi dai due uomini, con un ticchettio basso che Shinichi accostò senza difficoltà a scarpe con il tacco.

“Vermouth” sibilò, e come se l’avesse udito la donna in questione prese parola.

“I’m boring…credo che andrò a fare un giretto.” Annunciò con la sua voce melodiosa, continuando la sua marcia verso la porta.

“Attenta piccola, potresti perderti la festa.” La avvertì Gin, sempre con quel tono placido e divertito che a Shinichi metteva i brividi. Sentiva che doveva alzare la guardia, che qualcosa di brutto stava per accadere. Ma come poteva essere?? Gin non avrebbe mai potuto immaginare che…

“Oh, di questo non mi preoccupo. Ho l’impressione che il party si protrarrà…” aprì la porta “…più del previsto. Bye”

Perché improvvisamente si sentiva così a disagio? In fondo erano loro stessi che tenevano le redini del gioco, avevano spiato le loro conversazioni, preparato un piano, chiamato la polizia…avrebbe dovuto essere calmo. Beh, okay, forse non così calmo, ma decisamente non tanto agitato. Il fatto era che il modo in cui stavano parlando i suoi avversari, Gin e Vermouth soprattutto, faceva suggerire che sapevano più di quello che lui avesse creduto all’inizio. Ma era una cosa impossibile, no?

Impossibile? Lo credi veramente??

Ciliegina sulla torta, ecco di nuovo la voce di suo padre, che lo apostrofava in tono scettico e quasi canzonatorio. Si trattenne dal sbuffare, cercando di ignorare il moto di scompenso che quelle parole nella sua mente gli avevano infuso. Avrebbe voluto rispondere un ‘sì’ deciso, ma purtroppo sapeva che non era poi così impossibile. E c’erano numerosi altri punti che, adesso che esaminava sotto una nuova luce, erano piuttosto sospetti. Come per esempio la sua fortuna sfacciata: appena il giorno dopo che gli aveva applicato la trasmittente, aveva ottenuto informazioni tali da avere l’occasione di catturarli. Il luogo dell’incontro, certamente più favorevole agli Uomini in Nero che a lui e al suo compagno, in caso di scontro; e poi Vermouth, fingendo di essere Yukiko e aggirandosi per la casa del dottor Agasa aveva capito molte cose, e avrebbe potuto riferirle ai suoi colleghi. Finora lo aveva escluso perché non aveva captato nessuna conversazione di quel genere dalla cimice, ma era anche vero che c’erano stati lunghi periodi di silenzio alternati ai discorsi e poteva essere che…

Gin sapesse della cimice

Il cuore ebbe un tuffo, Shinichi sbarrò gli occhi e impallidì di colpo. Non era così assurdo, i congegni erano sotto la sua scarpa e se se la fosse sfilata la sera, per andare a letto, avrebbe potuto scorgerla e capire, perché Gin non era uno sciocco. Ma se così fosse quella sarebbe stata

Una trappola

Si voltò, cercando lo sguardo del suo collega, pronto a spiegargli tutto, quando un rumore forte lo costrinse a guardare di nuovo in giù. Gin aveva appena sbarrato la porta.

“Bene Vodka…è ora di occuparsi del nostro ospite…”

“È  già qui?”

“Oh sì…da un bel po’, ormai.”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

“Io qui non vedo nessuno stupido ragazzino che si crede un detective, Ran” borbottò Kogoro, le mani in tasca. La ragazza camminava decisa, addentrandosi nell’ombra senza alcun timore, voltando la testa di qua e di là, cercando di penetrare l’oscurità e di scorgere il viso tanto conosciuto. Kazuha era accanto a lei e imitava i suoi gesti, sebbene stesse cercando un altro ragazzo, facendo ciondolare la coda di cavallo tenuta stretta con il nastro regalatole da Heiji.

Dove ti sei cacciato Shinichi? Ti prego fa che lo trovi…

Lo stomaco cominciava di nuovo a contorcersi in modo doloroso, ma lei lo ignorò: doveva restare lucida e calma. Sebbene la speranza di trovarlo stesse affievolendosi ad ogni passo sempre di più, non le sarebbe stato di alcun aiuto buttarsi giù: dannazione alla sua emotività! Perché i suoi sentimenti dovevano essere sempre così pressanti e scomodi? Avrebbe tanto voluto essere più fredda, di fronte alle situazioni…

Così forse a quest’ora l’avrei già dimenticato...anche se…solo immaginare di farlo uscire dalla mia vita…mi fa stare così male…

Sussultò, strappata ai suoi pensieri dalla stretta poderosa di una mano intorno al suo polso: si voltò, incontrando lo sguardo penetrante e scuro di suo padre, il viso imbronciato in una smorfia di impazienza e irritazione.

“Basta, ti avevo detto che se non l’avessimo visto subito ce ne saremmo andati. Ti ho permesso persino di scendere dall’auto…” brontolò, ben sapendo che non era stata una vera e propria permissione, visto che Ran era sgattaiolata in fretta fuori dalla macchina non appena aveva accostato “…e qui intorno non c’è traccia di lui. E’ tardi, sono stanco e questo posto non mi piace. Andiamo v…”

“Detective! Non sapevo partecipasse anche lei a questa missione!” Uno strano uomo, avvolto in un lungo cappotto blu scuro di feltro e con in testa un capello ben calcato sulla fronte, si avvicinò a loro dal buio di un vicolo. Kogoro spostò la figlia dietro la schiena in un una rapida mossa protettiva e quasi inconscia. “Chi è lei? Cosa vuole?” tuonò.

“Oh, mi scusi!” L’uomo alzò un po’ il cappello per permettergli di vederlo in faccia, e tutti e tre spalancarono la bocca: “Detective Takagi!? Che ci fa qui!?” chiese Ran quasi senza fiato, mentre il cuore ebbe un sussulto: se l’agente era là, e come aveva detto prima era in corso un’azione di polizia, era probabile che quello che le aveva riferito la voce al telefono era vero, e cioè…

“Shinichi è con voi?” domandò con voce spezzata, prima che l’uomo avesse il tempo di rispondere alle altre domande. Kazuha fece un passo avanti. “E Heiji? Hattori, intendo…”

Takagi le fissò per qualche momento, sbattendo le palpebre, poi aprì la bocca per rispondere ma Kogoro lo interruppe.

“Che genere di missione state attuando?” domandò non senza una punta di preoccupazione.

“Dobbiamo arrestare dei trafficanti. Ci sarà uno scambio di sostanze stupefacenti stasera, in questo complesso. Ci sono altri agenti qui intorno travestiti come me.” spiegò bisbigliando. “Aspettiamo un segnale per agire…se fossi in lei allontanerei le ragazze da questo posto” suggerì, e dall’intonazione si capiva perfettamente la sua perplessità all’idea che l’investigatore avesse portato due diciassettenni in piena notte in un luogo malfamato. Kogoro annuì, cercando di nuovo di afferrare la figlia per il polso, ma Ran riuscì a divincolarsi e si avvicinò all’agente di polizia. “La prego, mi risponda…” lo supplicò con gli occhi lucidi, e Takagi arrossì visibilmente, sebbene il travestimento coprisse gran parte del volto. “Beh, ecco…io non ne so molto…” disse timidamente “…ma mi pare di aver capito che…sia stato proprio lui ad avvertire l’ispettore Megure e ad organizzare questa retata.”

Sembrò che il cuore smettesse di batterle, il respiro si arrestò. Dunque era vero, la donna non aveva mentito…Shinichi si trovava là…dopo tanto tempo, aveva la possibilità di rivederlo, di parlare con lui…sentì che la sua anima si riempiva di un sentimento che per molto tempo le era stato precluso: la vera speranza.

“Lui dov’è?” insisté, afferrando per il braccio Takagi. Udiva a malapena i rimproveri di Kogoro dietro di lei, tutta la sua attenzione era rivolta al giovane uomo che le stava davanti e che le aveva regalato una così bella sensazione. “Dov’è??”

“Io…io non…”

Il rombo acuto di uno sparo squarciò il silenzio della notte. Tutti e quattro rimasero immobili, spaventati e sorpresi da quel rumore improvviso, che il loro cervello riconobbe solo dopo qualche secondo. La ricetrasmittente di Takagi si attivò, e data la sua vicinanza Ran poté sentire cosa disse la voce dell’ispettore Megure.

Attenzione, qualcuno ha aperto il fuoco sul lato nord del complesso, non abbiamo ancora capito da che parte provengano gli spari, chi si trova nel settore nord ci comunichi immediatamente il luogo esatto dello sparo

Qui Sato, settore nord” trasmise il congegno “lo sparo proveniva da una costruzione abbandonata sulla terza strada, non ho visto nessuno uscire.

Ricevuto Sato, a tutti gli agenti, abbandonare le proprie posizioni e dirigersi verso l’obiettivo comunicato, ripeto, dirigersi tutti verso l’edificio abbandonato sulla terza strada…fate attenzione…i trafficanti sono armati e pericolosi.”

“Qui Takagi, ricevuto” rispose l’agente di polizia, impugnando la pistola. “Devo andare, voi mettetevi al riparo.”

“No, io vengo con lei!!” protestò Ran, e al suo fianco Kazuha annuì decisa.   

 “Niente da fare! Non è roba per ragazzine come voi!” proruppe Kogoro infuriato, visibilmente in ansia per la situazione in cui aveva cacciato sua figlia e la sua amica. Dannazione! Non avrebbe mai dovuto accettare di accompagnarle!! L’agente approfittò della distrazione di Ran per andare ad obbedire agli ordini senza portarla con sé. Non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo quella ragazza così dolce, sebbene ammirasse profondamente il suo coraggio.

“No!! Io-“ un altro scoppio, e tutti sobbalzarono di nuovo. “devo andare da lui!” gridò Ran, cominciando a correre verso il luogo che aveva udito dalla trasmittente. Era minimamente conscia del fatto che dietro di lei Kogoro le urlava di tornare indietro e Kazuha la seguiva di corsa. Avrebbe dovuto essere prudente, fermarsi e dare retta a suo padre,  le disse la parte razionale della sua mente, ma l’altra, quella a cui poi dava inevitabilmente ascolto suo malgrado, le ripeteva un’altra cosa:

è quello che avrebbe fatto Shinichi per te. Se avesse sentito gli spari, e avesse saputo che tu eri in pericolo, avrebbe fatto esattamente così.

Giusto. Lei non si sarebbe tirata indietro, non più. Doveva raggiungere il suo amico d’infanzia, stare al suo fianco, se lui era in pericolo. Non voleva e non poteva immaginare che gli fosse accaduto qualcosa, scacciava decisa le immagini truculente che gli spari avevano suggerito al suo cervello. Accelerò l’andatura, senza timore, e qualche passo indietro, un accanito fumatore con almeno una trentina di anni più di lei sulle spalle, cominciò a boccheggiare e a perderla di vista nell’oscurità sempre più pressante della notte.

Ran macinò in pochissimo tempo la distanza che la divideva dall’edificio, arrivando alla terza strada e cercando con occhiate disperate di individuare la costruzione: se aveva sperato di vedere una folla di agenti di polizia, con giubbotti antiproiettili e pistole, barricati dietro una fila scomposta di automobili della polizia con le sirene blu accese, come succedeva nei film, restò amaramente delusa. Il luogo, sebbene meno tranquillo di come l’aveva visto appena scesa dalla macchina, conservava tutta la sua lugubre calma: nel buio vedeva strane figure allontanarsi in fretta da quei vicoli, alcuni spaventati, altri semplicemente scocciati, ma nel complesso regnava ancora quel pesante silenzio che gelava l’anima. La ragazza procedette cautamente, il cuore in gola, sentendo improvvisamente rumorosissimo ogni passo che avanzava. D’un tratto, scorse finalmente attraverso il buio una fila di uomini appoggiati al muro, con circospezione,  che impugnavano una pistola, pronti a quel che sembrava a sfondare la porta di un edificio grigio fumo per farvi irruzione. Attenta a non farsi vedere, decise di osservare la scena da un punto distaccato: se si fossero accorti di lei, l’avrebbero trascinata via, e voleva vedere se Shinichi si trovava lì dentro.

Si nascose nel buio, trattenendo il respiro quando gli uomini sfondarono la porta.

 

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“Coraggio, vieni fuori… non è il caso di farsi pregare.” Gracchiò Gin, estraendo dal cappotto la pistola. Sapeva che il suo avversario era in quel magazzino, nascosto nell’ombra, troppo vigliacco per farsi vedere…dannazione, poteva quasi sentirlo… fiutare l’odore ripugnante della sua presenza. Sorrise crudelmente: quel povero sciocco aveva pensato di poterlo ingannare, di tendergli una trappola con quello stupido giocattolino che gli aveva attaccato sotto la scarpa? L’aveva sottovalutato, decisamente. Ma era stato così divertente poter sfruttare i mezzi del suo avversario a proprio favore...durante le conversazioni che gli aveva fatto ascoltare aveva dovuto trattenersi dallo scoppiare a ridere improvvisamente. Per fortuna era un professionista, sapeva controllarsi...al contrario del suo collega. Vodka avrebbe potuto rovinare tutto, se l’avesse avvertito, era stata una mossa saggia nascondergli gran parte del suo piano. Perché se il bastardo che aveva osato andargli contro l’aveva sottovalutato, lui non avrebbe commesso lo stesso errore: per essere un dannato codardo che non aveva nemmeno il coraggio di farsi vedere in faccia, quel ragazzo era in gamba, oh sì. Altrimenti non avrebbe mai potuto metterlo k.o. durante il loro ultimo scontro, una cosa che gli bruciava maledettamente ancora adesso. L’avrebbe pagato caro, quell’affronto: avrebbe implorato il suo perdono vomitando sangue dalla bocca, il verme schifoso. “Vedrai che farò in fretta…non ti accorgerai quasi di morire.” Mentì, non che sperasse che uscisse dal suo nascondiglio. Era più divertente così: chissà come tremava, spaventato, accorgendosi di essere in trappola come un ratto. Udì un leggero rumore sopra la testa, ma disgraziatamente fu coperto dalla voce baritonale e nasale di Vodka: “Ehm…sei certo che…”

“Zitto!” Tuonò, e il suo collega sussultò, aggiustandosi meccanicamente gli occhiali suo viso, che continuavano a cadergli a causa della fasciatura che gli copriva il naso, impedendo alla montatura di sistemarsi a dovere. Aveva sentito qualcosa, sopra di lui. Lo scricchiolio di un’asse, forse? Alzò la testa, scorgendo nonostante l’ombra marcata due figure appollaiate sulle assi del tetto. Il sorriso s’intensificò, scoprendogli i denti. “Ma guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…”

Puntò l’arma e fece fuoco.

 

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“Vedrai che farò in fretta…non ti accorgerai quasi di morire.”

Udì la voce canzonatoria dell’uomo chiamato Gin sotto di lui e si sentì gelare. Come erano stati stupidi! Credevano davvero che sarebbe filato tutto liscio, che avevano in mano loro le redini del gioco? Oh, Kudo aveva ragione: questi criminali erano decisamente ad un livello più alto di quelli che affrontavano di solito. Avrebbero dovuto aspettarselo, o come minimo essere più prudenti, valutare tutte le possibilità prima di agire. Adesso erano in trappola, per di più in una posizione scomodissima: non potevano fare dietro-front e scappare, e se gli Uomini in Nero li avessero scorti avrebbero potuto centrarli entrambi con una pallottola senza troppa difficoltà. L’unica soluzione era…

Sospirò impercettibilmente, alzando lo sguardo, e si accorse che Kudo lo stava guardando, con quegli occhi blu così intensi e profondi, sotto le sopracciglia scure inarcate, cercando di comunicargli un messaggio a cui lui stesso era già arrivato, sebbene la cosa non gli piacesse per niente. Sapeva benissimo che si trattava di spietati assassini, ma l’idea di ferire, di far del male volontariamente…insomma, era ciò contro cui combatteva ogni giorno. Tuttavia, sapeva che non aveva scelta, se volevano uscire vivi da lì. Era sempre meglio che aspettare di essere colpiti da loro come bersagli fissi al luna park. E poi era convinto che Kudo non glielo avrebbe mai chiesto se non fosse stato assolutamente necessario. Dannazione, doveva mollarla proprio a lui quella stupida arma??

Si mosse, spostando il suo peso su una mano sola per estrarre con l’altra la Ruger, e strinse i denti con un sussulto quando udì sotto di lui l’asse di legno scricchiolare pericolosamente. Per fortuna, proprio in quel momento, la voce di Vodka, deformata dalla benda sul naso per la lezione che gli aveva dato Kudo il giorno prima, disse titubante: “Ehm…sei certo che…”

“Zitto!” tuonò l’altro assassino, Heiji capì che doveva aver sentito qualcosa, ma sperava che almeno non avesse compreso da che parte proveniva il rumore. Poi Gin alzò la testa, e sentì tutte le sue illusioni morire con un gemito agonizzante. La sua mente era portata a formare immagini davvero strane quando era davvero teso.

“Ma guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…” cantilenò Gin, e lui seppe che se doveva fare qualcosa, quello era il momento. Nello stesso istante in cui l’uomo alzò la pistola e premette il grilletto, Heiji fece lo stesso, pregando inconsciamente di non colpire nessuna parte vitale.

Gli spari, partiti in un solo tempo, si unirono in un solo assordante rumore. Heiji sentì che la pallottola lo sfiorava, senza colpirlo, e contemporaneamente vide Gin reagire come se si fosse scottato, con un balzo all’indietro. Si svolse tutto in pochissimi secondi. Lanciò un’occhiata a Kudo, lui era riuscito a voltarsi e lo guardava stringendo i denti.

“Dobbiamo andarcene subito” mormorò con voce roca, ma sotto di loro Gin aveva di nuovo puntato la pistola; Heiji teneva ancora in mano la sua, cavolo, gli sembrava quasi di sentire la canna bollente per lo sparo, l’odore del sangue. Si preparò a sparare di nuovo, pur sapendo che loro erano più vulnerabili ai colpi rispetto agli avversari, e che adesso che anche Vodka li aveva individuati e si preparava a sparare, erano due contro uno, e ci sarebbe voluto un miracolo per sfuggire entrambi di nuovo alle pallottole.

“Siete morti!” Gridò Gin, e Heiji seppe che stava per sparare di nuovo. Mirò a sua volta, cercando di colpire il suo braccio, ma l’oscurità gli impediva di vedere bene quanto desiderava. Sapeva che entrambe le vite, sue e del suo migliore amico, dipendevano da lui. Kudo era inerme finché restavano lì, erano troppo lontani perché l’orologio spara-anestetico funzionasse, dunque la loro sopravvivenza dipendeva unicamente dalla sua abilità nell’usare l’arma. Tanto bastava per farsi prendere dal panico, ma fortunatamente riuscì a restare lucido. Proprio quando stava per sparare, un suono di vetri rotti e un ennesimo scoppio lo fecero sobbalzare. Gin ruggì rauco, colpito alle spalle, e si voltò verso la finestrella rotta dietro di sé, il suo ansimare percepibile anche dalla loro posizione. Anche Vodka, sorpreso, si voltò, e i due ragazzi approfittarono della situazione per allontanarsi da lì, ripercorrendo in fretta l’asse di legno fino alla fessura da cui erano entrati. Heiji con un salto fu fuori dal magazzino, sospirando, dicendo a se stesso con sollievo che non si sarebbe più cacciato là dentro per nulla al mondo. Si voltò e si accorse con orrore che Kudo non c’era. Fece per ri-arrampicarsi e tornare indietro: per nulla al mondo, sì, tranne il suo migliore amico.

“Ma guarda un po’, cosa abbiamo qui…” lo interruppe una voce, si voltò stupito e si ritrovò faccia a faccia con la canna di un revolver, puntata contro di lui da un uomo sulla quarantina, la barba ispida e due occhietti scuri come quelli di una serpe, completamente vestito di nero. Il naso era arcuato, le labbra erano così chiare che sembrava quasi non averne, che avesse solo un lungo taglio sotto le narici, i capelli erano ingrigiti vicino all’attaccatura. Non aveva un aspetto rassicurante, l’immagine in sé bastava a far venire i brividi: la luce della luna infondeva alla sua pelle un pallore cadaverico, smorto.  

“Magnifico” borbottò, gli occhi fissi sull’arma.

“Sai, ero convinto di dover affrontare qualcuno di importante, vista tutta l’organizzazione di questa serata, e invece…” fece una smorfia, mostrando i denti ingialliti dal fumo, e lo fissò da capo a piedi “…mi ritrovo con un moccioso che va ancora a scuola. Se avessi saputo, avrei occupato meglio il mio tempo. Con qualche bambino, ad esempio.” Il taglio al posto della bocca si stirò in quello che era il sorriso più mostruoso che avesse mai visto, e al sentire le ultime parole Heiji ribollì di rabbia, nonostante la tensione.

“Lei mi fa schifo.” Ringhiò, scatenando nient’altro che una risata divertita dal suo interlocutore, una risata che gelava il sangue.

“Così dicono tutti, ma poi, quando cominci…non fanno altro che piagnucolare, e lamentarsi, e strillare…ed è quello che farai anche tu, molto presto.”

Heiji capì che aveva bisogno di un piano, sentiva gocce di sudore gelido imperlargli la  fronte. Due volte in pericolo mortale in pochissimi minuti, cavoli, era iniziata proprio bene. Ripensandoci, più che di un piano, avevano bisogno di un miracolo.

 

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Takagi e Chiba sfondarono la porta, il volto tirato per la tensione, le pistole in pugno. Dietro di loro, gli agenti confluirono nell’edificio, le armi pronte all’uso. L’ispettore Megure era a capo del gruppo, e non appena si furono disposti urlò: “Polizia! Gettate le armi a terra e…” si bloccò, l’abitazione era vuota e all’apparenza tranquilla. Fece cenno a due uomini di perlustrare le altre stanze, senza abbassare la guardia, mentre gli altri aspettavano, pronti all’azione. Se c’etra una cosa che aveva imparato durante la sua carriera, era che nulla era mai come sembrava, l’insidia poteva essere dietro ogni angolo, nascosta nell’ombra, pronta a colpire. Da un momento all’altro avrebbe dovuto agire. I due poliziotti tornarono scuotendo la testa: “La casa è vuota, signore” lo informò uno dei due, e Megure aggrottò la fronte perplesso. “Davvero strano. Se sono scappati, non possono essere andati lontano: squadra B, perlustrate i dintorni, chiunque abbia l’aria sospetta sia fermato e perquisito. Squadra A, cercate segni di colluttazione e di colpi di arma da fuoco qua dentro.” la cosa era piuttosto strana, aveva cercato di mettersi in contato col giovane Kudo senza riuscirci, e adesso si ritrovavano in quella casa vuota. Possibile che i colpevoli si fossero dileguati così in fretta? Rifletté un momento: e se il luogo non fosse stato quello giusto? “Sato, sei certa che gli spari venissero da qui?” chiese, cercandola con lo sguardo fra gli uomini imbottiti di giubbotti antiproiettili sotto gli abiti borghesi. Nessuna risposta. Nessun segno di lei, a dir la verità.

“Sato? Qualcuno ha visto l’agente Sato?”

Takagi ora si guardava intorno agitato, gli occhi che guizzavano velocemente da un agente all’altro. Anche gli altri sembravano perplessi e in ansia. “Credevamo fosse con noi…questo era il settore assegnato a lei.” balbettò uno dei poliziotti. Ora Takagi era più che agitato: era nel panico totale. Era impallidito di colpo, e Megure sapeva che se non avesse fatto subito qualcosa l’agente avrebbe commesso una qualche sciocchezza. “Takagi, Chiba, andate a cercare la vostra collega. E state attenti. Squadra A, non c’è più bisogno di controllare la casa, cercheremo i malviventi in un altro settore.”

Era evidente che qualcosa non andava. Erano stati ingannati.

  

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Ran era perplessa. Credeva ci sarebbe stata più azione, colpi di pistola, grida, e invece…sembrava tutto tranquillo. Sospirò, avvicinandosi ancora di più alla casa, cercando di scorgere al di là dei vetri malridotti delle finestre il volto del suo amico d’infanzia, senza molta fortuna. Possibile che fossero arrivati troppo tardi? Che Shinichi se ne fosse già andato?

Spero solo che non gli sia accaduto nulla…Shinichi…dove sei?

Rabbrividì, abbottonandosi il cardigan rosa: ora che le sue speranze erano di nuovo scomparse non poteva fare a meno di provare di nuovo paura. Gli orrori che aveva dovuto subire i giorni passati tornarono a farsi strada nella sua mente, il sapore dello straccio imbevuto del narcotico che Mori le aveva premuto sulla bocca, il ruvido delle corde che gli segava i polsi, il calore acre del suo fiato…e poi i due uomini vestiti di nero, gli occhi gelidi e spietati del biondo, la morsa dolorosa della sua mano sui propri capelli, l’odore dolciastro del sangue, i gemiti dell’uomo che avevano torturato…non poté fare a meno di rivivere mentalmente quel passato così terribile e si spaventò, si spaventò perché aveva seminato suo padre e Kazuha, si spaventò perché era di nuovo sola, abbandonata a se stessa, si spaventò perché ancora una volta Shinichi non era al suo fianco. La tentazione di raggiungere i poliziotti e farsi portare in salvo ora le premeva dentro insistente. Il suo amico d’infanzia non c’era, lei non era un’eroina, voleva solo tornarsene a casa. Se Shinichi avesse voluto vederla, in fondo, sarebbe venuto lui a trovarla…  

…Ciò significa che hai decifrato il codice e sei corso a salvare la tua ragazza, il che conferma le mie supposizioni…

La tua ragazza…

Strano come certi pensieri vengano nei momenti più strani. Lei, la ragazza di Conan? Perché il giornalista aveva apostrofato il bambino in quel modo? Per di più, non aveva mostrato alcuna delusione nel vederlo arrivare. Insomma, lui si aspettava di veder venire Shinichi, giusto? Eppure, non aveva battuto ciglio all’arrivo di un bambino delle elementari, al suo posto. Però, lo stabile era buio, poteva darsi che Mori avesse semplicemente sentito arrivare qualcuno e avesse creduto che fosse il suo amico d’infanzia, invece che Conan. Era la spiegazione più logica che riusciva a trovare. Se non fosse che poi…

Chi sei? Dov’è Ran?

Non Ran-neechan. Ran. Quel tono di voce autoritario, carico di energia…conosceva solo una persona che potesse assumerlo. L’aveva sempre affascinata e colpita, per anni. Ma sembrava così stupido pensarci…quante volte l’aveva ipotizzato ed era stata smentita dai fatti? Alla sua recita, non aveva visto chiaramente Conan e Shinichi nella stessa stanza contemporaneamente? E non era una prova sufficiente?? Ciò che pensava era assurdo, fantascientifico…

Ti amo, Ran

L’aveva sentito realmente? O era solo una proiezione dei suoi desideri inconsci?? Quella sera era così disperata…

Scrollò la testa. Non era il momento di perdersi in congetture. Era in pericolo, dannazione!! Era decisamente meglio che si facesse vedere dai poliziotti. Uscì dall’ombra, pronta a raggiungere il suo porto sicuro. Kogoro si sarebbe davvero infuriato, stavolta, aveva paura solo a pensarci. Scorse Takagi e aprì la bocca per chiamarlo, ma una mano guantata di nero le si fermò sulla bocca, mentre un altro braccio, sottile ma forte, le circondò la vita, trascinandola indietro. Ora aveva davvero paura, tutto il suo corpo si tese, il cuore che le sfondava il petto, mentre le sue narici furono inondate da un profumo forte e intenso, nonostante tutto gradevole.   

“My sweet Angel…you know, it’s dangerous here…[1]” Ran cercò di divincolarsi, ma la stretta era decisa, sebbene non tanto da farle male veramente. Non poteva vedere chi la stava trattenendo, e dalla sua bocca potevano uscire solo mugolii senza senso, ma poteva scorgere con la coda dell’occhio una massa di capelli biondi. Chiunque fosse, doveva essere straniera: Ran sapeva abbastanza inglese da capire cosa le stava sussurrando all’orecchio con il suo tono suadente e caldo. Con uno strattone più forte riuscì a farle mollare la presa, arcuò la schiena pronta a farle perdere l’equilibrio colpendole le caviglie con i piedi e a scaraventarla a terra, mossa degna della karateka che era, ma a quanto sembrava anche la sua assalitrice era in gamba, perché riuscì ad ostacolare la mossa e a bloccarla di nuovo, contro il muro stavolta, impedendole altre azioni di quel tipo. “Hai una bella grinta, angioletto...” sussurrò in giapponese stavolta, divertita e per nulla arrabbiata. Ran non sapeva il perché, ma questa donna aveva qualcosa di familiare.

 “Don’t worry, my dear. I’ll take care of you, I promise…and of your boyfriend as well, of course.[2]”

Le sussurrò la strana donna, togliendole la mano dalla bocca per accarezzarle dolcemente i capelli lunghi. Ran riprese fiato con un paio di respiri profondi, mentre le parole di lei le facevano breccia nella mente e nel cuore.

“Cosa intende dire?? Chi è lei? E cosa c’entra Shinichi? È…è stata lei a chiamarmi stasera?”” chiese, cercando con la coda dell’occhio di guardare la sua assalitrice. Chissà se era la stessa donna che le aveva telefonato…eppure non ricordava l’accento straniero.

“Mmm…my name’s Sheila Geller. Sono un’agente di polizia, partecipo all’operazione di stasera, promossa dal giovane Kudo, per questo sono qui. Un ragazzo in gamba, davvero…” disse, mollando anche la presa sulla vita. Ran se la massaggiò lievemente, voltandosi, e finalmente poté vedere in volto la donna; non riuscì a fare a meno di rimanere profondamente colpita dalla sua bellezza, gli occhi grigio-verdi intensi, la folta chioma bionda che le ricadeva sulle spalle con una raffinata eleganza, le labbra fini, ben delineate, rosso fragola. Tuttavia, la palese ammirazione che stava provando non la fece essere meno cauta: “Come faccio a crederle?” replicò con voce dura.

Lei sorrise cordiale; estrasse dalla tasca del suo costoso cappotto nero di cachemire un distintivo della polizia e glielo mostrò.  “Ora sei soddisfatta?”

Ran sbatté le palpebre, indecisa. In fondo poteva essere falso…

“Se lei è della polizia, perché mi ha aggredito?”

“Oh, I’m so sorry…” disse lei, con aria davvero mortificata “Ti ho vista e ti ho bloccata d’istinto…è pericoloso girare qui intorno per una graziosa liceale come te, soprattutto mentre è in corso una pericolosa azione di polizia. Ammetto che sono stata un po’ brusca, e mi dispiace tanto…ti ho fatto male?”

“Oh, no…non si preoccupi” si affrettò a dire Ran. La donna, che inizialmente l’aveva messa in soggezione, ora le faceva quasi tenerezza. Sembrava davvero amareggiata per quello che era successo. Tuttavia, i suoi genitori le avevano insegnato a non fidarsi delle apparenze, e lei non era ancora disposta a lasciarsi persuadere completamente.

“Mi scusi…ma come faceva a sapere che Shinichi è il mio…” si sentì arrossire e abbassò gli occhi. In effetti, Shinichi non era il suo ragazzo. Insomma, uscivano spesso insieme –almeno prima- ma…non c’era stato mai nulla di ufficiale. E poi…lui magari la considerava solo un’amica. Comunque, avevano una qualche specie di relazione, e se la donna l’aveva chiamato il suo “boyfriend” significava che era a conoscenza della loro rapporto. Ma come poteva, se non si erano mai viste?

“Oooh…” la sentì esclamare “…me l’ha detto Sato.”

Ran alzò lo sguardo. “Lei conosce l’agente Sato?”

“Siamo ottime amiche!” confermò la donna con un sorriso radioso. “È lei che mi ha indirizzata a questo distretto. Sai, prima lavoravo in America, avrai notato che sono straniera. Sato mi ha aiutata ad inserirmi e ad imparare la vostra lingua.”

Ora Ran era decisamente più tranquilla. Se conosceva Sato, non poteva essere una cattiva persona. Ricambiò il sorriso, annuendo.

“Ma ora è meglio che ti porto via di qui, it’s too dangerous for you.” Aggiunse seriamente.

“Sì…dovrei tornare da mio padre, mi sta cercando qui intorno.” La informò, Sheila annuì, proponendosi di accompagnarla, e camminarono fianco a fianco per un po’. Ran si sentiva più tranquilla con la poliziotta al suo fianco, era una guardia del corpo perfetta. Certo, era amareggiata per non aver trovato Shinichi, dopo tutto quello che aveva passato, ma in fondo al cuore sperava ancora di poterlo incontrare, finita l’operazione.

Ti prego Shinichi…se sei qui vieni da me…ho bisogno di vederti…di vedere lo sguardo dolce e carico di tepore che rivolgi soltanto a me, di sentire la tua voce calda e rassicurante…ho bisogno di te…

“Senti…cosa intendevi dire quando mi hai chiesto se ero la donna che ti aveva chiamata questa sera? Quale donna?”

Chiese ad un tratto lei, interrompendo i suoi pensieri e facendola sussultare lievemente. Era indecisa se raccontarle della telefonata o no, quindi restò in silenzio per un po’. Stabilito che era un’informazione tutto sommato innocua, si risolse a rivelarglielo. “Beh, ho ricevuto una telefonata da una donna che mi informava di questa operazione…ehm, cioè, non proprio: mi ha detto soltanto che avrei potuto trovare qui Shinichi.”

“Mmm.” L’agente assunse un’aria meditabonda, arcuando le sopracciglia perfette, ma non chiese altro sull’argomento. Si addentravano sempre di più nel caseggiato, Ran cominciò a guardarsi intorno allarmata. Perché pensava che avrebbe potuto trovare suo padre in quel postaccio? Cominciava a sentirsi di nuovo impaurita.

“Ehm…mi scusi…dove stiamo andando?”

Lei le sorrise. “Where you want. [3]”

“Ha visto mio padre da queste parti?” Chiese Ran, più scettica che perplessa, bloccandosi.

La donna non batté ciglio, né smise di sorridere.  “I said where you want, not where you asked for, my dear Angel. A promise is a promise, after all.” [4]

 

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[1] Mio dolce angelo…lo sai, è pericoloso qui…

[2] Non preoccuparti, mia cara. Mi prenderò cura di te, promesso…e anche del tuo ragazzo, naturalmente

[3] Dove vuoi.

[4] Ho detto dove vuoi, non dove mi hai chiesto, mio caro angelo. Una promessa è una promessa, dopotutto.

 

Note dell’Autrice: ciao a tutti!! Di nuovo mille scuse per l’estremo ritardo, é __ è lo so, ultimamente sono una frana in quanto a velocità. In parte per colpa della scuola, visto che i prof  ci stanno letteralmente bombardando di compiti in classe e interrogazioni, facendo fondere le mie fragili meningi, +__+ un po’ per colpa mia, visto che quando sto a casa e miracolosamente non ho molti compiti da fare mi crogiolo nell’ozio più puro. Ehi, anche il cervello merita una vacanza ogni tanto, no? Mi dispiace comunque che a rimetterci sia la stesura della storia, credetemi, piacerebbe anche a me avere più tempo per scrivere. Ma sapete cosa vi dico? Dopo il 10 giugno, sarò libera dalla tirannide, e spero di riprendere un ritmo di scrittura abbastanza decente.  ^__^

Allora, lasciando perdere la mia vita stressata e tornando alla storia…che ne pensate di quest’ultimo capitolo? Ho affrontato il primo momento di vera azione in questa seconda parte della storia (per chi non se ne è accorto, ho suddiviso la storia in due parti: la prima si è conclusa con il capitolo 16, l’altra è ancora in corso…se ben notate, sono praticamente due piccole avventure riunite in una sola trama, la prima era quella del giornalista, con tutta l’azione al Tropical Land eccetera, la seconda è questa contro l’Organizzazione. Sono contorta, eh?) e sinceramente non so davvero come me la sono cavata. Insomma, mi trovo molto più a mio agio con le scene tranquille, l’azione vera e propria mi ha sempre spaventata, e adesso che l’ho affrontata non so se posso dire di esserne uscita illesa. Spero che anche che non ci siano errori nell’intreccio, se sì fatemelo notare, mi raccomando. Ditemi cosa ne pensate, anche critiche costruttive, che mi aiutino a migliorare la ff, se credete. Potete essere diretti, ma non spietati, per piacere:  ultimamente, causa l’essere sotto pressione, sono più fragile del solito. ^^” Allora, avrete notato che ho tradotto in italiano le frasi pronunciate da Vermouth in inglese. Ho preferito fare così per permettere di capire anche a chi non è molto ferrato con la lingua. Certo, mi sono limitata a spiegare le più articolate: credo che tutti voi sappiate tradurre “My name’s…” no? ^ _ -- Per il resto non credo di avere nulla da aggiungere (dico credo perché ultimamente, come vi ho già detto, il mio cervello si prende dopo la scuola lunghi periodi di out of business, appendendo fuori dalla porta un cartello “fuori servizio”, il che spiega anche la metafora ^^”). Passo a ringraziare quelle persone meravigliose che mi commentano, vi amo, vi adoro…siete grandissimi!! #^^#

Sabry1611: ciao! Grazie mille dei tuoi continui commenti…sei un angelo! Sono felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, nonostante non fosse poi così corposo di avvenimenti. Anche a me piaceva molto la scena fra Ran e Kogoro in macchina...povera Ai, ho notato che sono in molti ad avercela con lei…e io mi accorgo di non migliorare la situazione ultimamente!^^” Avevi ragione, niente va mai tutto liscio…Heiji e Shinichi non danno propriamente il meglio di loro in questo chap, ma sta’ tranquilla, gli darò modo di riscattarsi e “fare gli eroi”…spero che il capitolo non ti abbia delusa, non sono sicura che sia venuto bene. Fammi sapere, eh? Un bacione, e  scusa per l’attesa!!

Ersilia: ciao! Ti ringrazio dei complimenti, sei dolcissima…^//^ dopo tutto il tempo che ti ho fatto aspettare, spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento…mi dispiacerebbe moltissimo averti deluso! Naturalmente, non farti scrupoli a dirmelo se è così: farei di tutto per migliorare! Baci, alla prossima.

Yuki: salve. Ran ha avuto il suo spazio in questo chap, il prossimo sarà destinato a Kazuha…vedremo cosa succederà! Non avercela troppo con Ai, in fondo tira acqua al suo mulino…non molto etico, ciò che ha fatto, lo ammetto, ma è pur sempre un’ex criminale…

S: m?

Sere: grazie, spero continui a piacerti!^^

Hoshi: Povero Kogoruccio…va bene che tante volte anch’io ho moti di odio nei suoi confronti, come quando si vanta delle sue deduzioni e raccoglie i frutti del lavoro del povero Conan, o lo picchia impunemente…però alla fin fine è un bravo papà per Ran, le vuole bene davvero. E se si impegna, riesce a sorprendere. Beh, Ran si è cacciata in un pasticcio, ma in questa ff, non so perché, la maltratto sempre più spesso…povera…e dire che l’adoro. Pensa se la odiavo!

APTX4869: ciao! Ho buttato tutti nella mischia…spero di non aver fatto un disastro! Dimmi cosa ne pensi, eh? Sono in ansia con questo capitolo, spero che ti sia piaciuto. Kiss!

Ginny85: salve! Scurissima per il ritardo, so che ti ho fatto penare di nuovo tanto, ma come ho già spiegato non è del tutto colpa mia. Sorry! Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, e sono contenta che il far tornare Shinichi adulto ti abbia entusiasmata, in quanto alla pazzia…benvenuta nel club!^^ sai che non mi ero quasi accorta di non aver descritto fisicamente Shinichi? All’inizio era voluto, anche per quello ho descritto la scena dal punto di vista di Heiji, volevo che restasse il dubbio ancora per un po’, finché il ragazzo di Osaka non ci ripensava. Io stessa mi immaginavo quella scena con Shinichi sul sedile posteriore, avvolto nell’ombra e poco visibile. In seguito, mi è passato di mente… per la tua gioia, ho inserito una breve descrizione all’inizio, e vari riferimenti durante il chap…ma non è finita qui, promesso! ^ __ ~ far fare qualcosa di maligno ad Ai era stata la mia aspirazione fin dall’inizio della storia…così quando mi sono chiesta “Come diavolo ci faccio entrare Ran e Kazuha nell’azione se quei due non se le porteranno mai appresso..?” mi è venuto in mente lo scherzetto del telefono. Ran continua a pensare alla cassetta…ricorda che ce l’ha ancora con lei, eh! Spero di non aver deluso le tue aspettative, fammi sapere cosa ne pensi del capitolo, ok? Un bacione, spero di poter aggiornare prima!

Marghe: ciao! Sono felice che la mia storia ti piaccia, ti ringrazio tantissimo della recensione e dei complimenti…spero di risentirti e che la mia ff continui ad essere di tuo gusto.

Ruka88: salve! Mi fa piacere che tu abbia deciso di commentare la mia ff, e soprattutto che ti piaccia. Grazie mille dei complimenti, spero che continui a seguirmi e che quest’ultimo capitolo non faccia crollare le tue aspettative sulla storia!

Meila: Ciao! Come ho già detto, io adoro sia Ran che Ai…quindi non sono contraria  né a storie che siano Shinichi/Ran (d’altronde lo è anche la mia) né a storie Conan/Ai…il ragazzo ha successo!

Akemichan: salve! Fa sempre piacere ricevere commenti da scrittrice di gialli così ferrate e in gamba…ci tengo molto ad una tua opinione su questo capitolo d’azione, sebbene, più che un giallo, sia un thriller! Beh, io ho parlato di desiderio di vendetta infatti… :p Ai tende a sopravvalutarsi in quanto a cattiva….contentissima che tu sia d’accordo con me su Kogoro. Uhm…la cosa di Praga è sorprendente, magari siamo perfino partite insieme, chi può dirlo? ^^ Sarebbe davvero tutto da ridere se ci fossimo parlate o roba del genere. Bella città, vero? L’orologio con i segni zodiacali mi è piaciuto particolarmente…il cibo faceva schifo, tutte le sere pasta scotta e carne disgustosa…e poi si sorprendono che uno si rifugia a pranzo da “Pizza Capri”! Un bacione, spero di risentirti. E complimentosi per la tua ff, è stupenda!!

Lili: Grazie! Sono contenta che lo scorso chap ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmetterti quelle sensazioni. Era proprio il mio intento!!^^ Dimmi cosa ne pensi anche di quest’ultimo, eh! A Praga sono stata bene, mi sono divertita moltissimo, a parte il cibo, chiaramente. Ma si sa, da nessuna parte si mangia bene come in Italia! Tra l’altro lì i costi sono veramente bassi, mi sono comprata un paio di magliette di marca a prezzi incredibili!! (w gli obiettivi culturali). La città era bella, ma di sera girava brutta gente…andare nei pub sole sarebbe stato un suicidio, i prof dovevano scortarci, per fortuna che poi se ne stavano in disparte (ci siamo fatti accompagnare dai più ‘buoni’, mica siamo scemi!)

A presto, un bacio.

Mareviola: grazie! Ho postato il prima possibile, spero di non deluderti!

Kiara:  ti ringrazio della recensione e dei complimenti, spero di risentirti! Smack!

Questo è tutto per oggi. Ancora scusate per il ritardo, farò del mio meglio con il prossimo aggiornamento, promesso! Fatemi sapere le vostre opinioni su questo chap, ci terrei veramente, perché ho trovato un bel po’ di difficoltà a districarmi in mezzo al caos che ho creato io stessa. “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso” , praticamente.

ciao

-Melany

 

 

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Capitolo 23
*** In The Dark ***


Nuova pagina 1

23. In The Dark

Gin si guardava intorno attentamente, cercando di penetrare l’oscurità, le mani strette saldamente sulla pistola: quel maledetto bastardo dunque aveva più di un complice dalla sua; che sciocco era stato a non aspettarsi un attacco a sorpresa, avrebbe dovuto guardarsi le spalle. Comunque, non avrebbe lasciato che un dettaglio così insignificante rovinasse tutto quanto, non importa quante persone avrebbe dovuto uccidere per riuscirci. Se quel maledetto voleva la guerra, l’avrebbe avuta, al diavolo il dolore pulsante alla spalla, colpita e fortunatamente non penetrata dalla pallottola sparata a tradimento. Sentiva il sangue scivolare, caldo e viscoso, lungo la schiena, e l’adrenalina crescergli nel corpo, inebriandolo. Quanto amava tutto ciò…

Un fugace movimento nell’ombra gli suggerì la posizione del suo avversario, e un sorriso crudele gli increspò le labbra: chiunque fosse il nuovo arrivato non doveva essere molto furbo: avrebbe fatto meglio a fuggire più lontano che poteva, dopo aver colpito, e non ad intrufolarsi nel magazzino. Con quella mossa aveva firmato la sua condanna.

“Vodka, blocca l’altra uscita.” Ordinò, e l’uomo obbedì immediatamente, allontanandosi. Sapeva che probabilmente gli altri due se l’erano già svignata, ma era deciso a farla pagare cara a quel guastafeste. Sentì un rumore sordo:  aveva individuato il punto dove si era nascosto, dietro una catasta di legname marcio, e vi si avvicinò, lento ma inesorabile, pronto a qualsiasi attacco, la pistola in pugno. Ormai poteva quasi vedere dietro la barriera lignea, si leccò le labbra, ansioso di colpire.

“Bene…è la tua fin-“

Vuota.

Non c’era nessuno nascosto lì, e nello stesso momento in cui la rabbia divampava nel suo corpo sentì la fredda canna di una pistola puntata contro la sua testa.

“Non un movimento, Gin” sibilò, voce fredda e tagliente come una lama di ghiaccio. Il suo sorriso si fece divertito.

“Ciao, Sherry.”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*  

 

Shinichi Kudo non aveva accumulato un così gran numero di casi risolti solo per fortuna, e di certo non perché qualcun altro addormentandolo faceva tutto il lavoro al suo posto. Durante la sua brillante carriera aveva imparato che poteva fidarsi ciecamente del suo intelletto e dei suoi presentimenti, e di certo ora non li avrebbe ignorati per un dettaglio insignificante quale l’essere in grave pericolo di morte. Lo sparo che aveva salvato lui e il suo collega non era frutto di un qualche miracolo divino, né ne era l’artefice qualche poliziotto: anche ammesso che in qualche modo l’ispettore avesse saputo che erano in pericolo, la procedura per quel genere di situazioni non prevedeva certo lo sparare addosso ai criminali senza alcun preavviso, bensì un’irruzione armata, che li avrebbe costretti a gettare le armi. Un’azione di quel genere sarebbe costata il posto con disonore a qualsiasi agente, e non conosceva nessuno fra gli uomini di Megure con simili aspirazioni. Dunque, ad aiutarli non era stata la polizia, e non ricordava di avere stretto solide amicizie da quelle parti. Perciò, chi li aveva aiutati?

Era la domanda che la sua mente si era posta subito dopo aver sentito il rombo dell’arma da fuoco e l’infrangersi dei vetri. Così, lasciando volutamente che Heiji lo distanziasse mentre ripercorrevano l’asse di legno, conscio che non poteva chiedergli di restare ancora lì dentro dopo quello che era successo per una sua vaga supposizione, si fermò a metà strada, fece scivolare giù dall’asse le gambe sorreggendosi con le braccia, e con una mossa atletica riuscì a mettere i piedi per terra, aiutandosi anche con le rientranze del muro più vicino. Dopodiché si nascose nell’ombra, osservando ora la scena da un’angolazione migliore, attento a non farsi scorgere: era certo che Gin e Vodka pensassero che era scappato via dalla finestrella. Sperava solo che Hattori non fosse così stupido da rientrare, non vedendolo, e che andasse invece a chiamare la polizia: la sua ricetrasmittente era stata distrutta dal proiettile che Gin aveva sparato poco prima.

I due Uomini in Nero si guardavano intorno con circospezione, Shinichi poteva vedere quanto fossero tesi: sicuramente non si aspettavano un attacco da due fronti. Alle labbra gli affiorò un lieve sorriso, che si spense subito quando la supposizione si fece largo nella sua mente. Stavolta, avrebbe tanto voluto sbagliarsi.  

Non può essere lei…non avrebbe mai potuto saperlo…

Ma ancora una volta era la voce della speranza a parlare, non della razionalità. Avrebbe potuto scoprirlo in cento modi diversi, e non ci sarebbe stato modo di impedirle di raggiungerli, in quel caso. Udì Gin lanciare al suo complice l’ordine di bloccare l’altra uscita, e seppe che adesso non avrebbe potuto più andar via, non prima di aver sistemato gli Uomini in Nero. Era in trappola, solo e disarmato. Fantastico. Nonostante tutto però non era pentito della sua scelta: se le cose stavano davvero come pensava, non si sarebbe mai perdonato di averla lasciata sola in quel magazzino con quei due assassini.

Scrutò l’oscurità con attenzione, cercando di individuarla: vide un movimento dietro Gin, non troppo vicino, e non si trattava certo di Vodka, che si era allontanato verso il retro del magazzino e la finestrella, unica altra via di fuga. Gin era attento, e sapeva che se non avesse creato un diversivo, l’uomo avrebbe avvertito la presenza alle sue spalle e l’avrebbe preceduta, uccidendola. Anche ammesso che non si trattasse di Ai, come aveva supposto, non poteva permettere che qualcuno perdesse la vita, qualcuno che per di più aveva appena salvato la sua. Si guardò intorno e notò un pezzo di calce non distante da lui, sul pavimento, probabilmente staccatosi dal soffitto o dal muro. Lo afferrò, attento a non far rumore, prese la mira e lo lanciò verso un cumulo di legname marcio, alto abbastanza da nascondere un individuo adulto. Il rumore che provocò attirò l’attenzione di Gin, che cominciò ad avvicinarvisi lento e vigile. Shinichi sorrise soddisfatto: a quanto pare, anche lui sapeva attirarlo in una trappola, volendo.

Abbassa la cresta, galletto…hai solo tirato un sasso…

Sbuffò silenziosamente, scocciato. Prima o poi avrebbe dovuto andare dall’analista, chissà quali traumi infantili aveva dovuto subire, se nei momenti meno opportuni la voce canzonatoria di suo padre gli rimbombava fastidiosa nella testa con quel suo tono saccente di sufficienza…

Gin era arrivato vicinissimo alla catasta e aveva puntato la pistola, pronto a colpire. Proprio in quel momento, una donna bionda sbucò dall’ombra e con un balzo fu dietro di lui, puntandogli un’arma alla testa. Shinichi si sentì sprofondare: aveva avuto ragione, era proprio Ai Haibara, la misteriosa soccorritrice. Non gli importava che l’avesse salvato, avrebbe preferito mille volte che se ne restasse a casa. Perché era uscita allo scoperto?? Cosa aveva intenzione di fare, scontrandosi faccia a faccia con gli odiati Uomini in Nero??? Strinse i pugni: se le cose si fossero messe davvero male, non avrebbe saputo come aiutarla. Forse avrebbe dovuto arrendersi alle proteste di Hattori e prendere lui la pistola! Qualunque cosa avesse in mente Ai, non gli piaceva per niente. Il fatto stesso che si fosse intrufolata nel magazzino e non fosse scappata, dopo averli aiutati, dimostrava che aveva cercato di proposito lo scontro con Gin. Ma perché?? Per quel che ne sapeva, Ai era spaventata a morte dall’Organizzazione. Parlava sempre di scappare e nascondersi, più di una volta aveva perfino cercato di suicidarsi. Non faceva che ripetergli quanto fossero pericolosi, e ogni volta che lui aveva l’occasione di fare concretamente qualcosa, come quando li avevano incontrati per strada e lui aveva deciso di seguirli di nascosto, era sempre stata pronta a scoraggiarlo, a cercare di dissuaderlo dall’andare contro di loro, definendolo ‘inutile e pericoloso’. E adesso si scopriva così stupidamente, attaccandolo frontalmente. Cosa sperava di ottenere? Perché?

Però in fondo lo sapeva. Gli era accaduto così tante volte in passato…vedere persone normalissime cadere in quella spirale di autodistruzione. Sarebbe stato facile considerarle persone sciocche, o cattive, e lasciarsi tutto dietro le spalle. Ma la realtà era ben diversa: tutti loro, non erano né sciocchi, né cattivi: solo accecati da un dolore insopportabile, che li aveva consumati dentro, fino a fargli prendere quella decisione così terribile, per i loro obiettivi ma anche per loro stessi.

Vendetta.

Una delle motivazioni più frequenti per un omicidio. Quante volte, dopo aver incastrato il colpevole, aveva udito dalle sue labbra che l’aveva fatto per vendicare qualcuno a cui voleva davvero bene, che gli era stato portato via per colpa della persona che aveva assassinato? Aveva visto i loro occhi umidi di pianto privi di qualsiasi luce, bensì colmi di un’oscurità soffocante che inghiottiva qualsiasi sentimento che non fosse la disperazione più assoluta. Molti di loro, dopo l’omicidio, non avevano trovato l’appagamento desiderato: perché non è a questo che porta la vendetta. No, porta solo altra sofferenza. A quanti di loro aveva cercato di impedire di suicidarsi, dopo il loro atto? E non con tutti c’era riuscito, purtroppo.

Seppe con certezza che Ai voleva vendicare la morte di sua sorella Akemi uccidendo Gin, e seppe con altrettanta certezza che non gliel’avrebbe permesso. Non per lui, quell’odioso bastardo assassino, perché per quanto volesse negarlo a se stesso non avrebbe potuto che tirare un sospiro di sollievo, se un giorno avesse letto sul giornale della sua morte. L’avrebbe fatto per lei: non voleva vedere anche nei suoi occhi quel buio così opprimente, non voleva perderla per sempre. Quella cosa l’avrebbe distrutta in un modo tanto doloroso che lei non poteva nemmeno immaginare.

Ti salverò Ai…fosse l’ultima cosa che faccio…

E non era un modo di dire. Contro l’Organizzazione, la possibilità era più che reale. Inarcò le sopracciglia, pronto ad intervenire.

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

 Aveva creduto che nel momento cruciale si sarebbe sentita agitata e spaventata a morte, che avrebbe esitato, e fu un sollievo riscoprirsi perfettamente calma. Aveva trovato la sua pace interiore nell’oceano di paura che tempestava nel suo animo, e si era mossa con grande abilità, riuscendo a non farsi vedere dai suoi nemici. Sapeva che con il suo gesto aveva salvato Kudo e il suo amico di Osaka, e la cosa la faceva sentire soddisfatta e fiera. Ormai loro due erano certamente fuggiti via, sperava solo che Kudo, memore del favore che gli aveva appena fatto, non ce l’avesse troppo con lei per averlo ingannato, e, se ci fosse riuscita, per aver commesso un omicidio. Ma sapeva che era una vana illusione: lui l’avrebbe odiata e disprezzata, oh sì. Le avrebbe urlato contro che era un’assassina e un mostro, proprio come quando gli aveva rivelato il suo passato a casa del dottor Agasa, il giorno del loro primo incontro. Si sarebbe rifiutato di continuare ad aiutarla e l’avrebbe mandata via dall’unico posto che, dopo tanti anni, poteva considerare davvero come casa. Lei sarebbe rimasta sola. Di nuovo. In fondo c’era abituata, no? Non poteva sperare che Kudo, simbolo impeccabile di giustizia e onestà, collaborasse con un’assassina. Lui pensava che non c’era cosa peggiore dell’omicidio; ma lei sapeva bene che c’è più di un modo per uccidere una persona, uno di questi era ciò che avevano fatto a lei, rubandole la sua infanzia, i suoi affetti più cari…la sua vita. L’Organizzazione l’aveva prosciugata di qualsiasi cosa la rendesse minimamente felice. E ora, inconsciamente consapevole, l’avrebbe aiutata lei stessa a toglierle l’ultima cosa che le era rimasta che la faceva stare bene.

Vide Gin avvicinarsi ad una catasta di legname, mentre quell’idiota di Vodka si era allontanato sotto suo ordine verso il retro del magazzino. Seppe che quello era il momento che aspettava, se l’avesse sprecato non ne avrebbe avuti più. Gin era troppo furbo per creare due situazioni a suo svantaggio in una sola volta…

Inspirò profondamente e si  lanciò verso di lui, la sua fedele pistola in pugno, e senza un attimo di esitazione gliela puntò saldamente contro la nuca, buttando fuori l’aria prima di sibilare minacciosa: “Non un movimento, Gin”.

Sperava di vederlo agitato, magari impaurito, ma le sue illusioni crollarono non appena sentì la sua voce rilassata e divertita.

“Ciao, Sherry” disse lui, come se l’avesse salutata incontrandola per la strada. Sentì insieme collera e timore crescere dentro di sé: possibile che non fosse minimamente preoccupato dal fatto che gli stava puntando una pistola addosso? Avrebbe potuto fargli saltare in aria il cervello con il semplice gesto di un dito…

“Non credevo che ti avrei trovata qui. Sei venuta ad aiutare il tuo amichetto come ha fatto lui, qualche tempo fa? Una specie di scambio di favori?” le chiese, perfettamente immobile. Lei aggrottò la fronte, decisa a far affiorare la collera e non il timore. “Taci.” Ringhiò.

“Sono curioso di sapere quale altro genere di favori vi scambiate…”

Tolse la sicura alla pistola, sperando che lo scatto gli infondesse un po’ di timore, ma, sebbene non potesse vederlo in volto, avvertiva la sua calma.

“Cosa pensi di fare adesso, Sherry? Vuoi forse uccidermi?” le domandò, sempre con quel tono divertito.  

“Credi che non lo farei?” replicò, tenendo così saldamente la pistola che le sudavano le mani.

Gin non rispose. Voltò lievemente la testa in modo di farle scorgere il suo sorriso.

“Vuoi sapere perché ho ucciso tua sorella?” mormorò, il blu dei suoi occhi pervasi da uno strano luccichio che non aveva mai visto.

“C…cosa?” disse lei, spiazzata.

“Quella stupida…per tutta la vita non ha fatto altro che eseguire gli ordini, macchiandosi del sangue di molte persone, nella sciocca illusione che in questo modo ti avrebbe salvata.”

“Zitto! Non parlare di Akemi…!”

“E invece…l’abbiamo solo usata, per tutta la sua miserabile esistenza, e quando non ci è più servita l’ho gettata via…come un pezzo di carta igienica.”

Questo era troppo. Non poteva sentir parlare così di sua sorella, dell’unica persona che l’aveva davvero amata… Fece per sparare, ormai non le importava più nulla, non aveva niente da perdere…

“Ricorda, sorellina…non lasciarti mai corrompere. Puoi lavorare per loro…ma non sarai mai come loro. Tu sei migliore.”

La voce di Akemi, limpida e chiara, riaffiorò alla sua mente. Buffo, non ricordava nemmeno in che occasione gliel’avesse detto...ma le infuse qualcosa che prima non aveva, qualcosa che le fece allentare la pressione sul grilletto.

Inaspettatamente Gin con un gesto improvviso e violento la colpì allo stomaco, facendole strizzare gli occhi per il dolore cadendo a terra. Teneva ancora la pistola in mano, ma Gin premette con forza il piede sulla sua mano, facendole scricchiolare dolorosamente le ossa e gemere, e la lasciò andare, cosa che permise a lui di raccoglierla.

“E anche tu sei una povera stupida…proprio come lei.” rise, un suono agghiacciante che risuonò nell’edificio vuoto. “La vostra vita ci è appartenuta…è giusto che sia così anche per la vostra morte, non credi?”

“Va all’inferno, stronzo” ringhiò lei, tenendosi la mano dolorante. Ora sapeva che era davvero finita. Gin l’avrebbe uccisa, proprio lì, e nessuno avrebbe più saputo nulla di lei. Non che avesse importanza.

“Prima le signore…” replicò lui con un sorriso crudele, ma prima che potesse spararle il suo braccio fu colpito da un grosso pezzo di legno, che gli scatenò un grugnito soffocato e lo costrinse ad abbassare la mira. Ai approfittò dell’occasione per rialzarsi, sferrandogli un calcio e fuggendo nella direzione dalla quale era partito il proiettile. Gin le sparò un colpo che la mancò di pochi centimetri, e prima che potesse rendersene conto una mano le afferrò il polso e la costrinse a rifugiarsi dietro un cumulo di materiale vario da costruzione, vecchio abbastanza da essere inutilizzabile. Si ritrovò faccia a faccia con un Kudo adulto, il giovane viso tirato per la tensione, che le fece cenno di tacere con un dito sulle labbra.

“Stupido! Gli hai rivelato la tua posizione così!” sbottò, e infatti Gin ora puntava verso di loro, la pistola in pugno.

“Tranquilla.” Ribatté, restando nascosto e mirando con il suo orologio spara-anestetico. “Aspetta solo che sia abbastanza vicino…”

Nonostante la situazione piuttosto critica, non poté fare a meno di sentirsi sollevata al pensiero che Kudo fosse al suo fianco. Le venne da sorridere quando pensò che la scena era molto simile alla battaglia finale di “Amore e Morte a Broadway”, nella quale i due protagonisti affrontavano i cattivi aiutandosi l’un l’altra. L’unica cosa che restava da chiedersi era se il finale sarebbe stato lo stesso.

Adesso Gin era vicinissimo a loro. Kudo sorrise, puntandolo con il suo orologio e sparando il dardo narcotizzante, che lo colpì al braccio. L’uomo guardò strabuzzando gli occhi l’ago che spuntava dalla veste nera, poi si afflosciò, cadendo a terra addormentato. Il sorriso sul viso di Kudo era trionfante, e lei non poté fare a meno di notare quanto fosse bello, gli occhi che brillavano, i capelli scompigliati, il fisico atletico che si intravedeva attraverso la camicia bianca. 

Era pur sempre una ragazza, dopotutto.

Kudo si alzò, dirigendosi verso Gin e guardandolo con circospezione. Dentro di sé, Ai sentiva un misto di sensazioni diverse confondersi insieme: gioia, soddisfazione, incredulità…Avevano vinto.

Fu allora che Gin prese Kudo per la caviglia e lo atterrò.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

Era davvero ridicolo che riuscisse a catturare assassini scaltri e abili e non fosse in grado di ritrovare sua figlia, poco più di una bambina. Dovette fermarsi a riprendere fiato, il volto in fiamme, la testa che gli faceva male da morire per la mancanza di ossigeno, che i suoi polmoni cercavano di compensare lavorando furiosamente, così come il suo cuore, mentre una forte nausea cominciava a propagarsi alla bocca dello stomaco.

Dannate sigarette.

“Mouri-san, forse è meglio se si riposa. Posso continuare…”

“Stai qui” riuscì a bofonchiare, ancora con il fiato corto, ansimante. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era perdersi anche la figlia del capo della polizia di Osaka. Oltretutto era davvero preoccupato per Ran: se era in corso un’azione armata, avrebbe potuto trovarsi in pericolo. Tutta colpa di quel ragazzino viziato e odioso. Meglio per lui che non gli capitasse fra le mani in quel momento, non escludeva che avrebbe potuto ammazzarlo per quello che aveva fatto alla sua bambina.

“Non le è sembrato di sentire un rumore?” chiese dietro di lui l’amica di Ran.

Kogoro, che faticava persino a sentire i propri pensieri dato il fiatone, la guardò interrogativamente. Kazuha indicò col dito una vecchia casa dall’altra parte della strada. “Ho sentito come un rumore di vetri rotti…”

L’investigatore sospirò, avanzando a fatica verso il punto indicato. Fece cenno alla ragazza di restare dov’era e raggiunse la porta, aprendola con cautela e sbirciando attraverso la fessura. In effetti, c’era qualcuno accoccolato in terra, che smise improvvisamente di muoversi quando sentì la porta cigolare; il buio gli impediva di vedere chi era, ma dal profilo sembrava una donna.

“Chi diavolo..?” entrò nell’abitazione, con circospezione, e avvicinandosi si accorse che la donna era legata e imbavagliata: dei frammenti e la canna di una bottiglia spaccata gli fecero capire da dove proveniva il rumore di vetri rotti udito da Kazuha. Ma fu quando si accorse chi era la donna che ebbe un sussulto violento, e sgranò gli occhi dalla sorpresa: “S-signorina Sato?!?” esclamò con il cuore in gola, affrettandosi a toglierle il bavaglio e cominciando a trafficare con le funi per scioglierle. Dopo aver respirato un paio di volte profondamente con la bocca, Sato gli si rivolse con un mezzo sorriso di sollievo. “La ringrazio, detective. Non ci speravo più…per fortuna che qualche ubriacone ha lasciato per terra una bottiglia, pensavo di tagliare le corde con il vetro, ma ora non ce n’è più bisogno.” Lui stava ancora armeggiando con le funi e le chiese incredulo: “Chi è stato a…?”

“Non lo so.”  Sospirò “Ero di pattuglia quando ho sentito il rumore di uno sparo. L’ispettore Megure ha aperto la comunicazione e proprio mentre stavo per rispondere qualcuno mi ha colpito forte alla testa e ho perso i sensi. Accidenti!” strinse i pugni, e Kogoro si accorse che era profondamente frustrata e arrabbiata con se stessa “Avrei dovuto accorgermi che qualcuno mi era arrivato alle spalle, insomma, sono un’agente esperta! Invece…”

“Sono sicuro che non è colpa sua” cercò di rincuorarla Kogoro, riuscendo finalmente a sciogliere le funi. Lei si alzò, sgranchendosi le braccia intorpidite. Lei so voltò verso di lui, le sopracciglia scure inarcate. “Lo è invece! E come se non bastasse, quando ancora ero semi cosciente, mi è sembrato di sentire…” la voce divenne fioca, mentre aggrottava la fronte a quel che pareva perplessa.

“Cosa?” la incoraggiò lui. Sato sospirò. “Mi è sembrato di sentire la mia voce, che indirizzava le truppe di Megure in un palazzo del mio settore.” disse debolmente, Kogoro scoppiò a ridere. “Ma è assurdo, no? Forse stava già sognando.” Concluse semplicemente. Lei lo guardò poco convinta, fece per replicare ma all’ultimo minuto parve rinunciarci e annuì. “Andiamo, devo raggiungere la squadra e avvertire l’ispettore dell’accaduto.”

“Non ha con sé la ricetrasmittente?”

“No. È questo il problema. Chiunque ce l’abbia, ora è in grado di conoscere tutte le mosse della polizia.”

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

Era nei guai. L’aveva presagito sin da quando aveva messo piede in quel caseggiato. Le sopracciglia scure inarcate, lo sguardo passava  teso dalla pistola puntata contro di lui al ghigno terribile dell’uomo e ai suoi occhi gelidi e spietati. Cosa avrebbe potuto fare? Non poteva muoversi senza beccarsi una pallottola, e ad ogni modo stava per sparargli comunque. Non poteva usare la sua pistola, che fuggendo sull’impalcatura si era re-infilato nei jeans. Non c’era via d’uscita: era evidente che l’uomo che gli stava davanti era un killer esperto. Una orribile sensazione di impotenza e di disperazione si fece largo nel suo animo…era spacciato. Poteva solo sperare nell’arrivo di qualcuno…Kudo, forse…

“Uhm…data la delusione della serata, vediamo se posso divertirmi un po’ con te…” si leccò le labbra, gli occhi che scintillavano famelici “Non sarà bello come con il piccolo Toshio, ma mi posso accontentare.” Rise, un suono spaventoso e crepitante che non poté udire più di qualche istante, sebbene fosse durata di più. L’uomo aveva premuto il grilletto, e Heiji sentì un’esplosione di dolore lancinante alla spalla, che lo fece urlare strizzando gli occhi, mentre il sangue colava lento e inesorabile dalla ferita pulsante e bruciante. La mano corse istintivamente a tamponarsi, mentre il dolore, concentrato in un unico punto, fluiva in tutto il suo corpo, teso alla sofferenza.

Aprì gli occhi a fatica, ansimante, e incontrò lo sguardo divertito ed eccitato del suo nemico, che non aveva smesso di ridere quella sua risata raccapricciante.

“Fa male, vero?” chiese retoricamente, sempre ghignando. “Tu sai, ragazzo, quanti proiettili possono entrare nel corpo umano prima che il malcapitato muoia?”

Heiji lo guardò con odio e disprezzo, continuando a tenersi stretta la spalla. Aveva paura, questo sì, non voleva morire…ma se proprio non c’era via d’uscita, non gli avrebbe dato la soddisfazione di mostrarsi debole e spaventato. L’avrebbe affrontato, e sarebbe morto con onore. In fondo, non era compiacendo quel mostro che si sarebbe salvato. Non rispose, continuando a fissarlo quasi con sfida, e cercando di raddrizzarsi, dato che il suo corpo si era come curvato in direzione della parte lesa.

“No..? Non lo sai?” insisté l’assassino. Si avvicinò a lui, poi abbassò un po’ la voce con fare cospiratorio e gli sorrise complice, strizzandogli l’occhio. “Nemmeno io.” Mentre con l’altra teneva la pistola puntata, allungò una mano e strinse forte la spalla, che grondò di sangue mentre lui emetteva un gemito soffocato a causa della nuova scarica di dolore.

“Ma lo scopriremo insieme, vero, ragazzo?” si allontanò di nuovo da lui, leccandosi via il sangue dalla mano. Nonostante la sofferenza, Heiji storse la bocca disgustato. Era l’uomo più mostruoso che avesse mai incontrato, sembrava uscito da un racconto dell’orrore, stentava quasi a credere che una feccia del genere fosse un essere umano. Non voleva nemmeno immaginare cosa aveva potuto fare al piccolo Toshio e agli altri bambini di cui parlava. Non c’era alcuna traccia di pietà o di calore nei suoi modi, nel suo viso. Sembrava un essere crudele senza nessuna traccia di umanità.

“Stronzo” imprecò lui. Aveva bisogno solo di un’occasione, un attimo di distrazione avrebbe potuto sfilare la sua pistola e sarebbero stati alla pari. Ma come distrarlo?

“Braccio Gamba braccio gamba…” cantilenò lui, apparentemente indeciso, facendo oscillare appena il revolver.

“HEIJI!!!!”

Una voce femminile terrorizzata li fece sobbalzare entrambi. Passò quasi un secondo prima che la sua mente, completamente concentrata su ciò che stava accadendo, registrasse il suono e la riconoscesse, nonostante la sentisse tutti i giorni fin da quando aveva i ricordi. E malgrado ciò, non volle subito prestare fede alle sue orecchie: era semplicemente assurdo. Assurdo e terrificante. Non riusciva a credere che fosse lì…non voleva credere che fosse lì…

Ma era la verità. Dietro la figura del killer la vide, le guance arrossate, gli occhi verdi scintillanti e determinati sotto le sopracciglia inarcate, i capelli leggermente arruffati che si curvavano in riccioli scomposti attorno al viso, il petto che si alzava e abbassava velocemente. Non stava guardando lui, ma la schiena del suo avversario, le mani strette a pugno.

“Lascialo stare.” Ringhiò, voce carica di rabbia. L’uomo si voltò appena, il ghigno si propagò sulla sua faccia spaventosa. “Ma senti un po’…” commentò divertito.

“Kazuha, vattene via di qui!!! Scappa!!” le urlò lui, ma lei parve ignorarlo, focalizzata sull’assassino.

“Bene mocciosetta…vieni qui davanti a me, se non ti dispiace. Perché se non lo fai, ti dispiacerà immensamente vedere il tuo amico morire.” Le gridò, senza voltarsi, la pistola saldamente in pugno. Heiji si sentì pervadere da un misto di collera e disperazione: perché quell’idiota era uscita così allo scoperto?? Che diavolo sperava di fare disarmata contro quell’uomo? Perché non era corsa ad avvertire la polizia invece?  E soprattutto: come cavolo faceva a trovarsi là??? La seguì con lo sguardo avvicinarsi, il viso tirato per la tensione e la paura.

“Questa cosa mi fa venire in mente un altro giochino divertente.” Disse l’uomo, negli occhi un luccichio perverso.

“Allora ragazzina…Ka-zu-ha, giusto? Se muovi solo un altro passo, uccido il tuo amichetto. Un colpo secco in fronte. Ti assicuro che ho una mira impeccabile. Se invece il primo a muoversi sei tu…” si rivolse di nuovo a lui, con un sorriso che scoprì un paio di denti mancanti “...sparo a lei. Bum. La vedi e ora non la vedi più. Chi sarà il vincitore?” rise di nuovo, gli occhi che si spostavano dall’uno all’altra. “Oh, naturalmente, se nessuno si muove entro il 10…deciderò io.”

“Kazuha, stammi bene a sentire” bisbigliò, cercando di non muovere le labbra. Forse sapeva che cosa fare: era rischioso, dannatamente, ma non poteva fare altrimenti. In ogni caso, lei si sarebbe salvata.

“1…2…3…”

 “Al mio segnale, prendi la pistola che ho dietro la schiena, nei jeans. ”

“Ma…se mi muovo…” sussurrò lei, la voce acuta.

“Non preoccuparti. Fa’ come ti ho detto, non ti accadrà nulla.”

“Ma…”

“4…5…”

“Ehi…ti fidi di me?”

“Io…sì, certo.” confermò lei, e sebbene nel sussurro, Heiji percepì la nota di speranza nella sua voce.

“6…7…”

“Bene. Quando hai la pistola, sparagli. Non perdere tempo a prendere la mira, sparagli e basta. Okay?” Heiji sorrise, guardando il loro assalitore. Avrebbe voluto dirle altre cose...molte altre cose…di quanto era stato bello conoscerla, di come ogni giorno della propria vita avesse amato incontrarla, parlare con lei, anche solo starle accanto. Avrebbe voluto ringraziarla, per essergli stata accanto per tutto questo tempo, per averlo fatto stare così bene. Avrebbe voluto ringraziarla anche semplicemente di esistere…di essere quella che era. E improvvisamente si accorse che l’amava. Il suo viso, il suo carattere…il modo in cui sporgeva il labbro inferiore quando era imbronciata, in cui la coda di cavallo ciondolava ogni volta che muoveva la testa, il fuoco che vedeva nei suoi occhi ogni volta che si arrabbiava con lui, il suono della sua voce…il suo profumo fruttato, di mirtilli. Io amo Kazuha, pensò, e si chiese perché diavolo non se ne era accorto prima. In un attimo, rimpianse tutte le occasioni in cui avrebbe potuto rivelarglielo, tutti i momenti che avrebbero potuto passare insieme…e il bacio che avrebbe potuto darle al Tropical Land. Se fosse stato possibile tornare indietro nel tempo, l’avrebbe baciata e abbracciata e le avrebbe detto tutto ciò che era stato così stupido da non rivelarle prima, anche davanti all’amica di Mouri, se necessario.  

Ma ora era troppo tardi.

Quelle sarebbero state probabilmente le ultime parole che le avrebbe detto in tutta la sua vita.

“Kazuha…” bisbigliò, gli occhi fissi sull’uomo davanti a lui.

“8…”

“Sì?”

I suoi occhi si posarono su di lei per un istante e le sorrise, cercando di confortare la paura che vide nel verde dei suoi occhi.

“Hai davvero un bel nastro, stasera.”

“9…”

Si voltò di nuovo verso il mostro. “ADESSO!!”

Il resto successe in un lampo. Sentì Kazuha muoversi accanto a lui, estrarre la pistola dai suoi jeans, e contemporaneamente uno sparo squarciò il silenzio della notte.

E poi…solo buio.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~* 

 

 

Note dell’Autrice:  salve a tutti!! Ecco terminato un altro capitolo, mi auguro di non avervi fatto aspettare troppo (se così vi chiedo scusa un’infinità di volte!! ^^” Sorry!!) e naturalmente che vi sia piaciuto. È un altro capitoletto all’insegna dell’azione, ma non preoccupatevi, fra poco inserirò anche il love, anzi, un accenno c’è anche in questo, #^^# come avrete letto. Spero davvero di  non aver commesso errori nell’intreccio, devo tenere i fili di varie situazioni diverse e quindi è possibilissimo che io commetta qualche imprecisione; naturalmente faccio del mio meglio per evitarle, ma se qualcuna sfugge al mio controllo confido in voi per farmelo notare (ehi, con gentilezza, però: non riducete in lacrime una povera pseudo scrittrice, per favore! ^^”). Allora, ringrazio come al solito tutti i lettori di questa ff, e passo ai ringraziamenti singoli di quelle persone assolutamente ADORABILI che hanno commentato:

Yuki: ciao! Grazie per l’incoraggiamento, spero che non mi sia rovinata con quest’ultimo capitolo! Mi auguro anche che sia arrivato abbastanza presto.

Ruka88:  ciao! Non credo di poter rispondere subito alle tue domande, ma continua a leggere la storia e vedrai che ti sarà tutto chiaro (“che strazio!” nd Ruka). Ho aggiornato, spero che anche questo chap ti sia piaciuto, e naturalmente grazie mille per la recensione, sei stata un angelo.

Akemichan: davvero? Il mio albergo ospitava un casinò aperto al pubblico tutta la notte, quindi entrava e usciva gente di tutti i generi…immaginerai che non era auspicabile uscire dalle stanze oltre una certa ora! Alla reception parlavano pochissimo inglese e quasi nulla italiano, una sera sono andata lì per chiedere un termometro per una mia amica che stava male e ti assicuro che è stata un’impresa da Indiana Jones fargli capire la parola ‘termometro’. Ti risparmio i particolari, ma immaginami gesticolare disperatamente davanti ad un tizio dall’aria smarrita. Comunque, si parlava della ff, temerai ancora di più per i nostri due giovani detective dopo questo capitolo…poveri!! Ti ringrazio per i complimenti comunque, mi ha fatto piacere il tuo commento su Vermouth, perché mi è piaciuto come l’hai caratterizzata nella tua storia e quindi, se senti in sintonia con il personaggio anche la mia…a proposito, Ai è entrata in scena, come hai visto, e vorrei chiederti se ti è sembrata un po’ OOC  in  questa scena. Io ho il terrore che sia così, ma non ho potuto costruire la vicenda altrimenti. Fammi sapere la tua opinione, ok?

Kiara: ciao! Sono contenta che la storia continui a piacerti…la scuola per fortuna è finita, questo spero acceleri i miei ritmi; mi dispiace tantissimo farti penare tanto, scusa, faccio del mio meglio con gli aggiornamenti. Se vuoi un consiglio, cerca un nuovo capitolo almeno due settimane dopo che ho postato quello precedete: ti assicuro che con tutta la buona volontà, è raro che riesca ad aggiornare prima che siano passati almeno 14 giorni, sai, tendo a rileggere e modificare tutto più volte prima di pubblicare, per evitare che ci siano errori ecc. che fra l’altro non riesco comunque ad evitare!! Ciao, a presto.

Sabry1611: salve! L’azione continua, come avrai letto. Molti dei tuoi interrogativi hanno trovato risposta in questo capitolo, sai, mi ha fatto davvero piacere leggere il tuo commento, mi hai fatto arrossire. #^^# Thanks! Il tuo ragionamento su Ran è molto azzeccato…in effetti per chiunque sarebbe difficile credere una cosa del genere, e chiunque si illuderebbe su qualcosa di più semplice e razionale. Non posso dirti se questo conflitto interiore di Ran avrà soluzione nella storia, leggi e lo scoprirai! Spero di essere in grado di gestire la situazione contro gli Uomini in Nero, non è facile avere a che fare con loro nemmeno su carta, credimi!^^” io faccio del mio meglio, mi auguro che sia di tuo gradimento! Baci, a presto.

Ersilia: ciao, grazie dell’incoraggiamento, sei dolcissima, e ti ringrazio anche per essere così indulgente sui miei ritardi. Sono felicissima di riuscire a trasmetterti delle emozioni, spero di non averti deluso con questo capitolo. Heiji e Kazuha compaiono entrambi in questo capitolo, e come promesso una piccola parte è dedicata a loro…ehm, non mi uccidere, ti prego! Continua a leggere la storia…un bacione!

Ginny85: ehilà! Sono contenta di risentirti…scusa dell’estremo ritardo dell’altra volta, sono stata davvero pessima, e mi sa che anche stavolta…ehm…comunque, spero di essere in tempo prima della tua partenza. Mi coinvolge il tuo entusiasmo per Shinichi, come vedi anche in questo capitolo ne abbiamo una descrizione dal punto di vista di una persona che non è indifferente al suo charme… che non siamo né io né te. Hai visto che gli è successo?? Cioè, dalla padella nella brace, come si suol dire. E Heiji non è più fortunato di lui, con quel viscido individuo…poveri i miei ragazzi!! Vermouth è contenta di avere per sé il suo angelo, vedrai che combinerà! Quella parte ce l’ho in cantiere da un bel po’, non vedo l’ora di scriverla. Sono felice che ti piaccia come ho caratterizzato Ran, da un parte naturalmente volevo che fosse fedele al manga, dall’altra intendevo analizzare più approfonditamente di quanto faccia Gosho l’interiorità, la sua psicologia, come si sente per la situazione che è costretta a vivere…ripeto, mi fa piacere che ti piaccia. Mi auguro di risentirti al più presto, e buone vacanze!! (te ne vai via tutto luglio?? E come farò io senza di te??? Cattiva!!  ßignorami -__-”)

Anto: ciao, ti ringrazio moltissimo per la recensione e per le lodi, mi fa piacere che la storia sia di tuo gradimento e spero che continui ad essere così. Naturalmente il fatto che hai deciso di recensirla non può che lusingarmi! Thanks!

IRENE: salve, grazie dei complimenti e del commento, fa sempre piacere vedere nuovi nomi in lista. Sono felice che la storia ti appassioni tanto quanto dici, e che approvi la mia scelta di aver fatto tornare Shinichi adulto: non me ne vorrai per averlo messo così nei guai, spero!^^” Sei troppo buona con i complimenti, grazie, mi fai arrossire! #^^# Addirittura una scrittrice professionista?? Se continui così mi farai montare la testa! Mi auguro di non deluderti con il proseguimento della storia. Una domanda: dato che hai citato un episodio (decisamente drammatico, tra l’altro) di Sherlock Holmes, mi chiedevo: il tuo nick ha qualcosa a che fare con Irene Adler, l’unica donna che si dimostra più astuta dell’investigatore londinese, e di cui lui chiede di poter tenere la foto? Comparsa nel racconto “Uno Scandalo in Boemia” di Conan Doyle? O non c’entra niente e sono io che faccio partire la testa per cavoli suoi?? Fammi sapere!!

BPM: anche tu sotto tortura, eh? Meno male che è finita, possiamo tirare un sospiro di sollievo e rattoppare ciò che resta del nostro povero cervello maltrattato. Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, come ti è sembrato quest’ultimo?? Ho fallito miseramente o riesco ancora a cavarmela? Grazie della recensione, sei sempre molto gentile, e non disperare: le tue aspettative potrebbero essere presto soddisfatte.

APTX4869: ciao! Grazie della recensione e dei complimenti, aspetto di sentire cosa ne pensi di questo capitolo! Un bacio.

Lili: eh sì, mi sono proprio divertita, è stato un viaggio stupendo, cibo a parte. Hai ragione, l’azione continua a prevalere indisturbata anche in questo capitolo, ma il romance si farà presto strada tra la polvere (oggi mi sento metaforica ^^). Grazie delle lodi, sei carinissima, una cosa non ho capito: quando dici che ‘qui’ Ran non ti piace, con ‘qui’ intendi questo capitolo o tutta la storia? Mi interessa conoscere la tua opinione, così posso cercare di migliorare. Fammi sapere, ok? Un bacione, e non preoccuparti, fra ritardatarie ci si intende.

Questo è tutto mi sembra. Nel capitolo c’è qualche riferimento al volume 24 del manga, nel quale Conan e Ai vengono a conoscenza di certi piani dell’Organizzazione e cercano di fermarli. È anche la storia della prima apparizione di Vermouth, una vera chicca,  mi è piaciuta molto. Ne hanno fatto l’episodio corrispondente qualche tempo fa… ora vi saluto, spero di poter aggiornare il prima possibile.

A presto

-Melany

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Capitolo 24
*** Fight for the Light ***


Nuova pagina 1

24. Fight for the Light

Era una bella giornata, uno di quei pomeriggi primaverili in cui l’aria è tiepida, la brezza fresca profumata di petali di fiore, e i raggi del sole splendono di lieve tepore. La piccola sgranò gli occhioni verdi incantata dagli alberi di ciliegio, dai boccioli teneri di quel rosa così intenso. Era così contenta: il suo papà le aveva promesso che l’avrebbe portata a fare un bel picnic, per farsi perdonare di essere mancato al suo compleanno per colpa del suo lavoro. Sapeva che il lavoro del suo papà era importante: combatteva i cattivi e difendeva la città. La sua mamma glielo diceva sempre, che lui era un vero eroe, e la piccola non ne aveva mai dubitato. Anche lei da grande sarebbe diventata forte e coraggiosa come lui, ne era sicura. Adesso se ne stava seduta, con le gambette incrociate che sporgevano dal suo vestitino color arancio, e aspettava impaziente che il suo papà la raggiungesse sotto i fiori di ciliegio, per pranzare insieme. Vide arrivare un’auto bianca e blu, una di quelle del suo papà, lo sapeva perché avevano tutte delle luci sul tettuccio e una volta lui le aveva accese e fatte suonare per lei mentre erano in macchina. ‘Sirene’, le aveva chiamate lui, ma la bambina era scoppiata a ridere di cuore, perché sapeva benissimo che le sirene non erano luci, erano bellissime donne per metà pesci che vivevano sul fondo del mare: il suo papà era un eroe, ma certe cose proprio non le capiva.

Si alzò di scatto e cominciò a correre verso la macchina accostata, per saltare in braccio al suo papi, ma si fermò di colpo quando vide scendere un agente che aveva visto spesso con lui, e che ora le accarezzò la testa e le disse che il suo papà era davvero dispiaciuto ma non sarebbe potuto venire, perché stava seguendo un caso importante e non poteva proprio liberarsi. Improvvisamente lei non si sentì più così contenta, e le lacrime cominciarono a pizzicarle agli angoli degli occhi: urlò al poliziotto che non era possibile, perché lui gliel’aveva promesso e le promesse si mantengono, sempre…ma il poliziotto continuava a insistere e alla fine lei scappò via piangendo perché non era proprio giusto, doveva essere la sua giornata speciale, dovevano pranzare insieme-lei aveva aiutato la mamma a fare i panini e l’insalata e a preparare il cestino- e poi dovevano giocare lui e lei  sotto gli alberi in fiore. Cattivo, papà, gliel’aveva promesso! Si era fermata a piangere accoccolata  sotto un albero perché non voleva che la mamma la vedesse, il viso nascosto nelle mani, quando sentì una voce che la fece sussultare: “Perché piangi?” Chiese, e lei sbirciò attraverso le dita e vide un bambino alto più o meno come lei, con la pelle di uno strano colore, che la guardava perplesso, sbattendo le palpebre. Le sembrava di averlo già incontrato, era il figlio di un amico del suo papà, ma non si erano mai parlati. “Che ti importa?” replicò lei, la vocetta intrisa di pianto, asciugandosi le lacrime con i pugnetti. Lui sembrò imbronciarsi: “Mamma e papà hanno detto che devo giocare con te. Io gliel’ho detto che non mi va, perché le femmine sono solo delle rompiscatole piagnucolose, ma loro…”

“Io non sono una rompiscatole piagnucolosa!!” la interruppe lei, alzandosi in piedi per essere alla sua stessa altezza, ricacciando indietro le lacrime e guardandolo torva nei suoi occhioni verde-azzurri. Inaspettatamente, il bambino fece un sorriso smagliante, mostrando i denti bianchissimi, e le porse la mano: “Così mi piaci, grinta, ci vuole. Io sono Heiji.” La piccola restò interdetta per un attimo, fissando incredula e sorpresa il bambino sorridente di fronte a lei, poi gli strinse la mano, come la sua mamma le aveva insegnato, facendo un po’ su e giù. “Io sono Kazuha.”

 

Non si era resa conto praticamente di niente. Tutto era successo in un lampo, suoni, voci, tutto si era confuso nella sua testa, ma aveva fatto esattamente come le aveva detto Heiji: aveva preso la pistola dai suoi jeans e aveva sparato addosso al nemico, senza mirare, scaricandogli addosso una raffica di pallottole, finché il grilletto era scattato a vuoto con un sordo click. Allora si lasciò andare sulle ginocchia, facendo cadere a terra l’arma, il respiro ancora affannoso, la spalla che le doleva, probabilmente per il contraccolpo. Davanti a lei, l’uomo non era altro che una massa informe di colore nero, accoccolata a terra, con spruzzi rosso scuro qua e là, che andavano propagandosi. Aveva sparato ad un uomo…era una strana sensazione, si sentiva disorientata, sporca, in colpa quasi…ma fu solo per un attimo. Quando si ricordò che cosa stava per fare loro, cosa aveva fatto a Heiji, i sensi di colpa si tramutarono in rabbia e soddisfazione. Se l’era meritato, era un essere orribile. Anche se una piccola parte di sé sperava angosciata di non averlo ucciso…

Si voltò sorridendo debolmente verso Heiji: “Ce l’abbiamo fatta Hei-“ e improvvisamente si sentì raggelare, gli occhi sbarrati che fissavano increduli il corpo del suo amico d’infanzia, del suo unico grande amore; non riusciva a respirare, l’accesso ai polmoni era sbarrato, restò lì, immobile a boccheggiare, scossa da tremiti irrefrenabili, il sangue che aveva smesso di scorrerle nelle vene. “No” riuscì a mormorare con voce roca e flebile, tutta la disperazione, il dolore, l’angoscia, concentrati in un’unica parola, che risuonava sorda nelle sue orecchie “No…no…no…”

 

 

“No…no e no!!”  gridò la piccola, sbattendo i piedi a terra. “Ti dico che il MIO papà è un grande eroe, il più grande del mondo!”

“Ma il MIO è il suo CAPO…fidati, è così” replicò il bambino, ostinato. Lei lo guardò imbronciata, scuotendo la testa indispettita ,i due codini di capelli neri che ciondolavano ai lati della testa. “Il mio papi è un eroe, lo dice sempre anche la mamma…” insisté, decisa, poi la sua voce divenne flebile “È per questo che non può venire alla mia festa, o al picnic, o alle recite all’asilo…” Abbassò lo sguardo, fissando i sandali rossi, non avendo il coraggio di guardare lui. Non voleva che la accusasse di nuovo di essere una piagnona, e cercò di non rimettersi a piangere al pensiero che lui non aveva mantenuto la promessa che le aveva fatto. Si erano stretti il mignolo, doveva pur valere qualcosa!

“È stata la tua festa? Quando?” chiese lui, con tono stranamente interessato.

Lei alzò un pochino la testa e si accorse che lui la stava fissando con gli occhioni sgranati colmi di curiosità, le grosse e buffe sopracciglia inarcate “Due giorni fa…ho fatto 4 anni” lo informò, alzando quattro dita. Lui annuì, poi parve perso nei suoi pensieri. “Hmmm…”

“Che c’è?” Chiese lei, scrutandolo con la fronte aggrottata.

“Ti piacciono i fiori di ciliegio?” le domandò, ignorando la sua domanda. Lei annuì. “E al tuo papà?” Un altro cenno di assenso dalla piccola. Lui sorrise di nuovo. “Bene, allora.”

Si voltò, guardando in alto, e lei lo imitò, contemplando nuovamente con ammirazione i boccioli rosa sugli alberi, così delicati e belli. Quando abbassò la testa, vide che lui aveva cominciato con fatica ad arrampicarsi sull’albero.

“Ma che fai fermati!! Non hai il permesso!!” gridò, guardandosi intorno per vedere se arrivava qualche adulto. “Scendi subito, scemo!!” lo sapeva che non poteva dire parolacce, ma era evidente che la situazione lo richiedeva. E nel caso fosse stato necessario, ne aveva sentite di altre parecchio bizzarre dal suo papà.

“Tra un attimo.” Replicò lui, continuando a scalare senza paura il grosso ciliegio, incurante del piede che ogni tanto slittava, facendogli quasi perdere l’equilibrio. La piccola Kazuha lo guardò disperata, le manine sulla bocca spalancata.

 

“Heiji” bisbigliò, guardandolo attraverso l’umida pellicola delle lacrime “Heiji ti prego rispondi…” Ma lui non si mosse, immobile, gli occhi chiusi, la mano ancora poggiata sulla ferita sanguinante, la pelle esangue. Sentiva che non poteva resistere, stava troppo male, aveva un forte impulso a vomitare, mentre gocce di sudore gelido le imperlavano la fronte, appiccicandole i capelli sulla pelle. Heiji, non poteva essere capitato a lui, no…le aveva promesso che sarebbe andato tutto bene, e le promesse si mantengono. Non poteva lasciarla così…loro dovevano andare a cena fuori, lui gliel’aveva detto quella mattina, un tempo che le sembrava eternamente lontano, un qualcosa successo secoli prima. Aveva detto che sarebbero andati al cinema, e lei avrebbe scelto il film… “Me l’hai promesso, Heiji, ti ricordi? Non hai scuse…dobbiamo andarci…” insisté, guardandolo, mentre le lacrime scendevano lente e pesanti, solcando le guance e lasciandosi dietro una scia di dolore. “A-Andremo al cinema…ti farò vedere uno di quei film romantici strappalacrime…quelli che odi tanto…e t-tu ti addormenterai durante il film, e io, io mi arrabbierò, e litigheremo perché tu dirai che sono stata…una strega a costringerti a vedere una schifezza del genere e-e io ti dirò che sei un maleducato e un egoista e sai pensare solo alle tue indagini…ma poi faremo pace…noi facciamo sempre pace. E tutto torna com’era prima. Giusto, Heiji?” Riuscì a toccarlo, esitante, accarezzandogli il braccio, per poi lasciarsi andare completamente su di lui, la testa nascosta fra le braccia incrociate, piangendo disperatamente, lasciandosi andare completamente. Voleva restare lì per sempre, piangere fino a consumarsi, anche se sapeva che non sarebbe servito a nulla, tutte le lacrime del mondo non avrebbero potuto cancellare il dolore forte e pressante che martellava nel suo corpo, che divorava ogni fibra del suo essere, a partire dal cuore. Ma non poteva fare nient’altro, e quindi sarebbe rimasta lì, per sempre, perché non aveva la forza di alzarsi, di affrontare il mondo, di vivere sapendo che lui non sarebbe stato con lei, a sorriderle, ogni giorno, a farla ridere con le sue stupide battute, a prenderla in giro, a consolarla se piangeva. Una vita senza di lui, no, non poteva esistere. Tutto ciò che era in grado di fare era piangere, e piangere....ancora, fino alla fine.  

 

“Visto? Non era poi così difficile.”disse lui, scendendo dall’albero con un ultimo salto, con gran sollievo della piccola, che poté finalmente ricominciare a respirare e smettere di aver paura dell’arrivo di qualche adulto, che di certo avrebbe dato la colpa anche a lei, sebbene non c’entrasse proprio nulla. Il piccolo Heiji teneva fra le mani un mazzolino grande di fiori rosa, alcuni ancora teneri boccioli, altri fioriti e bellissimi, e glieli porse. “Ecco. Un regalo per te, buon compleanno.” Disse con un sorriso, la bambina non poté fare a meno di arrossire, ammirando quella meraviglia, gli occhioni verdi che brillavano. “Oooh…io…grazie.” Mormorò, ancora contemplando quei fiori stupendi che ora teneva fra le mani, accarezzandone i petali morbidi e lisci. “Ne ho presi un bel mucchio, così puoi darne un po’ anche al tuo papà, e non si perderà questo spettacolo.” Lei rivolse di nuovo l’attenzione verso di lui, che sorrideva beato e soddisfatto, strofinandosi il naso. E fu in quel momento che lei se ne accorse. “Le tue mani…” mormorò inorridita, indicando i suoi palmi, che erano tutti scorticati e in più punti sanguinanti. Lui li guardò per qualche breve istante, poi scrollò le spalle. “Cose che capitano. Gli alberi fanno questi scherzi.”

“Ma…ma…la tua mamma? Non si arrabbierà con te?” insisté lei, senza poter fare a meno di fissare le mani di lui. Cavoli, erano ferite GROSSE. Lui scosse la testa. “Macché!! La mamma è abituata a vedermi tornare con qualche taglio e livido.”

“Ma…non ti fanno male?” chiese lei,rabbrividendo. Una volta, disubbidendo alla mamma, aveva preso in mano le forbici da cucito, quelle con la punta affilata, e si era tagliata. Ricordò che bruciava da morire, tanto che le erano venute le lacrime agli occhi. Lui alzò le spalle. “Un po’, ma il dolore non mi spaventa. Io…” assunse un tono pomposo, gli occhi chiari che brillavano. “…sono un detective. E  noi detective non temiamo nulla.” Aggiunse, sempre atteggiandosi. Lei scoppiò a ridere e lui la guardò perplesso e un pochino infastidito. “Che c’è?” sbottò, e lei fra una risatina e l’altra rispose. “Tu sei troppo piccolo per essere un detective. Bugiardo.”

“Sì? beh, almeno io non sono una femminuccia piagnucolosa…” replicò, e lei gli diede un calcio, buttandolo a terra.

“Ahi! Però, sei forte per essere una femmina…”

“E tu sei stupido, proprio come tutti i maschi.” Replicò lei, poi ci ripensò e aggiunse “Tranne il mio papà.” Lui sbuffò

“Figuriamoci…” e entrambi scoppiarono a ridere. Poi lei gli si avvicinò, gli scoccò un veloce bacio sulla guancia e gli sussurrò un “grazie dei fiori” prima di correre lontano, lasciandolo come inebetito a massaggiarsi la guancia, ora rosso fuoco.  

  

“Non puoi lasciarmi Heiji…non puoi…” alzò la testa, quel tanto che bastava per guardalo in faccia, si sentiva così debole. I suoi occhi erano chiusi, le labbra dischiuse. “I-Io non posso…capisci? Andare avanti, continuare…senza di te. Non…non sono capace. Io…” tirò su col naso, mentre altre lacrime continuavano a fuoriuscire, il petto scosso dai singhiozzi “ho bisogno di te. Del modo in cui mi tratti, della tua presenza…io ti amo. Avvicinò il proprio viso, caldo e zuppo, al suo, tiepido e pallido. “Mi hai sentita? Ti amo.” Posò le labbra su quelle di lui, lambendole amorevolmente, in un bacio lieve e dolce, un contatto che non voleva finisse mai. Non voleva staccarsi, continuare a baciarlo era l’ultima illusione che le era rimasta, l’illusione che lui era ancora lì, per lei, e così sarebbe sempre stato. Ed era così persa nel lieve tepore che quel bacio le stava donando che si accorse a malapena della mano che si posò con delicatezza sulla sua nuca, accarezzandole i capelli, o del  fatto che le labbra di lui cominciarono debolmente a ricambiare, accettando il contatto e coccolando a loro volta le sue labbra, sfiorandole dolcemente, lentamente. Di colpo realizzò e si staccò, guardandolo con gli occhi sbarrati, le guance arrossate ancora umide di lacrime, il respiro affannato. Heiji aprì a fatica gli occhi, sorridendole attraverso la fronte aggrottata. “Ciao.” Sussurrò, senza voce. Lei restò immobile e incredula, il suo corpo, ormai conquistato e devastato dall’estremo dolore che aveva provato credendolo morto, non riuscì subito ad accettare quell’improvviso sentimento di gioia e felicità che si faceva largo nel suo animo. Perciò restò imbambolata a fissarlo, incapace di parlare, di muoversi, nella mente un solo pensiero che rimbombava incessante: lui è vivo…Heiji è vivo…

“OH mio DIO!!” gridò infine, sorridente, ricominciando a piangere, ma stavolta per la felicità, incapace di trattenersi. Lo abbracciò convulsamente, stringendolo forte, udendo a malapena il suo gemito soffocato di dolore. Quando si rese conto lo lasciò andare e lo vide afflosciarsi con una smorfia di dolore. “Ma sei scema??” bofonchiò, tossendo un paio di volte. “Ehm…scusa.” Disse lei, ancora sorridente. Lui respirò profondamente un paio di volte. “Vattene da qui. Dovrebbe esserci la polizia qui intorno, da qualche parte.”

“Sì, ma vieni anche tu.” Replicò lei decisa.

“Io sono ferito, come puoi vedere anche tu. Vai, cerca aiuto, io me la caverò.” Insisté lui, con voce roca.

“Non se ne parla.” Esclamò, con un tono che non ammetteva repliche. “Se ti aiuto, dovremmo farcela.”

Lui sospirò. “E va bene. Comunque non possiamo stare qui, è pericoloso.”

“Okay” Disse Kazuha, e lo aiutò ad alzarsi, lui le passò un braccio intorno al collo, mentre lei gli teneva il fianco sano.

“Camminiamo  rasente al muro così evitiamole luci.” Suggerì lui, tossendo di nuovo. Lei annuì; era un po’ faticoso portarlo, ma strinse i denti: ce l’avrebbe fatta, per lui. Non poteva abbandonarlo. Non ora che l’aveva ritrovato.

“Dobbiamo assolutamente avvertire un poliziotto…dovrebbero essercene in giro.” Bofonchiò Heiji accanto a lei, che scosse la testa. “No, sei ferito, troviamo un posto riparato e poi andrò a cercare un medico.”

“Tu non capisci!” cercò di gridare, con il risultato che ricominciò a tossire in modo preoccupante. “Kudo…io, l’ho perso. Dobbiamo aiutarlo”

Kazuha sbuffò: “Sono sicura che riuscirà a cavarsela da sé. È pure lui un detective, no? E tu certamente non sei in grado di dargli una mano, ora come ora.” . Era convinta che Kudo gli avesse già fatto abbastanza, trascinandolo in quel pericolo. Sapeva che non avrebbe dovuto provare quell’astio nei confronti del ragazzo di Ran, ma in quel momento non poteva fare a meno di ricordare che era solo colpa sua se Heiji pesava sulla sua spalla sanguinante ed esausto. Erano a Tokyo, di sicuro lui l’aveva chiamato per chiedergli aiuto, e come al solito il suo amico d’infanzia era scattato pronto ad accorrere al suo richiamo. Era un mistero per lei come Kudo riuscisse ad avere quell’influenza su di lui.

“Tu non capisci…” obiettò lui, con un nuovo colpo di tosse.

“Non sforzarti a parlare. Troviamo un rifugio e poi penseremo a Kudo-kun, d’accordo?” Lo disse solo per farlo smettere di insistere: pareva che ogni parola gli costasse un grande sforzo, eppure era convinta che avrebbe continuato a parlare senza riserve se lei non gliel’avesse data vinta. Comunque, dentro di sé, era sicura che Kudo se la stesse cavando benissimo anche da solo. 

 

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Shinichi si sentì stringere la caviglia e quasi contemporaneamente perse l’equilibrio e cadde a terra con un tonfo e un gemito soffocato. In quei pochi decimi di secondo che gli ci vollero per realizzare cosa fosse successo, sentì anche una nuvola di timore e preoccupazione oscurare la serenità che aveva provato quando aveva creduto di aver vinto. Strinse i denti e ruotò, per trovarsi davanti il suo avversario, che sogghignava, ora in ginocchio, con la pistola ancora in pugno. Aveva creduto che la partita fosse finita? Cavoli, erano solo al calcio d’inizio.

Invece di perderti in colorite metafore calcistiche cerca di pensare a qualcosa per cavarti fuori dai guai...

Facile a dirsi. Adesso sì che era in trappola, finché Gin lo teneva sotto tiro con la sua arma non poteva sperare di fuggire o contrattaccare.

“Ma tu credevi davvero che mi sarei fatto fregare due volte di seguito dallo stesso giochetto? Povero illuso.” Si lasciò andare ad una risata agghiacciante, senza smettere di tenerlo d’occhio. “Cappotto imbottito, a prova di aghi. Non sono meravigliosi, i ritrovati della sartoria moderna?”

“Sì, peccato che non possano fare nulla per la tua brutta faccia.” Replicò Shinichi, il cervello che lavorava furiosamente. Doveva trovare una via d’uscita, una qualsiasi.

“Siamo spiritosi, eh? Beh, credo che…Sherry, non provare a fare ciò che hai in mente di fare perché ti ucciderei prima che tu possa anche solo avvicinarti a me.” Disse, cambiando tono di voce. Era evidente che Ai voleva colpirlo alle spalle, ma Gin sapeva che lei era lì, e naturalmente non si era fatto cogliere di sorpresa.

Dunque, ricapitolando: devo riuscire a salvare  me e Ai, catturare Gin se possibile…e a proposito, che fine avrà fatto Heiji?

“Lo sai, mi sembra di averti già visto da qualche parte…la tua faccia mi evoca una sensazione sgradevole di fastidio e disgusto allo stesso tempo…chi sei, moccioso?”

Shinichi sorrise, uno dei suoi soliti sorrisi tutti sicurezza e spavalderia, e vide Ai dietro Gin guardarlo perplessa, sbattendo le palpebre.

“Io sono quello che ti sconfiggerà.” Disse, con voce bassa e lenta, e Gin sorrise, sferrandogli un calcio nello stomaco dolorosamente potente. Lui gemette soffocato, le braccia strette intorno alla parte dolente e pulsante, mentre un forte senso di nausea si impossessava del suo corpo.

“Divertente. Ma ti passerà la voglia di scherzare, spiritosone, quando avrò finito con te.” Rise di nuovo, gli occhi che luccicavano, come se avesse aspettato quel momento con ansia da tempo. Poi, prima che Shinichi potesse reagire, con un movimento veloce lo colpì alla mascella con l’impugnatura della pistola. Una miriade di luccichii comparvero davanti ai suoi occhi, mentre un dolore pungente esplose dalla bocca, che si riempì di un caldo liquido dolciastro e ferroso. Shinichi cadde di nuovo con la schiena a terra, ansimando, gli occhi chiusi. Gin si avvicinò a lui, afferrandolo per i capelli, proprio come aveva fatto quel giorno di molto tempo prima, al Tropical Land.

“Aspetta…adesso mi ricordo di te.” Disse, costringendolo a guardarlo, il sorriso sul suo volto si allargò, mentre gli occhi si animavano di comprensione. “Ma scusa, non ti avevo già ucciso?”

“Tu che ne dici, genio?” replicò lui, sputandogli in faccia uno spruzzo di sangue. Lui si portò istintivamente il braccio sugli occhi per pulirsi e Shinichi ne approfittò per mollargli una gomitata e liberarsi dalla sua stretta, mentre un po’ di capelli dissero addio alla sua testa. Si alzò, ancora un po’ barcollante per i colpi ricevuti, e si gettò sopra di lui, cercando di rubargli la pistola. Non era in grado di stabilire quanto durò la lotta, tutto il suo cervello era impegnato nel tentativo di sottrargli la sua arma, incurante dei colpi che incassava –in fondo anche lui non era da meno, nei confronti del suo avversario- e finalmente riuscì a fargliela sfuggire di mano con un colpo ben assestato del ginocchio.

“PRENDILA!!” urlò, e vide Ai precipitarsi verso l’arma e raccoglierla. Ma per accertarsi che lei la prendesse si era distratto, e Gin ne approfittò per colpirlo violentemente al lato del collo e bloccarlo con il braccio piegato dietro la schiena. Ai puntava verso di loro, la fronte aggrottata, lo sguardo deciso.

“Lascialo, Gin.” Ordinò, con voce dura e carica di determinazione. Gin rise, ma non c’era traccia di allegria in quella risata, era fredda e gracchiante.

“Se no cosa farai, sparerai rischiando di uccidere il tuo amichetto?” Ai strinse le labbra, evidentemente cercando di reprimere la rabbia. “No, non lo farai, Sherry. Sei sempre stata una debole, incatenata ai tuoi sciocchi sentimenti, incapace di reagire, di liberarti dei legami e diventare finalmente qualcosa di più, innalzarti ai miei livelli. È per questo che non sei mai riuscita a fare veramente parte di noi. Sei una stupida, patetica ragazzina. Avresti potuto avere una carriera brillante, con il corpo e il cervello che ti ritrovi, saresti perfino potuta diventare una dei capi dell’Organizzazione. Invece, hai sputato addosso al successo solo per un capriccio, ritrovandoti a fare la puttana di un ragazzino patetico quanto te. Cosa credevi, di poter vincere? Lui forse poteva illudersi, ma tu? Hai conosciuto la nostra potenza, sapevi di andare incontro alla rovina, eppure non ti sei fermata, trascinando giù con te anche lui. Hai scavato una fossa per te e per il tuo amico, non puoi che biasimare te stessa, mia cara, per essere stata tanto sciocca. E lui non può che biasimare se stesso per averti dato retta. Scommetto che in questo momento la odi, eh, ragazzino?” Gli chiese, dandogli uno scrollone secco. Shinichi sorrise alla ragazza davanti a lui, scuotendo lievemente la testa.

“No. Io non ti odio, Shiho. Anzi, sono fiero di te: non tutti avrebbero avuto la forza di reagire come hai fatto tu, dopo quello che hai passato. Hai conosciuto l’oscurità, ma sei riuscita a riemergere alla luce del sole, nonostante tutto il male che hai dovuto subire, nonostante tu abbia avuto una vita che avrebbe distrutto e consumato da dentro qualsiasi altra ragazza. Sei stata in grado di conservare la tua forza d’animo, i tuoi ideali, di rimanere una persona buona e degna di fiducia seppure circondata per quasi tutta la tua vita da persone perfide e senza scrupoli. Ti ammiro, e non credo che tu sia debole: ci vuole molta più forza a rialzarsi dopo essere caduti, che a non cadere mai.”

Ai lo guardava con gli occhi sgranati e sorpresi, le guance soffuse di un lieve rossore, e Shinichi si rese conto di non averle mai veramente dimostrato fino a quel momento quanto la sua opinione di lei si fosse evoluta durante il periodo che avevano passato insieme. La prima volta che aveva saputo del suo passato l’aveva definita un’assassina e un mostro, e da quel momento in poi, seppure non si era più dimostrato ostile nei confronti di lei, non aveva mai rinnegato quelle parole. Non perché le pensasse ancora, semplicemente le aveva dimenticate. Ma adesso capiva, dall’espressione incredula sul volto della bionda scienziata, che lei non le aveva dimenticate, tutt’altro. Era stato sciocco a non comprendere quanto le parole potessero ferire.

“Commovente.” Commentò Gin, stringendo ancora di più il braccio di Shinichi, finché scosse di dolore si propagarono per tutto il corpo. Lui strizzò un attimo gli occhi, poi, li riaprì, focalizzandosi di nuovo su Ai.

“Scappa adesso!! Lui non può colpirti senza pistola, va’ via!! Io me la caverò.” Le gridò, lei sussultò.

“No, io non…”

“MUOVITI!!” urlò, Gin rise di nuovo. “E chi ha detto che sono senza pistola?” Estrasse una Magnum dalla cintura. Logico, aveva ancora la sua, quella che gli aveva sottratto apparteneva ad Ai. Shinichi non l’aveva dimenticato, ma sperava in qualche modo che fosse scarica o che lui non potesse prenderla.

Stiamo perdendo colpi, eh Shin?? In tutti i sensi…

 “Chiudi il becco.” Mormorò alla voce-padre, irritato, e cominciò a divincolarsi furiosamente, cercando di liberarsi dalla stretta dell’uomo. Se Gin pensava a tenerlo fermo, Ai poteva nel frattempo fuggire, sperava che lei ci arrivasse.

“Buono, moccioso!” ringhiò lui, e di nuovo si udì uno scoppio tonante e allo stesso tempo la stretta sul suo braccio si allentò, e Shinichi poté con uno strattone liberarsi, nelle orecchie il lamento di dolore del suo avversario, mentre un taglio bruciante si apriva sulla sua guancia. Corse verso Ai, che teneva la pistola in mano ancora fumante, e senza voltarsi la prese per mano e la trascinò fuori, e corsero entrambi velocissimi, senza una meta prestabilita. Avanzarono rapidamente a perdifiato per un po’, Shinichi sapeva che non poteva affrontare Gin, non prima di aver messo in salvo Ai, e perciò doveva portarla in un posto sicuro. Finalmente si fermarono, ansimanti, all’ombra di un alto edificio.

“Credi che ci troverà?” chiese Ai, fra un respiro e l’altro.

“Forse sì forse no. Comunque, spero che il tuo sparo attiri la polizia da quelle parti. A dire il vero, sono sorpreso che non sia già successo.” Commentò, asciugandosi il sudore dalla fronte e passandosi una mano sulla guancia, riscoprendola sporca di sangue. Si voltò imbronciato verso di lei.

“Ci è mancato poco che mi prendessi, con quel proiettile. Perché diavolo non sei scappata come ti ho detto??” Borbottò, lei fece uno dei suoi sorrisetti ironici. “Oh, non mi dire che il Grande Detective ha avuto paura di un piccolo sparo! Male che fosse andata, c’è sempre la chirurgia plastica, e tu sei ricco.” Disse con tono di sufficienza, scrollando le spalle. Shinichi sbuffò, gli occhi socchiusi. “Beh, spero che almeno la ferita alla spalla lo tenga occupato abbastanza da farci cercare un rifugio.”

“Vuoi nasconderti?” chiese lei, con tono falsamente casuale. Lui continuò a guardarla male attraverso la frangetta arruffata.

“No, tu devi nasconderti. Non posso lavorare in pace se devo pensare a salvarti.”

“Non sono d’accordo con la distribuzione dei ruoli, Kudo-kun. Sono stata io a salvare te, stasera, e per ben due volte.” Replicò con tono saccente, passandosi una mano fra i capelli biondi, cercando di metterli in ordine. Lui sbuffò, ma non rispose, evitando di farle notare che aveva impedito a Gin di scoprirla, distraendolo. Sua madre gli aveva insegnato che non era carino rinfacciare alle ragazze di averle tirate fuori dai guai. Poco ‘gentleman’, a suo dire.

“Dobbiamo anche cercare Hattori. Andiamo, muoviamoci, è pericoloso restare fermi troppo a lungo nello stesso punto.”

Le afferrò di nuovo la mano quasi senza rendersene conto e fecero per avanzare, quando improvvisamente Shinichi si bloccò, sgranando gli occhi, la bocca istantaneamente asciutta. Il tempo parve congelarsi intorno a lui: non era possibile, non poteva essere…

Ran!?” soffiò, senza voce, impallidendo, senza poter staccare gli occhi di dosso alla ragazza che si stava dirigendo in quella direzione, ancora senza essersi accorta della sua presenza. Percepì senza registrarlo Ai che si irrigidiva dietro di lui, mentre, incapace di dare aria ai polmoni, se ne stava lì impalato, e non solo per la sorpresa di trovare lì la sua amica d’infanzia. Soprattutto per la donna che la stava scortando, tanto innocua e aggraziata all’apparenza quanto pericolosa e sadica in realtà.

Vermouth!!! 

 

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Ran camminava al fianco di Sheila, la fronte aggrottata, scoccandole sempre più spesso occhiate di apprezzamento. Secondo quanto le aveva detto, la stava portando dove voleva, la lei stessa non era ben sicura di dove volesse andare in quel momento: una parte di lei avrebbe tanto desiderato tornarsene a casa, infilarsi sotto le coperte soffici e calde, al sicuro nella sua cameretta, e dimenticare tutta quella brutta storia, invece di starsene lì, al freddo, a camminare accompagnata da un’estranea in mezzo a un cumulo dì edifici dall’aspetto poco rassicurante. Un’altra parte di lei, quella più determinata e sicura, desiderava invece scoprire dove si trovava Shinichi, andare da lui, incurante dei possibili pericoli, disposta a tutto pur di rivedere quegli occhi, quel sorriso…

Indecisa sul da farsi aveva scelto la via di mezzo, ovvero continuare la sua avanzata verso l’ignoto al fianco della bellissima poliziotta. Le lanciò l’ennesima occhiata, soffermandosi un momento sul modo ricercato e raffinato con cui i capelli le ricadevano sulle spalle, leggermente mossi e vaporosi, di un biondo lucente, e poi scorgendo tutta la sua figura, le labbra fini e rosse, che sembravano disegnate per essere perfette, il corpo sinuoso, le forme aggraziate, il portamento fiero e delicato allo stesso tempo, con il mento alto, lo sguardo dritto davanti a lei, quasi stesse sfilando davanti ad una platea di spettatori e non camminando in un quartiere malfamato nel bel mezzo della notte. Il cappotto nero di cachemire, di certo costato una fortuna, avvolgeva la sua figura senza però soffocarne la silhuette, e scopriva le sue gambe, altrettanto perfette, e i piedi calzati in scarpe con il tacco alto, anch’esse visibilmente preziose e scomodissime, che lei portava con disinvoltura e naturalezza.  Distogliendo lo sguardo da lei, Ran non poté fare a meno di pensare che si sarebbe aspettata di trovare una donna del genere in un ristorante di lusso, uno di quelli in cui solo per sederti al tavolo dovresti aprire un mutuo in banca, e magari al braccio di un affascinante gentiluomo, non certo in un posto come quello, o in una centrale di polizia, dietro una scrivania. Insomma, tutto in lei trasmetteva classe, eleganza, sfarzo. Certo, aveva conosciuto altre poliziotte molto attraenti: Sato, ad esempio, era una bella donna, anche lei di un certo livello. Eppure, le sensazioni che le trasmetteva erano completamente diverse da quelle che avvertiva vicino a Sheila. C’era qualcosa che non tornava, in tutto ciò.

“Mi scusi, può ripetermi dove stiamo andando?” chiese, gentilmente. Non si spiegava il motivo, ma lei la metteva in soggezione.

Sheila le si rivolse con un sorriso dolce e caldo, di cui Ran non poté fare a meno di fidarsi: l’aura di superiorità era crollata ed ora lei sembrava una donna qualunque, onesta e buona.

Forse anche troppo…

“Siamo quasi arrivate, abbi pazienza.” Le disse, senza smettere di sorridere, ma prima che si voltasse Ran percepì qualcosa nei suoi occhi, come un’ombra poco rassicurante, uno strano scintillio, che aveva un qualcosa di familiare. Come se l’avesse già visto, non molto tempo prima. Qualcosa che la fece rabbrividire.

“Incontreremo Sato?” domandò ancora.

“Chissà, my darling…il destino è così imprevedibile…” rispose, stavolta senza voltarsi.

“Ehm…” voleva chiederle altre cose, ma, sebbene Sheila fosse stata cordiale, aveva l’impressione che non le facesse piacere ricevere troppo domande.

Coraggio Ran…non siamo alla fiera della cortesia…questa donna ti ha chiesto di fidarti di lei e tu hai tutto il diritto di accertarti che non ti stia ingannando…no?

Certo era più semplice pensarlo che metterlo in atto.

“…mi perdoni se insisto, ma…” una breve pausa, per testare le acque. Sheila continuava a muoversi decisa, senza guardarla, un’espressione indecifrabile sul viso abilmente truccato. Beh, tanto valeva finire, ormai.

“…ehm…mio padre è stato un poliziotto e, per quanto ne so io, insomma…non dovrebbe avvertire l’ispettore Megure della nostra posizione? E…beh, portarmi in un posto sicuro?” non voleva che lei pensasse che stesse criticando il suo modo di lavorare, così aggiunse precipitosa “Almeno così mi ha detto, potrei sbagliarmi.”

Lei sorrise, senza voltarsi, e da quel poco che scorgeva, Ran si rese conto che non era il sorriso tutto affetto e fiducia di prima. Era…sinistro.

“No, you’re right, Angel, but…what can I say? I’m not an ordinary policewoman. Well, actually, I’m definitely not a policewoman.[1] ”

“Ehm…scusi?” non era certa di aver capito bene.

Il sorriso s’intensificò, mentre i suoi occhi grigio-verdi si focalizzavano su qualcosa davanti a lei, facendole aggrottare le sopracciglia ritoccate con la matita nera. Ran seguì il suo sguardo e rimase pietrificata, non credendo ai propri occhi: il ragazzo che sperava di vedere da così tanto tempo, di cui per mesi non aveva potuto che udire la voce modificata dalla cornetta del telefono, per il quale aveva pianto tanto, col cuore gonfio di dolore e apprensione, per il quale aveva passato tanti guai, prima nelle mani del giornalista e poi in quelle di quegli uomini...il ragazzo che desiderava più di ogni altra cosa riabbracciare, e che aveva sognato tante volte di incontrare di nuovo svegliandosi poi con le lacrime agli occhi, era lì, davanti a lei, concreto e reale, identico a come la sua mente lo rievocava, sempre più spesso col passare del tempo: i capelli bruni, che non volevano mai stare giù, gli occhi blu limpidi e sinceri, il viso rassicurante…

Shinichi…Shinichi…

La sua mente non poté pensare nient’altro per più di un minuto, mentre fissava incredula il suo amico d’infanzia, ansiosa di corrergli incontro eppure incapace di muovere un muscolo, pregando che non fosse un sogno, o comunque di non svegliarsi...

Finché i suoi occhi, completamente calamitati dalla sua figura non si spostarono di qualche centimetro, e videro la mano di lui, dell’unico ragazzo che avesse mai amato in tutta la sua vita, stretta saldamente a quella di un’altra ragazza. Nella completa felicità che l’aveva avvolta s’insinuò repentino un altro sentimento, spiacevole, che le mandò violente fitte dolorose al cuore. Fissò da capo a piedi la sconosciuta: era bella, non c’era dubbio, anche se non aveva quella bellezza ricercata, da copertina di riviste di moda, bensì semplice e allo stesso tempo attraente: i capelli biondo cenere le incorniciavano il viso, da cui spiccavano i suoi occhi, azzurri e profondi, gelidi. Il golf viola aderente avvolgeva il suo busto modellato e il seno, lasciando lievemente scoperti i fianchi, da cui scendevano i pantaloni attillati grigio perla, terminando a campana su stivaletti di cuoio. Non era solo bella, era anche sexy. Ran si sentì improvvisamente inadeguata, e scoccò un’occhiata quasi vergognosa alla camicia a righe che spuntava da sotto il pullover rosa, e poi ai jeans e alle scarpe da ginnastica. Si sentì arrossire, e contemporaneamente limpida rabbia arse nel suo corpo: così, dunque? Mentre lei si struggeva come un’idiota per la sua lontananza Shinichi se la spassava con una bionda, bene, grandioso.

Uomini…puoi fare quello che vuoi, ma andranno sempre appresso alla prima barbie che incontrano…

Sbuffò aggrottando la fronte, sentendosi ferita: doveva essergli mancata davvero molto, oh certo, ma lui sapeva come consolarsi. Magari era quella lì il motivo per cui era mancato all’appuntamento, ora capiva perché non avesse potuto giustificarsi al telefono. Insomma, cosa avrebbe potuto dirle? “Perdonami Ran, so che volevi parlarmi urgentemente, ma vedi, le ho promesso che avremmo fatto compere insieme, e poi che l’avrei portata al cinema, e…non potevo mica deluderla, no?”

S’imbronciò, e quando lo sguardo tornò sul suo amico d’infanzia era gelido e bruciante di rabbia allo stesso tempo. Anche Shinichi stavolta la stava guardando, e sussultò sorpreso e colpito quando vide la sua espressione. Ran sorrise spietatamente: ben ti sta, odioso dongiovanni.

Shinichi la fissò come imbambolato e ferito per qualche attimo, poi parve risvegliarsi da una specie di trance, lasciò la mano della bionda e le fece cenno di aspettare,- sembrano James Bond e la ragazza di turno pensò Ran con stizza-  mentre lui si faceva avanti, serio e deciso, la mano poggiata inspiegabilmente sul proprio orologio, quasi fosse un’arma. Le venne da ridere, e improvviso le tornò alla mente un episodio di qualche tempo prima, quando aveva scoperto Conan che puntava la sua amica Sonoko con uno strano orologio, e dopo averlo rimproverato lui le aveva spiegato che era un giocattolo del professor Agasa, che sparava fuori una biglia. Beh, se anche Shinichi se n’era fatto fare uno, era più infantile di quanto pensasse.

Ma forse la spiegazione è un’altra…

Di nuovo quella vocina fastidiosa, quella che ormai lei accostava all’irrazionalità. Doveva smettere di farla affiorare e tapparle la bocca per sempre. Quello non era un film di fantascienza.  

“Si allontani da lei.” ordinò perentorio Shinichi, sempre con le sopracciglia aggrottate e la mano sul polso sinistro, fissando minaccioso Sheila. Ran si voltò verso di lei e la scoprì perfettamente tranquilla, anzi, divertita. Alzò l’indice e lo agitò davanti a sé, con un’espressione di rimprovero.

“You’re so rude, Cool Guy. Now, say please [2]”

“Lei non c’entra, è una questione fra me e voi” replicò lui duro, ignorandola. “La lasci andare.”

Sheila rise. Ran pensò che era molto probabile che prima non l’avesse fraintesa, nonostante l’inglese. Aveva davvero detto che non era una poliziotta. Ma allora chi diavolo..? Scoccò un’occhiata a lei, perfettamente a suo agio e divertita, e a Shinichi, teso e determinato: sembrava quasi avere paura di lei.

“Oh no, così è troppo semplice, Cool Guy. Devi seguire le regole del gioco.”

Ran fece per allontanarsi, cauta, ma Sheila, se davvero questo era il suo nome, la afferrò per il braccio, saldamente, abbastanza da bloccarla ma non da farle male. Pensò di liberarsi con una mossa di karate, ma poi le tornò in mente la mossa agile con cui prima lei si era difesa, e lo sguardo apprensivo di Shinichi. Decisamente, lei non era una con cui si poteva scherzare. Ora era irritata con se stessa: ma perché doveva sempre fidarsi delle persone sbagliate?? Scoccò un’occhiata dolorosa a Shinichi.

Già…sempre delle persone sbagliate…sono proprio una stupida…

Inghiottì a fatica un groppo in gola: non era il momento di lasciarsi andare.

“Cosa vuole dire?” replicò Shinichi aspro, e, nonostante la situazione pesante, una parte della mente di Ran registrò il ‘lei’ formale e lo trovò ridicolo. Incredibile e quasi esilarante come Shinichi riuscisse a tenere conto di certe regole sociali anche nei momenti critici.

“Well” la donna tirò fuori con un gesto fluido e aggraziato la pistola dal cappotto, e la puntò alla sua testa. Wow.

E il premio per la serata più disastrosa dell’anno va a Ran Mouri! Prego signori, applaudite…

Perfino la ragione cominciava a vacillare in quel caos, notò con una punta di ironia, che doveva affievolire la paura che stava di nuovo crescendo dentro di lei. Cercò di divincolarsi, strattonando il braccio che la teneva stretta, ma era ben saldo; una forza incredibile per una donna così fine, realizzò.

“Cool Guy, abbiamo entrambi qualcosa, qualcuno, che l’altro desidera disperatamente. Quindi, che ne dici se lasciamo da parte la violenza e le minacce e arriviamo ad un accordo?” spiegò lei con voce melliflua.

“Io non stipulo accordi con gli assassini. Se lo può scordare.” Obiettò lui, lo sguardo deciso e la voce ferma. Nonostante tutto, non poté che ammirare il suo coraggio, il modo in cui, anche nelle situazioni critiche, lui rimanesse fedele ai suoi ideali di giustizia. Temeva quella donna, era evidente, ma non aveva alcuna intenzione di piegarsi a lei, e nessuna paura ad affrontarla. Adorava quel suo sguardo temerario e intenso, lo stesso che aveva la notte in cui la salvò dal serial killer a New York, la notte in cui si accorse che per lei non era più solo un amico…e che nulla sarebbe stato più uguale fra loro.

Si sentì arrossire e si costrinse a distogliere gli occhi da lui, così inevitabilmente si ritrovò di nuovo a fissare la bionda, e l’affetto si trasformò subito in collera: anche l’altra la stava osservando, ma il suo sguardo era assolutamente indecifrabile, la sua espressione neutra: aveva l’occhio clinico e distaccato del medico, si ritrovò a pensare.

“Era quello che volevo sentire.” Annuì la falsa poliziotta, e con la coda dell’occhio Ran vide che sorrideva compiaciuta. Shinichi parve spiazzato, ma non perse l’atteggiamento di sfida.

“Non devi mischiarti a simili individui di basso livello, Cool Guy; lascia a me Sherry. E tu potrai tornartene a casa con la tua Angel, pura e incontaminata, non te lo impedirò.” Disse, e le dita che stringevano la pistola le accarezzarono lievemente la guancia. Ran rabbrividì a quel contatto, sebbene delicato e quasi impercettibile. Dedusse che ‘Angel’ fosse lei stessa e ‘Sherry’ fosse proprio la bionda, che si era irrigidita visibilmente quando si era pronunciato quel nome, e ora fissava attentamente il suo amico d’infanzia. All’improvviso, il cuore di lei ebbe un tuffo: dalla conversazione che aveva ascoltato il giorno prima, aveva capito che gli uomini vestiti di nero che l’avevano catturata usavano come nomi in codice quelli degli alcolici. E per quanto ne sapeva, lo sherry era un alcolico alla ciliegia….dunque la bionda era una di loro, una criminale, e Shinichi la teneva per mano per non farla fuggire. Che stupida era stata! Nonostante la situazione critica, si ritrovò a sorridere, sollevata, non solo perché ora sapeva che Shinichi non l’aveva tradita: se Sheila voleva solamente che Shinichi le riconsegnasse quella che di sicuro era una sua complice, beh, la faccenda si sarebbe conclusa in un attimo: era certa che il suo amico d’infanzia non l’avrebbe lasciata in pericolo solo per aggiungere l’ennesimo arresto alla sua lista, e comunque avrebbe potuto riprenderla in seguito. Inoltre, era troppo astuto per farsi imbrogliare da uno scambio fasullo.

Ma Shinichi emise uno strano suono, a metà fra uno sbuffo e una risatina, e disse qualcosa che non si sarebbe mai aspettata: “Niente da fare. Non te la consegnerò mai, puoi scordartelo.”

Fu come se tutta se stessa, il suo corpo, le sue viscere, la sua anima, sprofondassero in un baratro profondo. Guardò Shinichi, intensamente, senza riuscire ad arginare le lacrime stavolta, e quando i loro sguardi s’incontrarono, lo vide fissarla, colpito, e impallidire di colpo, come se avesse appena realizzato qualcosa, i suoi occhi blu colmi di dispiacere e dolore. Dopo qualche penoso attimo, in cui lei sentiva il proprio cuore sbriciolarsi e sanguinare, lui si focalizzò di nuovo sulla donna che la  teneva intrappolata, e Ran fu sicura che i suoi occhi attenti non avessero perso nemmeno un particolare di quello che era accaduto fra loro due, ma stranamente non le importava. Davvero Shinichi, il ragazzo con cui era cresciuta e che amava tanto, era disposto a sacrificarla per uno stupido arresto?

Allora è proprio vero...preferisci il tuo lavoro…a me…

“Complimenti Shinichi” si ritrovò a dire, con voce ironica incrinata dalle lacrime “Sei diventato il detective freddo e razionale che hai sempre voluto essere.”

Non lo guardava. Non poteva. Ma, non essendo in grado di coprirsi le orecchie con le mani, udì la sua risposta.

“Non è così Ran…hai frainteso….” La sua voce non era più ferma e determinata, ma debole e incerta. Sembrava del tutto dimentico della situazione in cui si trovava. Ran guardò in tralice Sherry e la vide rabbuiarsi in un’espressione di dolorosa rassegnazione.

“Dunque accetti?” incalzò la bionda, allentando di poco la stretta sul suo braccio.

“No.” Replicò deciso, e Ran avvertì un’altra lama affilata trafiggerle il petto. Lo sentì sospirare, e poi aggiungere, con molta meno decisione. “Io…le salverò entrambe.”

“You can’t, Cool Guy. You know that, I can feel it. [3]” Replicò dolcemente, quasi con benevolenza. “And the girls…they know that too. [4]”

Sì, quella strana donna aveva ragione. Se Shinichi fosse fuggito con la bionda, lei sarebbe morta. Se invece lui avesse cercato di salvarla, a morire sarebbe stata la bionda. Dipendeva da lui. Era tutta questione di…

“Choice” disse Sheila, come se le avesse letto nel pensiero. “Chi vuoi salvare, Cool Guy? Time’s over: make your choice…or they’ll both die. [5]”

 

      

 

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Traduzione delle parti in inglese (o quello che io intendevo quando le ho scritte, ad ogni modo. ^^”):

 

[1] No, hai ragione, angelo, ma…che posso dire? Non sono una poliziotta come le altre. Beh, in effetti, io decisamente non sono una poliziotta.

[2] Sei così scortese, Cool Guy. Adesso, dì per favore

[3] Non puoi, Cool Guy. Lo sai, posso sentirlo.

[4] E le ragazze…anche loro lo sanno.

[5] Il tempo è scaduto: fai la tua scelta…o moriranno entrambe.

 

 

Note dell’Autrice: bene, ecco un capitolo che ho ADORATO scrivere. * __ * Davvero, non c’è una parte che non mi soddisfi, e dato che è una cosa che capita piuttosto raramente (beh, più unica che rara, in effetti ^^”) mi voglio godere questo momento di assoluto appagamento, prima che qualcuno mi demolisca con una recensione. A proposito, a voi che leggete, come è sembrato? Come sempre, ci tengo alla vostra opinione, in fondo, se scrivessi solo per me stessa, eviterei di pubblicare… Ho cercato, in questo capitolo, di fondere insieme azione e romanticismo, cominciava a sembrarmi troppo schematico scrivere capitoli assolutamente privi dell’uno o dell’altro, e colmi dell’opposto. Naturalmente non posso escludere che ce ne saranno, in futuro…tutto dipende da come gira alla mia musa.^^ Comunque, posso assicurarvi che ci saranno altre scene Heiji/Kazuha e Shinichi/Ran…in quest’ultimo ho inserito anche una specie di Shinichi/Shiho, come avete visto, ma non in chiave amorosa…che posso fare, anche se non piace a molti, Ai è uno dei miei personaggi preferiti, mi piace darle qualche piccola soddisfazione! Bando alle ciance, passo a rispondere ai commenti. Grazie, ragazzi, siete i migliori!! #^^#

Ruka88: ciao! Mi spiace che Ai non ti piaccia tanto, spero che comunque apprezzerai la scena fra lei e Shinichi in questo chap. Niente di compromettente, giuro!^^”Beh, il love c’è stato, come avevo promesso, ma per scene Shinichi/Ran abbi un po’ di pazienza e fiducia: non ti deluderò! (o almeno così mi auguro ^^”)

Kiara: grazie, spero che ti sia piaciuto altrettanto anche questo capitolo. Sei molto gentile,^//^ ti ringrazio dei complimenti sullo stile, sono felice di riuscire ad appassionarti. Ran è tornata in scena, insieme a Vermouth…non me l’ero perse, tranquilla, l’avevo solo lasciate in stand-by. Esigenze di copione (okay, lo so, sto delirando - _ -“). Credo che i tuoi dubbi siano stati soddisfatti in questo capitolo…fammi sapere cosa ne pensi, ok?

Shizuka: ciao, ti ringrazio tantissimo per le lodi, mi ha fatto davvero piacere leggere la tua recensione. #^^# Sono contenta che nessuno dei miei personaggi ti sembri OOC, è un timore ricorrente quando decido cosa far fare a chi.^^; Non preoccuparti, anche Shinichi e Ran avranno i loro spazi…in questo capitolo ne ho dato un assaggio, come avrai letto. A risentirci! 

Ersilia: Grazie mille, sei adorabile.^//^ Mi farai montare la testa con tutti questi complimenti, spero di non deluderti mai, né adesso né in futuro. Credo che a quest’ora tu sia già partita per il tuo viaggio, in ogni caso ti auguro di fare buone vacanze e di divertirti…non vedo l’ora di risentirti a Settembre. Ciao!

Irene: ciao! Ti ringrazio delle lodi, sono contenta che il capitolo ti sia piaciuto, in quanto alla deduzione…beh, Irene Adler è un personaggio che adoro, amo l’idea che sia riuscita a raggirare quel maschilista patentato di Holmes (non fraintendermi: anche il detective londinese mi piace, ma quando se ne esce con certe frasi sessiste...Hmf!), perciò, quando ho letto il tuo nick, mi è venuta subito in mente. Mi auguro che la mia storia continui a essere di tuo gradimento, in quanto alle tue domande su Heiji, una ha trovato risposta nel capitolo, l’altra…la troverà! Per ora ti basti sapere che l’assalitore è un membro dell’Organizzazione, e che, come avrai già capito, non è per niente simpatico. Ran e Shinichi hanno i loro guai, e Gin non scherza…come hai detto tu, è un avversario al livello del nostro giovane detective. In quanto al soprannome di Shinichi…beh, in un volume del manga, il 27 uscita giapponese, Ran e Sonoko parlano di Shinichi con la loro insegnante d’inglese, Jodie Saintemillion, e lei esclama: “Oh! He’s so cool!”. Poi, mentre le ragazze e Conan si allontanano, dice fra sé e sé: “Bye bye, cool guy”.  Da lì in poi sia lei che Vermouth chiamano il giovane detective con quel nome, e chiaramente si sospetta che siano la stessa persona, data la somiglianza fisica e caratteriale. Se i sospetti siano fondati o meno, chissà… : p  

Akemichan: salve! In effetti, lì a Praga, casinò e sexy shop abbondavano…praticamente vedevo in giro più quelli che negozi di alimentari! In quanto alla salute, noi ci siamo tenuti su, a parte questa mia compagna di classe di cui ti parlavo, che è dovuta stare per un paio di giorni in albergo invece di girare per la città con noi, povera! Grazie dei complimenti sulla storia, spero che anche lo stile di quest’ultimo capitolo ti sia piaciuto. In effetti, l’assalitore di Heiji e Kazuha non è Vodka…lui è stato spedito da Gin a controllare le uscite del magazzino, se ben ricordi, quindi si trova all’interno, non all’esterno con i nostri due eroi, sebbene non partecipi all’azione con il suo compare, contro Shinichi. Ma che vuoi farci? Il tipo è un po’ tonto…esegue gli ordini senza pensare. Sono felice che Ai non risulti fuori dal personaggio, spero che anche le scene di questo capitolo ti piacciano.

Sita89: ciao, grazie della recensione. Mi auguro di non averti deluso con quest’ultimo capitolo, e che continui a divertirti leggendo la mia storia.

APTX4869: ciao, grazie dell’incoraggiamento! Ci sono altre scene d’azione, spero di non aver bruciato i miei standard. Oh, continua a leggere, ricevere i tuoi commenti mi fa sempre piacere.^^

Ginny85: ciao Ginnuzza, sono contenta di risentirti. ^__^ Che dire, Heiji ha avuto momenti decisamente migliori nella sua vita, ma dopotutto sono i rischi del mestiere! C’è un altro bel momento con Kazuha in questo chap (okay, ‘bello’ a seconda dei punti di vista ^^ ;), spero di aver reso il drammatico.  Ebbene sì, il tizio disgustoso che lo ha assalito è frutto del mio cervello, e mi fa davvero piacere che lo odi: io ho cercato di farlo il più detestabile possibile, in fondo fa parte della schiera dei bad guys. Se le riflessioni su Sherry ti sono piaciute, credo che apprezzerai anche quello che Shinichi le dice in questo capitolo! Cerco sempre di mettere parti carine fra loro due, nonostante la limitazione di non poter scadere nel romantico…sai com’è, il ragazzo è cotto della brunetta! E a proposito di lei, è rispuntata fuori insieme alla cara Vermouth, che ha fatto proprio un bello scherzetto al giovane detective. Vedremo come se la caverà! Un bacione, buone vacanze! Felicissima di poterti risentire al più presto. Ciao!

BPM: ciao, grazie mille!! #^^# Lo sai che sei davvero adorabile? ^//^ Sono contenta che il mio stile di scrittura ti piaccia, così come sono fiera di riuscire a trasmetterti suspanse. Mi auguro di non aver fallito con quest’ultimo capitolo. Guarda che sono io che ti devo ringraziare per lasciarmi queste recensioni, risponderti a fine capitolo è il minimo che possa fare per sdebitarmi. È così scoraggiante non ricevere alcuna gratificazione o qualsivoglia commento per il lavoro svolto… é __ è Buone vacanze anche a te, spero ti divertirai. A risentirci! ^^

Anto: salve!^^ Ti ringrazio tanto dei complimenti, mi ha fatto davvero piacere leggere la tua recensione. Addirittura un futuro come scrittrice?? Mi fai arrossire! ^//^ Mi auguro che la storia continui a piacerti, e naturalmente che il tuo computer non faccia più brutti scherzi e ti permetta di connetterti senza problemi. Anch’io ne ho avuti un po’ con il mio l’estate scorsa, un vero strazio!  Spero che anche questa scena finale ti sia piaciuta, aspetto la tua prossima recensione!    

Questo è tutto per ora, mi auguro di non aver trascurato nessuno; ringrazio ancora una volta tutti i lettori, spero che questo capitolo vi piaccia, cercherò di aggiornare al più presto il prossimo.

Bye

-Melany

  

      

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Capitolo 25
*** Choice ***


Nuova pagina 1

25.  The Choice

“Choice” disse Vermouth, con voce tanto dolce quanto minacciosa. “Chi vuoi salvare, Cool Guy? Time’s over. Make your choice…or they’ll both die.”

La donna fissava intensamente Kudo senza batter ciglio, un sorriso tenero sulle labbra rosso rubino che non si estendeva ai suoi occhi, freddi e temibili. La pistola era puntata alla tempia di Mouri, ma Ai sapeva bene che se avesse fatto anche un minimo movimento l’avrebbe centrata in pieno una pallottola sparata da quella stessa arma. Vermouth era una tiratrice eccezionale, l’aveva vista colpire bersagli ad una distanza considerata impossibile per chiunque altro. Dunque, la pistola che lei stessa impugnava nella mano lungo il fianco era pressoché inutile: se solo si fosse azzardata a puntarla, si sarebbe ritrovata stesa a terra. Sospirò, lo sguardo che passava dalla nuca di Kudo al viso teso e ansioso della sua ragazza, e un sorriso amaro le increspò le labbra: forse non era stata una grande idea invitare Mouri a unirsi a loro per quella bella serata. Sperava che Kudo se ne accorgesse prima, e che nel tentativo di salvarla e starle accanto lasciasse a lei campo libero per la sua vendetta contro Gin. Invece, le cose non erano andate come sperava: alla fine non era riuscita a uccidere il bastardo, per quanto lo odiasse, per quanto desiderasse fargliela pagare per aver distrutto la sua famiglia. Per di più, aveva messo in grave pericolo Kudo-kun, l’unico che le fosse stato di conforto da quando sua sorella se n’era andata, e aveva spinto la brunetta nelle grinfie di uno dei membri più pericolosi dell’Organizzazione. Non che avesse mai avuto rapporti con la donna in questione, si conoscevano, certo, avevano parlato qualche volta…ma Ai aveva capito subito che era una con cui non si doveva scherzare. Quella sua calma, quell’aria di superiorità che aleggiava sempre intorno a lei, quella noncuranza di tutto, come se si trattasse di un gioco, le avevano sempre fatto correre un brivido gelido lungo la schiena, sebbene non l’avesse mai dato a vedere. Vermouth era…fatale nella sua grazia. Tutta quell’eleganza, quella raffinatezza, celavano un animo perfido e crudele. Ai avrebbe mille volte preferito essere perseguitata da un assassino violento e brutale piuttosto che da lei, con quei suoi modi delicati da signora. Sembrava avesse sempre tutto sotto controllo, che nulla potesse spezzare quella sua maschera di tranquillità e superiorità: era convinta che se anche un manipolo di agenti dell’FBI avessero circondato la sua casa armati fino ai denti, Vermouth se ne sarebbe rimasta seduta placidamente sul divano a sorseggiare un Martini. Si comportava come se tutto il mondo fosse ai suoi piedi. Non che fosse stupida: conosceva i suoi limiti, sapeva bene quando poter andare avanti e quando tirarsi indietro, ma anche in ritirata riusciva a tenere la testa alta. Ai era sicura che fosse più probabile vedere Kudo diventare un serial killer piuttosto che Chris Vineyard alias Vermouth presa dal panico, magari perfino in lacrime. Lei non perdeva mai il controllo.

Chi non ne era spaventato era ovvio che non l’avesse mai guardata negli occhi. Un antico proverbio dice che sono lo specchio dell’anima, ed è vero. Per quanto i suoi modi fossero eleganti e quasi teneri, se voleva, in alcuni momenti nei suoi occhi si poteva scorgere il suo vero io. Non durava molto, lei era un’abile attrice, sapeva far riflettere in quegli specchi ciò che voleva. Ma c’era sempre quell’istante, quel minimo lasso di tempo, in cui guardandola bene si poteva scorgere la sua malignità, la scintilla sadica che albergava nei reconditi del suo animo. Il riflesso di una donna disposta a tutto per ottenere ciò che voleva, una donna che ricordava ogni sua singola uccisione senza il minimo rammarico, ma solo un una punta di gelida soddisfazione.

Una donna di cui aver paura.

Ad Ai venne la pelle d’oca solo a pensarci. Fin da quando si erano strette la mano, in quella sera di novembre di tanto tempo prima, aveva sperato che il proprio nome non finisse mai sulla lista nera di quella donna.

Ma adesso era certa che ci fosse, e marcato a fuoco, per di più. Ne era certa tanto quanto era sicura della scelta di Kudo; lo stomaco le si attorcigliò dolorosamente al pensiero, ma lo ignorò, come era abituata a fare con tutti i suoi sentimenti, e si focalizzò sulla situazione: da una parte, c’era l’amore di tutta la sua vita, la ragazza che aveva fatto breccia nel suo cuore probabilmente fin da quando aveva per la prima volta posato i suoi occhioni innocenti su di lui. Dall’altra, c’era una ragazza semi-sconosciuta, piombata nella sua vita non molto tempo prima portandosi dietro un mare di complicazioni e pericoli, dopo aver inventato la causa di tutti i suoi mali, nientemeno. Per quanto le avessero scaldato il cuore le parole di Kudo di fronte a Gin, e per quanto fosse certa che il ragazzo intendeva davvero ciò che le aveva detto, cosa che aveva fatto brillare una piccola fiammella di speranza dentro di lei, sapeva che non sarebbe stata scelta. Il sorriso amaro s’intensificò, mentre un groppo in gola le impediva quasi di respirare: Kudo non ci avrebbe pensato su così a lungo se avesse saputo che era stata lei a gettare la sua preziosa Mouri in quel pasticcio. Magari la sua rabbia sarebbe stata tanta da abbandonarla, chissà. Anche se in un  angolo remoto di se stessa ne dubitava.

Sospirò: Vermouth credeva davvero che Kudo avrebbe scelto di far morire qualcuno? Era un’illusa. Qualcun altro doveva scegliere per lui, o sarebbero potuti rimanere lì in attesa fino a farsi venire i capelli bianchi.

Fu con questa consapevolezza che si decise: avrebbe alzato la pistola, così Vermouth le avrebbe sparato, dando modo a Kudo di approfittarne e di buttarla a terra, salvando la sua amata Mouri. Era un piano perfetto. In fondo, cosa le importava? Non aveva mai fatto niente di buono nella vita, aveva lasciato che sua sorella morisse nel desiderio di salvarla, non era stata in grado di vendicarla, e adesso aveva anche messo in pericolo l’unico ragazzo che si fosse mai preso cura di lei: se Mouri fosse morta, la sofferenza l’avrebbe distrutto, non poteva permettere che accadesse. Né poteva far morire lui, non se lo sarebbe mai perdonato. Se fosse stata lei quella colpita, sarebbe stato meglio per tutti.

E forse Kudo l’avrebbe ricordata per sempre.     

Strinse i denti e cominciò a muovere il braccio, quando le parole che udì pronunciare da lui la raggelarono. Non poteva credere alle sue orecchie.

“Ho fatto la mia scelta,Vermouth”.

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Choice” disse Vermouth, con quella sua voce falsamente dolce che aveva imparato a temere. “Chi vuoi salvare, Cool Guy? Time’s over. Make your choice…or they’ll both die.”

Shinichi udì le parole di Vermouth e qualcosa morì dentro di lui. Una scelta? Come poteva essere così crudele e sadica da chiedergli di fare una cosa simile? La donna non gli staccava gli occhi di dosso, una scintilla divertita negli occhi. Non li avrebbe lasciati andare finché non si fosse deciso, non poteva evitarlo; e ormai aveva perso la speranza che la polizia o chiunque altro accorresse in suo aiuto.

Era solo.

Solo e senza la più pallida idea di come cavarsela. Anche volendo non avrebbe mai potuto decidere a sangue freddo di far morire una delle due.  Il suo sguardo si posò su Ran, e una fitta dolorosa gli trafisse il petto: vederla catturata da Vermouth era stato terribile, ma le sue parole di poco prima, pronunciate con così tanto dolore e disperazione, l’avevano colpito nel profondo. Di certo aveva frainteso la situazione, dato che non conosceva la storia di Ai, doveva aver creduto che lui preferisse catturarla piuttosto che salvarla. Ancora adesso, Ran non lo guardava, fissava un punto imprecisato del marciapiede, l’azzurro dei suoi occhi più lucido e brillante, come se…

Come se si stesse trattenendo dal piangere…

Lo odiava. Odiava vederla in quello stato, così sfiduciata, così triste, come se il mondo le fosse crollato addosso. Ma da quando era andato ad abitare con i Mouri nei panni di Conan Edogawa, aveva visto quell’espressione tante, troppe volte, rabbuiare il suo bellissimo viso. Tutto ciò che desiderava era vederla sorridere, perché Dio, era stupenda quando sorrideva, gli infondeva calore e speranza. Non importava quanto la giornata fosse stata dura, quante difficoltà avesse dovuto superare, un sorriso di lei era in grado di scaldargli il cuore, di farlo stare bene. Ricordava molti giorni in cui solo vederla gli era stato di conforto: era bello, dopo ore passate a fare in conti con crimini efferati e spaventosi, sapere di poter stare con lei, parlarle, vedere le guance soffuse di quel tenero rossore, sentire il suono meraviglioso della sua risata, osservare quei suoi occhi di quel colore così particolare.

Ti amo…Dio solo sa quanto ti amo Ran…

La amava così tanto, eppure riusciva sempre a fare la cosa sbagliata, facendola soffrire, sin da quando l’aveva piantata in asso durante il loro appuntamento per seguire gli Uomini in Nero. Se fosse rimasto con lei, riaccompagnandola a casa, assicurandosi che il delitto non l’avesse sconvolta più di tanto,

Stava piangendo maledizione, piangeva anche allora e io me ne sono andato via come se niente fosse

non sarebbe accaduto nulla. Ora lei non sarebbe tra le braccia fatali di un’assassina a sangue freddo, con una pistola puntata alla tempia. Era colpa sua. Era sempre colpa sua. Ogni lacrima che lei aveva versato in quell’ultimo anno era stato solo a causa del suo egoismo, di quella sua stramaledetta mania di ficcare il naso in affari che non lo riguardavano, disinteressandosi delle conseguenze, del dolore che poteva provocare alle persone che gli stavano attorno. Diceva di amarla, ma non lo dimostrava affatto. Se davvero provava per lei quei sentimenti, avrebbe dovuto farla felice, e non farle sempre del male. Non si meritava una ragazza meravigliosa come Ran. Lei doveva avere qualcuno che potesse starle sempre vicino, che potesse stringerla fra le braccia e confortarla se ne aveva bisogno, che potesse arrivare in tempo ad un appuntamento e farla divertire, che sapesse mantenere una promessa.

Insomma, aveva bisogno di una persona che potesse amarla come meritava, qualcuno degno di lei, che la facesse felice.

E questa persona non era lui. Non era in grado di esserlo.

Fu quando realizzò questo che le cose si fecero chiare nella sua mente: c’era un’unica scelta che potesse fare, e sperava che Vermouth mantenesse la parola. Scoccò uno sguardo alle sue spalle, verso Ai; sperava intensamente che se la cavasse. Era una ragazza in gamba, molto più forte di quanto credesse lei stessa. Aveva superato delle avversità e delle sofferenze che avrebbero distrutto qualsiasi altra persona della sua età. Lui aveva sempre cercato di aiutarla, di starle accanto, e aveva sperato di poterla salvare, di poter sconfiggere l’Organizzazione e regalarle la vita normale che si meritava. Era un’illusione, perché non avrebbe più potuto. Sperava che Ai capisse che aveva dovuto farlo, che non c’era altra scelta, e che lo perdonasse per averla abbandonata. Trascorrendo molto tempo insieme a lei, ammise a se stesso che le si era molto affezionato: sotto la scorza fredda e distaccata della scienziata, c’era una ragazza buona e degna di fiducia, una persona su cui poter contare. L’Organizzazione non l’aveva corrotta, e questo dimostrava la sua forza d’animo. Era riuscita a salvarsi da loro una volta, poteva farlo di nuovo, senza il suo aiuto. Era forte…

Addio, dunque…spero di aver fatto la scelta giusta…

Alzò la testa verso Vermouth, incontrando i suoi freddi occhi grigio-verdi, rimasti puntati su di lui per tutto il tempo. Non sapeva quanto poteva fidarsi di lei, ma sperava che lasciasse andare Ran come promesso. In fondo, aveva sempre mostrato di avere un debole per lei, per la sua ‘Angel’. Si schiarì la gola, ignorando il peso alla bocca dello stomaco, la sensazione orribile che lo stava divorando a poco a poco, e che aveva cominciato già a spolpare con gli artigli il suo cuore. Continuava a ripetersi che non c’era altra scelta, che non poteva fare altrimenti…ma chissà perché il dolore invece di cessare si intensificava ogni minuto di più, consumandolo.

Tuttavia quando parlò, la sua voce era ferma e sicura, come al solito. “Ho fatto la mia scelta, Vermouth”, disse, e vide il sorriso stirarsi sulla sua bocca in una smorfia crudele, cancellando ogni traccia di qualsiasi bellezza dal suo volto da star di Hollywood. Percepì Ai irrigidirsi dietro di lui, mentre Ran alzò la testa, guardandolo di nuovo, il viso tirato e pallido per l’ansia, gli occhi grandi ancora lucidi. Shinichi distolse un attimo lo sguardo dalla criminale per sorriderle dolcemente, cercando di rassicurarla, e lei batté le palpebre, confusa, mentre alle guance fu restituito un po’ di colore.

“Bene, Cool Guy. Allora dimmi: chi vuoi salvare, e…” lo guardò quasi con affetto “…chi vuoi uccidere?”

Shinichi abbandonò la contemplazione della ragazza che amava, e il sorriso si trasformò in beffardo quando si rivolse a Vermouth.

“Nessuna delle due”.

La donna lo guardò per un attimo sorpresa, ma si ricompose subito e sorrise: “Oh, non hai capito, allora. Tu devi fare la tua scelta.” Ripeté, dolcemente.

“E l’ho fatta.” Respirò profondamente, come a voler raccogliere tutto il suo coraggio “Scelgo me.” Disse Shinichi, gli occhi determinati, il sorriso stabile sulle labbra. Ran lo guardò inorridita, improvvisamente ancora più pallida.

“NO! Non puoi farlo!”

“Non posso fare altrimenti, Ran.” Ora la guardava di nuovo, serio, sperando disperatamente che nei suoi occhi blu lei leggesse tutto il suo amore, e capisse,  capisse che era l’unica cosa da fare.

“Scelgo me, perché non potrei vivere sapendo di aver ucciso anche solo una delle due.” Parlava con voce forte, decisa, sebbene dentro di sé fosse spaventato a morte; si rivolgeva a Vermouth, ma i suoi occhi erano fissi sulla ragazza che amava, che lo fissava incredula e terrorizzata. “Loro sono le ragazze più speciali che abbia mai conosciuto, non potrei mai permettere che accadesse loro qualcosa. Ho promesso di proteggerle, a tutti i costi.” Sorrise a Ran, un ultimo sorriso carico di amore, di sincerità, prima di spostare di nuovo gli occhi su Vermouth. “Perciò, se vuole uccidere qualcuno, uccida me. Perché se fa del male anche solo ad una delle due, me la pagherà.” Il tono ora era minaccioso ora, lo sguardo freddo.

Vermouth rise di cuore. “Really?” replicò scettica e divertita “Cosa faresti, Cool Guy? Mi uccideresti?”   

Stavolta fu il turno di lui di ridere: “Ecco il problema di voi assassini: non riuscite a capire che possono esserci cose peggiori della morte.” Scosse la testa, guardandola quasi con commiserazione. “Allora, io ho scelto. Si muove o no?”

“NO!” Esclamarono all’unisono Ran e Ai. “Stai facendo una sciocchezza, Kudo.” Continuò la bionda, il tono piatto incrinato, preoccupato. 

“Shinichi, non puoi abbandonarmi! Ti prego…” Le lacrime scorrevano incontrollabili sulle guance della sua amica d’infanzia, che lo fissava supplichevole, con quei suoi occhi meravigliosi nonostante il gonfiore. “Ti prego non farlo…”

“Poor Angel.” Commentò Vermouth, con un sospiro. “By the way, a deal is a deal. Say goodbye to the life, Cool Guy.[1]”

La pistola fece fuoco, senza un attimo di esitazione. Ran chiuse gli occhi, il suo grido disperato soffocato dal rombo assordante dello sparo, il cuore che parve fermarsi. In un secondo, le braccia della donna non la sorreggevano più, e lei cadde in terra, le ginocchia tremanti che non riuscivano più a tenerla, tutto il suo corpo scosso e invaso da un dolore tanto accecante che le sembrò di essere piombata all’inferno, nell’istante in cui quel mostro aveva premuto il grilletto. Udiva lontani singhiozzi e gemiti disperati, e solo dopo un bel po’ riuscì a capire che era lei stessa a piangere, a consumarsi di lacrime. Dio, era una sofferenza al di là dell’immaginabile, sembrò che il tempo si fosse fermato, perché lei ora non vedeva, non sentiva più nulla che non fosse un’atroce pena interiore che la dilaniava, pezzo per pezzo, senza pietà; era come se stesse lentamente e dolorosamente morendo lei stessa.

“Come hai potuto farmi questo Shinichi! Perché!?! Sei uno stupido e un egoista e io ti ODIO!” Quella voce tanto sofferente, tanto disperata, non poteva che essere la sua, bruciante di rabbia che celava solo un’orribile sensazione di sconfitta e orrore e perdita, il suo corpo tremante lì per terra, in quella notte senza luna, in quel luogo ostile e freddo.

“Please, don’t cry, Angel.[2]” Udì una voce mielosa consolarla, e tutto il dolore si trasformò improvvisamente in un’accecante furia. Si alzò, di scatto, avventandosi sulla donna che aveva premuto il grilletto, che aveva ucciso il suo Shinichi e anche lei. La colse di sorpresa riuscendo a gettarla a terra, sovrastandola. “TU! Lurida bastarda! Stronza io ti UCCIDO!!”

Riuscì a sferrarle due pugni prima che lei le bloccasse il polso e ribaltasse le posizioni, puntandole la pistola alla gola. “Calmati adesso!” Le ordinò, il tono gentile completamente sparito, gli occhi glaciali. “Devi-“ Ma prima che potesse finire fu colpita alle spalle, forte, e con un gemito soffocato di afflosciò su di lei.

Ran non aveva nemmeno la forza di togliersela di dosso. Restò lì, lacrime brucianti che le rigavano le guance senza che potesse fermarle, lasciandole una scia di fuoco sulla pelle, nel cuore solo una orribile sensazione di vuoto, e di abbandono, e di sofferenza, pura, incontrollabile, travolgente. Per quel che le importava, poteva spirare lì, in quel momento, perché ormai, era già morta dentro. Non poteva sopportare di dover affrontare una vita senza Shinichi, la realizzazione della sua morte che ogni volta le conficcava lame affilate nel cuore, il pensiero che non l’avrebbe più rivisto, che non le avrebbe più sorriso in quel modo tanto caldo e disarmante, che non le avrebbe più parlato, confortandola, standole accanto…la realizzazione che l’aveva lasciata sola. 

Qualcuno spostò la donna per lei, ma lo percepì come un qualcosa di lontano, come se non si trovasse nemmeno lì, il corpo pesante e dolorante come un’incudine rovente.

“Alzati Ran, devi darmi una mano.” Le intimò una voce familiare, che credette fosse frutto della sua immaginazione.

Non può essere altrimenti…lui è morto…Shinichi è morto…

“Ran!” Ora si sentì scuotere. Aprì gli occhi, per cancellare quel fantasma che si prendeva gioco di lei, così crudelmente, senza pietà, e si ritrovò riflessa in due occhi blu, caldi e profondi come l’oceano, che la fissavano preoccupati. Gli occhi più belli del mondo.

“Sh..Shinichi!” Gridò, improvvisamente felice, abbracciandolo, le lacrime che continuavano a cadere, mentre il corpo, ancora incredulo, continuava a tremare, la disperazione che ristagnava dentro di lei. “Shinichi sei vivo! Oddio Shinichi!” Voleva restare così attaccata a lui per sempre, sentire il profumo dei suoi capelli, il calore del suo collo, le sue braccia forti che la circondavano e la stringevano. “Ma allora ti ha mancato!” Esclamò, con voce improvvisamente squillante, carica di gioia e felicità sebbene ancora incrinata per il tanto piangere.

“Non mi ha mancato.” Rispose cupo Shinichi, e lei si staccò per contemplarlo, improvvisamente spaventata. “Cosa?”

Lui sospirò, il viso serio e triste, facendo cenno dietro la sua spalla, dove una figura in viola e grigio giaceva a terra.

“Ha mirato a qualcun altro.”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Heiji, come va? Vuoi che ci fermiamo un momento?” Chiese Kazuha preoccupata, guardandolo in tralice mentre lo aiutava a camminare. Il ragazzo le sorrise a fatica e scosse la testa. “No, è tutto okay, andiamo avanti.” Bofonchiò, il respiro affannoso.

In realtà, si sentiva tremendamente male, le pallottole nel suo corpo che sembravano ancora bruciare infiammando le ferite, da cui continuava a grondare sangue caldo e viscoso; la vista cominciava ad annebbiarsi, i muscoli sembravano indebolirsi sempre di più, sorreggendolo a fatica e costringendolo a pesare sempre di più sulle spalle di Kazuha, che sopportava senza dire una parola. Era fatta così, la sua amica d’infanzia: forte e determinata; Dio, quanto l’adorava.

Improvvisamente, sentì le guance avvampare al ricordo del bacio che si erano scambiati poco prima. Non che l’avesse programmato, o ci avesse pensato su più di tanto: aveva ripreso i sensi dopo la sparatoria e, avvolto ancora nel torpore e stordito dal dolore, aveva percepito le labbra morbide di lei sulle sue, che si muovevano, lambendole e accarezzandole in un tocco piacevole, come di seta, e al sapore di mirtilli. Rispondere al bacio era stato istintivo e meraviglioso, così come accarezzarle i capelli e incredibilmente, per quei pochi attimi, tutto il dolore e la paura erano scomparsi. Ora scoccò un’occhiata al profilo delicato di Kazuha, i suoi occhi color smeraldo, il naso a punta, le guance rosa, le labbra…e realizzò in quel momento che per lui non esisteva e non sarebbe mai esistita una ragazza più bella di lei.

Kazuha era stupenda…ma non solo fisicamente, tutto di lei lo faceva impazzire: i suoi modi bruschi eppure così femminili, il suo atteggiamento a volte strafottente, la sua bontà d’animo e la sua generosità, la lealtà che dimostrava nei confronti di tutte le persone che le erano care; quella sera stessa, sarebbe potuta scappare, salvarsi, invece aveva deciso di mettersi in pericolo, di rischiare di morire solo per lui. Lei era…grandiosa, strabiliante, e Heiji capì che l’amava, che non desiderava altro che stringerla a sé e baciarla e dimenticarsi di tutto e di tutti; capì che voleva passare il resto della sua vita con lei e nessun altra, perché in alcun modo avrebbe potuto svegliarsi la mattina senza essere salutato dal suo sorriso, andare in giro senza averla al suo fianco, che gli parlava con quella sua voce forte e squillante oppure tenera se voleva. Non avrebbe mai potuto né voluto andare a dormire senza sapere che lei c’era e sarebbe stata con lui per sempre.  

Avrebbe voluto dirle tutto questo. In fondo, lei lo aveva baciato, no? Quindi ricambiava i suoi sentimenti…eppure, una brutta sensazione si insinuò nel suo animo, al pensiero che forse, probabilmente, lei lo aveva baciato solo perché lo credeva morto, perché era tanto disperata e terrorizzata che si era lasciata andare, senza pensarci. Sapeva che gli voleva molto bene, e forse quell’atto era stato dettato solo dall’affetto, e non dall’amore.

Sospirò: avrebbe pensato a tutto questo dopo. Adesso, doveva concentrarsi solo sui movimenti delle gambe, che divenivano più difficoltosi passo dopo passo; Kazuha era irremovibile sulla decisione di cercare un rifugio per curare le sue ferite prima di cercare Kudo, e siccome era lei che teneva le redini del gioco in quel momento, Heiji non poteva opporsi. Se fosse stato per lui, si sarebbero messi all’istante alla ricerca del suo migliore amico e dopo avrebbero pensato al posto dove ripararsi: non lo vedeva da quando erano entrati in quel magazzino ed era passata un’infinità di tempo, durante il quale sarebbe potuta succedere qualsiasi cosa al detective dell’est. Magari in quel momento era in un pessimo guaio con uno dei membri dell’Organizzazione, oppure era stato ferito a morte, e sanguinava agonizzante da qualche parte, nel buio, senza che nessuno l’aiutasse, oppure era già cadavere…

Si costrinse a frenare le immagini truculente che via via scorrevano nella sua mente: disperarsi non avrebbe aiutato nessuno. Kudo era in gamba, sia come ragazzo che come detective, e probabilmente ora stava meglio di lui, magari a gongolarsi con l’ispettore Megure per la cattura di Gin e Vodka. Okay, forse stava divagando un po’ troppo nell’ottimismo, ma se non altro quelle immagini erano più confortanti di quelle del suo corpo morto in qualche vicolo…

All’improvviso, il silenzio della notte fu squarciato dal rumore di uno sparo. Entrambi si bloccarono all’istante, raggelando: non era molto lontano dal punto in cui si trovavano…

“Presto, dobbiamo seguirlo!” Esclamò Heiji, lo sguardo carico di determinazione.

 “Seguire cosa??” replicò Kazuha sgranando gli occhi e guardandolo come se fosse impazzito di colpo.  

“Andiamo nel luogo da dove proveniva lo sparo!” Insistette lui, deciso, nonostante la voce fosse soffocata.

“Dì un po’, una pallottola ti è entrata anche nel cervello?? Sarebbe come buttarsi di proposito giù da un dirupo!”

“Non capisci che potrebbe esserci Kudo immischiato?!?” ribatté esasperato. D’accordo, amava in lei anche la sua testardaggine, ma in quel momento lo stava davvero facendo infuriare. Non avrebbe mai potuto ignorare volutamente una cosa del genere, non sapendo che il suo migliore amico era da qualche parte lì intorno, magari proprio di fronte all’individuo che aveva premuto il grilletto. 

“Non puoi esserne sicuro!! Obiettò lei, cocciuta “E anche se fosse, come potresti aiutarlo se sei ridotto ad un rottame?”

“Io ho una pistola! E non è mia, ma sua!! Me l’ha ceduta volontariamente, mettendosi in pericolo, e io sarei un bastardo se adesso lo lasciassi nei guai!!”

“Ma-” cercò di dire lei, ma lui la interruppe infervorato, incurante dello sforzo enorme che gli costava parlare.

“Kazuha, io andrò lì, costi quel che costi. E se tu non vuoi venire, bene, andrò da solo!”

Cercò di liberarsi dalla sua stretta, ignorando le violente fitte dolorose che provava ad ogni movimento, ma lei lo trattenne: “No, andiamo insieme. Ma credimi se ti dico che sei un vero idiota.” Replicò lei, gli occhi che brillavano di tristezza e rassegnazione.

Lui sospirò, e lasciò che lo conducesse nel punto indicato. Dentro di sé era molto combattuto: una parte di lui voleva che Kudo non fosse implicato, che lo sparo fosse provenuto dalla pistola di un agente di polizia o di un criminale di bassa tacca; dall’altro, desiderava trovarlo, perché il pensiero che l’avesse perso, abbandonandolo a se stesso, senza la minima idea di quello che gli era capitato e che gli stava accadendo mentre lui si lasciava trascinare dalla sua amica

d’infanzia lo divorava vivo. 

“Resisti Kudo, sto arrivando” mormorò fra sé e sé, quasi senza accorgersene, così come non fece caso all’occhiata che gli lanciò Kazuha, a metà fra la compassione e il fastidio.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Signore, avere sentito?” Esordì Takagi, quando lo udirono. L’ispettore Megure si fece subito serio, stringendo le labbra sotto i folti baffi: “Sì. Dirigiamoci verso il punto da cui proveniva lo sparo, presto!” Ordinò alla sua squadra, che subito si mise in marcia, le pistole impugnate. Takagi annuì, seguendo i suoi compagni e sperando intensamente dentro di sé che Sato non fosse coinvolta: terrore e preoccupazione impregnavano il suo animo, non si sarebbe mai permesso di perderla. Lei era troppo importante, troppo speciale…

Se qualcuno si fosse azzardato a toccarla anche solo con un dito, avrebbe dovuto vedersela con lui. Chiunque fosse. Non gli importava quanto fossero pericolosi e temibili questi assassini.

 

 

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Traduzione delle parti in inglese (o la mia personale interpretazione, se vi basta):

[1] Ad ogni modo, un accordo è un accordo. Dì addio alla vita, Cool Guy. 

[2] Ti prego, non piangere Angel

 

Note dell’Autrice: ciao a tutti! Innanzitutto mi scuso umilmente per l’ENORME attesa; lo so, stavolta vi ho fatto penare davvero tanto, e mi dispiace. ; __ ; Il fatto è che dovevo prendermi una piccola pausa dalla stesura di questa fanfic, che scrivo ormai da più di un anno, per staccare un po’ la spina e riposare il cervello. Non che mi dispiaccia scriverla, tutt’altro: mi diverto un mondo, e mi aiuta a passare qualche ora in piacevole compagnia di me stessa e dei personaggi del manga che amo di più. Tuttavia, penso che qualunque maratoneta, per quanto adori correre, si ferma ogni tanto a riprendere fiato! No? ^ __ ~

Detto questo, e sperando nel vostro misericordioso perdono, passo al commento del capitolo: ahimè, non mi soddisfa pienamente come il precedente, ci sono diverse parti che non mi convincono e che mi sembrano poco scorrevoli, però ho fatto del mio meglio come al solito, per cui…Mi auguro che nessuno se la prenda per la scelta e per come è andata a finire tutta la faccenda Ai-Shinichi-Ran: accorgendomi solo dopo aver pubblicato in che razza di pasticcio mi ero cacciata con le mie mani, ho dovuto arrovellarmi il cervello disperata per trovare una soluzione. Ciò che avete letto è il risultato del lavoro faticoso delle mie rotelle, spero che ne sia valsa la pena e che vi piaccia.

Okay, mi accingo ora a rispondere ai commenti: vi amo, vi adoro, vi venero…come farei senza di voi?

Akemichan: ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto…ne vado molto orgogliosa! ^//^ Quest’altro è un pochino più zoppicante, ma spero lo stesso che non ti deluda. Non preoccuparti, ho iniziato di proposito il 24 con il flashback senza spiegare nulla per confondere il lettore, dunque la tua reazione è stata più che normale. Grazie dei complimenti, riguardo alla tua osservazione su Ran: beh, in certi momenti una è disposta a credere a qualunque cosa pur di non dubitare della persona che ama, un po’ per se stessa, per non soffrire, un po’ per lui: insomma, amore vuol dire fiducia, no? Era quello lo stato d’animo di Ran durante tutte le supposizioni su Ai e Shinichi, non del tutto obiettive e distaccate, come avrai notato. Riguardo invece all’altra osservazione, su “aveva un forte impulso a” o “…di”, devo confessarti che mi ha lasciato piuttosto perplessa; a me suona meglio come lo dico io, ma anche con il ’di’ non è male…per tagliare la testa al toro ho cercato sul vocabolario, ma purtroppo nessuno degli esempi riportati faceva al caso nostro; ho chiesto in giro, tutti quanti ne sono rimasti perplessi quanto me. Risultato: boh! Penso che vada bene scritto in entrambi i modi. Un bacione, spero di risentirti. P.s. Mi sono iscritta al concorso e ho mandato la storia. I dettagli te li ho scritti in una e-mail, controlla la posta!

Yuki: Eh sì, povera Ran! Poveri tutti e due…non gliene va mai bene una! Shinichi è molto combattuto sullo scambio, poverino, lui non vorrebbe uccidere nessuna delle due! Spero che la mia soluzione non ti deluda. In quanto alle qualità estetiche delle due ragazze... “la bellezza sta nell’occhio dell’osservatore”! Dai che anche Ai non è brutta, no? Anche se io stessa trovo più carina Ran. #^^# Grazie della recensione, sfogati pure quanto vuoi! Voglio sentire tutto ciò che hai da dire sulla fanfic.

Sita89: ciao! Felicissima che il capitolo ti sia piaciuto così tanto, grazie, mi fai arrossire con tutte le tue lodi ^//^! Spero che anche quest’ultimo sia stato di tuo gradimento e che la scelta di Shinichi ti vada a genio. Secondo me, non poteva fare altrimenti! (ma sono opinioni…) Mi raccomando, fammi sapere cosa ne pensi anche su questo, perché non sei la sola curiosa fra noi due!^^ Ci sentiamo, e scusa se ti ho fatto aspettare tanto!

Shizuka: salve! Ehm…probabilmente ora ti sembrerò un po’ stupida ma…lo sai che non ho capito la battuta? O __ O Mi ha lasciato piuttosto perplessa. Comunque, figuracce mie a parte, sono contenta che la storia continui a piacerti, e mi dispiace infinitamente di averci messo tanto a postare…spero di essere più svelta con il prossimo aggiornamento! Un bacio.

APTX4869: ciao! Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto; anche a me è mancato un po’ il romance nella mia storia, vedrai che avrà un bel po’ di spazio in seguito. Grazie della recensione, spero di risentirti! 

Anto: oh! Davvero hai pianto!? Mi dispiace un po’, certo, ma devo ammettere di essere orgogliosa di essere riuscita a scatenare una simile reazione (lo so, sono una malefica scrittrice senza scrupoli - _ -“). Ti ringrazio tanto dei complimenti, sei sempre dolcissima! #^^# Spero che il seguito non ti deluda…un bacio, a risentirci!

Kiara: ciao, ti ringrazio del commento, sei molto gentile. Mi scuso per averti fatto aspettare tanto con l’aggiornamento, spero non ricapiti più (non dipende sempre da me, lo giuro!). Dimmi cosa ne pensi della decisione di Shinichi, ok? Baci, a presto.

Lore: grazie! Beh, Ran è una ragazza forte, nonostante tutto…mi auguro che ti sia piaciuto anche questo capitolo e di risentirti presto. Bye!

Ginny85: ciao! Figurati, anche io mi scuso per l’estremo ritardo dell’aggiornamento. Sono stata felicissima di leggere il tuo commento, le tue lodi mi fanno sempre arrossire da morire! #^^# Thanks! (w Vermouth forever…e gli ospedali psichiatrici che permettono a persone come noi di girare a piede libero!). Ero molto fiera dello scorso capitolo, come si era capito, sono contenta che sia stato apprezzato. Personalmente, adoravo la parte del triangolo, quando mi è venuta l’idea mi si è acceso un qualcosa dentro…che si è spento miseramente non appena ho pensato: okay, ma come lo risolvo? Ti assicuro che ci ho riflettuto mooolto a lungo prima di prendere la decisione, cavoli, era complicato! Come vedi oltre che sadica sono masochista ( e totalmente disorganizzata e incompetente…ma lasciamo stare.)! Le considerazioni di Ran mi sono venute di getto, e anche quelle mi sono piaciute molto. Grazie ancora dei complimenti, sei adorabile!^//^  Un bacio, e perdonami per averti fatto aspettare tanto!

Ruka88: ciao, grazie mille del commento! Mi dispiace di non aver aggiornato prima, scusa; spero che la scelta di Shinichi ti abbia soddisfatto, e che continuerai a leggere con piacere. Baci, a risentirci!

_ChibiCia_: salve! Non ho parole per esprimere quanto mi abbia fatto piacere il tuo commento: sei stata carinissima! #^^# Ti ringrazio dei complimenti, sono contenta che sia la storia che la caratterizzazione dei personaggi ti soddisfi e ti piaccia: faccio del mio meglio per fare in modo che entrambe siano in linea con il manga. Davvero la storia è una delle più belle che tu abbia mai letto? Wow! Mi metti davvero in imbarazzo, grazie mille! ^//^ Prenditi pure tutto il tempo che vuoi per leggere i 25 capitoli che ho postato, sono curiosa di conoscere la tua opinione sullo svolgimento della fanfic e mi auguro che non ti deluda man mano che vai avanti. Come avrai capito, è ancora in costruzione, anche se non manca molto alla fine (*sigh*). Un bacione, spero di risentirti!

 Lily2000: ciao! Grazie mille dei complimenti, mi ha fatto piacere leggere la tua recensione. Sono contenta che la storia risulti un vero giallo, era la prima volta che mi cimentavo nel genere e avevo qualche timore ^^" . Mi scuso anche con te per il ritardo dell'aggiornamento, spero che non me ne vorrai. Oh, è NATURALE che sia stata una donna a mettere in seria difficoltà il giovane detective, che ti aspettavi? No, scherzi a parte, ho notato che nel manga i più intelligenti e in gamba sono sempre i maschi in un modo o nell'altro, perciò ho voluto far avere una rivincita all'universo femminile nella mia storia...un bacio, spero di risentirti.  

Questo è tutto per oggi. Mi scuso ancora per la lunga attesa, spero di riuscire a postare il prossimo capitolo il prima possibile, compiti delle vacanze permettendo che, come al solito, si sono accumulati tutti in questi ultimi giorni (sono proprio una studentessa coscienziosa, eh?).

Bye

-Melany

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Capitolo 26
*** Wind Of Change ***


Nuova pagina 1

26. Wind of Change

Ai giaceva stesa a terra, un cumulo scomposto di viola e grigio perla, i capelli biondi arruffati che le coprivano il viso; Shinichi si avvicinò lentamente, il cuore in gola, le viscere piene di piombo, mentre dietro di lui Ran lo seguiva in silenzio, una mano nell’incavo del suo braccio, come se avesse paura che, se avesse lasciato la presa o smesso un momento di toccarlo, lui sarebbe scomparso. Dalla sua visuale non poteva vedere il petto della giovane scienziata, dove sicuramente Vermouth aveva mirato: avrebbe dovuto avvicinarsi e voltarla. Una parte di lui insisteva perché si sbrigasse, la muovesse subito per accertarsi delle sue condizioni e salvarla in caso fosse ancora via; ma l’altra parte di lui era spaventata a morte al pensiero di poter scoprire che ormai era troppo tardi. Quante persone aveva visto morire durante la sua carriera, quanti cadaveri freddi, esangui, aveva osservato con l’occhio distaccato del detective, solo alla ricerca di indizi? E quelli erano estranei.

Nonostante avesse sempre cercato di restarne indifferente, la vista di tutti quei corpi l’aveva impressionato suo malgrado e non raramente, nelle notti in cui non riusciva a prender sonno, rivedeva  quelle immagini raccapriccianti nelle ombre della sua stanza, chiedendosi ossessivamente cosa sarebbe successo se solo fosse arrivato prima, se avesse capito tutto più in fretta, se dalla sua incapacità fosse dipesa la vita di un essere umano e la felicità delle persone a cui era caro. Insomma, se fosse stata colpa sua…se li avesse uccisi lui.

Ora, si trovava davanti alla stessa situazione, ma la persona che giaceva a terra era qualcuno a cui teneva, qualcuno che aveva promesso di proteggere e di aiutare, e tutto era infinitamente più orribile, più difficile. Non poteva sopportare il pensiero di scorgere i suoi occhi azzurri, di solito freddi, o ironici, o che qualche volta aveva visto perfino illuminarsi di gioia, svuotati e spenti come quelli di una bambola spezzata; non voleva osservare la sua pelle pallida e smorta, le sue labbra dischiuse a pronunciare un grido che non aveva avuto voce. No, non riusciva a essere distaccato come al solito, non al pensiero che, toccando il suo polso sottile, avrebbe potuto scoprirlo freddo e privo di pulsazioni.

Sentì lo stomaco attorcigliarsi dolorosamente e dovette reprimere un conato: no, di sicuro non sarebbe stato come osservare il cadavere di uno sconosciuto: lei era Ai Haibara, la ragazza che si divertiva a fargli scherzi macabri senza scomporsi minimamente quando lui si infuriava, la ragazza che era disposta a lasciare la casa del professor Agasa, l’unico luogo dove si fosse mai sentita al sicuro, per non creare problemi, la ragazza che l’aveva abbracciato in lacrime, disperata e sofferente, rimproverandogli di non aver salvato sua sorella…la ragazza che riponeva la sua massima fiducia in lui, nonostante tutti i suoi errori, ultimo questo…che forse le era costato la vita.

Ma perché, perché ha sparato a te? L’accordo era per me…cos’è successo?

Non riusciva a darsi pace; quando Vermouth aveva puntato la pistola, sicuro di essere arrivato al punto di non ritorno, lui aveva chiuso gli occhi: aveva voluto morire a testa alta, ma non aveva voluto guardare, perché la sua amica d’infanzia non avrebbe dovuto poi specchiarsi nelle sue pupille vuote e prive di vita.

No, con gli occhi chiusi, sarebbe sembrato pacifico e addormentato…

Si era aspettato di percepire per pochi decimi di secondo il dolore della pallottola che gli perforava la carne, colpendo gli organi, e poi più nulla. Invece, tutto ciò che aveva sentito era stato lo scoppio della pistola, un gemito soffocato dietro di sé, i singhiozzi e le urla disperate di Ran. Aveva aperto gli occhi, ritrovandosi davanti Vermouth che ancora reggeva la pistola contro di lui, ma solo per pochi attimi, perché la sua amica d’infanzia le era saltata addosso infuriata e lui era intervenuto. Ora non riusciva a capire: perché non era stato lui a essere colpito? Perché Ai? Avevano un accordo…

“Shinichi, chi è questa ragazza?” chiese debolmente Ran alle sue spalle, un groppo in gola.

“Si chiama A-“ si interruppe, scuotendo la testa “Volevo dire Shiho. Shiho Miyano.”

“M-ma…la donna, l’ha chiamata Sh-Sherry. Non è…una di loro?” sembrava che avesse difficoltà ad esprimersi, dopo lo shock che aveva subito, la voce ancora intrisa di lacrime, sebbene avesse smesso di piangere. Shinichi posò la propria mano su quella di lei, riscoprendola fredda e tremante, e cominciò ad accarezzargliela delicatamente con il pollice.

“Una volta lo era. Adesso sta dalla nostra parte.”

“È per questo che le ha sparato al posto tuo?” domandò ancora lei con un fil di voce, mentre i muscoli di rilassavano lentamente sotto il suo tocco.

“Non lo so.” Dichiarò sconfitto Shinichi, in un sospiro. Si staccò delicatamente da Ran, accennando ad un sorriso nella sua direzione, che gli uscì piuttosto stentato e innaturale, e si inginocchiò accanto ad Ai, il viso teso e preoccupato, il senso di nausea sempre più pressante e accentuato. Prese fra le braccia Ai, il suo corpo freddo come l’aveva immaginato, e la voltò, le viscere che si contorsero dolorosamente, il battito violento del cuore che gli rimbombava nelle orecchie.

Il viso di lei era pallido, le ciglia nere delle palpebre chiuse risaltavano contro le gote esangui; ciocche disordinate di capelli color paglia le incorniciavano il volto, che pareva profondamente addormentato, le labbra erano dischiuse, il corpo mollemente abbandonato contro il suo, una mano giaceva inerte in terra, l’indice posato sul grilletto di una pistola. Fu allora che Shinichi capì.

Capì, e ne fu orripilato.

“Oh mio Dio”  Sussurrò senza fiato, lo sguardo perso nel vuoto.

“Cos’è successo?” Chiese Ran esitante e preoccupata, accucciandosi vicino a lui e guardandolo intensamente. Il giovane detective sospirò, rispondendo senza guardarla, fiocamente, quasi stesse parlando a se stesso.

“La pistola. Lei deve aver-“ Scosse la testa, la voce che gli morì in gola. La sua amica d’infanzia, che lo conosceva meglio di chiunque altro, non insisté ulteriormente,  e gli posò una mano sulla spalla per rassicurarlo, per fargli sapere che era lì con lui, che non era solo. Shinichi le fu grato, ancora scosso per tutto ciò che era successo: perché Ai si era sacrificata in quel modo? Perché??

Avrebbe dovuto immaginare che avrebbe fatto una cosa del genere, rifletté. Avrebbe dovuto prevederlo, e impedirlo. Suo padre aveva ragione: era ben lontano dall’essere il grande detective che credeva, e che tutti ammiravano. Era un incapace, uno sciocco presuntuoso che lasciava morire le persone che gli stavano accanto incapace di muovere un dito per salvarle. Un moto forte di senso di colpa lo invase tutto in una volta, facendogli venire un capogiro mentre reprimeva l’ennesimo conato. Dio, quanto stava male.

Istintivamente, cercò con una mano quella di Ran, intrecciando le dita con le sue; aveva bisogno di quel contatto, aveva bisogno di lei, di sapere che era proprio lì, accanto a lui, che non l’aveva persa, perché Dio, sarebbe stato terribile, insopportabile. Un dolore tanto atroce che l’avrebbe ucciso.

Raccogliendo tutto il suo coraggio e stringendo più forte la mano della ragazza che amava, si mosse per premere il pollice sul polso di Ai e sentirne le pulsazioni, il cuore in gola.

In un brevissimo istante, fu come se qualcuno versasse all’interno del suo corpo un liquido tiepido e corroborante, e Shinichi si lasciò andare ad un respiro di sollievo, allentando la presa di ferro intorno alla mano di Ran, senza però interrompere il contatto e chiudendo gli occhi con un lieve sorriso sulle labbra.

“È viva” mormorò, felicemente “Grazie al Cielo è viva. Il battito è lento, ma c’è.”

“Bene.” rispose Ran con uno strano tono incolore. Ora che il momento critico era passato, Shinichi percepì le dita di lei irrigidirsi lentamente sotto il suo tocco. Si voltò a guardarla: aveva il viso pallido e tirato, due profonde occhiaie, i capelli arruffati, e nonostante ciò, gli parve bellissima. Tuttavia, c’era una strana ombra in fondo ai suoi occhi.

“Ran, che succede?” Chiese preoccupato, contemplandola, ma prima che potesse rispondergli, entrambi udirono una voce familiare che li fece sobbalzare.

“Kudo!! Mouri!! Siete qui!” la voce di Heiji era carica di gioia, anche se piuttosto affaticata e roca. Shinichi si voltò e sgranò gli occhi sorpreso e in ansia quando vide che si appoggiava faticosamente a Toyama, grosse macchie rosso scuro che impregnavano la felpa e il giacchetto jeans. Aprì la bocca per chiedergli spiegazioni ma Ran lo precedette, balzando in piedi e sciogliendosi dalla sua stretta per piombare davanti al ragazzo, il viso teso e gli occhi che scorrevano preoccupati sulle ferite. 

“Hattori-kun! Cosa…che ti è successo?”

“Oh, abbiamo avuto un brutto incontro.” Bofonchiò lui noncurante, tossendo. “Era-“

“Non puoi capire, Ran! Era un mostro perverso e schizofrenico! È stato orribile!” Esclamò Toyama col fiato corto, evidentemente affaticata dal passeggero, interrompendolo. “E a voi cos’è capitato? State bene?”

“Adesso sì.” Lo precedette ancora una volta Ran. Lui e Heiji si scambiarono un’occhiata complice che diceva chiaramente: Donne. Che ci vuoi fare?

“Ma sono stata ingannata da una falsa poliziotta e siamo quasi stati uccisi, quella ragazza, un’amica di Shinichi, è stata colpita, ma è ancora viva.” Continuò a spiegare concitatamente Ran, scuotendo infine la testa. “Dio, che serata da dimenticare.”

“Già.” Convenne Toyama con un sospiro.

“Dite un po’, dov’è questa falsa poliziotta?” Chiese Hattori con voce soffocata, guardandosi intorno. Shinichi si voltò per indicargli il luogo e fu allora che spalancò la bocca, sconcertato e allibito: la strada era vuota. Si sentì improvvisamente furioso con se stesso: concentrando tutta la sua attenzione sul corpo di Ai, non aveva badato alla criminale, che di sicuro ne aveva approfittato per fuggire. Accidenti, avrebbe voluto fargliela pagare per quello che aveva fatto, dannata bastarda.

“Se l’è data a gambe” Ringhiò, con rabbia. Si sentiva infuocare dentro, le mani strette a pugno lungo i fianchi.

“Beh, l’importante è che siamo tutti sani e salvi.” Cercò di consolarlo Ran, e lui annuì forzatamente.

“Bene” esordì, con tono autoritario, cercando di riprendere il controllo della situazione. “Adesso, dobbiamo…”

“…lasciare il campo ai professionisti.” Finì una voce per lui, e voltandosi Shinichi si ritrovò riflesso negli occhi neri e familiari dell’ispettore Megure. Strano, la vista dell’uomo gli infuse improvvisamente una sensazione di sollievo, come se fosse tornato finalmente a casa dopo anni di vagabondaggio nell’oscurità.  

“Allora non succede solo nei film, la polizia arriva veramente sempre quando è finito tutto.” Borbottò Heiji con un mezzo sorriso, guadagnandosi le occhiatacce della squadra, che furono indulgenti solo a causa delle sue ferite.

“Dovete chiamare un dottore!” Esclamò subito Toyama, lasciando andare seduto per terra con delicatezza il ragazzo, che emise uno sbuffo soffocato. “Gli hanno sparato!!”

“Anche alla ragazza!” Aggiunse Ran.

L’ispettore Megure fece un cenno eloquente ad uno degli agenti, che tirò fuori una ricetrasmittente e cominciò a parlare. Takagi, dal canto suo, si guardava intorno ansioso, lo sguardo che guizzava da una parte all’altra cercando di scrutare attraverso le ombre. Il suo viso era una maschera di preoccupazione, dolore e angoscia.

“Chi gli ha sparato?” chiese l’ispettore a Kazuha, e Heiji lo guardò storto con un misto di fastidio e orgoglio: poteva benissimo rivolgersi a lui, insomma, era un po’ ammaccato, mica morto!

“Un uomo. Non sappiamo chi è…ma posso descriverglielo.” Lo rassicurò lei, certa che non avrebbe più dimenticato quel volto terribile, quegli occhi iniettati di sangue, piccoli e spietati, quella bocca quasi priva di labbra… una faccia che avrebbe costellato molti dei suoi peggiori incubi futuri, anche se in quel momento lei ancora non lo sapeva.

“E alla ragazza?” domandò a Ran, che fece per rispondere ma stavolta fu Shinichi il più veloce. “Una donna, ma non ne conosco l’identità, né saprei descrivergliela. Era piuttosto buio. Per te è lo stesso, vero Ran?” La sua amica d’infanzia rispose al suo sguardo eloquente e speranzoso inarcando un sopracciglio confusa, ma per il resto non disse nulla su quella bugia. Sapeva bene che Shinichi non faceva mai niente se non aveva una buona ragione, e nei suoi occhi lesse perfettamente il profondo bisogno che aveva che lei gli reggesse il gioco. Dunque, anche se le parve una cosa sbagliata mentire alla polizia –perché era evidente che i due si conoscevano, da come parlavano e da come la sedicente Sheila si rivolgeva a lui, e poi lei avrebbe potuto benissimo fornire una descrizione dettagliata della donna- tacque e annuì all’ispettore, confermando la versione di Shinichi e prendendo nota a mente di chiedere spiegazioni al suo amico d’infanzia più tardi. Lui, dal canto suo, le lanciò un’occhiata di profonda gratitudine e un sorriso che le spazzarono via qualsiasi rimpianto per quella fandonia, almeno per un po’.

“Bene. In centrale vi interrogheremo tutti, così capiremo anche che cosa ci fate qui” aggiunse l’uomo con aria di rimprovero, rivolto alle due ragazze, che arrossirono vistosamente. “Adesso, state tutti accanto agli agenti, non allontanatevi e riposate.” Concluse, con una premura che era qualcosa di più che semplice prassi lavorativa: teneva davvero a quei ragazzi. Erano straordinari, coraggiosi quanto i suoi agenti più in gamba, sprezzanti del pericolo se si trattava di salvare delle vite, nonostante fossero poco più che adolescenti. Quante persone esistevano ancora così? Solo uno sciocco non l’avrebbe capito, dopo aver passato un po’ di tempo con loro.

“Mi scusi, ispettore Megure…” esordì Ran, crucciata “…sa dov’è mio padre? È lui che ci ha portato qui.”

“Oh? Kogoro è qui?” chiese sorpreso, e la vide impallidire. “Non lo sapeva?” chiese lei con un fil di voce.

“Non preoccuparti.” La rassicurò subito l’ispettore. “Manderò degli agenti a cercarlo….”

“Vado io!” Si offrì subito Takagi, con un’irruenza che non era da lui. Sembrava davvero teso e provato. “Posso andare con Chiba.” Ripeté più calmo, accorgendosi di essersi spinto troppo in là, ma per niente rammaricato. Evidentemente, rifletté Megure, voleva approfittare dell’occasione per non restare inchiodato lì e poter cercare anche la sua collega, oltre che l’investigatore. Non ne fu sorpreso: si era accorto di quanto il ragazzo tenesse a Sato, di come non la ritenesse solo una collega di lavoro. La guardava proprio come faceva lui con la sua cara moglie quando l’aveva conosciuta.

“D’accordo. Ma state attenti.”

“Vengo con voi!” Esclamò Ran, decisa. Megure scosse la testa. “No, tu resti qui.”

“Ma è mio padre!” insistette lei, gli occhi lucidi di determinazione “Ed è colpa mia se è qui!”

“Sì, ma-“

“La lasci andare ispettore.” Lo interruppe Kudo, il tono che non ammetteva repliche. “Andrò anche io insieme a loro. Con due agenti saremo al sicuro.”

Lui fece per replicare, ma chiuse la bocca e annuì sconfitto. Conosceva quello sguardo, caparbio, deciso; era lo stesso che leggeva negli occhi di Yusaku quando erano più giovani. Sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea, che avrebbe fatto di tutto per realizzarla, e in tutta onestà, preferiva che andassero con due poliziotti, piuttosto che sgattaiolare di nascosto come di certo avrebbero fatto al suo rifiuto.

Prima di raggiungere i due poliziotti e la sua amica d’infanzia, vide Kudo avvicinarsi quasi furtivo ad Hattori, posargli una mano vicino al fianco e confabulare qualcosa con lui, a voce tanto bassa che era impossibile percepire anche solo brandelli di conversazione. Vide il detective di Osaka annuire solenne, e il suo amico sorridergli riconoscente prima di precipitarsi al fianco di Ran.

Okay, saranno anche stati ragazzi eccezionali, ma in tutta franchezza, pensò Megure, alle volte aveva l’impressione che non c’era da fidarsi molto di loro.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Heiji aveva ascoltato con molta attenzione le parole di Kudo, sebbene le avesse pronunciate a voce talmente bassa che aveva dovuto tendere l’orecchio e concentrarsi per capire; sapeva cosa doveva fare, anche se, in quelle condizioni, probabilmente avrebbe avuto bisogno di un piccolo aiuto esterno. Sospirò, tirando fuori dalla tasca il marchingegno che il detective dell’est gli aveva infilato in tasca senza farsi vedere dagli agenti e spingendo i pulsanti per scrivere un messaggio al vecchio vicino di casa di Kudo, proprio come da lui stabilito: Ai è stata ferita. Parcheggi qui vicino senza farsi vedere dalla polizia e aspetti. , seguito dalla loro posizione; capiva bene perché questa mossa: la biondina doveva tenere nascosta la sua identità, e una volta in ospedale questo sarebbe stato impossibile, soprattutto considerando che era la vittima di una sparatoria. Sia la polizia che i medici l’avrebbero riempita di domande su chi fosse, cosa ci facesse lì, perché fosse stata coinvolta…senza contare che di lì a qualche ora o anche meno quella procace diciottenne si sarebbe trasformata in una bimbetta delle elementari, un fenomeno che avrebbe attirato ancora più domande del solito. Così, l’anziano dottore avrebbe dovuto prenderla con sé, proprio come avevano fatto qualche mese prima, dopo lo scontro con Gin all’hotel Haido City, e curarla meglio che poteva finché non fosse tornata piccola. Poi avrebbero potuto portarla all’ospedale e inventare una storia di sana pianta che giustificasse le lesioni. Heiji prese un respiro profondo, il dolore delle ferite ancora pulsante nel suo corpo: non poteva sperare di trasportare la bionda fino alla macchina in quelle condizioni; doveva avvalersi dell’aiuto di qualcun altro, o meglio, di qualcun’altra. Scoccò uno sguardo di apprezzamento a Kazuha: avrebbe accettato di farlo? In fondo lei non sapeva nulla di tutta la faccenda, e l’affare visto da un occhio esterno risultava piuttosto losco. Un pensiero gli attraversò la mente: Kudo doveva sapere le difficoltà che avrebbe avuto lui a mettere in atto il suo piano, ora come ora, dunque…che si aspettasse che avrebbe chiesto aiuto alla sua amica d’infanzia? Che lo accettasse?? Diamine, lui e Kazuha non erano certo ottimi amici. Anzi, era più giusto dire che non lo erano affatto. Kudo era disposto a fidarsi di lei così ciecamente? Poco credibile, tutto sommato. E se non era così, perché aveva affidato a lui quell’incarico?

Fu allora che lo attraversò un altro pensiero, che gli scaldò il cuore e gli fece dimenticare per un secondo il dolore lancinante proveniente dalle ferite: lui non si fida di Kazuha, realizzò, con un sorriso si fida del mio giudizio.

Così Kudo si fidava di lui; era una sensazione strana, ma piacevole, che lo avvolse completamente dandogli calore come una coperta di lana in una notte ventosa d’inverno. Aveva sempre avuto l’impressione che il detective dell’est, sia nel suo lavoro che per proteggere i suoi cari, si fidasse solo di se stesso. Heiji era sempre stato consapevole di questo, in fondo, l’unico motivo per cui lavoravano insieme era che lui conosceva la sua identità; e lo ammetteva, non era stata esattamente una scelta volontaria di Kudo rivelargliela, piuttosto una…costrizione. Il sorriso si dipinse di una sfumatura diabolica al pensiero di come gli aveva strappato la confessione, vedendolo sudare freddo mentre fingeva di rivelare tutto a Mouri.

Lui si era sempre dichiarato il suo migliore amico, e il ragazzo di Tokyo non l’aveva mai smentito, certo, ma nemmeno aveva sostenuto il contrario. Il suo atteggiamento era stato condiscendente e distaccato, un qualcosa da ‘lasciamolo fare’. Heiji a volte ne era stato contrariato, ma per la maggior parte del tempo aveva riflettuto che doveva essere parte del carattere: Kudo era piuttosto diffidente nei confronti delle altre persone, non permetteva a molti di vedere il suo vero io, di leggergli dentro; anzi, lo permetteva solo ad una persona, che non era certo lui. Con gli altri, si limitava ad innalzare una barriera di distaccata cortesia, quel tanto che bastava per non risultare antipatico e borioso, bensì allegro, tranquillo: un ragazzo come tanti. Beh, nonostante avesse usato lo stesso schermo con lui, Heiji sapeva perfettamente che Shinichi Kudo non era una persona comune; possedeva una grande forza interiore, un senso di giustizia molto profondo, era insomma un esempio di lealtà e onestà genuina, una cosa sempre più rara nel presente. Certo, aveva i suoi difetti, come tutti: era presuntuoso fino a risultare quasi seccante, cocciuto come un mulo, e tante altre cose che di sicuro col tempo sarebbero venute fuori. Però, era una persona disposta a morire, a perdere tutto ciò che aveva per quelli che amava, senza un attimo di esitazione, una persona che, per quanto scontato e quasi melenso, si poteva riassumere in una sola parola: un eroe.  Per questo Heiji non poteva fare a meno di ammirarlo e rispettarlo.

Aveva sempre sperato di ottenere finalmente la sua fiducia un giorno, di essere accettato al suo fianco come un vero amico...  

E forse quel giorno era arrivato: per ben due volte, gli aveva dimostrato quanto contasse su di lui: prima chiedendogli di accompagnarlo in quell’avventura, adesso affidandosi al suo giudizio.

Era una cosa che gli faceva veramente piacere, nonostante gli fosse costata qualche litro di sangue e una felpa quasi nuova…

“Kazuha!” Chiamò con voce roca, e lei si accucciò accanto a lui, seduta sui talloni con aria preoccupata. “Che c’è?”

“Devo chiederti un favore.” Tossì. Cavolo, non si sentiva per niente bene, la vista era sempre più annebbiata. Doveva parlare in fretta.

“Certo.” Rispose quella, ma lui le posò un dito sulle labbra facendole cenno di tacere.

“No. Non sarà una cosa facile, e ti sembrerà piuttosto strana. Devi promettermi che, se accetti, non farai domande, e non lo dirai a nessuno. Se accetti, dovrai solo fidarti di me.” quasi sputò le parole. Parlare stava diventando sempre più faticoso e difficile, le ferite che pulsavano dolorosamente. Kazuha lo fissò, il verde dei suoi occhi carico di ansia mista a preoccupazione e sorpresa, il viso pallido teso e concentrato.

Stava riflettendo.

Heiji ne fu soddisfatto: se avesse accettato subito, non le avrebbe creduto.

“Okay” sospirò infine, anche se non sembrava del tutto convinta “Accetto. Dimmi che devo fare, Heiji.”

Lui sorrise, e con le ultime forze rimaste, le spiegò il piano. Lei annuiva ogni tanto, aspettando paziente ogni volta che faceva una pausa per riprendere fiato, sempre più scarso, e alla fine lo guardò come se fosse impazzito. Capiva che chiedere una cosa del genere alla figlia del capo della polizia di Osaka era come guidare bendati: pieno di incognite ed estremamente pericoloso. Beh, il pericolo era il suo mestiere, pensò con un sorrisetto.

Alla fine, lei sospirò, annuendo: “D’accordo, lo farò, e senza chiederti nulla” . Heiji si lasciò andare con un sospiro di sollievo, chiudendo gli occhi.

L’ultima cosa che udì, prima di perdere i sensi, fu, in tono quasi minaccioso:  “Per ora.”

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

I due ragazzi camminavano l’uno al fianco dell’altra, Takagi davanti a loro, che avanzava concentrato, la pistola di ordinanza in mano, Chiba dietro a coprir loro le spalle, stessa arma in pugno. Shinichi le era così vicino che Ran poteva sentire il calore del suo corpo, il suo respiro calmo e controllato, e scoprì che stare accanto a lui ora le scatenava un insieme di sensazioni profonde e contrastanti, un qualcosa che la sconvolgeva dentro, mandandole scariche elettriche su per la schiena. Dio, ad ogni casuale contatto delle mani, ad ogni sfregamento dei fianchi, era come se qualcosa esplodesse nel suo cuore facendolo battere a mille, le guance che avvampavano. Si sentiva allo stesso tempo confortata e spaventata da quel tocco, da quella vicinanza: era combattuta fra tendergli una mano e allontanarsi, fra l’abbracciarlo e scappare, e non capiva perché dovesse sentirsi così…scombussolata. In fondo, era Shinichi! Shinichi, non un estraneo qualunque, uno capitato nella sua vita per caso. Era lo stesso ragazzo che le alzava la gonna quand’erano piccoli, che la rincorreva giocoso per il cortile dell’asilo, che le sorrideva con la bocca sporca di cioccolato. Lo stesso che, anche quando erano ormai cresciuti, la prendeva in giro, facendola arrabbiare, lo stesso che insisteva per convincerla ad andare a vederlo giocare a calcio la domenica mattina, che si vantava spavaldo delle decine di lettere che gli mandavano le sue ammiratrici.  

Eppure, qualcosa era cambiato. Era come se qualcosa di gelido e tagliente si fosse frapposto fra loro due. Ran cercò di convincersi che era solo l’effetto della lontananza, del fatto che era tanto tempo che non si vedevano…ma purtroppo non ci riuscì. Forse perché era una teoria che faceva acqua da tutte le parti: insomma, quando si era presentato vestito da cavaliere alla sua recita, e avevano poi passato del tempo insieme, era stato come se non si fossero mai divisi: la familiarità, il conforto, non li avevano mai abbandonati, e stare con lui era stato meraviglioso.

Ma ora, c’era qualcosa che la metteva a disagio, profondamente. Era come se sentisse che non aveva il diritto di prendersi tutta quella confidenza, il che sembrava quasi ridicolo, dato il loro passato, però…c’era quella maledetta vocina interna, che l’aveva martellata sin da quando Shinichi non si era presentato al loro appuntamento, sin da quando lui aveva infranto la sua promessa…

Se le cose fossero cambiate?

Lei era rimasta ancorata al rapporto che avevano avuto, aspettandolo, non interessandosi a nessun altro ragazzo, dando per scontato che, una volta ricomparso nella sua città e nella sua vita, tutto sarebbe tornato uguale; ma Shinichi?? Come poteva sapere quali esperienze avesse fatto lontano da lei? Le loro vite, che erano sempre andate avanti parallele, ora avevano preso ognuna la sua strada; che cosa l’aveva fatta illudere che anche il suo amico d’infanzia fosse rimasto attaccato a quella prospettiva, e non fosse invece andato avanti? Aveva di certo conosciuto altra gente, stretto nuove amicizie…la bionda ne era la prova. Le persone maturano, si allontanano...soprattutto durante l’adolescenza, il periodo della crescita. Shinichi le avrebbe sempre voluto bene, su questo non aveva dubbi, però…se ora la considerasse solo una vecchia amica, e nulla più? Una persona appartenente al passato? Dio, non poteva sopportarlo. Aveva bisogno di Shinichi, di quello che le faceva provare, guardandola come solo lui sapeva fare, parlandole come con nessun’altra…

Sospirò: le sue paure peggiori purtroppo si erano già avverate: l’allontanamento, e non parlava di quello fisico, c’era già stato. La prova era che le aveva nascosto il suo rapporto con la ragazza bionda; era molto importante per lui, si vedeva da come era stato preoccupato di perderla, da come il suo volto si era illuminato di gioia quando aveva scoperto che era ancora viva…dalla sua decisione di sacrificarsi pur di non darla in pasto a ‘Sheila’. Lei era qualcosa di più che una semplice conoscenza, avrebbe dovuto parlargliene. In passato, non c’erano segreti, fra loro due…

“Hai freddo, Ran?” Chiese premuroso il ragazzo, e solo in quel momento lei si accorse che si era abbracciata, stringendosi le mani sugli avambracci, come a voler proteggere se stessa da qualcosa –o da qualcuno-; si voltò verso Shinichi, che la fissava con gli occhi blu carichi di affetto e apprensione, in uno sguardo che, per un attimo, le cancellò ogni suo dubbio, facendola quasi sorridere.

Per un attimo.

“Uh, no; è solo che…questo posto…”

“…mette i brividi.” Finì lui per lei, leggendole nella mente con una capacità che solo un legame stretto e profondo poteva conferirgli. Lei annuì, abbassando gli occhi; avrebbe tanto voluto confidargli i suoi timori, ma aveva troppa paura di sentire la risposta. Non voleva essere lasciata alle spalle, accantonata nel passato in attesa che una delle nuove amiche di Shinichi gli chiedesse chi fosse, trovando per caso una sua foto da qualche parte, e sentendolo rispondere noncurante: ‘Solo una vecchia amica’.  

“Ran, c’è qualcosa che non va?” Chiese Shinichi esitante, a voce bassa per non farsi sentire dai due agenti. Lei sospirò, sempre fissando l’asfalto. “Sei strana…”

La rabbia esplose dentro di lei come una bomba, spazzando via i suoi timori e lei sbottò, con un sarcasmo malcelato dalla sofferenza, dalla rabbia:

“IO sarei strana!? Parla mr. Ora mi vedi, ora non vi vedi più!!” Si voltò verso di lui, gli occhi infuocati, e lo vide sussultare, disorientato e colpito. “Hai la minima idea di quanto sia difficile per me!?!” Sbraitò, la voce acuta e le lacrime che le pizzicavano gli occhi, un nodo bruciante in gola “Svegliarmi ogni giorno, sperando con tutta me stessa di trovarti a scuola, e poi rimanere costantemente delusa!? Vivere la vita di tutti i giorni facendo finta di niente, sussultando ogni volta che il telefono squilla, pregando che sia tu!? Ascoltarti ripetere che tornerai presto, sì, sicuro, e poi non vederti per mesi e mesi?!? Capire che un mucchio di stupidi casi polizieschi per te valgono più di me?!?”

“Ran, io-“

“NO! Non voglio sentire le tue solite, patetiche scuse!! Ti rendi conto cosa ha significato, dopo aver passato mesi e mesi ad aspettarti con ansia, dopo averti implorato di tornare anche solo per cinque minuti ieri e essere stata delusa per l’ennesima volta, rincontrarti mano nella mano con quella bella sconosciuta!? Lo puoi DEDURRE, grande detective?!? PUOI?!”  Scosse la testa furiosa, improvvisamente desiderando che lui non fosse lì, che non fosse mai tornato, le lacrime che scorrevano sulle guance senza che potesse far nulla. Takagi, davanti a loro, le scoccò un’occhiata depressa e preoccupata, ma per il resto finse di non sentire, lasciando loro l’intimità che avrebbe dovuto avere quella conversazione.

“Te lo dico io” sussurrò, con voce spezzata, tergendosi le lacrime con il dorso della mano. “Fa male. Fa male da morire”. Si sciolse in singhiozzi silenziosi, mentre Shinichi la guardava sofferente, incapace di fare qualcosa. Dio, poteva capire quanto fosse stato terribile, l’aveva vista giorno per giorno, nei panni di Conan, sopraffatta dal dolore per la sua lontananza, senza poter fare nulla. E adesso che era tornato Shinichi, si sentiva ugualmente impotente.

Aveva pensato che se fosse tornato adulto, le cose si sarebbero sistemate, i loro problemi risolti; ma era stata un’illusione, un miraggio effimero che si accostava più ai suoi desideri che alla realtà. Una parte della sua mente, quella fredda e razionale dell’investigatore, l’aveva sempre saputo, e l’aveva tenuto nascosto all’altra parte, quella del ragazzo innamorato. Ora, entrambe le parti accettarono con dolore questa verità, e Shinichi, vedendo la persona che amava di più al mondo piangere per la delusione, per la rabbia, per la stanchezza, si accorse che anche Ran aveva avuto la stessa illusione.

Sospirò, scuotendo la testa: era stato facile per lui prendersela solo con l’Organizzazione, con l’APTX, con Conan Edogawa…aveva alleviato un po’ il dolore ogni volta che l’aveva vista star male per lui; ma ora non poteva più ingannarsi: doveva crescere, e veramente, come Shinichi e non come Conan, se voleva sistemare davvero le cose. Affrontare la verità in tutte le sue sfaccettature, i suoi vantaggi e svantaggi.

Insomma, tener fede al motto che aveva caratterizzato tutta la sua vita da quando aveva deciso di diventare un detective.

Esiste una sola verità 

Così lei avrebbe potuto finalmente scegliere e, se voleva…lasciarlo andare.

Lui non gliel’avrebbe impedito.

Non più.   

“Ti prego, non piangere.” Mormorò implorante, senza ottenere risultati. Gli si spezzava il cuore a vederla così.

“Hai ragione…sono un mostro. Avrei dovuto dirti…di più. Trattarti meglio.” Sospirò, sconfitto. “Ma per favore, adesso non piangere più. Non è giusto che tu soffra per i miei errori. Io…ti spiegherò tutto. Ti farò capire davvero perché hai sopportato tutto questo”.

Stavolta ottenne qualcosa. Ran si voltò verso di lui, gli occhi brillanti attraverso il velo delle lacrime. “Mi dirai tutto? Niente più segreti?”

“Sì.” Annuì, grave.  “Niente più segreti. Dammi un’ultima possibilità di dirti la verità, ti prego. Potrai chiedermi quello che vuoi, e ascoltarmi, e dopo, se vorrai, potrai…decidere.

Voleva dire ‘odiarmi’, ma faceva troppo male. Non ne ebbe il coraggio, e gli rimase come un groppo in gola, impossibile da mandar giù, che gli soffocava il respiro.

“Lo so che non ho il diritto di chiederti questo, ma…ti scongiuro, dammi quest’ultima possibilità.”

Si fissarono per un lungo istante, il più lungo della loro vita. Infine lei annuì, ritornando a studiare l’asfalto. Voleva davvero parlare con Shinichi, chiarire tutto. Aveva così tanti dubbi, così tante ansie…tutte le domande che si erano affollate nella sua testa esigevano risposte; e nonostante tutto, una parte di lei si fidava ciecamente di Shinichi, era convinta che, dopo avergli parlato, lui avrebbe risolto tutto, facendole capire che ciò che aveva fatto era stato giusto e indispensabile. Quella parte che sapeva non sarebbe mai morta, non importava cosa avesse dovuto sopportare, o quanto le cose sarebbero cambiate in un futuro.  

La stessa parte che continuava a ripeterle, nonostante la scacciasse, quella teoria così assurda, così ingenua.

La stessa parte che le faceva vedere cose che non c’erano, che le faceva sentire parole tanto attese da una voce tanto gradita.

Ti amo, Ran…

Ma ora non era più il momento delle teorie e delle illusioni. Era il momento di scoprire le carte sul tavolo.

E stavolta, non l’avrebbe lasciato scappare prima di essere completamente soddisfatta.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

“Ehm, signorina Sato, è sicura che sia da questa parte?” chiese Kogoro, gli occhi neri che guizzavano da una parte all’altra della strada ombrosa e deserta, soffermandosi dolorosamente sul viottolo che la poliziotta voleva imboccare, più buio del resto a causa dei lampioni fulminati che lo costeggiavano. Sato annuì decisa e ostinata, le sopracciglia aggrottate:

“Ha sentito lo sparo, no? Dev’essere successo qualcosa. Veniva da quella parte” indicò col dito la stradina angusta facendo deglutire rumorosamente l’investigatore “Non posso individuare il punto esatto, siamo troppo lontani. Però, se ci dirigiamo in quella direzione, possiamo trovare qualche agente di polizia. Di certo saranno accorsi subito dopo lo scoppio.” Spiegò con gran sussiego, avanzando a testa alta. Kogoro dovette ammettere che aveva ragione, sospirò, si fece coraggio e la seguì: in fondo, non aveva scelta. Doveva trovare la sua bambina, smarrita chissà dove in quel postaccio, e la sua amica, anch’essa nei guai. Digrignò i denti rabbiosamente: Dio, come aveva potuto essere così stupido da accettare di portarle lì?? Per di più per una ragione così futile come cercare quel bamboccio che si credeva un detective!! Un brivido gelido gli percorse la schiena: se Eri Kisaki l’avesse saputo, di sicuro avrebbe chiesto il divorzio e poi gli avrebbe strappato la custodia della figlia; se avesse raccontato quell’episodio in tribunale, probabilmente non le sarebbero servite nemmeno le sue grandi doti di avvocato per vincere la causa.

Per adesso non voleva pensare a niente di più brutto; aveva paura anche solo a immaginare che alla sua dolce e piccola Ran fosse successo qualcosa e scacciava risoluto tutti i pensieri orribili che si affacciavano alla sua mente ogni minuto che passava, sebbene avesse il cuore stretto in una morsa e lo stomaco pieno di piombo. Era preoccupato e in ansia, tuttavia  continuava a ripetersi che sua figlia stava bene, che era una ragazza in gamba, e che probabilmente aveva raggiunto di corsa Takagi, il quale da bravo e coscienzioso poliziotto l’aveva fatta salire nella prima auto della polizia disponibile e protetta

Sì, era di certo andata così.

Dio, pregava che fosse andata così…

e non solo per Ran; non aveva dimenticato Kazuha Toyama e la sua alquanto stretta parentela con il capo della polizia di Osaka, il quale non sarebbe stato di certo entusiasta del guaio in cui l’investigatore aveva cacciato la sua unica, preziosa figlioletta. Inoltre, ammise sinceramente a se stesso che cominciava ad affezionarsi all’amica di Ran: le era sempre vicina quando aveva un problema, l’aveva consolata quando aveva pianto per il bamboccio –diamine, quanto lo odiava- e poi si vedeva che sua figlia teneva molto a lei. Sperava con tutto il cuore che entrambe stessero bene.

E sperava altrettanto intensamente di incontrare quel bellimbusto rubacuori il prima possibile, possibilmente fuori dalla portata della polizia o di chiunque altro potesse correre in suo aiuto: aveva una gran voglia di torcergli il collo come ad un pollo, era solo colpa sua se Ran aveva pianto così tanto la sera prima, se erano finiti in quel posto malfamato nel bel mezzo della notte, se lei adesso poteva essere in pericolo.

Se fosse accaduto qualcosa di grave alla sua bambina, l’avrebbe ucciso; e non era un modo di dire.

Sato, davanti a lui, lo bloccò con un cenno brusco del braccio, portandosi il dito alle labbra facendogli cenno di non aprire bocca quando lui fece per parlare. Kogoro obbedì, acquattandosi ancora di più nell’ombra, tendendo l’orecchio; comprese perché la poliziotta si era comportata in quel modo: nel silenzio della notte, un rumore sordo e costante di passi che si dirigevano nella loro direzione. Tutto il suo corpo si tese, mentre una goccia di sudore gelido gli scese dalla fronte sul bordo delle labbra strette; desiderò ardentemente di avere una qualche arma con sé, e strinse i pugni convulsamente, come sperando che comparisse magicamente fra le sue mani.

I passi si facevano sempre più vicini. Ora Kogoro poteva sentire il battito del suo cuore che gli rimbombava nelle orecchie, il sangue che pompava insieme all’adrenalina, una sensazione familiare di ansia e furore che aveva dimenticato e che adesso accostò senza difficoltà agli anni della giovinezza passati nel distretto di polizia, quando tutto ciò che voleva era catturare assassini, stringere le manette d’acciaio intorno ai loro polsi, provare il brivido dello scontro, del rischio e infine del trionfo.

Trattenne il respiro senza accorgersene mentre quelli si appressavano, lenti ma risoluti, e quando finalmente furono così vicini da mostrargli il loro volto, il fiato che aveva in gola si spezzò.

 

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Note dell’Autrice: salve!^^ Ecco qui un altro capitolo fresco fresco; uhm, credo di aver rubato il titolo ad una canzone degli Scorpions, anzi, più che un dubbio è una certezza…ma che ci volete fare? È una bella canzone e ci stava a pennello, per di più l’ho canticchiata un po’ mentre scrivevo. È abbastanza per definirlo un song-chapter? Direi di no, ma pazienza.

Okay, deliri di una che ha dormito poco a parte, torniamo al commento del capitolo: la prima parte si è praticamente scritta da sola, e spero che abbia chiarito i dubbi che erano sorti a qualcuno di voi leggendo della sparatoria la scorsa volta. Lo so, ero stata un po’ criptica, ma sapete, trattandola dal punto di vista di Ran, che in effetti ci aveva capito ben poco di tutta la faccenda, non ho potuto fare altrimenti. Le altre parti hanno richiesto un po’ più di lavoro e qualche riscrittura, soprattutto quella fra Ran e Shinichi (questi due mi faranno impazzire, un giorno o l’altro), ma nel complesso il capitolo mi soddisfa. Mi auguro che anche per voi sia lo stesso, e che l’aggiornamento sia una piacevole lettura e non una delusione. Detto questo, passo alle risposte singole, ringraziando con tutto il cuore chi continua a leggere e soprattutto chi commenta: mi aiutate davvero molto, siete grandiosi! #^^#

Shizuka: oh! Adesso ho capito la battuta. Giuro, ero lontana anni luce dalla soluzione!^^” Sono proprio tarda… comunque, ti ringrazio molto della recensione, mi dispiace che tu non abbia ben compreso la scena della sparatoria, come ho detto anche sopra, ero stata di proposito un po’ ostica. Spero che questo capitolo ti abbia chiarito le idee su quanto è accaduto. Mi raccomando, fammi sapere cosa ne pensi! Un bacio.

Yuki: ciao! Riesco a capire il tuo punto di vista, e accetto che tu possa non essere d’accordo con me per quanto riguardo la scelta di Shinichi, hai fatto bene a dirmelo. Da come la vedo io, però, Shinichi è una persona che non potrebbe mai decidere di far morire qualcuno che gli è caro, anche se non ne è innamorato; per di più lui nei confronti di Ai ha un debito immenso: ha lasciato che sua sorella fosse uccisa senza riuscire a impedirlo. Lo so che non è stata colpa sua, ma in ogni caso lui ci sta profondamente male, come si nota anche nel manga n. 18, quando lei piange e lo abbraccia. Inoltre più tardi, nel vol.24, le promette di proteggerla se avessero di nuovo incontrato l’Organizzazione. Alla luce di questi fatti, non credo che avrebbe permesso a Vermouth di farla fuori, e entrambe siamo d’accordo che non le avrebbe lasciato Ran. Dunque, non potendo salvarle entrambe, ha scelto se stesso; e la spiegazione di questa sua scelta la dice lui stesso a Vermouth nello scorso capitolo: “Ecco il problema di voi assassini: non riuscite a capire che possono esserci cose peggiori della morte.”  Ovvero: veder morire qualcuno a cui tieni senza poter fare nulla per salvarlo. Ecco, questo è il mio punto di vista; te l’ho detto, rispetto il fatto che tu possa pensarla diversamente e mi fa piacere che tu me l’abbia scritto, ma volevo comunque spiegarmi. Per quanto riguarda la sparatoria, spero che ora tutto ti sia più chiaro. Grazie del commento, spero di risentirti! Baci.

Lore: ciao, grazie mille per i complimenti, sei adorabile!^//^ In effetti cerco sempre di rendere i personaggi più umani possibile, mettendomi nei loro panni per fare in modo che le reazioni alle varie situazioni siano realistiche, così come le emozioni. I ‘personaggi etichette’ non mi hanno mai convinto… Ti ringrazio di nuovo per il gentilissimo commento, mi auguro che quest’ultimo capitolo non ti abbia deluso e che continui a leggere con lo stesso piacere. Un bacione!

Lily2000: salve! Mi fa piacere risentirti, sono contenta che la mia storia ti piaccia e ti ringrazio tanto per i complimenti: non sai che onore sia per me sentirti dire (o meglio, vederti scrivere) che questa fanfic è una possibile continuazione del mio manga preferito! ^//^ Thanks! Sei troppo buona. Spero che l’aggiornamento non si sia fatto attendere troppo (ho fatto del mio meglio, e con la scuola alle porte…brrr!) e ti auguro di superare presto il tuo blocco dello scrittore: è una cosa che manda ai pazzi, io lo so bene! Quando mi capita lo trovo tremendamente irritante, è come se una molla nella mia testa scattasse a vuoto con un sordo clang…orribile! Un bacio, a presto.

Kiara: ciao! Immagino che le tue domande abbiano avuto risposta in questo capitolo…in effetti non era nessuno degli attuali Uomini in Nero!^^ Eh eh…direi che lo sparo di Vermouth più che un atto di gentilezza nei confronti di Shinichi è stata una costrizione voluta da Ai. Grazie della recensione, come vedi questo chap è più lungo rispetto all’altro (non dipende sempre da me dove interrompere le scene, ho esigenze di copione!) spero che non ti deluda. Baci.

Ginny85: carissima Ginnuzza!^^ Non puoi capire quanto mi abbia fatto piacere leggere il tuo lunghissimo commento, sei stata davvero carina! #^^# Sono felice che la scelta di Shinichi ti abbia colpito così tanto, a me anche piaceva molto: un vero atto eroico del mio detective preferito! Non potevo mica far finire la storia senza avergli dato la possibilità di dimostrare le sue doti! Mi fa piacere essere riuscita a farti immedesimare nel dolore di Ran, ho fatto di tutto per descrivere al meglio le sensazioni che avrebbe provato se il suo amico d’infanzia fosse morto sotto i suoi occhi. Davvero ti ho quasi fatta piangere? Caspita! Beh, comunque ti ringrazio per i complimenti, cerco sempre di migliorare volta per volta l’esposizione, il linguaggio…per me scrivere è molto più che un hobby, adoro farlo! E sono ancora più soddisfatta e serena se attraverso quello che scrivo riesco a far provare qualcosa a qualcun altro. Grazie ancora per la recensione, spero che il capitolo non sia arrivato troppo tardi (prima del venticinquesimo sicuro). Come avrai letto la coppietta principale ha ancora qualche ostacolo da affrontare nel loro rapporto, chissà, forse se Shinichi glielo dicesse quello che prova invece di pensarlo soltanto…beh, vedrò quello che posso fare, ma non dimenticare che il ragazzo avrà anche il coraggio di morire per le persone a cui tiene, ma diventa un codardo se si tratta di rivelare i suoi sentimenti ad una certa ragazza. ^//^ Ti piace questo finale di capitolo? È sempre il pensiero di un (ex) poliziotto, non il tuo preferito, però… un bacione, a presto e scrivi pure nelle recensioni tutto quello che ti passa per la testa, non c’è problema!   

BPM: ciao, grazie della comprensione! Ho rimediato in velocità con questo capitolo?^^ Spero vivamente che ti abbia appassionato come quelli passati, e mi auguro di risentirti. Un bacio, ti ringrazio per il gentile commento e per le lodi.

Ersilia: bentornata! Ti ringrazio per i complimenti su entrambi i capitoli, sei stata davvero carina. Forse per te non sarà stato divertente aspettare tanto per leggerli e dopo aver avuto sotto gli occhi questo mio commento mi giudicherai una strega senza cuore, ma ti devo confessare che mi ha fatto piacere sapere che li attendevi con tanta trepidazione! Grazie! Sei un angelo. #^^# Un bacione, spero di risentirti presto.

Akemichan: ciao! Eh sì, il ventiquattro è sicuramente meglio…ma che posso farci? Simili gioielli (w la modestia!) vengono fuori una sola volta all’anno (almeno per quanto mi riguarda). Grazie per i complimenti comunque, sono contenta che la scena di Ran sia stata efficace quanto lo desideravo e che tu l’abbia trovata azzeccata per il personaggio, e riguardo alle riflessioni della bionda scienziata…uhm…tu dici? Personalmente avrei più paura ad essere sulla lista nera di Vermouth che di Ai…o almeno della mia Ai ^__~. Bene, detto questo ho un forte impulso a  concludere questa risposta (: P), grazie ancora per il commento, sei stata gentile. Baci, alla prossima.

Sita: wow! Grazie mille, mi fa davvero un immenso piacere che la frase di Shinichi ti sia piaciuta così tanto e che tu ne abbia afferrato così bene il significato. Grandissima! ^^ Dici che “le cose sono andate come dovevano andare”?? Perché, tu volevi che fosse colpita Ai?? Povera biondina! é __ è Non essere spietata! Ti ringrazio ancora per le lodi che mi fai, sono felice che la mia storia ti appassioni e mi auguro che sia così fino alla fine, ormai prossima. Un bacione, a presto.

Ruka88: ciao! Come meno male che non è morto nessuno per quel che ti importa?? Povera Ai-chan! Sei crudele! Scherzo. ^__^ Grazie della recensione, spero che il capitolo ti piaccia. Un bacio.

Con questo anche per oggi ho terminato: qua e là nel capitolo troverete riferimenti a episodi avvenuti nel manga, i volumi sono sempre gli stessi quindi evito di rifare la lista. Ringrazio ancora tutti i lettori, mi raccomando, se avete qualcosa da dire, criticare, commentare in qualunque modo fatelo! Sono sempre aperta a qualsiasi chiarimento o spiegazione. Onestamente non so quando potrò aggiornare il prossimo capitolo, con l’inizio della scuola ricominceranno gli impegni e il 24 settembre partirò per andare in Spagna per due settimane. Farò del mio meglio per aggiornare qualcosa prima di tale data, in caso non ci riuscissi, mi scuso con tutti.  

A presto ( o meglio, al prima possibile)

-Melany

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Capitolo 27
*** Cards On The Table ***


Nuova pagina 1

27. Cards On The Table (Prima Parte)

Non appena Heiji perse i sensi, Kazuha prese un respiro profondo, raccogliendo più aria possibile, e strillò forte, liberando tutto in una volta il fiato che aveva in gola. Subito gli agenti si voltarono tesi e in allerta, correndo verso di lei con le pistole in pugno:

“Che è successo?” Domandò serio uno di loro, la voce dura e raspante.

“L’ho visto!” Disse lei affettando un tono spaventato e disperato, gli occhi lucidi. “L’uomo che ha sparato a Heiji…era laggiù!” Indicò col dito tremante una strada avvolta nell’oscurità, esattamente nella parte opposta al luogo dove giaceva la bionda.

“Ne sei sicura?” Intervenne l’ispettore Megure, seguendo con sguardo preoccupato la direzione del dito.

“Sì!”

“D’accordo allora.” Fece cenno agli altri agenti, che annuirono, pronti e con le armi puntate. “Ricordate: attenzione. Potrebbe non essere solo.” Aggiunse a bassa voce, mentre cominciavano a  muoversi.

Kazuha li osservò con un misto di pietà e rassegnazione, sentendosi vagamente in colpa. Non capiva proprio perché Heiji le avesse chiesto di fare una cosa del genere, e non ne era entusiasta, ma dentro di sé sapeva bene che non avrebbe potuto negargli nulla, almeno non vedendolo in quelle condizioni, non mentre la fissava con quei suoi occhi profondi e imploranti,  parlando come se estraesse dolorosamente ogni parola dalla gola come fossero lame, non dopo che, anche solo chiedendole di farlo, aveva dimostrato di fidarsi ciecamente di lei.

Non dopo quel bacio.

Si sentì avvampare e scosse la testa, sperando di riuscire a riprendere la calma e a far rallentare il suo cuore che ormai batteva all’impazzata. Non doveva distrarsi! Non doveva pensare a quanto era stato bello, sentire le sue labbra sulle proprie, il suo respiro caldo, le sue dita che le accarezzavano amorevolmente i capelli…

Okay, meglio fermarsi. Se avesse continuato ad assecondare gli ormoni in quel modo tutto il suo piano sarebbe andato in fumo: doveva agire in fretta. Con un sospiro si distrasse forzatamente da quei pensieri così dolci e piacevoli, scoccò un ultimo sguardo benevolo al ragazzo che giaceva a terra e si alzò, lanciando occhiate furtive ai poliziotti concentrati nella direzione opposta. Riuscì con un po’ di fatica a prendere in braccio la ragazza, sperando che l’uomo di cui le aveva parlato Heiji fosse il più vicino possibile: nonostante fosse più forte di molte ragazze della sua età, praticando l’aikido, non avrebbe resistito per molto, non dopo aver già trascinato il suo amico d’infanzia per quasi un chilometro. La biondina sarà anche stata più leggera, era vero, ma essendo svenuta gravava completamente contro di lei, negandole anche quel piccolo aiuto che Heiji era riuscito a darle, strascicando i piedi mentre lo sorreggeva.

Si dirigeva col fiatone verso il retro di una delle case, fermandosi ogni tanto per riposare, la fronte imperlata di sudore, per poi riprendere strenuamente. Se non altro, pensò con un sorrisetto, per quel mese poteva rinunciare alla dieta: stava bruciando un sacco di scomode calorie. Durante una delle pause contemplò il viso della sconosciuta: era molto pallida, ma a parte questo sembrava placidamente addormentata. Non le sembrò di averla mai vista, e si chiese con blando interesse quali fossero i rapporti di Kudo-kun con lei: Ran aveva affermato distrattamente che era un’amica del ragazzo, ma da come aveva pronunciato quelle parole e dal fugace lampo di sconforto che aveva attraverso il celeste dei suoi occhi, Kazuha aveva intuito che c’erano volumi interi di frasi e pensieri che le labbra di lei avevano preferito tacere. Dopotutto, Ran non le aveva mai parlato della biondina, dunque era molto probabile che fosse venuta a conoscenza della sua esistenza non molto prima di lei, e poteva capire quanto dovesse essere terribile venire a sapere che il ragazzo che amava e che aspettava da tanto tempo con ansia aveva conosciuto una ragazza così bella e non gliene aveva mai parlato. Di sicuro si sentiva…tradita. Non c’erano altri termini per descriverlo, sebbene il dolore e l’angoscia che ne derivavano dovessero essere cupi e profondi come un baratro, pieni di sfaccettature laceranti che colpivano e straziavano il cuore.

Povera Ran-chan.

Per la seconda volta nella serata provò un forte moto di astio nei confronti di Kudo, e sbuffò, aggrottando la fronte seccata: un giorno o l’altro avrebbe proprio dovuto fare un bel discorsetto a Heiji per scoprire cosa diavolo ci trovasse di tanto straordinario in quella specie di egoista megalomane che era il signor Shinichi Kudo.   

Finalmente, dopo un tragitto che le parve lungo centinaia di chilometri, scorse un’automobile piuttosto piccola e antiquata, accanto alla quale un vecchio baffuto, dai lunghi capelli boccolosi e soffici come il cotone che gli ricadevano sulle spalle, attaccati ad una testa calva –Kazuha ebbe una vista veloce dello scienziato pazzo di “Ritorno al futuro”, ma svanì come era arrivata: lo sguardo dell’uomo che aveva davanti era molto più dolce e mite, niente a che vedere con gli occhietti vispi dell’attore- aspettava con aria preoccupata e tesa. Non appena la scorse, le corse incontro precipitosamente, prendendo in braccio con un singhiozzo soffocato di sforzo il corpo esile della ragazza, gli occhi che non abbandonavano per un attimo la ferita sanguinante adombrati di sincera paura e preoccupazione, e la adagiò con estrema delicatezza sul sedile posteriore.

“Oh, Ai-kun, perché l’hai fatto? Perché?” mormorò, le labbra contratte. Kazuha si accorse che per quel che importava all’uomo poteva essersi auto-distrutta una volta portato a termine il suo compito e si schiarì la gola, più rumorosamente del dovuto, richiamando la sua attenzione. Che diamine, non si era mica fatta tutta quella sudata per niente!

Il vecchio parve essersi riscosso da un brutto sogno:

“Oh, signorina! Grazie di averla aiutata. Ehm…”

“Mi chiamo Kazuha Toyama.” Si presentò lei, più brusca di quanto volesse. Per rimediare, gli tese la mano e sorrise. “Sono un’amica di Heiji Hattori. Che sarebbe…”

“Lo so, lo conosco.” Tagliò corto lui, profondamente agitato, gli occhi che continuavano a tornare sulla figura accoccolata sul sedile mentre si stringevano la mano. “Io sono Hiroshi Agasa, un amico di Shinichi.”

Così il vecchio conosceva Heiji; strano, non gliene aveva mai parlato. Un pensiero fugace le attraversò la mente: perlomeno non ha i capelli biondi e un seno promettente.

Si rimproverò automaticamente, sentendosi in colpa nei confronti di Ran.

“Ha bisogno di cure. Perché non volete portarla all’ospedale?” chiese curiosa, aggrottando la fronte. L’amico di Kudo-kun fece un sorriso forzato e balbettò:

“E-ecco, mia nipote…non sopporta gli ospedali! Potrebbe avere uno…shock molto violento se la portassi lì.”

Kazuha sgranò gli occhi incredula, inarcando le sopracciglia, e l’uomo aggiunse precipitosamente:

“È la verità! È una fobia patologica…ce l’ha da quando aveva otto anni”.

“Oh.” Commentò la ragazza di Osaka, annuendo. “Mi dispiace.”

Il vecchio fece un lieve cenno di assenso e dedicò di nuovo tutta la sua attenzione alla ragazza, dandole le spalle.

“Ti manda Shinichi?” chiese, senza voltarsi, e prima che potesse rispondere aggiunse: “Ti ha detto che devo aspettarlo o posso andare via con Ai-kun?”

“Non lo so…ma penso che Kudo tornerà con un’auto della polizia.” Disse lei con una scrollata di spalle. Lui la osservò attraverso le tonde lenti degli occhiali e di nuovo sorrise, mite.

“Credo che andrò, allora. Ai ha bisogno di stendersi in un luogo sicuro e tranquillo dove possa occuparmi di lei. Grazie di tutto, signorina.”

Kazuha lo osservò salire in macchina e allontanarsi, lasciandosi dietro una scia di fumo grigio-azzurro. Era ancora un pochino perplessa riguardo la spiegazione datale dall’anziano signore, ma onestamente non le interessava più di tanto. Tutto quello che voleva in quel momento era tornare da Heiji, stare al suo fianco finché non si fosse sentito meglio, e…

Di nuovo le guance sembrarono infiammarsi, incespicò nei propri piedi mentre tornava indietro, riuscendo per pochissimo a non cadere.

Cavoli, era stato un bacio meraviglioso.

Ogni volta che ci pensava non poteva fare a meno di sentirsi emozionata, felice. Non ricordava di aver mai vissuto un momento più bello nella sua vita. Il suo primo bacio…e non era stato uno qualunque a darglielo, era stato Heiji.

Heiji.

Heiji l’aveva baciata.

Lei aveva baciato Heiji.

Dio, non faceva altro che ripeterlo nella sua mente, quasi per convincersi che fosse successo davvero, che non era stato solo frutto di un’immaginazione vivida o di un sogno bellissimo. Lei e il ragazzo che amava con tutta se stessa si erano baciati. Il cuore le batteva forte, ricolmo di una gioia infinita.

Una volta arrivata, si ritrovò davanti il volto furibondo dell’ispettore Megure:

“DOVE TI ERI CACCIATA?!” sbraitò, gli occhi infuocati. Doveva essere un tentativo per spaventarla, ma il povero ispettore ignorava che in quel momento nulla avrebbe potuto turbarla. Cavoli, sarebbe potuto spuntare un drago gigante a tre teste da dietro una delle case e tutto quello che avrebbe provato lei sarebbe stata curiosità mista a sorpresa.

Era troppo felice per provare qualsiasi cosa di vagamente negativo.

“Ehm…mi sembrava di aver visto…” Megure la fissò interrogativamente, torvo, e lei scosse la testa, facendo ciondolare la coda dietro la testa, legata dal nastro blu mirtillo che proprio lui le aveva regalato. “Niente, lasci perdere. Scusi, non accadrà più.”

L’uomo aprì la bocca, a quanto pareva con l’intenzione di farle una predica, ma all’ultimo secondo rinunciò e sospirò, annuendo e indicando col dito l’ambulanza dietro le sue spalle, che solo in quel momento Kazuha notò.

“Hanno già caricato Hattori e gli stanno fornendo assistenza. Hai visto l’altra ragazza per caso? Sembra scomparsa.”

L’ispettore Megure sembrava piuttosto sconfitto e provato, e per un attimo lei ebbe la tentazione di dirgli la verità: “No” rispose invece; non poteva deludere il suo amico d’infanzia, e gli aveva fatto una promessa.

“Posso salire anch’io sull’ambulanza? Vorrei stare accanto a Heiji.”

“D’accordo.” Acconsentì Megure, pensando che se se ne stava lì buona non si sarebbe più allontanata. Non poteva permettersi di metterla in pericolo, quella sera aveva già collezionato una serie di disastri: avevano perso i giovani detective, uno di loro era stato ferito a morte, una delle sue poliziotte migliori era ancora dispersa, una testimone ferita gravemente si era volatilizzata sotto i suoi occhi e lui e la sua squadra non erano riusciti ad arrestare nessuno, né in effetti ne avevano avuto la possibilità, visto che a fronteggiarli erano stati solo quegli adolescenti.

Sospirò afflitto, calcandosi il cappello sulla fronte e chiedendosi avvilito se non fosse ora di appendere il distintivo al chiodo e lasciar fare ai ragazzi più giovani.

Kazuha salì sull’ambulanza, osservando un po’ in disparte mentre un paio di medici curavano il suo amico d’infanzia, disteso su un lettino, gli aghi della flebo che gli spuntavano dal braccio inerte.

Aveva detto a Heiji che non gli avrebbe fatto domande…almeno per quel momento; ma una volta che si fosse ristabilito, avrebbero dovuto fare una bella chiacchierata.

E di sicuro non solo riguardo alla bionda.

 

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Accadde così in fretta che il suo cervello non riuscì a rendersi conto di quello che era successo finché non fu tutto finito. Tutto ciò che sapeva era che stava parlando con Ran, quando all’improvviso qualcosa si era avventato su di lui, spingendolo violentemente contro il muro di una delle case e premendolo lì, intorno a lui voci diverse e confuse che protestavano allarmate, mentre alla nuca un dolore pulsante testimoniava l’urto del suo cranio contro il cemento. Quando riaprì gli occhi, che aveva chiuso per istinto, si ritrovò riflesso in due pupille nere come carboni ardenti, che lo fissavano con odio misto a disprezzo.

Kogoro Mouri.

Cavoli, non l’aveva mai visto così infuriato, sebbene vivesse con lui ormai da quasi un anno e fosse capitato spesso che la sua versione rimpicciolita, Conan, mettesse a dura prova la pazienza dell’investigatore. Deglutì rumorosamente, scrutandolo con attenzione per capire se voleva parlargli o semplicemente ucciderlo.

In entrambi i casi, era davvero nei guai.

Sono giorni come questi che mi fanno pensare che farei meglio a restarmene a letto...

TU!” Kogoro aveva quasi sputato la parola. “Chi diavolo ti credi di essere!? Eh!?!

Nonostante fossero a pochi centimetri, l’investigatore stava urlando. Ora, dietro quella maschera di furia ribollente, Shinichi poté scorgere qualcos’altro, nelle pozze scure dei suoi occhi: paura, preoccupazione, angoscia.  Fu così che comprese che quella notte non era stata orribile e difficile solo per loro: Kogoro doveva essere stato costretto per qualche motivo a separarsi dalla figlia, e doveva aver vissuto ore d’inferno nel tentativo di ritrovarla. Naturalmente, tutta quella tensione era esplosa improvvisamente quando l’aveva visto, capro espiatorio di tutta quella situazione, causa del dolore di sua figlia.    

Ma perché Ran e Kogoro sono qui??

Prima che potesse ipotizzare una risposta a quella domanda, ricevette uno scrollone e dovette rifocalizzarsi sulla minaccia incombente che gli stava davanti. “Allora!?”

“Papà!” Intervenne Ran, avvicinandosi. “Non c’è bisogno…”

“Zitta! Con te faccio i conti più tardi.” Sbottò brusco, smettendo di fissarlo torvo per un breve istante.

“Ehm, Mouri-san…” Stavolta era stato Chiba ad intervenire. Takagi, per qualche motivo, era totalmente distratto, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla figura di Sato, che contemplava come se fosse la cosa più bella che avesse mai visto, un angelo appena sceso dal paradiso: gli occhi del poliziotto si erano illuminati e il viso era divenuto d’improvviso più sereno e rilassato, quando l’aveva scorta uscire dalle ombre, sana e salva.  Sato, da parte sua, gli sorrideva riconoscente, uno strano luccichio nello sguardo.

“Si calmi, la prego” continuò Chiba, posandogli una mano sul braccio “È stata una serata difficile per tutti noi.”

“Per colpa sua” Ringhiò Kogoro, squadrando Shinichi con rabbia.

Aveva visto giusto, dunque. Eppure non era stato lui a farli venire lì, aveva avvertito solo la polizia e Heiji. Perché Ran, Kogoro, Toyama e Ai lo avevano raggiunto??

Sapeva che, data la situazione, era meglio che tacesse, ma la sua mente investigativa chiedeva risposte. Perciò domandò, con il tono più neutro e calmo che riuscisse a confezionare:

“Perché credi che sia colpa mia, Mouri-san?”

“Perché è la verità!!” Replicò lui, scrollandolo di nuovo. “È a causa tua che Ran è voluta venire qui! Sei tu che l’hai messa in questo guaio! Tu che la prendi in giro e la fai piangere e la costringi a fare sciocchezze come allontanarsi di notte da sola, qui!!”

“Papà!” Intervenne di nuovo Ran “Shinichi non mi ha costretto a fare un bel niente; lui non è responsabile delle mie decisioni. Non sapeva nemmeno che fossi qui stasera!”

“E allora tu come facevi a sapere che lui c’era?” Ribatté Kogoro, per nulla convinto. Proprio una bella e interessante domanda, rifletté Shinichi.  

 “Beh…” Ran parve titubante “..me l’ha detto una persona.”

“CHI?” chiesero i due investigatori, adulto e adolescente, all’unisono.

La ragazza distolse lo sguardo piuttosto a disagio. “Ehm…in realtà non lo so con certezza.”

“Come sarebbe a dire??” Chiese Kogoro, spostando la sua furia su Ran, che proseguì, sempre senza guardarlo:

“Beh, era una donna. Mi ha contattata per telefono, sembrava sapere molte cose su Shinichi e me.”

“Dunque tu mi stai dicendo” esordì Kogoro in un tono tutt’altro che rassicurante “che ti sei precipitata qui perché una completa sconosciuta ti ha detto di farlo??”

“Ehm…sì.”

“Ma come ti è saltato in mente!?” gridò Kogoro, e Shinichi annuì.

“Tuo padre ha ragione, Ran! Poteva essere una trappola, sei stata un’incosciente…” Si bloccò quando lo sguardo di lei si posò su di lui, celeste bruciante di dolore e tristezza.

“Io non l’avrei fatto se tu fossi stato sincero con me!!” Replicò, con voce incrinata, le labbra che tremavano come se si stesse trattenendo dal piangere. “Ma l’unico modo che ho per vederti a quanto pare è rischiare la mia vita!!”

Shinichi sospirò, distogliendo gli occhi da lei con aria colpevole e mortificata. Kogoro guardò dall’uno all’altra, imbronciato, poi mollò la presa su Shinichi con uno sbuffo.

“Qualsiasi cosa stia succedendo fra voi, risolvetela. Sono stanco di tutta questa situazione.” Borbottò cupo, allontanandosi con le mani in tasca.

“Era quello che avevamo intenzione di fare.” Gli assicurò Ran, con uno sguardo significativo a Shinichi.

“Bene, che ne direste di tornare dal capo?” Esclamò Takagi, la voce squillante che stonava con la tetraggine del luogo e dell’atmosfera. Tutti annuirono, seguendolo. Il poliziotto si avvicinò a Sato, e mormorò con le guance color porpora, evitando di guardarla:

“Sono contento che tu stia bene.”

Lei gli sorrise:

“Grazie. Ma non credo che starò altrettanto bene dopo la strigliata che mi prenderò dall’ispettore Megure!”

 

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“Accidenti, qui intorno è pieno di sbirri” Si lamentò Gin, la mano stretta intorno alla ferita sanguinante. Quella troia di Sherry gli aveva fatto un male d’inferno con quella dannata pistola. Se solo fosse riuscito a metterle le mani addosso…

“Almeno tu non sei stato sforacchiato come Scotch” cercò di consolarlo Vodka, meritandosi un’occhiata da gelare il sangue.

“E tu? Dove diavolo ti eri cacciato?” ringhiò il biondo.

“A sorvegliare l’altra uscita, come mi avevi ordinato.” Si giustificò, sudando freddo; sapeva bene che quando Gin era di pessimo umore era meglio lasciarlo stare.

“Calma, calma ragazzi” udirono ammonirli una voce melliflua. Entrambi si voltarono, vedendo emergere dalle ombre il corpo sensuale ed elegante di Vermouth, che avanzava sui tacchi delle scarpe firmate. “Non è il caso di prendersela.”

“Dove ti eri cacciata, bellezza?” Gli chiese Gin, aspro. “Mi avrebbe fatto comodo un aiuto da qualcuno con un  po’ di cervello.” Scoccò un’occhiata crudele a Vodka, che non replicò. Non avrebbe raccolto le sue provocazioni solo per dargli qualcuno con cui prendersela.

Non era poi così stupido come Gin credeva.

“A divertirmi un po’ per conto mio.” Rispose dolcemente “I had a good time, really; but then…[1]” sospirò, lasciandosi andare contro il muro di una delle case. “Sherry ha rovinato tutto.”

“È lei che ti ha colpito?” Domandò il biondo; al suo occhio esperto non era sfuggito il modo affaticato con cui Vermouth si muoveva, sebbene lei cercasse di nasconderlo. La conosceva bene: sapeva vedere attraverso i suoi travestimenti e i suoi atteggiamenti affettati. Lei gli sorrise.

“Actually, no. I shot her, my dear.[2]” rispose, con gelida soddisfazione. Gin ricambiò il sorriso, cingendole la vita con il braccio non impegnato a tamponare la ferita e sfiorandole il fondoschiena con le dita.

“È per questo che mi piaci, bellezza. L’hai uccisa?” Chiese, un luccichio avido e spietato negli occhi. Vermouth si liberò della sua stretta con un movimento fluido e replicò: “Credevo che quell’onore lo volessi per te.”

In realtà non era sicura di averla uccisa; la violenta reazione di Cool Guy non le aveva dato il tempo di accertarsene. Sorrise: forse aveva un po’ esagerato a metterlo alla prova con la faccenda della scelta; e lui, che era pronto a sacrificarsi pur di lasciar vivere le due ragazze…un vero cavaliere! Era quasi commovente…caro, dolce, ingenuo Cool Guy. Quanto amava giocare con lui!

“E tu, mio caro, chi ti ha ridotto così?” domandò, scoccando un’occhiata alla ferita grondante di sangue. Gin sbuffò.

“Shinichi Kudo, quel moccioso-detective che credevo di aver sistemato al Tropical Land. E’ stata una vera sorpresa ritrovarmelo davanti, credevo che il suo cadavere ormai fosse cibo per i vermi.” Ringhiò.

Vermouth ostentò un’espressione neutra e distaccata, ma dentro di sé regnava la sorpresa: così ora Gin sapeva che Cool Guy non era morto. Interessante. La situazione stava avendo delle svolte davvero allettanti.  

“Ora non posso fare niente a causa dei piedipiatti, ma vedrete” sorrise crudelmente “Impegnerò tutte le mie forze nel rintracciarlo. E quando lo rivedrò, gliela farò pagare, a lui e alla sua troietta bionda.”

Vermouth annuì. Niente in contrario, se le fosse stato permesso di partecipare alla partita. Cosa che inevitabilmente sarebbe accaduto: per quanto Gin fosse intelligente e arguto, era pur sempre un uomo…e lei sapeva bene come manovrarlo per ottenere ciò che voleva. Inoltre, doveva essere presente per preservare il suo angioletto da ogni pericolo: quella sera stessa l’aveva scortata per impedire che qualcun altro dell’Organizzazione, quel pedofilo cavernicolo di Scotch ad esempio, le facesse del male; e per quanto riguarda la scelta…andiamo, era sicura che Cool Guy non avrebbe mai mandato a morire la sua preziosa amica d’infanzia.

Angel doveva restare fuori da tutta quella brutta faccenda. Se fosse morta, chi le avrebbe spalancato le porte del paradiso?

“Andiamocene, ora.” Ringhiò Gin, avviandosi verso l’automobile nera, che si confondeva con il cielo buio. Vermouth lo seguì senza fiatare; era stata una lunga notte, e aveva bisogno di riposare:

Non poteva certo comparire nel servizio fotografico di Fashion Magazine con le borse sotto gli occhi.

 

To be continued…

 

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Traduzione delle parti in inglese:

[1] Mi sono divertita, davvero; ma poi…

[2] In effetti, no. Io ho sparato a lei, mio caro.”

 

Note dell’Autrice: Ciao a tutti!^^ Per prima cosa mi scuso per l’ENORME attesa. Non ho potuto scrivere per un sacco di tempo a causa di impegni vari: il viaggio in Spagna, che al ritorno mi ha costretto a lavorare sodo a scuola per recuperare (nessun rimpianto comunque, ne è valsa la pena. È stato uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto in tutta la mia vita ^__^), l’influenza che ho preso una settimana fa, col mal di gola che mi porto ancora dietro... Una vera sfortuna, insomma. Mi scuso quindi se vi ho fatto aspettare tanto, e siccome mi dispiaceva lasciarvi a bocca asciutta per altro tempo ancora, ho deciso di dividere in due parti questo capitolo: la prima eccola qui, fresca per voi. La seconda la scriverò il prima possibile.

Ho preferito fare in questo modo così da non farvi attendere altre settimane senza darvi da leggere nulla; il prossimo chap, che sarà intitolato “Cards on the Table, Seconda Parte” sarà dedicato in massima parte (se non interamente, non ho ancora deciso) a Ran e Shinichi. Farò del mio meglio per pubblicarlo il prima possibile.

Detto questo, passo a ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto e commentato. Siete carinissimi, #^^# davvero, e vi ringrazio di cuore per la vostra pazienza:

Akemichan: ciao carissima! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, spero che questo non sia da meno (anche se in effetti si tratta di metà capitolo ^^”). La parte di Shinichi e Ran piaceva anche a me, e non vedo l’ora di scrivere il loro confronto. Spero che i prof e gli impegni me ne diano l’occasione il prima possibile! Ti dirò, Ai non si è sparata da sola, è stata Vermouth. Però, Sherry le ha puntato contro l’arma in modo che lei la colpisse, così da salvare Shinichi. Probabilmente è stata colpa mia se non l’hai capito, devo essermi spiegata male ^^”. Comunque, se non sbaglio, Ai lo pianificava all’inizio del capitolo 25. Un bacione, spero di sentire ancora i tuoi commenti!

Ruka88: ciao! Sì, era Ai ad essere stata colpita. Detto questo… ti prego, non uccidermi!! Ho fatto del mio meglio per l’aggiornamento, lo giuro!! Ti prometto che scriverò la “confessione” di Shinichi a Ran il prima possibile! Abbi compassione di una povera studentessa sovraccarica di compiti, per di più col mal di gola. Grazie ancora del commento.

Yuki: eh sì, finalmente Ran si è ribellata! Vedrai che non lascerà in pace Shinichi finché non saprà tutto. Ai poverina è stata ferita, quindi in effetti resterà in disparte nel prossimo capitolo. Mi auguro che questo chap non ti abbia deluso, ricordati che è solo una parte del capitolo che avevo in mente all’inizio. Un bacio, a risentirci!

Lore: ciao! Un grazie dal profondo del cuore per il tuo commento! Davvero trovi la mia ff migliore del manga/anime?? Sei adorabile!^//^ Ma non esagerare, potrei montarmi la testa. Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e di risentirti ancora.

Vichan: ciao! Grazie mille per aver letto e commentato tutti i capitoli che ti eri persa…sei davvero gentile. #^^# Mi ha fatto piacere sentirti dire che ti sono piaciuti e soprattutto sono felice che tu abbia giudicato le scene fra Heiji e Kazuha eccezionali: da un’amante della coppia di Osaka come te, nonché scrittrice di “Heiji e Kazuha” e del suo sequel…non posso che sentirmi onorata!^^ Ti ringrazio, quindi, per i complimenti e anche per la considerazione sugli spazi: rileggendo mi sono accorta che hai ragione, in effetti non mi soffermo più di tanto nella descrizione dell’ambiente. Questo perché preferisco di gran lunga l’interagire dei personaggi e l’interiorità (adoro l’introspezione!), mentre per quanto riguarda i luoghi…beh, la loro descrizione mi annoia. Quindi li ignoro, per la maggior parte delle volte (che professionalità, eh?). Comunque, mi rendo conto che può apparire scomodo per il lettore, quindi ti prometto che da oggi in poi ci farò più attenzione, ok? Per quanto riguarda le scene passate, se vuoi ti scrivo un’e-mail in cui ti spiego come me le ero immaginate, non c’è problema. Un  bacio, a presto!  

Ginny85: ciao carissima! I tuoi commenti mi arrivano sempre dritti al cuore…come farei senza di te?? Sono felicissima che la mia storia ti piaccia così tanto, e di riuscire a farti provare quelle sensazioni. Spero tanto di non deluderti mai! Anche io adoro quella canzone, per questo ho colto al volo l’occasione di inserirla nella mia storia, sebbene non sia una song-fic. Grazie grazie grazie per i complimenti sul mio stile di scrittura, sei un tesoro, #^^# non sai quanto apprezzi le tue considerazioni! Mi dispiace di non poterti ancora far leggere la grande confessione di Shinichi alla sua bella…ma vedrai, farò del mio meglio perché questo accada il prima possibile! E tranquilla, nessuno di noi qui si auspica che Ran decida di dimenticarlo, quindi metti giù quell’arma, Ginny, prima che qualcuno si faccia male! Non so se nel prossimo capitolo, ma sicuramente anche la coppietta di Osaka avrà il suo spazio per chiarirsi. Un miliardo di scuse per non aver aggiornato prima della partenza, mi dispiace, ma proprio non ci sono riuscita! Un bacio!

Kiara: Ehi, quante domande! Innanzitutto ciao. Credo che il capitolo ti abbia aggiornato sulla sorte di Kogoro…per quanto riguarda la frase “Gli attuali Uomini in Nero” mi hai fraintesa…intendevo Ai, che è stata una dell’Organizzazione, ma che attualmente non lo è più. Tranquilla!^^ Mi auguro che questo capitolo ti sia piaciuto, e mi scuso anche con te per la lunga attesa. Cercherò di migliorare con il prossimo. Davvero ti sembra che sovraccarichi troppo di sentimento i capitoli? Uhm…non so, a me non sembra (ma sono diversi punti di vista)! Cerco sempre di equilibrare azione e romance. A risentirci!

Sita: ciao! Non capisco perché a tanti non piaccia la piccola scienziata…io la adoro (anche se non si direbbe, visto che le ho sparato). Poverina, in fondo non è colpa sua se le piace Shinichi. Comunque hai ragione, sarebbe potuto capitare di tutto in quella scena, io stessa non ero sicura di come sarebbero andate le cose finché non le ho scritte (^^;). Grazie mille dei complimenti, sei dolcissima, ^//^ spero di non averti delusa con questo capitolo. Ti prometto che cercherò di scrivere al più presto il seguito, così avremo finalmente il confronto fra Ran e Shinichi! Un bacione, a presto.

Lily2000: ciao! Ti ringrazio tanto del commento, sono felice che tu abbia apprezzato tanto lo scorso chap. Anche a me era piaciuto molto scriverlo!^^ Mi scuso per non aver soddisfatto la tua curiosità riguardo alla coppia principale della storia, cercherò di rimediare il prima possibile, promesso. Un bacio.

Laira: ciao! Che bello conoscere un’altra fan di Detective Conan!^^ Grazie mille della recensione: ho apprezzato molto l’attenzione con cui hai commentato ogni particolare, dallo stile di scrittura, alla caratterizzazione dei personaggi… non posso che sentirmi lusingata e contenta leggendo quello che hai scritto, soprattutto considerando che viene da un’amante del manga/anime! Thanks!#^^# Sei semplicemente adorabile. Sono sollevata di non essere caduta nel patetico con le scene romantiche, spero di non rovinarmi nel finale, dove di romance ce ne sarà un bel po’. ^^” Anche io non sopporto le storie scritte in stile sms, piene di “nn, x, xké” ecc. Una cosa è adottare questi stratagemmi per risparmiare caratteri, così da poter dire più cose in un solo sms (lo faccio anch’io), un’altra è farne il proprio stile di scrittura anche fuori dall’ambito del cellulare. E’ simbolo di trascuratezza, sono d’accordo con te. Ti ringrazio ancora della recensione, spero di risentirti, e mi scuso anche con te per il ritardo e per il capitolo “spezzettato”. Rimedierò, sta’ tranquilla!

APTX4869: salve, grazie dei complimenti! Cercherò di fare del mio meglio anche con il prossimo capitolo! Un bacio.

BPM: ciao! Mi dispiace, ma credo che dovrai restare sulle spine ancora per un po’. Ma non è colpa mia, te l’assicuro! Anche io non vedo l’ora di scrivere la scena clue della storia con Shinichi e Ran, ma il destino mi è avverso (che paroloni, eh?). Pazienta ancora un po’, vedrai che non ti deluderò (spero). Un bacio, a risentirci!

Shin_17: ciao, ti ringrazio tantissimo del commento!^^ Non preoccuparti, non ho intenzione di smettere (almeno non in un futuro prossimo). Spero di non averti deluso con questo capitolo.

Reiko: eccoti accontentata, ho aggiornato. ^__^ Non è il capitolo intero, ma purtroppo ho avuto un po’ di problemi ultimamente. Abbi ancora un po’ di pazienza e potrai leggere la scena della confessione, promesso.

Kyo-chan: grazie di cuore della recensione, mi hai imbarazzata con i tuoi complimenti, sul serio! Sei stata dolcissima.#^^# In effetti la storia è una Shinichi/Ran, adoro questa coppia, e da quanto ho capito, piace molto anche a te. Non perderti il prossimo capitolo dedicato proprio a loro due (okay, sembrava uno spot pubblicitario scadente. Non farci caso - __-“)! Oh, anche la coppia di Osaka avrà un altro momento tutto per sé. Ti ringrazio ancora del commento, spero di risentirti! Ciao!

Kari1: ciao, mi ha fatto piacere leggere la tua recensione, sei stata carinissima. Grazie delle lodi e dell’appoggio, mi auguro di non deluderti mai proseguendo nel racconto. Mi dispiace di non aver potuto proporti qualche momentino dolce fra Ran e Shinichi o Heiji e Kazuha in quest’ultimo capitolo, rimedierò nel prossimo, contaci.^^ Un bacio, a presto!

Con questo è tutto. Mi auguro di non aver dimenticato nessuno, nel caso, fatemelo sapere, ok? È che sono un po’ scombussolata in questo periodo. +__+ Farò del mio meglio per aggiornare al più presto, vi giuro che ritaglio ogni momento libero per scrivere. A risentirci quindi, con la seconda parte del capitolo 27!

Un bacio,

-Melany

 

         

 

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Capitolo 28
*** Cards On the Table (2) ***


Nuova pagina 1

28. Cards On The Table (Seconda Parte)

In your eyes…

La polizia stava ancora perlustrando le vie alla ricerca di qualche membro dell’Organizzazione, purtroppo con scarso successo. Shinichi sospirò: probabilmente gli Uomini in Nero erano ormai lontani. Gli bruciava da morire non essere riuscito a catturarli, ci era andato così vicino…aveva creduto che parte dei suoi guai si sarebbero risolti quella notte, ma i fatti lo avevano smentito; chissà quando avrebbe avuto un’altra occasione di fronteggiare quei bastardi.

Senza contare che ora Gin sa che sono ancora vivo…

Già, quello era un grosso problema; di certo avrebbe cominciato a cercarlo molto presto, si prospettavano tempi duri. Sebbene l’aspetto di bambini delle elementari avrebbe protetto lui e Ai per un po’, non poteva dimenticare il pericolo che correvano tutte le persone che in qualche modo erano collegate a Shinichi Kudo, a cominciare dalla sua amica d’infanzia.

Scoccò un’occhiata alla ragazza in questione, che se ne stava con le spalle appoggiate al muro, lo sguardo cupo perso all’orizzonte in chissà quali pensieri.

Non avrebbe mai permesso che le accadesse qualcosa. Il solo pensiero dell’incubo che doveva aver passato quella notte per avere la possibilità di vederlo gli stringeva dolorosamente il cuore. Dolce, coraggiosa, leale Ran.

La amava davvero tanto.

Era una ragazza meravigliosa, nelle situazioni critiche sapeva trovare in sé la forza di affrontare qualsiasi ostacolo, senza paura; ricordava il coraggio e la determinazione che aveva dimostrato gettandosi da quel palazzo in fiamme, mentre lo teneva fra le braccia, oppure la perspicacia e il sangue freddo con cui aveva maneggiato la bomba messa da quell’architetto folle. Per tutta la sua vita, Shinichi non aveva fatto altro che cercare di proteggerla, di preservarla dal pericolo, da quel mondo orribile e corrotto che lui conosceva fin troppo bene; ma la verità era che Ran non era il cucciolo indifeso che poteva sembrare, anzi. La sua dolcezza e bontà d’animo non le impedivano di essere una delle donne più forti che avesse mai conosciuto.

Per questo era arrivato il momento di dirle la verità. Dopo quello che aveva passato e sofferto, Ran se l’era più che meritato. Inoltre, ora più che mai era sicuro che avrebbe saputo affrontarla.

Ma la verità è che l’hai sempre saputo, non è vero Shinichi?

Sospirò, annuendo alla voce nella sua testa così simile a quella di suo padre, e che possedeva la sua stessa capacità di metterlo di fronte a verità scomode. Era vero. Una parte di lui ne era stato consapevole fin dall’inizio: non era solo per proteggerla che le aveva tenuto nascosto il suo segreto, la sua doppia identità, ma soprattutto perché aveva paura.

Paura che lei lo lasciasse andare.

Paura che, messa di fronte alla possibilità di continuare a frequentare un ragazzo imprigionato nel corpo di un bambino, senza alcuna garanzia che un giorno potesse tornare normale, lei scegliesse qualcun altro. Una persona che potesse renderla davvero felice, una persona con cui sarebbe potuta uscire a prendere un gelato o a vedere un film senza rischiare la vita a causa di un’Organizzazione di cui non aveva nemmeno mai sentito parlare.

Contemplò con un sorriso triste il profilo di lei, così delicato, così perfetto, quei capelli che le ricadevano sempre sulle spalle in una cascata scura che ora si muovevano leggermente cullati dal vento, quegli occhi di quel celeste così intenso, ora incupiti da un’ombra dolorosa, quelle labbra ben disegnate, dischiuse: l’idea di perderla lo pietrificava ancora, lo spaventava oltre l’immaginabile; ma se l’amava veramente, doveva smettere di essere egoista e pensare alla felicità di lei sopra ogni altra cosa, anche a costo della propria sofferenza. Adesso l’aveva finalmente capito e accettato.

Per questo si erano allontanati dalla moltitudine di agenti in tumulto, fino ad un angolo riparato dove poterli osservare senza che fossero visti, un posto tranquillo dove poter parlare. Ran non aveva detto una parola da quando si erano scontrati con Kogoro, ed era sicuro che stesse aspettando che lui cominciasse. Shinichi prese un respiro profondo ed esordì, con una voce insicura che a stento riconobbe come sua:

“Ran…”

Lei si focalizzò su di lui, guardandolo con aria solenne, negli occhi un piccolo barlume di speranza e….fiducia.

“…sai chi sono gli uomini con cui ci siamo scontrati questa notte?”

“Non sono gli stessi con cui ho avuto a che fare ieri? Quelli con i nomi in codice di alcolici?” Domandò esitante, lui annuì.

“Ma tu mi avevi detto che non dovevo preoccuparmi, che te ne saresti occupato da solo senza bisogno di aiuto. Era una bugia?” Chiese, con voce incrinata, mentre un lampo di delusione attraversava il celeste dei suoi occhi. Shinichi sospirò.

“Sì, era una bugia. Volevo tranquillizzarti, e mi è sembrata la scelta migliore.” Si giustificò, lei lo fulminò con lo sguardo, il dolore ancora impresso nel fondo dei suoi occhi:

“Ah sì?” replicò astiosa, le sopracciglia aggrottate.

“Sì, ma sono stato stupido. Non avrei dovuto ingannarti.” Disse abbassando lo sguardo, un groppo in gola che gli impediva quasi di respirare.

“Già, non avresti dovuto.” Replicò lei, e la durezza della sua voce gli ferì il cuore.

Non odiarmi Ran…ti prego…

“Ma il fatto che il Grande Detective ammetta di aver sbagliato è un evento eccezionale, quindi immagino di poter soprassedere.” Si permise di guardarla e lei gli concesse un lieve sorriso, che gli scaldò il cuore, colmandolo di una gioia immensa, e lo costrinse a ricambiare subito, risollevato.

 “Grazie.” Mormorò sincero, e lo sguardo di lei si addolcì un pochino.

“Sono gli stessi che abbiamo incontrato al Tropical Land, giusto?” Ad un cenno di assenso di lui, continuò: “È da quel giorno che ti danno la caccia, vero?”

“Sì. Quella sera ho visto uno di loro, il più basso, si chiama Vodka, estorcere del denaro ad un trafficante di armi. Purtroppo non mi sono reso conto che il suo complice, Gin, era dietro di me, e mi ha colpito facendomi perdere i sensi. Non ricordo molto di quello che è successo subito dopo, ero sotto shock, ma li ho sentiti discutere sul fatto che non potevano spararmi per non attirare l’attenzione della polizia. Così, mi hanno fatto ingoiare una capsula con un veleno che avrebbe dovuto uccidermi e mi hanno lasciato lì.”

Per tutto il racconto, il viso già pallido di Ran era sbiancato ulteriormente, lo sguardo si era tinto di una sfumatura preoccupata, e Shinichi si affrettò ad aggiungere, con un sorriso aperto e rassicurante:

“Sta’ tranquilla, non è successo niente. Altrimenti non sarei qui, ti pare?” lei annuì, ma sembrava ancora piuttosto scossa all’idea.

“Te l’avevo detto che se avessi continuato ad impicciarti degli affari della polizia ti saresti messo nei guai!” mormorò, il tono a metà fra il rimprovero e l’ansia. “Shinichi, ti rendi conto che saresti potuto…oh Dio” scosse la testa, chiudendo gli occhi, il viso ancora pallido come un lenzuolo. Lui la guardò preoccupato, anche se un piccolo angolo del suo cuore provò una sensazione di piacere, di cui si vergognò profondamente, al pensiero che Ran fosse così sconvolta all’idea di essere arrivata tanto vicina a perderlo.  

“È vero, ho rischiato di essere ucciso.” La vide sussultare lievemente alla parola, e subito continuò: “Ma non è successo. Sono salvo e sto bene. Quindi smettila di preoccuparti per qualcosa che non è mai accaduto!”

“Però potrebbe accadere.” Replicò lei, con voce sepolcrale “Loro sono ancora contro di te”.

“Ran , quando ho deciso di diventare un detective sapevo che avrei corso dei rischi.” Affermò, determinato. “È una cosa che ho accettato molto tempo fa, credimi.”

“Ma io no!” Gridò lei, perle di lacrime che cominciavano a formarsi sulle ciglia. “Io non voglio vivere ogni giorno con il terrore che possa succederti qualcosa! Non posso!!”

“È per questo che non ti ho mai detto niente.” Rispose lui cupo, distogliendo lo sguardo da lei. Vederla piangere gli spezzava il cuore. “Non volevo che affrontassi tutto questo.”

Seguì un lungo silenzio.

Una folata di vento gelido gli sferzò il viso, mentre osservava senza realmente vederle due foglie secche che danzavano sull’asfalto polveroso. Udì la voce dell’ispettore Megure dire qualcosa ai suoi agenti, le parole trascinate via da lui come quelle foglie per terra. Improvvisamente, si accorse di avere freddo.

“Shinichi?” la voce di lei era flebile e incrinata. Lui si focalizzò su di lei, il viso bellissimo ancora pallido, gli occhi velati di quello che sembrava senso di colpa.

“Scusami. Hai ragione tu, io ho insistito per sapere…e devo pagarne le conseguenze.”

“Non scusarti.”  

La tua unica colpa è avere un cuore troppo grande, amore mio. Non scusarti per essere quello che sei, non scusarti di essere una persona meravigliosa…

“Devo. Se ti ho chiesto di dirmi tutto è perché voglio essere al tuo fianco, per offrirti il mio sostegno, Shinichi. E se per farlo devo…devo sopportare l’idea che tu possa…” prese un profondo, tremante respiro  “m-morire…va bene, allora.”

Non sembrava andare bene, dal modo in cui lo aveva pronunciato. Comunque, lui le sorrise dolcemente, riconoscente per le sue parole. “Grazie, Ran.”

Lei ricambiò il sorriso debolmente e per qualche altro minuto, nessuno dei due parlò. Shinichi la contemplava, un istinto forte ad abbracciarla che purtroppo doveva trattenere. Lei voleva risposte; e lui sapeva bene quanti altri segreti dovessero essere svelati quella notte, prima che potesse permettersi di tirare un sospiro di sollievo.

Ran esordì, con un sospiro: “Così il veleno non ha funzionato, ma loro ti credevano morto; se avessero saputo che eri vivo e vegeto, avrebbero ricominciato a cercarti. È per questo che non sei potuto tornare alla vita di sempre, volevi nasconderti e intanto indagare su di loro. Non è così?”

Shinichi rimase di sasso, squadrandola con circospezione e una sorta di timore reverenziale, cosa che la fece sorridere: “Che c’è? Credi che non sappia fare qualche deduzione anch’io?” lo sfidò, guardandolo altezzosa e divertita. Lui rise lievemente.

“No, scusa, è che…non me l’aspettavo.”

Risero, e per un momento ci fu di nuovo la complicità, l’amicizia, il clima disteso che sembravano aver smarrito. Per un momento, tutte le bugie, le difficoltà, le paure, vennero accantonate, e rimasero solo loro due: Shinichi e Ran. Come se il passato si fosse affacciato sul presente portando con sé l’affetto e il calore di due persone unite da un legame imprescindibile, cancellando tutto ciò che poteva minacciarlo, lasciando solo loro due, gli stessi bambini che si baciavano sulla guancia e dormivano insieme nelle notti più fredde.

Shinichi e Ran.

La considerazione gli riempì il cuore di felicità: il suo rapporto con Ran era una delle costanti della sua vita che non avrebbe mai voluto perdere, non importa cosa fosse successo. Era bello potersi di nuovo lasciar andare, anche solo per un attimo, dimenticare le difficoltà che quel mondo adulto gli aveva riversato contro, tornare alla spensieratezza e alla semplicità dell’infanzia. Odiava l’idea che una nuvola nera stesse oscurando il cielo limpido che li aveva accompagnati per tutta la vita, fino a quel maledetto giorno al Tropical Land, il giorno in cui tutto era iniziato, in cui la tempesta li aveva assaliti.

Incontrò lo sguardo di lei e subito capì che doveva aver pensato la stessa cosa.

Ma la realtà e il presente erano lì, e non potevano ignorarli. Non a lungo.

“Se mi avessi spiegato subito la situazione, avrei evitato di insistere ogni volta perché tornassi.” Esclamò lei dopo qualche secondo, avvilita, con tono di scusa.

“Non importa, Ran. Ti capisco. Purtroppo, tutte le persone a conoscenza del mio segreto sarebbero state in pericolo, e io non volevo che ti succedesse qualcosa. È anche per questo che ti ho tenuto all’oscuro di tutto, fino ad oggi.”

“Ma a qualcuno l’avrai pur detto, no?”

“Sì.” Sospirò, aspettandosi la domanda seguente, che non tardò ad arrivare.

“A chi?”

“Al dottor Agasa, quasi subito. È stato lui a convincermi a mantenere il segreto. Ma non prendertela con lui, Ran, ha cercato sempre solo di aiutarci. Poi sono stato costretto a dirlo anche ad Hattori.” il tono s’indurì, colorandosi di una sfumatura di fastidio. Ran inarcò le sopracciglia perplessa. “Costretto?

“Sì, ma lasciamo perdere.” Sbuffò lui, incrociando le braccia. Il ricordo gli bruciava ancora. Non che si fosse pentito della confessione, molto spesso Hattori gli era stato utile, e doveva ammettere che era un amico fidato e leale, però…

“Immaginavo che loro due sapessero qualcosa, soprattutto Hattori-kun. Nessun altro?” Domandò lei pressante, dando voce ai suoi timori più reconditi. Poco prima non gli era sfuggito il tono geloso e risentito con cui aveva descritto il suo comportamento con Ai, e aveva l’impressione che il fragile clima disteso che erano riusciti a raggiungere si sarebbe ben presto deteriorato. Per un momento ebbe la tentazione di mentirle, ma subito la scacciò: aveva promesso di essere sincero, e non voleva tradirla di nuovo.

Sospirò, preparandosi a subire il colpo:

“No, ehm…lo sa anche Shiho Miyano. Sai, quella ragazza bionda che è stata ferita.”

La bomba era stata sganciata. Guardò con timore il viso di lei e restò folgorato, sebbene se lo aspettasse, dalla sua espressione di gelida rabbia, dai pugni stretti che le ricadevano lungo i fianchi, ma soprattutto dalla sofferente realizzazione che si celava nel fondo dei suoi occhi.

“Davvero? Beh, sono contenta che durante questo periodo così difficile tu abbia potuto contare sul sostegno di qualcuno a cui tenevi, di qualcuno che ritenevi all’altezza di sopportare il peso del tuo segreto.”

Esclamò, il tono tutt’altro che contento, le sopracciglia aggrottate e le labbra strette.

“Così, mentre io ero all’oscuro di tutto, tu e lei avete potuto affrontare insieme questa situazione. Com’è la vostra storia, Shinichi? Se non sbaglio anche lei fa parte dell’Organizzazione, la donna l’ha chiamata Sherry…cos’è, l’hai salvata dalla corruzione e dal male, rimettendola sulla buona strada, e nel frattempo fra di voi è sbocciato l’amore?”

Era un fiume in piena, impossibile da arginare. Shinichi provò a giustificarsi ma lei lo interruppe, continuando con lo stesso tono acceso e ferito: “Scommetto che non hai nemmeno detto alla polizia la verità sul suo conto. Strano, perché a me hai sempre ripetuto che, anche se a commettere un delitto fosse stata una persona che conoscevi, l’avresti comunque denunciata. Lei è forse l’eccezione che conferma la regola, è speciale?”

“Shiho ha lasciato l’Organizzazione di sua volontà, Ran.” Spiegò lui pacato, approfittando della sua pausa per riprendere fiato. “È venuta da me a chiedermi aiuto, e sapeva già la verità sul mio conto. Ne era a conoscenza perché è l’inventrice stessa del veleno, e sapeva che non era letale.”

Ran lo guardò gelida, mormorando astiosa con una punta di sarcasmo: “Ah, inventa anche veleni!? Andiamo bene.”

Shinichi ignorò il suo commento, proseguendo:

“Se la lasciassi andare, verrebbe uccisa, per questo non ho detto nulla ai poliziotti. E, Ran, ti assicuro che fra me e lei non è ‘sbocciato’ nessun amore. È vero, tengo molto a lei, ma non la amo. Piuttosto, sento di avere un enorme debito nei suoi confronti.” La sua voce si era rattristata, aveva abbassato lo sguardo, e la sua amica d’infanzia, accorgendosi della sua profonda angoscia, ne fu addolcita, e chiese cauta in un mormorio: “Come mai?”

“Molto tempo fa, seguendo un caso, sono arrivato troppo tardi per salvare una persona, che è stata uccisa proprio dall’uomo chiamato Gin. Lei è…” la voce si spezzò, bloccata da un groppo in gola, e Shinichi strinse i denti, con un sospiro. Ran si avvicinò a lui, prendendogli delicatamente la mano, e lui la strinse, accarezzandola con il pollice.

“…è morta fra le mie braccia, Ran, perché io non ho sono riuscito ad aiutarla. Quella ragazza era la sorella di Shiho, l’unico componente della famiglia che le fosse rimasto, e l’unica persona che le avesse voluto veramente bene.”

Un altro sospiro, il groppo in gola sempre più doloroso, bruciante, come il peso sul suo cuore, che non gli aveva dato pace da quella orribile notte.

“Capisci, Ran? Se solo fossi stato più svelto, se solo avessi capito prima…lei sarebbe ancora viva. Ora devo a tutti i costi impedire che lo stesso accada anche a Shiho.” Concluse deciso, una scintilla di determinazione negli occhi blu.  La sua amica d’infanzia annuì.

“Ho capito. Ma non è stata colpa tua, se lei è morta. Sono sicura che hai fatto del tuo meglio.” cercò di consolarlo, lui annuì con aria assente, senza guardarla.

“Mi dispiace di aver pensato male di te.” Aggiunse lei con tono di scusa, stavolta lui la guardò, sorridendo rassicurante.

“Tranquilla, non potevi saperlo. Probabilmente anch’io avrei reagito allo stesso modo, al tuo posto.”

Nessuno dei due lasciò la mano dell’altro, e Shinichi ne fu sollevato: incredibile quanto calore e sostegno riuscisse a infondergli nel cuore un gesto così semplice, se fatto da Ran.

Prese nella sua anche l’altra mano di lei, ed ora si ritrovarono uno di fronte all’altra, a pochi centimetri di distanza.

“Shinichi, perché non hai permesso che descrivessi all’ispettore l’aspetto di quella Sheila?” domandò curiosa, senza ritrarre le mani, cosa di cui le fu grato.

“Non potevo farlo. Mi sarebbe piaciuto vederla dietro le sbarre, ma…” un profondo, penoso sospiro: “…non posso permetterlo. Primo, non so a quanto servirebbe, lei è molto astuta e credo che possegga i mezzi per togliersi dai guai, con un falso alibi, ad esempio. Secondo, Vermouth conosce il mio segreto, se le facessi una cosa del genere, lo rivelerebbe a tutti.” sorrise amaro a se stesso “Per quanto mi costi ammetterlo, mi tiene in pugno”.

“Ma Shinichi, dopo stasera ormai l’Organizzazione saprà che sei vivo, dunque…”

Poi lui fece qualcosa che la sorprese, lasciandola senza fiato: avvicinò il suo viso a quello di lei e le posò un tenero bacio sulla fronte, lasciando la presa sulle sue mani per cingerle la vita, stringendola in un caldo abbraccio. Ran sentì il suo cuore riempirsi di tepore, e appoggiò la testa sulla sua spalla, quasi istintivamente, chiudendo gli occhi e provando una profonda sensazione di protezione e sicurezza. 

“C’è un’altra cosa che devo ancora dirti.” Sussurrò, un mormorio carico di malinconia e rassegnazione. La sua mano le accarezzava teneramente i capelli. “Qualcosa che cambierà….tutto, fra noi.”

Lei alzò la testa, lo sguardo preoccupato che risaltava sulle guance dipinte di un intenso rossore. Quelle parole l’avevano colpita: cosa intendeva dire? Che i suoi timori fossero reali, che lui non tenesse più a lei come una volta?

“Che vuoi dire, Shinichi?” mormorò tristemente, cercando di reprimere le lacrime “Non…non ti piace più stare con me?” chiese, sperando che le sue parole non suonassero pateticamente sdolcinate. Lui sgranò gli occhi, sorpreso, interrompendo le carezze sui suoi capelli, e dal suo sguardo disorientato e stupito lei seppe all’istante con sollievo e gioia indescrivibile che non si trattava di quello.

“Certo che no, Ran. Io…” Shinichi distolse lo sguardo, le guance color porpora, il corpo improvvisamente rigido mentre ancora la teneva stretta. Vedere il suo viso imbarazzato era un evento raro e assolutamente adorabile, pensò Ran guardandolo teneramente. Gli accarezzò il braccio, incoraggiandolo a continuare e dopo un momento che le parve lungo un’eternità, lui riprese:

“Stare con te, è la cosa che in questo mondo mi rende più felice. Pensare di doverti stare lontano, di non avere più la possibilità di parlarti, di vederti sorridere...è una cosa che mi terrorizza.” La sincerità delle sue parole si leggeva nel suo sguardo, sebbene cercasse in tutti i modi di evitare di guardarla. Ran sorrise intenerita: era sempre stato timido, doveva costargli un enorme sforzo parlare così, e le sue parole la colpirono dritta al cuore, riempiendola di una sensazione meravigliosa di benessere e felicità.

“Anche per me è lo stesso, Shinichi. Questi mesi senza di te…è stato tutto così difficile.” Confidò, lui annuì, posandole un altro bacio sulla fronte. “Lo so. Mi dispiace.”

“Ora io non voglio più perderti Shinichi. Io…non m’importa cosa dovrò affrontare, se sono con te.” Disse di slancio, sicura di sé; ma lo sguardo di lui era ancora malinconico, e lei non capiva il perché.

“Mi vuoi bene, Ran?” domandò lui all’improvviso, lasciandola per un attimo senza fiato. La fissava intensamente, lo sguardo indecifrabile ora dietro il blu. Lei lo contemplò per un lunghissimo momento, senza dire una parola. Poi, le mani sul suo petto, chiuse gli occhi, si alzò in punta di piedi e posò le labbra su quelle di lui.

Shinichi restò immobile per un momento, colto di sorpresa, l’animo ricolmo di emozione e il cuore che gli martellava il petto, poi ricambiò il bacio, prima accarezzando lievemente le sue labbra, sfiorandole con grazia e assaporandone la morbidezza, poi entrando, lambendo la sua lingua con la propria, gustando la sua bocca, con passione crescente. Ran si lasciò trasportare, assecondando con delizia i suoi movimenti, gli occhi chiusi per non perdere la miriade di sensazioni che le stava provocando. Dio, essere baciata da Shinichi era qualcosa di così…stupendo, speciale, che il suo corpo e il suo cuore erano scossi da fremiti di piacere, si sentiva completamente perduta e alla deriva nelle sue stesse emozioni. Le sue labbra, così calde e morbide, la stavano baciando con tanta dolcezza che quasi le sfuggì una lacrima.    

Shinichi si staccò con delicatezza, cominciando ad accarezzare il suo viso con una mano, perdendosi in quegli occhi così sinceri, così colmi d’amore, confuso dal profumo di lei, dal calore del suo corpo così vicino, il cuore traboccante di emozione. Lei ricambiò il suo sguardo, gli occhi di lui che la contemplavano con un amore così grande che lei pensò di potersi smarrire tuffandosi in quel blu intenso e caldo, lasciandosi avvolgere da quello sguardo che da solo le stava donando tanto.

“Ti basta, come risposta?” sussurrò lei dolce, guardandolo arrossita.

Lui sorrise teneramente: “Oh Ran…io ti-”

Shinichi si bloccò, l’espressione improvvisamente sofferente. Si portò la mano al cuore, stringendo la stoffa della camicia e strizzando gli occhi con un gemito soffocato.

“Shinichi, che cos’hai??” Chiese allarmata, le braccia di lui che ora si appoggiavano a lei per sostegno, il suo corpo scosso da tremiti. “Ti senti male!? Parlami, ti prego!!”

“I-io…sto bene...” Rantolò lui, prima di gemere di nuovo, dolorante. Ran era spaventatissima, il suo amico d’infanzia sembrava stare seriamente male, a dispetto di quello che diceva: era cadaverico, non la smetteva di tremare, il viso lucido di sudore, tirato e dolorante. “Shinichi, chiamo aiuto, c’è l’ambulanza!” Si offrì subito, ma lui utilizzò la forza che gli restava per bloccarla, trattenendola per il braccio. “NO! Non farlo!”

“Ma stai male!” replicò ostinata, liberandosi dalla sua debole stretta. “Faccio in un attimo!”

Shinichi gemette, guardandola voltargli la schiena per accingersi ad avvertire gli infermieri, e subito portò la mano destra al polso sinistro.

Scusami, Ran…

La saetta colpì precisa e sicura, facendola scivolare a terra in un sonno artificioso e pesante. Shinichi sentiva il suo corpo infiammarsi, dolorosamente, un senso pressante di nausea, le ossa che mandavano fitte lancinanti.

Urlò, e poi l’oscurità e l’incoscienza lo benedissero.

 

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La piccola figura si avvicinò lentamente al profilo della ragazza distesa in terra, i lunghi capelli bruni sparsi sul freddo cemento, le ciglia nere in un contrasto accecante con il pallore del viso, le braccia sottili e le gambe sinuose rilasciate inerti sul suolo; il petto fasciato da una camicetta bianca a righe blu e da un pullover rosa pastello si alzava e abbassava ritmico, nell’illusione di un sonno profondo e tranquillo. Ma lui sapeva che non era così.

Il suo sonno artificioso sarebbe stato presto interrotto, e dopo che si fosse svegliata il dolore e la delusione l’avrebbero di nuovo assalita, facendole del male con ferite penetranti e brucianti.

Sapeva che lei al risveglio lo avrebbe odiato, e una parte di sé quasi si augurò che fosse così, perché se non ci fosse riuscita, le ferite sarebbero peggiorate, bruciando ancora di più, come se fossero state cosparse di sale.

Perdonami, Ran…

Il piccolo sospirò, accucciandosi vicino alla ragazza e accarezzandole teneramente il viso. Lei era pallida, scarmigliata, i vestiti erano sgualciti e sporchi; eppure, lui la contemplava come se fosse la ragazza più bella del mondo, gli occhi carichi di amore, e dolore.

Per averla di nuovo delusa.

Per aver dimostrato per l’ennesima volta di non essere il ragazzo giusto per lei, di essere capace soltanto di farla soffrire e piangere dopo averla illusa.

Si sentiva malissimo. Quello che c’era stato fra loro era stato stupendo, incredibile, speciale. Dio, averla baciata l’aveva reso per quei pochi attimi la persona più felice sulla terra, non c’erano parole per descrivere la miriade di emozioni meravigliose che aveva provato, stringendola a sé, riuscendo a circondarla con le proprie braccia, percependo le sue labbra dolci sulle proprie.

“Ti amo, Ran” sussurrò tristemente, avvertendo il timbro della sua voce acuto e infantile con una fitta al cuore. Era consapevole che lei non avrebbe udito quelle parole, che meritava di sentirsi dire dopo ciò che era successo, che lui desiderava con tutto se stesso pronunciare dopo quello che c’era stato fra loro. No, lei avrebbe creduto che per l’ennesima volta se n’era andato, abbandonandola, non curandosi dei suoi sentimenti.

Questo l’avrebbe fatta soffrire, ed era una cosa che non riusciva a sopportare.

Potrei dirle ugualmente la verità…Conan potrebbe…

In fondo, le aveva promesso che l’avrebbe fatto, che differenza faceva se le parole venivano pronunciate dalle labbra di Conan Edogawa invece che da quelle di Shinichi Kudo? Poteva presentarsi da lei, un metro e poco più di altezza, gli occhi azzurri ingranditi dalle lenti degli occhiali mentre la guardava alzando la testa, il suo completino blu con farfallino indosso, e dirle: ‘Ehi, Ran, non indovinerai mai chi sono…’

Poteva fare tutto questo. Rivelarle la verità, avrebbe reso per lui le cose più semplici, più belle. Svegliarsi ogni giorno sapendo di non dover più fingere, almeno con lei, sarebbe stato meraviglioso, ed era uno dei sogni che più frequentemente accompagnavano le sue notti. Potersi rivolgere a lei come ai vecchi tempi, prendendola in giro, scherzando, ma anche con la possibilità di dirle ogni giorno ciò che provava, di ripeterle ogni istante quanto fosse straordinaria e quanto l’amasse perdutamente e quanto solo il fatto di conoscerla rendesse la sua vita piacevole e luminosa.

Sì, per lui, sarebbe stato fantastico.

Ma per lei?

Mi ha baciato…mi ha detto che sarebbe rimasta al mio fianco, che avremmo affrontato tutto insieme…Dio, la amo così tanto, sarebbe perfetto…ma è davvero questo che si merita?

Ran gli aveva promesso che gli sarebbe stata vicina, non importa cosa avesse dovuto sopportare; e ora lui sapeva che,  anche se gli avesse rivelato la sua doppia identità, lei avrebbe mantenuto il proposito. Sì, avrebbe accettato di vivere al fianco di Conan Edogawa, rischiando ogni giorno di morire solo per il fatto di frequentarlo, di essere a conoscenza del suo segreto. L’avrebbe fatto per lui, solo per lui.

Perché lei era una ragazza forte. Forte e meravigliosa. Pronta a fare qualsiasi cosa per le persone a cui teneva, soffrendo con loro, per loro. Così, sarebbe rimasta incatenata a lui, ad un ragazzino di dieci anni più piccolo che non aveva nessuna garanzia di tornare adulto, in pericolo, ogni istante della sua vita. E come sarebbe stata la sua vita? Un continuo aver paura, sussultare ad ogni rumore sospetto, voltarsi continuamente per strada per paura di essere seguiti, girare cautamente la chiave nella serratura della porta di casa, per timore che qualcuno aspetti nell’ombra dell’atrio, o che l’appartamento esploda in mille pezzi. 

Svegliarsi ogni mattina chiedendosi se quel giorno sarebbe stata uccisa.

“Quando ho deciso di diventare un detective sapevo che avrei corso dei rischi. È una cosa che ho accettato molto tempo fa, credimi.”

“Ma io no! Io non voglio vivere ogni giorno con il terrore che possa succederti qualcosa! Non posso!!”

No. Non sarebbe stato giusto. Era la sua guerra, non quella di Ran. Era stato lui a ficcare il naso negli affari dell’Organizzazione al Tropical Land, lui si era fatto coinvolgere, era per un suo errore che gli avevano somministrato l’APTX; era accaduto perché il successo che aveva ottenuto gli aveva fatto montare la testa, perché aveva creduto di essere il migliore, perché inconsciamente, anche se non l’avrebbe mai confessato a nessuno, aveva pensato di essere invincibile. Tutti quegli assassini che si erano inginocchiati sconfitti dinanzi a lui, tutti quei casi irrisolti su cui aveva fatto luce, mentre la polizia brancolava nel buio, tutti i titoli entusiastici dei giornali, le sue foto in prima pagina, lo avevano illuso, e l’avevano portato in quel vicolo buio, impedendogli di prevedere ciò che sarebbe potuto succedere, impedendogli di voltarsi per vedere la figura nera che strisciava alle sue spalle pronta a colpire.  

L’errore di sopravvalutarsi aveva ucciso Shinichi Kudo. E in qualche modo, faticosamente, sebbene ne soffrisse, Conan Edogawa poteva accettarlo. Ma quello che non poteva accettare, e che mai avrebbe potuto, era che qualcun altro pagasse per un suo errore.

Soprattutto la ragazza che amava.

Mi dispiace, Ran… Non me la sento. Tu hai la forza di affrontare tutto questo per me, lo so…ma io no. Non posso sopportare l’idea di perderti per un mio errore…

Qualcosa luccicò sulla sua guancia, mentre accarezzava dolcemente i lunghi capelli di lei. Il cuore era gonfio e dolorante, trafitto da lame ardenti. Ma Shinichi sapeva qual era la cosa giusta da fare. Non era forse stato sempre così?

I suoi occhi tristi, di un blu liquido e trasparente, contemplarono la figura di lei, fino a soffermarsi su un particolare.

E poi, incredibilmente, le lacrime a rigargli le guance, Conan sorrise.

 

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Note dell’Autrice: Ciao a tutti!^^ Ecco qui la seconda parte del capitolo “Cards On the Table”, come vi avevo promesso; spero che non sia arrivata troppo tardi come la precedente, mi sono impegnata per aggiornare il prima possibile. Allora, vi dico subito che il confronto fra i protagonisti è stata la parte più difficile che abbia mai scritto: credo di averci rimesso le mani almeno una dozzina di volte, aprendo il documento word convinta di andare avanti nella stesura del chap e finendo invece per modificare sempre solo la prima parte. Davvero, mi ha fatto impazzire, e tuttora non mi convince molto: continuo a pensare che avrei potuto fare di meglio, e ogni volta che rileggo aggiungo, tolgo, modifico. Quindi, ho pensato che fosse meglio se la lasciavo così com’era e aggiornavo, prima di combinare un pasticcio.^^” Se vi risulterà caotica, non meravigliatevi più di tanto.

Allora, ringrazio dal profondo del cuore tutti i lettori e in particolare chi ha commentato. Thanks!#^^# Le parole non bastano a dirvi quanto vi sono grata.

KARI1: ciao! Sono contenta di risentirti, e recensisci pure tutte le volte che vuoi, per me non c’è problema, anzi!^//^ Allora, sono felicissima che la mia ff ti appassioni tanto, e ti ringrazio per i complimenti  sulla storia e i personaggi. Ci metto molto impegno nello scrivere e mi fa piacere che non sia tempo sprecato. Anche perché, non ho certo tempo da sprecare, visto che devo fare i conti 6 giorni su 7 con una decina di materie scolastiche ( concordo con te nel commento sui prof, almeno per quanto riguarda alcuni di loro). Per quanto concerne la coppia del Kansai, ho dato loro una pausa durante questo capitolo: Ran e Shinichi hanno dominato incontrastati per tutto il tempo. Nel prossimo li rivedrai, promesso!^^ Un bacio, a presto.

Lore: ciao! Grazie mille del commento, sono felice che la tua attesa abbia avuto i suoi frutti. Insomma, sarebbe stato un guaio se, oltre a farti aspettare così a lungo, ti avessi fatto leggere qualcosa di deludente! Spero che anche questo capitolo sia all’altezza delle tue aspettative. Un bacione, a risentirci!

Shin_17: ciao!^^ Mi ha fatto piacere ricevere la tua recensione. Grazie dei complimenti, sei davvero gentile!#^^# Sono ansiosa di conoscere il tuo parere anche su questo capitolo, augurandomi come sempre che sia stato di tuo gradimento. Un abbraccio, a presto!

Kyo-chan: ciao! Che bello risentirti, sono contenta che la mia storia ti entusiasmi tanto: per me è importante ricevere l’appoggio di lettrici come te. Ti piace la mia pubblicità? Beh, se non altro ho un futuro assicurato nel marketing!^__^ Hai visto, il capitolo era al 100% Ran/Shinichi, come preannunciato. Spero che non ti abbia deluso, comunicami cosa ne pensi, okay? Ti ringrazio tanto delle lodi e del commento, baci.

Vichan: salve!^^Sono contenta che tu abbia apprezzato il fatto che ho postato solo metà chap: non ringraziarmi, non ce n’è bisogno! Allora, riguardo al tuo commento: mi fa piacere che la scena di Kogoro ti sia piaciuta, pensa che avevo soppesato l’idea di eliminarla, all’inizio, perché non mi convinceva più di tanto. L’introspezione di Kazuha invece piaceva anche a me. Certo che ho ascoltato il tuo suggerimento sugli spazi! Era ben mirato e intelligente, e avevi pienamente ragione. Ho cercato di tener conto dei luoghi anche qui, vedi un po’ come me la sono cavata (in fondo non è stato difficile: c’è solo una scena in un solo luogo : P). Un abbraccio, spero di risentirti.

Akemichan: ciao! Che bello, sono felice che anche lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Spero che il confronto fra Ran e Shinichi di quest’ultimo sia stato all’altezza delle tue aspettative… come ho già detto nell’introduzione mi ha creato parecchi problemi: era un punto cruciale della ff e volevo fosse perfetto (cosa che naturalmente non sono riuscita ad ottenere - _ - “). Allora, riguardo al tuo commento: anche a te è piaciuta la scena di Kogoro? Allora ho fatto bene a tenerla, invece di tagliarla come avevo pensato all’inizio! Il dottor Agasa…ho riletto la parte, in effetti è stato un po’ distante e ‘sgarbato’ con Kazuha, ma volevo che trasparisse quanto fosse preoccupato per Ai, che ormai considera come una nipotina, senza affrontare la scena direttamente dal suo punto di vista (e quindi descrivendo le sensazioni che provava). La sua preoccupazione è anche il motivo per cui non aspetta Shinichi (in fondo, la biondina gli sta morendo dissanguata davanti, è normale che si preoccupi più di lei). “Seno promettente” è un’espressione che ho sentito in un telefilm, perciò, a meno che i traduttori non abbiano fatto un pasticcio, immagino che si possa dire, e che sia equivalente a “Seno prosperoso” (che anche ho sentito dire). Ma capisco la tua perplessità, non si sente spesso. Un bacio, a presto!

Miele: ciao!^^ Sono felicissima che tu ti sia appassionata tanto alla mia storia da volerla commentare; ti ringrazio di cuore per la recensione e i complimenti, mi ha fatto davvero piacere leggerli #^^#. Anche a me piace tanto il rapporto che c’è fra Heiji e Shinichi, infatti avevo deciso di approfondirlo nella mia storia sin dall’inizio; sono felice di essere riuscita a renderlo. Davvero pensi che la mia ff sia meglio dell’anime? Non esageriamo, che poi mi monto la testa ( e non è il caso ^^”).  Ancora grazie per il commento, spero che anche questo chap sia stata una piacevole lettura per te. Un bacio, a presto.

Shaddy: ciao! Wow…sono davvero felice di sapere che la mia storia ti abbia colpito così tanto; è splendido pensare che un lavoro che mi è costato tanto tempo e fatica abbia fatto breccia nel cuore di qualcuno. Insomma, è una bella soddisfazione.^//^ Grazie mille delle lodi, sei stata davvero gentile, alcuni commenti mi hanno fatto sorridere (l’immagine di te che cadi dalla sedia mentre leggi, per esempio. Spassosa!^__^), altri mi hanno davvero scaldato il cuore; recensioni come le tue non possono che incoraggiarmi a continuare a scrivere, e di questo ti sono grata. Io Gosho…beh, spero di essere un po’ più carina di un quarantenne giapponese (O__O).  Eh eh…ti ringrazio ancora per la recensione, spero che questo capitolo ti piaccia, e che non si sia fatto aspettare troppo. Un bacione, a risentirci!

Sita: ciao! Grazie del commento, sono contenta che la storia continui a piacerti e sono lusingata dai tuoi complimenti. Solo una cosa: potresti non scrivere nelle recensioni parole enormi tutte attaccate (tipo lo wow di quest’ultimo)? Non fraintendermi, mi fa piacere il tuo entusiasmo per la mia storia, ma in quel modo deformi tutta la pagina… Un bacio, mi auguro di risentirti.

Ersilia: ciao! Leggere i tuoi commenti è sempre un piacere immenso.^//^ Spero di non averti fatto aspettare troppo per questo aggiornamento, e che sia all’altezza delle tue aspettative. Grazie mille per i complimenti, a presto. Un bacio.    

Ginny85: ciao!! Eh sì, più di duecento recensioni…non l’avrei mai detto quando ho iniziato a scriverla, per di più i primi capitoli avevano al massimo tre o quattro recensioni ognuno, se andava bene (spesso anche nessuno, quindi…). Sono soddisfatta, perché ci ho lavorato sodo, e sono contenta che la mia fatica abbia avuto i suoi frutti. E poi, naturalmente, devo ringraziare la dolcezza di persone come te, che mi hanno commentato costantemente per tutto questo tempo. Thanks! I tuoi e i commenti di molti altri mi hanno aiutata molto nella stesura della storia, ve ne sono infinitamente riconoscente. Allora, preludio a parte, andiamo al tuo commento:  sono felice che anche l’ultimo capitolo non ti abbia deluso; vedrai che nel prossimo la coppia di Osaka avrà uno spazio tutto per sé, così come la coppia principale, che naturalmente non può mancare (anche se uno dei componenti è in forma rimpicciolita ^^”). La scena di Kogoro più che un colpo di genio è stato un colpo di fortuna, mi è venuta di getto e poi avevo pensato addirittura di eliminarla, rinunciandoci dopo averci pensato un po’.  Grazie ancora di cuore per i complimenti, mi hanno fatto veramente piacere. A presto, spero che la scena fra Shinichi e Ran di questo capitolo ti sia piaciuta. Oh! Non vedo l’ora di vedere questa sorpresina che hai in mente…cos’è?? Dai, dimmelo!! Sono così distratta che potrei perfino non accorgermene, se non me la trovo parata davanti (sarei capace di cadere in un tombino, se non fossero coperti, sai?). E dai, non lasciarmi sulle spine, Ginnuzza!! Cos’è??

Laira: ciao!^^ Ti ringrazio del commento e dei complimenti, è sempre un piacere sentirti. È vero, sono convinta che Kogoro sia qualcosa di più che un personaggio comico buttato lì da Gosho…e lo ha dimostrato in più occasioni anche nel manga/anime. Mi auguro che non ti abbia deluso il modo in cui ho gestito la situazione fra Ran e Shinichi, io ho fatto del mio meglio, spero ne sia valsa la pena e che ti sia piaciuto. Un bacio, fatti risentire!

Questo è tutto. Nel capitolo c’è qualche riferimento al manga numero 1 di Detective Conan, più accenni ai soli due film che hanno trasmesso su Italia 1 (Skycreeper On a Timer e  Trappola di Cristallo).

Ora, una notizia, buona o cattiva a seconda dei punti di vista: il prossimo capitolo che posterò sarà anche l’ultimo, per quanto riguarda La Promessa di Shinichi. La storia è ormai terminata e anche se mi piacerebbe continuarla, sarebbe solo un allungare il brodo inutilmente. Mi impegnerò a fondo per dare una fine dignitosa e più bella possibile alla fanfic, ringraziando sin da ora tutti quelli che mi hanno sostenuto in questo lungo cammino.

A presto, quindi.

-Melany

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Capitolo 29
*** Epilogue ***


Nuova pagina 1

Questo capitolo è dedicato a tutti coloro che hanno seguito questa storia, incoraggiandomi sempre a continuare a scrivere con le loro recensioni. Il vostro supporto, i vostri commenti, sono stati molto importanti per me. Grazie di cuore.

 

29. Epilogue.

Buio. Voci lontane, rumori confusi. Freddo nel corpo, che perpetrava nelle ossa indolenzite, gelo nell’anima che l’avvolgeva e feriva con le sue spire, lasciandola vuota e sofferente. Nessun ricordo. Solo dolorosa consapevolezza, sconosciuto male. E un solo nome…il suo.

Shinichi

Aprire gli occhi con paura, sotto quel cielo senza stelle che sapeva di nero e di solitudine. Non muoversi, non comprendendone il motivo, quasi come un animaletto spaurito catturato da un cacciatore, immobile nel timore di nessun futuro. Guardare, senza aspettarsi nulla, ma con quella flebile fiducia che aveva sempre albergato dentro di lei, e che sempre si era  ribellata, feroce, e aveva morso e sbranato e l’aveva lasciata sofferente e sola.

Anche stavolta.

Nessuno a vegliare il suo risveglio in quel luogo ostile e gelido. Sola. Sulla sua bocca il calore donatole da un bacio si stava dissipando, raffreddando le sue labbra. Nella sua memoria, tre parole:

Ti amo, Ran

Vuote e senza senso. Mai pronunciate. Frutto acerbo di una pianta mai sbocciata. Illusione del suo cuore.

Nella sua mente, un solo pensiero, angoscia reale: Shinichi, perché mi fai questo?

Calde perle brucianti sulle sue ciglia, scie di lacrime sulle guance. Voragine nel suo petto, martoriato e stanco.

Dentro di sé, solitudine e abbandono.

Sul suo viso, delicatamente la sfiorò una mano. Asciugò le lacrime. Il suo sguardo la seguì, e si perse nel blu di due oceani caldi e confortanti. Di un viso conosciuto. Di un familiare sorriso disarmante.

“Non piangere, Ran” sussurro carico di dolcezza. “Tu sai qual è la verità.”

In quel momento, si accorse che era vero.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

 

La luce si diffondeva nella stanza filtrando attraverso i vetri spessi della finestra, riscaldando la stanza di un tenero tepore; quella era una delle poche giornate calde che quell’inverno stava regalando alla città di Tokyo, e il sole di mezzogiorno brillava luminoso.

Heiji fissava assorto il pezzettino di cielo azzurro che riusciva a scorgere dal letto dell’ospedale, nel cuore una sensazione di calma sonnolenta, ma anche un po’ di malanimo per non poter essere là fuori a godersi quella rara giornata di sole.

Magari con lei.

Sospirò lievemente, lisciando il copriletto blu di lino: le ferite che quel criminale gli aveva provocato lo avevano costretto a rimanere a Tokyo, poiché nelle sue condizioni un viaggio fino a Osaka sarebbe stato ‘rischioso e imprudente’, a dire del medico. Beh, Heiji da parte sua era sicuro che se il dottor Sozuma fosse diventato il miglior amico di un certo Shinichi Kudo, avrebbe rivalutato il suo concetto di ‘rischioso’ e ‘imprudente’.

Proprio in quel momento, udì un leggero bussare alla porta di legno bianco, e il ragazzo in questione, o almeno la sua versione tascabile, entrò nella stanza, quasi si fosse sentito chiamare nei suoi pensieri, seguito da una radiosa Mouri-kun in maglietta a maniche lunghe bianca e minigonna bordeaux con in braccio un mazzo di variopinti fiori di campo, e da un seccato investigatore con le mani in tasca.

“Ciao!” Esordì la ragazza, fermandosi vicino al bordo del letto e porgendogli i fiori. Kudo gli fece un lieve cenno di saluto con la mano, gli occhi socchiusi nella tipica espressione annoiata che assumeva ogni volta che non c’erano misteri irrisolti su cui far luce, o anche quando non era occupato a contemplare con lo sguardo la sua adorata amica d’infanzia.

“Come ti senti oggi?”

“Sicuramente meglio di ieri, e peggio di domani.” Rispose lui noncurante. Avrebbe anche scrollato le spalle, se non fosse stato per il dolore pulsante che provava ogni volta che le muoveva. Incredibile quanti danni provocasse un piccolo pezzo di piombo.

Ran gli sorrise:

“Kazuha mi ha raccontato tutto. Sei stato molto coraggioso!”

Il piccolo detective lanciò uno sguardo alla sua amica d’infanzia, con un cipiglio geloso e scocciato, ma non disse nulla, appoggiando le braccia incrociate sul copriletto e posandovi sopra il mento. 

Heiji aveva sentito il calore salirgli alle guance senza che potesse far nulla per fermarlo. Non che fosse a causa di Mouri-kun - e Kudo poteva anche piantarla di fissarlo con gli occhi che mandavano lampi-, certo, gli faceva piacere che lei gli facesse un complimento, ma…non era il punto della questione. Almeno non per lui.

“Lei ti ha detto questo?” domandò, e chissà per quale motivo la voce gli uscì più acuta del solito, mentre il cuore gli martellava la cassa toracica.

Il sorriso della ragazza di Tokyo si trasformò da cordiale in soddisfatto, con una lieve sfumatura da ‘Ah quanto la so lunga’, e rispose: “Sì.” aspettando che il rossore sulle guance di lui si intensificasse –cavolo, poteva sentirle bruciare- prima di continuare:

“È dovuta tornare a Osaka. Suo padre era preoccupatissimo, quando ha saputo cosa le era capitato!”

“E infuriato.” borbottò Kogoro a bassa voce, facendo intendere a chi fosse toccato l’onere di informarlo.

“Comunque, Kazuha-chan era molto di spiaciuta di non poter rimanere qui con te. Avresti dovuto vederla l’altra notte, è stata sveglia per tutto il tempo che sei stato in sala operatoria! Era così in ansia!

Lui annuì, guardandosi le mani. Non poteva mentire a se stesso: avrebbe voluto che lei fosse lì, al suo fianco, e capiva bene Toyama-san: anche lui avrebbe voluto assicurarsi che stesse bene, averla vicina, dopo aver saputo che un tesoro così prezioso aveva corso dei gravi pericoli. Avrebbe tanto desiderato vederla vicino al letto, magari con la gonna a pieghe della divisa scolastica che le accarezzava le cosce, la maglietta che le scopriva la pancia ogni volta che alzava le braccia, i capelli che ciondolavano dietro il collo ad ogni movimento, gli occhi verdi intensi su di lui, quel sorriso radioso che le illuminava il viso…

Mouri-kun si mosse per sollevare un  vaso di ceramica lungo e snello che si trovava sul comodino accanto al suo letto; lo osservò per qualche istante, poi si rivolse di nuovo a lui, gentile:

“Vado a riempire il vaso d’acqua, così ci metto dentro i fiori.” Si voltò con un sorriso tenero verso il padre: “Mi accompagni, papà? Resterà Conan a far compagnia ad Hattori-kun”.

Quando entrambi i Mouri furono svaniti dalla stanza, Kudo cominciò, con tono distaccato e senza guardarlo:

“Mi dispiace che tu sia finito qui. Non volevo che accadesse. Avremmo dovuto restare uniti.”

Ecco, il solito Kudo: si sentiva in colpa per quello che gli era capitato, ma mai e poi mai avrebbe mostrato un briciolo di emotività, davanti a lui. Razza di idiota, pensò con affetto.

“Lascia stare. Rischi del mestiere.” Disse leggero, scrollando le spalle e provocandosi una fitta lancinante di dolore che gli fece strizzare gli occhi. Accidenti.

“Non dovresti farlo.” Commentò il detective dell’est, saccente, guadagnandosi un’occhiataccia.

“Wow, Kudo, hai mai pensato di iscriverti a medicina? Con questi pareri illustri!”

“Ah ah” commentò annoiato lui, socchiudendo gli occhi e sedendosi sul letto con un balzo, per poi fissare con amara rassegnazione e un sospiro i propri piedi che non toccavano terra.

“Risultati della nostra avventura notturna di due sere fa?” chiese Heiji, con tono più professionale. La postura del suo migliore amico cambiò, quasi si stesse mettendo sull’attenti, e i suoi occhi blu luccicarono.

“La polizia è riuscita a catturare uno degli Uomini in Nero. Corrisponde esattamente alla descrizione fornita alle autorità dalla tua amica, perciò è di sicuro il tizio che vi ha aggrediti.”

“È stato catturato!? Magnifico!” Esultò Heiji, soddisfatto. Certo, avrebbe preferito mettere lui le mani su quel maniaco, dopo quello che aveva fatto a lui e Kazuha, ma sapeva accontentarsi. Si crogiolò per un attimo nel pensiero di quel bastardo dietro le sbarre, prima che la voce fredda di Kudo lo riportasse bruscamente alla realtà.

“Non così in fretta, amico”.

Quando lui gli lanciò uno sguardo interrogativo, il piccolo detective lo ignorò e proseguì come se niente fosse con la sua esposizione dei fatti:

“Il suo nome era Tehi Tomaki. Nel 1998 fu arrestato a Kyoto per reati di violenza su minori e pedofilia. La giuria non poté condannarlo: le prove della sua colpevolezza scomparvero misteriosamente, molti dei testimoni furono trovati morti e altri rifiutarono di comparire in tribunale. Tehi fu rilasciato.

“Al momento dell’arresto, il suo reddito a stento superava quello degli indigenti. Viveva in una catapecchia fuori città, in condizioni pietose: c’erano scarafaggi e cimici ovunque, tubature arrugginite, niente acqua corrente. Attualmente, alloggiava in una suite di un albergo a cinque stelle, a 10 mila yen al giorno, trangugiando pasti principeschi innaffiati di vini pregiati.”

Kudo sorrise, senza allegria, rivolgendosi a lui sempre con la stessa scintilla negli occhi:

“Secondo te, com’è possibile? Ha vinto alla lotteria?”

Heiji comprese senza difficoltà dove voleva arrivare il detective dell’est. Gli rispose con un identico sorriso carico di amarezza e rassegnazione.

“Certo. Una lotteria chiamata l’Organizzazione”.

Il ragazzo di Tokyo annuì.

“L’hanno fatto uscire, in cambio lui è entrato a far parte della loro grande famiglia, alternando ai suoi passatempi” Kudo storse il naso, disgustato “qualche lavoretto per loro. Fino a ieri.”

“Quando è stato preso?” domandò Heiji, fiducioso.

“Quando è stato ucciso.” Rettificò l’amico con voce piatta.

“Ma tu avevi detto che…”

“Infatti. La polizia l’ha arrestato. Era ferito, non mortalmente, ma privo di conoscenza. Ieri notte, lui e i due poliziotti che lo sorvegliavano, sono stati uccisi.”

Kudo s’incupì, abbassando gli occhi.   

“Bastardi!” Imprecò Heiji, con voce sorda.

“Ora sappiamo che l’Organizzazione non concede seconde possibilità. Se fallisci…addio suite, addio caviale e addio vita.”

Sospirarono, all’unisono.

“Così, sfuma anche la possibilità di interrogarlo sull’Organizzazione.” Disse Heiji, prendendo atto della situazione, un sapore acido in bocca.

“Nessuna possibilità di rintracciare il killer che lo ha fatto fuori?”

“Non credo.” Sospirò Kudo. L’Organizzazione era abile a coprire le tracce. Probabilmente il suddetto assassino era già stato messo a tacere per sempre.

“Lo immaginavo” ammise il detective dell’ovest rassegnato, guardando di nuovo il pezzo di cielo azzurro fuori dalla finestra. Possibile che in una giornata così bella e calda sentisse tanto freddo dentro di sé?

“Altre buone notizie, Kudo?”

Domandò ironico, sperando intensamente in una risposta negativa. Quando lo sguardo del suo interlocutore si posò su di lui, attraverso le lenti degli occhiali di Conan Edogawa, Heiji riconobbe gli occhi blu dell’amico, profondi e imperscrutabili come le acque del Pacifico.

“No, nient’altro.”

Kudo esitò solo una frazione di secondo nel parlare, un istante così breve che sarebbe sfuggito a chiunque. Beh, chiunque tranne Heiji. 

“Okay” annuì “Adesso dimmi la verità.”

Il detective di Tokyo si rabbuiò, assumendo un cipiglio seccato e infastidito che per un momento lo fece sembrare davvero un bimbetto di sette anni imbronciato. Però, dietro quell’espressione, Heiji scorse qualcos’altro, o almeno così credette. Difficile dirlo con sicurezza, quando si trattava di Shinichi Kudo.

Quel qualcosa era…sollievo.

Sbuffò e si voltò, le lenti degli occhiali che brillavano di luce riflessa, rendendo impossibile la vista dei suoi occhi.

“Gin sa che Shinichi Kudo è vivo. Sa del mio legame con Ai, o meglio, con Sherry. E anche…” Deglutì con sforzo, come se avesse un sasso in gola che gli impediva di parlare “…del mio rapporto con Ran. Capirà sicuramente che sono stato io a salvarla, quando l’hanno catturata giorni fa.”

“Oh.” Heiji non riuscì a dire altro, ancora impegnato ad assorbire la notizia e le sue terrificanti conseguenze. Nulla sarebbe stato più come prima: il rischio era infinitamente più alto, per tutti loro. Gin avrebbe cercato Kudo. Non trovandolo, non si sarebbe fatto scrupolo di usare le persone che gli erano vicine per attirarlo, ben consapevole che, con lui, avrebbe preso anche Sherry. Due piccioni con una fava, niente male.

“Ma forse non sa di te.”

Aggiunse Kudo, a bassa voce. Heiji lo guardò sgranando gli occhi: “Cosa?”

“Eri con me nella retata, è vero; ma tu sei un detective, e non è la prima volta che vieni a Tokyo per un caso. Conosci Megure e Kogoro. Non è detto che Gin concluda che sai qualcosa di importante su di me, o che tu possa essergli utile in qualche modo. Se ti tiri indietro adesso…”

Heiji sbuffò sonoramente, esasperato, roteando gli occhi.

“Quante volte dovremo fare questo discorso, Kudo?”

Lui aggrottò la fronte, infervorandosi:

“Tu non capisci! Ora è tutto diverso. Non è uno scherzo, Hattori!! L’Organizzazione è-“

“Potente, invincibile, diversa da tutti gli altri criminali e bla, bla, bla…” lo interruppe Heiji, socchiudendo gli occhi. “Lo so. Capisco tutto. Ma non lascerò perdere, e ti sarei riconoscente se la smettessi di ripetermi sempre le stesse cose. Se tu fossi davvero un bravo detective, ormai avresti dovuto capire che in nessun caso ti lascerò solo in questa impresa. Per un’ottima ragione.”

“E quale sarebbe?” Chiese Kudo, ancora visibilmente seccato, inarcando un sopracciglio.

“È semplice” affermò lui, sorridendo “Tu saresti perduto senza di me”.

Kudo lo fissò in silenzio, allibito. Poi sorrise a sua volta.

“L’importante è crederci, Hattori.” Mormorò, scendendo giù dal letto, e prima che Heiji potesse replicare la porta si aprì, e Mouri-kun entrò portando il vaso, da cui ora spuntavano sgargianti gli splendidi fiori di campo.

Gli fecero compagnia ancora per un po’. Dopodiché, lo salutarono più o meno calorosamente e lo lasciarono solo nella stanza. Però, prima che se ne andassero, Heiji si accorse di una fugace occhiata che il suo migliore amico gli scoccò da sopra la spalla, un momento prima di scomparire dietro il legno bianco della porta.

Un’occhiata che lo fece sorridere, benevolo, mentre si lasciava andare soddisfatto contro il cuscino, e che lo costrinse a rispondere:

“Di niente, Kudo”.

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Aveva sempre pensato che, molti dei programmi trasmessi dalla televisione, fossero la prova schiacciante del ritardo mentale di molti dei suoi compatrioti giapponesi. Al momento si stava ‘dilettando’ con uno stupido reality show, in cui delle persone, apparentemente in pieno possesso delle loro facoltà mentali, avevano deciso di trascorrere cento giorni della loro vita rinchiusi in una casa, mentre settimanalmente venivano sottoposti a varie prove e alle decisioni del pubblico.

A lei facevano venire in mente i topi che usava nei laboratori dell’Organizzazione.

La cosa divertente era che quelli, considerati comunemente bestie inferiori all’uomo per intelligenza, erano stati costretti a fare da cavie, e non c’era giorno in cui non cercassero di ribellarsi. Questi grandi uomini invece si sottoponevano a migliaia di selezioni per entrare in gabbia a farsi torturare e deridere. Sciocchi. Le facevano pena.

La sua attenzione fu spostata dalla tv alla porta d’ingresso quando la sentì aprirsi. Prevedibilmente, fece la sua entrata Shinichi Kudo, ora tornato Conan Edogawa, con un pacchetto sottobraccio, avvolto in carta marrone. Spense il televisore.

“Ti aspettavo.” Disse con voce incolore. Lui si stupì, ed inarcò le sopracciglia:

“Davvero?”

Stupido Kudo con la sua eterna convinzione di essere un mistero imperscrutabile. In realtà, era più prevedibile delle fasi lunari, almeno per lei. Sorrise sardonica pensando che probabilmente aveva sviluppato quella certezza crescendo a contatto con Ran Mouri, Miss Cecità.

Accorgendosi del suo sorriso, lui la scrutò attentamente, corrugando la fronte mentre si avvicinava al letto su cui giaceva, nella stanza che divideva con il dottor Agasa; come al solito, il tentativo di intuire i suoi pensieri andò a vuoto e il detective sospirò, lievemente seccato.

“Sei proprio strana, sai.”

Lei alzò cautamente le spalle. Il foro che le aveva fatto il proiettile di Vermouth le doleva moltissimo, nonostante i medicinali che il suo amorevole nonnino le somministrava con zelo. Si riteneva più che fortunata ad essere sopravvissuta: la donna aveva una mira infallibile, a quanto ne sapeva. Probabilmente era stata colpa del buio, o della lontananza, o del fatto che Kudo fosse sulla traiettoria e lei avesse cercato di non colpirlo. In ogni caso, la pallottola non aveva forato il cuore, e sebbene avesse perso molto sangue, l’intervento dei medici l’aveva salvata. Agasa poi aveva insistito con l’ospedale per farla dimettere al più presto, temendo che gli Uomini in Nero risalissero a lei tramite la sua storia clinica e scoprissero la sua doppia identità, e così eccola lì, in casa, sdraiata davanti al televisore che il dottore aveva messo apposta nella stanza per intrattenerla.

“Come va la ferita?” chiese lui, fissando il punto in cui era stata colpita, e Ai si accorse che era veramente preoccupato: i suoi occhi erano velati, lo sguardo cupo, le labbra strette. Questa considerazione le fece provare una particolare sensazione all’altezza del petto, che di sicuro non era prodotta dalla lesione, e che si affrettò a scacciare.

“Non è mortale. Guarirò.” Si limitò a dire, indifferente. “Ma ti sarei grata se smettessi di fissarmi il seno, Kudo.” Aggiunse con casualità, e lo vide sgranare gli occhi e diventare color porpora.

“AI!! M-ma che t-ti viene in mente!?!” balbettò, con voce stridula.

Lei sorrise diabolica e non disse nulla.

Dopo qualche secondo, lui si schiarì la gola, il rosso che ancora spadroneggiava sul suo viso, ed esordì, abbassando lo sguardo:

“Comunque, mi dispiace per quello che è successo. Avrei dovuto impedirle di farti del male.”

“Beh, io non avrei dovuto essere lì. Siamo pari.”

Kudo alzò la testa, guardandola fissa negli occhi, blu che si perdeva nel celeste:

“Come hai fatto a capire che ti nascondevo qualcosa?”

Ed ecco di nuovo la certezza di essere un enigma su due gambe. Le faceva quasi tenerezza.

“Cioè, ho dedotto che avessi scoperto tutto dalla cassetta che non ho più trovato nel mio giubbetto, quella con la registrazione della ricetrasmittente. Ma…come hai capito che c’era qualcosa da scoprire?”

“Chiamami Jessica Fletcher.” Esclamò lei, con voce piatta. Sapeva perfettamente che lasciarlo all’oscuro di qualcosa lo avrebbe fatto irritare, e infatti lui socchiuse gli occhi, guardandola male.

“Se sei così bravo come detective, scoprilo tu, Kudo-kun.”

“Lo farò.” Grugnì lui sicuro, sempre fissandola. “Sta’ tranquilla, lo farò.”

“Buon per te.” Concluse lei.

Kudo sbuffò e le porse il pacchetto che teneva sottobraccio, senza dire una parola.

Lei lo prese, rispettando il silenzio, e lo aprì. Il contenuto era un libro, piuttosto grande, con il disegno di un volatile blu sulla copertina.

“Il Teorema del Pappagallo. Wow.” Commentò con una palese affettazione di entusiasmo.

“È un libro sulla matematica.” Disse lui, con gli occhi socchiusi e un’aria di sufficienza. “Pensavo che l’avresti trovato più divertente di vegetare davanti alla tv.”

Di nuovo la colse quella sensazione al petto, unita ad uno strano calore alle guance. Ancora una volta, si costrinse a mandarla via: solo un’idiota ci sarebbe cascata, e lei non lo era.

Sapeva che era un’illusione; e le illusioni di quel genere ferivano, anche più della Calibro 38 di Vermouth.   

Lo ringraziò solamente, e lui parve soddisfatto.

“Bene” esordì, con il tono di chi sta per congedarsi. “Ora devo andare. Ran stava già preparando la cena quando sono uscito, e non vorrei trovare tutto freddo. O peggio, non trovare nulla.” Si rabbuiò, stringendo le labbra, probabilmente pensando con irritazione a Kogoro Mouri.

“Vai.” Lo esortò lei, aggiungendo mentalmente: Va’ via da me e corri da lei. Non è quello che fai sempre?  

 “Ci sentiamo, allora.”

Fece per andarsene, quando lei lo bloccò:

“Kudo?”

“Che c’è?” Si voltò lui, ormai sul ciglio della porta della stanza, sentendosi chiamare.

“Come faremo con l’Organizzazione?”

Il tono era lugubre. La verità, era che era davvero spaventata: adesso che Gin sapeva di Kudo, e dei suoi legami, le cose si sarebbero complicate moltissimo, per entrambi. Il pericolo era una cappa nera e pesante che li avrebbe soffocati lentamente, simile ad una chiazza di petrolio in un oceano, che uccideva la fauna acquatica inghiottendola nel buio.

Nera e Mortale. Come l’Organizzazione.

“Quello che abbiamo sempre fatto.” Rispose lui semplicemente, scrollando le spalle. “La combatteremo. Forse avremo qualche difficoltà in più…ma alla fine la spunteremo, vedrai.”

Le sorrise tranquillo, un luccichio determinato e sicuro nel blu dei suoi occhi.

“Come fai ad esserne tanto convinto?”

“Beh, perché una persona che non conosci, una certa Eri Kisaki, sostiene che per liberarsi di me non basterebbe un intero esercito di carri armati.” Scherzò, poi aggiunse, più serio:

“E perché ti ho promesso che ti avrei aiutata. E io mantengo sempre le promesse.”

“Non hai mantenuto quella con Mouri, però.” Commentò lei, cupa.

E forse per la prima volta da quando si conoscevano, Kudo riuscì a rivolgerle un sorriso enigmatico, che lei non riuscì assolutamente ad interpretare.

“Verrò ancora a trovarti, Ai. Spero di rivederti presto in piedi. Anche perché” aggiunse con uno sbuffo, alzando gli occhi al soffitto “la scuola è un inferno senza di te: ieri ho dovuto giocare con Ayumi a marito e moglie, ma ti rendi conto!?” espirò rumorosamente, esasperato, e a lei affiorò alle labbra un piccolo, involontario sorriso: immaginò Kudo prima alle prese con le attenzioni affettuose della piccola Ayumi e poi con la gelosia furiosa di Genta e Mitsuhiko.

Doveva ammetterlo, si era persa un bello spettacolo.

Conan sorrise rincuorato a quel suo cenno di sollievo e se ne andò. Lei rimase a fissare la porta per qualche minuto ancora, poi si lasciò andare contro i cuscini, aprendo il libro.

“Quel tipo è pazzo” disse fra sé e sé, rassegnata. “e io che mi fido di lui lo sono ancora di più.”

Eppure, per qualche strana ragione che la sua mente razionale e analitica non riusciva a comprendere, non poteva farne a meno.

In fondo, quello era il detective che le era stato segnalato dalla stessa Akemi; e se non si fidava di sua sorella, in chi altri avrebbe potuto credere?

Sospirò, cominciando a leggere.

Il tragitto da compiere era ancora lungo e tortuoso. Per ora, non le restava che sperare.

E credere in lui.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Stava per assopirsi, quando la porta della sua stanza venne spalancata. Il cuore gli saltò in gola, battendo furiosamente, mentre le ferite ricominciavano a bruciare, poiché per riflesso si era alzato a sedere di scatto.

“Ops” Commentò la ragazza che era entrata, vedendolo gemere e strizzare gli occhi. Heiji la guardò e, seppur contento di vederla, non poté trattenersi dal gridare infuriato:

“Razza di idiota!! Perché cavolo non bussi prima di entrare?!?”

Kazuha gli restituì il suo stesso sguardo torvo, incrociando le braccia:

“Ti sei appena fatto male da solo. Chi sarebbe l’idiota qui?”

Touché pensò lui, sospirando. Lei chiuse la porta dietro di sé, e Heiji si ritrovò a sorridere lievemente: non era niente male, quella sera. Indossava una maglietta piuttosto aderente che metteva in risalto le sue curve e un paio di jeans attillati che mostravano le sue bellissime gambe; fra i capelli, aveva il nastro color mirtillo che lui le aveva regalato. Non sapeva perché l’aveva fatto, era stato un gesto istintivo, del momento: lei ne era così affascinata, mentre lo osservava attraverso il vetro, le brillavano gli occhi. Adorava vederla così contenta, le guance rosee, il viso luminoso… non capitava spesso. Inoltre, quella tonalità così particolare, gli aveva subito fatto venire in mente il mirtillo.

Il suo profumo.

Il sapore delle sue labbra.

Sentì le guance diventare bollenti e si costrinse a scacciare le immagini che si andavano formando nella sua mente, prima che cominciasse ad arrossire, abbassare gli occhi e balbettare come un cretino. Tutto ciò avrebbe portato ad un certo tipo di domande, che a loro volta avrebbero implicato un discorso molto particolare, che non era sicuro di voler affrontare. Okay, forse una parte di lui voleva affrontarlo, ma…accidenti, non c’era mai qualcuno che gridava quando gli serviva un diversivo?? Che ingiustizia, a Kudo succedeva sempre!!

Comunque, aveva avuto ragione a comprare il nastro: le stava meravigliosamente.

“Qui c’è da mangiare” Esordì lei, sorridente, estraendo un pacchetto celeste da una borsa molto grande, che aveva a tracolla.

“In realtà, è da parte di tua madre. Mi ha chiesto di portartelo, già che venivo qui, perché non si fida molto della roba che potrebbero darti qui dentro.”

“Perché non è venuta lei invece di mandare te?” Chiese lui, falsamente seccato. In verità, lo scambio gli sembrava piuttosto vantaggioso: aveva davvero voglia di stare con Kazuha.

“Non poteva. È andata con tuo padre ad una cena di lavoro.”

I suoi sensori da investigatore, o piuttosto la sua profonda conoscenza delle fissazioni di sua madre, gli fecero fiutare l’inganno all’istante. Di certo la cara mammina aveva approfittato dell’occasione per farli stare da soli; non era un mistero la sua intensa speranza che lui approfondisse la sua amicizia con Kazuha. Al prossimo incontro con sua madre, le avrebbe dato un bacio!

“Comunque, verrà a trovarti domani.” Concluse la ragazza, sedendosi sul bordo del letto come aveva fatto Kudo quel pomeriggio e posandogli il porta-pranzo in grembo. Heiji lo aprì e cominciò a mangiare il riso, con avidità, adorando sua madre con tutto il cuore: la carne insipida e le gelatine mollicce che gli rifilavano lì non avevano niente a che fare con la cucina straordinaria di Shizuka.

“Che c’è nella borsa?” domandò, la bocca piena di gamberetti.

Kazuha storse il naso nel vedere il gesto, e distolse lo sguardo.

“Una sorpresa. Ma prima di vederla, devi dirmi una cosa.”

Il ragazzo inghiottì il boccone, aggrottando la fronte, mentre una brutta sensazione gli affiorava alla bocca dello stomaco.

“Cosa?” chiese, quasi con paura, vedendo l’atteggiamento serio e solenne della sua amica d’infanzia. 

“In realtà, più di una cosa.”

Okay, la situazione stava diventando decisamente preoccupante. Kazuha stessa sembrava stesse cercando di convincersi a parlare: teneva gli occhi fissi sulla parete, le mani che aveva in grembo non la smettevano di stritolarsi a vicenda, tutto il suo corpo era teso. Dopo qualche minuto, prese un respiro profondo, ed esordì:

“Come mai mi hai chiesto di portare la ragazza svenuta al vicino di casa di Kudo? Insomma, la polizia l’avrebbe aiutata ugualmente, e in questo modo hai impedito loro di interrogare una testimone chiave.”

Heiji non si sorprese della sua sagacia: in fondo, era la figlia del capo della polizia. Ora, come poteva spiegarle la cosa senza tradire in alcun modo la fiducia del suo migliore amico? Non poteva certo raccontare la vera storia di Haibara, e non aveva voglia di mentirle spudoratamente; aveva visto Kudo mettersi nei guai più di una volta, a causa delle sue frequenti bugie a Mouri-kun. Così, optò per la via di mezzo: la verità selettiva.

“Beh, quella ragazza…ha una storia molto particolare. Non la conosco nei minimi dettagli, ma so che sarebbe stata in pericolo, se l’avessi lasciata portare via dalla polizia.”

 “Come fai a saperlo se non la conosci bene?” chiese lei, scettica.

“Lo so, perché me l’ha detto Kudo, che la conosce.” Esclamò, sicuro che questo avrebbe chiuso la questione. Evidentemente, la sua amica d’infanzia la pensava diversamente, perché si accalorò:

“Ah, quindi tu hai sottratto una testimone alla polizia, implicato me, la figlia di un poliziotto, nella faccenda, solo perché Kudo” Heiji notò con disappunto la nota di disprezzo sul nome del suo carissimo amico “ha detto così. Wow. Se lo dice lui, allora…” concluse, con tono falsamente convinto.

Heiji si rabbuiò: “Infatti.” Affermò brusco. “Mi fido di Kudo.”

“E fai tutto quello che dice.” Aggiunse lei, con la stessa asprezza.

“Non è vero!”

Si sentiva piuttosto risentito. Lui e Kudo erano detective alla pari, della stessa, identica bravura, era normale che collaborassero! Ma da qui, ad affermare che lui gli obbediva ciecamente…era un’altra storia!

“A me sembra di sì.” Insistette lei, imbronciata.

“Ti sembra sbagliato. Kudo sta passando un momento difficile, io sono suo amico, ed è normale che lo aiuti. Tu non faresti la stessa cosa con Mouri-kun?”

“Ran non mi ha mai ordinato di rischiare la galera o la vita per lei!”

“Nemmeno Kudo.” Affermò lui deciso. “Anzi, non perde occasione per ripetermi che posso sganciarmi quando voglio, che non gli devo niente. Stupido!” quasi non si accorse della punta di affetto che trapelò dalla sua voce, ma Kazuha evidentemente sì, perché si focalizzò su di lui, colpita.

“Come se potessi lasciarlo nei guai dopo tutto quello che abbiamo passato insieme”.

L’ultima cosa l’aveva detta più a se stesso che alla sua amica d’infanzia. Lei rimase a fissarlo per molto tempo, poi sospirò:

“Lui è molto importante per te, vero?”

“È il mio migliore amico.” Disse Heiji, semplicemente.   

Kazuha era impressionata suo malgrado. Nonostante fosse un ragazzo allegro ed espansivo, Heiji non aveva mai socializzato molto con i loro compagni di classe. Certo, rideva e scherzava con molti, usciva a volte con i suoi compagni di kendo….ma non lo aveva mai visto dimostrare un simile affetto per qualcuno, prima d’ora. Kudo doveva essere in qualche modo speciale, se aveva conquistato a quel modo Heiji; forse avrebbe dovuto rivalutarlo…

Fece un ennesimo sospiro ed annuì.

“Che altro volevi chiedermi?” Chiese lui, un po’ intimorito. Kazuha arrossì, distogliendo lo sguardo da lui, sentendo il cuore andare a mille. Era arrivata la resa dei conti. Nonostante avesse provato il discorso almeno una ventina di volte davanti allo specchio, prima di partire per Tokyo, scoprì il suo cervello completamente vuoto, e la cosa la fece agitare ancora di più. Non sapeva proprio come esprimere ciò che voleva dirgli senza essere costretta in seguito a cambiare nome e ad arruolarsi nella legione straniera. Accidenti!

“B-beh…ecco…volevo parlarti del…” deglutì rumorosamente, si sentiva la bocca asciutta, le guance bollenti. La sua mente, inceppata, sembrava incapace di formulare frasi di senso compiuto. E dire che lei non era mai stata una ragazza timida, con Heiji men che meno.

“Di…quello che è successo quando…quando sei…rinvenuto in quel postaccio.”

“Oh.” Fu il commento gutturale che sentì provenire dal ragazzo. Certo lui non la stava aiutando per niente! Stupido Heiji!

Tacquero entrambi per un tempo soggettivamente lungo. Kazuha continuava a fissarsi le ginocchia, il petto che probabilmente sarebbe crollato di lì a poco sotto i colpi violenti del suo cuore. Alla fine, sentì lui balbettare, con una voce che a stento riconobbe come sua:

“B-beh…è stato bello…no?”

“Direi di sì.” Confermò lei, con una voce piccola piccola. “S..significa qualcosa..?”

“Non deve per forza!” esclamò precipitoso lui, con una leggera sfumatura di delusione nella voce. “C-cioè, se non vuoi…lo so che credevi fossi morto.”

Sembrava abbattuto. Kazuha se ne sentì suo malgrado felice. Alzò timidamente gli occhi su di lui, lieta di vedere lo stesso suo identico rossore dipinto sulle guance di Heiji, e disse, sfoderando un coraggio che non sapeva nemmeno lei di possedere.

“Ma io voglio.” Subito abbassò di nuovo gli occhi. “E tu?”

“Sì.”

Nonostante l’imbarazzo, entrambi si sentirono piuttosto soddisfatti e felici. Incrociarono di nuovo gli sguardi, e Heiji le sorrise, benevolo, costringendola a ricambiare, radiosa. La temperatura della stanza sembrava essere salita di una quarantina di gradi.

“Okay, allora.” Concluse Heiji impacciato. “Ehm…che cos’hai lì nella borsa?”

Kazuha fu sorpresa da quel suo repentino cambio di argomento, ma allo stesso tempo ne fu risollevata. Riuscì a calmarsi un poco, mentre rispondeva con voce di nuovo normale:

“Qualcosa che ti costringerà a rispettare la promessa che mi hai fatto.”

Heiji la guardò senza capire. In altre occasioni lei si sarebbe arrabbiata della sua dimenticanza, ma dopo quanto appena successo fra loro, si sentiva bendisposta, l’ira completamente estranea al suo animo.

“Non ricordi? Avevi detto che una volta tornato dalla missione a Tokyo avremmo cenato insieme e visto un film. Beh, la cena al momento riposa nel tuo stomaco, e siccome sei bloccato qui dentro, ho pensato…” estrasse dalla borsa un computer portatile dall’aria piuttosto costosa “di portare il film da te.”

“Dove hai preso quell’affare!?” Esclamò con voce strozzata.

“Me l’ha prestato papà.” Disse lei con una scrollata di spalle.

“Ora, avevi detto che potevo scegliere io il film; ma siccome sono una persona gentilissima e dolcissima…”

Heiji fece una risatina, guadagnandosi un’occhiataccia.

“…ho portato tre dvd, così scegliamo insieme.”

“E che dvd sarebbero?”

Kazuha sorrise diabolica, e lui capì che i suoi timori erano ben fondati. Estrasse dalla borsa le confezioni, e lui ascoltò orripilato i titoli dei film che lei aveva portato, improvvisamente pallido.

“C’è Titanic, Il Matrimonio del mio Migliore Amico e Moulin Rouge. Allora, che preferisci?”

“Il suicidio è contemplato fra le scelte?” domandò lui disperato. Per tutta risposta lei ridacchiò malefica.

Alla fine, Heiji sospirò, sconfitto e demoralizzato.

“Vada per il secondo. Almeno fa un po’ ridere.”

Kazuha infilò il cd nel computer, soddisfatta, restando seduta sul bordo del letto.

“Non stai scomoda, così?” chiese lui premuroso, mentre sullo schermo comparivano i titoli di testa. Aveva notato che, in quella posizione, doveva voltare la testa per guardare.

“Uh?” fece lei, spiazzata. “No, non  preoccuparti!”

“Non staresti più comoda…” insistette lui, un po’ imbarazzato “ehm…qui?”

Indicò lo spazio vicino a lui. Kazuha lo guardò con gli occhi sgranati, improvvisamente rossa.

“Oh…beh…credo…di sì.”

Così, si sdraiò titubante vicino a lui, contro i cuscini, in modo che potesse guardare lo schermo senza problemi. Il letto era stretto, ma c’entravano entrambi senza difficoltà.

Soprattutto considerando che buona parte della sua schiena era appoggiata al petto di Heiji.

“Sicuro che non ti faccio male?” chiese lei, incerta e preoccupata.

“Oh, andiamo Kazuha!” esclamò lui, con un sorriso forzato. “Sei grassa, ma non così grassa!”

“SCEMO!” sbottò lei, fingendosi irritata. Ma non poteva mentire a se stessa: stava bene, adagiata in quel modo contro Heiji; e sebbene all’inizio fossero entrambi piuttosto rigidi, col passare del tempo e dei fotogrammi del film, cominciarono a rilassarsi.

Lei lasciò senza commentare che lui le passasse un braccio intorno alle spalle, posando a sua volta la testa sulla spalla di lui. Così rimasero, cullati entrambi dal calore del corpo dell’altro, Kazuha che ascoltava il battito del cuore di lui, Heiji che sentiva il profumo dolce e intenso di lei.

Per la prima volta dopo tanto tempo, compresero cosa significasse davvero stare bene…ed essere felici.

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Conan bussò alla porta, entrando subito dopo. La stanza di Ran era calda e accogliente, non appena varcò la soglia fu inondato da un profumo intenso e gradevole, un misto di fiori, ciliegia e quello che dopo anni aveva imparato a conoscere come l’odore di lei.

Ran era sdraiata sul letto, la cascata gloriosa di capelli bruni che si dipanavano sul cuscino, le gambe sinuose e snelle accavallate, le braccia dietro la testa. Aveva già indossato il pigiama, morbido e grande rispetto alla sua corporatura, con disegni di torte guarnite sopra. Non si era accorta subito della sua presenza, poiché le orecchie coperte dalle cuffie del walkman le avevano impedito di sentire il suo bussare; quando se ne avvide sussultò lievemente, colta di sorpresa, spense il registratore e lo ripose in fretta nel cassetto del comodino, poi lo guardò, con i suoi bellissimi occhi color fiordaliso e le guance lievemente imporporate per il calore della stanza -o forse per qualcos’altro- e gli sorrise. Era eccezionalmente carina, quella sera.

“Conan! Che ci fai qui?”

Lui si strinse nelle spalle, ricambiando il sorriso.

“Mi annoiavo, di là con lo zio, e ho pensato di venire qui a vedere che stavi facendo. Ascoltavi della musica?” domandò, in tutta innocenza, facendo cenno al cassetto del comodino. Le guance di lei presero una sfumatura di rosso più accesa.

“Oh…beh, sì! In effetti è così.”

Conan annuì, sebbene perfettamente conscio che, se fosse stata musica, lei l’avrebbe ascoltata dallo stereo e non dal walkman.

“Posso restare un po’ con te?” chiese con voce tenera. Voler stare con Ran per lui era normale, non c’era altro passatempo che giudicasse più piacevole, ma quella sera aveva anche altre motivazioni: una era che era stufo di vedere Kogoro sbavare davanti alla tv di fronte alle selezioni di un concorso di bellezza, l’altra era scoprire come avesse reagito, dopo tutto quello che era successo. Negli ultimi due giorni non aveva mai trovato occasione

Oh andiamo! Dì che non hai mai trovato il coraggio!

di parlarle della faccenda.

“Certo.” rispose lei, tamburellando con la mano il posto sul letto vicino a lei. Conan si sedette, incrociando le gambe sul copriletto. Dopo qualche istante, sentì che le dita di lei cominciavano ad accarezzargli i capelli, e subito si sentì arrossire, il cuore che martellava incessantemente, il corpo rigido come un ghiacciolo.

“Che hai fatto l’atra sera a casa del professor Agasa?” domandò lei, come se niente fosse, continuando a sistemargli i capelli. Sembrava stesse cercando di fargli stare giù i ciuffi ribelli di capelli bruni sul davanti. Se non fosse stato così teso, probabilmente l’avrebbe avvertita che combatteva una battaglia persa in partenza: una certa Yukiko Kudo ne sapeva qualcosa.

“Oh, niente di speciale.” Rispose, e pensò fra sé che era stata una fortuna che il suo ex vicino di casa alla fine si fosse deciso a fare dietro-front e a tornare a prenderlo. Beh, più che l’intervento della fortuna doveva ringraziare quello di Ai Haibara, che riprendendo conoscenza per pochi istanti aveva mormorato a fatica ad Agasa di tornare indietro immediatamente. Altrimenti non avrebbe saputo come giustificare la sua presenza lì a Ran, Kogoro e a tutta la squadra di polizia. Era anche per ringraziarla di questo che le aveva comprato il libro.

“Mi ha fatto provare un nuovo videogioco!” Aggiunse, cercando di imprimere nella voce lo stesso entusiasmo che aveva sentito ad Ayumi quando le aveva regalato la biglia di Masked Yaibar.

“Dev’essere stato divertente.” Commentò lei condiscendente, rinunciando a cercare di sistemare il ciuffo e spostandosi sulla frangetta. Conan sentiva le dita di lei sfiorare la sua fronte, lievi come una carezza, e provò una strana sensazione di vertigine, mentre il volto diventava rosso vivo.

“E tu invece?” chiese, la voce tremula a causa delle sue attenzioni. Eccola, la domanda cruciale, il momento  decisivo.

Le dita di lei si bloccarono, mentre tutto il corpo si irrigidiva. Conan stesso smise di respirare, praticamente senza accorgersene, in attesa della sua risposta.

“Oh” esclamò lei dopo un tempo che parve lunghissimo “Le solite cose”.

Il tono era noncurante, distratto. In effetti, avere a che fare con criminali e armi da fuoco non era un’esperienza nuova, per Ran. Lei era forte, molto più di quello che dava a vedere, simili situazioni non riuscivano a turbarla davvero. Quello che Conan voleva sapere, quello che Shinichi voleva sapere, non riguardava le sue disavventure con l’Organizzazione. Quanto piuttosto…

Si sentì avvampare, mentre il cuore si riempiva di calda gioia. Il bacio che si erano scambiati…era stato meraviglioso. Fino a quel momento, al primo posto nei momenti più belli della sua vita c’era stato il loro primo incontro, seguito a ruota dalla prima volta che aveva risolto un caso di omicidio da solo, e sul gradino più basso del podio il giorno in cui aveva vinto il campionato di calcio con la squadra della sua scuola, tre anni prima. Quel bacio aveva stravolto completamente la scala dei suoi valori, davvero, stracciando gli altri tre momenti e aggiudicandosi  prepotentemente il primo posto. Non aveva mai baciato una ragazza. Si sentiva al colmo della felicità al pensiero che la prima fosse stata proprio Ran. Dio, l’amava, profondamente, con tutto se stesso. Avrebbe voluto gridarlo al mondo, ma soprattutto avrebbe voluto sussurrarlo a lei, in quel vicolo, mentre la teneva stretta, mentre aveva ancora sulle labbra il sapore dolce di quelle di lei.

Dopo che si erano divisi, mentre la teneva fra le braccia, l’aveva contemplata… e in quei pochi istanti in lei aveva visto qualcosa che non aveva mai notato. In tanti anni che la conosceva, mai se ne era reso conto. Si era sentito così sciocco! Si era accorto di quanto Ran fosse…bella…ma non della sua bellezza esteriore, quella l’aveva notata già da tempo. Si era reso conto di quanto fosse meravigliosa…i suoi modi, il suo carattere, il suo animo…

Aveva capito che Ran non era solo la ragazza, era la persona più bella che avesse mai conosciuto. Il suo aspetto era solo una minima parte dello splendore che lei emanava, limpido, armonioso…abbagliante… 

e aveva capito, aveva capito di essersi davvero innamorato di lei. Perdutamente. In ogni fibra del suo essere. In un modo così profondo e intenso che non credeva possibile; con un amore che non credeva nemmeno di possedere. Ran…in quei pochi attimi in cui lei gli aveva sorriso, aveva compreso che avrebbe voluto vedere quel sorriso tante altre volte nella sua vita. Ed ora, seduto sul suo letto, con lei così vicina…

Capì di non poterne fare più a meno.

Capì che lei era l’unica che avrebbe mai potuto amare.

Capì che nessuna, nella sua vita, avrebbe potuto scatenargli quelle stesse emozioni.

Capì che lei era la donna della sua vita, l’unica, la sola… colei che avrebbe portato all’altare, un giorno. E che avrebbe amato, con tutto se stesso, ogni momento della sua vita, ogni attimo…per l’eternità.

“Ma, sai Conan…” disse lei, strappandolo ai suoi pensieri. Lui si voltò verso la ragazza che amava, incontrando il suo sguardo sincero e limpido, quegli occhi di quel colore così particolare. “…quella sera, ho capito una cosa. Una cosa molto importante, per me.” Le sue braccia lo circondarono, amorevolmente. “E anche se so che dovrò aspettare chissà quanto…anche se so che dovrò sopportare tanti sacrifici…” sospirò, sorridendogli:

 “La mia risposta è sì. Sarà sempre sì.”

Shinichi si sentì improvvisamente pieno di felicità. Il sentimento dovette trapelare dai suoi occhi azzurri, luminosi e sereni come l’oceano in una calda mattinata d’estate, perché Ran parve compiaciuta e felice a sua volta.

“Per sempre?” chiese lui, speranzoso.

Il sorriso e lo sguardo di lei furono le uniche risposte di cui ebbe bisogno.

 

 

~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Ciao Ran.

Prima di tutto, voglio chiederti scusa. Scusa per non essere rimasto, scusa per essere di nuovo scomparso, lasciandoti sola. Per te sarà difficile credermi, e lo capisco…ma sono sincero, quando dico che non ho avuto altra scelta. Come ti ho spiegato, l’Organizzazione è sulle mie tracce…e non voglio metterti in pericolo. So che tu saresti pronta a seguirmi, ad aiutarmi…lo so, perché sei la ragazza più leale, sincera e coraggiosa  che io abbia mai conosciuto. Ma io non ho il tuo coraggio, Ran, la tua forza di spirito. Saperti in pericolo mi distruggerebbe, e non voglio che accada, se posso evitarlo. Perciò, per ora, non posso tornare da te, sebbene lo desideri intensamente, sebbene non ci sia altro nella vita che voglia di più.

Ran, quello che è successo stasera…non sai quanto mi hai reso felice. Sarebbe stato il momento ideale, anzi, perfetto, per dirti quello che provo per te. Ma ora, sono contento di non averlo fatto. Non fare quella faccia! Non volevo dire quello che pensi. Anche se mi sarebbe piaciuto, è meglio così. Penso che ora come ora non sarebbe giusto. Vedi Ran…quando ti rivelerò i miei sentimenti, non voglio che siano parole buttate al vento. Vorrei potertelo dimostrare giorno per giorno, standoti vicino, non lasciando passare nemmeno un istante senza che tu possa vedere chiaramente quello che provo. Non sarebbe giusto adesso dirti quelle parole. Sono solo cinque lettere, è vero, ma racchiudono dentro di loro una promessa che io adesso non sono in grado di mantenere.  Voglio che quel giorno, il giorno in cui lo farò, sia speciale;  non posso permettere che ci siano ostacoli alla nostra felicità, e adesso, purtroppo, ce ne sono eccome.

Ma la domanda che mi sono sempre posto, e a cui per timore non ho mai dato voce è: tu vuoi aspettarmi, Ran? Lo so che non sono affidabile, so che ti ho mentito, in passato, e che ti ho fatto soffrire, e sto male per questo. Quello che mi sta a cuore è la tua felicità, e ti giuro che qualunque sarà la tua decisione, non ce l’avrò con te. Non cambierà ciò che sento. Dunque, lascio a te la scelta.

Ora è meglio che smetta di blaterare, prima di consumare tutto il nastro.

A presto, Ran.

 

 ~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*

 

Quando in seguito Shinichi sarebbe tornato nella camera che divideva con Kogoro,  avrebbe potuto andarsene consapevole di aver reso felice la persona a cui teneva di più al mondo, senza alcun rimpianto, pronto a tornare a recitare il suo ruolo certo di scorgere il barlume di un sorriso sul suo volto, quando l’avrebbe guardata di nuovo. E lei…

Ran avrebbe sofferto un po’, ne era certa, tuttavia, quando la sensazione di solitudine fosse divenuta quasi insostenibile, le sarebbe bastato ricordare quella sera, quel messaggio, per non sentirsi completamente abbandonata. Anche perché ora aveva una certezza…la certezza che, quando tutto fosse finito, avrebbe potuto ricevere la sua promessa.

La promessa di Shinichi.

                                                                 Fine.

 

 

Note dell’Autrice: ciao a tutti! Lo so, vi ho fatto aspettare un’infinità di tempo, ma questo capitolo ha richiesto un sacco di sforzi, riscritture e modifiche! Davvero, è stato il capitolo più difficile che abbia mai scritto, e adesso che è terminato non sono nemmeno certa di essermela cavata bene. Sono insicura su un mucchio di cose, ma ci ho lavorato su tanto che temo di impazzire, se ci rimetto le mani. In più, sono preoccupata che possa non soddisfare e piacere a voi lettori, e siccome è l’ultimo, ci rimarrei veramente male. Comunque, non fatevi condizionare da questo e, se recensite, fatelo in tutta onestà, dicendomi quello che realmente pensate, anche se è un parere negativo.

Allora, avrete notato che non ho spiegato per filo e per segno tutto quanto, bensì ho lasciato molte cose all’intuizione, seminando indizi qua e là. In fondo è un racconto che parla di detective. Spero di non essere stata ostica e incomprensibile, e anche di non aver commesso errori nell’intreccio: essendo l’epilogo c’erano molte cose da ricordare, e sebbene abbia riletto i precedenti chap prima di scrivere, potrei essermi sbagliata. In entrambi i casi, conto su di voi per farmelo notare, ok?

Detto questo, passo a rispondere ai numerosi commenti che ho ricevuto. Siete davvero grandissimi, vi adoro!

Shin17: ciao! Mi fa davvero piacere essere riuscita a coinvolgerti con lo scorso capitolo. La scena fra Ran e Shinichi era una delle più importanti della ff, mi sarebbe dispiaciuto deluderti. Mi auguro con tutto il cuore di aver soddisfatto le tue aspettative per quest’ultimo chap. Fammi sapere, va bene? Un bacio, e grazie mille anche per la recensione di "A Very Important Gift".

Laira: Ciao! Tutti i complimenti che mi hai fatto mi hanno davvero scaldato il cuore…grazie!^^ Sono felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto tanto, e lusingata che tu abbia apprezzato la mia interpretazione dei sentimenti dei due protagonisti; ho sempre pensato che Shinichi, per quanto altruista e innamorato di Ran, tenesse nascosta la sua identità anche per paura che lei lo lasciasse, e ho voluto esprimerlo nella ff. Comunque, spero di non averti deluso con quest’ultimo capitolo, mi dispiacerebbe molto. Baci, a risentirci!

Lore: ti ringrazio del commento! Eh sì, purtroppo siamo alla fine. Non preoccuparti, però: come avrai notato ho lasciato parecchie cose in sospeso, soprattutto con l’Organizzazione. Così, nel caso volessi scrivere un sequel… Un bacio, dimmi le tue impressioni anche su questo chap, okay?

Miele: ciao carissima! Sono felice di aver ricevuto un tuo commento positivo per lo scorso chap, mi auguro di non averti deluso nemmeno stavolta! Comunque, dopo qualche riflessione, ho preferito non far rivelare a Shinichi la sua doppia identità, nel colloquio con Ran del cap.28. Mi sembrava più giusto così, non so spiegarti bene il perché (capisci a che livello è la mia follia?). Quanto al dottor Agasa, e adesso ti parlo del manga e non della mia storia, credo che Shinichi gli abbia detto subito la verità perché in quel momento era davvero in crisi, aveva bisogno dell’aiuto di qualcuno, e il suo vicino di casa era lì, affidabile e pronto ad ascoltarlo. Insomma, il poveretto si era ritrovato all’improvviso nel corpo di un bambino delle elementari, anch’io sarei subito corsa a dirlo a qualcuno di fiducia. Riguardo alle altre tue domande, spero di aver risposto nel capitolo…anche se, come ho già detto, ho lasciato molte cose all’interpretazione. Infine, per quanto riguarda la tua e-mail (e mi scuso per non averti risposto in fretta, ma non potendo usare la posta elettronica ho dovuto aspettare questo aggiornamento), posso suggerirti vari libri su Sherlock Holmes da leggere: “Uno Studio in Rosso” prima di tutto, perché è la prima avventura dell’investigatore londinese, e narra anche del suo primo incontro con l’inseparabile Watson. Io l’ho letto e mi è piaciuto molto. “Il Segno dei Quattro” non è male (tra l’altro è anche il preferito di Shinichi), così come “Il Mastino dei Baskerville”, anche se Holmes non compare per buona parte della vicenda e personalmente ho trovato un po’ scontata la scoperta del colpevole. Se poi invece di un romanzo intero vuoi dilettarti con qualche racconto, ci sono varie raccolte: “Le Avventure di Sherlock Holmes”, “Le Memorie di Sherlock Holmes”, “L’ultimo Saluto”, e di quest’ultima raccolta ti consiglio “L’avventura del detective morente”, che ho apprezzato molto. Ce ne sono molti altri, ma per ora ti consiglio questi, tutti di Arthur Conan Doyle. Contenta? Un bacione, a risentirci!

Ruka88: ciao! Grazie infinite della recensione…mi auguro di non averti fatta infuriare con il finale che ho scelto per la vicenda. Fammi sapere, okay?

Ginny85: ciao Ginnuzza! Mi dispiace tanto averti dato un dolore con l’annuncio della conclusione della fanfic, ma come vedi l’ultimo capitolo è piuttosto lungo…sono perdonata? Quanto al sequel…mi sono lasciata parecchi spiragli con questa storia, come avrai notato, proprio per avere spunti su cui lavorare nella stesura di un eventuale seguito. Non prometto nulla, però…

Felicissima di averti regalato quelle emozioni leggendo del bacio fra Shin e Ran. Spero di non essere stata troppo smielata in quest’ultimo invece, il mio timore è lì (Sono insicura soprattutto sulla scena fra i due protagonisti^^”). La tua ipotesi su quanto aveva visto Conan si è rivelata giusta, hai visto? Della serie: anche Watson ha i suoi momenti di gloria!^^ Anche se il piccolo detective ha pensato bene di riciclare il nastro per altri fini. Comunque, non sei tu a dovermi ringraziare, bensì io a dover ringraziare te. Le tue bellissime recensioni mi hanno aiutato moltissimo, oltre a farmi un piacere immenso. Quell’immagine che hai creato per la mia ff poi mi ha colpito dritto al cuore, mi hai fatta commuovere: sei un tesoro, Ginny! Grazie, grazie mille. È per persone come te che ho creato questa storia, il merito è anche di voi lettori. E poi, non rattristarti! Sentirai ancora parlare di me, non preoccuparti. Ho in mente altre ff da dedicare a questo manga, forse non lunghe quanto questa, ma pur sempre storie. Non lo sai che l’erba cattiva non muore mai? Inoltre, commenterò capitolo per capitolo l’attesissima “Still for your love”, quindi avremo ancora modo di chiacchierare!^^ A proposito, scrivila presto, che voglio leggere! Un bacione, a risentirci.

Akemichan: ciao carissima! Sono contenta che la mia storia ti abbia appassionato tanto…insomma, sei una bravissima scrittrice, il tuo parere mi lusinga. Mi auguro con tutto il cuore di non aver deluso le tue aspettative con questa conclusione. Dimmi cosa ne pensi sinceramente, okay? Ma…ehm…possibilmente, indora la pillola, va bene? Riguardo ad Agasa…mi piacerebbe chiarire i tuoi dubbi, o nel caso ammettere le mie colpe, ma onestamente non so davvero cosa intendi. Mettiamoci una pietra sopra, che è meglio. Baci, a risentirci.

Kari1: ciao! Ti ringrazio di cuore dei complimenti, mi hai davvero messo in imbarazzo!^//^ Comunque mi fa davvero piacere che la mia storia ti sia piaciuta tanto, e come ho detto anche ad altri, non è impossibile che io scriva un seguito, in futuro. Prima però fatemi riprendere fiato!^^” Mi auguro che anche questo capitolo finale ti sia piaciuto, ho messo la tua cara coppietta di Osaka, hai visto? Un bacio.

Alex ro: ciao, grazie della recensione! Ehm…scusami se non ho accolto la tua richiesta di fare presto, per vari motivi non ho potuto. Spero di averti almeno soddisfatto con l’aggiornamento, sebbene sia arrivato tardissimo. Un abbraccio, e grazie ancora!

Vi-chan: ciao! Non sai quanto mi ha reso felice leggere il tuo commento! Sei stata carinissima! Forse non la penserai allo stesso modo dopo aver letto questa conclusione, ma…beh, meglio aver perduto che non aver mai avuto (libera rielaborazione di Shakespeare). Sono anche contenta di averti soddisfatta con l’ambientazione, visti i nostri trascorsi, ^^” e naturalmente con la mia scelta di non far rivelare l’identità di Shinichi.  La risposta alla tua domanda si trova nel capitolo…e a proposito, fammi sapere cosa ne pensi, ok? Un bacio.

Shaddy: grazie dal profondo del cuore per i tuoi complimenti, mi hai fatto arrossire.#^^# Sono contenta di essere riuscita a trasmetterti tutte quelle emozioni. Molto evocativa la tua immagine del filo traballante (“Che cos’è? Una recensione alla recensione?” nd. Shaddy). Il particolare alla fine ora dovrebbe esserti chiaro. Sono ansiosa di sapere cosa ne pensi di questo finale, d’accordo? Un bacio grande.

Ersilia: wow! Grazie mille dei complimenti, sei davvero gentilissima.^//^ La tua recensione mi è piaciuta molto. Spero che la conclusione della ff abbia avuto lo stesso effetto su di te: sono parecchio incerta su varie parti. Conto sul tuo parere, va bene? Baci.

Sita: ciao! Beh, stavolta non hai avuto modo di sorprenderti per la mia velocità di aggiornamento, credo. Sono felicissima che il capitolo ti sia piaciuto, mi hai davvero lusingata con le tue lodi, stranamente anche quando hai detto che sono un mostro.^__- Anch’io ho esaurito il mio repertorio di ringraziamenti, ma ti sono veramente riconoscente per tutti i commenti che mi lasci e per tutte le cose carine che mi dici. Kiss.

BPM: ciao! Grazie della recensione. Il tuo commento era molto arguto e interessante…hai detto un mucchio di cose vere. Onestamente non so se ti ho soddisfatto con la mia soluzione dei fatti, anche se naturalmente spero di sì. La situazione è molto sfumata per quanto riguarda i due protagonisti, ho preferito farlo così perché una descrizione dei fatti esplicita e lineare mi sembrava troppo finale da favoletta per bambini. Volevo che molte cose restassero all’interpretazione del lettore, perciò ho solo seminato indizi. Dimmi cosa ne pensi. A presto!     

Vale-chan: oh, Vale! Non ho ricevuto il tuo pm di scuse, non so spiegarmi il perché, comunque è logico che sono accettate! Anzi, devo chiederti scusa io, quando ho lasciato il messaggio sono stata parecchio scortese e sgarbata nei tuoi confronti, avrei dovuto essere più diplomatica. Spero davvero che tu non ti sia cancellata dal forum a causa della nostra piccola vicenda. Nel qual caso, inscriviti di nuovo, se ti va! Ne hai tutti i diritti, e niente di cui vergognarti. Chiunque può commettere un errore, e sono certa che eri in buona fede. Grazie dei complimenti sulla storia, comunque. Spero di rivederti presto sul forum!

Giften: ciao! Grazie della recensione, l’ho letta con piacere. In effetti seguo parecchio Detective Conan, mi sono scaricata anche dei numeri del manga inediti in Italia, e conosco Shuichi Akai. Non ho avuto modo d’inserirlo in questa fanfic, mi spiace, ma chissà…in futuro, e in altre storie, potrebbe anche succedere. Ti ringrazio ancora dei complimenti.

Black Lady: ciao!^^ Ti ringrazio molto del commento, mi  ha fatto un piacere immenso. Thanks!

Mavi: ciao! Così tu saresti la sorella di Vi-chan!? Maggiore o minore? (ßmia curiosità del tutto immotivata). Sono stata contenta di leggere le tue impressioni, grazie molte dei complimenti. Non posso che essere anch’io felice del fatto che tua sorella ti abbia fatto leggere la mia storia! Un bacio.

Akira86: ciao! Grazie della recensione. Davvero stai scrivendo anche tu una ff su Conan? Wow, se è così postala! Mi piacerebbe darci un’occhiata (sono sempre aperta a nuove storie). Anch’io non vedo l’ora che Gosho concluda il manga, ma purtroppo per noi credo che non abbia intenzione di farlo tanto presto (e chi lo biasima?). Ho scritto di Heiji, hai visto? Credo che sia uno dei personaggi più gettonati del manga (piace anche a me), come potevo non farcelo stare? A risentirci!

Chiyo: ciao! Sono felicissima di aver ricevuto il tuo commento, mi hai fatto arrossire.^//^ In effetti sono molto orgogliosa di questa storia (almeno finora), e mi fa piacere che tu l’abbia apprezzata tanto, e di essere riuscita a trasmetterti emozioni e voglia di leggere. Spero di non averti deluso con questa conclusione (altro che fanclub, probabilmente dopo aver letto mi vorrai a tiro di ortaggio-__-“). Mille baci anche a te, e ancora grazie dal profondo del cuore per la recensione e le lodi. A risentirci!

Sailormeila: ciao! Sono lusingata da ciò che mi dici nella tua recensione: wow, sono proprio contenta che la mia storia ti abbia appassionato tanto! Grazie mille dei complimenti, sei stata dolcissima. La nota negativa che avevi trovato dovrebbe essere stata risolta con questo aggiornamento. Spero tanto di non averti deluso. Mi dispiacerebbe un sacco. Un bacione!

Questo è tutto. Nel caso avessi dimenticato di menzionare qualcuno (sono parecchio sbadata), fatemelo notare e rimedierò al più presto. Risponderò ai commenti che mi manderete postando un altro ‘capitolo’, che intitolerò “Thanks”; in questo modo potrò comunicare con ognuno di voi, rispondendo a perplessità, domande, curiosità ecc. Inoltre sarà meglio per un fatto puramente estetico: i capitoli saranno 30, un numero che mi piace di più rispetto a 29 (i pazzi vanno assecondati, siate clementi^^”). Aspetterò con ansia le vostre impressioni sul finale, sono davvero sulle spine, perché sul serio non so se ho fatto un buon lavoro.

A presto

-Melany  

 

 

 

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